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THE J. PAUL GETTY MUSEUM LIBRARY
MITTHEILUNGEN
DBS KAISEELICH DEUTSCHEN
ARCHAEOLOGISCHEN INSTITUTS
ROEMISCHE ABTHEILUNG Band XL
BULLETTINO
DELL' IMPERIALE
ISTITÜTO ARCHEOLOGICO GERMANICO
SEZIONE ROMANA
Vol. XL
ROM L O E S C H E R & C."
1896
SCAVI DI POMPEI 1894-95.
Reg. vi, isola ad E della 11.
Da molto tempo gli scavi di Pompei non hanno dato cosi riech i e belli risiütati come in quest'iiltimo anno. Fin dal settembre 1894 si cominciö a scavare 1' isola adiacente dal lato E a quella della casa « del Laberinto " (VI, 11), e se ne rimise alla luce una casa grande e bella, che occiipa il lato S dell' isola, ed un'altra adia- cente a N, piü piccola e sotto ogni riguardo di minore importanza. E siccome quest'iiltima, quando lasciai Pompei, non era aucora com- pletamente scavata, cosi di qiiesta si parlerä meglio nella relazione dell'anno venturo. Per ora ci occuperemo della casa piü grande, il cui ingi'esso e sul lato E dell' isola, il primo a contare dall'angolo SE. Furono trovate nell'atrio diie delle ben note signacula, di cui nno ha la leggenda, scritta a rovescio,
A•^£•TTI RESfVt
e sul castone dell'anello 1' incisione di un'anfora. L'altro ha la leggenda :
A //// V E T T I
CONVIVAES
e sul castone il caduceo. Vi fu trovato inoltre im anello di bronzo che sul castone ha la sigla (a rovescio) ; A V 6 . Si puö dunque credere che la casa fosse l'abitazione di una famiglia di Vettii, li- berti probabilmente di una famiglia appartenente alla nobiltä della colonia e nota da numerosi programmi elettorali. A. Vettio Con- viva e fra i testimoui di una delle tavolette cerate di L. Cecilio
A. MAU
Giocondo (79 de Petra). Fu perö tiovato, negli strati superiori, un terzo suggello, con la leggenda, scritta anch'essa a rovescio:
P • CR/SI • FiVbl
nel castone una foglia di edera. La gente Crusia e niiova nella epi- gratia pompeiana, e non so se altrove sia stata incontrata.
Diamo sulla tavola I II la pianta della casa e quattro sezioni sulle linee AB, CD, EF, GH. le qiiali ne mostiauo ima restaiirazione che sarä giustificata nella esposizione seguente ; inoltre qui appresso una veduta a volo duccello.
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■C-^.-^
Nella disposizione della casa si mostra una certa tendenza alla sirametria, che perö in varie parti e stata abbandonata per ragioni pratiche. A d. e a sin. dell'atrio <? si corrispondono le alae hi ed i cubicoli ad esse adiacenti fg. Ma sul principio del lato d. dell'atrio
SCAVI DI POMPEI
si ha r ingresso ad un atriolo v con locali adiacenti, fra cui la cucina iv ; a sin. invece evvi prima uu oecus e, quindi un corri- doio Y, il quäle conduce in un locale ß che si apre a guisa di hot- tega sul Yicolo che rasenta il lato S della casa. II peristilio Un non e del tutto sirametrico all'atrio: si estende a sin. fino al vi- colo suddetto, a d. un po' meno. E perciö anche le camere che si aprono sul portico anteriore sono simmetriche in quanto ognuna delle alae hi ha accanto a se un triclinio o oecus np, dei quali quello a d. ;} e alquanto piü lungo. Ma quest'ultimo si estende fino all'angolo, mentre a sin. segue ancora una camera o dalle pareti blanche, con due feritoie sul vicolo e tre scansie su ciascuna delle pareti lunghe, probabilmente una dispensa : vi furono trovate quattro anfore con iscrizioni (vd. pag. 96). II peristilio m con i suoi por- tici / si estende a sin. fino al vicolo ; sul portico d. apresi prima un cortiletto s con basso portico, sorretto da sottili colonne, sui lati d. e di fondo ; sul lato d. di questo portichetto si aprono due ca- mere, un triclinio t ed un cubicolo piuttosto spazioso u, congiunti, come tante volte, per mezzo di una porta. Segue sul lato d. del peristilio il grande oecus q, la piü grande e per le sue pitture la piü importante stanza di tutta la casa, e finalmente una stanza dalle pareti blanche 7\ che ha la forma d'un triclinio.
La casa esisteva fin dai tempi preromani o del primo stile de- corativo; ma pochi sono gli avanzi di quell'epoca. Appartengono decisamente ad essa i cubi di tufo dei quali invece di capitelli sono sormontati gli stipiti del portone, cosi anche il lato anteriore del- l'atrio ad eccezione dello stipite tra (^ e d; sul lato sin. i due sti- piti accanto alla porta di f, sul d. quello fra g e l'ala; infine tutto il lato posteriore dell'atrio ad eccezione dell' angolo a sin. Intorno al peristilio nulla vi e che con certezza possa ascriversi a quel tempo: la finestra dell'ala d. i, gli ingressi all'adiacente triclinio p e al cortiletto s non fanno parte della ricostruzione della quäle par- lerö adesso, ma non mostrano ueauche i parallelepipedi di pietra calcare caratteristici per 1' epoca preromana.
La maggior parte della casa subi una ricostruzione prima del- r a. 63 d. Cr., con gli stipiti composti di mattoni alternati con pietre (di tufo grigio e calcaree) di forma analoga, seguita da una decorazione delle pareti nell' ultimo stile, che e conservata nel- r atrio con le ale e nell' oecus q. Di pitture paretarie anteriori a
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qiiesta ricostnizione non ve n' e che piccola parte d' uuo zoccolo sul lato sin. dell' atrio c, fra y e /", conservata perche vi stava addos- sata la cassa forte. La piccola estensione e la poca conservazione di questo avanzo non mi permisero di decidere con certezza se fosse fatto nel terzo o neu' ultimo stile ; mi sembrava piuttosto nell' ul- timo, e risulterebbe in tal modo che la casa fosse stata dipinta tre volte in questo stile, ciö che, veramente, non e troppo probabile.
La storia della casa negli ultimi tempi ci e data dall' ala sin. h, la quäle dopo essere stata dipinta, insieme con T atrio, nel- r ultimo Stile, fu trasformata, come in tante altre case, in un grande armadio ; fu murata allora - prima del 63 - una porta fra essa e n e una grande tinestra sul peristilio /, e queste parti furono rive- stite di stucco bianco. Col terremoto poi del 63 cadde la parte d. (N) del muro fra ala e peristilio e fu quindi ricostruita con uno stipite di mattoni alternati con pietre di tufo giallo di forma ana- loga. Dopo quest' ultima ricostruzione il peristilio e le camere adia- centi. meno il grande oecm q, e le camere adiacenti all" atrio (meno le ale) ricevettero decorazioni nell' ultimo stile, che cuoprono indi- stintamente anche la porta e la finestra murate fra h^ l e n.
Le pitture dunque di questa casa, tutte dell' ultimo stile, si dividono perö in due gruppi, uno piü antico e un altro piü recente, posteriore al 63, che nel modo piü evidente si distinguono fra loro anche per il carattere. Le pitture piii antiche sono fatte con gusto squisito e delicato, con ricchezza di finissimi dettagli, quelle piü recenti auch' esse con abilitä e diligenza ma con un gusto al- quanto piü materiale e seuza quella finezza nei particolari.
Passo ad esporre brevemente ciö che si puö sapere e conget- turare con probabilitä intorno ai locali superiori ed ai tetti, e a giustificare in tal modo la ricostruzione che si propone.
Camere superiori vi erano al disopra dei locali che si aprono sull'atriolo y, ad eccezione della cucina tu, che era piü alta di cc y 2 \ il loro pavimento stava a m. 3,25 sopra quello dell' atriolo. A d. di questo eravi prima la scala e sotto di essa la dispensa a con due scansie in ognuna delle pareti rivestite di stucco di mattoni. Tre gi-adiui verso S e quattro verso E sono in pietra ; quindi una scala di legno conduceva verso N nella camera sovrapposta a j, dalla quäle poi un' altra scala di legno, addosso al mm-o di strada, con- duceva verso S nelle camere sovrapposte a quelle che precedono
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l'atrio {ab d k), il ciü pavimento stava al livello di circa m. 5,20. Verso N poi ima porta doveva conduiTe in una camera sovrapposta ad y ; ambedue le camere avevano le pareti di stucco grezzo. Invece ima camera migliore, con le pareti dipiiite, stava sopra cc e sopra quellaparte della cucina lo che corrisponde all'atriolo ed e divisa dal resto della cucina per mezzo delle due ante visibili nella pianta. che sorreggevano una grossa trave, sulla quäle era fabbricato il muro 0 della camera sopra x. Questa era accessibile, per mezzo di una porta, da una galleria di legno, che dalla camera sopra z si estendeva lungo il lato N dell" atriolo. L' ultima parte di questa gal- leria, ad 0, circa m. 1,50, era, a quanto pare, divisa dal resto, per mezzo forse di una porta, e poteva essere una specie di armadio.
L' impluvio dell' atriolo v sta nel centro di un rettangolo che comprende , oltre 1' atriolo stesso, anche le camere adiacenti a d. as. E necessario dunque ammettere che il tetto, abbassandosi dai quattro lati verso 1' impluvio, coprisse con la medesima pen- denza anche queste camere. Ma ciö e esatto solo per j: il vano della scala, «, doveva essere piii alto e innalzarsi a guisa d' una piccola torre al disopra del tetto, e poteva avere il tetto inclinato sia neir atriolo, come lo mostra la sezione EF, sia sulla strada, come e stato supposto nella veduta a volo d'uccello.
Giä fu detto che dalla camera sovrapposta a s una scala di legno conduceva a quelle sovrapposte ?i^ ab d k. Essa finiva con un pia- nerottolo al livello, naturalmente, di queste camere, cioe a circa m. 5,20. La porta poi che dal pianerottolo dava accesso alle camere stesse, difficilmente poteva aver meno di 2 m. di altezza ; e cosi il soffitto - 0 il tetto, se soffitto non vi era - del vano della scala a veniva a stare a circa m. 7,50. Invece le altre camere intorno al- l'atriolo erano piü basse. La loro altezza si puö press' a poco cal- colare in quella dalle pareti dipinte, sopra x e parte di w. Qui lo zoccolo, rosso con spruzzi di vari colori, e alto m. 0,50. Nella parte media si riconosce in uno degli scompartimenti gialli a m. 1,25 sopra il pavimento 1' avanzo del quadretto che ne formava il centro : si puö dunque calcolare che questa parte della parete arrivava a circa m, 2,0. Per 1' altezza della parte superiore non havvi regola fissa; per una camera come questa m. 1,0 sarebbe giä molto: sa- rebbe sufficiente un' altezza di 0,75 ed anche di 0,50. Cosi questa camera poteva essere alta fra m. 2,50 e 3,0 e innalzarsi senza il sof-
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titto al livello di 5,75-6,25, col soffitto a circa 6,0-6,50. Delle ca- mere poi adiaceuti aH'atriolo dal lato 0, p era alta, fino al nasci- mento della volta decorativa, m. 4,97 ; con questa e con le travi si arriva a m. 6,0 almeno; camere superiori non vi erano: non sa- rebbero state accessibili. E oltremodo probabile dunqiie che V al- tezza di queste camere, g ip, fosse uguale a quella della camera söpra cc. E sarebbe questa press" a poco 1" altezza del margine su- periore del tetto dell' atriolo. La camera sopra s poi, essendo com- presa sotto questo tetto, doveva essere alqiianto piü bassa, e tanto piü grande la ditlerenza con «.
Non saprei decidere con certezza, dove g i p versassero le loro acque. Non potevano versarle nell' atrio c, il quäle, largo 8,34, do- veva essere alto sub trabes circa 6,25 e, per conseguenza, aver le pareti alte circa 7,50; difificilmente anche potevano versarle tutte nel peristilio, il cui tetto al margine superiore era alto m. 6,50 almeno ; giacche con un tetto a pendenza unica vi sarebbe stato un vano morto troppo grande. Ho supposto, come il piü probabile, che vi fosse un tetto a due pioventi (vd. sezione GB).
Le camere avanti all' atrio, ab d k, erano alte m. 4,20 fino alla sommitä della volta decorativa. Perö al disopra di questa le travi stavano ad un' altezza tale che un pavimento superiore non poteva stare ad un livello piü basso di m. 5,20. Queste travi ci danno probabilmente 1' altezza delle camere all' epoca del primo Stile. Se in quel tempo vi fossero camere superiori, non si puö sa- pere, ed e lecito dubitarne. Che vi fossero negli Ultimi tempi, lo dimostra la giä menzionata scala in «. II loro tetto era inclinato sulla strada : questo 1' ho potuto desumere dal fatto che nella strada stessa gli strati delle masse vesuviane erano inclinati verso il lato opposto (da 0 ad E), ciö che si spiega soltanto con la supposizione che, finche il tetto rimase in piedi, i lapilli furono da esso versati nella strada e ammucchiati appie del muro.
Abbiamo trovato che i locali intorno all' atriolo h\ con le loro camere superiori, uguagliavano in altezza, press' a poco, le camere che si aprono suir atrio e sul peristilio. E tale risultato vien con- fermato dalla osservazione che, a quanto pare, anche sul lato sin. deir atrio i locali sovrapposti ad ed ß o erano uguali in altezza a fhn senza piano di sopra. L' ingresso secondario della casa, dal lato S, largo 2,24, conduce in un locale ß dalle pareti grezze, sulla
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cui destinazioDe nulla saprei dire, ma che contiene, neu' angolo a sin. di Chi entra, il cesso (che manca nella cucina). A d. di qiiesto locale ve n' e im altro simile 6. Di faccia all' ingresso poi il cor- ridoio y conduce con forte ascensione nell' atrio, e accanto a qiiesto corridoio evvi la scala dei locali superiori, che si estendevano, al livello di m. 3,70 sul pavimeuto dell' atrio, sopra ß d a o : sono per- fettamente conservati gli incavi delle travi che ne sorreggevano il pavimento, e iu parte (sopra o) anche questo. La scala conduceva nel locale sovrapposto a ß, dal quäle si passava negli altri. Alla sommitä poi di questa scala se ne diraniano a sin. pochi gradini per i quali si saliva in im locale sovrapposto ad e e che stava ad un livello piü alto (4,60), inferiore perö a quello delle camere so- pra ah dk (5,20).
Fra la scala e n rimane im piccolo vano inaccessibile, il quäle non contiene altro che, nelV angolo NO, un cilindro in muratura, dal diametro interno di circa m. 0,55. Siccome i condotti delle la- trine sono sempre tubi di creta molto piü stretti, ed e inammis- sibile una cisterna in mezzo all' edifizio, del quäle avrebbe pregiu- dicata la stabilitä, cosi bisogna riconoscer qui uno di quei pozzi scavati coi quali si era trovata, sotto la lava, 1' acqua sorgiva {}). Per motivi a noi ignoti si era voluto farlo accessibile dal piano di sopra, non dal pian terreno. Siccome poi fu trovato pleno di rot- tami antichi, cosi pare sia stato messo fuori d' uso dagli antichi stessi. II posto che il pozzo occupa esclude che a quel piccolo lo- cale abbia potuto corrispondere, nel piano di sopra, un passaggio 0 im vano di scala per giungere in una camera che si potrebbe credere sovrapposta a n ; del resto il vano sarebbe anche troppo piccolo per contenere ima scala che giungesse a tale altezza. Senza alcun dabbio cioe fhln avevano la stessa altezza di gip^ cioe di m. 6 almeno con le loro volte decorative e le travi sovrapposte. Ora le camere sopra ß ^ o, col pavimento a m. 3,70, potevano, senza oltrepassare quell' altezza, essere alte col loro soffitto m. 2,30, ciö che e piü che sufficiente. E siccome su questo lato non vi e atriolo, cosi risulta, con la massima probabilitä, che un tetto a pendenza unica, unito forse in comune comignolo con quello dell' atrio, ver- sasse sul vicolo a S le acque di questa parte della casa. Lo spazio
(1) Se ne trovano nelle case VII 2,18. 20; 3,25. VIII 2,27; 3,25.
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morto di im tal tetto era alto, presse 1' atrio, circa m. 2,0. E cosi non vi era difficoltä alcima che sopra e vi fosse - come in fatto vi era- uii locale superiore ad ini livello piü elevato: col pavimento a m. 4,00 poteva aver l'altezza, del tiitto siifficiente, di m. 2,25. Credo dimque che tiitto qiiesto rettangolo e f h n o ß ^ avesse im tetto inclinato verso S.
Sul lato d. del peristilio s' intende da se che t u versassero le loro acque sul tetto del portichetto s. E siccome lo spazio sco- perto da esso rinchiiiso ha im canale per 1' acqua piovana anche dalla parte di q, cosi e evidente che q r erano coperti da im tetto a diie pioventi e versavano le loro acqiie parte siil vico 0, parte in s.
Con ciö mi pare di aver giiistificato abbastanza la ricostruzione. Passiamo ora a cousiderare le singole localitä.
L' ingresso principale e di ima forma non rara in case del- l'epoca preromana (cf. p. es. Overbeck-Mau, Pompeji "*, p. 298. Bull, d. Inst. 1877 p. 164): il piccolo vestibolo a ha in fondo il portone, a d. una poi-ticina, per la quäle si poteva entrare e sortire senza aprire il portone. II vestibolo ha le pareti blanche con zoccolo rosso.
Le fauces b hanno in mezzo ad ognuno de' grandi scomparti- menti neri - ve ne sono due a d., uno a sin. - un quadretto mono- cromo, eseguito, o piuttosto accennato, con color giallo sopra un fondo marrone.
1, muro d. a d., a. 0,145, 1. 0,29: cervo in piedi v. d.; in- contro a lui una cerva sdraiata per terra v. sin. AU' estremitä sin. sopra una base un' erma o statua ; avanti alla base un basso ta- volino ; nello sfondo un albero.
2, muro d. a. sin., a. 0,15, 1. 0,31. Nel centro sta per terra un vaso di forma singolare, a guisa di cratere, ma con coperchio e becco lungo ; a d., guardandolo, una pecora ; a sin., sopra un ta- volino, una borsa di danaro e un caduceo; sotto il tavolino qual- che cosa come una patera.
