0. I102>~3J^ MEMORIE DELL' ISTITUTO NAZIONALE ITALIANO C L A S S I DI SCIENZE MORALI; POLITICHE; ec; DI LETTERATURA; BELLE ARTI; ec. y' 7 W To MO PRiMo. Parte prima BOLOGNA. MDcccix PE' FRATELLI MASI E COM P. tjpogkjIpi dell' istjtvto U^t )( I" )( DISCORSO PRELIMINARE A qualche non dispregevole rlsico avveuturad sen- za clubbio fjueg/i the, dovendo per propria ohh/lgo rac- cogliere le produzionl di una socletd letteraria^ e or- dinarle per la stampa, nel com/netterle alia luce rlsol- ve di por loro in f route ua suo discorso, del rjuale ser- ge agevolniente sospctto die abbia una coral pretensio- ne non solo di esser letto ma di poterc inoltre accon- ciamente servire come di curio a cjuella specie di scelta c nobile galleria a cui introduce. JVe a cessare il pe- ricolo o (dlontanarlo servon gran fatto ne le umili sen- se c proteste faniigliari agli Autori delle prefazioni , e ne tampoco i inotivi die in esse si costuma di addur- re a niostrarne il bisogno: perche questi ultinil vengo- no spesso assai ne sempre a torto dicliiarati pretesti ; e delle prime si opina comunementc cite sieno per soliio poco sincere e debbansi ai^ere in conto di mere forma- lita e ceremonie suggerite dcdl' uso e dcdl' etichetta . E non pertanto , giacche sembra die le prime faiidie di due intere classi del nazionale Istituto non potrebbero senza qualche ojfesa ddla decenza presentarsi at Pub- blico nude cV ogni proeniio , si osa credere die a tener luogo di quesco servir possa qualche discussione ne per )( IV )( I' una parte aff'arto strnniera at la\)on proprii delle men- tovate due classi , e ruccomandata forse per V altra daU Ic circostanzc de' tempi che se/ubran concorrere a reii- dcrla non in tut to inopportuna. Ea^li e it vero che I pit) fra i leggnori punto non curano le prefazioni , e neir accesa vog/ia nc biasinievole di sbraniare la dotta loro c inquieta cufiosita, nel porsi a rovistare il volu- me, vanao subito in cerca degli articoH che meglio si confanno al vario lor genio. Mn perche fni essi n' ha pure alcuni che non isdegnano di soffennarsi di propo- sito anche sul priino ingresso, egti e a ipiesti che il dl- scorso pnncipalniente s' iadirizza, e inforniandog/i con aperta e ingenua schiettezza del suo divisameato , si augura che non abbiano essi a pentirsi della lor coni- piacenza . E a fine di non tencrli a bada piii a liingo ed entrar tosto in materia, delf era nostra sembra led to il dire che, merce gli incrementi ad essa per suo sing)- lar vanto dovuti di alcuni rami del sapere , e aitcso pure r allargamcnto ognor inaggiore de' lunii d' og'ii maniera , non ha omai (juasi istituzione unana , in cut non vcngano (piali introdoite , quali proposte rifor- mc notabi/i. Mirano e anelano esse alio scop) csi-nio e prestantisslmo di inigUorare sotto piit asperti la coii- diziun. nostra; e I' equa e imparziale posteritd non po- tra nun sapercene grado , quand' anche non le ritenga tunc, c di alcuiie , conimendij.ndone i fini e le inten- )( V )( zioni, le sembri die a suggerirle sia concorsa una certa un po' smaniosa c intemperante vdg/iezza di novita, dl cm pud sospetcarsi che occupi gli aniini de' presenti uo- mini, e a tratto a tratto tenga lor nascosto it pericolo, clu vogl'ia innovar tutto, di tutto piuttosto conjbndere e manomcttere . Ben giova credere c/ie i posteri non rifiu' teranno it loro suffragio ad alciini lodt'^oU cainbiainen' ti consigliad gia tempo dai saggi che non cessavano di racconiandarne Vintrodazione e non pertanto solo a' gior- ni nostri adottati negfi stabilimenti di pubblica istru- zione. Di questa in fatti come dubitare che non deb- ba ne' inetodi d' insegnainento e di studio confonnat'^ si per acconcie modi ficazioni al grndo di coltara put o men mffinata ed estesa, a cui nella succcssione de" tempi giu/igono le nazionil Perche vuolsi avveriire che V isrruzione gia non e nuii confinata in tutto ne recin- ti delle scuole. Eiitra essa congiuntamente negli aninii da piii bande, ne'paesi massime, dove le belle ed uti- li discipline fioriscono , ne solo obbondano di coltiva- tori ma di una moltitudine stragrande di amatori e di curiosi . Quinci si scorge it bisogno che la gioventa neW apprenderne i principii e gli elementi otienga pur dai Maestri soccorsi e norme onde giudicar rettamente delle cogni zioni che Ic giungono per a It re stradc , e i'cnga inolcre nuinita di antidoti ad evitare i piricoli, fra i quali si uvvolgc prr parte delle opi/iioni, a cui piu che non la ragione una certa aura popolare radu- )( VI )( na fan tori c scgiiaci. E scbbenc In qiiesto incontro noii ne sia maticri , par giact/ie a spargere qualche lame sopra till oggctto (jualu/Kpie nan riescc i/iutile dl acco^ stare gli cstrcini , pongasl inente alia (lijfcrenza enorme fra i metodi attuali d' iiiscgnawcnto e rjuclli die pra- ticavonsi ncgli antichissinii tempi e nclT infunzia dclle nazioni'. A (jiicll' epoca rcnduta celebrc dalle tronibe dc Poeti era. si angiisto il giro d' ogni donriaa, die gl'i Eroi o sia le pcrsonc di sdtiatta per soli to principe- sca , a cui la condizion loro permctteva di coiidur Mae- stri, le abbracciavano tutte; e Chirone potcva istruire il suo fanioso AUuino ncW arineggiare , nel cavalcarc 3 ltd loccare il liuto , e dargli oltre a cio lezioni di Medicina , e fin dell' arte di cuciiiar le vivande e im- bandirle e dividerlc fra i Convitati, e aggiugnere agli altri prcgi la lode datagli da Oinero di abile triiida- tore. E giacdie si e fatta poco sopra alia sfuggita men- zione delle attrattive del niiovo, e dell' influsso ch' esse forse quanto mai in addietro esercitano su gli animl di old ci vivc al prcsente , iioii sia disdetto d' interpor- re alcune podie rijlessioni sopra uii fenonicno impor-^ tante al pari di ogni altro nella storia dello spirito umano. Sono alcuni o circospetti o timidi die alia coniparsa e al primo annunzio di qualche novitd V han- no subito per sospetta , c movendo dubbii a tiniori scon- fortano altri daW adottarla ; senza troppo avvertire die )( VII )( se gli uominl avessero per una rcpiigannza iiwincihiU rifjutato seniprc di dare asculto alLc proposiziuni dl qualche utile cainbiaineiito, chi sa cJiessi non proseguis- sero a pascersi di g/iiunde e a vivere negli antri e ne'bo- schi una vita in tutto frr/na. Bcnche fjuelLi die si di- chiarano nem'ici per massiina dclle novita qu(dunquc , ne curando gli esanii le accolgono in vece col disprez- zo e col riso , veggnno di non esporsi per avvcntnra a condunnare la stessa Natura , la quale palescniente ha inserita cd infusa nella costituzione dello spirito una certa inclinazione al nuovo , onde anche con questo principio scuotere efficacemente /' industria di quclla clasae privilegiata di esseri cli cssii nclle sue sublinii vedute aveva destinata non a popolare soltanto il glo- ho col crescere e moltiplicursi , ma a colcivarlo e abbcl- l/rlo concorrendo a perfezionare in ceria gium I' opera sua; scopo nobllissinio, cui ragiun voleva c/ie non n- manesse ncgli uomini affidato alle mere voci e agli sd- nioU soltanto del prepotente bisogno. Consontc con questo principio un altro propria ancW esso della specie nostra e al pari fecondo di ef- fciti numerou e svariati , quello vale a dire dclla cu~- riositdj che assiduanientc va in cerca del nuovo e con- corre a rcnderlo grato anche allora che niun altro pre- gio lo raccomanda. Operano incessnntemente in not quest i principii, e a norma delle differenze senza nu me- re che passan fra gli uomiiiij modificandosi in nulle )( viii )( g/z/se, ahbracciano ncl loro in/Jiis^o eatesissinio gli og- gcrti pill oppostiv intnnro die non seinbra inagionevo- Ic il dire ch' essi a cagion d' esempio quinci sostcngon lo zelo de' prodi invest igatori dclla nanira, e quindl ortcngon favorc alle bizzarric , tla nil i'strcnio (iiraliro di popoli die inegUo aii- i/ic di niiiii n/f/o viiicitlo (jncllo dcUa lingua cornune riiiiii air uso unico del r(i<2;ionare e della comunicazio- ne rcciproca de' ragionn/nenti . If inganno sarebbe gra- i'issiino. E' pnlef.c die gli iisi loro sono svarintl e vtol- tiplici. Parlano esse (juando alia ragione ; quando al- ia unniaginazione ; quando al cuore e agll ajjettl. E^ pure loro obbligo di giugner grate all' orecchio , giudi' te superbissinw , a ciii clii pretendera che potendo nan debbano esse piacerc? Daivero che oue loro s' imponga di non cssere che nieri mctodi analicici , a grande sten- to si com pretide come ritcner possano la facoltci di ser- i'ire ad usi si diversi. Vuolsl dire pluttosto , richlaman- do una osservazione facta dl sopra, die la molti plici- tCL de' loro obblighi rende inevitabili alcuni Inconvenien- tl ; che dovendo esse servire a piii usij non ponno es- scre perfeite assolutaniente riguardo a veruno ; e die la jiiu vcrjelta fra esse sard quella , in cul questi dijettl inevitabili costituiscono un minima nella loro sohinia totale. JSe mancano presso /' Autore luoghi , su i quali potrebbero nrrestarsi i Filosofi un po' punti ed ojjfesi delle inglurie sofferie e chiedcrgll rag/one di parecchie sue dogmatiche affermazioni ; come Id dove egli spuria dclln Sintesi e didtiarandola tcnebrosa , annunzia il dcsiderio di vederla proscritta. Qui potrcbbe trarre in- )( xxui X fianzi Nciiton con in numo i siioi prlncipil matcniait'' ci dclln Fitoso/ia natnrale e pregarlo a volcr rappaci^ ftcaisi con cssa in grazia di fjucsto libro nieraviglioso dettato intcrantcnte dalla Si/itesi. La dove pure si mo- stra nia/contento dclle dcfinizioni, cui ha per oziose cd inutili , ne sa coniprendere in qmiL sense alcuni le ab- hiano erette in principii; noii avvertendo die in (pieU'in- contro probabilniente ii name dl prlncipio erpiivcde a quello dl germe, conforniemente all' opinione dl f/ue' savil e aciiil uoininl , i quail sono d' avviso chc niassl- me presso I Geonietrl le proprletd dell' oggetto rinchiu- dansi tutte nella df/yiizionc , come in an germe, cui alt ancdisl appartenga di svolgere . E a fin di citurc anche u/i altro esemplo, come la dove el ne Inscgna die le idee astracte della specie di quelle die dicoiisi genera/i non sono nella nostra niente die mere deno- minazioni ; parte seguendo e parte abbandonando la dottrina del suo maestro Barkelei, e forse piu anche che non questi scostandosi dal vcro. Pongnsi per mo' dl esenipio che il Geometra scopra e dimosiri le pro- prletd del triangolo e che a fissure I' oggetto dinanzl alia mente si glovi di iin triangolo speciale da lid dc- Itneato su la carta. El si accorge e discernc di non impiegnr panto nelle sue riccrche le parilcolarltd spe- cifiche dl quel determinato triangolo, su cui tlene fiso lo sguardo ; e perb vcde colla massima distlnzlone die le conseguenze , a cui giagne, ponno applicarsl a qua- luiKjuc iiiangolo, e non csita a farlo c a rendcrle gc- nernli. Ora egli d appaato in (piesto discernimento , di cui c r aniina a se medesima consapcvolc, eke vuohl i/porr'e Tessenza dell' astrazione ; chi pur ami di espri- nicrsi in iin niodo iatelligibile. Di an atto tale delta mcnte , e dclla coscienza intinia cIi essa ne ha, direni noi che non sia chc ana mera denoniinazione? o non piuttosro sos^pctterenio che certi Psicologisti parlando pur senipre di analisi , in realta spesso assai si arresuno a mezzo caminino, e ncl porsi a notoniizzare lo spirltn , in voce di spiugere, direbbe Bacoae, it taglio jino at vivo, ne trascurino intere operazioni. Cost accade che procedendo per salti e rienipiendo i vod colle nude after- jnazioni taluno creda di aver diniostrato che le facol- td tutic dcllo spirito riducansi a quclla del sentire. Ma it discorso si accorge chc col dlvagare da uno in altro oggctto potrebbe accadergli di pcrder di vista lo scopo; al qual toraando esso confessa che malgra- do la sicurtiLp che si e presa di muovcre cjualche dub- bio all' Autore dclla teoria sopra cs pasta su i carat tert che dovrebbono avere le Hague, ondc servire cdl' uso del ragionare, e per I' una parte gli premercbbc e per Val- tra non dispera dt pater appoggiare al suffragio auto- rcvole di questo illustre fdosofo V opinione che conven- ga nellc trattazioni scientifiche inipiegarc a preferenza del latino la lingua volgarc . Quand' anclie di niana lingua parlata coniunenieme da una Nazione sia pos- )( XXV )( sibile di ridurla a tale die a rigore le com pet a il no- me dl metodo aiuduico , o pi a veraincnte di rapprcseii- tazione simboltca di questo metodo, ad ogiii modo par manifesto die ad accostaivela piii o men presto, e ren- derla partedpe di una predsio/i tale giovar dcbbe I' ini- piego assiduo della medesima negli argomenti sdenti/i- d. Delia nostra favelLa e ledto il dire die per la sua meradgliosa docilttd a prender tutte Ic forme, non ha operazione analitica della natura di quelle., di cui nu- tronsi i ragionamenti , ch' essa riuscir non possa ad espriniere felicemcnte, ove ad addestrarla concorra la consuetudine di i>alersene. Ommettendo di procacdarle questo vantaggio le si furebbe il torto grande, cui ^ anzi a temere die ricader possa su la Nazione . A"^ oppongasi die quincV innanzi , ogni qual vol- ta dai dotti d' ogni nazione la massima venga adot~ tata, converrd dunque impor loro I' obbligo di appren- dere una moltitudine di lingue , e consecrare alio studio dclle parole un tempo prezioso , cui e meglio di rispar- miare per quello delle cose. La difficoltd corre all' a- ninio spontaneamente ; e il rimedio pare, o sia il di~ ritto die ha la lingua latina, poidie da tanri secoli le si trova affidato il dcposito dclle scienze , di ser^ire neW aspetto di lingua universale della repubblica de' Dotti alle comoditd del comniercio loro scambievule . E bene; questa difficoltd, coniedie a prima vista gra- vissima, animette adequata risposta. A buon conto quel- Tom. I f )( XXVI )( // che la muovono , inostraao di iion curare i vantage tri che ad o^ni lingua derwano daW obbligarla a par- lare di scienze. Rianovaao essi alineno in parte quel- la specie di resia Iciteraria cli' ebbc credito e voga in Jtalia presso i dotti del secolo deciino sesto , quando tanti fra essi della pwprici lingua sentivnno si bassa- mente die relegandola fra i soggetd uniili e abbietti j volevan serbati esclusivamente al latino i nobili e gra- I'i. Poi V esperienza ne anvnaestra che nella coltja Eu- ropa per le opere, verso le quali il grido , che levan di se, rivolge V attenzione generale , all' inconveniente temuto non manca per solito il n'ljaro delle traduzio- ni; al qual uso non si dubita che non possa servire e- grcgiamente il latino, che anzi all' oggetto di provve- dere a questo bisogno gioverebbe scegliere; e se un cele- bre Scrittore moderno si fosse ristretco a questo sugge^ riinento, quelli che hanno a cuore gV interessi delle scienze, applaudircbbero al consiglio di un uonio tale e ne seguirebber le insegne. Ma egli in vece si dichia- ra bramoso di vcdere le stesse opere di scienza origi- nali dettate tutte in latino; il qual desiderio ei lo apre in uno scritto su la latinitd de' moderni, in cut allargnndo alcuni pensieri sfuggitigli nel discorso per lui premesso alia Enciclopedia, entra di proposito e con pill lena a most rare che ai moderni e disdetto di aspirare al vanto di scrivere politamence ed elegante- mente il latino. Ei pero intima loro di astenersene )( XXVII X" nelle materic (jitalunqiie di amena letteratura , e nil' op- posto gli esorta a valersene nelle scienti/iche. Metten- do da parte quest' ultimo consiglio , di cui gid si k detto cntro quai conjini a non far danno alle lingue volgari convenga restringerlo , il discorso si arresterebbe volentieri sopra un argoinemo , a cui recano senza dub- bio gli italiani qualche interesse; essij che si lusingano di pater quanta e piu forse di ogni altra Nazione pre- tenders al pregio rifiutato ad ogni moderno dal [ran— zese fdosofo. Ma I' obbligo di non trascorrere a sover- chia e in tutto iiidecente lunghezza non gli perniette che alcune poche osservazioni . E prima non gli si vieii di ammonire I' Autore a non accomunare agli esteri il difettOj cli el rinfaccia, non si cerca se a torro o a ragione , ai suoi Naziona- li. Per quale fatcdita, esclama egli, niuno presso noi, il qual goda la riputazione di eccellente fabbricatora di versi latini, ha potato produrne due franzesi soffri- bili? E bene; sappia egli non essere cid panto raro pres- so alt re Nazioni. In Italia, per dir solo di alcuni po- chi, nel Bembo ; nel Casa; nel Molza; nel Sannazza- ro; nel Custigtione, e in tempi a noi piu vicini nelle bocche di Zanotti Francesco ; di Bassani; di Cardura; di Vannetti le muse parlano degnaniente I' italiano e il latino. Ammettendo il Jatto narratoci da tal perso- na che merita ogni fetle, converrd inferirne che le cir^ costanze sono alquanto piu propizie agli italiani, a mo- )( xxvui )( tivo nrobabilmcfue della Lor lingua die per la piii stret- ta cognazione colla lat'uia pcrinettc loro di esercuarsl in entrambe lodevolincnte . Ma I' Jchille del nostra filosofo , e il perno, in- torno a cut raggirasi la soinnia de' suoi ragionanienti e riposto principalmente nella iinpossibdiui secondo ltd assolula e imincibile di giugnere al presence a discer- nere d valor lero de' termini e modi nsati dai Classi- ci antichi; senza il quale disccrnimento e qucllo pure di ogni ultima finezza di lingua e vano lo sperare di potere scrivendo coglicre il fiore della pura e squisiia latin tta. Questa genera le ajfermazionc ei s' ingegna di puntcllarla col rijlettere alle differenze essenziali fra- un gcnere di coinposizioni c V altro. Non posscggono I Moderni niuna norma die 2,li 2,uidi e rassicuri nella scclta de' vocaboli e delle frasi proprie degli stili di- versi: donde a purer suo sorge irreparabdmente lo scon- cio die quelli fra essi die immaginano di condire le lor produzioni di legittimo sapor latino col sacdieg- giare indistintamente i Clasdd, formano in vece men spregcvoli centoni c grottcschi die dagli Scrittori messi a ruba, se risorgessero, sarebbero accolti collo sdcgno e col riso . E a questo proposito ei non dimentica la patadnita rinfacciata da Pollione a Lido, e sfidan- do diiunquc a mostrare in die consista questo difetto davvero die pub temersi die all' acuto ragionatore in questo incontro vcnga nieno V acume. Pollione senz'al' )( XXIX )( tro incontrava in Livlo fjualchc manicni di esprimersi, ell cu'i 2,11 parcva die scntissc del dialetto padovano , cul n'luno al presence conosce. L' ostacolo e invincibiie. Qiial nieraviglia che mancando uno degli estrc/ni esseii- z,iali al confionto , qiiesto nort possa isimdrsi? e nual le- gitcinia consegue/iza pud trursene? Clu non vede che ove al difflc'd Folium e fosse mancata ogni notizia di cjuel dialetto, la cognizione, ch' ei possedeva estesissima d' o- gni pill liposca bellezza del latino sernione gid non lo avrebbe assistito a scorgere in Livio la panicolaritd da lui notata e n'presa? Or facciasi ragione che lo stesso debbe a di nostri slmilmente avverarsi. Per altro Livio poteva rispondere essere lui di parerc che di qualche voce e frase propria de' dialetti possa il linguns^io de- gli Scrittorl far suo profitto e adptrandole nobilicarle; precisamente come al presente pid savii e giudiziosi uo- mini opinano chf ad arricchire la lingua clegna di en- trare nelle scritture possa dcrivarsi cjualche vocabolo e niodo da ogni dialetto fra quelli die corrono in Italia^ ne questo diritto appartenga esdusivamente al dialetto toscano , mnlgrado i pregi singolari pe' quail quest' ul- timo rappresenta quasi la lingua degli Scrittorl. Del resto pare che /' ottimo gludice QuintiHano sentenzli a favore dl Livio Id dove dice = licet omnia italica pro romanis habeara. =: Sembra pari men te che le cose op post e dali Au-~ tor franzese al latinlsti modernl sleno scarse assal e lorn, /k g t XXX )( superfic'iuU quasi rimpctto a quelle che gld tempo in Jtulia, quando bolliva la controversia non ha guari nicntoiufa , fiirono prodotce e discusse dai campioni quinci della lingua latlna, quindi della volgare. L'ar- gomcnto trovasi pure rracmto con maggior nerbo e co- pi a € solidird di ragioni nell' opera eccellente , a cui $i rinnovan gli enconiii, sail' uso e i pregi della lingua italiana. In essa I' illustre Autore nel confortar gli ita- l/ani a coltivare a preferenza la propria lingua gid non toglie lor la speranza di potere , mertendovi studio, scriiere politamente il latino. Ben ei gli aninionisce a non^ volere permettersi nell' adoperar questa lingua niu- no di quegli arbitrii , a cui guiderebbe , eld lo udotti inconsiderataniente , il paradosso da lui combattuto del Gernionio e del Flaniinio che sorsero a sostenere non, essere la lingua latin a in tutto estinta. Ei la dichiara morta e sepolta sotto le mine dell' impero romano, ed e a parer suo vietato ag/i Scriitorl ogni tcntati\>o con- forme a quelli, pe' quali non e disdetto di crexcere il patrimonio delle lingue vivenri; giacehi: nan esiste una JVuzione, la quale parlnndola aggiunga alle inno\>a- zioni (jualunque il suggello della necessnria slu dignitosa fra le lingue , e in essa trainee per cost dire la maesta del popolo re y che gid tempo la parlava. Qitesto carattere lo rende in mo- do sped ale ed esclusivo fpiasi opportuno alle iscrizioni, e clii sa die a render/o lale e a stabilire la sua mag- gioranza sopra la, stessa belli ssl ma greca favella non concorra la mnncanza degli artico/i e de' segnncasi , de' fjuali giova liberar le iscrizioni, die ne rimangono senipre un tnl poco dilombate con discnpito di quella brevifd e sostenutezzn , di cui tanto si compiacciono. IVe oppongasi I' irragiontvolezza el'assurdira quasi di parlare alia mpltiitidine un linguaggio da essa non in- teso. Perche le iscrizioni nffldate a materie durevoli piii che non ai presenti uomini s' indirizzano oi posteri: nl quuli dii abbia j)resenfi le alterazloni , a cui vanno sog- gctie le lingue, come assicurarsl che gli Idioml volgari Tom. I. i )( XXXVIII )( pcnerranno quail si parlano al presente? Serbinsi (jue- an ner le iscrizionl destinate a coniparire in mezzo al- ia solennita c alia poinpa de pubbUci teniporanel je- steaaiamcnd; e poiclie nel latino per grande ventura possediamo una lingua die ha potuto resistere agli ur- ti del tempo , (} proniette di sopravvivenie per un corso indejinito di secoli , si entri con essa , scegUendola a prefcrenza , in commcrcio co' tardi nepoti. Negli ita- liani sarebbe poverrd d' animo il rinunziare a quest' u- so, cui gli conforta a ritenere il numero de" fabbri ec- cellenti di latins iscr.izioni , die ponno additare agli stranicri , e fra essi parecdii, de' quali quanto e put d' ogni ultra s' illustra la nostra eta, un Paciaudi; un Ferrari; un Morcelli; un Lanzi; una Sdiiassi, ul- timo a presentarsi in questa carriera, non inferiore in essa a veruno. II discorso si applaude di poter diiudc re co' nomi di questi corifei della letteratura italiano- latina una serie di osservazioni proposte la plu parte, come giova ripetere, neW aspetto di semptici dubbii ; fra i quali sard esso contento se alcano verra trovato non affatto immeritevole di qualdie attenzione. M E M 0 R I E DELLE DUE CLASSI DI MORALE, POLITICA ec. E DI LETTERATURA E BELLE ARTI A B B 0 Z Z 0 Delia polizia del regno longobardico , pardcolarmente nei due secoli ottavo e nojw D 1 Angelo Fubiagalli presentato ai 25. d'agosto i8o5. hiunque alibia qualche studio impiegato nella sioria deir Italia dei secoli di mezzo, ignorar non potra in clie tempo sieno i Longobardi dalla Pannonia sboccati in queste contradt; , chi stato ne sia il condottiere , qua- li i sovrani che per una lunga serie di anni vi signo- reggiarono, le provincie da loro conquistate, le guerre da loro intraprese, le loro vittorie o sconfitte, la fero- cia e la crudelta nelV incominciamento del loro gover- no esercitata, ed altri piu notorj fatti alia storia di ta- le nazione spettanti, che ci palesano, a cosi dire, il di lei carattere esteriore. Non potra nemmeno ignorare quando abhia avuto fine il loro dominio, chi stato ne sia il distruggitore, chi i loro successori nel regno, e Tom. I. I 2 FuMAG/VI. LI qnali le alne vicende a cui il regno clei Longobardi I'll sottoposto. Nessuno pero degli scrittori si antichi che moder- ni. chc de' Longobardi ragionarono, e entrato ad esa- iniiiar per esteso e partitainente riiiterno loro stato di polizia, vale a dire come fosse montata la corte dei loiigol)ardi sovrani e di qnelli aiicora che dopo la pri- gioiiia doir ultimo loro re Desiderio ebbero il possess© del regno, rraiichi, Italiani e Tedeschi, per tutto il se- colo nono; quali i loro uffiziali e ministri, e le incom- benze loro; con quai mezzi alia decorosa loro sussisten- za si provvedesse, quale Y indole delle leggi longobar- diche, quali fossero i costumi della nazione, la lingua, le scienze, le arti della medesima; quale ne fosse la religione e quale in fine la condizione degli ecclesia- stici: cose tutte che unite formano f interiore di lei co- stitutivo carattere; e che percio possono e denno mol- to interessare la filosofia della storia. Di alcune di queste aveva io gia trattato nella dis- sertazione sopra i Longobardi faj, e delle altre, di quelle particolarmente spettanti ai due secoli ottavo e nono, era disposto a ragionare nella prefazi»ne al Codice Di-' plomntico delle carte di qnei due secoli delF archivio monastico di S. Ambrogio illustrate con note: codice anmmziato e promesso nella prefazione alle Istituzioni Diplomatiche. (bj Ma essendo stato eccitato a sommi- (n) Ant. Long. mil. Diss, i. Vol. I. (l>) Questo rodico, die, ropiato e correclato di note, il P. A]). Fu- mngalli avca gia disposto per la stampa, egli il la«cio morendo all' aiuico siio e colleg.i^ Sig. Ab. Amoretti uno de'bfbliotecarj dell' Ambrosiana di Wiiano, accio il pubblicasac , o ne consegnasse il niatioscritto alia blblio- SULLA POLIZIA. DEL REGNO L0NG0BA.11DIC0 D nlstrare qualclie niio scientifico saggio da inserirsi ne- gli Jnt deW Istituto Nazionale, soiiomi determinato di secondare 1' eccitiimento I'attoini, scegliendo per argo- meiito il proposto abbozzo die alcun lume sara per ispargere sopra le cose d' Italia ne' saoi secoli piu ca- liginosi, accio, ove giudicato ne sia meritevole, venga colle stanipe pubblicato. Servira pure tale abbozzo co* me di prodrorno all' accennato codice diplomatico, e cominciera a rischiarare quegli oggetti , di cui in es- so si tratta; e qnesto non iscarse tiiite sommuiistrera a quel quadro die ora sono per abbozzare. Daccb6 il re e con loftiere della nazione longo- barda , Alboino 1' anno 568 entro in Italia, e se ne impadroni della porzion maggiore, avendo sulle ruine del romano inipero fondato un nuovo regno, i re lon- gobardi se ne raantennero nel posscsso sino all' anno 774, in cui Carlo M. avendo fatto prigione, e rnan- dato esule in Francia il re Desiderio, del regno dispo- se a suo vantaggio, appropriandoselo interamente. Con- tinnarono a signoreggiarvi i suoi discendenti, sebbene sulla fine con qnalche oppositore, sino a Carlo III, detto il Crasso . Ma succeduta essendo nell' 888 la di lui morte, si moltiplicarono i pretendenti alia corona, e coi pretendenti le guerre, le sciagure, gli esternii- nj de' popoli e le desolazioni delle campagne e delle citta. Queste alternate vicende segnitarono ancora nel decimo secolo, findic I'augusto Ottone I T anno 961, teca mcdesima. L' Ab. Amorctti , e per dovere d' ainicizia, e a«l o};getio di far conosceie de'' moniinienti Ictteiaij, stoiici e politici de' secoli piu oscu- ri, lo ba pubblicato, premettendovi relopio che qui letto aveva nell'adu- nauza generalc deiristituto NazJonale nel luglio dtll'anno 1804. 4 FUMACALLI dalla Gcrmania disceso con annata maiio in Italia, vi pose tenniiio. Al suo arrivo, essendo venuti ad assog- gettarsogli molti signori iialiani, die alle di liii forze uiiirono le lore, pote, sebbene a stento, obbligare il re Berengario II a darscgli prigioniere, dal medesi- nio poi rilrgato in Gcrmania, e disperdere i suoi se- guac i c fedeli gnidati da Adalbert© suo figliuolo socio del padre nel regno, il quale dopo di avere rami ago ed occiilto errato per varj paesi, manco di vita Tan- no 968. Cost fu tolta la sovranita ai priiicipi italiani e al regno della Germania colla dignita imperiale incor- porata. Si tento bensi, morto Ottone III imperadore, nella dieta dai signori italiani tenutasi in Pavia V an- no 1022 di riacquistare il perduto diritto dell" elezio- ne alia corona del regno ilalico, rimettendo sul tro- no Ardoino illustre e potente marchese d'lvrea, il qua- le di fatti per anni nove tenne interpolatamente il re- gno a fronte di Arrigo II re di Germania che glie lo disputava. Ma alia fine veggendo Ardoino le cose sue a mal partito ridotte, si fe radere la barba, e I'abito monacale indosso nel monistcro di Fruttuaria del suo marcbesato d" Ivrea , ove tra breve la carriera termino di sua vita. Dando dunque principio dalla corte e dal gover- no dei re longobardi, veggiamo non molti di niunero essere stati sotto di loro gli uffiziali palatini , si gV im- piegati nel domestico servigio del sovrano, che gli al- tri ai quali Tamministrazione spettava degli aflari di stato. lutte le persone di corte, di qualnnqvie grado e condizione fossero elleno state, gnsindi con termine geuerico erano chiauiate, a torto dal Bignou e dal 9ULL.V POUZIA DEL REGNO LONGOBARDICO 5 Vossio credute serve o scliiave (c). II principale tra i domestic! uffizj di corte era cjuello di maggionlonioy dopo il quale veiiiva lo stratorc, in lingua longobar- dica detto marpliais , o marnhis: ufTizio equivalence a quello di cavalleiizzo. Altro particolar uffizio nel pa- lazzo era quello di scudiero, sclillpor chiamato dai Lon- gobardi, come T altro ancora di pincenia ossia del cop- piere del principe. Aveanvi eziandio i vestiarj ossia i guardaroba: impiego nella corte assai riguardevole co- me lo era quello degli ostinrj e dei dcliziosi. Gli os- tiarj invigilavano alia custodia delle stanze interiori del sovrano, e i deliziosi erano i suoi famigliari e con- fidenti. Al decoroso di lui servizio assistevano paggi, e per bassi mcstieri serve e servi erano deputati . Tut- ti i nominati uiTizj ci risultano parte dalle leggi lon- gobardicbe, parte dai diplomi e dalle pergamene an- ticbe, e parte dalla storia di Paolo Diacono. Ancora piii scarsi erano gli uffiziali palatini a cui r amministrazione era alHdata degli affari di stato: al- meno dai vetusti documenti assai poclii raccoglier se ne possono. Sebbene fra essi non compaja il titolo di ministro dello stato e di cancelliere, od altro simile; que' sovrani non di meno far non potevano senza di chi ne adempiesse le parti. Cosi pure quantunque non se ne abbia speciale contezza, mancar non dovevano al principe consultori e consiglieri. Avendo i re longo- bardi riserbata a loro stessi T ispezione e la spedizio- ne delle cause maggiori e piu intralciate, troppo era loro necessaria Tassistenza di persone versate nello stu- (c) V. Ant. long. mil. loc. cU. pag. ()8. 6 FUMACALLI ilio c nella sciciiza clelle leggi e del diritto. Gli uffi- zi di cortc di tul gonere, arrivati a nostra notizia, so- 110 quelli di noiajo del palazzo , di refercndario , di se- fivtario e di scriba: tutti originaiiaaiente dclla classe de' notaj: la qual prol'essioiie , siccome di qiie' tempi Tu- nica fra le peisone laiclie, nelle quali qiialclie scien- tificji coltura si trovasse, era quiadi ascesa a molta sti- ma, e gran caso facevasene dai sovrani. Tutta la di- ploinazia longobardica era di loro ispezione. 11 re pa- lesava ad nn notajo del palazzo i suoi seatiraenti, e qnesto ad un altro notajo dettavali, senza che ne il re, ne il primo notajo vi mettesse mano. I monogrammi al- tresi ed i sigilli erano dai loro cUplomi esclnsi. Per quanto poi spetta agli ufliziali dei re longo- bardi nelle provincie del regno, ai duchi, ai conti, ai baroni, ai gnscaldi, agli sculdasci , ai centenarj , ai de- cani, ed ai saltarj , ridncevasi il loro ministero al di iuori come dagli stessi gia accennatl documeiiti s' im- para. Avvegnache la scelta dei soggetti e la loro pro- mozione a questi uffizj dlpendesse dalla volonta e dall' arbitrio del re; 1' autorita reale nondimeno non era li- bera afTatto ed assoluta, ma dalV inliusso era tempera- ta, che nel governo avevano i primati della nazione. Non solamente avevano essi la parte principale nella formazion delle leggi; ma I'elezione ancora, o I'appro- vazione del nnovo sovrano da loro dipendeva , come pnre la depoitazione, se stati fossero della di lui con- dotta mal soddisfatti. I primi fra essi ed i piu distinti erano i duchi che la specifica denominazione dai luogo traevano del lo- ro governo a diflerenza dei sovrani che, tranne qual- SULLA POLIZIA DEL REGNO LOXCOBARDICO 7 che particolar caso in cui di re del regno sonosi ap- pro[)riato il titolo, re della nazione, o re nel regno, uon jjia del resino erano chiamati. Fra i duchi stessi pero notabile divario passava; poiclie reggendo alcu- ni delle intere provincie, come quelli di Benevento, di Spoleto e del Friuli, siccome degli altri piu poten- ti, d' una maggior autorita percio godevano che non i duchi delle altre citta. 11 decennio in cui dopo la mor- te di Clefo, il secondo dei re longobardi, duro Tanar- chia in Italia, e stato il tempo ai duchi piii favorevo- le per dilatare la loro potenza, e per formarsi nuovi di- ritti. Oltre rinflusso che i duchi avevano nelle gene- rali assemblee della nazione, essi regolavano gli aflari politici del proprio distretto, ne sceglievano i ministri subalterni, ne imponevano le tasse, e ne punivano i rei: in una parola nei loro ducati lacevanla da piccoli sovrani. Spettava pure ai medesimi il difendere il lo- re ducato dagli ostili assaki, ed accorrere ove ave?se il re ordinate, o alia difesa del regno, o airinvasione del paese nemico. Non di rado pero hanno eglino manca- to a questo loro dovere, avendo in vece rivolte le ar- mi contro il naturalc loro sicfiiore. La storia di Paolo Diacono piii esempj somministra di duchi rihelli. Dopo i duchi seguiAano nel grado i conti , de' quali per altro qualclie indizio appena si lia nei lon- gohardici monumenti. Due soltanto dallo storico lon- gohardo ne sono nominati (dj^ un Ragilone comes lan- gobardorum de Lagnra, ed mi Trasemondo dal re Cri- moaldo create duca di Spoleto. Pensa il iVIuratori fej^ (d) Dc gest. Lang. lib. _j. c. () j lib. 4. c. 4 j' ; cc lib. 5. c. 16. (c) Anc. Ital. T' 1. thss. S. 8 F V JNl A C A L L I the r ulli/.io dci couii stato sia di giuclice, e che per- cio conte e giiulico ])reiKler si debba promiscuamente." Che i conti, come i (hichi, al)biaiio qualche volta pre- sediito ai j^iudican non si vudI contrastare; ma che si- aiivi iniervemui come semplici giudici, e che questo fosse il priiicipale loro ufTizio, elk e ua asserzione che manca d' appoggio. Quanto di piu sicuro intorno i con- ti lo\igol)ardi sapplamo, egli e che uii uffizio escrci- tavano poHtico e inilitare , come i duclii, essendo ai medcsimi come ai duchi iiitimato nei diplomi dei re longobardi, ut nullus dux, comes, gitstaldus etc.,e6. es- si pure erano teiiuti seguitare i loro sovrani nelle mili- tari spedizioiii. Per la qiial cosa il contiiiuatore di Fre- degario (f) una battaglia rammentando, in cui 1' eser- cito del re Astolfo venne sconfitto , scrive tra i combat- tcnti in qaell' azione perduti esservi stiiti anche i conti: duces , cuniitcs , et oiniies majores natu i^entis langobar- doruin aniisu. Ai duchi cd ai conti accoppiar si dovreb- be il loci seivator, detto anche loco positus, che in mancanza del duca o del conte ne suppliva le veci. Ignoti non liirono ai Longobardi i baroni che in alcune leggi del re Rotari (g) menzionati si scorgono: in una delle quali alia sicurezza si provvede delle lo- ro persone si nell' andata che nel ritorno dal palazzo del re. Si quis , cosi ivi, ex baronlbus nostris ad nos venire voluetic^ securus veniat, et illaesus ad suos rever- tatur, et nullus de advcrsards illius illi aliquant iiiju'- liani in itinere, aut niolestiam facere praeswnat , aggiun- ( f) Append. ». SULLA. rOLIZlA DEL UEUNO LUNUOBARDICO 9 iavi la composizioiie di soldi 900 a chi avesse in tal occasionc ucciso taluno di loru. Se i baroiii fossero di un grado piu distinto degli altii uorniui, ed in che da questi si distinguessero, e quale ancoia fosse precisa- mente il loio uinzio, non si ha bastaute lunie pei" de- term iiiarlo, come ne meno per qual niotivo sieno sta- ti eglino soli con special legge privilegiati, coUa qua- le siasi pensato alia sicurczza della loro persona an- dando a palazzo, o ritornandoiie. Per soggetd ingenui e nobili tenuti lurono dal Wendelino; ma nulla di spe- cifico distintivo dagli altri riconobbero in loro il Ba- luzio, il Ducange, 1' Erckard ed il Canciani. Conviene pero distinguere tempi da tempi, e nazioni da iiazio- ni. Nelle antichissime eta presso i popoli settentriona- li, tra cui noveravansi anche i Longobardi, il baron o barone era il servo de'soldati: in seguito, almeno pres- so i Franclii, divenne un vassallo del re a cui presta- va omaggio (h). Fu similmente con tal vocabolo di- notato un uomo forte, e percio lo stesso diavolo da Guiberto abate (i) barone fu chiamato. Di altre si- gnificazioni alio stesso termine adattate lo Spelmann (k) fa cenno. Avrebbero forse mai i baronl presso i Longobardi il mestiere esercitato di secreti delatori, od altro simile per cui odiosi riuscissero al \olgo, e per tanto al pericolo esposti d' essere da taluno ]>roditoria- mente uccisi? Alia fine il titolo di barone divemie ono- rilico, con cui i sovrani , e particolarmente nei paesi (h) V. Pitthaei Gloss, ad leg. salic. tit. ^4. (i) Lib. 1. de vit. sua c. m. (k) Glossar. archailog. T. L lO F r 51 A G A L L I Jietteiiirionali. rimeiirar sogliono i servigj loro prestati, e rlit' pur pa«*sa per snccessione nelle faiuiglie. Paisaiulo ai Gamddi o Castaldioni, clie sotto no- me di atrori d^l re erano altresi riconosciuti , trovia- nio f?sere stata loro alTiclaia V amministrazione e V e- Loiioinla (le'fondi e dolle ville chiamate cord rejrie, che in gran niimero esistevano iiella vasta estensione del regno longobardico, parte appropriates! dai re nell" in- vasione di qiieste coutrade, e parte de volute loro per coiidanne del lisco, o per mancanza di legittimi eredi. f ffizio fiscale in oltre esercitavano i siastaldi, ed ino;e- renza avevano nelle cose della guerra, mandandovi o conducendovi gli uomini da loro dipendenti. Sebbene fa- cessero eglino per lo pin il loro soggiorno in quelle ville di cui avevano 1' amministrazione, qnalche voUa non di meno gaf^taldi s' incontrano residenti nelle citta. Ai gastaldi succedono gli sculdasci o sculdcus i quali del pari fuori dclle citta dimoravano nelle piti grosse ter- re e nei castelli piu popolati. Lo sculdascio propriamen- te era il rettore, ossia il giudice di prima istauza, da cui ajipellar si poteva al giudice maggiore dvlla citta, come da q^iesto al sovrano. Erano gli sculdasci nel lo- ro esercizio assistiti ed ajntati dagli scavinl o scahijii * specie di notaj, consiglio eziandio e parere all' uopo chiedendo da persone di buon nome ed accrediiate, e per cio riconoscinte coll' appellazione di credences o di boni homines o pur anclie di nobiles. Giurisdizione piu limitata era quella dei centenarj, e piii ristretta anco- ra r altra dei decani. I primi esercitavanla sopra cen- to riu'ali famiglie, ed i secondi sopra dieci: ed allora specialmente die si avesse a far leva di soldati. I sal- StJLLA POLIZIA DEL REGNO LONGOBARDICO I I friTJ per uliimo erano i custodi dei boschi e delle sel- ve di regio privative diriito, onde silvani furono pure deuominati. Ai inedesimi in olire la custodia apparte- neva dei confiiii del loro distretto, e a loro, come ai decani, V obbl'go spettava di arrestare i sem fnggitivi ed i malfatiori, e di consegnarli alio sculdascio: nel qual mcstiere avevan egliiio per 30cj coloro che di an- manni portavano la denominazione. Conquistato dai Franclii il regno longobardico, al- cuni cambiamenii seguirono in cotesti uffizj . E per co- minciare dalla diplomazia e da'snoi ministri, veggiamo si quella clie questi essere bensi rimasti nella sostanza i medesimi, ma nella modalita esservi passato del di- vario notabile, a^endovi i re franchi quelle formalita piu solenni introdotte che nella loro cancelleria fran- cese erano in uso, val a dire V asserita soscrizione del re, il monogramma, il sigillo e la contro-segnatura del cancelliere, delle qiiali cose i diplomi dei re longo- bardi, come si e gia avveruto, erano mancanti. Dopo la nieta del secolo nono coiiiinciano a comparire nei diplomi degli stessi sovrani Iranchi gli arcicancellieri , gli arcicappellani ed i protonotarj: uflizj tutti sotto di- verso nome gli stessi. Anche i re ed imperadori ita- liaai e tedeschi, che in quel secolo interpolatamente - ebbero il dominio di questi paesi, seguitarono lo stes- so piano diplomatico, che dai re ed imperatori fran- chi era stato praticato. Cio del pari succedette riguardo qiu'gh altri cam- biamenii di cui i medesimi franchi sovrani furono gli autori. Cosi soppressi i duchi, fuori pero del beneven- tauo e dello spoletiuo , il regolamento politico e mih- ra F IT M A C A I. L 1 t;irp (Icllcprovinric o (Tcllr rirta, dianzi ai diirhi spet-* tanfp. Ill ai conti confcrito, che per altri secoli anco- ra conrinuarono ad esercitare. A quelle provincie poi ad esteri stati liniitrofe, a rni il nome fn dato di mar- rlie, p;overnaton fiirono preposti col titolo di marchesi ( )Irre i succennati conti altri conti nsiedevano nel pa- lazzo reale. detti percio palatini^ ivi impiegati nei piii Inniinosi utlizj, essendo stato lore riserbato non solo il giiidirare di tiitte le cause del regno, per appellazioT\e portate al trihimale supremo del principe, ma il pro- ni'.nziare altresi giudizio sopra tutte quelle che riguar- dato avessero i dirltti della corona. Qualche cambia- mento scorgesi pure negli scavini^ che da prima erano semplici assessori del giudice, innalzati poi eglino stes- si alia giudicatura. I niessi regj pero che dal sovrano di quando in quando spedir si solevano nelle provincie, di ampie fa- colta muniti e d'nna autorita ad ogn'altra superiore per sentire le querele degli oppressi, per amministrarvi la giuptizia, e per provvedere a qnanto fosse abbisogna- to, sono stati di nuova istituzione, che a Carlo M. antore di pin altri sahitevoli provvedimenti, si attri- buisce. 1 gastaldi , gli sculdasci , i centcnarj ed altri smiili sotto i nuovi sovraui ritennero come il titolo, cosi anche V ufTizio che sotto i primi avevano eserci- tato: e lo stesco dicasi di altri minori viffizj della cor- te. alcuni de' quali nondimeno farono soppressi, ed aim nuovi creati, nella di cui enumerazione, sicco- me poco intcressante, entrar non giova. I loci sen-a- tores ed i loco positi il titolo cambiaroiio nelV akro di vicccomltcs , detti in seguito visconti. SULLA POUZIA DEL REGNO LONGOBARDICO l3 I maasiori dei sunnominati miiiistri, oltre V aver- nc la piu parte professata la milizia, cssendo stati alTiif- fizio proinossi dal sovrano, ed i minori dai maggior^, ne altroiide dagli antichi documenti indizio risultaiido- ci di muiiicipali impieghi spettanti a collegj o comu- nita civili, dir conviene che il govenio longobardico fosse in apparenza un misto di monarchico e di aristo- cratico, ina uella sostanza milltare. Ebbe qualche in- flusso bensi anche il popolo nella formazion delle leg- gi, come vedremo in appresso, ossia coll' aver dele- gati alcuni scelti cittadini a rappresentarnelo, o pure coir assenso prestato da quelli del popolo che fosservi stati presenti; ma senate, ordine, coUegio, duumviri , Q(\i- li, questori, censori, curatorl, prefetti yV/n dicundo, ed altri siniili magistrati municipali, che una voka le ritta italiche sotto il dominio de' romani Angusti, si gontili clie cristiani, e sotto Teodorico eziandio e gli altri re goti conservarono, per cui una specie di repubblica sembravano ritenere, dominandovi i re longobardi, no- mi sono stati ed uffizj del tutto ignoti. Ai suddetti mu- nicipali uflizj spettavano gia le particolari loro incum- benze, e tra queste quella ancora di raccoglier le im- poste da impiegarsi poi pel risarcimento delle mura, delle tcrme, dei ponti, teatri, acqucdotti, tenipli, ed altri pubblici edifizj , delle quali entrate e delFuso che far se ne doveva, frequente e la menzione nei codici teodosiano (Ij e giustinianeo fmj. Ma sotto i re lon- gobardi le cose di pubblica polizia erano dai mini- (l) Leg. 1. lib. 10. tit. 3; Leg. 3. Leg iS. lib. i5. (in) Digest, lib. So. tic. S. 1^ FuMAGA.LLI stri icali ordinate e faite cseguire. Quello stesso an- litliissiino diritto die ebhe origiue siiio dai primi tem- pi della cliiesa e continuato sino al secolo terzo deci- mo di concorrere il popolo aU'elezione del proprio vesco vo senibra die sotto i re longobardi non sia stato da violazioiie esente: ed un eseinpio ne diede il re Agi- lulfo neir aver con miiiacciose iettere tentato d' inipe- dire die avesse luoao la canonica elezione fatta dal clero e popolo milaiiese del vescovo di Milano Dioda- to (nj. 11 suddetto militar sistema die tutto il regolamen- to civile riserbava al re ed ai suoi ministri, di profes- sione essi pure militare, fu rltenuto da Carlo IVI. con— qiiistatore del regno longobardico, e dal dlscendentl e successori suoi. Ne il vederi^i spesso nelle loro leggi e iiei loro diplomi fatta menzlone della repubblica, del- la parte pubblica, dei giudici pabblici , dei procurator't o esattoii della repubblica, delle ville e palazzi pubbli- ci puo di prova servire die slasi da que' sovrani rista- bilita ne'loro stati quaiche forma di repubbllcano go- verno . Nomi erano questi tutt' altro slgnilicanti die re-^ pubblica , de' quali facevasi uso per imporre all' igno-^ ranie volgo, come spesso ancora si e praticato col no- nie di patiia e dl patriottismo . Non altro con essi di- notarsi voleva die princlpato o regno o impero, o il fisco dei re ed imperadori d' Italia, ne altro erano i niluistri esattori o procuratori della repubblica se non i ministri pubblici dei medesimi sovrani , e le ville ed i (n) V. Cregor. M. epist. 4. lib. 11. ct Joann. B'tac. paldzzi piibblici o del piibblico, se non le ville ed i pa- la/zi da loro possediiti. Con tutto cio softo i re ed im- peradori caroling! essersi in alcuni casi avuto riguardo -airassentlniento del popolo dai dociimenti di quella sta- gione raccogliesi. Cosi csser questo intervenuto allorche r arcivescovo di Milano Pietro nel 789 fondo il mo- nistero di S. Ambrogio , lo accenna egli nel siio di- ploma di foiulazione (o). Cosi pure con legge specia- le ordina Lottario I angusto (p) die i messi regj depongano i cattivi scavinl^ clie diccmmo essere stati giudici, et cum tocius populi consensu In eoruin loco bo-' nos cl'gnnt. Tal consenso del popolo in altre occasio- ni si scorge; ed esso verisimilinente e stato quel pri- mo seme die produsse in seguito la liberta delle ita- liane republjliche, come da noi si e in altro luogo di- niostrato (qj. Mentre pero da una parte il popolo an- ■dava arrooandosi nuovi diritti a danno della sovrani- ta del princij)e, altri a danno della medesima e del- lo stesso popolo andavano procuraudosene i vassi o vas- salli maggiori , imitati in seguito dai feudatarj : origi- ne poi e cagione d' interminabili discordie e di aspris- sime guerre. Dopo di avere ragionato della corte de' sovrani •che regnarono in Italia neirottavo e nono secolo e dei loro ministri ed uiTizlali, investigar conviene da quali eorgenti si tiaesseio i sussidj necessarj per il loro man- nimento. Due tra le tante altre, che il bisogno, e spes- (o) Ant. Long. mil. T. III. (/j) Leg. 4?. int. Inngoh. (i/J Ant. Long. mil. T. I. diss. €■ 1 6 F U M A C A L I. I SO anche 1' avarizia o la prodigalita dei regnand ha saputo ritrovarc, sono state le piu conrnni eel luiiver- sali, le tasse cioe sopra i fondi, e sopra le teste. Sem- bra pero die sotto i re longobardi e franchi di quel- la stagione di coteste tasse noa siasi fatto uso: niun aiitico documento almeno vi ha che ce ne accerti. II Muratori stesso (r), che pur tanti diplomi ebbe sott'oc- chio di esenzioni da altri piibblici aggravj da quei so vrani compartite, confessa di non averae incontrato veruno che dell' esenzione da quei due ne porga in- dizio: prova non leggiere che si fatti aggravj fossero allora fuor di uso . Cosi pure esser lo dovettero se non tutte, gran parte ahneno di quelle angherie, con cui anticaniente sotto il roinano governo erano aggra- \ati i popoli, riprodotte poi ed accresciute eziandio di molto dair industria dei moderni pubblicani . Del ri- sultato di quelle stesse angherie che ai sovrani erano devolute, un' assai scarsa porzione in quei due secoli veniva nel di loro erario versata, pascolo in vece di- venute dei loro ministri. Ma come mai senza tali mezzi, dira taluno, avran- no que' principi potuto provvedere alle spese, e so- stener gl' impegni d' una real corte? Con altri diversi vi hanno essi supplito, i quali se spesso gravosi alio sforzato somministratore, erangli pero ad un tempo di un notabile giovamento , sino a sottrarsi con quegli al- ia pena di morte . Di tal sorta sono state quelle conv- podzion'i a vantaggio del regio fisco, colle quali era ad ognuno indiff'erentemente permesso lo scontare qua- (r) Ant. ital. T. I. diss. 3. SULLA POLIZIA DEL REGNO LONGOBARDICO I 7 lunque siasi enorme capitale delitto, quello soltanto cccettuato di lesa maesta. Concoirevauo ad impinguar- lo le taiir.e multe pecuuiaiie, e queste sirailmente gra- vosissiine per trasgressioni tal volta leggiere. Tra que- ste aveva luogo auclie V hcribaiino: peiia essa pure pe- cuniaria assai grave, die a coloro imponevasi che, chia- niad alia guerra, ricusavano di andarvi. Aggiugnevan- si alcuiie di quelle imposte che dicemmo al re riser- bate, quali a cagion d' esempio erano i dazj e le ga- belle che dai telonarj o azioiiarj per 1' ingresso delle merci e di altre cose venali riscuotevansi o alle por- te; dazio detto ponaticuni; o al passaggio d'un ponte, detto pontaticum ; o di un fiume , detto ripaticuni o trastura, ed altri si fatti con termine generico chiamati pedagia o pedatica. Ma il nerbo maggiore delle lo- ro entrate consisteva nelle numerose corti riirali e vil- le, cogli annessivi latifondi coltivati dai proprj ser\i o aldioiii, di piena proprieta loro, com' cranio e moke selve e saline e miniere e laghi e fiumi per pescagione fecondi, e le eredita di quelli che non avessero di lo- ro lasciata legittima prole ("sj Altronde gl' impegni di quei sovrani non erano molti ne molto dispendiosi. I loro palazzi erauo ben lontani dalla vastita e dalla magnificenza delle moder- ne reggie, nei quali poco piu del bisognevole trovavasi per alloggiarvi. Le pitture, le scolture, e gli altri la- vori deir arte in cui tanto dispendio in oggi s' impiega, ne erano quasi affatto sbanditi, e gli addobbamenti in proporzione col resto. I giardini consistevano in vaste (s) Leg. iSg. Rothar. inc. lang. Tom. I. if) F I' M \ r. \ L I. I s^'lvc* per la cacciagione: uno clei pin fuvorlti e 2;?nia- li loro divertimenti . Le tavole secondo la semplicita ed il ffiisro di que' te.?n[)i nano grossolanamente im- bandite: d maogior lusso era impiep;ato nelle arme, e neir esteriore ornamento della persona. Qiial fosse la loro corre, e qnanto ristretto il inimero dei ministri e deali ntfi/iali rab!)iamo di sopra vednto: e r[ne2;li sres- si niini«tri deputati a reg^ere le provincie o pnnro o po- CO rirevevano di stipendio da I regio erario, ma era loro per la maggior parte dai provinciali somministrato. La guerra, oggidi si costosa, non molto dispendio recar soleva allorji al regio tesoro, essendo essa stata in gran parte a carico dei dnchi e di qiiegli stessi che sotto le loro bandiere avessero militato. II moltiplicar le spe^e, le arme, le macchine e i combattenti per la disrrnzione de' loro simili, e stata gloria di ciii le posteriori nazioni sono state avide a gara, e T hanno di fatti conseguita. Pocbe ancora di qne' tempi era no le piazze forti del reotio. ne omn rbe nnmerose le ar- mate, ne di Innga diiruzione rinsciva la giierra. For- niti qne' sovrani degli accennati siissidj , ne obbligati ad eccessive spese, avan/ava a'medesimi di che dispor- re a loro piacimento, come in realta ne disponevano, fondando col sovenbio o dotando cliiese, monisteri o spedali, o assegnandone in beneiizio ai loro vassi, o ad aliri so2;2;etti . Avvegna cbe i piibblici pesi non arrivassero allo- ra a quelVeccesso a cui iurono poscia portati, cio nou ostante una non leggier dose sul popolo ne gravitava, i qnali pero non erano, per la maggior parte abne- no, lissi ed ordiiiarj. ma straordiuariamente iniposti SULLA POLIZIA DEL REGNO LONGOBARDTCO I 9 sfTondo gli eventuali l)isogiii e le circostanze occor- reiiti. E priaiterainente il liattare le strade, il ripa- rare i ponti, il procurare i cavalli pei trasporti, il preparare 1" alloggiauieiito eJ il soraiuiaistrare il bi- sogiiev(jle al sovrauo ed al suo seguito ne' vlaggi che intrapreiidt'va nolle proviucie del regno, erano pesi die al jTopolo toccavauo, ricouosciuti sotto i termini di Jreda , di parate , di /iiiuisionatica e di evecdones . La inaacanza a tali adcmpimenti cadeva sotto la pena deir lienbanno. Lo stesso obbligo sotto la stessa pena- le era ai sudditi iin^msto nolle spodizioni alle provineie dei messi roali e degli altri straordinarj ministri . An- che il sonuninistrare il aecessario uel passaggio delle truppe niilitari per le strade traversali, eoine pure il provvedore di cavalli e di vetture per le strade pub- bliclie le porsono privilegiate, erano aggravj spettan- ti ai sudditi, questo sotto la denoininazione di vere- de e r altro \li paraverede. Riuscivano i niedesinii vie piu loro pesanti per le frequcnti esenzioni ai vescovi, agli abati, alle abadesse e ad altri su di cio dai sovrani accordate. E sebbene non si fossero allora per ancbe intesi i termini di feudi e di Jcudararj^ ne sussisteva poro di gia ttitto il vizio sotto il nojne di benejizj e di vas$i o uas- salll; impercioccbo non poobi fra essi, come anche fra i regj ministri, e persino alcuni addctti alia farniglia tloi conti lion abbastanza pagbi di quanto acoordava loro la legge da potersi esigere, inolte angberie inven- tarono in pregindizio de' sudditi, e specialmonte dei servi e degli (ildioni non solo do' secolari, ma degli ec- tlosiasdci ancora, talclie- disperati abbandonavaao le 20 F U M A G A L L 1 campagae, fng2;piKlosene alrrove. Carlo M. in una sua legge loiigol^ardica (t) ne rammenta alcune e le ripro- va, come redhibltiones , opera, coltectiones fruguni , ara- re, seminnre, ri/ncare^\ carucare, vel cetera similla . Di pill altre A'l tal sorta, che impor si solevano ai suclditi e da cui eseuti dichiaransi i moiiaci di S. Ambrogio, fa Tenumerazione T imperadore Arnolfo in un suo diplo- ma deir 894 riportato nel codice santanibrosiano (u). Liingo ragionainento richiederebbero le leggi lon- gobardiche: il documento piu compiuto che svissista spet- tante alia nazione, e che maggior lume ne sommini- stri iiitoruo i costumi di essa . Ma siccome di troppo ne allontanerebbe il medesimo dal nostro scopo, altronde di moke, e della loro applicazione ai casi partico- lari avendone parlato nelle nostre dissertazioni longo- hardico^milanesi , e nelle note al mentovato codice, ci ridurremo per ct6 a ragionarne sobriamente . L' epoca in cui 3' incoraincio a compilare la collezione delle leg- gi longobardiche , si fu Tanno ottavo del regno di Rot- tari e 643 dell' era cristiana: alia qual collezione wna breve addizione fii fatta dal re Grimoaldo 1' anno 668. Per anni yS dall' ingresso dei Longobardi in Italia non ebbero eglino leggi scritte, come non ne ebbero nel natio loro paese, avendo ad essi tennto luogo di codice r oral tradizione. II re Liutpr^ndo in diverse ri- prese 1' accrebbe di molto , a ciii ^Icnne appendici £u- rono aggiunte,dai re Rachis e Astolfo. Tutte queste leggi portano in fronte la dichiarazione del concorso,e r^ (t) Leg. 121. (uj Num. CXXXtIL I SULLA POLIZIA. DEL REGNO LOMGOBARDICO 21 deir assentimento nel formarle e piibblicarle prestato- vi dai magnati, dai giudici e dal popolo. Passaio il re- gno a Carlo M., ei pure vi fece moke addizioni , ed altre in seguito Pipino, Lodovico Pio, Lottario ed altri loro successori re d'ltalia, italiani eziandio e tedeschi, e sempre coir inter vento del consiglio e deirassenso dei giudici e dei magnati del regno, senza pero menzione di quello del popolo. Persuasi alcuni che nel solo gius romano raccol- to si trovi il piii bel fiore delle leggi, e che dai bar- bari longobardi aspettar non si possa che cose barbare, le hanno col maggior disprezzo trattate. Diversamen- te pero altri ne hanno giudicato , tra i quali bastera citare il presidente Montesquieu ( vj si versato nello stu- dio delle leggi e dello spirito di esse'. Paragonando egl le leggi borgognone colle longobardiche, riconosce es- sere le prime assai giudlziose , e quelle di Bottarl e de- f^ll altri priaci pi lombardl esserlo ancor piii. Negar non si vuole che nel codice longobardico alcune leggi non s' incontrino viziose ed incoerenti, prese pero in com- plesso star possono del pari alle romane, e fors' anche in alcune parti superarle. Avendo le romane leggi , co- me osserva Ugon Grozio CxJ, dipenduto dall' unica vo- lonta del principe, facile ad ingannarsi e ad essere in- gannato, ue viene percio in conseguenza che le di lui leggi dovettero essere in frequente contraddizione fra loro; laddove presso i Longobardi (dicasi lo stesso di quelle degli altri popoli barbari) non essendosi pubbli- (fj Esprit des loix. lib. a,8. art. i. (x) Praef. ad hist. Gotor. p. 65. 