^^^^^^L. MEIHORIE deli; I. R. ISTITITO VE^ETO DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI ^,11 i 0.^. J^ MEMORIE DELL'I. R. ISTITUTO VENETO DI SCIE^ZE, LETTERE ED AllTI VOLIME TERZO YENEZIA PRESSO LA SEGUETEllIA IJELL' I K ISTITUTO ^ E L PALAZZO D II C A r. K 1847 COI TIPl DEL SEMINAKIO DI PADOVA AVYERTIME^TO In esecuzlone clell' Articolo i34 tiegli Statuti Interni, si dichiara die ognl Autore e particolarmente risponsa- l)lle delle opinioni e dei fatti esposti ne' proprii scritti. M. E L E N C 0 DEI MEMBRl ATTUALl DELL' I. R. ISTITLTO VEIVETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTl 1."'° Lufjlio 1847 rRESIDENTE S. E. il sig. conte Andhea Cittadella VicoDAnzEnt:, Cav. dei Gioanniti, Consigliere intinio e Ciam- bellano di S. M. I. R., Consigliere straordinario dell' I. R. Accadeniia di Belle Arti in Ve- nezia, Membro effettivo dell' I. R. Accademia delle scienze di Vienna, Memltro onorario del- r I. R. Istituto e di varie altre Aecaderaie. VICEPRESIDENTE Mekir ab. LoDOMco, Direttore della Faeolta filosofica e Professore di Storia nell'I. R. Universita di Padova, Socio di varie Accademie. SEGRETARIO Pasim Lodovico. VICE SEGRETARIO Carrer dott. LuiGi, Preposto al Civico Museo Correr. M E iM B R I 0 N 0 R A R J S. A. 1. R. I'Arciduca d' Austria Frakcesco Carlo Gicseppe, Principe Imperiale, Principe Rcale (I'llnghcria e di Boemia, ec, Cav. del Toson d'oro, Gran Croce dell'Ordinc Realc di s. Ste- fano d'Ungheria, ec. S. A. I. R. I'Arcidiica d' Austria Giova>ki Battista Gii'SErrt Fabiaro Seeastiaiso, Principe Impe- riale, Principe Reale d'Unglieria e di Boemia, cc , Cav. del Toson d'oro, Gran Croce dell'Or- dinc militare di Maria Teresa e dcU'Ordine Imperiale Austriaco di Lcopoldo, ec. S A. I. R. I'Arciduca d' Austria Ra-viebi Guseppe Giovapim Michele Fkakcesco Girolajio, Prin- cipe Imperiale, Principe Realc d'Unglieria c di Boemia, ec., Cav. del Toson d'oro, Gran Croce deirOrdine Reale di s. Stefano d'Ungheria e dell'Ordinc Imperiale Austriaco di Leopoldo, Cav. di prima classe dell'Ordine Imperiale Austriaco della Corona di ferro (in brillanli). c del R. Ordine Sardo dell' Annunziata, Vice Re del Regno Lombardo Veneto, ec. .S. A. I. R. I'Arciduca d' Austria Luigi Giuseppe Antomo, Principe Imperiale, Principe Reale d'Un- gheria c di Boemia, ec, Cav. del Toson d'oro, Gran Croce dell'Ordinc Realc di s. Stefano d'Unglieria, ec. S. A. I. R. I'Areiduca d' Austria Fedekico FERDWAPiDO Leopoldo, Principe Imperiale, Principe Reale d'Ungheria e di Boemia, ec., Cav. del Toson d'oro e dell'Ordine militare di Maria Teresa, Cav. di prima classe degli ordini I. I. russi di s. Andrea, di s. Alessandro iS'ewskj', dell'Aquila bianca e di s. Anna e di s. Giorgio di quarta classe, Cav. del R. Ordine mili- laro prussiano del Merito e di quello R. britannico del Bagno, ec. .S. A. S. il Principe Clemekte Ve>ceslao di METTEnreicii-Wi^sEmnG, ec, Grande di Spagna di pri- ma classe, Cav. del Toson d'oro. Gran Croce dell'Ordine Reale di s. Stefano d'Ungheria (in lirillanti), Croce d'oro dell'Ordine civile, I. R. Consigliere intimo, Cancelliere della Casa, della (;orte e dello Stalo, ec , Ministro di Stafo e delle Conferenze, ec. S F. il signor conte F^u^cEsco Antoimo di KoLrAMiA-r Liebsteiissky, Ca\'. del Toson d'oro. Gran Croce dell'Ordine Imperiale Austriaco di Leopoldo, Croce d'oro deU'onor civile, Balio Ono- rario e Gran Croce dell'Ordine sovrano di s. Giovanni di Gerusalemme, I. R. Consigliere intimo, Ministro di Stato e delle Conferenze, ec. S. E. ii signor conte Carlo d'Ikzagdi, Gran Croce dell'Ordine Imperiale Austriaco di Leopoldo, e dell'Ordine Costanliniano di s. Giorgio di Parma, I. R. Consiglicre inliino, I. R. Ciambel- lano, cc. , Gran Canceliiere c Prcsidonle deli' I. R. Comiiiissione Aiilica degli studii. S. E. il signor conte Carlo Fkoehico di Kiiceck e Kueac, Cav. del R. Ordine di s. Stefano d'Un- glieria, Gran Croce dell'Ordine R. havaro di s. Michele, Cav. di seeonda dasse dell'Ordine I. russo di s. Stanislao, ec., I. R. Consigliere intimo, Presidente dell' I. R. Camera Aulica ge- nerale e dell' I. K. Camera Aulica per lo zecehc e per le niiniere. S. Eniinenza Reverendissima Jicoro Momco, Cardinale della S. R. C, Cav. di prima classe del- l'Ordine Imperiale Austriaco della Corona di Ferro, I. R. Consigliere intimo, Cappellano della Corona, ec. , Palriarca di Venezia. S. E. il signor eonte Luici Palffy di Eudod, Cav. dell'Ordine de' Gioannili, Cav. dell'Ordine russo dell'Aquila bianca, dell'Ordine pontificio di Cristo, I. R. Consigliere intimo attuale di .Stato, I. R. Ciambellano, ee. , Governatore delle Provincie Venete. S. E. il signor conte Giova^m Battista di Spair, Gran Croce dell'Ordine Imperiale Austriaco di Leopoldo, Cav. di prima classe dell'Ordine Imperiale Austriaco della Corona di Ferro. ec., I. R. Consigliere intimo, Ciambellano, ec, Governatore delle Provincie Lombarde. S. E. monsignor Gio. Battista Ladislao Pyrker di Felso-Eor, Cav. di prima classe dell' Ordine Imperiale Austriaco della Corona di Ferro, I. R. Consigliere intimo, ec., Patriarca Arci\esco- vo di Eriau. S. E. il signor barone Frakcesco di Galvagka, Cav. di seeonda classe dell' Ordine Imperiale Au- striaco della Corona di Ferro, Commendalore dell' Ordine pontificio di s. Gregorio il Grande. I. R. Consigliere inlimo, ec. , Presidente dell' I. R. Aecademia di Belle Arti in A'enezia. S. E. il signor conte Akdrea Cittadilla Vigodarzere, come sopra. Di Sebregondi nobile Giuseppe conte e patrizio romano, Cav. dell'Ordine Imperiale Austriaco di Leopoldo, Gran Croce dell'Ordine pontificio di s. Gregorio il Grande, Cav. dell'Ordine dei Gioanniti e di quello pontificio di Cristo (in brillanti), Vice Presidente dell' I. R. Go- \erno. Socio di parecchie Accademie. Hallaschra Fra>cfsco Cassiami, I. R Consigliere Aulico, .Assessore deU'Eccelsa Aulica (ioninii'^- sione degli studii, Presidente della Facolta filosofica dell' 1. R. Uni^ersita di Menna e .Sncin di parecchie .\ccademie. III. 6 FrascEscoNi Erme.^ec.ildo, I. R. Consigliere Aulico, Cav. di seeonda classe dell' I. R. Ordinc Au- slriaco dclla Corona di Ferro, Coinnicndatore del R. Ordine Relgio di Lcopoldo, Socio ono- rario dell' I. R. Accadeniia di Belle Arli in Yenezia, Capo dell' I. R. Direzione Generale tecnico- amministrativa per le strade ferrate dello Stato. Sartori Cakova monsignor Giovakm Battista, Vescovo di Mindo, Cav. della Corona di ferro, Socio onorario dell' I. R. Accademia di Belle Arli in Vcnezia. MEMBRI EFFETTIVI TENSIONATI (•26 Novembre 1839) Sahtiki Giovaski, Cav. di terza classe dell' Ordine Imperiale Austriaco della Corona di Ferro, Cav. del R. Ordine Danese del Danncbrog e di qiiello Granducale Toscano di s. Giuseppe, Di- rettore della Facolta matematiea, dell' I. R. Osscrvatorio, c Trofessore di Astronomia nell'I. R. Universita di Padova. Catullo doUor Tomaso A>Tor.io, Cav. della JMilizia Aurata, Professore di Storia Naturale nel- r I. R. Universita di Padova. Ze>drim ab. Akgelo, Professore emerito di Matematiea dell' I. R. Universita di Padova, in Me- sire. Zamedescoi ab. Fr.uvcesco, Professore di Fisica nell' I. R. Liceo di Venezia. (26 Novembre 1839 — 20 Giugno 1843) Caso.m ingegnere Giovakni, Architetto all'Ufficio dellc fabbriehe civili e lavori idraulici dell'Ar- senale, in Venezia. (26 Novembre 1839 — 16 Gennaio 1844) Fapahm dottor AGOsTmo, Cav. della Milizia Aurata, in Treviso. Pasiri Lodovico, come sopra. (26 Settembre 1840) Bizin dottor Bartolomeo, Professore nell' I. R. Seuola Tecnica, in Venezia. Bflla^itis nob. Giusto, Professore di Geometria deserittiva nell' I. R. Universita di Padova. Fi RLANETTo ab. GiuscprE, in Padova. VE?iA>7,io dottor GiROLAjio, in Portogruaro. SA>Dni Giruo. in Verona. BiAKcnETTi dottor GusErrE, in Treviso. (26 Seltembre 1840 — 3 Giugno 1843) FisiNiERi dottor AiicnoGio, in Vicenza. ScoroLi conte Gio. Aovtonio, Segretario perpetuo dell' Accademia di agricoltura, coiiiniertio ed arti, in Verona. Nabdo dottor Gio. Domekico, in Venezia. (26 Settembre 1840 — 20 Giugno 1843) Co.>TARi-M conte Nicolo, in Venezia. (26 Settembre 1840 — 16 Gennaio 1844) De' VisiAM dottor Roberto, Professore di Botaniea nell' I. R. Universita di Padova. (3 Giugno 1843) MixoTTO nob. GiovAsivi, in Venezia. MEMBRI EFFETTIVI i\ON PENSIONATl (26 Novembre 1839) Racchetti dottor ALEssArsDno, I. R. Consigliere, Professore di Procedura giudiziaria nell'l. R. Uni- versita di Padova. MErtm al)ate dottor Lodovico, come sopra. Paleocapa ing. Pietro, Cav. di terza classe deU'Ordine Iniperiale Austriaco della Corona di Fer- ro, Direttore dalle Pubbliche Costruzioni in Venezia. (21 Warzo 1840) S. E. il sig. conte Leonardo MArsn, Grande Ciambellano del Regno Lombardo-Veneto, I. R. Con- sigliere intimo di S. M. I. R., in Venezia. (26 Settembre 1840) Co>Ti dottor Carlo, Professore di Matematica applicata nell' I. R. Universita di Padova. XII (3 Giugno 1843) . - JirPLLLi ing. GirsErrF, in Padova. Barbieri ab. Giuseppe, Professore emerito, in Padova. Za^ok Bartolojieo, Chimico farmacista, in Bclluno. iMiLANi ing. GiovAMXi, in Venczia. . : (20 Giugno 1843) '■■ CoRiEsE dottor FiiAi^cEsco, Professore di Anatomia nell' I. R. Universita di Padova. TIIUZ7.A dottor DoMEMco, Professore di Geodesia e Idromctria ncH'l. R. Universita di Padova. (16 Gennaio 1844) GiAcoMiM dottor GiAcoMO A.NDREA, Profossore di Medicina nell' I. R. Universita di Pado\a. Meheghiki dottor Gilseppe, Professore nell' I. R. Universita di Padova. Carrer dottor LuiGi, come sopra. FRE.SCH1 nob. GnFjtARDo, in s. Vito del Friuli. Maggi Pietro, Doltore in Matematica, in Verona. CiTTADFLLA conte GiovAKKi, in Padova. Mdich dottor StRAFirio Rafaele, Professore di Calcolo sublime nell" I. R. Universita di Padova. PoLi dottor Baldassare, Professore di Filosofia nell' I. R. Universita di Padova. Namias GiAcmTO, Dottore in Medicina, in Venezia. SOCII CORRISPONDENTI DELLE PR0V1>CIE VE^ETE (28 Novembrc 1842) CicoGisA EuHAtiuELE, Cav. della Legion d'onore, Consigliere slraordinario dell' I. R. Aecadeniia di Belle Arti, in Venezia. Fario L. Paolo, Dottore in Medicina, in Venezia. Gai.vam dottor Ahdrea, in Pordenone. Paroum nob. Alberto, Scudiere di S. M., in Bassano. Parravicim nob. LuiGi, Direttore dell' I. R. Scuola Tecniea, in Venezia. Pasim Valektiko, Dottore in legge, in Vicenza. De Tipaldo dottor EiiiiLio, Cav. dell'Ordine R. Greco del Salvatore, in Venezia XIII (7 Agoslo 1843) Gera Flu^l.E.^^o. Dolloi'o ill Mcdiciiia. in Conegliaiio. MiGSA Gio. Battista. DoKorc ia Medicina, in Padova. ToBLiKi GiAcipiTo, Professore di Matematica nell' I. R. Licuo di Verona. ZiSARDiM GiovAisivi, Dottoi'e in Medicina, ia Vcnczia. ZiKELLi ab. Federico, Professore e Viee-direltore deilo studio filosofico nel Semiiiario Patriarcale di Venezia. (26 iMaggio 18i4) Asso> Michelangelo, Dottore in Medicina e Ciiirurgia. in Venezia. Berjardi ab. Gil'seppe, in Padova. Cappelletto Aktoemo Alipjo, Ingegncre meccanico, in Venezia. Penolazzi Ioazio, Dottore in Medicina, in Venezia. QcADRi AyTomo, Consigliere Imperiale, in Venezia. Sagredo conte Agcstwo, Consigliere straordinario dell'I. R. Accademia di Belle Arti. in Venezia. Zescevico Giovaimvi, Professore nell' I. R. Collegio di Marina, in Venezia. (20 Gennaio 1843) Selvatico Este.-vse nob. Pietro, in Padova. SpojiGiA dottor FiLippo, Direttore della Faeolta medica dell' I. R. Universitii di I'adosa. (7 Agosto 1843) Cakal ab. nob. Pietro, Professore di Filologia nell' I. R. Liceo di Venezia Pereoo dottor Aktomo, Professore di Fisica nell' I. R. Universita di Padova. (22 Marzo 1846) Clemeuti dottor Giiseppe, in Padova. Negri dottor CRisTOfORo, Professore di Scienze politiche nell' I. R. Universita di Pado\a. Trois dottor Fraiscesco Ekrico, Direttore del Civico Ospitale di Venezia. (30 Novembre 1846) LocATELi.i dottor ToMMAso, in Venezia. Valektiselli ab. Giuseppe, I. R. Bibliotecario della Marciana, in Venezia. ZA5ir.KA dottor Bernardino, Professore di Fisica nell' IK. Liceo di Udine FL'ORI DHLLF, rROVIISCIE VE^ETE Aiitini ingcgn. Giovanm, in Trieste. A[i>ETH cav. GirsErrE, Diretfore dell' I. R. Gabinetto di Numismatica c di Anlichila, in Vienna, ArcnEn padre Giajibattista, della Congregazione Armena dei Mccliilaristi. liAi.iu.Ar.TOER prof. Andrea, Dircttore della Facolta filosolica dell' I. R. Universila di Vienna. De BiArtcniivi Beroaldo, Tenenle Maresciallo in Vienna. C.t>TL! cav. Cesare, in Milano. CzoERiMo cons. Carlo, Direttore dell'Uffieio di Statistica animinislrativa in Vienna. E>DLicuER Stefako Ladislao. Pfofessore di Botanica in Vienna. D' EiTiTiGsnArsEiv Andrea, Professore di Fisica nell' I. R. Universita di Vienna. De Fii.irpi FiLipro, Doltore in Mcdicina, Aggiunlo al Museo civico di Sloria Naturale, in Milano. GiiEGA cons. Carlo, Dottore in Malematica, I. R. Ispettore delle slrade ferrate, in Vienna. Hyrtl Gii'SErpE, Professore di Anatomia nell' I. R. Universita di Vienna. Kreil dottor Carlo, Astronomo Direttore dell' I. R. Osservatorio di Praga. De LioAM Gr.seppe, Diretfore dell' I. R. Accademia di Nautica, in Trieste. Mainardi dottor Gaspare, Professore di Mateniatica nell' I. R. Universita di Pavia. Partsch dottor Paolo, Conservatore dell' I. R. Gabinetto di Storia Naturale, in Vienna. Pratobevera bar. Carlo Guseppe di Vienna. Prechtel cons. Gio. Giuseppe, Direttore dell' I. R. Istituto Politecnico, in Vienna. RosMiisi abate Aktopsio, di Rovereto. TojiMASEO NicoLO, di Sebenico. Unger Frakcesco, Professore nel Gioanneo di Gralz. Ze.>drim Gio. Maria, Professore di Storia naturale nell' I. R. Universita di Pavia. rUORI DELLA MONARCHIA Amici cav. Gio. B.ittista, di Firenze. A.%TiNORi comm. Vince.nzo, di Firenze. Bertoloki prof. Aimokio, di Bologna. BoNAFOus cav. Matteo, di Torino. BoAPARTE Carlo Lrcuw, Principe di Canino, in Roma. BoTTo prof. Giuseppe Dotieinico, di Torino. BuFFALiM cav. Mai'rizio, di Firenze. Dalle Chiaie prof. Stefaho, di Napoli. Dcci Di Serra di Falco Dojienico, di Palermo. Gejie cav. GirsErPE, in Torino. GioRDAKi PiETEo, di Pamia. GioRGipsi cav. Gaetaso, di Firenze. Giiuo prof. Carlo Ioazio, di Torino. Likari prof. Sakti, di Siena. Mariakipii cav. Stefako, in Modena. Matteccci prof. Carlo, di Pisa. Melloki cav. Macedoimo, in Napoli. Moris cav. Giacirto, di Torino. MossoTTi cav. Ottaviako Fabrizio, di Pisa. Orioli prof. Francesco, di Roma. Paoli conte DojiE.Mco, di Pesaro. Pareto march. Lorkszo N., di Genova. Parlatore prof. FiLirro, di Firenze. PiAjsciARi prof. Gio. Battista, di Roma. Pilla prof. LEoroLDo, di Pisa. PiRiA prof. Rafaele, di Pisa. Pla.aa comm. Giovamm, di Torino. PucciROTTi prof. Fharcesco, di Pisa. Repetti prof. Emmahuele, di Firenze. RiDOLFi march. Cosnjo, di Firenze. Savi cav. Paolo, di Pisa. ScAccni prof. Arcakgelo, di Napoli. SisM0>DA cav. A?.GELo, di Torino. Spi.>ola march. jMassliiilia.'>o, di Genova. Teisore cav. MicHELE, di Napoli. MEJIORIE SULLA FILOSOFIA BELLA FISICA MEMORIA DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI X er esaurire ne' suoi dettagH V argomento delP uso della filosofia nella fisica, converrebbe percorrere tutti i rami di questa, ed allora diverrebbe assai vaslo. lo mi limito a dei principii generali i qiiali servono di guida, e di cui le applicazioni son facili per chi li abbia rettamente intesi, e non sia Iroppo prevenuto da sistemi immaginarii, il qual difclto pur Iroppo e frequente. §1. Metafisica 1. Le idee delle cose a noi esterne ci vengono dai sensi. Circa gli errori dei sensi niolto fu scritfo dai filosofi. Se vediamo un corpo in dislanza e da vicino, le due sensazioni sono differenti. Un globo, per esempio, a certa dislanza ci sembra un piano circolare. Se ar- miamo roccliio di microscopio vediamo in un corpo cio che sluggiva alFoccbio nudo; e quanlo plu forte e il microscopio ci vediamo sem- pre delle cose nuove e sempre ne restano di non vedute. Inollre le 4 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA idee die ci danno i corpi sono idee di siiperficie. Per quanlo si pro- seeua a dividerli c suddividerli, le idee reslano senipre superficiali . ISienfe di cio cli'e veramenlc interno, ossia dei corpi in se stessi. Le sensazioni dunque non ci danno le vere idee delle cose. De- rivano da impressioni die ricevono i nostri organi, dissimili dagli og- gclti chc le producono. Cosi i colori, i suoni, i sapori, gli odori sono niodificazioni dei nostri sensi, e non esistono fuori di noi. Ci niancano le vere idee delle cose esterne tanto qiianto ad iin uomo manca la idea dell' interno di un altro uomo. Queirt'o per cui ciascuno e conscio di se slesso e impercettibile ad un altro. E sol- tanto per analogia della coscienza die ogniino ha di se slesso, die la suppone negli altri senza esscrne a parte. Qiiello die i sensi ci rapprcsentano si chiama fenomeno. Per una specie d'islinto invincibile, riportianio fuori di noi quello die sentia- mo. come se esistesse simile, anzi identico, alle nostre sensazioni. 2. Dalle sensazioni individuali forniiamo delle idee generali, ma in qiial niodo? Non e possibile formarsi una idea intuiliva, ossia una inimagine, di un oggetto generale; come non e possibile che un og- getto generale esista. Tutto quello che esiste e individuo omnimode determinahim, dicono i filosofi. Come non e possibile, per esempio, chc esista un Iriangolo ge- nerico, ossia scnza determinazione delle cpianlita dei lali e degli an- goli, cosi e ugualmente impossibile rappresentarselo nella mente. Le idee generali, o aslratte, in luogo di essere intuitive, sono semprc sim- bolidie. Cosi i matematici rapprcsentano le quantila con cifre, le quali non hanno simililudine coUe cose die sono destinate a rappresenlare. II segno o sinibolo e un mezzo virtuale di rapprescnlazione. \ale a dire, col simbolo s'indica la potenza della mente di rappresentarsi tutti gli individui possibili di un dato genere. E un vessillo solto il quale si raccolgono, non in atto, ma in possibilita tutle le rappresen- lazioni individuali che hanno una ccrta rassomiglianza fra di loro. Ma non si possono distaccare le somiglianze delle cose simili. E quando in geoinelria si adopra una figura individuale, per esempio un cir- colo, lo adopriamo come simbolo di tutti i circoli possibili. DEL DOTT. AMDROGIO FUSINIERI 5 Gli scrltlori di logica non hanno avverlito die le idee generall non esistono nella mente per mezzo d'imniagini, ma sollanto per mezzo di simboli. Hanno anzi supposto la esistenza di idee general! come rapprescntazioni nella mente di cose comuni agli individui; ed e que- sto un errore. Donde anche qiiesta conseguenza: che due idee contraddittorie non possono coesislere se non che per simboli . Sono lanto impossibili due immagini contraddittorie, quanto e impossibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo. 5. Come per mezzo dei simboli divengono generali le nostre idee, cosi formiamo collo stesso mezzo i giudizii o proposizioni generali (sog- getto e predicato); ed i raziocinii che sono applicazioni ai casi spe- ciali dei giudizii generali (i sillogismi). Donde le tre operazioni della mente (idee, giudizii e raziocinii). Le connessioni dei raziocinii in se- rie costituiscono le dimostrazioni . Quindi la scienza che habiftts de- monstrandi . La logica da le regole per la formazione dei giudizii e dei ra- ziocinii, senza delle quali si cade in errore. Qui si vuole notare al proposito che tutto si fa per simboli e non per composizioni di idee intuitive . 4. Col mezzo di simboli o vocali o scrilli gli uomini si comuni- cano dalluno aH'allro le idee, i giudizii, i raziocinii. Per la qualita della nostra organizzazione, e principalmente per Fuso dei simboli a cui la nostra organizzazione ci rende alii, e per la consegucnte nostra capacita a dette tre operazioni della mente, capacita che costituisce il nostro intelletto^ siamo immensamente superiori ai bruli. E la princi- pale sorgente dclle grandi differenze che vi sono fra popoli rozzi e popoli inciviliti, consiste nella perfezione minore o maggiore deiruso dei simboli vocali o scritti. Quanto grande e meravigliosa divenga la nostra potenza intelletluale per mezzo dei simboli lo moslra Tanalisi matematica. o. Dove le idee sono cosi semplici che non vi e errore ad assu- inerle come simiii alle cose, per esempio in geometria; o dove i sim- boli dilTeriscono bcnsi dalle cose, ma sono trattati con lecsi che non 6 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA difforlscono da quelle delle cose eslerne, come nelF arilmetica e nel- I'analisi: il nostro intellelto opera con sicurezza, perche nulla v'e nelle cose esterne che non sia rappresentato nei simboli; sicche riescono questi cquivalenli a quelle. Donde le scienzc esatte, come la geome- tria, la meccanica e lutta la matemalica, scienza delle quantita. Ma dove i fenomeni (n. 1) sono tanto imperfetli da non compren- derc rinsieme delle cose eslerne, e dove tante parti di quesle restano senza il corrispondente nei fenomeni, si ha un mondo ideale assai lon- tano dalFanalogia col mondo reale. Tali sono le scienze delle cose na- lurali, fra le quali principalmente la Fisica. Siccome pero abbiamo sempre il potere di generalizzare le idee simbolicamente, e di formarne giudizii e raziocinii; e siccome d'altro canto le leggi dei fenomeni hanno le loro analoghe negli oggelli reali, perche quelli sono effetti di questi: cosi per mezzo di quella potenza, e per mezzo di nuove osservazioni die rendono sempre piu i feno- meni analoghi (non mai simili) allc realla esterne, le scienze delle cose naturali progrediscono . Ma resla sempre vero che i fenomeni sono dissimili dagli oggelti reali in se stessi (n. 1); e che tante realta non hanno il corrispon- dente nei fenomeni sensibili; cosicche rimangono in gran parte total- mente occulte. Ecco le imperfezioni delle scienze naturali; imperfe- zioni che possono essere e vengono di continue diminuite e con nuove osservazioni, e con nuovi raziocinii; senza che possano essere tolte intieramente . A causa di quelle imperfezioni, ed a causa della inlemperanza di voler sapere al di la dei fenomeni, e al di la di cio che dai feno- meni si puo retlamenle dedurre col raziocinio, molti pretendono sup- plirvi con supposizioni arbitrarie, le quali riescono o fuori dei feno- meni 0 contro i fenomeni; oppure fuori o contro le legittime dedu- zioni che dai fenomeni si traggono. Tali supposizioni si dicono ipotesi. Oppure abusando della nostra facolla di usare mezzi simbolici di rap- presentazione, vengono adoprati dei termini privi di idee corrispon- dcnli, ossia vani e vuoti di scnso. 6. La filosofia che si definisce scientia possibilium quatemis esse DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 7 possmit, ha dei prlncipii generall e dimostrati, per non cadere in quelle vanila e in quegli errori; e sono principll applicabili non solo alia scienza delle cose natural!, ma anche a tulle le altre. I principii fondamentali da cui procedono lutti gli altri sono due. II principio di contraddizione Fieri non potest ut idem simul sit et non sit, che fu usato fin dal tempo di Aristotile e dagli scolastici. L'altro e il principio di ragione sufficiente Nihil est sine ratione sufftciente cur potius sit quam non sit. Di tale principio uso una volta Archi- mede a stabilire le ieggi statiche. Ma fu poi da Leibnizio espressa- menle introdollo in filosofia, per la retlificazione delle idee e per di- mostrare le proposizioni. Si distingue la causa della ragione sufficiente in cio; che la causa efficiente, la quale ha un'azione produttrice, e anteriore di tempo al- reffetto. Non e cosi della ragione sufficiente. Dall'avere un triangolo un angolo retto, s'intende che il quadralo della ipotenusa sia eguale alia somma dei quadrat! dei cateti. Neir angolo retto vi e la ragione sufficiente della eguaglianza di quella somma; come viceversa dalla eguaglianza di quella somma s' intende che uno dei fre angoli sia retto. Qui non vi e ne causa ne effetto con difTerenza di tempo. Al contrario se un corpo in moto urta in un corpo quiescente, quell' urto e causa che il secondo si mova. In ambidue i casi da una idea si passa necessarianiente alFallra. Ma nel primo caso non vi e la differenza di tempo che vi e nel se- condo. La causa prossima e sempre ragione sufficiente delP effetto, ma non sempre la ragione sufficiente e causa. § II. Fisica generate^ primi principii 7. I due esposti principii (n. 6) hanno grandissimo uso nella filo- sofia della fisica. Servono ad evitare Terrore; tutto quelle cioe ch'e contrario ai fenomeni, e ad evitare 1' immaginario, cioe quelle ch'e fuori dei fenomeni. Nel traltare filosoficamente la fisica si sentono ad ogni istante quelle g SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA iniperfezioni dei fenomeni di cui sopra (n. 3), per cui di lanti efletti ci restano occiiUe le cause. E bisogna dire di piu, che di tante qua- nta dei corpi che non arrivano a ferire i noslri sensi, i fenomeni non oi danno idea alcuna. Eppure il noslro istinto e tale di riportare fuori di noi Ic nostre sensazioni come fossero oggetti esterni (n. 1). Cosicche siamo condan- nali a questa perpelua contraddizione; di supporre i corpi del tutto simili ai fenomeni, e di lagnarci che i fenomeni non ci presentano le vere qualita dei corpi. In quanlo alle conseguenze in fisica del principio di ragione suf- ficiente, una immediata e questa. Qualunqiie corpo persevera nello stalo di qiiiete, o a moversi uni- formemente in diretto, se non vi e causa esterna che gli faccia can- giare il suo stato. E la prima delle leggi di moto assunte da Newton ne' suoi prin- cipii malematici di filosofia naturale. 8. Anche stando ai fenomeni (n. 1), le cose soggette a mutazioni interne e che rimangono le medesime si chiamano sostanze. Quindi fu definila la sostanza subjeclum perdiirabile el modificabile. Con tutte le mutazioni a cui siamo di continuo soggetti, esperimentiamo in noi stessi di essere una sostanza. Meglio si definisce la sostanza per subjectum vi activa praeditum, o per siibjecttim actionis ch'e lo stesso; perche non vi sono sostanze puramente passive, come importerebbe T altra definizione . Le sostanze sono in continua mutazione di stato interno, anche per azione propria, e lo sperimentiamo in noi stessi. 9. I sensi non ci presentano aU'esterno che sostanze estese, ossia corpi. Cartesio avca definito il corpo colla sola estensione, ens exlen- sum, confondendolo collo spazio. Altri Tha definito in seguilo per un ente composto ch'entra come parte a costituire il mondo. Ma con tale definizione si e inteso per composto un aggregate di enti semplici inestesi, a modo delle monadi di Leibnizio; sicche quella definizione e fondata sopra un'ipotesi. Migliore di tutte e la definizione del corpo secondo i fenomeni, substantia extensa vi motrice praedita. DEL DOTT. A.MBROGIO FUSINIERI 9 Se si considerano i corpi soltanto come passlvi per azionc di allri corpi o sostanze, si dlcono materia. Propriela essenziale del corpo e di essere impcnelrabile. La im- penetrablHta dei corpi si dimostra col principio di contraddizione (n. 6) in questo mode. Se due corpi fossero conipenelrati occuperebbero lo stesso spazio; cosicche in qualunque parle, per quanto si voglia piccola, dello spazio occupato dai due corpi, \i sarebbero ad un tempo le qualita dciruno e le qualita dell'altro; il che e impossibile, perche le qualita dei due corpi si escludono a vicenda. Supposto per esempio cbe i due corpi siano oro e ferro; ogni piii piccola parte della estensione comune sa- rebbe ad un tempo oro e ferro, il che e contraddittorio. Essendo ogni corpo un indlviduo omniinocle determinalum (n. 2); ne potendo esistere corpi in astratto, cioe con sole qualita coniuni af- fatlo idenliche, la dimostrazione procede in tutli i casi. 10. Posla la impenelrabilita dei corpi io dimoslro col principio di ragione sufficiente la comunicazione di mofo da uno alP altro come segue . Un corpo in molo non esisle realmente in nessun luogo dello spa- zio percorso; ossia non vi esiste oltre un istante ch'e lo stesso; im- perocche se esistesse in un luogo di quello spazio per un tempo co- niunque piccolo, siccome in quel tempo sarebbe in quiele, persisle- rcbbe a riraanervi secondo il principio del n. 7. 0 in altri termini; non si puo concepire che un corpo sia in un luogo qualunque dello spazio percorso senza concepire insieme che lo abbandoni. \i e dunque nel moto antecedente la ragione sufficiente, ossia la causa del moto seguente (n. 6). E piu esattamente ; nel mo- mentaneo del moto vi e la ragione sufficiente dl proseguirlo. Quel momentaneo, ragione sufficiente della continuazione del moto, dicesi conalo. E siccome la ragione sufficiente del moto si chiama forza, il conato e la forza sono la stessa cosa. Ora se un corpo in molo si riduce conliguo ad un corpo quie- scente; in quel moto \i e la ragione sufficiente che il primo corpo entri nel luogo occupato dal secondo. E siccome ambidue sono impe- rii 2 { 0 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA netrabili, non piio il priino entrare nel luogo del secondo senza che qucslo lo abbandoni. Dunque di necessila il secondo dee moversi. Se il primo corpo giunto in contatto del secondo si fermasse, cio sarebbe contio il principio di ragione sufficienle. Se il secondo non si movesse sarebbe penetralo, il che e impossibile (n. 9). Vi e dunque nel moto del primo e nella impenetrabilita dei due corpi la ragione sufficienle donde s' inlende che il secondo si mova. Ed in questo caso la ragione sufficienle e causa (n. 6). II conato del primo corpo di occupare il luogo del secondo si dice anche conflitlo o tirto. Donde il conflilto dei corpi e causa neces- saria di comunicazione di moto. Anzi niun'allra causa e concepibile. Neiralto che il secondo corpo acquisla moto dal primo, lanto e Turto di quello su questo, quanlo di questo su quello. Non e possi- bile che un corpo prenia un allro senza essere egualmente premuto. L'urlo del secondo sul primo si dice reazione, la quale e uguale e conlraria all' o -/one. Sono due idee equivalenli, e la pressione e re- ciproca cd una sola. Le due idee non differiscono che neU'ordine di concepire la slessa pressione. In quanlo si concepisce la pressione di -/ mosso conlro il corpo B quielo si dice azione. In quanlo si rife- risce la slessa pressione a B conlro ./ si chiama reazione. Al quale proposilo di idee equivalenli, ne ravvisera una serie chi attende alia suddetta dimoslrazione della comunicazione di moto per conflilto, le quali non differiscono che neH'ordine di rappresentazione comunque simbolica (n. 2, 3). Cosi e sempre quando dalla ragione sufficienle si passa a cio di cui e ragione sufficienle. E in genere i raziocinii, le dimostrazioni, consislono in una serie di idee equivalenli. Del che esempii chiaris- simi si ha in lutla la matemalica; e per simboli differenli dalle cose nelFanalisi . 11 moto acquistalo da un corpo per conflilto ha poi la slessa legge del n. 7. Si dimoslra inollre secondo le masse dei due corpi e la ce- lerila del primo, qual sia la celerita comune dopo il conflilto; e di piu come vengano nel conflilto modificate le celerita e le dirczioni dalla elasticita dei corpi; e quali slano le leggi di moto dopo il con- DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 1 1 flltto, se ambidue i corpi siano prima in nioto o per la stessa dire- zione o in conlrario. E le esperienze confermano le deduzioni. H. Sorprende che i Cartesiani non abbiano ravvisata la necessita della comunicazione del moto nel conflilto dei corpi. L'hanno consi- derata tanto misteriosa che vi fecero intervenire di mezzo la Divinita; nel che si e distinto Malebranche, il quale in tal modo ha ridotla la comunicazione di moto ad un miracolo. D'altro canto Leibnizio ha data una idea immaginaria e falsa della forza motrice, considerandola una realta interna ai corpi quasi stimolo al moto, e da questo diversa. Donde ha dato anche una misura delle forze vive differenle dalla misura del moto. Tutte queste fantasie svaniscono quando si considera, che la forza motrice non e allro che il momentaneo del moto, ossia il conato (n. 10). La comunicazione del moto da un corpo alKaltro e conseguenza del principio di ragione sufficiente, e del principio di contraddizione (n. 6) in quanto alia impenelrabilita dei corpi (n. 9). 12. II moto locale di un corpo e un cangiamento di sua relazione esterna cogli allri corpi, cioe di posizione e distanze. Nulla vi e d in- trinseco nel moto; ed il corpo in se stesso e indifferenle tanto alio stato di quiete che a quello di moto (n. 7). Cio e cosi vero che se vi fossero nel mondo due soli corpi che cangiassero di distanza, sa- rebbe indiscernibile quale dei due si movesse e quale fosse in quiete; 0 se ambidue si movessero. Ma ogni corpo come sostanza e in continua mutazione di stalo interno (n. 8). Ne mutazione alcuna si puo concepire nei corpi senza moto. Cosicche le mutazioni interne dei corpi consistono in moti in- testini fra le loro parti. E il moto intestino fra le parti, e non il moto locale che importa nei corpi cangiamenli intrinseci. Tali cangiamenti sono continui, comunque fra parti piccole e insensibili. Cosicche un corpo non dura assolutamente identico nel suo interno oltre un istante. Questo e di tutte le sostanze gia dotate di forza attiva, e lo esperi- mentiamo in noi stessi (n. 8). La durata nei corpi del medesimo stato interno non e che un'apparenza, un fenomeno. Egli e perche le mu- tazioni riescono insensibili (n. 1). 1 2 SULLA FILOSOFIA BELLA FISICA Sicconic gli slessi moviinentl inteslini non sono die cangiamenli di rclazioni Ira le parti del corpo; e chiaro che il cangiamento di seinplice relazione fra le parti e cangiamento reale intrinseco rispelto al tut to. 13. Nel conflilto dei corpi vi e la ragione sufficiente di comuni- cazione di moto (n. 10). ISe si puo concepire die senza iiiolo vi sia produzionc di moto; ne die vi sia produzione di moto senza conflitto dei corpi, il quale non si da senza conlatto. La rasione sufficiente, c cio di cui e rasione sufficiente, non dif- feriscono se non die nellordine di rappresentazione nella nostra mente (n. 10). Posta una e necessario porre anclie Faltra c viceversa. Cosi posto il conflilto dei corpi si concepiscc necessaria la comunicazione di moto; e posla la comunicazione di moto si concepisce necessario il conflitto. E quindi inconcepibile die un corpo produca moto in un altro corpo a dislanza senza conlatto e senza conflitto. Ed e ancora piu inconce- pibile die un corpo in istato di quiete produca moto in un altro corpo a dislanza. Tutto questo dimostra assurde quelle attrazioni a dislanza che i fisici nioderni amniettono come forze primitive dei corpi. In quanio allc attrazioni e repulsioni elettriclie e magneticlie, in- vece di collocarle fra le parti dei corpi, le collocano fra parti di sup- posli fluidi inipondcrabili di cui si dira qui sotto (5 V.). E bensi vero die i fenomeni come vengono dai sensi (n. 1) ren- dono apparenli quelle attrazioni senza conflitto. Ma gli slessi fenomeni palesano che causa di comunicazione di moto e il conflitto; e col- rintclletlo si comprende (n. 4) die senza conflitto non vi puo essere comunicazione di molo, per essere quelle ragione sufficiente di que- sto (n. 10). Bisogna sempre rammenlarsi che i fenomeni, scmpre disslmili dalle cose in se stesse, non ci danno di queste che inimagini imperfettis- sime (n. 1, 4, 5); e che la scicnza delle cose naturali e sempre in aspcllazione di nuovi progressi in virlu di nuove osservazioni . Quelli die amniettono le attrazioni a dislanza come forze primitive DEL DOTT. AMBROGIO FUSLNIERI 1 3 e Indipendenti da ogni conflilto, versano in qiiesto crrore, che quello che finora e insensibile non esisla. E di piu animellono quelle gene- razioni di inoto a distanza contro il principio di ragionc sufficiente. 14. Nei fenomeni molecolari, come son quelli delle chimiche affi- nita, e come son quelli della forza repulsiva da me scoperta nella materia altenuala, Ic aftrazioni e repulsioni sono fra parti cosi minute, che per dipendere da conflilli o da pressioni devono queste avvenire col mezzo di matcric ancora grandemente piu soltili; il che mostra in cjuale profondila di abisso, rispetlo ai nosfri sensi, giacciano le cause prime dcgli dTelti sensibili. Per altro le mie osservazioni di meecanica molecolare mi hanno dimostrala una causa evidenle di coesione nelle reazioni convergenti della forza repulsiva fra le parti dei corpi. Ma resla sempre da co- noscere la causa per conflillo o pressione della stessa azione repul- siva; cd inoltre rcsta da sapere se la rcazione della forza repulsiva sia la sola causa di coesione . E siccome la repulsione fra le parti della materia attcnuata e sem- pre in due contrarie direzioni, una dal dentro al fuori, Tallra dal fuori al dentro, la stessa forza che opera la coesione dal fuori al dentro, agisce anche in contrario. Donde io rendo ragione di quelle cmanazioni tenuissime che portano con se le immagini dei corpi, le quali sotto certe condizioni si rendono sensibili sopra piani levigati secondo le recenti esperienze di Moser. 15. La gravita dei corpi terrestri e la gravitazione universale dei corpi celesti apparlengono pure a quel genere di fenomeni dei quali non si conoscono le cause; e perche non si conoscono, vengono am- messi quegli effetti come forze primitive, indipendenti da ogni con- flitto o pressione, ossia senza causa. \i e la stessa assurdita di cui sopra (n. 13). Se fosse dimostralo che nicnte per assoluto vi sia di mezzo fra i corpi celesti, sarebbe da compatire chi crcdessc a ten- denze miracolose dei corpi fra loro reciprocamente . Ma quel niente di mezzo e ben lungi dall'essere dimoslrato. Intanlo luce frammista a calore anche oscuro; raggi detli cliimici invisibili frammisli alia luce ed al calore, ma che operano effetti assai segnalali per contattoj tullo 1 4 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA questo moslra abbastanza che vi sono continue emanazioni per irrag- giamento dai corpi celesti, le quali si dilTondono nella immensita dello spazio. Tali emanazioni servono di mezzo di comunicazione per con- tatlo dei corpi fra di loro. INon sappiamo ancora le qualila e le quan- tita di tulte le emanazioni, ne quali effetti meccanici siano atte a produrre. E siccomc abbiamo prove di quelle emanazioni anche dai corpi terrestri, sia per la forza repulsiva da me dimoslrata in tut la la ma- teria atlenuata, sia per le recenti osservazioni di Moser spiegabili con quella forza , io ritengo come abbastanza fondato questo principio : Da ogni corpo emana materia alio stato raggiante a un grado di temiita superiore ad ogni immaginazione. Questo principio conduce a considerare la divisibilita dei corpi . § III. Divisibilita dei corpi 16. I corpi come sostanze (n. 8, 9) sono di loro natura in conti- nue cangiamento di stato interno, e tale cangiamento consisle in moti inteslini (n. 12). Le mutazioni interne che i corpi subiscono sono di- mostrale anche dalle osservazioni ; e intorno a cio veggasi il trattato del sig. Paoli sul moto molecolare dei solidi. Ma oltre la natura d'ogni sostanza che importa un continuo can- giamento del suo stato interno, del che abbiamo continua esperienza in noi medesimi; rimontando ai principii della Cosmologia abbiamo: che tutte le parti del mondo sono fra loro connesse e neH'ordine dei coesistenti e nelF ordine dei successivi, in virtu di reciproche in- fluenze e della dipendenza degli effetti dalle cause, verita questa che risulta abbastanza anche dai suesposto (n. 10, 12, 15, 14). Dal che deriva che le mutazioni continue alle quali il mondo e soggetlo, importano mutazioni continue anche in qualunque enle o corpo cire parte delPuniverso; comunque tali mutazioni risultanti dalle azioni del tulto riescano insensibili. DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 1 5 Donde quesla vcrita incontrastabile: die lo stato inlerno di qual- sivoglia ente o corpo non dura assolutamente idcnlico oltre un istante. Slcche la idenlita assolula per un tempo dello stato interno dei corpi non e che un'apparenza, o per meglio dire una supposizione fallace, ed anche simbolica (n. 2, 3); perche non e neppure possibile rap- presenlarci intuitivamente una idenlita assoluta per un certo tempo. Se un corpo non dura assolutamente identico nel suo stato in- terno oltre un istante; molto meno possono darsi corpi assolutamente simili. E questa conseguenza necessaria dclla connessione fra tutte le parti delluniverso. Ma deriva inimediatamente anche dal principio di ragione sufficienle; perche se vi fossero due corpi assolutamente si- mili, sarebbe senza ragione sufficiente che uno esistesse nel suo luogo piuttostoche nel luogo deiraltro. 17. Le mulazioni interne dei corpi si risolvono in nioti inteslini (n. 12). E siccome ogni parte di corpo e pure un corpo, il moto in- testino vi e in ogni parte, ed in ogni parte di parte, e cosi ulte- riormente senza limite. Tulto questo sembra a prima vista un paradosso contrario alle sensazioni. Ma sono da avverlire due cose. L'una che le sensazioni non ci rappresentano la verita delle cose in se stesse (n. 1). L'allra che le stesse sensazioni sono continuamente mutabili; e non conser- vano neppur esse un' assoluta idenlita oltre un istante (n. 16). 18. Conseguenza immediata del moto inteslino dei corpi, e del molo inteslino in ciascuna parte ed in ogni parte di parte, ed ulterior- mente senza limile (n. 17) e questa, che la materia non solo e divisi- bile, ma e anzi atlualmente divisa in parti di parti indefinitamente. Del resto la divisibilita indefinita della materia si dimoslra facil- mente anche senza Taltuale divisione indefinita. Ogni corpo e divisi- bile in parti, ed ogni parte essendo pure un corpo, sara pure divi- sibile; e cosi saranno divisibili parti di parli che sono sempre corpi, ed ulleriormente senza limite. Si domandera se dunque la materia sia divisa o sia divisibile al- 1 infinito; e sc vi siano parli infinilamenle piccole. lo rispondo che la slessa divisione o divisibilita senza limite imporla che non si possa 1 6 SULLA FILOSOFL\ DELLA FISICA arrivare airinfinito, c die quindi non vi sono pari! infinitamente pic- cole. Una divisione condoUa airinfinito Involve contiaddizione e con se stessa c colla divisibilita senza llmite. § IV. Jssurdita degli atomi 19. Per porre iin linilte alia divisibilita della materia, alcuni hanno supposto, clic i primi dementi dei corpi siano senza estensione, e li chiamarono semplici. Cosi Leibnizio coUe sue monadi, ed altri che hanno supposto privi di estensione gli element! dei corpi (n. 9). Ma queslo era ridurre il mondo ad un aggregato di punti fisici inestesi; era ridurre i corpi compenetrabili, cioe atli in piu d'uno ad occu- pare lo stcsso spazio, perche i loro elementi non occupano spazio (n. 9); era togliere in conseguenza il conflitto dei corpi, e rendere impossibile la comunicazione del moto (n. 10). 20. Altri invece hanno supposto che i corpi siano composti di ele- menti bensi estesi, ma indivisibili colle forze naturali, e li chiamarono alomi. I chimici ne fecero il fondamento principale della loro pre- tesa filosofia, massime per la spiegazione delle combinazioni chimi- che in proporzioni definite. Ma queste non iniportano la indivisibilita delle parti che si coniblnano indivise. Importerebbero soltanto che le forze chlmiche non glungono a divlderle. Ma non e molto che i volumi risultanti nelle combinazioni del gas obbJigarono a supporre anche la divisione degli atomi (Jnnali delle Scienze ec. 1835, p. 369). Pegglo poi; vi sono le combinazioni in proporzioni Indefinite, come le dissoluzloni, le leghe ec, clie sono Inesplicablli col mezzo degli atomi. 21. Secondo la idea antica degli atomi sono indivisibili di loro natura, allrimentl non sono atomi. Ma sono estesi, sono corpi, e quindi hanno parli. Queste dunque sarebbero fra loro coerenti per una forza Infinlta; e secondo I chimlcl modernl sono coerenti per un' attrazlone superiore ad ognl forza naturale; quindi miracolosa. DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 1 7 Di conseguenza: durezza assolula e senza causa naturale; conti- nuita assolula, cioe senza intervallo alcuno fra le parti; uniformita as- solula di quesle; immulabilila interna assolula, figure senza causa, quantila di materia proporzionale al volume, attitudine sollanto a mote locale, ed a conflitlo secondo le leggi dei corpi duri. Tali sono le idee immaginarie degli atomi desunte dalla idea pri- mitiva ed unica di essere estesi e indwisibili; che viene data dalla supposizione pure immaginaria della loro esistenza. In forza di tali idee sarebbero anche lutti simili, giacche non avrebbero allre qualila che le indicate comuni a tulli. Quindi senza ragione sufficiente di Irovarsi nei luoghi che occupano, piuttostoche in quelli occupali da altri atomi. Inaltivi di dentro, e allivi al di fuori sollanto per conflitlo dei corpi duri, non sarebbero atti a produrre nei corpi nessuno di quei fenomeni alia cui spiegazione si vogliono destlnare. Si melton di mezzo fra tali esseri creali coUa immaginazione at- trazioni reciproche, delle quali non si rende ne si puo rendere ra- gione alcuna colle suddelle idee primitive e derivate di loro qualila. Quindi ancora altrazioni senza cause, ossia miracolose. In somma la idea di atomi estesi e indivisibili come elementi dei corpi involve una moltitudine di assurdila. Su di che si veda negli Jnnali delle Scienze ec. 183o, pag. 149, Riflessioni getierali contro la teoria degli atomi e contro quella degli imponderabiii. §V. Dei fluidi imponderabiii e loro assurdi 22. La supposizione degli atomi ha condotto naturalmente alia ipo- lesi dei cosi detti fluidi imponderabiii. CoUa prima supposizione non si ha che corpicelli durissimi, uni- formi, immutabili intrinsecamente, e per se stessi inaltivi; e vi si aggiungono altrazioni reciproche, delle quali niuna causa o ragione sufficiente nelle loro qualita. 3 I 8 SULLA FILOSOFU BELLA FISICA Ma vi sono dci fenomeni corporei che procedono da forze repul- sive. Qiiesle forze repulsive vengono dale a dei prelesi fluidi che si suppongono IVapposti agli atomi. Quiudi altrazioni Ira que' fluidi e gli alonii, repulsioni fra le parti di ciascun fluido, ed attrazioni reciproche ira gli atomi. Ecco create il mondo stando a tavolino. Cosi il calorico, secondo la ipotesi, si attrae cogli alonii dei corpi; e fra le sue parti vi e repulsione. Cosi fra le parti di ciascuno dei due fluidi eletlrici positive e ne- gative v' ha repulsione, e v' ha atlraziene h'a ciascuno di que' due fluidi e gli atomi dei corpi. Yi e pei un'altra atlrazione fra le parti di un fluido e quelle delPaltro. Lo slesso c dei due fluidi magnelici iniponderabili, con queslo che le loro attrazioni sarebbcro quasi esclusivamente pegli atomi del ferro. Con quesle fantasie di sostanze e di forze, ove le attrazioni e re- pulsioni senza cause vengono dispensate a profusione, si e fabbricata la cosi delta fisica teorica. Ampere in Francia dopo la scoperia dell' elellro-magnetismo avea cercalo di spiegare gli efletli magnelici con correnli circolari dei fluidi eletlrici. Negli Annali delle Scienze ec. 1840, ho esaminala quella ipo- tesi col confronto dei fenomeni, ed ho Irovalo che questi vi sono con- (rarii. Sembra che ora sia cessato il fervore per quella ipotesi. La luce pure veniva considerala un fluido imponderabile, o per meglio dire una mescolanza di lanti fluidi imponderabili quanli sono i suoi colori. Anche questa con forza rcpulsiva fra le sue parti; ma sarebbe un fluido molto meno imbarazzante degli altri imponderabili con attrazioni reciproche cogli atomi dei corpi. Ecco le soslanze immaginarie con forze allrettanto immaginarie, e senza cause, inlrodolle nei corpi, anzi fra i loro atomi, per dare spie- gazione degli efletli repulsivi mostrati dai fenomeni. 25. Si vede in primo luogo che la ipotesi dei fluidi imponderabili e sussidiaria a quella degli atomi. Sicchc le assurdila degli atomi (5 IV.) si rinversano anche sopra gli imponderabili. In secondo luogo per ammellere delle sostanze frapposte agli atomi. DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI j 9 o coinunque fra le parll de' coipi, die producano gli eflelll repulslvi, converrebbe niostrare la csistenza di tali sostanze; e per provare che esistano, converrebbe Irovarle isolate dalla materia. Le mie osservazioni di meccanica molecolare hanno dimostrato, chc una forza repulsiva si sviluppa fra le parti della materia per il solo fatto di essere questa ridotia a minime dimensioni; ed ho stabilito delle leggi di azione e reazione di quella forza col mezzo delle stesse osservazioni. lo mi sono limitato ai fenomeni, ed a cio che col mezzo dei fenomeni si piio rettamente dimostrare, per dare cosi delle ve- rita certe e luminose, sgombre dalle incertezze e dalle nubi delle ipotesi. Per altro siccome i fenomeni mostrano uno sviluppo di forza re- pulsiva nella materia attenuata, e progressivo a misura della tenuita della materia, fino anco a potersi questa ridurre col mezzo della stessa forza alio stato raggiante; non v'ha dubbio che le verita da me di- mostrale hanno recata una grave scossa al sistema degli impondera- bili chc furono introdotti nella materia. Invcce di creare un genere di sostanze per le repulsioni, alle quali sostanze si accordano insieme atfrazione e fra di loro e cosli atomi dei corpi, il complesso dei fenomeni indica che attrazioni e repulsioni molecolari siano rispettivamente azioni e reazioni di una sola forza, o principio di azione esistente nei corpi; principio ancora sconosciuto, ma che si dee ridurre ad una causa di conflilti, pure sconosciuti, dai quali proceda di sua natura la comunicazione di moto (n. 10) sotto le apparenze di attrazioni e repulsioni. Ne a tali oscurila, conseguenze della iniperfezione dei fenomeni rispetto alle cose csterne (n. 1, 4, i5), si puo supplire con ipotesi ar- bitrarie e chimeriche di alomi e di lluidi imponderabili ; le quali ad altro non servono che ad impedire il progresso della vera scienza. 24. Si parla di fluidi imponderabili, e non si sa qual sorta di flui- dita loro atlribuire; perche quando ci dipartiamo dai fenomeni e da cio che coi fenomeni si puo rettamente dimostrare. non abbiamo idee ma errori. Quello che conosciamo e lo stato raggiante, come del calorico e 20 SULLA FILOSOFLV BELLA FISICA della luce, ma quello non e uno stalo di fluidita. Lo stato raggiante dipcnde certanientc da forza repulsiva fra le parti; e questa forza io riio Irovata nclla materia attenuata (n. 23), con progressive sue svi- luppo secondo die precede la suddivisione della materia. Donde e fa- cilissimo concepire come la materia si possa ridurre alio stato raggiante. Per conseguenza lo stato raggiante del calorico e della luce non prova per niente die siano sostanze diverse dalla materia attenuata. 2i5. Quando poi si passa coUa ipotesi a collocare i supposti impon- derabili enlro i corpi e fra gli atomi, si sa ancora meno qual forza di fluidita loro attribuire. Certo e die per ritenerli in qualsivoglia modo fluidi, le loro parti prime dovrebbero essere solide, mobili e distanti; giaccbe se lali non sono, so sono ancor fluide, non sono parti prime, ma risolubili in parti solide, mobili e distanti. La fluidita non puo essere uno stato primitivo . Di fatto lo stesso calorico, come imponderabile, fu considerate composto di molecele fra lore distanti a guisa della cestiluzione dei gas (Jnnali delle Scienze cc. 1833, pag. 37 c 131). Ecco dunque i supposti imponderabili costituiti in ultima analisi da atomi indivisibili, durissimi, dcnsissimi, immutabili, capaci soltanlo di moto locale e di cenflitte secondo le leggi dei corpi duri, essia da atomi eguali a quelli di cui si vuole compesta la materia ponderabile (§ IV.). Sicdie col fab- ricare gi' imponderabili in ultima analisi non si e fatto niente. 26. Ma v'e anche di piu. In causa della forza repulsiva die si suppone fra le parti di ciascun imponderabile (n. 22) non potrebbero que' supposti fluidi essere tratlenuti entro i corpi ; ma si disperde- rebbero nello spazio. II calorico, per esempio, che si vuole interposte nei gas fra gli atomi materiali, imniensamente fra lore distanti rispetto alle lore piccolissime masse, non petrebbe essere fra que' corpicelli Irattenuto alle slate latente, ma si spargerebbe nello spazio alle stato raggiante, in virtu della sua forza repulsiva. Questa sola riflessione mi pare che basti a dimostrare che le cose non possono essere come vengone supposte col mezzo d' imponderabili. DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 21 § VI. Ultime assurdita e vocaboli viioti di senso 27. Da poco tempo sembrano abbandonate quelle chimere di tanti lluidi imponderabili interposti fra gll alomi dei corpi. \i fu sostiluito per lutli 11 cosi detto etere, di cui si suppone riempito lo spazio celeste. Si suppone un fluido elastico sottllissimo che sia internato anche in tutti i corpi, ossia coUocalo fra i loro atomi (5 lY.). Si danno a questo fluido tante e tante vibrazioni, oscillazioni, ondulazioni, ma colle pa- role, perche non se n'ha idea alcuna, come non si ha idea neppure dello stesso etere (n. 1). Si vuole con cio spiegare la luce ed i suoi colori, il calorico in genere, le due elettricita, i due magnelismi. E siccome i tanli effelti chimici della luce, che indicano la presenza di sostanze ponderabili, dislruggono quella supposizione rispelto alia luce; alcuno si e sforzato di sottomettere alle vibrazioni dell' etere anche gli stessi effetti chimici della luce, colle aslratte parole di monmenli e disposizioni di molecole^ che sono vuote di senso. lo non entrero nei dettagli di queste nuove chimere soslituile alle precedenli (§ V.). In luogo di tante sostanze imponderabili se ne vuole ora una sola. Ma anche per questa bisogna cominciare dal provare la sua esistenza; al che nessuno si accinge. Fu addotto soltanto che una delle comete a breve periodo moslralo abbia di trovare una re- sislenza nel suo corso. Ma e gia noto che senza T etere lo spazio ce- leste non e affatto vuoto, e che vi e materia sparsa da per tutto, la quale concretandosi forma gli areoliti, i bolidi, gli asteroidi ec. D'altronde quel preleso fluido universale che riempia il firmamcnto non si polrebbe ammelterlo finito; perche come elastico si espande- rebbe al di la di ogni limite che si volesse assegnargli. Ecco dunquc un fluido infinito! Supposizione ben degna defla qualita di filosofia che nei tempi reccnti si usa nella fisica. I matematici applicando il calcolo alle ondulazioni deU'etere giun- gono ad alcuni risultali analoghi a quclli della luce, come, per esempio, 22 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA qucllo (Icllc interferenze. Ma il calcolo e un metodo astralto che non serve a detcnnlnare le cause fisiche dei fenomeni. Considera moti in ecncre, qiialunqiic ne sia la causa, ed anchc senza causa. Si crede di applicare il calcolo alio ondulazioni dell'etere, e invece si appHca a ondulazioni in genere qualunque sia il mezzo ondulante, anche se fosse un mezzo in proiezione; per esempio se fosse un irraggiamcnto ondulalorio . Infine si ripele deH'elere quello che si e detto dei fluidi impon- dorabili ora abbandonati (n. 2o); che in ultima analisi dovrebbe es- sere costiluito da parli solide, ossia da atomi coUe stesse qualita de- gli atomi corporei; cioe durissimi, immutabili, senza causa di figure, privi di azioni interne e soggetti soltanto al conflilto dei corpi duri. Quindi sarebbero senza causa anche le supposte vibrazioni. Si noli che col sostituire il solo etere a tutti gli altri impondera- bili, si fa anche svanire quella caterva di attrazioni e repulsioni che con quelli si voleva associare (n. 22). A tutte quelle pretese forze senza cause si sostituiscono le vibrazioni, ma anche quesle senza causa. 28. A tante vanita circa le cause dei fenomeni, viene a succedere ancora piu di recente, o ad esservi associato, un altro metodo singo- larissimo di filosofare. Si scopre, per esempio, una classe di feno- meni che non si sa spiegare colle ipotesi ammesse. Se ne ignora la causa ; ma alia causa occulta si da un nome d' ordinario tratto dal greco. Si riposa su quel nome, senza cercar altro; e si crede cosi di aver fatto avanzare la scienza. E ben chiaro che a quel nome non corrisponde nessuna idea di- versa da quella degli effetti osservati. Quindi il nuovo nome nulla ha aggiunto alia scienza. Con tal metodo si riconducono alia moda le qualita occulte degli scolastici. Per esempio, si osserva che il platino coUa sua presenza deler- mina le combinazioni delle sostanze gazose senza nulla dare e nulla togliere; e si osservano altri effetti consimili. Non si sa la causa; e la causa che s' ignora si chiama forza cafalifica (Jnnali delle Scienze ec. 1841, pag. 8i5). Ecco un nome che nulla aggiunge alia scienza; una qualita occulta. DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI 23 lo veramente ho scoperta la causa di quel fcnomeno del platino, e la ho pubbllcata fino dal 1823 nel Giornale di Fisica dl Pavia. Consiste in una successione di lamine concrete, a cui si riduce un gas o vapore suUa superficie del plalino, lamine che scorrono, abbru- ciano in contatto dell'ossigeno almosferico, e si rinnovano. Vedansi i falli raccolti e ordinal! del fenomeno negli Jnnali ihlle Scienze ec. 185o, Bim. I, II, III. Quel fatlo manifestissimo dimoslra, che il plalino non esercita al- cana forza, e non fa allro se non che ofTrire la sua superficie alia formazione e successione di quelle lamine. Quindi il tcrmine di forza catalitica contiene anche un errore, supponendo nel plalino una forza parlicolare e misleriosa. Per allro esempio, si osserva che le gocce dei liquidi, i vapori delle soslanze anche solide, si espandono sulle superficie levigate; e nel caso dei vapori i corpicelli donde si svolgono, come la canfora, acquistano dei nioti giratorii. Non si conosce la causa; e senza cono- scerla le si da il nome di forza epipolica {Jnnali delle Scienze ec. 1844. Appendice ai Bim. Ill, 1\, pag. 28, e Bim. V, \I, pag. 213). Quel fenomeno da me osservato accuratamentc dipende dalla forza repulsiva che ho scoperto svilupparsi nella materia allenuata, di cui sopra (n. 23, 24); ed ho delerminato che i corpicelli da cui si svol- gono i vapori acquistano i moti giratorii per le reazioni in contrario della stessa forza repulsiva. Vedansi gli Jnnali delle Scienze del 1833, ove fu dato il sunlo di altre mie Memorie degli anni 1821 e 182o. Cosicche anche il termine di forza epipolica, indicante una qualita oc- culta, contiene o 1' errore di attribuire alle soslanze che si espandono in superficie una forza misleriosa, o 1' allro di attribuire alle super- ficie una forza che non hanno. 29. Ecco dunque a che si riduce la filosofia fisica che viene ado- prata. In luogo di limilarsi ai fenomeni i quali possono essere spinli alPinfinito con sempre nuove osservazioni, ed a cio che dai fenomeni si puo rettamenle dedurre e dimostrare colle regole logiche; con una sfrenata immaginazione si fabbricano alomi, fluidi impondcrabili, forze altratlive e repulsive senza cause; poi quasi tullo abbandonando ad 2 4 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI un tratto, si sostituisce un ctere universale, e vibrazioni di queslo pure senza cause; e in ultimo luogo, quasi per disperazione, s^invenlano dei termini per contrassegnare delle cause occulle, i quali pure con supposizioni di forze misteriose comprendono degli errori. (Letta il 19 Giiujno 18 45) SOPM IJBiO SCRITTO DEL DOTT. AMBROGIO FUSINIERI RISGUARDANTE LA FILOSOFIA DELLA FISICA COXSIDERAZIONI DEL PROF. CARLO CONTI PARTE PRIMA Ua naturale tendenza fui sempre Iratlo a meclitare su quella por- tentosa facolta delFuomo die II separa e distingue da tanti altri csseri viventi, che il rende doniinatore della natura: e piu volte in me stesso i-islretlo e raccolto andai perscrutando la via onde I'umana ragione rag- giugne il vero, il reale, sia nelle relazioni de' proprii concetti, sia nella relazione de' fatti esteriori; andai ricercando i motivi pei quali talvolta allerra sicuramente un principio da cui scendono iante conse- guenze che la serie de' fatti conferma, da poter dire che ha letto una pagina segnata dal dito di Dio ne' giorni della creazione; e i motivi pei quali tal altra vacilla ed inciampa, e cercando il vero da questo piu si dilunga; per cui malgrado le incertezze, gli crrori, le lotte continue nella sovrana scienza della ragione, la Filosofia, io consecrai ad essa piu ore della mia vita. Ed in vero quando io considero che tanti avvenimenti sociali, tante sciagure, tanti beni. tante violenze di opinion!, tanti benefizii, la stessa III. 4 26 >n 1 A FU OSOFIA VLU.\ FISICA barbario o I' iiuiN ilinu'uto. iiiiando considoro cho tanti^ %oi'ita soiontiti- olio 0 tanti iMrori. ^\\c tanU' opi^-a/ioni di arti hcWc cd iiuhistrioso Ji bisoiuo 0 ili dik'tto proNoni;ono in tino dallosorci/io di quella facol- la; nou so troNaro spio^a/iouo doli'abbandono in i.ho o lauo nomo sovi^a noia o fastidio uoll;i pin parto dollo porsono aiuho colto ed istrutto. So Ic braoi'ia do^^li uoniini innal;arono su[iorbo nioli, appianarono monti. tronarono tononti. qua o la (.irooscrissoro il maro a dotonni- iiati I'ontini. ioho suo torzo roali//arono il pn^jrolto dolla nionto. ^olla nionto o il oonlro di ocni alto cho Tuonio adonipio. od i^i o la sodo di o^ni sna dotovniina/iono. For lo q\iali uTodita/ioni . piu a niodo di osorii/io od intraniossa a' niioi >tiidii ordinavii. iho a scopo di profossaro quolla si. ion/a. ho o 0 lotto quak'ho racionanionto. ondo no t'u I'atto o pubblicato qua!- oho oonno. V pin innan.d mi saroi si'or/ato di arriNaro. >o pin tonipo a^o^^i potuto spondowi. >i obblicato a pin>oro duo altri >alidi motiNi: oioo primo il saporo oho il distinlo tis-iiM oltrt' a tUosotioo aouino oombina 1' inco>vanto o ^o^ora Lonsulta- f.iono doH'osporionra. bahro cho lo coso trattato cion:a iho prot'ov>o. ba Momoria dol Vusiniori nii ha sui^orito alcuno c^'Usidorajioni. cho mo>>o \n ordino, como moclio io ^apo^a, dosidorai loi;i;or^ i atlincho 0 1 autoro dollo scrilto cho lo ha occasionato, o n oi tutt.i abbiato a darno illiuiiinato cindino. No, io crodo. idorar-o como inulilo polomica qiiosto di<- cu>*ioui, qiiando puro a^o^^o^o a duraro per qualcho tomp-o. no q^u ^ituto si to>>o p'Or districaro il ^iluppo o pronunriaro tlnalo sontonza. che io StMupro cpinai. o moco do^o pur opinaro ohi o sollouto del 1)1,1. I'llOl (.Al!l.(J CONTF 27 progrcsso dcllii sciciizii, dovcrsi in iirj^oiiKiilo (T iiii|)<)i'l:iiix:i conic v. (fucsto in ciii si rivc^^ono i fondiuncnli (lcll<; fisiclic, (Jollrinc, con tem- po c dili}^<'nza scliicran; Ic ra^ioni, i niolivi del pro c, del contra, p<'snrc lino per uno o con pa/icn/.a aKcndcrc. (piando cIk; sia, iin ^iiidi/.io d(-finilivo. (JcrlainiinU; die, con (picslo }:;iiislissinio (inc il I iisiiM(*ri, (juasi solo coniro a' fisici liilli, niovcndo da' priini principri^ si ac(ins; non la domatido per la iialnra delTai ^omenlo, <'lie in se ini- portanle e suhlime slor/.a ad atlcn/ione., (piando pun; coslasse lalica, o<,'ni intellelto indinalo a pensare., a nnrdilan;. iVIellendomi adesso dinanzi a voi |)<>r esporn; alciini diihhii, di- cliiaro die ove il f usinieri li de^ni ed onori di iin commenlo, saro pionio a laiiie (|iirebbe essere necessaria, ma lo spirito non riconosce questa necessita, dun- que, egli conchiude, non puo essere soggettiva. Cosi mcntre Hume e Galluppi riconoscono che lo spirito non vede la necessita di comunicazione di moto, Kant vuole quella ragione sog- gettiva, ed il Fusinieri si assume di dedurla dalla legge di perse ve- ranza di un corpo nello stato in che si trova. Xante e si diverse sono le sentenze del filosofi che credono da una definizione descrilliva po- tersi cavar tutto razionalmente, da far dubbiare sui fatti piii palesi e manifesti chi loro abbadasse. Piu innanzi e detto che il conalo del primo corpo di occupare il luosfo del secondo si chiama conflitlo od urto, che il conflitlo e causa necessaria di comunicazione di moto, che anzi nessun'altra causa e concepibile, e che Furto del secondo nel primo nominasi reazione. Dair idea di corpo, per quanlo la si esamini, non si cava la ne- cessita di quella comunicazione; Teffelto dcllo scontro ci viene indi- cato daU'esperienza e come uno dei casi di moto, non gia come Tuni- co, perche i fcnomeni ci appalesano moti senza lo scontro, e sara semplice ipotesi il credere che questi riducansi poi a comunicazione per contatto. Non so poi come, usando della parola urto nel significato che le fu attribuito, si possa dire urto del secondo corpo nel primo. A mostrare T inconvenienza di quelP applicazione basta richiamare la definizione e sostiluirla alia parola che la rappresenta. Metlendo in DEL PROF. CARLO CONTI 59 luogo di conato la sua definizione, ne viene che urlo e 11 niomcntaneo ragioii sufficiente della conlinuazione del nioto del primo corpo dl oc- cupare il luogo del secondo; ed applicando quella frase al secondo. ne viene che urlo e il niomenlaneo ragion sufficiente della conlinua- zione del molo del corpo in quietc. Cosi tradoUa la parola urlo, so- sliluita la definizione al definito, ne alcuno puo opporsi, la proposi- zionc parla da se. Si scorge die il voler cavar fuori da una idea una condizione che non vi si e compresa conduce a slranezze, ed in luogo di un giusto razionalismo si cade in oscurita e contraddizlone. JNe passero sotto silenzio V asserzione che V urto del primo corpo sul secondo e di questo sul primo sieno due idee equivalenli, non potendo inlendere come sia equivalente V idea di corpo che perde di velocita e quella di corpo che acquisla velocila; come sia equivalenle r idea di corpo che pi*ima movendosi si arresta, e 1' altra idea di corpo che prima essendo quielo poi si niuove. Osservero ancora che si Iratla di esporre i fondamenti della leo- rica deirurto de' corpi senza dire che cosa sia massa ed elasticila. La definizione data di corpo non comprende il caraltere di massa, ne quello di elasticila. E quando pure si tenesse per dimoslrata la ne- cessita che un corpo, incontrandosi in altro che posa, lo dctermini al moto; abbisognano altri principii, o diro meglio suggerimenti delFespe- rienza, per dire in che maniera procederanno le velocila. Certamentc chi dietro la definizione prende in aiulo tullo quello che ne insegno I'esperienza, e lo crede raccolto nella definizione, vede ne- cessarie quelle conseguenze. Ma questa e una illusione logica. Contrasta poi questa maniera razionale voluta dal Fusinieri di de- durre necessariamente gli effetli dell' urto, con quello ch' egli ha detto espressamente nelle prime linee, che ci mancano le vcre idee delle cose esterne, che le idee si limitano alia superficie, che niente sap- piamo di quello che e veramente interno de' corpi. A tullo questo s' aggiunga che le questioni sull' urto de' corpi sono delle piu difficili a trattarsi nella meccanica, che solo ne abbiamo abboz- zata la soluzione in qualche caso. Ne si dica che la leorica dei corpi 60 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA pcrfottamente duri o molli e facile e rigorosa ; oh' lo mi riporto al (alio e qiiello ha da dccidere. lo non so die fare di quelle doUrine che si dicono verc in teorica, false in pralica, quando si tratta di spie- gare i fenomeni della natura. Al piu saranno passi falti per arrivarvi, non mai lavoro compiuto; ed il Fusinieri non voile certamenle parlare di corpi fitlizii, ma de' corpi che sono in nalura. Ed e ancora da avvertire che riguardo alle azioni de' corpi a di- slanza, riguardo airaUrazione universale, abbianio problemi difficili si ma risoluli completamente, circoslanze di moto dedotte, che Tosscr- vazione mirabilmcnle conferma. Cosi mentre si vorrebbe lirar tulto al- Purlo, la meccanica e imbarazzata nolle qucslioni di comunicazione di moto per urto, e grandeggia e va superba per quelle dei movimenti che si appalosano dipendenli da azioni a dislanza. In lutta quesla disamina io convcnni col Fusinieri sulla definizione di corpo; c mostrai mano a mano col ragionamento che non ne de- rivano per nienle quelle conseguenze ch' egli vorrebbe, ond' e che a torto accusa i fisici, che la pensano altrimenti, di assurdita e di con- traddizione. Ho supposto giusta la definizione, e la tengo giusta come ho delto da principio, senza fare mai la domanda che ho serbala a questo momento: da che ha egli cavato quella definizione? Permettete che su questo pimto spenda poche parole, giacche tal esame convalida per altra maniera tulto quanto fu detto sin qui, e mi aprc la via a quelF idlima parte del lavoro che contiene alcuni prin- cipii, alcune regole di filosofia induttiva. L' idea di corpo qualificata dalla nota di estensione e di attivita non puo essere che soggettiva od oggettiva, quando pure, riguardo al- F origine delle idee, si considerino in tutla generalita i sistemi filosofici. Primamente non credo che il Fusinieri si metla con quei filosofi trascendentali che guardano lo spazio e 1" estensione come una forma dello spirito nostro; poi, se cio fosse, domanderei a lui cd a tulti questi se si limitano a considerare quella idea di corpo innata nel- r anima, come una scmplice contomplazionc interiore, ovvero se vo- gliono che abbia una corrispondenza col mondo rcale. Nella prima sup- posizione lascieremo quel fantasma ed il suo culto a tali sacerdoti, DEL PROF. CARLO CONTI 61 giacche niuna relazione ha con quanto c' Interessa. Neiraltro caso, poi- chc alcuni Irasccndcnlali dicono chc le intuizioni soggettive assuniono un valore oggettivo nelF cspcricnza, e nianifcsla una riccrca importan- tissima: posto die quella Interna ed intima intuizione ha da combinare con quello che e fuori dclFanima, con quali mezzi Faninia puo vcri- ficare questa corrispondenza? Fingete che tahino dica di possedere nella mente V immagine di una persona non mal vedula ; volendo verificarc quella corrispon- denza tra il fantasnia sorto In qualsiasi maniera nella fantasia e Y ef- fettiva persona, di che mezzo sara per usare? In questa circostanza e chiara la risposla: del mezzo de' proprii occhi guardando la persona. Allora pronunziera se sia giusta o no quella sua anticipata rappresen- tazione. Dunque anche nel sislema filosofico delle idee innate, quando si tratli di fisiche verita, e necessario di esaminare per quali fenonieni dc' sensi si arriva alia importante conclusione che le interne rappre- sentazioni corrispondono a realta. Stando alia sola intuizione interiore, tutto quello che si cavasse sara al piu esercizio logico e costringente Tassenso della mente che lo fa, non gia conclusione che abbia applicabilita esteriore, e meno ancora conclusione a cui ogni mente pensante sia obbligata di darvi assenso, sotlo pena di essere accusata di assurdo o contraddizione. L' idea deU'ente sia pure innata, sia un elemenlo della dote delFani- ma quando e mcssa col corpo prima che per questo suo ministro abbia avulo commercio col mondo esteriore; in qual maniera vcrifica Tani- ma che quella sua intuizione combina colle rapprcsentazioni del mondo esteriore, come trova un' applicabilita vera e reale di quell' elemento soggettivo ? Del resto veniamo alia considerazione che V idea di corpo sia og- gettiva, nel che consente il Fusinieri, avendolo espresso chiaramente col dire che le idee delle cose ci venaiono dai sensi. A definire questa idea bisogna richiamarci ai fatli particolari che rappresenta ed alia generalita dei caralteri che si sono assunti, alia forma con cui si sono delerminati. 