3, muro sin., a. 0,155, 1. 0,30, Due galli combattenti; quello a d. si slancia volando sull' avversario. A sin. un terzo gallo con palma nel becco. ün ramo di palma giace anche per terra fra i due combattenti ; sull' estremitä inferiore e posto, come per fer- maiio, qualche cosa come un piccolo candeliere.
4, Nella parte superiore evvi, nel centro del muro d., una Si- rena v. d.
SCAVI DI POMPE! 11
5. Miiro di foudo, accanto al passaggio nell' atrio, a. 0,76, 1. 0,42. Priapo ritto in piedi, col gomito sin. appoggiato ad una base, vestito di lungo chitone giallo con largo margine e lunghe maniche verdi, che egli alza con la sin. in modo da scoprire il fallo. II braccio sin sorregge ancora un manto rosso e im pedum; alla base e appoggiato im tirso. La testa e coperta di un berretto frigio rosso con margine verde, i piedi miiniti di alti stivali pao- nazzi, il coUo cinto di una collana d' oro, i polsi di braccialetti ; di oro sono anche gli orecchini. Egli e barbato ; le mani sono ab- bronzite, secche e tendinose. Regge nella d. protesa v. sin. una bi- lancia ; sopra una delle coppe egli ha posto 1' enorme fallo, sul- r altra sta una borsa piena di danaro. Sotto la bilancia sta un canestro con uva, mele granate ed altre frutta nou riconoscibili. Nello sfoudo il cielo ; ma a d. evvi qualche cosa come una fab- brica fatta di pietre.
Gli stipiti fra fauce e atrio erano muniti di antepagmenta. L'atrio (10,97 X8,40) con le sue ale, dipinto eleganteraente, ha il pavimento ordinario. E ciö vale per 1' intera casa, che non contiene un sol pavimento sia di musaico sia in altro modo fatto con qualche eleganza. Nell'atrio consiste di una massa nerastra con file di pez- zetti di marmo press' a poco quadrati. L' impluvio e molto profondo (0,25) ; del suo rivestimento in marmo non e rimasto che un pic- colo avanzo all' angolo posteriore a d. Che in mezzo ad esso s' al- zasse una fontana, lo dimostra il fatto che dal condotto dell'acqua, conservato nel peristilio e del quäle parleremo in appresso, si di- rama un tubo, fra la terza e la quarta colonna (contando da d.) del lato anteriore, e si dirige appunto verso 1' impluvio, nel quäle si vede anche lo sbocco del canaletto coperto che lo conteneva. Un altro canaletto coperto portava, come di solito, le aeque sul vico E ; e priio perö dei soliti sfogatoi.
Le ale avevano in origine ognuna una grande finestra sul por- tico del peristilio ; giä dissi, che 1' ala sin. fu trasforniata, prima del 63, in un grande armadio. Due grandi casse forti stavano luna fra le porte di / e d?, 1' altra fra quelle di z; e g; erano poste, nel modo solito, ognuna sopra un basamento con incavi per i piedi, ri- vestite di ferro con chiodi ed ornamenti di bronzo, e sono state in gran parte restaurate. L' altezza dell' atrio nou e riconoscibile ; 1' ho supposta, sub trabes, tre quarti della larghezza.
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Kioca e bella e la decorazione delle pareti dell' atrio. Le moltis- sime porte che la interrompouo non permettouo di riconoscerne bene la disposizione ; pare perö che qiiesta disposizione fosse inventata per Ulla siiperficie grande ed unita; e perciö, nonostante la bellezza dei particolari, forse 1' effetto dell' insieme era meno soddisfacente.
Lo zoccolo. giallo e di forma architettonica, contiene perö in ogmino di questi brevi tratti di muro im campo rosso-paonazzo, a. 0,96, coD rappresentanze monocrome di color chiaro, alte circa 0,27: sono fiofure di fanciuUi. Segne una stretta striscia rossa e quindi una striscia nera a guisa di fregio, a. 0,22, con scene di Amori. La parte media e principale della parete, a fondo cinabro, e trat- tata fra v e g, ove la superticie e im po' piü estesa, a guisa d' uno scompartimento rinchiuso fra due prospetti architettonici, contor- nato da una tinissima striscia ornamentale e contenente un gran quadi'o, del quäle non resta che un piccolissimo avanzo nell' angolo inferiore a d. I brevi tratti di miu-o fra le altre porte contengono ognuno un candelabro o cosa simile entro qualche architettura fan- tastica. E ben conservata questa parte, fino a m. 3,35, fra k e 1' an- golo XE, ove dal candelabro, alla metä forse della sua altezza. si dipartono orizzontalmente due rabeschi, sui quali ballano due donne vestite d' una veste a guisa di sciallo. Immediatamente sopra queste figure la parete e traversata da una greca. Similmente fra b q k il candelabro, formato come un tronco di palma, e circondato da una specie di cerchio ornamentale, sul quäle sono sdraiate due donne, ognima con un kalathos„ rovesciato accanto a quella a sin., mentre 1' altra pare lo tenga sul ginocchio sin. L' azione non e chiara, staute la cattiva conservazione : forse inghirlandavano il candelabro.
Del resto le rappresentanze figurate dell' atrio si compongouo di due Serie : le figure di fanciulli sullo zoccolo e le scene di Amori nella striscia nera soviappostagli.
6-1 ß, sullo zoccolo, monocromi chiari rossastri (perö con alcune parti dipinte nei colori naturali) su fondo rosso-paonazzo : figure di fanciulli : e rappresentata la sola parte superiore, fino alla metä delle cosce; sono alte circa m. 0,27.
6, fra b e d. Fanciullo in tunica verde cinta; cammina v. d. ma guarda in dietro in modo da esser veduto di faccia; porta nella sin. una patera umbilicata, reggendola al manico, nella d.
SCAVI DI POMPEI 13
Uli iirceo. I capelli, piuttosto liiughi, cadono verticalmente siilla fronte e sulle orecchie.
7, fra d ed e, 1. 0,45. Vestito di timica bianca ; da da bere ad un iiccello (gallina di Faraone ?) da un vaso a guisa di cantaro.
8, fra ^ e y, 1. 0,18. Vestito di tunica verde chiara; sta tran- quillo, rivolto a sin. e verso chi giiarda, e con la d. alza il co- perchio, fatto a cupola, da iina cista cilindrica. La sin. abbassata reffge un bastone.
9, fra c e h. 1. 0,29. In larga veste bianca (tunica?), v. sin.; beve, con la testa piegata in dietro, da un vaso bianco in forma di skyphos.
10, sul lato posteriore, a sin. del passaggio medio, 1. 0,24. FanciuUa (?) v. d., in larga veste bianca non cinta: regge con ambedue le mani un grosso cantaro avanti al petto; e espressa bene la fanciullesca serietä del viso.
11, ivi stesso a d. del passaggio medio, 1. 0,24. V. d., avvi- luppato in larga veste bianca, in modo da coprire le mani; la testa cinta da una Corona di foglie lunghe (alloro?); guarda at- tentamente a sin. e verso lo spettatore.
12, ivi stesso presso 1' angolo d., 1. 0,18. Fanciulla in tunica bianca. Camminando v. d. si e fermata e guarda indietro v. sin. Regge con ambedue le mani, alzate fino al gomito, una gbirlanda. Una Corona di foglie, non fitta, cinge la ricca chioma biondo-scm-a.
13, fra i e g, 1, 0,31 : irriconoscibile.
14, fra y e ^, a sin. della cassa forte, 1. 0,18, mal conservato. Rivolto a sin. e verso lo spettatore; volge perö la testa indietro. E vestito di una larga tunica bianca e regge sopra ambedue le mani, avanti al petto, una luuga ghirlanda; la testa e cinta da una Corona di foglie.
15, ivi stesso a d. della cassa forte, 1. 0,60. In veste bian- castra, che e calata un po' dalla spalla d., coronato di foglie lunghe. Porta sopra ambedue le mani, sotto al petto, una scodella tonda biancastra (d' argento), senza margine rialzato. Sopra questa si ve- dono de" cibi ; si riconosce una focaccia tonda giallastra, delle sal- siccie (?), uova (?); fra tutto questo una ghiiianda; a sin. una specie di cantaro. color d'oro, a d. un urceo di color cangiante fra il giallo ed il turchino. II viso esprime bene 1' attenzione a non far cader nuUa.
14 A. MAU
15, fra k e l'angolo, 1. 0.52. Fanciulla in veste bianca non cinta. rivolta a d. e verso lo spettatore; s' appoggia suUa sin. e con la d. porge un ramo ad un pappagallo verde.
16, fra k e b, 1. 0.295. In larga veste bianca, coronato di foglie; sta seduto siü margine inferiore del campo, immaginato come un parapetto; guarda in giü e verso lo spettatore e mette la d.. V. d., sopra im thymiaterion basso, largo e pesante.
17-29. Scene di Amori sii fondo nero, altezza del fondo 0,23.
17, fra ^) e rf, 1. 0,38 (il fondo). Amore sopra una biga ti- rata v. d. da due delfini.
18, fra d e e, 1. 0,67. Combattiraento fra due cavalieri sopra caproni. Quello a sin., caduto, s' appoggia sulla sin. o con la d. alza lo scudo verso l'avversario; la lancia sta accanto a lui per ten-a. L' altro, in veste corta, arriva da d. ed alza la lancia per tirarla verso il caduto, mentre protende lo scudo accanto al coUo deir animale. Dietro di lui arriva un terzo, anche da d., a piedi, in Chitone giallo, che anch' egli alza la lancia contro il caduto ; la sin. regge altre due lancie.
19, fra ö e y, 1. 0,22. Amore sopra biga, v. sin., tirata da due delfini; alza la d. per frustarli.
20, fra f e Ä, 1. 0,40. A sin. sta fermo v. d. un cocchio color marrone, sul quäle giace un cantaro ed un tirso; vi e attaccata una pantera, che un Amore, inginocchiato, abbevera da una patera biancastra.
21, sul lato posteriore a sin. del passaggio medio, 1. 0,18. Amore ritto, piegato in dietro, sopra un granchio marino che egli guida con la sin., alzando con la d. la frusta.
23, ivi stesso presso l'angolo d. Amore che con ambedue le mani regge sotto al petto un oggetto poco riconoscibile (rete?); cammina v. d. per sorprendere una farfalla.
24, fra g e ?, 1. 0,43; fa riscontro a 20. A d. sta fermo v. sin. un cocchio rosso, sul quäle giace un caduceo brunastro e un oggetto alto (fallo ?) verde ; un ariete vi e attaccato per mezzo dun cerchio che gli cinge il collo e dal quäle su ciascun lato una corda e tesa al cocchio ; non vi e timone. Gli sta incontro un Amore in clamide rossa in procinto di mettergli le redini, che egli regge con ambedue le mani. E egregiamente espressa, nel- r intero atteggiamento ed in ispecie nella testa abbassata, V atten-
SCAVl Dl POMPEI 15
zione a questa faccenda ; e con abilitä straordinaria tale espressione e stata data anche al viso, nonostante lo scorcio ed il modo di accennare piuttosto che eseguire le forme.
25, fra v e g, & sin. della cassa forte. Amore di faccia a cavallo sopra im delfino che egli guida con la sin., alzando con la d. la frusta. A sin. im altro delfino v. sin.
26, ivi stesso a d. della cassa, 1. 0,95. Sacrifizio alla Fortuna. A sin. la statua dorata sediita v. d. sopra un sedile verdastro senza spalliera; e avviliippata in ampia veste ed ha in testa qiialche cosa che poco si distingiie ; non e la Corona murale (fiore di lotos ?) La sin. e alzata e appoggiata allo scettro, la d., alzata fino al gomito, regge una patera. Avanti ad essa sta per terra il globo tiirchino, rossastro al margine e nel centro, e appoggiato ad esso il timone ; dietro la statua sopra uua base rossastra un cornucopia color d' oro (la punta a d.), dalla ciii bocca s' alzano due pimte. Avanti alla dea evvi 1' altare tondo biancastro ; dietro di esso, piü vicino alla statua, il tibicine, rivolto a d. e verso chi guarda, in veste rossa. A d. deir altare, v. sin., il sacrificante, coronato di foglie, in veste bianca che lascia nuda la spalla d., liba con la d. sull' altare; la sin. (suir avambraccio riposa la veste) regge un piccolo oggetto color d'oro (acerra?) E ammirevole come nel viso si esprime tanto la devozione del sacrificante quanto 1' imbarazzo dell' Amore- fanciiülo che deve sostener questa parte. Piü a d. un altro, cinto come pare intorno ai lombi, spinge avanti a se una pecora. Au- ch' egli e coronato di foglie ; alza il viso verso 1' altare ed il sa- crificante. Un terzo sta ritto piü a d., v. sin., aspettando, a quanto pare ; regge nella d., protesa un poco, il prefericolo, nella sin. ab- bassata un oggetto non riconoscibile.
27, fra v e 1' angolo, 1. 0,18. Poco riconoscibile. Sembra che. l'Amore nuota v. sin., appoggiando la sin. sopra un delfino.
28, fra k e 1' angolo, 1. 0,80. Combattimento fra due Amori montati su caproni, di cui uno, a sin., galoppa v. d. e verso lo spettatore, 1' altro v. sin. e neu' interne del quadro. Ambedue si coprono con lo scudo tondo; il primo alza la lancia per tiraiia suir altro ; questo la tiene obliquamente avanti alla testa, al di- sopra dello scudo, per parare anche con essa il colpo dell' avver- sario. Piü a sin. ancora ve n' e uno a piedi, che stende verso il cava- liere a sin. un corto bastone curvo, a quanto pare, a guisa di pediim,
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come per schernirlo. Anche all' estremitä d. ve n' e uno a piedi, meno ben conservato; e chiaro perö che nella d. abbassata tiene una lanoia, e puö sembrare che con questa egli voglia attaccare il cavaliere a d., mentre col bastone nella sin. ne spaventa la ca- valcatura.
29. fra k e h, 1. 0,42. Due Ainori, ognuno sopra un cocchio tirato da due deltini verdi, quello a sin, v. d., 1' altro di faccia. Qiiest' ultimo, piegandosi indietro, guarda 1' altro : movimento espresso assai bene.
30-32. uel campo rosso fra v e g.
30. AI disopra del fregio degli Amori evvi prima una striscia, a guisa di fregio auch' essa, a. 0,08, con scene di c&ccia. A sin. un cinghiale. che un gran cane attacca da dietro. Un altro cane, insegueudo il cinghiale, lo ha oltrepassato e si volge per attac- carlo di faccia. A d. una cerva atterrata da due cani; un terzo arriva da sin. ; piü a d. un cippo perforato da un buco quadran- golare, al quäle sta appoggiato un bastone con nastro attaccatovi.
31. Nello spazio sotto la striscia ornamentale di cui e con- tornato lo scompartimento (cfr. p. 12), a. 0,24, evvi nel centro un basso canestro, nel quäle sta un urceo dal becco lungo, un can- taro e un rh//toii (?). Sopra questo un ornamento, dal quäle due tralci di vite si stendono ad arco negli angoli; sotto questi tralci due Psiche in veste lunga raccolgono 1' uva. Quella a sin., v. d., vuota un canestro in un altro piü grande, verso il quäle anche 1' altra, a d., porta il suo, reggendolo con ambedue le mani e appoggian- dolo sulle ginocchia.
32. II centro dello scompartimento era occupato da un quadro 1. 1,52, del quäle non resta che un piccolo avanzo nell' angolo inferiore a d., 1. 0,75, a. 0,35: vi si vedono i piedi, con sandali, di una persona seduta (cosi pare) v. sin. ; dietro di essa un Amore che cammiua v. sin.
Delle camere intorno all' atrio il cubicolo d (m. 2,89 X 2,25) ' ha pitture di poco valore. Apple dello zoccolo evvi prima una striscia che imita un marmo grigio ; lo zoccolo stesso e dipinto ad imitazione di marmo giallo e porfido in lastre quadrate e triangolari. Gli scompartimenti grandi sono gialli e contengono nei loro centri sui muri laterali ognuno un uccello che mangia, sul muro di fondo a sin. un vaso (a d. distrutto), sul muro d' ingresso a sin. (a d.
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distrutto) l'albero sacro cou adoraiiti appona accennato. Lo scom- partimento medio di ciascuna parete e bianco, formato a guisa di padiglione, e contiene im quadro. Sopra questa parte segne una striscia a. 0,47, rappresentante acqua con pesci. La parte supe- riore ha su fondo bianco i soliti concetti delle pareti piü ordinarie di qiiesto stile. Vi sono i quadri seguenti:
38, siil muro sin.; a. 0,49, 1. 0,45, Arianna abbandonata. Lito diriipato. Nel primo piano a d. Arianna, v. sin., nuda, con rosso mamillare, fazzoletto bianco intorno alla testa e braccialetti d' oro, si e alzata a sedere. L"e gambe sono ancora coperte dal manto rosso, involta nel quäle ella ha dormito ; ha dietro le spalle im cuscino bianco con righe verdi e rosse; stende in giü la sin., in modo da toccar con le pimte delle dita il letto, e mette la d. alla bocca. Un Amore, che evidentemente 1' ha svegliata, le sta dietro, mettendole la sin. sulla spalla sin. e additando con la d. la nave, la quäle, con la vela spiegata, si allontana v. sin. ; in essa si vede il timoniere, col pilos a punta, e due marinai che pare stiano remando. Sopra uno scoglio a sin. di Arianna un pe- scatore in piedi v. sin.
34, sul muro di fondo, a. 0,37, 1. 0,41 : quadro del tutto di- strutto. Si noti che questo quadro e piü antico del resto della de- corazione, avanzo, se non m'inganno, di una decorazione anteriore. Quando si fece la decorazione presente, esso fu fermato sul muro con uudici chiodi o grappe di ferro. Mancava fin d' allora 1" angolo superiore a sin.
35, sul muro d., a. 0,50, 1. 0,43 : Ero e Leandro. Replica poco variata del quadro Sogliano 598. Nel bei mezzo Leandro, la testa cinta d'una Corona di foglie giallastre, nuota v. d., stendendo avanti il braccio sin. A d. Ero, in veste gialla, la lucerna nella d., sta atfacciata alla finestra, fatta a volta, della torre, che tonda s' erge sopra una base quadrata a quattro gradini, dal secondo de' quali un ponticello conduce ad uno scoglio. A sin. il servo di Leandro e se- duto sopra uno scoglio ; guarda verso gli amanti, alzando nella stessa direzione la sin., mentre la d. e appoggiata sulla lanterna ; a sin. di questa giaciono sullo stesso scoglio i vestiti di Leandro. Nel mare, sopra Leandro, tre delfini; nello sfondo, appeua accennato, un portico.