2-2 F O M \ C A 1. L I . SULLA POLIZIA DEL REGNO LONGOBARDIGO ^5 rima aveva implicitamente conceduto, come un Es- sere immateriale possa imprimere il moto in un Esse- re materiale. Ma io potrei domandargli primieramen- te, se meglio intenda in qual modo un Essere mate- riale ad un altro Essere materiale 1' imprima , ne solo quando e in contatto, ma ancora quando si trova a distanze grandissime, siccome avviene nelle attrazioni reciproche de' pianeti e del sole. Come succedano sif- fatti moti e tuttavia alVumana ragione un mistero im- penetrahde. Vorrem noi dimque negar linlluenza de- gli esseri materiali gli uni su gli altri, perche e igno- to in qual modo per lor si eserciti? L' ignoranza del modo non toglie 1' esistenza del fatto. ALltrimenti co- me potrebbe Darwin provare pur 1' esistenza della stes- sa^ materia, che sola, eccetto Dio, egli anunette neiruni- ESA.ME METAFIS.DfiLLA ZOONOMIA DI DaRWIN $9 rerso? Clii ha mai spiegato, e clii potra. forse spiegar giamiual, nou clipo qual sia I'iiitima essenza della ma- teria, ma nemmeno in che modo ella sia composta? S'io pieiido uii cojpo, e a forza di dividerlo e soddi- viderlo iie cerco i principj componenti, le mie divi- sioni procedoiio all' iiifiuito, senza poter mai trovare i priaci[)j seinplici da cai risiilta il composto. Se co- mincio a supporre semplici, iiidivisibili, ed inestesi i principj de'corpi, io non trovo piii il modo d'uniili, sicclie ne risulti un corpo esteso. Or da questa igno- ranza del modo, con ciii la materia e composta, vien egli che la materia non esista? I corpi agiscono sopra de nostri sensi; V azione loro, massimamente allorche si oppone a' nostri voleri, e non possiarao per conse- guenza attribuirla a noi m(;desinii, ci assicura della lo- ro esistenza; ne possiam dubitarne, ancorche la ma- niera con cui agiscono ci sia ignota. >k Per esiual modo I'intimo senso ci assicura che in noi esiste un Esser pensante. E' dimostrato assoluta- mente imposslbile che un ente materiale e composto abbia la facolta pur di essere consapevole a se medesi- mo di piu idee ad un tempo, non che di esercitare tut- te fjueir akre opcrazioni, in cui il pensiero consiste. Dunque r Essere che in noi pensa non e materiale e composto, ma semplice e immateriale: ne T ignoranza del modo con cui inthiisce sn gli esseri material i, o rice- ve la loro inlluenza, e valevole argomento a dubitare o della sua esistenza, o della sua immateriale natiira. Dimostrata per questo modo 1' essenziale imma- tcriahta di ([uell' Essere che in noi pensa ^ e che noi chiamiamo aaimo, o spirito, o mente, e che Darwiii 6o S o A V r. ha voluto chiamare s]Mrito traiiiinazione, cadono tiit- te le spiegazioiii sue dedoite dalla falsa supposizione che qiiesro spirito d'auiniazione sia inateiiale, ed ope- ri alia to2;gia degli esseri mateiiali. Noil e pill dunque I' idea, coin' ei pretende, uii semplice movimento seiisnale, una semplice contrazio- ne o coiiflgiirazioue delle fibre che costituiscono I'or- gano imniediato del senso: non piii la peicezione il semplice movimento di quest' organo acconipagiiato da piaceie o da dolore. Nou piii constste la sensazione nel sol movimeato del seiisorio dalle sue estreniita al- le parti centrali: non pivi la volizione nel sol movi- mento contrario dalle parti centrali alle sue estrenii- ta (sez. XI. 2) Indaruo pure ei si sforza di richiamarc I'antiqua- ta opinione de' Peripatetic!, che lo spirito d'animazio- ne sia ditfuso e residente in ogni parte del corpo (sez. XIV. 2); d che se fosse, anche dopo legato un nervo, nella parte che e di sotto al legamento lo spirito d'aui- mazione ivi stanziante aver dovrebbe sensazione pur come prima. Indaruo a questo spirito d' animazlone da la fi- gura del corpo medesimo, perche il sistema nervoso dilTtiso j)er tntto il corpo prende a detta sua la figu- ra del corpo stesso ( sez. x 1 v. 2 ) Indaruo ei pretende, che per acquistare 1' idea della solidita lo spirito d' animazione debba esser so- lido egli medesimo, e possedere la proprieta che ha la luce di comuuicare un certo moto per aver idea del- la luce, e somigliar le particelle saporose ed odoro- se per sentire i sapori e gli odori, ed aver le vibra- ESAME METAFIS. DELLA ZOONOMIA DI DaRWIN 6 I zioui de' corpi sonori per acqulstare 1' idee de'snoiii, e partecipare delle taiigihili pioprieta per formarsi r idee die al tatto appartengoiio. Ulficio poi ben meseluno alia ragione egli attri- buisce la dove dice ( sez. ix. i. 2.) che„ dal volonta- „ rio richiamo dell' idee dipende la nostra facolta del- „ la ragione, in quanto ci abilita ad acquistare uu'idea „ della dissomiglianza di due idee". E come mai la ragione, quel dono si prezioso per cui r uomo e distinto da tutti gli altri aainiali, ed a tutti e di tanto superiore, dee ristringersi alia sempli- ce facolta di conoscere la dissomiglianza di due idee? E qual v'ha mai animale si stupido, che cio non fac- cia anch'esso continuamente? Ben altro concetto del- la ragione ci lianno lasciato i Filosofi, che n' ban trat- tato finora, lei esaltando siccome quella eccellente fa- cokii, per cui 1' uomo, le cose paragonando tra loro, non le sole dissomiglianze sa diseoprirne, ma tutte I'al- tre relazioni, die tante sono e si varie, e investigar- ne i |)rincipj, e dedurne le conseguenze; quella per cui dalle cose particolaii ei sa ascendere alle uuiver- sali, dalle semplici alle composte, dalle concrete alle astratte, dalle sensibili alle intelligibili; quella per cui sa accrescere sempre piu e perfezionare le proprie co- gnizioni, e distinguere in esse i varj gradi di proba- bility e di certezza, e discernere sagacemente in cia- scuua il reale dall' apparente, il vero dal falso. Ma Darwin a quella sua si gretta e si smilza de- tinizione della ragione attenendosi, se qualche cosa di ])iu in altro Ino^o pur seinbra a lei concedere, il fa per modo, die appena puo rilevarsi quel che si vo— &1 5 O A V E • ' glia per essa intendere.,, II ragionare, egli dice (sez. „ XV. 1 1 1. 2), 6 quella operazione del sensorio, per cui „ eccitiamo due o piii classi d'idee, e poi rieccitia- „ ino le idee, in cui differiscono o si corrispondono. „ Se noi determiiiiamo questa diderenza, cio vien chia- „ maio giudizio; se iiivano ci sforziamo di determiriar- „ la , cio dicesi dubitare. Se rieccitiamo 1' idee in cui „ quelle difteriscono, cio si appella distinguere; se ri- „ eccitiamo quelle in cui si corrispondoDO, questo di- „ cesi comparare. " Or qui prinianiente clii ha mai limitato il giudi- zio al solo atto di deterniiiiare la differenza di due idee? Cio e tutt'al piu quel che chiamasi giudizio ne- gativo. Ma oliie a questo non v'ha egli il giudizio af- ferniativo consisteute neiraffermare la loro coilvenien- za o coirispondenza? E perche escluder quest' atto dal- la classe de'giudizj, e chiamarlo semplicemente com- parare'^ La comparazione o il confronto altro non e che il cousiderar due idee 1' una rispetto all' altra. Quest' atto precede hensi la cognizione della diiferenza o corrispoudenza che fra lor passa, precede I'afferma- zione di questa loro differenza o corrispoudenza , os- sia il aiudizio; ma non costituisce ne Vima ne ^allT•a- Qual nozione esatta delle facolta dello spirito e del- le sue operazioui puo mai acquistarsi, allorche si con- fondono tra di loro si fattamente? Quanto al ragionare, chi puo mai nulla compren- dere da quel suo eccitamento di due o pin classi d'i- dee, e poi rieccitamento dell' idee in cui differiscono o si corrispondono? Tutto 1' artificio ^el raziocinio ad liltro uou si riduce, che a confrontar due idee con una ESAME MET APIS. DELL.V ZOOXOMIA DiDaRWIN 63 terza, onde veder dalla loro convenienza o disconve- nienza cou questa terza, se pur coiivengono o discon- vengono tra di loro. Che hadiuujue a far qui tutto quesio eccitarnento e rieccitainento di tante idee? Ma intorao al rieccitamento delle idee, ossia alia lor riproduzione, una sua particolare opinione ci re- ca in mezzo, cli' io non so da qual altro filosofo possa accettarsi. Giusta la comune sentenza, allorche, a ino- do d'esempio, la luce o diretta o ritlessa di un o M< -olto si e disputato e si disputa su la utllita e sul danno de' fidecommissi. Alcuni li riguardano co- me nocevoli alia felicita pubblica; ed altri come ne- cessarj alia maggior consistenza di un governo monar- cliico. Avvi clii si compiace di vederli aboliti per Tav- vaniaggio reale di una maggior sicurezza nelle pro- prieta contrattabili, d'un commercio piu libero ed e- steso, di una piu equabile difFusione di ricchezze : e clii al contrario si duole della loro abolizione, creden- dola luinosa alio stato dell^ famiglie, e per sino fu- nesta all' industria umana. Pare che il mondo sia di- viso in due partiti: quello dei rlcclii che vorrebbero possedcr tutto ed in perpetuo; I'altro dei poveri, i qua- li quantunque privi d'ogni proprieta, pretendono a giu- sta ragione, clic non sia loro tolta la speranza di pos- sedere, e di avere almeno una vocazione alia grande eredita, che la natura mise nelle mani degli uomini. •j-2 M O N G A La filosofia imparziale ne' suoi giudizj e quella che dc- ve conciliare questi opposti interessi, salvando con ua vincolo di reciproca giustizia il diritto politico ed il civile; 1' utilita pubblica e la privata. Prima di esa- minare gli effetti che nascono dalle sosiituzioni fide- comniissarie in perpetuo, mi e necessario il far ricono- scere cio che era il fidecommisso nella sua origine, e cio che divenne nella successione dei tempi. Sara que- sta una breve istoria dcH' oggetto Gontroverso atta a sciogliere molte obbiezioni, ed a scoprire non poche verita, facilitando la soluzione del problema se la ge- nerale aholizione de' Jidccommisd in un governo rappre- sentadvo in cui i possidenti sono spezialmente considera' ti e disdnti, possa cssere damiosa alio stnto nc' suoi m^>- pord di attaccamento al mcdcsiino , dt agncoltura , e comniercio. Ne' primi tempi di Roma era ignoto 1' use del te- stare. Per T uomo disponeva la Icgge in modo , che i beni d'una famiglia non passassero in un altra. La costituzione dello stato fondata sul partaggio delle ter- re condannava le donne a non poter mai essere ere- di. Stabilito su tal base Tordine delle successioni, non si doveva alterarlo eon volonta particolari, le quali a- vrebbero nitrodotro una ine2;uaf!;hanza nelle fortune. Roma che nacque sotto gh auspizj di un principato, non ebbe bisogno, come vincolo di attaccamento fra il governo, e i governati ne di testamenti ne di fide- commissi . , Dopo r espulsione dei re fit permesso il testare in una delle assemblee del popolo; e ciascun testa- mento divenne quasi un atto della potesta legislativa. SU' FIDECOMMISSI y^ incominciarono tosto gli abusi c le contravvenzioni al sistema di eguaglianza . Per metter freno all' arbitrio dei testatori fra la seconda e terza guerra punica, si emano la legge voconia proibente la successione alle doune, tanto inr.estata, che per testamento; Icgge atro' ce la quale, al dire di Montesquieu, sacrijicando V uo~ mo ed il citcadino, solo pensava alia repubblica. Cio che oltraggia la natura, non puo durare lungamente nelle istituzioni umane. La legge voconia fu elusa con r introduzione dei fidecoramissi. Affidava il testatore (jj le proprle sostanze alia sperata piobita d'un ere- de, piuttosto di morire nella certezza, che la madre , la moglie, la figlia non avrebbero avuto alcuna par- te della sua eredita . E^ da osservarsi che il fidecom- misso inventato per favorire le donne, divenne in pro- gress© di tempo un mezzo per oltraggiarle con ingiuste diseredazioni. II fidecommisso de' Romani non aveva alcun carat- tere di progressivo, o perpetuo. Altro esso non era, che un modo suggerito dall' amore per trasmettere 1' ere- dita agV incapaci di riceverla direttamente. L' erede poteva ritenere per se quei beni che fedele alle pre- (i) Lo stesso nonie di fidecommisso esclude o2ni obbliiiazione. Egli e un coniposto delle due parole fidei cominittere , il che importa una pre- gliicra che s'indirizza alia probit:\, n^ importa niun dovere civile. Nella sua origine divenne odioso, servendosi di esso i testatori o per eludere la lep;ge, o per ingannare i legittimi eredi. In seguito lo si estese a miglio- ri usi con le sostituzioni volgari, pupillarij ed eseniplari. Si poteva sosti- tuire non solo ad un fanciuUo nato, ma ad un postumo, che quantumjue non nato, si fingcva sotto la potesta del padre testatore. Queste erano le sole sostituzioni conosciute nella giurisprndenza roinana; sostituzioni che finivano colla morte dcH' erede . Quelle che fanno passare i heni da ua sostituto air altro, sono di moderna invenzione. Tom. I. 10 74 ]M O N G A • ghiere del testatore avrcbbe doviito passare in altre mani. Sesto Peduceo esercito un'azione virtuosa nel tra- snicttere tutta I'eredita alia vedova del suo amico, dal quale fu isdtuito erede; e P. Sestilio Ruffo nel rite- iiere per se una riccliissiina successione ch' era stato pregato di consegnare alia figlia del testatore, antepo- se r utile all'onesto. Costui allegava in sua difesa la legge che proibiva la successione alle donne ed il giu- ramento fatto di osservarla; ma Sesto Peduceo in onta d' aver violato la legge, ebbe il sufTragio della propria coscienza, dei contemporanei, e della posterita. Sotto Augusto le guerre civili avevano cangiato Roma in un deserto, e per ripopolarla si publico la famosa legge papia poppea, ch' ebbe per oggetto di ricoudurre gli uomini al matrimonio, ed alia procrea- zione. Come saijgiamente ci avverte Montesquieu, uno dei principali mezzi fu di aumentare le speranze per (juelli che si prestavano alia volonta della legge, e di- niinuirle per quelli che ricusavano; e come la legge voconia aveva reso le donne incapaci di succedere, la le2;gc papia fece in certi casi cessare questa proi- bizione. Cio che non si era abrogate della legge voconia ando in totale climenticanza e dissuetudine con raumen- 10 del lusso e la corruzione dei cdstumi. Aulo Gellio che viveva sotto Adriano, attesta, che la legge voconia era quasi totalmente annientata. Grimperatori \alenti»ia- no, Teodosio ed Arcadio chiamarono i nepoti della fi- glia alia successione dell'avo; e finalmcnte Giustinia- no per dare al sangue tutti i suoi dnitii, stabih tre or- 8U' FIDEC0MMI5SI 1% dini di ercdi, cioe ascendent!, dlscendenti, e collate- rali scuza alciina distinzione tra maschi e leinine. (2) In mezzo alle rivolnzioni delle antiche leggi ed ai cangiameiiti politici nella natura del goveino non fa mai latta alcuna innovazione quanto al lideconimisso. Le sostituzionl altro non iniportavano, come abbiamo detto, cbe un solo passaggio da persona a persona, o sia dall'erede al sostituto senza ulterior progressione . L'impero romano, malgrado le tirannie d'alcimi mo- stri clie disonorarono il trono de'Cesari, e sussistito per molti secoli in tutto il suo splendore; ne fra le cause della sua decadenza si e mai annoverata 1' inesisten- za del fidecommisso. Benche non ci fossero vincoli fi- decommissarj, alcune famiglie eguagliavano la potenza dei re; e i grandi patrimonj accumulati sopra poche te- ste, piuttosto d' impedire, accelerarono la perdita del primo popolo del niondo. I Longobardi, i Goti, i Franclii die per tanto tem- po signoreggiarono I'ltalia, mai non conobbero il fi- decommisso. Muratori assicura che nelle loro leggi, nel- le pergamene dove sono espresse le ultime volonta, non si rinviene ne nome ne sostanza di fidecommisso . II fidecommisso disposto a favore d' im solo, o molti, da essere godnto in vita con debito di restitnir- lo ad altri dopo la morte, fu inventato verso il secolo (zj Per avere un' idea flelT ori^iiie e ilellp miitazioni clelle leegi jlci Roniaiii sopra le successioni, <> da studiare nello spirico dclle leggi il libro XXVII contenuto in un solo capitolo. Esso compieiide i suhliiui pensieri c le acutissime vedute (V un grand' uomo, ed in poche pagine si trova tut- to ci6 die con fatica si potrehbe raccofiliere da una intera biblioteca di giurisconsulti . 76 M O N G A decimoterzo. Da principio ristretto ne fii I'liso, e ri- servato sokanto alle famiglie piu cospicue ed opulen- ti. Nei testamenti di quei tempi si leggono delle so- stituzioni limitate a pochi gradi, e queste a favore de' discendenti, senza alciina vocazione per i transver- sali, cognati, o estranei. II secolo XVII detto il 1600 fissa una epoca me- inorabile nei fasti della superbia ninana; e i grandi e i piccoli proprietarj vollero rendere perpetue le loro ordinazioni. Tal e I'uomo die, fragile per natiira, cerca con puerile illusione di vivere anche dopo la morte. Chi aaio prediligere il maggiore della famiglia con or- dine progressivo in infinito, chi il prinio nato; e vi furo- no moltissimi, che non contenti di vincolare i beni nella propria discendenza, sostituirono a questa altre linee, chiamando le une dopo le altre, per la insana vanita che dovesse sopravvivere il fidecommisso alia distruzio- ne di piu generazioni. Su tal esempio anche il semplice contadino possessore di poche glebe, neiristesso momen- to in cui andava a sciogliersi in polvere, pretese im- porre vincoli fidecommissarj a piu discendenze. Quelli che con sofistiche sottigliezze cangiarono la sostanza dell'antico fidecommisso, furono i cosi detti difensori del mio e del tuo. Queste auime venali cor- rotte e corruttrici che si pascono di discordie, che le fanno nascere con artifizio doloso; che le fomentano ia vista d'interesse, artefici di calunnie, di odj, e di ran- cori, trovarono nei fidecommisso, che limita Tusufrutto all'erede, e che salva la proprieta ai sostituti, con che pinguemente satollarsi delle sostanze delle famiglie. Le controversie occasionate dalla istituzione del fidecom- 8U FIDECOMMISSI 77 mlsso perpetuo, sono infinite, e grandissimi volumi non basterebbero a contenerleY>^>^ Perniciosissimi effetti derivarono dalla introdotta mania di voler tutto condizionare a perpetuita di vin- colo. Mold padri furono inp;iusti verso le femmine per una cieca predilezione a' maschj. Dopo I'assegnazione d'una dote nella prima linea istituita, restavano nelle successive condannate le femmine a tutte le umiliazio- ni della miseria. II fidecommisso diveane un'arma omicida per sa- crificare i diritti di natiira nell' unica figlia, antepo- nendo nell' eredita i consanguinei. La figlia perde il nome passando in altra casa, ed il maschio lo conserva. La sola detrazione permessa dalle leggi, e la le- gittima, purch6 il fidecommisso sia ascendente. Fini- sce il benefizio nei primi chiamati; e i sostituti, cbe pur sono dello stesso sangue, rimangono eredi del so- lo usufrutto. L' acutissimo ingegno dei giuristi ritrovo (j) Felix ars juris, felix li;ic arte peritus. Si foret huic arti iledita turba minor, Cui facile ingenimn , ciii sit custodia morum Cui constans recti sit Ijene cultus amor ; Nostra foret sors grata luagis; nee dicere niulti Aiiderent , nocunin nos genus esse sibi. Da paucos, dabis egregios ; rem copia vilem Reddit: quod rarum est, id solet esse bonum. Est auro pretium , tpiia non reperitur ubique ; Taiiti non cssct, si jacnisset humo . Sed qui sunt, quoruin tota est industria jiui, Quonim spes lucri tota locata foro! Lo stesso Januario celebre legale con versi degni del secolo d'Ovidio .c'insegna essere assai pochi i giurisconsulti degni di lode e di stirna. Pure ogni paese ne conta qualciuio stijnabile per probiti e per lumi. yS M o N G A il modo di deludere 1' erede nel diritto di legiittima con r akeniativa di rinunziarvi sotto la pena di per- dere il rimaiiente asse ereditario. Peggior destino ebbe la Trebelliaiiica o sia quel quarto, che le ultiniQ leggi dcgV imperatori assegnava- 110 air erede pregato di restituzione, accio 1' eredita non rimanesse giacente, e passasse in quello che diret- tamente non potea conseguiila. 1 dottori che con ser- vile imitazione introdussero una tal falcidia, insegna- rono anco a deluderla. I testamenti dei secoli XV. e XVI°. imy)ongono all' erede per condizione la rinun- zia della trebellianica, o sia del senatus-consulto pe- gasiano. Per gli usi nostri che sono piii uniformi al- ia ragione, quantunque meno favorevoli aH'uniano com- mercio, non si parla piu di trebellianica, ne la si de- trae, se anco di essa non si faccia nienzione nei te- stamenti . (4 J Con r abuso di tali alternative i beni rimasero sempre vincolati, senza poterli mai intaccare per qual si fosse bisogno. Le sole doti, in caso di restituzione, hanno il privilegio del pagamento sopra il fidecominis- so ascendente, non cosi sopra il transversale. E' vera- mente ridicola la distinzione dei due fidecommissi , come se non fosse della mente di tutti i testator! la (^) La detiazione della trebellianica trasporlata dalla veccliia iiella nuova giurisprudenza fii una miserabile iuvenzione cbe pill degli akii si e distinto nella enumerazione de'mali fu 1' erudito e profondo Muratori, il quale neir aurea sua opera dei difetti della giurisprudenza predisse cbc vciranno la confusione delle guerre, le pe- snlenze, le dispense de'priiicipi ad annul/are le ridico- le disposizioiii di chi i'uole stendere il suo inipero si no alia Jine del niondo. L'efFetto giustifico pienamente la sua predizione. La rivobizione francese cbe non trovo niente di buono fra le istituzioni umane, che voile tutto distrug- gere e tutto ricreare, cbe segno una di versa carriera al inondo intellettuaie e fisico, divergendo ad akro fine Tom. I. 1 1 83 ]\I O N G A le idee sociali politidie, e religiose, non poteva lasciar sussisteati le voloutu condizionate dei testatori. In quel vortice incendiario dovevano annientarsi e feudi e pri- mogeniture e maggioraschi e fidecommissi. Non pcro tutte le innovazioni furono il prodotto del fanatismo rivoluzionario. Fra le cose utili alia so_ cieta si deve annoverare I'abolizione de' fidecommissi . La legge deH'assemblea costituente rinnovo in qualche modo il giubileo degli antichi ebrei, rendendo libere tutte le proprieta no' lor possessori. (^6^ Cio, clie imperiose circostanze rescro necessario in Francia, divenne pure indispensabile in quei paesi della nostra Ft alia dove penetrarono le armi francesi . In una citta delle piii celebri e delle piu sventurate io fui qnello, cbe propose ed ottenne con pienezza di siifFragj la generate abolizione de' fidecommissi. E' dolo- roso il ricordare die mi fu attribuita a col pa nn azio- ne virtuosa la qual aveva per iscopo il publico bene. Non era giusto, dimandero a' miei concittadini , che una volta fosse posto termine alle incertezze; che il creditore piu non temesse gli aguati della mala fe- de; e che fosse ristabilit a la confidenza fra 1' agricol- tore, il proprietario, il manifattiiriere, ed il commer- ciante? Dimandero ancora, come senza la libera cir- cs'^ La costituzione ebraica aveva due articoli fondamentali. Tutti i debiti si prescrivevano nel corso di sette anni, qiialiinrpie ne fosse la da- ta; ed il cinquantesimo era I'epoca non solamente dello scioglimenio di ogni impegno pecuniario, ma della restitiuione universale di tutti i lie- ni ipotecati , o alienati, o della liherta di tutti gli scliiavi. Quest' anno detto giubileo teudeva a ristal)ilire il governo ne' siioi priucipj, _ed a ricon- dune Tordine sociale verso V eguaglianza primitiva. SU' FIDECOMMISSI 83 colazioiie de'beui avrebbe la classe degli uomini ricclii in nunierario, prestato soccorso a quelli ch'eraao solo possessor] di tcrre non contrattabili. Le armate vole- vano danaro, e senza di esso lo spavento e la coster- nazione avrebbero distrutte moke famiglie, e con es- se la sperauza di piii generazioui. Con quella stessa buona I'ede, con la quale pro- posi I'abolizione dei fidecomniissi, ora ne reclamo il ri- torno. Ognuno cbe attentamente legga, conoscera non esservi alcuna incoerenza nelle inie idee, e che conse- guente a'iniei principj , ritenendo le stesse massime, uon fo die applicarle a migliori risultati. Se il fidecommisso rinascesse-, qual era prima del- la sua al)olizione, mi riputerei indegno della vita socia- le, qualor ne fossi il sostenitore. Qaalunque sia la for- ma del governo, sara sempre ua ingiuria air umani- ta, che pill fratelli sieno schiavi del priraogenito, che un solo signoreggi despoticamentc sopra una intera fa- miglia; come sara vero, che la pcrpetuitu del fidecom- misso restringe le ricchezze in poche mani, e condan- na le piii vaste tenute a non soflrire mai smembramen- to alcuno. II problema da risolversi e questo. Come possa ri- sorgere il fidecommisso fornito di tali caratteri, i quali <.ombinando i vantaggi ottenuti dalla sua abolizione, ne acqnisti di nuovi a conforto dell' uomo che ab- bandona la vita, de'figlj che gli succedono, con som- ma utilita dello stato nei tre importantissimi oggetti di po]>olazione, agricoltura, e commercio. 1 maggiorati e le primogenitnre son tutto quello che di piu ingiusto potesse imraaginare T ambizione 1 "^4 M O N C A umana. Non si parli piu di loro, giacche nel secolo in cui viviamo, e io radcre sottn la disposizione paterna , per la stc^sa racrio- nc si possono chiamare :ul un lideconiinisso quelle linee entio il quar- to graJo , che, so non f*-isioiio, avrelibeio potuto esistere . Non ^ vero clie il padre possa scniire un Ciruale interesse verso tutti i suoi discenden- ti in infliiito. L' auiore si perde fuori degli oggetti che ha, o potreblie avere davanti a se ; e la sola ambizione e quella che vnole la perpe- tuita. Se anco il fidecommis»o non poterse in natura estendersi oltre le linee csistenti , sara seniprc qnesta a simi<:lianza dei postuini una tinzione di Hiritto utile per molti riguardi alia specie uniana . Per lo ineno si avra il vantaggio di sapere sino a dove possa proiiredire il lidec:omlnis^o ; ed O'znunoche tesii , ed inqualunque tempo clietesti, conoscerA i iimiti, clje «li piCbCrivono le leggi . Tom. /. 12 9© . Mono a L' isrituire iin fidecommisso, com'e tli diritfo pa- trrno. si deve esteiul(Mlo anco alle inaJii. La iiatu- ra parla egualmente al euore dei geiiitori; tutti e due con piinile potenza cooperaiio per riprodursi; e condot- ti dalla stessa speranza di vedersi a gennogliare intor- no quattro generazioni, sentono un egnalo bisogno d'i- Stituire erede la prima, presorvando Tercdita alle altre. Nasce pinttosro il dubbio sopra la vocazioae del sesso f'emminile ai fidecornmissi. Ne'maschi si contem- pla la conservazione della fainiglia ed una permanen- te menioria di noi stessi; non cosi nelle donne le quali maritandosi resiano sciolte da ogni vineolo fainiglia- re, e pcrdendo il proprio, assiimono un altro nome . La natura non fa alcuna separazione , ne pre- dilige la dilTerenza del sesso; e la legge che non puo sovveitire qvianto la natura imprime nel nostro euo- re, lasciar deve libera la volonta ne IV ordinazione di- sceusiva de' fidecornmissi. Se un padre ne'suoi discen- dend niaschj puo vedere quattro generazioni, cresce la speranza, qualor sono discendenti f'emmine, nelle quali per la particolar loro fisica costitnzione anticipa la puberta; e se queste vanno a mescolare il sangue con quello di un' altra famiglia, anche i mascbj abbi- sognano di simile innesto per riprodursi. Se per quell'i- stinto, clie nello stato sociale spinge 1' uomo a maggio- ri benefizj verso quell i che portano il proprio no- me, credesse di prediligere i niaschj, poira sempre far- lo. purche le distinzioni non ofFendano I'equita natn- rale, e resti seiupre salva per le femmine una congrua dote, la quale dovrebbe misurarsi per lo meno sopra la legittima divisibile in popzioni eguali co' masclij. SU FIDliCOMMISSI ^I E^ da investigare, se sia da permettersi alio stra- niero 1' acquistare nel nostro territorio una proprieta, e poterla sottoporre a fidecoinrnisso. La terra e il pa- trimonio di tutti, ne si puo giustamenne escliidere clii si sia dal possederne una qualche parte. II domicilio puo dare dei privilegj, ma non togliere quei diritti clie sono, per cosi dire, inimedesimati con I'uomo. Una ragione di stato puo per altro negargli di fare un fide- coinrnisso. E' del comune interesse , che i beni possibil- metite si conservino nelle mani di quell i che compon- gono la societa dove esistono. Col togliere alio stra- niero la facolta di testare per fidecommisso, si tenoo- no 1 suoi beni m una permanente circolazione, ne le rendite restano obbligate ad un vincolo che neces- sariamente le trasporta altrove per accrescere la ric- chezza degli akri popoli. Cesserebbe nondimeno que- sta ragione, se tutti i governi ri2;uardando3i come par- ti componenti una grande famiglia, abbandonassero i sistemi distrnttori delV industria, rendendo comune a tutti rinesausto tesoro desociali diritti. Limitato il fidecommisso nella sua durata e ne'suoi usi, none poi del pubblico interesse, che debba sus- sistere inviolabile per quattro genera^ioni. Se uno de- gli eredi volesse applicarsi alia raercatura, perche gli sara impedito convertirne parte in un capitale com- merciabile? Lo stesso si dica di qiialunque altro im- piego, a cui fosse inclinato. Le stesse disgrazie che af- fliggono inia famiglia, devono entrare nelle viste del legislatore. Possiamo aggiungere per ultimo, che sa- rebbe di troppo lunga dnrata il fidecommisso, se non si desse luogo a qualche detrazione. Quatcro gradi com- 93 ]\I O N G A prendono lo spazio di ottanta e piVi anni, e Vinteres- &e dello state esi- lato di richiaiuarla alia sua osseivanza . SU' FIDECOMMISSI f)S SC0I10, o diininiiiscono a norma dci hisoani delle fa- miglie, cho per opera di fraiulolenti orditure arricchi- scono il fallito, devono rlcevere una sanzione che le salvi senza piu avventiirare lo state de' creditori inno- centi. n loto rcgistro conremporaneo al matrimonio to- glie ogni rnotlvo di fraude, noii mette in cimento la prol)ita, cliiude un mercato alia perfidia foiense, e non cspone quelli che in buoiia fede alTidano le lore so- stanze, ad essere vitfime della falsita e della perfi- dia. fjoj Ora esporro il mio sentiment© su la solennita del- le snrrooazioni. Purche si migliori il fidecommisso, so- no sempre stato solito a riguardarle come utili all' u- mano commercio. Se un mio vicino vaole accrescer- nii la rendita col darmi in cambio altra terra di mag- gior valore, perche non potro migliorare la mia condi- zione, commutaiido un fondo con Taltro? Cio che una violenta presuiizione fa credere che avrebbe fatto il testatore fidecommittente, se fosse in vita, perche non lo si permettera aU'erede fidecommissario? Oltre il be- nefizio, che ne risente il fidecommisso, non giova for- se al publico bene, che una casa ruinosa venga rifab- bricata; che si cangi una terra sterile in fruttifera; e che I'industria sforzi la natura a scoprire i suoi te- sori ? (lo) Aiuhe le doii per le leggi venete decadevano da ogni privilegio di anz'mnita, so noti orano notificatc. In disprezzo della volonta sovraiia , dalla potesta giudicante si acrordava alle inogli dei falliti, che manravano di registro, la prefercnza di pagainento sopia gl' iniiocenti creditori del nuuito. Non f- (pierito il |)riino raso, in cui sorto rex-governo veueto il poter giiidiziario abbia iiivaso i diritti del legislativo. 96 M O N G A Cio, che si otteneva in altri tempi per rescrit- to del principe, dovrebbe esscre della sola corapeten- za dei tribunali civili. L'atto di grazia importava tan- to dispendio, che per quanto si studiasse di far crede- re migliorato il fidecommisso, sostanzialmente ne sof- friva un massimo detrimento. A pretesto di accrescer- lo, lo si esinaniva, e per lo meno esso era il debitore, che pagava tutte le spese. Se anco (jj) fosse di sua competenza, non puo il principe versare nei minuti dettaglj delle permutazioni, che nella vasta estensio- ne di un regno potrebbero essere di mille per gior- no; e conviene meglio alia sua dignita il commettere questo esame alia potesta giudiziaria. Alia sola legge appartiene dunque il prescrivere gli atti necessarj al- ia verificazione del surrogato. Primo oggetto di questa esser dovrebbero le stime giurate da rilevarsi alia pre- senza del giudice; che gli estimatori sieno di sua libe- ra scelta, con arbitrio di rinnovare le stime, se non fos- sero di sua soddisfazione. L'atto di surrogazione, per esser valido, ricevera la sua sanzione dalla superio- re autorita de' tribunali di appello. Non tutti saranno di avviso, che il fidecommis- so circoscritto a soli ascendenti cd a qnattro genera- zioni, possa convenire ad ogui governo. Si dira con (11 J Non vi sarcbhc piu liberta civile, se il principe arrogasse a se stesso la facolta di «indi'are. " Dans les /tats despotiqnes, le prince pent „ juger lui nieme. II ne le peut dans les monarchies : la constitution seroit „ dfetruite: les pouvoirs intermediaires d^pendans, an^antis; on verroit ces- „ ser tontes les fornialites des jugemens; la crainte s' einpareroit de tons „ les esprits. On verroit la paleuv snr tons les visages; plus de confiance „ plus d" ho:inenr pins d' amour, plus de snreti;', plus de monarclvie . "■ Montesquieu lib. VI. Cap. V. de V esprit des loix SU' FIDECOMMISSr ' 97 IMontesquicu, die T onore essendo il principio della monarchia, le leggi devoiio alimeiitarlo, rendemlo ri- spettabile la nobilta col perpetuanie la graridezza e conservazione. Nella pittura, die fa questo grand'uomo della ec- cellenza del governo monarchico, dice clie il fasto e lo splendore circondanti il trono stanno in iuogo di virtu; ch'e la nobilta, della quale V onore k per cost dire il pa- dre ed il figlio, dev' essere ereditaria; die gli sono ne- cessarie le sosdtuzioni e le primogeniture per sostenere la grandezza reale; che la diseredazione e utile, quan- do si preferisca il primogenito ; che le terre nobili de- vono avere molti privilegj, come le persone; che le pe- ne da infligersi alia nobilta devono misurarsi su I' ono- re; che questa e una potenza intermedia la quale non pcrmctte che il popolo acquisti molta supenoritd; e final- mente conchiude, che la corruzione della monarchia comincia quasi sempre da quella de' suoi principj; cosic- ehc, se volesse avere per base la virtu, non farebbe che ordire la sua dissoluzione. Ben loiitano dal prediligere un governo piuttosto dell'altro, francameiite diro, che qualunqiie sia hi lo- ro forma, li reputo eguali, qiiaiido abbiano la virtu per base fj2.). Se la diseredazione paterna fosse un'a- (li) QualiiiKnic sia il ^oveiiio, le passioni sono sempre quelle che lo fanno niiiovere eel aspire. E \h-v aliro in mki I'arolta il dirigcile veiso la vir- tCl, la (jiiale presso tutti i popoli altro non ^ rhe relfeito flella piii o menu sag^ia amininistrazione. Simile puo es>:»ie il principio cleTie monarchic e delle repuhliche, quando simile sia la volonia di clii h inxestito del su- premo jK)tere. Se 6 vero che una forza piii iinita pno mc^lio comandare allc pa^sioni, presa la virtn come possibile principio di o<:ni governo, essa pu6 eso'Tc pii^i comiiiiu alio stato monarcluco, che al republlcano. Joni. I. 1 3 98 * M o N 6-k zione cominendevole; se si avesse a riguardare come uii bene, die il popolo venlsse schiacciato sotto il pe- so dei trihuti; che tutti i foiidi divenissero il patrimo- nio esclusivo di poche famiglie; che ogni signore nel- le sue terre esercitasse un qualche diritto sovrano; e tuttc le dignita utili ed onorifiche si concentrassero in una piccola classe privilegiata con ingiiiria degli altri ordini sociali, io preferirei alia monarcliia il despoti- smo, dove non esiste altra distinzione^ che quella di un solo che comanda, e di tutti gU altri die obbe- discono. Tale non e la natura di qviesto governo mal conosciuto sino ad ora negli elementi che lo compon- gono. Nacque 1' errore dal considerarlo per qiiello che divenne nelle mani della barbaric, supponendo ad es- so inerenti tutti i viz] della distrutta feudalita. Forse la descrizione, che ce ne fa Montesquieu, indusse molti a farsi partigiani delle republiche, quando data 1' ipo- tesi, che in ogni governo regni la leggCj diviene indif- ferente una forma piuttosto che 1' altra, non entran- do a calcolo nelle republiche la pretesa sovranita na- zionale, quando in ogni luogo la moltitudine abbisogna di freno ; e se nelle monarchic un solo e il depositario del potere, anco nelle republiche, due o tre in mez- zo agli urti dell' ambizione, ed ai continui contrast! della liberta, esercitano o si disputano fra le civili di- scordie la potenza sovrana . Figuriamoci un impero ♦ dove le dignita e gl' impieghi sieno conferiti alia vir- tu, dove i tributi non sieno eccedenti ne sproporzio- nati, dove i diritti paterni sieno circoscritti da dirit- ti natural i, dove la giustizia criminale non ammetta distinzione di persona o nascita, e dove finalmente le 80 FIDECOMMISSI 99 cure del sovrano sieno eguali a quelle di uu padre di famiglia; un tal governo non avrebbe di che invidia- re le republiclie nella loro magnificata perfezione. Ri- dotti i governi, benche diversi per nome, ad avere e- guali principj, cesserebbero tutte le dispute sopra la loro preferenza, ed eguale in ogai stato sarebbe la condizione degli uomiui. Perche le monarchie possa- no ottenere tutti i vantaggj delle republiche, seiiza alcuuo de' loro inconvenienti , e necessario il proteg- gere e favorire la classe de' proprietarj. La proprie- ta e quella che sopporta i pesi dello stato; che ne accresce le forze col miglioramento dell'agricoltura, i cui prodotti ricadono a benefizio delle arti e del com- mercio ; che da all' uomo una educazione civile e vir- tuosa ; e che nella diramazione dei possessi stringe indissolubilmente i vincoli che uiiiscono i sudditi al aovrano. Le sostituzioni perpetue concentraudo le pro- prieta in poche mani, non fanno che fomentare 1' a- marezza nella classe incomparabilraente maggiore dei non proprietarj; quindi nasce il disprezzo delle leggi, I'odio verso i ricchi, ed un' assoluta indifferenza so- pra i pericoli esterni o interni che minacciassero lo stato. Col nuovo fidecommisso ascendente e ristretto a soli quattro gradi diviene ceiuuplicato il numero dei proprietarj, e per conseguenza di quelli che hanno un immediato interesse a sostenere la maesta del tro- no; e per un couimercio non mai interrotto di proprie- ta contrattabili si estende lo stesso interesse a quelli che non sono proprietarj, ma che hanno la speranza di poter divenirne. Paragoniaino ora la monarchia di Montesquieu con quella che ci viene indicata dal nuo 100 M O N G A vo fidccommlsso. Nella prima un ammasso di fortune lion circolabili: nessuna armonia fra i cliversi oicliui che compoiioono lo stato; nessuii legame fra il popolo, ed il sovrano; privilegj che offendono le opinioni; onori esclusivi che aUenano gH spiriti; iminiinita ed esen- zioni che dividono gli uomini. Nell' alt ra un nobile incitamento alle azioni virtuose; il meri to ricompensa- to dove si ritrova; la giustizia distributiva die nel 9U0 aujiusto esercizio non ammette dillerenze; confor- mi diritti che uniscono i sudditi quasi in una stessa famiglia legati dai vincoli deirainicizia e delhi bene- volenza, ed il sovrano che regna sopra di essi, come un padre regnerebbe in mezzo a' suoi figlj. Si obbiettera, ch' essendo il trono ereditario nel primo nato, e della natura della monarchia, che vi sieno primogeniture e sostituzioni fidecommissarie con una nobilta ereditaria . IMon e dellessenza di questo governo che il tro- no passi ne'primogeniti; ed abbiamo moltissimi esem- pj nella storia, di monarchi elettivi per libera volon- ta di un senato, o per quel diritto, che esercitavano gl'imperatori di Roma di eleggersi il successore. A Ve- nezia, come in Polonia, esisteva una nobilta ereditaria, *ed i capi era no elettivi; il che comprova che queste clue cose non hanno fra loro un irnmediato rapporto, e possono star disginnte. L'interesse publico fu quel- le che insegno a trasmettere la sovranita nei primo- geniti, per cosi togliere gl' inconvenienti deirmterre- gno, e le disgrazie delVanarckia. Per non essersi con una legge fondamentale ristretto il diritto di successio- ne ne' soli priinogeniti, i successori d' Alessandro, e SU FIDEC0MMI3SI 101 Carlo Magno furono la confusione, il disordine, e la guerra civile. Cosi la Polonia ad ogni elezione de'suoi re raetteva a pericolo la sua politica esistenza, e de- ve ripetere il suo annientamento dal non avere volu- te sacrifieare una parte della sua liberta alia sicurez- za dello stato. Lo stesso interesse publico, die vuole ereditario il trono ne' primogeuiti, vuole die non vi sia perpe- tuita di fidecommissi. Se gli stati possono essere un oggetto di pernuita, di cessione, o anco di vendita fra' principi, perch^ mai le possessioni private dovranno avere quel privilegio, di cui gli stati non godono? Se pur fosse utile la nobilta ereditaria, e sempre ingiu- sto, die per sostenerla si abbiano da violare gl'inte- ressi e i diritti del genere uniano: quando essa ven- ne al mondo, era ignoto il fidecommisso, e per quan- to si sa , dalla ruina delle famiglie nobili non ne de- rivo alcun male alio stato. Se alcune impoverivano, altre riempivano il loro posto; e la nobilta era una merce, die poteva essere facilmente acquistata da qual si sia proprietario. Migliore di niolto nel nuovo fide- commisso e la condizione dei nobili, die non era pri- ma dell' iiitroduzione del vecchio. Quando in una fa- miglia presieda lo spirito di nioderazione, diventa inu- tile la legge dei testatori per conservarne il patrimo- nio; o se avviene die il capo sia un prodigo, dopo avere consunto la legittima, trova un argine a' suoi dilapidamenti nel fidecomtnisso; e ineglio consigliato, puo ancora aprire gli ocelli sopra i suoi errori, e rior- dinarsi con una saggia economia. Non c poi vero die la nobilta ereditaria sia in- 103 M O N G A dispensabile ad un trono ereditario. Le prime monar- chic non abbisognarono di tale appoggio; ne se ne ri- trova traccia neirimpero dei medi, degli assirj, e dei persiani. I grandi che componevano il consiglio del principe, godevano della piu alta rlputazione; la loro dignita era affatto personale, ed i figliuoli rimanevano nella classe comune de'cittadini. Esistevano sino d'al- lora due ordini differenti di persone, ma le famiglie non crano decorate ne di titoli, ne di privilegj. Anche in Francia i re della prima stirpe avevano un consi- glio composto degli uomini i piu illuminati, col cui 80c- corso esercitavano il potere esecutivo. II loro titolo era di fedeli, tratto dal giuramento di fedelta, che pre- stavano nelle mani del sovrano. Questa prerogativa non era un diritto che passasse dal padre nei figlj , ma un onore congiunto solamente alia persona di quelli che si distinguevano con qualche azione utile alio stato. I re Merovingi , ( per quanto si raccoglie da Mably ) che immaginarono di convertire il titolo di fedeli in benefizj reali, furono propriamente gli autori della no- bilta ereditaria, la quale ha ricevuto tutta la sua con- sistenza dal trattato di Andely del 887; e dall' altro del 6 1 5, in cui Clotario confermo I'eredita dei benefizii, co- me tutti gli altri diritti, che i signori si erano arro- gati su le loro terre. Presso gli altri popoli la no- bilta ereditaria fu introdotta col slsteina feudale. Da che vi furono nello stato famigUe, che per nascita possedevano dei privilegj particolari, spari I'eguaglian- za dei diritti , e nacque quell' assurdo sistema , che spoghaiido la corona delle sue piu belle prerogati- ve, sciolse il popolo dai vincoli che lo univano al le- su' riDECOMMissi io3 gittimo sovrano, per renderlo schiavo dei feudatarj, lo non diro clie si debba abolire la nobilta, o im|>edire il suo rirorno dove fu abolita. Non e di nessun pregiudizio il decorate di titoli onorevoli i suc- cessori degli uomini celebri; ma sarebbe un errore in politica, se questi titoli inchiudessero qualche privile- gio esclusivo. Un principe che voglia regnare sopra Taffezione de'suoi sudditi, deve attribuire alia proprie- ta tutti quei diritti, dei quali godeva in altri tempi la nobilta (j3). L' ottimo dei governi, per opinione di Aristotile, e quelle in cui si preferiscono gli ottimi; e questi si trovano sempre nella classe dei proprieta- rj . Alia proprieta e bene affidata la custodia delle leg- gi, la percezione delle piibliche rendite, la difesa e la economia dello stato . Essa sola deve foimare la base d' ogni costituzione; e quel governo che sappia (13) I Roniani ebheio sino dalla loio origine una nol)ilta ereditaria. Roinolrt crei) iin senato composto di cento individui ad oggetto di avere chi dividesse con lui le cure del re^no. I senatori con un coqpo indebolito da- gli auni , e con uno spirito fortilirato dalla ragione e dalla esperienza, si cliiaiuavano padri , ed i loro discendenti , patrizj . Le dignita civili e mi-« litaii , come quelle del sacerdozio , appartenevano ai patrizj ad esclu- sioiie dei plebei . Le fainiglic patrizie formavano una classe distinta nella societa. II lo- ro nnniero poteva essere accresciuto a volonta dei re , e poi dei consoli . E stianteri , e plebei che avessero prestato un qualche utile servigio alia patria , venivano innalzati alia dignita di patrizj, e poi a quclla di sena- tori . Sotto Anco Marzio quarto re , Lucumone toscano fu fatto patrizio , indi senatore. Questo stesso Lucumone divenuto poi re con il noine di Tar- quinio, scelse fra il popolo cento famiglie aile quali aperse la porta del se- nato. Patricios fecit., et in scnatorum numerum cooptavic. ^ Ter esse- re questi nuovi senatori di origine popolare , venivano ch'aniati , patres conscripti minorum gentium . Anche a Venezia vi era una distinzioue fra Iji uobilti antica e la nuova . il diritto di noniinare i senatori non passava per successioDC. CoDve> 104 ^^ O N G A ben maiieggiare questo elemento, provvedera meglio di ogni altro alia propria sicurezza. Si dira die i talenti danno un maggior diritto agli onori della stessa proprieta, e che il nostro Au- gust© Imperatore, e Re con sul)lime pensamento desti- no alia rappresentanza nazionale i possidenti, i dotti, ed i coramercianti, da esso giustamente riguardati co- me i tre dementi che compongono le nazioni. Quando bene si analizzino questi tre ordini, nei quali e riposta la confidenza del sovrano, si scoprira che trattone qualche caso singolare, il prirao compren- de gli altri due . Ristretto il fidecommisso nella sua durata, e sim- plificato con le detrazioni da me proposte, la proprie- ta non e piu il patrimonio esclusivo di pochi, ma un beuefizio comune. Con la suddivisione della proprie- niva essere patrizio per diveriir senatore; ina non tutti i patri/.j poteva- no essere senator! . Due erano le condizioni : nascita e merito . La prima valeva assai poco senza la seconda. Le nomine, clie di continuo facevano i re , i consoli , e i censori , provano che questa dignit^ non passava agli eredi . La distinzione di ])lehei, e patrizj cessci interamente poco tempo do- po r espiilsione dci re . Verso Tanno 260 di Roma prevalendosi i plebei deU'esilLo di Coriolano , s* introdnssero nel senato e divisero con i patrizj tutte le dipnita die prima erano di loro diritto esrlnsivo. Dopo questo teru- po un cittadino, quantunrjue plebeo, diveniva nobilissimo , rivestito clie fosse delle jirincipaii dignita del senato . Dopo che grimpieghi della republica divennero comuni a tutti i cit- tadini, la sola proprieta era qiiella che li accordava o li toglieva. La leg- ge determiiio qnal rendita dovesse avere nn cittaratori, o il loro valore viene pareggiato con pochi auni di rendita. Al contrario il nuovo fidecom- 110 M O N G A misso lascia in circolazione quella tanta parte di pro- prieta die senza avvilirla la tiene in credito; fa nasce- re ne' pioprietar j uno spirito attivo che aglsce sul rai- glioramento delle terre, e nei non proprletarj una no- bile rivalita di aggiungere alle materie prime quel mag- gior prezzo, che si ottiene con una nuova creazione. Tutti i vantaggj, che ragricoltvna ritrae dal nuo- vo fidecommisso divengono comuni alia industria ma- nifatturiera e mercantile. La terra e la madre che nutrisce chi la coltiva; che da una nuova forma alle sue produzioni; e che permutandole, cambia il super- fluo d' un paese coi bisogni di un altro. II commcrcio ora distrutto dalla conquista, era angustiato ed impedito da cattive leggi, fugge la per- sccuzione, e si riposa sotto gli auspizj di chi lo pro- teggc. Ne r assoluta liberta, ne la perpetua schiavitu delle terre lo favorisce. Quando negletta e 1' agricol- tura, mancano le materie prime alle arti, e gli og- getti di permutazione al commercio. Non entra nel mio esame il commercio di economia, che conviene so- lo a nazioni povere, incerto nella sua durata, e che passa rapidamente da un luogo all' altro. To parlo di quel commercio che determinato da leggi fisiche in un paese, pao in questo essere conservato. Una provincia ricca di derrate, non trova rivali che possano sbilan- ciarla. La sua ricchezza e sempre relativa alle produ- zioni proprie, alle opere della sua industria, ed al lo- ro smercio neU'estero. Quanto pin si abbonda in la- na, in seta, in lino, in canape, tanto pin numerose sono le fabbriche di stoffe, di panni, di tele; maggio- re per conscguenza la lore esportazione , e sempre piii SU' FIDEC03IMI3SI 1 I I cresceatc !a rlccliezza nazionale. Se questa provincia per la sua posizione continentale mancasse di mari- na, e che quantunque foriiita di porti, mancasse di naviganti, gli akri popoli verrebhero a provvedersi, e piu le gioveni V applicarsi all' agricoltura ed alle ar- ti, che fare un traflico d'economla. Ma come potru aver luogo un commercio di esportazione, ch' e il piu van- taggioso degli akri, se il possessore sdegnato contro r ingiustizia delle leggi, neglige la coltura di terre- ni, che gli danno una scarsa rendita per Tavarizia del fisco che vuole appropriarsene la maggior parte; che non puo estender okre a se I'amore di una proprieta o non sua, o della qiiale non puo disporre okre i suoi figlj , e che la vede ogni giorno venir meno per la smo- derata liherta di poter tutto vendere? Esiste ancora un' akra causa che direttamente im- poverisce il conuuercio. II fine che si propone ognu- no che voglia applicarvisi, e quello di tentare T az- zardo per ritraere dai proprj capitali il maggior frut- to possi])ile. Nella generale decadenza della proprie- ta non vi e chi voglia metcere a pericolo il proprio stato, allidandolo air incertezza degli elementi, ed al- ia mal sicura probita degli uomini, quando puo sen- za pericolo fare un eguale o maggior profitto, divenen-» do possessore. Ecco spiegata la ragione, per cui i piu ricchi mercatanti abbandonano la mercatura per di- venire proprietarj , e per cui ridotto il commercio in mani povcre, manca di credito, perche manca delle forze ncccssarie per sostenersi. Le terre che si acquistano non lasciano alcun ti- inore di perdita; il loro prezzo sta in relazione dell'u- iia M O N G A sura, die ha luogo nei prestiti; ed il tribute lo pa- ga quella infelice schiatta di mediocri possessor!, che per la sopravvenienza delle nuove leggi si trova deca- duta da uno stato comodo alia piii cominovente mi- seria . Prima di metter fine al mio lungo ragionare su i fidecommissi, non posse dispensarmi dal dire qual- che cosa de' feudi, i quali, qiiantunque non portino il nome di fidecommissi, ne coiitengono per altro la vitale sostanza. Nella in addietro repnblica italiana t\6 che era stato aholito sotto il iiome di fidecommis- so, di primogenitura, e maggioraschi, si trovava e si trova tuttavia snasistente sotto quelle di feudi. II sistema feudale fu la base del governo politi- co, che le nazioni conquistatrici del Nord stabilirono nell'Europa. Questa forma di governo aveva una ten- denza ad annientare I'autorita sovrana, concentrando- la nella nobilta. Fu allora, che per coinbinare una for- za piu unita, s' introdusse il diritto di primogenitura; prerogativa ingiusta, che mantiene una divisione ine- guale nelle proprieta, e che porta nelle famiglie la ti- rannia e la schiavitu. La storia ci ricorda le molte ca- lamita, delle quali fu causa il sistema feudale, e gran- dissimi uomini con voce di fuoco declamarono centre una tirannia mestruosa, che invadende i diritti sovra- ni, teneva il pepolo in una barbara schiavitu. Vi volle- ro molti seceli di sforzi per cancellare i funesti effetti della feudalita. L'assemblea costituente collo schian- tare in Francia V albero dalle radici miro forse a re- stituire alia sevranita i suoi diritti. L' Italia, che nelle sue rivoluzioni politiche segui 8U' FIDJiCOMMISSI Il3 gl'impulsi della Francia, non ebbe il coraggio d'imitar. la nella piii essenziale delle sue rifonne. Si copio la legge abolitiva de'fidecommissi, e fu trasciirata quel- la die aboliva i feudi. Quale stiana coiuradizione, che debbano sussiste- re i feudi, e noii i (idecornmissi ! cbe sieno aboliti i titoH, e die resti aperta la fonte, dalla quale essi tras- sero la loro originel Si studiera uua giustificazlone nel diritto riserva- to al fisco di succedere nei feudi all' estinzione delle linee chiamate dal patto, e provvidenza delle primiti- ve investiture, e si aggiungera per ultimo, die il sacri- fizio di questo diritto non era compatibile coi bisogni dello stato. lo sono il prime a didiiarare, die non deve il go- verno dispone di cio che compone una gran parte de^ patrimonio nazionale. II patto di reversioue e un ra- mo di rendita per il fisco; ed e certo che tutti i feu- di nel corso de' secoli ritorneranno al principio dal quale partirono. Si poteva e si puo non violare con la sussisten- za dei feudi le massinie consecrate dairabolizione dei fidecommissi, e togliere dal mondo anche questi sea- za ledere I'interesse pubblico e privato. Tutta Toperazione consiste nello sdogliere i feu- datarj dal patto di reversione, e da ogni altro obbli- go, imponendo loro un annuo tributo non eccedente il ventesimo delle rendite, ed affrancabile a loro intie- ro comojdo. Con tal forma di contratto la nazione nelle an- gustie de'suoi bisogni realizzerebbe quei diritti, la cui Tom. I. i5 114 M O N G A verificazione e tcnuta per secoli in sospeso dalla esi- stenza delle liuee investite: c gli stessi feudataij, dive- nuti liberi possessor!, benedirebbero il sovrano veniito in loro soccorso per spezzare un vincolo di schiavitu iiocevole airinieresse delle faniiglie, agli avanzarnen-r ti deir agricoltura ed alia prosperita nazionale. Chiunqne ama il bene dello staro, e tutti quei principi, ebe dotad di alto intendimento pensano a rendere felici i proprj sudditi, scorgeranno nel fide- conimisso perpetuo canonizzata Tineguaglianza civile e politica, nel totale scioglimento una licenza sfrenata, nocevole all'industria agricola, manifatturiera, e mer- cantile, e nella sua limitazione una liberta temperata ne'suoi eccessi, che salva i diritti paterni, favorisce la proprieta, aumenta le forze dello stato con la fecon- dita dei matrinionj , eccita nelV uonio un vivo interes- se di migliorare 1' agricoltura , somministra alle arti un alimento necessario alia loro prosperita, e segna al commercio una carriera piu ampia e lucrativa nella moltiplicazione de' prodotti rurali, nella nuova for- ma, che ricevono dalle mani deirindustria, e nella lo- ro permutazione in ispecie o generi coi paesi che ne abbiso2;nano. Seml:)ra che la perpetua schiavitii delle terre sia analoga agli stati despotic!, dove si puo credere neces- sario familiarizzare il popolo con idee ed abitudini sempre umilianti e servili; che la loro manumissione da ogni vincolo convenga ai govern!, nei quali una li- berta tempestosa nemica dell' ordine , ne altera e scora- pone i principj, e che il medio terinine fra la schiavitu e la liberta sia proprio di quelle costituzioni che con SU FIDEG0MMI3SI I'lS sagace accorglmento sanno temperare in modo i co- muiii tliriiti, che ne la sovranita presieJa ad una greg- gia di schiavi, ne sia sempre vacillante iia il contra- sto delle umane passioni. NOTA DELL AUTORE. La nienioria fa spedita all' Istituto quasi un anno prima clie si cono- scesse in Italia ii codice Napoleone . Noii ^ maraviglia clie in qnalche par- te cssa discordi con la nuova legislazione . A questi tre punti si riduce uitta la differenza. i°. in un maggior quantitative di quota disponibile da- gli ascendenti . 2°. nelle doti la cui costitnzione si crede necessaria a nioltiplicare i matrimonj. 