62 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA Ecco che questi fatti si spartono in due grandi classi. Slanno nella prima Ic modificazioni prodotte sopra di noi direttamente ; nella se- conda tulte le viccndevoli modificazioni prodotte dai corpi fra loro, ed a noi rivelate per fenomeni. Nella prima classe le attivita esteriori agiscono direttamente sopra il nostro essere; nella seconda classe dei fatti, le modificazioni che riceviamo sono un linguaggio con cui quelle atlivita ci appalcsano cio che fanno Ira loro. Un sasso urta nel mio corpo e mi fa provare una modificazione che direttamente mi manifesta quanto possa sopra di me quelfeste- riorc causa ; un sasso s' incontra in altro e lo sposta o lo muove o lo spezza, il fenomeno visivo mi rivela un elTetto di quella prima atti- vita operante sulF altra. In questa multiforme scrie di fenomeni si trova intanto un carat- tere comune, quello dell' estensione . Poi si trova il mutamento o pro- prio 0 prodotto. Se adunque con attivita intendesi generalmente la fa- colta di modificarsi e di modificare, coUe due note di estensione ed attivita si qualifica generalmente T idea di corpo. Bisogna per altro ricordarsi che siffatta dcfinizione e descrittiva, non e essenzialc. Quei caratteri desunti dai fenomeni e rilenuli in quanto che si appalcsano variamente si, ma in tutti i corpi, bastano per dire quello e corpo; ma da essi soli cosi in generale non ci sara mai date di arguirc tulte le proprieta parlicolari dei corpi. Quella definizione e propriamentc da paragonarsi alle definizioni artificiali della botanica. Una pianta porta un fiore in cui vi ha una corolla distinta affalto per semplice carattere da tutti gli altri fiori; ecco che la frase botanica ch'esprime quella strutlura costituisce la definizione arlificiale di quella pianta. Vorrcte dedurre da questa la configurazione delle altre parti, le proprieta della pianta? ben si vede che noi si puo fare, mentre nella medesima parola di artificiale e chiaramente espresso lo scopo di quella definizione. Fra le modificazioni di un corpo vi e il moto od il mutamento di moto combinato al fenomeno di contatto, di scontro. Certamente que- sta e una fase, e una maniera di attivita de' corpi. Stando a questa sola dovrebbesi dire che il corpo e soggetto esteso dotato della pro- DEL PROF. CARLO CONTI 63 prieta di cssere mutato nel suo stato di quiete o di moto quando e sconlralo da ahro soggeUo cslcso. Ovc si adoltasse qucsta definizione cesserebbe la neccssila di fare un ragionamenlo, per dire che un corpo scontrandone un allro in quiete lo muove. Questo bo dctto percbe se il Fusinieri, in quel carattere di forza motrice attribuita al corpo, s' intendesse propriamente di aver messo la circostanza del mutamento di stato per contatto o scontro, osservo cbe cessava il bisogno di fare lungo discorso per conchiudere che il conflitto od urto e causa di comunicazione di moto; poi ripeto che tale definizione di corpo sarebbe povera e manclievole ; in fine con- chiudo che non poteva accusare di assurdo o contraddizione chi, stando a piu larga definizione, comprende nel carattere di attivita I'azione a distanza. E ormai tempo che abbandonando il campo logico, il confronto se- vero delle premesse colle conseguenze, esaminiamo le proposizioni del Fusinieri riguardo all' induzione, per vedere se sia vero che quanto la esperienza insegna, contrasta o malamente si adatta alle ipotesi che corrono per le scuole. Gia ben s' intende che, se cio fosse, il peccalo dei fisici sarebbe solo di poca avvedutezza nella scelta delle ipotesi o delle maniere con cui si rappresentano i fenomeni del mondo; non mai quelle di cadere in assurdila o contraddizione, ammettendo essi pro- prieta nel corpo che vengono escluse dalla medesima sua definizione, accusa che ben alia lunga ragionando, abbiamo ribattuta e dimostrata insussistente . Molte e variate sono le sensazioni o modificazioni nostre, le quali non dipendono dalla nostra volonla, ma seguono spesso suo malgrado, e percio si attribuiscono ad attivita esteriori distinle dalla nostra. Tali fenomeni dispongonsi a gruppi, a classi, secondo la nostra sen- sibilita, secondo la maniera con cui noi li riportiamo a cause esterne. Fine a questo punto si starebbe semplicemente nella sloria di cio che sentiamo senza andare piu innanzi. Ma I'umana mente si estende al passato, al futuro. L'uomo crede che le cause esteriori abbiano prodotto effetti che non si rivelarono 6 4 SULLA FILOSOF[ A BELLA FISICA ad csso, che le cause cstcriorl continueranno ad operare nelP avve- nire anclie quando egli sara tollo a qucsta gran sccna del mondo ma- teriale. Per quesla credenza ruomo melte continuita nel passato che ha esperimentato ad intervalli, fra il passato esperimenlalo e quelle che sfuggi a' suoi sensi, fra il passato e Tavvenire. Questa e condizionc delF aiiima nostra voluta dalla Provvidenza, non e frutto di ragionamento che riposi sopra altri principii, e invece base di quelle deduzioni che menano a particolari verita. Ben disse Hume, non essere la ragione che ci animaestra, il future essere si- mile al passato; e quindi adombro F idea di un islinlo, di una legge dello spirito. INe solo Hmne, le di cui opinioni potrebbero essere sospetle di scetticismo, ma nei libri de' filosofi piu moderati trovasi e la necessita di quesla -visione di continuita, e meglio ancora la conoscenza di un sentimento dato da Dio alFanima, pel quale, senza raziocinio, crede alia concatenazione delle cause cogli effetti. Ed a questo mirarono i sistemi filosofici, fra' quali Farmonia prestabilila di Leibnizio, la visione in Dio di Malebranche. Noi ci rappresentiamo quelle cause per mezzo de' fenomeni che ce le hanno rivelate, e distribuiamo per gradi i molli fenomeni ap- partenenti ad una classe. Di qui F idea della varia intensita della causa relativamente a quei fenomeni. Dobbiamo ricordare che i fenomeni ci hanno condolti alF idea di quella causa, che ce la rappi^esentiamo come potenza operante quei fenomeni, che allra idea di quella causa non possiamo avere. Cosic- che la credenza di quella causa dipendc da una legge delF anima no- stra; la sua rappresentazione nella nostra mente risulta dal gruppo dei fenomeni pei quali F anima venne in quella credenza. Ferro, le- gno, acqua, olio e che so io, sono nomi di attivila esleriori ferma- mente credute, definite per fenomeni particolari che loro corrispondono. La lendenza di attribuire i fenomeni a cause, di spiegare, di pre- dire, e cosi forte nelFuomo, che il piu zotico formasi la credenza di cause, spiega, predice, e spesso con maggiore persuasione delF illu- DEL PROF. CARLO CONTI 65 mlnalo, ond' cbbe a dire lo Stewart non esservi maggior teorico che r ignorante. L' esperienza e V osservazlone che danno origine a quella credenza di cause, sono quai punti dlrettori che guidano nella difficile \ia delle verita naturaH. Ogni fenomeno si lega a molti altri, e noi teniamo che uno o po- chissimi bastino ad assicurarci di una causa contrassegnata anche da molti indizii. Cosi si cade talvolta in errore, errore della niente che riticne il concorso di tutli quei fenomeni indicatori al manifestarsi di uno solo o di pochi. Che se i filosofi studiosamente segnano questa sorgente di errore, io considero che d' altra parte senza questo slancio saremmo in una continua diffidenza, le nostre determinazioni sareb- bero lentissime; da mane a sera saremmo condannati ad una continua verificazione, da poter appena so^'^enire a' nostri bisogni principali. Badare attentamente la prima volta alia serie delle modificazioni che corrispondono ad una causa, andare guardinghi quando in novelle esperienze ed osservazioni sianio tolti dalF ordinario andamenlo, e ri- vedere quei legami che ci siamo formati quando fenomeni particolari sturbano le ammesse credenze; ecco le regole di filosofia induttiva che ci possono fruttare assai. Le manifestazioni del mondo esteriore per V uomo sono ad inter- valli, formano per esso una serie discreta, a salti; e la legge di con- tinuita, le leggi particolari di relazione sono in fine ipotesi espresse o soltintese. Quindi e che le ipotesi sono volute dalla condizione dello spirito nostro. La menle che non facesse ipotesi sarebbe come quella di uomo in letargo che si sveglia a quando a quando riscosso da azioni esteriori, sarebbe come quella di uomo privo di memoria che sente e niente piu. E queste conclusion! che potrebbero sembrare troppo generali stan- no salde contro qualsiasi sistema filosofico che le oppugni. La mente crede ad un legame, ad una relazione tra i fenomeni; verita e questa di cui nessuno puo dubitare. Questo legame non lo legge direttamente nel mondo esteriore, prima perche i dati che ha sono particolari, isolati ; poi perche quello che fu e non V ha osservato, in. 9 6g SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA qucllo clic sara, non puo cntrarc ne' suoi dati; e I' aspettazione del futuro simile al passato c una frase con la quale si annunzia la ge- neralissima ipotesi della conlinuila, dellc relazioni tra i fenonieni e le cause. Quella credenza e nelFanima mediante le modificazioni che riceve dal mondo esteriore; senza di qucste, derivanti daH'csperienza e dal- Tosservazionc, niuna idea avrebbesi delle vicende della natura. Per quelle che va poi a mano a niano ricevendo, Tanima si conferma nella persuasione prima concepita, o corregge ed abbandona le prima vedute. JNelPesamc del grandissimo numero d' ipotesi, sulle quali poi si esercila il ragionamento, a me pare doversi fare una principale di- slinzione. Metliamo due scrie di fenomeni e che Ira quelli delFuna ed i corrispondenti deirallra si trovi una relazione; T anima ben pre- sto formasi V ipotesi che tale relazione sia generale, che abbia luogo per tutti quel fenomeni delle due classi che si presenteranno. Nella fisica aljbiamo frequenti esempii di qucste leggi, che potreb- bero dirsi dei fenomeni. Le tre leggi di Keplero appartengono a que- sta classe. E per venire a piii familiari esempii le leggi della rifles- sione e della rifrazione sono di qucsto genere. Ivi si tratta di espri- mere, qualunque siasi la causa, una certa corrispondenza fra due serie di angoli che rappresenlano i fenomeni della luce quando e ribattuta, quando trapassa. Allorche il Fusinieri accennava la necessita di starsene ai fenome- ni, pare a me abbia avuto in mira queste leggi dei fenomeni, leggi di molto aiuto nello studio della nalura; leggi che comprendono quello che i sensi ci somministrano, e che, una volta determinate con molta cura e per lunghi confronti accertate, sussistono qualunque siasi il si- stema che si adotti per ispiegare le cause di quei fenomeni. Ma la mente umana si spigne piu innanzi a vedere un ordine di fenomeni ch'esprimono T intensita delle cause. Quell' ordine di feno- meni caratterizza la maniera di azione delle cause in guisa da cavarne per conseguenza particolare le prime leggi che abbiamo accennato. Keplero ha dimostralo colF osservazione quelle tre leggi; Newton risali DEL PROF. CARLO CONTI 6 7 airattrazionc universale, da cui scendono come corollarii. Cio che im- porta nolare si e, e qucsto sia detto per i molli casi simili che si tro- vano nelle scienze naturali, che Newton confronto la serie dei fenomeni che qualificano I'attrazione doppia, Iripla ec, colle dislanze e le masse. Ho detto serie di fenomeni che qualificano atlrazione doppia, tripla, sapendosi bene che cio si risolve in ispazio e tempo, che sono quan- tita misurabili e rappresentanti la velocila che si prende a misura del- r intensita della causa. Quindi e che per fenomeni esprimiamo le condizioni delle cause, e per fenomeni le classifichiamo ; per gradazioni di fenomeni espri- miamo le intensita delle cause: e le scienze naturali progrediscono ed aumentano colla scoperta delle leggi fenomeniche, e delle leggi ch'espri- mono la relazione tra fenomeni misuranti Y intensita delle cause e fe- nomeni che corrispondono a varii effetti. Spiegare e predire nel concetto filosofico sottosta alle medesime condizioni, riducendosi al mostrare che due fenomeni sono legati per una legge che si e supposta. Spiegansi i fenomeni che furono, si pre- dicono quelli che hanno da succedere. Spiegare Tepoca in cui e av- venuta un'eccllssi di sole, sta nel mostrare che, secondo i movimenti de' corpi celesti, T ombra della luna appunto allora doveva arrivare alia terra e spandersi per determinate regioni . Predire 1' ecclissi che avra luogo in epoca futura torna il medesimo. E solo variare la data del tempo per cui si calcola. E se facciamo grandissima differenza tra spiegare e predire, se fa- cilmente ci mettiamo a spiegare un fenomeno osservato, se siamo ri- trosi invece a fare una predizione, cio avviene pcrche nel dare spie- gazione si prendono elementi anche estranei, sapendosi dove tocca ar- rivare; nella predizione e la sola legge che ci guida. Spiegare adunque suppone una gi'adazione di fenomeni, una legge di cui si mostra esser caso particolare quello che si considcra. Quel fenomeno non ha da essere esplicito nella determinazione della legge, altrimenti farebbesi circolo vizioso. Un sasso lasciato in balia di se stesso cade. Dire che questo avviene perche e grave, perche e soggetto alia gravita, non e spiegare il fe- 68 SULLA FILOSOFIA DELLA FISICA nomcno. La caduta de' corpi ci condusse a definire la gravila; quel fenomeno e comprcso nclla definizione. Un pendolo compie la sua oscillazione In dato tempo. Mostrando che cio dcriva dalla gravita si da una vera spiegazione, menlre il fe- nomeno del pendolo non entra esplicitamenle nella definizione della gravita . Tornando al lavoro del Fusinieri diro che riguardo alle prime pro- posizioni delF impenetndjilita, della comunicazione del moto per urto, i fisici sono d' accordo con esso : gia Y esperienza parla assai manife- stamente, ed abbiamo gia dimostralo alia distesa che inutilmente si tenta stabilirlc per via di ragionamento. Una numerosissima serie di fenomeni di movimento si presenta fra corpi a distanza, mdvimenti di corpi che dipendono da allri c che si collegano per intensita alle distanze. Percio siamo obbligali ad am- mettere silTatta attivila ne' corpi, da influirsi ne' moti a distanza e non per urto. E un vessillo, secondo il linguaggio medesimo del Fusinieri, solto cui si schierano que' moUeplici fatli; e propriamentc stando ai fenomeni, lo che tanto egli giuslamente raccomanda, dobbiamo rap- presentarci tal maniera d' azione nei corpi . Se avverra che per nuovi fatli si dimostri che quei fenomeni riduconsi a casi di urto o scontro, allora riuniremo in una sola classe tutti i fenomeni di movimento di- pendenli da azione di corpi. La legge delF attrazionc universale non soffrira verim cangiamenlo, avendo piu sopra osservato che quella legge mette in relazione una serie di fenomeni, che direbbesi misurare I'attrazione, con una serie di fenomeni che comprendono massa e distanza. Qualunque siasi la causa di quella maniera di avvicinamcnto fra due corpi, Tesposta legge sussistera sempre, perche confcrmata da tante osservazioni . L' ipolesi degli atomi, intendendosi gia de' corpi semplici, oltre a che ne rappresenta benissimo alcuni fenomeni della chimica, e sugge- rita da quel notissimo fatto, che un corpo sprigionato da una combi- nazione con allri ha le medesime propriela di prima. E ragionevole il pensare che le parlicelle ullime delP idrogeno, che con quelle del- r ossigeno ban formala I'acqua, sieno rimasle inlatte. DEL PROF. CARLO COiNTI 69 Supponiamo che mettcndo insieme e varlamente agitando granelli di varia nalura, scparandoli poi dalla commistione, le masse dei gra- nelli abbiano il inedesimo volume, le medesime proprieta ed appa- renze di prima; sara ben ragionevole il ritenere che quei graiielli siensi serbati inlalli. E poi che difficolta porta seco il sistema atomislico in quelle spie- gazioni di fenomeni che abbisognano di ima enorme divisibilila della materia? niuno ha detto che latomo delF idrogeno sia, in volume, la millesima parte del granello di sabbia. Se si dicesse che occorre im- maginare una particella d' idrogeno minore di un milionesimo del vo- lume di granello di sabbia, il sistema atomistico non vi si oppone. A tutti i fenomeni di attenuazione della materia osservati dal Fusinieri puo corrispondere il sistema atomistico. Sara piutlosto da pensare come in quella immensa diradazione della materia si possa escludere lazione a distanza, e tutti i moti abbiano a seguire per urto soltanto. Dunque il sistema atomistico rappresenta alia nostra immaginazione molti fenomeni; non si oppone, ne puo opporsi a quelli che addoman- dano una grandissima e portentosa divisibilita della materia; non con- trasta colla idea di corpo: e percio tal sistema e suggerito dalla filoso- fia induttiva. Vengo alia ipotesi degli imponderabili, e particolarmente alia ipo- tesi del calorico, affinche il discorso sia meglio determinato; tanto piu che quanto diremo per questo, si potra riportare agli altri fluidi suoi compagni. I corpi che diciamo ponderabili, oltre a tante proprieta per le quali distinguonsi fra loro, producono sopra di noi quelle modificazioni che diciamo caldo, freddo. II ferro, il marmo, il legno, Tacqua ed altri corpi esposti al fuoco, esposli al sole, acquistano la proprieta di pro- durre sulla nostra mano, quando li locca o loro si avvicina, la sensazione del caldo. Tale sensazione si csperimenta con varia intensita se acco- stiamo la mano, se la esponiamo al fuoco od al sole. Questa proprieta comune a quei corpi dopo che furono esposti al fuoco, i fenomeni che producono sopra di noi analoghi a quello che esperimentiamo direttamcnle dal fuoco, suggerisce V idea che dessi ab- 70 SULLA FILOSOFFA DELLA FISICA biano acquistala qiiclla facolta, die non sia loro propria, e che tale inodificazione derivi da altra causa, da un corpo particolare. Cosi (jiiando loccando colla mano piu corpi, provlamo una sensa- zione analoga a quella die si esperimenta al tocco di panno bagnato, riconosciamo che un velo di acqua circonda quei corpi, e che dal- Facqua addossata proviene quell' uniforme sensazione. Se colla lingua si locchi olio, vino, acqua, e si provi una sensazione salina analoga a quella che si prova assaggiando il sale comune, si credera ragione- volmente che in quei liquidi sia sale. E se quei liquid! abbiano un sapore spiccalo comune che non abbia a fare con quello che e loro proprio, dircmo che in essi vi e sostanza particolare. Quanto piu quei primi corpi solidi si lasciano csposti al fuoco, quella proprie[a di riscaldarc la mano che li tocca, trovasi apparte- nere alia parte piu interna, e quindi si rinforza la prima induzione di altribuirc tale potcnza a corpo particolare che a mano a mano in- vade quelle materie. Cosi i primi fenomeni di calore si attribuiscono ad una causa di- versa dai corpi ordinarii, a particolar corpo die diciamo calorico; e quei fenomeni ne costituiscono la prima dcfinizione. I fenomeni di riscaldamento non annunziano quelH di dilatazione operati dal calorico sopra i corpi che invade, ne la mutazione di stato che vi produce; ma rcsperienza e Tosservazione mostrandoci congiunti que' due elTetti, ci obbliga a risguardare quelle due proprieta perti- nenti al calorico. Certamente che questo avanzamento di cognizioni si fa per sintesi, essendo, come ho dctto altra volla, le definizioni di che usiamo rela- tive ai corpi, definizioni arlificiali che servono soltanto a distinguerli fra loro, ne giti, come avviene nella geometria, definizioni essenziali da cui col ragionamento si cavano tante proprieta collegate necessa- riamente. Guardate ne' libri de' naturalisti e vedrete i segni per riconoscere i varii corpi, segni per la massima parte indipendenti gli uni dagli allri. La proprieta che ha il ferro di combinarsi alFossigeno dando origine a corpi che hanno alcune peculiari proprieta, non e legata DEL PROF CARLO CONTI 71 colla sua tcnaclta, ne col siio peso specifico, ne col suo colore. La parola fcrro e quel nome, quel simbolo che rappresenla nella mente il corpo cui appartengono certe proprieta. E quanto piu si procede colla esperienza e colla osservazione, si agglungono allre proprieta, e talvolta si legano insieme proprieta, di maniera che Tuna fa passare ad altra. Quel calorico che penetra nei corpi e di particella in parlicella si trasfonde come acqua che si caccia in materia porosa, alle volte attra- versa Taria e si diflbnde anche per raggi, o per meglio dire arriva a' corpi senza fermarsi tra via, come lo spruzzo di acqua bagna le pa- reti lasciando asciutla Taria per cui passa. 11 calorico si riflette secondo le Icggi dell' elasticita perfetta, cioe arriva ad un luogo come arriverebbe corpo elastlco ripercosso. L' esperienza e T osservazione fornirono mezzi di descrivere la gra- dazione dei fenomeni che noi altribuiamo a queslo corpo, alia ma- niera di sua azione. Cosi nel penetrare ne' varii corpi, ncl diffondersi per la loro mas- sa, nel modo di uscirne si notano le varie conducibilita; e questa pa- rola, come tante altre, riportasi a fenomeni che descriviamo, che mi- suriamo. Trovaronsi leggi di fenomeni che assoggettate a calcolo servirono a spiegare, a predire alcuni fatti, e la conferma dell' osservazione ci assicuro di loro esaltezza. Dobbiamo al Melloni 1' indicazione di numcrosi fenomeni che di- mostrano questo calorico eterogeneo, c quindi ci conviene ammeUere differenti raggi di calorico dotati di varie proprieta riguardo ai corpi che trapassa. La natura si rivela a poco a poco, e per sintesi si compone il Hbro delle scienze sperimentali. Bella e sublime e I'idea o la speranza di arri- vare ad una legge che tutte le particolari leggi leghi ed unisca, che a verita neppure sospeltale ci meni. Lodevoli i voli della fantasia nella scienza quando tenia di trovare un nesso, ima unione fra i fatti che ap- paiono indipendenti . La scoperla dell' atlrazione universale, che con un solo principio spiega tanti movimcnti complicati, scusera sempre questa 72 SULLA FILOSOFLV. DELLA FISICA speranza deiruomo, se pure nel lungo volgcr del secoli rimanesse delusa: ed il sislcma dcirondulazlone, pe' fcnomcni della luce, incoraggia il fi- sico a pensarc die da un solo fluido provengano i fatti del calorico, r incoraggia ad imniaginare che da un solo fluido derivino i fenomeni che ora ascriviamo a tanti corpi. Ora il Fusinieri vorrebbe die i fenomeni del calorico derivassero dalla materia ordinaria, e da questa ancora i fenomeni deirelettricita, della luce, del magnelisnio. Qual vanfaggio ha questa ipotesi sopra quelle delle scuole? Per ora queste proprieta diverse dalle altre che ci pre- sentano d'ordinario i corpi, bisogna metterle a lato, non confonderle con quelle che si conoscono. Che il ferro attenuato penetrando nelle mie fibre produca la sensazione di calore, che entrando nel ghiaccio lo risolva in acqua, ch'entrando nell'aria la riscaldi e la dilati, sareb- bero fenomeni divcrsi, indipendenti da quelli che abbiamo riconosciuti in quel corpo. E tali fenomeni, o simili, si avrebbero dall'acqua atte- nuata, dagli olii, dagli altri corpi. Cosi alia schiera de' fenomeni, che ora diciamo del calorico, si do- vrebbe dare la denominazione di fenomeni della materia altcnuata. Dunque non si avrebbe che mutato il nome. Ma r ipotesi del Fusinieri ci obbliga ad ammellere ne' corpi, ridotti ad attenuazione, proprieta opposte a quelle clic presentano in masse sensibili. L'olio non ha tendenza di unirsi alF acqua; attenuato e ri- dotto capace di produrre i fenomeni del calore si unirebbe al ghiac- cio liquefandolo, senza piu dar segno di se: vice versa corpi dotati di affinita non presenterebbero in quella attenuazione tendenza ad unirsi. Di quante specie di materia attenuata dovrebbe riempirsi una boccia quando ci si offre riscaldata, e sempre senza combinazione? I corpi solidi die conosciamo sono imperfettainente elastic! ; ridotti ad attenuazione acquisterebbero la perfetta elasticita. Ecco adunque che quella ipotesi esaminata neir induzione e infe- riore c d'assai alia ordinaria, la quale, descrivendo i fenomeni, li aUri- buisce a cause speciali diverse dai corpi ponderabili. Calorico, luce, elettrico, magnetico, sono nomi, sono simboli che ci riuniscono alcuni gruppi di fenomeni diversi da quelli che ascriviamo DEL PROF. CARLO COiMI 73 alia mak'iia ponderabile. La via indulliva ci consiglia a separare quelle cause dalle ordinarie; altrinienli doviessiuio ritenere i medesinii gruppi o classi di fenonieni, e denominandoli per effetti della materia alte- nuata, senza alcun vantaggio nella determinazione delle leggi, dovres- simo dimenticare le solite proprieta, quasi che i corpi ordinarii aves- sero due o piu nature. E qui ormai pongo termine a queste considerazioni suggerite da attento e paziente esanie del lavoro del Fusinieri, la di cui autorita mi spinse a dubilare delle correnti dottrine, benche sostenute e pro- fessate da fisici distinti; e a non fidare piu in esse, senza prima aver ponderate per quanto meglio io sapeva, le ragioni per le quali ei le condanna come erronee ed assurde. Onde credo che, sebbene io non sia per attenermi a quanto egli consiglia e vorrebbe. gli avro date segno manifesto di stima qual ei ben merita, non di quella che il piu sovente dimostrata soltanto in parole e con eslerni segni, e poi conlraddetta col fatto da chi rigetta senza ponderazione, senza analisi, senza pensarvi pur sopra, suggeri- mcnti opposti alia propria opinione. E queste considerazioni ho voluto leggervi, perche appunto toc- cando a molli fra voi di accogliere o rigettare le ri forme della fisica proposte dal Fusinieri, abbiate a pronunziare finale sentenza dopo che vi saranno state messe innanzi ed avrete bastevolmente esaminate le ragioni die militano per Tuna e per Pallra parte. {Letta il 30 Xoiembre 1845) in. KIOVA DETERMI^AZIONE DELLE COSTANTl RELATIVE ALLV RESISTE\ZA D'ATTRITO NEL MOVIMENTO DELL'ACQUA PE^ lL.\Gin TIBI Dl COXDOTTA E PER Gil AlVEI DEL PROF. DOMENICO TURAZZ.\ 0. 'gni qual volta la teorica, per mancanza di dati o per difficolla cui non valse per anco a superare, si vegga costrelta a lasciar da parte alcune ricerche, della cui soluzione ha frequente ed imperioso bisogno la pratica, suole quest' ultima far corredo del maggior nu- inero possibile di osservazioni, e cio collo scopo di cercarvi per en- Iro una qualche leggc che non e dato alia teorica di mostrare, od almeno un mezzo con cui giungere alle soluzioni desiderate. Due strade sono ordinariamente battule in tale ricerca. Luna e quella di accomodarc al bisogno una formola di interpolazione^ la quale, adattandosi ai casi cffettivamente osservati, possa far nutrire fondata speranza di inchiuder pur quelli che dai medesimi non si di- lungan di molto. L'altra, preferibile sempre ogni qual volta sia pos- sibile usarne, si e quella di considerare attentamente le variazioni pro- dotte nella quanlita che si cerca da quelle che subiscono i ^arii ele- 76 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec mcnti da oiii essa dipendo, ed, abbozzata la legge di tali Aaiiazioni, coslruire la foiinola relaliva, complelandola col necessario nuinero di foslanli. chc dal oonfronlo colic varie osser\azioni ed esperienze vcn- goiio ill apprcsso determinate. Quest" ultimo modo die tiene, per cosi dire, il mezzo fra la sem- plice interpolazione e la rigorosa teorica, ha sul primo, quando si possa praticarlo, il notabilc vantaggio di potersi allargare nelle sue applica- zioiii, cssendo per esso assai maggiore la probabilita clie la continuita della lormola sussista ancora pel fatto. Nelle formole clie vengono di tal modo costruite devonsi dunrpie attentamente osservare due cose, la composizioiie della formola cioe, e i valori delle costanti cirentrano nella medesima. Egli e solo col moltiplicare le esperienze e le osservazioni clie si possono sce^erare le cause efficienli da quelle chc accidenlalincnle soltanto accompagnano il fenomeno; che si puo conoscere T influenza di queste cause, e si rende possibile di scoprlre la legge secondo la quale esse operano, la funzione infine dei varii dementi che misura I" inlensila del fenomeno. E qui con\ien ricordare che e ben altro il dire un fatto determinato essere prodolto da una certa causa, altro il pretendere di avere con queste sole parole data la spiegazione del fenomeno; die questa e al- lora solo perfetta, quando valga a seguire e misurarc il fenomeno in tutte le sue varie e minime cradazioni. Intravvista la leace secondo cui alcuni dementi dipendon dagli allri, si riuniscono fra loro quesli dementi in una formola mediante alcune costanti opportunamenle in- Irodolte, e dipendenti dai parlicolari \d\ov'\ numerici dei detti de- menti nei particolari casi contemplati dalla formola. Se la legge presnpposta in essa formola fosse la vera, ed esattis- sime fossero le varie osservazioni, per giungere alia determinazione nu- merica dei ^alori di quelle costanti baslerebbe prendere un numero d osservazioni eguale al numero delle costanti medesime, e formare con queste altrettante equazioni da cui rica>are i >alori cercali. Ma puo la legge non essere che aj)prossimata, le varie osservazioni od es[)e- rienze essere aflette d errori piii o meno notabili, e allora quei valori delle costanti che vcnissero di tal maniera determinati, s'accorderebbero DEL PROF. DOMEMCO TURAZZA 77 bcnsi colic ossorvazioni preso a (ondamonto della loro doterminazione, ma condurrcbbero ad error! anche (orli per tulte quelle die non si fossero fatte concorrere nella ricerca dei valori predetli. Ora la proba- billla d'una formola c deterininala non gia dalla sua coincidenza con alcuni casi special!, ma da! l!m!l! estrem! fra' quali slan comprese le diHerenze dei valori calcolali con quell! somministrat! dal falto ; e quanto pin sono ristrelti tali limit!, tanto e maggiore la bonta della formola. Percbe i valori delle costanti riescano allora determinati nel modo il piu proprio, e mestier! far concorrere tulle le espericnze alia loro determinazione, ed e noto che la formola che fosse cosi deter- minata deve soddisfare alia condizione che la somma do! quadrat! degli error! sia un minimo, imperocche sla a favore di una tal for- mola la probabilitfi della esattezza. Queslo metodo, che e conosciuto solto il nome del metodo dei minimi quadratic gia da lungo tempo adoperato in aslronomia, e ognun sa con quanlo successo, venne pure ultimamente introdotto pe' medii delle osservazioni meteorologiche, e dovrebbe sempre essere esclusivamente usalo in tulle le altre scienze, nelle quali si present! il bisogno di analoghe determinazioni. E perche quanto ora abbiamo detto riesca d! piu facile e comune intelligenza, non sara qui inutile il soffermarsi alcun poco ad un esem- pio parlicolare. Supponiamo che sopra im piano qualunque si debba tracciare una relta colla condizione ch' essa debba passare per alcuni punt! segnat! nel piano medesimo. E evidente che sc i punt! proposti saranno due solamente, allora la retta sara pienamente determinala, ne alcuna indecisione occorrera nel suo tracciamento . Ma se i punt! proposti fossero in numero maggiore di due. allora non polrebbe es- sere che per un caso al piu alto grado improbabile ch essi si trovas- sero esistere tutti in una retta medesima, anche se a questo scopo appunto fossero stati disposti da una mano e da un occhio fra i piu esercitali. La retta allora che piu si avvicinera a soddisfare la condi- zione imposta pel suo tracciamento, sara quella da cui quei punti si scostano meno che da un'allra qualunque. quella che passando a loro inframezzo tiene al piu possibile rislreili i limili delle estreme devia- zioni dei punti medesimi. Ora e evidente che se condurremo una retta 78 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec. la quale j)assi per due tli quel punli scelli ad arbllrio, questa retta si scostera piu o mono dagli allrl tuUl, e le devlazloni loro potranno essere anclie sensibilissime. Si Iratta ora di cercare quale sia quella retla per cui tali deviazioni son miniine, e a quest' uopo, ineglio ehe qualunque altro, sopperirebbe il inetodo de' minimi quadrali. 11 caso ora accemiato si presenta appunto allorquando, col solito metodo del- r ombre di eguale lungbezza, si voglia tracciarc la linea meridiana in un piano orizzontale; cbe i punli di mezzo degli arelii attraversati dal- TomJjre eguali sarebbero in linea retta nel solo caso cbe non si fosse commesso alcun errore nel segnare que' punti, pei quali avvenne il passaggio negli arcbi predetti. E per ritornare all' argomento, da cui il desiderio di rendere chiaro e palpabile lo scopo di questo mio scritto mi aveva per poco distolto, ricordero aver detto cbe le osservazioni cbe noi prendiamo a fonda- mento delle nostre ricercbe, possono essere affette d'errori piu o meno grand! ; lo cbe ci si rendera immediatamente evidente per poco cbe si considerino i mezzi d' interrogar la nalura, cbe sono in nostro po- tere. Ogni esperienza cbe per noi si intraprende addomanda misura di quantita, e questa misura se alcune volte si presenta facile e spon- lanea, alcune allre invece esige praticbe e mezzi coi quali c impos- sibile raggiungere una scrupolosa esattezza. E quindi evidente cbe non si puo sempre cbiedere ad una formola il mcdesimo accordo col fatlo, ma cbe si dee commisurarc la sua convenienza alia bontii delle os- servazioni, e non esigere dalla stessa risultamenti cosi prossimi agli osservati, cbe gli errori della formola sieno notabilmente al di sotto degli errori probabili dell' osservazione medesima. Quesle cose io andava meco stesso pensando nell' occasione di do- vere stendere un libro di pratica idrometria per I'uso della mia scuola. e di dover in esso dellagliatamente Iraltare dei due problemi del mo- vimenlo dell' acqua pe' lungbi tubi di condotia e per gli alvei; pro- blemi, la cui soluzione cade appunio nel secondo caso da principio accennato. E noto cbe ambedue le formole cbe liuidano alle soluzioni deside- rate poggiano sopra una parlicolare slima della resistenza dovula al DEL PROF. DOMEiMCO TURAZZA . 79 soflrca;amento dclF acqua lungo le paretl del tubo entro ciii scorre, o sopra il fondo e le sponde degli alvei ne' quali si muove. Portando la nostra aUenzione sul varii elcinenll che possono influire sopra una lal resistenza, i quali sono il perimetro della sezionc in imniedialo contallo coir acqua, e che percio appunio addoniandasi perimriro ba- gnato, I'area della sezione, la velocita media dell' acqua, e finalmente pe' tubi la lore lunghezza, sara facile il vedere che non lutli si de- vono comportare egualnienle, ma che laddove la perdita cresce al crescer d alcuni, deve invece diminuire all' aumentarsi di altri: cosi sara dessa maggiore quanto e piu grande il perimetro e la velocita, e minore invece quanto sara maggior la sezione. Se non che quesla sola cognizione non essendo sufficienle a fondarvi sopra una formola, e meslieri procedere ad unipotesi circa alia funzione che lega fra loro gli elenienti accennati. La piu semplice maniera di soddisfare a quella prima condizione essendo la ragione diretta e I'inversa, si tento di rappresentare di tal niodo le varie esperienze; e solo dopo aver ve- dufo non accordarsi esse con un solo termine proporzionale al qua- drato della velocitii, si introdusse per questo elemcnlo un nuovo ter- mine semplicemente proporzionale alia velocita. La formola allora as- sunta a rappresentare la resistenza dallrito e pei lubi pegli alvei CL C L ■ v' + b s s a — v' + b — r, S S dove C, iS, V rappresentano il perimetro bagnato, la sezione e la ve- locita media, ed L la lunghezza del tubo ; a e b sono poi le due co- slanti che restano a determinarsi, e che si vogliono in modo che pei lubi quella formola esprima altezza premente, pegli alvei forza acce- leratrice. Complelata dal Coulomb nel modo ora accennato la formola per la resistenza d'attrilo ne' tubi e negli alvei. il Prony s'accinse pel primo alia determinazione numerica dclle due costanti « e 6, e quindi 80 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec. r Eviehveiii, i cui valori sono anche i piu coimiiiemcnlc adoperati nella pralica, c la cui liccrca forma lo scopo diina sua Mcnioria inserila fra quelle dell" Acoademia di Berlino per gli annl 18!'i-181o, e negli Jnnoles des J/inex, toni. XI, pag. All. INe' (piadri die accouipaguano quella Memoria Irovasi falto il coii- fronlo iVa i valori della velocila somministrali dalla forniola c quelli dali dair esperienza; dal quale confronlo sebbene risulli che la for- mola segue abbaslauza davvicino F esperienza, pure si vede ch'essa in molti casi se ne nianliene ancora cosi discosta, da far desiderare una piu minula discussione della formola slessa c risultamenti piu prossinii ai vcri. E qui non posso a meno di non notarc die il D' Aubuisson, nel suo corso d' idraulica ad uso degli ingegneri, adolla pe' lubi allri coef- ficienli, ricaAali, siecome egli accenna, dalle esperienze del Couplet; ma quei coefficienti malamente s'accordano colle esperienze ancbe del- ristesso Couplet. E cio io ho unicamente detto per metlere in guar- dia i pralici sulluso di quei coefficienti, die proposti da autore di fama non dubbia, e messi in un libro meritamente slimato, potrcb- bero condurre ad errori non tollerabili. Prima pero di entrare in verun esame c necessario che ci solfer- miamo alcuii poco inlorno ai dati che ci vengono soinministrati dal- r esperienze, ed alia probabilita maggiore o minore della loro esal- tezza. I dali die noi dobbiamo procurarci si riducono pei tul)i, ordi- nariamente circolari, e tali in tulle le esperienze die si posseggono, al loro diamelro, alia loro lunghezza^ al carico d' acqua sul cenlro della bocca d'efflusso, e finahnenle alia velocila media con cui Tacqua scorre per essi : pegli alvei, alP area della sezione, al perimelro ba- gnato, alia pendcnza, e finahnenle alia velocila media deU'acqua che corre cnlro i medesiini. Ora per poca pralica die si abbia di tali nii- sure, e facilissiino lo scorgere che i dali relalivi ai lubi si possono avere colla piu sollil precisione, ed invece quelli die si riportano agli alvei non si possono ricavare dalle diretle misure se non con gros- solano grado di approssiniazione, ma nulla piu; e die percio laddove possiamo aspirare a molta esatlezza per quei dati die spetlano ai lubi. DEL PROF DOMENICO TURAZZA 81 dobbianio invece accontentarci di una sufficiente approssimazione per quclH relalivi agli alvei. Conchiudercnio da cio non essere tollerabile se non se piccoHssimo cri'ore nella formola che si riferisce ai tubi, ma potervi avere diffe- renze ben maggiori in qiiella che agli alvci apparliene, poiche le islesse osservazioni che possono avere il nierilo di inolta esattezza nel prinio caso, possono essere affelte d'errori piu o meno notabih nel secondo. Non dovra quindi recar meraviglia se nelle tavolc di con- fronlo fra i risullanienti della formola, e quelli somminislrati dal fat- to, si trovera notabile differenza fra quelle tavole che appartengono ai tubi, e quelle che inchiudono le esperienze sugli alvei: le note che alcune volte trovansi apposte ai quadri medesimi porranno in caso di giudicar facilmente la confidenza maggiore o minore che si puo avere nelF esperienza medesima. Possessori come noi siamo di un gran numero di prege^oli espe- rienze ed osservazioni, dobbiamo riprendere le formole stesse, e cer- care di renderle tali che si scostino il meno possibile dair esperienza. Comincieremo dal considerare la formola che rappresenta la per- dita in carico dovula alia cosi detta resistenza d'attrito nei lubi, for- mola che pei tubi cilindrici si puo scrivere sotto raspetto 4/: 4 L v' + b D D essendo a e b \e due costanti numeriche che si devono determinare, D il diamelro della base. Falle concorrcre tulte le esperienze insieme alia detcrminazione dei valori dei due coefficlenti predetti, si trova che gli errori della formola sono troppo sensibili, per poter in pratica usar della slessa con abbastanza fiducia. E assai probabile che cio avvenga soltanio per non esser la piu propria quella funzione che si e assunta, e per- che i varii element! che hanno diretta influenza nella slima di questa perdita, debbano entrare nella composizione della formola in modo diverse da quelle che un prime aspello e minor numero d" esperienze aveane fatte supperre. III. n 82 NUOVI COEFFICIEiNTI IDROMETRICI fc Per procedcre allora nel niodo il piii scmplice, e necessario clas- sificare Ic varic csperienze in gruppi, per ciascun dei qiiali sia co- stanle uno dei quattro elementi che entrano nella formola; e vedere se una determinazione speciale dei due coefficienti per ciascun gruppo in parlicolare. conduca la forniola cosi vicina alF csperienza, da indurre la fondata credenza ch'essa sia convenienlemenle posla rapporto agli altri elementi, cosicche si possa supporre che sia sufficienle alluopo variare la composizione della formola rapporto a queirelemento sol- tanto. Fu questa I'idea che spinse Venturoli pel primo, e quindi il cavalicre di Gerlsner a classificare le csperienze in rapporto al dia- metro. Questo istesso cammino venne pure da me seguito, ed e per- correndolo per intero che ho potuto raccogliere le conseguenze che era slo per esporre. Classificate dunque le csperienze secondo i varii diametri, e de- lenninati per ciascun diametro gli speciali valori numerici di quelle costanti, si ha motivo di rimaner sorpresi delP accordo della formola col fatto, attesoche gli errori della formola sono allora dello stesso ordine dcgli errori probabili dell' esperienza; cio che si rendera evi- dente percorrendo le tabelle che accompagnano cpiesto mio scritlo. Dovrem dunque conchiudere essere giusta la composizion della for- mola rapporto alia lunghezza, al carico, alia velocita media, ma ri- chicdere una correzione rapporto al diametro; unico elemento, a quanto sembra. la di cui influenza non sia esatlamente espressa dalla formola supcriore. Dietro quanto abbiam detto e mestieri cercare se V influenza di tale elemento si possa sottoporre a facile espressione, e completare con cio la formola, senza pero ch'essa perda notabilmcnte della sua semplicita; e solo se non ci riescisse di raggiungere un tale scopo, polremo servirci di quella formola, ma variando i valori dei coeffi- cienti numerici secondo il variar del diametro, procurando di slendere un quadro dei loro valori in corrispondenza ai varii diametri, per ri- correre ad esso nei varii casi che la pratica puo presentare. A quest' uopo appunto io calcolai i coefficienti suddetti per tutti quei diametri pei quali si posseggono esperienze di non dubbia esat- DEL PROF. DOMENICO TURAZZA 83 tezza, e qucsta tabclla si Irovera insieme al oonlVonto colle esperienze, nel scguito di queslo scritto. Lc conseguenze die la tabella predelta (A) ci pone immediatamente sott'occhio, si compendiano nelle seguenli. 1." I coefficienti nuinerici variano sensibilinente al variar del dia- melro. 2.0 Queste variazioni sono niollo pronunciate nel coefficienle della semplice velocila; non molto grandi per quelle del quadralo della ve- locita stessa. 3.0 II coefficienle del quadi'ato della velocila diminuisce in princi- pio col diamelro, poi cresce invece al diminuir del medesimo presen- tando iin minimo pel diamelro di circa cinque cenlimelri. 4.0 II coefficienle della semplice velocila cresce conlinuamenle al diminuir del diamelro. Costruendo le curve dei valori dei delti coefficienli si avranno quelle rappresenlale in figura (Tavola I), dove la (a) esprime la curva di a, e la (b) quella di b ; egli e medianle tali curve che si sono ol- lenuli i coefficienti medesimi pei diamelri intermedii a quelli delle esperienze che si Irovano nella tabella i?, i quali valori pero sono ben lungi dal meritare la fiducia dei primi. Osservando che le variazioni si riporlano principalmenle sul se- condo coefficienle, il quale cresce al diminuir del diamelro, e che le variazioni di b.\X D sono piccole, come si puo scorgere in figura, dove la curva di tali valori e la (I0 6lX/>), sembra che la formola da adollarsi pe' luJ>i debba essere la i L ^ A L a. • r* + /3 e che una variazione cosi semplice della formola sia sufficienle a dare alia formola stessa il caraUere di una plausibile approssimazione. La curva corrispondenle ci moslra pero die pei piccoli diamelri le va- riazioni son Iroppo sensibili, e che quindi la formola superiore non e proprianienle applicaljile se non pe' diamelri superiori a un centi- nielro ; allora nel calcolo dei coefficienli « e /3 converra unicamenle appigliarsi alle esperienze di Couplet, Bossul e Dubuat; e cio avendo 8 4 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI u io fatto. la niia supposizione venno pienaineiilc avverala, come lo mo- stra il confronlo colic espcrienze I'iporlalo ncl (juadro n. VIII. L' accordo colF esperienza dclla lonnola pc lul)i e ben luna;i dal conliniiare per quella die rappresenla la resislenza datlrilo ne2;li al- vei. del die le cause accennale in principio ci danno plausibile spie- gazione. Per aAAicinarla maggiormenle al caso reale ho tentalo di^i- dere le varie esperienze in Ire classi, e deferminare i coefficienli per ciascuna in parlicolare. Qucsto metodo riesci in parte, cioe gli errori vennero altenuali, ma, e mi convien confessarlo, essi sono ancora tut- t' altro die trascuntbili . La divisione venne basata sul crado della ve- locita, e le tre classi appartengono a velocila inferior! ad un metro, a quelle comprese fra nno e due metri, e superior! a due melri, pel qual ultimo caso, disparendo il termine proporzionale alia sola velocita, la formola si riducc anclie notabilmente piu semplice, e varia soltanto un poco nel coefficiente numerico da quella alia (juale il Tadini dieile il nome di caiinne pei canali e pei funni. Forse, ed io sono il primo a confessarlo, una tal divisione non e la piu propria, e sarebbe slalo assai meglio classificare le dette esperienze rapporto alia pendenza; ma e cosl difficile di stimare esattamente la pendenza, cir io ho cre- duto dover preferire il primo metodo, il quale inline vi fa in qualche inodo concorrere anche la pendenza medesima. Ho rigettalo le esperienze che il Dubuat esegui con piccoli ca- nali artefatti di legno, imperciocche esse si allontanan di troppo dai casi reali della pratica, ne sono paragonabili i dali che si possono ri- cavare per qucsti canali e pei fiumi, e quindi gli errori probabili del- r esperienze non essendo tulli del medesimo ordine, non sono para- gonabili fra loro le esperienze medesime. Cosi pure trascurai le espe- rienze del Bertelli riportate dal Masetti nelle sue note alF idraulica del \'enturoli, e cio perche non e detto come le velocitti siensi osservate e perche V inteslazione di porlata dedolta indica che non fu essa os- servata. Di piu, F accordo dei risultamenli del calcolo con quelli del- Fosservazione, accordo a vero dire straordinario, e molto superiore a quello presentato dalle stesse osservazioni fondamenlali , induce a do- ver ragioncvolmente sospettare della loro esattezza. DEL PROF. nOMEMCO TURAZZA 85 Devo .ivvcrtirc per ultimo die. dietro 1" eseinpio di Evlelweiii. iii- vece di rendere niiniina la soinnia dei quadrali della (juanlila «' M 4 L H ■ ~27' 1-' — rt I " D 4 L — b r. D H ~27' - tJL v" D C C P - -a — V S ' — 6 — f, S ho reso niiniina la somnia dei quadrat! dell" allre a V + b — D 1 [H- 2 yA a. I /3 D ("-a^ ) + 1/ D Mv a V + b- C v' Cio infine non reea differenza notabile, e i ooefficicnli delenninati in quesia ultima maiiiera tenendo la forniola im poco piu \icina alia esperienza, lio creduto ehe meritassero la prelVrenza. In fine della Memoria si troveranno anche quelli che sarebbero sommlnislrati dal metodo in primo luogo accennato. Le formole fondamentali essendo pe' tubi oppure e per gli alvei t^ 4 L H L H = a t)' + 6 2 g D D I' 4 Z, o 4 Z H = :i d' + /6 29 D D \/ D C C n = a — v'' + b— c. S S dove // esprinie il carico, p la pendenza; applicando il metodo dei minimi quadrati alle quantila superiormenle indicate, e posto per bre- vita (h ) = f 86 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec 0(1 indioato con » il miniero dollc espericnze o dcllc osscrvazioni. si ha pei tidji , » 2 r /•— 2 t. 2 /■ I a - (1) » 2 r' — (2 I))' 2 /■ 2 r' — 2 r 2 r /• f ^ ' H 2 d' — (2 !))' 2-2 (./■— 2 —^2 D \/D y D (2). r 2^2„'-f2 -^ y 2 «' 2 — !- 2 — — 2 V f 2 - 2 r' - (2 ) D \ y DJ c per gli alvei. ponenc! lo si avranno i coeffioienti a e b dalle slesse lonnole (I). Pel calcolo poi delK influenza die gli errori possibili nella slinia (lei dali possono avere sulla velocita. si avranno pei lubi le forniole b - + v (, V a 2. a L t L ~V~~ M V + iV "IT" IT b 1- '' 0 1 a 2, a L \ D V Mv+N n D I V I I- 2 I' (.V I' + 3 ) dove per brevita si e posto I/I. I A L 2 L 2 g D D DEL PROF. DOMEMCO TURAZZA 87 c per ifli alvei b I r a I I, b p - + 2 I' 6 — + r n IC b C - 4- 2 I- Ij a 2 ,Z>= 0,001 per = 0,001 per V S//= 0,001 l» 0,0077 0,0004 0.0008 O'l 0,0079 0,0004 0,0017 11» 0,0099 0,0005 0.0009 12" 0,0103 0,0005 0.0018 92 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec QIADRO III. Esperienze del Bossut con un tu/jo del diametro di pollici parkjini i ed corrispondenti a O^.OSei Valori dei coefficienti a = 0,00026; 6 = 0,00005605; - = 0.24556 log. a = 6,41504 log. 6 = 5,7 486 1 log. —= 9,33357 a Confronto coUe esperienze v — (r) Lunghezza Carico Veloeita osscrvata Veloeita calcolata *-('■) I L H V (0 I secondo Ey- lelwciii 9,745 0,6497 1,3150 1,3110 + 0,0030 + 0,031 id. 0,3248 0,8980 0,9025 — 0,0050 + 0,006 19,490 0,6497 0,9317 0,9356 — 0,0042 — 0.008 id. 0.3248 0,6328 0,6360 — 0,0051 - 0,03 4 29,235 0.6497 0,7605 0,7566 + 0,0051 — 0.020 id. 0,3248 0,5131 0,5098 + 0,0064 — 0,010 38,981 0.6497 0,6502 0.6478 — 0,0037 — 0.035 id. 0.3248 0,4369 0.4329 4- 0,0093 — 0.068 48,726 0,6497 0,5697 0,5722 — 0.0044 — 0.054 id. 0.3248 0,3810 0,3798 + 0.0031 — 0,055 58.471 0.6497 0,51 19 0,5160 — 0,0080 — 0,067 id 0,3248 0,3403 0,3 40 4 — 0.0000 — 0,099 Influenza degli crrori probabili sui dati delPesperienza pel carico massimo e minimo nella massima e minima Innghezza Espe- rienza Br per V Bi per IL ^ = 0,001 L — - per I' g//= 0.001 l-i 0,0128 0,0005 0,0008 2.1 0,0132 0,0005 0.0017 ll'' 0,0159 0.0006 0.0009 12'' 0,0168 0,0006 0,0019 DEL PROF. DOMENICO TURAZZA 93 QUADRO IV. Esperienzc del Dubuat con tubi del diameiro di 1 pollicc di Purigi: corrispondcnic a 0"'.027l Valori dei coefiicienti a = 0.0002679; 6 = 0.00006069; — = 0,2265: log. a = 6.42790 log. 6 = 5,7831 0 ioc — = 9,35520 Confronto colle esperienze Lunghezza Carico Velocila osser'sala Velocita calcolata .-(P) L H r ('') f seeondo Ey- tclwein 3,1672 0,9745 2.2995 2.2719 + 0,0120 + 0,079 id. 0.7219 1,9301 1.9443 — 0,0073 + 0.051 id. 0.4873 1,5784 1,5839 — 0,0035 + 0,049 3,7320 0.5671 1,5918 1,6044 — 0,0079 + 0.037 id. 0.1624 0,7942 0.8222 — 0.0351 — 0.019 id. 0,0189 0.2352 0.2353 — 0.0004 — 0,096 19,9505 0.6416 0,7761 0,7736 + 0.0032 — 0.038 id. 0.3952 0,5916 0,5874 + 0,0071 — 0.055 id. 0.3709 0.5677 0,5663 + 0,0024 — 0.062 id. 0.3335 0,5411 0,5324 -t- 0.0160 — 0,007 id. 0.2431 0.4500* 0,4418 + 0.0182 — 0,068 id. 0.2431 0.4408* 0.4418 — 0.0022 — 0,087 id. 0,2106 0,4091 0.4053 + 0,0093 — 0,086 id. 0.1605 0,3604 0,3434 + 0,0471 — 0,067 id. 0,1137 0.2889* 0,2765 + 0,0428 — 0,117 id. 0.1137 0,2826' 0.2765 + 0.0215 — 0.098 94 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec Influenza degli errori probabili sui dati delPesperienza pel carico massimo c minimo di lutte e tre le liinghezze csperimentate Espe- rienza 8. per V Sz)=o,ooi - — per V =0,001 per V S//=0,001 i' 0,0139 0,0004 0,0005 3' 0,0142 0,0004 0,0011 A' 0,0149 0,0004 0,0009 6" 0,0199 0,0005 0,0332 7' 0,0197 0,0005 0,0009 16' 0,0207 0,0006 0.0017 Avverlenza. Furono lasciate le due ultinie esperienze del Dubuat come quelle che ossendo istituite coi piccolissiini carichi O^jOlSS; 0'",0041, si risentivano troppo dei possibili errori d'osservazione. Le esperienze segnate con asterisco nella tabella di eonfronio, scbbene eseguile nelle identi- che circostanze, differiscono gia fra loro, e gli errori sono del medesimo ordine dei pii'i grandi dati dalla formola. Questa semplice osservazione niostrera facilmente quanto la foriiiola si ap- prossinii al vero. DEL PROF. DOMEiMCO TURAZZA 95 QUADRO \. Esperienze del cav. di Gerstner con un tvbo del diajnetro di pollici parigini 0.51: corrispondenti a O^.OISS Valori dei coefficienti a=:0, 00027817; 6 = 0,00010692: — = 0,38437 log. o = 6,44431 log. 6 = 6,02907 log. —=: 9,58476 ConfroDto colle esperienze Velocita Velocita 1 c-(r) LuDghezza Carico osservata ealcolata r-(r) I' L H V secondo Ev- ip p tehvein 1,2181 2,4092 2,4081 + 0,0005 + 0,0242 1,0828 2,2604 2,2611 — 0,0003 + 0,0201 0,9475 2,1114 2,1067 + 0,0022 4- 0,0197 0.8121 1,9490 4,9406 + 0,0043 + 0,0175 0,6768 1,7595 1,7601 — 0.0003 + 0,0117 1,705 0,5414 -1,5565 1,5609 — 0.0028 — 0,0015 0,4060 1,3265 1,3344 — 0,0060 — 0,0154 0.2707 ^.0557 1,0665 — 0.0102 — 0,0372 0,1354 0,7038 0.7189 — 0,0214 — 0,0897 0,1083 0,6226 0,6307 — 0,0130 — 0,0975 0,0812 0,5414 0,5311 + 0,0225 — 0.0870 0,0541 0,4331 0,4139 + 0,0448 — 0,0924 96 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec influenza dcgli errori probabili sui dati dell'csperienza pel carico massimo c mininio Espe- rienza per V B/J=0,0005 per V IL = 0,001 L per V S^=0,002 12' 0,0145 0,0189 0,0005 0,0005 0,0008 0,0201 Aw piccolo questo perehe Le tenute ertenze. Si e preso Tcrrorc probabile sul diametro di solo mezzo millimetro, perchc nel diametro die or si considcra, e supponibile che sia stalo misurato con niaggiore cura influentissimo elemento. L'errore probabile in altezza si e assunlo di due millimetri, nelle esperienze original! non e tenuto conto che dei mezzi poliici di Parigi. differenze fra le velocita osservate e le calcolate colla formoia di Eytchvein furono ot- usando della formoia originale del medesimo, cioe colla 'J J -..|/| (2750273 L + d89395917 D) 122,98 L +'8469 dI -, dove e nolo che il g sla in luogo del coniune — 3, e che quindi, ridotta in metri, diventa — L + iy\L' + (56077 7 L + 3S6l~ i3b B) D H] ' ~ 25,075 L + 1726,8 D ' Le differenze fortissinie che si riscontrano, specialmente nelle ultime esperienze, e che sono ancor niaggiori nelle tabelle di confronto che vengono in appresso, renderebbero in ([uesti casi inapplical)ile la formoia superiorc. E pero necessario avvertire che queste esperienze furono eseguite su lubi troppo corii per meritare un'intera fiducia. Cio serva anche a giustificare in qualche modo il salto che si riscon- tra nei coefficienli . Queste stesse avvertenze s'intendono valcre anche per le esperienze che seguono del mede- simo autore. DEL PROF. DOMENICO TURAZZA QIADRO VI. Espcrienze del cav. di Gerstiier con un tiibo del diametro di jwllici pariyini 0,39: corrispondenti a CjOlOSG 97 Valori dei coefficient! (1 = 0,00030853; 6 = 0,00012462; -=0,40393 a b log. fi = 6,48930 log. 6 = 6,09560 log. —= 9.60631 a Confronto colle espericnze Influenza degli errori probabili sui dati deU'esperienza pel carico massimo e minimo Espe- rienza 8. per V gZ>=0,0005 per V IL = 0.001 L per V lH=0,002 1' 12' 0,0209 0,0278 0,0004 0,0006 0,0008 0,0221 Lunghczza L Carico H Velocita osservata V Velocita calcolata (") I' seeondo Ej- telwein 1,2181 2.0844 2,0509 4- 0,0161 — 0,0290 1,0828 1,9220 1,9253 — 0.0017 — 0,0510 0,9475 1,7785 1,7914 — 0,0073 — 0.0611 0,8121 1,6378 1,6475 — 0,0059 — 0,0656 0,6768 1,4889 1,4759 + 0,0087 — 0,0686 1,705 0,5414 1,3129 1,3203 — 0,0056 — 0,08)6 0,4060 1.M80 1,1226 — 0,0041 — 0.0966 0,2707 0.8798 0,8668 + 0,0148 — 0,1320 0,1354 0,5847 0,5575 + 0,0464 — 0,2073 0,1083 0,5143 0,5162 — 0,0037 — 0,2057 0,0812 0,4331 0,4310 + 0,0048 — 0,2147 0,0541 0,3519 0,3320 + 0,0565 — 0,2240 III. 13 98 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec. QLADRO VII. Esperienze del cav. di Gersiiier con un tubo del diametrii di poltici parigiiii 0,27: corrispotidenti u 0'".00734 Valori dei coeffieienli a = 0,0003165 6 = 0,00010718 _ = 0,33865 Ij log. a = 6,50038 log. i = 6,0301 4 loi; - = 9.52976 Confronto colle esperienze Lunghczza L Curico H Velocita osservata Velocita calcolata (■ sctondo li)- k'lwein 1,2184 1,7460 1,7364 + 0.0055 — 0,0682 1,0828 1,6350 1,6 300 + 0,0031 — 0,0746 0,9475 1,5210 1,5157 + 0,0035 — 0,0789 0,8121 1,39 41 1,3936 + 0,0004 — 0,0882 0,6768 1,2587 1,2608 — 0,0096 — 0,0977 1,705 0,5414 1.1099 1,1141 — 0.0038 — 0.1108 0,4060 0,9339 0,9479 — 0.0149 — 0.1392 0,2707 0.7255 0,7513 — 0,0355 — 0,1930 0,1354 0,4873 0,4972 — 0,0203 — 0,2352 0,1083 0,4331 0,4331 0 — 0,2359 0,0812 0,3709 0,3609 + 0,0269 — 0,2394 0.0541 0,2978 0,2764 4- 0,0718 — 0,2428 Influenza degli error! probabili sui dati dell'csperienza pel carico massinio e miQinio Espc- rionza — pui' ^,/>=0,0005 per = 0.00 1 L I. per V B//= 0.002 12'' 0.0322 0.04 19 0.0005 0.000,'i 0,0008 0.0218 DEL PROF. DOMENICO TURAZZA 99 TABEILA A Quwb-o dei valori dei coefficienti che competono ai diametri particolarx precedentemente discussi 0,43540 0,05444 0,03609 0,02707 0,01380 0,01056 0,00731 0,0002866 0,0002581 0,0002600 0,0002679 0,0002782 0,0003085 0,0003165 0,00002807 0,00004600 0,00005605 0,00006069 0,00010692 0,00012462 0,00010718 0,097940 0,178260 0,215560 0,226570 0,384370 0,403930 0,338560 byXD 0,00001033 0,00001073 0,00001065 0,00000999 0,00001257 0,00001280 0,00000916 TABELIA B Quadro dei cocffkienti che corrispondono a\arii diametr, interpolati ai precedenti D a b b\/D 0,01 0,000308 0,000124 0,0000124 0,02 0,000271 0,000075 0,0000106 0,03 0,000264 0,000060 0,0000104 0,04 0,000257 0,000052 0.0000104 0,05 0,000256 0,000048 0,0000107 0,06 0,000260 0,000043 0,0000105 0.07 0,000263 0,000038 0,0000101 0,08 0,000266 0,000036 0,0000102 0,09 0,000270 0,000034 0,0000102 0,10 0,000273 0,000032 0,0000101 0,11 0,000277 0,000030 0,0000100 0,12 0,000281 0,QQ(iQ^^ 0,0000100 0,13 0,000284 0,000028 0,0000101 <00 NUOVI C0EFFIC[ENT1 IDROMETRICI fc. Ql'ADRO VIII. Confrunto colle esperienze dei sig. Couplet, Bosstil e Dtibuat delta fornicla V' i L „ 4 Z- // = 16 l,' + /3 29 /> DyxD Valori dei coefficienti K = 0, 00026414 /3 = 0.000010251 log ct = 6.42184 log. /3 = 5.01077 ConfroDto colle esperienze Osservalore Vclocita osservata Veloeita calcolata V — (V) v~{v) i V sccondo Ey- V V k'hvein 0,1441 0,1490 — 0,034 — 0,060 0,1411 0,1420 — 0.006 — 0,056 Couplet 0,1301 0,1337 — 0,028 — 0.059 0,1117 0,1152 — 0,031 — 0,068 0,0854 0,0885 — 0,036 — 0,087 0.0544 0.0555 — 0,020 — 0,062 1,5945 1,5803 + 0,009 + 0.063 1,0915 1,0992 — 0.007 + 0.087 1,1640 1,1590 + 0,004 — 0.029 0,7908 0,7993 — 0,011 0 Bossut 0,9682 0,9513 + 0,017 — 0,0 5 4 serie I. 0,6444 0,6523 — 0,012 — 0.019 0,8364 0,8222 + 0,016 + 0,015 0,5606 0,5610 — 0,001 — 0,020 0,7436 0,7321 + 0,015 + 0,013 0,4954 0,4958 — 0,004 — 0,033 0,6695 0,66 46 4- 0,007 — 0.009 0,4433 0,4497 — 0,014 — 0,051 DEL PROF. DOMEMCO TURAZZA Contimiazione del quadro preccdente iOl Bossut serie II. Dubuat ^,3150 0,8981 0,9317 0,6328 0,7605 0,5131 0,6502 0,4369 0,5697 0,3810 0,5119 0,3403 2,2995 1,9301 ^,5784 1,5918 0,7943 0,2352 0,7761 0,5916 0,5677 0,5411 0,4500 0,4408 0,4091 0,3604 0,2889 0,2826 1,3060 0,9000 0,9329 0,6352 0,7555 0,5098 0,6469 0,4333 0,5718 0,3806 0,5160 0,3414 2.2807 1,9517 1,5892 1,6101 0,8240 0,2345 0,7756 0,5883 0,5671 0,5329 0,4403 0.4052 0,3429 0,2757 + 0,006 — 0,002 — 0,001 — 0,003 + 0,006 + 0,006 + 0,005 + 0,008 — 0,004 + 0,001 — 0,008 *- 0,003 + 0,008 — 0,011 + 0,007 — 0,011 — 0,037 + 0,003 + 0,001 + 0,006 + 0,001 + 0,015 + 0,021 + 0,001 + 0,009 + 0,048 + 0,046 + 0,024 + 0,031 + 0,006 — 0,008 — 0,034 — 0,020 — 0,010 — 0,035 — 0,068 — 0,054 — 0,055 — 0,067 — 0,099 + 0.076 + 0,051 + 0.04 9 + 0,037 — 0,019 — 0,096 — 0,038 — 0,055 — 0,062 — 0,007 — 0,068 — 0,087 — 0,086 — 0,067 — 0,117 — 0,098 102 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI i.e. Confronto dcgli error! Indicazione Massimo positivo Massimo negative Medio positivo .VIedio negati>'o .VIedio assoluto Secondo Eytelwein Nuova formola 0,087 0,048 0.H7 0,037 0.0428 0,0H7 0,0510 0,0135 — 0,0088 0,0000 DEL PROF DOMENICO TURAZZA OSSERVAZIOi\I SUGLI ALVEI 4 03 QIADHO l.\. f'etocitd iiiffiiori ad un metro '^=j/f^»'^4 y^^-O.O082j_ 0.0906 Clio cornspondo ai \aloi-i dd louffieienti n = 0.0003443; 6:^0.00006237 <>onfronto colle osservazioni Osser- vatorc Dubuat [ Wattman Dubuat Waltnian Dubuat Wattman Bonati Dubuat Pianigiani Bonati Dubuat Briinnings Funk Briinnings 27648 27648 21827 M650 32951 457) ^5360 35723 4800 -16366 6413 2825 J6366 6048 4 931 92,3 6701 9045 7957 5825 c Veloc-ita osser\ata 0,00001850 0,00002143 0,00002866 0,00003909 0,00004470 0,00004407 0,000051 16 0,00004973 0,00006500 0.00016130 0,00027279 0,00018260 0,00022830 0,00024776 0,00025482 0,00030830 0.00033055 0,00041940 0,00039322 0,00040357 0,1509 0,1619 0,2006 0,2809 0,2867 0,3152 0,3333 0,3379 0,4297 0,6870 0,6927 0,6960 0,7360 0,7465 0,7708 0,7721 0,917 4 0,9185 0,9382 0,9749 Vcloeita calcolata 0,1583 0,1548 0,2118 0,2648 0,2809 0,2818 0,3054 0,3001 0,3533 0,6000 0,7949 0.7100 0,7290 0,7625 0,7744 0,8600 0.893 4 1,0168 0,9819 0.9958 (•-(0 — 0,049 + 0,044 — 0,056 + 0,057 + 0,020 + 0,105 + 0.084 + 0,112 + 0,178 + 0,127 — 0.147 — 0,020 + 0,009 — 0,021 — 0,005 — 0,114 + 0,026 — 0,107 — 0,046 — 0.022 secondo Eytch\ein — 0,287 — 0,304 — 0,240 — 0,060 — 0,109 + 0,060 — 0,026 + 0,002 + 0,092 + 0,080 — 0,200 — 0,064 — 0,030 — 0,060 — 0.047 — 0,147 — 0,007 — 0,136 — 0,0 71 — 0,0 44 -104 NUOVI COEFFICIEiNTI IDROMETRICI r.c. Confronto degli errori Indieazionp Massimo positivo ^Massimo negativo Medio positivo Medio negativo Medio assoluto Secondo Eylelwein Nuova formola 0,092 0,178 0,304 0,161 0,0585 0,0762 0,1 139 0,05 9 7 — 0.0799 + 0,0082 Influeciza deuli errori sui dali dell'osscrvazione Ammettendo che si coinnielta un orrore di iin venlcsimo nella stlma della sezione, di un decimo in quella del perinictro bagnato. di un cinquecenlesimo in quella della pendenza, si a\Ta If s h — - = 0,05, C p quindi = 0,05 b V ^- — 2i: + - Nel nostro caso Terrore probabile sara per la velocila minima 0,0344 » massima 0,0271 Avvertenze. Le osservazioni original! del Dubuat danno la veiocita superfieiale osservata, dalla quale si e dedotta colle solite regole la veiocita media ehe comparisce nel quadro prec«- dente. Le differenze grandissinie che per tali osservazioni si riscontrano nella formola di Eylel- wein dipendono dall'aver qucsto autore considerata la veiocita superfieiale invece della media. Pel calcolo di queste osservazioni si uso della formola originale d'Eytelwein, la quale sonuninistra t =— 0,03319 +1/(^27 35,6 — + 0,00 uY Ho trascurato I'osservazione di Funk che nel quadro di Eytehvein comparisce al numero 28. perche la troppa differenza tra il risultamento dell'osscrvazione e quello del calcolo fa ragione- volraente sospeltare dell'esattezza dell'osservazione medesima. DEL PROF. DOMENICO TURAZZA 405 QIADRO X. Felocitd comprese fra uno e due melri " = 1/ (2610,1 — 4- 0,00029j- 0,01692 Che corrisponde ai valori scguenti dei coefficienti a = 0,0003831 A = 0,00001296 Confronto colle osseryazioni Osser- 1 Sp C Velocita Velocita P-(P) vatore 7' osservata calcolata p — (P) p iv) V secondo Eytelwein 5223 0,0004214 1,0116 1,0321 — 0,020 — 0,024 1987 0,0006903 1,0357 1,3255 — 0,279 — 0,295 — 0,240 4009 0,0006612 1,0577 1,2966 — 0,226 1987 0,0008178 1.2269 1.4442 — 0,177 — 0 193 4009 0,0007176 1,2395 1,3518 — 0,091 — 0 104 4009 0,0007593 ^,3377 1.3910 — 0.032 — 0 052 5223 0,0007749 1,4173 1,4054 + 0.008 — 0.004 4009 0,0008003 1,4506 1,4285 + 0,015 + 0,003 3251 0,0007576 1,4676 1,3894 + 0,053 + 0,053 Funk 1987 0,0009425 1,4908 1.5516 — 0.041 + 0.007 2222 0,0007184 1,5021 1,3526 + 0,099 + 0,089 4009 0,0008512 1,5065 1.4737 + 0,022 + 0,009 1817 0,001 1338 1,5093 1,7034 — 0,128 — 0,1 45 3251 0,0009570 1,5754 1,5636 + 0.007 — 0,006 4009 0,0009184 1.5979 1,5315 + 0,041 + 0.028 1987 0,0010233 1,6007 1,6176 — O.OU — 0,025 4009 0,0009485 1,6085 1,5571 + 0,032 + 0,019 1817 0,0012449 1,6267 1,7858 — 0,097 — 0,114 4009 0,0009635 1,6634 1,5691 + 0,057 + 0,044 4009 0,0010748 1,7356 1,6582 + 0,044 + 0,031 III 14 106 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec. Continuazione del quadro preeedente Osser- I Sp Velocita osservata Velocita calcolata v-(.) V vatore P C V (V') V secondo E3'tehvein 1987 0,0011650 1,7576 1,7271 + 0,011 + 0,003 1987 0,0012493 1.8204 1,7892 + 0.022 + 0,002 Funk 1987 0.0013215 1,8693 1.8404 + 0,015 0 1817 0,0014986 1,9219 1,9631 — 0.021 -0,017 1817 0,0015619 1,9936 2,0021 — 0,004 — 0,020 904 5 0.0004741 1.0383 1,0961 — 0.055 — 0.136 6701 0,0004168 1,0396 1,0263 + 0,012 + 0,007 7571 0,0003956 1,0923 1,0002 + 0,084 + 0,078 4542 0.0005812 1.1218 1.2141 — 0,083 — 0,068 9045 0.0005646 1,2100 1,1972 + 0,010 0 1 Brunnings 7957 0.0004652 1,2182 1,0952 + 0,100 + 0,010 4931 0.0005791 1,2254 1,2127 + 0,010 — 0.001 5825 0,0006259 1,2742 1,2615 4- 0,009 — 0.001 7957 0,0004473 1.2934 1.0613 4- 0.179 + 0.191 7957 0.0006512 1.2995 1.2871 + 0,008 — 0,002 7571 0.0006559 1,3041 1,2915 + 0,008 — 0,002 4009 0.0008378 1,4739 1,4620 + 0,007 — 0,052 Bonati 10040 0,0007052 1,2690 1,3398 — 0,054 — 0.068 Ing. Pont if. 10040 0,0004647 1,1460 1,0850 + 0,053 + 0,045 7657 0,0003725 1,1150 0,9820 + 0,118 + 0,12 4 Pianigiani 1863 0,0006099 1,3490 1.2450 + 0.076 + 0.078 Confronto degli error! Indicazione Massimo positivo Massimo ncgalivo Medio positi\o Medio negativo Medio assoluto Secondo Eytehvein Nuova formola 0,191 0,179 0,295 0,279 0,0432 0,0437 0,0723 0,0878 0,0174 0,0056 DEL PROF. DOMENICO TURAZZA 107 QUADRO XI. f^elocitd superiori a due metri v= 51,14 1/ Sp Confronto colle osservazioai Osser- vatore 1 P c Velocita osservata V Velocita calcolata v-(v) V 1 v-{v) j V secondo Eytelwein 1987 0,0016045 2,009 2,079 — 0,020 — 0,026 1187 0,0016302 2,035 2,065 — 0,014 — 0,021 1987 0,0015705 2,040 2,027 + 0,006 + 0 Funk 1987 0.0016398 2,101 2,066 + 0,013 + 0,008 1987 0.0017314 2.119 2,128 — 0,004 — 0,011 1817 0.0019632 2,295 2,266 + 0,011 + 0,004 1817 0,0022395 2,409 2.420 — 0,005 — 0.013 1817 0,0021648 2,416 2,379 + 0,016 4- 0,007 Gli errori niedii delle formole sono secondo Eytehvein — 0,006 7 colla nuova + 0,0004 108 NUOVI COEFFICIENT! IDROMETRICI ec. DEL PROF. DOMENICO TURAZZA TABEILA C Falori dei coefficienli delerminali rendendo minima la somma dei quadrati delle quantitd V' A L A L H 0.