II cubicolo corrispondente k, 2.42 X 2,29, a. fino al nascimento
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della volta decorativa 3,72, tino alla sommitä 4,23, ha anch'esso ima decorazione semplice e senza Interesse, a fondo bianco, meno lo zoccolo rosso. Gli scompartimenti grandi, contornati da ghirlande, contenevaiio ognuno im quadretto rappresentante sul fondo bianco iin uccello che mangia.
e, oecus o triclinio quasi quadrato, 4,63 X 4,50, a. circa 3,95 fino al soflfitto piano. Nel pavimento, di iina massa ordinaria a guisa di Sigiiiimm, era immesso il disco di iin tavolino tondo di marmo bianco, rotto ; intorno ad esso e rerso 1' ingresso pezzi irregolari di marmo. La decorazione delle paret!, conservata quasi per tutto fino al soffitto, e piuttosto ricca e abbastanza diligente, di im gusto non troppo sqiiisito, in ispecie la parte ornamentale ; le figure sono mi- gliori. Lo zoccolo, giallo con concetti meschini, e alto 0,63 ; del resto il fondo e bianco ; la parte media, a. 1,56, e divisa da quella superiore (a. 1,43) per mezzo d'una cornice di stucco a. 0,15. II mar- gine superiore della parete e formato da una cornicetta policroma (bianca e rossa a quanto pare).
Gli scompartimenti della parte media, tre su ciascuna parete, meno quella dell' ingresso, sono divisi fra loro per mezzo di sottili architetture fantastiche. Su ciascuna parete lo scompartimento medio contiene im quadro, i laterali (non conservati sui muri d' ingresso e di fondo) ognuno im medaglione con rappresentanze di Amori. La cornice che divide la parte media da quella superiore consiste di due parti, e fra esse d' una specie di fregio curvo con rilievi di stucco ; vi si ripete un cigno con le ali spiegate, in piedi, sul dorso di un delflno, che regge nel becco qualche cosa come un nastro, di cui r altra estremitä e tenuta da una donna sedutagli incontro ; questo gruppo e alternato ora con un cantaro, ora con una testa di Medusa, l'uno e 1' altra fra rabeschi. La parte superiore della parete e occupata da un sistema di architetture che si estende per le intere pareti ma non ne tocca il margine superiore se non per mezzo di figure (Centauri, Sirene) poste, due sopra ogni parete, in cima ai cornicioni. Le colonnine ed i pilastrini di queste archi- tetture sono fini e leggieri ; siccome perö sono congiunti per mezzo di pareti di vari colori, cosi queste architetture superiori nel loro insieme sembrano piü pesanti di quelle della parte media, ciö che non favorisce 1' effetto dell' intera decorazione.
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Vi sono le rappresentanze figurate seguenti:
36, 37, quadri negli scompartimenti medii.
36, miiro d' ingresso, a. 0,60 1. 0,48. Ciparisso seduto sopra un sedile ciibico coperto d' una veste paonazza con margiue tur- chino, che gli copre anche le cosce; ha le gambe a sin.; si appoggia sulla mano sin., mentre la d. riposa suUa coscia d. (il piede d. sta piü in alto del sin.) e regge un giavellotto con la punta in giü; limghi capelli biondo-scuri, spartiti, cosi pare, in mezzo alla fronte.
gli scendono suUe spalle; sopra la testa s'innalza, poco visibile, il cono di cipresso. Guarda mestamente in giü a d., ovo sta per terra, v. sin,, il daino, che ha il collo cinto da una larga- fascia verde e gialla, col giavellotto, rotto, nel dorso ; alza la testa verso il giovane come per implorare aiiito. Anche a d., piü in dietro, sta sopra una base quadrata un gran tripode dorato e sotto di esso 1' om- phalos coperto dalla solita rete. A sin., sopra uno scoglio, una (TxoTtuc, di cui si vede la sola parte superiore del corpo ; ha la testa cinta di foglie lunghe e regge nella sin. due rami.
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37. sul Eiuro di fondo, a. 0.70. 1. 0,66. Lotta di Amore e Pane in presenza di Bacco e del suo tiaso. Nel bei mezzo del primo piaDO Amore. v. d.. mette avanti il piede sin., e col corpo forte - meute piegato stende le braccia verso Pane, che gli sta incontro stendendo avanti la mano d.; la sin. e legata sul dorso, presso la coda, e fa le corna con pollice ed indice stesi ; in mezzo fra i due sta per terra una grande pietra. E originale e caratteristica la figiira di Pane, dalle gambe caprine e con le corna siilla fronte; il suo viso nistico da uomo anziano e le forme robuste contrastano sin- golarmente con la statura piccola. A d. Sileno, le cui gambe sono nascoste dietro un sasso, nudo, meno un panno rosso intorno ai lombi, regge nella sin. la palma (nella forma ben conosciuta, con foglie soltanto alla punta) e stende la d., aperta, con la pianta rivolta allo spettatore, verso i combattenti. Evidenteraente egli parla, e Tespres- sione sia del viso che del gesto non lasciano dubbio ch'egli rimprovera Pane di nou poter vincere un avversario tanto piccolo. A sin., sopra uno scoglio, sta seduto Bacco, coronato di edera ; ha le gambe co- perte di una veste rossa dal margine turchino, i piedi, a quanto pare, muniti di alti stivali ; la sin., appoggiata sullo scoglio, regge il tirso, la d., suUa coscia d., una corona di foglie gialle. Alla sua sin., poco piü in dietro e piü in alto, sta sediita Arianna, vestita di largo manto azzurro, che copre la spalla sin. e la parte infe- riore della persona, e sotto questo di un finissimo chitone bianco e trasparente, che comparisce sul petto ed ai piedi. Dietro la sua testa, coronata forse di foglie lunghe, svolazza un panno turchino-chiaro. Ella mette la d. sulla spalla d. di Bacco ; la sin. (con braccialetto) regge il tirso che le sta fra le ginocchia. Dietro questi due, i cui sguardi son rivolti ai lottatori, sorge un grosso pilastro, dal quäle sono stese di qua e di lä, ai margini del quadro, tende verdastre, quella a d, soUevata in mezzo da un grande nodo; sotto quella a sin. compariscono un giovane Satiro e dietro di lui tre Baccauti. II Satiro tiene la d. avanti al collo, con l'indice alzato : gesto che esprime attenzioue. Egli e coronato di pino, le Baccanti di edera. In tutto questo gruppo e molto bene espressa, tanto nei visi quanto nell'intero atteggiamento, la curiositä e nel tempo stesso la timi- dezza ed il rispetto col quäle si tengono in dietro e procurano di non far rumore.
II quadro della parete d. e andato perduto per uno di quei
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buchi coi qiiali gli scavatori autichi hanno perforato i muri. luvece a sin.pare che sia statotolto anticaniente perrimpiazzarloconuno nuovo. 88-41. medaglioni a fondo rosso, negli scompartimenti late- rali ; diam. 0,30 ; quello del muro d'ingr. a d. pare sia stato tolto anticamente.
38, muro sin. a sin. Amore a cavallo sopra im montone che galoppa V. d.; rivolge la testa e la parte superiore della persona verso Chi guarda e stende a sin. la mano d., che regge una borsa bianca e un bastone (caduceo?) appoggiato alla spalla.
39, muro sin. a d.; appena riconoscibile, Amore seduto sopra un paTOne che cammina v. sin. Tiene cou ambedue le mani una lunghissima ghirlanda che gli circonda la testa, svolazza a d. presse la sua mano sin. e a sin. passa fin sotto i piedi del pavone.
40, muro d. a sin. Amore disteso sopra una pantera (v. d.); si regge con ambedue le mani al collo della bestia. La d. tiene una lunga ghirlanda, che gli circonda la testa e svolazza indietro, ed il tirso appoggiato sulla spalla.
41, muro d. a d. Amore in piedi accanto ad un capriolo (v. sin.) ; lo regge con la d. come con redini, che perö non sono visi- bili ; nella sin., appoggiata al fianco, tiene la frusta.
42-52, figure poste fra le architetture della parte superiore; stanno ognuna sotto una specie di baldacchino, piü grande quello in mezzo, quei laterali preceduti ognuno da una scala a tre gradini, in cima alla quäle sta la figura.
42, nel centro del muro d'ingresso; a. la parte conservata 0,35. Parte inferiore di Danae, che seduta sopra una sedia apre la veste per ricevere la pioggia d'oro.
43, muro d' ingresso a d., a. 0,52. Donna in chitone giallo, con veste verde intorno alle gambe e velo paonazzo che dall'occi- pite scende suUe spalle e sul braccio sin.; ha le braccia incro- ciate sul petto e pare che col braccio sin. regga qualche oggetto nascosto sotto il velo. L' espressione e seria e pensierosa.
44, nel centro del muro sin., a. 0,25. Donna sdraiata per terra, i piedi a sin., la gamba sin. stesa, la d. appoggiata. Le gambe sono involte in una veste rossa col margine azzurrognolo, nuda la parte superiore della persona. Appoggiandosi sul braccio sin. steso verticalmente regge sulla d., alzata e stesa a sin., all' altezza circa della fronte, una patera. Manca la testa.
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45. muro sin. a sin., a. 0,55. Gio\^ane che s' incammina verso la scala. nudo meno iina veste a guisa di sciallo. che sorretta dal braccio d. e dairavarabraccio sin. passa dietro la schiena ; i piedi son muniti di stivali ; lunghi capelli biondo-scuri seendono siille spalle. Porta in testa im basso canestro, reggeudolo con la d.
46, muro sin. a d., a. 0,48. Giovane donna in luugo chitone rosso, che s'avvicina alla scala. Kegge suUa sin. im basso canestro con friittaC?), nella d. abbassata, col braccio im po' piegato, un oe- nochoe, poggiandone la bocca contro la coscia.
47, nel centro del muro di fondo, a. 0,53. Leda col cigno. Sta seduta, di faccia, sopra una sedia a spalliera, sulla quäle e posta r ampia veste rossa col margiue azzurrognolo, che le copre le gambe e di ciii con la d. solleva im lembo al disopra della testa. II viso e rivolto verso il cigno, che ella con la sin. regge sulla coscia sin.
48, muro di fondo a sin., a, 0,53. Giovane Satiro che con passo di ballo si avvicina alla scala, nudo meno una veste svolazzante
SCAVI 1)1 I'OMl'El
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a giiisa di sciallo che dalla spalla sin. passa avanti al petto e sotto il braccio d. La testa e coronata di foglie hmghe ; alza con la d. il tirso ; sotto ii braccio sin. porta la ehelijs con le punte appog- giate al tianco.
49, muro di fondo a d., a. 0,50. Giovane donna che balla in cima alla scala, vestita di veste rossa con margine turchino, che riposando sulla spalla sin. svolazza dietro la schiena e copre la parte infe- riore della persona. Ha i piedi miiniti di scarpe gialle, la testa cinta di foglie liinghe ; alza con la sin. il timpano e lo suona con la d.
50, nel centro del muro d., a. 0.50, Giove seduto in trono ; ha la parte siiperiore del corpo nuda, le gambe avvolte in veste rossa con margine tm-chino, i piedi muniti di sandali. La mano sin. regge sulla coscia corrispoudente il fiilmine, la destra alzata e appoggiata allo scettro. La testa, giovanile ed imberbe, dalla chioma bionda, corta ma ricca, e alzata v. d.; gli occhi giiardano in su come per scorgere uua cosa lontana ; la bocca e leggermente aperta. E bella 1' espres- sione del viso, che dimostra forza di volontä e serenitä del pensiero.
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51, muro d. a sin., mal conservato, a. 0,55. Un uomo igniido. la testa cinta di foglie, cammina verso la scala, appoggiando la d. alzata al tirso ; la sin. abbassata regge im nastro attaccato al
tirso stesso.
52. muro d. a d., a. 0,51. Giovane donna vestita di lungo Chi- tone giallo con rovescio Uirchino-chiaro. Cammina da d. verso la scala. Tiene la sin., con 1' indice steso, avanti al petto ; la d. ab- bassata, allontanata im poco dal corpo, regge una tenia.
E evidente la relazione fra 42, 47 e 50, Danae, Leda e Giove, che occiipano i centri delle pareti. E cosi anche in 44, incontro a Giove, si sarebbe disposti a cercare una sua amante; ma non saprei dare un nome a quella figura.
53, fra le architetture della parte superiore, ripetuto due volte (muro sin. a sin., muro d. a sin.) ; a. 0,27 e 0,26, 1. 0,35 e 0,26. Due pavoni sul margine di un bacile che sembra di metallo, di- pinto esternamente 1' uno in blü, 1' altro in giallo, e dal centro del quäle sgorga, a quanto pare, dell'acqua.
54, in corrispondenza di 53, sul muro sin. a sin.; a. e 1. 0,22 ; vannus intrecciata di vimini, posta sopra un cantaro di colore az- zurrognolo e contenente uua maschera tragica. Sul muro sin. a d.: vannus come sopra, contenente un cantaro, un rhyion, un urceo e un oggetto coperto d'un panno rosso legato presso la punta con una corda gialla.
55. Fra le architetture che separano gli scompartimenti della parte media, e ripetuto sette volte un basso canestro, turchino, posto sopra un cono di foglie con piede e punta color d'oro; contiene un oggetto sul quäle un panno rossastro e legato con una corda, due corni e un oenochoe.
56. AI disopra di ognuno degli scompartimenti grandi, sotto la cornice, evvi un quadi-etto che su fondo scuro conteneva bassis- simi rilievi di stucco, i quali perö sono assai mal conservati. Quegli al disopra degli scompartimenti laterali, a. 0,08, 1. 0,18, mostra- vano ognuno, a quanto pare, un Amorino aggruppato in vari modi con qualche animale. Quegli al disopra degli scompartimenti medii, a. 0,09, 1. 0,24, rappresentavano donne ignude sedute, la cui azione perö non e chiara.
II cubicolo f e grande 3,19 X 2,15; l'altezza non si riconosce; la porta e larga 1,53. Le pareti, al disopra dello zoccolo rosso (0,75),
SCAVI DI POMI'EI 25
sono dipinte a fondo bianco ; gli scompartimenti grandi soiio con- tornati cou motivi vegetali, parte stilizzati parte naturali; quegli sti-etti che li dividono contengono ognimo iin candelabro verde con ornati color d' oro e sormontato da una patera dorata. Vi sono le tigure seguenti :
57, muro sin., nello scompartimento medio, a. 0,26. Vittoria che vola giü verso sin. (cioe verso 1' ingresso). Le svolazza intorno una veste gialla con margine grigio, che riposa sulla spalla d. e copre le gambe. Ha al braccio sin. un piccolo sciido tondo, nella d. una laucia con la punta in giü, appoggiata sulla spalla. Po- trebbe sembrare che abbia intorno alla testa un nimbo color tur- chino-chiaro ; ma dal modo come e dipinto appare chiaro che e piuttosto quella specie di grossa benda che sulla pittura descritta Math. III (1888) p. 200 sg., pubblicata Mus. ital. di ant. class. III tav. 6, cinge la testa dell'atleta vincitore e del trombettiere.
58, nello scomp. medio del muro d., a. 0,25. Figura del tutto simile, meglio conservata. Vola v. d., cioe verso 1' ingresso ; ha la testa, oltre quella benda, coronata di foglie ; lo scudo e piü grande, la veste rossa col margine azzurrognolo ; ha anelli ai piedi e in- torno alla parte superiore del braccio destro.
59, Gli scompartimenti laterali contenevano ognuno un Amo- rino volante, a. circa 0,18; ma ne sono distrutti due. Sono, come al solito, nudi meno una veste svolazzante a guisa di sciallo, e por- tano (a contar da sin.) 1, un piatto, 2, un rhyton, 3, rhyton e tirso, 4, cornucopia. Inoltre ognuno tiene una lunga ghirlanda che gli svolazza intorno.
II cubicolo g (3,20 X 2,25, a. almeno 4,70 ; porta larga 1,65) e compagno a / ; ma la decorazione e piü semplice. In ognuno degli scompartimenti centrali sono rozzamente dipinte due anitre, in ognuno di que' laterali due vasi e inoltre, in due casi, due tripodi. Siccome ai vasi sono appoggiati cerchi e rami di palma, cosi avranno ad intendersi come premii. Xello scompartimento stretto in mezzo al muro di fondo evvi in cima al medesimo cono di foglie come in e la vannus intrecciata di vimini e conteiiente lo stesso oggetto co- perto e legato, rhyton, oenochoe e qualche cosa come un corno. AI posto del letto, appie del muro di fondo, il pavimento e rial- zato un poco.
La decorazione delle ale h /, identica in ambedue, e senza
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dubbio, secondo il siio carattere, contemporanea a quella dell" atrio. ma molto piü semplice. Lo zoccolo nero, diviso per luezzo di liuee blanche in scompartimenti corrispondenti a quelli sovrapposti, e ornato di plante, tre sopra ognuna parete. Seguono, sopra ima stri- scla ornamentale mal conservata, gll scompartimenti grandi, tre sopra ognuna parete (meno quella rivolta al peristillo, tutta occu- pata dalla grande linestra), gialll, coq margine rosso. Sono imma- ginatl come tappeti stesi nei leggierl padiglioni dell' architettura fantastica : ciö si rileva specialmente dal contorno ad arco che hanno gli scompartimenti medii delle pareti di fondo. Perö tale idea non e espressa con eftetto: lo impedisce sopratutto 11 modo come il margine rosso si estende sopra la parte inferiore degli scompar- timenti stretti frapposti fra que' grandi, chiudendo ivi il semplice prospetto architettonico a fondo bianco. Belle strisce ornameutali eseguite con straordinaria diligenza accompagnano sul fondo rosso la linea con la quäle esso confina col giallo. La parte superiore ha su fondo bianco i soliti concetti di questo stile: architetture fan- tastiche e strisce ornamentali. Nel centro dello scompartimento me- dio di ogni parete evvi un quadretto, a. 0,165, 1. 0,32 ; rappre- sentano uccelli, galli e galline sulle pareti di fondo, galline di Faraone sulle laterali, aggruppati intorno a vasi, tavolini ed altri oggetti.