3*. nel fidecommisso progressive sino al ([uarto giado , che esclusivaraente permesso a quelli clie si riproducono , puii ri- giiardarsi come mezzo potentissimo per accrescere con la procreazione le forze dello state. Nel mciitre c'"^ Tautore si fa gloria di ammirare e di obbedire con suddita rassegnazione alle nuove leggi, crede di poter senza rimprovero render publiche le proprie opinioni , riservandosi in altro tempo di meglio dilucidarle . II nostro Angustissimo Imperatore e Re si e riservato Tespe- rienza di cinque anni avanti di pronunziare che il codice , aureo per in- finiti riguardi , sia perfetto in ogni sua parte . Palesando i miei pensieri , non faccio e non faro che usare della sua clementissima concessione. I "7 RIFLESSIONI Di Francesco Soave sopra il progeuo dl elemend d' Ideologta di Destutt-Tracy presentate a^ lo di luglio 1804. D. eggiono questi elementi , secondo il disegno deir aiitore, essere seguitad da quelli della grairiati- ca e della logica. Nella prefazione pero, dopo aver accennato varie difficolta ch' egli ha avuto a supera- re, dice modestamente: " Da tutto questo risulta ch'io „ non posso aver fatto de' buoni elementi d' Ideolo- „ gia — Ma conveniva ben cominciare da qualche co- „ sa. L' opera mia e un abbozzo da peifezionarsi , un „ telajo che si puo allargare e listringere, ed anche „ empire diversamente; e un punto di mossa per quel- „ li che vorran correre in avvenire la stessa carriera: „ e come tale al pubblico la presento." E credendo in appresso di dovere giustificarsi suU' averli mandati innanzi senza il loro seguito, prega il leggitore ad 09- servare ch' essi , propriamente parlaado, contengono I 1 8 S O A V E tutta l;i teorla, e ch'egli ha voluto sentire il giuclizio del pubhlico iiitorno ai principj avanti di fame le ap- plicazioni. Iiidi prosegue." Se io avessi la felicka di „ raccogliere delle buone critiche, sicche la mia ma- „ niera d' analizzare il pensiero dovesse essere rifor- „ mata , necessariaineiite la mia gramatica e la mia lo- „ gica ne verrebbero modificate, e con cio piu degne „ si rrovercbbcro dell'approvazione degli intelligenti . " Tanta modestia in un uomo si conosciuto com'e De- stuit-Tracy, da un niiovo risalto al suo merito, ed ani- ma chiunque ha egual amore per questa scienza ad esporre vie piu coraggiosamente i suoi pensieri intor- no a tutto quello die tender possa a maggiormenie perfezionarla. Or egli nel capo I in cui ricerca che cosa sia il pensare, comincia a stabilire che " il pensare e sem- „ pre sentircj e non e akro che sentire." Aggiunge che il termine sentire e stato piu speziahnente destina-? to ad esprimere 1' atto di sentire le prime impressioni die ci fcriscono, e che si chiamano sensazioni; ed il ter- mine pensare ad esprimere le impressioni secondarie che da quelle vengono occasionate, cioe le rimembran- ze, i rapporti, i desiderj, di cui elle sono Torigine. Ma condanna questa divisione di termini; dice che il pen- sare e avere delle percezioni o delle idee; che le per- cezioni o 1' idee ( termini ch' egli riguarda come asso- lutamente sinonimi ) son cose che noi sentiamo; e che per conseguenza il pensare e sentire. Conchiude per- cio che la facolta di pensare dovrebbe chiamarsi sen- sibi/itd, e i suoi prodotti sensazioni o sendmenti; ma che non potendo cangiarl'uso delle parole, seguitera SULl' IDEOLOCIA DI DeSTUTT-TrACY I I 9 anch'egli a chiamare qiiesta facolta pe/is/ero, e i suoi prodotti percezioni o idee. Anche r al). di Condillac ha creduto che la fa- colta di pensare potesse ridursi a seinplice sensibilita, e tiifte le operazioni die da essa dipendono, a mere sensazioni. Ma io ho diiuostrato in plu luoghi, e spe- zialmente nelle Istituzioni di metafisica; sez. a", cap. 2"; Fessenzial diflerenza che passa fra sensazione e atten- zione; per cui non si possono certamente confondere tra di loro. Quasi del tutto passiva e raaima nel sen- tire, da lei non dipendendo I'avere o non avere le sen- sazioni ; e non ad alrro riducendosi in queste 1' atti- vita sua, che airavvedersi delle impressioai che le son fiitte: airincontro attivlssima e neirattendere, e nel ri- flettere, da lei dipendendo il fissare 1' attenzion sua piuttosto ad uno clie ad altro oggetto, e trasferirla daH'uno alTakro a piacer suo; sicche fra Tuna e I'al- tra cosa e quella diflerenza che e fra Tesser passivo e Tessere attivo, che e nulla men del contrario. Lo stesso agevohneute puo dimostrarsi rispetto al confronto, che e il trasportare 1' atteuzioue dall' una all' altra cosa per conoscerne le relazioni o i rapporti ; rispetto al giudizio, che e 1' aHermare la convenienza o sconve- uienza di due cose fra loro paragonate; rispetto al ra- ziocinio, che e il confrontar due idee con una terza, per dedurre dalla loro convenienza o disconvenienza con questa terza se pur convengano o disconvengano tra di loro; rispetto alia volizlone o atto della volonta, che e un'attiva detcriniuazione deU'anima ad abbrac- ciare o rigettare una cosa proposta, e fra due cose a scegliere una piuttosto che 1' altra. Non puo duaque 120 O O A V E S O la facoka di peiisare confondersi colla semplice sensi- bilita; non puo con giustezza asserirsi che il pensace altro noil sia che sentire . lo non approve nemmeno che \e percezionl confon- dansi colle idee, e che questi due termini si prenda- no come sinonimi. Gia troppo indeterminati presso al- ia pill parte de' metafisici son questi due vocaboli, e troppi errori dalla loro indeterminazione son provenu- ti, senza acciescerla col prendeili promiscuamente e indistintaniente un per 1' altro. Persuaso che nelle cose metafisiche I'esattezza e la precisione non e mai soverchia, non solo io ho di- stinto percezione da idea; ma ho creduto di dover di- stinguere ancora rispetto alle impressioni attuali mo- dijicazione da rappresentazione , sensazione da perce- zione, e rispetto alle impressioni passate, conservate dalla contemplazione o rinnovate dalla memoria, di- stinguere nozioae da idea, e concepire da immag/nare. Io osservo che alcune impressioni, come quelle degli odori, de'sapori, del caldo, del freddo, e simili, mi fan provare un' interna modijicazione piacevole o molesta; altre, come quelle de'colori e delle figure mi offrono solamente di se un' esterna rappresentazione . Or Tatto di provare quell' interna modificazione piace- vole o dispiacevole, e quello cii' io chiamo propria- mente sensazione; e alV atto di accorgermi di quella esterna rappresentazione do in vece il nome di perce^ zione. Cosi fiutando una rosa, dico di aver la sensazio- ne dell'odore; e mirandola, di aver la percezione del colore e della figiira. Osservo similmente che se messa la rosa in di- bull' IDEOLOGIA DI DeSTUTT-TiIACV 12 1 sparte, io voglio contlnuar tiittavia a pensarvi, o do- pe alcun tempo lichianiarla alia memoria, del colore e della figura mi veggo dinanzi alia mente rimmagine, ma dcll'odore nixina immagiiie mi si presenta. Or pa- rendoini nccessario il far ([ui pure tra qiieste due co- se uu'esatta disiiuzioae, io liaiito il termiuc idea ad esprimere secondo il suo vero c proprio siguificato I'iuunagiui solameute, e a tutto qucllo die non essen- do unito coir esteiisioue, non puo presentare immagi- ne, do in vece il noma di Jiozioiie, comprendeudo sot- to di questo noma a le nozioiii delle qualiti fisiche pu- ramente sensibili, come sono gli odori, i sapori, il cal- do, il freddo, ec. a quelle della facolta, alTezioni, a operazioni deiranimo, e quelle degli esseri intellettua- li e morali, come verita o falsita, scienza o ignoranza ec. clia non hanno fuori della nostra mente niuna rea- le esistenza. All' alto poi di apprendere quell' imma- gini o idee ritengo il termine di percepire, o per mag- giore chiarezza sostituisco quello d'itnmaginare, e all'at- to d' apprendere quelle nozioni applico in veca il ter- mine di conccpire. Se queste distinzioni avesser fatto a osservato sem- pre esattamente i metafisici, non avrebbero tanti fra gli antichi per la vanita d' immaginare quello clie appena put) concepirsi, attribuito ad un ente semplicissimo com'c Iddio, la forma corporea a la corporee qualita: so- gnato non avrebbar gli apicurai cha la idea sian tanti idoletti clie da' corpi si staccano ad entrano in noi ; perciorclie avrebber veduto che le vere idee, cioe le immagini degli oggetti asseati venir non ci posson da' corpi che allor non agiscono sui nostri sensi, a cha da Tom. J. 16 123 D O A. V E niiin idolo o immagine dipender possono le modificazio- ni e le nozioiii die iion presentano niuu immagine: non avrebbeio i peiipatetici alle nature universali e alle forme sostanziali attiibnita una lealc esistenza fuori di noi, quando non sono che puri aggregati d' idee e di nozioni, puri concetti deU'animo nostro: detto non a- vrebbe Malebranclie die Taninia vede in Dio, come in imo specchio, 1' idee di tutto quello die e oggetto de'suoi pensieri; perciocche facilmente avrebbe com- preso die nulla puo I'anima vedere in Dio quando ha le sensazioni del caldo o del freddo, ddla lame o del- la sete, o di tali altre modificazioni die sono tutte in lei medesima; o concepisce le nozioni della scienza o della ignoranza , della verita o della falsita, o mille al- tre d'egual natura, che offiir non possono veruna imma- gine: non avrebbe Kant applicato esclusivamente il ter- mine idea ad esprimere quelli ch'ei chiama concetti cL concetti della ragione pura, cioe i concetti delFassoluto. deirinfinito, che lungi dal presentare niuna vera idea od immagine che percepire si possa, non esprimon nem- meno niuna nozione positiva, ma una semplice no- zion negativa , giacche sarebbe manifesta contraddizio- ne che uno arrivasse a concepir I'infinito, cioe a com- prendere il fine di quello che non ha line : non avreb- be Darwin definita V idea una contrazione o un mo- vimento o una coniigurazione delle fibre che costitui- scono I'organo immediato del senso, ne usato avreb- be come sinonimo d'idea il termine di raovimento sen- suale; poiche avrebbe veduto che questi movimenti costituiscono tutt'al plu la fisica impressione, da cui derivan neU'anima Tattuale modificazione o rappresen- SULl' IDEOLOGIA DI DeSTUTT-TrAGY 123 tazione, e in seguito la nozione o Tidea corrispondcn- te, ma che tutte queste e modificazioni e rappreseii- tazioni e nozioni e idee appartengono interamente all' a- iiima stessa, e nulla hanno di simile coUe contrazio- ni, o i movimeuti, o le configurazioni delle fibre cor- poree . Ma per non piu dilungarmi sui molti errori che dalla coniiisione de' succennati termini son derivati, aggiugnero solamente che il medesimo Destutt-Tracy, dove dice poco dopo parlando a'giovani cui indirizza questi elementi:'' vi si dira, e forse vi e stato gia det- „ to che il termine idea viene da una parola greca „ che significa iinmagine, e che e stato adottato per- „ che le nostre idee sono le immagini delle cose;" e „ soggiunge;,, questa ben esser puo la ragione che ha „ fatto crear quel termine, ed in piu lingue Tha fat- „ to adottare; ma non migliore e percio sift'atta ragio- „ ne, perche le nostre idee sono quello che noi sen- „ tiamo, e certamente la sensazion del dolore quan- „ do io sento scottarmi un dito, non e la rappresen- „ tazione del cangiamento di figura o di colore che „ avviene nel dito;" dal che poi conchiftde; " guar- „ diamoci dalFerrore comune di credere che le nostre J, idee sieno la rappresentazione delle cose che le ca- „ gionano: " in questo luogo, io dico, meglio conchiu- so avrebbe, che siccome il termine idea significa im- magine , a quelle cose soltanto deve applicarsi, che realmente presentano alia mente un' immagipe, e tut- te le altre con altii nomi debbono appellarsi; e trat- tato avrebbe poi separatamente la quistione, se le mo- dificazioni, o rappresentazioni, o nozioni, o idee, che 124 S O A V E da noi si sentono, o percepiscono, o concepiscoiio , 6 iinmaginano, sieno o no la rappresontazione delle cose die le cagionano; e poiclie le rappresentazioni propria- mente dette, e 1' idee lo sou di i'atto, cercato avieb- be sino a qual segno lo sieno esse e in qual modo. L' aiitore prosegue in vece:,, checche ne sia, noi „ abbiamo delle idee o percezioni ( prendendo sern- „ pre questi due termini come siiionimi ) di qnattro „ specie diff'erenti. lo sento scottarmi attualmente; que- „ sta e nna sensazione ch'io sento. Mi ricordo che mi „ sono scottato jeri; e una rimembranza cli' io sento. „ Giudico die un tal corpo e la cagione della mia „ scottatura; e un rapporto cli' io sento tra questo cor- „ po e il mio dolore. Voglio allontanar questo corpo; ,, e un desiderio ch'io sento. Ecco quattro sentimenti, „ o per parlare il lingaaggio ordinario, quattro idee „ che han dei caratteri ben distinti. Si chiama sensibi' ■>■, lira la facolta di sentire delle sensazioni; memoria „ quella di sentire delle rimejnbranze; giudizio qael- M la di sentir de' rapporti; voloiua quella di sentire » dei desiderj . Lasciando da parte se nel linguaggio ordinario le sensazioni, le rimendoranze, i rapporti, i desiderj tut- ti SI chiamino egualmente idee, non veggo io qui la ragione, per cui il giudizio si faccia coiisister soltan- to nel sentir de' rapporti, e la volonta nel sentire dei i desiderj . ' II giudizio e preceduto sempre dal confronto del- le due cose, di cui la convenienza o disconvenienza f vuol giudicarsi; e questo confronto non puo certamen- te chiuniarsi sensazione. II confronto supjDone I'atten- J SULL' IDEOLOCIA. DI DESTUTT-TrwVCY 12$ zione applicata all' una e airaltra delle due cose che si paragonano; e rattenzione pure abbiain gia vedu- to che non e semplice sensazione. Dal confronto e dair attenzione die F accompagna, vkne la cognizio- ne de' rapporti che le due cose hanno fra loro, o di cio in che esse convengono o disconvengono; e que- sta cognizione parimente e tutt'altro che sensazione. Dietro la cognizione de' rapporti che le due cose han- no fra loro, viene il giudizio, che e 1' atto con cui s'afferma che fra le due cose esiste un tal rapporto di convenienza o disconvenienza; e questa affermazione ognun vede manifestamente che e cosa assai piu di- sparata dalla semplice sensazione. Or come mai il giu- dizio si puo chiamare cosi nudamente e semplicemen- te la facolta di sentir de' rapporti? Massimamente che il giudizio a pieno rigore non e ncmmeno una facol- ta, ma un atto dipendente dalle tre facolta di senti- re, di riOettere, e di conoscere. Quanto alia volonta, come mai debbe ella riporsi unicamente nel sentire dei desiderj? 11 desiderio e una tendenza dell'animo verso un bene proposto. Questa tendenza nasce dalle facolta di sentire, di conoscere, di ricordarsi, ed e affatto indipendente dalla facolta di Yolere. Sento un piacere; desidero che continui. Mi ricordo di un piacere sentito; desidero che ritorni. In tutto cio il desiderio non aspetta punto la volonta: an- zi non so se moki si asterrebbon dal ridere, quand'io sentendo attualmente un piacere, dicessi non gia de- sidero, ma voglio sentire il desiderio che continui. La volonta adunque non e la facolta di sentire dei desi- derj. e la facolta di secondarli o di sopprimerli, secon- 126 S O A V E do che tendono a iin bene vero e real©, o ad un be- ne lalso e apparente; e la facolta che ha V animo di dctenuinarsi ad abbracciare una cosa o rigettarla, a scegHere una piuttosto che un akra. Sulla fine di questo i°. Capo ei domanda, se le quattro facolta succennate compongano tutta intera la facolta di pensare ; e risponde, che sebbene ne sia con- vinto, si riserba pero ad affermarlo dopo che queste facolta avra 1' una dopo V altra considerate. lo con- fesso d'esser convinto diversameate; ma alio stesso luo- go riserbo pure il favellarne. Prendendo nel Capo 2". a trattare della sensibilitd e delle sensazioni, egrincomiucia:" La sensibilita e quel- „ la facolta, quelpotere, quell'etVetto della nostra or- „ ganizzazione, o, se volete, quella proprieta del nostro r, essere, in virtu della quale noi riceviamo delle im- „ pressioni di moke specie, e ne abbiamo la coscienza. " Locke, Condillac, Bonnet, d' Alembert con tutti i metafisici di maggior nome ban sempre detto che la sensibilita e una facolta, un potere, ima proprieta par- ticolare dell'anima, non una facolta, un potere, un ef- fetto della nostra organizzazione, o una proprieta del nostro essere in generale. E sebbene Locke abbia det- to incidentemente in un luogo {Saggio Jiioso/ico.hih. iv. Cap. III.), che ci sara forse eternamente impossibile il conoscere, se Dio non abbia dato, o dar non possa a qualche ammasso di materia a cio espressamente pre- parato e disposto la potenza di sentire e di pensare* afferma pero positivamente in un altro (Lib. iv. Cap.x), che la materia di sua natura e visibilmente destituita di senso. sull' ideoi.ogia di Destutt-Tracy 127 Or al priiicipio di dementi d' ideologia destina- ti per la gioventii, trattando della sensibilita, che e la prima facolta dell' anima , noii far niuna menzione deU'anima, dar luogo anzi a supporre che la scnsil)ili- ta sia un mero potere, un mero eftetto della nostra organizzazione, aprire cosi la strada al materialismo, e quindi all' epicureismo, a cui la gioventii daU'eller- vescenza delle proprie passioni , e dal desiderio di pote- re liberamente e impiinemente sfogarle, e si facilmen- te per se medesima inclinata, non so quanto savio e prudente avvedimento abbiasi a riputare. L' epicureismo e certamente, come il piu assur- do sistema in se medesimo, cosi il piii contrario non solamente alia religione, ma alia morale insieme ed al- ia societa. E che possiam noi sperare da giovani, . quali si persuadano, che nel mondo altro non esista fuorche la materia, che il nostro esser medesimo al- tro non sia che materia, e che tutto per noi finisca al- ia morte del corpo collo scomporsi della materia ond'es- so e formato? Altro non avremo con cio, che atei, che libertini tutti intenti al piacer loro, e a soddisfare o- gni passione da cui non temano danno in questa vita; non avrem altro in somma che perfettissimi egoisti. Quindi e che quand' anche a provare 1' esistenza deU'anima, vale a dire di quella sostanza semplice e di versa afl'atto dalla materia, che in noi sente, e riflet- te, e conosce, e ricordasi, e vuole, e agisce per can- ti modi e dentro e I'uori di se medesima, altro non avessinio clie probabili argomenti, tutta la forza a que- 3ti argomenti dar si dovrebbe da un prudente istitu- tore per distogliere all'atto la gioventii da quell' orribil 128 S O A V E sistenia, di ciii altro peggiore non so che esista, e piu atto a corromper uii auimo giovenile, che cereus in vi- t'luin Jlccti si giustamente ed energicamente da Orazio e noiuiuato. Or quanto piu mentre 1' esistcnza deH'animae la sua immatei'iale uatura si evideiitemente puo dimostrar- si? Per chiarissimi egualmente che invittissimi argomen- ti cousta assohitameute impossihile, che in un cssere materiale, e quindi necessariameute composto di parti, esista la coscienza di piu sensazioni, percezioni, nozio- iii, idee contemporanee, assoliitamente impossihile che vi esista pur la minima comhinazione d'idee^ e quin- di alcun giudizio, alcun raziociiiio. Cousta adunque per necessaria e certissima conseguenza, che quelV cs- sere, il quale in noi ad ogni moment© e a se consape- vole di tante sensazioni, e percezioni, e nozioni, e i- dee, che queste per tanti modi continuamente confron- ta, uuisce, disgiunge, e tanti giudizj e raziocinj ne for- ma, non e materiale e composto, ma semplice e im- materiale, e quindi pure incorruttibile ed immortale con tutto il resto che da un tal principio dipende . Questo e che in una ideologia prima di tutto a' giova- ni dee mostrarsi, e che nelle prime linee del trattato medesimo della sensibilita puo anclie opportunamen- te insiiuiarsi; giacche la sola coscienza di piu sensazio- ni contemporanee hasta a somministrarne una dimo- strazione e completa, e al tempo stesso cliiarissima e facilissima. II nostro autore per lo contrario non solo ne di questa dimostrazione, ne deU'esistenza medesima delVes- sere immateriale che in noi pensa non fa alcun motto sull' ideologia di Destutt-Tracy 129 ne qui nc altrove; ma non contento di aver dato luo- go a poter siipporlo materiale con quella prima espres- sioiie, clic la sensibilita e una facolta, un potere, un edetto della nostra organizzazione, vie maggior luogo somministra ad una tal snpposizione dicendo in appres- so, che la sensibilita da noi si riconosce a non equi- voci segni nei nostri simili, che piii omen chiaramen- te a noi si mostra nelle varie specie degli animali, die non si manifesta egualmente ne' vegetabili ; " ma die niuno di noi potrehbe affermare che non v'esista, co- me neppure ne'minerali; cl>e niuno puo esser certo che una pianta non provi un veto dolore, quando il niitrimento le manca, o quando si sfronda o si taglia, ne che le particelle d' un acido, che noi veggiamo sempre disposte ad unirsi a quelle d' un alcali, non provino un sentimento piacevole in questa combina- zione." Vcro e che aggiunge. " lo non voglio con questa osservazione indurvi a supporre la sensibilita anche dove non apparisce, perche in buona filosofia non si dee mai nulla supporre: dico soltanto, die noi sia- mo a questo riguardo in una piena ignoranza." Ma soggiugnendo.,, Quanto a'moiivi che avremmo di for- , mare una congettura piuttosto che un'altra su qne- , sto punto, non appartenendo al mio soggetto, li pas- , so sotto silenzio;" fa trasentire ch' esser vi possono de'motivi per congetturare la sensibilita anche ne' ve- getabili e ne'minerali. Or quanto imprudente non e egli il lasciar a'gio- vani il luogo di sospettare che sensibili al par di noi bieno puranche i minerali e i vegetabili, che da tutti 2 on I. I. I J i3o So/ \ V E si riconoscono come puramente materiali? Perche non anzi adoperarsi a provare che sono essi, come souo di fatto, interamente e plenamente insensibili? Coiidillac, a cui I'autore confessa in seoruito (nel- la nota a pag. lay) di essere debitore quasi di tiuto qiiello ch'ei sa, ed anche di quello che non gli ha di- rettamente insegnato, perche I'lia posto sulla via di tro- varlo, nel saggio sopra I'origine delle iimane cognizio- ni, il qnal akro non e appimto che una specie d'ldeolo- gia, non ha lasciato di dimostrare la falsita e I'insussi- stenza di quel dubbio di Locke, se Iddio non possa ad un pezzo di materia a cio espressamente preparato e di- sposto dar la potenza di sentire e di pensare, provan- do che siccorae Iddio far non puo che un medesimo essere sia al medesimo tempo e composto e semplice, vale a dire e composto e non composto; cosi doven- do r Esser pensante essenzialniente e necessariamente esser semplice, non puo nemmeno Iddio, far mai che sia alio stesso tempo e pensante e materiale, che e quanto dire e semplice e composto. E perche dunque alio stesso modo chi si profes- sa discepolo di Condillac non ha egli detto francamen- te, che non trovando ne'vegetabili e ne'minerali niun indizio che in loro un'anima esista, non puo supporre in essi ne la sensibilita, ne alcun'altra di quelle facol- ta che alFanima sola esclusivamente appartengono? Ma risoluto a voler tutto attribuire alia semplice organizzazione, non solo da essa fa egli dipendere la sensibilita, ma sviccessivamente, come vedremo, ancor la memoria, e il giudizio, e, quel che e piu da am- mirarsi , fin la medesima volonta; dando cosi alia ma- SULl' IDEOLOGIC DI DeSTUTT-TrACY i3i teria tutte quelle facolta die da' piu sani filosofi come propria soltauto deU'Essere iminateriale si riconoscouo. Nel capo III che versa intorno alia memoria, do- po averla iiuovamente defiiiita la facoltk di sentire del- le rimembranze, e aver dichiarata essa pure uu sem- plice risultato della nostra organizzazione, tratta egli la quistione.,, Se sia deU'essenza della memoria, che „ quando noi sentiamo una rimembrauza , senriamo „ clVella sia la rappresentazione di una impressione „ passata, rale a dire se noi sappiam semprc ch'e una „ rimembranza;" e risponde giustamente di no. Ma una tal quistione sarebbe divenuta affatto su- perdua, se avesse nella memoria accennato i due atti in se distintissirai, reminiscenza e riconosciine/ito; il pri- mo de' quali consiste ncll' aver presente V idea o la no- zione di una impressione passata, e il secondo nel ri- conoscerla come tale. Nel primo I'anima e qualclie vol- ta attiva, cercando ella medesima di risvegliare una data idea, come alia vista d'una persona studiando di ricliiamarsene il nome ; ma il piu delle volte e mera- mente passiva, procedendo la reminiscenza il piu del- le volte dal risve2;liamento involontario delle idee as- sociate. Nel secondo e sempre attiva, richiedendosi che si riiniovi non solo la stessa idea, ma che insieme rin- novisi alcuna di quelle, con cui e stata associata la pri- ma volta, e che Tidea presente colla passata confron- risi per riconoscere se e la stessa. Qnando un' impres- sione o un'idea rinnovisi isolatamente senza niuna idea associata, noi possiamo averla avuia le migliaja di vol- te, senza mai ricoiioscerla, senza avvedcrci mai d' aver- la altre volte avuta presente. I 32 GAVE Un'altra quistione ei piomove nel medesimo capo: „ Se sia della natura della seiisibilita, die qiiando pro- „ viamo una sensazione qualunque, licoiioscianio d'on- „ de ci viene, vale a dire che la riportiaino al corpo „ che n'c la cagione, o aliueiio aU'organo che la tia- „ smette." Ma poiche si era proposto di inostrare in appres- so la inaniera, colla quale successivameiite e gradata- incnte da iioi ^'iinpara che i corpi esistono, e che sou le cagioiii delle nostre sensazioni; parrni che fosse inii- tde il mover qui una tal quistione innanzi tempo. Una terza quistione egli accenna in questo capo, diccndo '• essere possibilissinio il domandare, se Ic due „ facolta di sentire e di giudicare non nascano iiisie- „ me, se non risultino nel medesimo tempo dalla no- „ stra organizzazione; se i loro atti non sieno sempre ti snnultanei e confusi, il che produrrebhe lo stcsso ef- •>■) fetto, come se non fossero che una sola e medesima „ facolta : " quistione ch' ei si riserba a trattare nel ca- po seguente, e che scioglie quivi col dire, che „ per „ sentire un rapporto conviene avere gia avuto almen 1, due idee; che quindi I'azione della sensibilita pro- „ priamente detta precede necessariamente almen d'un „ momento quella del giudizio; che percio quesie due „ facolta non possono cominciare ad esercitarsi preci- „ samente nel medesimo istante. " Ma sembra che assai meglio risposto avrebbe ad una tal quistione, anzi pur toko avrebbe ogni adito a farla, se in vece di dtlinire il giudizio la facolta di sentir de' rapporti, avesse spiegato ed enumenito gli atti che precedono il giudizio, vale a dire 1' attenzione i SULl' IDEOLOGIA DI DeSTUTT-TrACY i33 applicata all' una e airaltra delle due idee, il con- fronto deir una coiraltra,la cognizione de' loro rap- porti, dopo cui vieue rader.nazione di questi rappor- ti, ossia il giudizio. AUor si sarebbe veduto, die la facolta di sentire le due idee, o a dir mcglio impres- sioni, non solo necessarianieute precede il giudizio, nia e tanto da lui diversa, quanto vina facolta inera- niente passiva e diversa dalle atdvissinie facolta di at- teudere, di confrontare, di conoscere, di allerma-re. E gia, che il giudizio dipenda da una facolta at- tiva, egli medesimo, non volendo, e costretto a con- fessarlo nella stessa definizione, che da del rapporto al principio del capo iv. „ Qualunqnc circostanza, „ egli dice, qualunque particolarita di ciascuna delle „ nostre idee puo essere il soggctto di un rapporto „ fra questa idea e tutte le altre. 11 raj)porto e (juel- „ la veduta del nostro spirito, quelV atto della nostra „ facolta di pensare, per cui avviciniamo questa cir- „ costanza ad un' altra, per cui le legliiamo, le con- „ frontiaino insieme in un modo qualunque " Or que- sto avvicinare le circostanze, questo legarle, questo confrontarle, che sono atti si apertamente dipendenti da una facolta attiva, come posson confondersi coUa seinplice passivita del sentire? come chiamarsi un seui- l>hce risukato della nostra orsjanizzazione? Egli si stendc in seguito a dimostrare in questo capo, che per formare il giudizio bastano due idee; nel che da lui non dissento. J\Ia condanna i Gramatici , che nel giudizio espresso coUe parole, ossia nella pro- posizione, i-iguardino il verbo essere come un terzo ter- mine che lega insieme il soggetto coU'attributo, asse- i34 S O A V E rendo egli, che " in tutte le proposizionl questo verbo „ fa sempre parte dell' attribute, non gia una cosa „ separata dall' attribute . " Ma poiche 1' att ributo noii esprinie che una qualificazione o deterniinazione che si da ad un soggetto, e il verbo cssere espriine Y atto di dargli questa qualificazione o determinazione, ossia r affermare che una tale qualificazione o determina- zione in esso esiste; parini certaniente che non ab- biano i Gramatici avuto torto di considerarlo come una cosa separata dall' attribute. In fatti allorche di- cesi Pietro buono, per valermi del suo esempio;, la pro- posizione e imperfetta, non perche manchi una parte deir attribute, che dal termine buono e espresso com- piutamente, ma perche manca rafferma/ione che que- sto attribute esista in Pietro, e a Pietro convenga. Che se il verbo posto al mode indefinite, com' egli in- siste, non centiene 1' afFermazione , cio e perche allora equivale ad un nome, come V essere all'essenza, V esl- stere all' esistenza , il volere alia volonta ; ma cio non toglie, che esso esprima e I'esistenza e raffermazio- ne, allorche posto al mode indicative , che da altri pur chiamasi dimostrativo ed affermativo, adempie al vere ufficio sue, ne che in tal case debbasi conside- rare come una cosa interamente distinta dall' attribute. Condanna egli pure e Gramatici e Logici egual- mente d' aver distinto i giudizj in positivi, e negativi; sosteneiide che ogni giudizio e sempre positive. Ma sebbene io convenga che ogni giudizio centiene sem- pre una affermazione, non credo percio che la distin- zione dc' giudizj positivi e negativi abbiasi interamen- te ad escludere. „ II giudicare, dice egh, e sentire un stjll' ideologia di Destutt-Tracy 1 35 !,, rapporto, e una cosa positiva: or che sarebbe il sen- „ tire che un rapporto non esiste? Sarebbe sentire una „ cosa che non esiste : cio iniphca contraddizione . „ Di piii adottando il giudizio negativo, non si pu6 „ fare della negazioae una parte dell' attributo; con- M viene fame una inodificazione dt'l verbo; conviene M per conseguenza fare del verbo un terzo tennine , „ che imbroglia tutto. " Percio allorche dicesi Pictro non ^ ^rande, secondo lui, non si giudica che T idea d" esser grande non conviene a Pietro, ma si sente po- sitivamente che a Ini conviene I'idea di non esser gnm- de, e in tal modo la negazione fa parte dell'attributo. Ma il dire che ad un soggetto conviene la pro- prieta di non avere una proprieta, mi pare un invilup- po di parole e d' idee assai peggiore, che il dire sem- plicemente che ad un soggetto una data proprieta non conviene . Quanto alia sua prima opposizione, certamente 96 il giudicare non fosse altro che sentire un rappor- to, il sentire che un rapporto non esiste sarebbe sen- tire una cosa che non esiste, sarebbe una contraddi- zione. Ma da qnesto appunto ei doveva conchinde- re, che il giudizio non consiste semplicemente ml sen- tire un rapporto. Quanto alia seconda, vero e che ammettendo il giudizio negativo, la negazione forma una raodifica- zione del verbo, e il verbo colla negazione non puo piu riguardarsi come una parte dell' attributo. Ma qne- sto e un argomento di piii per mo&uare che il verbo e realmente un terzo termine, non un motivo per esclu- dere i giudizj negativi. 1 36 S O A V E Per gludicare adnnqiie die Pietro e grande, o non e grande, e d' uopo i. ch' io abbia le due idee Pietro^ e grande; 2. che tra lor le coiifronti; 3. che vegga se tra loro convengono o non convengono. Co- nosciuta la loro convenienza unisco le due idee affer- niando che convengono; conosciuta la loro disconve- iiienza separo le due idee aflermando che non con- vengono. In amendue i casi il giudizio contiene iin' aflerniazione: nel primo caso rafl'erniazione del si, nel secondo T an'ennaziouc del no. Ma poiche 1' aflernia- zione del no e sinoninio di negazione, non veggo per- che chianiando il primo giudizio tiffennntlvo o positl- vo, non si possa dare al secondo il nome di giudizio negatho . Nel capo V la volontd e da lui definita, come a principio, la facolta di sentire dei desiderj, e anch'es- sa vien dichiarata un semplice risultato della nostra crganizzazione. Al tempo medesimo pero I'autore con- fessa, ch' ella ha la proprieta di dirigere i movimen- ti delle nostre membra, e le operazioni della nostra jntcUigenza; die Fimpiego dellc nostre f'orze mecca— niche e intellettuali dipende dalla nostra volonta; che dessa riduce all'atto i risultati di tutte le altre facol- ta intellettuali. Ma trova poi qnesta proprieta incom- prensibile. E tale e di fatto, quando si la consistere la volonta nella sola facolta di sentire i desiderj, quan- do si riguarda come un mero risultato della nostra or- ganizzazionc-, perciocche non puo essere allora che una facolta meramente pussiva. Ma quando la volonta, se- condo la sua vera e propria nozione, riguardasi come la facolta attiva di deterniinarsi e di scegliere, tutta / sull' ideologic di Destutt-Tracy 1 37 questa incomprensibilita iinmantinente svanisce; per- ciocche non e punto piu difficile il comprendere che essa diriga le nostre forze e meccaniche e intellettua- li, di quel che sia il comprendere die una facolta at- dva sia attiva, e faccia il proprio uflicio esercitando la sua atdvita . Al principio del capo vi facendo iin epilogo de' precedenti ei ripete (cio che aveva gia amiunziato nel capo I e che promette nuovamente di dimostraie in appresso) che le quattro flicoka, sensibilita, memo- ria, giudizio, e volonta, cioe il sentire delle sensazio- ni, delle rimembranze, dei rapporti, e dei desiderj , compongono tutta intera la facolta di pensare, e che e impossibile, esaminando le operazioni dello spirito, il discoprirne alcuna, che ad una di quelle non si ri- ferisca. Ma poco dopo egli dice, che la ragione e la coscienza intima ci dichiarano che un' umana intelli- genza non puo far altro che sentire, ricordarsi, giudica- re, volere, e agire in conseguenza. Or questo agire in conseguenza della volonta o dei desiderj non e lo stes- 80 che il sentire i desiderj , come non e lo stesso che il sentire le sertsazioni, le rimembranze, i rapporti; e dun- que una facolta diversa dalle quattro accennate. Di pill, credendo opportuno il dar qui in passan- do, un'idea, com' ei T appella, della rillessione, dice che „ il rijlettere e lo stato dell' uomo che desidera di „ a]>prendere uno o piu rapporti ^ formare uno o piii „ giudizj; che in conseguenza di questo desiderio si „ sforza di richiamar prima dei fatti , tra cui possa ve- „ dere una connessione, indi altri fatti per assicurar- „ si se questa connessione e reale, se e costante; e T-om. I. 18 i3^ So AVE „ die esamina fino a qiial piinto si puo generalizzar- „ la, e finalmente cio che se ne puo affermare senza „ ingannarsi . " Lascio di ricercare per ora , se qiiesta nozione del- la rirtessione sia esatta. Ma lo sforzarsi di ricliiamare dei fatti, tra cui si possa vedere una connessione, iiidi altri fatti per assicurarsi se questa ^ reale e costante, r esamiiiare fino a qual punto si puo generalizzarla, e CIO che se ne puo affermare senza ingannarsi, certa- mente sono tutt' altro che il seraplice sentire delle sen- sazioni, delle rimembranze, dei rapporti, dei deside- rj, ch' egli ha pur dipinto come semplici risultati pas- sivi della nostra organizzazione. Dunque anche la ri- flessione, secondo la nozione che ne da egli medesimo, e un'altra facolta diversa dalle quattro sopra indicate. II rimanente di questo capo si aggira sulla for- mazione dell' idee composte e delP idee generali; e il tutto vi e trattato con molta perspicuita, se non che forse con maggiore prolissita e piii ripetizioni che non bisognava. JVIa sulla fine ei conchiude: „ Voi vedete « adunque, o giovani, che non si tratta mai d' altro .„ che di ricevere delle impressioni^ di osservare dei „ rapporti, di aggiugnerli, di levarli, di unirli, di di- „ viderii, e di formarne dei nuovi grnppi; e non do- „ vete piVi avere difficoka a comprendere, come tante w combinazioni si diflerenti sieno il prodotto del pic- „ col numero di facolta, che abbiam distinto nella no- „ stra facolta di pensare: questo era il solo scopo ch'io n mi proponeva nel presente capitolo. " Or io dubito fortemente se questo scopo egli ab- bia ottenuto, se i giovani realmente non debbano piii. SULL* IDEOLOGIA DI DeSTUTT-TrACY i39 avere dlfficolta a compreiidere come tante coinLinazio- ni si different! sieno il prodotto del piccol numero di facolta ch' egli ha distinto nella facolta di pensare, pa- reiidoiiii anzi impossibile il compreiidere, che I'osser- vare i rapporti, aggiugnerli, levarli, unirli, dividerli , forraanie de'miovi gruppi, operazioni tutte che richieg- gono una facolta attivissima, possan essere il prodot- to dflle facolta meramente passive di sentire delle sensazioni, delle rimembranze, dei rapporti, dei desi- derj, considerate di piu come semplici risultati della nostra organizzazione . Nel capo VII ei mostra a lungo, e assai chia- ramente, come quello che ci conduce a conoscere I'e- sistenza de' corpi e il sentimento, dell'opposizione che essi fanno a' nostri movinienti e a' nostri voleri , ogni- qualvolta incontrando un ostacolo ci sforziamo di su- perarlo , senza poter riuscirne : imperocche non poten- do allora attribuire questa opposizione a noi medesi- iiii (il che sarebbe contraddittorio), siara costretti a riconoscere che ci vien da una cosa che ^ fuor di noi. Prima pero di entrare in questa ricerca egli di- ce che „ i Filosofi non sono stati sempre felici nello „ spiegare, come noi impariamo a riconoscere I'esisten- „ za de' corpi e ad esserne ceiti; "• ed aggiugne: „ Pno „ anche dirsi che siliatta quistione nou e ancora mai „ stata perfettamente rischiarata; " ignorando, senza dubl)io, che la medesima spiegazioue e diniostrazione elf ei ne da in segnito, e sostanzialmente co' medesi- mi termini, io aveva pnbbhcata sette anni prima, cioe nel 1794, sotto al titolo di Coji§etture intorno al inodo cun cui SL scoprc dull' aid ina V esistenza de' corpi, ag- 140 S O A V Ji giiinte al iv volume della seconda edizione delle niie Isdtuzioiii di logica, metafisica, ed etica. Nel capo viii confutando se medesimo intorno ad una opiuione ch'egli aveva presa dal trattato del- le sensazioni, di Condillac, e portata, com'egli dice, aH'cstremo, vale a dire che„ una sensazione pura e. sent- plice noil ci insegna niente piu die la nostra propria e- sistenza, prende a sostenere, che auche una pura e sem- plice sensazione puo contenere un giudizio e un desi- derio, il che egli fa a questo modo. „ Ognun sa che „ moke sensazioni han per se stesse la proprieta d'es- „ ser piacevoli o dispiacevoli. Or che e mai il trova- „ re una sensazione piacevole o dispiacevole, se non ■ „ portare un giudizio, sentire un rapporto fra essa e la fl n nostra facolta senziente? e il sentire questo rappor- „ to fra una sensazione e noi, non e egli un sentire nel „ medesimo tempo il desiderio di provare questa sen- „ sazione, o d'evitarla? Tutte queste operazioni pos- „ sono dunque trovarsi, e si trovano realmente unite « ill un sol fatto, nella percezione d'una sola sensa- „ zione qualunque: io ho dunque avuto torto di negar- „ lo, e di affermare che le nostre facolta di.giudica- „ re e di volere non possono cominciare ad agire, se „ Hon qua n do noi abbianio provata la sensazione del „ moto e della resistenza . " Or ch' egli abbia avuto torto d' affermar questo, io con lui ne convengo ; ma parmi pure dalF altro canto ch'egli abbia presenteniente egual torto di asserire che» in una prima e sola sensazione qualunque possan tro- varsi, e trovinsi realmente uniti il giudizio e il desi- derio . SULl' IDEOLOCIA DI DeSTUTT-TrACY 14I Oramettendo di rilevare, clie cio contraddice aper- tamente a quanto egli avea asserito pocanzi nel capo IV, vale a dire, die per senrire un rappono conviene a- vere gia avuto nlmen due idee; osservero solamente, die comunque piacevole o dispiacevole sia una sensazione, per sentire fra essa e la nostra facolta senziente un rapporto, convieii prima distinguere la facolta senzien- te dalla sensazioae medesima. Or questo come puo egli fare un bambino alia prima sensazione die pro- va? Da die puo egli aver conosciuto innanzi, d' esse- re una facolta senziente, o d' avere una facolta sen- ziente, e die la sua sensazione sia una modificazione di questa facolta? O in qual guisa puo egli attualmen- te separar col pensiero, del quale non ha ancora niun esercizio, la sua sensazione da se medesimo per con- teraplarla a parte , e conoscere il rapporto che ha ^Con lui? Rispetto al desiderio la cosa e ancor piii difficile ad ammettersi. Per sentire il desiderio di provare una sensazione o d' evitarla, non basta sentire il rapporto che ha con noi , vale a dire che sia per noi piacevo- le o dispiacevole; convien anche sapere die non di- penda da noi, e che possa cessare. Imperocche niuno desidera cio che ha attualraeiite, e che suppone di- pendere interamente da lui medesimo, e niuno puo aver desiderio che una cosa cessi o continui, prima di s&pere che cosa sia il continuare o il cessare: ignoti nulla cupido e adagio antichissimo, e non men vero che antico. Or tutte queste cognizioni come mai tro- vare si possono in un bambino alia prima sensazione? Id ho ancor molto dubbio che la prima sensazio- 14a S O A V E lie faccia conoscere al bambino la sua propria esisten- 2a. Parmi clie a cio richieggasi in lui un atto di rides- eione sopra se stesso per distinguere se medesimo co- me Essere senziente dalla sua propria sensazione, e po- ter dire iniplicitamente a se stesso. lo sento^ dunqiie e- sisco: operazioni tutte impossibili nel bambino alia pri- ma sensazione. lo sono adunque persuaso, clie il bambino in quel primo momento ha una sensazione e nulla piu, senza poter distinguere la sua sensazione da se medesimo, sen- za poter quindi sentire alcun rapporto fra quella e se stesso, e molto meno alcun desiderio di provarla o d'evitarla. E se questa sensazione unica in lui duras- se eternamente, son persuaso ch'ei non farebbe pure e- ternamente che sentire, senza che altra facolta potes- se in lui svilupparsi. La facolta di conoscere e quindi il giudizio non puo svolgersi in lui, se non dopo clie egli abbia pro- vato successivamente almen due sensazioni, e possa di- scernere almeno che una non e T altra: il che avver- ra tanto piu facilmente, quanto la differenza fra le due sensazioni sara piu sensibile, come se ad una impres- 'sione di vivo freddo succedera quella d'un forte calo- re, o alia sensazione d'un sapor dolce quella di un sa- pore amaro. E siccome questa successioue di sensazio- ni diverse ed anche contrarie puo facilmente avvenir nel bambino anche prima ch'egli abbia provata la sen- sazione del moto e della resistenza ; cosi non puo dir- fti che solamente dopo quest' ultime sensazioni comin- ci HI lui ad agire la facolta di conoscere e di giudi- ■care. Similmente siccome^ anche prima di sentire il sull' ideologi\ di Destutt-Tracy 145 moto e la resistenza, la sensazione per esempio del caldo e del freddo in es30 alternaiido puo fargli aver piacere del primo e dispiacer del secondo, e fargli co- noscere clie qiieste sensazioni non dipendono dal suo arbitrio, e clie possono variare, e qiiindi far nascere il desiderio che I'liiia coatinui e I'akra cessi; cosi nem- nicno la facolta di sentire il desiderio puo dirsi che in- cominci ad agire soltanto dopo aver provate le sensa- zioni del moto e della resistenza. Egual torto ha dunque avuto ed ha 1' autore si neiraffermare dapprima che le nostre facolta di sentir dei rapporti e dei desiderj non possono cominciar ad agire se non quando noi abbiamo provata la sensazio- ne del moto e della resistenza, si nell'asserire presen- temente, che il giudizio e il desiderio possan trovarsi, e si trovino realmente nniti nella percezione di una so- la sensazione quahinque. E per ridurre la cosa a'giu- sti limiti, convien dire che una sola sensazione a cio non basta, ma che bastar posono due sensazioni suc- cessive, massimamente se I'una piacevole e Taltra spia- cevole, ancorche precedano le sensazioni del moto e della resistenza. Nel capo ix d«po avcre spiegato come noi ac- quistiamo I'idea dell'estensione premendo un corpo, e scorrendo sulla sua siiperfirie : „ Questa, dice, e una „ nuova proprieta de'corpi dipendente dalla loro re- „ sistenza al moto, e dalla loro esistenza rispetto a „ noi. Ella n'^ una conseguenza cosi imraediata, che „ quando una volta noi la conosciamo, non posiiamo ,, piu nulla concepire che ne sia privo. Noi possiam „ ben su])porre che un corpo sia eccessivaniente piccp- 144 S O A V E », lo, ammettere che la sua estensione sia ridotta quan- „ to e possibile, anche fino al segno di divenire iin- „ percettibile a'nostri sensi: ma non possiamo immagi- „ narla assolutamente nulla, senza anuientare il cor- „ po stesso. Niun Essere umano comprendera mai real- „ mente come esisterebbe un Essere che non eststes- „ se in niun luogo, e non fosse composto di parti; e „ un ingannare se stesso il persuaderselo: io ne appel- „ lo alia coscienza intima di tutti coloro, che scrute- „ ranno di buona fede la loro propria intelligenza. " Tutto questo tratto sembra espressamente diretto ad escludere finanche la possibilita di comprendere che possa esistere un Essere non composto di parti, un Es- ser semplice; la possibilita in conseguenza di com- prendere che esista V anima , che esista Iddio . L' au- tor certamente non ha riflettuto alle conseguenze, che i giovani, a cvii T opera sua e diretta, trarrebbero da silVatta proposizione; altrimenti son persuaso che si sa- rebbe guardato dal fame motto, o accennandola, I'a- vrebbe pur confutata. Ma qualunque sia il motivo, per cui se Te lasciata sdrucciolar dalla penna, io mi cre- do in dovere di provar ch'ella e falsa assolutamente. Una confusion manifesta egli fa qui tra V imma- glnare e il concep/re; e questo e un nuovo esempio de- gli errori che nascono dalla poca precisione in cui s'a- doprano questi termini. Che non si possa immaginare un Essere non composto di parti, io il concedero vo- lentieri, perche 1' iramagine suppone necessariamente r estensione. Ma altfo e 1' immaginare, come ho accen- nato piu addietro, ed altro il concepire. Ognun con- cepisce astrattamente un odore, un sapore; concepisce SULL IDEOLOGIA DI DeSTUTT-TrACY 14$ la senslhilita, la memoria; conceplsce la scienza, I'igiio- ranza, la verita, la falsita; e i Geomctri concepisco- no il punto come assolutamente indivisibile e privo cli parti; sebbea niuna cli queste cose da niuno possa im- niaginarsi. Ma per venir piu direttamente alia quistione pro- posta; che esista in noi un Esser pensaiite, noi slam costretti necessariamente a concepirlo, pcrche siam con- sapevoli a noi medesinii de'nostri pensieri. Che que- sto Esser pensante non sia composto di parti, ma sem- plice, siam pur costretti a concepirlo, perche e dimo- strato die in un Esser composto di parti il pensiero e assolutamente impossibile. Dall' esistenza delV Esser semplice die in noi pensa c facilissimo il dimostrare non che il conceplre T esistenza dell'Essere semplicis- simo autor della nostra esistenza. Ora poiche tutte que- ste esistenze si concepiscon da noi realmente, come si puo egli dichiarare impossibile il concepirle? lo poi mi maraviglio tanto piii, che cio sia sera- brato impossibile alfautore, quand' egli aveva gia di- cbiarato non solamente die fin dalla prima sensazione noi siam consapevoli della nostra esistenza, raa che possiamo sentir anche il rapporto fra C{uesta sensazio- ne e noi, sentire il desiderio di provarla o d'evitarla. Imperocche se avanti di aver avuto niuna sensazione ne di movimento, ne di resistenza, ne di estensione, ne di parti, eravamo a noi consapevoli di esistere, e capaci anche di giudicare e di volere, in qual modo con- cepivamo allora noi stessi? Come estesi e composti non gia. L' autor medesimo aveva detto dianzi, che „ fm a „ tanto che noi non facevamo che sentire, non sem* Tom. I. 19 146 S O A V E „ bravamo a noi medesimi che un piinto, cTie una virtii senziente." Vero e che qui si ritratta dicendo:,, lo mi „ sono allora servito di due termini astratti, che noi sia- „ mo abituati ad impiegare come enti reah, affine di „ rendere il mio pensiero quasi sensibile; ma non ho „ gia preteso di stabihre, che noi credessimo d'esser un „ punto matematicOj ne clie ci formassimo Videa di qual- „ che virtu esistente senza appartenere ad alcun Esse- „ re." Ma checche abbia egh preteso allora di dire, se fin dalla prima sensazione noi eravam consapevoli di esistere, e capaci ancora di giudicare e di volere, con- vien bene che in qualche modo concepissimo noi mede- simi; e poiche non potevamo allora concepire noi stes- si come estesi e composti, era di assoluta necessita che ci concepissimo come semplici ed inestesi. Un tratto pero, che ancora piu larga strada apre al materialismo, incontrasi poco dopo nel medesimo ca- po, ove ei dice;,, Quand' anche non si riguardasse la „ produzione degli esseri animati, come una dimostra- „ zione sufBciente che Y attivita e propria alia materia t, e inerente alia sua natura, e non fa clie manifestar- „ si per mezzo dell' oi'ganizzazione, non si puo alme- „ no negare, che Tattrazione non sia,una tendenza al „ moto esistente di continuo in tutte le particelle del- „ la materia." Imperocche sebbene ei non dichiari qui assolutamente, che la produzione degli esseri animad sia una sufficieate dimostrazione delT attivita inerente alia materia; ognun sa pero che qneste maniere di di- re equivalgono per ordinario a positive aHermazioni: oltreche la proposizione e espressa in modo, che sera- bra lasciar luogo a dubitare non se la produzione degli sull' ideolOoia di Destutt-Tracy 147 es?eri animati venga dalla materia, ma soltanto se que- sta sia una dimostrazione sufliciente dell' attivita sua. ]VIa in qualuiique senso abbiasi a prendere una tale e- spressione, se negli esseri animati ei concepisse il priii- cipio animante, ossia I'anima, come un Esser senipli- ce, in qual guisa avrebbe egli potuto propone ne af- fermativameute ne in dubbio, che la produzione degU esseri animati venga dalla materia? Qiianto air attivita della stessa, chi ha mai dlmo- strato ancora, che 1' attrazione, e non gia quella solran- to che si esercita in contatto o a piccolissime distan- ze, ma quella ancora che si esercita a distanze graii- dissime fra i corpi celesti, sia una proprieta inereute alia materia, e non piuttosto Teft'etto di una forza e- steriore? Newton autor del sistema dell'attrazione, sag- gio com' era, non ha voluto decider mai una quistione cosi difTjcile, e cautamente ha ognor protestato ch'ei parlava soltanto degli efietti che gli eran noti, noa della causa, che confessava essergli ignota. Parlando poco appresso della durata V autore di- ce: „ E'questa una proprieta comune a tutto cio che „ esiste, vale a dire a tutto cio che sente o e sentito. „ Diffcrente in questo da tutte le altre proprieta de'cor- „ pi ella potrebbe appartenere eziandio ad esseri sen- 1, za estensione, se ne esistessero, o se noi potessimo „ concepirne.'" Or che ne esistano veramente, e che concepire da noi si possano, e realmente si concepi- scano, io I'ho dimostrato pocanzi. ]Ma non posso ces- sar di maravigliarnii delKimpegno che T autore aflet- ta di metter in dubbio a' suoi allievi questa verita, e di persuaderli, anzi direi, del contrario. Qual frutto 148 S O A V E spera egli raai, qiiando ii'avra formato de' materialisti? lo n'lio gia accenuato le coiiseguenze, n^ mi faro qui a ripeterle nuovamente. Nel capo x lunganiente ei si stende sulla misura deU'estensione, della durata, del moto, e delle akre proprieta de'corpi, diceiulo clie I'uiiita di misura per I'estensioiie e una porzione determinata deU'estensio- ne medesima, un piede, un metro ec; Tunita di misu- ra per la durata o il tempo e la rivoluzione diurna del- la terra sul proprio asse, o il tempo cli' ella impiega in questa rivoluzione, di cui i mesi, gli anni, i secoli son tanti multipli, le ore, i minuti son tante frazio- ni; r unita di misina pel moto e il moto d' un pun- to deir equatore terrestre, che in un determinato tem- po scorre un determinato spazio della diurna rivolu- zione. Le altre proprieta de'corpi egli aggiugne esser piu o meno commensurabili , secondo die piu o meno ridur si possono a misure di estensione, di durata, o di moto, e principalmente di estensione, la cui misu- ra e piu facilmente determiiiabile. Tutto questo e di- ligenteniente analizzato, sebben forse con piii minutez- za e prolissitii che ad elementi non conveniva. Ma anche in questo capo occorrendogli di nomi- nare degli esseri seiiza estensione, non lascia d'aggiu- gnere,, se fosse possibile il concepirne; " e proponendo che tra le proprieta de' corpi la mobiUta dovrebbe met- tersi in primo luogo, ne reca fra le altre ragioni, che „ negli esseri auimati ella e la causa delle facoka «li „ sentire e di moversi,'" riguardando cosi queste facol- ta come sempHci edetti della mobilita; finalmente ri- petendo che Tattrazione, la gravita, le affiaita chinii- «ull' ideologia. di Destutt-Tracy T49 che son forze interne esistenti in ciascuna particella de'corpi, ripete che esse provano che la materia e es- senziahnente attiva, e aggiunge:,, Se non lo fosse, io y, non comprendo come ella sarebbe mobile, perch^ „ concepire non posso donde verrebbe il cominciamen- „ to d'un moto qiialunque:" come se tutti i migliori filosofi non avesser riconosciuto fin qni, che il prin- cipio primo di ogni moto viene dallautore supremo della natura, il qual certamente esiste, e certamente non e materia; e che I'anima, la cui esistenza e im- materialita e certa egualmente, si e quella che in mo- do ignoto bensi, ma vero e reale ( giacche la verita del fatto, quand' e dimostrata con solidi argomenti, non e punto scemata dall' ignoranza del modo) comincia nel corpo nostro tutti i moti voloiitarj, che poi servo- no ad eccitare infinite specie di movimenti negli altri corpi . Nel capo XI egV incomincia da una ricapitolazio- ne de' precedenti , dicendo di aver fatto, se non una storia compiuta, almeno un' analisi esatta dell' umana intelligenza; che le verita, ch'egli ne ha raccolto, so- no sgombrate da ogni oscurita, da ogn'incertezza, da ogni supposizione, di modo che vi si puo prendere un'intera sicurezza; che siccome questi preliniinari co- stituiscono cio che si appella spezialmente idauloi^ia , e tntte le conseguenze che ne derivano sono V oggetto della gramatica, della logica, delF insegnaraeuto, deMa morale privata, della morale pubblica, dell' educazio- ne, della legislazione; cosi non potremo smarrirci in tutte queste scienze, se non quanto perderemo di vi- Ma le suddettc osservazioni l#ndamentali su cui ripo- i5o S O A ▼ B sano. Da quanto abbiam d'etto pero, credo che rlle- vare si possa agevolmente, se 1' aiialisi sua deiramaua intelligeuza sia cosi esatia e cosi sgoinbra da ogiii oscu- rita, incertezza, e siipposizione, corn' egli afterma, e se hen fondate esser possano le conseguenze che per tutte le scienze iiitellettuali e morali inteiide di rica- varne. Attribuendo in segnito a Condillac la lode di fon- datore dell' ideologia (lode che sarebbe stata pin giu- sta, se Tavesse detto soltanto amplificatore; giacche ognun sa che nelia fondazione di questa scienza egli e stato preceduto da Locke) condanna per6 la divisio- ne che egli fa dell' intelligeuza dell' uomo in iutelletto e volonta, riconoscendo come parti integranti deirin- telletto I'attenzioue, la comparazione, il giudizio,la ri- flessioue, rimmagiuazione, il raziociuio, la memoria, e distinguendo uella volonta il bisogno, il malconten- to, riuquietudiue, il desiderio, le passioni, la speran- za, e la volonta propriamente detta. Poco soddisfatto io medesimo della divisione di Condillac, non prendero certamente a difenderlo; con- verro auzi, che mal si aggruppauo da lui sotto al so- lo vocabolo intcUetto cose cosi distinte, come sono il sentiie, il ricordarsi, il giudicare: ma non lo condan- nero, coll' autore, che abbia posto alia testa delle fa- colta che compongono 1' iutelletto quella di prestare attenzione; anzi vorrei che avesse meglio distinto Tat- tenzioue dalla sensazione, giacche questa, come ho gia detto, e passiva e quelia attiva: nol condaunero simil- mente d'aver separata la comparazione o il confrouto dal giudizio; giacche s^io realmente due atti distinti. stjll' ideologia di Destutt-Tract i5i d'l cui il primo puo stare senza il secondo, non gia il secondo senza del primo. „ La ridessione, segue Destutt-Tracy, e un cert'uso „ che noi facciamo delle nostre facolta intellettuali, „ non gia una facolta essa medesima. " Ma secondo la nozione cli' egli n' ha dato nel capo vi io ho gia dimostrato, che la facolta di ritlettere e assai diversa dair altre. E cio appar molto piu quando la ridessio- ne, o piuttosto la rillessibilitk (giacche la ridessione e un atto, e qui trattasi della potenza) si prende nel suo vero e proprio significato. Conciossiache la forza di applicare V attenzione ad una cosa piuttosto che ad un' altra , e di trasportarla dall' una all' altra , e certamente una facolta distinta da quelle di sentire, di ricordarsi, di giudicare; e condannabile e chi ricu- sa di riconoscerla , non chi rarnmette; sebbene io noa possa dissimulare, che condannabile e pur Condillac di non averla ammessa nel senso pur ora accennato, che e il solo e proprio senso della ridessibilita. Dopo avere da queste e siiniii altre censure con- chiuso, che la maniera con cui Condillac ha analiz- lato la nostra intelligeuza, e viziosa, gli attribuisce poi „ il merito eminente d'essere stato il primo a ben ri- „ cono=cere che co?a sia il pensare. " £ cio perche dice in venti luoghi : „ Le facolta dell' anima nasco- „ no successivamente dalla sensazione. Elle non sono ,v che la sensazione la qual si trasforma per di venire „ ciascuna di esse. Tutte le operazioni delf anima „ non sono che la sensazione medesima, la qual si ,, trasforma diderentemente ec." Spiace soltanto all'au- tore, che Condillac non abbia detto piu apertamente fSa S o A V E che „ il sent Ire e un fenomeno della nostra organlz- ,, zazione , e che il pensare non e altro che sentire." lo lascio d' esaminare, se il merito, che Destutt- Tracy chiama eminente, di aver ridotto tucte le facol- ta e le operazioni dell'aninia alia sensazione sia esclu- sivamente proprio e particolare di Condillac, o deb- basi da liii dividere con Elvezio. Ben diro in vece, che questo forma anzi il principale demerito di Con- dillac; che dopo aver si bene nel suo Trattato de' si- stemi fatto vedere gli errori che son venuti, spezial- mente in metafisica, dallo spirito sistematico mal re- golato, si e lasciato egli medesinio da questo spirito incautamente sedurre; che I'ambizione di tutto ridur- re ad un principio solo lo ha ingannato; che final- mente nelT anima non la sola facolta di sentire, ne le due sole iiitelletto e volonta, ma sei facolta ben di- stinte debbonsi riconoscere, vale a dire: i. la facolta di sentire, in cui 1' anima e piu passiva che attiva, noa dipendendo da lei il darsi o togliersi le sensazioni a piacer suo, e non riducendosi la sua attivita che all'ac- corgcrsi delle modificazioni o rappresentazioni che le vengono dall' impressioni corporee; 2. la facolta di ri- flettere, in cui 1' anima e pienamcnte attiva, da lei dipendendo il fissare la sua attenzione e trasferirla do- ve le piace; 3. la facolta di conoscere, che parimen- te e attiva, consistendo nel rilevare e comprendere dal confronto di piu cose le relazioni vicendevoli che fra lor passano, e quindi poscia formarne i giudizj e i raziocinj; 4. la facolta di ricordarsi, in cui T anima era e attiva, ed ora passiva, e che e riposta nel rite- nere o aver nuovamente presenti 1' idee e le nozioni sull'ideologia di Destutt-Tuacy 1 53 delle cose non piu presenti, e riconoscerle ; 5. la fa- colta di volere, in cui V aiiima sempre e attivissima, oguiqualvolta deliberataniente detcrmiuasi ad abbrac- ciaie una cosa o luggirla, ed a scegliere una piutr.o- sto che un' altra; 6. la facolta di operare e dentro e fuori di se medesima, facolta che quando dairanima si esercita dentro se stessa nel riflettere, nel conosce- re, nel ritenere o ricliiamare 1' idee e le nozioni, e nel volere, si confonde con cjueste medesime facolta, ma che quando da lei si esercita fuor di se stessa im- primendo nel proprio corpo diversi moti, e da quelle interamente distinta, e forza motrice suol pure appel- larsi. Da queste facolta poi derivano oltre alle ope- razioni che sono proprie di ciascheduna i. la coscien- za che noi abbiamo delle nostre proprie modificazio- ni, facolta, e operazioni, della nostra esistenza, della nostra identita o personalita; 2. 