^w^^ MEMORIE DI MATEMATICA E DI FISICA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIEIVZE j^IS^IilDISn^IS air MIDIDISBii TOMO XXV. PARTE PRIMA. -^c^Q^^^^iQ^^^;^ MODENA PEI TIPI DELLA R. D. CAMERA. IflDCCCIilI. \o^ INDICE DELLE MEMORIE CONTENUTE IN QUESTA PARTE I.'' DEL TOMO XXV. R. -dazione di una ordinazione di Archetipi e di Stru- menti metrici data dal Governo di Modena in Pa- rigi per mezzo della Società Italiana delle Scienze; scritta dal Segretario GIUSEPPE BIANCHI . pag. (i) Procés verbal des opérations de vérification qui ont été faites sur les Instruments et sur les Étalons de mesure métriques et pondéraux destinés au Duché de Modéne; del Socio onorario V. REGNAULT „ (19) Elenco di Libri e Opere offerte in dono alla Società nel biennio i85o-i85i ,5 (3i) Elenco dei più recenti lavori dei Membri Attuali della Società, pubblicati fuori degli Atti della medesima „ (36) Statuto della Società Italiana delle Scienze . . . „ {4o) Catalogo de' Membri componenti la medesima . . „ (48) Su le Operazioni inverse dell' Aritmetica; Memoria del Socio Attuale Professore GASPARE MAINARDI „ i Di un facile Problema di Geometria, rimarcabile per la novità delle conseguenze: Esame; dello stesso „ 84 Tavola sinottica dei Generi spettanti alla classe degli Insetti Artroidignati, Hémiptera, Linn. Latr. - Rhyn- gota, Fab. - Rhynchota, Burm. ; Memoria del Socio Attuale Sig. Marchese MASSIMILIANO SPINOLA „ 43 Di alcuni Generi d' Insetti Artroidignati nuovamente proposti DALLO STESSO, nella sua Tavola sinottica di questo ordine, che precede la presente Memoria „ loi Suir Eziologia della Glucosuria, Considerazioni del Socio Attuale Professore MAURIZIO BUFALINI . pag. 179 Su due Libri di Apollonio Pergeo detti delle Inclina- zioni, e sulle diverse Restituzioni di essi ; Disqui- sizione del Socio Attuale Cavaliere VINCENZO FLAUTI „ ai23 Sopra il fenomeno che si osserva nelle Calamite tem- porarie di non cessar totalmente, né quasi total- mente, l'attrazione fra la calamita e l'ancora quando, al cessar della corrente nel filo conduttore avvolto alla calamita, si conserva 1' ancora ad essa appli- cata; Memoria del Vice -segretario Dottore Inge- gnere PIETRO DOMENICO MARIANINI. Presen- tata dal Socio Professore Giovanni Brignoli de Brun- NHOFF ed approvata dal Socio Cavaliere Professore Giuseppe Belli ,5 a37 Sulla insussistenza della Generazione spontanea; Me- moria del Socio Attuale Dottore GIULIO SANDRI „ aSg RELAZIONE DI UM 0RD1^AZI0NE DI ARCHETIPI E DI STRUMENTI METRICI DATA DAL GOVERNO DI MODENA m PARIGI PER MEZZO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE •ttXS}4^»— iNella storia e tra i fasti, che segnan epoca memoranda e gloriosa degl' Istituti Nazionali fondati dalla pubblica o privata sapienza per 1' avanzamento delle umane cognizioni e a tal fine protetti dalla munificenza de' Sovrani e de' Governi, egli è senza dubbio un titolo del più nobile compiacimento e degno della più conimendevol menzione quello che le Accademie stesse o Comunanze scientifiche cooperino richieste di ogni loro senno e consiglio ai civili provvedimenti della più manifesta e gene- rale utilità. Perocché il pubblico servigio eh' esse rendono in simili casi ai beni e vantaggi della civile Società, oltre ad es- sere una specie di equo ricambio al grado di estimazione e d' onore in che son tenute e al favore onde sono animate e promosse dall' autorità de' Principi e de' Magistrati, raggiunge poi anche e compiutamente soddisfa l'ultimo scopo cui siffatte Istituzioni debbon proporsi, qual è di sovvenire ai comuni bi- sogni sì morali che fisici e crescerne la sociale prosperità me- diante gli ottenuti perfezionamenti delle varie scientifiche ap- plicazioni, avverandosi ognora e in ogni rispetto che nisi utile quod facìmus, stulta est gloria. Egli è così che le principali Accademie della eulta Europa e del nuovo Mondo civilizzato acquistarono il maggior loro lustro e la più giusta celebrità, coli' avvantaggiare cioè del frutto di loro speculazioni e sco- perte le condizioni sociali e a Sé procurandone la pubblica Tomo XXV. P.'« /." I p (-) benemerenza. Di che a non produrre che un solo esempio, però il più luminoso, basti accennare le ampie e ardue opera- zioni cui diede impulso norma ed eseguimento 1' Accademia delle scienze di Parigi per la più esatta determinazione della raudezza e figura della terra al divisato fine ottenutone di fissar un tipo naturale di misura invariabile , cui potessero adottare con intelligenza e favella comune tutti i popoli, im- portantissimo oggetto nelle mutue relazioni de' medesimi e pel quale il francese Istituto scientifico, anche senza i grandi nomi e le opere insigni che lo hanno illustrato, è a dire il primo e più benemerito in Europa fra simili Consessi della sapienza di una Nazione. Per la l)uona ventura, qual è la saggezza di un Sovrano e del suo Governo del pari illuminati, offerivasi pure non ha guari alla nostra Società italiana delle scienze un' occasione propizia di prestar utilmente il proprio concorso ad un pub- l)lico intendimento, parziale bensì ma dello stesso genere di quello che abbiam testé recato ad esempio, ed essa pure non ha mancato di coglierla e risponderne all' onorevol invito su- periore di adoperarvisi con ogni premura. E siccome il risul- tamento più felice ha coronato a tale proposito le concordi mire e disposizioni dell'Autorità civile e del Corpo accademico, io penso così che sia di qualche pregio e importanza il pre- sentare in questo scritto un breve sunto del pubblico servigio adempiuto dalla nostra Società, per tramandarne ai lontani e ai venturi la contezza ; e sono ben lieto di aprirne con si bello argomento, e quasi per una speciale e straordinaria continua- zione degli Atti sociali, il Tomo vigesimo quinto delle nostre Memorie. Un Sovrano Editto del regnante Duca e Auspice nostro Francesco V., in data de' 17 Ottobre 1849, portò a legge di abbandonar col principio del i85a in tutta l'estensione de' Suoi Domini le antiche misure, e di sostituirvi quelle del nuovo Si- stema metrico decimale, riconosciuto incontrastabilmente il mi- gliore, e dalla Francia, che lo rinvenne e perfezionò, adottato (3) dipoi e seguito praticamente. Fermava il Decreto medesimo che, a base delle nuove misure di lunghezza e di peso, se ne commetterebbero a Parigi gli archetipi da essere colà ben ri- conosciuti al più esatto paragone coi francesi prima che a noi si spedissero, e di tutto affidavasi 1' adempimento al Ministro delle Regie Finanze, 1' Eccellenza del Sig. Ferdinando Castel- lani-Tarabini che non indugiò a prenderne e realizzarne gli opportuni divisamenti. Fra i quali offerendosi il primo quello di aver in Parigi persona che per sapere atto fòsse a ben re- golare e garantire la confezione de' richiesti archetipi e per cortesia d' animo ne accettasse 1' incarico, ne venne tosto al Ministro suggerita 1' idea poter a ciò giovare la Società italiana delie scienze col mezzo di alcuno degl' illustri Membri francesi ond' essa cotanto si adorna. Rivoltone quindi conforme invito con pregiata Lettera Ministeriale al Presidente della Società stessa, il Sig. Cavaliere Stefano Marianini, non esitava questi a secondale un si onorevole ed util progetto e sceglieva, per pregarlo dell'opera desiderata, il celebre nostro Collega stra- niero Sig. Biot, come quello che al merito più consumato ed eminente negli Studi fisici accoppiava la più profonda e sagace esperienza del caso, acquistata e divisa da lui coli' altro pur celebre nostro Collega Sig. Arago nei grandi lavori che reca- rono a compimento la misura dell' arco di meridiano da Dun- kerque a Formentera. Saggia e avventurosa elezione fatta dal nostro Presidente che preveder non potea quanto il successo in realtà superato avrebbe i voti e l' aspettattiva ! In coerenza di tali premesse lo scrivente e Segretario della Società ebbe ordine di scriver lettera d' officio al prelo- dato Collega Sig. Biot, pregandolo e interessandolo a commet- tere in Parigi la fabbricazione dei desiati archetipi di misura , dirigerne di suo senno ed esperienza gli artisti, e assicurarne il più preciso paragone coi rispettivi archetipi legali della Francia. 11 riscontro, in data i3 luglio 1849, alla mia domanda fu quale poteva attendersi da chi riunisce in sé al massimo grado la dottrina, lo zelo del ben pubblico, e la gentilezza dell' animo (4) e de' modi. Accolta infatti favorevolmente dall'illustre Geometra e Fisico la mia proposta, egli medesimo in una seconda lettera mi dichiarava quali motivi aveanlo indotto ad accettarla e così mi diceva : « Lorsque voiis m avez écrit la première foìs, pour me la confier, j' ai accepté votre proposìtìon par plusìeurs mo- tifs. Le premier était le lìen de confraternite scientifique qui m' attaché à votre illustre Société : le second était V obligation morale qu' ont à mes yeux les hommes de science, de méttre au service des gouvernemens , qui veulent faire une entreprise utile, tous les moyens qu ils peuvent fournir pour la bien éxé- cuter. Enfin, une derniére consideration, qui se rattache à celle là résultait de quelques indications contenues dans votre pre- mière lettre, les quelles me faisaient craindre qu' on ne vous eut donne des renseignements peu éxacts , sur les moyens les plus propres à ejfectuer convenablement V opèration importante , que V on s' était proposeé dans votre pays. » E già, quanto al primo degli accennati motivi egli erasi espresso innanzi : « L' inter- vention d' une Société scientifique aussi èlevèe que la Société italienne des sciences, m' a paru ne devoìr étre employée , qu' à des obiets d' une importance et d' une utilité véritables. C est dans ces sentimens que Je suis entré dans tous les détails qui m' ont semblé necéssaires pour atteindre ce doublé but. » Li quali sentimenti, come appalesan 1' animo retto nobile ed ele- vato donde partivano, cosi non potean concepirsi più cortesi e lusinghieri verso il mio Governo e la Società nostra cui erano indirizzati. Per quanto concerne ai particolari dell' ordinazione avve- dutamente da Biot suggeriti, egli proponeva innanzi tutto che, a scopo e vantaggio sì civile che scientifico, il nostro Sistema delle nuove misure fondamentali dovesse comporsi di parecchi archetipi esatti e in ottone del Metro e del Chilogramma, di un Comparatore, di una Macchina per la division rettilinea, e di una Bilancia di precisione. II lusso dei grandi Campioni in tutto platino è ora da buoni argomenti non approvato, e util- mente se ne preferisce il maggior numero di essi in ottone (5) semplice, non di leggieri ossidabile quanto il ferro, e la duplice terminazione del metro a piani e a segni, che permettono la conferma successiva e scambievole del conservato valore o ne accusano le avvenute relative alterazioni. Mancati poi all' ec- cellenza di simili costruzioni gli Artisti francesi più abili e in- telligenti, quali erano Fortin e Gambey, trasceglieva il Signor Biot i più degni e riputati de' loro successori per affidar ai medesimi la confezione dell'indicato Sistema; né di certo po- teva egli farcene una scelta e proposta migliore, quanto com- mettendo la parte dei pesi, cioè bilancia e chilogrammi, a M/ Deleuil, Ottico e Meccanico distintissimo, e quella delle lun- ghezze, cioè comparatore, macchina di divisione e metri, a M/ Perreaux, allievo del Gambey e giovine di maturo ingegno, entrambi noti e premiati per sagacità e importanza di artistiche invenzioni dall'Istituto francese delle scienze. E ben a ragione consigliava e prendeva egli stesso il Biot ogni cura ed avver- tenza in proposito; poiché in siffatte ordinazioni (cito le sue parole ) a il faut soigneusement eviter de s' adresser à de sim- ples marchands, qui vous enverraìent des objets de commerce achétés de mains tierces, au lieu de pìeces scientifiques » ag- giungendo egli poco dopo « en faìt d" appareils de mesures, il vaut mieiix n' en pas avoir que d' en avoir d^ imparfaìts et fi?' inéxacts. Ceux-cy, quelque peu qu' on les paye, soni toujours trop chers. » A sopravvedere infine F opera de' nominati Ar- tisti nella fabbricazione si degli archetipi che degli strumenti, ed accertarne il buon esito, riflettendo egli alla grave sua età di oltre il decimo quinto lustro che avrebbe potuto non consentirli dì attendere sino al compimento di siffatti lavori, delicatamente quanto provvidamente, associavasi nell' assidua direzione de' medesimi un Fisico rei vigore degli anni e all' uopo il più idoneo per ampiezza e profondità di cognizioni , speculative non meno che sperimentali, qual è ovunque noto e apprezzato il Sig. Regnault. Del quale suo intimo Amico e ben degno Collega, così nell' Accademia delle scienze come neir insegnamento pubblico al Collegio di Francia, ove insieme dimorano , egli attestavami con ogni ragione « que personne mieux que lui pourraìt mener V éntreprise à borine fin ; car je puis vous en dire qu aucun physicìen era Europe ne possedè, au merne degré, V esprit de precision, V intelligence des appareils, et la connaissance pratique des art s qui servent à les éxécuter. » Una condizione ancora, e assai rilevante, restava da con- siderarsi e adempiersi per l'ottima e piìi fruttuosa riuscita del progetto, né questa pure sfuggiva alla perspicace attenzione e premura del Cav. Biot che non ommise fin da principio di raccomandarmela. Ed era che fosse dal mio Governo spedita a suo tempo in Parigi persona instrutta di meccanica e di arti, e incaricata di apprendere colà presso gli stessi fabbricatori la costruzione e 1' uso più ragionato e preciso delle nostre mac- chine, assistere alle più delicate sperienze di confronto degli archetipi di misura, e ricevere la formale consegna degli uni e delle altre, liberandone in tal modo, come richiedevan giu- stizia e convenienza, da ogni ulterioi'e garanzia e a termine di operazioni osservate in comune, gì' insigni due Fisici che avean impegno di risponderne. Intorno a che il Sig. Biot esprimevasi chiaramente nella sua prima sovracitata: « Le meilleur partì à prendre, afin d' assurer complettement le succés, ce serait d' en- voyer icì, avant V emballage, quelque jeune Physicien, éxact et laborieux, qui assisterait aux comparaisons , prendraìt une con- naissance pratique des appareìls , et se mettraìt en état de di- riger les applications que votre Gouvernement en voudrait faire. Trois semaines de séjour icì suffiraìent pour cela, s' il etait déja exercé aux operatìons physiques, et surtout s' il y portait le zéle necessaire. » E sopra ciò insistendo nella seconda lettera del 4 Dicembre 18495 soggiungeva : a // est dono indispensable que nous ( M.' Regnault et inoy ) soyons déchargés moralement de toute responsabìlité ulterieure, par une personne qui en aura elle mérne ( des instruments ) verifié le bon emploi. Enfin, 3Ion- sieur., perniettez à ma vieille experìence de vous adresser un conseil, pour vous méme. C est que sì, comme votre lettre V in- dique, vous etes chargé de diriger V application que votre Gou- (7) vernement veut faire de ces appareils, rieri ne poiirra remplacer pour vous la pratìque personnelle que voiis aurez acquise de leur usage, et de leur valeur physìque, sì vouz venez les etiidìer d' avance avec nous à Paris. » Realmente, in seguito al primo da lui emesso consiglio, 1' Eccellenza del sunnominato Ministro delle Finanze invitava il nostro Presidente a proporle Soggetto da inviar a Parigi coli' accennata Missione, al che per non so quale e troppo gentile preoccupazione in mio favore, il Signor Cav. Marianini rispondeva ( ingenuamente ne arrossisco ) non conoscer egli chi meglio di me assumer potesse e lodevolmente sostenere quell' ufficio, si onorevole a un tempo e difficoltoso. Il qual voto e giudizio di amichevole parzialità presentato all' Altezza Reale del Principe nostro riscuotevane 1' approvazione Sovrana, e con essa la facoltà concedutami di recarmi per la detta Missione a Parigi e in qualunque altro luogo reputassi all' uopo giovevole. Confesso il vero che, per motivi miei par- ticolari e non lievi o indifferenti, molto mi ripugnava dapprima di accettare 1' offertomi onore e di procurarmene la dotta e piacevole distrazione di un lungo viaggio interessantissimo, e proposi pure alti'o modo di verificazione degli strumenti e delle misure da eseguirsi fra noi, cui però e a buon dritto il Signor Biot non assentiva. Ma le pei-suasioni di lui, gli eccitamenti di savj ed amici, e soprattutto uno spiegato Cenno verbale del benigno Sovrano mi vinsero, ed io ne sono stato poscia ben pago di aver piegato all'altrui e superiore il mio volere. Circa il disporrai all' impresa e il soddisfarne conscienziosamente ai maggior segno la contratta pubblica ol^bligazione, io ne debbo ancora gli opportuni ammonimenti e le tracce al senno e alla benevolenza del Biot, e mi è dolce attestargliene il mio animo riconoscente, riportando qui un brano di sua lettera colla data .3o Maggio i85o: « Fot re séjonr ici, qui devra peut etre durer un moìs, ne sera pas pour vous un tems d' amusement , cu de loìsir, mais de travail experimental assidu. Quand nous vous aurons introduìt dans V atteìier des Artistes, il f andrà vous met- tre era rapport avec eux par un contact intime, et presque de («) cliaque jour ; il faudra vous inìtier dans leur procédés d' ixé- cutìon et d'appUcatìons. Nous vous explìquerons ceux~cy, sans doute, et M/ Regnault sUrtout, plus disponìble corporellement que mot, vous les exposera pratiquement sur les Instruments métnes. Tout cela joìnt à un éxercice personel et réitéré des opératìons, vous les rendra familiéres, vous en donnera une com- piette intelligence de leurs details, et vous mettra en état de les éxécuter facilement, surement, uvee tonte la rigueur qu'elles éxigent, si vous y étes suffisamment préparé. Mais ceci est une condition presque indispensable pour pouvoir vous les rendre propres, en si peu de tems , de manière à les transporter uti- lement dans votre pays. Si vos études anterieures ont été pu- rement abstraites, vous aurez beaucoup de peine à réussir, comme vous devez le souhaìter. Si au contraire, comme je V éspere , vous etes exercé à la connaissance et au maniement des ìnstru- ments de precision, surtout des Instruments et des observations astronomiques, vous etes certain du succés Pardonnez moi, si j' ose vous parler avec tant de libertà. Je ne dirais pas autre cliose à un Laplace, ou à un Lagrange ( eravamo ben lungi da questo al caso mio ) , et Je ne croirais pas leur man- quer de respect. Ce que je vois, ce que vous voyez sans doute aussi, avant tonte chose, e' est V accomplissement des vues si honorablement libérales de votre gouvernement ; et il ne peut étre obtenu qu aux conditions que je viens de vous exposer. » Che io abbia profittato di così nobile e giusta lezione, prati- candola nel mio soggiorno a Parigi, era di mio stretto dovere il farlo, come d' altri è il merito di avermela data. Da successiva lettera di M/ Biot del 7 Luglio intanto ve- nutomi avviso esser pressocchè al termine la costruzione de' tipi di misura e delle macchine, in sul declinar di quel mese io mi posi in cammino verso la Meti'opoli della Francia e, sof- fermatomi brevemente di passaggio a Milano, Ginevra e Lione, vi arrivai felicemente il terzo giorno d' Agosto. Nel mattino seguente, non riscosso ancora dallo stupor primo alla vista per me novella di tanti magnifici oggetti e al rumor popoloso di (9) quella grande Città, io movea tosto in traccia del mio Direttore e Maestro e, non trovatolo in ora di pomei'iggio al Collegio di Francia, lo raggiunsi che passeggiava solo e ragionando, come ha costume, co' proprj pensieri sotto le ombre più tacite e romite degli annosi boschi del Lussemburgo. Accolto da lui con ogni amorevolezza, da quel punto io più non me ne divisi godendone 1' istruttiva conversazione domestica, 1' assistenza migliore, e i tratti più leali e cortesi della francese ospitalità. Poco appresso io m' incontrava col non meno dotto e gentile di lui Amico il Sig. Regnault che immediatamente mi accom- pagnò e introdusse al laboratorio meccanico del Sig. Perreaux ove, durante la mia dimora in Parigi, mi recai poscia pressoc- chè ogni giorno non festivo ad acquistarne cognizioni ed eser- cizio pratico della Macchina di divisione e del Comparatore, come più tardi fui condotto al Negozio e Gabinetto del Signor Deleuil ad apprendervi la costruzione e l'uso più delicato della Bilancia di precisione. Abbiansì a questo luogo li due egregi Artisti i miei pubblici ringraziamenti per la pazienza e bontà che mi dimostrarono, spiegandomi il magistero e maneggio delle dette macchine. Ora non è del mio assunto il trattenermi a dire di altre cose che mi colmaron di maraviglia e puro di- letto nel mio soggiorno colà; ma non posso e non debbo om- mettere di accennare che, alla prima settimanale Adunanza pubblica della francese Accademia delle scienze il di 5 di Ago- sto, presentato innanzi dal Sig. Biot al celebre Segretario il Sig. Arago, ne venni onorato di accoglienza e seggio distinto fra queir Areopago di moderna sapienza, dove non ha molti anni cogli stessi Arago e Biot sedevano i Laplace e i Lagrange; distinzione ed onore che compartivasi di certo, anzi che alla mia meschinità individuale, al grado e alla rappresentanza mia, qual Membro e Segretario della nostra Società Italica, e quasi che pel mio intervento personalmente si unissero e fraterniz- zassero gì' Istituti scientifici delle nostre Nazioni. E ben io mi compiaceva singolarmente, recandomi ogni volta in appresso a quelle tornate accademiche, di vedervi tra il fiore degli altri Tomo XXV. P.'' I.- n (IO) Dotti gli stranieri nostri Colleghi, il venerando Chimico Thé- nard, il sublime Geometra Caucliy, il sagace Fisico Regnault, e per forza di mente calcolatrice il Colombo del nostro Sistema planetario, il Le-Verrier, ad uno de' quali, il Cauchy, mi strignea pur dolcemente un vincolo di antecedente amicizia, eh' egli di più grato affetto mi accrebbe nell' amena sua villa di Sceaux. Come ne avea formato pensiero, io pur nutriva in me il desi- derio di chiedere in grazia la parola per aprirne i sinceri miei sensi a si ragguardevol Consesso, e svolgerne altresì qualche mia idea di soggetto astronomico; ma ne fui rattenuto da un misto di rispetto e timore, suscitatomi quello alla presenza di tanta dovizia dell'altrui sapere, questo dall'intima persuasione della mia inopia. Al cominciar di Settembre il sistema de' nostri campioni e strumenti metrici era compiuto. Si passava quindi per noi ad eseguire le operazioni più diligenti e scrupolose dei con- fronti coi simili archetipi francesi di misura. Il tipo fondamen- tale si del metro che del chilogramma conservasi, com' è noto, ed è gelosamente custodito negli Archivj Nazionali. Da esso determinaronsi esattamente altri due tipi di arabe le specie da concedersi, colle debite precauzioni, all' uso e alle inchieste, e affidati in custodia, l'uno al Ministro dell'Interno, e l'altro al Direttore e Astronomo principale dell' Ossei'vatorio di Parigi ; che trattandosi di unità primigenia di misura immediatamente dedotta da un meridiano terrestre, com' essa fu domandata alla scienza del cielo, così a questa scienza ei conveniva racco- mandarne un modello per la conservazione e le verificazioni posteriori. AH' istanza fattane dal Sig. Biot consentiva grazio- samente il Sig. Arago di paragonar le novelle nostre misure con quelle dell'Osservatorio, e il secondo Astronomo Sig. Lau- gier, specialmente incaricato di queste e dell' esercizio delle relative Macchine, un eccellente Comparatore e una squisita Bilancia, 1' uno e 1' altra di Gambey, colle più obbliganti ma- niere e con zelo pari all'eminente di lui merito si associò agli esperimenti delle nostre comparazioni, e vi ebbe non poca parte. ('0 Ripetutamente e colle maggiori cautele praticaronsi tali prove e sperienze all' Osservatorio, intervenendovi coi Signori Biot e Regnault e con me li Meccanici Signori Perreaux e Deleuil, e r ottenutone risultamento, soddisfacentissimo, fu quale si leg- gerà nel compilatone processo verbale che riporterò in line. Di presente mi torna grato il rammentarmi che, quasi a buon augurio celeste delle nostre operazioni, mentre la mattina del IO Settembre recatomi per tempo con Peireaux all'Osservatorio vi attendeva nella grande Sala che arrivassero gli altri, scese dall' alto il valente Astronomo Sig. Mauvais che, serenata la notte alla macchina equatoriale vi avea fatto util caccia, co- gliendovi la fuggitiva Cometa telescopica, scoperta però a sua insaputa, e forse per atmosfera più propizia, il 5 Settembre da Brorsen, e il 2,9 Agosto da Bond a Cambridge. Del rimanente, oltre i confronti eseguiti all' Osservatorio sia pei metri come pei chilogrammi, altri pure ne vennero praticati presso M/ Deleuil alla nostra Bilancia e col Chilogramma tipo del Mini- stero, di che sarà detto nel Processo verbale sovraccennato. Quest' atto che in certo qual modo legalizzar dovea le istituite sperienze di verificazione, e accompagnarmi la formale consegna del nostro sistema di misure, consigliato da Biot e concorde al suo motto e procedere per vìas rectas, venne re- datto ed è pregevol opera di Regnault, apponendovi poscia ciascuno le nostre firme, a testimonianza di convincimento e giudizio comune. Gonchiuso 1' atto medesimo e segnato in du- plice originale presso M."^ Biot al Collegio di Francia la mat- tina dell' 1 1 Settembi'e, io lasciava colle più grate rimembranze Parigi il i3 susseguente, e pressato da forti ragioni a rimpa- triare retrocedetti dirittamente sui miei passi e giunsi a casa con prospero viaggio il 2,4 dello stesso mese. Frattanto erano già stati presi a Parigi e a Modena gli opportuni concerti per assicurare che nel lungo cammino e trasporto quell' acquisto ' de' nostri tipi e meccanismi non avesse a sofFi'ire una benché minima scossa ed alterazione, che in oggetti di tanto riguardo e con tanto studio determinati avrebbe rendute vane le solle- citudini e la spesa di procurarseli. Per 1' imballaggio migliore e più garantito il Sig. Regnault ebbe cura gentilmente d'istruirne gli Artisti e prescriverne il modo e le precauzioni più minute. Una volta chiuse e impiombate le Casse, di ampio volume e di gran peso, alla Dogana centrale di Parigi, ottenni promessa io medesimo da quelF urbanissimo Sig. Direttor generale che esse trascoi-rerebbero la Francia senza che più fossero aperte; cosicché inviandole come fissammo per Marsiglia e Livorno direttamente, in quest' ultimo porto sarebbero esse ricevute neir integrità loro e nella perfetta condizione della loro par- tenza. Dal canto del mio Governo 1' Eccellenza del Sig. Conte Giuseppe Forni, Ministro per gli Affari Esteri, avendo rivolto un ufficio all' I. R. Governo di Toscana e pregatolo a conce- dere il transito di quella spedizione di macchine pe'suoi Stati esente dal diritto di visita della Finanza, n' ebbe il più gra- zioso e favorevol riscontro, fino ad esserne accordato il transito stesso libero da tassa e dazio qualunque. Il convoglio avviavasi effettivamente verso la metà del Novembre, ma per una mal- intesa degli speditori da Marsiglia esso trasportato era e conse- gnato in Genova, anziché in Livorno, e da Genova, attraver- sato lo Stato di Parma, esso qui arrivava il dì 7 di Dicembre. Fortunatamente il commesso errore e cangiamento dello stra- dale prefisso non produsse alcun sinistro effetto di apertura e visita doganale delle Casse, o le raccomandazioni altrui ne fos- sero rispettate, o piuttosto 1' avviso del contenuto risparmiasse di lacerarne in alcuna parte i raddoppiati involucri; che altri- menti di certo non era possibile aprirle. Di fatto all' eseguir- sene presso questo Ministero di Finanza, con legale formalità e colle ordinate avvertenze indicateci dai fabbricatori francesi, all' eseguirsene diceva l' accurato riconoscimento fummo tutti lieti e concordi nel giudizio che le Casse ci erano pervenute intatte e senza il minimo indizio di esterno squarcio e lesione che accusasse il tentativo anche solo di esplorazione interna. E come ad uno ad uno ne fui'ono estratti e riscontrati da noi colle Note di spedizione tutti gli oggetti racchiusi, così non (.3) potemmo non ammirare l'eccellente modo usato dell'imballag- gio, perchè ninno di quelli riportasse dal ti'agitto il più lieve detrimento. Né si creda queste riflessioni di niuna importanza o di picciol rilievo; poiché, ripeto, anche un lontano dubbio e una tenue incertezza di alterazione ignota de' nostri archetipi di misura dalle fissate condizioni comparative a quelli di Pa- rigi, annullava pressoché irrimediabilmente il buon esito otte- nuto del mio viaggio ; laonde negli archetipi stessi più non avremmo il vanto e la fiducia di possedere la precisa parte del meridiano terrestre, qual in natura si trova e ne è stata dedotta; e insomma ne avremmo gittati al vento pensieri tempo e dispendio, fallitone del pari e deluso il pubblico servigio. Tocchiam ora di volo i singoli oggetti acquistati e compo- nenti il nostro Sistema di misure metriche : 1. La Macchina per la division rettilinea del Perreaux, po- sata sopra un banco a legno di maogani con piedi o sostegni di ferro fuso, ha la vite micrometrica del passo di mezzo mil- limetro e lunga un metro e due decimetri: è la prima, costrutta dall'Artefice inventore, di tanta lunghezza di vite, col vantag- gio di poter dividere un campione di metro senza traslocamento di questo, o sans raccorci come dicono i Francesi. Essa porge risultamenti della massima precisione mediante 1' artificio inge- gnoso, che r Autore immaginava modificandone il metodo di Ramsden, e da lui detto Sistema a frazioni^ e consiste nella scannellatura spirale ond' é solcata la grossezza del cerchio graduato formante la testa della vite, e in una ruota dentata concentrica ad esso cerchio; artificio che è pur applicabile alla division circolare. 2. Il Comparatore , bello e grande stromento dello stesso Perreaux, posato come l' altro sopra banco a legno di maogani e con simili piedi, gareggia per isquisitezza e perfezion di la- voro con quello di Gambey all' Osservatorio di Parigi, e lo so- pravvanza per 1' aggiunta del moto orizzontale di separazione dei due microscopi anteriori nel senso della lunghezza della macchina, si che i microscopi medesimi possono al bisogno (4) allontanarsi o avvicinarsi, e per 1' aggiunta pure, in uno di essi, di picciol telajo in ferro con bulino all' uopo di tracciar qualche linea o segno arbitrario, il che molto giova in alcune delicate comparazioni. 3. Tre Archetipi del metro in ottone, diligentemente lavorati e divisi da Perreaux, tutti terminati a piani, o come dicono à bouts, distinguonsi uno dall' altro pei Numeri i, a, 3 scolpiti nella grossezza e a metà lunghezza di ciascuno. A conserva- zione, ciascun d' essi è adagiato lievemente, contenuto da cu- scinetti di panno, e ben serrato a chiave entro propria casset- tina di maogani. Appena io potrò farlo, non mancherò fra le prime cure, col mezzo del Comparatore e della macchina di divisione, di costruirmi altro campione di metro a segni, o come dicono à traits^ che è sempre util cosa di avere e ado- perare all' opportunità. 4. La Bilancia di precisione, egregio e fino lavoro di M.' Deleuil, con robusto albero e armatura d' ottone, con sospen- sione a coltello e punte d' acciajo sopra piani di agata, e con lungo indice a esterna vite per aprirne o chiuderne le oscilla- zioni, è la prima che siasi costrutta sopra base o tavola di ferro fuso, inverniciata e levigatissima, escludendone il legno per le troppo facili alterazioni. Chiusa entro cassa con pareti a cri- stallo, due delle quali si alzano e si calano a coulisse contro ciascun piattello per collocar in questo i pesi, le operazioni di equilibrio vi si effettuano in tal modo ad aria non agitata ; e sensibile poi essa al mezzo milligi'amma può sostenere la carica di due chilogrammi in ciascun piattello. Al di sotto de' quali bacinetti essendo praticato un foro nella tavola o base di ferro, con appositi uncini è dato di sospendere inferiormente un corpo e pesarlo nell' acqua distillata o in altro liquido qualunque. 5. Tre Archetipi del chilogramma in ottone massiccio, pre- parati dallo stesso Deleuil, e di forma cilindrica terminata da una parte a bottone, sono esattamente rinchiusi e custoditi in altrettanti astucchi a interna fodera di velluto. Non distinguen- dosi essi uno dall'altro per alcun segno superficiale, che sarebbe ('5) dannoso, e volendo tuttavia riconoscerli, noi qui abbiam apposto esteriormente all' astucchio di due de' medesimi un viglietto coi numeri I e II, che vale a non confonderli fra loro e col terzo, mancante di esterna indicazione e che appelliamo O. 6. Un Chilogramma di ottone massiccio, spezzato in una serie decrescente dal mezzo chilogramma al gramma, e dell' adottata forma comune in ciascun pezzo, è collocato e rinchiuso in una cassetta di noce a fodera interna di velluto. Aggiungesi altra cassettina di maogani, entro cui son distribuite le frazioni del gramma, dall' unità di esso al mezzo milligramma, in laminette di platino e col proprio numero scolpito in ciascuna a fine di riconoscerle. Tre più grandi custodie di noce internamente fo- derate a velluto rinchiudono due grossi pesi o marchi massicci di ottone, di dieci chilogrammi ciascuno, e un simile terzo di cinque chilogrammi per servire alle pesate delle cariche mag- giori. E tutto ciò, a corredo della Bilancia, e di specifico va- lore in peso ben determinato, è opera di M." Deleuil. 7. Tre Termometri normali, o campioni, a meicurio di M.' Fastré, colle divisioni eseguite alla macchina sul vetro e per la lunghezza del tubo, hanno la scala di parti arbitrarie, ma riducibile facilmente alla centigrada mediante i fissati estrerai del disgelo e dell' ebullizione dell'acqua. Il più sensibile e a bulbo maggiore porta una gradazione di ben seicento parti che leg- gonsi distintamente coi loro numeri da o a io in sei rami. Gli altri due, con bulbo e scala minore possono anche servire come igrometri fra li termini assegnati di o" e 2,0° del termo- metro centigrado. E questa che abbiam descritta la compiuta serie dei Mezzi di misura costrutti per noi e che ci furono trasmessi nello stato più perfetto. La singolare cortesia de' Signori Biot e Regnault volle pur aggiungervi il dono di un Esemplare delle Ordinanze e de' Regolamenti francesi intorno 1' attuazione colà stabilita del Sistema metrico, accompagnato dal Volume di tavole de' re- lativi disegni. Ne pare di poter dircene lieti e a ragione su- perbi di una collezione d' oggetti cosi ben eseguiti e scientifi- (i6) ' camente preziosi. A ciò ne abbiam conforto e testimonianza dal più competente giudizio, quello del medesimo Biot che scrivevami in data del a8 Ottobre i85o: « Si tout cela arrive à boti pori, vous aurez la plus parfaite, et la plus compiette collection cV ìnstruments qui ait été jamais combìnée et confe- ctìonée , pour établir un nouveau Sy stéme de Mesures. La Ma- chine à diviser en particulier est d' une précision superieure à tout ce que V on aurait pu méme espérer. y> Di seguito immediatamente al sin qui narrato la Reale Altezza del mio augusto Sovrano degnava di approvare per r organo del Ministro di Finanza e comandava si eseguisse la mia sommessale proposta della più conveniente distribuzione e del più attendibile conservaraento degli archetipi e strumenti metrici, in modo analogo al praticato dalla Francia. Disponevasi quindi che un Archetipo si del metro che del chilogramma fosse depositato, per custodirvelo gelosamente, nell'Archivio Segreto della R. A. S., che altro Archetipo di ambe le specie rimanesse in guardia e sotto gli ordini esclusivamente dell' en- comiato Ministro, e che la terza coppia di Archetipi, insieme con tutte le Macchine, fosse consegnato alla custodia e rispon- sabilità del Direttore della Specola, per essere da lui colle de- bite cautele concedute agli usi e alle operazioni della Commis- sione de' pesi e delle misure. Non avendone trovato libei-a e idonea stanza nel recinto stesso della Specola, compiacevasi in persona 1' A. S. R. di assegnarne all' uopo vm ben riparato e decoroso appartamento del suo Palazzo, in comunicazione pure coir Osservatorio, dove trasportata l' intera suppellettile metro- logica e montativi gli stromenti, mi fu conceduto di farne tosto ricoprire da grandi casse trasparenti o a distaili, per meglio pre- munirli e al pari della Bilancia, il Comparatore e la Macchina di divisione. Partecipate poi le Sovrane Risoluzioni con venerata Lettera Ministeriale al nostro Presidente, il Cav. Marianini, egli ed io, per adempierle regolarmente, ci occupammo di riscon- trar con ogni attenzione e sottigliezza lo stato e valor compa- l'ativo de' nostri Archetipi di lunghezza e peso, innanzi di farne ('7) altrui la formale consegna. Fummo però ben soddisfatti e go- denti per tali prove alla Bilancia e al Comparatore, che ap- pieno ci confermarono i risultamenti delie analoghe sperienze in Parigi; donde la fìsica certezza che niun cangiamento è stato prodotto in oggetti così delicati dal non breve loro tra- gitto di terra e di mare. Noi abbiam trovato infatti eguali perfettamente fra loro i metri tipi, segnati i e .3 , e soltanto quello segnato 2. un poco più lungo, ma direbbesi insensibil- mente e meno di un millesimo di millimetro, a giudizio di coincidenza microscopica. E dei chilogrammi tipi abbiam tro- vato eguali fra loro esattamente li due O e I, e alquanto mag- giore, plus lourd, quello segnato II, di un milligramma prossi- mamente, avendo avvex'tito innanzi che 1' aggiunta di un mil- ligramma trasporta di mezzo grado e innalza dall'altra parte il punto medio della piccola oscillazione dell' indice. Le quali os- servazioni furono tutte da noi raccolte alla bassa e costante temperatura dell' ambiente di circa — i °, 5 del termometro centesimale. Pertanto la mattina del 2,-3 Gennajo i85i il Pre- sidente ed io compiemmo 1' ufficio delle due Consegne, 1' una del metro i e del chilogramma I al R. Archivio Segreto, e r altra del metro a e del chilogramma II al Ministero di Fi- nanza, accompagnando ciascuna di un' attestazione da noi fir- mata delle riconosciute condizioni relative dei trasmessi Arche- tipi. E così ebbe termine l'assunto incarico della nostra Società scientifica verso V Autorità govei'nativa. Al punto di chiudere la presente qualsiasi esposizione io non posso a meno di rallegrarmi del pieno e felice successo dalla mia pubblica missione conseguito per 1' onore, che ne ridonda, non al debole istromento eh' io ne fui, bensì prima- mente al provvido e saggio Sovrano che decretava pe' suoi Dominj r ottimo Sistema delle misure metriche, ne divisava il tempo e i modi, ne largheggiava il dispendio, utile non che necessario, e di Sua Regale munificenza volea ringraziati delle tante loro premure e gentilezze all' intento nostro li due dot- tissimi Biot e Regnault, presentando per mio mezzo Quello di Tomo XXV. PJ' I." Ili (,8) una tabacchiera d'oro colla R. Cifra in grossi brillanti, e Questo di un anello a brillanti similmente prezioso. Per l'onore poscia io me ne allieto che ne discende all' autorità di un operoso Govei-no e di un intelligente Ministro che sanno promovere di siffatta guisa il pubblico bene e la gloria del paese. Né ripe- terò quanto io goda per l'onore che ne dividono i due gentili e sapienti di Parigi che di loro senno e consiglio cotanto nell' impresa ci giovarono, mentre ne è prova ed espressione con- tinua questo mio scritto. Ma di certo non è ultima né tenue la parte di onore che ne viene altresì alla nostra Società Ita^»- liana delle Scienze, al qual riflesso io mi sento pure piìi lu- singato e giulivo. Qual suggello e corona dell' avventuroso riuscimento io qui reco per disteso e in originale il verbale Processo delle operazioni, giudicato, e ben a ragione, del pregio e valore di una Memoria scientifica dal Sig. Gav. Biot, che accompagnavalo d'una sua compitissima al nostro Presidente Gav. Marianini, il quale in conformità rispondendogli, ne terminava da questo lato e riguardo la comunicazione accademica. IVOTA. È duopo sapere cbe le Sovrane Risoluzioni dell'Editto 17 Ottobre, citato alla pag. (2) precedente, per adottare fra noi il Sistema metrico decimale, erano state prese e combinate coH'Autorilà esecutiva circa cinque mesi innanzi la pubblicazione dell'Editto medesimo. Perciò 1' intervenzione onorevole della Società Italiana e le primitive intelli- genze coi dotti Fisici francesi precorsero di qualche tratto la detta pubblicazione, ma si riferivano e si appoggiavano ad essa per cosi dir virtualmente. Con quest'avvertenza dispare e cessa un anacronismo che facilmente rileverebbesi fra le date dei citati do- cumenti e quanto io ne ho esposto alla pagina (3). PROGÉS VERBAL DES OPÉRATIONS DE VÉRIFICATION QUI ONT ÉTÉ FAITES SUR LES INSTRUMENTS ET SUR LES ÉTALONS DE MESURE MÉTRIQUES ET PONDÉRiUX DESTINÉS AU DUGHÉ DE MODÉNE Ajes instruments commandés pour le Duché de Modéne con- siste nt en : 1.° une Machine à diviser la ligne droite, a.° un Gomparateui", 3.° une Balance. i.° La Machine à diviser la ligne droite porte une vis de ij^ao de longueur; elle permet, par consequent, de diviser le métre dans tonte la longueur, sans raccord. Elle est munie, en outre, de tous les appareils nécessaires au calibrage des tubes capillaires, à leur division en capacités égales, et à la vérifi- cation posterieure de ces divisions. L' exactitude de cette machine a été vérifiée en tragant des divisions millimétriques sur deux régles en biseau pouvant glissar r une sur 1' autre. On s' est assuré qu' en établissant la coincidence entre deux divisions quelconques des deux régles, la méme coincidence éxistait pour toutes les autres di- visions, lors méme que 1' observation était faite à la loupe. Cette épreuve suffit pour établir la précision parfaite de la vis. a.° Le Comparateur permet de comparer entre eux, non seulement les métres à bouts, mais encore les métres à traits, et méme de comparer les métres à bouts aux métres à traits. Enfìn, on peut s' en servir pour comparer des mesures quel- conques, de tonte dimension, aux mesures métriques. On s' est assuré que cet instrument est comparable, pour la pré- (ao) cision, aux meilleurs instruments de cette espéce. Eii opérant dans des conditions convenables, on peut évaluei" des difFéren- ces qui ne dépassent pas 0,00 1 de millimétre. Ces deux instruments ont été construits par M/ Perreaux; M/ Bianchi s' est exercé à leur maniement sous la direction de cet habile Artiste. 3.° La Balance a été construite par M."^ Deleuil sur le mo- déle qui est généralement adopté ici; cependant un perfection- nement important y' a été aperte. Dans les balances ordinaires la colonne verticale qui porte le fléau, pose sur une base en bois, laquelle en se déformant avec le temps ou par 1' humi- dité, détruit 1' ajustement de 1' appareil. Dans la balance exé- cutée pour le Duché de Modéne, la colonne pose sur une base en l'onte de fer, munie de vis calante, ce qui assure, à la fois, la stabilite et l' invariabilité de ses parties essentielles. Nous nous sommes assurés que cette balance, chargée de i kilogramme sur chaque plateau, accuse nettement le J milli- gramme. Le maximum de charge sur chaque plateau ne doit pas dépasser a kilogrammes. Les mesures étalons consistent : i.° en ti'ois métres à bouts, en laiton, construits par M.' Perreaux ; 2,.° en trois kilogrammes en laiton, confectionnés par M."^ Deleuil, et ayant la forme adoptée en France. Nous allons décrire les opérations de vérification aux quel- les ces mesures ont été soumises. COMPARAISON DES MÉTRES ÉTALONS. Les Métres étalons ont été ajustés par V Artiste jusqu' à ce ils ne presentassent, par rapport au métre normal, que des différences s' elevant au plus à o, oo3 de millimétre. Ils ont été comparés, ensuite sur 1' excellent comparateur de Gambey appartenant à 1' Observatoire de Paris, i." avec le métre étalon à bouts, en platine, du Bureau des longitudes. (ai) 2.° avec un métre à traits, en laiton, appartenant également au Bureau des longitudes, et qui avait été précédemment vé- rifié par rappovt à 1' étalon en platine, à une epoque ou la temperature ambiante était trés voisine de o". Comparaìson des Métres de 31/ Peneaux avec V étalon en platine du Bureau des longitudes. Chaque division du Comparateur égale o""", ooa. BTétre N. i. 1.'" Détermination — Métre N. i.^ Métre en platine -i- lOi.*"- 5 ) ,. ,, , . ì moymoi,-'"'- 25 = 0""», 2025. a.' » » » — Métre N. i. = Metre en platine -H 101, o) ' Ainsi, d' aprés ces déterminations, le métre N. i. serait plus long que l' étalon en platine de o""", aoaS. Mais ces deux métres ne doivent étre égaux qu' à la temperature de o". Or la temperature ambiante était, au moment des observations , de ai", 35; il faut dono retrancher de la longueur du méti-e en laiton la quantité dont ce métre se dilate plus que 1' éta- lon en platine pour ai°, 35. Si 1' on adopte la différence des coefficients de dilatation du laiton et du platine, telle qu' on la déduit des nombres donnés par 1' annuaire du bureau des longitudes, on trouve qu'à ai°5 35 le métre en laiton doit étre plus long que celui en platine de o,'"'"ai8i la mesure directe a donne o, aoa5 Différence o, oi56. Le Métre en laiton N. i. serait dono trop court à o", de c,"""oi56. Métre N. a. Métre N. a. = Métre de 1' Observatoire -*- ioa'',4 = o,"^ac48 temperature ambiante ai°, 4 la différence calculée d' aprés les coefficients de dilat.... e, ai8i la différence entre les deux métres à e" serait donc de.... o,™"oi33. 3Iétre N. 3. I.'" Détermination — Métre N. 3. = Métre en platine de 1' Observatoire -+- 104,'' o \ a.' )) » » — Métre N. 3. =:Métre en platine de rObservatoire -H 104, o [ moy =: rc4,Do = 0,™"2o8( 3.' M M «— Métre N. 3.1= Métre en platine de r Observatoire 4- 104, o) temperature ambiante ai", 35. D' aprés le calcul, le métre en laiton doit étre plus long i|ue le métre en platine de o, 2,181 la difFérence entre les deux métres à 0° seraitdonc de... o,'""' oioi. En résumé, d' aprés la comparaison directe que nous avons l'aite des étalons en laiton avec le métre normal en platine , les étalons en laiton, pris à o", seraient trop courts le N. I. . de o,"""oi56 le N. a de Oj^^oiSS le N. 3 de o,™"oior. Mais cette comparaison directe ne peut pas inspirer de confiance, à cause de la temperature trés elevée à laquelle elle a eu lieu. Les coefficients de dilatation du laiton et du platine ne sont pas connus avec assez de précision pour qu' on puisse les employer avec sureté pour calculer les corrections qui correspondent à des grandes differences de temperature. Nous avons donc jugé préférable de faire la comparaison de nos étalons avec le métre à traits en laiton de l'Observatoire, lequel à été compare, précédemment, dans des circostances trés favorables ( savoir entre 1° et a° ) avec le métre en pla- tine de r Observatoire. Ce métre à traits en laiton présente avec le métre en platine de l' Observatoire précisément la dif- ferénce de c,'""'oo3 dont ce dernier métre est plus long que le métre en platine des Archives, qui est le véritable métre- type. On peut donc regarder le métre à traits en laiton de r Observatoire comme identique à c° avec le métre -type. Comparaison des trois Métres à bouts en laiton avec le Métre à traits en laiton de V Observatoire. Deux séances, à plusieurs jours d' intervalle, ont été con- sacrées à cette comparaison. Les métres à comparer et 1' éta- lon ont été placés la veille sur le Comparateur, afin qu' il ne restat pas de crainte sur 1' égalité de temperature. (i.3) Séance du ai Aout i85o. Métre N. i. = Métre de 1' Observatoire — i,°3 = — o,'"'"ooa6 Métre N. i.= Métre de 1' Observatoire — o, a = — o, 0004 Métre N. 1.=: Métre de 1' Observatoire — i, 4 = — ^» ccti& DifFérence moyenne := — o,'"'"ooi9 temperature = ig°, go. Métre N. a. = Métre de 1' Observatoire -t- o," 4 = -t- o,""" 0008 Métre N. a. = Métre de 1' Observatoire -h o, 6 = -+- o, coi a Métre N. a. = Métre de 1' Observatoire -t- o, g = -4- o, 0018 DifFérence moyenne =: -4-0,™" 001 3 temperature =: ig°, 87. Métre N. 3. = Métre de 1' Observatoire -H ii^a = n- o,'™"ooa4 Métre N. 3. = Métre de 1' Observatoire -h o, 7 = -+- o, 0014 Métre N. 3. = Métre de 1' Observatoire -t- i, 3 = -t- 0, ooa6 DifFérence moyenne = -<- o,"™ ooai temperature = ig°, 8g. Ainsi, d' aprés cette sèrie de déterminations, le Métre N. i. serait trop court de o,"™ ooig le Métre N. a. serait trop long de o,"""ooi3 le Métre N. 3. serait trop long de o,'"'" ooai. Séance du io Septembre i85o. Métre N. i. = Métre de 1' Observatoire — o,°o= o,"""oooo Métre N. i. = Métre de 1' Observatoire — o, 6 = — o, 001 a Métre N. i . = Métre de 1' Observatoire — 0, o = o, 0000 Métre N. i . = Métre de 1' Observatoire — o, 4 = — ^-i 0008 DifFérence moyenne = — o,"™" oooS temperature = 18% 68. Métre N. i. = Métre de 1' Observatoire -f- o," 1 5 = -4- 05"™ooo3 Métre N. a. = Métre de 1' Observatoire -+- o, 5 = -i- o, ooio Métre N. a. r= Métre de 1' Observatoire -+-0,0= o, 0000 Diflerence moyenne = -1- o,""" 0004 temperature = 18°, 16. Métre N. 3. = Métre de l' Observatoire -+- 0,° 3 = -t- o,'"™ 0006 Métre N. 3. = Métre de 1' Observatoire — o, o5 = — o, 0001 Métre N. 3. = Métre de 1' Observatoire -t- o, 7 =: -t- o, 0014 DifFérence moyenne = -t- o,'"'" 0006 temperature = 18°, a5. Ainsi, d' aprés cette seconde sèrie de déterminations, le Métre N. i . serait trop court de o,""" oco5 le Métre N. a. serait trop long de o, 0004 le Métre N. 3. serait trop long de o, 0006. Les différences avec le Métre -type sont ici plus petites que dans la première sèrie de déterminations, d'enoiron i mil- lìéme de millimétre ; e' est à peu prés le degré de précision que l'on peut atteindre dans les conditions les plus favorables et avec les instruments les plus parfaits. Nous pouvons donc certifier que les étalons envoyés à Mo- déne ne difFerent pas du Métre-type fran^ais de plus de deux milliémes de millimétre. Comparaison des 3 Kilogrammes de Mj Deleuil avec le Kilogramme type. Le Kilogramme étalon que nous avons choisi comme type est le kilogramme en laiton du Ministèro de 1' Intérieur; il a la forme assignée par l' Ordonnance qui régit les poids et les mesures en France. Les trois kllos étalons destinés au Duché de Modèlle ont re^u une forme identique; l'artiste nous les a livrés lorsqu ils avaient, chacun, une surcharge de ao à 2,5 milligrammes. Par des usures successives nous les avons amenés à présenter avee le kilogramme type des diff'érences moindres que I milligramme. Nous avons procède ensulte à la vérification definitive. Celle ci a été falle avec la balance destinée au Duché de Modéne. Le Kilogramme type étant place sur le plateau A de la balance, nous avons mis sur le plateau B un kilogramme éta- lon en laiton, appartenant à M/ Deleuil, ayant identiquement la méme forme que le kilogramme type, et, par consequent, que les kilogrammes que nous avions à comparer. La balance s' est trouvée presqu' en équilibre ; ce qui nous a prouvé le soin que 1' artiste avait mis à approcher, autant que possible, de r égalité parfaite des deux bras de lévier du fléau. L' équilibre éxact ayant été obtenu par l' addition de quel- ques parcelles de laiton, nous avons oté le kilogramme type du plateau A, et nous avons mis à sa place, successivement, chacun des kilogrammes à comparer. Nous avons cherché à déterminer, le plus éxactement possible, les diff'érences qui existent entre ces kilogrammes et le kilogramme type. Nous avons trouvé ainsi que le Kilogramme N. i. était trop lourd de i milligramme le Kilogramme N. a. était trop lourd de | milligramme le Kilogramme N. 3. était trop léger de i milligramme. Nous n' avons pas voulu toucher à ces poids pour les rendre plus identiques avec le kilogramme type, car nous au- rions produit, infaiUiblement, des differences du méme ordre en sens contraire. La méme vérification a été falte pour un quatriéme kilo- gramme étalon destine à une expérience speciale que nous dé- crirons bientót. Nous désignerons ce kilogramme par kilogr. N. 4- Tomo XXV. PJ' /.« IV (^26) Le procède que nous avons employé pour faire la compa- laison des kilogrammes avec le Kilo type, donne, immediate- ment, un resultai absolu; il n' exige aucune correction pro- venante de l' air déplacé ou des variations qui peuvent surve- nir dans la densité de cet air pendant le cours des observa- tions; car ces variations afFectent de la méme manière la tare du plateau B, qui a éxactement le méme volume et la méme forme que le kilo type et que les kilogrammes que nous lui comparions. La vérification des kilogrammes étalons destinès au Duché de Modéne était dono complète ; car ces kilogrammes avaient été amenés, aussi éxactement que possible, à i' identitè avec le kilogramme type fran^ais, de méme matiére et de méme forme ; et nous avions évalué les petites différences qui ne se sont pas élevées à plus de i millionième du poids total. Nous avons fait plus; nous avons fait une comparaison nouvelle entre le kilogramme type en laiton et le kilogramme type en platine du bureau des longitudes. La saison n' était pas favorable à cette dètermination; pour l'obtenir avec toute rigueur, il faudrait la faire à une temperature trés voisine de o", afin de pas avoir à tenir compte de la dilatation des deux métaux. Cependant, comme cette dilatation est extrémement petite, le changement qu' elle opere dans le volume des deux kilogrammes ne produit que des différences de poids, inappré- ciables à la balance, sur 1' air déplacé. Il peut dono étre ne- gligé sans inconvénient. Le Kilogramme type en platine consiste en un Cylindre ayant à 17% o pour diamétre 39,'"'"49 pour hauteur 89, 60. Son Volume en centimétres cubes est donc ^.(3,949)^. 3, 960 = 48," 522. Quant au Volume du kilogramme type eri laiton, nous r avons déterminé, directement, non pas sur ce kilogramme type lui méme, que nous ne pouvions pas soumettre ù cette expérience de peiir de l' alterer, mais sur le kilogr. N. IV. dont nous avons précédernment parie, et dont le volume ne peut pas difFérer sensiblement de celui du kilo type. Le poids absolu du kilogramme N. IV. est i,*oooooi. Ce kilogramme, plongé dans 1' eau distillée, à la temperature de 16", 97, a perdu de son poids une partie représentée par i24/'42'0 du poids en laiton. La temperature de l'air ambiant était de 17°, i5; le barométre, ramené à 0°, de 766,'""' 18. Mais la tare du plateau B perd, en ce moment, une par- tie de son poids représentée par le poids de l' air déplacé par I kilogr. de laiton ; tandis que du coté A il n' y a qu' une perte de poids correspondant au volume d' air déplacé par o,* 1244 ^^ laiton. Il f'aut donc ajouter, à la perte de poids observée, le poids de V air déplacé par o,* 8756 de laiton. Or, d' aprés 1' expérience , i kilogramme de laiton déplacé 12.^,^^2,0 d'eau; son volume est donc de i2,^,"/[2.o. Un poids o,^ 87.50 de laiton occuperà donc un volume représenté par ia4,"4^° X o,*" 8756. Un centimétre cube d'air sec à 0° et sous la pression barométrique o,"* 760 pése c/'ooiagSa. Le poids de r air déplacé par o,* 8756 de laiton dans les circon- stances de notre pesée est donc exprimé par 0,6-0012932.0,8756. 124,42. ^ ^-^ . l5^^=o,s'i336. -' ' ' ''~ IH- o, 00^67. 17°, 1 5 760,00 ' Et, parsuite, le poids absolu de 1' eau déplacée par le kilo- gramme de laiton est 124,^^420 -+- o,s' i336 = 124,6'- 5536. La densité de l'eau distillée étant 1,0000 à 4°5 et 0,9988 à 17°, o, le volume du kilogramme de laiton, à cette tempe- rature, est '^4,-5536. ^ = 124," 715. On a vu que le volume du kilogramme de platine, est 48," 522. La difterence des volumes d'air déplacés par le kilogramme en laiton et par le kilogramme en platine est donc 76,^^ 193. (28) Le kilogramme en platine doit dono paraitre plus lourd, dans les circonstances de la pesée, de o/- 001293^.76, 193.,^^^ ;^^^^^[g£^-f-o,6aa.l^]. (A) Ho représentant la hauteur du barométre, t la tempera- ture au moment cu 1' on a déterminé , expérimentalement , ( ainsi qu' il sera dit plus bas ) la difFérence apparente des deux kilogrammes; f représentant la tension de la vapeur à saturation à la temperature t. Nous supposons ici que la fra- ction de la saturation de 1' air est i , comme cela arrive gé- néralement à Paris dans les appartements vastes et non chaufFés. La différence apparente de poids entre le kilogramme type laiton et le kilogramme type platine a été déterminée sur une exceliente balance de Gambey appartenant à 1' Observatoire. La tare était le kilogramme étalon en laiton qui avait joué le méme róle dans les précédentes comparaisons. On a trouvé ainsi que le kilogramme étalon en platine pése de plus que le kilogramme type laiton c/'^ oSgS. la temperature étant de 18," 90 = t le barométre ramené à c° 763,""" 80 = Ho / 16,""" a5. Si r on calcule la formule (A) avec ces données , on trouve que le kilogramme de platine doit peser de plus que le kilo- gramme de laiton Oj^'^ogai r expérience directe a donne e, c8g5 Différence o,^ooa6. Ainsi, si r on regardait le kilogramme platine comme le véritable type ponderai, le kilogramme type laiton serait trop lourd de a,"™ 6. Mais, remarquons que le kilogramme platine n' a pas été établi sur les résultats directs des expériences de la Commis- sion fran^aise des poids et mesures ; e' est le kilogramme en (^9) laiton qui est la déductìon la plus immediate des faìts. Le poids absolu du kilogramme en platine a été calculó, d' aprés le type normal en laiton, en admettant les données numériques, fort inexactes pour la plus part, qu' on avait alors sur les éléments physiques des Gaz. Il n' est dono pas étonnant qu' il existe une différence, de l'ordre de celle que nous venons de trover, entre ces deux types. Il n'est pas douteux, d'ailleurs, que e' est le type laiton qui doive, aujourd' hui, étre regardé, comme le kilogramme normal. Le resultai general de la discussion à laquelle nous ve- nons de nous livrer, mentre, que les instruments destinés au' Duché de Modéne, présentent toute la précision, et la perf'e- etion d' éxécution, que 1' on peut obtenir, dans 1' état actuel des arts mécaniques. Les vérifications des appareils et des étalons métriques et pondéraux, dont le procés verbal détaillé est donne cy-dessus, ont été faites en notre présence à tous trois; et nous certifions r éxactitude complete du dit procés verbal. En foi de quoi nous avons signé ceci, en doublé expédition. Paris ce 11 Septembre i85o. J. B. BIOT. V. REGNAULT. J. BIANCHL Pour Copie conforme J. Bianchi. PrÉCAUTIONS PRISES pour l' EMBALLAGE des INSTRUMENTS. Nous avons fait apporter à 1' emballage des instruments , les précautions qui nous ont parues convenables pour éviter toute altération par les secousses ou par 1' humidité. Les boites renfermant les métres étalons ont été placées dans une caisse doublé, recouverte de toile grosse. Cette caisse (3o) a été placée dans une seconde caisse doublé, recouverte de toile grosse, laquelle contient en outre la machine à diviser. Le banc dii compai-ateur a été renfermé dans une caisse doublé, i-ecouverte de toile grosse. Une caisse semblable con- tient le chariot du comparateur, et celui de la machine à di- viser. Les thérmométres étalons de M."^ Fastré sont enfermés dans les caisses précédentes. La balance a été renfermée dans une caisse recouverte de toile grosse. Chaque kilogramme étalon est renfermé dans une boite gamie de velours. Ces boìtes ont séjourné préalablement, pen- dant plusieurs jours, sous une cloche avec de la Chaux vive. Les trois boites ont été enfermées dans un étui en fer blanc, qui a été ensuite soudé hermétiquement. Les boites renfermant les autres poids ont été également déssechées par la Chaux. Tous les poids sont emballés dans une petite caisse recouverte de toile grosse. Ces caisses ont été plombées à la Douane, puis remises au Roulage. ►i-o-S-a; ÌS.^ Les Caisses qui portent les Nuinéros I , 2 , 3 et 4 composent 1' énvoi de M/ Perreaux. On devra ouvrir d' abord la Caisse N.° 4. Oii y Irouvera une inslruclion à suivre dans V operalion du déballage. Les Caisses qui poilent les Numéros 5 et 6 composent 1' énvoi de M/ Deleuil. On devra ouvrir d' abord la Caisse N." 5. Ou y trouvera une iustruction à suivre dans l'opéralion du déballage. 11 est essentiel de se conformer éxactement à ces deux inslructions. (30 ELENCO DI LIBRI E OPERE NEL BIENNIO 1850-1851 OFFERTE IN DONO ALLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE CHE, PUBBLICANDONE I TITOLI, INTENDE SIGNIFICARNE AGL'ILLUSTRI DONATORI LA PROPRIA STIMA E RICONOSCENZA i hilosophical Transactions of the Royal Society of London for the Year 1849. Part. II. London, 1849; in 4-" The Royal Society. 3o November 1849; in 4-° Address of the Right Honourable The Earl of Rosse, etc. Pre- sident etc. London, i85o; in 8.° Memoirs of the Royal Astronomical Society. Voi. XVII. London, 1849; in 4.° The Transactions of the Royal Irish Academy. Voi. XXII. Part. I. Dublin, 1849-, in 4-° Montly Notices of the Royal Astronomical Society. Voi. VIII. London, 1848; in 8.° Proceedings of the Royal Irish Academy. Voi. III. 1847. ^^^- ^^• Part. I. 1847.48. Voi. IV. P. II. 1849. Dublin; in 8.° Abhandlùngen der Mathematisch-Physikalischen, ùnd der Phy- losophisch-Philologischen Classe: Fùnften Bandes Erste Abtheilung. Mianchen, 1847; in 4>° BuUetin Jahrgang, 1847. N."' 8 3.5; in 4-° Mùnchen. Lasaulx Ernst, Ueber den Entwicklungsgang des Griechischen, und Ròmischen. Miinchen, 1847; in 4'° Memorie dell' Accademia d' Agricoltura Commercio ed Arti di Verona. Voi. XXI, XXII, XXIII e XXIV. Tortolini Ab. prof. Barnaba : Sopra le supercie curve parallele all' elissoide, e sull' espressione generale della loro quadra- tura : Nota estratta dal Giornale arcadico, T. CXIX. Ronia, 1849; in 8." (3^) Tortolinì Ab. prof. Barnaba : Sopra le superficie parallele , ed applicazione di questa teorica all'elissoide: Ricerche, estratte dagli Annali di scienze matematiche e fisiche, T. I. Roma, i85o; in 8." Tardy prof. Placido: Alcune osservazioni sopra una nuova equa- zione in Idrodinamica. Roma, i85o; in 8.° Sandri doti. Giulio : Sulla fersa del gelso, ed in generale sulla produzione degli esseri che vivono in altri viventi : Opu- scolo premiato dall' Accademia di Agricoltura Commercio ed Arti di Verona e letto il 17 Febbrajo 1848. Lo stesso : SuU' idrofobia e sui contagi in generale : Memoria premiata dall'Accademia di Agricoltura Commercio ed Arti di Verona. Lo stesso : Cenni intorno all' influenza dell' aria su le malattie de' viventi. Namias doti. Giacinto : Di una specie di atrofia della midolla spinale : Memoria. Lo stesso: Storia di un tumore felicemente curato colle emul- sioni iodate, e Studio intorno agli effetti di esse paragonati a quelli dell' idriodato di potassa. Lo stesso : Sopra la comparsa del morbo migliare in Venezia, ed il soverchio timore che di quello si concepì: Memoria. Siedici Cav. Michele: Elogi di Matteo Bazzani, di Giuseppe di Jacopo Pozzi , e di Domenico Maria Gusmano Galeazzi , scritti dal nominato. Bologna, 1849; in 4-° Bellini doti. Ranieri: Sulle febbri sintomatiche; Memoria. Pisa, i85o; in 8." Lo stesso : Dell' azion de' veleni ; Memoria estratta dal giornale il Progresso. Firenze, i85o; in 8.° Lo stesso : Di alcuni cambiamenti che subisce 1' albumina del sangue per 1' azione di certe sostanze medicamentose : D per Esperienze. Dal cit. Progresso. Firenze, i85o; in 8." Lo stesso: Dell'azione di alcuni rimedj. Saggio. Pisa, 1847; in 8." Lo stesso : Dell' azione che subiscono i globetti rossi del sangue, per r azione di alcune sostanze medicamentose; Ricerche microscopiche. Dal Progresso. Firenze, i84g; in 8.° (33) Bellanì Angelo : Se con la sola legge della tensione dei vapori e della diminuzione di temperatura prodotta dalla loro formazione si possano spiegare i fenomeni ultimamente annunziati da Boutigny e da altin : Memoria estratta dal Giornale dell' I. R. Istituto Lombardo, T. II. della nuova serie; in 4-° Milano, i85o. Sul!' integrazione dell' equazioni differenziali : Studj di Gaspare Mainardi : dagli Annali di scienze matematiche e fisiche ; in 8.° Roma, i85c. Lezioni orali di Chimica generale, del Cav. Gioacchino Taddei. Voi. I. Firenze, i85o; in 8.° Dello stesso: Sopra un nuovo fonte di alimentazione delle piante: Memoria estratta dagli Atti della R. Accademia de' Geor- gofili. T. XXVm. Firenze, i85c; in 8." Selmi prof. Francesco : Di alcune riazioni tra 1' acido iodidrico e r acido solforico., tanto puro quanto imbrattato dal sol- fato di piombo : Memoria. Torino ; in 8." Dello stesso : Intorno all' azione di contatto , Dissertazione. Torino; in 8.° Dello stesso: Esperienze sul latte: parti i., a., 3. e 4- To- rino; in 8.° Dello stesso: Studio intorno alle pseudo-soluzioni degli azzurri di Prussia, ed alla influenza dei sali nel guastarle. To- rino; in 8.° Dello stesso : Usi dell' ammoniaca e de' suoi composti in far- macia. Torino; in 8.° Dello stesso : Intorno alla solubilità dell' ammoniuro d' oro in vari cianuri. Torino; in 8." Dello stesso : Monografia sulla cristallizzabilità della soluzione del solfato di soda. Torino; in 8.° Sobrero e Selmi : Intorno all' azione del cloro sui cloruri me- tallici nelle soluzioni dei cloruri alcalini. Torino, i85o; in 8.° De' medesimi : Memoiia intorno ai prodotti della reciproca com- posizione degli acidi solforoso e solfidrico. Torino ; in 8.° Tomo XXV. P.*' /." V (34) Dinamica Chimica, del prof. Bartolomeo Bizio: T. I. in 3. parti. Venezia, i85o-5i; in 8.° Lezioni di Geometria descrittiva, del prof. Giusto Bellavitis : un volume in 8.° con tavole. Padova, i85i. Studiati: Opuscoli in 4-° Pisa, i85i. Bellini : Fascicoli due, in 8.° Tortolini prof. Barnaba : Sulla espressione dei raggi delle due curvature di una linea geodesica tracciata sulla superficie di una ellissoide: Memoria estratta dagli Annali di scienze matematiche e fisiche; in 8.° Roma, i85i. Dello stesso : Sul valore della curvatura totale di una superfi- cie, e suir uso di questo valore nella determinazione di alcuni integrali definiti duplicati: Memoria in 4-° Dagli Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei. Roma, i85i. Dello stesso: Soluzione di due problemi di Geometria analitica. Dagli Annali di scienze matematiche e fisiche ; in 8." Roma, i85o. Dello stesso : Sulla determinazione della linea geodesica de- scritta sulla superficie di una ellissoide a tre assi ineguali, secondo il metodo del Cav. J. Jacobi: Memoria in 4-'' Dagli Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei. Roma, i85i. Relazione delle ricerche sin qui praticate intorno la dominante malattia dell'uva, del prof. P. Cuppari; e parole dette dal march. Cosimo Ridolfi, Presidente della R. Accademia de' Georgofili. Firenze, i85i; in 8.° Elogio del prof Ab. Giuseppe Zamboni, scritto dall' ingegnere dott. Pietro Maggi. Verona, i85i; in 8.° Biot: Note, sur les dispositions qui ont été prises pour la confection et 1' emploi d' étalons de mesures métriques, destinés au Duché de Modéne : extraite des Comptes ren- dus des séances de 1' Academie des sciences, T. XXXIL Paris, i85i ; in 4-° Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili. Firenze, i85i ; in 8." Memorie della Società Medico - Chirurgica di Bologna: Voi. V., fascic. a." Bologna, i85o; in 4-" (35) BuUeltino delle scienze mediche, pubblicato per cura della So- cietà Medico -Chirurgica di Bologna; fascicoli dall'Aprile i85o al Giugno i85i. Bologna; in 8.° Commentari dell'Ateneo di Brescia dall'anno 1848 al i85o: un Voi. in 8.° Brescia, i85i. Rendiconto delle Adunanze e dei lavori della R. Accademia delle scienze di Napoli: NN. 46- 47- 4^- 49- ^^- ^^- Napoli; in 4-° Philosophical Transactions of the Royal Society of London for the Year i85o, P. II. London, i85o; un Voi. in 4-° Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, from No- vember 1848, to Juni 1849: Voi. IX. London, 1849; in 8." Menioirs of the Royal Astronomical Society : Voi. XVIII. Lon- don, i85o; in 4-° Magnetical and Meteorological Observations : Hobarton , van Diemen Island; Voi. I. London, i85o; in 4-° con legatura. Id. Unusual disturbances : Voi. I. P. II. London, i85i ; in 4-" con legatura. The Report of the Britsh Association for the advancement of science for 1849. London, i85o; in 8." Memoires de l'Académie Imperiale de Saint Petersbourg, T. VI. 4.™ livraison et T. VII. 3.""= 4-""' ^•'"'' ^^ ^•""' livraisons. S."' Petersbourg, i849-5o; in 4-° Recueil des Actes des séances publiques de 1' Académie Impe- riale des sciences de Saint Petersbourg: 1849; in 4-° Annales de l' Observatoire physique centrai de Russie, par A. T. Kupffer; Année 1847. NN. I. et IL, Saint Petersbourg: i85o. Due Voi. in 4-° Rapporto della pubblica esposizione dei prodotti naturali e in- dustriali della Toscana fatta in Firenze nel MDCCCL. Fi- renze, i85i ; un Voi. in 8.° Namìas doti. Giacinto. Sopra alcuni effetti dell'atropina e del solfato di veratrina. Memoria. Venezia, i85i ; in 8.° Memorie dell' Accademia d' agricoltura, commercio ed arti di Verona: Volumi XXVI. e XXVII.; ossia Manuale di Chi- mica tecnologica di Carlo Tonini, coronato dall'Accademia suddetta. Verona, i85o-5i; due Voi. in 8." (36) ELENCO DEI PIÙ RECENTI LAVORI DEI MEMBRI ATTUALI DELLA SOCIETÀ PUBBLICATI FUORI DEGLI ATTI DELLA MEDESIMA ( In continuazione alla pagina (24) del Volume precedente, ossia del Tomo XXIV. Parte II. ) AvoGADRO, Nel T. XI. Serie II. delle Memorie della R. Acca- demia di Torino, Troisiéme Mémoire sur les Volumes ato- miques. — Determination des Nombres affinitaires des dif- férents corps élémentaires par la seule considération de leur Volume atomique, et de celui de leurs composés. Bellani , Nel Giornale dell' I. R. Istituto lombardo di scienze , lettere ed arti. Nuova Serie, fase. VII, i85o. Memoria: Se con la nota legge della tensione dei vapori, e della di- minuzione di temperatura prodotta dalla loro formazione, si possano spiegare i fenomeni annunziati da Boutigny e da altri. Nel fase. XI. i85i dello stesso Giornale, Articolo del mede- simo A. « Singolare coincidenza di una dirottissima piog- gia succeduta contemporaneamente nei contorni di Brescia e nel Belgio. » Belli, Nel Giornale anzidetto dell' I. R. Istituto lombardo. Memoria scompartita ne' fascicoli IX, X e XII. i85i, col titolo : « Pensieri sulla consistenza e sulla densità della crosta solida terrestre, e su alcuni fenomeni che vi hanno relazione. » Bellavitis, Negli Annali di scienze matematiche e fisiche, compilati dal prof. Barnaba Tortolini in Roma, T. I. i85o, Nota sopra un teorema del Mòbius riguardante la specie della sezione conica, che passa per cinque punti dati in un piano. — Ivi, Discorso sulla dottrina del calorico rag- (3?) giante. — Nota sulla risoluzione numerica della x" -t- j^ = C. — Discorso sulle proprietà generali dei corpi. Del medesimo, Lezioni di geometria descrittiva, con note conte- nenti i principi della geometria superiore ossia di deriva- zione, e parecchie regole per la misura delle aree e dei volumi. Padova, i85i. Un Volume in 8.° Bianchi, Negli Annali delle scienze matematiche e fisiche so- vracitati, T. I. Roma, i85o. Articolo 3.° sopra le occulta- zioni lunari di Aldebaran e di altre stelle. — Lettera so- pra i differenti metodi pratici di determinare la differenza de' meridiani, e Nota di trigonometria sferica. — Ivi, Tom. IL Roma, i85i, Nota sull'annua pioggia caduta in Roma e a Perugia comparata con quella simultaneamente caduta a Modena. — Relazione intorno l'eclisse Solare del a8 Luglio i85i osservato a Modena. Bizio, Dinamica Chimica, Parte i.* Venezia i85o. Un Voi. in 8.° Parte a." e 3." Venezia, i85i. Cenno storico degli studi propri intorno alla forza ripulsiva della materia ordinaria, in relazione a ciò che ne seppe e ne sa l'Ab. Prof. Cav. F. Zantedeschi, e risposte alle sue accuse. Giulio, Nelle Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, Serie II. T. XI. i85i. Di una proprietà meccanica del circolo e di altre figure, e dell' uso di questa proprietà per la costruzione di pendoli compensatori. Maggi, Elogio del Prof. Ab. Giuseppe Zamboni: Verona, i85i, in ottavo. Mainardi, Nei succitati Annali delle scienze matematiche e fì- siche, T. I. Roma i85o, Studj sull'integrazione dell'equa- zioni differenziali. — Nuovi Teoremi di Analisi. — Dei pohgoni massimi inscritti, e dei minimi circoscritti all'elisse, e dei poliedri analoghi dell' elissoide. — Nel T. II. dello stesso Giornale, fascicolo di Ottobre i85i. Dichiarazione dei teoremi di analisi enunciati nel T. I. Matteucci , Negli Annali stessi di Roma T. I. , Sulla materia fosforescente dei pesci e sulla fosforescenza del mare. — (38) Dell' influenza del magnetismo sul potere rotatorio di al- cuni corpi. MossoTTi, Nei detti Annali di Roma T. I., Sulla riduzione de- gli angoli fatti dagli archi geodetici di un piccolo triangolo agli angoli fatti dalle loro corde, Lettera. — Nello stesso Giornale, fascicolo di Maggio i85i, Soluzione analitica del problema delle oscillazioni del pendolo avuto riguardo alla rotazione della terra. — Ivi, fascicolo di Ottobre i85i. Sull'analogia delle funzioni circolari ed iperboliche, e sulla sostituzione delle une alle altre per trasformare le quan- tità che si presentano sotto aspetto immaginario. — Lezioni di Meccanica razionale, Firenze, i85i, in corso di stampa. Panizza , Nel Giornale dell' L R. Istituto lombardo di scienze , lettere ed arti. Nuova Serie, fascio. XL i85i, Sopra un mostro vitellino bicipite unicorporeo, con una tavola. PioLA , Negli Annali scientifici di Roma T. I. , Nota sulle ap- plicazioni del calcolo delle differenze finite alle questioni di analisi indeterminata. Plana, Nelle Memorie della R. Accademia delle scienze di To- rino Serie II. T. XI. i85i. Note sur la proposition LXXI du premier Livre des Principes de Newton. — Sur les propositions LXXX et LXXXIV du premier Livre des Principes de Newton. — Mémoire sur une nouvelle solu- tion algébrique de 1' equation à deux termes x" — i = o, n étant un nombre premier. — Nel T, XII. sotto stampa. Note sur 1' expérience communiquée par M."^ Leon Fou- cault le 3 Février dernier ( i85i ) à l'Académie des scien- ces de Paris. Del medesimo, Articolo di annunzio, e poscia di osservazione dell'eclisse Solare, del a8 Luglio i85i, Torino:, in 8." Santini, Negli Annali Romani delle scienze matematiche e fi- siche T. I. Effemeride del nuovo pianeta Igea: osservazioni, elementi ellittici ed effemeride di Partenopea in lettera. — Nelle Notizie Astronomiche di Schumacher T. XXXI. , osservazioni ed orbita di Partenope. — Ivi, Tom. XXXII., (39) osservazioni dei nuovi pianeti Egeria e Irene. — Calcolo degli elementi ellittici della Cometa di Biela, perturbati da Giove, da Saturno, da Venere e dalla terra; ed effe- meride di tale Cometa per la sua prossima riapparizione nel i85a. Carlini , Neil' Appendice all' effemeridi di Milano per 1' anno i85o. Nuova determinazione della rifrazione astronomica pel Clima di Milano. Sandri , Nelle Memorie dell' Accademia di agricoltura arti e commercio di Verona, Sulla fersa del gelso ed in generale sulla produzione degli esseri che vivono in altri viventi. — Sulla idrofobia e sui contagi in generale. — Cenni in- torno alle influenze dell' aria sulle malattie de' viventi. Medici, Negli Atti del Pontificio Istituto di Bologna, Elogi di Matteo Bazzani, di Giuseppe di Jacopo Pozzi, e di Dome- nico Maria Gusmano Galeazzi. Taddei, Negli Atti della R. Accademia de' Georgofili di Fi- renze T. XXVIII. , Memoria sopra un nuovo fonte di ali- mentazione delle piante. Lezioni orali di Chimica generale. Firenze, i85o. Voi. I. in 8." ToRTOLiNi, Nel giornale arcadico T. CXIX., Sopra le superficie curve parallele all' elissoide e suU' espressione generale della loro quadratura. Nota. Negli Atti dell' Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, Anno IV. , Memoria sul valore della curvatura totale di una su- perficie, e suir uso di questo valore nella determinazione di alcuni integrali definiti duplicati. — Memoria sulla de- terminazione della linea geodesica descritta sulla superficie di un' ellissoide a tre assi ineguali, secondo il metodo del C. G. J. Jacobi. Negli Annali delle scienze matematiche e fisiche T. I. , Ri- cerche sopra le superficie parallele , ed applicazione di questa teorica all' ellissoide. — Memoria sulla espressione dei raggi delle due curvature di una linea geodesica trac- ciata sulla superficie di una ellissoide. — Soluzione di due problemi di geometria analitica. (4o) DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIEIVZE RESIDENTE IN MODENA. I. J-Ja Società Italiana delle Scienze residente in Modena è composta di Quaranta Socj Attuali, tutti Italiani, di merito maturo, e per Opere date in luce ed applaudite riconosciuto. II. La scienza della natura è il grande oggetto, che la So- cietà medesima si propone. Pubblicherà pertanto, sotto il ti- tolo di Memorie di Matematica e di Fisica, le produzioni di chiunque de' Socj vorrà render pubblico negli Atti Sociali il frutto de' proprj studj. III. De' quaranta Membri, uno sarà Presidente della So- cietà, e la presidenza durerà sei anni. Questi può eleggersi e risiedere in una qualunque Città dell' Italia, ma in Modena esister deve sempre sotto gli ordini del Presidente una rap- presentanza, e in Modena sempre si pubbhcheranno gli Atti della Società. IV. Avrà la Società un Segretario, ed un Vicesegretario amministratore residente in Modena. Il primo sarà partecipe di tutte le facoltà dei Quaranta, benché non fosse uno d' essi, ed avrà diritto, non obbligo, di presentar Memorie da inserirsi negli Atti. Il secondo terrà il maneggio economico. V. §. I . Altra Classe vi avrà di Socj Emeriti in numero indeterminato. Essa è preparata a chiunque dei Quaranta, o per età avanzata, o per abituale mancanza di salute, o per altro motivo, non producesse verun suo lavoro in tre consecu- tivi Tomi delle Memorie sociali. (40 5- a. Ma se un Socio Attuale passasse negli Emeriti dopo aver posto otto Memorie ne' Tomi sociali, in tal caso seguiterà a godt;re, ^3/3-tetf"4 MEMORIE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE RESIDENTE IIV MODENA Tomo XXV. Parte 1/ SU LE OPERAZIONI INVERSE DELL' ARITMETICA MEMORIA DEL SOCIO ATTUALE Ricevuta il 17 Maggio 1849- Xja regola colla quale si eseguisce la divisione dei numeri ri- chiede dei tentativi che riescono molte volte assai penosi ; e siccome la grandezza delle cifre maggiori di un quoziente non dipende da quella di molte cifre minori sia del dividendo come del divisore, non poche delle operazioni che si fanno per de- terminare le cifre di ordine più elevato sono inutili all'oggetto immediato, e lo sono assolutamente nei calcoli approssimati. Anche la estrazione delle radici incorre nei medesimi difetti, che riescono ancora più molesti. Meditando queste imperfezioni gravissime dell'Aritmetica venni condotto a trovare dei metodi, che mi parvero assai più semplici di quelli in uso, sia perchè non richiedono che pochi e facili tentativi, sia perchè esigono le sole operazioni successivamente essenziali, epperò ne sop- primono molte inutili nei calcoli di approssimazione. Risolvo poi incidentemente alcune questioni ancora non ben dichiarate, esamino una regola dovuta al celebre Fourier, ed accenno un metodo aritmetico per risolvere le equazioni algebraiche lui- meriche. Nella presente Memoria considero unicamente le ope- razioni inverse dell'Aritmetica: altrove esporrò alcune cose su le operazioni dirette, le quali mi sembrano utili a rettificare e completare questa scienza fondamentale. Tomo XXV. P.'^ /." I a Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. Indicherò le cifre di un numero con lettere, ponendovi al piede degli indici numerici, e distinguerò il loro ordine molti- plicandole per una debita potenza del numero io. In conse- guenza la scrittura A, -t- A» .10 H- A3 io* ... . , B, , B» , B3 10 IO" n3' esprimerà un numero composto di una parte intera della quale A, sono le unità, A» le decine, A3 le centinaja . . . . , e di una parte fratta di cui B, sono i decimi, B^ i centesimi ec. Qual- che volta ancora rappresenterò un numero scrivendo delle let- tere di seguito le une alle altre .... A4 Aj A» A, , quasi fossero le vere sue cifre. Della Divisione. Rappresento coi tre polinomj A,-+-Aa.io-i-A3.io'H-..., a,-f-Oa.io-»-fl3. lo'-H..., x,-4-a;a.io-t-a:3.io'... il dividendo, il divisore ed il quoziente, il quale suppongo esatto. Se il numero a, è pari o il 5, per cui il dividendo ed il di- visore sarebbero entrambi divisibili per quel numero, lo sop- primo anziché intraprenderne la divisione. Esamino il prodotto ^i ^1 -*- [a^Xi-^ a^x^) \o -i- [uìXi -t- a» x» -l- a, 0:3 ) i e* -t- [a/^Xi-^ aìX^-\- a^Xì-i- a^Xi^) ìo^ -^ e siccome a^ x^ avrà generalmente due cifre, suppongo a, X, = a, •+- bj.ic: sarà a, = A, che è la cifra delle unità nel dividendo, e Z», il porto da unire ad a^x^ -i- UjX^. Anche la somma b, -t- a^Xi -¥■ a, x^ sarà composta delle unità A» e di decine è^, epperò suppongo a, a;, = A, H- Z», . I o ; ^, -1- a^ a:, -1- a, x^ = A» -t- ^a . i o ; ^» -+- «3^1 -*- «a^a -+- ". ^3 = A3 -t- ^3-io; ec. ec. Da queste equazioni raccolgo che x^ moltiplicato per a, , ultima cifra del divisore, deve dare un prodotto del quale Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 3 conosco le unità A,. Siccome a, non è né il 5 ne un pari, osservando la tavola di Pitagora, la quale serve alla moltipli- cazione dei numeri semplici, vedo che a:, viene ad essere de- terminato assolutamente. Conoscendo x, , quindi b^ , siccome o, a;j = Aj-t-^a'ici — a^x^ — è,, vengo pure a sapere quale sia la cifra delle unità del prodotto a^x^, dunque ne determino x^ epperò anche b^: poi colla terza equazione trovo ^3 e bì, quindi x^ e b^, ec. ec. Dividiamo 9688784 per 2789. Siccome a, or, = 9.X, = 4 -<- ^1 -IO, il prodotto 9.X, deve avere per cifra semplice il 4? e colla tavola di Pitagora trovo a;, ^ 6, epperò ^, = 5; quindi Z», -(-ajo;, -Ha, jCa = 5-)-6.8-i-9.a;a = Aj-hZ'j. io , ossia 53 -H 9 a;:. = 8 -H Z*» . I o, 9 07;» = 8 — 3 -+- [b^ — 5) i o = 5 h- (b^ — 5) i o e siccome il prodotto 9 x^ deve avere per ultima cifra il 5 ne deduco essere 0:^ = 5, b^ — 5 = 4? ^a = 9. Trovo èa-l-as a:,-+-fla ar,-t-a, X3=9-f-7.6-«-8.5-f-9X3=gn-9X3 = A3 -I- ^3 . 1 o = 7 -I- ^3 • I o , e siccome il prodotto 9 x^ deve avere per cifra semplice 7—1=6, Xi — \^ b3=ia. Formo b3-*-ai^x,-^-a3X^-^-a^X3-^a,x^:= iaH-4-8-*-5.7-Ha.6H-9a:4 = 9i-H9a:4 = A4-i-^4 .ic = 8-(-^4 .10, e perchè 9x4 abbia 8 — 1=7 per cifra semplice, ^4=3, ^4 = 11, il quoziente cercato sarà 3456 ; il quale abbiamo determinato senza tentativi, impiegando le quattro cifre minori del divi- dendo e del divisore, ed eseguendo nove moltiplicazioni di nu- meri semplici, e 2,-1-3-^4 = 9 somme. Le altre equazioni Z»4 -4- 04 a;, -f- «3 X3 -t- «a ^4 = A 5 -f- ^5 . 1 o , ^5 -f- 04 X3 -t- 03 ^4 = Afi -+- ^6 • I o , bi-¥-a/^x^ = A^ offrono un mezzo diretto di verificazione : e con esse troviamo 7 -4- 3.8 -4-4-7 -•-5.2=: 73 :=A5-f- ^5 IO, A5 =: 3 , ^5 = 7 7-1-7. 3-t-a.4 =36 = A6-i-^6 lo^ A^^ò, bi = S 3-+-2.3 = () = A^ , ^T = 9- 4- Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. Eseguiamo una seconda divisione disponendo la operazione coir ordine che sembra il piìx comodo D- •! j ri divisore oxasa^ia, ^ i483 ividendo 700264020 . , Vo-r;. ' -' ' '' quoziente a-jXs X4T3X3X1 =: 470200 Siccome a, a;, = 3j;, deve avere per cifra semplice A, = g, a:, = 3, Z», = 0. Formo a^^x^ = 34? ^^vo le 4 unità da A» = 2, e non potendo levo 4 da la, resta 8. Il prodotto aiX^-=-^ x^ avendo per ulti- ma cifra 8, x^^=-(ì: «3X1-4-91:^3 = 24-4-18 = 42, ^3 = 4. Formo moltiplicando in croce, «30;, -Ha» j:3 = 4-3-i-8.6:=6c, vi unisco il porto ^'3 = 4^1 ho 64: levo 4 da A3 = o, ossia 4 da IO ho 6, e siccome a^Xy=-'i x^ ha per ultima cifra il 6,^:3 = 2; aggiungo «1X3^6 ad a^x^-^ a^x^-\-h^^=.bàf^ ho 70, quindi il porto b3 = 'j. Formo «4^;, -l-a3a?3-+-«3X3= i.3-+-6.4-i-2,.8 = 43, cui unito il porto 7, ho 5o : levo o da A4 = 4 e perchè l'avanzo 4 è l'ultima cifra di ^ Xa^ sarà X4 = 8. Aggiungo 3x^ = 24 a 5o ed ho il porto Z'4 = 7. Formo fl4X3-t-a3X3-i-fl3X4= i.6-H4-a-+-8.8 = 78, vi unisco ^4 = 7, ed ho 85: levo 5 da A5 = 6 resta i, per cui S x^ ha per ultima cifra l'unità, X5 = 7. Aggiungo 3:j;5 = 2I a 85 ed ottengo il porto Z'5=io. Formo ^4 X3-f- 03 X4-Ha3X5=: 1.2-1- 4-8-1-8. 7=90, vi unisco il porto IO, ho 1 00 : levo o da A^ = 2 , onde da 3 x^ desumo a;6 = 4. Aggiungo 3x6= 12 a 100 ed ho il porto ^5=11. Trovato il quoziente, a riprova, formo «4^4-+-«3%-'-«3-^'6= i-8-h4-7 -f-4-8 = 68, cui sommato 11, ho 79 , onde Aj = 9 , ad (24 X5 -i- 03 xg = 23 unisco il porto èj =: 7, ottengo 3c per cui Ag^o. Ad «4X6 = 4 aggiungo il porto ^8 = 3 ed ho Ag=:7. Il quoziente di sei cifre si è trovato senza tentativi, impie- gando sei cifre del dividendo e tutto il divisore: abbisognarono Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 5 i8 moltiplicazioni di numeri semplici, e ii somme. Col me- todo comune avremmo eseguite ^.b = 2,/\. moltipliche, 3.6=: i8 somme ed altrettante sottrazioni. Se però alla nostra regola aggiungiamo la prova, si fanno altre 6 moltiplicazioni ed altre 6 somme. Se la divisione non si può effettuare, col nostro metodo veniamo a trovare quel moltiplicatore del divisore che dà il prodotto più piccolo, le ultime cifre del quale formano il divi- dendo. Adduciamone una prova di fatto. D. .j I /: o o divisore 03 Oafli := Sao ividendo yooyoa ^ ^sr — « • ' ' quoto x^XiX^XìX^Xi ::z ooogoo Siccome A, = a, considerando il prodotto atX, = 8x, che deve avere a per cifra semplice, ne deduco a;, = 9, £>, =17. Formo b.-^-a^x^^'j-i- i6 = 2,S : levo 3 da Aj = 3, ho zero: dunque a, Xa = o, x^ = o, b^^n. Formo b^~\~a3Xj-^a^Xi = 3.8-+-2. = 2,6 : tolgo 6 da A3=7, ho I : onde dal prodotto a,xz = g X3 desumo 0:3 = 9 ; èj-HasXi-HfljOrj-f-o, 0:3 = 26 -(- 81 = 107, ^3= IO. Formo bì-*- 03x^-^-0^x3= io -i- i8 = 2.3: levo 8 da A4 = 3, ossia 8 da i3, ho 5: onde da 90:4 desumo 0:4 = 5, e siccome a8-+-9o!r4=73, ^4 = 7. Formo ^4 -4- «30:3 -f- «30:4 = 7-f-a.5-»-3.9 := 44- ^^^'^ 4 ^^ A5 = 6 , resta 2. , per cui da 9 0:5 deduco 0:5 := 8 , e siccome 44-^-9^5=116, ^'5=11. Formo ^5 -1- «30:4 -f- «^0:5 = 1 1 -Ha.8-l-3.5=4a : levo a da A6 = 7, resta 5, onde x^ = 5. Avendo impiegate tutte le cifre del dividendo, l' operazione si arresta : ed avrò le altre cifre maggiori del vero prodotto me- diante le solite equazioni. Dal numero 42-t- a, 0:5^87 ottengo Z'6 = 8. Da 8 H- ^3 0:5 -H «a o-È = 4a ricavo A7=:a, ^^ = 4 4-1-^3^6 ='9 A8 = 9, A5=i e finalmente ho il numero 192,763733 = 329X585908. 6 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. Generalmente il dividendo non contiene esattamente il divisore, e si vuole conoscere il maggior numero di volte che questo è contenuto in quello, non che 1' eccesso del dividendo sul vero prodotto. Siccome le ultime cifre del dividendo dipen- dono in parte dalle cifre del vero prodotto, in parte da quelle della differenza incognita, la quale può essere qualunque intero più piccolo del divisore, non è possibile desumere dalle cifre minori del dividendo le minori del quoto, epperò bisogna in- vertere r ordine della operazione, come insegna il metodo co- mune, al quale crediamo di poter surrogarne altro che prendo a dimostrare. Devo prepararmi alcune premesse la prova delle quali si semplifica impiegando i segni dell' algebra. Indico con A un numero maggiore di un altro B, non di- visibile per questo; chiamo Q il quoto, B, il resto della divi- sione per cui A = BQh-B, = B(Q-hi) — (B — B,). Dimostrerò che uno almeno dei prodotti BQ,B(Q-f-i) ha tante cifre a sinistra identiche con altrettante di A, quante sono quelle di Q meno una, ovvero due di meno. Suppongo BQ=am am—i an-»-i a„ Ca Oi Bi = bn babi . Sommando questi numeri, se !-. . . . -HaTaicH-x, [a„^,-^b^^, io) ic^'-' -t- a„H.^, ic-^'-^" -f- a„^^. 10"-^-— '-+- .... -1- a„^, iCH-ttnio"— • ....-+- a» io-+-a, (a) {^) 8 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. il divisore, il quoto ed il vero prodotto. Siccome -Hr-io) io"-^'^-"-i-a„^,_, io"+-'--"-Ha„^,_,io"-+-^-3-+-.... ■4- [a^^r-s-^^ -^ b„^r-s-^^ . IO — Z'„-K,_,H-, ) lo"-^^-'-^-' -4- (a„^,_5H., -H Z'„_K,_,^.j . IO — Z'„-+.,_,) IO"-*-"--' -4t ( a„H.,_, -4- ^'„+,_, . IO — Z'„-Hr-.-. ) iC-^'^-^-' -+- -t- ( tìs„H., x,_,_, -4- fl„ x,_, -4- -4- fl„_,, X, ) lo"-^---^-" -4- \ ( a„_^.,_,_, -H- Z>„^.,_,_, . io) ro'M-'--^-3 _<_ «3 lo^ -H a» io -t- a, , e siccome i o>x,_,_, , a,,^, .10.1 o"-^-'■— ^— ^ >o,i-i-, Xr_,_, . 1 o"-*-'— '— =■ a„ . lo"-^---^-» >a„^,_,_» . io"H-'--^-' -4- -4- a, . IO -4- a, , Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 9 quindi ( a„^., . i o -+- a„ ) i o"-^"^— ^— » -+- (oc„-v_,_^-»-Z'„-Kr-,-a-io) lo"-*-"^-^-* H-a^.io-f-a,. Se a,,^., j_, è una delle cifre comuni al dividendo ed al vero prodotto, sarà w-t-r — ^ — i >«-H2 , ossia r>.5-l-3 , ra-4-r — s — 3>-« , la parte a„H.,_^_a . i o"-^'^— ^— ' -+-.... -+-Aaic-i-A, del dividendo sarà più grande del divisore a„-H, io" -(-....-+- a^ io -(- a, : e siccome il prodotto vero supera il dividendo diminuito del di- visore sarà molto più maggiore del numero [y) ( a,,^, -4- b„^r -10)1 0"+^— H- a,.H-,_. . 1 0"+^-» ....-♦- a„H.^, . I o"^^-^-' -t- a„-Kr-.-, . I o"-*-'-'-». E perchè (^) = {a„^r -+- ^,,-Hr-io) 10"-^'^— ■ -h a„^.,_;..io"-^'^-».... -h -H (a„-H, x,_,_, -H «„ j;,_, -♦- fl„_j Xr—s^, -f- a„_, a;, ) lo"-^''— ^-* -H (a„H.,_,_^ -+- ^',.H.,_,_» .10)1 o"-^'--^-^ -H a„^.,_,_3 . 1 o"-^---^-*. ...-+- a» io-)-a, < { a,,^, -t- b,,^, .10)1 0"-»-^-' -+- a„^,_, . I o"-^'-> . . . . -1- (a„^,_, — ^„-^,_,_, ) 10"-^^-^-' ( a„H., I O -H rt„ ) 1 0"^^-^-» -H Z'„^,_,_, . I o"^^-'-^ dunque quest' ultimo numero è maggiore di (y), epperò {d) b„^r—s—2. •+■ art (Xr_j-t- l) -f- «„_, Xf—s^i ....-+■ Un — s Xr "^dn-^r — s—i "t- [bn-^r—s^i — Cln-^i ) IO. Ciò premesso, supponiamo che col mezzo delle equazioni (a) siano determinate le cifre Xr , Xr—\ , Xr—2. • ■ ■ ■ fino ad Xr—s-t-i '■> la seguente Xrs dovrà rendere soddisfatte le due equazioni ■ Tomo XXV. P." 1- 2 IO Su LE OPERAZIONI IN^'ERSE CC. — I xr— i-t-a ^n — s-t-i Xf — (Xn-^T^s -H bn-^-r—s • IO On-t-r—s—s, •+■ an-^i Xr—s—t -H Un Xr—s -H Un—t Xt—s-^i -H an — s Xr = tXn-i-r—s — i "+~ t'^+r— j— i • IO. , Siccome nella prima equazione (a) il numero a„^r -i- b„^T iO rappresenta la prima o le prime due cifre del dividendo, co- noscendo Xr determineremo b„^r—i ; quindi con Xr , Xr—i si trova b„^r—siì ecc. per cui pervenuti alla ricerca di Xr—s sarà noto bn-i-Ts • Supponiamo conosciuto il valore di Xr—s- se nella prima equazione (e) porremo Xr—s-^i per Xr—s, e b„^r-s—i — an-^-t in luogo di bn^T-s—i quella equazione sarà tutt' ora soddisfatta. Ma dalla seconda avremo bn-i-r—s—3. -+- a,, (Xr—s-i-l) •+- Un—i Xr—s^i -+-.... -i- an—s Xr non > a„^Ts—i ■+■ {b„^r-s—i — «n-t-i ) io, la quale relazione contraddice alla condizione (d), epperò il vero valore di Xr—s deve essere il più grande compatibile colle due equazioni (f), ossia bn-+-r — s—i -t- <3n-»-i Xr^s •+■ On Xr^s.^.l .... -t- ^n—s-i-i Xr = an-¥-r—s "+" t'/i-l-r — s • IO (1-) Cln Xr—s -^ ^n — i Xr—s-^i .... -4- ttn—s Xr non > a„^r— i— I -+- bn+r—s—i -IO, quindi ( Un^i io H- a„ ) Xr—s -+- ( «n • IO -t- Un—x ) Xrs-^-i -t- ( Un—s-^-i .10-+- Uns ) Xr (I) non > bn^r—s . IO" -+- an^r—s . IO -f- an^r—s—i • Da queste relazioni concludiamo che per determinare Xr—s-, oltre le operazioni eseguite antecedentemente, occorre il numero iv) Cln—t Xr—s^i ■+■ Uns • Xr quindi s prodotti ciascuno di due cifre semplici, ed s — i som- me. Impiegando la relazione (|) dovremo formare il numero Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi i i Ann-r—j IO' -+- a„^r_j IO" -H a„^.r_i_i e fare anche una sottra- zione. Ma siccome è necessaria la cognizione del numero l/n-t-r—s—i gioverà usare a preferenza le relazioni (/) in luogo di (5) . Dunque la cifra Xr—s del quoto dipende dalle cifre fln-i-i 5 fin 5 «n i ••• On— 5 del divisore, e dalle b„^r-, a,n-^T •> a.n-y-T—\ ... an-Jr-T—s—\ del dividendo: cioè dalle j-hi cifre del maggior or- dine del divisore, e da .j-+-a ovvero 5 -+-3 delle cifre maggiori del dividendo. Quella cifra Xt—ì deve essere la più grande che moltiplicata per il numero a„_Hi .10 -i- a„ , rappresentato dalle due cifre maggiori del quoto, dà un prodotto non maggiore di un numero dato, che è hn-j^-T—s • IO"-Ha„+r— 5 • I O -I- ««^-r— j— i — («n ■ IO -f- an_, ) Xr—j-j-i — ( Un—i .10-+- a„_2 ) XrH-j-+-a ■ ■ • ■ — ( fln— j-i-i . I O -f- Un—s ) Xr . Si dovranno inoltre formare tutte le somme di prodotti a«H-i Xt '■) «n-i-i Xr—\ -+- fin Xr ; fl/i-t-i Xr— a -H Cln Xr—i ■+- Un—i Xr '■> ^n-t-i Xr — i -t- Un Xr—s-^-i • • • • H~ Un — s-t-i Xr j <3n Xr—s -t~ (in—t Xr—s-^i ....-¥- Un — s Xr cioè un numero di moltipliche espresso da i-i-ìì-(-3 -h (j-f-i)-l-(j-i-i) = ^-^:t!^iii^ e ciascuna di due cifre semplici: e dippiù I -f-a-t-3 . . . . ■+- s-^s= ''*' somme. II metodo comune esige tentativi talvolta penosi, sempre assai più complicati ed un maggior numero di operazioni. Ogni cifra deve essere il numero più grande il quale moltiplicato per tutto il divisore dà un prodotto non più grande di altro numero dato, che dicesi residuo. Ognuna si moltiplica per tutto il divisore, onde si fanno ?z-+-i prodotti di numeri semplici, quindi n somme, poi altrettante sottrazioni fra cifre semplici, levando il prodotto dal residuo. Per cui trovata la cifra Xr—s si sono eseguiti (5-i-i)(ra-+-i) prodotti, (^-+-i)ra somme ed (s-i-i)n sottrazioni. Dunque si fanno {s-h i){n-+-i) — ('■^')('-*-^)—U->-')(^^-'-^) moltiplicazioni e 4"-*-4-^^— ■! — somme inutili all' oggetto che si 12 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. ha di mira direttamente : le quali operazioni riescono assoluta- mente superflue nel calcolo approssimato. Per determinare le ultime cifre del quoziente Xì-, x^^ x^ seguendo il nostro meto- do, dovressirao far uso delle equazioni fl/i^-i Xi -^UnX^. . . .-+- an—r-ì-4 ^^ "*" ^«-*-a =a?!-+-3 -H hn-vi • I O Un-^i X2.-^anX3 ■+■ a«_r-(-3 Xr ■+- bn+i = a„^z -<- ^n-4-2 • I O (^*) { 7 _ / Un+ì ^i ~^~ ^n ^3, • • • • ~H (a„^3 -+- K-^-ììo) io" -f- A„^, . IO"-- ■+■ A„^, lo"-^ . . . . _H Aj (k) — ( a„ x^ -h a„_, Xi -H «,,—^-4 Xr) ic" — ( a„_, X4 ■+■ a„_,-K3 Xr ) IO"—' — ( flj a:4 -H a, ars ) I o* — a^x^.ic. Per formare il secondo membro di questa relazione notiamo che determinando Xì colla prima equazione [h) ci sarà occorso già di calcolare la differenza (a„^.3 -H b^^s io) — (a„x^ ■+■ 0^—1X5 -t- a„—r-*-^Xr) alla destra della quale scriveremo il numero A^^-j . io"— ' -t- A,,^, IO"— " . . . . -4- A3 che consta delle n — i cifre del dividendo precedenti a sinistra le ultime due A,, A,. Così avremo la dif- ferenza tra la parte positiva ed il primo termine negativo del secondo membi'o della relazione (k). L' altra parte che chiamo (A) vale a dire (A) = (a„_, IO"—* -+- Un—i 10"—^ -+- fitj IO -Ha, ) 10.0:4 -H ( a„_a I o"— ^ ■+■ a„_3 1 o"—'^ . . . . -4- flj I o -4- a, ) I o*. X5 -I- . . . . -4-(tì!„_^3l0"-^-^ si ottiene moltiplicando {/) fl„_, IO"-"-HC„_, lO'^ per (w) x,..ic'—^-^Xr. cioè l'ultimo termine or^.io per tutto il numero [l)\ il penul timo Xc,.io'' per (Z) ommesso il primo termine a sinistra; poi X(,.\o^ per (Z) tralasciati i due primi termini, e così di seguito Dovremo quindi soddisfare la relazione (k) che scrivo {x3-f-i)B>P Ripetendo riguardo ad x^ ed x, quanto si è detto per Xì concluderemo dover essere ' -H fla io-+-a,) iC— ^ .Xr •i tA t _a 10"—^ -H -H Uì IO" H-C j.IC-Hfl IO'— 4.. ...-HXe Gl'I ^•ll > ■ • .lO^-t- Xj il ■ • IO" -f-X4 IO It4 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. [X3.10 -+- (x,-i-r )]B>P. IO.-)- A,, epperò (/?) (x,-i- i)B>(P — xjQ) io-4-A, = P, [j:^.io-f- (x, -4- I )]B>P. .io-hA, ed iq) (j:.-i-i)B>(P._:r,.Q)io-+-A, = P, ed il residuo finale sarà P^ — Bx, . Per trovare x^ avremo eseguite tante moltiplicazioni quante ne indica la formola ^''*'''>^^'^^^ ponendovi s = r — 4' cioè ''^''~ ^ ■ Per avere x^ ne abbisognano altre (»-I)-^-(;^_a)-4-(^^-r+3)=<'"-^-;^^^-^^ Per avere x^ ne faremo altre ra-Hi, poi re-+-i onde trovare a;,, ed ra-4-i ancora onde conoscere l'avanzo. Dunque il numero totale delle moltipliche sarà cioè quante ne esige il metodo comune. Ma colla nostra regola tutte le cifre del quoto fino esclu- sivamente alla penultima si trovano generalmente senza riprove: non si impiegano mano mano che le cifre del dividendo e del divisore che sono essenziali : nei calcoli di approssimazione si ha un notevole risparmio di operazioni, ed avremo lo stesso vantaggio tutte le volte si sappia, o attesa la piccolezza dell' avanzo finale o per altra ragione, che anche «,,-+.3, «„-(-, , a„ eguagliano le cifre corrispondenti del dividendo, e ciò impie- gando le equazioni (A) per trovare le ultime cifre del quoziente. Anzi siccome questo caso si incontra frequentemente, e le parti note delle dette equazioni (h) abbisognano essenzialmente per trovare x^ ed x,, ci-edo che gioverà spesse volte tentare l'uso dei valori che danno quelle supposizioni. Dobbiamo ricordare un caso eccezionale che abbiamo già accennato: cioè, essendo n^-\-s le cifre del divisore B, se al- cune cifre del dividendo A le quali, partendo dall' ultima a destra, occupano i posti n -t- i ; ra^ -i- 2 ; ; n -4- r > /i -H .?, sono eguali a zero, il prodotto B(Q-Hi) e non BQ potrà essere Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi i5 quello che ha comuni col dividendo almeno le m-hr^ — j cifre dell'ordine maggiore. Dunque se le cifre di A sono in numero m-f-r -H re =«-+-/•-»- I , quelle di B sono « -4- 5 = n -+- i , e Q ne ha m-i-r — 5=r, il numero delle cifre comuni ad A e B(Q-i-i) sarà almeno m-i-r^ — i =(TO-i-r -i-« ) — (.j-4-n)=r, quindi a„_Ha^A„H_j^o. Se le cifre di A saranno in numero m-^r^n=n-\-r, sarà m-hr^ — ■^, = '' — '' epperò nuovamente a^-^» = A„-t.2 = o. Siccome anche in questo caso si verificano le proprietà su le quali è fondata la nostra analisi troveremo collo stesso mezzo tutte le cifre del quoto Q-Hi fino ad x^ di cui si conoscerà il valore prossimo dell'unità. Ma siccome B (Q-4-i)> A>BQ alle condizioni (^), (^q) dovremo sostituire le seguenti (:t,— i)B<[P — ;r3(Q-+-i)]iOH-A, = n,, ( X, — i) B < [ n, — ;c, (Q-i- i) ] IO -+- A, = n, e r ultimo avanzo sarà B :i;, — 11». Ma per toglierci dall' incer- tezza potremo dividere A-i-B per B, ed ottenuti il quoto Q ed il residuo R, siccome A-hB=B . Q-(-R, ossia A=B(Q — i)-4-R nel numero Q — i avremo il quoziente cercato. Gli esempi che soggiungo dichiareranno l'uso della regola. Dividendo ASySS '^"''"°"' eififj-EljA , ' ' quoto X3X»x, IH 109 Scriviamo ancora le equazioni, delle quali potremo far senza in appresso, a, X, = a, -t-i, . IO, Z», -+-a, Xa-»-aa^i=<*a-*-^i • IO, b^-i-a, a-a-t-aj^Ta-t-as j;, = a3-(-Z'3. io, bì-^a^X3-i-aìX^^a^-+-b^.iOi ^4 -t- «3 :c3 = as H- ^5 . io. Sono bs=o, a5=4, ed osservata la grandezza del divisore siamo certi che a^ = 3. Dunque devono essere Z'^ -+- 3^3 = 4, atX3 = X3 non >3-4-Z'4.ic, a:3=i, Z»4=i. Avremo poi Z'3-t-/3aX3-i-a3a;j = Z'3-(- i -+-3xa = 3-4- io, Z», -f- 3x, -H X» -+- 4 = «3 -*- ^3 . 1 o, io Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. epperò *3-i-3^^=ia, 07,-1-4 non >a3-f-^'3. io. Se faccio :r,=4, ^3 = 0, siccome a^ non > 7 la seconda condizione non è sod- disfatta, dunque saranno al più a;,=:3, Z'3=:3. Supposto a3=7 avremo ^a-i-3a:,-H 7 = 37, ossia Z», -t- 3x, = 3o, è,-|-r,-|-4-»^a = ^i-+-a;, -f- la^aa-HZ^a .10, quindi ^, =19, Z'2=:3. A riprova formo a, x, = 36, onde A, = 6; b^^=d. Poi Z',-Hx, a:, -t-^^ a, = 3-1-9-1- 12 = 24, A^ = 45 ^^ = 3 è;» -I- a, ^3 -1- fl, a:, -H ^3 ^, := a -H 3 . 9 H- I . 3 -t- 4 . I = 36 , quindi A3 = «3 = 6, Z'3 = 3. Il vei'o prodotto è 43646, l'avanzo 107, il quoto 139. Dividendo 9999859806 : ^"''"^ a,a,aias a. a. = 34^^M _ JJJ^ ' quoto a:5X4X3a;aar, = 29220 Finché non siamo esercitati nell' uso della regola bisogna tenerci sott' occhio le equazioni (a) . Devono essere S^rj-f-Z», = 9, ?>Xi^-\-àfXr,^hi = ^-^h,.\o^ per cui a-5 = a, ^, = 3 *~i-' 3%-4-8-4-^'3 = 39, 3a-3-i-4ji;4-Haa;5-H^'4 = 9^-^3.10, cioè 3x4-f-Z«3 = 3i, Sjcj -1-4x4 -i-Z'4 = 5 -hZ/j. IO, quindi ^4 = 9, ^3 = 4. 3^3 -H 36 -1-^4 = 45, 3x^-1- 43:3 -4- 2x4-1- i .X5-i-^5 = a4-f-Z'4.io, ossia 3x3-1-^4 = 9, 3xaH-4a;3-H20-i-è5 = a4-4-^^. IO, onde ^3:^2, ^4=3 sebbene non si conosca «4 . Se poniamo «4=9 3Xa -H 28 -I- ^5 = 39, 3x,-l-4-r ,-1-2X3-1- 1 .X4-l-6x5-l-^6 := «5 -I- ^5 . I e, cioè 3x,-h£'5=:ii, 3x, -l-4-^2-Ha5-i-Z'6 = a5-Hè5 . io, dunque al più Xa = 2, Z'5=:5. 3xi-H33H-è6=:a5-i-5o, àfX^-^'i.x^-^i .X3-H6x4-i-8;i;5H-è,=a6-'-^6 • • o, ossia 3x,-i-è6 = a5-i- 1-7, 4xi "*~ 7^"*~^? = "6-+-^6 • 'o. Se a5 = 8, Xi = 5, b(,^=:io. Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 17 A riprova formo 5.8=:4o, A,=o col porto 4 4-+-a,.a!;a-)-«aa:,=4-+-2-8-t-5.6=5o, Aa=o col porto 5 5H-i.5-t-a.6-H-a.8=38., A3=8 col porto 3 3-1-2,. 5-H 1.2-1-6.2-4-9.8=99, ^4=9 9 9-t-4.5-<-a.a-Hi.a-i-6.9-f-2,.8:=io.5, A5=5 io io-)-3..5-H4.2-t-a.a-Hi.9-t-6.a=:58, A6=8 come abbiamo supposto. Dunque sarà 9999859800 il prodotto vero coli' avanzo 6. Dividendo i4986ooa3g: *^'"^"^ .4 ^s^,.. = 4875 '^ -' quoto XrXf—iXr—iXr—SXr—^Xr—S ....:= 007400. .. . 4^;, -4- i, = 14? 4^r— i-*-8^r-+-^a = 9-t-^i • IO ; a;^ = 3, Z', = a 4^r— I -H- a4 -+- Z»» = 29, 4^r— 2 -H 8a%_, -h 70;^ -H Z's = 8 H- Z'i . I o, ossia 4-"^r— i-t-^a = 5, 4^r— 2 -+-80:^—1 -H ai -+-^3 = 8 -1-^1. IO. Non ponno essere ar^— , = i, èa=i, 4^. ^ -♦- 29 -)- ès := 1 8, dunque a;, 1 = 0, b^=:5 ^x, a H- a I -I- Z'3 = 58, 4^r— 3 -t- Sxr—a-H '^x, ,-(-5a:,-t-è4=6-t-^3 . 1 o, ossia 4^r— 2-+-^3 = 37, 4^r— 3-*-8a;,_»-+- i5-i-è4=:6-t-^3.io, onde o-v—a =7, ^3 = 9 4^r— 3-H-7I-+-^4 = 96, 4^r— 4-4-8arr_3-(-7^r— 2-+-5x,_,-4-^5 = 0-(-è4.I0, ossia 4'^r— 3 -4- ^4 = a5, 4^r— 4 ■+• 80:^—3 -4- 49 -♦- ^5 = o -<- ^4 . i o. Se pongo a;^— 3 := 5 , ^4 = 5 la seconda non regge , dunque ^r-3=45 *4 = 9 4^r— 4-t-8i -(-Z»5=9o, 4^r— 5-t-8xr_4-4-7r^3-H5a;,_2-4-^6^a-f-è5.io, cioè 4^r— 4 -•- ^5 = 9? 4^-— 5"^ 8^r— 4-1-63-4-^6 = 2,-4-^5 . 1 e, a;,_4 = o, Z'5 = 9 4^:^—5 -H 63 -+- ^6 = 92, 4^r— 6 -t- 8x^5 -4- 7Xr_4 -4- 5a:,_3 -i- Z'- = 3-4-^6 • IO, ossia 4^r— 5 -4- ^6 = 29, 4*r— 6 -1- 8xr_5 H- 30 -4- Z»^ = 3 -4- Z'e . i o, Xr_5^5, C'è ^ 9 Tomo xzr. P.'» /.» 3 'l8 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. Siccome abbiamo supposto che il vero prodotto abbia comuni col dividendo tutte le nove cifre dell' ordine maggiore, le cifre del quoto che abbiamo ottenute sono le sei prime per ogni numero che avremo ponendo alla destra del dividendo stesso altre quattro cifre. Essendo poi a,Xr_5=a5, 2,-i-atX, ^-ha^x, 5=a-4-5.7-+-5.o=37, 3 -H a, jc,_3 -t- a^ Xr—^ ■+■ a^ Xr—s = 3-t-4.5-f-7.0H-5.8 = 63 6-t-a, Xr—^r^a^ x,^i-¥-aì x,_^-^a^ x,_5=6-+-5.7-i-7.4-i-8.o-h4.5=89 8-+-a, a;r_,-H(2:, j:,_a-l-a3 ^r— 3-l-«4 ^r— 4=8-f-5.o-4-7. 7-H8.4-t-4-o=89. Sarà 1498599375 il vero prodotto del divisore e del quoto tro- vato, e 864 1' avanzo. Ora che abbiamo comprovata con esempj la speditezza, colla quale si trovano le cifre del quoto col mezzo delle equa- zioni (a) allorché si conoscono i numeri a„_Hr a„-i-, i----? vediamo come determineremo anche le altre, cioè le tre ultime cifre del medesimo quoziente. Riprendiamo il secondo esempio. Dividendo 9999859806 : divisore 342168 quoto XiX^XìXiXiZz: 3.<)2,a,b Siamo certi che le tre prime cifre del dividendo appartengono al vero prodotto. Dunque 3^5 -H ^3=9, 3ar4H-4^5-H^8=9-+-*9-io, onde 0:5=2, ^,==3 3^4 -4- Z'8 = 3 r, 3x3-H4a74-4-f2..a-t-è^=9-l-è8. IO, 3:4=9, ^8=4 3^3 -I- éj = 9, 3 Xa ■+■ 4^3 -*- a . 9 -H I . a -+- Z's = a^ -t- Zfj . I o, ossia 3xa -)- 4-3^3 -1- 2.0 -t- ^6 = '^T -t- ^7 • I o. Quindi al più 0:3 = a . Per accertarci riprendo la formola {k) trovata precedentemente : sarà (a„.+.3-Hè„^.3. 1 o) I o"H-A„H.:,. I e"-' . . .-4-A3=49- 1 0^-4-98598=4998598, da cui devo togliere ( fl„ . io"—' . . . . -4- Oi ) io . 0:4 H- (o„— , IO"— ^...^-a,) io\xe,....-t-(a„_r-^4.lc"— "^-^^...-4-0,) iC-^x^, Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 19 cioè moltiplico ^^' , ossia 9X42'! 68=3 795 12; aXai68=4336. 379512, 4998598 Sommo 4336 ; Sottraggo 4^^872 422872 769878 (k) Xì sarà il numero di volte più grande che il divisore è conte- nuto in questo residuo (A), appunto ^3 = 2 come abbiamo trovato. Ora da (A) levo il prodotto di x^ per il divisore, e vi scrivo 769878 ^ destra A;.=o : x, sarà il maggior numero di volte 684336 che il divisore è contenuto in (Z), onde :r»:=2. Levo 855420 (Z) da (Z) il prodotto di x» pel divisore e a destra del 684336 residuo scritto A, = 6 ottengo il numero {m) e 1 7 1 0846 (rri) sarà x^ il numero più grande di volte che [ni) 1 7 1 o84o contiene il divisore, onde a:,^5. Levato ormai da 6 (") [iris il prodotto di x, per il divisore ho l'avanzo 6: come altrimenti avevamo già conseguito. Prendiamo dalla preziosa Aritmetica del Sig. Bourdon un altro esempio segnato come uno che richiede penosi tentativi. Dividendo 9639475: ^^Z^ ^^^^^^^^^^if^- Siccome 2x4-4-^6 = 95 2X3-H7X4-H^5 = 6-f-^6 . io, quindi X4 = 3, Z'6 = 3 2x3 H- 2 1 -+- ^5 = 36, 2Xa -4- 7X3 -+- 8x4 -4- ^4 = tts -+- ^5 . I O, cioè 2X3-h£>5=i5, 2X» -)- 7X3 -+- 24 -*- ^«4 = «5 -h- Z's . I O, dunque al più X3 = 45 ^5 = 7? 2x,-t-52-4-Z>4 = a5-+-7C, ossia 2Xa-*-è4 = a5-4- 18. Generalmente resterà incerto il valore di X3, ma nel caso presente non essendovi dubbio procediamo a trovare Xj . Sop- primo nel dividendo la parte considerata 96, ed alla sinistra 1' ultima cifra, onde resta 3947. Vi pongo a sinistra ^5 = 7 ed 789 4- 7^9 = 3i 56 ho 73947- Moltiplico 34 , ossia 3 . 89 = 26 7 e sommo. 5826 aO Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. 78947 Sottraggo 58a6 la cifra x^ indica quante volte (k) con- 1 501^7 [k) tiene il divisore, epperò x^ = 5. Levo 13945 da [k) il prodotto di x^ pel divisore e 1 742.5 (Z) alla destra del residuo (l) scrivo 1' ul- ^"7^4 tima cifra 5 del dividendo. Il numero 69 1 [m) y.^ indicherà quante volte il divisore si contiene in (/), cioè x^-=^(). Levo da (Z) il prodotto di a;, = 6 pel divisore, ed ho 1' ultimo avanzo {m) . Dividendo 1498600289, divisore 4^75- Siccome questo se- condo numero ha quattro cifre e la terza a sinistra del divi- dendo è uno zero possiamo trovarci nel caso eccezionale. Ad evitare ogni molestia, sommo i numeri dati e prendo a dividere 1498605 1 14 : ^^ — ^-— . . ~-' • X6 X5 X4 a;3 Xa Xi =: 007400 4^6-+-^8=i45 4^5-+" 8^6 -+-^7 = 9-'- ^8 -IO, onde a;6 = 3, ^8 = 2 4a;5-<-a4-Hè.j = 29, 4^4 ■^- 8x5 -t- 2, 1 -f-^6 = S-t-^7-io, ossia 4'^5 -4- ^7 = 5, 4'^4 -^ ^^5 -t-l8-HZ'6 = ^7.IO; quindi non potendo essere a;5= i, b^-=i in fòrza della seconda equazione, saranno j;5 = o, b^ = ^: 4a;4-HZ'6 = 37, 4^3-H8a?4-t-7X5-t-5x6-+-^5^6-i-è6 • ^ o, ossia 4^3 H- 80:4 -+-9-1-^5 = ^6. IO, epperò ^^4 = 7, *6 = 9 : 4^3 -+- ^5 = 2.5, 4xa -t- 8 j:3 -+- 49 -t- ^4 = «9 -4- ^5 • I o, ed al più X3 = 45 ^5 = 9- Sebbene possiamo aver per buono il valore di X3, per confer- marci, e trovare x^, x, riccorriamo alla regola superiormente indicata. Sopprimo nel dividendo a sinistra la parte già impie- gata, a destra le ultime due cifre ed ho o5i. Eseguisco la mol- 875 875x7 ) 6ia5 tiplicazione 807 vale a dire 75 X o > = 000 . 5X3 ) j5 76^5 Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 2.1 9605 1 Alla sinistra di o5i scrivo «o-H^o • 10 = 96 yóaS ottengo e sottraggo (/) . Sarà ara = 4 i^ maggior iqiici (/) numero di volte che il divisore sta in (Z). Levo 195*^^ da (/) il prodotto di X3 pel divisore e a destra 3oii {m) dell'avanzo pongo in (m) la penultima cifra del ooii4(ra) dividendo: sarà ^^, = 0 che indica quante volte ^ ' il divisore sta in (m) . Levo da {m) il prodotto ^ ^^' del divisore per ^^^ = 0, scrivo a destra del residuo 1' ultima cifra del dividendo ho (ra), e sarà x, = 6. Quanto il divisore sta in (n) ne tolgo da («) il prodotto, ed ottengo l'ultimo avanzo {p). Il quoto sarà 3c74o5 : il vero prodotto 1498599875 che cade nella eccezione. Facciamo un ultimo esempio. !-.• -j j o divisore 34ai68 Dividendo 100002,01070 ? . '» quoto X5 X4 X3 X» aTj ^ 29220 Siccome la sesta cifra a sinistra del dividendo non è lo zero non ha luogo 1' eccezione. 3a:5 -+- èg = I o, 3x^-^j^Xi-i-bs=o-+-bg.\o, ^5=2, ^3=45 Sx^-^bs=32, Sxì-^^x^-i-4'-i-b,j = o-i-b6,io, ^4 = 9, bs = 5, Sx3-^-b^= io, 3x^ -h ^X3 -1- 20 -4- ^6 = «7 -t- ^7 • I O, al pili 0:3 = 2, ^^ = 4- Ma non conoscendo «^ ricorriamo alla solita regola. Tolgo dal dividendo 02019 : scrivo a destra «8-t-^8 • 'o = 5o ottengo 5002019. 42168 3795x2 = 42,168X9 Moltiplico 29 ed ho 4^36 = 2168X2.. 422872 e ^^ 5ooaoi9 ^ottr^èèo 4^^872 Siccome il divisore è contenuto due volte in /n 773299 (Z) ^3 = 2, ne levo il prodotto e alla destra 684336 dell' avanzo pongo la penultima cifra del divi- {m) 889687 dendo ed ho (m) . Il divisore è contenuto due 684336 volte in (ot), epperò 0:^=2 j ne levo il prodotto, ('0 2o53oi3 alla destra del residuo scrivo l'ultima cifra del 2o53cc8 dividendo ho («), in cui il divisore si contiene (P) ^ 6 volte, a;, = 6 e tolto il prodotto da (n) ho l'ultimo residuo (p). aA Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. Regola di Fourier. ( Analyse des équations. ) Suppongo che siano a icf -+- a. lo'^— ' -*- (3» 10'^—*. . . . il dividendo, il divisore ed il quoziente. Saranno (a.io-i-fl,) (è.io"-t-è, io-(-^j), ro'-i-/?^.io-t-io a(Z'.io-t-è, ) lo-j-a, (^ lo-H^, )-4-(2Z'j>/'.io"-t-^, . i o -+-/>, -f- i , quindi a,(Z'io-Hè,) non>(/». io"-4-j9,.io-f-j!7a) — a[b.ic-\-b,) — fl!Z'a=R,. Avremo pure (a.io"-t-«i io-t-aa){è.io'-+-è, lo'-i-èj.io-i-èi) non >jp. io^-t-/7i io4-i-/7a, 10^-1-/73 . io*-f- 10% onde a(Z'.io-t-Z', ) io*-t-/7.io'-h/', io'-h/?, . 10-4-J93, quindi aa(è.io-4-Z'i)non>.[R,io-i-j93 — a,(èio-t-Z',)] — (a,è2-t-a^3)=R». Cosi (a.io^-4-a, io°-4-aa io-t-(23)(Z'.io*-4-^j IO*. . . .-HZ'4) non >.j7.io7-+-^, 10^. . . .-4-/7^. lo^-t- IO*, epperò a(è. io-+-è, ) io*-4-aèj. 10^ -+- a Z'3. io -f- a ^4 -+- «a ( 6 IO ■+- Z», ) IO H- flj è» -t- a3(^-io-)-è, ) non >/7.io* -f- . ... -t-j!74; quindi «3 ( è i o -4- ^i ) non >[R».io-4-/74 — aa(^-io-+-è,)] — (a, è^. -t- a, ^'3 -<- a ^^4 ) ecc. ecc. Essendo (a.ic-i-a.)(^.io*-+-Z',ic»-t-Z'^io-+-i)<(/;.io"-f-j9,io-H/74ic% onde a[b.io->r-b^) io* -4- a, (i.io-t-Z*,) io" -h aè^ io" -+- (a, Z'a-i-a) IO -H a, <(/7.io -+-/'2) IO"; questa condizione sarà soddisfatta quando sia Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi a3 a-»-fl, b^<,[p.i o"-t-j9, 1 c-hp^ — a [b. i oM-è,) i o — a, {b. i o-H^,) — aè»-i- 1 ] i o, ossia a->r-a,b^<[K, — a,[bìo-^b,)-^i)ic e molto più se (a) a-t-a, ^ i o'-t-(a,-i-aaè3) i o-+-aa<[R-a> i o — Oj{Z>. i c-^-b ,)] i o', la quale condizione sussisterà quando sia a -+- flj ^3 -H fl» Z'a < [ Rj . I o — «j ( è. I o H- è, ) ] I o, e molto più se {p) « -i- o, -f- a^ < R» • i o — aa(è.ic-»-Z',) . Le condizioni (a), (;?) sono quelle assegnate dal Fourier, e la nostra analisi insegna ad apprezzarne il vantaggio, il quale generalmente non può essere notevole. Meno inesatti, ma più complicati, sono i criterj forniti dalle relazioni antecedenti da cui abbiamo desunti quelli dovuti all' illustre Autore della Teoria del Calorico. Velia estrazione di radici. Si voglia la i/ ( 1 7698844 ) ? Indichiamola con «3 io^-4-aj. io*-»-a, . ioH-ao5 e dovrà essere 1 7698844 = a^-t-aa^a, . 1 o -+- (a*,-i-aao«:i) io" -+- (afì,fl,-+-aaoa3) i o'-t- ( a"a -t- aa, as ) I o* -H aa» 03 . i o^ -t- a'3 . i o*. Suppongo a% = a6-»-è6.io, ^6-+- aflofl, = a5-t-Z'5 . io, i&5-+-a%-4-aaoaa = a4-4-54. IO a''3-<-^i=«o-*-^o- IO, aa»a3-(-i&j = a, -4-5, .10, «''a-t-aa, a3-4-53=:aa-(-i6a. IO, aa, aa-+-aaofl3-«-54 = a3-+-i53. io, e, fingendo che il numero proposto sia un quadrato, dovranno essere ao-+-^o • 10= 17, «,1=65 a» = 9,.... e 5, 5/^2,^53 a4 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. i porti delle somme antecedenti. Assumo il principio fondamen- tale, dimostrato in seguito, che il valore di «3 debba essere il più grande compatibile colle due ultime equazioni, che anche a^ debba avere il valore più grande, il quale col valore tro- vato di «3 soddisfa la penultima e terz' ultima equazione : e così di seguito. Affinchè siano a^3 -+- ■^i = J 7? a(22tì3-H^a = 6-t-i5,.io devono essere (33=4,^1=1 Avremo poi 8^2-^/52= 16, a*3-+-8(3, -i-53 = 9H-^a . IO, quindi Ca=a, ^5^=0 8a, H-;^3= 5, 4'2i -l-8(3o-'-^4 = 8-l-i&3 . IO, onde a{=o^bi=S 8^0 -1- ^^4 = 58, 4^0 -+- ;&5 = 8 -+- Ì&4 . 1 o, dunque «0=75 ^4=2, epperò [/ ( 1 7698844) = ^^o^. 3 Volendo la 1/(329773402,18432) = «4. io*-Htì!3.io'-t-aa. lo'-t-fl, .lo-t-floj sarà 32977340218432 =: a^4 .IO""-+-3tìS%a3. IO" -H {^d^j^a^-^^a^a^z) 10'° -4- ( 3a% a, -f- óa^ «3 «4 -+- a^a ) io» -t- ( 3fl^ «4 -»- 3^0 «% -*- 6fl, «3 «4 ) 1 0^-+- ( 3fl, a*3 -4- óflSo «3 ^4 -*- 6fl, «2 04 -*- 3a^3 03)107 avremo quindi a trattare le equazioni seguenti o'4-Hi&o = 32, 3fl%a3-H5, = 9-t-i5o -IO, dalle quali desumo «4 = 3, Do = 5 27.^3 -)-/', = 09, 3a"4 a^-+-Sa^a''3-\-b^='j-^b, . i o=27.tì!j-H9a^3-t-Z/2 5 onde fl3 = 2, b, = 5 2.7. a^ -t- 36 -(- ^^ = 57, 3o% fl, -t- 60^ a^a^-^-a^ì-^bì = 7 h- ^^ . 1 0, vale a dire 2,'j.a^-^-b^-^2,i, 27.a,-t-36aa-(-8-t-^3 = 7-Hi5a.io, ed 0^ = 0, ^3 = 21 27.0,-1-/^3 = 209, 3o% 04-1- 3^0 o%-t- 60, Oj 04-+-i54 = 3-t-^3 . 10 = 2700-1- 36o,-t-^4. Del Sic. Prof. Gaspare Mainarci 2,5 Se pongo «, = 7, bì = ac la seconda ay ao-t-aSa-^-è^ =:2o3 è assurda, onde a, = 6, ^3 = 47. lipii'/jh j:II')L < Poi Q.'j a^-\-b,^^=2,b'j, 3a^3 a, -4- ó^o <23 «4 -+-6a, a^ a^-^Za'^^ ct^-i-br, = 4-1-^4 • i e = 36.0^-4-72,. Da cui ricavo Oo = 8, b^ = 4ii e la seconda equazione essendo possibile, conchiudo essere j/(3297734oai8432) = SaoóS. È tale la speditezza della nostra regola a fronte di quella in uso che stimo inutile lo instituire esan>e sul numero e la difficoltà delle operazioni che vengono risparmiate. Se il nu- mero dato non è una potenza dell' ordine di cui si cerca la radice, e questa si vuole soltanto approssimata, lo stesso me- todo risolve il problema senza ulteriore difficoltà: quando però ne abbisogni la radice della maggiore potenza di un certo or- dine contenuta nel numero dato, accade, come nella divisione, che le cifre minori si debbano ti'ovare col metodo comune. Ne adduco le prove con brevità essendo analoghe a quelle relative alla divisione. ,_^,_„;j ,_. La formola ( a„ . io"-t- a„_i . 10"—.^ . .■. . -f- a^ )^ =: a\. io"-H2a„a„_, .10"'— -+- (i) dimostra che il quadrato di un numero di /i -h i cifre ne con- tiene ara-f-i ovvero 2/1-4-2,: che se al numero (i) si aggiunge a(o„.io"-<- -haa)-\-i (i) , onde avere il quadrato del numero maggiore di una unità verranno generalmente alterate tutte le cifre minori fino a quella dell' ordine io' ed anche 10"-^', per il porto delle somme antecedenti: ma le cifre degli oi'dini superiori generalmente conserveranno il proprio valore. Ciò molto più avrà luogo se al numero (i) aggiungeremo altro numero minore di (2) . Dunque il quadrato più grande com- preso in un numero dato generalmente avrà comuni con questo le n — I cifre dell'ordine più elevato. Se alcune cifre del nu- mero dato antecedenti e seguenti quella che occupa il posto n^ e questa stessa, saranno eguali allo zero, le «-+-2 cifre mag- Toj}io XXV. P.'= /.^ 4 à6 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. 'f glori di quel numero potranno essere comuni ad esso ed al quadrato immediatamente più grande : lo che si prova come abbiamo fatto parlando della divisione. Scriviamo la formola nota (Q) . {an. IC"-^a„—i . IO"— r -|-a„_a. IO"— a -4- an-r^i . I O"-'--*-! -f- a„_r . IO"-'--t-fl„_r_, . IO"-'--' ...H-a,IOH-fle)» = aSi. io2n-t-afl„fl„_, .102"— '-4-(a^„_, -+-2a„a„_2) lo^"-^ h- (aa„ an_3-+- 2.an—i Un—a ) 10^"- 3 -4- ( aa„ a«_r •+• aa„_i an— r-*-i -+- a-an—'ì an—r^o. -+- ) i o=^"— >■ ^ (2flofl3-t-2a, fli) io'-t-(aaoaj-+-a% ) lo^-t-a^o^i • io-(-a%. <■ Supponiamo a\-4-Z'a„_, = aa„-i-({<2„ . io, 2,an fln— a-t-a^'n— I -H Z'au— 3 = «an— a -H ^an-^ • ,f f^ ; . =^" I ,f^ -4- Uan—r — i = Clan — r ~^ t^nn — r • IO, 2a„ Un—r—i ■+■ ^an—t an—r -H " l>-2,n — r — a^^Can — r — i -♦" t>an — r — i • tO, f \ I . . ,-i^i; .Oia ( /. afl„aj-Ha', -i-h, = a^-\-b^. io, 2.a^a,-^bo = a,-^b, .io, a^ = «e -1- Z^o • I o per cui sarà Q = ( a^n ■+- i>s.n -io — bun—i ) lo^" -h (aa«-i ■+■ bs.n—1 .IO — bs.n—2.) lO^"-' -+- ( «ajz—a H- *2n— 2 -IO — h^n—3 ) I C=."-a ec. = ( a^n -t- ^a« . 1 O ) I 02" -I- CCan-i • 1 O»"— ■ -+- a2.n—2. • I 0=»«-2 -t- aa/i—r-t-i • lO^n— r-t-i -t- ( «an-r — b^n—r—x ) lO'^n-r -+- ( 2«n (2n_r_i -I- iOn— i «n— r H- . . . • ) 1 0="— ''— ' -H (aa„_r— a -1- bt^n—r-^ • lO) io»"— ''— ^^ -4- «an—r— 3 • lO^"-''-? ....-(-«„. Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi o.^ Se 2.n — r — i>n-Hi, onde /z>./--t-2,, an — r — a>n, «an , b^n 5 «an— i 5 ■> a^n—r—a. soiio cific comuni al Q 6 ad ogni numero di cui Q rappresenta il più grande quadrato in esso contenuto: epperò se da un tal numero leveremo la parte a destra aa«_r-2 • I02"— '■-2 _l- A..10-f- Ae sarà Q > { ttan -I- ^an I O ) I Oi*'» -H «2/1—1 . I O^"— « -H aan-r-*-i lO^"-»--»-' -1- a^n-r • lO'^n-'" -H «an-r— i • IO'"—'—' e siccome (aan— i -t-acn. io) lo^"— »■— ■ ne segue (a^n -t-èan • io) lo^" -h aa„_i . io=^"— ' -t- . . . . -(- «an-r-Hi • lO-^"— '•-^-' -t-ttan-r . lO^"-'" — b^n-r-i ■ lO^n-'" -4- ( 2,a„_, a„_r -I- ) I O^"-'--' H- b^n—r—a ■ lO^"-''-' -f- (aa„_, -H2,a„ io) IO'"— f"— • >(a2n-f-^2M io) lo^» . . . . -+- «a^-r • lO^n-r -H «an-r-i • lO^"— r— 1 , ossia 2,a„_, ( Un—r -H I ) -<- aa„_a a«— rn-i -!-•...-<- ban—r—2. > «an—r— i "*- ( b^n—r—i — 2.a„ ) IO. (rt) Ciò premesso supponiamo determinate mediante le equa- zioni (Z) tutte le cifre a„ , <2„_j . . . . fino ad fl„_r+i, e conse- guentemente i porti br^n 5 ^an— I . . . . , ^an— r e che si debba tro- vare Un—r : dovremo quindi verificare le relazioni ■'"I . I, 2. aa„ an—r •+- aa„_, a„—T-t-j • • • • -H b^n—r—i = «an— r -t- C'ara— r -IO, aan— I «n— r •+• ^O-n—a fln— r-»-i . . . . H- ^an— r— 2 non > a^n—r—i ■+■ b3,n—T—i -IO. Se an—T-, ba.n—T—\ indicassero i veri valori di questi sim- boli, ponendo nella prima relazione an— r-*- i, ^an— r— i — aon in luogo di an e bun—r—i sarebbe tutt' ora soddisfatta, e se sussi- stesse ancbe la seconda avremmo aOn— 1 (fin— rH- I ) -t- 2a„_2 a,i—T-i-i- ••.-+- ba.n—r—!ì nOn > a^n—r—i -H ( ^'an— r— i — aa„ ) I O , S8 Su LE OPERAZIONI INVERSE CC. la quale contraddice alla condizione («) . Dunque il valore di an—r deve essere il più grande compatibile dalle condizioni [m). Questi dati bastano a trovare speditamente col soccorso delle equazioni (Z) [m) tutte le cifre dell' ordine maggiore fino alla terz' ultima, da che 1' ultimo dei numeri b3,n , a^n ■> oian—i che generalmente è dato essendo an^s, , e per trovare an—r ab- bisogna a2,n-r—i , quindi se are — r — i=ra-i-a, n — r=S, ep- però r ultima cifra della radice che possiamo determinare con quelle equazioni è appunto a^ . Le altre si trovano colla regola comune come dichiareremo con esempi. Tutto quanto poi ho detto per la radice seconda sussiste per la terza, e si prova collo stesso discorso. Si cerca la radice del più grande quadrato contenuto nel numero 5682,8391 ? Avremo «^3 -t- è, =: 56, afla«3-4-^a = 8-t-Z', . io, a"» -4- aflj «3 -1- ^3 = «4 -4- ^4 . IO. Quindi «3 = 7, ^1 = 7, i4«2-+-^a = 78, a%-t-i4ai-t-^3=«4-i-^4-io, onde Oj = 5, èa = 8. Siccome ( fls . 10^ -+- fl^ . IO» -H ( a, -4- I ) IO )" = a*3.io''-+-afi5itì!3. io5-)-a\. io4_t_a («83 . io^-4-o. IO — b,) 10^-4- (0C1-+-Z», .10 — b:,)io^-+- a%.io4-4-a.75(a,-t- i ) io^-t-(a, -(- I)^IO» > >568a83 = (ao-4-Z'o 10) lo^-i- a, . io^-4-a83.io% dunque a.75(ffl,-i-i)io-i-(ffl,-Hi)»>^'^.io^ — fl\.io»-H-a83=8a83— a5oo=5783, mentre a . 75 . «, . lo-t-a^j deve essere minore dello stesso numero, però a, = 3. Proveremo poi che a. 753 («„-»- i ) io -H («o-t- 0'' > (5783 — (a. 75. ioH-o,)a, ) lo^-t-gi > (5783 — 4509) IO''-H9I onde «0 = 8 e siccome (a . 753o-Hflo) «„ =: iao544 avremo l'avanzo ia749i — iao544 = 69470 ^ la radice 7538". Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 29 Ma è nel calcolo approssimato delle radici, epperò ne' bi- sogni più frequenti, che la nostra regola merita forse maggior- mente di essere preferita a (juella in uso, e valgano a conferma gli esempj, che adduco. Si voglia il valore approssimato di j/a? Considero a . 10^" = 2,00,00,00 : e formo le equazioni a^n-^bo = 2., aanfl/j— I -+-^i =^0 . IO, da cui an=i, èo=i afl„_, -+- ^i = I o, aan fln— a -I- a^n—i -hba,=:bt .10, cioè a(2„_2-t- a°n— 1 -^-^a = ^i • IO, fln— 1^4? ^1=2, 2a„_a -4- I 6 -<- Z/a ^ ao, art„ a^— 3 -+- aa^— i fin— a -i- Z>3 = èa ■ i o , vale a dire afl„_2 -4- ^a = 4, aa„_3 -4- 8an— a -H ^3 = ^a • i o, Un— 2. = I ? èa = a atì;„_3 -f- ^3 = I a, atìn fln— 4 -h a^n— i «n— 3 -4- a^n—2, -4- ^4 = ^3 . I o, = afl„_4 -4- San— 3 -4- I -4- ^4 5 onde «n— 3=45 ^3 = 4; 2,an_4 -+- 33 -4- ^4 = 40, ossia aa„_4 -4- ^4 = 7 afln Cn— 5 -4- aa„_i fln— 4 -4- 2san^2. an—3 -4- Z'5 = ^4 . I o = ao. io = c, 3a"^ — ai4-'Z'a = &, . io, onde a = a, b,= i IO. è-<-é2= IO, b-=o ^a^c-\-^b''a — 2,c-¥-b3 = b^. 10, ossia io . ch-Z'3= 100 Sa^d-i-bì-i-6abc — 2.d-i-b^ = bì.io, cioè 10 . d-i-b^ = bs. 10, C:=9, bs= IO IO . d-i-bj^= 100, 3a^e-t-3i'c-4- 3c*a-4-6aZ'f/ — 36-^-^5 = ^4 • ''^^ ossia IO . e-H486-HZ'5 = ^4 . IO, d = ^, b^ = 6o IO . e-+-è5 = 114? 3a^f-+-6acd — 2f-\-bi = bs. io, ^ ,■-,, .... cioè io./-H43a-HZ'6=:Z'5 . IO, onde 6 = 7,.... :f = 3,0947. Considero la equazione x^-}-iox^ — 1=0 (Cauchy. Sur le rapports entro le calcul des Residus Turin. i83i.). a*-i-ioa* — i-hZ',=:o, 5a^b -^ 2,0 .ab -i-b2 = b,. io, 5a^c-{- loa^b^'-i- io.Z>^-Hao .ac-^53 = 5^. io, 5a'^d-+-2.oa^Bc-h- loa^P -^2.obc-i-2.oad-^bi^-:=bz. io 5a'>e-t-a0(2^/&i-t- loa^c^-f-Soa^^^c -1- 5tì!,6* -1- aoae -t- ao . bd-k- icc^-i-br, = b^. io. Dunque a = o, 5,= i, b:,= io io.j&*-l-i53= 100, ao .i&c-Hi5;, = i53. IO, Zi = 3, bì-=.io 600-4-^4^100, aOi5fi?-H ioc'-Hi&5 = ^4 . IO, cioè 60 .i/-t- IO .C*-H;55 = ;54. IO, C=I, ZÌ4 = 4o Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 33 60. ^-(- ^5 = 390, b^ -Jt-2.be. io-h2,cd. io-hZ>6 = ^5 . io, ossia 2.43 -^ 60 e -h 2.0. d-\-b6 = bi. IO, d=z5, bs-=^o 6 e -1-^6 = 557, 5Mc -H aoZ'/-4- ao . ce -4- icd^-i-b^=ib6 .10, cioè 6o/-»-ao.e-4-655-»-/^7 = Ì6- IO, e = 9, Z'6 = 5o4, Dunque j; = 0,3 169 Si vuol risolvere ax^ •+■ 5x* -H 70; — 188 = 0 (Bellavitis.... ). Avremo aa^ -4- Sa* -+-768 — 1 88 -f- è, = ^o • 1 0 = o, Z'(6a='-t-ioa-i-7)-4-^» = ^i io, è^(6a-t-5)H-c(6a"-t-ioa-i-7)-4-Z'3=Z'aio 2,b^-i-bc{ \2ab-\- 10^) -t- J(6a*-t- ioa-4- 7) h- ^4 = £'3 . io, e' ( 6fi! -t- 5 ) -4- 06? ( I aa -4- 1 0 ) -H e ( 6a' -t-io.a-+-7)-4-Z'4 = Z'3.io Onde a = 3, £», =:68 91 . Z'-+-^a = 68o, a3 .i'-»-gi . cH-Z'3 = Z'j. IO, è = 6, Z'a=i34, 9 1 . e -t- 8a8 -t- Z's = 1 340, 376. c-t-gi .É?-t-43i2,-*-è4^Ì3. IO, c = 3, Z's^aSg 91 . S(B) ed M Intermedio fra A e B, S(M) cresce avvicinandosi M ad A e viceversa, e può assumere 36 Di un facile problema di Geometria ec. tutti i valori dal più grande S(A) al più piccolo S(B). Essendo M intevdo al poligono sarà S (M) > S (A) se si prende nel pro- lungamento di AB da B verso A, e viceversa. Se il punto M si trova dalk parte di un lato r opposta a quella dalla quale giacciono i punti A, B alle equazioni (3) sostituiremo le (4). Se la retta AB è talmente disposta che siano S(A) = S(B) ovunque si prenda M nell'interno del poligono sarà S(M) = S(A) = S(B). Le somme S(i), 8(2), .... che corrispondono ai vertici i,fi, 3.... non possono crescere e decrescere più volte, cioè non ponno esistere molti vertici ai quali corrispondano valori massimi e minimi di quella sommatoria discontinua: perchè se due somme S (r), S {r-¥-t) fossero minime per cui S [r-o) > S (;•-!) > S (.)< S (r-Hi) < S (r^-a) S {r-^t—2) > S [r^t—ì] > S (r-t-^) < S {r-^t-^-\) < S (r-Hi-t-a) .... , siccome S (r-+-i) , S (rH-a) crescenti nella direzione dei vertici 7-, r-t- I , r-+-2, si fanno poi decrescenti, essendo S(r-t-^ — i) > S(r-+-^), fra il vertice r ed r-t-f ve ne sarà almeno uno di massimo tanto nella direzione r, r^-i, r-na... come nella direzione opposta r — i, r — a, ;• — 3 Il primo massimo cor- risponda al vertice r-^-t — u ed il secondo al vertice r-f-^-t-u. Immagino le diagonali del poligono che uniscono ogni vertice di minimo con ogni vertice di massimo. Siccome il valore della som- matoria S corrispondente ai varj punti di ognuna delle diagonali r, r-\-t — u ; r, r-+-t-\-v ; r-f-?, r-^t — u ; r-*-f , r-^t-^-v varia rispettivamente fra i limiti S(r), ^{r^t—u); S (r), S (r-H^-f-u) ; S (r-t-?), ^{r^t—u); S(r-f-#), S (r-t-^-t-u) , se S (r-t-?) non < S (r), S {r-^t-+-v) non < S [r-Jft—u) ; indicata con X una quantità positiva e tale che sia X > S {r-^t) > S (a), X < S {r^t—u) < S [r-^t^v) , in ciascuna di quelle diagonali esisterà un punto suscettibile di una somma della grandezza X : epperò tanto alle rette che Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 3 7 uniscono quel punti, come a tutte le infinite che le incontrano, e ad ogni punto preso nell' interno e nel contorno del poligono corrisponderebbe una somma del valore costante X : il che ha luogo unicamente nei poligoni regolari. Dunque percorrendo il contorno del poligono o troveremo un solo punto di massimo ed uno di minimo, conseguenti, cioè corrispondenti agli estremi i,rn di uno stesso lato 7~rn-, se S(i) < S (a) < S(3) .... < S(w) , oppure essendo S (i) < S (2) . . . . < S(r) > S (r-Hi) > S (/•-Ha) >S(ff2)>S(r) i valori massimo e minimo S(r), S(i) corrispon- deranno ai termini di una diagonale 7^. Ma i punti di mas- simo e minimo potranno essere due per ciascuna specie ed ogni copia corrisponderà agli estremi di un lato. Queste considerazioni dimostrano ancora che a nessun punto interno del poligono può corrispondere una somma minore della minima S(i), né maggiore della massima S (/■) , perchè unito quel punto, che chiamo M col vertice i e prolungata la retta congiungente fino ad incontrare un lato t 1 , t in un punto N, se S(M)<;S(i) la somma decresce dal punto i verso M, sarà S(i) > S (M) > S(N) , ed S(N) non è media fra S(f— I) ed S(^). Indicata con S una quantità maggiore della minima S(i) e minore della massima S {tn) ovvero S [r) , nel primo caso S sarà compresa fra due valori conseguenti S (i), S (a), S (3) . . . . : se S(?), >S>S(^ — i) tanto nel lato t~i,t come nell'altro i,m esisteranno due punti, che indico rispettivamente con M, N suscettibili della somma S, la quale avrà lo stesso valore per tutti i punti intermedi ^i^lla retta che li congiunge. Siccome s=s(^_i)-+.4^[S(o-s(f-i)]=s(.)-f-^[SH-s(i)], ove i segni t — i, M; i,N rappresentano le lunghezze delle rette terminate ai punti t — i,M; i,N; ne segue j== [sw-s(^-i )]-=== [SH-s(i)] + [S(^-i)_S(i)]=o, la quale equazione, indipendente dalla grandezza S, insegna 38 Di un facile problema di Geometria ec. clie tutte le rette, alle quali corrisponde una somma costante, sono parallele fra loro ed incontrano il lato TTm- Il poligono in questo caso è intercetto fra due parallele che passano per gli estremi del lato 77^; cosicché la somma dei due angoli interni corrispondenti a quegli estremi non è maggiore di due retti. Generalmente i valori massimo e minimo fra gli S(i), S(a) .. . . corrispondono ad una diagonale TTr- ogni somma S media fra S(i) ed S(7-) lo sarà pure fra due copie S(i — i), S(i); S(m — i), S(m): in ciascuno dei lati t—i,ti u — i,u e nella diagonale ~r esisteranno tre punti in linea retta cui corrisponderà la somma S. Queste rette sono tutte parallele fra loro, e le somme che ad esse corrispondono vanno aumen- tando quanto più ogni retta si avvicina al vertice r. Il poligono è compreso fra due parallele che passano per gli estrerai i, r. In qualche caso in luogo di un solo punto di massimo o di minimo, o dell' una e dell' altra grandezza, ne avremo due, corrispondenti ad un lato, il quale sarà parallelo al solito si- stema di rette: il che ha luogo essendo il poligono simmetrico intorno ad un asse. Anche nell' esterno del poligono si trovano più rette ca- paci di somme medie fra S(i) ed S(r), ed anche più grandi di S (r) senza limitazione. I luoghi geometrici dei punti ai quali corrisponde una somma S di valore prefisso sono contorni di poligoni di diversa natura dipendente dalla grandezza di quel parametro e dalla natura del poligono : le quali circostanze giova studiarle su di ogni figura : come farò per il triangolo. Del Sic. Prof. Gaspare Mainardi 89 II triangolo sia i, a, 3 : Suppongo S(i) < S(a) < S(3) : nel lato 773 esisterà un punto H cui corrisponde S = S(a), e che troveremo col mezzo della equazione e siccome ^.S(i) = 7:3.S(a) = T7I.S(3), r7H = S=H.T:i tutte le rette a somme costanti il cui valore è medio fra S(i) ed S(3) sono parallele alla 7/H; e questo valore aumenta quanto più la parallela si discosta dal vertice 1 verso il vertice 3, Nel lato 77» esteso da i verso a fisso un punto A3 273 a 3 A, 377 3 I Aa nel lato 77a esteso da a verso i fisso un punto B3 073 3 a B, 37T 1 3 B, condotte da ognuno di quei punti le perpendicolari ai lati, troviamo ■TaI A,(i) A,(a) — S(r) A /,\ i,A, g /Q\ ' 1:T ~ S(3) S(T) ' ■«•»IU— T^y »l^;' A,(a) = S(i)-f.il^S(i) 1, a S(A,) = S(i)-HÌi^[S(i)-«-S(3)]. 1,0 Troviamo pure S (B3) = S (i) -»- ii|| [ S (i) -»- S (a) ] i,a S(A.) = S(3)-FMi[S(a)^-S{3)] S(B,) = 6(3)-H^[S(i)-t-S{3)] 1,0 S{A3) = S(a)-H2iii[S{i)-HS(a)], a,B, S(B0 = S(a)^-M.'[S(a)H-S(3)], a, o 4o Di un facile problema di Geometria ec. dalle quali caviamo — r-_S(A,)-S(i)— -. _S(Bj)-S(.)- ^-r-_S(A.)-S(3).--. '> U3 - S(>)-f- S(2) '.^ 3^ X _S(B,)- S(i)-H -S(3) S(3) 1,3 a, b7 _S(BO- S(a1 -1- ■S(a) 2,3 ; T-4-— S(A3)-S(a) . 2, A3— S(,j^g(^j 1,2, „,_,^_,„, epperò: A nessun punto del piano del triangolo corrisponde una somma minore di S(i): ed al solo vertice i compete una somma del valore S(i). I punti che danno una somma S me- dia fra S(i) ed S(a) sono quelli di una retta MN parallela alla 2,H interna al triangolo della quale troviamo gli estremi N, M colle equazioni ■ — TT— S-S(t) . ^_ S-S(i) — - Poi tutti i punti di una retta esterna terminata ai prolunga- menti dei lati intorno all' angolo t della quale troviamo gli estremi Aa,B3 colle equazioni ♦,....:-,„., jr, ,;,.,.,. (a) -rr— s-s(.) — T. — R-__s-sa) — [a) '»A»— g^_^_^g^3^ ,,3, ij-l^s— S(,)-4-S(2) i'2. Finalmente i punti delle due rette terminate M A^ , N B3 : per cui il luogo geometrico cercato è il perimetro del quadrilatero A^ Bj N M Aa . Se S = S (2,) la retta interna al triangolo coincide colla a,H. I punti ai quali corrisponde una somma S media fra S (a) ed S (3) sono quelli di una retta M,N, interna al triangolo, parallela alla ^^H, i cui estjr^eny . JVI, Ni, posti nei, lati TTs ; aTs si hanno colle equazioni ^ ' ' '>" ' ' ^ ~:;TJ ' '^"' \ '"'•.' ^' "'• ^j- _ S-S(i> — -. r-M-— S(3)-S — - i.i-^*! S(3) — S(i) ''"^' ""''^^■^' — S(3) — S(3) ^'^" Altri punti sono quelli di una retta esterna terminata ai pro- lungamenti dei lati dell'angolo i, i di cui termini A,, B3 sono dati dalle stesse equazioni (a), attribuendo ad S il nuovo valore. Del Sic Prof. Gaspare Mainardi 4' Altri punti ancora sono quelli di una retta terminata ai prolungamenti dei Iati intorno all'angolo 2, della quale fisse- remo i termini colle equazioni im —— _ S — S(a) . — — _ S — S(3) (^; 2, A, — s(,,H.s(2) ''^' '»''*■— s (a) -^s (3) ^'•'- Alle tre rette nominate si aggiungono ancora le tre A, B, ; A3M,; B3N, : e siccome i punti A3,M, ,N, non sono in linea retta, il luogo geometro dei punti ai quali corrisponde una somma S media fra 8(2,), S (3) , è il contorno dell' esagono A.BsN.M.AaB.A,. Se S = S(3) la retta M,N, si riduce al solo vertice 3, e r esagono si converte nel pentagono A3 B3 3A3 B, A^ . Se la somma S>S(3), qualunque ne sia la grandezzaj an- che nell'angolo compreso dai prolungamenti dei lati formanti il vertice 3 esiste una retta A, B^ ad ogni punto della quale cor- risponde la somma S, ed il luogo discreto è il perimetro di un esagono A2B3 A, B^ A3B, A^ . Siccome poi per uno stesso valore di S, sono i,A» S(i) -4-5(2) 773 . — S-t-S(i) 7711 " S(i)H-S(3) • 7;^' '"^3— s(,)^S(a) ''=*' —jT— S.4-S(.) —:; i,D» S(i)-*-S(3) ■''*■ I,A» I,Ba quindi -7^—^ ^= =^=^ ; cioè i lati A,B3, A3B3 sono paralleli: ijBj ijAj e lo sono pure A,Ba,AaB, ; B, AsjBsA, . I quadrilateri del primo sistema, e gli esagoni del secondo e terzo hanno i lati posti nei medesimi angoli rispettivamente paralleli. Se il triangolo è isoscele, ed S (a) = S (3) , la retta ITH è la stessa base ITs • . Essendo 4^—^ = = le rette A» B3 , A3 B, sono parallele 1,83 i,a '^ a quella base. e- — :— S-HS(a) — — - S-4-S(a) Siccome poi 3, A. = s^^y^ :,»; s,B,=-^:^.,s •_S;4-S(a) —-_—_. ___ S + S(a) _• ^'^■""TTsFT^'^ — 3'^- ' ^'^'— S(i).HS(a) 1.2 — 3, A, , Tomo XXV. P." I\ . 6 4^ Di un facile problèma di Geometria ec. le rette A,B, , B3A, sono egualmente inclinate alla base del triangolo. Se il triangolo è equilatero, a tutti i punti interni e del perimetro corrisponde una somma costante S (i) ^ S (2) ^ S (3), ed i poligoni esterni sono esagoni equiangoli di cui i lati op- posti sono paralleli ad uno dei Iati del triangolo equilatero.' ^ Non prendo ad esaminare altre figure, essendo agevole il farlo: ma svolgerò in seguito non poche questioni le quali con- ducono ad analoghe conseguenze. 43 TAVOLA SINOTTICA DEI GENERI SPETTANTI ALLA CLASSE DEGLI INSETTI ARTROIDIGNATI, FLEMIPTERA, linn. late. — RHYNGOTA, fab. — RHYNCHOTA, durm. MEMORIA DEL SOCIO ATTUALE SIGNOR MARCHESE MASSIMILIANO SPINOLA. avola sinot- o farla pre- rsi seguitare da una più delle parti che mi hanno somministrato i caratteri essenziali dell' ordine. Il primo passo, nello studio della natura, sta in riconoscere gli esseri da studiarsi, e il primo atto di ricognizione non può aver luogo che alla vista dei Caratteri o delli Atti esterni. L' importanza dei Caratteri esterni delli animali è propor- zionata alla loro possibile influenza sulli atti della Vita esterna. La Vita esterna.) che può dirsi pure la Vita di relazione presa nel suo più lato senso, si è quella che ripone l' animale in necessaria relazione coi corpi esteriori, e quindi può com- prendere diversi atti che i fisiologisti vogliono riferire alla vita organica. A guisa d'esempio, nel fenomeno della nutrizione, l'assimiliazione del cibo pertiene alla Vita interna., ma la presa dell' alimento e la dejezione delle feci sono della Vita esterna. 4a Dj un facile problèma di Geometria ec. le rette A^B, , B3A, sono egualmente inclinate alla base del triangolo. Se il triangolo è equilatero, a tutti i punti interni e del perimetro corrisponde una somma costante S (i) = S (2) ^ S (3), ed i poligoni esterni sono esagoni equiangoli di cui i lati op- posti sono paralleli ad uno dei lati del triangolo equilatero. Non prendo ad esaminare altre figure, essendo agevole il Farlo: ma svolgerò in seguito non poche questioni le quali con- ducono ad analoghe conseguenze. 43 TAVOLA SINOTTICA DEI GENERI SPETTANTI ALLA CLASSE DEGLI IINSETTI ARTROIDIGNATI , FLEMIPTERA, linn. lath. — RHYNGOTA, fab. — RHYNCHOTA, burm. MEMORIA DEL SOCIO ATTUALE SIGNOR MARCHESE MASSIMILIANO SPINOLA. Ricevuta il 7 Dicembre 1849- IIHmDI£>^2IDHlS 1 er r intelligenza e per la giustificazione della Tavola sinot- tica, oggetto precipuo della presente Memoria, devo farla pre- cedere da un transunto delle leggi che stimo doversi seguitare nella classificazione degli oggetti naturali, non che da una più minuta descrizione e più filosofica nomenclatura delle parti che mi hanno somministrato i caratteri essenziali dell' ordine. Il primo passo, nello studio della natura, sta in riconoscere gli esseri da studiarsi, e il primo atto di ricognizione non può aver luogo che alla vista dei Caratteri o delli Atti esterni. L' importanza dei Caratteri esterni delli animali è propor- zionata alla loro possibile influenza sulli atti della Fita esterna. La Vita esterna, che può dirsi pure la Vita di relazione presa nel suo più Iato senso, si è quella che ripone l' animale in necessaria relazione coi corpi esteriori, e quindi può com- prendere diversi atti che i fìsiologisti vogliono riferire alla vita organica. A guisa d'esempio, nel fenomeno della nutrizione, l'assimiliazione del cibo pertiene alla Vita interna., ma la presa dell'alimento e la dejezione delle feci sono della Vita esterna. 44 Tavola sinottica dei ceneri ec. Nell'altro fenomeno della generazione, la separazione del licore seminale in un sesso, la fecondazione e Io sviluppo delle ova neir altro, sono della Vita interna, ma 1' accoppiamento e il parto sono della Vita esterna. Un Carattere esterno si dice naturale, quando si può rite- nerlo indizio sicuro o probabile di una qualunque modificazione nell' esercizio di una data fonzione vitale, o nell' esecuzione • dell' atto di una data volontà. Il Carattere è in pari grado naturale, comunque accenni a diversa fonzione di una medesima parte del corpo, o a una diversa parte incaricata di una medesima fonzione. Se il valore del Carattere sarà manifesto o dimostrato, lo diremo naturale in primo grado, e sosterremo non potersi om- mettere in un Sistema razionale. Se il valore del Carattere sarà solamente probabile, sarà utile osservarlo tuttavia a titolo di naturale in secondo grado , e tenerlo in vista nel sistema razionale siccome soggetto di esperienza e di osservazione. Non vi sono che i Caratteri naturali di primo o di secondo grado che si possano impiegare alla formazione di un qualunque gruppo d' animali : tutti gli altri sono Caratteri specifici. I gruppi sistematici si diramano e si moltiplicano, partendo dall' Animale preso in astratto e come tipo di Regno, sino al Genere, dopo del quale non vi è più che la Specie. Ogni gruppo è determinato da un complesso di caratteri naturali che com- prende il proprio distintivo particolare, ma pur anco quelli di tutti i gruppi che il precedono e dai quali discende per non interrotta filiera. I Caratteri specifici, quando anco fossero comuni a molte specie, non dovrebbero mai essere adoperati ad aggrupparle, perchè il gruppo risultante sarebbe artifiziale, cioè una arbi- traria creazione del nostro intelletto senza base e senza corris- pondenza nelle leggi e nelle condizioni dell'animalità. Indegni di stare nelle file dei gruppi materiali, dovrebbero starsene alla coda dei generi, e allora s' interporrebbero a titolo di Del Sic. March. Massimiliano Spigola 4^ Sotto- generi, come terzi di capriccio e di comodo, fra i due che devono seguitarsi senza un intermediario, cioè fra il ge- nere e la specie. ■ ■ ' Gli Artroidìgnati, non che tutte le altre divisioni princi- pali delli Insetti propriamente detti ( Endomyaria hexapoda della mia tavola ),i ricavano il loro distintivo particolare dalle particolarità del loro Sistema manducatorio. Ma i generi com- presi nell'ordine sono poi 'determinati da caratteri pur naturali esistenti indifferentemente in tutt'e le parti esterne del corpo. Ma i caratteri distintivi degli strumenti cibarj sarebbero inapprezzabili in quanto al loro valore se non 'se ne fosse acquistato il previo ed adeguato concetto, e se non si fosse instituito il loro confronto coi loro analoghi nella bocca meglio conosciuta degli animali superiori. Dunque la conpfcenza delle analogie deve precedere quella delle differenze.iii' ?»ii^ ;>i • ■ Ora queste analogie che vogliamo ricercare, o non lurono studiate, o rimasero disconosciute dai molti che ci precedet- tero. Nominatamente il Fabricius che era stato il primo ad avvisare gli entomologisti del partito che era da tirarsi dalla bocca degli insetti, e che aveva inteso fondare il suo sistema quasi esclusivamente sopra le varie foi-me di questo organo, mostrò di non averne veruna idea, ed attese nei suoi scritti a spezzare i fili e a cancellare le traccie di tutti i rapporti naturali. Intanto, dal canto mio, a riprendere le orme che ritenevo essere le uniche da seguitarsi e che mi sembravano smarrite, mi è toccato aprirmi una strada quasi nuova che mi ha con- dotto alla scoperta di qualche fatto anch' esso nuovo, onde ho creduto di essere giunto in punto da poter proporre migliore definizione delle singole parti, e di sostituire, ai vecchi nomi arbitrar) e decipienti, altri più significanti suggeriti dall' ana- logia e conformi alle definizioni. « Si on cherchait, dans les insectes ( dicevo io sino dal « 1837, nel mio Essai sur les Flemipteres hétéroptères , p. 19 ), « r analogue de la Machoire infèrieure des quadrupèdes et des « autres ordres supérieurs, il faudrait la reconnaitre dans une 46 Tavola sinottica dei generi ec. (^ « piece attachée au dessous de la téte et mobile dans un « sens oblique ou vertical:. dans une piece qui entoure ledes- te sous de la bouche, et sur la quelle les autres organes man- « ducatoires prennent naissance ou viennent s' appuyer. » Que- sta parte, soggiungevo pure poco dopo, esiste nel maggior nu- mero degli insetti, in molti ella è sufficientemente sviluppata e assai apparente. Eppure quasi dappertutto è stata battezzata con altri nomi che hanno variato all'avventura delle sue varie forme, mentre il nome di Mascella era stato trasportato ad altre parti secondarie, che non erano né gli analoghi, né gli omologhi delle vere mascelle. Dirò altrove delle Mascelle degli altri ordini. Ora mi tocca parlare di quella degli Artroidignati. Ella é di quelle che s' in- contrano appunto perfettamente sviluppate e molto apparenti. Attese le sue dimensioni sottili e allungate, presenta una re- mota somiglianza con un becco d'uccello, ed autori rispettabili le diedero il nome di Rostro a dispetto della sua manifesta inconvenienza. Essendo scavata a mezzo tubo nella fronte ri- volta verso le altre parti della bocca, e potendole ricevere nella sua cavità, fu paragonata a una Guaina^ e alcuni la chiama- rono Linguae vagina^ nome meno inconveniente del primo, ma buono solamente in questo caso e inapplicabile alli omologia degli altri ordini. La forma sub -lineare e la superficie scavata a mezzo tubo, non sono però esclusivi di questo ordine. Ricompariscono nei nostri Solenognati ( Solenognatha, va. ) che sono gli Imenotteri del Linneo e del Latreille, e i Piezati del Fabricius, e nei nostri Antliognati che sono pui'e i Ditteri dei due primi, e gli Àntliati dell' ultimo. La particolarità veramente esclusiva dell' ordine, quella che mi sembra segregarla decisamente da tutti gli altri, si é che questa mascella è composta di più articoli similari, disposti in serie longitudinale, mobili indipendentemente runa dall' altro., e tali che l'angolo compreso fra due articoli consecutivi é risultante, nel loro movimento, dalla loro con- traria direzione è sempre rettilineo e tanto più acuto quanto Del Sic. March. Massimiliano Spinola 4? che r insetto sente il bisogno maggiore di deviare la sua ma- scella dalla retta che è la linea normale della sua stazione e del suo riposo. Questo insigne carattere comune ed esclusivo di tutto l'ordine mi sembra giustificare la preferenza accordata al nome significativo Arthoìdìgnatha. ( Animali con mascella articolata ) sopra quelli di Rhyngota Fab. o Rhynchota Burm. che suppongono l'impossibile esistenza di un becco^ e A\ Fle- miptera Linn. che allude a parti non contemplate nella defini- zione dell' ordine. Certi Omalognatl ( Coleoptera^ Linn. ec. ) sembrano avere la mascella fatta di più pezzi, e si potrebbe volerla dire arti- colata. Ma questi falsi articoli non hanno nessuna mobilità in- dipendente, e la mascella si muove tutta d' un pezzo. È stato scritto che anco gli Antlìognatì avessero due o tre articoli nella loro pretesa proboscide., che stimo essere la loro vera mascella inferiore. Ma questo è un errore. Questi supposti articoli non hanno la stessa sostanza e non sono simi- lari. Il basilare, quando è distinto, non è altro che un lega- mento muscolare che unisce la mascella alla testa. Il terminale è un organo distinto, che ha le sue funzioni particolari le quali non sono in tutti le stesse, ma che in taluni somigliano tanto a quelle delle labbra che la proboscide ne fu detta labiato., e cessò dal dirsi biarticolata. Si obbietta contro alla generalità del carattere, che certi Gallinsettì., ovvero Coccina., Burm. hanno questa mascella senza articolari divisioni. Non lo contrasto, ma osservo questa ano- malia seguire solamente nelle femine che acquistano la facoltà generativa senza passare dallo stato di larva a quello d'imago, e la cui bocca rimane, in perpetuo, nello stato rudimentario primitivo. Non cosi segue dei maschi. Se si osserveranno col microscopio, si conteranno almeno tre articoli nella loro mascella. La mascella inferiore suole essere la base mobile sopra cui s' appoggiano i veri agenti della manducazione, ma il prin- cipale stromento di questa operazione, sì nell' uomo che nei quadrupedi, è la lingua, sede peculiare del gusto, muscolo 48 Tavola sinottica dei generi ec. potente, abile sotto certe condizioni alla presa e all' introdu- zione del cibo ; abilissima alla sua preparazione nella cavità orale e alla sua trasmissione nel canale digestivo. Però la lingua, così valente nei Mammalia, viene meno nelli altri Exomyaria. Principia a degradarsi nei Amfibii Saurii ed Ofidi^ va scemando della sua mobilità nei Chelonii, e la perde in tal punto fra i Pesci e fra gli Uccelli, che resa inu- tile alla presa e alla introduzione del cibo, concorre appena alla deglutizione mediante la depressione successiva delle sue fibre transversali, eseguita dall' alto al basso, e continuata dall' avanti all' indietro. n bI Una simile degradazione progressiva si verifica pure nelli Endomyaria hexapoda. In molti, la lingua perviene al suo mag- giore sviluppo, non meno che nei quadrupedi i più favoriti dalla natura, ed è manifestamente atta all'adempimento di tutti i suoi uffizi. Questi gli ho chiamati Dexioglossata., e corrispon- dono a quelli che furono detti Mandibulata, nome improprio siccome procurerò dimostrarlo a poche pagine in appresso. In altri, la lingua rimane in uno stato rudimentario e può dirsi quasi abortita. Questi gli ho chiamati Extramoglossata e cor- rispondono a quelli che furono battezzati per Haustellata ., nome che gareggia in improprietà con quello di Mandibulata. Gli Artroidignati appartengono alla seconda classe. L' Omo- logo della lingua si riduce in essi ad una picciola membrana libera e mobile, posata di campo sopra lo stipite osseo del capo, visibilmente dietro all' origine della mascella inferiore e giungendo appena a cingere l' orlo pure inferioi'e dell' orefizio dell' esofago. Dobbiamo la scoperta di questa curiosità anato- mica al Sig. Savigny. Egli ne diede la descrizione e la figura nella sua Mem. sur les Anitn. invertébrés, i J" part. i ." fascic. pi. V. fig. a et 3. Le connessioni di questa membrana col fa- ringe e colla mascella la palesano benissimo per 1' Omologo della lingua, ma non posso per ciò vederne in essa il vero Omologo in quanto alla parte da prendersi ai primi fatti esterni della nutrizione. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 49 Suppliscono air insufficienza di questo organo abortito quat- tro di lui dipendenze eh' io intitolerò Lingiiae appendices, per- chè questa denominazione non anticipa nessun giudizio e perchè conviene alla loro posizione, mentre non disconviene né alla loro forma, né alle loro funzioni. Gli ^Ippendicì della Lingua sussistono in più ordini e in ciascheduno hanno forme e destinazioni distinte. Nelli Artroi- dignati, essi consistono in quattro filetti setacei, lunghi, sottili, nascenti sulla superficie della lingua, presso a poco sulla me- desima linea transversale e in gran prossimità dell' apertura faringiana. Ogni filo è semplice, cioè senza articolazioni, mu- scoloso e quindi più o meno estensile e retrattile, libero in tutta la sua estensione, cioè, senza aderenza colla mascella e collo stipite del capo. La facciata interna è longitudinalmente scavata. I due estremi sono più lunghi, ma non più larghi degli interni, li abbracciano lateralmente e gli difendono a guisa di mezzi stucci. Tutti finiscono in una punta acuta fatta spesse volte a lamina tagliente o dentata, e disposta in modo da potersi riunire e formare, col loro insieme, una solo arma offensiva valsente a penetrare in certi corpi di una data resi- stenza. I loro margini laterali sogliono essere fregiati da file di barbettine flessibili, brevissime, poco apparenti all' occhio nudo, e destinate, per quanto mi sembra, a turare la fessura permanente nel canale interno dell' appai-ato. Ciò premesso, e dopo avere avvertito che non solamente la mascella non ha appendici, ma che il capo delli Artroidi- gnati non ha altro pezzo che possa intervenire nella mandu- cazione, ci sarà facile il prendere un giusto concetto di questa operazione e indi vedere se abbia circostanze particolari all' ordine, se le particolarità delle circostanze sono collegate alle particolarità delle forme, e se le particolarità delle forme sono debitamente messe in chiaro nei caratteri da noi assegnati. Primieramente V Artroidignato avrà da spingere il suo ap- parato linguale oltre l'estremità della mascella, se vorrà agii-e senza sortire dal canale mascellare, e 1' apparato penetrerà da Tomo XXV. P.'^ I". 7 So Tavola sinottica dei generi ec. se solo nella strada che gli si sarà aperta, la mascella non po- tendo accompagnarlo per avere il suo ultimo articolo talora incur- vato ad arco o mozzato in linea retta, talora smarginato, sempre ottuso e essenzialmente inoffensivo. Poti'à, occorrendo, cacciar liberamente lo stesso apparato linguale fuori dal canale ma- scellare, abbandonare la direzione talora obbligata della ma- scella e operare a visibile distanza della medesima. I quattro appendici che si erano strettamente congiunti per la loro piìi facile introduzione, avranno da disgiungersi alquanto al doppio fine di acquistarsi 1' opportuna libertà di agire e di dare al loi'o canale interno un diametro proporzionato al volume della molecula alimentare che il deve tragittare. Gli appendici, mo- vendosi liberamente, spingeranno nel canale 1' alimento che sarà frequentemente liquido, ma che potrà essere solido, se sarà stato ridotto in piccolissimi frantumi. L' alimento scorrerà il canale dall' una all' altra estremità, non in forza di un suc- chiamento, perchè questo supporrebbe la formazione di un vuoto e perchè la formazione del vuoto è inconcepibile in una ca- vità che non comunica con un polmone o con altro organo faciente le parti di una macchina pneumatica, ma per essere continuamente sospinto nell' oppoi'tuna direzione dalle fibre transverse dell' apparato, le quali si succedono una ad una in ristringersi e dilatarsi alternativamente , insino che abbiano trasportato il loro fardello all' apertura dell' esofago, punto in cui cessa la manducazione ed incominciano i fatti della nutri- zione che sono della vita interna e quindi fuori al presente dall' assunto dei nostri studi. Se non vi è succhiamento, non vi è stromento da succhiare; se non vi è stromento da succhiare, non vi è haustellum\ se non vi è haustellum, non vi sono Insecta haustellata. Si sban- discano dunque queste voci improprie, siccome dicenti mere contro -verità. Sono propenso a credere che il senso del gusto risiegga meno sopra la pochissima superficie della lingua rudimentaria che sulle pareti interne de' suoi appendici. Questa ipotesi che Del Sic. March. Massimiliano Spinola oi attribuisce la sede del piacere compensativo al luogo del mag- gior lavoro, mi sembra la più làcile a conciliarsi coi bisogni naturali e a servire alle mosse deìVInstinto che intendo essere l' attrattiva primigenia di ogni animale per V adempimento di tutti gli atti comandati dalle condizioni della sua vita. Gli insetti degli altri ordini hanno altri sistemi di mandu- cazione che si meriterebbero pure una lunga e minuta descri- zione, sed non est hic locus, e deggio per ora limitarmi ad indicare i tratti caratteristici che gh contraddistinguono dai nostri Artroidignati. Negli Agnathostomati manca interamente 1' omologo della mascella inferiore, e gli strumenti cibarj non hanno base ossea o cornea. Fra i Gnathostomati, i Dexioglossati hanno la loro lingua sufficiente a disimpegnarsi dalle sue funzioni senza il soccorso de' suoi appendici. Questi mutati di forma e di uffizio, sono stati diversamente battezzati sempre senza riguardo ai loro rap- porti e con rispetto esclusivo alle loro eccezionali singolarità. Gli interni semplici, molli e membranosi, furono chiamati, ora paraglossae, ora laciniae linguae exteriores. Gli esterni cornei articolati, somiglianti a piccole antenne, ne ebbero qualche volta il nome di antennulae, ma più generamente ritenneio quello in oggi invalso di palpi labiales. La mascella inferiore non si rimane immobile durante la manducazione, perchè partecipa necessariamente ai vari movimenti della lingua aderente , e può anco prendere una parte indiretta ai suoi preliminari per mezzo de' suoi proprj appendici, i quali, in numero di due, ten- gono un largo posto, nella classificazione moderna, sotto il nome usitato di palpi maxillares. Fra gli Ectinoglossati, gli ÀntUognati hanno la mascella inferiore munita pure di due appendici mobili e articolate che ritengono il nome prevalso di palpi. Ella è tubulosa presso alla base, e il tubo chiuso da tutte le parti, per breve che sia, è sufficiente ad impedire l' apparato linguale di uscire dal ca- nale mascellare. Meno solida che negli ordini precedenti, la 5a Tavola sinottica dei generi ec. sua porzione basilare e tubulosa è capace di erettilità, talché suole mantenersi in uno stato di tensione durante 1' atto della manducazione. I 3Iicrognathi hanno una mascella senza appendici, picco- lissima e inoperosa. I quattro appendici della lingua non sono fra loro conformi. Gli esterni sottili articolati, e detti perciò palpi lablales, non spuntano immediatamente dalla superficie della lingua, ma bensì dal fianco esterno degli appendici in- terni adjacenti. Questi suscettivi di singoiar volume, mal difesi dalla mascella, si ripiegano sopra se stessi nei tempi di riposo, involgendosi a guisa di spii'ali, sprovveduti di soccorso dalle altre parti, si hanno da distendere e da formare una specie di proboscide muscolare, di straordinaria potenza, e racchiudente in se stessa quel canale orale che la sostanza alimentare deve transitare dal punto della sua introduzione sino al suo arrivo all' apertura dell' esofago. L' esistenza di una mascella inferiore sembrerebbe tirar seco quella di un'altra mascella superiore corrispondente colla prima, tanto per simmetria di posizione, quanto per simultaneità di azione. La sua presenza si verifica nell' uomo, nei quadru- pedi e in tutti gli Exomyarìa. L' analogia e' indurrebbe a sup- porla parimente negli altri animali. Eppure se dietro al pre- messo supposto, andassimo in cerca di questo analogo negli Endomyarìa hexapoda^ la nostra ricerca riuscirebbe senza frutto. Ma se per lo contrario, dietro alla scorta della legge delle connessioni, cercassimo, non 1' analogo dello stromento mandu- catorio, ma 1' omologo dell' osso dello scheletro , allora potres- simo riscontrarlo , ma il troveremmo sempre vestito d' altre forme e delegato ad altri uffizj. II problema, piantato in questi termini, avrà ancora molte e molte difficoltà, imperocché la sua piena soluzione sarebbe subordinata a quella di un altro problema più generale e più complicato. Si tratterebbe diftatti di assicurarsi, se la testa di un insetto contiene gli omologhi di tutte le ossa cefaliche de- gli animali superiori. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 53 A prima vista, il problema sembrerebbe o assurdo o inso- lubile. Si contrapporrebbe l' enorme differenza nel numero dei pezzi. La testa di un insetto pare cosi semplice a confronto di quella di un mammifero, che si vorrebbe crederla disegnata dietro ad un altro modello. Ma una attenzione più matura ci fa tosto nascere il sospetto che questa apparente semplicità possa procedere, siccome procede, dall' intima saldatura delle ossa contigue aventi un diverso centro di ossificazione, salda- tura che io sostengo essere 1' ultimo termine dello sviluppo normale, quando non è impedito o controbilanciato da quello di un viscere in confine, per esempio, dall' encefalo dirimpetto alle ossa del cranio. Però, presso i più fra gì' insetti, queste saldature sono tali che le traccie delle suture primitive sono o appajono cancellate o cosi debolmente impresse da essere state prese, per righe insignificanti quando erano risaltanti e figurate in coste o in carene. Insisto sopra questo fatto, perchè in seguito a questo mio modo di vedere, mi è sovente avve- nuto di assegnare a diversi gruppi, e nominatamente a molti generi della seguente Synopsis , certi caratteri tenuti prima d' ora in minor conto e messi appena a taglio nella diagnosi delle specie. Attenendomi per ora ai soli Jrtroidignati, dironne che tutte le loro ossa encefaliche, a partire dall' occipitale sino a quelle della faccia, tranne l'osso nasale e il sopra -mascellare, formano un aggregato unico solido compatto e omogeneo che si merita il nome di Osso grande del cranio. Le ossa delle guancie, confuse cogli orbitali senza traccia d' intermedia divi- sione, sono da ciascuno lato distinti, ma non disgiunti dall'osso grande, mediante una sutura apparente, risaltante e careniforme nelle sole Fiilgorite, scavato a solco in tutte le altre famiglie. Più di rado, un'altra sutura transversale segrega e circoscrive l'osso unico della faccia. In alcuni generi anormali, scrupolosa- mente annoverati nella nostra tavola sinottica, altre suture transversali pur s' interpongono, ora fra l'occipitale e lo stipite osseo del capo eh' io credo corrispondere alle vertebre della 54 Tavola sinottica dei generi ec. midolla allungata, e allora si dice che l'insetto ha un colio di- stinto : ora fra il coronale e V occipitale , ora fra la porzione dell' osso grande che corrisponde al veitice del capo e 1' osso della faccia , ciixoscrivendo allora il vero omologo dell' osso frontale^ di rado in un solo pezzo, più sovente soddiviso in due pezzettini, non sempre congiunti sulla linea mediana, anzi tal- volta notevolmente distanti e allora ridotti alle apparenze dì due fossette laterali. Non era tanto facile rinvenire, in queste fossette, gli omo- loghi della fronte, onde non dobbiamo meravigliarci che questa denominazione sia stata applicata alla parte anteriore e me- diana del capo, che era piuttosto corrispondente alla faccia. La necessità di essere inteso, mi ha deciso a non discostarmi dalla nomenclatura consecrata dall' uso. Mi è sembrato che r errore, che poteva nascere dall' improprietà dei vocaboli, non fosse di tanto da mettermi nell'obbligo di singolarizzarmi e da impegnarmi in una strada nella quale moltissimi avrebbero ri- fiutato di seguitarmi. La più complicata spezzatura dell' Osso grande non ha però, negli Artroìdignati^ il benché menomo rapporto col vo- lume del loro encefalo e quindi col gradino occupato dall' ani- male nella scala ascendente organica. Le Tettigonite e le Ful- gorite, molto meno avvanzate delle Rediivìte e delle Pentatomite, hanno il loro cranio soddiviso in un maggior numero di com- partimenti. La causa ne sta nel rovesciamento del capo all' ingiù e all' indietro , onde ne risultano ingrandimento della mole e allontanamento fra loro dei diversi centri d'ossificazione. Secondo la legge delle connessioni, non che secondo le regole dell' analogia, 1' osso nasale avrebbe da essere un osso dispari mediano e aderente per sutura semplice alle ossa della faccia. Appunto un osso consimile esiste presso i più fra gli Endomyari^ e questo osso non differisce dal suo omologo negli Exomiari, fuorché i° per aderire alla faccia dal solo orlo ante- riore della medesima, a" per poter raggiungere la bocca, senza 1' ostacolo frapposto da una mascella superiore. Negli Artroidi- » Del Sic. March. Massimiliano Spinola 55 gnati, questo pezzo che avrebbe dovuto dirsi Nasus costituisce la parte superiore della cavità della bocca che non dobbiamo confondere né col canale mascellare, né colla cavità canaliforme dell' apparato linguale, ed ha la sua origine esattamente sopra r apertura dell' esofago. Gli autori 1' hanno chiamato ora Epi- stoma, ora Clypeum (Clipeo). Anteporrò il secondo nome per- chè più usitato, e perchè avendo un significato meno circo- scritto, riesce meno disconveniente nella moltiplicità dei casi vaghi e diversi. Il Clipeo non suole essere scompagnato di un' appendice mobile ed estensibile, evidente prolungamento libero della di lei tonaca interna. Questo appendice, suscettivo negli altri or- dini di molte varietà di forme e di gradi molto diversi di svi- luppo, è sempre negli Artroidìgnati allungato, terminato in punta, e di tale sottigliezza da potersi alloggiare nel canal mascellare al di sopra dell' apparato linguale, coprendolo e difendendolo in parte, onde avevo imaginato imporle il nome di Operculum oris, in rimpiazzo dell' usata denominazione di labrum, che mi è sembrata e mi sembra tuttavia di una inammissibile impro- prietà. Ma fatto il riflesso, che il canale della mascella è in- tieramente fuori della bocc^, e che 1' appendice, lungi dal co- prire tutto r apparato linguale, non giunge neppure all' estre- mità della mascella, ho riconosciuto il nuovo nome non meno improprio del vecchio, ed ho pensato, badando per ora più alla situazione che all' uffìzio, di starmene alla denominazione di Appendix clypealis, finché si possa passare a quella di Ap- pendix nasalis, alla quale mi sarei appigliato tanto più volon- tieri quanto che ho le mie fortissime ragioni per supporvi la sede dell' olfato, e per considerarne la tonaca interna siccome r omologo e 1' analogo della membrana olfat'u^a. L' Appendice clipeale né prende, né può prendere la ben- ché menoma parte nell' atto della manducazione, ed è stato un gravissimo errore 1' annoverarlo fra gli stromenti cibarj. L'equivoco non sarebbe accaduto, se gl'insetti avessero avuto una mascella superiore interposta fra il naso e la bocca. L'as- •56 ~- Tavola sinottica dei generi ec. senza di questo osso intermedio è bastata, non solamente per mettere al servizio della nutrizione certe parti che le sono straniere, ma pur anco a fare perdere le traccie della vera mascella che si voleva cercare laddove non si trovava. Sono convinto e spero di poter dimostrare che questa ricerca sarebbe stata meno infelice se fosse stata diretta altrove. Sappiamo che la mascella superiore dei quadrupedi è un osso pari, che i suoi due rami partono dai lati opposti del capo , si congiungono sulla linea mediana, occupando tutto il contorno osseo superiore della bocca, corrispondendo coli' altra mascella che occupa in simil modo il contorno inferiore, e concorrendo con essa, però passivamente in ragione della pro- pria immobilità, a diversi atti della manducazione. Sappiamo pure che quest' osso pari ha avuto diversi centri di ossifica- zione, che vi è stata un' epoca dell' esistenza fetale, in cui non era ancora che un aggregato di pezzettini distaccati. Ora dico che l' inuguale sviluppo di questi diversi ossettini, è la causa principale della varietà di forma e delle varie degrada- zioni che la mascella incorx'e nelle varie suddivisioni dei nostri Ostiati. Primieramente, l' arresto dello sviluppo, comunque nota- bile dappertutto, può non giungere al segno che sparisca qual- cheduno dei pezzi integranti. Allora l'aggregato è ancora com- pleto, ma discontinuo, e la mascella è trasformata in una serie transversale di ossettini moltiplici. Nei Pesci e negli Amfibi, si danno esempj di questa combinazione. Ma non si è mai osser- vato niente di consimile negli insetti il cui sistema osseo suol essere anzi rimarcabile per la sua anomala semplicità. In secondo luogo, vi può essere aborto completo di alcune parti, e allora possono darsi due casi opposti. Nel primo, man- cano le parti laterali, e sussistono le intermedie, o riunite in un corpo, o divise a pezzi distinti. Questa combinazione è an- ch' essa straniera agli insetti. Nel secondo, mancano le inter- medie, e restano le estreme. Questa è la combinazione della quale sj- dà esempio negli insetti, e che si può dire la loro re- gola più frequente. Del Sic. March. Massimiliano Spinola Sj Ridotta a tal condizione, questi resti isolati cessano dall' essere gli analoghi di forma e d'uffizio della mascella superiore degli Exomiarì^ e ne sono solamente gli omologhi riconoscijjili dalle loro connessioni. Ora nei più alti gradi dell'animalità, la mascella superiore si connette alla sua origine con una delle ossa laterali che stanno fra le faciali e il temporale, anzi più frequentemente con quello che gli anatomici francesi hanno chiamato l' Os de la pomette. Se 1' omologo di questa mascella esiste pertanto in qualche insetto, deve ritrovarsi annesso colla porzione del cranio che più s' approssima a una guancia , cioè con quella a cui i più moderni e i più dotti entomologisti hanno dato meritamente il nome di Gena. Adunque ogni qual volta troveremo, a fianco di una Gena., un pezzo distinto, qualunque ne sia la forma, qualunque ne sia 1' impiego, saremo autoriz- zati a ravvisarvi le vestigia trasformate dell'O^^o sopra-mascellare. Ora questi pezzi disposti a paja possono essere mobili o immobili , possono essere destinati a operare di conserva e in compagnia, oppure di fare ognuno da se a guisa di palpo, di chela o d' altro. Questo secondo caso non ha luogo negli Endomìari esapodi e non ho occasione di discuterlo. L' altro , supponendo che i due pezzi debbano coagire nello stesso luogo o allo stesso fine, esige che le loro estremità si possano rag- giungere, che si raggiungano in un punto da non incomodare gli altri agenti mobili incaiicati di altra missione, e quindi che stieno o sopra o davanti alla bocca e sempre fuori dal teatro della manducazione. Esigesi pure che possano a volontà avvicinarsi e allontanarsi l'uno dall'altro, e quindi che si muo- vano in senso laterale e orizzontale, e non in senso obliquo o verticale, siccome spetta alla mascella inferiore. Destinati ad agire sopi-a i corpi estranei, la loro forza e la loro mole sa- ranno proporzionate alla solidità e alla resistenza dei corpi che avranno da attaccare, e la loro foi'ma sarà adattata all' azione da esercitarsi. Cosi saranno fatte a pinze inermi, se avranno solamente da prendere e da conservare; a palette e a seggiuole, se avranno da prendere e da trasportare; a cesoie, se avranno Tomo XXV. P.'^ I.