60. Ala sin., muro di fondo. Sopra un tavolino verdastro con i quattro piedi congiunti da traverse, sta un gran vaso biancastro e due tenie rosse. A d., dietro il tavolino un' erma, color di carne, i capelli tinti di giallo, con le note due sporgenze per appendervi delle ghirlande ; il fusto e cinto da una benda. Un gallo sta sopra 11 tavolino, un altro incontro a lui per terra, e stanno per comin- ciare una rissa. ün terzo e accovacciato sotto il tavolino, un quarto, in piedi a d., tiene nel becco un ramo di palma e perciö deve cre- dersi il vincitore del terzo.
61, ala d., muro di fondo. Sopra un tavolino come in 60 sta una cista cilindrica rosso-scura col coperchio a punta, tre piccoli oggetti neri (uno tondo, due oblunghi) e una benda rossa. A sin., dietro il tavolino, sopra una base, una statuetta di bronzo (verde) : un uomo ignudo (Satiro ?) che nella sin. tiene un lungo ramo (non un'asta : e un po' curvo) appoggiato alla parte superiore del braccio. e alza la d. in atto di dTToaxorrsveir. A d. per terra un bacile co-
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lor d'oro con piede e due manichi a voluta. Sul margine di questo bacile sta im gallo, tre altri piü a sin. per terra.
62. ala sin., raiiro sin.; mal conservato. Nel mezzo un ruUo, e avaiiti (o dietro ?) ad esso un gran vaso verde, al qiiale e appog- giato un ranio di palraa. A d. un' altra palma appoggiata ad una basetta, a sin. una basetta piü bassa, o altaretto, sul quäle e posto un oo-aetto uon riconoscibile. Su ciascun lato del ruUo una gallina di Faraoue.
63. ala d., muro d. Nel mezzo, un poco piü a sin., un vaso come in 60, rossastro, ed appoggiativi un cerchio ed una palma; intorno al manico alto una piccola corona verde con sette sporgenze. A sin. un altaretto portatile di color grigio, come qualclie volta se ne trovauo nelle case di Pompei, e sopra di esso due frutta che possono credersi mele. A. d. un altaretto simile e appoggiatovi un ramo di palma. A d. del vaso due galline di Faraone che man- dano ; a sin. una terza che alza la testa v. d.
64. Nelle pareti di fondo in ambedue le ale lo scomparti- mento laterale prossimo al peristilio e occupato dalla porta. L'altro ha per centro un medaglione (diam. 0,165) che su fondo azzurro contiene una testa di Medusa molto bene dipinta. Quella dell' ala sin. e mal conservata; pare che fosse di un tipo differente dall' altra.
65. Anche gli scompartimenti laterali delle pareti opposte a quella del peristilio contengono medaglioni, formati da un largo cerchio paonazzo-scuro fra due linee blanche, dentro al quäle e di- pinta sul fondo giallo della parete (diam. 0,12) uell' ala d. una testa di Sileno con barba bianca, coronata di edera, nell' ala sin. una testa di montone assai mal conservata.
66. Ai disopra della porta neV muro di fondo eran dipinti, nell'ala sin., attributi di Giunone (a. la parte conservata 0,20, 1. 0,35). Ne e distrutta la parte inferiore ; si riconosce perö il ca- lato verde, sul quäle e steso un panno rosso-paonazzo, e sopra di questo e posta la Corona dentata color grigio, a sette punte, la media sorraontata da una palla; vi e appoggiato lo scettro. A d. il pa- vone. La parte corrispondente dell' ala d. fu distrutta quando vi si misero, posteriormente, le antepagmeiita.
Siccome tutta questa parte della casa fu frugata dagli scava- tori antichi, cosi pochissimi furono gli oggetti raccoltivi. Appena merita menzione il ritrovamento. presso la cassa forte a sin., di
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iina stecca di osso e di 16 delle sollte cernlere anche dl osso, ap- partenute probabilmente alla cassa stessa (11 dec. 1894). In g si trovaroQO nn' anforetta dl bronzo col coperchlo, a., senza 11 coperchio. 0,119 (22 apr. 1895), due lucerne dl bronzo, fra cui iina In forma dl testa dl negro, 1" altra sempllce e tonda, e im piccolo vaso di creta (2 sett. 1895). Nel vano a volta sotto la scala In y fiirono trovatl (12 dec. 1894) ima patera di bronzo (dlam. 0,240), molti avanzi desll ornamenti in bronzo di im finimento da cavallo, e due briglie, ima col morso, 1' altra senza; qiiest' ultima ha su ciascim
lato r iscrizione :
PILONIVS FELX.
Pilonlo Feiice e 11 fabbricante ; e qiiesta la terza briglia che sl trova col suo nome : CIL X 8071, 51.
Piü importanti sono gll oggettl raccoltl (12 e 13 dec. 1894; 1 apr. 1895) nel vicolo ad E della casa, fra gll strati superlori, e provenienti senza dubbio dalle camere sovrapposte ad ab de k : un anello d' oro con corniola, nella qiiale e Inclsa ima Fortuna, nuda la parte superiore della persona, che con la d. abbassata regge 11 tlmone, con la sin. 11 cornucopia. Una catenina per collo, anche di oro, di maglia finissima, alla quäle e sospeso un piccolo anello ed una piccola perla ; pesa gr. 4. Uno specchio clrcolare d' argento, or- nato di palmette incise tutt' intorno, con 'anello per sospenderlo; dlam. 0,094. Un cerchietto di argento in frammentl, dlam. 0.042. Due frammentl dl cucchiaini d' argento ; 1. 0,114. Un vasetto d' ar- gento in frammentl, ad un manlco, 11 quäle mostra in rilievo una piccolissima e graziosa testina di giovane donna ; 1 capelli sono ti- rati in strisce verso Toccipite ed ivi raccoltl in un nodo prolun- gato a punta; a. 0,07, diam. 0,075. Due bottiglie dl vetro, a. 0,153 e 0,108. Undicl globettl striatl e foratl di pasta vitrea. Una la- gena (a. 0,222) ed un vaso ad un manlco (a. 0,137) dl terracotta ordinaria.
Prima di passare nel peristilio bisogna dir qualche parola del- l'atriolo v e del locall adiacenti. Della conformazione dei tettl fu giä parlato sopra (p. 10). II pavimento dell' atriolo e dl una massa or- dinaria ; sul lato d. (E) dell' Impluvlo stava un semplicisslmo clppo quadrangolare dl tufo, dal quäle un getto d' acqua cadeva nell' im- pluvlo stesso ; sl riconosce nel pavimento dell' atrio 1' andamento del
SCAVL I)[ I'OMl'KI
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tubo che da quell" impluvio vi si dirigeva. Le pareti haiino imo zoccolo a. 1,85 di stiicco di mattoni ; piü sopra stucco grezzo. La parte media della parete sin. e occupata dalla grandissima nicchia del larario riccamente ornato. Esso e posto sopra iina specie di basa- mento, a. 1,50, sporgente dal muro 0,11, dipinto in giallo, come anche la parte adiacente della parete, 0,65 sii ciascun lato, fin sopra 1' al- tezza del timpano (3,70). La nicchia stessa, a. 1,30, LI, 50, profonda (dalla superficie del miiro) 0,22, e tiancheggiata da due mezze co- lonne corinzie e sonnontata da im timpano che contiene, in rilievo di stucco bianco su fondo turchino, nel centro una patera, a d. un col- tellone, a sin. un bucranio. Tanto la cornice al margine superiore del basameuto quanto il timpano sono coperti dei noti ornamenti policromi in rilievo di stucco.
67. II fondo della nicchia e occupato dalla pittura lararia : nel mezze il Genio, imberbe e giovanile, con la praetexta che copre la testa, tiene nella d. la patera, nella sin. l'acerra; manca l'al- tare. A ciascun lato un Lare nel solito atteggiamento ; le loro rhyla finiscono nella parte anteriore di una capra. Nella zona inferiore il serpe, v. d., si slancia verso l'altare, sul quäle si vedono un novo e alcune frutta.
Giä fu detto sopra, che il vano sotto la scala a serviva da dispensa; vi si raccolse (1, 11, 13 maggio 1895) uno scudo (0,104 0,089) ed un corrente (0,128) di serratura, una tuba ma- rina ed una lucerna di terracotta ad un lume ornata da un busto con cornucopia. Incerta e la destinazione di y :-, con le pareti ri- vestite di stucco grezzo. Invece to si riconosce subito come cuciua. col focolare addossato al muro S, e accanto ad esso una vasca mu- rata. Addosso al muro N un grosso tubo di piombo (diam. mag- giore esterno circa 0,12) scende dall' alto e si perde sotto terra : senza dubbio portava in qualche fogna le acque cadute sul tetto della cucina. La forma di quest' ultimo non si puö stabilire con certezza.
Fu trovata nella cucina quantitä di vasellame in bronzo e ter- racotta. e altri attrezzi. Sul focolare stavano due tripodi e una gra- ticola di ferro. Accanto poi al focolare stavano per terra sei caldaie di bronzo (diam. da 0,224 a 0,377) ed un vaso a ventre rigonfio, anche di bronzo, col collo stretto e piccolo coperchio attaccato al- r ansa mediante una cerniera. Inoltre vi si trovarono dieci vasi di
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varie forme od uua pelvis di terracotta. Di ima statuetta raccolta nella cucina si parlerä meglio qiiando avremo ad occuparci delle
Statuette che adornavano il peristilio, ove certo anche questa aveva una volta il suo posto.
Dietro la cucina e soltauto da essa accessibile evvi ancora la cameretta .//, che puö credersi il cubicolo del cuoco, ed ha sulle pareti alcune figurae Veneris rozzamente dipinte.
Ci rivolgiamo ora alla parte posteriore della casa, il peristilio con le sue adiacenze. Beuche non vi sia tablino. pure la solita di- sposizioue del tablino e delle due porte, sia di stanze adiacenti sia del corridoio, e accennata per mezzo dei tre passaggi che dall' atrio conducono nel peristilio. Le colonne dei portici, murate e rivestite di stucco bianco, sono corinzie, senza plinto, interamente scanalate, con capitelli di fantasia nella maniera dell' epoca imperiale : sopra una fascia ornamentata a rilievo policromo e un listello rosso s' al- zano Otto foglie di acanto, blanche, intorno ad un nucleo turchino ; le Otto strette volute s' incontrano agli angoli ; 1' abaco e ornato di ovoli (policromi ?) fra due listelli gialli ; in mezzo ad ognun lato una foglia che puö essere di vite. L' architrave, murato sopra pan- coni di legno, consiste esternamente di una fascia gialla ornata di un meandro di rabeschi e sormontata da un kymation pure in ri- lievo, bianco a quanto pare. II suo lato interno e dipinto, a fondo bianco, con i concetti soliti ad incontrarsi nella parte superiore di pareti dell' ultimo stile, e sormontato da una delle sollte cornicette policrome, sopra la quäle e conservata ancora piccola parte di una
SCAVI IJI l'O.Ml'Kl
striscia di rabeschi biauchi su foiido rosso-scuro, che doveva stare immediatamente sotto il tetto o soffitto. Se quest' ultimo vi fosse.
non si puö decidere, non essendo in alciin piinto conservato il miiro tiiio a qiieir altezza.
II pavimento dei portici e composto d' una massa scura - fran- tumi di lava in istucco - con file di pezzetti di marmo bianco ; lo stilobate ed il canale per 1' acqiia sono rivestiti di sigmium co- perto d' un tenue strato di stucco rosso, con ornati geometrici, for- mati da pietrazze blanche, sullo stilobate. Portici e canale hanno pendenza unica verso l'angolo anteriore a sin. (SE), dal quäle un canaletto coperto portava sulla strada le acque piovane ; anche il muro del portico e perforato in questo punto per portar via 1' acqua quando si lavava il pavimento. E qiü pure entrava nella casa il tubo deir acquedotto, il quäle poi nell' angolo del canale per 1' acqua piovana si spartiva in piü rami, come in appresso sarä dicliiarato. Scavatori antichi ne hanno tolto il tratto che passava sotto il por- tico, col pezzo di divisione, laddove nel peristilio stesso, ove non sono penetrati, 1' intera conduttura e conservata.
E degno di nota che in questo peristilio, negli ultimi tempi. r acqua piovana non si raccoglieva. Vi e una bocca di cisterna con puteale scanalato fra la terza e 1' ultima colouna del lato d.; un'altra. fra la seconda e la terza del lato anteriore (contando da d.) e stata
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chiusa dagli antichi stessi. Ma vi e nessim biico per il quäle le aeqiie potessero dal canale passare nella cisterna.
La decorazione delle pareti del portico, ne molto ricca, ne ese- cruita con grande diligenza, ne molto elegante nei particolari, pure e di buonissimo eft'etto. I colori sono piuttosto serii : prevalgono il nero ed il bianco con poco rosso, poco giallo e pochissimo verde. Nel tempo stesso perö per la grande estensione del bianco, che come fondo delle architettiire fantastiche circonda lateralmente e superiormente gli scompartimenti neri dal margine rosso, 1' effetto deir assieme e gaio e leggiero. Ciö e stato ottenuto con una dispo- sizione im po' differente dalla solita.
Lo zoccolo nero (a. 0,80), con plante sotto gli scompartimenti grandi, vasi sotto i prospetti architettonici, e terminato da una striscia grigia a guisa di cornice. Nella parte media poi e principale della parete si alternano, secondo lo Schema consueto, grandi scomparti- menti neri dal largo margine rosso e prospetti architettonici a fondo bianco, quest'ultirai chiusi nella loro parte inferiore da una tavola gialla con margine ora verde ora rosso-scuro. Perö questi prospetti superano in altezza gli scompartimenti grandi di m. 0,43, e al disopra di essi sono congiunti per m.ezzo di una striscia anch' essa a fondo bianco con le stesse leggiere architetture, che inferiormente si per- dono dietro gli scompartimenti grandi ; questi dunque non sono sol- tanto separati fra loro, ma circondati anche superiormente dai pro- spetti a fondo bianco. di modo che tutta questa parte media e principale (terminata superiormente da una stretta striscia gialla a guisa di cornice) si presenta come una leggiera e fantastica archi- tettura, chiusa soltanto in una parte relativamente piccola, si po- trebbe dire con tappeti. Segue quindi, idea curiosa, una striscia nera, alta. con la striscia rossa che ne forma il margine superiore, m. 0.95, con concetti quali s' incontrano spesso nelle parti supe- rioii delle pareti. Essa arriva all' altezza di m. 4,55 circa, ciö che e press' a poco quella delle colonne. Piü in su nulla e conservato all' infuori di qualche avanzo di una striscia gialla ; non andremo perö errati supponendo che seguisse fondo -bianco con concetti si- mili a quelli del lato interno dell' architrave (p. 30).
[1 campo nero degli scompartimenti grandi, diviso dal margine rosso per mezzo di una striscia grigia ornamentale e contornato, entro questa striscia, a d. e a sin. da plante stilizzate, di sopra e
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di sotto da ghirlande di foglie tese orizzontalmente, contiene ora una figura, ora im qnadretto. Sülle tavole gialle che chiudono la parte inferiore dei prospetti architettonici, e dipinta ad imitazione di ri- lievo una testa ora di « Oceano « , ora di Medusa, e sono sonnontate ognuna da una striscia verde a guisa di tavola con ornati di me- tallo dorato.
Descriverö adesso le rappresentanze figurate del peristilio.
68-88, in mezzo agli scompartimenti neri,
68, nel centro del muro sin., senza cornice sul fondo nero, a. la parte conservata 0,40, 1. (pare che manchi niente) 0,33. Sopra un sedile a quattro piedi, coperto di un alto cuscino giallo, sta seduto, di faccia, un uomo, imberbe (manca la metä superiore della testa), piuttosto pingue e, a quanto pare, di etä matura. Una veste bianca copre la parte inferiore della persona e la spalla sin. col brac- cio ; ha sandali ai piedi. Poggia la mano d. sul cuscino. La sin., sulla coscia corrispondente, regge un bastone poggiato a terra, la cui estremitä superiore non e riconoscibile ; e certo perö che non s' innalza fino al coUo. A d. sta per terra uno scrinium scoperchiato con rotoli di papiro ; il coperchio e appoggiato al lato sin. del re- cipiente. Poteva essere il ritratto sia del padron di casa, dedito agli studi, sia di qualche autore da lui prediletto.
69, 70 a sin. e a d. del centro del muro di fondo sul fondo nero senza cornice. II centro stesso e segnato da un alto candela- bro giallo invece del prospetto architettonico.
69, a. 0,44. Baccante vestita di lungo chitone verde, che affib- biato sulla spalla sin. lascia nuda la parte d. del petto ed e aperto, almeno a d., dalla metä della coscia in giü, e di una veste svo- lazzante a guisa di sciallo ; anelli ai polsi ed ai piedi. Sta ferma in piedi, di faccia; la testa, cinta di foglie, e volta a sin., fissando, evidentemente, qualche cosa. Regge con la d. il tirso, sotto al brac- cio sin. un graade timpano. A sin., sopra una base, una statuetta virile con lunga veste, che con la d. regge il tirso, con la sin., avanti al petto, un piatto.
70, a. 0,41. Satire molto giovane, nudo meno la nebride av- Yolta al braccio sin., coronato di pino. Sta ritto, di faccia, con Tavam- braccio sin. appoggiato ad un pilastro ; la sin. regge il pedum, la d., un poco allontanata dal fianco, la siringe. AI pilastro e addos- sato a d. un altare, sul quäle e posta, se non isbaglio, una mela-
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granata ; iin altro altare sta a sin.; ambedue gli altari sono verdi, couie anche il pilastro. Dietro il primo sorge im albero, sopra im ramo del quäle e appeso im panno (o ima nebride ?) ; plante piü piccole si vedono dietro 1' altro altare.
71, fra la finestra dell" ala d. i e 1' ingresso di;^ ; a 0,42. Ura- nia, volta im po' a sin., vestita di chitone verde, di un ampio manto bianco con frange, che copre la spalla sin. col braccio e la parte inferiore della persona; ha scarpe blanche; la testa e cinta da una Corona di penne. Mette 11 plede d. sopra una base e lascia riposare la mano sin. sulla coscia d. La d. tocca con la punta di una bac- chetta il globo posto sopra una base. Evidentemente la Musa e im- maginata nell' atto di insegnare ; 1' espressione del viso, con gli occhi volti a sin., e di chi parla a qualcuno.
72-75, xeiiia.
72, a sin. di 68, a. 0,62, 1. 0,65. A d. due murene sospese con uno spago che le cinge alla metä del corpo ; a sin. per terra due triglie e sopra di esse una sporta rovesclata.