1' astrazione o 1' atto di astrarre, e quindi 1' atto di generalizzare, di com- porre 1' idee , e di scomporle . Quest a e V analisi delle facolta e delle operazio- ni deir anima, ch' io trovo assai piii ragionevole, e piu consentanea ai fatti, ben lontano dal credere che il sentire sia un semplice fenomeno della nostra organ iz- zazione, ,e che il pensare non sia altro che sentire. Non ha quindi ragione 1' auto re di maravigliarsi, che „ dal tempo che gli uomini pensano e cercano ren- „ dersi conto delle loro idee sia ima nuova scoperta „ il sapere che il pensare e lo stesso che sentire. '^ Cliiunque csamiua senza prevenzione e atteutamente cio che avviene in essohii quando pensa, non puo mai giugncre a una siffatta non gia scoperta, ma fantasia; Tom. I. 20 ]54 S O A V E c sarcJjbe piuttosto da maravigliarsi come giimti vi sie- no Elvezio, Condillac, e Destult-Tracy; qualora noii si sapcsse a qiiali paradossi guidi sovente gl'in^egni an- cora pill perspicaci il sovercliio aniore di singolaiizzar- si , c allontaiiarsi dal comun modo di pciisare e di ra- g ion a re. Parlando nel capo xii della facolta di moverci e della lorza vitale: „ Noi possiamo, dice, rappresen- „ tarci la forza vitale conic il risultato d' attrazioui e „ combinazioni chiniiche, le quali durante il tempo „ della vita danno origine a un ordine di fatti parti- „ colari, e alia morte per ignote circostanze rientra- „ no sotto r impero delle leggi piii generali, che son „ quelle della materia inorganica. Finclie la delta for- „ za sussiste noi viviamo, vale a dire ci moviamo e „ sentiamo. " Cosicche la forza vitale, cioe quella di moverci e di sentire, secondo I'autore, non e che il risultato d' attrazioui e combinazioni cliimiclie, e I'ani- ma non v'e per nulla, anzi, come di cosa che pur non esista, non se ne fa nemmeno alcun' motto. Nel capo XI 1 1 trattando deiriniluenza della no- stra facolta di volere sopra qucUa di moverci, e sopra ciascuna di quelle che compongono la facolta di pen- sare, confessa, che „ nella sensibilita non dipende da „ noi il non percepire le sensazioni , vale a dire il non „ sentire i movimenti che i corpi esteriori cagionano „ negli organi de' nostri sensi , o quelli che le parti „ medesime del nostro corpo eccitan le une nell'altre „ coUa loro scambievole azione; non dipende pure da « noi il modificare qucste impressioni, vale a dire il « trovar piacevoli o dispiacevoli quelle che non lo ^o- SITLl' IDEOLOGIA. DI DeSTUTT-TrACY I 53 „ no; ma dipeude da noi fiiio ad iin c^rto punto Tap- ,» plicare talmente la nostra attenzione ad alcune del- „ le nostre percezioni , die le akrc per noi divengano „ come nulle. Cio accade soveiite, egli seguita, a tut- „ ti gli uomini: ve n' ha pure di quelli, presso cui que- „ sto potere e portato ad un alto grado; e son colo- „ ro che trovansi occupati da passioni \iolente, o da „ meditazioni profonde. A questo riducesi, ei concliiu- „ de, r influenza deila volonta sulla sensibilita propria- mente detta." ]Ma dopo questa si cliiara confessione come puo egli continuar tuttavia a confondere I'attivita dell'at- tenzione colla passivita del sentire; come riguardar tut- tavia la volonta sotto al scmplice aspetto della facolta. passiva di sentire dei desiderj ; come tuttavia asserire, die il pensaie non e die sentire? La stessa contraddizione trovasi pure in cio cli'e- gli dice delle fiicolta di ricordarsi, di giudicare, e di volere. Conciossiache rispetto alia memoria confessa die „ ora e indipendente, or dipendente dalla nostra volonta:" dunque ora e passiva, ora attiva; dunque nou e sempre la facolta meramente passiva di sentir delle rimembranze. „ II giudizio, egli dice, e indipen- „ dente dalla volonta in cjuesto senso, die non ci e li- „ bero, allorche apprendiamo un rapporto reale tra due „ nostre percezioni, il non sentire qual e.... JMa ne di- ,, pende in rjuanto noi siam padroni lino ad un certo „ punto di considerare tal percezione e di ricliiamare 5, tal rimembranza piuttosto che altre, e applicare la ,. nostra attenzione piuttosto ad uno che ad un altro „ de'lor rapporti:" Dunque anche il giudizio non e la 1 56 S O A V K seinplice facolia passiva di sentir de' rapporti. Quaiito alia volonta.j, Puo domandarsi, dice egli, e si „ domaiida sovente, se la nostra volonta sia libera; se „ dipeada da noi, vale a dire, parlando esattamente, „ se dipenda unicaraente da se stessa." Intorno a que- sto concliiude prima, che„ gli atti della nostra volon- „ ta son forzati e necessarj , come quelli di tutte le „ altre nostre facoita, e come quelli di tiuti gli altri „ esseri animati o inanimati che esistono nella natu- „ ra:"' poscia torna a coucliiudere in modo contrario, che „ la nostra volonta non ha bensi il potere di for- „ mare tale o tal desiderio senza motivo, e per iin atto n puramente da essa emanato; ma che avendo fino ad „ un certo punto (qualunque sia la causa che la mette „ in azione) il potere d'applicare la nostra attenzione „ ad una percezione piuttosto die ad im'altra, di farci „ trovare una rimenibranza piuttosto che un'altra, di „ farci esaminare un tal rapporto di una cosa piuttosto „ che un tal altro , tutti atti che sono gli elementi del- „ le sue determinazioni , ella influisce non immediata- „ mente, ma mediatamente sopra la sua ulteriore dire- „ zione:'- fmalmente concliiude in terzo luogo : „ lo non „ trattero qui alia maniera degli Scolastici la quistione „ tanto dibattuta della necessita e della liberta; io pen- „ so con Locke, die Tesser libero e I'aver il potere di „ eseguire la propria volonta , e che tutte le volte che „ si da a questo termine un altro senso, non si intende y, pill nulla , " Per ispiegare queste, che certamente debbon sem- brare manifeste contraddizioni, non altro richiedesi che ricorrerc a'principj onde provengono. Kiponendo egU SULL* IDEOLOGI.V DI DeSTUTT-TrAC T iSj dappiima la volonta nella semplicc facolta di sentire dei desiderj , iion pote a meiio di dichiararc forzati e necessarj tutti gli atti della volonta, giacche il sentire un tale o tal desiderio certamente da lei non dipende. Ma avendo poscia riconoscinto che fino ad un ceito se- gno dipende dalla volonta I'applicare Tattenzion^ piut- tosto ad una che ad altra cosa, il richiamare plutto- sto una che altra percezione, Tesaminare uno piutto- sto che altro rapporto, dovette dire, che questi atti, i quali sono gli elementi delle sue dcterminazioni, non son piu forzati e necessarj, ma liberi, e che per essi la volonta influisce suUe sue ulteriori direzioni. Finalmen- te impacciato da queste contraddizioni nel decidere se la volonta sia libera o necessitata, ha preso il partite di troncare il nodo in vece di scioglierlo, dicendo clie la liberta e riposta nel poter d'eseguire la propria vo- lonta, non in quello di determinarsi ; ricusando cosi di riconoscere le due specie di liberta si distinte in se me- desime. Tuna delle quali consiste appunto nella facol- ta di determinarci per propria scelta ad una o ad al- tra cosa senza essere necessitati, e chiamasi liberta di volere; e 1' altra nella facolta di eseguire le deterrnina- eioni nostre senza esser forzati o impediti, e dicesi li- berta di opera re. Ragionando nel capo xi^^ degli efietti che in noi produce la frequente ripetizione de'medesimi atti, pro- va assai bene, che le nostre operazioni intellettuali, e i nostri moti corporei divengon piu celeri , piu facili, e al tempo stesso meno sensil^ili, a niisura che sono sta- ti piu frequentemente ripetuti; congettura quindi non »enza probabilita , che sia questa una delle ragioni , e l58 S O A V E forse la principale, per cui non alibiamo alcuna co- scienza de'niovimenti che son necessarj al mantcnimen- to della nostra organizzazione, ma die ne'primi mo- menti, ne'quali incouiinciaino a sentire, si abbia for- se da noi mi sentimento distiiito di ciascuno di que- st! moti, che in seguito ci divengono insensibili; spie- ga assai giustaniente perche un uomo trasportato da una passione violeiita che lo domi'na, agisca sovente per soddisfarla contro i lumi pin evidenti della sua ragione , dicendo che mentre quest' uomo porta con ri- flessione alcuni giudizj sensati, cui percepisce chiara- mente appunto perche li porta con fatica, ne forma al medesimo tempo un gran numero d'altri, di cui ap- pena s'accorge appunto perche gli sono estremamen- te famigliari, i quali poi risvegliando una folia d'al- tre impressioni, lo strascinano in senso contrario; final- mente a proposito del fenomeni delle abitudini altri fenomeni citando delle cose naturali, cui, sebben sie- no incomprensibili, nessun nega, perche sono abba- stanza assicurati, pronunzia una sentenza verissima, die „ Tessere una cosa incomprensibile non e una ragio- „ ne per ricusarle I'assenso, quando la sua esistenza „ e provata:" sentenza ch'io vorrei che Tautore aves- se avuto presente ne'varj luoghi, in cui nega o met- te in dubbio 1' esistenza degli esseri inestesi, benclie provata necessaria, unicamente perche sembragli in- comprensibile . Nel capo XV sul graduale perfezionamento delle •nostre facolta intellettuali mostra assai bene ch'esso di- pende dall'esercizio, e che in uno stato imperfettissi- mo sarebbon elle in un uomo isolato, il qual non a- bull' IDEOLOGIA DI DesTUTT-TrACY 1 Gc) vesse ne occasione ne mezzi d' esercitarle. Ma cV im- provviso egli balza in una riflessione, clie da null' a l- tro par suggerita, che da una intempestiva affetrazio- ne di materialismo, di cui non so per quale ragione r autor si compiaccia di spargere qua e la tanti se- mi." Noi non possianio, dice egli, comprendere il co- „ mincianiento di nulla, non pin quelle dell' uman „ genere, che quelle del mondo, o di qualunque al- „ tra cosa. Forse I'uomo e una conibinazione di ele- „ menti che lo compongono, la quale e passata per „ trasformazioni lente e numerose avanti di arrivare „ aU'organizzazione, che gli vediamo." Or parlando della perfettibilita delle facolta intellettuali di ciascun individuo, a che proposito uscire in cjuesta assurda dot- trina della trasforniazione degli elementi epicurei da un incognito e inunaginario stato alio stato attuale dell'u- mana organizzazione? I due ultimi capi xvi e xvii si aggirano sopra i se- gni delle idee, ov'egli acconciamente distingue i segni naturali dagli artificiali; nostra come ogni sistema di segni esprimenti le idee e una specie di linguaggio; die questo nome pero non conviene alia scrittura alfabe- tica, perche le lettere sono i segni non delle idee, ma de' suoni esprimenti le idee; che tra i segni artificiali i suoni articolati meritamente hanno avuto dappertutto la preferenza per la comodita del loro uso, per la fa- cilita di esprimer con essi qualunque idea, e pel van- taggio di renderli permanenti col mezzo della scrittu- ra: fa veder I'inlluenza de' segni, e spezialmente delle voci articolate, alia fissazione e al richiamo delle idee, air accrescimento delle cognizioni, e alia perfezione i6o S O A. V E della stessa facolta di pensare: finalmente raostra pure gli errori, a cui Tuso delle parole sovente ne giiida, e perche rare souo quelle parole, a cui tutti gli uo- mini anuettano le medesime idee, e perche troppo fre- quentemente interviene, che lo stesso uomo alia stes- sa parola applichi idee piu o meno differenti in di- verse eta, e in circostanze diverse. Intorno alle quali cose non trovando nulla ad opporre, io non posso che prestarvi quel pieno assenso, che avrei bramato di po- ter prestare egualmente alle cose precedeuti. i6i DEL PORPORISSO e degll altrl colon chiamati Jlorldi, che presso gli Antichi erano preziosi Di MicHELE Rosa presentata a'primi di marzo 1806 S ^embrera forse strano a taluno che in una rac- colta di opere piene di dottrina e d' ingegno, compa- risca uno scritto di semplice erudizione, e sopra tale argomento che non sembra interessar da vicino le ar- ti e le scienze direttamente tendenti alia pubblica utilita. Ma siccome il sapientissimo Legislatore ha vo- lute che fra i travagli scientifici deiristituto rimanga im luogo anche alle indagini sempre feconde sopra r industre sagacita degli Antichi ; cosi io porto opinio- ne che non debba essere interamente spregiato un as- snnto, che mira a due arti nobilissime e interessan- ti, la pitrura e V arte tintoria, nelle quali dobbianio piir confessare di essere aacora molto inferiori agli antichi . Io lascio a parte quel che e di grande nella pit- tnra; ma quanto ai colori, sia pel pennello, sia per la tiuta, non dubito di asserire, die malgrado la nostra Tom. L a I i6i Rosa copia, e i docnmenti dell' esperienza, iioi non giiin- siiamo cli Innga maiio al niirabilc cli quella loro aii- ticlussima seniplicita: e nella tintura tutti i nostri ar- tificii, e le sottilita della chiniica noii ci couipcnsaiio (Jello spleudore e dell' eLernita del porporisso e della porpora, die ci maiicano. Avendo io dato uii libro sopra le porpore, faj ed aveudone pronta da inolto tempo la parte secoii- da, che oltre la fisica dimostiazioue deirideutita del- ^e cliiocciole porporifere disegiiate nella mia tavola data in quel libro colle porpore vere viveiiti, con- tiene molti ulteriori schiariuienti e dettaglj suU' arte della tiutura pur])urea, e sopra la faeilita di rimet- terla in uso, (bj e nell' interval lo essendonii avve- nuto a trattare dei codici purpurei ed auripurpurei, cioe degli usi e vicende della tiutura di porpora per rapporto alle scritture, diplomi ec., (cj poi ricercato di dar quasi le notizie comuierciali e politecuiche del cocco, o grana tiutoria chiauiata keruies, ne diedi altra particolare memoria. (dj E perche questi pezzi com- prendono la piii gran parte della storia di questi due preziosi colori porpora e cocco; n' e risukata quasi (aj Drlle porpore c ddle materie vcsCiaric prcsso gli aiLtldii , ec. BIodciKt. ij'So. (b) Dcllc porpore , ec. Parte Scconda 17 9\- tuttora inedita . (c) Del codicc auripurpurco bavarc.se e di altre cose attinenti a di" plomi e codici anticlu, ec. La mcmoiia fatta ad istaiiza dell al). Rociatani per quella biblioteca, di cui egli era bihliotecario o prefetto, fu spedita da Mud. il -J-c. inagi>io 1738, e da lui presentata . Venuto egli in Italia nel liiglio segaente, s'infeniii!i in Verona, e mori. Della nieinoiia non si ebbe alciin ulteriore riscontro; la qnal riinaiie tnttora inedita presso I'aiitore. (d) Quota JSota diretta al eenatore Savioli si trova iiiserita fia ie mcmorie delta iocietci icaliana . T. VII. pag. S.2S. Ann. 17^4. DEL PORPORISSO CC l03 spontaneamente questa serie (e) Vitruv. L. 7. c. 7. (f) I'l. L. ?,?,. S. 36. lorn. I. 23 178 Rosa 26. Xel rosso fia le rubriche prevalea la sinopide, trovata prima uel Poato, e deiioniinata dalla citta di Siiiope. La sinopide tiovasi iieirEgitto, nolle isole ba- leaii, iieir Africa; ma T ottima e quella di Leimo, e quella che cavasi dalle s[>elonche di Cappadocia. Per- fetta e quella clie trovasi a' sassi attaccata, e d' essa si servivano gli aiitichi pe lumi. Ye 11 ha anche tre spe- cie; una rossa, una meno^ una come di mezzo (aj . Tuttavia la sinopica si riguardava come di seconda bonta, e la preteienza si dava alia lemnia, la quale si accostava moko al cinabro, e percio dagli aniichi era celebrata nella pittura, non meno che in medici- na; ne si vendea che segnata colla capra, e ne dura la celebrita tuttavia nella terra ^igillata de nostri gior- ni; la qual basta per accertarci, consideratene le va- rieta e le discrepanze a confrouto di quell' antica de- scritta da Plinio, da Dioscoride, da Caleno, da Vitru- vio, die la vera rubrica di Lenno piu non esiste, o certamente non perviene fmo a noi. 27. Nel qual proposito non so comprendere a qual fonte abbia attinto il benemerito scrittor moderno, il qual parlando de greci antichi e de'quattro colori del- la pittura-.,, pel rosso ( dice ) adoprarono la siuopide „ terra rossa minerale; e per quanto ho potuto iuda- „ gare, non questa d'ltaha, ma quella di Spagna, det- „ ta da' nostri Almagre (bj; poiche ne Dioscoride, ne Galeno non parlano a questo modo; e se Vitruvio e anche Phnio 1' han detta nascere anche in Ispagna , (a) Id. L. 35. S. 1.1. 14. (bJ Ret£uen. Sa^g. i. c. 4. DEL F0RP0RIS30 CC. 1 79 cioe alle isole baleari, le precision! di Plinio pero (a)^ e di Galeao die fece \x\\ viaggio a posta a Leniio per ri- conoscerla, non ci lasciaao dubitare se i greci aiitichi e i roinani potessero mai preferire cjuella di Spagna: e Plinio anzi aggiunge che fra le akre ruhriche iiti- jissiine ai fabbri era 1' africana e 1' egizia; con che la spagnuola si esclude quasi direttainente. 28. Finahnente il quarto colore dell' antichissima pittura greca era il nero. Ed aiicbe qui per Tesattez- za di un libro akronde utilissimo, dobbiam notare die il nero de' greci non fu chiamato iiich/vstro altrimen- ti fhj. II nero de'greci fu chiamato atramento, e I'a- tramento, che non e sempre inchiostro, si riponea fra i colori fattizii, benche sia anche una terra di d^ppia origine (cj . Alcnni pittori teiitarono di far il nero col carbon do' sepolcri, ma ne questo ne i nativi noa vagliono nulla. 11 buono si fa in piii modi, dal fumo e dalla fuhggine, abbruciando pece o resina: al qual uopo inventarono le officine atte a ritenere quel fu- mo. Yitruvio che punto non parla de'neri nativi, nel- la serie de' colori artefatti colloca il nero nel primo luogo, e ci da anche la descrizionc delle officine per fabbricarlo, e di codesto dice Airsi con gomnia I'atra- niento scritiorio, cioc T inchiostro; con la colla il ne- ro ptr la pittura degli edilicii fdj. Plinio al contra- rio dice farsi il migliore abbruciando nelle stesse of- ficine delle tede di pino; il che Vitruvio avea detto (c) PI. L. 3J. S. i5. (I)) Rcqucn. L. cit. (i) I'l. L. i.5. S. 25. (iij Viijuv. L. 7. c. 10. i8o Rosa iicl (lifetto deir akro poteiai fur per ripieojo, abbni- ciando tede o sarinenti. Cosi coiivengono Tuno e Tal- tro della feccia del vino, e piii se sia buono, farseue un nero ehe piglia le grazie dell' iiidaco (a). E ag- giunge Plinio ehe quel priino delle olTieine si adulte- ra colla fuligginc coimine delle loniaci e de'bagni, e tale essere il eommie iiichiostro librario; ehe Poligno- to e INlieone iie fecero dalle viiiacee, e vinacris freer e er. trygon appellant: c\\q Apelle invento di fame dall'a- vorio abbruciato, ehe chiamo elefautiiio: esservi an- cora il nero iiidico ehe vien dall' India, ma d' ignota composizione, come ignota e di quello ehe vien ora a noi, forse 1' istesso ehe conobbe al sno tempo Leo- ne Allacci: e farsene ancora dai tintori da qnella spu- ma o fior nero ehe attaccasi alle cortine di rame: in fine ogni atramento perfezionarsi al sole, lo scrittorio colla gomma, il pittorico con la colla: ma quel ehe stemprasi coll'aceto, non facilmente caticellarsi (b). Di ehe apparisce ehe anche in questa parte de' neri gli antichi n'erano provveduti in qnalita e ditferenze as- sai piu al)bonLlantemente ehe noi. 29. 1'ali erano i quattro colori co' quali si rese celebre la pittura almen fnio ai tempi del M. Alessan- dro. Cosi I'hnio ci aitesta, e in tutta la storia della pittura non ha forse alcun akro punto piu chiaramente determinato e certo di questo, ehe dalla piu alta anti- chita i pittori celebratissinii, non solo Zeusi, Polignoto, Timante, e Protogene, ma Apelle, Echione, Melau- (a) PI. e Virmv. L. cit. (b) ri. L. 35. S. iS. DEL PORPORISSO eC l8l tio, Ni'comaco dlpiiisero quelle loro opere imniortali con soli quattro colori; e usarono pel bianco il nieli- no, il silaceo pel giallo, la sinopide pel rosso, e T a- trarnenio pel nero (a). Onde risulta clie quantunque s'igMori il tempo dolla prima introduzione de'detti ijuat- tro colori, ed a qiial tempo e da chi si coniinciasse prccisamente ad iiscir da quel numero, tuitavia si puo tener per sicino, che comiiiciando anche solo dall'o- limpiade decimottava, o dalla tavola di Candaule, i quattro colori fecero tiitta la pittura de' greci fin ol- tre aH'olimpiade i 12; cioe lin oltre i tempi di Apelle, cioe i tempi eroici della pittura, la cjuale dopo di lui o comincio a dedinare, o certamente non pote pren- dere maggiori incremeiul; giacche , al dir di Pliiiio, Apelle solo valse tiuti i ^\vtov\(h). 3o. Che poi Apelle medesimo dipingesse a soli quattro colori non sembra lecito di dubitarne, e uon potrebbe asserirsi il contrario, se non per semplice irriflessione. Non solamente Plinio lo annovera fra i pittori di questa classe nel luogo poc' anzi da noi ci- tato; ma descritte in appresso le meraviglie di quel pennello, ci richiama ancora a pensare che tutte le sue opere furon fatie con soli qaattro colori , come si e detto poc' anzi. Tanto e vero quel cli'egli area det- to di sopra, che la pittura fu piu fainosa quando era povera, e che poi arricchita anche della porpora non ha piu una pittnra che vaglia (c). E son caduti in (n) Id. L. cit. S. 61. (b) Omncs piius s;cnifos futurosque postea supcravit Apelles cous. Olyinp. 11a.. Pirn. L. ^5. S. 36". (c) <~>mnia ergo niclinra tunc fiicre cum minor copia . Nunc etiam purparts in parictes migrantibus nulla nobilis pictura csc, PL. L. jS. S. ji. I (la Rosa. u\\ errore d'inavvertenza quel die prenJenclo dall' Ar- duino un passo tronco di Cicerone, e riferito ivi per semplice erudizione, hanno creduto di cavarrfe la pro- Ya, che Apelle dipingesse a tutti i colori faj. Cosi e- gli e anche vero che dopo il tempo del M. Alessan- dro cominciando a scemare il vigor degli artefici, la pittura noil ritenne quasi altro splcndore che quel che venue dalla preziosita de' colori . S- II. Delia seconda pittura presso gU nntlchi a sei colori p?eziosi, o poUcroniadca. 3 1. Vero e che il rainio e il cinahro furono usa- ti ab antico, come abbiam gia veduto iie'monocromi; che la crisocolla piuttosto che un colore ella siessa, era un fondo o ima base per ricevere il giallo ed il verde; che sotto Nerone e Caligola 1' area del circo fii veduta coperta di crisocolla (b): ma questo non toglie che ella fosse di molto prezzo, e che fosse iu- trodotta nella pittura. Cosi rarnieiiio, sia sasso o ter- ra, sia azzurro semplice e nativo, o verde-azzurro e tinto, come e luogo di disputare fraDioscoride, Pli- nio', e Vitrnvio, benche avessero molti altri azzurri e naturali e artefatti (c), fu introdotto pur esso nella pit- (a) V. Nota A sopra Apelle in line. (b) PI. L. 35. S. 26. 27. V. in fine Nota D. (c) Armenia inittit quod ejus nomine appcUatur lapis; est hie quo— que clirysocoUae modo infecCus , optimusque est qui maxirne vicinus est, commuiiicato colore cum cacrulco distat a caeruleo candorc modico > I. 35. S. 28. Non h ben cliiaro se appartenesse al reide pii!l che al ceruleo. DEL poRi'ORisfo ec. 1 83 tura, e da treata sesteizii si ridusse a sei denari per libbra . 32. Ma noi cert hiamo del porporisso, e diremo poi deir iridico, noii solo per le aflimta o relazioni cli' e- gli aver possa colla materia e col color delle porpo- re, ma per esscre nel iiumero de' sei colori preziosi , de' cjuai trauiauio . 33. E qiianto al porporisso non trove alcuno che fiior di Pliiiio ae parli spiegatameate; perclie Vitru- vio qaaatuaque dica che il color della porpora aaclie nella [)ittara ha uaa carissima ed eccelleatissima soa- vita (aj^ tuitavia del aiodo preciso di prepararlo al- ia pittura, cio6 di compoaere il porporisso, aoa dice pare una sillaba. Adanqae Pliaio sopra tatti i colo- ri che abbiamo chiamati preziosi colloca il porporisso fatto colla creta argentaria, la qual si tinge di por- pora, e bee quel colore piii presto ancor delle laae (bj. 34. La creta argeataria poi tra le marghe e una terra biaaca del geaere delle pingui: ve a' ha aa ge- nere di mordacissima; an terzo geaere e la creta ful- loaica; ma al secoado che val soprattutto ad irapin- gaare i terreni, appartien T argentaria, cosi chiamata dair inibiaacar dell' argeato, e di qaesta ve n' 6 una specie vilissiina, con cui nel circo si segnaa le mete, e ael mercato s' imbiaacaao i pie degli schiavi. (c) (a) Vitniv. L. 7. C. 9. (b) PI. L 35. S. 26. Furpurissuin spuma est collccta cffcrvesccnte purpura, cum eii eck tinciura cfficitur. Loco puipurissi utuncur hodie piccorcs lacca mixca cum caeru/ro. Diilechanip, ad PI. L. cie. (c) Id. ib*a. 184 Rosa L' argentaria si cava a cento pie clentro terra; e d'es- sa i britauni si servono priiicipalmente per conciinare i terreni, e ne dura T eftetto per ottant'anni; e non v' e esempio di chi abbia dovuto usarne due volte in sua vita . (a) 35. Or questa creta ben preparata e pnrgata ser- ve per I'usodel porporisso, inebriandosi del color del- le porpore: la terra s'infonde nella cortina dove ])ol- lono le porpore; e il primo clie se n' estrae quando il liquore e ancor vergine, riesce il piu bello. Cava- to il prinio dalla caldaja bollente, vi s'infonde altra terra, e si rinnova di inano in mano; ma il porporis- so clie ne risnlta, diventa sempre inferiore, a propor- zione clie la tinta, estraendone, s' indebolisce. Quiiuli il pozzuolano si loda piu del tirio, del getulico, del laconico, clie dan le porpore preziosissime : e n' e la causa perche si tinge coll' isgino, e si abbevera colla robbia: il piu debole e quel di Canusio: percio an- che il prezzo comincia in questo a un denaro per lib- bra, e va salendo fino in trenta quel primo. (b) 36. A questo modo e a tal prezzo fa^evasi il por- porisso, il qual sappiamo d' altronde die formavasi in piccole tavolette quadrate, come quelli che presso iioi si direbbero morselli , o rotule, ma quadrate; e ce lo insegna T autor d' un libro attribuito a Galeno, che muta ancora qualche piccola circostanza relativa alle specie del porporisso (c). Dal qual contesto il canusino, che era a Plinio il piu vile, sembrerebbe es- (a) III. ibiZ "~" (h) PI. L. 35. S. 26. (c) Purpurissum , quod et fucum aliqui dicunt, glcbulae sunt qud- 1 DEL P0RP0R1S30 ec. iB') ser detto piu nobile del pozzuolano, il clie per altro potrebbe essere ancora avvenuto nclla successione de' tempi . 37. Ma quanto agli usi del porporisso, clie e I'og- getto precipuo della ricerca, cominciaPlinio dal dire co- me i pittori se ne servivano: = che data sotto una ma- no di sandice, col bianco dell' novo vi attaccavano il porporisso, e ne riusciva il fulgor del cinabro. Se vo- gliono dipingere un color vero di porpora, vi mettono sotto il ceruleo, poi il porporisso vi attaccano con 1' no- vo .= A questo modo la porpora si applicava su qua- dri mobili; ma ella passo poi anche insieme coll' in- dico nei dipinti delle pareti, e 1' istesso Plinio non manca di spiegarcene 1' artificio (a). Cosi il porporis- so agginnsc ai dipinti uno splendore maraviglioso; ma dopo quel tempo pitture nobili e degne piii non si vidtlero. (b) 38. Fra tutti i colori, dice cgli, il porporisso, Tin- dico, il ceruleo, il melino, rorpimento, I'appiano, la biacca non si attaccano sugV intonachi freschi , ma amano i secclii di creta. Cosi del ceruleo 1' avea gia detto ( c ) . E qui prima di dire degli altri usi del porporisso ; dopo questo , seguita Plinio , il primo pregio e dell' indico, cioe del ceruleo dell' India. Ei dratac ct pusillae in moduin tcsscllarum , quae ab infectoribus tiiigun- tur colore rosea. Tale est maxime canusinum , sequcns puteolunum. Dff simplic. medicam. (a) PI. L. 35. S. 26. arl 32. % (b) Nunc et piirpurls in parieles migrantibus nulla nobilis piclura tst. Id. L. M>. S. 32. (rj Usuf in creta calcis imputicns. L. 33. S. 57. 7oni. I. 24 i86 Rosa vien dair India qucsto ceruleo, prosegue Pllnio, fat- to dal limo o fanghiglia, die coUa spuma delle can- ne s inipasta; il quale pestandolo si mostra ncro, ma diluendolo rende iiii iiupasto niirabile di ceruleo e di porpora. Ln' altra razza se ne ha dalle porporarie, la qual galleggia nelle cortine, ed e una spuma di por- pora. Quei die lo f'alsano, tingouo coirindico lo ster- eo delle colombe, o la creta selinusia, o ranularia col vetro. Ma il vero si sperimenta col fuoco, perclic rende una fiamma di perfeita porpora, e nel fiinio To- dor del mare; percio alcuni il suppongono raccolto sopra gli scogli . II suo prezzo e de' denari die dire- mo veiiti, poiclie altri testi segnano dieci, altri tren- ta per libbra. 39. Or de'cerulei gli anticlii ne avean molti ge- neri, lo scitico, e il ciprib, die anclie per Teofrasto sono nativi , Tegizio artefatto, ma pero assai stimato: vi si aggiunse il pozzuolano, e lo spagnuolo, trova- tosi ivi il modo di preparar quelV arena (a). Ora ogni azzurro si tinge e si cuoce nella sua erba, ed ei ne 'leve il colore. Vi si aggiunse il vestoriano cavato dall .:io, e detto cosi dall' autore; e 11011 era anti- (a) Riuiiiicini) i]u\ tiiui assieme i passi princ)|Kili di Pliuio relativi ai cerulei. Cacridcum arena est: hujus genera tria fuere antiquitus. Al qual luogo rArduino ci avvisa olie obsolevh illiid jamdudam . . . success ■sit altcrum simile ^ qiiod ex cyanco lapidc lazuli parant , vocantque itltramarinitm . Ad. L. 33. S. Sj. Ma il piii eccellente era seiiis' altro r indico d' India; in fatti nb hoc (purpurisso) maxima aut.horitas iiidico. Ex India venit anindinum spumae adhueresccnte limo : cum teritur ni- grum , at in dilucndo mixturam purpurae cacrulciquc mirabilcm red- die . . . Altcrum genus . ... est purpurae spuma . . . Prohatur curhonc . Reddit enini..-. flammam cxccllcntis purpurae; ec duin fumut udorem maris . Pretiuin denarii x in Ubras. Id. L. 35. S. 27, DEL PORPORISSO eC. 187 ca al siio tempo 1" introduzimie dcirindico cVIndia, del quale benolie nominato spesso da Arriano nel com- mercio dell' India, ci scmbra ora igiiota del tutto, co- me If) era anche a Plinio la provenieiiza faj. Oltre a codesti clie par si tingessero con un'erba, v'era quell'al- tro del vitriolo di Cipro fOj, che e I'atramento sutorio; e se ne fa in molti modi ec. e fmalmente vi e quel di Vitruvio, che coincide con quel di Vestorio, sia alessandrino sia pozzuolasco (cj, e in parte ancora col nostro smakino. 40. Ma r erba della qual dice Plinio tingersi I'a- rena in ceruleo, non puo essere che 1' isatide, perche c la sola che da tal colore a quel modo, e la descri- ve cgli stesso, ed e nota egualmente agli antichi che a noi, ed e il glasto o guado, che in molti modi ha servito e serve a' tintori per il ceruleo. Un terzo ge- nere (di lattuga ) che (dice Plinio) nasce ne" boschi, si chiama isatide: del quarto si servono a linger le lane: avrebbe le foglie simili al lapato, se non ne avesse di pin e piu nere (dj. Intorno a die lasciando il Dalecampio a tormentar Plinio a suo modo, riflet- teremo che anche Oribasio o copiando o giustifican- do Dioscoride e Galeno, viene a coincider con Plinio sopra la forma e 1' uso dell' isatide f^ej; perche se fra (n) n. L. 33. s. 57. (b) Color esc cacruleiis perquam spectahili nitore, vltrumque esse ere- ditur: cliluendo fit atramentuni tingciidis coriis. Id. L. '64- S. 22. (c) Vitriiv. L. 7. C. u. (d) PI. L. 20. S. 20. (e) Isiitis nativa hcrba est qua tingendis lanis infectores utuntur : folia plantaginis habct, piiigiiiora ttiincn ct nigriora; sili'cstris vera isatis esc satii-ae siiiiilis; folia tantum habcc majoru ad tuccucae Jollvrunt Jt- miiuudinsm . Oribas. L. 11 ex Dioscor. L. 2. C. 2i5. i(S8 Rosa il silvesne e il sativo vi e difTerenza quanto al colo- re e air ahitudine delle foglie, si accordano pero le facolta e gli usi: e noii sembra potersi negare che Visa- tide de'greci e di Plinio sia Y erba stessa die i lati- iii chiamarono vitrum : e secondo Plinio medesimo con vocabolo gallico si chiamava glasto, clie era simile al- ia piantaggine, e tnigeva in ceruleo, come Marcello ricorda (aj; e come Plinio asserisce, si cliiaina glasto; e le donne britanniche se ne tingono i corpi (bj, e i Galli ne usano nelle tinte mirabili de'vestimenti con die imitano le porpore. A questo ceruleo la frode ne aggiunse un altro indicato parimente da Plinio in poclie parole (cj; nel qual modo insegno anclie Vitruvio colla viola (gialla) contrafTarsi il sile attico die era il bel giallo (dj. 41. lo so clie nel tentare di riconoscere fra le no- stre materie codesti anticlii colori i commentator! ed interpetri in vece di riscliiararci , non fanno die ac- crescere le dilHcolta e le tenebre: ma die che sia, che r indico antico dell' India sia uu limo o fanghiglia di que' suoi fiumi colla" spuma di quelle canne secondo Plinio fej, e Dioscoride, o sia il succo stesso del gla- (a) Hirba ijnam nui lUnini, gracci isatida locanr. Maiccll. Einpir. C. 23. Simile plantagini glastum in Gallia vacatur. PI. 1. 22. c. r. (h) Omnes vero se britanni vitro inficiunt , quod caerulcuni cfficic colorein : atque hoc terribiliori sunt in pugna adspectu . Caes. De bell. £ all. L. 5. p. m. 171. Britanni incerlum. ob drcorcm , an aliquid aliud, vitro corpora infe- cti. Poiui). M. L. 3. C. 0. (c) Fraus ( caerulei s-inceri ) viola arida decocta in aqua , succv- que per Untrum e.rpresso in cntani erctrinni . Id. L. cit. (d.) Vitruv. L. 7. c. 14.. (cj India conferenre Jlur)iinum suorum limum. Pi. L. 35. S. 32. DEL rORPORISSO CC. 1 89 sto indiano, come il pretese Carzia dall* Orto (a), e clie attuahnente si fabbrichi in Guzarate, o sia I'i- stesso die V anil o il /?/7 d'Avicenna, il gall degl' in- diaiii moderni, e V isatide de' greci antichi, clie coin- cide col vitro de'latini, o coll'antichissiino britanno clie diede il nome ai britanni, cbiamati appunto sempre ceiulei^ o col glasto o gins o pastel de'Galli antichi, e de'francesi del ciiiquecento; certo e pero che un suc- co cerulco vegetabile concreto in forma di pastelli o di glebe, e si conosce e si appresta ora in moke parti del globo, e non solo in Europa, ne solo nel Guatimala, come una volta, o al Brasile, ma in tntta quasi 1' A- merica, ne forse da una sola specie di piante; cioe del vero isatide o glasto, che ora pur chiamasi indico o in- daco; e in Francia singolarmente non sol col gla- sto de' tempi antichi , onde si forma Y azzurro in pani, ma colla pianta dell' elitropio detta maurellc, donde ricavano e il tornasole egualmente in pasta ed in pani, pestando e macerando tutta la pianta, ma di piu ancora il tornasole in pezze o cenci di tela (tour- nesol en drapeaux) tinti nel succo del tornasole, di- verse pero da qnello che in simil forma tingono i turchi, di cocciniglia, e da quel di cotone, che pari- mente di cocciniglia si fabbrica in Portogallo; e la mo- rclla o tornasole in pezza si e quella che da' francc- si venduta agh olandesi, da questi poi si vende all' Eu- ropa per I'uso della pittura e del tinker % (b). E ne risulta per ultima conclusione, che se noi vinciamo nel- (a) L. 2. C. '26. {It) v. BoDiar. Artie. Tournesol. 190 Rosa la varleta e nella copia degli azzurri cavati da' vege- tabili; sc il coriileo di Prussia, o forse anche il no- stro sniakino vincesse forse quel di Vitruvio, o forse anche que' tre anticliissimi, 1' egizio, lo scitico, il ci- j)rio, e lo spagiuiolo clie venne poi faj, e le taute al- tre varieta die ne aveano gli autichi; noi uou avre- mo pero di die pareggiare Tantico armenio e I'oltre- mare divenuto per noi si caro, e niolto meno poi quel loro indico, die rendeva quella mirabile niistiira di ce- ruleo e di porpora; ne mai la spuma cerulea delle porpore, se non verremo a ristabilir le olHciiie e la fabbrica identica delle porpore. § HI- JDella pktura viva^ cioe de' bellctti, parte della cosmetica. 42. Tornando agli usi del porporisso, oltre a quel- le gia detto della pittura , il principale era quello del- la cosmetica. Egli e difficile il dire di quanto grande imporianza fosse la cosmetica presso gli antichi , e quan- ta parte di essa dipendesse dall' uso e preziosita de' colori, e quanta stima avesse il porporisso fra tutti. 43. Sarebbe una curiosa questione il ricercar don- de nasca questo morbo di fantasia cosi comune al ge- nere umano, per cui si trova che in tutte le eta, in tutti i climi, generalmente le donne , ma molte volte ancora gli uomini hanno affettato di disguisarsi alte- (aj V. ?l~l ——————— 1 DEL PORPORISSO eC. Iqi rando con tinte e unguenti e fiichi e pigmemi e pol- veri e untiimi il native color della pelle: ne solainen- te le feroci nazioni si dipinsero la faccia e il corpo di colori rossi o neri per terror de'nemici, come rac- contasi degli agatirsi e de' sarmati, de' dalii verga- ti, e de'dipinti Geloni; ne solamente di bianco gesso come i focesi fnj; o mezzo il corpo di questo, I'altro di minio come gli etiopi (bj; o del glasto ceruleo, co- me s' e detto dei britanni e de'batavi; e di la dair o- ceano piii di recente gli americani; ma fra le colte e ingentilite nazioni le donne principalmente in tut- te r eta in tutti i climi si trovano aflette di qiiesta strana maninconia. 44. Da quel che raccogliesi dagli scrittori, e die noi abbiamo riuniro in gran parte nel nostro libro del- le porpore, ne risulta innegabilmente clie niun colo- re naturale o artefatto non potea giungere alio splen- dore rifidgente del porporisso, come s'e ivi dimostra- to egualmente, che 1' inimitabile fulgor risplendente era proprio e artatto particolare della porpora; e co- me in concreto la porpora si rileva sul corpo die n'e intinto, per lo piii lana o seta; cosi il porporisso die e il succo incdesiino della porpora, si considera nella creta argentaria che ne sia intrisa: e siccome I'inten- sione del suo colorito risulta dal grado della tintu- ra , o dal tempo e modo deirinfusione, come Plinio ci ha dichiarato qui sopra; cosi e evidente la gradazio- ne del colore che puo aversi nel porporisso dal roseo (a) Plin. 1. 4. c. 12. (bJ Natal. ALex. Geiiial. dier. L. i. c. 20. IQi It O S A crescendo su per la scala fuio al tirio vivissimo fol- goreggiaiite, e al ciipo tlcUa porpora tarentina , siin- Loleggiata nella viola purpurea; e cosi tutta la scala del porporisso per gradi intermedii, chi sa mai quan- ti, dair anietisto si alza crescendo fino al rubino e al granato. 45. Quindi e la ragione che il porporisso tenesse il Inogo principallssimo fra i belletti piu ricercati; per- clie se il minio dava il vermiglio vivo alle guance , pero senipre un po' crudo, il porporisso d' impasto piii fmo , e di natura cangiante^ (come le porpore) dovea dare il vero e naturale incarnato clie si ricerca, e a impasto piu carico, o a dose piii piena il porporino di cui si caricavan le labbra (a). 46. E a onor del vero bisogna pure ricordarsi , clie di tutte queste nazioni qui sopra rammemorate , la maggior parte furono tratte a questo costume per lo pill dal bisogno , per ripararsi cioe dagli insetti o dal freddo o da altre simili necessita e circostanze della loro non prospera situazione . 47. Ma quando i comodi dclla vita ebbero eccita- ta la fantasia delle donne a secondare i priu-iti della naturale vanita e leggerezza, non vi fu unguento, tinta, bizzarria, vezzo o capriccio, che non volessero mette- re in opera ; saranno stati a principio fiori e ghirlan- de, unguenti, polveri, untumi, massime pe' capelli, ma (a) Colores io'uur hujus Icnocinii sunt praccipui cilbor quern ccrussa format ; rubor quern purpurissum ; nigror ad palpebras ct supercilia uti- lis, stibium. = Nigra pulverc lineamenta oculorum pingis. Taubfflan. ail turn loc. Plant, qui niox citabitur. Dcllo stibio. V. iu fine la Nota F. 1 DEL PORPOUISSO CC I93 a poco a poco cresciute le arti e la smania di parer belle, il ravvivar la natura, remendarne i difetti, I'ag- giungervi nuove grazie, fu per esse uno studio e una vera necessita; la cosmetica divenne un arte, e delle parti che la conipongono, V accoiiciatiira, I'oraato, la dipintura, non si puo dire qual fosse la piii insazia- bilinente studiata. 48. II primo per veriti fra i belletti che si nomini nella Scrittiira e il cinabro, che diceano minio, sia for- se per la maggiore sua antichita , o pel prezzo suo meno alto: ma nell' Asia minore , nella Grecia, in E- gitto, in Italia era 1" uso si universale della porpora e del porporisso per gli usi femminei della cosmeti- ca , che spesso trovasi presso gli autori la parola fu- CO, che e propriamente il belletto, usata in vece di porpora e porporisso. E noi abbiam gia notato ('a J che nelle lapide de' porporarii , e fino in quella di Sar- sina, fra i simboli dell' arte, che si teneano esposti nelle oflicine, vi e sempre il vasetto o 1' ampolla del succo di porpora o porporisso; argomento che queste droghe per I'uso di tinger nastri e imbellettarsi si ri- cercavano anche ne'paesi mediterranei, fino a borglii e castelli della montagna. 49. E puo benissimo stare che second© Teterna instabilita della moda in altri tempi e paesi regnas- se ora Vuno ora Taltro di tai preziosi belletti, pre- valendo ora il minio, che sembra forse prediletto ia Ispagna, or la porpora che regnava per tutto altrove; e che non gia 1' alto prezzo, ma il capriccio del tera- (a) DcUe poqi. Part. II. 194 Rosa po inettesse in pregio le dtoglie di questo genere; per- che come a' tempi di Plauto jnupurissace si trovan le donne anche d' inferior rango (aj, cosi a' tempi di Sui- da era in iiso comune ranciisa pianta ancor nota; e trovasi nominata egualmente la robbia, pianta volga- re, e la sandice di Virgilio fVa noi sconosciiita o for- se simbolica, che tutte servlano per colorare o tinger la faccia, cioe le guance e le labbra. E sono notabi- lissimi i passi di Plauto, perche alia sna eta forse an- teriore di cento anni alia totale corruzione di Roma, mostrano 1' uso de' belletti divenuto generalissimo, e familiare alle donne clie ne usavano senza ritegno ; onde possono argomentarsi gli eccessi ai quali si giun- se col tempo. 5o. E facilmente verrebbe voglia di dire che 1' ar- te di decorare, o forse meglio di deformar la iigura sia tanto atitica, quaiito le donne medesime; perche quantunque Palefato e altri greci ne attribuiscano 1' in- venzione e 1' uso a Medea, contuttoci6 oltre gli esem- pi che abblam citati a principio delle uazioni che si tingevano in tutto o in parte a strani colori, trovia- (a) BisognerA riuair tutti a«siemc e in uii sol luogo tutti i passi di questo amore , clie sono cValtromle importantissimi. Phi. Cedo cerussam. Sc. Quid ccrussa opUsnamF Phi. Qui malas oblinam. Turn tu igitur , ccdo purpurissurn. Sc. Non doscica es tu qaidcin. Nova pictura intcrpolare vis opus Icpidissimuin ^oii isthauc actatcin oportet pigmcnaiin ulluin atdngere, Nc(jue cerussam^ ncquc incluiam , ncque uilam aliani offuciam. Plant, in Mostell. Act. I. Sc. 3- Et in Tmrul. Act. II. Sc. 2. Quia adco fares nostris ungnentis nncta es nusa accedere. Quiaquc istas buccas tain belle purpuiissatas liabes ... Buccas rubrica, ccra omnc corpus intinxti cibi. DEL P0RP0R1S30 CC \()o mo nelle storic piii antlche die si conoscano, die fra gli ebrei per escnipio moke donne si reser celebri an- clie per fuso d' imbiancarsi la faccia con artificio, e di ravvivare il brio degli occbi tiiigciidosi collo stibio le ciglia e le palpdjre; col niinio le guance e la bocca faj; e presso Oinero troviam V aurora colle dita color di rosa, attrilnjto tratto da lui dall' immemorabil costu- me dclle donne dell' alto oriente di tincersi le un- ghie e le dita di color rosso o di rosa. E tutti gli storici e tutti i fdosofi sacri e profani non finiscono di ricor- darci die le donne di Caria e di Lidia principalmente, poi di tutta 1' Asia minore, dclla Grecia, e dell' E- gitto si occupavano caldamente di queste cure: e die in Italia ed altrove, e soprattutto in Roma gia depra- vata questo furor non cedesse ne agli scberni pubbli- ci de' poeti e de' comici, nc alle sferzate vivissinie del- la satira , ne ai consigli prudenti dell' amicizia; sul qual proposito oltre i passi di Plauto, le ammoiiizio- (a J Poisono seivire di giujcificazione airistoria piofana gli eseuipii ili qiiesta nazione esc-niplarmente stravagante e corrotta in ogni genere di ncquizie: noi non ne addiirrcmo die pochi sopm lo stibio per prova del nostro assunto, essendone lidondanti i lore libri e quelli de'commentato- ri della scritturai. lezubel dcpinxit ociilos suos itibio j ct ornavit caput suum. L. /|„ Reg. 9. 29. Cum vesticris tc coccino , cum ornata fucris monili aureo , et pin— xctis stibio ocidos tuos. llieiem. 4. £ccc vencrunt quibns tc lavisti , ct , circum/ivisti stibio oculos tuos. Ezecliiel. n. 23. Osde Giiolanio cliiamy gli ocelli dclle donne cbiee oibcs stibio fiiliginaros ( ad Fur. Epist. I. ) e dello stibio disse il Pineda = (juo Arabiuc et Syriae muiicrcs ad oculo- rum vcnustatcin utcbantur .. . ct adliuc in prctio habcnt arabissae , ct a f ric.au ae . ( De Reb. Salomnn. L. 5. C. 5. S. i5.) =Plinio cd i niedici ne giustilii-ano T nso coaie utile agli ocelli, non nieno clie alia bellezza. = Ita namque muiicrcs quotidic faciunt; cum stibio oculis graciam conci- liant . = Galen, de saiiit. lu. L. 6. C. 12. 196 Rosa nl di Ovklio, e le sferzate di Giovenale, ci rimanc una lettera di Filostrato ad una sua Berenice, in cui r aninionisce pel siio proprio i- teni, sarmati, essendo comuni i capelli gialli, biondi, dorati, liamnianti, e talor di rancio iiifuocato, ec; do- vettero quel colori in Italia e in lloma eccitar prima la meraviglia, poi nclle donne a bel bello il capric- cio e la sniania di appropriarseli con artilicio. 54. Catone fin dal suo tempo s'era gia accorto che le matronc ciincs Jlavo cinere iinctitabant, iit nitilae es- sent (a). Qual cencre fosse non lo sappiamo; bensi sap- piamo che dal croco, detto da noi zaflerano, si cava- vano per varii gradi le tinte che dal biondo al fulvo al giallo al dorato al rutilo al rufo, salivano crescen- do verso il croceo o crocato, di cui per moda si tin- geano le chiome (b). E come il color croceo ne' ve- stimenti era in altissimo pregio per le regine e per gli eroi fino dalV alta antichita, come \edesi da Virgilio e dagli altri poeti; cosi ne' tempi romani le donne a pretensione, oltre i capelli vollcro avere nastri vela- mi cuffie e ornamenti di quel colore, che dal biondo o luteo dorato saliva pe' gradi della tintura fino al ru- tilo o rosso infuocato. Filostrato ce ne ha conservata la scala, come Aulo Gellio ci ha lasciata quella del (a) Apiid Jun. p. .2.32. (b) Video quasdam capillu/n croco vcrtcrc . - . . pudct cas quod non Ccrmaniac , atque Galliae sine procrcatac . Eccc capillum pro atro vel ulbo fla\mm fac'imus , gratia faciliorcm . Quamvis cc acruin ex albo conantur faccrc . TcrtuU. de cult, foeuiin. L. a. DEL poRroRisso ec. 199 rosso (cl)-, le qiiali in molii gracli si uniscono e si con- fondoiiD fra loro. Noi lasceremo di riportarle per bre- vita, poi peiche il nostro idioma non ci fornisce i vo- caboli coirispondenti a quelle minute degradazioni. Ri- corderetito in vcce 1' elegantissima descrizione de' co- loii, di Ovidio; quella dell' Alciati; e qaella lasciataci iieU'esemplare latinita del Pontano (b). 55. £ non direm nulla degli olii^, delle polveri, de- gli unguenti per fiirli crescere, per conservarli, per pro- fuinarli di odori, per renderli nitidi e rilucenti, che sarebbe cosa infi lita. Ma ritornando alia cute, oltre alia cura degli oc-. clii e delle ciglia collo stibio, coine abbiamo detto, e delle guanre col minio e colVancusa, delle labbra col porporisso per tingere ed illustrar queste parti; era la cura priucipalissinia della cute non solo alia faccia al collo al seno alle braccia, e puo dirsi anche a tutte le parti del corpo, per renderne la cute molle finis- sima biancliissinia rilucente, per tergerla dalle mac- cbie, lentiggini e pustule, e quel cli" e piii arduo, per dissiparne i raggrinzamenti; onde I'infinita serie de'ba- gni, lavacri, untumi, fomenti, cataplasmi ed impia- stri, de'quai ci restano ancora gli esempii da Ovidio (^c^, (a) Cell. L. 2. c. 26. (li) Ovid. De art. am. L. 3. Alriat. Emblem. 117. Pontan. De hoit. Hcsperid. L. i. Per veritA il riisso e rubro, il fulvo , il flavo e il rubido , il feniceo, il rutilo, il liiteo , e lo spadice o spadiceo ; il glauco , il cesio, il gil- vo e cento altri sono talmentc di greca proprieta, che Gellio stesso con- fcssa die noii si possoiio esattamente trasportare in latino, taiito h luugi •he noi possiamo tradnrli nel nostro volgare italiaao. (c) Ovid. De mejicani. fac. 20O Rosa. da Plinio e da altri autori, da' quai si vedono ado- perati tutti i generi d' ammollitivi, legumi, erbe, ra- dici, e grassi e midolle del cervo, e il saiigue del vi- tello e del toro e il tallone d' esso bollito quaranta giorni, e lo stereo del coccodrillo terrestrc, stimato per la soavita dell' odore, e similmente qiiello del vitello e del toro, e cento altri intrisi e miscugli annovera- ti copiosamente da Plinio (aj, e sparsamente da in- finiti scrittori; il fondamento de'quali era poi sempre o farina o mollica di pane inzuppata o marcita nel latte, di che s'impiastricciavano la faccia con gran- de incomodo e noja del marito e de' baciatorl fbj. 56. Ma il grande arcano dello splendor della cu- te era poi sopra tutti e scnza contrasto il latte e la biacca; e il prediletto fra tutti i latti fu sempre quel di giumenta; e tal fu 1' abuso che se ne fece, che in- tere mandre se ne nudrivano a comodo del pieno ba- gno. Si dovette specular molto anche sulk natura di questo liquido, e la scienza vi guadagno, perche a- vendo Plinio asserito col parer d'Aristotele, che il lat- te d'asina era axississinio perche se ne cavava il pre- same, Dalecampio ci assicuro da parte di Galeno e dl tutti I medlci dotti, che era anzi tenuissimo sopra tutti dopo cfuel delle donne (cj. (a) PI. L. 28. S. 46 e 47. (b) Et hinc misciL viscantur lahra mariti. Juven. Sat. 6. Sed quae mutatis inducitur atquc foietur Tot mcdicaminibus , coctaeque siliginis offas Accipic, ct madidae fades dicetur, an ulcus ? Juven. Sat. 6. (c) PUn. L. II; c. 41; et Palecliarop. ad eum loc. DEL PORrORISSO CC. 201 57. La biacca o cerussa crebbe In grande iiso per tutti i secoli fia tutte le genti. La piii farnosa fu sem- pre quella di Spagna, e la rinomanza del bianco o hianclietto di Spagna si e conservata anclie ne'libri fin quasi a nostra memoria. Vi si aggiunse col tempo il cosi detto latte verginale, altra preparazione estrat- ta dal piombo. Non mancarono i medici di giidare contro r uso di queste droglie, come nocive ai denti al fiato e alia cute medesima; ne fu scritto nei libri: ma ne per questo, ne per la quotidiana esperienza le donne non se ne seppero mai astenere: tanto vi- va e in esse la smania o il delirio di voler parcr belle! 58. E per fuiire questo fastidio ci stringeremo a dar solamente questi ultimi risukati; da varii passi di Plauto e evidente clie T arte a quell' epoca era al suo colmo, perche vi si parla delle facce purpurissate e cerussate e della pelle e de' corpi interi intrisi unti dipinti di imguoiti pigment! e belletti; die da Plauto fino a Marziale per due secoli almeno le donne non parlano clie di belletti, che in quelTepoca si trova Ovi- dio die fu maestro dell' arte, Tibullo, Seneca, Petro- nio, che dicono le stesse cose, come le replico Giove- nale, tutti o rampognando le donne, o scherzando so- pra i loro usi; die da Marziale scendendo fino a Clau- diano e Sidonio, agli scrittori detti proAmi si aggiun- scro gli ecdesiastici, e sopra tutti Tertulliano, cbe ne scrisse direttamente, come ognun sa, e Cipriano e Cle- mente die ne parlarono piii caldamente fa J: da'quali (a) Eiiiiiiri'md i|iii tiilli assicino i jiassi di questi antoii, prrrh^ sona troppo importaiiti per la materia ; e sono pero il minor numero <\\ qnaii- ti se lie trovano sparsi ne' loro sr ritti a provare la sfrenatezza delle don- ne sul pnnto d"!;!! oinaiucnti accouciature e belletti. Tuni. I. a6 202 Rosa tiitti puo aversi la serie continuata per cinque seco- li alnieno con docunienti ceitissimi, che questo mor- bo mai non cesso nelle clonne; che crebbe anzi col peg- giorar dalle cose e de' tempi; e che seguendolo per tutti i tempi della barbaric, la cosmetica antica ver- rebbe a riunire i suoi fasti con quella de' tempi nostri. 59. Si poteva dir molto meglio^ che de' secoli ne scorrerem forse dodici, e meglio ancora che potrem- mo scorrere forse tutti i secoli dell' istoria, non tro- vando che sfrenatezze fra le nazioni barbare e coke in questo genere di lubricita femminile. 60. Abbiam parlato del porporisso e de' colori preziosi, come porta va il nostro primo proponimento. Le ricerche che si sono fatte sopra essi sarebbero sta- te forse curiose, ma inutili^ se non avessero un rap- porto immediato colle arti e cogli usi a'quali I'indu- stria li ha destinati. Questo riflesso ci ha naturalmente condotti a qualche ricerca sulle origini della pitturaj e le rileviam con piacere non come nuove, ma come poco curate finora, se i solidi fondamenti su cui si ap- poggiano varranno a stabilir la certezza che la pittu- Ica mihi videntur focminac , quae auruni gestant, et in crispandis crlnibus cxercentur ,-cr. in genis ungendis , oculisque pingendis , et pilis tingendis versantur , etc. Clem. Alex. Paedag. L. 3. c. 2. ^ ....Si vittam , vestem , aurum , fucum , tincturam , et quae eis in- trita et incrustata sunt, hoc est vclamentum , quod ex eis contextum est incnistata .... Vera esse bestia convincetur , fuco scilicet intrita simia» Id. iljid. Quis non disciplinam matris agnoiit , cum in pudla vidcret imme- dicatum os et purpurissatas genas et illices oculos .'' Aj>ul. Apolog. L. 2. Quae cutem mcdicaminibus urgent, genas ruborc maculant , oculos fuUgine porrigunt Vidcbo an cum cerussa , purpurisso, et crocv et in illo ambitu capitis rcsurgatis. TertuU. De cult, foeiuin. DEL PORPORISSO CC. 203 ra e molte artl siano piu antiche in Italia che in Gre- cia . Dobbiamo a questa ricerca il richiamo di molte altre verita interessanti. i. Che la pittura sia stata pre- ceduta in Grecia dalla scultura e dalla incisione; se pure c credibile. 2. Che la pittura piu presto delle altre arti sia pervenuta alia sua perfezione; il che non e inutile per 1' incoraggimento dell' arte presso noi. 3. Che la pittura venuta in Grecia al piu alto grado di perfezione e di gloria non si era servita ancora in tante sue opere maravigliose, che di soli quattro co- lori. 4. Che fiiiahnente quando la pittura nacque e co- mincio a crescere in Grecia, ella era gia adulta o qua- si vecchia in Italia. 