to) 6 FOGNA , %) % CUI, a trwrsreniri sronszo nto | FOR THE PEOPLE | | | FOR EDVCATION | | I FOR SCIENGE | LIBRARY OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY Me La gie 3 ue MEMORIE DELL'ISTITUTO GEOLOGICO R. UNIVERSITÀ DI PADOVA Pubblicate dal Prof. GIORGIO DAL PIAZ PADOVA. Prem. Società CooPERATIVA TIPOGRAFICA 1912 L’ importanza geologica e paleontologica della Regione Veneta, dove dal Pa- leozoico al Quaternario è un meraviglioso succedersi di copiose vestigia fossili e di interessanti problemi, fu già più volte ed ampiamente rilevata da molti studiosi. Dal Brongniart al Murchison, dal von Buch al Suess e all’ Hébert, il Veneto fu sempre una specie di meta alla quale accorsero in ogni tempo, come ad un pellegrinaggio scientifico, geologi e scienziati d’ ogni nazione. Ed in questo ameno e favorito paese, ov ebbero vita e si conservarono i meravigliosi pesci del Bolca, dove le umide foreste dell’ Oligocene erano popolate dalle faune oggidì confinate nelle regioni tropicali, dove arsero tanti focolai vulcanici dalla Valle di Fassa agli Euganei, dove infine, dalle aspre vette della Carnia e delle Dolomiti alle ridenti colline dell’ Asolano e del Bassanese, è un continuo e seducente invito all’ osservazione naturale e alla ricerca scientifica, doveva ben presto sorgere quella Scuola geologica Veneta che, staccandosi fino dal suo nascere dalle vane discussioni scolastiche e teologiche, s° affermava per l originalità delle concezioni e soprattutto per il rigore del metodo nell'indagine e nello studio dei fenomeni noturali. Nobile e forte tradizione, che pei nomi di Fraccaro, Arduino, Lazzaro Moro, Vallisnieri, Brocchi, Fortis, Maraschini, Marzari - Pencati, Catullo, De Zigno, Omboni e molti altri, ci è fonte di legittimo orgoglio, esempio vivo ed incalzante di lavoro e di studio. Ora quelle ricerche geologiche, specialmente per merito del Magistrato alle Acque, ebbero rinnovellata attività, ed è in vero con viva compiacenza che in breve volgere d’ anni io mi son visto crescere d’ attorno un’ eletta schiera d’ allievi, la quale sulle orme del venerato prof. Taramelli (che quasi da solo tenne per tanti amni alto il culto dei nostri studi nel Veneto) seppe già portare largo e svariato contributo alla conoscenza geologica di questo estremo lembo d' Italia. L'amore alla rinascente Scuola ed il desiderio di raccogliere la sua feconda produzione scientifica in un’ ordinata ed opportuna serie di pubblicazioni riguar- danti la Geologia dell’ interessante Regione Veneta, m' indussero a dare alle stampe questo primo volume di MEMORIE, alle quali spero non mancherà l ac- coglienza benevola degli studiosi. Ai miei primi collaboratori: Dott." Fabiani, Stefanini e De Toni, i più sen- titi ringraziamenti e l'augurio che la loro opera trovi incoraggiamento e valga ad accrescere il numero dei giovani cultori della nostra Scienza. Padova, 15 Dicembre 1912. GIiorGIo DAL PIAZ INDICE DEL VOLUME I. Dar Praz G. - Studi Geotettonici sulle Alpi Orientali (Re- gione fra il Brenta ed il lago di S.° Croce) . pag. 1 Fagiani R. - Contributi alla conoscenza dei Vertebrati ter- ziari e quaternari del Veneto (Il tipo del Croco- dilus vicetinus Lioy) . 2 ; pae 197 Dar Praz G. - Sulla Fauna batoniana del Monte Pastello nel Veronese î a È ; A 3 dn ETRE STEFANINI G. - Mammiferi terrestri del Miocene veneto . . 267 De Toxi A. - Brachiopodi della Zona a Ceratites trino- dosus di Monte Rite in Cadore. ; È de 19 I. — Giorgio Dar Praz. - Studi Geotettonici sulle Alpi Orientali - Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di Santa Croce. (con 7 tavole, 8 profili e 22 figure intercalate) PREFAZIONE —aì = Grau, theurer Freund, ist alle Theorie, GostHe, Faust, Parte IL Da parecchi anni, con quell’ amore che è ispirato dal desiderio di conoscere il paese dove si è nati, intrapresi la raccolta dei materiali e delle osservazioni che potevano servire per un’ illustra- zione geologica del Feltrino. Cominciai con un programma assai modesto e limitato ad una piccola regione, senonchè, man mano ch'io andavo acquistando maggior conoscenza dei fatti e dei terreni che riguardavano il primitivo campo di studio, crebbe il desiderio di co- noscere anche i monti vicini, i quali, specialmente per la loro strut- tura, erano d’ altro canto. troppo intimamente legati all’ area che m’ ero proposto di illustrare, perchè, nell’ interpretazione tettonica di questa, si potesse trascurare il loro studio. Di monte in monte e di fatto in fatto io fui condotto così, quasi senza accorgermi, ad ab- bracciare un’area abbastanza vasta e comprendente, come si può rilevare dalla carta d’ insieme (Tav. I), tutta la provincia di Treviso, un tratto della provincia di Vicenza, la parte meridionale della pro- wr IV ——: vincia di Belluno e il Trentino orientale - meridionale all’est della Cima d’ Asta. Questo grande riquadro di circa quattromila chilometri quadrati occupa sì può dire il cuore delle Alpi Venete ed ha per confini una parte del corso del Brenta, la Valle del Grigno, la Valle di Primiero, la conca di Agordo, la regione di Zoldo, un tratto del Piave, i din- torni del lago di S.* Croce e la pianura trevigiana e vicentina. Non si pensi per questo ch’ io, allargando così la tela del mio lavoro, sia con- vinto d’essermi arrestato a confini naturali; dove mai esistono i confini naturali nello studio di qualche gruppo montuoso che faccia parte di una grande catena? Ma giacchè un qualche limite bisognava pur segnarlo per necessità di studio, preferii adottare, per questo lavoro, i confini sopra citati, riserbandomi in avvenire il compito di estendere le mie ricerche alle regioni circostanti, delle quali, com’ è naturale, mi trovai sovente nell’ occasione di dovermi occupare, specialmente pei rapporti che le legano all’ area che ora mi propongo di illustrare. Orograficamente la regione studiata risulta di una prima catena montuosa orientata da ovest-sud-ovest ad est-sud-est e nella quale si - contano i monti Agaro, Coppolo, Scroz, Pavione, Ramezza, Sass de Mur, Pizzocco, Brandol, Ferruch, Talvena, Pelf, Serva, Campedello, Dolada e parecchi altri, tutti oltrepassanti i 2000 m. s. m. Una se- conda catena, in direzione quasi parallela alla prima, da cui la disgiunge il Vallone Bellunese, è composta di masse montuose più modeste, fra le quali noteremo: i monti Grappa, Tomatico, Cesen, Col de Moi, Cimone, Col Visentin e le poche prominenze che si ele- vano sull’ altipiano del Cansiglio. Fra quest’ ultima catena e la pianura - veneta segue una serie di regolari colline terziarie disposte a fascie parallele, che dai dintorni di Bassano si spingono fino ai piedi del Cansiglio. Questi a rapidi tratti i rilievi orografici più caratteristici; di tutti gli altri dettagli di minore importanza il lettore potrà farsi — V —T— un concetto esaminando la tavola d'insieme o qualsiasi altra carta topografica della regione. Riguardo la ripartizione degli argomenti, il lavoro venne diviso in due parti distinte. La prima comprende la descrizione dei terreni, descrizione succinta perchè fatta più per facilitare 1’ interpretazione del capitolo tettonico, che per illustrare la successione cronologica delle singole formazioni. La seconda parte riguarda l’ esame tettonico della regione e forma lo scopo essenziale del presente studio. È noto come la maggioranza dei geologi ritenga che le Alpi Venete siano attraversate da una rete di fratture e di faglie, fra le quali, nell’area presa in esame in questo lavoro, le principali sareb- bero: la faglia di Valsugana-Comelico, quella di Belluno, quella di Val Mareno, quella di S.* Croce e numerose altre di minore impor- tanza. È pure noto come questo modo d’ interpretare la tettonica veneta abbia il suo compendio nella classica teoria del venerando prof. Surss, che considera il bacino Adriatico come un’area di spro- fondamento avvenuto. lungo linee di frattura periadriatiche, limi- tanti gradini tanto più bassi quanto più, partendo dal massiccio granitico di Cima d’ Asta, si procede da. nord verso sud ('). Secondo le mie ricerche invece, fatta eccezione di piccoli salti ‘affatto locali e di nessun significato tettonico, non esisterebbero vere e proprie faglie nel senso classico della parola (*), ma si tratterebbe di un sistema di pieghe più o meno lunghe, sempre continue, per quanto complesse, rovesciate e stirate in conseguenza di subite tensioni. Confesso anche adesso, come alcuni anni or sono (*), ch'io fui .lungamente titubante prima di staccarmi dalla vecchia interpreta- zione tettonica, alla quale si può dire che sono legati i nomi più gloriosi : (!) Suess E. - La Face de la Terre, Tome I, pag. 851. (®) De MARGERIE ET Heim - Les dislocations de l' écorce terrestre, pag. 11. (®) Dar Praz G. - Sulla tettonica dei monti fra il Brenta e i dintorni del lago di 8.4 Croce, Atti dell’ Accademia Veneto-Trent.-Istr., Anno II, Padova 1904. — VI — della letteratura geologica veneta. Da allora, non contento dei dati raccolti, io ho voluto ripetere quasi tutte le mie escursioni e solo i risultati, sempre fra loro concordi e pienamente rispondenti a quanto avevo già esposto nella mia nota preventiva, valsero a togliermi qualsiasi dubbio sul modo secondo il quale dev’ essere interpretata la tettonica della regione presa in istudio. Non vorrei che taluno pensasse per questo ch’ io disconosca il grande merito dei geologi che mi precedettero. Mi si permetta anzi la doverosa dichiarazione che per l’area esaminata nessuno più di me ebbe campo di comprendere ed apprezzare il merito di studiosi quali il Moysisovies, l’ HoerNES e specialmente il TARAMELLI, che, attraverso numerose e svariate difficoltà, tracciarono il primo e fondamentale quadro d’ insieme della tettonica veneta. Ho detto spe- cialmente del TARAMELLI, perchè al lettore che avrà la pazienza di scorrere i vari capitoli della parte tettonica non mancherà 1’ occasione di constatare come io mi trovi spesso d’accordo con le vedute di questo acuto geologo, in special modo quando esse si staccano dal sistema troppo rigidamente scolastico dei geologi austriaci. Erano i tempi classici in cui aveva grande favore la teoria delle aree di sprofondamento, che portava facilmente al concetto e alla constata- zione di presunte faglie; ma tale constatazione e tale teoria pel Veneto, come altri ha verificato per altre regioni, non rispondono certamente ‘alla realtà dei fatti. Le lunghe e ripetute ricerche, il controllo paziente d’ ogni sezione geologica specialmente nei punti controversi, la costante concordanza dei risultati che si legano e si completano in un tutto armonico con ciò che sì riscontra anche nelle regioni circostanti, il prezioso aiuto e l’incoraggiante parola di un autorevole cultore di questi studî quale è il prof. CARLO DE STEFANI, cui giunga l’ espressione del mio grato ricordo, mi fanno sperare d’ essere nel vero. Se non lo fossi, non sarei certamente il primo ad esser tratto in inganno in un —- VI — campo nel quale, come recentemente scrisse un nostro illustre geo- logo, “ sî preparano le più strane sorprese ed i più inattesi tramonti di teorie che parevano inconcusse. ,. In tal caso la mia modesta opera sarà valsa almeno a sollevare il dibattito e dalle nuove discussioni ne guadagnerà certamente il progresso della conoscenza geologica delle Alpi Orientali. Dal canto mio non cesserò per questo di dedicarmi ai nostri studi prediletti, ma ne trarrò anzi nuovo ammaestramento e, ritornando sull’ aspro cammino, ripeterò col FavrE: è #°y a que ceur qui ne font rien qui ne se trompent pas. GIORGIO DAL PIAZ STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.° Croce TAVOLA l N Rocchetta Alta Pnp. | Pt Pura pu 18° "di Sebastiano |’ MELE xo REG Sa vodì \ «Citta n epetergion/ snltzzozi 1 “Aspita iN 7 \G a SUR, TE SOLO Dawestrr anzi 71 sa VT Coltancn | cn Mo ‘esîn) (cri Fia dello iis rs 2500) Ne 1 cl go 1208 a t Bra ia! pad Do qunaggias, x - to” rta ig Pod: va a Vate F76fa0 to er — MMeg 5150) i. nedi Miet” KA seg i i pie Da midori "°g.Comelle ira Mid ‘etta ima A pia di Kai dei dr: Vitale, OI IAT x ‘ala d.Madon DI NN il de {itoe casso im Oezaso d APE Meran sca M;Coro;,- e RR = End IMA 9127 RPSOVa L= EC \ VCO MES Tr ta Mpeg [oa À Mon fines f D. ) Sotcher NO di “adola NiZtO, pioz e Valti ; > rsa Rot O5 0 \ i nell’Alpi t dn Î È Sé LITI 4 P onepa so ESS der il ARE (e, i; n» ofegran 109 } ao ; TL È / sigg one (A da JB 0% È Î 456 Le Ù i 216 x Find eta E SÌ 0595 So ) NA È Ggon, Roncan SM. 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Il nucleo di questo ellissoide è formato da una potente massa granitica, con prevalente sviluppo longitudinale nella direzione sopraccennata, ma con fre- quenti propaggini laterali e apofisi intrusive, accompagnate da se- gregazioni magmatiche di tipo aplitico ed a tenore più acido; feno- meni complessi e che meritano uno studio particolare, specialmente per ciò che riguarda i rapporti genetici e di struttura. Dell’ intera massa granitica soltanto una piccola parte entra nell’ area da noi presa in esame e precisamente l’ estremo limite di una propaggine che sì stacca direttamente dalla Cima d’'Asta (2848 m. s. m.) per finire al M. Scroz, poco lungi dal passo del Broccon. Anche al nord di Canal S. Bovo affiora una larga lingua di granito a facies acida e di un tipo tutto speciale, che si può facilmente di- stinguere da quello di Cima d’ Asta. PIE ga Al M. Scroz e al vicinissimo M. Orena predomina un granito aplitico, nel quale, per azione degli agenti esterni, i feldspati super- ficiali hanno subito una profonda alterazione con produzione d’ una polvere bianca riconosciuta per caòlino. Altre volte 1’ alterazione della roccia è così avanzata, che i feldspati superficiali hanno finito con lo scomparire in tutto od in parte, lasciando delle cavità a spu- gna, ciò che impartisce alla roccia un particolare aspetto cariato. Quale sia l'origine di questa bella massa granitica e quale sia la sua età, non è facile rispondere in via assoluta. Le spiegazioni pro- poste dai diversi autori sono varie, ma nessuna è suffragata da ar- gomenti tali da potersi considerare del tutto esauriente. Dell’interessante problema sta occupandosi, da diversi anni, un egregio collega dell’ Istituto geologico viennese ed io, in attesa del- l'importante monografia, che porterà certamente un validissimo con- tributo all’ interpretazione di uno dei più grandiosi fenomeni della geologia veneta, mi limito, per ora, alla semplice esposizione del mio concetto generale e di qualche particolare osservazione, riserbandomi nell’ ultimo capitolo di esaminare l'eventuale azione che può avere esercitato sulla tettonica veneta la presenza di questa massa cri- stallina. Quanto all’ origine, io sono propenso a ritenere trattarsi di una enorme batolite, intesa nel senso più largo della parola, che sì è in- sinuata nella potente formazione scistosa. Quanto all’ età, credo di poter escludere, nel modo il più espli- cito, che si tratti di un fenomeno avvenuto in epoca terziaria e con- divido invece pienamente le opinioni recentemente espresse dal dott. Trexer, secondo le quali il granito del gruppo di Cima d’Asta è per lo meno più antico del Permiano. Ecco i dati di fatto che mi hanno condotto ad una simile con- vinzione. 1.° Nelle poche località (Malga Orena) nelle quali il granito rape CI è a diretto contatto coi calcari mesozoici (Lias, Dogger) non sì ri- scontra alcuna traccia di metamorfismo di contatto, mentre a breve” distanza affiorano dei brandelli e dei lembi di rocce scistose. 2.° Nei tufi stratificati, che stanno fra la seconda e la terza colata «di porfido permiano dei Lagorai ('), si nota la presenza di ciottoli granitici. ; .3.° Nei conglomerati che stanno alla base delle arenarie di Val Gardena sì osservano pure dei ciottoli di granito dello stesso tipo di quello di Cima d’Asta. 4.° Meno un brevissimo tratto, dove la riduzione di spessore nelle formazioni ebbe la massima intensità in conseguenza dei ripie- gamenti orogenetici, sì riscontra sempre che le filladi circondano il granito e si osserva inoltre, lungo la zona di contatto, che tali rocce scistose hanno subito una più o meno profonda azione di metamor- fismo. 5.° Nelle filladi sono spesso intercalate delle apofisi granitiche di tipo aplitico, che si arrestano e si limitano alla sola zona scistosa, senza continuare entro le rocce mesozoiche con le quali vengono a contatto. 6. Finalmente, nel granito si rinvengono, con discreta fre- quenza, degli inclusi di filladi e di scisti fortemente metamorfizzati. Un magnifico campione di incluso di fillade nel granito lo raccolsi, staccandolo dalla roccia in posto, lungo il versante sud di M. Scroz, a pochi passi dell’ affioramento delle rocce scistose. Da quanto abbiamo esposto, se non è possibile precisare con rigore l’età della massa granitica di Cima d’Asta, emerge però chia- ramente ch’essa è più antica della terza colata di porfido quarzifero, di età verosimilmente permiana, ed è d'altro canto più recente degli | scisti cristallini che la accompagnano. (!) Trener G. B. — Veber die Gliederung der Quarzporphyrtafel im Lagoraigebirge. Ver- handlungen d. k. k. geolog. Reichsanstalt. Jahrg. 1904. Vedi anche anni 1901 e 1903. — 6 — Ricorderemo in fine che alla massa granitica dell’Asta si colle- gano, assai probabilmente, i filoni aplitici e dioritici attraversanti gli scisti cristallini del fianco destro della valle di Primiero. La massa granitica del gruppo di Cima d’Asta è avvolta, tutto all’ intorno, da una specie di camicia di scisti, con predominante inclinazione a nord-ovest. In alcuni casi il passaggio dai graniti agli scisti appare brusco e distinto, in altri invece si hanno degli elementi intermedî di tipo gneissico. Lo spessore di questi scisti è pure assai variabile da sito a sito: alla forcella fra la Valle Ster- nozzena e il Rio Secco, l’intero complesso non arriva a dieci metri: nel vicino M. Calmandro, tenuto pure conto dell’ anda- mento stratigrafico, lo spessore è invece assai ragguardevole. Una grande estensione topografica degli scisti si riscontra in coinci- denza col bacino di Val Sorda, all’ovest dell’ alta valle del torrente Cismon, da Fiera di Primiero, o meglio ancora da Imer, fino a S. Martino di Castrozza. Sulla riva sinistra di questo stesso tratto di torrente gli scisti cristallini sono ricoperti da conglomerati e da colate porfiriche. Alla forcella Cereda e specialmente lungo il ver- sante occidentale fino al Castello S. Pietro (Castel Pietra delle carte topografiche austriache al 75000) affiorano i porfidi quarziferi e non gli scisti cristallini, i quali ricompaiono invece al di là del passo nei bacini del Mis e del Cordevole, dove costituiscono l’ ammasso di M. Gardellon, Armarolo e Rivamonte. La natura di questi scisti varia da sito a sito, in rapporto natu- ralmente col livello da essi occupato. Data la loro costituzione com- plessa, poco costante e ripetuta, e date anche le contorsioni subite da queste masse in alcuni siti, non è facile stabilire una successione molto dettagliata che si possa applicare cioè alle diverse località. Tralasciando una ripartizione minuta, che rientra d’ altronde nel campo del petrografo, e attenendomi ai caratteri più manifesti e OR, ia: meno incostanti, io divido la massa scistosa della regione esaminata in tre grandi gruppi : A) La parte più giovane della massa scistosa è costituita di filladi feldspatiche, qualche volta quarzifere, di colore vario dal bianco- sporco al plumbeo e al nero lucente per la presenza di sostanze carboniose. Le assise superiori, al contatto con le arenarie di Gròden, sono spesso di tipo ardesiaco, come ad esempio nel Col de Foia presso Agordo. , B) Più antichi dei materiali or ora descritti sono degli altri scisti micaceo-talcosi, grigio-biancastri, qualche volta anche rosei, op- pure di un verde sbiadito della Val Sarzana e della Valle del Mis. C) Gli scisti indubbiamente più antichi dei precedenti (A e B) sono fortemente micacei, sericitici, più raramente cloritici, con sot- tili cristalli d’ anfibolo, cianite, pirite, magnetite, ecc., e con un aspetto argentino-madreperlaceo tutto particolare che li fa distinguere con relativa facilità. In alcuni casi essi passano ad un gneiss, che în specie di lenti pare compaia a vari livelli. Un simile tipo di scisti abbonda nella Valle di Primiero e nella Valsugana. Io mi sono spesso rivolto la domanda quale sia l'età di questo grosso mantello di scisti più o meno filladici e cristallini e, lusingato dalla presenza di sostanze carboniose, di piccoli ammassi calcarei intercalati agli scisti e dal fatto di una almeno apparente concor- danza con le formazioni cronologicamente posteriori, intrapresi molte volte delle ricerche nella speranza di rinvenire, sia pure male con- servato, qualche sicuro avanzo fossile. Ma ogni ricerca fu vana, poi- chè non riuscii finora a raccogliere alcuna traccia organica, nè, per quanto mi sappia, altri ebbe la ventura di scoprirne. Non si può tuttavia negare che la parte più giovane dell’ accennato complesso scistoso (di natura così diversa da certi scisti della Valle di Primiero e della Valsugana) non ricordi alquanto il tipo carbonifero delle Alpi occidentali. Trattasi però sempre di pure analogie litologiche, spesso I Mea ingannevoli e limitate ad una piccola parte della serie, mentre per tutto il resto della massa scistosa, che costituisce la parte maggiore, il problema non resterebbe meno oscuro. È vero che la mancanza d’organismi fossili non può costituire un argomento di valore deci- sivo, ma, tenuto conto anche della circostanza che nella nostra re- gione non riscontriamo alcun lembo di terreno rapportabile a quello del Paleozoico medio e inferiore della vicinissima Carnia, con la quale i rapporti dovrebbero verosimilmente esistere se vi fosse corrispon- denza di formazioni, sì sarebbe tentati a ritenere, almeno pel gruppo inferiore (C), che si tratti di terreno molto antico, probabilmente prepaleozoico. Tale opinione venne già espressa dal TARAMELLI ('), mentre altri geologi ritengono invece che si tratti di Carbonifero o anche addirittura di Permiano. Senza discuterne partitamente l'età (ciò che non è per ora possibile data l'insufficienza dei dati) le rocce scistose di tipo più antico (C) corrispondono, a mio avviso, ai mica- scisti, talcoscisti, ecc. del Vicentino e, forse, anche alle filladi quar- zifere inferiori delle Alpi Carniche (?). (1) TARAMELLI T. - Geologia delle Provincie Venete, R. Acc. dei Lincei, Roma, 1882. Note illustrative alla carta geologica della Provincia di Belluno. - Pavia, 1888. (3) FrEcH F. - Karnischen Alpen, pag. 202. Halle, 1894. TEL VE CAPITOLO.II. ° Permiano. Prescindendo dalle rocce scistose e cristalline, l’ era Paleozoica, che è tanto bene sviluppata nell’attigua Carnia, nella regione che Di prendiamo in istudio non è rappresentata che dal solo periodo Permiano. Dal Permiano in su la serie dei terreni è regolare e continua fino alle più recenti formazioni terziarie e posterziarie. Secondo i risultati delle mie ricerche, estese anche all'area cir- costante, il periodo Permiano risulta costituito nel modo seguente: Calcari più 0 meno scuri, bituminosi, scistosi o compatti con \ fauna degli strati a £Be/lerophon. Calcari cariati che passano, inferiormente, a dolomie. Dolomie cariate con gessi. Arenarie grossolane varicolori, per lo più rosse, ma anche \ grigie, giallastre, con frustoli carboniosi. | Puddinghe e conglomerati prevalentemente rossi, a grossi ele- Ni menti quarzosi. A} Porfidi quarziferi, tufi e conglomerati. Cominceremo la descrizione della serie permiana, partendo dai termini più antichi. SR | pe A - PorripI QUARZIFERI, TUFI E CONGLOMERATI. Fra le rocce scistose, più o meno cristalline, ed i sovrastanti porfidi quarziferi sì trova intercalato, nelle vicinanze di Gosaldo e di Sagron, un banco piuttosto sottile di conglomerato ad elementi quarzosi e frammenti di scisti cristallini. Questo conglomerato fu at- tribuito, da alcuni geologi, al Verrucano; però, dati anche i rapporti coi conglomerati che ricoprono i porfidi, io sono dell’ avviso che non si tratti di autentico Verrucano, ma bensì di una formazione alquanto più giovane, da collocarsi piuttosto alla base del Permiano. I porfidi quarziferi affiorano, sotto forma di un’estesissima e potente colata, sui due fianchi, orientale ed occidentale, della forcella Cereda. Sul versante occidentale essi, come già accennai, si spingono molto in basso, fino al castello S. Pietro; su quello orientale invece assumono minore estensione, dividendosi in due lingue, delle quali una (la minore) si dirige verso Gosaldo e l’altra, non sempre ben visibile, forma gli aspri promontorî che si elevano all’ ovest di Sagron. Fra l’una e l’altra di queste zone porfiriche affiorano gli scisti cristallini, entro i quali è scavata una parte del più alto bacino idrografico del Mis. L'aspetto e la natura di questi porfidi variano da sito a sito, poichè in alcune Jocalità essi sono di un colore bruno rossiccio, più o meno ricchi di quarzo e molto compatti, come nella colata occi- dentale; in altri siti invece sono grigi, più ricchi di quarzo, meno di elementi basici e sovente accompagnati da brecce. Un altro piccolo ma interessante giacimento di porfido quar- zifero si trova nell’area della miniera di Mercurio di Vallalta, nella quale furono recentemente ripresi i lavori, tanto sul versante bel- lunese quanto su quello trentino; e un altro ancora, già indicato asta ifapyrcati dal prof. TarameLLI, affiora all’oriente del paese di Voltago nella vicina Val Sarzana. B - CoNGLOMERATI ED ARENARIE DI VAL GARDENA. Superiore ai porfidi, dove questi esistono in colate, è quel grosso banco di conglomerati comunemente detti di Val Gardena, i quali, ove mancano i porfidi, poggiano direttamente sugli scisti. La forma- zione di Val Gardena è costituita di conglomerati grossolani, preva- lentemente rossi ad elementi quarzosi, a ciottoli di micascisti e non di raro anche di porfido rosso profondamente alterato. Subito sopra succedono, con graduale passaggio, ma anche con alternanza di banchi a grana più grossa o più fina, delle arenarie rosse, più raramente grigio-giallastre. Le migliori località nelle quali si può esaminare la descritta successione sono: il Col de Foia, la Forcella Cereda e la Valle del Saldame sulla riva destra del Cordevole proprio di fronte ad Agordo, dove l’arenaria quarzosa fu cavata per molti anni ed im- piegata come fondente nei forni delle miniere di Valle Imperina. I frustoli carboniosi sono affatto indeterminabili e anche qui. noi siamo purtroppo senza sicuri documenti paleontologici per de- durre l’età dei depositi che li contengono. La successione dei vari materiali, compresi i porfidi e i conglomerati, che costituiscono la descritta serie, è però così analoga per natura e disposizione a quella di Val Gardena, (celebre per l'equivalente stratigrafico stabilito dal Suess), a quella fossilifera della Pescara (Valle di Non) e a quella della Valsugana, per non parlare di altre località non meno vicine, che io non esito a ritenere trattarsi di formazioni fra loro per- fettamente contemporanee, rappresentanti il Permiano inferiore ed il medio. C - CALCARE A BELLEROPHON, DOLOMIE E GESSI DEL PERMIANO. . Alle descritte arenarie di Val Gardena succedono delle dolomie con gessi, ai quali sedimenti seguono dei calcari più o meno cariati che fanno lento passaggio ad altri calcari neri, bituminosi, più o meno compatti o scistosi, contenenti una ricca fauna. Si tratta degli strati a Lellerophon, che nella parte più elevata si alternano con qualche lembo di arenarie variegate. Nell'area della nostra carta geologica il calcare a ZBellerophon è ben rappresentato nei dintorni di Agordo e precisamente sulla riva destra della Valle della Rova, dove potei raccogliere un discreto ma- teriale fossile. Ancora più che ad Agordo, il calcare a Bellerophon è fossilifero nella vicinissima valle di Canale, a Soccol e a nord-ovest di Gosaldo. Il materiale da me raccolto nella regione agordina non può gareggiare con quello veramente vistoso che in parecchi anni di ri- cerche venne messo assieme dal dott. CAnEva, ma esso è più che sufficiente per dimostrarci che sì tratta del noto calcare a Bellerophon e per stabilire con assoluta certezza il parallelismo colla corrispon- dente formazione cadorina. 1 Grazie alla cortesia dello stesso dott. CANEVA potei esaminare quasi tutto il materiale che servi all’ autore per la compilazione del suo studio sulla fauna del calcare a £Lellerophon ('). In tale esame ebbi campo di convincermi della ricchezza di detta fauna e della presenza di un numero considerevole di specie nuove; tut- tavia confesso che non tutte le distinzioni specifiche stabilite dal- l’egregio studioso mi convinsero, non sembrandomi sufficientemente giustificate. (1) Caneva G. - La fauna del calcare a Bellerophon. Contributo alla conoscenza dei limiti permotriasici. Bollettino della Soc, Geolog. Ital., Vol. XXV. Nel modesto materiale ch’ io raccolsi nella regione agordina potei distinguere le seguenti forme : Orthoceras sp. Caelonautilus Crux Stache 5 Sp. Worthenia sequens Waag. Murchisonia tramontana Stache Trachyspira nodosa Caneva Naticopsis sp. Neritomopsis intermedia Caneva Dì ovulum Waag. = indica Waag. s sp. ind. Platychilina praecedens Caneva Trachynerita sp. Loronema montiserucis Stache i Sp. Spirifer sp. Productus sp. cfr. P. Humboldti Waag. Ombonia sp. Pecten sp. Cidaris sp. Riguardo all’età degli strati a Bellerophon delle Alpi Orientali, mi pare che, dopo quanto scrissero i geologi austriaci, il nostro T'a- RAMELLI, lo ScHELLWIEN e il dott. CaxEvA, non vi possa essere dubbio alcuno sulle sua permicità e che quindi l'opinione sostenuta in pro- posito dal GuwBeL, dal Lepsius e da qualche altro, che volevano sì trattasse di formazione ancora triasica, sia da abbandonarsi in via definitiva. Non si può negare che nell'intera fauna del calcare a Del Baget lerophon si riscontrino anche delle forme di tipo triasico. È il solito fenomeno dell’estensione verticale assunta da molte specie, che con- catenano una formazione all’altra, ma l'insieme della fauna ha una fisionomia indubbiamente paleozoica, e ciò specialmente per la larga rappresentanza dei generi Achtofenia, Productus, Spirifer, ecc. Il calcare a Bellerophon è da considerarsi adunque come l’equi- valente alpino dello Zechstein e del Calcare a Productus del Salt- range. Solo resta a decidersi se gli strati a Ceratites della stessa re- gione indiana, siano da comprendersi ancora nel Permiano, come è inclinato a credere il Caneva, oppure se debbano considerarsi quali costituenti del più profondo Trias, come propose ultimamente il NOETLING e come io sarei propenso a ritenere. CAPITOLO III. Trias. Lo studio del Trias alpino costituisce indubbiamente uno dei capitoli più complessi e più difficili della Geologia stratigrafica. La ricchezza e la varietà delle faune, non ancora note con sufficienza, lo sviluppo eteropico da sito a sito, le gigantesche intercalazioni do- lomitiche, che mascherano intere formazioni e contribuiscono a ren- dere il terreno scosceso e di difficile esplorazione, sono le cause prin- cipali alle quali sì deve attribuire il lento progresso delle nostre co- gnizioni riguardanti il periodo triasico. E non estranei a questa len- tezza furono inoltre il disaccordo e le violente polemiche che agita- rono due dei più autorevoli cultori della Geologia alpina, quali fu- rono il Moysisovios e il Brrrxer. A tutti gli studiosi d’ argomenti geologici sono noti i grandi meriti di questi due valorosi allievi della scuola viennese, ma & tutti sono pure note le deplorevoli conseguenze di una lotta, nella quale i due competitori, pure essendo d’ accordo nelle linee fondamentali della nomenclatura triasica, erano discordi in quella parte di studio che è la più convenzionale e che consiste nella suddivisione della serie e nell’ opportunità di stabilire un de- terminato confine ad un livello piuttosto che ad un altro, o in quella, ancor meno importante, di adottare un nome in luogo di un altro. META Di qui, da un lato e dall’ altro, una vera selva di nomi ch'io ho cercato di seguire e di parallelizzare specialmente nelle mie prime ricerche, ma che poi ho finito coll’ abbandonare completamente per attenermi alla vecchia divisione seguita dal Mosysisovics nel lavoro Dolomit-Riffe e dal TarameLLi nella memoria sulla Geologia delle Provincie Venete. A - ARENARIE VARIEGATE 0 WERFENER SCHICHTEN. Come si può rilevare dallo specchietto finale, il Trias inferiore viene diviso in due orizzonti. La parte più bassa comincia con un’ alternanza di arenarie e calcari neri a qualche raro Bellerophon, per passare poi a dei calcari grossolani, marnosi, grigi o rossastri ad Hinnites comptus Gold. Avicula venetiana Hau. Pseudomonotis Clarai Emm. Pleuromya fassaensis Wissm. Li Alberti Voltz Naticella costata Minst. Natica sp. Tirolites sp. Le assise di questo livello si possono esaminare con particolare chiarezza nei dintorni di Agordo e specialmente poco sopra la for- cella Aurine, a Taibon e a Cencenighe, nelle quali località i fossili rivestono spesso l’intera superficie degli strati. La parte superiore del Trias inferiore è costituita di arenarie talvolta oolitiche, rosse e grigie, pure fossilifere. Tra le forme rac- colte abbondano i Lamellibranchi, mentre sono rare le Ammoniti, dep Se delle quali una risponde bene al 7'rolifes cassianus Quenst. Gli strati riferibili a questo orizzonte sono specialmente fossiliferi nei dintorni di Gosaldo dove, subito sotto i calcari del Muschelkalk, in un’ are- naria calcarifero-limonitica, rossa, pullula una ricca fauna di Gaste- ropodi e di Lamellibranchi di dimensioni molto ridotte. Devo far os- servare che nel Trias inferiore dell’ area rilevata non rinvenni mai alcuna traccia di formazioni dolomitico-gessose, come si riscontra in- vece nel Recoarese e nel Trentino. La corrispendenza delle arenarie variegate al Buntersandstein dell’ Europa centrale è indubbiamente uno dei parallelismi più si- curi, che viene riconfermato inoltre dalle deduzioni di età dei ma- teriali che limitano, tanto in alto quanto in basso, questa impor- tante formazione. B - MuscHELKALK. In alcune località del Trentino e del Veneto il complesso delle arenarie variegate del Trias inferiore è ricoperto da banchi di con- glomerati. Per l’area da me esaminata qualche cosa di simile sì os- serva nel Zoldano, mentre per l’Agordino e anche pel Cadore non mi venne ancor dato di rinvenire un livello corrispondente. Nell’Agordino il Muschelkalk s’ inizia con un calcare scuro o addirittura nero, così da farlo confondere, a prima vista, col calcare a Bellerophon. Esso contiene dei Pelecipodi, qualche Ammonite, fra le quali il Balatonites balatonicus, ed altri numerosi fossili, quasi sempre però di difficile estrazione. Lo studio della fauna che lo ca- ratterizza potrà fornire un valido appoggio per una più sicura distin- zione stratigrafica. Ad ogni modo, quantunque non lo si possa esclu- dere in via assoluta, non credo, al contrario d’altri geologi, che questi materiali corrispondano, cronologicamente, alle dolomie cariate Mr sabbiose del Vicentino, che appartengono invece, con ogni probabilità, alla parte più elevata degli strati di Werfen. A Dont nel Zoldano, come dimostrarono i geologi austriaci ed il TarameLLI, il Muschelkalk inferiore è costituito da calcari grigio- giallastri a Cefalopodi, fra i quali si trova anche il Ceratites binodosus. Questo stesso orizzonte io lo rinvenni in posto poco sopra il paese di Dont, andando verso Goima e anche nei burroni che si trovano a nord di Gosaldo, dove la roccia è costituita da un calcare ceruleo a sfumature nere con Cefalopodi di non buona conservazione. Del resto nella stessa regione di Dont il Muschelkalk non è fossilifero sol- tanto nella parte più antica, donde provengono, con ogni probabilità, i Cefalopodi della Zona a Ceratites binodosus studiati dall’HavER e dal Moysisovics, ma anche, come spero di poter dimostrare in un lavoro stratigrafico sul Trias, nelle parti più elevate, dove contiene nume- rosi avanzi fossili come: Lalatonites, Arcestes, Posidonomya, Pecten, Belonorhrynchus e più in alto Pterophyllum e Calamites, in modo at- fatto analogo alla successione che l'’Harapa osservò in Val Talagona nel Cadore. Tutto questo insieme di materiali dovrebbe costituire la parte superiore del Muschelkalk inferiore, corrispondendo, se non in tutto almeno in gran parte, ai più giovani elementi della zona a Ceratites binodusus. Il Muschelkalk si chiude in fine, secondo le mie osservazioni e in conformità al modo ch'io seguo nella divisione del Trias medio, con degli strati di un calcare marnoso, nodulare, che nelle parti più elevate diventa lastriforme. Questa successione di materiali può es- sere esaminata nello stesso profilo di Gosaldo, riscontrando una grande analogia, nell’ ordine di successione, col Muschelkalk superiore del Cadore. Mentre però nell’ Agordino i fossili di questo livello sono piuttosto rari, nel Cadore sono assai frequenti. Fra le località cado- rine va citata, anche per la vicinanza e pei rapporti orografici col Zoldano, quella di Rite, la cui fauna, costituita dalle seguenti forme, ge, appartiene alla zona a Ceratites trinodosus e trova riscontro cronolo- gico nell’ analoga fauna del Vicentino ('). Posidonomya sp. Daonella paucicostata Tornq. Halobia sp. Ceratites trinodosus Mojsis. ci superbus Mojsis. na Pa zoldianus ? Mojsis. Li ‘gosaviensis Mojsis. 7 elegans Mojsis. È multinodosus Hau. Balatonites sp. Acrochordiceras Carolinae Mojsis. > undatwin Arth. 5 enode Mojsis. ”» ” Sp. Gymnites incultus Beyr., C - STRATI A DAONELLE. Al Muschelkalk, inteso nel senso più ristretto, cioè secondo il concetto del Moysisovics e del TARAMELLI, succede una serie svaria- tissima di materiali ch'io ho abbracciato sotto il nome vago e prov- visorio di strati a Daonelle. Gli strati a Daonelle comprendono la formazione di Buchenstein e di Wengen che sono così difficilmente separabili. Non è qui il caso di descrivere i tipi di questi due membri del Trias superiore, ciò che fecero, non senza difficoltà dovute alla natura dell’ argomento poco chiaro, altri geologi, ma vediamo piut- (1) ArragHI C. - Ammoniti triasici (Muschelhali) del Monte Rite in Cadore. Boll. d. Soc. Geol. Ital. vol. XXIV, 1905, pag. 237. Ng e pe tosto di formarci un'idea il meno incompleta possibile della succes- sione dei materiali che nell’area presa in esame possono rappre- sentare appunto questi due livelli. a - FORMAZIONE DI BUcHENSTEIN. Nel versante meridionale della catena di M. Agner, a nord e nord- ovest dei paesi di Voltago, Frassenè e Gosaldo, ai descritti calcari la- striformi del Muschelkalk superiore succedono dei calcari dolomitici, grigi o nerastri, sovente ricchi di Daonelle così da costituire una vera lumachella. A questo livello, poco lungi da Frassenè, nell’estra- zione di un calcare nero, zeppo di Giroporelle, che occupa un oriz- zonte appena inferiore a quello delle pietre verdi e che viene ado- perato come materiale da fabbrica, furono scoperti alcuni fossili ch’ io m'affrettai a raccogliere. Trattasi di un piccolo ma ben conservato materiale, il cui studio avrà certamente un’importanza di primo or- dine nello stabilire meglio l'elenco della fauna propria del livello di Buchenstein, fauna nota molto imperfettamente e costituita, come è risaputo, da elementi provenienti da svariatè località. Fra le forme raccolte, in prevalenza Ammoniti, ‘esiste, un 7rackyceras ctr. recuba- riense, che compare appunto nel livello a Ceratites nodosus. b - PIETRE VERDI. Ai descritti materiali succedono immediatamente le pietre verdi, che raggiungono una potenza considerevole, in alcuni casì di poco inferiore ad un centinaio di metri. Le pietre verdi presentano un ca- ratteristico clivaggio prismatico e costituiscono un livello facilmente riconoscibile, ma non costante, poichè in alcuni siti mancano affatto. I fossili nelle pietre verdi sono molto rari, io non raccolsi che qualche impronta di Daonella. Alcuni geologi, come il GeyER, includono nella formazione di Buchenstein anche le pietre verdi, altri invece le esclu- ST va dono, costituendo di esse la base della formazione di Wengen. Dire quale di questi due riferimenti sia più opportuno, data la mancanza di fossili, è pressochè impossibile. Se vero è, come parmi di aver constatato per i dintorni di Lorenzago e di Auronzo nel Cadore, che in certi casi alcuni determinati calcari a fossili del livello di Wengen sostituiscono la facies delle pietre verdi, il riferimento cro- nologico più giustificato sarebbe quello di porle alla base del livello superiore. Però il parallelismo fra queste due facies (arenaceo-mar- nosa l’una, calcarea l’altra) per essere accettato detinitivamente ha bisogno di più accurate e numerose constatazioni. c - Formazione DI WENGEN. Tanto nel gruppo di M. Agner, quanto nella piccola catena che si eleva all’ovest di Gosaldo, la formazione di Wengen consta di calcari lastriformi, alternati a marne che assumono, nell'insieme, una facies del tutto analoga a quella del Flysch. I fossili vi sono assai rari; io, dopo parecchie escursioni, non raccolsi che alcune Dao- nelle e pochi frammenti di sottili Zrackyceras. Nella parte inferiore sì passa gradualmente ad un tipo di pietre verdi marnose, che si legano poi alle vere pietre verdi più o meno arenacee. Nel monte Framont si ha invece un interessante esempio di quello sviluppo eteropico (con sostituzione di facies dolomitica at- traverso numerosi livelli) che ebbe nel Mossisovics il più geniale e fortunato interprete (Op. cit., pag. 426). Solo mi permetto di esprimere l’opinione che, a mio avviso, il Moysisovics ha dato un valore troppo generale ed estensivo ad un fatto simile. Io son convinto, in altre parole, che la facies dolomitica non abbracci dappertutto, dove è stata segnata, livelli così svariati e numerosi, ma formi piuttosto delle lenti spesso discontinue, raggiungendo invece uno sviluppo enorme e veramente sorprendente soltanto nei più giovani orizzonti del Trias superiore. Così, ad esempio, tanto al M. Framont quanto nel gruppo dell’Agner non è vero che il Muschelkalk e la forma- zione di Buchenstein abbiano uno sviluppo così estesamente do- lomitico, ma prevale piuttosto la solita facies calcareo-arenaceo- marnosa. Nei calcari grigio-rossastri più o meno dolomitici di Framont riferibili al livello di Wengen, ho raccolto alcuni esemplari di Ortho- ceras, Arcestes, Gymmites è Trachyceras. Fra i Trachyceras due ri- spondono benissimo al Protrackyceras Archelaus che è appunto forma caratteristica del livello di Wengen. Tanto per le specie sopra citate quanto per il tipo della roccia, non v’ha dubbio che si tratta di un orizzonte corrispondente ai celebri giacimenti di M. Clapsavon e di Val di Pena, l’ultimo dei quali, che è di una ricchezza di forme vera- mente straordinaria, attende ancora una conveniente illustrazione. A completare la serie dei materiali della formazione di Wengen dobbiamo aggiungere in fine dei tufi basici, di colore grigio-verdastro, nei quali, lungo il versante occidentale del passo del Duran che mette in comunicazione l’ Agordino col Zoldano, si rinvengono delle im- pronte di Daonelle. D - Formazione DI S. CASSIANO. CI E questo un piano del quale mi risulta difficile fissare bene i caratteri ed i limiti. Mentre appena fuori della provincia di Bel- luno è tipicamente rappresentato da tufi che contengono una fauna straordinariamente ricca, entro l’area della nostra carta geologica si riesce a malapena a distinguerlo. Io sarei tuttavia portato a rite- nere che siano da riferire a questo piano due livelli di natura af- fatto diversa. Uno di questi è costituito di materiali tufacei che in una valletta discendente all’ovest di M. Framont sono ricchi di bellissimi esemplari di Packycardia rugosa Hau., forma già segnalata nel Raibliano, ma raccolta anche in orizzonti più antichi. L'opinione 2 LEYT9 E Mld che si tratti di un probabile equivalente della formazione di S. Cas- siano deriva dalla posizione stratigrafica, che è inferiore ad uno dei più profondi livelli del Raibliano. L'altro orizzonte è formato da un calcare grigio, grossolano, a Brachiopodi, che affiora nell'alta valle del Mis a nord-ovest di Gosaldo, ad un livello compreso fra i calcari la- striformi di Wengen e il Raibliano inferiore. Certo si è poi che nelle potenti masse dolomitiche, così frequenti nel Trias superiore di queste regioni, deve essere compreso e mascherato anche l'orizzonte cor- rispondente alia formazione di S. Cassiano. Finora però le ricerche riuscirono vane, nè, per quanto si può giudicare dai risultati avuti, giova sperare che sia questo un problema di facile risoluzione, poichè le faune provenienti da materiali dolomitici presentano forme così male conservate e poco caratteristiche, da renderci molto perplessi nel decidere se si tratti di S. Cassiano o di Raibl o persino di Do- lomia principale. Ciò è conseguenza anche del legame di continuità che esiste fra questi tre elementi più elevati della serie del Trias superiore, legame che, rispetto alle faune, è particolarmente stretto fra S. Cassiano e Raibl. E — RAIBLIANO. Il Raibliano raggiunge sempre spessori considerevoli, ma non ha tipo costante, presentando ora una facies dolomitica, che in tal caso abbraccia (come s'è ricordato) tutto il Trias superiore, ed ora una facies predominantemente calcareo-marnosa. Nel primo caso ogni tentativo di suddivisione di piani riesce infruttuoso, nel secondo invece, tenendo conto dei vari profili e procedendo dal più recente al più antico, il Raibliano risulta costituito dalla seguente successione di materiali: a) Strati calcareo-marnosi, cerulei o giallastri che ricoprono altri calcari marnosi rossi; 5) Dolomia bianca o debolmente rosea, caratteristica per un par- ticolare e facile clivaggio, corrispondente alla dolomia dello Schlern; c) Scisti bituminosi, in qualche punto con lenti di gesso, a Voltzia, Myophoria Kefersteini e parecchi altri fossili della ben nota fauna di questo livello. Giova ricordare come i calcari marnosi e talvolta arenacei, rossi, che stanno nella parte più alta della formazione raibliana, somiglino talmente alle arenarie variegate del Trias inferiore, che non è diffi- cile esser tratti in errore, specialmente quando la serie ha subito forti disturbi tettonici, di guisa che non riesce agevole orientarsi subito sull'ordine di successione e sull’ età delle varie formazioni. Insisto poi sui caratteri della dolomia, poichè essa è veramente tipica e non può essere facilmente confusa con la sovrapposta Dolomia Principale a struttura prettamente saccaroide. La fauna degli scisti bituminosi raibliani è a tutti nota, ciò che ci dispensa dall’insistere su questo argomento. Nell'area presa in esame il livello degli scisti bituminosi è bene rappresentato, con di- screta abbondanza di fossili, al di sopra del passo del Duran, lungo i fianchi orientali del M. Civetta, e sui piccoli altipiani che limitano la valle di S. Lucano. Una località fossilifera di una certa im- portanza è poi quella, citata dal prof. TARAMELLI, che si trova presso le Casere Manzoni, alla base del M. Pelse ('). Io, dopo aver esa- minato nel museo di Belluno i bellissimi fossili raccolti dal TARAMELLI, mi sono recato sul sito indicato dall’egregio geologo. I miei sopra- luoghi non furono però molto fortunati, poichè, non ostante un'intera giornata di ricerche in un’area ristretta, non riuscii a raccogliere che qualche esemplare di Myophoria, Cercomya, Pecten e nessun fram- mento di Ammonites. È noto del resto a tutti i geologi che si de- dicano allo studio della serie stratigrafica di una determinata regione, (4) TarameLLI T. - Note illustrative alla carti geologica della Prov. di Belluno, pag. 99. Ao) {ge che nella ricerca dei fossili il più delle volte non si riesce a scoprire fin da principio il punto più ricco di specie, ma che soltanto le ricerche pazienti e ripetute possono condurre al rinvenimento di qualche deposito sfuggito ad un primo esame del terreno. Ho già accennato che anche il Raibliano agordino, in maniera analoga a quanto si riscontra nel Cadore, nel Trentino, nelle Alpi Bergamasche (') ecc., assume talvolta la’ facies dolomitica che in alcuni casi comincia già negli orizzonti sottostanti, mentre in altri è saltuaria o si limita alle masse che sovrastano la zona degli scisti marnoso-bituminosi a lenti di carbone. F - DoLomIa PRINCIPALE. La dolomia principale abbraccia uno spessore imponente, in al- cuni casi poco inferiore a mille metri; infatti gran parte dei colossi agordini e cadorini spetta appunto a questa formazione. Pei suoi caratteri litologici e specialmente per una struttura tipicamente sac- caroide, la dolomia principale è facilmente riconoscibile. Egual- mente dicasi pei caratteri morfologici, presentandosi sotto quella particolare fisionomia di guglie, torrioni, piramidi, ecc., che si am- mirano tanto di frequente nel Trentino e nel Bellunese. È la no- tissima dolomia delle regioni dolomitiche, forse più conosciuta dai turisti che dai geologi, quella che completa in modo così meravi- glioso il quadro dei paesaggi alpini di queste regioni. Nell’ area da noi esaminata ne abbiamo degli esempi nelle Cime di S. Sebastiano, nel M. Pelf e nella parte inferiore delle valli che incidono trasver- salmente la catena montuosa che costituisce il fianco destro del Val- lone Bellunese. I fossili della Dolomia principale sono molto rari e nella grande (1) Porro €. - Le Alpi Bergamasche. Milano, Artaria, 1903. maggioranza dei casì ridotti a semplici modelli. Vi si contano i soliti Megalodonti, fra i quali il Megalodon Giimbeli è il più frequente e caratteristico, sì osservano anche delle impronte di Gervilleia exilis, di Myophoria, di Pleurotomaria solitaria e di qualche altro Gaste- ropode. In complesso, data la potenza di questa formazione, si ha una fauna assai povera e male conservata. Se i fossili non sono stati distrutti da azioni di metamorfismo, pare che durante questo pe- riodo le faune abbiano subito uno di quegli inesplicabili arresti di sviluppo che si riscontrano a vari livelli della successione crono- logica: quasi che la Natura, dopo un prodigioso evolversi di forme organiche, abbia avuto dei periodi di sosta per rigenerarsi poi in altre e più giovani faune. G —- RertIco. In un recente lavoro sulla Geologia delle Alpi Feltrine ho esposto le ragioni per le quali il Retico va più opportunamente unito al Trias anzichè al Lias. Nel corso del presente studio ho avuto campo di convincermi ancor più della necessità di un partito simile, poichè, fatta eccezione di qualche fortunata località fossilifera, quasi dappertutto le dolomie retiche sono così intimamente legate per caratteri esterni, per strut- tura e per aspetto a quelle sicuramente triasiche, da rendere quasi sempre vano un tentativo di separazione. La separazione è soltanto possibile quando le dolomie retiche diventano bituminose; in tale caso, alla diversità di colorazione si unisce quasi sempre la presenza di forme fossili talvolta in agglomerazioni numerossime d’ individui, fra i quali abbonda la 7erebratula gregaria. È la facies nota sotto il nome di carpatica, facies che’ nell’ area nostra fu segnalata nelle Alpi Feltrine e allo sbocco del torrente Falcina, nella Valle del Mis. Come la Dolomia principale, quella retica occupa una conside- revole estensione, entrando a far parte ‘della catena che forma il fianco destro del vallone Bellunese e comprende i monti Coppolo, Pavione, Pizzocco, Vescovà e Serva. A complemento di quanto esposi sulle formazioni triasiche, faccio seguire un piccolo quadro riassuntivo. In esso ho cercato di rappre- sentare la successione dell’intricata serie, quale risulta dalle mie ri- cerche, procurando di semplificare quanto più possibile l’interpreta- zione dei singoli terreni. - Credo che il quadro ch'io mi sono formato della successione triasica dell’area esaminata non sia molto discosto dal vero; in ciò mi conforta anche il fatto di un parallelo quasi completo coi risul- tati ottenuti dai due più eminenti geologi, Moysisovios e TARAMELLI, che si occuparono della regione. Un desiderio però è rimasto vivis- simo nel mio animo, quello di percorrere di nuovo, con più calma e con maggior corredo di cognizioni, queste belle montagne, estendendo l'esame e i raffronti comparativi alle classiche regioni della Valle di Fassa e del Cadore. Da un tale lavoro, che non può essere com- piuto certamente entro ristretti limiti di tempo, scaturiranno indub- biamente molti fatti nuovi e si potranno risolvere parecchie di quelle questioni, specialmente locali, che ci lasciano ancora incerti sull’età di determinati terreni o sul valore delle teorie invocate per l’ inter- pretazione di certi fenomeni fisici e biologici. i ao ce ir deri bo a Sd e i te TI "1 rana AI _ nni nn oo deren A Prmmttzi con MIR A dl | angina Se. 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In nessun’ altra località dell’area esaminata io ho riscontrato una serie giurese così completa e così ricca di fossili come nella ristretta regione delle Alpi Feltrine le quali, per lo studio di questo terreno, costituiscono un vero modello. Ciò non toglie però che anche fuori delle Alpi Feltrine non siano rappresentati quà e là i vari livelli, anzi io ebbi campo di constatare l’ esistenza di parecchi e raccogliere numerose faune, il cui studio verrà a completare i risultati finora ottenuti. Rimandando il lettore che volesse maggiori dettagli al citato lavoro, nel presente scritto mi limiterò ad un semplice e rapido quadro riassuntivo, sul genere di quello esposto nel capitolo prece- dente pel periodo triasico. Lias. La formazione liasica della regione presa in esame consta di dolomie, calcari più o meno puri, compatti od oolitici, talvolta sel- ciosìi e, nella parte più elevata, anche di marne arenacee policrome. e agi = A - HETTANGIANO E SINEMURIANO. Le dolomie prevalgono nella parte più antica assieme ai calcari dolomitici, che il Moysrsovics, unendoli alla Dolomia principale, riferì genericamente al Dachstein. Nelle Alpi Feltrine le dolomic che ri- coprono quelle retiche sono fossilifere e la fauna dimostra che si tratta di Hettangiano, cioè del membro più antico della serie liasica. In alcuni siti, come nella valle di Schievenin, nel gruppo del Monte Tomatico e del Grappa, le dolomie abbracciano anche i livelli più giovani, spingendosi fino alla base del Cretaceo. In queste località è pressochè impossibile procedere ad una distinzione di livelli. Ma nella Valle del Mis, in quella del Cordevole e nel bacino di Erto, alle dolomie retiche ed hettangiane succedono dei calcari compatti, grigiastri o bianchi, con ricche faune a Brachiopodi ed Ammoniti. Importanti sopra tutte queste faune sono quelle sinemuriane delle Alpi Feltrine con predominante facies a Brachiopodi e quelle di Erto (a facies ammonitica) con Arvetiles stellaris, A. obtusus ecc. che ci vennero fatte conoscere dal TarameLLI ('). Anche nei dintorni di So- spirolo si trova, con ogni probabilità, una fauna sicuramente sinemu- riana, fauna che ha molte analogie con quella delle Alpi Feltrine e che non è da confondersi con quella più recente delle Tranze. . B —- CHARMOUTIANO. Il Lias medio ha una costituzione molto uniforme ; esso consta di caleari bianchi talvolta dolomitici, sovente politici, che abbrac- ciano due livelli: uno più antico a Brachiopodi nelle Alpi Feltrine, alle Tranze di Sospirolo, al Monte Peron, oppure a Cefalopodi come () TARAMELLI T. - Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias nelle Provincie Ve- mete. Appendice al Tomo V degli Atti del R. Istituto Veneto di Sc. L. A. - Venezia 1850. GE: Ea al Monte Dolada e a Cimolais, e uno meno antico con Cefalopodi, Brachiopodi e Lamellibranchi, che ha il suo migliore sviluppo in Val Roda di Pietina. La fauna di Val Roda di Pietina contiene, assie— me all’ Amaltheus margaritatus e a numerose altre specie del Dome- riano, qualche altra forma di tipo più antico (7ropidoceras Demo- nense, Diaphorites Vetulonius), che m’inducono a riferirla alla parte più alta del Charmoutiano medio, cioè alla più antica delle due Zone ad Amaltheus margaritatus dell’ Europa centrale. Nella stessa regione delle Alpi Feltrine, e precisamente a Mon. sampiano e al Colle S. Pietro, sopra gli strati ad Amall. margari- tatus, sì trovano dei calcari ad articoli di Crinoidi e una bella fauna che risponde perfettamente a quella della zona a Leptaena. Le considerazioni che mi condussero a porre la zona a Leptaena nel Lias medio (parte superiore) furono svolte nel citato lavoro illu- strativo. Nella stessa regione feltrina il Charmoutiano superiore, oltre alla facies accennata, ne presenta una marnosa con filliti, facies che ricorda moltissimo la zona fillitica (parte superiore dei calcari grigi) del Veneto occidentale. Alla base di queste marne fillitiche si trova un calcare giallo-verdiccio, costituito da una vera lumachella a Diotis Janus. Cronologicamente adunque la zona fillitica, se regge il parallelo stratigrafico, sarebbe di età liasica e non oolitica. C —- TOARCIANO. Il Lias superiore è formato da calcari marnoso-arenacei, ros- sastri, grigio-verdastri o gialli, limonitici. In qualche altro caso la roccia di questo livello è costituita di un calcare compatto, selcioso, affatto privo di fossili. Anche il Lias superiore è spesso fossilifero e ne abbiamo dei bellissimi esempi nel Feltrino, dove predomina il tipo Rosso Ammonitico lombardo. Egualmente dicasi per il Toarciano di Soffranco e di Igne, in cui le Ammoniti sono non meno abbon- danti. Presso Longarone, sopra il paese di Erto e al Monte Dolada, il Toarciano non è più rappresentato da materiali rossi, ma da un calcare marnoso, grigio, mentre la fauna è del tutto analoga a quella dei calcari arenaceo-marnosi rossi della parte occidentale. Lo studio accurato di questo piano, dove fu possibile come al Coston delle Vette, dimostra che in esso si possono distinguere due zone corrispondenti a quelle che l’ OppeL stabili per l'Europa cen- trale. Nei segueriti elenchi sono riportate le forme più caratteristiche di queste due zone esaminate nell’ area delle Alpi Feltrine, ma devo ripetere però che una simile distinzione, per le altre località fossili- fere della regione studiata, riesce assai difficile e il più delle volte impossibile. ‘ Posidonomya Bronni, Inoceramus dubius, Phylloceras o) \ Nilssoni, Lytoceras Francisci, L. pseudojurense, Hildo- \ ceras bifrons, H. Mercati, H. erbaense, Harpoceras sapere sub-planatum, H. discoides, H. bicarinatum, Gram- \ moceras fallaciosum, G. radias ecc. Terebratula resupinata, Posidonomya Bronni, Inoceramus I DL dubius, Nautilus semistriatus, N. lineatus, N. asta- codes, Lytoceras dorcadis, L. cornucopia. Phylloceras Zona Nilssoni, Ph. Doderlainianum, Ph. Capitanei, Ph. Bea- nerina tricis, Hildoceras serpentinum, H. bifrons, H. Levisoni, Harpoceras falciferum, H. suberaratum, H. subpla- natum, Coeloceras Desplacei, C. crassum, Peronoceras subarmatum ecc. Dogger. Nel citato lavoro sulle Alpi Feltrine, ho già discusso la questione riguardante i confini fra il Lias e il Dogger e dai miei risultati, sia dt ata bibliografici che sul terreno, mi risultò come fra tutti i sistemi adot- tati dai vari autori, il preferibile è ancora quello seguito dall’ OppeL e proposto, parecchi anni prima, dal Vox BucH. Secondo un tale metodo i confini fra il Dogger e, il Lias vanno segnati fra la zona a Lytoceras jurense e quella a Lioceras opalinum e Litoceras torulosum. Il Dogger, dell’area esaminata, consta di calcari bianchi, grigio- verdastri, gialli a macchie cloritiche e rossi più o meno intensi. Nella regione del Grappa, come s'è già accennato, predomina la facies dolomitica, con lenti calcaree. A - ALENIANO. Difficilmente si può trovare (entro l’ area esaminata) un’ altra località, che come quella delle Alpi Feltrine presenti una serie ale- niana così bella e così completa, ma non si pnò negare per questo che gli affioramenti aleniani non siano abbastanza frequenti anche all’ intuori di tale regione. Certamente aleniani, come ebbe a dimo- strare il Parona ('), sono i calcari a Brachiopodi del M. Agaro al nord di Castel Tesino (*). Sicure tracce dello stesso. piano si rinvengono nel versante settentrionale di Monte Coppolo, sopra Lamon e un importante giacimento aleniano fu scoperto dal prof. ArtuRo Rossi alla Croce di Valpore (°), subito a nord dello spartiacque dall’ alta Valle di Seren. In una recente visita fatta a questa località, io ho cercato se era possibile dividere in due o più zone il pic- colo complesso fossilifero, ma i miei tentativi riuscirono pressoc- () Parona C. F. - Sulla età degli strati a Brachiopodi della Croce di Segan. Processi verb. Soc. Tosc. Se. Nat. - Pisa 1881. (2) La località fossilifera si trova presso una croce, sulla strada che dal paese di Castel Tesino mena alla Malga Marande e poi al passo del Broccon. I geologi indicano questa località col nome di Croce di Segan, nome ignoto ai montanari di quelle regioni e dovuto ad una sem plice casualità. Sulla lapide, in origine, era scritto il nome Segantini, ma per rottura di una parte della pietra rimase soltanto Segan, donde il nome comunemente noto ai geologi. (3) Rossi A. - La Provincia di Treviso. Boll. Soc. Geol. Ital., Vol. I, 1883. SE002 (RR chè vani. Tuttavia ho potuto convincermi che le varie forme che compongono la fauna, quale è nota specialmente pel lavoro di Borro-Mrcca ('), pur provenendo dalla stessa località, appartengono a due livelli, uno superiore con predominio di Brochiopodi e con molte affinità con la fauna della zona a Posidonomya alpina, e l’altro in- feriore prettamente aleniano. Credo superfluo aggiungere dei dettagli sullo sviluppo e sulla suddivisione dell’ Aleniano nelle Alpi Feltrine, avendone già trattato estesamente in altro lavoro, solo mi permetto di richiamare l’atten- zione sul modo col quale si succedono le faune in quella fortunata regione, ciò che permise una ripartizione in zone affatto compara- bile a quella del Giura extralpino. B - Barsocrano. I materiali riferibili a questo piano constano di calcari bianchi, rosei, ocracei, talvolta dolomitici. Oltre che nelle Alpi Feltrine, il Bajociano è fossilifero nel gruppo di Campotorondo, ad Erera e al Monte Borgà sopra Erto. Nella prima località consta di calcari gri- gio-giallicci, che affiorano poco lungi dalle casere e che contengono delle grosse Ammoniti (Coeloc. Humphriesianum, Coeloc. Baylei, ecc.) del Bajociano superiore. Egualmente dicasi per Erera, in cui, non ostante la breve distanza, la roccia cambia di colorazione e diventa di un rosso mattone. Pure rossa, ma non così intensa, come la corrispondente di Erera, è la roccia del Bajociano di Erto, dove raccolsi un tipico esem- plare di Coeloceras Baylei. Nella regione di Erto il Lias superiore e il Dogger inferiore hanno certe affinità coi corrispondenti piani del Bellunese occidentale da prestarsi a degli interessanti parallelismi (4) Borto-Micca L. - Fossili degli strati a Lioe. opalinum e Ludrw. Murchisonae della Croce di Valpore. Boll. Soc. Geol. Ital, Vol. XII, 1893. Mie: di serie. La ricchezza in fatto di specie fossili del Bajociano supe- riore delle Aipi Feltrine fu già resa nota con larghezza di partico- lari, nè è qui il caso di ritornare sull’ argomento sia pure interes- sante della fauna, perchè ci porteremmo fuori dei limiti che ci siamo proposti. Nell’ area presa in esame il Bajociano è rappresentato adunque, con prevalenza, dalla parte superiore, cioè dalla zona a Witchellia Romani, corrispondente a quella a Coeloceras Humphriesiamum dei vecchi autori. Ho detto con prevalenza, perchè a Pradel di Mon- sampiano (Alpi Feltrine) oltre alla zona superiore del Bajociano, constatai anche quella inferiore, caratterizzata da un certo numero di specie e sopratutto dallo Sphaeroc. (Normann.) Sauzei. C - BATONIANO. La natura delle rocce batoniane è prevalentemente calcarea, vi si riscontrano cioè calcari rossi, rosei, bianchi, grigi, talvolta com- patti tal’ altra dolomitici, cariati, spesso ad intercalazioni silicee. A mio avviso, la fauna della zona a Posidonomya alpina appar- tiene appunto a questo piano, occupandone il livello più profondo e forse anche le assise più alte del Bajociano. Queste mie opinioni fu- rono già discusse tanto dal lato stratigrafico quanto da quello paleon- tologico in altro lavoro, ciò che mi dispensa da una ripetizione inutile. Aggiungerò piuttosto come dalle mie ricerche più recenti risulta che nella regione Veneta il Batoniano si presenta anche sotto quella particolare facies coralligena che è propria della Great Oolite del- l’ Inghilterra, della Francia settentrionale e meridionale. Un bell’ esempio di questa facies l’ abbiamo negli strati coral- ligeni di Monte Zovo (') e un altro ancora più interessante, per (1) DaL Praz G. - Sull’età degli strati coralligeni di M. Zovo presso Mori nel Trentino. — Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Roma 1908. UR AS la ricchezza della fauna composta di Gasteropodi, Lamellibranchi e Brachiopodi, lo si riscontra nella regione del Veneto occidentale. Tutti questi depositi hanno particolare importanza per i rapporti cronologici coi calcari grigi e coi calcari della zona a Posidonomya alpina, questione della quale non mancherò di occuparmi in seguito. Nell'area rilevata i materiali batoniani sono molto estesi; essi sì presentano fossiliferi alle Alpi Feltrine, nel gruppo di Monte Grappa, al Sass Falares di Lamon e alla forcella della Folega sopra la Valle di Agordo, dove. affiora un calcare ad articoli di Crinoidi ricco di Brachiopodi appartenenti alla fauna di Klaus. Malm. La massa principale del Malm è costituita dai ben noti calcari rossi nodulari del Titoniano (sensu /ato), i quali formano un ottimo punto di partenza per un primo orientamento nella serie del Giurese superiore. A - Cartovianmo. Il Calloviano è un piano raramente fossilifero e quindi di difficile riconoscimento. Consta di calcari rossi o biancastri alternati, in al- cuni casì, a banchi di selce sfarinata, che nelle Alpi Feltrine (località Boette) è ricchissima di Radiolarie. Come proveniente dal Grappa occidentale mi fu consegnato un esemplare di Ammonites bullatus, forma non esclusiva ma certamente più frequente nel Calloviano. Dietro le indicazioni ricevute io mi sono recato sul sito, ma, non ostante le mie ripetute ricerche, fu delusa ogni speranza di rinve- nimento di un orizzonte fossilifero. Non nascondo il sospetto che tale forma possa avere una provenienza diversa, forse dalle Prealpi Veronesi, dove non è raro raccogliere, alla base dell’Oxfordiano, degli Beder: . progenitor Opp. 3. cfr. consanguineus Retow. > sp. ind. Perisphinetes sp. ind. Aptychus latus Park. > Beyrichi Opp. 4 punctatus Voltz. Aptychus exsculptus Schaur. Belemmites Zeuschneri Opp. 5 tithonicus Opp. ” ensifer Opp. La fauna del Titoniano superiore dell’area presa in istudio ha tali corrispondenze con quella di Velo Veronese, illustrata dal Pa- RONA, da poter affermare che si tratta di una vera identità. Queste faune sono strettamente legate, a loro volta, con quelle del Titoniano di Stramberg nei.Carpazi e di Theodosia nella Crimea e appartengono quindi allo stesso livello stratigrafico. Nè minori analogie esistono in fine coi depositi del Titoniano superiore della Francia Meridionale (') e della Spagna (?), coi quali viene completata l’estesa ed uniforme zona mediterranea del più recente Giurese. (1) Toucas A. - Etude de la Faune des couches tithoniques de V Ardèche. Ball. de la Soc. Géolog. de France. Sér. III. Vol. XVIII. Paris 1890. (©) KiLran G. - Mission d’Andalousie. Mémoires de 1’ Acad. des Sc. de l’Institut de France. Tom. XXX. LTRA RA CAPITOLO V. Cretaceo. Il Cretaceo della regione che si trova all’ oriente dell’ area da noi presa in esame, fu argomento, particolarmente in questi ultimi anni, di numerose ricerche che fornirono materiale a parec- chie e interessanti pubblicazioni. Altrettanto non si può dire disgra- ziatamente per tutto il rimanente del Veneto, pel quale le nostre nozioni sulla serie dei vari elementi che compongono il Cretaceo, se prescindiamo dagli studi, paleontologici del PaRoNA, dell’.ATRAGHI, e dalle brevi ed incomplete note del Rossi e del BALESTRA, si può dire che sono ancora al punto al quale le lasciarono il DE ZiGxo ed il TarameLLI. Più che dalla scarsezza dei fossili o dalla man- canza di interesse delle formazioni cretacee, una simile circostanza dipende dal quasi abbandono nel quale fu lasciato dai geologi questo periodo, che è uno dei più ricchi d’avanzi fossili e che attende an- cora uno studio ordinato, metodico e completo, tanto sul terreno, quanto sulle svariate faune che gli appartengono. Un simile studio d’ insieme, che richiede l’ opera indefessa di parecchi anni di lavoro e di ricerche, condurrà indubbiamente ad importanti risultati, a stabilire cioè una regolare successione di piani e di zone; la cui esistenza o non fu ancora dimostrata o lo fu in modo incerto ed incompleto. A - CRETACEO INFERIORE. La facies litologica più comune del Cretaceo inferiore è data dal così detto Biancone, simile al Biancone del T'itoniano superiore, ma non identico, distinguendosi da questo per una minore compat- tezza, per una frattura più spesso scagliosa anzichè tipicamente concoide e per un colore di un bianco niveo opaco mentre il Bian- cone del Malm superiore è di colore avorio, a leccature giallicce od anche leggermente rosee. A questa facies che, come ho detto, è la più comune, se ne so- stituiscono, in alcuni casi, delle altre affatto diverse, costituite cioè da calcari verdastri, silicei, o da calcari di un violaceo chiaro, che pei caratteri petrografici non sì giudicherebbero neocomiani se i fossili che contengono non lo dimostrassero in modo decisivo. Le località fossilifere del Cretaceo iuferiore sono assai frequenti e a quelle già note di M. Grappa, dintorni di Possagno, Monfenera, Lamon, Stabbie, ecc. io posso aggiungerne parecchie altre di nuove, quali : il versante orientale-settentrionale di M. Roncone, M. Campo al nord-ovest di Fastro, la cima di M. Tomatico, del Col Visentin, le alture attorno a M. Cesen, la Pala della Zerla sulla ‘strada Fon- zaso-Primiero, il M. Avena, il gruppo di Campotorondo e qualche altra ancora di minore importanza. Fra tutte queste nuove località, merita particolare menzione quella di M. Tomatico al sud di Feltre. Il giacimento fossilifero occupa proprio la vetta del monte (1598 m. s. m.); la roccia è costituita da un calcare bianco, scaglioso, nel quale i fossili, in grande prevalenza Ammoniti, vi sono straordina- riamente abbondanti e in uno stato di conservazione pressochè per- fetto. La ricchezza di questo deposito è tale da rammentare il ce- lebre giacimento della Gardenazza presso Corvara nel Trentino me- ridionale. agi ME Rimandando ad altra occasione uno studio di dettaglio d’ ogni singola località, do per ora l’ elenco delle specie segnalate nel Cre- taceo inferiore dell’ area presa in esame : Aptychus angulicostatus Pict. et Lor. $ Didayi Coq. È sp. ind. Belemnites latus Blaim. Crioceras Emerici Lév. 9 Villiersianum d’ Orb. ; furcatum d°' Orb. ) " Duvali dA Orb. Hoplites angulicostatus d° Orb. sì sp. ind. aff. H. angulicostatus d’ Orb. Holcodiscus sp. Costodiscus recticostatus d° Orb. Holcostephanus astierianus d' Orb. Ai cfr. bidichotomus Leym. Lytoceras quadrisulcatum d' Orb. subfimbriatum d’ Orb. - sp. ind. PhyUoceras infundibulum d° Orb. 5 semisulcatum d’ Orb. z Guettardi Rasp. 3 sp. ind. Inoceramus sp. Pecten alpinus d’ Orb. Pygope triangulus Lmk. Pi euganeensis Pict. rectangularis Pict. n: Sp. EL 49 Nei noduli di selce sfarinata, assai frequente anche nel Cretaceo inferiore, sono abbondantissimi i gusci di Radiolarie, che non offrono però alcun dato attendibile per una distinzione cronologica. Se noi esaminiamo il riprodotto elenco delle specie del Cretaceo inferiore, troviamo che in esso la grande maggioranza è costituita di forme spettanti al Neocomiano. Alcune di queste forme passano però anche nel Barremiano e il Crioceras Emerici e il Costodiscus recticostatus vi sono anzi caratteristiche. A favore delPopinione che si tratti di vero Barremiano, affatto indipendente dal Neocomiano, starebbe la circostanza che le due specie sopra citate provengono da un unico giacimento (nord-ovest di Quero), nel quale pare che manchino le forme più caratteristiche del Neocomiano. Anche la natura litologica (per quanto di valore assai relativo) è ben diversa da quelle del Neocomiano, trattandosi infatti di un calcare bituminoso, ceruleo e talvolta nero. Il Neocomiano, secondo gli studî del Rossi (') e del BaLe- stra (*), è divisibile in due sottopiani. Io non ho potuto raccogliere in proposito dati decisivi, però, senza escludere la possibilità di una simile distinzione, credo che l'affermazione assoluta abbia bisogno di maggiori prove dimostrative. Come s’è già accennato e come altri ebbero occasione di ri- cordare, le formazioni del Cretaceo inferiore sono non di rado fram- miste e intercalate da banchi dolomitici e brecciati più o meno estesi. Questo fatto, del quale si osservano bellissimi esempi a Pove, al M. Grappa, nella massa del M. Tomatico e nei monti a nord di Follina, dimostra che durante il Cretaceo inferiore persistevano, al- meno in alcuni siti, condizioni di mare mediterraneo poco profondo. Prima di chiudere queste brevi nozioni sulla formazione cre- (1) Rossi A. - La Provincia di Treviso. Bollettino della Soc. Geolog. Ital. 1883. (*) BaLesTRA A. - Contribuzione geologica al periodo Cretaceo del Bussanese. Bollettino del Club Alpino Bassanese. Vol. III. Bassano 1897. — 50 — tacea dell’area presa in esame, aggiungerò che sono perfettamente d'accordo col TarameLLI nel non accettare l'opinione dell’ HoerNES e del Mossisovics, secondo i quali il Neocomiano passerebbe lateral- mente ad una facies di Scaglia, come si vorrebbe pel gruppo di Campotorondo, di M. Campitello presso Longarone ecc. Fra il Tito- niano e la Scaglia esiste sempre una zona più o meno potente di calcari bianchi e cerulei silicei, ad Ammoniti neocomiane e la creduta - esistenza di marne rosse neocomiane simili alla Scaglia (Rothe Neo- comien Mergel) è conseguenza di un’errata interpretazione tettonica, alla quale avrò occasione di accennare in seguito. B. - Dove è possibile seguire un profilo continuo e regolare, come al Monfenera, nei dintorni di Feltre e di Lamon, ho osservato che dai materiali del Cretaceo inferiore si passa ad un calcare verdiccio, a macchie più scure, in qualche caso con sfumature di un violaceo pallido, spesso marnoso e quasi sempre fossilifero. Nel versante meridionale di M. Telva e al Monfenera non è raro il caso di scoprire a questo livello delle Ammoniti che, nella grande generalità, sono purtroppo mal conservate. A questo livello, fra parecchio materiale pressochè indeterminabile, notai alcuni fram- menti di Ancyloceras Matheronianums e il Ross, oltre a questa forma, cita la Sc/hloenbachia Royssiana, V Hamites alternatus e 1 Astiericeras royerianum, specie che caratterizzano appunto la parte più antica del Cretaceo medio (Aptiano - Albiano). È dunque un livello al quale vanno specialmente rivolte le future ricerche che si intra- prenderanno sulla serie cretacea, tanto per lo studio della fauna, troppo scarsamente nota, quanto per stabilire i rapporti che passano fra essa e gli orizzonti fossiliferi che Ia precedono e la seguono. Nelle montagne di Segusino, nel Monfenera, nei dintorni di Feltre, di Lamon, di Arsie e in altri siti si osserva che ai mate- riali descritti fanno seguito dei calcari marnosi, verdognoli o di un en, — rosso-violaceo che passa anche al nero, ricchi di Aptyc/hwus. Gli esem- plari di Aptychus sono specialmente abbondanti sulla strada da Vas a Segusino, quasi di fronte a Quero. Agli accennati calcari succedono degli argilloscisti neri, bitu- minosi contenenti qualche ‘raro Aptychus e delle scaglie di pesce. Si possono esaminare assal bene al Frassenè di Fonzaso, al M. Miesna presso Feltre, ad Alano e lungo il versante meridionale del Monfenera. Questi materiali, che comprendono anche il giacimento ittiolitico di Crespano (la Minera), occupano, a mio avviso, la posi- zione del Cenomaniano od un livello da esso ben poco diverso. Essi corrisponderebbero quindi agli scisti bituminosi delle valli del Torre e del Cornappo, che a loro volta fanno riscontro agli scisti a Piante del gruppo del Cavallo e a quelli a Pesci dei dintorni di Gorizia. C - Con l'orizzonte degli scisti bituminosi, che è un buon punto di partenza per un primo orientamento sulla serie cretacea, chiudiamo il Cretaceo medio. Al di sopra succedono dei materiali di natura svariata, mutevole da sito a sito, e mentre finora abbiamo avuto a che fare con una facies a Cefalopodi, nel Cretaceo supe- riore riscontriamo pure la facies a Camacee, la quale, come è noto, ha il suo tipico sviluppo nei dintorni del lago di S.° Croce. Ciò non si- gnifica che anche nella parte occidentale non esistano delle sicure tracce della facies ippuritica, anzi io ne raccolsi già qualche prova e sono convinto che delle ricerche più progredite dimostreranno come questa particolare facies sia molto più estesa di quanto si ritenne finora, Così ad esempio nel Monfenera agli scisti bituminosi suc- cede, come fecero osservare il De Ziexo e il Rossr, un calcare ippu- ritico, i cui fossili rispondono a quelli turoniani del Friuli occiden- tale. Sicure tracce dello stesso piano si osservano all’ovest della casera della Fossa, sopra Alano per andare al Grappa; egualmente ARONA dicasi pei dintorni di Feltre e pel Colle dei Furlani nella Valle del Senaiga fra Lamon e S. Donà. Dove la roccia non è ippuritica compaiono dei calcari grigio - verdicci, selciosi o cominciano già i primi strati di Scaglia alter- nati a zone più chiare o più scure. Nei dintorni di Feltre e spe- cialmente nelle cave di M. Telva, la Scaglia inferiore assume un tipo nodulare con Ammoniti, disgraziatamente male conservate. È una facies litologica che ricorda moltissimo quella del Titoniano rosso e che, a mio credere, corrisponde al marmo di Castellavazzo, dove sì raccolgono dei bellissimi Inocerami turoniani-senoniani (I. cord? formis Sow., I. Brongniarti Sow. ecc.). Al tipo di Scaglia marmorea succedono (mantenendoci sempre nell’area occidentale) prima il tipo roseo discretamente compatto a Cardiaster subtrigonatus, Stenonia tuberculata, ecc. e poi il tipo mar- noso rosso-mattone a grandi Zooplycus. Nella regione orientale, gruppo di Col Visentin e altopiano del Cansiglio, la serie è poco diversa: ai calcari bianchi compatti con Ammoniti e Belemniti neocomiane succedono degli altri calcari gros- solani a Coralli: a questi fanno seguito dei calcari verdastri saltua- riamente selciosi, che passano in fine ad altri calcari grossolani 0 subsaccaroidi o grossolanamente oolitici, che in alcuni casi sono zeppi di Rudiste e di altri fossili, specialmente Gasteropodi e Coralli. Per l’area presa in esame le località nelle quali il calcare a Rudiste si presenta particolarmente fossilifero sono i due versanti dell’ alto canale di Fadalto, donde proviene la celebre raccolta del CarULLO, che si conserva nel Museo Geologico dell’Università di Pa- dova. Per chi volesse fare una collezione dell’interessante materiale di questo livello, è sufficiente anche | esplorazione delle gigantesche frane che sbarrano la valle e specialmente i punti che sì trovano sotto l’ abitato di Calloneghe e sotto le Prese. Ma per chi deside- rasse invece farsi un concetto della successione dei materiali riferibili a questo orizzonte, è molto utile l’ esame di tutto il versante occi- dentale di M. Mezzomiglio (le Prese) e specialmente il tratto attra- versato dal sentiero che da Lasta mena alle Pojate presso Farra d’ Alpago. In questo tratto di profilo, cominciando alquanto verso sud, abbiamo campo di passare in rassegna (valutandone 1’ enorme potenza) tutta la serie cretacea fino alla Scaglia, che è poi rico- perta, in perfetta concordanza di serie, dai terreni terziari. È noto come questa particolare facies di 7vage si estenda no- tevolmente anche verso oriente nel gruppo del M. Cavallo e nei contrafforti che lo circondano e lo. seguono, nei quali la facies a Ca- macee comincia già in terreni più antichi, cioè nel Giura superiore. Importante sopra tutte è la classica località di Polcenigo, dalla quale provengono i fossili descritti dal Priroxa ('). Meno ricche di fossili, ma non per questo meno interessanti, sono le località ippuritiche di Colzei, ai piedi settentrionali del Col Visentin. Quivi le condizioni di giacitura sono molto semplici e facili ad essere esaminate anche nei rapporti che passano fra questo orizzonte e quelli che lo comprendono. Non ostante la straordinaria potenza della zona ippuritica, che va ingrossando verso oriente, è difficilis- simo o addirittura impossibile arrivare ad una suddivisione di vari livelli. Boam e MaRINELLI dimostrarono che un simile tentativo, che il FUTTERER (*) cercò di compiere pel Friuli occidentale, è affatto artificioso e non rispondente alla realtà delle cose. Nè maggiore esattezza presen- tano, a dire il vero, i rilevamenti geologici dello stesso autore per la regione all’ ovest del lago di S.* Croce, dove, come si avrà campo di provare in seguito, fu errata anche l’' interpretazione tettonica. Nella stessa classica regione del bacino di S.° Croce affiora pure (4) Pirona A. — Sulla Fauna fossile Giurese del M. Cavallo in Friuli. Memorie del R. Istituto Veneto di Sc. L. A. Vol. XX. Venezia 1878. (®) FurTERER K. - Die Gliederung der oberen Kreide in Friaul, Sitzungsberichte del k. Preuss. Akad. der Wissenschaften. Bd. XL. Berlin 1893. la Scaglia, che anche qui si presenta discretamente compatta in basso e marnosa in alto, al qual livello si alterna con banchi di marne eoceniche. Nelle cave di Scaglia rosso-mattone della Secca, presso il lago di S.° Croce, vennero scoperti numerosi avanzi di un Rettile mosasauriano, del quale non furono conservati disgraziata- mente che pochi ed incompleti avanzi di denti. CAPITOLO VI Formazioni Terziarie Non ostante i numerosi lavori pubblicati in proposito, sì può dire che la conoscenza delle formazioni terziarie, sia del bacino bel- lunese che delle colline trevigiane, è presso a poco allo stato di un semplice ed incompleto abbozzo. Col proposito di colmare una simile lacuna, raccolsi, nelle mie escursioni, una grande quantità di mate- riale specialmente nell’area trevigiana. Quantunque non abbia rinun- ciato all'idea di ulteriori indagini, specialmente sul terreno, confesso però che il problema è meno facile di quanto si possa giudicare a prima impressione e riconosco che solo la competenza di un consu- mato specialista, sia nello studio dei Molluschi che in quello dei Foraminiferi, potrà decifrare bene tutta la serie dei terreni, dedurre l'età di molti orizzonti e stabilire dei parallelismi cronologici con le classiche regioni del Vicentino. Per queste considerazioni, nella descrizione dei terreni terziarî e particolarmente della parte più antica, eredo opportuno attenermi ad un esame piuttosto sommario, il quale, se non avrà il vantaggio di molti dettagli, ha però quello di basarsi su dati di fatto bene accertati e sulla sicura determinazione di una piccola parte del materiale paleontologico raccolto. | Cl | FKocENE. AI contrario di quanto fu riscontrato nella provincia di Udine, in nessun sito dell’area presa in esame mi venne dato di consta- tare nella Scaglia delle Nummuliti o degli altri fossili sicuramente eocenici. Questo non esclude naturalmente, come s'è già accennato, che la parte più giovane della Scaglia rosso-mattone, che contiene degli avanzi fossili di nessun valore cronologico (Zoophycus), possa appartenere ancora all’Éocene. Ciò verrebbe a colmare quella lacuna nella serie delle formazioni esistente, secondo alcuni, fra il secondario e il terziario; lacuna che, almeno per una parte dell’area veneta, è dovuta più a deficienza di ricerche che a veri fenomeni di trasgressione. Nel bacino Bellunese, dove la successione è meno disturbata, alla Scaglia fanno seguito delle marne prevalentemente gialle, a sfumature azzurrognole, nelle quali non si riscontrano che dei frustoli di Piante, scaglie di Pesci e delle impressioni tortuose indecifrabili. Nel Trevigiano queste marne contengono degli articoli di Crinoidi, dei denti di Lamna e qualche Cancer. Tanto le une quanto le altre ricordano moltissimo le marne eoceniche (immediatamente sovrap- poste alla Scaglia) della. collina di Albettone fra i Berici e gli Eu- ganei e, con ogni probabilità, rappresentano l Ipresiano, corrispon- dendo alle marne e ai calcari a Pentacrinus diaboli e Nummulites spileccensis del Vicentino. Subito al di sopra di questo livello, nel vallone del Piave e spe- cialmente nei dintorni di Belluno, si stende il potente complesso di strati a facies di Flysch (Tav. II, fig. 1), nel quale ogni suddivisione di livelli è pressochè impossibile. Trattasi della solita alternanza di marne e di calcari arenacei con frequenti avanzi carboniosi e im- pronte di Condriti del tutto corrispondenti a forme appenniniche. A nessun livello della massa a facies di Flysch mi fu possibile, pei dintorni di Belluno, scoprire finora qualche orizzonte fossilifero. Più fortunate furono invece le ricerche nella parte occidentale e special- mente nei dintorni di Feltre, dove, a nord-ovest di Pedavena, in una marna azzurrognola abbondano le seguenti forme: Nummultes com- planatus, Orthophragmina sella, O. Pratti e qualche altra specie del Luteziano medio. Allo stesso livello, oppure ad una zona di poco superiore a quella occupata dai descritti materiali, vanno riferiti i banchi cal- carei e le brecciole di Norzenadego e delle Boscaie, in cui, come ricordai in altro lavoro, si raccolgono le seguenti forme : Nummulites tuberculatus Brong. si Lamarcki D° Arch. Brongmarti D’ Arch. - sub-Brongmiarti Verb. Assilina mamillata D’ Arch. Quale rappresentante del Luteziano superiore sarei propenso a ri- tenere il calcare a Sismondia dei dintorni di Cesio e delle colline al sud di Villabruna. Mi affretto però ad aggiungere che sì tratta di un ri- ferimento affatto provvisorio ed incerto, perchè la scarsezza dei fossili e il cattivo stato di conservazione di quei pochi che potei raccogliere finora non permettono delle conclusioni assolute e definitive. Molto meglio rappresentato nel vallone Bellunese è 1° Eocene superiore o Priaboniano. Ad esso sono da riferirsi alcuni dei calcari nummulitici che affiorano in parecchie località e che chiudono o s' intercalano nelle parti più elevate della potente zona a facies di Flysch. Questi banchi di calcari, dove la serie degli strati è oriz- zontale o poco inclinata, si elevano a dirupo sulle sottostanti marne e arenarie, che presentano invece un profilo molto più dolce.. Appar- tengono a questo livello i calcari a Nummulites contortus-striatus della valle dell’ Ardo, quelli delle colline all’ ovest di Belluno e di altre località vicine, mentre quelli della parte sinistra del vallone Bellunese sono in gran parte ancora luteziani. Da questa rapida rassegna si può affermare con certezza che i calcari nummaulitici del Bellunese non occupano un unico livello, ma si ripetono a varie altezze e si prestano per essere ordinati in una serie cronologica regolare e probabilmente continua. Nel Trevigiano l’ Eocene medio è ancora poco noto, poichè, fi- nora, non mi venne dato di scoprire in alcun sito qualche giaci- mento fossilifero che trovi corrispondenza coi ben noti depositi di Roncà, S. Giovanni Ilarione, M. Postale, Noax ecc. Sono però cer- tamente luteziani dei calcari (con intercalazioni marnose a rari modelli di Molluschi e a Nwmmulites crassus) dei pressi di Possagno e delle colline al nord e al nord-ovest di Vittorio. Più ad Oriente, sopra Osigo e Montaner, il calcare corrispondente a questo livello diventa compatto, marmoreo ed è affatto privo di fossili. Il prof. Arturo Rossi, nelle sue illustrazioni geologiche della provincia di Treviso, aveva parallelizzato agli strati di S. Giovanni Ilarione le marne azzurrognole di S. Giustina di Possagno, di Cu- rogna e di Onigo, che contengono una ricchissima fauna in gran parte costituita di conservatissimi Molluschi. Ecco l’ elenco delle forme da me raccolte nelle località fossili- fere citate dal Rossi: (Cyclolites Heberti Tourn. È patera Meneg. Pattalophylla costata d’ Arch. Limopsis scalaris Sow. Chama granulosa d’ Arch. Lithodomris hortensis Vinassa Teredo Tournali Leym. Dentalium anceps Menegh. Scalaria cfr. bryozophila Opp. Turritella incisa Brong. Ù gradataeformis Schaur. Rotularia spirulaca Lmk. Clavilithes Japeti Tourn. Voluta vesciculifera Opp. Ancillaria canalifera Lmk. y È pinoides De Greg. Conus hortensis Vinassa. Pleurotomaria cavasana Opp. Pleurotoma lyra Desh. Clavatula Curognae Opp. Borsonia pentagona Vinassa ci pyrenaica Rovalt Altre forme delle medesime località furono già citate dal Vi- NnASSA e dall’OppeNHEIM nei loro studî paleontologici; orbene, l’esame della fauna di tali marne, come fecero osservare anche gli accen- nati autori, dimostra che le analogie col deposito di S. Giovanni Ilarione sono piuttosto scarse, mentre sono assai più strette con la fauna del Priaboniano od Eocene superiore. Presa nel suo insieme, tanto per le forme presenti, quanto pel tipo di fossilizzazione, la fauna in esame ha molti punti di contatto con quella di Ruel nel bacino di Parigi e come tale è da ritenersi rappresentante del Bar- toniano inferiore, con qualche rapporto col più elevato Luteziano. OLIGOCENE. Ai banchi nummulitici e ai materiali marnosi che nel vallone Bellunese chiudono la serie eocenica, fanno seguito pochi strati cal- carei e poi un grosso banco di una lumachella, nota ai geologi La gene sotto il nome di glauconia bellunese. Una delle migliori località per esaminare la posizione di questa glauconia sì trova sulla strada da Belluno a Bolzano, subito sotto la chiesa di S. Sebastiano. Nella stessa regione bellunese dobbiamo ricordare però che dei banchi conchigliferi, affatto analoghi a quello or ora accennato, si trovano a diverse altezze anche nella serie miocenica e già il Ta- RAMELLI aveva fatto osservare che l’età di questi banchi non doveva essere la stessa per tutti, ma che si trattava di uma vera e propria successione di formazioni diverse. Altri invece opinarono che si fosse davanti al caso di un’ alternanza di facies dello stesso identico piano. Per questo fatto nella raccolta e nello studio del materiale paleon- tologico non si diede la necessaria importanza al livello che esso occupava nella serie, e si descrissero e sì citarono quindi, come ap- partenenti ad uno stesso piano, delle forme che spettavano invece a piani diversi. Nell’ intento di portare il mio modesto contributo alla risolu- zione del problema, io intrapresi lo studio di questa parte del Ter- ziario bellunese, tenendo rigorosamente distinte le collezioni fossili secondo il livello da esse occupato. Il più profondo dei banchi fos- siliferi preso in. esame è quello della ricordata località di S. Bastiano, che per la chiarezza dei rapporti stratigrafici ho scelto come punto di partenza. Lo spessore dell’intero banco glauconitico è di quattro a cinque metri, però la vera lumachella si limita alla parte inferiore. La parte superiore, che presenta meglio della lumachella il tipo di glauconia e che assume una curiosa alterazione cipollare, contiene dei Pecten (Pecten Pasini) e qualche raro esemplare di Scutella sub- rotunda. La parte inferiore (lumachella) è ricchissima di fossili, fra 1 quali distinsi le seguenti forme: BETA e Terebratula sinvosa Brong. Spondylus cisalpinus Brong. Pecten Pasini Meneg. Janira arcuata Broce. Perna Soldanii Desh. Cardita Lavrae Brong. » Arduino Brong. Crassatella neglecta Mich. Cardium Pasinii Schaur. Hemicardium difficile Michel. Meretrix incrassata Lmk. Pholadomya Delbosi Mich. Gyleimeris declivis Mich. Turbo clausus Fuchs. Natica cochlearia Brong. Xenophora cumulans Brong. Turritella asperulata Brong. Cypraea angustata Fuchs. Cypraea splendens Grat. Ficula condita Brong. Murex asper Brander. Eburna Caronis Brong. Voluta elevata Sow. Voluta modesta Mer. Conus Grateloupi D’ Orb. Pleurotoma Gnatae Fuchs. Pleurotoma ctr. ambigua Fuchs. Balanus sp. ind. L= GN À questo stesso livello vanno riferiti inoltre i seguenti resti di Vertebrati : Carcharodon megalodon Agass. Hemipristis serra Agass. Haltherivin bellunense Zigno. Dall’ esame della lista di fossili, in grande maggioranza Mol- luschi, sopra riprodotta e che nuove ricerche potranno certamente aumentare, emergono tali rapporti di affinità con le ben note faune di Sangonini e di Castel Gomberto, che io non esito punto a con- cludere trattarsi di giacimento oligocenico, come per primo ritenne il MeneGHINI. È vero che alcune specie si estendono anche all’ Aqui- taniano, come la Meretrix. incrassata, il Pecten Pasinii e qualche altra, ma è da osservarsi altresì che il massimo sviluppo delle forme, compresa la Meretrix incrassata, è raggiunto nello Stampiano e che qualcuna anzi comincia a fare la sua comparsa nel Tongriano e perfino nell’ Focene medio, come è il caso dell’Eburna Caronis. Al momento, io non credo che si possa fissare con rigore se la tauna della glauconia di S. Sebastiano spetti al Tongriano oppure allo Stampiano, come sarei propenso ad ammettere; ulteriori. studî risolveranno la questione sulla base di dati statistici più completi, ma ciò che può ritenersi per fermo si è che trattasi di deposito oligocenico ('). Questi risultati stanno in perfetta relazione in fine coì dati che si possono ricavare dallo studio della successione stratigra- fica, in base ai quali l’Oligocene viene appunto a trovarsi in coinci- denza alla lumachella glauconitica di S. Sebastiano che, ripeto, costi- tuisce il banco più profondo di questa particolare facies fossilifera. (4) A riconferma di queste deduzioni. devo aggiungere che nelle arenarie che ricoprono im- mediatamente la glauconia inferiore venne raccolto un magnifico e tipico esemplare di Nautica crassatina, fossile di un certo valore stratigrafico e sulla provenienza del quale è escluso ogni dubbio. L' Oligocene, sotto forma di una glauconia meno verde e più spesso di un’ arenaria cerulea, più o meno marnosa secondo i siti, sì estende poi all’ ovest di Belluno presso Sospirolo, S. Gregorio e Pedavena e all’est ai piedi di M. Serva e nel bacino di Alpago, dove sì presenta molto ricco di fossili, fra i quali abbondano gli Échini, Se noì passiamo alla provincia di Treviso, troviamo che l’ Oligo- cene presenta un tipo e uno sviluppo diversi da località a località. Nella regione orientale predominano le arenarie cineree con fauna rispon- dente a quella della glauconia bellunese (banco inferiore); in quella occidentale, in perfetta continuazione alle marne bartoniane, fanno seguito delle altre marne, a queste succede una potente pila di cal- cari a grosse Operculine, a piccole Nummuliti, molti Pecten, fra i quali il Pecten (Jamra) arcuatus e numerosi Echini. Chiudono la serie altri calcari grossolani a modelli di Molluschi e di Echinidi che, assieme agli strati ad Operculine, corrispondono a mio avviso all’ Oligocene superiore o Stampiano (Strati di Castelgomberto, S. Trinità, Monteviale, ecc.). Le migliori località per l’ esame del descritto profilo si trovano sul fianco destro della Valle Cavasia e specialmente nelle colline che si stendono al sud di Possagno, Ca- vaso e Curogna. Il Rossi, in conseguenza di un’ erronea determinazione di età delle marne bartoniane di Santa Giustina e di Curogna, aveva at- tribuito agli accennati materiali un’età alquanto più antica, ritenen- doli cioè corrispondenti alle formazioni di Priabona e di Crosara, le quali rientrano ancora nell’ Eocene. MIocENE. Nel passare allo studio del Miocene, premetto ch'io non condi- vido l’ opinione espressa da altri geologi che le suddivisioni: Lan- ghiano, Elveziano, Tortoniano e Messiniano inferiore rappresentino — 64 — facies differenti dello stesso piano. Non si può negare che tra gli accennati piani esistano nessi assai stretti, passaggi insensibili e dif- ferenze minime, ma è indubitato ch’essi occupano livelli cronologici diversi. Sarà da discutere, come mi riserbo di esaminare in altro lavoro, se convenga conservare le distinzioni di piani o se sia opportuno considerare tali termini come zone di uno stesso piano. È quindi una pura questione di metodo, poichè non si vorrà certamente sostenere, ad esempio, che le marne tortoniane e le are- narie del Langhiano, fra loro separate da alcune centinaia di metri di materiali intermedii, siano facies eteropiche dello stesso identico livello. Prescindendo dalle faune malacologiche, che hanno subìto in- vero modificazioni poco notevoli, basta, per convincersi della succes- sione cronologica dei vari piani, dare uno sguardo agli avanzi di Vertebrati che vi furono rinvenuti e che si prestano meglio per stabilire la non contemporaneità dei ricordati piani. Il Miocene è largamente rappresentato tanto nella provincia di Belluno quanto in quella di Treviso. Nel vallone Bellunese esso è assai esteso sul fianco destro, mentre su quello sinistro fu ormai comple- tamente asportato dall’erosione. Nell’Alpago riempie una parte della conca e nel Trevigiano occupa una larga e regolare fascia che ha decorso parallelo alle altre formazioni terziarie più antiche e più recenti. | Per formarci un concetto della successione e della natura dei materiali che compongono la serie miocenica dell’ area che ci inte- ressa, prenderemo in esame due profili, uno nel vallone del Piave e l’altro nella regione delle colline trevigiane. Nella valle dell’ Ardo alla glauconia oligocenica di S. Bastiano fa seguito, per uno spessore considerevole, una marna di tipo are- naceo, finamente micacea, che lungo il fianco destro del torrente Rui sì mostra molto ricca di Molluschi. In una località a circa mezzo chilometro dalla chiesa di S. Sebastiano i fossili sono così abbon- — 65 — danti che in poco tempo mi fu possibile mettere assieme una di- screta collezione, nella quale la forma più frequente di tutti è il Pecten Pasinii Menegh.; vengono poi il Pecten burdigalensis, la Meretrix in- crassata, il Trochocyathus laterocristatus e numerose altre forme che meritano un’ accurata illustrazione paleontologica. Questi materiali vanno parallelizzati con gli strati a Pecten Pasini e Pericosmus mon- tevialensis di Schio e rappresentano quindi con tutta verosimiglianza l’ Aquitaniano. Continuando il nostro profilo (dai materiali più antichi ai più recenti) sì osserva che le descritte marne passano ad un’ arenaria cerulea, friabile, a Coralli e a qualche Pelecipode, escluso però il genere Pecten, del quale, a questo livello, non rinvenni alcun fram- mento. Con poca modificazione nel tipo della roccia, si passa alla ben nota arenaria da mole, nella quale si rinvengono gli avanzi di una ricca fauna, che attesta condizioni d’ ambiente rispondenti a quelle di un estuario poco lontano dalla foce di qualche grande fiume. Ecco l’ elenco dei Vertebrati che vennero finora scoperti in queste arenarie, ch'io ritengo langhiane e cioè di età poco diversa da quella della pietra leccese e delle sabbie di Eggenburg presso Vienna. Chrysophrys cfr. cincta Agass. Myliobatis sp. Octobatis Meneghini Bass. Oxyrhina hastalis Agass. Oxyrhina Desori Agass. Odontaspis cuspidata Agass. Odontaspis contortidens Agass. Notidanus primigenius Agass. Hemipristis serra Agass. È Galeocerdo aduncus Agass. — 66 — Carcharodon megalodon Agass. Sphyrenodus Bottii Capell. Trionyr sp. Ziphiodelphis n. g. Acrodelphis Ombonii Long. Cyrtodelphis sulcatus Gerv. Delphinodon mento Cope. Squalodon bellunense Dal Piaz. Squalodon bariense Jourd. Rhinoceros sp. Nella parte superiore le arenarie langhiane contengono nume- rosì avanzi di Piante e passano ad un tipo calcareo - marnoso con stratificazione evidente, mentre nelle sottostanti arenarie da mole la massa è uniforme e continua, senza traccia di stratificazione. A questo livello comincia a comparire qualche valva di Pecter e poi, dopo un piccolo spessore di arenarie marnose cerulee, si ri- presenta una zona di tipo glauconitico, zeppa di conchiglie e spe- cialmente di Ostree. Ai descritti materiali fanno seguito immediato delle marne e dei calcari marnosi a grana piuttosto fina, in cui è contenuta una ricca fauna di Molluschi calcinati, disgraziatamente quasi tutti schiacciati e ridotti spesso a poco più di una semplice impronta. Sono le stesse marne che affiorano a Tisoi, a Sospirolv ad Oregne, ecc. e nelle quali notiamo’ la presenza delle seguenti forme, comuni a tutte le località or ora citate: Flabellum avicula Michelin Ostrea cochlear Poli » navicularis Brocc. ». eglecta Mich. Pecten cristatus Bronn. — 67 — Pecten sp. Cuspidaria miocenica Par. Arca diluvii Lmk. Dardi Tellina planata Lin. 5 aff. T. compressa Brocc. Natica sp. Turritella turris Bast. _ » Cfr. cathedralis Brong. Chenopus pespelecani Lin. Oxyrhina Desori Agass. »s hastalis Agass. Odontaspis contortidens Agass. Carcharodon megalodon Agass. Nella valletta del torrente Gresal si osserva che le descritte marne sono ricoperte da una grande massa di argille contenenti delle piccole Cardite, qualche altro Mollusco e dei sottili banchi di lignite in forma di lenti assai limitate. È molto difficile poter trarre qualche deduzione sull’età di questa argilla a Cardita che può darsi sia ancora elveziana, ma nella quale non possiamo escludere, in via assoluta, che possa essere compreso anche qualche livello più recente. Continuando il nostro profilo lungo il letto del torrente Gresal; torna ad affiorare, in conseguenza della sinclinale bellunese, la serie passata in rassegna, ma disposta in ordine inverso e considerevol- mente ridotta. La menzionata argilla occupa il nucleo della sincli- nale e costituisce adunque la più giovane delle formazioni marine che sono ancora conservate nel vallone del Piave. Passando allo studio del Miocene nella provincia di Treviso, osserveremo come esso s’ inizî, nella parte orientale, con dei calcari argillosi, glauconitici, con qualche esemplare di Pecten Pasini, di Lube = Meretrie incrassata, di Scutella subrotundaeformis, di Pericosmus monte- vialensis e qualche altro Echinide che si avvicina pure a forme del- l’Aquitaniano. Nella parte superiore questi calcari diventano più compatti, contengono ancora qualche Pecten e per la loro posizione stratigrafica stanno a rappresentare il Langhiano. Nel Trevigiano occidentale l’Aquitaniano comincia con dei calcari a grosse Nullipore, fra i quali e i sottostanti strati stampiani pare s'intercali, verso il castello di Onigo, un banco arenaceo che pei caratteri litologici e per la posizione stratigrafica corrisponde alle arenarie a (/ypeaster e a Scutella subrotundaeformis dell’Aquitaniano vicentino. A questi materiali fanno seguito delle argille a nume- rosì Pecten (Pecten Pasinii Mgh.) e poi delle marne e delle arenarie micacee con intercalazioni calcari, di guisa che verso i Castelli di Monfumo questa alternanza di arenarie e di calcari assume la ca- ratteristica facies di Flysch. Tanto nel Trevigiano orientale, quanto nella parte occidentale, ai descritti materiali succedono delle arenarie grossolane, affatto si- mili alla molassa: queste arenarie chiudono, a mio avviso, la serie langhiana. L'Elveziano è pure rappresentato da arenarie, ma di tipo più fino e più marnoso, anzi in molti casì si passa addirittura ad una marna. I fossili dell’Elveziano sono abbastanza frequenti, specialmente i denti di Pesci, e fra le migliori località ricorderemo: Col Canil presso Crespano, Monfumo, M. Castellir e M. Cilbola. Secondo gli studi del Bassani e del Rossi, nella fauna elveziana della provincia di Treviso sono contenute le seguenti forme : Schizaster Desori Agass. Psammechinus dubus Agass. Ostrea navicularis Brocc. edulis Lmk. ” — 69 —. Plevronectia denvudata Riss. x cristata Goldf. Ù De Philippi Mich. Isocardia cor Lmk. Arca diluvii Lin. Turritella rotifera Desh. Pyrula reticulata Lmk. Oxyrhina hastalis Agass. _ > Desori Agass. È minuta Agass. Lamna cuspidata Agass. > compressa Agass. È. elegans Agass. Meletta crenata Heck. Crysophrys miocenica Bass. Odontaspis Hopei Agass. s contortidens Agass. Galeocerdo latidens Agass. > aduneus Agass. Hemipristis serra Agass. Hemipristis paucidens Agass. Carcharodon megalodon Agass. J angustidens Agass. i leptodon Agass. Sphyrna prisca Agass. Otodus trigonotus Agass. Oltre alle specie fossili sopra citate sono presenti parecchie al- tre forme, specialmente in fatto di Pelecipodi, pei quali il deficiente stato di conservazione mi fa astenere da un riferimento specifico definitivo, se prima non avrò potuto avere a mia disposizione del a materiale meno incompleto e degli esemplari di confronto che per- mettano delle determinazioni più sicure. Un orizzonte abbastanza costante in tutta la regione collinesca della provincia di Treviso è fornito dal Tortoniano, il quale, dal Bas- sanese all’Asolano e da questo ai dintorni di Levada, di Campea e di Ceneda, è costituito di argille azzurre sormontate da sabbie fine. Anche in queste argille non è raro raccogliere, specialmente dopo una pioggia persistente, dei fossili, in grande maggioranza Molluschi. L’ interessante fauna di queste marne è già in gran parte nota per gli studî del Manzoni e del Rossi. Io pure, nelle diverse escur- sioni compiute in queste regioni, ho potuto mettere assieme un di- screto numero di fossili, dei quali faccio seguire l'elenco delle forme più comuni, che provengono dalle argille affioranti presso la chiesa di Romano, dalla base meridionale di M. Castellir, dalle marne az- zurre di Col Forabosco e dal fianco destro del torrente Campea. Flabellunm intermedium Mich. Ostrea cochlear Poli. Arca diluvii Lin. Cardita Jouanneti Bast. Dentalium Michelotti Hoern. Turritella vermicularis Brocc. k triplicata Brocce. i Archimedis Brong. si tricarinata Brocc. A cochleata Brocc. 7 lurris Bast. Natica millepunetata Lmk. Cassis saburon Lmk. Ancillaria glandiformis Lmk. Pleurotoma rotata Brocc. LS Pleurotoma coronata Miinst. ui calcarata Grat. * pustulata Broce. - Pe cataphracta Brocc. Ulavatula semimarginata Lmk. Uonus fuscocingulatus Brocc. 5 Dujardini Desh. A tarabellianus Grat. _- È la ben nota fauna del Tortoniano piemontese, con cui si riscontra anche una certa comunanza nei caratteri litologici. i quali, nella regione trevigiana, si mantengono molto uniformi da un capo all’ altro della lunga striscia occupata da questo terreno. La facile erodibilità delle marne tortoniane fa si che la loro zona di affiora- mento coincida con una lunga zona depressa, che corre parallela fra i conglomerati pliocenici da un lato e le arenarie del Miocene medio ed inferiore dall’ altro. In qualche caso meno frequente, come lungo il versante settentrionale di monte Fagarè, località eccezionalmente ricca di fossili, le marne tortoniane sono ricoperte dai conglomerati, di guisa che, per il diverso grado di erodibilità e di resistenza dei materiali, la linea di contatto è segnata da un abbastanza brusco cambiamento nella pendenza del terreno. 1 Finalmente, altre non meno interessanti e non meno ricche di specie, sono le faune tortoniane dei dintorni di Vittorio e special- mente della Costa di Anzano, poco sopra il piano della carrozzabile per Fregona, e della valletta del Ru, all’ ovest di Ceneda, dove as- sieme a numerosissimi Molluschi si raccolgono discreti e non rari modelli di Echini. Pontico e Pliocene. Sopra le marne, con un passaggio piuttosto brusco, succedono delle sabbie calcarifere alternate a sabbie cementate dall’ appa- renza di molasse, dette /onfi, pietre dolci, azzalon, e non di rado cavate per lavori di vario genere. Da questi materiali si passa lentamente ad una puddinga prevalentemente calcarea, prima ad elementi piuttosto minuti e poi saltuariamente sempre più grossi, fino ad un vero e proprio conglomerato di notevole tenacità. A breve distanza dalla vetta del M. Fagarè (Cornuda) verso sud, nei pressi di una casa, questo conglomerato ha delle intercalazioni più minute quasi sabbiose, poco cementate, nelle quali sono frequenti i grossi esemplari di Ostrea gingensis Hoern. È questo il livello corrispondente, con tutta probabilità, al Sarmaziano, al quale fanno seguito delle saltuarie lenti di lignite a fossili d’ acqua dolce (Urio) che il D." STE- FANINI segnalò per primo e potè seguire lungo un orizzonte costante dal Friuli al Trevigiano occidentale. Noi entriamo così in una fase affatto continentale che abbraccia poi tutto il Pontico, al quale va riferita una larga zona collinesca che dai pressi di Bassano per Maser, Cornuda, Col S. Martino, con- tinua fino a Vittorio, Fregona e più ad oriente nel Friuli. Le col- line costituenti questa specie di catena limitante la pianura, sono alquanto più elevate di quelle che le precedono a monte: esse pre- sentano una particolare fisionomia dirupata, dovuta alla natura molto resistente dei banchi di conglomerati, più o meno pendenti, talvolta verticali e addirittura arrovesciati verso sud come avviene presso Osigo. In questi conglomerati sì riscontrano qua e là delle interca- lazioni argillose od argilloso-sabbiose a conchiglie terrestri e d’ acqua dolce. Fra le località più ricche di questa fauna citeremo i fianchi della valletta percorsa dal torrente Carron, i dintorni di Refrontolo sulla strada per Rolle e specialmente il lato orientale di M. Fagarè di Cornuda, dove, nelle vicinanze di Casa De Bortoli, raccolsi in gran copia esemplari di Melania sp., Triptychia mastodontophila Sism. (presente anche nel Villafranchiano piemontese), parecchie ele e frustoli indeterminabili di piante di tipo palustre. A complemento di questa fauna vanno citati inoltre gli avanzi di Mastodon angustidens Cuv. illustrati dal De Zicxo ('), mentre resta dubbia la provenienza del dente di Mippopotamus maior Cuv. stu- diato dall’ Omponi e che il MeNEGUZZO disse di aver raccolto nella collina di Forabosco presso Asolo. In generale i conglomerati, pontici fanno graduale passaggio (senza che si possa fissare bene la zona di transizione) ad altri con- glomerati meno inclinati dei primi, che raggiungono il massimo svi- luppo a nord-est del Montello. Però qua e là non è infrequente il caso di rinvenire intercalazioni argillose; così presso Cornuda, e pre- cisamente alla Fornace da laterizi, ai conglomerati pontici succe- dono, in perfetta concordanza, delle argille finemente sabbiose, mi- cacee, azzurre e giallicce, in strati sottili, quasi verticali, diretti da E-NE ad O-SO e seguiti, a loro volta, da altri banchi di conglo- merati. Il Rossi giudicò, a torto, che si trattasse di un deposito la- custre; io vi ho raccolto alcuni delicatissimi fossili marini, che non presentano traccia di subìto trasporto e, fatta eccezione a delle fil- liti e a tronchi d’ alberi che vi furono portati per fluitazione, non ho mai riscontrato forme terricole e d’acqua dolce. Ecco 1’ elenco dei resti fossili da me raccolti: (') L’avanzo descritto dal De Zieno è un dente di Mastodon avernense. Questo prezioso avanzo della fauna veneta pareva perduto; recentemente io ebbi la fortuna di rintracciarlo in una collezione privata e di acquistarlo poi per conto del Museo Geologico dell’ Università di Padova. Platanus aceroides Goepp. Ilew aequifolium Lin. Rhododendron ponticum Wettst. Brissopsis cfr. lyrifera Forb. Schizaster maior Desor Arca Noae Lin. Pecten cristatus Brocc. Tellina compressa Brocc. Cardita sp. Natica millepunctata Lmk. Gli elencati avanzi non sono in vero molto abbondanti, tut- tavia essi, specialmente gli Echinidi e i Molluschi, sono sufficienti per farci ritenere che sì tratta di deposito analogo a quello di S. Colombano in Lombardia, col quale si riscontra inoltre una per- fetta corrispondenza di facies litologica. È questa, per quanto mi sappia, la prima volta in cui viene constatata l’ esistenza nel Ve- neto del Pliocene marino, constatazione che modifica le opinioni correnti sulle vicende attraversate dalla regione nello scorcio del Terziario. Un certo valore generale, non cronologico, hanno poi le filliti, le quali, per quanto poche, costituiscono un documento fitogeogra- fico di primo ordine. Esse tendono a provare infatti che nel ver- sante sud della regione alpina predominava una flora di tipo meri- dionale-orientale anche durante il Pliocene, ciò che sta in perfetta relazione con le scoperte del SORDELLI per la Lombardia e con quelle del WETTSTEIN nel Tirolo e in genere per l Europa, in cui, durante questo periodo e anche poco dopo, si sarebbe avuta una vegetazione sul genere di quella che si riscontra oggidì nelle regioni circostanti al Mar Nero. Sena Altri depositi argillosi, in strati fortemente inclinati a sud-sud- est e concordanti con l’ andamento dei banchi di puddinga che li sopportano, si riscontrano anche più ad oriente. È curioso, come ho già fatto osservare, che, mentre in alcuni di questi depositi, come a Cornuda, è contenuta una fauna marina, in altri non si hanno che forme lacustri o terricole da non confondersi con quelle pontiche più interne. Questo stato di cose, che riguarda in modo particolare la parte più giovane di questa potente massa di materiali. getta una luce sulle condizioni dell’ ambiente nel quale si svolsero le ultime fasì del periodo terziario. Tutto concorre a dimostrare insomma che sì trattava di un ambiente continentale che negli ultimi tempi pre- sentò qua e là delle fugaci fasi di ritorno marino. Nel caso generale si riscontra che un po’ alla volta le sabbie e le argille si fanno meno trequenti, finchè le alluvioni, se non esclusivo, prendono però un forte predominio. La natura di queste alluvioni è diversa da località a località, secondo il bacino dal quale proveni- vano i materiali e il rispettivo corso d’acqua che li trasportava. Così nella parte occidentale, nelle colline di S. Zenone e di Onè, predominano i porfidi quarziferi e non quarziferi, i graniti, i gneiss e le altre rocce della Valsugana. Nella parte media, presso Maser, Cornuda, S. Martino, hanno un forte predominio i calcari, le do- lomie e le arenarie, mentre sono assai scarse le rocce cristalline, e finalmente nella parte orientale fra una maggioranza calcareo-dolo mitica, sono presenti gli scisti micacei, le ardesie gli altri materiali dei monti cadorini. In complesso, pure ammettendo, per ciò che riguarda l’ orien- tamento ed il decorso delle correnti, un sistema idografico diverso dall’ attuale e ritenendo che nella costruzione di questa potente massa di alluvioni prendessero parte attiva non solo i grossi fiumi, ma anche i torrenti attraversanti le selle prealpine ora portate a varie altezze, gli elementi che fanno parte dei conglomerati pontici e plio- dti RE cenici della provincia di Treviso rispondono alla varietà petrografica dei bacini del Brenta, del Cismon, del Cordevole e del Piave. Ma, contemporaneamente all’ originarsi di queste estese alluvioni, oppure in periodi di minore attività di deiezione, si mantenevano in alcuni siti e a brevi tratti le condizioni di un ambiente lacustre, “mentre qua e là, nelle aree più avanzate, persistevano ancora dei tranquilli seni marini, dei piccoli recessi che le successive fasi allu- vionali dovevano però raggiungere e colmare completamente. Tale è, a rapidi tratti, la storia di questo scorcio di periodo geologico, che si fonde insensibilmente con quello che preludia e precede immedia- tamente la successiva era glaciale. | | CAPITOLO VII. Alluvioni preglaciali e interglaciali. In questo capitolo prenderemo in esame quell’ insieme di for- mazioni alluvionali, forse in parte ancora del più alto Pliocene, che precedono i depositi morenici, e quelle che pure essendo anteriori all’ ultima invasione glaciale sono con tutta probabilità più recenti delle prime e cioè di età interglaciale. Nessuna interruzione esiste, a mio avviso, fra le alluvioni de- scritte nel precedente capitolo e quelle più recenti che costituiscono il Montello, il dosso di Montebelluna e le colline di Susegana, Co- negliano, S.* Maria di Feletto, ecc. Sono stadi diversi del grandioso ed unico fenomeno alluvionale che cominciò col Miocene superiore e proseguì via via fino al periodo glaciale contemporaneamente al mo- vimento orogenetico. Per questa circostanza, quanto più i banchi alluvionali sono esterni, tanto meno hanno subìto l’azione di dislo- PRRR I cd camento, pel quale fatto pare che essi siano in trasgressione sugli strati pontici, ai quali in genere sono legati da numerosi gradi di passaggio intermedî. Ho detto che questo è a mio avviso il caso ge- nerale, perchè (per quanto ancora poco chiara e non sufficientemente documentata) pare che in alcuni punti si abbia una vera trasgres- sione di conglomerati recenti su altri più antichi. Esempio classico e grandioso di queste alluvioni relativamente recenti è dato dal Montello, il quale sorge dalla pianura come un isolotto dal mare, perchè le azioni erosive del Piave e degli altri torrenti lo staccarono dal nucleo collinesco che lo precede a monte; ma se noi prescindiamo per un momento dall’ incisione di Falzè- Narvesa e teniamo sott’ occhio la carta geologica, il legame del Montello alle accennate colline risulta evidentissimo. L’ interpreta- zione è tanto più verosimile pel fatto che nell’ intermedia pianura d’ alluvioni terrazzate di Moriago (che separa il Montello dalla serie collinesca di S. Martino-Solighetto) sorgono ancora, come piccole isole, dei frammenti dell’ antica conoide, oggidì cementata, quali si riscontrano a S. Tiziano, Sernaglia, Villanova, ecc. e che rappresen- tano, si può dire, gli sparsi brandelli di un unico quadro. Altri ar- gomenti in sostegno di una simile spiegazione si hanno, come ve- dremo meglio in seguito, nell’andamento e nella costituzione dei banchi di conglomerato, costituzione che è presso a poco la stessa tanto nel Montello quanto nelle vicinissime colline di Colfosco, Sernaglia, Villanova ecc. Come altri resero già noto, il Montello è costituito da un conglomerato ad elementi grossolani e minuti, nei quali il predominio è tenuto dai calcari selciferi e dalle dolomie, mentre le rocce granitiche, rispondenti al tipo acido della valle di Caoria, i porfidi, le arenarie, le filladi e gli scisti cristallini vi sono rappresentati in via subordinata. È noto inoltre come questi conglo- merati siano più o meno ferrettizzati e quale intenso sviluppo ab- biano assunto al Montello ì vari fenomeni carsici, intorno ai quali il dott. ToxroLo compilò un recente ed interessante studio ('). Quanto all’ età, se una inaspettata scoperta d’ avanzi fossili non verrà a illuminare il campo delle nostre ricerche, possiamo dire che sarà sempre questione aperta. Ciò nonostante il problema è ridotto, oggidì, entro termini assai più ristretti di quanto non fosse alcuni anni or sono. La presenza, nella parte più esterna delle colline dei conglomerati terziarî, di un giacimento fossilifero del Pliocene, i cui strati sono in_perfetta concordanza con la serie di M. Sulder e degli altri vicini, costituisce un sicuro punto di partenza che ci permette di poter dedurre come l’ enorme massa alluvionale che si stende più a sud e che abbraccia le colline di S. Pietro di Feletto, Conegliano, Susegana, Colfosco e Montello, appartenga ad un periodo più recente del Pliocene inferiore. Ciò posto, ed essendo inoltre convinto della continuità del fenomeno alluvionale e della sua non breve durata, io ritengo che la gigantesca massa di conglomerati che si stende al sud dei depositi marini di Cornuda e di Refrontolo abbracci gli ul- timi scorci del periodo Pliocenico e il più antico Quaternario. Viene da se che il Montello, costituendo il tratto più esterno dell’ enorme conoide, spetterebbe, secondo una simile interpretazione, alla parte più recente della grandiosa fase alluvionale, mentre il tratto più interno verso S. Pietro di Feletto e Mezza Villa verrebbe a collegarsi coi materiali pliocenici, opinione poco dissimile da quella espressa dal TarameLLI (*) e dallo STELLA (?). (1) ToxioLo A. R. - I Colle del Montello - Memorie Geografiche. N. 3 Firenze 1907. (€) TARAMELLI T. - Relazione sulle condizioni geologiche del Colle di Montello in rapporto alla circolazione sotterranea delle acque. Montebelluna 1900. (8) STELLA A. - Descrizione geognostico-agraria del Montello in Provincia di Treviso. Me- morie descrittize della Carta Geologica d’Italia a cura del R. Ufficio Geologico. Roma 1902. LIE Quando, tenendo conto dell’ inclinazione dei banchi e della loro costituzione litologica, cercai di rintracciare allo sbocco della Valle del Piave quali potevano essere le continuazioni a monte dell’ alluvione del Montello, m’ accorsi che il problema è assai più difficile e com- plesso di quanto si creda. Fatta eccezione di alcune collinette dei din- torni di Sernaglia, che sorgono a guisa di isolotti dalla pianura che sì stende fra Moriago e Pieve di Soligo, 10 mi trovo imbarazzato nell’ indicare altri sicuri lembi di alluvioni corrispondenti a quella del Montello o del Colle di Guarda o degli altri siti ad oriente del torrente Soligo. Confesso che i lembi di Maser, Cornuda e Valdob- biadene, da altri ritenuti come le vere continuazioni del conglome- rato del Montello, mì lasciano molto incerto e temo che siano stati compresi in un’ unica categoria dei materiali d’ epoca ben diversa. Ora, se un simile parallelo è reso così difficile e complesso allo sbocco della valle, si comprenderà come entro i tortuosi meandri della rete valliva sia, almeno per ora, pressochè impossibile poter decifrare con sufficiente precisione la corrispondenza e la non corri- spondenza dei banchi alluvionali con le formazioni conglomeratiche esterne, tanto più che i dati d’ osservazione di cui noi disponiamo per ora sono piuttosto scarsi e talvolta contraddittori per la deficienza dei dati di fatto. i Uno dei meglio conservati lembi di alluvione interglaciale pre- vurmiana, entro valle, sì riscontra sul versante nord del Canalet, valletta compresa fra il M. Avena e M. Aurin. Trattasi di un tenace conglomerato a circa sessanta metri sopra il fondo della valle, co- stituito da grossi elementi in prevalenza porfirici e granitici; io ri- tengo ch’ esso sia l’ avanzo di una potente alluvione del torrente Cismon, che in epoca interglaciale doveva unirsi, con ogni proba- bilità, al Piave attraverso la conca di Feltre. Ne fanno fede anche i conglomerati della località Tast, i quali hanno una costituzione ara — analoga ed occupano un livello poco diverso da quelli del Canalet. Alquanto più basse e di tipo meno antico, forse ormai del glaciale recente, sono le alluvioni di Seren e di Rasai, sulle quali però è interessante osservare che si stendono dei depositi morenici. Lungo l’attuale corso del Cismon sono pure interessanti, anche per il livello occupato, i lembi alluvionali della Rocca e più avanti quelli sulla strada del Corlo. Egualmente dicasi per quelli ancora più recenti che si osservano lungo il percorso del Piave da Cesana a Quero e che si trovano” sempre a livelli poco elevati sul fondo della valle. A proposito di questi materiali, devo osservare come le alluvioni che sottostanno e succedono a sud dell’ anfiteatro morenico di Quero non mi sembrino di età preglaciale, ma alquanto più recenti, opinando che si tratti di una formazione fuvio-glaciale affatto contemporanea a quella dell’ anfiteatro morenico. Infatti i rapporti fra le alluvioni e i sovrastanti materiali morenici sono così stretti che verso il Piave, subito sopra il piano della ferrovia, le sfumature e i passaggi sono veramente insensibili e tali da non poter sempre segnare una netta separazione fra gli uni e le altre. Particolarmente interessante, come ricordarono il TARAMELLI ed il Rossi, sono le alluvioni della Valle di Schievenin, delle quali una parte slittò lungo il pendio del monte, dando origine ad una piccola caverna in cui furono scoperti avanzi di Ursus spelaeus. Una simile constatazione porta a stabilire che il conglomerato formante la volta della grotta è per lo meno di età prevurmiana, forse, attenendoci ai concetti esposti da PeNxck, addirittura premindeliana. Nel Vallone del Piave i conglomerati anteriori all’ invasione gla- ciale del Vurmiano, e quindi interglaciali, sì mostrano qua e là in molti siti; ricorderemo fra gli altri i lembi del piccolo altipiano di Roncoi al nord di S.* Giustina e quelli dell’ Ardo, ai quali, dal- l’altra parte della grande Valle Bellunese, sopra Castion e Carve, SSR fanno riscontro altri lembi meno evidenti, ma non meno importanti. A Roncoi i conglomerati in discussione si trovano a circa 330 metri sul letto dell’ attuale corso del Piave e poco diversa è pure l’ altezza degli altri lembi del fianco sinistro. All’ escavazione dell’ ampio ba- cino intermedio, il vero Vallone Bellunese, che ha una larghezza di circa dodici chilometri, contribuì certamente per la maggior parte l’azione glaciale, cosicchè noi siamo nel caso di una valle di riesca- vazione, il cui antico fondo è segnato da due lembi alluvionali a guisa di terrazzo, che seguono i due fianchi della valle a circa 330 metri di altezza sull’ attuale letto del Piave. È uno degli esempi più grandiosi di questo genere di fenomeni, col quale sta in perfetta relazione l’ impronta morfologica della regione, che risponde ad un largo canale ad U scavato nel letto di un’ ampia vallata a fondo piatto. Non meno degni di studio sono i numerosi lembi alluvionali, spesso ricoperti da massi erratici o da rivestimento morenico, della Valle di Mareno, lembi che si spingono anche entro la regione dei laghi Lapisini. Nelle incisioni di Tovena e di Cison (in continua- zione dei passi di S. Boldo e di Praderadego) questi conglomerati s' insinuano verso monte e si perdono sotto le alluvioni recenti e i detriti di falda. Dei terrazzi alluvionali della Valle del Soligo tratteremo nel prossimo capitolo, mettendoli in rapporto coi vari pe- riodi d’ invasione glaciale. Se dovessi stabilire una serie cronologica delle alluvioni pregla- ciali ed interglaciali dell’ area studiata, sarei propenso a ritenere che quelle fiancheggianti il Vallone del Piave ad un’ altezza di circa 600 m. s. L m. sieno fra le più antiche. Ad esse dovrebbero far seguito i conglomerati del Canalet di Tast, della Valle di Schievenin, forse quelli di Vas ed una parte delle alluvioni di Val Mareno; mentre ritengo siano contemporanei all’ ultima invasione glaciale od appena ES EE anteriori, quelli che si trovano alla base dell’ anfiteatro morenico di Quero, i conglomerati di Seren, di Rasai ed i numerosi lembi d’ al- luvione grossolana irregolarmente cementata, che seguono il fianco destro della bassa Valle del Piave. 