73, a d. di 68 ; a. la parte conservata 0,39, 1. 0,65 ; e distrutta la metä superiore e la parte media di quella inferiore. A d. un ce- stino quadrato pleno di una massa blancastra che puö credersi rlcotta 0 giimcata, a sin. qualche cosa conie una grande cassa blancastra.
74, a sin. di 69 ; a. 0,62, 1. 0,61. A d. una galllna bianca, V. sin., sta accovacciata per terra, occupata a manglare un frutto che puö sembrare una prugna ; a sin. un gran vaso sopra una base cublca, piü a sin. due frutta gialle. Piü indietro, sopra un podio, a d. una tenia gialla e verde e sopra di essa un platto con varie frutta poco riconoscibili, a sin. due fiaccole, e sopra di esse, nel punto ove s' incroclano, un oggetto non rlconosciblle.
75, a d. di 70 ; a. 0,59, 1. 0,62. Vari pesci, parte per terra, parte, piü in dietro, sOpra un podio, ove stanno pure, a sin., due calamarettl, due polpi e un' ostrica.
76-79 , donne alate volantl , senza cornice su fondo nero ; a. 0,48-0,50.
76, a sin. di 72. Vestita di limgo chitone rosso con margine azzurrognolo, aperto, almeno a d., dalla metä della coscia in glü, e di veste svolazzante a guisa di sclallo, vlsibile sul braccio sin.; anelli al polsi ed alle glunture doi piedi. Vola v. d. e con ambedue le man! regge obliquamento v. d. una fiaccola accesa.
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77, a d. di 73. In lunga veste verde, che affibbiata siilla spalla sin. lascia nuda la parte d. del petto; anelli ai piedi; lö mani non sono visibili. Vola v. sin. e porta al braccio sin. un piccolo scudo tondo dorato, al fianco d. un oggetto che non so definire.
78, a sin. di 74. Vola giü v. d., guardando perö in dietro (v. sin). Pj vestita di lungo chitone paonazzo-chiaro, il cui apo- ptygma e giallo col margine azzurrognolo ; ha braccialetti ai polsi e anelli ai piedi, e regge nella sin. un tnrcasso cilindrico rossastro col coperchio a punta, nella d. il nastro attaccatovi.
79, a. d. di 75. Vestita di lungo chitone rosso dal margine turchino-chiaro ; non si distingue se abbia sandali ai piedi. Vola giü V. sin., reggendo con ambedue le mani un lungo cornucopia giallo.
80-81, sulla parete di fondo, sul fondo nero entro cornice for- mata da una striscia turchina entro due linee blanche ; a. 0,20, 1. 0,45.
80, a sin. di 78. Attributi di Bacco. A d., v. sin., testa di Bacco coronata di vite sopra una base, dietro la quäle cresce una pianta di vite; un timpano sta appoggiato alla base. A sin. una pantera (v. sin.) mette il piede d. davanti sopra una maschera di Sileno, che sta per terra v. d. All' estremitä sin. un cantaro sopra alta base, alla quäle e appoggiato un tirso.
81, a d. di 79. Attributi di Minerva. A d., v. sin., testa di Minerva, con elmo crestato, sopra una base; capelli biondi e ric- ciuti s' avanzano sulla fronte e cadono sulla nuca. A d. della base un ulivo. A sin. e appoggiato ad essa lo scudo tondo dorato con la testa di Medusa. Quindi una pecora, v. sin., la cui parte poste- riore e nascosta dallo scudo. Piii a sin. un kalathos e appoggia- tovi un pecliim, e finalmente la civetta in cima ad un candelabro verde, cui a meta d' altezza e attaccata una tavoletta.
Un altro quadretto simile stava nel portico anteriore fra o e n, ma ne rimane soltanto la cornice e a sin. qualche cosa come una base.
82-85, ad ambedue le estremitä delle parcti sin. e di fondo; 86, all' estremitä d. della parete d.; 87, sul muro anteriore a sin. (N) del passaggio all'atrio; 88 ivi stesso all' estremitä d. (S) : sa- celli con adoranti, senza cornice sul fondo nero, la maggior parte assai distrutti; soltanto 87 e 88 sono un po' meglio conservati.
89-92, raonocromi, ad imitazione di rilievo, sulle tavole gialle che chiudono iuferiormente i prospetti architettonici (vd. p. 32).
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89. Dodici teste di «Oceano », con branche di gamhero invece delle corna, e barba ed orecchie formate a giiisa di plante marine ; a. 0,15, 1. 0,20. Ve ne sono 7 sul muro sin., 4 (sotto il 2. e 3. pro- spötto contando da ciascuna estremitä) su quello di fondo, 2 (le sola tavole ivi conservate) sul muro d' ingresso.
90. Due teste di Medusa, a. 0,16, 1. 0,13, a d. e a sin. del prospetto medio del muro di fondo ; la testa sotto il prospetto medio non e riconoscibile.
91. Due teste di donna, di forme non belle, di signiticato in- certo; hanno in testa una cuffia o benda, dalla quäle s'innalzano due ali sopra le tempie e in mezzo un ornato difficile a descriversi; a. 0,17, 1. 0,14. Stanno alle estremitä del muro di fondo.
92. Testa d' ariete (o di qualche favoloso animale cornuto) con anello in bocca, a. 0,19, 1. 0,13, a sin. di n.
II peristilio e unico nel suo genere per la gran copia di scul- ture tigurate ed ornamentali conservatevi, congiunte la maggior parte con getti d' acqua. Giä fu detto che 1' acqua del condotto entrava nella casa sotto 1' angolo SE del portico. Neil' angolo corrispondente dell'area scoperta il tubo si divideva in due rami, i quali prose- guono, completamente conservati, a d. e a sin. nel canale per 1' acqua piovana, e finiscono, il ramo sin. (0) presso la colonna angolare NO, l'altro, presso la prossima colonna del lato N; nutriscono 12 getti d' acqua disposti intorno al colonnato. Due tubi molto piü stretti dal medesimo punto di divisione nell' angolo SE s'inoltravano nel- r area scoperta per nutrirvi due piccole fontane.
Presso ognuno dei 12 getti d' acqua appie delle colonna stava una statuetta; ne sono conservate 9. Ma soltanto in tre casi il getto d'acqua usciva dalla figura stessa ; negli altri sei essa vi stava ac- canto. Enumerando le figure cominceremo dall' angolo SE e proce- deremo verso 0. Esse sono, ove non e detto altro, di marmo bianco.
Presso la colonna angolare SE son conservati soltanto la base murata della statuetta ed il piede scanalato di una vasca circolare di marmo che riceveva il getto.
I, presso la 2* colonna del lato S, sopra una base murata a. 0,93. Bacco, a. senza il plinto 0,60, coronato di vite, nudo meno la nebride, che da ambedue le spalle scende sul dorso. Mette il piede sin. avanti ; la sin. alzata doveva appoggiarsi ad un tirso di metallo, che manca : la d. abbassata tiene il cantaro con 1' aper-
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tura avanti. L' idea era probabilmente, che da questo dovesse uscir r acqua ; ma nou e perforato. L' acqua usciva direttamente dalla cannella, che a m. 0,17 sopra la base si restringe fortemente e pas- sava probabilmente fra il braccio d. ed il fiauco. Nei capelli e sulla nebride tracce di color giallo, negli occhi e nelle sopracciglia, tracce di nero. Lavoro superficiale.
II, presse la 3* colonna ; a. senza il plinto 0,58. Satire che pro- cede verso 1' area scoperta, cammiuando in punta de' piedi e vol- gendo la testa in dietro verso il portico. fi nudo meno la nebride, coronato di pino, e porta sulla spalla d. un'otre, nella sin. abbas- sata una siringe. Ne' capelli e nella nebride tracce di color rosso. L' otre non ha un' apertura che potesse servire o essere immagi- nata come il buco per 1' acqua ; questa usciva dalla cannella al fianco d. della figura.
Fra I e II sta nel canale dell' acqua piovana una vasca di marmo quadrangolare (1,18, X 0,58 almargine), sorretta da due piedi, che riceveva i due getti d' acqua.
III, presse la colonna angolare SO, a. 0,23. Fanciullo coro- nato di edera, nudo, accovacciato per terra ; motte il braccio sin. sopra una scatola tonda e con la d. regge alle orecchie un lepre,
dalla cui bocca usciva l'acqua, che fu ac- colta in una vasca circolare su piede sca- nalato. 11 viso del fanciullo e brutto, largo nella parte inferiore e con le guance gon- fie, r espressione stupida. Tracce di color giallo nei capelli e sul lepre, verde sulle foglie di edera, nero negli occhi.
IV, V, presse la 4* e 5* colonna del lato posteriere (0), a. 0.56. Due fanciulli ritti in piedi, cui per mezzo di una veste pesante sono legate le mani sul dorso. L' espressione del viso e stupida, un po' sorridente. La cannella dell'acqua passava tra il fianco ed il braccio sin. in IV, d. in V. II marmo in V e greco, in IV lu- nense ; anche il lavoro, mediocre in ambedue, e un po' dilferente ; quella singulare espressione del viso e piü caratteristica in V, lad- dove IV e una imitazione superficiale. In V la sommitü, del cranio
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e di ristauro antico ; qui la caimella e conservata quasi completa- mente ; 1' apertura aveva appena 0,003 di diametro. Fra IV e V vedesi iina vasca corne fra I e IL
VI, presse la colonna angolaro NO , a, 0,68. Giovane ignudo (Paride ?) con berretto frigio in capo chinato verso la spalla d. Porta alla spalla sin. il pedum, cid sono attaccati diie piccioni, nella d. abbassata im capretto che regge per le gambe di dietro. Le forme sono piene e molli, 1' espressione del viso fanciiülesca. II lavoro e differente dalle Statuette precedenti, piü finito e piii mor- bide. Tracce di color nero negli occhi, giallo ne' capelli, sui pic- cioni e sul capretto, rosso sul berretto. L' acqua usciva dalla cannella accanto alla figura e cadeva in una vasca circolare su piede liscio.
VII. VIII, presso le colonue medie del lato d. (N). Statuette di bronzo, a. con la basetta tonda 0,60. Due fanciulli nudi in piedi, posti UDO di faccia all' altro. Portano ognuuo sotto il braccio rivolto al portico un' anitra, che tiene nel becco come un corto bastone o canna con un finissimo foro (0,003) dal quäle usciva 1' acqua. Nel- l'altra mano reggono un grappolo d' uva. Gli occhi sono di argento ; mancano le pupille, che senza dubbio erano di smalto. II lavoro del bronzo e piuttosto diligente ; ma le figure stesse, con le loro forme tozze, la posizione rigida, i visi senza espressione, destano poco Interesse.
Fra VII e VIII una vasca di marmo come fia I e II e fra IV e V.
IX, presso la colonna angolare NE ; a. 0,66. Satiro ignudo co- ronato di pino, che suUa spalla sin. porta un' anfora inclinata in avanti, nella d. abbassata, se non isbaglio, una tiiba marina. Guarda in giü nella direzione dell' anfora ; 1" espressione del viso e seria e quasi triste. Tracce di color rosso o giallo ne' capelli e suU' anfora. Questa forse fu immaginata per gettar 1' acqua ; ma non e perfo- rata, e 1' acqua usciva dalla cannella accanto alla figura. II getto fu accoltj da un bacile circolare di marmo su piede scanalato.
Nel portico anteriore, incontro a IV. V e conservata la vasca simile a quelle fra I e II, IV e V, VII e VIII, e le due basi con i plinti di marmo, non parö le figure sopra essi collocati. Ma fu- rono trovate nella cucina w due Statuette appartenute senza dubbio a questa serie e riposte dopo il 63, sia che occupassero i posti ora vacanti sul lato anteriore, sia che fossero state rimpiazzate da due fra le figure ora descritte. Sono le seguenti.
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X, a. 0,95. Priapo, trovato in IVammonti clie non tutti stavano nolla cucina, ma alcimi in altre parti dolia casa. E niido, meno nna cnllia, con tracco di color rosso, dal margino rivoltato. Dali' estre- mitä posteriore di questo niargine una larga striscia si dirige in su e tiiiiva in una piiuta ora mancaute. II viso, col naso aqiiilino, ha iin carattere decisamente Orientale; l'intera persona mostra una magrezza molto caratteristica; ha orecchie di Satire. Sta in punta dei piedi ; accanto a hü un unguentario, alto fino alla metä delle cosce. II braccio d. era abbassato, e manca ; il sin., alzato e leg- germente curvato, fu trovato staecato dal tronco. II falle, stragrande, un poco abbassato, e perforato, e da esso usciva il getto d' acqua.
XI. Statuetta, a. la parte conservata 0,84, virile e giovanile, che forse rappresentava Teseo, con la clava nella sin., appoggiata alla spalla. Manca la gamba d., il piede sin. e la mano d. La testa e di restauro antico, ed e una testa di Satire, di espressione dolce. I capelli sono tinti di giallo ; negli occhi tracce di color nero. 11 marmo e greco.
E qui bisogna menzionare un altro trovamento che fa testi- moniauza dei danni patiti da queste Statuette nel 63. In r tra altre cose fu trovato un frammento di marmo: una mano di fanciullo che regge un' anitra (1.0,163) perforata ad uso di fontana. Senza dubbio essa e 1' avanzo di una statuetta che, con un' altra compa- gna, occupava prima dei 63 i posti ove ora stanno le due Statuette in bronzo n. VII e VIII.
Poco distante di la ( « uello strato superiore, in prossimitä dei gran salone ») fu raccolto pure un braccio, che sembra piuttosto femmiuile, di bronzo, la cui mano regge un pesce. L' avarabraccio e cinto da un cerchio di argento, e in quel medesimo punto e rotte : forse quel cerchio vi fu messe per nascondere un' accomodatura. Per le sue piccole dimensioni (1. 0,089) questo frammento non puö aver fatto parte di una figura da fontana.
Fu giä detto sopra, che dal punto di divisione nell' angolo SE due tubi piü stretti s' inoltrano nell' area scoperta per nutrirvi due fontane. Di queste, una sta a poca distanza da I. II, ed e un ret- tangolo di marmo, 1,0 X 0,88 internamente, in mezzo al quäle, sopra un piccolo e semplice piede di marmo, sorge la finissima cannella con l'apertura di circa 0,005. L' altra sta sul lato opposto, sulla tangente S delle seconde colonne, contando da N, dei lati E ed 0.
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Ha la forma di un cono troüco che s' allarga di sopra ed e sorretto da un piede stretto posto sopra un plinto quadrato : si potrebbe auclie dii-e, di un balsamario, o del noto oggotto conico. La can- nella, che esce verticalmente dalla punta, ha il foro di circa 0,018.
Fra le colonne del portico staune gli oggetti seguenti :
Fra la P e la 2^ colouna del lato 0, contando da S, una ta- Yola quadrangolare, 1,32 X 0,65, a. 0,79, di « travertino ", sorretta da un piede toudo e liscio. II lato della tavola rivolto al giardino e ornato di due teste di leoni.
Fra r ultima e penultima colonna del medesimo lato una ta- vola circolare di marmo, diam. 1,01, a. 0,66, auch' essa sopra un piede tondo e liscio. Ambedue le tavole hanno il margine un po' rialzato.
Fra la 1* e 2^ colonna, contando da 0, del lato N, un puteale scanalato di « travertino ", diam. 0,72. Sopra di esso era posta una tavola rettangolare di marmo 1,10 X 0,52.
In questo stesso angolo NO del peristilio fu trovato ancora un disco di marmo del diam. di 0,68 col margine rialzato non piii alto di 0,019 e ornato di ovoli. In mezzo al disco, ma sul lato opposto al margine, dunque sul lato esterno del fondo di questa specie di bacile, e scolpita, in bassorilievo, una testa di Medusa. E difficile immaginare per un disco siflfatto altra destinazione che di coprire il puteale, ora col margine rialzato in su, in modo da essere una specie di bacile, ora rovesciato, nel quäl caso era un semplice co- perchio ornato della testa di Medusa.
Fra la 2* e la 3^ colonna, contando da N, del lato E, una tavola tonda di marmo, diam, 1,26, a. 1,0, sorretta da tre busti di leoni posti ognuno sopra una zampa di leone, che sta sopra un plinto. E del tutto simile a quella Mus. Borb. IV 56. Tracce di color giallo nelle criniere dei leoni.
Neil' area scoperta si trova ancora, presse la fontana in forma di balsamario, verso N, una bella vasca quadrangolare di marmo bianco sorretta da due semplici piedi rettangolari, grande al mar- gine 0,90 X 0,60, a. 0,69. II margine e ornato di ovoli esternameute e internamente, 1' interuo scanalato ed il fondo occupato da un campo quadrilungo che contiene in rilievo un mostro marino dal becco lungo. Su ciascuno dei lati lunghi, sotto la sporgenza del margine, due manichi.
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In mezzo fra la vasca di IV e V e quella che le fa riscontro sul lato opposto: basso bacile rotondo sopra piede liscio; diam. 0,73, a. 0,70.
XII. XIII. Fra questa vasca c la fontana iu forma di balsamario : due erme dopple poste ogiiuna sopra una coloniiiiia a. 1,35 e 1,38, diam. circa 0,13, ornata di tralci d'edera in rilievo. Ne le colonnine ne le erme sono di fattiira uguale. Seiiz'alcim dubbio l'esemplare che sta ad 0 e il piü antico. Qui i tralci e le foglie coprono piü ugual- mente la superticie ; 1' andamento dei tralci e un po' rigido ed uni- forme, ma con fedele osservazione della natura ; le foglie ed i grap-
poletti sono meno rilevati, un po' piü i tralci. II lavoro e forse un po' meno ünito, ma pleno di vita e di naturalezza nelle foglie, nei loro stell e nei tralci. La colonnina ad E e un lavoro piü di effetto : r andamento dei tralci e un po' piü svariato e graziöse nelle linee ; le foglie sono piü distanti fra loro, piü accentuate nei rilievo, e perciö piü fortemente si distaccano dal fondo. Ma il trattamento dei dettagli, 1' osservazione della natura, e piü superficiale : non credo di ingannarmi riconoscendo nell' una 1" arte dell' epoca au- gustea, neir altra quella de' tempi sia di Nerone sia di Vespasiauo. Forse dalla stessa tendenza all' effetto dipende anche 1' altezza un po' maggiore della colonnina e la maggiore grandezza dei busto. Anche fra i busti si puö osservare una differenza analoga. Quelli
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ad 0, Sileno e Baccante coronati di vite, a. 0,17, sono di lavoro nieno tinito, nia ricchi di dettagli e tratti caratteristici. Special-, meute al Sileno la fronte alta ed erta, col profondo incavo solcato da diie niglie, non simmetrico, sopra la radice del naso, le soprac- ciglia tirate in giü verso il naso largo, quasi verticale e soltanto leggermente rilevato alla piinta, l'espressione im po' severa ein certo modo intelligente, la barba disposta in limghi ricci, danno un ca- rattere aftatto speciale e quasi individuale. La Baccante, col viso largo, con gli occlii poco incavati, il naso breve e quasi verticale, la bocca un po' sorridente, ha non so che di impacciato e di ar- caico. Debolissirae tracce di colore negli occhi della Baccante, e in- certe nella barba del Sileno.