——V' — b V ec. 23 D D Indicazione a 6 b a Couplet Bossut serie I. » II. Dubuat Gerstner serie I. " II .X III. 0,0002815 0,0002567 0,0002503 0,0002669 0,0002725 0.0002926 0.0003018 0,00002869 0,00004320 0,00006218 0,00005850 0,00011630 0,00015160 0,00012650 0,1019 0,1682 0,2483 0,2191 0,4269 0,5184 0,4191 I coefficienli et e j3 della formola generale determinati a render minima la somma dei qua- drati della quantita v' A L „ 4 Z- sarebbero ct = 0,00026811 ; ^ = 0,0000091323. {Lelta U 28 Dicembre 1845) SUL PIU FACILE MODO DI TROVARE IE RADICl REAII DELLE EQllAZIO\I ALtiEBRAICHE E SOPRA UN NLOVO METODO PER LA DETERMINAZIONE DELLE RADICI IMMAGIKARIE MEMORIA DEL PROF. GIUSTO BELLAMTIS ±JA formula che da la risoluzione delle equazioni del lerzo grado contiene due radici cube di quanlita che bene spesso divengono im- maginarie; in tal caso la formula non puo riuscire di alcun pratico vantaggio, e siccome inutili furono tutti i tentalivi per togliere alia medesima il suo aspetto immaginario, cosi quel caso si disse irredu- cibile, 6 si ritenne che la compiida risoluzione delle equazioni non si estendessc oltre il secondo grado. Poslomi a considerare queslo caso irreducibile che tanto occupo gli analisli, immaginiamo, io diceva fra me, che non si sapesse eseguire se non le quattro prime operazioni aritmetiche; allora affalto inutili sarebbero le formule cardaniche. poi- che Teslrazione delle radici cube non e riducibilc ad altra operazione; 4 1 0 SULLA RISOLUZIOi\E DELLE EQUAZIOiM cosi per applioarle e necessario invenlare una nuova operazione arit- inelica, lestrazionc cioe dclla radice cuba: ora, io soggiungeva, questa operaziono riguarda le sole quantita reali; inventiamo una nuova ope- razione aritmetica per eslrarre le radici cube delle quantita immagi- narie, c le formule cardanicbe saranno applicabili ed utili anche nel caso irreducibile . Riguardando poi alPeleganle processo di calcolo con cui il Riiffini (Memorie delta Soc. Ital. XVI, 1813) insegno ad estrarre le radici di qualunque grado, e seguendo una certa tal quale empi- rica analogia, Irovai senza alcuno studio un'operazione moltissimo ras- soniigliante a quella del Ruffini, mediante la quale potei estrarre la radice cuba di una quantita ininiaginaria. Applicando tale operazione alle lormule cardanicbe, la risoluzione del caso irreducibile mi riusci facile e sicura quanlo Testrazione di una semplice radice cuba; e sic- come la risoluzione delle altre equazioni del terzo grado esige Testra- zione di una radice quadrata e di due cube, cosi meravigliava meco stesso che il caso irreducibile fosse in efletto il piu facile da risol- vere: se non clie poco stante m'accorgeva che lo stesso processo di calcolo si applica senza bisogno delle formule cardanicbe a tutte le equazioni del terzo grado, e che anzi poteva egualmente servire a Irovare tutte le radici di un'equazione di qualsiasi grado. Ma dopo avere seguito per tal guisa lo sviluppo della mia idea, mi accinsi ad esaminare quanto vi fosse di nuovo in questa operazione ch'era F ul- timo risultamento del mio studio, e vidi ch'essa di poco differiva dal melodo del Budan, poiche nella stessa materiale disposizione del cal- colo, allatto ch'io aveva modificala quella del Ruffini, era caduto senza pensarlo in quella del Budan. Laonde prima di accennare che cosa io creda avere aggiunto alia risoluzione delle equazioni, e sotto quali riguardi io speri che la pubblicazione di questa Memoria non sia priva di utilita. indichero brevemente alcuni punti del procedimento del- Falgebra nell" importantissimo argomento della risoluzione delle equa- zioni. \ieta, il primo che siasi occupalo della risoluzione delle equazioni numeriche di un grado qualunque, riconobbe che niolte equazioni si possono risolvere con operazioni analoghe alle estrazioni delle radici DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS iU del numeri, e cerco un metodo esegetico che fondalo sopra i soli principii del calcolo algebraico valesse alia risoluzione di tutte le equa- zioni. — Cartesio scopri la regola dei segni. per la quale un'equazione non puo avere piu radici positive del numero delle sue variazioni di segno, e se le radici sono tutte reali il numero delle positive e pre- cisamente uguale a quello delle variazioni: sicche in questo ultimo caso si ha un modo facilissimo e sicuro per riconoscere quante radici sieno comprese in un dato intervallo; per esempio, se data un'equa- zione in X con tutte le radici reali, si domandi quante radici cadano tra 2 e 9, bastera formare I'equazione che ha per radici i ^alori di {x — 2), e quelFallra che ha le radici (x — 9); i nimieri delle varia- zioni di segno di queste due equazioni Irasformate mostrcranno quante radici della proposta sieno maggiori di 2, e quante sieno maggiori di 9, e la differenza di questi due numeri indichera percio quante radici cadano neir intervallo da 2 a 9. Due oggetti si debbono avere in vista nella risoluzione delle equa- zioni: la separazione delle radici per togliere ogni pericolo di omet- terne alcuna, ed il metodo per avvicinarsi indcfinitamente al loro valore. A raggiungere il primo scopo Rolle osservo che h-a due radici di una equazione e serapre compresa una radice della sua equazione derivata; per lo che se si conoscesscro tutte queste ultime radici, basterebbe so- stituirle successivamente nell" equazione proposta. e si avrebbe la sicu- rezza di separare tutte le radici; e siccome 1 equazione dernata e in- feriore di un grado alP equazione proposta, cosi mediante lo stesso teorema si puo far dipendere la separazione delle radici dell equa- zione derkata dalla risoluzione di altra equazione ch grado inferiore ancora di una unita, e cosi a passo a passo si puo discendere fino ad im' equazione del primo grado. — In quanto al secondo oggetto JNewton diede la nota regola che e gencrale quanto il principio fondamenlale del calcolo differenziale, da cui essa dipende. Lagrange insegno a separare tutte le radici sostituendo una pro- gressione aritmetica di valori. la cui differenza fosse minore della mi- nima differenza delle radici stesse; in tal guisa puo richiedersi un nu- mero grandissimo di sostiluzioni estese a tutti glinlervalli, anche a i I 2 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONl quclli iiei quali non sono comprese radici o vi sono comprese delle radici molto discoste c facili da separarsi: d'altra parte Tequazione, inedianlc la quale si delermina una quantiU\ minore della minima dif- I'ercnza, esige un calcolo laboriosissimo, sicche il Fourier giustamente osservo che questa soluzione c soltanto leorica c d'impraticabile ap plicazione se il grado delPequazione proposta sia alcun poco elevato. — Come metodo d'approssimazione il Lagrange sostitui le frazioni con- linue alle frazioni decimali. INcl 1807 Budan pubblico il suo melodo per la risoluzione delle equazioni numeriche di ogni grado; tre cose vi si possono osservare: lalgoritmo per calcolare successivamente mediante semplici addizioni o soUrazioni le trasformate in (ar;^l), in (x — 2), in {x — 3), ; il criterio per conoscere in quali intervalli non cada alcuna radice; ed il metodo d'approssimazione: quest' ultimo e quello stesso che si ado- pera nella divisione e nelFestrazione delle radici, e che e una con- sesuenza del sistema deciniale di numerazione; vale a dire si trova successivamente la cifra delle unita (o di altra classe superiore decine, centinaia, ecc), poi quella dei decimi, poi quella dei centesimi, ecc, e dopo trovata ciascuna cifra si calcolano il residuo cd altri numeri che servono a trovare la cifra seguente. — -Lalgoritmo per calcolare le trasformate deriva da principii elementarissimi, ed e esso pure una imitazionc di quanto si pralica nella divisione, come si vedra piii sotto: il Legendre in un rapporto alTIstituto di Francia giudico tale algoritmo come facile conseguenza di cose gia note. — Non si potrebbe appro- vare che il Budan, per conseguire lo scopo piuttosto curioso che utile di risolvere ogni equazione mediante le due sole prime operazioni deiraritmelica, siasi astretto a calcolare ciascuna cifra della cercata ra- dice ad una unita per volta, sicche, per esempio, per calcolare la cifra 9 gli occorrono nove operazioni, mentre bastcrebbe una sola: se non ch<' questa fu in parte una necessita dell imperfctto criterio da lui adoperato per riconoscere la mancanza di radici. Questo cri- terio richiede certe trasformate collaterali che sono quelle che si cal- colano quando si vuole svihippare la radice in frazione continua, ed il Budan e ooslretto di adoperare lal criterio per assicurarsi della DEL PROF. GIUSTO CELLAVITIS ) I 3 mancanza di radici negli inlervalli da 0 ad 1, da 1 a 2, da 2 a 5, ccc. — Dei resto per quanlo sia facile dimostrare ralgorilino del Budan, c per quanto esso dipenda da principii elenienlari, e pur glusto ri- conoscere clie da esso proviene in buona parte la spedilezza del cal- colo; e dee notarsi che quando si tratta di una effettiva applicazione pratica non basta dire scmpliceniente : calcolate la tal Irasforinata, de- terminate il tal valore; ma giova moltissimo indicare lalgoritmo piu comodo per eseguire lali prescrizloni. II succitato metodo del Ruffini per le cstrazioni delle radici dei numeri non e che mi' applicazione particolare deiralgoritmo del Bu- dan, colla diflerenza peraltro che il Ruffini non si ristringe ad ope- rare con una sola unita alia volla, ma calcola colle cifre dall' 1 al 9, appunto come sempre si fece nella divisione e neU'estrazione delle radici. Non so intendere per qual motivo alcuni geometri attribuiscano al Budan la scoperta del teorema del Fourier, mentre il Budan non ha fatlo che sospettarne la verita. Questo teorema, che e a mio credere il piu importante fra quelli che servono alia numerica risoluzione delle equazioni, insegna che se una qualsiasi equazione abbia la trasformata in {x — a) con m variazioni di segno, e la trasformala in (x — b) con n variazioni, neHintervallo tra a e b vi saranno tulto al piu m — n radici reali. Se si sapesse che Tequazione e priva di radici immagi- narie, il teorema sarebbe, come dicemmo, una conseguenza di quello del Cartesio; fuori di questo caso il teorema del Cartesio ci farebbe certi che T equazione non ha ne piu di m radici maggiori di «, ne pill di n maggiori di 6, ma ci lascierebbe in dubbio sul numero delle radici comprese tra a e b. L'importanza del teorema del Fourier con- siste in questo che se m = /i, noi siamo certi che nessuna radice cade tra a e 6; sicche basta rivolgere il nostro esame a quegli intervalli nei quali si perde qualche variazione di segno, intervalli il cui nu- mero non put) mai cccedere il grado delF equazione. II Budan per assicurarsi che non vi sono radici per eserapio fra 7 ed 8, ricorre alle Irasformate collaterali anche quando le trasformate in (x — 7) ed in (x — 8) presentano lo stesso numero di variazioni, il che e prova III. i5 1 J 4 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZTONI indubitala ch'egli non era sicuro del teorema da lui presenlito; ed infatli nei §§ 39, a2 e nelle note (M) (T) egli dice d'aver forti molivi per credere che la regola del Carlesio possa estendersi anche alle equazioni avenll radici immaginarie, ma non potendo darne la dimo- strazione ricorre sempre al predelto criterio. II Lagrange dichiaro {Traiie de la resolution etc. 1808, Note VIII) che il melodo del Budan non lasclava niente a desiderare per la ri- soluzlone delle equazioni che hanno tulte le radici reali; ma ad onta di questo autorevolissimo elogio sembra che tal metodo non sia stalo accolto dagli analisti col favore die meritava; ne saranno slate ca- gioni la lentezza delF operazione procedenle di unita in unita, e, per le equazioni avenli delle radici immaginarie, la difficolta di dislinguere gli intervalli privi di radici, appunto pcrche non era ancora cono- sciuto il teorema del Fourier. Cosi nei tratlati d'algebra si vede pre- ferito il metodo del Lagrange, perche in tcorica esso presenta ogni sicurezza, quantunque in pratica non possa servire per le equazioni di grado alcun poco elevato'r Anclie prima del Budan il Fourier avea fatlo importanli lavori in- torno alia teoria delle equazioni, ma fu lardo nei pubblicare le pro- prie scoperle; egli riguardo la risoluzione delle equazioni numeriche come un'operazione aritmetica assolutamente della stessa natura del- Festrazione delle radici, e che deve effettuarsi su tutti i coefficienti delFequazione presi in una volta, mentre, se pur eslstessero, inutili sarebbero quelle formule che esprimessero le radici median te estra- zioni di radici, e nelle quali la verita che si ricerca rimarrebbe piu celata di quanto il fosse nelFequazione proposta. — Quantunque il Fou- rier siasi specialmente occupalo deireffettiva applicazione numerica, pure per calcolare le successive trasformate in (x — o) anziche ado- perare un algoritmo analogo a quello del Budan (che da alcuni au- tori e attribuito alF Horner) pare ch'egli abbia sempre usato di can- giare a; in y + «, e poscia sviluppare separatamente le potenze di questo binomio; e per adoperare il suo importantissimo teorema egli sempre suggeri di soslituire il \alore « attribuito all' incognita x, tanto nei primo membro deirequazione proposta, quanto in tutte le sue DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 J 5 derivate; calcolo questo non poco tedioso ed affatto Inutile, polche i coefficienli della Irasformala in {x — a) danno immedialamente i va- lori di tulle quelle derivate. Anche la dimostrazione del teorema e data dal Fourier mediante la considerazione delle funzioni derivate. lo faro vedere ch'essa risulta in niodo piu facile ed elenientare da quello stesso algoritmo che serve alia forniazione delle successive tras- formate, e che dipende immediatamenle dalla divisione algebraica. Non basta trovare col mezzo del teorema del Fourier tutti gl'in- lervalli nei quali vi possono esser radici, bisogna inoltre distinguere quelli che In fatto ne mancano; il Fourier mediante considerazioni geometriche stabilisce a tal uopo un criterio che fu ampliato dal Lo- batto {Journ. de mathem. par Liouvllle 1844). Nella presente Memo- ria esporro un allro criterio piii facile, il quale non richiede ne che la equazione sia liberata dalle radici eguali, ne che le due trasfor- niate, fra le quali e compreso il dato intervallo, abbiano gli stessi segni in tutti i termini precedent! il penultimo; ed anzi non esige nem- meno che si conoscano ambedue le trasformate. Cosi questo criterio si puo appHcare a molto piu larghi intervalli di quelli per cui puo ser- vire il criterio del Fourier, e molto minor! avvertenze si richieggono neir adoperarlo. Separate che sieno le radici, il Fourier ritiene che il metodo di approssimazione piu proprio ad avvicinarsi al valore delle radici sia quello del Newton, peraltro cgli stabilisce molte condizioni necessa- rie perche tale approssimazione lineare possa applicarsi con tulta si- curezza; bisogna assicurai-si che il primo membro della proposta equa- zione non abhia alcun fattore comune col suo derivulo secondo^ che lulte le derivate conservino i medesimi segni da un limite alFaltro, bisogna scegliere il limite a cui dee applicarsi la formula d' approssi- mazione, ecc. II Fourier cerca di rendere piu speditivi i calcoli evi- tando tutte le ripetizioni di operazioni; ma mi sembra che molto me- glio avrebbe raggiunto lo scopo, se in luogo di calcolare i valori delle derivate avesse considerati i coefficienli delle trasformate. Da quanlo ho accennato risulta, a mio credere, la soluzione piu diretta e piu facile del problema propostosi dal Lagrange : trovare i U6 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIOiM valoi'i osatli o (juanto si voglia approssimali di una qualsiasi equa- zione munerica. I inezzi da adoperarsi sono : algorilmo per calcolare le trasforinatc: — leoreiua del Fourier per conoscere gli inlervalli nei quali pos.sono oadere radioi; — criterio iniperfelto, ma (juasi sempre sulficienle, per distinguere fra quesli intervalli quelli elie mancano di radici; — teorema del Rolle per togliere ogni dubhio sulla separazionc delle radiei, e per iscegliere piii opportunamente le successive posi- zioni quando si e ancor lungi dalle radici stesse; si noti die per ap- plicare il teorema del Rolle non occorre traltare separalamenle le va- rie equazioni derivate, poiche lalgoritmo die da le trasformate della proposta equazione puo servire a Irovare non solo le radici della me- desima, iiia eziandio quelle di tutte le deri\ate. Quanlunque i precedenti principii sieno conosciuti, e forse solo mi appartenga quel criterio die credo vanlaggiosamenle sostituire a quelli del Budan, del Fourier, del Lohallo e di allri aulori; pure mi sem- bra cosa opporluna presenfare in lutla la sua semplicila la soluzione di quel problema che si a lungo occupo gli analisti; ed intorno al quale si fecero lanli tenlativi die per lo piu non riuscirono di alcun vantaggio nella pralica esecuzione. Questa soluzione e cosi comoda da rendere aHallo inutili le forniule per le risoluzioni delle equazioni del lerzo e del quarto grado ed anche del secondo, e da togliere perfino il desiderio della algebraica risoluzione di allre equazioni, poiche il calcolo delle lormule sarebbe sempre piu laborioso della direlta riso- luzione deir equazione. — 11 Fourier conosceva tutto quanto occorre per dare questa semplicissima risoluzione, ma, come nolai di sopra, non mi senibra die dalla sua opera posluma (1831) essa bastantemenle ap- parisca. — lo mi proposi di esporre Targomento in modo affatto ele- mentare ed in guisa da non richiedere se non le prime nozioni del- r algebra; cosi mi dilungai in dettagliati esenipii e mostrai come Fope- razione aritmetica die serve a trovare approssimativamente ciascuna radice di un' equazione sia in qualche maniera un' estensione della divisione: mi pare die quesla istruzione dovrebbe far parte delFinse- gnamenlo elemenfare. La scienza e lanto vasla die non bisognerebbe arreslare lo studioso intorno a parziali ed imperfettc riduzioni delle DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 1 7 cquazioni; riduzioni tanto scarse di oonsegucnze teoriche, qiianto privc di pratlca utilita : ed invece giovercbbe cho lo stiidioso apprendcndo il modo gcnerale per risolvere le equazioni algebraiche, si abituassc scmprc pill al calcolo numerico. senza del quale nianca alle specula- zioni teoriche ogni pratica applicazione. Non mi limilai al calcolo arilmelico. ma esposi tutla quella parte della teoria delle equazioni clie riesce opportuna per la loro risolu- zione; nel che sembrami non indegno d'osservazione il modo con cui dimostrai il teorema del Fourier ed allri parecclii, fondandomi unica- menle sulle regole di quel processo di calcolo, e senza ricorrere al calcolo differenziale od a nozioni equivalenti ad esso. Cost la teorica elementare delle equazioni di ogni grado puo insegnarsi in minor tempo di quello che suole impiegarsi intorno alia incompleta risoluzione delle equazioni del terzo e del quarto gi-ado. Per teorica elementare delle equazioni intendo tulta quella parte che e necessaria o giova alia loro risoluzione, scopo precipuo della teorica stessa; ed escludo percio le teoriche delle funzioni sinmietriche delle radici e delle trasformazioni delle equazioni; elegant issime e profonde teoriche, ma delle quali 1" al- gebra elementare puo far senza; tanto piu che lo scopo principale della teorica delle funzioni simmetriche era la risoluzione approssi- mata delle equazioni, e la trasformazione di queste tendeva, piu che altro, a ricercare o dimoslrare impossibile la loro risoluzione alce- braica; cose tutte rese ora in certo modo inutili da un" operazione aritmetica che serve alia risoluzione delle equazioni di ogni grado. Alcuno potrebbe forse conlrapporre al metodo di approssimazione da me preferito quello notissimo del i^e^^ton, e nolare che mentrc nel prime si determinano ad una alia volta le cifre della cercata radice, invece con ogni ulleriore operazione del secondo si trova un numero di cifre esatte doppio di quello delle cifre trovate nell' operazione prece- dente. Abbiamo pero accennato quante difficolta si debbano superare (secondo lo stesso Fourier) nella prima applicazione del metodo del Newton; d'altronde ogni operazione di queslo comprende una divisione, e ben si sa che nella divisione le cifre del quoziente si tro^ ano ad una alia volta; e quando si sono calcolate tutte le cifre che si possono spe- 1 1 8 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI rare csatte, bisogna determinarc un nuovo tlivldendo ed un nuovo divisore sosfiliiendo il valore Irovato nella data equazione e nella sua dorivala, operazioni non poco lunghe : nientre nel calcolo del Budan si vanno successivamente calcolando il dividendo, il divisore e quegli allri Humeri che servono alia loro formazione, e che particolarmonte in sul principio del calcolo sono necessarii per trovare tutle le radici, e per evitare le difficolta che presenterebbe il solo metodo del Newton. Si deve inoltre notare che anche nel nostro calcolo si polrebbe, me- diante la divisione dei due ultimi termini (che sono appunto il divi- sore ed il dividendo del metodo newtoniano), determinare piu cifre in una volta, e formare la tabella successiva con tulle queste cifre prese ad un tempo : peraltro ritengo che sara piu comodo calcolare una cifra per volta. Mi conforla a credere che non sia inutile la mia pubblicazione il vedere che anche dopo il Budan ed il Fourier si conlinua ad insegnare parecchi metodi per la risoluzione delle equazioni, anziche atlenersi al piu comodo ; e che da alcuni analisti ne furono anche proposti di nuovi. 11 Legcndre nella Theorie des nombres (tom. II) risolve le equa- zioni che egli dice omali col metodo del Newton; riguardo alF equa- zione generale del grado n.«s'mo ogni successiva approssimazione richiede, secondo il metodo del Legendre, un' estrazione di radice n.^sima ollre una non breve sostituzione; e quantunque sia possibile che si facciano molli calcoli inulili perche non esisla alcuna radice, pure Tautore giu- dica che il suo metodo sia il piu semplice ed il piu generale per la risoluzione delle equazioni numeriche. Egli propone eziandio un se- condo melodo che a me sembra non poco laborioso. II Cauchy preferiva separare tulle le radici sostiluendo nelFequa- zione una progressione arilmetica di valori colla differenza minore della minima differenza delle radici, ed il limile inferiore a questa differenza lo determinava con un calcolo diverso da quelli insegnati dal Lagrange: ma negli anni 1857 e 1840 il Cauchy trovo un allro melodo per la risoluzione delle equazioni, i cui vantaggi gli sembra- rono lalmcnte evidenti da dover esser posto in pratica da tutti gli analisti; alF approssimazione lineare del Newton egli sostituisce una DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 1 9 approssimazione mediante un'equazione del secondo grade, la quale ha 11 pregio di dare successivamenle tutte le radici senza lasciarne fuori alcuna. Molt! analisti proposero di risolvere Ic equazioni mediante le se- rie ricorrenti; il Fourier osservo che tal mctodo e generale, che non richiede alcuna anteriore cognizione, che serve tanto per le radici reali quanto per le immaginarie; ma nolo inoltre che landamento del- r approssimazione e poco rapido e che csige Iroppo calcolo. — Quando si prendono i primi termini della serie ricorrente nel modo piu op- portuno quale fu insegnato dal Lagrange ^ le radici vengono a sepa- rarsi perche in sostanza alle radici stesse si sostituiscono le loro po- tenze seconde, lerze, quarte, quinte, ecc. ; ora queslo medesimo scopo e ottenulo ben piu rapidamente nel metodo del Graffe, col quale si trovano successivaniente le trasformate che hanno per radici le po- lenze seconde, quarte, ottave, ecc. delle radici della proposla equa- zione . Nella presente Memoria io espongo da prima in via afftUto ele- mentare e mediante parecchi esempii quel metodo di determinare le radici reali che mi sembra di gran lunga preferibile a tutti quelli precedentemente accennati. Vi aggiungo il calcolo delle radici in fra- zioni continue ed il teorema dello Sturm, acciocche lo sludioso Irovi qui riuniti quesli due importanti argomenti, quantunque io creda che ben di rado occorra adoperarli. Passo da poi ad una piu difficile ri- cerca, a cpiella cioe delle radici immaginarie; il Legendre (Op. cit.) propose due metodi per determinare approsslmatamente tali radici, ma riconobbe die essi sono molto ImperfeHi, e confesso che tale og- getto fu troppo trascurato dagli analisli . Spero che non sia indegno di attenzione il nuovo metodo da me esposto, che mi senJjra tanto comodo quanto si puo augurarsi in tal sorta di questione ; vi si ado- perano le solite trasformate in (x — «), e per ciascuna trasformata si risolve od almeno si Irova una radice di un' equazione il cui grade e inferiore alia mela del grado della proposla; quando si e alcun poco avvicinati ad un paio di radici immaginarie si calcola con tutta sicu- rezza una cifra decimale per ciascuna operazione, appunto come si fa 120 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI iiolla (letcrniinazlone delle radici reali : per csser poi sicuri di iion oinetlei'c alcun paio di radici si adopcra una regola clie ho dedolta dalla leoria degli indici del Caucliy. Un altra ricerca intorno a cui suole spendersi non poco tempo si e qiiella delle radici espressc da miiueri interi : si suole suggerire di deterininare lulti i divisori delF ultimo termine si della proposta equa- zione die delle sue trasformale in {x — 1) ed in (x + l); tal calcolo polrebbe riuscire lunghissimo; d altronde la compiuta risoluzione delle equazioni e tanto facile che credo doverscnc cercare tulte le radici, che cosl per certo se ne troveranno le intere se esistono. Nulladi- meno faccio anche vedere come con molta bre^ila si possa limitarsi alia ricerca delle radici reali, tentando successivamente quel numeri che soddisfanno a certe condizioni; e siccome si vanno sempre ag- giungendo nuove condizioni, cost i tentativi si riducono a pochi. — - An- che per la ricerca dei fattori razionali di grado superiore al primo, credo che il metodo piu comodo sara quello di I'isolvere Tequazione proposta, poscia scegliere tra le sue radici quelle die danno per soinnia un numero intero. Pure aggiungo due iiietodi per la determinazione dei fattori razionali del secondo grado ; nell uno de quali si esclu- dono i divisori delF ultimo termine che non soddisftuino a certe con- dizioni; iieir altro si calcolano per ciascun divisorc le due equazioni, alle quali dovrebbe soddisfare il coefficiente del secondo termine del fattore ricercato, e cosl facilmente si scorge se tali equazioni abbiano veramente qualche radice intera comune. La risoluzione delle equazioni conduce immediatamente alia decom- posizione dei polinomii interi, la quale torna vantaggiosa neirapparec- chiare le formule ad una piu comoda calcolazione numerica; si collega pure con queslo argomenlo quell' altro della decomposizione delle for- mule razionali frazionarie. E noto che se abbiasi una formula frazio- naria razionale rispetto ad una sola quantita letterale (mentre tutli i coefficienti sicno numerici) ed il numeratore sia di grado inferiore al denominatore, si puo decomporre la formula in tante frazioni piu sem- plici quanti sono i fattori del denominatore. II metodo per eseguire una tal decomposizione occupo moltissuni analisti, i quali piu spesso DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS I 2 I vi impiegarono il oalcolo diflerenziale, e laluno immagino anclie un nuovo calcolo per meglio risolvere ii proposto problema: a me sem- bra die si aljbia In tal guisa miralo alia elegante generalita del nie- todo. piultostoche alia coniodita del calcolo numerico; e credo che questa per se slessa elementarissima questione riesca piii semplice trattata con metodo affatto elemenlare. II metodo die mi sembra pre- feribile consiste nel togliere al denominatore della proposta rorniula un suo fattore del priiiio grado, sia poi esso semplice o multiplo non im- porla, poscia dividere per questo fattore del primo grado lanto il ri- manente fattore del denominatore, qiianto il numeratore della formula; i due quozienti e i due residui, che per tal guisa si ottengono, danno con brevissimo calcolo i numeratori delle due frazioni, nelle quali la proposta formula viene a separarsi. Se il fattore, anziclie del primo grado, sia del secondo, si richieggono quasi sempre quattro divisioni anziche due sole. I malematici dovrebbero rendersi abituale I'operazione aritmetica della risoluzione delle equazioni, quanto la moltiplica o la divisione, e troverebbero frequenti occasioni di adoperarla: la Nota IV ne con- tiene un esempio relativo air interpolazione, cbe applico alia risoluzione di un'equazione composta di un piccolo numero di termini; colla qual applicazione credo di conipiere quanto puo importar di conoscere per la piu conioda risoluzione numerica delle ef|uazioni. § I. Divisione e trasformazione dei polinomil 1. La risoluzione delle equazioni dipende per intero dalla divisione dei polinomii pei binomii; noi comincieremo prendendo per esempio il polinomio 2x' — ox' + x — 7 da dividersi pel binomio x — 5: la operazione potra disporsi cosi: 2a:^ — 5x'+ x — 7 X— 3 \2x'+ X + 4 -TT HI. ,6 122 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIOiNI dove 2 x' e il quozionle di 2 x' diviso per x-, 6 x' e il prodolto dl 2 x' per 3, x e il quoziente della somma del termini che gli stanno di sopra tlivisa per x-, e da quel x si dedusse il termine 5x-, che sommato con 4-x- e diviso per x diede il termine 4, il quale mol- liplicato per 3 diede 12, che finalmenle sommato a — 7 diede +3; cd in tal modo 2 x' — 3 x' + x — 7 diviso per x — 5 offri il quo- zienle 2x' + x + 4 ed il residuo ~\-6. Siccome il calcolo riguarda unicamente i coefficient! numerici, cosi potremo per brevita soppri- mere la x e disporre il calcolo come qui si vede 2—5+1—7 3 J2 + d + 4 + 5 dove e cseguilo a memoria ciascun prodotlo per 3 dei termini 2, I, 4 successivamente ottenuti e la somma di tal prodotto col termine della prima riga. Si rammenti che -}- o e il residuo, ed i precedent! 2 + 1+4 sono i coefficient i del quoziente 2 x' + x + 4 . Se occorra ulterior- mente dividere Tottenuto quoziente pel medesimo binomio x — 3, si polni proseguire Toperazione al di sotlo della riga gia scritta 2— 5+ 1—7 3 2+ i + A + 5 . 2+7 + 25 2 + 13 2 (liccndo 3 ^ ia 2 fa 6, che sommato col +1 da +7 che si scrive; poscia 3 via +7 fa 21 che sommato con +4 da +2o; e simil- menle nella riga seguente, dopo scritlo il 2, si dira 3 via 2 fa 6 e + 7 (la +13 che si scrivera. In tale maniera si sara trovato che 2 X' + ^- + 4 diviso per x — 3 da il quoziente 2 x + 7 ed il residuo + 23, e che nuovamenle 2x + 7 diviso per x — 3 da il quoziente 2 ed il residuo +13. 2. Colla precedenle operazione si viene a conoscere che il pro- posto polinomio puo presentarsi sotto le differenti forme 2 x^ — 5 x' + X — 7 =(2 X' + X + i) (ar — 3)+5 = = (2 x + 7) (a: — 3)' + 2 5 (jc — 3) + 5 =: 2 (x — 3)' + 1 3 (a- — 3)' + 25 (x — 3) + 5. DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS I S3 Questa semplicissima operazione e la base della risoluzione delle equa- zioni; talvolta ci arresteremo alia prima rlga del calcolo, ed allora diremo die diviso il polinoinio 2 x' — 6 x' + x — 7 per x — 3 ci diede il quozienle 2 x' -f- x + 4 ed il residue + 6 ; piu spesso dovremo compiere il calcolo soprascritto, che noi chiameremo una tabella di calcolo, e diremo di aver cosi trovati i coefficienti 2 +15 -+-2'6 -f-o del polinoinio trosformalo in x — 3, il quale, se per brevila si ponga X — 3 = X , puo scriversi cosi : 2 x'^ + 1 3 x'* + 25 x' + 5 ; il numero 5 con cui furono eseguiti tutti i calcoli, e che e quello che aggiunto ad x col segno — costiluisce il (lii:isore x — 3, lo di- remo la cifra della tabella, perche generalmente parlando esso sara un numero formato di una sola cifra. § II. Determinazione di una raclice di qualunque equazione data 3. Le equazioni del precedente ) 2 sono equazioni identiche, vale a dii'e trasformazioni di una medesima formula, percio esse sono esatte qualunque sia il valore della x; le equazioni di cui ora noi ci dob- biamo occupare sono invece esatte solamente in quanto la x abbia un certo valore particolare, e diccsi risoluzione delV equazione la ri- cerca del valore deir incognita x, che rende soddisfatta T equazione proposta. Cosi per esempio se sia data 1' equazione x' — x'=14x — 24 sara facile verificare che essa non e soddisfatta quando in luogo di x pongasi per esempio il numero o, poiche allora si ridurrebbe al- Tequazione evidentemcnte falsa 12d — 23 = 70 — 24, ed invece essa e soddisfatta da x = 2 che la riduce 8 — 4 = 28 — 24. 4. Se neir equazione proposta per esempio si trasportino tutti i termini nel primo membro, ed essi si ordinino secondo le potenze della X, sicche la si scriva cosi: x^ — x"— 14x + 24 = 0; poscia si divida il polinomio che ne costituisce il primo membro pel 124 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI binomio x — 2 die risulta trasportando nel primo membro i lermini deirequazione x = 2 die esprime il valore delF incognita, avrenio 1—1—14 + 24 2 |l +1 —12 0 (ioe si olterra il residno zero, e Fequazione potra scriversi sollo la forma (x' + x — 12) (y- 2) = 0; e die il residuo debba essere nullo lo sintende considerando che quando e x = 2 svanisce il valore del fallore (x — 2), e peroio anche quello del suo prodotto pel valore, qualunque esso siasi, del quo- zienle x' + x — 12; sicclie Tequazione che devVssere soddisfalla da x=i:2 esige che anche il residuo della divisione del primo membro per X — 2 sia nullo, come nullo ne e il secondo membro. — Se il fat- lore x'-Hx — 12 si volesse dividere per x — 2 si avrebbe un resi- duo, ma se invece si divide per x — 5 si otliene il quoziente x 4- 4 1+1 — 12 3 |l + 4 0 6 nessun residuo; sicche la proposta equazionc puo anche scriversi sotto la forma {x + 4) {x — 3) (x — 2) — 0 , la quale rende palese che essa e soddisfatta non solaniente da x = 2, ma anche da x =: 3, ed anche da x = — 4, ed inoltre si riconosce die niun allro valore di x varrebbe a soddisfarla, poiche lal valore lion farebbe svanire nessuno dei faltori (ji + 4) (x — 5) (x — 2), e percio nenimeno il loro prodotto. Viene da cio che per la compiuta risoluzione di un'cquazione non basta Irovare un valore dell" incognita che la renda soddisfatta, ma bisogna trovare tutti i valori che hanno tal propriela; questi valori si dicono le rodici delFequazione; cosi la precedenle equazione ha le due radici positive 2, 3 e la radice ne- gativa — 4. 3. Generalizzando le considerazioni del § 4 si riconosce die una qualunque equazione algebraica (cioe formata di termini contenenti r incognita elevata a potenze di esponente intero positivo) non puo avere piu radici di quello che sia il suo yrmlo^ cioe il piu grande DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 125 dcgli esponenti dell' incognita, e che risolvere unequazione o decom- porre iin polinomio in fatlori del 1.° grado sono in soslanza una sola ricerca; cosi trovarc le radici dell'equazionc x^ — x' — i4x-t-24 = 0 o decomporre il polinomio x' — x' — 14x-f-24 nei suoi fatlori x — 2, X — 5, x-4-4 sono due questioni sostanziahnente identiche; perche le radici 2, 3, — 4 sottratte dalla x danno i fattori, ed i fattori sepa- ratamente eguagliati a zero danno i valori dell" incognita, cioe le ra- dici delFequazione. 6. Ma le equazioni non hanno, generalmente parlando. le radici espresse da numeri tanto semplici e cosi lacili da trovare come nel- Tesempio precedente; e bisogna invece ricercare il valorc di ciascuna radice espresso approssimalivamente mediante una frazione decimale. Debbasi risolvere Tequazione del primo grado 345a; — 869 = 0 se ne dividiamo il primo membro per x — 2 col solito calcolo. cioe 345 — 869 2 |345 — 179 moltiplicando 543 per 2 ed il prodotto 690 unendolo a — 869 ab- biamo — 179; vale a dire si ottiene il quozientc 54o ed il residue — 179, ossia Tequazione puo scriversi 546 (x — 2) — 179=:0. Molti- plicbiamo questa equazione per 10 e poniamo x' in luogo di 10 (x — 2); avremo la nuova equazione 343 x — 1790 = 0, il cui primo membro diviso per x — o da il quozientc 343 ed il residuo — 63, percio essa 345-^790 5'|345— 6? puo scriversi cosi 543 (x — 3) — 63 = 0, che moltiplicata per 10 e posto 10(x— 3) = x" diventa 343 x — 630 = 0 che potremo dividere per x" — 1, e continuare nello slesso modo quanto ci piaccia. 1 cal- 3 4 5-650 d"|345 — 305 coli numerici potranno disporsi piu brevemente come qui si vede: «d osservando che x' , x" ,, x'" X — 2 =; , x — 5 = , X — 1 = , eec. 10 10 10 126 vedremo clie SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI x—2 + 100 "^ 1000 10000 = 2,5188 345 — 869 345 — 1790 345 — 650 345 — 3050 345 — 2900 345 — 140 L'operazionc da noi fatta non consiste in allro che nella divisione del nuinero 869 pel numero 5AS: noi ci siamo arrestati intorno alia niedesima solamenle perche Toperazionc con cui si risolve un'equa- zione di qualunquc grado e fondala sullo stesso principio della pre- cedenle; si tralla senipre di trasformare la proposla equazione in x in nn'altra in 10 dove bisogna the il numero inlero a sia tale che x' riesca minore di 10; poscia Teqiiazione in x' si trasformera in un'altra in ■ b = - 10 essendo x- <^ 10, ecc. sicche in fine si otlenga b x = a-\ h ecc. 10 7. Nel predello caso di un'equazione del 1.° grado raritmetica ol- fre delle regole siciire per iscegliere le cifre 2, o', 1", ecc. in guisa che non sieno ne troppo piccole nc Iroppo grandi. Supponiamo di non conoscere tali regole e vediamo quali inconvenienti e quali ri- medii si avrebbero. Suppongasi in prinio luogo che dopo ottenuti i coefficienti della trasformata in x'^10(x — 2) 543 x' — 1790 = 0, 345 — 869 2 4' 9" 9'" 345 — 1790 345 — 4100 345 — 9950 345 — 68450 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 127 si adoperi la cifra 4 (anziehe la giusta i5) c si giunga cosi alia trasfor- mata 343 (x' — 4) — 410 = 0: se si conlinuassc il calcolo e palese che si avrebbero dei residui 99o, G84i5, ecc. seinprc piu grandi; ma se noi divideremo il primo menibro della oA6{x' — 4) — 410^0 (non moltiplicata per 10) per (x — 4) — 1 avremo la trasforniata in x — 6 54iJ (x — 6) — 6o = 0; poscia procedercmo come al • 6. 345 — 869 2 345 — 1790 345 — 410 345 — 65 Dunque quando una cifra e minore del giuslo, vi si rimedia fa- cendo il calcolo colla cifra 1 (si suppone che I'errore sia di una sola unita) e cib senza moltipUcare rullimo termine per 10. Del resto po- tra riuscir piu comodo cancellare la riga calcolala colla cifra 4', e sostituirvene un'altra calcolala colla cifra 6'. 8. Supponiamo in secondo luogo che siasi presa la cifra troppo grande 3: il prodotto 3.54i5 =: lOoo unito a — 8G9 da un residuo -f-166 di seyno oppo.sto a quelle delYiiltimo termine — 869; questo sura sempre indicio che la cifra adoperala fu troppo grande; se non 345 — 86'J 3 345 + 166 — I 345 — 1790 5' 345 — 650 2" 345 + 40 — 1" 345 — 3050 8"' 345 — 290 si preferisca cancellare la riga gia scritta, si potra operare colla cifra negativa — 1. la quale dara il prodotto — l . 54o = — 54o che unito con +166 da il residuo — 179. Si procedette al solilo colla cifra giusta o, e conlinuando si adopero la cifra 2 ' piu grande del giu- sto, il che si corresse colla cifra negativa — 1", e raccogliendo tutte le cifre trovate si vede che 5 2—1 x^3 — 1 H 1- 10 100 1000 + ecc. = 2,518 . i2» SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI Del reslo anche in questo caso riesce piu comodo cancellare i calcoli fatll colle cifre troppo grandi, e ridursi sempre al calcolo del § 6. 9. Proponiamoci adesso di trovare il valore della radice positiva dell'equazione del 5.° grado 2x' + 5x' + 7a: — 188 = 0 dividendonc il priino membro per x — 3, poscia ancora il quoziente per X — 3 ed il nuovo quoziente dividendolo ancora per x — 3, noi olterremo mediante la seguente tabella di calcolo (§ 2) i coefficienli 2+ 5+ 7 — 1 3 2 + 14 +40— 68 2 + 17 + 91 2 + 23 2 li -j-23 4-91 — 68 delPequazione trasformata in x — 5 2(x— 3)' + 23(x — 3)' + 91 (x — 3) — 68 = 0. Giova avvertire di non abbandonare una tabella senza essersi ben as- sicurali di non avervi commesso qualche errore; cosi al compiere della seconda riga dopo aver calcolato 3X17 + 40=^91 si sommeranno da parte i due numeri 11 -f- 17 ^28 e si osservera se 3X28-1-7 = 91; cosi pure al compiere della lerza riga si sommeranno i tre 2 della prima colonna, poscia si osservera se 3X6-f-o = 25. La predetta trasformata moltiplicata per 1000, poscia postovi x~3 — , 10 ' si cangia nella 2 x' + 230 a-' + 91 00 x— 68000 = 0 , i cui coefficienli sono quelli stessi della precedente rispettivamente molliplicali pei termini della progressione decupla 1, 10, 100, 1000. Dividiamo adesso il primo membro di questa equazione per x — 6 2 + 230+ 9100 — 68000 6' 2 + 242 + 10552— 4688 2 + 254 + 12076 2 + 266 e colla solita tabella otterremo i coefficienti della trasformata 2(x'— 6)' + 266(a;'— 6)' + 12076(x'— 6)— 4688 = 0; DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS <29 e nuovamcnte raoltiplicandone i coeiTicicnli per 1, 10, 100, 1000 avre- mo la trasformata 2x"^ + 2660x"'4- 1207 600/'— 4688000 = 0 essendo x" X — 6 = . 10 Su quesli ultimi coefficienli si polrebbe operare nel solilo modo colla cifra 3 ; ma nel caso die non si voglia spingere T approssimazione mollo innanzi, roperazione riuscira piu spediliva tagliando, per esem- pio, tre cifre a ciascun nuraero e calcolando Tunita tabclla coH'om- 0,002 + 2,66 + 1207,6 — 4688 3" I ,002 + 2,67 + 1215,6 — 1041 ,002 + 2,68 + 1223,6 ,002 + 2,69 mettere senipre le ultime cifre nel modo che riuscira facilissimo a chi sia alcun poco abituato al calcolo delle decimali. I coefficienli 0,002 + 2,69 +1223,6 — 1041 che cosi si ottengono si moltiplicheranno rispeltivamente pei termini della progressione decupla 0,001, 0.01, 0,1, 1 e si procedera nel modo solito al calcolo della successiva ta- bella colla cifra 8", e cosi di seguito; ed in fine raccogliendo tutte 0,03 + 122,4 — 1041 ,03 + 122,6 — ,03 + 122,8 12,3 — 60 60 4" 12.3 — 11 9'" 1,2 0 le cifre trovale si avra per la radice cercata il valore x=: 3,63849. 10. Nulla si disse finora sul modo di trovare le cifre colle quali sono calcolate le precedenli tabelle; vediamo quali inconvenienti e quali ripieghi si avrebbero nel caso che si sbagliassero tali cifre. Sup- poniamo che da prima siasi adoperata la cifra troppo piccola 2; se procedessimo alia seconda tabella coi numeri 2+1 70 +3100 — 138000 si vedrebbe che anche adoperando la massima cifra 9' non si toglie- rebbe che non andasse sempre aumentando il rapporto dell' ultimo m. 17 ISO SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI tcrmine coi precedenll, inenlre invece si dee avere in vista di ren- derlo il piii piccolo possibile; noi dunque non molliplicheremo i tro- vali coefficienli 2 + 17 +i>l — i38 per la solila progressione decu- 2+5+7 — 188 2 2+ 9 + 25 — 138 2 + 13 + 51 2 + 17 2 + 19 + 70 — 68 2 + 21 + 91 2 + 23 pla, bensi ripeteremo su di essi il solilo calcolo colla nuova cifra 1, e giungeremo prccisamente agli stessi coefficient! 2 + 25 +91 — 68 che si sarebbero trovati operando a bella prima colla cifra 3: e si noli che 1' ultimo termine — 68 della prima riga ci avverte col suo segno che veramente la cifra 2 era troppo piccola. Siccome la so- verchia grandczza delFultimo termine — 138, e quindi la troppa pic- colezza della cifra 2, potra quasi sempre arguirsi dalla sola prima riga 2 + 9 + 23 — 158 della tabella, cosi in pratica potra riuscir piii comodo di cancellare la riga gia scritta e procedere alia formazione della tabella colla cifra 5. 11. Supponiamo in secondo luogo che siasi cominciato il calcolo cx)lla cifra troppo grande 4; al compiere della prima riga della ta- bella noi troveremo che il residuo 4 X Jj9 — 188=: + 48 ha segno opposlo delFultimo termine superiore — 1 88, e questo e indicio si- curo che la cifra adoperata fu troppo grande; per rimediare a cio dopo compiuta la tabella adopreremo la cifra negativa — 1 . e con 2+ 5+ 7 — 188 2 + 13 + 59 + 48 2 + 21 +143 2 + 29 2 + 27 + 116 — 68 2 + 25 + 91 2+ 23 una nuova tabella (nella quale dovra dirsi —1 via 2 fa —2 che unito con +29 da +27, —1 via +27 fa —27 e +145 da + 116, — 1 via +116 fa —116 e +48 da —68, ecc.) saremo ricondotti DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS IBi a quegli stessl coefficienti die si oltcngono operando immediatanienle colla cilVa 3. Del resto riuscira quasi seinprc piu comodo cancellare la prima riga calcolata colla eifra troppo grande 4, e ricominciare il calcolo colla 3. 12. Quello che abbiamo detlo in riguardo alia prima tabella, si dira di lutle le seguenli nel caso ch' esse si calcolassero con cifre 0 troppo gi'andi o troppo piccole; ma si noli che in fatto sara quasi sempre facile prevedere qual sia la cifra da adoperarsi avendo in vista che lo scopo si e di ridurrc il piu piccolo possibile il residuo procedente dalla prima divisione, mantenendolo pero dello stesso se- gno delFultimo termine che gli sta di sopra. Generalmente parlando nel progredire delFoperazione la scelta delle cifre e tanlo sicura, quanlo se si trattasse di una semplice divisione di due nunieri, e I'opera- zione va sempre piii riducendosi ad una divisione. 15. Bisogna peraltro confessare che nel precedente eserapio la ra- dice si e facihnente presentata. Come si operera negli altri casi, e quali avvertenze specialmente dovranno aversi per esser certi di tro- vare tutte le radici della proposta equazione? Per poter compiuta- mente soddisfare a quesla giustissima esigenza premelteremo 1' espo- sizione delle principali proprieta delle equazioni, che noi vedremo nascere spontanee dalloperazione stessa che conduce alia determina- zione di ciascuna radice in particolare; ma prima aggiungeremo un altro esempio di questa operazione. 14. Si ricerchi la radice positiva delFequazione z' — 54500 = 0. Prima di tutto vi si aggiungano i termini mancanti dando ad essi i coefficienti nulli, sicche Tequazione oc' + O .x' + O .X — 5 4500 = 0 ci mostrera che dobbiamo formar la tabclla cominciando coi numeri 1 +0 + 0 — 34o00. Non e difficile I'iconoscere che la cifra 9 sarebbe troppo piccola; prenderemo adunquc una cifra di decine, e siccome 40 sarebbe evidentemente troppo grande. cosi opereremo colla cifra 30: compiuta la prima tabella si procedera alia seconda cominciando colla cifra 8 che sembrerebbe opportuna, ma che in fatto si trova 4 32 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI esser troppo grande, sicche si riprendera il calcolo oolla cifra 7. I + 0 + 0 — 54500 30 (8) 7 d+ 30+ 900 — 27500 1+ 60 + 2700 1 + 90 (1)+ (98)+(3484)+ (372) i + 97 + 3379 — 3847 1 +104 + 4107 1 +1U 0,01+U,1 +4107 —38470 0,01 + 11,19 + 4207,7 — ,01+11,28 + 4309,2 ,01 +11,37 601 0,11+ 430,9 — 601 1" ,11+ 431,0 — ,11 + 431,1 170 43,1 — 170 4 143,1 + 2 Volendo liniitarmi a poche decimali moltiplicai i rlsullanti coefficienti 1 -f-lH +4107 — 3847 per la progressione decupla 0,01 0,1 1 10 (anziche per la 1, 10, 100, 1000) e continuando nello slesso niodo trovai la radice x = 37,914. 13. 11 valore precedentemente trovato e qiiello la cui lerza po- tenza e =34300, esso si dice la radice terza di questo numero; si vede percio che Toperazione per eslrarre la radice di una quantita non e in niente piii facile dell' operazione coUa quale si determina immedialamente la radice di una data equazione^ sicche portano poco o nessun vantaggio pratico le formule medianle le quali in rarissimi casi si puo ridurre la risoluzione delle equazioni ad eslrazioni di ra- dici di quantita. DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 4 33 III. Teoria dementare delle equazioni algebraiche 16. Nol dedurremo le principall proprieta delle equazioni dalla operazione mediante la quale (§ 2) dato un polinomio in x si oltiene il suo Irasfonnato in (x — 0)7 operazione che prendendo per esempio il polinomio generale del A." grado (1) Jx^ + Bx^ + Cx' + Dx + E e espressa dalla tabella J + B +C +D +£ dove J + B, + C, + D, + E^ A + B^ + C. + Di^ A + B^ + C^ -4 + B^ A E, = aD, + E B,=aA + B , C, = aB, + C , Z?, = a C, 4 B, = aA + B^, Cj = aB, + C^, D^ — aC,+D, Bi = aA + B^, C^ — aB^ + C, B^ = aA + B, ed il polinomio Irasformato e (2) A{x — a)''-\-B^(x — af + C^(x — aY + D,{x — a) + E^. Abbiamo gia notato che i numeri di ciascuna riga della tabella sono i coefficienti del quoziente ed il residuo del polinomio che ha per coefficienli i numeri della riga superiore diviso per x — o, sicche (3) A x'' + B x^ + C X' + D X + E=z(A x^ + B,x' + C,x + D^) {x — a) + E^ (4) A x' + B,x' + C,x + D^ = {Ax' + B,x + C,) {x — a) + Z), ecc. 17. Ricordiamo da prima (5 4) che essendo la (5) un'equazione idenlica, il valore che prende il primo membro quando vi si pone X ^ 0 e uguale a quello che prende in tal caso il secondo membro cioe ^ a''--hBa^ -\-Ca" -[-Dci-hE=E^-, dunque : ■' se o e una radke delFequazione Jx''-hJix^-i-Cx'-i-Dx-hE=:0 il suo primo mem- 134 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI bro diviso per x — a da un residue nullo » . Viceversa si vede ufi;ual- menle che se il priino membro deirequazione .4 x^-.-i- E=zQ diviso per X — a da il residue nullo, essendo identicamente A xK...^ E=^ = ( / x^ + ^. x' -f- C, X H- O3) (x -T- a) V equazione avra la radice a, ed inollre lulte le radici dell' equazione di grado inferiore di un'unita ./x' + i?, x' + 6', x + Z>3 = 0; ne viene che « un'equazione potra avere tulto al piu tante radici quant' e il suo grado " . 18. Se il valore di a renda nello stesso tempo E^=zO e Z>^i=0, siccome la A x'*.... -\- E ^Q ha oltre la radice a tutte quelle della /x' + ^, x'4- C,xH-Z)3 ^0, che in tal caso e identica colla {A x" -\- H-^, X+C3) (x — rt)^0, cosi si dice che I'equazione .^ x^... + £"=0 ha due volte la radice a, od in altri termini, ch'essa ha una radice doppia eguale alia a. Similmente se a renda nello stesso tempo £"^^=0, Z>4 = 0, i\ r= 0 si dice che I'equazione proposta ha la radice tripla a. Nel contare il numero delle radici di un' equazione ogni radice dop- pia si conta per due, ogni radice tripla per trc, ecc. 19. Dallequazione identica A x^....+E=A{x — of + B^(x — af + C^(x — ay -i-D^{x — a) + E^ si desume che il valore del polinomio A x^....-\-E quando x = ffl (va- lore che e ^= E^f ed il valore che esso prende per un altro valore di X hanno una dilTerenza che col diminuire di (x — a) puo ridursi quanto piccola si voglia; ossia con altre parole se il valore di x can- gia per gradi infinitesimi, lo stesso avviene pel valore del polinomio .;/x\. .. + £!, valore che non puo mai divenire infmito finche x e fi- nilo; percio se per due valori della x quali sono x=:a, x = a + 6 i corrispondenti valori del polinomio sieno Tuno positive P altro ne- gative, bisognera che il valore di quel polinomio si annulli almeno per un valore della x compreso tra a ed a -+- b. Dunque : " se i due valori che prende il primo membro dell' equazione A x''.... -i- E=0 per x = a e per x =: o + 6 hanno segni opposti, 1' equazione ha al- meno una radice compresa tra a ed a-i-b'. In particolare ' se i valori £, E^ del primo membro dellequazione corrispondenti ad x^O ed a x^rt hanno segni opposti, I'equazione ha almeno una radice com- presa tra 0 ed a " . DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 35 20. L'equazione identica del precedente § mutandosi x in y -+- a diventa J iy + a)'' + B (ij + af + C (ij + n)' + D (ij + n) + L'^ ./ if + i?, if + C^if + D.y + E^^. Sviluppando le varie potenze del binomio (y + a) i due menibri deg- giono risultare identici, percio si ha D^=iAa^ + 3Ba'+2Ca + I) B^=ziJa +B formule che fanno conoscere In qual modo i coefficienti della Irasfor- mata dipendano dal valore di a. Risulta dall'egual natura di queste formule che non solamente E^^ ma anche gli altri coefficienti Z>^, C. ccc. procedono per gradi Infinitesimi quando a va cangiando per gradi infinilesimi, e che se un certo valore di a rende D^ di segno opposto a quelle di Z>, vi sara almeno un valore di a compreso fra il prece- dente e zero, il quale rendera D^=^0: lo stesso dicasi per C\ ecc. Per istudiare randamento dei coefficienti dal polinomio proposto ad un Irasformato possiamo supporre che sieno calcolati tulti i polinomii intermedii, nei quali un qualche coefficiente si annulla; vale a dire supporremo che colla cifra positiva a sieno calcolati i coefficienti del polinomio in (x — «), poscia colla cifra positiva b sieno dedotti da questi quelli del polinomio in (x — a — b) e cosi in seguito, fino al poHnomio in (x — a — 6.... — h) in guisa che tutti i numeri minori di a-f-6 .... -h A che fanno svanire qualche termine sieno alcuni dei o, a-f-6. ...., a + 6 + .... -{-/(. — Si noti che queste cifre positive a. 6, ...., h possono essere indifferentemente intere o frazionarie, giac- che ora non si tratta di effettivamenle calcolare i poUnomii, ma sol- tanto di supporli calcolati. 21. In una serie qualunque di (juantita, per esempio .4 B C D A, si dice variazione di segno il cangiamento di segno da un termine al successive ; cosi per esempio si dice che la serie 4-2 — 3 + 4 — 1 ha Ire variazioni di segno, che la serie — ij + 7 — 10 ne ha due, e che la — 2 — 1 — 3 non ne ha alcuna. Se qualche termine e nullo, 4 36 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIOM esso non si considera, oppure (il che torna lo stesso) gli si altribui- sce lal segno da rendere minimo il nuinero delle variazioni; cosi la serie + 1—2 0 0+3 0+2 ossia la + i —2 —0 —0 +3 +0 +2 ha due variazioni di segno. — Consideriamo le seguenli serie di nu- nieri lolte dalla tabella del § 16. A B C D E A B, C D E A B, c. D E A B, c. D, E A B, C, D^ E, A B, c. D, E, A B, C^ D, E^ A B, c. D, E^ A B, c^ D, E^ A B, c^ D^ E\ A B, c. D, E, dove da una serie alPaltra e sempre cangiato un solo termine nel- Tordine con cui essi si calcolano; e ritenuto che a sia positiva, cer- chiamo quali cangiamenli nel numero delle variazioni di segno possano avv.enire da una serie allaltra. Osserveremo inlanto che da una serie alia successiva vi potra essere diminuzione nel numero delle varia- zioni, non mai aumenlo, poiche se per esempio dalla serie A B, C, D, Ei^ • . alia A B^ fj Z?3 ^4 vi sia cangiamento di segno da C^ a C3 :=o ^, -f-C,, questo C, sara necessariamente dello stesso segno di B^^ e percio vi sara la perdila di una variazione da 5, C\ a B^ C\; d'altronde da C, D, a C, D, vi potra essere o perdita 0 acquisto di una variazione; cosi dalla prima serie alia seconda vi sara la perdita di due variazioni nel caso che B, e Dj abbiano lo stesso segno, e non vi sara ne perdita ne ail- V DEL PROF. GIUSTO BELLAVITFS 137 mento se B, D, alibiano segni opposti. — Nel caso di E^=zO dalla serie J B, C, D, E alia successiva A B^ C, D^ 0 vi sara la perdlla di una variazione, poiche ossendo /" , =^ « ^3 + £^=0 e necessario die D^ E abbiano segni opposti: che se lo stesso valore della cifra a renda £, = 0 e />, = 0 vi sara la perdita di un'altra variazione dalla serie / B, T; Pi 0 alia successiva J B, C, 0 0; ed una terza variazione si perdera nel caso che sia anche (\ = 0, c cosi di seguito; noi abbiamo gia detto (5 18) che in tali casi a e una radice semplice, doppia, tripla ecc. dell" equazione Ax' .... -\- E^=0. Che se il valore di a faccia svanire uno dei coefficienti intermedii 2?^ C, D^ del polinomio trasformato in (x — o), dopo del qual coef- ficienle ve ne sia almeno uno che non si annulli ; come, in via dVseni- pio, se sia C^ = 0, e D^ non sia zero, dalla serie J B, C, D. E^ " . alia successiva A B, 0 D^ E^ o non vi sara alcun cangiamento nel numero delle variazioni, o vi sara la perdita di due variazioni, secondo che B^ D^ avranno segni opposti o segni uguali. La ragione di cio e quella stessa data di so- pra, poiche, essendo C^^z 0^3 + 63 = 0, i termini B^ C^ presentano una variazione, mentre C^ D^ possono avere segni uguali 0 presen- tare un'altra variazione; nel pi'inio caso la variazione B, C, si con- serva in B, 0 Z)^, nel secondo caso si perdono tutte due le varia- zioni. Quel valore di a che annulla un termine della trasformata in (x — a) compreso fra due termini di segni uguali, e che percio la sparire due variazioni, dicesi un valor criiico della proposta equa- zione J x''....-^- E^O. — Che se lo stesso valore a faccia sparire due termini contigui per esempio C,^ D^ i quali sieno seguiti da uno E^ HI. 1 8 138 - SULLA RISOLUZIOiNE DELLE EQUAZIONI die non si aniuiUi vedrenio die vi sara la perdila di due variazioiii o dalla serie A B, C, D, E^ alia successiva A B, C, 0 l]^ o dalla alia B, C, 0 B, 0 Andie in questo caso a si dice un valor critico dellequazione. — E se a annulli iiello slesso tempo tre termini contigui per esempio B^ Cj Z>^, oppure due termini non contigui per esempio B^ e /?^,vi po- Ira essere la perdita di quattro variazioni; ma sempre le perdite di variazioni non provenienli dalle radici saranno di numero pari. Se a produca la perdita di due paia di variazioni, lo si dira un valor cri- tico doppio e lo si contera per due valori critici, ecc. — Si noti die se im valore di a annulli per esempio E^ e non Z>^, ma annulli an- che C^, e B^ D^ abbiano segni uguali, in guisa die svaniscano tre variazioni, esso sara nello stesso tempo radice e valor critico. — E fa- cile intendere die se e nullo alcuno dei coefficienti B C D E del po- linoniio primitivo, cosi per esempio se C:=0 ed £"=0, non vi e al- cun cangiamento nel numero delle variazioni ne dalla serie alia successiva ne dalla serie alia poiclie A B, 0 D 0 A B, C, D 0, A B, C, Z>3 0 A B, C, D, £4, C^ :=aB, E,=za D^. 22. Quanto noi abbiamo argonientato intorno alia supposta labella calcolata colla cifra a potra ripetersi per tutte le successive tabelle calcolate colle cifre 6, c, .... A, mantenendo la supposizione fatta nel DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS *39 5 '20. oho luttc le I'adici o liitli i valori critlci inaggiori d\ icro e non raaggiori di « + 6 + c .... + A sieno alcuni del nunieri «, « + 6. « + ^ + c, ecc, siccho ncssun valor critico e ncssuna radice cada tra zero ed a , tra a ed a -\-b ecc. ; ed osservando die si giunge alio stesso polinomio in (j— /.) cssendo k=^a -\- b .... -^ h sia che si ado- peri inimediatainenlc la cifra k oppure successivainente le cilrc o, 6, .... /* ne trarrenio 1 iinporlantissima conclusione che - il numero delle variazioni di segno perdute dall'equazione in x ad una sua qualsi- voglia trasformata in (x — k) e uguale al numero delle radici del- I'equazione proposia che sono maggiori di zero, e non niaggiori di /., pill il doppio del numero dei valori critic! compresi in quello stesso inlervallo " . 23. Polendosi prendere la k tanto grande che tulti i termini della trasformata in (x — k) sieno dello stesso segno, risulta come corollario del precedente teorema del Fourier quello del Cartesio : < il numero delle radici positive di un'equazione e tutto al piu eguale a quello delle sue variazioni di segno, e la differenza fra questi clue numeri e sempre pari >> ; essendo eguale al doppio del numero dei valori cri- tici positivi. 24. Dopo che medlante una cifra positi^a qualunque o si saranno Irovati i coefficienti / B^ C. D^ E. della trasformata in (x — a) se E ed £4 abbiano segni opposti, il teorema del J 1^ c'insegnera che per certo neirintervallo fra 0 ed a esiste almeno una radice. al cui va- lore noi ci avvicineremo mediante il solito calcolo con cifra minori di a. Che se per lo contrario la serie /, B^ .... £, abbia tante varia- zioni di segno quante ne aveva la A B C D £, il teorema del Fou- rier (5 22) ci rendera sicuri che neirintervallo tra zero ed a non esiste alcuna radice, e cjuindi c'indurra a procedere alle trasformate in (x — o — 6), (x — a — h — c), ecc. finche sparisca almeno una va- riazione di segno. — Rimane una sola difficolta: se tra I'equazione in X e la trasformata in (x — a) vi sia la perdita di un numero pari di variazioni, come faremo a separare le radici che forse esistono in quelFintervallo, o come potremo renderci sicuri che nessuna radice sia compresa tra zero ed rt. e che quella perdita di variazioni dipenda I 40 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dallesislenza d'l uiio o pin valori critici? — Le seguenli considerazioni va|n;ono a toglierc pienamenle qucsta difficolta. *I'6. Se a e una radice della proposla eqiiazione /x''4-^x\...+£=0 si ha (§ 16) e se inoltrc 1 equazione proposta abbia un altra radice b si avra pure (§ 1 7) Tequazione identica / x' -+- /?, x' + (\ x-\-D,=z{l x" -\- B' x -)- T ) (x — h)\ e se finahnente nessun' altra radice della proposla sia com- presa tra a e b bisognera che I a^ -i- B' a + C\ A b" ~\- B' b -{- C ab- biano segni uguali, aUrimenti (§ 19) la ./ x' + ^' x-f- C = 0, e percio ancbe la ./ x' + • •. + ^^= {4 x' + 7?' x -+- C) (x — b) (x — a) = 0, avreb- bero una radice compresa tra a e 6, il die e contro I'ipotesi. Ora se operando colla cifra a e medianle la solita tabella si calcoli il trasformato in (x — a) del polinoniio ./ x '....+ A", che e idenlicamente eguale a ( / x' + Z? x -{- C) (x — 6) (x — o), si vedra per le (3) e (4) del § 16 che il polinoniio trasformato avra rultiino termine E^=zO ed il penultinio D^= / a' -^ Bji'-\- C^a-i- D = ( / a' + ^' a + C ) (a—b); per la medesinia ragione il polinoniio trasforinato in (x — b) avra T ul- timo termine nullo ed il penulthno ^={ / b~h B' b-i-C) {b — «), e per quel che si disse di sopra quesli due penultinii termini avranno se- gni opposti; quindi |)el '] '20 vedremo che « se una data equazione abbia le due radici a b tra le quali non sia compresa alcun'altra ra- dice, le equazioni traslorinale in (x — a) ed in (x — b) avranno i pe- nultimi termini di segni opposti, e percio vi sara un' equazione tras- formata in (x — a.) essendo ■< un numero inlermedio tra a e 6, la quale aAra il penultimo termine nullo > . — 1 valori che annullano il penultimo termine sono (veggansi le equazioni del 5 20) le radici del- r equazione 4 / x' + 5^x'H-2 Cx-f- /> = 0, che dagli analisti e delta la derivofa della proposla J x' -f- B x' + t' x' + i> x + £= 0 ; cosi si ha il teorema del Rolle: » Se <>-, /?, y .... l sieno le radici delK equa- zione derhcda distribuite in ordine di grandezza, T equazione proposta avra tutlo al piu una sola radice minore di ^', una sola compresa tra « e /3, una sola tra /3 e y, , ed una sola maggiore di ^ ; percio noi saremo certi di separare ad una ad una tulte le radici della pro- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 144 posla equazione se nc calcoloreiao Ic trasformale in (x — <), in (x — /3), ...., in (x — I). 26. Prendasi per esempio T equazione 3x1— 68x^ + 522 x'— 1620x4-2100 = 0. Siccome i coefficienti 3 + 52 + 282 + 420+100 della trasformata in (x — 10) non presentano alcuna variazione di segno mentre la pro- posta ne ha quattro, cosi tutle le radici e tulti i valori crilici sono compresi tra 0 e 10: resta da decidere se vi sieno qnaltro radici, o due radici ed un valor critieo, o due valori critici. Ora 1' equazione derivala 12 x' — 204 x' + 1044 x — 1620=^0 ha le Ire radici 3, 3, 9; calcolando dunque le trasformale in (x — 3), in (x — iJ), (x — 9), noi sianio certi di separare tutte le radici della proposla (cio fu fatlo ope- rando successivamente colle cifre 3, 2, 4, e si vede qui sotto). 3 — 68 + 522 — 1620+2100 10 3 — 38 + 142— 200 + 100 3— 8+ 62+ 420 3 + 22 + 282 3 + 52 3 — 68 + 522 — 1620 + 2100 3 3 — 59 + ,^45 — 585+ 345 3 — 50 + 195 + 0 3 — 41 + 72 3 — 32 2 3 — 26 + 20 + 40+ 425 3 — 20 — 20 — 0 3 — 14 — 48 3— 8 4 3+4 — 32 — 128— 87 3 + 16 + 32 + 0 3 + 28 + 144 3 + 40 Le trasformale in (x — 9) ed in (x — 10) hanno gli ullimi termini — 87, + 100 di segni opposti, percio (j 19) una radice della proposta equa- zione e compresa tra 9 e 10, e non ve ne puo essere che una, poi- che se ve ne fossero due, tra mezzo ad esse cadrebbe (^ 2o) una radice delFequazione derivala, (d'altronde Pesistenza di una sola radice e pro- vala (5 22) dalla perdita di una sola variazione dalla trasformata in 142 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIO.M {x — 9) a qiiella in (x — 10)). Rimane il dubbio se da zero a 9 vi sia una sola, oppure Ire radici; ora se osscrvianio la Irasformata in (x — 5) vedianio che il suo ulliaio tennine -f- 34,j lia lo stesso segno doirultinio termine +2100 della proposta, percio tra zero e 3 non puo {) 19) oadere una sola radice, e pel teorenia del Rolle () 2'6) non ve ne puo oadere piu di una; cosi pure manca ogni radice Ira 5 e o, e le due variazioni perdute dalF equazione in x a quella in (x — 6) dipendono da un valor critico, il quale (nel noslro easo pai- tioolare) e appunlo il 5 che annuUa un termine conipreso fra due + 72 + 54iJ di egual segno. 27. Si osservi die per trovare le radici dell'equazione derivata, od alnieno per avvicinarsi indefinilamentc alle medesime, non e gia necessario traltare separafamente lale equazione, poiche calcolando le tabelle che si riferiscono alF equazione proposta e facile scegliere le cifre in guisa di far annullare od almeno render sempre piu piccolo il penultinio tennine anzichc T ultimo, e varranno anche per tal caso conclusion! analoghe a quelle stabilite nei §§ 21, 22. — Nel precedenle esempio 1' equazione proposta presenta, quando si eccettua I' ultimo termine, tre variazioni; e la irasformata in (x — 10), pure eccettuando rultimo termine, non ne presenta alcuna; dunque Fequazione derivata ha tre radici, oppure una radice ed un valor critico tra zero e 10, vale a dire siamo certi che tra zero e 10 vi e uno oppur tre valori che fanno annullare il penultimo termine: calcoliamo adunque i coef- ficienti di una trasformata intermedia, per esempio di quella in {x — 6); essi sono 5 + -5 — o-i — {08 H- 572, dove, eccettuando Pultimo ter- mine, si ha una sola variazione, e percio Tequazione derivata ha una radice conipresa tra 6 e 10. Resta da sapere se tra zero e 6 ne abbia due o nessuna, il che facilmente si riconoscera mediante qual- che trasformata intermedia. 28. Vedremo che in pratioa non occorre mai di fare tulte quesle considerazioni; cio nondimeno, acciocche il metodo non lasci assoluta- mente alcuna incertezza. dobbiamo notare che se un numero pari di ra- dici dell equazione deri^ala. ossia di valori che annullano il penultimo termine. sieno talmenle vicini che non si lascino facilmente separare ; per DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 14S esser certi di separarii, o di riconoscere die non eslstono, bisognera calcolare le trasformate corrispondenti al valori che fanno annullare i penultinii termini, i quali sono le radici dellequazione derkata se- conda ([ 20) 6 / j;' + 3 /?x-|- 6' = 0, e cosi di seguito; giacche lulto quanlo si disse Ira I ullimo e il penultimo lermine puo ripetersi tra il penultimo e rantipenultimo, ecc. In tal modo saremo condotti a cercare il valore che annuUa il secondo termine, il quale separera i due valori, se esistono, che annullano il terzo termine, e con questi saremo certi di separare i valori che annullano il quarto termine, e cosi in seguito fino all'ultimo. (0) 3 — 68 + 522 — 1620 + 2100 (3) 3 — 32+ 72+ 0+ 345 (4) 3 — 20— 6+ 60+ 388 (5) 3— 8— 48— 0+ 425 (6) 3+ 4— 54— 108+ 372 (7) 3 + 16— 24— 192+ 217 (9) 3 + 40 + 144+ 0— 87 (10)3 + 52 + 282+ 420+ 100 Nel precedente esempio il valore che annulla il secondo termine e (come vedremo al § 43) 68 "~4X3 ' ma anche prendendo il valore approssimato « ^ 6 si ha la trasfor- mata in (x — 6), la quale separa i due valori che annullano il terzo termine che sono all'incirca 4 e 7, i quali separano i tre valori 5. S, 9 che annullano il quarto termine. II terzo di questi valori se- para i due valori che annullano Tultimo termine, ed i due 3, 6 sepa- rerebbero gli altri due valori se esistessero, ed invece colla costanza di segno deUultimo termine mostrano che la proposta equazione non ha altre radici oltre quelle due, una compresa fra 3 e 9, I'altra mag- giore di 9. 29. Coi calcoli precedent! si verranno a determinare anche lutti i valori critici della proposta equazione, poiche essi sono quei valori che fanno annullare qualche termine compreso tra due di egual se- gno: che se importasse determinare con molta approssimazione i va- 144 SULLA RISOLUZIONE DEIXE EQUAZIOM lori critici, sarebbc piu coniodo risolvere separatamente le varie equa- zioni derivalc (5 20). — Se im valore a annulli nello stesso tempo pa- rccchi termini della trasformata in (x — o), esso potra essere un valor orilico doppio o triplo ecc; per riconoscere quante variazioni spari- scano dalla trasformata in {x — a-\-u) alia trasformata in (x — a — w), essendo w nna quantitjj cstremamente piccola. si noti die dalla tras- formata in (x- — a) a quella in (x — a — w) il numero delle variazioni rimane (§21) lo stesso; cosi pm'e se mutiamo il segno alP incognita, sicche si abbia Tequazione in ( — x + o), questa avra tante variazioni quante I'equazione in ( — x + o — w), ma it numero di variazioni di questa (che non manca di alcun termine) e uguale al proprio grado meno il numero delle variazioni della trasformata in (x — a4-w); da lutto cio risulla la regola che esprimiamo col seguente esempio. Data I'equazione x" — So x' + 84 x' + 1 =0 essa ha due variazioni di se- gno, e percio (5 22) non puo avere plii di due radici positive, e la trasformata in ( — x) — ( — x)' -f- 33 ( — x)' + 84 ( — x)' + 1 = 0 avendo una sola variazione moslra che la proposta non puo avere piu di una radice ncgativa ; e la trasformata in (x + w) avra 7 — 1 variazioni ; percio nel passaggio dalFequazione in (x + w) e quella in (x) si per- dono 7 — 1 — 2 = 4 variazioni, c lo zero c un valor critico doppio. L'equazione trasformata in (x — i)^=z 3- + 7 3°-h33 -*+70 :;-hol = 0 non avendo variazioni di segno non puo avere radici positive, e dalla considcrazione della sua trasformata in ( — c) si vede che essa ne puo avere tutto al piu o di negative; e qui la diffcrenza 7 — 0 — 5 = 2 mostra che lo zero e un valor critico deirequazione in c, e che per- cio 1 lo e delPequazione in (x), la quale per conseguenza non am- mettc che una sola radice negaliva. 30. Le radici si separeranno quasi sempre senza bisogno di far annullare i varii termini precedenti al primo, e la mancanza di ra- dici si riconoscera, anche senza detcrminare i valori critici, colPadope- rare invece il criterio che or ora esporremo; del reslo glova notare, che se due equazioni trasformata presentino per esempio i segni DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 145 per decidere se le due variazioni perdute dalla prima alia seconda dlpendano da due radici o da un valor critico non sarebbe gia ne- cessario cercare la Irasformata intermedia nella quale svanisce il se- condo termine, poscia t'crcare quelle due (cbe forse csisleranno) nelle quali svanisce il terzo termine ecc. Infatti osserveremo che i cinque primi termini presentano nella prima equazione tre variazioni e nella seconda due, e siccome i ragionamenti del § 22 possono applicarsi anche al penultimo termine, cosi saremo cerli che nelF intervallo di cui si tratta il penultimo termine non puo svanire che una sola volta; 6 la relativa trasformata, secondo che avra rultimo termine col segno — o col segno +, mostrera Fesistenza di due radici o di un valor critico: se in tale trasformata si annullassero insieme i due ultimi ter- mini, si avrebbe una radice doppia. § IV. Criterio per riconoscere la mancanza di radici in un dalo intervallo 31. Dopo che mediante le considerazioni dei 55 23, 28 siamo ialti sicuri di poter in ogni caso particolare separare tutte le radici di una proposta equazione, vediamo come si possa dispensarsi in pratica dalle ricerche suaccennate mediante criterii che facciano conoscere la non esistenza delle radici, e quindi Tinutilita di cercarle. La questione che sarebbe da risolvere e la seguente : Data un' equazione di qualsiasi grado, che noi in via d'esempio esprimiamo colla lx^-\-Bx^-\-lx-\-D=^0 la quale non abbia alcuna radice compresa tra zero ed «, trovare un criterio, il quale ci^ assicuri di tale mancanza di radici . II criterio as- soluto e generale fu trovato dallo Sturm, e lo esporremo in appresso; ma siccome il suo impiego riesce in pratica non poco tedioso, cosi ora ci proponiamo di trovare qualche criterio piii comodo, quantun- que esso sia imperfetlo in questo senso, che la equazione possa man- care di radici nell' intervallo da zero ad a, e nulladimeno il criterio non lo indichi, restando pero sempre vero che se il criterio e sod- III. 19 I 46 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dislallo r<'. A, H. sieno quantita positive, e sia M eguale o minore di 2 :V, e // eguale 0 maggiore di IC . IlL^ la somma di quante si vogliano lonnule Q, —Px + P, (M—N)x'' — 3Ix + N. Hx^ — Kx + L moltiplicale per quali si vogliano potenze della x si manlerra seinpre positiva neirintervallo da xr= 0 ad x =: 1. <48 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI 34. Dalle precedenli conclusioni si deduce il seguenle crilerio: Quando si dubili se una data equazione di qualunque grado, per eseuipio A x' -h B x"^ -h C x^ ~\- D x' ~i~ E x ■-}- F ^ 0^ abbia radici com- prese fra zero ed uno, si eseguisca sopra i coerficienli delF equazione il seguenle caleolo, il quale si Icrra facilmenle a memoria notando la sua analogia colle relazioni cbe hanno luogo nelle solite tabelle. Si av- verta pero che i numeri della seconda riga si dovranno ora calcolare procedendo da deslra verso sinistra, anziche sccondo il solito da sini- stra a deslra. Si scrivano in una riga tutti i coefficienti della proposta equazione, ponendo degli zeri in luogo dei termini che mancassero +J+B+C+D+E+F I \Z+J, + B, + C,+ D, — F 0 nella seconda riga si scriva cominciando a deslra lo zero; — poscia — F, che sommato con F darebbe lo zero gia scritto ; — poscia lal quantita + D^ che sommata con E dia — F; — poscia lal quantita + C, che sommata con -{- D dia -{-D^, e cosi in seguito, finendo col ter- mini; Z antecedente al primo A: vale a dire sia D, = ~£—f\ C,^ — D + D^, B,=z — C+C\, J^ = — B + B,, Z = — A + A,. se tulle le quantita Z, + A^^ ...., — F della seconda riga abbiano egual segno noi saremo certi che la proposta equazione non ha alcuna ra- dice da x- == 0 ad x = 1 . Dicendo di ei>ual sesno non si esclude il caso che qualche quantita sia nulla; se lo fosse il primo termine Z I'equazione avrebbe precisamente la radice x = l. — JNel caso che imo dei numeri H-i),, +C ecc. riuscisse di segno opposlo a /'', ma per- altro esso fosse minore (fatta astrazione dal segno) di quello gia scritto e che gli sta a destra, si scriverebbe nulladinieno anche questo nu- mero e si proseguirebbe il caleolo nel modo gia detto: e se fra i nu- meri Z-{-A^-\~B,-\-.... — F ve ne fosse uno di segno opposlo agH altri, ma esso pero fosse preceduto e seguito da due termini dello stesso segno di — F^ dei quali il secondo (cioe quello a destra) fosse maggiore di quello che ha segno opposlo agli altri; noi ancora sa- remo sicuri che la proposta equazione non ha alcuna radice da x = 0 ad X := 1 . E si noti che il caso ora indicato potra ripetersi piu volte : DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS i 49 cosi per esempio A^ e C, potrebbcro avere segni opposli ai Z. B, D, — F, e purche il valore di A, fosse ininorc di quello di B, ed il valorc di C, minore di D,^ sussislerebbe ancora la concliisione del crilerio. — Nel caso poi che uno dei numeri -t- D3 + C, ecc. per esem- pio C, ;= — D-\-Dj riuscisse di segno opposto a — F. ed inoltre que- sto C, avesse valore maggiore di D, non si dovrebbe scrivere questo C = — D-\-D,^ ma invece sostituirvi un mimero C, almeno ueuale a — D' : 4 Dj ; e se il seguente numero -i- B == — C-\-C, risulti dello stesso segno di — /. e lo stesso sia degli altri +^„, Z sussistera ancora la conclusione del crilerio. — Che se per lo conlrario facendo i oalooli sopra indicati si trovassero due termini successivi di segno opposto a — /. oppure Z di segno opposto alio stesso — F. non si potrebbe ricavarne alcuna conclusione; perche, o Pequazione proposta avrebbe realmente delle radici nell* intervallo da 0 ad 1, od il dato criterio sarebbe insufficiente a mostrare la loro mancanza. 