^ 8 58 Tavola sinottica dei generi ec. da prendere e da tagliare ; in somma, infinitamente varia può essere la loro missione, quindi infinitamente varia può essere la loro forma. Per accidente, la sostanza assoggettata alla loro azione è stata talvolta una sostanza alimentare. Questa circo- stanza è bastata a stabilirli stromenti esclusivi d' una supposta masticazione e a proclamarli sotto il nome di Mandibole gli attributi distintivi degli ìnsecta mandibulata che sono stati pur giudicati gli unici capaci di vivere di sostanze solide. Tutto questo è inesatto. Gli insetti in realtà né succhiano, né masti- cano, ma inghiottiscono con ingegnoso artifizio e con vario meccanismo il loro cibo tale e quale è stato introdotto o nella cavità della bocca o nella cavità dell'apparato linguale. L'azione delle supposte mandibole segue in altro luogo e in altro tempo. Desse non sono dunque sti'umenti cibai'j, a meno che non si voglia che lo sieno, come il sarebbero la mano armata del beccajo quando taglia gli stalli della bestia da macello o le unghie della belva quando straccia la pelle della sua preda. Mi avrebbe ripugnato di mantenere una nomenclatura tanto viziosa. Alla parola 31andibula, feconda di troppi errori, ho sostituito ^p- pendices supra-maxillares che dice poco, ma non dice niente di falso. Se gli appendici sopra-mascellari saranno immobili, li tro- veremo aderenti alla guancia ( Gena ) , mediante una sutura semplice, transversale e comunemente solciforme, gli vedremo prolungati a fianco al Clipeo^ distinti da una sutura pur anco semplice ma longitudinale, ed or solciforme o careniforme. Tali gli ho riscontrati in tutti gli Artroìdignati, e tali non si presentano mai quando si osservano le specie di qualsiasi altra divisione. Possiamo pertanto considerare questa peculiare forma degli Appendici sopra -mascellari^ siccome un secondo carattere comune ed esclusivo di quest' ordine. Altri li dissero fiderà rostri ossia sostegni del becco, ma non vi è il becco, e non vi può essere un sostegno quando non vi è niente da sostenere. Il Signor Burmeister li ha chiamati lora, ossia briglie o freni i anco questa voce mi pare che manchi di generalità e che Del StG. March. Massimiliano Spinola 5() rompa tutti i fili dell' analogia. Nel mio Essai sur les Ilémìpt. heteropt., a riguardo della loro essenziale connessione, gli avevo chiamati secondes pièces des lohes latéraux. Ma al presente quella designazione di lobi sembrandomi troppo vaga ed insi- gnificante, ho dovuto abbandonarla. I lohi laterali sono le gene, e r intermedio è quello che s' intende per fronte, tuttoché sa- rebbe fiirse meglio dirlo faccia. Finahnente in terzo ed ultimo luogo, comunque la Gena sia ancora distinta, o comunque siasi confusa nell' osso grande, questi appendici possono svanire afi'atto oppure ridursi a rudi- menti appena visibili e di niun servizio. Un tale estremo è appunto la regola nei nostri Esapodi agnathostomati , cioè sprovveduti di mascella inferiore. Fra i Gnotlio stornati è meno frequente. Nondimeno nei Dexìoglossati, lo troviamo manifesto ed essenzial carattere degli Anapognatha ( G. Thrips etc. ) . Negli Ectramoglossati , vediamo gli appendici dei 3Iicrognati ridursi a due munchetti liberi e mobili, ma troppo deboli per servire separatamente e troppo corti per raggiungersi ed agire di concerto, e quelli degli Authognati annichilarsi o almeno sottrarsi intieramente alle nostre ricerche. Con ciò pongo termine alla rivista delle innovazioni che ho creduto indispensabili e delle parole alle quali ho dovuto assegnare un nuovo significato. Ma per l' intelligenza della ta- vola, gioverà il quadro di sinonimia comparativa che inserisco in questa introduzione. I. Maxilla ikterior seu Maxilla . . Rostrum, in Hemipterìs,hin . aut Rhyn- gotis, Fab. — Mentum iuterdum la- bium in Coleopteris , Lin. — Proho- scis, in Dipieris, id. et AntUatìs,T&h. a. Canalis maxillabis Canal rostral, olim mihì. 3. Likgua., Saepius Labium ubi manifestum, rarius Lingua. Sed in Hemipteris , Lin. Rhyngotis, Fab. Arthroidignatis , di. membrana interne recondita, a D. Savigny nuper detecta et usque adhuc in systematibas praetermissa. 6o Tavola sinottica dei generi ec. 4. Apparatus lingualis Haustellum, Fab. — Lingua olim mìhi. 5. Appendices linguae iKTERiORES . . 5eitiuliiiis fronlis. 6-1 63 , l'enfre concavo, in cavitale pcdes quiescentes occultaiUe et super solum immediatae stationis capace 10. G. Cìnopds, Fab. 65 64 G6-71 , ten/re convexo pedes quiescentes neutiquam occultante et super solum immediatae stationis incapace. 66 65 — ■ -, pedibus, spinis plurimis armatis. 11. G. Odontoscelis, Lap. ( G. l/rsoeoris, Hn. - G. jdrctocoris, Gr. - G. Odontoscelis et jyreocorìs, m. olim. - G. Tyreocoris^ Liip. - G, CO' reomelaif ìf'hite. - G. G. CoreomelaSj Gal^upìia et Odon- toscelìs. A. S. ) 67 65 68-71 , pedibus, muticis. 68 67 , ma.'ciM in/eriore, metasterni mar- ginem posticum non superante 12. G. PachycorIs, Burm. ( G. Pettophora, Burm. - G. Callidea, Lap. - G. Scultphora, Guer. - G. Hotea et Captochtlus, A. S. ) 70-71 5 maxilld inferiore, plus minusve sub venire produclà. .... , antennis quadriarticulatis . . 13. G. Scutellera, Lam. { G. Ctdliphora, Gr. - G. Cantao, Galoslha et Sucorjses, A. S. ) .... , antennis, triarticulatis . . . 14. G. Augocoris, Burm. ea 67 70 69 71 G9 72 27 7.3-7S PENTATOMITAE, alarum parie coriacea ultra cubitum intùs extensà et disci partem occupante. Canalis inferi parietibus elevatis, ultra capitis marginem posticum non protensis. 73 72 79-88 , sculetto rotundato posticè vix coar- ctato abdonien totum obtegente. Canali infero, ut . in Sub-famitid Tpraecedenle. — SUB -FÀlilILÌÀ 2". Pseodo-Sciitelieboiueae. 74 72 89-96 . , sculetto breviore posticè coarctato acuminalo, abdominis apice detecto : maxittae infe- rioris articuto basitari lato, parietibus incrassatis in canali infero non recipiendis, maxillà quiescente ab origine liberà. — SVB-FAMILJÀ a"* . . . Asopoidae. 75 72 97-118 , sculetto, ut in Asopoideis; maxiltd inferiore minus crassd, in canali infero recipiendci, canalis parietibus elevatis sub pectore nunquam productis: ventre, linea media sulco exaralà. — SUli-FAmUA 4" Halysoideae. 76 72 119-54 , lined ventris medid , nec sulcalà, nec concava, saepius coutra carinatA : maxittd in- feriore brevi et ultra posticum mesosterni margi- nem non accedente. Caetera ut in Uatysoideis. — SUB-FA3IIUA 5" Edessoideae. 77 72 155-205 , maxiltd inferiore elongata et ad posticum metasterui marginem saltera accedente : 7© Tavola sinottica dei ceneri ec. tibiis inemiitius ad fodiendum ineptis. Caetera ut in EJessoideis. — SUB-FAìillLH 6" 78 72 208-17 PENTATOMITAE , xomeris, Lap. 121 119 , antennarum articulo primo, capitis apicem non attingente 39. G.PLATACAMTHAjH.Sch. 72 Tavola sinottica dei generi ec. 122 ìG EDESSOIDEAE, ventre mulico , prolubeianli;! pri- luae laniinae veutralis vel nulla vel inermi, vel anlrorsuni non reflexù, vel ad originem peduni teilii paris non accedente. J23 122 124-33 , metasterno prominulo. 124 123 125-130 , metasterni protuberantid, antica li- berà et sub mesosterno ilidem prominulo plus rainusve productfi. 125 124 126-121 , protuberantid mesosternali, inlegri. 120 125 , ediiein, basi horizonlaliler depressa, apice conico -acuta 40. G. Encostermjm, ni. Tijpus - species inedita o Portu Natal. 127 125 , eddem utrinque compressa, apice obtusà rolundatd 41. G. Tesseratoma, Enc. ( G. Tesseratoma, Mucanunij Eusthenes et Hy pencìia. A. S. ) 128 124 129-130 , protuberantid mesosternali emar- ginata. 129 128 , antennis, quadri -articulatis . . 42. G. Peromatus, A. S. 130 129 , antennis, quinque- articulatis . . 43. G. Edessa, Fab. ( Div. i.^ sinùs emargìnaturae raesosternalis angularis acil- tus. — G. Odessa, Hypoxis, Pygoda et Aceràtode, A. S- ) . ( Div. a.^ sinùs einargìnaturae mesosteroalis, miaus pro- fuDdus et leviter arcuatus. — G. Drachj steihus , Lap. ) 130'" 123 130-33 , metasterni protuberantid, me aa\\ca liberà, neo sub mesosterno productà. 130"" 129 131-132 , mesosterm, prominulo. 131 130 , protuberantid mesosternali, \ì[xia({\xt compressa et in lamina carinatà sub prosterno . prolongatà 44. G. Placosterum, A. S. 132 130 , eddem, neutiquam sub prosterno productà, costaeformi et subtùs canaliculatà ad eUremitatem maxillae quiescentis recipiendam . 45. G. Mattipbls, A. S. 133 129 , mesosterno, neutiquam prominulo, plano vel paulo convexo 46. G. Myota, m. Tìjpus - species inedita e Brasilia. 134 122 135 134 136-41 136 139 137-38 137 136 ( Myota, Motj-a, Omyta, inclytì notninis Amyot ana- grammatà faecundissìmo polyglotto nosologo revereuter D. D. D. M. Sp. ) , metasterno neutiquam prominulo. , antennarum articulo primo capitis apicem attingente vel superante. , antennis quadri -articulatis. , alarum superiorum parte membra- nacea reticulalà, cellulis clausis diformibus sae- pius rotundatis vel ovatis 47. G. Pvcanum, A. S. Del Sic. Marcii. Massimiliano Spinola 7^ 138 136 EDESSOIDEAE, alorum superiorum parte membra- nacea neuliquam reticulala, cellulis plerisfjue plus longioi'ibus quani latioribus sub-parallelis ac postico apeilis 48. G. Cyclopelta, A. S. 139 133 140-11 , anlennis quiiique-articulalis. 140 139 j tarsorum articulo ultimo appendici- bus duobus instruclo sub-uncinalibus mollibus ac cai'nosis 49. G. Spongopodilm , in. ( G. Àspongopus, Lap. et A. S. ) 141 139 , tarsorum articulo ultimo appendi- cibus sub-uacinalibus destituto 50. G. Aspongopos, Lap. 142 135 143-54 , antennarum articulo primo capitis apicem haud attingente. 143 142 , genis, vix fiontis longitudinis . . 51. G. Deiegorgueila, m. ( Species plurìmae ISatalenses, ex itinere D. Delegorgue. ) 144 142 145-54 , genis fronte longioribus. 145 144 146-53 , maxHld inferiore prosterni mar- ginem posteriorem ultra decurrente et pedum secundi paris origineni saltem attingente. 146 145 147-50 , genis extùs profundè emarginatis vel bilobatis, lobis foliaceis. 147 146 , genarum (olialo antera-interno elon- gato, lanceolato 52. G. Amaurus, Burm. 148 146 149-50 , earumdem foliolo antero-interno la- tiore rotuudato. 149 148 , antennis quinque-arliculatis . . 53. G. Siorthia, P.'J' ( G. Vryptocephalij Lap. ) 150 148 , antennis quadri -articulatis ... 54. G. SaCriva, nj. ( Typus, species inedita e Bengala. Sagrila, nomen indicae Diythologiae. ) 151 145 152-54 , genis extùs integris. 152 150 , t'iWem rectis parallelis: cojiife bifido. 55. G. Scbizops, m. ( G. Telrotla, A. S. ) 153 151 , iisdem arcuatim convergentibus : capile rotuDdato 56. G. Phyllocbphala, Lap. { G. Basicryptus, Herr. Sch. - G. PhyUocephala, Daliira et Diplochirus y A. S. ) 154 144 , maxilld inferiore ultra pedum primi paris originem haud producendà 57. G. .Megarhinchus, Lap. ( G. Marina , A. S. ) 155 77 156-65 PENTATOMOIDEAE, ventre spinoso, spinA e segmen- to primo exortà antrorsum porrectà et pedum posteriorum originem superante. 156 155 157-60 , metasterno protuberanle. 157 156 158-59 , tarsis bi- articulatis. 168 157 , metasterni protuberantid altius elevata spinam ventralem ac mesosternalem prò- tuberaniiam intercipiente 58- G. Acambosoua, Curtis- { Typus, Cimex lìturatusj Fab. ) Tomo XV. PJ' /." IO 1ò9 160 16t 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 171 175 176 177 «74 Tavola sinottica dei generi ec. 157 PEMATOMOIDEAE, metatlerni protuberantid minus emiiienle, spiii6 ventrali sub metasterno libere produclà et mesoslerni protuberantiam attingente. ( Typus, Cintex haemmorohoiiìalis , Lio. ) 156 161-65 , tarsis tri-articulatis . . . . 155 162-65 , mttasUrno haud protuberante. 161 , tihiarum anleriorum cosld exte- riore compresso -dilatata lamellaeformi . . . 161 , tihiarum ■posteriorum costà exte- riore, formae consuetae, tibiis prismaticis. 163 , genis vis frontis loogitudinis . ( G. lìaphtgaster et J'ussireae ^ m. olim. ) 163 5 genis fronte longioribus . . ( Typus, species inedita, e Brasilia, D. Thorey. ) 77 167-211 PENTATOMOIDEAE, ventre mutico, spina ventrali aut nulla aut pedum posteriorum originem haud attingente. 166 168-73 5 metasterno protuberante. 167 , metasterni protuberantid com- presso-lamellosà in medio cariuatà .... ( Arx'eLius et/essoides, m. olim. ) , metasterni protuberantid band 173 170 59. G. Cliinocoris. Fall. 60. G. Arveiius, m. 61. G. Catacanthus , m. 62. G. Rbapbigaster, Lap. 63. G. Thoreyella, m. 64. G. Tadsocerds, A. S. 168 170-73 169 169 172-73 170 compressa, latiore couvexiusculà. , mesosterno protuberante, protu- berantià compressa lamellaeformi sub prosterno libere produclà ( Species inedita, ex India , a D. de Hoffmansegg. ) , mesosterno haud abruplè pro- tuberante aut deplanato aut uniformiter convexo. , alarum superiorum parte mem- 65. G. H0FFMAMSEGGI£LLA,n). 166 167-211 174 176-83 175 177-78 176 branaced reticulatà, cellulis clausis dilformibus : genis ante froutem haud conjunctis, capitis mar- gine anteriore emarginalo ( Atwelius laciniatus^ m. olim. ) , alarum superiorum parte mem- branacea haud reticulatà, cellulis longioribus sub-parallelis postica apertisi genis ante frontem conjunctis, capitis margine anteriore rotundato. ( Species inedita, e Brasilia. ) , metasterno haud protuberante, deplanalo. , maxillae inferioris articulo pri- mo capitis marginem posteriorum superante et plus miousve sub prosterno in quiete pretenso. , genis vix frontis longitudinis. .^ , alarum superiorum parte mem- 66. G. EvopiiTus, A. S. 67. G. PlATENCHA, m. branaced, consuetae magniludinis, laevi translu- cidà, cellulis longioribus sub parallelis poslicè apertis 68. G. OcBiERBS, m. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 78 178 176 PENTATOMOIDEAE, alarum superiorum jmrle membra- nacea, parva ruJiineiUarià , opauù, rugosa, uervis toi'tuosis, cellulis diffonuibus coiifusis . . . . 09. G. Uypocompuus, ni. ( Specics iaedita, e DOva HolIjnJià. ) 179 175 180-81 , genis froiile longioribus. 180 179 181-82 , oce((is alis inferioribus manifeste coiispiciiis. 181 180 , oculis in posterioi'ibus capitis an- gulis, istis obtusè rotuudatis 70. G. M^crofygiom, in. 182 180 , iisdem ab angulis poslerioiibus capitis visibiliter remotis, istis aculis prominulis . 71. G. AudIiNetella, m. ( Species inedita, e BrasiliA. ) 183 179 ■ — -, oce//i« nullis ; alis inferioribui l'udimentariis ac volatui ineptis 72. G. Diemenia, m. ( Species inedita, e Van-Diemen. ) 184 175 185-2(1 , maxillae inferioris articulo primo caput haud superante et sub prosterno neutiquam pretenso. 185 184 186-200 , genis fronte longioribus. 186 185 186-91 , iisdem rotundatis ante frontem conjunctis, capitis margine auteriore integro. 187 186 , alarum superiorum parie membra- nacea, cellulis paucis magnis difformibus clausis . 73. G. Dyrooor£S, m. ( G. Dorjdores, A. S. - G. Sciocoris, Burnì.) 188 186 189-94 , alarum superiorum parte membra- nacea, cellulis plurimis longioribus sub-parailelis posticè apertis. 189 188 190-93 , capitis pagina superiore plana vel concava sub-borizontali. 190 189 , anlennis filiformibus, articulis ul- timis nec incrassatis nec dilatatis 74. G. Eurydeha, Lap. 191 189 192-93 , antennarum articulis duobus ulti- mi! majoribus, aut incrassatis aul depresso-dilatatis. 192 190 -, genis extùs laciniatis, antennarum articulis ultimis depresso-dilatatis 75. G. Tbricodus, m. ( G. Sienotoma, Westw. ) 193 191 , genis extùs rotundatis integris, antennarum articulis ultimis crassioribus ... 76. G. Sciocoris, Fall. 194 188 , capitis pagina superiore convexA et anticè declive 77. G. CysarcoriS; H.' 195 185 , jeni», ante frontem separatim ro- tundatis, capitis margine anteriore bilobo ... 78. G. Gaiadama, A. S. 190 185 j iisdem, ante frontem fissurà rectà horizontali separatis, apice acutis, capitis margine anteriore angulatim emarginato 79. G Ortboschisops, m. ( Species iaedita, e nova HoIIaDdià. ) 1* 185 198-99 , iisdem ultra frontem rectà con- junctim produclis , capitis margine anteriore an- gulato acuto. 76 198 197 . 199 197 . 200 185 . 201 184 202-11 202 201 203-10 203 202 ..... 204 203 205-10 205 204 206-7 206 205 207 205 208 204 209-10 209 208 210 208 211 201 2t2 78 207-218 213 78 214 213 215 213 216 213 217-18 217 216 218 216 219 216 220-23 220 219 221-22 221 220 222 220 223 219 Tavola sinottica dei generi ec. PEMATOMOIDEAE, capilis pagina superiore convexà et anticè declive 80. G. Aelia, Fab. , eddem plana, va concava, sub- hot'izontale 81. G. àcoloba, ni. { .4elia lanceolata^ Fab ) , genis ante frontem immediate conjunctis, apice separatim attenuatis, capitis mar- gine anteriore bifido 82. G. Diacus, m. ( G. Dichelops, A. S. ) , genis haud fronte longioribus. , iisdem vis frontis longitudinis, capitis margine anteriore aut recto truncato aut laeviter arcuato. , antennis quadri -articulatis . . 83. G. Epipedds, m. , antennis quioque- articulatis. , tibiis cylindricis. , tarsis bi- articulatis 84. G. Ditomotarsus, m. ( Species cbilenses, ex itinere D. Gay. ) , tarsis tri -articulatis .... 85. G. Agmosceus, m. , tihiis prismaticis triedris. , alarum superiorum parte membra- nacea reticulalà, cellulis clausis rotundatis ... 86. G. Hvmenarcis, A. S. , alarum superiorum parte membra- naced haud reticulatà, cellulis plurimis longioribus sub -parallelis postico aperlis 87. G. Pentatoma , Oliv. ( G. Cìmex, Fab. - G. Scrachia^ Hn, - G. Arocera, m. - G. Mormidea, Nezara, AeJosoma, A. S. ) , genis fronte yaldè brevioribus, fronte acuminata spinaeformi 88. G. Proxis, m. CYDNOIDEAE, oculis nullis vel inconspicuis . . . 89.G.CEPHAL0CTEDS,L.Duf. , iisdem plus minusve conspicuis. , iisdem parlim vertice coopertis . . 90. G. Amblvoids, A. S. , ii'sdem, capitis margine laterali inclusis. 91. G. Hvperas, A. S. , iisdem prorsùs detectis. — , tibiis anticis arcuatis unciniformibus . 92. G. Scaptocoris, K.'y , tibiis anticis depressis dilatatis ... 93. G. Cydnls, Fab. ( G. Brachypelta, Cyrtomerus^ A. S. ) , tibiis anticis rectis prismaticis. , sctitello triangulare. , alarum superiorum parte membranacea, cellulis plurimis longioribus sub-parallelis postico apertis 94. G. Tritomegas , A. S. ( G. Schìzops , A. S. ) , alarum superiorum parte membranacea. reticulalà, cellulis rotundatis 95. G. Dismegistbs, A. S , scutello rotundato 96. G. Pododus, A. S. 77 Megyhenoideae. 97. G. MEGYHEMJM,Guer. 98. 99. G. Aescbrus, m. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 221 27 225-230 PENTATOMITAE, canalis inferi parictibus elevatis sub pectore prolungatis et sallem pedum intermediorum ori(jinera attingenlibus. — SVB-TAMÌLIA 8" . . 225 224 22G-27 MEGYMENOIDEAE, genis fronte loiigioribus et ante frontem conjunctis. 226 225 , maxillA inferiore pedum interme- diorum originem haud superante ( G. Amaurus, Eurm. ) 227 225 , maxìM inferiore ad extremitatem posteriorera metasterni perveniente ( Species inuJita, e Promontorio bonae spei, a D. Drege. ) 228 221 229-30 MEGYMENOIDEAE, geni» frontem longitudine ae- quantibus. 229 228 , canali infero metaslernum totum decurrente posticè aperto, ventris segmentis anle- rioribus in medio concavis ( Species inedita, e Caffrià, D. Delegorgue. ) 230 228 , cano(» infero posticè clauso, ventre uniformiter conTexo 100. G. Tycma, m. ( Species inedita, e Promontorio bonae spei, a D. Drege. ) LYGAEITAE, oculis lateraiibus, rotundatis. , iisdem sessiiibus. , femoribus anterioribus incrassatis. 5 genis aut frontis longitudiais, aut fronte brevioribus. 235 234 ..... , antennorum articulis duobus ultimis te- nuioribus setaeformibus 101. G. Xylocoris, L. Duf. 230 234 , antennorum articulis duobus ultimis alios saltem crassitudine aequantibus 102. 237 232 , genis fronte longioribus 103. ( G. jiphanus, Lap. - G. Ptatjgailer, Schill. - G. Plociome- rus, Say. - G. Rhyparochroma , Curtis. - G. Sienogaster, Herr. Sch. - G. Poljacanllius, Beosus, Pierolmelus, A. S. ) 238 232 239- , femoribus anterioribus haud incrassatis. 239 238 239-41 , vertice trapezoideo posticè attenuato. 240 239 , canalis inferi parietibus elevatis ad po- steriorem capitis margiuem usque productis . . 104. 241 239 , canalis inferi parietibus elevatis originem propè obliteratis 105. ( G. Leptocovis y Hn. ) 242 238 243-3 , vertice transversim rectangulare neuti- quam posticè attenuato. 243 242 j maxiUae inferioris articulo primo sub 231 28 232-56 232 231 233-55 233 232 234-37 234 233 235-36 G. Anthocoris, Fall. G. Pacbymerds, Edc. G. NiESIHBEA, m. G. Serinetha, m. 244 243 245-46 pectore haud producendo et in canali infero loto recondendo. , antennarum articulit inlermediis 2° et 3° tenuioribus. 78 Tavola sinottica dei ceneri ec. 245 244 247-347 LYGAEITAE, conoh' t'n/ero sub pectore obsoleto . . 106. G. HETEROGASTEB,Sch. ( G. Artheneis, Dii*. 1° m. oliai. ) 246 244 — j canati infero originem pedum tertii paris superante 107. G. Artheneis, m. ( G. Artheneis, Dii'. a° m. olim. ) 247 243 248-49 , antennarum articulis omnibus crassitu- dine subaequalibus. 248 247 , ocellis iiiter se dìstantibus ac oculis propioribus . . . yi«s.-ts\>»i MVi«w«i ,. — . ■ ■ ■ 108. G. Lvcabosoma, m. 249 247 , tistiem inter se adproximatis et ab oculis niagis lemotis 109. G. Arocatus, m. 250 243 254-55 , maxHlae inferioris arltculo primo sub pectore produceiido et partim libere quiescente. 251 253 , antennarum arliculis tribus uUimis cras- situdine aequalibus I IO. G. Lygaeus, Fab. 252 253 ,. iiSi/eni inaequalibus, ultimo sine quarto crassiore III. G. CvMUS, H " 253 231 ■ , oculis pedunculatis 112. G. Henestaris , m. 254 28 LYGAEITAE, oculis oblique transversis in posterio- ribus aiigulis capitis 113. G. Salda, Fab. ( (r. Geocoiis , Fallen. - G. OphlhalnUcus, Schill. ) 255 29 2G3-68 COREITAE, oce/d's nuUis. — SLB- F/li»//t/4 1" . . Astemmoideae. ( Insecta terrestria. ) 256 29 , ocellis duobus conspicuis, mesothoracis dorso delecto. — SUB-FÀillLlÀ 2* .... Cimicoideae. ( iDsecta terrestri». ) 257 29 , ocellis duobus con^i>icu\s, prolhoracis dorso mesolboracem plus aiinusve obtegeiite, maxilld in- feriore tenui elongaliì et in quiete pedum interme- diorum originem superante. — SUB-FAMILIÀ 3*. Anisosceloideae. ( lu^ecta terrestrìa. ) 258 29 , ocellis duobus coiìifìcuh, prothoracis dorso partim mesothoracem oblegente, maxilld inferiore crassa ac breviore nunquam pedum intermedio- rum originem superante. — Sl/B-Fylftf;t/4 4"^ . Cobeideae. ( iQsecta terrestrìa. ) 269 29 , ventre deplaiiato, corporis linea infero- media fere in tota longitudine hatid interruptè rectà horizontali. — SUB-FAMILIÀ ò^ . . . Gerroioeae. ( Insecta aquatica. ) 260 258 ASTEMMOIDEAE, antennarum articulo primo capite prothoraceque una longiore 114. G. Macrocberaia, Lef. ( G. Macrocei'aea, m. olim. - G. Lotrita, A. S. ) 261 253 265-2 ASTEMMOIDEAE, antennarum articulo primo capite prothoraceque una breviore. 262 264 266-67 , maxilld inferiore in quiete sub mcsosterno decurreute. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 79 2G3 265 ASTEMMOIDEAE, oculit sessilibus 115. G. Pvrrhocoris, Fall. ( G. Odoniopus, Lap. - G. Plnsopella, D/sdei'eus , A, S. ) 264 265 ) iiiJem pcdunculatis 116. G. Ectatops, A. S. 265 264 269-72 , mawilld inferiore quiescente pro- sleriium baud superante. 266 268 270-71 , oeutis sessilibus. 2G7 269 , pedibus anlerioribus raptoriis, chelis siiiQulis tibia femoieque conjunctim efformatis . 117. G. Astemmoplitus, ni. ( Species inedita ciiilcnsis, c.\ itinere D. Gay. ) 268 269 ■ , pedibus anlerioribus formae con- suetae, chelis nullis 118. G. Astbmma, Brulle. ( G, Platjnotua, Schill. - G. Pjrrhocorh, A. S. ) 269 268 , ocìtUs pedunculatis 119. G. Largis, H." ( G. Euryopìuìialinus , Lap. - G. Acinocoris , Hn. - G. Aslemnia , A. S. ) 270 259 CIMICOIDEAE, genus unicum 120. G. Cimex, Lin. ( Individua aptera nobis cognita forte non perfectè evoluta. Sub-familia haec delenda et genus unicum rectius Ani' sosceloiiìpìs assof^iandum, cum individua alata inveniantur. ) 270 259 274-81 AMSOSCELOIDEAE, anfennarum ardcuJo «((imo ovoi- deo, crassiore ac penultimo breviore. 271 273 , femoribus posticis elongatis el abruptè clavatis 121. G. Clavigralla, m. 272 273 276-81 , femoribus posticis, formae con- suetae. 273 275 277-80 , genis fronte brevioribus, capite sub-triangulare. 274 276 , tnoxiltae inferiori!, reverS qua- dri-arliculatae, articulo primo minore et partim recondito 122. G. Nabis, Latr. ( G. Jptus , Hn. ) 275 276 279-80 , maxiltae inferioris articulo primo prorsùs detecto et niagniludinis oormalis. 276 278 . — ^ alarum superiorum parte coriacea, nervis longiludinalibus praecipuis et praesertim radio cubitù post-cubitùque distinctè elevato- costatis 123. G. Merocoris, K.'J' ( G. Gonoceius, Lip. - G. Corixus, Harmostes, Burm. - G. Rhópalus, Fall. - G. Therapha , A. S. ) 277 278 _ — j alarum superiorum nervis longi- tudinalibus cunctis depressis obsolelis aegrè di- scernendis 124. G. Cymodema, m. 278 275 , genis frontis longitudinis, capite anticè rectà truncato 125. G. Phyllomorfha, Lap. ( G. Craspeiium, Thunb. - G. Pephricus, A. S. ) 279 259 283- ANISOSCELOIDEAE, antennarum orticaio primo sub- cylindrico, saltera praecedenli acquali, saepius longiore. 8c Tavola sinottica dei generi ec. 280 282 284-85 ANISOSCELOIDEAE, tibiis ierlii paris depressis dila- tatis, lamellosis aut foliaceis. 281 283 , femoribus ejusdem paris, tenaibus sub-cylindricis 126. G. Diactor, P.'J' 282 283 , iisdem plus ininusve incrassatis. 127. G. Anisoscelis, Lalr. 283 282 287-91 , iibiis terlii paris, formae con- suetae. 284 286 288-92 , antennarum arlieulis intermediis 2° et 3°, depressis dilatatis 128. G. Copius, Thunb. ( G. Holìij menta , Encyci. ) 285 286 289-92 , iisdem, formae consuetae. 286 288 , femoribus poslicis incrassatis . 129. G. Alydus, Fab. 287 288 291-92 , iisdem haud incrassatis. 288 290 , vertice longissimo, poslicè atte- nuato collum filiforme simulante pone oculos ab- ruptè rotundato- dilatato 130. G. Myodocha, A. S. { Typus, Mjodochus serrìpes, Oliv.- An G. Myodocha, Latr. ? ) 289 290 , vertice trapezoideo anticè laliore haud collariforme. 290 286 ) antennarum origine capitis apice proximà et ab oculis remotiore 131. G. Hypselonotus, Hn. ( G. Zicca, A. S. ) 291 292 , antennarum origine a capitis api- ce et ab oculis aequè distante 132. G. Leptoscelis, Lap. 292 261 COREIDEAE, /emoriftusposticis abruptè clavatis ac in- tùs canaiiculatis ad tibias quiescentes excipiendas . 133. G. Corymomerus, m. 293 261 297- COREIDEAE, femoribus posticis nec clavatis nec ca- naiiculatis. 294 296 298-309 , coxis posticis loogksimk, cavilatum co- xalium perimetro maxime incrassato protuberante. 295 297 299-308 , cavilatibus coxalibus Irìum pariura sub eadem liueà longitudinali utrinque dispositis. 296 298 300-303 , antennarum articulo lertio nec depresso, nec dilatato, formae consuetae. 297 299 301-302 , on(e angusta compressa laminaeFormi. 330 330 331-32 , femoribus postici! crassioribus. 331 330 , tibiis posticis depressis lamellosis aut foliaceis 152. G. Metopodibs, Westw. ( G. Acanlhocephala, Lap. - G. Motena, A. S. ) 332 330 , iisdem formae consuetae .... (53. G. Petalops, A. S. 333 329 , femoribus omnibus pariter validis . . 154. G. Verlusia , m. 334 328 335-46 , fronte minus angusta, plana, neuti- quam laminaeform!. 335 334 , prothoracis dorso horizonlali, corpore supra deplanato 155. G. Discogaster, Burm. ( G. CorjrzoplatuSf m. olim. ) 336 335 337-46 , prothoracis dorso antrorsum declive, corpore supra plus minusve coiivexo. 337 336 , pedibus parvis, minimae magnitudinis, femoribus posticis vix dimidiae abdominis lon- gitudìiiis 156. G. MiCROPUS, m. 338 336 339-40 , pedibus validis, mediae magnitudinis. 339 336 , antennarum articulis intermediis 2" et ' 3° longitudine subaequalibus 157. G. Coreus, Fab. I G. Sj romastesj Latr. - G. Enoplops, A. S. ) 340 338 , aìxtennarum articulis 2° et 3° inac- quai ibus, tertio multo longiore ac saepius apice incrassato 158. G. Pseudophlaeus, B." ( G. AiractaSj A. S. - G. Arenocorls, Hu. ) 341 336 342-46 , pedibus cursoriis lenuibus elongatis. 342 341 343-45 , antennarum articulo ultimo tenui fili- forme, saltem praecedenti longitudine acquali, saepius longiore. 343 342 , fronte triangulari apice obtusà . . 159. G. Chorosoma, Curtis. 344 342 , eddem angusta acuminala apice bifida. 160. G. Leptocorisa, Latr. ( G. Mj odochus j Oliv. ) 345 342 , eddem latiore apice biloba . . . . 161. G. Micrelytra, Lap. { G. Aclovus^ Burm. ) 346 341 , antennarum articulo ultimo breviore ovato glandiforme 162. G. Neides, Latr. ( G. Berytus^ Fab. ) 347 262 348-49 GERROIDEAE, pedibus intermediis plus pedibus an- terioribus quam posterioribus adproximatis. 348 347 , tibiis posticis, apicem tarsalem propè, dente valido armatis 163. G. Halobates, Esch. ( G. Plilomerus, A. S. ) 349 347 , iisdem, apicem tarsalem propè, dente deslitulis 164. G. GerÌis, Fab. ' G. Velia, Lalr. G. MicnovELu, Westw. Del Sic. Marcii. Massiìiiliano Spinola 83 350 262 351-52 GERROIDEAE, pedibui intermediis ab anterioribus et a posterioribus aeqiiè distantibus. 351 350 , anlennarum artkulo primo capile fìas duplo Iuii{;iure 165. 352 350 , eodem plus capite breviore . . . 16C. 353 30 CAPSITAE , tuberculis antenniferis comfìcuh: capite horizoiitali, angulo apicali acuto 167. G. Mmis, Fab. 364 30 355-66 CAPSITAE, tubercuUs antenniferis aut nullis aut inconspicuis: ca/iife; anlrorsura declive, angulo apicali aperto. 355 354 3.56-63 , alarum superiorum parte coriacea nervis longilu 356 355 .... longiludiiialibus elevato -costatis suffuità. , metapecloris margine postico lamelloso 168. G. Resthenia, m. G. Capsos, Fab. G. Ueterotoma, Latr. expanso, sub coxis tertii paris et sub abdominis aniiulo primo libere pretenso 357 356 358-66 , metapectoris margine postico nec lamel- loso nec lelrorsuDi libeiè pretenso. 358 357 359-62 , prothoracis margine anteriore rectà ttàas- vei'sali truncato : capite triangulari. 359 358 , antennarum articulo primo oeutiquam iiicrassato 169. G. Pbytocoris, Fall. { G. Ct llocoris, Ly^us, Lopus, Phylus, Hu. ) 360 358 361-62 , antennarum articulo primo incrassato. 361 360 , eodem apicem versus plus minusve abi'uplè incrassato 170. 362 360 , eodem aequè crasso iu tota longitudine. 171. 363 357 , prothoracis margine anteriore arcuatim emarginalo: capite postice rotundato .... 172. G. Globiceps, Lalr. 364 354 365-66 , alarum superiorum parte coriacea nervis dislinclis longitudinalibus vel obliquis omiiino destituii. 365 364 , pedibus gressoriis: femoribus posiicis simplicibus 173. G. Attos, H". ( G. Bj rsopceray in. olim. ) 366 364 , iisdem saltatoriis : femoribus posticis maxime inflatis 174. G. Halticds, H'. { G. BnocQftSy Fall. - G. ^stemma ^ Latr. - G. Pachyto- ma, Curtis. - G. Chtamj tlutus, A. S. ) 367 81 368-70 TINGIDITAE, antennarum articulo tertio saepiùs et praesertim estremitatem versus plus minusve incrassato. 368 367 , canalis inferi parietibus elevalis ad po- slerioreui metasterni marginem usque productis. 17 { G. Euiycera, Lalr. ) 369 367 j iisdem posleriorem raèsosterni margi- nem baud superantìbus 176. 370 367 , iisdem caput haud superantibus . . 177. ( G. PiesmOf Burm. ) G. Dyctionota, Curtis- G. Catoplatos, m. G. Serembia, ni. 84 Tavola sinottica dei generi ec. 371 31 372-73 TIN'GIDITAE, antennarum arlicuìo tertio tenue et exlrcniilatem versus haud iiicrassato. 372 371 , antennarum articulo ultimo longo fili- forme et praecedeiiti subaequale 1 78. G. Galeatus, Curtls. 373 371 , eodem breviore crassiore ovoideo vel glandiforme 179. G. Trncis , Fab. ( G. MonatUÌtia ^ Herr. Sch. - G. Derephjsìa, m. oliin. ) 374 32 376-79 ARADITAE, alis quiescentibus extra abdomeii utriii- que espansis. — SUB-FAMILIA I" . . . . Piesmoeideae. 37.5 32 380-85 ARADITAE, alis quiescentibus abdominis latera extùs haud superaiitibus. — SVB-FAMILIA 2". . . Aradoideae. 376 374 377-78 PIESMOIDEAE, alis superioribus partim coriaceis, panini membranaceis. 377 376 , aniennis plus quinque-articulatis . 180. G. HtBROS, Curlis. ( G. IVeogaeus y Lap. ) 378 376 5 iisdem quadri -articulatis .... 181. G. Piesma, Encycl. ( G. ZozmenuSy Lap. ) 379 374 PIESMOIDEAE, alis superioribus totis coriaceis . . 182. G. Anomalopterus, P'. 380 375 ARAD01DEAE, pedibus anterioribus raptoriis cheli- fei'is, feuioribus valdè incrassatis, tibiis validis arcuatis unciaiformibus 183. G. Cbeilocbeiros, m. 381 37d 382-85 , pediòus miteni simplicibus ac formae consuetae. 382 381 , maxilld inferiore plus capite longiore et partim sub pectore quiescente 184. G. Aradus, Fab. { G. Piesiosoma , Lap. ) 383 381 384-85 , maxilld inferiore ultra caput haud producendà. 384 383 5 alis superioribus partim coriaceis, partim membranaceis 185. G. lSRACiiYRBYNCHiis,Lap. ( G. Dìsodìusy Encycl. - G. Crìmìa, Mezira, A. S. ) 385 383 , alis superioribus homogeueis, totis membranaceis : . . 186. G. Aneiriis, Curtis. 386 83 PHIMATITAE, prothorace utrinque in canale exca- vato ad anteunas quiescentes excipiendas . . 187. G. Phvmata, Lalr. ( G. S; lUs, Fab. ) 386''' 83 , eodem canali laterali ad antennas excipiendas deslituto • 187. G. Macrocupralus, Sw. ( G. Discomerusj Lap. ) 387 84 392-97 REDUVITAE , coxis primi paris valdè elongatis, attenuatis, sub-cyliudricis SVB-VAMILIÀ \^. Emksoideae. 388 34 398 , coxis iisdem brevibus, conicis, pro- thoracis dorso haud relrorsura producto, meso- thoraci toto delecto. — SVB-FAMILIA 2* . . Hydrometroideae. 389 34 399-404 , coxis ut in praecedente , prothoracis dorso raesothoracem totum obtegente, scutello posticè bifido. — SUB-FAilILIA 3^ . . . . Ectrichodioideae. Del Sig. March. Massimiliano Spinola 390 31 405-16 REDUVITAE, cojis prolhoracìsque dorso ut in sub- familil praecedenle, scuullo integro, tibiis anterio- ribus appeiidicibus peculiaribus prò slalione in- slruclis. — SUB-PAMILIA A" 391 31 416 > coxis, prothoracis dorso scutelloqtie ut ìd praecedenle, tibiis anltrioribus appendice quocura- que prò stallone deslitulis. — SUB -FAMILIA 5*. 392 *387 393-96 EMESOIDEAE, prothoracis dorso raesothoracem haud oblegenle. 393 392 394-95 , abdominis segmento primo, formae consuetae. 394 393 , /emorièu» aniici», tibiis larsis ungulisque tarsorum unA conjunclis fere duplo longioribus . 188. 395 393 , iisdem libiis tarsisque una conjuaclis haud longioribus 189. 396 392 , abdominis segmento primo pedunculi- forme tenue recto cylindrico, reliquis segraenlis una conjunclis plus triplo et fere quadruplo longiore. 190. ( Specles inedita, e Para, a D. Gliiliani. ) 397 387 EMESOIDEAE , prothoracis dorso mesothoracem ob- legenle 191. 398 388 HYDROMETROIDEAE, insecla aquatica, genus uni- cum nobis nolum 191. ( G. Limnobaies j A. S. ) 399 389 ECTRICHODIOIDEAE, genis fronte longioribus . . 192. 400 389 401-404 , genis fronte brevioribus. 401 400 402-403 , tibiis aniieis appendicibus prò stallone sublùs et in exlremitate tarsali tnunitis. 402 401 , viaxittae inferioris articulo se- cundo praecedenle breviore 193. ( G. Physorhj nchus , A. S. ) 403 401 , maxillae inferioris articulo eodem praecedenle longiore 194. 404 400 , tibiis anlicis appendicibus prò stalione io extremilate tarsali deslitulis .... 195. 405 390 400-11 REDUVIOIDEAE, j)ro//ioracis dorso ante medium trans- versim sulcalo. 406 405 , Ji6»'isj)rimiparis solis appendiculatis. 196. ( G. Rasahus, A. S. ) 407 405 410-13 , (i6«i« primi et secundi paris pariter appendiculalis. 408 4U7 — , aniennarum origine supera , id est , super leclam ab oculoruiu ceutro ad capilis api- cem ductam 197. 409 407 , antennarum origine marginali, id est, in recti) ab oculorum centro ad capilis apicem duclà. 198. ( G. Cymbits^ Lap. - G. C) mbiilus^ m. olim. | , antennarum origine infera, id est, sub linea ab oculorum centro ad capilis apicem ductà. 85 Redcvioideae. HARPACTOnOIOEAE. G. Emesa, Fab. G. Ehesodeha, m. G. Ghuianelia, m. G. Ploiaria, a. S. G. Hydrometra, Latr. G. Hahmacerus, Lap. G. Ectricbodia, Euc. G. POTBEA, A. S. G. ClMBDS, H". G. Sirtbemea, m. G. Peirates, Enc. G. TiARODES, Burm. 409»'' 407 410-11 86 Tavola sinottica dei generi ec. 410 409 REDUVIOIDEAE, femoribus tibiisque primi paris longitudine subaequalibus 199. G. Pachynohus, KI. 411 409 , femoribus tibiisque primi paris iuaequalibus, femoribus longioribus .... 200 G. Prosteuma, Lap. { G. Postemma , L. Duf, - G. Metasiemma , A. S. — No- men auclore geuerìs imposituai, etsi errore manifesto exortum, religiose servandum habeatur. ) 412 390 413-ir> REDUVIOIDEAE, prothoracis dorso pone medium transversim sulcalo. 413 412 414-IG , femoribus anterioribus incrassatis. 414 413 , antennarum orliculo primo saltem capitis longiludinis 201. G. Platymeris , Lap. 415 413 — -, eodem vis dimidiam capilis lon- giludinem acquante 202. G. Opinus, Lap. ( G. Tapeìnus, Lap. olim. ) 416 412 , femoribus anterioribus haud in- crassatis 203. G. Reduvids, Fab. ( G. Spiniger, Burm- - G. Teti-oscia^ Acaiuhasj-iiSf A. S. ) 417 391 HARPACTOROIDEAE , maxilld irtferiore brevissima vis ad posteriorem capitis marginem perveniente. 204. G. Anchomicbon, m. ( Typus, species aoica cblleDsis, ex itinere D. Gay. ) 418 392 419-58 , maxillà inferiore saltem plus capite longiore. 419 418 5 ar^tennarum arlicuXalionibu.s lateralibus et anta apices articulorum . . . 205, G. HotOPXiLUS, Encycl. ( G. Ptj locnemis , A. S. - G. Maotys, id. ) 420 418 421-58 > antennarum articulalionibus rectis, id est, in articulorum estremitatibus, 421 420 , capite poslicè concavo et in concavitale posteriore prothoracem partim in- volvente 206. G. Ochetopds, A. S. ( G, Pj^olampis^ Gr. ) 422 420 423-58 , capile prothoracem nullomodò iiivolvente. 423 422 424-27 , genis saltem frontis longilu- dinis, saepius longioribus. 424 423 425-26 , antennarum origine capitis a- pici proximà. 425 424 — , femoribus anterioribus incras- satis 207. G. OrscocEPHALiJS, Burm. ( G. CoranuSy Curtis. ) 426 424 , iisiem haud incrassatis . . . 208. G. Stenopoda, Lap. 427 423 , antennarum origine a capitis apice longè remota 209. G. Conorchinijs, Lap. 428 422 429-58 , jereis fronte brevioribus. 429 428 , tarsis anticis brevissimis iu rima supera tlbiarum totis excipiendis . . . 210. G. Apiomerus, H". ( G. BeìuiVUS f AJicraucheniay Ponerobia, A. S. ) Del Sic. March. Massimiliano Spinola 87 430 428 131-58 IIAIU'ACTOROIDEAE , tarsis anticis aliorum niagni- (udiiiis et in rim.'k libiaium baud excipiendis. 431 431 432-33 ■ — j tibiis anlerioribus laleraliter compressis, arcuatis aut sinuosis. 432 431 : , ]>rolhoracis dorso haud infialo, sculello delcclo 211. G. Hbnurtes, m. ( G. Trichoscclisj A. S. ) 433 431 ■ — -, ììrolhoracis dorso inQato vesi- culoso, sculello obteclo 212. G. Saccoderes, m. 434 428 435-58 , tibiis anticis nec laleraliter compressis, nec arcuatis vel sinuosis, saepius rectis sub- cylindricis. 435 434 436-37 , larsorum unguiculis tenuiori- bus, nec basi denticulalis, nec calCaratis. 136 43.5 , pnginà anteriore tibiarum pri- , mi paris sentala, scuto magno plus latiore quam longiore antrorsum concavo 213. G. Petalocheirus, Pai. Benuv. * 437 435 , pagina anteriore libiarum pri- mi paris scuto destiluta et formae consuetae . 214. G. Holotrichius, Burm. 438 434 439-58 , tarsorum unguiculis crassis validis dente basilari subtùs armatis. 439 438 440-41 , ocu/Vs globosis admòdum pro- minulis 440 439 , fronte sensim antrorsum de- clive 215. G. Macrops, Burm. ( G. Macrophthalmus y Lap. ) 441 439 , eàdem proluberante, protube- tuberantià abruplè altius reflexa et ab origine an- tennarum ad capitis apicera produclà . . . 216. G. Cethera, A. S. 442 438 443-58 , ocuUs parum elevatis et me- diae magniludinis. 443 442 444-45 , prothoracis dorso posticè pro- duclo et scii(e(/i(Hi obtegente. 444 443 , eodem uniformiter couvexiu- sculo. margine postico late bilobo .... 217. G. Pristbevarma, A. S. 445 443 , eodem in medio longiludina- liter cristalo, posticè acuminato 218. G. Prionotus, Lap. 446 442 447-58 , eodem postico haud producto, sculello detecto. 447 446 448-49 . , libiis anlerioribus conspicuè arcuatis. 448 447 , iisdem muticis 219. G. Folytoxus, Gene in litt. ( Species iuedita e Sardinia, a D. Gene, an G. Satcay A. S.? ) 449 447 , iisdem valdè spinosis . . . 220. G. Sinea, A. S. { Typus, Sinea muUispìnosti, A. S. ) 450 446 451-58 — , tibiis anlerioribus aut rectis aut inconspicuè sub -arcuatis. 457 456 458 456 464 465 456 455 457-58 88 Tavola sinottica dei generi ec. 451 450 HARPACTOROIDEAE , alarum stiperiorum parte anikd sub -membranacea hyaliniì uti et altera .... ( G. HiraneLis^ m. olira. ) 452 450 453-58 , alarum siiperiorum parie antica, more solito, opaca coriacea. 453 452 , tibiis anterioribus yalidè cal- caratis ( G. Pìezopteura, A. S. ) 454 452 455-58 , iisdem inermibus. 455 454 , collo aut nullo aut indislincto, vertice ab origine immediate rotundato- dilatato . , collo angusto elongato, cum vertice sensim confuso , lateribus reclis anticè divergentibus. , tibiis anterioribus valide spinosis. ( ^ Abdominis lateribus integris - Typus, Stitea puncLÌjtes, A. S. — ^ "^ Abdominis lateribus profundè laciniatis. - Typus, species iuedita e Promontorio bnu.ie spei, a D. Drege.) , tibiis anterioribus muticis . . ( G. ZeluSy Fab. et E^'agoras^ Burrn. partiin. - G. Hotortotus, Heza , Piaeo^astev ^ Jsoconiìjlus^ Diplodusj Durbanus , Passaleuius, A. S. ) HYDROCORISIAE, Irachearum ostiis duobus (antiim in basi appendicum ultimae laminae ventralis. — SUB-FAÌIILIÀ t^ , Irachearum ostiis pectoralibus ac venlralibus 6-18, semper in numero pari ac sym- metricè dispositis. — SUB-FAJllLlÀ 2^. . . . NEPOIDEAE, coxis primi paris brevibus crassioribus, femoribus tibiisque ejusdem paris longitudine sub- aequallbus, illis in totù longitudine sublùs canali- culatis prò bis recipiendis , coxis iisdem tenuibns elongatis, femori- bus tibiisque ejusdem paris iciaequalibus, illis du- plo lungioribus et in sola posteriore medietate subtùs canaliculatis prò tibiis esicipiendis . . . BELOSTOMOIDEAE , maxillae inferioris articuli primi parte sub-annulari sive apicali, vis dimidiam ar- ticuli secuodi longiludinem attingente. 3 tarsis anticis bi-arliculatis, un- 221. G. Myocoris, a, S. 222. G. Sthienera, m. 459 36 461-62 460 36 463 461 459 463 462 459 468 463 461 464-67 464 465-60 464 223. G. H\RPACTOR, Lap. 224. G. Blapton, m. 225. G. Arilus, Burm. Nepoideae. Beiostomoideae. 226. G. Nepa, Lin. 227. G. Ranatra, Fab. 466 464 guiculo unico. , eorumdem articulis subaequalibus, unguiculo apicali unico articulis duobus una lon- giore ( Typus, J\efm granilis , Lin. ) , eoruvìdem articulis subaequalibus, 228. G. Belostosia, Lalr. unguiculo apicali minimo saepius aegrè discernendo. Species e Java, Spltaerodenia rustica, Eucycl. maxime af- fiiiis, sed ia hàc tarsi anteriores dicuotur bi-articulati ) 229. G. Atomya, m. Del Sic. March. ]\Iassimiliano Spinol 467 464 BELOSTOMOIDEAE, eorumdem arliculis inaequalibus, unguiculo unico minimo ( Species unica ex Acgypto. Forte ^jìpasus A. S. sed hoc in genere tarsi liicuntur quoque bi - uni^uiculati. ) 468 463 5 tarsis anticis bi-orticulatis, arli- culis subaequalibus, secundo bi-unguiculalo, un- guiculis uiagnis et relìquo tarso longioribus . . (Typus, species unica, maximae maguitudiuis, e Colombia a D. Dupont. ) 469 460 BELOSTOMOIDEAE, maxillae inferiori! parte sub-an- nulari sive apicali tenue elongalà et articulum secundum longitudioe aemulùnle 470 40 471-72 PELEGONITAE, antennarum origine laterali, id est, in reclà a centro oculorum ad apicem capitis ductà. 471 470 , maxilld inferiore quiescente ultra pe- dum anteriorum originem baud producendà . . 472 470 , eddem ad originem pedum tertii paris usque producendà ( G. Salda, Fab. - G. Sciojopterus, A. S. ) 473 40 PELEGONITAE, anlennarum origine infera, id est, sub rectà a centro oculorum ad apicem capitis ductà. 474 41 474'"-75 GALGULITAE, tibiarum anteriorum articulatione tar- sali distincid tarsorum unguiculis simplicibus . . 474''' 39 , articulatione eddem obsoleti!, tarso in- dìstincto Tel cum tibia confuso, uugulo mobili terminali maximo validissimo 475 42 NOTONECTITAE, pedibus anterioribus cheligeris ra- ptoriis 475'" 40 476-85 , iisdem nec raptoriis, nec cheligeris. 476 475 , pedum posteriorum articulo ultimo undique selulis rigidis marginatim fimbriato . . 477 475 478-85 , articulo eodem setulis rigidis haud fimbriato. 478 477 , maxillae inferiori! articulis primis clypeo producto occullatis 479 477 480-85 , iisdem deteclis ac salis conspicuis. 480 479 480-82 , alis superioriijus heterogeneis, parte postica molliore sub -membranacea. 481 480 , prothoracis dorso utrinque foveato, foveis antennas quiescenles excipienlibus . . . 482 480 483-84 , todem haud foveato. 483 482 , fronte angusta, in uno sexù conica protuberante 484 482 ' , eddem lata neutiquam protuberante. 485 479 , alis superioribus homogeneis ac to- tis coriaceis Tomo XV. P.'^ /." ^ 89 229'". G. Amyoteila, m. 230. G. Hydrocyrids, ra. 231. G. Zaitha, a. S. 232. G. Leptopos, Latr. 233. G. AcAMTHiA, Latr. 234. G. Pelegonqs, Latr. 234»". G. Galgulds, Latr. 235. G. MofiONYXAjLap. 236. G. Naocoris, Geoffr. 237. G. CoRiXA, Latr. 238. G. SiGARA, Latr. 239. G. E.MTHARES, ni. 240. G. Amsops, m. 241. G. N'oioNECTA, Lin. 242. G. Plea, Leach. 12. 486 43 487 43 90 Tavola sinottica dei generi ec. CICADITAE, alis superioribus saltem partirti reticulatis, cellulis medìelatis posterioris pluriniis difforniibus. 243. G. Tolynbvrì, Leach. ( G. Cyrtoioma, Leach. - G. Hemidyctja, A. S. ) CICADITAE, ali$ st^perioribus haud retlculalis, cellulis ubique raiioribus et ia regione posteriore tantum- modo octo 244. G. Cicada, Lin. ( G. Octocellae, A. S. - G. Tacua, Pj-cna, Geana, Plaly- pleura, Hemisciera, Mogannìa, Zamniara, Oxjpleura, Tel- tigodeSf Cj-clochilaj Dandubia^ Tliopha^ Fitlicina, Tettilo- mya , Cerinetha , A. S, ) 488 44 489-94 FULGORITAE, chjfeo triedro, suturis duabus paginas tres exteriores inlercipieiilibus elevato- costalis aut carinatis, longitudinalibus ac orem versus convergentibus. , enfile tetraedro {*), id est, faciebus 489 488 490-91 490 488 491-503 491 488 504-15 492 490 493-94 493 492 516-22 494 492 523-42 495 42 496-97 496 488 543-56 497 488 557-66 498 490 499-502 499 498 quatuor normalibus distinctè cooflato, sed facul- tatibus orbato tam super prolhoracem sese erigendi quam sub eodem sese occultandi. , capile protuberante, protuberantid ce- phaticd saltem partim faciebus lateralibus capilis occupata. — SCT-F^M/L/i 1" — , proluberanlid cephaticd aut nulla aut vertice fronleque esclusive efformata, id est, siue concursu facierum lateralium. — SUB-FAMILIA 2*. , capite haud perfeclè tetraedro , facie- bus laleralibus aut obsoletis aut rudimentariis. , protuberantid cephalicd conspicuà. — SUB. F AMILI A 3^ -, protuberantid cephalicd nulla. — S€B' FAUILIA 4" — , clypeo haud triedro, extùs indiviso et uniformiter convexo. , prothoracis angulis poslerioribus plus eie- vatis quam alarum squamulae. — SUB-FAMILIA 5^. I I , iisdem miiius elevatis quam alarum FULGOROIDEAE. Lystroideae. Dyctiopboroideae. ClXIOIDEAE. JSSOIDEAE. Flatoideae. squamulae. — Sf7B-F/lM/i/i 6'' FULGOROIDEAE , faciebus lateralibus ad verticis api- cem usque productis. , protuberantid cephalicd inflatà vesi- culosà, horizontaliter porrcela, nec superne erectà, nec retrorsìim reflesà 245. G. Folgora, Lia. (*) Per la miglior intelligeaza di queste designazioDÌ mi giova osservare che delle quattro facciate del tetraedro la iuperiore JacciaCa verticale^ per brevità vertice, è la parte principale delP Ofso grande del cranio j P inferiore ovvero facciala frontale corrisponde piuttosto alle ossa della faccia, mentre \e facciate laterali sooo i veri corrispondenti delle ossa frontali a^ quali ho accennato in alcune linee delT introduzione. Il vario aspetto del capo e della sua protu- beranza procede esclusivamente dal diverso e ineguale sviluppo delle sue distìnte ossa integranti. Come adunque potrebbe giudicare sanamente del tutto colui che si rifiutasse a studiarne le parti f Del Sic. March. Massimiliano Spinola gì 500 498 501-502 FULGOROIDEAE , eddetn nec inflatA nec vesiculosà, semper plus miiiusTe adscendente ac sacpè re- troi'sùm reflexù. 501 500 , eddem extreinitatein superiorem pro- pè abruplè dilatata 246. G. Phrictus, ra. 502 500 , eddem semper apiceni versus atte- nuata, saepius utrinque compressa gladiiForme . 247. G. Encbopbora, m. 503 490 FULGOROIDEAE, faciibus lateralibut ad apicis ver- ticem haud pervenientibus, vertice froateque in certo protuberantiae silu conliguis 248. G. Pyrops, m. ( G. floùnus, A. S. ) 504 491 LYSTROIDEAE, faciebus lateralibus verticeque frontis progressu potiore plus niinusvc retropulsis . . 249. G. Aphaena, Gueria. 505 491 506-15 — — — , faciebus lateralibus solis retropulsis et longè a capitis apice terminatis, verticis frontisque progressù simultaneo interdum protuberantiam ce- phalicam efficiente. 506 505 507-508 , protuberantid cephalicd plus miousve evoluta. 507 506 , abdominis segmentis 6° et sequentibus sub quinto in ulroque sexu reconditis .... 250. G. Episcivs, m. 508 506 , abdominis segmentis 6° et sequentibus supra detectis 251. G. Dilobdra, m. 509 505 510-15 , protuberantid cephalicd nnWL 510 509 511-12 , antennarum articulo secando sphaerico. 511 510 , fronte indivisa parum declive fere horizontali 252. G. Omaiocephaia, m. 512 510 , eddem, longitudinaliter tripartita, ma- xime declive fere verticali 253. G. Lystra, Fab. 513 509 514-15 , antennarum articulo secundo oblongo- ovato, sphaeroideo. 5 '4 513 j abdominis lamina quinta dorsali oper- ' culiformi, segmentum sequens genitaliaque ob- legente 253»".G.CoLypioPROCTijs,m. ( Mares Don vidi. Characler evulgatus forte sexualis. Hoc in casu, genus ìndiìtinctum rectius cum sequente con- sociandum. ) 5' 5 513 , abdominis lamina quinta dorsali, io utroque sexu, formae consuetae, segmentis sequen- tibus genitalibusque supra detectis 254. G. Poioceba, Lap. 516 493 516-18 DYCTIOPHOROIDEAE, /'ron^e longitudinaliter tripartita. 5'7 516 , alarum superiorum regione dis- coidali ubique aequaliter reticulalà, cellulis crebris parvis difformibus 255. G. Plegmatoptera,!!!. ^'^ 516 .j eddem nervo infracto transver- sim bijpartitd, sectione anlicA anostomosibus trans- versis destitutà , posticii reticulatà cellulis parvi» aut quadralis aut rectangularibus 256. G. Dichoptera, m. 9 2. 519 516 520 493 521-22 521 520 522 520 523 494 52'J 523 525 523 , 526 494 527-42 527 526 528-37 528 527 529-36 529 528 530-33 630 528 531-32 531 530 532 530 533 529 534 528 535-36 535 534 536 534 537 527 538 526 539-42 539 538 540 538 541-42 541 540 542 540 543 496 544-51 Tavola sinottica dei generi ec. DYCTIOPHOROIDEAE, eddem neutiquam transversim bipartita et propè niargiiiem posticum tantum- modò plus minusve reticulatà 257. G. Dyctiophora, G/ ( G. P. Pseuilojihaiia, Burnì. - G. Lappida, A. S. ) DYCTIOPHOROIDEAE, fronte indivisa. — , alis siiperioribus posticè reticu- latis, in quiete nusquam sese iuvicem invoWentibus. 258. G. Monopsis, m. 5 iisdem haud reticulatis et in quiete apicem versus sese invicem involventibus . 259. G. Elidiptera, m. CIXIOIDEAE, alis superioribus reticulatis. , cellulis plerisque quadratis aut trans- versim rectangularibus 260. G. Phaenax, G.' , iisdem, transversim rhomboidalibus . . 261. G. PTER0DvcTYA,Drm. CIXIOIDEAE , alarum superiorum regione discoidali nullatenus reticulatà et etiam anastomosibus trans- versim destituii. , angulis planis fronti genisque utrinque in- terpositis aut rectis aut quasi rectis. , ocellìs antennartimqite origine semper sub oculis. , capile super prolhoracera haud erigendo. , antennìs vix ad genarum marginem in- ternum pervenientibus. 5 tibiis posticis quadri -spinosis . . . 262. G. Cladodipteba, m. ( ^ Fronte aequè lata ac longà. — Ciad, macrophduilma, ni. ^ ♦$♦ Eàdem plus longlore quam latiore. Formosa specics inedita, e Para a D. Ghiliani, i8j^6. ) , iisdem uni -spinosis 263. G. Achills, K.*J' , anlennis genarum marginem internum superantibus 264. G. Ugyops, Guerin. , capile super prothoracem libere erigendo. , alis siiperioribus nusquam sese invicera involventibus 205. G. Cixios, Lalr. , iisdem propè aogulum posticum sese invicem involventibus 266. G. Plectoderes, ni. , ocellis anlennarumque origine manifeste ante oculos 267. G. Bothriocera, B.™ , angulis planis fronti genisque utrinque interpositis vaidè apertis. , antennarum orticaio secundo plus primo longiore 268. G. Delphax, Fab. 5 eodem plus primo breviore. , pedibus primi paris, formae consuetae . 269. G. Asiraca, Latr. , iisdem depressis dilatatis laraellaefor- mibus 270. G. Araeopus, m. JSSOIDEAE, tibiis posticis spinosis. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 98 £44 543 Ò45-46 JSSOIDEAE, iibiis anierioribus compresso -dilalatis laiiiellacforinibus. 645 544 ,j)rof/iorflci» dorso saltemaequèlongoac lato. 271. G. Caiiscelis, Lap. 546 545 , eoi/em TÌsibiliter plus latiorequamiongiore. 272. G. EDRYBRACiiYS,Guer. 547 543 548-51 , tibiis anierioribus formae consuetae. 548 547 , capite protuberante 273. G. Mycterodds, m. 649 547 550-51 , eodem liaud protuberante. 550 549 , ocMis duobus conspicuis 274. G. Ommatidiotds, m. 551 549 , iisdem nullis 275. G. Jssos, Fab. ( G. I/isterophanes, A. S. ) 552 496 553-56 JSSOIDEAE, pedi6«s muticis. 553 552 , antennis vix ad exteriorem genarum mar- ginem pervenieutibus 276. G. Derbe, Fab. 554 552 555-56 , iisdem exieriorem genarum marginem superanlibus. 555 554 , antennarum articulo lecundo appendicibus deslitulo 277. G. Deribia, Westw. ( G. Anotia, G uerin. ) 556 554 , eodem appendiculato 278. G. Oiiocerus, K.^ (In singulà specie appenilicuiii numerus coDstans ast dìversus.) 557 497 558-65 FLATOIDEAE, alarum superiorum nervo sub-radiali a radio io tota fere longitudine distinctè separato. 558 557 , frontis pagina media protuberante . . 279. G. Lophops, ni. 559 5.57 560-65 , eddem deplanatà. 560 559 , tibiis omuibus compressis laminaefor- luibus 280. G. Elasmoscelis, m. 5G1 559 562-65 , tibiis omnibus, formae consuetae. 562 561 , fronte a vertice distinctè separata, sutura intermedia elevata 281. G. Ricania, G.' ( G. Nephezia, Pochazia, A. S. ) 563 561 564-65 , fronte cum vertice sensim confusa, su- tura iotermediA obsoleti. 564 563 , antennis exteriorem genarum marginem superantibus 282. G. Flata, Fab. ( G. Dalapax , A. S. ) • • • , iisdem exteriorem genarum marginem 563 haud superantibus 283. G. Paeciloptbra, L.' ( G. Cololiesthes , Phylliphanla, Phalaenomorpha , A. S. ) 506 497 FLATOIDEAE, nervo sub- radiali indistincto et cura radio in tolA fere longitudine confuso .... 284. G. AcANALONtA, m. 567 43 570-75 CEN'TROTITAE, prolhoracis dorso ultra posteriorem roesothoracis marginem haud producto, sculello delecto. — SUB- FAillLIÀ i." Abtbauonoideab. 568 43 576-79 , eodem post mesotboracem libere pro- ducto, scutelto illi subdito nihilominus adhuc visi- bili. — SUD-FAmUA 2." Centrotoidbae. g4 Tavola sinottica dei generi ec. 569 43 580-613 CENTROTITAE, eodem posticè prolungato scutellum abdominisque parlera oblegente. — SUB -FAMI- LIA 3.^ MniBRiCOlDEAE. 570 567 AETHALIONOIDEAE, tibiarum posUriorum exlremitate tarsali spinulis coronata 285. G. Euryuela, Hoffm. 571 567 , tibiis posticis spinaruni coronai in extremitate tarsali destitutis. 572 571 573-74 , tibiis omnibus costatis, costis crenatis vel denticulalis. 573 572 , ocellis duobus conspicuis . . 286. G. ScAPiouoRAEA,m. ( Species inedita, e Colombia. ) 574 572 , iisdem nullis 287. G. Melisoderes, m. ( Species chilenses, ex itinere D. Gay. ) 575 571 , tibiis omnibus nec crenatis nec dentatis 288. G. Aethalion, Latr. ( ^ 2 Oviscaptùs TaWulis glabiis et abdomine brevioribus. - jiethalion reticulatum, Encycl. — ^^ lisdetn birsutis et saltem corporis loDgitudinis. — Species inedita, ex India Orientali. ) 576 568 CENTROTOIDEAE, alarum superiorum celMis postico- marginalìbus elongatis angustis et a basilaribus band dissimilibus 289. G. Centrotu.s, Fab. ( G. Urox^'pkus , A. S. ) 577 568 , alarum superiorum cellulis difFor- mibus, basilaribus angustis elongatis, postico -mar- ginalibus brevioribus rotundatis. 578 577 , tibiis anticis, formae consuetae . 290. G. Bocydium, Latr. ( G. Sphaeronotus , Lap. ) 579 55 , iisdem compressis foliaceis . . . 291. G. Sycoderes, G.' 580 569 581-86 MEMBRACOIDEAE, tibiis anticis compressi* foliaceis. 581 580 , fronte carini transversà a vertice distinctè separata 292. G. Membracis, Fab. ( G. Enchenopa , EncophjUiim , Bolbonota , A. S. ) 582 580 583-86 ■. , eàiem a vertice haud distinctè separati. 583 582 584-85 , capitis summo apice antico ^ena^ram apicem superante. 584 583 , genis angustis elongatis, capitis pagina supera oblongo- ovata 292.G.Sphongopbori]s,L.F. ( G. Hypsauchenia , Gr. ) 585 583 , iisdem latioribus extùs arcuatis, capitis pagina supera transversim ovata .... 293. G. Fairmairella, m. ( Species inedita natalensis, ex itinere D. Delegorgue. ) 586 582 5 capitis summo apice antico genarum apicera haud superante, pagina supera trapezoideà. 294. G. Oxyrhachys, G.' 587 569 588-613 MEMBRACOIDEAE, tibiis anticis, formae consuetae. 588 587 , tarsis tertii pari/, minimis . . . 295. G. Hoplophora, G.' ( G. Umbonia, Burm. - G. Xriquetra, Ltf. ) Del Sic. March. Massimiliano Spinola gS 589 587 590-613 MEMBRACOIDEAE, tarsit omnibus subaequalibus. 590 689 591-001 , atii in quiete delectis. 591 590 , fronte carini traosversali a ver- tice distinctè separata 29G. G. Scaphulìi, L. F. 592 590 593-606 , edJem a vertice haud dislinclè separati. 593 692 594-99 , prothoracit dorto vesiculoso. 694 593 595-598 , alarum superiorum cellulii omnibus anguslalis longiludinalibus. 595 594 , marium faeminarumqut prolhorace conformi 297. G. Aeda, A. S. 596 594 597-99 , eodem difformi. 597 596 , fronte porrect.i angulalà acuta. . 298. G. Cohbopbora, G.' 598 590 , eddem depressi arcuati .... 299. G. Heteronotus, Lap. .599 693 , alarum superiorum cellulis latioribus rolundatis 300. G. Cvphonia, Lap. 600 592 593-613 , prothoracit dorso neutiquam ve- siculoso. COI 600 602-603 , alarum superiorum cellulit postico- marginalibus angustis elongatis. 602 601 , capitis summo ajnce porrecto acuto. 301. G. Aconophosa, L. F. 603 601 , eodem sub-truncato aut laeviter arcuato , 302. G. Smuia, G.' G. Darnodes , A. S. ) 604 600 605-606 , alarum superiorum cellulit postico- marginalibus latioribus rotundalis. 605 604 , earumdem cellulis diseoidalibus cum postico -marginalibus conformibus, latioribus ro- tuodatis 303. G. Ceresa, L. F. 606 604 , iisdem cum basilaribus conformi- bus, angustis elongatis 304. G. Acutalis, L. F. 607 590 609-13 , alis in quiete prothorace plus mi- nusve obtectis. 608 607 609-610 , fronte carini transversali a ver- tice distinctè separati. 609 608 , genit fronte multò latioribus, ca- pitis margine antico recto aut vix sub -arcuato. . 305. G. Darnis, Fab. 610 608 , genis fronteque fere ejusdem lati- tudinis, capitit pagini superi trapezoidei . . . 306. G. Stdhmella, m. ( Species inedita, e.\ Am. Sept. CenCi-olus reticulalui in Coli. Sturm. ) 611 607 612-13 , fronte a vertice haud distinctè separata. ''12 611 , eódem apice angulali subtù» con- Texi 307. G. Hemipivcha, G.' ( G. Entjlia, Poljglj^pta , Barra. - G. Oxygonia, L. F. ) 613 611 , «ddem apice obtusi subtùs deplanata. 308. G. Tragopa, G.' C)6 Tavola sinottica dei generi ec. Gl4 44 618-39 TETTIGONITAE, tibiis posterioribus aut muticis aut dentibus paucis ac remotis exiùs armalis. — SUB- FAmUÀ l.^ 615 44 616-17 , iisdem extùs bic.oslatis ac bifimbria- tis, fìmbriis setulosis. 616 615 640-62 , ocellis duobus conspicuis in pagina superiore capitis. — SCB-FAMILIA 2." ... 617 615 662-91 , oceWs aul iii pagina inferiore capitis, aut raarginalibus aut nullis. — SCB-FÀÌllLIÀ 3.* 618 614 619-30 APHROPHOROIDEAE , jenis in inferiore capitis pagina vel suninium apicera propè incipientibus. 619 618 620-21 , fronte a vertice haud distinclè separala. g20 619 5 eddim protuberante, protube- rantià elongalà conica horizontali 621 620 ) eàdem proluberantiù nulla . . 622 618 623-37 • , />on eodem linea impressa transver- sim bipartito. Àlis, formae consuetae .... ( Species plurimae exoticae, majoris maguitudinis plerumque ineditae. ) 630 628 ■ 5 eodem 'neuliquara Iransversim bipartito. Àlis superioribus conchaeformibus . . 631 618 619-39 APHROPHOROIDEAE, genis in pagina superiore ca- pitis ac non longè ab ejusdem margine posteriore incipientibus. 632 631 5 ocellis duobus, inter genas ac fronlem, in ipsà origine sulculi intermedii . . . (Species inedita, e PioQiontorio bonae spei , a D. Drege. ) 633 631 634-39 , iisdem, in medio vertice non longè a posteriore capitis margine. 634 633 3 vertice genuino tolam superio- rem capitis paginam occupante ( G. Triecphora , Rhinaulax , Monecphora , A. S. ) 635 633 636-39 , eodem summura capitis margi- nem auleriorem haud attingente. Aphrofhoroideae. Tettigonioideae. Jassoideae. 309. G. Cephalelus, Perch. 310. G. Castoptera, G.' 311. G. Camptelasuus, m. 312. G. Ulopa, G.' 313. G. Aphrophora, G.' 314. G. Plinthaerus, m. 315. G. Orthorhaphia,W. 316. G. Tremapiercs, m. 317. G. Cebcopis, Fab. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 97 636 035 APIIROPIIOROIDEAE, eodem supra iiiflato ac cviden- ter genis lalioie 318. G. GoMPHOBHiNA, A.S. 637 635 638-30 j eodem hauJ iiidalo et vix geiia- l'uni laliludiiils. 638 637 5 capitis pagina superiore immar- gìnatà, summo apice lotuiidalo 319. G. Tomaspis, A. S. 639 637 ) eddem marginata margine cari- nulato, summo apice angulato 320. G. Sphenorhina, A.S. 610 016 TETTIGONIOIDEAE, ocellis in margine incrassato ca- pitis supra inclusis 321. G. Eupeiix, G.' 610'" 616 , iisdem in foveolis verticis exte- riorem capitis niarginem propè 322. G. Evacanthls, Enc. 6-11 616 642-43 , iisdem liberis ante oculos. 612 641 , capile protuberanle, proluberantià elongato- conici horizoiilali 323. G. Dorydiijm, Burm. 613 641 , eodem haud protuberante, de- planalo 324. G. ACDCEPHALLS, G.' 644 616 645-51 — ^ , oceiKs liberis inler oculos. 645 644 616-52 , capilis pogind inferiore dep\aaal&, genis fere horizonlalibus. 64G 645 647-49 , rerlice carini lamellosà a fronte distiaclè separato. 647 646 , tibiarum posleriorum costis tribus pariler setaceo -fimbriatis 325. G. Ledra, Fab. 648 640 , earumdem costis duabus exterioribus pareè spinosis, interiore setaceo -fimbriata . . . 326. G. Thlasia, G.' 649 646 , earumdem coslis tribus spinulosis. 327. G. Gypona, G.' 650 645 651-52 , vertice a fronte haud distinctè separata. 051 650 , a/ts iu;ierioriiiu5 inquiete Dusquam sese invicem involventibus 328. G. ScARis, Encycl. 052 650 , iisdem in quiete posticè sese in- vicem involventibus 329. G. Pf.nthimia, G/ 653 644 654-59 , capitis pagina inferiore convexà plus minusve infiala : genis introrsura declivibus. 654 653 , caj)i7e protuberante, protubcrantià cepballcd laleraliter compressa arcuatim adscea- dente apice recurvà 330. G. Wolfella, m. I Specius guÌQeeDsis, ex itine) e D. Caternautt. ] 055 654 656-59 , eodem band protuberante. 656 655 657-58 , vertice, carinulU transversali, a fronte distinctè separato. 657 656 , tibiarum posteriorum costis duabus exterioribus parcè spinosis spinis septeui vel octo. 331. G. Proranus, m. ( Specics inedita e Colombia. ) 058 056 , earumdem costis tribus pariter multispinulosis 332. G. Diedrocephala, ni. ( Cicacta rarieguta, Fab. ) Tomo XV. P.'^ /." i3 qS Tavola sinottica dei generi ec. 659 654 660-61 TETTIGONIOIDEAE, vertice, sulculo transversali a fronte distinctè separato. 660 659 , /ronfe protuberante, proluberaiUià frontali conica arcuatiin adscendente apice retror- suni reflexà 333. G.RHAPHiRHinDS.Lap. 661 659 , eddem oec arcuatiin adscendente, nec retrorsùm reflexà 334. G.TETTi(SoNiA,GeofFr. ( G. Ciccus, Latr. - G. Proconla, Encjcl. - G. Aulacizes , Diastotemma. - G. Acopsis, A. S. } 662 617 663-82 JASS01DEA.E, ocellis conspicuis. 663 662 , vertice , carinulà transversali a fronte distinctè separato. 664 663 665-69 , capitis faciebus laleralibus plus mi- nusve conspicuis. 665 664 , iisdem anticè conjunctis et in sulculo transverso desinentibus : ocellis in ipso sulculo et oculos propè observandis 335.G.SEtENOCEPHAHJS,G'. 666 664 , iisdem pariter anticè conjunctis, cana- lem latum transversalem simul efRcientibus: ocellis, in sinu canalis, ab oculis remotioribus .... 336. G. Protonesis, m. ( Facies Caelìdlarum. Species inedita , e Promontorio bonae spei a D. Drege. ) 667 664 668-69 , iisdem medio sejunctis, plus minusve remotis, foveaeformibus. 668 667 ..... , foveis magnis, profundis, approximatis: ocellis capitis apici propioribus 337. G. Paropia, G.' 669 667 , iisdem parvis remotis, ocellis oculis propioribus 338. G. Caiidia, G.' 670 663 671-82 , capitis faciebus laleralibus prorsùs in- conspicuis. 671 670 672-73 , ocellis in inferiore capitis pagina et etiam in ipsà sutura sulciformi frontem genasque intercipiente. 672 671 , antenttarum origine, Inter oculos . . 339. G. Piezaucbenia, m. ( Species chiienses, ex itinere D. Gay. ) 673 671 , eddem, pone oculos. 674 670 , ocellis, in anteriore capitis margine. 675 674 676-77 , vertice sutura elevata a fronte distin- ctè separato. 676 675 , capite plus latiore quam longiore, an- ticè late arcuato 340. G. Sita, m. ( Species inedita, e Coromandel. — SiVa, uomen mylhologiae Indìcae. ) 677 675 , capite plus longiore quara latiore, an- ticè serai-elliptico . . 341. G. Diglenita, m. 678 675 , vertice, linea impressa sulciformi a fronte distinctè separato. G. Bytboscopds, G.' G. Oncopsis, Burm. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 99 079 G73 JASSOIDEAE, ocelli», in anteriore capilis margine . 342. G. Jassds, Fab. ( G. Tj phlocybii^ Burm. non Gf. - G. Amblycephahis^ A. S. ) C80 G78 CbO-81 , ocelli», in inferiore capitis pagina. 681 080 , ali» quiescenlibus nusquam sese invicem involventibus 343. ( G. Idiocerus , Leuis. y 682 678 , iisdem in quiete apicem propè sese invicem involventibus 344. ( G. Potliopsis ^ Burm. - G. Macopsis , Lewis. ) 683 617 684-93 JASSOIDEAE, ocelli» nullis. 684 683 685-90 , verlice, suturi elevali a fronte distin- ctè separato. 685 684 686-87 , cajiHe plus longiore quam laliore. 686 085 , capitis pagina inferiore plana et eliam partim concavi , margine exteriore lamelloso . . 345. ( Species inedita, e Brasilia. ) 087 685 , eddem con^e\A, margine exieriore coitalo. 346. ( Species cliilcnsis. ex itinere D. Gay.) 688 684 689-90 , capile plus laliore quam longiore. 689 088 5 mesosterno raajore alle convexo sub- iuflalo, coxis inlermediis a posterioribus valdè remolis 347. G. Aglaenita , m. ( Specivs inedita, ex Am. Merid. ) 690 688 5 eodem formae consuetae, coxis quatuor posterioribus magis approximatis 348. (Species inedita e Para, a D. Ghìiìani, 1846.) 691 683 692-93 , l'er/ice a fronte haud dislinctè separato. 692 691 , capile fere immediate deorsùm inQexo, pagina superiore transverso- lineari, otulis magnis hemisphaericis prorainentibus ....... 349. [ Species inedita, e Brasilia. ) 693 691 , eodem longius a margine posteriore deorsum declive, pajifld superiore semper conspicui inlerdum aequè longi ac lati, ocnlis oblongis pa- rum elevalis • . . . . 350. G. Typhlocyba, G.' G. Adi AEROTOMA, m. G. Hemipeltis, m. G. Selenopsis, m. G. Strongylomma, m. 100 Tavola sinottica dei generi ec. DISTINTA DELLE ABBREVIATURE PRATICATE NELLA TAVOLA PRECEDENTE. Abbretiature. Nomi degli Autori A. S Signori Arayot e Serville. Br. o B/ Brulle. Burm. o Brm. e B." Burmeisler. Encycl. o Enc Encyclopedie Insect. T. X. — Articoli dei Signori Serville e S. Fageau. Fab Fabricius. Fall Fallen. Geoffr Geoffroy. G.' o Gr. e Germ Germar. Guer Guerin. Hn. o H." Hahn. Herr. Sch Herrich-Schaeffer. Ho£fm. o HofFmg De Hotfmansegg. K.^J' o Kby Kicby. Kl Klus. Lap De Laporle C' de Caslelnau. Lalr Latreille. L. Duf. Leone Dufour. L. F Leone Fairmaire. Lef. Alessandro Lefebvre. Lin Linneo. Perch Percheron. Thunb Thunberg. Sch. o Schill Scbilling. Swed Sweder. Curi Curtis. Westw Westwood. 101 DI ALCUNI GENERI D' INSETTI ARTROIDIGMTI NUOVAMENTE PROPOSTI DAL SOCIO ATTUALE SIGNOR MARCHESE MASSIMILIANO SPINOLA — ,A SINOTTICA DI QUESTO ORDINE EDE LA PRESENTE MEMORIA Memorie Soc. Ital &i. Modena. Tono xxv. parte prima, j U ^ Dicembre 1849 Spinola. Di Alcuni Generi d'Insetti Artroidignati. pi j. 101-178. I. G. Caternaultiella, m. N. 7.*" Tab. synopt. For dates of publication Se e ■ :roOh, 19iy, Ent. Nachr. 15 : 151-162. iferiore capitis propè angulos poste- insertae, saltetn quadri - articulatae : lindricis crassitudine sub-aequalibus, plus tertio longlore. Quartus deest. (i) tudinis , horizontale supra depressum marginatum, anticè rotundatum, late- arcuatum. m oblongo-ovati, in gibbositatae laterali angulos posteriores capitis occupantes. propè marginem posteriorem, inter se ites. arcuatus, angulis posterioribus abruptè i visibiliter productis. Frons parva angusta sub-triangularis apice acutiuscula. (I) L'articolazione terminale del terzo articolo quale si Tede nel mio unico esem- plare, toglie ogni dubbio sull'esistenza necessaria di un quarto articolo. Ma non mi coosta ia verun modo che questo sia l' ultimo. lOO Tavola sinottica dei generi ec. DISTINTA DELLE ABBREVIATURE PRATICATE NELLA TAVOLA PRECEDENTE. Abbreviature. A. S Signori Arayot e S Br. o B.' Brulle. Burm. o Brm. e B." Burmeisler Encycl. o Enc Encyclopei — Artici Fab Fabricius. Fall Fallen. Geoffr Geoffroy. G.' o Or. e Gerra Germar. Guer Guerin. Ho. o H." Hahn. Herr. Sch Herrich-S Hotfm. o Hoffmg De Hoffma K.'J' o Kby Kicby. KI Klus. Lap De LaporU Latr Lalreille. L. Duf. Leone Duf L. F Leone Faii Lef. Alessandro Lio Linneo. Perch Percheron Thunb Thunberg. Sch. o Schill Schilling. Swed Sweder. Curt Curlis. Westw Westwood. 101 DI ALCUNI GENERI D' INSETTI ARTKOIDIGMTI NUOVAMENTE PROPOSTI DAL SOCIO ATTUALE SIGNOR MARCHESE MASSIMILIANO SPINOLA NELLA SUA TAVOLA SINOTTICA DI QUESTO ORDINE CHE PRECEDE LA PRESENTE MEMORIA Ricevuta il 7 Dicembre iS^g. PENTATOINIITAE. I. G. Caternaultiella, m. SCUTELLEROIDEAE. N. 7.*" Tub. S/HOpt. Antennae in pagina inferiore capitis propè angulos poste- riores paulo ante oculos insertae, saltem quadri - articulatae : articulis primis sub cylindricis crassitudine sub - aequalibus , primo breviore, secundo plus tertio longiore. Quartus deest. (i) Caputa mediae magnitudinis, horizontale supra depressum fere concavum, laeviter marginatura, antico rotundatum, late- raliter sinuatum, postico arcuatum. Oculi magni, transversim oblongo-ovati, in gibbositatae laterali insiti, valdè prominuli et angulos posteriores capitis occupantes. Ocelli duo, in vertice, propè marginem posteriorem, inter se et ab oculis aequè distantes. Vertex magnus, postico arcuatus, angulis posterioribus abruptè attenuatis et pone oculos visibiliter productis. Frons parva angusta sub-triangularis apice acutiuscula. (1) L'articolazione termiDale del terzo articolo quale si vede nel mio unico esem- plare, toglie ogni dubbio sull'esistenza necessaria di un quarto articolo. Ma non mi consta ia verun modo che questo sia l'ultimo. loa Di alcuni generi d' Insetti ec. Genae medium versus paginae superioris capitis incipientes, a fronte sutura sulciformi separatae, latae, fronte duplo lon- giores, ultra frontem rectà longitudinali conjunctae et conjun- ctim antico rotundatae. Caiialis inferus ultra caput obsoletus, postico apertus, sub capite paretibus lateralibus paulo elevatis. Blaxìlla inferlor tennis, elongata, ultra coxas tertii paris in quiete pretensa, quadri -articulata. Articulus primus rectus bi'evior, crassior, in canali infero vix recipiendus et sub pe- ctore non producendus, originem habet ab insertione antenna- rum et ab apertura oris aequè distantem. Reliqui tenuiores : secundus primo fere plus duplo longior, paulo arcuatus; ultimi duo recti; tertius omnibus longior; ultimus dimidio brevior, apice obtusus. Apparatus manducatorius , in meo sperimine , ultra inaxillae articulum ultimum paulo exsertus. Clypeum, vix conspicuum. Jppendix clypealis tennis elonga- tus sub-linearis, in cavitate maxillari partim reconditus, sed saltem ad articulum secundum perveniens. Pectus laeviter et uniformiter convexum. Prosternum bilobum, lobis rotundatis sub capite productis, origine antennarum tamen in quiete detectà. Mesosterni linea media longitudinalis, in medietate anteriore tantum, paulo elevata. Metasternum pia- nura, anticè et postico rectà truncatum. Venter in mare { fceminam non vidi ) convexus, margine ex- terno rotundato integro, segmentis anterioribus sex stigmatife- ris, trachearum ostiis propè inarginem exteriorem in extremi- tate rimulae transversae profundè impressae, segmentis a- 5 postico emarginatis, emarginaturà a 2.''" ad S/""" gradatim auctà, in secundo late rotundatà, in quinto angulatà acuta; 6/° in- flato integro; ultimo sive apparatu externo partiuni genìta- lium, abruptè verticale, unde dici potest ahdominis apex rectà truncatus. Prothoracls dorsum laeviter convexum, anticè declive, trape- zoideum, angulis omnibus rotundatis, medio profundè transver- sim impressuin, anticè immarginatum, verticem ambiens, mar- gine postico latiore recto. Del Sic. March. Massimiliano Spinola io3 Scutellum rnagnum, totum abdomen obtegens, semi-circulare, in mare postico emarginatum. Alarum superìorum pars coriacea triangularis, nervis longitu- dinalil)us elevato -costatis conspicuis, radio simplici, idest, sine ilhi dilatatione cornea prope basin plus minusve observandà in nonnullis Scutelleroideis et praesertim in plerisque speciebus G. Plataspls. — Earumdem pars membranacea ^ nervis septem rectis aut vix arcuatis, sub parallelis, ab origine prodeuntibus et ad marginem externum pervenientibus, septimo quadrifido, ceUulis omnibus postico apertis. Pedes, mediae magnitudinis, simplices, gressorii. Tibiae pris- maticae, triedrae, lateribus costatis. Tarsi tx-i-articulati, articulo primo minimo et oculo nudo vix visibili, reliquis subtùs seta- ceis, tertio duobus aliis una longiore, bi-unguiculato, unguiculis tenuibus simplicibus, appendicibus sub-ungularibus vix conspicuis. Species unica. — Caternaultiella guineensis, m. Longa 7 millim. — Lat. in media scutelli longitudine, 4 millim. Caternault. Nigra, supra opaca, subtùs nitida. Appendix cly- pealis, maxilla inferior, tarsorum articuli i.*" et 3."' dilutè brumei. Oculi rubri. Alae superiores f'uscescentes. Corpus totum punctatissimum, punctis impressis paginae supeiioris difformibus confluentibus aut confusis, iisdem paginae inferioris conformibus rotundatis discretis. Un maschio della Guinea, raccolto dal Sig. Caternault e trasmessomi dal Sig. Buquet. Gli occhi quasi pedonculati ba- stano a distinguere la Caternaultiella dalle Scutelleroidee ge- nuine le più affini, cioè dalle Plataspidi e dalle CajJtosome. Questo carattere isolato la ravvicinerebbe al G. Podops che partiene ad altra sotto -famiglia. Sono persuaso che allorquando si avi-anno altri individui e i due sessi di questa specie, se si scopriranno altri connotati de' medesimi caratteri più essenziali, alcune delle particolarità comprese nella descrizione del genere avranno da passare nella descrizione della specie. Questa osservazione si applica egual- io4 Di alcuni generi d' Insetti ec. mente a tutti gli altri generi nuovi che sono per trattare nella presente Memoria. A proposito del G. Plataspìs^ comunque il tipo ne sia ap- pieno conosciuto, non stimo inopportuna la descrizione di altra specie inedita che ci dai-à un esempio di una singolarità rara in questa sotto - famiglia , cioè, la disparità del capo nei due sessi della medesima specie. ^ 1^.' Plataspis disfar, m. subtus nigra, supra flavo irrorata, scu- telli medietate minus maculata, antennis pedibusque flavis. S $ Grandezza della Piai, cocciformis, Hope. Testa della fe- mina, modellata esattamente sul medesimo tipo. Testa del ma- schio di d:iversissima apparenza. Le guancia (genae) acquistando un volume anormale, dopo essersi piegate in dentro immedia- tamente innanzi agli occhi, si dilatano bruscamente descrivendo un arco di circolo terminato in angolo curvilineo acuto, indi congiuntamente inoltrate al di là della fronte descrivono in- sieme un arco di cerchio rientrante, onde si potrebbe dire con ragione capitis margine antico lunato. Ho avuto sotto agli oc- chi tre maschi e una femina procedenti dalle raccolte dello stesso Signor Caternault nella costa di Guinea. Le forme della femina sono perfettamente conformi a quelle delle altre Pla- taspidi del medesimo sesso. I maschi solo sono anormali. Ma una particolai'ità sessuale non è ammissibile a carattere generico. PENTATOIVIITAE. II. G. Omyta, in. Halysoideae. iV. Sa. Tah. synopt. Antennae fere longitudinis coi'poris, quadri -articulatae. Ar- ticulus primus minimus (i), rudimentarius, e tuberculo laterah et infero capitis oritur, ante oculos et fere sub eàdem linea (I) Si potrebbe tenere questo piccolissimo articolo primo per la Bodicula e allora le Anlenne si direbbero tri -articolate. Questo modo di esprimersi mi sembra affatto ar- bitrario. NoH vedo come la Radicala differirebbe da uà vero quando fosse di grandezza apparente, uguale di sostanza cogli articoli seguenti e neppunto recondita nel tubercolo antennifero. Del Sic. March. Massimiliano Spinola io5 transvcrsali ac maxillae origo; secundus medio iiicrassatus ul- tra capitis apicem longè pioductus; tertiiis tenuior cylindricus, praecedentibus multo longior; quartus certe ultimus, tertio si- milis et paulo brevior, sed secundo longior. Caputa ut in plerisque Ilafysoideìs, ante oculos valdè elonga- tum, sub-borizontale, propè basin convexiusculum, inde depla- natum et apicem versus etiam concavum, utrinque marginatura margine crassiusculo, apice fissum, margine anteriore bilobo, lobis separatim semi-ellipticis. Oculi laterales sessiles paruni prominuli, rotundati, paulo ante angulos posteriores capitis. Ocelli in vertice, pone cantum postero -internum oculorum. Vertex pone oculos brevis ast visibilis, margine postico rotundato. Frons angusta elongata, apice obtusa. Genae fronte latiores ac longiores, sed nusquam arctè conjun- etae, lateribus rectis parallelis, singularum apice ovato-rotundato. Clypeum et appendix clypealis ut in praecedente. Apparatus nianducatorius invisus. Canalis inferus ad marginem posteriorem capitis usque pro- longatus, posticè apertus, paretibus lateralibus elevatis. Maxilla inferior, sub annulo primo abdominali in quiete pre- tensa, quadri - articulata , articulis rectis, primo crassiore ultra canalem inferum posticè pretenso et etiam in quiete apice libero, reliquis tenuioribus diametro sub-aequalibus a 2./° ad 4-'""' longi- tudine gradatim decrescentibus, intermediis duobus subtùs canali- culatis, tertio apicem versus sensim dilatato, ultimo rectà truncato. Pectiis laeviter convexum, prosterni mesosternique linea me- dia elevata costaeformi, metasterno deplanato. Abdomen subtùs utrinque convexum, medio deplanatum et non canaliculatum, lamina prima ventrali sola in medio exca- vatà prò recipiendo maxillae inferioris articulo ultimo. In sin- gulo annulo stigmatifero, medium versus, rimula sinuosa trans- versa utrinque observanda: ostia trachealia, ante rimulas et propè abdomìnis angulos antero-externos. Tomo XV. P.'^ /.« 14 ic6 Di alcuni generi d' Insetti ec. Prothoracis dorsum metathoracem obtegens sed supra scutel- lum neutiquam prodiictuin, quadrilaterixm transversum irregu- lare et partim curvilineum efficiens, latere anteriore, angustiore, arcuato -emarginato; exterioi'ibus postico divergentibus, medio intùs inflexis, posteriore latiore rotundato propè angulos po- stero - externos subsinuato. Scutellum plus duplo longius quam latius, triangulare, basi rectum, utrinque propè apicem sinuatum, apice obtusum. Alae superiores quiescentes, totum abdomen obtegentes. Pars coriacea major, basin ultimi annuii stigmatiferi attingens. Pars membranacea, cellulis ii quarum una basilaris magna clausa et interdura transversim bipartita, duo propè marginem exte- riorem angustae longitudinales et clausae, octo discoidales pa- riter angustae et longitudinales sed postico apertae et gradatim introrsum decrescentes , nervis cunctis longitudinalibus ante marginem obsoletis. Pedes, formae consuetae, elongati agiles fere cursorii. Tiblae prismaticae triedrae. Tarsi subtus setacei, triarticulati, articulo primo reliquis una longiore, secundo minore obconico cum ter- tio arctius connexo, ultimo biunguiculato et biappendiculato ; unguiculis edentulis, laminaeformibus apice aduncis, appendi- cibus membranaceis oblongo-ovatis. Specìes unica. — Omyta Deyrollei, m. Omyta griseo-virescens punctis impressis brumeo - fuscis ad- spersa, linea media dorsali ab apice frontis ad extremitatem scutelli ductà late flavescente. Long. 1 7 millim. — Lat. in media abdominis longitudine, 8 millim. Antennae nigrae, articuli ultimi basi et annuio medio brun- neis. Puncti impressi fuscescentes, subtus rariores, supra etiam disci-eti saepius lineatim dispositis, lineis transversis irregulari- bus infractis. Dorsi linea media, capitis prothoracis scutellique margino lateralis, scutelli maculae humerales, alarum superio- l'um radius incrassatus, flavi. Anguli extimi segmentorum abdo- minalium, macula media in singulà lamina ventrali, ostia tra- Del SiG. March. Massimiliano Spinola 107 chealia, nigri. Pedes sordide flavescentes bruineo irrorati, pun- ctis iinpressis iiiiiius excavatis. In utroque sexii, lamiiiae ventrales stigmatiterae a a.''" ad ultimam gradatim profondius emarginatae. In foeminà^ segmen- tuin ultimum geuitalia sistens lobulis quinque-oblongis acutiu- sculis terminatum, linde abdominìs apex quinquefidus. In mare segmentum idem simplex indivisiim, basi verticale, postico ho- rizontale, margine extimo arcuato -emarginato, angulis emargi- naturae acutis nnde abdominìs apex lunatus. Della Nuova Ollanda, avuta dal Sig. Deyiolles. Questo genere ci porge un curioso esempio della cori'ela- zione che esiste frequentemente fra le forme i-ispettive dello sterno e della mascella. La carena risaltante sulla linea media del prosterno e del mesosterno sembrerebbe impedire alla ma- scella di distendersi orizzontalmente sotto del petto. Eppure è questa la sua posizione normale nello stato di quiete, in grazia della propria scannellatura nella sua facciata opposta a quella che alberga l'apparato nianducatorio. Il nome Omyta è un anagramma di Oniyot cognome dell'insigne Naturalista, che si è distinto da tutti per essersi fatto padrigno a un popolo immenso d'insetti da esso lui ribattezzati con nomi cosmopoliti. So di non offen- dere il pudore delle lingue e spero non sorprendere quello dell'inesauribile Nosogenetro, cercando nel cognome di lui dot- tissimo, il mezzo di scampare dalle parole di estranea origine, mutuate dalle lingue pure dotte, ma poco mercantili presso di noi, meno familiari dell' orientale civiltà. PENTATOMTTAE. III. G. Encosternum, m. Edessoipeae. N. 4'- Tab. synopt. Antennae^ in pagina inferiore capitis propè marginem exter- num inter oculos et maxillae inferioris originem insertae, me- diae longitudinis et vix ad marginem posteriorem prothoracis subtus pervenientes, radiculà interdum exsertà et quinque ar- ticuUs distinctis conflatà, articulo primo crassiore capitis apicem I08 Dr ALCUNI GENERI d' InSETTI CC. vix attingente, secando fere triplo breviore minus crasso cy- lindrico, tertio quoque cylindrico aliis longiore; 4-"' ^t 5/" subaequalibus, quarto basi paulò coarctato, ultimo apice obtusè rotundato. Caput horizontale planum oblongum semi-ovatum, latera- liter marginatum margine tenue et laeviter reflexo, antico ova- tum integrum. Oculi laterales, rnediae magnitudinis, parum prominuli, in angulis posterioribus capitis. Ocelli magis inter se quam ab oculis remoti, non longè a mar- gine postico in origine suturae genas frontemque intercipientis. Vertex post oculos nullus, posticè recta truncatus. Frons a genis propè marginem posticum sutura sulciformi di- stinctè separata, triangularis, lateribus rectis, angulo apicali acuto. Genae etiam basi fronte latiores, multo longiores, inde arctè conjunctae et conjunctim rotundatae, margine integro. Canalis ìnferus capite brevior, posticè clausus, parete trans- versali postica minus elevata. Maxilla inferior crassior, brevis^ vix originem pedum primi paris attingens, quadri -articulata, articulis quatuor a i.'"" ad ^tum gradatim decrescentibus, primo in canali infero quiescente, ultimo apice rectà truncato. Pectus convexum, prosterni linea media plana, mesosterni medio longitudinaliter costato, costà rectà angusta et parum elevata. Metasternum medio abruptè protuberante posticè an- gulatim emarginatum : protuberantià gladiiforme , anticè sub mesosterno ad originem pedum secundi paris usque productà, subtus deplanata, utrinque ramulum breviusculura dentiformem emittente. Venter medio carinatus segmento primo magis elevato, anticè acuminato et cum emarginaturà angulosà metasterni libere ar- ticulato. Ostia trachearum abdominalium parva, et magis quam in praecedentibus a margine exteriore remota. Rimulae con- suetae abbreviatae, punctiformes et ostia altera simulantes. In utroque sexù, segmenta cuncta stigmatifera plus minusve Del Sic. March. Massimiliano Spinola 109 arcuato -emarginata. In foemìnà^ ultimum genitalia slstens vi- detur tripartitum, valvis lateralibus integris, lamina intermedia breviorè emarginata, unde abdominìs apex emarginatus. In mare segmentum idem magnum, indivisum, convexum, medio subtùs carinatum, margine rotiindato oblongo, unde abdominìs apex ovatiis. Prothoracis dorsum convexum, anticè declive, transversum, trapezoìdeum, latere anteriore angustiorè recto, exteribus duo- bus, arcuatis divergentibus ; posteriore latiore laeviter arcuato angulis anterioribus rectilineis apertis, posterioribus obsolete rotundatis. Scutellum triangulare, aequè longum ac latum, lateribus ar- cuatis et propè apicem sinuatis, apice obtuso. Alae superiores quiescentes abdomen totum obtegentes- parte coriacea segmentum ante penultimum attingente. Pars membra- nacea sine cellulis transversis basilaribus, nervis plurimis 18-20 a basi immediate pi'odeuntibus ante marginem terminatis. In- feriores membranaceae, homogenae. Pedes validiores, gressorii. Tibiae rectae cylindricae extùs canaliculatae. Tarsi biartìculati, articulis duobus subaequalibus, subtus setaceis, a."'" biunguiculato et appendiculato, unguiculis simplicibus, appendicibus conspicuis. Species unica. — Encosternum Delegorguei. Emost. flavescens, alarum superiorum limbo exteriore nigro, parte membranacea hyalinà, nervis concoloribus. Long. 22, millim. — Lat. major, in media abdominìs longi- tudine, 14 millim. Corpus impresso-punctatum punctis minutis confusis, opacum, supra flavescens, subtus flavum rarius flavo -rubens. Capitis protboracis et alarum superiorum partis coriaceae limbo exte- riore tenui nitido nigro. Pedes cum antennis, dilutè flavescen- tes. Alarum superiorum pars membranacea hyalina, nervis con- coloribus fere translucidis. Due femmine e un maschio della GaiFreria, procedente dai viaggi del Sig. Delegorgue. no Di alcuni generi d'Insetti ec. Quivi mi occorre annunziare l'esistenza di una Edessoìdea proveniente dalla medesima località e raccolta dal medesimo viaggiatore. Non dubito di doverla ritenere per tipo di alti'o genere vicino aW Encosternum, ma non ho potuto assegnarle il congruo posto nella Tavola sinottica per esserne 1' unico esem- plare mutilato e mancante delle sue antenne. Convengono i due generi nella forma della testa, nelle ri- spettive dimensioni delle guancie e della fronte, nella brevità della mascella inferiore, nelle condizioni del prosterno e del canale infero e perfino nei tarsi egualmente biarticolati. Ma differiscono nella pi'otuberanza metasternale più picciola nel secondo, meno rilevata e sublime, alquanto liberamente prolon- gata sotto al mesosterno, piuttosto tubercoliforme che gladil- forme. Viemmaggiormente differiscono nella protubescenza me- diana del mesosterno, nel secondo pure molto più risultante che. neir Encostemo, lateralmente compressa lamellosa e con- forme a quale si vede nelle specie volgari dei G. Acanthosoma e Clinocorìs. Siccome differenze di minor momento, addurremo sussidiariamente le tibie prismatiche e triedre, i lati esterni del protorace non che i contorni esterni degli anelli abdomi- nali orizzontali e singolatamente rotondati e dilatati. — Gran- dezza del Pycanum amethystìcum. — Colore del cadavere dis- seccato, un sordido griggio che ha potuto essere giallognolo o verdastro nell' insetto vivente. Ho intitolato 1' individuo della mia collezione Natalicola Delegorguei. PENTATOMITAE. IV. G. Myota, m. Edessoideae. N. 46- Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis a cavitate supera tuber- culis cylindriformis prodeuntes, Inter oculos et maxillae infe- rioris originem, oculis propiores, mediae longitudinis, vix ad posteriorem prothoracis marginem subtus producendae, quinque- articulatae , articulis quatuor primis, sub-cylindricis , primo crassiore genarum apicem attingente et non superante, reliquis Del Sic. March. Massimiliano Spinola ih tenuìorihus diametro sub-aef[ualibus, 2,.''° breviore, 4-"' longiore. Ultimus deest (i). Radicula, aut nulla, aut in cavitate tuber- culi antenniferi prorsùs recondita. Caput horizontale planum triangulare acuminatum , ajjice minus profundè angulatim emarginatum, iitrinque ante oculos marginatum, margine tenui supra reflexo. Odili oblongi, laterales, in angulis posterioribus capitis. Ocelli propè capitis marginem posticuin, magis inter se quam ab oculis remoti. Frons angusta elongata sub-triangularis, angulo apicali acuto. Genae basi latitudinem frontis superantes, inde apicem versus sensim coangustatae , lateribus rectis antico convergentibus , fronte saltem duplo longiores, ultra fronteni rectà longitudinali conjunctae, apice separatim angulatae. Canalis inferus post caput non protensus et postico sensim obliteratus, paretibus lateralibus minus elevatis. Maxilla ìnferìor in hac sub-familià, longior et originem pe- dum secundi paris attingens, quadri-articulatae : articulo primo crassiore, etiam ab origine libero, breve, sub pectore neutiquam producendo; reliquis tenuioribus, diametro sub-aequalibus, a.'^" et S/'" singulatim saltem primo plus duplo longioribus, ultimo rectà truncato. Pectus uniformiter convexum. Prosterniim planum. Mesoster- num postico emarginatum , linea media longitudinali elevata costaeformi. Metasternum nuUomodo protuberans, in emargina- turà acuta prosterni, inter coxas pedum secundi paris anticè productum. Ventar convexus, sine carina media, annulo primo nec spi- noso nec tuberculato. Rimulae consuetae, laterales et transver- sae, rectae, conspicuae. Ostia trachealia, ante rimulas et istis propiora. ProtJioracis dorsum convexum, anticè declive, hexagonale , latere anteriore angustiore profundè et arcuatim emarginato; (1) Vedi la noU (I). 3 mo 112, Di alcuni generi d'Insetti ec. lateribus antere -externis valdè divergeiitibus incurvatis medio intùs inflexis postico extùs devarìcatis , postero -externis bre- vioribus rectis postico convergentibus, margine posteriore, re- cto , anguiis exterioribus curvilineis prominulis extùs prolon- gatis tuberculi-forraibus apice acutis, posterioribus rectilineis valdè apertis. Scutellum plus longius quam latius, triangulare, basi rectum, utrinque acute sinuatum, apice rotundatum. Àlae superiores quiescentes totum abdominis dorsum non ob- tegentes, parte coriacea, extùs arcuata segmentum quartum non superante. In parte membranacea, nervi 9 vel io longitu- dinales ab altero nervo transverso sub -basilari prodeuntes, propè marginem extimum evanescentes, cellulae cunctae elon- gatae angustae incompletae postico apertae. Pedes gressorii, mediae magnitudinis et formae consuetae. Tihìae cylindricae, extùs subtiliter canaliculatae. Tarsi setacei distinctè tri-articulati, articulo a/" reliquis dimidio breviore, i. et 3/'° longitudine sub-aequalibus, ultimo, ut in praecedentibus. Sjjecies unica. — Myota Buquetii, m. BIjota supra brunnca viridi-metallico nitens, subtus flavescens. Long, totius corporis 14 millim. — Lat. inter angulos exte- riores prothoracis, H millim. — Ead. in basi abdominis, 7 mil- lim. — Ead. in medio abdominis, g millim. Anteniiae^ articulo primo flavescente, sequentlbus tribus ni- gris, secundi apice tertii-que basi albis. Caput supra granula- tum rugosiusculum, viridi-metallico splendens, genarum basi- brunneà. Prothoracis dorsum impresso -punctatum, punctis in disco semper discretis et saepe distantibus, propè margines la- terales adproximatis conflueutibus confusis et interdum rugae- formibus, interstitiis disci impunctatis brunneis, reliquà super- ficie viridi nitente. Scutellum et alarum pars coriacea brunnea, pariter impresso -punctata punctis discretis viridi nitentibus. Pars membranacea, in cadavere, sordide flavescens, ( in speci- mine vivo, ut suspicor, aurato splendens? ) nervis concoloribus. Del Sic. March. Massimiltano Spinola Il3 Corpus subtus nitidum flavescens, crebrius sed minus profundè punctatuin punctis discretis brunneis, pleuris mesothoracis opa- cis transversim ac sinuose rugosiusculis. Annulorum sex stigma- tiferorum angulis posterioribus acute prominulis, abdominis la- teribus sex-dentatis, dentibus serratis. Pedes flavidi. — In foemìnà ( marem non vidi ) segmentum ultimum ventrale geni- talia sistens, ut in foemina Omytae^ quocirca abdominis apex subtus visus dici posset pariter quinquefidus, tamen propter ultimam laminam dorsalem rotundatam integram multo majorem et totuni segmentum obtegentem, rectius dicendum esset ab- dominis apex rotundatus, major. Due femine del Brasile, avute dal Sig. Buquet, a cui dedico la specie. — M/ota, altro anagramma dell'insigne cognome Amyot. PENTATOMITAE. V. G. Delegorguella, m. Edessoideae. N. 5i. Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis, a tuberculo cylindrico et paulo elevato prodeuntes, ab oculis et ab origine maxillae inferioris aequè distantes, 5 articulatae: radiculà nulla vel re- condita; articulo iJ"" crassioi'e breviore capitis apicem vix at- tingente; 2..''° et 3.''" tenuioribus singulatim primo fere plus du- plo longioribus, arctius connexis, sub-aequalibus, conformibus, cylindraceis; 4-"' 6t 5.^° alios longitudine superantibus distinctius articulatis difFormibus, 4*"' obconico apice incrassato, ultimo, basi crassiore apice sensim attenuato oblongo- ovato. Caput planum horizontale utrinque marginatum, margine la- terali carinaeformi neutiquam supra reflexo, margine anteriore integro rotundato. Oculi rotundi, prominuli, in angulis posterioribus capitis. Ocelli ut in praecedentibus. Frons angusta, elongata, lateribus rectis parallelis, apice lae- viter arcuata. Genae a fi-onte paulo ante ocellos sutura sulciformi distinctè separatae, ipsà multo latiores at non longiores, extùs arcuatae et in margine antico una cum fronte conjunctim rotundatae. Tomo XV. P.'" I." i5 Ii4 Di alcuni generi d'Insetti ec. Canalis inferus capite brevior, postico apertus, parietibus pa- rallelis elevatis. MaxìUa ìnferìor fere ab apertura oris prodiens et originerò pedum secuudi paris in quiete attingens, quadri -articulata, ar- ticulo primo crassiore, reliquis tenuioribus, a.''" et 3/'° longio- ribus subaequalibus, ultimo apice obtuso. Pectus laeviter convexum, sterno deplanato, mesosterni linea media etiam concava. Venter uniformiter convexus absque carina media, margine exteriore integro : segmento anteriore nec spinoso nec tuber- culato. In singulo annulo stigmatifero, propè marginem exte- riorem, rimula recta transversa minus profundè impressa, ostìum- que tracheale in extremitate externà singulae rimulae. Protlioracìs dorsum parum convexum, minus declive, in parte antica etiam horizontaliter dilatatum et fere deplanatum, tra- pezoideuih, trapezù curvilineo postico latiore, latere antico in medio arcuatim emarginato utrinque laeviter sinuato, lateribus exterioribus postico divergentibus dilatato-rotundatis, posteriore latiore ante scutellum recto utrinque arcuato, angulis omnibus obsolete rotundatis. Scutellum et alarum pars coriacea ut in praecedente. Pedes gressorii, mediae magnitudinis. Tibiae prismaticae triedrae, anteriores quatuor rectae, posteriores longiores paulo incurvatae et lateraliter corapressae. Tarsi subtùs setacei, tri- articulati, articulo primo crassiore, secundo minore obconico cum tertio arctius connexo, ultimo ut in praecedentibus. Species unica. — Delegorguella elliptica, m. Deleg. oblongo- ovata, planiuscula, distinctè impresso - pun- ctata, pallide griseo-brunneo irrorata. Long. i4 millim. — Lat. major in media abdominis longitu- dine, 8 millim. In utroque sexu., corpus glabrum, tibiarum costae villosae pilis albidis. Ventris segmenta sex anteriora stigmatifera, mar- gine posteriore recto, posteriorum quatuor angulis omnibus Del Sic. March. Massimiliano Spinola Il5 iiigro maculatis. Antennae flavae immaculatae. Pedes brunneo irrorati. Alaruin superiorum pars membranacea griseo-brunnea, uervis concoloribus. In foeminà, puiicti quatuor nigri sub eàdem linea transver- saii in medietate anteriore prothoracis. Ventris dischus rube- scens, fasciae duo sub-marginales ostia trachealia includentes brunneo -nigrescentes. Segmentum ultimum genitalia sistens ut in Encosterno, valvulis lateralibus magis rotundatis, abdomìnìs apice integro. In ntare^ maculae duo nigrae approximatae in medietate an- teriore prothoracis. Ventris fasciae sub-marginates latiores, di- schus neutiquam rubescens, lamina ultima ventralis brevis con- cava arcuato -emarginata, angulis emarginaturae parum produ- ctis, ultima dorsalis latior et latius emarginata, alteram non obtegens, abdominis apice emarginato. Due femine e un maschio della CafFreria, procedenti dalle raccolte del Sig. Delegorgue. PENTATOMITAE. , VI. C. Sagriva, m. Edessoideae. N. 54- Tab. synópt. Antennae in margine inferiore capitis, propè raarginem ex- teriorem, paulo ante oculos et longè ab origine maxillae, in tubeix;ulo recto cylindrico insertae, crassae, mediae longitudini», .vix posteriorem prosterni raarginem attingentes, radicula con- spicuà sed partim in tuberculo antennifero recondita et arti- culi$ quatuor magnis conflatae: articulo primo oboonioo capitis apicem superante; secundo et tertio basi rectà truMcatis, pris- niaticis, sulcis daobus sub-marginalibus supra longitudinaliter exaratis, margimbus incrassatis, secando longiore, ultimo te- nuiore basi sensim coarctato in medio sub -cylindrico, apice attenuato ellipsoideo. Caput pianura horizontale marginatimi, margine tenui sen- sjxn supra reflexo, antico fissum, utrinque rotundatum. QcuU sessiles globosi prominuli, in angulis posterioribus ca- pitis. Ocelli, ut in praecedentibus. 1 1 6 Di alcuni generi d' Insetti ec. Frons parva, vertice brevior, triangularis, angulo apicali acuto. Genae fronte latiores ac longìores, nihilominus ultra ipsam nusquam conjunctae, supra concavae, paulo ante oculos in dentem rectangulum extùs prominentes, abruptè intùs inflexae, inde apicem versus sensim arcuatae, lateribus internis rectis parallelis adproximatis sed non contiguis. Canalis inferus abbreviatus, parietibus lateralibus elevatis ab oris apertura gradatim altitudine decrescentibus et ante capìtis marginem posticum evanescentibus. Cfypeum rudimentarium. Appenclìx ctypealis sub - linearis , basi transversim strigatus, apicem versus in articulo secundo canalis maxillaris partim reconditus. Apparatus manducatorìus invisus. Maxilla ìnferior ab oris apertura incipiens et ad coxas po- steriores usque in quiete protensa, quadri - articulata, articulo primo validiore ab origine libero et ultra caput sub pectore producendo, reliquis tenuioribus, secundo longiore arcuato, ul- timis duobus rectis, quarto breviore apice obtuso. Pectus utrinque laeviter convexum, sterno deplanato, meso- stei-no longitudinaliter canaliculato. Venter vaidè convexus, lamina anteriore medio acuta et in emarginaturà postica metasterni introductà, sed nec spinosa nec tuberculatà. Segmenta quinque anteriora stigmatifera, ostiis trachearum rotundatis conspicuis a rimulà transverso laterali singuli segmenti et a margine anteriore aequè distantibus , ri- mulis bisinuatis minus profundè impressis. — In foemìnà^ ( ma- rem non vidi) annuii 1-4 postico recti; quintus in medio arcuato - emarginatus emarginaturà semi - circulari segmentum sequens circumdante; sextus minor fissus verticalis, stigmatibus carere videtur; ultimus quadri -partitus, lobulis separatim ro- tundatis; lamina superior ultima integra, arcuatim tri -emargi- nata ; ahdominis apex quadrilobatus. Prothoracìs dorsum planum, antico declive, postico dilatatuin, trapezoideum; latere anteriore tri-emarginato, emarginaturis ar- cuatis, media latiore caput ambiente; lateribus exterioribus Del Sic. March. Massimiliano Spinola r 1 7 rectis aut paulo intùs inflexis, postico divergentibus, visibiliter marginatis, margine tenui costaeformi; posteriore latiore, utrin- (jue convexiusculo, medio late emarginato. Scutellum tertiam laminam dorsalem non superans, sub-tri- angulare, aequè longum ac latum, basi rectum, utrinque sinua- tum, postico obtusum late rotundatum. Alae quiescentes, nec latera nec apicem abdominis obtegen- tes. Pars coriacea superiorum scutellum vix superans, margine externo arcuato. Partis membranaceae nervi sex elevato-costati a basi immediate prodeuntes cellulas quatuor diffbrmes includunt, inde ramulos emittunt plures rectos et ante marginem evane- scentes, cellulis marginalibus cunctis apertis et incompletis. Pecles validi, gressorii, formae consuetae. Tibiae rectae, mi- nus elongatae, prismaticae, triedrae, ostiis lateralibus tenuibus pilosis. Tarsi primi paris ut in Delegorguella. Reliqui desunt. Specìes unica. — Sagriva vittata, m. Sagriva nigra, opaca, supra confusim punctulata, subtilissimè rugosa, vittà lata flava a capitis apice ad extremitatem poste- riorem scutelli ductà. Long. 19 millim. — Lat. in margine posteriore capitis, 3 millim. — Ead. inter angulos anteriores prothoracis, 5 millim. — Ead. inter angulos posteriores ejusdem, g millim. — Ead. in media abdominis longitudine, 12, millim. Antennae nigrae, articulo ultimo brunneo. Caput, prothoracis dorsum, scutellum, alarum superiorum pars coriacea, nigra: vitta lata a margine anteriore capitis ad apicem scutelli per medium doi'si ductà flava. Vittae duo sub-marginales protho- racis costaeque elevatae partis coriaceae alarum superiorum itidem flavae. Scutellum transversim strigatum, strigis distanti- bus laeviter impressis. Alarum superiorum pars membranacea minus mollis, rugosiuscula, colorata, flavescens, vix translucida, costis elevatis nigris. Alae inferiores hyalinae, nervulis nigre- scentibus. Abdominis dox'sum nigrum, vittà longitudinali media maculisque lateralibus flavis. Corpus subtùs flavescens, vittis ii8 Di alcuni generi d'Insetti ec. duobus lateralibiis a margine anteriore propectoris ad angulos extiinos annuii quinti, maculis nonnuUis in margine laterali abdominis ostiorumque trachealium perimetris nigris, istis lae- vibus nitidis. Una femina delle Indie orientali, vendutami in pessimo stato dal mercante Dupont. Sagrha, nome della mitologia bramanica. Non voglio lasciare le Edessoideé senza aver fatto parola di una specie inedita procedente pure dalle raccolte del Sig. Delegorgue nella Sud-Africa orientale. Questa si contraddistingue dalle specie del Q. PhyllocephMa per avere la parte membra- nacea delle ali superiori reticolate, cioè a più file di maglie chiuse € varìformi. Questo carattere a mio senso artifiziale è il principale distintivo de' G. Brochymena^ Cyclopelta ecc. , che ho ammessi nella Tavola sinottica per puro rispetto alla cosa giudicata. Non ho stimato di seguitare spontaneamente questo abusivo esempio. Nondimeno per chi il giudicasse obbligatorio, intitolerei Amacosia il gruppo addimandato poiché ne sembra la specie -tipo scoperta nei paesi degli Amacvsi. Amacosia Delegorguei, m. — Long. i5 millim. - Lat. io millim. — Antennae in pagina inferiore capitis, propè marginem exte- riorem, longius ab oculis, fere sub eàdem linea transversali ac niaxillae origo, in tuberculo parvo globuloso insertae, crassiu- sculae, breves et vix dimidium prothoracis dorsum «uperantes, visibiliter 5-articulatae : articulo primo toto exserto crasso sub- cylindrico, ultra caput haud pretenso; sequentibus a a.'^" ad 4.'"'" gradatim magis dilatati et depressi, 2,.''° et 3."° rectis, 3."" breviore, 4-"' longiore utrinque arcuato; quinto «t ultimo praecedentis longitudinis, minus depresso angustiore recto basi coarctato, apice attenuato -rotundato. G«nae qoam in Phjllo- cephalis plus breviores, ultra frontem rectà longitudinali conjun- ctae. Reliquae capitis partes prothoracis dorsum pectus et venter ut in Phyllocephalis. Scutellum minus elongatum utrinque profun- dius sinuatum, apice latius l'otundatuwi. Alae quiescentes ab- domen totum obtegentes. Superiorum pars coriacea vix segm-enti tertii stigmatiferi medietatem attingens, margine postico sinuato. Del Sic, March. Massimiliano Spinola 119 Pars membranacea reticulata, cellulis omnibus clausìs difformi- bus , plerisque plus longioribus quam latioribus irregulariter quadrangularibus. Pedes validi, tibiis prismaticis triedris, costis subtiliter serratis pubescentibus. Tarsi tri-articulati, articulis subtùs setaceis, primo maxime reliquis una longìore sub-cylin- drico, secundo breviore obconico, tertio bi-unguiculato et bi- appendiculato, unguiculis simplicibus, appendicibus abbreviatis. Antennae nigrae. Corpus totura nigro - cuprascens , confusim punctatum, subtùs rugosiusculum, supra magis inacquale pun- etis rugisque profundius impressis. Scutelio scutique prothoracis parte postica elevatiore transversim strigatis, strigis excavatis rectis parallelis distantibus. Alarum superiorum pars membra- nacea pallide flavescens, costis obscurioribus. Pedes nigri. Due femine e un maschio. PENTATOMITAE. VII. G. Thoreyella, m. Pentatomoideae. N. 63. Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis, paulo ante oculos et longè a maxillae origine, in tuberculo cylindrico sub - marginali insertae, vix angulos posteriores prothoracis attingentes, tenues, apicem versus sensim crassiores, quinque - articulatae : articulis quatuor primis confbrmibus tenuibus elongatis sub-cylindricis vel laevissimè obconicis, a 1.""° ad 4-'"'" gradatim crescentibus, primo breviore capitis marginem anticum non superante, quinto maximo basi coarctato apice oblongo - ovato. Caput planum sub-horizontale, utrinque marginatum, mar- gine tenui neutiquam supra reflexo, prothoracis marginem an- ticum postico arabiens, margine anteriore rotundato integro. OcuU, mediae magnitudi nis, globosi, prominuli, angulos capitis posteriores occupantes. Ocelli parvi, propè marginem posticum, inter se distantes et oculis proximiores. Frons brevis triangularis, apice angulato acuto. Genae basi fere frontis latitudinis sed multo longiores, ultra frontem rectà longitudinali conjunctae, utrinque ante oculos 120 Di alcuni generi d' Insetti ec. rectis parallelis, inde sensim arcuatae et apice conjunctim ro- tundatae. Canalis inferus, maxìlla^ sternum^ ut in Q. Rhaphìgaster ^ Lap. (i). Spina ventralis e lamina anteriore prodiens, basi latior, apice obtusa, libere sub sterno producta, originem pedum secundi pa- ris attingens. Prothoracis dorsum postico elevato-convexum, anticè declive, hexagonale, latere anteriore in medio arcuatim emarginato et utrinque pone oculos rectà oblique truncati, lateribus antero- externis incurvatis intùs inflexis valdè divergentibus, postero- externis brevioribus rectis sub-parallelis, posteriore latiore Se- vissime arcuato; angulis anterioribus apertis, exterioribus acutis extùs prominulis, posterioribus rectis. Scutellum triangulare, annuii quarti stigmatiferi marginem attingens, utrinque vix sinuatum, apice rotundatum. Alae quiescentes, abdomen totum non obtegentes, superiorum parte coriacea postico arcuata, earumdem parte membranacea parva, nervis quatuor longitudinalibus ab altero sub -basilari prodeuntibus et ante marginem extimum evanescentibus , cel- lulis omnibus postico apertis. Pedes ut in Pihaphigastris. Species unica. — Thoreyella brasiliensis, m. Thor. pallide virescens, punctis nigris adspersa. Long. 6 millim. — Lat. 4 miUim. Antennae pubescentes. Corpus supra virescens, impresso-pun- ctatum, subtùs pallide flavescens brunneo irroratum, stigmatum abdominalium perimetris callosis nitidis flavis, annulorum an- gulis posterioribus nigris. Alarum superioi'um pars membranacea alba hyalina, nervis concoloribus. Pedes minus profundè impresso- punctati, virescentes nigro irrorati, setulis tarsalibus albidis. Un maschio e una femina del Brasile, gentilmente donati dal Sig. Thorey di Amburgo. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 121 È innegabile la somma affinità della Thoreyella coi Rafiga- sirì (i). Le particolarità delle antenne, dello scutello e delle ale superiori sono differenze di poco momento e non escono dalle file de' caratteri meramente specifici. Ma non così quelle della struttura del capo. Il notevole avvanzamento delle gene al di là della fronte è sufficiente a dimostrare l' impossibilità dell' in- nalzamento del primo articolo della mascella al di sopra dell' asse longitudinale del corpo durante Fatto della manducazione, impossibilità che non sarebbe manifesta nei casi frequenti in cui r origine della mascella è attigua all' apertura della bocca e in cui l'apertura della bocca è all'estremità anteriore della testa. PENTATOMITAE. Vili. G. Hoffmanseggiella, m. Pentatomoideae. N. 63. Tab. synopt. Antennae filiformes, in pagina inferiore capitis, ab oculis et inter se fere aequè distantes, in tuberculo parvo globuloso in- sertae, articulis quinque majoribus et radiculà parva contìatae, radiculà tota exsertà minuta cylindrica, articulo primo reliquis breviore et crassiore capitis apicem non attingente, sequentibus quatuor conformibus tenuioribus cylindricis gradatim a a."^" ad 6.'""" longitudine auctis, ultimo apice obtuso. Caput elongatum et exclusis amborum oculorum diametris evidenter plus longius quam latius, utrinque obsolete emargi- natum, anticè rotundatum. Oculi magni globulosi, sed sessiles et parum prominuli, in angulis posterioribus capitis. Ocelli in postico verticis margine, oculis maxime proximi. Canalis ìnferus ab oris apertura satis distans, capitis margi- nem posticum non attiiigens, postico apertus, parietibus latera- libus valdè elevatis paulo arcuatis. Maxilla inferior fere sub eàdem linea transversali ac canalis inferus incipiens, longissima et ad quartam laminam ventralem (l) Vedi Cimex griseus, Fab. iy$t. Bhyng. , 181-87. Tomo XV. P.'' /." 16 laa Di alcuni generi d' Insetti ec. ' in quiete pretensa, quadri -articulata, articulo primo breviore in canali infero toto quiescente, secundo lateraliter compresso arcuato sub protuberantià mesosterni saepius protraete, ultimis duobus longioribus rectis, tertio longissimo et pedura tertii paris origineni superante, quarto truncato. Clypeum minimum. — Appendìx clypealìs sub- linearis, basi transversim plicatus, saltem ad medietatem tertii articuli ma- xillaris in quiete perveniens. Pectus utrinque laeviter convexum: prosterno medio depla- nato; mesosterni linea media protuberante, protuberantià late- raliter compressa lamellaeformi verticale, anticè altiere, subtùs arcuata, inter pedes primi paris libere producta; metasterno postico elevato -convexo sed non abruptè protuberante (i). Abdomen margine exteriore rotundato integro. Venter con- vexus, medio abruptè protuberans, protuberantià longitudinali lata et subtùs arcuato-rotundatà; laminarum duarum anteriorum sutura intermedia in protuberantià ventrali oninino obsoleta, lamina prima nec spinosa nec tuberculatà, sed anticè acuminata al in emarginaturà angulosà metasterni horizontaliter introductà. Stigmata parvula, ante rimulas transversas rainus prolundè im- pressas propè marginem exteriorem vix censpicua. In mare.) { feeminam non vidi ) segmentura stigmatiferum penultimum , medio late et profundè arcuate - emarginatum , ultimum ma- gnum angulis posterioribus retrorsum porrectis acutis spinae- formibus, segmentum septimum genitalia sistens margine quin- que- dentatura. Frons angusta, elengata, genis paulo longior, lateribus rectis sub parallelis, apice obtuso. Genae fronte basi latiores et panie brevieres, ante oculos in- tùs inflexae, inde sensim arcuatae et prepè apice m cum fronte cenjunctim rotundatae. Prothoracis dorsiim anticè eleva te-cenvexum, posticè abruptè declive , hexagonale ; latere anteriore , arcuatim emarginato , (1) Della parte anteriore del metasterno, nulla posso dire; essendo stata spezzata dallo spillo iniìizato. Del Sic. March. Massimiliano Spinola ta3 margine incrassato; lateribus antere externis longioribus valdè divergentibus, intùs arcuato -inflexis immarginatis; postero-ex- ternis paulo brevioribus convergentibus bisinuatis; posteriore latiore immarginato, angulis exterioribus extùs prolongatis co- nico-acutis spinaeforinibus. Scutellum elongatum triangulare curvilineum, anticè late ar- cuatum, utrinque sinuatum, apice ellipticum. Alae (juiescentes abdomen totum obtegentes, superiorum parte coriacea postico rotundatà, parte membranacea ut in ple- risque Pentatomoìdeis nervis septem vel octo ab altero trans- verso sub-basilari vel ab ipsà basi immediate prodeuntibus re- ctis sub-parallelis, ante marginem extimum obsoletis, cellulis omnibus angustis elongatis postico apertis. Specìes unica. — Hoffmanseggiella frenata. Hoffm. testacea, pedibus alarumque superiorum parte coria- cea nigro punctatis. Long. la millim. — Lat. propè basin abdominis, 6 millim. — Ead. inter angulos exteriores prothoracis, g millim. Corpus cum antennis testaceum immaculatum, pedibus et alaruin superiorum parte coriacea nigro -punctatis, earumdem parte membranacea alba hyalinà, nervis concoloribus, laminarum ventralium margine postico, exceptà tamen protuberantià me- dia, rimulisque transversis lateralibus nigris. Un maschio di Java, avuto dal Sig. Conte di Hoft'mansegg, col nome di Cimex frenatus. N. D. Tralascio appositamente di discorrere del G. Platen- cha, m. N. 67. Tab. synopt. L' unico individuo della mia col- lezione è attualmente troppo malconcio per rinvenirne con si- curezza i caratteri generici e non ardisco compromettermi delle note incomplete scritte primo visu. PENTATOMITAE. IX. G. Hvpogomphus, m. Pentatomoideae. N. 69. Tab. synopt. Jntennae in pagina inferiore capitis non longè a margine externo fere sub eàdem linea transversali ac maxillae origo ia4 ^^ ALCUNI GENERI d' InsETTI CC. insertae, ab eàdem et ab oculis aequè dista ntes, longiores et ultra prothoracem supra scutellum prodiicendae, articulis quin- que rnajoribus et radiculà parva conflatae, tuberculo antenni- fero obsoleto, radiculà exsertà cornea minima, articulis quinque conformibus distinctis basi coarctatis sub - cylindricis, diametro fere aequalibus, a i.'"" ad 5/""" gradatim longitudine crescenti- bus, primis quatuor apice rectà truncatis, ultimo attenuato apice rotundato. Caput planum antico declive, trapezoideum, postico dilatatum, marginatum, margine tenui carinaeformi reflexo, apice rectà truncato. Oculi magni, globosi et valdè protuberantes, sessiles nihilo- minus, in angulis posterioi'ibus capitis. Ocelli aut nulli, aut vix conspicui. Canalis ìnferus ab oris apertura incipiens, brevis, postico apertus, parietibus lateralibus alto-elevatis rectis parallelis. Maxilla inferìoT sub eàdem linea transversali ac canalis in- ferus incipiens, ultra pedes tertii paris in quiete pretensa, qua- dri-articulata, articulis omnibus rectis, a primo ad quartum tam longitudine quam latitudine gradatim decrescentibus, primo capite longiore et sub prosterno in quiete protenso, interniediis duobus in pagina sternali (i) longitudinaliter sulcatis, ultimo truncato. Corpus supra minus subtùs valde convexum, pectore tamen deplanato; mesosterni linea media longitudinali carinulatà, ca- rinulà in sulculo maxillari recipiendà. Abdomen subtùs maxime sed uniformiter convexum, annulis quinque anterioribus stigmatlferis, ostiis trachearum in extre- mitate exteriore rimularum transvei'salìum, bis abbreviatis et minus prof'undè impressls. In foeminà, ( marem non vidi ) la- minae ventrales a-4 postico late emarginatae, quinta magna (1) La facciata che diresti superiore nell' atto della inanducazione diventa inferiore negli intervalli del riposo. A scanso di equivoco, diremo linguale quella che dà ricetto all'apparato manducatorio ^ e slernale quella che si appoggia contro allo sterno nello stato di quiete normale. Del Sic. March. Massimiliano Spinola laS sequentem circumdans, haec fissa fere verticalis stigmatibus nullis aut reconditis, ultima genitalia sistens quadri -partita margine integro, abdominis apex rotundatus. Frons angusta , capitis apicem attingens , lateribus rectis parallelis. Genae fronte latiores neutiquam longiores, extùs arcuatae, apice cum fronte rectà truncatae. Prothoracìs dorsum hexagonale, latere anteriore immarginato late arcuatim emarginato et verticis marginem posticum cir- cumscribente ; lateribus antero-externis divergentibus sub-si- nuatis marginatis, margine incrassato; postero - externis multo brevioribus, paolo convergentibus, immarginatis; posteriore la- tiore recto; angulis omnibus rectilineis, anterioribus pone ocu- los sub-sinuatis, exterioribus acutis prominentibus, posterioribus apertis. Scutellum plus longius quam latius, annuii 5." basin attin- gens, sub-triangulare, basi rectùm, utrinque intùs inflexum, apice rotundatum. Alae quiescentes nec abdominis latera nec apicem obtegentes. Superiorum pars coriacea maxima, extùs rotundata, postico re- ctà, oblique truncata. Earumdem pars membranacea parva ru- dimentaria opaca rugosa, nervis obliteratis. Alae ìnferiores mi- nimae et volatui ineptae. PedeSf formae consuetae, gressorii, inermes. Tibìae prismaticae triedrae, costis exterioribus incrassatis. Tarsi tri-articulati, ar- ticulis distinctìs, primo majore, secundo minore, tertio bi-un- guiculato et bi-appendiculato, unguiculis edentulis laminaeformi- bus aduncis, appendicibus conspicuis unguiculorum longitudinis. Species unica. — Hypogomphus rugosus, m. Hypog. niger flavo limbatus, impresso-punctatus, dorso me- dio inacquali rugoso. Long. 9 millim. — Lat. in margine anteriore prothoracis, 3 millim. — Ead. inter angulos exteriores, 5 millim. — Ead. in medio abdominis, 6 millim. 12.6 Di alcuni generi d' Insetti ec. Niger, scutelli alarumque superiorum intervallis impunctatis brunneis, prothoracis limbo exteriore radio coxis femorumque basi tlavis. Corpus obovatum, punctatissimum. In capite, puncti impressi minuti creberrimi ast distincti; sub pectore iidem quoque distincti sed majores et rariores, in ventre minores et rariores interstitiis deplanatis laevibus ac nitidis, in prothoracis dorso et supra scutelkim magni diftbrmes confluentes interstitiis elevatis superficie inacquali rugosa. Alarum superiorum pars membranacea obscura. Pedes nigri, coxis femorumque basi ru- fo- brunneis. Antennae corpori concolores. Due femine di Sidney nella Nuova Olanda, avute dal Sig. Deyrolle. PENTATOMITAE. X. G. Audinetella, m. Pentatomoideae. N. 71. Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis, propè marginem exte- riorem, sub eàdem linea transversali ac maxillae origo, in tu- berculo recto sub-cylindrico insertae, filiformes (incertae longi- tudinis ) quinque-articulata, radiculà nulla aut prorsùs recon- dita, articulo primo crassiore cylindrico ultra genarum apicem non producendo, sequentibus 2,-4 conformibus, magis elongatis, laeviter obconicis, 2,.''° et 3.''° sub-aequalibus, quarto longiore. Quintus deest. (1) Caput exceptis amborum oculorum diametris , fere triplo longius ([uam latius, anticè bilobum, utrinque marginatum mar- gine reflexo, supra planum, paulo anticè declive, vertice pone oculos transversim porrecto acuminato et angulos posteriores attingente. Collimi breve, distinctum. Oddi magni, globosi, valdè prominentes, in emarginaturis latei'alibus verticis paulò ante angulos posteriores. Ocelli inter se distantes, pone oculos, in parte collari verticis. Frons angusta, elongata, lateribus arcuatis anticè sensim con- vergentibus. (I) Vedi Nota (1) alla pag. 104. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 12,7 Genae ironie latiores ac longiores sed nusquam conjunctae, oblongo-ovatae, extùs inarginatae, ante oculos abruptè intùs inflexae, inde arcuatim convergentes et ultra frontem separatim rotundatae. Canalìs inferi et maxillae ìnferioris ìnitia sub eàdem linea transversali et ab oris apertura visibiliter remota. lUe brevis, parietibus elevatis angulatis. Haec longissima et sub quarto ab- dominus segmento in quiete pi'otensa, quadri-articulata, articulo primo crassiore recto ultra caput sub prosterno ad originem pedum anteriovum uscjue libere producto, secundo longiore ad coxas intermedias perveniente arcuato in pagina linguali com- presso et in pagina sternali deplanato, 3."° et 4-"' conformibus tenuioribus rectis, tertio longiore, quarto tiuncato. Corpus subtùs uniformiter convexum, mesosterni tantum li- nea media longitudinali laeviter elevato -costata, abdominis margine integro, lamina prima ventrali nec spinosa, nec tuber- culatà, nec antico productà. Protlioracis dorsum elevato-convexum, anticè sensim declive, hexagonale, angulis anterioribus lobatis, lobis utrinque oblique prodnctis deplanatis plus longioribus quam latioribus apice ro- tundatis, latere anteriore inter lobos arcuatim emarginato mar- gine conspiciio incrassato; lateribus antero-externis post lobos abruptè rectà divergentibus, marginatis margine tenui reflexo; angulis exterioribus rectilineis apertis; postero- externis brevis- simis rectis sub-parallelis immarginatis, angulis posterioribus rectis; posteriore maximo recto immarginato. Scutellurn ut in praecedentibus quoad l'ormam, sed magis abbreviatura et tertiam laminam dorsalem vix superans. Alae quiescentes abdomen totum obtegentes. Superiorum pars coriacea extùs arcuata, margine postico recto; pars mem- branacea, consuetae magnitudinis, nervo transverso arcuato cel- lulam magnam transversam includente, nervos alteros sex emit- tente longitudinales vix incurvatos sub-parallelos et ante inar- ginem extimum evanescentes, cellulis omnibus longitudinalibus postico apertis, limbo posteriore subtiliter plicato. ia8 Di alcuni generi d' Insetti ec. Pedes inermes, teniies, elongati, fere cursorii. Tìbiae prisma- ticae triedrae, costis tribus carinulatis pubescentibus. Tarsi subtùs setacei, tri-articulati, articulis distinctis, primo crassiore cylin- drico, sequeiitibus obconicis, secando minore, tertio omnibus lon- giore et ut in praecedente bi-unguiculato atque bi-appendiculato. Specìes unica. — Audinetella bi-punctata, m. Audin. brunneo-nigrescens, alarum superiorum paite coria- cea nigro bi-punctatà. Long, io millim. — Lat. 5 millim. Tota brunneo-nigrescens, antennis alarum superiorum parte membranacea partis coriaceae punctis duobus discoidalibus ni- gris, coxis tarsisque rufo-brunneis. Corpus punctatissimum , punctis plerisque discretis, in dorso prothoracis scutellique de- formibus et confusis ut in Hypogompho^ interstitiis tamen mi- nus elevatis, superficie minus inacquali. In foemìnà, ( marem non vidi ) laminae ventrales genitalia externa abdominisque apex ut in praecedente. Due femine di Cayenna, avute dal Sig. Buquet. Accanto all' Audinetella si colloca naturalmente un' altra specie del Brasile, che potrebbe essere tipo di nuovo genere per chi si contentasse di caratteri artifiziali laddove l'ossei'o decisi e apparenti. Eccone i tratti essenziali : Antenne, capo, torace e proporzioni delle principali parti del corpo, come nel G. Macropygìum. Mascella e apparato manducatorio, come nel Q. Audinetella. Parte membranacea delle ale reticolate, come nel G. Bro- chymena. Stimo che questa specie debba rimanere nel G. Au- dinetella. Ma a chi pensasse il contrario, risparmierò la fatica di scartabellare il corano o il talmud dedicando il nuovo ge- nere, sotto nome di Schaejferella., all' egregio continuatore del Wanz. Artig. Insekt. Schaejferella litigiosa., m. — Long, io millim. — Lat. Inter angulos exteriores prothoraces , 5 millim. — Ead. in medio abdominis, 7 millim. — Corpus supra griseum nigro punctatum. Del Sio. March. Massimiliano Spinola 129 punctis impressis rotundis conspicuis discretis, subtùs iiitidum minime punctulatum. Antennae nigrae, articulo primo subtùs Havido. Pedes grisei nigro irrorati. Alarum superiorum pars membranacea sordide flavescens, costis elevatis saturatioribus. Prothoracis latera postero - externa arcuatim emarginatis flavis, anguli exteriores gibbosi rotundati. — In foemind, venter ut in Audinetellà. — In mare^ genitalia externa ut in Macropygio atro d* sed multo minora. Due Temine e un maschio, del Brasile. . PENTATOMITAE. XI. G. Diemenia, m. Pentatomoideae. N. 71.*'^ Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis, propè maxillae infe- rioris originem et longius ab oculis, in tuberculo sub -laterali magno globoso extùs arcuato -spinoso insertae, mediae magni- tudinis, crassiusculae et ad marginem posteriorem mesosterni in quiete protensae, quadri -articulatae, radiculà nulla, articulo primo cylindrico capitis apicem superante, %.'^° et 3."° obconi- cis, secundo longissimo sequente saltem triplo longiore apice sensim attenuato. Corpus ovatum, supra planum horizontale, subtùs laeviter convexum, utrinque marginatum, margine dilatato, horizontale, lamellaeforme. Caput margine laterali oblique reflexum, apice fissum et bilobum. Frons elongata, angusta, recta, lateribus parallelis, apice lae- viter arcuata. Genae fronte multo latiores ac longiores, sed ultra frontem neutiquam conjunctae, intùs rectae imraarginatae, extùs ante oculos abruptè inflexae, inde sensim arcuatae, apice separatim rotundatae. Oculi, in angulis posterioribus prothoracis, globosi, prominuli. Ocelli nulli. Tomo XXV. PJ' /." 17 i3o Di alcuni generi d' Insetti ec. Canalìs infems fere ab oris apertura prodiens et ad poste- riorem capitis marginem perveniens, posticè apertus, parietibus lateralibus verticalibus tenuibus et parum elevatis. Maxilla ìnferìor ab oris apertura quoque incipiens et coxas tertii paris in quiete attingens, quadri-articulata, articulo primo toto in canali infero quiescente, reliquis tribus liberis a a/^° ad 4-"'"' gradatim brevioribus, ultimo obtuso. Sternum deplanatura. Venter in utroque sexù muticus, segmentis quinque anterio- ribus stigmatiferis, stigmatibus paulò ante extremitatem exte- riorem rimularum transverso-lateralium, perimetris elevatis cal- losis, rimulis rectis minus profundè impressisi segmento quinto arcuatim emarginato sextum amplectente. — In foeminà, la- mina sexta ventralis longitudinaliter fissa, posticè rotundato- biloba, stigmatibus nullis aut reconditis: septima brevior qua- dri - partita, margine integro : Abdomìnìs apex rotundatus. — In mare^ lamina quinta profundius emarginata sed sequentem non amplectens; sexta latior, integra, marginem exteriorem utrin- que attingens; ultima profundè emarginata, angulis singulis posterioribus bidentatis : Abdominis apex quadri - dentatus. Prothoracìs dorsum planum, medietate antica horizontaliter depressa, trapezoideum et posticè dilatatum, latere anteriore arcuato et verticis marginem posticum ambiente, lateralibus rectis margine lainelloso subtiliter crenulato, posteriore recto imraarginato; angulis anterioribus rectilineis apertis, posterio- ribus rotundatis. Sciitellum ut in praecedente. Alae quiescentes abdomen non obtegentes, superiorum pars coriacea abbreviata et tertiam laminam dorsalem non superans. Pars membranacea abortiva, brevissima. Alae inferiores, in utro- que sexù, minimae et volatui ineptae. Pedes formae consuetae, gressorii, mediae magnitudinis. Ti- bìae rectae triedrae. Tarsi setacei tri-articulati, articulo primo majoi'e, secundo minore, ultimo biunguiculato et forte appen- diculato, appendicibus in cadavere parum conspicuis. Del Sic. March. Massimiliano Spinola i 3 r Species unica. — Diemenia Peyròllei, i^. Dìem. aptera, nigra flavo marginata. Long, totius corporis, io millim. — Lat. inter angulos po- steriores piothoracis, 4 niillim. — Ead. in medio abdominis, 5 millim. — Altitudo corporis maxima, i rnillim. Depressa, nigra opaca, supra confusim punctulata rugosiuscula, ventre nitidiore : capitis prothoracisque margine exteriore, fa- ciei dimidià parte anteriore scutellique apice extimo, macula magna marginali in singulo segmento abdominali, flavis. Alarum superiorum pars membranacea Fusco -brunnea. Pedes flavi, f'e- moribus propè tibias late nigro annulatis. Due maschi e due femine mal conservati, di Van-Diemen, avuti dal Sig. Deyrolle. Dopo V Epipedus histrio del Brasile, la Diemenia è la Pen- tatomoidea la più appiatita eh' io conosca. Questa circostanza combinata coli' incapacità di volare, comune pure aW H/pogom- phus, mi fa sospettare che questa specie sia destinata a giacere sedentaria in luoghi oscuri e di poca altezza. Il genere mi sembra pertanto naturale in primo grado, abbenchè tali non mi sembrino alcuni dei caratteri assegnati nella tavola sinottica. PENTATOMITAE. XII. G. Orthoschizops, m. Pentatomoideae. N. 76.*" Tab. synopt. Antennae in pagina inferiore capitis, longè ante oculos, fere sub eàdern linea transversali ac maxillae inferioris initium, in tuberculo sub -laterali mutico et oblique truncato insertae, fi- liformes, mediae magnitudinis, quinque articulatae, articulis magnis distinctis sub-cylindricis, radiculà nulla, articulo primo crassiore breviore et capitis apicem non attingente, secundo longiore, reliquis a 3.''° ad 5.'"'" gradatim longitudine decre- scentibus, ultimo apice ovato - rotundato. Canalis inferus et maxilla inferior fere ab oris apertura si- mili incipientes. lUe ultra caput neutiquam porrectus, maxillae i3a Di alcuni generi d'Insetti ec. articulum primum totum recipiens, postico apertus, parietibus lateralibus rectis parallelis parum elevatls. Haec marginem po- steriorem metasterni attingens sed non superans, quadri - arti- culata, articulis rectis, secundo longiore compresso, ultimo obtuso. Sternum deplanatum. Pleurae convexiusculae. Abdomen subtùs uniformiter convexum, linea media nec ca- naliculatà nec concava, segmento anteriore mutico. In foemìnà ( marem non vidi ) annuii quinque anteriores stigmatiferi po- stico integri, stigmatibus in apice externo rimularum transverso- latei'alium : quintus sequentes amplectens, sextus parvus longi- tudinaliter fissus sub-verticalis, ultimus quinque- parti tus, lo- bulis exterioribus latioribus extùs laeviter arcuatis, intermediis oblongo-ovatis, medio impari minuto abbreviato ; lamina dorsali posteriore tri-emarginata, undè Abdomìnìs apex quadri-lobatus. Caput saltem plus duplo longius quam latius , horizontale , utrinque marginatum margine tenui carinaet'ormi, vertice inter oculos convexiusculo post eosdem breviore et utrinque dilatato rotundato, margine exteriore recto propè apicera oblique trun- cato, angulo interiore magis porrecto apice fisso, fissurà media lata reetà a quo charactere desumitur nomen generis Orthoschizops. Oculi laterales globosi extùs prominuli, ab angulis posterio- ribus capitis visibiliter remoti. Ocelli inter oculos, singulo ab oculo ejusdera lateris et a medio verticis aequè distante. Frons angusta, vix anticè attenuata, lateribus rectis, apice obtuso. Genae fronte duplo latiores ac longiores, ultra frontem hori- zontaliter prolongatae, sed nusquam conjunctae et etiam in tota longitudine rima lata et conspicuà separatae, lateribus in- ternis sejunctis rectis parallelis, exterioribus laeviter arcuatis convergentibus propè apicem angulatis oblique truncatis intror- sum et antrorsum productis. Prothoracis dorsum postico parum convexum, anticè depla- natum, hexagonale: latere anteriore utrinque sinuato, medio Del Sic. March. Massimiliano Spinola i33 arcuato crasse marginato; lateribus antero-externis incurvatis, intùs valcle inflexis marginatis margine denticulato, posticè extùs abruptè prolongatis et in tuberculum desinentibus oblique ere- ctum antrorsum reflexum et apice tridentatum, undè Prothorax auTÌtus dici potest; postero - externis brevioribus arcuatis con- vergentibus immarginatis; posteriore latiore recto; angulis po- sterioribus valdè apertis rotundato - obsoletis. Scutellum fere plus duplo longius quam latius, quartam la- minam dorsalem superans, propè apicem utrinque sinuatum, apice attenuatum, oblongo-ovatum. Jlae quiescentes abdominis nec latera nec apicem obtegen- tes. Superiorum pars coriacea elongata laminam quintam dor- salem extùs attingens, margine postico oblique arcuato. Pars membranacea abbreviata late reticulatà, nervis tribus a basi immediate prodeuntibus et ante marginem extimura terminatis irregulariter flexuosis ac ramosis cellulas quatuor discoidales inaequales ac difformes includentibus et alias perpaucas sub- marginales late apertas partim circumdantibus. Alae inf'erioi'es paulo breviores. Pedes validi, tibìis rectis triedris, tarsis ut in praecedentibus. Species unica. — Orthoschizops latispina. Orthosch. sordide griseo-brunneo adspersa, capite nigro fla- voque lineato. Long, totius corporis, 1 1 millim. — Ead. capitis, 3 millim. — Lat. capitis maxima, exceptis amborum oculorum diametris, I, 5o millim. — Ead. lissurae anterioris orthogonalis, o, ac mil- lim. — Ead. inter tuberculos auritos prothoracis, 6 millim. — Ead. in medio abdominis, 6 millim. Corpus impresso -punctatum, punctis inaequalibus plus mi- nusve adproximatis, interdum confluentibus sed nusquam ru- gaeformibus, interstitiis secundum magnitudinem magis elevatis et nitidioribus, dorsi et praesertim prothoracis superficie inae- quali, istius linea media longitudinali profundè excavatà. Caput nigrum, lineis quinque flavis parallelis, media longiore a basi l34 Di alcuni generi d' Insetti ec. ad frontis apicem ductà. Prothoracis dorsum scutellum alarum- que superiorum pars coriacea sordide griseo-brunneo punctata, propè marginem exteriorem et in cavitatibus dorsi nigro ob- umbrata. In basi scutelli, propè angulos humerales, calli duo flavidi. Corpus subtùs griseo-flavescens, utrinque propè margi- nem exteriorem nigro vel brunneo variegatura. Alarum supe- riorum pars membranacea alba hyalina, nervis fuscescentibus. Antennae et raaxilla pallide flavescentes. Pedes, in cadavere, saturate testacei, in specimine vivo forte rubescentes. Una femina del Capo di Buona Speranza avuta dal Sig. Drege col nome di Cimex latisp'ma Germar. Non so se sia stata descritta, ad ogni modo scrivo senza avere la descrizione sotto agli occhi e senza poterla citare. — Questo insetto che le parti caratteristiche collocano accanto al G. Galadanta, pre- senta un aspetto affatto diverso e somiglia, nel suo facies, alle Halisoidee. Però non ha il carattere essenziale di questa sotto- famiglia, cioè, la facoltà di distendere V estremità della sua mascella sotto la cavità mediana del ventre. PENTATOMITAE. XIII. G. Hypaulacus, m. Megymenoideae. N. 94.*" Tab. synopt. Antennae in meo specimine desunt, tuberculo antennifero in pagina inferiore capitis propè marginem exteriorem parvo cy- lindrico, oris apertura apicali fere sub eàdem linea ac maxil- lae origo. Corpus supra parum subtùs magis convexum. Caput elongatum marginatum, margine tenui et non reflexo, lateribus rectis an- ticè convergentibus, apice bilobo. Frons parva, longè ante oculos incipiens, brevissima, triangu- laris angulo apicali acuto. Genas evidenter fronte latiores ac fere duplo longiores, ante ipsam arcuatim conjunctae, extùs rectà convergentes, apice separatim rotundatae. Oculì sessiles, rotundati, parum prominentes, in angulis po- sterioribus capitis. Del Sio. March. Massimiliano Spinola rSo Ocelli intei- oculos, istis propiores et inter se distantes. Canalis inferus ab apertura oris in apice frontis ad marginem usque anteriorem segmenti primi abdominalis, profundè et late excavatus, parietibus lateralibus sub capite parum sub pectore neutiquam elevatis. Maxilla inferior sub eàdem linea transversali ac canalis in- ferus incipieus, in sinù canalis et ad coxas usque peduin poste- riorum pretensa tota quiescens, quadri-articulata, articulis rectis. Prothoracis dorsum fere duplo plus latius quam longius, postico parum elevatum, antico abruptè depressum, reverà liexagonale lateribus plerisque curvilineis: anteiiore, late arcuatim emargi- nato et verticis marginem posticum ambiente, pone oculos rectà truncato; antero-externis, brevioribus divergentibus incurvatis, medio intùs inflexis; postero -externis, brevioribus postico con- vergentibus, laeviter sinuatis; posteriore recto, angulis anterio- ribus rectilineis, sed nec spinosis nec prominentibus; reliquis obsolete rotundatis, undè haud pei'perani Prothorax dici posset irregulariter transverso - ovatus ^ anticè sinuato - emargìnatus , po- stico truncatus. Scutellum,, ut in G. Audinetellà. Alae quiescentes vix totum abdomen obtegentes. Superiorum pars coriacea extùs arcuata, postico oblique truncata. Pars mem- branacea marginata margine costaeformi, nervis sex longitudi- nalibus a basi vel propè basin incipientibus, anastomosibus transversalibus nusquam interruptis cellulas angustas eloiigatas completas includentibus. Pedes validi, gressorii. Tibiae prismaticae, triedrae, costis exterioribus duabus incrassatis. Tarsi visibiliter tri-articulati, articulo primo crassiore et reliquis una longiore, a/'" et 3/'° obconicis, secundo breviore, tertio biunguiculato et biappendi- culato, unguiculis ut in praecedentibus, appendicibus duplo la- tioribus et dimidio brevioribus. In foeminà^ ( marem non vidi ) ventris annuii quinque an- teriores stigmatiferi , stigmatibus in medio callositatis parum elevatae satis conspicuis. Lamina prima in medio ànticè emar- i36 Di alcuni generi d'Insetti ec. ginata, emarginatuià parva arcuata canalem inferum terminante: sexta fissa utrinque gibbosa : septima genitalia sistens videtur quinque partita undè Abdomìnis apex quìnque-lobatus. Species unica. — Hypaulagus nervosus. Hypaul. griseo-virescens, alarum superiorum parte membra- nacea alba hyalinà, nervis concoloribus nigro maculatis. Long, totius corporis, 12, millim. — Lat. inter angulos exte- riores prothoracis, 7 millim. — Ead. in medio abdominis, 6 millim. Supra confertissimè punctulatus, griseo - virescens, prothoracis scutellique interstitiis inaequaliter elevatis, superficie subrugosà, scutelli apice flavo. Pectus et abdomen dilutiora, fasciis duabus ventris sub - marginalibus perimetrisque ostiorum trachealium nigris, punctis pleurarum magnis remotis, interstitiis deplanatis, ventre laeviusculo nitidiore. Pedes griseo -brunnei. Alarum su- periorum pars membranacea ut in diagnosi: in singulo nervo, macularum unica series. Una f emina mutilata del Capo di Buona Speranza, man- datami dal Sig. Drege col nome di Cimex nervosus, nome spe- cifico conservato e probabilmente allusivo alle particolarità dell' innervazione alare. — Hypaulacus, di sotto, canale. PENTATOMITAE. XIV. G. ìEschrus, m. Megymenoideae. N. g5. Tab. synopt. Antennae ab oculis et ab apertura oris fere aequè distantes, in pagina capitis inferiore et in extremitate anteriore tuberculi sub-marginalis obconici maximi et extùs spinosi insertae, breviu- sculae et ad marginem usque posteriorem propectoris vix produ- cendae, quinque articulatae, articulo primo crassiore breviore et capitis apicem non attingente, reliquis tenuioribus a i .'"° ad 5 fum gradatim longitudine crescentibus, articulationibus distin- ctis, a.'^", 3.*'" et 4-"' obconicis, ultimo apice attenuato sub-ovato. Caput magnum, plus duplo longius quam latius, crassum et sub - cylindricum , supra inacquale, subtùs valdè convexuni. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 187 utrinque sensirn declive et fere immarginatum, apice rotunda- to-intcgrum. Frons angusta, elongata et ad apicem capitis perveniens, la- teribus rectis parallelis. Genae fronte multo latiores at haud longiores, propè tubercu- lum antenniferum intùs inflexae, inde iterum dilatatae et ele- vato-incrassatae, in margine anteriore una cum fronte conjun- ctim rotundatae. Ocidi et Ocelli, ut in praecedente. Canalis infcrus ab oris apertura incipiens, profundè excava- tus, ultra metasternum sub ventre prolongatus, postico apertus, lateribus parallelis, parietibus lateralibus sub capite abruptè sub pectore neutiquam elevatis. Maxilla inferior paulò post originem canalis inferi incipiens et ad marginem posteriorem metasterni in quiete perveniens , quadri -articulata. Articulus primus Inter parietes canalis inferi captivus et appendice clypeali caelatus, in specimine meo, ob- servationem effugit. Reliqui a fi/" ad 4-'"'" gradatim decrescen- tes, a.''"* paulo incurvatus, ultimus obtusus. Venter segmento anteriore medio excavato, meo judicio, prò tuendo appax'atù manducatorio ultra maxillam exserto: segmentis a- 5 in angulis posterioribus rotundato - productis , abdominis margine exteriore fimbriato. — In foemìnà, ( marem non vidi ) laminae ventrales duae ultimae ut in Hypaulaco^ sexta minus gibbosa. Prothoracìs dorsum valdè inacquale, postico elevatum, anticè abruptè declive, ut in Hypaulaco, hexagonale lateribus curvili- neis, anteriore tamen minus profundè emarginato et laeviter arcuato, antero - externis immarginatis, postero - externis longio- ribus minus convergentibus et visibiliter bisinuatis, angulis ex- terioribus minus late rotundatis. Scutellum, ut in praecedente. Alae quiescentes abdomen non obtegentes. Superiorum pars coriacea margine postico oblique arcuato : pars membranacea, nervis quinque longitudinalibus a basi vel pone basin oriundis Tomo XXF. P.'^ /." 18 1 38 Di alcuni generi d' Insetti ec. postico radiatim divergentibus et ante marginem extimum eva- nescentibus, cellulis omnibus basi angustis postico dilatatis apertis. Pedes, mediae magnitudinis. Tibiae rectae prismaticae trie- drae, costis exterioribus duabus tenuibus parum prominulis, al- tera fere obsoleta. Tarsi tri-articulati, ut in Hypaulaco, arti- culis i."'° e 3.*'" longitudine sub-aequalibus. Species unica. — tEschrus inaequalis. Mscìir. niger, prothoracis disco saturate rufo. Long, totius corporis, io millim. — Ead. capitis, a, 5o mil- lim. — Altitudo capitis, i, 5o millim. — Lat. capitis ante ocu- los, I, 5o millim. — Lat. corporis, tam inter angulos exteriores prothoracis quam in medio abdominis, 5, So millim. Corpus opacum, creberrimè punctatum, dorsi et praesertim prothoracis superficie inacquali, spatiis elevatis nitidioribus: ni- grum, prothoracis spatio indeterminato discoidali scutelli apice maculisque nonnuUis in parte coriacea alarum superiorum sa- turate rufis. Antennae pedesque pallide flavi, illarum articulo primo nigro. Quattro femine dell'Africa meridionale. La prima meno bene conservata, del Capo di Buona Speranza, mi fu mandata dal Sig. Draga col noma di Cimex inaequalis- Le altre tre pro- vengono dalle raccolte del Sig. Delegorgue. PENTATOMITAE. XV. G. Tyoma, m. Pentatomoideae. N. 95.*" Tab. synopt. Antennarum origo, ut in jEschro^ sed oculis propior et a capitis apice magis remota, tuberculo antennifero mutico. An- tennae longiores ac tenuiores, ad originem usque pedum inter- mediorum in quiete porrigendae, quinque articulatae, articulis 1-4 conformibus obconicis, primo breviore et ad originem ca- nalis inferi non perveniente, 2,.'^° et 3.''° sub-aequalibus, ^.'° longiore, 5.'" longissimo paulo-crassiore apice attenuato sub-ovato. Caput fere ut in Mschro, genis et fronte longitudine aequa- libus et separatim rotundatis, margine anteriore ideò bi- emar- ginato ac bilobato. Del Sic. March. Massimiliano Spinola iSg Canalìs inferus et maxilla ìnferìor itidem ut in Mschro^ at ille posticè clausus et emarginaturà media segmenti primi ut in Hypaulaco terminatus. Abdominis tuberculi laterales acu- tiusculi, dentiformes. In mare, [foemìnam non vidi ) annuii sexti dentes laterales longiores, undè abdominis apex emargi- natus. Lamina ultima genitalia sistens, parva, verticalis, medio bi-tuberculata. Prothoracis dorsum quoque fere ut in jEschro, ininus elevato- convexum, anticè sensim declive, peripherià bexagonali magis evidente, angulis exterioribus acutis dentiformibus, lateribus postero -externis rectis, angulis posterioribus rectilineis apertis. Scutellum breve, aequilaterale, annulum tertium, non supe- rans, apice late rotundatum. Alae quiescentes abdomen totum obtegentes: superiorum pars coriacea posticè recta, membranacea reticulata, cellulis clausis difFormibus. Pedes, ut in Mschro. Specìes unica. — Tyoma erythrorhyncha, m. Tyom. supra griseo - fusca, subtùs dilutius grisea, maxilla in- feriore flavo - Tubescente. Long. 8 millim. — Lat. inter angulos exteriores prothoracis, 6 millim. — Ead. in medio abdominis, 5 millim. Antennae flavae, articulo ultimo fuscescente. Corpus impres- so-punctatura, capitis prothoracisque limbo exteriore nigro. Alaitim pars membranacea fusca, nervis paulò obscurioribus. Pedes flavi, genubus rubidis. Appendix clypealis et maxilla in- ferior in cadavere flavescentes, forte in vivo rubri. Un maschio del Capo di Buona Speranza avuto dal Sig. Drege col nome di Cimex erythrorhynchus, nome che ho man- tenuto nel dubbio che la specie sia stata altrove descritta o annunziata, abbenchè si sappia che non ammetto, in nessuno Artroidignato , siccome più generalmente in nessuno insetto, r esistenza di un Rostro. Tyoma, altro anagramma del cognome Amyot. i4o Di alcuni generi d' Insetti ec. COREITAE. XVI. G. Pachygroncha, m. CoREiDEAE. N. i36. Tab. synopt. Antennae in specimine meo desunt, tuberculis antenniferis conspicuis lateralibus, ante oculos, capitis apici proximioribus , anticè apertis. Corpus elongatum, supra planum, subtùs uniformiter convexum. Caput plus longius quam latius, trapezoideum, planum, hori- zontale, extùs immarginatum, basi et apice rectà truncatum. Frons angusta, prope capitis apicem incipiens et fere ab ortù abruptè declivis. Genae, frontis longitudinis, in basi paulo latiores et magis elevatae. OcuU laterales, fere in angulis posterioi'ibus capitis, sessiles, globosi, prominentes. Ocelli^ inter oculos adproximati et ab oculis magis remoti. Maxilla ìnferìor ab initio libera, canali infero aut nullo aut vix conspicuo, abbreviata et ultra coxas primi paris nuUomodo produce nda. Prothoracis dorsum trapezoideum elongatum postico dilatatum, latere anteriore recto immarginato, exterioribus incurvatis si- nuatis marginatis margine incrassato, posteriore immarginato laeviter arcuato utrinque subsinuato, angulis posterioribus ob- solete rotundatis. Scutellum tiiangulare, triangulo rectilineo aequilaterale. Alae quiescentes, totum abdomen obtegentes : superiorura pars coriacea, extùs recta, postico oblique truncata, angulo po- stero-externo segmentum quintum attingente; pars membrana- cea nervis quinque conspicuis a basi prodeuntibus ante mar- ginem extimum evanescentibus rectis, parallelis limbo plicato. Propectus postico arcuatim emarginatum, angulis posterioribus acute productis. Mesosternum magnum. Metasternum parvum, deplanatum. Abdomen extùs marginatum margine tenui integro, laminarum ventralium margine posteriore recto, anterioribus quinque stigma- Del Sic. March. Massimiliano Spinola i4i tiieris, stigmatibus in sinù foveolae singull segmenti non longè a vertice anguli anterioris. — In mare^ [foemìnam non vidi) lamina quinta ventralis sextam amplectens, haec parva circu- laris parum convexa stigmatibus destituta, abdominis apex integer. Pedes ejusdem paris adproximati, coxis ejusdem lateris sub eàdem linea axi corporis parallela dispositis, valdè diftormes. Anteriores ab aliis magis remoti, vàlidissimi raptorii, femoribus maxime elongato - incrassatis subtùs spinosis, spinis in serie unica conico-acutis inordinatè magnitudine inaequalibus : tibiis cylindi'icis et propè apicem femoralem abruptè incurvatis iner- mibus. Posteriores quatuor, formae consuetae, gressorii sub- aequales minus validi, mediae magnitudinis : femoribus nec in- crassatis nec arcuatis ; tibiis rectis. Tarsi omnes consimiles , tri - articulati, articulo primo reliquis una longiore, secundo mi- nore, tertio biunguiculato ac biappendiculato, unguiculis eden- tulis laminaeformibus apice aduncis, appendicibus membranaceis dimidio brevioribus. Specìes unica. — Pachycroncha lineola. Pachygr. rufb-testaceà, linea a capitis apice ad extremitatem scutelli ductà albidà. Long, totius corporis, 8 millim. — Lat. major propè basin abdominis, a millim. Impresso - punctata , punctis discretis, interstitiis planis in dorso majoribus ac nitidioribus. Rufo - testacea ; linea rectà ab apice capitem ad angulum posteriorem scutelli ductà, callis duobus elevatis propè scutelli basin, prothoracis marginibus la- teralibus, radio alarum superiorum, tuberculis antenniferis, ma- xillà inferiore pedibusque, exceptis femoribus primi paris, albidis; pectoris disco, abdominis fasciis duabus sub-marginalibus, tar- sorum unguiculis, brunneo-nigris ; appendicibus tarsalibus, ni- gris. Alarum membrana alba hyalina, nervis concoloribus. Un maschio del Capo di Buona Speranza avuto dal Sig. Draga sotto al nome specifico che ho mantenuto. H^ Di alcuni generi d' Insetti ec. REDUVITAE. XVII. G. Ghilianella, ni. Emesoideae. N. i85. Tab. synopt. Antennae in apice capitis propè oris aperturam oriundae , tenuissimae, capillare», vix corpore breviores quadri-articulatae, articulis duobus primis longissimis, secundo sequentibus duobus una longiore, tertio breviore, ultimo apice acuminato, radicula exserta pai-va cylindrica, tuberculis antenniferis nullis. Caput elongatum, angustatum, immediate ante oculos sulco transversali bipartitum, parte posteriore obconicà postica sensirn attenuata, parte anteriore paulò breviore cylindrica. Frons fere ante sulculum transversalem a genis separata, paulò longior, acutiuscula, suturis sulciformibus rectis parallelis parum excavatis oculo nudo cognitù difficillimis. Germe fronte breviores, abruptè declives, apice sub-truncatae. Maxilla inferior ab apice capitis prodiens , oris aperturam circumdans, ad originera pedum primi paris perveniens, libera, tri-articulata, articulis i."'" et 2./° crassioribus sub - aequalibus, tertio duobus praecedentibus una longiore, ultimo apicem ver- sus sensim attenuato. Thorax segmentis tribus constans pariter detectis elongatis tenuibus supra uniformiter convexis, subtùs longitudinaliter sul- catis. Prothorax reliquis paulo brevior obconicus, anticè sensim incrassatus et pi'opè marginem anteriorem pedes primi paris gerens. Mesothorax et Metathorax conformes, conici ac postico sensim dilatati ; mesothorax longior, postico rectà truncatus et propè marginem posteriorem gerens pedes secundi paris : me- tathorax postico emarginatus et in angulis posterioribus gerens pedes tertii paris. Abdomen anormale, ovato-acuminatum, longissimè petiolatum, segmentis supra quatuor subtùs sex constans ; primo petiolum fìliformem efficiente, recto prismatico tetraedro, pagina supe- riore longitudinaliter canaliculatà, lateralibus angustioribus pla- nis extrorsùm declivibus, inferiore latiore convexiusculà : lamina Del Sic. March. Massimiliano Spinola i43 secundà dorsali valdè convexà longitudinaliter bicristata et bi- sulcata, cristis margini exteriori propioribus angustis utrincjue planis supia arcuatis, sulcis a cristis ejusdem lateris et a linea media aequè distantibus; lamina tertià minus convexà, haud cristatà, sulculis duobus ante marginem posteriorem obsoletis; quarta deplanatà et inde concava, postico sensim attenuata, apice acuminato et sursum reflexo. Laminae ventrales 2,/", 3."" et 4-"' stigmatiterae, uniformiter convexae, margine posteriore late arcuato -emarginato. — In foemina, ( marem non vidi) sexta angustior oblongo- ovata, in angulis posterioribus appen- dicibus vel valvulis vulvariis duabus munita corneis crassis ob- longis extùs arcuatis integris et margini exteriori laminae sextae iuxta-positis. Pedes difFormes ut in reliquia Emesoideis. Anterìores raptorii, coxis longissimis rectis sub-cylindricis, trochanteribus distinctis abbreviatis cum femoribus arctius connexis, istis elongatis tibiis tarsisque una longioribus et paulò validioribus, a medio ad apicem tibialem subtùs spinosis, spinis in serie unica dispositis conico -acutis, priore multo majore, reliquis subaequalibus, ti- biis cylindricis inermibus, tarsis brevioribus exarticulatis dola- braeformibus. Posteriores quatuor inermes, longissimi, cursorii, coxis parvis, trochanteribus nuUis vel indistinctis, femoribus ti- biisque fere capillaribus, tarsis brevissimis et nihilominus distinctè tri-articulatis, articulis obconicis subtùs pilosis, primo crassiore, ultimo biunguiculato. Animalculum valde singulare, de vita et de moribus nil mihi innotescit. An larva? an nympha? an imago? Species unica. — Ghilianella filiventris, m. Long, totius corporis, a5 millim. — Lat. capitis, o, 80 millim. — Ead. singulae partis thoracis in origine pedum cujusvis pa- ris, i millim. — Ead. pedunculi abdominalis, o, 5o millim. — Ead. in margine posteriore segmenti secundi, a, 5o millim. Tota brunnea, opaca, subtilissimè punctulata, vix pubescens, pube sericea brevissima, segmentis abdominalibus glabris nitidis. ^44 Di alcuni generi d' Insetti ec. Prothorax margine anteriore emarginato sub-bidentato, meso- thoracis metathoracisque linea media dorsalis elevata. Due femine del Para, raccolte dal Sig. Ghiliani nel 1846. REDUVITAE. XVIII. G. Blapton, m. Harpagtoroideae. N. aao. Tab. synopt. Questo genere è stato suddiviso, nella Tavola sinottica, in due sezioni. La prima caratterizzata dal margine esteriore clelV abclome intiero, ha per tipo una specie di Cayenna descritta dai Signori Amyot e Serville, vedi Hist. des Hemypt. p. 876, n. 3. Sinea punctipes, A. S. Non occorre parlarne. Tratteremo soltanto della seconda che ha il margine esteriore dell' ahdome laciniato o addentellato. Antennae ab apice anteriore genarum prodeuntes, fere lon- gitudinis corporis, tenues filiformes pilosae, quadri -articulatae, articulo primo crassiore brevissimo globuloso, secundo tenuiore valdè elongato, cylindrico pilis induto rarioribus et sub-rigidis, tertio longiore capillari pubescente, quarto etiam capillari, mu- tico in specimine meo, tuberculo antennifero radiculàque iiullis. Caput elongatum, inter oculos sulco trans versali medio bi- partitum. Pars posterior obconica, antico gibbosa et in gibbo- sitate gerens ocellos ìì parvos adproximatos. Pars anterior cy- lindrica, propè apicem tri -partita. Frons ultra genas arcuatim declivis, dorso angusto con- vexiusculo. Qenae fronte breviores, paulo latiores, apice truncatae. Clypeum minimum. Appendix clypealìs et apparatus mandu- catorius reconditi. Maxilla inferior coxas primi paris non superans, tri-articu- lata, articulo primo crassiore arcuato, 2,.'^" plus duplo longiore recto compresso, ultimo brevissimo attenuato. Prothoracis dorsum inacquale, multispinosum, medio trans- versim bipartitum, postico valdè dilatatum, trapezoideum, lateri- bus plerisque curvilineis, anteriore angustiore recto immarginato, Del SiG. March. Massimiliano Spinola i45 exterioribus intùs inflexis abruptè divergeritibus crasse margi- natis , posteriore utrinque rotundato medio late emarginato. Costulae duo ab angulis anterioribus prodeuntes, in medietate antica adproximatae sub-parallelae incrassatae et plurispinosae, in medietate postica divergentes gradatim magis elevatae et in tuberculum itidern phirispinosum prope marginem posteriorem desinentes, spinis vabdis acutis et vario sensù incurvatis. An- guli posteriores elevati extùs porrecti, margine supero trispinoso. Scutellum breve, triangulare, fere aequiiaterale, basi arcuata, linea media longitudinali elevato -costata. Aloe quiescentes lacinia» laterales abdominis non obtegentes. Superiorum pars coriacea pubescens, postico emarginata, extùs sensim angustata, angulo apicali exteriore valdè acuto; earum- dem pars membranacea hyalina, cellulis quatuor elevato -mar- ginatis discoidalibus a clausis sub-ovatis, marginalibus a majo- ribus posticè apertis. Nervi costato-elevati irregulariter contorti, propter marginem incrassatum cellularum adjacentium, perpe- ram bisulcati viderentur vel etiam trisulcati. Pecttis convexum, prosterno elevato plurispinoso. Abdomen. In mare^ [foemìnam non vidi) segmentis sex stigma- titeris constans, angulis posterioribus a i."" ad 6.""" gradatim magis dilatatis et productis, margine exteriore laciniato, lamina 7.'"" ventrali genitalia obtegente oblongo- ovata integra. Pedes elongati cursorii, coxis ejusdem paris a i.™ ad 3."""" gradatim remotioribus, femoribus tibiisque pilosis cylindricis, illis in apice tibiale spinis duabus validioribus terminatis, spi- nulis minoribus extùs raro sparsis. Tarsi tri-articulati, articulis a.''" et 3."° aegrè distinguendis, primo reliquis una breviore , tertii unguiculis edentulis, appendicibus inconspicuis. Blapton Dregei, m. Bl. Griseo - fuscus , antennis pedibusque concoloribus, abdo- minis margine laterali laciniato, laciniis rotundatis. Long. 14 millim. — Lat. in medio abdominis, 4 naillim. Tomo XXV. P." I- 19 1^6 Di alcuni generi d' Insetti ec. Griseo-fuscus, spinulis erectis apice praesertim nigrescentibus, tarsis brunneis, prothoracis margine anteriore scutelli linea me- dia longitudinali alarumque superiorum partis coriaceae nervis elevato -costatis dilutioribus, pube cinerea. Alarum pars mem- branacea hyalina, nigro bis-strigata, strigis duabus longitudina- libus utrinque ramosis, costis elevatis brunneo-nigris. Un maschio mal conservato, raccolto dal Sig. Drege nei contorni del Capo di Buona Speranza. HYDROCORISIAE. XIX. G. Hydrocyrius., m. Belostomoideae. N. 2,i8. Tab. synopt. Antennae breves, in inferiore capitis pagina ab angulo api- cali genarum prodeuntes, capitis mai-ginem posticum vix attin- gentes, quadri -articulatae, articulo primo crasso obconico, se- quentibus latioribus depressis transverso - ovatis, secundo paulò majore, articulationibus rectà truncatis. Caput, abstractis oculis, plus duplo longius quam latius, supra convexura, anticè sensim angustatum, subtùs medio deplanatum et utrinque foveolatum. Frons in media capitis longitudine incipiens, a vertice trans- versim et a genis longitudinaliter manifeste separata, suturis intermediis sulciforraibus parum profundè impressis, angusta, an- ticè parum declivis et sensim acuminata, oris apertura terminata. Genae fronte latiores ac multo breviores, ante oculos intùs inflexae et subtùs protensae, in pagina inferiore foveolatae, fo- veolis longitudinalibus angustis postico abbreviatis antennis quie- scentibus refugium praestantibus. Appendices supra- maxìllares convexi, ultra frontem producti, angulatim divergentes, margine extimo rotundatis, a genis utrinque sutura sulciformi separati. Clypeum aut nuUum, aut reconditum, aut cum appendice clypeali sensim confusum. Appendìx clypealìs basi detectus et transversim strigatus, elongatus, sub-linearis, apparatum manducatorium obtegens, in canali maxillari apice reconditus. Del Sic. March. Massimiliano Spinola i47 Maxilla inferior longè post oris aperturam in pagina interiore incipiens, libera, tri-articulata. Articulus primus, in medietate basilari late excavatus arcuatus et ab apparatù mandiicatorio visibiliter distans, in medietate apicali cylindricus tubiformis supra subtiliter fissus appendicem clypealem et apparatum man- ducatorium recondens. Secundus multo longior, mediatati api- cali praecedentis l'orma consimilis, antico sensim ac laeviter attenuatus, propè apicem supra bis-scutatus, scutulis depla- natis oblongo-ovatis. Tertius minimus, apice obtusus inermis. Oculi superi et in angulis posterioribus capitis ut in Belo- stomis, itidem irregulariter sub-ovati et triangulum curvilineum aemulantes, sed datis proportionibus majores et magis retror- sùni prolongati. Ocelli nulli. Prothoracis dorsum, pectus, scutellum alarumque superìonim pars coriacea^ ut in G. Belostoma. Earumdem pars membrana- cea magna, mediam longitudinem versus nervo transversali bi- partita : medietate antica late reticulatà, nervis parum elevatis et partim obsoletis, cellulis diftbrmibus plus latioribus quam longioribus : medietatis posticae nervis longitudinalibus magis elevatis costaeformibus et inaequaliter dichotomo-ramosis, cel- lulis clausis plus longioribus quam latioribus, limbo extimo ut in Belostomìs. Pedes primi paris raptorii, femoribus dense velutatis medio longitudinaliter uni-sulcatis, sulculo unico recto laevi glabro, ( sulci duo consimiles in Belostomìs genuinis ) , tarsis oblique biarticulatis, articulis distinctis subtùs velutatis, conforraibus , secundo longiore biunguiculato, unguiculis magnis laminaefor- mibus aduncis inaequalibus, interno majore. Pedes posteriores quatuor natatori! ut in Belostomìs , tarsis omnibus biunguiculatis. Unguiculi, ut in pedibus primi paris, niinus adunci inaequales, interno majore. Species unica. — Hydrocyrius Golombiae, m. Hydroc. sordide flavescens supra longitudinaliter late brunneo bifasciatus. r4^ Di alcuni generi d' Insetti ec. Long, totius corpoiis, 76 millim. — Lat. medii abdominis, a5 millim. Corpus ( in cadavere ) sordide flavescens, ( forte virescens in specimine vivo), ventre concolore. Antennae dilutiores. Pedes immaculati. Fasciae duae longitudinales latae rectae adproxi- matae, ab anteriore prothoracis margine prodeuntes et supra scuteilum ultra medium prolongatae, brunneo-nigrae. Alarum superiorum pars membranacea corpori concolor. Pedum ante- riorum feltrum velutinum nigrum, pilis reliqiiis cinereis. Ungui- culi tarsales picei. Un maschio, della Colombia, vendutomi dal mercante Dupont. La statura colossale del mio esemplare mi ha suggerito il nome generico Hydrocyrius ( gigante d' acqua ) . I sei primi segmenti ventrali sono stigmatiferi e gli stigmati sono visibilmente per- forati. Il contrario si osserva nella Belostoma grandis^ che mi sembra, sotto il rapporto degli organi esterni della respirazione, fare il passaggio dalle Nepoidee alle Belo sto moìdee. Credo il genere nuovo esattamente circoscritto. Gli autori dell' Hist. des Hemìpteres attribuiscono i tarsi biunguicolati ai G. Sphaerodema, Appasus e Dìplonychus^ ma in tutti questi gli unghietti sono piccolissimi rudimentari, e credo che possano abortire in alcuni esemplari. Sospetto esser tali quei della mia collezione che mi furono tipi ai G. Atomya e Amyotella collocati nella tavola si- nottica e dei quali ommetto la descrizione, perchè mi confermo nel dubbio che ci convenga riunirli rispettivamente ai G. Sphae- rodema e Appasus. Il Diplonychus poi, eh' io credo di non avere mai veduto, è detto avere un solo articolo in ciascun tarso. FULGORITAE. XX. G. Gladodiptera, m. C1X101DEAE. N. 2,61. Tab. synopt. Questo genere da me proposto sino dal 1889 negli Ann. de la Soc. Ent. de Fr. fu in allora fondato sopra una specie del Brasile che ha la fronte più larga che lunga. Nel 1846 il Signor Ghiliani ha riportato dal Para una seconda specie che Del Sic. March. Massimiliano Spinola i49 ha la fronte più lunga che larga. Ritenendola al più tipo di una seconda sezione in un genere alionde poco numeroso, ho stimato darne la sminuzzata descrizione, senza ritornare sopra i caratteri generici esposti nell' opera citata. Cladodiptera ornata, m. Cladodìpt. fronte plus longiore quam latiore. Long, totius corporis, 7 millim. — Ead. frontis, a raillim. — Ead. a'iarum superiorum, io millim. — Lat. maxima frontis, medium versus paginae inferioris, i, 5o millim. — Ead. meso- thoracis ante scapulas alares, 5 millim. Vertex transversim rectangularis, planus, marginatus, margine anteriore laeviter arcuato. Frons in superiore capitis pagina incipiens, antico arcuatim, inde in pagina inferiore horizonta- liter ac retrorsùm protensa, plana, indivisa, lateraliter margi- nata marginibus carinaeformibus subtùs et post oculos com- pressis elevatis lamellaeformibus, margine clypeali emarginato. Clypeum triedrum, apicem versus sensim attenuatum, facie me- dia plana horizontali triangulari, lateribus curvilineis, exterio- ribus lamellosis, linea media elevato -costata, faciebus laterali- bus etiam triangularibus, rectilineis, angustis et marginibus la- mellosis faciei intermediae partim obtectis. Maxilla inferior ad originem pedum tertii paris in quiete perveniens, instrumentis cibariis reconditis. OciiU, in posterioribus capitis angulis, globosi hemispherici, prominentes, in emarginaturis lateralibus protho- racis quiescentes. Prothoracìs dorsum transversim abbreviatura, margine anteriore bi-emarginato vel tri-lobato, lobo medio valdè producto rectà ti'uncato, emarginaturis late arcuatis, angulis exterioribiis rotundatis, linea media longitudinali elevato -co- stata, maigine posteriore angulatim et aperte emarginato. Me- sotìiorax supra convexiusculus, supra bicostatus, apice atteimato- rotundato, costulis duabus longitudinalibus distantibus sub-pa- rallelis ante inargines oppositos obsoletis. Alariim superiorum nervi in regione discoidale dichotomi, cellulae angustae elon- gatae : regio posterior reticulata, cellulis quadrangularibns in i5o Di alcuni generi d' Insetti ec. triplice serie dispositis. Tìbiae tertii paris extùs trispinosae, spinis aequè distantibus rectis conico -acutis. Corpus violaceo-purpureum, ventre coccineo. Vertex excepto margine posteriore, prothoracis medietas antica, mesothoracis tnaculae duo discoidales, aliae quinque postero-marginales, me- tatlioracis summus apex detectus annulorumque abdominalium limbus posterior, splendide viridi -caerulei. Frons flavo-virens. Oculi et ocelli rubri. Methathoracis pleurae nigro maculatae, macula unica magna oblique oblongo- ovata. Pedes flavi; po- steriores, femoribus pallidioribus brunneo maculatis. tibiis vire- scentibus. Alae hyalinae, superiorum regione postica Fusco bi- maculatà, nlaculà exteriore triplo minore, aiterà latiore totum marginem postero -internum occupante. Una femina che va invecchiando, decadendo ogni giorno dallo splendore dei primitivi colori. TETTIGONITAE. XXI. G. Gamptelasmus, m. Aphrophorideae. N. Sii. Tab. synopt. Caput plus longum quam latum, ante oculos horizontaliter porrectum, supra planum horizontale, subtùs medio convexiu- sculum, utrinque depressum, margine exteriore integro serai- elliptico lamelloso. Vertex totam superiorem capitis paginam occupans, a fronte carinulà lamellosà abruptè separatus. Frons convexa, a capitis apice prodiens, anticè acuminata, posticè rectà truncata, lateribus arcuatis. Genae angustae, minus convexae, parum distinctae, depres- sione sub -marginali tantum a fronte separatae, sutura inter- media reverà obsoleta. Oculi, in angulis posterioribus capitis, retrorsùm porrecti et prothoracis marginem anteriorera amplectentes, parum elevati, oblongo -ovati. Ocelli nulli. Antennae in genarum medio insertae, articulo primo cylin- drico. ( Alii desunt. ) Del Sic. March. Massimiliano Spinola i5i Prothoracìs dorsum transversim rectangulare, laeviter conve- xum, postico rectà truncatum. Scutellum breve, latum, triangulare, rectilineum, basi pro- thoracem latitudine aequans, postico angulo aperto terminatuni. Alae quiescentes ultra abdoniinis apicem vix prolongatae ,' angustae, lateraliter parum arcuatae, apice separatim oblongo- ovatae. Superìores homogeneae, rigidae, vix translucidae, radio marginali elevato-costato, cubitù fere ab origine trifìdo, ramulis tribus rectis parum divergentibus , exterìore tantum bifido , longè a basi anastomosi tiansversà unica a limbo externo pro- deunte interruptis; cellulis postico -inarginalibus quinque inae- qualibus, plerisque quadrangularibus, intermedia triangulari. Tibiae posteriores extùs quinque -dentatae, dentibus serratis aequidìstantibus. Species unica. — Camptelasmus caffer, m. Campt. pallide testaceus, supra brunneo lineatus. Long, ab apice capitis ad extremitatem alarum, 4 millim. — Lat. ante scapulas alares, i, 3o millim. Alae corpori concolores, costis elevatis brunneis. Pedes pallidi. Un individuo raccolto nella Caffreria dal Sig. Delegorgue mandatomi in pessimo stato dal mercante Dupont. Lo spillo fu infilzato con tanta mala grazia che si perdettero il clipeo, la mascella e tutto 1' apparato manducatorio. PENTATOMITAE. XXII. G. Plinthaerus, m. Aphrophorideae. N. 3i4- Tab. synopt. Caput absque protuberantià cephalicà, plus latius quam longius, et ad instar segmenti circuii figuratum, supra planum horizontale, postico arcuatim emarginatum et anteriorem prothoracis mar- ginem amplectens. Vertex manifeste transversim bipartitus, sutura intermedia conspicuà sulciformi. Pars posterior sive pars supera magni ossi cranii multo major, profundè emarginata et alteram includens, i5ii Di alcuni generi d' Insetti ec. utriiique ad anteriorem capitis marginem perveniens. Pars an- terior, sive meo judicio, verum Homologum ossi front alis^ triplo vel quadruplo minor, ad anteriorem capitis marginem rarius perveniens, saepius plana horizontalis, figura et magnitudo in diversis speciebus diversae. Frons ( sic vulgo sed melius facies ) a pagina superiore pro- diens, in margine antico rotundato - reflexa, inde in pagina in- feriore longè producta et valdè convexa, subtùs strigis trans- versis parallelis exarata, linea media laevi ac deplanatà, extiis arcuata, apicem versus paulò angustata et rectà terminata. Genae in foveolà paginae inferioris propè marginem anteriorem et sub principali verticis parte incipientes, planae, abbreviatae, sutura sulciformi a fronte separatae et ipsà dimidio breviores, sub oculis utrinque prolongatae et ad angulos posteriores ca- pitis usque extensae, margine extimo arcuatae. Appendices supra-maxillares deplanati, a margine integro ge- narum ad angulos extei'iores clypei prolongati, a genis, a fronte et a clypeo suturis sulciformibus segregati, marginibus antlcè ac intùs rectis extùs arcuatis, apice propè exteriores clypei angulos attenuato. Clypeum uniformiter ac laeviter convexum, pentagonale, basi lateribusque antero-externis rectis, apicalibus multò longioribus intùs arcuatis, angulo extimo valdè acuto. Appendix clypealis angustus, sub-linearis, parvus et in sinù maxillae inferioris recipiendus, ejusdem penultimi articuli vix basili superans, apice obtusus, membranaceus, laevis ac strigis transversalibus destitutus. Maxilla inferior salteni tri-articulata, articulis basilaribus ut in plerisque Catostomophoris reconditis et numero incertis, ante penultimo in actù manducationis exserendo, ultimis duobus tantum in quiete detectis rectis subaequalibus, ultimo obtuso originem pedum secundi paris attingente. Oculi magni, laterales, obliqui, oblongo - ovati, in angulis po- sterioribus prothoracis. Ocelli in parte principali verticis, propè marginem posterio- re m, inter se et ab oculis aequè distantes. Del Sic. March. Massimiliano Spinola i53 Antennae in foveolà anteriore genarum insertae, visibiliter tri-articulatae, articulis duobus primis conspicuis cylindricis sub- aequalibus, ultimo pluribus pseudo- articulis minimis instructo setulà capillari terminato. ProthoTacis dorsum magnum convexum hexagonale, lateribus inaequalibus, anteriore maximo arcuato, anteio-externis bre- vissimis sub-parallelis, postero -externis loiigioribus rectis po- stico convergentibus, posteriore triplo breviore ac profundè ar- cuatim emarginato. Mesothoracìs scutum sternale magnum triangulare, margine antico rotundato. Pectus et Ahdomen ut in plerisque Aphrophorideìs. Aloe quiescentes, in utroque sexu, abdominis apicem et la- tera superantes. Superlores homogeneae opacae, coloratae, nervis longitudinalibus parum elevatis, anastomosibus transversis sae- pius obliteratis. Pedes validi, anterioribus quatuor conformibus muticis, tibiis omnibus cylindx-icis, posterioribus extùs bispinosis, spinis remotis conico - acutis : tarsis tri-articulatis, articulis distinctis, ultimo longiore biunguiculato, unguiculis edentulis brevioribus minus aduncis, posteriorum articulis i.'"" et a.