61. Noi abbiamo riconosciuti e descritti i quattro generi di colori della vecchia pittura greca; ed e per la soninia singolarita della cosa che abbiamo credu- to dovere di giustificar Plinio con una nota particola- re sopra la sua positiva asserzione, che Apelle, il pit- tor sommo, fosse nel numero di quelli che dipiasero a soli quattro colori . ( Nota A ) 62. Abbiamo egualmente annoverate e descritte le sei specie de' colori preziosl^ o floridl rendendo ra- gione con una nota (B) di codesta loro preziosita. Que- sti formavauo la ricchezza della pittura quando fu u- scita dalle angustie di quella prima epoca, che fu quel- la delle sue glorie . Ma non fu colpa gia de' colori se la pittura si degrado, e se lo splendor delle tinte non pote sostenere 1' antica faina e celebrita de' pennelli. Vero e d' altra parte che di queste sei specie noi non ne abbiam forse piu che una sola. L'armenioci mau- ca forse del tutto, la crisocolla poco si adopera; per 204 Rosa. 1' iiulico abhiamo degli azzurri, ma non sappiam die sian r iiulico; il porporisso sta fra le cose desiderate; minio e cinabro non sou che una cosa, ed e la sola che ci rimane. Ma il colto alunno della colta pittura non dev'egli saper la storia e conoscere i comodi e le dillicolta e il materiale apparato dell' arte a cui s'in- cammina? Sappia egli con (jiial niisera siippcUettile sep- pe il pennello elevarsi ne' primi sforzi alia sublimita della p;loria; clie T arte a'di nostri non e si povera di snppellettili; die Tistoria naturale e la chimica trava- gliano ad arricchirla: abbiaino in sussidio la coccini- glia; clii sa che la fort una de' Lenipi non voglia ren- derci il porporisso? 63. Quel die abbitim detto della cosmetica pare- va inseparabile dall' argomento, que' sei colori eiitra- vano pero molto nel suo corredo; non ne abbiam da- ti che leggerissimi cenni; ci siani ristretti fino nel nu- m niero delle citazioni, che sarebber di un numero sen- ■ za numero; tanta n' c la dovizia presso gli autori non " comprendendo che i classici. 64. Non abbiam nemmen nominate le schiere del- le fanciulle (a) e de' servi che ripartivano i penosi iitlicii della cosmetica per la sola faccia e pel capo; ne il grande apparato della toletta e de' bagni , sca- lole, pissidi, vascllami, per unguenti, belletti, polveri, pigmenti, odori, prolumi, e pettini especchi, aghi cri- nali e gemmati, ec. restriugendoci al solo novero de'co- lori pill noti che servivano alia pittura e ai belletti. 65. La cerussa che entro tardi nella pittura, lo (a) Acconciatii(.i, cosmete, omauici, ec. DEL POKPORISSO CC. 2o5 stibio clie quasi noii le appartenne, fiirono clue colori preziosi per la cosmetica. La sandaraca, il sirico, I'us- ta, per la natura non nieno clie pel colore, hanno gran- de attineiiza col nostro minio di pioinbo; ma non 30- no di grand' uso nella pittnra. La sandaraca si distin- gue dagli altri pel sno colore, di cui e tipo naturale il color del becco del merlo. 66. Cosi ab])iam reso conto de'qiiattro generi pri- niitivi de'(jiiali si colori la prima pittnra antichissima; de' sei colori Jloridi e preziosi de' qiiali si arricchi la pittnra nelle eta posteriori; della crisocolla, del verde ajij)iano, e de' pochi altri verdi dell' arte presso gli an- ticlii: dello sti])io e della cernssa due principali istrii- menti della cosmetica; in fine di alcuni colori di mi- nor uso; che servono tuttavia a dar compita la sto- ria del porporisso, e di tntto quasi I'apparuto croma- tico dcgli antichi per la pittnra, per la cosmetica; qua- le era stato il nostro proponimcnto. 67. Ci accuseranno di avere troppo citato, trop- pe autorita, troppi passi per piccole cose. II grande e il piccolo delle cose ne'libri e sempre relativo a chi legge. Quelli clie leggono per perder tempo, non ban- no bisogno di citazioni e di note; pero possono tra- lasciarle, e il libro per essi diverra tanto piii breve. Qiiei poclii clie leggono per istruirsi saranno ben con- solaii di trovare riunite in pocbe pagine le autorita de' principali scrittori, che in cose loniane e anche dubbie, confermano le asserzioni deH'autore: il qiial d' altronde non si arroQ;a il diritto di essere crednto in tal genere sulla parola. 60. Abbiamo seguito it^queste ricerche gli auto- 2o6 Rosa. ri piu accreditati, Teofrasto, Dioscoricle, Galeno, Ori- basio, Vitruvio, Strabone, Isidoro, Falloppio, e alcii- ni altri de' posteriori ; ma abbiamo citato piu spesso, e quasi per regola Pliuio, come il piu esatto, il piii copioso, conseguente, e preciso di quauti abbiano trat- tate queste materie: autorizzati in cio da lunga espe- rienza e confronti, e dal senso uniforme di tutti quel- li che r banno letto con diligenza. § IV. J] ParergoPrimo Sopra i Colori. 69. Soleano i pittori antichi a compimento od or- nato de'loro gran quadri agginngervi in piccoU com- partimenti all'intorno piccole istorie, invenzioni, o ca- price!, allusivi piu o meno al soggetto della pittura. Le cbiamavano Parerga come appendici o adjezioni- Protogene ne die V esempio nel Propileo del tempio di Minerva in Atene: noi ne abbiamo le imitazioni anche fra i nostri grandi pittori. 70. II parergo ha fra gU altri vantaggi ancbe que- sto di divagar per molti argomenti senza offesa del principale: e se un parergo potesse riescire a qual- che utilita abneno agU abinni della pittura, parrebbe cosa ben augurata, a compensar, se non altro, i di- fetti deir opera principale. . 71. Questo parergo sara composto di molti uniti o slegati second© ie circt)stanze che gli banno eccita- DEL P0RP0RI3S0 CC. 207 ti; ma tutti intesi pero all'unico oggetto dl richiamar se e possibile nella coiidizione de' tempi, la gioventii a queirultezza di sendmento, senza cui non fu mai, e noil puo essere nelle aiti, e nelle scienze uii fon- dato e durevole risalimento. 7a. £ prima mente speriamo che nessuno ci vor- ra cliiedere perche nel trattar de'colori, e talor an- che delle loro preparazioni, non abbiamo stese le in- dagiai fine ai secreti della chimica antica per trar- ne i giusti confronti colla moderna. Le ragioiii ci sem- brano evidenti e invincibili; tale argomento tiascende- va il tempo i confini le misure e V oggetto del nostro assunto. JNon era di un fatto solo die si dovesse cer- car ragioiie agli antichi. Dei grandi e certissimi ri- sultati che ci rimangono, i processi ci sono talvolta appena indicati, le teorie ci sono ignote del tutto. Noi non manchiamo di teorie, e la ricerca e il con- fronto di qnesta disparita sara I'opra grande e degnis- sima de' nostri chimici dotti. 73. Sarebbe alquanto al di sotto di noi e della cosa il ricercar sottilmente qualmente i nomi siano provenuti alle cose, e specialmente ai minerali e al- le terre della pittura, di che gh esempii sono infi- niti. La sinopide, il paretonio, il sirico, la selinuzia, la samia, 1' eretria, la chia, la lemnia, V indico, I'ar- menio, i quali e evidente che non d'altronde che dal paese nativo portarono ai lontani coi loro commercii la denominazion del paese che li mandava: appunto come dei tanti salmni antichi di Taranto, il tarantel- lo ci si conserva forse tal quale; e de' salsamenti o farc'unend moderni, i piu saporosi fra noi prendono 2o8 Rosa tuttora il nome da Ferrara, da Parma, da Bologna, e da Modeua. ]Ne e altrimenti denoniinata a' di iio- stri la terra rossa di Spagiia, Ja verde di Verona, il negro di Roma, la fuUonica di Vicenza, e presso Ri- mini una terra o arena die imita quella di Tripoli. La fnllonica e I'argentaria hanno i loro nomi dall'uso; Bia la scienza noii e ancor ginnta colle forzate nomen- clature ad esprimcre la naturale attrlbuzion delle cose. 74. La lingua greca che possedeva per eminenza la facolta delle giuste e appropriate nomenclature, non ne t'ece grand' uso nel genere de'minerali, o fu in cio prevenuta dai comodi del commercio , die rese pin facile agli stranieri la denominazione delle specie dal- le piazze che le fornivano, anzi che dalle intrinseche proprieta: I'eretria, la leucomarga, la glissomarga so- no fra le poche eccezioni di questa regola. E sopra questo genere di provenienze e di origini non sembra che le riccrche possano portarsi piii lungi senza ca- der nella taccia di una oziosita manifesta. 75. Deir argentaria e della fnllonica, basrera ag- giungere solamente, che costituiscono due generi fra le Crete o marghe da noi dette marne^ e tengoti luo- go nella classe delle pingui; e percio godono quella faustissima proprieta d'impinguare i terreni per la cul- tura, provata prima dai greci, poi usata dai britanni e dai galli con infmita prosperita, fino dai tempi gre- ci e romani; benche T Italia n'abbia finora approfit- tato assai poco. La creta e le marne si ricercavano in Grecia e in Britannia a cento pie sotto terra , con pozzi stretti alia bocca , e diramati con ampie vcne air interno. Ne durava la fecondita nelle terre per DEL rORPORISSO CC. 209 ottanta anni; del glissomarga o terra fiillonica mista con terra grassa, alnieno per anni trenta. Noi non sappiamo qnai tentativi si siano pratica- ti in Italia per ricercare questo soccorso della natu- ra , la qual vediamo die con mano benigna ha diftu- si i suoi doni per tiitt' i clinii . 76. Grave ricerca sommamente implicata e diffi- cile, se non forse anclie pericolosa sarebbe quella deirindaco, deU'oltremare, dell'armenio, del lapis lazu- li. Vocaboli celebri risplendenti famigerati, che aspet- tano tuttavia dalla scienza un concetto fisso ed un sen- se deterniinato. Di questi generi considerati come colo- rij cioe come istramenti della plttura, potevam crede- re di averne detto abbastanza per quanto esigeva il no- stro soggetto: tuttavia pcrche molti scrnpoli possono cadere suUa materia, soggiungerem qualche cosa per mostrar se non altro la diligenza, e 1' intenzion per- manente di soddisfare al debito assunto. 77. L'armenio e una pietra farmenium o lapis ar- meniiisj , ci dice Plinio, tinta ancor essa come la cri- socoUa: I'ottimo e quelle che le si accosta; egli e un verde che partecipa un po' del ceruleo, e v'c un' are- na in Ispagna che si riduce a quest' uso. Egh e dun- que secondo Plinio un sasso, e lui' arena; e tinto co- me la crisocoUa, e partecipa del ceruleo; anzi puo dirsi che si confonde con esso. L' azzurro infarti o il cernleo c un' arena, e ve n' ha di piii sorte, l' egizio, che e Tottimo, lo sirico, che triturato si divide in quattro degraclazioni , il ciprio che gode ancora sopra gli ahri la prefcrenza. V e inoltre il pozzolano, e lo spagnuolo, e vi si aggiunse da poco la il vestoriauo Tom. I. 27 210 Rosa. detto cosi dal suo antore (a). E' chiaro che ruiio e Taltro di qiiesti gcneri, come materia e fossile o ininerale perche Pliii. asseiisce tro- varsi nelle miniere d' argeiito d' oro e di rame; il che vale per il ceruleo; come colore e artefatto ed appartie- ne ai verdi cerulei e ai veri cerulei, perche tingitur aii- tem onme, et in sua coquitur heiha, bibiuj- succiun (b). 78. Ma qui na^ce gran hriga fra gli scrittori per- che dopo Teofrasto e Dioscoride che annenioii aveano M chiamato V armenio; come Gal. \ aveva detto armenia- 1 CO, i greci segiienti attaccandosi al cyaneo, i latiiii stan- « do fermi al ceruleo, gli arabi soli per certe derivazio- ni greco-arabesche intese solo dal Salmasio, introdiis- sero il lapis lazuli; \ posteriori nostri scrittori ne ca- varono I'azzurro e Toltremare, e confondendosi scam- bievolmente gli attrilniti i nomi e le cose, il Fallop- pio, r Agricola, il Mattioli, il Brasavola e tutti i se- guenti fuio ai .nostri vocabohsti, ci hanno indotti nel forte dubbio se I'oltremare che ora conosciamo, abbia cosa comune col lapis lazuli verde o stellato, che e di probabile il vero armenio noto agli antichi. 79. E cio sia detto ad esempio anche dei dotti, che noa dovrebbero permettere e molto meno incita- re perche sopra tali ricerche che mancano di sogget- to o di idonee testimonianze, si tribolasse soverchia- mente la pazienza degli scrittori. I cerulei mineral! che si trovano a' tempi moderni nelle cave della Mi- snia della Turingia e in altri luoghi della Sassonia e (a) Plin. lib. 33. Sy. (b) Id ibid. DEL rORPORlSSO CC 211 della Cermania, ci danno una prova die i beneficii del- la natiira non sono per lo piii aifissi ad un luogo o ad un clinia particolare. 80. L' indaco o I'indico e il primo de'quattro no- mi enunciati qui sopra, e merita forse di avere la pri- ma considerazione sopra tutti. Egli c rindico vero dell'India; la sua anticliita im- memorabile presso gl' indiani ci garantisce la sua pre- ziosira e somma bellezza; oltre die Ctesia ne' suoi ri- masiigli e il periplo deU'Eritreo ci attestano di que- sto e di altri preziosi colori. Egli era gia raro ai tem- pi di Pliiiio;^noi possiamo contarlo come perduto, ma non potremo dimenticarci le sue preziosissime quali- ta (a). Dopo la porpora e il porporisso egli era il pri- mo splendor dei colori. Nelle sue glebe era scuro, d'nn bruno cupo e profondo, lo diceano atramento per soiniglianza, non gia che fosse T incliiostro atramen- to; ncl pestarlo s' illuminava, e dava im misto mira- bile di ceruleo, e di porpora. D' un altra specie era quello die si ricavava dalle cortine nelle porporarie odicine, ed era una spuma vera di porpora. IVIrancan- do a noi le porpore vere quel primo indico iero ter- reblje a noi Uiogo di porporisso. Certo e che gli an- ticbi sopra una mano di sandice, die possiamo consi- derar come rubia, col bianco d' novo tirandovi il por- porisso, facevano lo splendor del cinabro: e \olendo formar la porpora mettean di sotto il ceruleo, e il porporisso di sopra col bianco d' uovo (b) . (a) Sopra qiiesta iiiateiia si piiiN lojiaore per maggior qniete d' anituo anclic la f|iiinca dissciiazione del Caiicpario. De atraiu. ec. pag. 259. (b) L. 35. S. 27. 213 11 O S A erche il trattegi>;iare e dipingere i corpi „ e cosa dilficile, ma piu* niolti vi riuscirono. Ma il „ toccar giusto i conlini del corpo e fissare il momen- „ to in cui finisce il dipinto, ella e cosa di un succes- ,. so raro nell'arte . Perche 1' estremita dee come 1am- „ birsi in se stessa, e non parer di fin ire, e promet- „ tere ancora piu in la, e mostrare eziandio quel die „ asconde (a). Tal gloria gli accordarono Antigono e Xenocrate (a) Jlitcc est in pictura siimma sttblimicas . Corpora cnim pingere er media rcriim , est tjuidcm magni opcris: scil in quo iniilti gforiam ru- Icnnt. Extrcma corporuin facere, et dcsinentis picturae modum include- re , varum in succcssu artit imcnititr . Jnihirc cnim ilc'tet se cxtreniitas ipsa J ct sic dcsincrc , ut promiUat alia post se. Piiii. Lib. 35. S. 36. a- S. 220 Rosa clie scrissero clelhi pittara, non solo confcssandola, ma cck'hramlola con alte lodi. M-i del suo valor nel disogiio sono altri argonienti piu cerii nelle sue tavo- le e carte, die dlremino suoi schizzi o stiidii, de' qua- il per lungo tempo aj)pronttarono gli studiosi faj. 96. £d ecco la pittura per opera di Parrasio di- venuta un'arte scientifua, perch' egli aggiunse ai pre- cetti aurhe gli esenipi e inodelli, specialmeute per la parte dillicilissima dei contorui. Noi uon tcssiamo Ti- storia dclla pittura, ne de' pittori cccellenti, ne mol- to meno delle loro opere iiimimerahili die riempiro- no il mondo di maraviglia, die staiicarono le penue de' piu alti scrittori, die resero Roma per molti seco- li il teatro ammirabile deiruniverso, die sopravvissero nella mcmoria dea;li uomiui aoili sforzi riuniti deiriano- ranza e ddla piu stupida e piii feroce barbarita. Ma intendiamo di rilevare dall' istoria i fatti piu illustri i mouumenti pii^i riinarcabili pei quali la pittura sail ai gradi piu alti di dignita nella pubblica estimazione. 97. Emulo e vincitor di Parrasio surse Timante, il cui graude ingeguo dopo il quadro d' Ifigenia si so- steune in tutti gl'incontri, perche nei suoi quadri s'in- teude sempre piu di quel die e dipinto, ed essendo- vi I'arte grandissima, 1' iugegno vi si mostra sempre maggiore. Tuxenida in questa eta ammaestro xA.ristide pittor fiimoso, e Eupompo Pamfilo , die fu maestro d'Apelle. L' autorita di Eupompo fu tanta die di vi- se in tre generi la pittura, cli'era di due; perche es- sendo egli di Sicione V Elladico si divise, e furono stabiliti 1' Jonico, 1' Attico, il Sicionio. (n) Id. ibid! "~" ~~~ — — — DEL P0RP0RI5S0 CC 221 98. Non e detto clii fosse il primo, ma giii s'in- tenJe die i pitiori a quest' epoca avevano intesa di limi>a mano la teoria del liiniG e deiromljia, e vi as;- giuiisero poi lo splendore il quale e diverso dal luine, e sta di mezzo Ira 1' ouibra e il I tune ^ e ]ier #juesta raaioue lo cliiamarono to/ioii; noi coirautorita di dot- ti pittori lo tliremo viczza tinta: siccome la cominis'- sura o il passaggio da uno ad akro colore da' greci i'u detto /uirnwge, la quale da Pliuio stesso era stata cliiamata poc' auzi iiicisiira; asserendo che il uuovo iudico che poco fa si portava dall' India, valeva allora iu pittura ad incisuras, per l6 incisure cioc per divi- dere le ombre dal lume (aj. 99. Era Pamfilo (il maestro di Apelle) di Mace- donia , entro nell' arte gia istrutto della geometria , e (a) Kci lavori trojipo ailVettati non c ([nasi possibile di rollotar tiit- ro a siio liiogo: e tuttavia vi son dclle cose cl>e a qualunqiie costo vogUo- uo un hios;o . II Torio e V Ilannogc assio- ni e gli aHttti, cbe non ban rorpo, e i tnoni e le fol- gori d)e non s'imitano; e nelTideutica imitazione del- la iiatina a quella somma sublimita per cui le uve di Zeusi iugannaroiio gli uccclli,e il dipinto destrier d'A- Toni. I. 29 226 Rosa ' pelle clilamo i vivi cavalli a nitrire, e la tela di Par- rasio iiiganno 1' istesso vVpelle sommo pittore. io5. Le quali cose diriftameiite considerate risve- gliauo un dubbio seiisodi avvilimento o di stupida am- mirazione, qualinente o le arti abbiano cerii periodi strettamcnte Icgati al giro appareiitemeiite uiiiforine clella natura; o le nazioiii ed i cliini abbiano per cau- se occulte deir efficaci inOuenze suUe attivita degVin- gegni, e snllo sviluppo delle facolta intellettiiali o for- se anclie fisiche die loro competono. £ certo le cau- se fisicbe morali e politiche devono avere una forte preponderanza come sulla fisica costituzione, cosi sulla sorte, e snl ben essere delV uomo, perclie in un cli- ma gia temperato e addolcito dalla coltura, T anima colta in un corpo proporzionato, e allattata ai consi- gli della ragione, d' altronde libera di se stessa, sen- za anj2;osce, senza terrori, possa divagare, e spaziar- si nello spettacolo degli oggptti intellettuali e sensibili che la circondano; per mnover quindi second© le af- .finita de'consensi le sue facolta coinbinate a conten- dere coir arte per pareggiare, se non puo dirsi a su- perar la natura. 1 06. £d io dico promiscuamente delle scienze e delle arti, sendo regola nella storia che ingegni straor- dinarii siano gennogliati talora a tempi varii ed in- certi eziandio nei terreni piu sterili della barbaric. Ma egli e umiliante e mirabile che queste generali insurrezioni deH'umana vivacita, che prodnssero a un tempo solo quella folia d'uomini insigni in ogni ge- nere di virtu e di sapere, siano state si rare, e spar- se si largamente, che tre al piii se ne contino nel gi- DEL PORPORISSO CC. • 227 ro di venti e piu secoli, qiiantl cioe ne trascorsero dal M. Aless. a Leone, o da Aristot. al Verulainio. 107. Seinbra in vero die la natura sempre coe- rente a se stessa ci soniininistri altre prove di questo sue magistero. II vecchio Plinio sempre fecondo sem- pre istruttivo cercava aiich' egli qual fosse la causa vera delT uberta della terra ne'suoi secoli precedenti; e lie addiisse una causa semplice, ma forse pieiia del piu profondo signidcato. 108. Qual 111 diinque la causa, si dimanda egli, di cosi strana fVcondita della terra, che facea scen- dere i prezzi delle derrate fino agli ultimi avvilimen- ti? I cainpi allora si lavoravano dalle mani niedesi- me de'granJi uomini dello stato. Non forse che la ter- ra godesse di essere coltivata da un vomere laureato, o da un arator trionfale; ma certo che uomini tali con cgual cnra trattavano le seminagioni, e la guerra, e con egnal dihgenza disponevano un campo a coltura , che un'arm:ita in battaglia. Ma e forse la ragion ve- ra perche da mani pure e onorate tutte cose proven- gono felicemente, perche vi s' impiega alio scrupolo la diligenza (a). 109. Si veramente la diligenza e 1' ostinata con- tenzion dello spirito nelle arti, e in ogni genere di studii conduce V nomo ella sola alia sublimita della gloria: la qual diligenza essendo il frutto o 1' effetto (a) Qiitienam ergo tantoe uhcrtacis causa erat !' Tpsorum rune ma- nibiu linpcnitorum colrbantur agri : ttc fas est credere , gaudentc terra vomere luurcnto , et Criumphali aratore , sive illi cadein aura semina tra- ctabant , qua bella , eudenique diligenlia arva disponebant , qua castra : sive lionestu manihus omnia lactius provetiiunt , quoniain ec curiosius fcuat. Fiut. Lib. i8. S. 4. 228 ' Rosa di nn animo oontemperato e tranqnlllo, intento solo nella contomplazion del sno oggetto per attiiigerne in qtialiinqne genere la perfezione, noii puo cadere in quelle aninie containiiiate e sconvolte dalle passioni, die non possono fissar Tartenzione, non clie raccoglie- re il sentiinento nelT Oi^tiiiata contemjilazion del sog- grtto die si propone: siinili alT iiifermo, die occupa- to della sua fehbre, e dellambascia die lo torrnenta, non puo ascoltare i consigli della ragione die gV iin- pongono la tolleranza. Spesso siido e intirizzi, e si ri- biitto dai piaceri quel pertiiiace die voile assegnir r itlea diiara del siio conretto, e porto uii volto lan- guid© e scolorito dai patimeiiti alle palme della Vic- toria. no. Noi non crediamo die pin esistano di quei maestri, condotti a larglii stipendii die nelle scuole della pittnra dinientidii del disegno, non presentano agli studenri altro pascolo die il inuto spettacolo del- le carte efllgiate, degli esemplari e modelli qualun- que die ne corredano le pareti. Pnr tr >ppo pero se ne son visti alcuni die ai giovinctti alVatto inesperti presentano di prinio abbordo u;i originale o disegno per trarne copia, o andie un lema da sviliippare, ed ordiiiare a capriccio; i quali certamente nou sanno, o s' infingono di non sapere che Peccellenza della li- neare e della pittorica .rappresentazione delle cose, ol- tre r invenzione, e la retta di^sposizione, die chia- mano composizione, sta nel disegno, come la virtii niassima del dise^.io sva nel contorno: e die il colo- t: ' rito, parte grata e integrale, bendie soavissinia della pittura diveuta vaiia ed inutile seuza la perfezione del DEL PORPORISSO ec. 129 dispgno, che e egualniente Tanima delV espressione; la qiial reiule V opora maravigliosamente vaga e com- pita ipiaiulo Apelle, noi lo direni tVancamente, quan- clo llalaele o Correggio ne' nostri tempi vi sappia ag- giuiigere la veimsta, clie dopo il disegiio e il capo d'o- pera della pittuia. III. j\Ja clie iin maestro dl piira ambizione e pre- tesa; che giovani illetterati, iiicoki, stupidameiite ar- roganri, mitriti iiel vizio, pasciiui d'ozio, di temeri- ta, d'ignoranza, senza frciio morale, senza senso di discipliiia e di studio, senza disegno, riescano nelle opere del pennello, e iin assiirdo. L'anima svaporata e sconvolta dalle passioni, il corpo infralito nelle li- bidiiii, con mano laiiffiiida sonnaccliiosa, e mal ferma non vihrera sulle tele i tratti rapidi die accendon I'i- ra di Acliille, o il torvo ciglio di Giove, die collo sguardo aticriisce, e scuote i cardini deiruuiverso. 23o Rosa T A V O L A de' colori dell' antica pittura. Colon della pittura antica iV°. 4- Mel 1 no Bianco Sile attico - - Ocra Ciallo Sinopide pontica Rosso Atramento Nero Colori Jloridi detti preziosl N". 6. Mlnlo Rosso Armenio - - Verde ceruleo Cluabro Rosso Chrysocolla Ferdegiallo Indico - - Ceruleo Porporisso Porpora Colori naturali o nativi iV°. 6. Sinopide Ruhrica Paretonio ]Melino Eretria Orpimento Colori artijiciali o artefatti N". 8. La Ruggine o Verderame DEL roRPORisso ec. 23 1 L' Ocra La Ceru3sa o Blacca L'Usta, o Cerussa bruciata rossa La Sanclaiaca color di fianinia^ becco dl mcrlo. Lib. 35. S. 22. n. 5. La Sandyce Sandraca e Rubrlca bruciata fanno la San dice. Plin. 35. S. 23. II Syrico Syrico di Sinopide e Sandice. Plin. 35. S. 2/f.. L' Atraineiito L. 35. S. 25. Colorl die nan si dipingono sul fresco ; ma servono alle cere puniclie ed all'encausto su^C inconac/u secchi iV". J'. Porporisso Lidico Ceruleo M ell no Orpimento A[>iaiio Cerussa Colorl cerulel e azzurrl. Ceruleo minerale o fossile Egizio Scitico Ciprio Pozziiolano Spagunolo VesLoriauo 2^2 R <) S A Iii(liano--5/ prova col fuoco; ii legirn'mo da una fnni" nut perfi^rta di porpora, e col junio I' odor del mare Indico d' India vegetomiiierale Porporario - - Aninuile. L. 55. S. 27. 5/ aduhrra collo stereo delle colonibcj colla sclinusiaj coW unuluria Cenileo di CipiX) Fossile Fattizlo III nitta questa materia de' colori dove al)biamo citato Pliiiio, deve iiitendersi che sia citato e2:ualinen- te Vitruvio, tralasciando i piu antichi; perche ne par- la colla maggiore intelligenza e chiarezza uel suo li- bro 7 dal capo 7 al fine. Cerul. di Vitruvio Cerulei vegetabili Vitro Isatide Glasto Guado Anil o Nil di Avic. Gal degP indiani moderni Glas o Pastel de' Galli D" Eliotropio o Girasole detto Maurclle - - Tourne- sol en. draoeaux Cernleo di Guatimala del Brasile o di America Cernleo turco o di Smirne fatto di cocciniglia Detto del Brasile, o di Portogallo AtramentL J^^ativo di terra (non si usa) DEL PORPORISSO CC. . 233 t Col fumo Di fuliggine, di resina o di pece Ottimo dalle tede Sciittorlo dalla fuliggine delle fornaci Ottimo dalle fecce bruciate del vino gener. Soiniglia all' Indico. Vitruv. Trygino, o fatto dalle vinacce. Di Polignoto e Micone Elefantino di Apelle, cioe di avorio bruciato Indico di ignota natura Del fior nero delle caldaje bollenti Del carbon pesto delle tede Ogni atramento si fa al sole II Librario o Scrittorio colla gomma II Sutorio o Tintorio col glutine . - - Plin. Vitruv. Dioscor. Aezio. Orlbasio . Nocu genrrale de' colon metallicl e minerall. Mininm, Arinenius, Cinnabari, Sanguis Draconis , Chrysocolla, Indicum, Purpurissum , Purpura, Sino- pis, Rubrica, Paretonium, Melinum, Eretria, Auripi- gmentum, Arsenicum, Sandaraca, Sandix, Vernix, Sil, Coeruleum, Lapis Lazulus, Cyaneum, Azurruni, Ul- tramoiitanum , Vestorianum, Putcolanum, Stybium , sive Antimonium, Ocbra, Cerussa, Syricum, Atra- mentum, Calcanthum, V'itriolum, Apianum, Anulare, Mysi, Chalcitis, Psoricum, Melanteria, Theodo»ios, Aerugo, Ostrum, etc. Cues, de Miner. Lib. 2. C. /f. Sect. /. p- j88. Tom. I. 3o 334 Rosa. NOTE. 90PRA APELLE (A) L' Archil no a quel luogo ^i Plinio del pittO' li che usarono i soli qiianro col on (Lib. 35. Sect. .52), senza aga tcncbunt Anlentesque oculos sujfccri sanguine et igni, Sibild lambcbant Unguis vibnintibus ora. In qnesti versi clii non iscorge Tintenzion de'l poeta espressa e scolpita per tratti si giusti e vivi e preci- si, che a voler dnbiiarne convcrrebbe supporre clie per un incontro in tutto fortuito ei si fosse abbattu- to a descriver gli oggetti cpiali V abile dipintore vo- lendone proporzionar le apparenze alle diverse distan- ze, gli trasporterebbe su la tela! Contento di aver ad- ditato in Virgilio un pregio, cui, per quanto parmi, ei non divide con veruno, lascio gli ahri toccbi mae- stri che concorrono a dare al quadro 1' ultimo fini- mento: come V incontro delle s nel fit sonitus spii- mnnte sulo, visibilrnente diretto a fame sentire il sno- no delle onde agitate e spumose; come I' immagine rinchiusa nella frase illl agmine certo , in cui coUa massima evidenza si scorge lo scopo della spedizione; come la scelta del termine dilfuginius unico ad espri- mere la fnga non solo ma lo sbandamento prodotto dal terror snbito, die niettendo le ale ai piedi di tutti gli costrinse a fnggire chi qua chi la. Ma passando oltre, quasi oserei dire che Virgi- lio rimaiisi unico tuttavia , ne non ha avuto ne mae- stri ne imitatori nell' ardito tentativo suggeritogli sen- za dubbio dal sentimento delle proprie forze, in quel- le voglio dire per cui egli qualche fiata accoppia in- sieme i tratti proprii di oggetti diversi e con tal ar- Tom. I. 32 aSo A R A L D I te gVincorpora e fonde gli uni entro gli akri che of- fre air anirno percosso e tratto fuori di se un' imma- gine, di cui pena a distinguere se rappresenti a ca- gion d' esempio ua iiomo o un monte; un uomo o un fiume. Tale a parer niio e la descrizione del mon- te Atlante cinctum assidue cui nubibus atris Piniferimi caput et vento pulsatur et imhre; Nix humeros infusa tegit; tum Jlumina mento Praecipicant senis , et glacie riget horrida harha(a). Tale si e pur quella che nello scudo di Enea com- pie divinamente il quadro della battaglia azziaca, nel fondo del quale ei colloca „ Contra autem magno moerentem corpore Nilum (a) Non raetto fra griraitatori i copisti; meno poi qnelli clie a non parer tali aggiiingono e guastano: al qual riniprovero si espone visibilmen- to Silio Itallco la dove descrive anch' egli con tratti promiscui all' uomo e al monte TAtlante, e annuiizia la voglia di misurarsi con Virgilio im- par congressus Achilli. Per altro a restringere, riguardo almeno agli imi- tator!, Taffermazione sovercliio estesa sfiiggitami nel testo , mi obbliga tra gli altri esempii quelio dell' illustre Spolverini, che nella sua eccellente Risreide indirizza alia cognata , credo , i seguenti nobili versi jj vieni qui dove ,, Fra il marmifero Torii e la pescosa ,y Torbole lie degli altri altero monte •">- J, La soggetca Malscsine I' amata ,, Pritnogenita sua Baldo vagheggia 3, Fiso in lei la selvosa antica faccia J, Immohilincntc e le Canute ciglia . ,, Lodevole in questo tratto h la sobrieta per cui I'autore astiensi dal par- ticolareggiare di troppo . A 'Virgilio all' opposto era lecito di far menzio- ne degli omeri , del mento, fin della barb a nella descrizion di un ogget- to di cui puL) concepirsi die ritenga qualche residue delle sembianze deH'an- Ijco astronomo e re trasformato in monte secondo la favola. I d'un ntjovo comento dell'opere 01 Virgil. 25 i Pandcntemque sinus et tola veste vocantcm Coeruleum in premium latebrosatjiie /lamina victos. „ E qui poiche mi sono abbartuto a far meiizione tlel- lo scudo di Enea, chieggo licenza di arresiarmi uii momento sopra uii oggotto fra i tanti da Vulcaiio in csso scolpiti postovi ed espresso da Virgilio col verso J, Eomideoqiie recens horrehat reg/a ciibno ; il qual verso il chiarissimo sig. Heine per non so qua- le fastidiosaggine rigetta come intniso e poco degno di comparire fra gli altri. To mo da questa decisione OSQ appellare al giudizio di quelli che banno diritto di pronunziare sn qiieste materie. Confido ch' essi ravviseranno in questo verso il marchio Virgiliano nella scelta de' termini; nella loro collocazione; nel numero; nell' eleganza; ne' pregi in somma, pe' qua- li, cbi sappia distingnerli , non accade mai di con- fondere gl' inter polati co'versi del Cigno di Mantova. Fra questi pregi con sopportazione del sig. Heine non esito a riporre Topportunita; tale per quanto parmi, che un poeta giudiziosissimo doveva afferrarla. Dopo di aver fatta menzione di Manlio e della rupe tar- peia non poteva non corrergli all'animo 1' abitazione o sia r abituro di Romolo, oggetto della venerazion religiosa de'Romani, che a serbarlo intatto fmo alPul- tima posterita commisero ai Magistrati preposti agli edificii di vegliare alia sua conservazione, e fra le al- tre cure di rinfrescarne a tratto a tratto lo strame che ne copriva T umile tetto. Ma il verso, si dice, sta in aria, ne punto collegasi con quelli che prece- dono o vengon dopo. Anzi tutt' all' opposto si trova 254 A R A L D 1 „ Et cali^amem nigra fonnidiiie luciim; e r altro „ /bant obscuri sola sub noctc per iimbram. Benche io sospetto che qui nascondasi iiiokre un fi- ne piu recondito; vale a dire che Virgllio siasi pure proposto di mostrar la perizia del Fabhro divino, re- candoue iiua specie di saggio col dime che presso il Campidoglio vedevasi pure la casa di Roinolo ispida suir alto di 9traaie che pareva nicsso allora. Ma co- niunque si giudlchi di questa interpretazione, per le cose dette pare che possa senza scnipolo ritenersi neir Eneide il verso, di cui il sig. Heine vorrebbe spogliarla. Del resto a fm di arrestarmi anche un mo- mento su questo scudo maraviglioso, non paruii in tutto ignuda di fondainento la congettura da me av- venturata sail' intenzione di Virgilio di onorare I'abi- lita deir artefice. A rafforzarla mi si fa incontro op- portunameate poco dopo un luogo illustre, in cui il poeta non a caso nominando Vulcano, per poco non la trasforma in certezza. Osservisi com' egli, sebbene in un intaglio tutto sia immobile, con pochi tocchi e magistral! dipinga la fuga di Cleopatra. „ illain Fecerat ignipotens undis et japyge ferrl Contra aiitem Niluni „ Le navi sono rivolte verso 1' Egitto, e ben che viag- gino a qiiella volta lo mostrano i flutti tumidi e spu- mosi la dove la prora gli fende, appianati dietro la poppa; e a toglier meglio ogni dubbio servon le ve- le goafie dai venti di Ponente. Tutto cio rinchiude- d'uN NUOVO COMENTO DELL'oPERE DlVlRGIL. 255 si in quel breve tratto; e in esso e forse soltanto lecito di sospettare che il tcrmine fecerat^ del quale sembra clie sia di una tinta un tal poco languida e inferiore al resto, non fosse destinato a rimanervi, ma sibbene per le seconde cure del poeta a ccde- re il posto ad un altro di un color piu vivo e risen- tito . Di questi termini cbi sa dime quanti qua e la ne contenga iin poema, che malgrado le sue sorpren- denti bellezze I'Autore avea condannato alle fjamme! Poicbe infinita cosa sarebbe lo scorrere i luoghi ne' quali Virgilio descrivendo si mostra pittor som- mo, dovrei esser contento di averne additati alcuni non per anche avvertiti, in cui egli affronta dipintu- re ne tentate dianzi, ne dopo almeno con vero suc- cesso imitate. Pur chieggo di arrestarmi anclie alquan- to su questo articolo dell' icastica , dove mi occorre di mostrare la debolezza di alcune accuse date a due nobilissimi passi, I'uno delle Georgiclie, I'altro dell'E- neide ; le quali reputo non che ingiuste ma frivole, comeche partano da uno scrittore quanto niun altro autorevole in fatto di gusto. II Chiarissimo sig. Blair nelle sue applauditlssime lezioni di eloquenza si annunzia offeso del terraine eructans^ di cui per le idee schifose che a parer sue risveglia, gli sembra che imbratti la descrizione, ver- so cui d' altronde non e scarso di lodi , dell' Etna in fiamme, qual leggesi nel 3°. dell' Eneide. Davvero che in questa eccezione egli spinge la dilicatezza all'ec- cesso; e non a torto il nostro defunto CoUega Soa- ve nella traduzione sua dell' Opera citata della vani- tk lo amraonisce di questo scrupolo. In fatti di mol- 256 A R A L D t ti traslati si avvera clie V uso gli ammoUisce al se- gno die nulla quasi non ritengono della primitiva si- gnificazione. E per recarue un eseinpio analogo e i- dentico anzi, chi non sa che anche ntllc scritture no- bili e ammesso il termine vomito in senso traslatol Per pocliissimo esso noii si confonde col proprio nel- la frase vomitar cle/le ingiurie. Presso gli stessi Fran- zesi, modelli, si dice, di eleganza e decenza, parlan- do dclTEtna, del Vesuvio, si usurpa il«de(to certe montag;ne iomit da feu. Sappiate, sig. Blair, direbbe forse Virgilio, die presso uoi latini costumavasi di chianiar voniitorii le gran porte per cui usciva la fol- ia dai teatri; che io alludendo a quesf uso non ebhi diflicolta niuna di scrivere nel 2". delle mie Georgiche jj Si non ingentem foribus domns aim siiperbis Mane salutantuni totis vomit aedibus undani. „ Pill: sappiate ch' io di pochi lavoriclel mio pennello tanto mi compiaccio quanto di c|uello in cui nella battaglia azziaca rappresento Augusto. i, Srans celsa in puppi, geminns cui tempora Jlamntas Lacta vomunt, patriumque aperitur vertice sidus. „ E per vero si nobile a parer mio e I'immagine rin- chiusa in questi due versi, che spero di appormi an- nunziando la persuasione che Virgilio se ne compia- cesse . In essa T ideale e il reale trovansi accoppiati con tal arte die I' immaginazione percossa sbaglia tutto per vero e fa tacer la ragione che vorrebbe di- singannarla. Nel caso nostro di quelle fiamme che prorompono dalle tempia di Augusto non parmi pro- babile che secondo le poco felici interpretazioni di Servio e di Cerda alludano o al fulgor degli occhi. D*UN NUOVO COMENTO DELL OPERE DI VlUOlL, 257 o alia celata di Augusto. Per me non ci veggo miste- ri, e repiito assai piii ragionevole ch'esse uelle inteii- zioiii e ncir accesa iininaginazioii del Poeta non sei- vano die a corteggiar Y astro che gli fiammeggiava sid Venice. Ma tornaiido all' Etna, mi daole che al nostro Collega non meno die a Blair sia sfuggito i- nosservato quel tratto della descrizione virgiliana, che aggingnendole com[)imento e nerfezione meglio di o- gni altro inostra die nel Poeta al caldo della fantasia accoppiasi in ogni incontro la rillessione e il giudizio, Giova qni recarne Y intero passo „ horrificis juxta tonat Aetna minis: 5, /nterdumcjiie atrani prontmpit ad aethera nuheni „ Turbine funianteni piceo et candente favilla^ V Attollitque globos Jlanmiaruni et sidcra lanibit: Jnierdum scojjulos, avulsaque viscera niontis Erigit eructans liqnefactcujue saxa sub auras Cum geinitu glonierat , fiindoque exaestuat imo.„ Potrei osservare che non a caso ma col piu fino ac- corgiraento ripetesi 1' interduni all' oggetto senza fallo di dare alia descrizione, malgrado la pompa de' ter- mini in essa impiegati conformi alia raagnificenza del- lo spettacolo, il carattere qnasi di semplice raggna- glio; ma vogHo piuttosto notare il tocco magistrale per cui le parole fundorjue exaestuat iino trasportano di slancio 1' attenzione dall' alto e dalla bocca della montagna alle sue parti jnfime, e tutta ce la presen- tano nel suo interno accesa e bollente dal sommo air imo. Ho fatta pnr era mcnzione alia sfuggita della re- plica <\e\Y interduni. Or veggano e decidano i Cono- Toni. I. 33 J} 233 A n A L D I scitori se Tosservazion mia sull' uso e i fiiii di detta replica possa applicarsi a difendere un passo e verso virgiliano, di cui , per tacer di altri, lo stesso chia- rissinio sig. Heine non si mostra soddisfatto, intaiito die sospetta die possa essere interpolato. Osserva e- gli lion essere gran fatto probabile die in mezzo il qnadro terribilissimo della tempesta di mare descrit- ta nel primo dell' Eneide trovisi collocata da Virgilio un' avvertenza die pute di sottilita graramaticale , qual ci la tenie nel verso J, Sdxa vacant J tali mcd'iis qiinc in fluctibus, aras. „ Ke per qut'sto ha egli il coraggio di rigettarlo. Ne lo trattieiie il sospetto die possa essere corso qualche er- rore neirinterpunzione. Cangiandola un fal poco, pno 1 a suo avviso il verso sostenersi. 11 ripiego per altro | gli semhra piuttosto un puntello die un solido appog- gio. Senz' altro una semplice virgola, e meglio anche un punto e virgola, e non gia un vero punto e asso- luto separa il verso citato dalle parole die seguouo „ Dorsum imniane marl sumnio. . . . „ le qnali conseguentemente ad esso collegansi e ne di- pendono. Esse ne fanno vedere quella lunga serie di scogli a fior d' acqna, die per questo motivo presso i nostri avevano ottenuto il nome di are. Or io avver- to die a quelle parole palesemente non manca il co- lor virgiliano; donde e giuoco forza inferirne die a Vir- gilio pure appartenga il verso die le precede. Ritenendo- lo pare die il poeta non potendo alirimenti abbia scelto di nobditarlo coUa singolarita dell' inversione e tra- sposizione de' termini; del quale artificio s' iucontra- no altri esenipii, come forse nel verso d'un nuovo gomento dell'opere di Viugil. 259 „ Singula duui captl circumvectcunur amore ,^. Beiiche, come ho accennato, a direiiderlo vie meglio puo fbrse applicarsi la riflessione poco sopra recata suir iiso della replica ^tW intenhiin nella descrizioiie dcir Etna. Anclie cpii nella pittura della tempesta la vivacita delle immagini, lo splendore della elocuzio- ne conforme alia dignita dell' Epopea non debbe gia imporne al segno clie si dimenticlii die il poeta in- tende di narrare; e puo e debbe anzi frapporre osser- Tazioni clie procaccino fede al racconto. Virgilio ha presente quest' obbligo, a cui raeravigliosamente soddi- sfa. Non sono scogli in genere quelli, a cui rompono alcune navi d'Enea. Sono scogh noti e distinti presso gli Italiani con norae speciale. Chi non vede che que- sta circostanza fissando nell' ampio mare il luogo del- la tempesta aggiugne al quadro una verita e un'evi- denza che senza cio non avrebbe? Tornando al sig. Blair, egualmente poco fondata parmi 1' accusa per lui data a un altro nobilissimo luogo di Virgilio, cui mi rincresce che Soave lasci senza difesa. E pure secondo me non e punto diffi- cile di mostrare il lorto del Cattedratico Scozzese. An- clie qui non sara inutile il recare 1' intero passo qual leggesi nel primo delle Georgiche jj Saepe etiam immensum coelo venit agmen atjuarum, „ Et foedani glomerant teinpestatem inibribus atris J, CoUectae ex alto nubes; rait arduus aether y „ Et pluvia ingenti sata laeta boumque labores „ Diluit; iinplentur fossae, et cava Jlumina crescunt Cum sonitu, fervetque f reels spiraniibus aequor. Ipse Pater 3 media nimborum. in nocte, corusca 33 260 A 11 A L D I „ Fulmina molltur dextra; quo maxima motu „ Terra- rremit: fugcre ferae, cc mortalia corda i, Per i^eities humilis stravit pavor; ill e flagranti J, Aut Atho , ant Rhodopen, aut alia Ceraunia tclo „ Deiicit: ingcminant austri et densissimus imber: „ ISunc nemora ingcnti vcnto , nunc littora plangunt,, Duolsi il sig. Blair die qiiesta sorprcndente pittuia, cui egli conimenda assaissinio, in sviUa fine liingi di crescere illanguidisca piiittosto sensi])ilniente. Secon- do liii airimina2;ine vivissima e sublime di Giove die colla destra rosse2;2;iaiuc scaalia i fulmini e i monti scoscende non doveva tener dietro quella, con cni terniina la desciizione, del vento e de'nuovi rovesci di pioggia. Oh Yoi mi riprendete, direbbe forse il Poe- ta, di cio appunto ch' io mi era principalmente pro- posto. Nella procella improvvisa da me descritta la circostanza priiicipale, su cui sopra le altre mi pre- j me die 1' attenzione si arresti, e il diluvio di pioggia m die inoiida e allaga i campi e i semiiiaii ; e ben que- sta intenzion mia I'annunzia subico Vi/nmeiisum agmea aquarum ; \\ pliwia ingenti; il rait arduits acthe.r. Da simili burrasclie non vanno per solito disgiunti i tuo- ni , i lampi, i fulmini; ne a me non era lecito di ommettere una particolarita si notabile. Pero ne ho faita menzione, idoleggiandola secondo il costume de' i poeti^ e introducendo Giove in mezzo al nenibo. Ma perche un personaggio tale col rivolgere a se 1' atten- zione poteva agevolniente sviarla dair oggetto princi- pale, mi sono creduto in obbligo di richiamarla su questo, aggiungendo su la fine ingeminant austri ef densissimus imber. Eccovi le mie vedute, in faccia del- d'un nuovo comento dell'opeke Df Virgil. 261 le quali conficlo che V acciisa dlleguisi. Piacciavi ol- traccio di osservare che, per quanto mi sono pi 11 d'u- na volta avveduto, egli e quando la pioggia rallen- tasi die i fidrnini voglionsi massiinaineiue temere: nel- le pause che alteinano co' rovesci ne segue piii spes- so lo scoppio; dopo del quale risorge Tiniuriar de'ven- ti turbinosi, e con esso piomba di nuovo piu dirotta la pioggia . Questo feriomeno mi era presente e V ho voluto iuserire nella mia descrizione. Perche voglio ben che sappiate ch' io non lascio mai alia fantasia la briglia sul collo, ne le perinetto di correre alia scapestrata. Pongo il massimo studio onde ai suoi vo- li rimanga associata 1' esattezza di cui sono persuaso che sia indispensabde, chi pur voglia nelle pitture rag- giugnere la somma evidenza. Eccovi il mio segrcto. E qui colgo r opportunita ofl'ertami da questo passo di osservare ch'esso basta e sovrabbonda all'uo- po di fame fede che Virgilio, ove nel descrivere gli venga talento di particolareggiare, sa farlo egregia- niente quanto veruno. Ne per questo non disconven- go gia io che come, per quanto parmi, Tillustre Gra- vina non a torto avverti, egli anzi che arrestarsi nii- nutamente su le circostanze tutte deU'oggetto descrit- to, il piu delle volte non ami di scegliere le piu priu- cipali riunendole e raggruppandole in un quadro, in cui al discapito qualunque, che per avventura ne sof- fra il undo vero, supplisca abboudantemente la no- bilta. Cosi adoperando nel ritcnere le bellezze figlie della Natura , di cui e Omero sovrano ]\Iaestro e Mo- dello, ei riesce ad imitarlo o piuttosto a lottare con jCsso, e a conformarsi congiuntamente al gusto, ai lu- a6a A R A I. D I • mi, al genio, alia coltura del secolo in cui scriveva. la uno scritto die s'iiuitola saggio, mi sono for- se trattenuto piu del dovere sull' articolo dell' Icasti- ca, E non pertanto prima di abbandonailo, giacche in essa e nelle produzioni clie propriajnente le si ri- feriscono non rimansi gia oziosa Timmaglnazioae del Poeta, a cui sola appartiene di linvigorire anche le mere descrizioni, onde gli animi ne sieno profonda- mente commossi, non mi sia disdetto di prender quin- ci motivo d'interporre una digressione, che discorren- do alquanto estesamente su questa facolta creatrice tolga congiuntamente di mezzo alcuni equivoci ne'qua- li puo temersi die inciampino i Critici piu solenni . Essi nelV assegnare ai Poeti i posti di onore, a uq. uopo tale ripongono meritamente il piu acconcio cri- terio nella ricchezza e nel vigore della immaginazio- ne, e nelle prove die dalle Opere loro ne emergono. Appartiene ad essa 1' esistenza di quel mondo incan- tato, in cni abitano i poeti e trasportano altri per un prestigio die deriva principalmente dall'arte con cui sanno essi innestarlo sul mondo reale . AH' illusione r animOj comecche se n' accorga, prestasi con piace- re, giacche ognuno qual piu qual meno e fornito d'im- maginazione, la qual non puo non amare un pasco- lo conforme ai suoi bisogni. E qui si avverta che il mondo reale che debbe servir di base alle finzioni poetiche, onde di queste 1' immaginazione compiac- ciasi e I'animo ceda all'illusione, abbraccia una moltitu- dine senza numero di pregiudizii d'ogni maniera, fra i quali n'lia moltissimi, quali universali, quali nazionali, cui al Poeta e lecito di rispettare^ e puo anzi assumerli d'un nuovo comento dell'opere DI VIKGIL. 263 quando ad ornamento, quando a sostegno del suo edificio. Senza cio in fatti a grande stento potrebbe il Poeta soddisfare all' obbligo, die pur gli corre, d'in- trodurre ne'suoi lavori il nieraviglioso, dandogli all'og- getto di renderlo verisimile e conciliargli fede I'appog- gio di certe opinioni, cui non cerca egli quanto sie- no fondate, bastandogli di trovarle iiivalse fra gli uo- mini e adottate presso la Nazione e nel Paese in cui esso coUoca V azione del suo poema . Giova osservare eziandio che per un fenomeno singolare dello spirito umnno 1' esperienza ne assicura che il meraviglioso poetico, e la commozione piacevole che 1' animo nft riceve, ponno sopravvivere aU'estinzione totale delle opinioni, che presso il Poeta gli servon di appoggio. Benche quest'ultimo fatto indubitato, universale, costante, ne in vita quasi ad entrare nella ricerca non men nobile che malagevole, se sia lecito al presence e fino a qual segno convenga nelle composizioni poe- tiche inipiegare que' tanti H.sseri mitologici, de' qnali anticamente nell' opinion comune concepivasi popola- to per ogni dove V Universo. Non manca chi ne vie- ta assolutamente l' introduzione. Altri ne paila con quakhe esitazione, e senza rigetiarli in tutto si mo- stra disposto a soffiirli piuttosto che ad approvarli. Tutti consentono a condannarne T uso ne' poerni sa- cri; e non oessano di biasimarne Sannazzaro; ne non ha dubbio che il rimprovero non sia fondato; giac- che palesemente gli oggetti reverendi, de'quali si av- volgono i detti Poemi. rifiutano di associarsi alle chi- inere della Trologia de'Pagani. II buon gusto si ri- aente della oflesa del buon sense ; e la sollVono en« 264 A R A L D I traiuhi gravlssima, ove il Poeta si arroglii cli accoz- zare idee fatte per escludersi scamhievolmente. I co- sillatti accozzanienti sono a liil disdetti per iin moti- ve confonne a qiiello , per ciii ogiuiiio condannereb- be il Pittore che in un quadro raf)presentaiue V au- nunzio inedabile fatto alia Vergine sostituisse all'/Vr- cangelo Gabriele JMercurio. E in (juesio luogo poiclie mi e occorso di far di nuovo meiizione de' Pittori raftVontati ai Poeti, cliieg- go di poter valermi di questo confroiito e supporre die que' IMelanconici, i quali vorrebbono sbandeggia- te in tiitto dalla moderna Poesia le ridenti immagini della greca Mitologia rivolgansi ai Pittori, e agli Scid- tori pure , c ammoniscano seriamente entrambi del torto grande di proseguire a rendere frequente ogget- to de' lor lavori le tante Deita pagane, cbe presso gli anticlii riempivano il Mondo a piu migliaja secon- do il computo di Esiodo, et quis fait altei\ che si prese I'inutil briga di annoverarle. II Mondo, direb- bon essij e omai sazio che non si cessi di oftVirgli og- getti, a cui nell' opinion coinune piu non si presta niiuia credenza, ne consegnentemente piu recasi I'in- teresse, donde emerge il piacere. Forse che potreb- l)ero essi aggiugnere gravemente, mettendo anche da parte la Storia antica, gli annali, e i fasti nazionali di ognun de'Popoli della moderna Europa non pre- sentano alle Arti belle Soggetti e avveninienti capaci cli accender gli animi e infiammarli alle azioni gene- rose col tenerne vivi gli esempii nelle tele animate e renderli eterni uel bronzo e nel marmo? Come non SI adontano elle, mentre ponao tener rivolta la loro d'un nuovo comento dell'opere di Virgil. 265 I'ndustria verso uno scopo si nobile, e posseggono ef- ficacia e virtu a scuotere porenteniente gli affetti, cli preferire si spesso il Monclo favoloso al reale, i so- gni e i mentlacii dell' antica Grecia agli argomenti gra- vi e illiistri die loro oO're la Storia? Entri pure lo studio della mitologia nella istruzione giovanile dove e indispensabile alia intelligenza di que' sovraui scrit- tori del Parnaso greco e latino, ne' quali siam d' ac- cordo co' saggi a riporre il Palladio del gusto; ma nel concederlo non crediam gia per questo die le Ar- ti belle debbano riufrescare assiduamente le stesse idee nelle rnenti degli uomiiii, e contribuire a tener- li nel giro angusto degli studj puerili, come se non dovessero essi giugiier mai all' eta adulta;, e non con- venisse die ancb' esse le belle Arti, conformandosi air indole del secolo e ai lumi de' present! uomini ces- sassero di offrir loro un alimento proporzionato soltan- to air infanzia delle Nazioni. Cosi direbbono i melanconici, de' quali sospetto fortemente che le ammonizioni poca o niuna impres- sione farebbero su i coltivatori delle Arti belle. Essi additando i monument! , pe' quali sono in mille incon- tri concorsi ad onorare i proprii tempi col rappresen- tare i fatti e i personaggi illustri della Storia, rifiu- terebbero di cedere il diritto di esercitarsi similmen- te su gli argomenti miiologici; e senza entrare in di- spute, e sorrideiido forse un tal poco risponderebbe- ro che fra le pitture dell' Urbinate a' di nostri come in addietro il Parnaso arresta sopra di se gli sguardi e la meraviglia degli intendenti quanto l' incendio di Borgo; che pregiata al pari di ogni altra sua famosa Tom. J. H 266 A U A L D I opera e 1' Ebe dcir immortale Canova, e che Firen- ze si racconsola della perdita della Venere Medicea, sentendo die inteiide di ristorarnela il Fidia vivente. Ho introdotto gH Artisti, perche ova lor si con- ceda che nialgiado gl' iiicrementi delle vere scienze e i vantati progress! della ragione, e T aumento o- gnor crescente de'lumi giunti omai, per qiianto di- ccsi, a stenebrare ogui classe di persone sepolte dianzi neir igiioranza, ove dico ai Pittori e Scidtori conce- dasi di poter proseguire senza scrupolo a rappresen- tare oggrtti fkvolosi, davvero che mi sernbra un po' strano che si usi ai Poeti la durezza di spogliarli di questo privilegio. Molesto e ingiusto dichiareranno es- si un divieto che toglie alia poesia di poter abbellir- si di una multitu(hiie di vaghissime immagiiii; che re- striiige il campo di quel meraviglioso di cui tanto es- sa compiacesi; che scema di inolto in essa la facolta. di ringiovanire e far sue molte e forse le piii elette bellezze degh onginali greci e latini; che per un dan- no, di cui piu forse d' ogni altra Poesia moderna si risentirebbe quella della nostra nazione, la qual pos- siede una lingua che meglio delle altre ritenendo i trat- ti e i lineamenti delle antiche, la rende 1' erede le- gittima del Parnaso greco e latino, il inentovato di- vieto interprerato a rigore ne priverebbe quasi del vantaggio di nobilitare il linguaggio poetico col tra- sportare in esso e inserire con lieve storciinento una in- fiiiita di termini e modi tinti de' colori mitologici, e grondanti per cosi dire deH'umor d' Ippocrene, o piu veramente di quello che derivato dalla vena di Oinero irriga e innaflia le piii floride regioni delMondo poetico. d'UN NUOTO COMENTO DELl'oPERE DlVlRGIL. 267 Benche'tengo fiducia che i Poeti gla non inten- dano di piegarsi ai decreti tutti di cpiell'orgogliosa Fi- losofia che a questi tempi si arroga di suggettare a certe sue regole le produzioni del gusto. E non e gia cli' essi rifiutino di accostarsi ai filosofi, e sdegnino la scorta di una giusta e solida teoria, di cui per essi il bisogno e tanto maggiore cpianio piu agevolmente ponno gV impeti deU'estro sviargli lungi del retto sen- tiero. Anclie del cavallo pegaseo sanno essi che vuol- si reggerlo colla briglia e col morso. Ma cpiesta loro docilita gia non gli obbliga a cedere ad insinuazioni che per Tuna parte mirano ad impoverirli , mentre per r altra vengono contradettc dall' esperienza e dal fatto. E in realta forsechcj malgrado la totale con- versione delle opinioni, e la niuna credenza presso i moderni alle fuvole gentilesche, i Poeti classici anti- chi non formano senipre la delizia d' ogni persona sensibile e istrutta? Piu; forse che le immagini mito- logiche non s' incontrano impiegate utilmente in al- cuni poemi recenti applauditissimi, die non potreb- bero rimanerne privi senza grave discapito? Quanto non e bella e ridente e magnifica quella del Piacere disceso d' ordine de' Numi a variare la terra ^ di che si adorna il Mezzogiorno dell'lmmortale Parini! E bea a crescerle a piu doppi vaghezza e chiuderla mira- bilmenre concorre I'Apostrofe, con cui il Poeta rivol- gesi al Globo su cui e omai disceso il Piacere. „ AIRn sill dorso tuo scntisti o Terra Sua prim' orma stain parsi y, Qui e dove il gran l^oera si e avveduto che 1' Apo- strofe giuguesopra inodo opportuua, il che osservo 268 A K A L D 1 perclie son d' avviso die parte per questo, parte per la folia delle idee accessorie e de' sentimenti cli' essa confusameiite risveglia, il tratto porti T impronta del vero sublime. Qiianto non e pur giusta e felice I'in- troduzione clie da, li a non molto leggesi nello stesso Poema, del giocatore e d' ogni astuzia ingegnosa in- ventore Mercurio clie insegna il tric-trac! Gl' inten- dentl non si ristanno dall' ammirarla, comeche non manclii taluno di si torto giadizio e palato si guasto che o?a biasimarla. E poiche di simili esempii precla- "ri abbonda quaiito niun altro il Paniaso italiano, ag- giungo quello di un altro nostro Poema ;, di cui,se la parzialita verso la patria non mi fa velo al giudizio, oso dire che nel aienere didasralico sostiene con van- taggio grande il confronto co' pin lodati d' ogni lin- gua vivente. Intendo la Riseide dello Spolverini, a ciii qual torto e danno non farebbe chi le togliesse gli oriiamenti mitologici? quello per mo' di esempio, con cui r autore imitando, e sto per dire emulando Virgilio lo termina felicemente col racconto delle av- Venture della figlia d'Inaco; quello pure in cui I'ira di Diana e introdotta a spargere di greco sapore e splendore la descrizione delle ruine che dopo la col- tivazione de' monti i fiumi insofferenti di freno reca- no alle piaiiure inondate. Piii ancora; perclie anche sulle nostre scene e nelle bocche de' personaggi tra- gici la Mitologia fa non rara mostra di se, e trova nel colto spettatore T animo aperto alle commozioni di odio, di amore, di compassion, di terrore; e il ve- ro poeta riesce a suo talento e a gnisa di Mago, a trasportarne in Tebe, in Argo, in Atene. Qual viva d'un nuovo comento dell'opeue di Virgil. 