2 gg a CAPITOLO VIE Formazioni Glaciali. Delle incomplete e saltuarie ricerche intraprese alcuni anni or sono sull’ epoca glaciale nel Vallone Bellunese, m’ avevano condotto alla convinzione che per questo tratto di area non fosse possibile ar- rivare a quella distinzione di vari periodi d’ invasione glaciale che furono invece (più o meno chiaramente) riconosciuti altrove. Nuove indagini all’ uopo intraprese e condotte, almeno per qualche tratto dei dintorni di Feltre, con ordine sistematico, mi permettono ora di modificare la mia prima convinzione e di affermare che (entro la vallata del Piave) si possono riconoscere le tracce bene evidenti di almeno due livelli di invasione glaciale fra loro nettamente distinti ed appartenenti a periodi diversi. Di questi livelli quello superiore (parte occidentale del vallone Bellunese) oscilla fra 1150 e 1250 metri. visone Di esso rinvenni tracce non abbondanti, ma certamente sicure e suf- ficienti allo scopo, nelle piccole depressioni a dolina di Col Melon, del M. Avena, del Pra de Gnela e del M. Garda sulla sinistra del Piave. Trattasi di scarsi avanzi di antiche morene profondamente alterate, i cui elementi si disgregano alla più piccola pressione, spe- cialmente se costituiti di scisti, dì porfidi e di graniti. In nessun sito all’ infuori delle depressioni del terreno che ne facilitarono la conservazione, mi fu possibile rintracciare altri avanzi di codesto primo rivestimento che subì inevitabilmente tutte le azioni distrut- trici dei successivi periodi. Se queste tracce vadano riferite ad un unico periodo o meno, è per ora impossibile poter decidere. Certo si è che a loro confronto fanno spiccato contrasto per la profusione e per la freschezza degli elementi che li costituiscono, gli avanzi di morene laterali ed insi- nuate che si allineano poco sotto alle accennate tracce più antiche e che nel Vallone Bellunese toccano un massimo di poco superiore ai 1000 metri. Sono questi i materiali morenici dell’ ultimo periodo (Wurmiano) durante il quale la vallata del Piave, tra Ponte nelle Alpi ed Arten, era occupata da una specie di grandioso lago di ghiaccio a superficie inclinata verso sud, al quale portavano copioso alimento le fiumane ghiacciate dell'alto Piave, del Cordevole, del Mis e, come ebbi a dimostrare in una mia breve nota, anche del Cismon e forse del Brenta ('). Per citare qualcuno fra i bellissimi esempî di avanzi morenici di questa regione, ricorderemo quelli della conca di Alpago, delle valli dell’ Ardo e del Gresal, delle vallette sulla sinistra (1) Dar Praz G. - Note sull epoca glaciale nel Bellunese. Atti della Società Veneto - Tren- tina di Scienze Naturali. Padova 1$95. at gg a del Piave fra Belluno e Lentiai, dell’ altipiano di Libano, delle valli di S. Martino, Lamen, Pedavena, Biotis, ecc. Dall’ immenso lago ghiacciato del Vallone Bellunese attingevano alimento varie lingue di ghiaccio, che, insinuandosi entro le valli, scendevano alquanto verso sud. Lungo l’attuale corso del Piave, in- crementato nella conca di Feltre dal Cismon, un ramo glaciale scen- deva fino a Quero, dove costruiva un piccolo, ma tipico anfiteatro morenico riconosciuto e descritto per primo dal D." Arturo Rossi ('). Una sottile lingua di ghiaccio s’ insinuava nella valle di Trichiana, giungendo forse a malapena a varcare la sella di S. Ubaldo. Final- mente il terzo ramo, che è il principale, scendeva lungo la valle di Fadalto e biforcandosi poco prima di Serravalle mandava un ramo per la valle di Revine, che originava le colline moreniche di Gai, Tarzo e Nogarolo, e l’ altro ramo per la stretta di Vittorio fino alla pianura, dove costruiva un bellissimo apparato morenico del quale fanno parte le colline di Colle Umberto, S. Fior, Scomigo, Ogliano ed altre. i Dati i limiti dell’ area che ci siamo proposti di esaminare, ci resta da aggiungere che durante questo periodo anche la valle del Brenta era occupata da una lingua di ghiaccio che traeva il suo massimo alimento dall’ Adige e dalle regioni del Massiccio di Cima d’ Asta. Quantunque lungo tutta la valle del Brenta fino a Solagna sì riscontrino spesso, tanto sul fianco sinistro quanto sul destro, avanzi di morene laterali e di rivestimento, questa vallata manca di un ap- parato frontale, che andò probabilmente distrutto e sepolto da allu- vionamenti postwurmiani. (!) Rossi A. - Note sull’ epoca glaciale nella provincia di Treviso, Bollettino della Società Veneto - Trentina di Scienze Naturali. Padova 1881. e Secondo il BrickxER (') nelle vicinanze di Bassano verso Solagna esistono tracce di invasioni glaciali più antiche del Wurmiano, a Cornaro e Rivoltella avanzi di Hochterrassen, a Bassano e lungo l'alveo del Brenta di Niederterrassen, fenomeni già più o meno com- pletamente fatti conoscere dal Srcco (*), dal BALESTRA (?) e da altri. Nel ramo orientale (Vittorio) sono citati come esempî di antiche morene le colline di Carpisiga (Villa Gentili) e pel ramo di Revine quella di Casa Pasi all’ est di Corbanese. A proposito del ramo di Valmarino dobbiamo ricordare che nella valle del Soligo esisterebbero, secondo il BrickxeR (') le tracce ma- nifeste di tutti e quattro i periodi glaciali. Prescindendo dalle lo- calità di Gai e dai terrazzi di Follina, dove le prove sarebbero meno evidenti, e spostandoci verso sud in direzione di Pedeguarda, 1’ autore osserva che il fondo della valle è occupato da terrazzi wurmiani (Niederterrassen) nei quali è inciso I’ attuale letto del torrente Soligo. Sulla destra, si elevano sui primi di circa 22 m. i terrazzi rissiani di casa Chech (Hochterrassen) e sopra questi altri terrazzi (Unter- deckenschotter) costituiti da conglomerati male stratificati, raggiun- genti la quota 235 - 240 (©) ed appartenenti al Mindeliano. Final- mente i villaggi di Farrò e di Col (255 - 257 m.) giacciono su un ul- timo e più elevato terrazzo (Oberdeckenschotter) che si eleva di oltre 90 metri sul fondo della valle, costituito da conglomerati ricoperti di Lehm rosso come il precedente ed egualmente poggiante su rocce (1) Pexck-BricKNER. - Die Alpen in Eiszeitalter. BA. IM, Leipzig 1909. (£) Secco A. - Note geologiche sul Bassanese. Bassano 1883. (*) BaLestRA A. - Sullo sviluppo dell’ antico ghiacciaio del Brenta. Bollett. Club Alpino bassanese. Bassano 1894. (') BriicknER. - Op. cit. pag. 973 e seg. (*) BriicknER segna 230-235, ma il terrazzo citato dall’ autore in qualche punto raggiunge anche la quota 240. = BBIa in posto, terrazzo rispondente al Gunziano. Visitando la località, non si può negare che la prima impressione che si prova, dopo la let- tura della descrizione data dall’ autore, è veramente saggestiva. Un esame più attento però mi convinse che la distinzione di quattro terrazzi è meno naturale di quanto sembri a primo aspetto. Infatti, i due terrazzi rispondenti rispettivamente al Gunziano ed al Mindeliano (Unterdeckenschotter ed Oberdeckenschotter) per il piccolo dislivello che separa le loro superfici, per l estrema vici- nanza che non può facilmente ammettere indipendenza di forma- zione, per l’identica natura del conglomerato che li costituisce, per lo stesso grado di alterazione e per il possibile collegamento in un’ unica falda fluvio-glaciale inclinata a S - SO, rappresentano con ogni probabilità un’ unica fase glaciale. E che i due terrazzi possano appartenere ad un’ unica falda alluvionale è facile dimostrarlo qua- lora sì tenga conto che dalla continuazione ideale dell’ altipiano di Farrò e di Col a monte, in quello di S. Martino a valle, si ottiene, nella regione intermedia, una superficie della pendenza del 3°%/y» ri- spondente alla media pendenza delle grandi conoidi del Piave a sud di Narvesa e di Montebelluna, dell’ Astico a valle del ponte di Bre- ganze, del Brenta a Bassano e di moltissimi altri fiumi ad alluvioni ben più minute di quelle che diedero origine ai terrazzi del Soligo. Nè vedo ragione per escludere inoltre che l’ attuale fondo della valle, interpretato come Niederterrasse, possa rappresentare invece il letto delle divagazioni recenti continuantisi nell’ alveo del Soligo fino allo sbocco del Piave, mentre i terrazzi di casa Chech troverebbero la loro continuazione nell’ ampia conoide incisa a gradinata dal So- ligo che si stende a sud del villaggio di Pero e sulla quale sorgono i paesi di Farra, Pieve del Trevisan e Barbisano a valle, e nelle morene wurmiane di Gai a monte. Ritenendo adunque wurmiani i terrazzi di casa Chech, così bene collegati alle morene frontali da =igg un lato e alla conoide dall’ altro, e considerando, per l’ evidenza dei fatti, come falda alluvionale i terrazzi conglomeratici di Col, Farrò e S. Martino, in luogo di quattro periodi glaciali io vengo ad am- metterne due scli, conclusione che trova perfetto riscontro con quanto s' ebbe campo di constatare nello studio dei livelli glaciali raggiunti entro valle. Che fra questi due periodi ben documentati e bene ma- nifesti possano aver avuto luogo altre rapide fugaci espansioni gla- ciali, altrove provate da irrefutabili dati di fatto, sono dispostissimo ad ammetterloz ma per la regione da me esaminata esse sfuggono ancora alla nostra indagine e solo per qualche sito, e sempre in base ad argomenti d’ indole morfologica, ci appaiono come vaghe e mal definite sfumature dei due periodi principali. Nelle valli occupate dal ghiacciaio del Piave e dai suoi affluenti non mancano infine gli esempî di stadi o di soste nel progressivo ritiro. Bellissimo fra gli altri è un modesto apparato frontale della valle del Sonna, circa dodici chilometri a monte dell’ anfiteatro mo- renico di Quero. Da qualche tempo la morena principale di questo apparato di stadio, pei grossi massi che contiene, serve da cava e non andranno molti anni che sarà completamente distrutta. Nei la- vori di scavo fu messa a nudo anche la roccia sottostante, dal cui livello, posto a raffronto col letto del vicino torrente Sonna, si può misurare l’ escavazione postglaciale, che in questo punto fu invero di poco conto. Al sud di questa cerchia morenica si stendono, inne- standosi con la base, delle alluvioni fluvio - glaciali, che completano questo piccolo ma interessante apparato di stadio, forse troppo vicino all’ anfiteatro wurmiano per essere riferito allo stadio di Biihl. Oltre il confine sono morene dello stadio di Biihl, secondo il BriicKxER ('), quelle frontali presso Canal S. Bovo, quelle di Val (1) BriickxER. - Op. cit. 999 - 1000. = SE Lozen presso il lago di Calaita, dove esiste uno splendido anfiteatro con morene laterali che da 1622 m. si spingono fino a 1800 m. Questo indica che il livello delle nevi perpetue non doveva essere di molto superiore ai 1800 m., cioè 900 m. più basso dell’ attuale. Il bacino della valle Lozen termina superiormente in due circhi co- sparsi di morene fino a 2100 m., stadio di Gschnitz, con un abbas- samento del livello delle nevi perpetue sull’ attuale di 600 metri. Nella Valle di Primiero sono morene laterali di Bihl quelle di Dan- gole (1300 m.) circa 300 metri più basse del limite superiore degli erratici. Allo stadio di Bihl appartengono pure i terrazzi inferiori presso Lamon. In Val Canali, sopra Fiera di Primiero a circa 1015 m. si riscontra un piccolo apparato terminale di un modesto ghiac- ciaio di stadio Biihl, mentre gli ammassi angolosi sui micascisti, presso S. Martino di Castrozza, che MoysIsovics interpretò come frane, costituiscono un apparato morenico di stadio Gschnitz. Nelle Alpi Feltrine, come feci presente in altro lavoro ('), si trovono due serie di morene; una prima seric presso Aune riferibile con probabilità allo stadio Biihl ed una assai più elevata sull’ alti- piano, dello stadio Gschnitz. Egualmente dicasi per la Valle del Caorame, sbarrata ad un certo punto da un’ evidentissima cerchia frontale, e degli apparati delle regioni sovrastanti. Lo stesso per i modesti apparati della valle di Fadalto, che erroneamente sì conti- nuano a ritenere frane, e delle formazioni glaciali di circo (e pure di stadio) del gruppo del Cavallo e del Col Visentin, di cui ebbi re- centemente ad occuparmi. (*) (1) Dar Praz G. - Le Alpi Feltrine. Memorie del R. Istituto Veneto. Venezia 1907. (2) Dar Praz G. AZtipiano del Cansiglio e Regione circostante. Bollettino R. Comitato Geo- logico Italiano. Roma 1911. A completare questi rapidi cenni, ci manca di aggiungere due parole sulle Rovine di Vedana, che per la grandiosità del fenomeno e per le controverse opinioni sulla loro origine non possiamo pas- sare sotto silenzio. Per un certo tempo io condivisi l’ opinione che le Rovine di Vedana fossero dovute ad un enorme franamento stac- catosi dal M. Peron ed esteso sull’ area sottostante per una super- ficie di quasi sette chilometri. Ma poi, esaminata la struttura e la morfologia di qualche tipica frana, come è quella del lago di Alleghe, e presa meglio in istudio la questione riguardante le Rovine di Ve- dana, mi accorsi che un semplice scoscendimento non poteva dar ragione di tutti i particolari che accompagnano il grandioso feno- meno, mentre ebbi campo di constatare che l’ interpretazione data dal Mazzuori, di un trasporto glaciale, risponde assai meglio alla realtà dei fatti. La spiccata disposizione secondo una gigantesca cerchia, alla quale si collegano degli archi minori, la mancanza di continuità tra le Rovine e le falde del M. Peron, donde provenne il materiale delle colline detritiche, lo spazio depresso, torboso, in parte lacustre, quasi sgombro di massi, che separa le Rovine dai fianchi dei monti Peron e Vedana, ed altre considerazioni di minore importanza, passate in rassegna anche dallo SquinaBoL ('), male si adattano al concetto di uno scoscendimento, mentre rispondono assai meglio al tipo di un fenomeno misto, di franamento e di distribuzione glaciale. Il frana- mento avrebbe avuto luogo (sia pure a varie riprese) quando il ghiacciaio del Cordevole toccava appena la valle del Piave: si sa- rebbe cioè anche quì nel caso di un fenomeno di stadio corrispon- dente a quello di Biihl o di poco anteriore. La funzione del ghiac- (!) SeurvapoL S. - Venti giorni sui monti Bellunesi. Tipogr. Giusti. Livorno 1902. Ap ciaio (rispetto ai materiali delle Rovine di Vedana) sarebbe stata quasi esclusivamente distributrice, abbandonando il detrito a brevis- sima distanza dal luogo d'origine, a ridosso delle rocce in posto e dei pochi ma indiscutibili depositi morenici e fluvio-glaciali che oc- cupano l’imboccatura della valle del Cordevole. Questa in rapidi cenni la storia delle vicende attraversate dalla regione esaminata, e specialmente dalla bassa valle del Piave, du- rante l’ epoca glaciale, mentre rimando il lettore che volesse mag- giori dettagli sui singoli fatti alle pubblicazioni del MormtILLET ('), dell’ Omonr (*), del TarameLLI (*), dell’ HorrNrs (‘), del Rossr (°), del TeLnini (5), del Dar Praz ('), del Sacco (*), del TonroLo (°) e special- (1) De MormiLLET G. - Cartes des anciens ylaciers du versant meridional des Alpes. Atti Soc. Ital. di Se. Nat. Vol. III. Milano 1861. (?) OmponI - Di due antichi ghiacciai che hanno lasciato le loro tracce nei Sette Comuni. Atti del R. Ist. Veneto, vol. II, serie V, 1876. ——_—_ Come si è fatta V Italia. Dracker e Tedeschi. Verona 1876. Le nostre Alpi e la pianura del Po. Drucker e Tedeschi. Verona 1879. (3) TARAMELLI T. - Appunti geologici sulla provincia di Belluno. Atti Soc. Ital. Sc. Nat. Vol. XXI. Milano 1879. Geologia delle Provincie Venete. Loc. cit. Note illustrative alla carta geologica della provincia di Belluno. (4) HoerNnEs R. - Aufnahmen in der Umgebung von Serravalle, Longarone und Feltre. Verhandl. d. k. k. geolog. Reichsanstalt. Jahrg. 1876. (5) Rossi A. - Note sull’ epoca glaciale nella provincia di Treviso. Boll. Soc. Ven.-Trent. Sc. Nat. Anno 1881. La provincia di Treviso. Boll. Soc. Geolog. Ital. Vol. I. Roma 1883. Sunto di illustrazione geologica della provincia di Treviso. Boll. Soc. Geolog. Ital. Vol. III. (9) TELLINI A. - L' Anfiteatro morenico di Vittorio. Boll. Soc. Geolog. Ital. Vol. XII. (1) Dar Praz. - Note sull’ epoca glaciale nel Bellunese. Loc. cit. ®) Sacco F. - Gli anfiteatri morenici del Veneto. Ann. R. Acc. d’ Agricoltura di Torino, vol. XLI, 1898. (®) ToxroLo A. R. - Tracce glaciali in Fadalto e Valmareno. Atti della Soc, Tosc. di Se. Nat. Vol. XXT. mente dei più volte citati Pexck e BRiickNER ('), ai quali spetta certamente il merito di aver dato un grande impulso a questo or- dine di ricerche e di aver compilato una. sintesi dell’ era glaciale in tutte le Alpi, che se non è perfetta, non resta per questo meno utile e meno poderosa. (1) Pexck e BRiicKNER. - Die Alpen im Eiszuitalter. Leipzig. 1909. 2a CAPITOLO, Alluvioni postglaciali e attuali Ben poche cose ho da aggiungere, riguardo alle alluvioni postgla- ciali, a quanto ebbe occasione di scrivere il prot. TARAMELLI. Comin- ciando dalla parte occidentale, ricorderemo che un’ ampia conoide del Brenta si stende subito a sud di Bassano con direzione S-SO, cioè verso il paese di Schiavon. Attualmente il Brenta incide la parte orientale della conoide, ma in epoca relativamente recente aveva un decorso più all’ ovest, dal quale, con progressivi spostamenti verso est è andato via via cambiando di alveo fino ad occupare l’attuale (‘). Presentemente esso corre alquanto a N-E di Padova, ma (prescin- dendo da deviazioni storiche talvolta provocate dall’ uomo) esso pas- sava alquanto all’ ovest di Padova, ciò che è attestato dalla natura delle ghiaie che in un pozzo trivellato di Brusegana vennero incon- trate alla profondità di 105 metri dalla superficie del terreno. (1) Moon F. - I nostri fiumi. Edit. Drucker e Tedeschi. Padova 1883, Secco A. - Note geologiche sul Bassanese. Tipog. Pozzato. Bassano 1883. Cra an Di una certa imponenza per la loro estensione sono le conoidi, sovente miste e alternate a detrito di scoscendimento, che si allinea- no ai piedi del versante meridionale del Grappa e del Monfenera e sulle quali sorgono i paesi di Borso, Crespano, Carniezza e in parte Pederobba. La superficie di queste conoidi presenta un particolare suc- cedersi di dossì e di avvallamenti longitudinali, una specie di rigatura, nella quale i solchi corrispondono ad altrettanti alvei di temporanei torrentelli le cui acque si perdono ben presto fra il detrito. Più ad oriente, nella regione del Piave da Fener al Montello, noi troviamo un altro esempio di alluvioni terrazzate, alle quali ap- partengono le spianate a sud di Pederobba, quelle di Bigolino, di Onigo e quelle non meno interessanti di Moriago e di Pieve di Soligo. Ai due estremi del Montello, orientale e occidentale, nel pas- saggio alla pianura trevigiana sì trovano due depresse conoidi allu- vionali. Quella occidentale ha il suo vertice a Biadene, nell’antico letto del Piave, sui cui fianchi si riscontrano dei bellissimi terrazzi, specie sul lato del Montello. La conoide orientale ha il suo vertice a Narvesa e deve la sua prima origine al torrente Soligo, al quale s'è unito poi anche il Piave, che abbandonò il suo antico percorso occidentale. Tanto nell’ un caso quanto nell’ altro, al sud di queste larghe conoidi, dove l'alluvione grossolana passa alle sabbie fine e poi alle argille, si allineano le risorgive che traggono la loro origine dall’assorbimento che ha luogo a monte, attraverso le permeabili al- luvioni grossolane. Altre conoidi di minore importanza, per la parte più bassa del- l’area studiata, si trovano nella regione orientale, al sud di Cone- gliano, di S. Vendemiano e di Godega, ed altre ancora al sud di Vittorio e allo sbocco delle numerose vallette che scendono dai fianchi meridionali dell’altopiano del Cansiglio. Nella Vallata Bellunese le alluvioni postglaciali assumono uno sviluppo assai considerevole, sia sulla riva sinistra che sulla riva - 96. destra. Tanto il materiale di queste alluvioni quanto quello delle attuali è fornito, in gran parte, dai depositi morenici che riem- piono quasi tutte le vallette laterali, e che franano con relativa fa- cilità. Il massimo sviluppo di queste alluvioni coincide con la mas- sima larghezza della valle del Piave presso S.* Giustina, dove si stende una piatta conoide che ha il suo vertice a Paderno. Ragguar- devoli, per quanto meno estesi, sono i letti alluvionali di Lentiai, di Trichiana, di Belluno, di Agordo e d’Alpago in cui, nella recentis- sima conoide di Farra, data anche la modesta portata del torrente Tesa, si può formarsi un concetto del grande lavorio di trasporto operato dai corsi d’acqua. Del resto di queste conoidi, più 0 meno estese, incrociate e sovrapposte, si può dire che se ne riscontra dap- pertutto dove vi furono o vi sono ancora dei piccoli corsi d’ acqua, che in periodi di piena diventano di una portata e di una impe- tuosità sorprendenti. In questi casi, come succede anche oggidìi, non s' ebbero soltanto delle alluvioni rotolate dalle acque, ma dei veri slavinii, delle correnti di pietrisco e di fango, nelle quali, in un pe- riodo di minor gonfiezza. il torrente s'è poi scavato un nuovo alveo. Sui fianchi di Fastro, nella conca di Fonzaso, ai piedi del M. To- matico verso Rasai, a-Villapiana, alla base del M. Serva, al nord di Lamon e in moltissimi altri siti sì riscontra l’opera di questo genere di fenomeni che si può dire si fondono insensibilmente, con quelli che agiscono oggidì. Degne di particolare menzione sono poi le tracce, spesso di un’e- videnza sorprendente, di antichi alvei di torrenti o di fiumi ora ab- bandonati ed asciutti, sul genere dell’antico corso del. Piave attra- verso l’ incisione di Biadene. Fra questi va citato l’ interessante esempio del Canalet all’est di Arten, sui cui fianchi si trovano an- cora le antiche alluvioni del Cismon. Un altro letto alluvionale com- pletamente abbandonato, o pereorso da poco più che un ruscello, è il canale che da Foen per la Fornace mena a Villabruna e che si DEA trova in perfetta continuazione dell’attuale corso del Caorame da Villabruna o Sorancen. Oggidì il Caorame, un poco a nord del ponte della Salgarda, piega ad angolo retto verso sud, spinto forse in quella direzione dallo Stien, ma non è improbabile che in epoca preglaciale il suo corso inferiore fosse alquanto diverso e continuasse diritto verso ovest fino alla conca di Feltre. Di ciò si avrebbe una riprova nel fatto che fra Tortesen e Feltre si apre una valletta di una certa ampiezza e che non può essere certamente l’opera degli attuali riga- gnoli che la percorrono. Altro bellissimo esempio di alveo abban- donato è quello del Ramon che attraversa la parte settentrionale delle Rovine di Vedana, alveo che segna indubbiamente un antico letto del Cordevole. Lo studio delle antiche idrografie è certamente uno degli ar- gomenti più belli e più attraenti delle ultime fasi dell’evoluzione geologica, ma perchè si possa arrivare a risultati concreti, tali che permettano di formarsi un quadro abbastanza completo degli anti- chi corsi dei fiumi e dei torrenti, bisogna che uno si dedichi esclusi- vamente e con pazienza secondo una serie sistematica di ricerche e di indagini, dalle quali, come giustamente osserva il TARAMELLI, non va disgiunto il contributo che ad esse può portare lo storico. A completare l’elenco dei materiali quaternarî postglaciali, vanno in fine citati i depositi di torba, fra i quali ricorderemo quelli di . Val Mareno attorno al lago omonimo, quelli a nord del lago di S.* | Croce lungo il percorso del Rai, quelli di Semonzo, di Sois presso Belluno, di Sedico e dei dintorni di Feltre. In parecchie di queste località vennero fatti dei tentativi d’estrazione, tentativi che; data la cattiva qualità del materiale ricavato e la relativa abbondanza della legna, vennero ben presto abbandonati. h FL ù 9 pri sb Age PARTE SECONDA DESCRIZIONE TETTONICA +: —— — ARI Re TL + PRA ce ev, TINTISNTINZISÉUNANZIAZI CAPITOLO I. Valle Orena - M. Tolva - Rio Secco - M. Asenaro e M. Agaro - Castel Tesino - M. Campo - Fastro - Col del Gallo - Gola del Corlo - M. Oro - Col dei Serai - Semonzo - Romano - M. La Rocca - Corovigo - Pianura Bassanese. [FoGLIi 1 e 3 peLLA Carta GroLogica AL 100.000 - Sezione I-I DELLE TA- VOLE DEGLI SPACCATI - FIGURE l A 3 INTERCALATE]). La Valle del torrente Grigno, che mette foce nel Brenta, trae le sue origini dall’ammasso granitico di Cima d’Asta, donde scende con un profilo quasi rettilineo, orientata da nord a sud. Il suo per- corso non è molto lungo, nè viene messa a nudo una grande va- rietà di materiali; tuttavia questa valle ha il vantaggio di tagliare le formazioni sedimentarie quasi normalmente alla loro direzione, ciò che offre dei preziosi spaccati naturali che facilitano notevolmente l’interpretazione della tettonica locale. Il contatto delle rocce granitiche con gli scisti cristallini o con le altre rocce più recenti ha luogo lungo la valletta laterale della malga Orena, che si apre sulla sinistra del torrente Grigno. Senonchè, per l'abbondanza del materiale morenico e del detrito di falda, riesce difficile, nella parte più bassa della valletta, scoprire la precisa linea — 102 — di contatto e stabilire quindi i rapporti che passano fra la massa delle rocce granitiche e quella degli scisti e dei vicini depositi cal- careo-dolomitici. Salendo lungo la valletta si arriva però ad un punto dove è certo che il granito è a diretto contatto con le rocce sedi- mentarie del Lias, che non presentano alcuna traccia evidente di metamorfismo. Più avanti ancora, verso est, noi troviamo che fra le rocce granitiche e quelle secondarie s’interpone una sottile zona di scisti cristallini, il cui spessore va poi considerevolmente aumentando nelle regioni orientali. Lo spaccato I-I è fatto passare poco lungi dalla malga Orena, dove si ha il diretto contatto del granito con gli strati liasici costi- tuiti da calcari bianchi ceroidi, compatti o dolomitici a struttura finamente saccaroide. Tali strati liasici, ed anche i successivi mate- riali oolitici dello stesso versante settentrionale di monte Tolva, sono più o meno disturbati; in un certo punto la loro inclinazione è a nord, nel modo indicato dal seguente schizzo (fig. 1), ma poco lungi, dove l’ erosione è stata più profonda, l’ inclinazione va modificandosi e l'insieme degli strati dell’ intero versante risponde all’ andamento indicato nel profilo II. V.e Orena M. Tolva Fig. 1. - SEZIONE GEOLOGICA IN DIREZIONE NORMALE ALLA VALLE ORENA, Zona di contatto fra il granito e le rocce sedimentarie mesozoiche - g = granito - 1 = Lias - d —- Dogger - m = Malm. Vedremo anche dall'esame del profilo seguente (II-II) che la dis- posizione predominante degli strati è quella rappresentata dallo schizzo della figura 1; questo non toglie però che, tanto lo spaccato — 103 — della tavola, quanto quello sopra riprodotto, rispondano a condizioni comuni e generali, determinate da un unico motivo tettonico, dal- l’esistenza cioè, nel tratto che succede immediatamente a sud, di una sinclinale rovesciata, della quale tratteremo fra breve. Abbiamo detto come gli accennati materiali mesozoici (Trias superiore e Giurese) che succedono al granito o agli scisti, formino, in serie sempre meno pendente man mano che si procede verso sud, il versante settentrionale del M. Tolva. Il versante meridionale, che costituiscè il fianco destro della Valle di Rio Secco, consta invece di strati molto contorti e disposti in ordine cronologico inverso, che vanno cioè dal Giurese al piano di Schio. Questa disposizione è do- vuta all'esistenza dell’accennata sinclinale rovesciata a- sud, il cui nucleo è occupato naturalmente dai materiali più giovani, e preci- samente dagli strati di Schio. Una interpretazione in parte analoga a quella da me esposta e riprodotta dalla fig. 1, ci fu data, per ciò che riguarda il fianco destro della Valle di Rio Secco, anche dal Mossisovies ('). Non sì riesce però a comprendere come l’egregio au- tore abbia potuto vedere lungo il fondo della valle del Rio Secco la presenza di una faglia, la quale non solo non esiste, ma, anche se fosse davvero presente, non potrebb'essere rintracciata in causa dei detriti moremici e di falda che ingombrano tutto il letto della valle. La cosa riesce ancora più inesplicabile se si pensa che a breve distanza verso est, presso la Malga Marande e all’osteria del Broccon, lo stesso MoysIsovics constatò che la sinclinale è continua e non presenta alcuna interruzione dovuta a faglie (Op. cit. pag. 423). Alla sinclinale rovesciata di Rio Secco, fa seguito un’anticlinale asimmetrica che costituisce i monti Asenaro e Agaro e che si continua poi tanto all’ovest nel M. Silana, quanto all’est nei monti Coppolo, Vallazza, ecc. L'esame di questa anticlinale può farsi con particolare (1) Mossisovies E. - Die Dolomit-Riffe, pag. 422. — 104 — chiarezza lungo la Valle del Grigno o meglio ancora lungo l’ alta Valle della Senaiga, nella quale il M. Agaro (2068 m. s. m.) sì pre- senta sotto le condizioni più facili per interpretarne la costituzione tettonica (vedi fig. 2). N Fig. 2. - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO IL M. AGARo. l= Lias-g = Giura - c = Cretaceo inferiore - s = Scaglia - e = Eocene, Dobbiamo ricordare che della tettonica di questa regione si occu- parono, sia pure in modo succinto, anche il Bòse ed il FINKELSTEIN ('). Questi autori, come si può rilevare dagli spaccati riprodotti a pag. 267 del loro studio, danno pei due monti Asenaro e Agaro un’ in- terpretazione affatto diversa, ammettendo per il primo monte l’esi- stenza di una stretta anticlinale con faglia e pel secondo una semplice e rigida faglia senza traccia alcuna di ripiegamento. Ora, se si pensa che i monti Asenaro ed Agaro formano un tutto unico, tanto che le loro cime non distano un paio di chilo- metri e sì trovano anzi in perfetta continuazione orografica e tettonica, non si arriva proprio a comprendere come i citati autori possano essere arrivati ad una simile interpretazione che contrasta non solo con l’ evidenza dei fatti, ma anche coi più elementari concetti di tettonica. AI sud di M. Asenaro si trova la conca di Castel Tesino for- (*) Bose und FInKELSTEIN - Die mitteljurassischen Brachiopoden-Schichten bei Castel-Tesino. Zeitschr. d. D. geolog. Gesell, Jahrg. 1892. — 105 — mata da una sinclinale il cui nucleo è occupato da marne eoceniche e dai soliti strati di Schio. La stessa identica disposizione a sincli- nale sì continua anche all’ ovest, al di là del torrente Grigno, nel tratto compreso fra il M. Silana e il paese di Cinte. Continuando nella direzione del nostro spaccato, noi passiamo gradatamente dall’ Eocene alla Scaglia e poi al Cretaceo medio ed inferiore, in strati sempre meno inclinati a nord, finchè sulla cima di M. Campo (1474 m. s. m.) si può dire che siamo sul vertice di una larga e piatta anticlinale. Infatti, poco al di sotto della cima del monte, gli strati cominciano a ripiegare di nuovo verso sud per incurvarsì quindi in una stretta e contorta sinclinale che ha il suo asse poco a nord del paese di Fastro. Per formarsi un concetto dei bel- lissimi ripiegamenti che accompagnano questa sinclinale, è opportuno fare una piccola escursione sui dirupi che sovrastano la frazione di Solivo, a poco più di duecento metri sul piano della strada postale da Arsie a Primolano. Dal medesimo punto è interessante osservare come la stessa sinclinale or accennata continui (alquanto più semplice) verso ovest, nei monti dei Sette Comuni, i quali non sono separati dall’area in esame che dalla stretta Valle del Brenta. Il successivo Colle del Gallo e gli altri monti all’ovest del M. Grappa costituiscono, come si può rilevare dallo spaccato I-I, un’on- dulata anticlinale, interotta tratto tratto da valli d’erosione, fra le quali la più profonda è quella del Cismon. Come può facilmente constatarsi tanto allo sbocco della Valle del Brenta presso Solagna, quanto allo sbocco di quella di S.* Feli- cita, il passaggio dalla regione montuosa (M. Oro, Col dei Serai, ecc.) alla sottostante pianura Bassanese avviene per mezzo di una bella piega anticlinale. È da rammentare però che alcuni geologi opi- nano invece che questo passaggio non abbia luogo per mezzo di una semplice piega, ma che sia intervenuta una faglia, accompagnata da uno sprofondamento della parte inferiore, e citano, come prova, la 4 — 106 — mancanza di alcuni elementi della serie stratigrafica. Nessuno po- trebbe fissare con certezza se manchino veramente degli elementi della serie, perchè le alluvioni e i materiali di falda ricoprono buon tratto del profilo montuoso inferiore, ma, ancorchè mancassero degli elementi della serie, non si potrebbe per questo parlare di faglia, giacchè in nessun sito sono visibili dei veri fenomeni di scorrimento o delle discordanze di stratificazione. La disposizione locale dei vari strati concorre, fino a un certo punto, a far sospettare che siano av- venute delle riduzioni di spessore e anche delle scomparse di una parte degli strati, tuttavia l'impronta tettonica d’insieme è quella di una regione a pieghe contorte e più o meno rovesciate. Basta infatti innalzarsi lungo il pendio montuoso a nord del paese di Semonzo per raccogliere, specialmente nelle pareti dei piccoli burroni, le prove più evidenti di un ripiegamento a zig-zag a falde rovesciate. Noi vedremo in seguito come questo fenomeno di ripiegamento a zig-zag sl presenti tutte le volte che ci troviamo nel caso di una sinclinale che segue un’anticlinale rovesciata e fortemente compressa. E che si tratti di una sinclinale che fa seguito alla grande an- ticlinale di M. Oro, ne abbiamo la riconferma nella disposizione degli strati costituenti il monte La Rocca a sud-est di Romano, nel quale, come si può dedurre dall’ esame dell’ unito schizzo, (fig. 3), sì trova Semonzo M. La Rocca Corovigo Pianura Bassanese Fig. 3 - SezIonE GEOLOGICA DA SEMONZO ALLA PIANURA BASSANESE. e = Cretaceo inferiore - e — Elveziano - t = Tortoniano - p = Pontico e Pliocene - a = Al luvioni quaternarie. i il nucleo di codesta sinclinale che si può dire la chiave dell’ inter- pretazione tettonica di questa importante regione. E d’altro canto — 107 — come spiegare altrimenti la struttura di detta località se a pochis- simi chilometri di distanza tanto all’ovest, nella successione di Val- rovina, quanto all’est, in quella di Crespano, dove l’erosione fu meno intensa, la serie dei terreni si mostra regolare e continua senza il più piccolo indizio di faglie o di qualsivoglia altro spostamento ? È interessante e nello stesso tempo curioso a osservarsi che lo stesso fenomeno di riduzione nello spessore della serie con parziale rivestimento di alluvioni, or ora rilevato per il fianco sinistro dello sbocco della Valle del Brenta, si ripete dallo stesso lato e in misura affatto analoga nei pressi di Valdobbiadene all'imboccatura della Valle del Piave, in cui l'assenza di faglie può essere dimostrata con non minore evidenza. Continuando il nostro profilo verso sud, dopo la sinclinale del monte La Rocca, il cui nucleo è occupato dalle sabbie e dai con- glomerati del Miocene e del Pliocene, troviamo una piccola e piatta anticlinale che, per essere costituita dalle erodibili marne del Tor- toniano, coincide orograficamente con una depressione abbastanza larga. Più a sud ancora, nelle Colline di Corovigo, Mussolente e nelle altre vicine, alle marne tortoniane, in conseguenza dell’anticli- nale compresa fra Mussolente e monte La Rocca, fanno di nuovo seguito le sabbie ed i conglomerati del Messiniano e del Pliocene. in banchi più o meno grossi con una media inclinazione a sud-ovest di 15-20 gradi. Dobbiamo notare però che questa inclinazione si riferisce alle parti interne, cioè verso monte, mentre nelle parti esterne sì fa sempre meno sentita, finchè i banchi di congiomerati (che hanno subìto quasi sempre una profonda alterazione) si perdono sotto le alluvioni quaternarie dell'alta pianura Veneta. — 109 — CAPITOLO II. M. Scroz - M. Cavallara - Passo del Broccon - Gruppo di M. Coppolo - Bacino di Lamon e Ponte della Serra - Col Lan - Bacino di Arsie - M. Roncone - M. Grappa - Crespano - Possagno - Monfumo - Asolo - Pianura Trevigiana. [Fori 1 £ 38 peLLA Carta GEOLOGICA AL 100.000 - Sezione II-II DELLE TAVOLE DEGLI SPACCATI - FiGuRE 4 A 7 INTERCALATE E FIGURA 2 DELLE VEDUTE FOTOGRAFICHE). Il M. Scroz è costituito da una propaggine orientale-meridionale della massa granitica di Cima d’Asta, alla quale si collega per mezzo dell’aspra giogaia di M. Orena (2251 m. s. m.). Passando dal M. Scroz al M. Cavallara, bisogna attraversare una piccola sella, che mette in comunicazione la Valle Sternoz- zena colla Valle di Rio Secco, cui accennammo precedentemente. L'esame di questa sella è quanto mai importante per i rapporti di giacitura delle varie formazioni. Come si può rilevare dall’ unito schizzo tolto dal vero (fig. 4), la massa granitica di Monte Scroz appare, almeno nel tratto più esterno, adagiata sul sottile lembo di scisti cristallini che occupano l’arco della sella e che non sorpassano uno spessore di dieci metri. Ciò non ostante, non riesce facile scoprire la precisa zona di contatto fra queste due rocce, tanto più che gli — 110 — scisti sono contorti, compressi e metamorfizzati dal contatto con la massa granitica. Molto più chiaro è invece il contatto fra gli scisti e i successivi calcari dolomitici del M. Cavallara, nel quale gli strati, che si presentano ondulati, sono diretti da est ad ovest e inclinano a nord di 45 - 50°. Questi strati calcareo -dolomitici, rispondenti ai materiali del Trias snperiore e del Lias, appaiono in perfetta con- cordanza con l'andamento predominante degli scisti. La sovrapposi- M. Cavallara Sella Cavallara M. Scroz mt int ZII Fig. 4 - ScHIzzo DELLA SELLA CAVALLARA TOLTO DALLA VALLE STERNOZZENA, g = Granito - s = Scisti - t — Trias superiore - 1 — Lias - d = Dogger. zione di questi materiali cristallini sui calcari è una conseguenza della sinclinale rovesciata, per la quale l ordine della serie strati- grafica è invertito. Uno spaccato dell’identica località or ora esaminata è dato anche dai signori Bòse e FINKELSTEIN (Op. cit. pag. 267, figura III). Secondo questi autori esisterebbe non solo una discordanza completa fra gli scisti e i calcari del Dachstein in conseguenza della frattura di Valsugana, ma a loro volta i materiali del Dachstein sarebbero in assoluta discordanza con la sottostante . Scaglia. Ora che codesta interpretazione sia erronea sì può convincersi dall’accurato esame dello stesso M. Cavallara e della sua continuazione orientale fino al Colle degli Uccelli e più avanti lungo tutto il fianco destro della Valle Ster- nozzena. Al Colle degli Uccelli, che sorge a nord-est dell’Osteria del — ll — Broccon, affiora il Biancone che si adagia sulla Scaglia con tale chia- rezza di rapporti stratigrafici da non lasciare dubbio alcuno sull’esi- stenza di una sinclinale rovesciata. La riconferma dell’ esattezza di una simile spiegazione, che si tratta cioè di pieghe e non di faglie, possiamo averla nel fatto che la Scaglia non forma un unico cuneo in conseguenza di una sola sinclinale, ma bensì due, uno più piccolo superiore e uno più grande inferiore. In quest’ultimo poi il nucleo è occupato, a sua volta, da un lembo di marne eoceniche comprese nella Scaglia eon perfetta concordanza statigrafica. È, insomma, il solito fenomeno dei ripiegamenti secondari che accompagnano una piega principale, fenomeno che si mostra special- mente bene nel versante meridionale del Monte Cavallara (fig. 5) di fronte alla Malga Marande e che è in aperta contraddizione con la presunta esistenza di faglie nel senso classico della parola. M. Cavallara M.* Marande Fig. 5 - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO IL VERSANTE MERIDIONALE DI M. CAVALLARA. m = Malm- ce = Cretaceo inferiore - s = Scaglia - e — Eocene. Al passo del Broccon (1617 m. s. m.) si trova ancora la Scaglia. che è sempre la continuazione del lembo affiorante lungo il fianco destro della Valle del Rio Secco, A sud dell’ Osteria del Broccon, che occupa uno dei più larghi ed incantevoli passi alpini, la Scaglia è quasi orizzontale o lievemente inclinata a nord. Nelle vallette che incidono la serie degli strati sì può constatare come il Biancone e le altre formazioni più antiche hanno subìto, sempre inteso nell’area a sud dell’Osteria del Broccon, un notevole assottigliamento, di guisa — 112 — che lo spessore totale degli strati è alquanto inferiore a quello che si osserva nel Colle degli Uccelli, dove del resto la serie è inspessita per ripetute pieghe. Dall’Osteria del Broccon fino al M. Coppolo (2139 m. s. m.) la successione degli strati continua con progressiva inclinazione a nord, senza però che sì osservino particolari degni di nota. Si passano così in rassegna i vari terreni fino al Lias in una serie regolare che sl presta per studî di dettaglio. Il versante settentrionale del M. Coppolo è inciso da un largo circo glaciale, occupato, nella regione frontale, da abbondante detrito di scomparse vedrette. Secondo i geologi che mi precedettero nello studio di queste re gioni, nel versante sud di M. Coppolo passerebbe la frattura bellu- nese, pel quale fenomeno si riscontrerebbe il solito contatto del Bian- cone col Dachsteinkalk. In conseguenza di un’altra faglia più piccola e parallela alla prima si avrebbe poi una specie di incuneamento, in modo che un lembo di Giura superiore sarebbe limitato, sui due bordi di faglia, dal Biancone. Secondo il mio avviso invece le cose risponderebbero a condizioni tettoniche ben diverse da quelle esposte dagli autori. È vero che tanto sulla cima orientale (Archil) quanto su quella occidentale (Coppolo propriamente detto) gli strati del Lias e del Giura sono inclinati verso nord, ma se noi discendiamo anche pochi passi lungo il versante sud, ci accorgeremo facilmente che, mentre gli strati più elevati e più esterni rimangono tagliati in con- seguenza delle azioni erosive, quelli più profondi vanno lentamente incurvandosi ad arco, finchè diventano verticali o fortemente incli- nati a sud. Discendendo ancora pochi passi, prima delle gigantesche frane tornano ad affiorare, pure verticali, le testate degli strati che rappresentano, a loro volta, la continuazione di quelli che vedemmo troncati al di sopra della curva. L’unita veduta fotografica (Tav. II fig. 2), che ha molti rapporti di somiglianza con quella di Colle S. Pietro (versante meridionale delle Alpi Feltrine), è tolta appunto — 113 — pochi metri al disotto della cima occidentale del M. Coppolo e serve ad illustrare il descritto fenomeno di ripiegamento (') del quale possiamo formarci un concetto anche dall'esame dalla fig. 6. Per la loro posizione verticale gli strati che formano la gamba meridionale della piega a ginocchio, specialmente se visti ad una certa distanza, fanno l'impressione di una muraglia, interrotta tratto tratto da ripidi canali che servono da valichi e che, con fe- lice espressione, vengono chiamati finestre o porte. Al di sotto di questa diroccatà muraglia, la parte mediana del versante meridio- nale di M. Coppolo è tutta occupata da gigantesche frane che ri- coprono buon tratto della successione stratigrafica. Fig. 6 - Franco occipentAaLE DI M. Coppoto. Schizzo tolto dalle capanne di Valnuvola. Particolarmente importante per la tettonica della regione è lo studio dei due fianchi orientale e occidentale dello stesso M. Coppolo che, per l’ esistenza di due profonde valli, si presentano come due pareti verticali, due bellissimi spaccati naturali totalmente o quasi totalmente sgombri di detrito. Per esaminare la parte occidentale conviene seguire il letto del torrente Senaiga fino alla località detta (1) Siccome la veduta fotografica non potè esser presa di fianco perfetto, ma soltanto par- zialmente, l’ inclinazione degli strati, per effetto prospettico, appare assai meno sentita, mentre in realtà è vicina alla verticale. — ld — Valnuvola. Da una posizione vicina alle capanne di Valnuvola guar- dando verso est, sì può abbracciare, in un unico colpo d’occhio, tutto il quadro d’insieme delle condizioni tettoniche di M. Coppolo. È una veduta di un grande interesse e ch'io non potei fotografare, ma che riproduco nelle linee ‘generali, togliendola da uno schizzo eseguito sul sito (fig. 6). Non meno interessante è il fianco orientale, che discende per buoni tratti a picco o quasi e che mostra, con non minore chiarezza, la successione e la disposizione della serie statigrafica. Consigliabile, per chi volesse farsi un concetto sommario delle condizioni tetto— niche di questa regione, è una gita da Lamon pel Sass Falares alla valle della Selva. Dopo due sottili lembi di marne eoceniche che si trovano al Col Folonel presso Lamon, si attraversa uno spessore con- siderevole di Scaglia, che ha subìto parecchi ripiegamenti a zig-zag. Succedono il Biancone, poi i vari piani del Giura più o meno con- torti ed inclinati a sud e quindi i calcari liasici e del Trias superiore che formano la massa principale del M. Coppolo e che, anche nella Valle della Selva, mostrano l’identico andamento tettonico che osser- vammo nel profilo di Valnuvola. Bellissima è poi la gita dal ponte della Serra al Pontet e più avanti sulla via che mena a Primiero. Da alcuni punti dello stesso piano stradale l’ andamento tettonico dei fianchi della valle si pre- senta così chiaro da escludere qualunque dubbio di errata interpreta- zione tettonica. Alcuni lavori di scavo, fatti per allargare la. via, hanno fornito anche dei piccoli spaccati, che mostrano dei ripiega- menti così complessi e così ripetuti, specialmente nella Scaglia, da costituire uno dei più caratteristici esempî di contorsioni a zig - zag ch'io abbia mai incontrato. Il nucleo della sinclinale di Lamon è oc- cupato da un lembo di Eocene, che si abbassa fino al letto del tor- rente Cismon, mentre sui fianchi questo lembo eocenico va lenta- mente innalzandosi verso S. Donà all’ovest e verso la Croce d’Aune — 115 — all’est. Questa disposizione è dovuta all’esistenza di una depressione parallela alla direzione del torrente Cismon, una specie di sinclinale molto piatta diretta in senso normale a quella di Lamon-Servo-Aune, per la quale, tettonicamente parlando, la regione di Lamon e So- riva costituirebbe una specie di comba. Lasciando la sinclinale di Lamon e procedendo verso sud, noi possiamo osservare, presso il Ponte della Serra, che gli strati del Cretaceo e del Malm aumentano progressivamente d’ inclinazione. Giunti presso Col Lan l’ inclinazione diminuisce, finchè sulla cima la giacitura degli strati, costituiti di Biancone, è quasi orizzontale, ma appena varcato il culmine, gli strati inclinano rapidamente « sud, poi diventano verticali e passano in fine a costituire una bella sinclinale coricata, il cui nucleo è occupato dalla Scaglia e dalle marne eoceniche. Come nella sinclinale di M. Cavallara e in quella di Lamon, anche in questa si osservano dei ripiegamenti secondarî all’interno di quello principale, pel quale fatto l’ Eocene si mostra in diversi lembi fra loro paralleli. La potenza e l'andamento di questa sinclinale si possono comprendere e valutare con chiarezza sul fianco orientale di Col Lan, di fronte Fonzaso, dove la Scaglia torma una stretta sinclinale che diede luogo alla così detta Boa rossa del Fras- sené. Qualche frammento dell’ anticlinale di Col Lan, che passa poi alla sinclinale Frassené-Arsie, si osserva anche lungo i fianchi di M. Avena. Il migliore di questi avanzi lo riscontrai a Col Bel, presso una delle svolte della strada militare che conduce a Faller. Trattasi di un piccolo insieme di strati giuresi, che cominciano ad affiorare al Ponte della Serra e che continuano poi verso sud-est mantenendo sempre un’ inclinazione a. nord, finchè, giunti nella citata località, s'incurvano a ginocchio formando una piega interrotta dalle azioni erosive. È un fatto che ha importanza soltanto perchè dimostra la continuità e l'uniformità del fenomeno riscontrato nel vicino Col Lan, senza traccia alcuna di fratture o di faglie. — 116 — Dalla conca di Arsie, dove la Scaglia raggiunge una potenza considerevole, ciò che è comune a tutte le sinclinali accompagnate da ripiegamenti secondarî, si passa al M. Roncone che forma una specie di ellissoide. Come mostra, lo spaccato I-II, dal M. Cer al M. Fredina fino alla vetta del Roncone, gli strati, costituiti quasi esclusivamente dal Cretaceo inferiore, inclinano a nord. Dal Roncone al M. Grappa (1779 m. s. m.) si ha un andamento stratigrafico quasi orizzontale o poco ondulato e la morfologia rispecchia queste condizioni di cose in quei tipi di callotte molli e arrotondate. Verso la parte più elevata però sì riscontrano anche qui dei sottili crestoni, che separano dei tipici circhi glaciali, col fondo più o meno piatto cosparso di campi carreggiati, doline, voragini e parzialmente rico- perto, in qualche caso, da detrito morenico di vedretta. Degni di nota e di uno studio particolare sono i circhi di Val Cesilla, della Valle delle Bocchette, della Valle dei Lebi e specialmente quello delle Mura il quale, più che un circo, è un classico esempio di valle sospesa. La vetta del Grappa, donde in una giornata limpida si gode di un bellissimo panorama fino al mare Adriatico, è pure costituita di Biancone, nel quale, a due passi dal rifugio del Club Alpino di Bas- sano, non è raro rinvenire qualche fossile caratteristico del Neo- comiano. Il compianto Arturo Rossi, al quale la geologia trevigiana va debitrice di molte pazienti ricerche e scoperte di importanti giaci- menti fossiliferi, in un lavoro giovanile descrisse alcune nuove linee di faglia che attraversano i monti e i colli della provincia di Tre- viso ('). Una di queste faglie venne chiamata Linea d’Ardosa; essa avrebbe le sue origini nella valle di S. Filà (S.* Felicita) e pas- sando davanti al Grappa presso la località Ardosa, si prolungherebbe quindi fino alla Valle di Seren attraverso i monti Lebi e Valpore. Il (1) Rossi A. - Note su alcune importanti linee di frattura o litoclasi nella regione Trevi- giana. Bollettino della Soc. Veneto-Trentina di Scienze Naturali. 1881. pag. 157. — 117 — Rossr cita, come prova dell’esistenza di questa frattura, il fatto che in molti siti dell’accennato percorso le dolomie, che ritiene liasiche, si trovano sovente a contatto col Biancone o col calcare rosso nodulare del Titoniano. Il TARAMELLI e poi anche lo stesso Rossi, in scritti posteriori a quello. sopra citato, osservano nel modo il più esplicito come nella regione del Grappa e del Tomatico le dolomie abbiano avuto uno sviluppo eccezionale, tale da invadere tutto il Giurese e anche le formazioni più antiche del Cretaceo. Questo fatto, pel quale viene a cadere qualsiasi valore cronologico che si volesse dare alle dolomie, può far comprendere come il Rossi sia stato tratto in in- ganno nella deduzione dei rapporti stratigrafici che passano, nella regione del Grappa, fra le dolomie e i calcari. Io ho percorso, anche recentissimamente, la regione ed ho potuto constatare con quale ra- pidità si passi dalla facies calcarea a quella dolomitica, ma non è a credere che si abbiano per questo discordanze o salti; la serie degli strati, regolare ed evidente dove predominano i calcari, diventa in- certa e poi finisce con lo sfumare completamente in una massa priva di stratificazioni dove predomina la formazione dolomitica. Il feno- meno del resto non è limitato, come già dissi, al solo percorso della presunta faglia, ma sì trova ripetuto sovente al Boccaor, al M. Sa- larolo, ai d’Avien e al Tomatico dove le condizioni di giacitura escludono in modo decisivo qualsiasi presenza di faglie. Proprio nella stessa località di Ardosa (versante sud di Monte Grappa) dove il Rossi fa passare la faglia, gli strati del Giura su- periore formano, come mostra la figura seguente, una leggera infles- sione, un piccolo accenno di una sinclinale. La presenza di questa sinclinale piatta non ha però alcuna particolare importanza, trattan- dosi di un fenomeno di dettaglio locale e poco esteso. Dal M. Grappa si può discendere alla sottostante regione delle colline terziarie, seguendo uno degli sproni compresi fra due delle numerose vallette che incidono il versante meridionale. Migliore di — 118 — tutti, per lo studio del fenomeno tettonico, è lo sprone compreso fra la Valle del Boccaor e la Valle della Madonna. I due versanti (orien- tale e occidentale) di questo sprone, si può dire che sono due pagine parlanti di geologia tettonica, poichè l'andamento della serie può es- sere seguito, dalla cima del M. Grappa fino al paese di Crespano, con una continuità ed una chiarezza veramente sorprendenti. (Vedi fo) Lo spaccato e i disegni intercalati mostrano come si sia nel caso di un’ anticlinale con l’ arco parzialmente corroso e con delle inflessioni secondarie a rovesciamento più o meno sentito. Per questa disposizione, discendendo dall'alto del Grappa, la serie delle forma- zioni sì presenta diretta fino al Lias, poco sopra M. Frontal, ed invertita al di sotto. A 200 metri d’ altezza sopra la chiesa della Madonna del Covolo, comincia ad affiorare il Biancone, poi, presso la chiesa, un calcare verdiccio-ceruleo del Cretaceo medio, in strati molto contorti e con predominante inclinazione a nord di 40 gradi. Crespano M. Frontal Ardosa M. Grappa Fig. 7 - Sezione GEOLOGICA DAL M. GRAPPA A CRESPANO. (Da uno schizzo prospettico d’ insieme tolto dalle casere d’Archeson) l =- Lias - d — Dogger - m — Malm.- ec = Cretaceo inferiore - s = Scaglia Poco sotto la chiesa, sui fianchi del letto del torrente, è messa a nudo la Scaglia ricoperta da conglomerati e poi da alluvioni qua- ternarie. — 119 — Il contatto della Scaglia con l’ Eocene può essere esaminato, con molto maggior chiarezza, spostandosi lievemente verso est. Nei pressi di Possagno, e precisamente discendendo lungo la valle che si apre dietro il tempio del Canova, si può osservare come la serie eocenica continui quella cretacea senza la minima traccia d’ interru- zione. Anche l'esame di una sola località è sufficiente per escludere l’esistenza di qualsiasi disturbo tettonico dovuto a faglie, ma se vo- gliamo raccogliere maggiori dati di fatto basta percorrere la regione compresa fra Possagno e Pederobba e specialmente le valli all’est di Obledo e della Pieve di Cavaso, dove, nelle vicinanze del ponte della strada carrozzabile, sì può seguire la serie strato per strato. Insisto su tale concetto, perchè è questo appunto l’ allineamento (Crespano-Possagno-Cavaso, ecc.) lungo il quale dovrebbe esistere la seconda delle fratture ammesse dagli autori e descritta dal Rossi, frattura che si troverebbe sulla continuazione di quella di Val Ma- reno, alla quale il MoLox, sulla falsariga dei geologi austriaci, darebbe molta importanza. + Stimo non inopportuno riportare alcuni periodi del Rossi che riguardano appunto questa frattura. (Op. cit. pag. 159): “ La seconda linea di frattura, divinata in parte dall’ HoerxESs e MoLox, coinciderebbe colla linea alla base del grande ginocchio che formano i terreni mesozoici del Vicentino e Trevigiano all’orlo meridionale della rispettiva anticlinale dei Sette Comuni, del Grap- pa e del Faverghera, ove guasî dovunque i terreni terziari verti- cali vengono a contatto con quelli inclinati. “To ritengo che dall’Astico al Meschio questa linea più o meno evidente si manifesti; dal Piave poi al Brenta l’ho constatata be- nissimo ed in parte anche all’ovest del Brenta. Essa affetta i terreni terziari inferiori e l’arenaria rossa portati verticali o semi-arrove- sciati oltre il Brenta; dal Brenta avviandoci verso il Piave essa segue uno spostamento, una convulsione profonda avvenuta anche Serge “ negli strati della Scaglia e del Biancone ovunque arrovesciati, “ abrasi, formanti varie, complicate, acutissime anticlinali e sincli- “ nali più o meno spezzate ; e Scaglia bianca e Biancone sono mi- “ nutissimamente contorti e pieghettati ed in uno profondamente “ alterati, da simulare perfino una vera dolomia cavernosa., Orbene, anche facendo un semplice esame critico della descri- zione che ci lasciò il Rossi (senza valerci dei risultati delle nostre osservazioni eseguite nelle stesse località), possiamo affermare noi che in essa sono contenute le prove, se non manifeste, almeno implicite e probabili dell’esistenza di una faglia? In nessun punto vien fatto cenno a contatti discordanti per subìti spostamenti, anzi la descri- zione che ci dà il Rossi, descrizione che ha il pregio della minuziosa verità, non potrebbe dimostrare in modo più esplicito che si tratta di una regione molto piegata. È il già ricordato fenomeno di ripie- gamenti secondarî compresi entro una sinclinale principale, ciò che vedemmo ripetersi in molti altri siti. A sud dell’allineamento Crespano - Possagno - Cavaso, prescin- dendo dai letti alluvionali, sì stende una larga zona collinesca for- mata di terreni terziarî. Trattasi di una regolare e continua succes- sione, per la quale si passa dalle marne dell’Eocene inferiore ai cal- cari nummulitici, poi alle marne cerulee del Bartoniano inferiore ricche di fossili e ricoperte dai calcari ad Orbitoidi ed altri fossili oli- gocenici. Da questi materiali si passa alle arenarie, ai calcari e alle glauconie aquitaniane e langhiane, poi alle arenarie del Miocene medio, quindi alle marne cerulee tortoniane e in fine ai soliti con- glomerati più recenti. Tutta la serie è regolarmente inclinata a sud - sud - est e l’angolo d’inclinazione è vario da sito a sito; in genere è minore in coincidenza cogli strati miocenici ed oligocenici e mag- giore nei banchi conglomeratici del Terziario superiore. Ciò non toglie però che la serie sia regolare e continua senza salto di sorta, ed io, che ho avuto occasione di percorrere ripetutamente il profilo da — 121 — Possagno per Monfumo fino a Crespignaga, confesso che non ho trovato il più piccolo indizio di spostamento. A Monfumo. dove il Rossi fa passare una delle sue faglie, la successione è quanto mai regolare e nelle condizioni più favorevoli per un esame rigoroso. Io temo che il Rossi abbia confuso le marne del Miocene superiore con quelle eoceniche e che per ciò sia stato indotto in errore anche nell’inter- pretazione della tettonica. Che le cose siano in questi termini, mi convince anche il fatto che nei successivi lavori dello stesso prof. Rossi non viene mai fatto cenno all’esistenza di un simile disturbo, ma la serie è sempre descritta continua e regolare anche per quei punti nei quali, nel primitivo lavoro, era tracciata una linea da faglia. AI di sotto delle colline conglomeratiche di Crespignaga, Asolo, Maser, si stende la pianura veneta costituita di alluvioni, grossolane e più o meno ferrettizzate fino alla linea Castelfranco- Cittadella, minute, non ferrettizzate e di età più recente nel tratto inferiore. TAV. II GIORGIO DAL PIAZ SUDIZGEOTETINONIGI SULLE . ALPI. ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.* Croce Fig. 1. — VALLE DELL’ARDO PRESSO BELLUNO Eocene a facies di Flysch Fig. 2. — M. COPPOLO Arco dell’anticlinale che sovrasta il Paese di S. Donà di Lamon e che passa lungo il versante meridionale dei monti Agaro, Coppolo, Vallazza, ecc. — 123 — CAPITOLO III. - M. Redarega - Valle di Primiero - M. Tatoga e M. Viderne - Gruppo di M. Pavione - M. Masieron - Croce d’Aune - M. Avena - Pedavena - Feltre - M. Tomatico - Conca di Alano Segusino - Monfenera - Valcavasia - Colline di Curogna, Levada, Cornuda e Maser - Montello occidentale - Montebelluna - Pianura Trevigiana. [FoeLi 1, 3 e 4 peLLA CarTA aroLoGIcA AL 100.000 - Sezione ITI-III DELLE TAVOLE DEGLI SPACCATI - FicuRE 8 A 10 INTERCALATE]. Il M. Redarega è compreso fra la depressione di Canal S. Bovo all’ovest e la Valle di Primiero all’est. La massa di questo monte è costituita di scisti cristallini e di gneiss in diretta continuazione a quelli che circondano il gruppo di Cima d’Asta. Lungo la parte infe- riore del versante orientale gli scisti cristallini sono più o meno con- torti, ma con prevalente inclinazione a nord e nella parte inferiore della Valle di Primiero, a cominciare da Imer, vengono a contatto coi calcari del Trias superiore. In coincidenza con questa linea di contatto dovrebbe passare, secondo il Moysisovics, la frattura di Valsugana. (Vedi Dolomit-Riffe, pag. 418 e specialmente la figura della pag. 427). La citata località di Imer ha un grande interesse tettonico e merita un breve cenno. Il paese è posto su una piccola conoide allu- vionale al cui vertice, presso un molino, affiora una dolomia bianco- — 124 — gialliccia, che ha tutta la facies litologica della Dolomia Principale. È impossibile, dall'esame della dolomia, dedurre qualche dato sulla direzione e sulla inclinazione di questa massa dolomitica, poichè non si ha alcuna traccia di stratificazione, ma pochi passi più a monte affiorano delle marne grigie e sopra queste delle altre marne rosse, arenacee, che il Moysrsovios riferì al Musehelkalk. A mio avviso trattasi invece di quella fascia marnosa varicolore che caratterizza il Raibliano e che ha un aspetto molto simile a quello delle arenarie del Trias inferiore. Comunque sia, questi materiali presentano una stratificazione molto evidente, la loro direzione è da ovest-nord-ovest ad est-nord-est e l’inclinazione, che va diminuendo man mano che si sale, varia da 50 a 35° a nord-nord-est. Alle marne arenacee rosse succede un’altra dolomia, non saccaroide e attraversata da piccole ma innumerovoli fratture. Anche in questa dolomia, che risponde alla Schlerndolomit, la stratificazione è difficilmente rin- tracciabile, tuttavia, per le indagini fatte poco lungi, cioè nella sua continuazione tanto all’ovest sulla strada della Gobbera, quanto all’est, al di là del Cismon verso Transacqua, posso affermare che anche la dolomia dello Schlern è in perfetta concordanza con gli strati rovesciati che stanno al di sotto e con gli scisti cristallini che succedono subito sopra, ciò che del resto riconobbe lo stesso Mossisovics. Ciò posto, io non credo si possa parlare di una vera faglia nel senso classico della parola. A mio avviso .trattasi invece di un fenomeno di estrema riduzione della serie per subìto stiramento, in conseguenza del quale gli scisti cristallini son venuti a contatto con le dolomie del Trias superiore, mantenendo però il parallelismo e il comune andamento stratigrafico nel modo rappresentato dalla sezione III-III. Si sarebbe quindi nel caso di una /lexure, intesa secondo il concetto dato da PoweLL e da Suess, e non in quello di una vera e propria faglia. Spostandoci verso ovest, nelle località ai Masi e alla Gobbera — 125 — possiamo constatare che la serie delle formazioni è meglio con- servata, ciò che ci permette di trarre delle conclusioni più decisive, Il seguente schizzo tolto dal vero fa vedere, meglio ancora di quanto non fu possibile nel profilo d'insieme, come debba interpretarsi la tettonica di questo tratto di valle. Infatti, passando dal M. Viderne al M. Tatoga, gli strati vanno via via aumentando la loro inclina- zione a sud, finchè sopra le case dei Masi, come si rileva dalla fig. 8, diventano quasi verticali. Al di sopra di questi strati, che sono ri- feribili al Trias superiore, seguono dei conglomerati e degli scisti cristallini, più o meno contorti e rovesciati sulla serie mesozoica. M. Viderne M. Tatoga Fig. 8 - ScHIZZO TETTONICO DELLA BASSA VALLE DI PRIMIERO TOLTO STANDO SULLA STRADA DA ImeR AI MasI. s = Scisti cristallini - t = Trias superiore - 1 = Lias. Tutto quello che abbiamo esposto finora riguarda il fianco destro della bassa valle di Primiero, se ci portiamo sul fianco sinistro tro- viamo che poco sopra il letto del Cismon affiorano delle dolomie più o meno inclinate a sud. Internandosi nella valle Noana, che è un magnifico esempio di valle incassata, sì ha campo di esaminare tutta la serie delle formazioni dal Trias superiore al Cretaceo, ma ancor meglio che altrove la serie può esser passata in rassegna al M. Viderne, nel quale, alle Fratte del Giovanelli, poco lungi da una ca- sera, affiora anche un piccolo nucleo di Scaglia che sfuggì a tutti i geologi che mi precedettero nello studio di queste regioni. Codesto pic- — 126 — colo lembo di Scaglia occupa la cerniera di una sinclinale ed ha - somma importanza, collegandosi coi lembi di Scaglia (pure nuclei di sinclinali) che si trovano al M. Sass de Mur all’est e al passo del Broccon ‘all’ovest. A sud del piccolo altopiano di Viderne si eleva la magnifica parete del M. Pavione. È un fatto che davanti a quella gigantesca parete, quasi dappertutto verticale, si ha 1’ impressione dell’esistenza di una superficie lungo la quale sia avvenuto uno scorrimento. Una simile interpretazione troverebbe appoggio nella circostanza che nel versante settentrionale dello stesso M. Pavione le varie stratificazioni sembrano troncate, e la loro continuazione si presenta notevolmente più bassa, lungo il fianco destro di Val Sisilla. Allorchè io m’occupai della geologia delle Alpi Feltrine, ebbi occasione di esaminare ripe- tutamente tanto l'altopiano di Agnerola quanto la Val Sisilla e potei convincermi che anche in questo caso non v’ha traccia di faglia ('). È vero, ripeto, che nel versante settentrionale di M. Pavione le stratificazioni sembrano troncate,' ma se noi le esaminiamo da vi- cino, potremo scoprire anche gli avanzi di una piega profondamente distrutta e non ci mancherà il mezzo di constatare che gli strati del Lias superiore e degli altri piani che formano il fianco destro di Val Sisilla sono disposti in modo da rappresentare la vera‘e propria continuazione di quelli sovrastanti, di Monsampiano e dei Podoch. La prova che le cose sono realmente in questi termini ci è data specialmente dall'esame dei monti che succedono subito ad oriente verso il Passo di Finestra, dove, come vedremo in seguito, la piega non è tagliata da alcuna valle, ma si presenta completa ed evidentissima. Egualmente dicasi pei monti che stanno all’ovest, come M. Taver- (!) Nel mio studio sulle Alpi Feltrine ho già avuto occasione di occuparmi di questa pre- sunta faglia che, secondo il Moysisovics, sarebbe una diramazione di quella di Valsugana. Ve- dasi in proposito Mossisovios, Op. cit. pag. 427, e vedasi DAL Praz, Le Alpi Feltrine; pag. 32 e seguenti. — 127 — nazzo, M. Coppolo, ecc. Un ultimo argomento a sostegno della nostra opinione possiamo ricavarlo dall'esame della Valle del Cismon dai Masi al Ponte della Serra e in modo speciale nei dintorni del Pon- tet, dove scende la Val Sisilla. Ebbene ; lungo le pareti della Valle del Cismon, che è normale alla presunta faglia e che possiamo ben chiamare, come tutte queste valli trasversali, una delle grandi sezioni anatomiche della struttura delle catene montuose, noi non riusciamo a trovare dove passi tale faglia, mentre se essa esistesse realmente, non v' ha dubbio che, o sulla parete di destra o su quella di sinistra (spesso tagliate a picco) si dovrebbero trovarne delle tracce eviden- tissime. Varcato il crinale del M. Pavione (2335 m. s. m.), noi ci troviamo sull’altopiano delle Alpi Feltrine, altopiano tutto cosparso di circhi glaciali e, tettonicamente, costituito da una larga anticlinale ac- compagnata da ondulazioni secondarie. Discendendo lungo il ver- sante sud, dopo l’anticlinale a ginocchio di Col S. Pietro-Cimetta, che sta in perfetta continuazione di quella di M. Coppolo, noi tro- viamo la sinclinale lievemente rovesciata di M. Masieron. È una specie di cuneo, un’inflessione secondaria, che si elide poi sui fianchi fondendosi nella sinclinale maggiore della Croce d’Aune-Lamon. Al di sotto di questa. sinclinale secondaria fa seguito la pira- mide del M. Masieron, costituito da un’anticlinale pure seconda- ria, che passa in fine alla sinclinale maggiore nel modo indicato dal profilo III-III. A motivo di questo ripetersi di pieghe abbastanza lunghe e strette, la serie degli strati ha subìto degli assottigliamenti notevoli, specialmente dove predominano i calcari che male si pre- stano a fenomeni di complicati ripiegamenti. All’ovest del M. Masieron le condizioni di giacitura sono meno complicate :. la gamba dell’anticlinale di Col S. Pietro sì sprofonda assai più della corrispondente della Cimetta e, pure presentando dei ripiegamenti secondarî pei quali si ha il solito ripetersi di lembi — 128 — paralleli di marne e calcari eocenici, si passa ad un'unica grande sinclinale. È la sinclinale Castel Tesino - S. Donà - Lamon - Croce d’Aune, che poi si fonde in quella di Belluno, fenomeno già deci- frato dal TArameLLI e dall’ Horrxes. Però dobbiamo ricordare che mentre l’ Horrxes ammette l’esistenza di una faglia anche lungo il versante meridionale di M. Vallazza (vedi MoysIsovics, Op. cit., pagina 427), il TARAMELLI opina invece che si tratti di una semplice piega, concetto quest’ultimo ch'io potei constatare rispondente al vero e che quindi condivido pienamente. (TARrAMELLI, Monografia stratigra- fica e paleontologica del Lias nelle Provincie venete, pag. 37). Ritornando alla descrizione del nostro profilo, dobbiamo osser- vare che dopo la sinclinale della Croce d’Aune, che include un lembo eocenico a Numm. Brongniarti e sub-Brongniarti, segue Vl’ anticlinale ad arco abbastanza ampio di Norcen, che si continua poi all’ ovest nel M. Avena. È degno di menzione il particolare, abbastanza originale, perchè unico esempio lontano da qualsiasi altra manifestazione consimile, dell’ esistenza, presso Pedavena, di un filone basaltico che attra- versa il calcare nummulitico dell’ Eocene. A Pedavena poi cominciano ad affiorare le arenarie mioceniche, che sono ancora inclinate a sud, tuttavia si può dire che siamo poco lungi dall’asse della grande sin- cliuale bellunese, asse che passa appunto tra Feltre e Pedavena e probabilmente in coincidenza alle colline mioceniche di Farra e di Tast. La sinclinale bellunese, che a Busche, a S. Giustina, a Bribano è così ampia da formare una larga valle tettonica, nelle vicinanze di Feltre va restringendo il suo arco. Più all’ovest ancora, dopo aver originato l’altra sinclinale della Croce d’Aune, non solo sì restringe notevolmente, ma devia piegando a sud-ovest. Infatti presso Mugnai e più sotto a Spiesa affiora un lembo di calcare eocenico in strati quasi verticali, diretti da nord-nord-est a sud-sud-ovest. Più avanti — 129 — ancora, alla base del M. Aurin affiora la Scaglia molto contorta, ma diretta in modo da avere la sua continuazione nel fianco orientale di M. Roncone. Contemporaneamente dall'altro lato della sinclinale, verso le Monteie, avviene un’identica conversione e un innalzamento del letto della sinclinale che decorre parallela alla valle di Seren per sfumarsi poi in una leggera inflessione ad oriente della cima di M. Grappa. Il M. Aurin, che è strettamente legato al M. Avena, da cui non lo disgiunge ‘che la valletta del Canalet, la quale non è percorsa nè da faglie nè da fratture, è costituito da un bel complesso di pieghe a zig-zag. Sono gli strati del M. Avena, che da una posizione quasi orizzontale si ripiegano e si rovesciano in modo analogo a quello riscontrato al vicinissimo Col Lan e al Col Bel; anzi la sinclinale che passa per Frassenè e Rivari trae appunto le sue origini nel M. Aurin, dove s’innesta alla grande sinclinale bellunese. Il Monte Aurin può dirsi adunque il nucleo o il giogo a partire dal quale la sinclinale del Vallone del Piave, dopo aver mandato un ramo laterale più elevato per la sella di Aune, si risolve in due sinclinali minori, quella della Valle di Seren e quella di Frassenè-Arsie-Fastro. Partendo dalla conca di Feltre diretti verso sud, dopo un largo letto alluvionale e dopo un’abbondante materiale morenico di cuì sì ha un esempio presso la stazione ferroviaria, sì trova una lunga striscia di Scaglia più o meno fortemente inclinata a nord. Essa affiora ai piedi settentrionali del M. Miesna, sotto le marne eoce- niche, poi costituisce la collina sulla quale sorge Feltre e quindi tutto il versante settentrionale delle Monteie. Presso il villaggio di Tomo si osserva il Cretaceo medio in strati diretti da est ad ovest e fortemente inclinati a nord. Più avanti il Biancone, in strati ver- ticali o quasi, poi alcuni lembi di Titoniano e in fine una dolomia saccaroide, farinosa, in qualche caso brecciata e senza stratificazione distinta. Continuando la ripida salita del M. Tomatico, dopo un con- — 130 — siderevole spessore di dolomie si torna a trovare il Titoniano, in strati inclinati a nord di 15-20 gradi, e sopra questo, proprio sulla vetta del M. Tomatico (1598 m. s. m.), il Cretaceo inferiore, costituito da un calcare bianco, compatto, fossilifero, in strati lievemente incli- nati a sud e che formano la continuazione dell’ arco anticlinale M. Grappa - Tomatico - Col Visentin. Dalla cima del Tomatico si può esaminare, come si avesse davanti un plastico, l'andamento delle principali linee tettoniche e scorgere, nei diversi punti del paesaggio, il succedersi di vari tipi morfologici secondo il livello al quale fissiamo il nostro sguardo. Il versante sud di M. Tomatico è più accidentato, ma assai meno ri- pido del versante nord. Camminando in direzione di Quero} dopo il Cretaceo della vetta, affiora un calcare roseo-giailiccio, con frequenti interstratificazioni dolomitiche. Dopo questi materiali si trova un calcare rosso, nodulare, del Titoniano, seguito dal solito calcare sel- cioso, rosso e verdastro ad Apéychus, al quale fa seguito un altro’ calcare grigio-verdastro, che poco prima della malga Paoda contiene delle Belemniti rispondenti a quelle oxfordiane delle Alpi Feltrine. Alla malga Paoda affiora un calcare bianco, brecciato, a inter- stratificazioni dolomitiche, seguito da altri calcari a lievi ondulazioni, che stanno in relazione con la presenza di una piccola sinclinale. Lo stesso fenomeno di ripiegamenti secondarî, dovuti egualmente ad un accenno di sinclinale, sì osserva anche più sotto, presso la quota di 1080 m. s. m., poco prima di un piccolo sprone roccioso. Al M. Tese affiorano i calcari rossi nodulari del Titoniano, in strati più o meno inclinati a sud. L’inclinazione di questi strati è poco sentita verso la cima di M. Tese, ma si fa poi più forte nella parte inferiore a Cila- don e più sotto. Al Titoniano rosso fa seguito il Biancone e poi la Scaglia del M. Cornella, ove si osservano dei magnifici ripiegamenti a zig-zag, caratteri che preludiano già all’esistenza di una sinclinale. Portandoci un poco più avanti, noi ci troviamo infatti nel letto — 131 — della sinclinale Alano-Segusino, il cui nucleo è occupato da un lembo di Eocene, che affiora alla chiesa di S. Pietro sopra Alano, poco sotto il cimitero di Campo e al paese di Segusino. Dove passa il nostro profilo III-III, la sinclinale Alano-Segusino ha la massima ampiezza e il fondo della conca è occupato dal piccolo. ma ben con- servato anfiteatro morenico di Quero e ‘da abbondante detrito allu- vionale. Sui due fianchi però la sinclinale va rapidamente restrin- gendosi e sollevandosi, di guisa che al nucleo di marne e calcari eocenici si sostituisce la Scaglia e a questa il Biancone, il quale, dopo numerosi ripiegamenti, si fonde nella continuazione degli strati che formano l’anticlinale del M. Grappa da un lato e del M. Cesen dal- l’altro. Per il tratto occidentale questi dettagli possono essere esa- minati con profitto in un’escursione da Alano per la valle dell’ Ornich alla casera della Fossa e da questa pel M. Piz e la valletta d’Ar- cheson al M. Grappa. Riproduco, ‘per maggior chiarezza, lo schizzo di una sezione perpendicolare all'andamento della sinclinale, in modo . Monfenera La Fossa . Torr. Ornich Fig. 9. - SEZIONE GEOLOGICA DELLA PARTE OCCIDENTALE DELLA CONCA DI ALANO. 