*^" coronulà spinarum minorum subtùs terminati. I. Plinthacrus Delegororguei, m. PUnth. testaceo-helvolus, scutelli alarumque superioruin ma- culis punctiformibus nigris. Long, totius corporis, i5 millim. — Eadem laterum exterio- rum prothoracis, i millim. — Ead. prothoracis in medio, 4 millim. — Ead. alarum superiorum , ao millim. — Lat. ante scapulas alares, 7 millim. Verticis pars anterior transverso -rectangularis, latere antico arcuato, angulis anterioribus obsoletis, posterioribus rectis. Pro- thoracis medietas anterior immarginata rotundato-producta, de- pressa et inaequalis, quadri vel quinque foveolata, foveolis la- tioribus et parum profundis sub eàdem linea transversali dispo- Tomo XXV. P.'^ /." ao i54 Di alcuni generi d' Insetti ec. sitis. Tibiarum posteriorum spinae laterales inaequales, prima femori propiore triplo minore triangulari (lentiforme, aiterà re- cti conico-acuta deorsùm oblique porrectà. Corpus totum laeve glabrum testaceo -helvolum: antennarum articulis duobus pri- mis, verticis limbo posteriore, scutelli alarumque superioruin maculis punctiformibus, maxillae inferioris articulo ultimo, pe- dum quatuor anteriorurn tibiarum basi tarsarumque apice, po- steriorum tarsis totis spinisque nigris. Alae inferiores albo-hya- linae, nervis concoloribus. Quattro femine della Caffreria, procedenti dalle raccolte del Sig. Delegorgue. Questo genere contiene altre specie di pi-ima grandezza confuse nelle collezioni colle Afrofore a dispetto della diversa ossatura del capo. Sono tutte esotiche, e le credo finora ine- dite. Non sarà pertanto inutile un nostro breve cenno alle po- che che ho sotto agli occhi. a. Plinth. venosus, m. — Praecedenti forma et magnitudine simillimus, colore alienus. Pallide albidus, scutello prothoracis- que dorso immaculatis, alarum superiorum maculis griseo-ni- grescentibus marmoreo - venosis. Una sola femina, delle stesse località e delle stesse raccolte. A chi non si lascierà imporre dalla diversità del manto e a chi prenderà esempio dalle numerose varietà alle quali va soggetta la Cicada hif asciata del Linneo, non farà sorpresa eh' io ritenga il Plinthacrus venosus per una mera varietà dell' Helvolus. 3. Plinth. magulicollis, m. — Praecedentibus paulò minor. Long, totius corporis, 12, millim. — Lat. maxima propè ala- rum originem, 4 millim. Verticis pars antica plus latior quam longior, margine antico arcuato, angulis omnibus obsoleto -rotundatis. Corpus nitidum laeve glabrum, prothorace postico scutello alisque superioribus pubescentibus, pube e pilis rarioribus validis oblique erectis et postico inclinatis. Antennae pedes caput pectus venterque ut in PI. Delegorguei depicti, prothoracis medietate anteriore pai- Del Sic. March. Massimiliano Spinola i55 lidiore maculis quindecim difFormibus nigris insignita, ejusdem medietate posteriore scutello alisque superioribus griseo-fuscis, protlioracis angulis posterioribus scutelli macula discoidali cru- ciata $ rotundatà d" alarumque superiorum guttis parvulis inor- dinatè sparsis albido-flavis, maculis duabus in margine exte- riore alarum superiorum, prima ante medium irregulari rufa , aiterà pone medium triangulari albo-hyalinà. Una femina delle stesse località e delle stesse raccolte. Questa specie è indubitatamente diversa da quelle che prece- dono, ma non saprei se si potrà dirne altrettanto in confronto a quella che segue. 4- Plinth. 4 MACULATus, m. — Formà et magnitudine prae- cedenti simillimus, pubescentià haud diversa, capite scutello prothoracisque dorso flavis, maculis parvulis in vertice quatuor in parte antica prothoracis sex aiterà majore biloba in medio disci nigris. Alae superiores nigrae, extùs flavo bimaculatae. Queste quattro specie Africane si ridurranno probabilmente a due. Le tre seguenti sono Americane. 5. Plinth. mexicanus, m. — Pubescens, niger, capite protho- raceque flavo -viridibus nigro maculatis. Long, totius corporis, la millim. — Lat. maxima ante ori- ginem alarum, 5 millim. Praecedentis longitudinis, ut videtur, sed latior. Pars ante- rìor verticis plus duplo latior quam longior, pentagonalis, late- ribus omnibus rectis, exterioribus brevioribus parallelis, angulo anteriore aperto. Corpus supra puberulum et sub pube nitidum, pube e pilis parvulis rarioribus ac brevioribus. Tibiarum poste- riorum spinae laterales inter se et ab extremitatibus oppositis aequè distantibus, prima minima vix conspicuà. Antennae" pe- desque nigri. Caput flavum, maxillà genarumque macula inedia punctiformi nigris. Prothorax itidem flavus, dorso virescente ante medium maculis duobus nigris notato, pleuris dilutioribus nigro unipunctatis. Pectus et abdomen nigra. Alae superiores nigrae albo transversim bifasciatae, fasciis inaequalibus et irre- gulariter laciniatis a latere interno prodeuntibus et non longè a i56 Di alcuni generi d' Insetti ec. margine exteriore abruptè terminatis, anteriore intùs latiore et extùs sensim coarctatà, posteriore costis longitudinalibus interruptà. Due femine del Messico, avute dal Sig. Deyrolle. 6. Plinth. irroratus, m. — Magnitudo et statura praeceden- tium. Corpus densius pubescens, fronte minus convexà, vertice utrinque abruptius terminato, prothoracis dorso minime con- vexo, quibus faciei characteribus a cospeciebus satis distingui- tur. Flavo-testaceus, vertice prothoracisque medietate anteriore nigro punctatis, hujus in medio dorsi maculis quatuor majoribus brunneo-nigrescentibus, exterioribus marginalibus triangularibus anticè emarginatis, interioribus longitudinalibus obovatis. Ma- xilla inferior testacea, articulo ultimo nigro. Venter rubidus. Alae superiores opacae brunneae albo irroratae, maculis duabus majoribus in margine exteriore, prima flavo -rubidà, secundà albo - hyalinà : inferiores basi fuscescentes apice dilutiores, ner- vis nigro-piceis. Pectus flavo-virescens. Antennae, articulo primo testaceo, secundo nigro, ( alii desunt ). Pedes rufo - testacei, ti- biarum apice tarsali nigro, tarsis primi et secundi paris prorsùs nigris, iisdera tertii paris testaceis, articulorum apicibus spinu- losis nigris. Due femine e un maschio del Brasile, avuti dal Sig. Buquet. 7. Plinth. phaleratus, m. — Forma et magnitudo praeceden- tium, Vertìcis parte antica quam in reliquis cospeciebus magis porrectà et capitis apìcem attingente, quadrangulari, angulis posterioribus rectis, lateribus exterioribus brevibus rectis paral- lelis, margine anteriore paulò incrassato valdè arcuato semi- circulari. Oculi adproximati. Frons mediocriter convexa, in pa- gina inferiore tota decurrens. Corpus subtùs nitidum oculo nudo glabrum, supra opacum laevissimè pubescens, pube decidua in nonnuUis deficiente. Prothorax uniformiter convexus, confusim punctatus, rugosiusculus, punctis creberrimis diffbrmibus con- fluentibus et strigulas transversales efficientibus. Alarum supe- riorum nervi longitudinales elevato -costati et marginem exti- mum attingentes, radio crassiore. Tibiarum posteriorum spinis Del Sic. March. Massimiliano Spinola ìSj duabus lateralibus aequalìbus et conformìbus. Corpus subtùs ni- grum, antennis maxillàque concoloribus, supra bruniieo purpu- reum: capitis limbo anteriore, strigis duabus longitudinalibus ab angulis posterioribus t'rontis prodeuntibus et angulos poste- riores prothoracis attingentibus, aiterà media a basi partis an- ticae verticis dorsum prothoracis rectà percurrente et supra scutellum plus minusve prolongatà, aliis duabus exterioribus pone oculos incipientibus et ad latera postero - externa protho- racis pervenientibus , flavis. Alae superiores brunneae, albo quadri -maculatae, maculis hyalinis, anterioribus duabus majo- ribus medium versus et fere sub eàdem linea transversali, exte- riore latiore transverso -quadrata in regione discoidali, altera arcuata in regione interna, 3.'"" et 4-'" parvulis punctiformi- bus, ambobus in regione posteriore, aiterà sub -marginali, ai- terà sub-apicali. Un maschio e una femina del Brasile, avuti dal Sig. Bu- quet. Un' altra femina, della stessa provenienza, differisce al- quanto dal tipo nella distribuzione dei colori. — Alarum supe- riorum maculae posteriores obsoletae, anteriores coalitae et fa- sciam transversam angustiorem efformantes. PENTATOMITAE. XXIII. G. Tremapterus, m. Aphrophorideae. N. 3i6. Tab. synopt. Caput plus longius quam latius at sine protuberantià, anticè oblongo- ovata m, supra rnagis, subtùs minus convexum, postico emarginatum, prothoracis marginem anteriorem amplectens. Frons in medio paginae superioris capitis incipiens, suturis intermediis sulciformibus rectis parallelis, genas latitudine ae- quans longitudine superans, subtùs minus elevata et paulò di- latata, utrinque laeviter arcuata, apice angulatim emarginata. Genae supra convexiusculae, in margine anteriore cum fronte conjunctim rotundatae, subtùs immediate et abruptè depressae, inde planae et pone oculos dilatatae. Clypeum deplanatum. i58 Di alcuni generi d' Insetti ec. Maxilla iaferior recta, ad. originern pedura intermediorum vix perveniens, articulis in quiete detectis duobus subaequali- bus, ultimo truncato. Oculi paruni elevati, magni, transverso -ovati, sessiles, late- rales, in angulis posterioribus capitis. Ocelli parvi adproximati, in vertice frontis originem propè. Antennae in pagina inferiore capitis, propè marginem ante- riorem, in fbveolà genarum insertae, visibiliter tri-articulatae , articulis duobus primis conformibus crassis cylindricis, primo longiore, tertio tenuiore saltem tripartito, pseudo- articulis mi- nimis oculo nudo vix perspicacis, ultimo setigero. Prothoracis dorsutn uniformiter convexum immarginatum he- xagonale, latere anteriore maxime in medio ovato producto utrinque pone oculos laeviter emarginato, lateribus antere -ex- ternis brevioribus rectis parum divergentibus, postero - externis rectis ac valdè convergentibus, posteriore recto, angulis poste- rioribus late apertis. Scutellum triangulare, utrinque arcuato -emarginatum, apice acuminatum. Alae superìores abdomen obtegentes, homogeneae, coriaceae, opacae, fortiter impresso -punctatae, in regione interna scutel- lum circumdantes planae horizontales, in reliquis uniformiter convexae obovatae, apice separatim rotundatae, extùs arcuatae integrae immarginatae, nervis plerisque obliteratis, cubitu ab origine prodeunte margini exteriori parallelo et ante medium abruptè terminato. Alae inferiores, nullae. Pygidìum medium. Pedes validi, gressorii, anterioribus quatuor inermibus, tibiis cylindricis, posterioribus extùs bispinosis et in apice tarsali co- rona spinularura conico - acutarum subtùs armatis, spinis late- ralibus subaequalibus magnis, basi compressis triangularibus apice acuminatis et deorsum oblique porrectis. Del Sic. March. Massimiliano Spinola iSq Species unica. — Tremapterus Dregei, m. Tremapt. niger, dorso griseo-nigro punctato. Long, totius corporis, a, 5o millim. — Lat. Inter angulos po- steriores prothoracis, i,5o millim. Impresso punctatus, oculo nudo glaber, punctis in specimine vivo forte piligeris. Frontis medietas posterior albido-flavae. Femorum basis brunnea. Un individuo mal conservato del Capo di Buona Speranza, avuto dal Sig. Drege. Non so dire dei tarsi percbè mancano, né del sesso perchè l' abdome è guasto. La struttura della testa diversa nei generi Plinthacrus e Tremapterus dà luogo a una importante osservazione. Quell' osso che nei quadrupedi è connesso dal lato esterno col frontale rade volte si palesa distinto negli insetti e suole esservi inti- mamente saldato con qualche altro osso adjacente. Ma questa saldatura non è parecchia in tutti, cioè non ha luogo in tutti col medesimo osso. Ci servano di esempio i due generi nuovi che abbiamo proposto. Nel G. Plinthacrus., come nel G. Aphro- phora., questo omologo dell' orbitale confuso col temporale si confonde coli' Osso grande del cranio ( Vertex ) e 1' osso delle guancie {Gena) non incomincia visibilmente che nella facciata inferiore del capo presso all' origine delle antenne. Nel G. Tre- mapterus, come nel G. Cercopis, quest' omologo medesimo è distintamente separato dal vertice e si confonde colla guancia dopo averla raggiunta sotto al margine anteriore del capo. A rigore, avrei forse dovuto rilevare, nella descrizione, l'esistenza di questo pezzo e mantenerle il nome imposto dalla legge delle connessioni. Ma la mia opinione, comunque io la creda fonda- tissima, potrebbe non essere universalmente adottata e per ciò non vorrei nuocere alla pratica applicazione, aggiungendo alle difRcoltà del sistema quella di una nomenclatura inusitata e non bene intesa. Nel dire pertanto che le guancie del Tre- maptero incominciano sulla facciata inferiore del capo, ho im- piegato le espressioni che mi sono sembrate le più intelligibili. i6o Di alcuni generi d' Insetti ec. La presente osservazione è alionde sufficiente per fissarne il diverso significato nel mio modo di vedere. TETTIGONITAE. XXIV. G. Wolfella, m. Tettigonioideae. N. 33o. Tab. synopt. Caput posticè prothoracis marginern anteriorem amplectens, ante oculos triangulare, supra planum, subtùs convexum, apice protuberans. Protuberantia reliquo capite longior, lateraliter com- pressa, lamellosa, adscendens et recurva, in parte adscendente posticè laciniata, in extremitate partis recurvae arcuato -emar- ginata, apice acuminato. Vertex a Fronte distinctè separatus, sutura intermedia ele- vata costaeformi ab oculis prodeunte et ad apicem protuberan- tiae utrinque continuata, ante protuberantiae initium planus horizontalis triangularis, anticè angustatus lateribus rectis, in protuberantia abruptè coarctatus, lateraliter compx-essus et in tota longitudine medio carinatus; carina longitudinali, ante pro- tuberantiae initium costaeformi, in protuberantia compressa la- mellosa, in parte adscendente tri-laciniata laciniis subaequalibus semi-ovatis, in parte recurvà ovato - dilatata, apice attenuata. Frons in pagina inferiore capitis, propè cantum anteriorem oculorum, sulculo tenuissirao a genis separata, subtùs convexa lateribus rectis sub-parallelis, margine posteriore vel clypeali rectà truncato, propè capitis apicem una cum vertice abruptè protuberans, in tota protuberantiae longitudine lateraliter com- pressa et paginis duabus oblique declivibus constans, costà in- termedia alto -elevata sine laciniis et propè summum apicem arcuato - emarginata. Genae, sub costà verticem frontem intercipiente et in cantù anteriore oculorum incipientes, anticè angulatae, post antenna- rum originem subito dilatatae ac oculorum marginem inferiorem ambientes, intùs angulos frontis clypeales attingentes, ab ap- pendicibus supra - maxillaribus rectà separatae, convexiusculae, extùs arcuatae. Del Sic. March. Massimiliano Spiìsiola i6i Jppendices supra maxillares oculo nudo cum genis confusi , sed sulculo paruiu visibili leverà separati, convexiusculi, plus longiores quarti latiores, ad angulos posteriores clypei perve- nientes, latere extinio cum genis conjunctim late arcuato. Clypeum plus duplo longius quam latius, quadrangulare, re- ctanguluin, coxas a.''' paris in quiete attinge ns. Appendix clypealis elongatus linearis, apicem versus sensim attenuatus, ultra penultimum maxillae inferioris articuluin in quiete protensus. Maxillae inferioris pars in quiete detecta brevissima et ori- ginem pedum postcriorum haud superans, biarticulata, articulis subaequalibus, ultimo truncato. '|8 Ocull laterales, prominentes, oblongo- ovati, subtùs latiores et postico emarginati. Ocelli inter se distantes, in vertice propè cantum antero-in- ternum oculorum. Antennae ab origine genarum prodeuntes, parvae, tri-arti- culatae, articulis duobus primis contbrmibus, cylindricis, primo dimidio breviore, ultimo tenue reliquis una. longioi'e pseudo- articulis conflato plurimis quorum numerum eruere non valui , a primo ad ultimum gradatiin longitudine auctis et latitudine diminutis, ultimo setigero. Prothoracis dorsuni uniformiter convexum, antico paulò de- clive, trapezoideum, postico dilatatum, latere anteriore arcuato immarginato : lateribus exterioribus rectis divergentibus mar- gine incrassatis; latere posteriore utrinque rotundato, in medio laevissimè arcuato - emarginato. Scutelhim, ut in praecedentibus. Abdomen in foeminà, ( marem non vidi ) dorso planum, sub- tùs uniformiter convexum, ventris segmentis quinque anterio- ribus ut in allis Tettigonitis evidenter tripartitis, parte media reliquis una latiore, lateralibus stigmatiferis sub-quadratis obli- que extrorsum reflexis, ostils trachealibus in angulis antero- internis laminarum lateralium, genitalibus exsertis vix dimidiae ahdominis longitudinis. Tomo XXV. P." /." ai 1 62 Di alcuni generi d' Insetti ec. Alae quiescentes, nec latera nec extremitateni abdominis obtegentes. Superiores angustae, homogeneae, coriaceae opacae pubescentes, costis parum elevatis, limbo postero - interno mem- branaceo translucido longitudinaliter plicato. Inferiores rudimen- tariae et volatui ineptae. Pedes gressorii: anteriores quatuor confbrmes sub - aequales inermes pubescentes, tibiis prismaticis triedris, tarsis tri-arti- culatis, articulis obconicis, tertio reliquis una longiore biungui- culato et uni-appendiculato, unguiculis abbreviatis crassioribus, appendice unico latiore margine ciliato bilobo; posteriores elon- gati, tibiis compressis, costis exterioribus adproximatis octo- spinosis, aiterà interiore fimbiùatim spinulosà, tibiarum apice tarsali articulorumque tarsalium primi et secundi paris apicibus spinosis. Species unica. — Wolfella Gaternaultii, m. Wolf. nigro-brunnea, protuberantiae cephalicae macula me- dia albidà, apicali nigrà. Long, ab oiùgine protuberantiae abdominis apicem, 14 millim. — Lat. maxima inter angulos posteriores prothoracis, 3,5o millim. Tota brunneo-fusca, capite creberrimè et confusim punctato, pectore prothoracis dorso scutelloque distinctius punctulatis, fronte in pagina infera transversim strigata. Abdomen rufo- brunneum. In parte adscendente protuberantiae, macula dor- salis sive frontalis albida, in ejusdem parte recurvà ante apicem macula utrinque conimunis nigra. Tarsi nigri. Due femine della Costa di Guinea acquistate dal Sig. Bu- quet. Dedico il genere all' Autore dell' Icon. Cimìc. clescr. il- lustr. e la specie al viaggiatore al quale ne dobbiamo la scoperta. TETTIGONITAE. XXV. G. Proranus, m. Tettigonioideae. N. 33 1. Tab. synopt. Caput semi-ovatum, supra planum sensim declive, utrinque niargìnatum, margine tenui costaeformi, postico late arcuato- emarginatum et prothoracis marginem anteriorem amplectens. Del Sic. March. Massimiliano Spinola i63 Vertex totam superiorem capitis paginam occupans, a fronte costnlà marginali distinctò separatus. Frons a capitis apice incipiens, a genis sutura sulciformi di- stinctè separata, in pagina inferiore extensa, extùs paulo arcuata, in apice clypeali rectà truncata, uniformiter convexa, transversim strigata, strigis parallelis lineam mediam versus obliteratis. Genae planae, obliquae et introrsùm declives, anticè coangu- statae, post originem antennarum utrinque dilatatae, extùs oculos circumdantes et ad angulos posteriores capitis protensae, fronte longiores, appendices supra-maxillares involventes et in contactù posteriorum clypei angulorum terminatae. Clypeum^ ut in Wolfellà, rectangulum et plus longius quam latius. Appendix clypealis et maxìllae ìnferioris pars detecta , etiam ut in praecedente. Appendices supra-maxillares oblongo-ovati, sulculo conspicuo distinctè circumscriptì, inter genas extùs et clypeum intùs per- fectè inclusi. Ociili laterales, magni, parum promlnuli, oblongo-ovati, in angulis posterioribus prothoracis. Ocelli, ante oculos et inter se paulò magis quam ab illis distantes. Prothoracis dorsum uniformiter convexum, postico elevatum et anticè sensim declive, hexagonale lateribus inaequalibus , anteriore lato laeviter arcuato, antero-externis rectis divergen- tibus costato -marginatis brevioribus subsinuatis maxime con- vergentibus, posteriore recto, angulis anterioribus fere rectis, exterioribus obsolete rotundatis, posterioribus rectilineis valdè apertis. Scutellum planum aequilaterale, utrinque arcuatim emargi- natum, apice attenuato: disci spatium quoddam notatù dignum oentagonale et sulculo conspicuo circumscriptum. yilae magnae, in quiete abdominis latera obtegentes et ex- ^"^Sitatera superantes. Superiores heterogeneae, regione interna ^^'■''•eà opaca, reliquis membranaceis, regione posteriore late retici,^^^ cellulis interioribus paucis majoribus diflFormibus, i64 Di alcuni generi d' Insetti ec. exterioribus clausis parvulis subquadratis vel rotundatis. Infe- riores, vix breviores, homogeneae inembranaceae hyalinae. Antennae in pagina inferiore et propè originem genarum insertae, parvae, in specimine sub oculis distinctè tri - articula- tae, artlculo primo cylindrico, secundo moniliformi, tertio glo- buloso et sìne seta terminali. — An integrae ? Pedes, forrnae consuetae in hac familià, gressorii, anteriori- bus quatuor inermibus, posterioribus longioribus spinosis. Tìbiae omnes conformes prismaticae triedrae, posterioribus neutiquam compressis, costulis exterioribus 6 vel 7 - spinosis, spinis conico- acutis validis aequidistantibus, costulà interna fimbriatim setu- losà. Tarsia ut in fVolfelld, appendice membranaceo articuli tertii dimidio minore, anteriorum quatuor articulo ultimo reli- quis una longiore, posteriorum art. 1.'"° et 3/'° subaequalibus. Venter in foemind { marem non vidi) medio carinatus, lami- nis lateralibus deorsùm inflexis. Species unica. — Proranus Ghilianii, m. Pror. supra dilutè viridis, subtùs pallide flavescens. Long, totius corporis, 9 millim. — Ead. a capitis apice ad alarum originem, 2, millim. — Ead. alarum superiorum, 8 mil- lim. — Lat. maxima inter angulos posteriores prothoracis, 4? 5o millim. Caput supra, prothoracis dorsum, pectoris latera, scutelli spa- tium discoidale pentagonale alarumque superiorum regio inter- na, impresso -punctata, capitis prothoracisque punctis confusis confluentibus, reliquis rotundis discretis. Corpus subtùs, oculo nudo, laeve, glabrum. Alae, exceptà superiorum regione inter- na, albo hyalinae, nervis concoloribus opacis. Antennae palli- dae. Pedes virescentes. Una f emina del Para, raccolta dal Sig. Ghiliani nel 1846. Mi è sorto il sospetto che questa specie possa riferirsi s G. Xerophlaeum G.' del quale non conosco il tipo; se ciò fos-^' il nuovo nome Proranus sarebbe da essere soppresso. Del Sic. March. Massimiliano Spinola l65 TETTIGONITAE. XXVI. G. Protonesis, m. Jassoideae. N. 3Sf. Tab. synopt. Caput plus latius quam longius, supra planum, subtùs oblique inllexum magis convexum, antico arcuatim porrectum, postico arcuatim emarginatum et prothoiacis marginem anteriorem ambiens. Vertex quadrangularis, transversus, vix tertiam partem pa- gìnae superioris occupans, planus, horìzontalis, anticè sutura costaeformi terminatus et a fronte ( melius facie ) canali lato transverso separatus. Facies laterales capitis ( Ossum frontale ) a margine interno oculorum prodeuntes, medio conjunctae, canalem continuum transversum fere verticalem simul effbrmantes, costis elevatis transversis parallelis a fronte et a vertice in capitis pagina an- teriore pariter separatae. Frons parum convexa, propè canthum antero-inferum oculorum incipientes, anticè angustatae, pone oculos expansae, postico prolongatae ; margine exteriore sinuato , margine interno ad angulos frontis clypeales usque recto, inde rotundato-ernarginato et appendices supra-maxillares extùs involventes, propè apicem iterum recto et angulos apicales clypei attìngente. Appendices supra maxillares^ ut in G. Proranus, minus re- gulariter figurati, breviores, fere aequè lati ac longi. Clypeum planiusculum, medio longitudinaliter carinatum, qua- drangulare, rectilineum, plus longius quam latius, lateribus op- positis sive basilari et extimo sub -parallelis, ultimo latiore. 3Iaxilla inferiore ut in praecedente. Jppendix clypealis ap- paratiisqite manducatorius invisi. Oddi magni et diametro transversali verticis latitudine fere aequales, utrinque posticè prolongati et in contactù immediato cum angulis anterioribus protboracis. Ocelli in medio sinù canalis transversi frontem et verticem inter jacentis, ab oculis et a linea media aequè distantes. i6ó Di alcuni generi d' Insetti ec. Antennae parvae propè canthum antere -inferum oculorum insertae, saltem quadri- articulatae^ articulis quatuor diametro subaequalibus, primo longiore cylindrico, secundo arcuato ob- conico oblique truncato, tertio brevissimo et paitim occultato, quarto globoso in cadavere forato. —r- An integrae ? An in spe- cimine vivo setigerae ? Prothoracis dorsum abbrevlatum et uniformiter convexum , primo visù transverso -ovatum sed reverà AearagoraaZe, lateribus inaeqiialibus, anteriore inaximo in medio rotondato utiinque sinuato, reliquis rectilineis, antere -externis brevissimis paral- lelis, postero -externis et posteriore longitudine subaequalibus, illis valdè convergentibus, angulis posterioribus apertis. Scutellum planum, triangulare, aequilaterale, apice acutum. Abdomen deest et de sexù nil mihi innotescit. Alae superiores homogeneae membranaceae laeves glabrae , nervis parum elevatis, nusquam in quiete sese invicem invol- ventes, margine interno recto, apice separatim rotundatae, re- gionis discoidalis anastomosibus transversis nuUis, regionis po- sterioris cellulis discoidalibus tribus marginalibus quatuor an- gustis elongatis quadrangularibus. Alae inferìores superiorum longitudinis, sub iisdem in quiete reconditae. Pedes inaequales, posterioribus saltem duplo longioribus. Ti- biae lateraliter compressae, anteriorum quatuor costulis externis maxime approximatis fimbriatim setulosis, posteriorum costis tribus seriatim plurispinosis, spinis exterioribus rarioribus ac validioribus. Tarsi tri-articulati, articulo primo reliquis una longiore. Species unica. — Protonesis Delegorguei, m. Proton, niger, supra brunneo-purpureus nigro lineatus. Long, ab apice verticis ad extremitatem alarum superiorum, 5 millim. — Lat. inter angulos posteriores prothoracis, a millim. Impresso-punctatus, dorso purpureo-brunneo, verticis maculis tribus prothoracisque totidem lineolis parallelis in dorso scutelli Del Sic. March. Massimiliano Spinola 167 continuatis nigris. Alae superiores dilutiùs purpurascentes et splendore quodam aureo nitentes, nervis nigris. Inferiores al- bo-hyaiinae, nervis concoloribus. Corpus subtùs cum pedibus nigrum, tibiis tarsisque anterioribus quatuor testaceis. Anten- nae nigrae, articulo primo flavo. — Facies Caelidiarum. Un solo individuo della CafFreria, procedente dalle raccolte Delegorgue. TETTIGONITAE. XXVII. G. Siva, m. Jassoideae. N. 340. Tab. synopt. Caput plus latius quam longius supra planum horizontale, anticè rotundatum marginatum margine incrassato costaeformi, subtùs deorsum declive et parum convexum. Vertex a fronte abruptè separatus, angulo plano paginis dua- bus oppositis efFormato maxime acuto, basi pone oculos utrin- que attenuatus acute productus et angulos posteriores capitis adproximans. Frons minime convexa, deorsùm parum declivis, fere hori- zontalis, a genis sutura sulciformi visibiliter separata, sulculo suturali in pagina inferiore a margine antico immediate pro- deunte, lateribus exterioribus ante insertionem antennarum re- ctis parallelis, ibi sinuato -emarginatis, inde iterum rectis con- vergentibus, margine clypeali rotundato. Genae anticè angustae plauiusculae, propè antennarum ori- ginem foveolatae, inde utrinque dilatatae et oculos ambientes, minime tamen convexae et vix introrsum declives, margine ex- timo late sinuato, latere interno ante angulos posterioi'es si ve clypeales a fronte continuò abeunte appendices supra -maxil- iares involvente et angulos posteriores clypei attingente. Appendices supra- maxillares, ut in praecedente, sutura sul- ciformi circumscripti , ante frontis extremitatem incipientes, anticè rectà truncatae, extùs rotundatae, posticè attenuatae. Clypeum planum, sine carina media, basi fronte angustius, trapezoideum, ti-apezù ut in praecedente. i68 Di alcuni generi d' Insetti ec. .-•< Appendix clypealis et apparatus manducatorius in specimine meo reconditi. OciiU laterales, parum proininuli, oblongo- ovati, supra an- gustiores, vix in extremo apice in contactù immediato cum prot borace. Ocelli in margine antico et costaeformi capitis, ab ocubs di- screti sed parum remoti. yjntennae parvae, in foveolà genarum insertae, mutilae in meo specimine et articulis duobus solummodo instructae, primo infundibiUformi obUquè truncato, secundo moniHformi. Prothoracìs dorsum elevato -convexum, hexagonale , latere anteriore latiore rotundato, rebquis rectilineis, antero-externis divergentibus, postero -externis brevioribus convergeutibus, an- gulis posterioribus valdè apertis. Sciitellurn triangulare, aequilaterale. Alae superiores homogeneae sub-coriaceae impresso -puncta- tae vix translucidae, intùs rectae et nusquam sese invicem in- volventes, postico separatim semi-ellipticae: costis longltudina- libus, in regione discoidali, dicbotomis et cellulas angustas elon- gatas includentibus, in regione posteriore, pluries transversim inteiTLiptis ; cellulis hujus regionis sub-quadratis. Inferiores membranaceae, vix aliis breviores, volatui aptissimae. Pedes, ut in praecedente. Specìes unica. — Siva strigicollis, m. Siv. pallide virens, capite prothoraceque supra transversim strigatis. Long, a capitis apice ad extremitatem alarum superiorum , 9 millim. — Lat. inter angulos posteriores prothoracis, 3 millini. Supra dilutè virescens, subtùs albidus, capitis margine ante- riore incrassato et nigro maculato. Vertex prothoraxque supra strigis paiallelis transversim exarati. Alae inferiores albae, co- stis concoloribus. Un individuo del Coromandel, donatomi dal Sig. Reiche. Anco in questo manca l'abdome e nulla so dire del suo sesso. — Siva., nome della mitologia indiana. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 169 TETTIGONITAE. XXVIII. G. Diglenita, m. Jassoideae. N. 341. Tab. synopt. Cor/»«j deplanatum. \\)V.\\\j /jvniuvbóV i>'Av»\\v\ • 1 Caput plus longius quam latius, supra horizontale, subtùs parum convexum, margine anteriore semi -ovato elliptico. Vertex semi-ellipticus, a fronte abruptè separatus sutura inter- media marginali carinaeformi expansà supra reflexà subtùs depla- natà, posticè laeviter arcuato-emarginatus, pone oculos utrinque attenuatus et fere ad posteriores capitis angulos usque productus. Frons uniformiter ac laeviter convexa, a genis sutura sulci- formi separata, in tota longitudine posticè sensim coangustata, apice clypeali emarginato, angulis posterioribus rotundatis. Genae, in pagina inferiore capitis, raarginis anterioris medium versus sulculo longitudinali a fronte separatae, post antennas ut in praecedente utrinque dilatatae, et intùs appendices supra- maxillares involventes, margine extimo emarginato. Appendices supra -maxìllares parvi, plani, ab angulis fiontis clypealibus prodeuntes, basì angustiores et rectà truncati, inter genas frontem et clypeum perfectè inclusi. Clypeum convexiusculum, sub-ovatum, apice angustius rectà truncatum. Blaxilla ìnferioT, ut in praecedentlbus. Oculi mediocres, parum prominuli, laterales, oblongo - ovati , supra angustati sub-lineares. Ocelli paulò ante oculos, in margine exteriore capitis. Antennae in pagina inferiore, in sinù ipso sulculi genas et frontem intercipientis, fere sub eàdem linea transversà ac ocelli, parvulae, tri-articulatae, articulis duobus primis cylindricis eubaequalibus, tertio globuloso setigero. )ii/,.j 1 Prothoracis dorsum saltem plus duplo latius quam longius, minime convexum, vix anticè declive, quadrangulare, margine anteriore rotundato, lateribus exterioribus rectis sub-parallelis costato -marginatis, latere posteriore utrinque rotundato medio emarginato. Tomo XXV. P." /.- fl2 l 'jo t !f Di alcuni generi d' Insetti ec. rr Scutellum, ut in praecedentibus, triangulare aequilaterale. ,. Abdomen^ segmentis ventralibus tripartitis, parte media reli- quis duabus una latiore uniformiter convexà, lateralibus deorsìirn inflexis. — Genitalìa foeminae, ( marem non vidi ) elongata acu- minata tertiam abdominis totius partem longitudine superant. Alae quiescentes, abdominis apicem etiam superant, volatui aptissimae ut in Siva. Superiores, costis longitudinalibus magis elevatis, in regione posteriore anastomosibus transversis nullis, cellulis limbalibus extimis 3 vel 4 quadrangularibus. Pedes ut in Sivà. u; Siccome tipo di questo genere, possedo un individuo del Capo di Buona Speranza, mandatomi dal Sig. Drege peli' Jas- sus pekastes, Burm. Dovendo presumere che il Sig. Burmeister abbia illustrata questa specie in qualcheduna delle sue egregie opere, ho stimato astenermi dal ridurne la descrizione specifica e limitarmi a rilevare i caratteri che mi sembrano distinguere il G. Diglenita dal G. Jassus. TETTIGONITAE. XXIX. G. Adiaerotoma, m. Jassoideae. N. 346. Tab. synopt. Corpus deplanatum. — Caput horizontale, fere plus duplo longius quam latius, subtùs anticè concavum, ante oculos visi- biliter marginatura margine costaeformi parum incrassato, apice rotundatum, postico arcuatim emarginatum et prothoracis mar- ginem anteriorem ambìens, pagina superiore ab inferiore abruptè separata, sutura intermedia costaeformi. Vertex totam paginam superiorem capitis occupans , pone oculos utrinque acuminatus et ad angulos posteriores perveniens, supra longitudinaliter bicostatus, costis adproximatis flexuosis, linea media canaliculatà, margine laterali medium versus den- tato-sinuato. Frons infera, anticè medio concava, utrinque inflata margine anteriore rotundato, postico convexiuscula angustior elongata, lateribus sub-parallelis, margine clypeali- arcuato, paulù ante oculos a genis sutura sulciformi distinctè separata. Del Sic. March. Massimiliano Spinola 171 Genae, ut in praecedente, breviores et plus latiores quam longiores, margine extimo rectà truncato, post appendices su- pra-maxillares intùs valdè attenuatae et apice acutissimo cum angulis posterioribus clypei conjunctae. appendices supra-maxillares, ut in praecedente. Clypeum elongatum, convexum, lateribus rectis parallelis, apice depressum rotundatum. Maxilla inferior, ut in praecedentibus, paulò longior. Oculi etiam ut in praecedente. Ocelli nulli. Prothoracis dorsum parum elevatum et vix antìcè declive, ut in Q. Diglenita, sed hexagonali hexagoni lateribus angulis- que ut Q. Siva. Scutellum, ut in praecedente. Venter in foeminà [marem non vidi) laminis lateralibus deor- sùm valdè inflexis undè venter concavus videretur, quod per- peram, laminis intermedlis duplo latioribus plus minusve con- vexis, quinta magis elevata. Genitalia exserta minus elongata et tertià totius abdominis parte breviore, valvulis externis inflatis. Alae quiescentes, abdominis latera obtegentes et apicem su- perantes. Superiores hetei'ogeneae, regione interna coriacea opaca, reliquis membranaceis hyalinis, nervis costatis alto elevatis, cel- lulis regionis discoidalis sex oblongo ovatis ( Regio poste- rior in specimine meo deest. ) — Inferìores membranaceae hya- linae, nervis distinctis. Species unica, — Adiaerotoma eupelicoides, m. Adiaer. nigra, capite prothoraceque supra sordide flavis fa- sciis longitudinalibus Fusco - nigris. Long, totius corporis, 9 millim. — Lat. propè alarum origi- nem, 3 millim. Caput, scutellum partim alarumque superiorum regio interna crebre ac distinctè punctata. Prothoracis dorsum strigis paral- lelis transversim exaratum. Scutellum pone medium sulculo transverso arcuato inaequaliter bipartitum, parte postica angu- 172 Di alcuni generi d' Insetti ec. stiore transversim strigata. Caput et prothorax supra testaceo- flavi, verticis canali intercostali prothoracisque fasciis duabus longitudinalibus adproximatis postico angulatim dilatatis nigro- fuscis. Scutelli pars anterìor fusca, maculis quatuor flavescen- tibus notata. Corpus subtùs nigrum, mesosterni disco ventrisque latninis intermediis rufescentibus. Antennae pedesque anteriores quatuor rufo- testacei, posterìores partim concolores femoribus obscurioribus tibiis tarsisque nigro maculatis. Alarum superio- rum costae flavescentes: inferiores albae, costis fuscescentibus. Una femina del Brasile, avuta dal Sig. Buquet nel 1847. Un falso aspetto del Q. Eupelix mi ha suggerito il nome spe- cifico proposto. Non è però col G. Eupelix, ma bensì col G. Hemìpeltis che il G. Adìaerotoma ha le sue maggiori affinità. Anzi sono tali e tanti i loro punti di contatto che stimo utile riportare in breve i connotati caratteristici dell' Hemìpeltis del Chili, affinchè ciascuno giudichi se i due gruppi sieno da se- pararsi o da riunirsi. G. Hemìpeltis. — Vertex (semi-ellipticus) laeviter convexus, margine integro elevato - costato. Frons in tota longitudine uniformiter convexa, postico late rectà truncata. r .-jcnfr Genae propius oculis incipientès. Appendices supra-maxillares basi et intùs rectà truncati, extùs rotundati, apice attenuati. Clypeum pentagonale rectilineum, plus longiore quam latìore, lateribus exterioribus parallelis, angulo apicali valdè aperto. Possedo inoltre i resti di una specie brasiliana che con- serva tuttora i caratteri del G. Hemìpeltis, ma che si distingue dalla specie chilense pel vertice in triangolo curvilineo, e ter- minato in una punta bene pronunziata. TETTIGONITAE. XXX. G. Aglenita, m. Jassoideae. N. 348. Tab. synopt. Corpus, supra mediocriter, subtùs valdè convexum. — Caput supra planum horizontale, spatio interoculare evidenter plus Del Sic. March. Massimiliano Spinola 178 latìore quam longiore, pagina superiore ab inferiore abruptè se- parata, postico arcuato -emarginatum et prothoracis marginem anteriorem ambiens, subtùs convexum. Vertex a fronte sutura elevata costaeformi separatus, apice angulatus, postico pone oculos attenuatus, utrinque ad angulos posteriores capitis usque productus et cum osso magno paginae inferioris non interruptè coalitus. Frons in tota longitudine uniformiter convexa, paulò ante oculos sulculo intùs arcuato a genìs distinctè separata, late- ribus post antennarum originem rectis parallelis, angulis poste- rioribus obsolete rotundatis, margine clypeali angusto arcuatim emarginato. Genae et Appendices supra-maxìllares, fere ut in Adiaerotomà. Illae, post antennarum originem minus depressae, magis elon- gatae, post appendices minus attenuatae, apice intùs rectà truncatae. Hi, margine exteriore semi -ovato, interiore recto, apice obtuso arcuato. Clypeum angustum sub lineare, postico sensim laeviter atte- nuatum, extremitatibus oppositis arcuatis. Oculi laterales, oblongo - ovati ut in praecedente, sed minus elongati et supra minus angustati. Ocelli nulli. Antennae in pagina inferiore capitis, in foveolà genarum propè sinum frontalem, inter oculos insertae, articulis tribus conspicuis instructae, primo longiore sub-cylindrico, secundo crassiusculo moniliformi, tertio parvulo tenuiore setigero, seta terminali reliquis articulis una quadruplo longiore, pseudo- ar- ticulis plurimis indistinctis conflatà. Prothoracis dorsum transversum, reverà hexagonale, lateribus oppositis id-est anteriore et posteriore sub-aequalibus parallelis pariter arcuatis quocircà dici potest Prothorax lunatus, reliquis rectis, antero-externis longioribus, angulis exterioribus acutiu- sculis, posterioribus obsolete rotundatis. Scutellurrii ut in praecedentibus. Pectus elevatum, mesosterno praesertim maxima inflato, coxis secundi paris ab iisdem primi paris remotioribus. 1 74 Di alcuni generi d' Insetti ec. Venter, in utroque sexù, concavus, laminis lateralibus deorsùm perpendiculariter deflexae, intermediis planis. — In foemind, segmentum ultimum genitalia sistens reliquls una longius. — In mare, segmentum penultimum late arcuato - emaiginatum , ultimo reliqua una vix longitudine aequans. Alae quiescentes abdominis latera et apicem longè supGran- tes, homogeneae, membranaceae hyalinae, nervis tenuibus pa- rum elevatis. Superìores paulò longiores, nervis longitudinalibus parum ramosis, anastomosi transversali unica sub - marginali , regio nis posterioris cellulis apicalibus tribus elongatis quadran- gularibus. Pedes, formae consuetae in hac familià, tibiis posticis, ut in praecedentibus. Species unica. — Aclenita bipunctata, m. Agi. pallide virescens, vertice nigro bipunctato. Long, a capitis summo apice ad extremitatem genitalium, 5 9 millim. cf 8 millim. — Ead. alarum superiorum in utroque sexù, 9 millim. — Lat. ante alarum orlginem, 3 millim. — Al- titudo media mesopectoris, 3 millim. Oculo nudo glabra laevis nitida, supra pallide virescens, subtùs albida, in medio verticis loco ocellorum puncti duo nigri caecì. Antennae pedesque pallidi. Alarum costulae, albae opacae. Abita neir America meridionale. I due sessi del Sig. Bu- quet, il maschio di Gajenna, la femina del Brasile. TETTIGONITAE. XXXI. G. Selenopsis, m. Jassoideae. N. 349. Tab. synopt. Il tipo di questo genere mi fu mandato dal Sig. Parreyss col nome Jassus chrysographus. Dubitando che possa essere stata descritta, farò come pel G. Protonesis e mi limiterò a indicare i tratti che la contraddistinguono da tutte le altre Jassoidee senza ocelli. Curn Diglenità convenit capitis spatio inter- oculare plus la- tiore quam longiore paginàque superiore ab inferiore abruptè Del Sic. March. Massimiliano Spinola lyS separata. Ditt'eit praesertini pectore laeviter convexo, mesosterno nec inflato nec magnitudine aucto, altitudine maxima mesope- ctoris vix quarram longitudinis partem adacquante, coxisque secundi et tertii paris inter se minus remotis. Character hic essentialis et naturalis milii videtur. Differentiae aliae minoris momenti habeantur. Vertex evidenter lunatus a quo nomen Selenopsis, margine anteriore tenui carinaeformi neutiquam su- pra reflexo. Oculi angulos posterioi'es capitis attingentes. An- tennae, articulis duobus primis subaequalibus, conformibus, cy- lindricis. Alae superiores opacae coriaceae. Da riferirsi a questo genere sembrami una seconda specie del Natal raccolta pure dal viaggiatore Delegorgue. Selenopsis sub-aptera, m. — Minor, long, totius corporis, 4 millim. — Lat. propè alarum originem, i, 5o millim. • $ Dilutè grisescens, subtùs pallidior. Alae superiores virescen- tes. Inferiores 2, rudimentariae et volatui ineptae. Abdomen rubescens. Pedes pallidi, tibiarum posteriorum costis tribus pa- riter fimbriatim plurispinosis, spinis validioribus conico -acutis. — 31as, invisus. TETTIGONITAE. XXXII. G. Strongylomma, in. Jassoideae. N. 35o. Tab. synopt. Facies Bythoscopi, sed Ocelli nulli. — Corpus fere triangulare, postico attenuatum. Caput utrinque productum et prothoracem postico ambiens, spatio inter -oculare evidenter plus latiore quam longiore, osso magno cranii supra vel extùs neutiquam bipartito et a pagina superiore ad inferiorem sensim transeunte; facie antica transversim rectà perpendiculariter arcuata, facie infera oblique declive, minus horizontale, a genis sulculo sutu- rali separata, lateribus rectis convergentibus, margine clypeali rectà truncato. Vertex et frons ideò in osso magno confusi. Genae, appendices supra- maxillares, pedes et etiam alae su^ periores partim propè apicem sese invicem involventes, ut in Bythoscopis proprie dictis, A. S. Antennae mutilae. 1 7^ Di alcuni generi d' Insetti ec. ;CI Species unica. — Strongylomma caffra, m. Strong. dorso nigro flavoque variegato, alis superioribus ob- scuris viridi -lineatis. Long, totius corporis, 4 miUim. — Ead. alarum superiorum, 4 millim. — Lat. maxima inter angulos posteriores capitis, a, a5 miliim. — Ead. propè originem alarum, a millim. — Ead. spatii inter -ocularis, i, 5o millim. Prothorax transversus, vix quadrangularis, anticè rotundatus, postico rectà truncatus, lateribus exterioribus brevissimis rectis sub-parallelis. Venter foeminae ( marem non vidi ) medio planus, laminis lateralibus parvulis deorsum oblique deflexis : segmen- tum genitalia sistens rellquis una longlus, valdè convexum, neutiquam posticè attenuatum, circuitù externo semi -ovato. — Nigra laevis nitida, capite prothoracisque dorso flavo irroratis , genarum fascia lata marginali appendicibus supra-maxillaribus scutellique maculis nonnuUis linearibus flavis. Antennarum ar- ticuli i.""' et a."^' nigrescentes ; ( reliqui desunt. ) Alae basi ob- scurae, apice hyalinae; superiores, nervis longitudinalibus in regionibus discoidali et posteriore rectis parallelis flavo -vire- scentibus, reliquis fuscis. Pedes rufi, posteriorum tarsis tibiis- que nigris. Una femina della Caffreria , procedente anch' essa dalle raccolte Delegorgue. È innegabile la somma affinità di questa Jassoìdea coi Bi- toscopi in genere. Anzi potrei asserire che 1' unico carattere che la separi dalle specie spettanti al gruppo più ristretto G. Bythoscopus^ A. S. consiste nell' assenza degl'i- ocelli. Ma se gli ocelli sono inservienti alla visione, siccome nessuno ne dubita, l'assenza di questi organi è un carattere naturale di primo grado. liì aiTìan Del Sic. March. Massimiliano Spinola EPIRATA DEIiliA PRIMA ITII:M0KI.% : III inoriYr; .1) 177 ^i.:v Titolo, pag. 43, linea 3 - FLEMIPTERA leggi Introduzione, pag. 44, lin. 34 - gruppi materiali » ib. » 45, » 24 - Intanto, dal canto mio, a riprendere » t6. > — » 33 - Flemipteres » 16. » 47, • 7-8 - Flemiptera » ib. » 48, • 34 - Omologo . . T~" . . .' .".' . » ib. . > 49, > 15 • I due estremi > ib. • 51, » 30 - Fra gli Eclinoglossati ... > li. • 53, • 15-lG - stale prese, per righe » insignificanti quando era- no risaltanti e figurate in coste o in carene. . . . ib. •> 59, I 19 - Àuthognati » ib. » 61, » 18-19 - Calostomophora, .... » ib. > 63, » 22 - Calostomophori apocephalo- ceri I Tab. lynopt. , pag. 64, n. 3 2 - * ZOTICA, sui conscientiae leggi ib. , — n. 9 8 - * ENDOMYARIA , pedibus . novem vel amplius. . . ib. » 72, Un. 24 - G. Drachystetus, Lap. . . » «6. » 74, 1) 12 - Vussireae , > ib. • — s 2i) - G. Tausocercs, » ib. » 75, • 6 7 - oeellis alis inferioribus ma- » niFestè conspicuis .... «6. • — » 23 - 73. G. DvRODORES, m. . . » ib. » — .40-77. G. Cysarcoris, H." . . . ib. » 76, s 19 - 85. G. Agmoscelis, m. . . » ib. • — . 33 - 91. G. Hyperas, A. S. . . • ib. » 80, » 42 - G. nymeniphere , Camplis- chuim, > ib. > 81, • 44 - 149. G. Plaisceiis, ra. . . » ib. > 82, • 48 - 164. G. Gerzis, Fab. ... • ib. » 86, 0 44 - 209. G. Conorcbinos, Lap. i ib. > 89, . 26 - 235. G. Mononyxa, Lap. . • 16. » 90, » 7 - G. Octocdlae, A. S • Tomo XXF. P.'^ /.» HEMIPTERA gruppi naturali Intento, dal canto mio, a riprendere IIemÌ2>teres Hemiptera analogo I due esterni Fra gli Ectramoglossati state prese per striglie insignificanti quando scavate a solchi, e per coste o carene accidentali quando erano risaltanti in rilievo. Antliognati Bypostomophora , Ipostomofori apocefaloceri. * ZOTICA , extes sui conscientiae * ENDOMYARIA, pedibus decem vel amplius. G. Drachystetus, Lap. Vulsirea , G. Taorocerus, oeellis distinctis. Alis inferioribus per- fectis. 73. G. Dyroderes, m. 77. G. Eysarcoris, H." 85. G. Agonosceus, m. 91. G. Hyverus, a. S. G. Tlymeniphera, Camptischium, 149. G. Plaxysceiis, m. 164. G. Gersis, Latr. 209. G. CopiORHiNus, Lap. 235. G. .Mo^o^YX, Lap. G. Octorellae, A. S. a3 178 Di alcuni generi d' Insetti ec. Tab, synopt., pag. 91, lin. 34 - 253.''' G. Coiypioproctos, m T'.'I'T .... leggi 253.'" G. Calypioproctds, m. ib. • 94, » 29 - 291. G. Sycoderes, G.' . . • 291. G. Lycodebes, G.' •6- » 95, ^ 21 - 301. G. AcoNOPHosA, L. F. • 301. G. Aconopbora, L. F. ib. I 96, > 30 - 314. G. Plintbaerds, m. . i 314. G. Plinthacrds, di. ( La voce latina Àppendix è or mascoliaa or feminina presso i classici antichi. Ho usato di pre- ferenza il primo genere, ma alle pagine 55, 60, 63 e 64 ho impiegato il secondo. Mi rincresce non essere stato costante nella prima pratica , ma non ho potuto accennarvi nelP Errata perchè non vi è in realtà errore grammaticale. ) SECONDA iriEI?10RIA Pag. 104, lin. 8 - Plataspis dispar, ra. — leggi: — Plataspis Bucephalos, White, Tram, of the Entomol. Soc. of London, tomo 4°, pag. 248 e tab. xvii, fìg. i'. — Il volume quarta delle Tran- sazioni entomologiche di Londra, sebbene spettante all'anno 1845, non mi è stato rimesso che nell' anno corrente, in seguito a un male inteso nel pagamento della mia annua cottizzazione e non mi è giunto se non dopo eseguita la stampa del foglio 14 di questi Alti. .ric,d.»ar„ 179 SUir EZIOLOGIA DELLA GLUCOSIRIA DEL SOCIO ATTUALE PROF. MAURIZIO BUFALINI tuli? f Ricevuta il 7 Marzo 1850. 1. J^appoichè mi occorse d'osservare tanti infermi di Diabete mellito quanti ordinariamente non si offrono alla pratica d' un solo medico, bene estimo di non dovere defraudare la scienza della fedele narrazione di quelle risultanze di fatto, che mi parvero acconce a portare alcun lume sopra una malattia an- cora ben poco conosciuta. Né perciò io vorrò certamente che le mie parole prendano modo ed estensione d' una monografia del diabete, ma solamente accennino a quelle particolarità di esso, che, osservate ne' miei malati, mi sembrano valevoli di moderare in qualche guisa le piìi ricevute sentenze dei Clinici. In tre parti dividerò io il mio discorso, la prima delle quali comprenderà alcune considerazioni suU' Eziologia , la seconda sulla Semeiotica e la Natura, la terza sulla Terapia del diabete mellito: e ciascuna di queste parti tratterò pure in tre piccole distinte Memorie, delle quali la prima è questa appunto che ora oflro sotto il titolo di Considerazioni sulV eziologia della Glucosuria. a. Avvenne del diabete quello stesso, che di molt' altre malattie dovemmo deplorare; cioè che, affidatane la denomi- nazione soltanto ad un certo insieme di sintomi, si compresero poi sotto lo stesso nome tutti quegli stati morbosi diversi, che erano suscettivi d'originare gli anzidetti sintomi. In tale modo tutte le poliurie diverse, qualunque ne fosse l'origine, vennero ]8o Sull'Eziologia della Glucosuria ec. considerate come altrettante maniere di diabete; onde poi molto fu difficile di bene definire questa malattia, e parecchi infine la suddivisero molto diversamente in ispecie non poche. Finalmente, intraveduta da Pool e Dobson nel 1771 l'esi- stenza d'una materia zuccherina nelle, orine dei diabetici, ri- conosciutavi da Cawley nel 1778 e da Pietro Frank nel 1791, assolutamente dimostratavi da Nicolas e Guendeville nel i8o3, i Clinici intesero bene, quanto per la singolarità d' un tale fenomeno meritasse d'andare distinta da ogni altra la malattia che seco Io porta. Cosi il diabete detto mellito o zuccherino si cominciò a considerare come malattia molto particolare e divei'sa dalle semplici o sintomatiche poliurie ; né poco per verità egli è da maravigliare, che a' nostri giorni Bouillaud e Andrai non abbiano fatto tutto il dovuto conto d' un cosi pe- culiare fenomeno diabetico, ed abbiano tuttavia riguardato il diabete come una malattia, della quale sia precipuo fenomeno uno scolo d'orina molto più copioso che nello stato normale (i). Io non potrò certamente abbandonare il principio, che unica- mente reputo acconcio a fornire la base d' una sana ed utile nosologia, vale a dire quello che comanda di stabilire le dif- ferenze delle malattie sopra le reali diversità degli stati mor- bosi, dimostrate dalla complessiva considerazione delle attinenze reciproche delle cause, dei fenomeni e dei mezzi di cura delle nostre infermità. Ora, allorquando le orine rendonsi zuccherine, le cause, i fenomeni ed i modi di cura additano così peculiare lo stato morboso dell' organismo, che simile certamente per tutti gli indicati attributi non appartiene a verun' altra malat- tia. Però le poliurie, che i Clinici considerarono variamente sotto i nomi di diabete idiopatico e simpatico, isterico, artri- tico, febbrile, spastico, torbido, vinoso, artificiale ecc., non si possono certamente confondere col diabete mellito ; col quale solamente hanno comune il flusso abbondante delle orine, e questo eziandio non sempre, giacché 1' orina può bene essere (1) Veyg. Moniieiet et Fleury; Compend. de Médecine Pratìqite ec. Tome 3."",pag. 28. Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini l8l zuccherina e l'infermo manifestare tutti gli altri contrassegni del diabete, ma tuttavia non abbondare la secrezione e 1' escre- zione dell' orina stessa, o almeno non abbondare in tutto il corso della malattia. Quindi entro io di buon grado nell'avviso di coloro, che il diabete mellito considerano come una malattia specifica, onninamente distinta da tutte le altre; della quale essenziale e patognomonico segno si costituisce finora nella presenza della materia zuccherina nelle orine. Si potrà essa denominare, se vuoisi, diabete mellito, o zuccherino; ma pure, ad evitare la confusione che necessariamente prorompe dalle voci usate a significare subbietti diversi, io amerei che la ma- lattia, la quale si palesa pel flusso d'orina zuccherina, si chia- masse con nome suo proprio, quale essere potrebbe quello di Glucosuria, che varrebbe appunto flusso d' orina contenente quella particolare materia zuccherina, che appai'tiene a tale malattia e che si è detta glucosa o glucosio. 3. Undici sono i malati di glucosuria raccolti in queste sale della Clinica medica; e volendo ora portare tutta la do- vuta considerazione sulle particolarità eziologiche più impor- tanti, che essi mi hanno offerte, veggomi pui'e necessitato di premettere un' avvertenza, che stimo fondamentale. Già da molto tempo prevalse nella medicina la consuetudine di riguar- dare come cagioni morbifere tutti quegli avvenimenti della sa- lute, nei quali s' incontrarono gì' individui prima di cadere in alcuna particolare infermità, senza però mettersi ancora gran fatto la sollecitudine di ricercare, se poterono tutti avervi, o vi ebbero realmente alcuna influenza. Dall'omissione di questa indagine sono provenute due grandissime imperfezioni nella eziologia delle umane infermità ; vale a dire un eccessivo nu- mero di cagioni si è assegnato a ciascuna di quelle, e cagioni del tutto contrarie sonosi credute atte alla generazione d' una stessa malattia. Ora io porto opinione, che, a riconoscere le influenze morbifere delle circostanze tutte della vita d' un in- dividuo, occorra di attendere accuratamente ad uno di questi tre contrassegni; cioè i° che, posta una data influenza, siasi i8iì Sull'Eziologia della Glucosuria ec. osservato succedere ad essa o sempre, o almeno il più delle volte, una stessa malattia; a° che, posta pure una determinata influenza, la malattia siasi veduta succedere con modi così particolari, da non poterli noi evidentemente riconoscere da altra influenza; e questi due sono contrassegni empirici; 3° fi- nalmente, che l'influenza precorsa sia di tale nota efficacia, che secondo le conosciute leggi fisiologiche si comprenda vale- vole d'originare la succeduta malattia; e questo è contrassegno razionale desunto dalla fisiologia. Giovi chiarire con qualche esempio questi troppo necessarj fondamenti dell' induzione ezio- logica delle malattie umane. Di quanti individui s' espongono all' influenza del miasma paludoso o del freddo umido dell' at- mosfera, un sì gran numero ammala nel primo caso di febbri periodiche, e nel secondo di reuma o di flogosi, che ninno certamente saprebbe mettere in dubbio 1' una e 1' altra ma- niera d'influenza morbifera delle indicate cagioni, ancorché gli manchi modo di comprendere, come essa veramente operi a generare gli accennati effetti morbosi: ecco un argomento em- pirico desunto dalla costante, o almeno assai frequente succes- sione dell' efl^etto morboso all' azione della cagione morbifera. La violenza e subitaneità dei fenomeni, che insorgono dopo r ingestione di qualche notabile quantità di sostanza venefica ; i vomiti , che immediati sopravvengono all' ingestione degli emettici; le dispnee e le emorragie, che subito assalgono co- loro, i quali, salendo nelle alte regioni dell' atmosfera, si sot- topongono a grande diminuzione della pressione di essa ; sono tali condizioni morbose, che per la qualità, la subitaneità e la violenza dei fenomeni loro dimostrano bene evidentemente di provenire dalle influenze insolite, che allora hanno avuto ef- fetto suU' organismo umano ; ed ecco un altro argomento em- pirico desunto dalla peculiarità dei modi, coi quali si palesano gli effetti delle cagioni morbifere. Finalmente sonosi osservati gì' individui, che vivono in aria umida non abbastanza rinno- vata, cadere talora nell' idroemia, talora nello scorbuto, talora nelle febbri tifoidee ; ma questi avvenimenti non sono certa- Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini i83 mente molti in confronto di quelli assai più numerosi, che ad- dimostrano illesa la salute d' individui viventi a press' a poco sotto consimili o identiche influenze. E in tali casi gli stati morbosi si generano pure sì lentamente, e diremo eziandio sì occultamente, che ninna particolare maniera di fenomeni in- sorge certamente, abbastanza cospicua, a palesare la connes- sione delle sopravvenute malattie colle precorse influenze mor- bifere. Né il primo dunque, né il secondo argomento empirico vale allora a disvelare le vere cagioni che operarono alla ge- nerazione del morbo: e perciò qui appunto soccorre la fisiolo- gia, e dimostrando la nota efficacia di quelle sull' umano or- ganismo mette pure in chiaro, se essa risponde o no colla na- tura dell' insorta malattia. Così, sapendo noi dalla patologia essere 1' idroemia, la diatesi scorbutica e quella delle febbri tifoidee disordini speciali dello stato assimilativo, la fisiologia e' insegna inoltre che un'aria carica di sola umidità, o di questa e di vapori animali, e quindi male atta agli ufficj dell' ematosi, ed acconcia eziandio alla generazione di processi re- gredienti delle metamorfosi organiche, ha per lo appunto un' influenza valevole di generare le suddette diatesi morbose: ed in questo modo i deboli argomenti empirici avvalorati da que- ste analogie desunte dalla fisiologia ci apprestano ragione suf- ficiente a credere alla realità della supposta influenza morbi- fera delle sopraddette cagioni. Tuttavolta m' accade ancora di dovere qui risolvere una difficoltà, che facilmente corre per questo riguardo all' animo di chicchessia. Un corpo digradato dalla perfezione della salute trovasi senza dubbio meno fermo nelle sue condizioni organico-vitali, e piij atto perciò a cedere all' impulso delle potenze sconcertatrici : quindi si potrebbe di leggieri presumere, che ogni qualità di cagione morbifera, ope- rando lentamente sull'organismo umano, lo disponesse pure ad infermare più facilmente di qualsivoglia malattia. Una siffatta supposizione però dà manifestamente nel falso e nell'eccessivo; imperocché certuni effetti delle ragioni morbifere allontanano anzi di più 1' organismo stesso da certi altri ; come sarebbe i84 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. r idroemia rispetto alla diatesi flogistica ; questa rispetto alla dissolutiva; la gotta riguardo alla tubercolosi; la pletora riguardo all' oligoemia, e via via discorrendo. Queste considerazioni di- mostrano apertamente, che fra le cagioni moi-bitere ed i con- seguenti stati morbosi corre senza dubbio un' attinenza , che può esisteie con certune, e non con certe altre ; e che quindi grandemente erroneo si è il riguardare come causa d'una ma- lattia, qualunque insolita influenza abbia innanzi operato sull' individuo. Tutto questo ammesso, come indispensabile fonda- mento a bene estimare il valore delle cagioni morbifere, noi imprendiamo ora ad esaminare brevemente quello che ci sia lecito di pensare di ciascuna delle cagioni già dichiarate ac- conce alla generazione del diabete mellito. 4- Si è detto in primo luogo, che la glucosuria tiene alle disposizioni ereditarie ; e gli uomini ne sono presi più delle donne ; e la media età, quella specialmente compresa fra i a5 e i 35 anni, vi predispone sopra tutte le altre, ed i fanciulli vi soggiaciono anche meno dei vecchi. La ragione di queste sentenze ordinariamente non viene esposta ; ma bene si può supporre che tutte esse derivino dalle più frequenti dimostra- zioni dell' esperienza. Ciò non pertanto che cosa in questo proposito ricavare si possa dalle mie osservazioni, non fìa inu- tile di brevemente disaminare. 5. Degli undici diabetici da me osservati ninno discendeva da genitori diabetici ; e perciò ninno somministrava ragione di riconoscere ereditaria la sua malattia. Il fatto singolare, notato da Isenflamm, di sette fanciulli presi dal diabete in una stessa famiglia, ed altri consimili osservati da altri vengono messi in- nanzi come validi argomenti dell' influenza delle provenienze di famiglia nella generazione del diabete ; e quanto alla vera natura ereditaria della malattia notabilissimo a me sembra cer- tamente il fatto narrato da Barsley sulla fede di Front, di quattro cioè, che fra venti diabetici discendevano da genitori diabetici. Questa proporzione sarebbe considerabile a segno, da potere muovere giustamente il dubbio, che 1' avvenimento Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini i85 non fosse del tutto fortuito, e la malattia dei genitori avesse realmente influito alla generazione di quella dei figli. Pure tutti questi fatti non proverebbero la trasmissione dello stato morboso dai genitori nei figli, quando da quelli in questi po- trebbe essere trapassata la sola fisica costituzione, che rende il corpo proclive alla stessa malattia, come appunto oggi giorno si crede che bene dai genitori ai figli si trasmetta la comples- sione organica disposta alla scrofola, ma non la scrofola stessa. Però, quantunque si voglia credere la nascita apportare un'in- fluenza sullo sviluppo del diabete, rimane tuttavia a cercarsi, se debba dirsi semplicemente congenita, o veramente ereditaria la predisposizione, che gì' individui portano seco, nascendo. Gli esempi meno rari sono quelli senza dubbio di necessaria pre- disposizione congenita ; rarissimi all' incontro quelli di possibile ereditaria influenza. Ne' miei malati per altro non si riconobbe nemmeno alcun contrassegno di qualche peculiare predisposi- zione congenita; e poiché per una malattia rara ad accadere non è forse ristretta osservazione quella d' undici infermi, do- vrei credere piuttosto difficile, che facile ad occorrere una tale congenita predisposizione. E questa sarebbe la deduzione -più severa, che noi trarre potremmo dai contrassegni empirici re- lativi a questa maniera di cagione predisponente della gluco- suria. Aggiungendo però le considerazioni, che ricavare possiamo dalla fisiologia, ci è agevole d' arguire, anzi grandemente pro- babile la facilità d' una congenita predisposizione alla malattia predetta. I morbi, che più soggiaciono all' influenza delle pre- disposizioni congenite, sono quelli appunto, che più si collegano col modo d'essere della primitiva composizione organica e dello sviluppo successivo di essa; che vuol dire tengono maggior- mente all' influenza del processo delle assimilazioni organiche. Ora che la glucosuria sia da collocarsi fra le malattie di que- sta natura, non pare certamente impugnabile per due ragioni principalmente : per non avere cioè trovata ancora una sensi- bile alterazione d' organismo, nella quale costituire si possa il vero stato morboso di essa, e per essere quella essenzialmente Tomo XXF. P.'^ /.- 24 i86 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. congiunta con un particolarissimo disordine dei prodotti delle assimilazioni organiche. Come tale la glucosuria, può dunque facilmente tenere alle predisposizioni congenite; non si potrebbe egualmente riconoscere collegata colle influenze ereditarie. Però, se le cliniche osservazioni dimostrano molto più frequenti gli esempi delle predisposizioni congenite, che non quelli delle ereditarie, la ragione fisiologica s' accorda appunto con questo empirico contrassegno, disvelando bensì la facile maniera del generarsi le predisposizioni congenite, e non additandone ve- runa a comprendere le ereditarie. Pure sarebbe eziandio ne- cessario di potere in qualche modo definire le qualità della fisica individuale originaria costituzione, alle quali maggiormente s'attiene la generazione della glucosuria; il che vedremo, se dall' esame dell' influenza del sesso, del temperamento, delle età e delle consuetudini della vita ci possa in alcuna maniera apparire. 6. Tutti i Clinici affermarono essere il diabete molto più frequente negli uomini, che nelle donne, fino al punto che Pietro Frank ne attesta di non avere mai osservato alcuna femmina diabetica. Io fra gli undici miei malati contai otto uomini e tre femmine: proporzione certamente molto acconcia a confermare la comune sentenza dei Clinici. Forse ella è questa una delle influenze meglio certificate dai contrassegni empirici: i quali all'incontro non ci apprestano eguale ragione a riconoscere 1' influenza delle età. 7. Fra i miei malati quattro furono colpiti dalla glucosuria fra i 17 e i aa anni, due fra i a5 e i 35, quattro fra i 87 e i 4^, uno all' approssimarsi degli anni 5o. L' età pubere, e quella più oltre degli anni 35 sarebbersi dunque fra i miei malati dimostrate le più influenti alla generazione della gluco- suria, contrariamente all' affermazione di coloro, che dicono soggiacere ad essa soprattutto gì' individui dell' età dai 2.5 ai 35 anni. La prima di queste statistiche dimostrazioni s' avvi- cinerebbe pure all' osservazione di Venables, che dichiara di avere veduto frequente il diabete nei fanciulli. Se non che Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 187 per verità le concordi osservazioni sopra questo particolare scarseggiano tanto, che ninna conclusione Lastcvolrnente fon- data potrebbesene al certo ricavare ; ove almeno non fosse questa sola, che cioè nelle età più estreme della vita la glu- cosuria occorre certamente più di rado. 8. Intorno al temperamento poi, considerato come causa predisponente della glucosuria , le sentenze dei Clinici sono pure cosi discrepanti, che Raimann ebbe ad affermare niente constare ancora di ciò che nella costituzione umana forma la predisposizione alla glucosuria. Pure le mie osservazioni mi condurrebbero in ben altra conclusione. Degli undici miei in- fermi di glucosuria sette avevano 1' abito venoso -linfatico, tre il linfatico semplice, ed uno il linfatico -nervoso. In questo modo alcun che di linfatico era nel temperamento di tutti, e ciò molto concordei-ebbe colla testimonianza di Cawley, che dice la costituzione linfàtica del corpo predisporre possentemente alla glucosuria. Né per malattia piuttosto rara la costanza di una simile complessione organica in undici individui presi da quella è certamente un fatto di picciolo momento ; il quale a me sembra molto acconcio a dimostrare, che non certo gli as- solutamente linfatici, né molto meno i solamente sanguigni o nervosi soggiaciono più facilmente alla glucosuria, ma bensì quei corpi che nella loro costituzione hanno qualche qualità media fra il linfatico ed il sanguigno, ovvero anche il nervoso; che vuol dire possedono eglino uno stato tale d' assimilazione organica, che è più progredita che in quelli di puro tempera- mento linfatico, e meno che nei veramente sanguigni e nervosi. Fu detto ancora che la glucosuria sorprende spesso gì' individui d'abito scrofoloso; ma per verità fra i miei infermi solo una giovane era stata afflitta da intumescenze scrofolose e da sup- purazioni dei ganglj linfatici molto prima di cadere nella glu- cosuria ; e cosi non potrei veramente per le mie osservazioni riconoscere le malattie scrofolose già manifeste, come causa predisponente della glucosuria. Ciò non pertanto io non potrei nemmeno non ravvisare la costituzione organica dei miei dia- i88 Sull' Eziologia della Glucosuria ec. betici molto simile a quella degli scrofolosi. Qui non posso cer- tamente sopra questo argomento entrare in molti particolari; ma pure siami solo permesso d' accennare brevemente quanto più può tornare in acconcio al mio assunto. 9. Nella Parte II. dei Prolegomeni alle Instituzioni di Pa- tologia Analitica mi sono già studiato di comprovare, che la materia organica nella serie degli animali, nello sviluppo degli individui, nella coalizione delle parti organiche divise nel vi- vente, nella riproduzione d' alcune recise o perdute, nell' atto stesso dell'ordinaria nutrizione, e nelle pseudomorfosi sale per gradi allo stato della più completa composizione organica e del più pieno sviluppo delle sue forme e prerogative organico -vi- tali ; che le granulazioni albuminose sono il primo generale elemento morfico; che dalle granulazioni suddette si passa alla formazione dei globetti bianchi del sangue, quindi dei rossi e della fibrina ; che la generazione di nuovi viventi e di nuove parti organiche comincia sempre dall'albumina; che l'ossigeno è 1' agente vero, il quale attua la successione delle formazioni organiche ; che evidente documento di questa grande legge dell' evoluzione organica abbiamo nell' uovo incubato, ove da sola albumina col mezzo della sola influenza dell' ossigeno at- mosferico si generano tutti i tessuti del nuovo vivente fino alla maggiore loro diversità e al maggiore loro grado di com- posizione organica, quali si osservano negli uccelli; che nella serie degli animali, e nel sesso d' una stessa specie di questi, e nelle diverse età d' uno stesso individuo si osserva mai sem- pre prevalere nell' organismo 1' albumina, in proporzione che difetta il processo della respirazione; e viceversa prevalere la formazione dei globetti rossi sanguigni, la maggiore perfezione di essi e lo sviluppo maggiore della fibrina e del tessuto mu- scolare, in proporzione che si estende l'apparecchio respiratorio, e si allarga perciò la funzione di esso; che nella serie degli animali e negli stessi individui d' una stessa specie la fecon- dità si proporziona non poco colla preponderanza dello stato albuminoso nell'organismo generatore; che infine le riproduzioni Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 189 organiche pure sono tanto più facili e intere nei diversi ani- mali, quanto più in generale si mantiene in essi la prevalenza dello stato albuminoso; cosicché nei più perfetti, come nei mammiferi e negli uccelli, le riproduzioni organiche sono gran- demente limitate, e la materia organica per servire ad esse e alla nutrizione medesima dell' individuo ha bisogno di passare per una serie maggiore di metamorfosi organiche progressive , e richiede una serie maggiore di organi inservienti alle funzioni assimilativ^e. Tutte queste credo sieno grandi verità fisiologiche, che oggigiorno la scienza ha conquistate soprattutto per le di- ligenze dei microscopisti e degli studiosi della chimica animale : ma esse appunto gettano molta luce suU' oscura natura della diatesi scrofolosa. Per questa, come veggiamo i corpi disposti a depositi amorfi generalmente albuminosi, quali sono tra gli altri i tubercoli, li scorgiamo pure assai fecondi di pseudomor- fosi di molte maniere, e di quelle specialmente in cui meno prevale 1' influenza diretta dei globetti rossi sanguigni. L' in- fanzia, in cui scarseggia ancora 1' influenza del processo della respirazione e prevale perciò lo stato albuminoso, e facile si osserva la generazione degli entozoi ed epizoi, è sopra tutte le altre età percossa dalla scrofola. Le femmine, certamente più albuminose degli uomini, mettono pure nella generazione dei nuovi viventi un' opera assai maggiore che quella di questi, e sono anche più di essi soggette alla scrofola : né raramente veggonsi ricchi di prole i genitori scrofolosi, e le donne nel corso della tubercolosi polmonare producono pure non infre- quentemente figli più del solito sviluppati. Per quanto poi sieno varie le descrizioni, che i Clinici hanno fatte dei contrassegni esteriori dell' abito scrofoloso, tutti non di meno si accordano nel riconoscere nei maggiormente disposti alla scrofola una tale costituzione di corpo, che, colla pienezza delle membra, colle forme rotondeggianti, colla bianchezza e finezza della cute, coU'abbondanza e finezza dei lunghi non neri capelli, col roseo vermiglio delle guance e di tutta pur anche la cute, addimo- stra congiunta la non molta ampiezza del torace, la poca rile- 190 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. vatezza ed energia dei muscoli, il delicato sentire e la dolcezza simpatica della lisonomia e delle maniere : tutti caratteri fisici e funzionali, i quali attestano bene la scarsezza dell' influenza dei globetti rossi sanguigni e della fibrina, ma non certamente quella dei primitivi elementi organici; onde il tessuto cellulare sviluppato assai più che il muscolare, e la prevalenza ancora del nerveo sopra di questo, come appunto si scorge e nelle femmine e nei fanciulli. Ne quasi altro che un ammasso vero d' albumina pajono i corpi dei cretini, che sono afflitti dalla diatesi scrofolosa in guisa da parere lo stato loro non altro che r estremo effetto di questa tristissima temperie dell' umana costituzione. Cosi estimo che 1' empirismo clinico abbia abba- stanza fatto conoscere che veramente i più scrofolosi sono ezian- dio di corpo maggiormente albuminoso (i). Che se poi parve potere ogni maniera di temperamento soggiacere alla scrofola , e perciò si disse esserne assaliti i linfatici, i sanguigni ed i bi- liosi pur anche; e cosi coloro che hanno bianca finissima la cute, ed altri a pelle bruna e forte ; quelli a capelli biondi e sottili, e quelli a capelli grossi e neri ; gli adusti, e i carnosi ; i coloriti, e i pallidi; i bene costrutti, e i contraffati dal rachi- tismo; i sensitivi, e gli apati; gl'ingegnosi, e i ci-etini ; ciò non pertanto in mezzo a sì grande diversità di esteriori appa- renze non è difficile di addarsi, che giammai negli affetti da scrofola si rinvengono veramente i contrassegni del puro abito sanguigno, o nervoso, o linfatico, o bilioso del corpo : giammai in essi scarseggia tanto la formazione organica e la massa dei materiali organici del liquido circolante, come nei corpi ad abito assolutamente linfatico o nervoso; giammai abbonda l'in- fluenza del processo respiratorio e la formazione dei globetti rossi sanguigni e del tessuto muscolare, come negli abiti di corpo veramente sanguigno, o sanguigno bilioso. E realmente né le intumescenze epatiche, né i flussi emorroidali, né le (1) Questa espressione non sì prenda a troppo rigore di significato, ma si intenda diretta a dinotare tutte quelle maniere di composizione organica, alle quali si presta più immediatamente 1' albumina. Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 191 policolie, uè la gotta, i calcoli e le renelle, cui soggiaciono i venosi, veggiamo noi appartenere ancora agli scrofolosi. E i climi caldi, ed i luoghi paludosi, attissimi allo sviluppo della molto prevalente venosità, originano pure le scrofole; ed il supposto antagonismo di queste e delle febbri periodiche non si ripone per avventura, che nell' abito venoso, onde s' infor- mano i corpi, che nascono e vivono nei luoghi maggiormente soggetti alle febbri periodiche. Che se peraltro 1' abito venoso dechina un poco da questo suo più intero sviluppo, s' intende di leggieri come lasci appunto preponderare nell' organismo le parti albuminose, che abbondevolinente prodotte per mezzo delie prime funzioni assimilative, non sono più allora abbastanza sot- tomesse all' influenza del processo respiratorio. Ed ecco quegli scrofolosi che sembrano carnosi e robusti, e che aver possono pelle scura e capelli neri, sebbene non mai tanto quanto gli individui di semplice abito venoso bene sviluppato. Per con- trario, se niuno vide mai scrofolosi i corpi d' abito puramente linfatico o nervoso, bene agevolmente si comprende, come in questi medesimi, rendendosi talora alquanto più efficace la for- mazione organica nelle prime funzioni assimilative, e non cor- rispondendo con tale efficacia quella pure del processo respi- ratorio, risulti appunto una di quelle tante modificazioni dei temperamenti, per le quali essi prendono attributi medj fra quelli dei tipi loro più essenziali; e così l'abito linfatico ed il nervoso s' accostino un pochino di più al sanguigno, cioè non posseggano più tanta scarsezza di materiali organici nella massa sanguigna, ma nemmeno li abbiano abbastanza convertiti in globetti rossi ed in fibrina. Questa maggiore efficacia delle prime funzioni assimilative può appunto molte volte derivare dalla maggiore influenza dell' apparecchio epatico, e quindi r abito del corpo può benissimo allora prendere qualche sem- bianza del bilioso. Onde non punto ripugna colle meglio cer- tificate leggi fisiologiche l'ammettere, che realmente una certa prevalenza di stato albuminoso possa nell'umano organismo na- scondersi sotto le più disparate apparenze di tìsici e funzionali iga Sull'Eziologia della Glucosuria ec. attributi, più o meno prossimi a quelli dei diversi tempera- menti primitivi del corpo umano. Intendesi in questo modo come siasi potuto scrivere, che la scrofola si sviluppa in indi- vidui d' ogni qualità di temperamento, sebbene io stimi niente essere jjìù erroneo d' una tale sentenza. La vera diatesi scro- folosa non sarebbe per me che una semplice diatesi albumi- nosa, e la trasmissione ereditaria sarebbe bensì di questa dia- tesi, ma non veramente delle malattie scrofolose propriamente dette. E se assai spesso la diatesi scrofolosa scorgesi piuttosto congenita di quello che ereditaria, come quando i figli proven- gono da genitori infermicci, o logori dagli abusi della vita, o vecchi o troppo giovani; e se pure l'acquistano i fanciulli per difetto delle influenze necessarie alla pienezza del loro sviluppo organico, come per iscarso o cattivo allattamento, per vizio d' aria in mezzo a cui vivono, per mancanza d' esercizio con- veniente e simili perniciose influenze; tutto questo pure risponde ottimamente col pensiero fin qui dichiarato intorno alla natura della diatesi scrofolosa. La quale poi tanto chiaramente si ad- dimostra negli effetti del processo flogistico, che esso solo per avventura basta a somministrarne il piìx giusto concetto. Tutti i Clinici hanno mai sempre riguardato le flogosi scrofolose, sic- come distìnte da tutte le altre ; e la diligenza loro sì è gran- demente occupata nel noverarne tutti ì piìi particolari attri- buti di quelle. Ma alla cagione primitiva dì questi non si è forse posta una sufficiente attenzione; ed io avviso, che ove Lene si riguardi in essi, non si stenterà punto di riconoscerli mai sempre originati dalla soprabbondanza dell' albumina che si versa nelle superficie e nella trama organica delle parti in- fiammate, e che insignemente modifica il processo chimico -or- ganico della flogosi. Tutti questi fatti e tutte queste conside- razioni mi sembrano bastevoli a dimostrare, che realmente le scrofole sorprendono i corpi, in cui prevale lo stato albuminoso, e generano prodotti morbosi ricchi d' albumina ; sebbene non sappia dissimulare essere per avventura, un tale argomento meritevole di molto più ampia ed accurata disamina. Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini '' 198 Ora però, rimettendomi meglio in via, dico che veramente in tutti i malati di glucosuria da me osservati era innegabile alcun elio di diatesi albuminosa ; e sotto di questo aspetto la loro originaria costituzione teneva senza dubbio non poco della scrofolosa, comunque le scrofole non si fossero sviluppate che in un solo di essi. Cosi la sentenza di coloro, che dissero molto soggetti alla glucosuria gli scrofolosi, avrei io per pienamente confermata dalle mie osservazioni; per le quali mi sembrerebbe appunto di dovere ammettere, che la morbosa generazione dello zucchero nell' umano organismo non ha effetto, quando bene sotto 1' influenza dell' ossigeno si compiono tutte le metamor- fosi progressive della materia animale, ma solo quando esse per iscarsa influenza di quello s' arrestano al punto, che gli elementi albuminosi prevalgono. Sembrerebbe però che ezian- dio, a somiglianza della diatesi scrofolosa, una tale predisposi- zione richiedesse non iscarsa nell' organismo la quantità dei materiali organici, e quindi non ti'oppo manchevole 1' efficacia delle prime funzioni assimilative, come in generale si osservano nei corpi d' abito veramente linfatico e nervoso. Sarebbe pure la glucosuria uno di quegli effetti, che scaturiscono dalla ma- teria animale in progresso di trasformazione organica, allorquando la sua quantità supera quella che può essere sottomessa dal processo dell'ossigenazione, e quindi consumata nelle ordinarie riparazioni organiche. Tale si è un'importantissima conchiusione, che credo discenda con bastevole probabilità dalle osservazioni degli undici diabetici raccolti nelle sale cliniche di Firenze. E però dovrebbesi egli mai presumere, che quei così detti tem- peramenti muscolosi, indicati da Nicolas e Guendeville, come i più predisposti alla glucosuria, non fossero veramente che abiti venoso -linfatici, nei quali colla naturale pienezza delle membra si trovassero pure discretamente voluminosi i muscoli, come non raramente interviene? Se non che con queste ragionevoli congetture sulla qualità dell' umana costituzione maggiormente proclive alla glucosuria male s' accordano le predisposizioni originate dall' età e dal Tomo XXF. P.'" L- a5 194 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. sesso, le quali non rispondono colle condizioni dell' organismo, in cui più prevale lo stato albuminoso; subito che i fanciulli e le femmine vi soggiaciono meno degli adulti e degli uomini. Questa è certamente tale difficoltà, della quale non saprei dis- simulare l'importanza. Pure, se savj medici non furono lontani dal credere la diatesi scrofolosa grandemente influente alla ge- nerazione dell' encefaloide e dello scirro, ancorcliè questi ma- lori non sogliano comparire, quando la scrofola infesta di più r umano organismo ; per eguale modo potrei io presumere na- scesse dalla diatesi albuminosa la glucosuria, quando pur meno s' ingenerasse la scrofola. Dimostrerebbe ciò essere necessarie altre concause, affinchè la stessa diatesi albuminosa favorisca in un caso la genesi delle scrofole, in un altro quella dello scirro e dell' encefaloide, in un altro quella della glucosuria. In una parola, veduto che l' albumina è il materiale organico suscettivo ancora di metamorfosi successive, ed all' incontro il globetto rosso sanguigno e la fibrina, che, coagulati in mezzo ai labbri d' una ferita punto non si organizzano e ne impedi- scono la cicatrizzazione, sembrano inabili ad altre trasforma- zioni organiche; si può bene comprendere quanto sia facile, che la materia organica s'avvii dall'albumina per diverse serie di successive metamorfosi, e quanto perciò all' incamminarsi piuttosto per 1' una, che per 1' altra di queste, debbano confe- rire non poche circostanze diverse, e fra di queste la propor- zione pur anche del materiale albuminoso cogli altri materiali organici del corpo vivente. Che di vero se frequentissime veg- giamo le scrofole, che pur diciamo accadere nei corpi a diatesi albuminosa, e rarissima invece si addimostra la glucosuria; ciò stesso comprova che può la diatesi predetta esistere mille volte più senza, che colla successione della glucosuria stessa ; il che vuol dire non essere proprio la sola diatesi albuminosa che ne forma la vera predisposizione, ma bensì un peculiare stato dell' assimilazione organica, il quale bene si consocia colla diatesi suddetta, ma non similmente congiungere si può colle altre ma- niere dell'individuale complessione. Onde la diatesi albuminosa Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini iqS dire possiamo veramente una concausa della predisposizione alla glucosuria, piuttosto che essa stessa tutta intera una tale predisposizione. Le quali cose io espongo non veramente per affermare, che il fatto intervenga assolutamente in (juesto modo, ma solo per dimostrare, che se da una parte 1' osservazione clinica rispetto agi' individui più predisposti alla glucosuria, è fortemente avvalorata dalle nozioni fisiologiche, non è poi da queste medesime per un' altra parte contraddetta. Di tal che mi sembra, che giustamente alla non troppa larghezza del fon- damento empirico soccorra senza dubbio assai bene il criterio razionale desunto dalla fisiologia \ e così si possa debitamente concludere essere molto verosimile 1' influenza del prevalente stato albuminoso dell' organismo nella generazione della pre- disposizione alla glucosuria j o almeno parere abbastanza com- provato, che veramente a questa predisposizione è onninamente contrario quello stato dell'organismo umano, in cui è più com- piuto il processo delle assimilazioni organiche, e più estesa r influenza dell' ossigeno nelle metamorfosi della materia ani- male : la quale stimo essere cognizione di non picciol momento per riguardo ad una malattia ancora tanto oscura. '''• Ma eziandio le predisposizioni acquisite non s' allontanano per avventura da questa medesima dimostrazione. Il diabete si disse assalire non di rado individui già stati antecedentemente percossi, ed anche deteriorati da malattie diverse, come sareb- bero ascessi freddi, enormi suppurazioni, grandi emorragie, tisi polmonare, altre malattie croniche degli organi del respiro, si- mili malattie degli organi della digestione, affezioni epatiche, vermi intestinali, calcoli renali e vescicali, gotta, reuma, artri- tide, amenorrea, asma, isterismo, ipocondria, neuralgia, pro- tratte febbri periodiche, alterazioni della bile, affezioni dei reni, esantemi, scabbie e leucorrea soppressi, iscuria, vizj degli umori, e non saprei quali altri malori ancora. Che però ognuna di queste qualità di malattia abbia realmente esercitata un' in- fluenza diretta nella generazione del diabete, diflicilmente per- suadere se ne potrà chiunque pensi alla moltissima differenza fgó Sull' Eziologia della Glucosuria ec. della loro .natura. E là di fatto, come predisponenti al diabete, troviamo noverate cosi malattie intense all' universale dell' or- ganismo, come alcune riposte in sole condizioni morbose locali, e fra le prime alcune potentemente offensive dello stato assi- milativo, ed altre meramente convulsive; alcune croniche e consuntive, altre violente, come le grandi emorragie; alcune costituite in un principio molto specifico, come gli esantemi, la scabbia, la gotta ed il reuma, ed altre così indeterminate da essere pure denunciate sotto la generica denominazione di vizj d' umori e di malattie degli organi del respiro, o della di- gestione, o del fegato. Realmente quale mai analogia d' effetti saprebbesi, per esempio, immaginare fra le vaste suppurazioni e r isterismo, fra la tisi polmonare e la gotta, fra le febbri pe- riodiche ed i calcoli vescicali, fra le grandi emorragie ed i vermi intestinali, fra la scabbia e l'asma? Io credo bene che forse il più delle volte dopo tutte le noverate infermità sieno sopraggiunte le poliurie, anziché la vera glucosuria; ma dico tuttavia che, quando consideriamo le malattie stesse avere le mille e mille volte imperversato nel corpo umano senza essere state seguite da veruna maniera di diabete, possiamo bene a ragione rimanere dubitativi che pure, allorché esso intervenne, non abbiano esse stesse operato ad originarlo. Certo egli è che in questo caso il fondamento empirico appare sì debole, che veramente per esso solo non potremmo mai avere alcun plau- sibile argomento della supposta influenza delle predette malat- tie nella generazione del diabete. Però, a non disprezzare del tutto le sopraindicate cliniche testimonianze, ci é pure forza d' esaminarle col soccorso del criterio razionale desunto dalla fisiologia. Ora che cosa veramente di comune influenza scor- gere possiamo noi in malattie cotanto diverse? Non una di esse veggiamo appartenere alla semplice diatesi flogistica, non una alle flogosi acute: o non furono esse mai col processo flo- gistico, o se furono con esso, questo, già reso cronico, ebbe seco la consunzione, o le vaste suppurazioni, o le alterazioni umorah. E se a morbi locah si vide succedere il diabete, Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 197 questi ebbero sede principalmente negli organi inservienti alle organiche assimilazioni, polmoni cioè, fegato, vìsceri della di- gestione e reni. Tutto ciò porta a credere, che veramente in tutti questi casi, leso più o meno gravemente il processo assi- milativo, possono appunto gì' individui essere stati precipitati in quel difetto delle ultime formazioni organiche, e in quella prevalenza dello stato albuminoso, col quale dicemmo potersi consociare pur anche la predisposizione alla glucosuria. Fin qui dunque possiamo in qualche modo riconoscere l' influenza, che tanto diverse ed opposte malattie potrebbero avere nondi- meno esercitata per favorire la generazione d' uno stesso ma- lore. Più difficilmente intenderemmo, come 1' effetto medesimo avesse potuto scaturire dalle malattie costituite o nella presenza d'un principio specifico nell'organismo, o in una pura neurosi, o in agenti locali generanti un semplice stato convulsivo. Con- fesso il vero, che in tali casi, nei quali la lesione funzionale colpiva principalmente il processo dinamico della vita, io non saprei ravvisare possibile che la sopravvenienza della poliuria ; o almeno, se pure dovessi reputarne seguita la glucosuria, sti- merei altresì di dovere da ciò solo riconoscere per quei morbi esercitata eziandio una grande influenza sul processo assimila- tivo, senza di che non vedrei possibile giammai la generazione di un si peculiare vizio di questo, quale è quello dell' insolita produzione dello zucchero. E cosi parmi di dovere necessaria- mente pensare, che osservazioni di tale natura non furono ve- ramente fatte con tutta la necessaria accuratezza, ed isfuggirono per avventura inavvertite certe particolarità molto importanti; e quelle cosi imperfette ed inconcludenti trasmise fino a noi la storia della scienza. Per la quale cosa mi sembra che, se pure alcuna conclusione si può ricavare dalle narrate testimo- nianze cliniche, questa sola è per l'appunto, che esse compro- varono vie più la non attitudine dei corpi maggiormente co- stituiti sotto r influenza dell' ossigeno a soggiacere alla gluco- suria; e ci aprirono l'adito a credere che, se pure le malattie più sopra accennateinfluirono mai alla generazione della giù- 198 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. cosuria, lo fecero solo col diminuire 1' influenza predetta, e coir apparecchiare 1' organismo alla prevalenza di quello stato albuminoso, col quale vedemmo potersi consociare la predispo- sizione alla glucosuria. La quale avvertenza prende eziandio maggiore valore, se consideriamo, che Rayer per pneumonitide sopravvenuta a un diabetico osservava diminuirsi grandemente nelle orine la quantità dello zucchero, come se ne accertava il Biot col mezzo delle convenienti indagini chimiche. Onde sembrerebbe quasi di poter credere, che la diatesi flogistica e lo stato delle funzioni assimilative sotto la glucosuria fosse un vero antagonismo; di tal che si potesse giustamente affermare, che, fino a tanto che le metamorfosi organiche progrediscono col mezzo dell' ossigeno all' ultimo loro compimento, non si può nell'organismo animale stabilii-e quella particolare serie d'azioni chimico -organiche, che terminano colla morbosa generazione dello zucchero; ma invece queste trovano benissimo modo di effettuarsi ogni volta che, diminuendo l'influenza dell'ossigeno, s' arresta in qualche modo il processo delle organiche meta- morfosi progressive, e così ridondano nell'organismo i principi ancora suscettivi di nuove trasformazioni. Corrisponderebbe pure con questa presunzione la recente osservazione dello zucchero trovato nel sudore di malati di colèra (i). Ma sopra questo particolare richiama pur molto la nostra attenzione una osservazione di Bennevitz, il quale vide la glu- cosuria sopravvenire alla gravidanza, e cessare dopo il parto. Le orine contenevano per ogni libbra due once di zucchero diabetico, ed il sangue estratto aveva crassamento abbondante, e dolcigno ne era lo siero. La donna aveva i polsi duri, pieni e frequenti, e seguitava ad essere mestruata. Simili fenomeni aveva essa provati in un' antecedente gravidanza, che era la quarta ; e simili provò pure nella sesta. Non visitata però dal medico, che nella quinta gravidanza, mancarono pure nelle al- tre le diligenze necessarie a bene raccogliere i segni certi della (I) Aichives Mèdie. 4."" Sèrie. Tom. XXI, pag. 369. 1 Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 199 glucosuria ; se non che la somiglianza degli avvertiti fenomeni può fornire moltissima presunzione, che eziandio nella quarta e sesta gravidanza apparisse la glucosuria. In tale caso la con- tinuazione della mestruazione ed il polso pieno, forte e fre- quente potevano essere indizio di qualche considerabile ple- tora ; e noi avremmo cosi la glucosuria congiunta con tale stato dell' organismo, che non sembrerebbe molto simile a quello, con cui per le precedenti considerazioni abbiamo cre- duto consociarsi d' ordinario una tale malattia. Se non che la gestazione suole pure essere cagione d' una certa prevalenza dello stato albuminoso, e molti fatti ne fanno aperta testimo- nianza, fra gli altri 1' albuminuria, cui non molto difficilmente soggiaciono le gravide, e i depositi albuminosi che tanto facili ed abbondanti nascono nelle malattie puerperali. Ma, mentre è quasi sempre irreparabile la glucosuria, nel caso della fem- mina di Bennevitz sarebbe essa ricorsa tre volte con grande facilità a cessare, e mentre suole generare la consunzione, non è avvertito che allora arrecasse verun detrimento alla nutrizione della femmina. Si direbbe quasi essere stata per essa la glu- cosuria un fenomeno della salute modificata dalla gestazione , anziché 1' effetto d' un vero processo di malattia. Il fatto mi sembra assai meritevole di considerazione, come tale appunto che darebbe a divedere non essere nemmeno la presenza dello zucchero nelle orine un sicuro contrassegno della morbosa ge- nerazione dello zucchero entro 1' umano organismo. Egli è noto che dai Chimici oggi giorno venne bastevolmente provato, che nell'ordinario processo della chimificazione e della chilificazione comincia nello stomaco e seguita pur anche negl' intestini la conversione della fecola in desterina, in zucchero d' uva, e fi- nalmente in acido lattico. Il Budge poi e Scharlan aggiunge- vano ultimamente, che lo zucchero generatosi per 1' anzidetta conversione della fecola viene quindi dal fegato trasformato di nuovo, e cosi esso trovasi bensì nel sangue della vena porta , ma non in quello della vena epatica e degli altri vasi sangui- gni; ne perciò si osserva nemmeno uscire colle orine. Di qui 200 Sull' Eziologia della Glucosuria ec. adunque 1' importanza di considerare 1' influenza, che la qua- lità dell' alimento può avere nella generazione dei fenomeni diabetici. Già fino da antico tempo esimj Chimici, come Are- teo, Aezio, Paolo d' Egina, Mead, Sydenham, Riverio, Morton, raccomandarono ai diabetici 1' uso delle carni. Rollo le propose come rimedio ad impedire direttamente la formazione dello zucchero entro lo stomaco. Nicolas, Guendeville, Dupuytren e Thénard ne sanzionarono l'utilità: Dupuytren giunse anzi ad affermare che la dieta animale è di virtù cosi specifica contro il diabete, come la china contro le febbri periodiche. Ultima- mente Bouchardat ed il Polli, credendo che la formazione dello zucchero diabetico derivi da una trasformazione della fecola e dello zucchero degli alimenti introdotti nello stomaco, pensa- rono pure che la dieta animale sospendesse immediatamente la generazione dello zucchero diabetico, e addussero fatti in prova di questa loro sentenza. Bouchardat accertava proporzio- narsi mai sempre la quantità dello zucchero delle orine colla quantità delle materie feculente e zuccherine ingerite, e cre- scere nelle orine evacuate a non molta distanza dal pasto, di- minuire in quelle emesse a maggiore distanza del pasto stesso, fino a che dopo i5 o i6 oi'e scompariva anche del tutto; né possono valere allo stesso effetto i cibi vegetabili non conte- nenti fecula o zucchero, come crescione, spinaci, acetosa ec. , i quali si possono innocuamente mangiare dai diabetici. Il Polli attestava dinanzi al Congresso delli Scienziati in Pisa di essere riuscito a far nascere in sé stesso ed in un suo amico un tem- poraneo diabete col molto uso di cibo feculento, cioè ad avere ottenuta un' insolita formazione di zucchero nello stomaco, quindi un aumento del flusso delle orine, e la presenza dello zucchero in esse, tutto poi cessando immediatamente col non prendere altro vitto di fecule : al che però sono contrarie le osservazioni e le conclusioni di Corneliani e di Ambrosioni (i). Non tacerò nemmeno essersi pui'e narrate guarigioni permanenti (l) Corneliani, sul Diabete. Pavia 1840; pag. 109 e segg. Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini 201 di glucosuria, ottenute coli' uso del vitto animale; Ira le quali mi sembrano certamente consideraljili le tre, di cui furono te- stimoni e relatori Bouvey (i), Bonnef'ous (a), e Van-Nes (3). Ora le osservazioni fatte sopra i diabetici di queste Sale Cli- niche sono per tale riguardo d' una innegabile importanza ; e già l' egregio Sig. Dottore Capezzuoli, a cui appartengono molte delle indagini chimiche intraprese sui prodotti e sul sangue di quei malati, ne rese conto al pubblico con varie sue Memorie, che a quest' ora sono molto conosciute. Però io, dispensandomi dalla superfluità di un nuovo ragguaglio di tutte le investiga- zioni cliimiche intraprese così dallo stesso Sig. Dott. Capezzuoli, come da alcun altro, che innanzi mi era pure stato cortese dell'opera sua, dirò ora solamente le idtime risultanze ottenu- tene, e quelle precisamente che più concludono pel mio as- sunto, e che stringonsi in questa somma : i". L' assoluta dieta animale apportò sempre pronta dimi- nuzione della sete, e poscia ancora dell' appetito, e della quan- tità delle orine emesse in 24 ore. 2°, Quest' ultima diminuzione non avvenne con eguale pro- porzione nei diversi ammalati ; grande talvolta, poco valutabile tal altra, non di rado eziandio non costante : il minimo a cui si ridusse fu di libbre due ed once sette d'orina in 24 ore. 3°. Riaumentò la quantità giornaliera dell' orina, tosto che gì' infermi vennero rimessi all' uso promiscuo delle carni e dei farinacei ; sicché 1' eflfetto della dieta animale non si mostrò durevole nemmeno nell' inferma che aveva sostenuta una tale dieta quattro mesi ed otto giorni. In essa, appena tornata al vitto ordinario, subito il giorno appresso aumentarono la sete e la quantità dell'orina, sebbene questa non tanto mai, quanto era dapprima. (0 Gazzette Méd. 2."" Sèrie, T. X, pag. 103. (2) Op. e. Sér. e. T. II, pag. 15G. (3) Omodei Annali di iMed., Voi. 113, pag. Có2. Tomo XXV. PJ' I." 26 aoa Sull' Eziologia della Glucosuria ec. 4°. La dieta animale si compose o di sole carni, o di esse con un' oncia o due once di pane, e talvolta invece del pane consueto fu dato quello di glutine. 5°. Le risultanze non variarono gran fatto sotto 1' uso di queste differenti maniere di dieta, che sempre considerammo e dicemmo animale. 6°. La quantità dello sciroppo d' uva in una libbra d' orina tolta dall' insieme di quella emessa in a4 ore si trovò talora diminuita, talora non variata, e talora anche di poco aumen- tata da quello che era innanzi. Dal malato attualmente degente in Clinica raccolsi pure questo fatto ragguardevolissimo, che, giungendo a 87 libbre la quantità dell'orina emessa in 2,4 ore, mentre di 16 in 18 libbre era la quantità delle bevande prese nello stesso intervallo di tempo, appena sottoposto alla dieta assolutamente animale, subito il di appresso le orine delle a4 ore non ascendevano che a a3 libbre, e la bevanda a i3, ed in sei giorni quelle si ridussero a libbre 7 e denari a, e la bevanda a libbre 8. Queste orine sottoposte a nuova analisi fornivano per riguardo ad una libbra tolta dall' insieme la stessa quan- tità di zucchero diabetico, che vi si era pure trovata innanzi. 7". Vedemmo in questo modo che il vitto animale non cam- biava gran fatto la proporzione della quantità dello zucchero col liquido orinoso; ma, rendendo minore la quantità di que- sto emessa in a4 ore, rendeva pure necessariamente minore la quantità dello zucchero, che nello stesso intervallo di tempo esciva dal corpo col mezzo delle orine. Ed in questo proposito non saprei tacere questa notabilissima osservazione. Il 16 Gen- najo, analizzate le orine della stessa malata, che poi messa a dieta animale potè tollerarla per più di quattro mesi, si co- nobbe contenere lo zucchero nella propoi'zione di denari aa ^ per ogni libbra, e poiché le orine evacuate in a4 ore erano di libbre ao, fu calcolato che ad once 18 e denari i4 circa ammontasse la quantità dello zucchero emesso colle orine in a4 ore. 11 io Febbrajo 1' inferma fu sottoposta a vitto pura- mente carneo: 1' orina in due giorni si ridusse dalle ao alle 6 Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini ao3 libbre, ed allora (cioè il dì 12), sottoposta ad analisi, si trovò contenere di sciroppo diabetico denari ló e -j\j in una libbra, quindi averne portato iuori in a4 ore once 4 e denari 3; che vuol dire circa A e mezzo di meno del dì 16 Gennajo : ditte- renza notabilissima, che, intervenuta nel solo spazio di 4^^ ore, non si poteva non attribuire all'influenza della natura dell'ali- mento. E dico intervenuta nello spazio suddetto, perchè la quantità giornaliera dell' orina poco o niente avea variato da quella del dì 16 Gennajo, e tutti i fenomeni diabetici avevano perseverato in eguale maniera; onde lice presumere che anche neir orina non analizzata prossimamente al giorno io di Feb- brajo si fosse mantenuta la quantità di zucchero trovatavi già il di 16 Gennajo. 8". Crebbe pure nei nostri diabetici sotto 1' uso del vitto animale la quantità proporzionale delle materie organiche ed inorganiche : ciò che sembra essere conforme all' ordinaria in- fluenza del vitto animale nello stato della salute, come pure dimostrava di recente il Lehmann (i). 9°. La giovinetta stessa, che sostenne 1' uso del vitto animale per più di betico ha effetto nelle prime vie*, e singolarmente nello stomaco; 6. Come però questa generazione si sostiene in modo tutta- via notabile, anche quando niuna materia feculenta viene in- gerita, così necessariamente non si può crederla dovuta sol- tanto, come presumeva Bouchardat, alla conversione di quella in desterina e in glucosa; ma conviene bensì ammettere che un processo tuttavia occulto d' azioni chimiche si compie nelle vie alimentari, atto per sé stesso a trasformare buona parte delle materie alimentari in zucchero ; il che sembra corrispon- dere eziandio da una parte colla molta fame dei diabetici, e colla enorme quantità d' alimento quotidianamente da essi in- gerito; e dall'altra colla mancanza d'una pletora successiva, e colla spaventevole emaciazione, che anzi ne conseguita: tutte circostanze molto valevoli a dimostrare un grande consumo di materia alimentare, senza che serva né all' ematosi , né alla nutrizione. 7. Questa probabile genesi dello zucchero diabetico ci con- duce pure a dovere argomentare dalla riconosciuta influenza della qualità e quantità dell' alimento a moderare la quantità dello zucchero emesso giornalmente colle orine l' efficacia della natura stessa dell' alimento nell' accrescere o diminuire il pro- cesso della stomacale ed intestinale saccarogenesi. 8. Però, se la qualità degli alimenti non é per sé stessa ca- gione diretta della glucosuria, devesi nondimeno considerare come una causa, o vogliamo dire, come uno degli elementi d'azione, che forse non poco moltiplici si riuniscono a formare la vera composta cagione di sì formidabile malattia. E qui vo- glio che pure si consideri avere io nel corso di circa i5 anni osservato undici malati di glucosuria , tutti appartenenti alle Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini aii classi inferiori della popolazione, e niuno mai averne osservato fra le classi più agiate. Che anzi de' miei malati i più appar- tenevano alla popolazione della campagna, cioè a quella che più suole cibarsi di sostanze farinacee. Né in alcuno di questi malati aveva mai operato alcuna di quelle cagioni, che più sogliono deteriorare le assimilazioni organiche; né contrassegno alcuno di tale deterioramento appariva in essi, anche quando già la malattia era sviluppata ed eziandio avanzata, tranne al- meno in alcuni un certo discreto stato d' emaciazione. Così mentre si sviluppava e si compiva nei loro corpi un insolitis- simo processo di composizioni organiche, non si dimostravano da un' altra parte né i contrassegni d' alcuna valutabile discra- sia o viziosità qualunque dell' ematosi, delle secrezioni e degli atti nutritivi, né quelli d' un' alterazione sensibile degli organi tutti e delle loro funzioni : cosicché devesi di filo riconoscere in questi corpi a poco a poco mutato il rapporto, che passa fra la natura degli alimenti e quella degli agenti che debbono elaborarli nelle prime vie : ed a questa mutazione di rapporto può appunto ognuno comprendere quanta influenza possa eser- citare Tabituale maniera d' alimentazione. Nel quale proposito debbo altresì notare, che nella giovanetta, la quale sostenne il vitto animale per più di quattro mesi, non solo in tutto questo tempo fu minore la quantità dello zucchero emesso colle orine, ma, perduta la morbosa sete ed il morboso appetito, la giova- netta stessa tornò e si mantenne in tanto ordine e regolarità di funzioni, che in tutto esse veramente non differivano dallo stato della più piena salute; onde fu bello vedere allora l'in- ferma riprendere carni, colorito e forze ; impinguare eziandio oltre il suo consueto, ed acquistare tutta la freschezza dell' a- spetto e tutta la pienezza ed energia della persona, quali real- mente si convengono alla più fiorente salute. Ove 1' analisi chimica non avesse avvertito che tuttavia le orine contenevano zucchero, sarebbe stato impossibile di credere malata questa zitella. Volle essa il dì a3 Giugno iu44 uscire dallo spedale, mentre era in questo stato, e non sapeva persuadersi di non 212, Sull'Eziologia della Glucosuria ec. avere ancora raggiunta la piena sua guarigione. Restituita alle sue consuetudini di vita, e nutrita quasi di solo vitto vegeta- bile, vide ben presto dileguarsi le apparenze della sua buona salute \ tornare la morbosa sete ed il morboso appetito ; di nuovo abbondare il flusso delie orine ; e sopi'attutto cadere di giorno in giorno grandemente le forze, e venirsi essa emaciando con incredibile rapidità: di tal che accolta di nuovo nella Sala Clinica il di i" di Decembre dello stesso anno, io la trovava veramente ridotta nell' estremo dell' emaciazione e dello sfini- mento: le orine giornaliere erano di 9 in 12 libbre, e conte- nevano zucchero nella proporzione di denari 26 j^^ per ogni libbra, e cosi ne portavano fuori da once 9 in i3 per giorno. L'inferma però dopo soli quattro giorni di decubito nella Sala Clinica cessò di vivere, somministrando a noi un documento d' osservazione meritevole della più grande attenzione. Certa- mente il sommo miglioramento della sua salute fu dovuto all' uso della dieta animale perseverato per quattro mesi e otto giorni: i rimedj, che essa prese in quest'intervallo di tempo, furono quelli medesimi già riconosciuti inutili in altri infermi; ed oltre di ciò nella Sala Clinica medesima, appena desisteva dall' uso del vitto animale, manifestava subitissimo 1' aumento dei fenomeni diabetici. Tornata nella propria casa, il più grande mutamento delle sue consuetudini si fu certamente quello del vitto composto allora quasi affatto di sole sostanze vegetabili. Nemmeno può supporsi sì di leggieri occorsa qualche grave alterazione delle funzioni cutanee, dappoiché correva allora la stagione estiva, e quando sopravvenne l' autunnale, 1' inferma aveva già soggiaciuto a grande detrimento della sua salute. Tutte queste circostanze comandano molto efficacemente di ri- conoscere dal vitto vegetabile il rapido e gravissimo inasprirsi della glucosuria in questa sventurata zitella, come dal vitto animale avevamo dovuto derivare il mirabile benessere riacqui- stato da essa. Egli è questo un nuovo fatto assai concludente- mente dimostrativo dell' influenza, che l'alimento esercita nella generazione della glucosuria. Onde io fortemente propendo a Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini ììi3 credere, che fra le cause predisponenti di tale malattia sia molto ragionevole di considerare 1' abituale soverchio uso di vitto vegetabile, e singolarmente del farinaceo. Egli è pure di già conosciuto, che lo stomaco prende attitudine a meglio di- gerire il cibo consueto, di quello che l'insolito: e così avviene non difficilmente che dopo lungo uso di vegetabili e di pesce, male vengano digerite le carni da quelli stessi che prima otti- mamente le digerivano: ed al contrario a coloro, che molto sogliono cibarsi di carni, riesca di leggieri penoso e difficile il digerire le sostanze vegetabili. Però a me sembrerebbe quasi di potere presumere, che sotto 1' uso del vitto farinaceo po- tesse lo stomaco ognora più attuarsi a promovere la conver- sione della fecula in desterina e glucosa; fino a che poi, so- pravvenuta la necessaria cooperazione di altre concause, la saccarogenesi ecceda tanto, da rendersi per ciò solo morbosa. Insensibili di fatto sono per lo più i primordj della glucosuria, e raramente riesce di conoscerne alcuna particolai'e cagione; né a torto certamente riflette Heller, che forse lo zucchero nelle orine esiste non avvertito anche anni prima dello svi- luppo dei fenomeni diabetici, ed a questa circostanza, più che ad altro, è dovuta l'oscura patogenia del morbo (i). Il quale pensiero verrebbe pure convalidato dalla citata osservazione del Polli, dello zucchero cioè comparso nelle orine di lui e d' un suo amico sotto lo stato della più intera salute, solo per effetto di abbondante vitto feculento preso. In niuno degli un- dici miei malati non si conobbe veruna abbastanza manifesta cagione della malattia. Comprenderebbesi in questo modo an- che la somma difficoltà di vincere una tale infermità; dappoi- ché sarebbe essa in tale caso non altro che la conseguenza ultima delle qualità assunte a poco a poco dall' individuale costituzione sotto l'influenza delle costanti abitudini della vita. Né pure comprenderebbesi meno la difficoltà di discoprire l'al- terazione dell' organismo, nella quale riporre si dovrebbe il (1) \Dnali di Chim.; Voi. VI, Mano 1848, pag. 160. ai4 Sull'Eziologia della. Glucosuria ec. vero stato morboso della glucosuria ; perciocché confondereb- besi essa allora coli' essere il più intimo della composizione organica, come addiviene appunto in chi, abusando d' alcuna nocevole sostanza, contrae alla fine certi malori, senza che pure si disveli l'alterazione rimasta nell'organismo. Io so bene che con tutto questo discorso non espongo che congetture ; ma in tanta oscurità d'argomento egli è certamente dalie con- getture che debbono cominciare i nostri tentativi di scienza ; e perciocché le esposte congetture mi sembrano validamente desunte dalle più essenziali pertinenze della glucosuria, e non poco confortate dalle analogie, così credo non debbano meri- tare il disprezzo di chiunque si trovi in grado d' estendere le convenevoli indagini intorno ad una malattia sì poco ancora conosciuta. Ed io certamente mi stimerei molto felice, se, così congetturando, avessi potuto mai aprire la via ad utili ricerche. Laonde non sia discaro che alla fine concluda non essere im- probabile, che r alimento vegetabile, e propriamente il farina- ceo, sia una delle molto possenti cagioni predisponenti della glucosuria. E fu di fatto dai Clinici insegnato che lo scarso vitto, quello composto di sole sostanze vegetabili, il pane di segala, l' abuso degli acidi, dello zucchero, della birra e del sidro sono cagioni di diabete : per la quale cosa le congetture oh' io manifestava si rafforzano pure per la comune osserva- zione clinica, la quale almeno ci attesta non essere sfuggito all' attenzione dei Clinici, che caddero nella glucosuria piuttosto coloro che si cibavano nei modi predetti, di quello che gli al- tri nutriti di vitto sostanzioso ed animale. Aggiungerò eziandio, che de' miei malati uno erasi sempre nutrito di scarso e cat- tivo cibo, un altro aveva usato quasi sempre sole sostanze ve- getabili, ed un terzo non aveva preso per vitto quasi mai al- tro che pane e legumi. Una obbiezione, facile a prevedersi, credo tuttavia di do- vere risolvere. Il minuto popolo, e quello in ispecie della cam- pagna, si nutre quasi solamente di sostanze farinacee, o almeno le prende in proporzione molto maggiore delle sostanze animali: Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini ai 5 però, se esse valessero alla generazione della glucosuria, par- rebbe bene che (juesta dovesse occorrere molto più frequente, che poi realmente non occorre. Questa obbiezione è per verità di molto peso, e dimostra senza dubbio che il solo alimento farinaceo non basta alla generazione della glucosuria, e che d'altra parte molto difficilmente occorre l'influenza delle altre concause necessarie alla produzione deli' effetto. Però, allorché fatti bene avverati attestano 1' influenza della natura dell' ali- mento sulla generazione della glucosuria, non si può quella impugnare, solo perchè molto raramente segue 1' effetto alla supposta influenza. Giova il rammentare, che delle cagioni composte non si può mai ragionare come delle semplici ; e che molte volte può bene riuscire rarissimo il formarsi della cagione composta necessaria ad un dato effetto, ancorché gli elementi d' azione che debbono comporla, dispieghino sovente- mente r opera loro. Cosi dalla rarità degli avvenimenti pos- siamo arguire soltanto la difficoltà della riunione di tutto l'in- sieme delle concause necessarie alla generazione dell' effetto. Per lo che, se io dovessi ancora portare più oltre le mie conget- ture, direi che fino a tanto il molto esercizio della persona e r aria libera e pura inspirata consumano abbastanza gli ele- menti respiratori introdotti nell' organismo, non sono a temersi gli effetti della loro ridondanza in esso, come appunto negli animali selvaggi non nascono i tubercoli, che molto facilmente li affliggono, quando questi sono resi domestici ; le scrofole as- salgono meno gli agricoltori indurati sotto le fatiche, che il molle abitatore delle città, ancorché il primo prenda cibo assai meno nutritivo di quello usato dal secondo. Quasi somigliante cosa credo sia a dirsi dell' influenza del vitto farinaceo riguardo alla generazione della glucosuria ; sicché presumo non possa punto valere ad infirmare la forza delle esposte congetture la rarità molta di quella in coloro, che pure usano abitualmente il vitto farinaceo. Altra cagione reputata molto valevole alla generazione della glucosuria, si è 1' influenza dell' umidità atmosferica. Dei miei ai 6 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. malati niuno fu esposto ad essa in modo da poterla conside- rare come causa occasionale della malattia, e quattro soli vi furono esposti a modo di causa predisponente : 1' uno viveva in luoghi bassi ed umidi, e per cinque mesi dell' anno in vi- cinanza pur anche d'una palude: un altro passava buona parte del giorno in camera poco ariosa ed umida : il terzo pel suo mestiero di macellajo esponevasi spesso senza cautela all' azione libera dell' atmosfera, e non di rado dormiva sul nudo ed umido suolo della sua bottega : il quarto infine , esercitandosi nella pesca, passava spesso le intere notti in vicinanza alle acque. Eziandio in due di questi malati alla sete ed allo scolo più abbondante delle oi'ine precedettero alcuni fenomeni simulanti un assalto di reuma. Ricorderò altresì che negli stessi miei malati apparve quasi sempre ben manifesta I' influenza dell' umidità atmosferica nell' accrescere la quantità giornaliera delle orine, e con essa quella eziandio dello zucchero : ciò che so- prattutto notammo, come più sopra accennava, nella giovanetta che per noi fu subbietto delle più importanti osservazioni. Tutto questo mi fa credere, che senza dubbio 1' umidità dell' atmosfera influisce alla generazione della glucosuria ; e v' in- fluisce principalmente per lo sconcerto delle funzioni cutanee. Almeno i maggiori disordini intervenivano nei nostri infermi così subitamente per gli aumenti dell' umidità atmosferica, che pare di non poter credere avesse allora potuto questa operare per altro modo, fuorché per lo sconcerto delle funzioni cutanee. E qui desidero si voglia bene ponderare che, non aumentando allora solamente il flusso delle orine, come suole accadere an- che nei sani, ma aumentando pure la quantità dello zucchero emesso con quelle in a4 ore, seguita di dovere riconoscere dall' influenza dell' umidità atmosferica e dal conseguente tur- bamento delle funzioni cutanee avvalorato il processo della moi'bosa saccarogenesi. E come cosi esso resta per tale cagione avvalorato a malattia già sviluppata , può bene credersi che dalla stessa cagione possa pure venire promosso a malattia non ancora insorta; e perciò anche i frequenti abituali turbamenti Del Src. Prof. Maurizio Bufalini ai 7 della funzione cutanea, spesso del tutto inavvertiti, od anche non possibili ad essere avvertiti, sieno bene altra efficace ca- gione predisponente della glucosuria. La quale supposizione mi sembra certo non poco confortata dall' osservazione d' un certo Keith Zurey, che accerta di avei-e veduto sei diabetici inutil- mente trattati con diversi metodi di cura essere poi guariti col dimorare in clima caldo; e da quella già fatta dall' Hunter, che nel suo lungo soggiorno nel Bengala non si vide mai un diabetico; ed infine da quella pure del Christie, che assicura guarire con molta facilità i diabetici nel Ceylan (i). Le afflizioni dello spirito, gli abusi di Venere, l'onanismo, le eccessive occupazioni della mente, le soverchie corporali fa- tiche furono puie noverate fra le cagioni della glucosuria, che Sydenham diceva derivare da ogni maniera di cause debilitanti, Place dal difetto dell' assimilazione organica, Desault dai vizj degli umori. Rollo dall' azione alterata dello stomaco. Fra i miei malati uno era stato preso da malattia celtica, e quindi sottoposto a cura mercuriale, massimamente all' uso del deuto- cloruro di Mercurio, onde ne rimase assai debole ed emaciato, e dopo cinque anni non ancora bene ristorato delle sue forze, cadde nella glucosuria; un altro aveva soggiaciuto nell'infanzia ad ingrossamenti e suppurazioni dei ganglj linfatici, e quindi aveva quasi sempre dimorato in camera umida e poco ariosa, e preso cibo ordinariamente vegetabile ; un terzo nell' infanzia aveva mangiata la fuliggine; un quarto aveva sostenuto le dure fatiche d' agricoltore, ed insieme usato per vitto quasi il solo pane ed i legumi, e sofferta eziandio l' influenza dell' umi- dità: tutti gli altri più o meno si erano pure per la condizione loro e per le consuetudini della loro vita trovati esposti, ben- ché assai meno, a queste medesime influenze. Cosi fra undici individui quattro sostennero senza dubbio la manifesta influenza di cause atte a deteriorare la nutrizione e le forze de' loro corpi, gli altri sottostettero a questa medesima influenza solo (1) Gar. Méd. 3.™ Sér., T. I, pag. 703. Tomo XXV. P.'' /.» a8 2i8 Sull'Eziologia della Glucosuria ec. in modo oscuro e presuntivo; ma niuno fu certamente esposto alle cagioni che meglio promovono le assimilazioni organiche. Quindi le testimonianze dei Clinici e le mie osservazioni con- cordano nel dimostrare, che le cagioni proprie della glucosuiùa trovano modo d' operare il loro effetto, allorquando 1' umano organismo per qualsivoglia altra cagione decade dal suo essere di buona assimilazione organica e di vigente vigoria delle po- tenze vitali, o almeno non si sostiene quella nella più deside- rabile perfezione : ciò che corrisponde con quanto ragionava più sopra intorno alle originarie predisposizioni degl' individui riguardo alla glucosuria. Però non saremo certamente renitenti di noverare fra le cause predisponenti di essa tutte quelle pur anche, le quali influiscono direttamente o indirettamente al deterioramento delle organiche assimilazioni, o ripongansi esse in antecedenti malattie, o in abusi della vita, o in azione in- solita di qualche perturbativa potenza, o in che che altro va- levole d'azioni o dinamiche, o chimico -organiche offensive dell'essere organico- vitale del corpo umano. Infine Kàmpf disse regnare talora epidemico il diabete, che a Reil e Thomann parve pure contagioso. Queste sentenze ci apprestano argomento a credere che talvolta il diabete siasi osservato assalire molti individui a un tempo a modo piuttosto di malattia epidemica, che sporadica. Qualche cosa di somi- gliante s' inchiude pure nel fatto di molti individui d' una stessa famiglia caduti nel diabete. In tutti questi casi manife- stasi senza dubbio 1' influenza d' una causa comune, che ha colpito parecchi individui; ma non se ne manifesta egualmente la natura, e però rimane tuttavia ignoto, se essa ripongasi nella disposizione ereditaria o congenita di quelli; ovvero in un contagio trasmissibile da individuo ad individuo, o in una influenza endemica o epidemica, o infine in qualsivoglia altra fortuita effiicenza comune. Il fatto, che addimostra soltanto la contemporaneità o la successione straordinaria di diabetici in un determinato luogo e in un determinato tempo, non lascia scorgere per sé solo la cagione di quella : conviene eliminare Del Sic. Prof. Maurizio Bufalini aig le altre possibili prima che sia permesso di collocarle in un principio contagioso, ovvero in un' influenza epidemica o en- demica. Osservazioni compiute con tale accuratezza riguardo al diabete non conosco, e quindi non saprei con quanto giusto Fondamento gli accennati scrittori abbiano profferite le loro sentenze. Notabile però riguardo ai miei malati, che dal No- vembre i84a fino all' Aprile 18445 che vuol dire nello spazio di poco più d' un anno, se ne offrissero sei, ed uno nel No- vembre del 1841, e due nel Marzo del 1845, e dopo di questi uno nel Giugno dell' anno scorso, ed un altro nel presente. Così nell'intervallo di circa i5 anni nove diabetici mi si sono presentati nello spazio di poco più di tre anni, e due altri in distanza dai primi nello spazio di meno d'un anno; né in tutto questo intervallo di tempo a me è occorso di vedere al- cun altro caso di diabete, né certamente ne é capitato verun altro nell' I. e R. Arcispedale di S.* M.* Nuova, in cui si ri- covrano mai sempi-e più di mille malati. Questa frequenza del diabete nello spazio di tempo sopraccennato, la quale è vera- mente straordinaria, accenna necessariamente a cause straor- dinarie. D'altra parte gì' individui erano tutti diversi per pro- venienze di famiglia, per luoghi di dimora, e per consuetudini di vita: quindi fra tutte queste ninna influenza comune. Quando però considerare non si voglia l'indicata frequenza del diabete, come assolutamente fortuita, essa in tale caso non potrebbe additare che un'influenza cosmo -tellurica. In quest'epoca me- desima dominava qui pure assai straordinariamente frequente la migliare, né le malattie flogistiche vestivano più le qualità del carattere loro più legittimo, né mancavano esantemi di varia maniera, e lo stesso grippe addimostravasi pure una volta grandemente comune. Una particolare costituzione epidemica regnava senza dubbio, la quale, allontanando i corpi dalla pre- disposizione alle vere flogosi e alla più decisa diatesi flogistica, li aveva fatti più propensi alle malattie reumatiche, catarrali , ed esantematiche. Dal i845 in avanti era un poco rattempe- rata una tale costituzione, quando poscia nel 1848 cominciò di aao Sull' Eziologia della Glucosuria ec. nuovo a manifestarsi la propensione alle malattie catarrali, e nella primavera ed estate del passato anno assai comuni si re- sero le diarree mucose e le dissenterie, né mancò pure qual- che caso di quel mite colèra, che comunemente designasi col nome di Celerina: ed appunto in questo nuovo stadio di costi- tuzione epidemica io m' ebbi di nuovo ad osservare due altri casi di diabete. Confesso il vero: tutte queste circostanze mi sembrano molto atte a persuadere, che alla generazione delle glucosurie, da me osservate in picciolo spazio di tempo cosi straordinariamente numerose, abbiano realmente influito le ca- gioni epidemiche, chiaramente dimostrateci già dal contempo- raneo dominio di altre malattie. Ed è pure notabile, che que- ste cagioni medesime, per la loro influenza, resasi pure assai manifesta sui corpi umani, erano acconce a digradare questi dal più perfetto essere delle loro assimilazioni organiche e delle loro energie vitali: avevano cioè per lo appunto quella natura, che superiormente ho dimostrato appartenere a tutte le cause predisponenti alla glucosuria. La quale inoltre, poiché si costi- tuisce in una particolare lesione del processo assimilativo, è giusto eziandio di quelle, che più sentono la forza delle in- fluenze epidemiche. Però tutti questi argomenti mi pare che molto si dieno mano a convincere, che veramente le glucosurie da me osservate abbiano ricevuto impulso anche dalla costitu- zione epidemica dominante. Né dopo tutto ciò io rammenterò certe altre cagioni, dalle quali si è detto essere nato talvolta il diabete, le quali per la loro attitudine ad agire specialmente sui reni si può piuttosto credere abbiano valso ad originare semplici poliurie. Conside- rerei di tale maniera i diabeti, che si sono detti originati dall' abuso dei diuretici e degli emenagoghi, dalle cadute in piedi, dai colpi sulla spina dorsale, dalle malattie della midolla spi- nale, dalla ritenzione dell' orina e simili. Dopo che consta ab- bastanza r attenenza della glucosuria colle cagioni turbatrici dello stato assimilativo, e dopo che molti argomenti persuadono essere nello stomaco una morbosa generazione di zucchero nei Del Sic. Prof. Maurizio Bofalini aai diabetici, non si può tenere probabile che le poliurie nate per cause influenti specialmente sui reni fossero da riferirsi a vere glucosurie. In mancanza delle osservazioni dimostrative dell' esi- stenza dello zucchero nelle orine questo dubbio sembrami molto saviamente consigliato. Le testimonianze dunque della comune sperienza clinica, confrontate e disaminate insieme colle particolarità più consi- derabili delle glucosurie da me stesso osservate, mi sembra che apprestino non leggiero fondamento alle dimostrazioni, che fino ad ora sono venuto esponendo, e che mi piace ora di riepilo- gare per finale conclusione del mio discorso. i". La glucosuria può senza dubbio tenere a predisposizioni congenite. 2". Le condizioni meglio certificate dei corpi, che più vi soggiaciono, ripongonsi nella prevalenza dello stato albuminoso, o almeno nell' esclusione del più esteso e compiuto processo delle metamorfosi organiche opei'ate col mezzo dell' influenza dell' ossigeno. 3°. Malattie precedenti, e consuetudini della vita acconce ad avvalorare le predisposizioni alla glucosuria non sono che quelle, le quali fanno retrocedere le assimilazioni organiche dal loro migliore essere. 4°. Le influenze epidemiche valevoli d' un simile effetto pos- sono pure predisporre alla glucosuria. 5°. Molto probabile 1' efficacia del vitto vegetabile e singo- larmente del farinaceo nell' ingenerare una tale predisposizione. 6°. L' umidità congiunta colla bassa temperatura atmosferica, turbando le funzioni cutanee, influisce alla generazione della glucosuria, e sembra che ciò avvenga per sua azione diuturna a modo di causa predisponente, anziché per azione forte e su- bitanea a modo di causa occasionale. 7°. La glucosuria si origina moltissimo più per forza delle cause predisponenti, che per quella delle cause occasionali, or- dinariamente non avvertite, o realmente non esistite. 8°. Nata che sia, l'alimento feculento ha forza d'accrescerla, r animale di moderarla. aaa Sull' Eziologia della Glucosuria ec. g". Le considerazioni eziologiche intorno di essa non rischia- rano punto la ragione della saccarogenesi, ma dimostrano bene che una morbosa generazione di glucosa ha effetto entro lo stomaco. io°. Se questa sola sia la sorgente dello zucchero diabetico, non appare abbastanza dall'esame delle cagioni della glucosuria. 11°. In ogni modo queste concludono sempre a comprovare che senza un singolarissimo insieme d'influenze turbative delle assimilazioni organiche la glucosuria non insorge: la quale per- ciò dobbiamo riguardare come malattia proveniente da una cagione molto composta. 12,°. La rarità di essa stessa si può derivare unicamente dalla molta difficoltà di potersi insieme l'iunire tutti gli elementi d' azione necessarj a comporre la cagione di essa. i3°. Finalmente appare abbastanza manifesto un assoluto an- tagonismo fra la generazione della glucosuria e quella della vera diatesi flogistica. Tali pertanto le conclusioni, che a me sembrano più se- veramente dedotte dal complesso delle osservazioni relative all'eziologia di così infausta malattia. Spetterà quindi all'esame delle altre pertinenze di essa il rendere aperto, se queste me- desime confermino, o al contrario disdicano le conclusioni pre- dette. Intanto i savj consigli del Pubblico potranno essermi guida a meglio portare poscia le mie considerazioni eziandio sopra di quelle. SU DUE Liimi DETTI DELLE INCLINAZIONI E SULLE DIVERSE RESTITUZIONI DI ESSI DISQUISIZIONE DEL SOCIO ATTUALE CAVALIERE VINCENZO FLAUTI Ricevuta il 13 Maggio 1850. 1 ra gli altri libri del gran Geometra Apollonio, che formavan parte del Luogo Risoluto delle greche Scuole, ve n' eran due intitolati nepi vevaeov^ cioè delle Inclinazioni, l' argomento de' quali vien così generalmente dichiarato da Pappo : Duabus li- neis posinone datis , inter eas inserere rectam magnitudine da- tam, quae ad datum punctum pertingat. Ed egli poi vi sog- giugne, che i diversi problemi di questo argomento erano altri Piani, altri Solidi, altri Lineari; ma che quelli nel genere de' Piani, scelti da Apollonio, come più utili a grandi applicazioni, erano i seguenti : I. In un cerchio dato di sito, adattare una retta di data grandezza, che passi per un dato punto II. Dati di posizione \in semicerchio ed una retta perpendicolare al dia- metro, o due semicerchi co' diametri in una medesima retta j applicare tra le loro circonferenze una retta di data grandezza, che passi per un degli angoli di un semicerchio. III. Applicare tra' iati di un angolo una retta di data grandezza, che passi per un dato punto equidistante da' lati dell'angolo (i). (1) E da credere, che gli antichi Geometri avessero anche trattati problemi di que- sta famiglia negli altri due generi, di che un esempio ne rimane, pel terzo de' problemi enunciati, nel caso del punto dato comunque, del quale si valsero per la trisezione an- golare. Né è presumibile, che come per questo problema ne avevano resa più generale aa4 Su DUE LIBRI DI Apollonio Pergeo ec. Quest' ultimo problema, il primo, e quello di un solo se- micerchio e la retta, distinti ne' loro casi, e con le rispettive determinazioni componevano il primo degl' indicati due libri ; la soluzione, variando la posizione del punto, non avessero fatto ancor lo stesso pel semicerchio e la perpendicolare al diametro, e pe' due semicerchi, variando il punto di tendenza. E giova qui recare la soluzione del primo di questi, per comprovare il detto di Pappo, di esser tali problemi utili a grandi applicazioni. Problema. Dati di posizione il semicerchio POV ( fig. 1" ) e la perpendicolare AR al diametro di esso: inclinare tra la semicirconferenza e la perpendicolare la retta RB di data gran- dezza, tendente al punto G dato nel diametro. Soluzione. Dal punto B che si cerca, si ordini nel semicerchio la BF, e si tiri al centro C la BC. Pongasi G^zzx, RB = 6, e quindi GR = 6-«-a!, GA = o, GC=:c, CB=:r; sarà, pe' triangoli simili GAR, GFB, GR: GA:: GB: GF=:^^; e però CF=:GF — GC = r^^ e. Ma GB* = GC* -^- GB» h- 2CG X CF. Adunque sarà b-t-x ne' loro simboli 2acx „ , OH- a; equazione che convenevolmente ridotta diviene X -)-6a;*.4-(c» — r' — 2oc)a;-»-(c» — r»)6 = 0. La quale ne mostra esser solido il problema in tal caso; ed in essa ponendo c^r, cioè supponendo il punto G starne in P, si ha x^-t-bx — 2oe=:0, corrispondente al problema piano di Apollonio. Scoi. Essendo GB» ■+■ GG» = CB»-»-2FGXCG; sarà , toltevi rispettivamente le uguali grandezze CO» e GB», GB» — GÓ» = 2FG X CG . E moltiplicando il primo membro di questa equazione per GB-hBR, ed il secondo per GR, n' emergerà GB* -H BR X GB» - GO» X GB — BR X GO* = 2FG X CG X GR. Ma essendo GF : GB: : GA: GR, si ha FG X GR = GB X AG; e quindi 2GFXGRXCG = 2GBXAGXCG. Che però sostituendo questo secondo prodotto al primo nella precedente equazione, esso diverrà GB* -(- BR X GB* — ( 2 CG X AG -H GO» ) G B — B R X G^* = 0; che coincide con quella del problema risoluto, e che potrebbe tradursi in un geome- trico teorema, qual fu proposto dal Newton, per ridurre la costruzione delle equazioni cubiche ad applicare una retta data tra «n cerchio ed un' altra retta dati di sito, in modo che r applicala pasti per un punto dato ( App. de aequo const. lin. n. XXXIV. ). Del Socio Cav. Vincenzo Flauti 225 mentre 1' altro problema de' due semicerchi, da se solo, atteso il gran numero di casi e de' diorismi loro corrispondenti, ne componeva il secondo. Or non appena si ebbe conoscenza nella nostra Italia delle Collezioni Blatematiche di Pappo, dalle quali sole, incompiute e mutile come sono, ci è dato raccogliere poca parte dell' estesa scienza geometrica degli antichi, e prima ancora, che dopo le non terminate fatiche dell' illustre Commandini venissero pub- blicate in latino, e rese quindi di un uso più comune (i), si diedero i Geometri, principalmente gì' Italiani, a tentar la re- stituzione de' libri perduti di quel Luogo Risoluto. E torna a lode delle nostre felici regioni, che primo in questo aringo si fosse mostrato Francesco Maurolico, il quale, sulla semplice generalissima indicazione di Pappo, imprese a restituire i libri V. e VI. de' Conici di Apollonio. Da questo primo esempio si mosse il geometro raguseo Marino Ghetaldo, già per altri lavo l'i sopra Archimede cono- sciuto e riputato, a restituire 1' argomento delle Inclinazioni ■■, ma egli non valse, che a compiere solamente i problemi del I. libro, sia ( come egli afferma nello scolio col quale chiuse il suo lavoro pubblicato in Venezia nel 1607, col titolo di Apol- lonius redivims (2) ) , che una missione diplomatica presso (1) Il Comraaadiiiì mancato di vita uon potè perfezionare il grave e diCBcile lavoro delle Collezioni Matemaliehe di Pappo , le quali dopo la di lui morie furono pubblicate dal suo genero Valerio Spaccioli, impari a tale impresa j ond' è, che a torto l'Halley, con poca urbanità vèrso un uomo tanto benemerito dell'antica Geometria, taccia la costui versione di assurda ed insulsa ( ita in plerisque absurda adeo et insulsa erat Com- mandini versio. — Praef. in Apoll. Perg. de Sectione rationis, lib. II. ). Ed avrebbe dovuto ancora considerare aver egli potuto lavorare su due Codici mss. della Biblioteca Saviliana, all'un de' quali dà 1' Horsley l'epiteto di esimio, e che nel 1770 il credeva trascritto, con grandissima accuratezza ed eleganza, da mano italiana, da ben 250 anni indietro. Qual meraviglia dunque, se noi altri Italiani non avessimo potuto perfezionare tal ver- sione! spogliati come siamo stati e siamo tuttavia dallo straniero di quello che prepa- riamo in aumento delle scienze e delle arti. (2) Il Vossio nel cap. tviii de Scientiis Mathematicis, dopo aver dello, che 1' Apotto- nius redivivus era Apollonii Pergaei Inclinationum Geometria , così ripiglia : ApoUonium Tomo XXV. PJ' I.^ 29 220 Su DUE LIBRI DI APOLLONIO PeRGEO CC. r Imperator di Costantinopoli , della quale venne incaricato dalla sua repubblica, non glielo avesse permesso, sia che i tentativi fatti per risolvere compiutamente il problema del II. libro, non gli fossero riusciti felici (i) . Ad ogni modo tal sua pubblicazione, alla quale lo spinsero due suoi amici, non fu inutile alla Geometria; poiché da essa venne mosso Alessandro Anderson, geometra scozzese traspiantato in Parigi, a trattare questo problema , pubblicando quivi , cinque anni dopo del Ghetaldo, tal suo lavoro col titolo di Supplementwn Apollonìi redivivi (a) . Il Ghetaldo tacque le analisi de' problemi che risolveva, riportandone la semplice composizione, con le rispettive deter- minazioni, e giudicò ben 1' Horsley, eh' egli avesse trasmutate in sintesi le soluzioni ottenute con 1' analisi algebrica (3) ; e vero redìvivum nuncupavit, quia cum Àpollonii Conicorum libri Graece admodum formi vi- tiali; quos etiam secutus esset intralatione sua Federicus Commandinus : ipse loca corrupta ita sanitati restilueritj ut ex eo solvi possent problemata quae ante non poterant. Il che quanto sia poco esatto e puerile, il vede anche chiunque sia per poco versato nella Geometria antica. (1) Si avverte che Ghetaldo iu questo medesimo anno potè pubblicare eziandio il suo Supplemenlum Àpollonii Galli, e l'altre opere Variorum problemalum collectio, il nu- mero di ben XLIl, tra' quali sono quelli, che il Regiomontano non potè geometrica- mente risolvere. Sembra poi che 1' Halley non avesse avuto per le mani VÀpollonius re- divivus, e che avesse creduto aver costui trattato l'intero argomento delle Inclinazioni, cosi esprimendosi; Denique inclinationum problemata, per omnes casus executus est ilarinus Ghetaldus. (2) Ecco come sul proposito esprimesi lo stesso Ghetaldo : Distulissem autem , ut omnia simul evolgerentur , libri editionem ad reditum meum libentissime , nisi Nicolaus Tu- dittus et Lucas Bonus ingeniosi sane viri et prudenles , tnihique conjunctissimi alind mihi suasissent; ajebant enim hac arte excitari , acuique multorum ingenia posse, ut dum proble- ntalis solulionem detiderant, ipsi interim studeant excogitare solutionem : acquievi , edidi li- brum, proposito tantum non soluto problemate, expecto dum solvatur ab alio; e la sua aspet- tazione non rimase delusa. (3) Alias longe et admodum perplexas easuum variorum constructiones , ineunte saecuto decimoseplimo , in Apollonio suo redivivo Ghetaldus edidit , quas calculo algebraico derivatas (ut ex opere ejus postumo de Compositione et Resolutione mathematica sat liquido conslat ) in Apollonio suo sinthetiee demonstrare aggressus est, dissimulato qua usas sit analysi. Ed Del Socio Cav. Vincenzo Flauti aay come infatti l'Anderson confessò aver trattate le sue ricerche, per le quali non però riporta le Analisi geometriche, che per tal ragione veggonsi talvolta stentate. Ma che che ne sia non può negarsi alle une e le altre una tal quale eleganza, che se a prima vista non appare al paragone di altre, ciò deriva dal modo di esporle, e dal vedervisi compiute le costruzioni, e non già ridotte a lemmi o ad altri problemi. E sì l'uno che l'altro vi riportarono i casi e le determinazioni, da che risultano pel I. libro i nove problemi, che secondo 1' indicazione di Pappo dovevano comporlo, come si ha in fine de' lemmi, che questo Geometra ne recò per tali libri, dicendovi : Prìmus Uber Incli- nationum habet problemata novem; il che non combinando con ciò che ne aveva egli medesimo già detto nella prefazione al VII. libro delle Collezioni Matematiche, cioè: In primo antem libro demonstratur problema de uno semicirculo et recta, quod quidam quatuor casus habet, ut et ìllud de circulo in duos ca- sus divisum: atque etiam ìllud de rhombo, duos quoque casus habens, convien supporre, che in questa indicazione avesse egli ridotti in un solo problema due de' casi del semicerchio e la retta, come poteva benissimo avvenire per quelli della retta tangente o pur no il semicerchio. Nessuna ragione tenne il Ghetaldo de' lemmi riportati da Pappo come adoperati da Apollonio nelle sue soluzioni e de- terminazioni, né tampoco, pel problema del rombo, di cui per altro dà ne' due casi una non dispregevole soluzione. L' An- derson poi stabilì per fondamento di sue ricerche tre lemmi , che non sono in effetto, che la costruzione geometrica delle equazioni del a.° grado. Da ciò si vede, che né il Ghetaldo, né r Anderson s' impegnarono a procedere sulle orme segnate da Pappo per le soluzioni Apolloniane, ma che semplicemente cercarono riuscire nell' intento di dar risoluti tutt' i problemi di quella famiglia. Né essi avrebbero potuto a quello unifor- marsi, ripetendo le loro soluzioni dall' Analisi algebrica. il veder riportata dal Ghetaldo la sola analisi geometrica del problema XII tra XLII ch'egli ne risolve nell' opeia Variorum problemarum coUectio , conferma vieppiìi il dello dell' Horsley. aaS Su DUE libri di Apollonio Pergeo ec. Or erano scorsi ben i6o anni da che questi due Geometri avevan trattato tale argomento, quando un insigne geometra inglese uscito dalla Scuola del Newton, e forte coltivatore dell' Analisi degli antichi, Samuele Horsley, giudicando con più se- verità che non meritavano i lavori de' due suoi predecessori Ghetaldo ed Anderson, intrapi-ese a restituire fondamentalmente i due libri perduti delle Inclinazioni, cercando approssimarsi il più possibile alla niente del Geometra greco. E messosi al lavoro, tenendo innanzi 1' argomento di esso tratto da Pappo , ne diede con grandissima esattezza geometrica le soluzioni di tutt' i problemi indicativi, divisi ne' due libri e ne' loro casi, con le rispettive determinazioni da lui dette Limiti, tenendovi quella forma medesima, che altri Geometri connazionali avevano osservata in restituire altri libri del Luogo Risoluto, modellan- dosi a' due libri de Sectione rationis pur di Apollonio, rinve- nuti in arabo, e dall' Halley trasportati in latino idioma, e pubbUcati per le stampe di Oxford nel 1706 (i). E tanta fu nell' Horsley la tenacità in adempiere ad una restituzione fe- dele de' libri delle Inclinazioni, da fargli trasandare ancora r elegante soluzione dell' Ugenio pel problema del rombo, dan- done una di minor eleganza, sol perchè egli giudicava aver dovuto quella via tenere il Geometra di Perga, così esprimen- dosi nello scolio dopo i problemi 4° e 5° lib. I. : Problematum duoTum ultimorum constructiones expositae ( sono essi i due casi pel problema del rombo ) fallar ni Apollonii fuerint ; e continuando il ragionamento per convincere di tale identità. Ma non potendo poi resistere al paragone delle soluzioni di Eraclito tra gli antichi, e di Ugenio tra' moderni, chiuse tale scolio dicendo : Problematum 4-' ^^ 5.' constructiones a nostris diversas, sed concinnas ad modum Heracliti et Hugenii, prae- terire nefas esset, e le riporta compendiandole; senza aver (1) L' Halley restituì con esattezza greca i due libri di Apollonio de Sectione spatii, e Roberto Simson del pari i due Determinatae sectionis, cui ne aggiunse due altri, ed i due de Loca Plana. Ed a questo sistema rigoroso di restituzione, usato solo nella Scuola inglese , modellossi 1' Horsley. Del Socio Cav. Vincenzo Flauti 229 tenuto aflatto conto di quella del Ghetaldo, che pur non manca di una certa eleganza; e che ha il merito di essere stata la prima ad apparire di nuovo conio eseguita da Geometri mo- derni. Ma poiché né questa, né l'Ugeniana veggonsi corredate della corrispondente analisi geometrica, non credo fuori pro- posito r esibirne qui quella elegantissima oi'ditavi dal Pergola, compiendola. Problema. Inclinare pel vertice di un angolo di un dato rombo una retta, che arrestandosi tra' lati dell' angolo opposto, sia quanto una retta data. Cas. 1." Vogliasi primieramente applicarla nell'angolo este- riore D C G ( fig. a" ) del dato rombo AC, e che passi per l'angolo opposto A di tal figura, e ne pareggi la rg. Analisi geometrica. Sia RG una tal retta; e pe' tre punti R, C, G intendasi descritto il cerchio PGCR, che interseghi la diagonale AG del rombo in E; e dal punto medio P dell' arco RPG condu- cansi a' punti R, C, E, G le rette PR, PC, PE, PG. Saranno uguali i due angoli ECG, EPG, che sono nello stesso segmento E RPG, non meno che gli altri DCB, RPG, ciascun de' quali compie due retti col medesimo angolo RCG. Ma l'angolo DCB è duplo di RCA, o del suo uguale ECG. Dunque sarà ben- anche l'angolo RPG doppio di EPG. Cioè saranno uguali gli angoli GPK, RPK, come il sono per costruzione i lati che li comprendono; e però sarà GK = RK, e l'angolo PKG^PKA. Quindi sarà PE un diametro del cerchio descritto, e retto l'angolo PC E. Ciò posto, essendo equiangoli i due triangoli A K E, P C E , sarà AE:EK::PE:EC; e quindi le due rette AE, EC avendo per differenza la data AC, ed essendo reci- proche alle due date EK, PE, si potranno esibire. Composizione geometrica. Costr. Sulla data retta rg descrivasi il segmento circolare capiente l'angolo uguale al dato RCG, ed eg sia la corda a3o Su DUE LIBRI DI APOLLONIO PeRGEO CC. della metà dell'arco reg. Inoltre si trovino le due rette AE, CE reciproche alla eg ed aventi AG per differenza. Finalmente dal punto E s'inclini alla BG la EG uguale alla eg; sarà G il punto cercato. Dimost. Se la retta che unisce il dato punto A col punto G di già ritrovato non abbia la sua parte RG uguale alla data rg, intendesi esserne un alti'o punto M della CG soddisfacente al problema, cioè la retta AM abbia la sua parte L M uguale alla rg. Ciò supposto intendesi desciùtto il cerchio pe'tre punti L, C, M, che dovrà segare la CE in un punto N diverso da E; poiché segandola in E sarebbe EM'' = E C. Si dimostrerà col ragionamento addotto nell'analisi geometrica essere ANC = e^% e con ciò ad AEG, lo che è un assurdo. Cas. 2,°. La retta da inclinarsi per A ( fig. 3* ) sia ora la RAG, nell'angolo interiore del rombo. La soluzione per questo caso è precisamente la medesima, che pel precedente : ciò non ostante ne esibirò la semplice ^.NALISI GEOMETRICA. Sia RAG la richiesta retta, e descritto il cerchio pe' punti R, C, G, che interseghi in E la diagonale GA del rombo; dal punto medio P dell' arco R P G si tirino a' punti C, R, E, G le rette PC, PR, PE, PG. Sarà l'angolo RCG = RPG, e l'an- golo RCE = RPE; e però siccome RCG è doppio di RGE, così sarà RPG doppio di RPE, e l'arco RE uguale all'arco EG; e quindi EP sarà diametro del cerchio ECG, e perpen- dicolare alla RG. Laonde essendo simili i triangoli EAK, ECP, sarà EK:EA::EC:EP; e le due rette EA, EC, che hanno per differenza la data AC, e sono reciproche alle due date EK, EP si potranno geometricamente esibire. Ritornando ora alla restituzione dell' Horsley, dirò come avendo egli esaurita la materia del lib. L, dicendo: Ad alia propero legìtìma indagine post Apollonium nemini hactenus ag- gressa, per nulla contento del lavoro dell' Anderson, come poi il dichiara nell'ultima noterella in fine del IL libro, s'introduce Del Socio Cav. Vincenzo Flauti 23 i a questo col porre due lemmi, il primo desunto da Pappo, l'altro che è una proposizione semplicissima di dati, ch'egli enuncia in modo generale, limitandone poi la dimostrazione al caso di cui aveva bisogno. E dopo aver trattato il problema de' due semicerchi concentrici, per tutti i suoi casi, dovendo procedere okre, di ben quattro altri lemmi ha bisogno, i primi tre de' quali, che divide in otto casi, esigono, al modo come egli li tratta, lunghe e complicate dimostrazioni. Sicché per questa ragione principalmente, il suo lavoro, eseguito per altro con sommo rigore geometrico, riesce alquanto duro pe' nostri tempi, che lo più frequente uso de' metodi algebrico -geome- trici ha deviata 1' instituzione matematica del sistema che vi tennero gli antichi, e che nel i-isorgimento di queste scienze, e fino a tutto il secolo XVII serbò la Scuola Italiana, 1' Olan- dese e r Inglese. Ma poiché una favorevole contingenza, della quale dirò più appresso, ha dato luogo ad una elegantissima riduzione di tali lemmi, da che molto pregio acquista la resti- tuzione dell' Horsley, ho creduto far cosa grata a' dotti colti- vatori dell'antica Geometria di qui recarla. Tal riduzione con- tiensi nel seguente lemma problematico, e nel teorema di dati, che vien dopo. Lemma problematico. Nel lato PQ del dato angolo P (fig. 4^) sia dato il punto A; si vuol ritrovarne un altro D, dal quale inclinata ad esso lato la retta DG, nel dato angolo P, e sino all'altro lato PR, risulti dato il rettangolo di AD in DC. Soluzione. Al punto A della PQ costituiscasi l'angolo PAB uguale al dato N, ed il rettangolo dato sia quello di AB in M; sarà AB:DC::AD:M; e però PA:PD:: AD:M; e la AD sarà data ( 29 Elem. vi ) . I lemmi dell' Horsley sono nel seguente modo enunciati : Lem. III. Due rette comprendano uno spazio dato in un dato angolo; e 1' una di esse accresciuta, o minorata di una 2,32. Su DUE LIBRI DI APOLLONIO PeRGEO CC. terza retta data, serbi all' altra ancor essa accresciuta o mino- rata della stessa terza retta una data ragione: saranno date le rette proposte. Lem. IV. Due rette compi-endano uno spazio dato in dato angolo, e tolta ciascuna di esse da una terza retta data, le dif- ferenze risultino in data ragione. Le rette proposte saranno date. Lem. V. Due rette comprendano uno spazio dato in dato angolo; ed all'una di esse aggiunta o tolta una terza retta, la somma o la differenza serbi ragion data alla somma o diffe- renza di quelle rette ; ciascuna di queste sai'à data. Or tutti essi, distinti ne' loro casi, possonsi comprendere nella seguente Proposizione di Dati. Due rette X,Y comprendano un dato spazio in un angolo dato; e per mezzo di una data retta M, che loro si aggiunga o si tolga abbia luogo una delle seguenti analogie : Lem. ITI. Lem. IV. Lem. V. Q Q Q Q Q Q Q Q- Dico che le rette X, Y risulteranno date. Dimost. Dalla retta M, nell'angolo dato, costituiscasi il rombo ABMG ( fìg. 5*); e pel Cas. 1% il prolungamento AX del lato AG dinoti la X, quello AY del lato BA dinoti la Y, e compiasi la figura come si vede. Sarà data la ragione di MF ovvero ED:EM, nell' angolo dato E; e però il punto D si apparterrà ad una retta MD data di sito. Ed è similmente data la AX, ed in esse il punto A. Adunque la determinazione delle AX, XD ( X, Y ) dipenderà dal lemma precedente. Del Socio Cav. Vincenzo Flauti 233 Cas. a". Fatto lo stesso apparecchio precedente, le X, Y sieno prese dal punto M, e però dinotate dalle MFjME. Il ragionamento procederà analogamente; ed il punto dato invece di essere A, nella retta di sito AX, sarà M nella retta di sito MF. Cas. 3." Costruita la figura, le X, Y sieno dinotate dalle B F, B Y ; e però le X -H M, Y — M vengano rappresentate dalle C X, C E ; il punto D si apparterrà alla retta di sito G D ; e le MFjMD risulteranno date pel lemma precedente. Cas. 4.° Il rombo costruito sia ora EF, e le MB, MG rappresentino le X, Y, sarà data di sito la AD; ed è pur data la MF ed il punto M in essa. Quindi ancor questo caso vedesi ridotto al lemma. Cas. 5.° Essendo data la ragione di X -f- M : X-4-Y, sarà data, convertendo, ancor quella di X -1- M : Y — M [cas. 3.). Cas. 6." Dall'esser data la ragione di M-f-Y:X — Y, sarà, componendo , data ancor l' altra diM-t-X: X — Y; e per equalità 1' altra di M -+- X : M -i- Y, che è il caso i . Cas. 7." Data la ragione di M — X: X-hY, sarà pur data quella di M -i- X : X-i-Y; ed il caso presente riducesi al 5. Cas. 8.° Finalmente essendo data la ragione di M — X: X — Y, sarà, componendo, data ancor quella di M — Y: X — Y; e per equalità 1' altra di M — X : M — Y, che è il caso 4- Laonde in tutti i casi rimane dimostrato il proposto teorema. Proseguendo le considerazioni su questo argomento, non debbo tralasciare di dire, come lo avesse illustrato il Pergola, nel suo elaboratissimo trattato, che prima conoscevasi in sua Scuola col titolo di Arte Euristica; del quale poi fu da me pubblicato il Prospetto nel 1809 col titolo di Arte d' Inventare ; e che finalmente avendolo io ritatto, per la dispersione di ta- lune parti di esso, ed accresciuto specialmente per ciò che ri- guardava i nuovi metodi algebrico - geometrici , e pubblicatane la parte I.* intitolandola dell' Invenzione geometrica, nell' Ap- pendice al III. libro vi recai per saggio delle opere del Luogo Risoluto Piano i principali problemi de' libri di esso, tra quali r elegantissima soluzione del Pergola al problema de' due semi- Tomo XXV. P." /." 3o a34 Su DUE LIBRI DI APOLLONIO PeRGEO CC. cerchi separati affatto tra loro, e 1' uno fuori dell' altro, che credo a proposito di qui riportare, perchè si renda più nota. Problema. Dati di sito i due semicerchi AIG, DGB ( fig. 6") co'loro diametri per dritto; condurre dall'estremo A del primo di essi diametri la segante AIG, e fare che 1' interposta I H tra le due semicirconferenze sia data. Analisi geometrica. Dal centro O del secondo de' due semicerchi tirisi sulla segante A G la perpendicolare O P, che risulterà parallela alla corda C I nel primo semicerchio ; e nel prolungamento della linea AB de' diametri, prendasi la BQ uguale alla CD distanza tra quelli ; indi dal punto Q si tiri la Q F perpendicolare alla stessa AC. Finalmente si faccia QA:AC:: IH:IK. Ed essendo parallele le tre rette CI, O P , Q F , sarà CO:OQ:: IP:PF; e quindi IP = PF; che però tolte da esse le uguali PH, PC, resterà IH = GF. Ciò premesso, alla ragione di QA: AC è uguale tanto quella di FA: AI, quanto l'altra dilH, IK. Adunque sarà Q A : AC : : GA : K A : : G A X AH : K A X A H. Ma è dato il rettangolo G A X A H come uguale al dato BAD. Adunque sarà pur dato 1' altro K A X A H. Ed es- sendo data la KH, sarà data ciascuna delle AK, AH. E quindi si farà noto il punto H. Stava la cosa in questi termini, quando un antico allievo del Fergola, il Sig. Rafìaele Minervini, che dopo aver ben fatti gli studi matematici, gli aveva per lungo tempo messi da banda, per attendere attivamente alla professione d' ingegnere, da lui con molto profitto esercitata, vi ritornava per compiere 1' ar- gomento del II. libro delle Inclinazioni, per nulla conoscendo quanto vi si era già fatto, e neppure, com' egli afferma, la pre- cedente soluzione del Fergola, pubblicata fin dal 1842., ed alla quale la sua è identica, a meno di una semplicissima inver- sione, che la rende un poco meno elegante; e messosi al la- voro, e compiutene analogamente le soluzioni di tutti gli altri Del Socio Cav. Vincenzo Flauti a35 casi, e le rispettive determinazioni, si affrettò a stamparle. Nel qual tempo avendone fatta parola col suo collega di professione F. R., della nostra Accademia di scienze, costui senza dirmene il motivo, ricliiesemi 1' opera dell' Horsley, che mostrò al Mi- nervini; e nel medesimo tempo avendola egli scorsa, gli venne da prima il pensiero di rifare le dimostrazioni di que'tre lemmi sopra una retta, imitando 1' Horsley, e qnasi a modo de' pro- blemi Determìnatae sectionìs^ co' quali quelli hanno una certa analogia. Ma visto il poco vantaggio che ne ritraeva, gli si risvegliò la felice idea, che una costruzione in figura potesse contribuire alla buona riuscita, di che conferitone meco, si ot- tenne il risultamento di sopra esposto, dal quale il lavoro dell' Horsley acquista non poca pei'fezione. Per compimento di tutto il fin qui esposto, aggiugnerò, che il Fergola, universalizzando l'argomento delle Inclinazioni^ che piacquegli dirlo piuttosto delle Applicazioni^ ne fece il soggetto di sue ricerche, in diversi Opuscoli, che veggonsi tra quelli di sua Scuola, da me pubblicati nel 1811, mostrando ancora in essi in quali problemi possa ottenersene il risolvi- mento a modo de' piani, quantunque di loro natuia solidi, ipersolidi o lineari; facendo così col fatto rilevare quale pre- ponderanza abbia in taluni casi la Geometria pura su' metodi algebrico -geometrici. Ed a questo proposito non istirao super- fluo, atteso il modo come veggo da più tempo procedere l' iii- stituzione matematica, di chiuder questa mia disquisizione con inculcare alla gioventù che si avvia per 1' invenzione geome- trica di coltivare ogni qualunque metodo per essa ; e però di estendersi con alacrità all' apprendimento ed all' uso de' me- todi attivi e comodissimi, che offre la moderna Analisi; ma di non trascurare, come ora purtroppo n' è invalso il costume, quelli dell' antica Geometria, che oltre alla loro venustà, stam- pano tale impronta sicura ed indelebile nell' animo di chi li apprende, da potervi in ogni tempo ritornar sopra, e prevaler- sene con vantaggio. Di che un esempio evidentissimo ne offre il fatto del Minervini, il quale ha potuto, dopo il lungo periodo a36 Su DUE LIBRI DI Apollonio Perceo ec. di ben cinquant' anni, porsi di nuovo in cammino, compilando la restituzione di un argomento geometrico, non senza qualche precisione ed eleganza. A ciò aggiungo, che i geometrici pro- blemi possonsi alle seguenti classi ridurre, cioè altri essere di ragione^ comprendendo in questa quelli di tal natura precisa- mente, non che gli altri di grandezza e di specie^ che a quelli di ragione si rimettono; ed a questi, per la natura de' loro dati, non v' ha dubbio che possasi co' metodi algebrico - geo- metrici vantaggiosamente riuscire. Altri sono di genesi; e per essi può con pari successo adoperarsi 1' uno e 1' altro metodo. Finalmente che per quelli di sito i metodi algebrici sono inef- ficaci, se non vengano da una convenevole preparazione geo- metrica ajutati. E però conviene, che il Geometra il cui scopo non è di dare di un problema geometrico una tal quale solu- zione, ma la più elegante che può ottenersene, sappia a pro- posito adoperare 1' un metodo o 1' altro ; e talvolta accoppiarli insieme. Né debbo tacere, che ne' problemi trascendenti, ne' quali r Analisi algebrica si dimostra impotente, è alla Geome- tria che può in qualche modo ricorrei'si. ' J /^r,,/ . ii-S^ /^. / jT^^ 3. V^^ 6. A c u B Q fr IJ^'f^^^^ f ^. iA^:,,-/h:- /f/^/(a„,^ -/ -V>'1" '^'' J./'-.^.; 'Ì3é ■/,,, / ^■9 4 ^'ta -S. iii? ^- \ y-\^ 3 G B,„ a37 SOPRA IL FENOMENO CHE SI OSSERVA NELLE CALAMITE TEMPOUARIE DI NON CESSAR TOTALMENTE, NE QUASI TOTALMENTE, L'ATTRAZIONE FRA LA CALAMITA E L'ANCORA QUANDO, AL CESSAR DELLA CORRENTE NEL FILO CONDUTTORE AVVOLTO ALLA CALAMITA, SI CONSERVA L' ANCORA AD ESSA APPLICATA. DEL VICE-SEGRETARIO DOTTORE INGEGNERE PIETRO DOMEIMCO MARIANINI Preseììiata dal Socio Professore Giovanni Brignoli de Bbvnnboff, ed approvata dal Socio Cavaìiere Professore Giuseppe Belli Rietvula il 5 Luglio 1850. I. yjo\ mezzo di un elettromotore voltaico di una coppia alla Wollaston ho prodotto una corrente elettrica nel filo metallico di una calamita teraporaria a ferro da cavallo di forma ordi- naria e collocata in modo opportuno ad esplorarne la forza attrattiva. Applicatavi 1' ancora, trovai coi mezzi ordinar] che la forza di attrazione era di chilogrammi 24 circa. Tolta poscia la corrente e riapplicata l'ancora, trovai che la forza attrattiva era di soli 6 decagrammi, e, dopo alcuni successivi staccamenti dell' ancora dalla calamita, la forza suddetta era di soli due decagrammi; né per nuovi staccamenti seguitò a sensibilmente diminuire (1) . (I) Il diametro delie sezioni circolari di questa calamita è di 3 centimetri; la lun- ghezza della linea luogo dei centri delle sezioni suddette è di centimetri 43,5; le facce ove nascono i poli sono piane; l'ancora da quella banda da cui si applica alla cala- mita presenta una superfìcie cilindrica convessa. a38 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. Produssi di nuovo col suddetto elettromotore la corrente nel filo della medesima calamita temporaria ; vi applicai 1' an- cora, e poscia feci cessare la corrente lasciando 1' ancora ap- plicata ( mentre nella precedente sperienza la corrente cessò quando 1' ancora era dalla calamita lontana ) . Subito dopo esplorai la forza di attrazione, e la trovai di chilogrammi 7,4- ( Riapplicata I' ancora dopo lo staccamento, la forza attrattiva si trovò di chil. o, 6 ) . Ripetei più volte questa esperienza , colla sola differenza di esplorare la forza attrattiva non subito dopo di aver tolta la corrente lasciando l' ancora applicata, ma dopo un intervallo più o meno lungo di tempo, per esempio di due e fin di tre mesi, durante il quale non veniva giammai cambiata la posizione dell'ancora rispetto alla calamita; e trovai sempre la forza attrattiva fra i 7 e gli 8 chilogrammi. Pertanto si può conchiudere che se cessa la corrente vol- taica nel filo metallico di una calamita temporaria mentre vi è applicata l' ancora, non cessa totalmente né quasi totalmente r attrazione fra la calamita e 1' ancora, ma ne rimane una porzione notabile, la quale si conserva per quanto appare inal- terata finché non viene rimosso o variato il contatto fra T an- cora ed i poli della calamita. Ho anche osservato che se, dopo di aver tolta la corrente lasciando 1' ancora applicata, si diminuisca la estensione del contatto fra 1' ancora ed i poli della calamita collo strisciare quella su questi od altrimenti , benché poscia si riconduca r ancora alla sua prima posizione, la forza attrattiva si trova diminuita. 