269 e profonda impressione noii risveglia in chi rechi al- io spettacolo uii cuore craccordo col gusto Fedra piu infelice che rea qual la dipiiise il somrao Racine, ac- cesa di fiamme incestuose avventatele in seno dalla irnplacabile Venere? e di quelia scena maravigliosa , in cui lo stesso divino Poeta riempie il palco delle smanie di Clitennestra direin noi che ne ammorzi gli effetd I'incontrarvisi fatta menzione di Giove, e della origin celeste d'Ifigenia? eh che all'opposto nella folia de'sentimenti, ne'quali prorompe la misera Madre e Reina, risplende sopra gli altri quello, per cui paren- dole di vedere la scure sospesa sulla figlia, esclama „ • Bnrbares arretez; C est le pur sang du Dieu qui Lance le tonnerre. „ Sono pur questi esempii noti e illustri scelti fra mil- le; e ben essi bastar dovrebbono a rendere avveduti del loro inganno quelli che non contenti di vietar Tu- so della mitologia nelle moderne poesie trascorrono ai niotteggi e agli scherni. Oh, diranno essi, noi siamo in grado di recare per simil niodo esempsi numerosi di coniposizioni no- bilissinie e universalmente applaudite, le quali non si avvolgono di niuna favola, e ben mostrano che puo la Poesia grandeggiare senza questo frivolo* e oinai logoro puntello della mitologia. Va bene, ma la coi>- segnenza con sopportazion loro non e compresa nel- le premesse. Per una estensione poco legittima dal potere far senza un certo soccorso s'inferisce robbligo di rigettarlo; e mentre, depend enteniente da' progres- si forse e senza forse oltre il dovere magnificati de'lu- mi, 81 preteude che il vero e uoii la favola oHra mez- 270 A R. A L D I zi alia poesia , onde assiimere spirit! piu geiierosi e gagliaicli e conformi all' indole de' tempi, si mira sot- to un altro aspetto a impoverirla; le si tolgono gU acquisti fatti; le s' impone di far gctto delia eredita tramaiidatale dai foudatori dell' arte. Mi si dica di grazia se in niuii tempo verra interdetto al poeta di rallegrare i siioi componimeiiti di qualche finzione, la quale si trovi iiitrecciata in essi e incorporata col vero con tale destrezza clie questo le procacci fede mentre ne riceve vaghezza. E se questo diritto come e pur d' uopo gli si concede , come non concedergli altresi di collocare le sue finzioni nel mondo fantasti- co della Mitologia? Di questo mondo a lui non ap- partiene il cercare seanticamente alcune nazioni gU prestasser credenza. Esso per lui e opera e creazio- ne della poesia e forma parte del patrimonio di que- sta, ed egli vi abita e passeggia con sicurezza sulle orme luminose di que' sovrani cantori, cui egii punto non si adonta di prendere a guida. E poiche una moltitudine di esempii simili a quelli che ho pur ora citati , concorre a rassicurarlo , ei si tien fermo nel proposito di attingere, ove gli occorra di farlo, ai fon- ti mitologici; ne si arresta a disputare a favor d'una causa decisa dal fatto. Per altro, se 1' uopo il chie- desse, ei non avrebbe per impresa molto difficile I'en- trare in piu stretta zuffa cogli oppositori, de'quali co- nosce le armi e la fucina, donde le traggono. Osservo piuttosto che qui cadrebbe quasi in ac- concio una ricerca, cui non conoscendo in me lena bastevole reputo miglior consiglio di lasciare iiitatta ai Psicologisti , ai quali sembra che a buon diiitto d'un nuovo comento dell'opere di Virgil. 271 apparteiiga. Essi, che sono per c[uanto credesi gliin- ti oinai a possedere il segreto della costitiizione dello spirito uiiiano e degli acquisti fatti dalla loro scienza si coiigratulaiio con 1' eta nostra, e levandogli a cie- lo inagnificano a un tratto indiretianiente se raedesinii, cssi dice sapranno senz' altro come accada che mal- grado la niinia credenza prostata a' di nostri alle fa- vole gentilesche, di esse non pertanto si adorni la poesia, in cui vengono non che sofferte, ma commen- date dai piu, tranne que' pochi o fastidiosi o severi che le hanno a schifo e comhattendole non riescono ad aver molto seguito. Intorno a che chieggo di po- ter inserire in questo luogo un curioso aneddoto let- terario degno pe'suoi vincoli coU'argomento presente che se ne tenga registro. Niuno ha, cred' io, si povero di lettere e di gu- sto che non conosca e non pregi le canzoni erotiche deir ilhistre Savioli, in cui puo Bologna vantarsi di possedere il suo Properzio. Uisplendono esse per tut- to dfornamenii mitologici sparsivi per entro con una liberalita che confina colla profusione . Piacciono es- se non pertanto assaissimo e fra le nobili produzioni di questo scrittore formanoi a giudizio de' conoscitori il piu bel fiore del suo serto poetico. Ben e d' uopo confessare che gli applausi piovuti su di esse da lutte bande parvcro eccessivi ad uno di quegli spiriti acuti, svegHati e liheri, che non sono fatti per seguir la cor- rente. Questi non per vaghezza di mercar lode con discapito delT altrui fama, e ne anche a semplice pro- va d' ingegno, che simili motivi o ignobili, o frivoli cUi lo conosce ben sa che nun albergano uel suo a- 272 A K A L D I nimo elevato e virtuoso, ma pel line lodevole di ag- ffiuenere colla discussione qiialche lume ai liio2;hi die tuttavia ne abbisogaino delle teorie poeticbe, si ac- cinse a mostrare che le celebrate canzoni cedevaiio di alcuni gradi a quelle che sopra uu argomeuto con- forme pubblico poclii anni addietro un valoroso poe- ta vivente; il qual sembra che siasi proposto di pro- vare col fatto che in un soggetto si ricco, e ameno, e che trova aperte tutte le strade e le porte del cuo- re, e lecito al poeta di attenersi al linguaggio degli affetti, e al piu al piu colorirlo di qualche immagi- ne tratta dalla Natura e dagli oggetti sensibili senza punto ricorrere ai fonti mitologici. Non e di questo luo2;o r entrare in un confronto niente necessario al mio intento . Aggiungo piuttosto che per un esempio unico forse nella storia della Letteratura non senza sor- presa fu visto I'autor preferito assumere contro i pro- piii interessi la difesa di Savioli, e dichiararsene cam- pione; che gli atleti comparvero degni 1' uno dell' al- tro e che la qualche apparente animosita da essi re- cata alia disputa non servi che a rendere piu piccan- te una tenzone d' altronde scherzosa e amichevole . La controversia, come spesso accade^ rimase indeci- sa; donde a buon conto e lecito d'inferire che il mon- do e tuttavia disposto ad applaudire a composizioni ricche e tessute quasi e gremite d' immagini mitolo- giche, cui 1' esperienza ne ammaestra che concorrer ponno air effetto generale della poesia, il quale, se ben si mira, e pur quello del diletto che ne prova- no le persone capaci di portarne giudizio, vale a di- re coke, e sensibili, e istrutte. E' probabile che que- d'un nuovo comento dell'opere di Virgil. 273 9te consapf'voli del piacer vero die provaiio. non vor- rafino cederlo ai ragionainetifi iie sottili iie solicli o 374 A R A L D 1 ni, sia iin motive di piii di ritenerle nella poesla. Te- moiio essi f()r«se i Ragionatori die il Moiulo ri(;ader possa neir Idolatiia ? Ma la digressione e omai tra- scorsa a sovercliia luiigliezza e couvieue troncarla e toinaie a Virgilio. E^opinione quasi comnne die quesri nel giiidi- zio, nel gusto, nella soinnia perpetiia eleganza dello stile noil abbia rivali; bensi rignardo al vigore della iinmaginazione, ossia di qiiella facolta creatrice die costituisce V eminenie poeta egli ceda di lunga ma- no ad Omero. JNe io contrastero gia al Cantor greco il primo seggio; e applaudiro anzi al nobil concetto di queir antico Pittore, di cui ci si narra die in uri suo quadro rappresentollo sotto 1' immagine di un fiu- me, alle cui sponde i poeti posteriori concorrono a dissetarsi. Ben rechero una osservazione e proverom- mi con essa a farmi incontro a un abbaglio, in cui molti nrtano senza avvedersene. Si suol dire e ripe- tere die rimpetto agli uomini di eta matura i giova- ni abbondano d' immaginazione, la quale in essi co- spira a spargere de' suoi hori quel primo felice trat— to del cammin della vita L'opinione e si invalsa die poclii anni addietro presso una grande nazione V in- carico di propor leggi fu affidato ai piu giovani; 1' ul- tima determinazione fu serbata ai provetti; e si addus- se a motivo die T immaginazione crea, il senno see- glie e risolve: cosi a decidere un pimto si grave ba- sto un epigramma e un' antitesi . Ma e p )i egli si certo die rignardo all' immaginazione i giovani si av- vantaggino sensibilmente sopra gli adulti? O non piut- tosio e a temere che qui annidi un equivoco, ne si d'un nuovo comento dell'opere di viroil 275 ponga mente quauto e inestieri agli eflirtri inrvitabili dello sviliippaineiito non egiulmcnt^* pronto clelle fa- colta dello spirito? L" iinmagiiuizioiu* precede le alire a motivo forse de'viiicoli piii imrnediati clie la iiianel- laiio coi sensi esteriii, e eolle impressloni all' aiiimo da questi recate. II giudizio, il gusto, il sapere sono frutta pill tardive, e non poca fatica richiedesi a gui- darle lentaniente alia dovnta inaturita. Essi req-o-ono la Fantasia e la inibrigliano e seaza metterle le pa- stoie la costringono a procedere con passi misurati e sicuri; e nelle composizioni delT adulto intervengono a spargervi per entro le cognizioni raccoke collo stu- dio, e le intrecciano aeconciainente co' prodotti della imniaginazione, la quale, comeche siasi realinente in- gagliardita, non fa in esse si frequente mostra di se come in quelle de' giovani, dove domina quasi sola, e pero sbagliasi per piii vivace, meutre per solito e pill languida, e i suoi lampi sono appunto ldm|)i e non folgori; di die non si pena ad avvedersi chi re- chi air esame un occhio esercitato e sasiace. Forse m' inganno, ma puo questa osservazione applicarsi alle idee meno che rette die anclie presso critici re- pntatissinii s' incontrano riguardo alia immaginazione posseduta da Virgilio. In lui la disciplina^ a cui la tiene soggetta , anzi che toglierle, le cresce vigore . Qual fantasia pin sublime di quella, per cui egli nel secondo delV Encide introduce Venere die toglie da- gli ocelli di Enea la mortale caligine , onde veda i Nunii intesi all' eccidio di Troja, Nettuno fra gli al- tri che ne sciiote e scoscende le miira ? E a questo proposito , o almeuo senaa perderlo a-'6 A K A 1. 1> n in tiitto di vista rechero un' altra osservaziono. Nel concetto i\i\ molti e dai j)iu forse adottato della iin- niagiiuizioiie, si niostran ptTsiiasi che ad essa esclusi- vamente appartenga T inv('nzi(Mie. Non cerco se per avveiuura iion se ne allarghino i ronfini e i diiitti al(|uanto okre il dovere. Perclie taluno [c^fttrebbe cre- dere die qiiando lo sj)irito crea e inveiua, Timniagi- nazioiie lo assista si veraineiite^ ma (be le altre sue facolta non istieno gia in ozio, e quanto della priina ne sia necessario ed essenziale il concorso. Ma met- j tendo da parte questa ricerca, osservo invece cbe al- jm cnni poiigono un cerio studio nell" atteuuare il pregio V della invenzione in Viigilio; per tal modo e con tal diligenza e compiacenza si arrestano a notare i luogbi numerosi per vero dire, ne quali ba desso iuiitato C)mero palesemente. Confesso di non possedere crue- rii e norme, onde arrogarmi di eiitrar nel confronto del nostro Poeta con veruno, riguardo a questo artico- lo importantissimo della invenzione. Ben parmi di po- ter dire cbe presso gli equi e, acuti estimatori niuii torto debba fargli la frequente iuiitazione di Ouiero e di piu altri, de' quali si scorge cb' ei se gli tiene assiduamente presenti non per ornarsi delle altrui spo- glie, ma per valer?i delle armi loro a lottare con essi. Egli anzi non ha difficolta niuna di nodrire il suo sti- le e render V elocuzione dove robusta, dove splendi- da, dove dignitosa, prendendo in prestito qualclie lu- me e colore altrui; giacrbe non e picciol merito quel- le di far proprie le alcrui bellezze e fonderle con tal arte per entro il lavoro cbe sembrin native. Questo pregio ben si ravvisa nello It nigrum cam pis aginenj D*tTN NUOVO CO-MENTO DELl'oPEUE DI ViUCTL. 277 fiel Ciuutanilo rosn'niis rem; come pure in quello „ Bi'l/i ffinifos 111 pit sariirnia pastes; passi coil lieve cainbiaineoto tolti 'UN NUOVO COMENTO DELL'oPERE DI VIUGIL. 2 83 „ Pa/utf/iie, Silvanumf/ue seneni, nymphasfjue sorores. „ Se non e disdetto di entrare iielle iiitenzioiii del som- rno uomo, vuolsi dare a que' versi V iiiterpretazione seguente. = K so io bene, ne non esito a convenii- ne che felice a rigore ([iiegli dee dijsi die riesce a conoscere le cagioni delle cose e a porsi sorto i pic- di ogni timore e T inesorabil destino e lo strepito dell'avaro Acheronte. Ma nel concederlo io dico die foitiinato e anche qnegli die conosce i Nnmi agre- sti e Pane, e il vecchio Silvano, e le Ninfe soielle = £' questo r oidine per cosi dir loglco de' sentinienti e delle idee che il Poeta, com' e suo dovere, tron- cando con maravigliosa disinvoltura i viiicoli loici,e- sprinie e colora a un tempo, e ne forma un qnadro opportuno a prevenire la sazieta del delicato lettore. Notisi eziandio in questo tratto 1' avvedutezza sottrattasi, non che ai Comentatori volgari, alio stesso Heine, per cni Virgilio distingue il felice dal fortu- nato. Al secondo inferior titolo puo secondo lui aspi- rare 1' abitatore delle campagne. Al saggio e istrutto , de' segreti della Natura e serbato il privilegio della vera felicita. • Le considerazioni fin ora recate sonosi astenute dal toccare il pregio massimp di Virgilio; quello, in cui esso esulta e irionfa, voglio dire il patetieo. (a). (a) Nel patetieo possednto da Virgilio in grado eminence, e accop- piato in Inl alia magia dello stile k riposto sicrome il cedro che ne pro- tegge le opeie tlalle insiiurie del tempo . In ciO senibra che meco conseu- ta r ultimo tradiittor lianrese deli' Eiieide che neile note copiose agijinn- te al suo lavoro si airesta prinripalinente su i tiatti atl'ettuo'il e le hel- lezze di seatimeuto . Della cpial diliguaza lo coiumendeiei inaggiormeutc 2^4 A R A L D 1 Paridionfe non sonosi esse arrestare di proposito a mo- strare clT esso coiiosce (pianto iiimi altio il siihliine coiisiderato iielle diverse principali sue specie; il su- blime delle immagini; il subluue delle senteuze; il subliuie degli afl'eiii. Da questi puuti ili visia scopro uu caiupo esiesissinio, e in esso parecchi luoghi tor- se noil per auche avvertiti. Ma dall' accostanuivi uii se non mi arrorgessi clu- a traito a tratto lo prciujc il capiiccio di rega- lare a Vii-jxilio pensicri e concetti d-'ila specie appnnto de' patctici, de' quali non si tiova vestii^io nel testo. Sono persuaso rlic il doiio non giu- pnerebbe pnnto gradito a Vii;i>io di inetterii;li in Iroute. ,1 pcrcussa mciice dedeniiit „ Dtmlnnidae lacrymos: ante onines pulchcr Jidiis; „ At(^ue aiiimum paciiue strin.xit picUilis imago,,. Qui cade natuialiiu-nti^ iin seniimento. clie all' opposto i- inoppnrtiino in tnito, e assnulo (|iiasi presso 1' iinitatore. Ptgaio aiiche; prrdie siuiili a , dira il tiadiiitoie , io 1' ho preveiiuta ncl discorso da me p|■(■me^so nl Vdljiaiizzanietito delte Geoigiclie . Espoiigo in esso co[)io5aiiici)ie le nias- sinie da me spi;iiitr in (piel lavoro. Coiisapevolc dcjla mia dt-bolrzza, e di qiiella pure drila lingua da uie irnpici;ata iiifVrioie per piij riguardi nei- ]a robustczza, iiclla precisione , nell' arnionia, ne' colori alia latina rai so- n«> itigcgnato di '>ui)plire al difclto ricorrendo a certi artilicii leciti a niio avviso a im traduttore pos>io iiella mia sitnazioiie. A cagion d' eseuipio , ' duve lion mi r possibile di adeguare la precisione del teste, prendo il parlito di lussurcggiare alipianto negli oniamcnti ; dove la povertii dello strumeiuo da me adoperato mi vieta di conservare la vivacita , e giustez- za , e vagluzza di un' imuiagine , la rnetto in tutro da parte, e in vera parlo alio spirito con uii sentimento , un pensiero, un concetto. In tal guisa ries^. L I B R O I V^iiel che le blade faccia liete, in quale Segno del ciel voltar la terra, e agli ohni Coriveiiga , o Mecenate, niiir le viti; Qual la cura de' buoi, quale il governo Sia delle gregge; qnanto esperto iiigegiio 5 Abbisogui a guardar 1' api frugali. Qui preudero a cantar. O voi, del mondo Fulgidi luuii. che il volubil anno In ciel guidate, o Bacco, ed alma Cerej Se merce vostra, colle pingui spighe '** Cangio la terra le Caonie ghiande, E d'Acbeloo tempro cou le trovate Uve i licor; e voi Fauni, cortesi Numi al villan, venite Fauni, e insieme Driadi donzelle: i doni vostri io canto. »5 Tu pur JNettuuo, a cui, dal gran tridente 288 Del Bene Percos;iacenti Sue glebe dalla state polverosa Sien cotte all' infocar de' Soli adulti. ]Ma il terren non fecondo, in ver 1' Arturo Sollevar bastcra con lievi solchi: Quel, perche 1' erbe alle ridenti biade Islon faccian danno; questo, onde lo scarso Dalla sterile arena umor non fugga. Lascierai pur, cir aggian riposo alterno I mietuti novali, e che s' induri Nello squallor lo scioperato campo; 0 ver, cangiato V astro, i biondi farri Porrai la, donde pria lieto legume Co' baccelli crollanf.i, o della veccia 1 tenui parti, o del lupino triste I gambi tVali, e la sonante selva Til ricolto n' avrai; che brucia il suolo jMesse di lin, brucia cV avena, intriso Brucia il pa pa ver di sopor Leteo. Pur alternando, il lavorio s' alleggia De' campi ; sol che a te non paja vile I secchi «atollar con pingue stabbio , I^egli smuuti gettar cenere immouda; So 1 90 95 100 1 05 TRADUZIONE DELLE CEORGICTIE DI VIRGILIO. 29 I Cosi riposo ancor, inutando il frutto, '*" Haimo i poderi, e qualche merto intanto, Benclie arata non sia, rende la terra. Negli sterili cainpi anco sovente Giovo metter il fiioco, e la leggiera Stoppia biuciar colle crosciaiiti fianime; ii5 Sia die pingul alimeuti e forze occulte Quiiidi traggan Ic terre; o clie dal fuoco Ognl vizio si striigga, e fuor trasudi L' inutile umidor; o die piu vie Quel caldo schiuda e piu spiragli ciedii, »^o Onde air erbe novelle arrivi il sugo; O die piu induri, e le allentate vene Stringa cosi, clie lieve ploggia, o forza Del piu cocente Sol , ne d' Aquilone Penetraiido riarda il freddo acuto. laS Colui pero, die le oziose glebe Spezza go' rastri, e di viiiciglj intesti Graticci frae, molto al terren fa prode, ISe lui dall' ako Olimpo in van la biouda Cerer rimira; e clii que' dossi, eh' alza i3o Squarciando il suolo, volto poi 1' aratro Per traverse dironipe, e tiene in opra Spesso la terra, e sigiioreggia i cainpi. Cliiedete agricoltori uniida state, Yeruo sereno: in polveroso verno i36 Son lietissimi i farri, il canipo e lieto. ]Non per altre colture ha si gran lode La Misia, e seco le sue messi aniuiira Gargaro stesso. Ma die dir potrei Di chi, sparse gia il seme^ ognor presente 140 2()2 Del Bene Ai campi e sopra, e drlUi terra liidarno Pin^ue rovescia i mucchi? iiuli correiite In rivi al seniinaio unior coiuluce, E quanrlo bolle pni , moreudo V erbe, Riarso il campo, per seiuier declive i^s Ecco egli trae d' alta pendice Y onda: Qiiella cadendo tra forbiti sassi, IMove rauco susurro, e co' siioi sgorglii Air arido terren porge ristoro; E di chi, afliii che rovesciato a terra >5o Noil caggia il gainbo per gravar di spighe, Delle biade il rigoglio, appena i solclii Pareggian tenerelle, in erba pasce? E di cbi il paludoso umor raccolto Fa deviar neile suceianti arene? i55 Ma pill qualor ne' dubbj mesi un fiume Gonfio ribocca, e di belletta a largo Distesa tutto ingombra, onde da' cavi Stagni trasiula il riscaldato uinorc. Ne dopo taiite nel voltar la terra 160 Degli uoniini, e de' buoi fatiche e prove, L' oca nialvagia, le Strimoiiie griie, D' amare barbe la cicoria, o 1' ondDra^ Fan picciol danno . Giove stesso voile, Che 'I coltivar non fosse agevol opra: i65 Ei mosse il primo co' lavori i campi, Assottigliando di travagli a prova Gli umani ingegni, ne pati che in grave Letargo intorpidisse il proprio regno . Nessun cultor innanzi Giove il suolo 170 Volgea sossopra; anche segnar i campi, /? i75 TRADUZIONE DELLE GEOUCICIIE DI VIllGILIO 293 E spartir col coufiiii, era disdetto: In coiniin si rogliea; la terra istessa, St'iiz' opra altrui, di tutto era j)iu larga. Ei rio veleii iielT acre serpi infuse, Ei della preda mise amor ne' lupi, Fece agitarsi il mar, d' insu le foglie Gill sc»)sse il mele, e via ripose il fuoco; Fermo del via qua e la correiite i rivi ; Allinche mcditando a mano a mano i«o L' uso traesse in luce arti diverse, E procacciasse col solcar la terra L' crba onde vien il grano, e dalle vene Scliiudesse della selce il fuoco ascoso. I fiunii allor de' cavi ontani il carco i85 Sentiron pria; conto il nocclner le stelle, E iilie Plejadi, all' ladi, ed alia chiara Orsa di Licaone i nomi impose. Prender a' lacci, ed iiiganuar col vlschio La selvaggina, e T accerchiar coi cani 190 L' ampie foresee allor trovossi; e ormai Ahri sferza col giaccliio lui largo fiume, Ricercandone il fondo, ed altri tira Per entro all' alto mar gli umidi lini. Allora il duro ferro, e la sottile 195 Sega strideute ( poi cli' a fender legne Gli aniitlii avean de' conj agevol T uso) Allor sursero akr'arti: aspra fatica E strettezza e hisogno il tutto Nanse. Cerer col ferro a rivoltar la terra aco Prima istrusse i mortali, ormai mancando Di corbezzole e ghiaude i sacri boschi , 29^ Del Bene E noti porgendo piii Dodona il vitto. jMd il nialor presto giunse anco alle blade*, Che la ruggiii maligna i gambi ha roso, ao5 E r ozioso cardo iuaspro i campi. Muojono i seminati; aspra sottentra Di lappole una selva e di prunaje, E rcgnan pur >iel suol colto e fiorente II tristo loglio e le iufeconde avene: a^© Tal che, se non ritratti ognor co' rastri La terra, ed agli augelli strepirando Non fai paura, e con la falce 1' ombra Del campo opaco non diradi, e i voti Non ti chiaman la pioggia: ahi ! grande invano 2*5 IMirerai V altrui mucchio, e a te la fame Una querela torra scossa nel bosco. Vuolsi dir anche, del villan calloso Quali slen V arme, senza cui ne puote Spargersi 11 seme, ne la messe alzarsi: ^*2o 11 vomer prima, e del cnrvato aratro II grave legno, e della Dea d' Eleusi 11 carro a volger tardo; indi le trebbie, I trainl, i rastri di smodato pondo; Di Celeo in oltre il vile arnese intesto azS Di verghe; di corbezzolo i graticci; E il vaglio sacro ne' misteri a Bacco. Tal cose a provveder tutte assal prima Avrai tu mente, ed a ripor, se degna D' un egregio poder gloria t' aspetti. aSo Da pria ne' bosclil con gran forza un olmo Si piega e doma, ed inarcato prende Forma di curvo aratro; a lui sul ceppo tr\duzione delle georciciie di virgilio. 295 Vn timon cV otto pie lungo s' adatta, Doppj orecchj , e flentale a doppio dorse 235 Anche imianzi per giogo il lieve tiglio E r alto faggio tagliasi, e la stiva, Che del carruccio il pie giri da tergo; I legni poi sopra il caiiimiii sospesi Deiitro cercando, sperimenta il fumo. 24© Se noil rirusi, e di minute cure Preiider contezza non ti noja, molti Precetti de' maggior poss' io mostrartiv Sulle prime si dee con gran cilindro Appianar V aja, rimestarla a mano, 245 Ed indurarla con tenace creta, Sicche non sorgan erbe, e per soverchio Alidor non iscrepoli, e dien guasto Parecchie pesti. Spesso il topolino Case e granai si fabbrico sotterra, aSo E scavaro i covil le cieclie talpe, E nelle rane fur trovati i rospi , Ed altri, che moltissiini la terra Mostri produce; un gran muccliio di farro II gorgftglion depreda, e la formica, =55 Temendo a povertate ir vecchia incontro. Mua il maiidorlo ancor, quaiido piii in fiori Sfi)ggera ne' pometi, ed odorosi Curvera i rami: se soverchia il frutto, Pari verran le biade, e di lung' 0[)ra 260 Sara il trel)biar negl' infocati giorni ; INTa se in Insso ne va di foglie e d' ombra, Trirera V aja in van le pingui paglie. Molti vid' io con nitro e nera morcbia ac)6 D E L B E N E Conciar della semente i graiii in prfa, a65 Per enipier di hel tVuito i gu^cj iiilidi, Clic presto s' animoUisce a leggier fiioco; Semi vid' io con lungo studio scelti, Se mano atteiua i piii massicci ogui anno !Non cernia, tralignar. cosi pe' fati 270 Gir tiitto al peggio, e dar volta all' iiidietro, Siccome uoai, che di coutro alia corrente Coi remi una barchetta a stento spinge, Se. allenta mai le braccia, ed ecco il fiume Dietro sel tira rapido a seconda . ^75 Tanto in oltre dobbiam 1' astro d' Arturo, E i di notar de' Capri, e il lucid' Angue, Quanto chi al patrio suol trae per veiitosi Gorghi, e del Ponto a' rischi , e delle foci Deir ostricoso Abido incontro muove. a8a Come la Libra, fatte 1' ore uguali Del di e del sonno, tra la luce e 1' ombre Divide a mezzo il ciel: cultori in opra Tenete i buoi, spargete orzo ne' campi Fin la verso le piogge, ove del verno Ha suo confine 1' intrattabil gelo. Ed e pur tempo ad interrar del lino, E del papaver Cereale il seme , Ne dar posa agli aratri, fin ch' asciutto Consente il suol, finche pendon le nubi. 290 La novella stagion per la seraenta Yoglion le fave; e te Medica ancora Riceve allor 1' ammorbidito solco, E la cura del miglio in giro torna, Quando alia priraavera con 1' aurate ^5 285 TKADUZIONE DELLE CEORGICIIE DI VIKGILIO 297 Corna il candido Toro apre la porta, E air astro opposto il Can cede e tramoiita. ]\la se per aver grano e maschi farri La terra adopri, e sol Intendi a sjjighe, Le Atlantidi il niattin t'asconda, e sinoati Sco Delia Gaosia corona il segno ardente Pria, che coiniuetti la dovuta a' solchi Semente, e che d' nn anno alia restia Terra la spenie di fidar t'adretti. Parecclij innanzi il tramontar di Maja 3oj Dieder principio; ma V attesa messe Falli la speme con le munte spighe. Se poi semini veccia, e vil fagiuolo, E non isdegni dell' Egizia leiite La cura; al suo cad^r non dubbj segni 3ip Ti mandera Boote: allor cornincia, E '1 seitiinar condiici a mezzo il verno. Percio distinta in misuraie parti Per dodici rotando astri celesti , L' aureo Sol regge la siiperna sfera. 3i5 Di ciiiqne zone, ond' e fasciato il cielo. Per lo Sol che sfa villa, ognor vermiglia E' r una, e del suo foco ognor rovente; Due pill lontane quinci e quindi intorno Stendonsi ad essa, di cernleo ghiaccio 320 Rapprese, e d' atri nembi; a (]neste e a quella Di mezzo, due frapposte, alia tapina Cente mortale dal favor de'Nnmi Furon concesse: ed e tra loro enfra(nbe ],a via segnata, sopra cni T obblitjuo 325 Litorno si volgesse ordin de' se^ui. Tom. J. 33 2()8 Del Bene Come alto in ver la Scizia e le Rifee Vctte si leva il oiel, cosi piegaiulo Ver gli austri della Libia, e piu dicliiria. Sempre sublime a noi sorge quel polo; 33o Ma r altro sotto i pie la nera Stige Sel vede, e Y ombre del profoiido abisso . Quassu strisciaiido in tortuoso giro Traversa, e cinge di finmana in guisa, II grandissimo Serpe ambedue 1' Orse, 335 L' Orse , die temon di tudarsi in mare. Neir altro lato o sta, come si narra, Silenzio eterno di notte profonda, E come piu si stende, e pin s' abbuja; O tornandi) da noi, cola riinena 3^0 L' Aurora il giorno; e quando il Sol che spunta, Dt'gli anelaiiti suoi corsier col [)rimo Soflio ci giugiie, in quella parte i tardi Suoi lumi il rubicondo Espero accende. Noi quiiidi aiitivedt-r a cielo incerto 345 Le staiiioiii possiam; qui »di alia messe Segiiar il giorno, e alia semente il tempos Quando spiDgec co' remi il suolo infido, Quando trar fuori armate flotte, e quando IMelle selve atterrar maturo il pino. 33o Nc dei celesti segni in van 1' occaso Siiam noi spiando e V orto, e le diverse Quattro stagion, che ugual 1' anno comprende. Se talvolta il cultor la tVedda pioggia Tien chiuso, assai bisogne e' fornir puote, 35S Che aftrettar poi dovria ne' di 8t*reni. Batte il bifolco, e aguzza il duro dente TRADDZIONE UELLE GEOKGICHE DI VIRGILIO 299 Del vomero spiinrato; o vero i tronciii Scava in hirclietre; o siil bi^stiame il marchio, O i numeri su' mucclij impronta e nota. 3<3o Akri fa piinte a' pali, e alle hicorni Forche, ed appresta alia pieghevol vite Gli z\merini leganii: ora s' intessa Con vergelle di rovo agevol corba ; Or col fuoco abbrostite, or col la pietra 365 Frangete i graui; poi ch' il dritto e *1 giusto Alcuiie cose atico adoprar consente ]Ne' di festivi: niuri sacro divieto Tolse purgar rigagiii, il seminato Ginger di siepe, iiisidiar gli augelli, 370 Arder le spine, e la belante greggia Tnffar nelT onda di salubre fiuiiie; E quel che piigne 1' asinel rilento, Spesso le coste sue col carco aggrava D' olio, o di vili frutte, e scabra mola 375 Dalla citta riporta, o nera pece> Diversi con diverso ordin la Luna ■* Da pure i di ben agurosi all' opre. Tu fuggi il quinto: in esso il pallid' Oreo Nacque, e le Fuiie; anche, nefando parto, 38o Figlio la terra Ceo, Giapeto, e '1 crude Tifeo co' suoi fratelli, a farsi varco Squarciando il cielo, congiurati insieme. Costor sul Pelio ad alzar T Ossa, e all' Ossa Rotolar sopra il frondeggiante Olinipo, 385 Si sforzaron tre volte; e ire ammassati Rovescio Giove fubninando i monti. 11 settimo ap])0 '1 dieci e venturoso 3oO D t L B E fT E Giorno a por viti, e presi buoi far dorni, Ed air ordito iinir i liccj; il nono 890 Favor presta alle fiighe, a' fiirii e avverso. Anclie la fiesca tiotte, o quaiido a' niiovi Kai del Sol le campagne Espero irrora, E' per assai lavor piii acconcio tempo. Meglio la iiotte le leggeri stoppie, 3y5 IMeglio e tosar la notte i secclii prati: Mai non falla alle notti un lento iiinore, Altri d' iberna fianima al lume tardo Durando in veglia, con acuto ferro Taglia a spi!j;a le faci; e qui col canto 400 Alleviando del lavor la noja. Fa la inogliera il pettin romoroso Discorrer fra le tele, o cuoce al foco 11 dolce umor del mosto, e colle frondi Del tremolo pajuol 1' onda discliiuina. 4°^ ]\Ia nel fitto calor la rosseggiante Cerer si taglia, e fa trebbiar suU' aja • 11 calor fitto le riarse biade. Nudo ara, niido semina : pzioso Va r inverno al cultor; godon sovente 4'» IN el freddo i contadin de' loro avanzi, E attendon lieti a banchettare in giro. Gr iiivi(a il verno sollazzoso, e sgombra Ogni travaglio; come allor die in porto Son giimte ormai le onuste navi, e lieti 41? Di corone i noccbieri ornan le poppe. I\la pnr e gbiande dalla (piercia, e bacclie l)i spicrar dalT alloro, e uliva, e frutte Sanguinose del mirto, c quello il tempo; I'RVDUZIONE DELLE GEORGICIIE DI VIRGILIO 3oi Anche alle grii por lacci , e reti a' cervi, 420 Cacciar Icpri orecchiute, e roteando II iif»;lioso llagcl d' Ispana fioiula, Trafigger daiiii, (piaiido aha la neve Giare, ed urtano i Humi il gliiaocio innanzi. Ma dell' aiitunno le burrasche e gli astri 42C !N Otero forse, ed a quai cose iiuenti Star deggiano i cultori allor die il giorno Si fa pill breve, e gia la state allenta? 0 qiiando la piovosa primavera Trabncca, e delle spighe onnai ne' campi 4^0 E" greinita la messe, e verzirando Goiifia ne' gambi latteggiante il grano? Pin volte, quando i mietitor niettea Nelle bionde campagne, e gia degli orzi L' agricolfor coglieva il fragil ganibo, 435 Tntti vid' io levarsi in guerra i venti, Ciie la gravida messe in largo tratto Svelra dalT inie barbe alto lanciaro. Si cbe le li<'vi stop|jie ed i volanti Steli via ne portava il nero turbo. 440 Anobe irnmenso dal ciel rovescio d' acque Cade sovente, i nnvoli dall' alto Raccolti accavallando d' atre piogge Sconcia burrasca: il sommo eter si scrolla, E con rotto arcpiazzon le liete biade, 44^ E i lavori de' buoi sperde e dilava. S' enipion le fosse, gondan risonando 1 cavi fiumi, il mar cozza e ribolle. Giove egli stesso in mezzo al bujo nembo Con fiannneggiante man fubuini avventa, 45o %0-X D R L B E N E J Oiide scossa la terra ampia traballa : Fuggon le helve, e negli iiinaiii petti Sparse il terror, la gente abbatte e scora. Ei coir acceso stral llodope. o Ato, 0 de' Ceraimi i giogbi aiti dirocca: 4^5 Coil derisissiina pioggia incalzan gli Austri, E piangon per gran vento or Ijoschi, or lidi. Cio paveiitaiido, tii nel cielo osserva 1 mesi e gli astri: ove la frcdda Stella Di Saturno s' accolga; in quai discorra 460 Celesti cerclii la Cillenia fiamma. ]\[a pria di tutto, onor rendi agV Iddii, E fra r erhe ridenti alia gran Cere SagriHcandOj il cvdto annuo rinova. Come caduto sia 1' ultimo verno, 465 E gia sereiia la stagion novella. Son pingui allor gli agnelli^ allora i vini Pill dilicati, dolci allora i sonni. Dense 1' ombre ne' monti. Or fa, che tutta L' agreste gioventii Cerere adori, 470 A cui tu pur con latte, e con soave Licor di Bacco i favi stempra; e intorno Vada tre volte alle novelle biade La vittima felice, e la circondi Seguendo il coro de' coinpagni in festa:_ 475 Cerere a' tetti lor chiamin gridando, Ne metta alcuno alle mature spighe La falce pria, che di ritorta quercia Coronato le tempie, a Cerer mova Rozze Carole, e '1 siion levi de' carmi. 480 Accio ch' antiveder da certi segni TKADUZTONE'deLLE CEORGICHE DI VIRGILIO 3o3 Possiani tai cose, e caldi, e piogge, e venti Che meiiaa freddo, ordiiio Ciove istesso, Che dovesse nuntrar, volgeiido i mesi, A noi la Luna; del cader degli Austri Qual fosse il segno; quali ad ora ad era L' agricoltor vedeudo cenni, avesse Presso le stalle a ritener gli armenti. Coriuncian pria, quaiido si leva il vento, O del mar a gonfiursi gli agitati Gorghi, e de' inonti dalle cime iidirsi Secco fragor; o far trambusto i lidi Risonando da lungi, e dtlle selve 11 rumor rinforzarsi: allor dall' onde Mai difender si ponno i curvi legnl, Quando di mezzo il mir <^o;i ratto volo Si ridurono i merghi, ed alle spiaggfe Portano il grido; o schrrzan le marine Folaghe al secco; o lascia i nori stagni L' airon su le nubi alte volando. Sovente ancora, soprastando il vento, Stelle vedrai dal cielo in giii strisciarsi. Per r ombra della notte in lunf>a rio;a ""^ Di fiammeggiante albor lasciando Y orme. Aiam. Sovente svolazzar leggeri paglie, Caduche frondi; e piume galleggianti Volteggiar a fior d' acqua in vario giro. Ma del truce Aqviilon dalle contrade Quando d fulmine scoppia, e quando d' Euro E di Zefiro pur tuona V albergo; Nota ogni campo, empiuti i fo?si, aduna Sul mare ogni nocchit-r V umide vele. 485 ♦90 495 6oo biv 3o4 Del B e n li !Non porro danno mni ploggia improwisa: O ^1 suo levarsij alle profoiule valli Fiiggon le grii dall' alto; o la giovenca 5i5 JNJiraiKlo il cielo, coUe aperte nari L' anre iie sugge; e vola iiitorno i laghi La roiuline squillante; e in mezzo al fango Caiitaii le raiie il lor vecchio lamento. Spesso anclie fuor di sue segreie stanza Sao La formica, fregando aiigusta via, L' uova porto; i)ebbe il grand' arco; e V esca Abbandonaiido a larga scliiera e pieiia, Rombaro i corvi con le dense penne. Allor vedrai del mare i varj augelli, 525 E qiiei die in Asia del Caistro intorno Cercano i prati in mezzo a' dolci stagni, Sopra le spalle largbi spruzzi a gara Versarsi, ora tiiffar nell' acque il capo, Ora correr tra V onde; e pur con vana 53o Di lavarsi vaghezza ir foUeggiando. Quinci le piogge a piena voce cbiama La malvagia cornacchia, e tutta sola Spaziando si va su V arse arene. Ne del mal tempo la contezza e tolta 535 Alle donzelle, clie spiccando stanno II notturno peimeccbio, allor che ban visto Scintillar 1' olio nell' ardente lampa, E farsi croste di fecciosi funghi. Ne meno antiveder dopo le piogge 54© II Sole, e ravvisar da certi segni II bel seren potrai; che non allora Pajon ottusi delle stelle i raggi, U'U\nUZIONE DRLLE GEOUGICIIE DI VIUGILIO 3o5 Noil a qirri del fratello alzarsi opposta La Luna, o per io cielo ir trascorrciido 545 Lievi falde di laiia; i cari a Teti Alcioni «iil lido al caldo Sole Non apron V ali, ne col grilo scioltl Cittar ricorda i fasci il verro immondo. Ma calando le nebhie cgnor piii basse, 55* Si distendon ne' cam pi, e in van 1! occaso Osservando del Sol da' sommi tetti, Li lungo niena la civetta il canto, Niso nel limpid' aere alro si mostra , E Scilla paga il fio del crin vermiglio. 555 Li ogni parte, die fendendo il lieve Eter co' van!ii, ella da lui s' invola, ]\iso atroce nennco ecco tra Taiire Srridendo alto, la incalza; ove suU' aure !Niso ne vien, ratta fendendo il lieve 56o Eter co' vaniii, ella da lui s' invola. Ripeton pur tre volte i corvi e quattro Stringendo il gorgozzul, chiare le voci; E sovente non so per qual diletto AUegri oltre il costume, in su le frondi 56j Schiamaz/ano tra lor nell' alte stanza: Godon di riveder, cacciati i nembi, E la picciola prole e i nidi amati. !Ne gia cred' io, perclie sien essi a parte Delia niente Divina, o delle cose 570 Pin certo provveder tengan dal iato; Ma quando la procella ed il celeste Aggirevole umor cangiaron vie; Quand' umido per gli austri addensa Giove Tom. J. 39 3o6 Del B k n e Cio ch* era teste ratio, e il deiiso slega: 575 Diverse fantasie, tutt' altri nioti D' allor, che coiitlucea le nuhi II vetito, Volgoiisi per le nienti, entrat\ ne' petti; E (|iii:Kli il canto tiegli augei festoso Nelle cainpagiie, e '1 gavazzar del gregge, S80 E viene il lieto crocidar de'eorvi. Ma se al rapiilo Sole, e delle Lune Al certo avvicendar porrai ben cura, INJai noil lia die li fa Hi il di vegnente, ]Ne ti dekida col seren la notte . 585 Qnando accoglie la Lnna i prinii raggi, Che fiin ritorno; se col corno oscuro L' atro aer cingera, dirotta pioggia A' cultori de' campi, e al mar sovrasta; Ma se di verginal rossore rl volto 590 Si tinge, sara vento: il vento sempre Fa rosseggiar la suora aurea di Febo. Che se al qnarto levar ( poiche di qnesto Certissima e la fe ) per lo ciel pura, Ne spnntata le corna ella sen vada, 595 Tutto qnel di, qnei che verran da hii Fin a compiuto il niese, andranno sgoinbri Di pioggia e venti, e scioglieranno a Glauco, A Melicerta d' Ino, a Panopea Salvi i nocchier sopra la s[)iaggia i voti. 600 Segni ancor ti dara, nascendo il Sole, E calando nelT onde : i pin sicnri Segni vaiirto col Sol, (juei che al mattino Adduce, e qiielli che al levar degli astri. Se uel suo nascer prirno ei d' una nube 6o5 TRADUZIONE BELLE GEORGICHE DI VIKGILIO 307 Coperto , fassi maculoso c vajo, E del suo cercliio una ineia ritira, Tenii di pioggia, cui dall' alto ammanna A piante, a biade, a gregge Aiistro nemico. O (piaiido, air albeggiar, tra nubi folic 610 Aiidianno franti e sgoniinati i raggi» O quando di Titone il croceo letio Lasciando, sorgera smorta 1' Aurora: Poco air uve mature, alii, schermo il tralce AHor fara; cosi spessa crosciando 6i5 Balza sui tetti la graguuola orrenda! E di cio pill, quaiul' ei gia scorso il cielo. Si parte, \\ rammeuiarci mil ne torna, Dacclie uel volto suo spesso diversi Colori errar veggiain: pioggia cilestro, 620 Venti anuunz:ia focoso; allor die poi Di niacchie a mescolarsi il rubicoiido Fuoco incomiucia, audar vedrai sossopra Per venio e iicmbi tutte al par le cose. INon sia clii me in tal none a gir suH'oade 623 Conlorti, ne la fune a scior dal lido. Ma se quaiid' egli riconduce, e cela II ricondotto di, lucido e '1 cercbio, Non lemerai di nembi, ed ondeggiaiui Per sereno Aqinlon vedrai le selve. 65© Al fill di cio clie porti il tardo Vespro, Donde le asciuite nubi il vento spinga, E r umicT Austro a qual pensiere intenda, Scgni il Sol li dara. Cbi uienzognero Du- ostrebbe il Sol? Ei pur soveute '<535 Gi mostia soprastar cieclii tuinuiti. 30ii D E L B E N * Yj bollir nerc trame, e occulte guerre. Ei pur, Cesare spento, ebbe di Ui)nia Pieia, quaudo coperse il suo lucenie Capo iV un nijigiuoso oscuro velo, 6i^o E teme il secol empio eterna notte. Beucli' a quel tempo anclie la terra e il mare, Caiii nial agurosi, e tristi augelli Davauo segui : quante volte 1' Etna De' Ciclopi inondar bollente i campi 645^ Vedenuno, roue le foruaci , e globi Rotar di fianiine, e liquefatti i sassi? Suon d' arme iu tutto il Ciel Gennania udio, Di nuove scosse traballaro i monti; Anche alto ad or ad or tra i rauti boschi OSo Udissi un grido, e sul far notte bnja Sinorte larve fur viste in fogge strane; Parlano i bruti, o maravigba! i fiuini Stauno, s' apron le terre, e per li teuipli ]\Iesto piange l' avorio, e suda il bronzo. 655 Po, Re de' fiuuii, i furibondi gorghi Torcendo, sperse i boschi, e con le gregge Via le stalle porto per tutti i campi . Ne in quel medesmo o d' apparir cessaro Nei lividi iutestin le iniiuicciose 660 Fibre, o di pidlular da' pozzi il sangue, O nella notte 1' ulular de'lupi Di far nelle cittadi alto riuibombo. IS'on cadder mai piii spesse a ciel serene Le folgori, ne mai tanto sovente 665 Arser comete di funesto lume. Quindi le pugiie riuovando, a pari TRADIJZIONE DELLE GEOKCICIIE DI VIllGILIO 30X) Arme Filippi le Romane squadie Vide scontrarsi; e a' Dei non parve indegno, Che r Emazia e dell' Emo i vasti campi (>-« Inipingiiasse due volte il nostro saiigue. E tempo al certo anche verra , clie in cjuelle Piao;f>;e T a^ricoltor col curvo aratro Jl siiol voliaiulo, trovi aste da scabra Riiggiii cotiose, e co' pesanti rastri 675 111 voti elmi percota, e nelle tombe Disottenando le vaste ossa ammiri. O voi Penati, o tutelari Iddii, Te Romolo, te prego o tiiadre Vesta, Del Tosco Tebro e de' Romani colli 680 Ciiardia jiossente: sosteiiete alineno, Che al disertato inoiido alcuii' aita Porti qiiesto garzoii. Gia da gran tempo Assai col sangne nostro gli spergiuri Delia Laomedontea Troja puigammo. 683 Gia da gran tempo a noi del ciel la reggia, Cesar t' invidia, e del vederti vago Dca;li umani trionfi ella si lao-na: Poiche qua giu, tra volte leggi e colpe, Tatite gnerre nel mondo, e di delitci 69" Son tante fornix : o2,ni dovnto onore JVlanca alT aratro; via i cidtor condntti, Squallide le campagne; e son le curve Falci strntte e converse in dure spade. Giierra \ Eufiate in questa, in quella parte 695 Germania move: le citta vicine, Rotti i patti fra lor, levansi in arme, Per tutto il mondo Marte empio imperversa: 3io Del Bene Come avventati i corridor dal chinso Yolauo a doppie tratte, e in van tirando 700 j Le redine il coccliier, via portan Ini, " Ne piu le biiglie la carretta ascoka. ^RADUZIONE DELLE CEORGICIIE DI VIRCILIO Si I L I B R O II D (lie terre I lavor, del cielo i segni Fill qui inostiai: te or, Bacco , e teco insieme I silvestri virgulti, e dell' ulivo A ciescer tardo cautero la prole. Qui vien, pailre Leneo: qui tutto e pieno De' doni tuoi; per te gravido il cainpu Ride nel fior del pampiuoso auiunno, E a tina colme la vendeminia schiiima; Padre Leneo qui vieni, e giu traendo Dalle piante i coturiii, di nov^llo Mosto tingi con me le gambe ignude. !• Gli alberi prima per diverse vie Porta natura; clie di lor parecchi Vengon da se, non per umano ingegno, E a gran tratto ne' campi, e lungo i curvi i5 Eiumi hanno sesai^- come il siler molle, DO ' La pieghevol giiiestra, i pioppi, i salci Di bianco tinti la cilestra froiida. Dal posto seme sorgon akri, quale L' alto castagno, e il frondeggiante a Giove ao Ischio maggior de' boschi, e quai le querce, Che oracoli credc la si^'ute Greca. Foltissima germoglia ad altre piante Selva dal pie, come a' ciliegi e agli olmi; E della madrc andie il Parnassio alloro aS Picciol sotto la grande ombra si leva; Tai modi pria mostro JNatura, e quindi 3i2 DelBenr Ogni schiatta d' aibusti e di cespiigli Mette verzura , e di sagraie selve. Son altre vie, clie a mano a man coll' arte 3o L' USD rinveiine; ed altri dal matertio Teuero corpo i ramuscei tagliando, Li corico ne'solclii; ahri di terra Sterni coperse, e in quattro hranche aperti Vettoni, e pali in sodo legno agiizzi. V* La propaggiue in arco altri cespngli Aspettan clii conij)rinia, ed in lor terra Vive piante ne forini; altri di barbe NuUo han bisogno, e 'I pc^tator non teme La vetta ch' ei reco, fidarne al suolo. /p Anzi, e recisi dell' ulivo i fnsti, Getta barbe, o stupor! 1' ascintto legno. Sovente anco veggiam senza lor danno Canibiarsi d' luia i rami in altra pianta, E tramntato, d' inserite mele 45 Esser ferace il pero, e di petroso Cornio sul gambo rosseggiar le prugne. Sli via dunque, o cultor; voi d' ogni schiatta 11 governo apprendete, e di selvaggi Fate gentili coltivando i frutti; 5o ISe giaccian terre scioperate: e bello L' Ismaro empier di piante a Bacco amicbe, E '1 gran Taburno rivestir d' ulivi. Tu pur vien, Mecenate, e m' accompagna Neirimpresa fatica, o mio decoro, *5 O vera del mio nome e somma parte, E da volando all' ampio mar le vele. Mon io, se cento lingue e cevito boccbe. I TRADUZIONE 1>ELLE GEORGICHE DI VIKGILIO Sl3 Ne se d' acciar temprato avessi il petto, Tutto abbracciar ne' versi miei presumo. 60 Vieiii, e ratU del lito il priino lenibo; Teniamci a terra; ne camando i'ole Qui lia, ch' io te fra luughi esordj aggiri. Sterili si, ma pur gagliarde e liete Sorgon le piaute, cbe al superno lume 65 S' alzaii da se, perche il terren rispoiide. Se pero queste ancor taluno iunesti, O le trasponga in beu divelte fosse, Spogliau r indol selvaggia, e con frequente Coltura, qual sia 1' arte a cui le inviti, 70 Non fieno a seguir tarde; ed ugual prova L' arbuscello fara, ch' esce infecoudb Dall' ime barbe, se in isgonibri cainpi Sara disposto: or V alte froudi e i rauii L' aduggian della madre, e raentre cresce, 75 Tolgongli i parti, e brucian lui del pari. Queir arbor poi, che da semeiiti sparse S' alzo, vien lento a preparar con 1' ombra Schermo a' tardi nepoti : obbliaiio il pi laio Sugo sue pome, tralignando; e vdi 80 Raspi, preda d'augei, porta la vite. Vuolsi dunque fatica intorno a tutte Spender le piante, e tutte in fossatelli Raccorle, e a suggettarle assai dar opra. Ma fa r idivo miglior prova in troncbi, 85 In propaggin la >ite, in sodo U-gno 11 Palio mirto; di polloni il duro Nocciuol pur r|.asce, il gran frassino, e quello, Ond" Ercol s' iucorona, albero ombroso, Toin, J. 40 3l4 D E L B E N £ E del Caonio padre aiico le gliiande '. i>o Cosi r eccelsa paluia, e a veder poi Le venture del mar, nasce I'abete. I\Ia '1 corbezzolo irsuto anche s' iniiesta Col parto della iioce, e forti meli Porfati fur da plataiii infecondi, 96 E castagni da faggi; altresi Y orno Co' bianchi fiori incanuti del pero, E fraiiser ghiande i porci a pie degli olml. Ne del far nestl e dell' imporre i germi II modo e un sol; percbe la dove gitta ico Dalla corteccia, e rompe le sotrili Gorme la gemma ;, appunto eiitro quel nodo Si cava picciol seiio: ua germe quivi Di straiiia pianta si richiude, e nella Umida buccia ad alligtiar s'addestra. io5 O ver si mozzan lisci tronchi, e s' apre Coi conj fouda via nel sodo legnoj Poi vi si caccian le feraci marze: Ne lungo e l' aspettar; cli' alta la pianta, Levando al cielo prosperosi i rami, no Le nuove frondi e i non suoi pomi ammira. Ke poi degli olmi forti una e la schiatta, De' salri, o loti, o de' cipressi Tdei. Ne di faftezze nascon tutte uguali Le pingui olive, Y orcade, la riggia, ii5 La pausia colle barcbe al gusto amara; Non d' Alcinoo le frntte, e i suoi pomieri; Ne gli stessi rampolli lianno le pere Crnstumie, Sirie, e le voleme gravi; Ne la stessa da' uostri alberi peude 120 TRAIUIZIONE DELLE GEORCICHE DI VIUGILIO 3l5 Veiidemmia, clie rla' tralci Mcilinnei Lesl)0 ricoglie; c' e le Tasie viti, Le bianche iMareoticIie; pin tjueste Al terreri grasso, quelle accouce al lieve; C e la Psizia, niigliore a far vin passo; lay C e la teniie Lagea, ch' avvolger poi Fara le ganibe, e annode'ia la lingua; C e porporine, e precie; e con qual metro Te Retica, diro? ne mover gara Percio vorrai con le Falerne celle. i3y C e viti Aminee ancor^ di chiaro grido Per grandissimi vini, a cui pur qnello Di Tmolo, e il Re Faneo stesso s' inchinaj C e r Argite minor, cui niuna sfidi O a versar tanto, od a bastar tant' anni. j3j ]Ne te agV Iddii, te alle seconde mense Gradita Rodia, lascero non conta, O te Bumasto co' tnoi gonfi grappi. Ma ne tutte contar le varie schiatte Altri potria, ne di ciascuna il nome; 140 Ne val contarle; e chi saper le voglia, Ed ei vorra trovar quante ne' campi Zefiro della Libia arene svolti, O qiiando snlle navi Euro si scaglia Piu fnribondo, numerar i flutti, H5 Che dair Jonio mar vengono al lido. Ma ne tutto portar puote ogni terra. Sui fiumi i salci, sni fecciosi stagni Nascon gli ontani, sui sassosi nionti Gli steril orni ; i mini cespugliosi i5o Ridon sui liti; alfin gli aperti colli 3l6 DELBcNfe Vuol Bacco, r Aquiloite e '1 frecMo i tassi. Ve' pur quelle cola dai piu lontani Delia terra culror sornmesse piagge, Degli A.rabi gli alberglii in ver 1' Aurora, i5ij E i dipinti Celoiii: liaiuio divise Gli arbor le patrie: nero ebano sola Produce V India; soli banno i Sabei Deir iucenso i rainpolli. A cbe narrarti It balsamo, die fuor dell' odoroso i6o Lt'gno trasuda, e dell' acanto ognora Frondeggiante le baccbe? A che le selve Degli Etiopi, che di molle lana Si fan catuite? O come tenui veil! Stacchino i Seri, carminando foglie? les* O qnai 1' India, del mondo ultimo seno. Air Ocean piu presso abbia foresee, Dove scoccar di freccia unqua noU giunse Gli alberi a soverchiar? ne pero quella, Preso il turcasso, e mal esperta gente. 170 Gli atnari sugbi, ed d sapor tenace Porta la Media d' un felice poi^, Cbe, se crudel matrigna i nappi attosca, E meschia 1' erbe coi maligni accenti, Giugne piu ch' altri mai certo soccorso, 175 E scaccia dalle membra il rio veleno. Grande, e al lanro simil rutta e la pianta; Cbe s' altro non gittasse odor da lungi , Lauro saria. non mai per alcun vento Caggion sue foglie; assai tenace e il fiore: 180 Con (piel la Jjocca e il fiato olente i Medi Purgano, e dan ristoro a' vecclii aasanti. TUABUZIONE DELLE GEOUGICnE DI VIRGILIO JI7 Ma non tie' Medi tuttavia la terra Ricchlssima di selve, o il Gange bello, O il lorbido per 1' oro Ermo, roi pregi i85 Gareggiii dell' Italia; e iion i Battri, ISioii gl' ludi, noil per le feraci areiie D' incenso piiigue la Pancaja tiitta. Qiieste contrade gia non fur du' tori Svolte, spiranti per le nari il fuoco, 190 Dt'l drago enorine semiiiando i denti; ]Ne ill queste d' elmi e lance orrida e folta ]V'lpsse levossi di guerrier; ma f)iene Splghe, e '1 jMassico iimor Y empie di Bacco: Sede d' ulivi, e di felici armenti. 195 Di (|ui ne' cam pi alle battaglie altero Eiitra il destrier; di qui, Clitunno, aspersi Di tiia sacr' onda i hianclii armenti e il tore, Vittima la maggior, spesso i llomani Trionfi, degl' Iddii guidaro a' teinpli. 200 Qui primavera e sempre, e fuor de' suoi Mefei la state; qui [)ortan due volte Le pecorellf, due Iriittan le piaute. Ma le rabbiose tigri, e de' lioni Man(an le crude scbiatte, e gli aconiti 2c3 JNon porgon tristo a clii li coglie inganno; TSe striscia per la terra in rerclij iinineiisi, ISe per si lunga tratta si ravvolge TSelle sue spire lo squamoso serpe. Le tante poi cittadi egregie aggiugni, 210 E i sudati lavor: tante ca'^tella Alzate a man sopra scoscese rupi , L a pie d' anticbe muia in corso i fiumi. 3 1 a D E L B K N E Forse rammento il inar, the baaina V nito, Che 'I hasso fiaiico? Forse i si graii lai;,hi, aiS Te vastlssiino Lario, e te Beiiaco, Clie levi aho qiial mar, fremendo i fliitti? Forse i porti ranunento, ed al Liicrino Le sbarre imposte, e '1 mar che forte mugghia Impervcrsando, ove respinri i llutti, aao Da lunge suona 1' onda GiuHa, e shocca Ne' gorghi Averni la marea Tirrena? Rivi d' argento ancor, veiie di rame iVIosiro r Italia, e corse oro a gran piena; Diede ella i Marsi, generosa schlatta, aa3 La gioventu Sabina, a' mali avvezzo II Ligure, di stocco annati i Volsci, E i Decj, e i Marj , e i gran Camilli, e i duri Scipioni in guerra, e te Cesare eccelso, Che fin deir Asia nelle spiagge estreme a3o Gia vincitor, dalle Romane rocche Fai voltar lunge i passi all' Indo imbelle. O di ricolti, o di campion gran madre Salve Saturnia terra: io ne'subbietti Entro per te d' antica laude ed arte, a35 Schiuder osando i sagri fonti; e canto Fra le citta Romane i metri Ascrei. Or deir indol de' campi; e ognun qual abbia Nerbo, colore, e al generar natura. Da prima le restie terre, e le triste 240 CoUine, ov' e debile argilla e ghiaja In suol prunoso, del vivace ulivo Accolgon liete la Palladia selva. Di cotal piaggia 1' ulivastro e segno, TKADUZIONE DELLE GEOUGICHE DI VIllGILIO O 1 () C.W ivi sorgp frequente, e le silvestri a^s Bacclie, oncV e sopra semiiiato il campo. JNla il ])ingue siiol, cui dolce iimor fa lieto, L' uhertosa pianiira, e d' erbe folta, Quale spesso tra' monti in bassa valle Veggiam, dove da rupi alee col a ado, 25o Linio fecondator ne menan 1' acque; E quel, die incoutro all' Austro erto si leva, E felci nudre a' curvi aratri infeste: Esse un giorno gagliarde, e d' assai inosto Ti dara larghe viti; esso ferace 233 Fia d' uve, e del licor, die presso 1' are Daudo fiato all' avorio il pingue Etrusco, Votiam da' nappi d'oro, ed eiitro a' cavi Badni oflriam le viscere fumanti. ]VJa se piii nietti cura in teuer niandre, -^Co Virclli, () parti delle agnelle, o capre, Vt len de' luoghi colli: allf pasture Rivolgi il passo e alle lontane piagge T)t\ satollo Tarauto, o a tal campagna Qual pcrde 1' egra Manto, ov' ella pasce 265 Candidi cigni nell' erboso fiume. La non di pure fonti avra difetto, r5 Tempre non confortasse il ciel le terra. Resta, cbe quanti deporrai virgulti Ne' campi, e tu di pingue fimo sparga, E coprir ti rammenti assai di terra; Nel suol sassi spugnosi, o lordi nicchi 4(r6 Cacciaudo, die scolar 1' acipie tra mezzo 326 Del B k n e FaraiinO;, e penetrar la sotcll aura, E ne verravi le pianticelle ardite. Fa pur chi un sasso, e di gran coccio il peso Vi calco sopra: questo alle dirotte /v65 Piogge fa schermo; questo al Can, die feude E piu riarde gli assetati canipi. Posti i ranq)olli, a rincalzar piu volte Col suolo i gambi, e a dimenar ne resta I duri sarclij, o mover sotto a fondo 47" Col voniero la terra, e voltar anche Alle vigue per mezzo i buoi ritrosi; Poi lisce canne, e di sbucciata verga Bastoncelli acconciar, bicorui forche, Di frassino vettoni, il cui sostegno 478 A spingersi e a sprezzar le avvezzi i venti, E su pe' palchi a gir degli olmi iu cima. Or fiucbe prende nelle nuove frondi Vigor la prima etade, ai tenerelli Germi dee perdonarsi; e mentre lieto 480 Sciolte le briglie, al ciel per 1' aer puro Levasi il tralcio, non si vuol per auche Fargli col taglio della falce insulto; Ma spiccar via con 1' incurvate dita, Scerner tra fronda e fronda; indi qualora 485 Con gagliardi pedali avvinte agli olmi Sien gia surte le viti, allor le chiome Tu ne dirada, allor tosa le braccia.; Pria paventano il ferro; allor severo Signoreggiando, i rami sparsi atfrena. \9'> Anco e da teaser siepi, ed ogni greggia Da rattener, e piu mentre die frale TRADUZIONE DELLE CEOKGICHE DI VlUGILIO 327 E' ancor la fronda, e a tollerar non usa; Cui seiiza i crudi vernl, e 'I Sol cocente, Fanno continuo insulto i buoi selvaggi, 4!>5 QV iiifcsti capriatti, e ne fan pasto Le pecorelle e le giovenche ingorde. N^ le brine canute, e i sodi ghiacci La danneggian cotanto, o ver la state Con grave afa premendo i massi arsicci, j«o Come le gregge, e 5o Cola deir Emo nelle fresche valli, E con graiKJe dl rami oinbra mi copre? Felice r uoiu, che a ravvisar pervenne La cagion delle cose, e sotto i piedi I timor tutti, e 1' implacabil fato, 655 E 'I fragor pose d' Aclieroiite avaro! Fortunato anclie V iionio, a cui gli agresti Iddii son noti, Pan, Silvano il vecchio, E le ninle sorelle! egli non piega Per fasci popolar, per regal ostro, 6Co O per discordia, che fratelli infidi Tra lor dibatta, o per calar di Daci Dair Istro congiurato; e non di Roma Per le vicende, e pe' caduchi regni . Ne per pieta del poverel s' attrista, 665 ISe d' altri invidia il inolto aver: quai frutta Di per se i rami, cjuai volonterose Le campagne portaro, ed ei le coglie; Ne mai le ferree leggi^ il foro iiisano, Del popolo gli archivi esso pur vide. 6?^ Stancan akri co' remi i ciechi gorgbi, E s' avventan nell' arme; altri de' Regi Cacciansi nelle soglie, e per le sale; Questi a Roma e a' Penati egri la strage Porra, per bere in gemma, e prender sonno 675 INeir Ostro Tirio; sue ricchezze uii altro Nasconde, e T or che sotterro, si cova; Chi attonito stupisce inuanzi a' rosiri. 68o C8o 'i'KADUZIONE DELLE GEOKGICHE DI VIUGILIO 333 Chi, ne' cxinei cloppiando il plauso a gara E plebe, e Padri, ii' e scosso ed assorto: Godon bagnarsi di fraterno sangue, £ coll' esilio tetti e care soglie Mutan, sott' altro Sol patria cercando. Sniove il cultor col curvo aratro il suolo; Quest' e r annuo lavor: la patria quindi, I piccioli nipoti , e le vaccine Mandre sostenta, e i buoi, che gli fer prode. Ne posa ha 1' anno mai, che noa ridondi O di pome, o d' agnelli, o di covoni Del gambo Cereal, e col ricolto 0^j<* !Non carchi i solchi, ed i granai soverchi. II verno e giunto: ne' frantoi si trita La Sicionia bacca; delle ghiande Tornan dal pasto gavazzando i porci; Dan corbezzole i boschi; i varj parti 695 Depon r autunno, e la vendenunia dolce Cocesi appien ne' soleggiati sassi . Facendo cerchio intanto i cari figli Pendon da' baci ; serba il casto ostello La pudicizia ; piene alle giovenche 70 Caggiou le poppe, e pingui in lieti prati Corna a corna tra lor cozzano i capri. Egli i festivi di celebra, e steso Sulla verzura, ov' arde il foco, e i nappi S' infioran da'compagni, a te, Leneo, 70$ OffVe, e t' invoca, e de' veloci strali Da im olnio il premio a' niandnan sospende, E a lorta agreste spoglia i duri cor()i . Fu questa un tempo de' Sabini antichi, 334 D E L B li N E Questa di Remo , e del fratel la vita; 7J0 Crebbe cosi la forte Etruria; Roma Bella si fe' sopra ogni bello, e sola Ser.te monti per se chiuse d' un muro. Ed anche prima die il Ditteo monarca Regnasse; prima cbe bancbetto V empia 7"5 Gente facesse coi giovencbi uccisi, Cosi vivea 1' aureo Saturno in terra; Ne s' era udito ancor dar fiato a trombe, Ne spade tintiiinir su dure incudi. Ma tutto gia per noi s' e corso un campo 72© D' immensa tratta; e di slegar omai II collo e tempo de' corsier fumand. TRADUZIONE DELLE GEORGICHE Dl VIRCILIO 335 L I B K O III T e pur, gran Pale, e te nobil past ore D' Anfriso cantero; voi pur foreste, E finmi di Liceo: gli altri subbietti, Che dar trastullo ad oziose menti Potrian co' carmi, ormai tutti son conti. 5 A chi '1 duro Euristeo, dell' abborrito Busiride a chi mai son 1' are ignote? D' lla garzon, della Latonia Delo, D' Ippodamia, di Pelope fornito D' eburnea spalla, e per cavalli prode, u> Chi non parlo? Vuolsi tentar cammino, Per cui di terra anch' io levar mi possa, E andar per ogni lingua al mondo chiaro. Purche vita mi resti, io saro il primo, Che nella patria, dalle Aonie vette i5 Tornando, condurro meco le Muse. Io le pal me Idumee, Mantova, il primo Ti rechero; di marmo ergero un tempio JNella verde pianura all' acque appresso, Dove amplo errando il Mincio in tardi giri, 20 Di molle canna le sue rive ammanta. Cesar porro, signor del tempio, in mezzo: Io vinciior, di veneraiido aspetto Per ostro Tirio^ lungo il fin me in lizza Porro cento quadrighe, e Grecia tutta, 2") L' Alfeo lasciato e di Molorco i boschi, Gareggiar faro al corsO;, e al crudo cesto. 