1 = Lias - d = Dogger - m = Malm- ec = Biancone - s = Scaglia da far comprendere meglio i rapporti tettonici della regione all’ovest di Alano. (Fig. 9). La parte occidentale del fianco sud della conca di Alano-Segusino — 132 — è formata dal Monfenera, i cui strati costituiscono una regolare an- ticlinale che si collega con quella del M. Grappa. Le due gambe nord e sud dell’anticlinale di Monfenera sono costituite, presso la base, da Scaglia che si adagia sul Biancone il quale, assieme al Titoniano bianco che si mostra sui fianchi della Valle del Piave, forma il nucleo e completa l’arco dell’ anticlinale. Le stesse cose sì potrebbero ripetere pel tratto che è a sinistra del Piave, fra Segusino e S. Vito, con la sola differenza che nel ver- sante meridionale di questo lato la curva è più pronunciata e la Scaglia comincia ad affiorare soltanto a Valdobbiadene, mentre prima, cioè verso occidente, è ricoperta d’ alluvioni. Discendendo dal Monfenera verso Pederobba e poi più avanti in direzione di Curogna, la successione delle varie formazioni, tutte uniformemente inclinate a sud, è delle più regolari di tutta la re- gione esaminata. Non dimentichi chi avesse occasione di percorrere queste località di esaminare i dintorni di Molinetto e l’imboccatura del canale detto Brentella. Un taglio relativamente recente della roccia in posto mostra, nella maniera la più manifesta, come si passi dalla Scaglia ai calcari e alle marne eoceriche con la più rigorosa concordanza senza interruzioni e senza il più semplice accenno che faccia pensare all'esistenza della presunta faglia di Val Mareno, la quale, secondo gli autori, dovrebbe passare appunto ai piedi dell’anti- clinale del Monfenera. Qui mancano perfino quelle ondulazioni di strati che più all’ovest,sulla stessa direttrice tettonica, vedemmo invece così frequenti ai piedi del M. Grappa presso Possagno e Crespano. L’as- senza nella località di Pederobba di un tale fenomeno di complessi ripiegamenti con rovesciamento dipende, a mio credere, dalla pre- senza della sinclinale a lente Alano - Segusino, la quale, aumentando lo sviluppo stratigrafico nella direzione Quero - Fener - Pederobba, impedì che a sud potesse formarsi un’anticlinale molto elevata, con- torta e rovesciata verso la pianura; rovesciamento che sì avvera — 133 — invece sui due fianchi appena fuori dell’ influenza esercitata da codesta sinclinale. Nel caso dei profili M. Grappa - Crespano e Col De Moi - Follina, l’inflessione tettonica principale è una sola, ma sentita e rovesciata; nel caso del profilo Tomatico - Monfe- nera - Pedergbba (pure avendo lo stesso sviluppo stratigrafico) le inflessioni sono due e di conseguenza più piccole e meno com- plesse. A mezzodì di Pederobba si stende un largo letto alluvionale che occupa il fondo della così detta Valcavasia, percorsa dal tor- rente Curogna, il cui alveo è completamente spostato a sud. Le ra- gioni di questo spostamento devono essere ricercate nella presenza di un grosso letto di marne eoceniche concordemente inclinate a sud. La facile erodibilità di queste marne determinò lo spostamento del torrente che ne seguì l’affioramento. Come risultato si ha, at- tualmente, una valle monoclinale con pendii più o meno ripidi secondo la natura dei materiali che costituiscono i due versanti. Fig. 10 - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO LA VALCAVASIA. e = Marne e calcari eocenici facilmente erodibili - o — Calcari oligocenici abbastanza resistenti. Al di sopra delle marne di Curogna succedono a picco dei cal- cari oligocenici, che formano la prima linea del rilievo collinesco dell’ alto Trevigiano. Il versante meridionale di questa linea di colli coincide, presso a poco, con la superficie degli strati, che inclinano a sud di 30° circa. A questi materiali succedono delle marne e delle arenarie alternate a calcari, assumendo la caratteristica facies di Flysch. Questo insieme di formazioni, di età aquitaniana-langhiana, costituisce una seconda e assai depressa linea di colline, i cui strati inclinano a sud di 40° circa. I successivi colli, come s’ è già detto — 134 — nella descrizione generale dei terreni, formano un terzo allineamento, nel quale sono compresi i monti Castellir e Cibola. La serie degli strati è sempre regolare senza salti ed è costantemente inclinata a sud. Dalle ultime propaggini meridionali delle ricordate colline (Ca- stellir e Cibola) si passa, dopo un breve ripiano, al versante set- tentrionale di M. Fagarè che è costituito di sabbie fine, parzial- mente cementate, alle quali tengono dietro delle alluvioni grossolane alternate a sabbie in banchi ben distinti e rilevati a coste, con in- clinazione di 60° a sud-sud-est e direzione est-nord-est-ovest-sud-ovest. Girata la piccola valle di S. Sebastiano, si arriva al M. Sulder (470 m. s. m.) che è una delle cime più elevate di quest’ ultima catena di colli. Il M. Sulder è formato di alluvioni molto grossolane, addirit- tura conglomerati, in banchi inclinati a sud di 60-70 gradi. Questa forte inclinazione va però diminuendo nelle parti più basse del versante meridionale di tutta la piccola catena. Così ad esempio nel burrone che si trova subito sopra la frazione di Valle, fra Maser e Cornuda, l'inclinazione è ridotta a 40° e poi a 30° e in fine, presso l’abitato, a 25 gradi soltanto. Giunti a questo punto i banchi di conglomerato sì sprofondano sotto le alluvioni recenti; noi non possiamo quindi trarre alcun altro dato d’ osservazione diretta sulle condizioni di giacitura, ma, per quanto fu esposto, mi pare sia logico pensare ad una progressiva riduzione d’ inclinazione dei banchi conglomeratici che si trovano sotto il piano quaternario e recente estendentesi al sud di Cornuda, Maser e le Coste. Al di là di questo piano, tre chilometri più a sud, si eleva il Montello occidentale, costituito del ben noto conglomerato, in banchi inclinati a sud di 8-10 gradi. A mio avviso, questi materiali rappresentano l’ ultimo residuo della parte più giovane dei conglomerati che succedevano a quelli di M. Sulder, dai quali sarebbero stati disgiunti da semplici azioni erosive. IL’ inclinazione dei banchi conglomeratici, sepolti sotto la — 135 — pianura alluvionale recente al sud di Maser, andrebbe quindi ridu- cendosi fino a collegarsi con quella dei banchi che costituiscono la collina di Montebelluna, la quale è divisa dal Montello dall’ incisione di Biadene, cioè dall’ antico corso del Piave. Al sud del colle di Montebelluna si stende la pianura Veneta, costituita dalle solite alluvioni quaternarie grossolane e minute. da i ? 3 a Po } , 2 x a : di z Di + . ' “i » * b O - - x hi \ 2 Y Ù ei Ù N 3 . Ù ) î ui p: pira ‘ là È ” î Ù te È. i, n \ y ì ' 4 . _ . Ù “AN , P < È 2 in , _ = " , pi 3) . — 187 — CAPITOLO IV. Forcella Cereda - Sass de Mur - Conca di Neva - Valle di Canzoi - M. Grave - Villabruna - Villapaiera - M. Miesna - Valle del Piave - Lentiai - M. Orsere - Valdobbiadene - S. Stefano - Pianura di Mosnigo - Montello - Pianura Trevigiana. [FoeLi 1, 2 e 4 peLLA Carta GEOLOGICA AL 100.000 - Sezione IV-IV DELLE TAVOLE DEGLI SPACCATI - Figure 11 A 13 InTERCALATE E Ficure 3 A 5 DELLE VEDUTE FOTOGRAFICHE). La forcella Cereda è il valico che mette in comunicazione l’alto bacino del Mis colla Valle di Primiero. Al nord di questo passo si erge una catena dolomitica che va a collegarsi coll’ ormai celebre gruppo delle Pale di S. Martino, le quali raggiungono le massime al- tezze nel Cimon della Pala (3172 m. s. m.) e nell’attigua Cima della Vezzana (3193 m. s. m.). Al sud segue, assai più modesto, ma non meno artistico, il gruppo di Sass de Mur che tocca la maggiore al- tezza nel M. Cimonega (2550 m. s. m.). Nella parte mediana della forcella Cereda si trova, come mostra lo spaccato IV - IV, una piccola collina costituita del solito conglo- merato di Groeden che poggia su una larga colata di porfido quar- zifero. Le arenarie di Groeden, oltre che nella collinetta accennata, affiorano anche sui due fianchi della sella e sopportano dei calcari — 138 — grigio - rossastri ai quali fanno seguito le arenarie variegate. Succe- dono quindi i calcari del Muschelkalk e le altre formazioni del Trias superiore in perfetta concordanza di serie. Il gruppo di Sass de Mur, che segue a sud della forcella Cereda, per la sua particolare conformazione orografica è una delle regioni più aspre e faticose e quindi di non facile esplorazione. Esso consta di una grande massa di dolomie del Trias superiore, prevalentemente inclinate a nord e accompagnate da ondulazioni secondarie. Tale disposizione, più che da uno studio compiuto da vicino sul sito. può essere dedotta, sotto favorevoli condizioni di luce, dall'esame d’insieme dell'intero gruppo montuoso, stando ad una certa distanza e special- mente sul fianco orientale e meglio ancora sulle cime settentrionali di M. Brandol o alla forcella dell'Omo. Come si passi dalla disposi- zione stratigrafica del fianco meridionale della Forcella Cereda a quella del M. Cimonega, viene indicato dalla parte settentrionale del profilo IV-IV, che attraversa appunto questa interessantissima re- gione. Ai piedi del versante meridionale del gruppo di Sass de Mur sì stende la conca di Neva che è indubbiamente uno dei più ridenti bacini d’alta montagna che si riscontrino in queste regioni. Quivi infatti la bellezza rigida e imponente delle masse dolomitiche, che s' innalzano come giganteschi torrioni, fa un magnifico contrasto col molle paesaggio sottostante, nel quale la ‘vegetazione arborea sì spinge a poco meno di 2000 metri. La conca di Neva, che può dirsi un complesso sistema di circhi glaciali, ha il fondo costituito in gran parte di Scaglia rossa, accompagnata dal Cretaceo inferiore e dal Giurese. Tutti questi materiali occupano il nucleo di una sinclinale rovesciata a sud, alla quale si collegano numerosi ripiegamenti secon- darî. Mentre però dal lato sud, come si può dedurre dallo spaccato generale IV - IV e dall’unita figura 11, la serie dei terreni è completa, riscontrandovi bene sviluppati tutti gli elementi stratigrafici che la AR costituiscono, da quello nord il Cretaceo medio, il Malm ed il Lias vi sono estremamente ridotti e del Dogger, che poco lungi è così bene rappresentato, non sì riscontra traccia alcuna. Colsento Conca di Neva Sass de Mur Fig. 11. - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO LA CONCA DI NEVA. t = Trias superiore - 1 — Lias - d — Dogger - m — Malm-c = Cretaceo inferiore - s = Scaglia. A prima vista si ha l'impressione di un’enorme massa dolomi- tica che sovrasta un cuneo di Scaglia come un gigantesco Klipp, ma se si esaminano i fianchi, e specialmente l’aspra valletta scendente dalla forcella del Leone, si può rendersi facilmente convinti che si tratta veramente di una sinclinale rovesciata a sud, nella quale, per lo stiramento subìto dalla serie, molti elementi furono notevolmente assottigliati e qualcuno finì col ridursi al punto da scomparire. Del resto le formazioni che sono ancora presenti, come il Giurese e il Cretaceo, non sono in discordanza coi. materiali triasici, ma hanno comunità di andamento, con perfetto parallelismo nel modo indicato dalle riprodotte sezioni. Anche qui i materiali che occupano il nucleo della sinclinale, e specialmente quelli della gamba rovesciata, hanno subìto numerosi ripiegamenti a zig-zag, dei quali la fig. 5 della Ta- vola IV riproduce. una parte di quelli che interessano la Scaglia. Concludendo dunque, per la conca di Neva e pel versante me- — 140 — ridionale del gruppo di Sass de Mur, contrariamente a quanto am- metteva il Moysisovios (Op. cit. pag. 429 a 431), è da escludersi in modo assoluto qualsiasi esistenza di faglia, riscontrandosi invece una sinclinale rovesciata in diretta continuazione di quella di Agnerola e dell'altra di M. Brandol che esamineremo nel capitolo seguente. Il fianco meridionale della conca di Neva è formato da una pic- cola giogaia che si trova sull’allineamento della catena M. Pavione- Pietina - Ramezza - Punta Finestra - Col Sento. Da Col Sento in avanti questa giogaia si assottiglia notevolmente e piegando verso nord, per collegarsi poi alla massa di Sass de Mur, separa il bacino idro- grafico della Valle Noana da quello del torrente Caorame. Abbiamo già ricordato come nel territorio di Pietina e del Pavione l’ accen- nato allineamento orografico faccia a prima impressione l’ effetto di essere separato dal sottostante altopiano di Agnerola - Valpiana — Bosco Pietina da una specie di faglia. In realtà però le cose sono diverse, trattandosi, come dissi, di una piega profondamente di- strutta nel tratto occidentale, ma ancora conservata ed evidente nel tratto orientale e specialmente nella conca di Neva. La samba meridionale di questa curva, che è fortemente inclinata a nord, va accorciandosi man mano che si procede verso oriente, di guisa che il nucleo della sinclinale s’ innalza. In altre parole, l’ asse della sin- clinale che passa per Neva, Valpiana e Agnerola è inclinato da est ad ovest, ciò che dà ragione del notevole dislivello che si riscontra fra il nucleo di Scaglia dei Masi Viderne presso Agnerola e quello di Sass de Mur, pure trovandosi tutti e due sullo stesso allineamento tettonico. A chi dovesse percorrere queste regioni raccomando special- mente l’escursione da Neva, lungo i fianchi della Val Noana, fino al Bosco Pietina, dove si possono raccogliere le più chiare testimo- nianze dell’esposta interpretazione tettonica. Dalla conca di Neva si giunge ad una valletta laterale del Cao- — 141 — rame attraverso il passo di Finestra, che incide l’accennato allinea- mento orografico di Col Sento o Punta Finestra. Il versante meri- dionale di Col Sento (vedi profilo IV -IV) presenta, nella parte più elevata, una bella parete di calcari liasici, troncati quasi a picco e contorti in mille guise. Ai piedi di questa parete si stacca una piccola propaggine che termina nel Colle d’Istiaga (1255 m. s. m.). Anche in questa località, e precisamente fra il Colle d’Istiaga e Col Sento, il Moysisovics (Op. cit. pag. 429) segna, sempre in base ai dati forniti dal prof. HoERNES, una piccola faglia; ora io con- fesso che non riesco proprio a capacitarmi su quali elementi di fatto gli egregi geologi austriaci abbiano potuto arrivare ad una simile interpretazione, del tutto contraria alle evidentissime condizioni tet- toniche alle quali risponde codesta località. Dal Colle d’Istiaga si scende, per Zoccarè Basso, alla Valle del Caorame, lungo e stretto canale che dal Vallone del Piave si spinge, attraverso la catena montuosa che forma il fianco destro della Val- lata Bellunese, fino alla base del gruppo di Sass de Mur. Le pareti della Valle del Caorame si prestano quindi molto bene per l’ esame del modo col quale sono disposte le singole formazioni. Nella parte più interna, per esempio all’ altezza del Frassine, la. massa dolo- mitica del Trias superiore, che forma il nucleo della catena mon- tuosa, inclina a nord. Una simile disposizione appare assai meglio, per l'evidenza delle stratificazioni, nelle parti più elevate dei fianchi della valle, dove affiorano terreni più recenti del Lias e del Giura. Circa a metà lunghezza della Valle del Caorame, nelle vicinanze della casera Guarda, gli strati sono orizzontali, più a valle essi in- clinano invece verso sud. Si ha dunque una semplice disposizione ‘ad anticlinale molto ampia e regolare, anticlinale che è in parte distrutta ed incisa in varie direzioni dalle vallette che confluiscono in quella maggiore del Caorame, detta anche Valle di Canzoi. Pel profilo che stiamo descrivendo è particolarmente importante — 142 — l'esame della regione dove la Valle di Canzoi sbocca in quella del Piave e precisamente il tratto fra il ponte della Serra del Caorame (da non confondersi con la Serra di Fonzaso) e la chiesa di S.* Rosalia. In pochi siti, come al citato ponte, si può avere un esempio così bello e manifesto di una piega rovesciata (Vedi fig. 12). Il nucleo è occupato dalla Scaglia, al di sopra della quale, con minute ma nu- merosissime ondulazioni, si adagiano il Cretaceo medio e il Biancone, in strati più o meno inclinati a nord. Continuando nell’ interno della valle, a nord della chiesa di S.* Rosalia, sì osserva che gli strati di Biancone diventano sempre più pendenti a nord, finchè ad un certo punto, proprio sul letto del tor- rente, la direzione fa un angolo di 75° all’est e l’ inclinazione è di 87 gradi a nord. Fig. 12. - SEZIONE GEOLOGICA DEL FIANCO DESTRO DELLA VALLE DI CANZOI PRESSO IL PoNTE DELLA SERRA. ec = Cretaceo inferiore - s = Scaglia - a = Alluvioni e detriti di falda. È la sinclinale bellunese, il cui asse non coincide con la Valle del Piave, ma è alquanto spostato verso nord, ai piedi dei rilievi montuosi che ne formano il fianco destro. Infatti se dal ponte della Serra ci spostiamo verso sud (mantenendoci sempre sul letto del torrente Caorame che mise a nudo le formazioni marine dal man- tello detritico che le riveste), riscontriamo come gli strati diventano — 143 — orizzontali e poi, al ponte di Villabruna, dove affiorano le arenarie e le marne mioceniche, inclinano a nord di 10 gradi. Procedendo ancora verso sud, in direzione di Busche o di Nemeio, l’ inclinazione degli strati, sempre pendenti a nord, va leggermente aumentando e vengono quindi ad affiorare formazioni sempre più antiche. 3 È noto come fra Villabruna e il citato ponte della Serra del Caorame venga fatta passare dal Mossisovics (Op. cit. pag. 431 e pag. 516) la così detta faglia bellunese. Da parte mia devo dichia- rare, nel modo il più assoluto, che in nessun punto del tratto di profilo compreso fra la valle di Canzoi e i dintorni di Busche, profilo che ebbi occasione di esaminare ripetutamente in tutti i suoì det- tagli, esiste alcuna faglia, ma sibbene la ricordata sinclinale rove- sciata e seguita da ondulazioni secondarie di poco conto. Il profilo ch'io riproduco coincide, specialmente per ciò che riguarda l'insieme, cioè il modo d’interpretare il fenomeno tettonico generale, con lo spaccato XX - XX delle note illustrative alla Carta geologica della Provincia di Belluno del TarameLLi. L'unica differenza fra l’inter- pretazione mia e quella del TaraMELLI sì riscontra nella parte più interna, cioè nel tratto dolomitico a nord del Vallone Bellunese, non ammettendo io l’incuneamento della parte mediana rispetto i fianchi costituiti dal M. Ramezza e dal M. S. Mauro. In tutto il resto la mia modesta opinione coincide con quella del TArAMELLI, anche per ciò che riguarda il M. Miesna che succede subito al sud e che fu disgiunto dalle masse maggiori del M. Cesen e del M. Orsere dal fiume Piave, allorchè si aprì un varco attraverso la chiusa di Quero. Il M. Miesna e i monti al di là, sul fianco sinistro del Piave, formano un'unica grande anticlinale molto uniforme e regolare. in perfetta continuazione di quella ‘che costituisce e la volta del M. Grappa e del M. Tomatico. Solo è da osservarsi, come dettaglio, che la gamba settentrionale di questo arco prealpino presenta, verso la base, un’inflessione secondaria, una piccola sinclinale di poco conto, — 144 — ma che credetti opportuno di far notare, poichè si mostra abbastanza evidente tanto sui fianchi di M. Miesna (fig. 13) quanto sulla parete rocciosa che sovrasta il fianco sinistro del Piave nelle vicinanze del paese di Stabbie. % =-- >) “- To Gi SAR es PE e e 97 z de: pe s» Fig. 13. - FIANCO OCCIDENTALE - MERIDIONALE DI M. MIESNA VISTO DALLE FALDE DEL M. TomaArico. Sinclinale secondaria ai piedi del Convento di S. Vittore. L’anticlinale del gruppo di M. Orsere ha un decorso ondulato e non presenta particolari che meritino alcun cenno speciale. Nelle vicinanze delle casere Barberie gli strati del Biancone, che formano l’arco dell’ anticlinale, inclinano rapidamente verso sud; poco sotto affiora il Giura superiore e poi di nuovo il Cretaceo inferiore, seguito dalla Scaglia in strati molto pendenti, poì verticali, contorti e ro- vesciati a sud. Un magnifico quadro di questa successione lo abbiamo nella parete d’erosione che forma il fianco sinistro del Piave tra Vas e Segusino. Il fenomeno si presenta in condizioni di particolare chiarezza se l'esame della parete rocciosa si fa stando sul piano della ferrovia, appena fuori da una delle gallerie mediane (Vedi figura 5 della Tav. IV). Anche a S. Pietro di Barbozza, all’est di Valdobbiadene, gli strati di Scaglia appaiono ripiegati e contorti, ma la loro inclinazione predominante è però sempre a sud. Alla Scaglia fanno seguito le marne e i calcari eocenici ed oligocenici, poi le argille, le are- narie e i conglomerati miocenici. Nel tratto fra Valdobbiadene e Fol- — 145 — lina sono abbastanza frequenti le incisioni (dovute a piccoli torrenti) disposte normalmente all’andamento orografico. Ebbene, l’ esame delle pareti di queste incisioni mi ha sempre dimostrato che la serie delle ‘varie. formazioni, in alcuni casi fortemente assottigliata, è sempre e dappertutto regolare e continua, cioè in condizioni tali da escludere, anche per questo tratto di profilo, la presenza della faglia che secondo altri studiosi dovrebbe trovarsi alla base del rilievo mesozoico, e per l’esistenza della quale la Scaglia verrebbe a contatto con le dolomie del Lias e del Giura inferiore. Al sud delle colline conglomeratiche di Col S. Martino si estende la pianura alluvionale recente di Mosnigo, al di là della quale si eleva, a guisa di un enorme dosso di balena, il Montello propria- mente detto, lambito, nel versante settentrionale, dal Piave (Vedasi Carta d’insieme Tav. I e foglio 4° della carta geologica al 100.000). Come ho già accennato, io ritengo che la collina del Montello (co- stituita da banchi di conglomerati inclinati a sud di 8-10 gradi) fosse, in origine, collegata ai rilievi di Col S. Martino e che la disgiun- zione sia stata operata dal Piave e dal Soligo nel loro secolare la- vorio d’erosione. Richiamando alla memoria quanto fu esposto nella prima parte, io sono d’avviso che i conglomerati del Pliocene antico di tutto l'allineamento collinesco Cornuda - Col S. Martino - Refrontolo e quelli più recenti di Borgo Lozzo - S. Michele - Colle Guarda - Montello, costituissero un'unica enorme conoide alluvionale. Il movi- mento orogenetico dovette continuare anche durante la formazione di tale gigantesca conoide, per modo che la parte più interna, e quindi più antica, seguiva già il lento movimento di sollevamento ed incli- nava dolcemente verso sud, quando le falde esterne più recenti si stendevano quasi orizzontali ai limiti estremi della grande conoide. È quindi pienamente giustificato e naturale che procedendo dai materiali più antichi ai più recenti si debba avere, in conseguenza della ricordata associazione di fenomeni, una lenta e progressiva ri- — 146 — duzione nella pendenza dei banchi di conglomerati. Questa condi- zione di cose appare naturalmente più chiara e più verosimile nella parte orientale, al nord di Susegana e di Conegliano, mentre per la parte occidentale la presenza della pianura Sernaglia - Mosnigo - Caerano può trarre nell’ erroneo apprezzamento di avvenute tras- gressioni. . TAV. IILL GIORGIO DAL PIAZ STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.* Croce Fig. 3. — GRUPPO Dì SASS DE MUR E CONCA DI NEVA S = Scaglia che occupa il nucleo di una sinclinale rovesciata e ricoperta dalle dolomie del Trias superiore. Fig. 4. — CONCA DI NEVA I] o () i LS £ v Scaglia contorta a zig-zag della sinclinale rovesciata ai piedi del Gruppo dî Sas . Ma a detta I (a RI SITA Vi Ae CAPITOLO V. M. Luna - Forcella Aurine - M. Gardellon - Torrente Mis - M. Brandol - Altopiano di Erera - Piano Eterno - M. Pizzocco - M. Piz - Roncoi - Vallone Bellunese - Mel - Carve - Col de Moi - M. Castello - Dintorni di Cison - Colline a nord di Solighetto - Pianura di Soligo - Colle Guarda - Fiume Piave - Pianura Trevigiana. [FoGLI 2 E 4 peLLA caRrTA GEOLOGICA AL 100.000 - Sezione V-V peELLE TAVOLE DEGLI SPACCATI - FiGurE 14 E 15 INTERCALATE]. {l gruppo delle Pale di S. Martino forma, orograficamente par- lando, una specie di nucleo dal quale si dipartono in tutte le di-. rezioni delle catene di minore importanza. Una di queste catene secondarie costituisce l'allineamento Rocchetta - Croda Grande - M. Agner e separa le parti più elevate della Valle di S. Lucano e quella del torrente Canali dal bacino dell’ alto Mis. Considerata dal lato tettonico, l’accennata catena è il residuo di un grande arco an- ticlinale poco ondulato, specialmente nelle parti più esterne ed ele- vate, dove predominano le grandi linee che si mostrano così bene in quegli altopiani tabulari delle maggiori masse dolomitiche. Il nostro profilo (V-V) comincia appunto dal versante meri- dionale di questo insieme orografico, che per gli accennati caratteri forma una individualità tettonica e. morfologica. Scendendo dalla — 148 — modesta propaggine di M. Luna (1720 m. s. m.) in direzione sud, verso il paese di Gosaldo o verso la forcella Aurine, si passa in ras- segna quasi tutta la serie triasica dalla Dolomia dello Schlern alle arenarie di Werfen. Ho già ricordato come lungo questo profilo si trovino diversi livelli fossiliferi, la cui esplorazione minuta potrà riuscire di molto giovamento per uno studio dettagliato della suc- cessione triasica. Riguardo alla disposizione stratigrafica basti ricor- dare che l’intera serie, salvo ripiegamenti secondarî, inclina, più o meno fortemente, verso nord; nei calcari del Muschelkalk, ad esempio, tale inclinazicne è compresa tra 25 e 30 gradi. Alla for- cella Aurine, causa l'abbondante materiale morenico e detritico, non è possibile vedere gli elementi compresi fra le arenarie va- riegate e gli scisti filladici di M. Gardellon, ma se ci spostiamo verso ovest sopra Gosaldo o meglio ancora a nord della frazione Mis, potremo seguire tutta la serie, dalle arenarie variegate al cal- care a Bellerophon, da questo ad un insieme arenaceo-conglomeratico, corrispondente alla formazione di Val Gardena, dal quale si passa in fine alla sottostante massa scistosa di M. Armarolo, M. Gardellon, Col di Piago ecc., massa che forma un lungo ellissoide rovesciato a sud. Dal lato nord noi abbiamo visto come la successione dei mate- riali che ricoprono gli scisti, sì presenti regolare e continua; ben diversi sono invece i rapporti di giacitura del lato sud dell’ ellissoide cristallino, dove gli scisti vengono a contatto con vari elementi della serie triasica e specialmente con le dolomie della parte supe- riore. In conseguenza delle esposte condizioni tettoniche i precedenti geologi avevano segnato, lungo la linea di contatto degli scisti col Trias superiore, una linea di faglia, la continuazione orientale della faglia di Valsugana (Moysisovios, Dolomit-Riffe, pag. 435. 'TARAMELLI, Provincia di Belluno, pag. 152, spaccato XV). È innegabile che l'impressione che si trae da un primo esame delle condizioni tet- — 149 — toniche di questa interessante regione è quella dell’ esistenza di una faglia. A ciò si è condotti anche dal fatto che, appunto lungo la direzione del tracciato di faglia, si trovano numerosi esempi di mineralizzazione, per alcuni dei quali è fuori dubbio l’esistenza di un legame con azioni endogene. In realtà però il fenomeno, preso nel suo insieme e nei rapporti con l’area circostante, anzichè ad una faglia vera e propria, risponde ai caratteri di una piega, con esclusione assoluta di qualsiasi frattura e di ogni specie di salto. Prima di tutto noi possiamo osservare come lo spaccato che ci venne dato dal Moysisovios, anche ammettendo l’ esistenza di una faglia, non possa in alcun modo rappresentare un fenomeno naturale, giac- chè non si saprebbe logicamente spiegare come gli strati del Dach- steinkalk (che per abbassamento vennero a contatto con gli scisti cristallini) siano ricurvi nel senso lungo il quale avvenne il loro spostamento. È ovvio che gli strati, i quali rispetto ad altri subirono una qualsiasi dislocazione, normale o quasi, abbiano le loro testate ricurve a strascico in direzione opposta a quella secondo la quale ebbe luogo il movimento. E le cose sono infatti in questi termini: all’im- boccatura del Mis e precisamente alla stretta dei Biti, dove il tor- rente piega bruscamente verso sud per incassarsi in un’ angusta gola trasversale, noi possiamo osservare, sulle nude pareti tagliate a picco, uno degli spaccati più belli e più evidenti che si possano incontrare in questa superba regione. Il fenomeno è riprodotto, con- servando le proporzioni, anche nello spaccato V-V; credo tuttavia opportuno di unire uno schizzo, perchè il lettore, con l’aiuto delle figure, possa meglio comprendere le osservazioni da me esposte « proposito della interpretazione tettonica di questa regione. Secondo il mio modo di vedere, gli scisti cristallini si trovereb- bero bensì a contatto col Trias superiore, ma la concordanza strati- grafica sarebbe perfetta e gli strati triasici, pure rovesciati a sud, avrebbero le loro testate rivolte verso l’alto, mentre la loro continua- — 150 — zione in basso formerebbe l’arco di una sinclinale ondulata (*).-In altri termini, in luogo di una faglia, si sarebbe nel caso di una piega rovesciata e fortemente stirata, come ad Imer nella Valle di Pri- California di Vallalta Rosse di Brandol Erera SSE Fig. 14. - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO L'ALTA VALLE DEL Mis, DALLA CALIFORNIA DI VALLALTA ALLE Rosse DI BRANDOL. (Si confronti con lo spaccato di pag. 435 dell’opera del Moysisovics). s = Scisti cristallini - t — Trias superiore - 1 — Lias - d — Dogger - m — Malm- e = Cre, taceo inferiore - s — Scaglia - a —= Alluvioni recenti. miero. In conseguenza di questo fenomeno, la serie dei terreni subì un notevole assottigliamento e alcuni elementi, dove lo stiramento fu massimo, finirono con lo scomparire completamente, mentre nei siti di minore intensità, come nella vicinissima Valle delle Moneghe, a Sagron, nella Valle Imperina ecc., la successione dei vari terreni sì conservò più o meno completamente. Se così è veramente, se noi siamo cioè nel caso di una grande piega rovesciata, nei monti che succedono immediatamente a sud dovremo trovare la riprova di un tale fenomeno nell’esistenza di qualche nucleo di terreni più recenti, compresi appunto entro. l’arco della sinclinale rovesciata, alla quale accennammo poco fa e che deve far seguito all’ anticlinale degli scisti. Infatti, salendo l’aspro versante settentrionale di M. Brandol, che sovrasta l'alta Valle del Mis, noi passiamo in rassegna un’ordinata successione di terreni sempre meno antichi. Dalle dolomie del Trias superiore si passa a (4) Vedremo nel capitolo seguente (VI) come alle Miniere di Valle Imperina si ripetano le stesse condizioni, ma in termini ancor più evidenti. — 151 — dei calcari con Terebratula synophrys, Rhynchonella curviceps, Rhyn- chonella lubrica del Lias inferiore e medio, da questi ad un calcare rosso a Posidonomya Bronni del Lias superiore, poi ad altri calcari bianchi, rosei e rossi con fossili del Dogger e del Malm in strati presso a’ poco verticali e in fine, poco lungi dalla cima di M. Bran- dol, al Biancone che si adagia sulla Scaglia in strati molto contorti e formanti una sinclinale rovesciata a sud. Le magnifiche contorsioni che si osservano nella Scaglia del M. Brandol (detto anche le Rosse di Brandol) furono già avvertite da altri geologi, come il FucHs e il TarameLLI. Il FucHs anzi nella ta- vola 17 del suo lavoro che porta per titolo Die Venetianer Alpen (1844) dà, nell'ultima figura a destra, una fedele riproduzione dei rapporti della Scaglia con gli altri terreni più antichi, ma non sa trarne partito alcuno per una deduzione tettonica generale. Lo schizzo riprodotto poco sopra (fig. 14), che fu compilato con la guida di disegni tolti dal vero e con l’aiuto di vignette fotografiche di vari punti, fa vedere la forma e la disposizione della sinclinale delle Rosse e i suoi legami tettonici col piccolo gruppo montuoso di M. Brandol, Erera, Campotorondo. Noi siamo in un caso del tutto analogo a quello osservato nella vicina conca di Neva, con la sola differenza che le masse triasiche, che all’ovest costituiscono la bella cima di Sass de Mur, un poco più ad oriente sono profondamente di- strutte o ridotte a proporzioni meno considerevoli. Si aggiunga con l’immaginazione lungo il versante settentrionale di M. Brandol una massa di calcari e di dolomie uguale e in continuazione a quella di Sass de Mur e si avrà l’identico profilo che riscontrammo nella conca di Neva (sezione IV-IV). Discendendo dal M. Brandol in direzione sud, si torna a pas- sare in rassegna la stessa serie stratigrafica, ma in senso diretto, cioè dai materiali più giovani ai più antichi. Nella conca di Erera, che è un grandioso esempio di circo glaciale, dopo un largo cono di deie- — 152 — zione che ingombra il fondo del circo, affiorano dei calcari bianchi 0 grigiastri, più o meno dolomitici, con fossili del Lias. In una località che dista dal letto alluvionale poco più di un chilometro, raccolsi numerosi Brachiopodi sinemuriani, fra i quali distinsi le seguenti forme : Spwriferina pinguis, Sp. Handeli, Terebratula synophrys, Wal- dheimia sospirolensis, W. venusta, Rhynchonella plicatissima. I calcari liasici, come si può rilevare dallo spaccato V-V, sono inclinati verso nord ed occupano un'estensione immensa, trasformata in un gigan- tesco campo carreggiato che i pastori chiamano Piano Eterno. Al sud.del Piano Eterno, dopo un succedersi di selle e di pro- mentori scoscesi e impraticabili, si eleva la cima del M. Pizzocco (2186 m. s. m.). che, assieme alla modesta e contigua propaggine di M. Piz, fa parte del fianco destro del Vallone Bellunese. Parecchi anni or sono, in uno studio sulla tettonica di questa regione, pure ammet- tendo la presenza di un’ anticlinale, credetti (in perfetta conformità alle opinioni del Moysisovics e del TaramELLI) che fra il monte Piz- zocco e il monte Piz esistesse una frattura, per la quale veniva in- terrotta la continuità dell'arco che scende poi a formare il fianco destro del Vallone Bellunese ('). Ulteriori e più accurate ricerche nella Valle Scura e in quella del Brenton, che incidono profonda- mente i fianchi di M. Pizzocco, mi convinsero che la primitiva in- terpretazione era completamente erronea. Il massiccio di M. Pizzocco e il sottostante M. Piz sono costituiti da un continuo e regolare arco di anticlinale nel modo indicato dal seguente schizzo, che fu dise— gnato dal vero conservando, per quanto era possibile, le proporzioni fra le varie parti. (Fig. 15). Per chi volesse farsi un concetto d’ insieme di questi rapporti tettonici, è da raccomandarsi l’osservazione di questo gruppo montuoso dalle colline che si elevano ad oriente del Mas, ad esempio dalla (1) Dar Praz G. - Sulla Geologia del Gruppo Montuoso di Campotorondo. Atti del R. Istituto Veneto. Tomo LXI. 1901, CARE cima del Duron o dai pressi del paese di Libàno. Nelle ore del mat- tino di una giornata limpida l'andamento tettonico del. Piano Eterno, del M. Pizzocco, del Piz e degli altri monti circostanti si disegna nello Roncoi M. Piz M. Pizzocco Fig. 15. - Sezione GEOLOGICA DAL M. Pizzocco ALLA VALLE DEL Prave. l = Lias - d — Dogger - m — Malm-c = Cretaceo inferiore - a f — Alluvioni e frane. sfondo di un unico panorama con un’evidenza addirittura sorpren- dente. Nè meno chiaro è inoltre il profilo del fianco destro della valle trasversale del Mis dalla chiusa dei Biti fino allo sbocco nel Vallone Bellunese. Stando ad esempio sul piano dei Zech, a nord - nord-est di Sospirolo, e guardando in direzione ovest, si può dire che sì segue l'andamento tettonico d’ogni singolo strato, e la continuità dell’anticlinale del M. Pizzocco, com’ ebbi occasione di ricordare in altro lavoro ('), risulta completa, senza alcun salto od anche sem- plice frattura. Riprendendo l’esame del nostro profilo (V- V), dobbiamo osser- vare che, mentre l’arco dall’anticlinale va man mano completandosi e passa quindi a far parte della sinclinale bellunese, gli strati co- minciano a presentare delle contorsioni, dei ripiegamenti a zig - zag, con parziali rovesciamenti e spesso delle riduzioni di spessore. Que- sti particolari sono visibili nei fianchi della Valle Scura, all’ovest dell'altopiano di Roncoi ai piedi orientali di Campèl. Alle sorgenti (1) Dar Praz G. - Sulla Fauna liasica delle Tranze di Sospirolo. Mémoires de la Société Paléontol. Suisse. Vol. XXXIII. (1906). pag. 5. — 154 — dell’Aldega si osservano ancora delle piccole contorsioni specialmente nella Scaglia, la quale, mentre in basso nei pressi di Sospirolo ha uno spessore ragguardevole, in alto, pei fenomeni di stiramento nella for- mazione della grande anticlinale che costituisce il fianco destro del Vallone Bellunese, ha subìto una notevole riduzione. Gli esposti dettagli tettonici si presentano con eguale chiarezza anche all’est di Sospirolo, prima di arrivare al Capitello delle Tranze. In questa località fu messa a nudo, pel tracciato di una via, gran parte della serie dei terreni, i quali si succedono ‘in strati fortemente pendenti a sud o verticali o addirittura rovesciati, ma sempre continui e regolari, con approssimativo parallelismo e senza che si riscontrino in essì fenomeni di rottura e di spostamento per faglia. Ho già detto come ai piedi di monte Piz si stenda il piccolo altopiano di Roncoi, tutto cosparso di materiale detritico e morenico. Per ritrovare i ma- teriali in posto, bisogna portarsi alquanto più a sud, oppure seguire il letto dei piccoli torrenti che scendono dai fianchi del rilievo mon- tuoso. Nei pressi di S. Gregorio e meglio ancora alla località Saltoi, noi troviamo il Miocene rappresentato dalle solite arenarie con fossili aquitaniani e langhiani. In questa località gli strati miocenici sono inclinati a nord-nord-ovest di 12 gradi all'incirca, ciò che dimostra come l’asse della sinclinale bellunese si mantenga sempre spostato verso nord e decorra proprio ai piedi del fianco destro del Vallone del Piave. Gli stessi materiali miocenici, che assumono una potenza con- siderevole, continuano poi ad affiorare per buon tratto, finchè le allu- vioni recenti finiscono col ricoprire tutto il fondo dell’ampia vallata. Attraversato il Piave, ancor prima di arrivare al paese di Mel noi troviamo l’Eocene in posto, in strati inclinati a nord. Continuan- do nella direzione del nostro profilo e prescindendo dal solito e ab- bondante rivestimento morenico che ingombra specialmente le val- lette, si riscontra sempre l’Eocene, finchè, poco oltre il paese di Carve, sui fianchi della Valle Maor comincia ad apparire la Scaglia, È in- — 155 — teressante osservare come passando dai materiali marnosi poco resi- stenti del Terziario a quelli più compatti del Cretaceo, la fisionomia della valle subisca un notevole cambiamento. In relazione ai caratteri litologici delle rocce intaccate, la valle passa da un tipo abbastanza largo con le pareti in continuo sfacelo, ad un altro tipo dove predomi- nano le incisioni incassate e tortuose a pareti quasi verticali. Oltrepas- sata la Val Maor, dopo un abbondante materiale morenico affiora il Cretaceo medio, costituito da un calcare scuro, bituminoso, in strati in- clinati a nord-nord-est di 35 gradi. A questi materiali fanno seguito degli altri calcari con Ammoniti neocomiane e poi. a brevissima di- stanza dell’osteria del passo di Praderadego, il Titoniano bianco e roseo in strati inclinati a nord di una quarantina di gradi. Varcato il passo di Praderadego, noi ci troviamo davanti alle colline terziarie del Trevigiano, staccate dalla catena di Col de Moi - Col Visentin dalla Valle di Mareno. Appena cominciata la discesa torna a presentarsi la facies dolomitica, che per la mancanza di avanzi organici non permette un sicuro riferimento cronologico. Anche la stratifica— zione è poco chiara, ma fortunatamente in questo tratto di profilo la facies dolomitica si limita al solo nucleo della massa montuosa principale, mentre nelle parti periferiche predomina il tipo calcareo e l’andamento tettonico ad anticlinale continua è facilmente con- statabile. L'arco dell’anticlinale, che è asimmetrica, con la gamba più breve a sud, non coincide con la linea di vetta, ma è spostato verso mezzodì e profondamente intaccato dall’erosione. Man mano che noi discendiamo, l’ inclinazione degli strati sì fa sempre più forte, finchè, presso a poco all'altezza del Castello, gli strati sono verticali e per rovesciamento inclinati a nord - nord - ovest. Continuano poi per buon tratto i materiali del Giura supe- riore e del Cretaceo inferiore, più o meno contorti, ma con predomi- nante inclinazione a sud, finchè di fronte a S. Pietro di Follina affiora — 156 — un calcare con fossili neocomiani, in strati di nuovo verticali e nella loro parte più elevata rovesciati a sud. Un largo letto di alluvioni impedisce di vedere, sulla linea del nostro profilo, il passaggio dal Biancone al Cretaceo superiore, ma, se noì ci spostiamo di poco verso ovest nella direzione di Miane, avremo largo campo di constatare come il passaggio dal Biancone alla Scaglia e da questa all’ Eocene e agli altri terreni più recenti sia perfettamente continuo, senza indizio alcuno di fratture o di scorrimenti. Come mostra il profilo V-V, al sud di Follina affiora un cal- care eocenico, sostenuto come al solito da marne in strati inclinati a sud di 25 gradi. Trattasi della solita successione eocenica che osservammo a ponente del Piave, alla quale, nelle vicinanze di Rio Vallalta, fanno seguito delle arenarie glauconitiche con ricca fauna. La serie degli strati è diretta quasi da est ad ovest (angolo di 83° all’est della linea di nord) e l'inclinazione, col passare dall’ Eocene all’Oligocene, va facendosi sempre più forte, finchè nelle parti superiori gli strati pendono a sud di circa 70 gradi. Ciò non significa che si debbano avere discordanze per trasgressione, nel qual caso l’ anda- mento delle inclinazioni dovrebbe presentare un ordine inverso a quello osservato, e tanto meno poi che si tratti di discordanze per faglia, poichè la serie è regolare e continua e la modificazione delle inclinazioni nella successione degli strati non avviene bruscamente, ma è lenta e graduale, in maniera analoga a quella che si osserva (con processo inverso) tutte le volte che sì passa da un’ anticlinale ad una sinclimale. A mio avviso, trattasi di fenomeno che va attri- buito a diversa velocità di corrugamento orogenetico delle varie parti che compongono la serie degli strati, oppure ad una fase locale e posteriore al fenomeno principale, ciò che procureremo di indagare in un altro capitolo. A sud della prima fila di colline del Terziario inferiore, in coin- SI cidenza con l’allineamento delle piccole depressioni dovute all’erodi- bilità dei materiali del Terziario medio, si trovano le arenarie e le marne mioceniche, seguite da banchi di sabbia e di conglomerati inclinati a sud di circa 70 gradi. Noi giungiamo così alle ultime colline di conglomerati grossolani, con intercalazioni sabbiose e ar- gillose, che si trovano a nord di Solighetto, oltre le quali si stende la pianura terrazzata di Pieve di Soligo. Più a sud della pianura di Soligo, sempre nella direzione del nostro profilo, ritorna una regione collinesca poco elevata, costituita di conglomerati grossolani in parte ferrettizzati, con un’inclinazione che va gradualmente riducendosi man mano che si procede verso sud. Sono i conglomerati che prece- dono quelli del Montello, ai quali vanno strettamente legati per la costituzione petrografica, per la genesi e per le condizioni di gia- citura. Oggidì non li disgiunge dal Montello che la stretta di Falzè, che il Piave cominciò ad attraversare ed incidere quando, per un fenomeno di catturamento del fiume Soligo e del Rio Rosparo, ab- bandonò il suo antico corso occidentale e seguì la facile via preparata dalle vicine correnti. CAPITOLO VE vo Pale di S. Lucano - Rivamonte e Conca d’Agordo - Valle Imperina - Stretta del Cordevole - Cima dell’ Uomo e Corno di Valle - Gruppo del M. Ferruch - M. Peralora, Nusieda e Vedana - M. Peron - Le Rovine - Valle del Piave - Pianura di Trichiana - S. Antonio - M. Cimone - Val Mareno - Colline di S. Pietro di Feletto e S. Michele - Pianura Trevigiana. [FoaLi 2 E 4 DELLA caRrTA GEOLOGICA AL 100.000 - Sezione VI-VI peLLE TA- VOLE DEGLI SPACCATI - Ficure 16 A 19 inTERrcALATE E Figura 6 A 8 E 11 DELLE VEDUTE FOTOGRAFICHE] 0 La Valle di S. Lucano, che si apre sulla destra di quella del Cordevole e che da un lato ha il suo vertice al ghiacciaio della Fra- dusta, è un tipico esempio di incisione ad U. Il fianco meridionale di questa Valle è formato dalla catena del M. Agner e il fianco set- tentrionale dalle Pale di S. Lucano che s’innalzano gigantesche e maestose (Vedi Tav. IV fig. 6). Anche in questi gruppi montuosi l’ andamento stratigrafico è molto semplice, dominandovi il solito tipo tabulare con stratificazione pressochè orizzontale o poco inclinata. Il versante meridionale delle Pale di S. Lucano scende a balze ed a picchi fino ad una certa altezza, cioè fino al punto in cui cominciano i detriti di falda che vi sono abbondantissimi e che hanno l’effetto di raddolcire alquanto il pendio. Al paese di Taibon, che si trova allo sbocco della menzionata — 160 — Valle, comincia ad affiorare il Trias inferiore con la solita facies di are- narie rosse e grigie in strati variamente inclinati a nord-ovest e so- vente fossiliferi. Procedendo verso sud, anche lungo il sentiero che segue il fianco destro della Valle del Cordevole, si osserva come alle arenarie triasiche facciano seguito dei calcari compatti, grigi, con se- zioni di Bellerophon e di altri fossili. Ai Crepoir di Taier, quasi di fronte ad Agordo, gli strati del calcare a Bellerophon sono inclinati a nord-nord-ovest di una cinquantina di gradi all'incirca. Pochi passi più a sud, sotto il calcare a Lellerophon, affiorano i conglomerati e le arenarie di Val Gardena che passano quindi agli scisti cristallini. Il contatto fra gli scisti cristallini e la formazione di Groeden può essere esaminato, con molta chiarezza, lungo la Valle del Sal- dame oppure nel Col de Foia all’ est di Agordo. Tanto nell’ una quanto nell’ altra località, divise dalle alluvioni del Cordevole e della Rova sulle quali sorge il paese di Agordo, gli strati di rocce sci- stose e le arenarie di Groeden appaiono perfettamente concordanti. Nella Valle Sarzana e a Pontalto (Tav. V fig. 7) le rocce scistose inclinano ancora fortemente a nord, ma a breve distanza da Pontalto, presso la località Fontanelle pochi passi prima del Pra dei Mali, gli strati cominciano a farsi meno pendenti, poi diventano orizzontali e quindi, compiuto l’ arco, inclinano verso sud. Noi siamo, in altre parole, nel caso di una vera e propria anticlinale che si trova in perfetta continuazione di quella osservata al monte Gardellon. In tutta questa regione, dove affiorano gli scisti, il paesaggio ha linee molli e arrotondate con folta vegetazione di boschi e di pascoli, ca- ratteri che fanno vivo contrasto con le nude pareti delle cime do- lomitiche circondanti l’ incantevole conca agordina. Poco oltre la citata località del Pra dei Mali, gli scisti sono molto ondulati, assai grafitici, con interstratificazioni di quarzo e ri- spondono, più che altro, al tipo delle filladi quarzifere. Poco prima dei magazzini delle miniere di Valle Imperina le rocce scistose hanno — 161 — una disposizione quasi verticale e, tanto sulla strada quanto sotto il ponte all'imbocco della galleria S. Francesco, sono seguite, in per- fetta concordanza, dalle arenarie grossolane, oolitiche del Trias infe- riore. Più avanti, dietro le case che si trovano sul fianco destro della strada, affiora un sottile lembo di Muschelkalk, i cui strati for- temente inclinati a sud stanno in concordanza assoluta tanto con le arenarie variegate che li precedono a monte, quanto coi calcari dolomitici del Trias superiore che li seguono a valle. Secondo l’interpretazione data dal MossIsovios (Op. cit. pag. 435 a 439) e dal TaramELLI (Note iWlust. alla prov. di Belluno, pag. 152), in coincidenza della valle Imperina dovrebbe passare la continua— zione della faglia Valsugana -Comelico. Da parte mia, dopo essere stato lungamente incerto e dopo aver fatto molte escursioni in tutta la regione circostante, mi sono convinto nel modo il più assoluto, che non si tratta di una vera faglia nel senso classico della parola e nel modo col quale venne finora rappresentata, ma di una grande piega del tutto corrispondente a quella descritta per la vicina Valle del Mis. Prima di tutto devo osservare che i contatti tra le varie for- mazioni, e specialmente fra gli scisti grafitico-quarzosi (Quarsphylht) e le successive arenarie del Trias inferiore, non avvengono con di- scordanza, quale appare dai disegni del Mossisovics (pag. 437) e da quelli del TarameLLI (Spaccato XIV), ma, come accennai poco prima, tali contatti sono perfettamente concordanti riscontrandosi soltanto la mancanza delle arenarie di Groeden e del calcare a Bellerophon, sul quale fatto ritornerò fra poco. A chi (avendo occasione di visitare queste località) rimanesse qualche dubbio sugli esposti rapporti che passano fra gli scisti e le altre rocce più recenti, raccomando di percorrere la Valle Imperina, soffermandosi in modo particolare nei pressi dell’imboccatura della galleria di S.* Barbara. Nell’ immediata vicinanza dell’ ufficio di A NOS Direzione delle miniere, a pochi metri dall’entrata della galleria, si nota infatti un piccolo ma assai istruttivo spaccato naturale. In esso noi possiamo constatare come, per un principio di rovesciamento, le filladi grafitico-quarzose ricoprono in piena concordanza le arenarie triasiche ;: a queste fanno seguito dei calcari del Trias medio e su- periore, nei quali, per un fenomeno di complesso ripiegamento quale è rappresentato nella sezione VI-VI, è incuneato un altro sottile lembo di arenarie variegate. Un altro fatto che ha un'importanza capitale per l’interpreta- zione tettonica di questa interessantissima località, consiste nel deci- frare quale sia l'andamento stratigrafico dei calcari del Trias medio e superiore che seguono a sud di Valle Imperina. Anche qui, come nel bacino del Mis, secondo le opinioni del Moysisovios basate in parte sui rilevamenti dell’ HorrxEs, gli strati del Dachstein della Cima del- l'Uomo e del Pizzon, che sovrastano appunto la valle Imperina, sa- rebbero ripiegati ad anticlinale nel modo indicato dal seguente di- segno (fig. 16) accanto al quale unisco, per gii opportuni confronti e per meglio comprendere quanto viene esposto, un altro schizzo rispondente invece alla mia interpretazione e tracciato nell’identico punto pel quale venne fatto passare lo spaccato del Moysisovics. Non starò qui a discutere l’errore di logica stratigrafica dell’in- terpretazione data dal Moysisovics, avendone già parlato a proposito del profilo passante pel Mis, dove si presenta un caso del tutto analogo. Piuttosto faccio osservare che riesce abbastanza strano come sia stata vista e segnata un’anticlinale dove invece si trova una sinclinale rovesciata a sud. Come si può dedurre dallo schizzo 17 (pag. 163) e dalla fig. 8 della Tavola V, gli strati del Dachstein che formano il versante settentrionale di M. Pizzon e Cimia dell’ Uomo (fianco destro della Valle Imperina) sono più o meno fortemente inclinati da sud-sud- est a nord-nord-ovest. Il loro angolo d’inclinazione è tanto più forte — 163 — quanto più sì va avvicinandosi al fondo della Valle Imperina, dove gli strati sono quasi verticali e con le radici ripiegate verso sud. Da ciò è facile comprendere che noi siamo davanti ad una sinclinale ro- Valle Imperina M. Pizzon Valle Imperina M. Pizzon Fig. 16 - SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO Fig. 17 - SEZIONE GEOLOGICA ATTRA- LA VaLce Imperina seconpo IL Moy- VERSO LA VALLE IMPERINA SECONDO sisovies (Op. cit. pagina 437). Dar Praz. a = Quarzphyllit - b = Arenarie s = Scisti-w = Arenarie di Wer- di Werfen - ce = Muschelkalk in- fen - m = Muschelkalk - t = Trias feriore - d — Dachsteinkalk. superiore - ] = Lias, F = Frattura di Valsugana. vesciata del tutto corrispondente a quella di M. Brandol, già descritta quando ci occupammo del profilo V, e non ad un’anticlinale quale venne interpretata dal Moysisovics (fig. 16). Che si tratti di una vera sinclinale rovesciata, possiamo renderci convinti non solo dall'esame della regione più elevata, ma anche della parte più profonda, lungo la stretta del Cordevole, dalla Valle Imperina alla Muda. Al ponte del Cristo, tanto da un lato quanto dall’altro del torrente, gli strati del Trias superiore sono disposti ad arco con una pendenza tanto più forte quanto più s'innalzano. Con- tinuando la strada verso sud, fra il ponte dei Castei e quello della Muda, il fianco sinistro della stretta valle è ridotto ad una vera pa- rete, un bellissimo spaccato, nel quale l’andamento degli strati ri- sponde al seguente schizzo (fig. 18). L'esame di tale schizzo, che disegnai dal vero procurando di T — 164 — mantenere la maggiore fedeltà, ci mostra come gli strati triasici e giuresì siano variamente contorti e facciano passaggio, verso l'alto, ad un'evidentissima sinclinale rovesciata a sud, in perfetta conti- nuazione, come s'è detto, con quella di M. Brandol - Cima dell’ Uomo all’ovest e con l’altra di M. Talvena all’est. Fig. 18 — SCHIZZO TETTONICO DEL FIANCO SINISTRO DELLA VALLE DEL CORDEVOLE, DALLA LOCALITÀ CASsTEI AL PonTE DELLA MuUDA. La parte inferiore appartiene al Trias superiore; la parte più elevata ai vari piani del Giurese. Riassumendo, i dati di fatto riguardanti la tettonica della re- gione in esame si possono compendiare nell’ esistenza di un’anticli- nale (scisti cristallini di Rivamonte, lettera A dell’ unita figura 19) n CA DIE Fig. 19 - DISEGNO SCHEMATICO PER DIMOSTRARE I RAPPORTI TETTONICI DELLA LOCALITÀ IN ESAME, © A = Anticlinale di Rivamonte. B = Sinelinale Cima dell’ Uomo - Brandol. m n = Anda- mento della piega lungo la Valle Imperina. ; seguita da una sinclinale rovesciata (calcari triasici e liasici di M. Pizzon e Cima dell’ Uomo, lettera B). SI Orbene : quale altra interpretazione tettonica possiamo noi trarre dalla rassegna di tali dati di fatto, se non quella che si tratti di una grande piega ad S, disposta nel modo indicato dalla linea pun- teggiata del riprodotto schizzo ? Come si potrebbe spiegare la con- tigua presenza dell’anticlinale di Rivamonte (A) e della sinclinale di M. Brandol - Cima dell’ Uomo - M. Talvena (B) che sono le parti in- tegranti di un'unica piega, se vi fosse di mezzo l'intervento di una faglia ? Se a questo si aggiunge che tutte le formazioni intermedie, com- prese cioè fra l’anticlimale di Rivamonte e la sinclinale rovesciata della Cima dell'Uomo - Brandol, assecondano concordemente (come si può constatare anche dai riprodotti schizzi e dalla citata fotografia della Tav. V) l'andamento della tracciata piega, mi sembra che non possa restare più alcun dubbio sull’attendibilità dell’ interpretazione tettonica sopra esposta. Quanto alla mancanza di qualche elemento e precisamente delle arenarie di Groeden e dei calcari a Bellerophon lango la gamba che unisce l’anticlinale alla sinclinale, non dobbiamo sorprenderci gran che: è un fenomeno notissimo che si riscontra dappertutto dove si ha un sistema di pieghe con forte dislivello di serie. Il fatto si ri- pete qua e là lungo tutto il percorso di questa importante linea tet- tonica, riscontrando tutti i passaggi da una riduzione minima, cioè con la presenza di quasi tutti gli elementi della successione, ad una riduzione fortissima, nella quale gli scisti grafitico - quarzosi hanno finito col trovarsi a contatto col Trias superiore. Di solito gli elementi mancanti sono quelli che si prestano poco a subire dei ripiegamenti e le riduzioni massime hanno luogo nelle zone di massima eteroge- neità come, nel caso della Valle Imperina, si riscontra appunto fra gli scisti cristallini, i conglomerati di Groeden ed il calcare a Lel- lerophon. Continuando il nostro profilo, dal ponte della Muda fino alla valle — 166 — gel Piave noi abbiamo una grande anticlinale tagliata normalmente dal Cordevole. Non è il caso di spendere parole nella descrizione di quest’anticlinale, poichè presenta un andamento regolarissimo senza complicazioni di sorta. Non meno semplice è poi il passaggio dall’arco dell’anticlinale a quello della sinclinale bellunese, tanto che non meriterebbe il caso di trattarne partitamente, se l’ interpretazione data da altri autori, e precisamente dal Moysisovics e dall’HoeRNES, non si staccasse troppo dal concetto ch’ io mi sono formato in proposito, così da richiedere qualche cenno esplicativo. Come abbiamo avuto occasione di ricordare nel capitolo precedente, alla base dei monti Pizzocco, Vedana, Peron ecc. dovrebbe passare, secondo i citati autori, la frattura bellunese, in conseguenza della quale gli strati del Terziario andrebbero a bat- tere, in assoluta discordanza, contro le formazioni giuresi ('). A questo’ proposito dobbiamo ricordare che nella Valle del Gresal e nella località Campanil fra Sospirolo e Susin il Miocene superiore presenta delle false stratificazioni (con apparente inclina- zione a nord) così perfette, da trarre in inganno chiunque, se il modo di giacitura dei fossili non mettesse sull’avviso che il piano di stratificazione è inclinato invece a sud. Ora io non so spiegarmi come mai i geologi austriaci possano aver concepito l’accennata di- scordanza, se non pensando che possano essere stati tratti in inganno dalla falsa stratificazione del Miocene superiore, ipotesi che può sola dar ragione del modo secondo il quale viene rappresentato un simile fenomeno di discordanza, poichè in tutta l’area circostante, sia che sì segua il fianco sinistro dello sbocco del Cordevole dal M. Vedana alle colline di Sedico, sia che si segua il fianco destro dal M. Peron fino a Libàno, si ha ovunque campo di constatare che la serie degli (1) Hoernes R. - Dintorni di Belluno, Feltre, Agordo ece. Bollettino del Club Alpino Ital. 1878. Moysisovies E. - Dol/omit- Riffe, pag. 431. — 167 — strati si mantiene regolare e continua senza interruzioni di sorta (Vedi fig. 11 della Tav. VII). Ai piedi di M. Peron, dopo gli strati giuresi che affiorano nelle vicinanze dell’Osteria, si trova il Cretaceo, che è visibile in posto in conseguenza dello scavo fatto per la fabbrica di una casa. Poco più avanti sul letto del torrente Cordevole si può constatare l’Eocene e quindi, al ponte del Mas, il Miocene che vi è largamente rappresentato. Questa serie _di materiali va diminuendo d’ inclinazione man mano che si procede dagli elementi più antichi ai più recenti. Al Mas il Miocene inclina ancora di 10 -15° verso sud, ma più avanti diventa orizzontale e poi, come si può facilmente osservare presso il ponte di Bribano, torna ad inclinare verso nord. Si tratta adunque di una semplice e regolare sinclinale, il cui asse, rispetto la linea di maggiore depressione del Vallone Bellunese, sì mantiene sempre spostato verso nord. Egualmente dicasi pel tratto di profilo più all’ ovest, cioè per quello passante attraverso il M. Vedana, ai cui piedi si osserva (presso il convento) la Scaglia contorta a zig-zag. Al sud del M. Vedana nel letto del Ramon, che è l’antico corso del Cordevole, sì trova l’ Eocene in strati fortemente inclinati a sud e più avanti ancora nel Bosco all’est di Sospirolo le glauconie, le arenarie e poi le marne mioceniche con la stessa disposizione descritta poco sopra, senza il più piccolo indizio che possa far sospettare la presenza di una faglia. Devo ricordare che, fatta eccezione di un breve tratto a sud di M. Vedana, dove io escludo qualsiasi incuneamento per faglie ammettendo invece un sistema di pieghe a zig-zag, il concetto che io mi sono formato sulla tettonica di queste località risponde perfet- tamente all’interpretazione data dal TarameLti, quale risulta dallo spaccato XII della Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias — 168 — nelle Provincie Venete e dalla sezione XIX delle Note illustrative alla carta geologica della Provincia di Belluno. Al di là del fiume Piave la gamba sinistra dell’ anticlinale bellunese continua progressivamente ad innalzarsi con una sempli- cità tale da dispensarci da qualsiasi descrizione. Ricorderò solo che nelle vicinanze di S. Antonio Tortal si riscontra l’ accenno di una leggera inflessione con andamento piano, carattere che sta in perfetta relazione con quanto osservammo più all’ovest e specialmente nel M. Miesna. Anche nella direzione di questo profilo il vertice dell’ anticlinale delle Prealpi Trevigiane non coincide con la maggiore elevazione, ma è alquanto spostato verso sud. Il profilo VI-VI fa vedere come quest’ anticlinale sì mantiene sempre asimmetrica, con accenni a ripiegamenti secondarî e ad un parziale rovesciamento. Molto utile, per farsi un concetto della struttura di questa catena, è un’ escur- sione attraverso il passo di S. Boldo (706 m. s. m.), il quale è una vera valle di erosione sul tipo di quella di Quero. Per il passo di S. Boldo si arriva alla Val Mareno, il cui fondo, già lacustre, è ora in parte occupato da torbiere e da alluvioni di varia età. Il fianco sud di Val Mareno è formato da una prima fila di colline terziarie, costituite cioè da marne e calcari eocenici ed oli— gocenici, in strati fortemente inclinati a sud. L° angolo d’ inclina- zione varia da sito a sito, ma ciò che si mantiene costante si è la concordanza delle varie formazioni, che a me non risultano attra— versate da alcuna frattura e meno che meno da faglie. Continuando verso sud, fanno seguito i calcari aquitaniani e poi le altre formazioni: arenarie, marne, sabbie e quindi un grosso spessore di argille e sabbie pontiche e plioceniche, i cui banchi, sempre meno pendenti man mano che si procede verso sud, s’ immergono al disotto di un mantello di conglomerati di età più recente e in- clinati a sud-sud-ovest di 10 a 15 gradi secondo i siti. Sono le al SA 1 luvioni cementate delle colline di Borgo Lozzo, Colle Guarda, Suse- gana, che protendendosi verso sud-ovest vanno a collegarsi con quelle del Montello. Noteremo in fine che al castello di Conegliano questi conglo- merati pliocenico-quaternari aumentano d’ inclinazione, di guisa che prima di scomparire al di sotto delle alluvioni recenti, accennereb- bero a formare un lievissimo arco. È e da Li GIORGIO DAL PIAZ STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.