2. Ho poi applicata una carta sottile ai poli della calamita temporaria suddetta in modo che, applicandovi il grimaldello, rimaneva una piccola distanza fra esso ed i poli della calamita ; La piastra di zinco dell'elettromotore suddetto era amalgamata, e la superficie di essa, che immergevasi nel liquido, era circa di due decimetri quadrati. Avverto ancora che dopo ciascuna esperienza io asciugava la piastra di zinco e la amalgamava di nuovo se occorreva; procurava altresì che l'acqua acida avesse sempre la slessa atti- vità; onde in ogni esperienza l'elettromotore aveva presso a poco la medesima forza. Del Dott. Pietro Domenico Marianini aSg ed in tal circostanza vidi che la forza attrattiva, mentre pas- sava pel filo metallico della calamita la corrente prodotta dal medesimo elettromotore, era circa di chil. g, e quella, che ri- maneva dopo di aver tolta la corrente senza staccare il gri- maldello, era circa di chil. i, 3, ma stabile finché non veniva cambiata la posizione del grimaldello rispetto ai poli della ca- lamita. Adunque, acciò abbia luogo il fenomeno precedente- mente descritto, non è necessario il contatto fra l'ancora e la calamita. 3. Vedendo che il rapporto della forza attrattiva, che si manifesta dopo di aver fatta cessare la corrente nel filo della calamita temporaria lasciando 1' ancora ad essa applicata, a quella, che si manifesta mentre in esso filo vi è la corrente, è più grande quando il grimaldello si applica a contatto im- mediato coi poli che quando vi si applica a qualche distanza I giacché il^ > — — I , sospettai che il detto rapporto fosse per riuscire anche maggiore, e perciò 1' esperimento più con- spicuo, ove si facesse uso di una calamita temporaria e di un' ancora tali che, essendo questa opportunamente a quella applicata, i due contatti fra 1' ancora ed i poli della calamita riuscissero, proporzionatamente alle dimensioni di questa, più estesi che gli analoghi contatti fra la calamita e l'ancora usate precedentemente. Ho fatto perciò costruire una calamita temporaria a ferro da cavallo, le gambe del quale sono due cilindri retti ed eguali, avente ciascuno per base una figura composta di un rettangolo e de' due semicerchj costruiti sui due lati minori di esso, ed esse gambe sono poste in guisa che le due basi riescono in un medesimo piano, rispetto al quale le gambe stesse sono si- tuate dalla medesima banda, e la retta, che unisce i centri di esse basi, riesce perpendicolare ai lati maggiori di essi rettan- goli. La parte media, che unisce fra loro le gambe del ferro da cavallo suddetto, è incurvata a semicerchio e di forma con- grua a quella delle gambe stesse. L' ancora poi ha la stessa a4o Sopra, il Fenomeno che si osserva ec. forma che il ferro della calamita. Quelle facce di questa cala- mita, nelle quali nascer devono i poli, e le corrispondenti dell'ancora sono diligentemente spianate affinchè, quando l'an- cora è applicata alla calamita, il contatto reciproco riesca assai esteso. La foggia di questa calamita diversa da quella delle ordinarie fu scelta coli' intendimento di rendere più agevole il possihilmente esatto appianamento delle facce suddette (i) . Ripetendo su tale calamita le due sperienze nel primo para- grafo descritte, trovai che, mentre il filo era invaso dalla corrente, la forza attrattiva era di chil. 78 circa; e che, dopo di aver tolta la corrente, lasciando però applicata l' ancora, l' attrazione era circa di chil. 87. Qui adunque il rapporto della forza at- trattiva, che si manifesta dopo di aver tolta la corrente senza staccar l' ancora, a quella, che si manifesta durante il circuito elettrico, è maggiore che nelle spexùenze precedenti. Accennerò ancora che ( avendo poi 1' ancora ricevuto un urto accidentale, il quale ne ammaccò alcun poco le facce ap- pianate così che, quando essa veniva alla calamita applicata, il contatto reciproco non era più cosi esteso come prima, e r ancora tuttavia non barcolava ) ripetute le due medesime sperienze, trovai che, durante il circuito elettrico, la forza at- trattiva era di chil. a5, e che, dopo di aver tolta la corrente senza staccare 1' ancora, la forza attrattiva era di chil. 8. Ma rinnovato 1' appianamento ebbi ancora i risultati di prima. Dunque lo aumentare la estensione dei due contatti fra l'ancora ed i poli della calamita influisce ad ingrandire il rap- porto della forza attrattiva, che si manifesta dopo di aver tolta la corrente mantenendo 1' ancora applicata, a quella, che si manifesta durante il circuito elettrico. 4. Vedendo che, dopo cessata la corrente, rimane una | porzione notabile di forza attrattiva fra la calamita temperarla (1) La lunghezza delle facce di questa calamita, nelle quali nascono i poli, è di centimetri 8,-1, la larghezza di 1,35; e la lunghezza della linea luogo dei centri di quelle sezioni piane di essa calamita, le quali sono eguali alle facce suddette, è di cen- timetri 17,5. Essa è avvolta da 68 giri di filo della grossezza di un millimetro e un quarto. Del Dott. Pietro Domenico Marianini a^i e r ancora, non solo se l' ancora siasi conservata a contatto coi poli della calamita, ma anche se siasi conservata ad una piccola distanza da essi; ho pensato di imitare, in certo^ modo, col ferro dolce le calamite stabili d'acciajo. Feci costruire una calamita temporaria, il cui ferro ha le gambe foggiate e reci- procamente poste come quello della calamita descritta al para- grafo precedente : ma la parte media, che unisce fra loro le gambe, è piatta, ed il filo di rame, pel quale deve passare la corrente, ne avvolge soltanto le gambe, e ciò allo scopo di po- tere più agevolmente con apposito congegno, che feci costruire, collocare essa calamita in tali circostanze che, allo staccamento del grimaldello, esso si discosti dai poli della calamita sol di quel poco che si desidera. L' ancora è foggiata in guisa che , venendo convenientemente applicata alla calamita, essa ne tocca le facce ove nascono i poli secondo due striscie, che oc- cupano tutta la lunghezza di esse facce (i). Disposte le cose in guisa che allo staccamento dell'ancora, questa si scostasse dai poli della calamita solo di un diecimil- limetro circa, ho prodotto col solito elettromotore la corrente nel filo, e poi la ho tolta essendo applicata l' ancora. La forza d' attrazione fra 1' ancora e la calamita fu di chil. 35. Riap- plicai r ancora dopo lo staccamento e disposi le cose in guisa che, staccandosi essa dalla calamita, non le si discostasse che di mezzo diecimilliinetro circa, e cosi le mantenni per tutte le successive sperienze a fine di esser certo che 1' ancora non andasse mai distante dalla calamita piìi di quello che andò dopo il primo staccamento. Sperimentata la forza di attrazione, la trovai di chil. io, ig. Sperimentata poi per più volte, i ri- sultati furono fra i 9,89 ed i 10,37 chilogrammi. Nei giorni successivi sperimentai molte volte la forza attrattiva di questa calamita , ed avvennero per conseguenza molti staccamenti (I) Il ferro di questa calamita temporaria pesa chil. 4,75; l'ancora pesa chil. 1,39. La lunghezza delle facce ove nascono i poli è di centimetri 13, 1 , la larghezza di cent. 1,8. Il filo avvolto alle gambe è della grossezza di millimetri 1, 25 e forma 55 giri su ciascuna. Tomo XXV. P."^ I." 3i 24^ Sopra il Fenomeno che si osserva ec. dell' ancora. Dopo dieci giorni da che fu impresso il magne- tismo, la forza attrattiva oscillava fra i chil. 8,98 ed i 9, 4'- Lasciata poi I' ancora applicata per 2,6 giorni, trovai la forza attrattiva di chil. 9,4^' ^ provata ancora molte volte, la trovai sempre superiore agli 8, 98 chilogrammi. Dopo 36 giorni, nei quali lasciai sempre l' ancora a contatto coi poli della calamita trovai r attrazione di chil. io, 01. Riapplicata dopo lo stacca- mento trovai l'attrazione di chil. 9, aòj ed una terza volta la trovai di chil. 9, 8a. Ho poi allontanata 1' ancora dai poli della calamita, fino alla distanza di 8 diecimillimetri, e, riapplicata, l' attrazione fu di chil. 3, 06. Allontanata finalmente di molto l'ancora dalla calamita, e poi riapplicata, 1' attrazione fu di chil. i, 98. 5. Ora, volendo io passare ad espori'e il modo con cui soglio rendermi ragione del fenomeno, che si osserva negli esperimenti descritti precedentemente, gioverà registrare dap- prima le due seguenti sperienze, ed alcune considerazioni su di esse. i.^ Ho presi venti cilindretti di ferro dolce fra loro eguali della lunghezza di centimetri 8, 2 e ciascuno del peso di grammi 1,27. Essi erano privi di polarità, ed anco di magnetismo dis- simulato (1). Magnetizzatone uno, ne esplorai poscia la forza col magnetometro; indi formai di tutti un fascio, ed, estratto poscia il suddetto, ne esplorai nuovamente la forza, e trovai che essa era circa la stessa. a.' Magnetizzai similmente tutti gli altri, tenendoli dopo la magnetizzazione fra loro separati. Esplorai con esso magneto- metro anche la forza di ciascuno di questi, e, lasciato trascor- rere un intervallo di più di sette ore, esplorai di nuovo la forza di ciascuno dei venti cilindretti, né la trovai sensibil- mente diminuita. Poi li unii tutti formandone un fascio in (I) Veggasi la Memoria sul magnetismo dissimulato ecc. del Cav. Stefano Marianinl nel Tomo XXIII delle Memorie della Società Italiana delle Scienze. Del Dott. Pietro Domenico Marianini ^43 guisa che tutti i poli nord fossero da una banda, e per conse- guenza tutti i sud dall'altra. Separati di nuovo fra loro, trovai col mezzo dello stesso magnetometro clie la forza di ciascuno era notabilmente diminuita. Le deviazioni, che essi produce- vano ueir ago del magnetometro prima di essere stati uniti in fascio, erano fra i So" ed i ò^ò°\ quelle, che producevano dopo, erano fra i i3° ed i 11° (i). Questa diminuzione di forza magnetica , a motivo della prima di queste sperienze, non può attribuirsi ai piccoli urti e sfregamenti, che i cilindretti sotirirono nell' unirli in fascio; né può giudicarsi effetto del tempo trascorso fra le due ultime esplorazioni della loro forza magnetica, poiché il tempo assai più lungo, che lasciai trascorrere fra la prima e la seconda esplorazione, non aveva prodotto in essi diminuzione sensibile di forza; conviene adunque attribuirla ad una magnetizzazione contraria (2), che ciascuno soffri dall' insieme di tutti gli altri. Ora é manifesto che se, uniti in fascio i suddetti ferri, essi, per ipotesi, non si fossero magnetizzati reciprocamente in senso contrario, il fascio stesso avrebbe avuto una forza ma- gnetica maggiore di quella che realmente aveva. E poi noto che, se due cilindri o prismi, aventi le basi egualmente o quasi egualmente oblunghe, di ferro dolce della stessa qualità e di egual grado di crudezza, hanno eguali lun- ghezze , il pili sottile può conservare una forza magnetica avente col suo peso rapporto maggiore di quello, che col peso del men sottile ha la forza magnetica che questo può conser- vare. Due hli di ferro dolce della lunghezza di un decimetro e del diametro di due diecimillimetri, purché si preservino da (1) Questa esperienza è in sostanza una ripetizione di un'esperienza del Coulomb; e le cousiderazioni che seguono su di essa, se non sono nuove, sono rettificale secondo la teoria del magnetismo dissimulalo. Veggasi la succitata Memoria. (2) Bissi marjntlizzaziont contraria e non smagnetizzazione, poiché allorquando col mezzo di una calamita si toglie la polarità ad un ferro, il magnetismo in esso non è distrutto, ma, almeno in parte, dissimulato da magnetismo impresso in senso contrario. Veggasi la citata Memoria sul magnetismo dissimulalo. a44 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. urti anche piccoli, dalle torsioni ecc. , ponno conservare tal forza magnetica che, unendo il polo nord dell' uno col sud dell' altro, vi sia fra loro un' adesione maggiore del triplo del peso di uno di essi. Se adunque si formasse un fascio con un grande numero di sottilissimi fili di ferro dolce tutti fortemente magnetizzati nello stesso senso, ammesso per ipotesi che questi nel formare il fascio non si magnetizzino reciprocamente in senso contrario, è manifesto che il fascio avrebbe una grande forza magnetica. Ed il rimanere nel fascio soltanto una tenue forza, come real- mente accadrebbe, dovrà attribuirsi alle contrarie magnetizza- zioni reciproche, che avrebbero luogo nei fili suddetti. Ora se si considera un ferro come composto da un am- masso di sottilissimi fili (supposto che esso venga magnetizzato in guisa che nascano i poli in que' due tratti della sua super- ficie ne' quali terminano i fili suddetti ) è ragionevole 1' am- mettere (come farò) che, ove cessi la causa magnetizzante, i fili suddetti si magnetizzeranno reciprocamente in senso con- trario; e che a questo reciproco magnetizzarsi in senso con- trario di tali fili dovrà attribuirsi, almeno in gran parte, la grande diminuzione di forza magnetica che accadrà nel ferro suddetto. E qui si noti che, siccome il fenomeno, che si ossei-va nella precedente sperienza, avrebbe luogo anche se i cilindretti fossero d' acciajo di qualunque qualità e tempra, e siccome anche i cilindri o prismi d' acciajo di data lunghezza, qualità e tempra ponno conservare più forza magnetica in proporzione del loro peso se sono più sottili, ne viene similmente di conse- guenza esser ragionevole l'ammettere per l' acciajo ciò che ho ammesso poc' anzi pel ferro dolce. 6. Immaginiamo ora di aver presente una calamita tempo- raria a ferro da cavallo, e, per semplicità, avente in un me- desimo piano le facce ove nascono i poli. Quando dirò che r ancora è ad essa applicata a contatto o semplicemente ap- plicata., sempre intenderò che lo sia in una medesima guisa Del Dott. Pietro Domenico Marianini 24-5 ed a contatto immediato coi poli. E quando dirò che l'ancora è ad essa applicata ad una piccola distanza, intenderò che sia applicata alla detta distanza dai poli, e come se dopo messa a contatto si l'osse allontanata dalla calamita con moto perpen- dicolare alle facce di questa nelle quali formansi i poli. Il ferro di questa calamita temperarla lo immaginerò com- posto da un ammasso di fili conformati in modo da occupare coi loro estremi quelle porzioni dei poli, nelle quali la cala- mita è a contatto coli' ancora quando questa è a quella applicata. Per ciò che si è detto al paragrafo precedente si può ri- tenere che, se la grossezza de' fili suddetti non eccedesse una certa misura, ciascuno di essi, quando per ipotesi fosse sepa- rato dagli altri e gli venisse impresso quel medesimo stato magnetico che assume quando passa la corrente nell'elica della calamita temperarla, conserverebbe o in tutto od almeno in parte notabile il detto stato magnetico anche dopo cessata la causa, che glielo ha impresso. Siccome i suddetti fili, dall' in- sieme de' quali immagino composto il ferro della calamita, ponno essere sottili quanto piace, così riterrò che la loro gros- sezza non ecceda la misura suddetta. Considererò anche 1' ancora come risultante da un am- masso di fili analogamente sottili, che co'loi'o estremi occupino quelle porzioni della superficie dell' ancora, nelle quali essa è a contatto colla calamita quando è a questa applicata. Ritenuto tutto ciò, le grossezze, le forme e le posizioni de' fili, de' quali considero composte la calamita e l'ancora, sono ancora abbastanza indeterminate da poterle ritenere, come farò, tali che il numero de' fiU, di cui considero composta r ancora, eguagli quello dei fili, di cui considero composta la calamita, e che quando quella è a questa applicata, gli estremi di ciascuno de' fili, di cui quella è composta, si adattino esat- tamente cogli estremi di un rispettivo filo di quelli, che com- pongono la calamita. Ora la grande diminuzione di forza magnetica, che accade nella calamita temperarla nel caso che cessi la corrente nella 246 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. sua elica, e I' ancora o sia lontana ovvero venga allontanata da essa, deve attribuirsi almeno in gran parte alle contrarie reciproche magnetizzazioni che hanno effetto tra i fili di cui considero composta la calamita stessa ( paragrafo precedente ) . Cos'i pure la grande diminuzione di forza magnetica, che ac- cade neir ancora nel caso che dalla calamita venga allontanata cessando o no la corrente, deve attribuirsi almeno in gran parte alle contrarie magnetizzazioni reciproche de' fili di cui consi- dero composta 1' ancora stessa. Ora, ove cessi la corrente nella spira e 1' ancora si con- servi alla calamita applicata o a contatto od a piccola distanza, avranno effetto tra i fili componenti la calamita delle contrarie reciproche magnetizzazioni minori che nel caso in cui cessasse la corrente e 1' ancora venisse allontanata dalla calamita o fosse già da essa lontana; e tra i fili componenti l'ancora delle contrarie magnetizzazioni minori che nel caso in cui essa venisse allontanata dalla calamita cessando o no la corrente. Ciò si appoggia al fatto noto che, allorquando ai poli di una calamita qualunque sono applicati o a contatto o a piccola distanza i poli, ad essi rispettivamente amici, di un altra, la forza magnetizzante di essa è diminuita ; poiché : quando al togliere la corrente si consei'va 1' ancora applicata a contatto alla calamita temporaria, tutti i fili di cui questa è composta , i quali sono calamite, hanno applicati ai loro poli i poli ad essi rispettivamente amici di altrettante calamite, le quali sono i fili di cui r ancora è composta, onde le loro forze magnetiz- zanti riesciranno diminuite; ed in analoghe circostanze trovansi i fili di cui considero composta l'ancora: e, quando al cessare della corrente si conserva 1' ancora alla calamita applicata a piccola distanza, tutti i fili di cui considero composta la cala- mita temporaria hanno ai loro poli applicati, non a contatto, ma a piccola distanza, i poli ad essi rispettivamente amici dei corrispondenti fili i quali costituiscono 1' ancora, onde le forze magnetizzanti di que' fili riusciranno pure diminuite ; ed in circostanze analoghe trovansi i fili costituenti 1' ancora. Del Dott. Pietro Domenico Marianini ^47 Poiché adunque, nel caso in cui cessi la corrente nell' elica e si conservi il grimaldello alla calamita applicato o a contatto od a piccola distanza, hanno effetto tra i fili componenti la calamita delle contrarie reciproche magnetizzazioni minori che qualora cessi la corrente e 1' ancora venga allontanata dalla calamita o si trovi già da essa lontana, e tra i fili componenti r ancora hanno luogo delle contrarie magnetizzazioni minori che quando questa venga allontanata dalla calamita cessando o no la corrente ; è manifesto che in quel caso dovrà rima- nere : nella calamita una forza magnetica maggiore di quella che vi rimane nel caso che cessi la corrente e 1' ancora o sia lontana ovvero venga allontanata dalla calamita : nell' ancora una forza magnetica maggiore di quella che vi rimane nel caso che venga dalla calamita allontanata, cessando o no la corrente. Dunque nel caso che cessi la corrente e 1' ancora si con- servi applicata alla calamita, o a contatto o ad una piccola distanza, rimarrà fra la calamita e 1' ancora un' adesione mag- giore di quella che fra esse avrà luogo nel caso che, essendo cessata la corrente ed essendo l'ancora dalla calamita lontana, venga quella a questa applicata o a contatto o a quella pic- cola distanza rispettivamente (i). (I) Qualora si separino le calamite formaiili uq magazzino magnetico, e magneliz- zandole si aumenti la forza di ciascuna, indi si riuniscano a formare il magazzino, accadrà in esse ciò che accade nei fili, di cui considerai formata la calamita tempora- ria, quando cessa la corrente senza essere applicata l'ancora; vale a dire ciascuna di esse subirà dall' insieme delle altre una magnetizzazione contraria. Se poi, dopo di avere un' altra volta separate le suddette calamite, con nuove ma- gnetizzazioni si riducano ad avere presso a poco quel grado di forza permanente, che gli si era impresso colle precedenti magnetizzazioni, indi ai poli di esse si applichino a guisa di grimaldelli de' ferri, e poscia ( lasciando così applicati questi ferri ) si com- ponga il magazzino; poiché i detti ferri sono calamite, che coi loro poli toccano i poli ad essi rispettivamente amici delle calamite cui sono applicati, accadrà manifestamente per queste ciò che accade pei fili, di cui immaginai composta la calamita temporaria, quando cessa la corrente voltaica e 1' ancora si conserva applicala; vale a dire la 2.^8 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. 7. Quella contraria magnetizzazione reciproca, la quale, ove cessi la corrente nell' elica e l' ancora si conservi alla ca- lamita applicata, ha effetto tra i fili componenti la calamita e tra quelli componenti 1' ancora, non è improbabile che abbia effetto non soltanto in un tempo brevissimo succedente alla cessazione della corrente, ma anche in seguito. Se avesse ef- fetto soltanto in un tempo brevissimo succedente alla cessa- zione della corrente, è manifesto che quella forza attrattiva, che rimane, si conserverebbe inalterata. Se ha effetto anche in seguito, la forza attrattiva, che rimane, andrà successiva- mente diminuendo. Ma in quella guisa che, allorquando con una calamita si va magnetizzando un ferro od acciajo, in esso cresce assai la forza magnetica in principio della magnetizza- zione, e va poi successivamente crescendo con minore inten- sità in guisa che , poco dopo il principio della operazione contraria magnetizzazione recìproca fra le singole calamite riuscirà minore che quando si opera nel primo modo. Ora ecco come possa sui magazzini magnetici eseguirsi un' esperienza , che ha so- miglianza con quella che forma il principale soggetto di questa Memoria. Se dopo di avere fortemente magnetizzate ad una ad una le calamite di un ma- gazzino, si applicherà alla maggiore di esse 1' ancora del magazzino stesso, ed alle al- tre de' ferri come nella sperienza testé descritta , e poi si comporrà il magazzino , indi si toglieranno tutti i ferri applicati alle calamite secondarie, lasciando applicata l'an- cora alla maggiore ; le contrarie magnetizzazioni , che si saranno effettuate fra le cala- mite componenti , saranno minori di quelle che si sarebbero effettuate ove si fosse al- lontanata anche l'ancora; onde fra l'ancora ed i poli del magazzino vi sarà un'ade- sione maggiore di quella, che si troverebbe qualora, essendo stata rimossa anche 1' an- cora, venisse di nuovo applicata. Tutto ciò viene confermato dal fatto. Separate le sette calamite, che formavano un magazzino magnetico che reggeva chil. 9, trovai che esse reggevano rispettivamente chil. 0,33; 0,77; 0,66; 1,44; 0,77; 0,75; 0,11. Le magnetizzai una ad una strisciandone simultaneamente le gambe sui poli di una ca- lamita teniporaria ; e con ciò acquistarono tal forza permanente da reggere rispettivamente chil. 1,55; 2,01; 2,1; 3,45; 1,89; 1,98; 0,34. Indi alla calamita principale applicai l' ancora del magazzino ed alle altre applicai a guisa di grimaldelli de' cilindretti di ferro poco più sottili delle rispettive calamite. Del Dott. Pietro Domenico Marianini ^49 magnetizzante, li successivi aumenti di forza sono piccolissimi, ed in seguito insensibili ; cosi è naturale che, ove la contraria magnetizzazione reciproca de' fili abbia continuamente un qual- che effetto, cioè produca in essi una continua diminuzione di forza magnetica, questa diminuzione andrà tuttavia continua- mente scemando ed in guisa che poco dopo il suo principio diverrà piccolissima ed in seguito insensibile ; molto più che qui la causa magnetizzante va continuamente scemando. Da ciò si fa manifesto che la forza magnetica, che rimane nella calamita e nell' ancora quando cessa la corrente e 1' ancora si mantiene applicata alla calamita, deve ( trascorso che sia un brevissimo tempo) conservarsi inalterata o pressoché inalterata. 8. Osservo qui che : siccome le forze magnetizzanti di due calamite, di fòrze e grossezze poco diverse, riescono molto di- minuite quando l'una di esse sia posta coi poli a contatto dei Avendo poscia ricomposto il magazzino e decomposto di nuovo , trovai che le singole calamite non avevano scemata sensibilmente la loro forza. Applicata di nuovo 1' ancora del magazzino alla calamita principale, ed alle altre i cilindretti, come sopra, io composi ancora il magazzino, e poi rimossi ì cilindretti , la- sciando soltanto applicata l'aacora del magazzino. Esplorai poscia la forza di attrazione fra l'ancora ed il magazzino, e la trovai di chil. H, 36. Riapplicata poscia l'ancora ai poli del magazzino, esso non resse che chil. 10,4 abbandonando l'ancora all'ag- giunta di un ectogrammo. Applicata ancora l'ancora, ebbi lo stesso risultato; e ri- petuta questa operazione una terza volta, il magazzino non potè reggere chil. 10,4, ma soli 10, 3. Decomposto dopo tutto ciò il magazzino, trovai che le calamite componenti regge- vano ordinatamente chil. 0,45; 1,22; J, I ; 1,89; 1,12; 1,11; 0,25. Magnetizzai poscia di nuovo nel modo suindicato una ad una le sette calamite componenti; con che acquistarono presso a poco le forze, che avevano dopo la ma- gnetizzazione precedente. Indi applicai 1' ancora alla calamita principale, ed alle altre i •oliti cilindretti: ricomposi il magazzino, e poi ho rimossi i cilindretti, ed anche l'an- cora strisciandola sui poli della calamita principale. Riapplicala questa, trovai che 1' at- trazione fra essa ed il magazzino era di chil. 10,6. Egli è riflettendo su tali esperienze, nelle quali m' imbattei cercando di rinforzare il magazzino suddetto, che mi si offerse alla mente la suesposta spiegazione del feno- meno, che forma 1' argomento di questa Memoria. Tomo XXV. P." I." 3a aSo Sopra il Fenomeno che si osserva ec. poli ad essi amici dell' altra e i due contatti sieno estesi per due superficie non troppo piccole rispetto alle grossezze delle calamite stesse; così la magnetizzazione contraria, che ha luogo tra i fili componenti la calamita temperarla ove cessi la cor- rente ed il grimaldello si conservi applicato a contatto coi poli della calamita ed esso sia tale da toccare i poli stessi in due superficie molto estese, deve essere molto minore che la contraria magnetizzazione che ha luogo ove cessi la corrente mentre 1' ancora non è applicata. Analogamente può dirsi ri- spetto ai fili componenti 1' ancora. Dalle quali cose resta spie- gato come la fijrza magnetica, che rimane nella calamita e neir ancora quando cessa la corrente e I' ancora si conserva , alla calamita applicata ed i contatti fra l' ancora ed i poli della calamita sono molto estesi, superi di molto quella, che rimane ove cessi la corrente e 1' ancora venga allontanata dalla cala- mita o sia già lontana da essa. Osservo pure che : siccome, quando di due calamite l' una è applicata co' suoi poli a contatto de' poli ad essi rispettiva- mente amici dell' altra, le loro forze magnetizzanti riescono diminuite di più se i due contatti sono più estesi; così è chiaro che a diminuire la contraria magnetizzazione reciproca, e de' fili componenti la calamita temperarla, e di quelli com- ponenti l'ancora, influirà l'ampiezza dei due contatti fra que- sta ed i poli di quella; giacché quando sono più ampii questi contatti, sono più ampii anche i contatti fra gli estremi dei singoli fili componenti la calamita e gli estremi dei rispettivi fili componenti 1' ancora. Dal che si fa manifesto che il feno- meno di cui si tratta deve riuscire più conspicuo quando, pari essendo le altre circostanze, i contatti fra 1' ancora ed i poli della calamita sieno più estesi ; il che concorda colle sperienze del paragrafo 3. Così pure dall' essere le forze magnetizzanti di due cala- mite diminuite meno quando i poli dell' una sono situati di fronte ai poli rispettivamente amici dell' altra, ma ad una pic- cola distanza da essi, che quando lo sono a contatto immediato, Del Dott. Pietro Domenico Marianini a5i si fa manifesto che il fenomeno stesso deve essere meno con- spicuo se si conservi 1' ancora applicata alla calamita ad una piccola distanza, che se la si conservi applicata a contatto; e ciò concorda colla sperienza del paragrafo a. 9. Ora cade in acconcio di dare una facile spiegazione del seguente noto fenomeno. « Allorquando, messa in attività, con un elettromotore a forza decrescente, una calamita teraporaria a ferro da cavallo onde sperimentarne la forza, lo staccamento dell' ancora accade dopo qualche tempo; se poi, senza mai interrompere il cir- cuito elettrico, si applica di nuovo l' ancora, anche subito dopo lo staccamento, si trova che la calamita non può reggere che un peso notabilmente minore di quello che aveva retto prima. » Rivolgo, per semplicità, il discorso sulla calamita tempo- raria che intendevamo aver presente nei tre precedenti para- grafi. Fingiamo prodotta una corrente voltaica decrescente nella sua elica e che l' ancora si tenga lontana dalla calamita. La forza magnetica di questa andrà continuamente scemando; ed il continuo scemare di questa forza deve attribuirsi almeno in gran parte alle successive contrarie magnetizzazioni reciproche de' fili costituenti la calamita, alle quali dà luogo il continuo decrescere della corrente. Ma quando, prodotta essendo la corrente nell' elica, si con- servi r ancora alla calamita applicata, le contrarie magnetizza- zioni suddette vengono in parte impedite ; laonde in tal caso la forza della calamita temporaria dovrà scemare con meno celerità. Se poi, dopo qualche tempo che è prodotta la cor- rente nella spira della calamita temporaria e che vi si lascia l'ancora applicata, venga questa rimossa, è manifesto che ver- ranno a compiersi le contrarie magnetizzazioni suddette, le quali erano in parte impedite dall' applicazione dell' ancora ; oltre che i fili componenti l' ancora si ridurranno reciprocamente a pochissima forza magnetica : laonde diminuirà la forza ma- gnetica nella calamita e nell' ancora. Pertanto se anche subito dopo si applicherà nuovamente questa a quella, la forza di aSa Sopra il Fenomeno che si osserva ec. attrazione dovrà essere minore di quella che vi era anche un sol momento prima dell'allontanamento dell'ancora dalla calamita. 10. Cogli stessi ragionamenti fatti ne' paragrafi 6 e g può dedursi che, se in due ferri ( de' quali l' uno abbia le sue estre- mità a contatto con quelle dell' altro o molto vicine ad esse ) venga impresso da una causa qualunque del magnetismo in guisa che i poli dell' uno riescano a contatto o vicini rispetti- vamente ai poli ad essi amici dell' altro ; al cessare od al di- minuire la causa magnetizzante, il magnetismo in essi dimi- nuirà meno che se, nei due medesimi ferri mantenuti invece fra loro lontani, venisse impresso quel medesimo stato magne- tico, e quindi cessasse o similmente diminuisse la causa ma- gnetizzante. Ed in questa circostanza, se venga diminuita la causa magnetizzante, i ferri stessi conserveranno forza magne- tica maggiore di quella che acquistata avrebbero se la causa magnetizzante fosse stata così diminuita fin dal principio della sua azione. Cosi pure con ragionamenti analoghi ai testé citati può dedursi che, essendo applicato un ferro ai poli di una calamita a guisa di grimaldello, se si avvicinino ai poli di essa i poli di un' altra, il nord al sud ed il sud al nord, in quel ferro diminuirà bensì la polarità; ma se ne conserverà più di quella che esso acquisterebbe se venisse applicato alla calamita, es- sendo già avvicinati nello stesso modo ai poli di essa i poli dell' altra. 11. Se poi riflettendo sui ragionamenti fatti ai paragrafi 6 e g, si considera che la forza di una calamita per magnetiz- zare un pezzo di ferro o di acciajo, che le venga applicato a contatto secondo tutta la sua lunghezza, riesce diminuita non pure quando ai poli di essa sieno applicati i poli ad essi ri- spettivamente amici di un' altra, ma anche, benché in minor grado, quando ad un sol polo di essa sia applicato il polo amico di un'altra; si vede i" che se si prenderanno due ver- ghe di ferro o d' acciajo, e si adatterà un estremo dell' una ad un estremo delF altra, indi, con qualunque mezzo, si ma- Del Dott. Pietro Domenico Marianini ìì53 gnetizzerà il loro insieme in guisa da far nascere i poli negli altri due estremi, al cessare od al diminuire della causa ma- gnetizzante, in ciascuna verga la forza magnetica diminuirà meno che se in esse si fosse impresso il medesimo stato ma- gnetico e si fossero mantenute fra loro disgiunte: a° che il ma- gnetismo, che in quel caso rimarrà nelle due verghe, dovrà diminuire al solo allontanare 1' una dall' altra. Relativamente a ciò feci la seguente sperienza. Ho presi due cilindretti d' acciajo eguali del diametro di cinque millimetri e della lunghezza di quaranta. Tenendoli con apposito congegno fra loro uniti in guisa da formare un sol cilindro, li magnetizzai col mezzo di una calamita; e dopo ciò il loro insieme deviava 1' ago del magnetometro di ^6°. Li separai poscia, ed in seguito li riunii come erano prima, e dopo ciò il loro insieme deviava 1' ago del magnetometro di soli 36". Per togliere il dubbio che questa diminuzione di forza di- pendesse dai piccoli urti e sfregamenti, che i cilindretti sof- frirono, e per nulla dalla contraria magnetizzazione che, se- condo le cose premesse, deve aver luogo nei sottili fili, di cui può immaginarsi composto ciascuno d' essi cilindri, allorché viene l'un cilindro dall'altro allontanato; ripetei la stessa espe- rienza coir avvertenza di tenere applicati ai loro estremi più lontani due ferri, quando allontanava un cilindro dall' altro e fino a quando li aveva di nuovo riuniti; dopo di che trovai che r insieme de' due cilindri deviava l' ago del magnetometro non di 36% ma di ^i°. Così operando veniva manifestamente diminuita la contraria magnetizzazione de' fili suddetti, mentre si aumentavano gli urti e gli sfregamenti. Se dunque il fenomeno dovesse ripetersi unicamente da questi, l' ultima deviazione avrebbe dovuto es- sere minore di 36°; ma poiché fu maggiore, deve esso ripe- tersi, almeno in parte, dalla contraria magnetizzazione suddetta. 12. A conferma della prima deduzione del paragrafo io registro la seguente sperienza. 2-54 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. Ho fatto costruire due ferri dolci foggiati a guisa de' gri- maldelli delle calamite a ferro da cavallo di un sol pezzo, ma incurvati nelle loro parti medie in modo che quando si appli- cano fra loro reciprocamente come ciascuno s' applicherebbe alla rispettiva calamita, essi si toccano soltanto per due linee vicine alle estremità. Veggasi la figura. Il maggiore di questi ferri pesa chil. o, 09 ; l' altro chil. o, 07. Io li chiamerò ancore. Ho presi due magazzini magnetici a ferro da cavallo, dei quali uno regge chil. i3, l'altro chil. io; ed applicai l'ancora maggiore BCA ai poli del primo, colla faccia efa al polo nord e la bel al polo sud, e l'ancora minore ai poli del secondo, colla faccia g a f al polo nord e la t d b' i' al polo sud. Man- tenendo le dette ancore gosl applicate ai due magazzini, posi r un magazzino di fronte all' altro in guisa che essi avessero di rimpetto i poli amici; indi li avvicinai fra loro finché le due ancore fossero applicate 1' una all' altra come nella figura. In tal situazione queste ancore erana due calamite di feri'o dolce, che si toccavano fra loro coi poli di nome contrario; onde dovevano conservare porzione notabile di forza magnetica anche dopo cessata la causa che eccitò in esse il magnetismo, cioè dopo di averle allontanate dai magazzini e non fra loro. Infatti, tenendole così fra loro applicate, le ho rimosse dai magazzini e trovai fra esse un' adesione di chil. o, 36. Dopo lo staccamento, applicate di nuovo 1' una all'altra, l'adesione non arrivava a chil. o, 07 peso della minore. Ripetuta più volte questa esperienza, trovai sempi-e l'ade- sione fra chil. o, 3 e o, 5. Anche qui ho trovato che la forza attrattiva non diminuisce sensibilmente collo trascorrere del tempo, purché non venga cambiata la posizione di una delle ancore rispetto all' altra. E dopo lo staccamento, ovvero dopo di avere allontanata molto un' ancora dall' altra rimovendo il contatto per istrisciamento, trovai sempre 1' adesione minore di chil. o, 07. Credo bene di avvertire che in tali esperienze ed anche nelle seguenti ho sempre operato in modo che il magnetismo /.. 7r. (^■r /ir,,,,, ,,, , /J 2.J4 J..,- ir G£^. Del Dott. Pietro Domenico Marianini 255 nelle due ancore riuscisse nel senso, in cui vi era stato im- presso la prima volta. i3. Se nell' eseguire la precedente sperienza, prima si ap- plicano le due ancore 1' una all' altra come lo sono nella fi- gura, e poi, tenendole cosi unite fra loro, si applicano simul- taneamente ai magazzini nel modo suindicato ( i quali perciò dovranno essere di già collocati di fronte l'uno all'altro, come sopra, ed alla opportuna distanza) si trova poi fra esse una adesione minore. E così deve essere, come facilmente si vede riflettendo suU' ultima deduzione del paragrafo io. 14. In diverse guise si può imprimere nelle due ancore questa tal forza magnetica, che si conserva finché venga man- tenuto r opportuno contatto fra esse. Ma il modo che trovai più acconcio è quello praticato nella sperienza, che passo a descrivere. Ho applicato al polo nord del maggiore dei due magazzini suddetti la faccia efa dell'ancora BCA ed al polo sud del minor magazzino la faccia 1! i! b' d' dell'altra. Poscia, mante- nendo queste circostanze e movendo opportunamente i magaz- zini, avvicinai fra loro le due ancore ed applicai l'una all'altra le facce re, /, conservando le altre due s^ n! alquanto distanti fra loro. Poi, conservando tutte le altre circostanze, ho portato fra loro a contatto anche queste due ultime facce, così che era 1' una delle due ancore all' altra applicata, come nella fi- gura. Tenendole così applicate fra loro, le ho in fine rimosse dai magazzini e trovai che l'adesione fra esse era di chil. i. Dopo lo staccamento, applicata di nuovo l'una all'altra, trovai che la residua forza attrattiva non era sufficiente a reggere la minore di esse. Operando in modo analogo a questo, mi riuscì di far reg- gere dalla reciproca forza attrattiva delle due ancore il peso di chil. o, 08, posta essendo una sottil carta fra le ancore stesse. i5. Riflettendo che nei sottilissimi fih, di cui può imma- ginarsi composta una qualunque delle due ancore, allorquando cessa di agire su di essa una causa, che fortemente la magne- a56 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. tizzava, diminuisce molto la polarità a motivo di magnetizzazioni contrarie opeiate su di essi, e che quindi (secondo i principj del magnetismo dissimulato) deve rimanere in ciascuno di essi una suscettibilità maggiore per ricevere un aumento nella po- larità che per ricevere una diminuzione, si deduce che: se col mezzo di una forte calamita si magnetizzeranno le due ancore, la prima col sud in s ed il nord in n, V altra col sud in s' ed il nord in n, indi, tenendole lontane dalla calamita , si applicheranno 1' una all' altra come nella figura, e poi alle facce A,B' si avvicinerà un polo (per esempio il nord) di una calamita, sarà maggiore 1' aumento, che questo produrrà nella polarità de' fili costituenti l'ancora A GB, della diminu- zione, che produrrà nella polarità de' fili della A'C'B' (a meno che l'azione del polo suddetto sulle due ancore non sia troppo gagliarda); onde sospettai che, rimovendo poi il polo nord suddetto dalle facce A,B', senza separare le ancore, fosse per rimanere fra queste un' attrazione maggiore che prima di avere avvicinato il polo suddetto alle facce stesse, qualora però l'in- tensità dell' azione di tal polo sulle due ancore non abbia ec- ceduto una certa misura. E per simile ragione sospettai che fosse per accadere lo stesso qualora il polo suddetto si avvici- nasse invece al mezzo C dell' ancora maggiore ovvero al mezzo C della minore. Applicai pertanto l'ancora A GB al maggiore dei magaz- zini suddetti, colla faccia s a contatto col nord e la ii col sud. Indi, rimossa questa, vi applicai la A'C'B', colla faccia / al nord e la «' al sud. Rimossa anche questa ed applicate le an- core fra loro come nella figura, dopo un notabile esercizio trovai r attrazione di chil. o, ogS. Applicate di nuovo fra loro come poc' anzi, avvicinai alle loro facce A, B' il sud del magazzino suddetto fino alla distanza di millimetri o, i5; e, dopo di averlo rimosso, trovai fra le due ancore l'attrazione di chil. 0,2,1. Magnetizzate di nuovo le due ancore come poc'anzi, indi applicata l' una all' altra ed avvicinato invece il polo nord alle Del Dott. Pietro Domenico Marianini 2.5^ facce A, B' fino alla stessa distanza, dopo di averlo rimosso, trovai fra le due ancore 1' attrazione di chil. o, 26. Ripetuta ancora due volte questa esperienza, ma avvici- nando il polo nord del magazzino, la prima volta al mezzo G dell' ancora maggiore, la seconda al mezzo C della minore, e sempre fino alla distanza di millimetri 0,15, ebbi le attrazioni di chil. o, 24 e o, 2,1. 16. Accennerò ancora le seguenti esperienze, le quali of- frono fenomeni aventi relazione coi precedentemente registrati, 1*. Se due calamite a ferro da cavallo eguali e di forze circa pari si uniscano come per formare di esse un magazzino, ma in guisa che il nord dell' una sia vicino al sud dell' altra ed il sud della prima al nord della seconda, applicando poi ad esse i grimaldelli, si trova fra questi e le calamite pochissima attrazione; se ne trova invece alquanta ove, essendo già ap- plicati i grimaldelli alle calamite, vengano queste unite fra loro nel modo suindicato. a*. Se si decompone un magazzino magnetico, mantenendo il grimaldello applicato alla maggiore delle sue calamite com- ponenti, si trova fra questa ed il grimaldello un'attrazione, della quale è sempre minore l' attrazione che si trova, rimosso che sia stato una volta il grimaldello dalla calamita medesima- Decomposto un magazzino magnetico a ferro da cavallo costituito da sette calamite semplici, e che può reggere chil. IO, applicai alla maggiore di queste il grimaldello del magaz- zino e trovai V attrazione di chil. o, ga,. Ricomposi il magazzino e vi applicai l'ancora; indi lo ho decomposto lasciando l' ancora applicata com' era alla maggiore delle calamite componenti; e questa in tal circostanza resse chil. 1,8; ma dopo lo staccamento dell'ancora, non ostante un lungo esercizio, resse soltanto chil. i, a, 3.' Se ad una calamita stabile a ferro da cavallo si ap- plica l'ancora, e poi uno o più ferri, che uniscano fra loro le gambe della calamita vicino ai poli, si trova fra 1' ancora e la calamita una certa adesione. Si trova un' adesione minore, se Tomo XXV. P.'^ /." 33 a58 Sopra il Fenomeno che si osserva ec. invece prima si applicano alla calamita i ferri medesimi nel modo stesso, e poi 1' ancora. Al magazzino magnetico usato nella precedente sperienza applicai 1' ancora nel modo ordinario, e poi vi applicai anco due paralellepipedi di ferro, uno da una banda, l'altro dall'al- tra dell' ancora e poco distanti da essa, in guisa che ciascuno d' essi congiungesse le due gambe dei magazzino e bene vi si adattasse. Ciascuno di questi due paralellepipedi era poco meno pesante dell' ancora. Esplorai allora la forza attrattiva fra la calamita e 1' ancora e la trovai di chil. ^, 8. Dopo lo staccamento, lasciando applicati com' erano i due paralellepipedi suddetti al magazzino, vi applicai di nuovo l'an- cora, ed allora trovai che la forza d' attrazione fra questa ed il magazzino era soltanto di chil. a, 36. 17. Credo bene di richiamare qui in fine le principali proposizioni di questa Memoria. I.* Se cessa la corrente nell'elica di una calamita temporaria mentre 1' ancora vi è applicata a contatto, rimane una forza attrattiva fra la calamita e 1' ancora notabilmente maggiore di quella che si trova se 1' ancora viene applicata dopo cessata la corrente; e quella forza si mantiene sensibilmente inalterata finché non venga cangiata la posizione dell' ancora rispetto alla calamita. a.* Il medesimo fenomeno ha luogo, benché in minor grado, anche se l'ancora venga applicata ad una piccola distanza dai poli della calamita. r 3.* A rendere questo fenomeno più conspicuo giova la mag- giore estensione de'contatti fra l'ancora ed i poli della calamita. 4-^ Questo fenomeno sembra dipendere da contrarie magne- tizzazioni impedite ne' fili sottilissimi, di cui possono immaginarsi composte la calamita e 1' ancora. 5.* Il fenomeno stesso può ottenersi su due ferri anche senza 1' intervento di correnti elettriche, col mezzo di calamite. 6.* Esso non manca di aver luogo ( paragrafo 1 1 ) se i due ferri vanno a contatto fra loro da una sola banda. aSg SULLA INSUSSISTENZA MEMORIA DEL SOCIO ATTUALE DOTTORE GIULIO SANDRI Ricevuta il 25 Novembre 1850. vJra che tanto si va discorrendo sulla generazione spontanea, e da molti ella viensi anche favoreggiando j siccome oltre le conseguenze morali e religiose, eh' io lascio ad altri il vedere, questo punto assai da vicino tocca la dottrina de' contagi, e il modo principalmente di cessar essi morbi si funesti agli uo- mini, agli animali e alle piante, riserbandomi di fare osserva- zioni speciali sopra casi particolari, come quelle (i) che opposi alle ragioni colle quali un chiarissimo personaggio tentava pro- vare la spontanea generazione de' funghi; io m' avvisai di trattar qui 1' argomento eziandio in generale, piendendolo ne' suoi diversi rispetti, conciossiachè la verità meglio appaja dal mirare la cosa in tutti i suoi ragguardamenti. I. A chi volgesse attentamente lo sguardo scientifico su tutta r ampia estensione del nostro globo, non si saprebbe se meraviglia maggiore destasse il considerare la quantità si pro- digiosa delle varie specie d' esseri peculiari che vi si trovano accolti; o piuttosto il veder come questi, sebbene a morti e distruzioni di continuo soggiaciano, pure sempre si rifanno gli (1) Lette all'Accademia di Agricoltura Commercio ed Arti di Verona nella Tornala del 23 Maggio «850. a6o Sulla insussistenza della Generazione ec. stessi, ricompaiono sempre identici in guisa, che descritti bene una volta dal Naturalista, si riconoscono per li medesimi an- che dopo secoli e secoli. a. Del quale rifacimento cosi fedele a intendere , per quanto a noi qui permettesi, il modo, vuoisi innanzi tratto notare la divisione di tutti i corpi naturali nelle due numero- sissime schiere di organici ed inorganici. Gli organici od orga- nizzati son cosi detti perchè, godendo della vita al cui mini- stero si esigono particolari funzioni, vanno forniti di acconci speciali stromenti o sia organi per 1' esercizio di esse : e gli inorganici così vengon chiamati perchè, di vita mancando, di tali stromenti pur mancano. 3. Oltracciò i corpi organici nascono e muojono, essendo la loro esistenza più o meno determinata, e al tutto dipendente da esterne influenze : essi hanno la macchina loro composta di tessuti di varia sorte ; fluidi che regolarmente scorrono dentro solidi; crescono a poco a poco per interno svolgimento di materia, laonde succhiano il loro alimento, lo condiscono o sia elaborano, lo assimilano appropriandosi il confacente e di- scacciando r inopportuno, il superfluo, quello che per vec- chiezza diventò inetto ; conciossiachè la vita si eserciti e si mantenga per un giuoco incessante di mettere e di levare, di addizioni e di sottrazioni, addizioni di cose nuove e sottrazioni di vecchie. E ad eseguire tante e si varie funzioni, gli organi destinativi, queste parti pure cotanto varie, stanno insieme unite con tale accordo che questa esiste per quella, quella per questa; ciascuna per tutte, e tutte per ciascuna, quasi fossero parecchie vite in una sola, o una vita che da parecchie risulti; una principale che sia di parecchie secondarie il concorso. 4- E i corpi inorganici all' opposito non nascono, ma si formano; non muojono, ma se finiscono, ciò avviene soltanto per distruzione: essi ponno avere durata indefinita, non dipen- dendo ella punto dalle influenze esteriori: hanno sostanza omo- genea cioè simile e identica in ogni lato ; non fluidi che di- scorrano per entro solidi. Ove si formino, questo succede tutto Memoria del Dott. Giulio Sandri 26 r ad un tratto ; ed ove si aumentino, il fanno per soprapposizion di materia : e le parti loro possono esistere staccate dal tutto egualmente ch'esistevano ad esso unite; ed anche, ove l'ab- biano, colla medesima distribuzion regolare di molecole che appellasi cristalizzazrone, non costituendo questi de' tutti pro- priamente detti, de' tutti indivisibili o sia indivìdui^ siccome gli costituiscono gli organizzati. 5. Ma, ciò premesso, per qual cagione succede egli mai che le specie, quantunque sì numerose, sempre si mantengano .identiche, sempre identiche si rifacciano ( N. x.)? Magistero si dilicato e geloso a quali si affidò mai agenti precisi tanto ed esatti che in tal moltitudine e in tale diversità d' oggetti ser- bassero costantemente un ordine si perfetto? 6. Quanto agli esseri inorganici si dotarono le minime lor particelle, le elementari molecole di peculiari tendenze reci- proche, in vigor delle quali si avessero a congiungere, se con molecole della stessa natura, sempre sotto quelle apparenze e forme determinate; e se con altre, anche sempre in quelle stabilite proporzioni e soltanto in quel dato numero, per cui di necessità debbono sempre uscirne identici corpi. E queste rispettive tendenze, il cui giuoco mantiene in continuo movi- mento di composizioni e scomposizioni, di passaggi e trasfor- mazioni la morta materia, e la cui conoscenza porge in mano al chimico il magico poter delle analisi anche più minute e più difficili, e di formare que' molteplici artificiali prodotti che giovano cotanto alla vita sociale ; queste rispettive tendenze , io diceva, regolate da leggi le più costanti e precise, queste insite forze degli atomi, sì disgiunte che unite già calcolate appuntino in ogni loro accidente con quella esattezza eh' è propria della Natura, sono gli agenti, cui si commise la conser- vazione perenne delle inorganiche specie. 7. E pel regno organizzato 1' importantissimo affare della conservazion delle specie, della perenne successione degl' indi- vidui affidossi a germi proprj, dai quali, come da peculiari progenitori, avessero per linea non interrotta a derivare. I quali aóa Sulla insussistenza della Generazione ec. germi si gelosamente eseguiscono 1' incarico loro commesso, che non di rado ricopiano nella prole le stesse malattie, gli stessi difetti, gli stessi accidentali caratteri, lo stesso tempera- mento, la stessa fisionomia dei genitori o degli avi ; sicché di- stinguer si possano le razze, le varietà e le famiglie. E seb- bene addivenga che, essendo questi esseri soggetti alle influenze degli agenti esteriori (N. 3.), per clima, esposizione, alimento, coltura ed altre cagioni, diversino assai gli uni dagli altri; ser- bano però sempre la tendenza al primo tipo, anzi essenzial- mente non r abbandonano mai, e ad esso poscia ritornano an-, che nelle accidentali apparenze quando se ne presentino le acconcie opportunità. E se alle volte pur si permette fra le specie dello stesso genere, o di genere affine, qualche bastardo, chiamato altrimenti ibrido che vale ingiurioso, perchè fatto in onta alla Natura ; quest' ingiuria tuttavia non si lascia andar molto lungi: non riguardo alle piante, in cui non si può aver ibridismo di secondo ordine (i), e quello di primo suolsi man- tenere soltanto cogli sforzi dell' arte ; e molto meno riguardo agli animali, in cui il mulo, se mai avvenga, suol essere ste- rile, sebbene apparentemente possegga tutte le parti genera- tive allo stato di perfezione. Cotalchè gli esseri organici non solamente procedono sempre da esseri organici, da esseri orga- nici simili, ma anche da esseri di specie identica : e se in ciò abbia luogo qualche deviazione procuiata massimamente dall' artifizio dell' uomo per servire a' suoi comodi, a' suoi desiderj, ella poi cessa tosto da se medesima, o torna all' ordine presta- (1) GaUizioli: Elementi Botanico- Agrarj. Firenze, 1809. Tom. I., pag. 398. A scan- sainento di soverchie note si avverte, che pe' fatti, in cui non si faran citazioni, si ponno vedere, oltre quest'opera del Sig. GaUizioli, le seguenti pur vulgatissime. Pol- lini : E\emenli di Botanica. Verona, 1810. Blumenhach: Manuel d' Histoire Naturelle. Paris, 1803. Pino: Elementi di Storia Naturale degli animali. Milano, 1808. Jacopi: Elementi di Fisiologia e Nolomia comparata. Milano, 1808. Jussieu Adriano: Elementi di Botanica e Fisiologia vegetale. Traduzione. Torino, 1846. Corso elementare di Storia Naturale ad uso dei Collegi e degl' Istituti di educazione ec. Zoologia del Signor Uilne Edwards. Edizione italiana. Milano, 1846. Memoria del Dott. Giulio Sandri a63 bilìto, non soffrendosi punto che il mondo si popoli di capric- ciose generazioni (i). 8. Ma tale essendo il modo tenuto per la conservazion delle specie di cui la Natura si mostra tanto sollecita, tale es- sendo il generale procedimento appien conosciuto, noi qui vo- gliamo indagare se facciasi pur luogo a qualche eccezione , vale a dire se gli esseri organici procedano sempre o tutti da esseri organici lor somiglievoli, oppure si possa dar eziandio quella che appellasi generazione spontanea. E per meglio ga- rantirci da errore procureremo di considerare la cosa sotto i suoi varj aspetti, facendo cominciamento da quanto ci addita r osservazione. 9. Questa, eh' è la sola fonte del sapere in opera di og- getti naturali, e senza della quale non avvi alcuna verace co- gnizione di fatto, non ammette generazione spontanea. L' uomo s'accorse che tutti gli esseri organici che riguardano da vicino i suoi bisogni o i suoi piaceri, quelli di cui dovette far uso, e su cui gli fu dato di tener sempre l'occhio, avendoli in suo potere , tutti sempre veniano da proprio germe. Vide , per esempio, che da proprio germe e sol dalla vite veniva la vite ; (I) Il bastardo non può nascere che da specie sirailissime, come tra il cavallo, l'asino, l'onagro e lo zebro j tra il becco e la pecora, tra il cane, la lupa e la volpe j e Ira alcune specie di passeri. Ed egualmente rispetto alle piante: col polviscolo della niVodana paniculata fecondasi, per esempio, la nicottana tabacum; e la digitalis purpurea con quello della lulea. E sebbene altri animali in un eccesso di libidine copran talvolta eiiandio spontaneamente, e con piacere, feraine assai diverse, come il toro la cavalla, r accoppiamento sempre torna al tutto infruttuoso- A infrenare l'ibrida generazione; 1°, com'è detto qui sopra, essa non si permette che tra specie molto affini: 2°, la feniina la quale concepisce il bastardo si sccmcia più Facilmente, come vedesi nella cavalla che dall'asino concepisca il mulo, e nell'asina che dal cavallo concepisca il bardotto : 3°, ne' bastardi soglion esservi maschi assai più che femine: 4°, il bastardo animale d'ordinario è sterile; benché pretendasi avervi esempio che fecondasse il mulo, e non ne manchino alcuni in cui partorì la mula; in complesso tuttavia si rari, che si teneano portenti. L' uccelletto per altro che viene dal Calderugio e dal Canario è fecondo; ma sterili i figli suoi. Nelle piante il bastardo può esser fecondo anche successivamente, ma non generar nuove specie. a64 Sulla insussistenza della Generazione ec. da pi-oprio germe e solo dal frumento veniva il frumento j e così tutte 1' altre piante eh' ei volle moltiplicare : vide che da proprio germe e solo dal cavallo veniva il cavallo ; e così tutti gli altri animali, anche i più piccoli che domandavano le sue cure per trarne vantaggio, come 1' ape stessa e il filugello. 10. Ed anche rispetto agli enti che non interessavano gli umani bisogni così da presso, ma piuttosto la nobile curiosità scientifica, il Naturalista quando si piacque d' istituire le ac- curate sue osservazioni, s' avvide che da proprio germe pur ne venivano quelli che prima si credean nàti dalla ventura ; e nel rintracciare i loro organi riproduttori e la maniera di propagazione, moltissimi chiari personaggi si segnalarono. E si conobbe come l' erba più esile, e il verme più minimo e l' in- setto, da proprio germe procedessero, scoprendo pur il sesso di molti, distinguendo il maschio e la femina, e 1' intera for- mando genealogica storia anche di esseri che sfuggono allo sguardo comune. 11. L'attenta osservazione giunse pure a disvelarci la ge- nealogia della minutissima crittogama nell' uredlne e nella bo- trite, non pure scorgendole chiaramente derivare da germe proprio, ma seguendone anche lo sviluppo e 1' intero procedi- mento. Quando l' attenzione si rivolse di proposito all' anima- luccio che ha nome dalla sua picciolezza, all' acaro producitor della scabbia, si riconobbe aperto la sua propagazione col mezzo del proprio germe, ravvisando e il genitore e la genitrice, e r accoppiamento, e la durata della gravidanza e quella del deporre le uova, e la forma di queste, e il numero dei piccini che da ogni mettitura si producono, e il modo con cui la ma- dre se li trae dietro attaccati alle zampe ; ed altri simili par- ticolari notati prima dal Waltz sulla pecora (i). la. Negli stessi infusorj, in quegli animaletti che nascono dopo alcun tempo nell' acqua o in altro liquido in cui mettesi a giacer qualche pianta o sostanza animale, fu pure scoperto (I) Poz^ì : Epizoozie. Milano, 1812j pag. 280 e .segg. Memoria del Dott. Giulio Sandri 205 dall' accurato Naturalista il iiiodo di generazione, il provenire cioè l'individuo ognor da individuo della sua specie; essen- dosi, per esempio, conosciuto che si moltiplica per mezzo di uova il trlcìioda lepus\ che viviparo è il vohox globator; che in alcuni, come le vortlcellae, crescono i novelli a guisa di bottoni sul corpo dell'adulto*, che in altri la moltiplicazione succede col dividersi il corpo del genitore, o pel lungo come nel paramoecium^ nel cyclidiwn; od obbliquamente come nel monas: e avendovene pure di quelli, in cui la riproduzione si fa neir una e nell' altra guisa. i3. E di parassiti che si sviluppano e vivono in altri ani- mali sotto forma di vermi, recando anco non di rado moltis- simo danno, s' è pur veduta la derivazion dall' esterno, vale a dire da uova di certe mosche dai Naturalisti appellate estri ( N. 48- ) • Il che tutto vien a provare che per discoprire che r essere organizzato procede da proprio germe, non occorre che r osservazione più o meno attenta, insistente ed assidua secondo il caso. i4- E dove non può arrivar ella stessa 1' ossei'vazione , sottentra quella sua figlia od emanazione, l'analogia; quella guisa di ragionare che tanto estende ed amplifica il nostro sa- pere, che ci fa dedur con certezza anche ciò che non veg- giamo, e a identici effetti cause identiche assegnare. Per l'ana- logia un colono che ravvisi ulivi in un campo, un pastore che ravvisi pecore in un prato, una contadìnella che polli ravvisi in un' aja, senz' andare fantasticando come le circostanze od il suolo abbiano potuto produrli, dicono tosto e con sicurezza che r ulivo sen viene da un altro ulivo, le pecore da altre pecore, e i polli dalle propine uova ; perchè la sperienza loro ha mostrato che solo dall' ulivo l' ulivo sen viene, solo dalla pecora viene la pecora, e soltanto dall'uovo il pollo. Ed egual- mente il viaggiatore che s' imbatta in uomini per lui novelli , in uomini selvaggi, senza fantasticare come il paese o la selva gli abbia prodotti, sa di certo che provennero da altri uomini, perchè da quanto egli vide in prima l' uomo non viene mai Tomo XXF. P." /.-> 34 a66 Sulla insussistenza della Generazione ec. che dall' uomo. E il medesimo argomento si tiene e senza tema alcuna di errare, anche dallo spirito più triviale per tutti gli altri oggetti vegetabili od animali, di cui siasi una volta chiaramente veduto l' origine. E il medesimo pure si tiene dal Naturalista per tutti quelli che, oltre la volgar cognizione, egli ha potuto osservare distintamente e assoggettare al suo impero, dall' immensa balena, dal macchinoso elefante fino all'acaro ed all'invisibile monade; dall' adansonia e dal cedro del Libano fino alla botrite e all' uredìne ; e agli altri ancor più minuti, se pur ve n'abbia, de' quali egli sia potuto una volta arrivare a veder con chiarezza la guisa di moltiplicarsi. i5. Né solamente l'analogia guida con sicurtà per dedurre r origine degl' individui della specie stessa che si vide altra volta ; ma vuole pur estendersi a quelli del genere e della classe. Imperciocché abbattendoci in nuovo animale, in nuova pianta, la cui propagazione non siasi da noi veduta, punto non dubitiamo nel dire e nel credere che da individui lor si- mili anch' essi provengano : tale essendo la generale sperienza che abbiamo fatto, la quale senza bisogno di prova ulteriore o dimostrazione, ci presenta la cosa quasi come un assioma, specialmente chi degli oggetti naturali più si conosca, aven- done fatto convenevole studio. i6. E tale argomento di analogia, anche pe' casi che l'ap- parenza renderebbe meno credibili, viene maggiormente affor- zato dall' osservare che per essere stata la Natura cotanto larga di vite, popolato volendone ogni angolo del globo, ogni zona , ogni clima, il monte, il piano, l'aria, la terra, il continente, l'isola, l'oceano, il mare, il lago, il fiume, la fonte e l'acqua stessa termale, e facendo che gì' individui medesimi, piante od animali, da parecchi altri minori venissero pur abitati; a man- tenere di queste vite acconciamente la durazione secondo por- tava r indole, il luogo e l' altre circostanze di ciascun essere , e a mostrarci ad un tempo quanto ella possa divagare senza smarrirsi, nella generazione per assicuraisi V effetto ella ebbe ad usare una quasi infinita, varietà di mezzi e di precauzioni , Memoria del Dott. Giulio Sajjdri 267 che per dare maggior corpo alla prova del nostro assunto, benché solo in parte ed alla sfuggita, noi verrem qui toccando. 17. In alcuni esseri organici la generazione si opera per separazione di parti. Nel più de' zoofiti di tempo in tempo dal corpo sporgono de' bottoni o sia gemme che in breve diven- gono altrettanti animali. Il polipo, oltracciò, quasi fosse da per tutto seminato di germi, qualunque brano sen tagli, è capace di mutarsi in nuovo individuo. Degl' infusorj , toccati pure dianzi { N. 12.), ad alcuni nascono presso la coda due pallot- toline, le quali cresciute si lanciano via e divengono figli, che alla lor volta poi Tanno il medesimo. Altri di forma rotonda provan nel mezzo del loro corpo un traversale strangolamento che quindi li fende, di uno facendone due; ciascuno de' quali poscia pur due ne forma, e così via via. In altri lo stringimento e la fenditura anziché pel traverso avviene pel lungo : ed in altri le trasversali fenditure sono parecchie, dando cosi luogo a molti figli ad un tempo. Il voi voce, entro cui può scorgersi alle volte fino alla (juarta generazione, squarciasi per dare uscita ai figliuoli, e dopo tosto corrugato sen muore. Anclie tra le idatidi se ne veggon di quelle che son ripiene di altre, ciascuna delle quali acchiude delle nipoti, che pur si scorgono pregne di figliuole. La guisa di moltiplicazione per separamento, non rara fra gli animali delle infime schiatte, è assai comune alle piante. Avvi in alcune de' corpicciuoli che, giunti a ma- turità, come nel l'ilium bulbìferum, e nelle poe bulbosa ed al- pina^ cadendo in terra vi allignano egualmente che le vere semenze. Le così dette radici bulbose sono pure di somigliante virtù, acchiudendo tutte la ragione di una pianta novella, o di più, massimamente se sieno composte come nell'aglio. I tu- rioni delle radici tuberose o somiglianti, tengono parentela colle antidette, poiché separati, come vedesi nelle patate, cia- scuno può dar origine a pianta nuova, imitando con ciò in qualche maniera il polipo : come lo imitan del pari le moltis- sime altre piante che per margotte, barbatelle, talli o tallee o magliuoli agevolmente si moltiplicano serbando anche il pregio 268 Sulla insussistenza della Generazione ec. della varietà, come ben conoscono gli agricoltori e i giardi- nieri : e gli ultimi pur conoscono che ne' cacti godono di tal facoltà le stesse foglie che poste in terra metton radici. Ed è a questa medesima facoltà che si appoggian gì' innesti, poiché col trasporto delle marze sopra i soggetti non si fa che molti- plicare le vite sulle altre vite. Né sempre fa d' uopo che per moltiplicare di questa guisa le parti si stacchino dall' individuo generatore. La rizofora porta rami pieghevoli e pendenti che i botanici dicono sostentati, i quali giunti coli' apice a terra , vi barbicano sorgendo in piante novelle ; e ripetendo queste poscia il medesimo, un solo piede vale talvolta a coprire gran tratto di suolo e a formare intricatissima selva. E in egual modo il fico indiano, sul quale ascese Zaccheo per osservare il nostro Signore che andava a Gerico, d' un solo piede formar potrebbe un boschetto di molti insieme congiunti a pergolato. Nel Bengala a qualche miglio da Patna, circa mezzo secolo fa si vedeva un albero di questa sorte con 5o in 60 figli ad esso uniti, del diametro di 870 piedi, e gettante al meriggio un' ombra di più di iico pie di circonferenza. Nel che ci si of- frono chiarissimi esempi di margotte e di pergole naturali (i). 18. Altro mezzo di generazione si è quello per mezzo del sesso, in cui '1 germe esistente nell' apposito organo feminile abbisogna di essere fecondato dal mascolino. E qui se ambi i sessi ritrovansi nello stesso individuo bassi l'ermafrodismo, che può essere di due specie : perciocché o v' ha bisogno dell' a- zione reciproca di due individui che a vicenda e fecondano e son fecondati, come nella lumaca: oppure l'individuo fecon- dasi da per se stesso, come succede e in altri vermi o somi- glianti animali che a motivo del loro separato soggiorno 0 dei loro torpore o della loro immobilità, non si sarebbero mai (1) Col poligono viviparo, ne' cui sterili fiori di sotto vengoii bulbetli j e più an- cora col genere caelebogyne delle euforbie, nel quale si vede semente senza che veggasi organo maschile, e colle spore delle ciiltogame, in cui pure non apparisce vera fecon- dazione ( N. 36. )j la Natura sembra passare dalla propagazione per distaccamento di parli a quella per mezzo di seme propriamente detto. Memoaia del Dott. Giulio Sandri 269 andati a trovare; e nel più delle piante, che di movimento pure essendo prive, non avrebbero potuto accoppiarsi. Ma nelle piante questo ermafVodismo può essere doppio ; vale a dire nello stesso fiore, o in fior differente benché sullo stesso individuo. Nello stesso fiore è il più comune, perchè anche il più comodo alla fecondazione ; e acciò questa riesca ancora più agevole, la femina suole starsene collocata nel mezzo, e i maschi intorno ad essa : ed in oltre nel fiore diritto suol es- sere il maschio più alto della femina, e più corto nel fiore pendente, affinchè più di leggeri cada sur essa la polvere che egli sparge. Ove poi li due sessi trovinsi in fior diverso e suir individuo medesimo, il maschio per la stessa ragione è locato superiormente, ed usano essere strette le foglie, e man- care dal lato della femina le intermedie, come scorgesi nel grano turco. ig. L' altra guisa di moltiplicazione co' sessi è il rimaner- sene questi in separati individui, e rinviensi in alcune piante; ma colla precauzione e che 1' individuo femina soglia trovarsi non molto distante dal maschio, e che la femina produca sem- pre sementi di maschi e di femine, come scorgesi nella ca- nape. Negli animali questa guisa è la più generale, potendo essi, per essere provveduti di moto spontaneo, andarsi a visitar quando vogliono per eseguire lor nozze: ed appartiene a molti vermi, a tutti gì' insetti, a tutti i pesci, i rettili, gli uccelli e i poppanti : ne' quali però diversifica molto la struttura delle parti inservienti alla riproduzione per acconciarsi in tutti alla propria mole, alla propria organizzazione, alla propria specie, alle proprie abitudini, al luogo di dimora, e alle altre singole peculiarità. ao. Ma le dette parti con tanta cura e variazione archi- tettate, anche doppie in non poche specie, come nel ragno, ne' crostacei ; e ne' serpi che han duplicato la verga, inutili tornerebbero al tutto se non vi fosse stato l'amoroso incentivo per metterle in esercizio. E quanto mai la Natura in questo non fu ella avveduta e possente ? Non a torto gli antichi ne z'jc Sulla insussistenza della Generazione ec. fecero un irresistibile Nume, a cui tutti i viventi nell' un tempo o neir altro, in quest' occasione od in quella dovean soggiacere. Onde anche il Mantovano Filosofo e Naturalista non men che Poeta ebbe a cantare (i): Omnia vincit amor, et nos cedanius amori. ai. E per saggissima economia l'amoroso stimolo non si eccita se non quando può con buono effetto venir adempiuto. Gì' impuberi d' ambi i sessi trovansi insieme senza punto sen- tirlo : né più lo sente la femina dell' animale rimasta feconda, che anzi suol respingere il maschio se la ricerchi o solleciti. Non si desta che ne' tempi dell' anno, i quali per la nascita della prole e per l'allevamento sono i più acconci. Nell'uomo può destarsi in ogni stagione, e quasi in ogni stagione eziandio nel rnajale. La cagna non riceve che due volte all' anno. La pecora può trovarsi in calore dal Novembre all' Aprile, poiché portando cinque mesi, il parto sempre viene in luce al punto di approfittare dell'erba fresca. E il medesimo é a dire di tal provvidenza per tutte le altre specie di viventi anche d' or- dine inferiore, ai quali fu assegnato nell'anno il tempo conve- nevole in cui provare l' amoroso incentivo. aa. Per accender il quale usò la Natura molt' arte. Neil' uomo la brama di successione , le vaghe forme , il geniale aspetto, le tenere occhiate, il sorriso, il bel tratto, la grazia, e tutti gli altri pregi e le doti relative degli oggetti da unirsi, mezzi sono assai proprj ; non che l' umore che va irritando le parti massimamente in vicinanza dell'altro sesso. E soprattutto con quest'umore separato e posto in moto a quell'epoca, il quale esse parti irritando solletica, si desta l'amoroso appetito negli animali; cresciuto poi anche e da certo odore che allor solamente, o allor più forte, si esala, e da certi gesti o suoni di convenzione, che sono dell'amor loro linguaggio ben espressivo. a3. E siccome la Natura dopo avere stimolato col bisogno a ciò ch'ella desidera, compensa col piacere nel soddisfarlo, (1) Eglojja X. Veri. 69. Memoria del Dott. Giulio Sandri 271 piacere più o meno grande secondo che più o meno grande era il bisogno stesso; così volle che a quest'atto, che formava per essa il maggior bisogno, il maggior piacere andasse con- giunto, piacere che diresti provar soavissimo gli esseri stessi più torpidi, cpiali son le lumache. E di vero negli umidi giorni d'Autunno tu ne scorgi due rizzarsi col loro corpo 1' una riin- petto all' altra lontane circa un pollice, e mandato fuori 1' or- gano maschile, allungarlo, intrecciarlo, dirigerlo nel feminile, avvicinarsi scambievolmente insinuandoveio, agitare i tentoni, ed essere di tratto in tratto assorte in tremiti convulsivi, e rimanersi in (juelf estasi ben tre giorni, per rinnovarsela poi dopo altri venti. 24. Negli animali ora detti, ciascuno provveduto di en- trambi i sessi, r azione è al tutto reciproca. Non così nel più degli altri, che solo hanno un sesso. In essi generalmente si è il maschio V assalitore, essendo il più robusto ed audace ; e la femina spesso non accetta quello che brama, se non dopo essersi mostrata alquanto ritrosa. Ma perchè anche in questo conto l'uniformità fosse retta, ne' gatti è la femina che assale il maschio e lo obbliga a soddisfarla : e forse il sesso più au- dace è la femina eziandio negl'insetti, ne' quali è certo il più robusto. In generale suol essere la parte maschile che s' in- troduce nella feminile : ma per fare che la varietà né men qui mancasse, avvi pur femine, le mosche delle case, che in- sinuano l'estremità del loro addomine in un'apertura del maschio. a5. Né tuttavia fa sempre mestieri che le parti sessuali d'un individuo in quelle dell'altro vengano insinuate. Ciò non sembra certamente succedere nelle efimere che, a differenza degli altri insetti i quali rimangono accoppiati per ore, si fe- condano svolazzando a sciami per l' aria, sì sfuggevoli ed istan- tanei essendo i reciproci toccamenti, che l' occhio non arriva a distinguerli. Nel più degli uccelli manca affatto la verga , essendovi in cambio una pupilla appena visibile esternamente che neir atto dell' accoppiamento debbe schizzettare nell' or- gano femineo 1' umore prolifico. Nelle rane il maschio, privo 272. Sulla insussistenza della Generazione ec. al tutto di arnese, non introduce punto 1' umor seminale per entro la f'emina, ma tenendola abbracciata, mentr' è in amore, ne feconda le uova a misura che da essa vengon deposte. Nella maggior parte de' pesci non avvi commercio alcuno ti'a la femina e il maschio, ma questo sparge 1' umore prolifico sulle uova che da quella pria si dejjosero. Ed al)bracciamento non avvi né anche tra le salamandre acquatiche : nel tempo de' loro amori il maschio nuota intorno la femina, ed innaffia da lungi le uova eh' ella va deponendo. 36. Ma in questo fatto de' pesci istinto molto singolare vuol esser quello del maschio che, passando sopra le uova de- poste, gli faccia conoscere quelle della propria specie per fe- condar solo esso; ovver l' istinto delle uova, per cui, potendo- sene trovar insieme tante diverse, pure tutte si appropriino soltanto il prolifico umore della schiatta loro. Il quale singola- rissimo tatto si rinviene eziandio nelle piante. In un prato, in un campo, in un pometo, in una selva, dove tante specie tro- vandosi al tempo medesimo in fiore, e tanti diversi pollini trammisti volando per 1' aria, ogni pistillo non si piglia che il suo, e la Natura non usa di formar ibridi abbandonata a se stessa. I pori dello stimma sia per virtù loro propria, sia per quella dell' umor glutinoso che all' epoca della fecondazione suol invischiarli, sembrano assai fedeli guardiani per respingere ogni cosa straniera e dar passaggio soltanto al rispettivo fluido fecondatore. 2,7. Né si può a men di ammirare la corrispondenza, che tra loro serbano gì' individui di sesso diverso nel trovarsi a giuoco nel tempo stesso, non solamente fra gli animali, ma e nelle piante dioiche. Siccome 1' antera appena matura lancia il suo polviscolo, né prima né dopo, così usano il maschio e la femina fiorir ad un tempo j e quando l'uno é in istato di versar la sua polvere, l' altra è già in quello di accoglierne l'aura fecondatrice; al qual uopo in tal punto essa apre an- che maggiormente i pori degli stimmi e i canali degli stili che^ succeduto siffatto passaggio, vengono poi chiusi per sempre. ì Memoria del Dott. Giulio Sandri 278 28. Ed oltre i movimenti che noi qui elicemmo, altri pa- recchi assai meravigliosi, a facilitare e por in sodo la feconda- zione, si operan ne' fiori e negli organi sessuali. Quanto ai primi, non agevole essendo che il polline giunga sopra il pi- stillo il quale sia più lungo degli stami in fiori diritti, avviene di veder questi pendenti sino che si è lanciato il polline, e poi tosto raddrizzarsi il peduncolo, perchè l' ovario sen resti nella direzione ad esso più acconcia : di che sono comunissimi esempi le fritellarie iinperìalls e me/e<2gm, raquileja e le cam- panule. E siccome la fecondazione in generale non si effettue- rehbe di leggeri sotto dell'acqua, sia perchè questa trasporta via il polline, sia perchè al suo contatto egli scoppia, né può bene andarsi a fissar sugli stimmi ; così le piante acquatiche in quell'epoca a tale scopo usano uscirne. Onde, vedi esempi- grazia, le ninfee comunissime ne' fossi della bassa provincia, volgarmente dette capellazzì^ sporgere il fiore in sul mattino dall' acqua, indi aprirlo, verso il meriggio alzarsi alcuni pollici dalla superficie di essa, ed alle quattro o in quel torno ser- rarlo, e discendere immergendosi ancora, per ripetere il di vegnente lo stesso, e seguitare finché, avvenuta la feconda- zione, rimangono poi sempre col frutto sott' acqua. Un fatto consimile osservato dagli Egizj nella nynphaea lotus^ pianta copiosa nel Nilo, fece lor credere aver essa relazione col Sole; onde gliela consacrarono, figurando pur eh' ei nascesse da que- sto fiore, di cui veggonsi anco fregiati monumenti, statue e medaglie. La vallisneria, pianta dioica volgare ne' nostri fos- sati, ha la femina attaccata al fondo mediante un lungo pe- duncolo a spira, e al tempo della fioritura svolgendo questo peduncolo recasi a galla. Il maschio che a galla pure si reca , allorché è ben fiorito staccasi dal suo piede, e cosi libero va girando intorno alla femina quasi per vagheggiarla, e dopo ve- nutogli il destro e il punto opportuno di lanciarle il suo pol- line, egli perisce seguendo la corrente che lo trasporta, ed ella si ritira in basso a perfezionare il suo portato. Tomo XXV. P.'' f." 35 a74 Sulla insussistenza della Generazione ec. ag. Mirabilissimo è pure il giuoco degli organi sessuali al momento che debbo compiersi il grand' atto. Oltre 1' aprirsi de' fori dello stimma e dello stilo ricordato di sopra (N. 27.), r organo feminile per meglio acconciarsi a ricever il polline , o piega, se in fiore non pendulo sono troppo alti, gli stili in- fra gli stami, come vedesi nella passiflora e nella scapigliata; oppure gli eleva se troppo bassi e fuori della più opportuna direzione. Neil' epilobìum angustifolium all' aprirsi del fiore il pistillo trovasi pendente fra i due petali inferiori, quasi ad angolo retto cogli stami : ma poscia prende ad alzarsi ; ed ar- rivato a livello di questi, scioglie i suoi quattro stimmi che prima stavano insieme uniti; i quali, divergendo fra loro, si dirigono verso 1' antera per riceverne il polline. Ma in gene- rale i movimenti maggiori si osservano per parte degli stami. Alcuni, come nell' urtica e nella parietai'ia, sprigionansi elasti- camente a guisa di molla, e così lanciano a posto la polvere. Altri colti da quasi orgasmo amoroso per la vicinanza della fe- mina già preparata ad accogliere 1' aura loro fecondatrice, si atteggiano del modo più acconcio a meglio servirla. Ove troppo ad essa avvicinati la ingombrino co' filamenti, se ne allonta- nano alquanto. Se troppo lontani, awicinansi o tutti insieme, o a due a due, o l'un dopo l'altro a vicenda. Se troppo alti, s'incurvano a porre le antere al piano stesso degli stimmi, cui toccan pure con esse, come nella ruta. Ed avvi anche di quelli che, stando immobili col filamento, approssimano allo stimma la versatile antera, come scorgesi chiaramente nel gi- glio. Né mancano esempi ne' quali entrambi i contraenti si mostrano scossi ad un tratto, andandosi reciprocamente ad in- contrare lo stimma e 1' antera per una inclinazion simultanea di stili e di filamenti, come nelle malve ed altre parecchie. Succeduta poi la fecondazione, tornati gli organi sessuali al primo lor posto, più non si muovono. 3o. E proseguendo a toccare soltanto cosi indigrosso i fatti della generazione, ricordiamo qualmente assai varietà pur si vegga in ciò che molti animali in una volta non fecondano Memoria del Dott. Giulio Sandri ayS che per un solo portato, come 1' uomo, il cavallo, il cane e tutti i poppanti; ma parecchi, siccome gli uccelli, in un atto possono fecondare tutte le uova che si depongono dalla femina in una stagione, in un'intera covata. Così, pogniam figura, quelle della gallina che sono moltissime (N. 4-3-) e punto non nascono se non furon gallate, ponno essere tutte feconde per un solo commercio che siasi prima avuto col gallo. E il me- desimo è a dir degl' insetti, ne' quali un unico accoppiamento basta per fecondare tutte lor uova per numerose che sieno. Ed avvi in questo proposito cose pur singolari. Le l'emine dei gorgoglioni fecondate in Autunno partoriscono uova o corpic- ciuoli che ne tengono luogo; dai quali in Primavera escono sole femine : queste partoriscono femine viventi ; e queste an- ch' elle solo femine pure viventi, e cosi via via sino all' unde- cima generazione ; nella quale ricompajono in Autunno anche de' maschi, i quali colle ultime femine accoppiandosi danno ricominciamento al detto genealogico giro. 3i. E rispetto alla variazione che in questa grand' opera la Natura volle mostrare, noi veggiamo eziandio che alcuni esseri sono monogami, vale a dir si contentano di sola una femina, colla quale pur vivono in compagnia, come parecchi uccelli. Ed alcuni sono anche monogami nella più stretta si- gnificazione, siccome è il caso di quegl' insetti che dopo la copula sen muojono, costando loro la vita il momentaneo pia- cere di darla ad altri. Il piìi degli animali tuttavia sono poli- gami, potendo un maschio fecondar molte femine, come scor- gesi nel cavallo, nell'asino, nell'ariete, nel pollame; e nel capro che ne può servire fino a cenciquanta. Questa prefe- renza di poter impregnare parecchi dell'altro sesso cotanto fre- quente ne' maschi, non è però ad essi così esclusiva che non contisi pur qualche esempio in contrario. L' ape regina tiene a sua disposizione 6co in 700 mariti, ai quali a suo grado si congiugne; ed essi quindi sen muojono o pel sofferto disajo, o d'inedia, od uccisi dalle operaje. Tra le piante poi il servir molti maschi ad una femina sola è comunissimo. 276 Sulla insussistenza della Generazione ec. 3a. Ma qualunque sia la svariata maniera tenuta dalla Natura per operare la fecondazione, grandissimi furono i prov- vedimenti che prese affine di porla in sicuro. Negli animali vedi una sterminata quantità di fluido prolifico, di cui basta minima particella ad ottenere 1' effetto. E ne' pesci oltre la grande abbondanza vi scorgi anche la proprietà di operar freddo, fuori della femina, e misto all' acqua e in essa dilavato. Nelle piante, oltre i mezzi pria menzionati ( N. 18-28.), ad assicu- rarsi che il polline andasse immancabilmente sopra il pistillo, ne fece portatori i zeffiri, l'aria, gl'insetti; e lo produsse in tal copia da non potersi tutto disperdere dalle bufere, dai venti, o predare dagli animalucci, come dalle api che ne trag- gon la cera : sebbene per altro la continua umidità di piogge- relle o di nebbie, sia perchè impastandolo noi lasci volare al suo posto, sia perchè lo faccia scoppiare prima che siavi arri- vato, apporta grave danno ai ricolti. A conoscere la quantità di questo polline basta osservare che, camminando ne' pascoli o prati fioriti, ce ne rimangono coperti i piedi ; che ne' campi de' cereali si scorge al levare del Sole alzarsi a guisa di neb- bia ; e che si credettero piogge di zolfo il rapito dai luoghi , in cui abbondano i cipressi, e altrove portato dai venti. 33. E pari a quello della ricchezza dell' umor fecondante, è lo sfoggio che fa Natura in sue nozze anche per altri ri- spetti. Trovasi allor l' individuo nel suo pieno vigore, allo stato di perfezione; e alcuni prendono tale stato anche soltanto per questo importantissimo scopo, come il baco da seta che sotto forma di farfalla né men si ciba, e 1' epliemera virgo, la quale passati neir acqua sotto forma di verme e di larva ben due o tre anni, vestite 1' ali dopo un tramonto per dar opera alla generazione, alata non può vedere il Sole né anche una volta. Si inostran le piante del verde loro più intenso, alcune ci'e- scendo pur di calore, come 1' arum maculatum^ che si vide ascendere fino a gradi ili, a 24 1' italìcum, a 42^ il cordìfolìum: hanno i succhi più elaborati, onde in tal punto elle soglionsi raccogliere per gli usi medicinali : olezzano della maggiore Memoria del Dott. Giulio Sandri 277 fragranza, e più fortemente dell' odore ad esse proprio, se anzi allora non ne acquistano alcune di particolari, come Vanim clracunculus : mettono in vista nel fiore, che è il letto lor nu- ziale, le tinte più vive e più dilicate, le quali ad imminente fecondazione si trovano al grado massimo d'intensità; come allora al massimo grado trovasi pure il trasudamento di zuc- chero dal fiore. E il simile avvien degl' insetti : solo in quest' epoca sfoggiano, per esempio, la pompa e lo splendore metal- lico della veste verde dorata le cantaridi, e manifestano l'odor penetrante, e il principio acre ed irritativo che opera come possente farmaco. Gli uccelli spiegano piume più terse, e fanno risuonare la selva de' loro concenti, innamorando quasi 1' aria stessa de' loro amori. Il muto armento guizza più vispo ed abhellito di squame più rilucenti ; ed ogni essere fa pompa di ciò che ha di più vago. Le nozze si celebrano soprattutto in Primavera, allorché un mese fu nominato Aprile dall' aprirsi della stagione ovver da Afrodite, dea della fecondità, cui s' era da Pagani questo tempo consacrato. Se ne celebrano tuttavia eziandio in altre parti dell' anno : dai pesci e dai cervi spe- cialmente in Autunno; e nel cuore del Verno dalle crittogame, nelle quali Natura volle mostrare un sentor di vita e di ve- glia, anche mentre nel resto sembra morta od assopita. 34. Il luogo acconcio a tale celebrazione per gli animali suol essere qualche recesso, in cui se ne stanno occulti e tran- quilli; ma il cane la compie senza riguardo anche in pubblico e in mezzo ai romori. I pesci allorché sono in frega s' acco- stano alla riva, ove più ne trovano il comodo e maggiore la sicurezza dell'effetto cui mirasi. Degl'insetti molti s' accoppiai! volando nell' ore più temperate; ed alcuni acquistano 1' ali solo a tal epoca. Le formiche stesse che veggiamo quasi sem- pre terragnole, alla fine d'Estate vestendo l'ali, nel loro ime- neo formano alle volte degli sciami di particolare figura, quasi colonne che ascendono per 1' aria e discendono in bizzarro ondeggiamento. 278 Sulla insussistenza della Generazione ec. 35. Avvenuta la fecondazione, scompare tutto il brillante nuziale apparato, e vi sottentra un' idea di squallore, ogni cura volgendosi a perfezionare la prole. Nelle piante cadono tosto lo stimma, il tessuto conduttore, le antere e i filamenti; poscia i petali, e d' ordinario anche gli stili ed il calice, di cui più non v' è duopo : e tutto l' umor si dirige all' ovario per nutricarlo e crescerlo in frutto. Negli animali la femina diventa più mansueta e più guardinga per non ofiendere quello che si porta in seno; è più misurata ne' suoi movimenti, mas- sime r ultimo tempo di sua gravidanza : la quale varia moltis- simo di durata, essendo generalmente più corta negli animah più piccoli. Così, verbigrazia, la lepre e la femina del coniglio portano un mese; meno di due la gatta; fra i due e mezzo e i tre la cagna; quattro la scrofa; cinque la pecora e la capi-a; otto la cerva; nove la vacca; circa undici la cavalla. I più piccoli portano meno avendo bisogno di moltiplicarsi più spesso a motivo che per la lor picciolezza sono più esposti a venire distrutti dagli altri maggiori : e per la stessa ragione essi danno anche più figli ad un portato ( N. 44- ) • 36. Il qual portato ov' esca in luce già vivo, gli animali si dicon vivipari, come tutti i poppanti, ed alcuni eziandio di altre classi, e massime de' vermi : e dove la vita non ancora sia desta, gli animali diconsi ovipari, come sono gli uccelli, e in generale anche gli anfibj, i pesci e gì' insetti. Nei vivipari il figlio si sviluppa dentro la madre col nutrimento eh' essa gli va somministrando. Negli ovipari sviluppasi fuori di lei coi materiali onde 1' uovo fu da essa fornito. Sicché tu vedi sbuc- ciare, pogniam caso, il pulcino bello e formato, senz'aver avuto alimento se non da ciò che si trovava nel guscio. Il seme delle piante, che propriamente è 1' uovo vegetale fecon- dato, reca pur chiuso negl' invogli suoi quanto gli necessita pel suo primo sviluppo, e per mettersi in istato di prender poscia il nutrimento d' altronde. L' attacco di esso alla madre somigha a quello de' feti operandosi mediante il funicolo um- bilicale e durando fino alla perfetta maturazione: mentre nell' Memoria del Dott. Giulio Sandri 279 uovo animale, per esempio di gallina, sol da principio aderisce di tal guisa il tuorlo all' ovaja ; e per la fecondazione poi di- staccandosi, discende nell'ovidutto, ove circondasi dell'albume che vi trasuda, e finalmente giugne in cloaca, ove di corto si veste del guscio. Negli squali e nelle razze pare siensi riuniti entrambi i modi, nutrendosi prima il novello a sole spese della madre per mezzo di vasi con essa continui, come ne' veri vi- vipari, e poscia eziandio a quelle dell' uovo per vasi che si continuan con esso, come ne' veri ovipari. E si formano em- brioni anche senza veruna continuità colla madre né prima né dopo. Nelle crittogame scorgi del confuso cellulare tessuto, le cui cellule poscia sviluppandosi si riempiono di una materia semifluida e granullosa, i granellini della quale ripartisconsi quindi in varie masse, che organizzandosi diventan le spore: le quali se ne rimangono poi sempre libere nelle lor cavità; e differiscono dal comun seme delle altre piante anche per essere senza invogli propij, e come nudi embrioni che nel germogliare nulla mandano fuori, e non fan che allungarsi o crescere per qualche lato. E in molti altri rispetti qui la Na- tura si piacque variare. Gli embrioni non sempre stanno rac- colti in sito speciale, ma sovente anche disseminati si trovano in diverse parti dell' individuo, come nel lombrico terrestre che li tiene in cintui-e poste dietro gli anelli; nelle tenie che han le ovaje sopra ciascuno de' grandi internodj, onde la più gran parte del corpo loro é composta: e trovansene fin anche misti e quasi confusi cogli stessi organi della nutrizione in alcune alghe, in cui la stessa cellula serve a nutrire e a generare, potendo ogni globetto della materia verde contenutavi, diventar organo riproduttore. Non sempre la prole ha per uscire un proprio forame. Nelle najadi ella sviluppasi dall' ultima artico- lazione; e le attinie partoriscono per la bocca. E né men sempre ogni uovo si vegetabile, che animale, dà nascimento a un solo individuo. Più gambi si veggono spesso germogliare da un grano di frumento o di riso: e la sanguisuga ottoculata depone un uovo che in prima contiene un fluido acquoso, dal quale escono poscia otto in dieci, ed anche più vermicelli. a8o Sulla insussistenza della Generazione ec. 87. Ma le uova affine di svilupparsi abbisognano di cova- zione, la quale o abbandonasi alla Natura, o si fa dalla madre. Nel primo caso quelle della lucertola, esempigrazia, si covano dal calore solare ; dal calor dell' arena quelle de' coccodrilli e delle tartarughe ; dal calore de' letamai quelle di molti serpi. Dal calore del Sole vengono pur covate quelle de' pesci che per ciò si depongono dove possano meglio sentirlo : e dal ca- lore dell'atmosfera si covano eziandio generalmente quelle de- gl' insetti. E comechè noi dicemmo qui sopra che le uova di questi animali vengono abbandonate, è tuttavia da notare la somma diligenza che si ha di allogarle sempre nel sito più ac- concio al loro sviluppamento, e dove il neonato ritrovi tosto di che soddisfare a' suoi bisogni. Questa cura è tale e sì co- stante che diresti la madre dotata del più fino giudizio, della maggiore penetrazione anche negli esseri più infimi, quali sono gl'insetti medesimi. Alcuni depongono le uova entro foglie, entro frutti, entro legni, entro animali viventi, cui forano col pungolo onde le sole femine sono per ciò fornite. Il più delle galli vespe ( cynìps ) dal foro praticato nel vegetabile, fanno uscir dell' umore, che addensandosi poscia in gallozzole, forma r abitazione de' loro figli. Il larvicida od icneumone alloga le sue uova ne' bachi d' altri insetti e massime de' papiglioni. E de' becchini o sia necrofori [necrophorus vespillo, n. germanicus) la madre prima di deporre le uova seppellisce il corpo di qualche ratto o talpa o simile picciol quadrupede, onde poi si nutre la prole, egualmente che s' ebbe a nutrire la madre stessa. Le femine di varie specie del genere vespajuola (sphex), costrutti prima de' nidi con sabbia od argilla, vanno in cerea di ragni o de' bachi di qualche falena, e spesso anche senza ucciderli, ma solamente storpiandoli affinchè non possan fug- gire, li traggon entro essi nidi, e quinci depongono un uovo in ciascuno. La larva in nascendo succhia il grande insetto preparatole dalla genitrice, e in esso trova pure un acconcio alloggio per incontrarvi a suo tempo la trasformazione. E ciò che dee far meraviglia maggiore si è, come queste madri. Memoria del Dott. Giulio Sandri a8i benché non abbiano più a vedere le uova deposte né la prole, e benché alcune allo stato loro anche nutransi di vegetabili, pure siccome la prole in quello di larva si nutre di animali, hanno cura di porre accanto alle uova animali sostanze, affin- chè tosto nata abbia in pronto di che cibarsi. E simile pra- tica ha pur la xylocopa violacea, che per la prole scava una schiera di cellette ne' vecchi legni; e la x. muraria, che con arte ancor maggiore fabbrica i nidi suoi di rena o pietruzze cui salda con liquido cemento che si trae dallo stomaco. Al- cuni insetti ( quei del genere Chalcis ) depongon lor uova fin nelle uova di altri: onde alle volte da quelle, per esempio, della falena neustria si vede, in vece della sua larva, uscir una specie particolare di piccola mosca. 38. La covatura si fa dalla madre in tutti gli uccelli, ec- cetto il cucolo, il quale, forse per avere il ventre poco atto a tale operazione, se ne dispensa, ed usa in cambio 1' artifizio d' insinuar di soppiatto le sue uova, similissime per avventura in tutto, anche nel tempo richiesto per nascere, a quelle di altri benché più piccoli uccelli, come la cutrettola bianca, la canaparola e la capinera, d'insinuarle, io diceva, nel nido di questi e farle ad essi covare. Io non istarò qui a rammentar la premura che la femina fecondata ha di prepararsi il nido , r intelligenza nello sceglierne gli opportuni materiali e il sito più confacente a' suoi bisogni e alle sue abitudini, nel dargli la convenevole forma e la debita ampiezza : né accennerò la diligenza con cui si opera la covazion da essa femina assistita ne' monogami, del pari che nella preparazione del nido, anche dal maschio ; il quale o sottentra a quando a quando in suo luogo, o le va a procacciar il cibo, o la rallegra del suo canto rimanendosene a qualche distanza per non servir mai di guida a chi meditasse rapina. Il voler anche solo toccare queste cose per singolo mi farebbe parer infinito. Ricoi'derò quinci soltanto quel provvedimento saggissimo, che l'uovo già formato rotondo per uscire più agevolmente dal dilatabile foro non grande, comunque si volga, sempre spinge in alto il suo tuorlo, e del Tomo XXV. P.'^ /.» 36 2,82, Sulla insussistenza della Generazione ec. tuorlo medesimo sempre al di sopra se ne rimane la cicatricula, presso cui sta il punto acchiudente il germe da svilupparsi; per guisa che sempre questo si trova più vicino al covante a meglio sentirne il calore. E precauzione alquanto simile a questa noi scorgiam presa per l'uovo vegetabile; imperciocché il seme nel germogliare sempre rivolge in basso la parte che debbe formar la radice, e in alto quella che il tronco, in qua- lunque modo si fosse pria collocato. 3g. E in opera di covatura sono da rammentare alcune specieltà. Non tutte le femine degli uccelli han nido proprio. Della crotofaga ani fino a cinquanta si uniscono a covar nel medesimo che grandissimo prima si costrussero insieme. E molte dell' alca torda depongono ciascuna un uovo nel luogo stesso tra le fessure degli scogli, e covano poscia a vicenda. Nella vipera la covatura si effettua dentro la madre, da cui nascono i figli vivi ; donde il nome a quest' animale che è raccorciamento di vivipara. Neil' insetto appellato cocciniglia {coccus)., e nel genere chermes, i figliuoli si sviluppano pure dentro la madre che li difende servendo lor come di tetto eziandio dopo morta. Nella rana pipa la covatura si fa sopra il corpo della femina, ove il maschio, dopo avere distese le uova, le feconda. Queste indi a circa tre mesi schiudono i gi- rini, i quali avendo presa di poi la forma lor naturale, discen- dono dal dorso della genitrice. Gli onischi e gli asellidi por- tano anch' eglino seco lor uova, finché se ne sviluppano i figli, in un ricettacolo particolare o sacco posto sotto del ventre. E il ragno saccato, che in pari modo seco le reca, arrischia sino la vita con chi tentasse strappargliele. Le femine de' granchi le portano e le covano attaccate sotto la coda. E un che di somiglievole, benché propriamente non sia covatura, ci offre la famiglia dei didelfi, così chiamati appunto per avere le fe- mine di varie specie, in certa guisa, due matrici; conciossiachè tengono sotto l'addome una grande bisaccia, che può mediante appositi muscoli chiudersi ed aprirsi, nella quale comprendonsi le mammelle, l figliuoli che al primo nascere son picciolissimi Memoria del Dott. Giulio Sandri a83 e quasi aborti, vi rimangono poppando linchò rivestiti di pelo, e acquistata colla facoltà di vedere e di camminare, anche una convenevol grandezza, ne vengono fuori nascendo, per così dire, una seconda volta, come la favola vuole avvenisse di Bacco. 40. Quello che qui sopra abbiamo accennato della vipera, della cocciniglia e del chermes^ ci mostra come grande non sia la differenza tra 1' oviparo ed il viviparo : conciossiachè nel primo non facciasi che covar 1' uovo fecondato dentro la ma- dre, e nel secondo si covi fuori di lei. Ed è perciò stesso che a classi di ovipari alcuni vivipari appartengono, come a quella de' pesci 1' anguilla, un blennio e 1' asello comune ; per tacere degli squali che pur si sviluppano dalle uova dentro la madre : a quella degl' insetti due specie di mosca viventi suH' edera , la carnaria, ed anche lo scorpione secondo il Redi. Da mono- coli si portan nel ventre uova e vivi animali. Ed alcuni, come r accennato gorgoglione ( N. 3o. ) sono ovipari o vivipari giusta il tempo in cui partoriscono. 4i. Ma in qualunque modo lo sviluppo della prole sia succeduto, alcune specie d' animali si prendono cura di essa , ed altre no. Se la prendono tutte quelle che allattano o co- vano fuori di se, e prendonsela fino a tanto che la prole me- desima n' abbisogni. Ne fa mestieri eh' io qui tratteggi come la genitrice mostri pe' suoi figliuoli e avvedutezza in sottrarli ai pericoli, e coraggio in difenderli esponendo per essi fino la propria vita, e sollecitudine in procacciar loro il cibo, imbec- candoli anche, siccome vedesi negli uccelli, e istruendoli a ciò che deono far poscia, come al volo gli uccelli stessi, tostochè già pennuti si possono affidar all' aria. Il che dà a divedere che di queste cure la Natura fece alle madri un bisogno stret- tissimo, non senza unirvi un piacere assai grato nel soddisfarlo, volendo che lo stesso allattamento andasse accompagnato da un cotal dilettevole senso di voluttà. 42. E sebbene la cura della prole sia più particolare ai poppanti e agli uccelli, non ne mancano chiarissimi esempi, né anche tra gli animali comunemente stimati per li più dis- 2,84 Sulla insussistenza della Generazione ec. pregevoli, come sono gl'insetti. Alcuni di questi, cioè l'ape, il battilegno, la formica e qualche specie di vespa, sogliono vivere a tal uopo in famiglie assai numerose, e sì regolate che regnandovi somma attività, ciascuno attende sempre a fare sol- tanto ciò che gli si addice senza uscire giammai da' limiti di sue competenze. In mezzo al fabbricato de' battilegni ( termes fatalis) sta la cellula della regina ^ ivi presso quella del re che la feconda ; poscia d' intorno quelle della turba soggetta ; indi le destinate alle uova ; e finalmente quelle pe' magazzini. Tra queste bestiuole avvene sempre una grandissima quantità priva di sesso, o in cui sì poco è sviluppato da non potersi usare, e sono le così dette operaje che attendono, oltre che a fabbricare 1' abitazione, a tenerla pulita, a fare le provvigioni, anche ad allevar la progenie. Nelle formiche tu scorgi queste operaje, che sono senz' ali, portar fuori di giorno le uova al Sole, perchè vi si covino, e la sera riporle al chiuso. E tale Jn esse è la devozione a questo pietoso ufficio, che una for- mica tagliata a mezzo da una ferita, fu vista mettere ancor in salvo dieci larve, sebbene cotanto addolorata seguendo pur tuttavia ad eseguire il suo incarico, e terminando soltanto colla morte. 43. In materia di generazione diresti che individui anche privi di ragione e di anima, posseggano un cotal tatto di ov- viare o tentar di ovviare eziandio agli accidenti. Le galline, ove si lascino le deposte uova nel nido, preparatane la quan- tità necessaria, mettonsi a covarle; e dove si levino l'un dopo r altro, continuano lunga pezza a deporne : questa prolungata deposizione dipendendo dal caso, pare tenga molto del volon- tario. Parecchi insetti che accoppiandosi avrebbero compiuto prima il solito corso di loro vita, coli' impedire ad essi quest' atto, la prolungano: e rari non sono que' tardivi che, non avendo potuto accoppiarsi nel primo anno, passano il verno in luoghi nascosti per cercar poi di moltiplicarsi la Primavera se- guente. E il simile accade pur nelle piante : si protrae ad al- cune la fioritura impedendo loro di metter fiori quando gli Memoria del Dott. Giulio Sandri 285 avrebbero messi naturalmente. Se al frumento si offenda la spiga già cacciata, sicché non possa con essa generare, ei s' af- fretta a gettar altri germogli dal collare della radice (i); il che vedesi addivenire anche nel risoj i quali germogli giun- gono spesso, benché più tardi, a granire. Ripullulano varj er- baggi, di cui si vanno radendo per 1' uso domestico le tenere messe, e si rinnovan ne' prati più volte all' anno 1' erbe me- desime, alle quali impedisce la falce di produr seme. Per la stessa causa piante che in un luogo son annue, possono in al- tro o in altra condizione divenire bienni. Le astuzie per se medesime annue, rendendole di fior doppio diventan perenni. Gli spinacci che seminati in Estate non sogliono viver che un mese, ne vivono più di otto seminandoli in Autunno o privan- doli del fiore. Le piante che in un sito non giungono a ma- turar il frutto, sogliono ivi più agevolmente che altre molti- plicarsi per gemme; come appo noi la canna da zucchero, la comune, il salcio ec. che mai non arrivano a darci semenze perfette. 44- La quantità degli esseri che da un individuo possono derivare in un portato, con finissima provvidenza si vede mi- surata o profusa secondo 1' uopo : misurata ne' più difficili a venire distrutti, come in generale i poppanti, ma colla debita proporzione; un solo figliuolo dando, per esempio, la balena, l'elefante, il cavallo; rare volte due la vacca; spesso due la capra e la pecora; più la troja, la cagna, la gatta, la lepre e gli altri di minor mole ( N. 35. ) . E misurata proporzional- mente eziandio negli uccelli, deponendo parecchi degli acqua- tici un uovo solo ; due lo smergo ; tre il gabbiano ( larus ) ; quattro i corvi ; cinque il fringuello ; da sei ad otto la ron- dine; quattordici la pernice e la quaglia, ed assai più i dome- stici massimamente ove sottrassansi di mano in mano dal nido CD ( N. 43- ) • Profusa è la detta quantità nel più delle piante (1) Quinci il Pollini (Catechismo Agrario, p. 125. ) dice, che ove si falci dopo una gragnuola, mancando più di 20 giorni alla maturità, si può avere mezzano raccolto. a86 Sulla insussistenza della Generazione ec. anche grandi, come la vite, il fico, il moro, e maggiormente ancor nelle minime, soprattutto crittogame ; molte delle quali non sembrano che un aggregato d' impercettibili semi. Profusa eziandio in animali, come ne' pesci, in non pochi de' quali le ovaje formano la maggior parte del corpo, ed essendosi con- tate fino a 87,000 uova nelle aringhe, aoo, 000 ne' carpi, 385,000 nelle tinche, e più d' un milione in una specie di so- gliola [ pleuronectes flesus ) . E profusa anche in insetti, depo- nendosi, per esempio, dalle 4 alle 12, mila uova dall' ape, 20 mila vermicciattoli dalla mosca carnaria; e dalla femina del battilegno { N. 4^. ) fino ad 80 mila uova in a4 ore, avendo essa allorché gravida il ventre due mila volte più grosso di prima. La quale fecondità in tali minuti esseri unita a ciò che i figliuoli sono in istato di generare non molto dopo esser nati, mostra come possano sì rapidamente moltiplicarsi anche a se- gno di tornare funesti, siccome il pidocchio rispetto all' uomo e ad altri animali, il cimice de' letti, e quelle turbe che in un attimo pongono il guasto agli orti, ai frutteti, alle campa- gne e alle selve. 45. E maravigliosa si è pure la durazione, da noi toccata eziandio in altri scritti, della quale moltissimi germi furon do- tati. Alcuni ove si abbattano in sito acconcio alla loro conser- vazione, rimangono illesi per molti secoli, e tornano effettivi al presentarsi delle opportunità. Resistono altri a calore for- tissimo, e all' acqua bollente come quei delle muffe e d' infu- sorj, ed altri a un freddo intenso e alla medesima congelazione. E ve n' ha pure di quelli che dopo essersi disseccati ritornano all' esercizio della vita. Il che viene osservato non solo fra le piante, come nelle alghe ; ma eziandio fra varj animali tanto insetti che vermi. Fra gì' insetti ne' monocoli i generi cypris , linceus^ daphnia \ ne' quali fin da Linneo si notò la proprietà di rivivere per infusione d' acqua ; e il monocolo apode che al disseccarsi degli stagni pur si dissecca, e ricupera il pri- miero stato vitale al ritornare del fluido : di che dato è spie- gare come talora in qualche sito della Germania un' immensa Memoria del Dott. Giulio Sandri 287 quantità ne compaja dopo le innondazioni. Fra i vermi il gor- dio e il vibrione anguilletta ripigliano il moto dopo esser ri- masti inariditi per lungo tempo, come del pari la vorticella rotatoria, che pure inaridita e come estinta per anni interi, riprende vita e movimento appena che si ritrova nell' acqua. 46. E per la diffusione de' germi quanto mai provvida non fu la Natura? Di quanti mezzi non si vale essa mai? Ella munì varj semi, come negli equiseti, di certe quasi molle dette elateri^ per cui al tempo debito vengono sparsi : il che si opera in molti dalla stessa guisa d' aprirsi de' frutti o peri- carpi. Nel cocomero asinino, comune fra noi, il frutto giunto a maturità staccasi da per se stesso, e con impeto gli schizza lungi insieme coli' amarissimo succo: la balsamina, pianta delle Indie orientali, gli spinge a considerevol distanza: e V hura crepìtans^ nativa del Messico, in vibrandoli produce anche forte scoppio. L'oceano può galleggianti sopra i suoi flutti condurne da una parte all' altra del mondo ; i mari anch' essi dall' uno all'altro lido: le acque dolci scorrendo possono quinci e quindi prenderli e disseminarli. L'aria se ne incarica molto sovente; e non solo de' più minuti come quei delle muffe e degli altri le mille volte più piccoli, ma eziandio di maggiori, i quali sono per ciò molti anche leggerissimi e provveduti di peli, di pappi, di ampie appendici, ed alcuni eziandio come di ali. E a tale trasporto per li meno leggeri la Natura servesi pur non raro dei venti impetuosi, dei turbini, degli oricani, i quali atti essendo a sollevare e addur seco oggetti assai maggiori, tanto più in lontane parti i germi d' ogni sorta ponno recare ; i germi che sogliono essere cose staccate, e a luogo a luogo sulla superfìcie del suolo copiosamente adunati. 47- Mezzo poi molto comune e poco avvertito per tras- portar i germi si è quello degli animali, sia che i germi stessi loro s' appicchino, essendo alcuni a tal uopo anche forniti di punte ed uncini ; sia che se ne stieno appiccati agli altri og- getti che si trasportano. Ma più che coli' esterno gli animali trasportano i germi dentro di se. Mangiandosi minute uova, o a88 Sulla insussistenza della Generazione ec. minute sementi, che come altrove dicemmo, finché restano vive ed intatte, non si digeriscono, vengono poscia o rigettate, o cogli escrementi deposte in luoghi anche molto distanti, ove possono poi svilupparsi. Con tal mezzo si videro, per esempio in laghi novelli, propagare de' pesci colle uova fecondate reca- tevi dalle anitre od oche selvagge allorché migrano; e a Banda così dai colombi é fama si propagasse la noce moscata. E di questa verità prova abbiamo pur troppo comunissima anche in ciò che non possiamo nettar appieno gli orti ed i campi da insetti, e massime dalle mal erbe, sebbene gli uni con ogni cura si uccidano, e le altre vengano di continuo estirpate; conciossiachè mangiando il bestiame l'erbe, e non digerendone le sementi, né le uova degli animali onde sono imbrattate , queste si rendano poscia col letame al terreno, dove tornano a svilupparsi. 48. Né solamente la Natura in questo od in quel tempo, nell' una guisa o nell' altra anche all' uomo occultissima o da esso non avvertita, sa far pervenire i germi in varj siti; ma farli entrar eziandio ed allogarli nel posto acconcio al loro svi- luppo : nel che pure non possiamo a men di ammirare lo stu- pendo artifizio. Il germe generalmente assai piccolo per meglio potersi insinuare; rotondo per non incontrar ostacoli, e sovente anche da un canto piì^i assottigliato per api'irsi con esso più agevolmente il passaggio ; e se debbasi introdurre in essere vivente, i pori o canali di questo assai distensibili per lasciarne passare al caso anche di molto maggiori dell'ordinario lor dia- metro. Se il luogo proprio a sviluppare 1' insetto è dentro un legno, una foglia od un frutto, la madre col pungilion suo ( N. 37.) ne pratica il foro convenevole e vi depone le uova: se è r esterno d' un animale, col suo pungolo ne trafora la pelle e ve le colloca. L' uomo non può fare che il pulce pe- netrante ( pulex penetrans ) , non gli metta le uova sotto le dita de' piedi, producendovi spesso infiammazione violenta che alle volte passa pure in cancrena. E se il detto luogo è den- tro l'animale, come i seni frontali, gl'intestini, lo stomaco, la Memoria del Dott. Giulio Sandhi 289 madre trova pur mezzo di farvi pervenire le uova o i minimi neonati ; affliggendosi così per varie guise dagli estri i cervi , i capriuoli, le capre, e massimamente le pecore ed i cavalli. 49. Se tante precauzioni, tanta varietà, e, a nostro modo d' intendere, tanto artifizio per ovviare agli ostacoli che dalla varietà stessa nascer doveano, si piacque usar la Natura per fare cfie gli esseri organici provenissero dai pi'oprj germi, si vede chiaro come forte sia l' argomento di analogia per de- duiTe che da pi'oprj germi provengan pur quelli che alla co- mune apparenza non sembrerebbero provenire { N. 16. )i e si vede altresì come il riputarli spontanei potrebbe essere mero efletto d' ignoranza. Né con questo intendesi punto detrarre a quelli che opinan così fattamente, essendovi anche fra essi de' personaggi per altri riguardi molto distinti : ma ciò vor- rebbe dir solo che gli uomini, per grandi che sieno, mai non cessano d' esser uomini ; che i soli stessi han le lor macchie senza cessare d' esser soli. Ma appunto perchè tali personaggi quanto più sono chiai'i e in alto locati nella comune opinione, tanto pili collo splendoi'e di loro autorità valgono ad abbagliare, a trarsi dietro 1' altrui credenza e diffonder 1' errore ; appunto per questo noi stimiamo più necessario di mostrar quell' in- ganno in cui per inavvertenza, o colpa di non avervi istituito il convenevole esame, ponno esser incorsi; qui aggiungendo alcune considerazioni provanti come la detta spontaneità possa essere mera ignoranza. 50. E pi'imieramente, s' io mal non m' appongo, tranne il poco dovuto all' umano arbitrio, per cui disse quel saggio vi- deo meliora, proboque, deteriora sequor (i), tutto il rimanente della Natura appartiene a cause necessarie, e quindi la spon- taneità non vi ha luogo : e il dire che una tal cosa è sponta- nea, che viene dal caso, da combinazione, da un concorso di circostanze, senza determinare quali poi queste sieno, è lo stesso che dire che non si conosce donde venga, donde tragga (l) Ovid. Metam. L. VII. Ver. 20-21. Tomo XXF. P.'^ I.'^ 37 ago Sulla insussistenza della Generazione ec. r origine sua ; è in sostanza un dire che non si sa, un confes- sar d' ignorare. 5i. E stringendoci al proposito nostro, veggiamo che il l'ozzissimo colono crede nata di per se stessa 1' erba che non seminata comparisce ad infestar i suoi campi ; e non torresti dalla mente né anche di alcuni men rozzi, che il suolo pro- duca da se la panicastrella volgarmente detta giavone., perchè la osservano deturpar quello che pongono a riso, mentre che neir altra precedente coltivazione non erasi manifestata, né ve n' hanno sparsa essi poi la semenza. Ma questo è solo effetto d'ignoranza, di non sapere cioè i varj modi con cui la semente vi può esser recata, e com' ella possa eziandio rimanersene oziosa nel terreno quand'è in asciutto, per germogliar quando venga la coltivazione del riso a lei favorevole, bramando an- ch' essa r acqua. Medesimamente chi vedendo su torri, cam- panili o eccelse muraglie uscir delle piante, stimi che da' mat- toni, dalla calce, dalle pietre siensi originate, sapendo che r uomo non vi può avere portato il seme, stima ciò per sola ignoranza, vale a dire per non conoscere i mezzi tocchi dianzi ( N. 46-47-) dalla Natura impiegati per diffonder i germi. 5a. Oltracciò a chi della storia scientifica si conosce è pa- lese, che ne' secoli addietro, in quelli che rispetto alle scienze naturali erano secoli d' ignoranza, prima che vi si applicassero di proposito le osservazioni e le speiienze, quando si stava all' apparenza e al pregiudizio, credeasi massimamente alla ge- nerazione spontanea, supponendo che vermi, insetti ec. nasces- sero da quella carne che si vedea putrefare, da quello sterco, da quel terreno, su cui n'andavano stiùsciando : e parimenti dal^terreno, dal fango, dallo sterco, in cui germogliavano, si credea generarsi moltissime piante. Ma poscia 1' opera di varj insigni Naturalisti, chi per un ente, chi per l'altro, chi per parecchi insiememente, mostrò 1' erroneo prisco opinare, met- tendo in chiaro, fino a toccarsi con mano, che tutti essi non veniano altrimenti che da proprio germe. Laonde il proteggere adesso la generazione spontanea, sarebbe un aperto indietreg- Memoria del Dott. Giulio Sandri 291 giare in questo riguardo, un ritornar a que' tempi si poveri di naturali cognizioni. 53. Né si può a buon diritto pretender eccezione per gli infusorj, i quali compajon entro liquidi in cui si mise cosa or- ganizzata ad infondere : perciocché sapendosi ora e quanto sia ferma la vita loro da resister a freddi intensi, a forti calori, a lunghi disseccamenti ( N. 4^- ) •> ^ come sieno atti a mutarsi massime in questi disseccamenti, per cui possono informemente ristretti simular un qualche altro atomo; e sapendosi pure in qual enorme copia ritrovinsi nell' acque stagnanti di paludi , fossi, pozzanghere e somiglievoli, da renderle fin anche torbide e formar ampj incrostamenti, onde o al disseccarsi di tali cose possono quinci e quindi trasferirsi dal vento sollevati a guisa di polvere, o nelle gran piogge spargersi ne' campi coli' acqua de' fossi traripati, o ne' giardini, negli orti con quella de' ser- batoi e delle cisterne colla quale s' inaffia ; ed entrar anche negli animali che di tal acqua sì popolata si abbeverano: tutto questo ora sapendosi, é pur agevole intendere che preceden- temente nel fluido dell'infusione, o appiccati alla sostanza che vi s'infonde, o nuotanti nella polvere che dall'aria vi cade, possano esister essi animalucci o i germi loro, i quali in quel principio di corruzione trovando le circostanze opportune, vi si sviluppano, crescono rapidamente e moltiplicansi nell' uno o nell'altro de' modi che loro son proprj (N. la. 17. ). E i germi di così fatti animalini, stando a ciò che pur è dato osservare in altri organici enti, vi ponno essere benché al tutto imper- cettibili ad occhio umano anche armato de' più fini stromenti. E di vero, se il granellino seme del fico e del gelso trovasi forse le centinaja di milioni di volte minore di questi alberi giunti al pieno loro sviluppo, un germe che fosse tanti milioni di volte più picciolo del vermicciuolo infusorio, come potrebbe mai vedei'si da microscopio per quanto fosse potente ? 54. E se non v' ha ragione di spontaneità per gì' infusorj, non v' ha né meno per gli entofiti e gli entozoarj, cioè per quelle piante e per quegli animali che si sviluppano dentro agsi Sulla insussistenza della Generazione ec. maggiori, di cui parlammo in apposita Memoria (i). Il non saper come i germi loro vi possano entrare, non è ragione che basti per dir che non v' entrino ed ivi generati vengan da se. Primieramente, siccome dianzi fu pur avvertito ( N. 4^.), in alcuni che si posero a diligentìssimo esame, il modo di entrata s' è discoperto. In secondo luogo, per molte vie ponno intro- dursi i germi degli entozoarj, vale a dire per quello della ge- nerazione, col latte della nutrice, per assorbimento della pelle, tenuissimi essendo quelli di molti ; e co' cibi e colle bevande : conciossiachè tali germi usciti dagl' individui co' loro escrementi o per la loro dissoluzione, possano pure attaccarsi a ciò che in altri individui poi facciali penetrare. E non sarebbe né meno al tutto improbabile che qualche specie fosse di quelle medesime che vivono anche fuori di essi animali, sì perchè alcuni di tali vermi ai congeneri loro esterni somigliano, sì perchè la mutata apparenza può esser dovuta al trovarsi pas- sati a nuova condizione di vita ( N. 64. ) • 55. Che che poi siane di ciò, come per l'entrata de' germi de'parassiti nell'ente organico, e per lo passaggio loro dall'una all'altra parte di esso, suolsi obbiettare la strettezza de' fori e de' condotti naturali in paragon della mole di qualche germe; notiamo da prima qualmente eziandio corpi stranieri , cioè frammenti di vario genere, aghi, spilli ec. trovinsi non di rado in organi o tessuti animali anche distanti da ogni esterna co- municazione, senza che appaja come vi sien penetrati: e fac- ciamo poscia osservare, che oltre la tendenza che i germi aver deono verso il luogo pel quale furon creati, e la forma loro la più acconcia per ìnsinuarvisi, gli organici tessuti viventi hanno la proprietà di estendersi molto ed ampliare al bisogno le loro aperture ( N. 4^- ) • È palese quanto si allarghino gli stimmi e gli stili all' epoca della fecondazion delle piante ( N. 27. 29. ) ; quanto negli animali il condotto che mette il (1) Sulla fersa del gelso, e in generale sulla produzione degli esseri che vivono in altri viventi; inserita nelle Memorie dell' Accad. agr. di Verona. Volume XXIII. I Memoria del Dott. Giulio Sandri 298 parto alla luce. Chi vede un' intera gallina, un coniglio nel ventre di un mezzano serpente, un uomo in quello d' un boa, per esser questi in proporzione dell' apertura allo stato suo natu- rale, sì voluminosi, dovrà forse dire che la gallina, il coniglio, l' uomo, si fossero spontaneamente generati dentro que' serpi ? 56. È noto, dicono alcuni a sostegno della spontanea ge- neiazione, è noto che dentro un certo giro di anni la sostanza del corpo animale tutta si cangia. Ora in questo processo di continua scomposizione anche i germi picciolissimi degli ento- zoarj dovrebbero scomposti espellersi dall' individuo vivente , lasciandonelo affatto privo, e quindi incapace di piìi generare simili parassiti e trasmetterne, se da soli germi proprj essi ognor provenissero. Al che tre cose si offrono in risposta. L' una che, quand'anche per la detta guisa i germi degli entozoarj , e noi diremo eziandio degli entofiti, si avessero a discacciare dall' animale, pure come ciò non si farebbe che successivamente, i restati potrebbero sempre di mano in mano riprodurne degli altri, e mantenervi sempre quelli che serban la specie. La se- conda, che sebbene tutti per tal guisa i germi venissei'o estrusi, enti'ar ne potrebbero casualmente degli altri ne' modi mento- vati di sopra ( N. 54. ) . E la terza, non avere la forza vitale del soggetto alcun potere su ciò eh' è provveduto di vita pro- pria come sono i veri germi. Questi resistono e alle forze di- gestive e alle assimilative , sempre restando intatti e senza punto partecipare alla sorte de' tessuti dell' individuo entro cui se ne giaciono, come altrove s' è dinotato ( N. 47- ) • H perchè né meno quest' obbiezione porge verun appicco a supporre in entozoarj od entofìti generazione spontanea. 57. Più che gì' infusori, ed entozoarj ed entofìti, appicco a spontanea generazione, dar potrebbero i rospi che talvolta rinvengonsi chiusi ne' tronchi degli alberi o in duri macigni ; poiché certamente per entrarvi passar non poterono da quegli angustissimi fori o minime fessure che vi si scorgono. Se non che, se i rospi non poterono passare per ivi, passar vi poteron lor uova coli' acqua, o piovana sollevate insieme e trasportatevi 294 Sulla insussistenza della Generazione ec. dal vento, o pure scorrente da qualche superiore pozzanghera. La scolopendra elettrica, insetto che vive di preferenza nei siti umidi, essendosi, al riferire del Blumenbach, ritrovata alle volte ne'seni frontali degli uomini che per anni soffrirono mali di capo insopportabili, avrebbe pur fatto credere d' esservisi generata spontaneamente, chi non avesse avvertito che allo stato di minimo bacherozzolo o d' uovo potuto avea di leggeri insinuarsi pel naso. E ancor più a tale spontanea generazione sembrerebbe dare appicco i vermi che si trovasser nelle uova di polli, poiché il fitto guscio non lascia immaginare alcun mezzo di entrata. Leggesi nelle Memorie dell'Accademia agraria di Verona (i), che un ascaris galli lungo circa due pollici uscì vivo da un uovo che, al fuoco rappreso erasi rotto per sorbirlo. Ma il Sig. farmacista Bertoncelli di cose naturali ot- timo conoscitore, il quale ne diede la relazione, spiegava il fenomeno dicendo, che 1' animaluccio, generatosi negl' intestini de' quali è proprio, si era ancor piccino insinuato per l' ovi- dutto air ovaja, ove appiattatosi in un uovo che stava in for- mandosi, era con esso cresciuto, e al vestii'si di guscio trovossi per sempre imprigionato : e con tale naturalissima spiegazione non ebbe punto bisogno di ricorrere a generazione spontanea, come avrebbe per avventura fatto altri che del modo, con cui potesse il verme ivi penetrare, fosse stato ignaro. 58. E all' ignoranza del modo di traspoi'to del germe, e non ad altro, si appoggia l' avviso di Burdach, il quale al rife- rire del Liebig (a) « considera l' insetto della scabbia come il « prodotto d' uno stato morbido ; del pari i pidocchi presso i « fanciulli, le conchiglie negli stagni, le piante marittime nei « dintorni delle saline, le ortiche, certe erbe, i pesci nelle « acque stagnanti di pioggia, le trutte nelle acque delle mon- « tagne ec. potrebbero secondo lo stesso Naturalista , avere « un' origine pressoché simile. Così un terreno composto di « roccie disgregate di vegetabili putrefatti, di acqua di pioggia, (1) Volume XII, pag. 253. (2) Chimica organica. Traduzione italiana, pag. 79. Memoria del Dott. Giulio Sandri agS « di acqua salata ec. avrebbe la facoltà di generare delle con- « chiglie, delle trutte e delle salicornie. » Le quali asserzioni, sebbene di personaggio per tanti altri riguardi sì chiaro, es- sendo a sufficienza conlutate da ciò che si disse antecedente- mente, senza fermarci a combatterle qui davantaggio, noi pas- siamo piuttosto a mirar le stranezze a cui tale opinione sarebbe per condurre. 59. Ed in vero, se le conchiglie degli stagni, le piante marittime ne' dintorni delle saline, i pesci nelle acque stagnanti di pioggia, le trote nelle acque delle montagne ec. ec. nascer ponno da se, perchè non dovrebbero nascer da se tutte queste specie anche altrove? E se nascer ponno da se, perchè aver esse pure le loro uova, i loro semi? Perchè tanta diligenza della Natura nella formazione, perfezione, conservazione e svi- luppo de' germi? Non sarebbe tutto questo inutile se tali es- seri potessero farsi da se medesimi? 60. E se da se medesimi possono formarsi questi esseri, perchè non potersi formare eziandio quelli di altre simili spe- cie, ed anche i simili a queste? E perchè non si vedrebbe quindi farsi da se medesimi anche di quelli che più cadono sotto gli occhi nostri, un cavallo, pogniam figura, una pecora, un filugello? Qual ragion vi sarebbe che uno stagno montano producesse una trota, più che una foresta produca un lepre, un lupo, un uomo selvaggio? 61. Dal toccato qui sopra ( N. 60.) si vede non potersi dire spontanee alcune specie senz' ammettere che ne sieno pur altre ; imperciocché non si possono segnar i limiti che le se- parino dalle altre dello stesso genere : e se tutto il genere v'è compreso, non si ponno segnar i confini che lo discernano dagli altri della stessa famiglia : e se a tal condizione si trova r intera famiglia, non è facile segnar il termine che la separi dalle altre dello stesso ordine: e se tutto l'ordine vi soggiace, non è facile fissar il confine che lo separi dagli altri della me- desima classe. E cosi via via discorrendo, si vien necessaria- mente ad unire l'ultimo organico oggetto col primo, coli' uomo ago Sulla insussistenza della Generazione ec. r infimo de' vegetabili, questo col sasso che da germe proprio non formasi, e quinci 1' uomo col medesimo sasso ; della quale stranezza non sappiamo se si possa mai dar la maggiore. 62. Che se pur si ammettesse che alcune specie soltanto potessero soggiacere alla sjDontaneità, quali dovrebbero esser queste precisamente? Le più semplici, le minime 0 più disprez- zate, le parassite? Non pare, se dal detto dianzi voglionsi spontanee non solo esilissime crittogame, ma piante eziandio di qualche mole; non solo veimi od insetti, ma eziandio ret- tili, come il rospo, e pesci non piccoli, come la trota. E poi chi anche solamente alle più semplici, alle minime o più spre- gevoli, alle parassite, la spontaneità limitare volesse, avrebbe egli ragionevole appicco di farlo ? Omettendo che il più sem- plice ente organizzato può non essere quale apparisce allo sguardo, conciossiachè al microscopio si veggano comparir parti che prima non comparivano, e quanto è più fino o possente Io stromento veggasi divenir figurato ciò che sembrava informe; questo omettendo, benché sogliasi considerar più perfetto quell' essere in cui si eseguiscono più funzioni, od una funzione in grado più eminente, con organi più numerosi o più complessi; tuttavia non ci vuol certo inferior magistero ad ottenere con minore composizione il simile a ciò che si ottiene con una assai più complicata : né l' organico ente che con grande economìa di mezzi eseguisce tutte le principali funzioni pioprie della vita, sviluppo cioè, nutrizione, crescimento e riproduzione, acchiude minor artifizio di quello che vanta in essi mezzi maggiore sfoggio e ricchezza. Se nella Natura la complicazione é ammirabile per r esattissimo accordo di tante parti, la semplicità non é meno pel suo riunir tanti effetti in una che sembra medesima causa. 63. Quanto alla picciolezza ed abbiezione, osserviam pri- mamente che anche ne' minimi e più vili oggetti può trovarsi la più squisita organizzazione. Veggasi lo stesso acaro della scabbia, la cui descrizione trovasi eziandio in Alibert (i). ■ (1) Malallie della pelle. Traduzione di Venezia, pag. 332. Memoria del Dott. Giulio Sandri 297 II monocolo apode, uno di que' trivialissimi insetti die dicemmo rivivere dopo esser rimasti assai tempo disseccati ( N. 4^-)-> vuoisi abbia fino a due milioni di articolazioni. Organizzazione sì squisita riesce tanto più maravigliosa, quanto che ristrette in cosi piccola massa tante parti ci offre si bene distinte. Una macchina che in minutissimo contenga ciò che in una più vo- luminosa comprendesi, non è foi'se in se medesima più ammi- rabile? Non sono forse le incisioni più minute, purché precise, quelle eh' esigono un lavoro più fino, e più mostrano 1' abilità e la maestria dell'artefice? Ed osserviamo in secondo luogo, che gli enti minutissimi, appunto per essere sì minuti, avreb- bero maggior ragione, maggior bisogno di venire da germe proprio, il quale imprima lor peculiarissime leggi d' organizza- zione e sviluppo, leggi le più strettamente parziali, per poter essi nella lor minoranza serbarsi il diritto od il pregio d' indi- vidualità, senza che il contatto di altri loro il rapisca. E come mai, essendo essi tanto più minuti anche della più minuta polvere, come mai si conserverebbero per secoli e secoli.^ e nelle più svariate circostanze, identici sempre, se non avessero le più salde leggi di vitalità loro propria, che alle forze delle maggiori moli resistesse, e la confusione impedisse con altri oggetti pur minimi. Egli è già manifesto che le cose che non hanno vita lor propria, le inerti o sia minerali, tanto più ven- gono attratte da altre, tanto più si uniscono e s'immedesimano per comporne una sola, quanto più sono minute, potendo così presentare un numero maggiore di contatti o punti d' azione : laonde per congiungere cose diverse e combinarle in un tutto, cominciasi dal disgregarle, dal ridurle minute al possibile, pol- verizzandole o mettendole al fuoco. Il che mostra chiaro che gli esseri minuti affine di serbarsi ognor distinti abbisognano di maggiore sforzo che gli altri ; e quindi a maggior ragione per essi esigerebbesi il germe specifico per mantenere intatta la successione della loro specie. 64. Né quanto ai parassiti avvi presa alcuna di credere che, perché si sviluppano, si nutrono e crescono colla sostanza Tomo XXF. PJ' I.^ 38 29S Sulla insussistenza della Generazione ec. di viventi, a' quali rimangono pure uniti, possano non prove- nire da germe proprio. Osservando la serie degli enti organici scorgiamo alcuni, come idatidi, avere il viver loro con quello del soggetto in cui stanno, sì strettamente legato che, morendo lui, essi pur tosto muojono ; ed altri entozoarj al loro soggetto sopravvivere alquanto: alcuni parassiti non dimorare che in una parte dell'individuo; ed altri starsene in più, ma sola- mente in soggetto di quella specie ; ed altri mostrarsi indiffe- renti a rimanersene sopra piìx specie, ma però sempre attac- cati a viventi, essendo, come i predetti, parassiti nello stretto senso. Alcuni, come gli estri, una parte di lor vita conducono dentro vivi individui, ed una parte fuori di essi; ed altri, come r acaro reduvio, se ne vanno a soggiornar sui viventi sol quando loro se ne offre il destro. E gli altri che vivono al tutto da se, alimentansi però sempre di enti organici, es- sendone quinci, sebbene in significazione più lata, anch' eglino parassiti. Ed in vero, 1' uomo vive d' animali e di piante. Gli animali anch'essi e di altri animali e di piante si cibano; e le piante stesse o di altre piante o di animali scomposti spe- cialmente pur si nutricano. Né vuol far troppo differenza il nutrirsi i parassiti propriamente detti di ciò che suggon da vivi; poiché di vivi si nutrono anche parecchi altri esseri. Vivi in fatti son tutti i semi che noi acciacchiamo in bocca per ammazzarli ; vivi i frutti non secchi o corrotti ; vive le piante che il bestiame ciba nel pascolo; per tacer quelle prede che da molti animali di varie classi ingojansi ancor palpitanti, ed anche intatte per essere poscia estinte nel ventre di essi. Cotalchè simile essendo la condizione di tutti gli enti organici neir aver la lor vita dipendente da altri, e sol variandone il modo, non avvi motivo di spontanea generazione a tal riguardo più per questi che per quelli. E d' altra parte, se qualche differenza esistesse nella necessità di provenire da germi pro- prj , dovrebbe questa pei parassiti propriamente detti esser maggiore, e tanto maggiore quanto più grande intimità essi hanno col soggetto loro, sopra o dentro il quale sen giaciono. Memoria del Dott. Giulio Sandri 299 Imperciocché quanto più le cose hanno stretta relazione, quanto più stanno unite, tanto più son propense e disposte a insieme confondersi e immedesimarsi, e il mantenersi distinte costa più sforzo. Se per tanto il parassito forma cosa distinta dal suo soggetto, se per esempio il pidocchio umano, se 1' acaro non è uomo, ma forma un essere individuale, non confondibile coir uomo, è perchè le leggi di vitalità, di organizzazione sono molto diverse ( N. 78. ) ; né tali esser potrebbero se identico ne fosse il principio. Il perchè, siccome si disse de' minimi ( N. 63. ), o non avvi differenza veruna sulla necessità di pro- venire da proprio germe per gli esseri parassiti, o se avvene alcuna si é che per essi la necessità d' un germe proprio sa- rebbe anzi maggiore. OD 65. La stessa durazion delle specie domanda che tutti i viventi, non da semplice accozzamento di circostanze, ma da proprio germe procedano. Se procedessero dalle circostanze , essendo esse come un numero grandissimo di elementi atti ad unirsi in guise pressoché infinite, n' addiverebbe che non in- contrandosi poi nella guisa stessa di prima, un nuovo essere dovrebbe uscirne ; sicché novelle specie comparirebbono collo sparire delle attuali. Inutili si renderebber gli studj del Natu- ralista per ordinarle ne' suoi cataloghi: anzi né men vera scienza naturale dar si potrebbe, ma solo disordine e confusione, tale essendo 1' effetto proprio dell' accidente, del caso, di ciò che noi diciamo combinazione di circostanza. 66. Ma quantunque assai validi, e attinti da varie fonti, sieii gli argomenti fin ora addotti, che affatto escludono la ge- nerazione spontanea ; da un' altra fonte ci piace attingerne che ce ne offre di non meno forti, se anzi non sieno tali da troncar anche soli di netto l' intera quistione. E questa fonte si e la formazione stessa de' corpi, che noi riguarderemo e storica e fisicamente. 67. E quanto alla storia, ci dice il Genesi e cel ripete quasi a inculcarcelo bene e ribadirlo, che l'erbe e gli alberi, cioè tutte le piante furono create perchè si moltiplicassero 3oo Sulla insussistenza della Generazione ec. pel seme loro, ed anche gli animali perchè pui-e si propagas- sero ciascuno secondo la propria specie : e tal cognizion pri- migenia colle altre infalhbili trasmesse dall' orai tradizione per inigliaja e raigliaja d' anni, da Mosè finalmente dottissimo an- che in tutte le scienze che a' suoi tempi vantava 1' Egitto, fu consegnata alle Sacre Carte, e integra a noi tramandata. E qui vuoisi di passaggio considerare che, sebbene la Scrittura ove trattasi di cose meramente fisiche, cui non è suo scopo insegnare , essendosi anzi queste lasciate alle ricerche degli uomini, mundum tradidit dìsputatìonì eorum (i), si esprima secondo r apparenza adattandosi alle comuni credenze per es- ser intesa da tutti ; pure ove anche la Religione o la Morale , cui soltanto essa mira di preferenza, vi potessero direttamente o indirettamente aver relazione, ella punto all' apparenza non si accomoda, ma le va contro apertissimamente, come nel caso nostro, benché dessa apparenza fosse tale da impor anche, e sì lungamente a tanti saggi, e da non potersi appieno sgom- brare, chi voglia la cosa in tutto ridotta a fatto evidente, se non cogli studj più costanti, ordinati e profondi. 68. E passando alla formazione considerata nell'altro aspetto soprammentovato ( N. 66. ) , egli è certo che magistero assai diflerente presiede alla formazione de' corpi minerali od inor- ganici, ed a quella degli organizzati o viventi (N. 5. 7.). Quelli sono r effetto di leggi puramente meccaniche o chimiche, e questi di leggi anche proprie della sola vita : e le une si dif- ferenziano tanto dalle altre, che ciò che dalle une vien for- mato, dalle altre viene distrutto. Appena cessata la vita gia- cendo gli organici tessuti in balia delle chimiche leggi, ne vengono scomposti e ridotti ad elementi inorganici per quinci obbedire alle forze primitive che ad essi competono ( N. 6. ) e formar altre combinazioni: e la fermentazione, la putrefa- zione, la corruzione altrimenti non sono che 1' analisi naturale de' corpi organizzati, i quali tolti al dominio di vita, a quello (1) Ecclesiastes. Gap. III. Vers. 11. Memoria del Dott. Giulio Sandri 3oi si lasciano delle inorganiche forze. Queste dunque lian per uffizio di sfare quello che sotto l'impero della vita si fece (i). Ed oltre sfare quello che sotto l'impero della vita s'è fatto, esse, le forze inorganiche, sono pure incapaci di formare gli organici prodotti, quali sarebhero la gomma, Io zucchero, l' al- bumina, il grasso e somiglianti. 69. Il trovarsi cotanto divario tra l'operar delle forze com- ponenti i corpi inorganici e 1' operare di quelle degli organiz- zati, fece sì, che se le une si dissero chimiche^ le altre furon dette vitali; ovvero se pur queste in qualche guisa si vollero chimiche, due sorte di chimica fu d'uopo distinguere, cioè chimica inorganica e chimica organica. E discendendo a qual- che particolare sulle dift'erenze di esse, una sarebbe che nella inorganica gli atomi composti di primo ordine sono binarj, nei quali un elemento entra d' ordinario per un atomo, e 1' altro per più : verbigrazia uno di acido solforico ne ha uno di zolfo e tre di ossigeno. Ed all' opposito nella organica essi atomi composti di primo ordine formansi generalmente di più di due elementi ; e varj atomi di un elemento si combinano con varj d' un altro per formare un solo atomo composto. L' acido tar- tarico, per esempio, ha 4 atomi di carbonio, 4 d' idrogene e 5 di ossigeno. Altra essenzial differenza si è, che nel composto inorganico si può avere il radicale separato dall' ossigeno, e non nell'organico. Il perchè, restando cogli esempi suddetti. (I) Che se talora il composlo organico, o qualciie sua parte, dura più o meno anche cessata la vita, come peli, lana, seta, unghie, corna, penne, legni ec. ; egli è perchè in quel composlo gli elementi furono collocati in guisa da non poter operare secondo le ingenite forze, sia per la coesione del nuovo composto, la qual coesione sappiamo essere sempre contraria all' affinità ; sia per essere gli elementi ivi posti fuori della sfera di loro sensibile attività; per cui abbisogna od umido o calore, od anche forza meccanica che, disgregando il composto, possa dar luogo al giuoco delle scam- bievoli forze degli elementi, come suolsi far anche pe' corpi inorganici, perchè si com- binino gli elementi loro secondo le innate loro tendenze , non si combinando se non sieno sciolti, cioè messi in condizione di esser liberi gli uni a tiro degli altri, e poter quinci agire soltanto conformemente alle rispettive originarie tendenze. 3oa Sulla insussistenza della Generazione ec. dall'acido solforico si può aver separato lo zolfo; ma nell'acido tartarico non si può aver dall' ossigena separato il radicale carbonio -idrogene; vale a dire, non si può ad esso toglier r ossigena senza scomporlo interamente, senza fare cioè, che non sia più quel radicale. Oltre le due differenti maniere in cui si combinano gli elementi nella natura organica, vuoisi no- tare, che corpi composti degli stessi elementi e fin anche nelle medesime proporzioni, hanno proprietà chimiche al tutto di- verse. Così, pogniam caso, lo zucchero, la gomma ec. sono composti di ossigeno unito all' idrogene ed al carbonio, e nis- suno ha proprietà acide, come gli acidi acetico, succinico, ci- trico, formico, sebbene anche 1' acetico ed il succinico conten- gano meno ossigeno dello zucchero e della gomma (i). La cellulosa, la fecola od amido e la destrina, hanno 24 di car- bonio, 2-0 d'idrogeno e io d'ossigeno, per ciò dette isomere; come pure l'albumina e la caseina aventi 53,5 di carbonio, 7 d'idrogeno, a3, 8 di ossigeno, e i5, 7 di azoto. Di che si vede che la potenza vitale imprime a' suoi composti proprietà superiori a quelle de' loro inorganici elementi : e siccome nei varj organi della macchina vivente cogli elementi medesimi sa formare diversissimi composti, convien anche ammettere che vi operi, a così dire, variamente la vitalità propria di ciascun organo. 70. E dalle cose accennate chiaramente risulta che nei corpi organici o gli elementi rinunciano affatto alle tendenze lor proprie, alla insite loro forze, assumendo in cambio quelle che nelle varie specie, nelle varie parti degl' individui, nelle varie circostanze imprime loro la vita; oppure se alle forze primitive affatto non rinunciano, tuttavia non operan punto in vigore di esse, ma bensì in vigore di forze derivate, cioè secondarie, composte (2). E poiché tale derivazione si può ef- fettuare soltanto durante il nodo vitale, conciossiachè sciolto questo, lasciati gli elamenti in signoria di se stessi, riprendendo ^l) Bizio. Rivista critica ec. Venezia 1841; pag. (04-9. (2) Bizio. Op. cit. ; pag. 132. Memoria del Dott. Giulio Sandri 3o3 ad agire colle primitive lor forze, scompongano anzi quello che prima astretti dalla forza vitale aveano composto; ne viene che, qualunque dei due partiti si ammetta, rimane sempre in- dubitato, che le forze fisiche inorganiche non ponno dar luogo ad organica produzione. 71. E se fuori del poter delle forze fisiche, e solo in quello del magistero efficacissimo della vita è il produrre l'atomo organico, gì' immediati materiali dell' essere organizzato, tanto più fuori del potere di esse forze e solo in quello del vital magistero sarà la distribuzion legolare di essi materiali per la formazione de' varj tessuti, delle varie parti, de' varj organi, che r essere organizzato compongono ; formazion progressiva , si architettata e ammirabile, che la mente stessa non può ben comprenderne il procedimento. Più clie formazione ti appare cosa già preformata in un minutissimo scorcio che si vada svolgendo; un preordinato disegno che si eseguisca e si compia da intelligenza secreta. E ciò succede con tale esattezza, che anche le più picciole note della specie, per complicata che ne sia r organizzazione, vengono ricopiate nell' individuo, fino al medesimo pelo ed ai più dilicati caratteri di esso. 72. E il detto sviluppo è tanto più portentoso, cpianto che sempre move da muco uniforme o semplicissima cellula od otricelle embrionale, simile in tutti gli esseri. Il qual rudi- mento si semplice si va poi mutando in ciò che nelle varie parti è destinato a formare. E la meraviglia cresce ancor mag- giormente qualor si consideri che (i) sì grande varietà di esseri (1) Tranne alcune minerali sostanze diveisifìranti secondo le specie e le parti loro, come il calcio, il sodio, il potassio, lo zolfo ec. Nell'essere vivente oltre alcune materie comuni anche al regno minerale, come le ora dette, e l'acqua e l'acido car- bonico, avvi sostanze organiche, esempigrazia, lo zucchero e l'urea, le quali si produ- cono soltanto dalla vita; e sostanze organizzate, come l'albumina, la fibrina, la cellu- losa, le quali oltre abbisognare, al pari che le precedenti, del magistero della vita per formarsi, cessata questa, in breve si distruggono putrefacendosi, avendo pochissima slabilità, o sia gli elementi uniti fra loro con forze assai deboli. Ciò eh' è organico od organizzato differisce poi da ciò ch° è inorganico: 3o4 Sulla insussistenza della Generazione ec. e di organi loro, e di tessuti costantemente risulta dagli stessi principi, dagli elementi medesimi, cioè ossigeno, idrogeno, car- bonio ed azoto; i tre primi comuni ad entrambi gli organici regni, e 1' ultimo più proprio degli animali. Quale stupendo arcano artifizio non esigesi mai per variare cotanto ciò eh' è lo stesso ? 78. E rispetto a tale artifizio, o sia leggi di formazione per le singole specie de' viventi, d' uopo è considerai-e che differendo esse specie e pel luogo e pel tempo, e per le cir- costanze confacenti a ciascuna, e per le abitudini, le funzioni, la forma ec. , e differendo in più riguardi anche appaiùscenti , un solo de' quali potrebbe per avventura esigere variazione in tutto il complesso, come in macchina ben ordinata non puossi variar un pezzo senza variar tutto il resto; egli è pur neces- sario che ogni specie abbia un artifizio particolare, o sia leggi più o meno proprie e per la qualità d' alimento che trae dall' esterno, e per la guisa d' introdurlo, e per comporne il sangue o il fluido che lo l'appresenta negli animali e il sugo proprio delle piante, e per le secrezioni e le escrezioni, e per r assimilazione in vigor della quale ogni parte si prende sol ciò che le conviene, se lo adatta, immedesima e il fa parte- cipe della stessa sua vita : in somma ciascuna specie di viventi 1°. Perchè l'atomo composto di primo ordine inorganico è sempre binario, e ternario almeno l'organico; cioè generalmente ternario nel vegetabile, e quaternario Dell' animale. 2°. Perchè in detto atomo inorganico un elemento entra sempre per un solo atomo, e neir organico ognuno vi entra per più atomi. 3°. Perchè nell'inorganico si può avere separalo il radicale, e non nell'organico. 4°. Perchè iiell' essere organico gli stessi elementi possono dar luogo a composti assai diversi secondo il diverso organo. 5°. Perchè nell' inorganico ove un elemento si possa unire ad un altro in varie dosi, si procede successivamente, formandosi, per esempio, prima i protossidi, e poscia i deutossidi; prima l'acido solforoso, e poscia il solforico; cioè prima quelli che han meno ossigeno, e poi quelli che ne hanno più: ma nell'essere organico l'unione de' vari elementi per formare il perfetto atomo si debbe effettuare al punto medesimo , senza bisogno di successive combinazioni fatte in diverse riprese. Memoria del Dott. Giulio Sandri 3o5 che non alligna, che non si sviluppa, se non dove e quando si trova ciò che all' esercizio di ogni peculiai-e funzione della sua vita si addice, aver dee norme proprie per la formazione de' rispettivi atomi organici, de' rispettivi organici prodotti, de' rispettivi tessuti, de' rispettivi organi, de' rispettivi appa- rati; norme proprie per la rispettiva distribuzion delle membra, per la rispettiva collocazione, pel rispettivo numero, per la rispettiva forma , dimensione , proporzione ; per la rispettiva quantità de' pezzi onde un membro componesi, per la rispet- tiva lor connessione, sostanza, vestito ec. ec. Cotalchè, siccome r uomo fu detto microcosmo o sia picciol mondo o speciale mirabile ordinamento, come importa il greco vocabolo cosmos che in origine suona ordine, bellezza; cosi mici'ocosmi rispetti- vamente dir si potrebbero tutte le specie degli enti organici , essendo altrettanti complessi di leggi o norme più o meno par- ticolari, ciascuna tendente nel più mirabile accordo, nella più esatta armonia, a fare che 1' essere sia quello che è, e non altro. Le quali norme particolari, cotanto proprie e adattate alle singole specie, non possono essere effetto delle generali semplici forze fisiche o chimiche, ma debbono dipender neces- sariamente da peculiare ordinamento vitale, da particolar forza organica. 74. E qui bene apparisce quanto grande sia la stranezza di chi suppone le trasformazioni; che, per esempio, l'uomo da ostrica o pesce, arrivasse per gi-adi all' attuale suo stato; e che di tal guisa passandosi dall' una all' altra specie, sola una legge gradatamente modificata governi tutte le inorganiche e le organiche formazioni. Imperciocché, lasciando pure che sif- fatta supposizione è appieno contraria alla storia, che nissuno di questi passaggi ricorda avvenuto in tante migliaja di anni; contraria alla osservazione che non ne ravvisa avvenir alcuno al presente ; e contraria quinci alla sana ragione che vuol sì studii la Natura considerandola qual essa è in fatto, e non quale ad altri la può dipingere 1' immaginazione : questo la- sciando, egli è impossibile, chi miri la cosa un po' attentamente, Tomo XXr. P.'^ I- 39 3o6 Sulla insussistenza della Generazione ec. chi si conosca solo anche un tantino di fabbricazione e di meccanica, egU è impossibile che una macchina, un qualsiasi edilizio formato con ispecial suo disegno, con norme sue pro- prie, si trasmuti senza prima distruggersi, in altro di propor- zioni e di struttura diverso. 75. E a detta forza particolare, che presiede alla forma- zione degli esseri organizzati operando conformemente a uno scopo determinato, si debbe non solamente lo sviluppo, la nu- trizione e il successivo crescimento di essi, ma eziandio la ri- parazione di parti che 1' individuo va logorando o perdendo , come le unghie del cavallo, del bue ec. che si consumano col camminare; le corna de' cervi che sogliono cader tutti gli anni sottentrandone altre ; il pelo di quegli animali che a certe sta- gioni lo cambiano; le penne degli uccelli che si rinnovano nella muda ; la pelle degl' insetti allo stato di larva ; quella de' serpi, e il guscio de' gamberi e degli scorpioni che ogni anno vengon mutati, del pari che le foglie degli alberi. Ed oltre questa riproduzione ordinaria v' ha pure l' insolita delle parti che perder si ponno per varj accidenti; in virtù della quale si riempion le piaghe, si rimarginano le ferite, si con- giungono r ossa che provaron frattura, e se ne rigenerano an- che talora de' pezzi assai grandi. La quale facoltà riproduttiva tiene del maraviglioso non solo nelle piante che rimettono si agevolmente lor braccia o sia i rami recisi, e lor chiome o sia foglie di cui vengano fuor di tempo nudate ; ma eziandio in parecchie specie di animali a sangue freddo. Il braccipolipo sa rimettersi ogni parte che gli si tolga ( N. 17.). Nella tenia ogni articolo può crescere in un verme intero : e similmente del lombrico terrestre e del variegato, un picciol pezzo può in qualche mese diventare un animale compiuto. Anche le uajadi possono dividersi in varj brani, e ciascun poi crescere in perfetta najade. Le attinie riproducon pur esse le parti che loro si tagliano, e queste alle volte divengono altri ani- mali. E parimenti le asterie o stelle di mare rifanno le parti che lor si distaccano, le quali riescon poi anche nuovi individui. Memoria del Dott. Giulio Sandri 807 Rinascono le zampe alle salamandre ; e all' acquatico rivenne anche un occhio. I gamberi, se mai perdono le branche od i piedi, tosto li rimettono, o se li fanno cader essi medesimi se lor dieno angoscia, come quando loro si ammacchino o si toc- chino con ferro caldo. Le lucertole riproducon la coda ; e i lumaconi, oltre la coda, riproducon la testa, se mai venga loro tagliata. A questa facoltà che possedè la macchina organizzata di rimettersi da se medesima de' suoi danni, di rifarsi delle sue perdite, cotanto utile alla propria conservazione, nulla di somigliante ponno vantare le mere forze meccaniche o chimiche. 7Ò. Ma la detta possanza generatrice è pur soggetta per ispeciali combinazioni a deviare dal retto suo fine, come nelle circostanze morbose in cui produce soprossi o pseudomembrane o attacchi preternaturali di visceri in conseguenza d' infiam- mazioni ; e devia massimamente pe' bastardi , come s' è già tocco altrove ( N. 7.), e pe' mostri che, a paro di essi ba- stardi, tornano assai più frequenti ne' vegetabili coltivati e ne- gli animali domestici, che in quelli abbandonati alla sola Na- tura, sia che la mostruosità venga per eccesso di parti, come ne' fiori doppj e ne' proliferi, negli uomini che hanno sei dita e negli animali che nascono con più teste; o per difetto, come ove manchi un braccio, una gamba od altro membro, o per traslocazione, come quando non trovasi il cuore od altro or- gano al sito in cui dovrebbe essere naturalmente ; o per mala conformazione, come ove in cambio dell' umano abbiavi un labbro di lepre. E a siffatta deviazione appartengono pure le razze, che si allontanano dall' originai della specie per carat- teri che costantemente passano ai posteri ; e le varietà, in cui i devianti caratteri ereditar] non sono si costantemente serbati. Ed appartengonvi eziandio quegli scarabj che non di rado suc- cedon pe' sessi, dandosi all' uno ciò eh' è proprio dell'altro, come quando la femina in qualche riguardo tiene del maschio avendo per esempio barba quella dell' uomo, corna che non le competono, quelle di certi animali ; o il maschio tien della femina, avendo, esempigrazia, latte o soverchia dilicatezza. 3o8 Sulla insussistenza della Generazione ec. E ad essa deviazione può ascriversi, almeno in parte, anche la tanta diversità de' temperamenti, che nelle specie medesime, nelle razze e nelle varietà si riscontrano, sia che v' influisca lo stato della primitiva fibrilla, o la prevalenza nella macchina di questo o quel viscere, di questo o quel sistema, o pur al- tro Or siccome le leggi semplicemente meccaniche e chi- miche son da per tutto e sempre le stesse, né mai deviano o diversificano ne' loro effetti ; così la detta deviazione e diver- sificazione diviene altra incontrastabile prova, che da esse leggi r essere organico non può derivare. 77. Che se al di là delle semplici forze fisiche, o sia mec- caniche e chimiche, trovasi per ogni riguardo la fabbrica dell' ente organizzato, e se questo si maraviglioso lavoro vuoisi go- vernare e sorreggere dalla forza vitale, si debbe assolutamente concedere che la forza vitale sempre abbia luogo dov' è orga- nizzazione, e nel senso più stretto, in quello in cui è dato scambiare la definizione colla cosa da definirsi; di modo che siccome si può dire tanto che il triangolo è la figura di tre lati e tre angoli, quanto che la figura di tre lati e tre angoli è il triangolo; del pari nel riguardo nostro può dirsi tanto r essere organizzato è quello che ha vita, quanto, quello che ha vita è 1' essere organizzato ; non vi potendo essere né or- ganizzazion senza vita, né vita senza organizzazione. Di che si vede, che ogni essere organico da essere organico vuol prove- nire, da un principio specifico provveduto di vita e di orga- nizzazione, da uno specifico che, il quale avendo vita ed orga- nizzazione, e da cui l'individuo si generi, noi diciam germe; il quale fin dalla sua creazione debbe avere avuto vita ed or- ganizzazione ad un punto, cioè quando creossi, si creò già es- sere organizzato. Ed intendiamo qui germe nella significazione pili generale, vale a dire tanto d' individuo od organismo già sviluppato che trovisi nel pieno esercizio di sue funzioni vitali, quanto di embrione eziandio minutissimo, in cui 1' organizza- zione speciale non sia che ideata, e la vita non sia che in potenza : e tanto se i varj germi si vogliano esistenti fin dai Memoria del Dott. Giulio Sandri Bog primi creati individui e non facciano che andarsi svolgendo; quanto se dagli specifici individui si vadano successivamente formando, il che più contenta la corta nostra immaginazione. Per germe in una parola intendiamo la ragione di vita, la de- rivazione da ente organico atta a riprodurlo, qualunque nome ella si abhia o dar le si voglia, di qualunque grandezza ella sia, per qualunque mezzo producasi, e in qualunque modo, in qualunque tempo si distacchi dall' individuo madre. 78. E che tale sia il vero concetto di germe nel suo ge- neralissimo senso, dicasi uoi>o, seme, gemma, spora, tubero, go- nidio od altro, e in qualsivoglia cosa consista, fosse pur anche mero atomo organizzabile da doversi organizzare soltanto nella foggia precisissima la quale è propria di quella specie ; che tale sia, ripetiamo, il concetto vero di germe nella sua più generale signihcazione, senza bisogno di supporvi altro requi- sito, senza bisogno di supporvi già preformato un intero si- stema di organi, lo dimostra non solo il vedere che tengono per uovo e per seme 1' uovo ed il seme anche quelli i quali non sanno che un tal sistema contengano, e ne si teneano an- che prima che tal sistema di organi vi si discoprisse ; ma il considerare eziandio che nissuno dei nomi detti rinchiude in se l'idea di preesistente apparato. Uovo in fatti, lat. oviim dal greco oov, se vogliasi riconosca etimologia, la riconosce da oiov solo, perchè negli uccelli in cui attrasse da prima l' attenzione, se ne depone uno solo per volta: seme, lat. semen, sia che venga dai greci elementi ì fitvti ( mutato lo spirito di £ in 5 ) significando attende se stesso, in se rimane, perchè identico sempre si va rinnovando e serba la specie sua distinta dalle altre; ovvero semen sia quasi serimen, da sero io semino, eh' è forse dal greco aneipa ( levato 71 ) che del pari vale seminare, spargere, diffondere, donde anche spora, sperma, che pure im- portai! semenza, ei non suona in sostanza che propagazione, procreazione; come soltanto propagazione, procreazione suona pur germe, sia' che il lat. germen, da cui ci viene, si voglia quasi gerimen da gero porto, essendo esso il portato; o più 3 IO Sulla insussistenza della Genek azione ec. verisimilmente vogliasi quasi genimen da gigno, in greco yeivo- y.ai.) donde anche yevoQ genere, yovr^ generazione ec. ec. Non contenendo per tanto in se stesse le dette voci nissun' idea d' organo preformato, il non avercelo i microscopi ancor di- mostro in alcuni germi die per la lor picciolezza od altro no- mansi amorfi, cioè informi, non toglie punto che sieno anch' essi veri germi siccome gli altri, quando come gli altri valgono anch'essi a riprodurre; germe essendo in nostro senso qualun- que derivazione da ente organizzato acchiudente ragione di vita novella. 79. E diciamo acchiudente ragione di vita novella, per- chè ogni derivazione da essere organico non è germe. I residui dell' organizzazione, le parti sebbene organiche, le quali han perduto la vita, né organizzazione né vita ponno trasmettere : non r organizzazione, perchè tendono anzi a disciogliere quel 'poco che rimane di essa per tornare affatto all'inerte materia, e formar de' composti che di questa son proprj : non la vita , perchè pel detto essa non può venire che dalla vita, o sia da organizzazione vivente. E nel vero la sperienza medesima ci dimostra come dalla farina, eh' è il grano morto, dagli olj che pure sono semi uccisi, sebben particelle di esseri organici, seb- bene provenienti da organizzazione, generar non si possa pianta veruna. E il medesimo è a ripetere delle animali derivazioni , in cui la vita fu spenta, che non valgono a produr vita né della specie loro, né di verun' altra, benché a nutrire la vita esse e le vegetabili sieno acconcie; anzi al nutrimento deb- bansi presentare così preparate e tolte dal puro inorganico stato, essendo le sole piante atte a fissar il carbonio in orga- nica composizione. 8c. Che se all'aver noi mostrato che ogni essere organico dee sempre venire da un simile essere organico, non vi es- sendo altra facoltà che valga a produrlo, si obbiettasse che, non conoscendosi tutte le facoltà della Natura, sarebbe almeno possibile che fra le incognite vi fosse pur quella di produr senza germe ; risponderebbesi primamente che tra il possibile Memoria del Dott. Giulio Sandri 3ir ed il reale vi è molta distanza, e in scienza di fatto non si può ammettere che il reale, la possibilità non essendo ammis- sibile se non quando abbia in favor suo degli esempi . chiari e ben provati. E si risponderebbe in secondo luogo, che per escludere una qualità da un oggetto, non occorre conoscere tutte le altie sue; basta solo conoscervi altra qualità contraria; poiché è manifesto, che le cose contrarie, o ripugnanti, a vi- cenda si scacciano, e l'esistenza dell'una porta necessariamente r esclusione dell' altra : e quinci dimostrato che la vita venir non possa che da identica vita, la generazione spontanea non ha più in suo favore né anche la fisica possibilità. Non ci vuol meno della creazione per fare essere organico senza lo speci- fico germe ; non ci vuole men di quell' atto che produca al tempo stesso l'organizzazione e la vita ( N. 77.); quell'effetto della Suprema Potenza che sola può nuove forze far compa- rire in Natura, o le già esistenti a suo beneplacito sospendere o modificare. 81. E affinché meglio conoscasi l'aggiustatezza di questa conclusione che risulta da lungo variato ragionamento, non cre- diam disacconcio il riprender di esso qui brevemente i punti più principali, presentandoli però sotto altra forma a scema- mento di noja, e così procedendo : Se in tutte le classi degli esseri organici si è conosciuta la moltiplicazione per germi, vi sarà motivo di negarla in al- cune specie, in cui non si fosse ancor conosciuta? E vi sarà questo motivo sapendosi che moltissime altre specie si trova- vano in simil caso, e poscia l' attenta osservazione 1' ha disco- perta, sicché l'apparenza contraria non era che mera ignoranza? E quegli esseri che si é scoperto provenire da germi pro- prj, si potrà supporre che da germi proprj eziandio non pro- vengano? Non sarebbe questo un rinunciare al conosciuto per r ignoto contrario? al reale per 1' immaginario o fantastico? Non sarebbe questo un pensare che la Natura moltiphchi gli enti senza necessità? che operi inutilmente prendendosi la briga di produr i germi quando fa anche senza di essi? E perché 3ia Sulla insussistenza della Generazione ec. mai avrebbe ella preso tante cure, tante cautele ad assicurarsi la riproduzione per mezzo de' germi? Cotale immensità di pre- cauzioni e di variazioni per meglio acconciarsi ai diversi casi, non sarebbe ella stata almeno superflua ? E se avviene riproduzione eziandio senza germi, perchè non succede essa mai negli oggetti più conosciuti, in quelli che r uomo ha sempre sotto degli occhi, in quelli che gì' in- teressa di moltiplicare? Perchè in questi si serve egli sempre del mezzo de' germi, né mai attende che si generino sponta- neamente? perchè non ne vede egli alcuno spontaneamente apparire? Il mettere la spontaneità solo negli esseri o nei loro casi, di cui non si conosce il procedere, non è egli ammetterla appunto perchè il pieno loro procedere non si conosce, un ammetterla quinci per sola ignoranza? Di più se avviene la riproduzione senza germe, avverrà essa in tutte le classi degli enti organici, o soltanto in alcune? Se in tutte le classi, perchè non si verifica essa colla osserva- zione? e se soltanto in alcune, avverrà di queste in tutte le specie, o in alcune sole? e queste quali saran propriamente? E perchè non anche le loro vicine ? e perchè non le vicine a queste? Qual limite vi sarà, qual ragione che tutta così non trascorrasi I' organica serie, e 1' uomo stesso non si congiunga alla bruta materia; non pongasi in questo alla condizion del macigno ? Ed anche supposto che un tal limite stabilire si possa , quali saranno le specie spontanee? Le minime, le parassite? E se sono queste, perchè vi si comprendono anche rospi, con- chiglie, pesci, e piante non tali ( N. 58.)? E quanto alle mi- nime, avvi forse ragione che per la lor picciolezza non ab- biano a venire da germi proprj e restino abbandonate alla ventura? Le cose minime perfette nel loro genere come sono tutte le organizzate, con parti e meinbi-a sì ordinate e si fine, non esigono esse ugual magistero a formarle, se non forse mag- giore delle grandi ? e certo maggiore sforzo per serbarsi dalle altre distinte, e non confondersi o immedesimarsi con esse? Memoria del Dott. Giulio Sandri 3i3 E i parassiti per ciò clie si sviluppano, si nutrono e crescono sopra altri esseri, potranno generarsi da questi senza specifico germe? Non avranno essi leggi di vita lor proprie? E se non hanno germe specifico il quale determini leggi proprie di vita, come potranno essere distinti dal loro soggetto? Come si foi'- meranno essi anziché formarsi una parte del soggetto mede- simo? come potrà, per esempio, il pidocchio o il verme umano anch' egli non esser uomo, o pure 1' uomo non essere verme o pidocchio? E se i parassiti han vita propria, leggi vi- tali particolari da non confondersi con quelle del soggetto, leggi specialissime fino ad ogni lor organo eziandio minimis- simo, come potranno esser prodotti dal soggetto che sol può produrre ciò che alle sue leggi d'organizzazione è conforme? E se esseri organici da combinazioni di circostanze, e non dai loro germi venissero, potrebbero essi mai serbare intatta la perenne successione di loro specie? Essendo proprio di siffatte combinazioni il mutarsi, e più non ritornare o assai difficil- mente le identiche di prima, non dovrebbero forse ognora scomparire specie attuali, e sottentrarne di nuove, non dive- nendo tali esseri che quasi passeggere apparizioni di scena? Sarebbe egli mai da supporre che, come senza germe si con- servano le specie inorganiche, del pari conservar si potessero le organizzate, essendo tante e sì grandi le differenze che pas- sano tra le une e le altre ( N. a. 4- ) ^ ^^ essendo già mani- festo che le forze primitive, le insite negli elementi, le quali formano le specie inorganiche, operano anzi delle organiche la distruzione, e tanto più di leggeri e più presto quanto più vengono soccorse dall' umidità, dal calor convenevole od altro agente opportuno che distruggendo la coesion del composto, inetta gli elementi a tiro 1' uno dell' altro, o sia in istato di poter liberamente obbedire alle primitive innate loro tendenze? E potendo pur esser vero che non si conoscano tutte le facoltà della Natura, ne verrebbe forse per questo eh' ella ne avesse eziandio di contraine a quelle che manifesta? che avesse da formar senza germi ciò eh' ella mostra di formare con essi ? 3i4 Sulla insussistenza della Generazione ec. che formasse con forze semplicemente fisiche e chimiche ciò che con queste ella distrugge? Provato essendo che una cosa è nera, sarà egli dato di poter immaginare che dessa pure sia bianca? 8a. Sicché per quanto apparisce dal presente discorso, la generazione spontanea: i."è contraria alla verace osservazione (N. 9. i3. ); 2,.° ha contrario l'argomento' di analogia (N. i4- 49- )' 3.° più che di altro ella sente di mera ignoranza (N. 49- 58.); 4.° conduce a gravi stranezze ( N. 58. 65. ); 5." è sino anche fuori degli attuali poteri della Natura ( N. 68. 80. ) . Fine della Prima Parte del Tomo XXV. MEMORIE DI MATEMATICA E DI FISICA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE TOMO XXV. PARTE SECOIVDA. ^'^'^^s^iM^'^^- MODENA PEI TIPI DELLA R. D. CAMERA. MDCCCIiV. 