330 Del B li n e Le o(Terte io stesso portero, d' ulivo Con le tosate frondi adorno il crine: Fin d' or mi giova le soleuni pompe Guidar al tempio, e gli scannati buoi Veder, o come col voltar la fronte Si dilegui la scena, o come intesto Alzi il Brifanno la purpurea tenda. Dg Gangaridi in oro e avorio saldo La mischia scolpiro sopra le imposte, E di Quirin vittorlose 1' armi; Ondeggiante qui pur di guerra il Nilo Con gran trabocco d' acque, e le colonne, Che di bronzo naval surser costrutte. Dell' Asia aggiungero le citta dome, Nifate vinto, e il Parto, che fidanza Ha nella fuga, e ne' voltati strali; E a' disgiuiiti nemici i due trofei Sv Iti di mano, e d' uno e d' altro lido Due volte pur le trionfate genti. Staranno in marmo Pario immagin vive, D' Assaraco la prole, e del lignaggio Sceso da Giove i nomi: il padre Troe, Cinzio di Troja auror. L'Invidia trista Teniera di Cocito il crudel fiume, Le Furie, d'Ission le attorte serpi, L' enorme rota, e T invincibil sasso. Or delle Driadi i boschi, e i paschi intatti. Qual m' hai tu imposta non agevol opra, Mecenate, seguiam; non fia che imprenda Mio ingegno, senza te, cosa sublime. Su, tronca i lenti indugj: ecco gridando }(> 35 4« 45 5o TR.VDUZIONE DELLE GEORGICIIE DI VIIICILIO 337 Con alte voci Citeron ne invita, Del Taigeta i cani, e 1' Epidauro 60 De' corsier domatrice; e la percossa Voce secondan rimiigghiando i boschi. Ma di Cesare poi le pugne ardenti Torro a cantar, si ciie ne vada il nome Per taiite eta, di qnatite s' allontana 05 Cesare di Titon dal ceppo antico. Quale o cavalli, al guiderdon mirando Deir Olimpica palma, o quale alleva Forii giovenclii per 1' aratro, i corpi Innanzi tutto delle niadri elegga. 70 D' ogiii forma e miglior quella giovenea, Che ha giiardo bieco, sinisurata fronte Con grandissiino coUo, e cui dal mento Fin alle ganibe la giogaja pende; Smodato in lungo e il fianco, e tutto e grande, 70 Ancora il piede, e sotto arcate corna Gr irsuti orecclii; ne per jne fia grave, Se a macchie e a bianco sia segnata, o il giogo Rifiuti, o se talor feggia col corno; jVlostri toro all' aspetto, altera al passo, fk) E r orme spazzi con la coda estrema . Quella eta, che Lucina e gP Imenei Giusti coniporta, innanzi al decini' anno Fiiiisce, ed inconiincia appresso il quarto; L' altra nc vale per figliar, ne forte 85 E' per gli aratri. Or lu, finche ridente Si niantien giovniezza in fra gli armenti, Slaccianc i niaschi, e a fecondar la greggia Solleriio gli manda, e riniiovella loin. I. 43 338 Del B k n e DeU'una, ingenerando, mi' altra prole. Qual della vita e miglior giorno, il primo Fiigge agli egri mortali; entran poi morbi, E dogliosa vecchiezza, e steiito, e dura Ne la rapina la s[»ietata morte. Sempre avrai capi, cui miitar ti piaccia; Sempre adunque rimetti; e affin die persi Di poi noil gli abbi a ricercar, previeni E assortisci la prole ogni anno al gregge. Ne per quel de' cavalli altra e la scelta. Quai della razza tu allevar destini Alle speranze, in lor poni, da quando Son giovinetti, la niaggior tua cura. Novello ancor, del generoso armento Move per le campagne il figlio altero, E col tenero piede alterna i passi. Porsi in cammino, minaccioso fiume Tentar, fidarsi a sconosciuto ponte Osa il primo, ne teme i romor vani. II collo eretto, il capo svelto, il ventre Corto, pingui ha le groppe, e con rigoglio Di grosse polpe ardinientoso il petto. Da bella vista il mantel bajo e '1 grigio, Pessima il bianco, e di color cervino. Se poi da lunge un suon d' arme si leva, Trovar posa non sa: guizzan gli orecclii, Trernan le membra, ed anelando, il cbiuso Foco rivolve per le nari, e sbuffa. Scossa la fitta chioma si riversa In suir omero destro; a' lonibi in mezzo Corre doppia la spina; il terren cava 9" 95 100 io5 no i\J lao TRADUZIOME DELLE GEOIICICUE DI VUIGILIO 339 L' iinghia, grave sonando il duro corno. Tal Cillaro si fu, cui domo il freno Di Polluce Ainicleo; tali i corsieri, Come da' Greci vari c sparso il giido, Clie giugnea Marte al carro, o il magno Achille; i»5 Tale air arrivo anch' ei della consorte, Dal coUo di destrier la cliioma sparse II veloce Saturno, e d' iin acuto Nitrir, fuggendo, 1' alto Pelio empio. IMa di lui pur, se morbo il grava, o tardo i3o Manca per gli anni oniai, sgombra 1' albergo, Ne ti mova a pieta sconcia veccbiezza. Freddoe'l vecchio alia monta, e in van prolunga Mai graditi lavor; s' entra in battaglia, Qual talor fra le stoppie una gran vampa i35 Di forze priva, tal s' infuria indarno. L' ardir tu dunque sopra tutto e gli anni, Poi r altre doti osserva, e quai figliuoli Ebbero i genitor; come ciascuno Vinto si dolga, e vincitor s'orgogli. 140 Nol vedi allor, cbe gareggiando, il campo Prendono impetuosi, e dalle mosse Fuori si lancian difilati i carri? Quando s' avviva de' garzon la speme, E per la tema, die piccbiando stringe, 14$ Pal pita il cor? coUa ritorta sferza Incalzan essi, rallentando cbini Le briglie: ratto vola V asse e ferve; Ed or radendo terra, ed ora surti, Par che levati sian per 1' aer voto, iSo E trascorran poggiando alto fra 1' aure; 3^o De 15 i: N E Ne c' e liulugio, ne posa; ed ecco un nembo S' alza di scura polve, e son di schiume Molli, e del sofBo de' corsler seguaci : Tanto agognan l' onor, tanto la palina! i5-5 Primo Eriitonio fu , die quattro al carro 7\.rdi cavalli d' accoppiar, premendo Kapido al corso viiicitor le rote. Di poire i freni , di nioiitar in groppa, Qiiinci di volteggiar, trovaron 1' arte i6o 1 Peletronj Lapiti; e d' armati Cavalier fur maestri in far corvette Sul suolo, ed alToltar superbo il passo. Pari fatiche entrambe; al par da' mastri Giovin, d' animo caldo, e prode al corso i6S Si cerca, benche spesso in fuga volti E rotti abbia i nemici, e dalF Epiro, Dalle forti Micene, e dallo stesso Di Nettim tragga ultimo ceppo il sangue. Tali cose avvertite, ogni lor opra 170 Ed ogni cura, come il tempo appressa, Pongotio ad inzeppar di fermo grasso Quel, cbe per capitano e per marito Hanno alia mandra destinato e scelto. Morbid' erbe tosate, ed onda e farri 175 Porgongli affin , die al dilettoso incarco IS on abbia a venir meno, e i figli frali Del paterno digiun mostrino i segni. Ma stenuar colla magrezza ad arte Fanno le stesse mandre; e come al riizzo jHo 11 natural desio prima le porta, !Negan lore le frondi e vietan V acque; TIIADUZIOX'E DELLE GEOROICIIE I>I VIUOIEIO 34 I Le fanno anco sovente ansar correndo, E le stancaiio al Sole allor che V aja , Battenclosi le biatle a forti colpi , i85 Ne geme, e quaiido a Zefiro che sorge, Le vote paglie son gittate incontro: Cio fanno, onde non renda ingoinbri c poltri Troppo rigoglio i solchi, e ottusa 1' opra Del campo genital; ma sitibondo 190 Venere assorba, e via piu dentro cbiuda. Ma de' padri compiuta omai la cnra, Quella sottentra delle madri: al tempo, Che sul chiuder de' mesi errano pregne, Guarda ch' altri tirar le lasci a giogo 195 Pesanti carri, o tragittar col salto La via, ne valicar con forte corsa I prati, ne guadar rapidi fiumi. Pascano piagge aperte, e lungo a piene Correnti d' acque, ove sia muscliio, e d' erbe aco Verdissime le rive, e di spelonche Hiparo, ed ombre da gran massi stese. Del Silaro ne' boschi, e nell' Alburn o^ D' elci fronzuto vola intorno a stormi Quel, che nome Roman porta d' assillo, acS E '1 chiaman estro in lor favella i Greci; Aspro d' acerbo snono, al cui spavento Fuggon via dalle selve intere mandre; De' muggiti al furiar risuona 1' etra, I boschi, e del Tanagro il secco marge. 210 D' orrendi sdegni fu ministro un tenipo Questo mostro a Giunon, che di dar morte Air Inachia giovenca in cor volgea; 342 Del Bene I •220 ■ia:> E questo pur, dacche nel piu cocente Calor del gionio con piu rabbia incalza, ai5 Luiigi terrai dalle tue pregiie mandre; E, nato appena il Sole, o quando gli astri Menati la notte, pascerai gli aimenti. Ai vitelli ogni cura appresso il parto ' Si volge; e pria col fuoco i segni e i nomi S' improntaii della schiatta, e quai piu a grado Torni allevar per mantener la gteggia, O serbar sacri all' are, o a romper lerre, E franger zolle, e svoltar campi incolti: Si pasce 1' akro armento alia verzura. Tu quei , che all' arte ed a' lavori agresti Educar vuoi, gia tenerelli addestra, E air uopo di domargli il cammia prendi, Fiu ch' ban docile ingegno, eta men ferma. Or di sottil vinciglio annoda in prima aSo Larghi cercbj alia nuca; e quando i colli Liberi pria, sian a servire avvezzi. Con le stesse collane unisci a pajo, £ fa i giovencbi andar d' un passo eguale. Conducan anche ormai spesso per terra 235 Scarcate rote, e su la somma arena Segnino 1' orme; poi sotto gran peso Punti r asse di faggio, e strida, e tragga II ferrato timon gli aggiunti cercbj . Ne sol erbe fra tanto alia non doma 240 Gioventu in cibo, ne di salcio frondi, E palustre alga: biade anzi corrai Del seminato: ne per te le vaccbe, Qual fu gia 1' uso, i candidi mastelli TKADU2I0NE DELLE CEOUGICIIE Dl VIIICILIO 043 Dopo il parto empiran, ma in pro de' cari 243 Lor figli voteraii le intere poppe. Ma se alle Ciuerre e alle feroci torme Anzi hai la niira, e colle ruote in riva A strisciar oltre del Pisano Alfeo, E nella selva ad agitar di Giove sjt Carri volanti : la fatica prima E' del cavallo, che V ardir e Y armi Vegga de' combattenti; a patir trombe. Stridor d' awoke ruote, e nella stalla Sonanti briglie ad ascoltar si avvezzi. 255 Poi, ch' ognor piu le laudi lusinghiere Goda del mastro, e della man che lieve Lo colpeggia sul collo^ il suon gradisca. E tali ardiri gia spoppato appena Ei prenda, e ad or ad or porga la bocca 2(^ A tenere cavezze, ancor gia frale, Ancor tremante e della vita ignaro. Ma tre compiute, in su la quarta state A volteggiar tosto cominci, e '1 suono Dar d' aggiustati passi; inarchi e svolga 265 Alternate le gambe, e mostri stento. Poi r aure sfidi al corso, e come sciolto Dal freii volando per aperti campi, Tocchi appena col pie le somme arena. Qual se Aqnilon dalle Iperboree piagge 270 Impetuoso iiicalza , e le procelle Di Scizia e i secchi nuvoli disperdc; Ecco piegarsi V alte biade al soffio, E farsi crespe, ed ondeggiarne i campi, Delle foreste susurrar le cime, 275 344 Del B li n If >4-t E cacciarsi da lunge i flutd al lido: Ei vola, e terra e mar fuggendo spazza. 0 ill vasto aringo ver le mete Elee Sudera tal corsier, sanguigne schiuine Dalla bocca versaiido; o fia migliore a8o Col docil collo a trar Belgici cocchj . Consenti pur, che di ferrana pingue Ai gla doniati cresca il vasto corpo; Perche non ancor domi , in 2;rande org02;lio Montando, ne patlr la lenta sferza, aSS Nc star vorrian siiSL-^etti a' duri morsl. Ma nulla indusiria piu le forze ailranca-^ Che Venere e del cieco amor le punte Tener lontane, sia eh' altri de' buoi Sia che piu dei destrier gradisca \ opra. ao" Qnindi i tori da lunge in ermi paschi, Oltre a' raonti frapposti e larghi fmmi Son rilegati, o pur tenuti accanto D' abl)ondevol presepj in chiuse stalle; Poiche veduta, strugge a poco a poco 295 La femmina lor forze, e incende, e toglie Delia selve, e dell' erbe ogni desio; Sovente pur con moUi vezzi induce Gli alteri amanti a battacliar di corna. 1 asce in gran selva la giovenca bella; 3oo Quei raeschian alternando i duri assalti, E le spesse ferite: un atro sangue Lava i lor corpi; un contra 1' altro urtando, Le corna opposte avventa, e ai gran tnuggiti Rinibomban le foreste e 1' alto OHmpo. 3o5 Ne coniune stallaggio i combattenti \ TKADL'KIOXr, DELLE GKOUGICIIE DI VIRGILIO 345 Sogliono aver: ina 1' un viiuo si parte, E va loiitano in bando a }>iagge ignote, Assal piangeiulo il proprio scorno, i colpi Del vincitur siiperbo, e quegli aniori, 3io Clie perde iiivendicato; e pur col guardo Yolto allc sialle, i regiii aviti sgombra. Qiiiiidi con ogni studio accampa a prova Sue lorze, e tutta su sforiiito letto Giace la notte fra niacigni alpestri, 3i.j Dl ruvido fogbame e di pungeiiti Carici preso il pasto; e pur s' aizza, E a recar 1' ire sulle corna impara, Cozza in lui tronco, avventa colpi all' aure, Sparge 1' arena , e le battaglie assaggia . 32<, Poi come riparate abbia le forze, Ilaccolia gagliardia, le iusegne mnove, E air iniinico, cbe i perigli e T armi Pose in obblio, va rovinoso addosso: Sicconie allor, die a biancbeggiare il flutto 325 Comincia in mezzo al mar, tragge da lungi E dair alto I'ondata; e com' ei svolto Jn ver la terra, fa tra i sassi enorme 11 croscio, e non minor d' un monte piomba : Ribolle al fondo 1' onda vorticosa, 33o E le torbide arene in alto spiiige. Cosi nel mondo gli iiomini, le fiere Di tutte guise, la marina scbiatta, Gli armenti, i piii^i augclli, in furie, in foco Traboccan tutti: in tutti inio e 1' amore. 335 IMon piu crudel ne' cam|»i in altro tempo j Dimeuticando i pargoletii Hgli, l^oiit. I. /j4 B46 D E L B E N E J.ira la lionessa, e per le selve Non menan tanto scenipio e tante morti Cli orsi dpfornii; allora e il cinghial fiero, 340 Pos?inia allor la tigre; ahi! mal c allora INe' Li])ici vagar campi solinghi. jNon vcdi qual tremor tiitte ricerclii Le membra dc cavalli, appena il noto Seiitor recaron 1' aiire? e gia ne freni, 3^5 INc gli arrestan dell' uom dure percosse, Ne scogli, o cave rupi, o fiumi opposti, Clie svelti niassi fan rotar fra I'onde. II Sabellico porco ei pur s'avventa, / ^ Aguzza i denti, scalpita la terra , 35o Frega a un arbor le coste, e alle ferite Dair un lato e dall' alrro il tergo indiira. Cbe fa il garzon, cui fiero amor per 1' ossa IVIena gran foco? tra rivolti gorghi Da tempeste dirotte ei nuota appunto 355 A tarda notte e buja: in alto tuona La porta ampia del ciel; rotto agli scogli Rimiiggbia il mar: ne i genitor dolenti, Ne la doiizella, eh' appo liii da cruda Morte fia spenta, richiamar nol ponno, 36o Che fan di Bacco i maculosi linci, £ de' lupi e de' can la scbiatta ardita? Qnali fanno battaglie i cervi imbelli? Ma quel delle cavalle i furor tutti Di certo avanza; e fu Venere stessa, 365 Cbe le instigo, quando di Glauco a brani Le puledre Potniesi ban fatfo pasto. Amor fin oltre al Gargaro le mena. 'J'UADUZION£ DELLE GEOROIGIIE DI VIRGILIO 347 Okie al sonante Ascanio; e varcari nionti, E guadan fiuini: or come tosio appresa 37(. Alle ingorde niidolle e qiiella fiainnia, ( E in prima vera piu, perche nell' ossa 11 caldo riede alia stagion novella ) Ferme sovr' alte nipi, ognuna vol2,e A Zcllro la bocca; e 1' aure lievi 3:5 Traendo, spesso d' ogni coppia scevre, Pregiie del veiito, o maraviglia a dire ! Per sassi e scogli, e per valli profonde Fuggon, non verso dove Euro tu nasci, Ne dove il Sol; ma verso Borea e Coro, 33o O donde il tenebroso Aiistro si leva, E con le fredde piogge il cielo attrista. Quindi anche, dai pastor con giusto noma Ij)pomane cliiamato, iin umor lento Stillan dair alvo; ippomane, cui vanno 383 Spesse volte a raccor le rie matrigne, E mescbian V erbe coi maligni accenti. Ma fugge il tempo, irreparal>il fugge, Mentre siam dall' amor, che ci lusinga, Ciascuna cosa ad assaggiar condutti. 390 Per gli armenti cio basta: or 1' altra parte Riman dell' opra, che lanute gregge, E ruvide caprette a condur prenda. Questo e '1 travaglio; si per voi da questo, O prodi agricoltor, laude si speri. 3<>5 IVe gia non veggo io ben, quant' ardua impresa Sia vincer a parole umil subbietto, E picciola materia ornar cantando; Ma dolce amor fra 1' erme di Parnasso 3^.8 Del Bene IViiilici mi trasporta; aiular mi giova 400 Sii'gioglii, 11' nullo ancor segno la via, (.he a I'acil poggio in ver Castalia guidi. Or, veneranda Pale, or con gran voce Sonar fa d' uopo. lo, cominciando, inglungo, Cir erba in morhide stalle abbian per pasto 403 Le pecorelle, finch' appresso torna Fronde2;a;iante la state; e clie sul dure Jerren, di niolta stoppia e felce in fasci Letto si faccia tal, die non olTenda Le gregge delicate il gelo algente, 410 E podagre delonni e scabbia meiii . Poi quinci uscendo, voglio abbian le capre Corbezzoli frondosi , e fresca V onda ; A rovescio de' venti, al Sol del verno Esposte, e al mezzodi volte le stalle 41'j Allor, che tardi omai freddo tranionta L' Acquario, e sprnzza in sul finir dt;ir anno. Che sostener con eaiual cnra anch' elle Si denno, e non miiiore util ne torna, Benche si faccia de' IMilesj velli , 4^0 Bolliti in Tiria grana, un alto canibio. Esse prole piu folta, esse di latte Dan larga copia, e piu, munte le poppe, Ne schiumera il mastelj piii ancor premendo, Sgorgheran lieti dalle manime i fiunii. 4^5 jNe gia le barbe del Cinifio capro, 11 suo mento canuto, e le lanose Setole di tosar si lascia intanto D' armate agli usi, e di noccbier tapini. Pascon poi nelle selve, e di Licea 4^0 TKVniZIOXE WELLE CEOUGICIIE DI VIKCILIO 849 Sopra le vette, fra gli orritli rovij E le vrpraje d' erii luoghi amkhe; Quiiidi torniiii da se rnemori al tetto, Guidando i figli, e con le gonfie poppe Appena soimontar ponno la soglia. 435 Til percio, quanto men d' umana aita llanno niestier, dal ghiaccio e da' nevosi ^enti a gnartlatle metti ogni tua cura; . Vitto e frondosi pasti allegro porgi, Ne ehinder tuoi fenili in tutto il verno. 440 Ma rjuando poi de' Zefiri all' invito L' allegra state mandera ne' pasclii E nelle selve 1' una e 1' altra greggia; Deir astro all' apparir, die il di riniena, Mettiainci tosto per le fresche piagge, 44^ Eincli' e il maitin novello, e di rugiada, Si dolce al gregge, bianclie 1' erbe e molli. Poi quando avra la quarta ora del giorno La sete acccsa, e qnernle cantando Sfenderan gli albereti le cicale, 45" Farai die Inngo i pozzi, o gli alti stagni, Entro canali d' elce onda corrente Bevan le gregge; ma d' ombrosa valle Nel pin litto calor vadano in cerca, Se in alcnn loco gran quercia di Giove, 453 D' anfico tronco i rami ampj distende, O se d' elci una folta oscura selva Nel bujo della sacra ombra si corca. Indi tornino all' acque, ed indi a' paschi, Finch' il Sol china, qnando fresco V aure 460 Tempera il vespro, 1' erbe rngiadosa 35o Del B k n e Ricrea la Luiia, e cV alcioa le splagge Cantano al suon, del carclellino i pruni. JXn Libici pastor, de' loro pasclii, Delle capaiine , ov' ban rado abituro, 465 Cbe ti veno mostrando? Assai sovente II dl, la notte, quanto volge uii mese. La greggia pasce, e va per gran diserti Senza un albergo; tanto e vasto il campo. L' Affricano pastor sue cose tutte 470 J\[ena con se: tetto, penati, ordigni, £ turcasso di Greta, e can d' Amicla; Come tra 1' armi patrie il Roman prode Varca la via sotto smodata soma, E pria cbe atteso, del nemico a fronte 475 Stassi in iscliiera, gia vallato il campo. Ma non cosi diScizia in fra le genti» Ver la Meotic' onda, e dove aggira Torbido T Istro bionde sabbie, e sotto Rodope al polo si rivolge e innalza. 480 Cola tengon raccbiusi entro le stalle Gli armenti; non si vede erba nel campo, Non in albero fronda; ivi a gran tratto Giace la terra d' ammontate nevi Brutta, e di fondo ghiaccio, e fin a sette 485 Braccia s' innalza: sempre inverno, sempre Cauri di freddo spiro; e le smorte ombre Non dirada il Sol mai, ne quando poggia Coi corsieri alto al ciel, ne quando il cocchio Nel vermiglio ocean piombando attufFa. 49c Correndo i fiumi , ed ecco d' improvviso Croste rapprese; gia sostien sul dorso TRADUZIONE DELLE CEOUGICHE DI VIUGILIO 3jl L' onda ferrati cercljj , e dove pria Le larghe poppe, adesso i carri accoglie. I metalli spaccarsi, e poste iudosso 490 Irrigidir le vesti, e cosa usata. Con le scuri il litpior taglian del vino; Cangiansi in duro gliiaccio interi stagni, E le arrufTate barbe il gelo indura. !Ne cessa di cader la neve intanto 5oo A pieno ciel; nniojon le gregge; i vasti Corpi de' buoi son dalle fiocche avvolti; Stringonsi in folto stormo, al nuovo ingombro Torpendo i cervi, e delle corna appena Sporgon le cime; ne, slacciando cani, S&S Seguonsi in caccia, ne tendendo reti, I\e col terror della vermiglia penna ; Ma mentre pnr danno di petco indarno ISlel contrapposto ammasso, alto rngghiando, Gli ancide e tronca da vicin col f'erro 5io La gente, e ne va poi carca e festosa. Essa.entro specbi nella terra a fondo Scavati, sta godendo ozj sicnri, E qnerce accatastate ed interi olmi Avvolta sui cammini, e mette a fuoco. 5i5 Passan qnivi la notte sollazzando, E col fermento e con le lazze sorbe Lnitan lieti della vite i nappi. Tal de' sette Trion cola suggetta Air Iperboreo carro, e da' Rifei Sac Venti battnta la gente selvaggia , D' irte pellicce a' corpi suoi fa scbermo. Se di lane ti cal, prima da lungi 35a Del B e x e Stlen le lappole e i vepri, aspra ]ji>scaglia; Fiiggi i pasclii ulieriosi; e tosto bianco, 525 E di niorbido fiocco eleggi il giegge. Se candulo moiiton sol abbia nera La lingua, e tn il rigetta, oiide ne' figli Di seme macebie noii iMloscbi il vello; E nel pieno tuo canipo un altro adoccbia. S3o Tal di sua lana al par di neve bianca Pane d' Arcadia il Dio, se creder lice, Te presa o Luna, in boscbi alti cbiainando/ Trasse in inganno; e tii schiva non fosti . Ma cbi vuol latte, ed ei spesso a' presepi 535 Citiso e loto ed erbe salse appresti; Quindi r acque ama piu, quiiidi le poppe Pin stende il gregge, e manda al latte occulto Sapor di sale. I piii vietan le madri A' cresciuti capretti, e con ferrati 540 Capestri a sonime labbra armano il muso. Quel cbe al sorger del giorno, e die nell' ore Munser del di^ premon la notte; e quello Che al tramonto del Sole, o quando e scuro, Fiior porta ne' canestri , e va sull' alba 043 Alle citta '1 pastor; o un po' lo spruzza Di sale, e per lo verno il pon da parte. IS'e tu de' cani avrai 1' ultima cura; Ma in un di Sparta coi veloci allievi Pasci di siero pingue il fier Molosso. 55o Non mai con tali guardie alle tue stalle Notturno ladro, ne di lupi assalto, Ne da tergo gV Iberi ognor infesti Fia die paventi; ed ancbe spesso al corse TUADUZIONE DELLE CEOUGICHE DI VIU GILIO 353 Col caiii liisegniral riinicli onagri, 555 E lepii e daniine caccerai co'caiii. Spesso cignali clal latrar tiirbati Scovaiulo fuori dal boscoso loto, Iiicalzt'iai; sui nionti aiti alle maglie 1 grossi cervi spiiigerai col grido. 50» Anche a bruciar eiitro le stalle appreiidi Cedro odoroso, e i fetidi cbelidri Di gall)atio a cacciar col fumo in bando. Sotto i ferml presepi o spaiirita, Fuggeudo il luine, vipera s' asconde 565 Al toccator fiinesta; o avvezzo serpe A ricovrarsl sotto i teiti e Tondjra, E spruzzar tra gli armeiui il suo veleno, Cruda peste de'buoi, sotterra ha '1 nido. Piglia sassi, o pastor, piglia roJjusti 570 Legni, e mcntre s'lnnalza^ e gotifia il collo, E tischia minaccioso, a terra il batti . Gia nel fuggir, la paurosa testa Riutana addentro, inentre al mezzo i groppi Scioglie, e le volte dell' estrema coda, 575 E trae Y ultime rote in tardi giri. Di Calabria ne' poggi anco si trova Un angue fello, die squamoso tergo Ravvolve, ergendo il petto, e da gran macchie Cliiazzato il lungo ventre; ei mentre pieni 58o Sgorgan da' fonti i fiumi, e son degli austri Piovosi, e degli nnior di prima vera Le terre molli, Ira gli stagni alberga, Sta sutle sponde, e la ria gola ingorda Enipie di pesci e di loqnaci rane; 5«5 Tom. J. 45 00^ D K I. B K N £ Poi quiiiiclo asciutta e la palude, ed arso ]l suol si feude, balza ftiori al secco, Yolgciido fiaiiiiiiegoianti intoriio gli occhi; E da sete istigato, e turibondo lucrudelisce per V atdoi* ne' cainpi. Koii fia, die dolci allor sonni all' aperto Prender mi giovi, o in bosciiertccia balza Sopra r erbe giacer, quaiido deposte Le spoglie, uuovo si ravvolve e gajo Per gioviiiezza, nel covil lasciando I figli, o r Qova; e guizza dalla bocca Tre lingua, ed erto contra il Sol si leva. Ancbe de' morbi le cagioni, e i segni Or ti verro niostraado : iinmonda scabbia Le pecorelle infests, se tosate Le penetri stagnando o fredda pioggia, O per gelo cannto orrida brina; O non lavato in esse il sudor covi , O lancinando il pruno irto le intacchi. Tutta pero di dolci acque la greggia Spruzzauo i mandriani, e dentro i gorghi Attiiflasi il nionton, cui suda il vello, E a seconda ne va spint.o nel finme; O le tosate membra ungon d' ainara Morchia; e spume d' argento, e vivi zolfi JMeschianvi, e peci Idee, Siigose cere, Squilla, ellebori olenti, e nero asfalto. Ma scampo alcun piu venturoso e presto Dal travaglio non e, die se col ferro II labbro della piaga altri recida: Cliiuso deniro il malor si niitre e vive, 590 595 6*0 6o3 610 Cii TRADHZIONE DELLE GEORGICHE DI VIUGILIO SSf) Se la medica rnano usar ricusa 11 pastor siille piaglie, e neghittoso Iinplora dagli Idilii sorte nugliore. Ed anzi , se nell' ossa iutiine entraiido 620 11 dolor s' iiiacerba, e se consuma Delle pecore il corpo arida febbre, Giova sfogar 1' ardore, e giu nel piede Ferir la vena, onde zanipilli il saiigue. Come i Bisald lianiio in costume, e quando C25 Verso Rodope move il Gelon fiero, O pur de' Geti nei diserti , e bee Col sangue di caval rappreso il latte. Se alcuua vedi spesso all' ombra molle Ricovrarsi da lunge;, o iiauseando <53o Brucar le cime all' erba, e dietro al gregge Venir sezzaja, e pascolando^ in mezzo Corcarsi il campo, e come s' avvicina La tarda notte, muover qiiinci sola: Pria die un contagio rio tra '1 volgo incauto 63^ Serpeggi, tosto il mal col ferro aflrena. Non si spesso, burrascbe in mar movendo, 11 turbin piomba, come invadon moke Pesti le pecorelle; e non gia il morl)0 Un capo, e V altro assal, ma di repente 640 La mandria iiitera, e insiem greggia, e speranza, E fin dal ceppo la famiglia tutta. Sallo chi r A I pi eccelse, e le borgate Sopra i Norici monti, e del Timavo lapigio i campi, pur dopo tant' anni 645 Rivegga, e de' pastor diserti i regni, E a lungo e a largo voti i poggi erbosi. 356 Del B k n e La per vizio del ciel si mlse un tempo Aliserevol fort una, ed iiifocatido Di tntta forza sua l' autunnal vampo, 65o Ojyiii scluatta maiido d' armeiui a morte, Ogui scliiaita di belve; infetto i laghi, E le pasture col velen corruppe. Nh sola della morte era una via: Ma couie tuite avea cerche le vene 655 ll^u ardor sitibondo, e le mescliine Membra contratie; poi liquido iimore L' ossa inoudava, cui dal morbo strutte A falda a falda, in se tutte sciogliea. Soveute staudo 1' ostia iunanzi all' ara (^>6:> Per onor degl'Iddii, meutre il velame Di lana si striugea con biancbe fasce, Indugiando i ministri, a loro in mezzo Cadde spirante; o se n' aveva innauzi Akra col ferro il sacerdote ancisa, 6C5 Ts'e delle fibre, iudi suU' ara imposte, vSurge la fiamma, ne risposta puote l^euderne 1' indovin, com' ei sia cbiesto. Di sangue appena la forata strozza Tinge i cokelli, e a rare gocce un guasto fi^n Umore il sommo della polve inombra. Quiudi fra le ridenti erbe i vitelli Qua e la si muojon, e la dolce vita Spiran de' pieni lor presepi accanto. Ma ue' piacevol cani eutra la rabbia, 675 E un' affannosa losse egri i majali Scote, e le fauci rigonfiando strozza. 11 cornier vincitor, posti in obI)lio TRADUZIONE DELLli GEOUGICIIE DI VIKGILIO J07 Gil aringhi e Terbe, tristo s' abbandona, Divien de' fonti scbivo, e spesso fiede €80 Coi pie la terra; tien le oreccliie basse, D'interrotto sudor quivi si bagna, Clie freddo, accenna inorte: a toccar dura La pelle, e secca al |)alpeggiar resiste. Tali pria di morir, ne' prirni giorni, CSK Ne niostran segiii; ma se poscia il morbo Comincia ad iiicrudirsi: allor accesi Sou gli occbi, ed i resplr tratti dal fondo, Talor gementi e gravi ; i fianchi tende Lungo siugliiozzo all' imo; un sangue nero C90 Dalle narici vien colando, ed aspra La lingua striuge le barrate fauci. Giovo I'uuior Leupo col corno infuso, E parve a' moriboudi uuico scampo; Poi fu tosto velen: ripresa forza, fjyo Ardeano in furie; e gia sul uiorir, lassi ! Le lor membra addentaiido ( a* pii men fiere Voglie, a' nemici quell' errore, o Dei; ) Dilaceravan se medesmi a brani. Ma sotto il vomer duro, ecco, fumaudo 700 Cade il toro prosteso, e schiume e sangue Yomita, e trae gemendo il fiato estremo. Mesto il bifolco si diparte, e scioglie Per lo inorto fratello il bue doleute, Lasciando il vomer fitto in mezzo all' opra. 7<5 Non ombra val di boscbi alti a conforto, Non molli prati, non rra sassi errante Fiume, cbe puro pin ch' elettro scenda Yer la campagna; ma dall' imo i fiauclii Vo'd D E L B E N E Sciolgonsi, stupor preme gli amniorrnti 710 Ocelli, e va col siio peso a terra il collo. A che lor giovan le I'aticlie, e i mcrti, A che le gravi terre arando svolie? Ne Massici pero doni di Bacco Nocquero a lor, ne rinovate uiense: 7'5 Lor pasto e frondi, e schietta erba; lor here Linipide fontl , e fiumi al corso usati; ]Se rompe aiVanno i lor salubri somu. Dicoii, che non piu mai per quelle terre Ai riti di Giuiiou cercate in vano 720 Fur le giovenche, e tratti all' alto tempio Da' buoi selvaggi, e disuguali, i cocchi. Quindi a stento i cultor solcan co' rastri La terra; ficcan pur coU' unghie i semi ]Mel suolo, e tiran 311 per aki monti 725 A collo teso i cigolanti carri. Noil aguati agli ovili attorno il lupo Trama spiando, ne pur fa notturna Ronda alle gregge: maggior cura il donia. Paurosi e fuggiaschi i daini e i cervi 7^0 Erran tra i cani, ed alle case iutorno. La prole gia del mare immenso, e tutte Razze di notator, sul lito estremo. Come naufraghi corpi il flutto guazza: Ne' fiumi a nuovo asil fuggon le foche. 735 Dalle curve sue tane in van difesa JVTuor la vipera anch' ella, e istupidite Coir irte squame le acquajuole serpi. E' 1' aer grave anco agli augei: la vita Lascian sotto le nubi alte, piombando. 740 TRADUZIONE DELLE GEOKGICttE 1)1 VIUGILIO 359 Ne quindi giova oniai cangiar di paschi; INuoce alia prova ogni trovato: i mastri, dliiione il Fillireo, d' Amitaone JVJelampo il figlio, ei pur si dieron vinti. Dalle tenebre Stigie al luine uscita 74S La pallida Tisifone iinperversa, Cacciando i JNlorbi e lo Spavento innanzi; Si rizza, e ognor pin leva il cefTo iiigordo. Del belar delle gregge, e del frequence Mnggito riaonar s' odono i fiumi, 760 Le secche rive, e i dicbinati poggi. E gia lo scempio rnena a torme, e fino Dentro le stalle i morti corpi ammonta Dal velenoso e sozzo umor disfatti; Fin ell' a porii sotterra, e in fosse ascosi 755 S' apprenda; poicbc 1' uso ancbe del cuojo Fallia, ne gl' intestin poteva alcuno Purgar coll' onda, ne sanar col fnoco. Ne pur dal morbo rosi e dal marciume Tosar i velli, ne toccar si ponno 760 Le tele guaste; ma se pur ardia Talun vestirsi gli odiosi ammanti, Ed ecco accese bolle e sudor guasto Per lo feiido corpo: indi non lungo Andando il tempo alTindugiar, le infette 760 Membra gli divorava il fuoco sacro. 36o Del B Ji n h L I p R o IV osto r aereo mel, celeste dono Veiro caiitando; a questa parte ancora Mecenate, pon mente: in tenui cose Spettacoli aininirandi; i duci arditi, Le costiimanze d' una gente intera, 5 I popoli, le cure e le batraglie Per ordiii narrero: lieve subbietto Delia faclca, ma non gloria lieve Per chi secure da' sinistri numi Si lasci, e la cui voce Apollo ascolti. lo Ricetto e stanza in pria si cerclii all' api Dove ne 1 vento possa ( a casa il cibo Portar non lascia il vento; ) e insidto a' fiori Non faccian pecorelle e capri arditi, O vacca, errando, la rugiada scota 16 Nel canipo, e le crescenti erbe calpesti. Lucerte pinte lo sbiavato dorso, Meropi, ed altri augelli, e la macchiata Dalle sanguigne man Progne sul petto Cessin da' pingui alberghi, ove ogni cosa ao Mettono a ruba, e le volanti pecchie Portan, dole' esca, in bocca agli aspri nidi. Ma pure fonti ci sien presso, e stagni Di muscbio verdeggianti, e piccioletto Ruscel, che via trascorra in mezzo all' erbe. aS Air entrata una palma, o vero lui grande Ulivastro dia 1' ombra , onde moYendo TR.VDUZIONE DELLE GEOUGIGHE DI VIUCILIO 36 1 ISeir alma priinavera i Re novtlli Co' piinii sciaini, e da' suoi favi schliisa La gioventii scherzandoj il vicin iiiargo, 3o Dove rliiarsi dal calor, la itiviti, E la ratienga ne' tVoiidosi alberglii L' arbor di contra: in mezzo, o che stagnante Covi -1' acqiia, o trascorra, attraversati Geita legni di salcio, e grosse pietre, 35 Percli' elle possan sopra spessi ponti Posarsi, e spiegar V ali al Sole esiivo, Se, meiure badaii. Euro le disperse, 0 violento le tuffo nell' onde. Fioriscan verdi casie ivi d" intorno, 40 Largo olezzanti serpollini, e molta Timbra di grave odor; e di violc Jjevano i cespi della fonie al rigo. Ma gli alvearj, o die da te commessi Di cave scorze, o che di facil vinoo 45 Sieii iiitessuti, stretto abbiano il varco, Poicbe '1 verno col fredtlo il mel costipa, E lo stempra il calor. Vuolsi del pari L' api guardar da qiiesri oltraggi entrambi; Che lion in van ne' loro tetti a gara 5o 1 piccioli spiragli intridon elle Di cera; e d' alga e fiori einpiono i lembi. o pi( E a cotal uso appunto il ghiiiaoso Raccolto umor ripongono, del visco E della pece Idea vie piii tenace. 55 Sovente anco sotterra in cave tane, Se il ver conta la fama, ban posto il nido, E ritrovate fur ben entro in vote 2om. I. ^^ 362 D E L B E N E 70 Poinici, e in anr.ii di corrosi leo-iii. Ma tu di liiuo iiuiidi levisiiando Le screpolate stanze, e attorno spalma, E vi getia di tVondi un raro tetto; ]Me '1 tasso alia magloii lasciar vicino, ]Ne braciar rossi gianclij, e non fularti Ad alio stagnOj o a grave odor di faiigo, O a loco tal, donde da' cavi inassi Battuto il suon ritorni, e della voce L' iminagine cozzando, indietro sbalzi. Quaiido poi r aureo Sol caccio sotterra vSbandito il verno, e con V es^tiva luce Aperse il ciel; esse per poggi e selve Discorron tosto, e i rubicondi fiori Mietono, e lievi a pel libaiio i fiumi. Qiiiiidi, per qual dolcezza io noii so, liete (]ovan la prole e i nidi, e nuove cere 70 Statnpan con arte, e founo il rael tenace. Tu quindi allor, die da' serragli scbiusa Alcuiia schiera andar vedrai natando JNel puio aer esrivo in vt;r le stelle, E dal vento esser tratto il nuvol fosco; 80 Pom ben mente: di dolci acque in cerca Elle van sempre, e di frondosi ostelli. 1 prescritti sapor cola tu spargi, Trite nielisse, e vil erba ceiiiita; Fa tintinnio; della gran Macire scuoti 85 I cembali d' intorno: esse porransi Su medicaii seggi; esse alT usato Si raccorran nelle segrete celle. Ma se usciro a pugnar ( cbe tra due Regi 60 TKADUZIONE DELLE GEORGICHt DI VIUCILIO 363 Spe«;so rompe dlscordia in gran trarnbusto ) %' Gli aniini antivedtr rnolto da prima Si puo del volgo, e i cor suspiiui all' arme. Che quel suon niarzial di roco broiizo Le pigre aizza, e tal s' ode una voce, Che i rotti sqnilli delle trotnbe iinira. 95 Allor si stringon bridicando iiisieme, Brillan coll' ali, aguzzan le saetie Co'rostri, atteggian a pugnar le braccia, E al Re d' intorno ed alia regia tenda Si meschian alTollate, e con gran voci ico Sfidano la nemica oste a battaglia. Poi, come prima vera appar serena, E sgombro il campo, dalle porte fuori Sboccano; viensi all' arnii; alto nelT etra Romor si leva; in ampio globo iiisieme loS S' aggruppan miste, e gin cadono a rotta ; Non piu fitta dal ciel la grandin piove, Ne tante ghiande, s' e crollara un' elce . In mezzo delle schiere i Re superbi Deir onor delle penne, in picciol petto no Volgon anime grandi; incontro fermi Di non ceder giammai, finche le spalle A voltar e fiiggir, o l' una parte, O r altra il vincitor premendo sforzi. Or tuito quel subuglio, e (jue' si grandi n5 Azzunamenti, fia ch' un gittar lieve Di polve incontro rintuzzando accheti. JVIa quando entrambi dalla pugna i duci Ritratto avrai, qiial li parra piii tristo, Perche del suo sprecar tu cessi il danno, 120 > 364 Del Bene Spegni, e lascia al miglior la reggia sgombra. L' un d' essl ( poiche due ne son le schiatte ) Fiainmeggera per oro a macchie sparso, Orit'vole in sernbiante, e dalle squaine lliluceiiti disrinto: esso e migliore. r^S L' altro, ch' e rabbudato, e negbiitoso, Igiiobil va traenclo im largo ventre. Siccome due dei Re, cosi del volgo Son le persone: altre arrudate e brutte, Qual chi vien dalla via per alra polve, i3o E terra fuOr delT arse fliuci sputa; D' un brillante fulgor fianuneggian V altre. Asperse d' oro a pari inaccbie il corpo. Quest' e r ottiina scliiatta, e tu da questa. Come suo tempo il eiel conduca, un mele i3S Dolce corrai; ne dolce sol, ma puro, E cbe di Bacco il sapor crndo ammolli. Se p(ii volano incerti, e per lo cielo Scberzan gli sciami, e i fiivi disdegnando, Lascian in abbandono i Freddi ostelli; 14'' Di quel vano giuocar le instabil aline Svezza; ne di svezzarle avrai gran pena: Togli ai Re Tali; non sara chi ardisca, Badando quelli. ne poggiar sulP erte Yie, ne 1' insegne mai sveller dal campo. ^5 Le vengan invitando orti olezzanti Di ranci fior: da' ladri e dagli angel li Le protegga il guardian, cbe tien di salcio La ronca, I' EUespontico Priapo. Chi di tai cose ha cura, e time e pini i5o Dagli alti monti iiitorno i tetti a largo TU\T)TJZIONC DELI.E GEORCIOIIE DI VIRGILIO 365 Tiasponga; egli sue man col lavor duro Logori; ei ligga le feraci piante iNcI suolo, e cli henigna onda ristori. E certo, se alia tncta ormai viciiio i53 Di inie faticlie, in sul raccor le vele !Non fossi, e di voltar la prora a terra Non m' aflrettassi, canterei pur forse, Quale studio e coltura adorui i pingui Orti, e i rosai di Pesto, clie due volte lOc Portano fiori; e come i rivi lieta L' iiidivia, e d* appio bean le verdi sponde; II cocoiner, serpendo in mezzo all' erbe Come cresca nel ventre; ne '1 narciso, Che tardi s[)iega le sue cliiome, o '1 vinco i65 Taciuto avrei del tortiglioso acanto, L' edera sniorta, e 'I mirto a' lidi amico. Perche ricordo, delT llhalia rocca Sotto le torri. dove fosco bagua Galeso i bioudi cam pi, aver gia visto 170 L'n Coricese vecrluerel, che pochi Giugeri avea d' abbaudonato cau>po: Ne ftriil sotto i bnoi , ne per armenti ■ Buono era il suolo, nc gradito a Bacco; ]Vla radi erbaggi nel terren pruiioso 173 Ei pur ficcando, bianchi gigb attorno, JNlangerecci papaveri, e verbene, Pareggiava in suo cor dei Re lo stato; E a tarda notte alia maoiion tornando, Di non compri iinbandia cibi le mense. 18a Nella nuova stagion primo le rose Egli spiccava, nell' autunno i poaii; 366 Del Ben b E mentre pnr col frecldo il tristo verno Sfeiuleva i sassi, e rattenea col gliiaccio 11 corso air accrue, ei p;ia del molle acanto iSS Tonclea le cliioine, ed alia tarda state Facea rampogne, e a' Zcfiri infingardi . Quiiidi ancor egli di feconde pccchie, Di sciami spessi avea dovizia il priiiio, E ricogliea degli spremuti favi 190 Schlumoso miel: di tigli e d' assai pini Era fornito; e gli alber siioi feraci , Di quaute al niiovo fior s' eran vestiti, Tante all' autimno avean mature poma. Egli anche in (ila i vecchi olmi traspose, lyS £ gV indurati peri, e i gia feraci Spini di prugne, e '1 plataao che ormai Poro-eva V ombra ai bevitori arnica. o Ma da tai cose^ che il partito cainpo Trattar mi vieta, io passo innanzi, e ad altri 200 Di dirle dopo me lascio la cura. Or mostrando verro, quali alle pecchie Lo stesso Giove abbia concessi ingegni. Per merto, che seguendo elle i canori Suon de'Cureti, e '1 crepitar de' bronzi, 2<>5 Nel Ditteo speco il Re del ciel nudriro. Sole han prole comiin, tutte un albergo Nella cittade; leggi hanno solenni, Sotto cui menan operose i giorni. Sole conoscoii patria e stabil nido; 210 E memori del verno a cui van contro, Prova del faticar fanno la state, E pongon a comune ogni ricolto. TKADUZIONE DELLF. GRORCICIIE I>I VIRGILIO 867 Poi cir alle vettovaglie attendoii altre, E fattoiie convegno, opran ne'carnpi; ^i5 Parte, de' lor ostelli eritro le chiostre Lagrime di Narcisso, e di corteccia Glutiii viscoso, foiidamenta prime Poiigou de' favi, e le tenaci cere Vi appendon poi; del popolo la speme hm Allevan altre, i hen crescenti figli; II purissiino inel qiiesie stipando, Confiau di nettar liinpido le celle. Quelle assortite a custodir le porte, Stanno a vicenda i iiuvoli e le piogge 225 D<1 ciel servando; o all' arrivar dell' altre, Ricevon i lor carchi; o iiisiem serrate Cacciano i fuchi, neghittosa greggia, Fuor de' presepi : ferve 1' opra e sparge Sentor di tiino 1' odoroso mele. 23o JE come allor, die d' ammollitc masse AfTrettansi i Ciclopi a far sactte, Alciiiii traggoa, e ricaccian I' aure Da' maiitici bovini: altri tufTando Fanno i metalli sibilar neH'oiula: a35 Gerae sotto le inciidi a' coljii 1' Etna; Essi con vigor molto alzan tra loro A coiiserto le braccia, e con tenace Tanaglia volgon tramutando il ferro: INon altrimenti, se paraggio lice 340 Far tra le grandi, e le minute cose, Fruga r api Cecropie, ogimna in quale Uffizio e posta, innato amor d' averi: De' borgbi ban cura, e di munire i favi 368 Del B b n li Le vecchie, e di foggiar con arte i tettii Ma le allassate giovani a gran notte Tornan col timo, ond' han carclie le gambe. Corbezzole qua e la, cilestri salci, E casia, e rosso croco, e tiglio pingue, E fenigiii giacinti a pascer vauno; Deir opiar, del cessar tutte baiino \m tempo. 11 inattin dalle porte escono in fiorta, ]Ne restan mai; cjuaudo alia fine il Vespro Di lasciar le aminonisce la pastura E le campagiie, allor verso 1' albergo ]\[ovono, e all' adagiarsi ognuna inteiide. Un siioii si desta^, mentre agli orli iiuorno Ronzano, e ai limitar; poi nelle stanze Corcansi, e cbete stan la notte intera, Vinte da bel sopor le stancbe membra. Ne pero troppo dagli alberghi lunge Traggonsi, se venir mostri la pioggia, Ne si fidano al ciel, metter»do il vento; Ma della lor citta sotto le mura Sicure intorno attingon acqua, e brevi Tentano scorribande; e sassolini. Come zavorra per girevol barcbe, CIV agita il fiotto, su levando, spesso Con quei si bbran per le vote nubi. JMa d' altra usaiiza ancor gradita all' a pi Tu stupirai; die ne piegano a nozze, ISe molli in opra di lussuria i cor pi Stempran, ne spingon i lor parti in luce; Ma colgon elle con la bocca i figU D' insii r erbe soavi, e dalle frondi; 2\C) 2:m-. 26c a65 270 275 TRAnUZIONE DELLE CEOKCIOIIE DI VIUCILIO 869 Di Re foruiscon elle e cU Quiriti Pargoletti la patria, e con le cere Lor palagi rifaiino e lor reami. Sovente ancor tra dure coti erraiulo, Logoran T ali, e voleiitier la vita a8o Lasciaii sotto la soma: amor si forte De' fior le piinge, e di far mele il vanto! Quindi, beiuhe coiifin I)rrve di vita Le accolga: (he non piu di sette volte Passan la state; ma pur basta e vive e85 Immortale il lignaggio, e per molt' anni Ferma della famiglia e la Forruna. E si noveran gli avi, e di lor gli avi. Ma ne tanto il siio Re 1' Egitto onora, Ne la gran Lidia , il Parte, o '1 Medo Idaspe: 290 Lui vivo e salvo, un voler solo e in tutte ; Perduto lui, rotta e la fede: a ruba !Ne va per lor medesme il mel costrutto, E si slega de' favi ogni testura. Fgli a' lavor sta sopra ; ossequlose ay") A lui son tutte, e con un denso ronzo Gli stanno intorno', e gli fan cerchio in folia: Spesso il levano ancor sopra le spalle, Oflron lor corpi alle battaglie, e vanno Tra le ftrite a gloriosa morie. 3<)o Questi segni servando, e questi esempj, Dissero aliuni, aver V api una parte Della mente Divina, e ber deU'etra; Poscia die Dio per ogni terra e mare, E nel profondo ciel se stesso mesce; 3<)5 Clie di la gregge, armenti, uomini, fiere Tom. J. ^7 oyo Del B p. n n Di tutte guise, ogmm tragge nascendo Siio tenue spirto, e clie cola pur tutte Rendonsi, e tornan poi T alnie disciolte, Senza morir; die volan anzi vive ~ Sio In fra le stelle, e pogglan alto in cielo. Qualor I'angusta sede, e i custoditi Di niel tesori sturerai; la bocca Ben t' innacqua da prima, e con la mano Ti porta innanzi il penetrabil fuino. 3i5 Due volte la stivata arnia si vota, Due stagioni ha il ricolto: appena ha mostro Alle terre il bel viso, e disdegiiando Col pie deir Ocean V onde respinse La Pleja Taigete; o quando 1' astro Sao Del Pesce acquoso essa fuggendo, trista Di cielo scende negV iberni flutti . S' adiran elle sopra modo, e ofiese Spiran velen colle piuiture, e occulti Lasciano, afBsse in su le vene, i dardi , 3i.'> E depongon la vita entro la piaga. Ma se rigor temi di verno, e cura Metti deir avvenir, e delle afflitte Ahne hai pietade, e di lor sorte strema; Chi di suduniicar si stara in forse 33o Col timo, e di tagliar le vote cere? Poiche non visto stellion sovente Divora i favi; e son zeppe le celle Di tarli, che in disjietto hanno la luce, E seggendo ozioso agli altrui pasti, , 335 II fnco, o r aspro calabron, con armi Disuguali si mischia, o le tignuole 4 TUVDUZIOITE DELLE CEOUGICHE DI VIIIGILIO 87 1 Razza malvagia; o retl ample alle porte OcPioso a Minerva il ragiio appende. Quaiito pivi munte, con piu studio attese 34.0 Saran tiitte a rifar di sue roviue La scaduta famiglia, ed enipieranno Le nicchie, e tesserau graiiai co' fiori. St poi ( dacche la vita anco alle pt^cchie I nostri guai reco ) per tristo morbo 345 Lor corpi languiranno; il che potrai Gia tu ritrar da non incerii segni: Tosto han malate alrro color; deforrae Si fa per macilenza orrida il viso; Poi deir estinte portan fuori i corpi 35o Dalla magione, e fan tristo mortoro, O intrecciate co' pie stanno pendenti A' limitari; o negli alberghi cliiusi Tutte badarido stannosi, e per fame, E per freddo rattratte e neghittose; 335 S' ode pin grave suon; ronzano a lungo, Qual il freddo Anstro fa romor ne' boschi, Qual, frante 1' ondcj stride il mar turbato, Qual gran foco in fornaci al chiuso rugghia: Ardansi tosto allor, per mio consiglio, 36o Di galbano gli odori , e mel s' infonda Per bucciuoli di canna, ond' abbian lasse Dolce conforto, e a' noti pasti invito. Ltil anche sara raescer insieme Sapor di galle frante, e seccbe rose, 36$ O defruto spessato a largo fuoco, O grappi vizzi d' nva Psizia, e time Cecropio, e ceutune di grave ole/zo. Sya Del Bene Anche \m fior e ne' prati, a cui d' amello Tmposto fu da' contadini il nome, S^o Faoil erba a trovar, poiche gran macchia Da un solo cespo iniialza: e fior dorato, INI a nelle foglie, ond' e cestito attorno. La porpora traspar sotto la bruna Viola liicctcando; orna sovente 375 Degl' Iddii Tare co' festoni intesti; Aspro alia bocca e il suo sapor; ricolto J£' da' pastori nel tosar le valli, E lungh' esse del Mella il curvo fiume: Or tu di questo in odoroso vino 3S(> Fa boUir le radici, e sulle pone Lor ne fornisci in pien canestri il pasto. Ma se altrui di repente a fallir venga Tiitta la prole, ne gli resti ceppo, Che basti a ristorar novella schiatta: 3«5 Dell' Arcade pastor tempo e clV io sveli ]1 memorando trovainento, e '1 modo. Come sovente degli uccisi buoi Porto le pecchie il piitref;itto sangne; E addietro i passi rifaceiido, tutta S90 Diro la storia dalV origin prima. La dove alberga del Pelleo Canopo, Lungo del Nil, che traboccando stagna, L' avventnrosa gente, e alle sue ville Su dipinte barchette intorno gira; 395 £ dove presso armata di faretre Persia fronteggia, e fin da' colorati ]ndi scendendo il fiume, con le fosche Sabbie feconda il verde Egitto, e 1' ac(|ue TKADUZIONE DELLE CLORCICIIE 1)1 VlllClLIO SyS Per sette foci difilando sfoga: 400 Tima gente in quest' arte ha certo scampo. Picciol si 9ceglie prima e all' uopo siesso Ristretto loco; e '1 serran con augusti Embrici a tetto, ed accostati muri. Quattro aggiiingon fitiestre, a' quaftro venti 4'>5 Rivolte, oi)de ci passi obliquo Inme: Poi si cerca un vitel, die orinai le corna A I second' anno sulla fronte ^iiarchi; Di cui tra il molto ripugnar, cucite Le dne nari, e '1 respir cliiuso alia bocca, 41" E morto di percosse, entro 1' intera Pelle si fiaccan gl' intestin battendo. Tal nel chiuso a giacer lascianlo; e frasche Di rami sotto delle coste, e timo Mettono e casie che teste fur coke. 4'? Cio fassi, come pria l' onde sospinge Zefiro, innanzi al rosseggiar de' prati Per nuovi fiori ; innanzi < h' alle travi La rondine loquace appenda il nido. L' uinor intanto nelle tener* ossa 420 Scaldato bolle, e d' amniiraiide fogge Animali a vedersi ( a cui da prima JNIanrano i pie, poi stridon anche 1' ali ) Van brulicando, ed ognor pin le lievi Aure prendendo; fin cli' al par di pioggia 425 Sboccan, che scroscia dalle tuibi estive, O di saette al par, dal nervo spinte, Qnando il Parto legger rompe la pugn*. Qual Dio, qual ci trovo. Muse, quest arte? Qudl cagion mosse a pur tentar le prove? 43o $74 D E L B E N E 11 pastor Aristeo, siccome ^ fama, D' iiiedia e di nialor perdute V api, Del fiiime estremo alia sorgente sacra Egro arrestossi, e molto lamentando. Alia madre si volse in cotai note: /^SS Madre Cireiie, madre, o tu clie al fondo Di questo gorgo alberghi; a che d' illustre Divin lignaggio ( s' e pur mio, qual narri Padre, Apollo Tirnbreo ) m' ingenerasti In odio a'fati? ove 1' aiitico amore 4*q Cacciasti? a che sperar mi festi il cielo? Di mia vita mortal quel vanto istesso, Che delle biade e degli armenti industre Guardian, con tutte prove ottenni a stento, Eccolo, e madre pur mi sei, perduto. 4*5 Anzi tu stessa le felici selve Schianta con le tue man; reca alle stalle Fuoco nemico; fa morir la messe; Brucia le piantagion; gagliarda scure Contra le viti avventa omai, se tania 45« Delia chiarezza mia noja ti prese . Udi la madre il suon di sotto 1' alto Letto del flume: intorno a lei piu ninfe Traean le fila da' Milesj velli D' un color pregni, quale il vetro tinge: 4^5 Drimo, Xanto, Fillidoce, Ligea, Sui colli bianchi sparse il liscio crine; Nesea, Spio, Cimmodoce, Talia, E la bionda Licoride e Cidippe: Vergine questa, 1' altra che i travagli 460 Priini avea di Lucina allor soflerti; TRA.DTJZIONE DELLE CEORGICHE DI VIKGILIO SyS E Clio con Beroe sua sorella: entramhe Deir Ocean figliuole, entrambe in oro E in pinte pelli awoke; Efiie, etl Opi, E r Asia Dejopeja, e la veloce 465 Aretnsa, ch' alfin poso gli strali. Climene in mezzo lor 1' inutil cura Narrava di Vulcano, e i dolci furti E gl' inganni di Marte; e degl' Iddii Dal Caos noverava i folti aniori. 47«) Or mentre vinte da quel canto, i molli Pennecchi sconocchiando ivan co' fusi , Feri di nuovo le materne orecchie ]1 pianto d' Aristeo, che fe' le ninfe Tutte srupir nel cristallino albergo. 475 IVIa per veder, innanzi all' akre suore 11 biondo capo fuor nuse dall' onde Aretusa, e di lunge: O non da tanti Geiniti, disse, invano sbigottita Suora Cirene; a te dinanzi quello 48<> Che pin t' e caro, il misero Aristeo, Del tuo padre Peneo sta presso all' onda, E te a nome crudel piangendo chiaina. Percossa da terror nuovo nell' alma La madre: A me, presto a me, disse, ilguida; 48> Lice a lui degli Dei toccar le soglie. A nn tempo dipartir fa in largo tratto I fondi guadi, ove il garzon si meita: Piegata intorno a lui ristette 1' onda A guisa di montagna, e nel suo vasto 41K> Grembo I'accolse, e sotto 'I finme il mise. Ei gia r albergo della madre, e i regni 376 Del Bene Umidi, e i chiusi laglil entro spelonche, E i boschi risonaiui iva anirniraiido, E shulordito a tanto mover (V acqiie, ^9^ Tutti notava sotto il vasto mondo Voki a liiop;hi diversi andarne i fiuini, 11 Fasi, il Lico, la sorgente prima Don-de il profoudo Eiiipeo, e doiide sbocca II padre Tebro, e d' Aniene i (Ivitti; Soo Donde Tpaiii die a' sassi urta e rimbomba. El Caico di Misia, e colle coriia Sulla fronte di toro ambe dorate II Po, di cui piu violeiito fiume Non va per grassi campi al mar vermiglio. 5o3 Poi nella stanza giunto, a cui sospese Pomici fan soffitta, e da Cirene Vano del figlio conosciuto il pianto» Per ordiii le sorelle alle sue mani Porgon limpidi fonti, e tovagUette Sio Recan di raso pelo; altre di cibi Carcan le mense, e porgoii pieni i nappi: Olezzano i Panchei fuochi suU'are. Prendi una coppa di Meonio vino, Libiamlo all' Ocean: la madre disse; 5i5 Ed in questo el la stessa i preghi volse Air Ocean, che delle cose e padre, E alle ninfe sorelle, di cui cento Hanno le selve, e cento in guardia i fiumi. II limpido spruzzo nettar tre volte 620 Sopra r ardente fuoco, e tre la flamma, Spintasi fin della soffitta al sommo, Guizzo; del quai augurio a buona speme TKADUZIOXE DELLE CLOftGICIIE DI VIKCILIO 877 Riconfortata, in tai parole uscio: Sta di Nettuno nel Carpazio gorgo SaS Proteo cilestro, riiidovin, che pesci E destrier da due piedi al coccliio aggiunti, II mar ampio misura; or a Pallene Torna sua patria, e delT Eniazia ai porti. II veueriam noi ninfe, e ancli' ei V aiiuoso 53o Nereo, poiche le cose tutte il vate, Clie sou, die furo, e che verrau conosce. Cosi piacque a Nettuu, cui sotto i gorglii Pascola euormi armenti , e turpi foche. Questo, o figlio, allacciar prima tu dei, 533 Perche del morbo ogui cagiou ti mostri, E in ben t'avanzi; che nessun consiglio Ti daria nou cdstretto, e con preghiere Non fia che il pieghi: a viva forza preso, Di ritorte lo stringi; con tal laccio ^o L' incanto si sciorra delle sue fraudi. Quando avra il Sole nel ineriggio acceso II maggior vampo; quando sitibonde Son r erbe, e al gregge ormai V ombra piu grata, 10 stessa condurrotti, ove dall' onde 5^5 11 vecchio stance si raccoglie e cela, Perche, mentre dormendo egli prosteso Giace, leggier ti fia 1' essergli sopra. Ma quando con le raaui e co' legami Afferrato il terrai, di varie belve 55o Preudera per caugiarsi aspetti e forme; Ei diverra repentc orrido verro, Quindi tigre crudel, drago sqiiamoso, E lionessa con cervice bionda; 2'om. J. 48 3 78 D K r. B E N E 0 mandaiulo di fiamina iin forte croscio^ 555 1 lacci scuoterii per questa via, O se n' aiKlia in sottili acque disciolto. ]Ma quaiuo ei di iiuitarsi in tutte forme !Noii resii, e tu, niio figlio, i forti nodi Tamo piu stringi, fin ch' abbia lo stesso 56o Corpo ripreso, in cbe 1' avrai tn visto Chiuder le hici al cominciar del sonno. Si disscj e T ole zzante and:)rosia sparse, E tutto i\ unse del figliuolo il corpo: A lui dal crin coniposto aura soave 565 Spiro; destro vigor venne alle membra. Di corrosa montagna entra nel fianco XJn ampia grotta, in ciii molta dal vento Onda si caccia, e franta si riversa: A' sprpresi noccbier gia fida stanza. 570 Proteo la dentro si ricovra, e sbarra Con un gran sasso: ivi la ninfa al bujo Alloga il giovanetto, e da iontano Si rattien ella in folte nebbie chiusa. Bruciava il Sirio gia rovente e vivo 575 Gl'Indi assetati, ed avea corso in cielo Meta del cercbio 1' infocato Sole; Inaridivan Terbe, e, seccbi i letti. Fin entro la belletta eran dal vampo I cavi finmi riscaldati ed arsi; 58o Allor cbe Proteo alia spelonca usata Fuor deir onde traea: V umida gente Del vasto mar, intorno a lui danzando, Spruzzo per arnpio tratto il guazzo amaro. Prendendo sonno, sdrajansi le focbe 585 TKAWTJZIONK DELLE GEORGICHE DI VIRCILIO 879 Sill lito sparse: iii mezzo egli ( com' usa D' una stalla il guardian la sopra i monti, Quando da'pasclii al tetto riconduce Vespro i viielli, e de' belati il suono, Ch' udir faniio gli agnelli, i hipi insiiga ) 590 Sovr' ua masso s'asside, e conta i capi. Come n' ebbe Aristeo sicura posta, Appena al veccbio coricar le stancbe Membra lascio, cbe a lui giacente e sopra Con alte grida, e con manecte il ferma. SyS L' altro, gl' ingegni suoi non obbbando, Cangiasi di portenti in ogni foggia, In fuoco, in belva orrenda, in lubric' onda; Ma poi cb' alio scampar gli tornan vane Tutt' artij vinto in se stesso ritorna, (k.c E con uinana alfin forma e favella: O di tntti i garzon pin baldanzoso, Or cbi, disse, ad entrar ne' nostri albergbi Ti scorse? e a cbe venisti'* Ed egli a lui: Tu stesso il sai, Proteo, tu 'I sai; ne puote Cvi Frodarti alcun; cessa tu pur gV inganni. D' oracoli conforto a mie sventure Qua, come piacque a' Dei, venni cercando. E pill non disse. A tai parole il vate Gli ocelli fiammanti di ceruleo lume 610 Alia fin torse straUinando; e forte Fremendo, cosi a' fati il labbro a perse. Ira di qualcbe mime e cbe ti fruga; Gran peccati tu purgbi: e qiiesti mali Se non osta il destin, ti move Orfeo OiS Senza sua colpa sventurato; e fiera 3130 D K L Bene I Delia rapita sposa ei fa vendetta. Meiitre in fiiria da te liuigh' esso il Hume La fanciulla fuggia, coneiido a morte , Diiianzi a' pie nelT aha erba noii vide ()2o In guaidia delle rive un angue orrendo. Ma delle Driadi sue compague il coro I inonti sulle vette empie di grida; Le rocce Rodopee, gli alti Pangei Pianser, la Marzial terra di Reso, 625 E i Geti, e 1' Ebro, e 1' Attica Orltla. Ei col cavo liuto il suo dolore Disaceibando, te suU' erma spiaggia Soliogo, te cantava, o dolce sposa, Te sul venir, te sul partir del giorno. 63c Per le Tenarie fauci , e per la fonda Porta di Dite ei pur messosi, e nella Di bnjo pauroso orrida selva, Anzi a' JNumi infernali, e al Re tremendo Rappresentossi, ed a quel cor, che inite 63.S Farsi non seppe mai per nrnan prego. Ma couimosse al suo canto fin da' cupi Seggi traein delT Erebo le scarne Ombre, e le larve della gente spenta; Che non a pin gli augelli in folte schiere 640 Si serran tra le frondi, ove gli spinga Da' monti il Vespro, o burrascosa pioggia. Morte salme di madri e di mariti, D' alti eroi, di fanciulli, e di donzelle Non ite a nozze, di garzon sui roghi fi^rj Posti de' genitor dinanzi agli occhi, Cui la negra belletta, e la deforme TRADUZIONE DELLE GEORGICIIE DI VIRGILIO 30 1 Cannuccia di Cocito, e 1' odiata Paliidc le2;a con tarda onda intorno, E avvolta Stige in nove giri alTreiia. 65o Fin di Morte gli alberghi, e'l piu profondo Tartaro, e avvinte il crin di brune serpi L' Eamenidi stiipiro; e le tre aperte Bocche rattenne Cerbero, e col vento Fernio suoi giri d' Ission la ruota. 