• L' altro doppio busto, Bacco ed Arianna, a. 0,23, e senza dub- bio di fattura piü recente. Ciö e dimostrato anche dal colore ben conservato : giallo nei capelli e nella barba, nero e giallo negli oc- chi, ove sono iudisate anche le ciglia, verde nelle foglie di vite che cingono le teste. 11 lavoro e molto piü fiuito ed elegante, le forme quelle dell' epoca ellenistica, nient'affatto individuali; l'espressione e quella di una serena tranqnillitü e uel tempo stesso di un po' di alterigia ; specialmente nel viso di Bacco evvi intorno al naso ed agli angoli della bocca qualche cosa di sprezzaute, qualche cosa che
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rammenta il Mose di Michelangelo. ^ in somraa un lavoro molto piü elegante, piü disinvolto che negli altri biisti, ma assai meno caratteristico.
Nello spa/io scoperto del peristilio erano riconoscibili, al tempo dello scavo, le tracce delle aiuole. Per cura della Direzione vi fu- rono messe delle pian'>:e, e siccome anche i portici coi loro tetti fiirono quasi interamente ricostruiti, cosi tutto 1' insieme si pre- senta ora al visitatore quasi come fu nell' antichita, meno i getti d' acqua.
Ci rivolgiamo ora a considerare le camere che si aprono sul peristilio, e prima quelle del lato anteriore.
II piccolo triclinio n, 4,58 X 3,57, ha le pareti conservate fino a m. 4,50 ; 1' ingresso e largo 3,27, a. 3,57 ; il pavimento e com- posto di frantumi di « travertino « raessi in istucco. La decorazione delle pareti, a preferenza su fondo giallo, ha questo di particolare, che SU tutt' e tre le pareti gli scompartimenti laterali sono soppressi e rimpiazzati con prospetti architettonici. Sopra una striscia a. 0,13 dipiuta a guisa di un marmo verdastro, lo zoccolo rosso-scuro e alto, con la striscia a guisa di cornice, che ne forma il margine supe- riore, m. 0,57. In mezzo pol alla parte media e principale della parete il solito padiglione per il quadro e molto grande e sembra quadrangolare : il lato anteriore e formato da due colonne corinzie, di color grigio (si e voluto esprimere il color naturale del marmo bianco) sulle pareti laterali, verdi su quella di fondo, sormontate da una trabeazione che sulle pareti laterali (su quella di fondo la parte relativa e distrutta) ha nel fregio scuro un meandro di rabeschi ; il lato posteriore e formato da due pilastri, fra i quali si estende il campo giallo con margine rosso-scuro, che nel mezzo contiene il quadro. Ai due lati del padiglione il fondo giallo soltanto di so- pra e di sotto si estende fino agli angoli, laddove in mezzo si apre un prospetto architettonico a fondo bianco. Sotto questo pro- spetto un piccolo rettangolo rosso-cinabro contiene pitture mono- crome in giallo, rappresentanti suUa parete di fondo a sin. una ma- schera di Oceano come quelle del peristilio (89 p. 36), a. d. una maschera simile, di cui e perduta la parte inferiore, con orecchie ferine, ambedue accompagnate da due delfini ; sulle pareti laterali a d. un cavallo marino, a sin. un toro marino. Segue sopra tutta questa parte una striscia gialla a. 1,55, quindi fondo bianco, am-
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bedue con quei concetti che nell' ultimo stile sono in uso per la parte superiore.
II centro di ognuna parete e occupato da un qnadro ; e sono i seguenti:
93, sul miiro sin.; a. e 1. 0,97. Ercole fanciuUo che strozza i serpenti; e la composizione Heibig 1123, ma alquanto variata. II fatto si svolge in un locale non ben definito ; e chiaro perö che nel fondo esso si apre con largo ingresso in un portico con soffitto
a cassette, al di lä del quäle si vedono a d. sei colonne ioniche bianche in linea fuggente : senza dubbio la facciata di un terapio. Nel locale stesso evvi a sin. un grande altare color grigio, sopra il quäle, sotto una specie di tetto di metallo (color d' oro) arde il fuoco; avanti al fuoco giace una ghirlanda. Sull'angolo posteriore a d. deir altare sta 1' aquila di Giove con le ali spiegate e guarda giü sul piccolo Ercole, che appie dell' altare, nel solito atteggia- mento, appoggiato sul ginocchio d., strozza i serpenti, che gli av- Yinghiano le gambe e le braccia e con le bocche aperte rainacciano i
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suoi fianchi. A d. Anfitrione, biondo, barbato, dalla fisonomia molto individuale, coronato di quercia, in veste rossa col margine tur- chino, che gli copre le gambe e la spalla sin. col braccio, e le cui pieghe mostrano bene la finezza del tessuto, i piedi muniti di sandali, sta seduto sopra un trono, del quäle e visibile soltanto un piede a d., essendo la spalliora coperta da un panno verde. Questo piede ä bianco, cioe di avorio, riccamente scolpito con ornamenti vegetali e figure ad alto rilievo intorno alla sua parte media, e sormontato da un piccolo uccello ; e chiaro che la sedia non ha spal- liere laterali. L' atteggiaraento di Anfitrione e molto espressivo, in modo da far riconoscere anche la mossa precedente. II piede d. e ritirato e sta sopra uno sgabello color d' oro, 1' altro steso forte- mente innanzi, oltre lo sgabello; la mano sin., al cui mignolo sta un anello d' oro con pietra rossa, afferra il lungo scettro bianco, che poggia orizzontalmente sulla coscia, e col braccio curvato si appog- gia con forza sul cuscino della sedia. In tutto ciö e espresso con molta chiarezza il rapido movimento per balzar su e correre in aiuto del figlio, movimento arrestato improvvisamente : alla vista di quanto fa il fanciullo egli si e fermato ed alzando la mano d. verso il mento, con un gesto che assai bene esprime la meraviglia e r aspettazioue, guarda con attenzione. Dietro di lui Alcmena, dia- demata, in finissima veste biancastra e velo turchin-chiaro, fugge V. d. con le braccia protese (al polso d., il solo visibile, un brac- cialetto a spirale), guardando in dietro verso il figlio. II suo viso dovrebbe esprimere il terrore, ma ciö non e molto ben riuscito. A sin. sta un giovanetto, v. d., visto quasi dalle spalle, col profilo perduto, vestito di chitone grigio dalle maniche lunghe, che gli scende fin sotto il ginocchio, le gambe ed i piedi muniti di anas- siridi del medesimo colore : non sbaglieremo ravvisando in esso un servo di origine Orientale. Regge con la sin. un bastone appog- giato sulla spalla ed alza la d. in atto di sorpresa. — AI disopra deir altare, nell' angolo superiore a sin. del quadro, sta appeso al muro un cembalo. Avanti ad Ercole sta per terra una pietra alla quäle e appoggiata una fiaccola.
94, sul muro di fondo ; a. 0,98, 1. 0,93, Uccisione di Penteo. Fra rupi scoscese, nel bei mezzo del quadro, Penteo, di faccia, un bei giovane dai capelli scuri, cui una clamide rossa con margine turchino-chiaro, fermata con fibbia d' oro sulla spalla d., copre la
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schiena, lasciando libera la parte anteriore della persona, e caduto sul ginocchio sin.; avanti a hii giace il suo giavellotto. Lo aggre- discono tre Baccanti. Egli alza siipplichevolmente lo sguardo e la mano d. verso quella che da sin., scendendo da uno scoglio, gli mette il piede d. sulla garaba d., con la mano sin. gli afferra i capelli e con la d. alza il tirso per colpirlo. Ella e vestita di Chi- tone turchino, che, affibbiato sulla spalla sin., lascia nuda la parte d. del petto, e coronata di edera, ed ha braccialetti ai polsi. A d. un' altra Baccante, coronata di edera, in liingo chitone paonazzo col margine turchino, affibbiato su tutt' e due le spalle e sparato a d. dalla metä della coscia in giü, gli afferra con ambedue le mani il braccio sin., ch'egli ha alzato verso la testa, forse per afferrare la mano della prima Baccante, e con sforzo, visibile anche nel viso, mettendo avanti la gamba sin., che fin sopra il ginocchio esce dal chitone, lo tira a se. Di una terza, sopra uno scoglio dietro Penteo, e visibile, di faccia, la sola parte saperiore : ella alza con ambedue le mani un gran sasso per scagliarlo sulla vittima. E vestita di chi- tone giallo con margine turchino-grigio, affibbiato come quello della prima ; ha braccialetti ai polsi ed in testa una Corona di edera. Agli angoli superiori del quadro compariscono, di faccia. due Avxxai, vestiti nel modo solito col chitone incrociato sul petto. Quella a sin. alza con la sin. la fiaccola e nella d. abbassata tiene la frusta ; r altra alza con la d. la frusta e nella sin. appoggiata suUo scoglio tiene la fiaccola. Nello sfondo alberi. Mi limito a questi brevi cenni, dovendo il quadro essere pubblicato ed illusti-ato dal prof. Sogliano. 95, sul muro d., a. 1,05, 1. 0,97. II supplizio di Dirce. Pub- blicato nel vol. XVII degli Atti dell'Accad. di archeol. lettere e belle arti di Napoli dal prof. Sogliano, il quäle ha giustamente rilevato, che la composizione e evidentemente derivata (come del resto anche nel quadro ercolanese Heibig 1152) dal celebre gruppo marmoreo del « toro Farnese " , ed ha esposto anche in quäl modo e per quali ragioni esso si discosti dal modello plastico. Forse egli prende un po' troppo sul serio 1' autore della composizione pittorica, il quäle ha trasformato il gruppo in modo semplicemente assurdo. ]Ö rimasto press' a poco 1' aggruppamento delle figure, ma e stato tolto di mezzo il motivo artistico : la lotta dei due uomini contro il toro, lo sforzo di questo per slanciarsi alla corsa, di quelli per trattenerlo ; lotta dalla quäle risulta 1' inalberarsi dell' animale. Cosi
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questo s' inalbera in aria, contra naluram sui generis; e mentro egli in tal modo con tiitta la sua enorme forza si slancia in avanti, Antione, alla sua sinistra (vestito di corto chitone cinto paonazzo, che lascia libera la spalla d. con parte del petto, e di alti sti- vali), lo trattiene senza sforzo alcimo, reggendo con la sola mano d. ima corda che gli cinge il coUo e della qiiale egli con la sin. regge 1' altra estremitä. E alla d. del toro Zeto (nudo, meno ima claraide rossa foderata di paonazzo) non lo ritiene affatto, ma e oc- cupato ad aggiustare la corda che gli cinge la pancia e alla quäle sono legate, ai polsi e vicino alle spalle, le braccia di Dirce: egli ha afferrato con la d. questa corda, sul dorso del toro, con la sin. r avambraccio d. di Dirce, e la tira in su con visibile sforzo. E appunto questo sforzo della sin. rende impossibile che la d. possa in alcun modo contribuire a ritenere il toro ; anzi per contraccolpo naturale deve piuttosto spingerlo avanti. Anche la posizione delle gambe - la destra curvata e che soltanto con la punta del piede tocca la terra - e tale da aiutare lo sforzo del braccio sin., ma non puö opporre resistenza alcuna all' impeto dell' animale. Con tutto ciö r azione di ognuno dei due fratelli e press' a poco la stessa che nol gruppo plastico : Zeto si occupa della corda, e nel tempo stesso tira a se Dirce ; Anfione ritiene il toro. Di piü, Zeto per 1' atteg- giamento della persona -1' azione delle braccia, un piede (qui il sin., nel gruppo il d.) messo innanzi e piü in alto - rammenta il Zeto del gruppo, laddove 1' Anfione e una figura del tutto differente, de- rivata probabilmente dal medesimo originale in pittura, dal quäle dipende 1' Anfione del quadro Heibig 1151.
Anche il concetto psicologico del gruppo e stato barbaramente guastato. Ivi, a giudicarne dal noto frammento di cammeo, Dirce, legata con la corda intorno alla vita, aveva libere le braccia, il cui ffiovimento serviva tanto a produrre una maggiore varietä di liuee quanto ad esprimere appunto il concetto psicologico : ella alzava spaventata la d. e mentre stendeva la sin. al ginocchio di Anfione era ritirata per i capelli da Zeto. Tnvece al nostro pittore era sem- brato che sarebbe piü conforme allo scopo legarla alle braccia. E cosi facendo egli le tolse la facoltä di esprimere qualunque sentimento per mezzo dell' atteggiaraento dell' intera persona, e nel tempo stesso alle linee variate delle braccia messe in senso diverso sostitui quelle uniformi delle due braccia alzate. In tal modo la figura di Dirce
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diventa rigida, briitta e senza espressione ; ella dimostra il suo spa- vento e la sua angoscia soltanto nel viso, la cui espressione perö e abbastanza mal riuscita. E ora forse comprenderemo anche, perche Zeto ha atferrato il braccio di Dirce e la tira a se : azione super- flua e senza scopo, giacche ella e legata. Mi par certo che questa non e che una reminiscenza del gruppo plastico, ove egli la teneva per i capelli e la ritraeva dalle ginocchia di Anfione. Qiii, man- cato questo motivo, e sembrando anche al nostro pittore troppo fuor di proposito che egli la tirasse per i capelli, pur volendo dare a Zeto una mossa analoga a quella del gruppo, ha immaginato che per aggiustar meglio il legame, la tirasse in su da quel lato.
Per lo Stile della pittura e caratteristico il naturalismo col quäle son rese sopra tutto le forme estremamente, esageratamente robuste di Zeto, forme che sarebbero piü giustificate se egli, come nel gruppo Farnese, contrapponesse la forza sua a quella del toro. Qui nulla vi e di stilizzato ; si e cercato, certo con 1' aiuto di studi sul modello, il vero, un vero esagerato, non il hello. Anche nella Dirce la bellezza delle linee e stata sacrificata ad un maggiore verismo. Per la tecnica il pittore e superiore alla maggior parte dei pittori pompeiani ; il nudo e modellato con abilitä ; con per- fetta evidenza sono resi i forti eifetti di luce, convenienti alla rap- presentazione d'un fatto che si svolge in pleno sole; e assai bene dipinto p. e. il tirso che giace per terra fra Dirce e Zeto, parte adombrato, parte colpito dal sole.
II nostro quadro non e originale e inventato per questa parete, ma copiato. Ciö si rileva da un malinteso successo al copista. I fili che s' incrociano sul petto di Dirce son dipinti nella stessa guisa che le corde con le quali essa e legata, mentre non puö esservi dubbio che nell' originale indicassero la catena d' oro tante volte portata dalle donne, in ispecie su pitture pompeiane.
I tre quadri di questa stanza sono della stessa mano, e spe- cialmente quello di Penteo mostra essenzialmente gli stessi carat- teri di quello di Dirce.
Invece quelli di p sono, se non m' inganno, di altra mano e mo- strano un carattere diverso : non mosse violenti, ma l'aggruppamento tranqtiillo delle figure, tanto prediletto nelle pitture pompeiane ; non realismo e molto raeno esagerazione, ma forme piü tipiche ed ideali ; infine una luce piü tranquilla ed uguale, senza forti contrasti.
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;; e grande 0,81 X 3,02, alta 4,97 fino al nascimento della volta decorativa, che poteva aggiungervi circa 0,50 ; 1' ingresso e largo 3,07, alto 3,50, il pavimento uguale a quello di ?3. La de- corazione delle pareti e molto ricca. Lo zoccolo, a. 0,80, imita in- crostazione di vari inarmi, porfido e serpentino. La parte media della parete e divisa sui muri liinglii in tre grandi scompartimenti, rosso quello in mezzo, bianchi con largo margine rosso i laterali ; il color rosso e cinabro ; il campo bianco e contornato da plante, stilizzate in turchino verde e rosso ai due lati, naturali di sopra e di sotto, e coutiene ognuno un gruppo di due figure volanti. Lo scompartimento medio ha la forma del noto padiglione per il quadro, il quäle in fatto ne occupa il centro, ed e diviso da quelli laterali per mezzo dei soliti prospetti di architettura fantastica, eseguiti in colori cangiauti fra rosso, turchino, verde e giallo. Secondo il solito i prospetti architettonici non arrivano inferiormente fino allo zoccolo, ma immediatamente sopra questo sono chiusi da una tavola turchina, nel cui centro una testa di Minerva ad imitazione di ri- lievo, monocroma, sporge da un ornamento circolare di foglie sti- lizzate. Ognuna poi di queste tavole e sormontata da un quadretto a. 0,145, 1. 0,445 con rappresentanze di corse o di combattimenti di navi, del tutto simili a quelle del macello e del tempio d' Iside. Sul muro di fondo la disposizione e quella delle pareti di n, con la dift'erenza che sotto ognuno dei due prospetti architettonici vi e la stei^sa tavola turchina delle pareti lunghe, ornata di un mostro marino ad imitazione di rilievo e sormontata da un xenion (a. 0,13, 1. 0,77). La parte superiore e tutta occupata da architetture fan- tastiche che s' innalzano fino al soffitto, e sembra che lo sorreggano. In esse son disposte su ciascuno de' muri lunghi cinque, su quello di fondo tre figure. In fine immediatamente sopra la parte media e sotto le architetture anzidette son disposti sopra ogni parete quattro quadretti che su fondo scuro contengono bassissimi rilievi in istucco, quasi del tutto caduti, ma ricouoscibili press' a poco dalle tracce rimaste sul fondo.
Ci rivolgiamo ora a descrivere le singole rappresentanze figurate.
90-98, grandi quadri nei centri delle pareti.