3d. Serva di primo esempio Tequazione x" — 6x^+3a;'— 2x-|-5 = 0. Fatti sui coefficient! i calcoli gia spiegati, cioe scritti nella seconda riga 1— 6 + .3 — 2 + 5 i 1—1—0—6—3—5 0 i numeri 0. — 6. -\-2 — 6^= — 3, — 5 — 3=: — 6. 6 — 6 = 0, — 1 — 0 ^ — 1 , siccome essi sono tutti dello stesso segno, cosi ne dedurremo che Tequazione non ha alcuna radice da zero ad uno. — Osservando d'altronde che nella trasformata in [x — 1) spariscono due 1 —6+3—2+5 1 II —5 — 2 — 4+ 1 variazioni (delle quattro che presenta la proposta), ne dedurremo che neir intervallo da zero ad uno esiste un valor critico. 36. Abbiasi per secondo esempio 1 equazione x' — 2x*+4x^— 2x'' — 28x* + 18x — 3=0. Nella seconda riga dopo avere scritto lo zero ed il +5 si dovrebbe ^50 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI scrivere secondo la prima regola — 18 + 3^ — lo, nia siccome que- sto — lo e di segno opposto al +3, e 16 ha un valor maggiore del seguente 3, cosi bisogna invece scrivere — 27 = — 18.18:4.3; 1—2 + 4 — 2 — 0 — 28+18 — 3 1 |0 + 1 — 1 +3+ 1 +1 — 27 + 3 0 poscia progredendo al solito si scriveranno i numeri +1, +1, H-3, e si scrivera anche — 1 ^ — 4 + 3 quanlunque esso abbia segno op- posto agli allri, perche ba un valore minore del 3 ohe lo segue a deslra: finalmente si scrivera 1=2 — 1, e 0:=1 — 1. E scorgendo cbe tuUi i numeri della seconda riga banno segni uguali, tranne i due — 1 e — 27 cbe sono preceduti e seguiti da termini di segno op- posto. se ne dedurra cbe la proposta non animette radici da zero ad uno. A motivo del primo termine della seconda riga, cbe e zero an- zicbe positivo, potrebbe rimanere il dubbio cbe T equazione avesse precisamente la radice a- = 1 ; ma e facile vedere cbe il dubbio e in- sussistente. 37. Sia per ultimo esempio proposta 1' equazione x'' + 6a:'+14x'— 20a; + 7 = 0. Nella seconda riga si scrivera il — 7, e poscia non si scrivera il 20 — 7^15 perche esso riuscirebbe di segno opposto e maggiore 1+6 + 14 — 20 + 7 +1+15— 7 0 del 7 gia scrilto; vi si sostituira adunque 15^20.20:4.7; poscia si ha — 14 + 13=1, ma siccome in tal maniera il termine +lo di segno opposto al — 7 non e preceduto da un altro di segno op- posto. cosi niuna conclusione possiamo trarre dal fatto calcolo, e ri- niane dubbioso se F equazione abbia delle radici comprese tra zero ed uno, oppure sc tali radici non esistano, ma il criterio sia insuf- ficiente ad indicarne la mancanza. 58. Per rimaner persuasi della verita delFesposto criterio bastera notare cbe i polinomii dei dati esempii si decompongono in parti, ognuna delle quali si mantiene (§ 35) positiva nelP intervallo da x := 0 ad x = l. DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 151 Cosi il polinomio .<■'' — 6 a^^ + 3 a' — 2 3- + 5 e lonnalo dalFunione di — 5 Jf + 5 (—3 X +3).r (— 6x +6)x' (— X +\)x'' + X* ... ■ . :, ., , •:_ (>d il polinoinio — (x" — 2x'*+ d.r^'— 2.1^ —28 .r'+18x — 3) e lormalo daH'iinione di 4- 27 x'— 18x + 3 (— X + l)x' (— X + i ) x^ (x' — 4 X + 3) x" \ (— x + l)x^ In quanto al polinomio x^ + 6x'+ 14 *' — 20x4- 7 del 5 37 la sua parte 13 x' — 20x + 7 rimane sem- pre posiliva da x =: 0 ad x ^ 1 . ma lo stesso non puo dirsi della parte (x' + 6 x — 1 ) x\ § V. .^ Hisoluzione delle equuzioni 39. Prima di passare ad alcuni esempii, riassumiamo i principii clie guidano alia compiula risoluzione di ogni equazione algebraica. Un facile calcolo ci da (;jl,2) il modo di ottenere quante si vogliano Irasformate in (x — a), (x — 6) ecc. di una data equazione in x; po- scia pel teorema del Fourier {) 22) basta nunierarc le variazioni di segno che presentano quesle trasformate per conoscere in quali inter- valli non vi sieno ne radici ne valori critici, ed in quali sieno com- prese le radici od i valori crilici. Questi ultimi inlervalli si suddivi- 152 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dano mediante trasformate inlerinedie, e cosi si vada indefinitamenle avvicinandosi a ciascuna singola radtce, vale a dire a ciascun valore die annullando rullimo lermine fa sparirc una variazione; ed a cia- scun valore critico, vale a dire a ciascun valore che annullando un terniine conipreso fra due di segni uguali, fa sparire due vfiriazioni; I'esaine del modo con cui si formano le tabelle, medianle le quali si Irovano le trasformate, facilitera la scelta delle successive cifre per giungere piu speditaniente alio scopo. D' altra parte pel teorema del RoUe (§§ 23, 28) il termine, per esempio, .quarto non potrebbe in un certo iiitervallo annuUarsi due volte senza che un valor intermedio non annullasse il lermine terzo; percio trovata la trasformata che ha il terzo termine nullo, si vedra se veramente il quarto termine si an- nulla nel dato intervallo due volte o nessuna. Inoltre il teorema del Fourier applicato ad un certo numero dei primi termini delle trasfor- mate (5 30) fara conoscere alcuni intervalli, nei quali per certo non si annulla un dato termine delle equazioni, e cosi si risparmiera qualche ricerca inutile. — Che se si voglia trovare (come e il caso ordinario) le radici delFequazione, e non si curino i valori critici, la ricerca sara resa piu spedita e piu semplice, poiche tutte le successive tabelle sa- ranno dirette a far annullare F ultimo termine, ed il teorema del Fou- rier (5 22) c'insegnera in quali intervalli cio sia impossibile. E vero che per qualche intervallo (quello in cui sia compreso qualche valor critico o qualche paio di radici) il teorema ci lasciera in dubbio se vi sia radice si o no, ma applicando all'intero intervallo o ad alcuna delle sue suddivisioni il criterio esposto nel § I\. vcrremo quasi sem- pre a conoscere ben presto quali sieno quegli intervalli nei quali esi- stono valori critici anziche radici; che se pure il criterio cada in di- fetto, noi non avremo fatto se non se un calcolo inutile, in quanto che esso ci condurra ad un valor critico anziche ad una radice: per lo che questi calcoli inutili non potrebbero in verun caso superare il numero dei valori critici, numero il cui doppio sommato col numero delle radici e uguale al grado delPequazione. 40. II caso estremo e quello di due radici uguali; allora e ben evidente che per quante intermedie sostituzioni si facciano le due ra- DEL PP.OF. GIUSTO BELLAVITIS <53 dici non si polranno giainmai scparare. 11 teorenia del Fourier ci terra sempre avverlili in quale intervallo cadano due radici o un valor cri- tico, ed il crilerio del 5 54 ci lasciera sempre in dulibio se esisla questo o quelle; nia inlanlo il nostro calcolo guidato dal teorema del RoUe procedera direttamenle alia determinazione del valor approssi- mato della radice doppia: sicche in pralica non giova arreslarsi alia ricerca delle radici mulliple (ricerca di cui parleremo in seguilo) a meno che non si abbia qualche motivo per credere chc realmente ne esistano. Puo rimanere il sospelto, che quando si determina appros- simataniente il valore della radice doppia si trascuri forse qualche piccola quantila, per lo che possa scambiarsi la radice doppia in va- lor critico o viceversa; si rispondera che Findecisione dipende dalla nalura slessa della questione, poiche non si tratta se non se di tro- vare un valor approssimalo e spingere Tapprossimazione quanto in- nanzi si voglia: se i coefficienti delPequazione sieno espressi appros- simatamente, potra essere affalto indeciso se vi appartenga la radice doppia od il valor critico. 4i. Non occorre stabilire alcuna regola per I'ordine nel quale si calcoleranno le successive trasformate di una data equazione, poiche lanto si potra adoperare da prima una cifra molto grande come sa- rebbe 10, 100, 1000, ecc. per fare sparire tutte le variazioni e co- noscere quindi dentro quali limiti sieno comprese tutte le radici po- sitive della proposta; quanto cominciare colic cifre piccole c andare innanzi finche siensi Irovate tutte le radici. Ogni trasformata inserita in un intervallo in cui vi e qualche perdita di variazioni e utile, per- che o serve ad avvicinare i confini dentro i quali sono comprese le radici, o serve a separarle. 42. Mediante le cih"e negative si polrebbero trovare le radici ne- gative di una proposta equazione; se non che riuscira piu comodo ricondurre questa ricerca a quella delle radici positive mutando j: in — X. 45. Piuttostoche adoperare delle cifre decimali riesce piu facih^ nioltiplicare (§ 9) i termini delle successive trasformate per quelli di una progressione decupla crescente, ed adoperare delle cifre sempre lU. 20 ( 54 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI intere; qiicste cifre debbono scegliersi (§12) in guisa da diminuire il piu che sia possibile I'ultimo niunero della prima riga di ciascuna labella, senza cbe peraltro csso pronda segno opposto a cjuello del- r ultimo lermine dclla trasformala di cui si tralta. Ponendo menlc al modo con cui si forma ciascuna labella (veggasi il ) 16) sara Cacile scorgere che se i coefficienti ./, Z?, C\ />, E sieno dal primo all" ultimo rapidamente crescenti, la cifra o, opportuna per annullare F ultimo ler- mine £],, sara alFincirca il quoziente di E diviso per — Z>; mentre invece se vorremo annullare il penultimo termine D^ prenderemo per a aH'incirca il quoziente di D diviso per — 2 C; e per annullare I'an- tipenultimo Cj, la cifra a sara allincirca il quoziente di C diviso per — 3 5; ecc. 44. Esempio I. Sia proposta Fequazione *' — 15 a:' + 68a: — 83 = 0. Per Irovare la piu piccola delle sue radici positive formiamo la prima tabella colla cifra 1, giacche si vede a colpo d'occhio che la cifra 2 farebbe cangiare il segno delF ultimo termine, e quindi rimarrebbe sorpassata una radice: in tal guisa si ottengono i coefficienti 1 — 12 + 4-41 — 29 della trasformata in {x — 1). Passiamo adesso alia ricerca dei decimi e moltiplicando i predetti coefficienti per una progressione decupla otteniamo i coefficienti della trasformata in 10(x — l)r=x'; 1 —15 + 68 — 83 1 1—14 + 54 — 29 1—13 + 41 1—12 1—120 + 4100 — 29000 8' 1—112 + 3204— 3368 1 —104 + 2372 1- 96 adopreremo la cifra 8, giacche quantunque Fullimo termine —29000 contenga appena 7 volte il penultimo 4100, pure si vede che questo e molto diminuito dal precedente — 120, ed anzi dopo compiula la tabella si scorge che la cifra fu troppo piccola, perche Fullimo ter- mine 3368 comprende piu di una volta il penultimo 2372, il quale DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 155 inoltre dee esser diminuito dallantipenultimo — 96. Piulloslo di oan- cellare la seconda tabella e calcolarne un'' altra colla cifra 9 potra esscr pill coniodo partire dai coefficienli iilliinamente trovali, e cal- colare una nuova labella colla tilra 1 , che ci dara i coefficlenti flella Irasformata in (x — 9). 4 — 96 + 2372 — 3368 I' I —95 + 2277- I —94 + 2183 1—93 1091 0,01—9,3 +2183 10910 ,01-9,25 + 2136,7- 226 — 9,20 + 2090,7 — 9,15 — 0,09+ 209,1- 226 — 0,09+ 209 - 17 20,9 - 17 2,1 0 (juesli calcoli si continueranno fin che si oltenga tulla quella niaggior approssimazione che si desideri: se voglianio liniitarci a calcolare la radice con qualtro sole decimali, nioltiplichcremo (j 9) i coefficienli della Irasformata in (x' — 9) per la progressione decupla 0,01 0,1 1 10; e colla cifra JJ , che risulla dalla dlvisione dell ultimo termine pel pe- nultimo, calcoleremo un'altra tabella, dalla quale passeremo alia suc- cessiva che si riduce ad una semplice divisione di 22G per ii09 e ci da il quoziente 108, e quindi la radice cercata x=l,9al08, che e esatta anche nella quinta decimale (veggasi la JNota I). 4o. Per procedere alia ricerca delle allre radici delF equazione x^ — lox'H-68x — 83^0 potremo prendere per cifra un'intera de- cina, e senza terminare la tabella 1—15 + 68 — 83 10 11— 5 + 18 + 97 |l+ 5.... scorgeremo dalla perdita delle tre variazioni della proposta equazione che oltre la radice gia trovata essa ha due radici, oppure un valor crifico minore di 10. La cifra 6 ci mostrera mediante la solita ta- I 56 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZlOiM bella die siaino prossimi alia seconda radice, (juindi passercino alia ci fia di decimi che sara 3, poiche non e difficile prevedere che qtian (iinque 1000 uon coiilenga tie volte 'iOO, pure a inotivo del penul timo termine avremo iin residuo termine + 1000. 97 dello slesso segno deHiiltiino 1—15 + 68-83 1 — 9 + 14+ 1 1—3—4 1+3 1 +30 — 400 + 1000 1+33 — 301+ 97 1+36 — 193 1 +39 0,1+39 —1930 +9700 0,1 +39,5 — 1732,5 + 1037 ,1 +40,0 — 1532,5 ,1 + 40,5 0,40— 153,3 + 1037 6" 8'" 9' 0,4 — 150,9+ 132 — 14,85+ 13 — 1,5 0 Nel passare alia successiva tabella riteniamo una cifra di piu di quelle che nel § precedente, perche la piccolezza dei termini farebbe che si temesse di non oltenere nella radice quattro deciinali esatte. — La se- conda radice si trova x = 6,3o689. 46. Volendo trovare direttamenle la terza radice (la quale del re- sto da colle altre due la somma lo) potremo osservare che pel leo- rema del RoUe (§ 26) T ultimo termine non puo svanire due volte senza che nelP intervallo svanisca il penultimo; percio se calcoleremo la trasformata col penultimo termine nullo, noi ci saremo avvicinati, ma non avremo oltrepassata lidtima radice. Ora la trasformata in (,r — 5) = 10x — 65 ha i coefficienti 1+39 — 193 + 97, e per an- nuUare il penultimo termine occorrerebbe calcolare una nuova tabella con una cifra eguale (5 43) all'incirca a 193:2.39; sicche volendo un poco piu avvicinarsi alia cercata radice adopreremo ancora la ci- fra 3, ed otterremo i coefficienti 1+48 + 68 — 104 della Irasfor- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 157 mata in (x — 6) = (iO j — 66). i +39 — 193+ 97 3' 1 +42— 67 — 104 1+45+ 68 1 +48 0,1 + 48 + 680 —10400 ,1 + 48,9 + 1120,1 — 319 ,1 +49,8+ 1568,3 ,1 +50,7 + 0,51 + 156,8— 319 0,51+ 157,8 — 3 15,88- 3 1.6 0 In questa noterenio die 104 non e gran fatto maggiorc di 68, il quale nel forraare la tabella viene ad accrescersi in causa dei ter- mini precedent!; scorgeremo quindi lopportunita di passare alia suc- cessiva decimale che troveremo 9' . In fine avremo la terza radice 0:=: 6,69202. 47. Essendosi trovate tre radici e certo (§ 17) che la proposta equazione non ne ammette alcun'altra; del resto se avessimo voluto cercare le radici negative avressimo cangialo x in — x, e siccome la nuova equazione x^ + 1 3 x' + 68 x + 83 = 0 non presenta alcuna va- riazione, cosi avressimo riconosciuto che ne questa ha radici positive, ne la proposta ne ha di negative. 48. Esempio II. Sia proposta la a-^ — 1 8 a:'* + 1 05 x^ — 206 «' + 70 X — 8 = 0 . Si vede che la prima tabella formata colla cifra 1 non e lerminata, 1—18+105-206 + 70— 8 1 1 — 17 + i 18 — 48 — 56 perche essendovi la perdita di due variazioni noi conosciamo (§ 22) che fra 0 ed 1 vi e o un paio di radici od un valor critico; ne il criterio del § 34 e sufficiente a mostrare V assenza delle radici . 1—18+105 — 206 + 70 — 8 — 36 — 54+ 52 — 154+ 8 0 158 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI Passiamo adunque ai decimi e prendianio la cifra 2' che tendendo ad annullare il penultimo termine ci lascicra plu facilmente separare le due radici se esistono; 1 —180 + 10500 — 206000 + 700000 — 800000 1 —178 + 10144 — 185712 + 328576 — 142348 1—176+ 9792 — 166128— 3680 Siccome ancora spariscono due variazioni, cosi cercheremo se il no- stro crilerio sia valevole ad asslcurarci dell'assenza di radici neirin- lervallo da 0 a 0,2; ponendo x^2y:l0 restera da sapere se la 4 i/^ — 360 )/4 + 1 0500 )/' — 1 03000 »/' + 1 75000 »/- 1 00000 =: 0 ammella radici da y = 0 ad »/ = 1 ; quindi faremo il seguente calcolo 4— 360 + 10500-103000 + 175000-100000 1 I+.... + 17860 + 17500 + 28000— 75000 +100000 0 c nella seconda riga essendovi un solo termine negalivo, e questo com- preso fra due positivi e seguito da uno di maggior valore, noi sa- remo certi che Tequazione proposta ha un valor critico tra 0 e 0,2. 49. Gli ultimi termini della trasformata in (x — 2) avendo segni eguali fanno presentire che le altre radici sieno lontane, e se ado- preremo la cilia 10 conosceremo colla perdita di lutte le variazioni che al di la del 10 non vi sono ne radici ne valori critici; quindi 1—18 + 105 — 206+ 70— 8 10 1— 8+ 25+ 44 + 510 + 5092 1 + 2 lornera piii opportuno adoperare la cifra 3, la quale tendendo ad annullare il secondo termine c'insegnera a separare i due valori che annullano il terzo termine, e cosi in seguito, nel caso che fossimo costretti a seguire passo a passo le indicazioni del teorema del RoUe. 1—18 + 105 — 206+ 70- 1-15 + 60— 26— 8- -32 1 — 12 + 24+ 46 + 130 1 — 9 — 3+ 37 1 — 6- 21 1— 3 DEL PROF GIUSTO BELLAVITIS 4 69 Del rcsto falto il calcolo scorgiamo subito che una ladice e molto vicina, e passando ai decimi 0,0001—0,003 —0,21 +3,7 +130 —320 2' ,0001- ,0028— ,216 + 3,27 + 136,5— 47 ,0001— .0026— ,221+2,83 + 142.2 vediamo che e airincirca x = 3,23. 60. Dopo la precedente radicc oi resteranno ancora due varia- zioni, le quali indicano due radici od un valor critico compreso da 3,23 a 10; calcoleremo percio la trasformata intermedia in (x — 6), i cui coeffieienli o dedotti da quelli della proposla o dedotli da quelli gia trovati per la trasformata in (x — 3) sono l-|-i24-33 — 44 — — 134 + 124, e mostrano la vicinanza di un'altra radice che si trova poco superiore a 6,90. 0,0001+0,012 +0,33 —4,4 —134 +1240 9' I ,0001+ ,0129+ ,446— ,39-137,5+ 2 I ,0001+ ,0138+ ,570 + 4,74— 94.8 31. I coefficienti della trasformata in {x — 6) danno facilmente ('' 11) quelli della trasformata in (x — 7) i + 17 -f- 91 -f- 137 — 70 — 8, e quantunque i due ullimi termini abbiano segni eguali, pure e facile prevedere che siamo vicini ad una radice; passando ai decimi il va- lore che annujla il penultimo termine della prima riga e circa 4 0.001+0,17 + 9,1 +137 —700 —800 ,001 + ,174+ 9,796 + 176,18+ 4,7 — 781 ,001 + ,178 + 10,508 +218,21+877,5 .001 + ,182 + H.236+ 263.15 e si vede che Tultima radice e circa x=7,47. S2. Esempio III. Sia proposla I'equazione ac*- 20x' + 101 =0 la quale presentando due sole variazioni di segno potrebbe avere tutlo al piu due radici positive. Post! degli zeri in luogo dei termini man- 160 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI canti ed adoperata la cifra 5, 1 + 0 — 20— 0+ lOl i + 3 — U - -33 + 2 1 + 6+ 7- -12 1+ 9 + 34 ^ +i2 la piccolezza dellultinio termine c'indica che se vi e una radice de- v'cssere poco lontana; percio passando ai decimi adopreremo la ci- fra 2, la quale tendendo ad annullare il penultimo termine sarebbe opporluna a separare (§ 26) le due radici; ma si vedra che spariscono le due variazioni, e che percio o il valor critico o ambedue le ra- dici esistono nelF intervallo da 3 a 5,2. Ora il nostro criterio appli- calo anche al piu largo intervallo da 5 a 4 moslra che non esistono radici, poiche il numero 18=: 12': 4. 2 e il solo che sia positivo ; 1 + 12 + 34 — 12 + 2 1 1-29-28-16 + 18— 2 0 dunque si ha un valor critico da 5 a 5,2. Mulando x in —x Pequa- zione non cangia, percio essa ha un altro valor critico da — 5 a —5,2. 155. Esempio IV. Anche per le equazioni del secondo grado il me- todo di risoluzione che abbiamo esposto riesce piu speditivo delFuso della nota formula che esprime le radici di lali equazioni mediant*; radici seconde di quantitii (§ Id). Serva di esempio la ricerca della radice positiva dellequazione 0,125 4.x' — 36,11 .ic — 6698 = 0 i cui coefficienti si suppongono soltanto approssimati, sicche a motivo della prima cifra 400 Tindecisione nelF ultima cifra di 0,12iJ4 porta deirindecisione nell' ultima cifra di 1078, per lo che sarebbe inutile protrarre i calcoli piii in la, e si trova x = 416,5. 0,1254 — 36,11 — 6698 400 ,1254 + 14,05 — ,1254 + 64,21 1078 ,1254 + 65,46 — ,1254 + 66,71 423 ,13 +67,5 — ,13 +68,3 18 + 6,8 + 2 DEL PROf. GIL'STO BELLAVITIS 161 o4. In pralica si possono seniplificare le tabelle di calcolo; cosi per la radice positiva della i' + 3x — 32 = 0 riunendo insienie tulle le tabelle si formo il secuente calcolo, do\e la prima eifra 4 della cercata radice si uni al 3, e pel risultanle 7 si e diviso il 52, il clie diede, oltre il quozienle 4 (gia scrilto), il re- siduo 4 a cui si aggiunsero due zeri; il 4 si e unilo una seconda volta al 7, ed accanlo all' 11 si scrisse il 3, che e la seconda cifra 5 oltenula dividendo 40 per 11; poscia il 113 ed il 400 diedero il quozienle 3 (gia scrilto) ed il residue 61, a cui si aggiunsero due zeri; e cosi di seguito fino a che, avendo oltenula la niela delle ci- fre desiderate, si cesso di aggiungere zeri ai dividendi, e si proce- delle tagliando ogni volta una cifra airultimo divisore 11704: I + 3 -32 4 1+ 7 — 400 3' 113 6100 5" 1165 27500 2'" 11702 40960 3" 11704,3 5847 4'' 1170,4 1165 9" 1 1 7,0 112 9'" 11,7 7 cosi si trovo x- = 4,332 3o0. VI. Espressione delle radici mediante frazioni continue 66. 11 melodo piu usilalo e piii comodo per esprimere i nunieri approssimali si e (pello delle frazioni deciniali; nulladinieno puo lal- volla tornar opportuno di adoperare invece le frazioni continue a de- norainatori inleri. E palese che una quantila x, che superi 1 intero a di una frazione minore dellunita, polra esprimersi con x = a + l/»/, essendo y una quantila maggiore di uno, la quale a sua volta potra esprimersi coll' intero b e colla frazione l/z essendo z una quantila III. 21 162 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI maogiore di uno, ecc; sicchc soslilucndo avrcmo x=a-i-^/b-^-^/c-\- -f- l/il-h ecc. (dove coi segni di divisione posli inclinali indico die il denominalore del priino 1 e lulta la quantilct 1 b + 1 , ecc). (/ + ecc. II Lagrange si servi appunto delle IVazioni continue per esprimere approssiniatamente Ic radici delle equazioni; ma siccome non cono- sceva il teorenia die fu poi scoperto dal Fourier (§ 22), cosi egli doveva da prima separare tutte le radici, per esser sicuro di non oltrepassare alcuno degF intervalli conlenente qualdie paio di radici. II citato teorema insegna die tali intervalli sono conlraddistinti dalla perdita di qualdie paio di variazioni; il solo piccolo inconveniente a cui si possa andar incontro si e di cominciare qualdie calcolo die poscia si riconosca inutile, per esservi invece di un paio di radici un valor critico. 36. Ecco il inetodo da seguirsi: si forinino nel solito modo (5 2) le trasformate in {x — a) della data equazione, essendo a un numero intero positivo, non escluso lo zero; e senza curarsi degli intervalli, nei quali non vi sono perdite di variazioni di segno, si ristringano gli altri intervalli in guisa die dalla traslormala in (x — a) a cjuella in {x — a — i) vi sia la perdita di alineno una variazione . Quanto ora si dira per questo intervallo dalla trasformata in (x — a) a quella in {x — a — 1) si ripeterii per ogni allro intervallo: e palcse die il nu- mero di tali intervalli non potra mai superare il numero delle radici, pill quello dei valori critici. Si ponga x — o=l:^y, poscia si inol- tiplichi r equazione per la convenienle potenza della y in guisa da darle la forma consueta, cosi per esempio la J{x — a)'' + B^{x — af+....+E^ = 0 darebbe e evidenle die quanti saranno i valori di x compresi tra a e « + l, altrettanti saranno i valori di y da uno allinfinito; percio (§ 22) « se la trasformata in (y — 1) aljbia un numero di variazioni niinore del DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 163 luiincro delle variazioni perdulc dalla equazionc in (x — a) a quclla in {x — a — 1), la diflerenza di lali ninneri sara pari, e la sua meta sara uguale aU'eccesso del nuniero dci valori critici coinpresi Ira x=n ed x= o + 1 sopra quello dei valori crilici coinpresi Ira y^i ed y=z:. — Sulla equazione in y si opcrera come si fece per quella in X, vale a dire, se tra due trasfonnale in (y — b) cd {y — b — 1 ), es- sondo b un nuniero intero maggiore di zero, vi sia la perdita di una o piu variazioni, si ponga y — 6=1 ::;, e si dica delF equazionc in ; quello die si disse delP equazione in y. Nel prcsente metodo di so- luzione non occorrono i criterii die diniostrano Tassenza di radici, j)oidie tale niancanza si viene a conoscere niediante le precedenti con- siderazioni: io non mi fernio su questo argoniento, da me aggiunto al solo fine die il leltore trovi qui riunito tutto quanto puo tornar vanlaggioso alia numerica risoluzione delle equazioni. 67. Sia proposta per esempio Fequazione x^ — 4 x'' + 7 x^ — 9 x^ + 10 X — 6 = 0 , le unite tabelle di calcolo 1 — 4 + 7- -9 + 10 — 6 1—3 + 4- 1—2 + 2- 1 - 1 + 1 - 1+0+1 1 +1 -5 + -3 + -2 5—1 2 1 + 2 + 3 + 1 + 3 + 2 ambedue cseguite colla cilra 1, e delle quali la seconda non e ter- niinata, cio riuscendo inutile, nioslrano die due variazioni di segno spariscono daU'equazione in x a quella in (x — 1), e tre da questa a quella in (x — 2) . In riguardo alle prime si ponga x = 1 : y e si avra T equazione — 6 t/ + 10 i/ — 9 i/ + 7 If — i y + I = 0 , la cui trasformata in {y — 1) non ha alcuna variazione; dunque la pro- posta non puo avere alcuna radice minore di uno, e la perdita di quelle variazioni dipende da un valor critico. «64 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI -6 + 10 — 9 + 7-4 + 1 —6+ 4-5+2—2-1 — 6— 2 — 7 — 5.... In quanto alle tre variazioni perdute da (x — 1) a (x — 2) si ponga u — 1 = 1:?/ e si avra V equazione — i/ + 2y'' — 2y' + if + y + l^0, —1+2—2+1+1+1 1 — 1 +1 - 1 - -0 + 1 + 2 — 1 -0- 1- -1 —0 — 1 — 1 — 2- -3 — 1 — 2- 4 — 1 — 3 la cui trasformata in (y — 1) ha una sola variazione; dunque due di quelle tre variazioni sono dovule ad un valor crilico. Resla da con- siderare il valore di y^l, il quale e palesemente 4 E^ dipendenti (tranne la prima) dal valore di o, altre quan- tita 7^4 F; F, D^ E^ tali che una delle intermedie non possa annullarsi se non quando quelle tra cui essa e compresa abbiano segni opposti; e in secondo luogo la prima F^ conservi senipre lo stesso segno: al-' lora ogni cangiamento di segno delP ultima £, dara, come vedemmo (i 21), la perdita di una variazione; poiche noi facciamo per ora aslra- zione dal caso che le due ultime E^ D^ svaniscano insieme, cioe che I'equazione proposta abbia radici multiple. 61. 1 due ultimi polinomii E^ D, sono adunque gli stessi tanto nel teorema del Fourier, quanto in quello dello Sturm; noi \'\ cangeremo fl in ac e li esprimeremo con F=J x'' + B x^ + C x' + D X + E, F'= i J x^ + 3 B x' + 2 C x + D ; ora se I'anlipenultima F^ sia data da F^ = — F-\-(p,F\ essendo ©_ una funzione della x, la cjuale non divenga mai infinita; se avvenga che !a F' si annulli essa sara compresa fra due /\ = — F, ed F di segno opposto; pertanto Ic quantita F. F^ F^ F F soddisfaranno alia prima condizione se sia analogamente F,=:— F+cp.r, F, = — F-\-(p,F,, F^=z — F, + (p,F,; e soddisfaranno anche alia seconda, se le (p, (p^ (pj sieno binomii della forma li x -f- /•, tali che, essendo F del quarto grado ed F' del terzo, F^ risulfi del secondo, /% del primo ed F^ sia una quantita indipendenle dalla X. ' Determinali in tal guisa i polinomii .... F^^ F, F', F se noi vi sostituiremo in luogo di x i due valori quali si vogliano a e b^ a., tanto sara il numero di variazioni che la serie .... F^ F^ F' F perdera nel passare da x^=a ad x = b quante sono le radici della F=0 comprese neirintervallo da a a b » . 62. Serva di esempio Tequazione x^— 4.T' + 36a:*— 108x-f-81 =0 avremo F=a;'i— 4a;3 + 36sc' — 108a; + 81. = i' — 3a;'-f-'18x — 27, 468 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dove il secondo polinomio fii diviso per 4, giacche trattandosi di con- siderare i soli segni delle quanlita, esse si possono dividere o inolli- plicare per qualunque niimero posilivo: poscia F, = ~F+(p,F'=:3{~5x'+2l x — 18) essendo (p, = (x- — 1 ) : 4 c progredendo, dovremo dividere — F : i per F, :3; e ad evilare le frazioni divideremo invece — 2oF':4 per F-.5 ed avremo essendo e finalmente essendo 25 F,^ F' + (p,F,= 27 (—i»x + 29) 5x + 6 3 F^^—lOSF, + ,f,F, = —925 90x— 233 —ix^+3(jx''—iQSx + 9,i , Z>=4x'— 12x= + 72x— 108 t'^Gx'— 12X+36, B=ix — i, J—i, sicche le quantita (*) sono anche 9 (*') —925, f^ = B+MJ 5 11 I f, = C+ B + 23J, f,^-D, F=E. 6 4 4 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 169 Queste ultime formule sono parlicolarmente comode in quanlo che, per awicinarsi al valori delle radici, occorre determinare i coefficienti delle successive trasformate, e, quando si conoscano B, C, si scorgera quasi sempre a colpo d'occhio quali sieno i segni dei /"j /",; e puo anche notarsi che se f, e f, abbiano segni opposti, non occorre ricercare qual sia il segno di f, (giacche esso non cangia il numero delle va- riazioni). Non rade volte bastera conoscere i numeri totali delle ra- dici positive e delle negative; ora tali nuineri si desumono dai segni degli ultimi e dei primi termini dei polinomii (*). La nostra equa- zione non puo avere radici negative, ed atteso le 4 variazioni che essa presenta, potrebbe avere 4 radici positive; ma quando e x = 0 i polinomii (*) avendo i segni 1 \- presentano 3 variazioni, e quando x=^ eo hanno i segni h -h con una variazione, dun- que due sole sono le radici positive. L'equazione e le sue trasfor- mate in (x — 1) ed in {x — 3) hanno i coefficienti (0) 1 — 4 + 36—108 + 81 (4 variazioni) (1) 1+0 + 30— 44+ 6 (2 variazioni) (3) 1+8 + 54 + 108 + 54 (nessuna) Si potrebbe domandare se le due radici positive cadono Ira 0 ed I. oppure tra I e 5; ora le formule (") applicate alia trasformata (1) mostrano che i segni sono h h (avendosi trascurato di deter- minare il segno di /",, giacche esso cade fra due segni opposti), per- cio le tre variazioni si conservano da 0 ad 1, sicche in quell inter- vallo non cadono radici; quindi le sole radici reali sono quelle indi- cate dalle variazioni della trasformata (1): non si determinarono i se- gni delle (**) corrispondenti alia (3), perche si sapeva ch' essi deg- giono presentare una variazione tanto come quelli corrispondenti ad a- r= eo , giacche la mancanza di variazioni della (3) rende sicuri che nessuna radice e maggiore di 5. Del reslo senza usare del teorema dello Sturm bastava osservare, che la trasformata in (x — 1) ha un coef- ficiente nullo compreso fra due di segni uguali, per riconoscere che X = 1 e un valore critico ; cosi pure il dubbio sulla realta delle ra- dici tra 1 e 3 e tollo dalla trasformata in (x — 2), la quale ha Pulti- mo termine negativo. III. 22 1 70 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI 65. Potra avvenire che il polinomio F=Jx"-\- 5x"~' + ecc., ed il suo derkato F' =^n Ax"~' -\-{n — 1) 5a:"~' + ccc. abbiano un qualche fattore ooiminc; in lal caso lo stesso faltore dividera pure senza residuo Uilti gli altri polinoinii F,= — F-[-(f>,F\ Fj^ — F'-\-(p^F^^ F^^ — F,4- -\-(f),F,^ecc.^ e pcrcio giungereino finahiienle a F.^., = — F__,+9„F, = 0 ed F„ saia 11 fattor connine a tutli i F„_,, F„_,, .... F,, F, F; qiiindi, posto F^=F,^G., la data equazione F=0 si decomporra nelle due F„^0, G^O, le quali saranno piu facili da risolvere perche di grado meno elevato. Quesla decomposizionc non mancbera inai di aver hiogo quando Tequazlone F^O ammetta delle radici multiple (§ 18), ed i fattori multipli del polinomio F saranno sempre anche fattori del po- linomio F„, ma \'i saranno contenuti una volta di meno; siccbe ancbe F„ e G (ecceltuato il caso che sieno uguali) avranno un fattore co- mune, e si potranno ancora abbassare di grado le due equazioni F„ :^ 0 G = 0. Noi dunque abbiamo veduto che "gli stessi calcoli coi quali si trovano i polinomii, che secondo il teorema dello Sturm (^ 61) ser- vono a determinare i numeri delle radici comprese in dati infervalli, fanno anche conoscere se la proposta equazione ammetta radici mul- tiple, ed in tal caso servono ad abbassarla di grado " . 64. Nel suddetto caso che la serie dei polinomii F, F, F,, F3...., anziche terminare (§ 61) con una quantila F„ indipendente da x, ter- mini col polinomio F„, non sussiste la dimostrazione data al § 60, poi- che tutti i polinomii possono svanire insieme; nuUadimeno se non si voglia rifare i calcoli relativamente alle nuove equazioni, nelle quali la proposta viene a decomporsi, si potranno adoperare i polinomii F„_ F, F' F i quali sono tra loro dipendenti mediante le solite relazioni F. F F' F„_, F„_, F„~~ F^'^^' F^' "" ~~ F^ +=:0,73, ed il proposto pohnomio ha il fattore (x- — o)'4-6 = x" — — 3 X + 7. Mediante la divisione si ottiene il fattore del quarto grado ac'i — 3 X- + 5 x' — 6 X + . DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 79 73. Esempio II. Proponiamoci di trovare i fatlori del precedente polinoniio x''— 9x^ + 5 x'—dx+i, i due pollnoinii ausiliarii sono 3r-e .r'-5j+4 2|3— 0 all— 3— 2 II priino e annullato da 6 = 2, ed un valor poco minore di qiiesto ronde negativi ambedue i polinomii, pcrcio abbianio lindice — 1, a cui si aggiunge — 1 per Topposizione di segno degli ullimi termini — 6, +4, sicche Pindice e — 2. Ponendo a = I si ottengono i coefficienti 1 + 1+2 — 1 + I , ed i due polinomii -y-i r-2y+l; la prima equazione ausiliaria non ha radici positive, sicche lindice e formato da — 1 per Topposizione di segno degli ultimi termini, e da + 1 per Topposizione di segno dei primi termini (il proposto polino- mio essendo di grado pari), e quindi Pindice 0 ci avverte che due radici sono comprese tra a = 0 ed « = 1 , ed esse non sono reali co- me lo mostra il solito criterio 1 — 3 + .5 — 6 + 4 I | — 1—0 — 3 + 2 — 4 0 Ponendo o ^ 2 si giunge ai polinomii ausiliarii — 5 ) •+ 1 0 y'— I I V + 4 2|— 5+0 2jl— 9— 14 che danno F indice 2, percio altre due radici sono comprese tra « ^ 1 ed « = 2. II modo di avvicinarsi a tali radici apparisce bastantemente da quanto si disse. Cosi se prendiamo rt=l,5 avremo i due poli- nomii — 2,2 j+ 0,578 y'— 3,44 y + 0,9 I 51 0,263 0,2 — 2,2 +0,138 0,06 ,006 0.003 ,000 -t- 0,27 9 7 -+-0,0891 1—3,177 +0,0796 180 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI e quindi lerrore +0,0796. Invece o = l,31 da — 2,24 y + 0,6474 j'— 3,5066 j + 0,921 2 0,2 0,08 0,009 — 2,24 +0,1994 ,0202 ,0001 «'289 -+- ,2777 -+- ,0203 1 — 3,2176 —0,0086 e percio Ferrore e — 0, 086, sicche il valore approssimato da inipie- garsi ulteriormente sara o = 1,509, ecc. 74. Esempio III. Serva per ultimo esempio Tequazlone del quinto grado risolta al § 48. Per o = 0 abbiamo i polinomii j'— 105 y+70 — 18r'+ 206. r— 8 0,6 1—104,4 + 7,36 0,6 —18 + 195 + 109 100 |l— 5 —430 100 |— 18 —1794 -179408 le due radici positive della prima equazione ausiliaria ed il confronto coi valor i che prende il secondo polinomio danno gFindici — 1, — 1, e — 1 e pur dato dalF opposizione di segno dei due ultimi termini, ne si curano i segni dei primi termini perche I'equazione proposta e di grado dispari, cosi Tindice e — 3. Per a ^10 si hanno i polinomii )/'- 385y+ 5450 32 y'— 21 44 y + 5092 14 11 —371 + 256 14 [32 —1696 —18652 300 |l— 85 —20050 300 |32 +7456 +.... e lopposizione di segno dei loro valori per y poco inferiore alle ra- dici positive della prima equazione ausiliaria danno I'indice -f- 1 -j- + 1=2, percio tutte le 6 radici sono comprese tra 0 e 10. Se a = 0,2 abbiamo (§ 48) y'—giy — 0,368 — 17y'+ 147,24^-1,42848 91 |l— 0 —0,368 91 |— 17 —1400 — .... la sola radicc positiva della prima equazione ausiliaria da I'indice — 1, dunque due radici sono comprese Ira rt = 0 ed o=0,2. DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS . iSl Ponendo «=0,1 si trovano i polinomii J'"- 97,90.r + 31,8785 — 1 7,5)* + 1 75,570.r — 2,95679 0,3 1—97,6 + 2,60 1—97,3 0,3 0,03 — 17,5 — 17,5 -17,5 + 170,320 +48,14 + 165,07 0,03 1—97,3 — 0,32 + 164,54 +53,08 97 1_ 0,90 —55 100 — 17,5 _.... .... die danno rindice — 3, e Perrore corrispondente alia radice piii pic- cola 6 = 0,33 della prima equazione ausiliaria c cii'ca -f- o3, mentre per a = 0,2, e per la radice poco inleriore a zero Ferrore e circa — 2, percio il vero valore di a e mollo prossimo a 2; porremo o=0,19 e trovercmo i polinomii ausiliarii .r'— 91, 681 r + 2,604 — 17,05/'+ 149, 980y— 1,4396 0,02 0,008 1—91,661 +0,771 i— 91,641 0,028 -1-149,639 -1-1,5505 -17,05 +149,503 +2,7465 ■91,633 +0,038 che danno 6 = 0,028 e Ferrore +2,7; cosi saremo condotli al valore a = 0,193 che da 6 = 0,0122 e Ferrore 0,38, poscia ad a = 0,1938 ecc. ecc. IX. Badici razionali delle equazioni numeriche 73. Per trovare tutte le radici intere di una equazione si suol prescrivere di determinare tulti i divisori degli ullimi termini della equazione proposla e delle sue trasformate in (x — 1) ed in (x-hl); e molto piu speditivo attenersi ad uno dei metodi che ora esporremo. 7G. Data un'equazione di un grado qualunque, che noi rappresen- leremo col caso particolare /x'' + /^x'+ C'x'+ />u;-h^^ 0, nella quale tulti i coelficienli ,/ .... E sieno numeri inleri, se essa abbia una radice razionale = n : d (dove h, d sono numeri tra di loro primi) il suo denominatore d dividera esattamente ./. Infatti posto x = y : d avremo Fequazione .1 xf -{- B dif ....+ Ed"* ^^0, che dovra esser sod- 482 • SULLA RLSOLUZIUNE DELLE EQUAZIONI (lislalla (la ij = »-, qiiindi fallo colla cifra /; il solifo calcolo .J + Bd + Cd^ + Dd' + Ld'' n \J + B, +C, +D, +Ei cioe B, = nJ + Bd, C, — nB, + Cd\ D^ = nC, + DdK E^ = nDi + Ed^ do\Ta essere £^ = 0 ; ora se d non dividcsse esattainenle ./ esso (per- chc primo con n) non potrebbe divldere esaltamente nemmeno i?,, e quindi nemmeno C,, ecc. ne potrebbe essere ^^r=0. 77. Se adunque sieno trovate approssimalamente le radici della equazlone i x'' ....-{- E^O bastera moltiplicarle per ./, e se nessun prodollo riesca intero noi saremo cerli che Tequazione non ammette radici razionali. Quando per allro si sospetti che Tequazione abbia delle radici razionali giovera trasformarla nella y'' -\- B y' -\- A C xf -\- -h /'Dy -\-A^ E^O essendo y = Jx^ perche in lal guisa le sue radici razionali che saranno anche intere (giacche il coefficiente del primo termine e 1) si otterranno immediatamente senza bisogno di spingere Fapprossimazione allc decimali. 78. Serva di esempio Tequazione X''— 23 x''+ 160x^—281 x'— 257 J— 440 = 0 La necessita di canijiare il se^no medianle i due termini positivi I + 160 ai tre ultimi termini negativi puo indurre a tentare la cilra piuttosto grande 6; 1 — 23 + 160 —281 — 257 — 440 (6) (i)-(i7)+ (58)+ (67) + (145) + {430) 5 I 1 — 18 + 70 + 69 + 88 0 falto il calcolo della prima riga, il cangiamento di segno delF ultimo lermine mi avverte di aver sorpassata una radice; torno adunque alia cifra o, e annullandosi Tultimo termine veggo che la proposta ha la radice 3, e veggo ncllo stesso tempo che il primo membro diviso per X — 3 da il quoziente x'' — 18 x' + 70 x' + 69 x + 88. Conlinuando adunque i calcoli sui coefficienti gia trovati, provo la cilra 7, e ve- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 183 dendo ch'cssa e Iroppo piccola preferisco cancellare la riga gia scrida. anziche compiere la labella, e provando la cifra 8 trovo la nuo\a ra- dic'c 8 ed il niiovo qiiozienle x' — 10 x' — 10 x — 11. E evidenle die le radici di queslulliina equazione sono maggiori di 10, nulladiincno non volendo calcolare le tabelle se non se con una cifra alia volta, adopero la cifra 10 e compio la labella che mi da i coefficionii 1 -\- + 20 + 90 — 111, poscia coUa cifra 1 veggo che la proposta ha la radice 10 + 1 = 11; ■ - (7) I — 18 + 70 4- 69 + 88 (l)-(U)- (7 + (20) + (228j 8 11 — 10 — 10 - 11 0 . " • ' 10 1 + 0 — 1 + 10 + 1 -f- 20 10 90 HI 1 1 + 21 + 1 11 0 1 — 2i + 111 - 10 i — J 1 + 1 — 1 1 'J 1 1 + 0 + 1 in quanto al quoziente ?/* + 21 y + lll bisogna nolare che essendo partiti dagli ultimi coefficienti della tabella calcolata coUa cifra 10 ab- bianio la trasformata in y^x — 10. L'ultima equazione ?/' + 21 y+ 111 manca di variazioni di segno, e quindi non puo avere radici positive; per vedere se ne abbia di negative cangiamola nella u' — 21m+111=0, e fatto il calcolo colla cifra 10 avremo la trasformata v' — v + 1, dalla quale colla cifra 1 si fanno sparire le due variazioni di segno, ed il solito criterio mostra (cosa d'altronde evidentissima) che non si hanno altre radici reali oltre le gia trovate o, 8, 11. 1 — 1 + 1 1—0—1 79. Operando nel modo predello se le radici non fossero intere si sarebbe suUa strada per tro^arIe approssiinatanienle. e per tal ra- gione che quel nietodo lo credo preferibile al scguente; pure se ci 184 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI I'ossimo proposti di trovare le radici intere senza curarcl delle altre avremino potulo liinilarci a calcolare le sole prime righe delle solite labelle come qui si vede 1—23 + 160 — 281—257— 440 , 1 1-22+138 — 143 — 400- 840 2 1-21+118— 45 — 347 — U34 4 1-19+ 84+ 55— 37— 588 5 1-18+ 70+ 69+ 88 0 1_10— lo- ll 1 1 + 1 + 1 0 dove, sempre parlendo dai dali coefficienli 1 — 23+160 — 281 — — 2o7 — 440, si sono calcolale le prime righe corrispondenli rispet- tivamente alle cifre 1, 2, 4, i>. Per vero dire si avrebbe dovulo ri- sparmiare di calcolare le righe corrispondenli alle cifre 1, 2, 4, es- sendo palese che esse erano troppo piccole per soddisfare all'equa- zione, ma non si voile profiltare di questa conoscenza. Non si fece poi il calcolo colla cifra 5, giacche, per la maniera slessa con cui procede il calcolo, si riconosce che I'ullimo termine non puo annul- larsi sc non se medianle un suo divisore, ed il 3 non divide esatta- menle il 440. Si fece il tentalivo colla cifra 4, perche essa e un di- visore del 440, e perche, diminuita di 1 e di 2, i rcsidui 3 e 2 di- vidono esattamenle i numeri 840 e 1134, che sono gli ultimi termini delle trasformale in (x — 1) ed in (x — 2). Similmente, prima di len- laie la cifra o, si e osserva(o non solo se essa divide esattaniente il 440, ma nnche se 6 — 1, H — 2, 6 — 4 dividono rispeltivamente gli ultimi termini gia trovati 840, 1154, o88. Trovata la radice o si pro- cede sui coefficienti gia ottenuti 1 — 18 + 70 + 69 -h 88; non si tenia alcuna radice minore di i5, poiche se essa vi fosse stata la si sarebbe gia trovala; non si tenia ne il o, ne il 6, ne il 7 perche non sono divisori delF 88, e tentato VS (giacche 8 e divisore di 88, e 8 — 1, 8 — 2, 8 — 4 lo sono di 840, 1154, o88) si trova che esso pure e una radice della proposta equazione. Conlinuando il calcolo sui coef- ficienti 1 — 10 — 10 — I cosi ottenuti non si puo tentare alcun nu- mero minore delF 8, e si e cosi necessariamente condotti a tentare DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 1 85 Til che e il solo divisore delF ultimo termine e die offre una nuova radice. La rimanente equazione x'-t-x-{-i nun piio ccrtamente avere ladici niaggiori od uguali di 11, ed e pur cerlo che non ne lia di negative, perche non ne puo avere la proposta, dalla quale essa In dedotta mediante sole divisioni; d'allronde sarebbe facilissimo assicu- rarsi che essa non amnictte la radice — 1, che e la sola intera che potesse avere. Percio la proposta equazione non ammette altre radici Lntere ollre le trovate d, 8, 1 1 . 80. Serva di secondo esempio T equazione x^— 28 a-^ + 30.x'— 103 a; + 360 = 0. Fatti i soliti lentativi colle cifre 1, 2, 3, che sono divisori del 360, non si tenia il 4 perche 4 — 1 non e divisore del 260: dopo tentato inutilmente il 6 si osserva che a motivo dci pochi divisori del 66 non rimarrebbero da tentare se non se le cihe 8, 13, 24, 3o, 68, le quali d'altronde si escludono perche 8 — 1, 13 — 1 non sono di- visori di 260, e 24 — 3, 3o — 3, 68 — 3 non lo sono di 334. 1—28 + 30 — 103 + 360 1 2 3 5 1—27+ 3 — 100 + 1—26 — 22 — 147 + 1—25-45-238 — 1 —23 — 85 — 528 — 260 66 354 2280 Dunque non vi e alcuna radice intera positiva, ed e poi evidente che non ve ne e alcuna di negaliva, perche la proposta equazione can- giando x in — x perde tulte le sue variazioni di segno. 81. Quando i coefficienti deU'equazione proposta sono molto grandi, anche il precedente metodo riesce laboriosissimo. Se non si voglia at- tenersi al metodo generale indicato nel § 78, si potra determinare le cercate radici intere, cominciando dalla cifra delle unita e proce- dendo alle decine, centinaia, ecc. nel modo che si rendera palese dal seguente esempio, e che puo utihnente adoperarsi anche per ricono- scere se un numero molto grande sia divisibile per un dato nuraero dispari. Proposta Tequazione X'— 3268 x + 104942 7 = 0, HI. 24 186 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZlOiN'I che ha sole radici positive, ponendo mente alle ultime cifre dei suoi terininf, e facile riconoscere che se x ammette un valor inlero, la ci- lia delle sue unita sara o 1 o 7. Si cominci per esempio col tenlare r I , ed a lal fine si calcolino nel modo solito i coefficienti della tras- forniata in {x — 1), poscia considerando le ullime cifre significative dei termini —3266 + 1046160 si vedra che x — 1 deve contenere o 10 0 60. 1 —3268 + 1049427 1 1 -3267 + 1046160 1 —3266 \0 1 —3256 + 1013600 1—32 46 ■100 1—3146+ 699000 1 —3046 500 4—2546— 574000 1 —2046 -1000 1 — 1046- 1620000 1 — 46 1 —3266 + 1046160 60 800 1 —3206 1 —3146 853800 1 —2346 — 1023000 1 —1546 inipossibile 300 1 -2846- 00000 Col 10 si calcola la trasformata in (x — 11), i cui ultimi termini — 3246-1-1015600 mostrano che x — 11 deve contenere o 100 o 600. La trasformata in (x — 111) non puo avere una radice di sole migliaia, perche il 6 non puo dare colla moltiplica un numero che tern)ini col 9: bensi potremo tentare il oOO, il che e lo stesso come se a bella prima si fosse adoperato il 600 anziche il 100. Gli ultimi termini della trasformata in {x — 611) mostrano che rimangono da ten- tare il 1000 ed il 6000; il 6000 farebbe sparire tutte le variazioni di segno e quindi sarebbe troppo grande; il 1000 puo tentarsi, ma condurrebbe poscia a tentare 50000 e 80000 che sono troppo grandi; quindi x non ammette un valore le cui ullime cifre sieno 11. Ripren- dendo ora il calcolo col 60 Iroveremo la trasformata in (x — 61), i cui ultimi termini — 5146 -}- 8o5800 mostrano che de!>;2;iono tentarsi 500 e 800. L'800 conduce ai due ultimi termini — lo46 —1025000, i quali mostrano Timpossibilita di procedere alle migliaia, perche nes- sun mulliplo di 6 sommato con 5 puo dare F ultima cifra 0. Invece il 500 da la desiderata radice x=:561. DEL PROF. GIUSTO BELL.WITIS 487 L'altra radice si troverebbe parlendo dalla cifra 7, che abbiamo veduto poter appartenere alia x. Considerando i termini — 52o4 -f- + 1026600 della trasfonnata in (x — 7) si scorge cbc x — 7 deve contenere o iJO o 400 o 900. 1 —3268 + 1049427 7 1 -3261 + 1026600 1 —3254 50 1 —3204+ 866400 1 -3154 100 1—3054+ 561000 1 —2954 500 1 —2454— 666000 1 — 1954 1000 1- 954—1620000 1 + 46 i -3254 + 4026600 400 1—2854— U5000 1—2454 500 1 -1954 — 4092000 4 —4454 2000 4 + 546 000000 La Irasformala in (x — 37) moslra che si deggiono tentarc 100 e 600: dopo della trasfonnata in (x — 137) non si puo evidentementc pas- sare alle migliaia; bensi lo si potrebbe dopo quella in (x — 637), ma il 1000 non soddisfa airequazione cd il 6000 e troppo grande. Pas- sando alia trasformata in {x — 407) si vede che non si puo procedere alle migliaia. Invece considerando i valori ed i segni degli ultimi ter- mini — 1434 — 1092000 della trasformata in (x — 907), si riconosce che le migliaia possono essere o 2 o 7; il 2000 soddisfa all equa- zione e da la radice 2907. Fattori razionali del polinomii 82. I fattori razionali del primo grado, cioe della forma x — a si desumono immediatamente dalle radici razionali delPequazione, che si ottiene uguagliando a zero il proposto polinomio; dopo essersi as- sicurati che non esiste alcuno di tali fattori, si potra ricercare se vi sia qualche fattore del secondo grado x' — « x + /3 essendo « R nu- meri razionali. Per verificare se il polinomio J x'^-h B x\...-i- G sia iSS SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dlvisi'bile per x' — «xH-/3, e per ottenere il quoziente di tal divisione si potra fare un calcolo analogo a quello con cui sogllamo dividere per X — a, e di cui qui si vede il tipo -/3 J+ B+ C+ D+ E+ F+ G A + Z.', + C, + />3 + E. Le due cifre f?, — fl sono quelle per le quali si moltiplica ciascuno dei coefficienti A B, C, D, E^ che si vanno trovando e che sono le somme di quelli posti di sopra in ogni singola colonna, cioe B,=^B-{-u.A, C, = C — fi J + a B, ecc, cosi il quoziente e J x'' + B,x^ + C^x'' + D^x + E^, e le condizioni perche la divisione sia esatta, consistono nelle F—f2D, + c(.E. = 0, G — f^E.^O; allrimenti sarebbe {F-QD,-i-a.E^)x-'-(G-l2E^) il residuo. 85. Se il polinomio abbia i coefficienti razionali si potra sempre niediante la sostituzione x' = y : ■§ fare in guisa che J if -.1'^ -^ .... -i- G niolliplicato per >/ : / abbia tutti i coefficienti interi, poscia cercarne i fattori della forma x' — a x -f- G, essendo « /3 numeri interi positi^ i o negativi. Si noti che Tassunto polinomio x'^-f-ecc. non polrebbe avere alcun fatlore x' — aa;-f-/3 coi coefficienti a fi razionali frazio- narii; infatti se cio fosse possibile, ponendo x = y:o anche il polino- mio y^-i- Bly\... -i- GV' sarebbe divisibile pel Irinomio y" — al y -\- + /3l% e cio qualunque fosse il numero intero I; ora si puo sempre scegliere ^ in modo che abbia luogo uno dei tre casi: 1.° a^ intero e 12,%' frazionario col denominatore contenente il numero primo v ; 2." (iV intero e ul col denominatore contenente il numero primo »; 3° cil col denominatore >?, e /3^ col denominatore y'; e si dimostra, DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS 189 come segue, che ognuno di questi casl e impossible . 1.° Se il poli- nomio a coefficienti interl x^ -\-B x\...-{-G ammettesse il fattore essendo a intero e R:n una frazione ridotta ai minimi termini, segnato con x'' 4- 5, x^ + C, a' -\-D,x -\-E,^ I'altro fattore a coefficienti razionali, le eqiiazioni & & & & G — -£4=0, F — -I)3 + u.Ei=0, E—-C, + ciD^ = E,. D — i-B, + c/.C, = D, H U -fl H mostrerebbero che E^ D, C, B^ debbono esser interi, e che percio non potrebbe verificarsi la & C—- + c/.B, = C,. n 2.° Se il fattore fosse x' X -'.- & *! le equazioni darebbero E^....B^ interi, e sarebbe impossibile la 3.* Se il fattore fosse B^ — =.e,. X X -\ VI ViVi le equazioni G— -i-£', = 0. F~^—D^-^-E.=:Q D — ^--B,-\--C\ — D, mostrerebbero che E.^....B^ deggiono essere interi e multipli di >; >;, e percio sarebbero impossibili le C— .i-- + -5, = C,, B + — = B,. 1 90 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI Viene (l:> oio clio la ricorca (U-'i fallori a cocffiolenti razionali del po- linomio ./ x' + tfx'"' + .... riducesi alia ricerca dei fallori a coel'fi- cionti inleri di un allro polinomio, die lia il priino ooeCficicnle egiiale ail unila e lili allri inleri. II iiiodo elie in praliea riuscira piu comodo |)er (juesrulliina rieei'ca eoiisislera nel tro^are tutte le radici delFeqiia- zioiie die si olliene ei-uagliando a zero il dato polinomio, poseia cer- care se lali radici si possano conibinare inslemc in guisa chc e la loro soiiinia e il loro prodollo sieno nuineri inleri . Percio quanlunque a eoinpiinenlo della risolnzione delle eqnazioni nuineridie io qui csponga due nielodi pei- tro\are i I'allori razionali del secondo grade, pure liconosoo die lale ricerca era opporluna sollanU) (piando si conside- ra\a come un' operazione dillicile la delerminazionc di lultc Ic radici (li imcqiiazione. 8-5. Si polrebhe rilenere pel fallorc del secondo grado la I'ornia .»:' — «x-j-/3, cssendo « /3 nuineri inleri; ma per meglio accordarmi col mclodo csposlo nel § Mil prcferisco la forma (x — o)' + 6, es- sendo a h numeri posili\i o negalivi. Per csser cerli chc essi sieno inleri hisognera die nel polinomio x"+ Z?x '"' + ccc. B sia divisibile |)er 2, C per >?, 1) per 8, ecc; se non lo fossero si ridurranno lali passando dal pi'0|)osl() polinomio in .» a quello in 2,f. II ])olinoniio in (x — a) da (J IJG) i due polinomii ausiliarii, die deggiono ambcdue svanire quando vi si pone y = b. Sara facile vedere se cio sia possi- liile. e nel caso conlrario avremo escluso il valore assunlo per a. Pei fallori corrispondenli a b positive, il inelodo degli indici (§ 68) inse- giia a rislringere semprc piu gli intervalli, nci quali deggiono cer- carsi i valori d<'Ila r/; ma quel mclodo non indidierehbe dove si Iro- \ino i fallori corrispondenli a b negalivo, e polrebbe lornar necessario di tenlare un nuniero Iroppo grande di >alori di a: le seguenti con- siderazioni serviranno ad esdudere la massima parle dei lenlalivi in- utili. U,;. Kisiilla evidenlemenle dal calcolo del 5 82 che fi = a^-\-b e iin divisorc delFullimo lermine del proposlo j)olinomio; per la slessa lagione siccome il jiolinomio in (x — /) avra il fallore I »■ — /)' — Hit — i) {x — i)-\-{n — iV -I- /j , DEL PROF. (ilL'STO BELI.AVIJIS 1 9i cosi il siio ultimo tcrminc sara divisibile per /' — '1 a i -\- , .... A tal fine combineremo fra di loro i divisori dei numeri 389, 133 coH'av- vertenza die se uno di essi diviso per 8 da il residue + 1 oppur H-i>, lo stesso dev'essere anche deiraltro; che se invece uno da il residue + 3, I'aliro deve dare il residue + 7. Da queste serie si esclu- dono quelle che comprendono qualche nurnero che non e divisore dei Irovati 1792, 192, ecc, come si vede nel seguente prospetto: 1792 589 192 133 256 597 (0) 28 19 12 7 4 3 - 8 (-1 3) 1 — 4 — 7 — 31 — 16 1 — 31 (- 20) — 7 19 12 7 19 8 — 1 — 589 (—292) 7 — 589 (-296) — 1 589 (360) 133 589 (284) — 19 — 19 (56) 133 — 19 (- 20) — 19 31 24 19 31 (- 52) — 133 — 1 8 19 — 1 (- 68) — 133 -8 (- 7) (20) 16 (15) 32 (47) sicche rimarra la sola progressione 28 19 12 7 4 3, la quale da «' + 6 = 28, 1— 2« + a" + 6=19 cioe a = 5, 6 = 3 ; quindi resfa da tenlare se il proposto polinomio abbia veramenle il faltore tt' + l) ■^x' — 5 x + 7 1 -8 + 27 — 52 + 69 — 62 + 28 — 7+21 — 35 + 42 — 28 + 5 — 15 + 25 — 30 + 20 1 — 3 + 5 — 6 + 4 0 0 DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS 197 Si trova che cio ha luogo e si oltienc I'altro fattore 89. Quest'iiltiino polinomio non puo ammettere altri falloi'i razio- nali, ed infatti so lo scrivianio sollo la forma f 3 u \' V 2 2, dovrenio fare {u'—i6) (4 »— H) = (3((— 12)\ cioe H^ — 5 »(* + 2 » + 8 = 0 ; quest' equazione ha le radici intere 2, 4, — 1; 1—5+2+8 i 2 I _4_2+6 1_3— 4 0 2 4 1 — 1—2 1 + 1 0 — 1 U 0 la sola che renda posilivo il coefficiente (« — 11 : 4) di x' e la 4. ed essa da al polinomio la forma / 3 \' 5 .x' — — X + 2 a- , V 2 / 4 la quale mostra che esso si decompone nei due fattori a coefficienti irrazionali 3±(/5 a' x + 2 . 2 90. Per riconoscere direllamente se un dato polinomio, per esem- pio quello dei § 5 70, 88 se''- 8x^ + 27 x'i- 52x^ + 69 x' — 62j" + 28 ammetta un fattore razionale x' — ax +3, essendo /3 un dato divi- sore dell" ultimo termine 28, si operera come segue. (Pel caso che i 98 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI invece fosse dato a. veggasi il § 84). Col date valore di — /3, per esempio con — /3 = 2 e coi coefficienti del dato polinomio si calcoli la seguente tabella ■1—8 + 27— 32+ 69- 62+ 2i 2 — 8+29- 68 + 127- 198 + 282 -8+3i- 84 + 189- 366 — 8 + 33 — 100 + 255 — 8 + 35 — 116 — 8 + 37 — 8 la quale e essenzialmente differente da quelle di cui finora si e par- lato, poiche ogni numero e uguale a quelle die gli sta iminediala- mente di sopra soniinato col prodotto della cifra 2 per il penultimo sulla propria riga, cosi — 100=:— 84 — 2 . 8, 255 = 189 + 2 . 33, ecc. dopo cio il valore di « dovra soddisfare alle due equazioni ct«_ 8 ct^ + 37 ct^ — 1 1 6 ci^ + 255 cc' — 366 :t + 282 = 0 ct' — 8ci''+35cc' — 100ci*+189c4 — 198 =0 i cui coefficienti sono gli ultimi ed i penullimi numeri della prece- dente tabella. Moltiplicando la seconda per «, sottraendo dalla pri- ma, e dividendo per la cifra 2 se ne deduce ct^- 8ct'+33ct' — 84:t + 141 =0 ,. . poscia ancora si Irova ci^ — 8ct'+24ct— 99 =0 ed ancora 9 ct' + 1 5 ci + 1 4 1 = 0 Limitandosi alia ricerca delle radici intere e palese die queste equa- zioni non lianno alcuna radice comune, e percio il proposto polino- mio non ha alcun faltore della forma x' — *x — 2 . DEL PROF, GIUSTO BELLAVITIS Se per secondo esempio si cerchino i faltori dell a forma x' — u.x si opereia colla cilia — ^ = — 7, e compiula la tabella 199 + 7 — 8 + 27— 52+ 69— 62+ 28 — 8 + 20+ 4— 11— 90 + 525 -8 + 13+ 60 — 162-510 — 8+ 6 + U6 — 204 — 8— 1+172 .•--.:(;-,.=-,. si avranno le due equazioni ' ' • .' c."— 8 «= — 8 cc'i + 1 72 c4' — 20 4 c4' — 51 0 cc + 525 = 0 (/.'■■ — ia}— ct^+ 116:t'— 162ct — 90 =0 dalle (juali si ricavano successivamente le . ci"— 8cc'+ 6cc'+ 60c(— 75 = 0 7cc'— 56c4'+ 87ci +90 =0 45ct'— 330ct + 525 = 0 Le radici intere comuni alle due ultime deggiono dividere esat- famente tanto 90 quanto 325:13 = 33; percio rimangono da tenlare i soli numeri 1 e 3 7 — 56+87 + 90 5 l7 — 21 — Ij 3 — 22 + 35 1 13-19 + 16 5 13— 7 0 II secondo soddisla ad ambedue le equazioni, quindi si ha il fattore x' — 3 X + 7. ■ 200 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIOiM § XI. Decomposizione delle formule frazionarie 91. E una questione die dipende dalla risoluzione delle oqua- zioni, e die con questa naturalinentc si coUega la decomposizione delle funzioni algebraiche frazionarie; sembranii die il melodo piii coniodo sia quello fondato sopra i principii affatlo elementari die ora esporro come un'altra applicazione della disposizione di calcolo adope- rata in questa Memoria. Proposla la formula N: />, dove N e D sono polinomii della forma I x' -h B x'~' ~\- ec. (suppongo die il grado del numeralore V sia inferiore a quello del denominalore Z>, pero i calcoli seguenti varrebbero anche nel caso opposlo) ed avendo decomposlo il denominalore D nei due fattori reali F />, mi propongo da prima di eseguire la decomposizione N _ A iV, a lal fine io pongo (1) D = FD,, (2) Z?,=Fd, + S,, (3) N=^Fn + v dove />, (/, g, n v saranno nuovi polinomii interi dei quali S, v , che sono i residui della divisione di D e di N per F, saranno di grado inferiore ad F; falle le sostituzioni nella avremo F,i + v = ./F(l,+./l,+FiV. percio se ?>, non sia iiullo, poslo / = i/:>, avremo I'rf, iV I' iV, (4)u — -— =:iV, (a) -= H . S, D l.F D, DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 204 Che se ^, sia nullo, cioe se />, sia divisibile per F., in luogo delle precedenti equazioni stabilirenio le (I) D = FD,=F'D^.... = F'D, essendo Z>, un polinomio non piij divisibile per F, (II) D, = Fd, + l, (III) N=Fn-\-v e Tequazione Fn+v=AFd, + Al, + FN^ reslera soddisfatta ponendo J = -:r dopo di che sara (IV) a ^ = .V. N V N, (A) — = -;^ 1 D l,F- D. Operando sulla iV_ : D, come si fece sulla N : D vedremo che se si pongano le (III) iV, = F«, + i',, N,=^Fn^ + v,, ■■■■N,_,=Fn,_,-hv,_, si avra lo sviluppo N V V, /-' iv; (B) -= h .... + 1 . D S,/" S.F'-' •g.F D. 92. Se ?, sia una quantita puramente numerica, il che avverra sem- pre quando F sia del primo grado, la forma della (A.) o della (B) sara precisamente quella in cui si brama avere lo sviluppo; ma se il lattore F sia del secondo grado, e se l, contenga la x noi porremo (V) F=l,f + (p. (VI) v = l,m+iJ. III. - 26 202 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI dove f sara un binoinio del primo grado, ed ju, fJ-. (p saranno quan- lila numeriche: dopo cio Tequazione potra scriversi sollo la forma f(ii+^\-\- m l,— -fl, = Jl, + F{J d. + 1\, ) e si deconiporra nelle due (VII) n + ^ — ( m — ^f)d, = iY,

, e ancora divisibile per 8. che e un fattore di F. 95. Ecco tiunque come si procedera per decomporre la Irazione IS : D\ trovati tutti i iatlori reali del primo o del secondo grado nei quali si decompone il denominatore Z>, per un gruppo F' di fattori uguali si calcolino le formula (I) D=^FD, = F'D,....=F'D,, (II) D, = Fd, + l, (III) N=^Fn + v (IV) n d^^N, DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS 203 e se i sia maggiore deirunita, anche le analoghe (III) (IV), poscia nel caso che B, sia un numero, si avra lo sviluppo Che se S, sia un binomio del priino grado (il che potra av venire quando F sia del secondo) bisognera calcolare invece della (I\ ) le (V) F=lj+, sara gencralmente piu co- modo di pi'ocedere nello stesso modo alia decomposizione della -V: A, ma si potrebbe anche riprendere il calcolo operando sulla propo- sta N:D. 94. Sia proposta per primo esempio da deconiporre la I'ormula iV 2*"* — 20a;'+55x'— 40x — 13 D x^— 12x-' + 52x^ — I06a:' + I23x— 90 avendo trovato che il denominatore ha il fatlore F=x — 5, noi lo divideremo due volte per x — 3, e cio medianle il solito algoritino relalivo alia cifra 3; e siccome anche la seconda volta si ha un re- sidue nullo, cosi lo divideremo una terza volta, e chiameremo f/. il quoziente, e §, il residuo. Similmente divideremo V, ed avremo il quo- zienle n ed il residuo ;'; poscia calcoleremo iV. = (I — — d, , I, che diviso per F dara il quoziente /;. ed il residuo •'.; finalmente calcoleremo 204 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI 1 x^ — 12x'*+ 52x^ — J06a;'' + 123x — 90 =Z7 3 Ix''— 9x' + 25x'— 3i X 4- 30 0 =D 3 Ix^— 6x'+7x— 10 0 = ^, 3 Ix'— 3x— 2 =rf,, — 16 = = ^. 2x'*— 20x'+55x'— 40x— 13 = i\ 3 |2x^— 14x'+13x — 1=3«, — 16 = :' rf, = 2 x^ — 1 5 X' + 1 6 X + 1 ' 3 2x'— 9x — 11 —n, -^d, = ' — 3x — 7 ■32 = 1'. e cosi avrcmo per la (B) del § 93 N 1 2 + 3x + 7 D (x— 3)* X — 3 x^ — 6x'4-7x — 10 Per decomporre la nuova frazione — 3x — 7 N D x' — 6 x' + 7 X — 1 0 considereremo il fattore F=x — 6 del denominatore , ed operando nel modo solito avremo 1 x'— 6x'+7x — 10 =D 5 1 x'— 1 X + 2 0 =Z>, 5 Ix 4-4:=d., 22 = g, — 3x-7 =iV 5 —3 =», — 22 = 1* quindi »i — — d, = 1 X + 1 =N, 0, — 3x— 7 —1 X + 1 x^— 6x''+7x — 10 X — 5 x' — x + 2 Se dalla formula proposta si avesse voluto dedurre immediala- mente la frazione die corrisponde al fattore F^=x' — ac4-2, fatti i seguenti calcoli dipendenti dalle (I) (II) (III), e nei cjuali le division! DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 205 per F=x' — x-i-2 si eseguirono nel modo gia indicato al ^ 82 me- diante le due cifre 1, — 2 icc^—l2jc^ + b2cc^—iO(}x'+i23oc — 90=D — 2 +22 — 78 +90 + 1—11+39—45 1 J-'— 11 0''+ 39 a: — 45 — 2 +20 + 1 —10 0 0 =D. 1 jc —iO=d„27 jr — 25=S, 2oc^—20jc' + 55a:'—^0x — i3 =N — 2 — 4 +36 —66 + 2 —18 +33 2a:'— 18a; +33:=n,29j — 79 =v poscia, osservando che il residuo I, contiene x, vedremo die si deg- (V) F=/-§,+(p (VI) v^%,m + ij., giono calcolare le 1 a:' — 1 a: + 2 25 50 27 729 = F di^^so^e 1 2 27 "^ 729 ~ 1408 27a- — 25 729 29a- — 79 =v 725 + 27 divisore 29 1408 27a- — 25 27 27 poscia m f—x + i fJ- / »! \ C 2 T-'- 18a- + 33 — 27) (p V (pV ' i-.c'+ 9a; + 10 S 206 e quindi SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI + 1 ■9.r-i 16 r' — a- + 2 '—11 j-' + 39.c— 45 9ij. Eseinpio 11. Sia proposta la JV .r'+200 • 36. 7' + 300 X — 1800 Bisognera da prima decomporrc in fattori il denominatore. A tal fine cominciando colla cifra 10 forino la prima labella 1 —36 + 300 — 1800 10 ll— 26+ 40 — 1400 1—16 — 120 1 — 6 cosi sono sparite due variazioni di segno; ma adoperando il nostro crilerio vedremo che niuna radice e compresa Ira 0 ed 1 nelFequa- zione che ha i coefficienti 1 — 3, G + 3 — 1, 8. Infatti nella seconda riga di 1 —3,6 + 3 1,8 1 j + 1,4 + 2,4 — 1,2 + 1,8 0 della quale I ultimo tei-mine e zero, gli allri sono tutti dello stesso se- gno tranne il solo — 1,2 che e seguito da uno di maggior valore. Continuando adesso il calcolo coi coefficienti trovati nella prima tabella avremo colla cifra 10, poscia successivamenle colle cifre 7, 4', ecc. 6 — 120 — 1400 10 6" 1+ 4— 80 — 2200 1 + 14 + 60 1 +24 1+31+277— 261.. 1 +38 + 543. 1 +45 0.1 +45,4 + 5611,6 0.1 +45.8 + 579,4,8 0.1+46.2 — 3654 + 0.46+ 582,2 + 0.46+ 58,5,0 — 161 58,5 — 44 5,9 — 3 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 207 e Iroveremo che il denomlnalore ha I'unico fattore del priino grado F=x — 27,465: la divisione di D per questo fattore (eseguila ado- perando 27,463 come abbiamo seinpre fatto per una sola cifra, ma scrivendo i prodotti che furono calcolati separalamente e che deg- giono poscia sottrarsi) ci servira per verificazione del fatto calcolo; ri- peteremo la divisione per ottenere d, e S_, divideremo anche V, ecc. Ij-^ — 36 a-' +300 .r —1800 + 27,463 —234,452 + 1800,15 = £> 27,463 1 y— 8,537 J- + 65,548 0 + 27,463 +519,75 = />. 27,463 1 a- +18,926=d,, 585,30=>j, 27,463 ice' +200 =IV + 27,463 +754,21 |l X +27,463 = n, 954,21 = 1' 1, 6317^ + 30, 882=-rf, 0, )( — -(/,=— 0,6317 J-— 3,419=i\^. 0, e finalmente (ommettendo le ultime cifre sulle quali poco si puo con- tare) avremo A' 1.632 0,632 .r + 3,42 D .,—27,463 a' — 8,537x + 65,55 {PreseiUata U 31 Mafzo e 29 Dicembre 1845) IVOTE Nota I. al § 4 4. II calcolo esposto nel § 44 e conforme alle operazioni arilmetiche, nelle quali non si calcolano se non se cifre positive; ma se non si abbia difficolta ad adoperare anohe cifre negative (§11) i calcoli si renderanno piu faeili,perehe ai 9 si sostituiranno altrettanli 0, e perche le mollipliehe si faranno quasi seinpre colle cifre piu piceole i, 2, 3, 4. 5. Cosi nel- Tesenipio succitalo si comincera colla eifra 2, - . 1 — 15 + 68 — 83 1 — d3 + 42 + — H +20 — 9 1 e scorgendo che I'ultimo termine — 83 cangio di segno divenendo +J, si rilevera che si e aliun poco oltrepassata una radice (§ I 9), per lo che bisognera adoperare una eifra negativa. I foeffieienti i — 90 + 2000 + i 000 niostrano che la eifra — I' sarebbe troppo grande, per- cio moltiplicheremo di nuovo per la progressione decupla, ed adoperando la eifra — 5", che e quella che rende piii piccolo rultinio termine —22625 della prima riga, otterremo i eoeffi- cienti 1—945 + 209075 — 22625. Se non occorra spingere I'approssimazione mollo innanzi moltiplicheremo questi coefficienti per la progressione 0,001 0,01 0,1 1 1-900 +200000 +1000000 5" 1-905 +204525 — 1 —910 +209075 1—915 22625 1'" ,001 —9,15 + 20898,4 — -9,15 + 20889,2 1727 8' 3" 3"^' + 208,9 — + 20,9 + + 2,1 + 56 1 e continueremo nel modo solito; sicche poscia raceogliendo le trovate cifre a\remo x=: 2, 001 0830 — 0.0500003 = 1,9510827 . III. 27 ■no SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI Nota IL al § 54. Perehe il It-ttore possa facilmente giudicarc se il inetodo csposto nel § 5 sia preferibile a quelle del Graffe io tolgo un esenipio dalla Menioria nella quale I'Eiicke esposse questo ultimo inetodo {Jour fiir die MntUemntik von Crelle f'ol XXII -1841). L'equazione e k' — • 2 x' — 3 t' — 5 x = — 4 on' — 6 facendo i quadrat! dei due membri TEncke ottiene Tequazione in (ac') x''' — 2 x'° + 29 x^ — 2B x" — i X''' — 2 x^ — I i x'' + B6 , e nuovamente elevando i due nienihri alia seeonda potenza ottiene l'equazione in {xr'); da que- sto punto egli continua il caleolo col mezzo dei logaritmi a 5 deeimali adoperando la tavoletta del Gauss, e cosi giunge alia ottava trasformata in {x'^^) , la quale gli da per la radice piii pic- cola il logaritrao 0,044541 ed il valore t, 10800. Per ottenere una maggior approssimaziono I'autore adopera il metodo del Newton, vale a dire sostituisce il trovato valore tanto nell'equa- zione quanto nella sua derivata, e trova t,t080J66; cd adoperando i logaritmi a 7 deeimali non si potrebbe spingere I'approssimazione piu oltre. Da questi cenni puo raccogliersi quanto lunghi sieno i calcoli richiesti dal metodo del Graffe: ecco il dettaglio di quelli che ci saranno suflicienti a delerminare la piu piccola radice positiva spingendo I'approssimazione fino a che I'indeeisione sia di appena una unita della settima deci- male. —Caleolo della trasformata in (x — 1) i +0— 2— 0— 3 + 4- -5 + 6 l +\— I— 1 — 4 — 0- -5 + 1 t +2 + I + 0— 4 — 4- -9 1+3+ 4+ 4+ 0 — 4 1+4+ 8 + 12 + 12 1+5 + 13 + 25 1+6 + 19 1+7 Sono sparite due variazioni, ed il nostro criterio (§ 34) 1+0—2—0—3+4—5+6 1 1 — 1—0 — 0 — 2 — 2 — 5 — 1—6 0 mostra che 1' e(|uazione non puo avere radici da 0 ad I ; essa ha percio un valor critico coni- preso in questo intervallo, oltre I'altro valor crilico =0. La piccolezza dell'ultimo termine + 1 c' induce ad adoperare una piccola cifra di decimi DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 2H i +70 + 1900 + 25000 + 120000 — 400000- -9000000 + 10000000 1+71+1971+2 6971 + 146971 —2 53029- -9253029+ 746971 1+72 + 2043 + 29014 + 175985— 77044- -9330073 1 +73 + 2116 + 31130 + 207115 +130071 1 +74 + 2190 + 33320 + 240435 1+75 + 2265 + 35585 1+76 + 2341 1 +77 la cifra dei centesimi e evidentemente nulla; passeremo percio ai millesiini 0,0004 + 0,240 + 13,01 —93300,7 + 746971 ,0004+ ,243+14,95-93181,1 + ,246 + 16,92 — 93045,7 1522 — 930,5 + 592 — 93 + 34 — 9,3 — 3 1 6" 4'" e cosi avremo trovato il valore x— 1,1080164 che meglio di quello dell'Encke si avvicina al vero 1.1080163595.... Nota III. al § 70. Quando si sono trovati due valori abbastanza approssimati di a e di 6, sicche si abbia aU'incirea x — a + (/( — b), il Legendre suggerisce di calcolare le correzioni da farsi ad n e 6 con una regola analoga aU'approssimazione Newtoniana, cioe col sostituire il predetto valore approssimato di x tanto nel polinomio che eostituisee il primo membro dell' equazione quunto nel suo derivato, e dividere il primo risultamento pel secondo: ora il nostro calcolo da toil tutta facilita tali risultauienti. poiche si dimostra che se sieno D F i due ultimi coefficienti del primo polinomio ausiliario trasformato in {/ — b), ed E G i due ultimi coeflicienti del .se- condo polinomio ausiliario pure trasformato in {ij — 6), il primo risultamento e Fi/( — b) + G ed il secondo e — 2 Ey { — b) + 2 bD + F, e percio il valore corretto di x sara x = a + ^(—b) + F^(—b) + G 2EV'(—b)—2bD—F Cosi nell'esempio del § 70 per a ==0,2 6=: 2 si trovo Z)=6,24, F=— 0,158, £==22,736, G=1.0567 quindi piio )>rendersi come valore approssimato di x — 0,158 |/(—2)+l,0567 0,2 +1/ (_2) + = 0,2 + t/(— 2)+- 45,472|/(— 2)— 24,96+0,158 = 0,191 +0,99l/(— 2) = 0,191 +/(— 1,96). 41 — 44/(— 2) 4746 " 212 SULLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI Poscia per a = 0A9 6 = 1,958 si (rova />=7,366, F=0,001, £=24,910. G = — 0,148 percio 0,001 (/(— 1.958) —0,148 j; = 0,19 + /(— 1.958)H ; ■ ■ = 0,1 9095 + /(— 1 .96 355), 43, 82/{— 1.958) —28,846 che poco si scosta da! vero valore r = 0,1 90983 + (/(— 1 ,963526) . Nota IV. Uso delta risoluzione delle equazioni nell' interpolazione e nella ricerca delle ra- dici di altre equazioni . lo credo che, per quanto elevalo sia il grado delle equazioni, il inetodo meno laborioso per risolverle sia quelle che abbiamo esposto nel § 5, e che le tavole logaritiniche o trigonometrielie non possano riuscire di alcun vantaggio; pure se I'equazione niancasse di un gran nuniero dei suoi termini non sarebbe opportuno di toglicrle la sua semplicita passando alle solite trasfor- niate; sicche in tal case riesce pii'i eoniodo I'uso delle false posizioni. La correzione da farsi ad una falsa posizione puo desumersi dal nietodo del Newton, sostituendo il supposto valore anche nella derivata della proposta equazione, ma e piii semplice servirsi della regola di doppia falsa posizione, che pel grado d'approssimazione corrisponde col metodo Newtouiano. Inoltre se si fac- ciano fin da principio piii di due false posizioni si ha il vantaggio di operare sopra numeri molto semplici, e si scorgono facilmente anche due o piu radici uguali o vicinissime, le quali potreb- bero sfuggire ove si adoperassero i precedent! metodi fondati suU' approssimazione iincare. A tal fine si attribuiscano successivamente air incognita alquanti valori presi in progressione arit- metica e non molto discosti dalla cercata radice, si calcolino i corrispondenti valori del prinio membro dell'equazione, poscia coll' interpolazione si determini il valore dell' incognita corrispon- dente al dato valore del seeondo membro. Molte formule furono suggerite per 1' interpolazione; la piu comoda sembrami la seguente / A" A"' A" A' \ y—ijc-^^ti^'—- H ^ ecc. + \2345 / /A" . 3A'" 11 A" 50A' 274 A" \ + «' 1 1 ecc. + V 2 6 24 120 720 / \ 6 6 A" 35 A^ 225 A" + 24 120 720 / /A" 10 A' 85 A'' \ ' — ■ 1 ecc. ) + \24 120 720 / ./ A' 15 A" \ / A" N ' + ecc. + Z'' ( ecc. Vl20 720 / \720 / DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 213 dove t prende per le successive supposizioni i valori 0, d, 2, 3, ecc. ; i/o e il valore del prinio inembro corrispondente a < = 0; A', A", A'", .... sono le differenze prima, seconda, ecc. di tali valori. Finche la risoluzione delle equazioni si considerava come una ricerca difficile, la pre- cedente formula poteva sembrare affatto inopportuna a trovare t conoseendo y; ma invece cio .si riduce ad un'operazione spedilissima. Trovato il valore di t si avra immediatamente quello dfir incognita x, giacche le primitive posizioni si presero in progressione arilmetica: se cio non fosse, si adoprerebbe una formula d' interpolazione simile alia precedente, Sia proposta da risolvere I' equazione x' — Sx'' — 6 =: 0 tolta dalla Memoria citata nella Nota II,; vedremo intanto ehe essa ha una sola variazionc di segno, e ehe mutando x in — x non ha alcuna variazione: perloehe conchiuderemo (§ 39) ehe 0 e un valor critico triplo. e ehe I'cquazione amniette una radiee positiva e nessuna negativa. Ponendo suecessivamente x = l,4 ed x=: 1,7 si vede ehe una radiee e compresa fra taU valori; si facciano anche le posizioni in- termedie e si formi la tavoletta dei corrispoudenti valori di y^^x' — 3 x'* — 6 e delle loro dif- ferenze A" A"' 0 1,4 — 6,9835 1 1,5 — 4,1016 2 1,6 + 1,1827 3 1,7 + 9,9776 2,8819 5.2843 8,7949 2,4024 3,5106 .1082 posfia ponendo nella precedente formula d' interpolazione y — Q, ?/, = — 69835, A'=28819. A" = 24024. A"'=z:11082 si a\ra I'equazione 1847 l^+ 6471 (' + 20501 « — 69835 = 0 i 1847 + 8318 + 28819 — 41016 + 10165 + 38984 + 12012 1,847 + 134.90 + 4977,6 — 1195 + 149,68 + 6175,0 + 164.46 0,001 + 1.64 + 619,1 + 620,7 — 576 + 62,1 - 17 1" 9"' ehe col calcolo soprascritto da <=1,819 e percio x = 1,581 9, valore esatto fino all' ultima decimate, quantunque i valori di A' e A" fossero tutt'altro ehe piccoli. — Essendo molto giove- vole assicurarsi dell'esatlezza dei calcoli ehe si vanno facendo (§ 9) noi non tralascieremo di no- tare ehe dee osservarsi se a t=i{ corrisponda lo stesso valore — 41016 tanlo nella tavoletta quanto nella successiva tabella di calcolo, poiche se cio non fosse sarebbe occorso qualche er- rore nella determinazione dei coefficienti dell'equazione in t. 214 SULLA RISOLUZIOiXE DELLE EQUAZIONI L'elevare alle poteuze quarta e settiiiia i nunieri ■1,4, i, 5, ecc. e eosa molto spedita, ma se si prefcrisca adoperare i logaritmi giovera assuniere per posizioni primitive non x=l,i ecc, ma piuttosto logo;— 0,18, —0,19, =:0,20, =0,21, e determinando i corrispondenti valori di 2/=:log(x' — 3x^) si trovera mediante la predetta regola d'interpolazione che ad i/ = log6 corrisponde log a; = 0,1 991 6. — Perallro quando si voglia adoperare le tavole lo- garitmidie giova profittare delle differenze che in esse si trovano per eseguire Tapprossimazione Newtoniana mollo speditamente e senza bisogno del caleolo differenziale. Questo metodo, che puo riuseire vantaggioso in moUissimi easi, consiste nei calcolare i valori dei termini dell'equa- zione corrispondenti ad un dato valore dell' incognita, e nello stesso tempo tener conto degli ac- crescimcnti che sol'frirebboro tali termini per un dato aecrescimento dell' incognita stessa. Cio s'intendera meglio nei seguenti esempii . Se logx' = 0, 18000 si ha Iog(3c")= 1 ,26000, a;'=d8,197, ed iin piccolo aecresci- mento cJ nei valore di log x , e percio 7 <* nei log x', produce I'accrescimento 7000ci:24=: = 296c4 nei valore di x' (giacche la tavola dei logaritmi mostra che la differenza 0,0002 4 nei logaritmo produce la differenza 0,01 nei numero); inoltre log(3 x'*)= 1,1 971 2, 3x''=: = 15,744 e I'accrescimento 4 ct nei log (3 x'') produce Taeerescimento 4000cC:28 = 143c4 nei valore di 3x''; viene da cio che x' — 3x'' — 6=— 3,547, e che dividendo tal numero per 296 — 143=:153 si avra — 0,023 per I'errore approssimato da togliersi dal logx; sicche si avra per seconda posizione log x^O, 20300, e ben presto si giungera al valore esatto. II presente metodo offre una brevissima risoluzione delle equazioni algebraiche trinomie ado- [lerando la tavola del Gauss, che da it logaritmo della somma di due numeri, dei quali si cono- scano i logaritmi. A tal uopo mediante la trasposizione dei termini si tolga aU'equazione trino- niia ogni segno — , e dei due termini che debbono sommarsi uno si riduea all'unita; cosi per esempio la precedente equazione si scrivera sotto la forma ^ x*" + 1 = x' : 6 : e nolo che se si ponga log 7-^'' = ^ la tavola del Gauss da il valore di C = log(^ ■»'' + 1); bisogna dun- (jue trovare tal valore di A che il corrispondente C sia eguale al log. del sccondo membro x" ; 6 . Ura e paiese che se .4 aumenta della quantita a, il logaritmo del secondo membro aumenia di 7 ci : 4 , mentre il valore di C cresce di una certa frazione di c, che e data approssimatamente dalla differenza dei successivi valori di C quale si trova nella tavola del Gauss ; cosi ci sara fa- cile scorgere qual correzione a. debba farsi al valore di ./. Ecco il dettaglio del caleolo, nei quale (come sara sempre opportuno) si scelso per prima posizione .^ = 0,000, e quindi log r = = 0,07525- e 7 logx — log 6 = 9,74865 A C lo g. 2''.menib. Differenza :(0,50 — 7 ) Errore di / 0.000 0,30103 9,74865 ,55238 = — 0,44 0,440 0,57452 0,51865 ,05587 :{ ,73 — 1,75) = — 0,055 0,496 0,61630 0.61665 — .00035 :( ,76-^ 1,75) = 0,00035 0,49565 0,61603 0,61604 — .00001 :( ,76-1 1,75) = 0,00001 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 215 pel' la seconda correzione si prese 0,056 anziche 0,055. giacche il primo numero essendo di\isibile per 4 da speditamente la eorrezione 0,098 da farsi al log. del secondo niemliro. Dal trovato ^=0,49564 si deduce logx = 0,1 991 7. Daremo un altro esempio che presenta qualche maggior difficolta. Si CLrehino le radici dcl- I'equazione 10°''"'°x'+ 1 ==x'; per la radice positiva cominccrenio poncndo, al solito, A = 0. percio IogJi== — 0,09903-^, e farenio le seguenti supposizioni A C log a.^menil). Differenza :(0,50 — ^ ) Errore di -•/ 0,000 0,30103 — 0,69323 ,99426 = — 0,543 0,540 0.65005 0,56677 ,08328 :( .78 — 2,33) = — 0,054 0.594 0,69253 0,69277 — .00024 :( ,80 — 2,33) = 0,00016 0,59384 0,69240 0,69240 quindi avremo log x= 0,09891 . — Le radici negative della precedente equazionc sono le po- sitive della x" + 1 ^ 10°''5"'°x^; coniinciando coil .:/=7 1ogx = 0 trovereino che ^ dev'es- ser negativa, ed infatii e facile eonvincersi che se A aunientasse di cc il log. del secondo mem- bro aunientando di -^ ci non potrebbe giammai raggiungere il valorc di C, il quale aunienta piu rapidamente. £ poi nolo che nella tavola del Gauss quando ..'/ e negativa dee prendersi il valore di B in luogo di quello di C\ eosi faremo le seguenti posizioni B log. 2.°menib. Differenza 0,000 — 0,056 — 0,077 — 0,084 — 0,082 0,30103 0,29710 0,27393 0.27310 0,26423 0,26410 0,26106 0,26110 0,26196 0,26196 .00393 ,00083 ,00013 — .00004 Errore di A (0,50 — 4 ) =0.056 ( ,47 — ,43) =0,021 ( ,45 — ,43) = 0.0065 ( ,45 — .43) = 0,002 ed avremo Iogx = — 0,01 1 71 . — Ora i segni della proposia equazione x"— 1.982 x' + l =0 niostrano che essa o non ha alcana radice positi\a o ne ha due; ci riraane dunque da cercare un'altra radice. Pei principii del calcolo differenziale le due radici riinarranno separate da quel >alore di A che rende cguali gli aumenti del log. secondo menibro, e del C, oppur B, corri- spondente ad A\ nel nostro caso I'aumento del secondo membro e 4-^0,43, e la tavola del Gauss mostra che tal differenza nei valori di B corrisponde ad A=^ — 0,125. Abbiamo tro- vata una radice corrispondente ad A = — 0.082 > — 0.125, I'altra corrispondera per con- seguenza ad A <^ — 0,125; noi la cercherenio continuando la precedente tavoletta con A^ = —0,210 216 SULLA RISOLUZIOi\E DELLE EQUAZIOiNI A B log. •2.''memb. Differenza Errore di A — 0,210 0,20860 0,20710 ,00150 :(,38 — ,43) =—0,030 — 0,175 0,22229 0,22210 ,00019 :(,40 — ,43) = — 0,0063 — 0,168 0,22510 0,22510 ed otterremo logx = — 0,02400. - ' • ' Per le equazioni trinomie non solo si possono trovare con somma facilita le radici reali. ma eziandio le iminaginarie adoperando le tavole trigonometriche. Infatti, come ha gia osservato il Legeiidre, se neirequazione trinomia a x" + * a" + c = 0 si pone jc=^r%^, essendo t =: e ' ~' . daU'equazione a r" £"■'+ 6 c" t"'^ + c = 0 e dalla sua coniugata ar'" t~'"* + 6 i" 1""*^ + t:=0 si deducono le csen(w^) c sen (wo;) a sen (w- If) (p 6sen(»! — »*)