* Croce e——n———_—_r——————_—t Fig. 5. — FIANCO SINISTRO DELLA VALLE DEL FIUME PIAVE DI FRONTE A QUERO Strati del Cretaceo variamente contorti e in parte rovesciati. TA SIZE Za ion Fig. 6. — CONCA DI AGORDO In fondo a sinistra le dolomie delle Pale di S. Lucano alla cui base si attacca una modesta e boscosa propaggine del M. Agner costituita di materiali dei Permiano e del Trias inferiore. A destra una parte del gruppo del Framont. Il letto della Valle è oc- cupato da alluvioni del Cordevole e della Rova, sulle quali sorge il Paese di Agordo. TROVI [FARSVESEVE GIORGIO DAL PIAZ STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.* Croce Fig. 7. — PONTALTO PRESSO AGORDO In fondo a sinistra le dolomie delle Pale di S. Lucano precedute dalla propaggine triasico-permiana del M. Agner. Dove poggia il ponte, scisti filladici e micacei dell’ ellissoide di Rivamonte-Col de Foia profondamente incisi dal Cordevole. Fig. 8. — REGIONE DI VALLE IMPERINA PRESSO AGORDO In alto la Cima dell’ Uomo e il M. Fizzon costituiti da calcari dolomitici liasici e triasici in strati inclinati verso Imperina. A destra, dove spunta una chiesa, l’ arrotondato ellissoide di filladi e scisti cristallini di Rivamonte. Manor A CA TTRAA RIALE CAPITOLO VII. Cime di S. Sebastiano - M. Piacedel — M. Fieno - M. Talvena - M. Pelf — Valli dell’Ardo e del Gresal — M. Serva —- Valle del Piave all’ est di Belluno - Faverga - M. Nevegal — Col Visentin - S. Floriano e Negrisole - Costa di Serravalle — Costa Fregona — Vittorio — Colle Umberto - Pianura Trevigiana. [FoeLi 2 E 4 peLLa Carta GEOLOGICA AL 100.000 - SEZIONE VII-VII DELLE TaAvoLe DEGLI SPACCATI - Ficure 20 E 21 inTERrcaLATE E Ficure 9 E ll) DELLE VEDUTE FOTOGRAFICHE]. Dal massiccio dolomitico del monte Civetta (3218 m. s. m.) si stacca, dirigendosi verso sud, una bella catena montuosa che divide il basso Zoldano dalla Valle di Agordo. L'andamento tettonico di questa catena è, come al solito, di una grande uniformità ; nel Civetta gli strati (Trias superiore) inclinano dolcemente a nord, poi nella Mojazza e nella Mojazzetta sono quasi orizzontali o con ondulazioni di poco conto. Fra il M. Mojazza e le Cime di S. Sebastiano si trova il passo del Duran (1605 m. s. m.) che mette in comunicazione Agordo con Goima e gli altri paesi della conca di Zoldo. Ai piedi del M. Tamer, verso il passo del Duran, affiorano i calcari raibliani, prima inclinati a sud e poi, nelle attigue cime di Moschesin, ad andamento quasi orizzontale. Al passo Moschesin e al vicino M. Piacedel gli strati cominciano a subire qualche con- — 172 — torsione, finchè nelle Cime di Città e nel successivo M. Talvena, dopo dei ripiegamenti a zig-zag, si delinea una bella serie di pieghe che si risolvono in un’ anticlinale seguita da una sinclinale rove- sciata a sud. L’anticlinale fa riscontro a quella degli scisti di Riva- monte e la sinclinale, resa molto evidente per la presenza della Scaglia che occupa il nucleo, è la continuazione di quella di M. Brandol (Vedi fig. 20). In questo caso gli scisti cristallini non hanno subìto I) \ \ RL l INNI (77 AES QU ì Fig. 20 - SEZIONE GEOLOGICA DEL FIANCO OCCIDENTALE DI M. TALVENA. l= Lias- d = Dogger - mn = Malm-c = cretaceo inferiore -s = Scaglia una forte compressione da innalzarsi con l’arco dell’ anticlinale sino oltre i 1500 m., come si riscontra all’ovest, ma si mantennero assai più profondi. Per tale fatto il dislivello fra le due falde dislocate è molto più piccolo e la serie non ebbe quindi da soffrire delle ri- duzioni notevoli. Ammessa pel Mosysrsovics e per altri geologi l’esistenza della faglia lungo la Valle Imperina, era naturale che anche per la regione im- mediatamente vicina si cercasse di dare una spiegazione tettonica rispondente al supposto fenomeno di rottura e di scorrimento. É infatti anche qui fra M. Moschesin e M. Talvena (Pramper della carta al 75.000) si credette di vedere non una sola faglia, ma un sistema di tre faglie parallele, le quali non hanno proprio ragione di esistere, essendo basate su un preconcetto di scuola piuttosto che su circostanze locali che potessero suggerire una simile interpre- tazione. Ho già fatto osservare come al M. Talvena (2542 m. s. m.) sì trovi una magnifica sinclinale rovesciata col nucleo occupato da IE ag) 1715 O un lembo di Scaglia. Ebbene, l’ HoeRxEs rileva giustamente che il Biancone ricopre una roccia rossa marnosa, ma in luogo di Scaglia (ciò che avrebbe portato ad ammettere un completo rovesciamento della serie e non la presenza di un sistema di faglie), questa roccia rossa venne interpretata come una particolare facies del Neocomiano (Rothe Neocomien Mergel) e la successione dei vari piani giudicata di conseguenza diretta, regolare e continua, cioè senza alcuna inversione per avvenuti rovesciamenti. Come succede quasi sempre, anche nel caso presente l'andamento tettonico di questo piccolo gruppo di monti più che da vicino può essere abbracciato in tutto il suo insieme ad una certa distanza. Migliore sopra tutti è il panorama che si gode dalla cima di M. Fieno, dalla quale è tolto appunto lo schizzo della figura 20, che mo- stra l’evidentissimo fenomeno del rovesciamento. Dal M. Talvena fino al M. Serva l'andamento tettonico è molto semplice, riscontrandosi la solita e regolare anticlinale tagliata dal Cordevole. Non meno interessante delle descritte località è il fianco meri- dionale del M. Serva, ai cui piedi dovrebbe passare la più volte ci- tata frattura bellunese (Moysisovics, Op. cit. pag. 444 e TARAMELLI Prov. di Belluno, pag. 151). Invero, per quanto io abbia percorso a diritta e a manca questa piccola regione, che è una di quelle che co- nosco meglio, non sono mai riuscito a scoprire un fenomeno che possa avere qualche legame con una faglia o anche soltanto con una frat- tura. I fianchi della Valle del' Piave verso est e quelli dell’Ardo e del Gresal all’ovest, sono le più belle sezioni che si possano desiderare per lo studio di una successione stratigrafica. Cuminciando molto addentro nella Valle del Gresal o in quella dell’Ardo, noi possiamo osservare come gli strati dapprima orizzontali, diventano, un po’ per volta, inclinati a sud e poi si piegano ad arco assumendo una po- sizione quasi verticale (Vedi Tav. VI, fig. 9). Al ponte della Mortis ui) ee. affiora la Scaglia pure verticale e in parte ripiegata a zig-zag, alla quale roccia fanno seguito le marne e le arenarie eoceniche, per lo più fortemente inclinate a sud, ma in qualche caso verticali od anche invertite e accompagnate da stretti ripiegamenti secondarî. Un bel- lissimo esempio di queste ondulazioni secondarie a zig-zag si osserva a pochi passi dal ponte sul Medon, a sud del villaggio di Gioz, dove ho raccolto, staccandolo dalla roccia in posto, il campione rappresen- tato dalla figura 10 della Tavola VI. Continuando la discesa lungo il letto del torrente Ardo, si passa dal Flysch eocenico ad un tipo di roccia quasi totalmente marnosa, poi alla glauconia (Oligocene) e quindi alle arenarie e alle marne mioceniche che occupano il nucleo della sinclinale bellunese, il cui asse passa poco lungi dal paese di Bolzano. L’inclinazione di questi strati va progressivamente diminuendo man mano che si pro- cede verso sud, ma l'ordine di successione è perfetto, regolare e con- tinuo, potendosi escludere in via assoluta qualsivoglia dislocazione per faglia. Discendendo ancora, al sud di Bolzano, in conseguenza della ricordata sinclinale, si torna a passare in rassegna tutta la serie ter- ziaria, ma in ordine diretto, cioè dagli elementi più giovani ai più antichi senza traccia di discontinuità. L'andamento stratigrafico è in particolar modo evidente dove si ha la facies di Flysch e ciò per la maggiore resistenza delle arenarie che sporgendo dalle marne segnano in modo marcatissimo i piani di stratificazione (Vedi Tav. II, fig. 1). Altrettanto evidente e continua, per quanto ridotta, è la serie degli strati sul lato orientale del M. Serva; basta infatti esaminare il tratto da Vezzano a Polpet e da Polpet a Fortogna per con- vincersi che la successione degli strati va progressivamente scom- parendo per fenomeni di erosione e non per spostamenti tettonici. Fra il colle di S. Andrea sulla riva destra del Piave e il Col Fagher sulla sinistra, esiste la più perfetta corrispondenza e lo sbocco del Piave si presenta coi caratteri di una tipica incisione fluvio-glaciale. — 175 — Riprendendo il percorso del nostro profilo, osserveremo come dal letto del Piave presso Belluno salendo in direzione di Col Vi- sentin, si passi in rassegna la serie delle formazioni dall’ Eocene al Cretaceo inferiore, in strati quasi sempre diretti da sud-ovest a nord- est e variamente inclinati a nord-ovest. Presso Castion l’ Eocene ha un’ inclinazione di 50°, ma al ponte del villaggio di Faverga l'’incli- nazione è ridotta ad una quindicina di gradi soltanto. Dopo un ab- bondantissimo materiale morenico, sopra Cirvoi affiora la Scaglia, alla quale fa seguito un calcare brecciato, zeppo di un tritume di con- chiglie e specialmente di Rudiste. In conseguenza di una piccola in- flessione, ricordata anche precedentemente, nelle vicinanze di M. Nevegal gli strati assumono un andamento pressochè orizzontale, e, come si può rilevare dallo spaccato VI-VI, torna ad affiorare la Sca- glia. Continuando la salita, si ripresenta il calcare a Rudiste, seguito dal Biancone di cui è costituita la cima di Col Visentin (1765 m.). Discendendo lungo il versante meridionale del Col Visentin, si riscontrano frequenti sporgenze rocciose in forma di coste o di sproni, nelle quali si osserva, la continuazione dell’ anticlinale di Col Visen- tin, il cui asse, rispetto lo spartiacque della piccola catena mon- tuosa, si trova alquanto spostato verso sud. Nelle vicinanze d: Costa Biz gli strati sono ora verticali ed ora variamente inclinati per ripiegamenti a zig-zag. Molto interessante, per stabilire la continuità delle formazioni senza alcuna esistenza di faglie, è la presenza, in mezzo alla Valle di Fadalto sotto la chiesa di S. Floriano, di un cal- care probabilmente Cretaceo, a strati inclinati a sud di 30-32 gradi e diretti in modo da stabilire una perfetta corrispondenza tra i ma- teriali del fianco destro della valle e quelli del fianco sinistro. Più avanti, al sud di Negrisole parallelamente alla direzione del profilo VII ('), si osserva che al Cretaceo inferiore fanno seguito, presso Maren, (®) Per errore litografico nel profilo VII l’Eccene e l’Oligocene risultano di potenza superiore alla reale; questo però non altera affatto il motivo tettonico della regione. x il calcare a Rudiste, la Scaglia, l' Focene e 1° Oligocene (con facies di glauconia fossilifera) così estremamente ridotti da sfuggire facil- mente ad un rapido esame. Agli strati oligocenici, quasi verticali, fanno seguito delle arenarie azzuirognole a Pecten Pasinii; poi altre arenarie ricche di Nullipore, ed infine i calcari argillosi da cemento di Costa Serravalle e le altre formazioni mioceniche fino ai conglo- merati pontici di Costa Fregona. Altrettanto interessante del profilo or ora descritto sulla sinistra del Meschio è quello del lato occidentale, fatta eccezione però per il tratto più interno, dove, sia per assottigliamento, sia perchè ri- coperte dalle alluvioni della valle Revine, le formazioni del Terziario antico non si possono esaminare. Molto chiara è invece la succes- sione del Terziario superiore, tanto più che le numerose cave aperte lungo questo tratto di profilo agevolano moltissimo l’ esame dei rap- porti che passano fra le diverse formazioni, le quali, come si può rilevare dall’ unito profilo d’ insieme (fig. 21), si succedono in per- fetta continuità di serie con direzione da sud-ovest a nord-est. S. Paolo Croda dell’ altare Monte Pedolfo Valle di Revine Pio. 21. - SEZIONE GEOLOGICA DALLA VALLE DI REVINE ALLA PIANURA ALLUVIONALE ALL’ ovest DI CENEDA. A mezzodì di Vittorio si stende una piccola pianura costituita dalle alluvioni postglaciali e recenti del Meschio e sbarrata, verso sud. dal Colle Umberto, il quale rappresenta l’ estrema morena fron- tale del ramo glaciale che scendeva per la valle di Fadalto. Al di sotto del materiale morenico di Colle Umberto si trovano i conglo- merati del preglaciale, dai quali la distinzione non è invero sempre facile e sicura. GIORGIO DAL PIAZ TAVICME STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.? Croce Fig. 9. — ALTA VALLE DEL GRESAL, PRESSO LA CHIESA DI S. GIORGIO Parte dell’ anticlinale che costituisce il fianco destro del Vallone Bellunese. Fig. 10. — PEZZO DI ARENARIA EOCENICA RIPIEGATA A ZIG-ZAG Il campione fu staccato dalla roccia in posto presso il ponte del Medon, sulla destra della Valle dell’ Ardo. Ret Ò Dr FAPOIRE, pe LT pf CAPITOLO VIILL Cima di Serra - M. Campedello - Dintorni di Longarone - Torrente Vaiont - Piz di Gallina - M. Dolada - Conca di Alpago - Lago di S.* Croce - Valle di Fadalto - Altopiano del Cansiglio - Osigo - Mezzavilla - Cappella e Pianura Trevigiana. [FoeLt 2 e 4 peLLa Carta GEOLOGICA AL 100.000 - SEZIONE VII-vHI DELLE TAVOLE DEGLI SPACCATI - FiGura 22 InTERCALATA E FiGuRA 12 DELLE VEDUTE FO- TOGRAFICHE]. Fra la Valle del Piave e la conca di Zoldo si trova una piccola catena montuosa che può considerarsi una propaggine del Pelmo (3169 m. s. m.). Anche qui, come al solito, dal tipico andamento delle grandi masse dolomitiche si passa, un po’ per volta, ad uma zona molto tormentata che si trova sulla continuazione della linea Rivamonte-Piacedel. A questa zona fa seguito, con gli stessi ca- ratteri che riscontrammo al M. Talvena, una grande sinclinale rovesciata, il cui nucleo è occupato dalla Scaglia. Per formarsi un concetto di questo grandioso fenomeno (già intraveduto dal Tara- MELLI) è opportuno fare la modesta salita di M. Campedello (2019 m. s. m.). Partendo da Longarone, o meglio ancora dal ponte di Pirago o da Igne entro la valle «del Maé, dopo i calcari liasici, in- clinati a nord, si trovano i materiali del Dogger e poi quelli del Malm di facile riconoscimento per la tipica e costante facies nodulare ammonitica del Titoniano rosso. Al di sopra del Titoniano si trova il Biancone e poi un enorme cuneo di Scaglia, sovente ripiegata a zig-zag che, topograficamente parlando, forma una specie di ferro di cavallo circondante, a mo’ di fascia, la fronte meridionale e i fianchi di tutto il monte Campedello. Oltrepassata la casera Torondol, con- tinua ancora per un bel pezzo il Cretaceo superiore, cioè la Scaglia, finchè cominciano a ricomparire le prime tracce di un calcare bianco che passa poi al tipico Biancone con fossili neocomiani. Si arriva così ad uno sprone occidentale di M. Campedello detto il Don, dalla cui vetta ci sì presenta, quasi d'improvviso, l’incantevole spettacolo di M. Pelmo con tutta quella corona di boschi e di vette che lo circondano. È un quadro grandioso, che desta un’impressione vera- mente indimenticabile. Alla sella fra M. Campedello e la Cima di Serra affiora ancora il Biancone, ma poco lungi sul fianco occidentale, per effetto del- l’accennato rovesciamento, s' insinua il nucleo di Scaglia che sì protende molto al di sotto delle formazioni del Cretaceo inferiore e del Giurese della località Laresei. Il versante nord di monte Campedello presenta una bella conca dalla tipica morfologia dei circhi. Al nord della sella, dopo il Bian- cone, sì trova una sottile zona di calcari probabilmente del Giura e poi altri calcari e dolomie del Lias e del Trias in strati coricati a sud. Anche qui s' ebbe quindi una forte riduzione nello spessore della serie, la quale è però sempre concordante nelle varie parti che la costitui- scono. La riduzione per stiramento fu tanto intensa ed il rovescia- mento così forte e completo che le dolomie triasiche sono quasi a con- tatto colla Scaglia, non essendovi di mezzo che un esiguo spessore di rocce giuresi e cretacee; mentre le rocce del Cretaceo superiore, che costituiscono il nucleo della sinclinale coricata e che presentano uno spessore ragguardevole, hanno un andamento pressochè orizzontale. lend. SN; 7; SS Codesta grande piega, ben visibile tanto all’ovest nel M. Megna, quanto all’ est nel M. Borgà, è accompagnata da altri ripiegamenti normali ed obliqui a quello principale ora descritto, il cui asse è orientato, presso a poco, da est ad ovest: e i lembi di Scaglia che affiorano all'imboccatura della Valle del torrente Vaiont, di fronte a Longarone e più in alto a Casso, altro non sarebbero che i nuclei di tali pieghe pure strette e rovesciate. Questa interpre- tazione tettonica è del tutto conforme a quella che, per la stessa regione, venne data dal TaramELLI ('), mentre secondo i geologi au- striaci (*) anche qui si avrebbe una serie di faglie parallele a quella di S.* Croce, della quale ci occuperemo fra breve. Per convincersi che sì tratta di residui di pieghe multiple e multilaterali e non di faglie, oltre allo studio del gruppo di M. Campedello è opportuno fare un’e- scursione entro la stretta gola del Vaiont, sulle cui pareti tagliate a picco si può seguire con la massima chiarezza l'andamento strati- grafico delle varie formazioni. Manco a dirlo, come al M. Talvena anche al M. Campedello, al M. Megna e nei d’intorni di Longarone nella carta del Moysisovics la Scaglia è sempre interpretata. come Rothe Neocomien Mergel, mentre vi si raccolgono fossili indubbia- mente senoniani e daniani. Abbandonando } interessante plaga di Longarone, in cui si ha uno dei più istruttivi esempi di un complicato ripiegamento, e con- tinuando nella direzione del nostro profilo, possiamo constatare come il Piz di Gallina, il M. Dolada e gli altri monti intermedî sono co- stituiti da una bella anticlinale, che lungo il fianco sinistro della Valle del Piave può essere seguita ed esaminata in tutti i suoi par- ticolari (vedasi Tav. VII fig. 12). Sul versante sud di M. Dolada gli strati discendono con molta regolarità, passando un po’ alla volta (4) TarameLLI T. - Geologia delle Provincie Venete. pag. 200. Note illustrative alla Carta geologica della provincia di Belluno. pag. 150. (2) Moysisovices E. - Dolomit-Riffe. pag. 44°. — 150 — ad assumere una posizione verticale e poi rovesciata con ripiega- menti secondarî, quali si possono osservare negli strati eocenici sopra il paese di Pieve d'Alpago. Il fenomeno di una sinclinale rovesciata fu perfettamente interpretato, pel primo, dal TarameLLI (Geologia delle Provincie Venete, pag. 200), soltanto non esisterebbe, a mio avviso, la faglia che l egregio autore segna fra la vetta del M. Dolada e la falda meridionale sopra il paese di Plois. La corrispondenza fra il M. Serva e il M. Dolada, nell’ anda- mento degli strati, è delle più perfette, tanto che riesce veramente sor- prendente come i geologi austriaci abbiano tracciato una faglia fra un monte e l’altro e inoltre abbiano potuto pensare che per effetto di questa faglia, la conca di Alpago sia stata spostata verso sud con conseguente discordanza delle rispettive formazioni. È vero che riguardo al Vallone Bellunese la conca di Alpago è ripiegata a mez- zodì, ma è una lenta e progressiva deviazione che può essere seguita in tutto il suo percorso, riscontrando sempre continuità stratigrafica senza accenni a spostamenti per faglia. Del resto la deviazione delle pieghe in senso orizzontale è un fenomeno comunissimo e fu con- statato che avviene non solo con archi larghi e regolari, ma anche con bruschi passaggi, formando cioè degli angoli acuti quali il DE StEFANI ebbe a citarne per le Alpi Apuane e molti altri geologi per altre località ('). La conca di Alpago, compreso naturalmente il bacino di S.* Croce, risulta, secondo i miei rilievi, dall’ incrocio di due sinclinali : quella bellunese cui accennammo, e quella di Fadalto, piega relati- vamente piccola ed orientata da nord a sud. Le tracce della sin- clinale di Fadalto sono evidentissime tanto lungo i fianchi orientali di M. Pascolet e M. Faverghera, quanto su quelli del monte Le Prese verso il Cansiglio. Sia nell’uno che nell’altro fianco, noi vediamo che (4) De SrEFanI ©. - Le pieghe delle Alpi Apuane, pag. 110. Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori in Firenze. N. 16 - 1889. ela» *. FRI gli strati convergono e inclinano, con ondulazioni minori, secondo un asse che coincide appunto con la valle di Fadalto (Vedi fig. 22). Il sottile lembo di Eocene, che si trova subito sopra la Scaglia dietro il caseggiato di Laste, occupa appunto l’asse di questa sin- clinale e non ha niente a che fare coi fenomeni di sprofondamento accennati dall’ HoerxEs e sostenuti e rappresentati poi dal FurTE- RER (') in un modo che, mi si permetta la frase, ricorda addirittura l'infanzia degli studi geologici. M. Le Prese Fadalto M. Pascolet Fig. 22. - SEZIONE GEOLOGICA IN DIREZIONE NORMALE ALLA VALLE DI FADALTO TRACCIATA AL- L’ALTEZZA DEL CASEGGIATO DI LASTE. e = Cretaceo inferiore - r = Calcare a Rudiste - s = Scaglia - e = Eocene - f = Ma- teriale di frana. Del resto che la faglia di S.* Croce non esista, non sono io il primo a constatarlo e a dirlo, poichè più di cinque lustri or sono il TARAMELLI (°) ne metteva in dubbio la presenza con frasi che mi piace riportare : “ A me non pare così netta e così indiscutibile la frattura di « S.* Croce, che il sig. HoERNES immaginò avere avuto una grande (4) FutTERER - Die oberen Kreidebildungen der Umgebung des Lago S.a Croce, Palaeontolog. Abhandl. N. F. Bd. II. 1902. Durchbruchsthiler in dem Siid - Alpen. Zeitsch. fir Erdkunde. Bd. XXX. Berlin 1895. (2) TarAMELLI T. - Geologia delle Prov. Venete, pag. 199. È PAIS ASA — 182 — “importanza nelle modalità delle scosse sismiche nel 1873. Io non “vi trovai che uno sconcerto affatto limitato ai piedi del monte “ Pascolet, verso S.* Croce. A me pare che giunta alle falde del “monte Serva, la ruga bellunese si contorca a sud, per poi conti- “nuarsì stretta e più accidentata nel Friuli, mediante 1’ insenatura “di rocce eoceniche che accompagnano la frattura Barcis - Sta- “ rasella ,,. Proseguendo nella direzione del nostro profilo possiamo, osser- vare che dalla conca di Alpago gli strati delle varie formazioni vanno lentamente innalzandosi man mano che si procede verso sud. Al nord del villaggio Poiate le marne e i calcari eocenici hanno già un angolo d’inclinazione di quasi 40 gradi. Da questo punto, seguendo la riva del lago diretti a Fadalto, si passa in rassegna tutta la serie cretacea; dalla Scaglia ai calcari a Conocrini, da questi al calcare a Rudiste e poi ad una specie di Biancone, tutti inclinati a nord, finchè sì compie l’ arco dell’ anticlinale del Can- siglio. La grande anticlinale del Cansiglio, che ha un andamento on- dulato con una depressione nella parte mediana, non presenta, dal lato tettonico, particolari che meritino speciale menzione. Assai più interessante è invece il versante meridionale dal M. Croce ad Osigo e poi giù fino alla pianura sotto Cappella. Come si può vedere dal- l'esame del profilo VIII-VIII, al di sotto di monte Croce gli strati subiscono una forte inflessione a ginocchio con altre ondulazioni a zig-zag che si possono constatare anche nel fianco sinistro entro la Valle di Fadalto, poco lungi da S. Floriano. In conseguenza di questa piega, il cui arco è in gran parte distrutto dall'erosione, gli strati delle varie formazioni, notevolmente ridotte, da orizzontali assumono una posizione verticale e poi, più sotto nelle vicinanze di Sonego, finiscono col rovesciarsi completamente. Il rovesciamento può essere constatato con molta evidenza non solo negli strati aquitaniani di Mon- (LI — 183 — taner, come osservò il Rossi ('), ma in tutta la regione che sì stende ai piedi meridionali-occidentali del Cansiglio. Bellissimi per l'evidenza della posizione degli strati sono i profili che si possono esaminare nei burroni di Luca e di Osigo, nei quali il rovesciamento ha inte- ressato perfino i conglomerati pontici e pliocenici. Così, per citare un esempio, presso il ponte di Osigo le sabbie e i conglomerati mio- pliocenici inclinano a nord di una sessantina di gradi, più a sud l'inclinazione va diminuendo, finchè, al nord di Cappella, la sinclinale rovesciata si risolve e passa ad una piccola e piatta anticlinale, la cui gamba sud sparisce quindi sotto il rivestimento morenico e le alluvioni della pianura. Nel terminare questo capitolo devo aggiungere che mentre presso Vittorio e più all’est verso Breda le varie formazioni conser- vano ancora una direzione sud-ovest-nord-est, che vedemmo pre- dominare in tutta la serie montuosa e collinesca dal Grappa al Col Visentin, a cominciare da Sonego piegano bruscamente a sud-est, stipandosi, sia pure ridotte di spessore, ma sempre continue, ai piedi della massa del Cansiglio. Questa deviazione nell’andamento delle formazioni, per quanto più brusca e più stretta, fa riscontro a quella che ricordammo per la conca d'Alpago rispetto il Vallone Bellunese. Come in questo caso anche per quello della regione all’est di Vittorio non s’ ebbero nè fratture nè faglie, ma un regolare svol- gersi di pieghe più o meno complesse e più o meno assottigliate per subite tensioni. (1) Rossi A. - Sunto di illustrazione geologica della provincia di Treviso, Loc, cit. pag. 15. GIORGIO DAL PIAZ TAV. VIE STUDI GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S.° Croce Fig. 11. — M. PERON E GRUPPO DI M. PALA VISTI DA SOSPIROLO Arco dell’ anticlinale che costituisce il fianco destro del Vallone del Piave e che si continua poi nella sinclinale bellunese. | Fig. 12. — GRUPPO DI M. DOLADA VISTO DAI PIEDI DI MONTE SERVA Disposizione ad arco di anticlinale degli strati mesozoici che costituiscono il M. Dolada e che passano a formare la sinclinale del bacino di Alpago. — 185 — CAPITOLO IX. Conclusioni. Nella prima parte di questo lavoro noi abbiamo visto come il terreno più antico compreso entro l’area esaminata sia costituito da filladi quarzifere e scisti cristallini, per alcuni presiluriani e per altri invece riferibili al Carbonifero inferiore (Dinantiano). Nella parte occidentale, al di sotto e attraverso questi scisti, s’' insinua, come una gigantesca laccolite profonda (batolite), una massa granitica di età dubbia, ma certamente compresa fra il Permiano e il periodo a cui vanno riferiti gli scisti cristallini. Soltanto gli scisti cristallini infatti hanno subìto delle azioni di metamorfismo di contatto, mentre d’altro canto i ciottoli granitici cominciano a comparire e nei porfidi quar- ziferi della terza colata e nei tufi immediatamente sottostanti, ciò che fa pensare ad una probabile emersione di terre durante la fine del Paleozoico. Da questi materiali in su fino alle formazioni continentali del Quaternario, la serie è completa e continua. Alle arenarie di Val Gardena e ai calcari a Bellerophon del Per- miano superiore fanno seguito i materiali triasici, a questi quelli giuresi, poi quelli cretacei e terziarî fino al Pliocene, riscontrandosi — 186 — quasi dappertutto una ricchezza di faune ed una semplicità di rap- porti stratigrafici che permisero di arrivare ad una serie cronologica, se non completa in tutte le due parti, certamente tale da trovare riscontro con quella d’altre regioni italiane e straniere dove lo studio dei terreni ha raggiunto uno stadio di maggiore progresso. Quanto alle ormai celebri teorie di trasgressioni e di regressioni, pure ammettendo l’ esistenza, nel corso dei vari periodi, di terre emerse non molto lontane e predominanti condizioni di mare poco profondo, devo rilevare che per l’area presa in esame io non ho mai riscontrato, dal Permiano in su, la mancanza di qualche ele- mento della serie per non avvenuto deposito o per distruzione, o qualche altro fatto che documenti in modo assoluto e indiscutibile delle originarie trasgressioni. Ciò in modo particolare per il periodo Giurese e specialmente pel passaggio dal Lias al Dogger, sul quale argomento avrò occasione di ritornare in maniera dettagliata nel corso di un prossimo lavoro. Riguardo alla struttura tettonica, noi abbiamo visto dalla det- tagliata rassegna dei profili che la regione risulta costituita di una serie di sinclinali e di anticlinali a decorso fra loro grossola- namente parallelo. La prima anticlinale, cominciando a nord- ovest, coincide con le masse scistoso-cristalline di Cima d’ Asta, Primiero ed Agordo; ad essa segue una sinclinale molto elevata, stretta e rovesciata a sud, alla quale appartengono i nuclei di marne eoceniche e di Scaglia di Rio Secco, M. Cavallara, Broccon, Viderne, Sass de Mur, M. Brandol, M. Talvena, M. Campedello, Erto, Claut ecc. Questa sinclinale fu già intraveduta dal Tara- MELLI, ma non le venne data, forse, sufficiente importanza, poichè essa può considerarsi la chiave della interpretazione tettonica del- l’area che la precede immediatamente a nord, lungo la quale venne tracciata le faglia Valsugana-Comelico. I rapporti tettonici della regione che segue il tracciato della Leg a frattura Valsugana-Comelico vanno quindi ridotti ad una coppia di pieghe (anticlinale e sinclinale), una inflessione a S, con la gamba intermedia più o meno assottigliata per fenomeni di stira- mento, ma con stratificazioni sempre conformi e concordanti. Ai M. Borgà, Campedello, Talvena e al passo di Cereda la ridu- zione è minima o quasi nulla; alla Malga Orena, nella Valle Sternoz- zena, nel bacino di Primiero, in quello del Mis e nella Valle Im- perina la riduzione della serie degli strati è invece più forte. Anche in queste località esiste però sempre concordanza di stratificazione e va esclusa ogni sorta di salti per scorrimento o per rigetti (Ve- dasi a questo proposito specialmente il capitolo VI, dove si parla di Valle Imperina). In genere si può affermare che la riduzione della serie per subìte tensioni va aumentando da est verso ovest, man mano che comincia ad affiorare ed a prendere largo campo l’ anticlinale delle rocce scistose e cristalline. In altre parole, dove l’ anticlinale degli scisti è molto sporgente ed elevata, come nel M. Scroz, nella Valle di Primiero, nel bacino del Mis e del Cordevole (M. Arma- rolo e Rivamonte), la gamba che passa alla contigua sinclinale è molto ridotta; dove invece gli scisti si mantengono molto profondi, perchè la loro anticlinale è larga e piuttosto depressa, come nelle vicinanze del passo di Cereda ed a sud-est di Agordo, la gamba che passa dall’ anticlinale alla sinclinale ebbe e subire delle riduzioni di poco conto e la serie è pressochè continua. Ciò significa che la strut- tura tettonica delle masse cristalline non è originaria, cioè molto antica e indipendente dalla serie posteriore, ma intimamente legata a quella delle rocce sedimentarie che la seguono o ricoprono. Riguardo alle intrusioni granitiche, io non credo punto ch’ esse possano avere esercitato delle azioni orogenetiche dirette. Noi abbiamo visto infatti (pag. 5) che il massiccio granitico di Cima d’ Asta è per lo meno prepermiano e che è da escludersi — 188° — in via assoluta (ciò che altri mostra invece di credere) ch’esso sia di età terziaria. Ciò posto, nel corrugamento orogenetico tale massa granitica non può avere avuto, a mio avviso, che un'azione pura- mente passiva, adattandosi, come tutte le altre rocce, alle leggi che determinarono la fisionomia tettonica delle Alpi Orientali Meridionali. Tutt’' al più, data la rigidezza e dato il volume di questa massa granitica rispetto agli altri materiali che costituiscono la serie dei terreni che fanno parte delle descritte catene montuose, si può pen- sare che tale massa possa aver contribuito, fino a un certo punto, a determinare l’ orientamento di quelle pieghe che si stipano ai suoi piedi e che hanno con essa comunità di direzione. Al sud dell’ interessantissima zona delle rocce scistoso-cristalline, seguite poi dai materiali più recenti spesso disposti a sinclinale rovesciata, si trova l’ anticlinale a ginocchio che costituisce i Monti Agaro, Coppolo, Vallazza, Pizzocco, Peron, Pelf, Serva, Dolada ecc. anticlinale troppo nota, perchè sì debba spendere in riguardo qualche altra parola. Ai piedi di codesta grande volta anticlinale, come si può rilevare dall’ esame degli spaccati, segue la sinclinale bellunese, il cui nucleo è occupato, secondo che l'erosione fu più o meno intensa, da rocce svariate che vanno dal Giurese al Miocene. Verso oriente questa sinclinale, e non frattura, incurvandosi in un regolarissimo arco, piega ad est-sud-est, per incrociarsi poi con la sinclinale di Fadalto. Dall’ incrocio di queste due sinclinali si origina la depres- sione tettonica del bacino di Alpago, il quale, contrariamente a quanto credettero l’ HoeRNES, il Moysisovios ed il FuTTERER, non è attraversato da alcuna frattura nè ha subìto il più piccolo sposta- mento (Vedi pag. 181). Anche la frattura di S.* Croce, come ritenne il TARAMELLI, è quindi puramente ipotetica e la sua esistenza, che si credette così importante pel modo col quale si comportarono i feno- meni sismici del 1873, non poggia su alcun dato di fatto sicuro ed indiscutibile. = 189 Se ci portiamo poi verso ovest presso Feltre, troviamo che l'ampia sinclinale bellunese va lentamente restrigendo il suo letto, finchè nelle vicinanze di M. Aurin devia dalla sua solita direzione e pie- gando a sud-sud-ovest, secondo l’asse della Valle di Seren, va a sfumarsi ad oriente del Grappa. Contemporaneamente tanto al M. Aurin, quanto più a nord nel M. Masieron e nella sella della Croce d’Aune, si allacciano (come già osservarono i geologi che mi prece- dettero) altfe due sinclinali. Quella più a nord, passando per Servo, Lamon, Castel Tesino e Pieve, va a fondersi con la sinclinale di Valsugana ; quella più a sud, attraversando Col Lan, la base di C.®* Campo presso Arsie e Fastro, attraversa il Brenta e, assumendo poi un tipo più largo di quanto non sì riscontri nel suo tratto di est, va a costituire la piatta sinclinale dei Sette Comuni. Al sud della sinclinale bellunese e delle altre minori che l’ ac- compagnano, succede l’anticlinale di M. Grappa, M. Tomatico, M. Cesen e Col Visentin, anticlinale che sì ripiega poi alla base in una falda più o meno regolare, contorta e spesso ridotta, ma sempre continua, sulla quale si adagiano poi tutte le formazioni terziarie delle Colline Trevigiane, senza fenomeni tali che possano giustificare l’esistenza della frattura di Val Mareno e delle altre secondarie de- scritte dal compianto Rossi. Fra le inflessioni minori che accompagnano l’arco dell’ anticli- nale M. Grappa-Col Visentin, che divide il Vallone Bellunese dalle Colline Trevigiane, dobbiamo ricordare la sinclinale di M. Miesna- S. Antonio Tortal pel versante nord e quella a lente o a conca di Alano-Segusino pel versante sud ; tutte e due con direzione parallela alla grande sinclinale bellunese, ma con percorso assai più limitato. Degno di menzione è il particolare che le formazioni terziarie del Trevigiano, che hanno una prevalente direzione da sud-ovest a nord-est, giunte presso Sonego piegano bruscamente a sud-est. È un fatto che a primo aspetto, specialmente se considerato da solo, desta — 190 — una certa sorpresa, ma se si tien conto dei rapporti che passano con le regioni vicine, si comprende come non è: che il ripetersi del feno- meno di deviazione ad est-sud-est che osservammo nella conca di Al- pago rispetto la sinclinale bellunese. A rendere più sentita e più ma- nifesta questa deviazione della regione collinesca di Sonego-Lucca- Montaner deve avere contribuito, con ogni probabilità, anche l’enorme spessore raggiunto, in coincidenza con l’altipiano del Cansiglio, dai calcari a Rudiste, che male si prestano a subire delle pieghe com- plesse e che si comportarono quindi, sotto l'aspetto dinamico, come delle masse rigide, contro le quali i sedimenti più 0 meno argillosi del Terziario, spinti da forze agenti tangenzialmente, subirono i più svariati ripiegamenti. (') Un altro fatto di singolare importanza, e che non va passato certamente sotto silenzio; consiste nel rovesciamento completo che presso Osigo, Lucca, Montaner ecc., si riscontra anche nelle più recenti formazioni mioceniche e nei conglomerati pliocenici. Ciò significa che il movimento orogenetico procedette ed assunse pro- porzioni considerevoli in periodi affatto recenti, probabilmente anche durante il Quaternario, in modo analogo a quanto si ritiene sia av- venuto per l'Appennino. Questo fatto mi riconferma inoltre nell’idea che il corrugamento delle varie catene montuose esaminate non ab- bia avuto luogo in una sola continua e regolare fase, ma che vi siano stati tempi diversi e velocità di propagazione diverse, per modo che una parte era già più o meno corrugata ed emersa mentre un'altra era ancora ricoperta al mare. i Tutto ciò naturalmente senza alcun intervento di quei grandiosi fenomeni di charriage che rivoluzionarono l’interpretazione tettonica delle Alpi. La geniale teoria dei geologi svizzeri è forse applicabile (1) Si vedano in proposito le seguenti opere: DAUBRÈE, Etudes synthetiques de Geéologie experimentelle e BarLey WiLLIs, The mechanies of Appalachian Structure, oltre ai ben noti la: vori di Surss, Hem, DE STEFANI, BERTRAND, ecc. — 191 — per regioni non molto discoste, ma non certamente per quella da noi rilevata, nella quale nessun fatto la potrebbe giustificare. Comunque, lasciando il campo delle induzioni che riguardano le tettoniche d’altre catene montuose e ritornando alla struttura dell’area studiata, concludo affermando che essa risulta di una serie di pieghe che si saccedono in modo diverso, ma sempre con rapporti assai semplici, spesso rovesciate a sud e disposte ad arco con la concavità verso il baeino Adriatico. dal quale verisimilmente doveva provenire la spinta del corrugamento orogenetico. Con ciò verrebbe quindi a cadere l’immaginosa teoria del Suess sulla disposizione a gradinata, con falde successivamente più basse per avvenuti scorrimenti lungo superfici di frattura, di tutte le ca- tene motuose periadriatiche. L'area esaminata non sarebbe invece a mio avviso che un tipico esempio di regione a piege, e questo tipo, lungi dall’essere esclusivo delle catene montuose fra il Brenta e î dintorni del Lago di S.* Croce, sarebbe comune a gran parte delle Alpi Venete. Prefazione PARTE PRIMA DESCRIZIONE DEI TERRENI CAPITOLO I. - Ammasso granitico di Cima d’Asta - Zona scistosa di Valsugana - Primiero ed Agordo CapiroLo II. - Permiano 3 CapiroLo III. - Trias CapiroLo IV. - Giurese CaprroLo —V. - Cretaceo CapiroLo VI. - Formazioni Terziarie . CapitoLo VII. - Alluvioni preglaciali . CaerroLo VIII. - Formazioni Glaciali Capirozo IX. - Alluvioni postglaciali e attuali . INDICE —— I . Pag. V CAPITOLO CAPITOLO CAPITOLO CAPITOLO CAPITOLO CAPITOLO = gr PARTE SECONDA DESCRIZIONE TETTONICA I. - Valle Orena - M. Tolva - Rio Secco - M. Asenaro e LE IONE IV. V. IVA M. Agaro - Castel Tesino - M. Campo - Fastro - Col del Gallo - Gola del Corlo - M. Oro - Col dei Serai - Semonzo - Romano - M. La Rocca - Corovigo - Pianura Bassanese - M. Scroz - M. Cavallara - Passo del Broccon - Gruppo di M. Coppolo - Bacino di Lamon e Ponte della Serra - Col Lan - Bacino di Arsie - M. Roncone - M. Grappa - Crespano - Possagno - Monfumo - Asolo - Pianura Trevigiana . - M. Redarega - Valle di Primiero - M. Tatoga e M. Viderne - Gruppo di M. Pavione - M. Masieron - Croce d’ Aune - M. Avena - Pedavena - Feltre - M. Tomatico - Conca di Alano - Segusino - Monfenera - Valceavasia - Colline di Curogna, Levada, Cornuda e Maser - Montello occidentale - Montebelluna - Pia- nura Trevigiana. - Forcella Cereda - Sass de Mur - Conca di Neva - Valle di Canzoi - M. Grave - Villabruna - Villapaiera - M. Miesna - Valle del Piave - Lentiai - M. Orsere - Valdobbiadene - S. Stefano - Pianura di Mosnigo - Montello - Pianura Trevigiana . M. Luna - Forcella Aurine - M. Gardellon - Torrente Mis - M. Brando] - Altopiano di Erera - Piano Eterno - M. Pizzocco - M. Piz - Roncoi - Vallone Bellunese - Mel - Carve - Col de Moi - M. Castello - Dintorni di Cison - Colline a nord di Solighetto - Pianura di Soligo - Colle Guarda - lume Piave - Pianura Tre- vigiana Pale di S. Lucano - Rivamonte e Conca d’ Agordo - Valle Imperina - Stretta del Cordevole - Cima del- . Pag. 101 109 123 137 147 CapitoLo VII. - CapriroLo VIII. - — 195 — l'Uomo e Corno di Valle - Gruppo del M. Ferruch - M. Peralora, Nusieda e Vedana - M. Peron - Le Rovine - Valle del Piave - Pianura di Trichiana - S. Antonio - M. Cimone - Val Mareno - Colline di S. Pietro di Feletto e S. Michele - Pianura Trevigiana Cime di S. Sebastiano - M. Piacedel - M. Fieno - M. Talvena - M. Pelf - Valli dell’Ardo e del Gresal - M. Serva - Valle del Piave all’est di Belluno - Faverga - M. Novegal - Col Visentin - S. Floriano e Negrisole - Costa di Serravalle - Costa Fregona - Vittorio - Colle Umberto - Pianura Trevigiana Cima di Serra - M. Campedello - Dintorni di Lon- garone - Torrente Vaiont - Piz di Gallina - M. Dolada - Conca di Alpago - Lago di S.* Croce - Valle di Fadalto - Altopiano del Cansiglio - Osigo - Mezzavilla - Cappella e pianura Trevigiana CapitoLo IX. - Conclusioni Pag. 159 e MICI SULLE Î GIORGIO DAL PIAZ SAMOIDI GEOTETTONICI SULLE MERRORITENTATLI SERIE DEI TERRENI ATTRAVERSATI DALLE SEZIONI I a VIII (Tavole 1 a IV) Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S°? Croce | Mora Oaetel Tesino A tBalastrin Climpo Pesto I del Gallo Laomon e cr Calcare a Rudiste f Frane e Scoscendimenti GESS al Alluvioni postglaciali passi ci Cretaceo medio e inferiore | esi to Torbiere EA m Malm RES n Materiale morenico d Dogger ESS. Alluvioni preglaciali e interglaciali Es 1 Lias E ape Alluvioni preglaciali esterne Esdcnp Pliocene e Pontico Tortoniano Elveziano, Langhiano, Aquitaniano Miocene in generale Basalte Oligocene Eocene ed Oligocene Esa ts Trias superiore | bw Formazioni di Wengen e di Buchenstein Pess ms Muschelkalk ==] ti Trias inferiore E cb Permiano superiore - Calcare a Bellerophon fuso g Conglomerati ed arenarie di Val Gardena FR) n Porfidi quarziferi [usi & Dioriti Eocene y Oraniti Scaglia Bea .s Filladi quarzifere e Scisti cristallini , SCALA 6. Dal Piar dis per le lunghezze e per le altezze: 1 a 50000 () 1 2 3 4 5 6 7 8 Ru) LOI .1_— —— | ———— Tren — ___—_—_ Mi GIORGIO DAL PIAZ | STUDI GEOTETTONIGIRSUIO MP RIENI TAVOLA Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S° Croce Lurtri Tonino Cibalestrin canoe Faggro Dl del Gallo Fdemon Cdella Martina CParine Moro Altas ., SCALA per le lunghezze e per le altezze: 1 a 50000 3 4 3 | GIORGIO DAL PIAZ | MRO NS API ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S° Croce in - mea di Peltre Sanzonio le di.ioniero Mi Videre Mirrione Miestn Mt Masioron Pedavena Mas Game, Ù 7 È La le s lle S Martino x Daloitoi Forcella, Greta Saas de hr Matra At tolsento M-Salaren Mbrare | Grorame Villapaiera Mfiosna Pre Miogo Ulrro abrdari Prazso S.Siro al pa si Ri se & t cm): = = | Il SCALA G.Dal Piaz dis per le lunghezze e per le altezze: 1 a 50000 o a) 2 3 + 5 e: 7 8 O 39 gn I——————— _ _ _ _ _ ——»——»» Cell =1 GIORGIO DAL PIAZ | SII GEOTETTONICI SULLE ALPI ORIENTALI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S: Croce TAVOLA I Prelarona Omoa di Paltre sf M-Tamatico MTese Mella, "n iso: a î i i MSuldor Cal Montello Occidentale Rianura.Trerigiana Qrarame Villapaiera Aitina PRiom M£ego Ibrsoe GBarberin Presso $.Steftino le S Martino Mosrigo Rive Montello Sym Honura.Trerigiana SCALA per le lunghezze e per le altezze: 1 a 50000 : fat Ito]. d'Arti Grafiche, Bergamo. o 1 2 3 4 5 (PR 7 8 O 39m _———€. ni] ———_—_—_—_—_—_—_—_ __—_ —_ ——__- a Î A Tel, “a CN PI x | 8 - | | GIORGIO DAL PIAZ SIRUIDI GEOTEFTTONIGIMSULI.E MHEbIKORIENTATI Regione fra il Brenta e i dintorni del Lago di S° Croce Mina Eturine — Mibardellon Faria (utPernia Arda lot Lr | Tr Grad o e danno Corpo Qstolada DI gegio TalPeron MOrstrltarro Rio intra Pronggjani n mise i) ta xcrgta Hove di Sotighatto Sarenni Mbaina: cme Vini AtRerich AtPeralora. 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DAL Piaz, ma anche dalla sua offerta di affidarmi lo studio di una parte del cospicuo materiale che si conserva nel museo dell’ Istituto da lui diretto. E formeranno og- getto del mio studio anche alcuni avanzi di Vertebrati esistenti nei civici musei di Vicenza e di Verona e gentilmente messi a mia disposizione dai rispettivi direttori. I resti terziari che mi propongo d'’illustrare appartengono quasi esclusivamente al gruppo dei Rettili, quelli quaternari a Mammiferi di alluvioni e di grotte; alcuni, come ad es. il Crocodilus vicetinus Lioy, vennero già illustrati, ma in modo inadeguato o dal lato de- scrittivo o da quello iconografico, altri sono invece completamente inediti. Al prof. Dar Piaz che, oltre d’affidarmi lo studio degli accen- nati fossili, s'adopera per facilitarmi le ricerche relative procuran- domi libri e materiale di confronto, e alle Direzioni dei Musei di Vicenza e di Verona, esprimo i sensi della mia più viva ricono- scenza. Istituto geologico della R. Università di Padova, ottobre 1912. SP SS I. — IL TIPO DEL CROCODILUS VICETINUS LIOY CENNO STORICO Nell’ agosto del 1865 il dottor BeeGIaTo, che da vari anni de- dicava l’ opera sua intelligente ed appassionata alla sezione di Storia Naturale del Museo Civico di Vicenza, acquistava uno scheletro di Coccodrillo allora scoperto nelle ligniti terziarie del monte Purga di Bolca (Verona) da Grovaxxi BartIsta Cerato ('). PaoLo Lroy, che in quel tempo prestava la sua attiva collabo- razione al BeeGiaTo nel riordino delle collezioni del Museo, sì as- sunse di studiare e far conoscere il magnifico fossile. Ne parlò da prima in una conferenza riprodotta nel Messaggero di Rovereto e ne diede quindi la descrizione sullo stesso giornale, descrizione che venne ristampata con poche varianti negli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali (*). Si può dire che per questo Coccodrillo — che divenne il tipo della nuova specie Cl. vicetinus — il Lroy serbò quasi (1) Il Lioy nella memoria che cito nella nota (!) della pag. seg., attribuisce la scoperta ad AmrtILIO CeraTO, ma il figlio di questo GiusePPE, che vive a Bolca, mi asserì che il prezioso fos- sile venne scavato invece da suo zio GIovanNI BATTISTA, fratello di ATTILIO. (®) Lioy P. - IZ Museo di storia naturale a Vicenza e il Coccodrillo fossile testè scoperto. Discorso. Rovereto. 1865. Lioy P. - Sopra uno scheletro di Saurio Proceliano fossile. Rovereto, 1865. Lioy P. - Cenni sopra uno scheletro completo di Coccodrillo fossile scoperto in Monte Purga di Bolca - Crocodilus vicentinus Lioy. Atti Soc. It. di Se. Nat. vol. VIII, pag. 393 - 397. Milano, 1865. — 200 — una predilezione, poichè non solo ne riparlò occasionalmente varie volte dopo il ’65, ma ne scrisse ancora in particolare nella mono- grafia I Coccodrilli fossili. del Veneto pubblicata nel 1896 ('). E lo ricordò ancora una volta negli ultimi anni della sua vita nel terzul- timo scritto Divagazioni geologiche (Nuova Antologia, 1906, fasc. 822, pag. 203), pochi mesi prima che gli sopravenisse quel male da cui non potè più riaversi, nonostante la sua robusta fibra, che fino a settant'anni gli aveva pur mantenuto energia di forze e vivacità di spirito veramente giovanili. Per quanto a varie riprese abbia trattato del C. vicetinus, tut- tavia il Lroy non lo illustrò mai con figure, ma soltanto ne distribuì fino dal 1865 una piccola fotografia a qualche amico e un’ altra ne fece eseguire molti anni più tardi, e di questa mandò una copia al Sacco, il quale la riprodusse nella tavola che accompagna il suo lavoro sui Coccodrilli del Monte Bolca (*). Certo per deficienza della fotografia, la figura del Sacco lascia molto a desiderare, poichè non permette di rilevare con sufficiente evidenza, sì può dire, nemmeno le caratteristiche principali della specie. In questi ultimi tempi, per le solite alterazioni che sì manife- stano nei materiali lignitici e che minacciano continuamente la con- servazione dei fossili in essi racchiusi, il prezioso tipo del C'. vicetinus presentava qua e là delle efflorescenze col pericolo che qualche pezzo sì scompaginasse. Rimediato a questi inconvenienti e assicurate le parti che minacciavano di staccarsi, colsi l’ occasione per iscoprire dalla lignite alcuni punti dello scheletro che ancora rimanevano na- scosti e per fare dell’ intero fossile la nuova fotografia che è ripro- dotta nell’ unita tavola. Pubblicando l'illustrazione completa del ma- 1) Atti del R. Istituto Veneto di Sc. L. ed Arti, Tomo VII, serie VII, pag. 753-783. Venezia, 1896. (?) Sacco F. - I Coccodrilli del Monte Bolca. Mem. della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie 2*, tomo XLV, pag. (5-88. Torino, 1896. — 201 — gnifico fossile, tanto caro a chi primo l’ aveva descritto, sento quasi di compiere un dovere verso la memoria di PaoLo Lroy, al quale ero legato da particolare riconoscenza ('). DESCRIZIONE L’ esemplare sul quale il Lioy fondava la nuova specie — che appartiene al genere Crocodilus s. s. — è rappresentato da un in- dividuo pressochè completo (fig. 1 della tavola). Tuttavia non è pos sibile fare una descrizione sufficientemente dettagliata delle singole parti, causa le rotture e le deformazioni che il fossile ebbe a subire. Infatti il cranio è schiacciato e compresso da sinistra a destra, la colonna vertebrale, fortemente piegata a sinistra nella sua parte an- teriore, è spezzata e deviata nella regione dorsale e così pure al- l’ estremità lombare, e le vertebre in molti punti sono rotate le une rispetto alle altre e s’ accavallano lateralmente. Delle cinture e degli arti, quegli anteriori sono in parte scompigliati e ricoperti dalla co- lonna vertebrale, per modo che quasi nessuno dei pezzi ossei che li compongono è totalmente visibile. Malgrado ciò, il tipo del C. vicetinus resta sempre uno dei più completi e cospicui esemplari di Coccodrillo finora scoperti nel Ter- ziario Veneto ed è ben degno dell’ appellativo di “ magnifico ,, da- togli dallo ZirtEL. (') La Commissione del Museo Civico di Vicenza, come suo membro per la sezione di Storia Naturale, mi aveva affidato l’incarico di scrivere pel Bollettino del Museo alcune pagine in memoria di PaoLo Lioy, da pubblicarsi nel primo anriversario della sua morte, avvenuta il 27 gennaio 1910. M’ ero così proposto di parlare dei meriti del Lroy verso il Museo di Vicenza, illustrando i più cospicui esemplari di fossili del Museo stesso donati o illustrati dal Liov. Es- sendosi però dovuto sospendere, per motivi che qui è inutile riferire, la stampa del Bollettino accennato, ho pensato di pubblicare a parte quanto si riferisce al C. vicetinus, e ringrazio il prof. Dar Praz, che volle ospitare quest’ articolo nel 1° volume di queste Memorie, ed i Colleghi della Commissione del Museo di Vicenza i quali deliberarono che il Museo si assumesse la stampa della tavola. — 202 — Cranio. — È visibile solo dalla parte superiore. Benchè spezzato e deformato per compressione, sopra tutto dal lato destro, è tuttavia in condizioni tali che permettono di ricostruire anche iconografica— mente la sua forma primitiva, come ho cercato di fare nella figura C della pagina seguente, tenendo conto delle dimensioni delle varie parti e delle deformazioni avvenute. Prendendo come termine di paragone (') il cranio della specie vivente più nota, cioè del C. niloticus, il carattere che prima di tutto colpisce nel Cl. vicetinus è la forma corta e tozza del cranio, ed infatti il rapporto fra la larghezza massima (ai timpanici) e la lunghezza è espresso da 1:1/, circa, mentre nel Cl. wiloticus lo stesso rapporto è in media 1:2. Si nota inoltre un forte sviluppo della piattaforma cranica o area squamoso-parieto-frontale, che è più larga che lunga, trapezoide, rastremata e arrotondata in corrispondenza dei postfrontali. Le fosse temporali superiori sono proporzionalmente piccole e assai distanziate; le creste occipitali laterali robuste. Il frontale è molto largo, pianeggiante, a butterature mediocremente marcate. Le fosse orbitali anteriormente si restringono ad angolo arrotondato e si spingono molto in avanti, in modo che il loro estremo anteriore raggiunge quasi la metà della lunghezza del cranio a par- tire dall’ estremità del quadrato. Ossa mascellari e premascellari corte e robuste. Fossa nasale relativamente larga e corta; estremità ante- riori dei nasali poco sporgenti. Le suture sono visibili solo in pochissimi punti e perciò non è possibile rilevare esattamente il contorno e dare la descrizione det- tagliata di tutte le ossa. Mandibole. — Di queste ben poco si può dire, anche perchè re- stano in gran parte coperte dalle ossa del cranio: infatti del ramo (') Ringrazio il prof. CARAZZI che mise gentilmente a mia disposizione il materiale osteo- logico dell’ Istituto di Zoologia da lui diretto. 1dsa openb {e ‘00190[00z QuoIZes Bou 010} BA198U09 (NOOUNTAMIG “JT "818 pp ‘vinsrg ‘Joad *I}uoWIVIZ RISULTI IOTUT T QUI IMYBN ‘DM ‘ Jeu o9uagsIso oxegduoso um vp esoIg (1) 9 07UQUIBSS919JUI ©]I uos 10d ‘turegeiAUI © VuuAT Ip umnasnurzo SOUOSLIO]SIU b b . b . va eo È % O ‘ere[[ooseuroid “ud - ome[[oosewai ‘WU - Ogesgu ‘vm - epeumaor] ‘) - ojeBnis ‘l - oeguo1zo1d ‘Jo - eeguorggsod ‘/d - aequo «/ - osowenbs ‘bs - o[egormed ‘d - oeSn18 - ogeapend ‘Ch - oquapend osso ‘d “a 18 eqpop "/ pe ‘opmuiofop nou oysoddns e[peur8rio [ep ‘84272020 ) = D TU ‘13 [op omo */, è ‘(7) ®yeadogo; eun ep o AMOavp, ]ep ‘snsood ‘9 = gi — "u ‘13 eItop "/ pe ‘o10A ]ep ouSasip ‘8027024 “ID = V — 203 — — 204 — destro non è visibile che l'estremità articolare, mentre del sinistro rimangono scoperti l’angolare e parte del sopraangolare e del den- tale. Il forame mandibolare laterale è di mediocri dimensioni, subel- lettico e situato in corrispondenza al terzo circa della lunghezza della mandibola a partire dall’ estremità posteriore. Nel complesso le man- dibole appaiono massicce e robuste. Denti — Sono visibili soltanto 11 denti del lato sinistro, dei quali appena quattro o cinque completi. Esclusi i denti posteriori, che hanno profilo conico-ogivale e sezione trasversa ellittica (v. fig. 4 della tav.), gli altri sono più o meno fortemente compressi e presentano i mar- gini taglienti e provvisti di una fine crenellatura quasi invisibile ad oc- chio nudo (fig. 25). La superficie è percorsa longitudinalmente da fi- letti irregolari un po’ ondulati, che le danno un aspetto finamente rugoso. Nella fig. 3 sono rappresentati il 4° e il 5° dente del mascel- lare, molto sviluppati, come sì vede, e assai compressi e taglienti lungo i margini (Il 4° è ruotato di un angolo retto rispetto alla sua po- sizione primitiva). Le fig. 2 e 24 mostrano il 4° dente della mandibola, molto convesso dal lato esterno, un po’ ricurvo verso l'interno e con l’apice arrotondato. DIMENSIONI Lunghezza del cranio dal condilo occipitale all’estremità anteriore mm. 333 Lunghezza del cranio a partire dalla retta che unisce 1 tuber- coli interni dei quadrati fino all’ estremità, anteriore 2 SD Larghezza massima del cranio ai quadrati ; cirea” 157210 Distanza dall’articolazione del quadrato all’orlo anteriore delle orbite ; È ° 5 3 3 5 ME Massima larghezza della piattaforma cranica . S nigi EOS Distanza fra le due fosse temporali superiori . : SR, 20 Diametro trasverso delle fosse temporali superiori . RS 25 :B08, Minima distanza fra le orbite . 1 : : Nim dl Diametro trasverso della fossa nasale . ; ; circan a 32 Diametro antero-posteriore mediano della fossa nasale , Ei 31 Lunghezza del 5° dente del mascellare (dal margine del- l’alveolo) . È ; È | ma dI Lunghezza del 4° dente del mascellare (dal margine del- l’alveolo) . i i È i vita 40 Lunghezza del 4° dente della mandibola (dal margine del- l’alveolo) . 4 ; ì Sa or 28 Diametro massimo del 5° dente del mascellare ; slora i9 5 5 s 4 della mandibola i , SITE 13 Colonna vertebrale. — Ho accennato più sopra alle condizioni tut- t’altro che buone in cui si presenta la colonna vertebrale. Aggiun- gerò che, oltre ad essere spostate e contorte le une rispetto alle altre, le vertebre sono per lo più o rotte o corrose oppure in posizione tale che non è possibile vederne una in modo completo, e perciò ho do- vuto rinunciare a figurarne qualcuna separatamente. Sono visibili sei cervicali, a corpo massiccio, molto sviluppato. Nella 3° il corpo è lungo mm. 31, alto circa 35 (dal margine postero-inferiore alla base della spina neurale); la spina neurale è larga e relativamente breve, essendo lunga 30 mm. Alle cervicali segue una parte della serie dorsale cogli elementi così compenetrati e contorti che non si possono neppur contare esattamente: sembra siano una decina. Poi la colonna vertebrale è spezzata e l’altra estremità è spostata a destra e visibile solo dal lato esterno, per cui delle vertebre dorsali rimanenti e delle lom- bari si vedono soltanto la spina neurale e i larghi processi trasversi che si scorgono bene nella fig. 1 della tavola. Di questa serie si di- stinguono nove vertebre, la cui larghezza media, ai processi tra- sversi, è di 55 mm. e La regione sacrale resta coperta dalle ossa del bacino. Subito al di là, ma isolata e spostata a destra, si vede una vertebra, ch’ è probabilmente la 2° caudale. Anch’ essa però è incompleta, perchè rotta alla spina neurale e mancante di quella emale. L’ asse longi- tudinale del suo corpo è lungo 31 mm., mentre il diametro trasverso ne misura 24. Vengono infine le rimanenti caudali, di cui se ne distinguono poco più di 20. Le spine emali sono molto sviluppate e nelle vertebre medie, dove sono visibili, raggiungono la lunghezza di quasi 80 mm. Delle coste solamente sei o sette si poterono isolare; le maggiori sono lunghe circa 135 mm. La colonna vertebrale, nelle condizioni in cui si trova attual- mente, misura all’ ingrosso m. 1,45, tenuto conto però delle defor- mazioni subite sì può ritenere che raggiungesse almeno la lun- ghezza di m. 1,65, dei quali 17 cm. circa spettavano al collo, da 60 a 65 al tronco e da 80 ad 85 alla coda. La lunghezza comples- siva dell'animale, dall’estremità del muso a quella della coda, doveva dunque superare di poco i due metri. Cintura ed arti anteriori. - La parte destra è tutta scompaginata e la sinistra resta per buon tratto coperta dalla colonna vertebrale, cosicchè le singole ossa non si possono descrivere che in modo assai incompleto. Del coracoide si scorge solo la parte distale falcata, trovandosi il resto impigliato da un lato nei frantumi d’altre ossa e dall’ altro essendo strettamente a ridosso della scapola. La scapola è relativamente corta e molto espansa, misurando mm. 116 circa di lunghezza, 21 di larghezza al collo e approssima- tivamente 55 all’espansione alare. L’omero è visibile solo nella sua metà prossimale che risulta molto ingrossata nella regione articolare. Tenuto conto dell’ omero — 207 — sinistro, che è invece scoperto nelle parti media e distale, le misure di quest’osso sono approssimativamente : lunghezza totale mm. 160, diametro minimo della diafisi mm. 17. Il radio resta isolato anteriormente a destra dell’omero, ma è rotto ad un'estremità. Immaginando di completarlo con la parte scoperta del sinistro, si avrebbe una lunghezza totale di mm. 104, con diametro minimo della diafisi di mm. 11. L'ulna destra non è visibile affatto e quella sinistra resta pur- troppo in gran parte nascosta. Cintura ed arti posteriori. - Queste parti dello scheletro si trovano in molto migliori condizioni delle precedenti. Del bacino rimangono isolate le ossa iliache e l’ischio destro. Le ossa iliache hanno forma spiccatamente falcata e nella loro maggiore lunghezza antero - posteriore misurano circa 120 mm. e in quella trasversa mm. 70. L'’ ischio destro, rotto all’estremità prossimale anteriore, doveva esser lungo più di 1 decimetro. La sua minima larghezza alla parte media è di mm. 25. Passando agli arti, va rilevato subito che il femore e gran parte della fibula di destra vennero ricostruiti in gesso. Il femore, basandosi su quello che è visibile del sinistro, è ro- busto ed è largo, alla metà della diafisi, mm. 24. La lunghezza do- veva essere poco più che 170 mm. Bene sviluppate sono pure la tibia e la fibula; la prima è lunga mm. 140 e larga alla diafisi mm. 16,5; la seconda misura 111 mm. di lunghezza e 14 di diametro alla diafisi. Le ossa tarsali non si possono vedere distintamente, sia perchè spostate sia per la materia lignitica e per la colla che in parte le ricoprono. — 208 — Si scorgono invece abbastanza bene qualcuno dei metatarsali e gran parte delle falangi. Il metatarsale 1° misura 65 mm. di lunghezza e 12,5 di dia- metro alla diafisi. Il metatarsale 4° è lungo 63 mm. e largo a metà diafisi mm. 55. Nel 1° dito la 1° falange è lunga 25 mm., la 2* unitamente all’ungueale mm. 31. . La falange ungueale del 2° dito raggiunge i 22 mm. CENNI COMPARATIVI Esaminati i caratteri delle singole parti nel modo che era pos- sibile data la conservazione troppo spesso imperfetta delle medesime, passiamo a qualche raffronto, limitandoci a considerare il solo cranio e anche questo più che altro nella forma complessiva. Prescindendo dai dettagli, che pure hanno grande importanza nella distinzione delle specie, ma che in quelle fossili non sempre sono rilevabili, il cranio dei Coccodrilli trae la sua caratteristica principale dal maggiore o minore sviluppo in lunghezza o in lar- ghezza dei pezzi ossei anteriori, specialmente dei mascellari e dei premascellari, per modo che ne risultano dei tipi a muso stretto e lungo, oppure corto e tozzo. Per fissare sotto questo aspetto morfologico d'insieme il posto del C. vicetinus, ci riferiremo ad alcune delle specie viventi e fossili che riteniamo prestarsi meglio allo scopo, elencandole in modo che la prima rappresenti il tipo a muso lungo e stretto, l’ ultimo il tipo opposto e le altre dei tipi intermedi: Crocodilus americanus Laur. — vivente nell’ America centrale. 