6^ vV '4( 'r' ANNALI «ELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE aaaaiDaris'i ari iitD'j)inii «■onliiiiiaU « scritti tini Segretario tii ossa «lai principio del I850 a mezzo ranno 1S55 ( V. Memorie Tomo A'AVr. Parie seconda, pur/. (I) {(3) ] 389. Col favore della quiete civile e dell' ordin pubblico in (juesti paesi ristabilito potevasi compiere senza ritardo la stampa del Tomo XXIV. parte seconda delle nostre Memorie Sociali. E questo di fatto compariva in luce, appena incomin- ciato l'anno semisecolare, ossia dai primi giorni dell'anno i85o. Il qual Volume novello veniva poi tosto dal nostro Sig. Cav. Presidente, in persona e accompagnato dal Segretario, umiliato al trono dell'Altezza Reale di Francesco V. d' Austria -Este , Auspice supremo e venerato della nostra Società, e ne ripor- tava il più benigno e lusingbiero accoi^limento. 390. Era vacante fra noi un posto di Membro Attuale, in seguito all' amara perdita dell' illustre Prof. G. B. Magistrini che sì degnamente avovalo ricoperto. Con lettera dello scrivente diramata ai Colleghi in data 8 Gennajo i85o il Sig. Cav. Pre- sidente proponeva a succedergli uno de'segnenti rinomati Dotti .italiani: li Signori Bellavitis, Capocci, Frisiani, Piria, Porta, e Turazza. La maggioranza de' voti essendo riuscita eguale pei due primi di essi, nel qual caso lo Statuto all' Articolo Vili, rimette la decisione ad un voto di preponderanza del Presidente, questo voto venne dato al Signor Prof. Giusto Bellavitis in ri- guardo all'anteriorità di proposta del medesimo fra i Candidati delle precedenti elezioni, e ne restò cosi definita l'aggregazione accademica del novello Socio. (4) Annali della Società Italiana ec. 891. Alla saggia penetrazione di mente del Sig. Cav. Pre- sidente occorse di avvertire 1' ommissione di un Articolo nello Statuto fondamentale, delicato bensì ma pur giusto e impor- tante da considerarsi per la sicurezza economica della Società, consistente in una congrua cauzione da imporre al Vice-Segre- tario e Amministratore, nelle cui mani è affidata per ufficio la forza pecuniaria del Corpo accademico. Quindi, per mezzo e con Circolare del Segretario segnata N. a. del 3i Marzo i85o, il Presidente medesimo propose all' approvazione dei Soci At- tuali di aggiungere al nostro Statuto un Articolo formulato precisamente come segue : « Il Vice-Segretario Amministratore e Tesoriere della Società darà una cauzione nelle regole e forme volute dalle vigenti leggi civili per la somma che verrà dal Presidente determinata : la qual somma per altro non sarà mai minore di lire due mila italiane a corso di tariffa legale. » Una tale aggiunta riscosse all' unanimità il consentimento dei Soci che la votarono in completo numero ; laonde non si tardò per noi ad introdurla nello Statuto accademico, formandone il novello Articolo XXII, quale già si legge alla pagina (44) della parte prima dell' attuai Tomo XXV. 892. Innanzi che spirasse, col giorno a Settembre del i85c, il sessenio della Presidenza conferita all' insigne e benemerito Sig. Cav. Marianini, il Segretario colla sua Circolare N. 3. e del 2, Luglio j85o invitava li Signori Colleghi a nominare il Soggetto che loro piacesse per la Carica suprema nel sessenio consecutivo, richiamandone all' uopo le prescrizioni e formalità volute dall' Articolo III dello Statuto. Al che risposero i vo- tanti, acclamando unanimi più presto che promovendo la con- ferma del degno Capo comune, il quale modestamente dipoi ringraziavane i suoi elettori, e proseguiva a reggere la Società. 393. Al compiersi dell'Ottobre del i85o il Segretario, colta l'occasione di partecipare e diffondere ai Soci l'indennizzo po- stale di spese fissato dallo Statuto e dovuto ad essi per l'anno 1849, annunziava ai ^nedesiini la grave perdita fatta dalle scienze naturali nella morte poc' anzi accaduta del celebre Gay-Lussac; Continuati e scritti dal Segretario (5) e come questi apparteneva pure alla classe dei dodici Membri stranieri che onoian la nostra Società, così nella stessa lettera N. 4. esibivasi all' elezione del successore la Nota formatane dal Presidente coi nomi preclari ed eminenti dell' astronomo Encke, dell' astronomo Airy, del botanico Geoffroy de Saint- Hilaire, dell' astronomo F. G. W. Struve, del matematico Ja- cobi e del fisico' Regnault. Nella votazione completa, che seguì a tale proposta, il primo de' nominati e si cospicui Soggetti ottenne la piìi decisa e rara pluralità di suffragi, che sorpassò la metà del numero totale dei votanti : e fu ben giusta cosa che un simil favore si dichiarasse per quello de' Candidati, che nella elezion precedente di altro Membro straniero aveva di pochissimo non raggiunta la maggioranza de' voti, allora spie- gatasi e conseguita dal francese Geometra scopritor di Nettuno, il Leverrier. Del qual esito più recente data poi comunicazione d' ufficio allo stesso Encke, questo novello nostro Collega, in cui va del pari alla profondità del sapere la modestia dell'animo e una squisita gentilezza di modi, me ne rispose tal lettera di ringraziamento, che io stimo pregio di qui ripoi'tarla ; ed ec- cone il tenore : À MoNsiEUR LE Secretaire de la Sociélé italiennc des sciences residanle à Modéne. Berlin, le 23 Mars 1851. Monsieur Je ne saurois vous exprimer combieii f ai èie confus de l' honneur que la Sociélé ilalienne des sciences de Modéne a bien voulu me conferei; en me nom- maul un de sez danze Menibres èlrangers, camme vous avez eu la bonté de me r annoncer dans la leltre inftnimenl obligeanle du 5 février. Surtout en voyant que la perle irréparable que les sciences ani éprouvée, par la mori d'un des hommes les plus dislingués de nolre siede, M.' Gay-Lussae, a amène la imcance. (*) 7' ai élé loujours Irés élaiyné de la prétenlion de pouvoir riva- liscr avec des noms rf' une imporlance si haute, qui ani élé deslinés soit à créér ime branche Ionie nouvelle, sait à /aire subilemenl avancer la science , (') Per un lapsus calami nella mia lettera io aveva detto al Sig. Encke succeder egli, qual nostro Collega straniero, a Berzclius ; e a questo perciò, non a Gay-Lussac, rivolgevansi nella sua risposta le parole di lodi usate dall' Astronomo di Berlino. (6) Annali deixa Società Italiana ec. de sorte qtC un iems plus ou moins grand est nécessaire pour dévelloper les klées, qu' ils onl introduiles. Mes fuibles truvaux n' onl ea d' autre bui, que de proucer la juslesse de.s lois aslronoìniqaes, et de fuciUler les applications ìiond)reiises, qu' on est force de [aire, si l' on se propose de pénéirer plus pro- fondcmeiit duns la connaissance des mystéres, que la nulure nous offre purloul, ou noìis osons nous occuper à l' expliquer. Si la fortune m' a élè assez favo- rable, pour me faire Irouver le relour pcriodique d' une comète, presque au milieu de notre Systeine solaire, landis qu' on était accoutumé de considérer ces corps célestes camme étant plus éloignés du soleil que les planétes, cette décou- verte, d' ailìeurs effacée par des découverles beaucoup plus brillunies de notre tcms, est le seul tilre que une partialilé bienveillaate peut alléguer, pour ud- joindre mon noni uux célébrités lileraires. Le suffrage d' une sociale d'un pays, doni les suvants ont de tout Iems élé célébres par leur esprit pénétrant et subtil, qui a si éminemmenl conlribué a ressusciler les scienees et les faire aoancer à r hauteur qu' elles ont mainlennnt alleinte, en m' humiliunt presque, ne sau- roit ètre pour moi que V aiguillon le plus puissant, pour tàcher de me rendre tant soit peu digne de V honneur qu' elle a bien voulu me conférer. En 'vous priant de vouloir bien ètre V interprete de mes remercimens les plus humbles à la Société, et spécialement à son digne President M.' Marianini, f ai r honneur d' ètre aree la plus haute considération J. J. Encke. 3g4. Dalla mia Relazione che apre il Volume, parte prima del Tomo presente, già si fece noto abbastanza come la Società Italiana, onorevolmente impegnata dal R. Estense Governo a procurare la confezione in Parigi e I' invio a Modena di esatti archetipi di misure conformati al Sistema metrico francese, ne adempisse l' incarico a reciproca utilità e soddisfazione, per lo zelo soprattutto e 1' interesse che ne presero di consiglio e di opera il celebre nostro Collega Sig. Biot e l' illustre Fisico Sig. Regnanlt. Oltre i ben dovuti rendimenti di grazie, per tanta gentilezza dei due insigni e nominati Soggetti, che io loro proffersi a nome dell' intera Società, il Signor Cav. Presidente stimò pure atto di convenienza e giustizia di riconoscerne la parte più attiva di servigio presentatane dal Signor Regnault, promovendo il medesimo, di propria determinazione e autorità concedutagli per simili casi dallo Statuto, a nostro Collega qual Membro onorario della Società. Di che avendo io dato pronta comunicazione al prelodato Sig. Regnault ( salito nel corrente Continuati e schitit dal Seguetario {^) anno alla Presidenza della I. Accademia delle scienze di Parigi), egli cortesemente T accolse e risposemi come segue: Mo.v ciiEii M.' Bianchi J' ai bien rena en san leinps voire aimahle lettre, et je dois me disculper de III ìmilì(jviice qae f di mise à y réiwiidre. f ai élii Irés souffruìit depuis deux mais et f ai élé moine oblifjé de renoncer à tonte oceupalion pendant queìque lemps. Lnrsque je me suis retrouvé sur pied, f ai eu à pourvoir à tant de choses cirri erées que f ai perda la mémoire de toules celles qui n' élaient pas altsoluiniin'nl urf/enles. Vous avez /lU voir la vie que Je méne ici, et f espere en conséquence que vous serez un peu indulgent pour moi. Je suis Irés sensible à l' honneur que m' a ftiil la Società italienne (par son Président ) en me nommant un de ses Membres honoraires. Veuillez en remerrier rn man noni tous vos itiusires Collégues, qui ont voulu reeonipenser ainsi un bien petit service que je vous ai renda et qui ne mérilait pas une pareille fiiveur. Je suis trés heureux que vos appareils soient arrivés en bon (Hai, et que /' on en ail trouvé V exceution satisfaisante. Je me mets compléte- nient à voIre disposition, si Je piiis eneore vous étre de quelque utilité iei, et je vous prie de ne pas craindre de me donner quelque embarras pour des choses qui vnus concernent. Le président Ministre du Commerce a nommé une Commission pour pro- céder à une nouvelle comparaison de nos étalons métriqves et pour proposer de nouvelles mesures pour leur parfaite conservalion. Je suis président de celle commission, et je aurai soin, en son lemps, de vous adresser les observa- tions qui pourrnienl vous étre de quelque ulililé. Malheureusement, daiis notre regime répubticain, les projets sont facilement conriis et proposés, mais il n'en est pas de méme de /' exéeution. Depuis trois mais que Varrei est renda par le Président de la République, je n' (li eneore pu coir une seule fois le noiiveau Ministre pour m' cntendre avee lui sur le mode et les moijens d' exéeution, et Je suis fori lente de le remerrier de V honneur qui ni' a été fait. Che: nous tant qit' il ne s' agii que de bavarder et de reglémenter, cela va bien; mais quand il s' agii d' exécuter, on ne trouve plus personne. M: Biol a beaucoup mieux supportò que moi, les niauvaises influences de celle saison ; sa sauté est toiijours trés satisfaisante, et il me prie de le rap- peler à coire bon souvenir. Je vous réiiere, nion clier M: Bianchi, mes excuses pour ma négligenee et vovs prie de me croire voire lout devoué Paris, 15 3fars 1851. V. Reg.nault. (8) Annali della Società Italiana ec. 3g5. Mancava di vita nel Novembre del i85o, vigoroso ancora di età e di forza, ma rapito immaturamente da crudel morbo, l'illustre Geometra Milanese Gabrio Piola, che onorava la Società nostra del suo nome, non che de' profondi ed elabo- rati frutti de' suoi studi matematici. Lo scrivente, cui egli da verdi anni era stato tenero e costante amico, annunziavane ai Colleghi la sì dolorosa perdita, e invitavali a un tempo di no- minarne il Membro Attuale successore scegliendolo, a designa- zione del Presidente, fra li chiarissimi Scienziati italiani: li Si- gnori Capocci, Frisiani, Pirla, Porta, Turazza, e Volpicelli. Ca- deva la relativa pluralità dei voti raccolti sopra 1' Astronomo di Napoli Big. Cav. Ernesto Capocci, il quale perciò era l' eletto, e attestavano dipoi al Segretario la propria riconoscenza verso r intero Corpo Sociale. 396. Spontanea ed esclusiva del Segretario, eccitavasi da lui con sua lettera del a5 Aprile i85i la mozione al Corpo accademico, se dovevasi accordar titolo e pensione di Membro giubilato in conformità dell' Articolo XXII, 5- 4- dello Statuto (primitiva edizione) al Sig. Cav. Presidente, avendo egli già fregiato i nostri Volumi con dieci sue importanti Memorie che all' uopo ricordaronsi. Ad una voce risposero i Soci Attuali af- fermativamente, compiacendosi anzi ciascuno di aggiungere que- sta novella prova dell' alta stima in che tiene 1' ingegno, lo zelo e le benemerenze Sociali dell' onorevol suo Capo. Siccome però in simili casi, che possono rinnovarsi, 1' articolo e para- grafo citati dello Statuto sembravan incompleti, qualora trattisi appunto di promover a pensione e titolo di Membro giubilato, o anziano, il Presidente ovvero il Segretario, così fu pure dai Membri votanti convenuto all'assoluta pluralità d'inserire nello anzidetto paragrafo la variante = a proposizione del Presidente 0 del Segretario, (segreta e indipendente dall' uno all' altro, se questo 0 quello vi fosse interessato ) = ; la quale variazione già è stata praticata nella edizion più recente dello Statuto al 5- 4- dell'Articolo XXIIl, Tomo XXV, Parte I." Continuati e scritti dal Segretario (9) 397. Nella Circolare medesima sopracitata del aS Aprile i85i comunicaronsi ai Soci due Programmi di premj accade- mici; l'uno del Sig. Conte Pillet-Will, affidato per l'aggiudi- cazione alla R. Accademia delle scienze di Torino; e l'altro detto del premio Aldini sngl' Incendj, similmente affidato allo Istituto delle scienze di Bologna. 898. Per la morte del celebre Oersted, avvenuta nel Marzo del i85i a Copenaghuen, erasi latto luogo alla nomina di un successore nella Classe de' nostri Membri stranieri. E questo dalla pluralità relativa de' voti riuscì eletto nella persona del R. Astronomo di Greenwich, 1' illustre Signor Cav. Airy, che nella completa votazione ebbe a competitori li dotti Signori, Becquerel, Brewster, Geoffroy de Saint -Hilaire, Struve F. G. e Regnault, e sopravvanzò quest' ultimo di soli due suffragi favorevoli. Né avendo io tardato di dar parte all'eletto mede- simo di tale riuscimento, egli me ne riscontrò con sua lettera di ringraziamento alla Società, che parnii degna di qui com- parire per la squisita gentilezza de' modi adoperati, e per una particolarità, indicatavi dall'Autore, di un suo viaggio in Italia nell'anno 1829; epoca e circostanza da cui egli protestasi di aver cominciato propriamente la sua piìi alta carriera astrono- mica : ed ecco la lettera : RoYAL Observatory', Greenwicii, 1851 December 3. Dear Sir Wilhin a few (hiys I liuve received your lelter of November 20, informing me Ihat the Società Italiana of .Modena had conferred on me the high honor of election as one nf, ils tii'eloe foreign Members. Pennit me to requesl that you will conrei/ lo the Society the expressina of my deep sense of llie honor which thcy hitve dune me, and of my ymli/icalinii at /inding myself Ihìis con- nccled ivith the svicnce of Nortlicin lluly. {') (') Dal dirsi la Suciilà Italiana residcnic a Modena 1' A. ha interpretato per avventura eli' essa non appartenga fuciriliè all'Italia suiiorioic o boreale; inentr' essa invece distendasi a tutta la penìsola. Tomo XXF. P." lì- u (io) Annali della Società Italiana ec. Let me add that 1 am exlremehj sensible of your kindness in relaining a recolleclion of my short visit lo Modena in 1829. The vlsìt loas noi to bc for- getten bij me, and the journeij in which it tvas made tvas one of the niost im- porlant in my life. It tvas that journey which made me really un aslrononier. I am, dear Sir, very failhfully yours G. B. Amv. 3gg. Insieme alla Circolare del Segretario, segnata N. 3. del 4 Agosto i85i, distribuivasi il fissato compenso postale a tutti qua' Signori Colleghi, e furono in numero di 87, che du- rante il precorso i85o non avevano mancato mai di rispondere alle inchieste o proposizioni della Presidenza. 400. Pervenuto alla grave età di anni 84 il nostro Collega Prof. Tramontini dovette soccombere nel Febbrajo del i852,, munito dei conforti della nostra Santissima Religione, alla co- mun sorte degli uomini. Quindi, a ristorarne dell'amara per- dita la Società, il Sig. Cav. Presidente, a mezzo del Segretario, proponeva per la nomina del successore a quello, fra i Membri Attuali, uno degl'insigni Italiani Signori: Pirla, Frisiani, Ga- sparis, Minich, Porta, P. Chelini, Fergola Emanuele e Del Grosso Ab. Remigio; de' quali gli ultimi due, notati nella proposta la prima volta con un asterisco, avean diritto ad esservi compresi per Memorie loro, inviate ed inserite negli Atti Sociali. L'ele- zione, a maggioranza relativa e assai pronunziata di voti, cadde sopra il valente Chimico Sig. Cav. Pirla, che da parecchi anni compariva nel novero de' candidati o proposti. 401. Siamo a mezzo il i85a, e verso quest' epoca usciva in luce il Tomo XXV, Parte V delle Memorie della nostra So- cietà. Umiliatone il primo esemplare, com' era dovere, dal Sig. Cav. Presidente all' Altezza Reale dell' augusto nostro Auspice Francesco V d' Austria- Este, ne vennero poscia distribuite e inviate le copie a ciascun Membro Attuale e Straniero, non che alle principali Accademie scientifiche d' Europa, e ben anco in America, le quali ci onorano di corrispondenza e delle loro si pregevoli produzioni. E ben dall' Elenco delle Opere arrivateci in dono, e che terrà dietro immediatamente a questi Continuati e scritti dal Segretario (ii) Annali, si vedrà quanta copia di belle e importanti pubblica- zioni, e non poclie in edizioni e legature magniiiche, ci sono state graziosamente comunicate, in particolare da quell'Istituto Smitbsoniano l'ondato a Washington degli Stati Uniti, che dalla splendida mente del Fondatore si prefigge il nobile scopo di raccogliere e scambievolmente diiiondere per ogni parte del mondo civilizzato il più solido e util progresso dell'umano sapere. 402. In sul cader dell' Agosto dello stesso anno i85a mo- riva ottuagenario in Milano il benemerito Fisico e Collega no- stro, il Canonico Angelo Bellani ; sì che dovendosi procedere alla elezione di un Socio novello, dal Sig. Cav. Presidente a ciò proponcvansi i nomi illustri de' Signori : Frisiani, Gasparis, Minich, Turazza, Porta, e Secchi P. Angelo, aggiungendovisi pure, notati di asterisco e per diritto di presentate Memorie, quelli de' Signori Fergola, Del Grosso, e Ingegnere Marianini Dott. Pietro. Li suffragi spicgaronsi in grande maggioranza a favore dell'Astronomo di Napoli, il Sig. Cav. Annibale de Ga- sparis che accettò con gentile riconoscenza il grado conferitogli dalla Società, la quale per sua parte godeva di dargli tale at- testazione dell' alto pregio in che Ella tenne le sagaci e coro- nate di lui ricerche di novelli piccoli pianeti, ond' egli con parecchi ritrovamenti di essi ne crebbe, sotto il Cielo mede- simo, la prima palma e gloria italiana di Piazzi per quello di Cerere Ferdinandea, e tanto contribuì con altri emuli, stranieri e non men felici esploratori, ad aprir e allargar in questo lato un campo indefinito e per avventura inesauril)ile di scoperte astronomiche. Di una poi delle ultime comunicazioni traeva profitto il Segretario per annunziar e distribuire in cambiali il compenso annuo per porto di lettere dovuto a 3o de' Signori Colleghi, che puntualmente lo riscontrarono ad ogni inchiesta nell' anno i85i. 403. Poco appresso a quella del Fisico di Monza, e preci- samente nel Gennajo del i853„ seguiva la morte del Fisico di Vicenza, il Dottore Ambrogio Fusinieri, egli pure in età grave (la) Annali della Società Italiana ec. ma tolto rapidamente da colpo apoplettico alla scienza naturale, indefessamente da lui coltivata, e alla nostra Società che in lui onoravasi di un Membro attivo e rispettabile. A riempirne il seggio fra noi vacante proponevausi dal Sig. Cav. Presidente alla votazione gl'illustri nomi italiani de' Signori: Frisiani, Mi- nich, Porta, Secchi, Chelini, e Volpicelli, coli' aggiunta per la terza volta de' Signori Pergola, Del Grosso, e per la seconda del Sig. Marianini Dott. Pietro. La relativa pluralità de' suffragi riuscì favorevole al primo de' nominati, e vai a dire al distinto Geometra e Astronomo Milanese, il nobile Sig. Paolo Frisiani, che ci rallegrò in conseguenza di entrare a far parte del no- stro Corpo accademico. 4o4- Non si gode pressoché mai un piacere quaggiù, al quale non si frammetta, intorbidandolo amaramente, un dolore. E così al lieto annunzio della promozione del Sig. Frisiani a nostro Collega io era purtroppo astretto di congiungere nella mia Circolare N. 2. del 2,1 Novembre i8-53 1' infausta parteci- pazione della più lagrimevol perdita fatta dalla nostra Società nella Classe de' suoi Membri stranieri per la morte, avvenuta in Parigi il a Ottobre precorso, dell'Astronomo Francesco Arago, nome di europea celebrità per brillanti e utili scoperte scien- tifiche, per altezza d' ingegno, per vastità di cognizioni, e per una rara perspicuità di svolgere e comunicare altrui le conce- zioni della propria mente. Dolentissima quindi la Società ita- liana, poco meno della I. Accademia francese delle scienze, per tanta sventura che a questa rapiva il suo dotto ed elo- quentissimo Segretario come a quella uno de' suoi più preclari ornamenti, a ristorarsene tuttavia coli' acquisto di altro cospicuo Soggetto moveva il suo degno Presidente a proporre per la successione al compianto suo Membro uno degl' illustri viventi e a noi estranei, quali sono li Signori: Becquerel, Brewster, Geoffroy de Saint- Hilaire, Regnault, Struve F. G. , e Liebig. Dalla votazione usciva colla maggioranza relativa di favorevole suffragio l'insigne Fisico e Ottico Scozzese, Sir David Brewster, che, ricevutone da me avviso, accolse 1' elezione di lui fatta Continuati e scritti dal Segretario (l3) col più grato e gentil animo verso la Società che in tal guisa distingiievalo, e alla quale dichiaravasi onorato di appartenere. 405. Un dotto e assai esperto Idraulico italiano, formato alla Scuola bolognese del celebre Venturoli di cui scrisse l'elogio trasmessoci e pubblicato ne' nostri Atti, il Sig. Cav. Maurizio Briglienti, ben a ragione dal nostro Presidente fu giudicato meritevole di esser proposto al Corpo accademico per divenirne Membro onorario, in lui riscontrandosi egregiamente il com- plesso dei pregi e delle doti che a condizione richiede per sif- fatta nomina l'Articolo VI dello Statuto. E che in tal giudizio convenissero pienamente i Colleghi tutti, ne diede prova il plauso del maggior numero e V assentimento generale ond' essi, nemine penitus penìtusqjie discrepante^ me ne risposero. Quindi neir acclamato novello Membro d' onore la Società crebbe lu- stro a sé medesima, rimeritandone pure la graziosita del Sig. Briglienti per le non poche e importanti di lui produzioni al- trove pubblicate, e delle quali egli ci aveva fatto dono, siccome apparirà dall' elenco delle Opere a tutto favore inviateci, e che tien dietro al presente Articolo degli Annali. 406. Dall' Accademia I. delle scienze di Pietroburgo, per determinazione presa nella sua adunanza del 29 Dicembre i85.3, mettevasi fuori un programma di concorso ad un grande pre- mio da concedersi per essa alle migliori soluzioni di formulate ricerche interessantissime, risguardanti il singoiar fenomeno dello spezzamento da pochi anni avveniìto della Cometa di Biela in due. Parve allo scrivente il programma stesso degnis- simo di eccitar 1' attenzione, la curiosità ed eziandio Io studio de' forti ingegni e de' più abili calcolatori ad occuparsene, sia per l'importanza, novità e sublimità dell'argomento, come per proseguir e compiere il lavoro già incominciatone da uno dei nostri Colleghi, onorevolmente citato nel programma, il Cav. Santini; laonde questo programma nella sua integrità ed espres- sìon originale diffondevasi dal Segretario mediante la sua Cir- colare N. I. del i3 Aprile 1854. Il termine di tempo al con- corso è fissato all' Agosto del 1857, e fu esso avvedutamente (i4) Annali della Società Italiana ec. rimesso ad epoca sì lontana in riguardo alla lunghezza e com- plicazione de' calcoli, sì teorici che pratici, necessarj a raggiun- gerne completamente lo scopo e poter accordarne la difEcil corona. Voglia però il Cielo che, nel restante intervallo di due anni a quel termine, ricompongasi a durevol pace l'Europa, ora minacciata di conflagrazioni e catastrofi molto piìi terribili e disastrose per 1' umana specie dello spaccamento della Co- meta di Biela, o della frantumazione, se pur avvenne, di un antico e grosso pianeta nella macerie degli asterroidi odierni. 407. Aveva cessato di vivere, il 7 Marzo del i854 in Pa- dova, il Veronese Professore Pietro Maggi, uomo distinto per sapere matematico e più commendevole ancora per animo vir- tuoso, e uno dei due nostri Colleghi attivi, soprannominati e vai a dire oltre il numero dei Quaranta della Società Italiana, che la rappresentano e ne sostengon le ragioni del pari che gì' interessi in Verona, congiuntamente a quell' Accademia di agricoltura, arti e commercio, che li elegge essa medesima dai suoi INIemhri a tal fine, in conformità dell' accordo stipulato fra i due Corpi accademici e indicato col relativo progetto nella Circolare del Segretario mio antecessore in data del i3 Aprile 1843; il qual progetto venne all'assoluta maggioranza de' voti dalla Società nostra approvato. Ora per la deplorata morte del Maggi la predetta Veronese Accademia di agricol- tura, mediante l' organo e con lettera dell' attuale suo degno Presidente, il eh. Sig. Cav. Antonio Conati, allo scrivente in data del 2,9 Settembre i854, ci fece conoscere aver essa nella sua radunanza del ao Luglio eletto per succedere al defunto comune Collega nella nostra rappresentanza l'egregio Sig. Pro- fessore Abramo Massalongo, Naturalista di bella fama e noto per gran numero di pregevoli Memorie da essolui pubblicate. Sopra di che non cadendo alcun dubbio, e la Società Italiana perciò non avendo se non a rallegrarsi di tale acquisto, il Se- gretario della medesima, d' ordine del nostro Sig. Cav. Presi- dente, non ebbe infine fuorché a dichiarare, in riscontro alla Accademia Veronese, la nostra piena adesione e accettazione della nomina di sì valente Soggetto. Continuati e scritti dal Segretario (iS) 408. In base della convenzione medesima sovrallegata fra la Società Italiana delle scienze e 1' Accademia Veronese di agricoltura, e cangiato non ha molto il Presidente di questa, eh' era 1' egregio Signor Gio. Antonio De' nobili Canipostrini , nell'attuale Sig. Cav. A. Conati, quest'ultimo è stato di con- seguenza aggregato alla nostra Società nella classe de' Membri onorarj ; come pure col diritto medesimo e nella stessa classe vi appartiene il eh. Sig. Dott. Angelo Messedaglia, da quasi un anno eletto in suo Segretario perpetuo dall' Accademia ri- detta di Verona, in luogo dell' illustre Conte Giovanni Scopoli, rapito alcun tempo innanzi alla famiglia, alla patria e ai buoni studi che ne lamentali tuttora la perdita. Cosi nella sua Città nativa, e per qualche anno eziandio sede prediletta, qual è la patria dei Lorgna, dei Gagnoli e dei Zamboni, la nostra Società si è ristorata degli ultimi danni eh' ebbe a soffrirvi in privazioni tanto di INIembri attuali che di onorar], end' essa fregiavasi. 409. Fra le vittime umane che colpisce e sacrifica in tanto numero, senza distinzione o riguardo come senza certo rimedio, il terribil morbo asiatico, una ebbe purtroppo anche la nostra Società a vedersene involata crudelmente nel proprio seno e spenta nel colmo della gloria, eh' essa, e l'Europa, e le scienze ne ritraevano. Macedonio Melloni, lo scopritore della termocrosi e di tante altre belle proprietà naturali, non è più sopra la terra se non polve e nome celebrato per la traccia luminosa che vi segnò. Egli dovette soccombere, benché vigoroso di età e di forze, alla fiera invasione del Colèra nell'Agosto del i854 a Napoli. Quanto mai sono imperscrutabili i giudiz] di Quello da cui la vita e la morte dipendono! Nel dolore di tanta per- dita il nostro Sig. Presidente propose, a ristorarne la Società quanto era possibile, che 1' elezione del successore a IMelloni fra noi ca'desse sopra uno de' seguenti Soggetti, che furono li Signori: Minich, Porta, Secchi, Malaguti, Chelini, e Sismonda Cav. Eugenio, aggiuntivi per la quarta volta li Signori Pergola e Del Grosso, e per la prima il Professore Sig. Francesco Brioschi. La preferenza e quindi la nomina effettiva dalla relativa mag- (i6) Annali della Società Italiana ec. gioranza de' voti risultò in favore dell'indefesso Astronomo Di- rettore della Specola del Collegio Romano, il P. Angelo Secchi, onore di Reggio Estense di lui patria, della scienza da lui col- tivata, e dell' ammirabil e sì benemerita Compagnia religiosa cui egli è ascritto, e nella quale per lui rivive, comune alla nostra Società e alla mentovata Specola di Roma, la gloria del coUagrimato P. de Vico, vittima conseguente nel 1848 del mo- rale choléra delle agitazioni e rivolture civili. 410. Da qualche tempo, attesa la non molta larghezza dei fondi economici della Società, in confronto specialmente alle spese continue non lievi e più indispensabili, non avevasi po- tuto soddisfare il diritto de' Membri attuali circa 1' annuo in- dennizzo di corrispondenza. Or non ha guari che tal dovere della Presidenza, verso i Soci pvintuali a riscontrarla, è stato adempiuto per l'anno i853, avendone io distribuito altrettante piccole cambiali ai detti Soci, in numero di 34, all' occasione della mia ultima Circolare N. i. e del 12, Maggio anno i855 corrente. Restiam indietro, è vero, di due anni ; ma ne giova sperare dalla provvida e misuiata amministrazione dell' integer- rimo nostro Capo che potremo anche in ciò rimetterci fra non molto a corso regolare. 411. Le umane vite più illustri non isfuggon la sorte co- mune e si estinguono. Tanto è accaduto nel Febbrajo del cor- rente anno per quella del Matematico sommo. Astronomo e Fisico esimio, Carlo Federico Gauss, 1' Autore della Theoria motus corpornin caelestiiim^ decesso a Gottinga in età veneranda. Com' egli pure onorava del suo nome, qual ornamento precla- clarissimo, la Società nostra fra i suoi Membri stranieri, così a ristorarcene della mancanza il Sig. Cav. Presidente, per mezzo della mia ultima Circolare precitata, ha invitato i Colleghi na- zionali ad eleggere il successore dalla Nota de' celeberrimi Dotti, li Signori: Becquerel, Struve F. G., Liebig, Reguault, CeotFroy de Saint-Hilaire, e Hansen; fra i quali ora è pendente la votazione. 412. Giunto al termine di questi brevi cenni storici, onde chiudesi il secondo quinquennio del mio ufficio di stenderli, e Continuati e scritti dal Segretario (17) all' aprirne il presente Volume, che compie il Tomo XXV. delle nostre Memorie, io debbo invocar 1' indulgenza de' miei Colle- ghi e del pubblico sopra il ritardo alquanto prolungato nella stampa del Volume stesso; ritardo però prodotto da combina- zioni di circostanze, cui non potevasi ovviare, e che inutil sa- rebbe, se non inopportuno di qui riferire. La rapidità, che ora vuoisi assai maggiore, nelle pubblicazioni scientifiche, non può essere per avventura, e almeno a lungo conseguita per le gravi e più ampie collezioni accademiche, e ad essa non piegansi opportuni fuorché i giornali, più lievi e spediti di mole come di sostanza, che servono, per cosi dire, di vapori e telegrafi elettrici a ravvicinar di tempo e luogo le intelligenze sparse neir intero globo. Ma se più lenta è l' opera e la comunicazione prestate dalle dotte Società coi loro Atti voluminosi per innalzar r edificio saldo e duraturo delle scienze, in questi Atti però si raccolgono e si conservano assai più svolti e meglio prepa- rati e disposti i preziosi materiali della grande Fabbrica, e coi frutti più maturi e copiosi delle scoperte già fatte i germi di quelle che si faranno. Udiamone un giudizio ben competente del celebre nostro Collega, il Sig. Biot, col quale finisco. ( V. Journal des Savants, anno 181 7, pag. i44- ) « Au reste, dans « ces grandes collections académiques, ou se déposent les pro- « grès lents, mais continuels, de 1' esprit humain, et qui sont « destinées à durer autant qu' il y aura de la civilisation sur « la terre, une date plus ou moins moderne est de bien peu « d' intérèt: l' importance absolue des découvertes en fait seule « le prix; et comme le temps ne peut leur óter rien, elles « n' ont rien non plus à gagner au frivole attrait de la nou- « veauté. C'est pour cela que les collections académiques n' ont « point à redouter la concurrence des journaux scientifiques, « qui publient ordinairement les premiers les découvertes. « Giuseppe Biaucbi. Tomo XXr. P.'" IL- III (i8) ELENCO DI LIBRI E OPERE NEL TRIENNIO 18o2-18o3-18o4 OFFERTI IN DONO ALLA SOCIETÀ ITALIAIVA DELLE SCIEIVZE CHE, PUBBLICANDONE I TITOLI, INTENDE SIGNIFICARNE AGL'ILLUSTRI DONATORI LA PROPRIA STLMA E RICONOSCENZA i^mithsonian Contributions to Knowledge. Voi. II. Washington, i85i, in fol. con legatura. Appendix I to Volume III of the Smithsonian Contributions to Knowledge containing an Ephemeris of the planete Ne- ptune for the year iSSa: by Sears C. Walker, Esq. : un fascicolo in 4°» Proceediugs of the American Association for the advancement of science: Washington, i85i : un volume in 8°. Report to the Smithsonian Institution on the History of the Discovery of Neptune, By Benjamin Aptorp Gould, Ir: Washington, i85o, in 8°. Fourth Annual Report of the Board of Regents of the Smith- sonian Institution for the year i84g: Washington, i85o, in 8°. Notices of public Libraries in the United States of America , by Charles C. Jewett : Washington, i85i, in 8.° Biedicì Cav. Michele: Elogio di Jacopo Bartolomeo Beccari, con appendice: Bologna, i8.5i, in ^° . Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili. Adunanza del 7 Settembre, i85i: Firenze, in 8°. Philosophical Transactions of the Royal Society of London for the year MDGCCL. Part. I, London i85o; and for the year MDCCCLI. Part. I, London i85i: a voi. in 4." Proceedings of the Royal Society; N."' 78, 74: London, in 8°. Memoirs of the Royal Astronomical Society. Voi. XIX. London, i85i, in 4°. (19) Monthly. Notices of the Royal Astronomica! Society. Voi. X. Loiidoii, i85o, in 8°. Contribution to Astronomy and Geodesy, by Thomas Maclear, Esq. London, i85i : un volume in 4°- Report of the Twentieth Meeting of the British Association for the advancement of" science: London, i85i: un voi. in 8°. Atti dell' Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, Anno IV. Sei fascicoli formanti un volume in ù^ : Roma, i85i. Annales de 1' Observatoire physique centrai de Russie , par KupfFer; année 1848: S. Petersbourg, ]85i : tre volumi in 4°- A. T, Kupffer: Compte-rendu annuel, adressé au Ministi'e des Finances : S. Petersbourg, i85i, in 4°- Mémoires de 1' Academie Imperiale des sciences de S. Peter- sbourg. VI.""* Serie. T. VI. 3'"= et 4""° livraison. S. Peter- sbourg, i85o, in 4°- Mémoires presentés à 1' Academie Imperiale de S. Petersbourg par divers savants. T. VI. 5'"^ et 6"'* livraison. S. Peter- sbourg, i85i, in 4-° Bellavitis Prof. Giusto: Alcune considerazioni sugli effetti dello attrito e sul modo di calcolarli. Memoria inserita nel Voi. IV di quelle dell' I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti: Venezia i85i, in 4°- Medici Cai). Michele : Elogio di Marc' Antonio Laurenti : Bolo- gna, i85a, in 4°- Vergangenheit und Zukunft der Kaiserlichen-Leopoldinischen- Carolinischen Akademie der Naturforscher, von D."^ G. G. Nees von Eserbeck: Breslau und Hambourg, i85i, in 4°- Catalogus bibliotecae Chr. Godofr. Nees ab Eserbeck: Breslau, in 8°. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili. Adunanze di Gennajo, Febbrajo e Marzo, i85a: Firenze, in 8°. Zantedeschì Cav. Ab. Francesco: Ricerche fisico -matematiche sulla deviazione del pendolo dalla sua trajettoria: Padova., i852, in 4°- M Memorie dell' Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. T. I e II della nuova serie: Bologna, i85o, in 4"- Boncompagni Prìncipe Baldassare : Notizie raccolte della vita e delle opere di Gherardo Cremonese, traduttore del Se- colo duodecimo, e di Gherardo da Sabbionetta, Astronomo del Secolo decimoterzo: estratte dagli Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei: Roma, i85i, in 4° grande. Lo stesso : Notizie delle versioni fatte da Platone Tiburtino , traduttore del Secolo duodecimo : estratte come sopra da- gli Atti dell' Accad. Pont, de' N. L. : Roma, i85i,in 4° gr. Lo stesso : Notizie della vita e delle opere di Guido Bonatti , Astrologo ed Astronomo del Secolo decimoterzo: estratte dal Giornale Arcadico T. CXXIII e CXXIV: Roma, i85i, in 8°. Giornale dell' I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti: tomi otto in 8° dall'anno 1841 al 1847: Milano, presso la Segreteria dell' Istituto. Continuazione dello stesso : Nuova Serie T. I e II, e del T. Ili fascicoli XIII, XIV e XV, in 4° '• presso la direzione del Giornale. Meguscher F. : Memoria in risposta al quesito : additare la mi- gliore e più facile maniera per rimettere i boschi nelle montagne diboschite nell' alta Lombardia, e per conservarli e profittarne : premiata dall' I. R. Istituto lombardo : un volume in 8°: Milano, 1847. Merlinl Giovanni : Memoria sulla costruzione dei tetti degli editicj, tanto di genere umile quanto di genere grandioso; inteso l'argomento nel senso scientifico e tecnologico: Mi- lano, i84a, in 8°. Sormanì D/ N. M. : Monografìa delle morti repentine : pre- miata dall'I. R. Istituto Lombardo: Milano, 1884, in 8°. Restelli Aw. Francesco: Dell'influenza delle associazioni indu- striali e commerciali sulla prosperità pubblica, e dei più congrui mezzi per tutelarle. Memoria premiata dall' I. R. Istituto Lombardo: Milano, 1845, in 8^ Elogio di Bonaventura Cavalieri, scritto e recitato da Gabrio Piola: Milano, 1844, in 4°- Bellavitìs Prof. Giusto : Saggio suU' Algebra degl' immaginar] : Venezia, i85a, in 4°- Novi Comnientarii Academiae scientiarum Instituti Bononiensis. Tomus Decimus : Bononìae, MDCCCXXXXIX, in 4°. Giulio C. Ignazio: Recherches experimentales sur la résistance de r air au mouvement des pendules: Turin, iBSa, in 4°- Dellani ylngelo : Bachi da seta : osservazioni critiche sopra le principali Opere pubblicate in questi ultimi tempi, con indicazione de' migliori precetti spettanti ai bachi, ai gelsi ed al setificio; Parte I, II e III: 3 volumi in 8°. Milano, i85i-5;i. Lo stesso: Disinfezione delle materie fecali; Relazione: Milano, i85a, in 8°. Bizio Prof. Bartolomeo : Intangibilità della Dinamica - Chimica da ogni accusa voluta darle. Discorsi cinque: Venezia, i85a, in 8°. Sìsmonda Cav. Angelo : Classificazione dei terreni stratificati delle Alpi fra il Monte bianco e la Contea di Nizza : To- rino, i85a, in 4°- Benvenisti £)/ I\I. : Storia anatomico-patologica del Sistema va- scolare; Voi I.: Padova, i85i, in 8°. Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei; Anno I (1847, 1848): Roma, i85i, in 4°. Magnetical and Meteorological Obsei'vations made at Observa- tory at the Cape of Good-Hope; Voi I: London, i85i , in 4% con legatura. Philosophical Transactions of the Royal Society of London for the year i85i; Part. II: London, i85i, in 4°- Proceedings of the Royal Society { continuazione ) ; London , i85i, in 8°. Pareto March. Lorenzo : Della posizione delle Roccie pirogene ed eruttive dei periodi terziario, quaternario ed attuale in Italia: Genova, iSSa, in 8°. M Taddeì Cav. Gioacchino: Lezioni orali di Chimica generale j Volumi tre in 8°: Firenze, i85o-i-a. Magnetical and Meteorological Observations raade at the Obser- vatory at Hobarton; Voi. II: London, iBSa, in 4°5 con legatui-a. Memoirs of the Royal Astronomica! Society; Voi. XX: London, i8.5i, in 4°. Catalogne of Stars Near the Ecliptic, observed at the Markree; Voi. I: Dublin., i85i, in 8°, con legatura. Report of the Twenty- first Meeting of the British Association for the advancement of science : London, i852, in 8°. Monthly: Notlces of the Royal Astronoraical Society; Voi. XI: London, i85i, in 8°. Rossi V. A. : Ricerche analitiche sulle superficie anulari a cono direttore ; Memoria letta ali' Accademia Pontoniana : Na- poli, i85r, in 4°- Lo stesso : Se possono o no derivarsi le acque da un fiume torbido ; Nota estratta dal Volume V, Serie a^ degli Atti dell'Accademia Gioenia : Catania, i85o, in 4° piccolo. Medici Cav. Blichele : Memorie storiche intorno le Accademie scientifiche e letterarie di Bologna: Bologna, iSSa, in 8". Accademia R. di scienze, lettere ed arti di Modena; Dodici fra le Memorie, coronate di premio ed onorate di accessit nei concorsi ai temi filosofico -morali, letterarj e di agri- coltura proposti dal i843 al 1848: Modena, in 8°. Extraits des Comptes rendus des séances de 1' Académie des sciences; séances du 27 Septerabre i852, et du 4 Octobre i852,; presentati dal Cav. Ab. F. Zantedeschi, in 4°- Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili in Aprile, Agosto e Settembre i85a: Firenze, iSSa, in 8°. Memorie dell' Istituto lombai-do di scienze, lettere ed arti; T. Ili: Milano, i85a, in 4°. Giornale dell' I. R. Istituto suddetto; fascicoli XVI, XVII e XVIII : Milano, i85a, in 8°. i (^3) Abhandiungen der Mathemat-Physikalischen Classe der K. Ba- yerischen Akadernie der Wissenschaften, Sechsten Bandes Erste und Zweite Abth. : Mùnchen, i85i, in 4°- Abhand. der Philosophisch -Philologischen Classe der K. Bay. Akad. der Wissensch. , Sechsten Bandes Zweite Abtheil. : Miinchen, i85i, in ^°. Abhand. der Historischen Classe der K. Bay. Akad. der Wis- sensch., Sechsten Bandes Zweite Abth.: Mùnchen, i85i, in 8". Lamont D/ J. : Beobachtungen des Meteorologischen Observa- toriums auf dem Hohenpeissenberg von 1792-1850: Miin- chen, i85i ; un voi. in 8°. Mezger Ecluard: Architektonische Zeichnungen, als Beilage zu den zwei Abhandiungen iiber das Erechteuni etc. : Miin- chen, i85i, in 4°- Smithsonian Contributions to Knowledgcj Voi. Ili and IV: Wa- shington, i852, in fol. con legatura. Fifth annual Report ot" the Board of Regents of the Smithso- nian Institution for the year i85o: Washington, i85i, in 8". Smithsonian Report ou Recent Iraprovements in the Chemical Arts by professor James C. Booth, and Campbell Morfit: Washington, i85i, in 8°. Directions for collecting, preserving, and;transporting Specimens of Naturai History : Washington, January i85a, in 8°. American Zoological, Botanical, and Geological Bibliography for the year i85i : in 8°. Letter from the Secretary of the Treasury, comunicating A report of the computation of tables, to he used with the hydrometer recently adopted for use in the United States customhouses, raade under the superintendence of profes- sor A. D Bacile, by Professor R. S. Me Culloh. — in 8°. Philosophical Transactions of the Royal Society of London for the year MDCCCLII; Part. I and II: London, i85a, in 4". Proceedings of the Royal Society; Voi. VI. N."' 83 98: London, in 8°. H) From the Proceedings of the Zoological Society of London; Jan. i4, i85[, in 8°. From the Quaterly Journal of the Geological Society of Lon- don; N. i3. Feb. 1848, in 8°. From the Annals and Magazine of Naturai History for Aprii 1847; in 8°. The Transactions of the Royal Irish Academy; Voi. XXII, Part. Ili science; Part. IV Polite Literature: Dublin, i852, i853, in 4°. Proceedings of the Royal Irish Academy for the year i85i-5a; Voi. V, Part. II: Dublin, i852, in 8°. Scapoli Cav. Giovanni: Dell'economia politica libri due, for- manti il Volume XXIV delle Memorie dell' Accademia di agricoltura, commercio ed arti di Verona ; in 8°. Lo stesso: Memorie Archeologiche: Verona, iSSa, in 8°. Zulianì Prof. Giovanni : Alcune modificazioni proposte negli elementi d'Algebra: Brescia, i85a, in 8". Notizie sulla Storia delle scienze fisiche in Toscana, cavate da un manoscritto inedito di Giovanni Targioni Tozzetti : Fi- renze, dalla I. R. Biblioteca Palatina, i85a, in 4° g'"- con legatura. Pezzana Cav. Angelo: Storia della Città di Parma, continua- zione; T. IV dal 1477 al 483: Parma, MDGCCLII, in 4°. Memorie dell' Osservatorio dell' Università Gregoriana del Col- legio Romano diretto dai PP. della Compagnia di Gesù, per r anno i85i : Roma, i85a, in 4°- Sisnionda Prof. Eugenio : Notizia storica dei lavori fatti dalla Classe delle scienze fisiche e matematiche della R. Acca- demia di Torino negli anni i85i, i85a: Torino, in 4°- Rendiconto della Società Reale Borbonica; Nuova Serie N. 6, Nov. e Die. i852: Napoli, i852, in 4°> Tenore Cav. Michele : Della Zurloa, nuovo genere nella famigUa delle Meliacee, Memoria: Napoli, in 4°- Lo stesso: Dell'Erba Baccarà degli antichi; Memoria letta alla Accademia Pontoniana nella tornata 18 Gennaro i85a: Napoli, i85a, in 4°- Tenore Cav. 3Iichele : Osservazioni sopra alcuni Alberi mento- vati negli Scrittori del medio evo: Napoli, i853, in 4°- Melloni Cai'. Macedonio : Considerazioni ed esperienze intorno al magnetismo delle rocce; Memoria I: Napoli, 1 853, in 4°- Sandri DJ Giulio : Sulla idea generale di contagio ; Memoria inserita nel Voi. IV delle Memorie dell' I. R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere ed arti: Venezia, iBSa, in 4°- Lo stesso: Cenni intorno al morbo apparso recentemente nell'uva: Verona, i85a, in 8°. Collenza Cav>. Pietro : Un Caso di Ermafrodito vivente Neutro- laterale : Napoli, i853, in 8°. Bordoni Cav. Jntonio : Nota sui poligoni inscritti o circoscritti ad una ellisse: Roma, i85a, in 8°. Bellavitis Prof. Giusto: Sul pendolo del Foucault; Nota estratta dagli Atti delle Adunanze dell' I. R. Istituto Veneto di scienze: Venezia, i852, in 8°. Lo stesso : Sopra la determinazione numerica delle radici delle equazioni algebraiche; Nota estratta come sopra : Venezia, i85i2, in 8°. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili ; Ott. Nov. e Die. i852, Apr. e Maggio i853: Firenze, in 8°. Desiderio D."^ Achille: Idea del polso venoso: Venezia, i85i, in 8°. Bellini D.^ Ranieri : Delle Emorragie dei Capillari ; Memoria : Firenze, i85r, in 8°. Lo stesso : Brevi considerazioni delle azioni simpatiche ; dal Giornale il Progresso, Anno II, N. 7 ; in 8°. Bullettino delle scienze mediche: Bologna, in 8°; Fascicoli Die. i85i, Genn. e Apr. i85a. Elogio storico del Marchese Ferdinando Landi di Piacenza, scritto dal P. Tommaso Pendola delle Scuole pie : Siena , i853, in 4°. Gagnoli Cav. Ottavio : Iscrizioni in Verona, con Cenni statistici e con tavole, a tutto il i85i. Tomi 2,: Verona, i85a, in 8". Lo stesso : Cenni statistici di Verona e della sua Provincia, colla pianta di Verona nel 1849: Verona, 1849, in 8°. Tomo XXF. P.'^ IL- iv Gagnoli Cav. Ottavio : Cenni statistici sul nuovo Cimitero in Verona, pubblicati con tavole a tutto il i85i : Verona, i852, un opuscolo in 8°. Lo stesso: Pianta della Provincia di Verona, divisa nei XIII Distretti, etc, i838; legata in tela e dentro custodia. Lo stesso; Pianta di Verona nel 1849, piegata ad opuscolo; in 8°. Lo stesso: Regolamento e Catalogo dei libri della Società let- teraria di Verona, a tutto il i85a; in 8.° Zantedeschi Cav. Ab. Francesco. La Termocrosi di Melloni di- mostrata insussistente ; Ricerche : un foglio in 4°- ^^^ Sicca, i853. Magnetical and Meteorological Observations, made of the Ob- servatory at Toronto in Canada; Voi. II: London, i853, in 4° con legatura. Magnetical and Meteoi-ological Observations, made at the Ob- servatory at Hobarton, in van Diemen Island-, Voi. III: London, i853, in 4° con legatura. Philosophical Transactions ot" the Royal Society of London for the year MDCCCLIII ; Voi. 43, Part. I and II: London, i853, in 4°. Memoirs of the Royal Society; Voi. XXI, Part. I, iSSa, Part. II, 18.53 : London; in 4°- Report of the British Association for the advancement of science for i85a: London, i853, in 8°. Catalogne of Stars near the ecliptic, observed at the Markree, etc; Voi. II: Dublin, i853, in 8% con legatura. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, from No- vember i85i, to June i85a; Voi. XII: London, i85a, in 8°. Address of the Right honourable the Earl Rosse, etc, the President, read at the Anniversary Meeting of the Royal Society: London, i853, in 8°. Proceedings of the Royal Society: Voi. VL N.°' 94.--. 98; in 8°. Annales de 1' Observatoire physique centrai de Russie, par A. T. Kupffer; année 184.9. 3. Voi. in ^° : S. Petersbourg, 1852; année i85o. 51 Voi. in \° : S. Petersbourg, i853. (^7) Mémoires de 1' Acadérnie Imperiale des sciences de S. Peter- sbourg; Yl""" Serie, i" partie, T. V, 5™ et 6'"= livraison : Pietroburgo, i853. Atti della R. Accademia delle scienze di Napoli; Voi. VI, ul- timo della I* Serie: Napoli, i85i, in ^°, con legatura. Contributions to Astronomy and Geodesy, second series, by Thomas Maclear : London, i853, in 4°- Mémoires de l' Acadérnie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique; T. XXVII: Bruxelles, i853, in 4°' Observations des phénoménes périodiques ( extrait du Tome XXVIII des Mémoires de l'Académie Royale de Belgique ), envoyées par M. Quetelet ; in 4°' Instructions pour 1' observation des phénoménes périodiques : Cahier, en 4°- Compte-Rendu Annuel, adressé à S. Exc. M.'^ de Brock, Mi- nistre des Finances; par A. T. KupfFer, années i85i-i85i2,: S. Petersbourg, i853, in 4°- Bulletins de l' Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique ; T. XVIII, Parties I et II pour i85i; T. XIX, Parties I, II et III pour iSóa; T. XX, Parties I et II pour i853. Sette volumi in 3°: Bruxelles. Annuaire de I' Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique, Dix-neuviéme année, i853: Bruxelles, in ia°. Atti dell' Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, Anno V, Ses- sioni 4* e 5^ del i852: Roma, i853, in 4° grande. Rendiconto della Società Reale Borbonica di Napoli ; Nuove serie, N. 3 e 5 : Napoli, i853, in 4°- On Circular Crystals , by Sir David Brewster : Edinbourgh , i853, in 4°. On the production of crystalline structure in crystallised pow- ders, by compression and traction; by Sir David Brewster: Edinbourgh, i853, in 4°- On the optical phenomena and crystallisation of tourmaline, titanium and cjuartz, within Mica, Ametyst, and Topatz; by Sir David Brewster: Edinbourgh, i853, in 4°- Exercices d' analyse et de physique mathématique, par M/ Au- gustin Cauchy ; T. IV, 46% 4?° ^* 4^^ livraisons : Paris , 1847, i" 4°- Pareto March. Lorenzo : Nono Congresso degli Scienziati ita- liani in Venezia: Genova, i853, in 4° grande. Note sur la théorie des residus quadratiques, par M/ Angelo Genocchi (extrait du T. XXV des Mémoires couronnés de r Académie Royale de Belgique ) ; in 4°- Memoiie dell'I. R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti; T. IV: Milano, i854, in 4°. Giornale dell' I. R. Istituto lombardo dì scienze, lettere ed arti, e Biblioteca italiana; Nuova Seiie, Fase' XIX, XXXII; Milano, 1854, in 4°. Brlghenti Cai>. Maurizio: Nota intorno al movimento delle acque a due coordinate: Pesaro, i8a8, in 4°- Lo stesso : Delle piene di Reno relativamente alla capacità dell'alveo; Dissertazione estratta dal T. Ili delle Memorie dell'Accademia di Bologna: Bologna, i852,, in 4°- Lo stesso : Considerazioni sulle generali equazioni dell' Idrodi- namica, e sulle applicazioni che se ne sono fatte finora; Memoria letta all' Accademia di Bologna il 2,7 Gennajo 1848, in 4°. Lo stesso: Effemeridi del Reno di Bologna negli anni 1848 e 1849; Memoria estratta dal Voi. IV delle Memorie della Accademia: Bologna, i853, in 4°- Memorie storiche sulla vita e sulle opere di Giovanni Inghira- mi, scritte da Giovanni Antonelli delle Scuole Pie: Firenze, 18.54, i" 8°. Memorie della Società Agraria di Bologna; Voi. 7% Fase.' a e 3. Sandri D/ Giulio: Guida allo studio de' contagi e simili morbi specifici: Verona, i853, in 8°. Lo stesso : Considerazioni filologiche risguardanti principalmente la pronuncia del greco: Venezia, i853, in 8". Chelinì Prof. Domenico: Sulle fijrmole fondamentali risguardanti la curvatura delle superficie e delle linee; Memoria estratta (^9) dagli Annali di scienze matematiche e fisiche del Tortolini: Roma, i853, in 8". Chelinì Prof. Domenico : Osservazioni sopra una Memoria del Sig. Liouville intorno alla teoria generale delle superficie; dagli Annali di Se. mat. e fis. : Roma, i85i, in 8". Lo stesso: Nota sul moto diurno della terra reso visibile nelle oscillazioni del pendolo; dagli Annali suddetti: Roma, i85i, in 8°. Lo stesso : Nuova dimostrazione del parallelogrammo de' moti rotatorii ; dagli Atti dell' Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei: Roma, i85i, in ^.°. Ménioires de la Société des sciences naturelles de Cherbourg; 1" Volume, livraisons i, a, 3 et 4™: Gherbourg, i85a et i853, in 8». Tortolini Prof. Barnaba : Sopra gì' integrali a differenze finite, espressi per integrali definiti; Memoria: Roma, i853, in 8°. Bellavitis Prof. Giusto : Soluzioni di alcune questioni proposte nel Giornale intitolato « Nouvelles Annales de Mathéma- tique par Terquem et Gerono » e non ancora risolte : Pa- dova, x853, in 8\ Genoccìii Angelo: Memoria intorno ad alcune trasformazioni di integrali multipli, estratta dagli Annali di scienze mate- matiche e fisiche: Roma, i853, in 8". Sull'armonia delle più recenti teorie cosmiche colla narrazione della Genesi; Studj di Marco Mortara: Mantova, i853, in 8''. Brighenti Blaurizio : Elogio del professore Gregorio Vecchi : Lugo, 1844^ in 8". Lo stesso : Sopra una Memoria del Sig. Bruschetti intorno al moto delle acque: Rimini, i83o, in 8". Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili , dal Giugno i853 al Giugno i854: Firenze, in 8", per dispense. Palmieri Prof. Luigi : Della vera origine delle tensioni elettri- che, le quali manifestansi col muovere i Corpi all' aria li- bera; Sperienze: BaW Qfinibus di Napoli, in 12". (3o) Palmieri Prof. Luigi: Elettricità atmosferica, continuazione de- gli Studi meteorologici fatti sul R. Osservatorio Vesuviano : Dal Poliorama pittoresco, in /[". Volpicela Prof. Paolo : Nota sopra una nuova proprietà elet- trostatica ; dagli Annali di scienze matematiche e fisiche: Roma, 1854, in 8". Lo stesso: Sulla elettricità svolta dai corpi, quando isolati can- giano luogo; dall'Ateneo italiano: i854, in 8". Zantedeschi Prof Francesco : Lettera al celebre Quetelet in- torno al principio del Dott. Palagi ; dalla Connspondenza scientitìca : Roma, in 8". Lo stesso : Apparecchio per 1' elettricità dinamica che si svi- luppa nelle chimiche reazioni; dall'Ateneo italiano, in 8". Lo stesso: Sur le principe életrostatique de Palagi: Du T. XXI, N. 2, des Bulletins de l'Académie Royale de Belgique, in 4°- Lo stesso : Dell' azione reciproca di due correnti elettriche di- rette nel medesimo senso e in senso opposto nello stesso filo; e dell' azione induttiva laterale nelle medesime in fili pa- ralleli vicinissimi; Lettera all'insigne Chimico Dumas, in 4"- Lo stesso : Relazione dello stato attuale dell' ottica risguardata dal lato della colorazione dei corpi, e del sistema chimico di Parrot etc. : Dall'Emporio artistico -letterario, in 4"- Brighenti Cav. Maurizio: Memoria sulla soluzione del Betti in- torno all' eflusso dell' acqua da un foro piccolissimo nel fondo di un vaso prismatico verticale: Bologna, i854t> in 4°- ; Description of a Skeleton of the Mastodon Giganteus of North ( America, by John G. Warren : Boston, iSSa, un voi. in 4% magnifica edizione con legatura. I Smithsonian Gontributions to Knowledge. Voi. 1°. Ancient Mo- numents of the Mississippi Walley : Gity of Washington, 1848, in 4''5 con disegni e legatura. | Smithsonian Gontributions to Knowledge. Voi. V, i853. Voi. VI, 18.54: Gity of Washington, in 4°- Catalogne of the described Goleoptera of the United States, by Friedrich Ernst Melsheir^er : Washington, July, i853, in 8». (3i) Sevent Annual Report of the Board of Regents of the Smith- sonìan Institution for the year iSSa: Washington, i853, in 8». The Annidar Eclipse of May 26, i854: Washington, i854, in H\ List of foreign Institutions in correspondence with the Smith- sonian Institution: Washington, May i854, in 8". Directions for collecting, preserving and transporting Specirnens of naturai History; a" edit. : Washington, Jannuary, i854, in 8^ Mémoires couronnés et Mémoires des Savants Étrangers, pu- bliés par 1' Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique; T. XXV, i85i-i853: Bru- xelles, 18.54, un voi. in 4''- BuUetins de 1' Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique; T. XX, III.* Partie, i853; T. XXI, I."^* Partie i854; et Tome supplementaire ou an- nexe aux Bulletins i853-i854: Tre Voi. in 8\ Rapport adressé à M."^ le Ministre de 1' Interieur sur 1' état et les travaux de l'Observatoire Royal de Bruxelles, pendant 1' année i853; par le Directeur A. Quetelet : Bruxelles, Février i854, in 8". Annuaire de 1' Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux Arts de Belgique; vingtiéme année: Bruxelles, 1854, in la". Sur une proprieté des nombres; extrait d'une lettre de M.' A. Genocchi de Turin à M."^ Quetelet: Bruxelles, i853, in 8'. Sur les Gonstantes de la Nature ; Glasse de Mammiféres. No- tice par M."" Gh. Babbage, extraite du Gompte Rendu des travaux du Gongrés general de Statistique réuni à Bruxel- les au mois de Septembre i853, in 4°- Discorso idraulico storico sull'Arno di Garlo Giorgini: Firenze, 1854, un voi. in 4"- Sur quelques particularités de formules d' Analyse mathémati- que; Lettre de M."^ Genocchi à M."" Quetelet; extrait du T. XXI des Bulletins de 1' Académie Royale de Belgique : Bruxelles, i854, in 8\ (3^) Démonstration elementaire d' une formule logarithmique de M/ Binet, par M. A. Genocchi ; extraite du T. XX des Bulletins de 1' Académie Royale de Belgique : Bruxelles, i853, in 8». Mainardi Prof. Gaspare : Su la teoria delle curve ; Memoria estratta dagli Annali di scienze matematiche e fisiche : Roma, 1854, in 8". Veladini Prof. Giovanni: Sulla prima applicazione del pendolo agli orologi ; Memoria letta all' I. R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti: Milano, 1854, in Z^". Stirpium exoticarum variorum, vel forte novarura Pugillus, au- ctore J. B. Del Ponte: Taurini, i854, in 4°- Liais Emmanuel: De 1' influence de la latitude sur la pression moyenne du barométre, et sur la direction generale du vent à la surface du sol: Versailles, i854, in 8=". Cenni biografici sopra il D/ Ambrogio Fusinieri, di D. Andi'ea Capparozzo: Vicenza, i854, in 8". Philosophical Transactions of the Royal Society of London, for the year MDCCCLIII. Voi. 43, Part. Ili: London, i853, in 4"- The Royal Society, 3o November i853; in 4°- Proceedings of the Royal Society; Voi. VII, N.°^ i, a: London, 1854, in 8^: and Voi. VI, N. 99. Address of the Righ honourable The Earl Rosse, etc. the Pre- sident, read at the Anniversary Meeting of the Royal So- ciety; November 3o, i853: London, i853, in S''. Blassalongo Prof Àbramo : Prodromus .Florae fossilis Senegal- liensis : Milano, i854, in 4"' Idem : Ricerche sulla Autonomia dei Licheni crostosi : Verona, i85a, un voi. in 8". Idem : Sopra le piante fossili dei terreni terziarj del Vicentino : Padova, i85i, un voi. in 8°. Idem: Memorie Lichenografiche : Verona, i853, in 8". Idem: Monografia dei Licheni Blasteniospori : Venezia, i853 in 8"; estratta dagli Atti dell' I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. (33) 31assalongo Prof. Abramo: Sopra un nuovo genere di Pandanee fossili della provincia Veronese; Dissertazione: Verona, i853, in 8". Idem: Saggio di un'Erpetologia popolare Veronese: Verona, i854, in 8". Idem : Monografia delle Dombeyacee fossili fino ad ora cono- sciute: Verona, 1854, in 8°. Idem: Sapindacearum fossilium Monographia : Veronae, i852,, in 8". Idem : Plantae fbssiles novae in formationibus tertiariis Regni Vefféti nuper inventae : Veronae, i853, in 8°. Idem: Sulla Lecidea Hookeri di Schaerer; Nota: Verona, i853, in 8°. Idem : Enumerazione delle piante fossili miocene fino ad ora conosciute in Italia: Verona, i853, in 8". Idem: Geneacena Lichenum noviter proposita ac descripta: Ve- ronae, 1854, in 8°. Idem: Conspectus Florae tertiariae orbis primaevi: Patavii, i85a, in 12,°. Idem : Osservazioni sopra i due ultimi fascicoli di Licheni pub- blicati dallo Schaerer: Bologna, i853, in 8°. Idem: Sporodictyon, novum Lichenum genus: Ratisbonae, i853, in 8°. Idem: Synopsis palmarum fossilium: Pragae, i85a, in 8°. Idem: Amphoridium, novum Lichenum genus: Venetiis, i853, in 8°. Idem: Alcuni generi di Licheni nuovamente limitati e descritti: Verona, i853, in 8°. Idem : Summa animadversionum in duos postremos fasciculos Lichenum elveticorum editos a L. E. Schaerer : Veronae , i853, in 8°. Idem : Risposta alla lettera del eh. Prof. Tommaso Catullo diretta al Prof. E. G. Bronn di Eidelberga : Verona, i853, in 8°. Idem : Sopra un nuovo genere di rettili della provincia Pado- vana: Verona, i853, in 8°. Tomo XXV. P.'^ IL'' v (34) Massalongo Prof. Abramo : Descrizione di alcune piante fossili terziarie dell' Italia meridionale ; in 8°. Idem: Sopra una nuova pianta fossile della provincia Bolognese; Lettera al eh. Geologo Giuseppe Scarabelli d'Imola; in 8°. Idem: Nota sulla Lecidea Bolcana di Ciro Pollini: Verona, i85i, in 8°. Idem : Nota sopra due frutti fossili del bacino lignitico di Leffe .L nel Bergamasco: Bologna, i85a, in 8°. Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei; Anno V, Ses- sione VI: Roma, i854, in 4°- Rendiconto della Società Reale Borbonica di Napoli* Nuova serie, N. 6: Napoli, i853, in 4". Fossoììibronì Conte Vittorio : Memoria postuma , per evitare l'invasione in Toscana delle truppe della Repubblica Fran- cese : Firenze, i85i, in 8°. Lo stesso : Considerazioni idrauliche circa il ponte di ferro suU' Arno presso la Porta S. Niccolò di Firenze ; ediz. po- stuma : Firenze, i85i, in 8°. Lo stesso: Poesie; ediz. postuma: Firenze, 1847, in 8°. Zambra Prof. Bernardino: I principj e gli elementi della Fi- sica esposti; Fascicoli sette: Milano, 1854, in 8° piccolo. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia dei Georgofiii di Firenze; Dispense 8* e 9* del i854; Dispense i" e a* del i855. ^'ili^^r; Programma della Ittiologia fossile italiana del Prof. O. G. Costa : Napoli, i853, in 4° gr- Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino ; Serie ìì% Tomo XI, i85i; T. XII, i85a; T. XIII, i853; T. XIV, i854: Torino, in 4°- Mémoirs de la Société Imperiale des sciences naturelles de Cherbourg; T. I", i853; T. II, i854: Cherbourg, in 8°. Liaìs Emmanuel: Mémoire sur un bolide, observé dans le dé- partement de la Manche le 18 Novembre i85i : Cherbourg, i85a, in 8°. Lo stesso: Recherches sur la temperature de l'espace planetaire; in 8°. (35) Liais Emmanuel: Sur les sources de lumière et les causes de non intertérence : Cherbourg, i853, in 8°. Zantedeschi Prof. Francesco : Relazione ed osservazioni delle dottrine di Giambattista Venturi intorno ai colori acciden- tali od immaginar]: Venezia, i855, in 4" gr- Lo stesso : Nuovi esperimenti risguardanti 1' origine della elet- tricità atmosferica, e della induzione elettro -statica dei conduttori solidi isolati;, Memoria: Venezia, i8545 in 8°. Dellavìtis Prof. Giusto: Sopra un algoritmo proposto per espri- mere gli allineamenti, e suU' ordine o la classe del luogo geometrico dei punti o delle rette soggetti ad una legge di allineamento: Venezia, i855, in 8°. Namias £)/ Giacinto: Sunto delle osservazioni sul Colèra asia- tico: Venezia, i854, in 8°. Lo stesso: Nuovi ragguagli sul Colèra asiatico: Venezia, No- vembre 1854, in 8°. BuUettino delle scienze mediche, con Appendice ec. : Bologna; Fascicoli di Gennajo, Febbrajo, Marzo e Aprile i855, in 8°. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia de' Georgofili di Firenze; Dispense 3% 4^ ® ^** Firenze, i8-55, in 8°. Sanclri D/ Giulio: Manuale di Veterinaria; 6* ediz. : Verona, 1854, in 8°. Massalongo Prof. A. : Symmicta Lichenum novorum, vel minus cognitorum : Veronae, i855, in 8°. Taddei Cav. Gioacchino : Sulla malattia delle uve, considerata in rapporto alle condizioni economico -agrarie, e alle con- seguenze chimico -fisiologiche che ne derivano; un foglio estratto dallo Spettatore.) N. io: Firenze, i855. Rapporto della Commissione nominata dall' L R. Istituto lom- bardo di scienze, lettere ed arti per lo studio della ma- lattia dell'uva: Milano, i855, in 8°. Giornale di Giurisprudenza amministrativa, N.' i, a: Venezia, Maggio, i855, in 4° gr. La Razionale scoperta del pianeta di Leverrier, logicamente presentata da Biot, e recata italianamente con prefazione (3G) e Note di Giuseppe Bianchi: Parma, i854, in 8° piccolo. Un Opuscolo di 240 pagine. Blandii Prof. Giuseppe: Undici fra Note e Articoli, di vario argomento matematico, astronomico e meteorologico, pub- blicati nei primi sei Tomi degli Annali di scienze mate- matiche e fisiche compilati dal Prof. Tortolini : Roma , i85o i855, in 8°. Dello stesso : La Corona delle dodici Stelle di Maria Vergine immacolatamente concetta, con appendice intorno la so- lenne dommatica Definizione testé promulgata ; Omaggio sacro poetico astronomico: Modena, i855, in 8.° (3?) AVVERTIMENTO i\r[ formare e offerir qui l' Elenco precedente dei copiosi e per la mag- gior parte pregevolissimi doni ricevuti dalla Società Italiana in Libri e Opere, per generosità de' Governi, o delle Accademie, o de' particolari Autori, il sot- toscritto ha creduto di non dover seguire altr' ordine fuor quello dell' arrivo di ciascun d'essi alle sue mani, e vai a dire copiandone fedelmente il registro eh' egli ne tiene presso di sé aperto e in cui trascrive successivamente i titoli dei doni pervenuti alla Società e a lui comunicati. Ciò è vero che importa neW Elenco una lunga e nojosa ripetizione de' nomi d'Autori e di Opere; ma questo inconveniente non può esser ovviato senza impegnarsi alla compilazione faticosa di una specie di Catalogo, pel quale d'altronde raccoglie e va dispo- nendo i materiali con intelligente zelo e precisione il Signor Cav. Presidente incaricatosi di custodire e conservare ben ordinata presso di sé la Biblioteca Sociale, numerosa ormai di utili e peregrine produzioni e che ogni dì più se ne arricchisce. A non occupar poi nel presente Volume un soverchio spazio con indica- zioni semplici di titoli di Memorie e di nomi d'Autori, e l'Elenco precedente di necessità essendo riuscito assai lungo, così mi sembra ben fatto di ommetter qui e riservare al principio del Volume 2)rossimo consecutivo V altro Elenco, fissato da pubblicarsi , de' lavori de' Membri attuali della Società, xisciti di recente in luce e fuori dalle nostre Memorie, in continuazione di quello dato a pag. (5G) dell' attuai Tomo XA'V, Parte I. i lìIEMORIE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE RESIDENTE IN MODENA Tomo XXV. Parte IL" imMMàmMMmmMMàmàmmmàMàMàmmm SULLA GASSIFICAZIONE DELLE CURVE DEL TERZO ORDINE MEMORIA DEL SOCIO ATTUALE GIUSTO BELLA VITIS PROFESSORE IN PADOVA Ricevuta il 1.° Agosto 1851. J/ ra i più dilettevoli argomenti della Matematica pura può contarsi lo studio delle curve. È bello il vedere come con semplicissime leggi si generino variatissime curve, come queste talvolta si pieghino sempre in un senso, talaltra s' inflettano in contrarie parti; ora tornino in sé stesse, ora si distendano per rami infiniti : una sola curva può annodarsi passando più volte per lo stesso punto, e può anche spezzarsi in più parti, che quantunque staccate pur formano un solo tutto. Cangiando i valori di alcuni dei parametri contenuti nell' equazione di una curva, questa va successivamente mutando di forma; e, per esempio, due rami di curva si avvicinano fino a tagliarsi e formare un nodo, poscia il nodo si stacca dal resto della curva e forma un' Oi^ale separata ( opa/e conj'ugata ) , oppure si converte in un punto di regresso, od in un punto isolato [punto conjugato) . Per tal maniera una curva espressa da una stessa equazione assume differenti forme, e dalle generali proprietà delle curve dipendenti dalla sua equazione, nonché dalle sue particolari forme possono trarsi caratteri per separare le curve in generi ed in ispecie ; per istabilirne infine una classificazione. Tomo XXV. P.'^ IL- A a Sulla classificazione delle curve ec. ^^ I. Il Newton fu il primo a classificare le curve del terzo ordine nella sua Eniimeratio linearum tertii ordinis; poco ag- giunsero a tale classificazione Gramer ed Eulero solo notandone qualche leggera ommissione, e limitandosi a considerarne le prime divisioni (che il Gramer disse genesi, l'Eulero specie, e che io , per ischivare qualche equivoco , dirò categorie ) . Onde stabilire sopra uniformi principi la classificazione delle curve, e togliere, per quanto sia possibile, 1' arbitrarietà che sempre accompagna i metodi di classificazione, ci bisognerà esaminare i caratteri delle curve, e la loro maggiore o minore importanza, specialmente in riguardo alla derivazione da una figura ad un' altra. Leggi di derivazione delle figure. a. Diremo che una figura è derivata da un' altra quando tra le parti dell' una e le corrispondenti dell' altra esiste una costante relazione, per la quale da una delle parti si possa dedurre la sua corrispondente nell' altra figura. 3. Tra le più semplici leggi di derivazione quella che piìi utilmente ci può servire a passare da linee di ordine inferiore ad altre di ordine più elevato si è la derivazione d^ inversione. Ecco qual ne è la legge. Abbiasi un punto fisso I, che di- remo centro d' inversione, se sulle rette lA IB ec. , che mi- surano le distanze di ciascun punto di una figura dal centro d' inversione, si prendano partendo da questo centro delle lun- ghezze lA' IB' ec. inversamente proporzionali alle distanze predette, si verrà a costruire una nuova figura A' B'. . . . , che dirassi l' inversa della primitiva AB 4- Da ogni retta deriva in tal maniera un circolo passante pel centro d'inversione; da un circolo, che non passi pel centro d' inversione, deriva un altro circolo ; da un piano deriva una sfera passante pel centro d' inversione, ec. — Per tal guisa le proprietà dei circoli e delle sfere possono derivarsi da quelle delle rette e dei piani; e ciò per via affatto semplice e naturale, Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 3 solo che si premetta la facile dimostrazione delle leggi fonda- mentali dell' inversione. Si possono eziandio trovar delle solu- zioni di alcuni problemi relativi ai circoli derivandole dalle più semplici soluzioni relative alle rette. Usciremmo troppo dal nostro cammino se volessimo seguire questo argomento, che ho abbozzato in una Memorietta inserita negli Annali delle scienze del Regno Lombardo- Veneto : Tomo VI; Padova i836. 5. La derivazione tra le proprietà di una figura e quelle della figura inversa consiste nei seguenti canoni : i.° Data una relazione tra le distanze dei punti A B C ec. di una figura e del punto I preso per centro d' inversione, si otterrà la relazione spettante ai punti inversi A' B' C ec. po- nendo IA = i":IA', IB = i":IB', ec, AB = i'. A'B': I A'.IB', ec, essendo i^ costante. Le prime equazioni esprimono la legge di derivazione, 1' ultima ne è una facile conseguenza, ove si ponga attenzione alla similitudine dei triangoli lAB IB'A'. a.° Gli angoli rettilinei col vertice nel centro d'inversione I sono eguali, ed anzi identici nelle due figure; cioè AIB = A'IB'. Dal che poi ne viene che le aree dei triangoli lAB lA'B' hanno il rapporto (I A)" : (IB')^ 3." Se due linee AB AC si tagliano nel punto A, sotto lo stesso angolo si taglieranno pure le loro inverse A'B' A'C'. Perchè prendendo i punti B C infinitamente vicini ad A , i due triangoli infinitesimi ABC A'B'C' avendo, pel canone i.°, i Iati proporzionali saranno simili. 4.° Se le due linee A B A G hanno nel punto A un con- tatto dell'ordine «."'"'', lo stesso ha luogo fra le inverse A'B' A'C. 6. Nei due precedenti canoni si suppone che il punto A sia differente dal centro d'inversione; poiché se A coincidesse con I, A' sarebbe a distanza infinita. In tal caso le due curve MBI NCI danno per inversi due rami infiniti ]M'B'... N'C'..., i cui assintoti formano un angolo eguale a quello, sotto cui si tagliano le curve MBI NCI. Sicché se queste si toccano i due assintoti sono paralleli, e se le cui^ve MBI NCI hanno in I un contatto del secondo ordine, le M'B' N'C hanno 4 Sulla classificazione delle curve ec. r assintoto comune ; esso è la retta inversa ( §. 4- ) del circolo osculatore comune alle MBI NCI. 7. Le dimostrazioni di quanto vado asserendo io le aveva da prima esposte col mezzo del mio metodo delle equipollenze, poiché mi sembra che esso presenti anche in ciò qualche van- taggio ; uìa siccome pei principj fondamentali di tal metodo doveva rimandare ad una mia Memoria inserita nel Tomo VII degli Annali delle scienze (Padova 1837), così correva peri- colo che le mie dimostrazioni fossero difficilmente intese. Cre- detti quindi miglior consiglio di ometterle, giacché ogni Mate- matico potrà facilmente altre sostituirvene ; ed io andrò piìi spedito al mio oggetto della classificazione delle curve del terzo ordine. Mi riservo di esporre in altra Memoria il metodo delle equipollenze con tutta la maggior chiarezza eh' io possa, e tra le sue moltiplici applicazioni comprenderò anche le di- mostrazioni, che ora credo opportuno di tralasciare. 8. Limitando d' ora in poi il nostro discorso alle figure piane, ed alle inverse ottenute prendendo il centro d' inver- sione nel piano stesso della figura, ci é facile prevedere qual sia r ordine di una curva inversa di una conica ( sezione co- nica, ossia linea del secondo ordine ) j poiché ogni circolo pas- sante pel centro d' inversione ha per inversa una linea retta , e siccome il circolo non può tagliare la conica se non se in ({uattro punti, cosi la retta non potrà tagliare l' inversa della conica se non in quattro punti, ed essa sarà perciò una curva del quarto ordine. Che se il centro d' inversione sia sulla pe- riferia della conica, un circolo che passi per esso non potrà tagliarla se non se in altri tre punti, e quindi la inversa della conica sarà del solo terzo ordine. — Trattando pivi particolar- mente di queste curve del terzo ordine vedremo che esse si separano in tre generi essenzialmente differenti secondo che la curva è inversa di una parabola di una iperbola o di una ellisse. — Per esporre i principi della classificazione delle curve ci occorre ricordare da prima altre leggi di derivazione dotate esse pure di grande utilità. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 5 9. Dopo della eguaglianza , la più stretta relazione che possa esistere tra due figure si è la similitudine : su questo poco o nulla vi è da dire, poiché dalle proprietà di una figura a quelle di una simile vi è soltanto la derivazione d' identità. 10. Dopo della similitudine viene V affinità considerata. Tpel primo dal Clairaut ( Mém. Acad. de Paris, 1731; pag. 486.). Questa derivazione è tale che se in una figura si formi un qualunque sistema di rette parallele, anche in ogni figura ad essa affine corrisponderà un sistema di rette pur parallele. Dal che poi ne viene che le rette parallele conservano lo stesso rapporto in ogni figura affine. 11. Finalmente è più larga legge di derivazione quella di omografia o di collineazione ; per essa qualunque linea retta , possa costruirsi in una figura, ha sempre per omologa nella figura collineare una linea pur retta; dal che ne viene eziandio che se tre o più rette di una figura concorrono in un punto, lo stesso avviene delle loro omologhe ossia collineari. Queste proprietà riconoscibili mediante la sola riga si dicono proprietà grafiche. Le figure collineari hanno dunque comuni tutte le proprietà grafiche ; e tra queste proprietà è pur da contarsi r ordine del contatto di due linee. 12. Poche sono le proprietà metriche^ cioè relative a mi- sura, che si conservano da una figura alla sua collineare; esse, insieme colle proprietà grafiche, furono dette projettive. Un rapporto di due prodotti di linee rette è projettivo, cioè si conserva lo stesso in tutte le figure collineari, quando nell'uno e neir altro termine del rapporto si trovano gli stessi punti e le stesse direzioni di rette. Così se sui lati BG GA AB di un triangolo sieno presi i punti L M N è un rapporto projettivo il AN.BL.GM: AM.GL.BN. Vi sono eziandio dei rapporti projettivi relativi ad aree od a seni di angoli. i3. Se in una figura si abbiano molti sistemi di rette paral- lele, in ogni sua figura collineare vi corrisponderanno altrettanti 6 Sulla classificazione delle curve ec. sistemi di rette concorrenti in punti posti tutti sopra una me- desima retta ; sicché i punti di questa retta corrispondono a quelli della figura primitiva, che stanno a distanza infinita. Viene da ciò quella locuzione apparentemente strana, ma uti- lissima, che tutti i punti di un piano posti a distanza infinita appartengono ad una stessa retta. i4- Le figure simili^ affini o soltanto collineari possono supporsi generate dalla projezione concorrente ossia prospettiva, o, in altre parole, dalle ombre. E propriamente una figura piana è simile alla sua prospettiva fatta in piano parallelo: la figura obbiettiva e la prospettiva sono affini, se il punto di vista è a distanza infinita : ed in ogni altro caso la obbiettiva e la prospettiva sono collineari. — Si noti che due figure af- fini non sempre potranno essere prospettive parallele l' una dell' altra. i5. Nella collineazione, di cui 1' affinità e la similitudine sono casi particolari, da ogni punto deriva un punto, da ogni retta deriva una retta. E perciò ben differente la derivazione secondo la quale ad ogni punto corrisponde una retta, e ad ogni retta un punto. Essa dà origine alla dualità: fecondissimo principio, pel quale da un teorema projettivo altro se ne de- duce di esposizione molto diversa, perchè ai punti deggiono sostituirsi le rette e reciprocamente. i6. Se fuori del piano di una figura si prenda un punto, che noi diremo centro di derivazione; e s' immagini che da esso sieno tirati dei raggi a tutti i punti della figura, sicché ogni retta della figura dia origine ad un piano ; poscia si sup- ponga che questo fascio di raggi e di piani venga tagliato da un piano qualunque; la sezione sarà, come dicemmo ( §. i4- )■, una figura collineare della primitiva. Che se pel centro di de- rivazione si conducano dei piani perpendicolari a quei raggi, e dei raggi perpendicolari a quei piani, si otterrà un nuovo fascio di piani e dì raggi, il quale, con denominazione usata anche nella Trigonometria sferica, diremo polare del primo. E se questo secondo fascio sia tagliato da un piano, otterremo Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 7 una figura derivata- polare della primitiva; le rette e i punti di essa corrisponderanno ai punti ed alle rette della primitiva. 17. Potremo supporre in particolare che il piano tagliante il secondo fascio sia il piano stesso della figura primitiva; al- lora, le due figure, primitiva e derivata-polare, saranno in una più stretta relazione, che noi diremo reciprocità. Se sul piano comune alle due figure reciproche si abbassa dal centro di derivazione una perpendicolare, il suo piede lo diremo il cen- tro di reciprocità:, e facilmente riconosceremo che la retta che unisce questo centro con un punto è perpendicolare alla retta reciproca di esso punto, e che le distanze dal centro di reci- procità del punto e della retta hanno un pi'odotto costante. — Sicché la reciprocità ha una qualche rassomiglianza coli' in- versione ; però colla essenzialissima differenza che una retta ha per reciproco un punto e per inverso un circolo ( §. 4- ) • 18. Le proprietà grafiche sono comuni a tutte le figure derivate -polari; quando però si cangino in questo senso, che se in una figura vi sono alquanti punti in linea retta, nella derivata -polare si avranno alquante rette concorrenti in uno stesso punto; e viceversa. — Per derivata -polare o reciproca di una curva si considera un' altra curva, che è nello stesso tempo r inviluppo di tutte le rette reciproche dei punti della curva primitiva, ed il luogo geometrico dei punti reciproci delle tangenti di questa curva. Il punto d'intersezione di due curve I ha per reciproca la tangente comune a due curve reciproche delle prime. Che se le curve hanno nel punto d' intersezione anche la tangente comune, Io stesso sarà delle loro reciproche. — Si riconosce pure, mediante il calcolo, che qualunque sia r ordine del contatto di due curve esso si mantiene lo stesso nelle figure reciproche. Dee considerarsi separatamente il caso che la tangente comune alle due curve comprenda il centro di reciprocità, perchè allora il punto reciproco passa a distanza infinita. — Quanto ora dicemmo di due figure reciproche si estende a due figure derivate -polari; poiché una figura colli- neare ad una delle reciproche ed una collineare all' altra sono 8 Sulla classificazione delle curve ec. tra loro deiùvate- polari. — Le figure reciproche hanno, come vedemmo ( §. 17.), alcune relazioni a loro speciali. 19. Prima di applicare questi principi alla teoria delle curve gioverà , a renderci più abituali le tre leggi di derivazione collìneazìone reciprocità ed inversione^ il fare su di esse alcune considerazioni generali. Intanto, quantunque sia opportuno il nome di derivazione geometrica, pure vi è essenzialissima dif- ferenza tra essa e la deiivazione analitica; giacché colla stessa identica operazione si passa da una figura alla sua deiùvata, e da questa alla primitiva ; il che è ben lungi dall' esser vero fra un' equazione primitiva, e la sua derivata differenziale. — Due figure ambedue collineari di una stessa primitiva sono collineari tra di loro; e quindi il ripetere più volte la deriva- zione di collineazione non è di alcun vantaggio. — Due figure reciproche ( con differenti centri di reciprocità ) di una primi- tiva sono tra loro collineari ; e con quante si vogliano deriva- zioni di collineazione o di reciprocità non si otterrà mai che una figura collineare od una derivata - polare , secondo che il numero delle reciprocità sarà stato pari o dispari. ao. Mi sembra un importante teorema (Memoria citata al §. 4- ) che coir inversione ripetuta più volte non si ottenga se non quanto può aversi da una sola inversione. — Per di- mostrarlo indichiamo con A B G D E Z i punti di una figura, con A' B'...., A" B"...., A'" B"'.... quelli che ne deri- vano mediante una, due o tre inversioni; sia A il centro della prima inversione, e sia Y Z la retta a distanza infinita della figura primitiva: — nella prima figura inversa il punto A' sarà a distanza infinita; Y' Z' si riuniranno nel punto A; dalle rette C D C E deriveranno i circoli Z' C D' Z' G E', che si taglie- ranno in Z' ed in C sotto un angolo eguale ( §. 5. 3.° ) all'an- golo D C E della figura primitiva : — sia B' il centro della se- conda inversione; nella seconda inversa B" passerà a distanza infinita, A" cadrà in B', ed i circoli Z" C" D" Z" C" E" si ta- glieranno sotto lo stesso angolo DGE: — ora se prendiamo Z" per terzo centro d' inversione otterremo una figura, nella quale Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 9 Z'" sarà a distanza infinita, B'" cadrà in Z", e dai predetti circoli deriveranno le rette G"'D"' C"'E"' formanti l'angolo B" G" E'" = D G E. — Pertanto, giacché tutte le rette della fi- gura primitiva sono rette anche nella terza figura inversa, le figure sono (5. 11.) collineari; — giacché dai punti Y Z posti nella primitiva a distanza infinita derivarono i punti Y'" Z'" essi pure a distanza infinita, le due figure sono affini; — e giacché ogni angolo DGE è uguale al suo derivato, le due fi- gure sono simili: perciò la seconda figura inversa può ottenersi mediante una sola inversione da una figura slmile (od eguale) alla primitiva. ai. Dopo questa digressione, che stimai necessaria a porre sott' occhio teorie importantissime e non abbastanza general- mente conosciute, torneremo al nostro argomento osservando che non sarebbe di alcun vantaggio adoperare successivamente più inversioni delle coniche { §. ac. ) , poiché si otterrebbero quelle stesse curve, che si possono avere mediante una sola inversione. Giò é analogo a quanto vedemmo ( 5- 4- ) accadere per la linea retta, la quale coli' inversione dà il circolo; da cui poscia non si può dedurre mediante l'inversione alcun' altra curva; bisogna ricorrere all'affinità per dedurne l'ellisse, ed alla collineazione per le altre due specie di coniche. PillNCIPJ PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE CURVE. aa. Per quanto io mi sappia tutti considerarono come prin- cipale carattere di classificazione delle curve l' esistenza e la natura dei loro rami infiniti ; io credo che questo sia invece da riguardarsi come carattere secondario, e che il carattere per la formazione dei generi sia la collineazione, quello per la formazione delle specie sia l' affinità. — Vale a dire tutte le curve tra loro collineari costituiscono, secondo la mia maniera di vedere, un genere; e la specie é un'unione di curve tra Il loro affini. — Gon questi principj le coniche formano un solo genere diviso in tre specie, secondo che colla derivazione di Tomo XXF. P.'^ IL'' B IO Sulla classificazione delle curve ec. coUineazione si fa andare all' infinito, od una retta, che non taglia la curva (ellisse), o una sua secante in due punti (iper- bola ) , od una tangente ( parabola ) . 2.3. Un genere può avere estensione differente da un altro; cioè può esser differente il grado di generalità dell' equazione, che rappresenta tutte le curve comprese in un genere : tale generalità dipende dal numero di costanti arbitrarie, che de- terminano la forma della curva; facendo astrazione da quelle che ne determinano la posizione, le quali sono sempre tre, eccettuati i casi del circolo e della retta. Quelle prime costanti le diremo i parametri della curva. — Simil cosa vale per le specie. Così la specie della ellisse ha due parametri, quella della parabola uno solo. — Una specie può ammettere tutto al più tre parametri, ed un genere tutto al più cinque; e tali sono i numeri dei parametri che a loro generalmente parlando appartengono. 2.4. Debbo però affrettarmi di riconoscere che questa na- turale divisione in generi ed in ispecie non è sufficiente alla classificazione delle curve; poiché si potranno incontrare infi- nite specie in un solo genere, ed anche infiniti generi in un solo ordine. Bisognerà dunque riunire mediante altri principj le specie in famiglie ed i generi in tribù. a5. È notissimo che le curve algebraiche furono divise in ordini a seconda del numero dei punti, in cui la curva può essere tagliata da una retta, o piuttosto a seconda del grado dell' equazione, che serve a rappresentare la curva. — La classe delle curve non è già una divisione più larga dell' ordine, ma ne è invece una divisione affatto analoga; giacché la classe di una curva è l'ordine della sua reciproca o derivata- polare: quindi il numero della classe esprime il massimo numero di tangenti della curva, che possono incontrarsi in un solo punto. — Un tempo fu creduto che 1' ordine e la classe potessero es- sere una stessa cosa, ma è certo ( ed io pure lo feci vedere nel Giorn. dell' Ital. Letterat. Padova, i8a8. II. pag. 72) che una curva del terzo ordine può essere della sesta classe, ed una curva del sesto ordine può essere della terza classe. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis / i 26. Vi è un altra, a mio credere, interessantissima sepa- razione delle curve algebraiche, cioè le cui coordinate paral- lele sono legate da un' equazione algebraica, secondo che queste coordinate possono o non possono esprimersi con fun- zioni razionali di una sola variabile. — E giacché il Móbius considerò tali espressioni delle coordinate nel suo calcolo bari- centrico, potremo dire che tali curve sono dell' n.^''"'" ordine baricentrico. Questo ordine abbraccia soltanto una parte delle curve appartenenti all' ra."'"" ordine algebraico: « è il massimo grado tanto delle due funzioni razionali che esprimono le due coordinate, quanto dell' equazione che ha luogo tra queste. 27. Si dimostra che tanto la curva inversa quanto la re- ciproca di una curva di ordine baricentrico è essa pure d' or- dine baricentrico ; quindi se è baricentrico V ordine è baricen- trico anche la classe. Una curva dell'ordine baricentrico n."'""' è tutto al più della [a(ra — !)]"■'"<» classe; mentre la classe di una curva dell'ordine «."""" algebraico può elevarsi fino a n{n — i). a8. È facile riconoscere che una curva composta di due o più pezzi affatto staccati non può mai essere di ordine ba- ricentrico: si avverta però che non deggiono considerarsi come pezzi staccati quelli che rimangono separati da qualche punto situato a distanza infinita, ed il quale colla collineazione si potrebbe sempre ridurre a distanza finita, rendendosi così pa- lese la continuità della curva. Punti singolari delle curve, ed altri caratteri generici o specifici. ag. Un carattere, che deve principalmente servire a distin- guere le curve le une dalle altre, si è la singolarità di curva- tura che esse presentano in qualche punto speciale. — Per ri- conoscere tutte le curve appartenenti ad uno stesso genere ci bisogna adunque imparare a scorgere i punti singolari anche quando mediante la collineazione essi sono passati a distanza infinita ; il che darà origine a particolari specie. 12 Sulla classificazione delle curve ec. 30. Contrassegneremo col numero positivo intero o frazio- nario s ogni punto, nel quale la curva riferita alla sua tan- gente presa come asse delle x abbia 1' equazione della forma y = x'-*-% essendo x y infinitesime, ed ommettendosi per bre- vità il fattore finito. Se questo punto passa a distanza infinita, e la sua tangente rimanendo a distanza finita ne sia quindi r assintoto, la curva riferita all'assintoto avrà l'equazione della forma y=.x—^^ essendo x infinita ed y infinitesima. Che se vada all' infinito la tangente della curva nel punto di cui si tratta, la curva vi sarà espressa dall' equazione j = a;^->-% es- • sendo a; ed j infiniti. 3 1 . Così in particolare il punto contrassegnato dal numero I è un punto ordinario. Se esso passa a distanza infinita si ha un pajo di rami iperbolici , che divergono avvicinandosi da parti opposte all' assintoto. E se esso passa a distanza infinita insieme colla sua tangente dà due rami parabolici, che si av- vicinano sempre più al parallelismo, come quelli della para- bola conica. 3a. Il punto contrassegnato dal numero a è un flesso ( punto di flesso contrario ) , che passando a distanza infinita dà due rami infiniti divergenti da una stessa parte dell' assin- toto, come quelli dell' iperbola y=:x—^. Quando passa a di- stanza infinita la tangente del flesso si hanno i rami parabo- lici, che divergono volgendosi le convessità l' uno contra l' altro come quelli della parabola Neiliana y=x^ . 33. Il punto contrassegnato dal numero ^ è un regresso, che se passa a distanza infinita dà origine a due rami infiniti convergenti dalle due parti dell' assintoto come quelli dell' iper- bola y = x'~^. Quando è a distanza infinita la tangente del re- gresso si hanno due rami parabolici divergenti, di cui ciascuno volge la convessità alla concavità dell' altro, come avviene nella parabola cubica y=zx^. 34. Questi sono i soli punti singolari delle curve algebraiche del terzo ordine, nonché di quelle della terza classe. La figura i .* Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis i3 presenta un punto ordinario M nelle sue tre posizioni, cioè a distanza finita, a distanza infinita con assintoto, ed a distanza infinita insieme colla tangente. Nelle fig. a." e 3.* si veggono un flesso f ed un regresso R egualmente nelle tre posizioni. 35. La collineazione non cangia la natura di un punto, né il numero col quale proponiamo di contrassegnarlo; soltanto essa può mutare un punto a distanza finita in due rami iper- bolici o in due rami parabolici. Perciò le curve comprese in un genere, od anche in una tribìi di generi, dovranno avere gli stessi punti singolari: quelle comprese in una specie, od in una famiglia di specie, avranno inoltre rami infiniti in egual numero e qualità. 36. Serviranno pure a distinguere le curve i punti doppj; i quali, se sono ordinar], passando a distanza infinita danno origine a quattro rami infiniti iperbolici cogli assintoti paral- leli ; due di questi rami possono divenir parabolici tendendo al parallelismo verso 1' assintoto degli altri due ; ciò avviene cpiando passa a distanza infinita la tangente di uno dei tratti di curva che si tagliano nel punto doppio. Questi tre casi si scorgono nella fig. 4-* 37. Un altro carattere generico è il numero dei pezzi, di cui si compone una curva ; notando però che non si deve ba- dare alla apparente separazione dei tratti di una curva, ma bisogna considerare che questi si riuniscono mediante i loro rami infiniti, i quali quantunque il più delle volte affatto di- vergenti, pure deggiono riguardarsi come diretti ad uno stesso punto, il che diviene palese mediante la prospettiva o la col- lineazione. Così l'iperbola conica quantunque costituita da due tratti separati pure dee considerarsi come di un solo pezzo. 38. Per tal maniera ogni pezzo di curva è rientrante in sé stesso. Un pezzo di curva, che non ha né punti singolari né punti doppj lo si dice un'opc/e: e tale lo chiameremo quan- tunque, per esserne passato a distanza infinita uno o due punti, essa non si presenti più all' occhio come una ovale, ma sia aperta o come una parabola o come un' iperbola conica. — i^ Sulla classificazione delle curve ec. Similmente diremo nodo una parte di curva senza punti sin- golari, che si chiude in un punto doppio : anche il nodo potrà essere aperto in uno o in due punti. 3g. Dicemmo già che le curve di ordine baricentrico sono sempre di un solo pezzo. Fra quelle del terzo ordine algebraico vi è una tribù di generi, di cui tutte le curve sono di due pezzi, uno dei quali è un' ovale, 1' altro ha tre flessi. 40. Un carattere generico meno facile a scorgere si è la presenza di punti isolati (detti anche conjugati). Uno dei ge- neri del terzo ordine algebraico ha un punto isolato ; ma r espressione baricentrica ( giacché quel genere è anche del terzo ordine baricentrico ) non comprende tal punto isolato. 41. Sono caratteri specifici quelli che si desumono dai punti posti a distanza infinita. Ogni punto se passa solo a di- stanza infinita dà origine a due rami iperbolici, ed a due rami parabolici se va all' infinito insieme colla sua tangente : la na- tura dei rami infiniti fa conoscere come vedemmo ( §. 3o, ) la qualità del punto, cioè il numero che serve a contrassegnarlo. — Le parti separate, da cui è costituita una curva, quando non si considera la loi'o unione mediante i punti a distanza infinita, le diciamo tratti: così l'Ellisse è di un solo tratto chiuso; r Iperbola di due tratti con rami iperbolici ordinar] ; la prima Parabola cubica è di un solo tratto con rami parabolici verso un regresso^ cioè diretti verso un punto di regresso, che sta a distanza infinita; la Cissoide di Diocle di un tratto con un re- gresso e con rami iperbolici verso un flesso ; la Concoide di Nicomede è di due tratti a rami iperbolici diretti verso un punto doppio, nel quale i due tratti si toccano. 42. Noteremo pure come carattere specifico la distribu- zione dei punti singolari sopra tratti differenti, o la loro riu- nione sopra uno stesso tratto. Quando un tratto di curva non ha a distanza finita alcun punto singolare lo diremo puro. — Le curve del terzo ordine baricentrico sono tutto al più di tre tratti, e quelle del terzo ordine algebraico possono essere di quattro tratti, 1' uno di essi essendo un' ovale chiusa. — Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis i5 Serviranno pure a distinguere le specie, la disposizione dei tratti gli uni rispetto agli altri ed ai loro assintoti, - 1' incon- trarsi di tre assintoti in un solo punto, - l' esistenza di diametri o di centro di simmetria; - ec. 43. Chiamo diametro di simmetria quella retta che taglia per metà tutto un sistema di corde parallele. Nelle curve di ordine dispari è necessario che tali corde sieno dirette verso un punto situato a distanza infinita: pel terzo ordine tal punto, che deve andare a distanza infinita, è un flesso; ed ogni qual volta un flesso va a distanza infinita la curva ha un diametro di simmetria. Siccome le curve del terzo ordine ( eccettuate quelle che noi riferiremo ai generi I. e II. ) hanno tre flessi posti in una stessa linea retta; così facendo andare all'infinito tal retta si hanno tre differenti diametri di simmetria di una stessa curva. 44- Se si fa andare all' infinito un diametro di simmetria, quel punto, che prima era a distanza infinita, ed a cui si vol- gevano tutte le corde dimezzate dal diametro, diventa un cen- tro di simmetria.^ che taglia per metà tutte le corde che pas- sano per esso. Nelle curve del terzo ordine il centro di sim- metria è ( §. 43. ) sempre un flesso. 45. Dicemmo che i punti ordinarj o singolari non cangiano colla coUineazione ; poiché anche quando passano a distanza infinita noi continuiamo a contrassegnarli collo stesso numero, ed a chiamarli flessi o regressi^ quantunque non sia piìi appa- rente né la flessione contraria né il regresso. — È naturale la dimanda qual relazione abbia luogo tra due parti corrispondenti di due curve reciproche oppure derivate -polari. Si rammenti che tutti i punti di una curva hanno per reciproche le rette , che sono tangenti della curva reciproca, e i punti di contatto di queste tangenti sono reciproci delle tangenti della curva primitiva; sicché diciamo punti corrispondenti quelli che sono reciproci delle rispettive tangenti. Con facile calcolo si trova che ad un punto contrassegnato dal numero s corrisponde nella figura reciproca o derivata-polare un punto contrassegnato dal i6 Sulla classificazione delle curve ec. numero — . Perciò ad un punto ordinario corrisponde un punto ordinario, e ad un flesso (^=2.) corrisponde un regresso {s=^). 46. Se una curva ha un punto doppio, la sua reciproca ha una tangente doppia, cioè una tangente che tocca la curva in due punti differenti : e se questa tangente passa a distanza infinita si hanno quattro rami parabolici. 47. Non è altrettanto semplice la corrispondenza dei punti singolari nelle curve inverse. — Se una delle due curve in un punto contrassegnato dal numero s abbia la tangente, che non passi pei centro d' inversione I, il punto inverso sarà contras- segnato dallo stesso numero s nel caso che sia s-i il punto inverso sarà contrassegnato dal numero i, cioè sarà un punto ordinario. Se finalmente sia 5=1, cioè il punto della prima curva sia ordinario, bisogna distinguere due casi secondo che il circolo osculatore in quel punto non passa o passa pel centro d'inversione: nel primo caso anche il punto inverso sarà ordinario ; invece nel secondo caso ( siccome il circolo osculatore ha per inversa una retta ) bisognerà deter- minare r ordine S"'""° del contatto della prima curva col suo circolo osculatore, e lo stesso contatto avrà luogo tra la curva inversa e la sua tangente j perciò il punto inverso sarà contras- segnato dal numero S. — Ne viene che, generalmente parlando, un punto, il cui circolo osculatore passa pel centro d' inver- sione, ha per inverso un flesso contrassegnato dal numero a. 48. Quando la tangente nel punto primitivo passa pel centro d' inversione, il punto inverso è contrassegnato dallo stesso numero del primitivo. 49- Ci resta da considerare il caso che nelle due curve inverse uno dei punti sia nel centro d'inversione, e l'altro, per conseguenza, sia a distanza infinita. — Per il primo sia contrassegnato dal numero j •< i , il suo inverso avrà la tan- gente a distanza infinita (cioè esisteranno due rami parabolici) e sarà contrassegnato dal numero — — i . — Se invece il primo punto sia contrassegnato dal numero .y^i, il suo punto inverso Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 17 sarà contrassegnato dal numero j — i, ed il suo assintoto pas- serà pel centro d'inversione. — Se finalmente nel centro d'in- versione vi sia un punto ordinario, nel quale la curva abbia col proprio circolo osculatore un contatto dell'ordine (S-Hi )"""", il punto inverso avrà l' assintoto, che non passerà pel centro d' inversione, e sarà contrassegnato dal numero 5. — Nel centro d' inversione vengono a riunirsi i punti inversi di tutti quelli, che sono a distanza infinita. 5o. Per giustamente interpretare che cosa debba intendersi per r ordine del contatto di due linee ( anche quando questo ordine è frazionario ) noteremo che se all' ascissa infinitesima X presa sulla loro comune tangente corrisponde la differenza ax^ -¥• bx^ -^- ec. delle loro ordinate, sarà a — i l'ordine del contatto (essendo a il piìi piccolo degli esponenti). — Cosi, per esempio, essendo — -+- p-j -<- ec. r ordinata del circolo osculatore , se quella della curva sia X' i h- e X* -t- ec. 2 r il contatto tra il circolo e la curva sarà dell'ordine (1)"""°, an- ziché del secondo ordine come è di solito. — Per quanto superior- mente abbiamo detto se mediante l'inversione si faccia andare all' infinito quel punto si otterrà un regresso contrassegnato dal numero | . Che se invece il centro d' inversione non coin- cidesse col precedente punto, che ha un contatto dell' ordine ^^ysimo qq\ proprio osculatore, ma bensì fosse un punto di questo circolo, il punto inverso sarebbe contrassegnato dal nu- mero ^, e perciò sarebbe una specie di regresso a curvatura nulla. 5i. Quantunque la singolarità dei punti, nei quali la curva ha col proprio circolo osculatore un contatto differente dal se- condo ordine, non si renda manifesta all'occhio; pure essi meritano essere avvertiti per l' effetto che producono nella in- versione. Tali sono per esempio i vertici delle coniche, ai quali spetta un contatto del terzo ordine. Tomo XXF. P.'- IL'' C i8 Sulla classificazione delle curve ec. Curve inverse delle coniche. Sa. Le coniche hanno tutti i loro punti ordinar] j perciò le curve inverse dell' ellisse non avranno altri punti singolari oltre quelli che nascono dai punti dell' ellisse, i cui circoli osculatori passano pel centro d'inversione. Uno di questi punti sarà ( 5. 47- ) contrassegnato dal numero a ( cioè sarà punto di flesso) se il circolo osculatore spetta ad un punto ordinario dell' ellisse; e sarà contrassegnato dal numero 3 ( cioè sarà un punto di curvatura nulla ) se il circolo spetta ad uno dei ver- tici. — Nelle inverse della parabola vi sarà inoltre ( 5« 49- ) nel centro d'inversione un regresso contrassegnato dal numero |. — Invece nelle inverse dell' iperbola il centro d' inversione sarà (§. 49') "Il punto doppio, e i due tratti di curva avranno colà un punto ordinario od un flesso, secondo che quel centro d' inversione sarà preso fuori di un assintoto, o sopra di esso. 53. Le inverse delle coniche sono generalmente parlando del quarto ordine baricentrico, e non hanno alcun punto a distanza infinita : 1' ordine però si abbassa al terzo quando il centro d' inversione è sulla conica stessa ; in tal caso la curva inversa ha un punto a distanza infinita. 54. Prendendo il centro d' inversione nel vertice di una conica, la curva inversa della parabola avrà ( §. 49- ) ■> oltre il regresso, un flesso a distanza infinita. — Un simile flesso avrà r inversa dell' iperbola , oltre il punto doppio. — L' inversa dell' ellisse avrà un flesso a distanza infinita, ed inoltre due flessi dipendenti da quei due suoi circoli osculatori, che la ta- gliano in quel vertice che fu preso per centro d' inversione. L' assintoto del primo flesso è inverso del circolo osculatore nel vertice, ed. è quindi perpendicolare all'asse dell'ellisse; ed è palese che questo sarà eziandio un asse di simmetria della curva inversa, la quale avrà quindi gli altri due flessi sopra una corda perpendicolare all'asse, e perciò diretta verso il terzo flesso che è a distanza infinita ; cioè i tre flessi della curva sono in linea retta. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 19 .55. Tutte le curve del terzo ordine baricentrico sono col- lineari coir una o coli' altra delle tre predette curve inverse della parabola, dell' iperbola, dell' ellisse. D' altronde ogni altra curva inversa di una conica ( il centro d' inversione essendo un punto della conica stessa differente dal vertice ) è del terzo ordine baricentrico. — Secondo che tal curva avrà un regresso, od un punto doppio, oppure nessun regresso e nessun punto doppio, essa apparterrà al genere delle inverse della parabola o dell' iperbola o dell' ellisse. — Ora le curve dei due primi generi hanno sempre anche un flesso (giacché la collineazione non può distruggere il flesso, che nell' ipotesi del 5- precedente sta a distanza infinita ) ; perciò immaginando che un punto qualunque di una parabola o di una iperbola sia scelto per centro d'inversione noi vediamo (S.47-) che: Per ogni punto dì una parabola o di una iperbola, che non sia un vertice , passa sempre uno^ ed uno solo, dei circoli osculatori della curva in altro punto. — Similmente siccome le curve del terzo ge- nere hanno tre flessi in linea retta, cosi: Per ogni punto di un' ellisse, che non sia uno dei suoi vertici, passano sempre tre cìrcoli osculatori della curva in altri tre punti, i quali appar- tengono ad un cìrcolo che passa per quel punto. Teorema già dato dallo Steiner. Classificazione delle curve. 56. Premessi questi principi, veniamo alla classificazione delle curve del terzo ordine algebraico, e cominciamo da quella sua parte che costituisce il Terzo ordine baricentrico. Carattere. Curve di un solo pezzo con un flesso e un punto doppio, oppure tre flessi in linea retta ; il punto doppio o due flessi possono convertirsi in un regresso. ao Sulla classificazione delle curve ec. Genere I. Curve del terzo ordine e della terza classe, DI UN solo pezzo CON UN REGRESSO ED UN FLESSO. 57. Prenderemo per tipo di questo genere la curva in- versa della parabola quando il centro d' inversione è nel ver- tice. Essa è la Cissoide di Diocle, che ha la forma espressa dalla figura 5.* col regresso J, e coli' assintoto 11 spettante al flesso che sta a distanza infinita. 58. Per derivare da questa curva mediante la collineazione tutte quelle, che sono del suo stesso genere, bisognerà far an- dare all' infinito una qualunque retta posta nel piano della curva. — Ora questa retta può essere o 1' assintoto 11 ; o la tangente sa del punto di regresso ; o la retta 55, che com- prende il regresso ed il flesso; o la 88 diretta al flesso; o la 99, che comprende il flesso e due altri punti della curva; o la IO IO, che passa pel regresso; o la laia, che tocca la curva in un punto e la taglia in un altro; o la i3i3, che la taglia in un solo punto; o la lé^i^-, che la taglia in tre punti. — Ciò dà origine alla divisione del genere in nove partì, di cui sette sono specie, e due sono famiglie di specie. 59. Indico tali divisioni dei generi coi numeri dall' i al 14, perchè ( come meglio si renderà palese nel prospetto rias- suntivo della classificazione ) le curve del terzo ordine oltre- ché in generi si dividono mediante un carattere specifico in quattordici categorìe, che giova distinguere sempre con un me- desimo numero. Peraltro ciascun genere non può comprendere tutte le quattordici categorie: così nel I. mancano le categorie .3, 4? 6, 7, II. Ogni specie o famìglia di specie sarà distinta col numero del genere e con quello della categoria. 60. Specie I. I. Carattere. Un tratto col regresso e coi rami parabolici verso il flesso. Appartiene a questa specie la parabola Neiliana. Prese le ascisse x sulla tangente del regresso Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis ai e le ordinate / in una determinata direzione, esse sono espresse mediante una variabile reale t dalle equazioni Per ottenere tutte le curve tra loro affini, cioè tutte quelle che appartengono alla presente specie ci resta da cangiare i parametri a Z', nonché l'angolo delle coordinate; ma atteso r arbitrarietà del valore di i è palese che cangiando ambedue le a b non si ottiene niente di più che col cangiarne una sola. Perciò questa specie è veramente a due soli parametri, che sono l'angolo delle coordinate, e la p compresa nell'equazione x^ =py^. Del resto noi scriveremo ed intenderemo sempre che rimangano arbitrar] l'angolo delle coordinate, e le due unità di lunghezza, alle quali si riferi- scono i numeri x /; le quali due unità possono essere tra loro disuguali. 6i. La cui'va avendo un flesso a distanza infinita ha (§.43.) un diametro di simmetria, che è quello su cui si sono prese le ascisse x. — In tutte le specie di questo genere fa- remo che a t = o corrisponda il regresso ed a ^ = co il flesso. 62,. Specie I. a. Un tratto col flesso e rami parabolici verso il regresso. Appartiene a questa specie la prima parabola cubica. Anche questa specie è a due soli parametri -, prese le X sulla tangente del flesso si ha x = y, r = -^, y=ix\ Essendo passato a distanza infinita il diametro di simmetria della specie precedente, questa specie I. 2. ha (§. 44-) centro dì simmetria, che è il flesso origine delle coordinate. 63. Specie I. 5. Due tratti puri, ciascuno coi rami iper- bolici V uno verso il regresso e V altro verso il flesso. Prendendo le x suir assintoto del regresso, che è anche diametro di sim- metria, e le 7 suir assintoto del flesso si ha aa Sulla classificazione delle curve ec. I x = -, y — t, x/^= I. Vi sono due parametri, cioè l'angolo formato dagli assintoti, ed una unità di lunghezza. 64- Specie I. 8. Un tratto col regresso e rami iperbolici verso il flesso. Prendendo le x nella tangente del regresso, che è anche diametro di simmetria., e le j parallele all' assintoto del flesso, si ha ^ = 7^' 7 = 7^», x{x^-i.y^)=y\ Questa e le specie seguenti sono, come è di solito, a tre pa- rametri. Appartiene a questa specie la Cissoide, da cui siamo partiti ; essa ha luogo quando le coordinate sono ortogonali , cioè il diametro è perpendicolare alle sue ordinate ed all' as- sintoto; inoltre le due coordinate sono riferite alla stessa unità, e perciò l' ordinata eguale all' ascissa è quella equidistante tra il regresso e 1' assintoto. 65. Specie I. g. Tre tratti: uno col regresso e rami iper- bolici ordinar] ; ciascuno degli altri due coi rami iperbolici uno ordinario ed uno verso il flesso. Analogamente alla I. 8. si ha 66. Specie I. io. Due tratti, Vuno col flesso V altro puro ; ciascuno coi rami iperbolici uno ordinario ed uno verso il re- gresso. Prendendo le coordinate sugli assintoti del regresso e del punto ordinario si ha X = {'-t)(^^t)-> y = rh^ ^7^ = 3/-i 67. Specie I. 12. Due tratti, l'uno col regresso l'altro col flesso; ambedue coi rami iperbolico e parabolico ordinar] . 68. Famiglia I. i3. Un solo tratto con regresso , flesso, e rami iperbolici ordinar/. Appartengono a questa famiglia le curve inverse della parabola quando il centro d' inversione è un punto della parabola diverso dal vertice. Queste inverse della Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis a3 parabola si possono descrivere alla stessa maniera della Cis- soide mediante un circolo ed una sua tangente. 69. Famiglia I. i4- Tre tratti coi rami iperbolici ordinar]: uno col regresso, uno col flesso ed uno puro. Prendendo le x sulla tangente del regresso e le jy sulla retta, che unisce il regresso col flesso, tutte le specie I. la. i3. i4- sono espresse da 1 1 iwi»j_/7»_i./iì' y («— i;(t»-t-a<-t-a)' -^ (<— i)(«»-<-at-(-o) ed hanno 1' equazione (j — a;) (j^ -t- fl^rj H- flx^) = j* ; a è un parametro, che distingue una specie dall'altra. Se a = 4 7 cioè se la i*-f-a^-Ha = o ha due radici uguali, si ha la particolare specie definita in I. 12,.; ogni altro valore di a dà una specie differente. Tutte queste infinite specie si se- parano naturalmente in due famiglie secondo che i'-t- i , poiché se fosse e" < i si avrebbe invece la Famiglia II. 11. B. Tre tratti coi rami iperbolici ordinar/ ; quello col flesso ha i rami cogli assintoti paralleli. 80. Famiglia II. la. A. Due tratti: uno puro annodato, ed uno col flesso ; ciascuno coi rami ordinar] uno iperbolico ed uno parabolico. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis ay Famiglia II. la. B. Due tratti che si tagliano; uno puro, ed uno col /lesso ; ciascuno coi rami ordinar j uno iperbolico ed uno parabolico. 8i. Famiglia IL i3. Un solo tratto annodato col flesso e coi rami iperbolici ordinar]. Appartengono a questa famiglia tutte le inverse dell' iperbola, quando il centro d' inversione è un punto dell' iperbola differente dal vertice. 8a. Famiglia II. i4- A. Tre tratti con un flesso e i sei rami iperbolici ordinar] ; un tratto puro è annodato. Famiglia II. i4- B. Tre tratti coi rami iperbolici ordinar]: un tratto col flesso ed uno puro si tagliano. 83. Prendendo le x sulla JV, e le / sulla JS, queste cin- que famiglie sono espresse da y^ -^- b xy" — x^y — ax^ = y"" — a;% e secondo che l'equazione t^-i-bt^ — t — a=:o avrà due ra- dici uguali o due immaginarie o tre disuguali la curva appar- terrà alla categoria i£i. od alla i3. od alla 14. Si esclude il caso di b = a, poiché allora si cadrebbe nella categoria 1 1 . Genere III. Curve del terzo ordine e della quarta classe di un solo pezzo con tre flessi in linea retta. 84. Stando alla relazione tra le coordinate parallele queste curve ammettono anche un punto isolato, cui però non danno le espressioni delle coordinate in funzioni razionali di una va- riabile reale t. Ritenendo anche il punto isolato, la curva ascenderebbe alla quinta classe, poiché ogni retta condotta pel punto isolato dovrebbe considerarsi come una tangente. La curva derivata -polare ( §. 16. ) è il complesso di una curva del quarto ordine e di una retta derivata -polare del punto isolato, dalla qual retta si può far astrazione. 2.8 Sulla CLASsincAzroNE delle curve ec. 85. Nelle curve di questo genere sono da notarsi oltre i tre flessi S S' S" ( le cui tangenti A' A", A" A, A A' formano un triangolo A A' A" ) anche i tre punti V, V, V", ai quali noi da- remo il nome di vertici, e le cui tangenti VS, V'S', V'S" pas- sano rispettivamente pei flessi. — I lati del triangolo W'V" passano ( non meno di quelli del triangolo A A' A" ) pei tre flessi S" S S', e siccome questi sono in linea retta, così, pel noto teorema sui triangoli omologhi., le tre rette VA, VA', V"A" concorrono in un medesimo punto, che è il punto isolato J (fig. 7.''). — Tra questi punti hanno luogo altre proprietà, che noi indichei'emo qui appresso essendo esse comuni a tutte le curve del terzo ordine algebraico. 86. Alcune di queste proprietà possono, mediante l'inver- sione, trasportarsi all'ellisse, nella quale per ciascuno JV dei suoi due assi vi sono i punti S' S", i cui circoli osculatori pas- sano per J; la loro ascissa contata da J eguaglia i tre quarti dell'asse JV: l'ascissa comune ai punti V, V" è il quarto di JV. 07. In tutte le formule relative a questo genere i tre flessi S, S', S" corrispondono a ^=:co ed a ^=::^zx, ed i tre vertici V, V, V" corrispondono a i = o ed a i = =b3. Il punto iso- lato corrisponde a ^'-i-3^o. 08. Le inverse dell' ellisse, quando il centro d' inversione è uno dei vertici, sono specie appartenenti alla famiglia III. 8. j facendone andare all' infinito 1' assintoto otterremo la seguente specie, che più comodamente ci servirà da tipo dell'intero genere. 89. Specie III. I. Un solo tratto con due flessi e coi rami parabolici verso il terzo flesso. Essendo a distanza infinita un flesso le corde ad esso tirate saranno dimezzate da un diametro di simmetria; noi prenderemo le x su questo diametro, e le 7 parallelamente a quelle corde, e scelto per origine delle coordinate il punto isolato J sarà a; = i"-+-3, y — tx., x^ = y» -4- 3 a;». Facendo andare all'infinito l'una o l'altra delle rette indicate nella fig. 7.^ otterremo le seguenti specie. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis ag 90. Specie III. a. Un solo tratto col rami iperbolici ordi- nar]; uno dei tre flessi è il centro di simmetria. Prendendo per origine delle coordinate il centro S, e per assi la tangente S e r assintoto S V, si ha x = jJ-^, 7 = ^, x{x-^?>yY=y. 91. Specie III. 4- Tre tratti puri coi rami iperbolici rivolti ai tre flessi. Il triangolo A A' A" è quello formato dai tre as- sintoti; J ne è il centro di gravità; JAV, JA'V, JA"V" sono i tre diametri di simmetria, che dimezzano le corde parallele agli assintoti A' A", A A", A A'. Si ha JA = a.AV, ec. Prese le X su uno dei diametri di simmetria partendo da J, si ha a: = p— ^, y = -^—-t, xy^ — x^—y^^^x\ ()2. Specie III. 7. Due tratti ciascuno con un flesso, un ramo parabolico ordinario ed uno iperbolico verso il terzo flesso. E passato a distanza infinita uno dei vertici V insieme colla propria tangente; le rette V"S', V'S" sono parallele al dia- metro JA; la tangente V'S' è parallela alla retta JA"V", ec. Prese al solito le ascisse sul diametro di simmetria, sarà a;=iH--^, y = t-h~, xy'=y^-^Sx\ 93. Famiglia III. 8. Un tratto con due flessi e coi rami ; iperbolici verso il terzo flesso. Si ha X y ■=: X t , xy^ -<- e* x^ = /* -H 3 . Ponendo attenzione al punto isolato si possono sepai-are le due sottofamiglie : a) Il tratto della curva è interposto tra l' assintoto e il punto isolato. /3) L' assintoto è interposto tra il punto isolato e il tratto di curva. Le inverse dell' ellisse appartengono alla sottofamiglia a) od alla /3 ) secondo che il centro d' inversione fu preso sopra uno 3o Sulla classificazione delle curve ec. dei vertici dell' asse maggiore o dell' asse minore. Nel primo caso c^ > 3 , nel secondo c^ < 3 . 94. Merita essere distinta la specie intermedia a queste due sottofamiglie ( c^ = 3 ) , nella quale è passato a distanza infinita il punto isolato; poiché quantunque la sua figura non presenti un carattere molto apparente, pure 1' equazione ne è essenzialmente diversa. Noi la riferiremo alla categoria 6, con- siderando il punto isolato come se fosse un punto doppio ; perciò la indicheremo con Specie III. 6. Un tratto con due flessi e coi rami iperbolici verso il terzo flesso. Le distanze tra V assintoto e la retta che unisce i due flessi, e tra questa e la tangente ad essa parallela hanno il rapporto 3: i. Prendendo l'origine delle coordinate nel vertice V si ha 7 — __ 'v^ V* ^"^ V* — .— • X V ■*■ — «^ -t- 3 95. Famiglia III. 9. A. Tre tratti: uno con due flessi e coi rami iperbolici ordinar]; ciascuno degli altri due puro e coi rami iperbolici V uno ordinario V altro verso un flesso. Il punto isolato e il diametro di simmetria essendo 1' origine e 1' asse delle x, si ha ar = ^^, y = xt, x/" — c":c3=7»-f-3x% purché c^ > I ; se fosse e' < i si avrebbe la seguente Famiglia III. 9. B. Tre tratti: uno puro coi rami iperbolici ordinar]; ciascuno degli altri due con un flesso e coi rami iper- bolici V uno ordinario V altro verso un flesso. 96. Considerando il punto isolato come un punto doppio distingueremo dalla famiglia a cinque parametri III. i3. la particolare famiglia a quattro parametri III. 11., nella quale il punto isolato passa a distanza infinita insieme con un punto ordinario della curva : e ciò per le stesse ragioni che ci fecero notare la specie III. 6. Famiglia III. 11. Un solo tratto coi rami iperbolici ordinar]. Il triangolo A A' A" formato dalle tangenti dei tre flessi, e Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 3i quello V V V" dei tre punti, le cui tangenti passano pei flessi, hanno ì vertici corrispondenti in tre rette parallele VA, VA', VA". Prendendo per origine delle coordinate uno dei flessi S, e per assi la tangente in S e la SV tangente in V, si ha o(* 3 a {y — -^){x-^yy—2.y[x-\-y)-\-y=zo. 97. Famiglia III. la. Due tratti, ciascuno con rami iper- bolico e parabolico ordinar] . I tre flessi sono separati nei due tratti. 98. Famiglia III. i3. Un solo tratto con tre flessi e coi rami iperbolici ordinar/. 99. Famiglia III. 14. Tre tratti coi rami iperbolici ordinar/'; uno ha un flesso, uno ne ha due, e V altro è puro. Le tre ul- time famiglie, prendendo le x sulla J V e le y sulla J S , sono espresse da t' + S t^^ìt X (t- .3)(/-+.*) — 3i-«-3a ' y i3^3t-i-it"-t-3o y^ -t- Z'xy* -1- 3 a;" j -+- 3 tìx' := j" H- 3 x" e, secondo che 1' equazione ^^-i-Z'i^-l-3^-H3a = o avrà due radici eguali o due immaginarie o tre disuguali, la curva apparterrà alla famiglia III. 12. od alla III. i3. od alla III. 14. — Non dovrà essere 3 a -h è = ± 4 ' perchè in tal caso un flesso sarebbe a distanza infinita, e si avrebbe una delle specie o famiglie precedenti. Curve del terzo ordine algebraico, ma non baricentrico. 100. I tre generi di curve, di cui abbiamo data la classi- ficazione, comprendono tutte le curve del terzo ordine bari- centrico, cioè le cui coordinate possono esprimersi in funzioni razionali di upa variabile; il terzo ordine algebraico ne com- prende molte altre, di cui ci resta dare la classificazione. — Le parabole appartenenti alla categoria i., da cui deducemmo mediante la collineazione tutte le curve dei tre generi, hanno le equazioni 3i2, Sulla classificazione delle curve ec. j° = jc' , y° = o;^ -t- x^ , j* = o;^ — dx". Più generalmente possiamo prendere 1' equazione r/^ = x^ -i- 2. n .r" -^ nix -{- a. Trasportando 1' origine delle x, e dividendo le coordinate per opportuni coefficienti ( il che possiamo fare senza uscire dalla specie della curva ) faremo sparire 1' ultimo termine, e ridur- remo r ed m all'unità (il caso di 77i = o essendo già trattato nei generi I., II. e III.), sicché avremo y^ = x^ -i- ù^nx^ ■+- x. 1 differenti valori di re daranno altrettante curve di diverso genere, cioè tali che una non può cangiarsi nell'altra mediante la più generale derivazione di collineazione. loi. Quando n = — i si ricade nel genere II. e quando re = I nel genere III., noi intenderemo esclusi questi due va- lori, e che inoltre sia 7Z>> — i. — Se cerchiamo l'ascissa x'=g corrispondente ai due flessi S', S" troviamo xhe essa è legata all' altra costante re mediante 1' equazione 3 g'^ -+- 8 re g^ -+- 6 g° = I . L' ordinata corrispondente al flesso S" è — -^= , ed al flesso S' è —^ . — Ci potrà servire da parametro per distinguei'e un genere dall' altro tanto re quanto g , di cui consideriamo il solo più piccolo valore positivo. Nel II. genere è g=i, e nel III. è g = i. 102. L'origine delle coordinate è il vertice V ( fìg- 8.*), la cui tangente è diretta verso il flesso S, che sta a distanza infinita. Le tangenti negli altri due flessi S', S" si tagliano nel punto A determinato dall'ascissa VA = ^-^-|p; e le due tan- genti AS"A', AS'A" sono considerate formare un triangolo colla A' A" tangente in S, e la quale sta tutta a distanza infinita. io3. Sulla prolungazione della VS" vi è il punto V della curva, la cui tangente passa pel flesso S' ; esso ha 1' ascissa — Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 33 e l'ordinata ^. Similmente V" ha eeual ascissa e l'ordinata ^-=^ . I due triangoli VV'V", A A' A" hanno i lati che si incontrano nei tie punti della retta SS'S"; perciò le rette che ne uniscono i vertici corrispondenti s'incontreranno in un punto J, il quale nel nostro caso della parabola divergente sarà l'intersezione dell'asse delle x colla V'J parallela alla S"A. Si trova JV = ^-^. 104. Parecchie delle proprietà ora accennate si conservano passando da una curva ad ogni sua collineare, sicché in tutte le curve del terzo ordine ( eccettuate quelle dei generi I. e II. ) un pezzo di curva ha tre flessi S, S', S" in linea retta, ed inol- tre tre punti V, V, V", le cui tangenti passano rispettivamente per quei flessi, cioè sono le rette VS, V'S', V"S". I lati del triangolo VV'V" passano pei flessi, e, condotte pei detti flessi anche le loro tangenti A' A", A A", A A', le rette VA, VA', VA" s' incontreranno necessariamente in un punto individuato J. — Inoltre questa retta JVA taglia la retta SS'S" nel punto P in guisa che S, S', P, S" sono quattro punti armonici; e perciò se uno di essi passa a distanza influita, gli altri tre compren- dono due intervalli eguali. Dicasi lo stesso delle rette JV, A'P', JV", A"P". Dal che poi risulta che se uno S dei flessi è a di- stanza infinita la corrispondente J A è un diametro di simme- tria, e che se invece sia a distanza infinita la JA, sarà 8 il centro di simmetria. to5. Quando si conoscano i tre flessi colle loro tangenti SA' A", S'AA", S"AA' sarà facile condurre ciascuna AJ, giac- ché questa passa pel punto P tale che SP è media armonica tra le due SS', SS"; essa JA può anche determinarsi mediante il punto B in cui si tagliano le rette S'A', S"A". Così pure B' é l'intersezione delle SA, S"A", e B" delle SA, S' A'. — Vice- versa se fijsse dato il triangolo A A' A" ed il punto J , tagliati i lati di queflo coHe rette A"JD", A'JD', AJD, il flesso S sarebbe 1' intersezione del lato A' A" coUa retta D'D", S' Tomo XXV. P.'- 11.'^ E 34 Sulla classificazione delle curve ec. l'intersezione di AA", DD", ed S" di AA', DD'. (Nella fìg. 8.^ i punti S, A', A", D sono a distanza infinita ) . — Il triangolo DD'D" è inscritto nel triangolo A A' A", e questo lo è nel triangolo BB'B". Si ha pure un triangolo QQ'Q' inscritto nel triangolo VW". I cinque triangoli hanno i lati corrispondenti, che si tagliano nei flessi S, S', S", ed hanno i vertici corrispon- denti sulle rette JQABVD, JQ'A'B'V'D', JQ"A"B"V"D". io6. Le parti della retta JAVD danno il rapporto AV.JD: JV.AD, che si dice projettivo (5. 12,.), perchè esso si mantiene invariato in tutte le projezioni, cioè in tutte le figure tra loro collineari. Col mezzo della parabola diver- gente, che ci serve di tipo {$. 100. ) si verifica che AV.JD: JV.AD = A'V'.JD':JV'.A'D'=A"V".JD":JV".A"D"=g»; quindi permutando un flesso coli' altro non si cangia il para- metro generico g, il quale determinato per ciascuna curva particolare sarà un carattere distintivo di tutte le curve ad essa collineari, cioè che formano un solo genere. — Conoscendo g e conoscendo i tre flessi e le loro tangenti, i precedenti rap- porti daranno il modo di determinare i tre vertici V, V, V". 107. Il Newton, e dopo di lui il Clairaut ed il Nicole ( Hist. de l'Acad. des Sciences pour 1 78 1 ) ammisero che tutte le curve del terzo ordine possano originarsi coli' ombra delle cinque parabole divergenti della categoria i. Noi infatti ve- demmo che dalle tre parabole I. i, II. i, III. i derivano per collineazione tutte le curve del terzo ordine baricentrico ; ma ci limangono poscia le parabole espresse dall' equazione y^ =z x^ -h 2. n x'' -i- X , e queste non sono già due sole, bensì infinite distinte per differente valore di n, e tali che una non può mai convertirsi per colhneazione nell' altra. Sicché non sarebbe giusto il dire che, come dato un circolo se ne possono dedurre coli' ombra tutte le sezioni coniche, così pure descritte cinque parabole se ne possono dedurre tutte le curve del terzo ordine. — Che se si dicesse che veramente le due ultime pa- rabole non sono due sole, ma si riducono a due gruppi, ognuno espresso da quella unica equazione secondo che re' < i oppure « > I ; a ciò si risponderebbe che la differenza di forma più Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 35 o meno apparente non è una distinzione assoluta, e che se bastasse che le curve sieno espresse da una sola equazione si potrebbe anche dire che tutte le curve del terzo ordine pos- sono originarsi coli' ombra di una sola curva. io8. Secondo la nostra maniera di vedere sono adunque infiniti i generi, di cui ci resta da parlare. Noi li riuniremo in due gruppi che diremo tribù, e segneremo coi numeri IV. V. ; il che è conforme a quanto facemmo per le specie, che quando ( dalla categoria 8. in poi ) sono in numero infinito noi riu- niamo in famiglie, le quali hanno un comune carattere appa- rente, e che nulladimeno comprendono infinite specie secondo i valori di uno o due parametri. — In ciascheduna specie avremo i tre soliti parametri , che nascono dall' affinità , ed inoltre il parametro generico, il quale noi supponiamo che ab- bia preso quel valore particolare che compete al genere, in cui supponiamo compresa la specie. Tribù IV. Curve del terzo ordine e della sesta classe. Un solo pezzo con tre flessi in linea retta. 109. Specie IV. I. Un solo tratto con due flessi e coi rami parabolici verso il terzo flesso. La differenza tra questa specie degli infiniti generi appartenenti alla presente tribù e la spe- cie III. i . non apparisce se non se dall' equazione e dalle re- lazioni di cui abbiamo di sopra fatto cenno (§. 106.). L'equa- zione della curva riferita al diametro di simmetria VP (fig. ^.^) ed alla tangente nel vertice V è j" = X { a;" -H a ra x -t- I ) , purché re" •< i . 110. Possiamo considerare come carattere generico la più piccola radice positiva dell' equazione Sg^i-f-S/ig^-l- 6g" = I. Quando ra = — i, g ha tre valori = i, allora la curva ha un nodo, ed è la specie II. i. — Se « = — \\/~Ì abbiamo g= -7= ; 36 Sulla classificazione delle curve ec. in questo caso le tangenti nei due flessi S', S" sono ambedue parallele al diametro di simmetria, cioè il punto A passa a di- stanza infinita : questo genere meriterebbe d' essere particolar- mente distinto da tutti gli altri; il suo carattere è che le tan- genti nei tre flessi s' incontrano in un medesimo punto. — Per ?i = o si ha 5 = 0,39333. — Continuando ad aumentare n, i punti A ed J vanno sempre più avvicinandosi a V. Finalmente se ra^i, quindi g = f si ha AV=:— , JV=:i, ed il punto J è un punto isolato appartenente alla curva; così si ha il ge- nere III. , che è genere intermedio tra quelli della tribù IV. e quelli della tribù V. III. Le varie specie o famiglie di ciascun genere della tribù IV. si otterranno facendo andare all' infinito l' una o r altra delle rette deUa fig. 8.^ Ila. Specie IV. a. Un solo tratto coi rami iperbolici ordi- nar], uno dei tre flessi è il centro di simmetria. La curva rife- rita al centro di simmetria, alla sua tangente ed all' assintoto ha l'equazione , , , ^ x'' -t- arex^ -4- a;j* =/. 1x3. Specie IV. 4- Tre tratti puri coi rami iperbolici ri- volti ai tre flessi. Si hanno pure le altre pi'oprietà accennate alla specie III. 4-5 eccettochè in luogo d'essere JA:=a.AV è in generale g^. J V = A V. — Il Newton separò queste curve nelle tre specie aa.% a3.^ e 3a.*; l' ultima delle quali è distinta dall'avere i tre assintoti, che s'incontrano in un solo punto; essa perciò appartiene a quel genere di cui diedi superiormente il carattere ( g = -7? ) di avere le tre tangenti dei flessi , che s' incontrano in un medesimo punto. — Mediante le om- bre non si potrebbe mai passare dalla specie Sa.'' del Newton alla aa.% che corrisponde a g<--T=, od alla a3.% che si riferisce agli infiniti generi qualificati da g > — = . — I primi ed i secondi generi potrebbero riunirsi in due sottotribù sepa- rate da quel genere particolare che corrisponde a g = —= . — Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 87 L' equazione delle presenti curve riferite ad uno dei diametri di simmetria, e posta 1' origine delle coordinate nel punto D in cui quel diametio incontra 1' assintoto A' A", è xy' = (gx-^- J )( 47^-^^ -• fp — - ^-^- I )• 114. Specie IV. 7. Due tratti ciascuno con un flesso, un ramo parabolico ordinario ed un ramo iperbolico verso il terzo flesso. Anche questo carattere è pienamente uguale a quello della specie III. 7., la quale si distingue da tutte le specie di infiniti generi diversi, che noi comprendiamo sotto il numero IV. 7. solamente perchè quella ha un punto isolato. Queste curve hanno 1' equazione xy"" = x^ -^- 2. n X -i- I . 11 5. Famiglia IV. 8. Un tratto con due flessi e coi rami iperbolici verso il terzo flesso. L' equazione è xy' = (i — ^^)[(' — 2,7zc-+-c*)a;"-4-a(n — e) x •+• i]. Questa è una famiglia a quattro parametri, perchè re è un pa- rametro generico, che non può mai cangiare mediante la col- lineazione, la quale invece dà al parametro specifico e un va- lore quale si voglia. 116. Famiglie IV. 9. A. e B. Gli stessi caratteri come nel genere III. Per tutti quei generi nei quali g >■ — = si può distinguere in ciascheduna di queste due famiglie quella spe- cie, nella quale gli assintoti concorrono in un solo punto. 117. Famiglie IV. la. i3. i4- Anche queste famiglie hanno gli stessi caratteri, che abbiamo già dati pel genere III. Tribù V. Curve del terzo ordine e della sesta classe. Due pezzi ; uno con tre flessi , l' altro puro. 118. I generi di questa tribù differiscono da tutti gli altri del terzo ordine per essere le curve costituite da due pezzi 38 Sulla classificazione delle curve ec. essenzialmente staccati; quello che non ha alcun punto singo- lare lo diremo un'ovale, anche quando invece d'essere chiusa sarà aperta alla maniei'a di una parabola, oppure divisa in due tratti alla maniera dell' iperbola. I ig. Specie V. i. Un' ovale chiusa. Un tratto con due /lessi e coi rami parabolici verso il terzo flesso. Rispetto al dia- metro VP si ha ( fig. 9/) y"" ■=: X [x"" -Ir- 2.nx -¥• l) essendo ?z >► i . I flessi corrispondono all' ascissa V P = g es- sendo g la radice positiva della 3 g'^ -h 8 « g^ -1- 6 g" = i ed alla ordinata P S" = — 7^ . L' asse delle x è tagliato dalla curva, oltre che nel punto V, anche nei due punti U, W ap- partenenti all'ovale; trasportando in uno di essi l'origine delle coordinate 1' equazione conserva la stessa forma, si può quindi dedurne le stesse proprietà relative ai vertici U U' U", W W W" le cui tangenti passano pei flessi. Quindi si applicano alle curve della tribìi V. le proprietà che abbiamo indicate ( §5' ^^- ici4- io5. ) pel genere III. e per la tribù IV., ed esse si estendono a tre terni di vertici e di punti analoghi ai Q, Q', Q". — Tutti questi punti sono sulle tre rette JA, JA', JA" ognuna delle quali diviene un diametro di simmetria se passa a distanza infinita il corrispondente flesso. 120. Da questa specie V. i. come tipo si otterranno, al solito, le altre specie, facendone andare all' infinito l' una o l'altra defle rette indicate nella fig. g.* lai. Specie V. a. Due tratti puri. Un tratto con tre flessi dei quali uno è il centro di simmetria. I sei rami sono iperbo' liei ordinar] . I tre assintoti s' incontrano nel centro di simme- tria; presolo per origine delle coordinate, e prese le x sulla tangente, e le j suU' assintoto del terzo tratto si ha 1' equa- zione stessa della IV. a. a;^ H- area;*/ H- a;/° = y, ma in questa tribù V. è «>•!. laa. Specie V. 4- Ovale chiusa. Tre tratti puri coi rami rivolti ai tre flessi. Vi sono tre diametri di simmetria. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis Sq ia3. Specie V. 7. A. Ovale chiusa. Due tratti ciascuno con un /lesso, un ramo iperbolico ordinario ed uno iperbolico verso il terzo /lesso. Specie V. 7. B. Un tratto puro coi rami parabolici ordinar/. Un tratto con due /lessi e coi rami iperbolici verso il terzo /lesso. Il secondo pezzo sta tra mezzo al proprio assintoto ed al pezzo parabolico. Specie V. 7. G. Un tratto puro coi rami parabolici ordinar]. Un tratto con due /lessi e coi rami iperbolici verso il terzo /lesso. U assintoto sta tra mezzo ai due pezzi di curva. ia4- Famiglia V. 8. Ovale chiusa. Un tratto con due flessi e coi rami iperbolici verso il terzo flesso. Può dividersi in due sottofamiglie. a) Il pezzo coi flessi sta tra V assintoto e V ovale. 0) U assintoto sta tra i due pezzi di curva. ia5. Famiglia V. g. A. Ovale chiusa. Tre tratti, uno con due flessi e coi rami iperbolici ordinar], ciascuno degli altri due puro e coi rami iperbolici uno ordinario ed uno verso un flesso. Famiglia V. 9. B. Ovale chiusa. Tre tratti, uno puro coi rami iperbolici ordinar], ciascuno degli altri due con un flesso e coi rami iperbolici uno ordinario ed uno verso il terzo flesso. Famiglia V. 9. C. Due tratti puri coi rami iperbolici ordinar/. Un tratto con due flessi e coi rami iperbolici verso il terzo flesso. 126. Famiglia V. la. A. Ovale chiusa. Due tratti ciascuno con rami iperbolico e parabolico ordinar]. I tre flessi sono se- parati in questi due tratti. Famiglia V. la. B. Un tratto puro coi rami parabolici ordi- nar]. Un tratto con tre flessi e coi rami iperbolici ordinar]. 127. Famiglia V. i3. Ovale chiusa. Un tratto con tre flessi e coi rami iperbolici ordinar], ia8. Famiglia V. i4- A. Ovale chiusa. Tre tratti coi rami iperbolici ordinar] ; uno ha un flesso, uno ne ha due, V altro è puro. Famiglia V. i4- B. Due tratti puri coi rami iperbolici ordi- nar]. Un tratto con tre flessi ed i rami iperbolici ordinar]. 4o Sulla classificazione delle curve ec. Riassunto della classificazione delle curve del terzo ordine E confronto con quella del Newton. 129. Noi vedemmo che ciascuno dei tre generi del terzo ordine baricentrico o degli infiniti generi del terzo ordine alge- braico viene a dividersi in alcune particolari specie, ed in fa- miglie, le cui equazioni contengono uno o due parametri, i valori dei quali servono a diversificare, le infinite specie di ciascuna famiglia. — L' equazione di una specie contiene quasi sempre tre parametri, pei quali potremo prendere 1' angolo delle coordinate, il rapporto tra le due unità, a cui si riferi- scono tali coordinate, e la grandezza assoluta di una di queste unità. — Quando si possono individuare nella figura di una curva due direzioni distinte ( come sarebbe per esempio un diametro di simmetria e le ordinate ad esso spettanti ) il dif- ferente angolo tra loro compreso distinguerà le varietà appar- tenenti ad una stessa specie. Poscia il rapporto tra le due unità distinguerà le forme di una stessa varietà. Finalmente la grandezza assoluta distinguerà gì' individui di una stessa forma. i3i. Così per esempio nella specie II. i. (fig. 6.^) abbiamo la varietà ad ordinate ortogonali quando 1' angolo tra il dia- metro di simmetria e le sue ordinate è retto : ed in questa varietà abbiamo la forma^ nella quale la massima ordinata nel nodo è la terza parte della sua distanza dal punto doppio. — Tutti gli individui di questa forma hanno alcune singolari pro- prietà, che notai nel mio primo Saggio ( i835) sul metodo delle equipollenze. Se dicasi a u V angolo che la tangente in un punto di questa curva forma colla ordinata, sarà 3 u V angolo che la stessa ordinata formerà col raggio vettore condotto dal punto della curva al punto fisso del diametro di simmetria, le cui distanze dal vertice V e del punto doppio J sono nel rap- porto I : 8 ; e saranno proporzionali alle potenze ( seu w ) ~ \ (scum)— 'i il predetto raggio vettore, ed il raggio di curvatura. i3i. Questa gradazione nelle generalità e nel conseguente numero dei parametri contenuti nelle suddivisioni, che chiamiamo: Del Sic. Prof. Giusto Bella vitis 4' Genere di curve collineari (a cinque parametri). Specie di curve affini (a tre parametri), Varietà (a due parametri). Forma di curve simili (con un solo parametro). Individui: è talvolta soggetta a qualche restrizione. — Cosi la specie della parabola Neiliana (I. i. ) ammette bensì infinite varietà se- condo che si fa retto o variamente obliquo 1' angolo compreso tra la tangente del regresso e le ordinate, a cui i due rami di curva tendono sempre più a farsi paralleli; ma ciascheduna varietà presenta una sola forma, poiché quantunque si cangias- sero tutte le ordinate in uno stesso rapporto ( restando inva- riate le ascisse ) non per questo la curva cangerebbe forma , ma resterebbe simile a sé stessa. In questa unica forma ( per ciascheduna varietà ) si hanno infiniti individui : si può pren- dere per parametro di grandezza 1' ascissa che è uguale alla propria ordinata. — Invece la specie ellisse ammette una sola varietà, poiché si può bensì cangiare 1' angolo di due diametri conjugati, ma esistono sempre due assi perpendicolari tra loro conjugati. Questa unica varietà comprende infinite forme, tra le quali si distingue il circolo. La parabola Apolloniana è una specie che contiene una sola varietà ed una sola forma. iSa. Nella classificazione delle curve i Geometri hanno avuto riguardo alla presenza e natura dei rami infiniti piut- tosto che ai caratteri generici, che rimangono invariati nella collineazione e che ci hanno servito per istabilire le prime di- visioni. Pertanto se vogliamo trovare la corrispondenza tra la precedente classificazione e quelle del Newton del Cramer e dell' Eulero, dobbiamo principalmente considerare le nostre quattordici categorie, che non molto differiscono dalle quattor- dici prime divisioni del Newton, e dalle sedici categorie dell' Eulero ( che egli chiama Specie ) . I generi del Cramer si ac- cordano pienamente colle quattordici categorie del Newton. — Do qui di seguito la corrispondenza della mia classificazione colle specie del Newton, indicando poscia i nomi da lui dati alle categorie, ed i numeri con cui furono indicate dal Cramer e dall' Eulero. Tomo XXV. P." 11.'^ F 4a Sulla classificazione delle curve ec. Prospetto delle Lìnee del terzo ordine, e corrispm I TRE PRIMI GENERI SONO DEL TEiiO DIPENDENTI DAL PASSARE All' INFINITO I SEGUENTI OGGETTI Classe terza Genere I. Regresso e Flesso //. !" Punto doppio 6 hto Tangente di un flesso . . . I 1. Specie 70. del Newton. 1. Sp. 68. Diametro di simmetria . . 2 ■c 2. Sp. 72. u 2. Sp. 59. Tangente nel punto doppio 3 a u s CQ 3. Sp. 66. Tre flessi 4 5 6 cu u s -o a -S 5. Sp. 65. £ CQ cu 6. Sp. 60. i Regresso, . . . Flesso e 1 o punto doppio ( 0 isolato .... Flesso e tangente ordinaria 7 co 7. Sp. 64. Flesso solo 8 8. Sp. 42. 8. Sp. 41. Flesso e due punti ordinarj 9 a O. 0. Sp. 12. a £ l A. Nodo chiu.S 9. } B. Nodo ape p.i CU 2 ( Regresso 10 u 10. Sp. 64. a o punto doppio o isolato . 11 a. er n a f A. Nodo ape PO 1 1 \ punto dopi'. J \ B. Nodo apeo ( luoghi. Sp>8 Tangente ordinaria .... e punto ordinario .... 12 12. Sp. 48. , l A. Nodo chiù. ; '■*■ i B. Nodoapen.: Un solo punto ordinario . Tre punti ordinarj .... 13 14 ■lì tora n 13. Sp. 35. 14. Sp. 3. ■lì CO « cg CU 13. Sp. 34. jf ( A. Nodo chio. 14. B. Nodo ap.o (*) Le Categorie XIV. 16. si riferiscono soltanto alla Specie I. 2., le altre Speci«l« Del Sic. Peof. Giusto Bellavitis nmerazìone fattane dal Newton. 43 lieo DUE TRIBÙ DI GENERI Classe sesta Tre Flessi in linea retta '.Punto isolalo. 9. a. immessa. ■. 43. §) Sp. 44. lessi unili. Sp. 13. 'lessi separati. Sp. uniniessa. 1. IV. Un solo pezzo. 1. Sp. 71. 2. Sp. 38. 4. Sp. 22. 23. 32. 7. Sp. 53. 8. Sp. 45. 9. A. Flessi unili. Sp. 14. 16. 28. B. Flessi separati. Sp. 15. 17. 29. 12. Sp. 50. F. Due pezzi. Categorie 9 13. Sp. 33. 13. Sp. 37. 14. Sp. 5. 6. 24. '. sono porzioni delle Categorie IX X. V. IV. del Newton e delle 10. 8. I. 3. dell'Eulero. 1. Sp. 67. 2. Sp. 27. C) 4. Sp. ODimessa. f A. Ovale chiusa. Sp. ora. 7. ì B. Ovale aperta. Sp. 55. \ covale aperta. Sp. 56. 8. a) Sp. 39. ^) Sp. 40. A. Ovale chiusa e flessi uniti. Sp. 10. B. Ovale chiusa e flessi separali. Sp. omm. C. Ovale aperta. Sp. 20. 21. 31. XIII. XIV. XII. III. IV. XI. IX. X. Vili. 14 IG 15 5 13 11. 9 j„ ( A. Ovale chiusa. Sp. 46. ■ |b. Ovale aperta. Sp. 52. A. Ovale chiusa. Sp. 1. 14. I B. Ovale aperta. Sp. 9. 26. VI. II. IV. XI. IX. X. VII. V. I. IV. 12 10. 8 6 44 Sulla classificazione delle curve ec. Categoria i." qualificata dall'avere all'infinito la tangente di un flesso, sicché si ha un diametro di simmetria = Newton XIII. Le cinque Parabole divergenti con diametro. Specie 67. 68. 69. 70. 71. = Cramer IV. j. = Eulero i4' a.* Tutte le curve di questa categoria hanno un centro di simmetria. Nel genere I. è all'infinito la tangente del regresso = Newton XIV. La Parabola cubica. Sp. 72,. = Cramer IV. iij. = Eulero 1 6. Nel genere IL sono all' infinito il punto doppio ed il ver- tice = Newton IX. Uno dei quattro IperboUsmì dell' iperbola. Sp. 59. = Cramer III. iv. = Eulero io. Nel genere III. sono all' infinito il punto isolato ed un vertice = Newton X. Uno dei tre IperboUsmi dell'ellisse. Sp. 6a. = Cramer III. iij. = Eulero 8. Nella tribù IV. è all' infinito un vertice, e due flessi hanno le tangenti parallele = Newton V. Una delle sei Iperbole di- fettive senza diametro. Sp. 38. = Cramer I. j. = Eulero i. Nella tribù V. sono all' infinito tre vertici, e due flessi hanno le tangenti parallele = Newton IV. Una delle nove Iper- bole coi tre assintoti che s' incontrano in un punto. Sp. 27. = Cramer IL iv. = Eulero 3. 3.* Ha all' infinito una tangente nel punto doppio = Newton XII. Il Tridente. Sp. 66. = Cramer IV. ij. = Eulero i5. 4-* Ha all' infinito i tre flessi, perciò vi sono tre diametri di simmetria = Newton IH. Le due Iperbole ridondanti con tre diametri. Sp. aa. a3. ; ed inoltre un altra delle nove Iperbole coi tre assintoti concorrenti in un sol punto. IV. Sp. 3a. ^ Cramer IL iij. e porzione del IL iv. Stirling avea già notato che nella categoria IH. del Newton mancavano due specie, che saranno le mie. IH. 4- 5 V. 4- = Anche Eulero riunì queste specie sotto il suo numero 5. 5.* E all' infinito il flesso ed il regresso, quindi la curva ha un diametro di simmetria = Newton XI. Uno dei due Iperbo- Usmi della parabola. Sp. 65. =z Cramer IH. v. = Anche 1' Eu- lero separò questa specie sotto il suo numero i3. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 4^ 6.* Nel genere II. è all'infinito il flesso ed il punto doppio; vi è un diametro di simmetria = Newton IX. Un altro dei quattro Iperbolismi dell' iperbola. Sp. 60. = Cramer III. iv. = Eulero 1 1 . 6." Nel genere III. è all' infinito il flesso e il punto isolato; vi è perciò un diametro di simmetria = Newton X. Un altro dei tre Iperbolismi dell' ellisse. Sp. 63. = Cramer III. iij. = Eulero 9. 7.' È all' infinito una tangente ordinaria che passa per un flesso, ossia la tangente di un vertice. Vi è per conseguenza un diametro di simmetria ^ Newton Vili. Le quattro Iperbole paraboliche con diametro. Sp. 53. 54- 55. 56. = Cramer III. iij, osserva che il Newton ommise due specie, che saranno le mie. III. 7. V. 7. A. = Eulero 7. 8.* Ha all' infinito soltanto un flesso ed ha quindi un dia- metro di simmetria = Newton VI. Le sette Iperbole difettive con diametro. Sp. 39. ^o. ^i. /^.a. 43. 44- 4^- ^= Cramer I. ij. ^ Eulero a. 9.* Ha all' infinito un flesso e due punti ordinar], perciò ha un diametro. Le categorie seguenti, come anche le a. 3. man- cano di diametro = Newton II. Le dodici Iperbole ridondanti con un diametro. Sp. io. 11. la. i3. 14. i5. 16. 17. 18. 19. 2,0. ai. Ed inoltre IV. quattro delle nove Iperbole ridondanti cogli assintoti concorrenti in un punto. Sp. a8. a9. 3o. 3i. = Cramer II. ij. e porzione del II. iv. Stirling notò che nella categoria II. del Newton mancano due specie che saranno le mie. III. 9. B. V. 9. B. = Eulero 4. IO.* Ha all' infinito il regresso = Newton XI. L'altro dei due Iperbolismi della parabola. Sp. 64. = Cramer III. v. =: Eulero la. II." Nel genere II. è all'infinito il punto doppio = Newton IX. Gli altri due dei quattro Iperbolismi dell' iperbola. Sp. 57. 58. = Cramer IH. iv. = Eulero io. II.* Nel genere III. è all'infinito il punto isolato ^ Newton X. L'altro dei tre Iperbolismi dell' ellisse. Sp. 61. =: Cramer III. iij. = Eulero 8. 43 Sulla classificazione delle curve ec. 12,.* Ha all' infinito una tangente ordinaria = Newton VII. Le sette Iperbole paraboliche senza diametro. Sp. 46- 47- 4^- 49- 5o. 5i. 5a. = Cramer III. j. = Eulero 6. i3.* Ha all' infinito un solo punto ordinario = Newton V. Cinque delle sei Iperbole difettive senza diametro. Sp. 33. 34. 35. 36. 37. = Cramer I. j. = Eulero i. i4-* Ha all' infinito tre punti ordinar] = Newton I. Le nove Iperbole ridondanti senza diametro, cogli assintotì che formano un triangolo. Sp. i. a. 3. 4- 5. 6. 7. 8. 9. ed inoltre IV. Tre delle nove Iperbole ridondanti cogli assintotì concorrenti in un punto. Sp. 24. a5. 26. = Cramer II. j. e porzione del II. iv. =: Eulero 3. i33. Nel mio genere I. io conto 9. specie o famiglie di specie; nel genere II. ne conto i5. (poiché suddivido alcune delle II. categorie spettanti a questo genere); nel genere HI. ne conto 12.; in ciascun genere della tribù IV. io., ed in ciascun genere della V. i5. Così riunendo insieme queste di- visioni ( che peraltro sono di estensioni molto differenti ) si ha il numero totale 61. Secondo i principi del Newton si hanno 78. specie ; egli per omraissione ne enumerò soltanto 72. 134. Sarebbe molto opportuno distinguere ( §. no. ii3. ) quel particolar genere della tribù IV. , in cui le tre tangenti dei flessi s'incontrano in un solo punto; abbiamo in questo genere le specie i. a. 4- 7- e le famiglie 8, gA, 9B, 11, la, i3, 14.: il carattere della famiglia 11. è che i tre flessi hanno le tangenti parallele. Questo genere ha quindi 11. divisioni, ed il predetto numero 61. si eleva a 7a. i35. Un altro carattere specifico adoperato dal Newton si è che i tre assintoti anziché formare un triangolo concorrano in un solo punto (ciò non si avvera mai nei generi I. e HI.). Quando gli assintoti sono ordinar] si hanno per tal maniera 3. famiglie a tre parametri comprese nelle famiglie a quattro pa- rametri II. 14. B, IV. i4-5 V. i4' B (sono le specie a5. a4- 26. del Newton. ) . Quando un assintoto è di flesso e due or- dinar] si hanno le particolari specie comprese nelle famiglie Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 4? II. 9. B, V. 9. C, e IV. 9. A oppure IV. 9. B (Specie 3o. 3r. a8. 29. del Newton ) . Quando gli assintoti sono tutti tre di flessi si ha la nostra specie IV. 4- ^^ quel particolar genere della tribù IV., che abbiamo già {^. no.) qualificato colla condizione che le tre tanarenti dei flessi s' incontrino in un unico punto ( Specie 3a. del Newton ) . — Le medesime fami- glie quando i tre assintoti formano un triangolo possono sud- dividersi in due sottofamiglie secondo la differente disposizione dei tratti di curva rispetto a quel triangolo; ciò servì al Newton a diversificare le sue specie 7. 5. 18. 2,0. 14. i5. aa. dalle 8. 6. ig. 21. 16. 17. a3. — La diversa disposizione delle parti dà pure occasione di dividere le famiglie III. 8. , V. 8. nelle sot- tofamiglie a) ^) . 1 36. Altre specie o famiglie si potrebbero stabilire facendo andare all' infinito uno o due di quei punti, che dicemmo ver- tici della curva, oppure altri punti osservabili della figura qual sarebbe il punto J. — Farmi che per la via da noi seguita, assunta una curva come tipo di un genere, si venga a trovare facilmente tutte le specie o famiglie di specie, che tra loro differiscono per qualche essenziale carattere, e ciò senza peri- colo d' incorrere in quelle ommissionì, che passarono inavvei'- tite allo stesso Newton. I caratteri specifici dipendenti dal nu- mero e natura dei rami infiniti si riconoscono per tal maniera pili speditamente di quello sia coli' esame delle equazioni espri- menti le curve. Forse che questa Memoria e il Prospetto rias- suntivo della classificazione presentano una sufficiente idea delle variate forme, che prendono le curve del terzo ordine: non sarebbe del resto difficile aggiungere in 72. figure (§. i34. ) un saggio di tali forme. — Le figure 7.* e 9.* sono alquanto difformate per non farle troppo grandi. Diametri e polari nelle curve del terzo ordine. 137. Come carattere distintivo delle curve abbiamo ado- perati soltanto quei diametri, che a toglimento di equivoco, abbiamo detti di simmetria. È noto, dal Newton in poi, che le 48 Sulla classificazione delle curve ec. curve algebraiche hanno per ogni direzione di ordinate un diametro rettilineo tale che per ciascuna ascissa contata sul diametro la somma algebraica di tutte le ordinate è nulla. Colla omologia o coUineazione questo teorema si generalizza ; sicché, parlando delle curve del terzo ordine, se da un dato punto si tiri ad arbitrio una retta, la quale tagli la curva in tre punti, il centro armonico di queste tre intersezioni rispetto al primo punto appartiene ad una retta, che dicesi la polare del punto dato. Perlochè un diametro può dirsi la polare del punto a distanza infinita, a cui si dirigono le ordinate : in tal caso il centro armonico diventa, come è noto, centro di gra- vità. — Secondo i principj da me adottati nel metodo delle equipollenze, il precedente teorema sussiste eziandio quando la retta condotta pel punto dato taglia la curva in un solo punto, purché si considerino anche le altre due loro interse- zioni fittizie. i38. La polare di un dato punto rispetto ad una curva del terzo ordine è anche la polare del medesimo punto rispetto al sistema di tre tangenti della cui'va, i cui punti di contatto sieno in linea retta col punto dato. Così in particolare la po- lare di un punto a distanza infinita è polare del medesimo punto anche rispetto ai tre assintoti della curva : cioè i dia- metri della curva lo sono eziandio dei tre assintoti. i3g. Colla derivazione polare o di reciprocità i precedenti teoremi conducono agli altri. Se per un punto arbitrario di una data retta si tirano le n tangenti ad una curva di «."'""* classe, la retta centrale-armonica di queste n tangenti, rispetto a quella retta data, passa per un punto, che dicesi il polo della retta data. Esso è il polo della medesima anche rispetto al sistema degli n punti di contatto delle tangenti condotte da un punto di essa data retta. In particolare: il polo della retta, che sta tutta a distanza infinita, è il centro di gravità delle intersezioni di una retta, che passa per esso con n tangenti tra loro parallele, ed è eziandio il centro di gravità dei punti di contatto di tali sistemi di tangenti parallele. Del Sic. Prof. Giusto Bellavitis 49 i4o. Nelle curve del terzo ordine un punto qualunrjue di una tangente in un flesso, nel regresso, oppure nel punto dop- pio, ha la sua polare che passa per tale flesso, regresso, o punto doppio. Infatti le tre intersezioni di quella tangente colla curva si riuniscono insieme nel punto di contatto. Viene da ciò che nelle nostre specie I. i., II. i.. III. i., IV. i., V. I., I. a., II. 3. le polari dei punti posti a distanza infinita ( vale a dire i diametri ) sono tutte parallele e dirette verso il punto singolare, che sta a distanza infinita. — Le polari di tutti i punti della tangente nel regresso coincidono insieme nella retta, che unisce il regresso col flesso. Viene da ciò che nella specie I. a. una sola è la polare di tutti i punti all' infinito. i^i. Nelle curve del I. genere tutte le polari dei punti di una retta condotta pel regresso passano per 1' intersezione della tangente del regresso colla tangente in quell'altro punto della curva, che si trova in quella prima retta. Infatti queste due tangenti, una delle quali tien luogo di due, costituiscono quel sistema di tre tangenti menzionate al 5- i38. ; ed è evi- dente che ogni polare rispetto al sistema di tre rette, che hanno un punto comune, passa essa pure pel medesimo punto. Viene da ciò che nelle specie I. 5., I. io. le polari dei punti all' infinito ( cioè ì diametri ) passano per 1' intersezione dei due assintoti. i4a. Nel II. genere spetta la stessa predetta proprietà ad ogni retta condotta pel punto doppio; poiché non difficilmente si dimostra che tutte le polari dei punti di tal retta, sia ri- spetto alla curva, sia rispetto alle due tangenti del punto dop- pio ed alla tangente nel terzo punto d' intersezione, passano per un punto fisso. Viene da ciò che nelle specie II. 6., II. ii. le polari dei punti all'infinito passano per quel punto del terzo assintoto, che sta equidistante tra i due assintoti paralleli. 143. Una simile proprietà spetta agli altri due Iperbolisrai III. 6., III. II. ottenuti facendo andare all' infinito il punto isolato. Tomo XXV. P.'" IL- G 5o Sulla classificazione delle curve ec. i44' Le polari dei punti all' infinito passano evidentemente per un unico punto anche nelle Iperbole, i cui tre assintoti si tagliano in un solo punto; il che avviene ( §. i35. ) nella specie IV. 4- del particolar genere qualificato da g = —-= ; ed inoltre in alcune specie delle categorie 9 , i^. La stessa proprietà delle polari dei punti all' infinito ha pur luogo in alcune specie delle nostre categorie 8, i3; ed invece non può mai verificarsi nelle Iperbole paraboliche delle categorie 7 e la. Si INTORNO LA QUANTITÀ DELLA PIOGGIA CHE CADE ANNUALMENTE A MODENA DISQUISIZIONE DEL SOCIO E SEGRETARIO PROFESSORE GIUSEPPE BIANCni I. Jligli è soltanto dall'anno i83o, poco dopo la fondazione della Specola Modenese, che il misuratore della pioggia collo- cato venne all' aperto cielo nella sommità di essa, e che se ne raccolsero poscia non interrottamente e registraronsi le quan- tità cadute della pioggia, della neve liquefatta, e dell' umidità o nebbia qualunque atmosferica scioltasi e ivi deposta. Benché un siffatto corso di osservazioni per verità non sembri lungo a sufficienza per conoscerne in tutta la sua varietà ed ampiezza il fenomeno delle meteore acquose in un dato luogo terrestre, cionuUameno la serie stessa di tali determinazioni estesa fra gli anni i83o e i85o inclusivamente, ossia per ventun' anni di seguito mi ha offerto leggi e deduzioni di special importanza e sì rimarchevoli, che io reputo non inutil cosa di occupar- mene e farne soggetto alla presente Memoria. Di qui anzi ho divisato di prender le mosse nel piìi vasto mio intendimento di raccogliere ed esaminare in ogni sua parte 1' intera serie delle meteorologiche osservazioni fatte in questa Specola R. per r accennato intervallo dei ventun' anni, sembrandomi di dover appunto incominciarne la discussione dall' osservata quan- tità della pioggia, come dal fenomeno che in certo qual modo è la conseguenza o il prodotto delle atmosferiche influenze e variazioni di peso, di temperatura, di umidità, di vapori, di venti che accadon continuo e si registrano quotidianamente a date ore fisse; perlocchè il dipartirsi dalle indagini della pioggia per proseguir a quelle degli altri fenomeni dell' atmosfera egli è come un risalire dagli effetti alle cagioni, ed è quindi con- Sa Intorno la quantità della pioggia ec. forme al più retto metodo di ragionare e conchiudere nelle fisiche investigazioni. Ma senza trattenerci oltre in preamboli entriam tosto nell' argomento che svolgerò , dividendolo per amor d' ordine, in alcuni paragrafi. Osservazioni della pioggia. 2. Il nostro pluviometro è un recipiente di grossa lastra di rame piegata in imbuto con larga bocca ed orlo armato di un forte cerchio di ferro per conservarne la figura e grandezza del diametro di metri 0,644 ^olla bocca stessa orizzontale e al cielo rivolta, comunicante per l'apice del cono all' ingiù con un tubo di rame che, attraversato il suolo della terrazza più alta dell'Os- servatorio, mette capo entro un serbatoio, pure di rame, che foggiato esternamente ad urna sorge sostenuto e adorna una parete nella stanza degli strumenti meridiani. All' aperto il vase medesimo è tenuto fisso di posizione per altro anello di ferro che sopra un trepiede lo cinge a mezzo il cono, e in cui per due occhielli sono intromessi due lunghi uncini, fermati cia- scuno alle sponde attigue della terrazza in un angolo di essa, e sormontando a queste la bocca del pluviometro, esposto così da ogni lato all'aria libera. L' interno recipiente dell'urna può contenere fin presso a metri cubici o,oao di acqua; laonde non mi è avvenuto che una volta sola, e dopo un diluvio di pioggia per un' intera notte, di trovarne soverchiato di piccola parte il serbato] o, quando mi recai la mattina per estrarla e misu- rarla. Da un foro nel fondo dell' urna, e aprendone a rubinetto r uscita, sgorga 1' acqua e vien misurata con vasi cilindrici di cristallo ne' quali sul vetro è incisa una scala o division lineare col-rispondente a pollici e frazioni cubici del piede francese; laonde convertitane la raccolta quantità in cubatura metrica e divisa per 1' area circolare del pluviometro se ne ha immedia- tamente l'altezza metrica della pioggia caduta. E da porre av- vertenza di non indugiar molto ad eseguir tale misurazione, specialmente in estate per la forte evaporazione che ne dissi- perebbe dal serbatojo una quantità sensibile, e convien altresì Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 53 usar diligenza in questa pratica operazione, però non fino allo scrupolo che tornerebbe inutile nelle ricerche di questo genere, per le quali è sufficiente un' approssimazione accurata delle quantità maggiori, compensandosi per avventura e in gran parte le minori che sfuggono inevitabilmente o si trascurano. Quindi pure alla necessaria fiducia delle osservazioni è indifferente che r osservatore sia qualunque, purché abbastanza istrutto ed esperto nella facile misura, non che sicuro e preciso nel farne annotazione sui registri meteorologici. Nella mia assenza tal- volta prolungata o per altro impedimento mio e degli Aggiunti, ebber cura di notar la pioggia colle altre indicazioni atmosferiche i giovani macchinisti della Specola da me all' uopo disposti ed esercitati previamente a nulla ommettere d'importante in cotal ufficio, ed io posso riposarne sopra l' esattezza e capacità loro. 3. Segnata così ogni volta la quantità della pioggia o neb- bia o neve liquefatta, si suol produrne semplicemente l'altezza della somma osservata e raccolta nei quadri o prospetti men- sili delle tavole meteorologiche, e tale altresì è il mio costume. Però prefiggendomi di esaminar più particolarmente questa se- rie di osservazioni e risultamenti mensili io comincio dal par- tirla in quattro annue sezioni che appello d' inverno, di pri- mavera, di estate e di autunno, componendo la prima dei mesi di Gennajo Febbrajo e Marzo, la seconda di Aprile Maggio e Giugno, la terza di Luglio Agosto e Settembre, la quarta di Ottobre Novembre e Decembre ; e ciò non tanto per inchiu- derle ne' termini di principio e fine dell' anno civile, quanto in riguardo alle stagioni propriamente dette cui, anziché dai giorni solstiziali ed equinoziali, può forse attribuirsi meglio il cominciamento cogli accennati mesi, come dai punti presso a poco delle minime massime e medie temperature dell'anno, ed anche se vuoisi per 1' una e 1' altra ragione insieme. Pre- messe le quali cose a chiara intelligenza, ecco le altezze os- servate dalla pioggia (i). (I) Le osservazioni e misure originali sono espresse e numerate in pollici e linee del piede francese , ma ho stimato bene di convertirle e recarle tutte nella numerazion metrica decimale. 54 Intorno la quantità della pioggia ec. I.'' SEZIONE, Inverno. Altezze della pioggia caduta nei mesi Anni di Somme orizzontali Gennajo Febbrajo Marzo i03o JuiUiiu. 78,68330 l52, II052 108,07656 338,87038 I 72,, gg86o 3, 18072 19,17454 95,35386 2, 44,3o448 68,91555 0, 00000 Il3,22003 3 6, 6og58 64, 26855 100, 79044 171,66857 4 27,92715 21,85898 12,67775 62,46388 5 36, 77001 25, 19 761 105,07646 167,04408 6 8,97820 102,41451 18,29477 129,68748 7 39,2o63i 60, 6i4i3 46,22192 146,04236 8 52, 65io5 118, a5o54 45, I 1657 ai6,oi8i6 9 24,31783 12,83566 80,26237 Il 7, 41 586 1840 ii,o3ioo 19,46780 43, 96609 74,46489 I 21,67852 59, 35o85 61,92249 142,95186 2, 82,69870 14,93359 9, 76774 107,40003 3 29, 16786 76, 22445 60, 34341 i65, 73572 4 3o, 29578 151,54645 36,40907 ai8,25i3o 5 106,98922 96,34417 90, 16546 293,49885 6 5, 78394 2,23327 69,49982 77,51703 7 56,23781 29, 89649 2, 24o38 88,37468 8 62,44134 28, 15274 64? i3320 154, 72728 9 7,46454 0,00000 39,80184 47,26638 i85o 54,63843 3,4^660 4, 78235 62,84738 Somme verticali 860,87365 mi, 223x8 1018, 72323 2990,82006 Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi II.'' SEZIONE, Primavera. 55 Altezze della pioggia, caduta nei mesi Anni di Somme orizzontali Aprile Maggio Giugno i83o 33,6344o 76, 337a5 86, 84940 196, 8aio5 I gi,cooi2, 117,61886 63, 37600 271,89498 2, 17,00895 34, 1081 a 49,8538i 100,97088 3 79,87887 29, 66408 47,64310 157, i86o5 4 a3, 77Ò43 a5, 10738 a3, 75388 72,63769 5 49,78613 137, a5ao3 106, 11412, aga, i5228 6 80, 578ao 109, 70095 4i,7ioa7 a3i,9894a 7 69, 38928 77, 7584a ai, 49808 168,64578 8 66, o73a3 41,59748 16,80594 ia4, 47665 9 83, 60100 i37, 357a8 6,97o5i 337,92879 i84o ia6, 8ooia 74,91607 35,46i6a 237, 17781 I 43, i 7655 35,01046 118, aa79a 196,4493 a 78, 36749 ia3, i4565 81, 88656 383,39970 3 30,83718 4a, 90585 99, 5o46a 173,34765 4 0, aa558 109,40765 85, i575a 194.7907-5 5 67,57785 88, 67436 107,68194 263, 9 341 5 6 7i,9925a 66, 77a5a 15,69831 154,46335 7 46,97085 55,57911 76, i95ia 178,74508 8 18, 64667 106, a9458 17, 8o3oo 42, 74425 9 74, 94089 78, a 1409 6a, i5a6o ai5, 30758 i85o aoi, 5o4io 108, 3o46o 181,69346 491, 5oai6 Somme Tenicali 1355,76641 i674,7a679 1345,93774 437643094 56 Intorno la quantità della pioggia ec. IH." SEZIONE, Eslate. Anni Altezze della pioggia caduta nei mesi di Somme orizzontali Luglio Agosto Settembre i83o I a 3 4 5 6 7 ■ 8 9 1840 I 2 3 4 5 6 7 8 9 i85o millim. 33,79232 35, 10071 14,39219 217, i235o 5o,553i2 19,71593 13,76054 68,71253 72, 29930 9, 70006 aa, 69364 la, 7aa87 40,28910 io3, 88088 54, II 733 40, 08607 29,61451 60,46748 48,74846 11,27914 72, oo38o 4, 96282 69, 27649 8, 84285 39,45445 55,98966 115,04716 30,58904 37,85281 64, 20089 99, 3oi57 42, 04865 92, i5o6a 6i,56i56 41, 2.5910 5,91027 5i, 7o586 172, 14227 44, 74210 6, 17871 7,96308 62, 73009 34, 26604 51,38777 100, 36178 371,85077 0, 3i58a 59, 19293 71,48720 14,52753 120,34830 57,38828 86, i95ao a6, 55iii aa4, 7o3o5 42, 70283 43,26679 117,65500 32,86742 44,o6535 78,56374 141,87575 38,88598 73,02118 155,76497 ia3, 59683 628,42872 io6,8586o ig3, 95602 115,83678 lai, 09287 a56, 84849 166,38991 150,93749 131,42460 3a6, 55371 187,84281 103,29439 209, 44693 a34, 6a4ao 149,37493 133^49^9' 161,11797 173,61987 Somme verticali io3i, 05348 iii3, 91005 17.58,45874 3903,4^337 Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi IV." SEZIONE, Autunno. 