635 Ed ei, scampato gia d' ogni periglio, II piede ritraeva, e dietro a lui, ( Che Proserpina avea tal legge imposta ) Venia seguendo ver 1' aure di sopra Eiiridice rendnta; quando colse 66o Improvvisa follia V incauto amante, Degna in ver di perdon, se dar perdono Gli Dei sapesser della valle inferna. Ristette, e gia sul romper della luce, Alii snieniorato, e dalla voglia vinto! 5 Che adocchiando gli tolse il villan duro Senza piume dal nido; egli nel pianto Passa la notte, e sopra un ramo assiso, Rinnovellando il miserevol carme, Tutto empie intorno di dogliosi lai. 7(^0 Non Venere il piego, non Imeneo; Tra gV Iperborei ghiacci, e sul nevoso Tanai, per le non mai spoglie campagne Delle brine Rifee solingo errava, Sulla rapita Euridice lamenti 7o5 Mettendo, e sul favor vano di Dite; La qual pietade le Ciconie madri Recandosi ad oltraggio, in mezzo i riti Divini, e le notturne orgie di Bacco, n'uvmjzroNE de lle georgiciie di vikgilio 383 Sl)ranato e sparse hanrio il garzon ne'campi. 710 Ed anclie allor, che dal candido coUo Ebro r Eagiio fiume il capo svelto Portando, in mezzo coiivolgea de'gorghi, La stessa voce, e la gia fredda lingua, Fiiggendo r alma: Euridice, chiamava, 7i5 Euridice, ahi meschina! e in ogni parte D' Euridice rendean le rive il nome. Disse, e d' un lancio si girto uell' alto Proteo del mar, e la, dove tn(T"ossi, In vortice aggiro schiumosa I'onda; 720 Ma non Cirene; ch'anzi alio smarrito Aristeo fassi con tai voci incontro: Eiglio, sgombrar dalTalma i pensier tristi Ben puoi; del morbo la cagion t' e chiara: Qniiidi le niiife, con le quali i cori 7^5 Ella menar solea per V alte selve, Mandaro all' api il miserando scempio. Or tu pace cbiedendo alle benigne Napee, p«>rgi lor doni, e umil le adora; die piegberansi a' voti, e porran V ire. 730 J\Ta di pregar ti sporro il modo in prima: Tra ([uei, cb' ora per te pascon del verde Liceo le cime, quattro tori eletti Di bellissimo corpo, ed altrettante Giovencbe prendi, ancor dal giogo intatte. 735 Per questi delle Dee dinanzi alT alto Tempio quattr' are pianta, e fa cbe il sacro Sangue di sotto dalle strozze sgorgbi. Lascia i cor pi de' buoi nel verde bosco; Poi, come surta sia la nona Aurora, 74" 384 Del B e n e- Un di Letei papaveii fiinebre Douo inancla ad Orteo: d' una vitella Col sagrifizio Euridice ti placa; Svena una negra agnella, e torna al bosco. Egli noil tarda, e della inadre i cenni 7'^^> Tosto foriiisce; viene al tempio, innalza L' are inostrate; qnattro ton eletti Di bellissiino corpo, ed aitrettante Giovenche ei mena, ancor dal giogo intatte: Poi, come surta fii la nona Aurora, 7^ Manda il dono ad Orfeo, ritorna al bosco. Ma d' iniprovviso, ecco mirabil mostro A dirsi: tra le viscere disciolte De' buoi, pecchie ronzar per tutto il ventre, E tutte brulicar le rotte coste; T'S Levarsi immensi nuvoli, e affoltarsi D' un albero alia cima, penzigliando A foggia d' uve da' piegbevol rami. De' cam pi, delle gregge, e delle piante lo cantava il governo in questi carmi, 760 Mentre suU' alto Eufrate fulminando Cesar grande guerreggia, e tra le genti Volonterose vincitor sue leggi Comparte, e piu verso 1' Olimpo acquista. Partenope gioconda in ozio oscuro 765 Di studj me Virgilio allor fiorente Nudriva, che scherzai co' pastorali Metri, e baldo garzon, d' un largo faggio Te sotto i rami, Titiro, cantai. ^» 385 A N INOTAZIONI ALL E GEORGICHE er ahrui consiglio m' indussi a scrlvere, o in pane anzi a trascrivere di qua e di Id queste annota- zioni, benchk a pare r mio fosse fatica inutile. Saran^ no esse affatto super jluc ad ogni persona erudita; piu o rneno scarse a chiunque ha niaggiore a minor biso- gno d' inrerprete per in tender Firgilio , quantunque volgarizzato . Ma die clie ne sia , eccole per clii le vuole. Come poi Virgilio, dalla sua lingua passando alia nostra., ed altrcsl fra le mani de' critici, soggla- cque a niolie trasjorniazioni ( anche senza dir di ta~ luni, che apertaniente insultarono al vocabolario La- tino, o che altramente sfigurarono I' animirabile origi- nal e ) cosi non sard forse discaro a chi si diletta di questi studj, trovarne qui accennatc parecchie, nelle qua- li mi sono abbattuto Irggcndo . Jo le spargcrb tra le an- notazioni , per rinietter il testo in quel senso, che a giusta ragione scnibra il pid wro., e non niai per di- S('27io di censurar chi che sia. Se un aiorno saranno pubblicate nel modo stesso le colpc niie, non avro ra- tion di dolermi. Tom. I. 49 3a6 I) i: h B E N K L I B R O I (Verso 4.5 e scg.J Lo Scorpione in altri tempi si coiitava uel Zodiaco per due segni, iino de'quali era forinato del suo corpo, e 1' altro delle branche. Di- poi la Libra, che da esse e conipresaj fu in ioro ve- ce annoverata fra i segni zodiacali, tra la Yergirie ( Erigone ) e il corpo dello Scorpione. ]Ma pure la denominazioue resto promiscua per qualcbe tempo, come si puo vedere in JNlacrobio, die dice: Lihram , id est Scorpil chelas , max oriri videmus (In som. Scip. Lib. /, c. j8 ). Siccome Angnsto era nato sotto la co- stellazione della Libra, almen secondo il computo po- polare, ed essa era tenuta per simbolo della giustizia, cosi Virgilio assegno quel posto fra le stelle al suo sire. (c)5) Dalla moderna agricoltura e proscritto il ri- poso delle terre, cui solevano praticar gli anticbi, ad intendimento di rinvigorirle, e d' ottener poscia piu belle messi nel vetereto, com'essi cbiamavano la cam- pagna lasciata incolta. Forse non s^' ingannavano in tutco, ma solo nel piii e nel in'Mvo Di certo nn cam- po abbandonato copresi di molt' erbe, le qnali colle foglie e colle radici d'un anno de!)bono dare un pin- gue soverscio; e la snperficie per tanto tempo espo- sta alia luce ed alle meteore, qnand' e interrata, non puo a meno di sparger anch' essa nel suolo de' prin- cipj fecondatori. Ma se con qnesto riposo d' nn anno puo aversi alquanto maggiore il segnente rieolto, non pero sara tanto, che iiguagli quello di due anni sue- Annotaziuni au.e CEouoicini: ni vniciLio 38- cessivi, ne' qiiali bcii coltivata la terra sia inessa a friitto, particolariiifiiie variando la spezie da uii an- no air altro ; come tjiii appresso iuscgiu il iiobtro pot'ta. (^(.)8J Eccovi schlotti<*sima la coltura altcrnuta , di cui meno si gran vaiito a' siioi gioriii il Tarelli Bre- sciano, c tanto ne meiiano a' di nostri 2;li olrrainon- tani , sotto il nome di rotnriuii^o tV assolcmeiir, oiio- raiidola come una niiova Ctrtre dtlle caiiipagiie. H/w taro side.re. L' anno appresso, come spiega rileyiie,- e con accoiicj esempi coinprova. (J4'2) Per comento a cpiesii versi merita d' esser letto il Paucton f Mctrologie, chap. Xj, il quale so- stenendo con gran dottrina un gran paradosso, vuole clie Virgilio ahbia qui parlato delle risajc^ di die non vedesi un cenno in luLta la serie dcgli autori Latiui d' agricokura, die sono a noi perveiuiti; non tra questi in Columella , die fa n^l Lib. //, c. JX. X., ed altrove, il novero di tutti i graui cereali, e di tutti i legumi, coltivati al suo tempo in Italia; ben- che per altro il riso non fosse del tutto ignoto a'Ro- maui, come sappiamo da Orazio (Lib. II., sat. HI) e da qualdie kiogo di Plinio. (jc)3j Le due prime parole di i[uesto verso nell'ori- ginale, Alta pcicns , tolta qui T interpnnzioue, die se- gnava il confine al discorso del verso precedente, e facendole servir di princi[)io al senso die segue, Alta petens afiusrjuc, ci danno, se con pace delT Heyne si puo dir tanto, un modo di dire straniero a \ irgilio. Srimai duiwpie meglio tenermi alia lezione deirilein- sio, del i3rundv, e di tuiti gli aliri universalmeiite. 388 Del B k n e ai qiiali erasi coiifonnato aiiche 1' Ileyno, a vantl V ul- tima sua odi/ione delT anno i ouo iu Li|)sia. ("25^) Qui e cliiaro, doversi per selve nell' origi- nale intruder lo stesso, clie iiel Lib. II, v. 8y dell'ori- giuide, dove si raiumentano Akliioi sihae , le quali aliro non erano, die pomlcri ; lungi dunque da que- sto Iiu^go le idee silvestri. (■2y5) Jl Sole ai 27 di Aprile, secondo il Peiavio, allor passava nel segno del Toro. Per quanto b^ di- meniiio i coinentatori, confesso di non intendere, co- me possa dirsi, clie il Toro in que' giorni apre 1' an- no, benche si parli non d' anno astronomico, ma cam- pereccio, pt^r risperto ai lavori, o alia vegetazione. (^()Y) Canis occicl/'r; r.ioe, come spiegaiio alcuni seguendo Macrobio C In somn. Sclp. L. /, c. jE ) , di- venta il Cane iiivisibile per la \icinanza del Sole; ma pur di rincoutro al Toro. (00 J ) Gostellazione, in cui fa cangiata, secondo i poeti, la corona d'Arianua, figlia di Minoss«^ Re di Creta; nelia qua! isola era la citia di Gnoso. Ma qui sulla voce decedac riiuane molta diflicoltii. L' lieyne, dopo lungo discorso, concliiude:,, Non si puo dun- „ que dubitare, che secondo la mente di Virgilio la J, Corona tramonti verso il fin di JNovembre, e che „ verso quel tempo s' ingiunga di seminare 11 fru- „ mento. (3^g) Arinatns classes. L'Heyne spiega navi guer- nitp , parendo a lui, che le armi non si conlacciano air argomento campestre, e che qui si tratti di uavi- Ij da carico per trasportar le biade. Ma Virgilio dice classes apertamente, non gia naves, come potea; ne AnNOTAZIONI ALLE GEORGICHE DI VIRGIMO 'S\j:) le flotte si mettoiio in mare da'coltivarori per itnbar- car derrate, iie ad essi convengono. Verisiinilinente dair rieyne altri prese i corredad legni; e ii>erita scu- su d' avergli crediito. C383J Bescindeie. Questa voce, siccome 1' Ileyiie osservo, non significa qui soltanto squarciare , ma pur anche sqiiarc'nindo cacciarsi avanti, come quando si dice rescindere vallum :, porta ni. (4j8) In Virgilio abbiamo turn stringere tempus. Questa voce stringere fu soleune a' Latini georgici , anclie a quelli cbe scrissero iri prosa, nel seuso di spiccare, cogliere; ue ba cbe far nulla col torcbio, raa sol colle mani . (4-3g) V originate ba la costruzione Ita turbine ni- gro jcrret liyenis, cioe ita ut turbine^ second© 1' Hey- ne nelTedizione dell' anno 1779, il quale appresso al- tre spiegazioni reco, ma non lorse migliori. (448) Fritts spirarnibus , cioe aestuantibus, secon- do THeyne, con altro esempio cli Virgilio. (45g,e seg.) Saturno e Mercurio pianeti, il primo de' quali da Virgilio cbiainasi fredda stella , verisi- milinente percbe pin degli aliri pianeti, allor cono- sciuti, distante dal Sole. (5j4) Vullibiia iniis. Non dcille valli, ma nelle val- li, a giudizio delT Heyne. fSG^J Dopo il combattimento a Farsalia tra Ro- mani e lloiuaiii, Filippi citia della Macedonia ne vi- de un altro. L'Einazia e parte d^lia Macedonia; I'Emo, un monte della Tracia, il quale poeiicamente puo dirsi, cbe soprasti a Filippi. Cosi 1' lleyne spiega questo j)asso intralciato. 390 Del Bene ('6^1') Grnnih'a osso . Matvv'ii\]mente granffi , come spiega r llcyiie, secondo 1' opinione da Virgilio se- giiita, dfgli amp] corpi, che avevauo gli eroi e gU uoinini antichi; al qiial proposito accoiiciametite ci- ta r Eneide (Lib. X/I, p. 8gg, e seg.J (6g5) Qiiesti movimenti di guerra si riferiscono air anno di Roma 717; avanti la nascita di G. C. S2, (6g8) A tiuti e iioto, che Marte era il i)io della guerra; forse non tiitti pongoiio mente, che delPem- pieta di quel Dio fmono colj)evoli priucipahneiite i Roxnani per lungo corso di secoli. L I B R o II (Verso j6) Siler. Forse una schiatta di salci porta- va questo nome; ma di qual piaiica fosse proprio, non e ben certo. (4/) Se qui Virgilio avesse voluto esprimere il germogliar deH'ulivo dal ceppo, allorche ne fii reci- so il tronco spento dal freddo, com' altri intese, non poteva egli fame le maraviglie per la vegetazione d'un legno gia secco; poiche non il secco, cioe il tronco recisO, e quello che vegeta, ma il ceppo, che resto verde e vivo sotterra. Chiaro e pertaiito, ch'egli par- 16 delle taleae, o pezzi d' ulivo, i qiiali si fanno, cnudiclbus seeds, segati i fusti ; e mettono barbe dal legno asciutto, non gia dal morto ed arido. Ma il sicca Latino, come provano molti esempj, e alqnanto men secco deW Italiano; e non vuolsi prender V uno in iscambio dell' altro. (4YJ NeW ambiguita del senso, il piu verisimile. AnNOTAZIOXI ALLE GEOnCICHE DI VIUGILIO Sq 1 come r Ilcync osserva, e, die coH'innesto sia miglio- rato il corniolo, anzi clie pe^ggiorato il susiiio. (YY fi ^^o-) -^^ Tuno ne \ altro e vero di tiitti gli alberi veiiuti da seme, aiicorche sia vero di molti. (c)6) Castanene fogos. Se anclie mancassero le ra- gioni storiche del Sig. de Lille per difeiider la lezio- ne cnstancac a,esserc fftgos; alia nitidezza V^irgiliana sarebbe tanto coiitraria la rostruzioiie /agos ( per /agus nominativo singolare, alia Grvca) castancae (genitivo siiigolare), et ornus incanuic albo flora piii^ cbe per cio solo rifiuterei come falsa una lociizione cosi con- torta. Oltre a clo, qnanto proprie del pero, che ha candidi i fieri, taiuo improprie del castagno, che gli ha giallicci, sarebbero queste voci incnnuit albo flo-^ re. lo perranto segno la lezion dell' Heinsio, platani gessere mal.os, cdsraneac fgcssercj figos. (gY) Plinio, e Plutarco , da mc citati in una nota al Lib. F, c. XI di Columella, porgono certis- siine prove, che le rongiimzioni piu strane d' alberi coir iiuiesto non sono puramente fiuuastiche, siccome altri dnbitar potrebbe iiel leggerc questi versi . (jo5j U(loaesi , f2/jj Operuin -laborem. JNon di pctinrllo iiidustre, E di scalpel Dedaleo oprc fainosc: scipita parafrasi ( mi si condoni questa scappata), e pen-^i^ro falso, dac- che tuito il mt-glio, che allor aveva 1' Italia in pit- tura e scultnra, era Greco; ma gnuuli IcHori di fal)- Toni. I. 5o 3t)4 D K L B V. N r, briche, di ranall ec. bene e cliiaramente espressi dal- lo stesso Viigilio ne' thie segiienti versi. ('■2j8j Era il Lucriiio iin piccolo laji^o tra Pozzuo- li c Baja nella Carnpaiiia, al qiial diede Augiisto la comunicazione da una parte col lago /Vverno, cli'era pill addentro, e dalT altra col mar Tirreiio, munita- ne coil argiiii la spoiida, e V iuiboccatiira, per use d' iin porto, in cui stessero al sir mo le navi. Ora, per tremiioti, e per Iniigo volger di tempo, non altro ne resta, che ivia fiuigosa palude: iic ben si accordano i dotti nel determinarne il site. C22.rJ Porto Giiilio cbinmivasi quello, che teste abbiamo detto, ed acqiia Ciiilia quella, cli'eraci con- tenuta; e contro la quale cozzava qiiella del mar Tir- reno, nel (Insso, e nelle burraschr. (114) Non altro, che qnalche in'lizio potevasi averne, e^^t-nJ) proibito di ni decreto dt-l Senato il cavar metalli in Italia. Anr.\ p^annvi fluut. Alcani riferiscono qne^te parole al Po, e citano tin passo di Piinio, dal quale appreudiamo^ che a'suoi giorni di- cevasi, trovarsi de' granellini d' oro tra le arena di questo fiume. (2.16) Un modern©, a cui quell' epiteto adsnetnm- que malo parve troppo avve^-so, ed anche ingiurioso a' Genovesi, cerco di storpiar Virgilio, troncando il crae, per leggere adsuetuni malo, con la prima Innga in malo, sicche potesse venirne fuori un' antenna di nave. Questo spediente gli parve bello a provare, che i Liguri all' eta di Virgilio erano bensi avvezzi alia nivigazione, ma non agli stenti. Piu bello el' u- dire come ne parli tin geografo aniico, e niente so- Annotazioni ai.le ckokciciie di vikgilio 39.5 spetto: Llgures di quel tempo monruni , dun , atf/ue a- grcstes; docuii ager ipse, ni/itl Jcie/ido, /lisi iniilra cul- tura, et inagnu laborc (jiiacsliuni . 11 gtMigiafo c Cice- rone (Dc Lege Agrarta. Oral. II; ca/). 55.) (^'^YJ 1 Volsii eraiio popoli del Lazio, dov'e a- desso la parte orieiitale della Campagna llomaiia, i quali iisavaiio uu' arnie, che da Virgiiio nelT Eueide si chiania tc/v/, e per cui soiio da lui qui detti veru- ti. Potendosi anche inteuder una spada corta , e pa- rendomi, che meglio di spiedo, o sc/iidioae, o spiinto- jic, souasse stocco, mi tenni a questo sigiiificaty, ben- che meno comune. ('iS"/) Ne' sagrifizj Romani si facevano interveni- re sonatori di flauto Etruschi, i quali pappando a'bau- clietti , ch'erano poscia imbauditi, facevano le buo- ne polpe. (564) Oggi costumasi luito all' opposto, ne sen- za ragione, crescendo gli alberi tanto piu, e faceu- dosi piii fitti ed ombrosi, cjuanto piii gras«a e la terra. (ogY) Due precetti sono c|uesti, e divisi tra lo- ro: non prender le sommita de' iralci; nou prende- re i tral(i dalla sommita della vite. Alcuuo tradns- se il prime, omise il secondo, ed aggiuuse del suo: ma si dal pie carpisci i trulci ; ed alui dopo liii: an- zi quel taglia, (he sorgon piu dupprcsso tit/e radici . i quali per la piantagione sono riprovatissimi da chiun- que detto regole d' agricoltm-a, perclie piu llosci, piii rari di nodi, meno stagionati dcgh altri; e sono per- C16 dai villaui villanamente detti biistardi. (40Y) Nemus. Qui e cliiaro, nou parlarsi d'altro^ che di viti e d' uli^uicri; come pur di vi^na parlau- 396 Del B e n £ do, si dice nemus qui appiesso nel v. 401 dell' ori* ginale. (4^^) Questa e la cicogna, che si pasce di serpi. II nieno Latino doveva ricordare ad altri traduttori, che quel ^cnit non e del tempo presente , ma del pas- sato. (4-Y^) Lcves calamos. Per ragione del metro La- tino, cauae liscie, non Icggieri in questo luogo. ('SoSJ Presso gli Ateniesi, posreri di Teseo, na- cquero i primi drammi affatto rozzi ed informi, che si rappresentavano con attori imbrattati le facce, tra- sportando sopia carri le scene da uti tiebbio all' al- tro, e gareggiando pel vile premio d' un capro, co- me sappiamo da Orazio nell'Arte Poetica fi). 220; 2^5 e seg.J, premio percio proposto agViiigegni, cioe a'poe- ti, come qui fa notar Virgilio. Quei costumi Greci passarono poi ne' Latini, e ad imitazione di quelli si praticarono i giochi e le danze agresti in onor di iiacco, col sagrifizio d' un capro. (Sj^) Que' traduttori dai quali saltin profundi fu- rono voltati in cupi boscid, in aid bosc/d, uoa avvi- sarono, che qui si parla di vigne. (^4-7) Qiii vuole il Pontedera (Op. Post. T. I; p. zyS, e seg.J, che in vece di rusci leggiamo rasfi, atteso che non da vinchi il rusco, cioe il picngitopo, ma li da luughissimi il rovo, che per lui corrisponde a ru- stum. Per verita Columella (Lib. IF; Cap XXXI), dice: „ Gli altri legami (per le viti), come son quel- „ li di rovo, maggior opera ec. „ iie mai parla egli, ch' io sappia, de' legami di rusco. (552J IS anzidecto Pontedera nelle sue opera le- AXNOTAZIOXI ALLE GEORGICII I. DI VIUGIMO 097 ste citate ( T. 11, p. 34 ) splega la voce antes per si- nonimo di viburnum, presso noi volgarrnente antana; pianticella, die soinministra pieglievoli verghe per le- gar fasci cli sermenti: c in questo senso diiiotereb- be, che il vignajuolo caiita, legaiido gli idtiini fasci de' tralci potati. (55/f.) Columella ( Dc Arb. Cap. Xll ) , insegna : „ Tosto die principiera 1' uva a divenir vaja, fa la „ terza zappaiura alle ^-iti; e quando ormai si fara „ inaiura, prima del mezzodi, zappale, non ancor co* „ minciato il caldo; e dopo il mezzodi, quando sia „ cessato: wovl la polvcre, die assaissimo dal Sole, e „ dalla nebbia, difende 1' uva „. Con questo iratto r amniaestramento di Virgilio e posto abbastanza in chiaro, se non per la fisica, aimen per la pratica di que' tempi . (556) Da Virgilio in faori non so qua! altro maestro abbia francato T agricoltore da qual siasi governo agli ulivi. Ognuno puo vederne i precetti in tutti gli autori Latini, die il tempo non ci rapi;, ed assai pin ne' moderni Italiani e Francesi . (5g5) L' Iturea era di la dal Giordano, abitata da valentissimi saettatori, molti de' quali ancbe fu- rono di guarnigione a Roma sotto il console Marc'An- tonio, poi triumviro, come apprendiamo da Cicerone ( Philip. Ih cap. 44.. XI 11; cap. 8. J (5g6j Tiliae leves. 11 metro Latino ricbiede, die qui la voce lei>cs si spieglii per lisci., e non per leg- sricri: al che parecclii traduttori mostrauo di non a- ver posto inente. (655J Questi applausi a chi sprezza e conculca SqS D K I. B e n e op;ni timor di gastighi dopo la niorte, fanno abba- stanza iiiiendere, di qual filosofia fosse maggiormeii- te iiivaghito il tiostro poeta. (^oS) Ahiflae ill vece di nudanCy lezione deirHein- sio e del Briuick. (7^5) Come mai alcun traduttore poteva omet- tere quell' epiteto inipia, cosi acconcio, cosi riseuti- to? Sappiamo da Columella, essere stata in riguar- do a' buoi la venerazione degli antichi si graiule, cli'e- ra capital delitto I'ammazzar un bue del pari, che ua cittadiiio (Lib. VI; prciefat. sub fin. J \ L I B R O III (Verso j3j) Abcle domo; nee turpi ignosce senectae. Nel tradiir questo verso mi tenni alia spiegazione dell' Heyne, alTatto conforme a quella del Forcelliiii, alia voce abdo. Altri, che aiidarono per diversa via, non so quanto bene abbiano espresso il pensiero, e sal- vata la costruzione sempre nitidissima di Virgilio, fa- cendogli dire et puree non turpi senectae. (22.5) Non le %o\e giovenche ., cioe le madri, dal- le quali i figli teste nati non possono esser divisi; ma gli altri vitelli , oltre gli eccettuati, si pascono coll'ar- mento in comune, giusta la spiegazione dell'Heyne. (233) Jptos. Non gia due eke sieno piu esperti ( de' quali aggiunti a' novizj ne verrebbero quattro, con troppo maggiore iinbarazzo ), ne abili, come al- tri volro; ma seuiplicemente collcgati. attarrati insie- vie, c\\ e natural senso della voce apios., indicato dair Heyne, e dal Forcellini. Annot\zioni alle GEOiioicun ni viiioilio 399 (2S1) Chi pazientemente ha letto fin qui la ver- sione, se ne ristori, s' egli ha palato per gustar il tratto sogtieiue, di versi presso ad ottanta, nell' ori- ginale Latino. O qiiah e quaiite bellezze niatavigho- se ci sono adiinate! (000) In magna silva; noii, come alcuni Icggono, Sf'Ia: dalla qiial inonragna della Basihcata, all' Olim- po montagiia della Tessaiia, non puo airivar il rim- bomho de' colpi qui appresso dcscritti. JNe vale, che Virgilio neir Eueide f Lih. X/l; v. 7/5^, replicando il duello de'tori, ahbia noiuinato Sila; in quel luo- go non fa risjionder I'Olimpo. (36i) Leggeudo Pausania, trovai nella Beozia un vestigio di (piesta favola, indicate dalle parole seguen- ti: „ A Potuia mostrano un pozzo, dicendo;, che se le „ cavalle del paese ne beono, diventano furiose.,, Im- proprianiente peio qiu'l Potniades da un traduttore fn tolto alle pnledre, ed aggiunto a Glauco. (3/6j Sine ii/fis conjngiis. Columella, trascrivendo qtiesto tratto sublime intorno al furore delle cavalle (Lib. VI. Cop. XXVII ), non dubito punto d' atte- stare come verissimo, e consueto ancor nella Spagna, dond'egli era nativo, il ventOi^o prodigio, che diven- ta quindi ancor piii mirabile dictii. Questo luogo di Vir- jrilio fu imitato felicemente dal Tasso fCer. Lib. Canto VII; St. 76.) (4JY) L' Aquario tramonta a mezzo Febbrajo, e allora puo dirsi il line dell' anno cam[)ereccio, pren- dendo il cominciamento del nuovo alia prnuavera , che gia prima di Marzo incomincia a mostrarsi. Me- rita d" esser confrontato questo fine dell' anno in A- 400 Del B k n e quario, col principio deH'anno in Toro {Lib. I; i>. 2jf)^ il die fa restar due niesi d'iritervallo tra Tanno vec- chio ed il nuovo. Che che sia di cio, Virgilio, col voler die le stalle sien volte al Sole d' invenio, al- lorche I' Aquario spruzza, non pose alcuna contrad- dizione, sendo die tra le spruzzagfie ricomparisce tal- volta il Sole; ma chi, parafrasando, gli fece dire, che quancV Aquario versa Le fredde piogge e le agghiacciate nevi, le stalle abbinno il Sole ancora, afllbbio al poeta un impossihile accozzameiito di luiigo piover e ne- vicare, col Sole scoperto. (44 j) At vero qaam .... nesras ... in pasciia mittet. Lezioiie e spiegazioue deirHeyue, che mi par- ve da preferire. (447) Questo biaiicheggiar dell' erbe si viiol iii- tendeie cagionato dalla ruglada, non dalla brimi, il cm maggior nocimento alle pecore non e verisimile che fosse dal poeta ignoiato; ne a lui dovevasi ap- porre un insegnamento affatto sinistro. (47 j) Arnuujue. Bagaglie pastorali, come gia nel Lib. I; V. 160 la stessa voce anna sigiiifica gl" istro- menti del contadino. Qui saiebbe anche improprio dir anna in seuso di parecchj arnesi militari, ttat- tandosi d' un pastore, e notandosi poco dopo il tnr- casso, che, sebben pastore, egli porta. Dunque atcres- zi^ nou arnn. (5yyJ a questo amfibio serpente da T Heyne il nome di dryino, e dice, esser uno della schiaita ac- quajuola, di forma (juasi somigliante ad un picciol aspide iherseo. Se abbia, o non ahbia la cresta, che alcuno de'traduttori gli attribui, ne dal comentatore. Annotaziom alle georciche di vircilio 401 ne dal poeta il sappianio; tuttavia, se per asserzio- ne di Pliuio (Lib. XI; 5y ) non iro^nsi clii (ihbia te- duto cresre di dnig/ii, diUkilinenic si trovera clii ab- bia Yodiito la cresta del serpente Calabrese. (6^4) Seine decedere iiocti . Se dicesse sera nocte, iiiteiKl(Mei la ragion del tradurre ncUa riotte tarda ^ o in simile modo, bencbe resti da iiitendere, coine pos- sa partirsi allora la pecora , teiiuta con la greggia nel cbiiiso. 11 senso vero di questa frase si trae del pari da un altro passo di Virgilio ('Eel VIII; v. Sj), dove parlando d' una giovenca smariita, stanca, e sdrajata nelV erba, dice colle stesse parole: nee scrae meniin'it decedere nuctl , cioe partirsi aL venir delia tarda notte. f^^Tj Qui riloyne per viscera^ intende carni , e spiega, cbe non si poteva utilraente usare delTacqua, o del fiioco, percbe troppa era la quautita delle car- ni morte. L I B R o lY (Verso j8) Da Servio apprendiamo, cbe la me- rops era detta in Latino ancbe apiustra. Alolto mi a- doperai, ma in vano, per aver chiara contezza di que- st© uccello, finclie tutt' altro cercando, mi sono ab- battuto a trovarla.,, Tra tutti e gbiotto delle api un „ uccello, cbe per antonomasia, villani, e cacciatori „ cbiamano Apajuoio E" grande quanto un tor- „ do, ina macro, e sparuto; lungo lia il becco; nel „ gozzo vi riluce un giallo cbiaro, con di sotto un „ collarino nero; turcbuia ba la pancia; il dorse e Tom. I. 5 1 4^^ D K L Bene ,;, coveito d' un rosso, die da al nero, e termina col „ verde della coda. „ (P. Taimoja, delle Api. T. j; p. jjo. A'apuli jSoj.J Noii mi ricordo d'aver mai ve- iluta nelle inie comrade natie questa spezie d' au- ^elli, ne so in quali paesi ella sia piii frequerite. C^8J Oggimai per comuii parere , coatraddetto per aliro dal P. Taniioja, questi Re sono anzi Re- fine, dalle quali con grandissima fecondiia vengono ripopolate Ic arnie. Cio sia pur detto fin d'ora in proposito della prole, che le api colgon da' fiori bel- la e formata ( v. 200 );, non meiio che della loro ge- iierazione dalle viscere corrotte de'buoi (v. 3 10). Ma lion e nostro pensiero d'esarninar le dottrine; basti di- lucidar il senso, ed agevolarne T intendimento. (88J Neir aggiunto dove son nate, o di nuovo , si fa dir a Virgilio una fanfaluca; perciocche gli sciami lion gia tornano all'arnia antica, ma passano in una iiuova, cui gia il poera bastantemente aveva indicata coUa frase medicatis sedlbus ^ cioe arnie conciate per gli sciami novelli. (j^T) Che vescum significhi minute^ non so con qual esempio si provi. Da Plinio sappiamo, che ab- brustolato il seine del papavero bianco, davasi col mele alle seconde mense (Lib. XIX. 53.) (243) Amor hnbendi non e amor deW opra, ma amor di roba, come provasi con molti eseuipi d' au- tori Latini, e dello stesso Virgilio (Aeneld. Lib. Fill; l>. 32^.) {3j2) Sedem angustam. A questa ragionevole e comune lezione fu sostituito, per autorir.a del codice Mediceo, sedem augustam., come piii convenevole ad AnNOTAZIOKI ALLE CILORGIGIIE 1)1 VIKCIHO 40' iin suggetto, alrrove da Virgilio ingrandito coll' ap- plicargli alee idre di Re, di reggia, di milizia, di po- polo, di citta, di reame. Ma bisognava por mente a quel verbo relines, che qui regge il discor^o, e die dinota chiaro levar il tumcciolo , come si fa de'fiaschi, e come a uii di presso si pratica, scopsrchiando le arnie per cavarne il mele. All'aprir pertanto uu so"' g/orno augusto si conRi egli questo sturare , e non ^ anzi afFatto proprio d' uu aiigusco ricetro ? Virgilio stesso iu tanti luoghi delT Eueide, parlando d' aprir case, porte, mura, spelonclie, adopera i verbi rese- rare, panderc, patcfacere, riserbaudo a questo luogo il relinire per le sole aruie, come Plauto e Tereuzio r avean riserbato pe' vasi da vino. (3j4) Ora fovc. Dall' anzidetto Codice Mediceo il Brunck trasse la lezione ore fave, e la sostien egli con uu coraggio da Paladiuo, come la sola vera, perclie ore favete era una formola religiosa, die invi- tava al sileuzio. Virgilio avra dunque detto: prendl V acqua in bocca, e tiici ; io diro: coll' acqua in boc- ca parla, se piioi. Ma gia i molti e goffissimi errori sparsi in quel veuerando volume, e tuttora vivi do- pe varie correzioni d' antica data, mostrano cliiara- mente, non tutto esser oro quello, die luccica tra le celebrate sue vene. Recbiamone podii esenipi delle Georgicbe. Aut rcddit ( redit ) a nobis aurora, dieni- que reducic. Lib. I; v. 249. Adsuescam , suinmasque sc- qui tabuluia ( tabulata ) per iil/nos. IT; v. 36k Mane scqui ( Martis equi ) bijugcs, et inagni currus Achil/is. Ill; v. 70. Nee via mortis erat simplex, scd ubi lignea ( ignea ) venis. Ill; v. 4H1. cc. ec 404 Del B e X k Fumosi/iie ninnu praetencle segunces. Scoperchiata r arnia tli supra, eel avvicinato e spintovi tleiitro il fuino, le api disceiKlono, lasciando sgoiiibra non gia tutta r arnia, ma quelle cime de' favi cou entro il niele, die son da mozzare. V^lrgdio pertaiito noii dis- se, ne dovea dire qucUo, clie altri gli appose, cioe che il fuino le sjorzi ad uscire dagli alvearj, dai qiia- li per lo smelare non escono; ne che si porri II fu~ mo cli sotto ag/i ahearj , come alcun akro volto; do- vendosi anzi portar il fumo di sopra. (520) Taigete e una delle stelle Plejadi, qui da Virgilio poeticameiite nominata pe^r tutte insieino; il priino nascere delle qnali da Columella (Lib. XI; ca- po II )^ e segnato a' 22 d' Aprile: da quel tempo, al solstizio estivo sogliono uscir gli sciaml, com'egli dice altrove (Lib IX; aipo XIF), ed ivi soggiunge, che dal solstizio al nascer della Canicola, cioe per treuta giorni circa, si mierono del pari le biacle e i favi. Per opposto, il tramontar delle Plejadi, che accade pochi giorni dopo la meta d' Ottohre, clinota la sta- gione autunnale. Ma qual sia tra gli astri il pfsce , che Virgilio qui voile indicare, non e da' comeiitato- ri, concordemenre stabilito. (332) Srellio. Crede^i che corrispomla nell' italia- no a tdraiirola^ animaletto simile allla lucertohij ma piii picci gli F.tiopi, atteso clie amplissima era la denoininazio- ne deir India, oltre a quella contiadaj die propria- mente cosi cliiainavasi. (453) ( apia .... ainnis. Come i traduttori piu comiiiifinente, cosi I'Heyiie, ritrattando nelT idtiina sua edizione cio, che avea detto imianzi, per caput iiiteiide la sorgente anzi die la foce. (585) Phocac. Questi aniinali, come ricorda an- che Plitiio (Lib. IX; jo), soiio coperti di cuojo e di pelo; squaniosl nori furono mai, fuordie per un co- tal vezzo di traduzioue. (703) Taiiai fiume della Sarmazia Europea, ora il Don, ultimo confine verso I'Asia. 407 DELL' ILIADE CANTO SECONDO V E R S I O N E Di ViNCENzo Monti ricevuta ai 20 d'aprile 1809 E ra la notte, e dolce avean riposo I guerrieri, e gli Dei. Solo di Giove Vigilava il pensier, che in suo segreto Divisando venia, come d' Achilla Con molta strage delle vice argive lllustrar la vendetta. Alia divina Mente a I (in parve lo miglior consiglio Inviar all' Atride Agamennone Un malefico Sogno. A 3e lo chiania E con preste parole, va, gli dice, Vanne, Sogno lallace, alle veloci Prore de' Greci, e nella tenda entrato D' Agameiuion, quant' io t' impongo, esponi Esatto Ainbasciator. Digli che tutte In armi ei ponga degli Achei le squadre, ^o3 IM O N T I Che dtir Tliaco nuiro oggi e decreta Su nel ciel la cadiua; die discordi Degli etenii d' OHinpo abitatori Piu non sono le nieiiti; die di Giuno Cessero tutti al suppHcar; die in sonima A L' estrenio giorno de' Trojaiii e giuiito. * Disse; ed il Sogiio, il diviii ceiiiio udito, Avviossi e calossi in im baleno | Su r Argoliche navi. Entra d' Atride I Nel queto padiglione, e immerso il trova i INella dolcezza di nettareo sonno. Di Nestore ]N elide il volto assume, Di JNestore, cui sovra 02;ni altro duce Agameiuione riveriva, e iti queste Forme sul capo del gran re sospesa Cosi la diva vision gli disse: Dormi tu figlio del guerriero Atreo? Tutta dormir la notte ad uom sconviensi Di supremo consigUo a cui son tante Genti commesse, e tante cure. Attento Dunque m' ascolta. A te vengh' io celeste ISunzio di Giove, che lontano ancora Su te veglia pietoso. Egli precetto Ti fa di porre tutti quanti in arme I capigliati Achei. Tempo e venuto Che r ampia Troja in tua man cada: i Numi Scesero tutti, intercedente Giuno, In un solo volere, e alia trojana Cente sovrasta 1' infortuuio estremo Preparato da Giove. Or tu ben figgi Questo avviso nellalma, e fa die seco VEK3I0XR DEL CANTO SECONDO DELl'IlIADE 409 Noil lo si porti col partirsi il son no. Sj)aive cio dctto; e dclle uditf cose, l)i clie contrario uscir dovea V elTctto, IVnsoso lo lastio. Piender di Troja Qncl d'l stesso le mura egli sperossi, ]Ne di Giove sapea stolto i disegni, ]\e qual aspro pugnar, nc quanta il Dio Di lagriine cagione, e di sospiii Ai Trojani, e agli Acliivi apparecchiava- Si riscuote dal sonno, e la divina Voce d' intorno gli susurra ancora. Sorge, e del letto su la sponda assiso Una molle s'avvolge alia persona Tunica intatta immacolata; gittasi 11 regal manto indosso; il pie costringe Ne' bei coturni; il brando aspro, e lacente D' argentee borcliie all' omero sospende, L' inviolato avito sceitro impngna, Ed alle navi degli Acliei catnniina. Gia sul balzo d' Oliinpo alta ascendea Di Titone 1' arnica, annunziatrice Dt'ir alma luce a Giove e agli aliri Eterni; Quando con cbiara voce i banditori Per comando (P Airide a parlainento Convocaro gli Acliei, die frettolosi Accorsero e freqnenti. Ma raccolse De' inaKnaninii veoili Asiamennone Prima il Senato alia Nestorea nave, E raccoUi che fnro in qnesti accenti 11 suo prudence consultar propose: M' ndite, amici. Nella queta uoite Tv/n. J. 5a 410 jM O N I I Una divina vision m" appnrve, Che te, Nesiore padre, alia siatura, Agli aiti, al volto soinigliava in tutto. jNli si libio sul capo, e cosi disse: Fio;lio d' Arreo, lu dormi? A sonimo duce Cui di lanti guenieri e tante cnre Conimespo c il pondo non s' addioe il sonno. ]\r odi adiuique: niandato a te son io Da Giove che dal cid di te pensiero Piende e pietade. Ei tutte ti comanda Armar le tinppe de' cliiomati Achei, Che di Troja il contjuisto oggl e maturo ; Poiche di Giuno il supi)licar compose La discordia de' JNumi, e grave ai Teucri Danno sovrasta per voler di Giove. Tu di Giove il comando in cor riponi. Sparve cio detto, e quel nilo dolce sonno j\r abbandono. La guisa or noi di porrc Gli Achivi ill arnie esaininiam. Ma pria Giovi con finto favellar tentarne Fin dove li«e i sentimenti. Io dnnque Comandero che su le navi ognuiio Si di^ponga alia fuga, e sparsi ad arte Voi r impedite con opposti accenti. Cosi detto s' assise, in pie rizzossi Deir arenosa Pilo il regnatore INestore, e saggio ragionando disse: O amici, o degli Ach^i priiu^pi e dnci, S'altro qualunque Argivo un coval sogno Detto n' avesse, un menzogner V avrenimo^ E spregiereinmo Ma Io vide il soniino VEK3I0NE nCL CANTO SECONDO DELl'TlTADE 4 I I Capo del cainpo. A risvegliar si corra Duiic[ue r Aclieo valore. Il si diceiido Usciva il vecchio tlal consiglio, e tiitti Surti ill |)ie lo seguiaii gli altri scettrati Del re su[)renio ossetjuiosi. Iiitaiuo 11 poj)olo accorrea. Quale dai fori Di cava pictra mimeroso sbiica Lo sciaine delle peccliie, e succedendo Sempre alle prime le seconde, volano Sui fior di Aprile a gara, e vi tan grappolo ■ Altre di qua adollate akre di la; Cosi fuor delle navi e delle tende Correan per 1' ampio lido a parlamento AlVoUate le tiirbe, e le spronava L' ignea Fama di Giove ambasciatrice. Si congregaro alfin. Tuinultuoso Brulicava il consiglio, ed al sedersi Di tante genti il suol gemea di sotto. Beu nova araldi d' acchetar fcan prova Quell' iinuienso frastuono alto gridaiido Date fine ai clauiori, udite i regi, Udite, Acbivi, del gran Dio gli alunni. Sostarsi alfine, ne' suoi seggi ognuno Si com[)Ose, e cesso 1' alto fragore. Allor rizzossi Aganiennon striugendo Lo scettro, esimia di Vulcan fjtica. Die pria Vulcano quello scettro a Giove, E Giove air uccisor d' Argo Mercurio, Questi a Pelope auriga, esso ad Atreo: Atreo moreudo al possessor di pingui Greggi Tieste, e da Tieste alfine iia ^1 () >: T I Nella dcstra passo d' Agamrnnone, Che poi sovr' Argo lo distese, e sopra Isole molie. A qiiesro il grande Atride Appoggiato si disse: iVinici eroi Daiiai, di Marte bellicosi figli. In una dura e perigliosa impresa Giove m'avvolse, Iddio cnidel, die prima ]\Ii promise e giiiro delle superbe Tliache mura la conquista, e in Argo Glorioso il ritorno. Or mi delude Indegnamente, e dopo tante in guerra Yite perdute di tornar m' impone Inouorato alle paterne rive. DA prepotenre Iddio questo e il piacere Di lui the nell' immensa sua possanza Gia di moke citta V eccelse rocche Distrusse e moke struggeranne aticora. Ma qual onra per noi appo i futuri Che contra minor oste tin tale e tanto Esercito di forti luia si lunga Guerra guerreggi, e noii la compla ancora? Certo se tutti convocati msieme Salda pace a ginrar Teucri ed Argivi E di qnesii e di quei levato il conto Ad ogni dieci Achivi un Teucro solo INleschiar dovesse di Lieo la spuma, TNloke df-curie si vdrian chiedenti Con labbro asciutto il mescifor: cotanto Maggior de' Teurri cittadnii estimo 11 nnmero de' nostri. Ma li moki Da diverse citta ruccolti e scesi VEHSIONE DEL C\NTO SECOXDO DELl'IliADE 4 I 3 In lor sussidio belllcosi aiiiici Diiro intoppo mi fan no, e a mio dispetto ]V[i vietano espiii2;nar V lliaco rnnro. Gia del gran Giove il nono anno si volge Dacclie ginngenimo, e gia inarciti i fianchi Son delle navi, e logore le sarte; E le nostre consorti, e i cari fiyili Desiando ne stanno e riciiianiiindo ISelle vedove case. E iioi 1' inipresa Clie a queste sponde ci condusse, ancora Consumar non sapeinmo. Al vento adunque Diamo al vento le vele, io vel consiglio, Fuggiam, tornianici alle natie contrade Di Concorde voler, che disperata Delle mura trojane e la conquista. Mosse quel dire delle tiirbe i petti, E fremea Tadunan/a, a qnella 2;iiisa Che dell' Icario mar V onde tiirbate Batton la riva, allor che Noto ed Euro Dflla nube di Giove il Banco aprendo Impetuosi a sollevar le vanno: E come qnaudo di Ponente il solHo Denso catnpo di biade urta, e passando II capo incliina dflle bionde spiche; Tal si commosse il parlamento, e tutti Alle navi correan precipiiosi Con fremito guerrier. Sotto i lor piedi S' alza la polve, e al ciel si volve oscura. I navigli allestir, lanciarii in mare» Espnr2;ar le sentine e li puntelli Soitrarre alle careiie era di tutti 4'i ]\T O N T I La facceiula e la gara. Arde ogni petto Del sacro ainore delle [)atiie iiiura, E tiitto di clainori il cielo ecchegj2;ia. E degli Achei quel gioriio avea 1 edetto Contro il voler de' faii il dii>artlre, Se con questo parlar non si volgea Ciiino a Minerva: o dell' Egioco padre Invitta figlia, cosi dunque ohime 11 mar coprendo di fnggenti vele Al patrio lido rediran gli Achivi! Ed a Priamo V onore, ai Tencri il vanto Lasceran tutto dell' Argiva Elena Dopo tante per lei raminghe e spente Sotto il mnro Trojano aniine greclie ? Deh scendi al canipo Acheo, scendi ed adopra Lusinghiero parlar, molci i soldati, Frena la fugii, ne patir, che un solo Dei retniganti pini in mar sia tratto. Obbediente la cerulea Diva Dalle cime d' Olimpo dispiccossi Velocissima, e tosto fu sul lido. Ivi Ulisse irovo, senno divino, Occupato non gia del sno naviglio, INIa del dolor die il preme, e immoto in piedi. Gli si fece davanti la divina Glaiicopide dicendo: o di Laerte Generoso figliuol prudente Ulisse, Cosi dunque n' andrete? E al palrio suolo Navigherete, e lascerete a Priamo Di vostra fuga il vanto, ed ai Trojani D' Argo la donna , e invendicato il sangue VERSIONE DEL CANTO SECONDO DELi/IlIADE 4 1 J Di tantl tl)e yjer lei qui lo versaro Bellicosi coinpagiii? A die ti stai? 1" appreseiua agli Aclu'i, rompi gU inclugi, Doici adopra y^arole e li tratiieiii Ne consent ir die antenna in mar si spinga. La Dea si clisse. La divina voce Riconobbe 1' eroe, e dit ssi a correrc Gittato il manto per la via, raccolto Dair Itacense banditore Euribate, Che fido lo se2;nia; giunge all' Atride, Ratto ne prende il regal scettro, e vola Con qnesto in pugno tra le navi Achee; E (juanii incontra o Duci o re li fernia Con parlar lusinghiero, e the f^ii , dice, Valoroso cainpione? a te de" vili Disconvien la paura. Or via ti resta Pregoti, e gli altri la restar. La mente Ben palese non t' c d' Aga men none; Egli tenta gli Achei , pronto a punirli. !Non fniii ban chiaro cio che dianzi in cliiuso Corisesso ei dis&e. Deh badiam, che irato !Non ne percnota d' improvvisa offesa. Di re snpremo acerba e T ira, e Giove Cbe al irono Tednco 1' onora ed ama. ^ S' uom poi vedea del vulgo, e lo cogliea Vociffrante, collo scettro il dosso Batteagli: e taci gli garria severo, Taci tn tristo, e i piii prestanti ascolta Tn codardo, tn ind^elle, e nei consigli jNnllo e neir armi. La vogliam noi forse Far qui tutti da re? Pazzo lu sempie 41 6 ]M o N T I De' molti il rep;iio. Uii sol comancli , e quello Cui scettro e leggl affiJa il Dio, quei solo Ne sia di tuiti torrettor supremo Cosi r impero adoperando Ulisse Frena le turbe, e queste a pailainciito Diille navi di duovo e dalle tende ^ Con tuinulto accorrean, pari a marina Oiida che miigge e sferza il lido, ed alto ]Ne rimhomba 1* Egeo. QuKo s' asside. Ciastheduno al sue posto: il sol Tersite Di gracchiar noii si resta e fa r.umulto Parlator pe-tulante. Avea costui Di scurrili iiidigeste dicerie Pieno il cerebro, e fuor di tempo, e senza O ritegno o pudor le vomitava Coniro i re tutti, e qiianto a destar riso Infra gli Acbivi gli venia sul labbro, Taiito il protervo beffator dicea. Non venne a Troja di costui piu brutto Ceffb; era guercio, e zoppo, e di contratta Gran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparse Di raro pelo. Ca[)ital nemico Del Pelide e d' Ulisse ei li solea Morder rabbioso. E scbiamazzando allora Col la stridiila voce lacerava Ancbe il dace supremo x\gamennone, Si che tutti di sdegno e di corrucci Fremeau; ma il tristo ognor piu forti alzava Le rampogne e gridava: e di che dunque Ti lagni, Atride? che ti manca? hai piene D' ore le tende e di donzelle elette. VEKSIONE DJLL C^^T« SECONDO DKLL'TlIADE 4I7 Delle vinte citta spoglie a te primo Da noi cedute. Di maggior cesoro Forse t' hai sete? Asjieiti foise uii tjualche Ricco Trojan die lo ti reclii al piede, Prez/o del figlio da me preso in guerra, Da ine niedesino, o da (jiialch' altro Aclieo? O cerchi scliiava gioviiietta a cui Mescolarti in amore alia spartita? Ell via, clie a somnio impcrador non lice Scandalo farsi de' niinori. OIi vili, Oh infami AcliivCj non Acliei! Facciamo Vela una volta; e qui cosiui si lasci Qui lui solo a snialdr la sua riccliezza, Onde a prova conosca se 1' aita Gli e buona, o no delle nostr' armi. E dianzL Nol vedetnnio pur noi qiiesto superbo Ad Achille, a un giierrier, che si 1' avanza Di fbrtezza far onta? E dell' offeso Non si tien egli la rapita scliiava? Ma se d' Achille il cor di generosa Bile avvampasse, e un indolente vile Non si fosse egli pur, questo saria Stato r estremo de' tuoi torti o Atride. Cosi contra il supremo Agamennone Inipazzava Tersite. Gli fu sopra Repente il figlio di Laerte, e torvo Guatandolo grido: fine alle tue Faconde ingiurie ciarlator Tersite. E tu sendo il peggior di quanti a Troja Con gli Atridi passar, tu audace e solo Non dar di cozzo ai re, ne riaienarli Tom. I. 53 41o IM O N T I Sii qiiella Ungna con villane arringhe, Isie del ritorno t' itnpacciar, che il fine Di qucste cose al nostro sguardo e oscuro, Nc sappiam se felice, o sventurato Questo ritorno riuscir ne debba. Ma di tue contumdie al somino Atride So ben io lo perche: donato il vedi Di mold doni dagli Achivi eroi. Per cio ti sbracci a maledirlo. Or io Cosa dirotti che vedrai compiuta. Se com' oggi insanir piu ti ritrovo, Caschi il capo d' Ulisse dalle spalle, Ne padre io sia chiamato di Telemaco Mai piu se non t' afferro, e non ti nietto Tutto nudo; e da questo almo consesso Non ti caccio malconcio e lagrimoso^ Si dicendo le terga gli percuote Collo scettro, e le spalle. Si contorce E lagrima dlrotto il manigoldo Deir aureo scettro al tempestar, che tutta Gli fa la schiena riibiconda; ond' egli Di dolor macerato e di paura S' assise, e obbliquo riguardando intorno Col dosso della man si terse il pianto. Rallegro quella vista i mesti vVchivi, E surse in mezzo alia tristezza il riso; E fu chl volto al suo vicin dicea: Molte invero d' Ulisse opre vedemmo Eccellenti e di guerra e di consiglio. Ma questa volta fra gli Achei per die Fe' la piu bella delle belle imprese, VERSIONS DLL CANTO 5EC0ND0 DELL*IlIADE if 1 9 Frenando V abbajar di questo cane Dileggiator. Clie si, die all' arrogance Passo la frega di dar inorso ai Regi! In questo favellar levossi in piedi, E collo scettro di parlar f'e' cenno L' espugnatore di cittadi Ulisse. In sembianza d' Araldo accanto a lui Scesa la diva dalle liici azzurre Silenzio a tiitti impose, onde gli estremi Del par che i primi udirne le parole Potessero, ed in cor pesarne il senno. Allora il saggio die principio: Atride Questi Acbivi di te vonno far oggi II pill infamato de' mortali. Han poste Le proniesse in obblio fatte al partirsi D' Argo alia volta d' llion, giurando Di non tornarsi die llion caduto. Guardali : a guisa di fanciulli, a guisa Di vedovelle sospirar li senti, E a vicenda plorar per lo desio Di riveder le patrie mura. E in vero Tal qui si pate traversia die scusa 11 desiderio de' paterni tetti. Se a navigante da vernal procella Impcdito e sbattuto in mar che freme Piu" di un mese e crudel la loiuananza Dalla consorte, die pensar di noi, Che gia vedeinino dtl nono anno il giro Su qiipsto lido? Compatir m' e forza Dnn(|ue gli Achivi, se a mal cuor qui stanno. Ma dope tanta diuioranza e turpe 420 * JM () N T I V'lioii di gloria ritornar. Deh voi, Dell ancor per poco tollerate, amici, Tanto iiidugiate alinen, clie si couosca Se vero o folso profeto Calcante. In ciior riposte ne teniam noi tutti Le divine parole, e voi ne foste Testinioni, voi si qiianti la Parca iS'on aveste criidel. Parmi ancor jeri Qnando le navi Acliee di lntto a Troja Apportatrici in Aulide raccolte, Noi ci stavaino in ccrcliio ad una fonte Sagrificando sui devoti akari Yittime elette ai sempiterni, all' ombra Di un platano, al cui pie nascea di pure Linfe il zampillo. Un gran prodigio apjiarve Subitamente. Un drago di sangnigne Maccbie spruzzato le rerulee terga Orribile a vedersi, e dallo stesso Re d' Olimpo spedito, ecco repcnte Sbucar dall' imo altare, e torcuoso Al platano avvingbiarsi. Avean lor nido In cima a quello i nati tenerelli Di passera feconda, latitanti Sotto le foglie: otto eran elH, e nona La madre. Colassn V angue salito Miseramente divoro gl' implunii Pigolanti; plorava i dolci figli La madre intanto, e svolazzava intorno Pietosamente; fincbe ratto il serpe Vibrandosi afferro la mescbinella Air estremo dell' ala , e lei cbe 1' aure VEKSIONE DEL CANTO SECONOO DELl'IlIADE 42 I Ernpiea cli stiidi nella sirozza ascose. Divorata co' figll anco la madre, Del vorator fe' il dio, clie lo tnandava, Nuovo portento, perocclie 1' arcano Saturnio figlio !o converse in sasso. Stupidi e ninti ne lascio del fatto La meraviglia, e a noi die delT orrendo Portento fra gli altari intervenuto Incerti ci stavamo e paventosi Calcante profeto: Cliiomati Achivi, Perche muti cosi? Giove ne manda Ts'el veduto prodigio un tardo segno Di tardo evento, ma d' eterno onore. Novo angelli ingojo 1' angue divino, Nov' anni a Troja ingojera la guerra, E la cltta nel deciino cadra. Cosi disse il Profeta, ed ecco omai Tutto adenipirsi il vaticinio. Or dunqae Perseverate, generosi Acliei, Restatevi di Troja al giorno estremo. Levossi a questo dire nn alto grido, A cui le navi con terribil eco Rispondean, grido lodator del saggio Parlamento d' Ulisse: ed incalzando Quei detti il vecchio cavalier iNestorre, Oh vergogna^, dicea; sul vostro lalibro Parole intesi di fanciulli , a cui IMidla cal della g^ierra. Ove n' andranno 1 giuramenti, le proniesse, e i tanti Consigli de' piii saggi, e i tanti aflauni, Le libagioni degli deij la fede 42a M o N r I Delle congiunte destrc? cUssipati N' andran col funio dell' altare? Acliei JXoi coiitendiamo di parole indarno, E in vane indugie il tempo si coiisuina Che dar si debbe a salutar riparo. Tien feriuo, Atride, il tuo coraggio, e fermo Sii gli Achei nelle pugiie alza lo scettro, Ed in proposte, che d' efFetto vote Cadraii mai sempre, maicir lascia i pochi, Che in disparte consukano, so in Argo Redir si debba, pria che falsa o vera Si conosca di Giove la proinessa. 10 ti fo certo, che il Saturnio figlio li giorno, che di Troja alia ruina Sciolser gli Achivi le veloci antenna, Non dubbio cenno di favor ne fece Folgorando a diritta. Alcun non sia Dunque che parli del tornarsi in Argo, Se prima in braccio di Troja na sposa jNon vendica d' Elena il ratto e i pianti. Se taluno pur v' ha che voglia a forza Di qua partirsi, di toccar si provi 11 suo naviglio, e trovera primiero La meritata niorte. — Tu frattanto Pria ti consiglia con te stesso, o sire, Indi cogli altri , ne sprezzar T avviso Ch' io vuo darii. Dividi i tuoi guerrieri Per curie e per tribii, si che a vicenda Si porga aita una tribii con V altra, L' una con f altra curia. A questa guisa, Obbedendo gli Acliei, ti fia palese •VERS16NE DEL CANTO SECONDO DELl'IlIADE 4^3 De' capitani a nn tempo e de'soldati Qiial siasi il i^rode^ e quale il vil, che ognuno Con emula virtu pel suo fratello Coinbattera. Conoscerai pur anco Se Nume avverso, o codardia de' tuoi, 0 poca d' armi maestria ti tolga Dt'lle dardauie inura la conquista. Saggio vegliardo, gli rJspose Atride, In tutti della guerra i parlamenti Anzi a tutti tn vai. Piacesse a Giove, A Minerva piacesse, e al santo Apollo, Ch' altri dieci io ni' avessi infra gli Acliei j A te pari in consiglio, ed atterrata Cadria ben tosto la citta Trojana. Ma me V Egioco Giove in alii affanni Sornmerse, e incauto mi sospinse in vane Gare e contese. Di parole avemmo Gran lite Achille ed io d' una fonciulla, Ed io fui primo all' ira. Ma se fia Che in amista si torni, un sol niomento Non tardera di Troja il danno estremo. Or via, di cibo a ristorar le forze Itene tutti per la pugna. Ognuno L' asta raffili, ognun Io scudo assetti , Di copioso aliinento ogiiun governi 1 corridor veloci, e dilii^ente Visiti il coccbio, e tnediri il conflitto, Onde questo sia giorno di battaglia Tutto e di sangne, e senza posa alcuna Finclie la notte non cstingna 1' ire De' combattenti. Di guerrier sudore 425^. ]M 0 N T I Baanerassi la soga dello scudo Siii caldi petti, verra manco il pugno Sovra il calce dell' asta, e destrier moki Trarranno il cocchio con lena alVaiinata. Qiialimque io poscia scorgero chc lungi Dalla pugna si resti appo le navi Neo;hitroso, non fia per dio chi il salvi Dalla fame de' cani e degli augelli. Cosi disse, e al fiiiir di sue parole Mandar gli Achivi iin altissimo grido Somigliante al muggir d' onda spezzata Air alto lido, ove il soffiar la caccia Di fiirioso Noto, o contra i fianchi Di prominente scoglio, llagellato Da tutti i venti e da perpetiie spume. Si levar frettolosi, si dispersero Per le navi, destar per tutto il lido Globi di fumo, ed imbandian le mense. Chi a qiiesto dio sacrifica chi a quello, Al suo ciascun si raccomanda e il prega Di camparlo da morte nella pugna. Ma il re de'prodi Agamennone un pingue Toro quinquenne al piu possente Nume Sagrifica, e convita i piu prestanti. Nestore primamente e Idomenco, Quindi entrambi gli Ajaci, e di Tideo L' inclito figlio, e sesto il divo Ulisse. Spontaneo venne Menelao, ciii noto £ra il banchetto del fratello. E questi Fer di se stessi una corona intorno Alia vittima, e preso il salso farro VEUSIONE DEL CANTO SECONDO DELL'IlIADE 42 5 Nel mezzo Againennon fe' questo prego: .„ O glorioso sommainente e grande „ Giove deir atie nubi adunatore, „ Deir etra abitator, fa che non prima „ II sol tramonti e sopraggiunga sera, Che di Priaino fiiinanti al suolo io getti Gli alti palagi, e d' ostil fiamma avvainpi Le regie porte; fa che la inia laiicia Squarci 1' usbergo delT Ettoreo petto, E che d' intorno a lui rnolti suoi fidi Boccon distesi mordaiio la polve. Disse; ed il Nume 1' olocausto accolse, JMa tion il voto, e a lui piii lutto aiicora Preparando venia. Einito il prego E sparso il farro, ed iiicurvato all' ara Delia vittima il collo, la scannaro, La discLiojaro, ne squartar le coscie, Le rivestir di doppio omento e sopra Poservi i crudi braiii. Indi la fiamma D' aride scheggie alimentando, a quella Cuocean le carni negli spiedi infisse. Cofte le prime, e di lor fatto il saggio, JVIiimzzar le restanti, e qtieste pure Negli schidoii confissero, ed accoucia = = mente arrostite le levar dal foco. Cio tutto fatto apparecchiar le mense, E a suo taleato vivaiido ciascuno. Di cibo sazj e di bevanda, prese A cosi dire il cavalier JNestorre. Re delle genti glorioso Atride Agamennon, sia tolta ogni dimora Tom. I. 54 <|26 M O N J' I AH iiupresa cbe in pugno il Dio ne pone. J)('EL CANTO SECONDO DELL'IlIADE 443 Ai Daidani coinanda il valoroso Figliuol tl' Aiichise Eiiea, cui la divlna Yenere in Ida partori, coinniista -Diva iiniiioitale acl iiii mortal; ned egli Solo comanda, ma hen anco i due AntenOridi Archiloco e Acamante In tuttc guise di jjattaglia esperti. Quei che d<^ir Ida alle radici estreme llanno stanza in Zelea ricchi Trojani La profonda beventi acqua d' Asepo, Pandaro guida Litaonio fmlio Cui fe' dono d^ell' arco Apollo istesso. Delia Citta d' Apesio e d' Adrastca, Di Pitiea la gente e delT eccelsa Ferea montagna han duci Adiasto ed Anfio Corazzato di lino, ambo ramj)olli Di Merope Pereosio. Era costui Divinator famosa, e a' suoi (iglinoli Non consentia 1' andata all' omicida Guerra. Ma i figli non 1' udir, che sordi Deir atra jnorte li traea la Parca. ]Mandar Percote e Prazio e Sesto e Abido E la nohile Arisba i lor guerrieri, Ed Asio li conduce, Asio figliuolo D' Irtaco, e prence che d' Arisba venne Da fervidi portato alti cavalli Alia riviera Sellentea nudriti. Dalla pingue Larissa i furibondi Lanciatori Pelasghi Ippotoo mena Con Pileo, bellicosi ambo germogli Del Pelasgico Letho Tautamida. 4^4 M o N 'f I Acaniante e 1' eroe duce Piroo I Traci condiicean qiianti no seira L' estuoso Ellespoiuo; ed i Ciconi Del giavellotto vibratori Eiifemo Del Ceide Trezeno alto nipote; Poi Pirecmo i Peoni, a cui sul tergo Snonan gli archi ricurvi, e li spe^disce T.a rlinota Amidone, e V Assio un fiuine Di larga conentia, 1' Assio di cui Non si spande ne' campi onda piu bella. DalV Eneto paese, ov' e la razza Deir indomite mulcj conducea Di Filomeno 1' animoso petto i Paflagoni, di Citero e Sesamo E di splendide case abitatori Lungo le rive del Partenio fiume, E d' Egialo, e di Cromna, e dell' eccelse Baize Eritine. Li seguia la squadra Degli Alizoni d' Alibe discesi, D' Alibe ricca dell' argentea veria. Duce a qiiesti eran Rodio ed Episrrofoj E Ciomi ai Misi e V indovino Ennoino. Ma con gli augurj il misero uon seppe Scliivar la Parca. Sotto 1' asta ei cadde Del Pelide, quel di die di nemica Strage vermiglio lo Scamandro ei fece. Forci ed Ascanio simigliante un Nurne Dall'Ascania traean la Frigia gente, Caldi il cor del desio di perigliarsi Nella pugna. I Meoni aveano a duci Di Piliraene i figli Antifo e Mestle VERSIONE DEL CANTO SECONDO DELl'IlIADE 446 Alia Gigea paliule partoiiti , £ quei Meoiij lo seguiati pur anco Che alia l^kla del Tinolo ebber la vita. Quiiuli i Cari di barbara favella D\ Mileto abitanti e del frondoso Monte de' Ftiri e del Meandrio fiume E deir erte di Micale pendici . Anfimaco a costor con Naste impera; Figli di Nomion, Naste un prudente, Anfimaco un insano. Iva alia pugna Carco d' oro costui come fanciulla ; Stolto! che Toro allontanar non seppe L' atra morte, che il giunse alio Scamandro. Ivi il ferro Achilleo lo stese, e l' oro Resto del forte vincitor la preda . Venian di Licia alfine, e dai rimoti Gorghi del Xanto i Licj, e li guidava L' incolpabile Glauco e Sarpedonte. Fine del secondo canto-. 447 I N D I G E D Pag. ISCOBSO PRELIMINAnS III Abbozzo della polizia del regno longobanlico , particolarmente nei doc secoli ottavo e uono . Di Angela Fumagalli i Esame de* principj metafisici della ZooDOinia d' Erasmo Darwin . • . Di Francesco Suave 47 Su' fidecomiiiissi . Di Domenico Munga 71 Riflessioni sopra it propetto di eleiuenti d' Ideologia di Destutt-Tracy. J}i Francesco Soavc "7 Del Porporisso e degli altri rolori cbiamati floridi , die presso gU an- tjclii crano preziosi . Di Michcle Rosa '"' Saggio di un nuovo comento delle opera di Viigilio . Di Michcle Aralcli 243 Volgarizzamento delle Georgiche di Viigilio con annotazioni. Di Be- nedetto Del Bene ^^7 Versjone del canto socondo dcU' Iliade . Di Finccnzo Monti . . -4^7 ;■/ 4'