5 acer Cope (') — Eocene dell’Utah (Stati Uniti). (!) Cope E. D. - The vertebrata of the tertiary Formations of the West. Rep. of the United St, Geol. Survey of the Territories. Vol. III. Washington 1884, Pag. 154, tav. XXIII, fig. 1, 2. — 209 — Crocodilus niloticus Laur. — vivente nell’ Africa. } porosus Schneid. — fossile (') nell'India e vivente nell’ Asia sud-orientale. 5 vicetinus Lioy — Eocene di Bolca. = depressifrons Blainv. (@) — Eocene inferiore di Meudon. ù palustris Less. — vivente nell’ Asia meridionale. Risulta dunque, che il cranio del C. vicetinus appartiene a un tipo di mezzo, più vicino però a quelli del secondo gruppo, e presenta rispetto alle specie viventi più stretti rapporti col C. porosus (= Cl. biporcatus Cuv.) che non col C. wiloticus (— C. vulgaris Cuv.) come si può rilevare anche dalle figure riprodotte più indietro. Riguardo alle specie fossili terziarie il Coccodrillo di Bolca s’avvicina al C. depres- stfrons, che però ha il cranio, in proporzione alla larghezza, più corto e di forma più spiccatamente triangolare. Quest’ ultimo carattere si nota anche nel C. aeduicus Vaillant (?) deli’ Oligocene del bacino dell’ Allier, per quanto tale specie sia più vicina della precedente al C. vicetinus, sia per la forma meno slargata del muso sia pel maggior sviluppo della piattaforma cranica, la quale raggiunge presso a poco le proporzioni che sì riscontrano nella specie di Bolca. Questa resta poi ben distinta e dal miocenico C. bdistikonensis Meyer (°) e dalle forme eoceniche d’ A merica illustrate dal Cope oltre al citato C. acer, quali il C. affinis e il C. clavis (Cope 1. c., pag. 157- 166, tav. XXI, XXII) che hanno tutte un tipo di cranio più stretto ed allungato. (') FaLcoxeR's Palaeontological memoirs. - Fauna antiqua sivalensis - On the fossil Cro- codiles of the Sewalik Hills, by capt. P. T. CaurLEy. Londra 1868, Pag. 344. (*) BLarviLLE H. M. - Ostéographie ecc. Paris 1839 - 64 Tome 4. Genus Crocodilus, tav. VI. (3) VarcLant L. - Etude zoologique sur les Crocodiliens fossiles tertiaires de Saint - Geraud Le Puy. Ann. d. Sc. Géol. III, 1872. Art. N. I. Pag. 48, tav. II, fig. 9. (4) Meyer H. - Crocodilus biitikonensis, aus der Siisswasser - Molasse von Bùtikon in der Scluvceiz. Palaeontographica, IV Bd. Cassel 1856. Pag. 67, tav. XII. — 210 — In conclusione resta che il C. vicemus ha più stretta parentela, a giudicare dalla forma complessiva del cranio, col C. porosus del- l’ Asia meridionale-orientale e ciò aggiunge un nuovo elemento di affinità riguardo ai rapporti che, a cominciare dai Pesci, le faune e flore di Bolca presentano con le faune e le flore ora viventi nelle Indie orientali. SULLA POSIZIONE CRONOLOGICA DELL’ ORIZZONTE A C. VICETINUS Discordi sono i pareri degli autori riguardo al riferimento cro- nologico del livello a Coccodrilli di Bolca. Infatti il Lroy (opere citate) riporta gli strati lignitici in cui venne scoperto il C. vicenus all’ Eocene; e così pure il Suess, il quale però precisava meglio e poneva l’ orizzonte in parola fra il calcare di Roncà e il gruppo di Priabona ('), sineronizzandolo al livello a palmizi del Monte Vegroni, che il MassaLoxco (*) attribuiva invece all’ Oligocene. Anche il Motron (’) considerava oligocenico il giacimento a Palme e Cocco- drilli di Bolca e lo faceva corrispondere alla formazione ligiitica con Antracoteri di Monteviale. Il Nrcoris (*) propendeva a ritenerlo del- l’ Kocene superiore o un poco più recente, cioè in sostanza fra l’ Eocene più alto e l’ Oligocene, opinione condivisa dal Sacco (I. c., (1) Suess E. - Ueber die Gliederung des Vicentinischen Tertiargebirges. Sitzb. d. k. Ak. d. Wissensch. Bd. LVIII. Juli- Heft. Wien, 1868. Pag. 8 dell’ estr. (£) MassaLongo A. - Syllabus Plantarum fossilium hucusque in formationibus tertiariis Agri Veneti detectarum. Veronae, MDCCCLIX. Pag. XI. (3) MoLon F. - Sulla Flora terziaria delle Prealpi Venete. Mem. della Soc. Ital. di Sc. N. Tomo II, n. 3. Milano 1867. i (4) Nicoris E. - Della posizione stratigrafica delle Palme e del Coccodrillo fossili, scoperti e scavati nei sedimenti del Terziario inferiore del bacino di Bolca da Attilio Cerato ecc. Verona 1884. Pag. 6. — 211 — pag. 77). Infine l’ OppenHEIM (') e il Dar Lago (*) seguono il parere del Surss. Cedesta disparità di vedute può spiegarsi tenendo conto che non è facile rilevare i rapporti stratigrafici esatti quando sì tratta, come nel caso degli strati a Coccodrilli di Bolca, di depositi compresi fra rocce piroclastiche in una zona sconvolta da eruzioni basaltiche e attualmente coperta di vegetazione generalmente fitta. Mi pare tuttavia che, partendo dalle condizioni stratigrafiche locali e riferendoci a quanto si verifica in luoghi vicini, sia possibile stabilire quale delle opinioni accennate risponde con maggior pro- babilità al vero. Notiamo anzitutto che in corrispondenza alla sezione Spilecco - Purga di Bolca = Monte Postale la serie stratigrafica comprendente l'orizzonte a Coccodrilli è così composta nei suoi termini princi- pali, a partire dal basso: 1. Scaglia senoniana. 2. Tufi e calcari di Spilecco a Nummulites spileccensis - bolcensis, Rhynchonella polymorpha ecc. 3. Brecciole basaltiche. 4. Grosso banco calcareo a Lithothamnium e Nummuliti. 5. Calcari lastriformi a Crostacei e Pesci (Pesciaia di Bolca). 6. Calcari ad Alveoline. . Calcari a Molluschi (fauna di M. Postale). 8. Zona di calcari con Nummuliti (N. Pratt D’ Arch., N. Mur- chisoni Briinn.) Alveoline, Molluschi, Echinidi (Brusaferri). =I (*) OpPENHEIM P. - Neuen Binnenschnecken aus dem Vicentinischen Eocaen. Zeitschr d. Deutsch. geol. Ges. 1895. Passim. — In. - Das Alttertit: der Colli Berici in Venetien, die Stel- te) lung der Schichten von Priabona und die Oligocaene Transgression im Alpinen Europa. Ibid. 9 9 9 1 } 1896. Vedasi la tabella a pag. 151. (*) DaL Laco D. - Note illustrative alla carta Geologica della Provincia di Vicenza. Vi- cenza 1903. Pag. 96. — 212 — 9. Grande massa di brecciole con frammenti calcarei che con tengono Nummuliti del livello precedente. 10. Ad una certa altezza fra le brecciole esistono degli argil- loscisti carboniosi papiracei, che passano qua e là a lignite e sono accompagnati da argille. Negli strati lignitici sul versante nord della Purga di Bolca, verso la quota 850 e nella località detta “ Col Battaja ., fu scoperto il primo scheletro di CrocodwWlus vicetinus. 11. Seguono altre brecciole, con un letto a resti di Piante (Palme) nella locatità dei Pratichini verso la quota 875 a ovest- sud-ovest della Purga di Bolca. 12. Il tutto è poi ricoperto dalla massa di basalte colonnare che s’ erge a cupola, formando la parte superiore della Purga di Bolca. Secondo le indicazioni di Giuseppe CERATO, esisterebbero due livelli lignitici ben distinti uno inferiore a Coccodrilli ed Emys, l’altro più alto a 77:0nyx; e così pure di resti di Piante si avreb- bero due orizzonti, quello dei Vegroni inferiormente e quello dei Pratichini al di sopra, fra i quali resterebbero compresi cronologi- camente i due precedenti. FK questa interpretazione è in complesso ammessa anche dal Nicotis (1. c.). Però, per quanto io abbia esaminato, e ripetutamente, tutte le località, non sono riuscito a vedere le cose in modo di- verso da quello che risulta dalla successione prima riportata e ritengo che l’ opinione di Cerato e NicoLis, almeno per gli orizzonti a Piante, sia derivata dal fatto che il giacimento dei Vegroni, per gli spostamenti tettonici e pei disturbi prodotti dalle eruzioni basal- tiche, sì trova isolato e ad un livello di oltre 200 metri più basso di quello dei Pratichini e può quindi ritenersi a prima vista come spet- tante a un livello cronologico più antico dell’ altro. Comunque sia la cosa, l’ essenziale è questo che l’ orizzonte a tlnig — Coccodrilli è più recente dei calcari a Nummuwlites Pratti e N. Mur- chisoni dell’ Eocene medio e sta sotto al giacimento a Palme dei Pra- tichini, che secondo il NrcoLis sarebbe contemporaneo a quello di Chiavòn. Ammesso che quest’ ultimo riferimento fosse esatto, siccome l'orizzonte fillitico di Chiavòn spetta alla parte media dell’ Oligo- cene, resterebbe intanto escluso che il sottostante livello a Cocco- drilli fosse sinerono colla formazione lignitica di Monteviale, che appartiene pure all’ Oligocene medio, ma a un livello un po’ più alto di Chiavòn ('). Sta però il fatto che in luoghi vicini a Bolca, come per es. a Roncà, in val dei Mazzini e nei dintorni di Novale e di Cornedo, esistono giacimenti a resti di Coccodrilli (riferibili al C. vicetinus) accompagnati da conchiglie d’acqua dolce e ter- restri e sottoposti ad orizzonti a Piante che si possono sincroniz- zare con la fiora del M. Vegroni e dei Pratichini (*). Tutte queste formazioni poi, come si può constatare nel versante sinistro della Valle dell’ Agno, fra Novale e Cornedo, stanno sotto agli strati ma- rini del Priaboniano tipico e quindi risultano comprese fra l’ Eocene medio e il superiore. Da ciò siamo dunque condotti a ritenere come più attendi- bile l’opinione che gli strati a Cl. vicetinus spettino alla parte superiore dell’ Eocene medio e si siano formati durante la regressione che nel Vicentino occidentale si verificò alla fine del- l’ Eocene medio, come indicano le accennate formazioni d’acqua dolce () Fasiani R. - Nuove osservazioni sul Terziario fra il Brenta e l' Astico. Atti dell’ Acc. Veneto - Trent. - Istr. - Anno V, fase. I. Padova 1912. Pag. 19, 20 dell’ estratto. (€) Cfr. Suess l. c. pag. S. - OpprxHEIM. Newen Binnenschnecken ecc. pag. 76. - SquinaBoL S. La flore de Novale. Mém. de la Soc. Fribourg. d. Se. N. 1901, fasc. I. — In. Resti di Cocco- drillo fossile a Cornedo nel Vicentino. Atti del R. Istit. Veneto di Sc. l. ed a. Tomo LXI, 1912. Pag. 183- iST. — In. Piante fossili di contrà Cantone (Novale). Atti dell’ Acc. di Sc. L. ed Arti di Padova, vol. XIX (1902). - Dar Laco l. c. i — 214 — pi occidentali arrivava tuttavia il mare, per quanto poco pr cominciavano a deporsi gli strati dell’ orizzonte a Cert m SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA “Ro é DARI, a PR i î NI. Fig. 1 - Crocodilus vicetinus Lioy. — Esemplare tipo, ad !/; circa della gr. n. ep "RI » 2 - Il 4° dente della mandibola sinistra, visto dall'esterno, in gr.eni 2 Cao : gi e » 2 a - Lo stesso visto dalla parte posteriore, n gr. n. A 4 e » 2 d - Punta dello stesso, vista dal lato esterno, ingrandita due volte per . Vutta ; = i eo mostrare la crenatura dei margini. |. è » 3 - I denti 4° e 5° del mascellare destro, in gr. n. Il primo rimase spo- ki stato per rotazione e quindi è. visibile dal lato posteriore; il se- condo invece è visto dal lato esterno. Ì » 4 - Uno dei denti posteriori, in gr. n. è i Ra Ba L’esemplare, che proviene dalle ligniti eoceniche di Bolca, si conserva nel 4 Sdi Museo Civico di Vicenza. Crocodilus vicetinus Lioy R. FABIANI 2) I. - 1912. =! Voti GroLOGICO DI PADOVA. MEMORIE DELL’ISTIT. Lioy vicetinus Crocodilus MILANO C UOTY CALZOLARI & FERRARIO R, FABIANI DISEGNI E FOTOG, DI Giorgio Dar Piaz. - Sulla Fauna Batoniana del Monte Pastello nel Veronese. (Studio stratigrafico e paleontologico). In uno studio sintetico e di ordinamento dei vari orizzonti fos- siliferi finora distinti nel Giurese del Veneto, mi trovai particolar- «mente perplesso ed incerto nel fissare il livello cronologico al quale doveva riferirsi la celebre fauna di Monte Pastello nel Veronese. I signori PeLLEGRINI e PizzoLari ('), che furono gli scopritori del giacimento fossilifero, ascrivono la fauna alla Grande Oolite, e ne documentano il riferimento cronologico in base alla seguente suc- cessione stratigrafica, da essi rilevata nella località Resentera di Monte Pastello. “a) Strati calcarei grigio-cupi, assai resistenti, grana finissima, spezzatura sovente scagliosa; cominciano con un metro circa di spessore e vanno sempre più assottigliandosi sino a ridursi in schisti ; sono divisi gli uni dagli altri da ve- narelle marnose fragili dello stesso colore, in cui si rinvengono alcuni modelli di Gasteropodi sformati dalla pressione; percossi mandano un forte odore bitu- minoso e gli inferiori scintillano all’ acciarino; presentano vene irregolari ed arnioncelli di cristalli calcarei, che sporgendo dalla superficie corrosa dagli agenti atmosferici simulano talora i contorni di grandi bivalvi. È una forte successione di ben 60 metri. (1) PELLEGRINI e PizzoLarI. Gazsetta ufficiale di Verona. n. 43, 1847. — 216 — I fossili quivi sono così avvolti ed immedesimati nella pasta tenace della roccia che riesce difficile il ravvisarli, più difficile ancora il raccorli. Negli strati superiori poi e nei schisti si potè raccogliere la Terebratula insignis, la Strygocephala, dei Megalodon specialmente, delle Gervillia e tracce d’ avanzi vegetali bituminizzati; e taluno anzi degli schisti assume l’aspetto pressochè di lumachella per l'abbondanza dei fossili, ma in assai cattivo stato di conserva- zione. b) Sopra questa serie s' alzano forti banchi, anche dello spessore di più metri, d’un calcare bigio più o meno chiaro, compatto, ineguale nella frattura, con lamelle spatiche per entro, che a poco a poco assumono la struttura oolitica, a granelli più o meno grossi, più o meno fitti può calcolarsi metri 40 e più. Anche quivi i fossili sono rari e difficili ad isolarsi e di. più scomposti dal metamor- fismo. I raccolti sono Terebratule, Lime e parti abbondanti di crinoidi. c) Siedono sopra altri strati talora ad colite minuta e rara, che si la- sciano distinguere per innumerevoli articolazioni di Pentacriniti ed aculei di Cidariti emergenti dalla superficie corrosa della roccia, la quale così presenta un aspetto singolare all’ esterno, e nella spezzatura assai lamelle spatiche lu- centi : talora un quarzo piromaco stratificato od in arnioni. Noi quivi li accen- niamo distintamente perchè un così fatto carattere lo abbiamo riscontrato co- stante in molti luoghi della provincia nostra e del Tirolo. I più superiori di tali strati inoltre si fanno rimarcare in questa località per una quantità enorme di polipai giganteschi dalle forme squisite e della più perfetta conservazione. d) Poi ancora una serie di strati parimenti calcarei, di colore rossigno con macchie bianco-rosee, rare volte giallognole onde assumono un aspetto di breccia; duri e potenti in basso, più marnosi e volgenti allo schisto nella parte superiore. Quivi abbondano le Terebratule, gli Aptici, alcuni Echini e Belenniti e soprattutto gli Ammoniti; onde si può di leggèri riconoscervi la calcaria rossa ammonitifera tanto estesa nella nostra provincia e che chiude la formazione glurassica. Questo piano riconosciuto dai più dei geologi, e che occupa nella serie dei sedimenti un piano non controverso, ci rende certi senza ulteriori analisi che noi siamo ascesi fin qui per varie divisioni del giura ; e se vi aggiungiamo i dati litologici raccolti ed i pochi dati paleontologici, avremo in basso alcun poco del periodo liasico (strati a Megalodon), poi la grande oolite (b, c), indi il rappresentante dell’osfordiano (4); e quindi il bruno, il bianco e rosso giura. , Parecchi anni dopo il D’' AcHIARDI, su materiale del Museo Geo- logico di Pisa e su altro inviatogli dal TarameLLI e dal De ZIvo, intraprendeva lo studio dei Coralli dello stesso giacimento di Monte Pastello ('). Dalla discussione delle specie determinate e comuni ad altri depositi europei, pure riconoscendo che il giudizio definitivo sull’ età della fauna sarebbe scaturito dallo studio degli altri fossili, l’autore esclude si tratti di deposito della grande Oolite, e si mostra propenso invece a ritenerlo oxfordiano, forse anche più giovane, rife- ribile cioè alla base del Coralliano. “Il suo posto è sotto l’ orizzonte o piano a coralli di Nattheim [Kimerid- giano] e dei dintorni di Gray (Haute Saòne); forse nell’ Oxfordiano; senza che con ciò io possa nè meno escludere il caso, che come ultimo, inferior termine possa pur esso ascriversi al Coralliano ,. Poco dopo le ricerche del D’ AcHraRpI, il MENEGHINI (*) intra- prendeva, per lo stesso giacimento, lo studio dei Molluschi e dei Brachiopodi, dal quale, come giustamente osservò il D’ AcHIARDI, era da aspettarsi un più preciso riferimento cronologico del livello fossì- lifero. L’ illustrazione del MexEGHINI risultò invece puramente pa- leontologica, poichè l’autore non discusse menomamente le specie descritte in rapporto al loro valore di età, ma si limitò ad asserire che il suo studio veniva a confermare le conclusioni del D’ AcHIARDI. Pressochè contemporaneamente il giacimento fossilifero di Monte Pastello fu preso in esame, dal punto di vista stratigrafico, dal prof. TARAMELLI (?), il quale ne trasse la convinzione che il discusso de- (1) D’AcHiarpi A. - Coralli Giurassici dell’ Italia Settentrionale. Atti della Soc. Tosc. di Scienze Nat. Pisa, 1880, vol. IV, fasc. 2. (®) MexneGHINI G. - Fossili Oolitici di Monte Pastello nella Provincia di Verona. Atti della Soc. Tosc. di Scienze Nat. Pisa 1889, vol. IV, fasc. 2. (3) TarameLLI T. - Geologia delle Provincie Venete. Atti della R. Accademia dei Lincei. Anno CCLXXIX, Roma 1882. = DI PE posito debba essere sincronizzato alla zona della Posidonomya alpina (Batoniano) o ad un livello di poco sovrastante. Il Nicoris (') nelle sue numerose pubblicazioni sulla Geologia della provincia di Verona, ebbe ripetutamente occasione di occu- parsi della fauna di Monte Pastello, ma per quanto riguarda la sua età egli si riferisce sempre alle opinioni del TARAMELLI e agli studi del MexeGHINI e del D’ AcHmIARDI, limitandosi a far presente che l orizzonte di Monte Pastello esiste in molti altri siti della provincia di Verona e che ovunque esso si mantiene inferiore alla zona a Peltoceras transversarium dell’ Oxfordiano. Anche il Bopex (*) nel suo recente lavoro sulle Prealpi Veronesi, fa spesso cenno al livello coralligeno del Giura medio e cita qualche specie rinvenuta nel calcare dolomitico del Progno di Fumane e delle sue vallette laterali, ma non trae alcuna considerazione cero. nologica. Ritengo anzi molto probabile che 1’ autore ignorasse com- pletamente l’ esistenza della fauna di Resentera - a meno d’ ammet- tere che non ne avesse compreso l’importanza - giacchè nella ricca bibliografia riportata nelle prime pagine del suo lavoro non cita nè PELLEGRINI e PizzoLarI nè il d’AcHiaRDI, ma solo il MENEGHINI e nel testo poi non parla in nessun punto del noto giacimento di Monte Pastello. La controversa età della fauna di Monte Pastello rimase quindi allo stesso punto al quale la lasciarono trent’ anni or sono il Tara- meLLi ed il D’ AcHIaRDI, oxfordiana o coralliana (kimmerigiana) per l’ uno, batoniana 0 poco più recente per l’ altro. Davanti a codesta contraddizione fra i risultati d’ indole strati- (1) Nicoris E. - Note illustrative alla carta geologica della Prov. di Verona. Verona 1882. - Sistema Liasico-Giurese della Prov. di Verona. Accademia di Verona 1882. (®) Bopen K. - Die Geologischen Verhiltnisse der Veroneser Alpen. Beitriige zur Palaeontol. und Geolog. Bd. XXI. Wien. 1908. — 219 — grafica e quelli tratti dallo studio paleontologico, credetti opportuno riprendere l’ interessante argomento, tanto più che la varietà e l’ec- cezionale conservazione dei fossili personalmente raccolti nella ormai classica località, costituivano il più incoraggiante invito ad occu- parsi dell’ elegante questione. La località fossilifera si trova sulla sinistra del sentiero che dal caseggiato di Verago scende pel burrone di Resentera nella sotto- stante Valle del Progno, ed il profilo seguito dall’ alto al basso at- traverso l’intera serie, presenta la seguente successione stratigrafica : 1) Scaglia in banchi inclinati a NW. 2) Biancone con qualche intercalazione marnosa, specialmente negli strati più alti. 3) Calcare compatto, bianco-avorio a leccature rosse e gialle, talvolta brecciato. (Corrisponde con tutta probabilità al Titoniano superiore o bianco di Roverè di Velo). 4) Calcari rossi, gialli, rosei per lo più compatti, a Belemniti. 5) Calcari dolomitici appena subsaccaroidi, bianchi o legger- mente giallicci, compatti nelle parti più elevate, granulari e friabili nelle parti inferiori, senza o quasi senza fossili. 6) Questi materiali fanno insensibile passaggio ad una dolo- mia (') farinosa, friabile, prevalentemente di colore giallo-chiaro, ma spesso venata ed iridata di rosso, di roseo e di giallo più o meno intensi, È questo il livello fossilifero principale, dove è tale la dovizia e la perfetta conservazione degli avanzi, spesso messi in evidenza dalle azioni erosive, da far ricordare le condizioni di giacitura dei depositi pliocenici a sabbie gialle. Della ricca fauna, i Coralli (1) La composizione fu riscontrata con analisi chimiche. — 220 — sono particolarmente abbondanti nelle parti più alte del giacimento, mentre i Gasteropodi, i Lamellibranchi, e specialmente gli articoli di Crinoidi sono regolarmente distribuiti. Verso il basso la roccia diventa uniforme, sempre però farinosa e a striscie irregolarmente screziate di giallo e di rosso. In essa i Coralli e i Gasteropodi sono piuttosto rari, mentre abbondano i Lamellibranchi sopra tutto coi generi Lima e Ctenostreon, che si riscontrano però anche nel livello prevalentemente coralligeno. In altri punti invece la stessa roccia diventa più compatta e più chiara, quasi bianca, infarcita di un vero tritume di conchiglie, da far rammentare la zona a Posidonomya alpina, ma i tentativi da me fatti per estrarre qualche forma determinabile, riuscirono del tutto infruttuosi. L'intero deposito fossilifero contrassegnato col N. 6 del nostro profilo, e dal quale provengono tutte le specie prese in esame, ha uno spessore di circa cinquanta metri e non presenta alcuna traccia di stratificazione. 7) Seguono delle dolomie bianche e rosee, finmamente saccaroidi, tenaci, con sottili ed irregolari intercalazioni selciose, discretamente stratificate, di considerevole potenza e debolmente pendenti ad E N E. In queste dolomie, appena oltrepassato il burrone Resentera, riscon- trai un livello a Rinconelle, che per un diretto confronto con nu- merosi originali del Monte Peller presso Cles e di Monsampiano nelle Alpi Feltrine, mi risultarono rispondenti alla /. clesiana Leps. 8) Calcari compatti, con sezioni di fossili. 9) La nota zona dei calcari grigi più o meno marnosi ed irre- golarmente stratificati. Noi ci troviamo nel caso, assal comune del resto nel Vero- nese, in cui una parte dei terreni giuresi assume facies dolomitica. Ora se teniamo conto che questo complesso dolomitico è limi- 227. e tato in alto dalla solita fascia dei calcari rossi, abbraccianti (come in tutto il Veneto occidentale e nel Trentino meridionale) il Titoniano, il Kimmerigiano e l’ Oxfordiano, ed è occupato in basso da letti a Rlynchonella clesiana propri dell’Aleniano, siamo condotti ad ammet- tere che detto complesso (N. 5, 6 e 7 del profilo) abbraccia il Dogger medio, il superiore e la base del Malm. Se consideriamo poi che il livello dal quale provengono i fossili presi in esame occupa soltanto il tratto mediano di codesto complesso dolomitico, e che le due parti superiore ed interiore (N. 5 e 7 del profilo) lo distanziano dalla base dell’ Oxfordiano in alto, e dall’ Aleniano in basso, converremo come, dal punto di vista stratigrafico, il riferimento cronologico dei signori PELLEGRINI e PizzoLARI per primi e del TARAMELLI poi, risulta pie- namente giustificato. Una simile interpretazione cronologica è resa tanto più verosimile, in quanto che a non molta distanza dal gia- cimento coralligeno di Resentera, affiorano dei banchi a Posidono- mya alpina, i quali appaiono compresi in una formazione calcareo- dolomitica a Crinoidi, affatto simile a quella di Monte Pastello. Quanto alla fauna, prescindendo dai Coralli e da un unico modello indeterminabile di Ammonite, essa consta, come si può ri- levare dall’ unito specchietto (pag. 11), di trentasei specie così ri- partite: un Vermide, un Brachiopode, tre Echinodermi, undici Ga- steropodi e venti Lamellibranchi. Non contando le forme nuove, e quelle per le quali non fu pos- sibile arrivare ad una determinazione specifica assoluta, restano di sicuro riferimento e comuni ad altri giacimenti, venticinque specie, Di queste. alcune, e precisamente la 7rigonia sharpiana, la Trigonia beesleyana, il Pecten pumilus, il Pseudotrapezium cordiforme e la Pho- ladomya ovulum, hanno un certo sviluppo verticale, giacchè vennero segnalate nel Baiociano, nella Grande Oolite e qualcuna anche nel Calloviano inferiore. Quanto alla Neritopsis benacensis dell’ Oolite di S. Vigilio (che vedremo strettamente vicina alla N. varicosa del — 222 — Batoniano inglese e alla N. Hawveri del Calloviano dei Carpazi), non posso fare a meno di osservare che essa, come del resto tutta la fauna descritta dal VAcEK, (') non proviene da un unico livello, ma da quel complesso di calcari rossi affioranti lungo la riva sinistra del Garda, nei quali, con spessore minimo — tanto che la distin- zione anche in due soli livelli riesce estremamente difficile — sono rappresentate tutte le zone dall’ Aleniano al Batoniano. A rigore, non si potrebbe quindi escludere che la Nerztopsis benacensis provenga da orizzonti superiori; comunque, anche se vogliamo considerarla come specie aleniana, essa resta sempre una forma isolata, esempio di persistenza locale di qualche elemento di una fauna più antica. Le rimanenti diciasette specie, volendo per giustificato rigore pre- scindere anche dai Pentacrini, sono tipicamente batoniane e ci danno quindi la più evidente prova dell’ età oolitica (Grande Oolite) del giacimento di Monte Pastello. A complemento di una simile consta- tazione, possiamo aggiungere che quasi tutte le specie nuove o finora segnalate solo a Monte Pastello, hanno pure, e non di rado, delle grandi affinità con forme oolitiche extraalpine, delle quali potrebbero rappresentare anche delle varietà meridionali. Così è infatti della Corbis aequalis Meneghini molto vicina alla ©. Lajoyei D’ Arch. del Batoniano dell’ Aisne, così della Neritopsis veronensis Dal Piaz ri- spetto alla N. spinosa Héb. et Deslong. del Calloviano inferiore di Montreuil-Bellay (*), e così pure dei Crus rispetto ai numerosi con- simili dell’ Inghilterra. Se vogliamo indagare poi con quale dei depositi batoniani il nostro presenta i maggiori rapporti, ci basterà dare nna scorsa allo specchietto della pag. 11, dall’ esame del quale ci sarà facile ren- derci persuasi come le più strette affinità esistono coi celebri giaci- (1) Vacek M. - Ueber die Fauna der Oolithe von Cap S. Vigilio. Abhandl. d. k. k. geo- log. Reichsanstalt. Bd. XII, Wien, 1886. (£) Hauc E. - Traite de Geologie, pag. 1017. il = i I BATONIANO E: £ si i 9|o L sz 3 LS "| 3 Si i: 2 E al © 2 S Elenco delle specie di Monte Pastello 35| 8 |f5|008) & | 3|8 S|3 |zaliasfa | 1. Serpula sp. aff. S. sulcata, Sowerby 2. Rhynchonella lessinorum, n. sp. * | 3. Pentacrinus nodosus, Quenstedt E 4 » cristagalli, Quenstedt SE | 5. Pseudodiadema Wrighti, Cotteau . -_ 6. Trochotoma obtusa, Morr. et Lyc. -— + 7. Cirrus Dianae, Meneghini Di Pea Meneghinii, n. sp. = | 9. Neritopsis benacensis, Wacek -- | 10. » bajocensis, D'Orb. + +|+ #34, » Deslongchampsi, Cossm. “2 12. > veronensis, n. sp. . . 13. Xenophora Heberti, Laube 2 sia 14. Pseudomelania simplex, Morr. et Lyc. == 15. Promathildia Pizzolarii, Meneghini È 16. Dicroloma armatum, Morr. et Lyc. LL 17. Arca aemula, Phill. | -- + 18. Isoarca ovata, Laube + 19. Pteroperna pygmaea, Koch et Run — + 20. Modiola imbricata, Sow. ; LITt+|+)? 21. Pecten pumilus, Sow. | L a + 22. » semiarticulatus, Wianoghi fcta 23. Eopecten Psyche, D’Orb. | LL ++ 24. Lima aff. L. Schardti Lor. | + 25. » cardiiformis, Sow. I +/+.+j+ 26.» ovalis, Sow. ; È -- CA 27. Ctenostreon luciense, D'Orb. . Lit 2/+ 28. Plicatula cfr. fistulosa, Morr. et Lyc. . _ | 29. Trigonia beesleyana, Lyc. L 2? 30. » sharpiana, Lyc. +|? 51. Pseudotrapezium cordiforme, Desh. + +-+ ++ 32. Praeconia Seguini, Cossm. LL + 33. Astarte interlineata, Lyc. | AL _ 34. Corbis aequalis, Menegh. s n \35. Myacites? cfr. tumidus, Morr. et Lye. | tl 36. Pholadomya ovulum, Ag. + +|/++#{/+|+t — 224 — menti inglesi della Grande Oolite di Minchinhampton e delle coste dell’ Yorkshire, coi quali la fauna di monte Pastello ha in comune non meno di quindici specie. Di poco minori sono i rapporti coi depositi batoniani del Cal- vados. dell'Orne, dell'Aisne, delle Ardenne, di S. Gaultier e di qual- che altra località della Francia centrale-settentrionale, mentre queste affinità vanno sempre più riducendosi quanto più ci avviciniamo ai giacimenti batoniani del bacino mediterraneo. Noi troviamo così che le specie comuni con gli strati a Mytilus delle Alpi di Vaud arrivano appena a cinque; mentre coi depositi batoniani delle Basse Alpi, della Sardegna e del Trentino i rapporti diventano quasi insignificanti. I legami faunistici tornano invece a ristabilirsi più o meno stretti, se facciamo un raffronto coi giacimenti batoniani dell’ Europa cen- trale-orientale, ed in modo particolare con quelli della Valle del Reno, della Svevia e di Balin in Galizia, coll’ ultimo dei quali le forme in comune crescono nuovamente di numero. Nessuna comunanza di forme sì riscontra in fine con faune, sia pure di identica facies, del Lias e del Calloviano, fatta eccezione per la Pholadomya ovulum che dal Baiociano superiore va al Calloviano inferiore; di guisa che anche da questa constatazione, sia pure in- direttamente, viene riconfermata, in modo definitivo ('), l’età ba- toniana della fauna di Monte Pastello e l’esistenza quindi della Grande Oolite anche nel versante meridionale delle Alpi, esistenza che il VAcEK (*), con non mai diminuita ma non per questo meno erronea tenacia, ha sempre negata. Dall’ esame delle associazioni specifiche e generiche possiamo aggiungere che il (') Già tre anni or sono infatti in una breve comunicazione al R. Istituto Veneto (Adu- nanza 81 ottobre 1909, Tomo 69, pag. 15) davo una preventiva notizia della fauna di M. Pa- stello, concludendo trattarsi di giacimento batoniano. | (*) VAceK M. - Erlituterungen zur Geologischen Karte der Oesterr.-ungar. Monarchie, Fo- glio Rovereto-Riva. Wien. 1911 pag. 82. tipo generale della fauna del Pastello è quello del Batoniano su- periore o Cornbrash. Se poi teniamo presente che non mancano forme proprie del Batoniano inferiore, è logico ritenere che ricerche siste- matiche e minuziose possano condurre a distinguere nettamente due livelli faunistici, ciò che s’ intravede del resto anche dai risultati dello studio stratigrafico della località fossilifera. Riguardo ai caratteri biogeografici della fauna, le svolte osserva- zioni mettono in chiara evidenza quell’ impronta meno francamente mediterranea che tratto tratto assumono le faune giuresi del Veneto, e riconfermano quindi, come rilevai alcuni anni or sono (') e come recentemente ebbe a far notare anche il RoLLIER (°), i legami che corrono fra il Giurese Alpino e quello extraalpino, pei quali le prin- cipali differenze sono più da attribuirsi a fenomeni di facies e di habitat, che a sostanziali diversità di provincie zoologiche. La grande abbondanza dei Coralli, dei Gasteropodi erbivori, dei Lamel- libranchi costieri e l’ assenza delle Ammoniti sono concordi docu- menti che provano trattarsi di facies neritica poco profonda. Ora, se noi consideriamo che la fauna della zona a Posidonomya alpina (*) delle immediate vicinanze, pur essendo contemporanea o di età poco diversa da quella coralligena di Monte Pastello, non ha alcuna specie in comune con essa, risultando di elementi batiali o neritici profondi (Cefalopodi e Brachiopodi), si potrà valutare quale importanza può assumere questo carattere di facies nel tipo delle (*) Dar Praz G. - Le Alpi Feltrine. Mem. del R. Istit. Veneto di Sc. L. ed Arti, 1907. (*) RoLLieR L. - Zes facies du Dogger ou oolitigue dans le Jura et les région voisines. Zurich. 1911. (*) OpPEL A. - Ueber das Vorkommen von jurassischen Posidonomyen - Gesteinen in den Alpen. Zeitschr. d. D. Geol. Ges, 1863. Parona C. F. - Nuove osservazioni sopra la fauna e l'età degli strati con Posid. alpina nei Sette Comuni. Palaeont. Ital. vol. I, 1896. anteriore, in parte rotta, appare piccola e arrotondata; la posteriore espansa, depressa, incisa al bordo ed attraversata da un solco pa- rallelo all’ orlo superiore. La superticie dell’ orecchietta è ornata da una striatura appena percettibile, mentre sul resto della conchiglia l’ornamentazione è scomparsa per subìto rotolamento. La Pteroperna pygmaea è specie dei calcari coralligeni dell’ Han- nover e del Batoniano di Minchinhampton. A M. Pastello è forma piuttosto rara; io non raccolsi che un unico esemplare discreto ed alcuni frammenti di assai dubbia determinazione. MODIOLA IMBRICATA, Sow. 1845. Modiola imbricata, SowerBy. Conchol. Minéral. pag. 262, tav. 212, fig. 1-2. 1853. Mytilus imbricatus, Morris er Lyoerr, A _Monograph ot the Mollusca of the Great Oolite. II, pag. 41, tav. 4, fig. 2. 1883. Modiola imbricata, ve LorioL. Etude paléontol. et stratigraph. des couches à Mytilus. Mém. Soc. Paléontol. Suisse. Vol. X, pag. 60, tav. IX, fig. 1 a 8. 1905. a yNELLI. Fossili batoniani della Sardegna. Boll. Soc. geolog. Ital. Vol. XXII, pag. 288, tav. XII, fig. 4. Dei quattro esemplari raccolti (tutti di piccole dimensioni) due rispondono ad un tipo più corto, più tozzo agli uncini e nel com- plesso più reniforme, quale il Lorror illustra nella fig. 6 del ci- tato lavoro. Gli altri due, per la configurazione generale della con- chiglia, per l’ andamento del dorso, per la forma della depressione boccale, trovano invece completo riscontro nella serie dei tipi piut- tosto stretti illustrati dal Lorior nelle fig.° 2, 3, 5 e 7 del citato lavoro. La corrispondenza è pure notevole con la figura data dal DAINELLI. La Modiola imbricata è specie assai frequente e caratteristica del Batoniano dell’ Inghilterra e dell’ Europa centrale: essa è però pre- sente anche nelle Alpi marittime e nella Sardegna. SO Prcren (VARIAMUSSIUM) PumILUs Lamk. Tav. I, fig. 14). 1819. Pecten pumilus, LAMARCK, Anim. sans vertèbres. VI, pag. 183. 1836. Pecten personatus. GoLpruss. Petrefacta Germ. pag. 75, tav. 99, fig. 5. 1853: - —- - Morris er Lycerrt. A _Monograph. of the Moll. from the Great Oolite, pag. 11 tav. I, fig. 17. 1858. - - QuexsrenT. Der Jura, pag. 338, tav. 46, fig. 21-24. 1905. Pecten pumilus, BenEckE. Die Versteiner. der Eisenerz Format. Pag. 112, tav. III, fig. 20-22. Specie di piccole dimensioni, a guscio sottile di forma equilate- rale, suborbiculare, poco rigonfio, ornato di sottilissime coste radianti fra le quali se ne distinguono delle altre più minute. Nei punti del guscio meglio conservati si scorgono anche delle lievi linee di ac- crescimento. La superficie interna della conchiglia è provvista di 12 a 14 costicine salienti che 'eterminano nel modello interno dei solchi netti e ben visibili, come risulta dalla riprodotta figura. Orecchiette piccole, ineguali e finemente costate. Per la determinazione del materiale di M. Pastello potei disporre di abbondanti esemplari dell’ Oolite ferraginosa di (Germania e del Dogger inglese. Dal diretto confronto dei vari campioni trassi la con- vinzione che fra il Pecten personatus del GoLpruss e quello batoniano di Morris e Lycermt non esistono diversità specifiche sostanziali e che devono quindi essere riportati tutti e due al Pecten pumilus di La- MARCK. Questa specie farebbe dunque passaggio, come alcune altre, dal Baiociano al Batoniano. Prcrten seMIarTICULATUS Menegh. (Tav. I, fig. 15a, 15.b). 1880. Pecten s miarticulatus, MenEGHINI. Fossili Oolitici di Monte Pastello. Atti Soc. Toscana Sc. Natur. Pisa, vol. IV, fasc. 2, pag. 24, tav. XXII, fig. 18. Conchiglia equivalve, leggermente inequilaterale, molto rigonfia e arcuata presso l’ umbone. La superficie è ornata di 18 coste ra- Shoe — dianti, assai rilevate e disgiunte da solchi lisci percorsi lateralmente, alla base delle singole coste, da una fila di denticelli lamellari. La prima costa anteriore è provvista di tubercoletti allineati lungo il dorso. Fra questa prima costa e l’ orecchietta attigua, la conchiglia s’ infossa in un solco piuttosto profondo percorso da due o tre file di piccoli denticoli. L’orecchietta anteriore è molto sviluppata e percorsa da due o tre grosse coste tubercolate, fra le quali corrono delle costicine pure denticolate. ma assai più sottili. L° orecchietta posteriore è molto più piccola e presenta un’ ornamentazione affatto analoga a quella dell’ orecchietta anteriore. Il margine cardinale è quasi diritto, ossia appena appena in- curvato, e provvisto di una fitta serie di sottili e depresse lamelle. L’ esemplare figurato presenta le seguenti dimensioni: diametro cardino-ventrale mm. 24; diametro antero - posteriore mm. 23,5; spessore della valva mm. 9. I numerosi esemplari raccolti rispondono bene al P. semiurticulatus del MexEGHINI, il quale fece già rilevare i caratteri per cui sì distingue dalle forme affini. EopectEN PsyrcHe d’Orb. (Tav fonia sp) 1849. Hinnites Psyche, p° OrBIGNY. Prodrome. Tom. I, pag. 314, n. 334. 1853. Hinnites abjetus Morris ET LycerT, A _Monograph ot the Mollusca from the Great Oolite, pag. 125, tav. XIV, fig. 3 (non tav. IX, fig. 7). 1867, ————__ Lauge, Die Bivalven des braunen Jura von Balin. Denkschritten der Matem. Naturwiss. Classe d. k. Akademie. Bd. XXVII, pag. 18. 1883. ——____ De Loro, Étude Paleontologique des Couches à Mvytilus des Alpes Vaudoises. Mémoires de la Société Paléontologique Suisse, vol. X, pag. 72, tav. X, fig. 12 e 13. 1900. Hinnites Psyche, Cossmann. Seconde Note sur les Mollusques du Bathonien de Saint-Gaul- tier (Indre) Bull. Soc. Géol. de France. Série III. Tom. XXVIII, pag. 169. 1907. Eopecten Psyche, Cossmaxn. Troisiéme Note sur le Bathonien de Saint-Gaultier (Indre). Bullet. de la Soc. Géolog. de France. Série IV, Tom. VII, pag. 238, Conchiglia piuttosto sottile, suborbicolare, fortemente inequivalve o) e non molto inequilaterale. La valva sinistra è irregolarmente con- vessa, ornata di grosse, angolose e dentellate coste raggianti di primo ordine. Gli spazi compresi frà queste coste maggiori sono rispetti- vamente bisecati da coste minori 0 di secondo ordine, mentre altre coste ancora più esili, ma sempre ondulate, ruvide ed irregolari, occupano gli spazi intermedî associate tre a tre, e la mediana di queste è lievemente più grossa delle due laterali. La valva destra appare piatta, ma in realtà, vista di scorcio, risulta debolmente convessa e con Il’ uncino depresso. Essa pure è ornata da un gran numero di coste, più leggere di quelle che co- prono la valva superiore, ma egualmente irregolari ed egualmente distribuite a fasci di ordine diverso. Le orecchiette della valva destra hanno un discreto sviluppo e sono nettamente separate dal resto della conchiglia da un profondo solco, che s' inizia ai lati dell’umbone. L'orecchietta anteriore è in gran parte guasta, quella posteriore è troncata lateralmente ad an- golo retto verso l’orlo cardinale ed ha superficie finamente striata. L' Eopecten Psyche è forma tipicamente batoniana dell’ Inghil- terra, della Francia, degli strati a Mytlus del cantone di Vaud, del- l’ Oolite di Balin, ecc. Nel giacimento di Monte Pastello è forma poco frequente ; in tutto io raccolsi tre valve che per l’ornamentazione e la forma tro- vano perfetto riscontro nella fig. 3, Tav. XIV del citato lavoro di Morris e LvcerT sulla Great Oolite di Minchinhampton. Lima aff. L. ScHaRDTI, Loriol Fra il materiale preso in esame conto un piccolo esamplare di Lima, il quale per la forma complessiva della conchiglia e per l’an- damento delle coste che l’adornano, ricorda alquanto la L. Schardt Lortor degli strati a My/lus delle Alpi di Vaud (Cowuches à Myti- DI Rd lus des Alpes Vaudoises, pag. 71, Tav. X, fig. 5-11). Purtroppo la scarsezza del materiale non permette un riferimento sicuro, quan- tunque ia maggior differenza con la specie svizzera consista solo nelle dimensioni. LimA (PLAGIOSTOMA) CARDIIFORMIS, Sow. 1837. Plagiostoma cardiiforme, SowerBy. Conchologie Minérolog., pag. 166, tav. 113, fig. 3. 1850. Lima cerdiiformis, d' OrBIGNY, Prodrome, pag. 341, N. 203. 1853. —— Morris et Lycerr. A Monograph of the Mollusca from the Great Oolite. Palaeontograph. Society. II, pag. 27, tav. III, fig. 2. 1867. -—- — Laure. Die Bivalven des braunen Jura von Balin. Denkschr. d. Mathem. Natur. W. Class, Bd. XXVII. pag. 14. 1883. ? —_—— ae Lorior. Couches è Mytilus des Alpes Vaud. Mém. Soc. Paléontol. Suisse., vol. X, pag. 65, tav. IX, fig. 13-15. 1000 = — (Cossmanvz. Seconde Note sur les Moll. de S. Gaultier. Bull. Soc. Géol, de France Sér, III. tom. XXVIII, pag. 173. Raccolsi in tutto quattro esemplari, che presentano fra loro delle piccole diversità da attribuirsi però a semplici variazioni in- dividuali, tanto più che la L. cardiiformis è specie piuttosto varia- bile. Quello che meglio risponde alla forma tipica è poco obliquo, espanso a semicerchio, discretamente rigonfio e troncato rettilinear- mente dalla parte boccale, La superficie della conchiglia è ornata di numerose coste radianti, arrotondate, disgiunte da solchi più stretti delle coste e ornati di fine e ravvicinate strie trasverse. La Lima cardiiformis è specie batoniana ed abbastanza frequente ; dobbiàmo aggiungere però che non è improbabile, come osservò il RottIer ('), che alcune forme ascritte alla ZL. cardiformis vadano in- vece staccate e riferite a specie nuove, ciò che è solo possibile deci- dere in modo definitivo con l’ esame ed il confronto diretto degli esemplari originali. (1) RoLuier L. - Les Facies du Dogger. pag. 255. Lima (PLaGIostoMA) ovaLIS Sow. (Tav. II,.-hg. 4). 1857. Plagiostoma ovale, SowerBy. Conchologie minéralogique de la Grande Bretagne, pag. 164, tav. 114, fig. 3. 1840. Lima ovalis. GoLpruss. Petrefacta Germaniae, pag. 82, tav. 101, fig. 4. 1850. - D’OrBIGNY. Prodrome, pag. 313, n. 308. 1853. Morris er Lycert. A Monograph of the Mollusca from the Great Oolite, pag. 29, tav. III, fig. 5, Da. 1900, ? Lima semicirceularis, Cossmann. Seconde Note sur les Mollusques du Bathonien de Saint- Gaultier, Bull. Soc. Géol. de France, Sér. III, tom. XXVIII, pag. 172. 1907. Lima (Plagiostoma) ovalis, Cossuanx. Troisiéeme Note sur le Bathonien de Saint.-Gaultier. Bull. Soc. geol. de France. Sèr. IV, tom. VII, pag. 240. 1907, - —___ Cossmanyn. Description de quelques Pélécypodes jurassiques recueillis en France. Comp. r. de l’Assoc. Franc. pour l’Avane. des Sciences, pag. 3, tav. II. fig. 11. Conchiglia abbastanza rigonfia, specialmente in vicinanza al- l’umbone, di forma ovata obliquamente, col lato anteriore troncato, lievemente concavo e sottoescavato, mentre il posteriore è convesso e regolarmente arcuato a semicerchio. Orecchiette assai diversamente sviluppate, l'anteriore molto piccola, la posteriore espansa e provvista di solchi d’acerescimento bene visibili. La superficie della conchiglia è ornata di fine coste radiali, divise da solchi d’ apparenza cribrosa per l'esistenza di una fine punteggiatura. Linee d’ accrescimento concentriche appena appena rilevabili. Nell'area cardinale è bene visibile la fossetta ligamentare cen- trale. La Lima ovalis è forma tipicamente batoniana di Small-Cossal e di Michinhampton. Il Gotpruss illustra un esemplare (col quale i miei hanno per- fetto riscontro) del calcare coralligeno di Streitberg. Il Cossmaxnx la riscontrò nel Batoniano di Saint-Gaultier (Indre) e di Bricon (Haute Marne) e pare anche nel Calloviano. A Monte Pastello la Zara ovalis è un fossile mediocremente SSR = frequente ; io raccolsi tre esemplari abbastanza bene conservati e parecchi frammenti di valve. CTENOSTREON LUCIENSE, d’ Orb. (Tav. II, fig. 2). 1850. Lima luciensis, d'OrBIGNY. Prodrome, pag. 313, N. 305. 1853. Lima pectiniformis, Morris et LyvoeTtr. A Monograph ot the Great Oolite. II, pag. 26. tav. VI, fig. 9. 1900. Lima (Ctenostreon) luciensis, Cossyanx. Seconde note sur les Mollusques du Bathonien de Saint-Gaultier. Bull. de la Soc. géolog. de France. Série III, tom. XXVIII, pag. 174. 1911. Crenostreon luciense, RoLLieR. Les Facies du Dogger ou oolithique dans le Jura et les régions voisines, pag. 248. Conchiglia di mediocre grandezza, piuttosto spessa, depressa e provvista di 11-12 coste, a disposizione raggiata progressivamente degradanti ai lati fino a scomparire presso le orecchiette. Negli esem- plari vecchi le coste sono arrotondate, nei giovani un poco angolose, sempre assai rilevate e provviste di forti strie di accrescimento em- briciate, qua e là sporgenti sul dorso delle coste in vicinanza del- l’orlo ventrale. Le orecchiette, per quanto è possibile osservare, pre- sentano una striatura in senso trasversale. La Lima luciensis è specie batoniana, da non confondersi, per quanto molto vicina, con la ZL. proboscidea e meno ancora con la L. (Ctenostreon) pectiniformis del Baiociano del Wiirttemberg. Qualche autore opina sì tratti di un’ unica specie estesa dal Baiociano all’Oxfordiano : a me pare però che un semplice confronto tra forme tipiche dei vari livelli elimini qualsiasi dubbio e convinca dell'opportunità di tenere fra loro distinte le tre specie sopra men- zionate. Della Lima luciensis a Monte Pastello io raccolsi tre soli esem- plari, dei quali uno discretamente conservato ed appartenente ad un individuo giovane. — 252 — PLicatULA cfr. FIstULOSA, Morr. et Lyc. 1853. Plicatula fistulosa. Morris e Lycert. A_Monograph of the Mollusca from the Great Oolite. pag. 15, tav. IL fig. 5. Due valve incomplete, che per l'andamento delle coste e pei dettagli dell’ornamentazione, rispondono abbastanza bene alla specie della Great Oolite inglese. T'RIGONIA BEESLEYANA, Lyc. (Tav. II, fig. 10a, 10b). 1872-79. Irigonia Beesleyana, Lycerr. A _Monograph of the British Fossil Trigoniae. Palaeonto graphical Society. Pag. 90, tav. 17, fig. 2-4. 1880, = — MexeGHINI. Fossili Oolitici di Monte Pastello nella provineia di Verona. Atti della Soc. Toscana di Sc. Nat. pag. 16. È una conchiglia di guscio sottile, poco rigonfia, di forma tri- gono - ovata, spiccatamente inequilaterale. Gli individui meglio svi- luppati sono più espansi, 1 minori sono invece proporzionalmente più corti. Dall'umbone, che è assai depresso e piccolo, parte una carena acuta o addirittura a spigolo rilevato negli individui giovani, mentre in quelli adulti è a spigolo appena appena sporgente nella regione superiore, depressa e arrotondata nel tratto inferiore. Corsaletto quasi lineare e appena visibile negli esemplari meglio conservati. La su- perficie della conchiglia che sì trova posteriormente alla carena e che costituisce lo scudo è, specialmente nel tratto superiore, legger- mente concava e percorsa trasversalmente da un gran numero di sottili e scabre costicine, che vanno debolmeute inarcandosi verso l'apice coll’avvicinarsi alla carena. Codeste costicine alla metà circa del loro percorso diventano bifide, per modo che anche lo scudo risulta diviso, longitadinalmente, in due strette aree distinte pel — 253 — numero diverso delle righe e per la conseguente diversità nella loro finezza. La regione mediana della superficie della valva è pianeggiante o appena convessa e attraversata da esilissime striature per lo più totalmente scomparse per consumo. La parte anteriore invece della superficie conchigliare è ornata da numerose e depresse coste, em- briciate inversamente, cioè secondo una direzione che procede dal- l’orlo ventrale all'apice. Queste coste sono meglio visibili presso l’orlo ventrale e verso il margine anteriore, mentre dopo un breve percorso ondulato ed obliquo con direzione verso il basso, sfumano tanto coll’avvicinarsi all'apice, quanto verso il mezzo della. valva. I due denti cardinali della valva destra sono assai divaricati, non molto lunghi, laminari e profondamente striati. Di conseguenza il dente mediano della valva sinistra è a larga base triangolare e sviluppatissimo. Dei due laterali l'anteriore, rispetto il mediano, ha mediocre sviluppo, l’altro invece è ridottissimo. La Trigonia beesleyana è forma dell’ Oolite inferiore inglese : la sua presenza nel giacimento di Monte Pastello e la sua grande im- portanza pel riferimento cronologico della località fossilifera vero- nese, vennero già rilevate dal MENXEGHINI. Dì questa specie io raccolsi parecchi esemplari che rispondono perfettamente alle forme inglesi. TRIGONIA SHARPIANA, Lvycett (Tav. II, fis. 11). 1874. Trigonia sharpiana, Lycerr. A Monograph ot the British fossil Trigoniae. Palaeontogr. Society. Pag. 79, tav. XV, fig. 11, tav. XVI, fi. 3 a 6. 1880. Yrigonia Margarita, MexeGHINI. Fossili Oolitici di M. Pastello. Atti S. Toscana di Scienze Nat. vol. IV. pag. 18, tar. I (XXI), fig. 11 a-c. Conchiglia di forma triangolare-ovata, piuttosto rigonfia. Il cor- saletto è depresso, largo ed occupa circa un terzo della superficie IE della conchiglia. Esso è diviso da un solco mediano longitudinale e, come scrive Lycerrt, provvisto di due piccole carene tubercolate, una presso il margine interno, e l’altra accanto al solco. L'ornamentazione è completata da costicine trasverse ciascuna delle quali parte da uno dei tubercoli delle accennate carene. Il corsaletto è poi a sua volta separato dal resto della conchiglia me- diante una terza carena più rilevata ed egualmente provvista di tubercoli. A_ contatto, verso l'apice, e in vicinanza, verso la regione ventrale, dell’accennata carena, e in corrispondenza alle costicine del corsaletto, hanno origine 12-14 coste concentriche. Queste coste attraversano la conchiglia descrivendo un largo arco di cerchio e restano fra loro disgiunte da solchi più larghi delle coste stesse. Le loro creste sono ornate di numerosi e grossi tubercoli separati da piccoli solchi che si prolungano attraverso la base delle coste. Come risulta dall’ esposta descrizione e dalle figure annesse, gli esemplari di M. Pastello rispondono completamente alla 7’rigonia sharpiana dell’ Oolite inglese. Non avendo potuto procurarmi del ma- teriale di confronto, a maggior garanzia delle mie determinazioni, richiesi l'autorevole parere del prof. VavuGHAN dell’ Università di Oxford, il quale da un diretto confronto con esemplari inglesi, ri- spose: * Certanly the specimens agree well with Trigonia sharpiana ac- cording to the figure given by Lycett, and should unhesitatingly refer the specimens to this species ,. La Zrigonia sharpiana si distingue nettamente dalla 77. Poinei Lyc., perchè più corta, a coste nodulari non continue e diversamente arcuate. Dalla 77. impressa per la forma diversa della conchiglia assai meno espansa e per il diverso andamento delle coste : ciò che la distingue pure dalla 7. costata Lyc., dalla 7. undulata From. e dalla 7. detrita Terq. e Jourd. Finalmente dalla 77. Phillipsi si di- stingue per la diversa disposizione delle costicine del corsaletto oltre che per la diversa curvatura delle coste. — 255 — I mici esemplari rispondono del tatto alle illustrazioni e alla descrizione che il MenegHINI dà per la Trigoria Margarita, la quale specie va quindi compresa nella 77. sharpiana. La 7r. sharpiana Lvye. è, come la 77. beesleyana, specie dell’Oolite inferiore inglese, con la quale è però non di rado associata ad altre forme riscontrate nel Batoniano A M. Pastello questa specie non è rara, però meno frequente della 7rigonia beesleyana. - PSEUDOTRAPEZIUM CORDIFORME, Desh. (Tav. II, fig. 6a, 6b). 1839, Cypricardia cordiformis, DesHAyes. Traité éléementaire de Conchyliologie. Vol. II, pag. 16, XXIV, fig. 12-13. 1905. Pseudotrapezium cordiforme, BeneckE. Die Versteinerungen der Eisenerz formation von Deutsch-Lothringen und Luxemburg. Abhandlungen zur geo- logischen Spezialkarte von Elsass - Lothringen. N. F. Hett tav. VI, pag. 287. Tav. XIX, fig. 1-2. Conchiglia piuttosto grande, cordiforme angolosa all’ estremità posteriore, molto inequilaterale ad umboni assai prominenti e ricurvi ad uncino. Una carena a spigolo acuto parte dall’ umbone e procede, grado grado attenuandosi, fino all'angolo postero-ventrale della con- chiglia. La superficie è ornata di fine strie di accrescimento e l’area compresa fra la carena e il margine cardinale è percorsa, a partire dall’ambone, da uno o due tenuissimi rilievi che sfumano ben presto a breve distanza dall’uncino. Regione cardinale lievemente arcuata, cerniera assai robusta, costituita nella valva sinistra da tre denti cardinali. Il mediano è molto sviluppato e di forma trigona, gli altri due compressi quasi lamellari ; fossette assai profonde. Non è improbabile, come giudicò OppeL, che il Cardium acutan- qulum del Prirrips (ZMustrations of the Geology of Yorkshire, pagina 128. Tav. XI, fig. 6) debba ascriversi al Pseudotrapeziuin cordiforme, ma la deficienza della figura non permette di poter decidere la que- stione in modo sicuro. Di solito gli autori sono propensi ad ascrivere alla menzionata specie anche la Cypricardia bathonica »’' OrBIGNY (') quale venne illastrata da Morris e Lyoett (A Monograph of the Mollusca from the (rreat Oolite, pag. 75, Tav. VII, fig. 8). Quantunque la forma inglese si presenti più acutangola e più snella, tenuto conto delle diverse dimensioni e dell'ambiente diverso potrebbe ritenersi che si trattasse di un'unica specie, se la cerniera non presentasse differenze tali da non permetterne assolutamente l'associazione. Le stesse osser- vazioni si possono ripetere per la Cypricardia. cordiformis illustrata dal Lavse (Die Biralven des braunen Jura von Balin, pag. 31, Tav. III, fig. 8), la quale, rispetto la forma descritta dal DesHAyEs, è molto più snella, più acutangola e con cerniera diversa. L'individuo di Balin ha notevoli. rapporti di somiglianza con la Cypricardia batho- nica D’ OrBIGNY illustrata da Morris e Lycert, con la quale può costituire una specie ben distinta dalla Cypricardia cordiformis. La forma di Monte Pastello presenta invece perfetta corrispon- denza colle illustrazioni che il Bexecke (loc. cit.) dà per il Pseudo- trapezium cordiforme della formazione limonitica della Lorena e del Lussemburgo. Il Pseudotrapezium cordiforme è fossile baiociano, pare però che sia presente anche nel Batoniano, tanto più poi se al Pseud. cordiforme devono essere associate le forme che gli autori indicano in genere nella sinonimia di questa specie. Nel giacimento di Monte Pastello il Pseudotrapezium cordiforine è piuttosto raro, io raccolsi soltanto due esemplari. (1) D’OrBIGNY. Prodrome. Vol, I, pag. 278, n. 302. PraEcoNIA SEGUINI, Cossm. (Tav. II, fio. 17a-17d). 1850? Hippopodium luciense, v'OrBIGNY. Prodrome. Vol. I. pag. 308, n. 221. 1854. Astarte ? rhomboidalis Phil. Morris e Lyoert. A Monograph of the Mollusca from the Great Oolite, pag. S4, tav. IX, fig. 20. 1867. Astarte ———___ LauBe. Die Bivalven des braun. Jura v. Balin, pag. 37, Tav. IV, fig. 10. 1880, Cypricardia ? similis, MexEGHINI. Fossili Oolitici di Monte Pastello nella provincia di Ve- rona. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali vol. IV, pag. 15, tav. I, fig. 12-15. 1900. Hippopotium Seguini, Cossmann. Les Mollusques du Bathonien de Saint-Gaultier (Indre). Bulletin de la S. géolog. de France. Tom. XXVIII, Série III, pagina 188, fig. 7. 1907. Pracconia Seguini, Cossmanx. Troisitme Note sur le Bathonien de Saint-Gaultier (Indre). Bull. de la Soc. géolog. de France. Tom. VII, Série IV, pag. 244. Conchiglia di medie dimensioni, di forma quadrangolare, pre- sentando un diametro antero - posteriore massimo di 25 mm., e un diametro trasverso, pure massimo, di mm. 19. Assai rigonfia e per- corsa, specialmente presso il bordo palleale, da profondi solchi d’ac- crescimento. Nelle aree comprese fra questi solchi sì riscontra una fine striatura concentrica, più o meno manifesta secondo lo stato di logorazione delle valve. Lunula piccola, ma assai bene manifesta, infossata e rugosa per il convergere dei solchi di acerescimento. Corsaletto appena manifesto. Cerniera formata nella valva sinistra da due denti cardinali separati da una profonda fossetta triangolare posta immediatamente sotto l’ uncino ; il dente anteriore è trigono ed oltremodo sporgente, il dente cardinale posteriore è compresso, allungato obliquamente e appena disgiunto dalla ninfa ligamentare mediante un piccolo solco. Esiste poi un debole dente laterale posteriore che è separato dal margine da un solco piuttosto profondo. Nella valva destra invece vi è un solo dente cardinale, trigono, meno sporgente di quello an- teriore dell'altra valva e situato un po’ posteriormente all’ umbone. Davanti a questo dente si trova una piccola e profonda fossetta. — 258 — Ninfe ligamentari poco pronunciate. Impressioni muscolari an- teriori profonde e di forma ovale, impressioni muscolari posteriori abbastanza estese, ma appena rilevabili. La caratteristica striatura indicata da FiscHER (') non è visibile causa la corrosione subita dal guscio. Solco paleale integro, profondo nel decorso medio e sfumato ai fianchi. Il margine interno delle valve è provvisto di una fine dentellatura che va progressivamente attenuandosi coll’ avvicinarsi alla regione cardinale. I miei esemplari rispondono abbastanza bene alla figura che Morris e Lycerr danno per l’Astarte rlhomboidalis, ma, come dimostrò il Cossmanx, l’ Astarte rhombordalis Phillips non ha niente a che fare con la forma batoniana di Minchinhampton. Dal confronto delle fi gure e dall'esame delle descrizioni, gli individui di M. Pastello tro- vano perfetto riscontro nella specie di Saint - Gaultier, alla quale ri- tengo siano pure da ascrivere gli esemplari che il MexEGHINI de- scrisse sotto il nome di Cypricardia similis. La Praeconia Sequini è forma tipicamente batoniana e nel giaci- mento di M. Pastello è rappresentata da numerosi individui. ASTARTE INTERLINEATA, Lyc. (Tav, II, fig 3a, 3;b): 1550. Hiatella? interlincata Lycetr. Ann. and Magaz. Nat. Hist. pag. 421. 1854 . Astarte interlineata. var., Morris et Lycett. A Monograph of the Mollusca from the Great Oolite, pag. 85, tav. IX, fig. 18, 19. IS841, ———_______ BorHwm. Beitr. z. Kenntn. d. Granen Kalke in Venetien. Pag. 768. Tav. XVI, fig. %, S. ss == — Greppin. Description des Fossiles de la Grande Oolite des envi- rons de Bale. Mémoires de la Soc. Paléont. Suisse. Vol. XV, pag. 103, tav. VIII, fig. 4. 1900, ————____ Cossmaxx. Seconde Note sur les Mollusques du Bathonien de Saint-Gaultier. Bull. Soc. géol. de France. Série III, Tom. XXVIII, pag. 186. Forma abbastanza frequente, di dimensioni sempre minuscole, (1) Fiscner. Manuel de Conchyliologie. pag. 1016. — 259 — subrettangolare, arrotondata anteriormente, troncata posteriormente in modo da formare all’ estremità postventrale un angolo poco di- verso dal retto. Superficie della conchiglia ornata di grosse, rugose e distanziate coste concentriche di forma laminare, che ripetono esat- tamente l'andamento del contorno. Fra le coste maggiori si riscontrano, negli esemplari meglio conservati, delle sottili strie pure concentriche. Dall’umbone all’an- golo postero-ventrale, cioè in corrispondenza agli angoli formati dalle coste, il gaiscio è alquanto rigonfio, in modo da formare una specie di carena. L'Astarte interlineata è forma che compare già nel Baiociano di Leckhampton, ma pare assai più frequente nel Batoniano di Minchin- hampton. Venne pure segnalata nel Batoniano di Saint-Gaultier e nella Grande Oolite dei dintorni di Basilea. Borum la cita pei cal- cari a Crinoidi dell’ Alto Veronese. Nel giacimento di Monte Pastello raccolsi cinque esemplari. Corsis AEQuALIS Menegh. Tav. II, fig. 12a-12c). 1SS0. Corbis aequalis, MeNEGHINI. Fossili Oolitici di Monte Pastello nella provincia di Verona. Memorie della Società Toscana di Scienze Nat. vol. IV, pag. 19, tav. XXII, fig. 16-17. Conchiglia di forma ovale, rastremata posteriormente ; quasi equi- laterale, in special modo negli individui meglio sviluppati. In gene- rale le due valve sono alquanto rigonfie e spesse, ma anche questi caratteri variano con le dimensioni dei diversi esemplari, fra i quali i più piccoli sono quelli che presentano maggior spessore del guscio e maggior gonfiezza delle valve. La superficie della conchi- glia è ornata di numerose coste concentriche sottili, ottuse, separate da solchi piatti e larghi, nei quali sì scorge, quando l’ esemplare è bene conservato, una fine striatura raggiata. Le coste sono assai = Dare ravvicinate verso l'orlo inferiore e vanno diradando coll’ avvicinarsi all’ uncino. Nella cerniera si riscontrano due denti cardinali e due denti laterali in ciascuna valva, In quella sinistra tutti e quattro sono bene sviluppati, in quella destra il cardinale anteriore è molto ridotto. Lunula molto infossata, cordiforme : corsaletto stretto, quasi lineare. Margine interno finamente crenellato e impressioni muscolari mar- cate. L’area compresa fra il margine e la linea palleale forma una larga zona piatta, carattere che si rende ben manifesto negli stampi interni. Come ho ricordato poco sopra, di questa specie, che è rappre- sentata da numerosi esemplari, esistono individui rotondeggianti, civè poco espansi trasversalmente, ed individui un poco più allungati. Il primo tipo, ricorda alquanto la C. Lajoyei D° ArcHTAc ('), il secondo trova miglior riscontro invece nelle illustrazioni della ©. aequalis del MexecHINI. Tali differenze però non hanno valore da stabilire una distinzione specifica, tanto più che dall’ uno all’ altro tipo si riscon- tra una serie di forme intermedie, mentre i caratteri fondamentali rimangono invariati in tutti gli esemplari, e che la forma adulta, da prendersi come punto di partenza della specie, è quella più al- lungata, mentre gli esemplari rotondeggianti appartengono ad indi- vidui giovani. Per codeste ragioni quindi, non ostante le accennate somiglianze, la C. aequalis può ritenersi specie ben distinta dalla C. Lajoyei. Come rilevò poi il MENEGHINI, la (. aequalis si differenzia nettamente dalla (. jarnysiensis Terq. et Jourd. per le maggiori dimensioni, per la forma più ovale e per la mancanza della carena. (!) D'ArcHiac — Description geologique du Dipartement d: L'Aisne. Mémoires de la Société géolog. de France. Tom. V, pag. 372, Tav. XXVII, fig. 1 a - d. ZA Myacires ? cfr. tumIDUS, Morr. et Lyc. 1853. Myacites tumidus, Morris et Lycert. A _Monograph of the Mollusca from the Great Oolite, pag. L1, tav. IX, fig. 2,a, d. Gli esemplari da me raccolti sono purtroppo incompleti nella regione cardinale, ciò che impedisce un riferimento assoluto. T'utta- via ciò che ancora rimane della conchiglia è così rispondente alla descrizione e alle illustrazioni date da MorrIs e LyoerT, da farci ritenere si tratti, con ogni probabilità, della stessa specie del Bato- niano di Minchinhampton. PHOLADOMYA OVvULUM Ag. (Tav. II, fig. 9a, 9b). 