57 Anni Altezze della pioggia caduta nei mesi di Somme orizzontali Ottobre Novembre Decembre i83o I 2 3 4 5 6 7 8 9 1840 I 2 3 4 5 6 7 8 9 i85o tuillìm. 1 7, 64o58 3i,o853i 42, 38702 30,88229 0, 15791 76,56280 47,32729 23,05457 37,98815 ^25, 35731 18, 11430 I04, 3og5o 20,00920 37,98815 98, 19622 44,49170 248, 29474 50,85991 119, i6632 48,50934 178,98417 94, 58690 10,55728 39,02584 106, 70067 57,56875 68, 87045 60, i4o38 34, 19836 105,57277 245, 84023 14, 59521 11,39193 Il 5, 06965 68,75766 96,21 109 86, 3o8oo 68,62682 81,86402 92,82960 70,02770 49,11841 19, 10686 21,74619 185,69983 14,95614 0, I 1279 15,97127 29, 16786 83, 35286 60, 54643 193,36962 53, 39547 71, 73535 7,87284 3,29351 1 14, 39303 18, 166 19 114, 5481 108, o54o5 9,17446 108,50985 54,08575 131,33434 63,388781 267, 1 1269 ' 152,53910 57,83945 161,40452 136,63553 140,60579 204, 10735 664,56716 86,10498 187,43678 142,951691 110,03932 3o8, 80034 148,96589 431,43637 240, 77798 221, 17038 227, 04689 282, i8833 Somme verticali i5oi, 36678 1577,86172 1287,22516 4366,45366 Tomo XXV. P." IL'' H 58 Intorno la quantità della pioggia ec. 4. Qui abbiamo la pioggia separata e distinta per mesi e stagioni, e 1' abbiamo presentata in questo modo per alcuni semplici e curiosi rapporti che ne vedremo appalesarsi. Cumu- lati fra loro per ciascun anno dell' intervallo i numeri dell' ul- tima colonna, ossia delle somme orizzontali, se ne ha le quan- tità rispettive dell'annuale pioggia caduta e sono esse le seguenti Altezze Altezze Anni dell'annua pioggia Anni dell'annua pioggia millìm. millim. i83o 740, 04695 1841 658,22817 I 586,402.59 2 860, 3o5i3 a 604? 90042. 3 636,8655o 3 1 109,82.244 4 825,13678 4 299, 79962 5 915,84582 5 814,55690 6 898, 04095 6 6x4, 149^1 7 657, 17267 7 576,38680 8 652, 13282 8 8oi,45o65 9 65o, 73882 9 1176,30172 i85c loio, 15774 1840 548,68517 Raccogliamo alcune conseguenze dalla semplice ispezione dei riferiti prospetti. Per l' intero corso dei ventun' anni 1' altezza della pioggia caduta nel nostro suolo, comprese la nebbia e la neve sciolta, è stata di metri 15,63712587. Se tale quantità, per un supposto, fosse caduta in un tratto essa ne avrebbe inondato la terra fino all' altezza ordinaria dei nostri tetti ; o in altri termini, se le successive pioggie rimanessero dove ca- dono senza disperdersi, dovrebbero passare ventun' anni prima che la piena delle acque raggiungesse l' altezza delle nostre abitazioni. Rileviamo ancora che il decennio dal i83o al 1839 Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi Sg ci ha somministrato 1' altezza della pioggia di metri 7, 3o3a e il successivo dal 1840 al 1849 ci ha dato la simile quantità di metri 7, 3a38, colla piccola differenza di ao millimetri in au- mento dal primo al secondo; laonde potrebbe credersi che la pioggia di un decennio sia prossimamente costante ; ma non precipitiamo le deduzioni sopra i medj della pioggia, de' quali ci occuperemo fra poco. 5. Sebbene di non molti anni, l'intervallo delle nostre os- servazioni ha offerto in riguardo alla pioggia la piìx grande varietà e tutte a cosi dire le gradazioni de' fenomeni, o delle meteore acquose. L' anno piìi asciutto o di minima pioggia è stato il 1834, seguendo esso immediatamente ad un anno pio- vosissimo quai fu il i833; e parimente al iSSg, anno della massima pioggia, seguiva il 1840 che fu il secondo della serie nella scarsezza della pioggia caduta ; e così vediamo qui pure che gli estremi si toccano, qualunque ne sia la cagione che ora non ricerchiamo. Anche nelle singole stagioni, come le ab- biamo distinte, riscontriamo i massimi e i minimi assai diffie- renti fra loro nelle quantità della pioggia indicate dalle somme orizzontali dei pi-ecedenti prospetti. Ma è cosa rimarchevole che questi massimi e minimi della pioggia di una stagione, o di un trimestre, non coincidono sempre coi massimi e minimi della simile quantità di uno stesso anno. In riguardo per esem- pio al minimo annuo del i834 troviamo bensì presso al minimo la pioggia di ciascuna delle quattro stagioni di tal anno; ma non è a dir altrettanto dell' anno 1840, asciutto anzi che nò complessivamente e nelle stagioni dell' inverno estate ed au- tunno, mentre all' opposto la primavera ne fu copiosa di piog- gia nell'Aprile. E al massimo annuo del 1839 corrispose bensì quello dell'autunno, ma non quello dell'estate di detto anno; laddove per converso al quasi massimo annuo del i833 cor- rispose la massima pioggia dell' estate, mentre in quell' anno la pioggia dell'autunno fu assai discreta. Ciò vuol dire che di raro le stagioni fra noi si succedono con costanza di tempo inchinevole o no alla pioggia, e che piuttosto rispetto a questa 6Ó Intorno la quantità della piogoia ec. specie di fenomeni le stagioni successive tendono sopra di noi ad alternarsi e compensarsi a vicenda. E quanto abbiam rimar- cato delle stagioni relativamente all' intero anno rilevasi pure dei mesi componenti una stagione medesima, e vale a dire che raramente il tempo si mantiene per noi alla pioggia o al secco durante un' intera stagione, sembrando piuttosto eccezioni che nella primavera del i834 scarseggiasse la pioggia per li tre mesi continui di Aprile Maggio e Giugno e eh' essa per con- trario abbondasse di continuo ne' tre mesi autunnali del i83g. 6. Nella quantità misurata della pioggia è da notar ezian- dio un'altro carattere o elemento che si riferisce alla durazion del fenomeno, ed è la maggiore o minore grossezza delle goc- cie acquose e la spessezza pur maggiore o minore delle mede- sime, presentandosi in fatto a tale riguardo tutte le variazioni, dalla pioggia di rare o fitte stille minutissime a quella di am- pie goccio anch' esse rare o fitte assai, e risultandone la di- versa copia della meteoi-a, dal tenue spruzzo di sottil nebbia o nuvola transitoria all'enorme scroscio e diluvio delle cumulate nubi temporalesche. Quindi avviene talvolta che in meno di un' ora o poco più cade tanta pioggia da superarne la media di un mese, e in un mese può raccogliersi la pioggia che avanzi quella di una stagione e ben anche di un anno. Cosi piovendo continuo e dirottamente nei giorni a8, ag e 3o Set- tembre dell'anno i833, dal nostro pluviometro ne furon estratti millimetri 72, 71 di altezza, ed essendo stato quel mese anche innanzi rotto al pessimo tempo sen ebbe il massimo della piog- gia mensile che supera circa di un quarto il minimo annuo del seguente i834. Sono memorabili i gonfiamenti e straripa- menti che ne seguirono de' nostri fiumi e canali, le rotture degli argini, e le protratte inondazioni di valli e pianure alla destra del Po, allagando per ogni dove e rigurgitando la piena delle acque. Altrettanto e assai peggio ne' disastrosi effetti è accaduto di recente per le incessanti pioggie strabocchevoli e le impetuose fiumane di Adige e Piave che lagrimevolmente hanno desolato una vasta parte del Veneto e del Friulano Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi Gì territorio. Un esempio di pioggia fortemente per cosi dir ad- densata e copiosissima, quantunque caduta in bi-eve tempo, avvenne per noi la notte del j5 al 1 6 Ottobre 1889, avendone io raccolto la mattina appresso millimetri 70,68 di altezza, ed essendone stata appunto quella volta soperchiata 1' urna di serbatojo del pluviometro per piccola quantità che ne andò dispersa. E ripetevasi pure questo caso dopo altro simile di densa pioggia temporalesca, mista a grandine, avvenuto nelle ore pomeridiane del 2,8 Agosto 1889, e uscendone dal pluvio- metro per r altezza di millimetri 78, 99. Pertanto mette qui bene il riflettere a due cose : la prima che simili rovesci di pioggia non cadono a un tempo sopra tutte e neppur sopra molte e remote parti della superficie terracquea, accadendo anzi di ordinario che mentre in una di esse imperversan osti- natamente le nubi, domina in altra un' ostinata siccità, e ne abbiam pur il caso recente dell' Italia inondata, simultaneamente alle inaridite terre della Turchia : e la seconda che i detti parziali diluvj di pioggie stemperate non avvengono pe' nostri climi generalmente che nell' estate o nell' autunno. Il qual duplice riflesso ci sarà utile in seguito di richiamare. 7. Quanto si è detto poc' anzi della pioggia estiva o au- tunnale, che cioè se ne osserva presso di noi ogni gradazione di copia, ha luogo ancora in riguardo alla neve durante 1' in- verno e in sul finir dell' autunno. Volge talora per noi la ri- gida stagione, comecché non di frequente, scarsissima di neve, e rarissimo poi è il caso di un inverno, come quello del ca- dente i85i, in cui mancò affatto la neve e quasi totalmente il ghiaccio nelle nostre pianure. Per Io contrario in altri anni del breve corso preso in disamina 1' inverno ci apportò una smisurata copia di neve, e ne ricordiam tuttora quella che per 36 ore continue, a larghe falde, spessa e aggirata da furiosa bufera di tramontana cadeva ne' giorni ^9, 80 e 3i Gennajo del 184^ ricoprendo il suolo all'altezza di metri 0,9.50; e l'altra che dall' 8 al i3 Decembre del 1844 non cessò di fioc- care, non meno fitta ma in minuti aghi e stellette cristallizzate, óa Intorno la quantità della pioggia ec. aggiungendo nel suolo l'altezza massima di metri o, 596. Copia sì esorbitante di neve nell' un caso e nell' altro che, non ba- stando i numerosi nostri canali sotterranei a sgombrarne le vie e alleggerirne i tetti delle case urbane, costrinse a praticarne alte spallate e aprirne angusti sentieri nella Città, come per alcun tempo ne furono impedite o ritardate le comunicazioni esterne coi paesi e le campagne. Per vero dire allorché la neve è così eccessiva, il nostro pluviometro non può darne con esattezza le indicazioni e misure nella quantità dell'acqua disciolta, perocché riempitosi dalla neve cadente il vano dell' imbuto esteriore e formatovi sopra il colmo che può regger- visi a notabile altezza, il vento che spira libero da ogni parte ne va disperdendo un qualche strato soffice e lieve. Contutto- ciò la parte dispersa non è poi molta per la profondità e lar- ghezza dell' imbuto stesso, e avendo cura di non toccare alla neve depostavi, premutavisi e assodata, finché tutta, inferior- mente gocciolando, non sia uscesa ed estratta dall'urna, io ne raccolsi quantità considerevoli di acqua, e ne ho fiducia che l'approssimazione alla neve caduta sia stata quanto è pos- sibile conseguita. Ordinariamente però e nel maggior numero degli anni della nostra serie la neve é stata discreta, comecché ripetutasi parecchie volte nello stesso inverno, sicché non co- prendosene ogni volta la terra di alti strati non fu necessario di misurarne 1' acqua disciolta con particolari diligenze e cau- tele. E qui facciam pure due riflessioni d' importanza e sono : r una che fioccando per un intero giorno e fitta la neve , r acqua liquida cui essa riducesi non risulta per avventura tanta, quanta ne versa di sovente in meno di un' ora un tem- porale estivo : r altra che la nevicata invernale è omogenea ed estendesi ad un tratto di paese molto piìi ampio di quello in cui si rovescia l' estivo acquazzone, sembrando per tal modo essere in ambi i casi la densità della meteora acquosa in ra- gione inversa della sua estension orizzontale. 8. In mezzo a sì varia e complicata combinazione di fe- nomeni e circostanze risguardanti la pioggia riuscirebbe assai Del Sic. Pkof. Giuseppe Bianchi 63 malagevole e incerto il riconoscerne e dedurne alcuna legge costante o periodica ; ma ciò finché si considerano soltanto le singole e disgiunte risultanze o misure della pioggia caduta, nelle quali troppo grandi e irregolari o a salti si manifestano le differenze. A procedere con vantaggio in siffatte indagini è mestieri aggruppar convenientemente le quantità osservate, e considerarne i valori medj in eguali tempi successivi. Passiamo a trattenercene sotto questo altro punto di veduta. S- "• Medj della pioggia osservata. 9. Preveniamo una obbjezìone e risolviamola. Si dirà che i semplici medj aritmetici delle pioggie mensili e annue misu- rate nulla significano, a cagione appunto delle troppo foi'ti ine- guaglianze nei singoli valori di queste, e che richiederebbesi un numero di mesi e d' anni assai grande per aver in quelli una probabilità ben fondata che rappresentano una legge o un fenomeno costante della natura. Così ad esempio 1' esorbi- tanza delle pioggie nel Settembre del i833 non può non in- fluire ad alterar notabilmente dal valor più probabile il medio di tal mese della nostra piccola serie in confronto a quello de- gli altri mesi ; e quel che dicesi della influenza de' singoli va- lori in eccesso, ossia de' massimi della pioggia, è pur vero in opposto senso pei valori in difetto, ossia pe' minimi di essa. Rispondiamo primamente all'obietto che, se nell'intervallo e corso delle nostre osservazioni siano accadute per ciascun mese, come sembra, tutte le variazioni della quantità della pioggia, il medio mensile rappresenterà in tal supposto adeguatamente la distribuzion uniforme della pioggia propizia e spettante al rispettivo mese. E già vediam per esempio che la stemperata pioggia nel Settembre del i833 si compensò colla minima e quasi nulla dello stesso mese nel susseguente anno 1834. Que- sto dolce mese dei frutti e della vendemmia, e che invita col mite Sole e coli' aere intiepidito a godere i diletti della cain- 64 Intorno la quantità della pioggia ec. paglia, come di raro scorre totalmente sereno ed asciutto, così pur di raro fortunatamente imperversa con pioggia dirotta e diuturna ; ma se il medio della pioggia per oltre a vent' anni ce lo indicherà fra i mesi come il più abbondante di essa, ciò non è senza una manifesta e naturai cagione che addurremo. In secondo luogo il miglior criterio di fisica probabilità favore- vole, o di rapida approssimazione alla realtà de' naturali risul- tamenti nei medj valori di cui trattiamo emergerà dal trovarne successivamente scemate le differenze dall' uno all' altro medio, analoghi e per egual tempo, di mano in mano che aumenti la durazion di ciascuno, o che si compongan e paragonin fra loro i medj dei medj; poiché ciò non potrebb' essere effetto di for- tuite combinazioni, né di compensamenti di massimi e minimi in confronti moltiplicati. E infine se dai valori e rapporti dei medj ottenuti si rilevi una conformità con leggi d' altronde note o con alcun procedimento verosimile della natura , ciò darà prova o conferma, benché a posteriori e dal fatto, della realtà e sussistenza de' medj stessi e della loro significazione. Però è sempre da tener presente che quanto ne ragioneremo si riferisce, non alle immediate osservazioni e misure della pioggia, bensì ad una combinazione di esse, quali sono i medj, che indicano un fenomeno acquoso più ampio e generale nel dato luogo terrestre. IO. Dividendo per ai ciascuna delle somme verticali nei quattro precedenti quadri della pioggia osservata, ne ricaviamo per primi i medj di ciascun mese dell' anno. E ordinandone la serie dai risultamenti maggioi'i ai minori, affine di scorgerne tosto le relazioni e le conseguenze, consideriamoli nella tavo- letta che qui espongo. Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 65 Mesi Medj mensili della pioggia Differenze Settembre Maggio Novembre Ottobre Aprile Giugno Decembre Agosto Febbrajo Luglio Marzo Gennajo mìllim. 83,736 79,273 75, i36 71^494 64, 56o 64, oga 61, 296 53,043 5a,9i5 49, 098 48,5ii 40, 994 millìm. 4,463 4,137 3,64a 6,934 0,468 a, 796 8,a53 e, ia8 3,817 0,587 7,5x7 Apparisce pertanto di qui alla semplice ispezione o per dedu- zione agevole : i.° Che le differenze di questa progressione dei medj men- sili della pioggia sono tenui e distribuite con una certa uni- formità entro stretti limiti : a.° Che nel medio della pioggia pressocchè si eguagliano r Agosto e il Febbrajo, 1' Aprile e il Giugno, il Luglio e il Marzo; nel mentre che si differenziano principalmente il De- cembre e l'Agosto, il Marzo e il Gennajo, l'Ottobre e l'Aprile: 3." Che il Settembre è il mese del medio massimo della pioggia, e il Gennajo è quello del medio minimo, colla nota- bile differenza dall'uno all'altro di millimetri 4^,742: 4.° Che la somma de' medj più forti, ossia de' primi sei mesi della tabella, porgendo millim. 438, agi e la somma de' più deboli, ossia degli ultimi sei, millim. 3o5, 857 ne viene la Tomo XXV. PJ' IL' I 66 Intorno la quantità della pioggia ec. differenza dal semestre primo al secondo di millim. i Sa, 434? quantità non lieve né da trascurarsi : 5.° Che per contrario si ha una quasi perfetta eguaglianza fra la somma dei medj della pioggia di Febbrajo, Marzo, Aprile, Maggio e Giugno unitamente col Decembre, e quella dei medj di Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre e Novembre unitamente col Gennajo. Perocché la prima somministra millim. 871, ia3 e la seconda millim. 878, 5oi, colla tenue differenza dall' una all' altra di millimetri a, 878 che può ritenersi anche minore a eguaglianza di tempo, atteso che il secondo semestre nomi- nato supera di tre giorni il primo nell' anno comune : 6.° Che la metà o il semestre primo dell'anno, di giorni 181, a5, ha il medio della pioggia di millim. 35o, 8ai; laddove quello della seconda metà, di giorni 184, Io ha di millim. 898,808: quindi la differenza in aumento da quello a questo di millim. 42., gSa che non è grande quantità, ma neppur piccola. Quindi anche in complesso le due stagioni dell' inverno e della pri- mavera ci si dimostran piovose maggiormente che I' estate e r autunno. Tutti questi sono fatti e rapporti delle quantità medie men- sili della pioggia che ci sembran abbastanza precisi e ben fon- dati , com' essi derivano immediatamente dall' osservazion e misura de' fenomeni relativi. II. Consideriamo nella nostra serie i medj delle quattro stagioni, che ottengonsi dividendo per 21 le somme verticali dell' ultima colonna dei quadri presentati, sotto il titolo di somme orizzontali. Sono essi millim. quello dell' inverno . . = 142, 4^000 della primavera = 208,40147 dell'estate . . . = 185,87725 dell'autunno. . = 207,92686. È manifesto a colpo d' occhio in questi numeri che delle quat- tro stagioni dell' anno per noi l' inverno è quella della minima pioggia, le due della primavera e dell' autunno sono eguali fra Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 67 loro e ciascuna di pioggia massima, e 1' estate nella pioggia è molto prossimamente media aritmetica fra quella e ciascuna di queste. Rileviamo ancora che si ha l' espressione semplicissima del rapporto geometrico fra il medio massimo e il minimo della pioggia nelle stagioni annue dalla proporzione assai pros- sima al vero pioggia in primavera o autunno: pioggia in inverno = 3: a. E conseguentemente la pioggia nelle quattro stagioni succes- sive dell' anno si esprime con tutta semplicità dai numeri a, 3, ai, 3. In breve troveremo essere per noi il medio dell'annua pioggia di millim. 744' ^7^7'- ^^ poniamo questa = i, e riferiamo ad essa i precedenti medj delle stagioni, esprimeremo in altro modo questi ultimi ed avremo media pioggia dell' inverno . . = 0,19126 della primavera := o, 37987 dell' estate . . . =: o, 24963 dell'autunno. . = 0,27924 Sommano ... i, 00000. 12. Ma perchè viemmeglio si riconosca il fondamento sul quale riposano gli ottenuti valori e rapporti delle quantità me- die della pioggia e se ne vegga il grado di fiducia per am- metterli, formiamone i medj delle stagioni per ogni triennio consecutivamente. Risultan essi dalle somme oiùzzontali scritte nei prospetti delle osservazioni e sono i seguenti 68 Intorno la quantità della pioggia ec. Medi triennali DELLA PIOGGIA Trienni in Inverno Primavera Estate Autunno millim. millim. millim. millim. I. i8a,48i4a 187,89564 117,46099 153,94527 2,. i33, 7a55i 173,99201 309, 74778 123,94436 3. i63,gi6oo 175,03728 164,59271 160,449^6 4- 111,61087 2,20,50718 149,58400 3 12, 70297 5. i63, 79568 217,21270 205,89697 187,26378 6. i53, i3oi9 199,04753 197, 78202 273,72675 7- 88,a8o35 283,18466 156,07625 243,46853 Confi-ontiamo per ciascuna stagione gli estremi, ossia i massimi e minimi delle osservazioni e misure immediate coi massimi e minimi dei loro medj triennali, prendendo le differenze di quelli e di questi, ed avremo Differenze dei primi. lillim. per l'inverno. . 291,60400 la primavera 418,8644? r estate . . . 555, 40754 l'autunno. . 606,72771 Differenze dei secondi. millim. 94,20107 109, 19265 192,28679 188,75861. È singolare e da notarsi che questi due ordini di differenze nella pioggia delle stagioni ci offrono pressocchè un comune andamento di successiva grandezza e di rapporto, scemando circa di i le triennali dalle differenze semplici. Potrebbe infe- rirsene che, mantenendosi tale regolarità, le differenze dei si- mili medj ne' successivi periodi, di ai anni ciascuno, della pioggia non oscilleranno dal massimo al minimo che dai io ai 20 millimetri, e richiedersi perciò un corso di io5 anni, o di Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 69 un secolo almeno di osservazioni, a stabilire il medio probabile nel limite di a a 4 millimetri. Ma il corso a cui necessaria- mente per ora dobbiam restringerci, sarà poi sempre il punto di partenza o il fondamento delle indagini, e il medio per ogni stagione che ne abbiam ottenuto potrebbe avvicinarsi più al medio che agli estremi del periodo secolare, e quindi al vero medio della pioggia di stagione; oltre di che esso è conforme ad una cagione costante o legge della natura, come or ora vedremo. i3. Prendiamo infine i medj triennali anche dell'annua pioggia che riportammo di sopra e sono Trienni Medj dell'annua pioggia millìm. I. 643, 7833a a. 741,39299 3. 663,99556 4- 794,4o5ca 5. 774,10247 6. 8a3, 68648 7- 771,00979 medio totale 'j^^,b'j2,'^i. L' approssimazione al vero medio annuo dev' essere qui mag- giore che per le stagioni singole, compensandosi in parte nell' intero anno le variazioni o differenze delle quattro stagioni del medesimo relative alla pioggia. Infatti abbiamo nella nostra serie pei singoli anni la differenza fra gli estremi, ossia mas- simi e minimi della pioggia 876""", 5oaio e la simile differenza dei medj triennali i79'"'",9o3i6, circa i della precedente. ^o Intorno la quantità della pioggia ec. Quindi basteranno per avventura quattro periodi successivi, di ventun' anni ciascuno d' osservazioni a dedurne il medio dell' annua pioggia che oscilli entro pochi millimetri fra il massimo e il minimo rispettivo. Ma il medio stesso anche di un solo periodo, qual è il nostro, appunto per esser medio, e non estremo, di sette medj triennali deve già esser molto prossimo al vero medio e più probabile ricercato. Nella mia Memoria sopra lo strano inverno del i845 ( Soc. It. Tom. XXIII. Parte matematica, pag. 35i ) io avvertiva la rapidità dell' approssi- mazione de' medj triennali della pioggia al valor pivi costante, e credeva sufficientemente stabilito quello che risulta dai primi cinque triennj ora nuovamente discussi. Esso però è notabil- mente minore del poc' anzi ottenuto, e che assolutamente mi sembra da preferire per ragioni, cui non posi mente altra volta, e in seguito suggeritemi dal meditar piìi di proposito sul fe- nomeno della pioggia dipendentemente dalle più estese e grandi cagioni che lo producono. Veniam quindi a discorrere di tali cagioni nel seguente. §. III. Cagioni della pioggia in generale. i4- Nulla di più ovvio e comune e di più facile a spie- garsi della pioggia. Una nube che nuota vagante per 1' aere componendosi semplicemente, com' è stato riconosciuto per os- servazioni microscopiche da Saussure ed altri, di vapor acquoso vescicolare, ossia di vescichette sferiche e specificamente men gravi dell' aria, questa nube, per una cagione qualunque che ne abbassi fortemente la temperatura, dallo stato di fluido ela- stico farà passaggio a quello di liquido, e anche di solido, e acquistandone peso specifico maggiore di quello dell' aria, ca- drà distillata in goccie, o in fiocchi e particelle di neve, o in duri ghiacci più o men grossi di grandine. La nuvola che per tal modo è resa alla terra, erasi innanzi da questa sollevata nell' evaporazione continua e più o meno abbondante che av- viene alla superfìcie dei mari, dei laghi, de' fiumi, degli stagni, Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 71 delle paludi per effetto interno del calorico delle masse liquide o de' molli terreni, e per l'esterno dei raggi solari; cosicché r evajjorazione e la pioggia costituiscono una circolazione pe- renne dell' acqua, raccolta e sparsa in tanta copia sul nostro globo, fra questo e 1' atmosfera. Però in una tale circolazione la quantità determinata della pioggia che cade in un tempo dato sopra un dato luogo della superficie terrestre dipende da un intreccio si complicato di tante e si mutabili cagioni e cir- costanze, che il formularla e presagirla nella successione dei tempi ad ogni evento che vi si rapporti è opera vana ed im- possibile. CionuUameno distinguendo rispetto alla pioggia gli eventi singoli o particolari dai complessivi o generali, come questi ultimi all' osservazione e misura de' fenomeni manifestino una regolarità qualunque e una tendenza a costanti risulta- menti, egli è chiaro indicarsi da essi una legge o cagione pur costante della natura, donde procedono, e cui non sarà mala- gevole di scuoprire ed assegnare. Questo è appunto ciò che deve dirsi dei medj osservati della pioggia, i quali coli* accu- mularsi dei tempi e dei parziali fenomeni accaduti e misurati scemando progressivamente nelle differenze loro accennano ad un medio finale periodico ed invariabile per un dato luogo terrestre. Di conseguenza il medio costante, o di poco varia- bile, della pioggia dovrà essere considerato come un fenomeno cosmico e prodotto da una cagione o forza che agisca in grande con regolarità e generalmente. Or quale sarà questa natuiale cagione ? i5. Primieramente è da riflettere all' origine della pioggia nella sua quasi totalità dall' evaporazione continua del mare , il quale in superficie, com' è noto, estendesi ai | di quella dell' intero globo, e in confronto al quale è da ritener pres- socchè nulla e trascurabile l'evaporazione dell'altre parti acquose o molli disseminate nei continenti e nelle isole. In riguardo all' evaporazione marina, ommesso pertanto di considerar la parte o quantità ignota e verosimilmente costante che ne è dovuta all' interno calorico degli oceani, la parte di essa più 73 Intorno la quantità della pioggia ec. copiosa e variabile deriva senza dubbio dal riscaldamento del Sole che, vario sopra ciascun punto del mare a norma della differente inclinazione e del più o men lungo corso diurno del Sole stesso, ne solleva una rispondente quantità di vapor acqueo puro, cadendone al passaggio dallo stato liquido all' aeriforme il sai marino discioltovi. E questo vapore, vieppiù investito dalla forza riscaldante dei raggi solari, se ne dilata, prende aspetto di vapor vescicolare, sale a grandi altezze nell' atmo- sfei"a, vi si diffonde e spesso, assottigliato e leggiero qual è, penetra e si distribuisce negli interstizj dell' aria in guisa di non lasciarne menomamente intorbidata la sua diafaneità e limpidezza. Non rade volte infatti mi è occorso di osservare una nuvola distaccata, immobile e anche di qualche volume sciogliersi poco a poco e disparir interamente, restandone il luogo del Cielo affatto sereno, e senza il minimo vestigio di essa. Se dunque 1' evaporazion del mare dovuta all' azion ca- lorifica dei raggi solari è la cagion primitiva e pressocchè to- tale della pioggia, si concepisce di leggieri che risultando quella molto più copiosa in estate che in inverno e nelle stagioni temperate, questa pure, al raffreddarsi nelle regioni atmosferi- che il vapor acquoso, dovrà cadere e raccogliersi in un dato luogo e per lo stesso tempo in copia, maggiore assai al declinar dell' estiva e al cominciar della stagione autunnale che non durante l' inverno ; il che abbiam veduto avverarsi di fatto nelle quantità misurate. Una parte nondimeno dei vapori estivi che per eccessiva rarefazione sollevasi alle regioni aeree supe- riori e più fredde non ne discende verosimilmente che più tardi, e sembra esser destinata a fissarsi o a crescere gli eterni ghiacci e le nevi delle alpestri sommità e giogaje; mentre poi le generali nevicate dell' inverno che ricopron valli pianure e i monti meno sublimi procedon massimamente dall' evapora- zione del mare, meno abbondante sì, ma innalzata pur meno, e che raffreddasi nelle basse regioni atmosferiche allo spirare di certi venti. Del Sic. Pkof. Giuseppe Bianchi ^3 i6. Ma se la quantità della pioggia unicamente provenisse dall' azion riscaldante del Sole alla superfìcie del mare, com- binata con una costante legge, uniforme e continua, nella dif- fusion de' vapori per l'atmosfera, ne seguirebbe che il medio annuo di essa non cangierebbe col tempo di valore, e ripete- rebbesi ogni anno al compiersi i' apparente giro del Sole su l'ecclittica. Ciò non accade, e anzi ne' singoli anni le osserva- zioni ci lian fatto conoscere enormi discordanze de' corrispon- denti valori della pioggia. Dunque è forza conchiudere che il medio costante di un certo numero d' anni avrà la sua ragion fisica da un'altra cagione che, insieme alla calorifica dei raggi solari, svolgasi e ritorni periodicamente con quel dato numero d'anni. Questa novella cagione, da cui derivino i moti più re- golari dell' atmosfera, ossia i venti più periodici e conseguente- mente, col trasporto e raffreddamento de' vapori acquei, la ca- duta della pioggia in un luogo determinato, altro non potrebbe essere che 1' azion attrattiva del Sole e della Luna , da cui deve nascere, comecché non ben conosciuto finora né misurato col barometro in riguardo alla Luna, un fenomeno di flusso e reflusso atmosferico somigliante a quello del mare. E già che la posizion della Luna relativamente al Sole abbia un'influenza notevole e indubitata nei fenomeni della pioggia e nei così detti cangiamenti del tempo, dal buono e sereno al cattivo fosco e inclemente, ce ne persuade una quotidiana esperienza che quasi mai non fallisce ; ed è che il tempo, buono o cat- tivo, si mantiene per alcun giorno di seguito dallo stato o cambiamento avvenutone alcune ore innanzi che abbia luogo una fase lunare qualunque, sia di sizigia o di quadratura. Senza essere ciecamente partigiani e propugnatori del Saros a ragione obbliato o di altri cicli meteorologici arbitrar], dobbiam am- mettere tuttavia, come fatto innegabile e incessante, questa coincidenza delle fasi lunari colle mutazioni dello stato meteo- rologico ; e non è poi fuor di verosimiglianza che ciò accada per r azion attrattiva combinata della Luna e del Sole, mentre le grandi correnti atmosferiche ossia i venti, che principalmente Tomo XXV. P.'^ IL" J "74 Intorno la quantità della piogoia ec. giuocano nella produzione delle meteore acquose, posson aver origine in molta parte e regolarmente dall' indicata cagione. Sotto questo riguardo il medio costante della pioggia per un dato luogo terrestre e in un dato numero d' anni è dunque da considerarsi come un fenomeno luni- solare, ed esso deve ot- tenersi appunto con bastevole approssimazione pel nostro pe- riodo dei ai anni che formasi quasi esattamente da a6o rivo- luzioni sinodiche della Luna, ciascuna com' è noto di giorni ag ^ circa. Spiegasi ora come l'approssimazione dei medj trien- nali al medio annuo costante risulti e si palesi rapida, forman- dosi in tre anni una rivoluzion lunare sinodica dal cumulo de- gli undici giorni che avanzano ogni anno al numero intero di siffatte rivoluzioni; e tuttavia nel triennio conservandosi un resto di 3 giorni e mezzo 1' approssimazione stessa ne vien li- mitata, e le diflFerenze dei medj triennali della pioggia sem- brano dimostrarlo. Spiegasi ancora come i medj mensili dei ai anni siansi accordati fra loro, differendo progressivamente dal Settembre al Gennajo di piccola quantità che ascende fra gli estremi a soli 42'""", 7 : laddove fra gli estremi de' medj trien- nali abbiam trovato la differenza di 1 79'™", 9 ; e la ragion è che il periodo mensile avvicinasi di per sé ad una rivoluzion della Luna più che il triennale. Io concepisco pertanto il fe- nomeno del medio costante della pioggia prodotto per l'ordine seguente di naturali cagioni: i.° esso deriva principalmente in origine dall' evaporazion del mare, la cui quantità o massa in- nalzata nell'atmosfera proporzionatamente alla totale superfìcie degli oceani, ogni anno dev' essere presso a poco la medesima rinnovandosene la stessa cagione della forza riscaldante al com- piersi r annuo giro apparente del Sole : a." questa massa del vapor acqueo, variamente rarefatto nelle stagioni dell' anno sol- levasi spandesi e galleggia idrostaticamente a differenti altezze neir atmosfera, e trasportasi e discende in pioggia o in neve o in ghiaccio per forza e temperatura di grandi correnti aeree, ossia di venti: 3.° questi venti, sebben in parte e irregolar- mente prodotti per disequilibrj e moti elettrici o per altri agenti Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 76 fisici, sono però nella massima estensione e continuità l'effetto dell' azion attrattiva combinata della Luna e del Sole sullo sferoide atmosferico della terra, risultandone in questo un moto intestino somigliante alle maree: 4-" al compiersi perciò di un numero intei'O d' anni e insieme di rivoluzioni sinodiche della Luna la quantità della pioggia caduta in quel periodo sopra un dato luogo terrestre, qual effetto di costanti cagioni, essa pure avrà un valore prossimamente costante. 17. Ho detto prossimamente, poiché alle indicate cagioni periodiche e regolari per determinare la quantità della pioggia unendosi altre, né poche né piccole, influenze che avvolgon e cuopron le prime, a liberar l' effetto di quelle dalle seconde per una compensazione o distruzion di queste fra loro, un solo periodo di ai anni per semplice probabilità è insufficiente ; laonde io avvertiva poc'anzi che almeno quattro o cinque pe- riodi all' uopo si richiederanno. Siane di conferma una osser- vazione più recente. Notisi che il primo termine dell' annua pioggia nella nostra serie, ossia la pioggia del i83o fu trovata di 74*5'™", 047 valore pressocchè uguale al medio totale annuo. Se altre cagioni o influenze non sussistessero, che le regolari e avvertite, nell'anno testé mancato i85i essendo ricominciato il periodo, sarebbesi di nuovo raccolto e misurato da noi l' an- nuo medio costante della pioggia. Ora ecco le quantità osservate millim. 1851. In Gennajo, altezza della pioggia ir 55,396 \ pioggia d'inverno Febbrajo 52,886 [ miiiin,. Mario 57, 604 ) 165,886 Aprile 84, 407 "^ . ... . M • ./>n n„n I P'ORRia di primavera Maggio 102,360 *^ ''^ ,,, ^,- Giugno 24,850 ) '!M,bw Luglio 50, 430 1 . . ,, . . «. .«. I P'ORR'a d eslale Agos'o 64,461 »* ''« Seuembre 76, 847 ) '»''^-«» Ottobre 122,834 \ . . :,, Novembre 143,263 \ """'^''J Z""" Decembre 0,093) -«"b, IJU pioggia dell' auno . 835, 431 ^6 Intorno la quantità della pioggia ec. differenza dall'annua pioggia del i83o in più pel i85i = gS'"'", 384, essendo riusciti nel i83o maggiormente piovosi l'inverno e la primavera, e maggiormente piovosi nel i85i r estate e 1' autunno. Sebbene dunque la pioggia dell' ultimo anno decorso non molto si allontani da quella del i83o, e ac- cenni quindi essa pure alla legge periodica luni-solare, cionon- dimeno r ottenuta differenza è abbastanza forte per inferirne la coesistenza e l'intreccio di altre fisiche azioni, perturbatrici di tal legge e non calcolabili. i8. Una formula generale esprimente la quantità del flusso e reflusso atmosferico dovuto all' azion attrattiva del Sole e della Luna fu già data da Laplace nel Capo VIL Libro XIIL ( T. 5.°) della Meccanica celeste, senza però ch'egli potesse accertarne il valore delle due costanti contenutevi, a malgrado eh' egli le avesse dedotte con calcolo di probabilità da meglio che i5oo osservazioni del barometro. Se non che, oltre questa incertezza teorica della detta formula e quantità, per applicarla poi con successo alla spiegazione dei regolari fenomeni della pioggia, altre e per avventura insormontabili difficoltà si op- pongono. Imperocché, supposto pure che si riuscisse a ben va- lutare 1' annua quantità della evaporazion del mare prodotta dal Sole, e il modo della successiva diffusione di essa nelle dif- ferenti regioni e altezze, fino alle più sublimi dell'atmosfera, tuttavia resterebbe a conoscere per immediate osservazioni nelle superiori altezze medesime la forza e temperatura de' venti, cui generano le maree dell' aria, per conchiuderne la massa e direzione dei vapori trasportati e convertiti in pioggia sopra un luogo terrestre determinato. Ben è a dolere che istituir non si possa cotali osservazioni le quali porgerebbero non solo ra- gione o conferma del fatto di un medio costante della pioggia, ma ben anche fisica spiegazione delle maggiori differenze ri- marcate per uno stesso luogo nell' annua pioggia dei singoli anni successivi e in quella delle stagioni e dei mesi, come al- tresì delle simultanee differenze di pioggia, scarsa o abbondante, da luogo a luogo in parti assai disgiunte del nostro globo. Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi ^17 Questo genere di ricerche è da prevedere che non sarà mai consentito all'ardimento dell'umano ingegno per mancanza dei mezzi di librarsi con sicurezza nelle alte regioni dell'aria, e di trattenervisi immobile quanto sarebbe d' uopo a raccoglierne i dati precisi del problema meteorologico. ig. Terminerò il presente paragrafo toccando di una que- stione promossa non ha molt' anni circa un sospettato accre- scimento dell'annua pioggia in alcune località di paesi, e spe- cialmente nel territorio lombardo. L' illustre Astronomo di Mi- lano Cav. Ab. Cesaris nella sua Memoria sul Clima della Lom- bardia pubblicata fra quelle della Società italiana ( T. XVIII. Parte fisica, pag. 71) avanzò che un aumento dell'annua piog- gia sembra non potersi colà revocare in dubbio. E avendo egli recata la serie non interrotta di 54 anni d' osservazioni me- teorologiche, dal 1763 al 1816, ne addusse in prova che il medio dell' annua pioggia ne' primi 2,7 anni risultava in altezza di pollici 33, e negli ultimi 27 di pollici 37; il qual aumento egli pensava di dover attribuire principalmente all' accresciuta irrigazione e coltura della Milanese provincia. Ora io rifletto primamente che il medio della pioggia dedotto da 2,7 anni di misure può non essere tanto prossimo al vero e costante, sic- come quello dei 2,1 anni, in vista della cagione periodica e luni- solare da cui dipende; giacché ne' sei anni, oltre al pe- riodo compiuto di questa per aggiungerne il piìi lungo inter- vallo, non si contiene un numero intero di rivoluzioni sinodiche della Luna. Quindi non è a stupire della forte differenza di 4 pollici fra li med] delle due metà dell' intera serie, né del segno di quella che avrebbe potuto presentarsi in diminuzione anziché in aumento. Dipoi é da considerare che le variazioni della quantità della pioggia derivanti da mutate condizioni e circostanze locali debbono essere ben piccola cosa e poco men che trascurabile nel medio annuo della pioggia stessa ricavato dal corso di parecchi anni in confronto al fenomeno e alla quantità principale somministrata nel medio stesso dall' evapo- razione de' mari, comecché distribuita ad irrorar pressocchè ^8 Intorno la quantità della pioggia ec. tutta la superficie terrestre. I cangiamenti che introducansi nella coltivazione del suolo e soprattutto ne' ristagni e nelle inaffiature delle acque per vaste praterie così dette a marcita e per valliva estension di risaje debbono influir senza dubbio con nebbie, vapori, e anche piccole pioggie nella condizion igrometrica dell'aria sui luoghi ove son praticati, e perciò ivi ancora nella salubrità dell' elemento respirato dagli abitatori , uomini animali e piante. Ma la condizion igrometrica dell'am- biente atmosfera è cosa ben diversa dall' annuo medio della pioggia, e le stesse più fitte nebbie de' luoghi palustri e de' brevi giorni alla fredda stagione, estese ancora orizzontalmente sopra molto, spazio, non depongon tuttavia lentamente distil- lando che tenue quantità d'acqua; mentre la nuvoletta estiva o autunnale, in apparenza piccola per elevazione o lontananza, gonfiasi, discende o s' avvicina, e distemprasi d' un tratto in un rovescio d' acqua che scorre e riempie canali, rigurgita ed allaga le terre. Da ultimo vuoisi riflettere che forse più delle moltiplicate iiTÌgazioni del piano e della valle deve contribuire ad alterar in un dato paese 1' annua pioggia una cangiata di- sposizione di circostanze, naturalmente o artificialmente avve- nuta ne' vicini monti, per fenditure o larghi franamenti di suolo, per atterramento di selve, o in altro modo che apra in quelle alture alpestri novelli varchi ai venti e con essi alle nuvole più gravide e dense di vapore. Però questa cagione medesima di mutamenti della pioggia non può esser tanta da renderne molto diverso il medio annuo, conchiuso da un pe- riodo di tempo abbastanza lungo, e soggetto ad una legge ben più alta e generale, ossia cosmica. §. IV. Pronostici del tempo. ao. Sembra incredibile, eppur è vero, che malgrado il tanto e sì reale, non meno che vantato progresso delle scienze fisiche a' nostri giorni, e non ostante lo zelo e le cure di gran Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi '^q numero de' loro cultori a fine di renderne popolare il linguag- gio e r intelligenza, il popolo tuttavia, cioè a dire la moltitu- dine volgare dell'umana Società profitti bensì de' nuovi trovati o perfezionamenti, ma ignara de' principj e della ragion delle cose, e rimanendone sempre credula e affezionata a' più goffi pre- giudizi. Valgane a prova d' esempio la fede e il buon accogli- mento che ottengon ancora, e non sempre e solo tra il basso volgo, gli annunzj de' giornali astro -meteorologici, che presa- giscono le qualità delle stagioni e le vicende giornaliere dell' aria, bastando che taluna fiata la predizione abbia colto casual- mente nel segno perchè si accordi piena e costante credenza all'Autor de' pronostici , sia questo una zotica mente o un dotto discepolo di Toaldo, e senza risguardare uè all' arbitrario fondamento de' pronostici stessi né alla realtà dell' esito il piìi delle volte ad essi diametralmente opposto. Se però evvi sog- getto d' investigazioni, cui bene s' approprj il coelum ipsum petimus stiiltìtia, egli è questo 1' arte vana di presagire il tempo. E le osservazioni di non pochi anni sopra la pioggia che abbiam recate e discusse ne porgono una chiara conferma. Da esse infatti non apparisce la minima dipendenza e regola- rità de' parziali e successivi risultamenti ne' periodi o intervalli eguali, sia di mesi o di stagioni o di anni. Mancando un' or- dine e una connessione qualunque fra cotali fenomeni, come argomentar dai passati i futuri in epoca e quantità? L'unica via di ragionarne in prevenzione e precorrerne 1' avveramento dischiudei-ebbesi dal fatto ben comprovato di un valor medio, noto e costante in un dato luogo e per un periodo pur dato di tempo. Ma, come si disse, anche sopra questo medio, e nella formula o legge che lo esprima influiscon tali perturba- zioni, e tali anomalie possono risultarne che, impossibili a va- lutarsi, ci toglieranno poi sempre al calcolo e alla previsione lo special avvenimento da pronosticarsi. Dunque è vana opera e tempo gettato 1' occuparsi di simil argomento. ar. Altra cosa però è il presumere di legger senza fonda- mento nell' avvenire e precisarne gli eventi, altra il desumere 8o Intorno la quantità della pioggia ec. per semplice induzione dall'andamento e dalla misura de' fatti accaduti un qualche indizio di fisica probabilità per quelli che seguiranno. E in questo secondo modo i pronostici atmosferici possono ammettersi, esser talvolta utili, e non di rado avverarsi. Egli è così che fin dall' antichità si studiarono e si riconob- bero i naturali contrassegni forieri dei prossimi cangiamenti del tempo, avvantaggiandone dell' avviso 1' agricoltura il com- mercio e la navigazione, e ne pervennero fino a noi nelle opere di Arato e di altri le indicazioni e regole dello spirare di certi venti, del notturno più irrequieto scintillamento delle stelle e somiglianti, come annunzj e minacele di burrasche at- mosferiche imminenti; ed è pure allo stesso modo e per osser- vata più comune succession di fenomeni che formularonsi da lunga pezza, e godono popolar grido anche oggidì i così detti proverbj della stagione, de' quali abbiam veduto adempiersi non ha guari, e perciò vieppiù accreditarsi nella volgar opi- nione quello di S. Bibiana. Cotali regole e sentenze nondimeno sono da ritenersi con grande riserva di dubbio, come soggette a fallir non di rado e non abbastanza dimostrate, né sicure né generali, e 1' accettarle o il seguirle ciecamente guiderebbe spesso all' errore e all' inganno. Anche dai nostri quadri della osservazion della pioggia emergono alcune particolarità relative che sembran ripetersi o riprodursi costantemente; ad esempio quella di uno stesso mese, abbondantissimo di pioggia in un dato anno, e scarso di essa nell' anno seguente. Ma chi ne traesse una regola immanchevole di pronostico da un anno all' altro, esporrebbesi al rischio di vaticinar falsamente, e di cader nell' eccezione. Il Giugno infatti, che nel i85o recavaci molta pioggia, non ce ne addusse che poca nell' ora caduto i85i : mentre per converso l'Ottobre di quest'ultimo anno é stato qui assai piovoso, avvegnacché un poco meno dell'Ottobre piovosissimo del i85o. Dunque massima savia e prudente diffi- dar di qualunque regola proverbiale e anche spesso avverata circa il bel tempo o il cattivo, distinguendo per altro che i pronostici dei vicini cambiamenti atmosferici, ove siano dedotti Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 8i da conosciute cagioni fisiche, sono da apprezzarsi e da consultar all' uopo utilmente. aa. Nei pronostici delle prossime variazioni atmosferiche, in riguardo specialmente alla pioggia di cui trattiamo, è da considerar innanzi tutto la disposizion topografica del paese fra i non larghi confini del suo orizzonte sensibile, e per circo- stanze di monti, di fiumi, di valli e di coltivate pianui-e che lo attorniano o lo dividono. Imperocché le parziali e più can- gianti meteore acquose, a cui sifiiitti presagi si riferiscono, hanno una dipendenza o modificazione dalle dette circostanze locali , e ne ricevono fisica spiegazione adeguata. Pertanto l'orizzonte nostro è terminato per tutta la linea da Sud -Est a Ovest alla corona de' colh e monti in cui si digradano al versante Nord gli Apennini centrali che la sormontano in vista qua e là colle più elevate lor cime. Dall' Ovest al Nord-Ovest distendesi a perdita d'occhio la pianura lombarda, al cui limite soltanto ne' giorni freddi e di aria più limpida si può discer- nere alcuna cima nevosa delle Alpi elvetiche, le quali prolun- gandosi nella catena delle Cozzie ci permetton di vederne, come più vicina la loi'o base meridionale, e al Nord per noi, nei monti bresciani e veronesi, e terminandone la linea al Nord -Est ne' colli euganei. Fra quest'ultimo punto e quello di Sud-Est r orizzonte ci rimane aperto in direzione all'Adria- tico; ed è quindi chiaro che spirando i venti da questo lato, sospingono e ci riversan sopra i vapori del detto mare insieme a quelli delle valli Comacchiesi, delle lagune venete, e dei pa- duli di Adige e Po nell'inferior loro alveo da tramontana verso levante. All'opposto dal lato di mezzodì, e fra il Sud-Est e 1' Ovest, oltre all' esser la pianura in pendio e di un rapido scorrimento d' acque, i vapori del Mediterraneo trasportati dai venti urtano, e durante il verno a travalicar non arrivano la barriera dell' Apennino, e i venti stessi allora per noi ad altro non riescono che a respinger le nubi e nebbie ammassate e addotte da venti centrar], e valgono essi quindi a rasserenare il Cielo. Ma nelle stagioni estiva ed autunnale, colla rarefazion Tomo XXV. P.'^ IL- K 8a Intorno la quantità della pioggia ec. maggiore dei vapori del Mediterraneo, questi dai venti d' au- stro posson esserci copiosamente recati, e per abbassamento di temperatura allo scontro delle correnti aeree boreali conver- tirsi e sciogliersi in molta pioggia sulle nostre terre. Io fui spettatore un giorno di un cotal giuoco e tenzone singolare dei venti e delle nubi, traversando io 1' Apennino fra 1' estate e r autunno, ed altrove ne descrissi le circostanze. Un somi- gliante fenomeno avviene spesso di osservare a chi viaggia d'estate nelle alte montagne, di vedere cioè grosse nuvole, calate durante la notte in profondi valloni, rialzarsene al calor diurno e, percosse dal Sole, frangersi e inerpicarsi lungo i dossi e le balze alpestri, fissarsi e avvolgere per alcun tempo le ag- ghiacciate sommità, come al piano si fissano diuturne le nebbie nell' inverno, e smosse di colassù e aggirate dal vento scen- derne di nuovo, scorrere d' una in altra gola, e in pioggia di- stemperarsi insino alle falde montuose e talvolta oltre nella aperta pianura. Di che io medesimo ebbi pure una prova ocu- lare nel rivalicare che feci, il 19 Settembre del i85c, il Sem- pione, avendone cominciato la salita da Briga colla nebbia, proseguitala a nubi spezzate e Sole cocente, raggiunto il ver- tice dell' Ospizio colla pioggia, che mi accompagnò al pomerig- gio nella discesa e il mattino seguente nella fertil valle dell' Ossola sino a Baveno, dove lunghesso la ridente spiaggia del Verbano mi allietai di rivedere in tutta la sua purezza il no- stro bel Cielo italico. 23. Quanto influiscano le condizioni topografiche nei varj accidenti della pioggia basterebbe a provarlo che anche la sem- plice linea del corso di un fiume o torrente è valevole a dif- ferenziar notevolmente le quantità particolari delle meteore acquose dall' una all' altra riva di quello. E non è maraviglia che ciò avvenga ; poiché 1' apertura del fiume fra' monti da cui discende, e il moto delle sue acque per le campagne del piano che attraversa, determinano lunghesso il suo alveo una corrente di aria di speciale temperatura in riguardo all' aria che ristagna sopra l'interno suolo delle rive. Al sopraggiungere Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 83 perciò dall' una o dall' altra plaga dell' orizzonte il temporal estivo, e incontrandosene le nubi sotto un cert' angolo colla detta corrente atmosferica sopra il fiume, per effetto dinamico 0 di temperatura deve naturalmente succederne un cangiamento nel prodotto della pioggia di qua e di là dal fiume stesso. Cosi vediamo spesso per esempio ai caldi giorni piovere ab- bondantemente sui terreni della destra riva di Secchia, o di Panaro, e quasi nulla su quelli della sinistra, o viceversa; e per la Secchia in particolare la diversità del fenomeno mi sembra pure più frequente e spiegabile per lo spaccato lar- ghissimo del fiume fra i colli di Castellarano e Sassuolo sin presso al lungo ponte di Rubiera. Però se le nubi temporale- sche siano sospinte con impeto e violenza di turbine, la detta linea e apertura di un fiume poco vale a trattenerle, e sol- tanto la propria temperatura della corrente aerea sul fiume stesso e dalle nuvole attraversata può variare di queste le condizioni elettriche, e influire nella disastrosa produzion della grandine, che se ne scarica e piomba per tratti irregolari e discontinui, a cagione appunto delle diverse condizioni meteo- riche sopra le terre variamente coltivate, apriche o selvose, e in relazione allo stato elettrico delle nubi. Che infine sopra la quantità particolare della pioggia momentanea, o di un mese, o di una stagione possano influire altresì le differenze di col- tivazione e di vegetazion dei terreni ne abbiam ogni anno per avventura un indizio all' epoca della segatura del primo fieno. Perocché in sul finire di Maggio la molta estensione superfi- ciale in praterie, dall' essere innanzi tutta rivestita di tenera e folta erba passando in breve ad esserne tutta rasa e nuda, pare che debba modificarne in grande sul nostro suolo le re- lazioni atmosferiche di umidità e temperatura, dalle quali di- pendono le pioggie parziali, e osservasi di fatto che queste al- lora cadono in copia fra noi al punto di renderne spesso in- certo, e perduto col mancato disseccamento, un sì prezioso prodotto qual è il fieno maggiatico. E il simile avviene ai monti per taglio e atterramento di grandi selve che vegetando 84 Intorno la quantità della pioggia ec. annualmente vivaci e rigogliose determinavano innanzi un co- stante rapporto meteorico locale che poi viene a cessare con esse o a cangiarsi considerabilmente. 2,4. Un pronostico di vicina pioggia, e d' immanchevole avveramento per noi, egli è quello del Sole che al suo tra- monto immergesi e ci dispare in un denso strato di nubi, di- cendosi volgarmente che queste 1' insaccano. Il dì seguente o poco appresso la pioggia è in terra. Ciò avvien pure dipen- dentemente dalle soviaindicate nostre condizioni topografiche. Sospesi in alto gli ammassi del vapor acqueo vescicolare, che sono le nubi fornite dall' Adriatico e dall' umida nostra plaga fra Borea e Oriente, e poscia cacciati da un vento di essa plaga verso l'opposta e, occidentale, ivi e per la regione at- mosferica meno calda e per la notte che sopraggiunge raffred- dansi, e ribalzati da un contrario vento alla bari'iera dell'Alpi che li sormonta, essi debbon retrocederne abbassati e distil- landosi in pioggia. Non avvien altrettanto, almeno costante- mente, per le nubi all' ora del tramonto nella plaga di Nord- Est e che di là ricacciate durante la notte ci recan tutt' al più nel seguente mattino la nebbia di cui faremo in breve alcun cenno. E le nuvole adunate il mattino al Nord -Ovest, se ne vengano spinte dal vento di quella plaga, ordinariamente nelle stagioni calde e temperate ci passati sopra nel giorno senza discioglieisi in pioggia, e poco stante il Cielo se ne ras- serena ; si che a ragione quel venticello di sera è considerato a preludio del buon tempo. Ma durante il verno se la massa più forte delle nubi vien soffiata continuo dal Nord-Est e can- gisi, anche di giorno, il vento in contrario, partendosi quest' ultimo dalle regioni agghiacciate dell' Alpi ne abbiamo le ne- vicate più dirotte e prolungate, siccome quella che ricordammo ( num. 7.) del Gennajo 1842,. Di tutte queste e di somiglianti meteore acquose la ragion fisica nelle date circostanze locali è manifesta e ripetiamo che posson quelle pronosticarsi, ma sol- tanto nella prossima loro apparizione e con prudente riserva per una rara eccezionalità che derivi da cagioni straordinarie Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 85 e imprevedibili comecché naturali. Presagiscono di siffatta guisa con qualche sicurezza di esito i cangiamenti del tempo 1' esperto piloto sul mare e il vigil colono sui campi, attenti entrambi ai contrassegni che ne danno specialmente le stelle col vario loro splendore, e quantunque ignari delle fisiche leggi e di- pendenze di tai fenomeni. Il buon senso e la semplice osser- vazione suppliscono in essi alla scienza, e tuttavia pronunziano il vero seguendone quel lume che naturae judìcìa confirmat. Ogni altra presunzione di antivenire e annunziar da lunge le meteore non è che ridevol franchezza da cerretani. aS. La nebbia è una bassa nuvola come la nuvola un'alta nebbia. E come nella fredda stagione le nuvole discendon e si fissan lungamente ai piani che, veduti dai monti, rassem- brano a un mar di nebbia, così ai caldi giorni le nebbie ascen- dono e appajon dai piani fissarsi e incoronare le cime dei monti; perlocchò il Giove d' Omero calatosi alla vetta dell' Ida o del- l'Olimpo vi si avvolge fra' nembi, ed è chiamato il Tonante e adunator delle nubi, come, pel tridente, Nettuno lo scuotitor della terra. Suol anche dirsi che le nuvole estive hanno una specie d' attrazione per le montagne ; ma non 1' hanno meno le nebbie invernali per le pianure, e tutte poi cotali apparenze e poetiche immagini non sono che fisici effetti delle tempera- ture atmosferiche sopra il vapor acqueo vagante per 1' aria e condensatovi o rarefatto (i). Frattanto abbiamo circa la nebbia (1) Può muoversi una obbiezione. Le nebbie d'autunno, che finiscono in pìoggie distemperate, avvengono con un tempo caldo e siroccale; mentre quelle al principio dell'inverno presso di noi ci fanno sentire d'ordinario il maggior freddo, e sorento cuoprono il piano e la valle per alcuni giorni di seguito iìtte e senza disciogliersi in pioggia; si che umide le prime, e le seconde quasi potrebbero dirsi nebbie asciutte. Dunque, si obbietlerii, la nube non convertesi in pioggia per raffreddamento, e non si dissipa o svapora per un riscaldamento; ma succede il contrario. Avvertasi però che le voci di caldo e freddo, come pure le indicazioni del termo- metro, sono espressioni di cose relative. La sensazione di freddo e V abbassamento del termometro sotto una nebbia del Decembre significano una sottrazion di calorico ai corpi circondati o involti dalla nube, la quale perciò, anziché raffreddarsi, ne vien 86 Intorno la quantità della pioggia ec. un comune fenomeno, curioso a spiegarsi, quanto quello della rugiada di cui tanto si è detto e combattuto, e che offre un sicuro pronostico di pioggia vicina. Esso è per noi quello della nebbia mattutina e autunnale, che risolvesi e si dissipa nel primo giorno, si addensa nel secondo, e al terzo cade in piog- gia copiosa e continuata da un cielo fosco e uniforme. Si ha quasi certezza che non pioverà il primo giorno dal vedere a mattino avanzato comparir in gran numero e assai distinti i ragnateli delle siepi e rive erbose che si rendon così visibili, giusta r osservazion fattane sino dal Galileo, per le goccioline acquose in essi deposte dalla nebbia, le quali nel secondo giorno sono meno abbondanti si che veggonsi pur meno i ra- gnateli che, per cessazione di quelle, discompajon affatto nel terzo. A concepire e spiegare fisicamente come avvenga la cosa io ragionerei di questa guisa. Nel primo giorno calata la nu- vola o nebbia durante la notte o all' albeggiar del mattino , essa in totalità non contiene per avventura tanto vapor vesci- colare, e non costituisce uno strato di tale altezza e densità che, surto il Sole e percuotendola ognor più vivamente colla forza calorifica de' suoi raggi, le parti superiori di essa non abbian a rarefarsene ad elevarsi e disperdersi negl' interstizi atmosferici delle alte regioni. In questa rarefazione degli strati superiori della nebbia gli strati inferiori e più bassi, anziché subir essi pure un aumento simultaneo e proporzionato di tem- peratura, ne subiscono all' opposto una diminuzione per la legge osservata ne' coi-pi che passano dall' uno all' altro stato di ag- gregazion molecolare. Quindi lo strato nebbioso infimo e ade- riscaldala ; e per opposto la sensazione di caldo e l'innalzamento del termometro per aria siroccale frammezzo la densa nebbia dell' Ottobre denotano che questa o la nube cede ai corpi che avvolge parte del suo calorico, ond' essa propriamente raffreddasi e si dispone quindi a convertirsi in pioggia. Ecco perchè alla nebbia segue la pioggia nell'autunno e manca nell'inverno. In realtà la nube, che dalle sensazioni giudichiam calda, è fredda; e quella, che similmente crediam fredda, è calda. Contutlociò anche dalle prolungate nebbie invernali raccogliesi ne' pluviometri l'umidità che se ne depone continuamente, sebbene in piccola quantità di acqua liquida. Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 87 rente al suolo raffreddandosi ne vengon formate le goccioline liquide che infilate spesse e pendale dai sottilissimi e incro- ciati fili dei ragni campestri ne mostran distintamente la tela. Ma proseguendo intanto la x-arefazion o evaporazione al limite superiore la nube se ne assottiglia successivamente coli' ascen- der del Sole e finisce col dileguarsene interamente al modo che osserviamo. Avviene in tal caso, mi sembra, il contrario di quanto ammetton i seguaci dell' ipotesi di Wells per la for- mazion della rugiada, ed è che in questa la cagione del raf- freddamento dell' imo vapore convertitone in acqua proviene dal calorico raggiante del terreno sottoposto , laddove nella nebbia liquefatta la cagione e 1' effetto analogo sono prodotti dal riscaldamento solare e dalla conseguente rarefazione e dis- persione dei superiori strati della nebbia stessa e perciò acca- dono dall' alto al basso. In appresso e col sopraggiunger della notte i sollevati vapori di nuovo son condensati, discendono, e ne diviene, per altra copia recata dai venti, più alta o più compatta la nebbia del secondo giorno, sicché la rarefazion degli strati superiori e il raffreddamento degl' inferiori dev' es- serne minore di quella del giorno innanzi, meno appariscenti perciò ancora i ragnateli; e tuttavia nel tardo mattino la bassa nube dai raggi solari investita s' innalza e dilegua. Ma ripetu- tosi al terzo giorno il fenomeno alterno e vieppiù aumentata la massa della nebbia, essa perviene bensì a sollevarsi, ma senza che valga il Sole a dissiparla, e distendesi in un ampio e fitto strato che copre il cielo e che, raffreddatosi in alto, vi si distempera per lunghe ore in pioggia. Un simil procedimento di nubi, che dai più lievi cirri o nebbiette sparse neh' aria serena, poco a poco si congiungono, si addensano, si allargano sopra tutto 1' orizzonte e versan infine gran pioggia, non è raro ad osservarsi. Checché ne sia delle cagioni io non saprei diversamente rappresentarmele. Ora dai fenomeni speciali della pioggia ritorniamo alle considerazioni dei generali nelle quan- tità medie osservate della medesima. 88 Intorno la quantità della pioggia ec. §. V. Medj annui comparativi della pioggia PER luoghi diversi. 2.Ò. Se le quantità misurate della pioggia in uno stesso luogo e caduta in periodi più o meno lunghi di tempo som- ministran materia d' importanti e curiose ricerche intorno alle più regolari cagioni delle meteore acquose, non può esser man utile allo scopo medesimo 1' istituire i confronti delle dette quantità diligentemente raccolte negli stessi intervalli di tempo, ma in luoghi terrestri differenti e più o meno fra loro distanti. Però né anche in questa seconda maniera, come nella prima, di prendere ad esame i fenomeni della pioggia sarebbe da spe- rarne e conseguirne alcun fondato discoprimento di fisiche leggi, ove i confronti si restringessero alle semplici quantità osservate di ciascun fenomeno; da poi che riscontrandosi enormi e irre- golarissime differenze, dovute a cagioni locali e variabili, nelle osservazioni singole di questa specie, per luoghi eziandio non molto lontani fra loro, non saprebbesi di certo ravvisarvi alcun ordine e riconoscervi un costante procedimento della natura. Egli è d' uopo a questo fine istituire i confronti pei dati luo- ghi fra le quantità medie della pioggia in un tempo abbastanza lungo e opportunamente prescelto, qual è appunto il periodo di ventun' anni delle mie osservazioni, che ha il pregio, se non dimostrato, sorretto almeno da ragionevoli congetture, della regolare influenza ed azione meteorica luni- solare. Per questo periodo paragoniam dunque i medj annui della pioggia in Mo- dena con quelli che simultaneamente si ebbero a Roma da una parte e a Milano dall' alti-a, congiungendone così a tale rispetto tre punti d' Italia nel senso longitudinale di essa o prossima- mente del meridiano, e di sito e condizioni topografiche non poco difierenti. 2-. In riguardo alle osservazioni di Roma farò uso di quelle riportate nell' effemeridi del Tevere, compilate dal eh. Signor Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 89 Cavalieri San Bertelo ( Annali di scienze matematiche e fisiche, T. I. Roma i85o) in continuazione all'opera dello stesso titolo pubblicata sino al 1844 dall'illustre Venturoli, e protratte a tutto il 1849. Sebbene le quantità ivi recate della pioggia siano le medie delle osservate alla Specola del Collegio Romano e a quella di Perugia per estenderle a due punti diversi del ba- cino del Tevere, tuttavia possono prendersi come osservate da un luogo solo, attesa la piccola differenza che ivi pure appa- risce nelle pioggie annue corrispondenti da uno di essi punti all' altro. Mi ha poi somministrata la pioggia dell' ultimo anno i85o la XV.* delle tavole meteorologiche pubblicata con altra Memoria ( pag. 100 ) dal eh. P. Angelo Secchi Direttore dell' Osservatorio presso 1' Università Gregoriana. E quanto alle os- servazioni milanesi della pioggia immediatamente fatte in quella I. R. Specola di Brera esse mi sono state gentilmente comuni- cate dall' ili. Cav. Carlini, parte pubblicate nei Riassunti men- sili ed annui delle Osservazioni meteorologiche di Milano dal 1763 al 1840, parte trascritte dai registri originali, e inserite per gli ultimi tre anni nel Giornale dell'I. R. Istituto lombardo delle scienze. Soltanto io le ho tradotte, per 1' uniformità colle altre, in misura metrica dalla primitiva loro espressione in li- nee del piede di Parigi. Ecco, ciò dichiarato, il prospetto dei confronti. Tomo XXV. P." //.- 90 Intorno la quantità della piogoia ec. Anni Altezza della pioggu caduta Differenze annue a Roma a Milano a Modena Milano - Roma Milano-Modena 1 millim. millim. millim. millim. millim. i83o 711, a 874,8 740,0 H- i63, 6 -¥■ i34,8 I 700,3 909,3 586,4 209, 0 322,9 2i 616,8 io3a, 5 604,9 41 5, 7 ■+■ 427,6 3 799^6 1029,6 1109,8 23o, 0 — 80,2 4 38i,6 804,2 299,8 4^2,6 -4- 5o4,4 5 890, 1 94r,i 814,6 5i,o 126,5 6 785,6 996,6 614,1 211,0 382, 5 7 749' 7 1160,2 576,4 410,5 583,8 8 927,2 1296,4 801,5 369,2 494,9 9 914,8 1347,9 1176,3 433,1 171,6 1840 543,1 898,7 548,7 355,6 35o,o I 771.9 969,1 658,2 197,2 3io,9 a. 786,5 1359, I 860,3 572,6 498,8 3 65i,5 1179,6 636,9 528,1 542,7 4 849,6 1147,8 825,1 298,2 322, 7 5 1014,7 i355,3 915,8 340,6 439, 5 6 935,6 1337,5 898,0 401,9 439, 5 7 766,9 917,2 657,2 i5o, 3 260, 0 8 665,4 1770,8 652, 1 iio5,4 1118,7 9 544,8 977,0 65o, 7 432,2 326, 3 i85o 746,0 1272,7 1010,2 •+- 526, 7 -+- 262, 5 Medie 7'5o, 14 1122, 73 744,62 ■+- 372, 59 -4- 378,11 Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 91 Rileviamo di qui : i.° Che 1' anno i834 riuscì della minima pioggia sì a Roma e a Modena che a Milano, differendone 1' annua quantità di essa non molto fra i primi due luoghi e moltissimo col terzo. 2.° Che r anno 1839 della massima pioggia in Modena fu pure dei maggiormente piovosi a Milano e a Roma; essendolo però stato di più a Roma il 1845, ed eccessivamente a Milano il 1848. 3." Che le differenze parziali dell' annua pioggia, durante r intero periodo dei ai anni, fra Modena e Roma sono state bensì varie, ma non grandissime, e ora in più ora in meno; laddove a Milano tale quantità è risultata sempre in eccesso relativo, tranne l'anno i833 in cui a Modena si ebbe alquanto più di pioggia che a Milano, e il i835 in cui la pioggia fu pressoché uguale a Milano e a Roma : ma questi ultimi due casi eccezionali debbono essere assai rari. 4.° Che nel medio risultaraento dei ai anni Roma e Modena si accordano quasi perfettamente ; mentre 1' annuo medio si- multaneo di Milano cresce circa di A sopra il comune degli altri due luoghi. In totalità 1' altezza della pioggia caduta nei 21 anni a Milano superò di otto metri quella di Modena o di Roma; che invero è differenza rilevantissima. E notiamo infine che il medio annuo della pioggia di Milano è risultato un poco meno del massimo di Modena, e un poco più del massimo di Roma. 28. Riportiamo i medj anche dei triennj e de' novennj , ad avvicinar maggiormente le pioggie comparative dei tre luoghi : qs. Intorno la quantità della pioggia ec. Triennj Medj della pioggia Differenze a Roma a Milano a Modena Milano-Roma Mil.-Modena a. 3. 4. 5. 6. 7- millim. 676,1 690,4 8ao,8 743,3 76a, 5 905,7 65a, I millim. 938,9 9a5, 0 ii5i, i 1071,9 iaa8,8 iao3, a 1 340, a millim. 643,8 74ip4 664,0 794^4 774»! 8a3,7 771,0 millim. -+- 26a,8 a34,6 33o, 3 3a8,6 466,3 297,6 688,1 millim. -t- a95, 1 i83,6 487,1 a77,5 454, 7 379,6 569, a Novennj 1 I. a. 729,1 8o3,8 ioo5, 0 1 168, 0 683,1 797^4 275,9 -4- 364, a 3ai,9 -+- 370,6 Si vede già che le differenze, largamente ancora oscillanti nei medj tiiennali, tendono in quelli de' novennj ad accordarsi fra loro e colla media totale, ossia dei ai anni, che è circa di 375 millimetri. Quindi forse dai confronti dei medj della piog- gia di tre consecutivi periodi, ciascuno di ai anni, ossia di sette novennj, emergerebbe la differenza, se non costante, al- meno variabile fra stretti limiti. Mi sembra poi che de' prece- denti medj quelli di Modena offrano un andamento meno a salti e irregolarità che negli altri due luoghi, forse in grazia dell' orizzonte nostro piìi spazioso piano ed aperto. a9. Ora consideriamo la situazione di Modena esser per latitudine boreale intermedia fra Milano e Roma, con una di- stanza rispetto a Roma tre volte più grande che rispetto a Milano. Eppiu'e abbiam veduto che i medj annui della pioggia concordano quasi esattamente per Roma e Modena, mentre quello di Milano li sopravanza di un terzo. Dunque non sus- siste sempre la regola da taluni asserita ( Scinà. Elem. di Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi qS Fisica particolare. T. II., n. 3o3, pag. 270. Palermo 1829) che la pioggia annuale, massima all' equatore, va dici-escendo colla latitudine, sebbene il numero de' giorni piovosi dell' anno cresca in senso inverso : e il fatto è ancora più contrario a Palermo dove r annua pioggia risulta la metà incirca di quella di Mi- lano con una differenza di latitudine, in meno per la prima, tanto maggiore. Se è vero che in alcune parti della superficie terrestre sotto 1' ecclittica la pioggia copiosa e frequente giovi a refrigerarvi l'aria e il suolo infuocati, in corrispondenza pure della maggior evaporazione dei mari equatoriali, non è però men vero che in altre aduste regioni, come su le aride inter- minate sabbie del deserto, piove raro e quasi mai; sicché non può darsi regola di pioggia per latitudine. E già le nubi solle- vate in alto e trasportate dai venti vanno ad accumularsi e disciogliersi in acqua non si sa dove e come. Oltre a ciò è da riflettere che Milano e Modena giacciono entrambe nella stessa vasta pianura corsa e divisa dal Po, e dalla parte medesima degli Apennini, laddove Roma giace al versante opposto di tai monti; e nondimeno l'annua pioggia nel medio si ha difFeren- tissima da qui a Milano, mentr' essa è caduta in quantità eguale qui e a Roma. In vista di tale diversità è da modificare alquanto la conclusione che io traeva dal solo confronto dell' annuo medio della pioggia a Roma e a Modena ( Annali di scienze matematiche e fisiche, T. IL, pag. 3io, coioll. a°), e convien ora aggiugnere che nel medio comparativo e proba- bilmente costante dell'annua pioggia di due luoghi distruggonsi bensì o si compensano a vicenda le cagioni variabili e acci- dentali della pioggia di ciascun anno, ma potendo rimanervi l'effetto di una permanente cagione dì locali differenze insieme con rpiello della cagione più generale e periodica, intraveduta poc'anzi e riposta nell'influenza funi -solare sull'atmosfera. So. E qual sarà questa locale e stabil cagione che adduce a Milano l'annuo medio della pioggia maggiore di un terzo in confronto a quello di Modena? Io non saprei riconoscerla nelle copiose acque d' irrigazione che si diramano per mille canali e inaffiano ampie praterie e risaje del basso territorio lombardo. 94 Intorno la quantità della pioggia ec. Imperocché sebbene da tale corso di acque e inondazione di terre debban generarsi nebbie, umidità d' aria, ed anche piog- gie particolari, queste non posson affettarne di molto il medio annuo della pioggia, fenomeno assai più grande, né cumularne in ventun' anni 1' altezza rimarcata di 8 metri di pioggia so- pi-aeccedente. Poi le nubi a tal cagione dovute non si scari- cherebbero tutte e sempre nell' oltre Pò dove si formano, né la linea del corso di questo maggior fiume d' Italia valendo a superarne l'impeto de' venti che le sospingano, esse varcandola in parte accrescerebbero eziandio le nostre pioggie. Neppur dai laghi, che numerosi, e qual piìi qual meno ampi di super- ficie, si estendon in vicinanza di Milano, si ha la ragion suffi- ciente della forte differenza nei medj comparati della pioggia, r evaporazione di quelli non potendo somministrar tanta ma- teria di nuvole, e queste non rimanendo così fisse al punto di lor formazione, da spiegarne la detta differenza. Ma la circo- stanza di sito che, a mio avviso, spiega principalmente 1' av- vertito fenomeno é la prossimità e posizion di Milano rispetto alle alte Alpi della Savoja, della Svizzera e del Tirolo. Dalle sommità perpetuamente nevose e agghiacciate di queste deb- bon originarsi nell' elevate regioni atmosferiche fredde correnti, le quali per le gole de' monti e 1' apertura de' laghi, spirando e investendo, specialmente a' giorni estivi e autunnali, sopra il piano lombardo 1' adunata massa delle nubi comincieranno quivi a distemperarle in pioggia, e procedendo poscia con esse verso il mezzodì dell' Italia e acquistandone gradatamente una temperatura piìi mite ne determineranno una quantità minore di pioggia relativamente al suolo milanese e -ai luoghi della sinistra sponda del Po. Una simile variazione della quantità della pioggia non accade in riguardo alla catena degli Apennini che, meno alta delle Alpi e affatto sgombra di neve ai caldi mesi, non deve influir con forti cangiamenti di temperatura su le nubi che la travalicano, e dal versante orientale all' occi- dentale o viceversa. E questa mi sembra la ragione per cui r annuo medio della pioggia si è trovato pressoché uguale sul bacino del Tevere e nella nostra pianura. Del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi 95 3i. Altro fenomeno assai rimarchevole della pioggia di Milano è quello, menzionato al n. 19, del suo progressivo au- mento. Ritenuto il periodo dei ai anni come il più acconcio ad esaminare e confrontare gli annui medj corrispondenti della pioggia misurata, e la serie delle osservazioni milanesi risalendo non interrotta fino all'anno 1768, si hanno da questa quattro consecutivi periodi che porgono il detto medio, e cui giova perciò di mettere attenzione. Io ne trovo i seguenti valori : Medio annuo della pioggia Differenze millim. laillim. Dal 1767 al 1787 895,34 _^ ^3^g^ Dal 1788 al 1808 959,18 ' ^ ^ ■+■ 71,90 Dal 1809 al 1829 io3i,i4 Dal i83o al i85o 1122,73 -^ 9^^^9' Benché minore di quello, che ottenne ed annunziava l'illustre Cesaris, cioè di millimetri ic8 circa, l'aumento in genere però è confermato e reso indubitatamente manifesto. Esso inoltre sembra crescere col progredir de' periodi e del tempo j il che varrebbe ad ingerire alcun timore di serie minacce per 1' av- venire. Tuttavia è da sperare che tale aumento o rendasi sta- zionario, o scemi, o volgasi anche in diminuzione; si che il medio annuo della pioggia risulti costante da non molti periodi. Quanto alla sua cagione io inclinerei a riporla nei cangiamenti che avvengano di più o men largo e libero passaggio ai freddi venti delle Alpi, anziché nelle introdotte novità di coltivazione e inaffiamento del piano. Certamente poi, se la nota feracità dei pingui pascoli e campi nella bassa Lombardia devesi in gran parte alla qualità copia e distribuzione delle acque irrigatrici, sarebbe a temerne il detrimento del ne quid nimis, ove le na- tvu'ali pioggie ivi si aumentassero indefinitamente. 3a. È stato detto al monte piovere più che al piano, e taluno disse { ignoro su quali precisi e molteplici confronti di osservazioni ) il doppio, che mi sembra troppo. Qualora piacesse di accertar in proposito il fatto e il rapporto vero, e chiariine altresì maggiormente le cagioni e circostanze della pioggia, sa- rebbe da consultarne la serie delle simultanee osservazioni. t)6 Intorno la quantità della pioggia ec. che si praticano da parecchi anni a Ginevra e all' Ospizio del gran S. Bernardo, e riportate da qualche giornale scientifico. Ma le quantità di confronto dovranno sempre assumersi nei medj di un forte numero di singoli eventi di pioggia ; poiché altrimenti si troverebbe troppo spesso che ora piove di più su r alpestre vetta, ed ora di più in riva al Lemano. 33. Concludiamo. Il medio annuo della pioggia, ricavato da ventun' anni di osservazioni, sembra essere un fenomeno regolare, assolutamente per un dato luogo terrestre, o relati- vamente per luoghi diversi, e la sua importanza può meritare studio e indagini ulteriori. In quantità e per un dato luogo esso è r effetto composto di quattro principali e costanti ca- gioni che lo producono o Io modificano •■, V evaporazione dei mari che rinnovasi ogni anno in quantità, la diffusione dei vapori acquei nelle diverse regioni e altezze dell' atmosfera, l'azione luni- solare generatrice periodica di moti atmosferici che adunan o sciolgono o trasportan le nubi e per cangiamenti di temperatura ne favoriscon o impediscon la pioggia, e la condizion topografica del dato luogo terrestre che influisce complessivamente nella copia maggiore o minore della pioggia stessa. A tali cagioni può aggiungersi per ciascun luogo in par- ticolare una speciale influenza di acque correnti, di vegetazione e di simili circostanze che nel medio annuo della pioggia re- chi, ma in tenuissima quantità, un' alterazione qualunque. Ri- spetto infine alle singole meteore acquose nei vari tempi e luoghi, esse in parte derivan bensì dalle indicate cagioni più regolari, ma combinate con altre cagioni variabili e a così dir accidentali, non soggette a preciso calcolo e raziocinio, e che tuttavia sembran compensarsi e scomparire nel medio anzidetto. Ci resterebbe a discutere ancora l'argomento della pioggia in ordine e congiuntamente alle osservazioni del barometro del ter- mometro e dell'igrometro, non che dei venti e del numero de'gior- ni sereni o nuvolosi: quindi potremo nuovamente occuparcene do- po l'esame di queste ultime osservazioni che ci daranno materia di altro lavoro nel pei'iodo meteorico dei ai anni che imprendemmo | a considerare e proporre eziandio alle altrui fisiche investigazioni. 97 SULL' AZIONE MAGNETIZZANTE DELLE CORREIVTI ELETTRICHE MOMENTANEE MEMORIA X. DELLA INDUZIONE LEIDO-MAGNETO-ELETTRICA VALE A DIRE DELLA CORRENTE CHE IL FERRO ECCITA NELL' ELICA CHE LO CIRCONDA MENTRE CIRCOLA ATTORNO AD ESSO UNA SCARICA ELETTRICA. EGLI È PRINCIPALMENTE DA SIFFATTA INDUZIONE CHE SEMRRA DERIVARE IL RINFORZO NELL' AZIONE MAGNETIZZANTE DELLA SCARICA ELETTRICA PRODOTTO DAL FERRO ATTORNO AL QUALE CIRCOLA LA SCARICA STESSA DEL CAVALIERE PROFESSORE STEFAIVO MARIANIIVI SOCIO ATTUALE. Ricevuta il dì ii Aprile i85a. I. Oe, per aver veduto che il ferro, messo nell' elica aggiunta a quella del magnetometro , rinfoi'za 1' azione magnetizzante della scarica elettiica anche quando in esso ferro non avviene alterazione sensibile nello stato magnetico, ho giustamente so- spettato, come si vide nella precedente Memoria, che egli po- tesse agire come semplice metallo, o conduttore elettrico di prima classe: non ne viene da ciò che quel ferro, nel rinfor- zare che fa la detta azione, operi unicamente come metallo. Imperocché è troppo grande la differenza che si osserva tra il rinforzo cagionato da un ferro e quello prodotto da un altro metallo a parità di circostanze. Infatti di due tubi di eguali dimensioni 1' uno d' argènto e 1' altro di ferro, messo il primo in un elica aggiunta a quella del magnetometro, non si ottenne, mediante la scarica d'una boccia di capacità 5 (i), e carica (1) Il numero con cui indico la capacità della boccia esprime il rapporto della capacità stessa con quella d'un altra boccia, nella quale il Tetro ba un millimetro di grossezza, e 1' una e 1' altra superfìcie armata è di uo decimetro quadrato. Tomo XXV. P.'^ II." M g8 Sull' azione magnetizzante ec. alla tensione dì dieci gradi , se non la deviazione di gradi 27°. 3o', la quale supera solo di due gradi e mezzo quella che si otteneva dalla scarica stessa quando non v' era metallo nella detta elica aggiunta. Ma sostituito al tubo d'argento quello di ferro, una scarica eguale alla precedente produsse la devia- zione 33". 3o'. Il ferro adunque nell' atto della scarica, oltre ad eccitare neir elica che lo circonda quella corrente di induzione di se- cond' ordine, dalla quale abbiamo veduto provenire un rinforzo all'azione magnetizzante, eccita un'altra forza che si aggiunge ad essa. Ed io credo essere questa una corrente di induzione che lo stesso ferro eccita nell' elica che lo circonda nel mo- mento che viene magnetizzato dalla scarica elettrica. Che un ferro nell'atto che viene fortemente magnetizzato produca una momentanea corrente in un' elica metallica che lo circonda, è noto; come è pur noto che un ferro fortemente magnetizzato introdotto in un' elica, o anche solo avvicinato ad essa, induce una corrente. Ma nel caso nostro le magneti- che forze che acquistano i ferri sono assai meschine, e tali che non se ne ottiene il menomo indizio al galvanometro quando essi vengono avvicinati o anco introdotti nelle eliche comunicanti col galvanometro stesso o col re-elettrometro. Con- vien dunque dire che il rinforzo prodotto dal fen-o nell'azione magnetizzante della scarica che vi circola attorno sia per la massima parte dovuto ad una induzione che nel momento della scai'ica esso genera nell' elica che lo investe. Ella è questa un' induzione differente dalle fin qui considerate, e la distin- guerò da quelle col chiamarla induzione leido-magneto-elettrica. Ed io mi propongo appunto di dimostrare nella prima e prin- cipale parte di questa Memoria che siffatta induzione ha luogo, per poi dimostrare nella seconda che da essa principalmente sembrano derivare i rinforzi nell' azione magnetizzante delle scariche elettriche, de' quali ho trattato nella Memoria ottava (i). (1) Inserita, come la nona, nella Parie seconda del Tomo XXIV. Del Cav. Prof. Stefano Marianini 99 PARTE PRIMA Delle correnti elettriche prodotte palla induzione leido - macnet0 - elettrica. II. I primi fatti che m'indussero a sospettare che il ferro, nell' atto die viene magnetizzato da una scarica elettrica, ec- citi una corrente nell' elica che lo circonda, gli osservai espe- rimentando sulle induzioni leido- elettriche. Ecco alcune di siffatte sperienze. I*. Un' elica di fil di rame coperto di seta lunga un deci- metro, di cinquanta avvolgimenti, e due centimetri di diame- tro fu messa in comunicazione coli' elica del re -elettrometro, ed entro quella prima ne posi un' altra. Scaricata quindi su questa una boccia di Leida di capacità i , e carica alla ten- sione di dieci gradi dell' elettrometro del Volta a doppio qua- drante, venne eccitata nell' elica esterna una corrente di in- duzione la quale deviò 1' ago dello stromento di 14°. Ma dopo aver messo nell' elica interna un fascio di cento fili di ferro dolce e ricotto lungo nove centimetri, replicata la scarica, 1' ago deviò di gradi aa°. 3o'. a*. Caricata la detta boccia a venti gradi, ed istituite le prove dell' esperienza precedente, se non vi era ferro nell' elica interna, l'effetto che conseguivasi era una deviazione di 34°. So'. E se vi era il suddetto fascio Sì". 3*. Invece dell' elica esterna, ho messo questa volta la in- terna in comunicazione col re -elettrometro per far sì che r elica attuante o inducente fosse 1' esterna, e, scaricata la boccia suir elica interna mentre non era ferro in essa, la de- viazione fu 18". E messo nella detta elica interna il solito fascio Si". 20'. 4.* Facendo uso d' una boccia di capacità 5, e carica alla tensione di tre gradi, se non v'era ferro nell'elica interna, r energia della corrente indotta era indicata da 4°- E se vi era il solito ferro da 9°. loo Sull' azione magnetizzante ec. Quel fascio di fil di ferro adunque, introdotto nell' elica attuante o nell' attuata, rende più forte la corrente indotta dalla scarica elettrica. E da ciò io deduceva che quel ferro nell' atto che si magnetizza, eccita nell' elica chiusa che lo circonda, e che comunica collo stromento, un' altra corrente cospirante con quella prodotta nell' elica stessa dalla scarica elettrica. III. Rimanevami per altro il dubbio che siccome quel fa- scio di til di ferro era circondato anche dall' elica sulla quale scaricavasi la boccia, così quel ferro stesso, il quale, come sap- piamo avvalora 1' azione magnetizzante della scarica, ne avva- loi'asse ancora l' azione inducente, e da ciò nascesse l' aumento di forza nella corrente indotta. E che la cosa potesse essere così me ne accertai colla seguente sperienza. Lasciate le cose disposte come ho detto sopra, unii ad un capo dell' elica esterna un capo d' un' altr' elica, e scaricava poi la boccia piccola colla tensione di dieci gradi ponendo un' armatura in comunicazione col capo libero dell' elica esterna suddetta, e 1' altra col capo libero dell' elica aggiunta. Ed os- servai che, se non v' era ferro in quest' ultima, la deviazione era i5°. 3o'. E se v'era in essa il solito fascio la deviazione era di a4°. Si vede adunque che il ferro in un' elica aggiunta a quella su cui si scarica la boccia di Leida, accresce 1' azione indu- cente della corrente della boccia stessa. Pertanto mentre questi risultati ci fanno conoscere una nuova analogia tra le azioni inducente e magnetizzante della scarica elettrica, dimostrano altresì che il maggiore effetto ottenuto nelle sperienze del pa- ragrafo precedente quando nell' elica inducente o nella indotta v' era del ferro , provenir potrebbe o in tutto o in parte , dall' avvalorare che fa il ferro in quelle circostanze 1' azione inducente della scarica elettrica. IV. Per vedere adunque con chiarezza se veramente il ferro, nell' atto che viene magnetizzato dalla scarica elettrica , eccita una corrente nell' elica che lo circonda, ho messo un Del Cav. Prof. Stefano Marianini ioi fascio di cinquecento fili di ferro entro due eliche corte, cia- scuna di dieci giri, ed in modo che una circondasse un' estre- mità del fascio suddetto, e 1' altra circondasse 1' estremità op- posta. I capi di una li misi in comunicazione coi capi dell' elica del magnetometro, e l' altra era destinata a scaricare la boccia di Leida. Pertanto ho osservato che, scaricando su quest' ul- tima la solita boccia colla tensione di gradi dieci, il magneto- metro rimaneva deviato di parecchi gradi. Né mi parve che questo risultato attribuir si potesse ad induzione leido- elettrica, vale a dire ad una corrente indotta neir elica comunicante collo stromento dalla scarica circolante nell' altr' elica; imperocché, tolto dalle due eliche il fascio di fili di ferro, e sostituito ad esso un fascio di fil di rame o al- tro metallo, o un tubo di vetro, e ripetuta la scarica , non avevasi verun indizio che nell' altr' elica si eccitasse corrente elettrica. Egli è ben vei'o che se le due eliche sono tra loro vicine, non separate, per esempio, che da un centimetro o due di distanza, ha luogo un'induzione leido -elettrica, e questa nella circostanza dell'esperienza accennata, e quando non v'è il fa- scio di fil di ferro nelle due eliche, fa deviare di uno o due gradi il magnetometro. Potevasi perciò dubitare che 1' effetto molto più notabile che si ottiene quando è il fascio di ferro nelle eliche provenisse dal rinforzo prodotto dal ferro nella azione inducente della scarica, e da quello prodotto dal ferro stesso neir azione magnetizzante della corrente indotta. Perciò introdussi un corto fascio di fil di ferro nell' elica sulla quale avevasi a scaricare la boccia, ed un altro nell'altra; e me- diante la solita scarica non otteneva che una deviazione di tre gradi e mezzo. Laddove introdotto in esse il fascio lungo ed in modo che riusciva in due de' suoi tratti ricoperto dalle due eliche, io otteneva, mediante la solita scarica, una devia- zione di dodici gradi. V. Ma r esperimento che sgombrò ogni dubbiezza fu il seguente. Due eliche lunghe 1' una e 1' altra un decimetro, di I02 Sull' azione magnetizzante ec. sedici millimetri di diametro e di cinquanta giri, erano avvolte al medesimo tubo di vetro e vicine 1' una all' altra. Scaricata la solita boccia carica alla tensione di quindici gradi sopra una di esse, e mentre 1' altra comunicava con un magnetome- tro, avevasi una magnetizzazione indicata da quattro, o al più da cinque gradi, e questa era prodotta dalla induzione leido- elettrica, cioè dalla corrente fatta nascere nell' elica comuni- cante collo stromento dalla scarica che invadeva l'elica vicina. Ma introdotto un fascio di fili di ferro lungo due decimetri nel tubo, e scaricata la boccia nell' elica libera, come prece- dentemente , la magnetizzazione non solo è stata più forte (portando una deviazione di quindici gradi), ma ancora con- traria a quella prodotta dalla induzione leido- elettrica. Ed ecco in questo fatto una prova convincente che que- sta induzione che diciamo leido -magneto- elettrica non è una induzione leido -elettrica rinforzata dal ferro contenuto nelle due eliche : ma è veramente una corrente eccitata dal ferro stesso nella spira metallica che vi sta attorno nell' atto che esso viene magnetizzato dalla scarica elettrica. VI. Accertato cosi dell'esistenza dell'induzione leido -ma- gneto-elettrica, mi accinsi a sperimentare intorno alla mede- sima per conoscere le circostanze più opportune a renderla più cospicua. E volli prima di tutto osservare se era o no in- differente che, le due eliche ricoprissero un tratto qualunque del ferro in esso contenuto. Due eliche eguali, ciascuna di dieci giri, lunghe due cen- timetri furono messe attorno ad un fascio di dugento fili sot- tili di ferro lunghi un decimetro, ed in modo che ciascuna copriva un' estremità del detto fascio, ed erano perciò separate r una dall' altra per un intervallo di sei centimetri. Uniti po- scia i capi di una con quelli dell' elica del magnetometro, e scaricata sull' altra la boccia di capacità cinque carica alla ten- sione di i5 gradi, la corrente indotta nell' altr' elica fece de- viar il magnetometro di a°. Del Cav. Prof. Stefano Marianini io3 Avvicinate le due eliche in modo che distavano 1' una dall' altra di centimetri 4i 5 ed erano equidistanti dal [junto di mezzo del fascio, l' induzione leido- magneto- elettrica cagio- nata da una scarica eguale alla precedente venne indicata dalla deviazione 3". 3o'. Avvicinate le eliche al punto di mezzo del fascio di fili, in modo che non distavano piìx di tre millimetri 1' una dall'al- tra, la scarica consueta produsse un'induzione indicata da 12.°. VII. Nell'esperienze fin qui descritte l'elica che riceveva la corrente indotta ricopriva i tratti del fascio di fil di ferro che acquistavano mediante la scarica la polarità boreale. Ho ripetute siffatte sperienze dopo di aver messo in comunicazione col magnetometro 1' elica che si adattava alla parte del fascio la quale acquistava nell' atto della scarica la polarità australe, e la corrente leido -magneto -elettrica, che veniva indotta Del- l' elica, era diretta ancora allo stesso modo, poiché lo stromento deviava dalla stessa parte. Vili. Una delle mentovate eliche fu applicata a ricopi'ire la parte mezzana del fascio di fil di ferro, e 1' altra vicino ad essa. Uniti pertanto i capi di questa a quelli dell' elica del magnetometro, e scaricata la boccia colla tensione di quindici gradi sull'elica che involgeva la parte mezzana del fascio, la de- viazione prodotta dalla induzione leido-magneto-elettrica fu di g°. Ma avendo messa 1' elica che ricopriva la parte media in comunicazione col magnetometro, e fatta scorrere per 1' altra una scarica eguale alla predetta, l'induzione leido-magneto- elettrica fu più forte ; essa fece deviar 1' ago di 1 7°. Dopo di aver replicate più volte le due sperienze ora de- scritte, e sempre cogli stessi risultati, altre ne ho istituite ca- ricando la boccia a dieci gradi di tensione. Ed allora, se l'elica che accoglieva la corrente indotta era la laterale, la deviazione era di gradi 7°. i5'. E quando la detta induzione era ricevuta dall'elica involgente il tratto medio del fascio, era di gradi 9°. 3o'. Si vede adunque che il ferro nell' atto che viene magne- tizzato dalla scarica elettrica eccita una corrente di induzione io4 Sull' azione magnetizzante ec. più forte attorno a se nel tratto medio; sebbene ivi la pola- rità che acquista sia poco o nulla appariscente IX. Quando per altro il ferro circondato dalle eliche è molto più lungo di esse, meno sensibile è la differenza che si osserva fra l' induzione eccitata nell' elica che circonda la parte mezzana, e quella eccitata nell'elica involgente un altro tratto del ferro stesso. Avendo infatti sostituito al fascio delle sperienze descritte nel paragrafo precedente un fascio di aSo fili sottili di ferro lunghi vent' otto centimetri, e messa un' elica a ricoprire il ti'atto mezzano di esso fascio, e l' altra a rivestire il tratto vi- cino; se l'induzione veniva ricevuta dall'elica rivestente il tratto di mezzo, la deviazione era di iò°, e se era ricevuta dall' altra, era di gradi i5°. 3o'. In queste esperienze la boccia veniva caricata alla ten- sione di dodici gradi. E qui noteremo che la differenza fra le due suddette cor- renti indotte è piccola anche quando le due eliche ricoprono altri due tratti qualunque tra loio vicini del fascio. Bene in- teso che se le due eliche si pongono verso un'estremità, l'in- duzione è più debole. Nelle circostanze dell' esperienza qui sopra descritta, se le due eliche ei'ano ad un' estremità del fascio, fosse poi quella che acquistava la polarità boreale o quella che conseguiva 1' au- strale, la corrente indotta era di gradi ii°, 3o'. Che se le due eliche stavano verso il mezzo del fascio, la deviazione era i5°. 3o'. Al fascio di fili di ferro suddetto ho sostituito un fascio di ottanta fili sottili d' acciajo lunghi centimetri a3,5, pesanti fra tutti 69 grammi : ed allora era presso a poco indifferente per la corrente di induzione leido-magneto- elettrica, che le due spire vicine ricoprissero qualunque tratto di esso fascio. X. Per ottenere effetti più cospicui da questa sorta di correnti volli provare ad avviarne al tempo stesso più d' una nel medesimo filo metallico. A tale oggetto ho collocato due eliche I' una accanto all' altra, fra loro parallele e congiunte Del Cav. Prof. Stefano Marianini io5 in modo che, scaricando su di esse la boccia di Leida, 1' elet- tricità scorresse in entrambe nel medesimo senso. Altre due eliche eguali alle suddette, ciascuna avente i capi liberi, ven- nero poste di fronte alle prime due in modo che 1' asse di ciascuna di queste era nel prolungamento dell' asse di quella che gli stava di fronte. Il filo girava nel medesimo senso an- che in queste due, e li due capi che erano dalla stessa parte nell' una e nell' altra comunicavano con un capo del filo del re -elettrometro, e gli altri due capi delle dette eliche comu- nicavano coli' altro estremo del detto filo. Messo pertanto un fascio di fil di ferro in modo che fosse coperto in parte da una delle dette eliche, ed in parte da quella che gli stava di fronte, ho scaricata la boccia colla tensione di quindici gradi sull' elica che non comunicava collo stromento, ed ebbi un' induzione leido- magnete -elettrica indicata dalla deviazione di tre gradi. Dopo di ciò misi un secondo fascio di fil di ferro nelle altre due eliche, e nel modo qui sopra descritto, ed allora con una scarica eguale alla precedente otteneva la deviazione di 7°. Se questo secondo ferro coHocavalo in modo che fosse cir- condato solamente dall'elica in cui scaricavasi la boccia, allora la deviazione superava di pochissimo quella che ottenevasi quando il detto secondo ferro non esisteva. Onde conchiudo che due correnti leido- magnete -elettriche si possono per così dire sommare insieme avviandole nel medesimo filo metallico. E così credo che se ne possano unire insieme tre, quattro e più. Io non ho per altro estesa maggiormente questa maniera di sperimentare, perchè mi è suggerito un modo più agevole di ottenere di siffatte correnti più forti, e che passo a descrivere. XI. Io aveva veduto, come notai al 5- VI, che la direzione della induzione leido-magneto- elettrica era la stessa, da qua- lunque parte si ritrovasse 1' elica che la riceveva rispetto a quella sulla quale veniva scaricata la boccia; pensai perciò che si avrebbei-o induzioni più forti qualora 1' elica che la ri- ceveva si fosse trovata in mezzo ad altre due, sulle quali si fosse scaricata la boccia. Tomo XXV. P.'^ //." N io6 Sull' azione magnetizzante ec. Ho adunque introdotto il fascio di fil di ferro che servì alle sperienze del 5- V. in tre eliche da tre giri ciascuna, ed eguali alle già descritte : ho messi i capi di quella di mezzo in comunicazione con quelli dell'elica del re-elettrometro; ed ho uniti fra loro i due capi delle altre due vicini all' elica di mezzo; e gli altri due, che rimanevano liberi, servivano alle comunicazioni colle armature della boccia quando voleva sca- ricai'la su di esse. Eseguita pertanto la scarica della boccia di capacità 5 e colla tensione di i5 gradi, mentre gì' intervalli che dividevano le due eliche laterali da quella di mezzo non erano che di un centimetro, 1' induzione leido-magneto- elettrica eccitata nella detta elica di mezzo fece deviare lo stromento di so". 3o'. E quando io invadeva colla detta scarica una sola elica laterale, 1' induzione eccitata nella vicina non portava che la deviazione di gradi la. XII. Applicate le tre eliche al fascio di ottanta fili lungo centimetri a3, 5, di cui si parlò al §. Vili, ed esperimentando come si è detto nel precedente, si ottennero a circostanze pari induzioni leido-magneto -elettriche più forti che non quando esperimentavasi con due soltanto di dette eliche. Si provò ad applicarle ora nel mezzo, ora verso le estre- mità di esso fascio: ma non si ebbero differenze sensibili negli effetti. La boccia carica alla tensione di dodici gradi produsse una corrente indotta, che deviava di 17 gradi il re -elettrome- tro, dovunque fossero collocate le tre eliche, purché non va- riassero le distanze a cui si trovavano fra di loro. XIII. Poteva dubitarsi se il maggior effetto ottenuto, espe- rimentando colle tre eliche al modo che abbiamo detto, pro- venisse dall' essere le due eliche, riceventi la scarica o 1' in- duzione, collocate l'una da una parte e l'altra dall'altra della terza, o provenisse solamente dall' essere le due eliche unite in modo da formarne una sola, nulla importando poi che l'al- tra fosse fra esse, o accanto ad esse. Tornai pertanto ad espe- rimentare con due eliche, ma una di esse doppia dell' altra e Del Gav. Prof. Stefano Marianini J07 per numero di giri e per lunghezza, a Kne di vedere se, anche in questa guisa, ottenevansi induzioni più forti. Messe adunque siffatte ehche vicine fra loro a ricoprire un tratto del fascio di ottanta fili di acciajo, e scaricata la boccia di capacità 5 e alla tensione quindici su quella di dieci giri, la corrente eccitata nell'altra congiunta col re- elettro- metro fece deviar l'ago di 18". 3o'. csiai Congiunta poi collo stromento 1' elica di dieci giri, e sca- ricata la boccia, carica come sopra suU' elica di venti giri, il risultato medio di quattro esperimenti fu ancora la deviazione di 18°. 3o'. E lo stesso accadeva se, all' elica di venti giri, io sosti- tuiva due eliche di dieci vicine tra loro e congiunte in guisa da formarne una sola. Ma messa 1' elica di dieci giri in mezzo ad altre due pa- rimente di dieci giri, quando l'induzione era ricevuta da quella di mezzo, la deviazione fu ( per medio risultato di tre speri- menti ) a6°. 40'. E quando l'induzione era ricevuta dalle altre due insieme unite, 1' ago dello stromento deviò di aS". 3o'. La differenza fra questi due ultimi risultati è poca cosa : ma è notabile il vantaggio che quest' ultima disposizione ha sulla precedente. Volli pertanto vedere se, quando si scarica la boccia suU' elica di mezzo, le due induzioni eccitate nelle laterali fossero indipendenti 1' una dall' altra. Ho messe perciò intorno al fascio di fil di ferro tre eliche, la prima delle quali comunicava con un re -elettrometro, e la terza con un altro: scaricai la boccia colla tensione i5 sopra la seconda che stava tra le altre due; e avvenne che, sì l'uno che 1' altro istromento indicava, con deviazioni di circa quat- tordici gradi, che aveva luogo l'induzione leido- magnete -elet- trica e nella prima e nella terza delle dette eliche. E con successivi esperimenti ho pur veduto che, a parità di circostanze, le deviazioni ottenute in ciascun istromento erano eguali e quando una sola delle eliche indotte comunicava col io8 Sull' azione magnetizzante ec. re -elettrometro, e quando comunicavano entrambe. Il che di- mostra che la corrente eccitata da un tratto del ferro attorno a cui circola la scarica elettrica non turba la corrente che viene eccitata da un altro tratto. XIV. Il fatto ora stabilito mi suggerì di collocare attorno allo stesso fascio di fili cinque delle solite eliche ed in modo che la prima, la terza e la quinta fossero unite in guisa da formarne una sola, e ne congiunsi li due capi estremi coli' elica del re -elettrometro. Parimente la seconda e la quarta le con- giunsi in modo da formarne una sola, così che scaricando me- diante i due capi liberi di queste la boccia, la scarica le in- vadesse successivamente entrambe. E fattone l'esperimento, si ottennero induzioni più forti che quelle ottenute con tre eliche a parità di scarica. Così aggiunte ancora altre due eli- che, e fatta scorrere 1' elettricità per la seconda, la quarta e la sesta, l' induzione eccitata nelle altre quattro unite in modo da formarne una sola congiunta collo stromento, le deviazioni ottenute indicavano che la corrente indotta era ancor più forte. Veduto come coli' accrescere il numero delle eliche at- torno ad un ferro o fascio di fili di ferro aumentasi la forza delle induzioni leido-magneto- elettriche, e come poco o nulla importasse che il ferro, mediante la scarica, spiegasse una più o men forte polarità magnetica, ho pensato di avvalorarle an- cor più, mediante 1' apparecchio che son per descrivere. Una matassa di filo sottile di ferro, circolare, del diametro esterno di centimetri i3,3, e l'interno di 12,7, e nella quale il filo era ripiegato sopra se stesso 2,^0 volte, e pesava grammi 55, la ho fatta circondare di undici eliche, ciascuna delle quali era avvolta ad un tubetto di cartone con dieci giri, e tutte nel medesimo senso. Queste coprivano all'intorno tutta la ma- tassa, lasciando fra una qualunque di esse e le vicine un in- tervallo di qualche millimetro. La prima, la terza e tutte le altre in posto dispari erano unite in modo che potevasi far circolare successivamente in tutte quante la scarica della boc- cia di Leida. Allo stesso modo erano unite fra loro quelle dei Del Cav. Prof. Stefano Marianini 109 posti pari. II capo libero della seconda fu congiunto con un capo dell'elica del re -elettrometro, ed il capo libero della decima coli' altro. Il capo libero poi della prima ponevasì in comunicazione con un' armatura della boccia di Leida, e il capo libero dell' undecima coli' altra ogni qual volta volevasi sperimentare l'induzione leido-magneto- elettrica con siffatto apparecchio. Adoperando la solita boccia di capacità 5 e carica soltanto alla tensione di un grado si eccitò mediante il detto congegno una corrente indicata dalla deviazione re -elettrometrica 11°. Caricata la boccia a due gradi la eccitò indicata da aó". E colla tensione di tre gradi la deviazione fu 60°. XV. Volli poi vedere se la corrente leido-magneto -elet- trica venisse rinforzata quando la scarica dalla quale è pro- dotta, circola attorno ad un' altr' elica contenente ferro. Mi valsi a tal uopo dell' apparecchio di tre eliche , con cui vennero istituite le esperienze notate al 5- X, ed aggiunsi all'elica di mezzo un' alti-' elica lunga un decimetro e del dia- metro di sedici millimetri. E, scaricata su queste eliche la boccia solita carica a i3 gradi di tensione, la corrente leido- magneto - elettrica ottenuta produsse la deviazione 18". Ma replicata 1' esperienza dopo di aver messo nell' elica aggiunta un fascio di 5oo fili sottili di ferro ricotto, la corrente indotta fu più forte ; essa fece deviar 1' ago dello stromento di a6 gradi. XVI. E se la corrente leido-magneto -elettrica stessa cir- colasse in un' altr' elica contenente ferro, sarebbe essa rinfor- zata? L'esperienza che son per descrivere dimostrò che in tal caso, non un rinforzo, ma un indebolimento ha luogo nella induzione leido - magneto - elettrica. Tolta r elica aggiunta a quella di mezzo nell' esperienza del paragrafo precedente, ed aggiunta alle due fra loro unite, e nelle quali nasce l'induzione leido -magneto -elettrica, sca- ricai la suddetta boccia con i5 gradi di tensione sull' elica di mezzo, e 1' induzione ottenuta deviò 1' ago di 20''. I IO Sull' azione magnetizzante ec. E dopo di aver messo nell' elica aggiunta il fascio di 5oo fili di ferro, replicata la scarica, la deviazione ottenuta dalla corrente indotta fu solo di iò°. Distrutta la magnetizzazione nel ferro dello stromento , indi replicata la scarica, si ebbe la deviazione i6°. 3o'. Tolto il ferro dall' elica aggiunta, e poi rinnovata una sca- rica eguale alle due precedenti, la deviazione fu a5°. Un'esperienza simile alla sovradescritta la ho istituita me- diante r apparecchio a matassa descritto al §• XIV. Ho ag- giunta cioè un'elica lunga circa un decimetro al filo che parte dalla unione di cinque eliche per le quali passa la corrente indotta dalla magnetizzazione operata nel fascio di fil di ferro quando nelle altre sei eliche insieme unite si scarica la boccia. Ciò fatto scaricai la boccia colla tensione di dieci gradi sulle dette sei eliche, e l' induzione eccitata nelle altre era indicata da i8o°, quando non era fen'o nella detta elica aggiunta; e solo da 5i° quando in essa era un fascio di laS fili di ferro dolce. Nelle sperienze descritte in questo paragrafo l' elica ag- giunta a quella per la quale scorreva l'indotta era destra. Non dissimili dai sovraccennati furono i risultamenti delle esperienze istituite quando 1' elica aggiunta era sinistra. L'induzione leido- magnete -elettrica adunque viene inde- bolita quando essa è fatta circolare per un'elica entro la quale sia del ferro (i) . XVII. Tornerà opportuno in altra Memoria il far conoscere le circostanze influenti a rendere più o meno sensibile il so- vraccennato indebolimento, e il dare maggiore estensione ad alcune precedenti proposizioni. Chiudo ora la prima parte di (1) Anche quando si fa uso di due sole eliche, come nelle sperienze de' §§. V, VI, VII e vili, se si aggiunge un'elica a quella per cui passa la scarica, e vi è del ferro in essa, l'induzione leido-magneto- elettrica è più forte. Ma se l'elica aggiunta 8Ì unisce a quella per cui passa la corrente indotta, questa è più debole quando nella detta elica aggiunta vi è del ferro. Noterò pure che anco l'induzione leido- elettrica viene indebolita dal ferro che si trovi in un'elica, per la quale essa trascorre nel recarsi al re- elettrometro. Del Cav. Prof. Stefano Mauianini i i i (juesta notando che può aversi anco un'induzione leido- ma- gnete-elettrica di secondo ordine, cioè che può aversi una corrente elettrica eccitata dal ferro nell' atto che viene ma- gnetizzato, non dalla scarica elettrica circolante attorno ad esso, ma dalla stessa corrente di induzione leido -magneto- elettrica, che vi gira attorno. Ho messo tre delle solite eUche corte attorno ad un fa- scio di dugento lili sottili di ferro crudo. Le due laterali con- giunte in modo da formarne ima furono destinate a ricevere la scarica. Quella di mezzo destinata a ricevere la corrente indotta dalla magnetizzazione del ferro suddetto, fu messa coi suoi capi in comunicazione coi capi esteriori di altre due eli- che, entro le quali stava un altro fascio di aoo fili di ferro crudo, ed erano fra loro congiunte, e fra 1' una e 1' altia era un' elica destinata a ricevere la corrente leido -magneto -elet- trica di secondo ordine, e questa comunicava col re-elettrometro. Così disposte le cose, la boccia solita carica alla tensione di i5 gradi, scaricata nelle eliche a ciò destinate produsse una corrente di induzione leido -magneto -elettrica di secondo or- dine, la quale venne mostrata dallo stromento colla deviazione di tre gradi. Ripetuta r esperienza colla boccia carica a venti gradi, la induzione di secondo ordine fu indicata da una deviazione di quattro gradi, e talvolta da una di cinque. Siffatte sperienze replicate più volte, e magnetizzando ora in un senso, ed ora in senso opposto, e variando ferri, e boc- cia di Leida, e carica, non lasciano dubbio che possano aversi correnti elettriche per induzione leido -magneto -elettrica di secondo ordine. Ila Sull' azione magnetizzante ec. PARTE SECONDA Il rinforzo nell' azione magnetizzante del ferro, che si osserva quando la scarica elettrica circola attorno ad altro ferro, sembra nascere principalmente dalla corrente leido-magneto- ELETTRICA INDOTTA DAL FERRO, NELl' ATTO CHE SI MAGNETIZZA, NELl' ELICA CHE LO CIRCONDA. XVIII. A dimostrare la qui enunciata proposizione basterà il far vedere che le circostanze nelle quali ha luogo il rin- forzo dell' azione magnetizzante prodotto dal ferro attorno al quale circola l' elettricità, ha luogo altresì la induzione leido- magneto - elettrica j e che le circostanze che giovano a quel rinforzo, giovano pure a rendere più vigorosa siffatta induzione. Già nella prima parte abbiamo veduto che 1' induzione di cui si tratta ha luogo con iscariche eccitate da bocce leidensi di poca e di molta capacità, e caricate a forte ed a debole tensione: e sappiamo che il rinforzo nell'azione magnetizzante di cui si tratta ha pur luogo qualunque sia, entro i limiti delle nostre esperienze, la carica e la capacità della boccia. Il rinforzo nell' azione magnetizzante ha pur luogo qua- lunque sia il ferro che si pone nell' elica aggiunta. Ed anco r induzione leido- magnete -elettrica non richiede qualità spe- ciali nel ferro che si pone nelle eliche. Un cilindro lungo centimetri 8, 5 e pesante gi-ammi i3, 6, messo nelle tre eliche descritte al §. XI, e scaricata su quella di mezzo la boccia solita colla tensione di quindici gradi, la corrente indotta nelle altre due fu tale che deviò il re -elet- trometro di gradi 3°. * Fatta una eguale esperienza con un altro cilindro di ferro pesante grammi 7, 5, l' induzione ottenuta deviò lo strornento di gradi a°. E con un cilindro pesante grammi 69,5 si ottennero gradi g°. Con un tubo di ferro pesante grammi 5 si ebbe 3°. 3o'. Del Cav. Prof. Stefano Marianhu ii3 Messi nelle tre spire in vece di cilindri di ferro due fili d' acciajo temprato, in peso grammi 4? 6, la deviazione lu a". Sette lamine di f'eiTo lustre lunghe centimetri 8, 6, pesanti tra tutte grammi 87, produssero nelle suddette circostanze una induzione leido- magnato -elettrica, la quale deviò lo stromento di gradi 17°. XIX. Anche quando neh' elica aggiunta si pone ferro il quale poco o nulla si alteri nello stato magnetico per la sca- rica elettrica, o si alteri al contrario del solito, il rinforzo nella azione magnetizzante non manca. Cosi non manca 1' induzione leido - magnete - elettrica quando il ferro che si adopera per eccitarla è preparato o in guisa da non alterarsi per la cor- rente che vi si fa girare attorno, o in guisa che si alteri al contrario di quel che suole. I*. Il tubo portante le tre suddette eliche lo posi sovra un ago da bussola a guisa d'un' elica di re-elettrometro, e dentro di essa posi un fascio di dugento fili sottili di ferro dolce e ricotto. Scaricai ripetutamente la boccia colle tensioni i5, 18 e ao gradi suU' elica di mezzo, e sempre nel medesimo senso, finché r ago sottoposto non dava più segno che avvenisse al- cun aumento nella forza magnetica del fascio suddetto. Ed al- lora misi in comunicazione coli' elica del re -elettrometro le altre due eliche circondanti il ferro, e scaricai di nuovo la boccia colla tensione di 18 gradi sull'elica di mezzo: ed il risultato fu che l'ago del re -elettrometro deviò di sei gradi; mentre 1' ago sottoposto alle tre eliche non diede indizio che il fascio in esse contenuto si fosse alterato nel magnetismo. a*. Ho tolto il ferro dall' elica dello stromento. Indi scaricai la boccia con dieci gradi di tensione sulla solita elica di mezzo, ed osservai, che 1' ago sottoposto al fascio che veniva magne- tizzato da quella scarica, dai gradi 49 di deviazione, a cui era stato portato antecedentemente, passò a segnare So". 3o'. Allora ho rimesso nell'elica dello stromento il fascio di fil di ferro, e privo di magnetismo, indi scaricata la boccia colla tensione di i5 gradi, l'ago sottoposto al fascio inducente, da gradi Tomo XXV. P." 11.'^ O I i^ Scjll' azione magnetizzante ec. 5o°. 3o' dov'era, ritornò a ^q°, e l'ago del re - elettrometro deviò di gradi g°. 3*. Di nuovo tolsi il fascio di fil di ferro dal re -elettrome- tro, e, scaricata la boccia colla tensione di dieci gradi sulla detta elica, l'ago sottoposto al fascio inducente si portò da 49 a Sa gradi. E rimesso il fascio spogliato di magnetismo nell' elica dello stromento, e poi scaricata sulla solita elica di mezzo, e nella consueta direzione, la boccia carica alla tensione di ven- tisette gradi, avvenne che il ferro, attorno a cui era stata sca- ricata la boccia, si smagnetizzò anche più che non fece nelle sperienze precedenti, poiché l' ago sottoposto ad esso dal grado 5a° si portò al 46% e quello del re -elettrometro deviò dalla solita parte, e di gradi i3°. Dunque anche quando il ferro è preparato in modo che per una data scarica, o non si alteri sensibilmente nello stato magnetico, come nella prima delle descritte esperienze, o si alteri in senso contrario al consueto, come avvenne nelle altre due, l'induzione leido-magneto- elettrica ha luogo, e sempre nel medesimo senso (i). XX. Il rinforzo nell' azione magnetizzante della scarica è più notabile se il ferro messo nell'elica aggiunta è di maggior massa; e tale aumento è più cospicuo se si adoprano fasci di fili. Egualmente comportasi l'induzione di cui parliamo: essa è più notabile se è prodotta da maggiore massa di ferro. Nelle solite tre eliche ho messo un fascio di ottanta fili sottili di ferro, e la boccia con dieci gradi di tensione diede un'induzione leido-magneto -elettrica che deviò lo stromento di gradi 9°. Aggiunsi al detto fascio altri 170 fili della stessa qualità, la deviazione fu, nelle stesse circostanze, di gradi i4°- Ed aggiunti altri 80 fili la deviazione fu aa". 3o'. (1) Bene inteso che quando 1' alterazione in senso contrario nello stato magnetico del ferro avviene perchè la scarica è diretta all'opposto, anco l'induzione leido-ma- gneto-elettrica riesce contraria. Del Cav. Prof. Stefano Makuiuini ii5 Caricata la boccia a i6 gradi, cogli 80 fili si ethe la de- viazione ig"- Con 2,5o a6°. Con 33o 40". XXI. Se i fasci di ferro messi nell' elica aggiunta sono sempre d' egual lunghezza e peso, abbiamo veduto esservi più rinforzo nell' azione magnetizzante quando era più grande il numero de' fili formanti quella massa. E cosi pure si osserva che un fascio di fili di ferro produce un'induzione leido- ma- gnete-elettrica più forte quando è più grande il numero de' fili formanti il fascio di quel dato peso. Ecco un esperimento. Un cilindro lungo otto centimetri, e pesante 2,8 grammi, messo nelle tre eliche corte delle precedenti esperienze, sca- ricata la boccia suddetta colla tensione di quindici gradi si ebbe un' induzione, che deviò lo stromento di 5°. Un fascio di quattro cilindri, pesanti tra tutti grammi 28 come il suddetto , boccia e tensione come sopra , la devia- zione fu 8°. Un fascio di aa fili lunghi come i precedenti e del peso complessivo di grammi a8, nelle dette circostanze la devia- zione fu 1 7". 3o'. E con un fascio di ag fili, nelle stesse circostanze produsse la deviazione di a4°. XXII. Il rinforzo recato all'azione magnetizzante della sca- rica elettrica dal ferro messo nell' elica aggiunta è più nota- bile quando 1' elica stessa è più ristretta, che non quando è più larga. Cosi anco 1' induzione di cui parliamo è più forte se r elica è più ristretta. Lo vidi con parecchie esperienze istituite con tre eliche solite, e confrontandone poi gli effetti con quelli prodotti da altre tre di minor luce. XXIII. Avendo obbligata la scarica elettrica ad attraver- sare uno strato d' acqua che avvalorava la magnetizzazione , rimase avvalorata anche l'induzione leido-magneto- elettrica. Coir apparecchio delle tre eliche corte, la boccia carica alla tensione di quindici gradi, se la scarica non traversava uno Il6 SlTtr." AZIONE MAGNETIZZANTE CC. sti'ato d' acqua rinforzante la magnetizzazione, generava una corrente di induzione leido-magneto-elettrica, la quale deviava il re -elettrometro di nove gradi; e quando la scarica stessa traversava un prisma d' acqua leggermente salata di tre centi- metri quadrati di base e quattro di altezza, 1' induzione lei- do-magneto-elettrica produsse una deviazione di quattordici gradi (i) . E risultati simili si ottennero caricando la boccia a dieci gradi e non a quindici, e ponendo nelle eliche invece di un fascio di iioo fili sottili di ferro, un fascio di parallelepipedi di ferro dolce e crudo lungo centimetri 8, 6, e pesanti tra tutti grammi 87. Sappiamo pure che il ferro messo nell' elica aggiunta av- valora l'azione magnetizzante anche quando la scarica traversa uno strato d'acqua; abbiamo perciò anche in questo fatto una nuova analogia. XXIV. Si sa che il ferro con magnetismo dissimulato rin- forza, e presso a poco allo stesso grado che quello senza ma- gnetismo , r azione magnetizzante della scarica : e ciò tanto quando la scarica stessa tende a magnetizzare quel ferro nel senso in cui è più suscettibile, come quando tende a magne- tizzarlo nel senso in cui lo è meno (a) . Anco rispetto all' in- duzione in discorso sembra comportarsi allo stesso modo il ferro dotato di magnetismo dissimulato. Un tubo di ferro del diametro di millimetri dodici, lungo sei centimetri, e pesante grammi 9, 5, messo, senza magnetismo dissimulato, nelle tre eliche, e scaricata su quella di mezzo la boccia colla tensione di dieci gradi, la deviazione prodotta nello stromento dalla magnetizzazione conseguita dal tubo fu di 37". E la deviazione prodotta dalla induzione fu di 9°. (1) Se il prisma d'acqua è fatto traversare dalla induzione leido- magnete -elet- trica nelle circostanze dell'esperienza descritta, essa induzione non è né maggiore, né minore di quando non 1' attraversa. (2) Veggasi il §. XVII della citata Memoria Vili. Del Cav. Prof. Stefano Marianini 117 Magnetizzato quindi il detto tubo in modo che il magne- tismo fosse dissimulato, indi rimesso nelle tre eliche, e scari- cata la boccia ( carica come sopra ) in modo da polarizzare il detto tubo nel senso che ha minore suscettibilità, esso tubo deviò r ago di 1 7°, e 1' induzione prodotta venne indicata da una deviazione di 5°. Replicata quest' ultima esperienza, ma dirigendo la sca- rica in modo da polarizzare il detto tubo nel senso nel quale aveva maggiore suscettibilità , esso tubo deviò 1' ago di 35° , e r induzione venne indicata da una deviazione di 4°. 3c'. XXV. Al paragrafo XIX della citata Memoria ottava feci osservare che anche il ferro collocato esteriormente all' elica aggiunta avvalora 1' azione magnetizzante dell' elica che 1' in- vade. Ora introdotte nel tubo di ferro che servì a quell'espe- rienza due eliche, una per pai'te, lunghe la metà del tubo stesso, e, messi i capi di una in comunicazione coli' elica di un magnetometro, e scaricata suU' altra la boccia carica a do- dici gradi, si ottenne una corrente leido-magneto- elettrica in- dicata da una deviazione di circa quattro gradi. XXVI. Dopo aver vedute tante analogie fra l' induzione leido-magneto-elettrica, e il rinforzo nell' azione magnetizzante della corrente leido- elettrica prodotto dal ferro attorno a cui si fa circolare la corrente stessa, io conchiudo essei-e al tutto probabile che quel rinforzo nasca appunto da una corrente che il ferro nell' atto che si magnetizza fa nascere nell' elica che lo circonda. E se non riguardo come dimostrata questa proposizione , egli è perchè mi avvenne di osservare che talvolta il ferro messo neir elica aggiunta , indebolisce invece di rinforzare l'azione magnetizzante della corrente leido -elettrica. Neil' elica d' un magnetometro era un fascio di 128 fili di ferro crudi lunghi otto centimetri, e pesanti fra tutti venti- sette grammi. A quest' elica erane aggiunta un' altra poco dif- ferente da essa. Pertanto colla scarica della solita boccia colla Il8 Sull'azione magnetizzante ec. tensione di dieci gradi, se non vi era ferro neli' elica aggiunta, la deviazione magnetometrica era di 34°. Ma se nella detta elica aggiunta era un fascio di ottanta fili di ferro sottili e ricotti, la magnetizzazione che acquistava mediante la suddetta scarica quel fascio di centoventitrè fili di ferro, era meno forte; essa veniva indicata da una devia- zione di 2,5°. Ho trovato anche un fascio di fili sottili e crudi, i quali messi neir elica aggiunta indebolivano 1' effetto della scarica sul fascio de' 12,3 fili suddetto, e questo reciprocamente inde- boliva la magnetizzazione dell' altro fascio. È per altro da notarsi che 1' uno e 1' altro de' detti fasci di fili crudi aveva servito a molte sperienze : e forse quella disposizione di riuscire magnetizzati più debolmente nella cir- costanza in cui gli altri ferri si magnetizzano con più forza, proviene da un particolare stato magnetico conseguito per le molte magnetizzazioni alle quali erano stati assoggettati. Se mi verrà fatto di conoscere con esattezza le circostanze che danno origine a siffatta anomalia, tornerò su questo argomento. Le proposizioni principali di questa Memoria sono : X*. Il ferro nell' atto che viene magnetizzato da una scarica elettrica eccita in un' elica metallica chiusa che lo circonda un' altra corrente cospirante con quella prodotta nell' elica stessa dalla scarica elettrica che vi si fa girare attorno. Essa può chiamarsi corrente di induzione leìdo-magneto- elettrica. 2,\ Se due eliche vicine avvolgono un fascio, ed una di esse è chiusa, magnetizzando il ferro collo scaricare la boccia sulla altr' elica, esso ferro induce nella prima una corrente. Né questa può supporsi prodotta da induzione leido- elettrica rin- forzata dal ferro contenuto nella spira, perchè talvolta è diretta al contrario di quella. 3*. Più le due eliche sono vicine, e più la corrente di in- duzione leido -magneto- elettrica è forte. 4*. Siffatta corrente è diretta nel medesimo senso e quando r elica che la riceve ricopre la parte del ferro che acquista Del Cav. Prof. Stefano Mabianini 119 la polarità boreale, e quando ricopre la parte che acquista l'au- strale, purché la scarica sia sempre diretta nello stesso verso. 5*. L' induzione che produce il ferro nell' atto che viene magnetizzato è più forte nel tratto medio che non negli altri: e tale differenza è poco sensibile quando il ferro circondato dalle due eliche è molto più lungo di esse. 6*. Gli effetti di due o più correnti leido-magneto-elettriche si possono accumulare dirigendole nello stesso filo metallico. 7°. Se un ferro è ricoperto da tre eliche, e si scarica la boccia su quella di mezzo, in ciascuna delle laterali, se sono chiuse, nasce l'induzione leido -magneto- elettrica ; e 1' una non altera menomamente l'altra; e se queste due eliche sono unite in modo da formarne una sola, 1' effetto è maggiore. In questo caso qualunque sia il tratto del ferro ricoperto dalle tre eliche, 1' effetto è sempre lo stesso, purché non variino le distanze a cui si trovano fra di loro. 8*. Una data scarica può produrre induzioni leido-magneto- elettriche molto più cospicue circondando un lungo fascio, o una matassa di fili di ferro, con parecchie eliche 1' una di se- guito all'altra, e unendo la prima, la terza e tutte le altre in posto dispari in modo da formarne una sola congiunta poi con r elica dello stromento, e così formandone di tutte quelle in posto pari una sola , sulla quale poi scaricasi la boccia di Leida. 9*. Se la scarica é rinforzata perché fatta circolai'e in un' elica contenente ferro, la corrente leido-magneto-elettrica riesce pure avvalorata. Ma se per contrario si fa circolare la corrente suddetta di induzione, oltre che nell'elica del magnetometro, anche in un'altra contenente ferro, l'induzione leido-magneto- elettrica è più debole. IO*. Se la corrente leido-magneto-elettrica eccitata dalla scarica d'una boccia si fa circolare in un'elica circondante un fascio di fili di ferro, e attorno al fascio stesso siavi un' altra elica comunicante col magnetometro, si ottiene una corrente leido-magneto-elettrica di secondo ordine. I2,0 SuLl' AZIONE MAGNETIZZANTE 60. II*. Il rinforzo nell'azione magnetizzante della scarica elet- trica prodotto dal ferro , attorno al quale si fa circolare la scarica stessa, sembra nascere principalmente dalla corrente leido-magneto- elettrica, la quale dal ferro stesso, nell'atto che si magnetizza, viene eccitata nell' elica che la circonda. E ciò perchè tutte le circostanze, nelle quali ha luogo quel rinforzo ha pur luogo l'induzione leido - magnete- elettrica ; e tutte quelle circostanze, dalle quali viene quel rinforzo avva- lorato, giovano a dar più vigore alla induzione leido-raagneto- elettrica medesima (i). (1) Un cenno circa il fenomeno che forma il principale argomento di questa Me- moria venne pubblicato nella Gazzetta Piemontese del 3 Aprile 1847. /?/. ^^x r ,/ .... ././/' , ,^;. ,^./ ^- xxK^..^^-/^"^ .'^/a^- 7 1/ \W\ /:■-, /■ Vi ^f/l^ia^. "'"^f^''' •i>-/>' JY. y^^^ /U/. /^ é/o/z/: //. //f ,'^m r/f^/^ ^-4e. ,'fc^ /"'' ■Wf. yK' -_%e.<-; //' ^ ^-./ ^/^^ f^ir. ^^^. e^„^^ XXV. yi^j^ì^ yyyf ' yy /■2/. '-^ii^ ^at/r V. u /^-w ^/^ S,,i^ XXK y^r^^^ yy yi^^^^ yyy>^^y /^/ a-'iéB*^ V. r/^ìf^ /^^ /^^'/^y*-*''->-EL PROFESSORE BARTOLOMEO BIZIO SOCIO ATTUALE Ricevuta il 2 Maggio 1862. S- I- Si accenna a' primi fatti, che condussero al nuovo modo di ve- dere la soluzione, e si ricorda il rilevantissimo del Person , concernente il così detto da lui calorico di diluizione. lYXessomi neir anno 1842. con pesato riflesso a considerare il fatto volgare, e perciò notissimo della calce che, quando sciolta nell'acqua se indi si esponga al libero contatto dell'aria, passa a condizione di carbonato, con questo di aggregarsi in pellicole o croste alla superficie del liquido, presi partito di farmi a indagare sperimeulalmente, se tutta, o solo In partp, quivi si adunasse a qualità di sale. Dato adunque di piglio all' espe- rienza, e variatone in più guise il modo, sempre conforme all' intendimento di vedere, se realmente le molecole muoves- sero per sé dal basso in su, rinvenni in fatto che la calce usciva tutta dall' acqua a quella volta, rendendosi a forma di sale alla superficie, e ne diedi in luce i risultamenti in opu- scolo pubblicato l'anno i845 (1). Da questo io era condotto a vedere un corpo sciolto, in opera della propria forza ripulsiva, riuscire in grembo al liquido, effettivamente in condizione mo- (1) Yegg. l'Opuscolo pubblicalo coi torchi Cecchini Naratovich , Venezia 1845, in- titolato : Sopra l' azione della calce entro l' aequa conducente a ravvisare in che consista la solusione. Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio 129 lecolare e quindi elastica, e in tal forma spargersi dentro al solvente a guisa di un vapore in uno spazio definito. Di qua io escludeva tra il liquido e il corpo da sciogliersi l'affinità, ammessa come indispensabile perchè si sciolga , avvegnaché non "i tenga a legge veruna di chimica proporzione, né a re- gola «li effetti, che fedelmente si accompagnano a' vincoli di combinazione: talché, ove il discorso non si torca stranamente ad arguire dalla diversità degli effetti conformità di causa, la soluzione de' corpi non poteva giammai scriversi a chimica operazione, come in fatto da essa punto non procede. Posata questa idea dinamica della soluzione, mi faceva ad avvalorarla colle gravi considerazioni del Gay - Lussac. Questo distinto chimico in un suo lavoro intitolato : Considerazioni so- pra le forze chimiche e quindi sopra la coesione (i), condotto dal filo de' suoi argomenti riusci col discorso alla solubilità dei corpi, e quindi alla soluzione. Trovò egli che la soluzione di un corpo avviene senza verun rispetto allo stato in che il corpo si trova, cioè se solido o liquido, onde la coesione non influisce \ menomamente sopra il cangiamento, che i corpi quivi incon- ^ trano. Trovò in contrario che la solubilità è strettamente le- gata colla temperie; talché la soluzione di un sale saturato ad una data temperie, quando si raffreddi per un certo numero di gradi, abljandoiia una proporzionata quantità del sale sciolto; onde concludeva avvenire della soluzione de' corpi quel mede- simo che della elasticità de* vapori, la quale varia colla temperie. Si faceva quindi a comparare la soluzione colla vaporizzazione, dichiarando « che non si potrebbe non ammettere, così egli, « che nella soluzione, come nella vaporizzazione, il prodotto « sia essenzialmente limitato a ciascun grado di temperie pel « numero delle molecole, che possono esistei'e in una porzione « data di solvente. Esse si separano per la cagione medesima, « onde le molecole elastiche precipitano, cioè per un abbassa- « mento di temperie » . Crede che la compressione , come (1) Vegg. Aonales de Chimie el de Physiquej Tom. LXX, anno 1839. Tomo XXV. P.'^ //.» 0 i3o Intorno alla ragione dinamica ec. obbliga a precipitare le molecole elastiche de' vapori, così fac- cia delle molecole saline sciolte. Ricorda, che come le mole- cole de' vapori precipitano per la riduzione dello spazio, cosi del pari le molecole sciolte de' sali quando si menoma il vo- lume del solvente; del che, per cosi dire, la cotidiana sperienza ci chiarisce, anche quando facessimo, dopo la svaporazione di parte del solvente, di ricondurre la temperie della soluzione a quel preciso termine a che fu operata la saturazione. Final- mente richiama 1' attenzione alla conformità del fenomeno con che si opera la soluzione e la vaporizzazione ^ cioè del freddo che si accompagna ad entrambe queste tramutazioni de' corpi di uno in altro stato. Vero è eh' egli, lontano dal riconoscere in questa operazione fisica la parte efficiente che tiene la forza ripulsiva molecolare, si die' a scriverne 1' effetto alla chimica affinità; conciossiachè gli bisognasse una forza perchè molecole solide o liquide si spargessero per entro un solvente ; sicché nella ignoranza della naturale, operante, ammise la fittizia e disacconcia a dichiarazione degli effetti. Quando il celebre Gay-Lussac fermava tutti questi punti di analogia esattissima tra la soluzione e la vaporizzazione , l'esperienza non ci aveva per anche fornito l'ultimo anello, che valesse a legare queste due operazioni tìsiche cosi stretta- mente fra sé che niente restasse a desiderare ; eh' ora il ve- dere a mano de' fatti, se, come un vapore che satura uno spazio dato, quando si conduce a spargersi in uno spazio più grande, per la rarefazione che siegue, produce freddo, cosi del pari i sali sciolti, messi a diffijndersi in una copia maggiore di solvente, a similitudine de' vapori, rendessero anch' essi un abbassamento di temperie. Il primo cenno che apriva la via alla verificazione di questo fatto rilevante, senza però il me- nomo intendimento, che fosse per valere al più fedele riscontro della soluzione colla vaporizzazione, io il rinveniva nel Rap- port annuel dell'anno 1846, in che il Berzelius ci divisa bre- vemente alcuni risultamenti sperimentali del Person intorno alla soluzione del cloruro sodico, ne' quali 1' autore si prefisse Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i3i di determinare la quantità del calorico assorbito nello sciogliersi di questo sale. Quivi è detto : « Il Person attirò 1' attenzione « sopra la seguente particolarità del sai marino : Quando si « scioglie un grammo di questo sale in 5o grammi di acqua , « esso assorbe 2,2, unità di calorico, mentre quattro grammi di « questo medesimo sale fatto sciogliere nella stessa quantità « di acqua, non assorbe che io unità di calorico. Che se poi « si scioglie un grammo di sai marino in una soluzione, la « quale contenga ^ di sale, essa non ne assorbe che 3 unità. « Ne siegue da ciò che, quando si aggiunga dell' acqua ad una « soluzione di sai marino, la temperie sì dee abbassare, e ciò « avviene effettivamente (1). » Dichiaratoci nel modo allegato il predetto singolare avve- nimento, facendosi il medesimo autore quattro anni appresso, cioè nell'anno i85o, a cercare il calorico specifico delle solu- zioni e il latente di soluzione^ leggiamo nei Compts Rendus del detto anno queste parole : « A priori saremmo condotti a cre- « dere che la quantità di calore che si rende necessaria per « isciogliere un sale, dovesse essere minore di quella che bi- « sogna per fonderlo ; perocché 1' azione chimica fra il sale e « 1' acqua suscita una quantità di calorico, che ci toglie por- « zione dell' effetto sensibile di quello assorbito a cagione del « passaggio dallo stato solido al liquido; ma il fatto siegue in « opposto alla predizione. Quarantanove calorie bastano per « fondere un grammo di azotato o nitrato potassico, e ne oc- « corrono sessantanove per iscioglierlo. Io suppongo che la so- ft luzione si faccia con cinque parti di acqua; e se si aumenti « la proporzione dell' acqua, avvegnaché in tal caso 1' azione « chimica fornisca senza dubbio una quantità maggiore di ca- « lorico, pur nondimeno la misura che ne abbisogna é vie più « grande ; conciossiaché occoi'rano allora ottanta calorie per « isciorre il sale in venti parti di acqua. Ne viene da ciò evi- « dentemente che la semplice diluizione in una quantità di (') Vegg. Rapport aonuel, 31 Marzo 1846, pag. 15. i32 Intorno alla ragione dinamica ec. « acqua più grande assorbe una quantità considerabile di ca- « lorico. Si può verificare questo fatto direttamente; e si trova « che il medesimo sai marino rende latente più calorico nell' « atto che si allunga la soluzione, che non quando fu sciolto « il sale. Ne siegue da ciò che s' ingannerebbe colui, il quale « stimasse, che il freddo osservato, quando si scioglie un sale, « fosse dovuto semplicemente al cangiamento dello stato di so- ft lido in liquido: in questo passaggio non è assorbita che sola « una parte di quel calorico che scompare. Un' altra parte, « sovente più ragguardevole che la prima, conferisce alle mo- « lecole già divenute liquide una modificazione, che non co- « nosciamo, ma senza della quale le predette molecole non si « spargono nel solvente. Di qua siamo condotti a riconoscere « un calorico latente di diluizione, e quindi non ce ne ammi- « riamo che la quantità del calorico, che si rende necessaria « per la soluzione torni più grande che per la semplice fusione. » Prima di formare le considerazioni nostre sopra il calorico di diluizione, ci sembra dover osservare, che alla somma del freddo che si palesa quando si scioglie un sale, non esserne da aggiungere quantità alcuna maggiore per quel calorico, che si presuppone suscitato dall' operamento chimico di soluzione , che verrebbe a toglierci una porzione dell' effetto del freddo prodotto dal cangiamento di stato. Tutti i chimici fin qui, la- sciando d' occhio le grandi difficoltà che si contrappongono , ammettono che la soluzione venga per un atto chimico del solvente verso il corpo che si scioglie, ma nessuno ha immagi- nato che, quando il corpo che si scioglie sia in condizione idrata, v'abbia produzione di calore; onde attenendosi al fatto visibile, e al solo fornitoci dall' esperienza, si diedero piuttosto a cre- dere, darsi operazioni chimiche, le quali, anziché accompagnarsi al fenomeno del calore, si accompagnino a quello del freddo. Stimiamo adunque doversi ritenere che il freddo prodotto nell' atto in che un sale idrato si scioglie, sia l'indicazione dell'ef- fetto intero e preciso del cangiamento di stato incontrato dal corpo. Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i33 Ma se attenendoci alle attitudini del calorico veduto nelle sue qualità di un imponderabile, abbiamo facile ragione del freddo quando un sale si scioglie, perchè ha assorbimento di calorico quando un corpo di solido viene liquido, e di liquido si conduce a condizione elastica ; onde avviene poi che il sale già messo in istato liquido, seguitando a tenersi nello stato in che si trova, atteso il solo accidente che la soluzione si allun- ghi, rende di bel nuovo una manifestazione di freddo ? Il Per- son ci soggiugne, che questa porzione di calorico si fa ad im- primere alle molecole, già divenute liquide, una modificazione sconosciuta, ma senza della quale le predette molecole non si spargerebhono nel solvente. E noi soggiungiamo per qual cosa quando si sono sparse la prima volta nel solvente, giusta il consentimento de' Chimici e del Person medesimo, che stimò eziandio consentirvi producimento di calore, fu reputata ope- razione chimica, non è poi operazione chimica anche lo spar- gimento secondo? E s' è operazione chimica, perchè rende freddo, anziché calore ? Noi crediamo che, per dilucidare que- sto nuovo arcano che ci è dato innanzi dall' esperienza, sia da richiamarci, come abbiamo detto a principio, lo stretto legame divisatoci dal Gay-Lussac tra la vaporizzazione e la soluzione, e scorgere quindi nel fatto, messoci innanzi dal Person, 1' ul- timo esattissimo riscontro, eh' è quando un vapore saturante uno spazio dato, conducendolo a spargersi in uno spazio più grande, produce freddo, come le soluzioni producono freddo quando si diluiscono. §• II. Sperienze comprovanti la generalità del fenomeno del freddo, che si produce quando si allungano le soluzioni. Ora fermatomi col pensiero nella rilevanza di questo fatto al tutto acconcio ad avvalorare l' idea dinamica della soluzione, 1 in che il corpo che si scioglie è veduto a guisa di un vapore condursi in condizione elastica dentro il solvente, che torna il mezzo in cui le molecole venute elastiche si tengono librate, i34 Intorno alla ragione dinamica ec. trovai debito il cercare se rispondesse cosi al cimento di più maniere di sali sciolti da potersi avere quale successo in ogni contingenza sicuro e immancabile. Siccome il fine propostomi quello era di raffrontare la soluzione a un vapore saturante uno spazio, così, nello istituire le mie ricerche, stimai bene di partire costantemente da una soluzione satura a una data tem- perie, come quella che mi rappresentava per punto lo spazio saturato di vapore a quel termine termometrico. Le diverse soluzioni salinee, eh' io ho cimentate, furono condotte a satu- razione tra -4- 8° e -4- ia° del R. Indi avuta dentro i limiti accennati la soluzione satura, di che io cercava di conoscere il freddo che fosse stato per prodursi nel diluirla, prendeva quelle tante misure eguali in volume di acqua con che divi- sava di allungarla, esempigrazia, due, tre, quattro e fino a cinque, e condotta 1' acqua diluente alla precisa identica tem- perie della soluzione da esperimentarsi, faceva a un tratto la mescolanza, badando attentamente alla misura del freddo, che il termometro m' indicava al tramescolarsi dell' acqua colla so- luzione ; non senza portare pianamente il bottone del termo- metro ne' strati differenti del liquido tramescolato, e tenerlo quivi finché si metteva al tutto in quiete. Non oinmisi nep- pure di tener conto, avvegnaché non rilevasse essenzialmente al mio proposito, del freddo prodotto nel primo tempo in che il sale era aggiunto all' acqua per apparecchiare la soluzione satura; badando altresì alla misura di questo freddo di solu- zione, per iscorgere se al più o al meno di esso, fosse legata una qualche relazione col freddo successivo solito prodursi quando si mesce 1' acqua. Tenutomi in ogni sperienza all'osservanza esatta di queste norme, il primo sale a che io posi mano, fu il sai marino o cloruro sodico, come quello, che nelle mani del Person, valse a fornire questo novello lume alla scienza. La prima quantità del sale infuso nell' acqua, era in peso poco meno di quello domandato alla sua saturazione ne' limiti di temperie in che operava; e ciò io faceva appunto per conoscere la misura del Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i35 freddo Fendutomi all'atto della soluzione; al qual proposito mi piace osservare, che il freddo prodotto da un dato sale nel punto in che si scioglie, è legato cosi alla rapidità della sua soluzione da potersi notare una differenza, se prima più o meno renduto in polvere sottile. Preso adunque un volume di acqua, che corrispondeva sempre a cento parti in peso, ci aggiungeva, operando una ra- pida agitazione, la predetta quantità di sai marino o cloruro sodico e ne aveva un abbassamento di temperie al termometro di R. di — a". Fatto ciò, come il sale era dileguato compiuta- mente, ne rimetteva successivamente altre piccole porzioni, finché coglieva il preciso termine della saturazione, indicatomi dall' ultima piccola presa, che, o non si scioglieva, o si scio- glieva solo in parte. Allora separata con ogni sicura diligenza la soluzione satura del poco sale residuo, prendeva tre tanti di acqua in rispetto al volume prima saturato, e conduceva r acqua da infondersi e la soluzione alla precisa identica tem- perie ; al che non mi bisognò in ogni sperienza meno dello spazio di ventiquattr' ore. Conseguita 1' eguaglianza di tempe- rie, versai 1' acqua nella soluzione, rimescolando il liquido col bottone medesimo del termometro, e, come quietò, ebbi un freddo uguale a — i°. Onde, essendo aggelati, compresa l'acqua della soluzione, quattro tanti di acqua che dianzi, ne segui un freddo corrispondente a — 4°? cioè il doppio di quello avuto nella soluzione del sale : senza fare nessuna stima del sale sciolto, eh' è da comprendersi col liquido nella massa raffred- data di un grado. Rifeci r esperienza con aggiugnere alla soluzione quattro volumi di acqua, e ne venne un freddo totale di — 5°. Final- mente iterata la medesima pruova con cinque volumi di acqua, ne segui un freddo di — 6°, cioè triplo di quello avuto nella soluzione. Verificato il fenomeno, per altra via conseguito dal Person, stimai di farmi coli' esperienza al cloruro ammonico, sale clie si scioglie nell'acqua con possente gagliardia. Il freddo, venutomi i36 Intorno alla ragione dinamica ec. nella soluzione, fu — 10°^. Fermato il pensiero nel freddo notevole prodotto da questo sale nello sciogliersi, mi parve bene di menomare per la prima volta 1' acqua da aggiungersi, onde ne presi solo un doppio volume; e condotta, come dianzi, a egualità di temperie, feci la mescolanza; e non senza grande sorpresa, vidi seguirne nessuna indicazione di freddo. Allora rifeci la pruova con aggiugnere tre volumi di acqua, e ne venne un abbassamento di i di grado, che corrisponde ad un' agge- lazione di tutta la massa di solo ^ gi-ado. Iterai 1' esperienza con l' aggiunta di quattro volumi, e n' ebbi una manifestazione di freddo uguale a -^^^ che torna a — 1°^ dell'intera massa. E per ultimo rifatta un'altra volta la medesima sperienza con cinque volumi di acqua, il termometro si abbassò di — -j^^ o f , che cori'isponde ad una somma di freddo seguito ne' sei volumi di acqua, uguale — 2,° j^ o f, che torna all' incirca il solo quinto del freddo avuto nella soluzione del sale. Gli sperimenti instituiti sopia questo sale, come sopra altri sali diversi, furono ripetuti più volte ; onde i risultamenti, eh' io do, sono o i piìi prossimi, o i realmente conformi avuti in più sperienze. Veduto il procedimento di questo sale gagliardamente so- lubile, avvisai di metter mano al cloruro calcico cristallizzato, sale, non che solo solubilissimo, ma in eccesso deliquescente. Attesa appunto la deliquescenza grande di questo sale, paren- domi difficile il cogliere il punto della saturazione, reputai per questo sale di variare il modo sperimentale in questa guisa : Sciolsi una statuita quantità di cloruro cristallizzato in un peso eguale di acqua. Ne seguì un freddo, 0 un abbassamento di temperie di — 10°, il quale sarebbe stato vie più grande, se io avessi adoperata una maggiore quantità di acqua ; concios- siachè col poco di acqua adoperata rendendosi la soluzione 1 prontamente densa, le ultime quantità del sale passano in istato liquido assai lentamente, e quindi poco o niente contri- buiscono a quel producimento del freddo, eh' è opera del primo I mettersi del sale nel solvente. Avuta questa soluzione densa,! ne pigliai parti cento in peso, e parti trecento di acqua, e,J Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio 187 condotte entrambe a egualità di temperie, feci la mescolanza, ma non ne seguì la menoma produzione di freddo. Veduta questa nullità di effetto, deliberai di servare questa medesima soluzione allungata per istituire un' altra piuova con aggiun- gervi altre ducento parti di acqua. Guardate le consuete cau- tele, feci l'aggiunta, e la temperie mi venne abbassata di i di grado; il qual freddo, essendosi fatto in tutta la massa.^ che in questa sperienza monta a parti seicento, se n' ebbe un freddo eguale a — 1° -^- . Scorto questo piccolo effetto, mi parve bene di rifare la pruova, prendendo, come dianzi, le cento parti di soluzione, e aggiungervi a un tratto le cinquecento parti di acqua. Cosi operando ne seguì un abbassamento di ^, ovvero di i di grado, che rapportato a tutta la massa ne viene il freddo di i" ^, cioè poco più di un quinto del freddo di soluzione, eh' è in una concordanza pressoché esatta co' risul- tamenti avuti dianzi, sperimentando il cloruro ammonico. Indagata la predetta attitudine ne' mentovati sali aloidi, che si risolvono in meri composti binarj, passai agli ossisali, cioè a' composti ternarj, e tra questi per primi scelsi il nitrato potassico od azotico come il secondo de' sali in che il Person fermò il singolare fenomeno del freddo di diluizione. Messo mano a sperimentare anche questo sale nel modo già divisato, e fattomi ad apparecchiare la soluzione satura, ne seguì un freddo di soluzione di — 7°. Per questa prima volta feci pruova di alkmgarla con tre volumi di acqua e ne venne un abbas- samento di — ^ grado, che torna a — a" in tutta la massa. Rifeci l'esperienza coli' aggiunta di quattro volumi, e il freddo venutomi fu di — f di grado, che, riferito alla totalità della massa, torna di — 3° |. Per ultimo fattomi ad aggiungerne cinque volumi, n' ebbi un abbassamento di — ^ grado, che rende un freddo totale di — 3°, sicché il massimo freddo avuto in opera di diluizione col nitrato potassico, fu coli' aggiugnere alla soluzione satura quattro volumi di acqua; e questo sommo di freddo non valse che la metà scarsa del fj-eddo di soluzione. Tomo XXV. P."^ II." R i38 Intorno alla ragione dinamica ec. Verificato nel modo anzidetto nel nitrato potassico il freddo di diluizione veduto dal Person per altra via, mi feci a pro- vare il nitrato calcico. Siccome questo sale è deliquescente all' incirca alla maniera del cloruro calcico, quindi vedendo difficile il poter cogliere il precìso termine di saturazione, di- visai di prendere un volume d' acqua in peso parti cento, e quivi sciogliere una statuita quantità di questo sale. Ne Sciolsi adunque parti quaranta in parti cento di acqua; ed attesa la predetta deliquescenza, non avendo potuto avere il sale in condizione idrata, trasandai il freddo di soluzione, che non va- leva a significarmi che il solo eccesso sopra il calore predetto nella idratazione del sale : il che niente nuoceva al fine della ricerca, che si faceva solo a verificare la generalità del freddo di diluizione, come fenomeno di correlazione allo spargersi dei vapori in ispazio più capace. Avuta adunque nella proporzione allegata la predetta soluzione, e' infusi dapprima tre volumi di acqua, e ne seguì un abbassamento di — | gi-ado, che risponde a — a° di tutta la massa. Iterai la medesima sperienza coU'ag- giunta di quattro volumi, e del pari 1' abbassamento si tenne a — I grado, che rende in tutto un freddo di — 2."^. Da questo sale passai al nitrato baritico, dotato di poco gagliarda attitudine a sciogliersi. Fattomi adunque ad apparec- chiare la soluzione satura, nell' opera prima solvente ne segui il solo abbassamento di ^ di grado. Adoperate le consuete cautele, feci prima l'aggiunta di tre volumi d'acqua, onde ne segui un freddo di — ^, ovvero di i, che, per tutta la massa raffreddata di quel tanto risponde a — | • E rifatta con quat- tro volumi, n' ebbi un freddo totale di — i" ^•, e con cinque di — a° i . Fattomi ora a un altro genere di sali, cioè a' solfati, diedi di piglio al solfato sodico , del quale nell' apparecchiarmi la soluzione satura, seguì un freddo di — 7°. Nel primo cimento aggiunti tre volumi, la temperie venne abbassata di — ^, che rende un freddo totale di — 2,". Nel secondo fatto 1' aggiunta di quattro volumi, l' aggelazione totale seguitane fu di — 3" |, Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio 189 e non ini venne trovata differenza sensibile col più di cinque volumi aggiunti. Per fare esperienza di un altro sale di questo genere, posi mano a sciogliere il soliate niagnesico, del quale ne segui un freddo di soluzione uguale a — 4° 2 • -^'^ aggiunti dapprima tre volumi di acqua, ne tornò una minorazione totale di tem- perie uguale a — 1°; indi con quattro — 2,°^; e con cinque soli — 3°, che non rende il freddo di soluzione, come né an- che il precedente solfato. Stimato bene di fare qualche piccolo saggio anche co' fo- sfati, mi diedi a sciogliere il fosfato sodico, e nello scioglierlo mi segnò un freddo di — 2,°. Indi aggiunti alla soluzione sa- tura tre volumi di acqua, ne tornò un abbassamento totale di — a°, cioè il preciso freddo di soluzione j e con quattro volumi un aggelazione di — 3° |^. Poscia, per far pruova altresì di qualcuno de' carbonati solubili, elessi il carbonato sodico, che ini diede un freddo di soluzione uguale a — 5° ^ . Aggiunti tre volumi di acqua, il freddo totale avutone fu di — i2.°, e con quattro di — 2,° ^ . Per comprendere in queste ricerche anche qualche sale od acido organico, sciolsi 1' acetato calcico, il quale perchè in condizione anidra, non mi lasciò avere il freddo di soluzione, che niente però rileva al fine delle mie sperienze, addirizzate unicamente all' investigazione di quel freddo, che costantemente viene nell' allungare la soluzione coli' acqua. Aggiuntivi adun- (pie prima tre volumi, n'ebbi il solo freddo totale di — ^, j ed iterata 1' esperienza con l' infusione di quattro volumi non ne segui nessuna maggiore indicazione di freddo. Fin qui i sali sperimentati non uscirono dal novero dei sali neutri; onde sembrandomi non doversi trascurare di porre alla pruova qualche sale in che l'acido vantaggiasse la propor- zione della neutralità, mi feci per primo al biborato sodico, o 1 borace. Neil' apparecchiarmi la soluzione di questo bisale non mi venne fatto di notare che il solo esiguo abbassamento di grado. Attenendomi alla misura consueta dell' aggiunte i 2 b i^o Intorno alla ragione dinamica ec. dell' acqua, ne infusi dapprima tre volumi, e ne tornò un freddo totale di — a", cioè quadruplo dal freddo di soluzione. E — 2,° i con r aggiunta di quattro volumi, e — 2." ^ con cin- que volumi. Indi mi apparecchiai una soluzione satura di quadriossa- lato potassico. Il freddo venutomi nella soluzione fu di — a° Aj ed aggiunti primieramente tre volumi di acqua, n' ebbi un ab- bassamento totale di — 1°, e con quattro di — 2.'' 2- Siccome in questi brevi saggi io mirava di passare da'sali consistenti nella più semplice composizione a' quelli della com- posizione pili implicata, così volendo sperimentare anche un sale quadernario, sciolsi l'allume, o solfato alluminico-potassico. Il freddo di soluzione venutomi fu lieve tanto da non aver potuto notare che il solo abbassamento di — 1 di grado, e con la prima aggiunta di tre volumi di acqua nessuna visibile va- riazione di temperie. Iterata poi la pruova con aggiugnerne quattro volumi, ne venne un abbassamento totale di — 1° ^h sicché anche questo sale, lentissimo a sciogliersi, non lasciò di rendermi un apprezzabile freddo di diluizione; onde mi sembra di poter concludere, che il fatto in generale debba tenersi per immancabile. S. III. Considerazioni intorno agli esposti risultati sperimentali. Condotti noi, come abbiamo detto dapprincipio, a vedere la soluzione di un corpo in vm liquido, quale la risoluzione del corpo in istato molecolare, e quindi elastico, operata dalla intrinseca forza ripulsiva delle molecole, onde il corpo si gitta nel liquido a similitudine di un vapore saturante uno spazio definito ad una determinata temperie, mi parve assai rilevante il fatto del calorico di diluizione ad avvalorare questo presup- posto della soluzione, che si aggiusta acconciamente a tutti gli accidenti, che alla soluzione medesima si accompagnano. Tra questi gravissimo è certamente quello notatoci dal Person, che siegua un abbassamento di temperie pel solo fatto che si al- Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio l^i lunglil la soluzione. L' autore ci afferma, come dicemmo, che fjiiel calorico assorbito conferisce alle molecole già divenute li- quide una modificazione sconosciuta, ma che senza della quale le predette molecole non si spargerebbono nel solvente. Lasciando da parte questo luiovo bnjo, die il progresso sperimentale gitta nel campo della scienza, non è poi piccola cosa, che per esso rovini una delle leggi attenentesi al cangiamento dello stato de' corpi in relazione al calorico. Non è adunque pii!i vero che vi abbia assorbimento di calorico, quando i corpi si tramutano di uno in altro stato, ma anche senza che cessino di tenersi in quello stato in che sono, solo che si diradino, come esem- pigrazia, un corpo liquido si obblighi, per così dire, a rendersi più liquido o meno denso, ha assorbimento di calorico? E vero che anco questa specialità di avvenimento potrebbe appoggiarsi alle conosciute condizioni del calorico, con farci coli' occhio al gas e ai vapori quando rendono freddo perchè rarefatti, o si rarefanno. Ma quando si voglia mettere in accordo le soluzioni che si allungano coi vapori che si diradano, bisogna convenii'e di necessità che la soluzione sia tale quale è per noi divisata. Fu appunto per questa rilevanza, eh' era da noi veduta essere neir osservazione del Person, che, trovata per lui listretta a soli due sali, cioè al cloruro sodico e al nitrato potassico, ab- biamo stimato bene estenderla a un numero bastevolmente di- verso in generi e specie di sali, sì che bastasse a condurci a ritenere immancabile la generalità del fatto. La quantità poi maggiore o minore del freddo di dilui- zione, non sarebbe per noi, attenendoci alla ragione dinamica, che r espressione della gagliardia più o meno grande, onde le molecole elastiche istantaneamente si spargono in uno spazio più grande nel che, colla pressione in contrario, incontrando i vie maggiormente le molecole circostanti, e con ciò abbassan- done i tremiti vibratorj ripulsivi , rendono il fenomeno del freddo (i). Siccome poi la quantità di un dato corpo, che si (I) Vegg. Dinamica cliiinicaj Tom. 1°, pag. 42ò. i4a • Intorno alla ragione dinamica ec. scioglie in una posta misura di solvente, è sempre in relazione, come un vapore che si tiene in uno spazio dato, colla tempe- rie, quindi essendo evidente che al crescere della temperie, cresce altresì il numero delle molecole saline, che si sospin- gono in condizione elastica nel predetto spazio, ne viene con- seguentemente che deggiono quivi riuscire in una tensione maggiore ; onde nell' atto dell' allungamento doversi gittare in quello spazio più grande con più veemenza; d'onde un freddo più notevole. Da questa considerazione ne siegue, che se in luogo di sperimentare ne' limiti di temperie in che noi abbiamo sperimentato, che sono tra gli otto ai dodici gradi sopra il zero, s' instituissero le medesime sperienze alle temperie ordi- narie più elevate, porteremo opinione, che il freddo di allun- gamento fosse per riuscirci maggiore. In fatti conducendo a saturazione un posto volume di liquido, esempigrazia, ad una temperie doppia che dianzi, che potrebbe essere tra i gradi venti e ventiquattro sopra il zero, avremmo a proporzione un più gran numero di molecole elastiche obbligate a tenersi den- tro lo stesso spazio, onde fatta ad esse libertà di spargersi in ispazio maggiore, deggiono gittarvisi a più grande impeto, e quindi, ci'ederei, doverci rendere un freddo maggiore. Notai altresì il freddo di soluzione, avvegnaché non fa- cesse direttamente al line delle mie ricerche; e mi venne fatto di riconoscere, tenersi sì strettamente legato all' atto repente dello spargersi delle molecole salinee nel solvente, che, inter- venendo cagioni ritardatrici, scema il freddo, che alla soluzione si accompagna. Al qual proposito mi sembra avvenimento de- gno di considerazione, che due sali, tra i non pochi sperimen- tati, la cui tendenza alla soluzione perchè in eccesso grande, quali il cloruro ammonico e il calcico, mentre rendono un freddo di soluzione notevole, danno un lievissimo abbassamento di temperie in opera della diluizione'., e in contrario alcuni sali, il cui freddo di soluzione è poco, tra' quali pochissimo quello rendutoci dal biborato sodico e dal solfato alluminico- potassico, pur nondimeno allungandone le soluzioni, ce ne torna Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i43 un freddo a proporzione grande. Pare adunque evidente, clie le molecole di que' sali, ne' quali è una grande tendenza a sciogliersi perchè a ragione della piccolezza molecolare e della grande forza ripulsiva degli elementi in die consistono, sono dotati di molta gagliardia allo espandersi, entrino di primo tratto in quella misura di rarefazione, che loro prossimamente compete, sicché pochissima virtù resti a un dilatarsi successivo alle giunte dell'acqua; dove quelle de' sali, che per la pro- pria condizione lievemente si espandono al primo atto del mettersi ne' liquidi, serbino l'attitudine a un più largo spar- gersi appresso, che si confarebbe per punto coli' idea dinamica della soluzione. Ma dove pure non piaccia badare a queste particolarità conferenti al caso nostro, ci basta solo che sia fermata l' attenzione nel fatto comprovatissimo, che le soluzioni rendono freddo quando si allungano, eh' è il solo di che ave- vamo mestieri per metterle esattamente a fronte de' vapori , che a una posta temperie saturano uno spazio. Qui adunque non estimiamo debito il farci a notare a ra- gione di grandezza molecolare le differenze incontrate nel freddo di soluzione relativamente al freddo di diluizione in ogni singola sperienza, che sarebbe opera di tedio e troppo minuziosa , ma non crediamo di pretermettere di richiamar l'attenzione ai due capi estremi, che sarebbe, come ho accen- nato dianzi, il cloruro ammonico e gli altri sali aloidi parago- nati al solfato alluminico-potassico. Ne' primi la grandezza mo- lecolare è in eccesso piccola, e grandissima in opposto nel pre- detto ossisale; sicché ove non si voglia avere l'occhio che alla sola forza ripulsiva luiiversalmente proporzionale alle grandezze molecolari, è veduta la ragione del molto freddo di soluzione Fendutoci dai cloruri calcico ed" ammonico, e del molto di di- luizione del cloi'uro sodico, come del pari del pochissimo avu- I tene e in un caso e nell'altro del mentovato sale quadernario. Avvegnaché la relazione delle grandezze molecolari non si tenga esattissima che alla dichiarazione de' fenomeni che si , accompagnano all' azione chimica, e non possa mai credersi i44 Intorno alla ragione dinamica ec. bastevole a mostrarci la ragione delle qualità specifiche dei corpi; pur nondimeno, quando una qualità generale unisca in- sieme un numero più o men grande de' corpi, com' è della solubilità, essa ci si fa scorta sicura a svelare in essi i tempe- ramenti diversi della qualità stessa. §• IV. Fatto convalidante , non essere la soluzione de' corpi che la tramutazìone loro in condizione molecolare e quindi elastica dentro a' solventi, che sono i mezzi in che le molecole ela- stiche si librano. Il fatto del freddo, che si produce quando le soluzioni si allungano, e che noi ci siamo studiati a mano dell' esperienza di certificarci se fosse per tenersi, come si tiene a valore di successo generale e costante, mette la condizione de' corpi sciolti così a petto de' vapori in ogni particolare, che non sa- remmo lontani dal farci a credere, che alla ragione dinamica della soluzione, fosse per esserle accordato un generale acco- glimento. Tuttavia, per quel grande inciampo, che ognora si attraversa al riceversi quelle novità, che si mettono a stravol- gere le idee ricevute e saldamente radicate al discorso e alla ragione comune de' tìsici, non crediamo disutile di afforzare r argomento presente colla allegazione di un fatto, in che un corpo insolubile diviene ad occhi vigenti solubile solo perchè si rende in condizione elastica. Questo corpo è il fosfuro idrico solido, che ci viene in forma di una polvere di elegante color giallo. Questa polvere è insolubile nell'acqua e nell'alcoole; pur tuttavia quando si stemperi o nell' uno o neh' altro di questi liquidi, e si lasci che posi e che dia quietamente a fondo, e quindi si esponga a' raggi diretti del sole, non tarda guari a scomparire la residenza, spargendosi nel liquido a forma di corpo sciolto, in quel modo medesimo che qualunque altro corpo, il quale sia solubile e nell'acqua e nell' alcoole;, onde i chimici affermano, che sotto l' intiusso de' raggi solari il. Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i/^S f'ostiiro idrico diviene d' insolubile solubile. Qui ci resterebbe a sapere, che cosa facciano in questo corpo i raggi solari, che vagliono a conferirgli la solubilità. Per noi sarebbe la luce, che, come materia eminentemente dinamica e ripulsiva, ferendo in esso, vi partecipa una cotal misura di movimento vibratorio ripulsivo, onde siegue una rarefazione molecolare sufficiente alla risoluzione del corpo in istato molecolare od elastico, nella qual forma si sparge nel liquido, come in suo mezzo, e vi si tiene librato senza ajuto alcuno di chimica affinità. Quale altro discorso terrebbe l'universale de' chimici e de' fisici? Eglino si accorderebbono certo ad ammettere, che la luce, o come luce, o come misura delle ondulazioni dell' etere, o come ca- lore che vi si accompagna, suscita una rarefazione nelle mole- cole del fosfuro, sicché elle bastano a spargersi nel solvente, con quell' ajuto qualunque che porge loro l'affinità; peroccViè senza la rarefazione indotta dall' operamento della luce, la sola affinità lasciava il corpo nella sua qualità di corpo insolubile : dunque 1' affinità non è cagione efficiente della solubilità dei corpi, dove in contrario veggiamo essere o non essere solubili, secondochè, in un modo o nell' altro, possono o non possono condursi in condizione elastica in grembo di un liquido. Questa elasticità adunque che per altri argomenti stringentissimi fu per noi veduta ne' corpi sciolti, ci è anche mostrata visibil- mente in questo fosfuro idrico che solo a mano di essa d' in- solubile si rende solubile, il che solo si facciamo a considerare, senza por mente alla sua scomposizione, eh' è successiva all'atto in eh' e renduto solubile. Tomo XXF. P.'' IL" i46 Intorno alla ragione dinamica ec. S- V. Se i corpi sciolti sono quivi a condizione di vapore, siccome i vapori si mostrano altresì con certe qualità specifiche, at- tentesi a' corpi da cui derivano, potrà anche avvenire che alcune soluzioni si rendano nel colore preciso del vapore spettante al corpo sciolto. Quando ci venisse fatto d' incontrare nel corpo sciolto salde e immutate le qualità specifiche del vapore che al corpo appartiene, non altro certamente ci resterebbe a inf'eiùre, se non che in quel mezzo qualunque che diciamo menstruo o sol- vente, ha quel vapore medesimo, che in opera della temperie si leva dal corpo stesso o in grembo all' aria, o nel vuoto se- condo che piace a noi di operare. Vero è che questo non sa- rebbe se non una qualità di più tra quelle tutte, che, spet- tando a' corpi in istato di solidità o liquidità, veggiamo in essi altresì costantemente mantenersi dopo condotti a condizione di corpi sciolti in uno od altro liquido. In fatti se il corpo è dolce, o amaro, o agro, o austero o salato prima che si sciolga, tale immutabilmente resta anche dopo sciolto; che solo dovea bastare a svolgere i Chimici dall' idea di qualsivoglia opera- zione chimica di affinità, che fosse per aver mano ne' corpi che si sciolgono e nella quale pur seguitò a tenersi 1' illustre Gay-Lussac. Senza che al vedere le soluzioni non istare a go- verno di proporzioni definite dovea da un pezzo in qua aver- neli tolti d' inganno. Pur nondimeno posciachè per noi i corpi sciolti sieno veduti a forma di un vapore, tratti dalla propria forza ripulsiva molecolare a spargersi e tenersi in un mezzo, crediamo utile di avvalorare 1' assunto col metterli altresì al riscontro di un vapore, che, tale quale ci viene veduto neh' aria o nel vuoto, ci si appalesa altresì in grembo a' solventi. Questo vapore è quello dell' iodio, che, atteso l'elegante color violetto in che ci viene, è in tutto acconcio a far pruova so- pra qualsivoglia altro vapore, come il solo che si rende in una Del Sic. Prof. Bartolomeo Bizio i47 tinta sì vaga e speciale da non potersi in verun modo confon- dere con temperamenti di altro colore. Le soluzioni più ordi- narie, in che ci riesca questo metalloide, sono di un colore giallognolo, variante nella intensità secondo i liquidi diversi in che si sparge. Qui non è il luogo in che fermarci a dichiarare, perchè uno stesso corpo in liquidi diversi, ed anche in uno stesso liquido messo in circostanze differenti, ci venga o possa venire in colori diversi, bastandoci di provare che quel mede- simo iodio che ordinariamente si scioglie in color giallo, si scioglie altresì in quel preciso, elegantissimo color di viola, in che sempre e costantemente ci si mostra il suo vapore. Alcune soluzioni violette d' iodio ci erano date a vedere anche prima delle ingegnose e delicate l'icerche instituite a tal fine dal chiarissimo Prof. Selmi, ma queste ci pajono sovra le prime rilevanti al proposito nostro, e quindi degne che più specificatamente si i-icordino. Questa soluzione violetta d' iodio il nostro autore la ottiene nell' acido solforico monoidrato a questo modo : Egli mesce in un bicchiere di forma conica ar- rovesciata una certa quantità di acido solforico monoidrato. Indi apparecchiata una soluzione allungatissima di acido iodi- drico in misura un quarto dell' acido solforico preso a speri- mentare, ve r aggiugne e prestamente tramescola. Quivi, at- tesa 1' azione vicendevole, che i due acidi tramescolati adope- rano, è renduto non solo libero l'iodio, dell'acido iodidrico , ma esce in tale estremo di attenuazione, che prontamente, ajutato dal poco scaldamento che la reazione suscita, si sparge in grembo all'acido, producendo una soluzione limpidissima in elegante color di viola (i). Questo adunque è quel medesimo vapore d' iodio che ci è renduto, quando ne' cimenti fisici scal- diamo il metalloide fino al termine in che ci torna risoluto in gas. Se adunque per arguire 1' identità della condizione dei corpi, non abbiamo altro argomento che 1' identità degli attri- buti che alle diverse condizioni loro appartengono, chi oserà (') ^'«SS- Raccolla Fisico- Chimica italiana; Volume III, pag. 398. i48 Intorno alla ragione dinamica ec. metter dubbio, che quivi entro all'acido solforico non sia l'io- dio a qualità di vapore? E se questa è soluzione vera e reale, come tutte le altre che per tali si riconoscono, sarà forse con- sideratezza di pesato discorso 1' affermare che 1' una riesca di un modo, le altre in altro? Dunque peixhè del sai marino sciolto nell' acqua non ci si palesa a' sensi altra sua qualità che il sapore di salato, oseremo dire che quivi non è a forma di vapore, perchè il sapore di sale al palato non vale quello che all' occhio il colore di viola ? Non credo che a questa va- nità di sofismi sia per riparare i considerati cultori della scienza; pur tuttavia non reputai eccesso 1' ammetterne la possibilità dell'evento, veggendo l'argomento gravissimo delia soluzione, eh' è uno di tutti gli altri abbracciati dalla ragione dinamica , tenersi dopo sette anni in quella muta noncuranza a che si condannano i vaneggiamenti chimerici. Insisto adunque con questo rincalzo di pruove a fidanza, che il lume portato dal moltiplicarsi de' fatti valga a rischiarare cosi la ragione, onde i fatti medesimi procedono, da renderne, se non pronta, meno ritrosa o tarda T accettazione. Ora r iodio si scioglie altresì in colore violetto nel solfido carbonico e nell' etere nitroso ; pur nondimeno io diceva poco dianzi, riuscire vie più rilevante delle soluzioni predette, la soluzione fornitaci dal Selmi nell' acido solforico monoidrato ; conciossiachè, dove le predette soluzioni restano quali sono ad ogni ordinaria temperie, quella nell' acido, attesa la gagliardìa ripulsiva del mezzo e la sua forte densità, non si tiene se non quanto resta il poco scaldamento suscitato dalla reazione. In fatti il nostro autore si fece a indagare la misura della tem- perie occorrente a sostenere l' iodio a forma di vapore in quel mezzo, e si accertò soprattenervisi tra i -+- 35" e i 22° della scala del R. Al disotto di questo limite il metalloide comincia a rendersi dalla forma aerea alla solida fino a condursi intera- mente in questo stato. Come il vapore del metalloide precipitò al tutto, il Selmi, parato il bicchierino in un bagno d'acqua, quivi pianamente lo scaldò in guisa che la temperie passo passo Del SiG. Prof. Bartolomeo Bizio ì/\.