90, sul muro sin.; a. 1,18, 1. 1,07. Dedalo e Pasifae, la nota composizione (Heibig 1205-1208) con qualche aggiunta. Nel bei mezzo del quadro sta ritto Dedalo, veduto dalle spalle, di carna-
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gione raolto abbronzita, cöq poclii capelU e barba corta, vestito di corto Chitone rosso, ciuto, stibbiato sulla spalla d.; egli alza la sin., paiiaudo a Pasifae, che e piü in dietro, a sin. Egli con la d. tiene alzato il coperchio qiiadrangolare dell' apertura praticata uella schiena della vacca bianca, che a d., avanti ad im tappeto verde steso fra una colonua ed il margiue d. del quadro, sta sopra una tavola di colore scuro miinita di quattro piccole ruote, rivolta a sin. e neir interne del quadro. Dedalo alza la sin., parlaudo a
Pasifae, che piü in dietro, a sin., e seduta sopra una sedia a spal- liera coperta di cuscini e panni di colori scuri (paonazzo, rosso, verde). II suo chitone biancastro, che da im poco nel paonazzo, era stato fermato sopra ognuna spalla con piü fibbie, ma sulla d. ne e stata sciolta quella superiore, e cosi qui sta affibbiato ancora sul braccio ma lascia nuda la spalla ; le gambe sono coperte di un manto giallo molto chiaro, i piedi muuiti di scarpe turchine. I capelli biondo-scuri son cinti da un doppio filo di oro, il collo da una col- lana a pendenti e inoltre da due cerchi di una catena semplice, il
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braccio d. da un braccialetto a spirale che non e chiaro se abbia la forma di serpente. La gamba d. e incrociata sopra la sin., il cui piede poggia sopra uno sgabello. Ella guarda la vacca, e lasciando riposare 1' avambraccio d. sulla coscia, regge nella niano sin. leg- germente alzata (il gomito e appena discosto dal fianco) due brac- cialetti di oro, senza dubbio per daili a Dedalo in compenso dei suoi lavori. Perö la mossa non e chiara in questo senso, ne egli fa alcun gesto per riceverli. Dietro la sedia di Pasifae stanno diie altre donne. A d. iina vecchia, che avrä a chiamarsi nutriee, tutta avvolta in un ampio manto giallo, la testa coperta di \m velo verde, stende il braccio d. (in lunga manica verde) per additare la vacca, alla qiiale volge anche lo sguardo. L' altra a d., giovane, in chitone verde, guarda anch' essa la vacca e maravigliata alza la mano d. al mento. La scena succede nel laboratorio di Dedalo : ciö e indi- cato dalla figura di un giovanetto in tunica verde, sfibbiata sulla spalla d., seduto dietro un basso tavolino a quattro piedi divergenti. Egli lavora una striscia di legno fermata per mezzo di tre (dovreb- bero essere quattro) ferri infissi nella tavola, e giä vi ha fatto cin- que buchi ; ora ne sta facendo il sesto, mettendovi lo scalpello ed alzando il martello. A sin. sta appoggiata al muro una sega, a d. per terra un trapano con l'arco e un ordegno che avrä a chiamarsi una specie di pialla, non pei'ö della forma solita e usata tuttora, che si trova fra gli ordigui pompeiani conservati nel Museo di Na- poli. Questo qui e un ferro curvo che in una estremitä finisce a punta, neir altra a taglio.
97, sul muro di fondo, a. 0,14, 1. 1,06. Supplizio d'Issione. A d., sopra un gradino verde, avanti ad una fila di quattro colonne che fugge fino al margine d, del quadro, e a sin. finisce con un pila- stro, sta seduta, v. sin. e verso chi guarda, Giunone con scettro e Corona dentata. Ella guarda a sin. nella direzione additatale da Iride, la quäle, vestita di una veste verde di cui e visibile sol- tanto la manica d. ricamata di giallo, di un chitone turchino chiaro e di un manto paonazzo, che dalla spalla sin. passa al fianco d., ha la testa circoudata da un nimbo Celeste. A sin. Hermes, una bella figura di uomo giovane e robusto, dalla carnagione abbron- zita, rivolge la testa a Giunone, e pare che le parli, mettendo la mano d. sulla ruota alla quäle sta attaccato Issione, di cui non si vede che la parte superiore della persona, e questa dalle spalle;
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si vede il cerchio col quäle l'avambraccio d. e ferraato ad uno dei raggi della ruota. Dietro la ruota sta ritto Efesto, che si occupa di essa, alTerrandone con la sin. il cerchio e con la d. qualche altra parte non visibile. Neil' angolo inferiore a sin. sta per terra un' inciidine e appoggiativi im martello ed una tanaglia : il sup- plizio di Issione fu dunque compiuto or ora. Fiualmente siill' angolo del gradino in cima al quäle sta la sedia di Giiinone, ai piedi di lei e di Hermes, sta seduta, di faccia, una donna avvolta in ampia veste gialla, che io credo un' anima che Hermes ha condotta nel- 1" Inferno; essa non serve ad altro che ad indicare la localitä. Mi limito a questi brevi cenni, dovendo anche questo quadro essere pubblicato ed illustrato dal prof. Sogliano.
98, sul muro d., a. 1,08, 1. 0,97. Bacco che viene a trovare Arianna. Nel mezzo del quadro, e occupandone quasi 1' intera lar- ghezza, Ä.rianna, cui una veste gialla con margine turchino avvolge le gambe, con anelli ai piedi ed alle braccia, dorme sopra una pelle di pantera o di tigre, coperta da un panno verde, appoggiata con la parte superiore del corpo ad un cuscino in fodera bianca con righe paonazze e gialle, posto verticalmente e sorretto, non si sa come, da un altro cuscino bianco. E vista dalle spalle e mostra tutta la parte di dietro nuda. La testa riposa sull' avambraccio d., il braccio sin. sulla testa ; la gamba sin. e curvata e la pianta del piede pog- giata al suolo, la d. stesa in modo da mostrare la pianta. AI ca- pezzale sta Hypnos, che sulla sin. regge la patera d' oro, nella d. il ramo, col quäle asperge la dormente. E vestito in modo singo- lare. La sua veste, che sollevata per mezzo della cintura pure scende fin sotto il ginocchio, paonazzo-chiara con striscia turchina davanti, margine turchino ai piedi e linee dello stesso colore in direzione normale al margine, non e un chitone alla foggia greca. Mi par di vedere con sufliciente chiarezza il modo com' e fatto. E d' un sol pezzo della doppia iunghezza della persona, piegato nel punto ove deve stare il collo, aperto ivi con un taglio nel senso della Iun- ghezza per passarvi la testa, chiuso finalmente in qualche modo ai tianchi, lasciando aperture per le braccia. Che tale sia la fattura, lo rilevo dall' apertura per la testa, che di sotto fiuisce a triangolo, e dal modo come la stoffe copre, non interrotta, le spalle. Sotto siff'atta veste compariscono maniche lunghe^ verdi, con ricami gialli. I piedi sono muniti di alti stivali, ornati al margine superiore da
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uita testa di leone dorata, i corti capelli biondi ciuti da una benda turchiua. La fisonomia e interessante, individuale, e tutt' altia di qiiella che s' aspetterebbe nel dio del sonno. La bocca dalle labbra strette, con gli angoli ritirati. il naso corto, fino e pnntuto, le soprac- ciglia basse, gli occhi dallo sguardo fermo, attento e penetrante (a null' altro diretto, credo, che all' azione della propria mano d.), tutto ciö fa r impressione di im' intelligenza superiore, di prudenza e nel tempo stesso di ferma volontä. — Tutto il resto del quadro e assai malandato. Da sin. arriva Bacco col tiaso. Egli, in veste lunga, a quanto pare, appoggia la sin. al tirso ed e sorretto alla mano d. e forse anche al braccio ed al fianco dal Sileno, del quäle perö non si riconosce alcun particolare. Dietro Arianua un Satiretto coronato di pino solleva, come al solito, la veste oude e stata coperta, e guardando in su verso Bacco alza meravigliato la mano sin. Fra lui e Bacco due Baccanti. Mentre tutto questo non differisce essen- zialmente dalle altre repliche del medesimo soggetto, vi sono al- cune figure che in esse non trovano riscontro. A d. e a sin. della gamba d. del mentovato Sileno compariscono due Satiri fanciulli. che guardano con curiositä, uno, a d., col ginocchio sin. a terra, l'altro, al margine sin. del quadro, con le mani, a quanto pare, appoggiate alle ginocchia. Non si distingue se al disopra del Si- leno, a sin. delle spalle di Bacco, vi siano altre figure. A d. una specie di molo si prolunga nel mare e porta alla sua estremitä, un po' rialzata, una torre cilindrica, che avrä a credersi un faro. A sin. di questo molo, e a sin. della testa di Hypnos, vedesi la parte superiore di una giovane Satiressa seduta, a quanto pare, v. d.. che alza le mani in atto di adorazione verso un oggetto bianco che poco si distingue ; mi sembra certo perö che sia una statuetta o piccola erma posta su qualche base. Süll' altro lato del molo stanno tre Sa- tiri fanciulli, che nascondendosi dietro il molo stesso la guardano con curiositä. Neil' angolo inferiore a sin. giaciono per terra un tim- pano e due cembali ; nell' angolo inferiore a d. sta seduto un Amo- rino che con le mani giunte avanti al ginocchio d. guarda in su verso Bacco.
99-101, gruppi volanti negli scompartimenti laterali delle pa- reti lunghe, composti ognuno di una donna e di un Satiro e rap- presentanti, a quanto pare, tre stagioni.
99, muro sin. a. sin.; a. 0,57, 1. 0,48. Inverno ? II Satiro, a d..
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coronato di foglie, cou veste rossa dal margine turchino svolazzante a guisa di sciallo, porta suUa nuca, a qiianto pare, un' otre, reg- gendöla con la mano sin. Non e chiaro, se con la d,, avaiiti al petto, egli regga qualclie altro oggetto. L' altra estreiuitä deli' otre e tenuta dalla mano d. della donna. Essa e vestita, a quanto pare (la parte inferiore e mal conservata) di due cliitoui, uno limgo, giallo con margine paonazzo, 1' altro corto, verde con margine azzurrognolo ; porta inoltre sulla spalla sin. ima veste azzurrognola di gran vo- lume. La testa e coperta di ima cuffia verde; son verdi anche le scarpe. lutorno ad ambediie svolazza ima lunga ghirlanda, circon- dando le teste a guisa di arco.
100, muro sin. a d.; a. 0,42, 1. 0,40. Estate. Volano verso sin., coronati egli di pino (cosi pare), ella di foglie. Egli, a sin., porta sulla testa, reggeudolo con la sin., im basso canestro ricolmo di frutta e foglie, nella d. abbassata il pedum. Ella, cui una veste gialla con margine turchino svolazza intorno, coprendo le gambe (i piedi sono nudi) e facendo fondo alla parte superiore della per- sona, tiene nella sin., al fianco, iina falce, nella d., protesa sotto la faccia del Satiro, un serpente (cf. Heibig n. 541). Grhirlanda come in 99.
101, muro d. a sin., a. 0,55, 1. 0,52; mal conservato. Prima- vera. Volano verso d., e pare che ella gli metta la sin. sulla spalla sin., e che egli con la d. le cinga la vita. Egli, coronato di foglie (per lei ciö non e chiaro) porta sulla sin. un basso canestro con foglie e fiori. Ghirlanda coiiie in 99 e 100.
102, muro d. a d., sopra la porta di ^; quadro a. 0,30, 1. 0,53. Pane ed Ermafrodita. L' Ermafrodita sta sdraiato, la testa a d.. con la parte superiore del corpo sollevata, l'avambraccio sin. poggiato sopra un timpano, le gambe avvolte in un manto giallo con mar- gine turchino, del quäle la d. alza un lembo dietro la spalla sin. La testa, dai capelli scuri e dall' espressione languida e triste, e cinta di foglie, il collo di una coUana a pendenti, i piedi nudi. Un' altra veste, di cui pure egli e stato coperto (ciö non e espresso bene) viene sollevata da Pane, di statura bassa, che sta dietro le ginocchia, coronato anch' egli, ed alza meravigliato la d.; la sin., con la quäle solleva quella veste, regge anche il peclum. A d. alberi appena accennati.
103-111, figure disposte fra le architetture della parte supe-
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riore; 103-105, nei centri delle tre pareti: divinitä sedute in trono.
103, sul muro sin.; a. 0,70. Apollo; manca la parte sin. della persona; il resto e assai malandato. Si distingue perö la lira al fianco sin., la testa coperta di berretto frigio e rivolta a sin., la mano d. che riposa sul ginocchio d.
104, sul muro di fondo; a, 0,65. Fortuna, vestita di chitone chiaro affibbiato con una sola fibbia sopra ognuna spalla e di un manto rosso che copre le gambe. Guarda a d. e nel braccio sin. regge il cornucopia. nella d., al disopra della coscia, una patera inclinata come per libare.
105, sul muro d.; a. 0,75 (senza il tirso). Bacco. Ha lo gambe coperte di una veste rossa, i piedi muniti di alti stivali; la sin. e alzata e appoggiata al lungo tirso; altro non si distingue.
106-113, sacriticanti e figure simili. 106-108 sul muro sin.
106, all' estremitä sin. Giovane vestito di chitone verde, seduto, di faccia^ con la testa rivolta a d.; si appoggia sul braccio sin. steso verticalmente. E riconoscibile la sola parte superiore
107, a d. di 103; a.0,72. Giovane donua, v. sin., vestita di chi- tone paonazzo e manto giallo ; regge nella sin., al fianco (sull' avam- braccio e raccolto il manto) un oggetto che forse e una piccola fiac- cola, nella d. leggermente protesa una tenia.
108, a d. di 107, presso 1' angolo. Uomo, v. d., visibile fino alle ginocchia, coronato di foglie e vestito di un manto giallo che lascia libera la parte d. del petto. Porta avanti al petto un piatto 0 basso canestro poco riconoscibile.
109, 110, sul muro di fondo.
109, a sin.; a. 0,47. Baccante, di faccia, con la testa, coro- nata di vite, rivolta a d., visibile tino alle ginocchia. E vestita di un chitone dalle maniche lunghe, il cui colore cangia fra il giallo, verde e rosso. Porta sulla spalla sin. il tirso, nella d. abbassata il timpano.
110, a d.; a. 0,48. Donna (cosi pare) anziana, vestita di chi- tone giallo che copre le braccia fino al gomito, e manto cangiante fra il paonazzo ed il verde; e visibile fino al ginocchio. Yenuta dallo sfondo volge verso sin. la testa cinta di foglie ; porta sulla sin. un basso canestro con frondi, delle quali prende con la d.
111, 112, sul muro d. a sin, (a d. del centro 1' intonaco e caduto).
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111. a siu. di 105; a. 0,72. Donna, di faccia, vestita di Chi- tone bianco e mauto paonazzo, che dall' oecipite scende sulla schiena e copre la coscia sin,, che sta sollevata, essendo il piede posto sopra qiialche gradino. La raano sin., alzata tino al gomito, regge il tirso appoggiato obliqiiamente alla coscia sin., la d. e appoggiata alla coscia d. II viso e irriconoscibile.
112. a sin. di 111, presso T angolo ; a. 0,45. Uomo, di profllo V. sin., visibile tino alle ginocchia; sta tranquillamente tutto avvolto in una veste di color chiaro.
113-116, combattimenti navali, sotto i prospetti architettonici delle pareti liinghe; a. 0,14, 1. 0,44.
113. Due uavi piene di uomini armati di sciidi tondi e lancie si passano accanto in direzione opposta. Nello sfondo edifizi.
114. Due navi come in 113, le cui direzioni s' incrociano : una V. d. e neir interno del quadro, 1' altra v. d. e verso chi guarda ; nel prossimo momento quel primo passerä immediatamente dietro r altro. Nello sfondo edifizi.
115. Quattro navi come sopra. Due, una dietro 1' altra, vengono da sin., due da d. verso chi guarda. Di queste ultime la prima passa nel momento rappresentato fra le due della parte opposta, l'altra farä lo stesso nel prossimo momento, se non investirä la seconda di esse o sarä da essa investita. Nello sfondo nulla.
116. Due navi come sopra si allontanano v. d.; una terza va piü in lä in direzione opposta; una quarta, che va verso 1' angolo inferiore a d. del quadro, e or ora passata fra le due prime. Nello sfondo nulla.
Siccome tutte queste sono evidentemente navi da guerra, piene di armati e munite del rostnim, cosi mi par certo che qui sono rappresentate le manovre che esse fanno per investire 1' avversario e per evitare 1' urto della nave nemica. In uno fra i quadretti simili del tempio d' Iside. ora nel Museo nazionale (Heibig 1576.77) e rappresentato 1' urto stesso e lo sprofondarsi di una delle navi.
117. 118, sul posto corrispondente della parete di fondo, xenia, a. 0,14, 1. 0,74.
117, a sin. Apple di un muro nero due uccelli morti ; a sin., per terra un frutto giallo (albicocco ?) ; due frutti simili in un' aper- tura 0 nicchia del muro, un quarto piü a d. in un' apertura simile ov' h appoggiato anche un tirso.
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118, a d. Ad un miiro come in 117 sta appoggiato im raazzo di asparagi (?) e piü a sin. un pedum ; fra ambedue una capra. Piü a d. in im' apertiira como in 117 due canestri tondi con uova (cosi pare); un terzo canestro simile e cascato per terra e ne e iiscita una parte del contenuto.
119-122, sopra 113-116; a. 0.12-0,14; 1. 0,30. Vcmnus intrec- ciata di vimini, con contenuto simile come in 54. 55 : 1' oggetto coperto e due recipieuti, di cui uno e certo im corno potorio, 1' altro forse un cantaro. Alla parte piü alta della vamiiu sta appoggiata
una maschera, e cioe 119 maschera di Satiro barbato; 120, di Bac- cante; 121, di Sileno; 122, di Satiro barbato. In 25 il contenuto della vanmis e poco riconoscibile e in ogni modo differente : vi si vede un oggetto che puö sembrare un timpano. Inoltre accanto al- 1' oggetto coperto s' iunalza la punta di un tirso avvolfca, sotto le foglie, in un panno rosso.
123. 124, sopra 117. 118 ; a. 0,15 e 0,16. Due maschere tra- giche differenti tra loro. Accanto ad ognuna sta obliquamente la
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parte superiore di im tirso avvolta, sotto le foglie, in im panno rosso. Quella a d. ha 1' onkos cinto del filo di lana, bianco, che scende avanti alle tempia e all' altezza della bocca e tirato verso r occipite.