SIDERAZIOM SILLE ^OME\CLATlRE COIMICHE SUGLl EQllYALEMI CHimCI E SU AlCUNE PROPRIETA CHE CO?J QIESTI SI COLLEGAXO DEL PROF. GIUSTO BELLAYITIS iJa necessita ideologica di un linguagglo si fa piu particolarmcnle sentire in alcune scienze, le quali nonchc progrcdire, appcna potreb- bero esistere se non avessero una sistemalica nomenclalura, iondata sulle loro principall teorie e die ne fosse anzi una compendiosa espres- sione; dal che poi ne segue che quando nel progresso dcHa scienza vengono a niutarsi quelle teorie, debba modificarsi la nomenclalura ; necessita questa che toglie al linguaggio quella stabilita che tanto gio- verebbe alia sua chiarezza e precisione. E notisi inoUre che quando la nomenclalura non e rilenuta immutabile, essa viene cangiata non solamente al cangiarsi delle teorie su cui si appoggia, ma eziandio quando si crede di poter farvi qualche sccondario miglioramenlo . Cio avvenne appunto nella Chimica. Dopo che verso la fine del secolo scorso essa fu, direi quasi, creala mediante la leoria pneumalica, do- vetle abbandonare il suo empirico e fnolteplice linguaggio e formarsi 222 SULLE iNOMEiXCLATURE CHIMICHE una nonicnclatura fondata sulla coinposizione dei corpi; od in pro- a;resso il sempre crescentc nuniero Jci composti, c le differenli ma- niere leoriche di considcrarne la composizione, portarono di nccessila ripclule e quasi incessant] modificazioni della nomenclatura; per lo die mio slesso corpo e chianiato con parecchi nomi, c puo senibrare non del tuUo irragionevole il timore clie lanla confusione di nomi porli confusione anche nelle idee, od alnieno renda malagevole lo studio della scienza. Forse che questo timore e molto meno fondato di quanto a primo aspetio potrebbe sembrare, ed i provelti nella scienza trovano poca difficolta nelle molteplici nomenclature, poiche i nomi sistematici hanno in confronto degli empirici questo singolare vantaggio di riu- scir facilissimi a chi conoscc le teorie dalle quali prendono origine. Nulladimeno i diversi progetti di riforma finora pubblicali sembrano indicarc die i cliimici stessi scnlano se non la necessita, alnieno Top- portunita di rifondere e richiamare a piii sistematici principii le no- menclature da loro usate. Potra senibrare ardiniento ch'io ni'intraltenca di una scienza della o quale non ho fatto speciale studio; ma se le niie considerazioni va- lessero a richiamare sulF argomento Tattenzione di qualdie chiniico. esse non saranno giudicate affatto inutili . Quei benemeriti che fondarono la nuova nomenclatura chimica e (juelli che la modificarono, ebbero, se non m'inganno, principalmente in AJsla due oggetti, di esprimere cioe la composizione e le proprieta dei corpi: fu per questo secondo riguardo che i composti dellossigeno si distinsero in ossldi ed in acidi; che i sali risultanti da difierenti proporzioni di acido o di base, presero i nomi di neutri, acldnli, al- culini o basic! ; che alciuie combinazioni aerilormi delFidrogeno si de- nominarono in maniera non conforme alia rimanenle nomenclatura quasi fossero un gas idrogeno soltanto niodificato. II Brugnatelli cerco di tener conto fra i corpi coniponenti anche del calorico latente, e riguardando a dilTerenti proprieta ch'egli credette riconoscervi, distinse gli ossidi dai tennossidi^ ecc; allri cangiamenti egli propose; il scllono loglieva Tanomalia fra Tazoto ed i suoi composti; il flogogene sosti- tuito rW idrogeno faceva schivare ogni equivoco tra questo corpo sem- DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS 223 plice e lacqua (•); opportune forse ma inulill modificazioni, perche non furono adoltate, e rimasero un inulilc ingombro alia scienza. Crescendo il numero dci coniposli si crearono nuovi nomi dipen- denli unicanienic dalla coniposizione dei corpi ; cosi i numeri coniin- ciarono ad entrare nella nomenclatura, e si ebbero i prolosskU, i deu- tossidi, ecc, ed i loro coniposli si distinsero in protosali, deulosali^ ecc; denoniinazioni queste ullime contrarie ad ogni ragionevole legge di linguas;gio, poiche dicendo deutosolfalo di ferro si voile inlendere il solfato di deutossido di ferro, che se si avesse voluto esprimere chc il sale contiene una doppia dose di acido si sarebbero confusi i deu- tosali coi soprasali (ossia sali aciduli) senza tener conto della maggior dose di ossiseno conlenuta in un deuloscde in confronto del proiosale acidulo, e delle loro differenli proprieta. Fu molto piu consentaneo ai principii del linguaggio Tuso delle desinenze in oso ed in ico, che il Berzelius applico agli ossidi, come prima lo erano state agli acidi, e limpiego di quesli medesimi nomi degli ossidi nei nomi dei sali da loro risultanti: cosi si ebbero le semplici ed espressive denoniinazioni di solfato ferroso e di solfato ferrico. Ma intanto la scoperta della seniplicita del cfoi^o avea smossa una delle basi della nomenclatura; non si verifico Topinione dei suoi lon- datori relativamente alia composizione delF acido muriatico; si ebbero degli acidi senza ossigeno. Allora per un deplorabile sbaglio, benche si pochi fossero gli acidi contenenti idrogeno, benche questo corpo mostrasse piuttosto antagonismo che rassomiglianza coll' ossigeno, e benche viceversa il cloro tanta analogia avesse con questo acidi ficante, pure si voile considerare I' idrogeno come un nuovo acidificante, e si creo la classe degli idracidi, mentre gli acidi contenenti ossigeno si chiamarono con singolare neologismo ossiacidi . Cosi ebbero origine (juelle denoniinazioni che per varii anni generalmente adottate no- cquero alia seniplicita della nomenclatura, la allontanarono dalle giu- ste teorie, e ^i sparsero una confusione non ancora tolta del tutto, poiche quelle tlenoniinazioni sono ancora, ne saprei dime il perche, da non pochi preferite alle allre piu razionali. Riconosciuta ed adottala come principio di nomenclatura I" analogia 224 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE tra Tossigeno, il cloro, Fiodio, il solfo, il cianogeno, ecc, il Berze- liiis analogainente agli ossidi ed agli acidi dcnomino i cloruri ed i cloridi\ i .solfuri ed i solfidi., ecc; e le varie proporzioni di cloro ecc. conleiiulo in iin cloruro od in un clorido^ egli distinse mediante le teriiiinazioni in oso ed in ico gia adoperate per gli ossidi e per gli acidi. Bellissinia riforma della nomenclalura, che nello stesso tempo che la accordo colla teoria le diede generalita e semplicila. Sc non che parnii che un grave difello essa contcnga; difetto che il suo celehre in^en(ore avrebbe senza dubhio schivalo ove Tavessc imniaginala tutla in una volta, anziche creala sotto F influenza della leoria (se e per- niesso spiegarmi in tal guisa) dellffc/f/o muriatico^ e poscia modificala seguendo la leoria del clorido idrlco. Esporro il difetto che scnibrami avere la nomenclalura del Berzelius con un esempio. 11 solfo puo combinarsi non solamenle coi niclalli ma cziandio con qualche ossido, e la prima nomenclalura del Berzelius distingueva ottimamente il sxd- phuretum kalii dal sidphurelum halkum^ poiche dal momenlo che la lerminazione in ico esprimeva implicitamento la prescnza dell'ossigeno, il solfuro potassico, non meno del solfato potassico, dovea conlener<; Vossido polasstco: ma nella nuova nomenclalura la lerminazione in ico csprime unicamenle la proporzione delFossigeno o di un quahmque altro elemento eleltro-negalivo. sicche il solfuro di polassio prese il nome di solfuro polassico^ lanlico solfuro potassico {sulphuretmn ka- licH)ii) si dovrebbe chiamare solfuro di ossido potassico, e d'allra parte il nome di solfato potassico sembrerebbe esprimere la combinazione delFacido solforico col polassio. Quesla anonialia nel linguaggio arreca confusione nelle due no- menclature del Berzelius, e priva del semplice modo di rappresenlare la combinazione di un ossido con un corpo che non sia un acido. Si toglierebbe, a mio credere, lanomalia se nello stesso modo che il La- voisier, per esprimere le combinazioni degli acidi in oso od in /to, cangio tali desinenze nelle ito ed aano in alcun modo servire al mio scopo di porre a confronto lali densila coi pesi degli equivalenti, per vedere quanto sia probabile la teoria dei volumi, e qual parlilo se ne possa trarre per la deter- minazione degli equivalenti chimici. Si vede dalla Tavola II die gli equivalenti H, CI, Br^ I, A, C Hg da me adottati corrispondono colle densita dei rispetlivi fluidi aeriformi, e che sollanto si deve raddop- piare I' equivalente delF ossigeno. Osservando le due colonne dei rap- porti, i quali dovrebbero essere 1" uno costantemente 0,0690, 1' allro costantemente 0,0896, si scorge quante discrepanze vi sieno nelle densita osservale per un medesimo gas, e quali modificazioni lali den- sila indurrebbero a fare negli equivalenti chimici. Cosi la densila del gas idrogeno determinata da Biot ed Arago darebbe H, ^ 1 ,06, in- vece quella di Berzelius e Dulong darebbe H, =: 0,997, e quella piu recentc del Regnaull darebbe H, = 1,002 ; si potra rilenere con molta confidenza H, = 1 . La densita del dorido idrogenico (H, Clj, come anche una delle sperienze riguardo al cloro, darebbe 240 SULLE NOMENCLATURE CIIIiVlICHE CI, = 3i5,l, ma allra sperienza dei Gay-Lussac e Thcnard darebbe CI, = 33,8; si potra altenersi a CI, = 33,S come fu notalo anche nella Tavola I. II bromo dovrebbe alcun poco aumentarsi c V iodlo dimi- nuirsi; sicche si rende molto probabile che requivalente del bromo sia precisamcntc medio fra qiielli dci due corpi tanto ad esso affini il cloro e V iodio, come osservo il Doebcreiner. Egli nolo pure che la stessa cosa ha luogo rispetto al selenio tra il solfo ed il telluro, ri- spetlo alio stronzio tra il litio ed il polassio; e forse sono allri due simili gruppi cpiello del ferro col manganese e cromo, e quello del- I'osniio coiriridio e platino. Continuando Tesame delle esposte densita dei gas i composli del solfo mostrano quanto poco si possa contare su quesla maniera di delcrminare gli equivalenli, a cagione delle grandi difterenze che si osservano. 1 composti dell' azoto darebbero all' in- circa A, = 1 4,2 , il che si accorderebbe col valore adottato dal Ber- zelius (veggasi nella Tavola I). I numeri ora troppo grandi, ora troppo piccoli corrispondenli ai composti del carbonio non danno alcuna spinla a cangiare il C = 6, quantunque Rcdtenbacher e Liebig non trovassero che C := 6 si polesse accordare colla densita del gas acido carbonico (C). Le piu recenti sperienze del Regnault sui pesi specific! dei gas ossigeno ed acido carbonico a 0." e 0™,76 darebbero C = 6,12; ma egli osservo che diminuendo la pressione il secondo gas si espande piu del primo, sicche ad una pressione alquanto maggiore del quarto della atmosferica la densita del gas acido carbonico sara forse 1,3202 precisamenle quale risulta da C=:6, ed e probabile che la maggior compressione del gas a 0." e 0"',76 dipenda dall' avvicinarsi esso al punto della sua liquefazione. Un altro mezzo per togliere il dubbio, che le considerazioni chi- miche lasciano nella scelta dei multipli o summultipli degli equiva- lenli, puo desumersi da quella singolare legge scoperta dai Dulong e Petit, per la quale gli equivalenti dei corpi semplici od almeno dei melalli hanno la medesima capacltji pel calorico. II Regnault confer- mo questa legge, e la estese anche a ciascuna classe dei corpi com- posti che abbiano la stessa composizione atomica e una simile costi- tuzione chimicaj peraltro egli la trova soltanto approssimata, ed ac- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 241 cenna come cause delle osservate irregolarita la differente costitu- zione fisica, il polimorfismo, lo sviluppo di calorico latente, ecc. Moltissime sono le osservazioni del Regnaull, e quanlunque sia pur vero che alcune egli ne escluda perche troppo dalle altre discordan- ti, e che quelle ritenute presenlino fra di loro delle sensibili diffe- renze, nulladimeno non si puo dubitare che la capacita pel calorico non dipenda dal peso deirequivalentc chimico, sicche tanto pei corpi semplici quanto per quelli di una analoga composizione ogni equiva- lenle abbia approssimatamcnte la medesima capacita pel calorico; cosi per esempio 10 grammi di solfo (8=16), 28 di ferro (Fe = 28), 30 di coballo o di nickel, 32 di ramc o di zinco, 34 di argento (Ag„ = 34), ii9 di slagno, 64 di telluro, 64,3 di antimonio (Sb,= 129), 99 di platino o di oro, 101 di mercurio, 104 di piombo, 106 di bismuto hanno presso a poco la slessa capacita pel calorico che e quella di circa 3,2 grammi di acqua. Si vede percio che anche la conside- razione dei calorici specifici induce a dimezzare Tatomo chimico del- r argento ammesso dal BerzeUus (Ag;=108); lo stesso dovrebbe farsi anche per gli atomi o equivalenli di sodio (Na ^ 23) e di potassio (K = 39); ma altre considerazioni chimiche possono consigliare a ri- tenere Na, K, per serbare V analogia di composizione fra le terre e gli alcali: dissi gia per quali ragioni credetti di raddoppiare Tatomo deir antimonio prendendo per equivalente Sb, = 129, anziche il sem- plice Sb^64,3 che sarebbe indicate dalla capacita pel calorico. Que- sta capacita farebbe pur presumere che V equivalente del cai'bonio I'osse C, :=12, ma le sperienze sulle varie specie di carbone e sul diamante sono molto discordi, e si potra rilenere il semplice C, quan- lunque anche delle ragioni chimiche fossero favorevoli al doppio C,. 11 Regnault Irova anche troppo grande Tatomo delPurano U^217 date dal Berzelius, e crederebbe necessario di ridurlo alia quarta parte; ma siccome il Peligot scoperse che esso non e un metallo ma un ossido, cosi ponendolo a confronto cogli ossidi della forma n, il suo calorico specifico darebbe per V urano, ossia ossido d' uranio, il peso atomico 96 = 88 -j- 8, il che troppo si scosla dall' analisi del Peligot che in 68 d' urano trovo 60 di uranio ed 8 di ossigeno; che III 31 242 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE se invece I'urano si considera come im ossido della forma i^' 0\ si Irova mcdiante il calorico speoifioo il peso atomico 226:= 2.(101 +12), che abbaslanza si accorda colla prcdelta composizione trovata dal Pe- ligol: ma siccome le composizioni degli allri ossidi di uranio dale dai Peligol si allontanano da tulle le analogic, cosi chi volesse piutlosto affidarsi alio determinazioni del calorico specifico potrebbe ammcllere, per esempio, cbe uranio = Ui := 64, cbe il suo prolossido Ui 0 = 72 corrispondesse colPurano del Berzelius, di cui e precisamenle la terza parte; la capacita pel calorico di tal equivalenle sarebbe circa 4,32 che non mollo si scosla dalla 3, speltante alFossido di zinco (Zn0:=40); e 1' ossido uranico (U'0' = 436) del Berzelius sarebbe un ossido di uranio espresso dalla formula l]i'0' = l{j2. Dopo aver parlato delle capacita pel calorico che Dulong, Petit e Regnault fanno dipendere dal peso degli equivalenti chimici, par- lero di alcune altre proprieta delle quali cgualmente s'indago la cor- rispondenza con tali equivalenti. II Becquerel ravviso una qiialche ras- somiglianza fra 1 ordine termoeletlrico dei melalli e quello delle ca- pacita specifiche pel calorico, e siccome queste capacita sono inversa- mente proporzionali agli equivalenti chimici, cosi ne verrebbe che il potere termoeletlrico procedesse in ordine inverso del peso degli equi- valenti. Ora r ordine termoeletlrico si puo esprimere con Sb Fe Zn, Ag„, An, Cu Sn, Pb, Pt — Bi 64 28 53 34 99 32 39 104 99 106 do^e le lineette d' interruzione indicano una differenza mollo sensibile nel potere termoeletlrico ; invece questi medesimi melalli dislribuili secondo il peso dei loro equivalenti, sono Fe, Cu, Zn Ag„ , Sn, Sb Pt, Au, Pb, Bi 28 32 33 34 39 64 99 99 104 106 Si vede adunque che le due serie sono mollo differenli ed in parti- coiarc gli eslremi anlimonio (Sb) c bismulo (Bi) della prima serie si tro- vano poco discosli nella seconda; invece rame (Cu) e piombo (Pb), che sono all" incirca negli eslremi della seconda serie, sono poco di- scosli nella prima: e di piu nella prima serie F anlimonio (Sb) di mollo precede il forro (Fe), lo zinco (Zn), il rame (Cu) e lo slagno (Sn), DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 243 mentre nella seconda esso invece li segue; dicasi lo stesso dell' oro (Au) rispetto alio slagno (Sn). Quando una correnle elctlrica altravcrsa un corpo, essa vi produce un generale riscaldaniento, che sembra dipendere dalla imperfetta con- ducibilita del corpo; oltre a cio se il conduttore sia eterogeneo si os- serva prcsso i punti di unionc dci due metalli differenli un singolare lenomeno clettroteiinico, che talvoUa consisle soltanto in un riscalda- niento piu o meno grande del riscaldamento generale, e talvolla si converte in un raffreddamento : ora il Lame scopri la dipendenza di tjuesto fenomcno dal nolo fenomeno termocletlrico, ed osservo che presso r unione dei due metalli si ha un riscaldamento maggiore del generale quando la corrente va dal melallo dolato di masgior potere lermoeleltrico alf altro; e che invece, se la correnle csce dal melallo dolato di minor potere lermoeleltrico, si ha riscaldamento minore, che puo divenirc un raffreddamento, se non sia molto grande il riscaldamento generale, e se i metalli mollo differiscano in riguardo al potere ler- moeleltrico. Viene da cio che quando una corrente eletlrica attraversa un conduttore eterogeneo, essa vi produce nelle giunture dei melalli differenti delle variazioni di temperalura, le quali tulle concorrono a generare una corrente termoeletlrica opposta alia generalrice, e che si palesa al cessare di quesla. Quesla teoria fu riprodolla e conler- mala dal Pacinotti, il quale pure ha Irovalo che la correnle dirella dal melallo di minor potere lermoeleltrico all' altro produce un raf- freddamento, che puo essere pero mascherato dal riscaldamento ge- nerale a tullo il circuilo ; e torna forse a conferma di quesla teoria r osservazione del predetlo Pacinotti, che come la corrente termoelet- lrica va dair argenlo al rame, oppure dal rame all' argenlo, secondo che la temperalura e poco o mollo elevala, cosi pure la correnle elet- lrica produce, secondo la sua varia inlenslla, il freddo in ambedue le opposte direzioni. Da quesla corrispondenza fra i fenomeni termo- eletlrici e gli elettrolermici ne viene che se sussistesse la relazione indicata dal Becquerel, anche i fenomeni eletlrotermici sarebbero sub- ordinati alia capacila pel calorico e quindi anche ai pesi degli equi- valenti chimici, e che pei-cio una correnle eletlrica non polrebbe pro- 24 4 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE durre iin raffreddamcnto, se non quando il melallo da cui vicn fuo- ri avcssc iin oquivalento cliimico maggiore di qucllo in cui cnlra. Ma abbianio gia veduto quanto inesatta sia la legge indicata dal Be- cquerel; e siccome d' allra parte ne il peso deirequivalente chimico, ne la capacila specifica pel calorico sembrano teoricamcnte aver al- ouna relazione col potere termoeleltrico, cosi nulla si puo conchiudcre sulla mutua loro dipendenza, finche non si possa cangiare la capacila pel calorico di un melallo, e si venga a riconoscere che cangi nello slesso lenipo ancbe il suo potere termoeleltrico. Per lo contrario la piena corrispondenza osservala tra il peso dell' equivalente e la capa- cila pel calorico rendono sommamente probabile cbe queste due pro- prieUi dei nielalli abbiano tra loro luia necessaria dipendenza, ed au- torizzano a credere che le poche anomalie procedano o da imperfe- zione di sperienze o da calorico latenle che venga a mascherare Pef- fetto della differenle capacila pel calorico. Alcuni chimici lenlarono di coUegare ai pesi degli equivalenti an- cbe i pesi specifici dei corpi. 11 Persoz cerco di stabilire cbe i corpi solidi abbiano i pesi specifici proporzionali a quelli dei loro vapori, che (rallronde si rilengono proporzionali agli equivalenti, o a sem- plicissimi multipli di quelli ; la legge e sommamente semplice e bene si accorda coi pesi specifici del piombo e del perossido di mangane- se, ma credo che merili ben poca atlenzione una pretesa legge ap- poggiala a due soli fatli. II Kupfer credelte invece che i corpi che si cristallizzano sotlo una ugual forma primiliva abbiano il peso specifico inversamente pro- porzionale al peso delF equivalente, e che il prodotto del peso spe- cifico per r equivalente sia proporzionale al volume della forma pri- miliva diviso per la lerza potenza del suo asse; per allro, onde far accordare la sua ipolesi col fatlo, egli e coslrelto a molliplicare i pesi degli alomi ammessi dal Berzelius per 4, i, ti t-, 2, 4, od anche per 16; sicche mi pare che anche questa legge affatto empirica me- rili queir obblio in cui la credo affatto cadula. 11 Kopp pensa per lo contrario che nei corpi di ugual forma cristallina e di analoga composizione il peso specifico sia proporzionale alF equivalente chi- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 2 45 niico, c clie perclo gli equivalenll di tali corpi isomorfi abhiano ugiial volume. Suppongo che pochissima ledc sia da prestarsi a qucslc leggi ge- nerall, e piuttosto ne espongo una di particolare trovata egualmcnle dal Kopp, e che sembra in qualche modo approssimarsi al vero. E nolo che fra i composti di idrogeno, carbonio cd ossigeno vi sono due grandi famigh'e di corpi analoghi, Ic quali hanno per istipiti due corpi iso- merici, cioe Tuna il gas olefiante (H'C'=:14), T altra il metilene (H, C =: 7), ed a questi susseguitano i due idrali che sono V elcre or- dinario (HjC^H,= 37) e Talcool (H^C^H: — 46) per la prima fami- glia; e Felere metilico (H^ C' H, = 23) e lo spirito di legno (H^ C' H' = 52) per la seconda: oppure si possono considerare come slipiti delle due famiglie Tetile (H^C^ = 29) ed il metile (H,^€' = 13), che hanno per ossidi i due eteri summenzionati (H^ C 0 = 37), (H^C'0=r23); mentre i due alcool (H'C^O + H,= 46), (H'C0 + H, = 32) sono gH idrali di tali ossidi. Inoltre retere ordinario e Tetere metilico unendosi con molti acidi danno origine agli antichi eteri e ad altri analoghi com- posti metilici, e si quelli che questi possono considerarsi come sali formati dalKacido speciale combinato colPossido di etile, oppure col- I'ossido di metile. D' allra parte gli acidi sono ordinariamente miiti ad un equivalente di acqua (H, = 9), il quale fa le veci di base, e tiene percio il luogo che nei predelti eteri e occupato dall' ossido di etile 0 di metile. E ben evidente che nel passare da uno di questi acidi idrati all' etere corrispondente, ed al composto metilico pure corrispondente, gli equivalenti chimici accresceranno i loro pesi di quantita costanti per tutti gli acidi: ora il Ropp Irova in aggiunta che la stessa cosa avviene in riguardo ai volumi di tali equivalenti ed ezian- dio in riguardo alle temperature di eboUizione dei relativi composti; sicche se per fissare le idee prendiamo 8 grammi per equivalente deir ossigeno, dalF equivalente di un acido idrato a quelle della com- binazione delFacido anidro colF ossido di metile (H^C0 = 23) vi sara r accrescimento di 14 grammi ed in volume di 23 millilitri, e la tem- peratura deU'ebollizione si abbassera di 65°; similmente dal suddetlo composto air altro analogo coll' ossido di etile (H'C^0 = 57) vi sara 246 SULLE NOMENCLATURE CHLMIGHE ancora iin accrcscimenlo di 14 granimi e di 19 millililri, iiionlro la tcniperalura dclF cbollizionc auinontcra di 19°. NelF unita Tavola 111 prosonlo alcunc applicazioni di qucsle due leggi : mi sono studialo di delerminare i nunieri arbitrarii in niodo da rendere le differenze fra rosscrvazionc ed il calcolo Ic ininori possibili, e nello stesso tempo di presenlarc le leggi del Kopp nel modo piu generale. Un'altra Icgge analoga fu stabilita dallo stesso Kopp, che pure e sollanlo approssimata specialmente in riguardo alia tcmperatura deir ebollizione : essa puo esprimersi dicendo die quando in un cor- po composto ad un equivalente di idrogeno ( H, = 1 ) viene a so- .slitiiitsi un equivalente di cloro (CI, = 53, J5), mentre il peso del- r equivalente cresce necessariamenle di 54,'o grammi, il suo volume cresce di 12,8 millilitri, e la temperatura dell' ebollizione si eleva di 24°; alcune applicazioni di lal legge si veggono registrate nella Ta- vola IV. II Kopp ba in seguito modificate le proprie idee in riguardo ai volumi degli equivalenti chimici, ammeltendo cbe le costanti diffe- renze di volume tra gli equivalenti che difleriscono in ugual modo non abbian luogo alle ordinarie temperature delPatmosfera, bensi pei volumi misurati a temperature corrispondenti, intendendo per tempera- ture corrispondenti di due liquidi quelle die differiscono di un ugual numero di gradi dalle temperature di ebollizione; sicche, ammessa la nota legge del Dalton, a queste temperature corrispondenti i vapori dei liquidi presentano un' ugual tensione. Perclie la legge del Kopp sui volumi degli equivalenti dei corpi a temperature corrispondenti fosse esatta, per qualunque distanza di queste temperature corri- spondenti dalle temperature di ebollizione, bisognerebbe die tutli i licjuidi egualmente si condensassero per un egual numero di gradi partendo dalla temperatura dell' ebollizione ; ed infatti il Kopp am- mette cbe tal condensamento sia di ^-^ per ogni grado centigrado. Quantunque tutto cio formi un ammasso d'ipotesi poco alto ad ingene- rarc fiducia, pure nella Tavola III ho esposle in particolarc colonna anche le risultanze di questa legge del Kopp; colla dispiacenza per altro di non poter indicare i veri volumi osservati, poiche quelli che da il DEI. PROF. GIU.STO BELL.WITI.S 247 Kopp sono li'oppo conformi alia sua teoria, perche possano conside- rarsi altrimenli chc come calcolati e trovali abbaslanza d'accordo colle esperienze. Nulladiiiieno qucsto accordo, quantunque sollanlo appros- simato, sarebbe notabilissimo ed utile, se veramente fosse genera- ls, il che per allro non puo abbaslanza arguirsi dagll esempii forse raccolti a bello studio dal Kopp fra i moltissimi composti di car- bonio, idrogeno ed ossigeno. Bisognerebbe formare delle tavole di gran lunga piii estese di quelle che io dedussi da quanto lessi del Kopp, notarvi i voluini degli equivalenti e le temperature delFebol- lizione veramente osservate, ed allora si verrebbe a riconoscere se le leggi del Kopp sieno gencrali, o si reslringano a qualche ben definita classe di corpi, o se invece ammettano si forti e frequenti eccezioni da renderle affatto inutili. 11 Kopp applico i suoi principii, o meglio si dira le sue suppo- sizioni, anche ai volumi degli equivalenti dei corpi semplici e spe- cialmente dei mctalli, e ritenne che i corpi aventi chimicamenlc una grande rassomiglianza abbiano gli equivalenti di volume eguale; e che i metalli nel combinarsi colT ossigeno, o col cloro, e cli ossidi nel combinarsi coll' acido solforico (SO^), o coll' acido azotico (A, 0') au- mentino i volumi dei loro equivalenti, se non di quantita costanti, al- meno di quantita riducibili a due, o tutto al piu a tre valori diffe- renti. Cio fu da me esposto nella Tavola V, anche in tal caso col di- spiacere che i volumi che tolsi dal Kopp sieno da lui dati come esatti senza porli a confronto con volumi veramente osservati, e che sieno probabilmente da lui stati esclusi lutti quegli ossidi e quei sali che non si adattavano alia sua legge. Se si volesse dar qualche peso alia supposizione del Kopp suH'egual volume degli equivalenti dei metalli che in qualche parte si assomigliano, potrebbe dedursene un altro motivo per dimezzare Tequivalente delFargento (Ag=108) ammesso dal Berzelius, come gia al)biamo fatto in base della sua capacita pel calorico. Relativamente alia tempera tura deirebollizione dei corpi composti soltanto di idrogeno e di carbonio, il Gerhardt ha data una legge ap- prossimata, che, alcun poco gcneralizzata, puo esprimersi cosi: 11 nu- 2 48 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE inero degli equivalcnti di idrogcno contenuli in un cquivalenlc del corpo si inoltlplichi per 10,4, poscia lo stesso nuinero accresciuto di 4 e dimimiilo del nuniero degli equivalenti del carbonio si moltiplichi per 16; dal primo prodoUo si sollri il secondo, e si avra la temperatura deircbollizione: la Tavola VI presenla il confronlo fra queslo calcolo e Fosservazionc, relativamenle ai corpi dali per esempio dal Gerhardt. A.vendo avulo occasions di nominare gli acidi acelico ecc, e cosi pure Tetile ecc, vi aggiunsi i segni che ne esprimono Fanalisi ele- nientare, non gia i segni A, Ae, ecc. che sono usati da alcuni chi- mici, ma clic mi sembrerebbe doversi affatlo proscrivere, poichc i segni (secondo la mia maniera di vedere) dovrebbero esprimere la composizione del corpo, non gia essere una abbreviatura del suo no- me. E ben vero che A presenta T idea deiracido acelico meglio di (H^CO^); ma mentre vorrei che il nome di una sostanza chimica non islesse mai senza il suo segno, viceversa non si dovrebbe nemmeno adoperare il segno senza il nome, ed allora le parole acelico, acetato ecc. indicherebbcro Torigine, le proprieta ecc. del composto espresso da (H^CO'). Le parentesi servono a dinotare quel corpi che si dise- gnano con un nome parti colare, ed e facile vedere quanti mezzi le parenlesi e gli altri segni gia usati offrano per rappresentare il modo con cui si vuol considerare la composizione dei corpi. Cosi, per esem- pio, lo spirito di legno si rappresenta con (H^C'O'); ma se lo si vuol considerare come un biidrato di metilene, lo si segnera cosi (H,C)'H^; e se lo si riguarda come un idrato d'ossido metilico, lo si segnera cosi (H^C')OH,. L'etere metilico (H'C'O) c anche un idrato di me- tilene (H^C)'H, , oppure un ossido metilico (H^C')O, ed esso e iso- merico colP alcool (H'C^O') che e un idrato di ossido etilico (H' 0)011,, oppure un biidrato di gas olefiante (H^ C')' H^ . L'etere acetico consi- derato come una combinazione di acido acetico anidro (H^C'^O^) e di etere ossia ossido etilico (H^C^)O si segnera con (H',C^)0-h(H'C^ 0'). E da stabilirsi per massima di segnare mediante il segno + i composti del secondo ordine analoghi ai sali, tranne gli idrati che saranno da segnarsi con H, posto dopo il segno del corpo, tanto se Tacqua faccia Tufficio di componente elettro-negativo, come se faccia I'ufficio di elet- DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 249 tro-positivo; cosi la potassa idrata, che io chiamerei ossido polassico idrato (anziche dirla, alia maniera dei sali, idrato potassano), si segnera con K H, . L'acido solforico idrato, nonic, a mio credere, molto nie- glio espressivo di quello di solfato idrico, si segnera con S H,, anzi- che nel modo H, + S, che lo indicherebbe come un sale; il solfato di ammoniaca si segnera con H' A, + S -h H, ecc. I segni chimici si prestano benissimo a presentare i processi di sostituzione, a tal fine crederei che nei coniposti derivati, i componenti dovessero occupare quelle posizioni che nel composto primitivo erano occupate da quel componcnte cui vennero sostituiti, cioe che fosse in tal caso da abbandonare Tordine eleltrico; gioverebbe anche sepa- rare, medianle virgole o punli, i componenti corrispondenti a quclli del composto primitivo. Cosi sc vogliamo notare le sostituzioni nel- Tacido acetico idrato, noi lo segneremo con (H^.C^O''), ed esso dara Tacido cloracetico (H CP, . C^ 0 ^), dove il Cl^ occupa il posto spetlante air H^ a cui fu sostituito . Sc il liquore degli Olandesi si suppone de- rivato dal cloruro etilico, lo segnerei con (H,^C1, . C')C1,, per indica- re che provicne dal cloruro (H' . C) CI, ; che se lo si volesse notare proveniente dal gas olefiante (H^ C')', lo si potrebbe scrivere H' CI, . C" -+- + H, CI,; con ulteriori sostituzioni si ha H, CI' . C' + H, CI, ecc. Lacido carbonico C . O" da colle sostituzioni Tacido clorossicarbonico CO CI,, ed il solfido carbonico C. S\ II surossido calcico Ca . 0' da il cloruro calciano Ca . 0 CI, ; e con altra sostituzione esso da Tazotano calciano Ca . 0 A, , dove V ossido azotico A, fu sostituito ad un equivalcnte di ossigeno; se lo si volesse considerare come un sale, lo si segnerebbe con Ca + A,. L'etere H'.CO da Tetere clorurato H^CI'.CO, oppure Pacido acetico H'O'.C^O. L'etere melilico H^ . C' . 0 da Tacido for- mico H, O'.C'O, r etere clorometilico H' . C\ CI, , ed il cloroforme H, CIl . C' . CI, ; e T etere metilico H' . C\ 0 puo a sua volta supporsi derivato dal gas delle paludi H^ . C\ H, . Secondo le idee del W entz dalPacido fosforico P, . 0' provengono Pacido fosforoso P, . H, 0^ e Paci- do ipofosforoso P, . H' 0\ ed appartengono pure alio stesso tipo il per- cloruro di fosforo P, .Cl^, Possicloruro di fosforo P, .CP, 0% ed il sol- focloruro di fosforo P, . S' Cl^ . III. 32 250 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE Laondc mi sembra poter conchiudere die Fuso dei segni chimici, ogniqualvolta si dee inenzionarc una soslanza di determinata conipo- sizione, sarcbbe sommamenle opportuno, e che diverra necessario per fissare il significalo delle nomenclature sempre mutabili, e tali rese forzalamente dal progresso della scienza; che onde i segni presen- tino un linguaggio veramcnte universale, bisogna fissarli invariabil- mente, e die e convenicnte scegliere a tal uopo quelli stabiliti dal Berzelius: che apponendo al basso di questi segni delle cifre arabe o roniane si potrebbe fare in guisa, che essi si prestassero a rappresen- tare le varie opinion! dei chimici intorno alia grandezza degli equiva- lenti: che le ulteriori modificazioni delle nomenclature dovrebbero avere per fine principale di ricordare le proprieta dei corpi e spe- cialmente la loro origine, le loro reazioni, lo stato allotropico od iso- merico in cui si trovano, i tipi a cui appartengono ecc, e che in quanto alia numerica composizione essa sarebbe da esprimersi col se- gno chimico, giacche la nomenclalura diverrebbe ti*oppo complicata sc dovessc indicare tale composizione; che la totale riforma di no- menclatura proposta dalF Avogadro porterebbe il gi-avissimo inconve- niente che il nome non darebbe se non se Tanalisi quantitativa, e sa- rebbe anche molto meno espressivo del segno chimico; che Tattuale nomendatura potrebbe forse utilmente modificarsi facendo che gli os- sidi e gli analoghi cloruri, solfuri ecc, quando entrano nei composti del secondo ordine cangiassero le loro desinenze oso ico in due nuove desinenze ino ano^ appunto come gli acidi^ cloridi, solfidt ecc. pren- dono in tal case le desinenze in ito ato; che si doATebbero sempre pubblicare le analisi quali risultano dalla sperienza, anziche darle cor- rette giusta la teoria ; che i valori degli equivalenli chimici si do- vrebbero dare dentro i limiti di approssimazione risultanti dall'espe- rienza, e che sarebbe ottima cosa aggiungervi Terror probabile; che sarebbe utilissinio formare delle estese tavole dove la capacita pel ca- lorico, i volumi ecc. fossero riferiti all' equivalente di ciascuna sostanza, e vi fossero anche aggiunte le temperature dell' ebollizione ecc. per -sedere quali relazioni almeno approssimate esistano fra tali numeri. (Lette il 23 Marzo 18 46) DEL PROF GIUSTO REF.LAVITIS 2 51 NOTE (1) Non e molto che il Longchamp propose per I'idrogeno il noiue di couphos (leggiero). (2) Esempii. Cloruro calciano := Ca 0 + C\, si chiamerebbe il cloruro di calce che serve a sviluppare il cloro, e che e ben differente dal cloruro calcico=z CaC\,, il quale iinito ad un equi- valente di acqua da il miiriato di Calce; che se si voglia espriinerlo coUa nuova nomenclatura lo si dira cluridrato o, molto meglio, cloridrogenato Crt/c/aHO = Ca 0 + H,Clj. La coinbinazione del solfiiro carbonico (C S") (che forse potrebbe dirsi solfido carbonico (C S") perche la sua com- posizione e analoga a quella dell'acido carbonico (CO')) coll'ossldo ferrico (FcOt), che dal Ber- zelius dicevasi carbosulphuretum ferricum, io la chiamerei solfo-carbonato ferrano (Fe'O'+CS'). L'acido chrossiearbonico (CCl, 0) (nel quale un equivalente di cloro tien luogo di uno di ossi- geno) da, per esenipio, il clorossicarbonato jnombiano (PbO + CClO). Un esempio di solfo-sale si ha nel solfidrogenato solfopotassano (KS + E^S). Si ha il ciamtro potassico (KC'AJ ed il cianuro potassano (KO + C'A,); nel primo il cianogene (C'A,) e unito col potassio, e nel se- condo coll'ossido potassico. 352 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE T A V 0! Che presenta i pesi degli equivalenti dei cor pi semplici (Vi sono aggiunle le formule ed ii Secondo Berzelius 3 1 1 i3 19 CoRPi Semplici Ossigeno Cloro Bromo lodio Fluore Solfo Selcnio Telluro Azolo Fosforo 10 Arsenico 15 Carbon io 14 Boro 20 Silieio 21 Idrogeno Croiiio Molibdeno Tungsteno Tanlalo (Colunibio) Pelopio Niobio Titanio Peso del- r alomo 8,000 17,706 39,132 63,180 9,352 16,093 39,567 64,516 7,081 15,691 37,603 6,115 10,896 22,185 0,4992 28,145 47,882 94,640 92,297 24.293 Equivalente probabile Segno Peso 0 CI, Br, I, Fa S Se Te A, Cr Mo W Ta rp Nb Ti 35,5 80 126 18,5 16 40 64 i4 32 75 6 11 22 1 28 48 95 92 li Ossido cloroso C1,0=: 43,5; Acidi cloroso CI, 0^ = 59, 5) Cl=: 1 7,7. Marignac trovo da prima Cl, = 36, posci? mette Cl^ = 35,46. Acido broniieo Br,0'== 120. Marignac trovo Br, da 79 Acldo iodico 1,0^ = 166: Solfiiri iodoso I,S=1 42,iodicc I Acidi iposolforoso SO=24, solforoso SO' = 32, iposolj Acidi selenioso SeO' = 56, selenico SeO^ = 6 4. Solfurq Acido tellurico TeO'=80. Solfido teliurico TeS' = 96 Ossidi azotoso A, 0 = 22, azolico A, O'=30; Acidi aztf A,= 1 4. Erdmann e Marchand ritcngoiio A,= 1 4. Acidi ipofosforoso -^P, 0=20, fosforoso 7P, 0' = 28, fosforico =PO' = 31,69. II Thompson aveva gia discrepanze vi sieno da un chimico all'altro. Pelouze Acidi arsenioso ^As, 0^=49, 5, arsenico ^As, 0^=57, 5 arsenico As, S' = 1 55 , Persolfuro As, S''= 363 . Ossido carbonico C0=14. Acidi ossalico CO' = 36, grafite trovarono C„= 2,9993 e colla conibustione giustificava la legge delle sostituzioni nella Naftalina Acido borico B 0' = 3 5 . Etogeno del Balmain B' A, = 3 6 Acido silicico(Silice) Si 0^=4 6. Pelouze trovo Si,„=7,l 1 5. Acqua H, 0=9, Surossido 11,0' = 17. Acidi cloridroge drogenico IJ,S=17. Selenido idrogenico n,Se=41 Secondo le prime sperienze del Lavoisier era II,= 1 ,4 determinazione del Prout aspirando ad una esattez trovo H, da 0,9 98 a 1,005. Erdmanii e Marchand Ossidi cromico CrO'=40, suscromico (ipercromico; Ossidi molibdoso MoO = 56, molibdico Mo 0'=64, Acido Ossido tungstico W0'=1 1 1 , Acido tungstico W0'=1 1 9 3 Ossido tantalieo Ta 0 = 1 00, Acido tantalico Ta 0^=1 04 [NuovI metalli trovati dal Rose. Acido titanico TiO'=40. Rose trova 1' acido titanico DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS 253 I A I. uali possono attualmente considetarsi come i piii probabili. !si di alcuni dei loro coraposti.) RINCIPALI COM POST I BIMARII lorico CI, 0^=75,5, perclorico CI, 0"== 9 1, 5; Solfuri cloroso CI, S= 54,5, clorico CI,S' = 67,5. Laurent trovo ;i, = 35,37, infine eon piii diligent! sperienze CI, = 35,4 6. Erdmann e Marchand trovano CI =18. Pelouze am- >5 a 79,94 e ritenne Br, = 80. i .... ,5"= 1 58. Marignac trovo I,= 120,85. • ' " " 5_ brico S0*=36, solforico S0^=40. Erdmann e Marchand trovarono S= 16,005. Berzelius trovo S=16,06. >elenioso SeS'=7 2. Fluorido selenioso SeF^ = 77. oso A,0'=38, azotico A, 0^=54. Dumas trovo A = 7. Marignae trovo A, da 14,006 a 14,030 e ritenne 'elouze, qiiantunque eontrario airipotesi del Prout, pure riconoLbe che A, = 14,006. osforico -fP, 0^=36. Solfidi ipofosforoso P, S=:48, fosforico P, S'=:112. Longchamp vorrebbe che fosse Acido unmesso che P=12, e i due acidi fossero: fosforoso P0=20 e fosforico PO':=28, il che niostra quanto gravi rovo P, = 32,02 4. iolfuro di arsenico As^.S=466; Solfidi ipoarscnioso (Realgar) As, S' = 107, arsenio.so (Orpimento) As, S^ = 123, Pelouze trovo As, = 7 5,000. 2arbonico CO' = 22. Sol/ido carbonico CS'=-38. Cianogene C.A, =:26. Duuias e Stas colla combustione della del diamante C„=: 3,0002, ed osservarono che questa fortissima diminuzione nel valore ammesso dal Berzelius Erdmann e Marchand coUo stesso mezzo trovarono Cda5,987a6,015. 'nico H, CI, = 36, 5, bromidrogenico H,Br,=:8l, iodidrogenico H,I,= 127, fluoridrogenico H,F,= 19,5, solfi- Teilurido idrogenico H, Te= 6 5 . .■Vramoniaca H^ .V,= 1 7 . Gas idrogeno carburalo H' C= 8 . Gas olefiante H' C = 1 4 . poscia H,=: 1 ,36. Berzelius con esperienze che differiscono da H,:=0,992 a H,=l ,066 voile rifiulare la teoretiea za che non era comportata ne dai pcsi specific! adottali, ne daU'ommissione delle necessarie correzioni. Dumas trovarono H, = 1 . CrO''=4 4,Ac!do cromiio CrO^=52,Solfuro cromico CrS'=52, suscromico CrS'=60, Solfido cromico CrS'=76. molibdico MoO' = 72 T!'0'=72,59. 254 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE CONTINUAZIONE,* Xf- Seeondo il Berzelius 22 16 34 24 25 26 23 27 28 30 29 33 35 36 31 32 40 37 CORPl SElIPI.iri Vanadio Antiinonio Stagno Osmio Iridic Platino Oro Rodio Palladio Argento Mercurio Bisniuto Pionibo Cadmio Rame Urano (Uranilo) Uranio Zinco Cobalto Peso del- r atomo 68.467 64,516 58,824 99,559 98,680 98,680 99,441 52, HI 53,272 108,129 101.266 106.430 103,560 55,741 31,656 216,909 32,258 29,519 Equivalente probabile begno V Sb, Sn Os Ir Pt Au R Pd Ag„ Hg Bi Pb Cd Cu U Ui Zn Co Peso 68 129 59 100 99 99 99 52 53 54 100 106 104 56 31,7 204 60 33 29,5 ^-oU* Ossidi % anadioso V 0 = 7 6 , vanadico V 0' = 8 4 ; Acid Ossido antimonioso Sb, 0^ = 153; Acidi aniimoniosi Sb,„0'^60. ^ Ossidi stagnoso Sn 0 = 6 7 , stagnico Sn 0' = 7 5 ; Solfurc Ossidi osniioso Os 0=108, suosmioso (iperosmioso Solfuri e Solfido. Freniy trova Os = 99,82, Acidc * Ossidi iridioso IrO^107, iridico IrO'=: 1 1 5, cogli anS ^ Ossidi platinoso PtO = 107, platinico PtO' = 115,cogli ' -L i. Ossidi auroso Au 0 '= 1 03, aurico Au 0 == 11 1 . Solfur. = Au=98. 3^ Ossidi rodioso R0=60, rodico RO' = 64. Solfuro ro Ossido palladioso Pd 0 = 6 1 , palladieo Pd 0' = 6 9 , ed ana Ossido argeutico Ag„0 ' =58; Solfuro argentico Ag„S^=62 * Ag= 107,921. Erdmann e Marcliand ritennerc Ossidi mercurioso Hg 0 ' = 1 0 4, mercurico Hg 0 = 1 08: rido mercurico (Subliniato eorrosivo) HgCl,= l 35,5: 3_ Ossido ( sesquiossido ) bismutico BiO'=118; Solfuro 3_ e Sesquiossido Bi 0 ' = 8 3 , ma Ilcintz trovo Bi = Ossido piombico PbO= 11 2, Surossido piombico Pb 0' = ' gia ammetteva il Thompson, Pb = 104. Ossido cadinico Cd 0 = 6 4 ed analogo Solfuro. Ossidi rameoso Cu0'=35,7, raineico Cu 0 = 39,7 Marchand trovarono eon quattro sperienze Cu djl# J ' Ossidi uranoso U 0 = 2 1 2, uranico U 0 '= 2 1 6 ; Solfur' suo 216,909) e il tripio del valore trovato comd Peligot rUrano e un ossido di Uranio Ui" 0' = 1 36 : _3 nilo; egli ammette inoltre il SottossidoUi'0'=132J che puo considerarsi come un Ossido di uranil(! corrisponde il Cloruro Ui' CI," = 1 73,25 ; al Peroi| Ebelmen trova Ui = 5 9 , 4 . [ Ossido zincico ZnO=41 ed analogo Solfuro. Jaequeliri • mann trova Zn= 32,53. I Ossido coballico Co 0 = 37,5, Surossido (Sesquiossido) di|^ DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 255 ELLA TAVOLA L anadico V 0^=92. ^ |],0''= 161 , antimonico Sb,0^= 169. Thompson ammetteva Sb,„= 44, Ossidi Sb„,0 = 52, Sb„,0' = 56, iagnoso SnS=75; Solfldo stagnico SnS'^91. isO" = 112, osinico OsO'=ll6, susosmico (iperosmico) OsO' = l 24; Acido osmico OsO''= 1 32,cogli analoghi smioso Os 0^, ed Acido osniico Os O"*. )ghi Solfuri iridioso Ir S ^ 1 1 5, iridico Ir S' = 1 3 1 . iialoghi Solfuri . uroso AuS"=107, aurico AuS~=123. Berzelius trovo ultimamente Au=98,333. Non e difficile che Ir = Pt = ico RS" = 76. )ghi Solfuri. tlloruro Ag„ 01^=71, 75. Baup trovo AgO = '116. Marignac trovo a varie riprese Ag=109,92, Ag=108,00. .g=110, appunto come aveva ammesso il Thompson. Pelouze ammette Ag= 107,921. oifuro mercurioso IfgS' = 108, mercurico HgS=H6; Cloruro mercurioso (Calomelano) HgCI,'= 1 17,75, Clo- irdmann e Marehand ammettono Hg= 100 come medio di cinque sperienze da 100,02 a 100,09. IS "=130. Berzelius sostitui al prinio valore 106,430 ilBi = 70, 954 e ritenne che Ossido bismutico BiO= 79 06,4302, BiO'=122, BiO~=126. Peligot ritiene che I'equivalente deU'ossido sia Bi' 0^=236, 20; Solfuro piombieo PbS^120; Cloruro piombico PbCI,= 139,5. Erdmann e Marehand trovarono. come liossido di fame CuO''= 47,7, e gli analoghi Solfuri ed inoltre il Persolfuro di rame Cu.S'=lll,7. Erdmann e ,M,70 a 31,75. |iranoso US=220, uranico US' =2 28. L'equi\alente 204 che attribuisco aU'Uranodel Berzelius (in luogo del ague dal Peligot e da altri, cosi il UO si accorda col seguente Ui'O^, ed il UO' col Ui'0'=144. Secondo il he da origine ai sali verdi, e che talvolta invece prende il carattere di radicale, ed e allora da lui chiamato Ura- I Deutossido nero Ui'0~= 1 40, il Tritossido oliva Ui04-Ui'0'=212, ed il Perossido dei sali gialli Ui'0'=l 4 4, ji'0'+0= 14 4. AirUrano (ossido d'Uranio) UiO = 68 e analogo il Cloruro d' Cranio UiCl, = 95,5; al Sottossido ^ido corrisponde il Cloruro d'uranilo Ui'0' + Cl, = 1 71,5. Wertheim trova Ui = 5 9 , 7 , Rammelsberg Ui = 60 ed la quattro sperienze trovo Zn=33,12 fra 33,10 e 33,17. Fa\Te trovo Zn = 32,99 fra 32,94 e 33,07. Erd- * ohalto CoO^= 41,5; Solfuro coballico Co S= 45,5, Sesquisolfuro di cobalto CoS* = 53,5, Bisolfuro CoS" = 61 ,5. 256 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE CONTINUAZION^ u Secondo Berzelius Ij EquiVdieiue s gj Peso probabile . .. ,■ _ ., , , ,, s 1^ o 2 CORPI Sf.MPLICI del- 1' alonio . \. . .■ . ■ Segno Peso 38 Nicliel 29,574 Ni 30 Ossido nichelico Ni 0=38 ed analogo Solfuro. 42 Cerio 45,976 Ce 46 Ossidi cerioso CeO=54, cerico CcO~=58 ed analog?; ^ .- Lantanio _ Ln 48 Ossido lantanico LnO=56 secondo 1' Hermann. )„ >Du 'o _ Didiniio — Dd b. 43 Torio 59,592 Th 60 Ossido torinico (Torina) ThO = 68, Solfuro ThS=76 39 Ferro 27,136 Fe 28 Ossidi ferroso FeO=36, ferrico (Colcotar) FeO~=4C FeS'=: 60. Svanberg e Nolin trovarono Fe= 27,9| 41 Manganese 27,671 Mn 27,5 Ossidi manganoso MnO=35,5, manganico Mn 0~=39,^ 45 Alluminio 13,693 AI 14 Ailumina Al 0^=26. Thompson ammclteva A1„„ = 1C 47 Glicio (Berillio) 26,501 Be 26 Glicina Be 0^=38. Thompson aninielteva Be,,,, = 18. *o 44 Zirconio 33.616 Ir 34 Zirconia Zr0'^=46. Tliompson animetleva Zr„„ = 4f C g Zr^O'=90,5 coll'analogo eloriiro Zr,Ci^=173. * S _ Norio — No Nuovo mctallo scoperto nella Zirconia dallo Svanberg. ^ 46 Ittrio 32,201 Y 32 Ittria Y0=:40. — Terbio Erbio — Tb Eb SNuovi metalli scoperti nell' Ittria dal Mosander. — 48 Magnesio 12,668 Ms 12,7 Magnesia MgO= 20,7; Solfuro magnesico MgS = 28,7 49 Calcio 20,482 Ca 20 Calce CaO=28, Biossido di calcio CaO'=36; Solfur calcico CaF,= 38,5. Dumas dall'analisi dello spat '■§, rignac; Berzelius pur confessando errata la prim, im ma Erdmann e Marchand riconfermarono il Ca = -3 50 Slronzio 43,783 Sr 44 Stronziana SrO = 52, Biossido di slronzio SrO'=:60 Marignac. 51 Bario 68.550 Ba 68 Barite BaO = 76; Biossido di bario BaO' = 84; Solfui / Pelouze trova Ba= 68,64. 52 Litio 6,43 L 6 Litina L0=14; Solfuro LS = 22. Arfredson avca ti tiene 0,61 di acido e 0,39 di base, ne dedus •^ 53 Sodio 23,272 Na 23 Soda NaO=31, Surossido Na 0^= 3 5; Solfuro sodi( 1 ruro NaCl,= 58,5. Longchamp dedusse da princii o si poco tra loro si aecordano chc danno per I'ossiger 54 Potassio 39,193 K 39 Potassa KO=47, Surossido di potassio KO' = 63, Sj» Cloruro potassico K CI, = 7 4,5, loduro Kl, = 16.'i posizione del perossido poco puo stabilirsi di sicui^ r \ ■ ;'-i 0,81. |i 1 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS . 257 ELLA TAVOLA I. RINGIPALI COMPOSTI BINaRII olfuri. Hermann trovo Ce=46. ;uovi melalli che il Mosander trovo nel Cerio. .'on bisogna confonderlo colla terra che portava il noine di Torina. e che si riconobbe essere un Fosfato d' ittria. •ottosolfuri di ferro FeS^^SO, FeS'^36, Solfuri ferroso FeS=44, ferrieo FeS'=:52. Bisolfuro di ferro he sembra ammesso anche dal BerzeUus. iurossido MnO'= 43,5; Acido manganoso MnO^ = 5l,5, Acido ossimanganico MnO^=55,5,Solfuro MnS=43,5. Vlluraina AU,„0= 18. ; Zirconia Zr„„0= 48. il che costituisce una somnia differenza. Hermann trova Zr, da 66,5 a 67,2 e Zirconia II ?alcico CaS = 36; Bisolfuro di calcio CaS' = 52, Persolfuro CaS^=100; Cloruro calcico Ca €1^ = 55, 5; Fluoruro I'lslanda dedusse che sia esattamente Ca= 20, nel che convennero anche Erdmann, Alarchand, Salvetat e Ma- leterminazione,ritenne che Ca= 20,1 5539, come medio di cinque sperienze eomprese tra 20,1 176 e 20,1944, 20,031. 50lfuro stronzico SrS = 60. Pelouze trova Sr= 43,842. Salvetat trovo .Sr=44, il che e ammesso anche dal barico BaS = 84; Persolfuro di bario BaS'= 1 48. Salvetat trovo Ba=68 il che e ammesso anche dal Marignac. 'vato L,= 20,45, Gmehn L,= 15,30, Kralovanszki L, = 20,34. Hermann trovo che il Carbonato di Litina eon- 'L,= 12,165, ma atteso la correzione portala nel peso di CO'=22 ne risulta L,= 12,04. NaS = 39, Bisolfuro NaS'=55, Trisolfuro NaS^ = 71, Quadrisolfuro NaS'' = 87, Persolfuro NaS'=r 103, Clo- 3_ teoretici che il Perossido sia NaO\ ed egli osservo che la formula NaO= fu dedotta da cinque sperienze le quali contenuto nel Perossido 0,20, 0,30, 0,30, 0,37, 0,42. Pelouze trova Na= 22,974. furo potassico KS=55. Bisolfuro KS' = 71, Trisolfuro K,S'=87, Quadrisolfuro KS*= I 03, Persolfuro KS' = H9, Marignae trovo da prima K=: 39,88, poscia K= 39,201, K = 39,115; Pelouze trova K= 39,1 4 4. Sulla com- poiche in cinque sperienze si trovo per la quantita d'ossigeno in esso contenuto 0,48, 0,61, 0,66, 0,68, 0,79, III. 33 wSULLE NOMENCLATURE CHIMICHE TAYOLl II. Contenente i pesi specifici di varii fluidi aerifornii, ed il loro confronto cocjli equivcdenti chimici. Gas 0 Vapohe Equivalente chimico od un suo multiplo 0 suDiniuUiplo Densita del lluldo aerifoime Aria = 1 I'l Peso in granimi aO''eO"',7<5 di un litro S "H it OsSERVATORl ^0,0 "oT" 1 .Gas Ossigeno 20 = 16 1,10359 690 1,43353 896 Biot ed Arago 1,1026 689 1,4323 895 detti 1,1026 689 1,4324 895 Berzelius e Diilong 1,1057 691 Dumas e Boussingaull 1,10563 691 Regnault 21. Gas Idrogeno H,= l 0,07321 732 0,0951 951 Biot ed Arago 0,0688 688 0,0894 894 Berzelius e Duloiig 0,06926 693 Reguaull Vap. Acqua H,0 = 'J 0,062 689 0,8054 895 Berzelius e Dulong 5. Gas Cloro Cl, = 35,5 2,470 696 3,2088 904 Gay-Lussae e Thenard 2,4252 683 3,1505 887 Bisehof Pi'otossidodicloro 2,314 4 3,0066 Gay-Lussae G. Aeido cloridr. ^H,C1,= 18,25 1,2474 683 1,62 888 Biot ed Arago 6. Vap. Bronio Br, = 80 5,3933 674 Berzelius Acido broiuidrog. ^H, Br, = 40,5 2,731 67 4 dello 7. Yap. lodio I,= d26 8,6195 684 11,1976 889 Gay-Lussae 8,716 692 11,323 899 Dumas 8,8172 700 11.4542 909 Bisehof 8,7011 691 Berzelius Aoido iodidrog 7H,I, = 63,5 4,443 4,4193 700 696 5,7535 5,7719 906 909 Gay-Lussae delto Berzelius 4. Gas Fliiotv 3,3979 4.4141 Bisehof 2.Vup .Solfo .S= Ifi 1,14 4 4 715 1,4867 929 del to G. .\cido soll'oroso .SO'=32 2,1204 663 Gaj'-Lussac e Theiiard 2,1930 685 2,8489 890 J. Davy e Gay-Lussae 2,247 702 2,9190 912 Biscliof G. Acido sollidr. II,,S= 17 1,1912 701 1,5475 910 Gaj-Lussae e Thenard 1,2132 713 1.5760 927 Bisehof 1.178 693 Pouillet, Pliysique § 533 3. Gas Azo((i A, = 1 4 0.9691 692 1,2590 899 Biot ed Arago 0,976 697 1,2675 905 Berzelius e Dulong 0,972 694 Dumas e Boussingaull 0,97137 694 Regnault .\n'a 1, 1,2991 Seeondo Dumas e Boussin- gaull di 2 3 OSS. e 7 7 azoto DEL PROF GIUSTO BELLA VITIS CONTLNUAZIONE DELLA TAVOLA IL 259 Equivalente chimic 0 DensiU | ^ _; Peso L. Gas 0 Vapohe 0(1 un suo multiplo del Ouido aeriforme in grammi ^ J aO"eO"',76 §.= OSSERVATOHI 0 summultipio Aria = 1 '^^ di un litro K = 0,0 0,0 G. Ossido azotosc > A, 0=22 1,520 4 1,5269 691 694 Colin detto 1,5273 694 1,9841 900 Berzelius e Dulong G. Ossido azolico tA,0' = 15 1.0388 692 1,3495 899 Berard 1,0393 693 1,3501 900 Bischof 1.0010 667 1,3004 867 Berzelius e Dulong Gas Aninioniaca ^H^A, = 8,5 0,59669 702 0,7751 912 Biot ed Arago 0,5912 696 0,7680 904 Berzelius e Dulong Pouillet, P/ysiV/iie § 533 H. Davy, Berzel. e Dulong Troinsdorff 9.G. Idrog. protosf G. Idrog. fosfor. lO.G. Idrog. arsenic. ?-^H!P, = 17,5 ? ? 1,256 0,87 0,529 712 1,1302 0,6872 7 H, As, = 38 2,695 709 3,5023 922 Dumas Cioruro d'Arsen. -;- As: Cl,= 92,75 6,3006 679 8,1852 883 detto Cruikshank 1 5.G. Ossido carbon. C0=14 0,9569 683 1,2431 888 G. Acido carbon. CO, = 22 0,9727 1,5196 695 691 1,2636 1,9741 903 897 Berzelius e Dulong Biol ed Arago 1,524 693 1,9805 900 Berzelius e Dulong 1,5291 695 Regnault; alia temp. 0° e Gas oleflante H:C'=]4 0,97804 699 1,27052 907 press. 0'",76 Teo. de Saussure Vap. Alcool assol. H:C=H, = 23 0,9804 1,6133 700 701 1,2736 910 Berzelius e Dulong Gay-Lussac Vap. Etere H4C^H,= 37 1,6004 2,5860 696 699 2,0791 904 Berzelius e Dulong Gay-Lussac G. Idrog. carbon. G.CIorossicarbon. H:c = 8 C CI, 0 = 49,5 2,5808 0,5590 3,3894 697 699 684 3,3527 0,7262 4,4032 906 908 890 Berzelius e Dulong detti J. Davy Vap. Solfido tarb. Gas Cianogene V. Acido cianidr. 3,442 697 Pouillet, /'/o^iV/ue § 533 Gay-Lussac Berzelius e Dulong detti CS' = 38 C'A, = 26 fH,C'A, = '13,5 2,6447 1,8188 0,9438 696 700 699 3,4357 2,3628 1,2261 904 909 908 Gas Clorocianico 14. Cioruro di Boro tC=A,C1,=30,75 ?B^CI,= 57,5 2,1113 3,942 687 686 2,7428 5,1212 890 890 Gay-Lussac Dumas Acido lluoborieo ?B'F, = 30,5 2,3124 758 detto J. Davy Dumas detto 20. Acido fliiosilicico Cioruro di silicio 19 Perclor. di titanio ?SiCi:=93 TiCI,'=95 3,5375 5,9390 5,836 639 720 4,6425 7,7154 5,881 830 935 34.Perc]or. distagno SnCi:=I30 3,1997 708 1,9514 919 detto 29.Vap. Mercurio Hg=I00 3,976 698 3,0625 906 detto 260 SULLE NOMENCLATURE CIIIMICHE TAYOLA III. Dati elementuri dalla sonima del qmdi si possono determinare, ■' J 0 45°. ] 19° — etilico H,*C^+I, 155 81 64°.8 5 5 7° — amilico h;' C" + 1, 197 122°. } ■)/ . Solfuro di metile H', e + S 31 37 ?,19 — di etile HjC* + S 45 55 73°. Surclorido formilico — acelilico 57°. 7 6°. j ... I volumi e le temperature osservate le toisi dai sunli dati dai giornali delle memoric del Kopp; in esse trovansi anche le temperature calcolate. Sarebbe stato facilissimo calcolare molti altri numeri, ma non potendo porli a confronto colle osservazioni me ne astenni ; bensi calcolai i volumi alia temperatura della rispettiva cboUizione per tutti quel composli, pel quali era stato osservato il volume alia temperatura ordinaria, giacche puo farsi uu confronto fra tali valori. II Kopp ammette che per ogni grado centigrado il volume dei liquidi di cui si tratia decresca di -— - partendo dalla temperatura della loro ebollizione. Si ricordi che nell' Idrato metilico, Formiato metilico, ecc ecc. enlra I'Ossido di metile. e che nell' lodido metilico, ecc. entra il metile senza ossigeno. DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS 263 TAYOLA IV. Che dimostra come la sostituzione di CI, a H, occresca il peso deWequivalente di 34,3, il volume del medesimo di 12,8, e la temperatura deirebollizione di 24°. Equivalente chimico Volume deir equivalente Temperat. deirebollizione i Formula Peso osserv. calcolata osserv. calcol. Ossido metilico H^c'o 23 (Sostituzione del cloro) Hid. CO 57,5 43,8 44,8 Come nella tavola III. H.ci^.eo 92 92 57,6 Ossido etilico HjC^O 37 51 51 Come nella tavola III. wlai.c^o 106 71 76 Foriniato etilico j,6(,6q4 74 82 81 Come nella tavola III. utai.Co'' 443 114 106,6 Acetato etilico uico^ 88 99 100 Btai.eo'' 157 121 125,6 Acetato metilico H^C"0^ 74 81 81 HjCiJ.C^O* 143 113 106,6 Acido acctico idrato H^ C^ 0^ 60 56 56 120°, 1 18°. Acido cloroacetico IL CI'. C^ 0^ 163,5 101 94,4 195°. 190°. Solfuro di elile H' C^ S 45 55 7 3°. H, CI-'. C^ S 183 109 106,2 160°. 169°. Partendo dal preced. Cloruro di inctik- lUC' + CI, 50,5 H^C1,.C" + C1, 85 63 30°. 5 H,Ci:.C= + Cl, 119,5 81 75,8 60.8 54°.5 Parlendo dal pieced. CItC' + Cl, 154 96 88,6 78°. 7 8°. 5 Cluriiro di elik- H^'C' + Cl' 64,5 74 (Liquor degli Olandcsi) HfCI,.C^ + Cl, 99 84 86,8 Partendo dal pieced. 1 H^CI^C^ + C1, 133,5 97 9 9,6 ! H^CltC* + CI, 168 110 112,4 1 H,C1^CM-C1, 202,5 123 125,2 1 Cl^C^i 237 118 138 Alik-idc H^C-lO' 44 56 21°.8 Cloiiil H, Ci; C^ 0' 147,5 98 94,4 94°. 9 3°. 8 Partendo dal preced. i 264 SULLE NOMENCLATUHl' CHl.MICHE TAVOLl V. Dei volumi deyli oquhalenti di alcuni carpi. Da qucsla tavola apparisce che i corpi chiniicauiente simili hanno \ oluini eguali, il die, se- condo il Kopp, ha pur luogo (ra moltissinii corpi composti isomorli. Sono aggiunti i voluini degli equivalenli di alcuni composti, nei quali il Kopp aiiimetle che un'aggiunta di un equivalente di 0 aecresca il volume di 2,56, qualche volta della meta od aiiche del doppio; e che se il me- tallo si unisce, oltre che ad 0, anche ad un equivalente d'aeido azolico (A,0') o di acido earbo- nico (CO') o di acido cromico (CrO^) o di acido tungstico (WO^) il volume dell'equivalente au- nienti di 28,64, o di 12,08, o di 18,24, o di 19,52: per I'acido solforico (SO') I'auniento e 0 14,88 oppure 18,88. Cosi pure requivalente CI, uneudosi ad un metallo ne aumenta il vo- lume 0 di 15,68 oppure di 19,60. Segno Peso Vo- lume Vol. ipotet. Cunn CoiirosTi 5 Cloro 17,75 12,8 6 Bromo 7 Br, 40 12,8 7 lodio tI, 63 12,8 Cianogcnc ^C'A' 13 12,8 2 Solfo S 16 8 8 Selenio Se 39,6 9,2 9 Fosforo tP. 15,5 8,9 10 Arscnico 16 Antimonio 4- As, 37,5 6 4,5 6,4 9,6 3 SbO- SbO' = 76, 5, vol. 13,4 = 9,6+42,56 = 80,5, vol. 1 2,2 = 9,6 + 2,56 11 Cromo 12 INIolibdeno Cr :\io 28 48 5,52 5,52 CrO~ MoO' = 40, vol. 7,4 4 = 5,52+^.2,56 = 72, vol. 20,88 = 5,52 +6. 2,56 13 Tungsteno 19 Titanio W Ti 94,6 24 5,52 4,56 TiO' = 40, vol. 9,68 = 4,56 + 2. 2,56 2 4 Osiiiio Os 99,6 4,56 25 Iridio Ir 99 4,56 26 Platino Pt 99 4,56 2 7 Rodio R 52 4,56 28 Palladio Pd 53 4,56 23 Oro Au 99,4 5,20 DEL PROF. GIUSTO BELLAVITIS S65 CONTINUAZIONE DELLA TAVOLA V. Vo- Vol. Segno Peso lume ipotet. CORPI CoMFOSTI 30 Argento Ag., 54 5,20 AgO= 11 6, vol. 15,52 = 2.5,20 + 2.2,56 Ag CI, = 143, 5, vol. 26,08 = 10,40 + 15,68 Ag 0 + A, 0'= 170, vol. 39,0 = 10,4 + 28,6 4 Ago + S0'= 156, vol, 29,3 = 10,4 + 18.88 29 Mereurio Hg 101 7,44 Hg 0=1 09, vol. 10 = 7,44 + 2,56 Hg0'^ = 105, vol. 10 = 7,4 4 + 2,56 HgCl= 118, 8, vol. 17,2 = 7,44+7- 19,60 HgCl, = 136,5, vol. 27 = 7,44 +19,60 33 Bisniuto Bi 106 10,8 BiO~=118,vol. 14,6 = 10,8 + 4.2,56 35 Pionibo Pb 103,6 9,12 Pb 0=11 1,6, vol. 11, 68 = 9,1 2 + 2,56 Pb CI, = 139, vol. 2 4,8 = 9,12 + 15,68 Pb 0 + A, 0'= 16 5,6, vol. 37,76 = 9,12 + 28,64 Pb 0 + C0'= 133,6, vol. 21,2 = 9,12 + 1 2,08 PbO + CrO'= 163,6, vol. 27,36 = 9,12 + 18,24 PbO + WO^ = 230,2, vol. 28,6 4 = 9,12 + 19,52 PbO + SO'= 151,6, vol. 24 = 9,12 + 14,88 36 Cadmio Cd 56 6,48 CdO = 64,vol. 9 = 6,48 + 2.56 CdO + CO'=86,vol. 18.56 = 6,48 + 12,08 34 Stagno Sii 59 8,08 Sn 0 = 67, vol. 10,64 =8,08 + 2,56 Sn0' = 75, vol. 10,64 = 8,08 +2,56 40 Zinco Zn 32 4,64 Zn 0=40, vol. 7,2 = 4,64 + 3,56 Zn0 + C0'= 62, vol. 14,16 = 4,64 + 12,08 questa formula da un errore molto sensibile ZnO + SO' = 80,vol. 23,5 = 4,64 + 18,88 31 Rame Cu 32 3,52 CuO=40, vol. 6,08 = 3,52 + 2,56 Cu 0^=36, vol. 6,08 = 3,52 + 2,56 Cu0 + S0^ = 80, vol. 22.4 = 3.52 + 18,88 37 Cobalto Co 29,5 3,52 Co0~=41,5,vol. 7,36 = 3,52+4. 2,56 38 Kicliel Ni 30 3,52 , 39 Ferro Fe 27 3,52 FeO^=39, vol. 7,36 = 3.52 +4. 2,56 FeO + CO'=57,vol. 15,2 = 3,52 + 12,08 appr. 41 Manganese Mri 27,7 3,52 MnO + CO' = 57,7,vol. 15,44 = 3,52 + 12,08 appr. Aniinonio H^\, 18 — 17,44 48 Magnesio Mg 12,7 3,2 MgO + CO'=42,7, vol. 14,56 = 3.2 + 12,08 appr. .MgO + SO' = 60, 7, vol. 22,1=3,2 + 18,88 ni. 34 366 SULLE NOMENCLATURE CHIMICHE CONTINUAZIONE DELLA TAVOLA V. Segno Peso Vo- lume Vol. ipotet. COBPI COMPOSTI 49 Calcio 50 Stronzio 51 Bario 53 Sodio 54 Potassio Ca Sr Ba Na K 20 44 68 23,3 39 23,36 46,64 4,8 8,64 11,44 40,4 18,72 CaO + CO' = 50, vol. 1 8,56 = 4,8 + 1 2,08 appr. CaO + W0' = 146,6, vol. 24,3 = 4,8 + 19,52 CaO + S 0^ = 68, vol. 23,7 = 4,8 + 18,88 Ca CI, = 55, 5, vol. 2 4,4 = 4,8 + 19,60 SrO + CO'= 7 4, vol. 20,72 = 8,64 + 12,08 Sr 0 + A, 0'= 106, vol. 37,3 = 8,6 4 + 28.64 SrO + SO'=92,vol. 23,5 = 8,64 + -1 4,88 SrCl,= 79, 5, vol. 28,2 = 8,64 + 19,60 BaO + CO'=98,vol. 23,52 = 11,44 + 12,08 BaO + A,0'=130,vol. 40,1 = 11,4 4 + 28,64 BaO + SO =116, vol. 26,3 = 11,44 + 14,88 NaO + A, 0^=85,3, vol. 39 = 10,4 + 28,64 Na0 + C0'= 53,3, vol. 22,5 = 10,4 + 12,08 Na0 + SO' =71, 3, vol. 29,3 = 10,4 + 18,88 Na CI, = 58,8, vol. 26,1 =10,4+15,68 K0 + A,0'=101,vol. 47,4 = 18,72+28,64 K0 + Cr0'= 99, vol. 37 = 18,72 + 18,24 KO + SO' = 87, vol. 33,6 = 18,72 + 14,88 K CI, = 74,5. vol. 38,3 = 18,72 + 19,60 1 DEL PROF. GIUSTO BELLA VITIS TAVOLA VI. S67 Che presenla la tempe,atura deWebollizione di akuni composti rridrogeno e di carbonio, e quella calcolala mediante la formula 10,4. i— <5(i + 4 — c) essendo i c i numeri degli equkalenti di idrogeno e di carbonio contenuti in un eqiiivalente del liquido. Equivalente Temperatura chimico deU'ebollizione Errore Formula Peso osserv. calcolala Carburo del Faraday H^C« 56 28„, 23°,2 — 5° Benzina H«C" 78 86°. 9 2°, 4 + 6° Oleene H-C" 84 55°. 64°,8 + 10° Retinafta Jj8(,,4 92 108°. 11 3°,2 + 5° Nafta HJ'C'i 97 88°. 90°, 2 + 2° Naftene Jj,6c,6 U2 1 1 5°. 106°,4 — 9° Cuniene Hl'C' 120 14 4°. 154°,8 + 11°. Elaene Jj.8(.,8 126 110°. 12 7°,2 + 1 7° Naftalina HjC" 128 212°. 203°,2 — 9° Citrene j,,e(>,o 136 174°. 166°,4 — 8°. Amilene HrC" 140 160°. 