() risalisse al termine di scaldamento, che suscitò da prima la reazione. Come giunse a' -+- aS" del R. osservò riapparire un avviamento di soluzione, finché toccati i -f- 35°, 1' ebbe com- piuta sì da averne il vapore in tutta l'eleganza di color viola. È probabile che questa soluzione sarebbe restata quale riuscì al nostro autore per un termine di temperie molto al disopra dei -4- 35°, e forse fino al segno da averne scacciato 1' iodio a condizione di gas. Ma ciò niente rilieva al caso nostro. Quello che torna molto al proposito è averci il Selmi provato a mano dell' esperienza, che la soluzione violetta d' iodio nell' acido non ha altro rispetto al tenervisi, che il termine domandato dalla temperie; talché al mettersi o al togliersi di essa, entra innanzi o si sospende la soluzione; eh' è precisamente il divi- satoci dal Gay-Lussac, cioè la soluzione de' corpi governati per punto, come i vapori, a legge di temperie. In questa par- ticolarità dell' iodio di non restare sciolto nell' acido che den- tro certi limiti di temperie, ci si appalesa come la forza ri- pulsiva molecolare di questo metalloide, per guardarlo a con- dizione di vapore entro la densità di quest' acido, abbisogni il rincalzo della temperie, che ne ingagliardisca la forza elastica. S- VI. 5e / corpi sciolti si tengono dentro il solvente a forma di va- pore, dee seguirne che le molecole elastiche quivi sparse si risentono della pressione del mezzo, o liquido cerchiante. Fino dal Febbrajo dell'anno i845, in che io pubblicava i primi miei sperimenti e idee circa la ragione dinamica della soluzione, io divisava di ([ual modo le molecole elastiche del corpo sciolto dovessero risentirsi della pressione del liquido, in che la propria forza ripulsiva le conduceva a gittarsi e tener- visi in condizione elastica. Mi sembrava quindi di vedere che, data una soluzione qualunque ad una posta temperie, ove si dia mano a scaldarla, fosse costantemente per verificarsi uno di questi tre casi : O che le molecole elastiche quivi sparse , iSo Intorno alla ragione dinamica ec. per tutta quella scala ( eh' è il caso più frequente ) a che il liquido monta per condursi al termine dell' ebuUizione, fossero per dilatarsi cosi di forza da sostenere la pressione ingagliar- dita del liquido scaldato, senza provare una costipazione vale- vole ad obbligarle a rendersi in istato solido. O che questa pressione fosse per vantaggiare in tal modo la gagliardia ripul- siva delle molecole sciolte da condurle a serrarsi in condizione solida e precipitare. O che la elasticità delle molecole sciolte fosse valevole a vincere, per tutta la scala a che il liquido ascende prima di bollire, 1' elaterio del liquido stesso in modo da fuggirsene prima o più facilmente ch'esso; conciossiachè raramente o forse non mai lo accompagnano nella rarefazione sì di pari passo da condursi con esso equabilmente a forma di vapore in grembo dell' aria. Messi questi temperamenti diffe- renti, che provano le molecole elastiche de' corpi sciolti per rispetto al mezzo in che sono, io mi faceva alla dilucidazione di alcuni fenomeni palesatici dalle soluzioni, de'quali la scienza non ha modo di aggiustata dichiarazione. È noto, ver])igrazia , che, ove si abbia una soluzione di calce, e si scaldi, guardata cosi dall' aria che non possa mettersi a sconciarne 1' effetto il gas acido carbonico quivi disseminato, la soluzione si rende al- biccia, torbida e finalmente precipita, se non tutta, la massima parte della calce sciolta. D'onde questo effetto? Io dico che le molecole elastiche della calce, messe in opera della solu- zione dentro all'acqua, quando l'acqua si scalda per un certo numero di gradi, acquistando essa un elaterio vie più grande che le molecole della calce, punta contro esse sì gagliardamente che ne rintuzza non solo parte dell' espansione, ma ne obbliga un certo numero a stringersi fra sé, fino a che adunate in ag- gregati visibili, offuscano il liquido e precipitano. Questo, che avviene della calce, siegue altresì di alcuni sali come toccano certi limiti di temperie, e si registrano dalla scienza quali par- ticolarità specifiche, che si sottraggono all'indagine speculativa, se non forse i chimici tpiietano, facendosi a credere, che l'af- finità tra il solvente e il corpo sciolto sovente cangi o si Del Sic. Puof. Babtolomeo Bizio i5i aiimilli in opera di determinate misure di calore. Quanto sia da {"ondarsi nell' affinità, non che a dilucidare questi fatti spe- ciali, ma a render conto in genere dell' opera solvente de' li- quidi, credo di averlo bastevolmente mostrato, si che a ninno possa mai sorger dubbio che le soluzioni dipendano da opera- menti attrattivi di affinità. In contrario veggiamo di leggieri il perchè di questi speciali successi, quando si facciamo coli' oc- chio della mente a considerare il necessario cangiamento di relazione, che dee mettersi tra le molecole sciolte e il solvente in opera dello scaldamento, onde non può stare che sovente non sorgano in più maniere modificati e diversi. Ora, avendo io divisata innanzi ogn' altro la dimorfia del cloruro rameico (i), mi faceva a dichiararne la cagione a guida della predetta opera del calore verso le soluzioni. Diceva io adunque, che 1' intenso color verde, in che ci riesce la solu- zione di questo sale bastevolmente satura, deriva dal trovarsi quivi le molecole del cloruro fortemente compresse, atteso il gran numero in che, portate dalla propria forza ripulsiva, sono entrate a serrarsi calcate in uno spazio definito. Il colore poi azzurro in che si rende questa medesima soluzione, quando si allunga bastevolmente, io affermava procedere da una rarefa- zione seguita nelle molecole sciolte, atteso lo spargersi in una copia grande di liquido, che, come è detto dianzi, corrisponde al farsi de' vapori ad occupare uno spazio maggiore ; sicché, a mio avviso, le molecole del cloruro nella soluzione verde erano più dense che nella soluzione azzurra, cioè la cagione della dimorfia posava nella prefata differente densità delle molecole. Per convalidare (juesta dichiarazione del fenomeno, posi a ri- scontro dell'esperienza cpiesta argomentazione. Se il colore az- zurro della soluzione allungata viene da minore densità in che sono quivi le molecole sciolte, siccome le molecole del cloruro sono meno espansive che le molecole dell' acqua, dove io fa- cessi di scaldare la soluzione, posciachè allora cresca l'elaterio (1) Vegg. Annali di Fisica, Chimica ec. del Prof. Majocchi; Tom. XI, p. 282, anno 1843. i5a Intorno alla ragione dinamica ec. dell' acqua in una misura molto più grande che nel cloruro , dee seguire eh' essa il prema e costipi, conducendone le mo- lecole in una densità maggiore, onde avverrà che nella mede- sima soluzione allungata scompaja il colore azzurro e subentri il verde. Dato mano alla f>ruova, come previde il discorso, così avvenne, sicché con solo scaldare la soluzione e quindi agge- larla, si rendeva immantinente dal color verde all' azzurro e cosi a vicenda. Verificata questa parte, che la dottrina ci dava da antivedere, se veramente il color verde della soluzione ve- niva da una pressura adoperata sovra le molecole del cloruro sciolto, onde fossero condotte in una densità maggiore, io ar- guiva potersi ciò fare nella soluzione allungata azzurra anche senza opera di colore, cioè con isciogliere in essa altra fatta di cloruri scoloriti non idonei a mettersi verso il cloruro ra- meico a qualità di cloruri doppj ; conciossiachè facendosi a pi- gliar luogo in quello stesso spazio o misura di solvente un nu- mero vie più grande di molecole, dovea seguirne che le preesi- stenti riuscissero piggiate e comprese, e perciò rendersi la so- luzione di azzurra in color verde eziandio alla temperie ordi- naria. Come divisai, così feci col cloruro sodico, baritico ecc. e l'effetto puntualmente seguì (i); onde scorgendo i fatti suc- cedere per punto quali mi erano dati a vedere al semplice lume della deduzione teoretica, mi parve non potersi più aver dubbio, che le molecole sciolte in un liquido, non riescano quivi variamente compresse, secondo le modificazioni differenti a che il liquido o il mezzo soggiace, attesi tutti quegli acci- denti di temperie od altro, che in esso in più modi valgono ad influire. A più grande confermazione dell' esposto fin qui sarebbe valuto assai, quale argomento di peso gravissimo, 1' avere a mano dell' esperienza la sicura certificazione, che le molecole de' corpi sciolti riuscissero quivi in un volume più piccolo che (1) Vegg. Speiiiiieiiti sopra l'azione della calce entro l'acqua conducente a ravvi- sare in che consista la soluzione. Tipografia Cecchini e Naratowich; Venezia 1845, pag. 19 e seguenti. Del Sic. Puof. Bartolomeo Bizio i53 uon sono in istato di solidità ; perocché le molecole de' corpi in istato solido, salvo lo schiacciamento che provano in opera dell'urto al momento dell'aggregazione o del combinarsi, niente indi resta che si faccia a serbarle nella costrizione primitiva, né ha mai in giro una pressura che si tenga a stringerle e a serrarle equabilmente per tutto intorno. Di qua avviene, che veggiamo sovente corpi solidi venuti a principio in una cotal forma di aggregazione, indi per sé rilevarsi e mettersi in altra a solo impulso della propria forza ripulsiva molecolare, che non cessa di operare il suo effetto rarefacente nemmeno dopo che le molecole furono legate fra sé a mano della coesione. Dunque, attesa questa attitudine rarefacente, che rimane sem- pre nelle molecole de' corpi solidi, e dalla quale veggiamo se- guirne effetti visibili di tramutato aggruppamento molecolare , saremmo condotti a priori a dedurre, che le molecole de' corpi solidi fossero in generale per tenersi in un volume più grande che ne' corpi sciolti, cioè in istato di liquidità; conciossiachè quivi debbano risentirsi, coni' è detto, per tutto intorno dell' opera premente del liquido o del mezzo in che si gittarono in forma elastica. Abbiamo già con ispecitìcata considerazione sve- late le grandi difficoltà, che si attraversano all'esatta determi- nazione de' volumi molecolari de' corpi; onde si pare come per al presente lo estendere le cognizioni nostre fino a un cotal limite, si risolva in un desiderio a che la scienza aspira, senza speranza di vicina verificazione (i). Tuttavia, dove non si tratti della determinazione rispettiva de' volumi molecolari de' singoli corpi, ma solo di sapere in genere, se le molecole solide sieno in un volume più o men grande che le sciolte o liquide, senza veruna relazione di quantità, stimiamo che il lume fornitoci dall' esperienza debba aversi per sicura e immancabile scorta alle nostre deduzioni. Ora, i Signori Plaifair e Joule nell'anno 1846 instituirono un numero grande di sperienze coli' intendimento di determinare (•) V*6G- Dinamica chimica; Tom. I, pag. 60. Tomo XXV. P." 11.'^ l54 Intorno alla ragione dinamica ec. il volume molecolare de' corpi in istato di soluzione, compara- tivamente a quello in che sono allo stato solido, e trovarono costantemente, che il volume delle molecole in istato solido è più grande che in istato di soluzione, anzi secondo loro la re- lazione sarebbe : : 11:9. Noi , senza fare assegnamento veruno del valore numerico delle cifre allegate, sentiamo di non po- terci astenere dalla accettazione del fatto, preso nella semplice significanza del più e del meno in volume delle molecole dei corpi nelle due condizioni diverse. Nel che stimiamo di do- verci tenere vie più immobili, conciossiachè nello stesso tempo, essendosi dato il Signor Holker alla medesima investigazione, giunse, per rispetto alla predetta differenza de' volumi delle molecole dallo stato solido a quello di soluzione, agi' identici risultamenti, cioè che le molecole solide sono in un volume più grande che le sciolte (i). Ora questo lume fornitoci dalla materialità del fatto sperimentale, tenendosi in perfetto accordo cogli attributi di elasticità e quindi di compressibilità, in che per noi furono vedute le molecole de' corpi sciolti, e con che ci siamo fatti alla dichiarazione di alcuni speziali fenomeni , che le soluzioni medesime palesano, crediamo che basti a sug- gellare per modo la ragione dinamica della soluzione, che al muoverne più oltre dubbio sia tolta ogni via di considerata argomentazione. e oria-DtàsIi iiu /! ; ie .oi ■lOV ni; (l) Vegg. Rapport Annuel; 31 Marzo 1846, pag. 15 e seguenti. '•■ '^» •> i55 INTORNO AL MOVIMEIVTO DI Ul\ PUVTO MATERIALE SOPRA UNA SUPERFICIE QUALSIVOGLIA DI FRANCESCO «RIOSCUI P ■'jUr Presentala dal Socio Cavaliere Ayroyio Iìordoni , Approvata dal Socio Giuseppe Bianchi nicevuta il di 8 Giugno 1852. i". -Lia integrazione delle equazioni del moto di un punto materiale, o di un sistema di punti, in alcune circostanze par- ticolaii di movimento, fu di recente scopo alle indagini dei Geometri. Le nuove forme assegnate da Lagrange e da Ha- milton alle equazioni della dinamica, la integrazione delle me- desime ridotta dipendente pei teoremi di Hamilton e di Jacobi dalla integrazione di una equazione alle derivate parziali del primo ordine non lineare, e la teorica dell' ultimo moltiplica- tore dovuta a Jacobi aprirono la via a quelle ricerche. Il Sig. Liouville assumendo le formole di Lagrange e giovandosi dei risultamenti del Jacobi, prese in tre differenti Memorie a con- siderare alcuni casi in cui le equazioni del moto di un punto sopra una superficie, del moto di un punto libero nello spazio, e del moto di un sistema di punti sono integrabili ; i quali due ultimi problemi vennero anche discussi, il primo dal Sig. Sen-et mediante le formole di Lagrange, ed il secondo dal Sig. Richelot partendo dalle formole della dinamica trasformate col metodo di Hamilton (*). Ci Juiirnal de Liouville; T. XI. xil, xill, Xiv. - Journal de Creile; T. 4lJ. i56 Intorno al movimento di un punto ec. Le ricerche che, innanzi il lavoro del Sig. Liouville, esi- stevano intorno alle circostanze del moto di un punto sopra una superficie non piana, si riassumono in quelle del moto di un grave sopra una sfera o sopra una superficie di rotazione; e nelle più recenti del movimento di un punto materiale so- pra una superficie di rivoluzione ammesse alcune particolari condizioni per le forze agenti, le quali fanno parte di una Memoria del Sig. Jacobi (*). L' uso delle linee esistenti sopra una superficie a rappresentare punti della medesima di tanto vantaggio nella trattazione di problemi di statica e di geome- tria fu anche di giovamento in questa parte della dinamica , ed i problemi discussi dal Signor Liouville devono appunto il loro successo a quel metodo di rappresentazione, come pure lo devono quelle cose che qui si aggiungono sul medesimo argomento. a". Se colla /(x,/, z) = o si indica la equazione di una superficie qualsivoglia riferita a tre assi ortogonali, e con X, Y, Z le componenti parallele a quegli assi della risultante di tutte le forze acceleratrici agenti sopra un punto materiale il quale deve moversi sopra quella superficie, si hanno le tre equazioni (i) x" = X-*-?idf{x), y = Y^df'{y), z" = Z^df'{z); nelle quali i/L/'c^j'-^-Z'irr-f/'c^r]' ed N è una forza di grandezza incognita, diretta normalmente alla superficie, e che rappresenta la resistenza della superficie medesima. Dalle equazioni (i) si passa come è noto alla 1 ( x'^ -t-y^ -H z'^) = f{\x ■+- Xy' -^-Zz')dt-^E, essendo H una costante. (*) De motu puacti siogularis. Journal de Creile, T. 24. Memoria di Francesco Brioschi iSy Si ritengano ora le a:, j, z funzioni di due quantità m, v ; parametri variabili di due superficie le quali colle loro comuni intersezioni colla superficie data determinano due sistemi di linee esistenti nella medesima , per I' uno dei quali sistemi u = cost. , e per I' altro v = cost. Ritenuto inoltre che le li- nee di un sistema sieno ortogonali alle linee dell'altro; po- nendo secondo le notazioni di Gauss (*) (£)• -^ ©" + & = E . & - &-^ itr = G la equazione superiore si trasformerà nella essendo P,Q le componenti dirette secondo le tangenti le linee t> = cost. , 7^ := cost. , della risultante di tutte le forze accele- ratrici agenti sul mobile. Suppongasi abbia luogo il principio delle forze vive talché sia (a) f{Pi/E.u' -^Ql/G.v') dù — JJ {u,v) e si avranno le ed P/E = S, Q,/G = ^, i(EM'»-f-Gu'") = U-<-H, e le espressioni ?/j/E, v'^/G rappresenteranno le componenti secondo le tangenti alle linee v = cost. , u = cost. della velo- cità che ha il mobile alla fine del tempo t . 3°. Indicando con T la semisomma delle forze vive 5 alle formole (i) si ponno sostituire le di dT (3) du' _ àT_ _ d^__^ ^_d£ _ li _ ££ = 0- dt du du ' dt dv dv ' ammessa la sussistenza della equazione (a) . Queste sono le for- mole date da Lagrange nella Sezione IV. della seconda parte {*) Disquisiliones generales circa Superficies curvas. Atti della Società di Gottinga Voi. TI. 1 53 Intorno al movimento di un punto ec. della Meccanica Analitica; nel caso poi del moto di un punto sopi'a una superficie essendo T = ^ (E?/* -t- Gu'*) , le me- desime si mutano nelle , dEu' r / d'E f. , dG ,.\ dV ■it!Ì; 'i\ dGv' i/dTE 'a , 15 'A — 'i£.— \ dt '^\ dv dv / dv Jacobi ha dimostrato che le formole ordinarie (i) pel moto di un punto sopra una superficie si ponno ridurre alla forma assegnata da Hamilton alle equazioni pel moto di un sistema libero. Queste fiarmole, utili nella trattazione di alcuni proble- mi, si ponno dedurre dalle superiori (3) di Lagrange nel modo seguente. Popgansi -9J00U£. 35-UJi al SÌÌU. '^T :„.,. . 4X _j . 1300 = U- , .UOii =~ ■ 'éU^'—P'' dv' — l'' e da queste equazioni le quali sono lineari rispetto ad «', v si ricavino i valori di u.,v in funzione di ^ e di ^; quindi si sostituiscano questi valori nella funzione T, la quale potrà cosi considerarsi come una funzione delle u^v^p^q. Dunque la T che è funzione delle u^v,u\v\ ammesse le equazioni superiori potrà ritenersi funzione delle w, u, p, q. Ora si ha ossia ■runsr. T:=pii''-hqv' — T. Suppongasi la T nel primo membro funzione delle w, v, u v\ e la T nel secondo membro funzione delle u^v,p^q^ e derivando r equazione superiore rispetto a i si avrà dopo una riduzione / dq—'"-' \du} ~ ~ da^ \dv/~ dv ^ xj cu J - Memoria di Francesco Briqschi i 89 per le quali le formole (3) riduconsi alle n], >:<■.<■ '\ \) i?,i('ir,idO ,_ d(V — T) , _d{V-'T) '"'' P d^ ' ^— dZ ' e queste insieme alle due r^riXj'j ''T.,, f.,|, iiiWT ' ■)! i-ioillV iliJJi 1^ — "^ 57— '^ sono le quattro formole richieste. ^^ '' ^^ 4". Dalle equazioni (4) si passa facilmente alle - j .i;ja •-• ; ; 0 i:-jj ■ .. ■— '., . ■-. »i.-i ^ E f I . T71 II T / d'E I, . dG I. \ dU . l''i\v:ì^,\àu. 1 »" Torrt Ifioiau: G' _,' . n " T / '^^ 'a . <^Ci r, \ , dV '' u-l-Gt; =A(-^w^H T-u-'l-H -7-. ■^ \ d'I) dv / dv Ora >,) -4- vUCié'l. ^=: •«. TT, (fE , dE , f^, dG , dG , . . il. = j- // -H -j-U, Lr = -r- W -H -r-Z^, au a« du dv ' per cui sostituendo e riducendo si avranno le 'i \ .dt a|/£ \ au dv I ...... , ., f5V ' ci; ;ì;i.,:ìkì .. .. .irnionliv tiJukil .aoilqtn^e Si indichi con u 1' angolo che il raggio del circolo osculatore la linea v ^=- cost. nel punto di coordinate m, v fa colla tan- gente nello etesso punto alla u = cost. , e con p il raggio del circolo osculatore medesimo. Si avrà, come è noto £E dG r dv COBO 1 1 , du coso, 2 Èi7g = T"'' ■ '^^ ^"^""^^^ i GÌTl = -7:^' essendo le Op p, rispetto alla" tinea m = cost. ciò che sono le 6>, p rispetto alla linea v = cost. Alle equazioni superiori si potranno quindi sostituire le C^) / dul/K I /ttYcoìO, I /-pr coso I /■= 1 , TJ i6o Intorno AL movimento di un punto ec. Chiamisi 6 1' angolo che la trajettoria sulla superficie fa colla linea ii:= così., ed s l'arco percorso nel tempo ^, sussisteranno le due equazioni v'^/g = s' cos 6 , w'|/E = 5' sentì, per i quali valori le equazioni superiori si trasformano nelle s"sene-+-s'cose.e' = s''cose('^^^cosd — '-^send)-^? s" cose — s' sene .6' = i'send (^-^ sene — ^^cosd) -i- Q . ^ P P, ' Queste equazioni moltiplicate ordinatamente per sen 0, cos d quindi sommate danno (7) y'=Psentì-f-Qcostì; e moltiplicate per costì e sentì e poi sottratte danno /o\ dd coso, Zi coso n Pcos^ — Osenff \P) -r = ■' cos e sen tì H j^ . ds p^ p s'^ Quest' ultima equazione può ridursi ad una forma assai più semplice. Infatti chiamando r il raggio di contingenza geode- sica della linea descritta dal mobile, vale a dire il raggio del circolo osculatore della linea piana nella quale si trasfigurerebbe la traiettoria, considerata come linea di contatto fra la super- ficie data ed una supei'ficie sviluppabile, allorquando quest' ul- tima si distendesse in un piano, si ha come è noto I d6 /coso, a coso /i \ - = -r- — ( •■ cos tì sentì 1 , T ds \ p, p P per cui r equazione superiore diventa la 1 P cos ^ — Osella dalla quale '■<<■ ■' ^r <•■• ■ il (9) Pcostì — Qsentì = -. Le equazioni (7), (9) tengono luogo delle (6) e quindi delle (4). Ora osservisi essere P sen tì-nQ costì la componente diretta secondo la tangente alla trajettoria della risultante di tutte le Memoria di Francesco Brioschi i6i forze sollecitanti il mobile, e PcosO — Qsend la componente della forza medesima diretta secondo la tangente alla trajetto- ria ortogonale della linea descrìtta dal mobile. È evidente r analogia fra le forinole (7), (9) e quelle che si danno comu- nemente per le questioni di moto di un punto sopra una linea. Dalle (9) se P = o, Q ^ o , oppure Pcos0 — Qsend = e, si ha r=, cioè la linea descritta dal mobile è geodetica. Dalla equazione medesima se Pcos0 — Qsend = ks'^, k co- stante, si ha r = -^j cioè la linea descritta dal mobile sarà della famiglia di quelle della massima o minima area fra le isoperi metre. 5°. La equazione (8) può porsi sotto una forma che pre- stasi facilmente all' integrazione in alcuni casi. Infatti rammen- tati i valori di '^HIH ^ ^.£i£i si passa da quella alla seguente e da questa richiamati i valori di sen0, cos^, alla 5en0cos04^ = cos''0 r^-H ~d^ ^ — sen^ Q\lZ -^ dv \^ ''' \ IG MU-hH) j ^' [lE MU-^H) ) ^' per essere / * = 2, ( U -H H ) . Moltiplicando i termini dell'equazione superiore per aGE(U-t-H), la risultante si riduce alla . X OTTI /TT tT\ a a do x? .ndG(V-*-Yi) da ^^ ^j/j 0 IH^^ftJii J , che integrata conduce alla Gcos"^ = U-)-H k costante. Se U = o e quindi la linea descritta dal mobile sia geodetica si ha a A cos a == -7= t/G proprietà notissima pel caso delle superficie di rotazione. 6". Le circostanze del moto di un punto materiale sopra una superficie nelle ipotesi ammesse qui sopra, si deducono completamente dalle equazioni (5) . Verremo così ad estendere ad una superficie qualunque un teorema dimostrato dal Signor Jacobi per le sole superficie di rotazione (*). Dalle (5) si hanno le equazioni lì' = ^ u rfG_^p 2 da dv'l/a I , , dG dt 2.[/g Ili' La seconda di queste integrata dà (12) Gu'=a a costante arbitraria. Per questo valore la prima equazione diventa 2.G (i3) u = «" du -+- P , dalla quale integrando e riducendo (*) Journal de Creile; T. 2J. — Journal de 1' Ecole Polytecnique ; T. 19. i64 Intorno al movimento di un punto ec. e quindi dt da (4) Ma dalla {12) si ha = I 7r -Tn du . Jy[^fVciu-%] dv a dt du G du ' per cui si avrà anche la , r. u -+- B = a f 7p -^ du. Le equazioni (i4), (i5) sono le soluzioni del problema: la (i4) avendo origine dalla (i3) ci porge il tempo impiegato dal mo- bile a percorrere 1' arco di geodetica per la quale v = cost. , e la (1 5) ci fa conoscere la posizione della geodetica medesima rispetto ad una fissa. Supponiamo che la superficie sia di rotazione, i meridiani saranno le linee geodetiche, i paralleli le trajettorie ortogonali. Riteniamo essere 1' asse delle x quello della superficie, ed in- dichiamo con r il raggio del parallelo corrispondente al punto di coordinate x,y, z della superficie; e sia x = (pìp(r) la equa- zione di un meridiano qualunque. Chiamisi v V angolo che il meridiano corrispondente al punto in cui trovasi il mobile alla fine del tempo t fa con un meridiano fisso che supporremo coincidere col piano delle xz; e sia u V arco di quel meri- diano. Saranno j = rsenu, z = rcosv e quindi E=i, G=:r% e le equazioni (14)5 (iS) diverranno t -i-A= r — 7F ix^ du , u -t- B = r TP -Ti du I Memoria di Francesco Brioschi i65 od anche J y/[^f?du-^\ le quali sono le forinole trovate direttamente dal Sig. Jacobi. 7°. Supponiamo 1' asse della superficie di rotazione essere verticale, ed agire sul punto materiale la sola gravità. Sarà P=g j-, e quindi per una delle superiori equazioni: dv a du ri/[7-^(agj:-Ha^) — cc^] /? costante introdotta dalla integrazione. A determinare le co- stanti a, /? si osservi che se con k indicasi la velocità iniziale, con d 1' angolo che la direzione della medesima forma colla sua projezione sul meridiano che passa pel punto della super- ficie in cui trovasi il mobile al principio del tempo; il valore di rv corrispondente a i = o, sarà Asen0; e quindi chia- mando d il valore di x corrispondente a i ^ o, si avià (r'v')^ = xp{d) k sen d, talché per la (la) sarà a = ip{d) k sen 6. essendo /• = t^ (x) il valore di r ricavato dalla x = (p(r). Cosi dalla (i3) o dalla susseguente si ha k' COS'HO = a. g d -i- 2. P — k" sen" d, e quindi t2.fi = k' — 2.gd. Questi valori posti nella eqiiazione superiore danno dv ip[d)k cos d ITi — r /[ r" (ag [x—d) -^ k') — ^' {d) k^ cos^ 0 J ' i66 Intorno al movimento di un punto ec. e siccome dalla equazione x = (p{r) si è dedotta la r = tp{x). sarà anche du /i7ì in \ri \ A- rr\ ] ' avendo posto e^ = — ^^ . Nella Sezione Vili.* della seconda parte della Meccanica Analitica, Lagrange ha dimostrato che allorquando un punto pesante si muove sopra una sfera, la curva che esso descrive presenta una serie di punti le di cui ordinate verticali sono alternativamente massime o minime. Questa proprietà la quale formò anche argomento ad una nota del Sig. Puiseux (*) può venire estesa ad un gran numero di casi mercè delle forraole trovate. Considerando la equazione (i8) è facile il concepire che i valori della x i quali annulleranno il denominatore nel se- condo membro della medesima senza annullare il numeratore corrisponderanno alle ordinate massime o minime dei punti della linea descritta dal mobile. Ora questi valori della x esi- stono effettivamente, giacché facendo nel polinomio sotto il segno radicale, x = — co, x = — a, x = d, x = a i risultati sono positivo, negativo, positivo e negativo; talché la equa- zione risultante dall' eguagliare a zero quel polinomio ammette tre radici reali. Anzi se indicansi con m, ed n i valori, ordi- natamente compresi fra x = a, x = d; x = d, x = — a, che (*) Sur le mouvement d' un point matériél pesant sur une sphère. Journal de Liouville; T. 7. Memoria di Francesco Brioschi 167 soddisfanno alla detta equazione, sarà m il valore massimo di x^ n il valore minimo. Quanto si è detto partendo dall' equazione (18) intorno alla linea descritta da un grave sopra 1' Elissoide di rotazione, evidentemente osservando alla forma della (17) potrà valere per un grandissimo numero di altri casi ; ed inoltre la pro- prietà può verificarsi anco in altre ipotesi sulla natura della forza agente, il che facilmente provasi in molti casi particolari usando della seconda delle equazioni (16). i68 SULLA INOCULAZIONE DE' MORBI IIV GENERALE ED IN PARTICOLARE SU QUELLA ORA PROPOSTA PER LA POLMONEA ROVINA DI GIULIO SANDRI SOCIO ATTUALE Ricevuta il 15 Marzo 1853. I. J? ra i molti ritrovamenti, onde si 'gloriano i tempi nostri, da giornali, gazzette ed altri pubblici scritti or ponesi anche la guisa facile di preservare la specie bovina dalla sua Polmo- nea. Di qual vantaggio sarebbe per essere un tale preserva- niento io non intendo qui di mostrare, conoscendo ben tutti qualmente siffatta malattia, benché non usi infierire con deva- statrici invasioni, pure insorgendo qua o colà pressoché in ogni tempo, air agricoltura, al commercio e alle mense rapisce alla fin fine un grandissimo numero de' preziosi individui. Mio in- tendimento si é quello di venir facendo su questo ritrovato alcune considerazioni che pajonmi necessarie, toccando prima in generale l'importante argomento dell'inoculazione de' morbi. 2. Questa inoculazione, che dimora nel trasportar sopra sano individuo materia capace di sviluppare un morbo simile a quello, dal quale essa venne prodotta, può avere due scopi; cioè quel di conoscere se un tal morbo sia contagioso o in qual guisa trasmettasi; e quello di preservar da esso morbo. 3. Quanto al primo scopo vuoisi avvertire principalmente, che il comunicarsi del male coli' inoculazione mostra eh' egli é appiccaticcio; ma il non comunicarsi punto non mostra che tale non sia; vale a dire provano solo i casi positivi, e i ne- gativi non provan nulla per numerosi che sieno : perciocché Memoria del Socio Giulio Sandri 169 assai circostanze ponno contribuire al non comunicarsi del male che nondimeno sia contagioso. E primamente può contribuirvi l'esser il morbo tale da non potersi per innesto comunicare, o perchè di natura sua il germe sia volatilissimo e non sog- getto ad umana manipolazione, come quello della pertosse; od anche fisso, ma da non si poter introdurre integro con questo mezzo neir organismo, come addivien della scabbia. E in se- corulo luogo si vuol sapere scegliere la materia che sia vera- mente infettiva; il tempo in cui si trovi matura, né prima né dopo ; imperciocché in entrambi questi casi suol tornare inef- ficace ; e trasceglier eziandio il modo acconcio agli speciali contagi, poiché parecchi aver ponno una peculiare via d' in- troduzione, fuor della quale non s' introducono, come noi ab- biam dimostrato succeder anche nella Golpe del frumento. E la parte pure si vuol conoscere accomodata all' inoculazione : ed altri requisiti altresì fanno d' uopo noti spesso alla sola Na- tura, la mancanza d' un solo de' quali può render vana 1' ope- razione. Di che avvien che alle volte il solo accidente renda profìcuo l'innesto, e tanti per assai tempo lo tentino indarno; ed alcuno soltanto alla fine riesca, siccome videsi dell'idrofobia: la quale da replicatissime sperienze tornate infruttuose sem- brava che non fosse comunicabile dagli erbivori ad altri ani- mali, e finalmente anche da essi fu poi comunicata. 4. E vuoisi anche por mente, che alcun male può di qualche guisa trasmettersi ad una specie, benché di essa pro- prio non sia, vale a dire ad essa non si comunichi senza un deciso apposito innestamento. Nel che poi due casi si ponno dare: cioè o che alla specie non propria il male per inocula- zione trasmettasi di leggeri, come il vaccino all' uomo e alla pecora; o che si trasmetta assai difficilmente, come il moccio del cavallo all' uomo. Può in oltre addivenire che il trasmesso più suscettivo non sìa di trasmettersi, perchè il germe non possa giungere a maturazione, come il vaccino che si appigli al cane, al porco, al cavallo, all'asina ec. ; e parecchi altri esterni malori, come certi erpetici, diversi carbonchiosi, che Tomo XXF. PJ^ 11.^ V I ^o Sulla inoculazione de' morbi ec. da varie specie d' animali passino all' uomo. E pei* contrario può succeder eziandio, che il germe trasfuso nell' altra specie vi provi bene, giunga a maturazione e possa di nuovo trasfon- dersi, come il vaccino, che dalla vacca passato all' uomo o alla pecora, può far quinci novelli passaggi ( N. i4-)' ^ come nar- rasi pure del moccio cavallino, che dal cavallo passato all' uòmo, da questo al cavallo far possa litorno. 5. Dal detto per tanto due cose principalmente ne ven- gono : r una , che se 1' inoculazione con effetto prova esser il mal contagioso, dalla non effettiva non può dedursi che conta- gioso non sia : 1' altra, che coli' inoculazione si ponno trasmet- ter de' morbi che altrimenti non si trasmetterebbono mai, morbi che per quella specie cui trasmettonsi, contagiosi pro- priamente non sono. 6. Ma r inoculazione che dir potrebbesi di scopo scienti- fico, noi l'abbiam qui toccata quasi soltanto per incidenza, es- sendo nostro principale intendimento vedere ove sia indicata ovver convenevole quella di scopo pratico, la .qual fassi colla mira di preservare. Or siccome con essa tendesi ad avere, co- municandol coli' arte, più mite un male che venuto natural- mente da sé tornerebbe assai periglioso, per la sua convenienza tre cose sopratutto richieggonsi : vale a dire che il male sia inevitabile, che avuto una volta più non ritorni, e che si possa moderaine il corso, limitandolo anche a parti manco importanti alla vita. Richiedesi la prima condizione, perchè se il male sia di leggeri evitabile, non è da procurarselo certo a bello studio. Si richiede la seconda, perchè se avuto può ritornare, non è ragionevole che si tenti di soffrirlo come che sia una volta di più. E la terza è richiesto, perchè se il mal non sia tale da poterne domar la violenza, o dirigerla dove men nuoce, non giova chiamarci adesso più presto quello che ci avrebbe incolto più tardi o non mai. 7. E quali sono i morbi inevitabili? Un tempo si credeva il vajuolo: ma poi s'è conosciuto che il germe non era insito nell' umano organismo, poiché si poteva comunicar coli' innesto, ed era straniero ai paesi ove la contagione ancora non l'aveva introdotto. Memoria del Socio Giulio Sandri l 7 1 E i morbi che avuti più non ritornano quali sono? Prima si pensava essere tutti i contagiosi, conciossiachè si mettesse per carattere de' contagi quello di non ritornare: ma come di- mostrammo altrove (1), falso è un tal carattere; e tanto, che anzi alcuni avuti una volta sembrano allignare più agevolmente, come la sifilide e la migliare. Non v' ha contagioso morbo il quale dirsi possa che non ritorni. V ebbe de' carbonchiosi che rinnovaron 1' assalto fino a tre fiate agli stessi individui nella medesima invasione (2). E per citar altri esempi, il Prof. Ri- naldini dice che nella febbre ungarica de' buoi da lui trattata il 1800, alcuni ricuperati perivano per recidiva: e il Leroi in quella ch'ebbe a trattare nel 1798 vide la recidiva in g capi dopo sette mesi , e in 5 dopo dieci da che n' erano stati gua- riti. Frequentissimi ritorni ha il colera; il medico inglese Gearle vuoisi il provasse per ben tre volte : né sono essi tanto estra- nei al morbillo, al vajuolo, alla petecchiale, come ricordan chiarissimi attenti medici (3) . E da potersene moderare la forza coli' inoculazione, o ri- volgerla a parte meno vitale, sembra soltanto esservi qualche mal cutaneo, la cui eruzione sia dato determinare più verso un luogo che un altro, inserendo in quello il relativo germe, e incontrando che questo poi non si assorbisca in guisa da recarsi colla circolazione a nuocer altrove. 8. Non trovandosi pienamente le tre condizioni prefate in verun morbo, ne viene pur che in nissuno si possa della ino- culazione aver pieno il buon successo. In parte però esse tro- varonsi nel vajuolo umano, e perchè terribili n'erano le inva- sioni, e non grande la probabilità di andarne sempre immune; e perchè avuto una volta non suole, almeno per qualche tempo, ! ripeter l'assalto; e perchè essendo morbo della cute, se ne (1) Sull' idea gtneraU di Contagio. Alti del Veneto Istilulo di Scienze Lellere ed Ani. Tom. VI, Puntata l', pap. IH ; e Volume IV di sue Memorie. (2) Intlilulions Vélérinaires. Tom. VI, pag. 243. (3) Penolazii. Del Morbo migliare; pag. 162. ii^a Sulla inoculazione de' morbi ec. poteva in certo modo richiamare lo sfogo principale a situa- zioni, ove tornasse man periglioso, meno offendesse gli organi de' sensi, e in generale men deformasse 1' esterno aspetto. E quinci benché non di rado l' inoculazione fosse poco fortunata, propagando anclie alle volte 1' infezion naturale, pure in com- plesso riusciva assai vantaggiosa, e meritava che si praticasse non senza fiducia anche generalmente prima (i) che s' intro- ducesse il vaccino. (I) L'inoculazion del vajuolo umano, cognita come pare da gran tempo ai Chinesi, sì eseguiva pure appo gli Arabi, da cui l'appresero i popoli della Circassia e della Giorgia ; dai mercatanti de' quali ( che sui Negri , onde faceaa vergognoso traffico , la praticavano affinchè dal morbo non morissero o non restassero sfigurali ) appararonla poi gli Europei. Usavasi specialmente in Tessaglia e sulle coste del Bosforo, quando Miledy Wortley moglie dell' Ambasciatore a Costantinopoli , vi fece inoculare la prole che unica aveva. Tornata essendo in Inghilterra, ne imitò l'esempio la Regina Sposa di Giorgio primo. Dietro queste coraggiose donne, e a fidanza di quanto aveano scritto i due Medici Italiani Timoni e Filarini, 1' uno al servigio del Sultano, 1' altro alla Corte di Russia, r uso di tale innesto si diffuse in varie parti, come in Inghilterra, ove il Collegio di Londra nel 1755 ne dimostrò con moltiplicate sperienze l'utilità: ed in Francia, dove se ne proclamarono molto i vantaggi dal celebre Condamine j e quantun- que proscritto dal 1729 al 1738, per una gravissima invasion di vajuolo ne tornò indi a poco in favore la pratica. La quale ebbe poscia in questi luoghi, od in quelli, molti seguaci finché sotlentrò la vaccinazione. La patria del vajuolo vaccino vuoisi Glocester in Inghilterra, sebbene altri asserisca di averlo veduto anche altrove. Fino dal 1768 Sutton e Fowster s'accorsero che an- dava immune dal vajuolo umano chi avesse preso quel delle vacche trattandone d' in- fette: ma solo nel Giuguo 1798 Jenner pubblicò le sue Osservazioni che poser in chiaro la tanto preziosa facoltà preservatrice. I primi che annunciàronne all' Europa i felici successi furono i Compilatori della Biblioteca Britannica. La vaccinazione dove più e dove men presto fu poi propagata quasi generalmente: in Italia sopratutto per le cure indefesse del benemerito Sig. Dott. Luigi Sacco. In Verona cominciò verso la metà del 1801 , avendola praticata il Prof, in Chirurgia Sig. Antonio Manzoni il 25 Maggio sopra un nobile Salerno; e il 2 Giugno sopra una marchesa Maffei il Medico Signor Matteo Barbieri , che si adoperò assai caldamente collo scritto , colla voce e coli' opera a dif- fonderla e vincer gli ostacoli che per varie guise gli si opponevano. L' innesto del vajuolo pecorino conosciuto in Levante da piìi d'un secolo, in Eu- ropa si usò massimamente dopo introdottavi la vaccinazione. Per questo Cenno Storico Memoria del Socio Giulio Sandri 1 78 g. E per somiglianti motivi si trovò utile cotale operazione anche nel vajuolo pecorino; che sviluppatosi naturalmente de- serta quasi affatto l'ovile nel quale s'insinua: e inoculato op- portunamente suol tener un corso regolare, far poche vittime e preservare da un' imminente naturale invasione. Ma perchè opportuno e proficuo tale innesto riesca due cose domandansi. L'uno che il vajuolo sia per poco inevitabile, cioè serpeggi in armenti vicini; perciocché dove questo male non regna, sa- rebbe fuor di ragione il farlo soff'rire col mezzo dell' arte : e r altra che si pratichi al tempo stesso 1' operazione a tutte le pecore ; poiché altrimenti V inoculato in alcune potrebbe co- municar ad altre il naturale e cagionar molto guasto. 10. In questi due morbi 1' innesto riuscì di vantaggio in quanto vi si rinvennero le tre condizioni soprammentovate ( N. 6. ) ; ma non è palese che tornasse generalmente utile in altri, e meritasse che se ne rendesse comune la pratica. Si sa quale ne fosse il successo de' tentativi fatti da qualche tempo nell'umana peste. Si conoscono i recenti sulla sìfiUzzazìone [i). Ed é noto eziandio quali fossero gli esiti di altre consimili inoculazioni tentate negli animali, delle aste, per esempio, e massimamente della peste bovina; i quali in fine si riconob- bero inutili o perniciosi, malgrado i vantaggi che prima se ne decantarono da parecchi. 11. I vantaggi che alle volte sembra in sulle prime otte- nersi, anziché all' inoculazione in sé medesima, si debbono ad altro: alle cure, esempigrazia, usate avanti o dopo l'operazione; al praticarsi questa allorché 1' invasione sta in sul declinare e il male volge da sé stesso a buon termine; e massime al caso, il quale in materia di contagi ha tanta parte, risparmiando an- che individui, che maggiormente si espongono ad esserne colti. Vedi lìarbieri Im Vaccina alla jirova; Verona 1802 Luigi Sacro: Trattalo di facci- nazione; Milano 1809. Laurin: Epizoozie; Milano 1829. Aliberl: ilalattie della pelle, tra- duzione; Venezia 1835. (I) Giornale Veneto di Scienze mediche, Fase, di Luglio 1852. 1^4 Sulla inoculazione de' morbi ec. la. A tentare inoculazioni de' morbi col fine di preservare, non può troppo valere l'esempio della vaccinazione, che doma sì felicemente il vajuolo umano. Fra 1' altre e questa v' ha gran divario. Questa per faustissima ventura eccita nella nostra macchina un' affezione sempre mite e benigna, la quale suole per certo tempo, se non preservare al tutto, almeno render difficilissimo 1' attacco d' un mal affine d' indole assai perni- ciosa. Ed oltre tale mitezza e benignità, questo contagio es- sendo estraneo all' umana specie, non si diffonde ne anche na- turalmente fra essa ( N. 5. ) . Laddove nelle altre inoculazioni è lo stesso contagio de' singoli morbi che innestasi; il quale può alle volte spiegare la naturai sua malizia, e da sé propa- garsi anche ad altri individui ( N. 8. 9. ) . i3. Il vedere che il vaccino valeva contro il vajuolo umano, fé' da principio nascer 1' idea che potesse preservar eziandio da altri contagi, come, verbigrazia, dal vajuolo pecorino e dal rantolo de' cani: ma quantunque esso prenda ben nella pecora, e in qualche guisa anche nel cane, non li preserva propria- mente da questi lor mali ; non preserva punto il cane, e solo imperfettamente o in alcuni casi la pecora, il cui vajuolo è similissimo a quello dell' uomo. 14. E qui si dee ricordare che nella pecora, benché non v' abbia sicuro preservamento, il vaccino ottiene, come si disse ( N. 4- ) » pieno sviluppo e maturazione, e può trasportarsi poi con effetto all' uomo e alla vacca. Sicché agevolmente passa per innesto dall' una all' altra di queste tre specie : e quan- tunque nella pecora indeboliscasi alquanto, riprende energia ripassando all' uomo od alla giovenca. E quinci si ha pur il mezzo di mitigare, ove sembri soverchia, la forza di quel di quest' ultima, facendolo passar per la pecora pria di giungere all' uomo. i5. Siccome poi si dice passar il vaccino senza perder sua efficacia, dall' una all' altra delle tre specie sopraccennate ( N. 14. ), e siccome presso di noi il vajuolo delle vacche non suol apparire naturalmente, sembrerebbe mezzo acconcio di Memoria del Socio Giulio Sandri i 7$ procacciarci materia per le vaccinazioni quello d'innestar della presa dall' uomo, sulle lor poppe vicino ai capezzoli, ove usano insorgere le pustole del naturale vaccino. Ciò francherebbe i nostri Governi dal tributo che pagano ogni anno ali' Inghil- terra facendone venire dall' Istituto Jenneriano, e darebbe di buona qualità quel virus, il quale ora o per la sua trista na- tura, o per mala conservazione, manca sì spesso d'effetto (i). (I) Perchè il virus sia di lodevol natura, la pustola della giovenca, onde si piglia, dee presentar tutti gì' indie j del vero e regolare vaccino, essere depressa nel mezzo co' lembi assai rialzati di tinta plumbea, con intorno un disco rosseggiante che lira poscia al violaceo. Ne' primi giorni dopo la comparsa, allorché matura, traforasi a un lato, e l'umor linFatico estrattone riparasi dall'umido e dal caldo, e specialmente dal- l'aria e dalla luce ponendolo Fra lamine di vetro o tubi chiusi ermeticamente, di color nero od avvolti in neri oggetti. Si considera poco eCGcace la marcia susseguente alla maturazione, e la crosta polverizzata, e l'umor tolto dal centro; a paro di quello che prendesi nell'innestato sull'uomo da pustola che siasi aperta collo slromenlo o per accidente. Il virut per l'innesto del vajuolo pecorino, vuoisi prender anch'esso da pustola del vero vajuolo regolare e benigno allo stalo di maturità , mentre si trova piena di linfa sierosa e limpida, valendo poco la torbida od inspessita. Ad aver effetto più mite si consiglia di farla prima passar varie volle successivamente per alcune pecore sanis- sime, trasceglieudo sempre di queste pel nuovo passaggio la pustola più bella, e così seguitando finché si giunga ad averne sol una , la pustola madre nel punto d' innesto senz' accessorie: dalla quale si piglia onde inoculare l'armento (una pustola bastando per 600 pecore ). A differenza del vaccino che può serbar intera la sua attività anche dopo innumerevoli inoculazioni successive, il virus pecorino pe' transiti scema di forze; e dicesi che dopo il decimosecondo, o il deciraoquinlo torni affatto inefficace. Anche pare ch'esso duri attivo minor tempo, benché tenuto egualmente che l'altro con ogni cautela. Al buon effetto dell" innesto può contribuir anche la scelta della parte in cui fassi, Ja stagione, lo slato dell'individuo, e il modo di praticarlo. Il pecorino si fa in siti privi di lana e non soggetti a sfregamento, come alla faccia inferior della coda tre pollici distante dall'ano, e meglio sotto il ventre; scegliendo, se sta in nostro arbitrio, la primavera, r autunno o il mite verno, e sfuggendo il troppo caldo: e risparmiansene le pecore mal sane, in cui di leggeri il vajuolo si sviluppa maligno. Impieganvisi o fi- letti di lana carichi di tiiVu» applicati a foggia di setoncini , o l'ago scanalalo, o la lancetta. Questa sembra più conveniente potendosi meglio schivar con essa di andar troppo fondo ( oltre la rete malpighiana ) , e 1' uscita del sangue : vuole poi esser net- tissima, e non punto arrugginita , poiché 1' irritazione di qualsiasi altro corpo turbar , potrebbe lo specifico lavoro del rirus. 176 Sulla inoculazione de' morbi ec. 16. E quanto all'ora detta conservazione è palese, che sebbene 1' effetto soglia tornar più sicuro usando i-ecente ma- teria, innestando cioè da individuo a individuo, o, come suol dirsi per gli uomini, da braccio a braccio; tuttavia siccome non è dato averla sempre sì fresca, o per averla necessitando aver eziandio il male sviluppato naturalmente, non senza pe- ricolo che operi naturali devastatrici invasioni : cosi alla mag- gior convenevolezza dell' inoculazione d' un morbo in generale pur compie che l' acconcia relativa materia si possa conservare pili o men lungamente anche secca. 17. E soprattutto ove trattasi d' animali, per la mentovata convenienza è pur necessario che il male sia di tal indole da prender agevolmente inoculandolo, come appunto occorreva nel vajuolo umano, ed occorre nel pecorino e nella vaccinazione; poiché dove non prendesse che a stento, dei molti inoculati solo in alcuni, 1' incomodo tornar potrebbe assai maggior del vantaggio che se ne avesse per altro rispetto. E il pien suc- cesso dell' inoculazione per ciò medesimo dovrebbe pur com- piersi in congruo tempo determinato ; conciossiachè il troppo lungo o indefinito, darebbe noja, e fors' anche spesa non lieve. 18. Imperocché ad ottenere il bramato scopo dall' inocu- lazione è sempre mestieri eh' essa prenda, e il morbo faccia il regolare suo corso imitante quello del morbo che fosse ve- nuto naturalmente. Ed è per ciò che nella vaccinazione se questo corso poi non appare, ella tiensi per non avvenuta, e a conseguire l'effetto vuoisi ripetere. Né basta che del morbo naturale s'imiti il corso come che sia: ma i conseguitanti mor- bosi sintomi deon essere propriamente gli speciali caratteristici di esso morbo. Ond' è che pur distinguesi nel vajuolo e nel vaccino il vero dallo spurio ; e il corso dello spurio non gode punto della facoltà preservatrice , sebbene affine alquanto a quello del vero, o in apparenza non guari dissimile. Essendo il preservamento dovuto ad una modificazione che soffre l' or- gano o 1' organismo da quella cotal azione specifica ( sia che essa tutto consumi 1' alimento che potrebbe dare sviluppo a Memoria del Socio Giulio Sandri 177 quel germe, o renda il tessuto della parte incapace di poterlo ancor assorbire, ovvero altra impi-essione vi faccia atta a re- spingerlo) è necessario che quel corso peculiare si compia, af- finchè s'abbia da preservare (1). 19. Toccato così alla sfuggita le cose occorrenti per render opportuna 1' inoculazione preservatrice ; le quali sono princi- palmente che il male sia più o meno in sé stesso inevitabile; che avuto una volta piìi non ritorni, almanco per un cotal tempo, 0 assai difficilmente; che se ne possa mitigare la forza, o maggiormente rivolgerla a parti non troppo importanti alla vita; che, massime negli animali, sia coli' arte facilmente co- municabile ; e che poi sempre compia regolarmente nell' inne- stato quel preciso corso eh' è proprio del male insorto natu- ralmente : noi passiam tosto a ciò die forma il precipuo scopo del presente ragionamento, vale a dire all' inoculazion procla- mata quale preservativo della Polmonea bovina. E a chiarir meglio r assunto pria diamo un cenno di essa malattia. Cenno della Polmonea. ao. La Polmonea de' buoi è malattia peculiare, che non vuoisi punto confondere coli' altra intiammazion di polmone che questi animali possono avere in comune cogli altri, e che viene da cose già conosciute. Sulla causa della Polmonea di- verso molto è il pensamento. Chi la dice generata da circo- stanze locali, da malo nutrimento, cattivo alloggio, disagio, malignità di stagione ec. ; imputandone tante cose, quante son quelle ond' ella si trova preceduta od accompagnata, e punto non la vuol contagiosa. Chi ammette che, generatasi prima da queste o somiglianti cagioni, possa quinci conuinicarsi eziandio per contagio. E chi, collo scrivente, da solo contagio crede che (1) Egli è ben vero che alle volte non appare la relativa esterna eruzione, come quando si dice vajuolo senza vajuolo; ma il male del resto fa sempre il caratteristico speciale suo corso, colla durazione, co' moti febbrili e gli altri sintomi che gli son proprj. Tomo XXV. P.'^ //.' X r^8 Sulla inoculazione de' morbi ec. sempre sia generata; il quale anche possa rimanere latente più o meno tempo o per entro 1' animale medesimo, o fuori di esso in luoghi che alloggiarono infetti e poi non furon pur- gati. E crede pure che la trascuranza o non esatta esecuzione de' convenevoli spurghi, e più ancora la malaugurata costu- manza di vendere di soppiatto gli animali ammorbati, o quelli che con essi stettero in comunicazione ( i quali poscia vanno a contaminare gli altri, cui si tramischiano ), sieno le principali cause, per le quali siffatto morbo occulto o palese, qua o colà regna quasi costantemente. 2,1. Il sì diverso opinare sull'indole di questa malattia par che massimamente da due cose derivi. L' una si è la grande incostanza e quasi direbbesi bizzarria di suo procedere quanto al comunicarsi naturalmente; onde tal fiata uno, due, o pochi individui soltanto in un armento, eziandio numeroso, la pren- dono ; o alcuno pure s' infetta che più si trova distante dal- l' ammorbato. Il Signor Dott. Facen che tante volte e sì da presso osservò la malattia, le niega assolutamente il contagio adducendo che stalle infette non comunicarono il male a stalle vicine, né ad animali che, senza purificarle, vi si collocarono poi; che ammorbati si mischiarono a sani, senza che a questi si trasmettesse il male; che non si trasmise né anche dallo stromento che avendo in pria salassato infetti, salassò poscia de' sani senz'esser nettato; né tampoco dal vaccaro, il quale tratta infetti e sani, e senza lavarsi le inani, con esse conta- minate della bava e della mucosità degli ammorbati, pone in bocca il sale a quelli e questi. L' altra cosa che fece rifiutare alla Poi monca la contagione, si fu il non essersi potuta comu- nicare per via d' innesto. Il Sig. Brugnolo Professore di Vete- rinaria nella Università di Padova, in una Memoria letta alla Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di quella città, riferisce in proposito « gì' innesti colla materia icorosa di animali pe- ce liti di Polmonea, tentati inutilmente nelle scuole di Lione, « di Berlino, di Vienna, e le sue proprie sperienze variamente « ripetute in Moravia, in Islesia, a Vienna e nella Lorabar- Memokia del Socio Giulio Sandri i 79 « dia » (i). Ma per quanto peso dar vogliasi a queste ragioni, la prima sol proverebbe che 1' accidente, il quale suol avere molta possanza suU' andamento de' contagi, moltissima n' ha sopra questo. E la seconda proverebbe soltanto che la Polmo- nea non è comunicabile per inoculazione, essendo piuttosto r ordinaria e propria sua via di trasfondersi quella dell' inspi- razione o del leccamento che mette direttamente ai polmoni ; per la qual sola diretta via sembra pur trasfondibile nell' uom la pertosse ( N. 3. ) : ma esse ragioni punto non proverebbero eh' ella non sia contagiosa , quando tale appien si dimostra dall' altro suo procedimento. aa. Omettendo parecchi sintomi comuni ad altre infermità, i principali di questa sono : in sul principio una tosse rara e secca, anche d' un colpo solo, che a motivo di sua tenuità d' ordinario passa inconsiderata per alcuni giorni. Indi si fa più frequente; sceman le urine, e con esse le feccia che di- vengon anche più consistenti; scema pur il ruminare, e quindi eziandio la voglia di prender cibo. S'aggiunge la febbre; l'ani- male stassene malinconioso tenendo teso il collo e la testa, e le spalle tra loro discoste. Suol lùmanere in piedi; e se si co- rica, subito s' alza. Il respiro diventa alquanto breve ed affan- noso, e sensibilissima la spina dorsale sotto la man che la prema. La femina dà latte più sciolto, di colore tirante al ce- ruleo; il diminuisce, ed anche il cessa interamente. Progredendo il male si manda bava dalla bocca, e mucosità dalle narici; sentesi un cotale scroscio di denti, e per consueto sopravvien la diarrea di materie nere e fetenti. Da ultimo 1' animale san giace quasi sempre sdrajato, e indi a non molto spira. La ma- lattia dopo essersi spiegata dura dai sei fino ai trenta giorni in quegl' individui che muojono; ed anche oltre i quaranta in quelli che guariscono. 11 ristabilimento però in questi non è sempre compito; perciocché restan sovente degl'interni guasti (1) Relazione delle Memorie lette all' I. R. Accad. di Scienze Lettere ed Arti in Pa- doTa negli anni 1841-2. Padova 1842. l8o Sulla inoculazione de' morbi ec. che, se non mostransi prima, vengono in vista qualora dopo alcun tempo 1' animale diasi al macello. 2.3. L' ispezion cadaverica negli animali che muojono fa vedere costante 1' alterazione de' polmoni, ove il male tien la S4ia sede. Alle fiate si trova alterato, o di preferenza, un lobo solo, che più sovente è il sinistro; il cui tessuto si trasforma in una massa consistente assai voluminosa e pesante, screziata pur nell' interno a varie tinte, quasi fosse intarsiata. La cavità del petto rinviensi talor asciutta, presentando così la volgar- mente detta Polmonea secca: ma d'ordinario avvi raccolta piìi o meno abbondante di materia sierosa mista a marcia, di spe- cial odore, con pezzi giallicci, e come lardosi, di linfa coagu- lata; membrane ingrossate formanti attacchi preternaturali colle parti vicine. E i segni d' infiammazione, e le infiltrazioni lin- fatiche, oltre a ciò che sta nel torace, estendendosi anche agli stomachi e ad altri visceri dell' addomine. 2.4. Chi divide il corso della malattia in periodi o sia stadj; e chi no, come qui sopra ( N. aa. ) abbiam fatto pur noi, tra perch' essi sovente non sono bene determinati, e perchè av- viene anche la morte pochi giorni dopo che il male s' è pale- sato : conciossiachè ne' bovi, che son di natura poco sensibile, esso possa eziandio covare inosservato, e a poco a poco alte- rando il polmone crescer in guisa da non essere più rimedia- bile quando con indicj evidenti si manifesta. Quelli che segnan periodi soglion distinguer i tre: febbrile-ìnfiammatorio^ blennor- roico, e coUiquatìvo. Ma v' ha pure chi, col Sig. Dott. Tubbi , crederebbe opportuno aggiugnerne un quarto, chiamandolo d'in- vasione o d' infezione, abbracciante i fenomeni che insorgono pria eh' entri la febbre. a5. Il più sicuro generale preservativo è 1' esatta osser- vanza delle prescrizioni di sanità, il causare qualsiasi comuni- cazione sospetta, il non dar punto luogo alle due cause che dicemmo specialmente mantenere continua quinci o quindi la malattia (N. ao. ). E il preservativo particolare per gli animali sospetti, cioè che furono in circostanze d' infettarsi, è, dopo Memoria del Socio Giulio Sandri i8i averli separati dagl' infermi, il lavarli ben anche dentro la bocca e le narici con soluzion di cloruro di calce, il mutar loro potendo a quando a quando la dimora, e il tenerli in aria libera, strofinandoli più volte il giorno con fascetti di paglia asciutta, dopo averli bene stregghiati e ripuliti la mattina; il somministrar ottimo cibo secco e piuttosto scarso, in guisa che se ne stieno a mezzana dieta, sedando la sete con beveroni od acqua leggermente acetata, col trarre pur sangue se la du- rezza del polso il richiegga. È anche indicata 1' operazione so- lita a praticarsi eziandio nella cura, inserendo radice di elle- boro, ovver trocisco di solimato in fondo alla giogaja, traforando poscia il tumore, che ne risulta, con setone spalmato di so- stanza vescicatoria, nettando esso ogni giorno con acqua tepida, e conservandolo in azione finch' è passata 1' epizoozia (i). Quest' è ciò che di più vantaggioso si riconobbe finora : ma viene adesso proposta altra cosa, che noi tosto vedremo. Inoculazione della Polmonea. 26. Vuoisi che il Sig. Dott. Willelms di Hasselt nel Bel- gio, non solo riuscisse a comunicare per inoculazione la Pol- monea de' bovi, che per tal mezzo stimavasi incomunicabile ( N. ai.); ma eziandio che ne discoprisse nella inoculazione il preservativo. La qual cosa ci si manifesta, oltrecchè da pa- recchi periodici scritti (N. i.), più particolarmente dall'Estratto a stampa del Metodo usato dall'Autore, che ci si offerse a in- tendimento che introducasi eziandio nelle nostre provincie (a); sul quale noi crediam fare le seguenti osservazioni. 27. Nella prima faccia di esso Estratto si legge, che « an- ce che gli animali risanati spesso nuovamente si ammalano, e (1) A maggiore schiarimento di quanto abbiamo qui ricordato intorno a questa malattia, si veggano i Cenni sulla Polmonea bovina del Veterinario Signor Alessandro An- dreis. Piacenza ISól. (2) Sull' inoculazione come preservativo contro la Polmonea. Tipi di G. Antonelli. Ve- netia 1832. i8a Sulla inoculazione de' morbi ec. « solo difficilmente e lentamente guariscono » . E più sotto si dice, che un animai risanato non viene una seconda volta at- taccato dalla malattia. Nelle quali due proposizioni non si può a meno di ravvisare contraddizione : e si scorge eziandio che , se vera è la prima, l'innesto non può valere allo scopo ( N. 6.). a8. Viensi poscia dicendo, che dal non ritornare del male il Sig. Willelms concepì il sospetto che fosse contagioso. Nel che si mette in campo 1' idea che carattere de' contagi sia quello di non più ripeter 1' attacco, avuti una volta ; la quale abbiam dimostrato precedentemente esser falsa ( N. 7. ) . ag. A sperar bene dall' innesto della Polmonea quindi si allega che « anche nella medicina umana le malattie epidemi- « che e contagiose vengono innestate col miglior effetto. » Dalla qual cosa annunciata così generalmente parrebbe cre- dersi che tutte le umane contagiose epidemie si trovassero in questo per noi fortunatissimo caso : mentre di tanti contagi che ponno regnare eziandio epidemici in tal caso si trova il solo vajuolo; ed anche precipuamente per la felice singolare ventura di potersi usare per esso il vaccino ( N. la. ). 3o. Non conforta molto all'operazione il sapere che a ve- derne il pien successo deesi alle volte aspettare fino a tre mesi, rimanendo frattanto sempre in riguardo ( N. 17.). Né vi con- forta l'incostanza di effetto; imperciocché scorgesi alcuni in- dividui perire; alcuni aver sintomi gravi che mettono a rischio la vita ; alcuni averli leggeri ; ed altri non averne punto. Si. e reca pur imbarazzo il non si dire, se per questo si possa conservar la materia disseccata, com' é dato di fare per altri innesti ( N. 16.): imperciocché non parlasi che di fluida, U usata o immediatamente o al più otto giorni dopo che fu tolta dall' ammorbato. Che se aver si dovesse ognor fresca, farebbe d'uopo aver sempre anche in atto la malattia naturale: il che può non essere senza gravi inconvenienti ( N. 16.). 32. Siccome poi raccomandasi di prendere la detta materia da un animale che trovasi nel primo, od al più in principio del secondo stadio della malattia; e siccome dessa è il sangue Memoria del Socio Giulio Sandri i83 ed il siero che spremesi dal polmone dell' ammorbato , per averla questo debbesi uccidere. Nel che oltre la perdita sicura dell' animale, avvi pure la difficoltà di conoscere quale sia il vero punto acconcio pel suo ammazzamento, non essendo i pe- riodi sempre bene distinti ( N. a4- ) • 33. La ragione per cui raccomandasi un tal punto a pren- dere la materia per l' innesto è perchè presa di poi tornerebbe troppo veemente, cagionando cangrene e morte. Ma l'esclusiva malizia di questa non pare ben provata, poiché e si notano cangrene e morti anche prodotte dall' altra innestata alla ra- dice della coda; e questa lungi dal porger ognora i gravosi ef- fetti, si vede spesso cagionarne di miti, o non cagionarne veruno- 34. La manuale operazione, come prescrivesi dal Willelms, dimora nel prender materia d' infetto da Polmonea ed inserirla in un sano mediante lancetta piuttosto grande che se ne in- tinge, facendo due o tre incisioni, e bastando una goccia per- chè r inoculazion sia efficace. Oltie raccomandarsi che la ma- teria si prenda al punto detto di sopra ( N. 3a. ) e non dopo, si consiglia di scegliere a luogo di sua inserzione 1' estremità della coda; perciocché potendo la materia, anche presa nel miglior istante soprammentovato, apportar piaghe estese ezian- dio con cangrena, vuoisi tener lungi da parti che importano maggiormente alla vita, e 1' estremità della coda è la più di- stante dagli organi essenziali j e se anche si perda, non rileva gran fatto. 35. I sintomi che ne conseguitano sono d' ordinario sem- plicemente locali d' infiammazione, gonfiezza con talor piaga accompagnata alle fiate, come s' è tocco dianzi, pur da can- grena. Varia n' è 1' intensità, ma generalmente mostransi piut- tosto lievi. N' è varia eziandio la durata, scomparendo anche I alcune volte in pochissimi giorni, e talor quasi appena com- I parsi. E avviene pur non di rado che sintomi non ne appa- I jano punto. L' Estratto dice in questo proposito, che di 108 animali sperimentati tre soli perirono, e « negli altri ico capi i « o non si spiegarono sintomi, o furono così leggeri che in i84 Sulla inoculazione de' morbi ec. « pochi giorni cessarono; soltanto i3 capi perderono 1' estre- « mità della coda : in complesso dunque l' inoculazione produsse « un' afi'ezione locale, e in generale d'indole assai benigna. » 36. Da ciò sembra dedursi che il preservativo della Pol- monea secondo il Sig. Dott. Willelms, consista semplicemente neir inserire a sano individuo la materia proveniente da in- fetto, ne succedano poscia, o pur no, morbosi sintomi; e quando questi succedono sono d' ordinario meramente locali alla parte operata, e in generale anche di poco rilievo. Su di che varie cose dansi a considerare. S'j. E quella imprima che la Polmonea propriamente non si comunichi. E per fermo non la si può dire comunicata quando non bassi verun segno morboso. Né si può dire che comunicata sia questa specifica infiammazion del polmone quando avvi soltanto segni di affezione locale all'estremità della coda; i quali pajono mero effetto di sostanza irritante, a un di presso come succede nell'applicazione della radice di elleboro volgar- mente detta veggìatura ( N. 2,5.). E che non v'abbia che un simile irritamento s'inferisce eziandio dal dirsi valevole l'ope- razione anche praticandola a malattia cominciata ; poiché ove si trattasse di comunicarla, mentr' ella è già principiata, men- tre si trova in corso naturalmente, non si vedrebbe che avesse da fare una comunicazione artificiale. 38. Oltre non esservi comunicazione di vera Polmonea, pare non siavi né anche di vero contagio né pur localmente al sito operato ; poiché non ci si dice che la materia che vi si forma sia atta all' innesto : e se almeno ivi il contagio si W trasmettesse, dovrebbe prodursi materia identica a quella onde provenne, e capace di cagionare novellamente il male inne- standola in altri individui. 3g. E non comunicandosi al polmone il morbo, onde ten- tasi di garantirlo in futuro, non soffrendo esso organo quel morboso processo preservatore, quell' azione specifica alla quale i sta legato il benefico efìetto (N. i8.), non s'intende come que- | f sto acquistar possa ragione di preservamento. Non generandosi Memoria del Socio Giulio Sandri i85 poi coli' inoculazione materia acconcia ad innestar nuovamente, abbisogna che per eseguir quest' operazione siavi sempre an- clie in attività la malattia spiegatasi naturalmente , la vera Polmonea, e si cominci dall' uccider animali e dal perderli, come più sopra ( N. Sa. ) s' è pur mentovato. 40. In fine poi viensi a questo dilemma : o la Polmonea colla proposta inoculazione si comunica, o no. Se si comunica veramente come comunicasi, per esempio, il vajuolo, manche- rebbe per r inoculazione ciò che può renderla utile e conve- nevole ; principalmente perchè la Polmonea non è malattia inevitabile; perchè 1' averla avuta una volta non si sa se ne preservi né anche per certo tempo; e perchè non si può li- mitarne r effetto a parte meno importante, dovendo fare di necessità il suo corso nel polmone del quale soltanto è propria : e non che esservi di che sperare utilità da tale operazione vi sarebbe di che temer danno per diversi riguardi (N. 3o-3. ec. ). Se poi la malattia propriamente non si comunica, siccome pare che avvenga coli' accennato metodo del Dott. Willelms, secondo le idee che della inoculazione si hanno, non e' è luogo a spe- rare preservamento. Sicché la pratica di essa operazione al detto scopo di preservar dalla Polmonea de! buoi non conver- rebbe in verun caso : e i buoni successi che dai tentati speri- menti diconsi ottenuti, dovrebbonsi ascrivere all'accidente che I nel procedimento di questo contagio ha tanta parte ( N. ai. ). Ifc 4i- Che se non a capriccio di ventura i proclamati buoni j^Bfi'etti si dovessero, ma proprio a virtù speciale dell' infetta ^^ateria semplicemente inserita nell' infima estiemità della coda ; ' sarebbe questa una cosa assai singolare, e quanto singolare al- trettanto da esaminar con accuratezza. Né si potrebbe, come sembra facciasi nell' Estratto, per tale inoculazione istituir ana- logia con ciò che avvien delle altre; imperciocché tutt'al con- trario qui preserverebbesi un organo senza eh' ei ne patisse il rispettivo morboso processo; un organismo senza che del male porgesse i veri sintomi, si preserverebbe da un contagio, senza che propriamente questo od un somiglievole si trasmettesse; Tomo XXV. PJ' II.'' Y i86 Sulla inoculazione de' morbi ec. e tornerebbe effettiva l' inoculazione anche a malattia svilup- pata naturalmente. Il che ove da fatti ripetuti e concordi, e dal tempo, che a ben decidere è ancor troppo scarso, venisse appieno avverato e statuito, potrebbe anzi introdur nella me- dicina comparata novelle idee, principj nuovi in questo proposito. 4a. Il vedere come non sieno comunemente troppo giuste ed esatte le idee che si hanno sulla prova che della natura de' morbi si può trar dal successo di loro inoculazione, e spe- cialmente sulla convenevolezza di essa inoculazione qual tììezzo preservativo; e come non troppo chiaro e coerente a sé stesso o colla dottrina finor ricevuta, sia ciò che si dice nel metodo del Sig. Dott. Willelms intorno a quella proposta per la Pol- monea degli animali bovini, m' indusse a queste brevi consi- derazioni, affinchè da tale operazione tentata coli' uno scopo o coir altro, sempre vantaggio, o almanco non mai danno, alla scienza ne venisse e alla pratica. 1 187 SOPRA ALCUNE SPECIE DI CIPRESSI DEL CAV. PROF. MICHELE TENORE SOCIO ATTUALE Ricevuta il 3o Aprile i853. J; in dalle prime piantagioni del Real Orto Botanico di Napoli ci veniva dagli Orticoltori francesi provveduto un Cupressus penduta che, collocato in apposito luogo della famiglia delle Conifere, non tardava a farvi sfoggio della piìi rigogliosa ve- getazione, talché elevatosi in pochi anni a considerevole altezza collo spanderne tutto in giro i suoi pendevoli rami un verdeg- giante padiglione ne offriva, alla cui ombra i curiosi avventori ne riparavano. Più invaghiti n' erano i Botanici che con mag- giore interesse venivano a considerarne le speciose forme, e vi era fra essi il Professore Morren che, fattolo ritrarre da va- lente artista, seco nel Belgio se ne portava 1' effìgie. Ritenuto generalmente coli' antico nome di Cupressus penduta, ricercan- done il Willdenow, due specie di cipressi vi si trovavano de- scritti, alle quali la stessa qualità de' rami pendevoli ne veniva deferita, una di esse nativa di Goa ed ospitata nel Portogallo vi riteneva il nome di Cupressus tusitanica fatto sinonimo del Cupressus penduta dall' Heritier, mentre all' altra, che nel Giap- pone raccolta avevano Kaempfer e Thunberg, il preciso nome di Cupressus penduta veniva dal Willdenow conservato. La no- stra pianta non potendo riferirsi a quest'ultima, perchè di ca- rattere affatto diversa, al Cupressus tusitanica del Willdenow ne rimaneva naturalmente riportata. Quindi avveniva che ri- cercandone gli altri autori ci si offrisse il Lamarck, il quale i88 Sopra alcune specie di cipressi ec. volendo alla sua volta con diversi nomi definire le due su espresse distinte specie di Cupressus pendula^ alla stessa pianta dell' Heritier e del Willdenow imposto ne aveva il nuovo nome di Cupressus glauca: desumendolo dalla speciale tinta azzurro- gnola del suo fogliame. Or comunque tal carattere ben si af- l'acesse alla nostra pianta, tuttavia per la priorità della data, col primo nome di Cupressus lusitanica ne veniva da noi defi- nita. Molti anni scorrevano senza occuparcene altrimenti, e noi intenti soltanto a moltiplicarne gì' individui, col favore de' co- piosi semi che ne forniva la pianta madre, ne abbiamo accre- sciuto gli articoli della nostra corrispondenza, ed abbiamo po- tuto benanco largamente riparare la perdita della pianta ma- dre da violentissimo turbine travolta. Avveniva frattanto che un nostro venerato collega, per la cui perdita è tuttora in lutto la scienza, il celebratissimo Professore Link di Berlino, in una sua visita al nostro Orto botanico, fattosi dappresso a quel ci- presso cui leggevasi apposta 1' etichetta di Cupressus lusitanica, col suo connaturale gradevole sorriso ne venisse osservando che, comunque così generalmente definito si trovasse il Cupressus glauca del Lamarck, tuttavia da esso ben diverso ne fosse il vero Cupressus lusitanìca\ quindi soggiungeva, più a noi vicino averne osservato un bellissimo albero nel giardino de'PP. Cap- puccini in Siracusa ; e noi facendo tesoro dell' importante av- viso dell' insigne autore della Flora portoghese., tosto ci face- vamo a richiederne, così i nostri corrispondenti nella Sicilia, che ovunque ne' cataloghi di piante e semi si trovasse regi- strato un Cupressus lusìtan.ica. Dopo numerose seminagioni, da una di esse ci riusciva, alla perfine, di vederne germogliare tenere piantine, che dal primo apparir loro, di un bel verde, non dell' azzurrognolo vedendole colorite, ben ci si mostravano diverse da quelle che mai sempre per lo innanzi ne avevamo ottenuto. Sono queste le piante, che con ogni cura educate, ci han provveduti del vero Cupressus lusitanica del Tournefort, del quale abbiamo arricchito le nostre corrispondenze, mentre diversi individui ne abbiamo piantati nelle serie del Real Orto, Del Cav. Prof. Michele Tenore 189 ed altri ne abbiamo disposti in fila lungo il muro che lo ri- cinge dal lato di S. M.* degli Angeli, dove col loro bel verde e colle spaziose chiome, il più vivo conti'asto ne porgono con i due cipressi comuni, maschio e femmina che vi sono piantati dappresso. Egli è da questi alberi, che in men di tre lustri han raggiunto da i5 a 2,0 piedi di altezza, che noi in ogni anno facciamo ampia raccolta di semi, ed egli è dopo di averne seguito r andamento, e studiato i caratteri in tutt' i suoi pe- riodi, che ci siamo avvisati di meglio precisare le differenze tra il Cupressus glauca^ ed il vero Cupressus lusìtanica. Noi ne abbiamo tolto il destro dalla propizia occasione del dottis- simo lavoro sulla famiglia delle Conifere, pubblicato dall' insi- gne e sventurato Endlicher, che ha contribuito a toglier diffi- nitivamente di mezzo gli altri due cipressi pendenti: quello del Thunberg e Willdenow riferito alla Tìiuya pendula^ nonché quello dello Staunton e del Lambert cui egli apponeva il nuovo nome di Cupressus funebrìs, tolto dall' uso, cui presso i Cinesi vien destinato nel piantarlo presso le tombe. Noi non manche- remo di farne cenno più appresso; frattanto, prima di fermarci appositamente sul nostro vero Cupressus lusìtanica^ crediamo doverne preliminarmente sceverare le frasi diagnostiche, e le sinonimie che ne restano attribuite al Cupressus glauca del Lamarck, e che in pari tempo gioveranno a farne risaltare il confronto con gli opposti caratteri del Cupressus lusitanica. Esse sono le seguenti : I. Cupressus glauca', foliis imbricatis acutis, ramìs patentis- simis, infimis subdependentibus. Brotero Flora lusitan." p. a 16. a. Cupressus glauca ; foliis acutis glaucis glandulosis, qua- I drifariam imbricatis, ramis dependentibus. Lamarck Dict. 2,, p. 243. 3. Cupressus lusitanica; ramulis quadrangnlis quadrifariam imbricatis; strobilis subglobosis, squamis mucronatis, ramis pen- dulis. Willd. sp. IV. Sii. 4- Cupressus penduta. Loisleur. Nouveau Duhamel 3/?. 7. .1 tab. 3. igo Sopra alcune specie di cipressi ec. 5. Cupressus lusitanica; ramis flexuosis patentibus, ramulis quadrangulis, foliis quadrifariam imbricatis , acutis carinatis, glaucis adpressis. Lambert. Genus Pinus; Edit. i, p. gS, t. ^2.% Edit. 2, /7. X18, t. 65. London. Arbor Brit. iv. 2.\i']. f. 282,8. Encycolop. of trees 1078, fig. 1998. 6. Cupressus pendula\ foliis imbricatis, glandulosis., frondi- bus quadrangulis glaucìs, ramis dependentibus. L'Heritier. Stir- pes novae p. i5, t. 8. Hort. Kew. 3. p. 873. 7. Cupressus glauca. Cupressus coma effusa, ramis flexuosis patentibus, infimis subdependentibus, ramulis tetragonis, foliis acutis adpressis apice patulìs glaucescentibus ., strobili globosi squaniìs mucronatis. Endlicher. Sinopsis Conìferarum p. 58. 8. Juniperus ex Goa. Hujus propaginem, hoc ipso mense transmisit ad me ex Anglia, Dominus Weitzius, nomine Cedri ex Goa. Ramis est magis expansis, gracilibus, foliis glaucìs te- nuissìmis et brevissimis-, caeteroquin superiori ( Junipero Virgi- iiianae ) videtur simili. Hermanni ( Pauli ) Morti Academicì Litgduno Baiavi Catalogus. Lugduni. — Batavorum 1687. Giova avvertire come da tutti questi autori dovranno sem- pre escludersi i due seguenti presunti sinonimi, e che tutte le parole segnate in corsivo si riferiscono ai caratteri opposti a quelli che si trovano nel nostro vero cipresso lusitanico del Tournefort. Sono questi i sinonimi che vanno esclusi dal Cupressus glauca. 1. Cupressus lusìtanìca patula fructu minori. Tournefort, Instit. 587 ( an. 1700). 2. Cyprés de Portugal à petit fruii. Duhamel , Traité des Arbres i" edit. pag. ig8 ( an. 1755). Dal confronto che si potrà istituire tra la pianta cui que- ste due frasi si riferiscono, e quelle che riteniamo col nome di Cupressus glauca si potrà di leggieri convenire della confu- sione che fin oggi ha regnato tra queste due distinte specie. Per meglio chiarirle ci fermeremo a farvi le seguenti conside- razioni. Del Cav. Prof. Michele Tenore 191 Tre sole specie di Cipressi registra Tournefort nel so- pracitato luogo colle seguenti parole. CuPRESSI SPECIES SUNT I. Cupressus meta in fastigium convoluta; quae fbemina Plinii. Cupressus Dod. Pempt. 856, Cyprés femelle. 2,. Cupressus ramos extra se spargens, quae mas. Plinii. Cupressus MattinìoU i r 9, Cyprés male. 3. Cupressus lusitanica patula fructu minori. Nel Duhamel ( Traité des Arbres edit. 1*, pag. 198 ) sono riferite le stesse tre specie del Tournefort, ed alla specie terza sono aggiunte le seguenti parole : « L' espèce n. 3 est d' un plus beau verd, et 1' odeur de ses feuilles est plus agreable; mais il craint les grandes ge- lées, etc. » Queste qualità della composizione dell' albero e del color vei'de del fogliame, per le quali la terza specie di cipresso del Tournefort e del Duhamel si distingue dalle altre due gene- ralmente note, convengono perfettamente al nostro vero Cu- pressus lusitanica. Certamente il Duhamel che ha fatto tanto caso del bel verde colore del fogliame di esso, e perciò di- verso dalla tinta bruna delle altre due, non avrebbe mancato di dirla glauca, ossia azzurrognola, che, senza essere bella, sempre più si allontana dal verde dei cipressi ordinari, e ne avrebbe perciò fatta vieppiù spiccare la diversità. Il Tourne- fort, d' altra parte, volendo distinguerlo con caratteri più po- sitivi, ne dichiara i rami non raccolti in mucchio ( meta in fastigium convoluta ), né orizzontali ( ramos extra se spargens ), ma li dice soltanto patuli., cioè aperti., slargati. Or se questa terza specie avesse avuto i suoi rami pendenti come quelli del Cupressus glauca, invece di dirla patula, V avrebbe detta pen- £Ìw/a, ossia con rami pendenti; voce chiarissima e generalmente usata dai botanici, laddove dicono patuli e patenti que' rami, che si spandono in una direzione quasi intermedia tra 1' oriz- zontale e la verticale. Anche di maggior peso dobbiamo ritenere iga Sopra alcune specie di cipressi ec. la distinzione che lo stesso Tournefort deduce dalla grandezza degli strobili, chiamando la sua pianta Cupressus lusìtanìca fru- ctu minori^ che più precisamente il Duhamel ha espresso 'colle voci francesi à petit fruii. Del qual carattere, comunque limi- tato alla semplice dimensione de' frutti, avremo occasione di tener conto più appresso. A queste generali considerazioni della composizione e del colore delle due specie di Cujyressus, il C. glauca cioè ed il C. lusitanica vera, tengon dietro i caratteri delle fogliuzze e degli strobili ben diversi nelle due specie. Nel Cupressus glauca le fogliuzze sono evidentemente mu- nite di una rilevata linea longitudinale, o gianduia che voglia dirsi, solita ad osservarsi in molte piante di tal famiglia [foliis carinatis, seu glandulosis); esse sono aguzze, mucronate, e più o meno rialzate specialmente nella estremità. Nell'altra specie al contrario le fogliuzze sono affatto prive di carena, ossia dorso rilevato glanduloso, sono ottuse, lisce egualmente con- vesse ed affatto adese. Non meno rilevante è la diversità degli strobili; perchè nel Cupressus glauca essi hanno le squame ar- mate di uncino, e nell'altro le squame sono inermi. Giova fare avvertire come le surriferite qualità delle fogliuzze e degli stro- bili del Cupressus lusitanica vera si trovano benanco ne' due cipressi antichi, maschio e femmina, coi quali il Tournefort per la loro naturale affinità quella sua terza specie associava ; siccome per i surriferiti opposti caratteri il Cupressus glauca non ai cipressi, ma bensì al genere Juniperus Paolo Hermanno riportava, dichiarandolo simile al Ginepro di Virginia. Noi ci asterremo dal dilungarci altrimenti per produrre congetture onde rintracciar I' origine della promiscuità delle due specie di cipresso dianzi dichiarate ; né sapremo con pre- cisione additare la vera patria del Cupressus lusitanica del Tournefort; non taceremo però trovarsi il semplice nome di un Cupressus Tournefortii in alcuni cataloghi di Orticoltori fran- cesi, come fin dal 182,5 leggesi in quello de' fratelli Audibert. Questo stesso nome, come di pianta poco nota, cinque lustri Del Cav. Prof. Michele Tenore 198 più tardi ricordava il London [Encyclopaedia ofTrees and Shruhs. London 1842.. pag. J077); e da ultimo qual sinonimo del Cu- pressus liorìzontalìs lo leggiamo nella Synopsìs dell' Endlicher. Noi ignoriamo sopra qual fondamento questo sommo botanico lo abbia così definito ; ma non possiamo astenerci dall' osser- vare che giammai il Cupressiis lusitanìca del Tournefort riferir potrebbesi al Cipresso orizzontale, uè come sinonimo, né tam- poco qual varietà di esso, anche ommetter volendone la va- rietà 3 degli Orticoltori, che lo stesso sullodato Endlicher rife- risce colla frase Cupressus pendula, ramis horizontalibus , ra- mulis penduUs; perocché senza parlare della diversa tinta delle foglie, vi osta essenzialmente il difetto de' rami orizzontali e la picciolezza degli strobili, non più grossi di una palla di mo- schetto, mentre quelli del Cipresso comune aggiungono la gros- sezza di una noce. Or siccome il Tournefort non ha descritto che le sole tre surriferite specie di cipressi; da ciò ne consegue che la pianta degli Orticoltori ne resta tuttora mal definita , ovvero rientra ne' sinonimi del vero cipresso orizzontale (i). In entrambi i casi il nome del Tournefort essendole impro- priamente attribuito, noi lo impronteremo per farne omaggio al celebre autore delle Institutiones rei herbariae \ ed il suo Cupressus lusitanica patula fructu minori adotteremo per specie distinta sotto il nome di Cupressus Tournefortii. (I) Nella serie delle Conifere coltivale nel Real Orto botanico, potrà osservarsi un cipresso, che può dirsi intermedio tra il fastigiato, ossia piramidale e 1' orizzontale. Esso non ha i rami affatto divaricati di questo secondo, né rigorosamente ammucchiati e raccolti in piramide del primo, lìasta guardarlo per riconoscervi una composizione ed una forma nolahilmente distinta; talché ben si potrebbe riferir questa ad un ellis- soide, ovvero ad un ovale, ma giammai ad una piramide. I suoi rami si dilatano e si discostano lasciando spazi affatto vuoti tra loro, né si assottigliano e stringono in cima come nel vertice del vero cipresso piramidale, essi presentano un'estremità tondeggiante. Quante volte a quest'individuo riferirsi volesse il cipresso di Tournefort, de' fratelli Audibert, ben si sarebbe avvisato l' Endlicher di ritenerlo se non affatto identico, almeno qual altra forma o varietà del cipresso comune, cui ben si addirebbe il nome di intermedia. Altro individuo a rami anche più divergenti del nostro ebbi occasione di ricono- scere nella villa del fu Sig. Craven in Penta presso Sanseverino. Tomo XXP'. P." ![.'• Z iy4 Sopra alcune specie di cipressi ec. Poche parole soggiungeremo per allontanare il sospetto che questo nostro cipresso riferir si possa al Cupressiis penduta Ci- nese. Il Sig. Lambert ne riproduce la descrizione e la figura datane dallo Staunton nell'opera intitolata: Authentìc Account of an Einhassy from the King of Great Britain to the Em- peror of China. Voi. a. pag. SaS o p. 44'^' ^^^- 4^- Egli ne fa certi che quella specie di cipresso fino a quel tempo non si trovava introdotta in verun giardino d' Inghilterra. La stessa cosa ripete il Loudon, e da ultimo l' Endlicher che, dopo di averne ripetute le parole del Lambert, senza dirne altro, si limita a mutarne il nome di Cupressus pendula in quello di Cupressus funebris. Sembra da ciò potersene inferire che quel cipresso ne rimanga tuttora confinato nella Cina e nel Giap- pone. Chi amasse frattanto consultarne le descrizioni testé ci- tate, non che le figure del Lambert si convincerebbe bentosto esser desso ben diverso dalle due specie testé discorse. Ecco la diagnosi ed i sinonimi del Cipresso dì Tournefort : Cupressus Tournefortiì. — Arbor stricta procera ; ramis pa- tulis pyramidatim assurgentibus ; ramulis quadrangulis debilibus subdependentibus; foliis quadrifariam imbricatis laete viridibus persistentibus minutis ovatis obtusis convexis, laevissimis, arcte adpressis, facialibus lateralibus conformibus, carina, seu gian- duia, omnino destitutis ; strobilis subovalibus ( lin. 5-6 in ma- jori diametro); squamis umbonatis muticis; seminibus lentifor- mibus alatis. Ten. Cupressus lusitanica patula fructu minori. Tournefort. Instit. i. pag. 587. Cupressus lusitanica. Duhamel. Traité des Arbres i." edìt. Paris 1755. Tom. i, pag. igS. Cupressus lusitanica vera. Ten. in literis, et in indicibus semìnum et in Catalogis Horti Regii Neapolitanì. Obs. A C. funebri Endl. differt imprimis, ramis primariis in pyramidem assurgentibus, non divaricatis ad angulum obtu- sum, secundariis patulis brevibus, nec pendulis longissimis; *l , cieca Italiana T.'XXV. Parte II" m 19^. ,l6b:. T-XXV. Parie II' pag. 195. f.M.^A' CtJPBESSUS TOURNETOBTU. TEN: » '^^ M i.|?- TMl-B. f 1**^ •oV -«vJ r4t 4 . «a. 'tf? )^X^' (^i?^^ f?- C'P - 'y^j>''i .. 'r^' V i^>3^4^ .SVv, i:UPRESSUS TOlIROT.rOB.Tll. lEN.- Del Cav. Prof. Michele Tenore igS foliis arcte adpressis obtusis, dorso convexo ecarinatis, nec sub- triquetris carinatis; amentis masculis trilinearibus; strobili squa- mis umbonatis muticis. Tabvlarvm explicatio Tab. I. A. b. Ramulus Cupressi Tournefortii , amentis masculis et foemineis onustus. e. e. e. Amenta staminigera. d. Araentum staminigerum, magnitudine auctum. e. Squama ejusdem cum staminibus. f. f. Amenta f'oeminea, seu gemmulifera. g. Amentum foemineum, h. Strobilus virescens. i. Idem exsiccatus. k. Senien auctum. Tab. II. B. Cupressi Tournelortii arbor. magnitudine auctum igò SU DI UM PIAIVTA COIVIFEM DEI GENERE TAXODIIM DEL CAV. PROF. MICHELE TENORE SOCIO ATTUALE Ricevuta il 3o Aprile i853. X er quanto sia increscevole il venir confessando come la pre- cisa diagnosi di un albero di vistose forme abbia potuto per lunghi anni mascherarsi sotto diverse false definizioni, tuttavia ad attenuarne il rimprovero concorrer ne potrebbero i non rari esempi che se ne ripetono in questa scienza immensa; non che il ricordarne le difficoltà maggiori della famiglia, cui queir albero si appartiene ; cosicché intorno ad essa nuove il- lustrazioni e nuove ricerche tuttogiorno ne vengon fuora. Trat- tasi in somma di una novella specie del genere Taxodium , della cui storia ci faremo a dare la seguente succinta notizia. Allorquando sullo scorcio del passato secolo nel Real Parco annesso alla Reggia di Caserta, davasi opera alla piantagione di un grandioso giardino disegnato sul cosi detto stile inglese, numerosi carichi di piante rare e preziose vi arrivavano spe- cialmente dall' Inghilterra, non poche delle quali per esservi in quello stesso paese di fresco pervenute dall' America, dalla ff Nuova Olanda e da altre lontane terre, n'erano rimase tuttora '* indefinite. Un distinto botanico inglese il Sig. Giovanni Andrea Graéfer riceveva quelle piante, ed in quel novello tempio che, con magnificenza tutta regale andavasi elevando al culto di Flora , dal lodato orticoltore con insigne perizia e singoiar maestria disegnato e diretto, quelle istesse peregrine piante con ispezial cura e sommo accorgimento andava distribuendo. Del Cav. Prof. Michele Tenore 197 Scorsi appena pochi anni, il di lui figlio Giovanni si avvisava darne fuori una breve scrittura dal titolo di Synopsis pianta- rum Regii vìridariì Casertani, cui apponeva la semplice data del i8o3; nella quale, comunque i soli nomi di esse piante in ordine alfabetico disposti si trovassero registrati, pui'uondimeno se ne raccoglieva di leggieri come in quel nascente giardino, di già molti rari e pregevoli alberi vegetassero, che con nomi affatto nuovi nella scienza per la prima volta vi figuravano. Or siccome molte di quelle piante dal cennato Real Giar- dino venivano comunicate a coloro che intendevano allo studio della Botanica e della Orticoltura, così ne venivano esse rite- nute cogli stessi nomi che n'erano divulgati. Avveniva in quel tempo che mancando presso noi un Orto botanico pubblico, due illustri personaggi si adoperassei'o a supplirne il difetto colle loro private analoghe istituzioni. Questi erano il Principe di Bisignano che una speciosa collezione di piante aveva in- trodotta nella sua amenissima e cospicua villa alla Barra, e l'altro il Commendatore Giuseppe Saveiio Poli, che in un pic- col giardino annesso alla sua abitazione alla salita di Tarsia altra pregevole serie ne coltivava. In questi due giardini fi- gurar si videro molte piante del Giardino inglese di Caserta ; talché trovandosi a noi commessa la direzione dell' Orto bo- tanico del Principe di Bisignano, così nel darne fuori il cata- logo, diverse di quelle piante vi furono comprese (i). Noi ci limitiamo a citarne una Casuarina suberosa, della quale fu ri- tenuto lo stesso preciso nome, desiderato financo nelle più mo- derne pubblicazioni (2) j ed un Metrosideros metrum vacuum, al cui inesatto nome fu da noi sostituito quello di Eucalyptus capitellata, e più tardi riferito all' Eucalyptus robusta (3) . (1) Catalogo delle piante che si coltivano nel Giardino botanico della Villa del Sig. Principe di Bisignano alla Barra. 1805. pag. 9 e p. 13. (2) Trovasi descritta nelle note al Catalogo del Real Orto botanico di Napoli del 1845. pag. 81. (3) Dello Catalogo, pag. 30. 198 Su DI UNA PIANTA CONIFERA CC. Allorché nel i8oii a premura dello stesso Commendatore Poli e del chiarissimo Professore di Botanica Signor Cav. Vin- cenzo Petagiia, mio benemerito antecessore, un Orticino bota- nico veniva piantato nel giardino del dismesso convento di Monteoliveto, a gara concorrevano entrambi i succennati giar- dini del Principe di Bisignano e del Poli ad arricchirlo di belle e pregevoli piante. Tra quelle di quest' ultimo veniva com- preso un Cupressus dìsticha del viridario Casertano, che colla stessa definizione veniva inserito nel Catalogo di quel nostro piccolo Orto botanico di Monteoliveto di cui fin dalla prima sua istituzione, a noi veniva deferita la cura (i). Dismesso il connato piccolo giardino, tutte le piante ne furono trapiantate uelF attuale, dove vennero ad occuparne il primo pezzo del superiore terreno che vi fu assegnato. Ivi tro- vatisi tuttora collocati quei pochi alberi, i cui superstiti dir si possono i decani del nostro Orto botanico. Tali sono il Laurus canfoi'a, la Firmiana platanifolia, il Pinus brutia, il Taxus bac- cata, la Prosopis torquata, e tra questi il magnifico individuo del presunto Cupressus distìcha. Così definito vi rimaneva fin- ché non venissero più accuratamente illustrati dagli autori che se ne sono occupati di proposito. Allora avveniva che il Cu- pressus distìcha fosse quasi in pari tempo riferito al genere Taxodiuni fondato dal Richard (a) , ed al genere Schubertia fondato dal Mirbel; e cosi ne' nostri successivi cataloghi e nelle liste de' semi che annualmente ne mettiamo in commercio, or coir uno or coli' altro nome, 1' albero del viridario Casertano ne veniva annunziato. Egli fu soltanto dopo che colla scorta del Lambert (3) potemmo meglio consultarne i succennati au- tori •■, non che le minute descrizioni e giunte del London (4) , (I) Catalogo delle piante del regal Giardino botanico di Napoli. Nella Stamperia Reale, 1807. pag. 13. 42) Mémoires sur les Coniferes et les Cycadies. Stutlgard 1826. pag. M3. (3) A description of the Genus Pinus. London 1832. (4) Encyclopaedia of Trees and Shrubs. London 1842. pag. 1076. Del Cav. Prof. Michele Tenore 199 che trovando grande discrepanza tra le descrizioni del Taxo- diiim distìchum ed i caratteri della nostra pianta, venimmo nella certezza che il nostro Taxodium, mentre conveniva per- fettamente col genere ne differiva nella specie, se non che ri- serbandoci sottoporlo a più maturo esame, lo avevamo ritenuto per la varietà Sinense del Noisette o del Sinense pendulum degli ortolani (i) . Ci arrivavano quasi al tempo stesso la Synopsis conifera- rum dell' Endlicher (1847) ^ gl'individui vegetanti di due spe- cie di conifere, 1' una col nome di Cupressiis nucifera^ e l' altra col nome di Taxodium japonìcum. Noi potevamo allora studiare queste ultime, che ti'ovammo riferirsi al nuovo genere Glypto- strobus dell' Endlicher, cioè, il Cupressus nucifera Hortul. da riferirsi al Glyptostrohus heterophyllus \ ed il presente Taxo- dium japonicum ( diverso dal vero riferito oggi al genere Cry- ptomeria ) ; da riferirsi al Glyptostrobus pendulus , sotto del quale r Endlicher riporta il sinonimo di Taxodium sinense pendulum. Eliminate in tal modo tutte le antiche definizioni, che al nostro Taxodium eransi per lo innanzi erroneamente appro- priate, e ristretto questo ad una delle sole tre specie di veri Tassodii descritte dal sullodato monografo, cioè il Taxodium distichum, il Taxodium microcarpum, ed il Taxodium adscen- dens, e non potendosi riferii'e ad alcuna di esse, ne rimane pienamente dimostrato che la Conifera del viridario Casertano, che trovasi immensamente moltiplicata in grazia de' copiosi semi che in ogni anno se ne maturano; e che perciò da mezzo se- colo circola pei giardini nostri e probabilmente per altri molti di Europa, ritener debbasi quale specie non descritta cui diamo il nome di Taxodium mucronatum, togliendolo dal singoiar ca- rattere delle squame de' suoi strobili munite di acuto pungolo ricurvo. (1) London loc. cit. aoo su di unta pianta conifera cc. Descrizione. L' albero che imprendiamo a descrivere non pare che ag- giunger possa le dimensioni del vero Taxodium distichum^ cui gli autori assegnano fino a lao piedi di altezza, ed un diame- tro che va dagli 8 a i5 piedi. L' individuo che facciamo ser- vir di tipo alla nostra specie, comunque vantar possa circa 60 anni di età, non è più alto di 5o piedi, ed il suo tronco a fior di terra non ha più che 2, piedi di diametro : esso è co- verto di corteccia di color baio, coli' epidermide liscia e squar- ciata per lungo in sottili sfogli. Questo tronco si divide gra- dualmente e senza ordine simmetrico in più branche quasi orizzontali, che si suddividono in rami tortuosi ed anche irre- golarmente disposti ; le cui divisioni gracili e sottili mal reg- gono al peso di ramoscelli proliferi che s' incurvano e si pie- gano per ogni verso. Alcuni di questi rimangono a figux'are da foglie pinnate, del doppio più lunghe di quelle del Tassodio distico, che si compongono di 60 a 70 coppie di foglioline di un bel verde, lineari, piane, acute, lunghe 6 linee e larghe mezza linea, disposte in due serie, ossiano distiche, come nella antica specie che ne ha tolto il nome. Alcuni di essi ramo- scelli accennano alla loro riproduzione trovandosi suddivisi in altri minori, e provvisti di piccolissime gemme nude, composte di rudimenti di foglioline. Dal progressivo sviluppo di tali gemme l'albero si conserva verdeggiante, né si spoglia completamente come ha luogo nel vero Taxodium dìstichum. In cima di altri teneri l'amoscelli nascono i fiori maschi raccolti in amenti glo- bosi quasi sessili di r a 2, linee di diametro, disposti in lunghi grappoli pendenti e ramosi a foggia di discipline. Ogni amento è composto di 8 a io squame, che nel momento della fioritura si allungano alquanto, e ne restano le prime sterili intorno alla base del peduncoletto, e le altre obbliquamente peltate e disposte in giro intorno al prolungamento dello stesso pedun- colo ; ciascuna di esse di figura deltoidea sostiene nella faccia inferiore 8 a 9 antere globose, gialle, disposte in due serie, Del Cav. Prof. Michele Tenore 201 osslano piani, cioè, uno inferiore di 5 e 1' altro superiore di altre 3 antere, mentre quelle del Taxodium distichum sono al numero di 5 disposte tutte nello stesso piano (i). I fiori femminei nascono anch'essi in piccoli amenti ovato- globosi dolio stesso color verde delle foglie, sessili e solitari, composti di 6 ad 8 squame peltate specialmente attaccate ad un asse comune ; ogni squama contiene due ovicini privi di stimma e muniti del micropilo dilatato, pel quale ricevono il polviscolo fecondante (2) . Così gli amenti maschi che i femminei compariscono fin dal novembre, ma non giungono a perfezione che sul cader di Gennajo. Ad essi succedono gli strobili, che maturano sul ca- der dell' anno. Questi strobili che nel Tassodio distico sono della grossezza di un uovo di colombo, ossia di quelli del Ci- presso comune, e perciò di circa un pollice di diametro, e sono composti di larghe squame crestate col disco alquanto convesso ed inerme; in questo nostro sono pìccoli quanto rpielli del Cipresso glauco, e perciò di figura ovoidale, di 5 a 6 linee nel maggior diametro, e composti di squame quasi orbicolari colla faccia leggermente convessa segnata di una linea trasver- sale, dal cui mezzo si eleva una piccola protuberanza munita di un uncinetto ricurvo, ed hanno 1' arto rilevato, turgido se- gnato di linee trasversali snèlla faccia interna di ogni squama (1)1 moderni considerano queste antere come altrettanti loculanienti bivalvi di una sola antera, e tntta la sqaama cui sono attaccate la ritengono come il connettivo di tutt' i suddetti loculanienti. L' insieme di queste parti coli' attacco alP asse; coiuiiiie yieii ;da essi cónsiirerato come iu(l« mio slame. J ,(2) Non safipiauio intendere sopra qua] Fondamento .^Icnni moderni considerano i pili oricini quali mccolt gernme {-Gemmuloei — Endlicher^ St/iio;)»^ coMi/eroruni ) .; Che i delti ovicini siafio affatto nudi e privi di stimma, o fomiti di tegumento e di stimma, essi mai sempre esercitano le funzioni di organi dcstiiiati alla propagazióne sessuale; sotio perciò fcreli div^fsì dà^li organi b^^ moltiplicano le pianta ienid S^'éòncorSo degli organi- maseliili , ^-bnie ha luogo nelli vei-e géWime. Cosi dallii coMiisiotRe de' nomi ne seguirebbe' quetit: dèldue diversi. ju^z^:dÌL.maItipycaKioue Ide'ivegetalit .cbje.darrkbc luogo a gravissimo error9,nri;il(lIq ■>ii\i\3-60n\ j l:iJJlMi:ÌnÌilI.')J2 IflU'IoIufnj;! Tomo XXK PJ" IL'' ^ A a a02 Su DI UNA PIANTA CONIFERA CC. si trovano nicchiate due semenze. Tutte le anzidette squame stanno ■ inserite ad uno stipite centrale legnoso, e vi restano attaccate fino alla maturità; esse aderiscono tra loro stretta- mente dapprima, indi si fendono, si sgretolano e si distaccano dallo stipite anzidetto. I semi hanno un integumento legnoso irregolarmente triedro ad angoli acuti. il' Quest' albero che si è moltiplicato per le sementi che ne abbiamo ottenuto da quella prima pianta rtadre prova benis- simo nell' arido e sabbionoso terreno dell' Orto botanico, dóve non è stato possibile fare allignare il Taxodium dìstichum^ che vegeta lungo le sponde de' fiumi della Virginia e della Caro- lina 'ne' terreni fangosi ed inondati. Tuttora oscura ne rimane per noi la patria di questo Tassodio, ma per 1' analogia delle piante affini, slam di credere che possa anch' egli appartenere all'America settentrionale. i ■ Dalla riferita descrizione è chiaro raccogliere come egli per molti caratteri conviene col Tassodio distico-, ma ne diffe- risce principalmente per lo numero maggiore delle antere in ogni squama degli amenti maschi, per la picciolezza degli stro- bili e per gli speciali caratteri delle squame di essi, nonché per la maggior lunghezza^ delle foglie, pel numero maggiore delle coppie delle foglioline, per la qualità quasi sempre verde dell' albero e per la particolar natura del terreno in cui alligna. Taxodii mucronati adumhratio. Arbor semisecularis ( in Horto regio neapolitano cultus ) \ coma ampia, expansa fere semper virenti, eximia. Truncus. — Ad basini a ped. crassus ; altitudo 5o ped. Rami' horizontales tortuosi divaricati, valde ramulosi, ramuli longi dependentes, iterum divisi, ultimis brevibus, gracilés. Ra- muli foliiferi proliferi. Folla pinnata 60-70 jugis, foliola di- sticha linearla plana flaccida uninervia, , acuta, laetevirentia , subperennia ( 6 lin. long. | Un. .latai.),,. Gewitraae perulatae, flo- rale» aphyllae, in foliorum axìWisi,. foeminae solitariae ad basim ramulorum staminigerum; masculae plurimae in ramulis termi- Del Cav. Prof. Michele Tenore ao3 nalibiis loriformibus, seriatini in spicas dispositae; gemmao fo- liiferae axillares, lateralesque floralibus multo minores. Flores monoici in amentis dispositi. Amenta mascula suliglohosa, l)asi squamis sterilibus spirabter insertis imbricatis. Caeterae S([ua- niae fertiles staniinigerae, 6-8, versus apicem axeos, basi nudae, inseitae, imbricatae, ovato-deltoideae facie interna ( connectivo Endlicher) excentrice peltatae. Antherae globosae in duplici serie dispositae exteriores inferiores 5, interiores superiores 3, longitudinaliter dehiscentes. Amenta foeminea ovoìdeo- subglo- bosa. Squamae ovuliferae plures, axi aibbreviato spiraliter pel- tatim insertae, indjricatae, dorso infra apicem recurvato - nui- cronatae. Ovula [Gemmulae Endlicher) ad basim squamarum duo; erecta micropyle tubulosa hiante. Strohilus lignosus ovalis ( 6-8 lin. long. 4-5 lat. ) squamis peltatia, primum, marginibus arcte conniventibus, demum liiantibus, tandemque deciduis, compositus. Ipsae squamae disco convexo, centro umbonato, mucrone acuto uncinato persistenti, nec non margine superiore leviter toroso longitudinaliter levissime sulcato, gaudent. Semina sub quavis squama gemina erecta, basi attenuata squamarum stipiti inserta, integumento lignoso irregulariter triedro, angulis acutis. Embryo in axi albuminis carnosi subortothropus, ejus- dem longitudine; cotyledonibus 5-8 linearibus, radicula cylin- drica supera. Diagnosis. — Taxodium mucronatum; ramis ramulisque pa- tentibus, foliis pinnatis, 60-70 jugis; foliolis disticbis linearibus flaccidis subsempervirentibus, strobilis ovalibus (6-8 lin. long.) squamarum umbone, mucrone subrecurvo, aneto. Tea. Index sem. Hor. R. neapolìtani prò anno i853. Cuj>ressus disticha, Graef. Cat. Regii Viridarii Casertani, Scliubertla disticha, Taxodium distichiim, Taxìodium sinense var. pendulum. Ten. Cat. et Ind. H. R. Neapolitani, non an- ctorum. Floret autumno, strobilos rnaturos ad autumnum proxinii anni proiert. ao4 Su DI UNA PIANTA CONIFERA CC. ' , Tabularum EXPLICATIO ! Oliti.';; r. Tab. I. A. b. Ramulus Taxodìi mucronati, amentis masculis et foemineis onustus. e. e. e. Atnenta staminigera in spicas terminales dìsposita. d. Amentum staminigerum, magnitudine auctum. e. Eiusdem squama unica, cum staminibus externa fa- cie visa. f. Eiusdem facies interna, cum staminum duplici serie, g. g. g. Amenta foerainea, seu gemmulifera. h. Strobilus. z. Ejusdem squama, magnitudine aucta. k. Semen auctum. .;.. Tab. II. B. Taxodiì mucronati arbor; ' .lt:I ^ocietìllalidna. T.°XXV. Farteli.^ pag.5,04. lIuIìmi T,° XXV. Farteli» pa^.Xo4 T.M.=A. TAXODIUM MUCRONATUM TEN: M.j.nt.Lii, a.ijo, '^'fm t -. TMI=B. '' dx'-"-') \dx("~'^l dx<''-'-'> dp^ J^V (dp, ' A' dp, (7) ^:' vr i-n'ir'*: • < ■. • • .•■'.r.Tj dpr—, ^'V Idpr—, Y _ dp,_^ dpr _ d^Y jdpr-, Y _ f//?r-. Rappresentando per brevità col simbolo A il binomio dpu dp„ le equazioni (5) si potranno scrivere /R\ A = o, A =0 A = ^' /'^ = ^' Nota del Prof. Francesco Brioschi aog e sostituendo nell' ultima delle equazioni (7) il valore di , ~' dato dalla penultima, e quindi quello di J ^v^^s] ^^to dalla terz' ultima, e così via ; supponendo essere r un numero pari si giunge alla (9) — A = A' — A' -f- A' , — ^^' o,r o, r— I i,r— 2 2, r— 3 ,.| jf^, r r -h(-i)'A' -(— )'A' r r ^ T r a, HI I, — 23 22 Analogamente col mezzo delle equazioni (7) si ottengono le — A = A' -+- A i,r — a o, r — 2 o, r— i A^ = A'' .-t-aA' -f- A , .:iil!rj 'Ibfi ^8 2, T—i o, T — 6 o, r— 2 o, r—t .■|)ri: 3, r— 4 o, r— 4 o, r— 3 (IO) — A, ,_. = A"' .-f-3A" ,-h3A' -f-A o, r— 4 o, r— 4 o, T—i o, T — 2 o, r — i Va '/ T — a .Va ^) -(-i)-A =A^^ '^IZl^A' r r T a r — ■— I, — o,— O,— -4-1 a a a 2 (r-a)(r_4) .(7-O r_a ^, ^ ^-^ — — A -t- H A -+- A ' O , — -t- 2 , ^ a Sostituendo questi valori nella (9) si arriva facilmente alla A -t- I A' -^ ^^^-^) A" -^ r(r— 2)(r— 4) „ H A -hA =0, a r ^ r Tomo XXV. P." IL'' Bb aio ' Sui CRITERI DI INTEGRABILITÀ CC; nella qu^le fatto r = a, i, 6, si, ottengono altre equazioni , , ,1, . , , ..>i* lutili iRf .. ji, ^ analoghe, h, evidente che supposto A =A 3 = A , = =: A , = A =o o, r— I o, r— 3 o, r— 5 o, 3 0,1 quelle equazioni renderanno nulle anche le espressioni o, r ' o, T—2, ' o, 4 o, a ' quindi le effettive condizioni per l' integrabilità saranno le (11) p =0, A =A„ , = =A od=A =0, ^ ' ■' n ^ o, I o, 3 o, n— a o, n — i ' secondo che n sarà dispari o pari; giacché soddisfatte queste lo sono tutte le (8) . Quindi se ra è dispari saranno in numero le equazioni a soddisfarsi, e se « è pari saranno in nu- mero — -*-!. Se nell'ultima delle equazioni (io) poniamo r = s -^- 1 ( quindi s numero dispari ) si ottiene la seguente s — I ^o,s ~ H ^ A'„,,_,H- a s-t-3 s-^.1 0, 0, — — - ■ '2 'a S — I (— i) "" A =0 J-l-I S—l Ne deriva che si potranno assumere come criterj di integrabi- lità le equazioni _.^) . j;__ 27 = o, A = 0, A = o, A 3 = o, ■« n ' o, 1 ^ I, a ' a, 3 ' cilr '.tri- ilin-'t nVir' \_i nw-i — ^ °^ ^n-a ^ ~ *^' ' 2 ' a 2 ' a secondo che n dispari o pari. Queste equazioni potranno in alcuni casi particolari sostituirsi alle (ii) con qualche vantaggio. Si indichi con , ^ d\ (dY\' /d\\'' . .„/ dY \(n) <1 i. I Nota del Prof. Francesco Brioschi 211 una equazione isoperimetrica, e supponiamo la r possa assumere i valori I, a, 3 m> Posto si ha evidentemente il gi'uppo di equazioni analoghe alle (6) Vr,n-i Tr,n—!ì. dx^-') IfiV \\(Hi[) isBnp^) >! . !;'!:^ ^V ^ r, j r r,o dx\. ^r,o dXr .-:vc^' Se queste equazioni vengono ordinatamente moltiplicate per a?/"-^'), x/") x'r e si sommano le equazioni che ne risul- tano membro per membro si ottiene la 1 iicup aliBb S (^ a;(«>-t-^ x("-^-t- -H^„^'1=V' — ^, r \f r, n— I r ' r, li— a r — — ;_ — -Tr, o ^ f— ::^-: fiff e posto I — 'lU x<")-H(^ x("— )-t- ^(6 x'Vv— T = 0, ry'r, M— t f iT,n—^ r ' r, o rP si ha ^V Ile i"< dt " "'"■-, .■!•) :-\ ■)-: La equazione (12) è alle derivate del ara ordine, quindi il primo membro di essa conterrà in generale le aia Sui criterj di integrabilità ec. Se queste quantità si considerano quali incognite, sarà 2.mn il numero delle incognite contenute nelle m equazioni analoghe alla (la). Sostituiamo alle mn incognite a:/"), x,("+') a:/*"-') le quantità 'T, n— I ' tt, n—2, Tj-, o ' talché si considerino le awre quantità (i4) a: , x' , x" X <"-'), (5 ^ 0 0 quali variabili indipendenti. Osservando al valore di d si avranno le equazioni dXr~dXr' dx'r~ dx\ ^r,o' dx'\ ~ d^r '^^ ' ' ' ' ' " dd_ _^V dd , , dd , . dd , ,. -73 = — a;("), -j^ = — «;(«-'), -— = — a; («-»), '^ r, w— I r r, n— a ' r, n— a .,1 T dd , ' ■ • d0 >■ -ii. :SCnp3 si r '^'■j o dalle quali per le equaziotii (i3) si hanno le dt dx '' dt dx dt dx ("-'> (i5) Queste amre equazioni alle derivate del primo ordine conten- gono le amre quantità (i4)? e le m quantità analoghe alla jj^'"'. Se si eliminano queste ultime col mezzo delle m equazioni 0 ^^V_ Nota del Prof. Francesco Brioschi ai3 si avranno tante equazioni quante bastano a determinare le amra incognite (i4)- Le equazioni (i5) sono dovute al Signor Ostrogradsky ; il modo col quale vennero qui trovate mostra come esse siano una trasformazione delle (i3), le quali corris- pondono alle (6) nel caso in cui la funzione V sia una derivata esatta. L' importanza di questa osservazione si fa manifesta al- lorquando si consideri il modo col quale il Sig. Hamilton giunse ad integrare le equazioni della dinamica poste sotto forma ana- loga a quella delle equazioni (i5). Se supponiamo V ^ H -H U, e riteniamo H funzione omo- genea del secondo grado rispetto alle :»;/, ed indipendente dalle a;/', Xr" , ed U funzione delle sole a;^; la equazione (la) trasformasi nella Inoltre si ha d\ f/H * quindi T=2, ^a:V = aH e 0 = U — A. ax r Le equazioni (i5) per questi valori danno le #r, o _ d{K — \]) dx^ _ ^/(A — U) ('^^ dt ~ dx^ ' dt ~ d(p^ o Se la A rappresenta la funzione delle forze vive, e la U la tùnzione delle forze, le equazioni (i6), (17) sono le due forme assegnate da Lagrange e da Hamilton alle equazioni della dinamica. 2.l4 SULLA PROPRIETÀ POSSEDUTA IN PARTICOLAR MODO DAI CORPI UiMIDI DI iSSORBIRE L'ELETTRICITÌ DAGL' ISOliNTI SOLIDI ELETTRIZZITI QUANDO SI TROVANO A CONTATTO CON ESSI. DEL CAV. PROFESSORE STEFANO MARIANI^ SOCIO ATTUALE Ricevuta il 29 Novembre 1853. I. S, 7e si avvicina un corpo elettrizzato al cappelletto di un elettrometro a due pendolini senza toccarlo, lo stromento dà segno di tensione soltanto per attuazione, purché il cappel- letto non presenti parti taglienti o acute, o 1' aria circostante non sia troppo umida ; ne' quali casi trasfondesi nello stro- mento r elettricità. Quando poi il corpo elettrizzato va a toc- care il cappelletto dell' elettrometro, allora, se esso corpo è conduttore, vi ha sempre trasfusione di elettricità nell' istro- mento; ma se è coibente non fa d'ordinario che attuare, e, allontanato dall' istromento stesso, non rimane in questo ve- runa tensione elettrica. Qualche volta per altro anche in que- st' ultimo caso, cioè quando con un vetro o con altro coibente elettrizzato si tocca il cappelletto dell' elettrometro, concepisce questo una tensione permanente. Io volli adunque cercar la cagione per la quale un coi- bente elettrizzato messo a contatto di un conduttore, qualche volta gli somministra elettricità, e qualch' altra non produce in esso che una tensione accidentale, voglio dire una tensione duratura soltanto finché dura il contatto del coibente elettriz- zato. Né tardai molto ad accorgermi che 1' ottenersi o il non ottenersi la trasfusione dell' elettricità dipendeva dalla presenza Del Cav. Prof. Stefano Marianini 2i5 o dalla mancanza di un conduttore di seconda classe fra i due corpi che si portavano a mutuo contatto. Descriverò alcune delle molte esperienze che mi condussero a questa conchiusione. II. Sulla sfera d' ottone che formava l' estremità superiore o il cappelletto di un elettrometro a foglia d' oro ho messo una piccola goccia d' acqua, poscia con un bastone di vetro elettrizzato toccai la sfera suddetta in un punto, nel quale non era né quella goccia né altro corpo umido, e le foglie dello stromento si respinsero per attuazione con dieci gradi di divergenza, ed appena si allontanò il bastone elettrizzato, tornarono le foglie alla loro posizione naturale. Ma avendo poi portato il bastone di vetro a contatto della gocciola d' acqua, le foglie acquistarono ancora la tensione di dieci gradi e la conservarono anche dopo che fu rimosso il vetro elettrizzato. Alia gocciola d' acqua ho sostituito un pezzetto d' ostia da suggellare bagnato, e n' ebbi eguali risultati. Tale corpo umido era più comodo perchè più visibile. Un cilindro metallico unito ad un bastone di vetro, se venga toccato da un corpo coibente elettrizzato, non concepisce tensione sensibile. Ma se sul cilindro v' é una goccia d' acqua, o una briciola di carta umida, o un altro corpo umido qualun- que, e si tocchi col detto coibente dov' è quel corpo umido stesso, riesce tosto elettrizzato il cilindro metallico. III. Se s' inumidisce coli' alito il cilindro metallico isolato, e si tocchi col coibente elettrizzato prima che svanisca l' ap- pannamento prodotto dall' alito, ha pur luogo trasfusione di elettricità. Se col bastone di vetro elettrizzato a quindici o venti gradi si tocchi il bastone metallico mentre comunica col suolo, perchè toccato con un dito della mano che lo sostiene pei manico di vetro, avviene che il bastone di vetro non perde sensibilmente della sua tensione elettrica ancorché quel con- tatto duri sei, sette e più secondi. Ma se si alita sul bastone metallico, e poi vi si mette a contatto quello di vetro elet- trizzato, questo viene rapidamente spogliato d' una gran parte dell' elettricità che aveva. ai 6 Proprietà di assorbire l'elettricità ec. Né è da dirsi che 1' elettricità venga distrutta o dispersa dal vapore in cui si trasforma prestamente 1' alito deposto sul metallo, giacché se si tiene il bastone pel manico isolante, e non si tocca il metallo col dito, e poi, prima di esplorarne la tensione, si aspetta che l' appannamento dell' alito sia del tutto svanito, si ottiene egualmente la divergenza delle foglie dello elettrometro avvicinandogli il bastone metallico, ed ancora dopo parecchi minuti che 1' appannamento è svanito. Giova in questa sorta d' esperienze porre sulla sfera me- tallica dell' elettroscopio una sottile calotta di cera lacca, la quale fa sì che si può portare il bastone metallico elettrizzato a piccola distanza e sempre eguale, dalla sfera stessa senza che questa venga toccata. Così non accade trasfusione di elet- tricità, e si può esplorare più volte la tensione del bastone metallico senz' aver duopo di ricaricarlo. IV. Al cilindro d' ottone munito di bastone di vetro qui sopra accennato attaccai un nastro di fil di canape ed in modo che ne pendeva un tratto lungo tre decimetri. Inumidito il nastro con acqua di pozzo, indi tenendo in mano il bastone di vetro, al quale era unito il detto cilindro portante il nastro bagnato, toccai l'ottone con un cannello di vetro elettrizzato, e l'ottone non conseguì tensione sensibile al solito elettrometro. Ma avendo toccato col detto vetro elettrizzato il nastro umido pendente, il cilindro d' ottone conseguì tosto la tensione di dodici gradi. E ciò accadeva qualunque fosse il punto in cui toccassi il nastro umido, foss' anco stato all'estremità inferiore; anzi in questo caso ottenevasi per lo più una tensione più forte, a motivo delle punte assorbenti che i fili presentavano alla estre- mità inferiore del nastro. V. Anche dopo che il nastro ei'a asciugato osservavasi lo stesso fenomeno., bene inteso con tensione minore a parità di circostanze. L' alcoole presenta il fenomeno come 1' acqua, cioè mes- sane una gocciola nella sfera dell' elettrometro, e toccando la Del Cav. Prof. Stefano Marianini ai 7 gocciola stessa con un bastone di vetro elettrizzato, viene tosto assorbita l'elettricità. Inoltre, distesa la gocciola sulla sfera, avviene che, per qualche minuto, toccando la sfera stessa col vetro elettrizzato, trasfondesi l'elettricità. E ciò, credo, perchè r alcoole attira 1' umidità. All'acqua pura ho sostituito con pari successo l'acqua sa- lata, gli acidi nitrico, solforico e acetico allungati, l'ammoniaca liquida, molte soluzioni saline, il sego alla temperatura di a5 gradi del termometro a scala comune. L' olio alla detta tem- peratura non assorbe 1' elettricità. VI. Così sostituendo in tali esperienze al vetro altri coi- benti elettrizzati, come la cera lacca, lo zolfo, il bitume nero, la seta, i' ambra, la gomma elastica, la gutta perca ed altri coibenti, si ottengono eguali risultati. Ma se, invece della goccia d' acqua o d' altro conduttore umido, si pone sul metallo una gocciola di mercurio, o una briciola di un conduttore metallico qualunque, o di carbone, mai non avviene succhiamento di elettricità. Se col bastone di vetro elettrizzato tocco un piatto del condensatore dov'è asciutto, esso piatto non si elettrizza; bensì se tocco una goccia d' acqua, o una briciola di carta umida che si trovi sul medesimo. VII. La comunicazione dell' elettricità per assorbimento ad un conduttore ha luogo anche quando il conduttore umido si trova, non sul conduttore, ma sul coibente. Infatti elettriz- zato un bastone di vetro, o di cera spagna o di zolfo, e dopo avere veduto che , toccando la sfera dell' elettrometro , non trasfonde elettricità, si aliti un momento sul corpo elettrizzato, e poi subito si tocchi la sfera dell' elettrometro, e vedrassi trasfusa 1' elettricità. Il che avviene perchè 1' alito, come con- duttore, porta rapidamente nel punto che va a contatto col metallo l'elettricità di cui il coibente è fornito (i). (1) Da principio mi sembrò che colla cera spagna si ottenesse con difficoltà ed in minor grado V assorbimento del fluido elettrico j ma in seguito vidi che si comporta presso a poco come il vetro. Tomo XXV. P.'^ II.'' Ce ai8 Proprietà di assorbire l' elettricità ec. Le principali esperienze precedenti vennero più volte ri- petute con un pezzo di ambra, con bitume nero, con nastri di seta, e con varj altri coibenti. Vili. Circa i nastri di seta si è osservato che se si ado- perano così distesi come si suole, il fenomeno non riesce, cioè anche toccando la sfera d' ottone inumidita, non viene assor- bita r elettricità, o in quantità assai tenue ; bensì se i nastri stessi sono avvolti ad un cilindro di vetro o di cera spagna. Per altro se la detta sfera metallica non è semplicemente inumi- dita, ma v' è su di essa la goccia d' acqua, il fenomeno accade coi nastri distesi presso a poco come cogli altri coibenti. IX. Per vedere se anche una notabile massa conduttrice di seconda classe assorbe l' elettricità meglio che i metalli, ho messo due bicchieri di eguale capacità su d' un sostegno iso- lante; uno fu riempiuto d'acqua, l'altro di mercui'io. Immersi poi l'estremità d'un bastone di vetro elettrizzato nel mercurio pel tratto di tre millimetri, poi toccai quel mercurio con un cilindro d'ottone isolato; ma questo non conseguì veruna ten- sione elettrica. Laddove elettrizzato di nuovo il bastone di ve- tro, ed immersane 1' estremità per tre millimetri nell' acqua dell' altro bicchiere, e toccata poi 1' acqua stessa col cilindro d' ottone isolato, questo acquistò una tensione che fu indicata da circa venti gradi del solito elettrometro. Né il risultato di questa esperienza potrebbe attribuirsi all' essere la capacità per 1' elettrico molto più grande nel mercurio che non nell'acqua: imperocché, per quanto mi ri- sultò da alcune esperienze istituite a questo proposito, que' due volumi eguali d'acqua e di mercurio sono dotati di eguale ca- pacità pel fluido elettrico. Infatti, caricata una boccia di Leida a venti gradi di tensione, e messa in comunicazione V arma- tura esterna della boccia stessa col bicchiere di mercurio, la tensione della boccia scemava di un grado. Ricaricata poi la boccia alla tensione di venti gradi ( sempre dell' elettrometro a foglia d' oro ), e poi messa in comunicazione l' armatura in- terna col bicchier d'acqua, la tensione della boccia stessa calò parimente d' un grado. Del Cav. Prof. Stefano Marìanini 2,19 Ripetuta l' esperienza colla boccia carica a tensione molto maggiore ( a venti gradi dell' elettrometro a doppio quadrante ), si osservò che e 1' acqua e il mercurio in egual massa conse- guivano tensione eguale quando venivano messi in comunica- zione coir armatura interna della boccia di Leida. Parecchie delle sperienze fin qui descritte le ho ripetute e con eguali risultati adoperando un elettrometro avente in cima una sfera di legno invece che di metallo. X. Il fenomeno in discorso dipenderebbe forse dalla fa- coltà elettromotrice de' coibenti e de' metalli ? cioè dall' elet- trizzarsi reciprocamente in contrario senso il coibente ed il metallo quando vengono fra loro a contatto? •.)ÌM>)'/r> L'ottone, per esempio (e così può dirsi dello zinco e di altri metalli ) , a contatto del vetro si elettrizza negativamente e, non solamente quando il vetro è allo stato naturale, ma anco quando è elettrizzato in piti. Perciò potrebbe credersi che, quando il vetro dotato di tensione positiva tocca l'ottone, non gli comunica della sua elettricità perchè l' ottone si costi- tuisce in quel momento in tensione negativa, e con questa contrabbilancia la positiva del vetro, e quindi non ne riceve. Laddove, quando tra il metallo ed il vetro v' è un corpo umido, il quale o non si elettrizza punto a contatto del coibente, o acquista una tensione così piccola che non riesce sensibile; e r elettricità del vetro passa al metallo perchè non v' è elettri- cità opposta che lo impedisca. Dobbiamo per altro osservare che le tensioni in cui si costituiscono l' ottone ed il vetro pel mutuo contatto è così debole, che quand'anche si. ripeta il contatto quindici o venti volte, e sempre con punti diversi della superticie del vetro, r elettrizzazione non arriva alla centesima parte di quella che acquista il vetro sfregato colla pelle o colla lana, e quindi è impossibile che la piccolissima tensione, in cui si costituisce l' ottone a contatto del vetro, contrabbilanci quella del vetro nelle sperienze sopra descritte. aao Proprietà di assorbire l' elettricità ec. E vi è poi di più che anco il vetro elettrizzato negativa- mente ( o mediante lo sfregamento colla pelliccia di lepre, o scorrendo sulla superficie del medesimo con una punta metal- lica che sporge dall' armatura interna d' una boccia carica in meno ) offre lo stesso fenomeno : cioè se si tocca con esso ve- tro immediatamente o la sfera dell' elettrometro, o un altro pezzo metallico qualunque isolato, non gli comunica tensione elettrica percettibile; bensì se vi è un corpo umido intermedio. Esiste dunque ne' corpi una facoltà di attirare o assorbire r elettricità dai cox'pi coibenti, la quale merita di essere di- stinta dalla facoltà conduttrice in quanto che questa è molto pili cospicua ne' conduttori metallici che ne' liquidi, e quella al contrario la è molto più ne' conduttori liquidi. Non mi è noto, se tale proprietà abbia attirato sin' ora 1' attenzione dei fisici. XI. Con un bicchiere di cristallo avente il fondo ben le- vigato ho ripetuto varie delle sperienze sopra descritte. Strofi- nando la base inferiore del bicchiere col palmo della mano, elettrizzavasi egregiamente in più, e toccando con essa base la sfera dell' elettrometro, questo attuavasi; ma non conseguiva tensione sensibile permanente se non quando erasi prima ali- tato sulla sfera, o era su di essa una goccia d'acqua, e tocca- vasi la goccia medesima. E si fu neir esperimentare con questo bicchiere che io m' accorsi che i conduttori umidi succhiano 1' elettricità dai coibenti anco quando questi non sono elettrizzati che per at- tuazione. Poiché, se, dopo di avere strofinato colla mano il fondo esteriore del detto bicchiere, io andava a toccare col fondo interiore la sfera solita dello stromento mentre essa era umida, ottenevasi tensione permanente. E questa positiva o negativa secondo che positiva o negativa era 1' elettricità della base esteriore del bicchiere. Anche con un bastone di vetro si vede presso a poco la stessa cosa. Imperocché sfregandolo nel senso della sua lun- ghezza su di un cilindro metallico, e tenendolo sempre nella Del Cav. Prof. Stefano Marianini a2i medesima posizione, ed in modo che il suo asse sia normale a quello del cilindro metallico ( nel qual caso non riesce elet- trizzata che una sottilissima superficie di esso bastone di vetro), toccando poscia la sfera dello stromento con un punto della superficie longitudinale opposta a quella che è stata sfregata , si ottiene pure la trasfusione dell' elettricità, purché il punto della sfera che si va a toccare sia inumidito. Tanto in questo che nel precedente esperimento del bic- chiere l'assorbimento avviene, non perchè l'elettricità serpeg- giando sulla superficie del vetro, si porti al luogo dov' è il conduttore umido, ma sibbene perchè la superficie della base interiore del bicchiere nel primo esperimento, e la superficie opposta a quella elettrizzata nel secondo è attuata, e anco r elettricità di attuazione viene assorbita. E che sia veramente così lo dimostra il seguente sperimento. Si ponga un bastone di vetro a contatto colla sfera dello elettrometro, ed un' altro bastone simile elettrizzato si ponga a contatto del primo, o anco solamente vicino ad esso quanto basta perchè le foglie dell'elettroscopio divergano notabilmente. Se il bastone di vetro attuato tocca la sfera immediatamente, allontanati da essa li due vetri, cessa ogni tensione ; ma se la tocca mediante un conduttore umido, rimossi i vetri, persevera la tensione. E ciò avviene perchè il liquido succhia e tras- mette air elettrometro 1' elettricità propria del vetro che aveva a contatto. Infatti questo bastone trovasi, dopo l'esperienza, elettrizzato in meno o in più secondo che 1' altro vetro era investito di elettricità positiva o negativa. XII. Se il conduttore umido succhia I' elettricità dai coi- benti elettrizzati tanto meglio deve succhiarla dai conduttori : ma in allora questa proprietà si confonde con quella di con- durre r elettricità. Le cose fin qui vedute mi suggerirono di far costruire un I elettrometro terminato superiormente da tre sfere, una di me- tallo nudo, l'altra di metallo ricoperto d'uno strato isolante e la terza di legno cava e aperta superiormente per contenere aail PuOPRIETÀ DI ASSORBIRE l' ELETTRICITÀ CC. una piccola spugna umida. Con tale stromento se voglio ci- mentare lo stato elettrico di corpi coibenti, li porto a contatto della sfera metallica nuda quando voglio che 1' elettrometro non sia che attuato, e li porto a contatto della sfera umida quando voglio che la loro elettricità sia trasfusa. Se poi i corpi elettrizzati da cimentare sono metallici, o carbonosi, allora li porto a contatto della sfera colla superficie coibente quando nello stromento non voglio che 1' attuazione, e, quando voglio trasfondere in esso 1' elettricità, pongo i corpi elettrizzati a contatto della sfera metallica nuda (i). Fin' ora, per quanta diligenza io abbia usata non ho po- tuto accorgermi di alcuna differenza fra la tensione che acquista lo stromento quando un corpo metallico elettrizzato tocca im- mediatamente il cappelletto metallico, e la tensione che acquista quando un tal corpo gli comunica 1' elettricità mediante un conduttore liquido. Egli è per ciò, che questa proprietà la ho chiamata : Facoltà di assorbire V elettricità dai corpi isolanti elettrizzati. XIII. Più volte m'avvenne d'osservare che l'elettrometro acquistava una tensione maggiore quando poneva il vetro elet- trizzato a contatto della sfera mentre era umida, che non (1) La sfera coperta di ceralacca aggiunta all' elettroscopio rende lo stromento servibile in alcune circostanze come condensatore a forza condensante variabile. Abbiasi una boccia di Leida carica a cosi piccola tensione che, esplorata, produca piccolissima divergenza nelle foglie dell' elettroscopio. Se, mentre la sfera della boccia è a contatto di quella d'ottone nudo dello stromento, si applica un dito sulla sfera inverniciata, indi si allontana la bottiglia e poscia anche il dito, si avrà una divergenza di qualche grado. E se, invece di un dito se ne applicheranno due o tre o quattro, o il palmo della mano, si otterranno tensioni sempre maggiori, e fino di venti e più gradi. Le sfere dì questo istromento hanno il diametro di tre centimetri, e le foglie d' oro sono lunghe un decimetro e larghe quindici millimetri. Si tocchi colla mano asciutta la sfera inverniciata, e senza sfregamento sensibile; e non si avrà indizio di tensione. Ma se, prima di levar la mano o le dita da quel contatto, si tocchi per un momento la sfera nuda, si otterrà tosto una tensione negativa e cospicua. Ed ecco anche un piccolo elettroforo, come si ha sempre, volendolo, anco negli altri condensatori. Del Cav. Prof. Stefano Marianini aa3 quando era asciutta. Ed ho poi veduto che quella maggiore tensione accade quando il conduttore umido si estende anco al coibente elettrizzato. Messo a contatto della sfera dell' elettrometro un cilindro di cera bianca elettrizzato, ne fa divergeie le foglie, le quali poi, allontanando il detto cilindro, si restringono al solito. Ma se dopo l'elettrizzazione si alita una volta sul cilindro di cera, e poi si porta a contatto dell' elettrometro, fa divergere le fo- glie molto pili di prima comunicandogli elettricità permanente. L' esperienza ora descritta non riesce collo stesso grado di perspicuità con ogni coibente: ma ciò deriva o dal non de- porsi su di esso facilmente 1' umidità, o dallo svanire più o meno rapidamente l'appannamento prodottovi, o perchè l'umi- dità vi si depone in troppa quantità, o troppo estesamente , per cui, arrivando alla mano, il coibente viene spogliato della elettricità che aveva. Dal che ne segue che con alcuni coi- ^ benti, come sono per esempio le candele di cera bianche, quest'esperienza riesce più facilmente d' estate, con altri, come il vetro e la cera spagna comune riesce più facilmente d' in- verno. Sempre inteso che e nell' una e nell' altra stagione si esperimenti dove 1' aria non è umida. XIV. Farò da ultimo osservare che, mediante un velo umido si può assorbire l'elettricità da un coibente elettrizzato e distribuirla su di un altro. Abbiansi due cilindri di vetro, un de' quali elettrizzato ; se coir altro cilindro si tocchi anco ripetutamente il primo , non gli viene sottratta elettricità di sorta : ma se si appanna un pochetto coli' alito, o con altro vapore umido qualunque, il cilindro non elettrizzato, e poi si porti a contatto dell'altro, e mentre è ancora appannato, questo rimane investito di elet- tricità. La quale viene conservata anche dopo che è svanito tutto il vapore che erasi rappigliato sullo stesso coibente. Augurandomi opportunità per occuparmi del vario grado di facoltà assorbente nei diversi conduttori, riassumo il sin qui detto colle seguenti principali proposizioni : 224 Proprietà di assorbire l' elettricità ec. I* Esiste ne' corpi la facoltà di assorbire V elettricità dai coibenti elettrizzati, lo sieno poi in più o in meno. 2,* Tale facoltà assorbente non può confondersi colla con- duttrice, perchè questa è molto più cospicua ne' conduttori secchi o di prima classe, e quella lo è incomparabilmente più in quelli di seconda. 3* Essa si manifesta e quando il liquido è in minima quan- tità, e quando presenta una massa notabile. E nel primo caso, o sia raccolto il liquido in piccolissima area, o sia disteso sul metallo a forma di velo o di appannamento. 4* Essa non può attribuirsi ad una differente capacità per r elettricità, di cui sieno dotati i conduttori secchi rispetto agli umidi : né influisce alla riuscita dei fenomeni relativi alla fa- coltà medesima lo stato elettrico, in cui si costituiscono i corpi coibenti a contatto dei metalli. 5^ Tale assorbimento ha luogo ancora quando il coibente è elettrizzato per induzione. 6* Non è solamente quando il liquido assorbente riposa su d' un metallo o altro conduttore solido che ha luogo V as- sorbimento ; ma anche quando il liquido assorbente è su d' un corpo isolante. In questo caso lo stato elettrico acquistato dall'iso- lante persiste anche dopo che il liquido assorbente è affatto scomparso. n>me-Ti»t N 2.2.B SPOSIZIOIVE DEL METODO DELLE EQUIPOLLENZE MISllDSll!^ .piti ojiijj >Mi;j|lofiin| DEL SOCIO ATTUALE PROF. GILSTO BELLA VITIS Ufi t\r-^ ieoq fij o lisssb Ricevuta il dì 16 Febbrajo 18S4. ' • ilf;Io.littfjfI h' ella Memoria sulla Classificazione delie curve del terzo or- dine ( pag. I del pres. Volume } mi proposi di esporre detta- gliatamente un metodo di Geometria analitica da me immagi- nato or sono venti anni, e che da prima dissi metodo delle equazioni geometriche; cangiando poscia questo nome in quello più breve di equipollenze. Gli scritti principali, in cui trattai di questo metodo sono: il Saggio pubblicato nel 3.° Voi. ( i835) degli Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto j — il Metodo nel Tomo VII ( 1887 ) della stessa opera periodica; — le Soluzioni grafiche nel \o\. 1 (i843) delle Memorie dell' Imp. R. Istituto Veneto. — Forse perchè mi tenni a soverchia con- cisione, accennando a molte applicazioni geometriche e mecca- «iche, anziché sufficientemente estendermi in alcune poche; — - forse perchè in tanta vastità della scienza geometrica ogni Dotto sta ritroso ad impiegare anche poco tempo per appren- dere un nuovo metodo, e ritiene che con quelli da lui cono- sciuti potrà giungere agli stessi risultamenti; — forse per altre [•agioni; — i Geometri non posero attenzione 1 ài -.rt^etodo da me [proposto, nò alle sohizioni di incontestabile semplicità che io Ifie ricavai in quelli ed in alcuni altri niiei scritti. — Pure pa- l-recchi dei principi da me assunti si vanno ognora piìi adot- |4ando : il Saint -Venant mostrò i vantaggi di considerare le ^quantità geometriche; le sue somme geometriche sono precisa- rono XXF. P.'» IL- Dd 2,20 SpOSIZIONE del METODO DELLE EQUIPOLLENZE mente quelle che io pure da prima così denominava, ma che poscia dissi composte- equipollenti: ed il Cauchy notò a più ri- prese i pregi delle teorie del Saint- Venant. Spero adunque non del tutto inopportuno ritornare ancora una volta sul me- todo delle equipollenze, esponendolo con tutta la maggior chia- rezza che mi sarà possibile. Questo metodo soddisfa un desiderio del Garnot di trovare un algoritmo, che rappresenti nello stesso tempo e la gran- dezza e la posizione delle varie parti di una figura ; ne risul- tano quindi, per via diretta, eleganti e semplici soluzioni gra- fiche dei problemi geometrici. Il metodo delle equipollenze comprende come casi particolari i metodi delle coordinate pa- rallele o polari, il calcolo baricentrlco ecc. : i problemi sulle curve vi si risolvono in generale senza preferire una maniera di rappresentazione ad un' altra ; perlochè i calcoli sono più spediti di quelli della Geometria analitica, ed i risultamenti sono espressi sotto forma più semplice. È essenziale nel metodo delle equipollenze la distinzione delle parti positive dalle negative, sicché la correlazione delle figure è una conseguenza necessaria dell' algoritmo, senza che vi sia bisogno di alcuna speciale osservazione, perlochè viene tolta ogni tema di errore. Chi sia abituato ai principj della Geometrie de Position troverà facile seguirmi nelle poche con- venzioni su cui si appoggia il metodo; forse si potrebbero ren- dere ancora più conformi all'uso ordinario; ma non trovo con- veniente di posporre la brevità delle formule ad una leggeris- sima facilità. Le convenzioni saranno facili da ritenersi a me- moria, perchè alcune conformi alle solite regole relative alle quantità positive e negative, altre conformi alla notissima com- posizione delle forze. Le equipollenze esprimono relazioni di rette considerate non solo rispetto alla loro grandezza , ma eziandio rispetto alla direzione (o inclinazione che voglia dirsi); sicché esse sono essenzialmente differenti dalle equazioni, che esprimono relazioni di sole quantità reali; nulladinieno il cal- colo delle equipollenze segue precisamente le stesse regole , Memoria del Prof. Giusto Bellavitis aa.7 che valgono nel calcolo delle equazioni, il che torna non poco vantaggioso. La vastità ed il progresso della Geometria sono tali che , piuttosto di rifiutarsi allo studio di nuovi metodi, forse non andrà molto che soltanto dei metodi si dovrà tener conto, onde possedere il maggior numero di mezzi per trovare quelle verità che tornano opportune; essendoché sia ormai impossibile te- nersi presenti al pensiero tutte quelle che vanno discoprendosi. I. Principi del metodo delle equipollenze. I. È nostro scopo esprimere le relazioni di grandezza e di posizione, che hanno luogo tra le rette di una figura, in guisa da poterne dedurre quelle relazioni, che costituiscono un teorema geometrico o servono alla risoluzione d' un problema. Se nella equipollenza esprimente la condizione del problema sia compreso un solo punto ignoto, 1' equipollenza si risolverà rispetto a questo punto ignoto colle stesse regole che valgono per la risoluzione delle equazioni, e la formula finale indicherà, senza bisogno di alcuna considerazione geometrica, quali co- struzioni grafiche debbano farsi per la desiderata soluzione; che riuscirà quasi sempre una delle più semplici, che potesse trovarsi anche mediante le artificiose e indirette considerazioni della così detta Geometria sintetica. 3. Indicheremo al solito una retta mediante le due lettere che ne segnano gli estremi; ma dovrà porsi attenzione che con ciò non s' intende esprimere la sola grandezza della retta, bensì la grandezza e la direzione. Perciò non è lecito scam- biare per esempio MQ con QM. Queste MQ, QM indicano bensì una stessa retta, ma presa in direzioni opposte ; confon- dere r una coli' altra sarebbe Io stesso come confondere una quantità positiva colla negativa di egual valore; ed infatti ve- dremo che MQ è identica con — QM, e — MQ con QM. Questa convenzione è spesso ammessa dai Geometri moderni. aa8 Sposizione Cél metodo delle equipollenze 3. Perchè una retta possa sostituirsi ad un'altra non basta che esse sieno eguali ( cioè di egual grandezza ), bisogna inol- tro che esse sieno parallele e dirette per lo stesso verso. Due rette che hanno tali relazioni si dicono equipollenti', e nel cal- colo delle equipollenze ad una retta può sempre sostituirsi una sua equipollente. Così la retta AB ( Fig. i* ) è equipollente alla DC, ed è soltanto eguale alla EF; ciò si distingue con due segni differenti, scrivendo ABr£^DC, e AB = EF. Siccome potrebbesi prendere qualche abbaglio adoperando in uno stesso calcolo ed equipollenze, qual è la AB=£bDC, e semplici eguaglianze, qual è la A B = E F ; così per indicare la grandezza di una retta senza curare la sua inclinazione mi servirò della caratteristica gr; per esempio con grAB = grEF indicherò che le lunghezze di queste rette sono eguali. Per in quanto alle lunghezze delle rette, ed in generale alle grandezze espresse alla maniera dell' Algebra con lettere apposite ( ordi- nariamente di carattere piccolo corsivo), non vi è alcun incon- veniente ad impiegare in uno stesso calcolo ed equazioni re- lative alle grandezze ed equipollenze relative alle rette. 4. Una retta dicesi equipollente ad un' altra moltiplicata per un numero positivo, quando le due rette oltre avere quel tal rapporto sono parallele e dirette per lo stesso verso. Così si dirà che DN è equipollente alla AB moltiplicata pel nu- mero positivo 72, e si scriverà DN:£b«,ABj quando sia grDN =: /z. . gr AB, ed inoltre le DN, AB sieno parallele e dirette per lo stesso vei'so. Se il predetto moltiplicatore sia un numero negativo le rette avranno bensì il rapporto espresso dal valore assoluto di tal numerò, e saranno parallele, ma di- rette oppostamente. Così se si abbia C N =^ (/z — i) AB, ed il numero {n — i) sia negativo, le lunghezze delle rette CN, AB avranno il rapporto i : [\—n), ed inoltre la CN sarà parallela e diretta nel verso opposto della A B : perciò adoperando la NC, che ha direzione opposta della CN, potremo anche scri- vere NC:£ii.(i — 7z)AB, essendo (i — n) un coefficiente nume- rico positivo. In generale si può sostituire a qualsivoglia retta Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 229 CN la sua opposta NC, purché si muti nello stesso tempo il seguo del suo coefficiente. 5. Per tal maniera è definito il significato di un' equipol- lenza a due soli termini ognuno dei quali contiene una sola retta. Vediamo adesso come si uniscano insieme più rette, te- nendo conto e delle loro grandezze e delle loro direzioni; a questa unione daremo il nome di somma geometrica^ ossia com- posta - equipollente. — Per meglio fissare le idee immaginiamo che un viaggiatore percorra una linea spezzata OPQR (Fig. a*), il viaggio effettivo ed utile che egli per tal guisa avrà fatto non sarà eguale alla lunghezza della linea spezzata, ma e([ui- valerà alla retta OR, per la quale egli ugualmente sarebbe giunto da O in R; questa retta OR la diremo la composta- equipollente di tutte le rette, che costituiscono la linea spez- zata. — Sappiamo dalla Meccanica che tal composta- equipol- lente esprime la risultante di fiarze applicate al punto O, e rispettivamente equipollenti (cioè uguali, parallele, e dirette per lo stesso verso) alle OP, PQ, QR. 6. Per costruire la composta -equipollente delle rette AB, DC, EF si tirerà, per un punto qualunque O, la OP equi- pollente alla AB, poscia di seguito la PQ equipollente alla DC, e la QR equipollente alla EF; la OR sarà la chiesta composta -equipollente. — È facile dimostrare che, con cjua- lunque altro ordine si disponessero l' una dopo l'altra le rette equipollenti alle date, si otterrebbe sempre la medesima OR. Prendendo in altro luogo il punto arbitrario O si otterrà per composta -equipollente un'altra retta, la quale peraltro' sarà sempre equipollente alla OR. — Se le rette fossero tutte pa- rallele la loro composta-equipollente sarebbe la stessa cosa della loro somma algebrica, cioè somma tenendo conto dei segni.; 7. Ciò bene compreso, sarà facilissimo intendere il signi- ficato e costruire una equipollenza polinomia. SerVa d'esempio la (Fig. 3*) DE-t-^AB — CB£i=iDF — /?AF. Si tiri la OP equipollente alla DE, poscia di seguito la PQifir^AB (il che s'intenda nel significato stabilito al §. 4)»"'® ancora di a3o Sposizione del metodo delle equipollenze seguito la Q R £}= — CB:£1:BG, si otterrà così la composta OR, la quale sarà equipollente alla composta TV ottenuta ti- rando, per un qualunque punto T, la TU£Iì=^DF, e di se- guito la UV£^ — 71. A F, n essendo un numero dato, che nel caso della Fig. 3* è per sé stesso negativo. 8. Noi possiamo mutar la disposizione dei termini di una equipollenza; ed eziandio passare un termine da un membro all' altro, purché, calla stessa regola che vale per le equazioni, se ne muti il segno, e 1' equipollenza rimarrà ancora esatta. Così, per esempio, la precedente equipollenza può scriversi |AB-i-BC-+-DE-f-re.AF — iDF£}=o, cioè costruendo la composta -equipollente dei cinque termini del primo membro si otterrà, invece di una linea spezzata, un poligono chiuso. — Noi possiamo anche moltiplicare tutti i termini di un'equi- pollenza per uno stesso numero senza turbarne 1' esattezza. Ciò dipende dalla proporzionalità dei lati di due figure omote- tiche, cioè che hanno i lati rispettivamente paralleli. — In una parola, noi possiamo eseguire sulle equipollenze operazioni precisamente analoghe a quelle che si fanno sulle equazioni algebriche, e cbe dipendono dalla somma o dalla sottra, op- pure anche dalla moltiplica o divisione per numeri. g. Notiamo, per incidenza, che se nell' equipollenza dei due §5- precedenti ci fosse ignota la retta A F, quand' anche non conoscessimo re, pure l' equipollenza valerebbe ad indi- carci la direzione della AF, che è parallela alla UV, essendo TVi£ìzOR. Vedremo sempre che mentre un'equazione serve a determinare una sola quantità, una equipollenza ne deter- mina due; e quando pure essa determina una sola retta, viene ancora a determinare due quantità, cioè la lunghezza della retta e la sua inclinazione. IO. La stabilita composizione delle rette rende palese che nel calcolo delle equipollenze si ha il: il Canone i .° Qualunque sieno ì tre punti A, B, C è sempre (l) A B -4- B C r^ AC; equipollenza che può indifferentemente prendere le forme (a) BC:£hAC — AB, (3) ABiflhAC — BC, Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a3i (4) AB -+- BC -t- CA zilh o. Potrà sembrare che questo canone sia cosi immediata conseguenza delle definizioni, che non va- lesse la pena d' avvertirlo j ma esso è di continuo uso per to- gliere una retta altre sostituendone; sicché giova renderselo abituale. Aggiungeremo anzi una regola per distinguere a colpo d'occhio queste e le altre equipollenze per sé stesse identiche, acciocché senza nessuna fatica di mente, e senza nemmeno guardare la figura si possa assicurarsi della loro esattezza. II. In fiarza del presente canone ad una qualunque retta MN possiamo sostituire (3) il binomio MZ — NZ, Z essendo un punto affatto arbitrario : ora se fatta analoga sostituzione per ciascuna retta ne risulti un' espressione identica, tale sarà anche l'equipollenza da cui siamo partiti. Così, per esempio, la BCrflbAC — AB è un'equipollenza identica, perchè lo èia BZ — CZz£:ìz AZ — GZ — (AZ — BZ). Lo è pure la AB-f-BGr£ì: AD — GD, giacché A Z — BZ -»- BZ — GZ :fi :ì;ì:AZ — DZ — (GZ — DZ). Invece se mai per isbaglio avessimo scritto AB-*-GB£^AG, ci accorgeremmo dell'er- rore, considerando che AZ — BZ-+-GZ — BZ non è iden- tica con AZ — GZ. la. Ci resta da stabilire qual sia il significato delle equi- pollenze, che contengono prodotti o quozienti di rette tra loro moltiplicate o divise: a tal fine ci bisogna ristringerci alla considerazione delle figure poste in un solo piano ; mentre quanto finora abbiamo detto vale anche per lo spazio. i3. Premettiamo una convenzione, che renderà più spe- dito il linguaggio. Due cose si osservano in ogni retta, la lim- ghezza e la direzione : per calcolare le lunghezze gli antichi Geometri considerarono sempre i rapporti tra due rette; i mo- derni trovarono più comodo di considerare le grandezze in modo assoluto paragonandole ad una assunta arbitrariamente per unità di misura; dopo di che il rapporto di due rette nasce dalla divisione delle loro grandezze. Analogamente a ciò, men- tre finora per calcolare le direzioni delle rette si considerarono gli angoli compresi tra due rette, noi invece troveremo più aSa Sposizione del metodo delle equipollenze comodo di considerare le inclinazioni delle rette in modo as- soluto paragonandole ad una retta assunta arbitrariamente per origine delle inclinazioni^ dopo di che 1' angolo di due rette sarà la dijferenza delle loro inclinazioni. L' inclinazione di una retta la segneremo colla caratteristica ine, come già segnammo ( §. 3 ) la grandezza con gr. 14. Prendiamo per origine delle inclinazioni la retta OH ( Fig. 4* ) ( che per fissare le idee supporremo orizzontale e diretta da sinistra verso destra ) , diremo inclinazione della retta OM l'angolo HOM da essa formato colla OH; avver- tendo che le inclinazioni positive si prendono da destra all' insù, cioè pel verso HMIL, e che le inclinazioni prese nel verso opposto HRL si dicono negative. Siccome le inclinazioni si contano da o* a Sóo", così l'inclinazione della retta OR può riguardarsi, per esempio, tanto di — 4^*° quanto di 3ac°, cioè una differenza di Sóo" non cangia 1' inclinazione. L' angolo MON è uguale all'inclinazione della ON meno l'inclinazione della OM, cioè ang. MON = incON — incOM. Si avverta che anche gli angoli positivi debbono prendersi nel verso HMNI, e che ogni angolo s'intende contato dalla prima alla terza lettera ; cosi l'angolo NOM è negativo, peixhè = incOM — incON. i5. L'inclinazione della retta AB è quella stessa della OM ad essa parallela e diretta per lo stesso verso: l'inclina- zione della BA è quella stessa della OL, che è la prolunga- zione della MO, perciò (1) inoB A = ine AB :±: 180° ; al 180° si è dato il doppio segno, giacché come si disse, una differenza d' inclinazione di 36o° non produce alcun effetto. Oltre la precedente (i) si rammenti che iìjììjI (a) ang . B A G = ine AC — ine A B, ed in forza della (x) anche (3) ang. B AC = incG A -^ incBA. •,j^nii6. Abbiamo veduto che cosa debba intendersi per una retta equipollente alla composta di due o più rette; stabiliamo ora per definizione qual sia la retta equipollente ad un mo- nomio formato colla moltiplica o divisione di alquante rette. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a33 Se si abbia (i) GH^l::^^^^ la retta GH non solo debbe avere la grandezza espressa dall' equazione (2) gr G H = — ^ — , ma inoltre la sua inclinazione dev'essere (3) ine GH = ine AB -t- ine CD — incEFj viceversa se sussistano insieme le (a), (3), avrà luogo l' equipol- ri IT T T lenza (1). Nello stesso modo l'equipollenza (4) OP d2z--^^'^ significa (5) gr OP = ^' ^f^N^^' ^ (6) ine O P = ine G H -+- ine I L — ine M N. Sostituendo nelle (4) (5) (6) le (i) (2) (3) vedremo che l'equipollenza (7) OP d2= ^p ' comprende le due condizioni ^o; grwr— grEF.grMN ' (9) ine 0 P = ine A B -I- ine C D -1- ine I L — ine E F — ine M N. Giova osservare che dalla (7) si deduce la (8) mutando l'equi- pollenza in equazione relativa alle grandezze, e la (9) ope- rando come se si volessero prendere i logaritmi, ma scrivendo ine in luogo di log. Queste due regole serviranno in modo si- mile ad interpretare una qualunque equipollenza binomia. L' equipollenza (i) potrebbe anche scriversi sotto la forma AB.CD=CbEF.GH, ed esprimerebbe ancora le due con- dizioni gr AB.gr CD = gr EF. gr GH, ine A B -f- ine C D = ine E F -f- ine G H. — Se i membri dell' equipollenza abbiano qualche coefficiente numerico, e sia per esempio (io) Q R £1: " " ^ ^ — , essendo n positivo; col mezzo della (i) avremo QR:£iz/i.GH, alla quale do- vremo dare il significato già stabilito al §. 4 5 perciò la (io) esprimerà che gr QR = «. gr GH = ^-^^^^ — :^~- , e che ine Q R = ine G H = ine A B -1- ine CD — ine E F. Così si vede che la condizione relativa alle inclinazioni è indipendente dai coefficienti numerici positivi. Abbiamo già detto ( §. 4 ) che un coefficiente negativo porta una differenza d' inclina- zione di 180°. Tomo XXV. P." IL-' E e a34 Sposizione del metodo delle equipollenze 17. Da quanto abbiamo ora stabilito sulle equipollenze bi- noraie e prima ( 5- 7 ) sulle polinomie, di cui ciascun termine contiene una sola retta, risulta l'interpretazione di ogni equipol- lenza omogenea, in cui le rette sìeno tra loro combinate me- diante i segni di somma, sottra, moltiplica, divisione, od anche i segni di elevazione a potenze od estrazione di radici ad espo- nenti numerici, derivando nel solito modo queste due ultime operazioni dalle due precedenti. Cosi se abbiasi, per esempio, r equipollenza ( per comodo tipografico adopero i due punti : come segno di divisione, che abbraccia tutte le quantità fino al primo -t-, — ) AB.GD:EF-4-ra(CD)»: AB — a.FG£i:o, e si costruisca una retta LM tale che ( §. 16 ) sia LM:£:hAB.GD:EF, ed inoltre sia MN ^ /i(GD)= : AB, la proposta equipollenza si ridurrà a LM-t-MN — 2,.FGd^o, ed esprimerà che la composta delle rette L M , M N , cioè (5- io) la LN è equipollente alla a.FG. 18. Ghi voglia riandare col pensiero tutto questo sistema di speciali significati attribuiti ai segni dH: h . : ec. tras- portati dalle equazioni alle equipollenze si convincerà facil- mente della verità di questo utilissimo Ganone fondamentale. Sulle equipollenze relative alle figure piane si possono fare tutte quelle operazioni e trasformazioni, che sono legittime per le equazioni algebriche) e le equipollenze che ne risultano sono sempre esatte. — Gosì, per esempio, se un' equipollenza si moltiplichi per PQ; RS, ciò è lo stesso come moltiplicare tutti i termini pel rapporto numerico grPQ:grRS, ed accrescere le loro inclinazioni di incPQ — incRS; sicché il poligono espresso dall'equipollenza si cangerà in altro simile e ruoterà di un angolo eguale a incPQ — incRS, ma si conserverà sempre un poligono chiuso. 19. Ogni qual volta noi perverremo ad una equipollenza binomia potremo supporla ridotta {$. 16) alla forma m.IL^Ihre.MN, e ne dedurremo le due conseguenze incIL = iucMN, 7».gr IL = «. gr MN. Ghe se pei dati da cui si parti sia impossibile che incIL = incMN I Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 235 ne dedurremo che ambedue i coefficienti m, n sono nulli ; perciò abbiamo il Canone 2." Se i due termini dì un' equipollenza bìnomia abbiano inclinazioni differenti, ciascuno di essi è nullo. ao. Ogni qual volta noi perverremo ad un' equipollenza trinomia potremo porre ciascuno dei tre termini rispettivamente equipollenti a ciascuno di quelli della tiùnomia identica (5- io) LM-(-MN-i-NLi£bo. Ora se mai avvenga che sia incLM = incMN, le due rette LM, MN staranno per diritto r una dell'altra, ed LN ne sarà la vera somma; cosi si rende evidente il Canone 3.° Se due termini di un' equipollenza trinomia abbiano eguali inclinazioni, V altro termine (supposto che tutti tre sieno trasportati in un membro ) avrà un' inclinazione che differirà di 180° da quella dei precedenti, e la sua lunghezza sarà eguale alla somma di quelle dei due primi termini. ai. Per terminare la sposizione del metodo delle equipol- lenze avrei da spiegare il significato e 1' uso di altre due se- gnature; ma credo opportuno premettervi alcune applicazioni degli esposti principj. Diamo da prima un' occhiata ai teoremi geometrici implicitamente compresi nei medesimi. Uno dei fon- damenti del metodo delle equipollenze è 1' eguaglianza degli angoli coi lati paralleli; non è quindi meraviglia che da quel metodo possano trarsi i teoremi della teoria delle parallele. — L' altro fondamento del metodo delle equipollenze è la pro- porzionalità delle tìgiue simili, perciò dai canoni del metodo si potrebbero dedun-e i teoremi sulla similitudine od eguaglianza dei triangoli. Ma non mi arresto su questa specie di circolo vizioso di trarre dal metodo quelle stesse verità che servirono a formarlo. .à = dM'/l fA< iia. NuUadimeno notiamo due fàcili esempi. ^® "" qua- drilatero ABCD abbia due lati opposti AB, DG eguali e pa- ralleli, ciò si esprime coli' equipollenza ABr^DC, e som- mando B D ad ambedue i membri si ha pel primo canone AD£i=BG, cioè anche gli altri due lati sono eguali e paralleli. a36 Sposizione del metodo delle equipollenze — La condizione che AB CD sia un parallelogrammo, cioè abbia i lati opposti pai-alleli, è espressa dalle due equipollenze (5-4) ABz£hm.DC, AT>d2zn.BC, dove i coefficienti indeterminati ttz, n sono posti ad indicare che quei lati sono paralleli, ma che nulla sappiamo sulle loro lunghezze. Col mezzo del i" canone ridurremo tutti i termini a contenere le sole AB AG AD, cioè AB zC^ m. AC — m. AD, AD d:^ ?i.AC — n.AB, ed eliminando AD sarà ABi£h(m — mn)AG-i-mn.AB, e siccome AB, AC non sono parallele, così pel a° canone dovrà essere I — mn = o, m — mn = o, cioè /?2 = i, «=i; e quindi i lati opposti del parallelogrammo oltre che paralleli sono uguali. a3. Nei principi finora adoperati non entra 1' eguaglianza di due triangoli eguali in ogni loro parte ma rovesci V uno ri- spetto all' altro, cioè tali che uno senza uscire del proprio piano non potrebbe venir a combaciare sull' altro, ma occor- rerebbe che esso si rovesciasse, sicché la faccia del suo piano che era al di sotto venisse al di sopra. Dall' eguaglianza di due triangoli rovesci deriva la nota proprietà dei triangoli iso- sceli; per non dover ricorrere nemmeno a questo teorema geometrico, gioverà che lo introduciamo nel nostro metodo me- diante il seguente Canone 4"- Se paragonati i termini di un' equipollenza trì- nomia ai termini dell'equipollenza identica LM -H MN -+- NL:£hc si riconosca che ine L M -4- ine N L = a . ine M N ( e le tre in- clinazioni sieno disuguali ) sarà gr L M = gr N L ; viceversa se grLM = grNL sarà ine LM -4- ine NL = a. ine MN. Infatti l'eguaglianza degli angoli M, N di un triangolo LMN è espressa, prendendo ambedue gli angoli collo stesso segno (5. i4), da NML = LNM, ossia {$. i5 ), da ine L M — ine N M = ine N M — ine N L . a4. Ogni formula algebrica identica esprime un teorema sulle quantità, il quale può eziandio riguardarsi come un teo- rema relativo ad alquanti punti posti in linea retta. Tali sono le undici prime proposizioni del libro II. d' Euclide. Non credo Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 287 che prima di me alcuno avesse pensato di estendere tutti questi teoremi ai punti di un piano. Ciò risulta dal seguente teorema, che è una conseguenza immediata dei principii del metodo delle equipollenze, e che è un primo ed osservabile esempio dell'uso di questo metodo per giungere direttamente e senza bisogno di costruzioni geometriche a moltissimi teoremi, cui non sa- rebbe stato facile trovare per altra via. È però vero che tali teoremi sono nella loro generalità troppo complicati per meri- tare d' essere considerati, e limitandosi a casi particolari e sem- plici si cade in teoremi già conosciuti ; essendo molto impro- babile che una verità semplice ed elementare sia sfuggita alla ricerca di tanti Geometri. Ecco il Teorema generalissimo. Qualunque proprietà dei punti di una linea retta dà un teorema dei punti di un piano col solo cangiare le equazioni in equipollenze. 2,5. Prendiamo per esempio la formula algebrica Z* ( è -f- 2c) -I- e* = (è -t- c)% la quale conduce alla 6.* propo- sizione del libro II. d'Euclide: Se una retta BD sia divisa per metà in C, cioè sia BC = CD, e nella sua prolungazione vi sia un punto qualunque A sarà AB. AD-h(BC)^ = (AG)*. Per verificare questa equazione, e nello stesso tempo assicu- rarci se le rette sieno indicate ( §• a ) nel modo opportuno ( al che un tempo non si badava, ma che nel metodo delle equi- pollenze è osservazione indispensabile ) facciamo le sostituzioni insegnate nel §. 11, ed osserviamo se veramente la (AZ — BZ) (AZ — DZ)-h(BZ— CZ)» = (AZ — CZ)" sia resa identica dall'ipotesi BC = CD, cioè di BZ — CZ = GZ — DZ. Ciò verificato noi siamo tosto condotti al teorema. Se un lato B D del triangolo A B D ( Fig. 5* ) sia diviso per metà in C, sussi- sterà sempre V equipollenza AB.AD-t-(BC)»-HAG.CA£:ho; cioè si potrà costruire un triangolo i cui lati sieno rispettiva- mente proporzionali ai prodotti AB. AD, (BC)', ACCA, e le cui inclinazioni sieno rispettivamente ine A B -t- ine A D , a.incBC, ine AC -4- ine C A = a. ine AC ±: 180°. —Questo teorema può dimostrarsi anche con altro calcolo molto spedito: 238 Sposizione del metodo delle equipollenze essendo CD:£ì:BG£i: — GB pei canoni i.° e fondamentale {$$. IO, i8) si ha AB.AD£ì:(AC-t-CB)(AC — CB)£i= =C1:(AG)» — (CB)% ossia AB . AD -i- (GB)^ — ( A C)" ^ e. Il teorema così generale pi-esenta poca utilità; vediamone qualche a6. Gorollario i". Se aincGB = a ine AC ± 180% i due primi termini dell'equipollenza trinomia (CB)''-ì-AG.CA-h -i- AB. AD zCì: o avranno la stessa inclinazione e quindi pel 3.° canone sarà gr ( AB . AD) = gr ( AG . C A) -t- gr (CB)% ed inoltre ine B A -+- ine A D = a . ine C B = a . ine D B ; quest'ultima relazione applicata all'equipollenza BA-f-DB-i- -H A D :£b o dà mediante il 4-° canone gr A B = gr A D. Ora la condizione ine GB — ine A G = ±: go" significa che l'angolo A GB è retto; e le due equazioni relative alle gran- dezze danno il teorema Pitagorico ( AB)" = ( AG)^ -H (GB)^ 517. Gorollario a°. Se grGB:=gr AG, il 4-° canone ap- plicato all'equipollenza identica AG-<-BAH-GB:£bo, dà ine A G -t- ine G B = a ine B A = a . ine A B, ed applicato alla nostra equipollenza trinomia (GB)*-4- AB.AD -f- AG . G A:£bo dà a . ine G B -H ine A G -+- ine G A = a ( ine A B -+- ine A D ) . Prendendo la metà di questa equazione e sottraendovi la pre- cedente si ha J ine G A — J ine A G = ine AD — ine AB; il primo membro è (5- i5 (1)) =90"; perciò: Se gr G A = gr G B = gr G D, r angolo BAD inscritto in mezza circonferenza è retto. a8. Può sembrare che mi arresti su cose ben facili e no- tissime ; per usare di un metodo bisogna renderselo abituale , prego dunque il Lettore di volermi seguire in alcuni altri po- chi teoremi, e notare ogni passo tanto pazientemente da poter poi rifare di per sé la via percorsa; in tal maniera verrà in possesso del metodo, e tutto poi gli riuscirà facile. Spero che non dispiaccia vedere come si trovino teoremi speciali partendo da quello del §. a4 e con pochissime considerazioni geometri- che, le quali inoltre occorrono quasi unicamente per tradurre nel comune linguaggio le condizioni relative ad angoli, che sono d'altronde benissimo espresse dalle relazioni tra le inclinazioni. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis aSg ag. La formula bd -+- {b -i- i -¥• d) i z= (b -^ i) {i •+■ d) e' insegna che per quattro punti in linea retta si ha AB.lD-(-AD.Bl£:bAI.BD, il che può verificarsi come dicemmo ai 55. 1 1 , a5 ; perciò { §. 2,4 ) • Teorema. Per ogni quadrilatero ABID ( Fig. 6.*) ha luogo l' equipollenza AB.ID-f-AD.Bl-t-AI.DB :0= o ; cioè può costruirsi un triangolo i cui lati sieno rispettivamente proporzionali alle gran- dezze di quei prodotti, ed abbiano le inclinazioni eguali alle inclinazioni dei prodotti stessi; abbiamo già detto (5- 16) che ine (AB. ID) = ine AB -*- ine ID, ecc. 3o. Anche questa volta discenderemo a casi particolari supponendo che il triangolo menzionato nel teorema divenga una linea retta, oppure un triangolo o rettangolo, od isoscele, od equilatero. CoroU. 1°. Se ine ( AB . ID) = ine ( AD. BI) il 3.» canone dà gr ( AB . ID ) -f- gr ( AD. BI) = gr ( AI . DB). Ora (§. i5) ine AD — ine AB = ang. BAD, incIB — ine ID = ang. DIB, perciò ( §§. i5, 16) la predetta condizione è identica alla ang. BAD -H ang. DIB= 180° ed abbiamo il teorema Tolemaico. Nel quadrilatero in cui gli an- goli opposti sono supplementari il prodotto delle diagonali egua- glia la somma dei due prodotti dei lati opposti. '^^*t(>^ -f^* 3i. CoroU. 2°. Se invece sia > 01 t 1 1 :t (•i^r.riii.ìt; ;' ine (AB.ID) — ine (AD.BI) = =t:9o"',- ossia ang. BAD -f- -t- ang. D I B = ;±r go° ± 180° il triangolo espresso dall' equi- pollenza trinomia ( §. ag ) è rettangolo e perciò il teorema Pi- tagorico ( ^. aò ) ri dà : ^e due angoli opposti di un quadrila- tero sommano uno o tre retti, il quadrato del prodotto delle due diagonali uguaglia la somma dei quadrati dei prodotti dei lati opposti. Sa. CoroU. 3". Il triangolo rappresentato dall' equipollenza (§.29) è isoscele quando gr(AB.ID) = gr(AD.BI); aUora il 4-" canone ( §. a3 ) dà la condizione inc(AB.ID) -Hinc (AD.BI) = 2.inc(AI.DB), la quale in differenti maniere si riduce ad una relazione di angoli (§. i5). Sviluppandola sotto la forma ine AI — incAB-f- a4o Sposizione del metodo delle equipollenze H- ine B D — ine B I -H ine I A — ine I D -i- ine D B — ine D A = 1 80° si ha il teorema: Se il prodotto di due lati opposti AB, ID eguaglia il prodotto degli altri due BI, DA, la somma degli angoli alternati BAI, IBD, DIA, ADB compresi tra le diagonali e i lati è uguale a due retti. 33. Coroll. ^°. Il triangolo dell' equipollenza trinomia ( 5- ag ) sarà equilatero se avrà due angoli = 60°, cioè se abbiano luogo due delle equazioni ine AD — ine A B -t- ino I B — ine I D = rt 60° ine AI — ine A B -+- ine DB — ine D I ^ z;r 60° ine AD — ine A I -1- ine B I — ine B D = :^r 60°. Ed anche qui se vogliamo ridursi a relazioni fra gli angoli , bisogna porre attenzione ai loro segni ; avvertenza che non sarebbe necessaria se ci limitassimo alle precedenti relazioni. Supposto che il quadrilatero sia della forma ordinaria ad an- goli salienti, abbiamo il teorema : Se due angoli opposti di un quadrilatero ABID hanno la somma di 60°, e se questa è pure la differenza di una delle quattro paja di angoli BAI, B D I ; DBA, DIAj lAD, IBD; ADB, AIB, il prodotto delle dia- gonali è uguale a ciascuno dei prodotti dei lati opposti. 34. Coroll. 5°. Se alle condizioni del precedente corollario si aggiunga che i tre punti B, I, D sieno in linea retta, sic- ché sia gr BI -j- gr ID = gr BD, le relazioni 2,^ e 3* date al 5- 33 diventeranno ine AI — ine A B = ^: 60°, incAD — incAI rrizfi 60°; perciò: Se le tre rette AB, AI, AD formanti tra loro angoli di 60° si taglino con una retta qua- lunque BID sarà gr ( AB . ID) = gr ( AD. BI) = gr ( AI. DB).