1842. Pholadomya ovulum AGASSsIz. Etudes critiques sur les Mollusques fossiles. Monogr. des Myes. Pag. 119, tav. II, fig. 7 a 9. Tav. III b, figgl a 6. 1853. Morris et LvcerT. A Monograph of the Moll. from the Great Oolite. pag. 122, Tav. XIII, fig. 12. 1867. Lause. Die Bivalven des braunen Jura von Balin. pag. 50, Tav. V, fig. 2. 1874. — MorscH. Monographie der Pholadomyen. Mémoires de la Soc. Paléontol. Suisse. Vol. I. pag. 48, Tav. XX, fig. 1 a 11. TRIO RoLLier. Les Facies du Dogger ou Oolithique dans le Jura et les ré- gions voisines, pag. 42. Conchiglia di forma ellittica allungata trasversalmente ; più larga e fortemente arcuata in avanti, attenuata all’ indietro. Gli umboni molto spostati anteriormente, prominenti e ravvicinati. La sezione trasversa è di tipo ovale, alquanto rigonfia in corrispondenza agli umboni. La superficie della conchiglia è ornata di numerose ed ir- regolari coste concentriche più o meno rilevate e di sottili ed assai fitte strie di accrescimento. Esiste poi un sistema di coste radianti dagli umboni, assai attenuate e depresse, rade anteriormente, più fitte verso la parte posteriore, dove in vicinanza agli umboni sono meglio appariscenti. La costicina più anteriore ha decorso quasi ret- tilineo e trasverso ; le altre diventano sempre più oblique ed arcuate verso la parte posteriore. Io raccolsi soltanto un esemplare riferibile a questa specie: la quale (come si può rilevare anche dal semplice esame delle figure riprodotte dal MoescH) presenta una certa variabilità, specialmente nel profilo longitudinale, mentre i caratteri dell’ ornamentazione si mantengono costanti, Fra i numerosi individui illustrati dallo stesso MorscH, il mio esemplare trova miglior riscontro in quelli delle fi- eure 9; 4,00, Se UIL La Pholadomya ovulum è specie di assai larga distribuzione oriz- zontale giacchè venne segnalata in molte località della Svizzera, della Francia, della Germania, dell’ Imghilterra e a Balin in Galizia. Essa è specie che va dal Baiociano superiore al Calloviano inferiore, ma presenta il suo massimo sviluppo nel Batoniano e precisamente negli strati a Parkinsonia Parkinsoni. = Ja BIBLIOGRAFIA Aaassiz, - Etudes critiques sur les Mollusques fossiles. — Monographie des Myes. etc. 1842-45. Benecke E. 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Ta, Tb - Nenophora Heberti Laube - Ingr. 2 volte . 8a, 8b - Neritopsis Deslongchumpsi Cossm. - Ingr. 2 volte 9a, 9D - n veronensis n. sp. - Gr. n. 10 a-10c - ” benacensis Vacek - Gr. n. 104 - Dettaglio della superficie ingrandito 4 volte 11 - Dicroloma armatum Morr. et Lyc. - Gr. n. 12 a-12c - Neritopsis bajocensis D’ Orb. var. baugie- riana D’ Orb. - Gr. n. 13a, 18b - Neritopsis bajocensis D’ Orb. Gr. n. 14 - Pecten pumilus Lam. - Ingr. 2 volte. 154, 15d - » semiarticulatus Menegh. - Gr. n. . 164 - [romathildia Pizzolarii Menegh. - Ingr. 2 volte 16 db - Dettaglio della stessa ingrandito 4 volte 17 a-17d4 - Praeconia Seguini Cossm. - Gr. n. Pag. 17 (229) 15 (227) 19 (231) 21 (233) 19 (231) 28 (240) 27 (239) 25 (237) 26 (288) 22 (234) n n 29 (241) 24 (236) n n 34 (246) ti] 7) 28 (240) n n 45 (257) [ PR i MEMORIE DELL'ISTITUTO GEOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA. Vol 1. 1912 G. DAL PIAZ. - Fauna del Monte Pastello, 128 12b 12e 165 FABIANI DIS, Mi Pa 2% n » n 6a, 6b - OT 8 b 9a, 9 - 104, 10d - Il 12a-12c - SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Eopecten Psyche D'Orb. - Iugr. 2 volte Ctenostreon luciense D'Orb. - Gr. n. Astarte interlineata Lyc. - Ingr. 4 volte. Lima ovalis Sow. - Gr. n. 1 ; Pteroperna pygmaea Koch et Dunk. - Ingr. 2 volte Pseudotrapezium cordiforme Desh. - Gr. n. Isoarca ovata Laube - Gr. n. Arca aemula Phill. - Ingr. 2 volte Pholadomya ovulum Ag. - Gr. n. Trigonia beesleyana Lyc. - Gr. n. - Trigonia sharpiana Lyc. - Gr. n. Corbis aequalis Menegh. - Gr. n. Pag. 35 (247) n n» n 39 (251) 46 (258) 38 (250) 32 (244) 43 (255) 31 (248) 80 (242) 49 (261) 40 (252) 41 (253) 47 (259), MEMORIE DELL'ISTITUTO GEOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA G. DAL PIAZ. - Fauna del Monte Pastello, FABIANI DIS. Gruseppe STEFANINI - Mammiferi terrestri del Miocene veneto. INTRODUZIONE —+— Gli scarsi e mal ridotti avanzi che trovansi illustrati nelle pa- gine seguenti potranno forse apparire non degni di formare l'oggetto di una speciale memoria. Le specie cui essi appartengono sono note, infatti, per numerosi ritrovamenti in vari giacimenti miocenici d'Eu- ropa; e conviene riconoscere che, data la povertà di questi resti, io non posso, illustrandoli, nutrire neppure per un momento l'illusione di contribuire alla conoscenza di esse. Tuttavia, un certo interesse mi sembra non mancare al mio studio. Mentre i giacimenti italiani contenenti avanzi di mammiferi pliocenici sono piuttosto numerosi, molto ricchi e meritamente ce- lebri, ben più rari sono nel nostro paese quelli che abbiano fornito tracce di mammiferi terrestri miocenici. Si può dire, che essi si ri- ducono a quattro: le ligniti di Sarzanello in Val di Magra ('), quelle del Casino presso Siena (*) e le marne con ligniti di Gravitelli presso Messina (°), da riferirsi tutte e tre al Pontico; e le ligniti di Casteani, Monte Massi e Monte Bamboli nella Maremma toscana (‘) che ap- (1) CapELLINI. Resti di tapiro nella lignite di Sarzanello. Rend. r. Acc. Lincei, ser. 3, vol. IX, 1S$1. (®) PawxraneLLI. Sugli sfrati miocenici del Casino (Siena). Rend. r. Acc. Lincei ser. 3. vol. III, 1879. (3) Secuenza L. I vertebrati fossili della Prov. di Messina. II, Mammiferi e geologia del piano pontico. Boll. Soc. geol. it. XXI, 1902. (*) Stimo inutile citare qui la copiosa bibliografia della della fauna di Montebamboli. Ricorderò il lavoro di F. Mayor. La fuune des vertebres de Montebamboli. Atti Soc. it. se. nat. Milano, 1872, vol. XV e quello di Werrnorer. Ueber die tert. Landsiugethiere Italiens. Jahrb. k. k. geol. Reichs - Anst. XXIX, 1SS9. 268 — pariscono un poco più antiche e vogliono essere ascritte al Sar- matiano. Ora questo mio studio prova — ed io mi sono applicato con una critica scrupolosa a stabilire 1 autenticità della provenienza — ‘che resti di mammiferi terrestri si trovano, e, evidentemente, non ad un solo livello, anche nelle formazioni mioceniche della regione veneta. Per la verità, conviene notare che le tracce di questo fatto non erano del tutto assenti nella letteratura precedente. Del ritro- vamento di denti di Mastodon nelle colline trevigiane avevano anzi parlato a più riprese gli autori, a cominciare dal Cuvier, fino al De Zino; ma l'attribuzione di quei fossili ad una specie pliocenica toglieva al fatto una parte della sua importanza. Anche del dente di £/roceros delle arenarie di Libano avevano discorso il Lioy e il DAL Praz, ma senza illustrarlo, e ravvicinandolo a specie, dalle quali mi sembra doversi tenere distinto. Il dente di Dinotherium e i molari di Hyomoschus sono invece ricordati ora per la prima volta: il primo da me scoperto in una raccolta di Treviso, gli altri da me raccolti in posto. Le quattro specie esaminate si possono così distribuire : Ord. PERISSODACTYLA Fam. Rhinoceridae: AWinoceros ctr. Teleoceras avrelianensis (Nouel). Arenaria di Libano nel Bellunese. Langhiano. Ord. ARTIODACTYLA Fam. Tragulidae: Hyomoschus crassus. Lart. Molasse a Cassidula sp. di Pinzano al Tagliamento. Sarmatiano. — (200 — Ord. PROBOSCIDEA Fam. Dinotheriidae: Dinotheriwm giganteum Kaup. Ghiaie a Unio flabellatus di Anzano presso Vittorio. Pontico. Fam. Elephantidae: Mastodon cfr. arvernensis Croiz et Job. Ghiaie del livello con ligniti presso Sarmede e nei dintorni di Soligo. Pontico. Esse costituiscono un argomento non superfluo, a conferma delle attribuzioni cronologiche, cui per altra via ero giunto ('). Si può così estendere all’ Italia l’ habitat di quattro specie, che nel Miocene si svilupparono più o meno rigogliosamente in varie parti di Europa, ma che nessuno, per quanto io so, aveva mai segnalato nel nostro paese. Infatti vedremo in seguito, come i molari che ho determinato col nome di M. cfr. arvernensis perchè molto simili a quelli di detta specie, sono ‘però probabilmente da riferirsi ad altra, che gli autori hanno spesso citato con quella indicazione un po’ am- bigua, ma che in realtà differisce dalla forma pliocenica, per alcuni caratteri importanti, che non risiedono nei molari. (1) L’OmgonI (Denti di Ippopotamo da aggiungersi alla fauna fossile del Veneto. Mem. r, Ist. Ven. Sc. Lett. Arti XXI, 1880, tav. VI) descrisse e figurò un pezzo di mascella superiore di Hippopotamus major Cuv. coi due ultimi molari e un frammento del terz’ ultimo. Tale fossile era stato venduto all’ Omboni da G. Meneguzzo, il quale diceva averlo raccolto personalmente “in una frana di sabbia e puddinga presso al fiume Musone, al piede del fianco settentrionale della così detta montagna Forabosco ,,. Questa è costituita, come è noto, da strati del Miocene ; e poichè ad un mio esame accurato i molari in questione sono resultati effettivamente appar- tenenti a H. major e identici a quelli che si ammirano in copia nel Museo di Firenze, prove- nienti dal Valdarno superiore, parmi escuso che il fossile si fosse staccato da quelli strati. Se esso fu veramente trovato nella Valle del Musone, conviene aseriverlo a qualche frana od allu- vione del Pliocene o del Quaternario antico; ma non posso nascondere il dubbio, che si presentò del resto anche alla mente dell’ Omboni e del Capellini, cui questi lo aveva mostrato, che esso abbia ben altra provenienza, forse proprio dal Val d’ Arno. — 270 — Ed ora che ho, in certo qual modo, giustificata la ragion d’ essere del mio studio, mi sia permesso di esprimere la mia riconoscenza vivissima a chi me ne ha facilitato il compimento. Al Prof. G. Dar Praz, che nell'Istituto geologico di Padova da lui diretto, mi ha pro- digato, oltre alla più liberale ospitalità, aiuti ed incoraggiamenti preziosi; al Dott. SrenLIin del Museo di Basilea, al Prof. A. S. Woopwarp del British Museum, al Prof, A. THévexin del Museum d’ Histoire Naturelle di Parigi, i quali mi sono stati guide sapienti nclle mie visite ai rispettivi musei, fornendomi anche notizie e consigli per la determinazione dei molari di Yyomoschus ; al Dott. L. Mayer di Lione, che mi ha favorito indicazioni preziose relative al 7. aure- lianensis, di cui nessuno meglio di lui conosce le caratteristiche; al Dott. RoGER, infine, al quale debbo varie indicazioni bibliografiche. 1807 1814 1821 1664 BIBLIOGRAFIA SPECIALE DEI MAMMIFERI TERRESTRI DEL MIOCENE VENETO - "AMoRETTI. Sopra un dente e parte di mandibola dl’ un Mastodonte trovato alla Rocchetta nel dip. del Tanaro. Nuova scelta op. inter. Sc. Arti. II, 1807 e Mem. Ist. Naz. it., II, 1808. BroccHI. Conchiol. foss. subappenn. Milano, vol. I, pag. LXXVI e 187. Cuvier. Recherches sur les ossemens fossiles. I, Pachydermes, pag. 252, 259, tav. IV, fig. 3, 4. CaruLLo. Nota geogn. sopra le pudd. alluv. e sopra il terr. di trasp. delle Prov. ven. Bibl. ital., $T. - BLarviLLe. Osteographie des mammiferes INI, pag. 333. CaruLLo. Geognosia. Lettera al Co. Salina di Bologna. N. Ann. di Sc. Nat. di Bologna. Maggio 1844. Liovy. Sopra un dente di Rinoceronte fossile trovato nell'arenaria gri- gia di Bolzano nel Bellunese. Atti Soc. it. Sc. nat. VIII, pag. 415. DE Zieno. Annotazioni paleontologiche. Int. ai resti di Mastodonte trov. nel Veneto. Atti Acc. Lett. Sc. Arti Padova pag. 1-6, tav. I. De Zieno. Nota aggiunta alla mem. precedente. Ibid. DE Zicno. Sui mammiferi fossili del Veneto. Atti Acc. Sc. Lett. Arti Padova. Dar Praz. Sui Vertebrati delle aren. muioc. di Belluno. Atti Acc. Scient. Ven. Trent. Istr., n. ser., V., pag. 108. <> go ILLUSTRAZIONE DEI RESTI FOSSILI PERISSODACTYLA RINOCERIDAE Provenienza dei resti fossili e cenni bibliografici — L'unico esem- plare veneto da riferirsi a specie di questo gruppo è un dente di Rinoceronte, che fu raccolto da tale AxGeLo GuERNIERI nelle arenarie di Libano presso Belluno, e da lui comunicato a PaoLo Lroy. Questi lo fece oggetto di una sua comunicazione alla Società italiana di Scienze naturali (') nel 1865; attribuendolo al , Se/lleiermacheri; poi, per quanto io so, nessuno ne parlò più fino al 1908, quando lo ebbe nuovamente in esame il prof. DAL Praz (*), che ora l’indicò come Rhinoceros (Diceratherium) sp. cfr. Rh. minutus Cuv. Ora il pezzo in- teressante si trova nel Museo di Geologia dell’ Università di Padova. (1) Lioy P. Rinoc. foss. di Bolzano. Loc. cit., pag. 415-417. (*) Dar Praz. G. Vertebr. delle aren. mioc. di Belluno. Loc. cit., pag. 108. — 273 — La natura della ganga così caratteristica e perfettamente corri. spondente alla notissima “ pietra da mola ,, rende superflua qualunque disquisizione sull’ autenticità della provenienza. RHIxoceRros cfr. TELEOCERAS AURELIANENSIS Nouel (Tav. I, fig. 1) Descrizione. — Un dente isolato, impiantato per le radici nella roccia è il solo materiale disponibile. La forma complessiva è qua- drangolare, molto corta e dilatata. La superficie esterna della mu- raglia è obliqua, pianeggiante, ma formante due distinti lobi verso la base, che non reca tracce di cingolo alcuno ; all’ angolo anteriore esterno di essa si nota una sensibilissima scanalatura che da origine ad un denticolo anteriore esterno e ad un parastilo nettamente ac- cennati sebbene non molto sviluppati ; il profilo superiore della mu- raglia è ondulato formando come due cuspidi. Il lato interno è orlato da un cingolo basilare continuo, un po’ ingrossato e nettamente sinuoso in corrispondenza della valle mediana; il cingolo però s' inalza poi rapidamente e così non si continua che per brevissimo tratto lungo il lato anteriore e quasi niente lungo il posteriore. Dalla muraglia esterna si dipartono le due colline trasver- sali, separate da una valle mediana stretta, assai profonda, un po’ sinuosa, ma semplice, che, cioè, almeno nel grado di usura assai avanzato in cui si trova il nostro dente, non mostra alcuna traccia di dilatazione o di biforcazione terminale. La collina anteriore, fortemente sviluppata, ha un contorno net- tamente lobato, per la presenza di un forte uncinetto, il quale però non è fuso col lato posteriore. L’ usura è invece tanto avanzata, da produrre la fusione di questo con la muraglia, lungo il margine, in modo da isolare completamente l’ intaglio posteriore, trasformandolo in una limitatissima fossetta triangolare. La forma, il forte sviluppo dei lobi traversali, la grande larghezza relativa e tutti i caratteri dimostrano a prima vista che siamo in presenza di un premolare: Pmz o Pm, superiore destro. Confronti. — Quanto alla specie cui il nostro esemplare vuol essere riferito, la questione è assai complicata, poichè nel dedalo inestri- cabile delle numerosissime specie di Rinoceronti, manca la guida della tassonomia, essendochè le sottofamiglie e i generi delle classi- ficazioni più recenti e più perfette sono basati piuttosto sulle pro- porzioni delle diverse parti dello scheletro, che sui caratteri della dentatura. Il Lioy attribuiva questo dente al 2%. SeWeiermacheri Kaup, nella sinonimia del quale riteneva il Bronx di dover includere un buon terzo delle specie allora conosciute. Il Dar Praz invece si limitò a confrontare il premolare in questione con quello del A. minewutus Cuv., che ascriveva con l’ Osporx ('), al sottogen. Diceratherium. Il Romax (*) nella sua bella e receutissima monografia propenderebbe invece a ritenere tale specie come un Acerotherium. I premolari di /?. Sehletermacheri Kaup (*) sono in realtà profon- damente diversi dal nostro ed è inutile fermarci su tale confronto. Il confronto con gli Aceratherium merita invece un accurato esame, specialmente in grazia dell’esistenza di un cingolo interno continuo, che è abbastanza caratteristico. Al /. ;mutus di CuvieR sono stati attribuiti denti di tipo e di forma molto diversi : l' OsBorx cominciò e il Romayx ha continuato a districarne la complicata sinonimia. Ora il A. ncisvus Blainv. (*) (2. minutus Cuv. secondo il GeRvaIs) al quale il DAL Praz pur facendo qualche riserva sulla sua identificazione con (1) Osporn H. F. Phylogeny of the Rhinoceroses of Europe. Amer. Mus. nat. Hist. XIII, 1900. (2) Roman F. Les Ithinocerides de l Oligoe d’ Europe. Arch. Mus. H. N. Lyon, XI, 1911. (3) Kaup. Ossem. foss. de Darmstadt, III, 1834, p. 33, tav. XI, fig. 5. (4) BLAInvILLE H. Ostéographie. Atlas, pl. XII (Auvergne). — 275 — la specie di Cuvier, ravvicinava particolarmente il pezzo di cui trattiamo, è stato posto poi dal Romax (') in sinonimia dell’ A. /ema- nense Pomel. E l'A. lemanense, così ben illustrato ora da quell’autore, ha effettivamente dei premolari assai simili a quello di Belluno. Date le grandi dimensioni dell’ A. lemanense, il nostro esemplare non potrebbe corrispondere che al Pm. Confrontato con la figura relativa, che rappresenta un esemplare in condizioni di usura quasi identiche, esso si dimostra però sensibilmente diverso. A differenza di quello in esame, il Pmy di A. lemanense, mostra infatti una valle mediana nettamente biforcata all'estremità; il suo cingolo si protrae lungo il lato anteriore del dente fino oltre la metà di quello, mentre esso si arresta ad un terzo circa nel nostro esemplare; la fossetta posteriore è nell’ A. /emanense più dilatata trasversalmente, meno obliqua ; in fine il profilo del dente dal lato esterno apparisce nella specie di PomeL rettilineo, e non fortemente ondulato, e 1’ angolo posteriore esterno non vi presenta che lievi tracce della caratte- ristica scanalatura e ben debole tendenza alla formazione di un parastilo e di un denticolo anteriore esterno. Oltre a ciò, i premolari di A. lemanense appariscono anche assai più larghi relativamente alla loro lunghezza. Un'altra figura del Romax (*) rappresenta la serie dei molari della stessa specie, ad un grado più avanzato di usura, ma qui le differenze appaiono forse anche maggiori. Mi sembra dunque, che si possa risolutamente escludere l'ipotesi della pertinenza all’ A. lemanense, come del resto, a qualunque delle congeneri. Assai più stretti sono invece i rapporti col Zeleoceras aurelianensis Nouel sp., specie poco nota fino al 1908, quando ne ha dato belle e () Roman. L. c. pag. 61, tav. VIII, fig. 2, 2*. (2) Roman. L. c., tav. VII, fig. 2. assai ricche illustrazioni il MayET, in un suo ottimo lavoro sui mam- miferi dell’ Orleanese. (') Mel. Aure- | Tel. Aure- | Tel. Aure- | lianensis lianensis Esemplare lianensis | | Pm; Mayet Pm, Mayet | di Belluno | Pm; Mayet p. 106) |(tav.I fig. 1) (tav. I fig. 1) Î | Il | | | | Larghezza mass. | mm. 36 mm. 38.5 | mm. 39 | mm. 42.5 | Larghezza (al lobo ant.) mm. 45 mm. 51.7 mm. 50.5 mm. 58.2 | | | | | ; | | Larghezza in rapporto alla lun- ghezza. 1.25 1.34 139 | 197 Confrontando il nostro pezzo col Pm; e particolarmente con l’es. 1 tav. I all'opera citata, si vede, che mentre i due coincidono quasi perfettamente per le dimensioni e anche per la forma generale, si notano alcune differenze nel dettaglio: così nell’esemplare dell’ Or- leanese il denticolo anteriore esterno è a mala pena accennato e la valle mediana, è dilatata alla estremità e ridotta ad una fossetta triangolare per la fusione dei due lobi in corrispondenza dell’ unci- netto; mentre invece nel campione di Belluno, che pure è presso & poco allo stesso grado di usura, la valle stessa è semplice e com- pletamente aperta e il denticolo summentovato è assai sviluppato. Per tutti questi caratteri il nostro esemplare si avvicina invece molto più al Pm, della stessa specie, dal quale differisce solo per le dimensioni assolute un poco minori, di quelle che suole raggiungere la specie dell’ Orleanese. Ma il Dott. Mayer, da me interpellato in proposito, cortesemente mi risponde, che, tenendo conto delle varia- zioni sessuali, le dimensioni del dente in esame possono corrispondere (1) Mayer. Etude des mammiferes miocenes des subles de V Orléanais et des faluns del; Touraine. Ann. Univ. Lyon, n. sér. I, 24, 1908, pag. 98-113, tav. I, fig. 1-6: tav. II fig. 1-4a tav. IMI, fig. 1. agi —- tanto a quelle del 7. aurelianensis, quanto a quelle del 7. brachy- pus Lart. Si sa, infatti, che al 7. aurelianensis è particolarmente affine il T. brachypus Lart. (') della Grive Saint Alban, tanto che LaRrTET pen- sava che le due specie potessero essere identificate. Osporx (°) pone a confronto alcuni caratteri differenziali e tra questi, fortunatamente, uno si riferisce proprio ai premolari terzo e quarto, che in 7. aure- lianensis hanno un forte uncinetto anteriore, mentre questo è ridotto o manca in 7. brachypus. Se la premessa è esatta, mi sembra dunque di poter escludere che si tratti di quest’ ultima specie, qualora questa vogliasi tenere distinta. Giacitura ed età. — Le cave di pietra da mola di Bolzano, donde il dente in questione proviene, sono ben note per aver fornito, oltre ad al- cuni resti vegetali e ad una scarsa faunetta marina, resti importantis- simi di talassoteri, che in parte sono stati e in parte saranno studiati con una serie di monografie complete dai Prof. DAL Praz. Non mi pare il caso di prendere in esame qui queste faune, molto più che esiste tutt'ora un abbondante materiale non ancora studiato. Dirò solo, che le arenarie di Bolzano riposano su strati di arenaria glau- coniosa, dai più attribuiti all’ aquitaniano. Coerentemente, 1’ età del- l’arenaria è ritenuta da molti, e particolarmente dal Dar Praz, langhiana; mentre il LoxGHI (°) sostenne potesse trattarsi di Elve- ziano. Il ravvicinamento del premolare in studio al 7. aureltanensis conforterebbe la prima di queste due opinioni. (1) Cfr. spec. DepERET. Vert. Mioc. Vallée du Rhòne. Arch. Mus. H. N. Lyon IV, 1887, pag. 223, tav. XXIII. (®) Ossorn H. F. Phylogeny of the Rhinoceroses of Europe. Bull. Amer. Mus, Nat. Hist. XIII, art. XIX, 1900, pag. 251. (®) LoxcHi P. Della pietra da coti 0 da mola bellunese e di ale. suoi fossili. Atti Soc. Ven- Trent. Sc. Nat. ser. 2, t. III, 1897. — 278 — ARTIODACTYLA TRAGULIDAE Provenienza dei resti fossili. — Nella campagna geologica con- dotta in Friuli durante l’ estate del 1907, un caso veramente for- tunato mi faceva scoprire nei dintorni di Pinzano al Tagliamento in un banco di molassa intercalato ai conglomerati miocenici ari una mascella superiore di ruminante, frammentaria, ma avente quelle parti della dentatura che ancora rimanevano, in ottimo stato di conservazione. Disgraziatamente non rimanevano che pochi denti e qualche scheggia delle ossa palatine e mascellari, che andarono ancor più frantumate e disperse nell’ operazione di liberazione dalla ganga. Ho detto un caso fortunato, poichè il ritrovare, da sè, dei resti di mammiferi, in una formazione, dove questi sono del tutto spo- radici e rarissimi, tanto che mai vi erano stati segnalati, non è cosa di tutti i giorni. Di alcuni caratteri della famiglia. — Annunziando, or non è molto, il ritrovamento di alcuni resti di un mammifero nelle formazioni neogeniche del Friuli (') io lo indicavo come # un Cervide, che mi sembra affine ai Dicrocerus, ma è contradistinto da alcuni curiosi caratteri arcaici, consistenti specialmente nella forma generale dei molari superiori e nella presenza di un potente cingolo continuo, lungo il loro margine interno ,. Uno studio più accurato, di quello necessariamente sommario, da cui cotale determinazione provvisoria ebbe origine, ha dimostrato, che si tratta invece di un Tragulide. L'errore è almeno in parte scusabile, quando si ricordi che il materiale disponibile non è costituito che da alcuni molari superiori (1) G. STEFANINI. Osserv. sul Mioc. del Friuli. Atti r. Ist. Ven. Sc. Lett. Arti, LXX, 1911 pag. 755. — Sulla stratigr. e sulla tett. dei terr. mioc. del Friuli. Pubbl. 31 Uff. Idr. R. Mag. allo Acque, Venezia, 1911. — 279 — e da un frammento di premolare sup. Ora, anche secondo il Rii- TIMEYER, sono appunto questi i denti meno caratteristici, in questo gruppo di ruminanti, nei quali i caratteri distintivi sono costituiti specialmente dalla formola e forma dei premolari e dei canini, oltre che dalla costruzione degli arti e dalla presenza o assenza di corna. Di più, una parte dei molari che nel Museo di Firenze mi ave- vano servito per quel primo confronto, e che erano determinati come Dicrocerus elegans Lart. (Sansan) appartengono in realtà a Hyomoschus, e contribuirono così all’ errore. Per quanto riguarda i molari superiori, i caratteri essenziali dei Tragulidi, in confronto specialmente ai Cervidi, sono come è noto: la semplicità delle impronte semilunari, la robustezza dei denti, le loro forme arrotondate e la loro inserzione non verticale, ma incli- nata indietro nella mascella superiore. Sono appunto questi, quelli che nel loro complesso indicavo come curiosi caratteri arcaici, mentre facevo poi particolare menzione di un altro elemento morfologico assai importante: la presenza di un cingulum o cercine basale ben marcato, continuo attorno ai lobi interni del dente e semplice, come suol avvenire in parecchi generi di Tragulidi, non formante, cioè, una colonnetta ben distinta tra il lobo interno anteriore e quello posteriore, come accade invece in Dicrocerus e in generale nei Cer- vulinae, che sono, tra i Cervidi, le forme meno differenziate e perciò più affini ai Tragulidi. Anche Dremotherium, che da questo speciale punto di vista si avvicina assai ai Tragulidi, si può riconoscere per i caratteri delle impronte semilunari. Prescindendo dagli americani Leptomerychinae, che per i più re- centi autori costituiscono una famiglia a sè ('),i Tragulidi si possono (4) Scorr W. B. Wife River Selenodonts. Trans. Wagners free Inst. of. Sc. Philad. 1899. — Martew W. D. Revision of the Hypertragulidae. Bull. Amer. Mus. Nat. Hist., 1902 — Osteology of Blastomerys Ibid., 1908 - TrovessarT. Catalogus mammalium Suppl. fasc. III, 1905. = (ABD distinguere nelle due famiglie dei (Gelocinae e dei Tragulinae, alla prima delle quali appartengono, per ora, soltanto dei generi oligo- cenici, e tra essi ì due soli generi di Tragulidi, che, per quanto io so, siano stati citati in Italia: Gelocus e Prodremotherium (*). I Ge- locinae distinti principalmente per i caratteri dei loro molari inferiori e per l’organizzazione primitiva degli arti, hanno molari superiori che ricordano più o meno quelli dei 7raguZnae, ma sono meno net- tamente selenodonti, poichè le colline interne sono bensì piegate a V, in modo che ciascuna di esse abbraccia il corrispondente lobo esterno, ma esse sono coniche e l’ impronta semilunare è poco mar- cata ed atipica. Fra i Zvagulinae poi si può escludere Lophiomerye Pom., delle cui due specie ho visto belli esemplari al British Museum e al Mu- seum d’ Histoire Naturelle a Parigi, ed anche a Bologna ed a Fi renze (L. Chalaniati Pom. di Quercy), i cui molari differiscono per essere più lisci, più lunghi e stretti, con le colline esterne più gra- cili, fogliformi ecc. ecc., ed anche 7ragulus, che è pure ben diverso; invece il Hyomoschus Gray ha caratteri perfettamente coincidenti con quelli che sui miei campioni è possibile rilevare; ciò apparirà anche meglio dalla successiva descrizione. Fin da principio ero stato colpito dalle somiglianze, che il fossile presenta con l’ Hyomoschus aquaticus Ogilby. Ma le mie ricerche in questo senso furono poi interrotte, per aver visto nel Museum a Parigi, dei molari di Hyomoschus crassus Lart. di Sansan, nei quali il cingolo, ben marcato sul lobo anteriore, si attenua molto fino quasi a scomparire sul lobo posteriore. Fu così che, annettendo a questo carattere un’ importanza eccessiva, ne fui momentaneamente fuorviato. Ma in seguito un esame dei resti di Dorcatherium (= Hyo- (1) PortIs. Avanzi di Tragulidi oligocen. nell’ Italia sett. Boll. Soc. geol. it. XVIII, 1899, pag. 4. SR moschus) del British Museum, compiuto mercè la cortesia del Prof. Woopwarp, mi persuase che si trattava appunto di questo genere : e questo mi fu poi confermato anche dal Dott. SteHLIN, che mi mostrò nelle splendide collezioni di Basilea interessanti materiali, @ pparte- nenti sia all’ 7. crassus Lart., sia all’ 7. aquaticus. Da questi con- fronti e dall’ esame della bibliografia potei convincermi, che lo svi- luppo del cingolo neì molari di Hyomoschus è soggetto a variazioni piuttosto ampie, non solo entro i limiti del genere, ma anche entro quelli delta specie. Così, anche dietro il parere autorevolissimo del Dott. SreHLIN, al quale sottoposi il mio fossile, credo di poterlo de- terminare come Hyomoschus crassus Lart., specie con la quale esso presenta una completa corrispondenza di caratteri. Quanto alla distinzione fra Vorcatherium e Hyomoschus, il se- condo rappresenta così evidentemente una fase di ulteriore sviluppo del primo, dal quale differisce solo per la scomparsa del 4° premolare inferiore, che il volerli tener separati sarebbe a parer mio inopportuno. HyowmoscHus crassus (Lart.) (Tav. I, fig. 2, 3). Bibliografia esaminata. 1823. Cuvier. Recherches sur les ossem. foss. IV, pag. 103, tav. VIII, fig. 6 (non aliae). 1835. Dorcatherium Naui, Kaup. Descript. ossem. foss. de Darmstadt, V, tav. XXIII, A, B, C. 1851. Dicrocerus crassus, LARTET. Notice sur la colline de Sansan, pag. 35. 1856 - 58. Dorcatherium Naui, Meyer. Schildkroten und Siiugethiere aus der Braunkohle von Turnau. Palaeontographica VI, pag. 54, tav. VIII, fig. 4. 1859. Cervus aurelianensis, (pro parte) GeRvaAIS. Zool. et Paléont Francaises, pag. 152. 1864. ——_________ Mixe Epwarps. Rech. sur la fam. des Chevrotains. Ann. Sc. Nat. Zool. t. II, pag. 105, tav. XI, fig. 2, tav. XII. 1870. Hyaemoschus crassus, FrRAAS. Die Fauna von Steinheim. Stuttgart, pag. 29, tav. VII, fig. 1-16. 1853. —— RùrmeyER. Beitr. zu einer natiirl. Gesch. der Hirsche, ITT. Abhand]. schw. pal. Gesellsch. X, pag. 70, tav. VII, fig. 21, 22, 42, tav. IX, fig. 1-20. 1SS4. —__ Tovra. Ueb. ein. Siugethierreste von Goriach bei Turnau. Jahrb. k. k. geol. R. - A. XXXIV, pag. 39%, tav. VIII, fig. 20. 1897. 1888. Hyaemoschus lese = 1885. - 1891. 1892. 1898. 1902. 1902. 1904. 1908. 1909. lari Hyaemoschus Dorcatherium Hyaemosch us Dorcatherium — 0gageS Jourdani, DepERET. Rech. sur la success. des faun. des Vert. foss. de la vallée du Rhòne. Arch. Mus. Hist. Nat. Lyon IV, pag. 264, tav. XIII. crassus, HorMmann. Zur Kenntn. der Singeth. aus den Miocinsch. von Vor- sderd. bei Wies in Steierm. Jahrb. k. k. Geol. R. - A. XXXVIII, 1888, pag. Si tav. I fe. 4.0. L Hormansx. Beitr. zur Siugethierf. des Labitschberges in Steiermark. Ibid. pag. 554, tav. IX, fig. 2-6. sp. Hormans. Ibid., pag. 557, tav. IX, fig. 7. crassus, FrLuoL. Mammiferes fossiles de Sansan. Ann. Sc. Geol. XXI, pag. 9232, tav. XXI- XXIII e XXX. Jourdani, DerérET. La faune des mamm. mioc. de la Grive St. Alban (Isère) et de qqs. autres loc. du bass. du Rhòne. Arch. Mus. Hist. Nat. Lyon. V, pag. 90. erassus, RepLICH. Eine Wirbelthierfauna aus dem Tert. von Leoben. Sit- zungsber. k. k. Ak. Wiss. Wien. CVII, pag. 456. crassum, Roger. Wirbelthierreste ans dem Obermioc. der bayer. Schwab. Hochebene, IV Th., 35 Ber. der Naturwissensch. Ver. von Schweb. und Neuburg, pag. 4, tav. I, fig. 2. ScnLosser. Beitr. zur Kenntn. d. Siugeth. aus d. sudd. Bohnerzen. Geol. und Pal. Abhandl. v. Koken, pag. 82, tav. IV, fig. 14. crassus, HorMmanyN und Zparsky. Beitr. zur Siiugethierf. von Leoben. Jahrb. k. k. geol. R. - A. LIV, pag. 586, tav. XV, fig. 10, 11. Mayer. Èt. des mamm. mioc. des sables de 1’ Orléan. et des fal. de la Tou- raine. Ann. de .’ Univ. de Lyon, pag. 128, 283. (Hyaemoschus) crassus Zparsky. Die mioe. Singethierfauna von Leoben. Jahrb. k. k. geol. R. - A. LIX, pag. 271, tav. VIII, fig. 2. Descrizione. — I materiali di cui posso disporre sono: i tre mo- superiori e un frammento di premolare superiore di sinistra, ancora in serie nella posizione normale; molare sup..3° e molare superiore 2° frammentario, di destra. I molari appariscono tutti molto robusti, bassi, a forme solide e rotondeggianti con forte cingolo semplice e continuo, circondati da un grosso strato di smalto superficialmente assai rugoso, ma tuttavia lucente, porcellanaceo. Colline interne basse e forti, con impronte semilunari a margine esterno sinuoso, ma in complesso assai semplici e senza ripieghe uncinate dello smalto: il corno posteriore della mezza - luna anteriore di ciascun molare si inflette in dentro, venendo a contatto con la collina posteriore; ma aumentando il grado di usura, DE VER l'impronta s’ ingrandisce e perde gradatamente la sua forma: è quanto si verifica, procedendo dal 3° verso il 1° molare. Il corno anteriore di ambedue le mezzelune di ciascun dente si estende lungamente ad abbracciare la corrispondente collina esterna ed il suo smalto nei lobi anteriori si riconnette con quello della muraglia esterna, in modo che, aumentando il grado d’usura, il corno anteriore della mezzaluna anteriore finisce col raggiungere la piccola impronta del pilastro esterno anteriore. Le colline esterne sono cilindriche o subpiramidali, con costola mediana assai forte nel lobo anteriore, poco marcata nel posteriore; osservato dal lato esterno, il dente ha il profilo di una doppia cuspide, fiancheggiata da due pilastri sporgenti; un terzo pilastro mediano, più grande, separa le due cuspidi. L'area di usura si presenta come una linea sottile, dilatata in corrispondenza del vertice, ed estesa dal pilastro posteriore a quello mediano nel lobo posteriore, dal punto di contatto dei due lobi al pilastro anteriore nel lobo anteriore: a mano a mano che il dente sì consuma, l’im- pronta si amplifica assai, assumendo forma irregolare, come si vede nel secondo e più ancora nel primo molare. Infatti nella serie dei molari il primo, nataralmente, è il più consunto e il più basso, il terzo è il meno consunto e più alto. Il terzo molare è anche il più grande dei tre, sebbene la differenza sia poco considerevole; ma il suo lobo posteriore interno è più piccolo assai di quello corrispondente del secondo molare; sebbene anche in quest’ ultimo il lobo posteriore sia meno sporgente dell’ anteriore. Ne risulta per questi due denti una sezione quadrangolare, ma quasi rombica, essendo il lato interno e il lato posteriore più corti rispet- tivamente di quello esterno e dell’anteriore e l’angolo formato dai primi ottuso, invece che retto. Ciò accade in misura minore nel primo molare, che ha sezione orizzontale subquadrata. Le minori dimensioni assunte dal lobo poste- riore rispetto agli altri tre lobi è in rapporto anche col contorno 284 — esterno della serie dei molari, poichè, disponendosi in linea continua al loro margine interno, all’esterno si viene invece a stabilire una serie di angoli rientranti e sporgenti, a dente di sega: la disconti- nuità della linea è anche aumentata per la presenza dei pilastri me- diani sporgenti, ed è in realtà maggiore di quello che apparisca nella fotografia del nostro pezzo, nel quale i pilastri anteriori dei M, e M; sono disgraziatamente rotti. Ma per l'esame e la descrizione della forma suppliscono i molari di destra, in cui detti pilastri sono ben conservati. Del premolare rimane conservata solo la maggior parte della muraglia esterna, che si presenta come una cuspide un po’ ottusa, non molto dissimile da quella dei molari, e fiancheggiata com’ essi posteriormente da una plica della parete, formante un pilastrello poco marcato: in avanti il dente è rotto, e la sua parte interna manca pure. Confronti e determinazione. — I caratteri che ho così minutamente descritto mostrano la identità dei denti in esame con quelli di Hyomoschus crassus (Lart.), descritti e figurati già da molti autori, dei quali ho elencato i principali. Ma il carattere, del quale si sono valsi la maggior parte dei paleontologi per distinguere dall’ 7. crassus altre specie, è prevalentemente, per non dire esclusivamente, basato sulle dimensioni. Per ciò riporto in un quadro i dati relativi ai molari superiori di varie specie, desunti dalla bibliografia, in confronto con le misure prese sui materiali appartenenti all’ esemplare del Friuli. E da questo quadro resulta, meglio che da una lunga discussione, come, anche ammettendo per buone tutte le specie proposte, l’ H#yo- moschus del Friuli, corrisponde meglio che a tutti gli altri, all’ H. crassus, anzi, le sue misure collimano con quelle di quest’ ultima specie perfettamente, sebbene esso rappresenti un individuo di pic- cola statura. 21 07 9'47 0a ST |9°9T GI |SFI Bici. (7: SEI [ERI “jsod “quat dan] W | | | 06 [GGI |I8T |I8] | O°47 81 GI 9 | 27 LI (QQ ST |O%7 FI d'G7 | ST FI SI ST SF] GI GI II GI JI UG] VI PI |S'GI GI | GI OUT 66 |G8T (GI || CAN)! 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ProtTI mi ha indicato, come quella, in cui circa 25 anni or sono fu rinvennto il dente di Dinoterio insieme ad alcune valve di UVri0, durante uno scavo di ghiaia e sabbia, compiuto per lavori edilizi nella vicina casa po- derale, sì trova a NW del villaggio di Anzano, a circa 600 m. in linea retta dalla chiesa, a mezza costa di una collina di quota 240, e precisamente pochi metri a SE di una casa segnata sulla carta come “ La Casetta ., e localmente indicata. come C. Piol. Recatomi sul posto, vi ho trovato ancora le tracce di una esca- vazione antica, in cui è visibile una limitata sezione, solo in parte (') Escludo dalla serie di Weinsheimer l’es. n. 10, il quale, come già osservò Roger, si scosta molto dagli altri, non solo per le dimensioni (mm. 58), ma anche per la forma. (®) PawLow. Dinotherium giganteum Kaup des env. de Tiraspol. Ann. Geol. Min. de la Russie IX, 1907. — 302 — mascherata da alcuni recenti adattamenti, fatti per la coltivazione di un orticello. Nel conglomerato ho raccolto frammenti di Unz0, i quali com- proverebbero l’ autenticità di provenienza del dente, se le risolute affermazioni di Mons. PrortI, che malgrado l’ età avanzata, conser- vava tuttora una straordinaria lucidità di memoria, non fossero di per sè stesse la più sicura delle garanzie. L'Unio, della quale questi mi ha cortesemente donato gli esem- plari che egli conservava ancora, appartiene fortunatamente ad una specie molto nettamente caratterizzata e ‘assai caratteristica: 1° U. flabellatus Goldf. Le specie di questo gruppo compaiono in Europa fin dall’ Oli- gocene, ma vi sono specialmente caratteristiche nel Miocene, e soprat- tutto della parte alta del Miocene medio e nel Miocene superiore. Nell’ Europa orientale il gruppo si conserva - rappresentato da specie appartenenti ad un pAylum sensibilmente diverso — anche nel Plio- cene (strati a Paludina di Slavonia); nell’ America settentrionale ne sono sopravvissuti fino ad oggi alcuni rappesentanti ; ma nell’ Europa occidentale il gruppo intero si estingue con la fine del Miocene. Quanto all’ U. /abellatus, esso è rappresentato da sue varietà regionali sia nel livello di Oeningen, sia in quello degli strati a Congerie : una distinzione fra questi due livelli, quando seno rap- presentati da depositi omotassici sembra, del resto, straordinariamente difficile, se non si abbiano a disposizione ricche faune di mammiferi. Comunque, conviene ritenere, che l’ V. /abellatus assume il suo mas- simo sviluppo nel Pontico, ed è questo il livello al quale si trovano quelle sue varietà, che per il loro margine anteriore regolarmente arrotondato, si avvicinano di più alla varietà veneta. Così, tanto il dente di Dinoterio quando le valve di Unio Aabel- latus concordano nell’ affermare 1’ età miocenica della formazione, rimanendo incerto se possa trattarsi della parte più elevata del Mio- — 303 — cene medio (Sarmatiano) o del Miocene superiore (Pontico) ; tanto il Dinoterio quanto l’ Unio sono infatti comuni ai due livelli. La stratigrafia conduce pure, indipendentemente dalla paleon- tologia, allo stesso resultato, e permette anzi di raggiungere una precisione forse maggiore. Il fascio degli strati terziari che limita a sud la Valmareno, si dirige risolutamente da SW a NE, finchè, urtando, a levante di Vittorio, contro l'imponente cupola calcarea che culmina col M. Cavallo, si inflette rapidissimamente, assumendo una direzione di NW - SE e orlando torno torno il massiccio cal- careo per Rugolo, Montaner oltre Caneva, fino a continuarsì nei lembi di Polcenigo e di Aviano. In questo secondo tratto gli strati sono rovesciati, fortemente stirati, e alcuni di essi; nello stiramento, sono stati probabilmente laminati fino a scomparire; ma nel tratto che ora ci interessa, tra la Costa Fregona e Anzano, la serie è completa e gli strati sono normalmente immersi verso SE. Una sezione traversale assai completa si può condurre, in questa regione, per il punto quotato 388 sulla Costa Fregona e per il paese stesso di Anzano. Tralasciamo i termini più bassi della serie, e pren- diamo come punto di partenza (a) i grossi banchi di fina argilla grigio- arruzzognola compatta, con lavature gialle, che viene escavata per la correzione dei calcari nella fabbricazione dei cementi, subito a set- tentrione dello sperone ultimo di Costa Fregona, a forse 200 m. in linea retta dalla Madonna della Salute. Quivi e nella cava Gru, aperta nello stesso banco presso Vittorio, a NE della collina di S. Paolo, gli strati inclinano di circa 40° a SE e vi sì raccolgono in copia Brissopsis sp., Protoma rotifera (Lamk), Conus subacuminatus D’Orb., Natica sp., Pyrula sp., Perna ma:rillata Lmk., Meretriv mul tilamella (Lk.), Arca diluvii Lmk, Anomia Hoernesi (= A. Choffati Dollf., Cott., Gomes.) ecc. Le relazioni stratigrafiche con gli strati miocenici soggiacenti e ì caratteri di questa faunetta concordano nel farci con- —- 304 — siderare questi banchi di Cava Gru come corrispondenti ad un livello del Miocene medio, e più precisamente al Tortoniano. Su di essì si adagiano (4) dei banchi molassici più arenacei, più compatti, salienti, e formanti l'ossatura della collina detta Costa Fregona. Sul fianco meridionale di questa, le molasse con- tengono spesso dei ciottoletti avellanari e passano così a banchi conglomeratici, che vengono a intercalarsi alle molasse. I fossili sembrano in questo complesso assai rari, ma qua e là vi si trovano delle ricorrenze della faunetta marina già elencata, le quali ci per- mettono di stabilire, che siamo sempre nello stesso piano. All’altezza di C. Valspiron (c) le molasse - arenarie e i conglomerati assumono di nuovo uno sviluppo notevole e sono sormontati da una lunga serie di (4) banchi molassici, sempre concordanti coi precedenti, anche nel grado dell’ inclinazione, e nei quali le intercalazioni di ghiaie e conglomerati si fanno man mano più rare e limitate. Malaugurata- mente pel geologo, la natura del terreno è qui assai propizia alla vegetazione, che ricuopre in gran parte il suolo; ma lungo un ru- scello che scorre subito a levante di C. Bibanel si vedono in vari punti gli strati posti a nudo. In una di tali piccole sezioni si scorgono (e) dei banchi di argilla carboniosa, molassa grigia e gialla con rari esemplari di Potamides bidentatus Grat., sormontati direttamente e in perfetta concordanza da altri (/) banchi argillosi e molassici di aspetto poco dissimile, ma contenenti resti di molluschi terrestri. A questo livello si trovano anche, qua e là, frequenti pezzi di lignite, Altre sezioni aperte (9) in banchi molassici appena superiori ai precedenti contengono abbondanti conchiglie di Meli. Da questo punto fino a quello dove fu trovato il nostro dente, il suolo è molto coperto, per una distanza non indifferente ; tuttavia tutto fa ritenere che la stessa formazione continui ininterrottamente, costituita da marne, marne sabbiose e molasse, con intercalazioni piuttosto rade di una ghiaietta calcarea, Li 1905 = in generale poco cementata. In una di tali intercalazioni ghiaiose si apre appunto la cava della Casetta o C. Piol, come è detta local- mente, nella quale si vede a nudo (?) un banco ghiaioso giallo, con- tenente Unio flabellatus Goldf. var. ; e da cui proviene il dente di Dinotherivm. La ghiaia, commista a non poco materiale argilloso, è sormontata da una sabbia marnosa grigiastra con macchie gialle e lavature rossastre, analoga a quella degli strati precedenti e molto simile nell’aspetto, alle molasse superiori d’ acqua dolce della Svizzera. Dopo un altro spazio di terreno coperto, presso Anzano si rivedono (7) le molasse, contenenti qui in abbondanza la solita Meli sp. e Tripthychia sp. L'esame di questa sezione ci permette in certo modo di seguire, a grado a grado, qui come in altre parti del Veneto orientale, ad es. in Friuli, il lento e progressivo passaggio dal regime marino, do- minante nel Miocene medio, ad un regime francamente continentale. Dopo il deposito delle argille a Protoma rotifera di Cava Gru, (a) che può ascriversi, come si è visto, al Tortoniano, il progressivo ricol- mamento del bacino fa sì, che i depositi si effettuino in acqua sempre più sottile, (0-4) fino a passare ad un regime salmastro, con una facies un po’ simile a quella che va sotto il nome di Sarmatiano, e che è accusata da uno dei suoi fossili più caratteristici, il P. biden- tatus. (e). Ma tosto il mare si ritira definitivamente e i depositi molassici e ghiaiosi superiori (7-/) sono prettamente continentali e caratte- rizzati da Hel. La presenza costarite di questo fossile che non ho anche potuto determinare specificamente, ma del quale una specie almeno sembra ripetersi a tutti i livelli, m’induce a ritenere che tutti gli strati continentali, dal ruscello di C. Bibanel fino ad An- zano, (/-), tra i quali è incluso il livello con Unio e Dinotherium, appartengano ad un medesimo piano; il quale, per la sua facies con- tinentale, per ì suoi rapporti di sovrapposizione concordante a strati — 306 — con facies sarmatiana, per la caratteristica specie di Unio che con- tiene, si può attribuire con molta probabilità di ragione al Pontico o Miocene superiore. ELEPHANTIDAE Mastopox cfr. ARVERNENSIS Croizet et Jobert. (Tav. I, fig. 4, 5.) Cenni storici e bibliografici. — I primi cenni che si incontrano nella letteratura, relativi al ritrovamento di resti di Mastodon nel Veneto sono dovuti come ho detto all’ AmoreTTI ('), che ne cita quattro esemplari: due provenienti dal dipartimento del Bacchiglione, senza più preciso riferimento, uno di provenienza non specificata, allora conservato nel Museo di Padova, ed uno trovato “nei monti di Ce- neda ., e appartenente alla Collezione Da Rro. Di questi ultimi due fa menzione, citando 1’ AmorertTI, anche il BroccHI (?). Intanto il FauJAS comunicava il disegno di questi due denti al Cuvier (?), il quale li faceva riprodurre nella tav. 29 della sua celebre opera, attribuendoli ambedue al suo “ mastodonte a denti stretti ,,, che come si sa, comprendeva in origine specie ritenute poi come diverse. Data la notorietà e diffusione del libro di CuvieRr, era na- turale che la citazione dei resti mastodontei veneti si perpetuasse nei successivi trattati di osteografia e di odontografia: così, ad es., li troviamo citati nell’ opera del BLAINVILLE (*) ecc. Ai suddetti resti accennò ripetutamente anche il CarULLO (e (1) AmoreTTI. Mastod. trov. alla Rocchetta. Loc. cit. (2) BroccÙÒi. Conchiol. foss. subappenn. Loc. cit. vol. I, pag. LXXVI e 187. (3) Cuvier. Ossem. foss. I Pachydermes, 1821, pag. 252, 259, tav. IV, fig. 3 e 4. (4) BLamviLLe. Ostéographie des Mammiferes, 1539-1864, III, pag. 333. (3) CatuLLo T. Nota geogn. ecc. Loc. cit. - CATULLO T. Geognosia. Lettera al Co. Salina. Loc. cit. Si, ge dando più minuti ragguagli sulla località di ritrovamento di uno dei denti, come ho avuto già occasione di dire; ma uno studio di essi non fu ripreso che nel 1869 dal De Zicxo ('). In tale epoca i due molari del dipartimento del Bacchiglione erano ormai perduti, e le ricerche fatte dal De Ziexo e dal Lioy per rintracciare i disegni, che secondo l’ AmoretTI ne aveva fatto il MARZARI, pare riuscissero vane. Fatto sta, che del vecchio materiale non rimaneva a studiare altro, che il frammento di molare dei colli trevigiani, detto impro- priamente dei colli cenedesi (fig. 3-4 di Cvuvrer). In compenso, due nuovi ritrovamenti erano avvenuti; e di questi due altri frammenti sì occupa pure il De Zicvo. Dopo una pubblicazione riassuntiva di questo medesimo autore (*), sui mammiferi fossili del Veneto, nessuno, per quanto so, si occupò più dei mastodonti trevigiani: solo se ne trova qualche rara citazione. Descrizione. — Anch'io dovrò limitare il mio esame a questi tre esemplari, dei quali però due soli ho potuto ritrovare. FsemPLARE A. - Questo esemplare è quello che appartiene alla collezione Da RIo e fu figurato dal Cuvier (tav. IV, fig. 3, 4). A proposito di questa figura conviene notare, che essa è invertita, essendo, come la maggior parte delle figure di quell’ autore, incisa allo specchio. Così, a giudicarne dalla figura stessa, lo si crederebbe un molare destro, invece che sinistro, com’ è in realtà. Ciò apparisce già dalla figura datane dal De Zicxo (tav. I, fig. 1-3) e risulta poi dalla mia (tav. I, fig. 4). La direzione e partizione dei tronconi. di radice ancora conser- .vati ci permette di stabilire qual'è il lato anteriore del dente; esso coincide naturalmente con l'estremità più logora di esso. Ciò posto, poichè si sa che le colline trasversali sono costantemente oblique (') De Zieno. Resti Mastod. Veneto. pag. 1-6, tav. I, con Nota aggiunta del Dec. 1870. Loc. cit. (£) DE Zieno. Mamm. foss. Ven. Loc. cit. — 308 — dall'interno verso l'esterno e in senso antero-posteriore, combinando questi elementi coi dati tratti dalla posizione della serie di tuber- coli pretriti e dalla collocazione dei tubercoli di sbarramento, dei quali sì vedono ancora le tracce nelle sinuosità dello smalto, si può agevolmente stabilire, che si è in presenza di un molare superiore sinistro. La debole alternanza dei tubercoli delle due serie conferma il riferimento del dente al mascellar superiore. Del dente non sono conservati che il cercine anteriore, tre col- line intere ed una parte della metà pretrita della quarta collina : manca dunque la parte posteriore. Questo rende alquanto incerta la determinazione del posto, da assegnare al dente, se cioè esso sia il secondo o il terzo molare. La larghezza massima, misurata su alcuni esemplari di M, di M. arvernensis (!) oscilla tra 62 e 78 mm.; nel M. longirostris Kaup la stessa misura sarebbe di 81-82 mm. La larghezza del MM; è invece di 86-96 nel M. arvernensis e di 89-90 mm. nel M. longirostris. L'e- semplare in esame, largo 78 mm., parrebbe rientrare nella prima di queste dune categorie. Anche le misure parziali longitudinali, che lo stato frammentario del dente permette, sembrano dimostrare, che il nostro campione vuol essere considerato piuttosto come un M, che come un _M}, pur essendo relativamente piuttosto allungato. Questa conclusione sarebbe poi convalidata dalla forma, che si accenna ret- tangolare e dalla condizione di usura molto avanzata. Il frammento conservato della corona mostra una forma quasi rettangolare, allungata, colla massima larghezza situata posterior- mente, in corrispondenza della terza collina, e col margine anteriore un po’ obliquo, sensibilmente protratto in avanti dal lato esterno. (!) Queste misure sono state desunte in parte dalla bibliografia, in parte prese direttamente su esemplari dei Musei di Firenze e di Bologna, grazie alla cortesia dei rispettivi direttori Prof. C. De SreranI e Prof. G. CAPELLINI, ai quali godo di poter qui testimoniare pubblica- mente la mia riconoscenza. — 309 — Il dente è, come si è detto, molto usurato: dal lato pretrito è alto mm. 19.5 in corrispondenza della prima collina, mm. 20.5 in corrispondenza della seconda, e mm. 24 in corrispondenza della terza ; dal lato meno consunto rispettivamente 28 mm., 33.5 mm. e 41 mm.; ne deriva, che la presenza, forma e sviluppo dei tubercoli sono solo parzialmente riconoscibili, sopratutto in base ai meandri e alle inci- sioni delle liste di smalto sulla superficie di usura. Anteriormente si doveva trovare un talloncino o cercine assai sviluppato, special- mente dal lato esterno, e diviso in più mammelloni. I tubercoli prin- cipali dei due lati son posti quasi per diritto, su linee leggermente oblique indietro, dall'interno verso l’ esterno. Una vera alternanza dei tubercoli delle due serie non ha luogo; una certa tendenza a tale disposizione si verifica solo per causa dei tubercoli secondari. Questi, essendo concresciuti alla base coi prin- cipali, quando la superficie è logora, producono una dilatazione ine- guale delle impronte d’usura; ma la linea suturale mediana non forma una spezzata a zig-zag regolare; i segmenti contigui della spezzata sono assai disegnali; così stanno tra loro, alternativamente presso a poco come 1:2. I tubercoli principali della serie pretrita (interna) hanno larga base di forma ovale, con l’ estremità più dilatata verso il margine : il tubercolo di sbarramento si trova anteriormente a ciascuno di essi verso la linea mediana del dente, ed è assai grande e. chiaramente delimitato sulla superficie logorata, per una sinuosità della lista di smalto e per una incisione suturale. Dal lato posteriore ciascuno di tali tubercoli principali doveva avere, sempre verso la linea mediana del dente, una specie di callosità o debole ingrossamento dello smalto, che, venendo incontro al tubercolo di sbarramento, contribuiva a sbarrare la valle: ne argomento la esistenza in base sempre alle si- nuosità della lista di smalto. Delle valli di questa parte pretrita resta ormai poco o niente ; tutto quel che si può dire si è, che esse — 310 — non avevano certamente un fondo piano, come suol avvenire nel M. angustidens. Il margine di questa parte del dente (margine in- terno) è costituito da una balza basale di smalto superficialmente un po’ rugoso, la quale sola è stata rispettata dal logoramento, es- sendo i tubercoli abrasi: in corrispondenza delle valli essa risale un poco dentro di esse, formando una specie di cercine saliente e ri- levato. I tubercoli principali della serie meno consunta (esterna), hanno base ellitica col loro asse perfettamente allineato, come si è detto, con quello dei tubercoli principali dell’ altra serie. Un tubercoletto secondario, concresciuto con essi alla base nel lato posteriore verso la linea mediana, forma, nell’impronta di usura, un diverticolo assai netto: esso viene incontro al tubercolo di sbarramento, sporgendo entro la valle. Dal lato anteriore, sempre verso la linea mediana del dente, ciascun tubercolo principale esterno presenta un ispessi— mento calloso dello smalto, la cui presenza sì riflette pure, sebbene debolmente, sull’ impronta d’usura. Le valli hanno un profilo net- tamente conformato a V, senza fondo di valle pianeggiante, ma do- vevano essere tuttavia piuttosto larghette. L’asse della prima collina è assai inclinato in avanti, quelli delle altre due tendono man mano a raddrizzarsi, ma non giungono nei primi tre tubercoli almeno, a divenire perpendicolari alla base della corona: i due opposti pendii rimangono sensibilmente diversi, l'anteriore essendo sempre più corto e più ripi!o del posteriore. Sebbene troncate nel nostro esemplare, pure anche le radici mostrano qualcuno dei loro caratteri. Il gruppo anteriore, meno mas- siccio, è nettamente distinto in due radici: l'anteriore sinistra, che corrisponde perfettamente al primo tubercolo anteriore della serie meno consunta ; e l'anteriore destra, che corrisponde ai due primi tubercoli della serie più consunta. Il gruppo radicale posteriore è più danneggiato ed è perciò più difficile riconoscerne i caratteri. La — 311 — sua frattura mostra nell'interno della massa, una grande cavità ca- vernosa, di forma irregolare, con superficie finemente rugosa. EsempLaRE 5. — Si tratta dell'esemplare rappresentato dal DE Ziano nelle figure 4, 5 e 6 della sua tavola, e che proviene dalle vicinanze di Follina. Ne faccio riprodurre delle fotografie (tav. I, fig. 5). Il De Zioxo indicava questo frammento come la parte anteriore di un molare superiore destro, ma questa attribuzione non è esatta. Nella supposizione, che vedremo erronea, che il dente in questione fosse un M,, il De Ziexo, non vedendo alcuna traccia di tallone, credè di poter asserire trattarsi della estremità anteriore, In realtà, però, il dente è più logoro e più basso da quella estremità dove è rotto : la posizione delle radici e sopratutto quella dei tubercoli di sbarramento confermano infatti senza alcun dubbio che la estremità integra del dente è la posteriore. Orientato così il dente, è facile ri- conoscere, mediante gli stessi caratteri che ci han servito per l’esem- plare A, che siamo anche qui in presenza di un molare superiore sinistro. L'assenza di ogni traccia di tallone posteriore, la forma rettangolare, obliquamente tronca indietro, e il confronto delle di- mensioni (larghezza massima 79 mm. in corrispondenza delle due colline mediane) con quelle, sopra riportate di alcuni 3, e M, delle specie più affini, dimostra a parer nostro perentoriamente, che si tratta qui di un grande esemplare di M.. L’esemplare £ è assai usurato; un po’ meno, tuttavia, dell’esem- plare A: dal lato più consunto è alto rispettivamente mm. 23.83, mm. 28,5 e mm. 31.2 in corrispondenza della seconda, terza e quarta collina; dal lato meno consunto mm. 51 e 53 in corrispondenza ri- spettivamente della terza e quarta collina. Credo inutile di fare la descrizione minuta di questo dente ; essa non riuscirebbe che una superflua ripetizione di quella già data a proposito dell’ esemplare A. Accennerò solo a qualche differenza, del SIDE resto molto lieve, e insisterò sulla descrizione delle parti che qui sono conservate e mancano nell’es. A, cioè dell’ estremità posteriore. La statura è appena appena maggiore, il molare raggiungendo, come si è detto, la larghezza di 79 mm. Anche qui i tubercoli prin- cipali dei due lati sono posti per diritto in linee trasverse solo de- bolmente oblique : la disposizione dei tubercoli secondari e i carat- teri della linea suturale media sono pure gli stessi. Il tubercolo di sbarramento apparisce però un po’ meno marcato, forse a causa della minore usura. Analogamente, le tracce di una callosità o ingrossa- mento dello smalto al lato posteriore interno dei tubercoli principali più consunti sono appena marcate. Le valli del lato pretrito sono a fondo non pianeggiante, con profilo a V; esse sono però libere per tutta la loro lunghezza, il tubercolo di sbarramento non venendo a contatto con la callosità che lo fronteggia, se non proprio per la base : balza basale interna rugosa e formante talloncini salienti cir- cinnati allo sbocco delle tre valli anteriori. I tubercoli della serie meno consunta sono simili ai loro omologhi dell’ esemplare A, ma sono presso a poco verticali: le valli, larghette, hanno profilo a V, e i loro pendii opposti rimangono sensibilmente diversi, l’ anteriore essendo un poco più corto e più ripido del posteriure. Il massiccio gruppo radicale posteriore doveva corrispondere ai due tubercoli posteriori inverni e a tre di quelli esterni: la rottura delle due radici mette in mostra due cavità cavernose comunicanti, nel fondo delle quali apparisce la superficie inferiore interna della corona, molto irregolare. Posteriovrmente il dente termina tronco obliquamente, un poco protratto dal lato esterno: un cercine si addossa all’ ultimo tubercolo del lato interno, fondendosi con esso nell’ usura: un piccolo tuber- coletto emisferico si annida nell’ angolo fra questo cercine e l’ultimo tubercolo esterno, — 313 — EsempLare C. — Il frammento illustrato dal De Zigno con le figure 7, 8 e 9 e che egli ci avvertiva appartenere al Sig. A. Dar Box sembra essere andato smarrito. A. giudicarne dalla figura, esso era certamente un M,;, probabilmente l’inferiore sinistro. La sua per- dita è certamente lamentevole per la storia della paleontologia ve- neta, ma non ha grande importanza, trattandosi di un frammento, dal quale ben poco si sarebbe potuto cavare per la determinazione specifica. - Ci Confronti. — Dato il grado assai avanzato di usura dei nostri molari A e 5, si può vantaggiosamente confrontarli con quello del M. arvernensis che il Vacex (') figura come proveniente da Bribir in Croazia. A prescindere dalle dimensioni, assai minori nell’ esem- plare del Vacex, le somiglianze sono in realtà molto strette. Quei st'ultimo mostra di avere uno smalto superficialmente molto rugoso ; negli esemplari veneti lo smalto sembra assai più liscio. Anche le valli del lato meno consunto sono in quello larghette e l’asse delle colline è leggermente inclinato in avanti, come nei nostri esemplari. I tubercoli vi sono allineati obliquamente ; in corrispondenza della terza collina l’ obliquità è anzi notevole : l’ alternanza dei tubercoli delle due serie vi è debole e la spezzata che corrisponde alla linea mediana che incide le colline, separandole in due metà, forma an- goli molto ottusi, ma i suoi segmenti sono alternativamente meno diseguali che nel molare A e soprattutto che nel molare B:; in- dizio di una alquanto più pronunziata alternanza dei tubercoli delle due serie. (1) Vacer. Ueber Oesterr. Mastodonten und ihre Bez. su den Mast. Europas. Abhand] k. k. Geol. R. - A. VII, 4, 1877, pag. 36, tav. VII, fig. 2. DE STEFANI e DAINELLI. (1 terr. eoc. presso Bribir in Croazia. Rend. r. Acc. Lincei, 1902) dopo apposite ricerche, non riuscirono a trovare a Bribir alcun lembo pliocenico: dal che il De Stefani (Géotectonigue des deux vers. de l'Adriat. Ann. Soc. geol. Belg. XXXIII, 1908, pag. 229, nota) è indotto a supporre, che sia nato qualche equivoco, relativamente ai mammiferi citati da quella località, tra cui il Mastodon arvernensis. — ala Un campione, considerato da Back (') come tipico di M. arver- nensis, diversifica invece notevolmente dai nostri, avendo valli molto più strette, colline più raddrizzate, presso a poco verticali, coi due pendii egualmente inclinati ; l'alternanza dei tubercoli delle due serie vi è più marcata. Un confronto più preciso, rivelante straordinarie somiglianze, si può fare con un MV, di Luttenberg, che il Back medesimo illustra (?) come M. cfr. arvernensis. È inutile spender molte parole per mettere in evidenza tali somiglianze, bastando una semplice occhiata com pa- rativa delle due figure. Tuttavia, l’obliquità delle colline è qui un poco maggiore e l’alternanza dei tubercoli più marcata, che nel- l’es. A del veneto: maggiore è a tale riguardo la somiglianza con les. B. Il molare di Stiria è, inoltre, dilatato alle estremità e un po’ assottigliato verso il mezzo. Questo M. cfr. arvernensis, come altri esemplari, pure illustrati dal Back col nome di M. longirostris, e come anche il M. cfr. longi- rostris SCHLOSSER (*), tutti del Pontico, sono da considerarsi, secondo le idee largamente documentate del BacH, come forme intermedie tra il M. longirostris e il M. arvernensis, e ciò, non tanto per i carat- teri dei molari, quanto per quelli della sinfisi mandibolare, delle di- fese presenti anche alla mandibola, ecc. Quest’ ultimo, insieme ad altri caratteri, dimostra però che siamo ancora assai più vicini al M. longirostris che non al M. arvernensis. Concludiamo. Esisté nel Pontico un Mastodonte, i cui molari si allontanano un po’ da quelli tipici del M. /ongirostris, coi quali sono però collegati da forme di passaggio, e si avvicinano a quelli (1) Back. Mastodonreste aus der Steiermark. Beitrige zur Pal. umd. Geol. Oest. Ung. und. Orient. XXIII, 1910, pag. 112, tav. X, fig. 3. (2) Ibid., pag. 110, tav. VIII, fig. 5. (3) ScaLosser. Ueber Siiugethiere und siisswass. Gastrop. aus Pliociinabl. Spaniens. ecc. N. Jahrb. f. Min. Geol, Pal. C, 2, 1907, pag. 2, tav. I, fig. 28-29. — 315 — del M arvernensis a tal punto, che il BacH è costretto a riconoscere, che se gli fosse stato sottoposto il solo molare, egli non avrebbe esi- tato a determinarlo con quest’ ultimo nome. Ma tale specie è ben distinta da quella pliocenica, per la sinfisi mandibolare protratta e per la presenza d’incisivi alla mandibola. Essa rimane dunque assai più vicina al M. longirostris che al M. arvernensis, e difatti sembra propria del Pontico. A tale livello comparisce a Cueva Rubbia in Spagna (ScHLosser), ad Oberlassnitz in Stiria (BacH), a Pikermi in Grecia (Givney) (') e forse anche, sempre nel Miocene superiore, alla Croix Rousse di Lione in Francia (DEPÉRET). Ne resulta sempre più convalidata l'opinione espressa da vari autori tra cui ScHLosser e Bacg, che la determinazione della specie in base ad un molare di Mastodonte è spesso impossibile, quando non si conosca già per altre vie l'età degli strati onde quello proviene. Sebbene sia da ritenere molto probabile, come dirò tra poco, che il giacimento dei Mastodonti del Veneto sia miocenico superiore, e precisamente pontico, non mi varrò di questo elemento, per deno- minare la specie; limitandomi ad affermare la mia convinzione, che sì tratti anche qui di quella specie intermedia, di cui ho fatto pa. rola. Questa è stata indicata a volta a volta dagli autori come M. cfr. longirostris e M. cfr. arcernensis: poichè i molari da me studiati si avvicinano molto a quelli tipici della specie pliocenica e rassomi- gliano poi perfettamente a quelli che il Bach caratterizza con la seconda di quelle due indicazioni, questa converrà adottare. Giacitura ed età. — Come si è detto, i due es. A e B furono raccolti in tempi più o meno antichi e non si conosce il punto preciso di ritrovamento: si sa soltanto, che questo deve trovarsì nei pressi, rispettivamente, di Soligo e di Follina, e, che uno dei campioni, fu tro- (1) M. Pentelici pro parte. Gaupry. An. foss. et géol. de UV Attique. 