148°. — 1 2°. SUGII I^TEGRALI AlfiEBRICI D'^IJN SISTEMA DI EQUAZIOIVI DIFFERENZIALI, 1 cm TERMINI SONO INTEGIIABILI PER MEZZO DI TRASCEiNDEXTI ABELIAIVE, E SULLA PROPRIETA FONDAMEMTALE DI SIMILI TUASCEXDEXTI MEMORIA DEL PROF. SERAFI^O RAFAELE MINICH vIH inlegrall delle funzionl algebriche, le quali non involgono al- Ira espresslone irrazionale della variabile Indipendente, che la radice quadrala d'una funzionc intera di grado superiore al 4°, portano il nome di Irascendcnti Abeliane in onore del celebre N. E. Abel, che scoperse la proprieta fondamenlale di simili funzioni analoga a quella delle trascendenli elHltiche {Nofa I). Questo noine fu loro imposto, an- ziche quello di funzioni ullra-ellittiche, dalF insigne analista C. G. J. Jacobi, che neireccellente produzione intitolata — Considerationes ge- nerates de transcendent i bus Abelianis — (Journal fiir die reine tmd ange- wandte Mathematik von A. L. Crelle — Berlino 1832 — T. IX p. 394) maestrevolmente dedusse le proprieta principali delle funzioni inverse di simili trascendenli. Dal teorema dell'Abel intorno alle predette fun- zioni lo stesso Jacobi argui Tesistenza degli integrali algebrici d'un sistema di equazioni differenziali, i cui termini sono integrabili per tra- 270 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI scendenti Abeliane, e propose a' geometri di rintracciare siffalti inte- grali scrivendo: — Ita eliam operae pretium fore credimus... n — 1 il- larum aequationum differentialium inter n variabiles n — i intecjralia complefa algebraica per methodos directas integrationis invesligare, at- que ita nova nee minus singular i demonslratione theorema Jhelianum adornare. La ricerca dei richiesti integrali algebricl e appunto 11 soggetto della Parte I della presente Memoria. Ma dopo la coinunicazione di quesla parte del mio lavoro all' I. R. Istituto Venelo nclFAdunanza 10 Agosto 1846, avendo esaminato parecchi volumi del citato Giornale di Matematiche del sig. Crelle trovai, die il valente analista sig. Richelot nel T. XXIII p. 334 avea gia dedotlo dal teorema deU'Abel con inge- gnosa eliminazione i cercati integrali algebrici sotto forme diverse da quelle ch'io sono per esporre, attesochc involgono n — 1 radici dell'equa- zione algebrica, il cui 1° membro e la funzione intera posta sotto il se- gno di radice quadrata. Una sola delle formule da me proposte venne pur conseguita dal sig. Richelot, ed e quella che conserva tutta Tana- logia col noto integrale algebrico (Euleri Institutiones calculi integralis Vol. IV Supplementum vm) delFequazione a due variabili, i cui termini s'integrano per trascendenti ellittiche di 1" specie. Le formule del Ri- chelot vennero poscia dedotte dalFillustre Jacobi nel T. XXIV del Giornale del sig. Crelle p. 28, pel caso in cui la funzione sotto il segno radicale sia del grado 2n — 1, mediante una dotta analisi ch'egli ri- guarda come una estensione di quella adoperata da Lagrange {Miscel- lanea Taurinensia T. IV) per conseguire T integrale algebrico Euleriano della equazione a due variabili teste mentovata. Avendo cosl rivolto Fattenzione a' primi risultati di queste mie ri- cerche, osservai che 1' analisi, merce la quale io pervenni agli integrali algebrici delle n — 1 equazioni proposte, serviva ancora alFintegrazione di due nuovi sistemi di equazioni differenziali colFuso delle sole tra- scendenti deir algebra elemenlare, e che ne risultava qual corollario la proprieta principale delle trascendenti Abeliane. Aggiunsi pertanto alia Parte I del mio lavoro una appcndice ch' e la Parte II comunicata air I. R. Istituto nelFAdunanza 30 Gennaio 1847, e per comodita del DEL TROF. SERAFliNO RAFAELE MINICH 271 leltore premello un breve sunto tie' varii articoli, in cui si divide la presente Memoria. Nella Parle I dopo di avere sviluppala lanalisi (§S I, II, III), merce la quale si perviene agli integrali richiesti, si dimostra (§ IV) la coe- sistenza colle date equazioni (1) ad integrarsi di n — 1 equazioni fra loro dislinle, che sono le differenziali esatte di allrettante funzioni al- gebriche, e si hanno quindi immediatamente gli integrali algebrici delle equazioni proposte. In seguito (55\, \1) si eseguiscono gli sviluppi delle espressioni di questi integrali, e si stabiliscono alcune singolari iden- tita; indi osservando (§ VII) che il sistema delle date equazioni (1) si conserva immutato, se alle variabili x. , x, , . . . a;„ vengano sostiluite le quantita reciproche, ed a' coefficienti «„ , o, , a, , . . . rr„ della fun- zione sottoposta al segno radicale (2) si soslituiscano le rispettive quan- tita della stessa serie scrilta nellordine opposlo, si passa a dedurre nuove espressioni degli integrali algebrici delle equazioni (1). Altre espressioni di siffatti integrali risultano agevolmente (§ VIII) dalPana- lisi che serve di base a tutte queste ricerche, e simultaneamente si inlegra Tequazione (3) col mezzo di sole quantita algebriche se la fun- zione solto il segno radicale e del grado 2n — 1, e colFuso di tra- scendenti logaritmiche o circolari se quella funzione e del grado 2 n. Si assegnano infine (5 IX) i fattori per cui moltiplicate le equazioni (1) e sommate insieme offrono una differenziale esatta d(p=: 0, supponendo di conoscere uno degli integrali (p = cost, delle date equazioni (I), e se ne ricava qual Corollario una speciale equazione identica. Nella Parle II di questo lavoro, ritenuta X una funzione di x della forma (2), cioe inlera e razionale, di grado non superiore a 2/i, e ponendo (79) si accenna in qual modo dagli integrali delle (1) (5) si desumono le n — 1 relazioni algebriche fra gli argomenti x, , x, , . . . x„ di piu tra- scendenti Abeliane c quelli 6,, 6, ,,..6^, di n — 1 simili funzioni, alia cui somma si riduce Taggregato delle n funzioni precedenli, sup- 07 2 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICi poslo r susceltibilc de' valori 0, 1,2, 3, ...n — 1 (§ X). Poscia osser- vando (§5 XI, XII) che colle cquazioni (I) (5) si integrano algebrica- mente i due sistemi delle cquazioni (86) (87), si diinostra la riduzione della somma di n trascendenti $' (x,), ^ (xj, . ■ . alori di v,, r^_, dcsuiiti dalla I'ormiila (7), troviaino XT' X, iT^X, i'T^x„ *'„ »'„_, = , + -—-- -f ■ + . (xT' x"-''-' + xl-' x^'— ) l/^X, Z, (x'-" x^-'— + x^— x^-'-') 1/ A', .V„ (xT' a;?-'"' + a^r' a:?"'"') l/^ X,X, + rK-.)f{^: DEL rROF. StRAFLNO RAIACLE MIMCII 2 77 e soslidu'iulo in qiiesla cquazione all iiulicc y i successivi miineri 1, 2, 3, j) — 1 . rica\ iamo aUretlanle cguaglianzc dalla ciii soinina, a cagionc dollo idenlila siinili alia soguenle, in cui p si rilienc positivo, xl— — ap' = a.^-' + xT^ X, + x''-^ x\ + ...-\- X, x'—^ + .xj-' , X, — X, ' risulla (i7) V,v^, + v,V^, + ... + v^_,v, = : + ^4-... + - rr= /^r'-ar'x y A', a; /,;— _3p-v i/x, A„ V X, — X. // (x,)/"^(xj \ X, — x„ Jl{x,)l{x„) + 2 ^, — ^3 M K)r(^3 Per oonsegucnza soltracndo questa equazione dalla (16) niolliplicala per 2, si desunie 2 ar ' A'. C 1 1 1 > (k^.) 'X, — a-, X, X, 2 a^— .Y„ \ K 1 1 cioe, adoUalo il segno D^ per indicare la derivata rapporto ad x. si raccoglie la lorniula (18) 2 -j-^ = P, iv_, + r, Cp_, + r, (,,_, 4- . ■ + c^.. v', ar"A', a?— a; a.^~'A„ ' /"(x,)' ' ( (xS " f'ixS la cui finale riduzionc si oltiene nel modo seguente dalla feoria dello spezzanienlo delle frazioni razionali. 278 SUGLl INTEGRALl ALGEr.RICi III. I'lciulasi a dccoinporre la irazione — , in cm si suppone IJ una A") lunzione tli ii simile ad .Y, , A,... .V, (2), ed /"(») e la nola lun- zionc (4). Sicconic il numcralore della frazione proposla ha un grado (he cccede di p — 1 iinila qiiollo del denominatore, il quozicnle Q da aggiungersi al gruppo dellc frazioni parziali sara una funzione di ti inlera e razionale del grado p — 1, cioe q = p-i-i e si avra per le note regole clie scrvono alio spezzamcnto delle IVa- zioni razionali u''-'U xr-'X, I a^-.V, i 'fr'V,, 1 (19) ; Q=- ; -+ ; T7+-- + H ./>, - + H />, -^=r- . « — •«•. ' f(xS » — ^n " f'(T„) Ora assumendo (20) liT-' U—QJi^)=R, sappiamo ehe il grado della funzione R c inferiorc a 2 n , poiclie R evidenlemenle e il rcsiduo finale della divisionc di (f^_, U per /"(»)• Sara duncpie in gencrale R della forma seguenle {Nota III) : ed inserendo nella (20) queslo sviluppo di /?, come pure le espres- sioni di O, di U (2), e di f{n) (4), si avra Tequazione idenlica )(''— (o„ u'" + a, It'""' + . . . + ";,_, m""'^' 4- flp m'""'' -H . . . + n„) — (ct„ tt''-' + C, )i'^' + . . . + ciy_,) (u" + .f, ?«"— + s, m"-' + . . . + .'„)' =. cc, ir-' + , + tv ^ + "? ' d t e se ne trae col sostituire aUindice p i valori 1, 2, 3, ... r 280 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI dc, 2 d] a ti 17 dr, v'. + <*, , a dt r, V, + v. V, + 1*3, div (\t Questc eguaglianze lispcUivamente niolliplioate per s,_, , s^_^ ,...«,,! e soinmate insieme esibiscono, a cagione della (14), / d r, dt', div\ \ d < d < d ( / + V, -r_, + (-, c,_, + . . . + iv_, r, , e dalla somnia della presente egiiaglianza colla (16) moltiplicata per 2 si deduce infine ' dt 5 IV Vuolsi presenlenienle dtmostrare che aggiungendo alia formula (24) il terniine 2 c/.„ s, si ha una funzione />,_,, la cui diflerenziale va a zero congiunlamente al sislema delle equazioni (1). Poniamo infatti ^25) c.„ = ^„. ct, +*, ct, = J?, . iz, + ■■>■, cC, +.s',ct„ = j?, , Ct^ + «, CC^_, + S, CC,_, + . . . + 4,_, a. + «r '^o = ^r: DEL PROF. SERAFINO RAFAELE OTNICH 281 e dalle relazioni (21) ricaveremo (26) ^<, = ffo, j?. + s, _^„ = a, , e la formula (24), a cagione dell' ultima delle equazioni (2i5), e per Teguaglianza ct^ = a„, diverra cosicche aumentando questa espressione di 2 :/.„ s^ , cioe assumendo (28) ^r+t^o^r— {P, -r_, + ^',Zr_, + • • ■ + f r_, -, } = >'r_. . ci proponiamo di provare die col sistema delle equazioni (1) ha luogo Teguaglianza (29) d>»,_, = 0. A tal uopo differenziando le equazioni (26), e ricordando la re- lazione (12), abbiamo (30) _^=:«z d( ^ dt d( ro ' J-. . d&, dj?. d$, „ dt dt di r ' r- ^ r' ' -^+S, -i- h. ■ ■ + K-,-^ = 0'oZr-h ^. 'r-, + ■ ■ +fir-,Z,-- dt dt dt ^ ma dal sommare insienie le relazioni (2i5) lispettivamente moltiplicate 111. 36 ■28-2 SUGLI INTEGRALI ALGEBRia per Ic ([uantita y^. yr-, ■> y-r-,-,--- y,i "/„ ■, f'le si suppoiigono dedotte dalle ciiuadianze (3t) >-,= '!. y^ -I- s. y, = o , si ricava (32) ct, =: jS, + }/, _^,_, + y, JS,_, + . . . + >/,_, /?, + yr^„- in oonseguenza, presa la somma delle eguaglianze (30) i-ispollivanionle molliplicate per y,^ yr-,-,'-- y^-, troviamo (33) -^ ^t^o-r + C'-.^r— + «."r_. + ■ • ■ + °<-r-^~, ■ f I t xMlronde per le formule (25) (27) si olliene 2 + ''. (A_> ~ "o ^r-, — f , ^r-S + • ■ • — ('r_3 'J + ~ r^. {< + £«,) + t'3 (^r_3 — "o «r-3 '' . 'r_4 ■ • • *^ r—!, ^,) + =r_3 ('\ ♦'a + ^\ '\ + ^>) ■+ i'r_, (^, — n„ s.) + i, (f , IV_, + P, iv_3 4- . . . + iv_, p, + :c,_,) , ossia, cancellati i termini eguali fra loro ed opposti di segno, e no- lata la posizione (14), si rinviene 2 (3 4) d (i\ r,_, + V, r,_, + ...+ tv_, z.) = v. _^,_, + «', _^,_, + . . . + r,_, ^. — a, (:,— (v) e siccome, prendeudo la somma delle equazioni (2i5), ommessa Tul- DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH 382 tima, dopo di avorle rispetlivainente moltiplicate per p^ , v^_^ , . . . c V,, si ricava, merce la (14), (35) «,z.+ cc. 7_, + . . . +;4,_.r.=^„,v + A 'V_, + A^r-, + . . . + A_, p. ; soUralta la (3d) dalla (34), ed avvertita leguaglianza cc, — ^^ = a^ (2o) (26), avremo (36) — d {P.r_. + p,z_ + . . . +,_ .,_J _^_ -%_. +«t,^'_. + . . .+:i_z, . Ora attese le espressioni (33) (36) e la relazione (12), e palese che dalla differenziazione della formula (28) risulta la gia enunciata cqua- zione (29), in ciii consisle il teorema che si volea dimostrare. Sostituendo nellequazione (29) all' indice r i numeri 2, 3,... » abbiaino n — 1 equazioni differenziali distinte fra loro, e coesistenli colle proposte equazioni (1) di cui divengono le trasformate. Pertanto gli integrali di quesle nuove equazioni, cioe • (37) (f,=c. , », = c,, h = c,,. ..t„_,~c^^, in cui c, , c, , . . . c„_, rappresentano altrettanle costanti arbitrarie, sod- disfaranno alle equazioni (1), e ne saranno gli integrali comploti al- gebrici . IVon abbiamo posto nella (29) r=l, perche I'equazione che ne proviene d », = 0 e la differenziale dell'equazione identica ^ = «, (28) (26), in cui «. e una data costante. § V. Conviene adesso liberare dalle (26) il valore della (juantita ^, com- presa nell" espressione (28) di ),,_.. A questo fine si osservi, che per le relazioni (31) le quantita y^, y.^ ?.,••• yr corrispondono a coefficienti de' primi /• -+- 1 termini della serie ricorrente yo + y,i> + y\ a^ \ y^ b^ + ecc. ,284 SUGLI INTEGRAI.I Al.GERniCI cciiorala dallo sviluppo In serie della frazioiie 1 di nianiera die assuincntlo & = — . al)l)iain<> ('i) «" y. y^ yr =>'.H 1- -^— -I . . .+ -^— + eec. f{u) u u' u'' Risulta poi meree le regole dello spezzaniento delle fra/ioni — 1 +-:; I— -^ h— + ...H + ecc V f(u) I (X,) 86 SUGU INTEGRALl ALGEDRICI 1 I I I ^■J'{-'\ ) xj{x,) '■■ xj'(x„)'~ s„' i * . . * ^ *"— ^:r(^,: ) ' ^'J'i^J ■ ■•• ■ a.^^'(jj~ g^ g^ 1 - + + — — = — } (43) eec. Conosciuli i valori (38) (41) di y,, y^^ y^^ ecc. (/Vota IF), si ot- Icrra il valore di j?, sominando insieme le equazioni (26) rispcttiva- niente moltiplicale per y^ , y^, , . . . y, , y^. Ne risulta a cagione delle (51) (44) ^r=('ryo + o,_^y, + a,_^y, + . . . +a^y^_^ + a,y,. La funzione »„, (28) si potrebbe espi'imere oltreche per ^, , s, , s, , . . , s^, niedianle le sole funzioni c. , v\ , Vj,... v,_, (13), oppiire nieice le sole z, , i, , ^3'. . . ::^_, (H), altesa la relazione (14) da cui vicendevolmenle si puo dedurre (45) V, = yr_,Z,+yr-,Z,+ . ■+y,Zr-,+^r- Se poi sommiamo colla (28) le cgiiaglianze clie ne risultano, postovi in luogo di r i numeri r — 1 , r — 2 , . . . 2 , 1 , dopo di averle ri- speltivamente niolliplicate per s, , s, , . . . .«^_, , s^_, , olterremo (26) (14) (46) w^, + s, »^_, -t- . . . + V_'», + -V_, W„ = "> + ''o(s,Sr_, -l-Sa-V-, + • • • + 'V_,«,) 5 VI. IntrodoUi nell'espressione (28) di (»^_, i valori di v, , v, , . . . v',_, (t3) e di ;, , c, , . . . r^^ (II), ed eseguite le molliplicazioni, se de- notiamo con ( — l)'~'s^^' la somma de' prodolli provenienti dalle com- binazioni ad r — 2 delle variabili u , , x, , . . . a;„ , escluse le x^ , x, , oosicche sia (4) (» — x^)(u — a-,) DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MIMCH 287 confronlandc) i valori di , dedolti da quesla cguaglianza con quelli espressi dalla formula (3), avremo analogamente alia (7) e conseguenlemenle (48) K ,_, = ^, 4- n„ «r — (a ;-" + «'.' ' a r' + si" x'r^ + . . . + s^.! ) ' ' - r (•'•,)/' (aJ ~ 7 (a\')r(r„) /'(■'■jr('B) rK_,)/''ar„) Sostituendo a j3^ il suo valore (44) (38), ed eseguendo le ridu- zioni a' comuni divisori / (x,)', /" (x,)\ . . . /" (x„)\ attesa la prima dellc due espressioni (8) di /" (xj, si trova coiradoltarc il segno 2 ncl senso dclla formula {'2) m=n-h 1 /o^ a '^-' + o^_ .; ;;, 4- . , . -f f; a "+'■— v (49) Hr-,=a,s,.+ 2 — )(s!.iar'+--+*-!::2,a-„+,v;,':2,) m = l ~ f'{r.S ' m=n-+-l /„ x^'— +„ x:;'-^-'+...+„ V — 2 -^ (a :;-' + «',"" 7 ;■-' + ... + .,^':];) m=l ^ /"(a-J '' r(x.)r(o .■' YixZJn^' 088 SUGLI INTEGRALI ALGEDRICI Lc forinule (40) (49) si ponno ridune ad un aspetto piii semplice pe' valori di r che eccedono la meta del numero n -f- 1 . Poniamo in- fatli donde risulta colla soslituzione del valore (44) (38) di ^, , attese le idenlita (40), (51) ?^=__±i_: — '^^' x:-^7'(x.) "r+n ^I"' + ",+-.+1 *'"~'^' + • • ■ + a„»_, a,, + ",„ ovvero a cagione delle identita (43) a (52) S„ = "in— 1 "in *n— '"" S.. S„ S„ "in— « "i.i— 1 ^n_i "in /^n— I *n— i *»— 'X "~* S^ S. S.. S.. \ .«.. S., S„ / ed avreino con facili riduzioni, merce la seguente equazione identica che si ritrac dalla (8) ^,n_r+, priniieramente DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH 2g9 A', (5 3 1 >»,_, =: Br + "o V + (41, x"r' + 4" J^"'"' + . . . + si'ij =^r^ ■rr"*" /■' (^ j' poscia colla introduzionc del valore (ol) di S, , 2s^l','l/^A'. a; rwrw 2 s';j:,' '" t/ a;_, a„ ■ TKUn^' Queste due espressioni (o3) ('6A) si ponno inettere soUo un aspelto analogo alia formula (28), dal cui sviluppo si sono dedottc V altrc espressioni (48) (49). Infatti posla h = x^ nell' equazione (6), e scritlo p in luogo deir indice in , se ne ricava <~" + .f',''*x;-'4-. . .+s['2.,x^ + sfl^ = —J-^- + -7-+. ..4- „_,..>,• X, -T, e percio risulta dalla (47) *, ^J ^, a:;; '"^' e similniente III. 37 290 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI Pci'lanlo se attribuiaino valori negalivi airindice p della funzionc r (15) troviamo (55) >!,_, = '8 , -f o^, s, + (■„ r,, 4- 1'_, ^r+i + ' -, "r+, + . . • + ('_„+,. -„ • altesoche inlrodotti in questa formula i valori (15) di c„ , r_, , <_, , . .. ^\_„+r, 6 quelli (11) di -^ , c^, , . . . ;:„ si ricade nclla (o5). Abbiamo gia nolato (5 I\) che ad /• = 1 corrisponde n,=:(i,. Se diinque poniamo / = 1 nella (o3) ne sorge I'equazione identica I' ill goiieralc, soltraendo Tcspressionc (28) di «,_, dalla (i5o), si ottiene I' identila (56; r,_, c, + v,_,z^ + . . . + v,:,_, + \\z^+ . . . + i_„+,r, + ^, — j?, — 0 , in ciii r puo assunicrc lufti i valori 1 , *2 , 5 , . . . n . \II. La formula (66) pe' valori piii elevali di /■ diviene semplice quanto la (28) pc" pin piccoli valori dell' indice stesso. Cosi dalla (28) ovvcro dalla (48) si ritrac per r = 2 I- h \- . . . + ' > —a Ax +j:, + . . . + -r„) — o<, ( J', + -r, + +.rj' = cost., (he r inte£;ralc cia lro\ato dal si". Richelol nella Memoria sovracci- lata sulla integrazione dun notabile sistema di cquazioni differenziali {Giornale di Matemutkhe del sig. Crelle di Berlino T. Will p. 534). Air inconlro per r = n abbiamo dalla (oiJ), oppure dalla (o5) t/l/.i' i/.Y L -^-. \' ? «.» x.x.xj.. . T„ j( '•^^^ ' + -t-- h. . + -^— ^ ]—"o( = Cost. (\x,f{x,) x,f{x,) x„f (x,.)/ S X,I,...X„ DEL PROF. SERAFliXO RAFAELE MLMCH i291 Sostituendo nclla (28) o nello sviluppo di cssa (AS) (49) in luoiio di / i nunieri 2, 3, 4, ecc. die non eccedono — ^ , ed eseguendo lo ri- inanenli sostituzioni nella {'66) o ncl suo sviluppo (o5) {64), avromo gli integrali algebrici delle equazioni (I) piii brevemenle espressi die non coU'uso esclusivo d'una sola di quelle formule. Osserveremo col sig. Ricliclot, die il sistema delle date equazio- ni (1) riiuane intatlo, e solo si inverte 1 ordine in cui sono scritte se ad x, , X,,... x„ , o„, «, , a,,... «,„ si sostituiscano rispettivamente — , — ,.-. — , fl„, , «,„_,,••• ff, , «o . Perlanto le equazioni (57) non cessano di esprimere gli integrali algebrici delle (1), se vi si I'anno le relative sostituzioni or ora accennate. Per simili sostituzioni tro- viamo cangiarsi (8) (15) (58) (44) {61) nelle corrispondenli funzioni s„ s„_^ s„ s„ x~ e poiche in conformita all' ultima delle (G) si rileva essere sir', s,_ ne viene pure (11) il cangiamento di z, in "„_, + s„_, v'„ . Altronde posla »=x„ nella (4), e divisa Tidentita che ne risulta per x'^" , abbiamo ^T"'' + ■«, ^r'"' + . . . + s„_,_, H (-... + — h — — = 0 . e quindi attribuendo all" indice m i valori 1. 2, 5,... /( ricaviamo altrettante eguaglianze , die rispettivamente inoltiplicate per — — ' , \/X, \/X„ . . . •, • ,• , . . . , e sommate msienie, ci esibiscono I equazione f{^.) n^..) 292 J>UGLI INTEGRAL! ALGEBRICI t„_, -t- s. *"„-r_, + . . . + s„_r_, t\ + s„_, r. + .s„_,^, I _, + .. . +s„ r_^ = 0 , ossia per la (I -4) (57) r„_^ + s„_,. ('„ + .'!„_r^, i!_, + s„_r+, i'_, + ■ • ■ + s„ t'_r = 0 , Consegucntemenle la funzione m^_, (28) per le sovraccennate pernni- lazioni si convcrle ncUa funzione (58) e,_, = fl,„ — + s„ h„_, + i-_, r„_,^, + . . . + P_,+, r„_, + r_, r„ — r. (r„_, + s„_, cjL e gli integrali compleli algebrici (57) dcllc equazioni (1) divengono (59) e, = t"', e, = c'", fl3 = C<",,.. 9„_,=:C<"-', essendo e„=«,„_, una determinala coslanle in corrispondenza ad M^=r/,, e denolandosi con c*'', c*'', c*" ceo. nuovc coslanli arhilrarie. Per * = 2 si avrebbe dalla (38), allese le (o7) (i>2), \y^\ i/-v, i/x., y \ — : + ^ — + . . . + , > + «,„^. — — «,„ = Cost. Quesla formula vennc csibita dal Richelot come esprcssione dun al- tro inlegrale algebrico delle equazioni (I). Sottraendo da' due mcmbri della (08) i rispetlivi membri molti- plicali per a„ delF eguaglianza die proviene dalla (i>o), ove si scriva 11 — r in luoijo di r , otlerremo s _r (60) fir-, = f'v, J- «„ (*'„_r_. — ". S,-, — 2 *'o 'u-r — 'S.-r ^'i!) ■ Se in questa formula sosliUiiamo ad ^•„_,_, la sua esprcssione de- sunla dalla (28), poslovi n — r in luogo di r, troviamo la formula in cui si converte la (tJo) pel relalivo cangiamento delle quantita ;r, , X, , . . . x„ , ff„ , ff, , . . . o„ nelle — , - , . . . - , o„, «„_, , . . . a,. Que- DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICII 293 sla soslituzionc escguita nclle forniule (48) (49), ovvero nolle (33) (o4), ri darebbe i coiTispoiulenti sviluppi dcllc (o8) (61). § VIII. Del reslo lanalisi cbc ci lia guidalo alle formule (37) ci soinmini- slra alli'G niiove espressioni degli integrali algebrici delle eqiiazioni (I). Eliniinando dl Ira rcquazione (12) e quella die proviene dal som- iiiare insiemo le (27) (28) cioe (62) 2 = -V-, — 2 rt„ «, , d( - si oUiene • - 2 r, d z, + (♦,_, d s, — 2 (7„ .^ d s^ = 0 . e poicbe (»,_ c qiiantila coslanle (29), avrenio dall ininiediala integra- zione della prescnte eguaglianza (63) r' + M,_, ,v — "„ ■^'r = -^r ■ deiiolandosi con J^ una costante arbitraria. Pe' valori 1, 2, 5, . . . n — 1 dl *■ si avranno dalla (63) gli /; — 1 integrali algebrici delle equa- zioni (1). Per r= 1 si ricadrebbe ncU inlegralc trovalo dal sig. Ri- cbelot che abbiamo dianzi (5 \ II) dedolto dalla (28), postovi / = 2. Si prescinde dalla soslituzionc del nuniero n in luogo di r nella (65) perche avendosi {67) z„ = — s„k\. e {6'6) (o2) "»" S„ e palese clie dal porre r = n nella (65) risulta I'equazione idenlica *' + H,^, ■«„ — n„ s^ = fl„, . on , . I 1 i , he nella (65) surrogluamo — , — , . • ■ — , o„ , «,„_, ... 0 (68) r = ^— log //.|^^_,-(7.s, + r,^r/„}. 2° nel caso di ,, + xl X, -h . . . + ar^ X„ = 0 , e ponendo inollre a^'X, + j;'-"X, + . . +.f;;-'X„=o . T' ^> ■ + J"~' X, + . .. + x"-' K^=^L . si avra dal somniare quest'' ultima eguaglianza colle (74) rispettiva- niente moltiplicate per s^'^i, , s^"_i^ , . . . s'"" , (o) (8) (5 I) /■'(.,gX,„ = Z, L L L Conseguentenienle, presa la somnia delle (73) moltiplicate per le quan- tita rispeltive X,, X,,... X„, spariranno (74) tutte le incognite f\. F. , F,.... F„_, , e restera T equazione di condizione m. 38 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICi /•'(X.) \dxj f'(x,) \dxj ^ l'{x:„) \dxj la quale trovasi cvidcntcmenle soddisfatla, poicho risulta dalP intro- diiiTC ncir eqiiazione i > aloii (9) degli elemcnti d x, , d x^ , . . . d x„ . E poi chiaro per la teo- ria Laifrangiana delle equazioni lineari a deri>ale parzlali di prinio ordine, che allequazione (7o) soddisfa non solamente II valore :j;:=cost., ma in geneiale una funzione arbitraria delle espressioni >;, , «,,... ^„_, de' prinii menibri dcgP inlegrali (57). Ora se Ira nuove quanlita ^, , fx,,... fj.„ esistano n — 1 relazioni simlll alle (74), e solo in luogo d'una qualunque di quelle abbiasi x[ fjL, + y ^, + . . . H- r'^ IJt'n=^i 'i e palese che ponendo K~' y-i + -i""' ^, + . . + -v"-' ix„ = M , avrenio dal sommare le nuove n equazioni rispeUivainente moltipli- cate per s'^_!_^. •r'-',) + $,(rJ + . . . +$,(J-„)=cosf. in cui )• e suscettibile de' valori 0, 1. 2, 5, . . . n — 2. Oia assumendo x„^b. e supponendo the i valori corrispondenti dellallre variahili sieno le quantita arbitrarie jf, = 6, . x, =: 6, . . . . x„_, = />,_, . ne rica- vianio a cagione (79) di *^(i)^0 e quindi colla solirazione di quesla eguaglianza dalla antecedentc si olterra pe" valori 0, I. 2.... y; — 2 di /• la ri„_,). Altronde se poniamo x„ = 6 , x, =^ fj, • x, = ^, , . . . x„_, = ^„_. negli in- tegrali algebrici (57) delle equazioni (I), e denotiamo con X., ., X.,->--- 302 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI X„_. i corrispondenti valori delle funzioni », , (»,.... o„_, . avremo e quiiuli la relaliva sotlrazionc delle equazioni (37) da quest' ullimc ci esibira le relazioni de' nuovi argomenti 6, , 6, , . . . /»„_, co' da[i argomenti .»;, . x, , . . . 3f„ e coH'orlgine b dcgli integrali (79). L' immediata integrazione deirequazionc (5) olTrendoci $,^, (^•,) + $„_, (^J + . + $„_, (J,,) = ' + cosl. se indichiaino con k il valore di t oorrispondente ad a,, = h avremo $„_, (^,) + C)„_, [lu) + . . . + $„_, ('a,-,) = ^- + cost. e quindi, eliminata la nuova costantc arbitraria col sottrarre quest' ul- tima eguagllanza dalla precedcnte, si ollerra (82) $„_, (x.) + $„_, (,r,) +. . .+ 4>„_, (;'■„) = $„_, (<»,) + $„_, (*,) +■ . + $„_. (i,,-,) + l — k. Per determinare il valore di i — / poniamo nelle (71) x„=^b, x, z=^,, X = 6, . . . a:„_, := 6„_, e designando con ^, cio die diviene la lun- zione :, per queste sostituzioni, e con cr, il corrispondente valore di A-, , cioe ponendo per brevila a>renio. secondo i Ire casi di «„ positivo, negativo, o nullo, 1 .- arc lang -^-!- f //, . DEL PROF. SERAFLNO RAFAELE MINICH 303 e sollraendo rispcttivainenle queste eguaglianze dalle (71) otterremo (83) t — k — log t — k = arc tang. ^^ — — (/ — a, Converra dunque sosliluire nella (82) a t — k Puna, o Pallra. o la terza delle espressioni (85), secondo i tre casi di «„ quantila positiva, negativa, o nulla. Se poi oltre di «„ ^ 0 fosse nuUo anco a,, dall" in- tegrazione deirequazione ds, := — z^dt (12) in cui z, e costante (63). si avrebbe e quindi f , — s, t — k = . XI. Congiuntamente al sistema delle equazioni (1) possianio integrare nierce le funzioni delP algebra elementare. oltre lequazione (3). tutte quelle de' due sistemi seguenti (84) ), di maniera die quest' ullinic eqnazioni divensono (86) dl, = — s,dt, d <, = (s, s, — s,)dl , dt,=z — J (s, s, — Sj) s, — s, ,5, + S3 1 d J , eec. d; (87) dr = , dT,= , Ora daireliiniiiazione di z, IVa le eguaglianze (65) (68), ponendo per brevila (88) {a„J,— ^„l_,)ir,=zA\, si deduce, purche «„ non si annulli. (89) .v=- 1 •»,_, + a; f DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MIiMCH 305 ed e quindi paleso chc gF inlegrali dclle forinule (86) (87) si potranno espriincre mcrce 1' aggregate di piii lorinini o griippi, iino dei quali sara affelto dalla prima potenza di / moltiplicala per una data co- stante, e gli altri conterranno le successi\e polenze intere si positive die negative delPesponenziale e'/". . Se nelle espressioni di questi in- tegrali introduciamo i valori delle costanti //,, /i, . che sono, come apparisce dalle (68) (88) (63), ^.t^/a„ H,= . a; =: \ z,. \/'a, — (- (»,_, — «„ s^ \ c'»^« . si trovera che quelle espressioni piii non involgono T esponenziale e'/" e nenuneno [/«„, cosicche esse avranno luogo qualunque sia il se- gno di «„ e daranno /, , /, , fj , ecc. in iunzioni di primo grado della variabile f . Avremo infalti {Noki III) (90) t = t-\ hcost. I ^ Ol\ a , z' o o, \ r, / , a, \ :, z, Nel caso di «„ = (> si avrebbe dalle lornKile Hio) (70) (91) s,^—~--jy,,_,{t-/I,r., e poiehe tlall" inlegrazione per parti ricavasi j (?- //J' (/- //J- d « = i- (<-//.)'(<-//.)'- 1 (*(<-//.)'(<- //J d < =z^H ~ H,)' (t — HS — ~^t — H,)Ht — H,) ^ ~^(t- H/ -^cosi. 3 '2 . .! 2.3.5 III. 39 306 SUGLI INTEGRALI ALGEBRIQ otlerreino dalF integrare le (8G), e dall' inlrodurre ne' loro integral! i valori di //. , //, , //j , ecc. desunli dalla (70), (92) t,= <+-^ — + eost. , a, •' a' jA\ A^^ ^ A,z\ ^ . ^ , 2 ^. . 2 *» '3 = - (-T - 2 + ) ' + 2 ^ - ] - _ ,^, _ B. - \ «; n, ;i, M, / \ n, •* )i, / a, \ -^ " / a, -7 / »5 ,.3 -a „4„ „3 2 ■'i 4 -"^1*1. 4 *.*a 2 -i~» 2 ^3 + — — — — h — + — — + cost. . 7 /]4 Si,' 3 o'm 3 n^ 3 t,' Se con r/^ fosse nullo anco o, , non si potrebbe dedurre s, dalla (9i), a cagione di t>„ = rt, = 0. Ma allora, essendo (65) c, costante, si ricava dalP integrazione deireguaglianza d v, = — c. d / (12) K=-=At-H,), e poicbe dalF integrazione per parti risulla ("(f -//,)((- i/,)' d ? = I ((- 7/j' ((-//,)- 1 ("((- /^,)^ d ( =- (t - Hf (t — H,) — 'iZ:^ + cost. ■5 3.4 (93) t,= J 1.3 -3 l, = 1 1 h cost. «, 3z, 3 „> '3-= -t+~ !._-—+ +cost. DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH 307 Possiamo perlanto in ogni caso lidurre i valori di /, , f, , Z, , ecc. al- Taspetto scguente (94) t, = C,t + Z, + cost., t, = Cj + Z, + cosl , ti = C,t + Z, + cost, ecc intendendo di denotare nelle (90), ovvero per o„ = 0 nelle (91), o per ff„ = 0, o. = 0 nelle (92), con C , C, , ecc. i fattori coslanti di f, e con Z, , Z, , ecc. i gruppi degli altri termini. Se adesso indichia- mo con A\ , k, , ecc. i valori di f, , ?, , ecc. corrispondenti ad x„ = 6, e siipponiamo che per x„ = 6 , x_ = 6, , a-, = 6, , . . . x„_, ^ 6,_, le lun- zioni Z , Z^, , ecc. assumano i rispeltivi valori H, , E, , ecc. avremo (95) «, — ^. = C, (? — A-) + Z. — 3,, t, — k, = C\(t — k) + Z, — E^ ecc. e poiche dalF immediala integrazione di qiialsivoglia delle equazioni (84) si ottiene (79) <^,Ht-' (■^.) + *n+p_. (X,) + + $,.+p_, «) = tp + cost. essendo p qualunque numero inlero e positivo, si avra per a,, = b „+p_, (*,) + $„+p_, C^) + - . . + $„+,,_, i'^n— ) = *p + cost , e conseguentemente (96) (I)„+^,(x,) + (D„^p_,(xJ+,..+ ,)+ ,4-(I)„+^, (6„_,) + ?, — A-^. 11 valore di t^ — k^ verra offerto dalle formule (93), e quello di / — k dalle (85). A dir vero le formule (94), e quindi altresi le (9o), van no sempre piu complicandosi al crescere dell' indice p ; ma vedremo fra poco (§ XIII) che non occorre di protrarre il sistema delle equazioni (84) ollre la (n — l)esima, attesoche, chiamato q il grado non supe- riore a 2 « della funzione -Y sottoposta (79) al segno radicale, la tra- scendente , (x), per cui sia »'>, (x) , . . . ,_, (x). 308 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI XII. Gli inU'iirali dcllc equazioni (8i5) si possono iinmcdiatamcnte de- smneie da qiiclli dcllc cquazioni (3) (84) coH'osscrvarc clic sc alle II • 1 ' ' variabili x . jc , . . . jc,, si soslituiscano Ic loro re( iprocne — , . . . — , e ' ' ' ■'', x„ si permuli ciasfiina a^ dclle qnantila a, , «,,... f'„, coUa corrispon- donle o,„_p, i primi mcinbri delle (3) (84) si convertoiio in quelli dt'llc (8;;) presi col segno contrario, e peroio /, . /, , /, , ecc. si niu- lano rispettivamenle in — r , — r, , — t, , ecc. Conseguenlemenle se nolle fornnile (68) ((}{)) (70) poniamo /• = « , ed eseguiamo le soslitn- zioni tesle indicate, surrogando ad //„ una nuova costanle avbitraria C, avremo, per le osservazioni del § \II., cd altese le eguaglianze v„ = — - (!>7), e e„_, = — + a„ s„ — - = >?,._. (61) (63) *"■! ■'.I ■'■'.1 (97) T = \os.c(jK-— — — -\y('.,)= : log.^(f/„.s'„ (:„+\y(iJ') •-- "^ C= arclang C 1 --„l/-",„ |/ — ",„ ■•<. \/ (t ' '_, — T + Z("-t-cost. ecc. Le presenti formule si dedurranno dalle (90) finche «,„ non sia nullo, ovvero dalle (92), se fosse o,„ = 0 senza che sia nullo «,„_, , od in- fine dalle (95) nel caso in cui sicno simultaneamente fl,„^0, f/^^__=:(). Ora se denotiamo i valori di t , t, , t, , ecc. conispondenti ad x„ = (j con K , K, , K, , ecc, e supponiamo che per jc„ ^ 6 , x, = 6, , . . . Jt^^, =:6„_, le funzioni Z"', Z'', ecc. assumano i valori h'", e", ecc, e -„ , s„ divengano rispettivamente ?^ , o-„ cosicche sia <^„ = (— i )" fj.f',. .. 6„_, 6 , raccoglierenio dalle (97), secondo i tre casi di (i,„ posilivo, negalivo o nullo 1 1 0", ^ ' (99; T — K=^ log. { : ■1 2{r„(«„cr^ — 2,' — «j„) — £>-(«<.«» — 2^ — «»-.)! 1/ — «,„ ^ — " — arc sen. ^ ~ \y—a,„ ' [y {(ao<— -I — ",„)'— 4 a,„ zl \ |// \ (a, Tl — '^l — aj'— 4 a,„ ^l } ' (S„ 1/ "o — --„) ( 5-„ 1/" f'o - ^„) ' e dalle (98) si olterra (100) T,— k, = C<"(t — K) + Z"* — E<-'. r, — K, = <::^"(T — K) + Z'" — H(", ecc. Conseguentemente dall' ininiediata integrazione di qualsivoglia delle equazioni (8o), avendosi (79) 310 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI *_, (X,) + $_, (OC,) +...+*_,, (■T„) = T,_. + cost. , ne viene dal porre x„ = i, *_, (^,) + _, (b.) + ...+ H„ J e poidie dalla (68) risulta If,. DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH SH ponendo troveremo dT = a,„ — \j/' ed integrando questa funzione, indi sostiluendo s„ [/«„ — s„ in luogo di 4. , si oHerra, sccondo i tre casi di o„ positivo. negativo o nullo, ■ (102) T = log/:- ■^- hcost., 1' ",„ 1/ ",„ — S„|^-' «o + --„ 1 2 (s„|/o„ — r„)l/— f7„ arc tang hcosi , [y —n a_^„ + (s„lXa,~:„f ■ -t- cost. La prima e la seconda di quesle cspressioni di t coincidono coUe corrispondenti formulc (97), ove si ponga {\ota J HI) nclla prima -•»,_, +|/o„o,„)C e neirallra I 1/ — 0„ «,„ cost. = arc lang 1- C . § XIII. Veniamo ora a dimostrare come Tintegrale di —7-, in cui si sup- pone 3 1 -2 SUGLI INTEGRAL! ALGEBHICI cioi' A (li i^rado (j non siiperiore a 2 «, od r^q—2^ si riduca a dij)ondcre da' soli inlegrali delle limzioni di simil forma, in ciii r as- sume i valori 0,1,2,...^ — 2 . Si assuma a ([ueslo scopo (1 03) J ±-^:=(3„a— '+■ + 3, X-'' + (/, x'-'- + . . . + • — ^(q + m—l)\ n,„_,^„+, ?„ = 0 . in ciii Hi e suscetlibile de' successlvi valori 0, 1, 2,... r — ■ — 1, riguardando nulle le quantita a^ i cui indici superano 2», ed ogni quantila g„ il cui indice hi ecceda r — ^ + 1 ; colFaggiungere al primo nieinbi'o della (lO^J) 11 tcrminc /(>_„_, avremo Ic equazioni do- lermlnanli /<„_,, /t^_3 , . . . A,, /*„ , cosicclie il valore di /i,_^_, sara il prinio monibro della (lOJ) cangiato di segno. iMcrce la riduzione (103) non sara meslicri di prolrarre 1" inlegra- zione delle equazioni (84), ollre quella in cui le potenze de' numera- tori sono del grado q — 2 , e poiclie q non eccedc 2 /* , non sara niai necessario di integrare piu di n — 1 delle successive equazioni (84). Si (' gia nolalo (§ XII) cbe gl' integrali delle equazioni (8i>) si dedu- cono da quelli delle equazioni (5) (84) col solo sostituire ad x, , x\,... Ill a„ le loro reciproche — , — , . . . — , e col permutare fra loro i coel- ficienli a^ , «„_^ , iniperocche la formula "'. mulasi allora in — '^^-p— — -. Quindi e manifesto che la Irascendenlc o, (xj. qualumiuc sia r intero )>2h — 2, oppur negativo. si riconduce alle sole 2h — I trascendenti $„ , *, , 0, . . . 0,„_^ . Se poi si tralti in generals di ogni funzionc Abeliana rappresen- lala dalla formula fF(x^[/A)dx, in cui F si suppone funzione al- gebrica razionale di x e di l/Tf; sicconic questa funzione F non e cbe Taggregato di espressioni frazionarie, i cui numeratori e denonii- natori sono funzioni intere di ;/• e di V^. cioe della forma S+Ti/^X Si —TfA (LT—SF)X I nc segue cbe la funzione differenziale F{x. [Xx) d x si ridurra, coiuc Hi. 40 3)4 SUGLI INTEGRAI.I ALGEBRICI e nolo, al pin somplioc aspcllo Pdx TVdxH ^. in oni V, /-" sono funzioni razionali della sola x. Lo spoz/aiiu'nlo della funziono P dara nn aggregate di lermini inleri ./ x'', e di Ira- c zioni parziali della forma , c percio la inlesrazione della lur- ' (X — f)' ' ^ nulla s;enerale F{x.[y x)dx verra a dipendere da quella delle due formnle a:'' d X da; I/.V {x — cf\XA 1/ inlegrale della prima di qnesle c la traseendenle ^^{x). di cui ah- biamo non ha ciiari accennato la riduzionc. L'altro intecrale diviene una Irascendente di simil forma _,,(»/), qualor si ponga x — c =^ ij , poiclii' la fnnzione V si miita in una funzionc di ij intera e del nie- desimo grade. Vere e pero che i ceefficienli di quesla funzione di >/ sarehhero immaginarii, ove sia c = ^ (cos. ^ + l/— i sen. ^); ma liiKa- ^ia si peira eseguire la ridiizione dclT aggregate di n o pin Irascen- denti della specie *_, (ij) alia somma di n — I consimili Irascendenti, merce le formule espostc nella presente Menioria, coU'estendere que- ste formule alia supposizione delle coslanti immaginarie. E se si av- verla, die nel case di c := ^ (cos. -|-^ l/'— i sen. ^) , alia frazione par- ziale Cdx (x-cM.y in cui C sara della forma immaninu-ia //(COS. A + l/— 1 sen. A ) , Irovasi aggiuuta la frazione coniugata C cl J DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH 3 I 5 |HM- cui (lev'cssere c' = ^(cos. ^ — l-/^scn. ^) , C'^Hicos. K— k' — 1 sen. A') : e facih; coinprendcre, die liasformato del pari V integiale di (x—cyi/x nella lunzione (p_, (*/) col porre x — c=tj\, c ridotla la soninia di n o pill Irascendenli della specie cp_,, {*/) alia somina di n—l tonsiinili trascendeiiti, se moltiplichiamo rispellivamenlc per C\ C i due gi'uppi dellc » — 1 funzioni siinili a O., (//)- e deiraltrc n—l funzioni si- inili a ; =: 2 esscndo (57) (AH) X, 4- A\ 2 I/a, A\ (x,— X,)' (x, — xj' ossia (•■i9) •2 a, J-'.tl + », J\ J, (.' , + .' J + -2 o, X , ,(, + 03 (x, + J,) + id. 2 l^^, A', 1 H r= c, : (x, — X,)' (x, — rj' quelio deir equazione d X . d X , sarebbe -'^'o «!-'' + ",'«, "».(', + ^J + 2«,x, r~+ «3(x, + xj+ 2«, 2V X.X, (x.-xj= Ora se si formi F equazione di secondo grado rapporlo a c, , In quale abbia per radici le due predetlc espressioni equivalenli a f , , si avia in essa Y integrale algebrico razionale di ciascuna delle d\w |)refate equazioni differenziali, cioe a cagione dell" idenlila { 2 ^'"'d7-^-"i7-"°^-'- se in questa sostituianio a p Tunila, ed a (j gli allri numeri 2, 5,... *;. avremo, a cagione delle eguaglianze (62) (05), le n — 1 relazioni se- guenli ( J 09) G,, [-^ 0, — o„ .g == G,, (7 a. — n„ sj — n„ E,, \/ (./, — «, .«, + n„ i\) , G,, (r t>3 — Co -'s) = ^,,j (t "■ — "o •«,) — Oo -£',.3 1/ (-^. — "■ *'. + f'o ■''!) J 0, , (7 t)„_, — n„ sj = G,„ (f fl, — "„ s,) — fl„ £■.,, l/(-'-^. — ", *'. + "o «!) ■ Ora essendo 6, , i, , . . . />„_, (^ X.) un sistenia di valori delle variabili j;,, x,,... .r^_, corrispondenli ad ;t„ = 6 , se indicbiamo con r,, 5-,,... 5-„ 1 relalivi valori di v , v , . . . .« , e con ?, , —2- quelli di z^ , — , si avra manifeslamenle (110) 6" + r , 6"~' + r, 6"~' + . . . + T„_, b + T„ = 0 . DEL PROF. SERAFINO RAFAELE MINICH 3 1 9 0 dalle {(i'l) ((}.■>). [xjstovi x„ = i, dedurrcnio (HI) -2- = 7 !»,_, — f'o Cr^ . Er=l.' '-'^r— ",_, (7"r+"o^;i (I < ' Iiidi (iaile (109). ovvero dalla (108) avremo ^ A I Al ' ^ ^^,.-^=^.3 — -"o£■,3H.■ d^„ , d^, . ^ ■■' d J ''" At ° "'^' inolti'c soslilucndo nella (110) i valori di "-' £■. , + 6"-' E, 3 +...+ Z-, „) £, = G, , A d? Abbiamo poi dalle (111), oppure dalla seconda delle (107), postovi e se sommiamo i due memljri di (jueslequazione moltiplicali per (H G ) /■= a, (6"-' /:, , + h"-^ /■, 3 4- . . . + E^J — (A"- G,, + A"-' G, , + . . . + G, „)' , 320 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICl co' rispellivi due mcnibri elcvali al quadrato deiroquazionc aulecC' dente, indi dividendo i mcmbri della nuova cquazione per o„ ne e?- Iragghiamo la radice, ricavasi 'IE. (117) (b"-'E,, + b"-'E,,+ ...+OE,„_, + t\„)-^ - (6"- G,,, + 6"-' G,,, + ...+b G, „_, + G.„) ^, = 1/ j^^^ — ■ -S Ma a cagionc dell' identita ( M 8 ) fl„ ^,„ £,,, - G, , G.,, = - G,,, G,,, , dondc risulla a, E, , A', 3 — G, , G, 3 = — G, 3 G, , , e per le seguenti identita che sorgono dalle eguaglianze (46) (B2) (107) (119) «„(W.— a,) + jal = G,^, , "o (*'. — "3) + 7 {^, ", + ", ^.) — 2 G, _, , "o (Kj — "4) + 7 (*<= «, + », W, + n, »,) = 2 G,.3 + G,,, , "o («4 — "5) + 7 ("3 «. + •>»'»■ + '«, W, + o, >J3) = 2 G,.4 + 2 G,,j , — "o «,„_. + 7 ("a-, ^„_, + •»„_, >»„_,) = 2 G„_, „ , "o "in + 7 On—, = G„ „ , se poniamo di conformita alia (2) (120) B = a„ b'" + n, 4'"-' + n, i"""' + . . . -I- n,„_, 6 + (t,„ , risuUa (121) G,,^' + F=zi,Ji,,B. e conseguentemente, rilenuto il segno d'\ 1/ B egualc a f(ii(^ll(i di l/ A,. DF.L PROF. SERAFINO RAFAELE MINICII 321 si (lovra assumeie col segno negative il radicalc coslitucnte il sccondo nieinl)io della (117), come verra provato ncl i XV, e si rilrae dalle cquazioni (Ili») (117). avendo rigiiardo allc eguaglianze (116) (121), (123) -=^= -^ ~ ~-^ . ^ _ (6—' /;, , + 6"-' £',3 + . . . + >£'„„) A + (4"-' G, , + 6—' G, , 4- . . . + G,,„) ^/j? ^' A' — (7„/? ■ Sostiluendo quesli valori nolle equazioni (112), e ponendo mente al- r idenlila (118), ed a quest' allra che si deduce dalle (107) avrenio in generalc ^^r_ (^"~' Gr„ + G„„) A -[ a,(/j"- £;, ...+ 6— ^+' a;,,_. + &"-'•-' ^.,.+. ...+/:,„ I iX-g e quindi dalla (108), postovi p^r. q = i^ x„ = 6, otterremo .. (6"-£;, ...+ b'-'+'E^,_, + lj"--'K.+r-+Er„) A +(//-'G,, +...+ G^„)\yB (124) r, = ^ '- '— '. : . Avverlasi poi che si avrebbc (H3) (120) (119) (125) A' — o„5=G._. 4"-' + 2G,,6"-' + (2 G, 3 + G, J 4"-^ + . . . + 2 G„„_, A + G,,,. . Trovata respressione di — in funzione razionale di quantila che si espriinono razionalmente per mezzo di x. , a?,,... x„, t/A, , |/A, .... iX.Y,,, ricaveremo dalla prima delle (HI) il valore di ff"^ , indi de- notando con ( — lY '^1°^ la somma de prodotti delle quantita i, , 6,,... 6,^, combinate ad /• ad /•, avremo analogamente alia (7) (126) (rt°' = //+6^— cr, -f...+ 6r,_, +(rr=^—<—, 1- -tt" + ■ ■■+~[;:^l •• (6005 e verranno cosi espressi razionalmente in funzione di x. , x\. . . . a„ , 1/ Y. , 1/ Y. , . . . t/.Y,, i coefficienti dell" equazione (12 7) h"-' + 0-','" 6;r' + cr',°' ir-^ + . . . + cri,°i, = 0 , le cui radici sono gli argoinenli richiesti 6, , 6, , . . . 6„_, . III. 41 322 SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI Ncl caso (li a, = 0 essendo (107) (111) (ll/i) //-' G„ + 6"-' G„ +...+G,„ = -^ ( 6"- -^ + b"-'-^ + ...+ -=^ ) = - >«, , A , d « V dt d ( d < / " si deduce dalFequazione (124) (128) ^.= ■■ ■■ : ^ ^^-, indi dalla 2." delle relazioni (111), postovi a„ = 0, avrcino (J29) cr,=-^— ^'. Pero se con a„ fosse nullo anco o, , questa espresslone non ci darebbe il valore di o", . Converra allora ricavare o-_ dalla relazione (46), die per J •:= 3 , x„ ^ 6 ci esibisce regiiaglianza (130) W, + », (T, =03 — 2^,^, , in ciii sparisce >», nel caso di n^2. § XV. Applichiamo a' casi piu scmplici il nielodo esposto nel § XIV, onde forniare Tequazione (127) cbe ba per radici i ccrcati argoinenti 6,, Pongasi primieramente nz=^. c si avra per I'eguaglianzc (IM) (12r>) (l2o) (4 G,, + G,,)(b' + ^-b + ^-) + E,.,\^B a, ' ' \ a. ttj G,,b'+2G,,b + G, Conseguentemente risulta (131) cr<,°>=:. O 0, O, H, „ y „ G,J/ + (G,, + r~G,, — i-G,,)b + \-G,, — ^-G,,, — E..,l/B (t "i •♦i — Tf'o"3) '•*' + (t^j **. — ^'"^i — ir". "3 — '^oC/) ^ + 7 "3"! — r^i "4 — ^1,1 1/^ (-^ n| + "„»>, — Oo "J 6" 4- (7 n, w, — f o "3) * + i ''> — "o "4 DEL PROF. SERAFLNO RAFAELE MIMCII 323 Si pu6 vcrificarc ([xwsUx esprcssione ncl caso di b = 0. o„ = 0. «, =; o, coirfipplicaria aHeqiiazionc e si avra '+-' (■'^.-J"J"+ il/(l -rD-lXH-O]' x] — a-' ■'.1/ (J — •!>) — ■»■, [/{I —Xj) "^ ' '"^ ^ '" in confoi-mita alia nota relazione di Trigonomelria arc sen. x. + arc sen. x, = arc sen. { x, |/( 1 — xl) + x,iX(l —x])l. Siipponiamo in secondo luogo )i = o, b = 0, e Iroveromo (12G) (111) (125) (132) ir':>=:-^- _ 7 "» ^. + 7 ". ^ ^3 — T "o ". -^ ^3 + -;■ B, r, 73 — -^ ff . ffe — £•, 3 [XCj ■rG,3- + ^3l/-«, 3-W_J._i ! T *»> '2 + 7 ". "2 S3 — T n„ K, s, 's + T iv, r, Tj — t "0 "■ — £,z [^ "e Pria di dar fine allc prcsenti ricerchc non lascieremo di nolart- die .se il grado q della funzione X sotloposla al segno radiiale (2) fosse inferiore a 2 /*. — 1 , cioe se si avesse (y = 2 (« — /) , oppur<' (y 3= 2 (» — /) — 1, si polra ridurre la somma delle n trascendenti ^r('-,)+*.(-rJ+. . .+$,(x„). a quella di n — / — I consiniili trascendenli, e I'orniare I e',', i'J', ... i„'2,_, saranno gli argomenli delle n — i — i funzioni, alia cui somma si puo ridurre raggregalo delle n proposle funzioni di simil forma, e i coefficienti ■J"',', cr'j', . . . 2-;_l_ dl quest' ultima equazione ver- ranno pure espressi razionalmcnte in funzione di x,, x,,... x„, l/A, . l/.\, , . . . \X -\„ . Riserviamo ad altra Memoria lo sviluppo de* calcoli, die servono a formare questa equazione, e di quelli accennati nel j Xlll. Osserveremo a queslo luogo che avendosi dalle (107) dr. ossia, poslo af„ == 6 , si rilrae dalle equazioni (117) (121), sosliluendovi in luogo di b unal- tra radice b^ della (110), T equazione (133), e si riconosce che il ra- dicale coslituente il secondo membro della (117) deesi prendere col segno negalivo, come abbiamo asserilo nel 5 XIV. Dobbiamo infine csaminarc come si modifichi I'espressione (13) di ip, da cui dipendono quelle di z,, (»,_,, -^ (14) (28) (62), allor- che alcuni de' dati argomenli x, , x, , . . . x„ sieno eguali fra loro. In queslo caso e d'uopo che i radicali delle funzioni A, , A, ecc. de' rispeltivi argomenli x, , x, ecc. che si suppongono eguali, sieno affelti nelle equazioni (1) dal medesimo segno, altrimenti sparirebbero le coppic di funzioni eguali ed opposte di segno da' gruppi (80) (82) (96) (101), e r impossibilila della riduzione sarebbe indicata dal va- lore infinito di i\ . Ora supponendo primieramenle x, m x, e i radi- cali l/ Y, . i^X^ affelti dallo slesso segno nella formula (13), trovia- mo per la re^ola determinante il valorc delle funzioni che vanno a — ' "- 0 -r. — X, ([X, — X,)...{X^ — X„) — -O ' '^' [x,—x^)...(x^ — x,;)\ /)' (x, — X^ . . . (P, — x„) Cosi procedendo si trovera in generale, die per un nnmero m di ar- i!,onienli eguali jt, = x, = ^1:3 = . . . = x„ , purclie sieno tulli del mede- sinio segno i rispellivi radicali l/-Y, , i/A', , . . . L/-V,„, risnila (134) — ^ji^ + — -^ +...+ — -^ = />;— ^ cosifclie, se tulle le quanlilu x, , a^, , . . . x„ fossero eguali Ira loro, si Irovcrebhe t (135) r,= /r- ..r'l/-V.. '^ 2.3...(»— 1) ^ La leorica deiili inlei>;rali delle lunzioni, clie invol^ono il radicalc di (jualunque grade d'una limzionc inlera, potra di\enire il soggeKo di analoiihe ricerche analitiche. (Pi-csciilala li 10 .-/(joslo 1846 e 30 Geintaio 1847) DEL PROF. SERAFIiXO RAFAELE MIMCIF 32: X 0 T E Nola I. airinlroduzionc. Vcggasi il T. HI pag. 343 del Giornale di Matemaliche del sig Crclle di Berlino. Nel T. IV dello stesso Giornale pag. 200, e nella Menioria coronata dall'Ac- cadeniia delle scienze di Parigi (Memoircs das Savans vlraiirjcnijT. VII), il celebre Abel pervenne ad uii simile teorcnia per gli integrali di luUe le funzioiii clie involgono la radice d'un'equazione algebrica, i cui coeflicienli sono funzioni intcre e razionali di x. II sig. Ilerniite, che s'era gia sc- gnalato eoUa divisione degli argomenti nelle funzioni inverse delle abeliane, prese a considerare le inverse delle nuove Irascendenli a derivata algebrica (Liouville, Juurnnl de Slalhematiques, oclobre 1844). Poscia I'insigne Jaeobi osservo che quesle funzioni inverse si possono coniporrc algebricamente di funzioni ad una variabile; e nel Vol. I. pag. 383 delle sue Opere (Berli- no 1846) presenli) sotto un nuovo aspelto gli integrali delle equazioni ({} ch'egli eliiama ullra- ellitliclie. Allre iniporlanti Memorie di rinomati autori sullc Irascendenli abeliane, c su quelle a derivata algebrica trovansi nel citato Giornale del benemerito sig Crelle. Nola II. al § I. Si attribuisce alia sonuna indicata col segno 2 il liniite superiore /)=2 n-\-\ . per mantenere I'analogia colla nota formula 2 cp (p)=

• y, . Nola V. al § VIII. Nel T. XXIII delle Memorie della Sociela ilaliana (Parte malemalica) il chiarissinio sig. prof. G. Mainardi, dopo di a\ere espresso colla (28) uno de' due integrali delle cquazioni (1) nel easo di 7i = 3, e nella siipposizione di o<, = 0 n,= l, rappresenta I'altro in- tegrate con una formula che spetterebbe al sistema (65), ma che non si accorda del lutto col- I'espressione risultante dal porre nella (65) r=2. 328 SUdl.I INTF.GRALI ALGEiiRICI DEF. PROF. S R MliMCH i\'ota VI al § IX. Eliniinando una delle variabili a-,, x, fra resprcssionc del moltiplira- tiHi' /'' f qiR'lla di «, = c, + (p (28) si trovera eliniiiiala anco I'alira van'ahile, c si avra /■'=: I,/ {",'"4 + ",' a„ — 4 o„o, (7^ + (4 ff„n^ — ", "3^ '', + «, >),' — >J,'5 Di piii hc dall't'ciuazionc (106), ponendovi n, , 6, 6,, in luogo di f , . a-,, .r, , ricavianio 6,, e no paragonianio il valorc con quullo offcrlo dalle M27) (131), ollerrenio /''=/"',,, Nola VII. al § XI. Senza esegnire le inlcgrazioni si polrebbe conscguiro successivaniente ',) '. > '3' c*^'- introdncendo nolle (80) i valori (62) di .«,, s,, Sj en., e per brevita le costanti I',, I',, I'j ec. determinate dalle relazioni 2 n J', + >»„ = 0 , 2a„ )\ + y'^v, + n, = 0, 2 a, I'j + «„ v, + yj,v, + y, = 0 ec., indi ordinando rapporto a dr,, d;, , drj ec. in modo die un gruppo qualunque affetto dal faltore d :„ non contenga le differenziali delle posteriori variabili ad indice piu elevato. Per a\ ore r, , f, , ^3 ec. bastcra sostituire in ogni gruppo a' coefficienli de' varii termini nuo\ e co- slanli indeterminate, e scriverc z„ in luogo del fattore dr,„. Si ottorranno i valori de' coel- lioienti indeterminati paragonando le differenziali delle nuove formulo coUe precedenti. Del re- sto venne gia assegnato dallo stesso Abel e da Jacobi (Opere matenialiche, Vol. I. pag. 281) il valore di 1^ — k^ (95) merce lo sviluppo in serie d'una data funzione, e si polrebbe ancora dedurre <,, f,, (3, ec. dall' integrazione delle fonnule (86) espresse in funzione di s, medianto le relazioni (67) (109). Nola VIII. al § XII. E facile provare I'equivalenza delle prime due fonnule (97) colic ri- spettive (102), impcrocche sottraendo quelle da quesle troviamo a cagionc della (63) C 1 , )\Xa,„+s„\y a—z„ zl—{s„i/a„+[Xn,„y \o.-^n- -(-.+1/ f',ji -^ ~ = -^ = -(^_. + 2lXf'„",„), 2(Mx^X— -%) (i-^'.— ■'n— O — I "..+ (■■■'. [X". — -J'j -n ^ ;- _ ^— "o ".. _ {",, + (s»l/'''o— ^JKr^'—.-'n— "J— 2(S,.l/'0o— •2„)'',„J„ '"~ T>^n-, Nola IX. al § XIII. Nol modo stesso con cui Legendre ridusse le trascendenti ollittiche a Ire sole specie, il preclaro analisla sig Ricbelot nella sua prima Alenioria sugli integrali abeliani di primo ordine ((iiornale del sig. Crelle, T. XII. pag. 221) dimostra, che quesli integrali, cioe rpdx le trascendenti rappresentate dalla formula \-jY ' '" *'"' ^ "^ ""^ funzione razionale di x, (•(1 V una funzione intora del 5" 0 del 6" grado, si possono ridurre a cinque specie senza al- cun intcrvento di quantita immaginarie. COIVSIDERAZIONI I^TOR^O AL GENERE ED ALLA SPECIE 11\ BOTA^ICA DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI -aS®e.- Xn lanlo fervore di studii, con che ell uomini d'ossridi si vol- gono allc scienze naturall in gencralc, ed alia botanica in partico- iarc. dolti ed indotti, iniziali e provelli muovono egual lamento snlla soverchia niutabilita, e conseguenle inoltiplicita de' nomi, con che i varii bolanici salulano la slessa pianla. Coloro, che in queslo piace- volissimo studio non cercano meglio che un utile passatempo, si la- gnano di trovarvi invece per questa causa noia e difficolta; e que- glino slessi che la scienza professano, veggono con dolore, che la in- costanza e la moltitudine de' nomi sta per avvolgerla in una confu- sione peggior delKantica, e sempre piii ineslrlcabile. Di che ne viene che i primi, mancalo loro il dilelto che ne speravano, se ne disgu- stano e labbandonano; i secondi con gi'ave danno di lei sono coslretti a perdore neirapprendinienlo e riscontro de' varii nomi un tempo pre- zioso, che avrebbero meglio impiegato nello studio delle parti sue piii essenziah. Tentarono di giovare, almeno a questi ultimi, uomini pa- zientissimi e diligenti. compilando grossi volumi di sinonimia; ma codesli IH. 42 .•)30 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA lavori e sono di lor nalura iinperfelti perche soggetli a continue vi- ccnde di mutamenii c di giiinte, per cui non soccorrono che incom- plehuncnle, sol pel niomenlo, ed a' soli bolanici die appunlo men ne abbisognano, c d'alfra parte non rimediano al male percbe non ten- dono a toglierne la vera causa. Mirando addenlro di lanio disordine dclla nomenclatura non e dif- ficile 1 avvedersi, parccchie essere le cagioni cbe concorrono a pro- durlo ed a mantenerlo, ma nessuna al certo essere piu dannosamenle efficace di quclla che consiste nclla incertezza ed inesaltezza del con- cetto che buona parte de' botanici novatori si forma del gcnere e della specie, nonche del valore che attribuiscono ai caralteri su cui quello e questa si fondano. Per essi ogni lieve diversita, ogni piccola modi- ficazione di forma ncgli organi delle piante paiono sufficienli a sepa- rare alcuni individui da una specie, alcune specie da un genere per farnc poscia unaggrcgazione distinla, a cui tosto gli e forza d'imporre un novello nonic. Quindi o che la fondazione de' nuovi generi, dclle nuove specie, e quindi dc' nuovi nomi, dipondc al tutto dal differente grado d importanza che da luno o Taltro botanico a quel dato carat- lere o a quel dato organo, per fame, o no, un nuovo genere o una specie nuova, ed e quindi in questo diverso modo di vedere il valor dei caralteri sia generici sia specifici che risiede la causa prima della lamentata moltiplicita de' nomi nei vegetabili. S' egli fosse possibilc laddilare norme piu o men sicure per giudicarc reltamente di lal valore, e fissare piii nettamenle il concetto vero del genere e della specie, si torrebbe certamente alia scienza una sorgente inesausla di nuovi nomi, e, che piu monla, di lanti crrori, quanti sono i falsi ge- neri e le false specie, che provennero e provengono tullo di dal- Taverle o sconosciute o neglette. Convinto da lunga pezza della utilita, e diro anzi ilella necessita del lavoro, nonche della maggiore opportunita sua in questo tempo, in cui la scienza e piucdie mai bersagliata dalla smania sfrenata de' fabbricatori di generi c dei coniatori di nomi, mi sono altenlalo di porvi mano, meravigliando insienie e dolendomi che bolanici j)iu di me consumati ed aulorcvoli non Tabbiano falfo ancora, malgrado la DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 331 cvidenza urgenlissima del bisogno, die pure in ogni opera filografica vicne confessato e riconosciulo. Ho raccollo percio dalle opere di tas- sonomia piii celebri c piu degne della lor fama tutto clo ch'era slate dollo di incglio noirargoinenlo ; ne ho fatlo quella crilica spassionata ('he mi fu suggerila e dalle osservazioni degli allri, quando le ho tro- vale confornii ai falli, e da quelle ancora che una qualche sperienza in sifFalti sludii ha poluto somminislrarini; e ho cercato da quesle indagini e da queslo esame di dedurre le regole che a me parvero fondamentali per la creazione de' generi e delle specie, e per la piu relta estimazione de' caraUeri che li dislinguono. Raccoglitore e com- mentatore di Icggi allrui io non m'arrogo allro titolo allinfuori di queslo di avere sceveralo dalle molte dottrine pubblicate sulPargo- mento quelle che Fesperienza ha sancilo, di avervene ac;giunta al- cunallra. che la osservazione posteriore mi ha moslralo non mono vera o men utile, e di aver chiarito e quelle e quesle con esempii e con falli che ne comprovano Tesaltezza. Non dubilo pero che a quesle regole pella grande mulabilita doi caratteri filografici non sieno per iscoprirsi delle eccezioni; non du- bilo ne anche che uno sludio piii allento rivollo in seguito piu di proposito a queslo ramo di scienza possa scoprirne di nuove: nia 1 uno e r allro di questi risullamenti se moslrera da un lalo la im- perfezione del mio lavoro (ned io il credo compiulo). promuovcra insieme il perfezionanienlo di quesla parte rilevanlissinia della scienza, e quindi corra ei pure Io scopo vero ch' io \n ho proposlo nell" im- prendere la prescnte fatica. DLL TROI-. ROBERTO DE VISIANI 333 PARTE I. I> E L G E N E R E Ouamdiu summi syslenialici oovos introJiicebarU oliaracteres novosque conceptus generis, lamdiii barbariei exposila gcniuit Ixilanices scicnlia. Linn. I'liil. bot. character, p. 13a ii. i02. Gli anticlil bolanicl non avcxano idea prccisa del genere, percio si conlenlavano di raocorre in una serie, die domanda\ano generc, quelle pianle die crescevano in un niedesiino luogo, o fiorivano nella stessa stagione, o aveano qualita ed usi coniuni, o si assomigliavano in organi di secondaria iinporlanza, quali erano le radici e le foglie. Con do confondevano la distinzione generica delle piantc colla loro distribuzione geografica, o colla coincidenza delK epoca in cni fiori- scono, o colla loro classificazione (ecnologica, o colla sCessa loro distin- zione specilica. II primo ad avvisarsi di ravvicinare fra loro le pianle siniili pei caratleri del fiore e del frutto si fu nella seconda niela del secolo decimoseslo il celebre Corrado Gesnero. e iiel principio del successivo il non meno illuslre Fabio Colonna. A quesli due sonimi e pertanto da riferirsi il merito della prima e rella istituzione dei ge- neri: ma I'applioazione de' loro principii. bendie in parte eseguita dal Morison e dal Ray, non fu estesa a tulti i generi delle piante, ne a questi furono assegnati i caratleri difl'erenziali die dal celebre Tournefort. Gli e percio, che ad esso viene altribuita la gloria se non della invenzione, almeno della prima sistemazione dei generi, avendo egli pel primo fissale alcune regole da seguirsi nel costruirli. Pero questo 33 4 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA i^raiido botanico oniise di far parola fra i caralterl genorici di quelli tralli dagli staini, dallo slilo, c dallo sliinnia, chc considero puramcnlc quali organi escretoiii del fiore, e poclie volte descrisse il calice; lal- che i caralleri di qiiesto e degli organi teste iudicati risultano no suoi generi pii'i dalle figure dell opera chc dal Icsto, c piu debbono alia diligenza del piltore che del botanico. Vaggiunse invece talvolta ai caratteri tratti dalla corolla, dall'ovario c dal frutio, quelli desunti da qualche organo estraneo alia riproduzione, come la radice; o dagli accessorii della medesinia, come Ic brattee; o da quelli tratti dal- Taspetto generale della specie, die e cio che dicesi abito o porta- mento. Dopo di lui, botanic] di minor nome ne neglessero sciagura- lamenle le dottrine e Tescmpio, e tornarono allantica licenza, siuo a che nella seconda meta del passato secolo il grancle legislatore della botanica postosi a riordinare le parti tutte di questa scienza, ritorno in onore il canone fondato dal Gesnero, applicato dal Tourneforl, lo estesc a tutti gli organi della riproduzione non acceltati da queslo, c rifiuto tutti cli allri caratteri sccondarii dal Tournefort aeeiunti ai ge- nerici, riputandoli non necessarii alia esatta distinzione dei generi. Guidato da tai principii il Linneo prese in esame tutti i generi del francese botanico, e giudicatili secondo Ic nuove regole da esso date, e secondo il valore attribuilo alio varie parti riproduttrici, ed alle loro modificazioni, ne adotto la massima parte, n'escluse parecchi, ne ag- giunse quasi altrettanti, assegnando a tutti, chiari e precisi caratteri desunti da tutte le parti del fiore e frutto. Quindi e, che se al Ge- snero e al Colonna spclta la gloria di aver fissata V idea vera del ge- nera, al Tournefort quella di averla applicata alle piante allor note, al Linneo si appartiene il doppio merito e d'avere fondato le vere leggi chc guidar denno il botanico nella creaziono de' generi, o di avernc estesa Papplicazionc oltre ai generi del Tournefort anche a tutti quelli scoperti dopo. Or queste leggi da lui consegnatc in qucl- I'aureo codice della scienza, chc intilolo Filosofa holanica^ essendo r ultimo risultamento degli studii AUti sulP intero regno de' vegetabili da una mente atta ed avvezza ad abbracciare d'un guardo T intern nalura, e a coglierne sicuramentc le analogic e le attinenze, basia- DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 335 rono lungamcntc qiial ccrla norma ai botanit-i nella fondazionc cd ac- celtazionc de' gcnerl, c Ic osscrvazioni posteriori non fecero quasi sempre die raffermarne la convenienza e la verita. In appresso un uomo per ampiezza di vcdute, per dovizia di co- gnizioni, e per talenlo di osservazione degno di succedere alF immor- tale svedese, Augusto Piramo De Candolle pubblicava nel principio di queslo sccolo sotto il lilolo di Teoria elemenlare della botanica unopera nierilevole per molte parti di stare accanto al codice Lin- neano, nella quale venivano rivcdute le leggi da queslo imposte alia creazione de' generi, ed accrcsciutc di alcune norine cd avvertenze utilissime. Finalmente dopo di lui il degnissimo figlio sue e succes- sore A. De Candolle, nella Inlrodiizione alio sludio della botanica esa- mino a lungo il valore degli orguni e de" caratteri, tentando di clas- sificar quelli e questi secondo il grado di loro iniportanza. affinche i botanici potessero adoperarli con piii concordia c con piii sicurezza nella fondazione de generi. Si furono questi i botanici clie piu di proposilo traltassero ([uesta parte di scienza, e ne discutessero le dottrine: pcrloche ci conten- teremo di esaniinare quanto eglino ne scrissero, facendoci carico a luogo debito delle osservazioni fatte sulle regole del Tournefort e del Linneo dal Jussieu e dal Mirbel, come quelli cbe non proposero lea;gi nuove, ma commentarono ed ampliarono soUanlo quelle proposte dai sopraddetti. Ignore che botanici de' nostri giorni abbiano pubblicato regole diverse da quesle: ma so benissimo che nelle opere fitografi- che moderne, alcune delle quali, per molti rispetti. eccellenti, gli autori moslrarono di aver del genere un concetto diverse da quelle che ri- sulta dai canoni Linneani. Su qucsto concetto, che non puossi desuniere se non dal modo pralico con cui questi autori caratterizzano i loro generi, non avendone essi pubblicata ne una di versa definizione, ne anco le norma leoriche che seguirono neH'adottarli. c' intratlerremo airatto di classificare le varie sorte di generi, e di apprezzarne il re- lative valore. II Tournefort stabili, le note proprie de' generi doversi ritrarre dal fiore insieme e dal frutto. dimoslrando non bastar I'uno senza 336 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA delFallro. Qucsla regola non e abbastanza vera e sicura, esscndovi ge- neri ben dislinli Ira loro pel solo fiorc, come il Cenlrunihus dalla f a- leriana, la Celsia dal Ferbascum, la Primula daW./nclrosace, ed il inas- siino nuinero delle Labbiale, le quali ne' frulti loro non presentano seiisibile diversita. Allri generi invece non diversificano che pel fruUo, come la Lijsimachia i\i\\\./n(i(jallis, V/rctostaphylos <\a\V ./rbutus, c ge- neri innunierevoli nella faniiglia delle Coniposle. II genere quindi puo essere londato anche sni caratleri del solo fiore, o del solo frulto, quando pero sieno tratti o dalle parti loro di prima imporlanza, o quando sieno \)n\ d'uno, o almeno sieno in accordo coll' insieme di Inlti gli allri caratleri secondarii delle specie congeneri, che cio che dicesi il portamento. Cosi il Cenlranthus e buon genere perche differi- sce dalla J alcrlanu per due caratleri del fiore, la lunchezza c forma dell'appendice della corolla e la presenza di un solo stame anziche tre: la Celsia dal I erbascum pel numero minore, ed insieme pella diversa direzione degli stami: la Primula <\i\\V indrosace pel tubo della co- lolla cilindrico e non ovalo, ed insieme per la faucc della medesi- nia allargata anziche contratia, ciocche accenna ad una diversila di strutlura. Quanio al friitto i siioi caratlei'i hanno certamenle un mag- gior valore di quelli del fiore, ma per ben apprezzarli converra di- stinguere quelli desunti dalle parti piu essenziali del medesimo, da quelli die si Iraggono dalle appendici di queste. Dal non aver Icnuto conlo di lal dilferenza ne provennero alia scienza generi falsi in gran numero, perche fondati solaniente su queste appendici di minore im- ])orlanza, quali sono le ali. le coste, il roslro, le code, le chiome, ed il pappo dei semi e dei frulti, in piu famiglie e specialmente in quella delle Coinposte. Allia regola inq)ostasi dal Tournefort si e quella, che non bastando il fiore ed il frulto alia distinzione de' generi si possa aver ricorso non solo a tulle le altrc parti delle piante, si ancora a quelle pro- priela di esse, ch'egli chiama affezioni, niodo di crescere, portamento o fisonomia delle medesime. Questa regola ha bisogno d'essere com- mentala e chiarila. 0 fra due generi similissimi nel fiore e nel frutto avvi una dilTerenza notevole non solo ncgli organi accessorii di queste DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 337 parti, si ancora nciraspctlo generale dclle specie clie li compongono, ed allora sara dehilo del botanico il distinguerli Fun daH'altro, onde non riunire insieme due serie d'esseri discordanti, e cosi coinporre im genere troppo artificialc. 0 fra quesli generi similissimi fra di loro in tiilte le parti della frullificazione si essenziali che accessoric, non avvi allra differenza che quella del portamento, ed allora non sara le- cito su queslo carattere unico, vago, arbitrarlo e non esprimibile con parole, separare in due generi specie fra loro unite in un solo per tanli altri e piii iniportanti caratleri. Nella tcrza regola dichiara il Tournefort, doversi stare alle sole note caralteristichc del fiore e Irulto quando queste baslino abbondantemente alia distinzione del genere. Pero alFatto pratico egli slesso devio da tal legge soggiungendo a que' prinii caratleri altri desunti dalle brat- tee, dalle foglie, dalla radice, c sino dal portamento per dlstinguere generi che qualche volla eziandio non ne abbisognavano. come VJm- mi dixW Jpiuni, il Plialanxjium daW Ornifhorjalum. il Limodorum dal- V Orchis, ecc. II celebre Ant. L. Jussieu sostenne col suo autorevole esempio quest' utile deviazione dalla legge del Tournefort accoppiando sempre i caralteri generici tratti dagli organi riprodutlori essenziali ad altri rlcavati dagli accessorii, ed anche da quelli della vegetazione. Fia moderni non pochi il seguirono, soggiungendo alia frase generica Fin- dicazione dclF infiorescenza, o anche daltri caratteri quando quesli sieno comuni a tulle le specie, ciocche torna utilissimo, perche nel- Fatto che nulla toglie alia bonta e perfezione de' caratleri essenzial- menle generici, che restano sempre i primi e separali dagli altri, serve a meglio dipingere Faspetto proprio di lutlo il genere, a mostrarne la naturalezza, e ad indicare come le di lui specie sieno fra loro unite non solo pei piu importanli ma pin minuii caratteri della frullifica- zione, si ancora per quelli men rilevanli in valore ma pin spiccati e visibili deeli altri orcani. Yuole il Tournefort, che i caratteri proprii si conservino inalterali ed eguali in tulle le specie die lo compongono, e che ollre a cio si appalesino alFocchio senza bisogno di microscopio. Non puo essere posla in dubbio la bonta della prima legge. come quella cli' e pieira HI. 43 .338 INTORNO AL GENERE ED ALL A SPECIE IN BOTANIC A fondanienlale del gcncrc. Qiianto alPaltra vuolsi racoomandare a chi londa iin gcnere di prefcrire a parlla di circoslanze i caratlcri piu apparent! c visibili a' piu minuti e nascosti per non accrescere le dil- flcolla dello sludio senza necessila; ma non si potrebbc cscludere dal nicdesimo Tiiso del microscopio semplice, di cui solo polea parlarc il Tournefort, onde indagare i piccoli fieri, i piccoli organi cd i mi- nuti caratteri, senza privare il bolanico d'un polenle soceorso, e la scienza delle innumerevoli e preziose scoperte che ne derivano. Propone ancora, le piante prive di fieri c frutta, o dell' una di queste parti, e quelle pure il cui fiore e frutto per la piccolezza loro non ponno esser veduti senza il microscopio, doversi riparlire in ge- neri secondo i caratteri d'altre parti piu insigni. Quesia legge die lautore applica soltanto allc Crittogame ed Agame non potrebbe se- guirsi intieramcnte nemmen per queste. Gli e vero clie in mancanza d'ogni altro organo caratteristico appartenente alia fruttificazione od analogo a qucslo, si puo ricorrere in tali piante ai caratteri d'altre parti, quelle cioe della vegetazione, ma pero senza proscrivere Tuso del microscopio; die anzi in queste piante divenla, non die utile, in- (lispensabile per la ricerca dei caratteri si generici die specific!, che in molli casi si desumono dalla struttura intima e microscopica delle parti . Composta la descrizionc di un genere, per assicurarsi se tutti i caratteri adoperati sieno necessarii alia diagnosi del mcdesimo, con- siglia da ultimo il Tournefort di escludere in via di prova un dopo r altro i caratteri stessi, osservando quali di cosi fatte esclusioni por- tino di necessila la dislruzione del genere, c quali il lascino sussi- stente, mentre con cio si verra a conoscere i caratteri essere nel pri- mo caso essenziali al genere, nel secondo indifferenti e soverchii. Que- sto esperimento, di cui non vuolsi negare la utilita per la verifica- zione del valor dei caratteri relativamente ad un date genere, puo larsi ove questi abbondino, ed ove piaccia ristringere la diagnosi ge- nerica alle sole note essenziali, anziche estenderla a tulte quelle die traggonsi dallo studio di tutti gli organi delle piante. Da qucsto esame delle leggi create dal fondatore de' geneii ri- DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 339 sulla, non potersene seguire alcuna senza eccezioni o rcslrizioni, ma colic avvertenze indicate poter ciascheduna di esse giovarc nella for- niazione ed acccttazione dei generi. Ben d'allra imporlanza e piu preziose e piu sicure e piii gene- rali sono quelle fissale dai riformalore svedese. Parti il Linneo dal principio ammesso pure dal Tournefort, die tutti i generi sieno na- turali, e quindi stanzio essere lanti i generi quanli sono (jU aUributi comiini prossimi clelle specie distinte, secondo i quali furono i generi creati sin dal principio. Ritenuto poscia per canone fondamentale, do- versene trarre i caratteri dai soli organi della frutlificazione, deter- niino tali organi essere il calice, la corolla, lo stame, il pislillo, il pe- ricarpio, il seme, il ricettacolo ed il nettario, considerati secondo il loro numero, la figura, la proporzione cd il silo. Del portamento in- segno doverlosi consultare quasi di nascosto, ned anteporlo niai ai caratteri della fruttificazione, come han fatto gli antichi, per non fab- bricare falsi generi per lieve causa. Mostro con esempii, cio che ca- ratterislico di un genere non esserlo di necessita in un altro. Slabili la gran legge, che il carattere non forma il genere, ma lo indica, e che quello proviene da questo e non viceversa. Noto nessuna parte della frutlificazione essere egualmente coslante in tutti i generi, ma quanto e piu coslante una data parte di quella in un maggior numero di specie, tanto esser piu certa la nota generica che somminislra. Av- verti esislere in molli generi una nota carallerislica singolare, la quale ove mancbi in alcune specie d'un di que' generi, avvi luogo al so- spetto, non forse queste meritino d'esserne separate; e se invece si estenda anche a specie d'altri generi affini, puossi credere die queste ultime meritino per lal carattere d' essere unite ai primi. Ora esaminando una ad una le fonli de' caralleri generici ammesse da lui, ei dichiaro in generale quelli del fiore essere in parita di circostanze da anleporsi a quelli del frutto specialmenle neiraltribulo della figura, die Irovo piu cerla nel fiore che nel frutto, per cui pre- scrisse doversi riunirc que' generi, che diversi in queslo, convengono in quello. Al'fermo nessuna parte essere in tutti i generi costanlissima. assai variabile il loro numero, men la figura, ancora ineno la propoi- 310 IMORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTAiMCA zioiie. pill foslanle d'ogni lor propriclu la situazionc reciproca (Idle parti. Scopri pel priino rimporlanza del nellario, chc quasi anlepose ad oiiiii altro ora;aiio nella dctcrminazione dei ceneri, disse meno co- slant! i petali, piii costanti dci pelali il calice e gli staini. Tento da ultimo di provar con csempii come la strultura del pcricarpio varii in uno slesso gcncrc, e pcrcio valga meno clie si parrcbbe. Divisc i caralteri generic! in cssenziali, die distinguono un ge- nere dagli altri compresi ndio stesso ordine nalurale, e ne lodo so- pra tutli Fcccdlenza, raccomandandone la brevita; in artificial! o iat- tizii, die lo distinguono da que' soltanlo di un dalo ordine arlificiale; ed in natural! chc abbracciano lutte le possibili note genericlic, e (juindi includono e Tcssenziale e il fattizio. Del naturalc, ch'egli disse essere la base di tutli i sistemi e d! tutti i generi, insegno per com- porlo dovers! stendcrc accuratissima descrizione della fruttificazione intiera d! una prima specie per raffrontar con quesla tutle le altre specie congener!, cscludendone in seguilo mano a mano que' caralter! die non si trovassero comuni a lutte. I caratlcri superstil! a questo spoglio forniano il carattere gencrico naturalc, perletto c Inliillibile, perche risullanle dal consenso d! tutte le specie di quel generc in alcunc nolc comuni. Ammise Fuso del microscopio nella ricerca de caralteri: ripudio invece da quesli la infiorescenza, die qualifico dan- nosissima nella coslruzionc de' generi. Ripassando ora in esamc questc leggi da Linneo proposte a' bo- lanici, e appoggiate sempre a moltiplici esempii tratti da' varii ge- neri dclle piante, gli e forza il convenire nella eccellenza cd utilila della massima parte delle medesime, perche desunte tia un numero di osservazioni quasi incrcdibili in un sol uomo, e perche provate al crogiuolo della csperienza fallane nella fondazlone dei caralteri di piu che mille trecento generi. Tre sole di queste non ottennero I'assen- timento dei bolanici, Tuna die affcrma essere tulti i generi naturali; laltra die attribuisce maggior valore ai caralteri del fiore, e in par- licolarita del neltario, che non a quelli del Irulto; la terza che ri- fiuta i caralteri dell' infiorescenza come generici. INon si vuol negare csservi alcuni generi composti di specie tal- DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI •" 3 41 mente siniili tra di loro, da non polersi dividerc luna dallallra scnza violentar la nalura, come i Ranuncoli, i Delfinii, gli Aconiti, le Rose, i Garofani, Ic Ossalidi, c molli allri. Ma vc ne sono ancora, c in nu- mcro assai maggioro, le cui specie non lianno fra di loro una si evi- dente soniiglianza di porlaniento da farlc (oslo rioonoscere per con- gener!. Sono elleno unite per caralteri meno apparenti, benche im- portantissimi, e formano un'associazione generica giusla e buona. ma non naturale, nel senso abueno proposlosi dal Linneo. Tutii que' ge- neri, suUa conservazione o sulla suddivisione de' quali son discord! i botanici, secondo die apprezzano pin o mono il valore dei caratleri discrepanli, non sono certamenle gencri nalurali , cioe composti di specie evidentemente fra loro simili, ma arlificiali, percbe dipendenti dalle opinion! degl! uomini. Pero sarebbc vi\amente a desiderarsi cbe tutt! ! generi fossero natural!, e cbe gli sludi! di lull! i botanici si volgessero a questa importantissima opera di una accurala r!