* E siccome j^^D è media aritmetica tra ID e BI, così a. AI è quella lunghezza, che dicesi media armonica tra le due AB, AD. 35. Ad ultimo esempio del §. a4 daremo un teorema che comprende quello del 5- 2'5. Per quattro punti di una retta, e quindi anche di un piano si ha AB.AD-hBC.CD=2: :£2=AC(AB-i-CD), come è facile verificare nel solito modo (5. II). Conducendo la retta BLrfIbCD (Fig. 6.^) ne viene pel i.° canone AB-t-CD£^AB-t-BL£i:AL; perciò: Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 2.1^1 Teorema: Se BL è equipollente a CD ha luogo l'equipollenza AB.AD-f-BC.CD-HAC.LA^o. 36. CoroU. i". Se ino (BC . C D) = ine ( A C . L A), il 3." canone dà gr ( A B . A D ) = gr ( B C . C D ) -+- gr ( A G . L A ) , ed inoltre ine ( AB . A D) = 180° -H ine (BG . CD), ossia ine B A -I- ine A D = ine B C n- ine C D . Limitiamoei al caso particolare ( Fig. 7") che BCD sia una linea retta, e che perciò ine BC = ine CD = ine BD, la predetta incBA-f- -+- ine AD = a . ine BD darà pel 4° canone grAB = grADj similmente la ine A C-f-incL A = ineB C-4-ineGD = i . ineCL darà gr A C = gr A L ; ([uindi : Se il punto L della base del triangolo A C B abbia la distanza dal vertice A L = A C sarà (AB)^ = BG.BL-t-(AC)' = {AC)^-+-(BG)^ — BG.CL. 37. Abbiamo voluto ricavare ogni conseguenza dai soli principi del metodo delle equipollenze; del resto sarebbe stato facile scorgere che l'ipotesi (5- 36) di 2 . incB G = incB A -t- ■+- ine A D = ine A G -+- ine L A * porta la conseguenza che i due triangoli A B D, A C L sieno isosceli ; lo si vede tosto sup- ponendo che sia ine BC = o, cioè che siasi presa la BC per origine (5- i3 ) delle inclinazioni, sicché le BA, AD (e così pure le AC, LA) abbiano inclinazioni eguali ma di opposto segno. 38. Tornando al teorema generale ( Fig. 6^ ) si eostruisca (S. 16) AI z£^ AB. AD: AL, e l'equipollenza del $. 35 divisa per AL prenderà la forma AI-hBG.GD:AL — AC:£ho, oppure pel i ." canone CI=£Ì=CB.CD:AL:£i:GB.BL:AL. Le precedenti equipollenze AI:ABrCbAD:AL, CI:LB:ChGB:LA esprimono che se il triangolo lAD è simile-dritto al triangolo BAL, questo è esso pure simile-dritto ad IBC. — Nel metodo delle equipollenze bisogna distinguere le figure simili-dritte dalle simili-rovescie; le prime sono quelle che senza rovesciarsi ( §. 23), e soltanto muovendosi nel pro- prio piano, possono ridursi omotetiche, cioè coi lati omologhi paralleli. Neil' indicare le figure simili avremo sempre 1' av- vertenza di prendere le lettere in egual ordine, sicché dicendo che lAD è simile a BAL si accenna che il vertice I è omologo Tomo XXV. P." IL'' Ff 24a Sposizione del metodo delle equipollenze a B, A omologo ad A, e D omologo ad L. — Le medesime equipollenze A I : A D r£^ A B : A L, CI : LD =£^ CD : L A mostrano che sono nello stesso tempo simili- dritti gli altri tre triangoli lAB, DAL, IDC. — La dipendenza fra queste si- militudini potrebbe anche dimostrarsi colle ordinarie conside- razioni della Geometria elementare, così il metodo delle equi- pollenze indica anche la via per dimostrare mediante la comune sintesi geometrica i teoremi col suo mezzo trovati. — Suppo- nendo che BCD sia una linea retta, oppure un triangolo o rettangolo, od isoscele, od equilatero, potrebbero per tal maniera dimostrarsi anche i corollarj dei 55- ^o, 3i, 3a, 33. 3g. Per ogni quadrilatero ABCD, non parallelogrammo, esiste quindi un punto I degno d' osservazione, che è il vertice comune dei triangoli simili-dritti ADI, BCI, oppure ABI, DCI, che hanno per basi due lati opposti del quadrilatero. — Potremo immaginare che AD, BC sieno due rette corrispondenti di due figure simili-dritte, ed I sarà quell' unico punto delle medesime che corrisponde a sé stesso. Così proponiamoci il 4o. Problema. Trovare il vertice comune di due triangoli simili-dritti di date basì. La similitudine dei triangoli ADI, BGI ( Fig. 6*) è pienamente espressa ( §. i6) dall' equipollenza AD:BC:^AI:BI, la quale ci servirà a determinare il punto incognito I ; esso entra in due rette, ma le ridurremo ad una sola, ricordando che pel i." canone si ha BI£^AI — AB; dopo ciò la equipollenza si risolverà ( §. i8 ) rispetto all' inco- gnita AI, e darà BG . AI ^iì; AD. AI — AD. AB, AI=£bAD.AB: {AD — BG). Per costruire la AD— BG si tiri (§.5) DL£iCB, sicché AD — BG:i:ì=AD-HDLr£i:AL; poscia la Al£IbAD.AB:AL darà (i6) la grandezza e l'in- clinazione della AI. È palese che tutto si riduce a costruire il triangolo ABI simile-dritto ad ALD. 4i. Onde abituarci all' algoritmo del metodo, e scorgere le risorse, che presentano i suoi pochi canoni, ci bisogna va- riare la natura delle questioni. Cerchiamo con quale relazione una retta qualunque DCE (Fig. 8^) tagli i lati di un triangolo Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a43 ABF. La condizione che il punto E si trova sulla retta AB è espressa (5- 4) ^^ AE^flhz.AB, essendo z un coefficiente numerico. Così pure abbiamo BCiflbjr.BF, AD£i:j.AF; finalmente per esprimere la condizione che DGE sia una retta, cioè che DG abbia la stessa inclinazione di DE porremo /TZ.DE^CbDG. Sostituendovi le precedenti equipollenze ed adoperando il i.° canone si eliminano i punti D, C, E e si ot- tiene r equipollenza m [z . kY> — j.AF)£l:AG — ADzQr :flb AB -(- a; . BF — j.AF. Per poter adoperare il %.° canone ridurremo tutti i termini a contenere le sole rette non paral- lele AB, AF, ed avremo m[z. kV> — y . kY)-£^[x — _y)AF-t-(i — a:)AB; e quindi ( §. 19 ) sarà mz=^\ — x, my=:y — x. Finalmente eliminando m otterremo la cercata relazione yz — xz — y -H xj =: o, che avrebbe avuta forma più sim- metrica se più opportunamente si fossero scelte le prime posi- zioni. Essa può scriversi zx {y — i) = (z — i) (.r — i) y •> e ci dà la nota irn?oluzione AE.BG.FDi£ì:BE.FG.AD; nella quale posi il segno z£^ in luogo di :=, perchè essa sussiste non solamente xùspetto alle grandezze, ma ancora rispetto alle inclinazioni. 42. Facciamo una breve digressione. Le relazioni trovate tra TO, X, /, X potrebbero servire a dimostrare che insieme colla precedente involuzione sussistono pure le altre tre AF.DG.EBr£bDF.EG.AB, BF . CD. E A £:= CF.ED.B A, FA.DE.CB£Ì:DA.CE.FB, il che è notissimo nella Geo- metria superiore, e risulta dalla considerazione degli altre tre triangoli ADE, BGE, FDC ognuno tagliato da una retta. — Anche per sei punti di una retta se ha luogo una delle quat- tro precedenti equipollenze hanno luogo necessariamente le altre tre; perciò mediante il teorema generale del 5- ^4 la stessa cosa sussisterà per sei punti di un piano. Ponendo mente al significato delle equipollenze ( §. 16) questo teorema può esporsi cosi: Se AEBGFD sia un esagono, di cui tre angoli alternativi sommino insieme quattro retti, ed il prodotto di tre ^44 Sposizione del metodo delle equipollenze lati alternativi sìa uguale al prodotto degli altri tre, godranno delle stesse proprietà i tre esagoni AFDCEB, BFCDEA, F A D E C B, che hanno gli stessi vertici opposti del primo, ma presi con ordine differente. — Anche rispetto a questi esagoni esiste un punto I , pel quale hanno luogo le equipollenze IA.IC£ì:IB.ID:£^IE.IF; su di che torneremo in altro momento. 43. Diamo un secondo esempio del modo di esprimere la condizione dei punti in linea retta, col mezzo dei coefficienti numerici. Vogliasi dimostrare il teorema del Désargues che : Se i vertici di due triangoli ABC ( Fig. 9^" ) A' B' C sono in linea retta col punto fisso S i punti di concorso T, U, V dei loro lati corrispondenti sono essi pure in linea retta. Le date condizioni sono espresse da SA'dlìza.SA, SB r^hZ'.SB, SC':£^c.SC, essendo o, b, e tre coefficienti numerici in- determinati. Così pure la condizione che V appartenga alla retta AB è espressa da AY zCtz n. AB, oppure riducendo tutto alle SA, SB, SC, da SYdihSA-h n.AB zO^ [i—ji) SA -1- Ji.SB. Similmente V dovendo appartenere anche alla retta A'B', si avrà SYzC^{i —?n) SA' -hjn.SB' ^^ a {i —7n) SA -i-bm.SB. Paragonando le due espressioni di SV il 2.." canone dà I — H = (2 ( I — ??2 ) , n = b m; trattone il valore di m sarà S V £:ii ^-^ S A' -(- ^-^ S B'. Precisamente nello stesso modo a — 0 a — o troveremo ST£i:iJ=f SB'-t- f-^^SC, SU:£hi^=^SC'-t- ^=^SA'. b — e b — e e — a e — a Dalle quali si deduce (a — b)SY=^ (i-M(c-«)SXj_^(''-')(^-OST, ossia * / e— I I— e ■^ (a—b—ac-hbc) SV ■+■ {c—a-hab—bc)S\]-i- (b—c-i-ac—ab) S T i£l: e, e ricordando che TV£^SV — ST, TUz£^SU — ST vedremo che {a — b — ac-i-bc) T V -4- (e — a-4-ab — bc) T U rCb o , cioè (§. 4) TV ha la stessa inclinazione di TU, ossia TUV è una linea retta. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a.^5 44- Si ponga attenzione ( perchè torneianno frequenti le occasioni di farne uso ) — al modo di riferire ad un punto S ciaschedun punto V di una retta AB mediante 1' ecjuipoUenza SV=Cb(i — «)SA-+-«.SB, essendo n un coefficiente in- determinato; — ed alla conseguenza (dipendente da identica formula) che se r.SY-i-q.S\J-hp.ST!d2zo, e sia r -i- q -h p = o, i tre punti V, U, T sono in linea retta; per- chè ne risulta r.TV-i-f/.TU^ìio. — I calcoli dei coef- ficienti numerici potranno talvolta riuscire alquanto prolissi, particolarmente se essi si scelgano poco opportunamente ; per altro non s' incontrerà alcuna difficoltà e si giungerà sempre direttamente allo scopo. 45. Per compiere la sposizione del metodo delle equipol- lenze mi resta da spiegare altri due artificj o segnature. — Vedemmo al ^. ^o quanta utilità si abbia ad esprimere con una sola equipollenza la similitudine di due triangoli, la quale consiste nella proporzionalità di due lati e nell' eguaglianza degli angoli compresi: una tal cosa non sarebbe stata possibile se i due angoli fossero stati 1' uno positivo e 1' altro negativo, cioè se le figure fossero state simili-rovescie. — Ecco il modo con cui potremo estendere le nostre considerazioni da una fi- gura ad una sua eguale-rovescia. Una retta che abbia la stessa lunghezza di una retta data, e la stessa inclinazione ma di se- gno opposto (5- i4)' ^'^ diremo la sua conj agata, e la segne- remo colla caratteristica cj . Cosi nella figura 4-^ la retta A' B' eguale alla AB, e colla inclinazione negativa di ugual valore deir inclinazione positiva della AB la diremo la sua conjugata, e scriveremo A'B'd2:cjAB, ed anche cj A'B' £2= AB. Possiamo supporre che la A'B' sia la AB che abbia girato in- torno ad vuia parallela alla OH origine delle inclinazioni fino a compiere mezza rotazione, e tornare nel piano della figura. 4^- Supponendo che tal mezza rotazione si eseguisca da tutta una figura, si ottiene palesemente una figura eguale alla primitiva, e che per conseguenza ne ha le stesse proprietà; dunque : a46 Sposizione del metodo delle equipolijinze 5.° Canone. Insieme con una equipollenza sussiste sempre la sua conjugata , che sì ottiene sostituendo ad ogni retta la sua conjugata. 47. Un esempio rischiarerà 1' uso di questo canone. Pro- blema. Trovare il vertice comune di due triangoli simìli-rovesci, dei quali sono date le basì AD, BC ( P'ig. io"). La simiglianza di due triangoli ADX, BGX è compresa nelle due eguaglianze gr(AX:AD) = gr(BX:BC), ang. D AX = — ang. CBX; dove ad uno degli angoli si diede il segno — , perchè i due angoli sono presi in versi opposti. Se ai lati di uno degli an- goli sostituiamo i loro conjugati quell'angolo cangia segno, per- ciò avremo (5- i5) incAX — ine AD = inc.cj BX — inc.cjBG. In tal modo ambedue le eguaglianze saranno comprese nella equipollenza AXiADrfIbcj BX: cj BC. Sviluppandola rispetto al punto ignoto X si ha ( §. 10) cj BC.AXri^r AD.cj AX — AD.cj AB. Pel 5.° canone sussisterà insieme con essa 1' altra equipollenza BC.cjAXr£hcjAD.AX — cjAD.AB; tra queste due equipollenze potremo (5- 18) eliminare cj AX, e ci resterà per determinare AX la (AD.cjAD — BC.cjBC)AXi£l:AD(AB.cjAD-t-BG.cjAB). Essendo in nostro arbitrio la scelta della origine delle inclina- zioni (5- i3) potremo profittarne a semplificare la costruzione; sia essa la AB, perlochè sia A B =0= cj A B ; avremo (AD.cjAD — BG.cjBC)AX=£^AB.AD(cjAD-HBC). Costruiamo successivamente le AEr£bcjAD, EF£Ib:BG, GE£:bBC.cjBG: ADr£^EF.cjEF:cj AE, sarà AX:AB:£ìz{cjAD-t-BG):(cjAD — GE)£:^AF:AG. Tutto ciò esprime la seguente soluzione del problema : Si tiri la A E eguale alla AD, ed ugualmente inclinata alla AB, ma dall'altra parte, cioè sia ang. D AB = ang. B AE; la EF sia equipollente alla BC; si formi il triangolo FEG simile-ro- vescio ad A E F ( perchè si ha E G : E F rCh cj E F : cj E A ) j finalmente si costruisca ABX simile dritto ad AGF. Memoria del Prof. Giusto Bella vitis "^7 48. In molte occasioni (5- 4'? 4'^) tornano opportuni dei coefficienti numerici i quali servono ad accrescere o dirainuii'e le luiichezze delle rette conservandone la stessa inclinazione : saranno egualmente comodi dei coefficienti che accrescano o diminuiscano l'inclinazione delle rette, cui sono applicati, senza mutarne la lunghezza. Il segno y*^, od in mancanza di segno apposito la lettera r, indicherà un accrescimento d'inclinazione di un angolo retto (s'intenda sempre nel verso HMI (Fig. 4") in cui si prendono le inclinazioni positive^), sicché se OH, 01 sieno eguali e perpendicolari si scriverà 01 :flb ■j/'.OH. Il coefficiente '/'"■ servirà ad accrescere l'inclinazione di una retta di u angoli retti, essendo u un numero intero o frazionario. Perlochè il coefficiente ■)/''* non produrrebbe alcun effetto, os- sia possiamo scrivere ■y^'* £^ i ; y*^"* volge la direzione della retta, cui è unito, in verso opposto; per esempio y^^OMzflbOL; ossia y*^"dZh — I. Così ~/^ rappresenta ciò che in Algebra si segna con \/— • ? ^ dicesi radice di meno uno ; al segno y^ daremo per sincope il nome di ranmno. Il più spesso invece di ■)/'" scriveremo f", nel qual caso deve intendersi che «, anziché esser riferito all' angolo retto come unità, sia la lun- ghezza del corrispondente arco di raggio uno. Gli Analisti ve- dranno che e corrisponde perciò al loro e ^~'. 49- Come un numero, anziché porsi a coefficiente di una retta, può adoperarsi solo, ed allora esso indica una lunghezza parallela all'origine delle inclinazioni; cosi pure il ranmno elevato a potenza può adoperarsi solo ad indicare una lunghezza eguale all'unità ed avente l'inclinazione espressa dal suo espo- nente. Ne viene che zy^'' indica una retta, che equivale a z volte r unità di lunghezza, e che ha 1' inclinazione di u retti sopra r origine delle inclinazioni. 5o. A compimento di questa sposizione dei principj del metodo delle equipollenze aggiungeremo i seguenti canoni re- lativi al ramuno ed alle rette conjugate, i quali sono imme- diate conseguenze delle definizioni. — Quando occorra di mol- tiplicare y^" per y*"" si otterrà y^"-^", perchè nel formare un a4S Sposizione del metodo delle equipollenze prodotto ( §. i6) le inclinazioni u^ v debbono sommarsi. Dal prodotto di -y^ per y^ si avrà ■)/^% ossia il coefficiente — i . Dividendo l'unità per -j/^ si lia — y^^ ecc., dunque 6.° Canone. Il ramuno si calcola precisamente come nell'Al- gebra si calcola V immaginario \/ — i . 5i. 7.° Canone. Per formare la conjugata (5-4^) di qual- che espressione contenente il ramuno bisogna mutare il segno ad ogni esponente di y^. — Cosi la conjugata di y^". AB è y— ". cj AB; qi^Ua di ^y" è zy—""; quella di y è 5a. 8.° Canone. Il prodotto di due rette, o più general- mente, di due espressioni tra loro conjugate, ha V inclinazione nulla, e la grandezza eguale al quadrato della grandezza di ciascuna delle due rette od espressioni. Infatti le due espressioni cpnjugate banno eguali grandezze ed inclinazioni uguali ma di opposto segno, e nel fare il prodotto le grandezze si moltipli- cano (5- 16 ) e le inclinazioni si sommano. Così AB .cj AB :£b (gr AB)^; similmente zy^" z£^ a-^ h-y^ mol- tiplicata per la sua conjugata z-/'~"-:£^a — b-/^ dà 2^ = a^ -1- Z'% che esprime il teorema Pitagorico. 53. 9.° Canone. Una retta divisa per la sua conjugata è equipollente al ramuno elevato ad una potenza eguale al dop- pio deir inclinazione della retta. Cioè zy^": z-j/'— " zCb y^'". 54. IO." Canone. La composta- equipollente di una retta e della sua conjugata ha V inclinazione nulla, ed uguaglia il doppio della projezione della retta suW origine delle inclinazioni; ossia il doppio prodotto della grandezza della retta pel coseno della sua inclinazione. Infatti se (Fig. 11^) OQ^^hOM-i-cj OM pel 5.° canone sarà anche cj O Q £^ cj 0 M -4- 0 M =£i= O Q , perciò OQ essendo equipollente alla propria conjugata ha in- clinazione nulla: poscia se OP abbia inclinazione nulla e PM abbia l' inclinazione di un retto sarà cj 0 P =0; 0 P ; cjPM£^PM':£h — PM, eie OM :£ìi OP -f- PM, cjOM£^OP — PM daranno OM H- cj OM =£^ a .OR 5 ■ •> I Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a49 55. Se vorremo determinare la projezione della AC sulla AB ( Fig. la*) osserveremo che la AC (eguale alla AG e for- mante colla AB l'angolo BAC eguale ma di opposto segno di BAC) è data da AC £:^ cj AC . AB : cj AB, giacché questa equipollenza equivale a grAC = grAC, e ine A C = ine . cj A C -i- ine AB — ino . cj A B = = — ine A C -H ine A B -+- ine A B = a . ine AB — ine AC. Si ha perciò aAP=^AC-+-AC=£^AC-HcjAC.AB:cjAB. 56. II." Canone. La composta- equipollente di una retta e della sua conjugata presa col segno meno ha V inclinazione di un retto, ed uguaglia il doppio della projezione della retta so- pra un' altra, che abbia l'inclinazione di un retto; ossia il doppio prodotto della grandezza della retta pel seno della sua inclinazione. Intatti nella Fig. ii* è palese che M'M=£1:0M — cj OM =£^a.PM. — Nella Fig. la^ avremo a.PC^^AC — AC=£^AC — cjAC.AB:cjAB. 57. Moltiplicando (Fig. la*) grPC per grAB si ottiene un numero, che, riferito alla nota unità delle aree, esprime l'area del parallelogrammo ABDCj perciò a.PC.cjAB^l: :£b A C . cj A B — cj A C . A B ha una grandezza doppia del detto parallelogrammo, e siccome i due termini AC.cj AB, cj AC. AB sono tra loro conjugati, così, per togliere l'incli- nazione di un retto, che spetta (5. 56) alla loro differenza, divideremo per ramuno, ed avremo area ABDCi£^^(AC.cjAB — AB.cjAC)^^ £:^^(AB.cj AC — cj AB.AC). Quindi: ia.° Canone. L' area d'un triangolo ABC è espressa da ^ ( A B . cj A C — cj x\ B . A C ) , od anche da ^ (AB.cj BC — cj AB. BG); giacché col i." canone si dimostra 1' identità ABcjBG — cjAB.BC=^ £^ABcj(AC — AB) — (AC— AB)cjAB^AB.cjAC — AC.cjAB. Tomo XXV. P.'= //." )ijb 1 uii-jis y) i Gg a5o Sposizione del metodo delle equipollenze Si noti che, permutando tra loro le lettere B C, l'area del triangolo A C B si trova espressa da ^(AC.cj AB — cj ACAB), che nel caso della figura è un numero negativo ed uguale a — areaABG: questo anziché difetto del metodo ne è grande vantaggio per ischivare gli er- rori, a cui si può andar incontro nella somma delle aree quando non si considerino attentamente le differenti disposizioni che possono prendere le parti di una figura. — Facilmente si di- mostra che sono identiche anche nel segno le aree ABC, BCA, CAB. 58. Facciamo due applicazioni di questo ultimo canone del metodo delle equipollenze. Se sopra un lato di un trian- golo ABC (Fig. i3^) sia descritto un parallelogrammo AB FÉ, poscia sieno pur descritti col lato C G £i: A E i due paralle- logrammi ACCE, BFGC, sarà ABFE£:ìzi^(AB.cjAE — AE.cjAB), ACGEi£:=^(AC.cjAE — AE.cjAC), BFGC£^^(AE.cj BG — BG.cj AE), avendo posto A E in luogo di BF£:bGG:£i:AE. Rammentando che BGiQzAC — AB, cj BCrOiCj AG — cj AB, quelle tre equipollenze danno ABFE = ACGE-i-BFGG. — Ai parallelogrammi AGGE, BFGC possono sostituirsi gli altri due compresi tra le stesse parallele ACLM, BNPC. (Infatti essendo AEr£:hAM-t-MEd2=AM-i-re.AC si ha AG.cjAE — AE.cjAG£iiAG.cjAM — AM.cjAG). Per- ciò la somma delle aree dei parallelogrammi ACLM, BNPC eguaglia quella di ABFE, che ha i due lati AE, BF equi- pollenti a GG. Questo è un teorema del Clairaut, il quale comprende come caso particolare la dimostrazione che Euclide dà nella sua 47-^ proposizione del teorema Pitagorico ; basta a tal uopo supporre che il triangolo A GB sia rettangolo in C, e che ACLM, BNPC sieno i due quadrati descritti sui cateti. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis aói Sg. All'espressione dell'area di un poligono può darsi me- diante i canoni ia.° e i." parecchie forme. Così pel quadrila- tero si ha A B C D = A B C -+- AC D ^ £^^(AB.cjAC — AC.cjAB-HAC.cjAD — AD.cjAC), e riducendo tutte le rette alle tre AB, AC, BD sparisce la AB e si ha AB CD r£^ ^ [ AB. cj AC — AC . cj AB -+- -+-AC(cjAB-t-cjBD) — cjAC (AB-hBD)]£1: :Cb-j-(AC.cjBD — cjAC.BD); perciò : Il quadrilatero A B C D equivale al triangolo die ha due lati equipollenti alle sue diagonali AC, BD. 60. Pel pentagono ABCDE (e dicasi lo stesso per ogni altro poligono) esprimendo ( §. io) ogni diagonale col mezzo dei lati si trova AB.cjBC-t-AC.cjCD-i-AD.cjDE£i: £iiAB.cjBC-t-AB.cjCD-f-AB.cjDE-HBC.cjCD-+- -4-BC.cjDE-f-CD.cjDE; dopo di ciò il la." canone ci mostrerà che : U area ABCDE è la somma di tutti i trian- goli, che hanno due lati equipollenti a ciascun ambo formato coi lati AB, BC, CD, DE del poligono ommesso il lato E A. II. Applicazioni del metodo delle equipollenze ALLE soluzioni GRAFICHE DI ALCUNI PROBLEMI. 61. Si volga l'attenzione ai tredici canoni compreso il fondamentale (§. io. 18. 19. 20. 2,3. \(ì. 5o 67.) ed al modo con cui (5-44) abbiamo espressa la condizione che tre punti sieno in linea retta, e spero si scorgerà che tutto è fa- cile conseguenza dei pochi principii del metodo delle equipol- lenze. Questo comprende tutte le proposizioni della Geometria piana; per isvilupparle è sufficiente il calcolo senza bisogno di alcuna considerazione geometrica: la stessa cosa potrebbe dirsi del metodo delle coordinate ; ma questo si serve di mezzi più artificiali; invece il metodo delle equipollenze individua ciascuna fi5a Sposizione del metodo delle equipollenze retta mediante la sua grandezza e la sua inclinazione : per determinare un punto sono necessarie due coordinate, e basta invece una sola equipollenza. — Una delle conseguenze di queste essenziali diversità tra i due metodi si è che le soluzioni gra- fiche dei problemi trovate col metodo delle coordinate sono talvolta molto lunghe; quelle offerte dalle equipollenze gareg- giano in semplicità ed eleganza con quelle discoperte per le vie indirette della sintesi geometrica. 6a. Tracciamo la via da seguirsi per trovare la soluzione grafica di un problema, il che sarà reso più chiaro da alcuni esempii. — Tutte le condizioni del problema si esprimano me- diante equipollenze tra le parti note e le ignote della figura , cercando di ridurre le seconde al minor numero possibile. Se possa ottenersi una equipollenza con un solo punto incognito, essa si risolverà alla maniera delle equazioni, e secondo le sta- bilite definizioni (5- 6, i6, 17) si costruirà la formula di ri- soluzione. Di ciò abbiamo dati due esempii ai §§. ^c, 47- 63. Non sempre le condizioni saranno riducibili a tanta semplicità; nelle loro espressioni entreranno spesso dei coeffi- cienti ignoti, o degli angoli pure incogniti indicati dal ramuno elevato ad esponente ignoto. In tali casi bisognei'à ricorrere air eliminazione ; e tutti sanno quanta parte abbia 1' ingegno del calcolatoi'e nel renderne meno complicati i risultamenti. — Giova osservare che un' equipollenza è sufficiente a deter- minare due incognite sieno poi desse grandezze od inclinazioni; adoperando la sua conjugata (5-46) si potrebbe eliminare una delle incognite, ma non di rado ciò potrà risparmiarsi, come ora accenneremo in generale, riservandosi di meglio spiegarlo cogli esempii. i -itat 64- Sieno 2, y due grandezze, ed u, v due inclinazioni incognite. Se 1' equipollenza finale sia della fiDrma z£". AB^^^CD (5- 48)5 dove AB, CD sono rette che si sanno costruire ; si avrà z.e": d2zCD: AB, che rispetto alle assunte unità di lunghezza ed orÌ£;ine delle inclinazioni ci darà i valori numerici di s e di u. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a53 65. L' equipollenza finale abbia invece la forma z.AB-f-y.CD=£ì:OU; paragonandola termine per termine colla identica OV-<-VU£l:OU si vede die se sulla data retta OU si costruisca un triangolo, di cui un lato OV abbia la stessa inclinazione della retta AB, e l'altro VU la stessa in- clinazione della CD, saranno z, y i rapporti numerici OV.AB, V U : C D, e perciò ambedue resteranno determinati. 66. Similmente l' equipollenza £". AB -i- y. CD dlhOV si risolverà tirando la U V parallela alla CD, e tagliandola col centro O ed un raggio eguale ad AB, sicché il lato OV del triangolo OVU sarà eguale ad AB, e le due incognite saranno determinate da £"=CbOV:AB, j£:^VU:CD. 67. Che se finalmente abbiasi 1' equipollenza £". A B H- e". C D zCb O U, paragonandola sempre colla OV-t-VU£^OU, si costruirà sulla OU un triangolo coi lati OV, VU rispettivamente eguali alle AB, CD, e si avrà £"=£:bOV:AB, £"£ìiVU:CD. 68. Ci avverrà frequenti volte di ridurci ad un' equipollenza con una sola inclinazione incognita f ". A B -i- £— ". C D i£Ib O U ; invece di risolverla alla maniera delle equazioni del secondo grado ci riuscirà comodo trattarla come quella del §. prece- dente, considerando f", f~" come fossero due incognite distinte. 69. Problema. Costruire un triangolo CBX ( Fig. 14^) co- noscendone la base CB, un angolo adjacente CBD, ed una relazione del i.° grado BX = a-l-7?z.CX tra le lunghezze dei due lati CX, BX. — Giacché nella condizione del problema entra la grandezza della retta incognita CX sarà opportuno porre CX=£h3f"; perlochè quella condizione sarà grBX = fi-t-m2. La direzione di questa BX è conosciuta, quindi prendendo BD eguale all'unità di lunghezza avremo BX£ìi(aH-7723)BD. Cosi noi abbiamo due equipollenze, il che è appunto quanto occorre per determinare il punto X e le due incognite z, u. Mediante il i." canone si elimina tosto il punto X e si ha r equipollenza CX — CBi£i:s£" — CB=Cb(a-HTO2)BD; essa è essenzialmente di forma trinomia, giacche i due termini 2-54 Sposizione del metodo delle equipollenze cogniti possono riunirsi insieme, e divisa per z prende la forma accennata al §. 66 £" ^ (GB -+- a. BD) :^ /?z . BD, perciò il problema si risolverà mediante facile costruzione d' un trian- golo. Determinate le BArilba.BD, BUiCb/n.BD, l'equi- pollenza diverrà £" ^GArilbBU, che paragonata termine per termine coli' identica BV — UV£1:BU insegna di tirare la UV parallela alla CA e tagliarla in V col circolo di centro B e di raggio BD; la CX parallela alla BV soddisfarà alla data condizione BX = BA-t-7«.GX, ossia A X = /« . G X . Questa costruzione potrebbe alcun poco abbreviarsi. 70. Problema. Due punti mobìli partendo contemporanea- mente da A, B ( Fig. iS" ) percorrono colle velocità AG, BD le rette AX, BY; si dimanda dove avrà luogo il loro massimo avvicinamento XY. Dopo il tempo t i punti si troveranno in X, Y essendo AX=^;.AG, BY=£bt.BD; pel i." canone è XYrf^AB^-BY — AXr£^AB-HY(BD — AG); quindi tirata DE equipollente a GA sarà X Y rD= A B -i- £ . BE =Ch AT. Ora di tutti i punti della retta BE quello che è più vicino al punto A è il piede della perpendicolare AT; la cercata XY sarà quindi equipollente a questa AT, e la si costruirà tirando TY parallela alla AG. 71. Questa soluzione valerebbe eziandio se le rette AG, BD non fossero situate nello stesso piano, poiché i tre primi canoni sussistono anche per lo spazio. Del resto essa poteva facilmente trovarsi anche colla considerazione dei moti relativi, giacché ciò che nel metodo delle equipollenze diciamo compo- sizione delle rette ( 5. 5 ) corrisponde pienamente colla com- posizione dei movimenti. 72. Problema. Costruire un triangolo conoscendone due lati AB (Fig. 16") AG, e la retta AD, che divide per metà V an- golo da loro formato, e termina nel lato opposto. Prendendo la AD per origine delle inclinazioni (§. i3) chiamiamo u l'an- golo incognito GAD = DAB, sicché sia AB£:i=cf% kC^£^be—", essendo e, b le date lunghezze di quei lati. La condizione che Memoria del Prof. Giusto Bellavitis aSS CD, DB costituiscano una sola retta è espressa da CD£!b/?.DB, ossia AD — ^ £— " =£^ /> ( e £" — AD). Con questa equipollenza e colla sua coiijugata cj AD — Z» f " £^ j9 ( e £— " — cj AD), (nella quale osserveremo che la AD avendo 1' inclinazione nulla non differisce dalla propria conjugata ) elimineremo il coefficiente numerico p ed avremo b ce"— [h -t- e) e". A D -H (A D)^ zDzbce-'"'— {h ■+■ e) £-". AD -h (AD)". Questa equipollenza è del 4-° grado rispetto alla ignota £"; essa comprende le due soluzioni espresse da £" z£:l ziz i , per le quali il triangolo ridurrebbesi ad una sola retta. Dividendo adunque per £" — £— " si ottiene l' equipollenza trinomia cf" -f- c£— " :^ -^ AD, che paragonata (5-68) termine per termine colla AB-|-BU=C^AU mostra che si tratta di co- struire il triangolo AUB, di cui conosciamo il lato AU£^ -i^ AD, e le lunghezze e dei lati AB, B U, dei quali ignoriamo le inclinazioni u, — u. — Per determinare AU prenderemo sulla retta AKL le AK^Z», KL = c, sicché la LUi^AU — AL=£^*-^"(AD — AK)r£ìi^lf KD si tirerà parallela alla K D. — La AC eguale a Z» e parallela a B U compirà il cercato triangolo ABC. — Questa soluzione è più diretta di quella data dal Lamé nel suo pregevolissimo Examen des àifférentes méthodes employées pour résondre les prohlémes de Geometrìe. i8i8. pag. i5. 73. Sostituendo il trovato valore di £" -t- £— " £2= {h-\-c) AD: he nella somma della prima equipollenza e della sua conjugata si trova pz=zh:c\ quindi la retta, che divide per metà un an- golo del triangolo, taglia il lato opposto in segmenti proporzio- nali ai lati adjacenti. Questo teorema può aversi piìi spedita- mente nel seguente modo. La condizione che AD dimezzi l'angolo CAB è espressa da (§. 16) ( AD)" :£h /i. A B. AC, essendo n un altro coefficiente numerico, e la condizione che la D appartenga alla retta CB è espressa (5- 44) dall'equi- pollenza 7;. AB — (i-t-j!?)AD-HACd:i:0, quale risulta a56 Sposizione del metodo delle equipollenze (5- io) dalla CD£iij!7.DB. Eliminando la AD si ottiene n{ I -^pY AB . AC d^ p' {ABy -^- {ACy -^ ap . AB . AG, che si riduce tosto ad equazione trinomia e che pel 4-" canone dà p . gr A B = gì- A C . 74. Problema. Costruire un triangolo conoscendo le lunghezze di due lati, e le posizioni dei punti, che tagliano due lati in dati rapporti. Anche questo facile problema servirà a mostrare come senza bisogno di alcuna considerazione geometrica e sol- tanto ti'aducendo in equipollenze i dati del problema si giunga alla risoluzione. Segnati con b, f, g la lunghezza del lato A C e le due porzioni di AB, con u, v le inclinazioni di questi lati AC, ( Fig. 1 7"^ ) AB, e con ra il rapporto in cui l'altro lato BC dee rimanere tagliato dal dato punto D, si avranno le quattro equipollenze AC^Ibès", AF=£Ib/£", FB=£^ga", DC ZÌI: 772 , B D, che saranno sufficienti a determinare i tre punti ignoti A,^B, C e le due incUnazioni n, v. Quei punti facilmente si eliminano ( §. io), e si ottiene la b £" — fa'" — F D =C1= 77Z { F D — g £" ) 5 che ha subito la forma trinomia b e'^ -\- [m g — /) f" :£b { 772 -f- i ) F D. Paragonandola (§. 67) termine per termine colla VU H- F V iflb FU si vede che costruito sulla FU £^(772-1- i ) FD il triangolo FVU coi lati FV, VU rispettivamente uguali ad 772 g — /, ed a Z», essi risulteranno paralleli ai cercati AB, AC. 75. Problema. Costruire un triangolo AXY (Fig. io") si- mile ad uno dato e die abbia i vertici a date distanze dal punto 0. [Carnot, Géom. de Posit. §. SaS. Lamé, Exposit. p. 81. ). Accenno per esercizio i calcoli che ne danno la facile soluzione OX£l:ye", OY^Zbgf", A y =Ci= 72 e". A X dove il rapporto 72 e l'angolo a sono conosciuti. Ne viene gè" — OA£Ib zC^ne" {ft^ — OA), ossia gf" — Tz/e""*"" £1^ ( i — 72£") OA che si paragona colla OY — UY:£bOU, essendo AU £i:7Z£". AO. Questa AU si costruirà adunque formando il triangolo AOU simile a quello cui dev'essere simile AXY, poscia si farà gr 0 Y = g, gr U Y = nf-= 72 . gr 0 F = gr 0 N. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 207 76. Problema. Determinare il punto X, da cui sono veduti i lati del triangolo A B C ( Fig. 1 9* ) sotto dati angoli. Le con- dizioni del problema si esprimono con BX £1: je*^. AX, ex £1^ ze"^. AX, essendo 7, ^ i dati angoli AXB, CXA. Col solito i.° canone si hanno le AXif:i=AB-»-y£''.AX£l: £Ih AC -+- s£~"^. AX, ed eliminando AX, z £~^. AB — y£^. ACrChAB — ACrCbCB, che paragonata ( §. 65) colla VB — VC=£IbCB conduce a formare gli an- goli ABV, ACV eguali ai dati AXC, AXB; dopo di che sarà VB: AB ^^ ze~^ :£^CX: AX, sicché rimarrà da costruire il triangolo ACX simile-dritto ad AVB. 77. Questa soluzione affatto differente e più semplice di quella, che si otterrebbe mediante 1' intersezione dei due cir- coli ABX, ACX, mostra come anche in argomento affatto elementare lo studio delle equipollenze possa servire a scoprire alcun che di nuovo. — Per mostrare la fecondità del metodo cerchiamo un'altra soluzione. Sia AX dl^x e" (Fig. 20*), e dalle equipollenze xe" :0z AB -\- y xs""^^ ::£^ AC -h zxs" ~ ^ proponiamoci di eliminare x, y, z. La prima divisa per f"'*"''' poscia sottratta dalla sua conjugata dà X {e'' — s~^):C^e*'*'^.c']AB — £~"~'^.AB, similmente si trova X {e^ — e-^ ) ^ e-''-*-^ AG— 8""-^. e] AC; quindi [ey(/_£-^) cjAB-t-£-^(£''— £-'')cj AG] f"£^ £:^ [^-^(/ — f-l^) AB -*- £^ (£>' — £-'') AC] £-". Per costruire questa equipollenza gioverà dividerla per s^ — £" 5 e porre -3 —3 e^ ^. ACd2zEA, sicché essa £^ £ ^ si ridurrà a f"'*''' . cj EB =!:!= £~"~''. EB ; ora quando una espressione è equipollente alla propria conjugata ( §. 4-5 ) am- bedue hanno direzione nulla, perciò la EB ha l'inclinazione Tomo XXV. P.'^ II.'' Hh 258 Sposizione del metodo delle equipollenze «-Hy, ed è parallela alla BX ^C^y xe"'*'^. Coi principj della Trigonometria, che esporremo in seguito, si rende palese che il punto E si costruirà facendo 1' angolo E A G supplemento del dato CXB = (?-(- 7, poscia AGE = AXB = 7; dopo ciò la retta EB passerà pel cercato punto. Similmente se BAF è supplemento di CXB, ed ang . FB A = ang . CX A, la FG passerà per lo stesso X. — Può meritare attenzione la corris- pondenza tra le figure 6% 8% ig% 20% a cui si riferiscono i §5. 29, 35, 38 41, 76, 77. 78. Problema. Inscrivere in un circolo un poligono, i cui lati passino per punti dati od abbiano date lunghezze. — Po- chi problemi di Geometria elementare occuparono i Matematici quanto quello d' inscrivere in un circolo un poligono, i cui lati passino per punti dati. La seguente soluzione da me pub- blicata nel i835 è forse più semplice di quelle trovate colle indirette considerazioni sintetiche degli antichi Geometri. — Si voglia inscrivere un quadrilatero XYZW ( Fig. ai^), di cui tre lati XY, YZ, ZW passino rispettivamente pei dati punti A, B, G ed il quarto lato W X abbia lunghezza data. Sia O H il raggio d'inclinazione nulla, e pongasi O X i£b e''. O H , OY:£^£>'.OH, QZr^f^OH, OW£l:f".OH; la condizione che XAY sia una linea retta è espressa (5- 44) ^^ £''. O H — 0 A i£h 72 ( £>'. 0 H — 0 A ) ; fra essa e la sua con- jugata elimineremo ?i, ed avremo (£-. OH — OA) (£-^. OH — cj OA) i£i= (e— . OH — cj OA) (fi^.OH — OA). Questa equipollenza diviene identica (ed era facile prevederlo) quando y =: x , perciò essa può dividersi per s'' — e^, dopo di che dà la relazione tra x ed j (i) £^i£^(OA — £>-.0H): (OH — e^.cj OA). In egual modo le condizioni che i lati YZ, ZW passino pei punti B, G danno le relazioni (2) ey:^{OB — E\OE): (OH — f^cjOB), (3) £'^£1^(00- £".0H): (OH — £".cj OG). Finalmente chiamando d il dato arco W X sarà (4) £":£!:£ . So- stituendo le une nelle altre le predette equipollenze otterremo f Memoria del Prof. Giusto Bellavitis aSg r equipollenza tiinomia, che ci insegnerà a determinare 1' in- cognita inclinazione x, cioè la posizione del punto X. Per mo- strare come si opererebbe qualunque fosse il numero dei lati del poligono, costruiremo successivamente i coefficienti delle equipollenze, che nascono da tali sostituzioni. Sostituendo la (a) nella (i) avremo £-£^(OA.OH — e^OA.cj(ÌB — OB.OH^f-.OH.OH): ( O H . O H — £--. O H . cj 0 B — cj O A . O B H- £--. cj O A . 0 H ) :flìz (OA, -H £-.0H,) : (cj OH, -t- r.cj O A, ), purché sia OA.^iìrOA — OB, OH,£}rOH — OA.cjOBrOH. Similmente £^ i£b (O A, — £".0H^): (cj OH^ — £".cj OA^), purché sia O A, £^ O A, -H O H, .OC : OH, e OH, lil: OH, -4- OA, .cj OC: OH. E così si procederebbe anche in seguito. Nel nostro caso la (4) ci darà ^2a:_5^. OA, — f"". cjOH,-H-£^~^OH,-i-OA,£:=o, ossia, moltiplicando per £ .OH:cjOAj, e''. OH -f- e^-^ OH . O A, : cj O A, £lr rf^ 0 H ( O H, -t- f^ cj 0 H, ) : cj 0 A, rCb 0 U , la quale paragonata (5- 68) al solito colla OX -»- X U :£b OU e' insegna che il punto X si otterrà tagliando il dato circolo con altro circolo eguale avente il centro nel punto U. — Le precedenti equipollenze mostrano chiaramente come si trovino i punti A,, H, Si tiri AA, equipollente a BO; si costruisca il triangolo OAK simile-rovescio ad OHB, e si tiri HH,rGrIvO; si formi OH. L, simile-dritto ad OHC, ed OA,K, simile-ro- vescio allo stesso OHC, e si tirino A,A,i£bOL,, H,H»:CbOK,. La corda H I sia uguale al lato W X del cercato quadrilatero, si tiri OT perpendicolare a questa HI, ed avente perciò 1' in- clinazione ^ ò\ e la si tagli in modo che H^T sia eguale ad OH», sarà OT £ì: OH,-h /. cj OH,. Finalmente, co- struito OTU simile-rovescio ad OA, H, la retta che dimezzerà perpendicolarmente la OU taglierà il dato circolo nel vertice X aóo Sposizione del metodo delle equipollenze del desiderato quadrilatero XAYBZGW. — Nella nostra fi- gura l'arbitraria direzione della OH fu presa nella OC, così i triangoli OHC, OH, L^, 0 A, K, si ridussero a tre rette ta- gliate proporzionalmente. 79. La nostra soluzione ha il vantaggio d' indicare i cal- coli coi quali si può determinare numericamente la posizione del vertice X. — Le due soluzioni si riducono ad una sola quando OU è doppia del raggio del circolo, cioè quando la direzione della OT è tale che la projezione su di essa della O Hj eguaglia la O A^, . In questo caso il lato Z W è massimo tra tutti quelU dei quadrilateri inscrivibili nel circolo , che hanno tre lati passanti pei punti A, B, C. 80. Nel 5- 78 ci occorse esprimere la condizione che tre punti sieno in linea retta con una equipollenza, che non con- tenesse i coefficienti arbitrarli adoperati allo stesso scopo nel 5. 44' ^ "oi giungemmo alla bramata formula mediante 1' eli- minazione e per via affatto diretta. Non è ultimo dei vantaggi del metodo delle equipollenze che non si debba ricorrere a formule già precedentemente dimostrate, e che tutto possa fa- cilmente desumersi dai principi! fondamentali. Nulladimeno non sarà inutile fissare un momento l'attenzione sulla funzione al- ternata o determinante ^ che stabilisce la condizione di cui si tratta. Vedemmo al 5- 44 che se j[7.0 A -H «/.OB -<- r.OCrOio, pex'chè i punti A, B, C sieno in linea retta, i tre coefficienti numerici deggiono soddisfare alla p -\- q -^ r zC^o. Aggiun- gendo a queste equipollenze la conjugata della prima j^.c] OA -4- ec. £^ o, e notando che esse devono sussistere insieme, la teoria dell' eliminazione e' insegna che : La condi- zione che A, B, G sieno in linea retta è espressa dalla funzione alternata OB.cj OC — OC. cj OB-t-OG.cj OA — OA.cj OC -t- -f-OA.cj OB — OB.cj OAr^o. 81. Cerchiamo ora la condizione per la quale le perpendi- colari agli estremi delle rette O A', 0 B', O C s' incontrino in uno stesso punto M. Abbiamo ( §• 48 ) O M rCl: O A' -^ A' M lii: ^{i-^iy)OA'z£h{i-^my)OB'zC^{i-i-ny)OC'; da Memoria del Prof.- Giusto Bell avitis 261 queste equipollenze e dalle loro conjugate si eliminano /, m, n e si trova che la condizione ricercata è espressa dalla funzione alternata 0 A', cj O A' ( 0 B'. cj 0 C — O C. cj O B' ) -H H-OB'.cjOB'(OC'.cjOA' — OA'.cjOC')-^- ^OC.ci OG'(OA'cj OB'— OB'cj OA')z£:zo. La teoria dell' eliminazione dimostra che per conseguenza possono sussi- stere insieme le tre equipollenze /y.0A'-4--- ) -+- O H ( ey. cj O A' — £-> . O A' -h -•- £— '. O A' — £^. cj O A' ) rCb o ; essa diviene identica ( ed era facile prevederlo) se x=j, divisa per e^ — £^, poscia risolta dà e z£= (OH.OA' — £>.OA'.cj OA') : (OA'.cj OA' — e-^OH. cj OA'), la quale si rende identica alla (i) del 5- 78 quando vi si ponga 2.Ò2 SpOSIZIONE del METODO DELLE EQUIPOLLENZE O A =0= (OH )* : cj 0 A', sicché la condizione che le tangenti in X, Y s' inconti'ino in un punto della retta A'M è identica coli' altra, che la corda XY passi pel punto A posto nella OA' in guisa che OA.OA' uguagli il quadrato del raggio (cosa no- tissima nella teoria delle polari ). Determinando in simil modo anche il punto B della OB', ecc. ridurremo il problema alle formule più comode del §. 78. 83. Se per esempio il triangolo MNP circoscritto al cir- colo debba avere due vertici sulle rette A'M, B'N e l'angolo in P massimo; determineremo come sopra i due punti A, B, e tirato il raggio OBH noi taglieremo la OA in K nello stesso modo con cui il raggio OH è tagliato in B. Dopo ciò tireremo le AA, li^BO, HH, £:=K0, e, data alla OS tal direzione che la projezione su di essa della OH, equivalga alla OA,, formeremo l'angolo SOX eguale ad HO A,. Hanno luogo due soluzioni di massimo dipendenti dalle due posizioni che può prendere la OS, in OS od OS, . 84. Problema. Dati tre punti A, B, C trovare la base co- mune di tre triangoli AXY, BXY, CXY conoscendo le diffe- renze dei loro angoli nei vertici A, B, C, nonché i rapporti fra i rapporti AX:AY, BX:BY, GX:CY dei loro lati. Questo problema si presentò al Lagrange in alcune sue considerazioni sulle carte geografiche [31ém. de VAcad. de Berlin pour 1779, pag. aoi, 5. 34), e gli sembrò assai difficile risolverlo colla Georaeti'ia, e neppure ne tentò la soluzione algebrica non ispe- rando di poterla ridurre a facile costruzione. Colle equipollenze la soluzione è affatto diretta e facilissima. — Le condizioni del problema sono espresse dalle due equipollenze ( Fig. a3* ) AX.BY:AY.BX£^CN:CA, AX.GY: AY.CX =f^ BM: BA, purché la C N abbia tal inclinazione e grandezza che ang.ACN = ang.YAX — ang.YBX, ed il rapporto CN:CA eguagli il dato quoziente di AX: AY diviso per BX: BY. Di- casi simil cosa della BM. Col i.° canone tutte le rette inco- gnite si l'iducono alle due AX, AY, ed è poi facile eliminare quest' ultima ed ottenere la formula di soluzione ff Memoria del Prof. Giusto Bellavitis a63 AX^(AC.MB^AB.CN):MN:£bARH-AS, essendo A R £ì. A C . M B : M N, A S =^ A B . N G : N M. Cioè costruiti i triangoli ACR, ABS rispettivamente simili-dritti ai MNB, NMG, sarà SXrCbAR. In maniera simile potrà determi- narsi Y; nel clie giovei-à sostituire ai i-apporti CN:GA, BM:BA i loro ecjuipoUenti CA: C N', BA:BM', acciocché si possa eli- nare X colla stessa facilità, con cui prima si eliminò Y. Così si troverà A Y :£!. A R' -i- A S' essendo AR'z£]= AC.M'B: M'N', AS'£^AB.N'C:N'M', che danno AR. AR' £^ A8. AS'. 85. Problema. Costruire un triangolo conoscendone la base, il prodotto od il rapporto degli altri due lati, e la somma o la differenza dei due angoli alla base. Segnando con X il ver- tice incognito del triangolo ABX, e rammentando che cj AX ha egual grandezza di AX, ed inclinazione uguale ma di segno opposto ( 5. 45 )■> vedremo che le due condizioni di ciascuno dei casi del problema sono comprese in una sola equipollenza, il cui membro incognito è nei quattro casi AX.cj BX, AX.BX, AX:BX, AX:cjBX i due ultimi casi furono già risolti nei §§. ^c, 47- Il secondo caso non presenta alcuna difficoltà, poiché 1' equipollenza si risolve alla maniera stessa delle equazioni del secondo; noi avremo occasione di risolverlo nel §. ia5. — Il primo caso ci darà occasione a fare un' os- servazione molto importante. Ponendo ( Fig. a4* ) AX.cj BX£:bAD.cj BA, sarà A D . A B il dato prodotto dei due lati, e ang . X A I) = ang. XB A, cioè BAD è la somma dei due angoli alla base. L'equipollenza che esprime le condizióni del problema contiene AX e cjBX£ì:cj AX — cj AB, bisognerà perciò combinarla colla sua conjugata cjAX.(AX — AB)-HAB.cjAD:£i:o. Prendendo AB per origine delle inclinazioni, la prima equipollenza è AX(cjAX — AB)-i-AB.AD:£l:o; sottraendole 1' una dall'altra si ha AX — cj AX £i= AD — cj AD, ossia (§. io) DX^Ibcj DX; perciò la DX è parallela alla AB, il che po- teva dedursi da una facile considerazione geometrica. — Eli- minando cj A X si ottiene 204 Sposizione del metodo delle equipollenze (AX)' — (AB-fAD — cj AD) AX-+-AB.AD£:=o, la cui formula di risoluzione si semplificherà ponendo AB=£ha.AG, AD — cjADiflha.CE, cioè (5- 56) tirando la CE perpen- dicolare nel mezzo della AB, e la DE parallela alla AB, e finalmente costruendo AF=£1:AB.AD:AE, cioè il trian- golo ADF simile-dritto all'isoscele AEB. Dopo di che con facile calcolo (55- 'o, i8) si troverà EX £ì; [/e A.EF? il che insegna che la EX dovrà essere media proporzionale ed ugual- mente inclinata tra le AE , E F. 86. Si ottiene una soluzione ancora più semplice colle se- guenti facili trasformazioni, nelle quali P è il piede della per- pendicolare abbassata dal punto D sulla retta AB d'inclinazione nulla, sicché CEr£lrPD, a. PD r£^ AD — cj AD ( S- 56 ) . L' equipollenza del a." grado in A X dà (EX)^=Q:(AC^-PD)^ — AB(AP-)-PD)£^ £:^ (AC— AP)^ — {AP)^-f- (PD)^£^ (CP)^ — (AP-hPD) (AP— PD)iil: :£b(CP)'' — AD.cjAD, ed osservando che ambedue gli ul- timi termini hanno 1' inclinazione nulla, vedremo che questa equipollenza è identica all'equazione gr'EX = gr^CP — gr^AD, quindi, pel teorema Pitagorico, sulla EC pi'enderemo la EG eguale alla AD, e taglieremo la ED in X coli' arco di centro G e di raggio eguale a CP. 87. Quando il problema è impossibile la precedente co- struzione lo rende palese ; non così quella del 5- 85 ; poiché anche se F cade tra E e B, il punto X sarà reale e si tro- verà sulla E C . — Nel calcolo delle equipollenze può dunque avvenire ciò che talvolta succede anche nell' Algebra, che com- binando un'equipollenza colla sua conjugata si ottenga qualche soluzione che non soddisfaccia alla primitiva; il che nel nostro caso torna evidente per non essere più soddisfatta la condizione DXrQzcj DX. 88. Problema. Dati tre cìrcoli, che abbiano il punto co- mune I ( Fig. aS''), tirare per questo punto la retta IXZY in modo che le parti X Z , X Y comprese tra ì circoli abbiano il dato rapporto m. Indicata con e" 1' inclinazione della cercata Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 205 retta, la corda 1Z::C^ze'' del circolo che ha il centro in C sarà data da ze" — IC =Cb GZ :flb IG . £^ essendo t = ine G Z — ine I G : moltiplicando la precedente equipol- lenza per la sua conjiigata zs—"' — cj IGr^cj IG.£— ' ne risulta 26" :£b £"". cj IG -t- IG. Questa espressione di IZ e le due analoghe di IX, lY sostituite nell' equipollenza XZ — /?z.XY rC^o, danno £^" (cj AG — w . cj A B) -h -4- A G — m. ÀBzCizo. Gostruendo A L £1: m . A B , AG — m.ABd^^hC, si ha £^"cjLG=^ — LG, la quale dà 2,11 — ine LG = ine. LG — i8o°, ossia zi = incLG — 90." Dunque la retta cercata è perpendicolare alla L G determinata superiormente. 89. Trovata una così breve soluzione è poi facile dimo- strarla col mezzo di considerazioni geometriche, ed estenderla eziandio all' analogo problema relativo a quattro sfere , che hanno il punto comune L — Il problema i-elativo ai tre cir- coli fu risolto molto più laboriosamente dal Pergola ( Acad. di Napoli 1788, pag. i36)j egli ne dedusse la soluzione dell'al- tro problema proposto dal Newton ( Princ. Malli. Lemma 28 ) di inscrivere fra quattro rette date un quadrilatero simile ad uno dato; io risolsi quest' ultimo nel §. 4^ della mia Memoria del 1843. Il primo problema fu poi proposto dallo Steiner e l'isolto dal Glausen ( J. Grelle Tom. II, 1827, pag. 96 e T. VL i83o, pag. 4^4- ) • III. Formule trigonometriche, ED ALCUNI ALTRI ESERCIZII , <;^t -METODO DELLE EQUIPOLLENZE. go. Per chi conosce le espressioni immaginarie delle linee trigonometriche, e ricorda che (5- 4*^) ^^ ramuno (indicante una retta eguale all' unità, ed, ,^y,^nte 1' inchnazione di -h 90° ) si calcola precisamente coipe il segno 1/ — i , sarà facilissimo intendere quanto sono per dire j sicché posso procedere rapi- damente e cominciare dalla risoluzione di Tni triangolo, i cui lati abbiano le lunghezze a, è, e e gli angoli opposti sieno Tomo XXV. P." IL'' li a66 Sposizione del metodo delle equipollenze A, B, e ( Fig. a6* ) , L'inclinazione del lato CA sul lato GB sarà e, e l'inclinazione del Iato AB sarà — b; perlochè il i° canone CA -4- AB =£1: GB ci darà (i) be^ -\- e e~' ^^ a. Da questa equipollenza, senza bisogno di alcuna considerazione geometrica, trarremo la risoluzione del triangolo, cioè tutte le relazioni tra i cinque elementi a, Z», e, b, c. Rispetto all' an- golo in A, esso è a-= ine AB — ine AG = — b — (e — n); perciò (a) ^ -t- B -+- e =: ITT . gì. Per ti'ovare la relazione tra due lati e gli angoli op- posti ci basterà eliminare a dalla (i) combinata colla sua con- iugata Z* e"" '^ -4- e £* £11= a , ed avremo (3) ^, (/_ f-*^) £11^ e (/ — £~*). Il canone II. ° ci mostra che e^ — £~'^ esprime una retta perpendicolare all'ori- gine delle inclinazioni, e la cui lunghezza dipende unicamente dalla grandezza dell' angolo e, giacché le rette espresse da £*^, £~*^ hanno l'unità di lunghezza. La metà di quella retta fu detta il seno dell'angolo e, perciò la (3) divisa per a-j/" dà h sen c = e sen b. ' > ga. Se decomponiamo (5- 5 ) la retta inclinata f*^ in una retta d' inclinazione nulla ed in una ad essa perpendicolare, e diciamo coseno e seno queste due componenti, abbiamo (i) f*^ :£^ cos e -1- y*^ sen e, che insieme colla sua conjugata £""*^£i:Cosc — y*' sen e darà (a) a cos e iiI2= £ -+- e~ , a -j/" sen e i£Iì= f*^ — t~^. Sostituendo a e il suo complemento c, e ricordando che t^ ^£}^^ si dimostrerebbe che cose = sen (— — cV ma è inutile arrestarsi su cose notissime. La tangente essendo il rapporto del seno al coseno è data da (4) tgc y(/_H£-'^) V^(£^'^-HI) Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 267 93. Ripigliando la risoluzione del triangolo, cerchiamo la relazione che ha luogo tra i lati ed un angolo. Dalla (i) del (5. 90 ) dobbiamo eliminare a, il che subito si ottiene molti- plicando la a — b if' ^C}= e e~ per la sua conjugata a — b £~ =C!= e t , sicché sarà a^ -^- b"" — ab [& -'r-t ) :£^ c'^ ; possiamo per la (a) del §. ga dedurne tosto il valore di cose; oppure risolvendola rispetto e^ abbiamo (4) ^^^"-^^S^'-y^l/>-("-^^^^^r' la quale pa- ragonata colla (r) del 5- Q^^ dà le espressioni di cose e di sene col mezzo dei tre lati. Inoltre esti-aendo la radice della (4) posto e ' -t- 6» — C' ^ab - = "' ' «^ ha (5) f" ^ |X^ ^ V" \/^ ■> da cui provengono tosto le note espi'essioni di cos— , sen— , tg— . 94- Ci rimane da cercare la relazione fra due lati, V an- golo intercetto, ed uno opposto. Dall' equipollenza fondamen- tale (1) del 5- 90 si elimina e sottraendo dalla be'^ -i-cdlhae^ la sua conjugata; poscia si risolve 1' equi- pollenza rispetto a e" e si ha e^"^£h- — . Col mezzo . 1 if. .-1 , , 0 sen e a — be della (4) del §. 9a se ne deduce (6) tg b :£b '■ " "" — - — ed anche '" ;;("*^)-(S:-:.)(:rif7*')^- :£}= 7tg— • Questa potrebbe anche ottenersi decom- ponendo, mediante il a." canone, 1' equipollenza c_ _ c_ c_ bs^-^ce ''r£^rt£ ^ nelle due equazioni e cos (i3 -!--£.) = [a — b) cos - , e sen ( b-h -^) =z{a-¥-b)sen-j . 2Ó8 Sposizione del metodo delle equipollenze 95. Non mi fermerò a dimostrare col mezzo delle equi- pollenze del 5. 92 le formule relative alle linee trigonometri- che, essendo queste cose conosciute. Piuttosto aggiungerò an- cora un esempio che nel nostro metodo non è necessario ri- correre ad alcuna considerazione geometrica. Supponiamo che in un quadrilatero ( Fig. 37* ) coi lati a, h^ e, fZ, sia b V an- golo interno compreso tra i lati a^ b eà a ambedue gli angoli opposti compresi tra i lati b^ e e tra d ed a. Considerando le mutue inclinazioni dei lati si scorge che il 1° canone dà l'equi- pollenza a — be~'' -\- c£~^~'^^^de!^; l'angolo b resterà eliminato moltiplicando membro a membro la a — de*'dlz[b — cé~^)e~^ per la sua conjugata, così si ot- tiene (flfZ — Z'c) (£"-+-£"") =Cba^ — Z>= — c'-t-^% da cui possono dedursi (5- 93) i valori di cos^, sen^, sen^, ecc. 96. Se sia u V inclinazione della retta L M sopra la A B si ha LM: AB iCh £". gr LM : gr AB, e moltiphcando (§. Sa) per AB. cj AB r£lz gr^ AB si ha (i) cjAB.LMrChgrAB.grLM.fi". Combinando questa (i) colla sua conjugata ne vengono le (a) y^(AB.cj LM — cj AB. LM)£:!= a. grAB.gr LM.senw, (3) A B . cj L M -f- cj A B . L M d2= a . gr A B . gr L M . cos Zi . Mutando L M in AC la (2) ci dà 1' area del triangolo ABC conforme al nostro canone la." Le equipollenze (a), (3) possono considerarsi come conseguenze dei canoni 11° e 10°. — Al primo membro della (3) può farsi subire tale trasformazione da ri- durre tutti i termini ad avere 1' inclinazione nulla, sicché r equipollenza si cangi in un' equazione : infatti è AB.cj LM-t-cj AB.LMi£lzAB (cj AM — cj AL) -1- -*-cjAB(AM — AL)£1:(AL — AB)(ciAL — cjAB) — — (AM— AB)(ciAM— cjAB)— AL.cjAL-<- AM.cjAM£^ ri^BL.cjBL — BM.cjBM — AL.cjAL-i-AM.cjAM. Così abbiamo (5- Sa ) (4) 2.grAB.grLM.cosw=:gr='AM-+-gr^BL — gr'AL — gr^BM. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 2Òg 97. Se ai canoni ricordati al ^. 61 aggiungiamo le defini- zioni espresse dalle formule del §. 92, e le (3), (4) del 5- pre- cedente noi abbiamo tutti i principii del metodo delle equi- pollenze applicato allo studio delle figure piane composte di punti, rette, o circoli ; torna superflua ogni considerazione geo- metrica o trigonometrica, perchè tutto è implicitamente com- preso nel metodo stesso. Ma essendoché non possa speditamente adoperarsi uno strumento comunque semplice, ove col ripetuto esercizio non se ne renda abituale 1' uso, aggiungerò parecchi esempii; dei quali peraltro si potranno studiare soltanto quelli fino al 5. 120, od anche soltanto fino al 5- 109, passando po- scia alla teoria delle curve (5- i33), che fijrnierà l'ultima parte di questa Memoria. 98. Problema. Dati due lati CA = b (Fig. 28^) CB = a, e r angolo intercetto e, determinare la distanza CE = 2 di quel vertice da un punto E di data divisione della base. La condizione del problema è espressa da AE:£Ib — AB; chia- mato u l'angolo AC E sarà c(sf'* — b)z£li e {ae^ — b). Isolando ze'\ poscia moltiplicando per la sua conjugata sparisce la M, e la z è data da a ^ b^'lc — eV-^a'^e'' abelc — e), r —c^ ^ z" :£^ — i 1 1 i '.(e^-^-e , dove (§. 92) è e^-i-e"'^:^ 2 cos e. Se sia e la lunghezza del lato AB { e perciò AE = e) si ha c^ ^2; A B . cj A B lil: d^z (a/ — b){a£~'^ — b)d:^a^ -+■ b""— ab (/-+- e~^) ; cosi dalla precedente equazione che dà s* possiamo eliminare l'an- golo e ; ne risulta e z"" -^ b" [e — e) -\- a^ e — ce [e — e), ossia AB(CE)^ = AE(CB)»-hEB(CA)» — AB.AE.EB. 99. Teorema. Qualunque sieno i punti A, B, G ed i coefficienti numerici m-, m\ m'\.... esiste un punto G tale che m.GA-^-m'.GB-i- m". G C -t- :£h e . Nel caso di tre soli punti le aree dei triangoli CAB, GBC, GCA, ABC sono proporzionali ai coefficienti m", m, m\ {m -t- m' -¥• m") . 2,'j'o Sposizione del metodo delle equipollenze Scelto ad arbitrio un punto O ( che potrà essere uno dei dati A, B, ) sarà facile costruii-e la 0 G in guisa che (m-t-TO-H )OGd:^m.OA-hm'.OB-+- , e pel 1° canone si vedrà che 1' unico punto G così determinato sod- disfa alla condizione stabilita nel teorema; noi Io diremo il baricentro dei punti A, B, rispettivamente accompagnati dai coefficienti ( o masse ) m, ìn\ Quando tutti i coeffi- cienti sono eguali G dicesi il baricentro dei punti A, B ICO. Se dalla precedente equipollenza moltiplicata per cj OP sottriamo la sua conjugata moltiplicata per OP otteniamo (^m-hm'-^ )(OG.cjOP — cjOG.OP)=£^ ^/7z(OA.cjOP — cjOA.OP)-Hm'{OB.cjOP — cjOB.OP) -(-.... Quindi pel la" canone sarà (/Tz-f-m'-H )GOP = = 772 . AOP -t- to'. BOP -H Facendo che O, P coinci- dano successivamente con due dei tre punti A, B, C si hanno le equazioni [m -^ m ■+- ni ) G B C =: r« . A B G , (;re^_;;^'^-^")GCA = ??2'.BCA, (TO-Hm'-(-/?2")GAB = m".CAB, che dimostrano la verità della seconda parte del teorema. Si ponga attenzione al segno negativo che prende (§. 57) l'area d'un triangolo quando i vertici presi nell'ordine con cui sono nominati si volgono in verso opposto. loi. Problema. Quali coefficienti debbono attribuirsi ai ver- tici di un triangolo ABC, perchè il loro baricentro sia il cen- tro R del circolo circoscritto. Potrebbero considerarsi come cose notissime che l'angolo ARB ( Fig. a8* ) è doppio di ang.ACB = c, e che l'area del triangolo RAB è propor- zionale al seno di ARB; nuUadimeno dimostriamolo col me- todo delle equipollenze. Per esprimere la condizione che R sia equidistante dai tre vertici porremo RAr^^re , RBzilirrff^, RCrCbr/. Pel 12° canone e pel ^. ^i si ha RAB = ^r^(£"-^ — £-"*^) = — sen(/? — a); e pei canoni 9" e 1° il doppio dell'inclinazione del lato GB meno il doppio dell'inclinazione di CA, ossia a e, è dato da Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 271 CB.cj CA: cj CB.CAr^ (e^— £^) (£-«_£->'): (f ' — e '}{s — f')=Ch£' ^.e ' rQ=£ ; dunque i} — a=:-o.c. Quindi pel precedente teorema avremo (i) sen 2^1 . R A -H sen as. RB -h sen ac. RC £^ o. ioa. Problema. Determinare la comune intersezione H delle tre altezze di un triangolo ABC ( Fig. a8' ) . La condizione che CH, BH sieno perpendicolari ai lati AB, CA vengono espresse da y^. C H =£^ /i. A B, y^. B H £11: ot . C A, colle quali equipollenze dobbiamo determinare m, n. Prima elimi- neremo il punto ignoto H, sicché y^. C B =£Ih/i. AB — w.CA; poi col mezzo della sua conjugata otterremo y^(CB.cjCA-HcjCB.CA)rQ:7i(AB.cjCA — cjAB.CA). Mediante le (3), (a) del 5- 9^, ossia mediante i canoni 10° e 11°, il valore di n si ridurrà ad espressione trigonometrica : posto C B — C A in luogo di A B, si trova 7i = y(CB.cj CA-+- H- cj CB.CA): (CB.cj CA — cj GB. CA) = cote. Onde la GH eguaglia il lato AB diviso per la tangente dell'angolo opposto e. Il punto H non cangerebbe se si cercasse invece l'intersezione delle GH, AH perpendicolari ai lati opposti. io3. Essendo AB £ì: tgc.y^GH, BG £1: tg^. -/^AH , GA^^tgB.y^BH, l'equipollenza BG-+-GA-+-AB£^o ci dea (a) tg^.HA H- tgB.HB -H tgc.HG £1: o. Le (i), (a) mostrano quali coefficienti debbano attribuirsi ai vertici del triangolo, acciocché il loro baricentro sia il centro R del cir- colo circoscritto, oppure il punto H comune alle tre altezze. 104. Riferiamo questo punto H al centro del circolo cir- coscritto. Colle posizioni fatte nel 5- k^i abbiamo AB-. {/-£»), tgc^ l J7') (5-9^4)); y^(£P -+■ i) perciò GH ::£^ r (r -H f") i£ì: RB -+- RA, la quale esprime che GH è doppia della distanza del centro R dal lato A B; se ne deduce l' equipollenza degna d' osservazione (3) RHdQ=RA-t- RB-4-RG. Se G è il baricentro dei 272 Sposizione del metodo delle equipollenze punti A, B, e (e dicesi anche baricentro del triangolo ) si ha ( qualunque fosse R) 3.RG£^RA-4-RB-t-RC; dunque RHdUzS.RG, cioè: In ogni triangolo il baricentro è alla terza parte della retta, che dal centro del circolo circoscritto va al punto d'' intersezione delle tre altezze. io5. Esponiamo qualche facile conseguenza della (3) . Se al circolo col centro R appartenga un quarto punto D e si faccia RIr£^RA-f-RB-4-RD, RL £:^ R A -h RD -H RC, RM£^RD-t-RB-i-RC, saranno I, L, M i punti d' in- contio delle altezze dei triangoli ABD, ADG, DBG. Risulta da quelle equipollenze che HIr2=RI — RH=£lrGD, HL£:}=BD, HM:£1:AD, perciò la figura HILM è uguale e similmente posta della D G B A . 106. I quattro punti A, B, G, H sono tra loro legati da questa comune proprietà che la retta, che unisce due di essi, è perpendicolare a quella che passa per gli altri due •, sia O ( Fig. 29^ ) il loro baricentro, cioè sia (5- 99 ) OA-hOB-+-OG-+-OH£^o. Alla (3) può mediante il 1° canone darsi la forma a.OR:£^OA-i-OB-f-OG — OH^ peixiò OR^IbHO. Similmente se sieno R, , R^, Rj i centri dei circoli circoscritti a HBC, AHC, ABH sarà OR, £I^AO, OR, i£^BO, ORa^^^GO. La figura RR.R.Rj è uguale e similmente posta della HABG; ogni lato di una dimezza per- pendicolarmente un lato dell' altra ; A è il centro del circolo circoscritto ad RR^Rs, ecc. 107. Il predetto punto O che viene determinato dall'equi- pollenza (4) R0d2ziRHr£^f RG£:ì:ì(RA-(-RB-hRC) è degno d'osservazione. Il punto di mezzo A° del lato BG è dato da R A° =Qz ^ (RB -f- RG), perciò OA°£:i= — IRA; quindi i punti A", B°, G° sono nel circolo che ha il centro O ed il raggio metà di quello del circolo ABG. In quel mede- simo circolo A" B" G° il punto A' diametralmente opposto ad A" sarà il punto di mezzo della AH (giacché O è il baricentro dei quattro punti A, B, G, H); infatti la OA'n^ — OA^zCbiRA dà OA'=li:i(OA — OR)£::i (OA-i-OH), perchè (§. 106) Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 278 — 0R£1:0H. Ogni angolo retto A" A, A' è inscritto nella mezza circonferenza col centro O, perciò quel circolo passa anche per A,, quindi: Per ogni triangolo ABC vi è un circolo ( con raggio metà del circoscritto ) // quale taglia i lati nei loro punti di mezzo, nonché nei piedi delle tre altezze del triangolo, e dimezza pure le predette perpendicolari AH, B H , C H ter- minate al loro punto d' intersezione ; il suo centro è alla metà della retta che dal centro del circolo circoscritto va al punto d' intersezione H delle tre altezze. 108. Problema. Determinare il centro P del cìrcolo inscritto nel triangolo ABC ( Fig. aq"). I triangoli PAB, PBG, PCA avendo uguali altezze sono proporzionali alle basi AB, BC, GA, le quali sono proporzionali ai seni degli angoli opposti; perciò (5. 99) (5) sen^. PA -+- seuB.PB -(- sene. PC :f:ì=o. Così possiamo esprimere le (i), (a), (5) dicendo che: // centro del circolo circoscritto, — il punto comune delle tre altezze, — ed il centro del circolo inscritto sono i baricentri dei vertici del triangolo quando ad essi si attribuiscono dei coefficienti propor- zionali ai prodotti del seno pel coseno, — alle tangenti, — od ai seni degli angoli rispettivi. Divisi per metà gli archi B C , CA, AB del circolo circoscritto nei punti A°°, B°% C°° ; il centro P del circolo inscritto è l'intersezione delle i-ette AA"", BB°°, CC°°, le quali sono perpendicolari ai lati del triangolo j^oojjooQoo. dunque P è l'ispetto a questo triangolo quello che è H rispetto ad ABC, e perciò la (3) ci dà (6) RPd:^RA''° -)- RB"" H- RC''". Se non si avesse voluto profittare di queste facili considerazioni geometriche le formule del 5. loi avrebbero condotto direttamente all'equipollenza (6), alla quale può darsi la forma A"" P z£^ C"' B'" =C= B"' G''" , essendo C°', B°', A°' i punti diametralmente opposti ai C"°, B"", k°°. Anche quelli, non meno dei C°°, B^% A"", dimezzano gli archi AB, CA, BC, e si hanno altri tre punti P, , P^, P3 equidistanti dai lati del triangolo ABC, i quali sono centri dei circoli ex- inscritti., essi sono dati dalle equipollenze RP, ^^RA^^'-t-RB''- -j-RC' d2=RA" — RB"" — RC°°, Tomo XXV. P." II." Jj 2^4 Sposizione del metodo delle equipollenze RP,:^ — RA°°-t-RB°" — RC"% RPs^^ — RA»° — RB°'=-hRC"°. Queste mostrano che i A°% B"", C°°, A", B"', C°' sono i punti di mezzo delle distanze PP, , PP,, PPj, P.Pj, P, P3, P.P., e che (7) R P -H R P, -+- R Pj -t- R P3 ^liz o , cioè : // centro del circolo circoscritto è il baricentro dei quattro centri dei cir- coli inscritto ed ex -inscritti. Quel che i punti H, O sono ris- petto al triangolo ABC, lo sono P, R rispetto al triangolo PjPaPs e sulla retta PR potrebbero pur determinarsi i punti che fossei'o pel secondo triangolo quel che sono G , R pel primo. 109. Cerchiamo di determinare per via diretta il raggio p del circolo inscritto mediante quello r del circoscritto. Se le inclinazioni a, /?, y (5- loi ) dei raggi RA, RB, RC proce- dono in ordine di grandezza dalla minore alla maggiore, le perpendicolari abbassate da P sui lati AB, BC, CA saranno pe , pe , — pe ^ . Perchè il piede della prima cada sulla retta AB, i cui estremi sono dati da RAr£ì:/-f", RB £i= r£S dovrà essere (5- 44) • pt ^ d2=. ( I — m) re* -i- mre^ ^ ossia C^mr^ il pi'imo membro deve adunque RP- \ RP ^P 3. e a — re /. a — £ esser equipollente al suo conjugato _^£"-*-^.cjRP-HyP£ "" -rs^ ^ e] RP -i- p e ^ — rè .— a — 3 —a £ ^ £ a 0 e — e quindi ■I iipznzr£ "" -J-re ^ —e '^ .RP — £ ^ cjRP. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 276 Nello stesso modo le altre due perpendicolari daranno ay^rOrrif ^ H-£ ^ j—t ^ . RP — £ ^ . cj R P (y — a a — y\ y -i- a y -i- a f "" -+- f ^ ì —e ~^. R P — £ ^ . cj R P. In queste tre equipollenze considereremo RP, cj RP, 2./? come tre incognite differenti e troveremo t^ RP (a-\-B ^ -*-y y -*- "■ \ e -he — s / I N «~i^ (Izif ^ — y y — 9 y — « «■ — ì (Oj £J=£ -(-£ -(-£ -l-£ e £ , cioè -^ H- I = cos e -H cos B -I- cos ^ . È facile conoscere che r rcosc è la distanza di R del lato AB, e noi lo dimostreremo r \e '^ -Ir- e ^ ì osservando che r \ e ^ -ir- £ ^ / non differisce se non se nella direzione da r ( f"-!- £^ ) £1: R A -4- R B, che a mo- tivo di grRA = grRB è il doppio di quella distanza. Ah- -1 i±l biamo inoltre a^ ~T~ ~^r ~r~ 1 £ H- £ f / r (_ a->-^ (?-«-y y-t-« \ £ -1- e — £ / R P . cj R P ; perciò : ha somma dei raggi r, p rleì circoli circoscritto ed inscritto eguaglia ( §. 104) la semisomma delle distanze dei vertici del triangolo dal punto H comune alle tre altezze; e la distanza RP dei centri è media proporzionale tra r ed r — ap. Ilo. Problema. Determinare il baricentro F del perimetro di un triangolo. Il baricentro del lato A B è il suo punto di mezzo C°, perciò la composta -equipollente di tutte le rette, che da un punto qualunque F vanno a tutte le porzioncelle infinitesime di quel lato, il cui numero è proporzionale alla 2,76 Sposizione del metodo delle equipollenze lunghezza e, sarà c.FG°:£:!=-(FA-t-FB). Dicasi la stessa cosa per gli altri due lati BC = a, GA = ^, ed ac- ciocché F sia il baricentro dell' insieme di quei tre lati dovrà essere (§.99) {9) {b-i-c)FA-i-{c-i-a)FB-+-{a-^b)FC=0^o. A rendere pienamente diretta e facile la maniera d' adoperare questa equipollenza, giova riferire ( mediante il i" canone ) tutti i punti ad un punto arbitrario O, allora la (9) diventa a(a-t-i-Hc)OFi£i:(Z'-t-c)OA-+-(c-+-o)OB-+-(«-t-Z*)OC. La (5) del 5> 108, a motivo della proporzionalità dei lati a, b, e ai seni degli angoli opposti, diventa {a-\-b-+-c)0?z£^a.OA-\-b.OB-i-c.OG; perciò a.OFH-OP£:zOA-»-OB-4-OG£:b3.0G essendo G il baricentro dei tre punti A, B, G. Mutando O in F si ha (io) FP:£Ib3.FG, che combinata colla (3) del 5- '^^4 RH£^3.RG dà eziandio (11) HPrCha.FR-, perciò: In ogni triangolo il baricentro G è alla terza parte della retta, che dal baricentro F del perimetro va al centro P del circolo inscritto ; e la retta fra V intersezione H delle tre altezze ed il centro del circolo inscritto è equipollente al doppio di quella fra il baricentro del perimetro ed il centro R del circolo circoscritto. III. Potrebbe anche dimostrarsi che F è il punto di mezzo della retta da H al centro del circolo che passa pei centri P, , Pa, P3 dei circoli ex -inscritti al triangolo ABG. Le rela- zioni (3), (4), (io) tra i punti R, H, G, O, P, F, permettono di determinarli quando se ne conoscano tre soli, purché ti'a loro indipendenti. Ila. Analoghe relazioni hanno luogo rispetto ai punti F, , Fj, F3 baricentri dei tre lati del triangolo, quando alle por- zioncelle inlinitesime di uno dei lati si attribuisce coefficiente negativo. Gome al §. 106 si trova che la figura FF.F^Fs è simile e similmente posta della PP, P2P3, i lati della prima sono le metà di quelli della seconda. II 3. Problema. Esprimere il prodotto delle aree di due po- lìgoni mediante le distanze tra i vertici dell'uno e quelli delV altro. I Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 277 Nel caso di due triangoli ABC, LMN il la" canone (5- Sy ) ci dà pel cercato prodotto un' equipollenza, che potremmo bensì costruire, ma che non sarebbe facile da calcolare, perchè i termini indicano rette non parallele; fortunatamente che essa può risolversi in quattro di quei binomii, che nel 5* 9^ ve- demmo ridursi a termini tutti d'inclinazione nulla; così l'equi- pollenza si converte nella desiderata equazione. Ecco il calcolo: 16. ABG.LMN£^ £ii — (AB.cjAC — ciAB.AC)(LM.cjLN— cjLM.LN)£:b ■ ^ AB.cj AG.cj LM.LN-+-CJ AB.AC.LM.cj LN — — AB.cjAG.LM.cjLN— cjAB.AG.cjLM.LNiflb £^(AB.cjLM-+-cjAB.LM)(AG.cjLN-+-cjAG.LN) — — {AB.ciLN-f-cjAB.LN)(AC.cjLM-)-ciAG.LM)£:ì= £:=(gr" AM-*-gr" BL — gr^" AL — gr" BM) ( gr" A N -t- gr" G L — gr^ A L — gr^ G N ) — — ( gr» A N -+- gr^ B L — gr* A L — gr^" B N ) ( gr" A M -4- gr^ G L — gr" AL — gr»GM). Nello sviluppo dell' ultimo membro i termini dipendenti dai lati A B, L M si riducono ai due soli gr* A L . gr' B M — — gr^ A M . gr^ BL ; ed un ahalogo binomio si ottiene per ciascheduna combinazione di un lato del triangolo ABC con un lato del triangolo LMN; bene avvertendo che i lati si prendano nei due triangoli per lo stesso verso. Gosì il pro- dotto delle aree di due triangoli è dato da un polinomio di t8 termini, che possono esprimersi simbolicamente con (i) 16. ABG.LMN = [AB-i-BG-+-GA][LM-i-MN-f-NL], purché nello sviluppo del secondo membro ad ogni prodotto AB.LM si sostituisca il binomio ( A L . BM)' — ( A M . BL)'. ii4- Se al triangolo ABG sia addossato un altro triangolo AGD sicché insieme formino il quadrilatero ABCD si avrà il valore di 16. ABCD. LMN, aggiungendo al primo fattore del secondo membro della (i) i termini AC-t-CD-nDA. Ora i binomii che risultano dal termine AC (e che sono per 2^8 Sposizione del metodo delle equipollenze esempio ( A L. CM)^ — ( AM. CL)^ ) distruggono evidente- mente quelli risultanti da CA (e che sono (CL.AM)^ — — (CM.AL)", ec. ) . Dunque ammessa la precedente con- venzione ( §. ii3) avremo i6. ABCD. LMN = = [AB-i-BC-(-CD-i-DA][LM-+-MN-hNL]. Collo stesso ragionamento estenderemo la formula al prodotto di due poligoni, ed avremo risolto il problema, restando da combinare ciascun lato di un poligono con ciascun lato dell' altro, e per ogni combinazione calcolare uno dei predetti binomii. ti 5. Questo teorema insieme col suo analogo relativo al prodotto di due poliedri, e con parecchi altri fu da me pub- blicato negli Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto Tom. IV. 18.34. pag- ^SG, e nel T. Vili. i838. pag. 96, $. 108. Esso fu poscia riprodotto nel Journal fi'ir die Mathematik B. XXIV. 1842,. S. 2,5a; anche nei Nouvelles Annales de Mathé- matìques è attribuito allo Staudt. 116. Se R sia il centro del circolo circoscritto al triangolo ABC, la formula simbolica (i) si riduce a lò. ABC.RMN = = [AB-hBC-i-CA][MN]; perchè i termini espressi slmboHcamente da [AB-hBC-i-CA][RM-»-NR] sono tutti moltiplicati per una delle quantità uguali ( A R)^ = (BR)^ = (CR)" e si distruggono vicendevolmente. — Sia R, il centro del circolo circoscritto al triangolo A CD, la somma 16. ABC.RMN-1-16. ACD.R.MN sarà espressa (5. 114 ) da [AB-t-BC-^CDH-DA] [MN], che di- pende dai lati e non dalle diagonali del poligono ABCD. Per lo che se questo poligono si tagliasse in altro modo in trian- goli, non pertanto resterebbe costante la somma dei prodotti di ciascun triangolo pel triangolo, che ha per vertice il centro del circolo circoscritto a quel triangolo, e che ba per base una retta MN scelta ad arbitrio. Risulta da ciò e da una nota pro- prietà dei baricentri ( che facilmente può dedursi dalla datane definizione §. 99 ) che : Per ogni polìgono o complesso di poli- goni (posti in uno stesso piano ) esiste un punto che è il ba- ricentro di masse proporzionali alle aree dei singoli triangoli. Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 2,79 nei quali il poligono può spartirsi, situate, anziché nei loro ba- ricentri, nei centri dei circoli circoscritti a tali triangoli. A questo osservabile punto, cui non so se alcuno abbia posto attenzione, io diedi il nome di pseudocentro. 117. Supponiamo per esempio che un triangolo ABC sia spartito in tre triangoli GBC, GCA, GAB, le cui aree sieno «5 P-i y-> perlochò (5. ico) sia a. G A •+- /!?. GB -H y . GG £Ib 0. Il pseudocentro del triangolo ABC, cioè il centro R del suo circolo circoscritto, sarà pure il pseudocentro dell' insieme dei tre triangoli, cioè sarà il baricentro dei centri R, , R^, R3 dei circoli circoscritti ai GBC, GCA, GAB provveduti dei coef- ficienti numerici o masse ce, ^, y; vale a dire sarà a.RR, -f- ^. RRj -I- y . RR3 :^ o. In particolare se G sia il baricentro del triangolo ABC, R lo sarà del triangolo RiR^Rs- 118. Potremo chiamare niultìlatero un sistema di rette MN, PQ, . . . . , la cui composta- equipollente è nulla, e le quali sono per conseguenza equipollenti ai lati di un poligono chiuso. La somma dei triangoli OMN, OPQ,.... che hanno un vertice comune O, e per basi i lati del multilatero sarà pel 12," canone espressa da ^(OM.cjMN-nOP.cjPQ-t- — cjOM.MN— cjOP.PQ— ); similmente per un altro punto O, avremo ^ ( O. M . cj M N -^ O. P . cj P Q -+-....— cj 0. M . M N — ....) ; la differenza di queste due espressioni è ^[00. (cj MN-H-cj PQ-4- ) — cj 00, (MN-f- ) ] che, a motivo di MN-l-PQ-H =^ o, è nulla; dunque: Teorema. La somma delle aree dei triangoli che hanno per basi i lati di un multilatero MN, PQ.... ed il vertice comune, è costante, qualunque sia questo vertice ; essa si dirà V area del multilatero. — Il più semplice dei multilateri è quello formato da due rette parallele e dirette oppostamente, cioè tali che MN-t-FQdlbc; la sua area è la metà di quella del paral- lelogrammo M N P Q . 2,8o Sposizione del metodo delle equipollenze 119. Teorema. Il prodotto delle aree di un poligono ABCD e di un multilatero MN, PQ, è colle convenzioni del 5. Ii3 espresso simbolicamente da -^[AB-+-BC-(-CD^-DA][MNh-PQh- ]. Lo si dimostra prendendo per area del multilatero la somma dei triangoli RMN, RPQ,...., che hanno per vertice comune il pseudocentro R del poligono ABCD. lao. Date alquante rette MN, PQ,...., se si voglia de- terminare una retta XY in guisa che il multilatero MN, PQ,.... XY abbia area nulla, si dovrà da prima scegliere la grandezza e direzione della RS in guisa che sia MN-+-PQ-4- -i-RSr£^o, sicché XYi£izRS. Poscia r altra condizione OMNh-OPQ-»- -t-OXY = o sarà soddisfatta se si determini il punto X in guisa che sia OM.C3MN-+-OP.CJPQ-+- -4-0X.cjRSr£ì:o. Deter- minato in questo modo il punto X, e considerato che un mul- tilatero d' area nulla può rappresentare un sistema di forze in equilibrio si vede che: Se le forze MN, PQ, girano di uno stesso angolo intorno ai loro punti d' applicazione M, N, la risultante Y X gira essa pure intorno ad un punto X . lai. Vedemmo al $. 29 che AB.CD-hAD.BC^AC.BD, • 11 , . . AB. CD AC.BD _^ x J • <-• il che può scriversi CB ad bc doppii rapporti che formano i due termini del primo membro di questa equi- pollenza sono detti dal Chasles rapporti anarmonici, purché peraltro i quattro punti A, B, C, D sieno in linea retta; ma pel teorema generalissimo (§. a4) relativo al metodo delle equi- pollenze ogni proprietà dei punti in linea retta si estende ai punti di un piano. Presentiamo qualche esempio di questa teoria, laa. Prima dimostrerò una formula molto facile da rite- nersi a memoria, che comprende come casi particolari moltis- sime delle formule date dal Mòbins, dal Chasles, ec. Si tratta di esprimere un doppio - rapporto „ col mezzo dei dop- .• AB. CD AB. CE AB.CF AB.CG „• „„,• • „„„+<.„^ pii- rapporti ^3-^, ^^-^ , ^^-^, ^3-^, nei quah 1 quattro I Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 281 punti del primo sono riferiti a tre punti costanti A, B, C. Indichiamo con d^ e,/, g questi ultimi doppii -rapporti. Si avverta che qui non seguiamo 1' uso da noi sempre adottato d' indicare colle lettere ^ (Fig. Si''). 143. Un punto qualunque R della normale è dato da CRdl^CM-h 2,p.Ml^ :£^t^ -^p-¥- {t — 2.pt)y. Perchè questo R sia il punto d'intersezione della normale MN con quella ad essa infinitamente vicina, bisogna che il punto R non cangi quando a f si dia un accrescimento infinitesimo «, e p soffra un corrispondente cangiamento tr. Secondo i principii del calcolo differenziale ciò si esprime con dGR£i:o, ossia (a^-ny — a/?-/") o -1- ( I — 2,ty)vf :^o; separando la parte moltiplicata per ramuno, questa equipollenza dà le due equazioni ai^o-Ht7 = o, (i — ay? ) o — a i cr = 0, se ne Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 2.S() deduce a,// = /^t^-\- i. Perciò (io) C R :Dz ^ -t- 3 t" — ^t^y è I' c(]UÌpollenza dell' evoluta della parabola. i44- 11 i"3ggio di curvatura è dunque espresso in grandezza e direzione da MRi£!=iii"-l-i — (i-H4^^)y=^ :£:= ( I -4-4r) (i — ty) :£^ ( i -1-4^) MN. La MN, essendo composta - equipollente di due rette perpendicolari, ha la lun- ghezza ^i/i -i-4^^i perciò il raggio di curvatura MR è pro- porzionale al cubo della normale MN terminata all'asse della parabola. Se MLr£iriMR, cioè se L è il punto di mezzo della MR, essendo CF=Q:i., sarà FL i£i=CM-t-ML — CF £2= d^ 3 ^^ -4- ( ^ — i2 i^ ) ty^, cioè perpendicolare alla FMd^zt'' — j-t-^T^j quindi il raggio di curvatura è dop- pio della porzione ML di normale che è ipotenusa del trian- golo M F L rettangolo nel loco F. Se la M K £i; L M si prende sulla prolungazione del raggio RM si ha (il) C K r£r!= — i ~*~ i 1-^^^)>^5 e perciò il punto K ap- partiene alla direttrice DK della parabola. 145. L' ellisse è espressa dall' equipollenza (i) OM:0^x.OA-+-y.OB (Fig. 3a*), purché le quantità reali x, y soddisfacciano all'equazione (a) ar"-Hj''= i, il che si può fare ponendo x = cos^, j = sen?. I due va- lori ( positivo e negativo ma equivalenti ) che riceve ciascuna variabile per ogni valore dell' altra mostrano che O A ed O B sono due diametri conjugati dell'ellisse. La direzione della tan- gente nel punto M è data da r/x . O A -+- ^)£S essendo ^, p due quantità reali che rimangono da determinarsi mediante le due equazioni, nella quale si decompone quell' equipollenza separando la parte reale dall' immaginaria : t =: t -i- p -h p cos t ■+- sent , — q=psent — cos^. Queste equazioni danno (j = i , e perciò la tangente M T taglia il circolo generatore nel punto Q diametralmente opposto ad N. ( Cosa evidente. ) i56. La derivata della velocità MT è la (3) y^£'=£:}=MC; questa è la turbazìone del movimento espressa dalla (i); ossia in altre parole il punto M che si muove per la cicloide se- condo quella legge può considerarsi come attratto con forza costante dal centro mobile C del circolo generatore. 157. Se come al 5- '4^ cerchiamo quel punto R della normale M N , in cui essa incontra la normale infinitamente vicina, dobbiamo uguagliare a zero la derivata di OKd:^t — y e' -^py {i ■+■£') ^ cioè [i-^e' —pt')dt-^ -•->^(i -i- e') dp dlz o; considerandovi dt.dp come un rap- porto affatto aibitrario, si scorge che il prodotto \i-^^—pt')c]{y-\-ye')^^ —y—ye'-^-pye'—y e-'— y-n/^y^ dev'essere identico al proprio conjugato, peiciò /? = 2,. Dunque il raggio di curvatura MR è doppio della normale MN. Il luogo di tutti i centri R, cioè l' evoluta è data dall' equipollenza (4) OR £^ 2-/^-4-i-i->^£*; essa è quindi una cicloide eguale alla primitiva OM£^i — y^s'h i raggi dei circoli generatori in M ed in R sono — y^e', T^e', vale a dire paralleli, ma diretti oppostamente. i58. Da ogni punto M della cicloide si tiri la retta MS che formi col raggio di curvatura MR un dato angolo a, ed abbia con esso un dato rapporto a, cioè sia MS =Cì: ae". M R, e si cerchi il luogo di tutti i punti S. Si ha tosto a94 Sposizione del metodo delle equipollenze (5) OS rOz t—Y^ -f- atìy^e"(i-(-£'):£^aay'£"-4-^-f-(aa£"— f ) y^e' i il che mostra che anche la curva S è generata dalla composi- zione del moto progressivo espresso dal termine t col moto rotatorio di l'aggio costante a a e" — x . Perciò la curva S è una cicloide, che è ordinaria ogniqualvolta sia gr (aae"— i)=i, cioè (5- Sa ) (a «fi" — i ) (aa£~" — i ) i£^ i , ossia ( §. ga ) a = cosa; nel qual caso la curva S è l'evoluta imperfetta della M. i5g. Come altra applicazione del nostro metodo e della maniera molto semplice di esprimere una cicloide ricerchiamo la traiettoria ortogonale di tutte le posizioni che prende la ci- cloide muovendosi parallelamente alla sua base. Queste infinite cicloidi sono espresse da (6) O M :flb t -4- it — >^£', essendo r il parametro di posizione che distingue 1' una dall' altra le cicloidi eguali. La (6) esprimerà anche la cercata trajettoria quando t sia tale funzione di r, che individui in ciascuna ci- cloide il punto, in cui è tagliata dalla trajettoria. La tangente della trajettoria sarà perciò espressa dalla derivata della (6) presa rispetto a f, questa derivazione noi la segneremo colla caratteristica d, e la tangente dr-f-i-t-f* dovrà poi (per la condizione della trajettoria ortogonale ) essere perpendico- lare alla tangente !-»-£'(§. i55 ) di ciascuna cicloide. Quindi d T -t- I -H £* dev'essere parallela a y^-(-"y*^£', cioè (dr -H r -1- 1') (—y^— /'£-») :£ì: — ( I -»-£-^) ydr — a^ — ■/'(£'h-£-') dev' essere equipollente alla propria coniugata, il che dà dr = — a, onde t = c — 'xt. Perciò tutte le cercate tra- iettorie ortogonali sono espresse da OM=£bc — t — y^fiS cioè sono altre cicloidi uguali alle proposte ed aventi le basi sulla AQP. i6o. La definizione geometrica della lunghezza dell' arco curvilineo AM si è il limite della somma delle corde infinite- sime (cioè dirainuentesi oltre ogni quantità) in esso inscritte; perciò la derivata di quella lunghezza sarà il limite del rap- porto della corda MM, al corrispondente accrescimento della t^ Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 296 cioè sarà precisamente la lunghezza della M T data dalla (a) del §. i55. Dunque la derivata dell'arco di cicloide è (§. Sa) 1. _J. _2 . _ 2 t 3. di = grMT = i/(i H-e') ( I -he-') = e -ne = a cos 1, e contando l'arco dal punto A conispondente a ^ = 0 si ha 5 = AM =4sen-i, ed AMB = 4. 16 r. Si trova che l'area a del triangolo mistilineo APM limitato dall'arco AM e dall'ordinata PM ha per derivata il doppio del triangolo MPT, cioè pel la" canone da=^(MP.cj MT — cj MP.MT). Nel nostro caso la distanza del punto M dalla OC è i(OM — cjOM)£:b :£i= — — (£'-(-£-'), perciò M? dlh — y -^y- (s' ■+■ e-'); e quindi do-=^ — i (g"' H- £— ^') = i ( i — cosa^), la cui retroderivata è ff=APM = l sen a t . 2 4 1O2. Con questi pochi esempii spero aver mostrato come il metodo delle equipollenze si applichi anche allo studio delle curve, e queste possano essere espresse da equipollenze di forme differenti dalle due O M i£h: a; -<- j y , OM =C!=z£", corrispondenti ai due sistemi di coordinate, che sogliono ado- perarsi nella Geometria analitica. Cosi 1' equipollenza della ci- cloide { §. i53 ) è certamente più semplice di ogni altra sua espressione, e quindi conduce più brevemente alla risoluzione dei problemi. — Ora noi risolveremo i principali problemi re- lativi alle curve lasciando all'equipollenza (§. i33) OM dlh (p (^t) tutta la sua generalità. i63. Problema. Trovare V evoluta di una data curva M. Prendendo le derivate rispetto alla variabile reale t, di cui la OM si suppone funzione, sarà (i) MT=iIbdOM la retta tangente alla curva nel punto M. Per maggiore speditezza om- metteremo nelle derivate il punto O che è fisso, e scriveremo dM in luogo di dOM. Un punto qualunque della normale è ago Sposizione del metodo delle equipollenze perciò dato da (a) MR:£h^dM, essendo l un coef- A fidente reale arbitrario. — L'evoluta come l'inviluppo di tutte le normali sarà data da ORrCbOM-Hyy.dM, p ur- chè la X sia tal funzione della t^ che la MR riesca tangente all'evoluta nel punto R; perciò la dRr£^dM-)-jy.d^M — liy^.dM dev'essere parallela a y^.dM. Moltiplicando per cj dM si vede che d M . cj d M -)- ^ y' cj d M . d^ M dev' essere parallela a -/" ; quindi sommandovi la sua conjugata sarà a . d M . cj d M -+- ^ y^ ( cj d M . d' M — d M . cj d' M ) =:!: o . So- stituendo nella (a) si ha pel raggio di curvatura 1' espressione (3) M R - -IdMllcj d M d M . cj d^ M — cj d M . d^ M ■ i64- Invece di adoperare questa (3) potrà riuscir comodo di decomporre d^ M : d M nelle sue parti reale ed iramagina- na, cioè porre (4) -ttj- =Cb Z -h /l y j e siccome questa supposizione rende identica la precedente y /d^M cjd^M\ ^ ■ j i -1 1 a -(- -V ( — nrr — . , ,., 1 :£!= o , cosi si vede che il valore >i \ d M C] d M / di /i, da sostituirsi nella (a) è precisamente quello dato dalla (4)- i65. Applichiamo la (3) al caso che la curva M sia riferita alle solite coordinate ortogonali, cioè abbiasi O M sCh x -i-/ y , le x^ y essendo funzioni della variabile t^ rispetto alla quale si prendono le derivate segnate colla caratteristica- d. I valori di dM =Cb da; -H dj y, cjdM:£hdx — dj y, ecc. so- stituiti nella (3) danno tosto ' a(djd^a: — àxà^y)-^ d/d^x — òxà'^y Cosi è pienamente determinata la posizione del centro di cur- vatura R, e per la grandezza del raggio MR si ha ziz{àx'' -^ày^'f: {òyà^x — Axày). Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 297 iò6. Un secondo esempio ce lo dia la curva espressa da OM^Che^'f*, che è una spirale logaritmica, perchè il loga- ritmo del raggio vettore grOM^ie"' è proporzionale all' az- zinuitto incO]M = ^. Prendendo le derivate rispetto alla t sarà àMd:^{a-^y) e"* £\ à^ M. ^^ { a -\- y f e"' e.' ; quindi la (4) dà / -(- /l y^ rfZh a -H y*", cioè /l=i, e per la (a) si ha M R r£:^ ( a y — 1 ) 6"^ e'. L' evoluta data dalla O R £i= 0 M -4- M R rCb a y*^ e"' e' è una spirale logaritmica eguale alla M . 167. La decomposizione adoperata nel §• i(>4 P"ò costruirsi geometricamente: oltre la MT^ìidM, abbiasi { Fig. 34^) la MUrCbd^M, e si tiri UL perpendicolare su MT, sarà LU:£ì.;i-/'.MT, e quindi la (a) ci darà (6) MR£:^(MT)^:UL. Così, per esempio, nell' ellisse espressa da OM r£^cos/.OA-4-sen^.OB la MT£:= — senf.OA-t-cos^OB è equipollente al semidiametro ON conjugato ad OM, e la MUr£b — OM mostra che U cade nel centro O dell'ellisse. Perciò il centro di curvatura R potrà determinarsi innalzando le perpendicolari MR, 'Yv e tirando TR perpendicolare ad Mv . — Nella supposizione che la curva sia generata dal moto del punto M, t essendo il tempo, MT è la velocità, ed MU (5- i5i) la turbazìone del movimento; perciò il raggio di cur- vatura è uguale al quadrato della velocità diviso per quella componente della turbazione, che è perpendicolare alla velocità ( forza centrifuga ) . 168. Oltre le espressioni OM£^x-H/y, OM:£i:s£" merita speciale considerazione la (7) 0M:£^ f é" As, ove

£".dM, poscia deter- minando p in guisa che dS sia parallela alla stessa MS. Così a E si trova (9) MS £Ib: sena — MR j nota relazione dei punti S dell' evoluta imperfetta ai punti R dell' evoluta pro- priamente detta. 1 74. Problema. Determinare la curva V parallela alla data M, cioè che ha con essa comuni tutte le normali MP. Il punto P appartendo alla normale della data curva nel punto M sarà OP d2:zOM -i- p'/'.dM; inoltre la tangente in P, che è de- terminata in direzione da dP £:^ dM -»-/;■/'. d^M -i- ■j/'d/'.dM, dev'essere parallela alla tangente dM. Moltiplicando per cjdM avremo p-/". cj dM . d^M H- y dy; . dM . cj dM parallela a dM.cjdM, cioè d'inclinazione nulla, e quindi equipollente alla propria conjugata — /^y^. dM . cj d'M — y^^d/^.dM . cj dM. Ne viene — = -nr -+• cj ,.. , e retrodenvando sarà dM J dM y? = c: j/dM . cj d M. Quindi la distanza delle due curve è (io) M P =Q= c>^^/dM : cj dM, vale a dire di grandezza co- stante, e le curve sono veramente parallele. Colla posizione (4) del 5- 164 si l»a p =^ e e~ *. 3oo Sposizione del metodo delle equipollenze 175. Questi calcoli sarebbero riusciti più spediti ponendo (5- 168) (7) dMrCbf'^dj. Supponiamo pili generalmente che la MP formi colla tangente dM un angolo costante a, sarà OPrCbOM-4-;7£"'*"^di, e se la tangente dP ^e'^ds -+- /7£»-^^(d% -H y^ dsd(p) -)-.£"-*-^ dp ds debba esser parallela alla dM sarà jje"' {d^s ■+- ■ydsd(p) ■+- £"'dpds = = ps~'^{d''s — y^ ds d(p) -i- e~"' dp ds; la retroderivata di questa equazione dà pds:=ca~'^, essendo e la costante ar- bitraria, ed a^zze*^"'"; perciò (n) MP r£b e a"''* f""*"*^. Dunque tutte le rette M P, che sono tagliate sotto un uguale e costante angolo dalle due curve M, P, sono rispettivamente equipollenti ai raggi vettori di una spirale logaritmica (5- 166) che li taglia sotto quel medesimo angolo. 176. Problema. Determinare le sviluppanti di una data curva M, cioè le trajettorie ortogonali delle sue tangenti M T. Diciamo T il punto della cercata trajettoria, e poniamo 0T=C!=0M-f-(7.dM; la tangente della curva T è data da dT :£Ih ( I -I- d^) dM -1- ^d'M, e dev'essere perpendicolare a dM; quindi colla solita supposizione (4) d'^M.d.M ^C^ l-^ Ày^ sarà i -\- dq -\- ql^ o^ e quindi (la) MT:£^ — e~^''^'./e^''^'d^.dM. 177. I calcoli sono più brevi se l'equipollenza della curva M sia data sotto la forma (7), allora, posto MT:£t^£'^, sarà dT £^ e'^ (d.f -I- d^) -H ^y*^£ d(^ perpendicolare a r, cioè dovrà essere ds -^ dq ■= c^ retroderivando si ha q = c — s, e quindi (i3) MT=0=(c — s) e^ . — Ci sarà facile dimo- strare che la sviluppante T ha per evoluta la curva M. Infatti abbiamo dT:£b(c — s) -^ £^ d(p^ e (supposto per brevità d(p costante) d^T£^(^ — c)^^ d(p^ — -/^ t^ dcp ds^ e per- ciò la (4) ( S- '^4) ^^' rispetto alla curva T, A = d--Hdj^)MW, d^ M rCb d^7 . M T -H (j d^ j H- 3 dj d^7 ) M W, nei cui secondi membri le rette MT, MW si considerano come fisse. Perciò rite- nuto che sia MT £Ib dM, quando j = o dovrà essere dj=i, poscia (i5) d=M:£ì= — ^.dM-i-MW, essendo — ± i j* ) M W -f- 7 . M T , il segno superiore va- lendo pel caso dell'ellisse, l'inferiore per 1' iperbola; la stessa equipollenza esprime la parabola (5- 180) quando si sopprime il termine dotato del doppio segno. Ora le condizioni del con- tatto del 4" ordine tra la curva M, e la conica ( rispetto alla quale i punti M, W, T deggiono considerarsi come fissi ) si ottengono derivando, e dopo facendo 7 = 0, sicché supposto per brevità che quando 7 = 0 sia d7=/;, d^7 := — pq, — — 3 ^* = r, si hanno per la determinazione delle rette MT, MW le equipollenze (16) ;7.MT=Q=dM, 3o4 Sposizione del metodo delle equipollenze (17) p^ .MW ^0=d^M-^- q .dM, purché le quantità reali/?, q, r rendano soddisfatta la (18) d^M^^ — S^.d^'M-f- /-.dM, e sia (rg) d^^M — (4/--t- i5^" zt S/?") d^M parallela alla dM. Il valore di q dato dalla (18) è quello stesso che si trova colla (i4) del §. 179, perciò la MW della (17) ha la stessa direzione di quella della (i5) ( §. 179). i85. Nella sviluppante del circolo (5- 178, 181 ) abbiamo già trovato ^ = — ^, sicché la (18) dà £^(27^' — ^) — ^e [i -\- (p'^)^£^

^), il che non può ottenersi se non se col segno superiore e po- nendo p* = I -I — \i\ dopo dì che le (16), (17) determine- ranno due diametri conjugati dell' ellisse osculatrice. Potremo dire che la sviluppante del circolo ha in tutti i suoi punti la curi>atura ellittica^ poiché ha un contatto del 4° ordine con un' ellisse. 186. Nel caso generale di OM^D^x.Ok-i-y.OB es- sendo / funzione della variabile indipendente a-, abbiamo già trovato ( §. i8a) 3 ^) -^ - -^(^^g^^v"). ■ Posto e 6*^" = a, l'equipollenza della curva ricercata è (i) CM^^ca e'-f- I : ca' e. 193. Cerchiamo direttamente le trajettorie obbliquangole delle ellissi confocali; esprimeremo queste ellissi col mezzo dell' equipollenza ( §. i5a ) (a) C M £:ii e^ £ -+- e~^ e~ ; essendo e^, e~^ due quantità reali costanti, il cui prodotto si fece = I, perchè l'eccentricità è GF=f2=2,; z è quindi un parametro che varia da un' ellisse all' altra. ( Può notarsi per incidenza che se viceversa si supponesse r variabile da punto a punto e t parametro costante per ciascuna curva, la stessa (2) esprimerebbe la serie d'iperbole che hanno i fochi F, 0). La tangente dell'ellisse è data da (3) D,M dlh [e' e — e~^ e~ )>^, 3c8 Sposizione del metodo delle equipollenze e la (2) ci esprimerà (5. 188) anche la cercata trajettoria quando si supponga che t sia, anziché un parametro costante, una opportuna funzione di t\ in questa ipotesi la tangente della traiettoria sarà data da (4) D,M-^BrMAT^[e^ i — e~^ e~')y -^-{e^ Ì—é~^ e-^)àt. Dovendo per la condizione delle trajettorie obbliquangole esser costante la differenza delle inclinazioni delle (3), (4) avremo, tolto il fattore comune e^ e — e~^ ~ , y^ -4- d T =^ /> g" :^ /> cos a -4- p sen a y^, perciò dr^atga, cioè T = ? ctga -1- logc; così la (a) diventa la (i) del §. iga. 194. Accenniamo alcune proprietà della trovata curva. — La equipollenza (i) si decompone nelle due (5) CP:^cfl*£% PM =£:h e— ' a— ' £— % le quali esprimono che M descrive intorno al punto P una spirale logaritmica nello stesso tempo che P ne descrive un' altra intorno a C, i due movimenti sono tra loro legati col mezzo della (6) C P . P M =£1: I . Così la nostra curva è rispetto alla spi- rale logaritmica quel che 1' ellisse considerata come ipocicloide (5- iSa) è rispetto al circolo. igS. Se poniamo CK£IbaCP:£i=aca frCbae'^f, C K, i::^ a . P M =£1: 4 : G K, il punto M è alla metà della retta KjK. La tangente in M alla nostra curva forma colla MK l'angolo a\ infatti prendendo le derivate rispetto (per brevità) alla variabile indipendente a; = ^: sena si ha (7) dMr£^(ca f'— c~'a'~'£~')(ctga-i->^)di£:b £:= ( e a' £' — c~' a~' £~') e" — «" • MK . Inoltre (8) d^I^e'^.CM, d^MzCb£^".MK, d'^M rCb e'^^.'CM, ec. Quindi per la (4) del %. 1 64 porremo e" . C M £^ ( / -f- >i y^) M K ed il raggio di curvatura sarà dato da M R =^ -j- e M K . Potremo costruire queste due equipollenze tirando la MQ che abbia sulla MG l'inclinazione a-h—, poscia innalzando KQ . //^j^£ t^i^j' , -"-<^ -^é^y. - -^w^-^ -YA'I' y/*^^K jY j^.^.^ /'^ y**/./ / /;./ : ^'■9 4 >i' ìì^ V. r>^ 7 M A '- Il /-;./ f. \ /'■,y .-:. />'/'/ /Il ^K. /■;., -5 A .'TX '■'f \ \ I , I /-> ''/ 'y ìs r>' ^',^.K // y.. 'y ■""/ ^''"/ /? /^^^, ./:^, . <, y;,^^ -^ ^-< /*-'>- .vi, > /^^ v^^ yy y'V yj /,., „. -^ ^' .•■ì\ y ^rs' /.;? ^'V- /*j' n^. v*'/-^ /< y^V /''■ l> A / \ / \ / / " /■>,/ /Ji >.^, () , i 1, ir 'o.^ ■--- if >l /■^r/ /fy /-i^. M. ri V £^^r. .^oo eÌ!fcR«^ . 7 N U \ V. / y •> / y^^ 4-4? ^:::: 5^ \B P A C G y*;^ il7 y'iff iti /■,y '/H ,>^/7r ^y^ . . 3/. y*»*» JJ 11, . I O I Al 'K. II y'-'Y J/, >^V .S/ / /■r N M / \ v; Memoria del Prof. Giusto Bellavitis 809 perpendicolare alla MK, sicché paragonando la MK-t- KQ^Ih MQ colla precedente M K -+- ^r— - M K £:ì= V e" • M G vedremo che MRr^MQ.MK:MC, perlochè il triangolo MQR sarà simile -dritto ad MGK. — Il raggio vettore condotto dal foco Oè 0MzCbe^£-t-a-4-e~^£~; quindi la sua ra- X i X X dice e^ t^ ->t- e ^ e ^ è della stessa forma di GM; inoltre ( §. 5a ) si ha gr O M = e'^ -+- e"'^ -H £ -f- £~ , similmente gr FM =. e -Ir- é~^ — t — é~* \ dunque le due variabili t, ?, che sono legate (5- iqS ) da un'equazione del 1° grado, dipendono 1' una dalla somma e 1' altra dalla diffei'enza dei due raggi vettori. 3io SOPRI GLI lOTEGRAlI GENERALI DI ALCME EPZIONI A DERIVATE PARZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI DEL SOCIO ATTUALE PROFESSORE AB. BARNABA TORTOLDfl Ricevuta adì 17 Ottobre 1854. Inli'oduzlone. JLie ricerche intraprese in questa Memoria sono principalmente dirette alia generale integrazione di certe equazioni a derivate parziali, dalle quali dipende la risoluzione di alcuni importanti problemi di Fisica Matematica. Sceglieremo di preferenza : 1° V equazione di second' ordine, che s' incontra in un gran numero di problemi di Meccanica razionale, ed in particolare nel celebre problema sulle attrazioni: a° l'equazione di quarto ordine, che serve ad esprimere nella sua funzione principale le componenti delle forze elastiche nell' interno di un corpo solido omogeneo, e di elasticità costante lorchè è in equilibrio di elasticità : 3° un triplo sistema di equazioni di second' or- dine, che s'incontra nel problema relativo all'equilibrio di un prisma rettangolare. L' uso dei simboli e delle caratteristi- che esteso ad alcune formolo di integrali definiti, ed in parti- colare ad una foi'mola generale data da Poisson nel i8ig per la riduzione di un' integrale doppio ad un' integrale semplice somministrerà sotto una forma elegante i valori delle funzioni principali atti ad esprimere gli integrali generali delle soprac- cennate equazioni, e di altre molte, nelle quali il coefficiente simbolico della funzìon principale sia una certa funzione irra- Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 3ii zionale delle caratteristiche. I problemi testé nominati sono desunti dalla celebre moderna Opera del Sig. Prof. Lamé. Le- ^ons sur la théorie matìiématìque de V elastlcité des corps solides. Paris jSSa. I cultori dell' analisi matematica scorgeranno una nuova applicazione delle formole simboliche si comunemente ed elegantemente usate dai Geometri, e come queste potranno forse servire a facilitare la risoluzione di qualcuna delle im- portanti questioni proposte dall'esimio Autore della citata Opera. Verremo perciò a sviluppare nei seguenti paragrafi quanto ci siamo proposti. Integrali delle equazioni a derivate parziali. I .° Richiamiamo bi'evemente gli integrali delle equazioni a derivate parziali di primo ordine a coefficienti costanti. Siano X, jK, 3, . . . . i le variabili indipendenti, u \a. funzione princi- pale ed a,b.)C, m altrettante costanti, e D^, D^, D,, . . . .D, i simboli delle derivate parziali ; è chiaro che un' equazione di primo ordine sai'à generalmente della forma (D( — aDj; — bT>y — cD- — .... — m) u =:/"(a;, j, z, . . . . i) Se per le caratteristiche D^, D^., D-, .... pongasi per brevità D = a Dx -H i D_^ -+- e D. è noto, che 1' equazion caratteristica è soddisfatta generalmente dal valor simbolico u = e'"' e'°/e-"" e-'°/(^,r, z, . . . . t) dt. Neil' integrale relativo a t si deve aggiungere la funzione ar- bitraria delle rimanenti variabili j:,/,^, .... per cui se l'in- tegrazione abbia luogo a partir da ^ = ^05 il valore di u diviene u-^e e^ip(x,y,z, ) -^ fi e'^'-'K^'-'^^ f{x,y, z, . . . . t) dx . 3ia Sopra gli integrali generali ec. Le operazioni indicate dal simbolo Q si riducono al teorema di Taylor, e ponendo in fine F(T)=/[x-t-a(i — t), y-i-b{t — t), z-i-c{t — T), t], si avrà u = e"' rp(x-^-at, y-^bt, z-^-ct,...) -i- f^^ e"^^~''^ ¥ [t) dx . Quando il secondo membro dell' equazione sia nullo, in allora per r integrale di (Df — flDj; — bTiy — cDs — .... — m)M = o, si ha soltanto u = e^ 7p [x-i-at, y-^bt, z-hct, . . . .). La funzione arbitraria ip si determina col suppone, clie per un valor particolare di t, la u riducasi ad una funzione cognita delle restanti variabili x,y, z^ . . . . a.° Consideriamo particolarmente un' equazione fra le tre variabili indipendenti x, y, z, e prendiamo {aD,: -+- bBy -\- cD^) ui=f{x,y,z). Dividendo il primo e secondo membro per uno dei coefficienti e, e posto per brevità — = — a\ — = — b\ si avrà {B,-a'Dy-b'D^)u=li^^lIl^, d' onde chiamando t^ la funzione arbitraria, e supponendo che r integrazione abbia luogo a partir da x^=- Xa-, avremo per r integrale u = e^"'^-^ ■*■ *'°')'' ^{y->^) ^ r ^{x-s)(a'D^ + b'D.)f{s,y, z) ^^ a J xa a ' Sia nullo il secondo membro dell' equazione, e si eseguiscano le operazioni indicate dai simboli esponenziali, e si sostituiscano nuovamente i valori di a', b\ è chiaro che 1' integrale della equazione ( a D^ -t- è D^ -+- e D^ ) Zi := o , sarà Memoria dei. Prof. Barnaba Tortolini 3i3 ' ay -—bx 1 / (fv — 6x az — ex \ Per la funzione arbitraria ip jmò supporsi, che per un valor parti- colare X della a, la u riducasi ad una funzione cognita F(j, 2:); in questo caso ognun vede che l' integrale generale sarà espresso per ^ __ p / g // -I- & ( X — j ) az-t-c{\ — x) \ Questo valore soddisfa all' equazione data, e alla condizione ri- chiesta. Dall' integrale di un' equazione lineare del primo or- dine si passa facilmente alla determinazione della funzione principale m, che verifichi 1' equazione caratteristica nella quale F(Di, D^,, D^) sia una funzione intera delle ca- ratteristiche D^, D^, Di e decomponibile in fattori lineari uguali o disuguali. Quest'importante argomento ad imitazione di altri Geometri fu già da me con qualche estensione trattato in una serie di Memorie pubblicate nel Giornale Arcadico negli anni 1842, 1843. Per lo scopo ora prefissoci non considereremo che il caso, nel quale la funzione delle caratteristiche D^, D^,, D^ si riduca ad una potenza intera simbolica di una funzione li- neare delle medesime caratteristiche. 3.° Sia dunque da integrarsi 1' equazion simbolica dell'or- dine re, e della forma (aD^-t-Z'D^-4-cD^)" u=f{x,y,z). Se qui pure pongasi SI avrà !^ = -a\ - = — b\ n = fl'D, ■+■ y D, .-^ V f [x-,y-, z\ d' onde per il valore dell' integrale simbolico u = a"(D, — D)" Tomo XXV. P.'^ IL'' Oo 3i4 Sopra gli integrali generali ec. Mediante 1' analogia delle potenze con le diff<;renze si potrà facilmente riconoscere il significato del secondo membro della u. Infatti considerata u qual funzione di x^y^z abbiamo dalla derivazione parziale D^ e-^° u = e-^° ( D, - D)" «, ovvero d' onde si trae "— '^ fl"D," — JJJ' a" Se questo integrale multiplo ha luogo a partir da x-=.x^^ si potrà esso decomporre in un integrale semplice per mezzo della formola generale e perciò y a,„ i . a . 3 . . . « — I a" Per pon-e in evidenza le n funzioni arbitrarie delle rimanenti variabili j, z si sviluppi il binomio {x — 5)" — ' e per ciascuna integrazione otterremo a" (x — 5)"-' ^,elJ^(,,_,)(j,.) -^y,„ (i.a.3.../z-i)a"' -^ ^''^' ^^ '^'• Le operazioni indicate dal simbolo □ si riducono al teorema di Taylor nelle funzioni arbitrarie 1^, (px-, (p2. • ■ • ;/«'/ — fjx uz — cx\ I ,- fai/ — bx az — ex \ I La determinazione delle funzioni arbitrarie (p, (p, dipende dalle condizioni, alle quali si assoggetta la funzione u. Non è mio scopo presentemente di entrare in questo vasto argomento, dal quale dipende la risoluzione di un gran numero di problemi di Fisica Matematica, e possono consultarsi le classiche Memorie di Poisson, Fourier, del Signor Caiichy pubblicate per la maggior parte nei volumi dell' Accademia delle scienze di Pa- rigi. Il Sig. Cauchy occupandosi piì; di una volta dell' integra- zione delle equazioni ne' suoi EsercizJ di Matematica sì antichi che nuovi, nelle Memorie dell' Istituto di Francia, nel Giornale della scuola politecnica, dà nello stesso tempo dei metodi tanto per la determinazione delle costanti arbitrarie, quanto per la determinazione delle funzioni. Fra gl'innumerevoli e dotti scritti 3i6 Sopra gli integrali generali ec. del Sig. Cauchy su questo soggetto io citerò una Memoria di Calcolo integrale pubblicata nel Tom. aa", i85o, delle Memorie dell' Accademia delle scienze. L' illustre Geometra avea pre- sentato questo prezioso lavoro all' Accademia fin dal 27 Di- cembre 1824, e ci duole che sia stato pubblicato dopo un lungo tratto di 2.Ò anni (*). Nelle mie citate Memorie del 1842, i843 diedi un metodo generale per la determinazione delle funzioni arbitrarie negli integrali delle equazioni a derivate parziali dell' ordine 7z, quando si supponga che per un valor partico- lare di una delle variabili indipendenti x, tanto la funzione (*) L' Accademia delle scienze di Parigi puLblicò nel Tom. 7° des Savants Etrungers 1841 una classica ed originale Memoria di Abel sulle funzioni trascendenti: essa era stata presentata fin dal 1826. A questa Memoria si riferisce quanto il celebre Jacobi diceva nel Tom. 9°, Journal ck M.' Creile, pag. 397, an. 1832: '3 ^ -*-r« e soggiunge : « Quaestiones de eadem re a praestantissirao Sturm Academiae Parisiensi com- » missas nondum lucem vidisse dolemus. » Lo stesso Jacobi nel Tom. 23° di Creile, pag. 3", an. 1842 parla di una Memoria inedita del celebre Cliarpit suU' integrazione dell'equazioni, ed aggiunge : « Si commentatio juvenis praematura morte abrepti an. 1 782 Academiae Pari- » siensi communicata per tot discrimina rerum adhuc conservata est, optanduni est ut CI. » Lionville eam in insigni cujus publicationi praeesl Diario Mathematico collocare, atque a >> scriniis academicis resuscitare velit. » Memoria del Prof. Barnaba Tortouni .Siy principale u quanto le sue derivate D^7^, D^m, D^m, D"""' u si riducano a funzioni date delle rimanenti variabili j, z. Senza richiamare qui le formole generali, che ci porterebbero troppo a lungo, ci serviremo di alcuni modi puramente elementari tanto per le equazioni fino ad ora contemplate, quanto per le altre che verremo ad esaminare. 5.° Riprendiamo il precedente valore X ^ f ('V — hx az — cx\ »j/av — bx uz — cx\ e poniamo di più — = — «, -=—0, y -^ a x = ii, z-i-bx = i^; mutiamo il simbolo (p, in ìp, e scriviamo semplicemente (p, ip per le funzioni di |, i^; è chiaro che si ha a' u = x(p -i- ip . Derivando relativamente ad x si ha a" D^ M = (^ -)- a; D^ ^ -4- Dj. tp e quindi, eseguite le derivazioni in (p, ip, a'^D^ìi =: (p -+- X ( a (py -+- h' (pJ ) -+- a ipy ■+■ h' ip.'. Se ora per un valore x = X si supponga u = F^{y, z)^ D^u = F,{y,z) è chiaro in allora che ponendo y-t-a'X = p, z-*-b'X = p, le I, 77 si trasformeranno in /?, p, . Che se dopo la sostituzione di x = X, si ponga nelle due funzioni Fo(j, z), F,(y,z), invece di j, s, rispettivamente y-ha{x — X), z-i-b'(x — X) è evidente che p, /?, si ridurranno nuovamente a |, 7p, per cui fatto per brevità y -^ a {x — X) =: À, J -4- // ( X — X) =: ^l 3i8 Sopra gli integrali generali ec. otterremo dai valori di M,D^tó a^ F. (A, ^i) = ^ -^- X D,(^ -H D,7//. Si eseguisca nella prima una derivazione rapporto ad x, dopo ciò avremo subito dall' eliminazione Ì = F„(;i,^i)-X[F, (A,(:z)-D,F„(A,^)]. Di qui per il valore di u si ottiene u =zF, {À, ^i) -^ [x — X) [F, {À, ^) — D,F, {À, ^)] . Per maggior semplicità scriviamo Fo, Fj per le due funzioni, si avrà 7i = Fe-H-(:t:-X)(F, — D,Fo). Questo valore soddisfa tanto all'equazione, quanto alle richieste condizioni, e si potrà inoltre scrivere sotto la forma simbolica u = F„-{x-X){D,-F)\ perchè nello sviluppo alle potenze o ed i di F s' intende so- stituito Fo, F, . 6." Proponiamoci ancora per « = 4 d'integrare l'equazione {aD^-¥- bBy-i- cD^)* u=:f(x,y, z) . Ritenute tutte le precedenti denominazioni si chiamino <^, ^, $, ;^, le quattro funzioni arbitrarie delle variabili |, 77 definite come al principio del parag. 5°, si avrà per 1' integrale a^u = x'(p-^x^4j-^x ove posto x = X, ed introdottici i consueti valori di À, {.i ot- terremo egualmente '''A ''jL> aiioisGfjp;) Mba m ib s-m «4 F3 ( ;., ^ ) = 6 ^ -H- 3 «4 D,F,|^.,^^ ) - 3 a4 D%F. ( A, ^ ) -f-a4D^Fo(A,f/). Sao Sopra gli integrali generali ec. Siamo adunque giunti a quattro equazioni con quattro inco- gnite per le determinazioni di (p, ip, (^, p(^. Per brevità scri- viamo Fo,Fj,.... invece di Fa{À,^) F, ( A, ^i), . . . . avremo simultaneamente a^F, = 3X"(^H-aX^-t-a)-4- a^D^Fo a^F^=zòX•- y zf ' Tutto ciò che abbiamo finora esposto ci condurrà alla risolu- zione di questioni più difficili e più estese relativamente alla integrazione delle equazioni a derivate parziali: aggiungiamo di più che aumenteranno le risorse dell'analisi, quando ai quadrati a;% y% z^ si sostituisce jc+, y*, z'^, e successivamente alle x^^y'^iZ^ si sostituisce a;^, 7", z^, ed in generale, se l'espo- nente sia rappresentato da una potenza di a. 8." Sia da integrarsi 1' equazione (D^-i-DV-*-D\)zi=/(x,j, z). Dall' analogia delle potenze con le differenze si avrà per il suo valore simbolico _ /(a:, 7, z) " ~ D% H- D^^ -4- D\ ' Considerando le caratteristiche D^, D^,, D^^ come se fossero vere quantità, è chiaro che per le ultime fijrmole del precedente parag. 7°, il valore

  • ^ = C a a il valore di ?/. porgerà per l' integrale della proposta equazione Quest' espressione soddisfa anche alla condizione che per x = o le u^Y>^u si riducano rispettivamente eguali a ip {y, z), (p (y, z). Volendo sostituire al valore di 6 un' altra espressione come al parag. 5°, ove era inclusa la determinazione delle funzioni ar- bitrarie, in allora rammentandoci dei valori di /l, ^, cioè . ay — ^ (x — X) az — y {x — X) a ^ a si avrà <9 = F„(A,^)-»-(x-X)[F.(/l,^)-D,F<,{A,^)]. Mutiamo i segni delle due funzioni Fo,F,, ed otterremo per u un' altra forma d' integrale, vale a dire «=J- r" f"{x-X)[B,F4A,ti)-F,{A,t^)]seufJpd Le dop- pie espressioni da noi date per il valore u dell' integrale sono prive dei simboli d' imaginarietà. Le due equazioni (D%-<-D^^-4-D\) u = c, (D%H- D^^-hD\) u=f{x,y.. z) si presentano in un. gran numero di problemi di Fisica mate- matica, ed in particolare in quello sulle attrazioni. Diversi Geometri si sono occupati dell' integrale della prima delle due equazioni. 11 Sig. Prof. 'Ìi. Carmìchael di Dublino nel Giornale The Cambridge ari Duhlìn Tom. 7°, pag. i3o, an. i85a, fa- cendo uso dei nuovi simboli d' imaginarietà coli' introdurre la così detta teorica dei trìplettì ne determina 1' integrale, ma le sue forme sono diverse dalle nostre. 11 Sig. Carmìchael estende la integrazione per un' equazione somigliante a quattro varia- bili indipendenti coli' uso dei Quaternioni [*). Sarebbe facile di (*) Il Sig. Prof. W. R. Hamilton , il quale ha introdotto nell' analisi 1' uso dei Quater- nioni', ha rcceiUcmente pubblicato un' Opera su questo soggetto intitolata Lectures on Qua- ternìons, Dublin 1853. Essa è un grosso volume in 8° in carattere minuto di 7.36 pagine, ed è preceduta da una prefazione di GA pagine e da un indice in carattere ancor più minuto di 72 pagine. Il Sig. Hamilton dice che 1' Opera è il risultato dello studio di venti anni , ed il nome dell' Autore raccomanda certamente 1' attenzione dei Geometri. Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 3a5 estendere le precedenti considerazioni ad altre equazioni a de- rivate parziali di second' ordine, ed in particolare quando il coefficiente simbolico della u fosse rappresentato da una fun- zione omogenea di secondo grado delle tre caratteristiche D,., D^,D-, il che verrà forse riservato in altra Memoria. g.° Sia da integrarsi l'equazione caratteristica del 4° ordine la quale, se fosse f [x^ y, z) =. c^ s'incontra nel problema sull'equilibrio di elasticità di un corpo solido omogeneo (Lamé, Corps elastiques, pag. 70). Avremo per il valor siinbolico dell' integrale u Ora per le applicazioni fatte della formola di Poisson e ripor- tate verso la line del parag. 7", potremo alle x,/, s sostituirci le caratteristiche D^., D^., D-, quindi è chiaro che il precedente valore di n si trasformerà in — 3 r-j-n rn f[x^y^z)?,enpdpdq 4jT J o .' o ( cosp Dr -H sen/.» cos q D,. -1- seny^ sen ^ D- )■* ' quindi si vede che la integrazione viene ridotta alla ricerca di una funzione 0, la quale verifichi 1' equazion caratteristica ( cosji^D^ -H senyy cos^/D^. -H sen/? senqXì^Y 6 =f{x,y, z), il che già si è fatto in piìi modi nel precedente parag. 6". Supponiamo nullo il secondo membro, e riteniamo tutte le de- nominazioni di a, j3, y, »?, C del parag. 8" per il valore di 6, che debba verificare 1' equazione del 4" ordine (cosy?D^-f- seny? cos^yD^ ■+■ senp senqD,)^d = o, avremo per il detto valore di 6 e cos7> = x' (^ ( >^, e ) -t- X' t// ( /;, C) -H X $ ( ^, C) -H Z ( »?' ^ ) ' 3a6 Sopra gli integrali generali ec. d'onde se si scriva (p^ip,.... in luogo di cp {t^, Z),. . . , per r integrale dell' equazion caratteristica otterremo — 3 • /"^^r r7t (^x^(p -i- x^ìp -i- x^ -i- x) ^^^P dp dq ^K J o Jo COS'IP Le funzioni arbitrarie (p^ ip^ $, ^ possono essere soggette a diverse condizioni relativamente alla ii e alle sue derivate D^M, D'^zi, W^ii. Cosi per x = o \a ^ diviene ^[y^z)^ e si ha di più /-'ù.n rn sen/? dp dq — 4 0 J o cos'IT? 3 ' per cui ad x ■=■ o corrisponde u-=- ^(^{^x^y^ . Venendo ad una prima derivazione nel valore generale di u rapporto ad x si vede facilmente che la derivazione di xiVi^) produce e perciò richiamando i valori di a, /3, y otterremo I \)^x{V->t)^^^pdp dq 0 J o /•2;r rji y (??, C) sen^/» cos q dp dq 0 J o C0S^j!7 2^ /"^ X'p ( i?5 C ) sen^p sen q dp dq 0 J o COS,^ p Fatto j; = o, le x {V^^)-> ^?{'^->'^) ^^ riducono a funzioni di y, z, gli integrali trigonometrici sono nulli, e nullo perciò risulterà il primo membro. Da qui ne segue che ad x = e corrisponde D^;" = *I> (/, z) . Nella stessa guisa per x ■= o ricaviamo Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 82.7 Supponiamo ora il valore di 6 già sottoposto alle condizioni, che per x = X, le ^, D^ (?, D'^ 0, D'^ ^ si riducano alle fun- zioni Fo(j, ^), F,(j,z )...., in allora se si ritengano sem- pre i valori di /l,^, di a,/? come dal parag. 8° e per brevità si scriva Fo,F, , invece di Fo{À,fi), si avrà per il valore generale tì = Fo-H(x-X)(F.-D..F,)-H(-^=^"(F,-iiF.D.F„-HD^F,) -H ^f=^' ( F3 - 3 F,D,F, -H 3 F,D%F„ - D^F„ ) , quale si avrebbe da sostituire nel secondo membro di — 3 u = --— / / 6 sen p cip dq . Cangiamo il segno al valore di 0, e scriviamo di più /,,/», /a per i coefficienti delle diverse potenze di x — X, otterremo in fine Questo valore rappresenta 1' integrale generale dell' equazione (D^-i-DV-+-D%)^zi = o e nello stesso tempo per a: = X soddisfa alle condizioni u = ¥,{y,z), D,z/ = F,(j,2), D%m=:F,(7,5;), Ti\u=F,{y,z). Dai principi stabiliti si scorge, come senza diflBcoltà si potrebbe determinare 1' integrale dell' equazione ( D^ -H D*, ^ D% )" =/( X, j, 3 ) od anche di altra più generale, ed ove alla somma delle tre caratteristiche di second' ordine fosse sostituita una funzione omogenea di secondo «jrado delle tre medesime caratteristiche. IO." Come già abbiamo osservato verso la fine del parag. 7" aumenteranno le risorse dell' analisi, quando nella più volte citata formola di Poisson si sostituisse ar'*, /*, z*, invece di 3a8 Sopra gli integrali generali ec. x%/%2% e quindi x^^y^^z^ invece di x^, y^, z^ e così sncces- sivamente: noi da questa osservazione possiamo trarne un par- tito utile per l' integrazione di altre equazioni a derivate par- ziali. Sia per esempio da integrarsi 1' equazione ( a^ D^^ -+■ b^ D*3. -H c^ D'i, )" u =if[x,y, z ) si avrà primieramente quindi per le applicazioni fatte della forinola di Poisson nello stesso parag. 7°, si otterrà — (ara — \) r^'^ r^ f{x^y^ z) senp cip dq 4^ J o y o (<2Cos/'D^^-t-^sen/?coS(^D^^-l-csen/>sen^D\)^"' Si avrà pertanto nel secondo membro a determinare una fun- zione Q che verifichi 1' equazione caratteristica (acosjwD^^ -H h%^np cos^/D^-t-csen/? sen^D\)'"0=/(ar,j, z), la quale sarà integrabile per tutto ciò che abbiamo esposto nel precedente parag. g°. Piìi generalmente se m^ n, r siano numeri interi, e pongasi 2: = m, sarà sempre integrabile 1' e- quazione ( A D-, -+- B D-'V -H C D'", )" Zi =/ ( X, j, z ) . Io penso che la medesima conseguenza avrà luogo quando an- che alla somma delle caratteristiche AD'"^, si sostituisse una funzione omogenea di grado m delle tre caratteristiche D^ , D_^ , D- ; il che ci basti qui di aver indicato. ii.° Estendiamo le precedenti dottiine per 1' integiazione di altre equazioni a derivate parziali. Pongasi per le caratteri- stiche D^, Dj,, I)j . D' = D^^ -H B\ -H D^ e sia di pili e venga proposta 1' integrazione del triplo sistema Memoria del Prof. Barnaba Tortolini Sag ove £ è una costante data, e le U, V, W sono altrettante fun- zioni delle tre variabili x,y,z. Nel caso, che le U, V, W siano nulle, le tre precedenti equazioni s' incontrano nel problema sull'equilibrio di un prisma rettangolare, come si vede alla ci- tata Opera del Sig. Lamé, pag. 157; la costante e è collegata con due costanti /, m per mezzo dell' equazione m m Il simbolo n^*" si chiama dal Sig. Lamé parametro differen- ziale di second' ordine della funzione 11, ma da esso viene de- notato per A^ II, come dal medesimo dicesi parametro differen- ziale di primo ordine della funzione u l'espression differenziale A' u = [{D,uY -h {D^uY -^- {D.uyy . La integrazione del triplo sistema consisterà a determinare i valori generali delle tre funzioni u, v, w, quali verifichino le dette equazioni, il che noi potremo eseguire nei seguenti pa- ragrafi mediante lo sviluppo dei principj di sopra stabiliti. 12.° Si sostituisca nell' indicato triplo sistema il valore della funzione ausiliare 6, ed avremo tre equazioni sotto la forma simbolica ( D% -H £0' ) «^ -H D^D^ « -I- D, D^.i; = W. Considerando le caratteristiche come se fossero vere quantità , noi potremo determinare i valori di u, v, w dall' eliminazione di tre equazioni di primo grado a tre incognite, per cui pren- dendo per norma le tre equazioni a!/.-^bv-^cw = lJ, au-*-b'v-+-c'w = Y, a"ii-^b"v-i-c"w-i-'W e col porre A = ab'c" — ac b" -»r-cdb" — b de -^ be' a" — e V d\ Tomo XXV. P.'= //." Qq 33o Sopra gli integrali generali ec. si trae per la prima _ ( b' c" — c'b")\]-i-{cb" — bc")V-^{bc' — cb')W u _ - . Facendo l'applicazione alle tre equazioni simboliche troveremo per il denominatore comune A = ( D% -H £ D^ ) ( D^, -+- £ n^ ) ( D\ -+- e D^ ) — D^^ D\ { D^ -i- £ Q' ) — D\.D%(D\^-£n') — D%D^(D^^-H£^')• Si eseguiscano tutte le indicate moltiplicazioni delle caratteri- stiche, e si richiami di piili il valore di □% avremo senza difficoltà A = £" ( I -+-£) D''- Nella stessa guisa per il numeratore di u si troverà {b'c" — cb")\] = e[(i -J-£)n^ — D%]n^U (cZ/" — Z,c")V=— fD^D^D'V, {bc—cb')W = — eB^D._n'W, per cui fatta la riduzione fra le due potenze simboliche di □, si trarrà U u D,(D,U-i-D,V-hD,W) fQ* f ( I -H£) D' Nella stessa guisa per le altre due funzioni v, w, si ha _ V D^(D,U-hD^V-hD,W) _ W £ ( I -f- £ ) D'^ D,(D,U-(-D,V-hD.W) £D' £ (l -l-£) D'^ Tali sono gli integrali simbolici del triplo sistema di equazioni a derivate parziali: la questione è ridotta in ultimo all'inte- grazione di due equazioni del secondo e quart' ordine di già considerate nei precedenti parag. 8° e 9°. Così per il valore di u tutto consisterà a trovare due funzioni a,, «, che verifi- chino le due equazioni n^o, = U, n*o = D,(D,U-4-D^V-i-D,W). Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 33 1 Avanti di procedere alla ricerca dei valori espliciti delle tre funzioni u^ i', w da esprimersi in integrali definiti, mostriamo brevemente come per mezzo della funzione ausiliare Q si possa giungere ai medesimi valori simbolici di m, u, w. Riprese le equazioni si eseguisca una derivazione nella prima rapporto ad x, nella seconda ad /, e nella terza a z, e si sommino otterremo (D', -(- D^ -+- D^) (9 -H eD'^ = D,U -H D^ V -4- D. W. Da qui per la funzione ausiliare 0, si trae (H-£)D" la quale come ognun vede viene a coincidere con la forma di equazione a derivate parziali integrata nel principio del §. 8". Determinato il valore di 0, si otterrebbero quei di zi, u, w\ infatti dalla prima si ricava ^U__D^_ _£__ D^ (juale viene a coincidere con il valore precedentemente otte- nuto j lo stesso dicasi per le altre due funzioni v^ w. « i3.° Siano nulli i secondi membri del triplo sistema di equazioni (i), vale a dire sia U^o, V = o, W:^o, le tre equazioni da integrarsi saranno ( D^ -(- fD' ) Zi -+- D^. D^ u -I- D^ D^ w = o {D'y.-^-£Ci')v-^ D^ D^. u-^-D^D._w = c (D\ -H fn^)(v H- D^D^zi -f- D^D^u = o. Per ciò che si è veduto nell'antecedente parag. 12°, ciascuno dei valori di u, v, w sarà sempre della forma o, a 33a Sopra gli integrali generali ec. ove o, , o sono gli integrali dell' equazioni □»C?j = 0, ["14 0 = 0, quali verranno rappresentati da una o differenti forme dipen- denti dalla scelta delle funzioni u, v, (p. Ora per o,, a, come dai parag. 8° e 9", potremo prendere ^ = T^ I J ( Fo-t-(a; — X)(n^Fo — F, ) I sen/? J/?J^ 4^ '^ = è/oTo'^(F"-(--^)(°^^"-F-) I . 2 I . a . 3 ^^ -^)'(D%Fo-aF.D.F„-^-FO ( D^, F„ — 3 F. D^, F„ -4- 3 F, D, F„ — F3 ) ) san;? 4p rf^, ove Po, F,, Fo, F,, Fa, F3 sono funzioni di due variabili /l, /l, definite dai valori 2 ay — ^{x — X) az — -^{x — X) fi sono funzioni delle due /i,, X, . Nella stessa guisa ponendo _ y^ — a(z — Z) _ 77 — /?(^ — Z) Memoiiia del Prof. Barnaba Tortolini 333 si avrà per le altre due funzioni (y — YY \ àtitj o J o \ ^ ' I -a H- '^ ^ g' F3 I sen/7 rfp J^; Fo, F,,.... Fo, F,,.... sono rispettivamente funzioni di ^, ^, e di v^ V-,. Questi tre valori di m, u, «; sono quei dai quali sarà da dedursi il valore della funzione ausiliare Q definita dall' equazione 0 = D^ M -I- Dj, u -+- D- «; . Ci basti di aver noi indicato la forma degli integrali generali del triplo sistema di equazioni (i), e tralascieremo altre ricer- che, che potrebbero farsi sopra le medesime funzioni z/, v^ w, e dalle quali dipende la risoluzione di un qualche utile pro- blema, e ci tratterremo alquanto nei nuovi paragrafi nel mostrare come la trasformazione di certi integrali definiti possa utilmente adoprarsi nella rappresentazione di alcune equazioni simboliche, quando alle quantità si sostituiscano delle caratteristiche. i4-° Sia f il simbolo di una funzione, e sia da trasformarsi r integrale definito V=f^''f{{a^^b^Ycosp)dp in alti'o integrale definito, e nel quale ciascun elemento sia una funzione lineare di a, b. A questo oggetto osserviamo, che chiamando h una indeterminata potremo egualmente scrivere senza alterare il valore dell' integrale definito 334 Sopra gli integrali generali ec. quindi sviluppando cos (/? — /i), e determinando h per mezzo delle equazioni di condizione ar=z[a'->r-lff co%h^ Z» = (a'-K-^»*)^ sen A, tangA=^ si avrà come ci eravamo proposti J^^^fla cosp ■+- b sen/7 ì dp = J^"^ f Uà"" -\- b^'Y co?>p\ cip . Questa formola trovasi nel Tom. 5° degli Exercìces des Mathem. del Sig. Gauchy, pag. io, i83o. Per mostrarne fra le altre un' applicazione utile mutiamo a, b in B, C, e si prenda per la funzione /, 1' espressione fix) = ^-i— avremo evidentemente /'2:^ dp /"'"T dp o A -+- B cos/7 -4- C sen/? ~y o A -H (B= H- C")^ cosp ' D' altronde dall' integrale del primo membro per A > ( B" -+- C" )'"■ abbiamo dp ajT / o A -4- ( B" -t- C^ )' cosp i/{A' — B' — C') e per conseguenza 'I I r^^ dp I r^^ 2.71 J o . l/(A" — B" — C^) 271 Jo A -t- B cosp -H G senp ■ Ghe se di più si sostituisca Bi^ Ci in luogo di B, G, ove sia i = j/ — 1 , si dedurrà ancora I I f^^ dp 2.71 J o . [/ ( A'' -H B^ -f- G" ) 271 J o A-i- Bi cosp -+- Cisenp' Questo integrale definito servi di base ad alcune eleganti ri- cerche analitiche pubblicate in Roma nel i844 dal celebre Ja- cobi: esse sono relative a certe funzioni denotate con X„, Y„ Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 335 celebri nelle Opere di Laplace e Legendre ( Giornale arcadico Roma, 1844? Tom. 98"). Delle indicate formole d'integrali definiti se ne può trarre un partito utile per molte questioni di analisi, ed in particolare se ad A", B% C' s' intenda sosti- tuito A*, B', C''»; e così successivamente, come lo faremo ve- dere con qualche esempio in altra Memoria. Se alle costanti A, B, C si sostituiscano delle caratteristiche, allora le prece- denti formole potranno utilmente adoprarsi alla licerca della funzione principale, nella quale il coefficiente simbolico sia una certa funzione irrazionale delle caratteristiche, come si scor- gerà da qualche esempio. i5.° Sia r equazion caratteristica si avrà dall' analogia delle potenze con le differenze ( a' D\ ■+- b' B\ -4- C D% ) ^ ' quindi prendendo A = a D^ , B = bl)^, C = e D, otterremo dalle formole dell' antecedente parag. 14° 2.71 J o aD^ -^ bi cosjj D,. H- ci senp D. ' Il valor simbolico di 11 indica che la questione si riduce alla ricerca di una funzione 6, che verifichi l'equazione a derivate parziali del j" ordine, vale a dire [aD^ -i- bì cosp Dj. -f- ci sen/» Dx)d :=f{x, y, z). Il ciie già si è fatto nel parag. a°. Supponiamo /(a;,/, z ) = e è chiaro, che per il valore di 6 si avrà „ . ^ f ,iy — bi cos p . X a z — ci sen p . x' =i^{- 336 Sopra gli integrali generali ec. e perciò I C^'^ ^ i ay — b'i cos p . X az — ci seno, a; \ , u = - — / \ -H e* D'^^ )^ M =/ ( or, 7, z ) ; infatti avendosi dall' analogia f{x,y, z) u e prendendo A = aD^, B = Z»D»^, C = cD%, otterremo dalla nota formola u _ J_ n'' f{x,y->z) dp , a jT y o a D% -H bi co%p D^y ■+- ci senp D% ' r integrale del secondo membro dipende dalla ricerca di una funzione 6, clie soddisfi all' equazione caratteristica ( a D% -+- bi cosp D^y -t- ci senp D\ )d =:f[x,y, z) della quale in più modi se ne è determinato 1' integrale nel parag. 8" : in questa guisa il valore di u sarà espresso da un' integrale definito triplo. Richiamando poi ciò che si è esposto nel parag. io", si vede che sarà sempre integrabile l'equazione ( A^' D™^ -H B= D™^ -4- C^ D-", )^ M =/ ( X, y, z ) , ove m sia un'intero della forma 2.'; infatti dal valor simbolico di forma irrazionale f{x,y,z) u ■■ ( A^ D"'^ -h B' D"y -h G^ I)\ Y Memoria del Prof. Barnaba Tortolini SSy si passerà ad altro valor simbolico di forma razionale e ridotto alla metà del suo grado, quando nella piìi volte usata formola d'integrale definito del §. 14% pongasi AD'^, BD j,, CD ^ invece di A, B, C, per cui fatto — ^«, avremo ,^^_L n^" f{x,y,z)dp Ù.71 J o A D\ -4- Bi cos/? D'\. -I- Ci sen/( D". " Sotto il vincolo integrale ognun vede che il coefficiente di dp sarà r integrale dell' equazione ( A D\ -H B j cos/? 0"^, -1- Ci sen/7 D", )d=f{x,y, z). E siccome n è una potenza di a, così 1' integrale sarà incluso in quella classe di equazioni di già considerate nel precedente parag. io.° lò." L' uso dei simboli m' impegna anche a fare un ten- tativo per la rappresentazione di un qualche integrale d'indice frazionario: proponiamoci per esempio di determinare la fun- zione u, la quale verifichi 1' equazione caratteristica d' indice frazionario ^, vale a dire BK.u=f{x). Secondo la consueta analogia delle potenze con le differenze, si avrà Ciò posto io prendo i due integrali definiti a Jo ^ ar, e _ ^^ y _^ Ponendo nel secondo ar invece di a, e sostituendolo nel primo, avremo L = ^ n re-^y'-^'^^)dydr. ^ \/ Il J ° J — «5 Tomo XXV. P." IL- Rr 338 Sopra gli integrali generali ec. Ora alla a sostituiremo una caratteristica D\, ed otterremo dal valore di u simbolico I reo reo _,,a ^D u = -^ / e y .e 4!/" "f{x) dy dr, \/ % J o J — oo ovvero —j%fl^f-j '^A^-w) '''''■ II Tale potrà essere 1' interpretazione da darsi al simbolo d' in- tegrazione d'indice ^, ma questi modi di giungere ai valori degli integrali in proposito suppongono sempre il legittimo uso che possa farsi dei simboli, il che in qualche circostanza può esser soggetto ad una dovuta limitazione. Il Sig. Lìouvìlle in una Memoria d' analisi pubblicata nel Tom. la" del Giornale del Sig. Creile, i834, pag. 273 richiama la formola generale da esso data, cioè f'°(p{x-^a)af'-' da = {—ifT {y) f^ (p {x) dx^ e che serve per gì' integrali d' indice itt; r(|U) rappresenta r integrale Euleriano di seconda specie, e denotato da Legen- dre con simbolo r(fi). Essa pel caso anche di ^ = i differisce dalla nostra. A questa Memoria di già forse troppo prolungata porremo termine coli' indicare brevemente 1' uso che si può fare delle formole d' integrali definiti riportati al parag. 14" alla trasformazione e ricerca di altri integrali. 17.° Riprendiamo la formola I I /"2;r dp j/(A^ — B^ — C^) ayr y o A -H B cos/; H- G sen/? e fatto A=r, B=:a:, C = o, si avrà I r^i^ ■2.71 J o I dp ^/(i— a;') 2.71 J o i-+-xcos,p Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 889 Da questa formola possiamo trarne diversi risultati; così ese- guendo una derivazione dell' ordine n rapporto ad a;, avremo D" r . a . 3 . . . ra /"^^r cos"p cip 0 (T l/(i — x') 2, re Jo ( I -H j; cos/?)"-^-' ' Eseguite le integrazioni definite nel secondo membro, si rica- verebbe il valore esplicito del primo. Nella medesima formola si moltiplichi per dx e si faccia 1' integrazione, si ricaverà I f^'t log ( r -f- x cos p ) do are . sen (a;) = — / — 2-i LJ—L. . 2.71 J o cosp Questa formola si ritrova in una recente Memoria del Signor Dott. A. Winckler di Carlsruhe nel Tom. 4-5% P^g- io3 del Giornale del Sig. Creile, an. j853. Alla medesima formola pos- sono facilmente riportarsi molte altre, che trovansi nel Calcolo differenziale ed integrale del Signor Prof. F. Raabe di Zurich, Voi. a", pag. 41I5 ^^- 1848. Per avere più chiaramente sotto occhio qualcuna di quelle formole richiamiamo per a'^b l'in- tegrale indefinito f —Jf— = —^1— 2.XC tancrfi^nZlIillSiZ^ J a-^b coi p y'[a^ — b^) ' ^\ ^/(^a' — b') /' Facciamo a=i, b = x, ed integriamo fra i limiti /7 = o, p = ^, si avrà Si moltiplichi ora il primo e secondo membro per dx e s' in- tegri relativamente ad x, si ricaverà piogj.^x COS p)dp ^ r dx r ^il=±\\ Jo COSp y/{l— X^) '^IV Vl-Hx/J Sostituendo in questa formola — x invece di x, si trova A \os{i-x cos p)dr ^ _ ^ r dx ^^^ r j/(!±f ) 1, Jo cosp J i/{i—x'} "'LK \i—x/ì 3^0 Sopra gli integrali generali ec. d' onde dalla sottrazione otteniamo log I — 1 := TC are . sen [x\ . 0 \\ — xcosp/cos/' Quest' integrale definito insieme ad altri dello stesso genere trovasi alla pag. i^\b del citato Voi. a° del Signor Raahe. Per dare infine un altro esempio, poniamo nella seconda delle for- mole di questo parag. a; = ^sen(^, ed integriamo invece fra i limiti p = o^ p=zji^ avremo per k. _ J I -H /: sen (^ cosp [/{ i — A' cos"y) ) ' ^ \ i -^- (.os ip -i- k zoi p sen ip ) Di qui r integrale rapporto a /? sarà ridotto ad una funzione ellittica di prima specie, vale a dire Y ( k (Ù\ = - n —^^— are tan-f sen^|/( .-/i' cos'p) v V ' ' ' '"'lo !/'( ' ~''' <^os"jo) " o V I H- cos^ -+- /e cos/) sen^ / Memoria del Prof. Barnaba Tortolini 34 1 Per la funzione ellittica completa convien porre (^=— , d'onde * (^) — TJ „ 1/(1- A' cos» • '^^^ *^"S { i^kcosp ) ■ A queste formole possono ridursi altre date dal citato Signor Raabe, ed anche più generalmente esse sono incluse in altri integrali da me esaminati in una Memoria nel Tom. iiò" del Giornale arcadico, 1848. Aggiungiamo in ultimo che altra so- stituzione invece di A, B, G nella prima formola di (jnesto paragrafo, potrebbe somministrare una riduzione di trascendenti Abeliani, e che forse esporremo in altra Memoria. Roma, 18 OUobre 1854. ^2 SOPRA UN MODO DI VEDERE CO^ FACILITÀ 1 COLORI ACCIDEOTALI DEL PROFESSORE CAV. STEFANO MARIAKINI SOCIO ATTUALE Ricevuta adi 28 Gennajo 1855. jQjgli è noto che se si guarda per lungo tempo un oggetto colorato, e poi a un tratto si rivolge lo sguardo ad uno bianco, questo appare tinto del colore complementario di quello dell'og- getto guardato a lungo. Questa esperienza non riesce a tutti. Quanto a me non riuscì mai compiutamente. Alle volte quando guardava fisso per quattro o cinque minuti primi una carta verde, dirigendo poi 1' occhio su d' una bianca, mi apparivano per lo più delle macchie verdognole, oblunghe e fuggevoli, e rare volte qualche macchia rossigna, cioè del colore comple- mentario di quel verde, sul quale aveva fissato 1' occhio per qualche tempo. E tali prove io non poteva proseguire a lungo per la molta e quasi dolorosa stanchezza che ne derivava a' miei occhi. L' accidente mi fece conoscere un modo facilissimo di osservare sifiatti colori complementari, detti in questo caso accidentali. Io stava davanti a- un cammino, ove il fuoco era quasi spento, tuttavia teneva lo schermaglio come suol tenersi per difendere il volto. Ma siccome in realtà non v' era fuoco che offendesse, così io faceva scorrere e girare fra le dita, come per trastullo, il manico dello schermaglio. E ciò facendo mentre gli occhi erano diretti, non allo schermaglio, ma ad un oggetto eh' era sul cammino, io scorgeva comparire sullo schermaglio stesso un' alternativa di color verde e di color Stefano Marianini 343 roseo, essendo la carta che copriva quell' utensilio verde da una parte, e bianca dall' altra. Non sapendo se questa facile maniera di procurar la vi- sione de' colori accidentali sia conosciuta, io faccio argomento di questa breve nota la descrizione succinta degli esperimenti che ho fatti in proposito dopo quella prima osservazione. 1. Tenendo il mentovato schermaglie obbliquamente in- nanzi a me, e dirigendo gli occhi non ad esso, ma ad un og- getto pili elevato, ed in modo die vedessi pure la superficie colorita dello schermaglio, voltato dopo tre o quattro minuti secondi Io schermaglio stesso, e senza cangiar la direzione de- gli occhi, anzi conservandoli immobili, io vedeva la superficie, non bianca com' era, bensì tinta del colore complementario. Anche quando rivolgo lo schermaglio dopo un solo minuto secondo, appare la sensazione del colore accidentale, ma meno viva, e svanisce più presto. Le carte azzurre, celesti, violacee, verdi, gialle, ranciate e rosse, e tutte queste in parecchie gradazioni mi presentarono il fenomeno: non le carte scure, come color di catte torrefatto, o di noce, o di Ibliggine. Le più comode alla mia vista sono le verdi chiare che mi offrivano per colore accidentale un bel roseo, e le celestine che mi offrivano un bel ranciato. Ed è con queste che ho istituito il maggior numero di prove. 2. Se si ripiglia l'esperimento, e, dopo di aver tenuto gli occhi diretti come dissi, e lo schermaglio in modo che si vegga, e volgente agli occhi la superficie colorata, se, appena voltato, si guarda allo schermaglio stesso, vedesi bianco tal qual è. 3. Livece di voltare lo schermaglio, si può mettere sotto di esso una carta o altra cosa bianca, e allora togliendo dopo qualche secondo lo schermaglio stesso da di sopra la carta, ve- desi questa del colore complementario. 4. In vece di tenere gli occhi rivolti in alto, possono te- nersi rivolti in basso o lateralmente, sempre per altro in modo che si conservino in quella posizione anche dopo che si è vol- tato lo schermaglio, o che si è rimosso dal luogo dov' era. 344 Colori accidentali acciocché venga scoperta la superficie bianca ; ed il colore com- plementario appare egualmente. 5. In quest' ultimo caso, cioè quando non si volta lo scher- raaglio, ma se ne scopre la superficie bianca togliendo ad un tratto la carta colorata che la copriva, anco tenendo gli occhi rivolti ad un punto poco distante dallo schermaglio, appare il colore complementario. 6. Di più anche guardando fisso un punto segnato della carta colorata che copre una superficie bianca, accade il feno- meno, semprechè gli occhi si conservino in quella posizione anche dopo che è rimossa la detta carta colorata (i). 7. Qualunque sia la posizione in cui sono tenuti fissi gli occhi nel fare la prova, se poi, rimosso lo schermaglio, e men- tre si ha la sensazione del colore complementario, si rivolgono gli occhi allo schermaglio stesso, lo si vede subito bianco com'è; ma se si torna a portar lo sguardo nella direzione di prima , si ricupera la sensazione del colore accidentale. Cosi, guar- dando di nuovo lo schermaglio, sparisce quel colore, e, ritoi- nando alla guardatura antecedente, si rivede. Per altro questa seconda volta il colore appare sensibilmente più languido; e più ancora se si rifa la prova una terza volta. 8. Così se neir atto che si rivolge lo schermaglio, o in altra guisa si scopre la superficie bianca, gettasi lo sguardo su di essa, e vi si tiene anche per qualche minuto secondo, ri- messi gli occhi nella posizione di quando tenevasi lo scherma- glio colia superficie colorata verso il volto, scorgesi pure il co- lore accidentale. E ciò vidi talvolta fin dopo otto secondi da che contemplava la superficie bianca. (1) Se si pratica un foro nello schermaglio colorato, e si sovrappone ad una superficie bianca, e si guarda al centro dell' area che quel foro lascia vedere, rimosso lo schermaglio, e perseverando a guardare al detto punto ( che giova averlo segnato perchè l' occhio stia più facilmente fermo ) , la superficie bianca , che era coperta , appare al solito tinta tutta quanta del colore complementario , ma 1' area , che il foro lasciava scoperta , appare del co- lore dello schermaglio. Quest'esperienza appartiene a mio figlio, come pure l'accennata in questo |. 6. Stefano Mariaìmini 345 f). Quando la superficie bianca è più grande che lo sclier- maglio, e questo per conseguenza, posato sopra di essa, non la ricopre tutta, avviene che, tenuto per qualche minuto secondo l'occiiio fisso a qualche punto, rimosso poi lo schermaglio, ve- desi tinta del colore complenientario la parte che esso ricopriva, vedesi cioè tinta la figura dello schermaglio stesso. 10. Quando poi, essendo la superficie bianca più grande, lo schermaglio è tenuto in guisa che rimane tutta sottratta alla vista, rimosso lo schermaglio stesso, tutta quanta quella superficie appare colorata. Disteso in terra un cartone bianco di più d' un metro quadrato di superficie, indi, mediante uno schermaglio colorato, impedendo agli occhi, rivolti al solito ad altro oggetto, di ve- derlo, rimosso lo schermaglio stesso, è bello vedere quel car- tone tutto quanto vivamente colorato. 11. Se l'esperienza viene eseguita avanti ad uno specchio, e si tiene lo sguardo diretto all'immagine dello schermaglio, voltato questo, e conservando agli occhi la stessa posizione, vedesi 1' immagine bianca e lo schermaglio del colore comple- mentario di quello che esso ha dall' altra parte. la. La durata della suscettibilità di percepire il colore accidentale è per me eguale e quando tengo aperti gli occhi e rivolti come si conviene, e quando li tengo chiusi, e quando per un poco li tengo chiusi, e poi aperti, e poi chiusi di nuovo; e cosi fino a che è svanita affatto la percezione del colore accidentale. i3. Se una delle superficie dello schermaglio ha due co- lori, appajono i due complementari; per esempio, se la metà destra è ranciata e la sinistra celestina, cioè tinta del colore complementario del primo, presentandosi poscia la superficie bianca, essa appare tinta de' medesimi colori, ma col ranciato a sinistra e il celestino a destra. 14. Le accennate esperienze riescono egualmente anche facendo uso d' un occhio solo. Tomo XXF. P."- 11.^ Ss 346 Colori accidentali i5. Se si comincia 1' esperimento guardando con un oc- chio, e poi, nel momento che si volta o si leva lo schermaglio, si chiude quelF occhio e si guarda coli' altro dirigendolo pure coni' era diretto il primo, non v' è apparizione di colore ac- cidentale. ^ 16. Se poi si comincia l'esperienza guardando con un oc- chio solo, poscia, voltato lo schermaglio, si guarda con entrambi, e diretti allo stesso modo, il colore complementario appare un po' languido. 1 7. In siffatte sperienze se sotto lo schermaglio colorato si tiene una carta essa pure colorata, ma diversamente dallo schermaglio, rimosso questo, la carta appare del colore che si, otterx'ebbe mescolando il colore complementario a quello della carta stessa. Se per esempio lo schermaglio è ranciato, e la superficie sottoposta gialla, questa appare di color verde. 18. Fra i molti individui che ripeterono siffatte prove, pochissimi ne ho trovati, ai quali non riuscivano, e fu più raro ancora il caso di individui, il cui occhio era suscettibile solo per alcuni colori accidentali, e non per tutti. Avvenemi anco d' imbattermi in uno, il quale, sebbene sperimentasse colla do- vuta attenzione ed esattezza, non riusciva a percepire que' co- lori accidentali; e dopo tre anni ripetute quelle sperienze gli riuscirono bene, quanto riuscirono sempre a me. 19. La luce natui-ale e diurna è la più adattata alla piena e più facile riuscita di siffatte sperienze, e per la mia vista giova meglio una luce diurna assai moderata. 2,0. Credo che il fenomeno irt discorso dipenda dall'essere le parti laterali dell' organo visivo più sensibili che non le centrali j dipenda cioè dalla stessa causa la quale fa sì che spesse volte, guardando al cielo quando è un po' annebbiato , si vede un astro a qualche distanza dal luogo a cui sono di- retti gli occhi, il qual astro non vedesi più se si dirigono gli occhi ad esso; e si rivede, se dassi agli occhi la prima direzione. 347 MEMORIA DEL VICE-SECRETAUIO INGEGNERE PIETRO DOMENICO MARIANIIM RELATIVA AI VALORI DELLE FUNZIOM DI UNA VARIABILE, CORRISPONDENTI A VALORI DELLA VARIADILE STESSA, PEI QUALI I SIMROLI RAPPRESENTANTI LE FUNZIONI MEDESIME ASSUMONO GLI ASPETTI — , — . o oo CON APPENDICE RISGUARDANTE LA RICERCA DEI MASSIMI E MINIMI VALORI DELLE FUNZIONI DI UNA VARIABILE. Presentata dal Socio Professore Giovanni lìriguoli de BruuuIiofT, ed approvata dal Socio e Segretario Prof. Giuseppe Bianclii. 2Si®: Ricevuta il 25 Febbrajo 1853. I. Indichiamo con (p{x), t/^ (x) due funzioni della variabile x; con ^'(x), ^' {x) le loro derivate prime; con (p" (x)., ip" (x) le loro derivate seconde, e cosi di seguito. Con a indichiamo una costante. Se sarà (p (a) = (p' {a) = f (a) = = <^("-') (a) = ip{a) = ìp' {a) ^ ip" {a) ■= = i^("— ') (a) = o ; ed inoltre , le <^("'{x), (^("'(x), corrispondentemente ad x = a, non sieno zero entrambe ed abbiano due valori determinati (*) e finiti; la frazione , . ! convergerà verso la quantità determinata <Ù^"Ha) , ,. ^ , • . , ,. \, ,] \ al convergere di x verso a. Onde si può anche dire i//("> [a) ^ '■ che il valore corrispondente ad x^^a della frazione , , . Kf) (') lo soglio (lire che una runzioiic f{x) corrispondentemente ;ul .!■ =: « non ha vaiare determinato, se essa funzione, al convergere di x verso a, non converge verso alcun limile ; come accade per le funzioni sen , sen log ( x — a )% ecc. 348 Memoria relativa ai valori ec. convenzioi sarà iis,uale a ,,,, [ -, ritenendo però fatta la convenzione di ° ^(") {a) ^ chiamare valore corrispondente ad x-=a della frazione , , il limite verso cui converge questa frazione al convergere di X verso a (*) . Da questo teorema notissimo si deduce che, se (p (^a) ^ ìp (a) = o , ed inoltre le prime due derivate del me- desimo ordine delle (p{x), ìp{x), le quali per x^a non diven- gono zero entrambe, assumano per x^a dei valori determinati ,...,-. (p (x) , , . e nniti: la trazione ', ;, al convere;ere di x verso a, conver- gera verso il medesimo limite verso cui converge la W^ . Ma, ritenuto (p (^a) = ip [a) = e ^ sarà egli vero in ogni caso che, se ,, , { converge verso un determinato limite al con- vergere di x verso a, anche , , [ converga verso il medesimo ^ ' ip{x) ^ (•) Quando il simbolo rappresentante una funzione corrispondentemente ad x:=a prenda un aspetto il quale non rappresenti alcuna detcrminata quantità ; ma però essa funzione converga verso un detcrminato limite A al convergere di x verso « ; questo limite ,1 si chiama, per convenzione, valore corrispondente ad xzza detta funzione medesima. Senza questa convenzione la teoria della determinazione di quei valori delle frazioni, i quali corrispondono a valori della variabile pei quali i simboli rappresentanti le funzioni medesime assumono gli aspetti — , — , o", ecc., ha un difetto analogo a quello che ha la teoria degli esponenti negativi e frazionar] esposta da alcuni autori, i quali non premettono alcuna convenzione sul significato delle espressioni algebriche affette da tali esponenti. E infatti, volendo esporre la teoria suddetta senza quella convenzione, è duopo far uso della equazione i/y ( a -t- «) ^(„) (^) ^ _^ ^(,,^1) („) ^ ecc. pel caso di ozro; mentre essa non si dimostra, né si può dimostrare vera, se non che pel caso in cui o non sia zero. Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini 349 limite al convergere di x verso a? E che, viceversa, se cp[x) converge verso un determinato limite al convergere di x verso (!) {x\ fl, converga verso il medesimo limite anche , , ; , ? Circa tre ,\, (x) mesi fa, io ho riscontrato che queste due proprietà in alcuni casi non hanno luogo. Era mia intenzione di far conoscere la cosa in una Memoria nella quale avrei esposte anche alcune altre osservazioni su diversi argomenti di Calcolo Sublime. Ma ora, che ho udito essersi annunciata una prossima pubblica- zione suir argomento dei valori delle frazioni i girali si presen- tano sotto l'aspetto |}, mi sono determinato di pubblicare a parte i risultati delle mie osservazioni sull' argomento me- desimo. 2,. Innanzi a tutto mi è duopo di precisare il significato che attribuirò alla frase : una quantità converge verso un altra al convergere di una terza verso una quarta. Rappresentiamo con x una variabile, e con f[x) una quan- tità reale il cui valore dipenda da quello della x. Con ^, a rappresentiamo due quantità finite e costanti. Allorché diremo che la f{x) converge verso il limite A quando la x crescendo converge verso a, intenderemo d'indicare che ha luogo la pro- prietà seguente: « che, assegnata una quantità positiva e co- munque piccola, esiste un' altra quantità positiva tale che la differenza tra /(r) ed A riesce minore della prima di dette quantità positive ogniqualvolta sia x-a e la diffe- renza tra X ed a sia minoi'e della seconda. » 35o Memoria relativa ai valori ec. Le funzioni hx . sen — , bx . sen log a;°, secondo ciò che abbiamo detto, convergono verso Io zero tanto al convergere di X verso zero crescendo, quanto al convergere di x verso zero decrescendo. Infatti , assegnata una quantità positiva e comunque piccola, che chiamo A, è manifesto che la differenza tra ciascuna delle due funzioni suddette e lo zero è minore di h ogniqualvolta la differenza tra la a; e lo zero sia minore di y. Si noti poi che sì l'una che l'altra delle due medesime funzioni, nell' atto che la x si accosta allo zero continuamente ed indefinitamente, non si avvicina continuamente allo zero; ma invece, per un certo tratto si avvicina finché zero diviene, poi si scosta fino ad un certo punto dello zero, poi di nuovo vi si accosta finché zero diviene, e così di seguito senza fine. Per indicare che la f[x) converge verso A tanto al con- vergere di X verso a crescendo, quanto al convergere di x verso a decrescendo, si dirà semplicemente che la x converge verso A al convergere dì x verso a. Non espongo i significati che attribuirò alle frasi : f(x) converge verso A quando la x converge verso ■+• co ; f[x) con- verge verso A quando la x converge verso — co ; f[x) converge verso -I- co quando la x crescendo converge verso a ; ecc. per- chè è facile immaginarli dopo le cose testé esposte. Passo al soggetto della presente Memoria. 3. Ecco il modo con cui sono riuscito a persuadermi che in alcuni casi (essendo ^ (o) = ^ (o) = o, ed essendo inoltre ^ ^ ' tale da convergere verso un determinato limite A al con- tp [x) vergere di x verso a ) può avvenire che la -t-j— ' al convergere di x verso a non converga verso A. Supponiamo fp' [x) tale che la equazione y=:(p'[x), rite- nute le coordinate rettangolari, rappresenti una curva, la quale nelle vicinanze della retta rappresentata dalla equazione x-=.a abbia infiniti archi sopra e sotto dell' asse delle x analoghi a Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini 35 i quelli della curva rappresentata dalia equazione y = senlog{x — a)", ovvero a quelli della curva rappresentata dalla y = (^x — a) sen log (:»; — aY. Rappresentiamo con À{x) X (x\ Tina funzione tale che la frazione ^, " \ converga verso lo zero (P[x) al convergere di x verso a\ e riteniamo ^' (x) = (p (x) -+- /l [x] . Avremo ^' {^) _ ^ [A _ ' y/(.r) X{x) , , ,. e siccome ^, , converge verso lo zero al convergere di x verso fp' [x) ^ ° I a, cosi è manifesto che 1777 , cioè 9' (■>■•) tifi f (X) verso l'unità al convergere di x verso a. Ora consideriamo 1' area determinata dalla curva avente per equazione y = (p'[x), dall'asse delle x, dalla retta avente per equazione x=a, e dall'ordinata corrispondente all'ascissa x. Quando x sia maggiore di a, riteniamo positive quelle porzioni di detta area, infinite di numero, che, rispetto all'asse delle x, si trovano dalla banda delle ordinate positive, e negative quelle, che si trovano dall'altra banda dell'asse medesimo; e, quando X sia minore di a, riteniamo invece negative quelle che sono dalla prima banda dell'asse delle x, e positive quelle che sono dall'altra. L'area suddetta rappresenterà la funzione "^ (:i) ; giacché tanto essa area, come questa funzione >-*-') ^ ''^ cosloga?" — ox" dx sen logr". Esse ponno servire alla ricerca di altri csempj analoghi. 356 Memoria relativa ai valori ec. 5. Si può osservare che tra quel valore positivo della x^ il quale rende (a) log a;' — ^ = — 2, « :/r e quindi riduce il denominatore della (3) ad una frazione po- sitiva, e queir altro valore positivo della x^ il quale rende {§) a log a;= — ^ = — 4 7Z :7: e quindi riduce il denominatore suddetto ad una frazione ne- gativa, ve ne dovrà essere uno il quale ridurrà a zero il de- nominatore medesimo. Questo valore di x ridurrà la funzione loga;^ — d ad un valore compreso tra — a«7r e ■^nii — - ; onde ridurrà il numeratore della (3) ad una quantità finita di- versa dallo zero. Pertanto questo valore di x ridurrà la frazione (3) infinita. Qualunque altro valore poi della x intermedio ai due suddetti ridurrà manifestamente la frazione medesima ad un valore finito, ma minore di zero o maggiore di i. Mentre dunque la x^ variando con continuità, passa da quel valore che soddisfa la (a) a quello che soddisfa la (^), la frazione (3) dal valore zero perviene al valore i passando per tutti i valori negativi, per 1' infinito e per tutti i valori positivi maggiori dell' unità. E poi facile a vedersi che, se la x variando con continuità passa dal valore che soddisfa la equazione log a:^ — d = — [2.n->i- i)7i a quello che soddisfa la a log :i;= — ^ = — ( 4/z -H a ) TT , allora la frazione (3) dal valore zero perviene al valore i trascorrendo per tutti i valori intermedj. Da ciò ne viene che, mentre la x converge verso lo zero decrescendo, la frazione (3), e perciò anco la (i), trascorre per tutti i valori possibili positivi e negativi una volta, due, tre, ec. senza fine. Similmente si può dimostrare che la stessa cosa accadrà mentre la x converge verso lo zero crescendo. Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini 357 6. Non è poi in ogni caso vero nemmeno che : se (p{a) ^ ip {a) = o, e %-j-{ al convergere di x verso a converge verso un limite, anche ,, , ' converga verso il medesimo limite ^ (x) al convergere di x verso a. Noi abbiamo, per esempio, la frazione J a;" ^ I H — ■+- sen log x"" ■+• cos l^g x^\ i cui termini vanno a zero per x = c, com'è manifesto. Essa poi, al convergere di x verso lo zero, converge verso H-oo. Infatti essa frazione è uguale alla a:M I -H —rs -H sen log x" -4- cos log x'\ Il massimo valore della quantità chiusa tra le parentesi è I -f- p;^ -4- l/a , il minimo è i -H -j^ — t/a . = ^^~ ^ . En- trambi sono positivi. Dunque essa quantità, comunque varii la X, assume sempre valori positivi maggiori di '/~ 6 minori di I -H —^ -+- ^/2. . Per conseguenza il denominatore della frazione precedente è sempre positivo e converge verso lo zero al convergere della x verso lo zero. Da ciò ne viene che essa frazione, e perciò anche la (4), è sempre positiva, e converge vei'so -t- co al convergere della x verso lo zero. Ora la frazione che ha per suoi termini le derivate dei termini della (4) è la seguente a x~^ ax (i -»- j72 -^- ^ cos log x") Questa è uguale alla (6) 3ar*(i -+-r72-f- a cos log x^") 358 Memoria kelativa ai valori ec. Qui il massimo valore della quantità chiusa tra le parentesi è 3 ■+- —r: quantità positiva ; ed il minimo è -y- — i quantità negativa. È quindi manifesto che, mentre la x converge verso Io zero decrescendo, ed anche mentre essa converge verso lo zero crescendo, la quantità tra parentesi passa dal valore po- sitivo 3 -f- — ;- al valore negativo — ^ — ^v poi da questo a quello, poi ancora da quello a questo, e così di seguito senza fine. Per conseguenza il denominatore della (6), al convergere di X verso zero, converge bensì verso zero, ma passa successi- vamente dallo stato positivo al negativo, poi dal negativo al positivo, poi di nuovo da questo a quello, e così di seguito senza fine. Onde la (6), e perciò anche la (5), al convergere di X verso zero crescendo, ed anche al convergere di x verso zero decrescendo, passa da valori positivi all' infinito, poi a valori negativi, indi ancora all' infinito, poi ancora a valori po- sitivi, poi di nuovo all' infinito, e così di seguito senza fine. Dunque essa frazione non converge verso -f-co al convergere di X verso lo zero. 7. Nel precedente esempio però si potrebbe dire che è infinito tanto il valore corrispondente ad a; = o della (4) come quello della (5); giacché, se aìV unità si dà per denominatore la frazione (4)5 si ottiene una frazione che, per x = o, ha il valore zero j e lo stesso avviene se all' unità si dà per deno- minatore la frazione (5). Ma può darsi il caso che, essendo (5ix) (p (^a) = ìp {a) = 0 , la frazione yy-^ converga verso un limite determinato e finito al convergere di x verso a, ed invece la ^,] l, al convergere di x verso a, non converga verso alcun ip {x) ° ° limite. Onde persuaderci di ciò, supponiamo (p{a) = c, e (p{x) tale che la equazione y = (p[x) rappresenti una curva analoga a quella rappresentata dalla equazione y =: (x — a) senlog(a; — a)% Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini SSq la quale, nelle vicinanze della retta avente per equazione x = a, ha infiniti archi sopra e sotto dell' asse delle x aventi i termini nell' asse medesimo e privi di punti di regresso. Qui gli assi delle coordinate si ponno ritenere ortogonali, ov- vero ohbliqui, come piace. Rappresentiamo con À (x) una fun- zione tale che la frazione ,, ; converga verso zero al con- (p{x) vergere di x verso a. Sarà necessariamente À{a)=zo. Riteniamo ip[x) = (p (x) ■+- À{x); e sarà anche ip{a) = o. Avremo poi tiÉ.— '^(^) _ •■ t ^P{x) f{x)^A{x) i_HÌW' À(x) , .. e, siccome ' '■ converge verso zero al convergere di x verso a, così la frazione , , { , al convergere di x verso a, conver- gerà verso 1' unità. La equazione poi 7 = (^ (x) -f- A (x) , cioè la y = ip{x), rappresenterà necessariamente una curva, che, nelle vicinanze della retta avente per equazione x = a, avrà infiniti archi so- pra e sotto dell' asse delle x, i quali avranno i termini co- muni con quelli della curva rappresentata dalla equazione y = (p[x); altrimenti la jj-ri al convergere di x verso a, non convergerebbe verso alcun limite. Ora, in ciascuno degl'infiniti archi della curva avente per equazione y=:(p[x), i quali hanno i termini nell'asse delle X, vi sarà un punto in cui la tangente alla curva sarà paral- lela all'asse medesimo; e, corrispondentemente ad x uguale all'ascissa di questo punto, avremo (p'(x)-=o. Dunque la si riduce alla sen ( log a;" -»- ^ ) sen ( log x^ -+- ^ ) -I- "l sen (a log x* h- ^ ) dove d rappresenta il minore degli angoli positivi aventi la tangente eguale a a. La frazione precedente acquista il valore zero quando la X assume un valore che soddisfa la equazione log x" -1- 5 =: — a « :t, ritenuto che n sia numero intiero e positivo; ed acquista in- vece il valore i quando la x assume un valore che soddisfa la equazione a log a;'' -4- ^ = — (4«-H i ) Jr. Si può dunque dimostrare che la fi'azione medesima non con- verge verso alcun limite al convergere di x verso zero in un modo simile a quello, con cui si è dimostrata la stessa cosa per la frazione (3) del §. 4- 9. Passo ora ad una osservazione concernente quei valori di funzioni, i quali corrispondono a valori della variabile riducenti i simboli rappresentanti le funzioni medesime all'aspetto — . Riteniamo (p [a] ■=■ ìp [a) ■=: co . La frazione j4— r per x'^a assumerà 1' aspetto — . Ora, se questa frazione, al con- vergere di X verso a, converge verso un limite, verso il me- Tomo XXV. F.'» //.'' Uu 36a Memoria relativa ai valori ec. 1 desimo limite convergerà anco la frazione iiì , la quale per X = a prende 1' aspetto g . Potremo forse da ciò dedurre che per ottenere il limite della ~-^, basterà trovar cruello della ^ ■ìp{x) '■ (_i_y frazione 7-^) (r ? Per tutti i casi no ; giacché non possiamo esser certi che un tal metodo conduca a risultati esatti se non che nei casi in cui le prime due derivate del medesimo or- dine delle funzioni . , ,, ^ , ,-> le quali per x = a non di- vengono zero entrambe, al convergere di x verso a, conver- gano verso valori determinati e finiti; ed anche (come è facile a persuadersi ) nei casi in cui una di esse derivate converga verso un limite determinato e finito, e l'altra verso l'infinito. (*) Pei casi poi, ne quali le trazioni , , [.> . , conver- gono verso il medesimo limite al convergere di x verso a, si può dimostrare clie il limite della , ) [ è uguale al limite della ' ip[x) ^ ,,, { ; ma il ragionamento che si adopera non può, come è yj (x) ^ noto, aver luogo se non che nel caso in cui il limite della 0 Ix) . . ^ ^ ' sia diverso da zero e dall' infinito (**). Dunque il me- 0(x) todo di cercare il limite della , ) ' col rintracciare invece (*) Io soglio dire che uua quantità converge verso l'infinito al convergere di x verso a, tanto se essa, al convergere di x verso a, converge verso -neo, come se essa converge verso — co, come pure se essa converge verso -1-00 ai convergere di x verso a crescendo, e verso — 00 al convergere di x verso a decrescendo, o viceversa. (") Tortolini. Elementi di Calcolo Infinitesimale. T. I", g. 58. Dell' Ikg. Pietro Domenico Marianini 363 quello della ^, ' , non si può a rigore adottare se non che nel caso in cui si sappia già : i° ciie la . ' ■, al conver£cere di x ' "^ ® ip (,c) ° verso a, converga verso un limite; 2,° che questo limite non sia zero né l'infinito; 3° che le prime due derivate del me- desimo ordine delle funzioni , , , , -rr- :•> le truali, per x = a, non divengono zero entrambe, convergano verso valori deter- minati e finiti al convergere di x verso a; ovvero una di esse converga verso un valore determinato e finito, e 1' altra verso 1' infinito. IO. Da ciò ne segue che non è rigoroso l'applicare questo metodo alla determinazione dei limiti verso cui convergono le frazioni I , . logx a^ Ioga; a^^ ^^' X-' ' ^^' cotA-' cotà;' al convergere della x verso lo zero . E , quantunque esso metodo, applicato a tali frazioni, conduca a risultati esatti, non sarà superfluo il dimostrare, come farò nei seguenti pa- cv^ oc raffrafi, che le frazioni — , = ( quando a e la base del ^ " x' Logo: ^ ^ sistema logaritmico sieno quantità positive e maggiori della unità) convergono verso -t-oo al convergere della x verso -I-co; giacché i limiti suddetti delle frazioni [y) si ponno de- terminare con rigore e con molta facilità quando si conoscano quelli, verso cui convergono queste due ultime al convergere di X verso -f-co . Riguardo alla funzione — , io dimostrerò che, assegnata ° X una costante positiva comunque grande ( che indico con m ) , esiste un'altra costante positiva (che chiamo a) tale che riesce — >m ogniqualvolta sia j;>a. E così farò, perchè, quando 364 Memoria relativa ai valori ec. si dice che una funzione di una variabile x converge verso -4- co al convergere di x verso -+-co, s' intende appunto di dire che, assegnata una costante positiva e comunque grande , ne esiste un' altra tale che quella funzione riesce maggiore della prima di dette costanti ogniqualvolta la x è maggiore della seconda. Similmente farò anche liguardo alla funzione = . Ma Logo; mi è duopo premettere alcuni lemmi. 1°. Nella serie a 2 a ^ 1 2< n 2( *i .) Ogni termine della quale (tranne il primo) è il numero a con esponente eguale al termine che precede, dico che ciascun ter- mine è maggiore del doppio del suo precedente. Rappresentiamo infatti con a"' un termine qualunque di m questa serie. Il termine successivo sarà a"' ; ed m sarà ma- nifestamente un numero intiero maggiore della unità. Avremo dunque 7n{m — i) m{m — i){m — a) Tn{m — i)...a. i a a . D a.o m ù:"= i-+-m- e quindi a " > i -+- m . Per conseguenza sarà >■ a , cioè jn a >a.a . Dunque ec. a°. Da ciò ne viene che, data una quantità positiva e comunque grande, prolungando la serie a a . si potrà giungere ad un termine di essa il quale superi la quantità data; e, per conseguenza, se la data quantità non sarà eguale ad uno dei termini della serie stessa, vi saranno Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini 365 in essa due termini prossimi, tra i quali sarà compresa la quantità data medesima. Lo stesso poi avrà luogo, ed a più forte ragione, per la serie a a" o, I , a, a , a purché a rappresenti una quantità maggiore di a. 3". Rappresentata con a una quantità positiva non minore di a, avremo la relazione a'">-x per qualunque valore della x. Infatti, se X è negativa, ovvero eguale a zero, tale relazione è soddisfatta evidentemente, giacché a"" è sempre quantità po- sitiva. Se poi la X è positiva, avremo che essa, o sarà un ter- mine della serie a 0 i t Ui a ^ a ovvero sarà compresa tra due termini successivi della serie medesima. Avremo cioè jc > o ed a; ^ i ; ovvero x> I ed x'^a\ ovvero x'^a ed xi^a"; ec. Se sarà x>o ed x^i, avremo a'^a"^ cioè a^ > I , ed i^x\ per cui a^ >• x . Se sarà x>- i ed x^a, avremo a"^a\ ed n'^x; onde o^>x. In generale, indicando con m, al" due termini successivi qualsivogliano della serie precedente, se sarà x>-m ed x^a"", avremo a''>a"', ed fl'"^x-, onde a^'^x. Dunque resta dimostrato che la relazione a"^x sussiste per qualunque va- lore positivo della x quando a non sia minore di a. ri. Ritenuto a non minore di a, se venga assegnata una costante m positiva e comunque grande, esiste un' altra co- stante a positiva tale che riesce —"^m ogniqualvolta x è maggiore di a. 366 Me MORIA RELATIVA AI VALORI eC. Dimostrazione. Ritenuta x positiva, sarà — > «2 qualora sia aF'^mx. Quest'ultima relazione (indicando con p la fra- zione — ) si cambia nella d'"^'' ^ m.mp. Questa sussiste se sussistono le due seguenti cCP > />'", /»'" > rrì'p , le quali equivalgono alle aP ":> p^ Z?"-' > TU'. La prima di queste due sussiste in ogni caso (5- prec, lemma 3°); m — 1 la seconda sussiste se p è maggiore di i/'/ra*. Dunque se p, ossia —, sarà maggiore di i/m''; ovvero, ciò che vale lo stesso, se X sarà maggiore di m (//tz^, noi avremo «^ > /tz x , ed — >??z. Dunque ec. la. Data una costante positiva m comunque grande, esiste un' altra costante positiva tale che, ogniqualvolta la x superi questa seconda costante, riesce .—^"^m. Dimostrazione. Rappresentiamo con y quella quantità che rende soddisfatta la equazione x = ey, essendo indicata con e la base dei logaritmi neperiani. Avremo logx=y, e perciò X _ey \ogx y Ma pel teorema precedente sappiamo che esiste una co- stante positiva ( che per brevità chiamerò a ) tale che riesce — >/?2 purché sia y>a. Sarà dunque anche j-^>.?7z pur- ché sia loga;>6c, vale a dire, purché sia x'^e"' . Dunque ec. i3. Il precedente teorema ha luogo anche se, invece del logaritmo neperiano di x, si pone il logaritmo di x preso in un sistema qualunque avente per base una quantità maggiore dell' unità. Dell' Ing. Pietro Domenico Marianini 867 Infatti, indicata con a la base del nuovo sistema, e con Logj: il logaritmo di x preso nel sistema medesimo, avremo LoS^=i3|7«' e perciò X X log a Log X log X Ora, pel teorema precedente, esiste una costante positiva (3 X m \oeLX "^ lojift tale che riesce ■. — "> ,-— - ogniqualvolta x è maggiore di I02 X "^ IO" a e 1 DB R. Ma, quando r— - è maggiore di -r— -5 è anche ^^->m '^ ' >- logx oO Ioga' logx -^ (giacché è loga>.o); e questa relazione ^. °^ " >• ??z equivale alla r^^>"z- Dunque ogniqualvolta sia j;>-/3, sarà anco j— -, >-w. Dunque ec. i4- Il teorema del 5- i' ha luogo anche quando a sia minore di 2, e maggiore di i. Infatti, indicata con y quella quantità che soddisfa la equa- zione «'"=;)', e con Logj il logaritmo di y preso nel sistema avente per base a, avremo a: = Logy; e perciò a* y X Logjy' Ora, per ciò che dimostrai nel paragrafo precedente, esiste una costante positiva ^ tale che riesce ■r^—~^m purché sia j>-/3. Pertanto sarà anche — >.;7t, purché sia a""^^, vale a dire, purché sia x^t^. Dunque ec. i5. Da quanto si è detto in questi quattro ultimi paragrafi ne segue che le due funzioni —, ,— — convergono verso -i-co al convergere della x verso H-co ogniqualvolta a e la base del sistema logaritmico sieno quantità maggiori dell' unità. La dimostrazione data è indipendente dal calcolo differen- ziale. Lo scopo si otterrà con maggior brevità appoggiandosi al teorema che « qualora la derivata ennesima di una funzione 368 Memoria relativa ai valori ec. f{x) sia reale, determinata e finita per tutti i valori della x da x = o sino ad xt^oc, ritenuto che la x abbia un valore compreso tra zero ed et, esiste una quantità positiva i mi- nore dell' unità, la quale rende soddisfatta la equazione /W =/(o) ^^f (o) + 4/" (o) -H -t- 2:^/('" {i^) . » Applicando infatti questo teorema alla funzione a^ ( nella quale ritengo a"^ i ), e ponendo re=:a, avremo che, per qua- lunque valore della x, esisterà una quantità positiva i mi- nore dell' unità, che renderà soddisfatta la equazione a^ = 1 -^ X log a -t- — a" log* a , e perciò anche la seguente (A) ^ = lH_logaH-|.a-log=a. Ora sia data una quantità positiva m comunque grande. Rite- niamo X positiva. Noi avremo — >>m se sarà maggiore di m il secondo membro della (A). Ma esso secondo membro è mag- giore del suo ultimo termine ^ ^'* ^^S^ ^ •> ^ quest' ultimo termine è maggiore di -|-log*a (giacché a'"" è maggiore di i ). Dunque se sarà -|- log*a>»/?2, vale a dire, se sarà x'^^-;^^, sarà anche, a più forte ragione, — >/72. E cosi resta pro- vato che, quando a è maggiore di i, la funzione — converge verso -+-CO al convergere, di .x verso- -+-oo. Si può quindi ditnostrare' che là stessa proprietà ha luogo anche per la funzione j-^- (ritenuta maggiore dell' unità la base dei logaritmi) col metodo tenuto al §. la rispetto alla funzione , — . Dell' Ing. Pietuo Domenico AJakianini 869 APPENDICE SUI lUASSIini E IMIKIIflI VALORI DELLE FUNZIONI DI UNA SOLA VARIABILE. I. Dal poter accadere die una funzione di una variabile non converga verso alcun limite al convergere della variabile stessa verso una determinata quantità, ne viene di conseguenza che la teoria dei massimi e minimi valori delle funzioni di una variabile esige qualche modificazione. Esporrò qui brevemente questa teoria colle modificazioni che credo opportune; otnmet- tendo però quelle dimostrazioni che sono conosciute. a. Sia rappresentata da f{oc) una funzione della x\ òa a una costante. f{n) si chiamerà massimo valore della f{x), se esista una quantità positiva tale che riesca f[a) >>/(j^) ogni- qualvolta la differenza tra x eà a sia minore di detta quantità positiva. f{a) si dirà minimo valore della f{x) , se esista una quantità positiva tale che riesca f{a) er la Memoria intorno al Movimento ecc. di Francesco Brioschi Pag. lòi, lin. 7. Invece di « r=a, » leggi: « /•=co. » Pag. i63, lin. 4- Invece di « essere U funzione, » leggi: « essere G ed U funzioni. » > i