1862-67, tav. XXIII, fig. 2, 3, 4, non aliae. — Gaupry. Quelqu:s remarques sur les Mastodontes è propos de Vl anim. de Cherichira. Mem. Soc. Géol. Fr. Paléont. tav. II. fase. I, 1891, pag. 5, nota 4. LE vato scavando lignite. Quest'ultimo dato è veramente prezioso. Quel fascio di colline, che tra il Piave e il Meschio orla a mezzodì le montagne, passando appunto tra Follina e Soligo, ha infatti un livello a lignite e, a quel che si sa. uno solo ; il quale si continua poi a levante nei colli di Sarmede e di Polcenigo. Per quanto ho potuto constatare mediante alcune apposite escur- sioni nella regione, si tratta costantemente di sottili filaretti. lenti, piccoli ammassi di lignite picea, impastati con marne chiare o car- boniose. Non è probabilmente un banco continuo di lignite; sono lenti, qualche volta ripetute. ma disposte ad un livello, che, almeno nel tratto di 12 Km. tra Mondaresca e Col Mogliana, lungo il quale ho potuto localizzarlo con ripetute sezioni, si mantiene rigorosa- mente unico. Senza entrare in particolari troppo minuti, che qui sarebbero fuor di luogo, dirò, come la successione degli strati nella regione sia, a partire dal Tortoniano, la seguente : a) Molasse grigie con 7urritella sp., Protoma rotifera, Ancilla glandiformis, ecc. (C. Galonet, Fornace della Lierza. C. Pecol ecc.- 5) Conglomerati in grossi e compatti banchi, con qualche alter- nanza molassica, formanti la “ corda . o catena dei colli detti Mon dragon, Col Franchin, e assottigliantisi man mano verso occidente. c) Sabbie e marne con Melanopsis sp., Neritina sp., Ostrea sp., Cardivum sp., ed altri fossili, indicanti una facies salmastra © di estuario. Si trovano qua e là in lenti molto localizzate e interrotte, sempre però ad un livello assai elevato e costante (ad es. ad Est di C. Bavera). d) Marne grigie o carboniose, con lenti o filaretti di lignite picea, zeppa talora (a S. di C. Pecol) di mal ridotte valve di Uni0 sp. Questo livello affiora in Valle Bavera, al Molino della Croda, al sud dì Col Franchin, in Valle del Soligo, in quasi tutte le vallette -— 317 — affluenti di destra del T. Campea, in Val Peccol, presso C. Zoppa in Val di Raboso, ecc. e) Banchi conglomeratici potenti, formanti il Mondaresca, la cascata del Molin della Croda, il M. Tempiari, Col Maor, Col Baldac- chin, Moncader, M. Mogliana. Nella valle del Raboso, in questo livello sono aperte molte importanti cave di molassa e di conglomerato. f) Banchi conglomeratrici meno potenti, più rari, con ampie e fitte intercalazioni di molasse più o meno marnose, con molluschi terricoli : Helix sp., Triptychia sp., ecc. (C. Vallotaj, C. Molinetto, ecc.), talora con impronte di foglie (C. Costa Bavera). Verso occi- dente, in grazia forse del maggiore sforzo tettonico subito, che si rivela anche con un completo rovesciamento degli strati, le interca- lazioni marnose spariscono quasi del tutto, e i conglomerati pre- valgono. g) Conglomerati più grossolani, più irregolari, formanti una “corda ,, molto distinta che front>ggia la pianura (M. La Croce, M. Villa, S. Gallo, Col di Ferro, ecc.). Le sabbie a Nerztina, Melanopsis ecc., per quanto non costituiscano un livello continuo, ci dicono, che i conglomerati % appartengono ancora al Miocene medio, di cui esse rappresentano probabilmente un livello superiore a /uczes sarmatica. D’ altra parte i conglomerati e e le marne /f che sono a quelli strettamente collegate. con la loro fauna terrestre possono essere con molta verosimiglianza attri- buite al Pontico ('). Resta a vedere se il livello a ligniti, che si inter- pone fra questi due, debba essere collegato piuttosto al primo o al secondo. Intanto, le ligniti contengono qua e la dei letti di Uno, che sono molluschi d’acqua dolce, e non mai, per quanto ho potuto (1) Subito a occidente del Piave, presso Cornuda, questa stessa zona marnosa conglome- ratica f-g, con Helix», Triptychia, Melania Escheri var. rotundata, ecc., è ricoperta in concor- danza da banchi di marne grigiastre con fossili marini, dei quali il Prof. DaL Praz, che li ha pel primo scoperti, ha giustamente affermato l'età pliocenica (Cfr. DaL Praz. Sull' esistenza del Pliocene inarino nel Veneto. Atti Acc. Sc. Ven. Trent. Istr. V, 1912.) — 318 -— vedere, resti di organismi marini: essi debbono dunque unirsi più strettamente agli strati lacustri o fluviali sovrapposti, che a quelli salmastri e marini sottoposti. Secondariamente, se si ammette che i denti di Mastodon provengano da questo livello, è certo che non si tratta di Miocene medio (poichè nel Sarmatiano viveva il M. angu- stidens, cuì 1 denti in parola non sono certamente da riferirsi) mentre può invece trattarsi di Miocene superiore o Pontico, poichè si sa, che in tale periodo visse a Pikermi, in Francia, in Spagna un Masto- donte, i cui molari corrispondono bene a quelli in istudio. Questi resultati collimano, del resto, con quelli desunti dalle altre località. Si è visto come presso Anzano alle marne ad Melix e Trip- tychia venga ad intercalarsi una lente ghiaiosa con Unio fabellatus e Dinotherium, che ne dimostrano con sicurezza la miocenicità. Lo studio della località, dove fu rinvenuto il terzo esemplare di Mastodon (es. C) di cui si è fatto parola, è una nuova conferma. Assumendo informazioni a fonti diverse ed assai attendibili, ho saputo, che circa 40 anni fa, cioè per l'appunto verso il 1870, epoca a cui risale secondo il DE Zicxo, il ritrovamento di quell’ esemplare presso Sarmede, si fecero assaggi per la ricerca di ligniti in una località distante Km. 1,7 ad E N E di questo paese, non molto lungi da C. Darè e dalla Madonna di Val. Recatomi sul posto, ho trovato sempre visibile l’inizio di una galleria poco profonda, aperta in un conglomerato non molto tenace, al quale aderiva ancora, unico testimone, un rametto carbonizzato. Anche qui la lignite in cui il frammento di dente sembra fosse rinvenuto, si trova verso la base della formazione continentale, ma fa parte di questa e non della sottoposta formazione marina. In conclusione, credo di poter affermare con una certa sicurezza, che il livello dal quale provengono i resti di Mastodon del Trevi- giano appartiene, come quello onde deriva il dente di Dinoterio, al Pontico o Miocene superiore, (bi SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA - Rlvinoceros ctr. Teleoceras aurelianensis (Nouvel) — Pm, sup. destro (1/1) - Hyomoschus crassus (Lart.) — Molari superiori e frammento di un premolare di sinistra. (1/1) Hyomoschus crassus (Lart.) — M, e M, sup. di destra. (1/1). - Mastodon cfr. arvernensis Croiz. et Job, — (Es. A). M, sup. sin. (2/3) - Mastodon cfr. arvernensis Croiz. et Job. — (Es. B). M, sup. sin. (2/3) Pag. 9 (273) 17 (281) GE 48 (807) AM (811) MEMORIE DELL'ISTITUTO GEOLOGICO DELLA R. UNIVERSITA DI PADOVA. Vol 1912 G. STEFANINI. - Mammiferi terrestri del Miocene Veneto. ra par: 7-0 Axroxio De ‘l’oxi - Brachiopodi della zona a Ceratites trinodosus di Monte Rite in Cadore. INTRODUZIONE Nell’ Agosto dello scorso anno visitavo, sotto la guida del Prof. Dar Praz, quella parte dell’interessante regione dolomitica che è compresa fra il corso del Maè e quello del Boite (prov. di Belluno). Girando di monte in monte, giungemmo una mattina alla Forcella Cibiana, donde iniziammo la salita al M. Rite, che si eleva solitario, quasi ad ostruire la valle del Boite, dominando la sottostante chiusa di Venàs. Il M. Rite è già noto nella letteratura geologica per un’impor- tante località fossilifera e ciò appunto ci spingeva maggiormente a imprenderne la salita. I fossili del M. Rite, illustrati già da qualche anno dall’ AtraGHI ('), provengono da una località poco discosta dalla cima (m. 2182) e si trovano in un calcare marnoso nero, giallastro per alterazione, finemente stratificato. Secondo le determinazioni dell’ ArracHI, che ebbe in esame il materiale del Museo Civico di Milano, composto esclusivamente di Ammoniti, il giacimento va rife- rito al Trias medio, e più precisamente alla zona a Ceratites trino- dosus Mojs. (Anisico superiore). Rintracciata subito la località fossilifera, facemmo un’abbondante (1) ArragHI C. Ammoniti triasici di M. Rite in Cadore. Boll. Soc. Geologica Italiana. Vol. XXIV, 1905. — 920. — raccolta di Ammoniti che son passate a far parte delle collezioni dell’ Istituto geologico di Padova. Durante le ricerche, per un caso fortunato, il Prof. Dar Praz s'imbattè in un banco di calcare rossastro, il quale mostrava in alcuni punti sezioni numerose di brachiopodi. Per alcuni giorni di seguito moltiplicammo le ricerche che ci fruttarono un buon numero di brachiopodi, più numerosi blocchi di calcare zeppi di fossili. Giunti a Padova, il Prof. DaL Praz mi affidò in istudio tutto il materiale raccolto e mi consigliò di intraprendere l'illustrazione della fauna a brachiopodi; sento quindi il dovere di ringraziare il mio Maestro per avermi fornito un ricco materiale di studio, come anche per l'avviamento avuto durante i lavori di campagna. Non credo inutile, data l’importanza delle località fossilifere in questione, dare un breve cenno stratigrafico della limitata regione dove affiorano le rocce sopra menzionate. La grande massa del M. Rite è costituita da un calcare. dolo- mitico bianco o grigio assai povero di resti organici (per lo più tracce di alghe calcaree). In prossimità alla cima però tale roccia presenta delle alternanze con una marna micacea grigia con fram- menti di ammoniti. Partendo dalla cima del M. Rite e dirigendosi verso il vicino Col Alto, sì osserva pertanto la seguente successione : a) Calcare dolomitico grigio, con mineralizzazioni (Galena), povero di fossili. Db) Marne micacee brune e grigie con ammoniti assai mal conservate. c) Calcari a Crinoidi grigi e rossi, potenti pochi metri, con abbondanti Brachiopodi fra i quali predominante la Spirigera trigonella Schlth. d) Calcari argillosi neri, fimemente stratificati con numerose ammoniti. e) Alternanze di calcari neri compatti con marne finemente stratificate, ora cerulee, ora vinate. f) Scisti argillosi grigi o neri con intercalazioni di calcari neri. Nei primi di e si raccolgono frequentemente Daonelle, fra le quali la Daon. Taramellii Mojs e una Daon. aff. elongata Mojs. 9) Alternanze di calcari neri nodulari, con arenarie verdi tufacee e con pietre verdi. Questo complesso di strati è molto potente e costituisce il Col Alto, ' a W. del M. Rite. La direzione degli strati è presso a poco NE-SW e la loro in- clinazione media 50° N W. Gli avanzi fossili rintracciati in questa serie di materiali mi permettono una suddivisione in piani e un esatto riferimento crono- logico di questi. Un ottimo punto di riferimento, ad esempio, è dato dagli strati f che appartengono indubbiamente al Ladinico inferiore, come è provato dalla presenza della Daonella Taramellit Mojs. A questi seguono gli strati g i quali rappresentano lo svolgimento nor- male del Ladinico colle sue alternanze di pietre verdi e di calcari nodulari. Le ammoniti studiate dall’AtrAaGRI provengono dagli strati d. Si tratta di fossili abhastanza ben conservati e a sviluppo normale, quantunque spesso in uno stato frammentario. Alle specie determi- nate dall’AtRAGHI io posso aggiungerne alcune altre (che nel seguente elenco indico con asterisco) in modo che le forme finora segnalate nei calcari neri del M. Rite sono 20 e cioè: Ceratites soldianus Mojs. Ceratites gosaviensis Mojs. Ceratites trinodosus Mojs. Ceratites superbus Mojs. Ceratites elegans Mojs. Ceratites multinodosus Hau. Ceratites sp. Balatonites balatonicus Mojs. * Balatonites gracilis Arth. * Balatonites cf transfuga Arth. Acrochordiceras Carolinae Mojs. Acrochordiceras undatum Arth. Acrochordiceras enode Hau, Proarcestes ertralabiatus Mojs. Gymnites incultus Beyr. Gymnites cf. Humboldti Mojs. * * Gymnites obliguus Mojs. * Monophyllites wengensis Klipst. var. sphacerophylum Hau. * Orthoceras sp. Atractites sp. Si tratta come si vede di una fauna abbastanza numerosa ap- partenente alla zona a Cer. trinodosus, come ebbe già a riconoscere l’AtraGHnI, le cui conclusioni cronologiche devo qui completamente confermare. Gli strati 4 sono dunque più antichi degli strati / e siccome vengono da questi ricoperti, si può dedurre che la serie sopra ripor- tata è normale. Ciò può aiutarci a riferire il calcare dolomitico @ all’ anisico medio e cioè a quella dolomia di Mendola che costituisce un orizzonte abbastanza costante in tutta la regione delle Dolomiti. Tra le marne 4 che contengono solo scarsi frammenti di cefa- lopodi e i calcari 4 si trova un banco di calcari (c) ora rosso, ora grigio, suberistallino, dal quale provengono appunto i brachiopodi che formeranno il principale argomento di questo lavoro. Da quanto ho esposto finora l’ età di questo calcare è già sta- bilita : infatti esso è più recente della Dolomia di Mendola ed è in intima relazione cogli strati appartenenti alla zona a Cerat. trinodo- sus (d). Non credo quindi di esser lontano dal vero ammettendo che gli strati c appartengano all’anisico superiore cioè a quella stessa zona a Cerat. trinodosus a cui vanno ascritti i calcari 4 immedia- tamente sovrastanti. tinta ci ì Ho voluto determinare con precisione l’età della fauna che sono in procinto di illustrare servendomi di criteri stratigrafici, perchè questa è costituita quasi esclusivamente di brachiopodi i quali, come si sa, non hanno importanza decisiva in cronologia. Le forme che mi venne fatto di riscontrare nei calcari rossi e grigi del M. Rite sono pertanto le seguenti : Encrinus div. sp. Spiriferina (Mentzeliu) Mentzeli Dunk. Spiriferina (Mentzelia) palaeotypus Loretz. Spiriferina (Mentzelia) Kiveskalliensis Suess. Spiriferina fragilis Schloth. Spiriferina pia Bittn. Spiriferina pectinata Bittn. Spiriferina avarica Bittn. Spiriferina manca Bittn. Spirigera (Tetractinel'a) heragonalis Bittn. Spirigera (Tetractinella) trigonella Schloth. Npirigera (Tetractinella) cislonensis Bittn. Spirigera (Peridella) Kittlii Bittn. Spirigera sp. Retzia Mojsisovicsi Boeckh. Retzia Schwageri Bittn. Retzia sp. Rhynchonella Mentzeli v. Buch. Ehynchonella Dalpiazi De Toni. Ehynchonella Dalpiazi var. macilenta De Toni. Rhynchonella afî. trebevicensis Bittn. Rhynchonella cf. bogumilorum Bittn (juv.). = a Rhynchonella aff. dinarica Bittn. Ehynchonella nitidula Bittn. Rhynchonella ritensis De Toni. Rhynchonella delicatula Bittn. Rhynchonella manganophila Bittn. var. orbicularis De: Toni. Ehynchonella refractifrons Bittn. Rhynchonella refractifrons var. intumescens Bittn. Ehynchonella retractifrons Bittn. Rhynchonella protractifrons Bittn. var. ottomana Bittn. Terebratula sp. Waldheimia angustaeformis Boeckh. Waldheimia sp. n., aff. augustaeformis Boeckh. Waldheimia (Aulacothyris) angusta Schloth. Posidonomya bosniaca Bittn. Lima div. sp. ind. Gastropoda div. sp. ind. Ceratites superbus Mojs. Balatonites cf. constrictus Arth. Balatonites sp. Ptychites cf. megalodiscus Beyr. Ptychites sp. Come si può desumere dal presente elenco, la fauna del M. Rite è la più ricca in brachiopodi (34 forme) di quante altre sieno state finora scoperte nel Trias medio delle Alpi, e cioè nei piani An sico e Ladinico. L' abbondanza di forme di questa fauna contrasta anzi vivamente colla generale povertà delle faune a brachiopodi dei Caleari di Recoaro, nei quali, per quanto così diffusi nelle Alpi me- ridionali, non fu segnalato finora che un numero di specie limitato. Alquanto più ricche in brachiopodi sono le faune alpine che provengono dai piani del Trias medio più recenti di quello di Re- coaro. Così ad esempio nei calcari rossi di Schreyeralm nel Salisbur- — 325 — ghese (Zona a Cerat. trinodosus) furono riscontrate 11 specie, delle quali 6 comuni colla nostra fauna. Al M. Cucco presso Paluzza (Carnia) venne scoperto dal GevyeR un calcare grigio a brachiopodi nel quale fu provata dal Brrrwer nel 1902 la presenza di 19 specie ('). La ben nota fauna di Val Rosalia nel gruppo della Marmolada, com- prende, secondo le determinazioni di SaLomwox, 23 brachiopodi, e quasi altrettanto ricca è, secondo WiLcxexs, la fauna del Latemar nelle Dolomiti fassane (18 specie). Citerò infine anche la fauna della Ghegna presso Roncobello (prov. Bergamo) nella quale Tommasi riesce a distinguere 12 specie di brachiopodi, che, secondo il mio parere, potrebbero ridursi a un numero minore, con opportune riunioni di forme affini. 3 Mi sembra d'aver passate in rassegna le principali faune a bra- chiopodi del Trias medio delle Alpi e possiamo venire alla conclu- sione che la fauna di M. Rite presenta le maggiori affinità con quella dello Schreyeralm. Affinità molto più strette esistono però colle faune del Trias medio della Selva Baconia, della Bosnia. della Dalmazia e del Montenegro. Nei calcari grigi a Crinoidi di Kéveskalla, di Felsò - 6rs e di altre località della Selva baconia furono raccolte 26 specie di brachiopodi, delle quali ben 15 esistono anche al M. Rite. Come sì vede, sì tratta di rapporti molto stretti, nei quali non è superfluo insistere, quando si consideri che alla corrispondenza fau- nistica si aggiunge anche una forte affinità litologica fra i due se- dimenti e una equivalente posizione di questi nella serie stratigrafica. Presso a poco coetanei dei calcari a brachiopodi di M. Rite sono 11) Secondo ArtHABER (Ueb-r die Horizontierung der Fossilfunde am Monte Cucco unp uber die systematische Stellung von Cuccoceras. Jahrb. k. k. geol. R. A. 1912, 2° Heft.) che recentissimamente sì è occupato della fauna ammonitica del M. Cucco scoperta dal TARAMELLI, i brachiopodi di questa località proverrebbero da un livello intermedi» tra l’Anisico e il Ladi- nico e quindi più recente di quello del M. Rite. Con ciò.si potrebbe forse spiegare il fatto che le due faune presentano atfinità relativamente assai scarse. Da gagr=e i calcari di Trebevic (') presso Serajevo in Bosnia, che hanno for- nita la fauna finora più ricca del Trias medio (52 specie). Anche questa ha notevoli rapporti di analogia con quella di M. Rite, come lo dimostrano le 13 specie comuni, ma sopratutto mi preme di far notare la completa corrispondenza di facies nei due giacimenti: in entrambe le località si hanno infatti i medesimi calcari rossi a bra- chiopodi e crinoidi. A tale sorprendente analogia nelle condizioni di ambiente non può non corrispondere una grande affinità delle due faune e sono per conto mio convinto che ulteriori ricerche nel gia- cimento fossilifero del M. Rite rafforzeranno sempre più i vincoli di parentela tra questa fauna e quella della Bosnia. Notevolmente ricche sono pure le faune a Brachiopodi del Trias medio della Dalmazia, e ben conosciuto è il giacimento fossilifero del Pastrovicchio donde provengono 27 forme, delle quali 11 presenti anche al M. Rite. Nel Trias medio del Montenegro si conoscono numerosi sedi- menti a brachiopodi, che non esaminerò partitamente per non di- lungarmi troppo in questi cenni introduttivi. Complessivamente la fauna montenegrina è molto affine alla fauna bosniaca e quindi i legami con quella di M. Rite sono notevolmente stretti: infatti della quarantina di specie elencate dal MarrELLI, almeno 16 sono comuni al M. Rite. Riassumendo, possiamo ritenere come dimostrato: 1) che la fauna a brachiopodi del M. Rite appartiene alla zona a Ceratites trinodosus. 2) che detta fauna non presenta grandi analogie con alcuna altra fauna del Trias medio delle Alpi, mentre è (1) Si confronti KirtL (Geologie der Umgebung von Sarajevo. Jahrb. k. k. geolog. R. A. 1903 pag. 532 e altrove). La posizione stratigrafica del Calcare di Trebevic è intermedia tra i calcari nodulari dell’ Anisico inferiore e i calcari rossi a Celalopodi dell’ Anisico superiore. — 327 — molto affine alle faune coetanee della Selva Baconia, della Bosnia e del Montenegro. Assodata con ciò la posizione stratigrafica dei calcari rossi del M. Rite ed esaminate le relazioni della fauna in essi contenuta colle altre faune a facies consimile, passiamo alla descrizione e alla illustrazione delle specie di brachiopodi più sicuramente determinate. Non ho compreso nella trattazione paleontologica tutte le forme sopra elencate, poichè di alcune di esse possiedo solo scarsi avanzi che non mi hanno permesso una determinazione specifica assoluta. Avendo però intenzione di continuare le ricerche nel giacimento fossilifero di M. Rite, mì riserbo di illustrare anche quelle specie che ora ho trascurato, quando nuove raccolte mi avranno, come spero, fornito un più abbondante materiale. Padova, R. Istituto di Geologia, 17 luglio 1912. — 328 — DESCRIZIONE DELLE SPECIE Gen. Spiriferina d’ Orb. SPIRIFERINA MentzEeLI Dunk. (Tav. I, fig. 5 a-d) 1890. Spiriferina Mentseli. Brrrxer. Brachiop. alp. Trias, pag. 22, Tav. XXXIV, fig. 1-28. 1594, ——___ Tommasi. Muschelk. di Lombardia, pag. 69. 1896. ———____- Pinippi. Grignagebirge, pag. 719. 1899. —____ Tornquisr. Beitr. z. Geol. v. Recoaro, III Beitrag, pag. 355, Tav. XIX, fig. 6. 1902. Spiriferina Mentzeli var. dinarica. Brrrxer. Brachiop. v. Bosnien, pag. 108, Tav. VIII, fio. 1-9. 1904. Spiriferina Mentzeli. MarreLLI. Il Wengen nel Montenegro merid., pag. 337, Tav. XI, fio. 8-12. 1906. Spiriferina Mentzeli var. dinarica. MARTELLI. Muschelk. del Montenegro. pag. 16. Tav. I, fig. 4-5. 1907. Spiriferina Mentzeli. DrexeR. Fauna of himal. Muschelkalk, pag. 3, Tav. I, fig. 3. 1909. Spiriferina Mentzeli var. angusta. WiLckens. Untersuch. v. Predazzo, pag. 22. Dì questa variabilissima specie possiedo parecchi esemplari (7) alcuni completi altri ridotti a valve isolate. Nella valva perforata sì osserva talvolta un leggero seno, al quale corrisponde una sinuosità della commessura frontale. L° apice presenta sempre il lungo setto libero, caratteristico delle Mentzelta, ma è diversamente conformato nei vari individui. Alcuni di questi sono caratterizzati da un apice grosso e ricurvo, al quale corrisponde un’area piuttosto bassa; altri invece hanno l’ apice più stretto, più alto, meno ricurvo e ben rile- vato dai franchi della conchiglia, e in relazione l’area è più alta. Questi due tipi estremi sono riuniti da forme di passaggio e perciò credo che possano rientrare nei limiti di variabilità della Spiriferina — 329 - Mentzeli, i quali sono molto ampi, a giudicare dalle numerose illu- strazioni di questa specie. SPIRIFERINA PALAEOTYPUS Loretz (Tav. I, fig. 7 a-e) 1875. Spiriferina palaeotypus. var lineoluta. Loretz. Einige Petrefacten der alpinen Trias aus den Sidalpen - Zeitsch. deutsch. geol. Gesell. pag. 802, Tav. XXI, fig. L. 1890. Spiriferina palaeotypus. BrrrxeR. Brachiop. alp. Trias, pag. 28. Tav. XXXV, fig. 911. gl Questa bella e interessante specie è rara nel materiale raccolto, tanto che non mi venne fatto di ottenerne un esemplare completo. Ciò non ostante l'ottimo stato di conservazione dei miei individui mi ha permesso una determinazione sicura. La conchiglia è molto espansa lateralmente ed è ornata da costicine radiali piuttosto larghe ma poco prominenti; le due valve sono egualmente rigonfie : la valva perforata è percorsa da un seno lungo e abbastanza ben evi- dente, la valva imperforata è occupata invece da un lobo poco ma nifesto. L’apice della valva perforata è appuntito ma non molto ricurvo, nè molto elevato in confronto dell’ umbone della valva im- perforata, che è assai prominente. L'area è piccola, per buona parte occupata da una larga fessura deltidiale. La Spirif. palaeotypus appartiene senza dubbio al sottogenere Mentselia, per la presenza di un lungo setto e per l'assenza delle la- mine rostrali all’ apice della valva perforata. Per questo importante carattere essa appartiene al grande gruppo della Spirif. Mentseli, colla quale specie ha senza dubbio una stretta parentela. La Spirif. palaeotypus fa segnalata finora in pochissime località, quali i dintorni di Prags in Pusteria, la Val Meria nel lago di Como e nei dintorni di Haimàskér nella regione del Balaton ('). Numero degli individui di M. Rite: 3. (') FrEcH F. Neue Zwveischaler u. Brachiopoden aus der Bahonyer Trias, pag. 26. — 330 — SPIRIFERINA KOEVESKALLIENSIS Suess. 1890. Spiriferina hoeveskalliensis. Brrtxer. Brachiop. alp. Trias, pag. 26, Tav. XXXIV. fi- gure 29-34. ‘1892. ————— BirtNER. Brachiop. alp. Trias. - Nachtrag, pag. 1, 5, 6. 1894. ——___ Tommasi. Fauna Muschelk. Lombardia, pag. 67. 1896. ——_—_ Punippi. Grignagebirge, pag. 720. 1899. ————___ Brrmxer. Himal. Fossils, pag. 21, Tav. IV, fig. 15-16, cum dibl. 1902. ———__- Birrxer. Brachiop. v. Bosnien etc. pag. 40, 89, 96, Tav. VIII, tig. 23-25. 1903. ———— Vinassa. Fossili del Montenegro, pag. 4, Tav. I, fig. 2. 1906. ——————__ Marretti. Muschelk. sup. Montenegro, pag. 15. 1907. —————— Drexer. The fauna of the himal. Muschelk. pag. 2. Questa specie, così diffusa, è frequente anche nei calcari grigi e rossi del M. Rite. Accanto a piccoli individui, che non raggiun- gono cioè 8 mm. di larghezza, si tro.ano individui adulti che rag- giungono e sorpassano i 20 mm. Alcuni esemplari presentano un leggero appiattimento nella parte mediana della valva perforata, cioè quasi un accenno di seno: io son disposto a considerarli quali forme di passaggio alla Spiwif. pannonica Bittn., la quale probabil- mente non è che una varietà della Spw/. koeveskalliensis, caratteriz- zata dalla presenza del seno nella valva perforata. Numero degli individui di M. Rite: 12. SPIRIFERINA FRAGILIS Schloth. 1890. Spiriferina fragilis, BrrrNER. Brachiop. alp. Trias, pag. 29, Tav. XXXV, fig. 2-4, cum bibl. 1894. — Tommasi. Muschelk. di Lombardia, pag. 65, Tav. I, fig. 3. 18959. ————___ Satomon. Marmolata, pag. 82, 140, Tav. II, fig. 18-19, 1896. ——_ Pappi. Grignagebirge, pag. 717, Tav. XXI, fig. 2. 1902. ————__ BirtxEr. Brachiop. v. Bosnien etc., pag. 95. 1904. —————___ Marretti. Il Wengen nel Montenegro, pag. 333, Tav. XI, fig. 3-5. 1909. ———_ vWitcx€ens. Paliont. Unters. aus Predazzo, pag. 18, Tav. IV, fig. 6-8. 1911. ———- Towmwmasi. Lumachella di Ghegna, pag. 3. Questa specie, così caratteristica e di facile determinazione, è frequente al M. Rite, ma si trova sempre in valve isolate. I miei CETRA E esemplari corrispondono bene specialmenre alla fig. 3 della me- moria di BrrTxER e alle figure date dal MARTELLI. Numero degli esemplari: 6. SPIRIFERINA PIA Bittn. 1890. Spiriferina pia, BrrtxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 34, Tav. XXXV, fig. 22-23. 1892. —_ var. dinarica, SaLomon. Marmolata, pag. 89, 140, Tav. II, fig. 20-22. 1902. ——— BirtxEr. Brachiop. v. Bosnien etc., pag. 83. 1903. —— var. dinarica, Brrrxer. Brachiop des Bakonyer W.. pag. 57, Tav. V, fig. 25-26. 1903. —— var. dinarica, Vinassa. Fossili del Montenegro, pag. 5, Tav. I, fig. 1. 1904. ——______ Paurp. Untersuch. aus Predazzo, pag. 80, Tav. V, fig. 16-18. 1906. ——__ Marretti. Muschelkalk del Montenegro, pag. 18. 1909. ——___ yWiccx€ess. Palaeont. Untersuch. aus Predazzo, pag. 21. Conchiglia alquanto espansa lateralmente, colle valve disugual- mente rigonfie. La valva perforata più arcuata dell’ imperforata, è percorsa da un seno ben manifesto, nel quale si trovano due coste: il seno a sua volta è limitato da due forti coste spesso bifide, dopo le quali seguono per ogni lato altre 4 o 5 coste che vanno facen- dosi sempre più deboli, prendendo contemporaneamente un decorso più arcuato. L° apice è alto e debolmente ricurvo, l’area è ampia, concava e limitata leteralmente da forti margini carenati, l'apertura deltidiade è pure larga, la linea cardinale assai lunga. La valva im- perforata è appiattita e presenta un lobo poco manifesto, occupato da 3 coste; altre coste, in numero di 5-6 si trovano nei lati: l’um- bone della valva imperforata, poco manifesto, non sporge affatto dalla linea cardinale. Questa specie presenta notevoli variazioni nell’andamento delle coste in entrambe le valve. Tra i miei individui ad esempio ve n'’ha uno caratterizzato dalla presenza di coste bifide, tanto sul seno, quanto sui lati. Senza dubbio esso appartiene alla var. dinarica della specie, la quale però è troppo vicina al tipo, per meritare di esser descritta separatamente. —.*ggdr— La Spirif. pia è abbastanza frequente al M. Rite, ma general- mente sì trova in valve isolate; degli individui a mia disposizione, in numero di 7, solo due conservano entrambe le valve. SPIRIFERINA PECTINATA Bittn. 1890. Speriferina pectinata. BrrtxeR. Brachiop. alp. Trias, pag. 31, 'Dav. XXXV, fig. 24-25. 1899. —______ Saomon. Marmolata, pag. 141, Tav. II, fig. 23. 1909. —— Witckens. Paliont. Unters. aus Predazzo, pag. 21, Tav. IV, fig. 9-10. Riferisco alla Spwrif. pectnata una grande valva incompleta, ap- partenente ad un individuo di notevoli dimensioni. Il lobo, poco pro- fondo, porta due coste, che presso alla fronte divengono tre, per la biforcazione di una di loro; i fianchi sono oceupati da 10-11 -coste, spesso bifide. L’apice è alto e poco ricurvo, l’area ampia, quasi pia- neggiante, limitata ai lati da forti spigoli, la linea cardinale è di- ritta, le fessura deltidiale è larga circa un terzo dell’ area. Il cattivo stato dì conservazione m’impedisce di illustrare questa bella e interessante specie. SPIRIFERINA AVARICA Bittn. 1890. Spiriferma avarica. BrttxER. Brachiop. alp. Trias. pag. 35, Tav. XXXV, fig. 6-7. 1902. ———— BirmtxERr. Brachiop. von Bosnien ete., pag. 19, 82, Tav. IX, fig. 5-10. Tra il materiale raccolto al M. Rite, questa specie figura solo in valve isolate. La valva perforata è caratterizzata dalla presenza di un seno stretto ma abbastanza profondo, delimitato lateralmente da due forti coste spesso bifide; i lati della valva sono alla loro volta occupati da 3 coste semplici e a decorso arcuato. L’ apice è forte- mente curvato, l’ area sembra bassa, la fessura deltidiale larga. La superficie della conchiglia di questa specie è nettamente sagrinata, come non si osserva in alcuna specie consimile. La Spirif. avarica è una specie piuttosto rara e per la prima 925 volta viene segnalata in Italia. Finora fu riscontrata a Kéveskalla, nel Pastrovicchio in Dalmazia e a Trebevic presso Serajevo. Numero degli esemplari del M. Rite: 4. SPIRIFERINA MANCA Bittn. (Tav. I, fig. 4 a-c) 1890. Spiriferina manca. BrrrxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 30, Tav. XXXV, fig. 12-16. 1891, ——e—___ Birrxer. Triasbrachiopoden von der Raxalpe und. von Wildangergebirge bei Hall in Tirol. Verhandl. k. k. geolog. R. A. 1891, n. 3, pag. 59. Di questa specie non: posso dare che la descrizione della valva perforata, non avendo a mia disposizione valve imperforate di si- cura determinazione. L’ apice è completamente diritto e tripartito, l’area è piatta, larga circa il doppio dell’ altezza, la fessura delti- diale è ampia circa il terzo della larghezza dell’ area. Il seno è pro- fondo, stretto e per lo più libero .di coste, i fianchi della conchiglia sono pianeggianti e ornati da 7-9 coste arrotondate, qualche volta bifide. La linea cardinale è rettilinea, gli spigoli che delimitano l’area sono molto marcati. Le lamine rostrali, dopo un decorso arcuato, raggiungono la su- perficie interna della conchiglia e sono alla loro volta riunite tra loro e col setto da un giogo trasversale. Questo importante carattere, messo in evidenza dalla fig. 4c tratta da un individuo levigato, al- lontana la Spirif. manca dalle vicine Spirif. canavarica Tomm., Spi rif. hirsuta Alb., le quali però si distinguono anche per alcuni carat- teri esterni, quali la presenza di coste sul seno ed altri d’ impor- tanza secondaria, La Spirif. manca è una specie poco diffusa ed è frequente solo a Kéoveskalla e in altre località della Selva Baconia; essa venne però riscontrata anche presso Hall in Tirolo. Numero degli esemplari di M. Rite: 5. — 334 — Gen. Spirigera d’Orb. SPIRIGERA HEXAGONALIS Bittn. 1890. Spirigera heragonalis. BrrrNER. Briachiop. alp. Trias, pag. 156, Tav. XXXVII, fig. 27. 1902. - -—_ Birtxer. Brachiop. u. Lamell. von Bosnien ete., pag. 16, 38, 76, Tav. VII, fig. 7-19. 1906. ——_——_—— Marretti. Muschelk, sup. Montenegro, pag. 20, Tav. I, fig. 7. Conchiglia a contorno esagonale o subromboidale, colle valve poco ed egualmente rigonfie. Tanto la valva perforata, come l’ im- perforata, presentano un solco mediano delimitato da due coste ar- rotondate, che si corrispondono nelle due valve; il seno della valva imperforata è meno profondo e si appiattisce verso la fronte, o sì arricchisce di una costa mediana. La valva perforata presente inoltre due coste laterali molto meno evidenti delle prime. La linea cardi- nale è lunga e diritta, l’apice piccolo, poco ricurvo ma nettamente delimitato ai lati. Entrambe le valve sono auricolate, la commessura laterale è tagliente, la commessura frontale è più o meno arcuata, in corrispondenza al solco mediano della valva perforata. La Spirig. hexagonalis è una specie relativamente diffusa nei giacimenti a brachiopodi del Trias medio. A M, Rite vennero rac- colti 22 esemplari. SPIRIGERA TRIGONELLA Schloth. var TETRACTIS Loretz. (Tav. I, fig. 12 a-d.) 1875. ? Rhynchonella tetractis. Loretz. Petref. alp. Trias, pag. 800, Tav. XXI, fig. 4. 1890. ————_—_ BirmxERr. Brachiop. alp. Trias, pag. 19, Tav. XXXVI, fig. 32-36. Questa forma venne dapprima descritta dal LoreTz sotto il nome generico di Rhynchonella, e poi considerata dal BrrrNER come forma del genere Spirigera, affine alla Spwig. trigonella Schloth. — 335 — ina da questa separata. Io ho avuto la fortuna di avere a mia dispo- sizione un ricchissimo materiale, proveniente dal M. Rite: si tratta di moltissimi esemplari, in diversi stadi di sviluppo, che corrispon- dono perfettamente alle tigure date dai citati autori. Da un con- fronto direttamente eseguito con esemplari tipici di Spirigera trigo- nella di Recoaro, ho potuto però convincermi che la Spirig. tetractis non è che una varietà locale di quella specie, come già aveva sospet- tato il BrrTNER nella sua classica memoria. Infatti individui giovani di entrambe le specie si corrispondono pienamente e solo negli adulti sì possono constatare differenze di secondaria importanza quali la forma generale più globosa della Spir29. tetractis, la presenza di seno nella valva perforata e l'aspetto tagliente delle commessure laterali. La Spirig. trigonella var. tetractis presenta variazioni non indiffe- renti riguardo alla forma: accanto a individui più alti che larghi, sì hanno individui notevolmente più larghi che alti e in corrispon- denze meno rigonfi dei primi. Le due valve sono egualmente rigonfie, la valva perforata presenta negli esemplari adulti un seno stretto e discretamente profondo limitato da due coste acute presso l'apice e arrotondate nella regione frontale, ad ognuna delle quali segue late- ralmente un’altra costa ad andamento obliquo. Quattro coste ornano parimenti la valva imperforata. Nella fronte le coste delle due valve sì corrispondono pienamente e la commessura frontale è concava in corrispondenza al seno della valva imperforata. La commessura laterale è sempre acuta, spesso anche tagliente, in modo che le due valve sembrano auricolate. L’apice è ricurvo, compresso lateralmente e schiacciato contro l’umbone della valva imperforata ; il forame, terminale, è piuttosto ampio. Mediante numerose sezioni ho potuto esaminare le spire interne, ma in alcuni individui che si trovarono esposti all’azione meteorica, l'apparecchio brachiale si osserva in tutti ì suoi particolari: si tratta, com'è già noto, di due spire, degradanti lateralmente, composte ciascuna di una lamella semplice, minutamente dentellata. La Spirig. trigonella var. tetractis non è diffusa come la Spirig. trigonella tipo; al M. Rite però è abbondantissima. Spesso i calcari rossi e grigi sono zeppi di questa conchiglia, la quale unitamente agli articoli di crinoidi costituisce talvolta quasi esclusivamente la roccia. Grazie a questa abbondanza, sono riuscito ad isolare 140 esemplari completi. SPIRIGERA CISLONENSIS Bittn. 1886. Rhynchonella quadriplecta, (non Miinst.) PoLirka. Jahrb. k. k. geol. R. A., pag. 595, Tav. VIII, fig. 14. 1890. Spirigera cislonensis, BrrrxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 255, Tav. XXIX, fig. 32-35. Di questa specie, così caratteristica e di facile determinazione, non posseggo che due soli esemplari di piccole dimensioni, un poco guasti ma tuttavia riconoscibili. La conchiglia di questa specie è poco rigonfia e piuttosto espansa lateralmente ; ogni valva porta sel coste strette ed angolose, che si corrispondono alla regione frontale dove danno origine a delle sporgenze acuminate che rendono sinuosa la commessura. L’apice della valva perforata è mediocremente alto, poco ricurvo e leggermente compresso ai lati, l’ umbone della valva imperforata è ben prominente, mentre la regione frontale è assai compressa. La superficie della conchiglia è manifestamente fibrosa. La Spirig. cislonensis venne segnalata finora solo al M. Cislon presso Egna (Alto Adige) in una dolomia attribuita al Trias medio. Sprricera KirrLII Bittn. 1902. Spirigera Kittlii, Brrtxer. Brachiop. aus Bosnien ete., pag. 77, Tav. VII, fig. 1-3. Tra i brachiopodi raccolti a M. Rite, questa specie è rappresen- tata da un unico esemplare, non molto ben conservato ma tuttavia — 337 — abbastanza facilmente riconoscibile. Si tratta di una forma globosa, un po’ compressa lateralmente, coll’apice gibboso e schiacciato contro la valva imperforata. Ciascuna valva è percorsa da un solco mediano che va sempre più allargandosi verso la fronte. Per quanto riguarda la caratteristica conformazione dell’ apice, la corrispondenza tra le figure di BrrrxeR e il mio individuo è completa; questo però si al lontana dal tipo per un contorno ellittico anzichè circolare. Non credo però di dover dare grande importanza a questa divergenza, perchè, anche secondo il BirrxER, la Spirig. Kith può andar soggetta a sensibili variazioni di contorno. Gen. Retzia King. Rezia Mossisoviesi Boeckh. 1873. Retzia Mojsisovicsi, Borckn. Geol. Verhiltn. siidl. Bakony, pag. 179, Tav. XI, fig. 30. 1890. —— Birtner. Brachiop. alp. Trias, pag. 20. 1890. Retzia speciosa, BirTNER. id., pag. 48, Tav. XXXIII, fig. 14-15. 1892. —_ 1895. Retzia Mojsisoviesi, SALomon. Marmolata, pag. 96, Tav. III, fig. 8-12. 1903. 1904. —_ BirTnER. Brachiop. alp. Trias, Nachtrag, pag. 4, Tav. I, fig. 17. —— Vinassa. Fossili del Montenegro, pag. 5, Tav. I, fig. 3. var speciosa, FREcK. Neue Zweischal. etc., pag. 26, fig. 36. Conchiglia a contorno triangolare, debolmente troncata alla fronte. Le due valve sono rigonfie allo stesso grado e mostrano en- trambe un leggero appiattimento alla regione frontale. L° ornamen- tazione consiste in 17-18 coste arrotondate, larghe circa quanto gli spazi che le separano (nel modello interno però notevolmente più strette). Le commessure laterali e frontali si trovano quasi esatta- mente in un piano; i campi laterali sono estesi e pianeggianti ; l'apice della valva perforata è relativamente poco ricurvo, e assai depresso. Accettando la riunione proposta dal SaLomwon della Retzia Mo)- — 338 — sisovicsi alla fetzia speciosa ho riportato nella bibliografia le citazioni che sì riferisconoad entrambe le forme. La Aetzia speciosa potrebbe essere però considerata come una varietà o meglio come una forma locale, come giàebbe a sospettare il BrrTNER e in tal caso ad essa sarebbe da attribuirsi l’unico esemplare proveniente dal M. Rite. Rezia ScHwacERI Bittn. 1890. Rectzia Schwageri, Brrrner. Brachiop. alp. Trias, pag. 21, Tav. XXXVI, fig. 14. 1902. ——- 1903. —— BirTNER. Brachiop. von Bosnien, pag. 81. var acuticosta, Vinassa. Fossili del Montenegro, pag. 6, Tav. I, fig. 5. Conchiglia globosa di piccole dimensioni, a contorno subtrian- golare. La valva perforata presenta uno stretto solco mediano, limi- tato da due forti coste, lateralmente alle quali si hanno altre due coste che occupano i fianchi della valva. La valva imperforata è percorsa longitudinalmente da un largo seno, limitato parimenti da due forti coste e percorso da una costicina minore; i fianchi della valva sono percorsi da due altre coste. Tutte le coste sono piuttosto arrotondate, larghe e nettamente limitate, come si osserva in altre specie di questo genere. L’ apice è alto, poco ricurvo, il forame è terminale, il deltidio assai ben evidente; l’ umbone della valva imperforata è prominente, i campi laterali abbastanza ampi, in modo che la conchiglia sembra compressa lateralmente. La Retzia Schwageri ha una grande distribuzione verticale per- chè dall’Anisico continua, con mutazioni descritte come varietà, negli strati più recenti del Trias. La forma descritta s’° avvicina molto al tipo, tenendo conto che alcune piccole differenze possono attribuirsi a un diverso grado di sviluppo. Individui provenienti dal M. Rite: 2. — 339 — Gen. Rhynchonella Fischer. ReyxcHoneLLa MexTZzELI Buch. (Tav. I, fig. 11 a-d) 1890. Rhkynchonella Mentzeli, Brrrxer. Brachiop. alp. Trias, pag. 12, Tav. XXXII, fig. 1416. 1902. —— BirtxEr. Brachiop. v. Bosnien, pag. 8, 59, 93, Tav. IV, fig. 8-12. 1903. ——=—, Vinassa. Montenegro, pag. 11, Tav. I, fig. 18. Questa specie è rappresentata al M. Rite da due gruppi di forme, riuniti per altro da numerosi tipi di passaggio. Alcuni individui si presentano infatti globosi, colla valva imperforata molto rigonfia, altri invece più compressi, ma assai slargati, in modo che la con- chiglia è notevolmente più larga che alta. Questi ultimi inoltre hanno un numero di coste maggiore che non i primi e cioè 14-16 per ogni valva in luogo di 10-12. Nelle forme molto larghe il seno della valva perforata è percorso da 4 coste, mentre nelle forme ristrette se ne hanno generalmente 3. In entrambi i gruppi di forme le coste sono angolose e talvolta anche bifide. L’ apice è sempre egualmente conformanto e cioè piuttosto alto, debolmente ricurvo ed escavato ai lati, lungo la linea cardinale ; le forme rigonfie sì distinguono solo per avere l’ apice più ricurvo. La ARhynch. Menizeli non presenta affinità con nessun’ altra specie rappresentata a M. Rite e in generale con pochissime altre appartenenti al Trias medio. Qualche rapporto d’analogia esiste colla Rhynch. devota Bittn., la quale sì distingue oltre che per l'apice diver- samente conformato e per il numero minore di coste, anche per la presenza di veri campi laterali. Forme che hanno qualche aftinità colla £Aynch. Mentzeli sì incontrano invece in terreni più recenti del Trias e specialmente nel Retico. Numero degli esemplari di M. Rite: 17. — 340 — RHEyNcHoNELLA DALPIAZI n. sp. (Tav. I, fig. 1 a-d) Poche specie sono così abbondanti nel giacimento a brachiopodi del M. Rite come la presente. La conchiglia, espansa lateralmente, è a contorno subromboidale ; la valva perforata, meno rigonfia del- l’opposta, è percorsa da una larga carena che parte dall’apice e sì biforca verso il centro della valva stessa, dando origine in tal modo a un seno che si prolunga, a guisa di linguetta verso la valva im- perforata ; in questo seno si trovano due o tre coste, sempre assai poco manifeste. La valva imperforata presenta un umbone notevol- mente rigonfio, ma solcato longitudinalmente, fatto questo che si osserva in alcune altre specie triasiche del genere A/ynchonella. Nel terzo inferiore della valva imperforata si osserva un lobo assai ben limitato lateralmente ‘e percorso da 3-4 piccolissime coste. Altre costi- cine si trovano nei fianchi di ciascuna valva e cioè in numero di 2-3 nella perforata e di 3-4 dell’ imperforata. L’ apice della grande valva, pur essendo sempre alto, acuto e compresso lateralmente, va soggetto ad alcune variazioni, poichè è eretto in certi individui e debolmente ricurvo in altri. Relativamente al forame, che è piccolo, il deltidio è abbastanza alto. La struttura della conchiglia è fibrosa. La forma tipo, quale ho descritto or ora, è legata da una serie di termini di passaggio a una forma molto compressa, che presenta però tutti i principali caratteri della prima. Probabilmente si tratta di una varietà che chiamerò macilenta, la quale presenta una stranissima analogia colla A/yncAh. vivida var. esccavata Bittn. (Brachiop. Alp. Trias, pag. 10, tav. XXXI, fig. 27) pur rimanendo da questa distinta per parecchi caratteri. Nessuna specie, tra le appartamenti al gruppo della RAynceh. tri nodosi Bittn, è tanto affine alla nostra quanto la Alynchonella — 34I — Bukowski Bittn. (Brachiop. von Bosnien, pag. 30, tav. IV, fig. 18). Però la AAynch. Dalpiazi sì distingue : 1) per la forma generale espansa. 2) per aver l’ apice acuto, compresso lateralmente. 3) per la presenza di un umbone molto rigonfio nella valva imperforata. La £Aynch. Bukowskii è invece appiattita. 4) per la mancanza di quelle due coste che attraversano la valva perforata della /ynch. Bukowski, prendendo origine dal- l’ apice. V, Numero degli esemplari di M. Rite : OR ona lieta n 105 NI var. macilenta RHEYNCHONELLA atff. TREBEVICENSIS Bittn. 1902. RAynchonella trebevicensis, BrrrxeR. Brachiop. von Bosnien ete., pag. 70, Tav. V, fig. 33. Conchiglia di piccole dimensioni (6 mm. di lunghezza) a con- torno ellittico. La valva perforata è fortemente rigonfia, percorsa, nei suoi due terzi superiori, da una forte carena, che, verso la fronte, sì biforca, dando origine a un seno pochissimo profondo, occupato da una costicina. L’apice è acuto, ma molto compresso contro la valva imperforata, il deltidio è basso, il forame piccolissimo. La valva imperforata presenta in ambo i lati un’eminenza allungata a guisa di costa ed è profondamente depressa nella sua parte mediana : solo verso la fronte si risolleva in un piccolo lobo formato da due costi- cine. La commessura laterale è leggermente arcuata, mentre la com- messura frontale è piegata a guisa di M. Questa forma presenta senza dubbio forti affinità colla £/ynek. trebevicensis, ma d’ altra parte se ne allontana per qualche carattere non privo d'importanza. La forma di Rite, ad esempio, ha la carena della valva perforata molto più forte, l’ eminenze laterali della pic- NANI cola valva più pronunciate, e possiede inoltre una sola costa nel seno e due nel lobo, in luogo di due e tre rispettivamente ; inoltre la forma tipo di Trebevic appare un po’ più slargata. Tutte queste divergenze mi hanno impedito di dar un riferi mento definitivo, e, trattandosi poi di un unico esemplare non so se si debba considerarlo come una buona varietà oppure come un in- dividuo aberrante. RHEyNcHoNELLA aff. DINARIcA Bittn. (Tav. I, fig. 13 a-d) 1902. Rhynchonella dinarica, BrrrneR. Brachiop. v. Bosnien ete., pag. 10, Tav. VI, fig. 18-22. 1906. MarteLLI. Muschelk. sup. Montenegro, pag. 22, Tav. I, fig. 9. Conchiglia a contorno subtriangolare. La valva perforata è poco rigonfia, con l’apice eretto o debolmente incurvato, rilevato a guisa di carena dai fianchi. La valva imperforata è rigonfia, ma escavata longitudinalmente in corrispondenza all’ umbone. Le coste si trovano solo nei due terzi inferiori della conchiglia e sono in numero di 2 sul seno della valva perforata, di 3 sul lobo della valva imperforata e di 2-4 su ciascun fianco. La commessura laterale percorre quasi verticalmente i fianchi che sono pianeggianti, la commessura frontale, è invece seghettata e fortemente piegata in corrispondenza al seno. La mia specie — che è una delle più frequenti al M. Rite — è si può dire intermedia tra la £/. dinarica Bittn. e la RA. arpa- dica ('), Bittn.; con quest'ultima infatti ha comune la forma eretta dell’apice, l'aspetto pianeggiante della valva perforata e molti altri caratteri ancora. D'altra parte la carena dell’ apice e la corrispon- dente depressione dell’umbone della valva imperforata, nonchè l’an- (1) BirrneR A. Brachiopoden aus der Trias des Bahonyer Waldes, pag. 16, Tav. II, fig. 1-13. — 343 — damento della commessura frontale tenderebbero a ricondurre la forma di M. Rite alla f/ynch. dinarica. Non posso perciò fare un riferimento specifico assoluto ma pre- ferisco considerare i miei esemplari come torme di passaggio fra le due specie sopra menzionate. Numero degli individui di M. Rite: 35. RHYNCHONELLA NITIDULA Bittn. Tav. I, fig. 6 a-d) 1902. RAynchonella n'tidula. Brrrxer. Brachiop. von Bosnien ete., pag. 12, 71, Tav. IV, fig. 20 21. Conchiglia globosa, di piccole dimensioni, a valve egualmente rigonfie. La valva perforata presenta un solco mediano, limitato da due forti coste e percorso da una costicina: i lati della valva stessa sono occupati da una costa ad andamento arcuato, alla quale segue una seconda, molto corta e leggera. Dall’ umbone, assai rilevato della valva imperforata partono 3 coste, delle quali la mediana si divide subito in due, formando una specie di lobo; altre due coste di molto minor importanza occupano i fianchi della valva. L’apice è compresso sulla valva imperforata, la linea cardinale è lunga e diritta, le commessure laterali rilevate, la commessura frontale seghettata. La struttura del guscio è fibrosa. Questa bella specie, assai caratteristica, venne riscontrata solo a Pastrovicchio in Dalmazia e a Trebevic in Bosnia; a M. Rite essa è rara, poichè figura solo con un esemplare. RHYNCHONELLA RITENSIS Sp. n. (Tav. I, fig. 8 a-d) Conchiglia compressa, a contorno subesagonale. La valva per- forata presenta una forte carena mediana che parte dall’ apice e si biforca verso il centro della valva dando origine a un seno triango- — 344 — lare, abbastanza profondo. L’ apice è basso, compresso lateralmente. La valva imperforata è alquanto rigontia ai lati ed è percorsa da una piega mediana, molto ben rilevata, che si inizia al centro della valva stessa. L° umbone è solcato e presenta un setto mediano di mediocre lunghezza. I fianchi della conchiglia sono compressi, le commessure laterali taglienti, la commessura frontale piegata ad an- golo col vertice in corrispondenza della piega della valva imperfo- rata. La superficie della conchiglia è fibrosa e sono inoltre evidenti le linee d’accrescimento. La £hynch. ritensis è molto affine alla R/ynch deliciosa. Bittn. (*) dalla quale però si diversifica per il contorno esagonale, per l’aspetto compresso e slargato, per la forma differente della piega della valva imperforata la quale è relativamente più alta e più angolosa. Anche ia varietà slargata della £Aynch. protractifrons potrebbe venir con- frontata colla A/ynch. ritensis, ma per lo più quella forma ha il seno trapezoidale anzichè triangolare e l’ apice molto diversamente con- formato e cioè più alto e poco carenato. Inoltre la R/ynch. protractifrons non presenta mai un contorno esagonale. La Lynch. ritensis è rara al M. Rite, dove ne fu trovato un solo esemplare. RHYNCHONELLA MANGANOPHILA Bittn. var. ORBICULARIS n. (Tav. I, fig. 2 a-d) Bibliografia della R/yneh. manganophila Bittn. 1902. Rhynchonella manganophila. Brrtxer. Brach. von Bosnien ete., pag. 94, Tav. V, fig. 35. 1906. manganophytla. MartELLI. Muschelk. sup. Montenegro, pag. 27, Tav. I, fig. 18. Conchiglia orbicolare, con apice piccolo, appuntito e diritto. Valva perforata, assai rigonfia, carenata longitudinalmente, valva imperforata depressa, percorsa da un seno ben distinto. Forame pic- colo e rotondo, deltidio piuttosto depresso ; commessure laterali diritte, (1) BrrtxER. Brachiop alp. Trias, pag. 155, Tav. XXXV, fig. 26-27. NRE pp taglienti, commessura frontale parimente acuta e alquanto arcuata, La struttura del guscio è manifestamente fibrosa, e non man- cano lievi e spesse linee d’ accrescimento. Come osservò giustamente BIrTNER questa specie non sì può confrontare con nessuna specie alpina, mentre è affine alla //. #- betica Bittn. dell’ Himalaya. I miei esemplari si allontanano, per il loro aspetto orbicolare, dal tipo, il quale è caratterizzato da una forma triangolare - arrotondata, ma ciò non ostante mi sembra im- possibile separarli specificamente, data la grande variabilità dei bra- chiopodi. Tutt'al più la forma di M. Rite può esser considerata come una buona varietà del tipo, varietà che denomino orbicularis. La Rlynch. manganophila fa segnalata finora solamente nel Trias medio della Bosnia e del Montenegro. Numero degli esemplari di M. Rite: 2. RHYNCHONELLA DELICATULA Bittn. (Tav. I, fig. 3 a-d) 1890. Rhkynchonella delicatula. Brrrxer. Brachiop. alp. Trias, pag. 17, Tav. XXXV, fig. 28-29. 1903. ——— Vimassa. Fossili del Montenegro, pag. 13, Tav. I, fig. 16. Conchiglia globosa a contorno subcircolare. La valva perforata è molto rigonfia, distintamente carenata nella sua porzione apiciale e occupata da un seno ben manifesto, quantunque non profondo nella sua porzione frontale. Detto seno è limitato da due costicine che sì riuniscono alla carena mediana della valva ed è occupato da un’ altra costa un po’ meno larga delle altre due. La valva imper- forata è pianeggiante, rilevata a guisa di bozza ai lati-e percorsa da un lungo seno mediano, che si origina evidentissimo all’ umbone e prosegue, aumentando in larghezza fino alla fronte, dove è occu- pato da due coste corte, simili a pieghe. L’apice è compresso contro la valva imperforata e quindi il deltidio appare bassissimo. Le com- 346 -— messure laterali sono concave verso la valva grande, la commessura frontale è piegata abbastanza nettamente. La struttura del guscio è fibrosa. Questa specie mi sembra veramente caratteristica e facilmente riconoscibile quantunque, per molte ragioni, sia prossima ad alcune varietà della £/ynch. trinodosi, come ebbe già ad osservare il BrrTNER. Una certa affinità si può constatare anche colla £%. deliciosa Bittn. la quale però, pur raggiungendo dimensioni maggiori, non è mai ornata da vere coste, e anche colla £%. manganophila Bittn. colla quale la nostra specie ha comune la forma generale delle due valve, ma si allontana per l’aspetto completamente diverso della fronte della conchiglia. I miei esemplari più grandi rispondono perfettamente alla fi- gura 29 di BirTxER, i più piccoli corrispondono invece meglio alla figura 28, nella quale manca la costicina mediana del seno della grande valva e corrispondentemente le due costicine del seno della valva piccola sono saldate tra loro, dando origine a un piccolo lobo. In alcuni individui sì osserva inoltre un accenno di coste laterali. Numero degli individui di M. Rite: 10. RHYNCHONELLA REFRACTIFRONS Bittn. (Tav. I, fig. 9 a-d) 1890. R/ynchonella refractifrons. BrrtxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 39, Tav. XXXI, fig. 5-13. 1892. —— BirTxER. Brachiop. alp. Trias, Nachtrag, pag- 3, Tav. IV, fig. 35-88. 1906. —_—— Marretti, Muschelk. sup. del Montenegro, pag. 25-26, Tav. I, fig. 13-17. Questa specie presenta una forte variabilità in riguardo alla forma della valva imperforata, la quale in alcuni individui è rego- larmente rigonfia, in altri invece debolmente sinuata. I primi rispon- dono meglio al tipo, mentre i secondi possono venir ascritti alla var. intumescens (BirrtxeR, 1890, Tav. XXXI, fig. 14) che è forma di passaggio alla A/ynch. retractifrons.. L’ esemplare illustrato risponde — 347 — bene alle figure 8-9 di BrrtxER (1890) e presenta, in luogo del seno un leggero appiattimento mediano. Numero degli esemplari di M. Rite: 10. RHYXCHONELLA RETRACTIFRONS Bittn. 1890. Riynchonella retractifrons. BirtxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 40, Tav. XXXI, fig. 24. 1892. ——— BitTNER. Brachiop. alp. Trias, Nachtrag, pag. 6. Conchiglia globosa di piccole dimensioni. Valva perforata assai rigonfia, ton apice fortemente ricurvo e compresso contro la valva imperforata, la quale è discretamente rigonfia ai lati e percorsa da un profondo seno mediano. Commessure laterali diritte, commessura frontale profondamente arcuata in corrispondenza al seno. Di questa specie conservo 7 esemplari i quali, salvo nelle dimen- sioni, corrispondono bene alle figure di BrrTxER. Il fatto che i miei individui presentano tutti i caratteri della forma adulta, pur rima- nendo di gran lunga più piccoli (3-4 mm.), mi fa credere che non si tratti proprio di forme giovanili, bensì di una vera forma nana. Nella fauna di M. Rite del resto non è questa la sola specie che presenti una certa riduzione nelle dimensioni. RHEYNCHONELLA PROTRACTIFRONS Bittn. (Tav. I. fig. 10 a-d) 1890. RAynchonella protractifrons. BittxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 41, Tav. XXXI, fig. 19-22. . 40, Tav. XXXI, fig. 23. 9I7_22 1890. RAynchonella ottomana. BrrtNER. Brachiop. alp. Trias, pag 1892. ———_______ BirtxER. Brachiop. alp. Trias, Nachtrag, pag. 2, Tav. IV, fig. 27-33. 1895. Rhynchonella protractifrons. SALomox. Marmolata, pag. 100, Tav. III, fig. 16-25. Conchiglia a contorno triangolare, notevolmente più alta che larga. La valva perforata è occupata da un seno di forma triango- lare, limitato da due carene che un po’ sopra il centro della conchi- glia si riuniscono in una carena unica, mediana, ben rilevata dai fianchi. La valva imperforata è gibbosa all’ umbone, il quale è per- corso da una leggera depressione mediana e presenta un setto visi- — 348 — bile per trasparenza; verso la fronte la valva imperforata è sollevata in un lobo largo e non ben limitato lateralmente. L’apice della valva perforata è assai ben distinto dai fianchi della valva, debol- mente compresso lateralmente e. molto ricurvo, il forame è piccolo e il deltidio bassissimo. La struttura del guscio è fibrosa. I miei esemplari rispondono esattamente alle figure della R/ynch. ottomana. Ma sotto questo nome, come opina giustamente il SaLomon, furono compresi gli individai meno slargati della A/yneh. protracti- frons, i quali si raccordano al tipo mediante una serie di forme di passaggio. Pur accettando la sinonimia, non posso far a meno di constatare che la A/ynch. protractifrons tipo manca a M. Rite, dove è invece rappresentata da una var. ottomana che si allontana per avere una larghezza assai minore in rapporto all’ altezza. Numero degli esemplari di M. Rite: 3. Gen. Waldheimia (King) Davidson. WALDHEIMIA ANGUSTAEFORMIS Boeckh. 1890. Waldheimia angustaeformis, BrrtxeR. Brachiop. alp. Trias, pag. 8, Tav. XXXVI, figura 30-40, cum Dibl. 18959. ———___tt Sacomon. Marmolata pag. 104, Tav. IIIJ fig. 29-33. 1903. — Vixnassa. Fossili del Montenegro, pag. 16, Tav. I, fig. 24. Un solo esemplare, incompleto, di questa specie venne riscon- trato nel giacimento scoperto al M., Rite. In esso la valva imperfo- rata presenta un lungo seno, ma non è concava come nelle Wa/dhei- mia appartenenti al sottogen. Awlacothyris La valva perforata presenta un accenno di carena mediana ed è assai più rigonfia dell’opposta. L’apice è molto grosso, ricurvo e un pò escavato in corrispondenza alla linea cardinale, Degli organi interni non si scorge che il setto della piccola valva, che è notevolmente più corto di quello della Waldh. (Aulacothyris) angusta. — 349 — Disponendo di un solo esemplare, non ho potuto esaminare gli organi interni: non escludo quindi in via assoluta che il mio indi viduo possa appartenere alla Terebratula Kitthi Bittn (del calcare di Trebevic) che ha tanti rapporti di affinità colla Wa/dl. angustaefor- mis Boeckh. Devo però osservare che detto individuo corrisponde così bene, per quanto riguarda la forma generale e l'andamento delle commes- sure, alle illustrazioni che della Wald. angustaeformis dettero BrrTNER e SaLomon, che mi sento autorizzato a dar un riferimento specifico definitivo. Tra il materiale proveniente da M. Rite figura un altro indi- viduo molto affine alla presente specie, anzi per quanto riguarda la forma delle due valve la corrispondenza è completa, solo l’apice è alto, slanciato e poco ricurvo, caratteri che non trovano affatto ri- scontro nella tipica Wa/dh. anqustaeformis. Sospetto che si tratti di specie nuova ma, possedendo un unico esemplare e per giunta in- completo, non credo opportuno — almeno per ora — darne una de- scrizione separata. WALDHEIMIA (AULACOTHYRIS) aNGUSTA Schloth. 1890. Waldheimia angusta. BirtxER. Brachiop. alp. Trias, pag. 7, Tav. XXXVI, fig. 41-47. 1894. ——— Tommasi. Fauna del Muschelkalk, pag. 9. 1895. ——— var. Rosaliae. SaLomon. Marmolata, pag. 105, Tav. III, fig. 35-39. 1896. —— ——— Pieippi. Grignagebirge, pag. 724. 190L. ———__ Marziani. Su alcuni fossili del Trias medio di Porto Valtravaglia. Atti Soc. Ital. Sc. Nat. Vol. XL, pag. 41. E. 1904. ——__ MarteLLi, Il Wengen nel Montenegro, pag. 345. Per il caratteristico solco della valva imperforata, che è con- cava in modo da essere appena scorta di fianco, per la presenza di un lungo setto e per l’ andamento delle commessure questa specie è facilmente riconoscibile. Ai miei esemplari corrispondono bene spe- cialmente le figure 41-42 della memoria di BirTxER. Numero degli individui di M. Rite: 4. 'E60:22 Principali opere paleontologiche consultate BrrrNnER A. Brachiopoden der alpinen Trias, mit. 41 Taf. Abhandl. k. k. geol. Ro CAL — RAFA 4890. A Brachiopoden der alpinen Trias. Nachtrag, mit 4 Taf. Abhandl. k. k. geol. R. A. - Bd. XVII, 2, 1892. Trias Brachiopoda and Lamellibranchiata. Himalayan fossils - Me- moirs of the geolog. Survey of India. Palaeontologia Indica, Ser. XV, Vol PtratiatS99 È Brachiopoden vnd Lamellibranchiaten aus der Trias von Bosnien, Dalmatien und Venetien. Jahrb. k. k. geol. R. A. - Bd. LII, pag. 495, 1902. n Brachiopoden aus der Trias des Bakonyer Waldes - Resultate der wissenschaft]. Erforsch. des Balatonsees. Palaeont. Anhang. Vol. II. DrenerR C. The fauna of the himalayan Muschelkalh. Mem. of the geolog. Survey of India - Palaeontologia indica, Series XV, Vol. V, Pt. II, 1907. . FrecH F. Neue Zweischaler und Brachiopoden aus der Bakonyer Trias. Re- sultate der wissensch. Erforsch. des Balatonsees. Palaeont. Anhang. Vol. II. Lorenz H. Einige Petrefacten der alpinen Trias aus den Sidalpen - Zeitschr. deutsch. geol. Gesellsch. 1875. MarteLLI A. Contributo al Muschelkalh superiore del Montenegro - Palaeont, Tall}. Vol. XEERI906: Il livello di Wengen nel Montenegro ineridionale - Boll. Soc. geol. ital., Vol. XXIII, 1904. Puruipp H. Paliiontologisch geologische Untersuchungen aus dem Gebiet von Predazzo - Zeitschr. deutsch. geolog. Gesellsch., Bd. 56, 1904. Punippi E. Beitrag zur Kenntniss des Aufbaves der Schichtenfolge im Grigna gebirge - Zeitschr. deutsch. geol. Gesellsch., 1895. — 351 — SaLomon W. Geologische und palacontologische Studien ‘ber die Marmolata. Palaeontographica, Bd. XLII, 1895. Tommasi A. Fauna del Muschelkalk di Lombardia, Pavia, 1894. ni Note paleontologiche - Boll. Soc. geol. Ital., Vol. IV, 1885. " I fossili della Lumachella triasica di Ghegna presso Roncobello - Parte I., Palaeont. Ital. Vol. XVII, 1911. Tornquist A. Neve Beitriige zur (Geologie und Paltontologie der Umgebung von Recoaro und Schio - Zeitschr. deutsch. geolog. Gesellsch. 1898- 1900. Vinassa DE Reony P. Fossili del Montenegro - Mem. R. Accademia delle Scienze di Bologna, Serie V, Tomo X, 1903. Wixckens R. Paliontologische Untersuchung triadischer Faunen aus der Um- gebung von Predazzo in Stidtirol - Imaugural Dissertation. Heidelberg 1909. Fig. cd a-d SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Rhynchonella Dalpiazi sp. n. 2:1 Rhynchonella manganophila Bitta. (var. orbicularis n.) 2:1 Rhynchonella delicatula Bittn. 2:1 Spirviferina manca Bittn. grand. nat. È » 2:1 sezione apicale Spiriferina Mentzeli Buch. grand. nat. Rhynchonella nitidula Bittn. 2:1 Spiriferina palueotypus Lor. grand. nat. . Rhynchonella ritensis sp. n. 2:1 Rhynchonella refractifrons Bittn. (var. in- tumescens Bittn.) grand. nat. Rhynchonella protractifrons Bitta. (var. ottomana Bittn.) 2:1 Rhynchonella Mentzeli Bach. 2:1 Spirigera trigonella Schloth. (var. tetractis Lor.) grand. nat. i Rhynchonella att. dinarica Bitto. 2:1 Pag. 24 (840). 28 (344) 29 (345) 17 (338) 17 (833) 12 (828) 27 (343) 13 (829) 27 (948) 30 (346) 81 (347) 23 (339) 18 (834) 26 (342) ® RT > MEMORIE DELL'ISTITUTO GEOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA. Vol. I A. DE TONI. - Brachiopodi della zona a C. TRINODOSUS di M. Rite in Cadore. 108 1912 Tav. I, è < è > * SE 2 = 3 ì CH ” TE » e m de ale “Ria La n # x Li I È ci di 3 DS DI A PI do yi ° RE , + PI Coi, I n, Ha 2 a ù Da 3h P. li Gi È eat e de; & pra £ ti 3 Fat: af 4; 4], YU ; (i; d4, 4 i VUIAAIZAA 0; A TIr64 1; i, i (4 4} i, TA AGR sli si (i THA