\ista e depurazione de' generi dalle specie ambigue cbe gli oscurano, onde ritenere in ess! le sole specie simili, congiunle cioe e pel caraltere e pel portamento, ed cscluderne Ic discordant!, per raccorle poscia o nei generi affini o in nuovi generi secondo cbe i caralteri cbe vi si scoprissero giustificassero I'uno o Tallro partito. Malgrado cio reslerebbero , il so , molte specie incerte , quelle cbe intermedie a pill generi e discordando in alcun cbe da ciascuno di essi, rendono incerti i limit! dei medesim! , non possono essere collocate esatfa- menlc in alcuno , ne presentano caratleri sufficient! a comporne di nuovi. Or quesle specie anomale sarebbe forse pin utile il raccorle insieme alia fine di quel gcnere, cui piu s'accoslano, come si suol fare dei generi anomal! per le famiglie, e delle famiglie anomale per le class!, indicandone le diffcrenze, e cos! additandole a! successiv! sludi! de' fitografi, anzicbe mescolarle alle vere specie di un dato genere da cui dissentono, rendendo con cio o non universale, o troppo artificiale il caratlere del medesimo. Riguardo alPallra regola Linneana, essere ! caratleri del fiore, e specialmente del netlario piu costanli cbe que' del frutto, nella gene- ralita de' cas! essa non regge alFosservazione, ne potrebbes! ammet- 3 42 IiNTOnNO AL GEiNERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA tei'C in assoluto. La sola figura si ncllun che nellallro non e caral- tere da bastar solo alia distinzione dei generi, ma la struUura del fnitto, salve eccezioni speciali, sorpassa d'assai in valore quella delle altre parli. Tutti i moderni convengono in lal senlenza, e degli cseni- pii stessi recati dal Linneo per provarc la incostanza del fruUo in un niedesimo genere, non ne reslano oggidi clie pochissinii, i quali da' botanici posteriori non sieno stati, secondo la forma varia del peri- cai'pio, riparliti in diversi generi, Cosi la Pavia imiloculare fu sepa- rata di genere A?A\\lescnlus triloculare, il Nelumbium a frulto forato all apice dalla yymphaea imperforata., la J'alerianella a frutto calvo dalla Faleriana papposa, il Paliurus a frutto samaroideo dal lilia- tnuHs baccato, V Onobrychis a legume con un sol seme dalV fledysanun polispermo, e per lacere degli altri, infiniti generi delle Ombrellifere e delle Composte furono divisi in altri generi fra loro distinti pel solo frutto, benche similissimi nelle altre parti. E qui giova osservare, che il Linneo stesso, avvedutosi poscia della troppa latitudine di questa k'naie, non dubito di deviarne in alcun caso ei medesimo, e siane esempio il genere Trollius da lui citato prima fra i falsi generi, per- che distinto AixW Hellehorus pel solo frutto, die piu lardi non si riniase dalfadottare per quelle stesso carattere, che aveva pria rifiulato. Un'altra massima del Linneo, che i moderni riprovano, si e quella che esclude la infiorescenza dalle fonti dei caratteri generici, e la re- puta anzi dannosissima alia costruzione dei buoni generi. Si ritiene ora con piu ragione, che la infiorescenza sola non possa per se ba- stare alia creazione di un genere; ma che, in mancanza di caratteri pill importanti, si possa anche ad essa ricorrere per distinguere ge- neri, che contemporaneamente sieno diversi per qualche altro carat- tere secondario della fruttificazione, ed insieme pel portamento. Su lutte le altre leggi dal Linneo fissatc riguardo ai generi, i botanici tutti consentono nelPammetterle, o almeno non ne hanno ch' io sappia apertamente impugnala la verita, benche spesso col fatto se ne disco- stino. II celebre Anton Lorenzo Jussieu fece al Linneo il rimprovero d'aver limitato le fonti dei caratteri generici alle sole parti del fiore e frutto, e di non aver rilevata Pineguaglianza di valore e di dignila DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 343 csislcnle fra i varii caralteri Iraltl da quesle parti. Se non vuolsi contrastare al Jussicu, chc anchc le parti accessorie della friiltifica- /ionc possono in alcun caso somministrare note differenziali ad alcuni generi, per cui la rcgola Linncana non puo sempre seguirsi, come abbiaino riconosciuto teste, e di giuslizia pcro il riballere laltra ac- cusa data al Linneo di non aver distinlo il vario grade nel valor dei caratleri, come conlraria al fatto. II Linneo non classifico e vero gli organi sccondo il vario loro valore caratleristico, cioccbe non puo farsi rigorosamente neanco oggidi, e molto meno poteva esser fatto al suo tempo, in cui T imporlanza degli organi, e il valor dei caratteri co- minciava appena a conoscersi; ma pero indico egli il valore compa- rative degli attributi di ciascun organo, preponendo a tutti la situa- zione relativa dei niedesimi, e cbiaramente alTermando esserc in essi il numero piu variabile della figura, la proporzione piu certa di que- sla, meno ccrla del silo. Degli organi stessi rilevo Timportanza in pa- recchi, dichiarando gli stami e il calice men variabili e piu certi dei pelali, il netlario piu caralteristico del frutto slesso. Pero il Jussieu medesimo malgrado le fatte censure confesso , le regole Linneane esser poco lungi dal vero; non istimo necessario Taggiungervene al- cuna; dichiaro invece i generi del Linneo ammissibili nel maggior numero, pochi da riprovarsi. Solo crede opportune di far succedere suH'esempio del Tournefort in ciascun genere ai caratteri tratti dal fiore e frutto quelll cbe sono accessorii a questi, od anche speltano agli organi vegetativi, quando pero sono comuni alP intero genere, e sempre considerandoli come caratteri secondarii, atti solo a facilitarne la conescenza col porre in vista tutte T eslerne apparenze delle sue specie. II De Candolle ammise tre regole fondamentali alia formazione dei generi. Luna si e la gran regola Linneana che il carattere non fa il uenere, esreeiamente da lui commenlafa dicendo, non baslare a for- mare un genere, che un date carattere del fiore e frutto distingua una o piu specie da quelle chc lor somigliano; ma essere d uopo al- Iresi che quesle piante e si distinguano dalle allre, e si somiglino fra di loro nel portamento. Delle due leggi da lui proposte. Tuna 344 INTORiNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTAiNICA (lichiara dovcrsi i gcneri stabilirc sopra carattcri, chc raffrontali Iru loro sicno scnsihilincnle d egual valore; pcrloche, soggiimge egli, al- loiquando in una faniiglia iin qualunquc caralterc avra servito a di- \iderc alcuni gcneri, esso dovra serbar semprc nclla nicdcsima lo stesso grado di iniportanza, cioe sara nicstieri sccondo le circoslanze, o riunirc i generi separali per lal caralterc, s'esso sara stato ricono- sciulo fallaoc; o scparare le specie fornile di iin lal caralterc da que gcneri clie non Thanno, so il caratlcre sara stato riconosciuto costante in qiiella faniiglia. E qui Tautorc cita resempio del pappo a peli piu- niosi o semplici, il quale cssentlo stato ammcsso da lutti i bolanici per dislinguerc i gcneri dcllc Coniposte, dee servire a distinguerc anclie altri generi di tal faniiglia cbe differiscano fra di loro per tal carallcrc. Qucsla regola, a cui lautore stesso lia trovato necessario il soggiungcre alcune limitazioni, non puo esscrc seguita con sicurczza in lulli i casi. A chi ha studialo i carattcri generici sulle piante e ovvia rosscrvazione, che anchc nclla stessa faniiglia lo stesso carat- lore puo variarc non solo ne' sollordini, si ancora nc' diversi gcneri dcUa slcssa. Cio specialniente si avvcra rispello a quegli organi, che non sono di prima iniportanza, ma sono appendici o del pericarpio o del seme, quindi organi tutl'affallo accessorii, a' quali e ingiuslo il dare T iniportanza dei prinii. E scguendo resempio stesso del pappo offerloci dal De Candolle, non e difficile il dimoslrarc come ral)uso lallo de suoi carattcri abbia inibratlalo di falsi gcneri la faniiglia dcllc Coniposte, lo che ci riscrbiamo di rilcvarc (juantlo passcremo in csanic alcuni gcneri dclla nicdcsima. Or basli lavcr nolalo. die la regola qui fondata dal De Candolle posta assolutaniente com c, non regge allosservazionc, e puo indurre in crrore. Altra regola, che quest' illuslrc bolanico dichiara esscnzialc, si e la scgucnlc. Quando in un dalo ordinc esiste un generc assai dislinto pei carattcri c jid portamento, queslo genere dev'essere conscrvato inlallo anchc se alcune dcllc sue specie prcsentasscro dei carattcri da potcrlo dividerc. Ma sc dietro indagini piu sollili si giugnessc a scoprire, che qucslo genere non apparliene veramente alia famiglia in cui era comprcso, ma deve formarnc una egli stesso, allora le sue di- DEL PROF. ROBERTO DE VISIAKI 3 45 visioni o sozioni dlvcngono altrcltanll £;encri. La prima parte di quo- sla lessc oUerra il suflra2;io di liitli ciuelli chc aniano oonscrvali i vori gcncri naturali, cd e in accordo colic rcgolc Linncane, c col- IVscmpio do' bolaiiici piu aulorevoli. La scconda parte inveee noii puo esserc ainmessa per alcun conto. Difatti o le sezioni del vecchio senerc erano gia distintc fra loro per que' caratteri die baslar possono per consenso di tiilti alia fondazione de' generi, ed allora meritavano di essere innalzate alia dignita di quesli aiiclic prima: o quelle se- zioui non avoano tali caratteri, c non vi furono scoperti ne anclie dopo die il genere fu fatto tipo di uii nuovo ordine, e allora nessuna con- siderazione secondaria deve indurre il botanico a violarc i canoni ion- damentali dei generi per innalzare le sezioni ad una dignila, die non merilano. Se ad alcuno venisse falto di trovar nc' Ramex. o ne' Po- ligoni, o nelle Piantaggini tali caratteri da far d'ognuno di quesli ge- neri una famiglia distinla, non ne verrebbe percio die le sezioni Ice- tosa e Lapalhum del primo, /iisloria, Persicarta, Ccnlinodia, Tiniaria. c Fagopyrum del secondo, Plaatago, Coronopus e Psijlluim del lerzo debbano costituire altrcltanti generi; perche i caratteri di quesle se- zioni ne furono sino ad ora, ne potrebbero divenire mai caratteri ve- lamenle generici. Ne I'esempio addotto dal Dc Candollc delle divi- sioni del genere Diosma fatte dal Wendland prova punto la come- nienza di questa legge; giacclie i caratteri di quelle division! aveano gia in se un valore gcnerico indipendente dalla circostanza, die il ge- nere Diosma fosse innalzalo ad ordine. Tanto e cio vero chc furono elleno gia coslituite in allrettanti dislinti generi, andie senza che si fondasse un tal ordine. A quesle leggi aggiunse il De Candollc due avvertenze assai utili a guidare il botanico nella formazione c nell' accettazione de' generi. L'una di esse insegna, che quantunque il genere possa constare di una sola specie, pure gli e piu sicuro quel genere ch" e composto di molte, perche la concordanza di molte specie in uno o piu carat- teri generici e pro^a del >alore di questi. oltredie in un tal genere il carat tere puo essere aiutalo e conferniato dal portamento simile di j)iii specie, lo che manca senipre nei generi che contano una specie in. 44 3 46 LNTORNO AL GEiNERE ED ALLA SPECIE UN BOTAiMCA sola. L'allra avvertcnza del Dc Candolle sta in cio, die in que' casi, ne" (juali c dubbio il caratlere dislinlivo di un nuovo gencrc, e piii cauto il lasciar la specie nel vccchio generc dov'ora prima, anziche sopararnola per caralleri d' incerlo valore. Allro illustre bolanico il Mirbel ne' suoi Elemenii di Fisiologia ve- (jelale e di Bolanico, dopo di aver definite il genere un'associazione di specie riunite o concatenale fra loro per analogic di struHura e di loiiiia. dopo di aver dicbiarato non esser tutti i generi nalurali, per- clie niolti di essi fondati arbitrariamente dai botanici secondo la varia iniporlanza cbe quesli assegnano ai diversi caratteri, dopo di aver provalo non potersi escludere nelle stesse Fenogaine dalle fonli dei caratteri generic! gli organi accessoril del fiore e frulto, e segnata- niente l:i infiorescenza, nicnlre nelle Critlogame e mestieri ricorrere a caratteri ancora inferiori, venne a distincuei'e Ire sorta di aeneri. Sono eglino: 1. quei generi cli'ei nomina sislemalici^ i quali non si dis- costano dagli affini die per un solo caratlere riprodotto esattaniente in ciascuna specie, quello stesso cbe Linneo cbianio xola sincjolare. e carattere essenziale, quale il genere Salvia dislinto da tutti pel sin- golar carattere del connettivo soltile e lungo della antera portato in bilico dal filamento: 2. i generi concafenati o a niolti tipi, cbe son composti di specie fra loro strettamentc unite per gradazioni insen- sibili di uno o piii caratteri, e questi generi non banno caralleri di- slinlivi. non banno liniiti certi, ne sono sovente suscettivi d'essere migliorali, come i generi Melissa^ Thymus ed altri: 3. i generi //* griippo o ad un sol tipo, cbe sono pin nalurali e niigliori di lulli gli altri, percbe costituiti da specie legate insieme per moltl caratteri, i (juali si ripetono in ognuna di esse con modificazioni si lievi da ba- stare al botanico lo studio fattone sopra un solo individuo per aver»> nozioni esatte sopra tutle Ic specie cbe compongono uno di tali generi . Da ultimo il cbiar. Alfonso De Candolle nella sua Introduzione alio studio della Botanica tratto piu estesamente di lulti della iniporlanza relativa degli organi, de' varii aspelti sotto cui questi possono essere considerati, e della importanza relativa di tali diversi aspelli. Sono eglino. la esistcnza o la mancanza degli organi, la posizione. la conii- DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 3 47 niii(a o I'ai'ticolaziono, Ic aderenze, il niinicro, la dimensions la lor- ma e Fuso. Dissc poi dei carallcil c del loro valore relalivo. Quanio ai diversi aspetli di considerare gli organi, ossia di cio chc Linneo cliiania i loro allributi, stabilisce superiore a liilti la loro esisfcnza o inancanza, indi negli organi clemcnlari la forma, in tutti gli allri la posizione relativa. Quanio ai rimanenti, die riconosce non essenziali, avverte Timportanza loro crescere a misiira delle allinenze e legami che presenlano con allri piu o meno numcrosi ed imporlanli. Si oociipa in- fine del valore dei caralleri, che tenia di porre in serie: pero s av- vede ei medesimo non avere quesla ancora la necessaria esatlezza; anzi la dichiara impossibile ad oUcnersi, almen quanio ai caralleri secon- darii, nello stato alluale della scienza. Sono queste, se non hide, almeno le piu nole cd accreditale dol- trine pubblicale finora inlorno ai generi ed ai loro caralleri. Lna gui- diziosa scella delle medesime, ed alcune modificazioni e schiarimenti secondo le considerazioni falle sopra alcune di quelle, polrebbero ser- vir di norma ai botanici nella fondazione ed accellazione dei generi. Gli c percio. ch' io mi propongo ora di epilogarle e comenlarle m forma di regole componenli il codice della scienza in cosiffallo argo- menlo. Innanzi a lullo pero gli e necessario fermare V idea vera e sola del genere, senza di cui a nulla varrebbero quelle leggi. perche da quella sola unila di concello puossi sperare in botanica quella con- cordia di opinioni nella formazione ed accellazione dei generi, la cm mancanza e causa principalissima del lamenlalo disordine nella nonien- dalura. i. I generi sono associazioni di specie unile insieme per uno o piu caralleri coinuni e costanli Iralti dagli organi tulti del fiore e hullo nonclie dalla disposizione dei fiori nelle pianle Fenogame, da quelli della organizzazione gencrale e dalle parti riprodultrici od analoghe a queste nelle Crillogame. Nota. Nell'assegnare la nola ai generi. ossia nel coniporre cio che chiamano la diagnosi dei medesimi, si dara senipre la preterenza ai caralleri dei>li orc-ani essenziali, che sono il calice, la corolla, u nel- tario. gli stami, il pislillo, il frulfo. il seme ed il ricellacolo. Solo in 3 i8 INTORNO AL GEiNERE ED ALLA SPECIE IN BOTAMCA maiicaiiza di qucsli si polra ricorrerc agli acccssorii. quali sono Ic hiallee. ed alia iiifiorcsccnza; cioc quaiulo i prinii non hasliiio a dii- fcreiiziaiT gcncri tli lor nalura distinli alnieno pel porlainonlo. Cosi I infiorcsccnza a capolino, c Ic brallcc inforiorl a (pieslo foggiale a fiiiaina. divcrsificano a suflicienza V./nneria dalla Statice^ chc ha i lion* in foi'imbo o in pannoccliia, ed e priva di la! manicra di brat- tee: la presenza di un involuccllo di molte sctole distingue la Scloria dal Panicioii die ne nianca; perclie contcniporaneamenle i caraltcri del portamento e riuniscono tutte Ic .Irmeria fra lore, c le dividono dalle Stat ice: come del pari aflValellano le Set aria e le allonlanano dai Panicion. Ai caralleri sopraddelti Iratli dagli organi riprodultori sara utile il soggiungere, scparatanienle da quelli, anchc i oaratteri degli organi della vegelazionc, che sieno comuni alle specie tutte del ge- nere, perclie aiutano nieglio a conoscerlo, e provano la naluralezza (lellassociazione che lo conipone, c cio speciahnente cpiando si trail i di fondare un novello genere. Quanlo poi alle pianlc Crilloganie, ol- tre i caratleri tratti dalle parti riprodutlrici od analoghc a quesle, spesso negli ulliini ordini e necessario, in mancanza di altri caralleri, ricorrere anclie a quelli della slruUura, della consislenza, della nalura ed altre qualita dcllc parli vegetative per trovarvi le dilTercnze de" varii generi. 2. Due sorla di buoni generi aniniellono piii concordemenlc i bo- tanici, quelli che si iondano sopra un solo carallerc essenzialc c co- niune a luttc le specie, delli dal Mirbel sisteinatici, c quelli che si Iondano sopra moiti caratlei'i, e sono generi piu o men nalurali. Nota. 1 primi sono tanlo rari quanlo sono rare Ic note singolari dei generi: i second! sono migliori di lulli perche facili a riconoscersi, e legati insieme da mollitudine di somiglianzc c di strut tura e di for- ma. Avvi una lerza sorla di generi, indicata gia dal Mirbel, c seguita assai dai rccenli, che raccoglie quelle specie, chc non presenlano nel loro insieme un caraltere comune preciso c cospicuo, ma chc si le- gano fra di loro per piccole gradazioni e passaggi di piu caralleri di secondario valore. Sono silTalli generi i peggiori di tulli, perche non presenlando un carallerc eminenle c preciso lasciano seinpre incerlo DLL PROF. ROBERTO DE YISIAM 34 9 il holanifo e sul valore del Icgainc die no uiiiscc le specie, e su qiiellu (lella (lid'erenza cl»e le sejjara da' gciicri piii vicini. E d'liopo coiio- scere lulle le specie die lo conipongono per formarseiie una qualdie idea, e (juesta ancoia per lo piii riesce vaga ed inccrla. Pure nello !>lalo presenle delie noslre cogiiizioni alcuiia voUa gli e lorza tolleradi, considcrandoli pero sollanlo come aggregazioni arlillciali e teinporarie di specie ainhigue, lo sludio accuralo delle quali e vivaineiile a rac- coinandarsi ai lilografi. perche scoprendovi quando die sia note u;e- neridie piu precise ed universali, aiulino a disporle iin gioriio in ge- neri piu nalurali e meglio deleniiinali. Ma e d'uopo insienie die quclli, la cui voce e aulorevole nella scicnza, inculchino cHicaceinente i\ bo- tunici Iroppo prodivi a silTalli geneii di non ricorrere a questo Iristo spedienlc, die ne casi d inevitabile necessila, e per le sole specie die sono nella condizioiie sopra notala. La sniania di dividere e frasla- gliare i gencri vecclii in allri conlrassegnali da caralleri di seconda- ria iniporlanza, ha privalo la scienza dei caralleri precisi ed univer- sali die dipingevano in poclii Iralli laspello inlero dei vecclii generi, senza sosliluirvcnc allri d'egual valore pei iiuovi. Gli e percio, die quesli non potcndo esserc indicali dal carallere aiilico, perclie diven- lalo promiscuo a inolli, ncd essendo abbaslanza di\ersificati Ira loro pei caratteri novellanienle iniposli ai niedcsiini perdie leggeri, c quindi niutabili, c gradalainenle decrescenli in valore nelle diverse specie, rcslano seinpre indelerniinali ed incerli. Da cio ne seguita, die anche rafl'ronlandoli co' \icini non so ne rileva quella pronla e spiccala diver- sila, die e tanlo nccessaria per delcrininare facilnicnle e sicurainenle una pianla; locdie quanto danno port! alia precisione e netlezza delle cognizioni, c quaiilo ne dilliculli Tacquislo, niuno e die nol vegga. 5. 11 genere tanlo piii e nalurale quanlo piii si fonda sopra un maggior nuniero di caralleri degli organi riprodullori, e quanlo piii vi concorroiio anche quelli degli organi conservalori. 4. II genere puo esscre fondato anche sopra un solo carallere co- mune e coslanlc degli organi riprodullori, quando pero vi si aggiun- gano anche i caralleri del porlanienlo, die uniscano fra di loro le sjiecie die lo conipongono, e le dislinguano insieine da quelle de ge- 350 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA neri ad osso affini: senza il concorso di qiicste duo condizioni non me- ri(a esso il noine di gencrc ma di sczione. 3. Un genere naturale, cioe composto di specie siiiiili fra di loro per moltitudine di analogie, c quindi ancho pel poi'tamenlo generalc c'he ne conseguc, non puo essere suddiviso in allri gencri per un sold t-arattere discrcpante. IVota. II solo carattere, dice il Linneo, non fa il genere, senza di die si polrehbero far lanli generi qiianle sono le specie, non esseii- dovi specie, in cui alcuna parte della frutlificazione non divcrsificlii in alcun die da quella delle specie affini. II vcro niardiio dislinlivo de buoni generi si e Tesser le sue specie somiglianti fra loro non solo in uno o piu caralteri della riproduzione, si ancora nell insienie della vegetazionc, cioe a dire nel portaiiienlo. Sc in un genere di por- tamento uniforme alcuni gruppi di specie senibrano separarsi dalle al- ire per un solo carattere anche imporlante, o per moiti di secondario valore, queslo genere non polra essere spartito in piu, perche quelle specie sono siniili e vero fra loro nel portamento, ma non diversifi- cano pel medesimo dalle altre specie di cjuel genere; e quindi non posseggono lutte le condizioni, alle quali e legata la formazione de" nuovi generi per la regola quarta. Laonde invece di crearne allret- tanti ceneri sara utilissimo il fame altrettante sezioni del vecchio se- nere quanti sono i griqipi discrepant!, contrassegnandone ognuna col carattere die le apparlicnc. Questo eccellente metodo usato gia dal Linneo, e non intermesso dappoi dai migliori, rileva e distingue tali caratteri, da loro quel valore secondario die lor coni|)ete e nulla piu, lascia nella piena sua forza ed integrita il carattere generico coniune e prcponderante, e toglie ai fabbricatori de' falsi generi il sol prele- sto die adducono per formarii, la niillantata utilita di non confondere i gruppi di specie fornili di alcuni caratteri con quelli die ne son pri\i; non accorgendosi die, cosi adoperando, essi fanno ben peggio; mentre per non confondere i gruppi fondati sopra caratteri seconda- rii, confondono e guastano e talor distruggono i generi, che riposano sopra caratteri di ben piu alta importanza, e sono associazioni di ben maesrior dicnita. ■ • DLL PROF. ROBERTO DE VISUM 351 6. Un goncrc lanlu e j)iii fcrmo ne' suoi caralleri quanto e niai;- giure il nuinero dollc sue specie, nolle qiiali luUe si ripelano con nio- (iificazioni licvissinie i caratlcri chc lo dislinguono: piio peio conslare anche cKuna specie sola, nel qual caso i suoi caralleri polranno essere niodilicali ogni qualvolta ne venga scoperla un'allra o piu specie, che nccessitino queslo cangiamento. Nolo. II numero niaggiore delle specie offre il mezzo di riconoscere la coslanza ed luiiversalila dei caralleri generici, che si ripelono nelle medesinie, e la naluralezza del genere provala dalla uniformita del portanienlo di queste. Ne' generi di una specie sola, la scoperla di una nuova specie, o di piu, puo porlare la necessila di sopprimere fra le nole primitive del genere un qualclie carallere, che nel fon- darlo sopra la prima specie si era crcdulo universale e costanle, e che invece si e Irovalo mancarc nelle specie scoperle dopo, benche quesle per luUi gli allri caralleri sieno congeneri della prima. Altra volta le nuove specie fanno apprezzar meglio un carallere pria ne- gleUo perche credulo non generale o variahile, oppure sfuggilo per r inuanzi alia osservazione del fondalore del genere. In ambi quesli casi sorge la necessila di modificare la frase gencrica primiliva. 7. I soli fonti dei caralleri generici sono gli allribuli degli organi indicali nella defmizione del genere, fra i quali allribuli viene prima di tutti la esistenza primiliva o la mancanza degli organi, poi la loro posizione relaliva, indi in ordine variahile, la conlinuila o larlicola- zione, le aderenze loro, le dimensioni relative o la proporzione, la figura ed il numero: nelle Crittogame anche la nalura del lessuto, la strultura, la consislenza, il colore. Aota. Fa d'uopo distingucre col ch. A. De Candolle, quanio alia esistenza degli organi od alia loro mancanza, quella chc dipende dalla originaria strudura e disposizione della pianta da quella che provione da un difello di sviluppo, abituale alia pianla slessa. In queslo se- condo caso il carallere e di minor valore, perche puo variare a se- conda delle cause evenluali, che polrcbbero alcune voile promuovere lo sviluppo summentovato. 8. I caralleri del portamento od aspetto della pianla non baslano 352 INTOFuNO AF. GF-NFRE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA inni soli alia dislinzione di uii goiieie; ma sj)esso seivono di scoria al bolanico per ispiare c scoprlrc oarallcri di inaggioro imporlanza, i qiiali in conoorso dei piiini baslar possono alia rclta fondazione di un goncrc. {). Nessun organo lia la slossa iinpoilanza caralterislica in tniti i generl dclle pianle, c percio gli organi non possono sccondo qucsla csscrc incccepibihnenle classificati in scric lineare cd in niodo asso- iuto. 10. Nessun caralterc ha lo slesso valore in Inlli i gcneri: c poro pill facile ch'esso Tabbia Ira quclli ad esso pin aflini in una slcssa la- niiglia, bcnche non si possa a priori affermarlo con sicurczza. 11. Non tntle Ic parti di un organo hanno un egual valore. per cui non luUe servono in pari grado a dar caralleri per la dislinzione do' generi. Nota. Esempii innumerevoli ed ovvii provano la verita dellc regole nona e dccinia. A questc poi vuolsi aggiungere, die quanlunque sia probabile o almen pin facile che un caraltere Irovalo coslanle in piu liencri della stessa laniiglia lo sia pure negli altri della medesinia, o almen nc' piu affini, pure non si potra servirsene con sicurezza in un dalo generc se non dopo di averlo Irovalo lale in tulle le specie del medesimo; die solo allora sara provala dalla osservazione, ch' e Tunica autorita nella scienza, la immutabilila e gener.alila del caraltere. Quanio alia undecima, die insegua, Ic varie parti di un organo non soinnii- nislrare caralleri d egual valore, essa e regola esscnzialissinia per non londar falsi generi, come fu falto, o su piccole e mutabili modilica- zioni degli organi rijiroduttori, quali sono le appendici a foggia di jiic- cole ali, die si riscontrano sul pericarpio della J eronica Crisla (jalli donde sorse il generc DiplophyUum ; o il maggior numero dei sepali e petali del Hamoiciilus Ficaria^ die basto a fame il genere Ficaria; o pill ancora sopra parti del lullo accessorie agli organi riprodutlori, come i peli piu lunghi negli acbenii di alcune Phlomis^ su' quali si fondo il genere Eremostachijs; o quegli altri die veslono la sommita dellc aiilere nella Stipa Calamayroslin^ per cui si creo il genere Lina- cjrostis; o sul pappo membranoso o mancanle. pel qnal solo ne coslanle DEL PROF. RORERTO DE VISIANI 35 3 no universale caratlcre si iacero il naturalissimo genere dei Chrysanthe- vuun in tre generi, Chr>jsanlhemum, Leucunthemum e Pijrcthnim . La massiina parte dei falsi generi d'oggidi fatli a spese dei vecchi pro- viene dalPaver neglella cotesta regola, dall'aver creduto cioe, che tutti i carattori e luUc le parli del fiore e del friillo baslar possano del pari, ed in tutti i casi, alia fondazione de' generi. JNon avvi parte per at- cessoria cd insignificante che sia, la quale a sifl'alto scopo non sia stata csplorata con una sottigliezza eccessiva; non avvi carattere il piii mi- nuzioso ed inconcludenle, al quale non sia slato attribuilo un valore in- conipetenle, con ^ero sperpero di tempo, ed abuso di osservazione e di raziocinio, per cogliere poi questa effimcra, ma pure funesta gloria, dello squarciamento de' buoni generi, e della creazione de' generi lalsi e arbitrarii. Cio si provera con eseinpii, che si possono nioltiplicare a talento, nella rivista che siam per fare dei nuovi generi delle di- verse famiglie. 12. Quando in un genere v"e un carattere singolare. comune a pill specie, ma non a tutte, avvi ragionc di credere, che quelle, che non Thanno, debbano esserne separate. 13. Quando invece un tal carattere singolare di un genere si eslen- da anche ad alcune specie dei generi affini, si puo sospettare ragio- nevolmente, che queste per siflatto carattere possano meritare d'es- sere riunite al primo genere. 14. Quando una o piii specie simili fra di loro sieno state dai va- rii autori riportate a molti e diversi generi, e sussista ancora la con- troversia sul vero lor genere, si puo dubitare ch'esse non apparten- gano ad alcuno di essi, e meritino invece di formare il tipo di un genere nuovo. Queste tre ultiine avvertenze possono aiiilare il botanico a rilro- vare il vero genere di alcune specie dubbiose. iNelle due prime, date gia da Linneo, la riccrca della nota singolare puo condurlo utilniente a riunirlc o a separarle di genere, secoiulo che la posseggono o ne son prive. La terza poi e un indizio spesso sicuro della convenienza di fondare un nuovo genere. [)erche quando una pianta viene riferifa da varii autori a molti e diversi generi. e non fu ancora Irovalo m. 45 35 4 Ii\TORi\0 AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA (|uello a cui clla induhilalainenlc apparlienc, cio significa circssa o non ha qualchcduno doi caraltcri proprii di ognuno di que' sini>oli gencri, o no ha invece di f|uclli die in que' generi non s'incontrano: in anibi i (juali casi piio sorgere il bisogno di crcare per essa un novello ge- neie. purche eUa jiresenli le allre condizioni riteniUe necessarie a lal iiopo. Tale si e il caso della jlJatricaria inodora del Linneo riferila suc- cessivanicntc ai generi Matricaria, Chrysanthemum, Pijrethrtim, Chamo- milla, e non apparfcnente con esatlezza ad alcuno, per la quale ho credulo di fondare il genere Chamaemehnn, eh' e distinlo dai prece- denti per i caratteri del frutto, e per il portamento. AlFopposlo non si puo conservare il genere /etheorhiza fondato dal Cassini sopra la Crcpis bulbosa, benche quesla sia stala successivamente riportata ai generi Hieracium, Leontodon, Prenanthes, Taraxacum, Crepis, perche divcrsifica da quest'ultimo per un solo e leggero caraltere, c quindi nianca dello qualifiche necessarie a I'orniarne un genere. Sono quesle le regole che possono credersi sufficienli alia relta londazione e sicura accetlazione dei generi. Osservazioni posteriori po- Iranno lorse accrescerle, forse modificarle, annientarle non niai, perche desunte dallo studio dei caratteri di tutte le piante sino ad ora sco- perte, inlrapreso gia dal fondalore dei generi, e continualo dai piu insigni botanici del passaio e del presente secolo. Raccolte e commentate sifl'atte Icggi, resla ora, che colla scoria di esse ripassiamo in csame alcuni de" nuovi generi, lo che servira insieme a provare T esatlezza e la verita delle medesime, e V insussistenza ed erroneila de' generi che si fondarono in onfa ad esse. E perche gli c pur duopo Tasse- gnar limili ad un lavoro, che potrebbe estendersi a tulli gli ordini delle piante, ci limiteremo ora a rivederne soltanto alcuni delle Dipsa- cee, delle Composts, delle Campanulacee e delle Scrofularine, ristrin- gendoci ancora alle sole piante europee, che appartengono a quesle famiglie. Nelle Dipsacee il genere Linneano Scabiosa fu ripartito dai moderni, sulle Iraccie in parte del Vaillant, nei generi Siiccisa. Cephalaria, Jste- rorephalus, Ptcrocephalus e Scabiosa, malgrado la somiglianza del porta- mento che da un aspetto comune a tutle le specie del vecchio genere. DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 355 Ma consldeiazioni dl niaggior peso chc il poilaincnlo iiidusscro 1 botanici ad adollarnc la divisione. II ricetlacolo senza Ijraltcc prescnto un ca- ralterc iniporlante e prcciso per separaie le Scabiose vere da lutle le allrc, che Tban fornilo di bratlee. A queslo s'aggiunse rinvolucello del frutto conipresso in quelle, e non telragono come nella Succisa e iiella Cephalaria^ ne rolondo come negli Asterocephalus^ ne ollagono come nci Pterocephalns ; noncbe la corolla quadrifida (com' e nella Suc- cisa, dalla quale poi dilTerisce pel ricellacolo nudo e pelF involucello compresso), c non quinquefida come in lutti gli altri generi sopra detli. La Cephalaria diffeiisce. oltrecbe dalla Scabiosa^ dagli altri ge- neri affini per V involucro coriaceo squamoso ed embriciato, ed ollre a cio dagli Asterocephalus e Pterocephalns per la corolla quadrifida e non quinquefida. dalla Succisa pel Icmbo del calice ruotalo e non con- cavo, per rinvolucello liscio e non segnalo da oUo solcature. L' /.s7e- rncephalus diflerisce da tutti i generi affini, meno che il Plerocepha- lus, per la corolla quinquefida, ollre i caralteri lesle indicali come difl'erenziali di ciascun genere: dal Plerocephalus poi per avere nel calice cinque setole e queste scabre, non niolte e piumose, nonche rinvolucello rotondo e non ollagono. II Plerocephalus infine diversifica per questi caralleri i\A\V Jsterocephalus, e per gli allri sopra nolali da- gli allri generi. Questo succinlo esame dei cinque generi, in cui lu- rono ripartite le Scabiose del Linneo, fa conoscere come ciascun di essi si fondi sopra piu di un carallere degli organi riprodutlori, e ])aili- colarmenle del ricellacolo, del calice e dell involucro, e quindi abbia i requisili assegnali al genere, ned abbisogni del carallere della dis- somiglianza nel porlamenlo delle sue specie da quelle che vi erano prima unile, perche in caralteri piu essenziali, che non e queslo, pre- senla gia la prescrilla diversila. Tali generi sono quindi da conservarsi. IVelle Composle il genere Cnicus e ben dislinio dalle Centauree per avere un pappo Iriplice, il piu eslerno de'quali e corneo, e pegli ache- nii solcali e non lisci. La (rupina diversifica dalle Cenlauree per axe- re, in luogo duno, due pappi, e per esser quesli di nalura diversa. II carallere deir;u'eola che occupa il cenlro della base del frutto non e coslanle. perche nella Cenlaurea Crupinastrum, che pure e congenerc 356 I:\TOIiNO AL GENERE ED ALLA SPECIE LN BOTANICA della Cntpina, T areola e laterale alia base stessa come nella Centaur ca . II Cirsium invecc non si distingue dai Carduus che per le setole del pappo sempliccniente scabre anziche piumose. Non bastando un sol la- lallere per separare di genere specie siniili fra di loro per mollitu- dine di rapporti, e lale essendo il caso dei Cirsii rispetlo ai Cardi, il genere Cirsium non puo cssere conservalo, ma deve considerarsi quale sezione del genere Carthms, restituendo cosi la primiliva integrila a (juesto genere naluralissimo. II genere Pycnomon^ dal Cassini I'ondafo sul Carduus Jcariia, non diflerisce dai Cirsium, e quindi ne anche dai Carduus^ che pegli stimmi liberi e non riuniti Ira loro, e per un netlario a cinque raggi sorgente dalla sommila deirachenio. Questo secondo carattere non e esclusivo del genere, perche trovasi gia nei Carduus pycnocepJialus, C. acicularis, C. collinus; e il solo carattere, <'he rimane, non puo bastare a fondare un genere: percio piii a ra- gione dovra esscre questa pianla ritornala ai Carduus collocandola nella sezione dei Cirsium. 11 genere Tripolium del Cassini, rilenuto pur dai moderni, dicesi tlillerire dagli Aster, perche Tinvolucro del fiore e composto di due serie di braltec anziche di parecchie. Ma questo solo carattere non baslerebbe gia a separarlo dal vecchio genere, cui e legato per somi- glianza stretlissima di portamento, anche se fosse preciso, che non lo e. Di lalti anche il Tripolium presenta piu serie di brattee nelPinvo- lucro. ma esse in luogo di essere ravvicinale fra loro intorno al ca- pilolo, come negli Jster, sono piii rimote, piu sparse, e cominciano gia presso alia sommita del peduncolo; per cui tulta la diflerenza ge- nerica consisterebbe nella maggiore o minore prossimita reciproca delle brail ee. II genere Linosyris del Cassini, che anche i recenti conservano, dicesi diverso dalla Chrysocomn per Pinvolucro fogliaceo, e le setole del pappo piu nunierose e disposte in due serie. Ma il primo carat- lere se scorgesi evidente nella Linosyris vulgaris, non lo e piu nella L. rillosa. e quindi non e generico: e le setole del pappo se pur sono pill luimerose che nella Chrysocoma (e questa piccola e non determi- nala differenza di numero non basta certo a fondare un genere), non DEL I'KUF. RODERTO DE MSI AM 35 7 forinano nenimcn nclla Linosyriti le tiuc scrie eviclentemenle distintt\ chf gli aulori dcscrivono. II riccltacolo poi c alveolalo con alveoli marginali si nclla Linosyris che in qualehc Chrijsocoma (p. e. nella Chr. Coma mtrea) c pcrcio non vale a distinguerle . II naUiralissinio gencre dei Gnafalii europei venne sparlito in tre dai nioderni, in Gnaplialium . Laontopodium ed Antennariu . II primo presenta il pappo si del disco clic del raggio composto di selole fili- lornii. ed e nionoico; il secondo lo e al pari, nia le selole degli ache- nii del disco sono un po ingrossate e denlellate nelFapice. Chi puo credere che su quesla nnica e futile differenza siasi poluto fondare iin genere? II lerzo Jntennaria ha per se due caratleri, Tesser dioico, ed avere il pappo dclla piania feminea fertile formato di selole filifonni, nientre in quello della piania crniafrodila sterile quesle son dilalate in cinia come le antenne degli inselti. A provar I'erroneita (\e\l\ Jntennaria fondata su cosi lievi caratleri, in onta del portamento, baslera osser- vare, che di due specie fra loro similissime lanto, da essere state seni- pre scambiale 1' una coll' altra anche dallo stesso Gaerlner che fah- brico queslo genere, quaji sono il Gnaplialium ulpinum, e il Gnapha- lium carpathiciim, la prima di quesle resta ai Gnaplialium j T altra in- vece apparliene d\\' Inlennaria. Cosi adopcrando non si avranno mai cerlamente veri generi naturali, pcrche non solo non se ne fanno di nuovi, che meritino queslo nome, ma si distruggono anche quelli ch«' sussistevano. Invece parecchi nioderni sopprimono il genere Filago, le cui spe- cie riuniscono ai Gnaplialium; certo a gran lorto, perche quello dil- ferisce egregiamenle da questo pel riccltacolo lineare, allungalo e for- nito di paglielte. che nelTaltro e piano ed affalto nudo. Le Achillee furono smembrate in due generi, Tuno de'quali chia- mato Ptanniva. Taltro ichillea . A separarnele si trovo sufficiente il numero de'fiori del raggio di ciascun capifolo, i quali nella prima spesso (ne sempre) arri\ano a selte, mentre nelP altra sono cinque, e la lunehezza del rasjsio un no maseiore nel primo che nel secondo. La natura gia di tai caratleri inconcludenti e mutabili, per cui appena baslano a dislinguere le Achillee in due sezioni, era tale da fame ri- 338 LNTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA provare lo sineml)iamonlo gcMierico, anche prima ch'io scoprissi nel niontc Oi'ien, die separa la Dalmazia dal Monlenero, una specie, che in se riunisce i caralleri (ranibedue qucsli generi, e percio ne prova I'identila. DilTatli in qucsta, cli'e V./ckillea abroUmoides, trovasi il mar- gine osciiro dolle squame deirinvolucro (che pero varia anche di co- lor vcrde), il nuniero maggiore de' fiori del I'aggio (che pure varia in essa da o a 7) e la maggior lunghezza del raggio stesso, caraltcri assegnali al gencre Ptarmica dai niodcrni, insieme colla piccolezza dc capitoli, e quindi ancora del riccllacolo, riscrvala dai medesimi alle vo- re Achillee. iNella Iribu delle Crisanleniee ho osservato niutabiie la presenza. la grandezza e la forma del pappo non solo ne' generi, si ancora nolle specie. Nel volgarissimo Chrysanthemum Leucanthemuiii, c nella nun men volgare Matricaria Chamomilla e facile il riconoscere la fallacia di lal caraUere, mcnlre e nello stesso individuo, e qualche volla an- cora nello stesso capilolo, il pappo in alcuni achenii manca affalto, in allri e appena in rudimento, in altri non e che incomplelo, in allri e completo ma breve, in altri e piu s^iluppalo ma imbutiforme, in al- lri sviluppatissimo, ampio e campanulato. 1 varii generi percio di quesia tribii, che fondali sono su questo solo caratlere, ne si distinguono per allro dai loro affini, debbono essere cancellati. Tali sono fra gli indi- geni il Leucanthemum del De Candolle, il Phalacrodiscus del Lessing, il Pijretliram del Gaerlner, lo Xanlhophlhalmii)ii . il Gaylrosaluni o CrU- .^tro.sijlKiii ed il Tripleurospermum dello Schullz, i (juali due uUimi non in altro son diversi fra loro che nel pappo bilobo in (juello, inlero in (jueslo. All opposto parmi essere ben distinio il nuovo generc Cha)uaeme- luw da me proposto, il di cui lipo e la Matricaria inodora del Lin- neo, perche diverso da lutti i varii generi cui fu riferito, cioe alalia Matricaria pel ricettacolo picno c non vacuo, e gli achenii forniti di Ire coste, e di una o due grosse ghiandole nere; dai Crisanlemi e dai Pirelri, pelle corolle cilindriche e non compresse alia base, e pellc ghiandole sopra dctte. A quesli caralleri si unisce quello del poila- mento ch e lanto simile ncgli organi vegelativi delle specie (h. inn- DEL PROF. ROBERTO DE VISIAM • 359 (lonnn. Cit. iniiglandulosum. Ch. praecox^ Ch. maritimum, Ch. discoi- (louiii. Ch. disci form(>. Ch. confusum clic slnor lo compongono, da po- (ersi ellcno assai dilficiliucnle distingucrc pel carallcri dci medesimi, por cui s'c doMilo ricorrere a' caraUeri degli aclicnii. Nelle Ciooiiacee fu data Iroppa importanza alia liinghez/a del ro- stro ne" loro frutti. Percio furono divise dalle Seriole la S. aetnensis e S. cretensis. facendone il generc Metabasi-s fondato sulla brevita o suUa niancanza del rosiro negli aclicnii del margine, che nelle Seriole vere si dicono hinganienle rostrati. Ma queslo carallere, anche se fosse di (pialehe imporlanza, non e esclusivo del nuovo genere, giacche anclie in alciine Seriole {S. lanifjala) gli aclienii tulli hanno un rosiro o bre- vissinio o nullo. iNon resta adunrpie altro carallere per dislinguere il iuio\o genere cbe il pappo dei fiori del margine diverse da quello dei fiori cenlrali, il qual carallere ed e solo ed e nuilabile, perclie dipen- dente dalla circoslanza evenhiale che sli aclicnii del inarnine aborti- scano o no. ncl qual prinio caso (ch'e il piii coniune nia non il solo) il [)appo di quelli diversifica dai cenlrali. nicnlrc ncH' allro non pre- senla divcrsita. Nei Leontodon del Jussieu si voile separar di genere il Leonlodon hi.spaniciim dal Loonlodon saxatile facendone il gciwrc Isteroihrlx. nien- (resso non nc differisce neninicno di specie, fondandone la distinzionc sopra il rosiro degli achenii piu o nieno lunglii, la base delle setole larga od angusla, le setole slesse o lulle plumose, o le eslerne sca- bre. Lo sludlo altenlo del frutto e del pappo nel Leontodon, unlli In- sleme inlimamenle dal portamento, moslra evidentemente, che varia nelle diverse specie la hmghezza del rostro senza che vi sieno llmifi si precisi ed esalll fra 11 lungo ed 11 breve, come si vorrebbe perclie se ne potesse trarre un carallere, c che la base delle selole varia pure nelle medeslme ora lanja, or anijusta. Dlfatti elleno son lutte laryhe alla base nel Leontodon autumnale; linearl le eslerne, dilatale le in- terne nel L. hastile; tulle linearl nel L. saxatile; strette le eslerne, e dalla base slno alFapice gradalamente attenuate le interne nel L. in- canus, 11 quale percio presenta 11 passaggio delle setole larghe alia sola base, che son propric del Leontodon, a quelle tutte affatlo linearl del- 360 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE LN BOTANICA Y .isterothrix, e unisce inconlrastabilnicnlc insieme qucsti due gcncri. La sicssa variabilita si osserva pure nei peli delle selole componcnti il lor pappo, le quali ncl L. autumnale e L. saxatile son lutte piu- inose; nel L. hastile le estcrne scabre, le interne piumose; ncl L. in- idiuis e nel L. Berinii le eslerne era scabre ora sparsamcnle cd in- tcrrollanienle pelose, le interne piumose: cioccbe prova allultiina cvi- denza la fallacia c la futilita del carattere. 11 genere Mijcelis del Cassini, ch'c la Cicerbila del W allroth, lon- (lato sulla Prenanlhes mural is del Linneo, non diversifica dalle Lat- tuehe ('he per rinvolucro fornilo alia sola base, anziohe per tutta la sua lunghezza, di piccole braltee, nicntre il frutto e aflatto cguale in anibedue i generi, die percio non possono essere separali. Le Baykausiv del Moench non si distinguono dalle Crepis del Lin- neo die per avere gli achenii tutli o almeno que' del disco rostrali. inentre in queste sono appena assottigliali allapice. 11 genere naln- ralissimo delle Crepis niostra. nieglio che ogni allro, il poco valore del rostro come carattere generico. Lunghissimo nella Crepis foetida e nella C. ruhra^ men lungo nelle C. resicaria e C. setoso, e brevissinio e tal- or manca aflatto nella C. neglecla, la qua! pianla, riportata anche adesso da alcuni alle Barhcmsie, da altri allc Crepis^ mostra evidentemente Tor- roneita del carattere, e la convenienza di sopprimere il nuovo genere ibndato sopra il mcdesinio . 11 genere Phaenixopus al conlrario sembra ben distiiito dalle Lat- tuche, cui niolli seguono a riporlarlo pel doppio carattere dei (iori disposti in una sola serie nello slcsso involucro, anzidie in due o tie serie. e pella natura del rostro clfe fornialo dal seme stesso che assol- tigliasi in punla, e percio ne serba il colore oscuro, e non gia, come avviene nelle Lattuche, dal pericarpio solo che sopra il seme rislrin- gesi improvvisamente in un filo, per cui queslo ha color diverso dal- rachenio, cioe quello ch'e proprio del pericarpio. A cio s'aggiunge an- che la forma del rostro stesso, ch'e filiforme nelle Lattuche, lanceolato nel Phaenixopus . Alcuni trovano incerti i limiti Ira '^V Ilieracium c le Crepis: pero i priini si distinguono dalle altre per avere gli achenii egualniente grossi DLL PKUF. liUULKK) DL VISL\M 361 per tutta la loro lunghezza, e non assotligliali alia ciiua, per essere co- ronali alPapice da una piega o da piccoli denlicelli, die allc altre nian- cano, e pel pappo formato da una serie di peli di un color bianco su- dicio, e non da niolle serie di peli candidi. Tulti (juesli caralteri ba- slano certamente a mantenere la dislinzionc adoltala sia dal Linneo per que' generi. Per egual ragione il genere Galyona disparesi dalle Crepis avendo e V involucro frultifero a piu angoli alternali da solchi, e gli achenii marginali involti nelle braltee interne delT involucro, ed a tre cosle, di cui la media prolungata in un'ala, mentre (pielli del disco hanno coste eguali fra loro; e inoltre per avere un ricettacolo sparso di paglielte siniili a lunglii peli; i quali caralteri tutti non s'in- contrano nelle altre Crepis, da cui lu quindi a ragione separata la Cre- pis Dioscoridis per fame il genere Gatyona. Non e cosj del genere Aetheorhiza, che fondo il Cassini, e alcuni de' nioderni conservano, suW Hieracium bulbosum del Willdenow. Non diversifica dalle Crepis, e specialniente dalle rostrate, clie pegli ache- nii a quattro o a tre coste, mentre nelle Crepis aggiungono sino a dieci. Fu percio che il Cassini stesso, e il Lessing e il Froelich dopo di lui, riportarono quesla pianta alle Crepis, da cui non puo essere certamente divisa per questo solo e si meschino carattere. Le osservazioni sin qui islituite inlorno al rostro, al pappo, ed al numero delle coste dei Irutti in alcuni generi di questa altrellanto va- sta quanto nalurale famiglia delle Conqioste provano colla scoria dei fatti la verila della regola da noi fissata al n. 10, nessun carattere ser- bare lo stesso valore in tutti i generi, ne anche della stessa famiglia, benche piu facilmente cio avvenga in questi uUinii e specialniente fra' generi piu soniigliantisi. Vedemmo in fatti che il rostro, die pure e co- stante in alcuni generi (p. e. Lactuca, Phaenixopus) non lo e piu nelle Crepis; che il pappo, costante, caratteristico e generico nelle Crepis, e ne' Hieracium, non lo e del pari nei Chrysanthemum, nella Matricaria, nei Gnaphalium, nei Leontodon; che 1' involucro caratteristico nella Ga- lyona^ non lo e piu nella Lactuca, nei Tripolium, nella Linosyris; che inline I'anipiezza o la ristrettezza del ricettacolo non serve a distin- guere le Achillee dalle Ptarmiche. Cio prova ancora I'aggiustalezza e IIL ^46 362 INTORNO AL GENERE ED AIX.V SPECIE liN BOTAiMCA la ulilila della conclusione di quella regola, che quanlunque sia piu facile chc un carallere serhi lo stesso valore Ira generi affini di una stossa fainiglia, non si puo affcrmarlo con sicurozza sc non dopo ri- conosciuta coiresame delle specie di ciascuno di tali gcncri la costanza ed universalita del medesimo. A comprovare vienimeglio la verita delle esposte leggi farcmo adesso un rapido esame critico ai generi novellamenle londali sulle specie eu- ropee.del genera Linneano Campanula di cui ncssuno puo negare la evidenlc natiu'alezza. Sono eglino i generi Specularia , Edraiavihus, Rotaela, Campanula, TT ahlenhercjia, .Idenophora. II principale, se non il solo carattcre, per cui furono divise in piu generi le Cainpanule, consiste nel divcrso modo, con cui s'apre la loro capsula. Ma quanto sia variabile queslo caraUere in queste piante, ne percio possa in tuUe es&ere apprezzato come generico, risulta chiaramente dall esame che siamo per fare del fruUo delle medcsime. Esso e una capsula che va- ria nel numero delle logge da cinque a due, ed e ricopcrta dal calicc che vi aderisce ora per tutla la sua lunghezza, cioe sino alPapice, ed allora dicesl capsula inferiore o aderenle^ nel qual caso non ha valve ne suture dislinle: ora per una parte di essa, ed allora chia- masi semi-superiore od adnata, e dividesi in valve separate da suture nella parte superiore non veslita dal calico. L' aderenza notata e si stretta che il calice s' immedesima e si confonde coif epicarpo del frutto, ne questo puo schiudersi mai per tutla quella parte che n' e coperla senza lacerazione di quello. Questa semplice esposizione della struttura csterna del pericarpio nolle Campanule basta a far chiaro non csserne possibile la dciscenza in quelle specie che hanno il frutto inferiore, o compiutamente aderenle al calice; e poler solo avvenire in quelle allrc che 1' hanno semi-superiore od adnato, ed in quella sola parte di esso ch' e nuda e libera d'ogni aderenza, se per dciscenza vogliamo ritenere col eel. De CandoUe I'aprimento recjolare di un frutto senza lacerazione, e lunyhesso le suture che congiungono le sue valve. (DC. Th. elem. p. 403). Secondo la duplicc struttura osservata nel frutto delle Campanulacee vcnnero esse gia distinte in due tribu, delle quali pero devono essere leggermenle niodlficali i caratteri, e quindi ancora DEL PROF. ROBERTO DE VISIAM 363 la coUocazione c distribuzione dei gencri. La prima si c quella dollf n ahlenber E L L A SPECIE Se lincertezza o rinesatlezza del concetto, die alcuni bolanici si son fatli del genere, e la discordia loro neirapprezzarne i caratteri sono cause principalisslme della incessante mutabilita de' nomi generic! delle piante, e della faticosa e scoraggianle sinonimia, die ne offusca o ne intristisce la scienza, come mi sono adoperato di dimostrare nella prima parte, non meno dannosa io m' avviso la intemperante facilita, con ciii taluni si sbracciano a creare novelle specie, e a fabbricare novelli nomi per indicarlc. Lo imperche ho slimato utile rimprendere eziandio per la spede un lavoro simile a cpiello del genere, nel che fare ho frugato negli scritti de' botanici che dal Linneo al De Candolle piu accurala- mcnte studiarono questo grave argomenlo, per indi Irarne quelle re- gole, che confortale d'esempii, e raffermate d'altre avverlenze che a me apparvero utilissime nella pratica, bastar potessero, o per lo meno grandemente giovare nella fondazione e nella acceltazione delle novolle specie. I botanici anteriori al Linneo non avevano un'esatla idea della spe- cie, che confondevano sempre e nel concetto e nel nome con allre associaziuni inferiori. II Linneo fu il primo a definlrla, e a distin- guerla dalle varieta, e questo primo raggio di luce, balenato appena nelTalla intelligenza di quelPuom prodigioso, schiaro d\m tratto il te- nebroso e inordinato caos della scienza. Gli esseri tulti della nafura allor noti trovarono ben presto il carattere che li distingue, il nome die li personifica, e V immensa opera di qualificare, denominarc e dislribuire ordinatamenle quanto esisfe in nalura progredi poscia con passi rapid! e gigantesch! sulle norme da lui fondate, per non arre- III. 47 370 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA starsi niai piu. Pcro neiralto di dlstinguere la specie dalle variela, che talvolla ne assuinono le apparenzc, furoiio spesse voile e son tullora vacillanti i botanici, per cui e furono create assai false spe- cie, e talor anco per lo conlrario furono alcune specie indebilamenle considerate quai variela. Ne a logliere quesla incerlezza si slabilirono regole concordi e sicure, si invece questo grave punto di scienza fu lasciato non diro al criterio, nia airarbltrio di tutti. Poche parole ed insuflicienli ne dissero i trattatisti: il prinio ad occuparsene con di- ligenza e ad esaniinar la quistionc in ognl sua parte si fu il eel. De Candolle, che nella Fisiologia alFarticolo della Specie, e nella Tasso- nomia in quel libro die Iralta delle associazioni diverse delle piante, diede precetti ed avvertimenti, che nessuno e per le cognizioni teo- riche, e per la vasta sua pralica era in grade di stabilire meglio di lui. Da queste auree fonti pertanto, e razzolando qui e cola alcune avvertenze sparse in altri autori eziandio, specialmenlc nella recente ed accurata memoria del sig. Chevreul s«r V Espece^ io avro materia bastevole per compiere il niio lavoro, in cui m' ho prefisso di rac- cogliere ed ordinare tutto che di meglio sia state finer pensato sulPar- gomento. Chi getta un prinio sguardo sulle produzioni infinite de' regni or- ganici non vi scorge di primo tratto che una nioltitudine varia, con- fusa, innumerevole d'individui, d'esseri cioe che posson vivere e vi- vono distinti e indipendenti da ogni altro. Ma se attendendo piu di proposilo ad osservarli, ei si faccia, anche scevro d'ogni prevenzione, d'ogni cognizione scientifica, a ralTrontarli tra lore, non tardera ad av- vedersi, che fra cjuesti alcuni si somigliano piu fra di essi che non cogli altri, e seguitando Y indagine ed il raflronto gli sara agevole a ravvicinar colla niente quesli esseri piu somighanti, e ad associarli an- cora fra lore merce alcun carattere, che scoprira ad essi comune, e pel quale potra distinguerli dai circoslanli. Questo primo grado di as- sociazione degli esseri somighanti gli e cio che chiamiamo Specie, ed e da questa che incomincia tutti i suoi studii il naturalista, e questa la base d'ogni sua classificazione. Non awi alcuno per idiota che sia, il quale penetrando in una foresta non iscorga a prima giunta che i DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 371 plni sono siniilissimi fra dl loro, e ben diversi dai frassini; che pei- oorrendo una campagna pianlala a vitl non s'accorga che queste son tulte cgiiali fra loro nelF insienic dc" lor caratteri, e diverse dalPalbero che Ic sosliene. La specie csiste quindi in natura, csiste per l" idiola al pari che pel botanico, si appalesa agli occhi di tulli perche e in- dipendente dai sislenii delPuonio, cd e pertanlo affallo erroneo il jirin- cipio opposto che professo prima c ritrallo poscia il Buffon, in na- tura non esservi che individui, nienlre puossi invecc affermare eon ve- rita, che alia sussistenza e propagazione della specie e legata inlima- mente la conservazionc intcra tlel regno organico. Pensano alcuni coUo stesso Buflbn. che le specie non sieno innnutabili, ma in un lasso di tempo pill o meno lungo possano cangiar caratteri, passare 1 una nel- Taltra, suddividcrsi o riunirsi, originarc in tal modo novelle specie o scemare di nuinero. Seguaci di tale ipotesi, altri immaginano ancora le specie in origine non essere state che pochissiine, forse una per cia- sciin genere, e solo in processo di tempo modificale per esterne ca- gioni aver dato nascimento a quello sterminato nuniero che or ne am- miriamo. Rafforzano una si strana sentenza (la quale se fosse vera di- slruggerebbe T idea della specie, e renderebbe inutile la scienza che vi si fonda) coirosservare che esistono in natura individui intermedii fra specie e specie, i quali paiono segnarne e dimostrarne i passaggi. A difendere la persistenza ed immutabilila della specie baltagliarono viltoriosi i naturalisti piii insigni, provandola e col mezzo di osser- vazioni di confronto fra Ic specie antiche e le present], e col mezzo di osservazioni e sperimenti istituili per lungo tempo sopra un gran numero di specie, alcune delle quali coltivatc alio scopo di ricono- scere la durata de' lor caratteri. Le pianle e gll animali conosciuti dai Greci e dai RomanI, in gran parte si ravvisano anche oggidi si per le descrizioni, benche imperfette, che queglino ne lasclarono, si per cssersi conservati ne' paesi da essi abitati i nomi antichi, con cui que popoli soleano dislinguerll, e questi esseri serbano tuttora immutati i loro antichi caratteri. Gli animali e le plante indigeni gia dellanlico Egitto, e raffigurali ne' geroglifici, e quel ch'e piii, conservati in natura nelle necropoli, presentano tuttora i caratteri slessi e la pin perfetta ras- 372 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA somigliaiiza con quelli analoghi, clic or vivono c crescono nel pacso dello piraniidi, quasi per diinoslrarcl non csscr avvenulo nclle lor Ibrinc il mcnomo cangiamcnlo. Trcmila adunque e forsc quaUroinila anni non bastarono ad alterarle: c quale piu lunga, pin certa, piu concliiudcnle prova di qucsla polrebbe Tuonio, nonche chiedcre, ini- niaginare, code accertare rininuilabilila della specie? In piu di trc se- coli dacche esistono i giardini bolanici, nei quali alcunc piante si coltivano coslantemenle, e le annual! si riscminano ciascun anno, nessuno ha potuto cogliere il passaggio di una vera specie in un'alira, quanlunque la promiscuila del suolo e del cielo, la prossimila delle specie allini, Teguaglianza della cultura favoriscano potenleraenle que- sle trasmutazioni. Nel giardino del re a Parigl si fecero per trent'anni seminagioni incessanli ed in circoslanzc sempre variate di cenclnquanla graniinacee diverse, preferendo a belFartc siflalte piante, come quelle, i cui liniiti generici e specifici essendo sovenle ambigui e Icggeri, par- rebbero dover confondersi piu agevolmcnte, senza che al sig. Albret, e poscia al sig. Pepin, clic condussero si lungo tempo con pazienza pari air avvedutezza siffalti sperimenti, fosse dato glammai di scorgere alcun passaggio delFuna nelPaltra specie (V. Chevreul Stir I'Espke negli -Inn. des Scienc. nafur. Sett. 1046 pag. 171). Ne Tesistenza d' individui inlcrmedii fra specie e specie, se puo in alcun caso difficultarne la distinzione, puo mai distruggerne la dif- Icrenza, giacche o quesli individui non si riproducono perche sterili, o nelle ripetule seminagioni perdono i lor caratteri per riprendere quelli del tipo da cui provennero, che e sempre una delle due spe- cie affini, c quindi si ha nella semina il mezzo di smascherarne e ri- conoscerne la vera origine e la natura. Che se questi individui nelle ripelute seminagioni non cangiano, si invece serbano immulato il carat- tere cospicuo che li distingue da quelle, sono allora da considerarsi non quai passaggi da specie a specie, non quali variazioni intermedie ad esse, ma quai tipi di una specie nuova, alle slesse affme, ma pur di- versa. Se invece accade, che quest' individui inlermedii mostrino nelle varie forme solto a cui si presentano un progressive affievolirsi e suc- cessivo svanire del caraltere differenziale delle due specie, allora il DEL PROF. ROBERTO DE VISIAM 373 botanlco lieno in inaiio la prova, clu' le iluo specie sirio allora cre- dule tali, perche i earalteri clifl'tnenziali delle medesime se irerano ripulati coslanli, noii lo son punlo, cd ha qiiindi iiii argomcnlo invin- eibile, perclie di I'atto. della convenienza di riiinirle. Di clie nc viene. die lo studio dei^li iiulividui intermedii, c dei passai>gi di forma, noii solo non imoce alia dislinzione specifica, o ne indeboliscc la forza, ma e. nonche utile, indispensabile a dimostiare il valore spccifico del ca- rattere, che consiste nella immulabilita del medesimo; e quindi a far distinguere con sicurczza le vere specie dalle soltospecie, o varieta, o variazioni, die possono prcnderne le scuibianze. Alcuni esempii val- gano a chiarir nieglio il concetto. La Mutricaria Chamomilla era le- nuta e tiensi pur luttavia distinta di specie dalle 31. pusilla^ M. Cow- rantiana., M. pijrelhroides., e M. coronala., perche in quella gli ache- nii non ban pappo, in queste il pappo prende diverse forme, sopra le quali i botanici, che crearono siffatte specie, ne fondarono le dif- ferenze. Osservazioni ripetute e accurate provarono, die il pappo or manca, or si trova nella stessa Camomilla comune, e che la forma e la grandezza del medesimo sono variabili al pari della presenza fin nella stessa specie: percio mancando a' caralteri di quest" organo ogni valore specifico c' fu forza riunire in una sola tutte quelle false spe- cie, che non presentavano altra diversita che nel pappo. II volgare Chrysanthemum Leucanthemiim distingucvasi dal Chr. montamim perche gli achenii marginali di questo hanno un pappo che manca nelFaltro; il CVir. (jraminifoUum separavasi dal CJir. montanum per le foglie piu strette in quelle che in questo. L'esame di molti achenii del Chr. Leu- vanthemum avendo provalo, che talora anche in quesli si trova il pappo, tolsero a questo carattere il valore differenziale; ed individui intermedii per la forma delle lor foglie fra il Chr. montanum e il Chr. gramlnlfolium., mostrarono non potcr sempre bastare questo ca- rattere a diversificare fra loro, piante in ogni altro rispetto soniiglian- lissime, e quindi forzarono il botanico a riunirle tutte in una sola. Lo studio attento e sufficientemente conlinuato dei caratteri e dunque il solo mezzo che abbiamo per distinguere le specie dalle associa- zioni inferiori: le quali. difterendo fra loro pel \ario grado di mu- 37 4 IiXTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA lal)ilita dci inedesimi, vogliono cssere ora partilanicnte illuslrale, pre- iiK'Uciulo a queslc la dcfinizione della specie, di cui Taltrc non sono che gradazioni. La specie e una riunione d' Individui piu siinili Ira di loro che a (utti si;li allri, per cui si possono considerare lulli procrcali da una slessa pianla crniafrodila o monoica, o da una coppia di piante eguali dioidio, i quali lianno in conume alcuni caralleri immulabili, e si ri- ])ioduc()no inaltcrali per generazione direlta e costantc. II caraHerc che \a distingue e percio delto specifico, e si dispare dal generico in cio. che I'ilraesi da organi di minore iniporlanza, prefcribilmenle da quelli della vegetazione, piu di rado dagli accessorii della liprodu- zione, piu raro ancora dagli atlribuli men rilevanli degli stessi organi riproduttori. Dislinguesi poi dal carallere delle associazioni inferiori per la sua niaggiore importanza, e pcrche riproducesi costanteniente colla seininagione. ] La sotlospecle e una riunione d' individui, i cui caratteri coniuni lo^gono alia cullura, e si riproducono di seme come quel della spe- cie, ma sono di una importanza inferiore. II papavero a seme bianco (Papa^-er officinale Gmel.) dilTerisce pel solo colore dei semi dal P. somnifenim^ in cui nere 380 LNTORNO AL GLNERE ED ALLA SPECIE LN BOTAMCA sora;crc ncl dcdurlo in alcuna di esse dalla semplicc analogia, ch'essa (iene con allre, bcnchc congeneri e soniiglianti. Qiianto alia forma veg- jvasi la regola qiiinla. 5. 11 caraltcre tratlo dal numero delle parti relatlvo c costante, quando qucslo non sia velato o confuso da dilcllo o da eccesso di sviluppo, ovvero da accidentali aderenze delle medesinie, ha valoie speciflco. Jola. II numero assoluto de" tronchi, delle foglic, dei fiori, o delle lor parti non ha valore. Ma quando present! costante dilTerenza fra due specie vicine, ben presto acquista una reale importanza. Bisogna pero avvertire, che anclie il numero relalivo puo cssere accresciuto da cause accidentali, per esempio da quelle che favoriscono uno svi- luppo ecccssivo; ovvero puo essere diminuito da uno sviluppo piu stenlato del nalurale, e dalle aderenze che possono contrarre alcuni organi fra di loro o colle parti vicine. A sfuggire gli abbagli di simil genere il botanico estendera le sue indagini a un maggior numero di individui, e questi, se sia possibile, di diverse localila. 4. Le dimensioni generali di una pianla non hanno valore speci- flco, ma le dimensioni relative o le proporzioni di alcune parti di una pianta con alcune allre quando sieno norniali c fisiologiclie, coslanti, e indipendenli da cause eslrinseche e accidentali, forniscono eccellenti caratteri. Nolo. Pero anche le dimensioni assolule possono essere alcuna volla indizio di differenza, come quando di due pianle simili Tuna resla sem- pre piccola anche cresciula in terreno morbido e grasso, Taltra sorge sempre a grandi misure anche nata o coltivata in un magro. Siccome cio contrasta con la nota influenza del suolo sulla vegetazione,, puo indurre ragioncvole sospetto, die le due piante diversifichino fra di loro e per altri caratteri. o. La forma degli organi presenta in generale caratteri specifici comuni e coslanti, ma solo allora che le sue modificazioni sieno le- gate e dipendenli da modificazioni analoghe nella slrultura anatomica, ossia nella dislribuzione de' vasi di un dato organo. -\ola. Una foglia puo variare grandemente di forma senza che cangi DEL PROF. ROBERTO DE VISIAiM 381 punlo la sua struttiira, oil allora siffattc forme non sono spccificlic pci- fhe variabili, come avvicne nel Senecio nebrodenais^ in cui le foglie passano dalla forma tipica appeiia dcnlata alia forma incisa, e succes- sivamenle alia pennalofessa. bipcnnatofessa, e multificla, sulle quali fii- rono fondate a lorlo due allre specie, il S. nipestris ed il 5. lachiia- ius. L'aver ncglella siffaUa regola proclamata dal De Candolle ingom- bro di false specie infinite la scienza, ed oscuro i veri limlli delle buone. 6. La disposizione relativa delle parti somministra alia specie al pari chc al genere la sorgente piu pura d'ottimi carattcri diflerenziali. -Xola. Questo attributo e quasi sempre invariabile, pcrlocche varra meglio dogni allro a dislinguere sicuramente la specie. In ollre lo stu- dio del medesimo giovera sommamente al botanico per ispiegare le anomalie de' caratteri ed apprezzarne debilamenle il valore. 7. I caratteri tratti dal colore, dal sapore, dall'odore delle piante non possono considcrarsi come specifici, e in ncssun caso un solo di essi puo bastare a stabilire una specie. .\ofc(. II colore de' fiori, perclie variabile, non puo mai fornir nola specifica. Pcro essendo stato osservato, che il color giallo non passa giammai al lurchino, ne questo a quello, meno forse qualclic rara cc- cezione, come fra i Giacinti, quando si tratti di due piante affini che differiscano fra di loro per questi colori, dovranno esserne piu allen- tamente sludiate le differenze, perclic la diversita sopra delta polrebbe cssere indizio d'altrc non osservate e specifiche. II colore de sucdii proprii e costante, roeriterebbe percio a parere del De Candolle di es- sere impiegato come carattcre; ma per anco nol fu. Costante e pure soventi volte il colore dei semi, c se ne valsero alcuni botanici per distinguere fra di loro, specie molto affini negli altri caratteri, come i Fanjiuoli nelle Leouminose, e alcune Calaminle nelle Labbiate. Meno co- stante e il colore delle radici e dei pericarpii. II color bruno, rosso, o giallo delle piante in istato sano, e le macchie di tai colori, con che ne sono alle volte screziate le foglie. non hanno valor specifico. forse perche dordinario non si riproducono di seme, bcnche in alcune spe- cie sieno molto costanli, come nclla Maranta zebrina, Aucuba japonica. 38i2 [NTORNO AL GEiXERE ED ALLV SPECIE IN BOTAiMCA /rum piciton, Crolon variegatum ecc. Al contrario il color glauco di alcunc piantc, il quale proviene da iin'cserezioue cerea di color verde- inare, die emana dalle parli verdi e le vela, viene generalinenle am- inesso come specifico, senipre pero in que" casi, in cui fu riconosciulo coslante. Tulto cio riguarda il colore uelle piante vascolari, nienlre nelle cellulari e pel poco die nc sappiamo, c pclla scarsezza ed incer- lezza de' lor caralteri, e perchc realnicnte in queste il colore sembra piu essenziale cd inlrinseco a' lor lessuti, i Micologi, gli Algologi, i Lichenologi, ed i Muscologi lo tengono e Tusano come specifico. II sapore e Todore non sono mai caralleri specifici, ma possono alcune volte essere indizio di sillatti caralleri; e percio vogliono essere no- tali ed avverlili dal botanico, die da questi puo esscr forse condotto alia scoperla di dilferenze maggiori e sino allora ignorate. 53. I caralleri del porlamenlo od aspello generale delle pianle, con- siderali alio scope di riunire in ispecie gli individui, die piu si as- somigliano, e di separarli da quelli di uii allra, non baslano mai a I'on- dar soli una specie. .\ol((. Pero e senipre ulile lo sludiarli, perche non solo servono spesso d' indizio alio scoprimenlo d'altri caralteri piu essenziali, ma possono ancora convalidare una specie dubbia o fondata sopra un solo carallere. 11 porlamenlo lia percio riguardo alia specie quello slesso srado di valore caralleristico , die abbiamo iiolalo nel crenere alia parte prima nella regola ollava. 9. La specie londala sopra indi\idui ^ivi, spontanci, numerosi, e cresciuti in condizioni diverse di clima, di suolo, di elevazione, di umidila prescnla maggior sicurezza sulla validila, e costanza de' suoi caralleri, die non quella die trovisi in condizioni conlrarie. iXola . In conseguenza di quesla legge al botanico corre V obligo quando Iraltasi di londar specie sopra eseniplari secchi, o collivati, o poclii, o di podii c poco diversi luoglii di essere piu rigoroso nella scella ed acccllazione del carallere differenzialc, di non conlentarsi di caralleri secondarii. di cercarne le differenze necili ornani piu coslanti, (juali sono quelli della riproduzionc, di notare la patria, la stazione, la durata. e le varie epoche di vegetazione, fioritura e malurila dei frutii DEL PROF. ROBERTO DE VISIANI 383 delle duo piaiife per ritrarre dalla loro eguaglianza o diversita all re prove della diversita. o deU'egiiaglianza specifica della piania crediila nuova coir altra die piii rassorniglia. Clie se fosse possibile il oolli- vare in condizioni variale la specie dubbia, e rallevarla ripetulc volte di seme, si avrebbe in questa prova il mezzo piii ceito per rico- noscere la slabilita ed il valor del caraltere, e quindi ancor della specie. Questo sperimento poi riuscira indispensabile quando la nuova specie sia slata rinvenuta in luoghi coltivati con piante analoghe. nel qual caso bisogna andare molto a rilento nciraccetlarla, potendo ella essere o modificazione di alcuna tli quelle piante prodotta dalla cul- tura, o ibrido accidenlale delle medesime. 10. La specie e tanlo piii naturale e distinta quanto e maggiore il numero e 1" importanza de" caraSleri, su cui si fonda. 1 1 . Quando una specie cresce commista ad altre a lei legate per moltiplici analogic, senza che se ne scorgano in alcun caso i passagsji da quella a queste, malgrado la parita delle condizioni in cui vivono. avvi fondanicnto a crederla vera specie. JiOta. 11 Thymus acicularis cresce frammisto a quella ^arieta del Serplllo, che e il Th. anguslifoUus del Persoon; ma benche ne sia si- milissima lapparenza non ni'e avvenuto giammai di cogliere alcun passaggio da quello a questo ne' caratleri specifici delle due piante: percio meritano di essere considerali come diversi, appunto percbe i loro caratteri si serbano different], malgrado la promiscuita e leaua- glianza delle condizioni in cui crescono quelle piante. 12. Quando una specie dubbia e sommamente affine ad un' altra cresce in luoghi e condizioni diverse da questa, e ne sembra quasi una soslituzione, pria di accettarla come distinta se ne debbono ci- mentare i caratteri coltivandole lima presso delf altra, o almeno in condizioni simiglianti per accertarne la distinzione: senza tal prova puo sorger dubbio che la specie ambigua non sia che forma locale. Nota. Per contrario se una specie molto affine ad un altra cresce in situazione affatto simile a questa. e se ne serba costantemente di- stinta. avvi una ragione di piii. oltre il caraltere. per riputarla di- versa. 38 4 INTORNO AL GENERE ED ALLA SPECIE IN BOTANICA 13. Quando occorrano individui internicdii fra specie e specie, die pero lengano alcun die di proprio e dilTercnte da entrambe, pria (li forniarne una specie nuova e distinta e necessario il provarc V im- mulabilita del carallere differenziale o coU'esamc di copioso nuinero d" individui di differcnti localita, o meglio ancora ricorrendo alia col- livazionc c alia scniina. Tola. Gl individui inlermedii, die possono indurre il botanico a sospetlarc in essi il tipo di una specie nuova, sono ordinariainenle prodolti deir ibridismo. Questo alcune rare voile origina qualche spe- cie, ma d'ordinario non produce che delle razze, le quali lendono seinpre a degenerare, o a dir nicglio a riprendere le forme dell uno o deU'altro degli esseri da cui derivano, col inutare delle circoslanze modificano lor caralleri, e a lungo andare disvelano Torigine primi- liva. JNessun mezzo adunque piii sicuro c lerminativo per riconosccrli quanto la cullura e le risemine ripetule dei medesimi, variandonc ac- corlamenle ed incessanlemenle le condizioni e di cielo, e di suolo. Un carallere die resisle a siffalle prove per alcune generazioni basla a qualificare per buona specie la pianla die lo possiede. Senza di quesle, o abneno senza lo sludio cd il raffronlo di buon numcro d' in- dividui di niolle e ben diverse localila nessun bolanico circospelto s'av- visera di decidere del valore di un carallere inlermedio, e di fondarvi sopra una specie. Con quesle norme, e con quesle avverlenze, allc quali la sperienza degli errori allrui e dei proprii polra col lenipo aggiungerne delle allre, ma delle quali non sapremmo ora porre in dubbio Taggiusla- lezza, il botanico polra quasi senipre evilare il pericolo di dar per ispecie una razza, o meglio una varieta, addensando ognor piu quelle lenebre, die lambizione frivola d" immaginarie scoperle, e la legge- rezza di osservazioni precipilale seminarono fra le specie, particolar- menle ne' generi piu nalurali e piu numerosi. In alcuni di questi sia- mo arrivali a lale^ come nei Dclfinii, negli Aconili, nci Dianti, nelle l\ose, ne' Pelargonii, da non sapere oggiinai come dislinguerle fra di loro, si percbe ai caralleri immulabili delle specie vere furono nelle .A), ripetendo in dimensioni assai gigantesche le glandule muciparc del- Fumana mucosa ulerina e vaginalc. II pancreas, che in nessun' altra specie zoologica si manifesta forse piu chiaramenle un' appendice in- troflessa del tubo alimenlare, ci offre con poche modificazioni la niede- sima tessitura e la stessa qualila di prodolli viscosi e gelatinlformi, di cui tutta quella singolare mucosa e una sorgente quasi inesausla. Ma cio che non puo rivelare il coltello, rivela con una assoluta evi- denza la prova delle iniezioni, cioe la strultura cavernosa di quellap- parato. Di dentro e una rete magliata olegantissima c condcnsata, che alTaspetto di grandi alveoli, dato dalle infinite glandule, aggiunge quello di alveoli microscopici formati dalle maglie dei vasi (fig. 6. B), Solto a questo sta un fondamento di grosse vene ammagliale al modo pre- DEL PROF. FRANCESCO CORTESE 39 5 ciso del corpi cavernosl, colle idenliche svoltc e celle e diverticoll, proprii a quel tessull nciriiomo (fig. 6.); il quale piu rarefatio alFin- tcrno, piu filto di fuori, lascia Irascorrere in mezzo le arteriuzze de- stinale a nulrire Tapparato muscoloso e niuciparo, c riceve il sangue per mezzo dei fori capillari. Laonde guardalo di fuori I'inteslino pre- senla una maglia vascolare quadrigliata cir e un caratlere dellc tele muscolose a due ordini di fascetti die si decussano nel loro tragitlo. Finalmente perche nulla manclii alia dimoslrazione, le stesse pareli dei tronchi mesenterici si scorgono dotate del tessulo medesimo. Le vene mesenteriche scoirono in qucsti animali immedesimate col parete deirintes(ino in quel suo tratto verlicale, che rapprescnlerebbe il nostro intestine crasso. Poscia il canal digerente, fatta una grande curva, quasi di un ccrcliio complelo, viensi solto le condizioni d' intestine tenue a congiungerc alio stomaco, abbracciando e riquadrando con essa il corpo glandulare del pancreas. Dal principio di quella curva fmo al fegato i tronchi mesenterici si slaccano dal parete inteslinale, e decorrono isolali lino addeniro alia sostanza del fegato stesso, componcndo cosi colle con- fluenze de' rami pancreatici e gastrici, essi pure isolati, il tronco della vena porta. Nel principio di questo libero decorso la vena mesenterica trapassa per un corpo vascolare spugnoso, seguito da altre frangie e lembi niinori che costituiscono la niilza. Ora che quesle vene manife- stino pareli crasse, polposc, simill alle intestinali, finche alF intestine me- desimo sono connaturate, potrebbesi derivarlo da questo, anziche da or- ganizzazione lor propria. Ma il crescere la dcnsila di quel parete ap- punto cola dove sono libere, non attaccate neppure da falde o lamine membranose, dimoslra che si fatta slrultura e ad esse congenita e ne- cessaria. Pertanto quelle pareli nolle ben riuscile iniezioni si circon- dano d'una bellissima ordilura vascolare, similissima a quella dei les- suti erellili e cavernosi (fig. 7. B). L'esterna rele rivela, per la for- ma delle sue maglie, la natura sierosa del velamenlo periloneale del vaso. Fra questo e la tonaca interna, i vaseliini capillari assumono le forme costanti dei plessi cavernosi j)iii volte accennati ( fig. 7. A ) , con la sola difl'erenza di un minor dianietro relalivo alia forza e den- sita del parele. E tale loro apparenza e cosi uguale a quella dei corpi 396 SUL FUNICOLO OMBELICALE DEL FETO UMANO splcnici pci quali il tronco trapassa, die questi potrebbcro dirsi ef- florcscenze e svolgiinenli del tessulo inlerniedio del parcle venoso. Aprendo il vaso per liingo, e guardatonc col niicroscopio rinlima lonaca, la si ravvisa nelle vene non inieltate tiilla seminala dl pcrlugii, che sono orificli di infinite diraniazioni; le quali, nei pezzi mediocremente inicl- tali, si vedono risolversi in cespuglielti cbe ricamano ad isole le lonache circonferenli; e dove Tiniezione fii piena, appaiono converlile nella delta tela plessifornie, che quei vasellini a cespuglio lianno conipita coUe in- finite loro anastomosi. Dalle accennale dimostrazioni si Irae una dedu- zione chiara ed incontrovertibile: die il sangue scorrente lungo il cave del vaso, esce da alcune di quelle aperture, circola pei plessi delle pa- I'eti, e rienlra per altre nell'alveo primitive. Ora volendo indagare le ragioni di questa interessanle costruttura. per applicarle al nostro subbietto, io non saprei trovarne che due, cioe il bisogno d'una forza inipellente, e la necessita di una elabora- zione del sangue. Rispetto alia prima non e clii non sappia die nei pesci la grande clroolazione e del tutto estranea alia diretta influenza del cuore. II san- gue spinto dal cuore per Farleria branchiale negli organi respiratorii, e di la per le radici delle arterie, costituenti gli archi aorlici, all' aorta; da ultimo da questa alia cava, si trova in essa lontano dalla azione cardiaca per T intermezzo di due sistemi capillari. Ed e tanto piii de- gno di osservazione un tal fatlo, quantoche I'aorta, fragile assai nella sua tessitura, spesse volte, come nello slorione, nei luccio ecc, incanalata in apposila doccia delle vertebre, e percio presumibilmenle in condizioni assai sfavorevoli ad esercitare una energica azione sulla corrente sangui- gna. Per la qual cosa la natura ha sopperito con altri modi a intraltenere la velocita della corrente, massinie lungo le vene della grande circola- zione: e la recente scoperta dei seni caudali venosi c pulsanti delle an- guille ne farebbe testimonianza; come i cuori liniatici dei rettili la fanno rispetto al proprio sistema. Cosi io credo abbaslanza dimoslrato dal fatto anatomico, mediante questa particolare struttura delle pareti delle vene mesenteriche spcttanti alio storione, esisterc in quei vasi una forza DEL PROF. FRANCESCO CORTESE 397 impcllente, tanto piu neccssaria, quanlo die al rifliisso del sangue si aggiunge per esse una nuova dislribuzione perlferica, neccssaria alia secrezione di abbondanti succhi biliari. Lo che, se fin ora vale rispelto agli slorioni, potra in appresso confermarsi coiresame di allre famiglie di pcsci. Sul fondamento di queste circostanze anatomiche io credo mollo probabile, che la vena ombelicale lungo il funicolo possegga, conic nella strntlura, cosi anclie nelle funzioni iiiolla analogia coi dctii vasi ve- nosi. Quantunque essa rispelto al cuore si trovi in quei rapporti iiie- desinii che sono coniuni a lutte le altre venc del felo, e nondinieno assai degna di osservazione la lunghezza del funicolo slesso, che ob- bliga le arterie ad una Irasiiiissione niolto lontana del sangue; poscia la loro dislribuzione per un organo vaslo com' e la placenta; e la ler- niinazione dei loro surcoli in capillari lenuissinii, che si aggoniilolano intorno ai fiocchi placcnlali sulle grosse celle venose che ne occupano il ccnlro. Le quali circostanze congiunte ad un continuo anastoiiiizzarsi delle vene periferiche, die secondo le diligenli osservazioni del Weber forniano le stesse intreccialure, gli stessi diverticoli e saccoccie, che sono proprii ai corpi eretlili e cavernosi, cosliluirebbero al certo una concorrenza notevole di cause ritardatrici della circolazione. Ed essendo per converso, alnieno del terniine della vita intra uterina, molto ener- gica la virtu pulsante del funicolo, anzi direbbesi superiore alia por- tata delle due arterie per la quale, neiratto della sua recisione, il vuo- laniento della vena suol farsi senipre con un getto inipetuoso e lon- lano, e giustificata la idea d'una singolare e veranicnte grande toni- cila delle sue pareti. La seconda rasione, die accenna allufficio sanifuificatore delle vene in quegli aniniali, si fonda singolarmente sulla niancanza dun appa- ralo linfatico. Iiiiperciocche e manifesto oggidi dalle belle osservazioni deir Hewson e del Tiedcmann, che la niilza e un organo niolto ana- logo alle glandule linfaliche del mesenterio, tanto anzi alle stesse cor- rispondente d'ufficii, die THuschke ardi considerarlo come il ganglio linfatico dello slomaco. La quale sentenza se pur si volesse tacciarla d'esagerazione, varrcbbero a confermarne Tidea generate associata a 398 SUL FUNIGOLO OMBELICALE DEL FETO UMANO qiieirorgano, Ic sporienzc del Meyer e deirHyrll, recentemente fatte sui coni^li col mezzo della sua eslirpazione . In seguito alle quali si sono vcdule le superiori glandule del mesenterio tumefalte e conver- tite In una niassa spugnosa e cavernosa, colic apparcnze tutte chc alia milza sono pertinenli. Lo die conduce quasi sponlaneamenle alia giusta illazione, d'una grande concordanza negli ul'ficii di quelle due forme orijaniche per la quale tendono sempre a sostiluirsi fra loro al comune scopo della assimilazione del sangue. Per la qual cosa se neU'uomo e negli animali superiori e pur molto abbondante la co- pia di questi corpi venosi, malgrado la esistenza dell' apparato linfa- lico, inaggiore forse die alPaspello generale non paia e merit e vole anzi d'ulteriori illuslrazioni, esso deve egualmente abbondarc in quelle classi zoologiche ove son essi dopo I'organo respiratorio Tunico mezzo san- guificalore. 11 percbe e spiegalo come negli storioni, e cosl forse in tulti i pesci, sieno organi assorbenti ed elaboratori le tonaclie intesti- nali, cd oltre quesle i corpi spugnosi inserili a modo di milza lungo il tragiUo delle veue refluenli dagrinteslini; e le slesse tonache delle vene medesime, e quelle perfino delle grosse vene spetlanti alia grande circolazlonc come lio recentemente osservato nelle cave del Zeun Fa- ber {San Plero volg.), organi questi, io diceva, assorbenti il succo ali- mentare, ed assimilatori del medesimo dentro lo stcsso alveo sangui- gno; perclie io non so che sieno state scoperte in quegli animali al- Ire vie conduttrici del chilo nel torrente della circolazione, tranne le vene medesime. La qual verita conferma una legge proclamata ulti- mamcnte dal genio osservatore del Milne Edwards die si traduce cosi: la deyvadazione dei tipi zooloyici sostanzialmenle dipende dall'accumu- lamenlo crescente delle funzioni dn^erse sot*« un solo e medesimo or- (jano. Ora la placenta, organo teniporario del feto, T ultimo forse die segni il parallelismo dell'essere umano cogli animali inferiori, durante gli stadii prodigiosi del suo sviluppo, c uno di quegli organi di cui appunto e questione. E queir organo, essendo in relazione intinia coi vasi uterini, non certamente per continuita di canale, com' e ormai provato da moiti modi di esperienze, nia per sola contiguila di pa- DEL PROF. FRANCESCO CORTESE 399 roll vascolari, non ha circoscritte le sue funzloni allunico oggelto d'in- trudurrc ncl sanguc del felo i soli principii, clic piu tardi e dopo Tuscita dair utero gli entrano per la via del polmoni. Perciocche oltre alia deficicnza della respirazione e combinala in quello anche la dcficienza della digestione, altro, e piu potcnte forsc, alio sanguificalorc. Ondo i principii che dall utero sono Irasniessi airembrione per la via della placenla, devono di necessila provvedere ad anibedue quelle fonli di vila e d'incremenlo; c quesli principii coauinque elaborali dalla ma- dre, abbisognano sempre d'una speciale elaborazione dei vasi che piu direllamenle si aspellano al felo. E la slrultura spugnosa della pla- cenla, analoga aflallo a quella della niilza, e prova d'una analogia di funzioni sanguificatrici; le quali cessano allora sollanlo che, per la coni- plela formazione degli apparali digeslivo e respiralorio, lorgano tem- porario si rcnde straniero airorganismo delPindividuo; rinianendo in lui altivi alia medesima foggia, quclli che in lui erano foggiali sul medesimo lipo; ma d'un'allivila secondaria e come accessoria ai grandi apparecclii primarii. Ed io concepisco di leggicri come cjuella elabora- zione del sangue nella placenla possa conlinuare lungo il funicolo fine al suo ingresso nel corpo del felo. Stanteche la natura che si approf- fitta d'ogni cosa, non avrebbe fallo quel lungo tralcio col solo inlen- dimento di mantenere una semplice comunicazione lontana fra il felo e la placenla; come neppure voile che fra il leslicolo e la vescichelta fosse un semplice condoUo di Irasmissione; ma lo lorse ed avvollolo in se medesimo alia sua origine; poi nel Iralto finale ancora lo dis- semino di diverlicoli e celle, perche in quel Iragilto vieppiu si ela- borasse lo sperma. Per tulle queste considerazioni io sono indotto a concludere che la slrultura da me annunziala del funicolo ombelicale, quanlimque ap- poggiata a prove maleriali, che non otlennero ancora ulteriore con- ferma, sia una realla anatomica, la quale completa la storia d'un or- gano Iransitorio della vita umana, da cui essa principalmenle deriva. e che nondimeno in quesli ultimi anni soltanto fu soggelfo di studii frultuosi ed efficaci. (Letta il 21 Fehbraio 1847) SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. Fibre cellulari coniponenti la nieinbrana araniolica del ftuiieolo ombelicale del fcto mature (Diani. 4 97). La loro disposizione e nalura e simile affatto a qiiclla delle membrane sierose. Fig. 2. La delta lonaea sicrosa e atlaccata con fila di prelta cellulosa (A) alio slrato pii'i tenace (B) elie forma la trama del tessuto cavernoso del ftmicolo. Gli dementi analomici di questo tessuto mi si presenlarono analoghi alle tonache dei tessati contrattili, che nel punlo della eccisione rimangono succose, unite, senza tendenza a sfilarsi, ed elastiehe sotto la compressione (Diam. 197). Fig. 3. — Diametri 30 — Distribuzione periferica delle vene diran)ate nel tessuto caver- noso del funicolo. Presentano tronchi brevi. ritorti, frequentemente anastomizzati, con dilata- zioni baccate ed intercettanti aree ristrettissime, essendo per eonverso cospicuo il lume del vaso. Questa forma e idenlica alia seguente. Fig. 4. Corpo cavernoso deH'urelra umana maschile. iniettato e ingrandito a 30 diame- tri. In B si ^uole rappresentare il detto tessuto spoglialo della tonaea mucosa uretrale, della quale si veggono in A le tenui reticelle ammagliate al modo delle mucose Fig. 5. A. Aspetto della mucosa dell'intestino proprio ad uno storione lungo un metro e c. 20, ingrandita tre volte, (a) Seni mucosi approfondati nel tessuto cavernoso, e formanli concamerazioni minori, comunicanti fra loro, ed aperte in un rieettacolo comunc. di cui la ma- glia superficiale e I'orificio. Nella sezione vertieale del parete deirinteslino (6) si scorgono quei seni spaccati, il cui fondo si nasconde nello strato (c) delle fibre contrattili e carnose che ren- dono molto crassa la parte medesima. Fig. 5. B. La medesima ligura vista a Diam. 30 dopo I'iniezione dei vasi. L'apertura dei seni mucosi e limitata da creste prominent!, su cui i vasellini sanguigni s'amniagliano al modo stesso che nella memlirana analoga del crasso intestine dell'uomo. Questa apparenza si ripete nel fondo delle cripte a rispetto ai minori scomiiartimenli. Qua e la si rav\isano rudimenti d'ause vascolose b. Fig. 6. Plesso cavernoso del medesimo intestine, sottostanic alia mucosa. I \asi di que- sto plesso molto grossi si scorgono ordinati al mode notato nelle fig. 3. e 4, e formane iden- tiche anastomosi e saccoccie A. Sopra di questi si distribuisce una seconda tela di vasi minori che generano la rete capillare della mucosa B. Sono incerto se questi sieno piu presto capillaii in. 51 402 SUL FUMCOLO OMBELICALE DEL FETO U.MAXO arleriosi. che si searichino poi nelle vene sotloposte. come si osserva in liilti i corpi cavcr- nosi (Diani. 30). Fig. 7. Struttui-a vascolosa delle lonache proprie alle vene mesenteriche dello storione. Qui pure si scorge una distribuzione analoga al parete intestinale. dopoche vi si e detratto 10 strato mucoso: =A rappresenta il plesso eavernoso della tonaea media della vena, rico- perto da sottili vasellini deila sierosa interna, in qualche luogo venuti inielfati a. a-.— B dimo- stra lo strato sieroso esterno che in\iluppa il plesso ca%ernoso. e che appare analogo airesterno indunieuto dello stesso inteslino. Perciocche le xene sono incanalate e connaturate quasi con questo nel lessulo proprio air intestino . e se ne rendono indipendenti soltanlo nella grande ansa che fa la sua porzione superiore. assumendo allora rapporti con produzioni spugnose so- miglianti alia milza. Questa tela vascolare esterna e conforme ai plessi delle membrane sie- rose (Diam. 30). Fig. 8. Tronchetlo di una vena mediocre intestinale dello storione del diametro naturale di mill. 3. ingi-andito 30 volte. I vasi di questo calibro hanno il plesso eavernoso poco svi- luppato a pai-agone dei piii grossi che vanno a comporre il troneo deila porta, rapprcsentati nella fig. 7. Aprendo uno di questi vasellini in cui la iniezione sia medioeremente riuscita. si .*corge intei-amente mia serie infinita di punti rossi che sono i confluenti di ramicelli desti- uati a somministrare le maalie %ascolose della parete. Questi ramicelli formano dei piccioli ce- spugli A che sarebbero i capillari piii grossi riempiuti dalla niassa d' iniezione. Do\e questa e andata piii avanti si \edono quel cespugli fusi in una rele generate, specialmente %isibile in P. 11 tronco della vena porta epatica presenta la stessa nioltitudine di punti rossi: ed i cespugli Nascolari \anno a comporre gli acinetti epafici. che stanno strettamente attaccati all' esterno parete del \aso. DELIA FORZA I MAX A DISCORSO DEL IX)TT. GIUSEPPE BIANCHETTI -<«!Se^ I. \/iiando il filosofo pronunzia quesla paj'ola di forza. sia die I ap- pliclii ad una cosa scnsibile o non scnsibile. niuno gli domandi (juel oil egli intcnda per forza: poiche de" modi e degli efletti di essa ei polra bene talvolla discorrere: ma lanio gli e dale di definirla, quanto di conoscerc la vera essenza delle cose sensibili o non sensibili. vale a (lire, non sli c dato in alcuna iiuisa. E nuiladimeno non puo evi- laro di rappresentarsi ogni cosa qual una forza: menlre, dall islanle ciio (|uesto concepimenlo gli sfucgisse per rispetto ad una cosa qual- nn(jue. la cosa medesima cesserebbe di esistere per lui. Quindi egli si rapprescnta Dio come una forza. la forza suprema. I'univcrso co- me una forza. il pianeta die abitiamo come una forza. i monfi. i ve- gelabili. le acque. gli animali come altrellante forze. ogni minuzia, ogni alonio. in breve, come una forza. II Or luomoi del pari che tutte le cose, non e concepibile che co- me una forza. Ma nel solo uomo. fra tultc le cose, la forza si scorge operare in tre modi diversi, assumere tre diversi aspelti: tanlo diversi. 404 BELLA FORZA mLVNA che si potrebboro duaniare Ire forzc. Egli ba la forza del braccio, o sia la forza fislca; la forza del pcnsicro, o sia la forza della menle; la forza del senliinento, o vogliam dire la forza dclPaniiiio. Dl quesli tre modi ne' quali si manifesla quella forza clie coslituiscc V essere iimano, o, se cosi meglio aggrada, di qxieste tre forze che compon- gono ciascuno di qiiegli enti che diciamo uoniini, niiina puo sliniarsi ne piu iilile, ne migliore, ne piu necessaria delTaltra. L'liomo gia egli s(esso in parte materia, e tutto oircondalo dalla materia, ha me- slieri di valersene incessanlemente, e di supcrare non meno inccssan- temente gll ostacoli cli'essa mcdcsima gli oppone: or come farebbelo senza quel modo della sua forza che si dispiega nel corpo? L'uomo innalzato al di sopra deH'islinto, in bali'a della sua propria direzione, bisognoso di procedere sempre coUe regole ciregli diede a se me- desimo; in qual guisa lo potrebbe senza mettersi e continuare nel pos- sess© di molte e svariate cognizioni? ed in qual guisa gli saria con- ceduto di mettersi in questo e continuarlo senza quel modo della sua forza che si dispiega nel pensiero? L'uomo, in fine, Irovandosi in mezzo ad uno sterminalo numero di forze della stessa natura della sua pro- pria, e ad un numero ancora piii sterminato d'altre di natura diversa, e pero ad una moltitudine immensa di accidenti che gli si possono attraversare, che possono offenderlo in mille modi; Tuomo capace di gioia, e quindi per equo compenso di dolore; Tuomo capace di poter operare il bene, e quindi per equo con)penso di commetlere il male; come potrebbe aver il coraggio di prevenire od allontanar i dolori, come di vincerli, come di tollcrarli almeno; come potrebbe aver quello di fuggire dalFingiuslo piacente per abbracciare il giuslo disaggrade- vole, senza quel modo della sua forza che si dispiega nelfanimo? Ciascuno di questi modi, ripeto, non e meno utile, ne men neces- sario che Taltro; e pero si trovano fino ad un certo grado lutti e tre in ogni uomo; poichc chi mancasse per intlero o dell' uno o delFaltro, gia sarebbe al di sopra, o al di sotto deH'uomo stesso. E quegli nel quale ciascuno dcgli accennati modi fosse innalzato alia maggior ele- vatezza jiossibile, e tutti e Ire si trovassero in un perfelto e coslante accordo tra di loro, rappresenterebbe veramente il tipo della specie DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 405 uinana. Ma queslo tipo non e che neiridca; idea cosi purameiUe spe- oulativa, cosi supcriore a quanto vediamo, che gli anlichi si dispostissimi com'erano ad ingrandire, ad esaltare la nostra naliira, non elibero ai'dinicnto di poria in elTeUo nc pur colla fantasia. INella lunga schiera de' loro croi, vale a dire di fjiielli die furono in parte ed in parte si figuravano tanto soprastanti a tutto il rimanente degli allri da de- stinarli allonor degli altari, non ve nc iia alcuno che rappresentas- sero fortissimo ad un tempo in tutti e tre i modi della forza umana. Quanta forza di pensiero trovasi, per esempio, neirinimagine che han creata di Ercolc o di Tcseo? quanta danimo in quclla di Dedalo o di Orfeo? A darsi il degno spettacolo di vedere sviluppata in lulta la sua interezza la forza umana e mcslieri di osservaria in piu uomini ad un tempo, e meglio ancora in uno di quegli aggregati che concepia- mo pure come altrettante forze, ed alle quali imponemmo il nome di popoli 0 di nazioni. Poiche, siccome in queste, a costituire cio che da ad esse la vita e la forma, un modo della forza e specialmente richiesto ad una classe d'individui, e I'altro ad un'altra, ed il terzo ad unaltra ancora; cosi ciascuno di essi modi puo agevolmente con- dursi alia piu grande elevatezza possibile; e quindi, armonizzandosi in un giuslo accordo fra di loro, portare la forza umana, considerata nel complesso di un popolo o di una nazione, portarla al sommo grado a cul puo giungere. Ma quando la si consideri in un solo individuo, si trova che il procedere oltre alFusato, lo svilupparsi notabilmente di uno de' suoi modi pone, e dee por di necessila oslacolo al mag- gior procedimento di un altro. Quel soverchio di vigore che taluno si adopera di dare alia potenza od alF industria del corpo, cioe alia forza fisica, gli e mestierl di toglierlo a quella del pensiero; ed il maggior vigore che un altro cerca dMmprimere in questa non puo es- sere che non lo impedisca nella fisica, ed anco piii o meno in quclla deiranirao. Evidentemente Tidea della forza umana al grado in cui la possiamo concepire, non puo essere rappresentata per intiero da al- cun uomo in particolare: e vada pure dove sa andar I'arroganza in- dlviduale, e gonfi pure quanto sa gonfiar sue vele ladulazione, niun 406 DELLA FORZA UMANA iioino e stalo, o sara niai, o potra inai essere rescmplare della no- stra specie. III. II massimo numero degli uoniini sono passali e passano via so- pra la terra con tale un grado di forza sia nel corpo, sia nel pensiero, sia nelFanimo, con tale un respeltivo Irovarsi Ira questi tre modi della lorza slcssa, clie non chiania, perche non merita, alcuna attenzione; nienlre, un poco piii un poco meno, non e che il consueto a vedersi nella natura uniana, e cio che gia si osserva costantemcnte negli ac- cidenli della vita naturale c civile deiruomo. Onde, pel massimo nu- mero, non vi ha chi si prenda la briga d'investigare il quanto della lorza, ed il come de' modi suoi. E se pure, in causa di particolari motivi, vi e chi 1 faccia in un caso o neiraltro, e tutto un affare in- dividuale o di famiglia o di municipio; niuno degnerebbe tenerne re- gistro; e ben toslo se ne dilegua ogni ricordanza. Ma quando in un uorao o I'uno o I'altro dei modi della forza si dispiega assai oltre al- I'ordinario, ecco tanti intesi ad osservare altentamcnie e il grado di essa, e in qual relazione si trovino in lui, con quel modo della lorza che manifestasi si elevato, gli altri due i quali non vi appariscono tanto: ecco alcuni che prendono in mano la penna, gia apparecchiati a ren- derne perpetua la memoria. Cio avviene della forza del pensiero e di quella dclPanimo consi- derate in tutti gli aspetti loro; ma della forza fisica particolarmenle, anzi unicamentc, quando si manifesli in istraordinaria guisa sotto Tuna () Fallra di quelle sue svariale forme che diciamo industria, o pure anco talvolta sollo quella forma cui diamo il nome di bellezza. Poi- che una tal forza, presa nel suo piu rigoroso significato come forza meccanica e muscolare, soslenitrice di mirabili fatiche od ofl'cse ma- teriali, operatrice di portentosi effetti nella materia, oggi non la si co- nosce quasi piu di alcuna importanza che sia degna di nota negl'indi- vidui; non la si stima mcrilevole d' attenzione se non prendendola ad osservare in quegli aggregati di forze umane che diciamo nazioni. Ed DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCIIETTI ^OT anc'o in questo, oh qiianlo diminulla, oh qiianto svisata da quelle tante arti che abbiamo sapulo Irovare per isceniarle Teffioacia! Pindaro, se risorgesse, o dovria darsi allri inotivi di canto, o dannare ad un quasi perpetuo silenzio la sua niusa; perche dove Iroverebbe ora que' sog- getli ch'egli amava sopra tuUo di canlare? Qual poeta, e fosse pur anco valenle come Omero, e cantasse pur anco di guerre come Omero. qual poeta non si esporrebbe oggi a passare almeno per islrano se, come Omero, non disegnasse i suoi eroi che da una o piu qualita distinte del loro corpo? Or moltissimi, non dubito, si ammirano che il piu venerabile di tutti i libri, volcndo abbassare la divinita alia nostra intelligenza, abbia prescello di darcenc un'idea col trarne so- pra tutto i colori dalla forza fisica, e rappresentassela grande nelle forme, terribile negli sguardi, col braccio disteso, con la mano ferma e robusta. E certo ridiamo tutti, o quasi tulli, di quanto ci apparisce come una semplicita in quei popoli i quali, essendosi volti al crislia- nesimo, infrante od atterrate le immagini della lor prima religione. ricusarono di fare allrcttanlo per quella di Ercole; e non ravrebbero fatto, ove non fosse stato lor detto, ed essi non avessero creduto che il nuovo culto darebbe loro da adorare un santo die valeva per sei Er- coli. Koi abbiamo degli Ercoli da teairo, o piultoslo li abbiamo avuti. poichc anche di quesle sccniche rapprcsentazioni della forza muscolare ci siamo presto stancati, e n'e quasi passata la moda. Sarei hi per dire che i noslri circhi sieno gli slabilimenti dei bagni, i nosiri maestri in ginnastica i medici, i nostri dircttori gli speziali, i nostri esercizii cor- ]>orei i farmachi. In Ispagna rimangono tultavia nelFamor della nazionc certi spettacoli che rcndono qualche immagine a quelli de' vecchi Ro- niani. Ed ecco una turba di scriltori, intitolantisi umanikirii^ che si sfia- tano di gridare alia barbarie. Sara barbarie; ma se quegli spettacoli in- duriscono, non corrompono. lo sono con chi diceva teste in Francia: Non v'ha amante di buon senno, il quale non preferisse cento volte di veder la sua donna ad assistere alle solcnnita del circo spagnuolo. piut- loslo che a quelle commedie semisciocche, semioscene, dove le nostre gran dame vanno a perdere, non la pieta, ma il pudore e Taltezza del- Tanima. Rese inulili tante opere delKuomo nelle arti drlla guerra. una 408 DELLA FORZA UMANA lullavia ce ne reslava per anco d'intaUa, la potenza d'indurare la fa- tica di pronle c lunglie niarcie; polenza per cui tutli sappiamo quanto andassero lodalisslme le soldatesche del magno guerriero. Ma or ecco clic dclle masse enormi di soldali polranno d'ora innanzi Irascorrere da un eslremo allallro deU'Europa senza far iiso di lor gambe, e piu die abbastanza difcsi dalle vicissiludini ainiosferiche, dalle intemperie dclle slagioni e dei cliini. lo sono ben lungi, liingi assai, dalFidea di voler denigrare in akun niodo quel die si dice, ed c in latlo, progresso del secolo: accenno solo i niolivi pei quali la forza fisica individuale nel- Fuomo e andata, e va ognor piu, e deve andare scadendo da quel pre- gio in cui era lenula, e doveva esserlo, dagli anlichi. Quand'essa si pieghi a svilupparsi in uno straordinario ingegno delle niani, T aniniirianio, conic dissi, grandcmente lullavia; e ne ab- biani ben d'ondc; perche ai piu facili a conipiacersi come Tuomo valga oggi a provvedere a niolli de' suoi bisogni, valga a soddisfare a niolli de' suoi gusli con non allra falica che quella di dare o regolare il niolo agli agcnii da lui arlificiosamenle disposli, affinche producano un lale o lal allro elTelto; a quesli pure dec apparire niollo chiara rimpossibilila che venga mai un giorno in cui Topcra della forza pu- ramenle meccanica possa sosliluirsi in tante cose, e delle piu impor- lanli, a quella della forza nmana, animata com'e dalla scinlilla della vila, e direlta daircseniplarc dell' idea. E dalFallro canto, devono pur eglino ben conoscere quauli inolivi rendano soinmamcnle raro, e pero sommamenle pregevole il poU.'r alluarsi della forza uniana in uno stra- ordinario incciino delle mani. Anche quandessa si nianifesli in queirarnionica disposizione del corpo cui dianio il noiiie tli bellezza, anche allora cerlo andiamo com- presi da non so qual sentiniento misto di maraviglia e d'aniore. Ma quanto diverso da qucllo degli anlichi! quanto individuale! quanlo po- verol quanlo nieschino, quanto ineflicace in confronlo del loro ch'era si palese, si solennc, si pubblico, si nazionalc, si religioso! L'altare della forma uniana e oniai atlerrato. Invano si provarono a commet- terne qualche pieira in onore della bellezza femniinilc i cavalieri dei mezzo lempo. Ogni popolo della moderna Europa si vergognerebbe DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 409 oggl di quel canli e di quelle slorlc di cui tanlo compiaccvansi i Greci, e chc narravano i loro lunglii esilii, le conlinuate fallche, le iniuime- revoli morli soslcniitc non per altro chc per il possesso di una bclla donna. Abbiamo torto? abbiamo ragione?... lo nol decido; e ne pur cerco crinvesligarc le cagioni di si fafto nuilamenlo, che tengono, come ben vedete, le loro radici in quelle del cambialo modo di civilla. IV. Ma quesla pero non e si trasformala, e gia ne per potcnza di speculazioni, ne per quella d'iiuniagini o di credenze diverse, ne per quella di nuovi trovati si potra Irasformar mai cotanlo che Taspello della forza fisica, se non osservata separatamcnle negl individui, ne quali, ripelo, e scaduta oggi quasi affalto di pregio, considerandola complessivamente ne' popoli, e quale i popoli possono ancora moslrarla, non tenga per anco nel giudizio de' savii Tallo grado che dee tener tra gli aspetti della forza umana. Tanlo alto, che quantunque la forza del pensiero e quella deUanimo possano bene spiegarsi, e gia siensi vedute spiegale non di rado in uomini che forniavano parte di po- poli non forti ; nuUadinieno, in un certo nuniero d' individui, e ad una certa energia non comparvero mai che Ira' popoli forli. Vedete quanto povera di cuori generosi e d'intelletti potenti non divenga la storia della Grecia, che n'era pur si ricca e Iraboccante, non divenga, io dico, da quel tempo che la Grecia ando solto il giogo de'Romanil e quanlo poscia non la troviamo sempre piii povera, sempre piu gretta e meschina! E quella de' Romani stessi che ci da in clevatezza, in eslensione, in potcnza d'idee, che in nobilla, che in vigore di senli- menli da quand'eglino furono costrelli a riporre le fino allora invilte spade, ed a cedere alia maggior forza fisica dei popoli del selten- trione? Chi voglia andar invesligando le cagioni di quesla corrispon- denza tra la delta forza nei popoli c quella del pensiero e dell'animo negl' individui, avra materia non mcno alia che abbondanle, e nienle difficile ad cssere agitata. Gia Machiavelli, ne' suoi Biscorsi^ ha piu volte detto e ripetuto, anzi ha fallo meglio che dirlo e ripelerlo., egli III. 52 410 DELLA FORZA UMANA ha provato die la buona milizia e il fondamenlo di luUl gli stati; e dove quesla non sia, non possono essere, dic'egli, ne Icggi buone, ne alcun'altra cosa buona. Le lodi della pace sono in tulle le bocche, materia di versi^ ma- teria di prose; tenia caro alle scuole e alle accademie; e degno di esser caro alle scuole e alle accademie non meno che a tutli gli uo- mini: poiclie qual e che Irovi difficolla a fare, o non oda volenlieri il panegirico di cosa che si presenta in si leggiadro ed amabil modo, che produce tanti beni si manifesti e presenli, coni'e la pace; ed an- cor piu se pongasi a riscontro del suo conlrario; dico di quelFaltra cosa che si affaccia sotto forme si brulle, si paurose, tulla lacera le vesti, tulla lorda di sangue, che nianda gridi si tremendi, che cagiona si orribili disastri, come la guerra? E bene: il filosofo che non tanto si lascia porlar via dai casi di un individuo o di alcuni individui, di una famiglia o di alcune famiglie, di un paese o d' alcuni paesi, d'una provincia o di alcune provincie; non tanto, io dico, die non abbia la potenza di tenere sollevata la mentc al complesso delle genti e dei popoli, per meltcrsi sotto gli occhi lo spcltacolo deirintero genere umano; il filosofo che puo soverchiare il parlicolare per inollrarsi nel- r universale, la cronaca per andare nella storia, il vicino per correre nel lontano, il presente per relrocedere nel passalo o per ispingersi nel futuro; il filosofo piange certo anch'egli sui mali particolari ed attuali degli uomini; loda anch'egli la pace, ma giustifica ad un tempo la guerra: ne solo la giustifica, ma ne prova la necessita; ne solo qucsta ne prova, ma i benefizii ne manifesta ed enumcra. Le buone idee sono opera si degrintelletti, ma le utili istituzioni provenienti dalle buone idee non passano i mari ed i monti, non altraversano le lande ed i deserti, non si diffondono, in breve, largamenle che per opera delle mani armate. Veneriamo, senza Paudacia di cercarne i motivi, o di fame de'commenti, veneriamo questo decreto che viene dalFalto, e la prova del quale e scritta in tutte quante le pagine di tulle le sto- rie. Gia ben sapcle che una grftnde villoria ha aperla la via ad ogni nuovo gran passo che desse la civilta nel mondo: ben sapele, per esempio, die non furono ne parole ne libri i quali portassero la greca DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 41 i in molte pavli dclFAsia, o spargesscro la lalina per tante deirEu- ropa, ma ben la falange macedone e le legloni romane. Qiiello ch e accadulo sollo i noslri occhi, niuno ha bisogno che io lo venga a dire: diro sol queslo, che si trovera forse d'accordo con tuUi i savii chiiin- que congctluri che gli scritti degli Europei , ne le prediche de' mis- sionarii polranno mai far uscire alcuni popoli delPAsia da quello sta- gno, a cosi espriniermi, in cui giace immobile da si limghi secoli la scarsa e si mal a proposito da lanti vantala loro civilta, se prima non vada in mezzo di essi la forza fisica d'una nazione assai piu di essi incivilila. E poiche il discorso e tullavia intorno alia parte fisica delFuomo, aggiungiamo che a dilTondere altresi mia maggior perfezione di essa in un piu gran numero d'individui, o piuttosto di popoli, la sloria non put) omai aver lasciato ignorare ad alcuno quel che importi la guerra c la conquisla. Merce di questa le razze forli vanno sostiluen- dosi da per tutto alle deboli: T organizzazione umana si conforma da per tullo a poco a poco sopra quclla tanto migliore deU'europeo. Gia ha cominciato a farlo, per esempio, neirAlgeria: gia da molti e moiti anni precede verso tal meta nelPIndoslan: a Madras, a Calcutta vive una popolazione tutta anglo-indiana: gia le pelli rosse spariscono in mezzo de'puritani: nella Nuova Galles del sud vansi formando delle colonie ibride che sembrano deslinate a popolare lulte le isole di quello strelto. Come un'osscrvazione costante ci assicura che anche nel ri- manente delfanimalita le razze piccole ed imperfelle, i cavalli, per esempio, selvaggi dei Tartar!, i cani-lupi delle foresle germaniche, di- spariscono grade grade dalla faccia del globo, compenetrandosi, e in certa guisa rinascendo nelle razze energiche e superior!; e come ve- diamo altresi tra' vegetabili le belle specie coltivate ed ingrandite da noi, impossessarsi progressivamente di tutto lo spazio, e andar ogni di piu concentrando nel loro seno le selvaggie e primitive; cosi di mano in mano che i forti portano il piede e stanziano su d'una o d altra parte del globo, essi vanno innalzando al loro il tipo inferiore che ivi ritrovano della specie umana. La forza fisica dunque delFuomo occupa un grade eminente nel- 412 DELLA FORZA UMANA rumanlta: lo occup.i come opcratricc sopra la natura: lo occupa co- me operalrice sopra i desllni, e le forme slesse deirumanila mede- sima. v.- lo dissi, ch'cssa, qiiesla forza, non ha e non puo avere molta im- portanza, oggi specialmente. se non qualora si prenda a considerarla alluata da una unionc piu o men grande d'individui; cli'essa quindi non ne ha alcuna o quasi alcuna considcrandola negh individui stessi. INe mi disdico. E hen chiaro per allro che ad csser posta in alto da una unione d'uomini, e necessario che ciascuno vi metta la sua parte. Ma della parte di ciascuno non facciamo molto conto, perche guardata soltanlo in se medesima non la reputiamo, ed infatti non si puo re- putarla capace di operarc qualche notahile effetto. A diflerenza della forza del pensiero c di quella delPanimo, ciascuna delle quali quando ollrepassi, anche in un solo individuo, i termini comuni, si procaccia la stima degli uomini; perche gli uomini sanno ch'esse, cosi pure in- dividuate, valgono a farsi produttrici di tali frutti che meritino la ri- conoscenza, Tamorc e la maraviglia universale. Dico individuate; e quanto piu se si consideri ciascuna di esse congiunta ad altre forze della sua stessa natura in quelle aggregazioni d' individui che chia- miamo popoli! La forza fisica, I'abhiamo vcduto, vale certo ad introdurre in un popolo una forza grande di pensiero e d'animo. Potrei anzi aggiun- gere che tanlo meglio vale quanto maggiormente si trova posta in atlo; poiche certo le piu magnanime azioni si compierono, le piu alte ed estese idee si svilupparono, le piu grandi, le piu utili scopertc si fecero tra tutti i popoli appunto quand' era prcsso di loro nella sua maggior agilazione questa forza medesima. E ne parli pur diversa- menle chi vuole; io me gli arrendero quand'ei sara giunto a cancel- lare dalla memoria degli uomini i tempi d'Alessandro, di Cesare, di Carlo, di Luigi, di Federico e quelli di Napoleone. Ma a me or giova di accennare che,viceversa, la forza del pensiero, ahneno quanta ne oc- DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 4 I 3 corra, e soprattullo quella, quella sopraltulto dciranimo vale a inante- nere, ad accresccre, a rcgolare in un popolo, a rlmeltcre la sua forza fisica. Nel qual proposito, niuno qui ccrlo ha bisogno che si ricordi come di forza d'animo essendo divenuti poverissinii i popoli della Gre- cia, non polcrono contro la forza fisica dc' Romani niente di cio che aveano polulo lante volte contro quella degli Asiatici; e furono in que- sto assai inferiori a' Sanniti, tanto piii scarsi di loro in numero, tanto mono abituati in guerra. E la forza fisica stessa de' Romani, che sa- rebbc divcnula dopo la sconfilla di Canne, sc non fosse stala presta- mente rimessa da quella loro immensa forza d'animo? da quella forza, io dico, per la quale i poderi vicini a Roma, sopra cui i Carlaginesi avcvano gia pianlati i loro alloggiamenii, messi in quel tempo slesso in vendila, niente perderono del loro prezzo. E dove, Signori, dove in altro che in quesla forza medesima i Greci moderni trovarono il modo di riaver tanto vigore nel braccio quanto bastasse a riguadagnar la terra che calcano, e a salutar nuovamente per proprio il sole del- I'Atlica? Della forza del pensiero, considerata generalmente nel corso dei secoli e dei popoli, notero sol questo, ch'essa porta con se molto chiara Timmagine del tempo e della nazione. II pensiero sino ad un certo grado non ha altra impronta che quella deirumanita; ma oltre a questo grado^ cioe quando diviene una forza straordinaria, acquista un tal modo, un tal atto, tanto s'incorpora delle condizioni de' luo- ghi e dei tempi, che puo bastare da se solo a far conoscere quando ci sia venuto, e d'onde ci venga. Togliamo pure le date; quanto non sono distinti i grandi pensieri antichi da quelli dei mezzi tempi, e quanto questi da quelli de' moderni ! Sopprimiamo pure la differenza delle lingue; chi confonderebbe un pensiero orienlale con un greco, od un greco con un romano? E la forza del pensiero ne' Tedeschi chi or la potria scambiare con quella de' Francesi, e quella de' Francesi con quella degP ItalianI? i quali forse piu ch'altri devono consolarsi assai che una certa nazionalita provenga anche dalla forza del pen- siero. 414 DELLA FORZA UMANA m. Ma poiche quesla c la forza non meno dciranimo possono dare molta e degna materia di discorso, qiiando pur si considcrino singo- larmente negl'individui, come quelle che sono Tuna e Faltra, anche operando come forze individuali, di tanta efficacia, onde farsi meri- tevoli d'allissima slima; c poiche il parlarne guardandole cosi, e tanto meno difficile, e puo essere forse tanlo piu sicuro ed utile, soffermia- moci qui ora a riguardarle unicamente in si falta guisa. E prima di lutto mi piace che le osserviamo un istante trovanlisi ambedue congiunle in un solo uomo; e prima ancora non pure con- giunte in un solo uomo, ma Tuna e Taltra immedesimate per guisa che cospirino ambedue alio stesso identico fine. Del che ne diedero esem- pio quegli uomini rarissimi, e vero, ma non tanto che non abbia mo- tivo d'onorarsi d'alcuno, quasi ad ogni generazione, la specie umana; quegli uomini ne' quali una grande idea non avrebbe mai potulo giun- gere alia sua maggior potenza, o la potenza di una grande idea non avrebbe mai potuto cffelluarsi senza I'opera egualmente e piu "vigorosa e conlemporanea del loro proprio sentimento. Vedele: ecco un giovane, sin I'altro di poco noto, ora famoso, e la cui fama durera, senza iperbole, quanto gli astri. Egli pensa che i movimenti irregolari d'Urano sieno cagionati dall'azione di un pianeta sconosciuto che si aggiri ad una inunensa distanza da esso. Questa forza speculativa del pensiero non gli era veramenlc lulla sua propria; essa gli vcnne in gran parte dal progresso della scienza. Fu tulla sua propria Fabilila di soltoporla ad un iucessante esperimenlo difficilissimo di calcolo, e specialmenlc fu tulta sua propria la forza d'animo, onde pcrsevero per anni ed anni ad aiTaticarsi in calcoli di una spavenlosa lunghezza, e con appena la pro- babilita dellelYetlo: il qual poi gli riusci, come niuno ignora, tanlo solenne e sicuro, che pole scrivere a Bcrlino: Guardate nel tal punto dello spa- zio, ad un tale istante; vi dev'essere un pianeta; cercatelo, lo troverete; annunziatelo al mondo. Ma io confesso che ammiro per questo di che ragiono, sopra quanti ne ricordi o innanzi o dopo di lui la sloria, io am- DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCIIETTI 415 inii'O Crisloloro Colombo. Polclie lasciando da parte rimporlanza effel- tiva della sua scoperta, di cui sarehbo piii die soverchio a parlare, tras- portiamoci al suo tempo, ed Immaginiamo qual forza di pensicro debba esscre stata in lui per portarlo al suo alto concepimento; qual forza di ]>cnsiero per tenervcio saldo nullaostante Ic opposizioni di moiti fra nieglio pensanli del suo secolo. E nulladimeno, a quesla forza gran- dissima si puo trovare obi nc scemi tanto o quanlo la lode, ricor- dando que' lampi che balenarono nella mente di alcuni altri, e nel suo tempo stesso e negli anteriori. Ma le uniche e piu profonde radici della sua forza d'animo, clii le vorra cercare, e volendo, chi potrebbe trovarle altrove fuorcbe nelP intimo del cuor suo? Mirabil uomo il Co- lombo quando pensava; piu mirabile assai, a senso mio, quando, sulla fede del suo proprio pensiero, ei leva Tancora, lascia i lidi delF An- dalusia, e si abbandona almare. E poicbe abbiam qui messi vicini questi due nomi, noliamo passando cosa gia notala tante volte, ma notevole pur sempre, dico la differenza de' tempi o de' luogbi o della fortuna. Lc Yerrier ritorna dal suo viaggio di calcoli, dopo la sco- perta dell'astro con onori, con pensioni, con la slatua; Colombo ri- torna dal terzo suo viaggio deH'Oceano, dopo la scoperta di un altro mondo, con le catene ai piedi. Non tanto immedesimate, ma ben corrispondentisi Tuna all'altra si scorgono queste due forze, delle quali parliamo, in quegli uomini, onore ancb'essi grandissimo del genere umano^ i quali congetturando a che pericoli si esponessero, o piuttosto sapendo a che mali andas- sero incontro se lasciavansi portare in certe materie alia forza del loro pensicro, nulladimeno vi si diedero abbandonatamente in preda, gia apparecchiati a contrastare a' pericoli, a sopportarc i mali con una potente forza danimo. lo sopra tutto mi compiaccio ed in me stesso esullo quando la storia mi fa incontrare in quegli uomini che mostra- rono queste due forze nelFalto che si sostengono scambievolmcnle e s invigoriscono. Certo e meno difficile di trovare che la forza delFani- mo sia venuta in aiuto di quella del pensiero; ma non e poi lanto rarissimo d'imbattersi anche in qualchc caso in cui la forza del pen- siero si facesse a soccorrere quella stessa dellanimo. Del che gli an- 416 DELLA FORZA UMANA liclii n' ebbcro un solcnnc esempio o piuttoslo un tipo in Socralo, quando innalzava la sua mente c la leneva fra piii alii argomenli clie iili provasscro una vita (lural)ile, c il mantcncssero saklo contro al- r istinlo clella nalura che pur dovea sospingerlo a dolersi a cagioue di quella clic slava la la per pcrderc. E gli uomini del mezzo tempo lo poterono vedere con altrcltanto di maraviglia in Severino Boezio, che dairintelletto lulto volto a filosofici ragionanienti, trassc piu forse di quanto gli occorreva a sostenere animosamente il lungo carcere, e non meno la niinaccia continua di quella tragica morte che in fine gli diedero. E i nostri padri, oh, qual esempio di qucsto non ebbero anche i nostri padri! Inlendo in Lavoisier che instava di prohingare lagonia, per avere un poco di piu tempo a rimanersi Ira la scienza. Ma che dico io di prolungare Tagonia, s'ei gia non la sentiva lutto compreso com' era dalla gioia del pensiero! . . . Oh quesle due forze, quando si Irovino straordinariamente sviluppate e congiunte in un solo uomo, in qualuuque guisa vi si trovino, con qual si voglia corrispon- denza tra di esse si stieno, per qual si voglia motivo operino, Io ren- dono ben decno deir universale ammirazione e venerazione! E certo devono renderlo, o Signori, se una sola puo baslare; e gia vediamo che basta a produr molto di questo cfl'etlo. Lo produce in ispecialita, e deve produrlo la forza deiranimo; poiche un uomo, bcn- che non mostri niente di straordinario in quella del pensiero, quando manilesli una potenza grande in questa delTanimo, ed abbia occasione di attuarla in condizioni piu o meno important! e solenni, gia da di se uno speltacolo, non solo degno, ma che gli uomini repulano in certa guisa compiuto. Per contrario, chi dispiega una forza grande nel pensiero, ma non puo fame vedere una di corrispondente nelPanlmo, e pill se di questa e in difetto; egli eccita cerlo la maraviglia come sempre una forza che superi Tordinario; ma e inevitabiie agli uomini di scorgere nella sua natura un non so che di manchevole, una cosa che porta con se una certa imperfezione; e quindi e loro inevitabiie DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 4 1 7 tli non poler reslare appieno appagati, di dover rlmanerc con desi- dei'io. Che desidcrianio IcsJiendo le vile di Arislide, di Teniistocle, degli Scipioni, di Calone, di altri uomini di siniil tempera, venendo in gill fino a quelle del \\ asliinglon e del De Paoli? Ma non senza qualolie dcsiderio puo rinianerc ruonio di forti c nobili sentimenti, quando si faccia a leggere le vite di Aristolile, di Platone, di Livio, di Virgilio, di niolti altri tali, venendo in giii sine a quelle del Lin- neo, del \ico, del Monti. INe alcuno vorra uscire in biasinii verso di quesli, se consideri che una potente manifeslazione nella forza del pen- siero dev' essere d' impedimento grande ad un vigoroso dispiegarsi in quella deiranimo. Dev'esscrlo, perche la prima vive c pero si ali- menla in un mondo che per lo piu diverse dal mondo in cui vive e si alimenla la seconda. La prima sta sopra tutto nel mondo delle idee; la seconda in quelle delle azioni: la prima e coslretla quasi sem- pre a dilungarsi come piu puo da tutte le cose che ci stanno d in- lorno ; per contrario, la seconda dee invece rimaner quasi sempre, come piu le conceduto, tra di esse. Or, le forze umane sono bene im done di Dio, ma in sola la polenza: il melterle in atlo e unica- mente opera dell'esercizio. E pero il tempo che sMmpiega ad eserci- lare la forza del pensiero e ben necessario che di frequente lo si lolga airesercizio di quella deHanimo, se Tuna si Irova in luogo ch'e spesso tanto diverse da quelle in cui sta Taltra, e se Tuna e lallra si addrizzano ad inlendimenti che spesso non hanno niente di comunc. Vedete, Signori, che io giustifico, o piuttosto scuso di buon grado Tuomo in cui la forza delf animo non corrisponda a quella grande del pensiero: ma non vorrei che quesle giuslificazioni, o meglio que- ste scuse, non dice gia da voi, ma da altri si estendessero per av- ventura oltre al debito, ne in quanto agli uomini, ne in quanto alia cosa. Non in quanto agli uomini, perche il mio discorso e bene appli- cabile a quelli ne' quali la forza del pensiero sia proceduta e conti- nui in un grade eminente, e pero si eserciti in certa guisa al di so- pra del corso delle vicende umane ; ma non gia a niuno di que' tanti in cui non oltrenassi il consueto alia ceneralita deijli uomini che si occupano negli sludii. Non in quanto alia cosa, perche si puo bene III. 53 418 DELLA FORZA U.MANA scusarc la maucanza della forza deiranimo; nia non il siio opposlo; si put) scusare la debolezza, ma non mai la villa. Scuso Tullio, ma non vSalluslio; il Moro, ma non Baconc; il Tasso, ma non il Guic- ciardino. Anzi sono tanto hingi dairiiilendcre a qucslo, chc conles- sero liberamcnle, chc il vedcre un nomo il qual piu o meno si solleva sopra r universale per la potenza delle idee o dellc immagini o per lesprcssione di clevati senlimenli, e die in pari tempo si Irova nello slesso lango di molli, e a niolli piu sla soUo quando ponga in alto idee, immagini o senlimenli per conlo suo proprio nc' casi della vita, come quegli die si aggira volentieri ne' corligianesclii labirinli, die nienle si spavenla di usare Ic simulazioni o le dissimulazioni, die va in traccia da per tulto di clii il protegga o il lodi, die vuol far largo in ogni guisa al suo merilo, die intende a far acquisto per ogni mode o di danaro o di onorl o di gradi, non si vergognando di mettersi per cio in qual si voglia slrada, e di scendere per anco in giu in gill sino agl' inlriglii femminili; confessero liberamente, io dico, die il vedere un lal uomo si commendevole per la forza del pensiero, e si biasimevole, non gia pel difelto in quella deiranimo, ma pel suo con- Irario, mi e di tanto brullo, di tanlo inlollerabile spelUicolo, die non solo il fuggo cogli ocelli, ma volentieri allrcsi coUa penna. VIII. Che se da esso fuggendo, or volessimo, Signori, discorrere alquaiilo i motivi, la natura, gli cffelti di queslc due forze, considerandole in- dipendentemente da ogni relazione delTuna verso dellallra, osservando ciascuna di esse in se medesima, ed enlrando in lutli i particolari de- gli svariatissimi aspelli co' quali ciascuna di esse puo manifestarsi ; gia avremmo un' ampia maleria da occupare non poche faccie, ma degli inlicri volumi. Poiclie, siccoine la forza umaiia si dispiega in que' tre modi di cui abbiamo sino ad ora falto qualche cenno generalissimo; cosi ciascuno di essi modi puo dispiegarsi sollo varie forme, \edeni- ino la forza fisica assumerne tre di molto thverse. E quanle non ne puo ricevere quella deiranimo! Eccovi, per esempio, il coraggio che DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCHETTI 4 1 f* va incontro ai pcricoli c li affronta: eccovi la rasscgnazlonc che soj)- porla scnza qucrcle i inali: eccovi il dccoro che non da ne pur vista d'accorgersi delle Irascuranzc o delle ingiustc preferenze: eccovi la coslanza che per andarc ad un nobile intendimento indura volentieri le Iiinghe fatiche, e quasi non si avvede del tempo. Saria colpa se non ricordassimo anche quelFaspetto in cui e assai piu difficile che in ogni aUro il manil'estarsi di questa forza. E certo hisogna che sia difficile, difficile niollo, poiche chi legga le storie o giri inlorno gli occhi, Irovera un numero non piccolo d'uomini forti in varie guise neiravversa fortuna: ma quanti pochi nella buona! Molli seppero o sanno toUerare vigorosamente il peso della poverlti, delle dimenticanze, dei disprezzi, anco degl'insulti, delle carceri, degli esilii e s'allro v"ha di peggio; ma I'ari, rarissimi furono c sono quelli che potessero o possano sopportare da forti il peso della ricchezza o della potenza o della gloria. Napoleone che dispiego una si grandissinia forza d'ani- mo, di cui ne diede prove tanlo svariate e slraordinarie ne' primi anni della sua vita, e tante piu, benche in genere diverso, negli ul- timi, non resse ne pur egli a questo peso. Le condizioni delFuomo rendono quasi unico il suo esempio, lo so; ma voi sapete altrettanto che se ne potrebbero citare piu che molti e molti in tutle. INon e poi bisogno dirvi, se voi stessi ne date qui a voi mede- simi un si bell' esempio; non e bisogno dirvi, o Signori, che la forza del pensiero si mostra pur essa sotto moltiplici aspelli assai diversi tra di loro. Yi c la forza che persiste, vi e quella che si slancia: vi e la forza investigatricc degli esseri sensibili, vi e quella che li tra- passa e si esercita nelle aslrazioni. L'una e potente sopra le cose, I'al- tra sopra gli uomini; e tpiesta s' interna nelle idee c negli afletti al- trui per condurli alia guisa di Nestore, od a quella d'Ulisse, alia guisa degli oratori, o a quella dei diplomatici. Vi e la forza che rimane vo- lentieri tra le realta per indagarne gli accidenti, scoprirne le leggi eil ascendere ai principii: essa e quella che si allarga ad operare nelle svariatissinie parti dell'ampio campo filosofico. Vi e la forza che delle realta non si vale che come d'altrellanti maleriali per crearsi un mondo in cui li disponga ed architelli a suo grado, ed in cui possa altuarsi. 420- DELLA FOP.Z.V UMANA sccondo chc piu lo piace, dal breve passo delP epigraninia al lungo vlaggio del poema. \i e la forza che ricorda, vi c quclla chc ragiona; vi c la forza che si dlslendc fuori di sc niedeslma, vi c qucUa chc tuUa in sc slcssa si rivolge c concenlra Ma se a discorrerc le mol- lipHci foriue sotto allc qiiali puo manilcslarsi la forza del pensicro c quclla pur deiranimo, sarchbc materia, come dissi, di volumi, non puo esscrc ne pure lanlo breve quclla di solo cnumerarlc. IX. Giova pero cho Tabbiamo toccata, pcrche risalendo ora alia ge- ncralita dcirargomcnlo ci vale a non chiudcrlo senza considcrar pri- ma un istantc, un solo istanle, come la forza umana si sviluppi, si manlenga, si accresca, s'invigorisca. Essa il fa, Signori, alia guisa stessa chc gia il fanno luttc quante le forzc che conosciamo, cioe mediantc i conlrasti. Toglicle qucsti, e la forza umana e per inlicro distrutta. Or i conlrasti le vcngono in parte dal di fuori; pcrche ccrto la na- tura, cd anco cio chc chiamiamo la forluna, la qual non c infinc se non la nalura slcssa opcralrice per cause ignole, muovono una gucrra conlinua all'umanila, cir c tanto nuova quanto c peregrina su qucslo globo; ed c ben mcslicrl ciressa escrciti la sua forza se vuol resistere, se vuol durare, sc vuol vinccre. Onde in mollc di quelle cose sopra le quali il massimo numero degli uomini piange come sopra disgra- zic, o sc nc lamcnla come crimpedimenti, o sc ne querela come di mali, il vero filosofo vede c bencdicc invccc la mano della Provvi- (Icnza chc voile sollcvala con I'opera loro si alia la dignita, c tcnere in si emincnte grado la polcnza della nostra specie in mezzo a tutta quanta la crcazionc. Ma altri conlrasti, c non minori, la forza umana trova neirintimo di se medesima. 1 trc modi principali in cui abbiam vcdulo ch'essa puo dispicgarsi non cessarono nc cesscranno mai di avere piu o mcno vive disscnsioni tra loro. Ycdetc, per csempio, quante volte cd in quante guise il modo fisico non ha ccrcato di comprimere, di abbat- tere, di annullare qucllo della nienle! E bene; questo si riaizo sem- DEL DOTT. GIUSEPPE BIANCIIETTI 42) pre pill vigoroso dalla lotta; nc si puo credere, ed io non credo certo, possibilc che si fosse mai sollevato a tanto vigore a quanlo il vedia- mo, se non avesse avuto da sostenere la lotta. Mi place, senza dub- bio, che gli scritlori, e gll storici specialmente, narrino appunlino i fatli; e il loro uificio. Mi place che versino qiialche lagriina sopra i marlirl del pensiero: chi polrebbe loro negarla? Ma non possono pia- cernii quando se n'cscono, come fanno tanto di spesso, in certe de- clamazioni. Non possono piaccrmi, pcrche guardano a' particolarl, e non badano all' universale; si fermano agli uoniini, e trascurano Tuma- nita; hanno dinanzi agli occhi, poniamo, iin Socrate, un Bruno, un Campanella, un Galileo, un Giannone, ed allri tali degnissimi indivi- dui; ma non considerano quanto i casi loro fossero opportuni, per non dire necessarii, a far cntrare quel modo della forza umana che si manifesta nella mcnle, a farlo entrare in quella nobile ostinazione d'onde Iraesse poscia Timpulso maggiore al suo maggior proijresso. Ne solo tra i diversi modi della forza umana avvensrono i contra- sli de' quali parliamo, ma gia si sono vcduti, e si vedono pur anco continui tra i varii aspelti o le varie forme di un modo medcsimo. Ciascuna di esse e in un'incessante agitazione per andar del pari alle altre o soverchiarle; c da queste perpctue agitazioni di ciascuna for- ma n'csce il maggior vigore di tutto quel modo sotto del quale stanno comprcse. Vedele, per csempio, ancora la forza del pensiero! Avreb- b essa mai potulo allargarsi a tantampiezza di dominio, giungere a lanla energia di potenza in tullo il suo dominio senza le gare che avvennero e che procedeltero spesso in battaglie combaltute tra i varii aspetti sotto i quali le e conceduto di manifestarsi? Certo la storia ci dti ogni motivo per non crederlo; pcrche la storia non mostra mai un processo degno di nota in una forma del pensiero mcdesimo, che gia non ne moslri falto in pari tempo uno di eguale e forse maggiore da quella che le fa riscontro, e che tahoUa ha la sembianza di es- serle opposta. I grandi uomini, in ogni aspetto sotto il quale puo di- spiegarsi questa forza, apparirono sempre conlemporanei. I retori ci parlarono c ci parlano ancora di condizioni, di luoghi e di tempi; ci parlarono e ci parlano sopra tutio di mecenali: la via e larga. po- 42 2 DELIA FORZA UMANA Ircbhe coiuIuito talvolla a' gradi, agli onori; lasciamoveli andare. Ma il filosolo, se non disprezza la potenza di niuna di tali cose, la causa vera ed intrinseca del falto a ciii accennianio la vede unicamenle dov'e, cioe neir agitato contraslo dellc varie forme del pcnsicro; come vede neiragitato contraslo di quelle del corpo il piu grande svolgimento della forza fisica, particolarmente quando si nianilesti nei varii aspetti (leHinduslria; e come vede altresi nell'agilato contrasto di quelle che possono assumere i nobili ed elevati senlimenti il progresso maggiore della forza delFaninio. E gia osservazionc di Tacito che le grandi virtu sono sempre conteniporanee in un popolo anch'esse; e che ivi piu ab- bondano dove piu si apprezzano, e piu si apprezzano dove piu ab- bondano. Or la virtu, come il suo nome stesso significa, non e che la ibrza, la forza delPanimo. Tulto cio che conqione I'universo e in un perpetuo contrasto; e questa grande armonia che vediamo non esce che dai contrast!; e pero non si adagia ne riposa in alcuna parte, ma vien fuori da tutto il complesso delle cose, dalla piu minima alia piu grande. Cosi la forza umana non nasce anclfessa, non si mantiene, non si accresce che per opera dei contrasti. Ondc il filosofo che vuol darsi il degno spelta- colo di conlemplarla nella grandezza de' suoi effetli, non la cerca ne- gl'individui, ma nelFumanila; non in queslo od in queirargomenlo, ma in lutte le materie; non neiruno o nelT altro luo2;o, nelKuno o nell nliro tempo, ma neirestensione degli spazii e nella successione dei tempi, cioe nello studio di tutia quanta la storia. Del quale studio rinlclletto di qualunque uomo polrebbe conten- tarsi in si fatio proposito, tanlo e vasto, tanlo e utile, tanlo e mirabile. Ma rintelletto delPuomo e dominate da una curiosita ancor piu forte. Esso fa prova di rctrocedere indietro indielro nel passato fin la quando non erano cominciati per anco i tempi, fin \i\ quando era ben lungi pero ancora Tapparir della storia. Esso vorrebbe conoscere la primis- smia origine della forza umana; la sua primissima comparsa tra le forze DEL DOTT. GIUSEPPE lilANCIlETTl 4 23 del globo; poichc una tal forza scmbra cvidentcniente iin complesso di quelle die esistevano innanzl di lei: esso vorrebbe inoltre conoscere tutto il procedere del suo svilupparsi di grado in grado fino a quel punto in cui si trova da quando ne aljbiamo memoria. E quasi il passato anteriore ai tempi, anteriorc alle sloiie fosse per lui un'investigazione di leggero peso, o se ne fosse di gia impadronito, ei si slancia allresi con mirabile coraggio neiravvenire, e prcsagendo i futuri progressi dclia forza uniana in lulli c Ire i suoi aspelti, si adopera a Irovarc e ad indicare i modi ond'essa monti sempre piu in su per quella linea cbe presupponc apertaci a spira dinanzi, ed a cui diede il nomc di perfet- tibilita indefinita. Queste due ricerchc che trascurano il presente, o clie del presente non si valgono se non per volgersi Tuna di esse al passato e Taltra al fu- luro; queste due ricerche, colF immense numero delle accessorie, gia ben piu di me lo sapete, occupano un largliissimo spazio in quegli esercizii cbe dicianio scienze. Con quale o quanio effetto lo occupino o sieno mai per occuparlo, io nol so. Ma queste so bene che, anche senza o con poco effetto, furono come sono e saranno pur sempre fatiche degnis- sime di quelle menti die tanto piu deggiono reputarsi ele^ate, quanto piu nel solo alio di andare in Iraccia del vero spendono il maggior vicore della loro vita, senlono la cioia massima della loro esistenza. Les- sing diceva, die se Dio tencsse in una mano una verita, e neirallra la potenza di cercarla, e mettesse in suo arbitrio di pregarlo a conce- dergli o la verita, o la potenza di cercarla, saria di quest'ullima cli ei lo pregherebbe. Signori! Io sono con Lcssing. (Lello il -29 AuiCJiiljic 184(j; ' I M D I C E DEllE MATERIE CONITEMJTE W QIESTO VOllJIE A vvertinienlo Pas;- v Elcnco dei Membri delPI. R. Istiluto Veneto " vii Sulla filosofia della fisica, del Dolt. Ambrogio Fusinicri .... 5 Sopra lino scritto del Dott. Jmbrogio Fusinieri risgiiardauie la filosofm della fisica, del Prof. Carlo Conti 2ii Nuova determinazione delle costanti relatke alia resistenza d'at- ttito nel movimento deWacqua pe' luncjhi tubl di coudotla e per fjli alvei, del Prof. Domenico Turazza " 7o Sul pit) facile modo di Irov^are le radici reali delle equazioni al- gebraiche, e sopra un nuovo inetodo per la determinazione delle radici immaginaric, del Prof. Giusto Bellavitis . . > 109 Considerazioni sulle nomenclaUtre chimiche, sugli equivalenti clii- mici e su alcune proprieta che con questi si collegano. del Prof. Giusto Bellavitis < 221 Sugli integrali algebrici d'un sistema di equazioni differenziali. i cui termini sono integrabili per mezzo di trascendenti abe- liane, e sxdla proprieta fondamentale di simili trascendenti. del Prof. Serafino Rafaelc Minich 269 Considerazioni intorno al gcnere ed alia specie in Botanica. del Prof. Roberto de Visiani < 329 Osservazioni e riflessioni sul funicolo ombelicale del feto uniano. del Prof. Francesco Cortese 387 Della forza umana, Discorso^ del Dolt. Giuseppe Bianchetti. - 403 m& ) leiiKirie MI'MUiIoYoIETkI I J i s e. f. (a) ^/L^.^,.,,/C. .yf,... ^ I I I . I I I J I Yol.m.Tav.Tl. mk\ -» ^v •"S^ %.J -**■*''* ,>^-/ ^.V ,--. '^^,"=^m G',A6ostmid!s. VeneziiPiiiii.Kiei ,^,,^- Illllllllllllllf iiilBii!!