125, figure dipiiite ad imitazione di alto rilievo, monocrome, in giallo, suUe sei colonue che sorreggono i padiglioni che formano gli scompartimenti medii delle pareti ; a. 0,20. Combattimenti degli dei coi Giganti. Iiitorno alle colonne sporgouo le figure dei Giganti. tre visibili in ogni colonna, e sopra di essi altrettante di- vinitä. I Giganti parte alzano le braecia, parte s' inchinano come per sottrarsi all' impeto degli avversari. Gli dei sono in parte irri- conoscibili. sia per la cattiva conservazione che per la maniera poco chiara e dettagliata della pittiira. Pare certo che alcuni ricorrono due e fors' anche tre volte. Se ne distingue qiianto segne.
Muro sin,, colonna sin.: a sin. Ercole con la clava; gli altri due sono irriconoscibili ; colonna d.: a sin. Apollo che tira l'arco; in mezzo Efesto (?) che alza un martello (?) ; a sin. Bacco(?) col tirso (?) nella sin.
Muro di fondo, colonna sin.: a sin. Mercurio alza il caduceo; in mezzo Nettuno sta per colpire col tridente ; a d. una figura con lungo bastone sulla spalla d. e Corona (?) in testa; colonna d.: tutti e tre alzano la lancia ; nel mezzo Ercole - se non m' inganno - che nella sin. abbassata tiene la clava atferrata alla parte media ; la figura sin. (Marte?) ha 1' elmo in testa, quella a d. lo scudo al braccio.
Muro d., colonna sin.: in mezzo Giove alza il fulmine; a sin. Mercurio col caduceo nella sin.; a d. Minerva, con elmo e scudo, alza la lancia ; colonna d.: in mezzo Marte (?) armato di elmo e scudo alza la lancia v. d.; a d. Ercole alza la clava ; la figura a sin. e irriconoscibile.
126-129, quadretti a fondo scuro con bassissimi rilievi in bianco. appie delle architetture della parte superiore. I rilievi sono caduti, ma dalle tracce rimaste sul fondo si riconoscono press' a poco le figure.
126. 127, due quadretti sui muri lunghi, presso gli angoli interni; i due corrispondenti nella parte anteriore sono perduti ; a. 0,15. 1. 0,57.
126, sul muro sin. Alle estremitä due Amori rivolti verso il
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ceutro, qiiello a sin. seduto, e piiö sembrare che faccia la pesca, quello a d. poggiato sul ginocchio sin.; avanti ad ogniino im ka- lathos e una pianta ; nel mezzo un uomo corre v. sin. col braccio sin. alzato.
127, sul muro d. Scena simile; gli Amori rivolti ambedue a sin. verso i calati ; in mezzo un nomo in piedi che alza ambedue le mani ; im altro uomo accorre all' estremitä sin. del quadro.
128, tre quadretti sui muri lunghi (uno sul muro sin. a sin. e perduto) ; a. 0,18, 1. 0,25. Giganti, cinque in ognun quadro, che parte raccolgono sassi, parte li lanciano in alto.
129, quattro quadretti sul muro di fondo, due a. 0,15, 1. 0,43, due a. 0,15, 1. 0,48. Mostri marini.
130, quadretto simile nel centro del margine superiore del muro di fondo, al disopra delle architetture tantastiche ; a. cü-ca 0,15, 1.0,65. L' estremitä d. (due figure ?) e distrutta. A d. del centro nn uomo che corre v. sin., verso due uomini seduti, volgen- dosi le spalle, sopra un oggetto che puö sembrare un tavolo ad un piede. Seguono a sin. due vacche (una a metä nascosta dietro 1' altra) V. s., precedute da un piccolo animale poco riconoscibile e da una figura virile che procede a passo di ballo.
II graude oecus q e, per le sue pitture, la parte la piü in- teressante della casa. Giä fu detto sopra che appartiene cou 1' atrio e con le ale al gruppo piü antico, anteriore al 63 d. Cr. In fatti queste pareti rammentano molto quelle dell' atrio, anche per il largo uso del rosso-cinabro, ma sono superiori ad esse per la delicatezza e squisitezza del gusto, che si rivela specialmente nella finezza e sottigliezza dei membri ornamentali che dividono ed in parte riem- piono il fondo rosso e nero. Sarebbe lungo, ed insopportabile per il lettore, se volessi esporre minutamente la disposizione delle pa- reti ; la indicherö nel modo piü breve possibile, tanto da poter poi assegnare il loro posto alle singole rappresentanze.
Si puö dire, sebbene ciö non espiima perfettamente 1' idea della disposizione, che la parte media e principale delle pareti e di- visa in scompartimenti, cinque sui muri laterali, tre su quello di fondo, rossi-cinabro con largo margine nero, il quäle perö manca agli angoli della stanza. Sono divisi fra loro per mezzo di stretti scompartimenti neri, che contengono ognuno un alto e sottile cono tutto rivestito di foglie e fiorellini, posto suUa parete di fondo sopra
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un ricco piede architettonico. siille pareti lunghe sopra un kantha- ros ; un sottilissimo caiidelabro giallo fa la divisione fra gli scom- partimenti stretti ed il margine di que" larghi. Soltanto accanto agli scompartimenti medii delle pareti lunghe gli scompartimenti stretti contengono un alto tripode biancastro, uon conservato in alcun punto neir intera sua altezza, e la divisione e fatta per mezzo di un membro (candelabro ? la parte superiore non e mai conservata) formato da tre fili dorati intrecciati fra loro e che s' innalzano sopra un piede composto da ornamenti vegetali. Sotto la parte media della parete, fra essa e lo zoccolo. si stende una striscia a guisa di fregio, di- visa anch' essa in scompartimenti corrispondenti a quelli della parte media, e del medesimo colore, con questo perö, che gli scompartimenti stretti e neri si estendono anche sotto il margine nero degli scom- partimenti grandi. Agli scompartimenti finalmeute di questa striscia corrispondono quelli dello zoccolo, che e tutto nero, e contengono que' grandi concetti ornamentali, quegli stretti ognuno una tigura. Fra i dettagli ornamentali vanno rilevati in modo speciale i ricchissimi sostegni sui quali s' innalzano, sul muro di fondo, quegli alti coni rivestiti di foglie, contenuti negli scompartimenti stretti e neri, e quelli che nei posti corrispondenti delle pareti lunghe sorreggono i tripodi. Que' primi perö sono molto piü ricchi e piü rimarchevoli. Sopra una base tonda, biancastra, che avrä ad imma- ginarsi di marmo, riccamente scolpita di intrecci, ornamenti ve- getali ed altro, ed il cui ultimo membro, molto basso, e scanalato ed evidentemente signitica il principio dello scapo di una colonna, stanno tre elefanti dorati, che reggono ognuno nella proboscide una breve fiaccola (?). Sülle loro teste riposa una bassa tavola, do- rata anch' essa, col margine ornato, a quanto pare, di ovoli ; essa, come anche i membri seguenti, e ottangolare, ma col medio dei tre lati visibili piü stretto degli altri, curvo e rientrante. Sopra di essa sta, nel mezzo, una maschera di Oceano biancastra, con rabe- schi invece della barba, che si estendono tiuo alle estremitä late- rali della parte visibile della tavola, ove sorgono, di protilo, due figure alate, le cui parti inferiori si confondono con i rabeschi sud- detti. Le tre teste sorreggono un' altra tavola, ottangolare come sopra, verde, col margine ornato, a quanto pare, di una greca. Lo spazio rimasto fra la maschera, le due tigure e la tavola e riem- pito di verde, di paonazzo il fondo fra i rabeschi della barba del-
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r Oceano. La tavola verde sorregge im' alta base formata in inodo originale. Sopra un gradino cioe o tavola dl color paonazzo sta su ciascun lato una stinge ornamentale (s' intende che una terza deve immaginarsi sul lato opposto allo spettatore), cioe un busto fem- minile cou ali invece delle braccia, posto sopra una zampa leonina. Sono dorate, e cou le loro ali (cosi pare) sorreggono il fusto della base, paonazzo, stretto, ottangolare conie sopra e ornato siil lato stretto e rientrante con una testa di animale dorata, sopra oguuno de' lati larghi con la parte anteriore di una pantera che esce da un calice di fiore, e con rabeschi che partendo dalle ätingi av- volgono il calice e pare che esso ne formi 1' estremitä. Lo spazio fra le stingi, sotto la base, e nero. Questo fusto ha una specie di capitello (ovoli ?) del medesimo colore, ed e continuato, sopra questo, da un brevissimo fusto, della medesima forma ed estensione, verde, con ornamenti dorati. Finisce quindi la parte ottangolare con una tavola dorata, che ha il margine ornato di ovoli (?) e di un listello. Segne 1' ultimo membro, il piede proprio del cono di foglie, com- posto di due calici di foglie d' acanto, uno piü basso rivolto in giü e poggiato sulla tavola dorata, 1' altro piü alto, quasi a guisa di capitello corinzio, dal quäle sorge il cono, circondato al suo prin- cipio da una cerchia di lunghe foglie dorata. II foudo fra le foglie d' acanto, biancastre, e riempito di color paonazzo scuro. II cerchio rientrante infine, ove s' incontrano i due calici, e cinto da una specie di Corona dorata, un cerchio cioe sul quäle sorgono foglie alternate con sporgenze piü piccole.
II cono di foglie stesso e accompagnato da tralci di plante, che SU di es.so qiiattro volte s' incrociano, ed in questi punti d' in- crociamento sono attaccati al cono tre piccioni, tre galli (dipinti similmente come quelli delle ale), tre maschere, tre piccoli uccelli. In cima al cono sta un basso canestro conteuente un corno poto- rio, un' oenochoe, una bottiglietta dalla pancia tonda.
Sopra ognuna delle pareti lunghe il medesimo cono, piü pic- colo e posto sopra un piede piü semplice, ricorre due volte, fra i dne scompartimenti cioe che stanno a ciascun lato di quello cen- trale. Mancano gli oggetti attaccativi nei punti d' incrociamento, invece si distinguono fra le foglie vari piccoli oggetti di carattere bacchico : tamburini, secchietti, corni potorii, maschere, siringi ; il cono e sormontato dall' aquila sul globo.
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Pill .semplici e d' altro carattere sono i sostegni dei tripodi accanto agli scompartimenti raedii delle pareti lunglie. Sopra iina tavola paonazzo-chiara, ottangolare come sopra, sta, di faccia, la statiia dorata di ima Baccaute (cosi siil mui'o d.; a sin. erano altre figiire) ; la veste scende dalla spalla d. dietro la schiena e svolaz- zando copre le gambe, lasciando nuda la parte superiore della per- sona ; Stande arabedue le braccia a sin. e suona i cembali. A d. e a sin. due altissime erme bianche di Satiri tengono nella d. quella a sin. una lepre 1' altra im pecliim, nella sin. ambediie un piatto con frutta. Siille teste di qiieste Agare (e, bisogna supporre, di una qiiarta non visibile), riposa im' altra tavola, ottangolare come sopra, bassa, gialla, col margine ornato di ovoli e di un listello. Lo spazio fra le due tavole e le due erme, dietro la Baccante, e tutto riempito di una massa di foglie con fiorellini biancbi e rossi distribuiti con parsimonia, Tutta questa massa retrocede ad emiciclo, entro il quäle, a due terzi all' incirca dell" altezza, gira una striscia rossa ; il cer- chio da essa formato tocca le due erme o passa dietro la Baccante. Sopra la suddetta tavola gialla sta il piede proprio del tiipode, formato quasi a guisa di una bassa colonna, che puö dirsi di marmo, benche il lavoro di qualche particolare sia tale da non poter essere eseguito in questo materiale: prima un toru?, con un ornamento simile agli ovoli, ma quadrangolare, quindi un calice di foglie d' acanto rivolto in giii, sormontato da un cerchio di altre foglie, piü basso, dal quäle sorge, circondato sul principio da foglie lunghe 6 fine, il fusto della bassa e grossa colonnina, sormontata all" al- tezza di 0,08 da una specie di capitello (ad ovoli ?) e continuata sopra di esso da un brevissimo (0,023) fusto verde con ornati gialli (palmette rivolte alternativamente in su e in giü), sormontato da ima tavola tonda color marmo dal margine ornamentato. Su questa riposa un' altra tavola, rossastra, di altezza uguale, ma di circon- ferenza minore (maggiore perö di quella del fusto). Su questa ta- vola in fine sorge un doppio calice di foglie, il primo molto basso, di foglie gialle (dorate) ripiegate in giü, il secondo di foglie d' acanto azzurrognole alzate, dalle quali s' innalza il tripode.
Dopo queste due forme di sostegni meritano una menzioue spe- ciale le strisce ornamentali sovrapposte, sul fondo nero, agli scom- partimenti rossi. Sono composte di grifoni, uccelli, figurine umane, tutti con rabeschi invece delle estremitä, qualche lira e concetti
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simili, tiitto questo dipinto parte iü giallo, parte in im colore che cangia fra il giallo ed il turchino: forse in tal modo si e voluto esprimere oro ed argento. II fondo fra questi elementi e rimasto nero ; i piccoli spazi circoscritti da essi e dalle loro estremitä sono riempiti di verde e di rosso. Sono in tutto qiiattro varietä, di si- mili strisce.
Degli scompartimenti rossi quello centrale di ognuna parete conteneva im gran qiiadro (1), a. circa 1,50, 1. circa 1,25. Questi furono tolti dal muro dagli antichi stessi, probabilmente per essere rimpiazzati con altri, ciö che poi non e stato fatto. Ed e degno di nota che il qiiadro tolto dal miiro di fondo vi era stato lissato con ferri, appunto come 1' abbiamo trovato nella camera d (pag. 17 n. 34) ; ed e probabile che qui pure si trattasse di un quadro proveniente
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da una decorazione piü antica. Gli altri scompartimenti rossi (2) contengono ognuno un gruppo di due figure, uomo e donna, volanti, dipinto sopra il fondo rosso ma rinchiuso in una specie di cornice quadrangolare, mediante la quäle questa parte dell' intonaco sembra affondata di circa m. 0,01. Sulla parte inferiore poi del margine nero che circonda i campi rossi (3), a. 0,26, son dipinte scene di Amori e Psiche in varie occupazioni, e per lo piü nell' esercizio di qual- che mestiere. La striscia a guisa di fregio (4) frapposta fra la parte media e lo zoccolo, a. 0.225, contiene nelle parti nere, cioe sotto gli scompartimenti stretti della parte media, rappresentanze di Psiche che colgono fiori e, accanto agli scompartimenti medii delle pareti lunghe, di scene mitologiche. Giä furono menzionate le figure (5) che sullo zoccolo sono sottoposte ad ognuna di queste rappresentanze.
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Finalmente le architetture della parte superiore sono riccamente po- polate di figure (6).
131-141, figure isolate negli scompartimenti stretti dello zoc- colo, quattro sopra ognuna delle pareti lunghe, diie sii quella di londo, a. 0,50-0,55.
131-134. alle estremitä delle pareti lunghe: donne che vanno a fare un sagrifizio.
131, muro sin. a sin. Vestita di lungo chitone color lila, affib- biato sopra ambedue le spalle, e manto biancastro che posa sulla spalla sin. e avanti al ventre e raccolto e sorretto dall' avambraccio sin. La testa e cinta di foglie ; un velo scende dall' occipite sulle spalle. La d. regge una corta fiaccola. Cammina y. d. alzando gli occhi verso lo spettatore.
132, muro sin. a d. Vestita di chitone come 131 e d' una cla- mide biancastra che affibbiata sulla spalla d. passa sotto il braccio sin. In questa. sollevata dalla mano sin., ella porta de' fiori, ai quali avvicina, lentamente e senza alzare il gomito, la mano d. La testa e cinta di foglie. Cammina v. d. e guarda in su nella stessa direzione.
133, muro d. a sin. Vestita di lungo chitone biancastro con leggiera tinta nel rosso o lila e di una clamide che affibbiata sulla spalla d. copre quel braccio fino alla mano, che porta un basso canestro contenente un oggetto coperto di panno rosso, im kaaiha- ros ed un' oenochoe, ambedue di bronzo. La d. e appoggiata ad un tirso, la testa cinta di una folta Corona di edera ; porta orecchini. Cammina v. sin., rivolgendo la testa e lo sguarde a d. II contegno dignitoso, 1" espressione seria e nobile del bei viso dal naso lungo e leggermente curvato, anche il vestito piii composto e chiuso, di- stinguono decisamente questa donna dalle altre tre, e la fanno com parire la principale.
134, muro d. a sin. Lungo chitone verde che retto sulle spalle da piü fibbie pure scivola dalla spalla d., ove pare che una fibbia, la piü prossima al collo, sia stata sciolta ; manto giallo sidla spalla sin. e avanti alla parte inferiore della persona. La sin. porta un piatto con vari oggetti, fra cui si distinguono una pigna, una ghir- landa e due piccole tiaccole o candele, la d. abbassata un' oenochue. La chioma bionda cinta di foglie lunghe ; orecchini. Cammina v. d. rivolgendo la testa e lo sguardo a sin.
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135-138, accauto agli scompartimeati medii dei muri liiughi; 135, muro sin. a sin., 136 a d.; 137 muro d, a sin., 138 a d. Amaz- zoni, il cui contegno fiero e provocante contrasta spiccatamente con qiiello tranquillo e serio di 131-134. Anche i colori sono piü vi- vaci. Portano tutti il berretto frigio, chitone corto, fino alle ginoc- chia, che nella parte inferiore, mosso dal vento, svolazza fortemente in dietro, e stivali alti. Tutte hanno orecchini ; portano nella d. la scure, al braccio sin. la pelta.
135. II chitone giallo con margine chiaro fra il verde ed il turchino lascia libera la parte d. del petto. Della pelta, dietro la spalla sin., si vede il lato iuterno e piccola parte dell' esterno, che e giallo. La scure alzata nella d. abbassata.
136. Berretto rosso ; chitone Celeste aflibbiato su ambedue le spalle. La pelta, avanti al petto, e rossa con largo margine giallo :
nel campo rosso un ornamento vegetale scuro ; la scure abbassata a sin.
137. Vestita, a quanto pare (e la meno conservata) tulta di bianco; sono bianchi anche il berretto e lo scudo, del cui lato
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esterno si vede uua piccola parte. Cammina, e anivata da sin. e in atto di volgersi verso lo spettatore. II chitone - mi sembra che sia bianco con niargine giallo-chiaro - lascia libera la parte d. del petto ; la scure e appoggiata al gomito.
138, Berretto rosso, chitone verde affibbiato siille spalle. La pelta sta dietro il braccio sin. infilatovi verticalmente ; del lato esterno e visibile una parte soltanto, ma pare che sia tutto giallo. La scure e abbassata.
139, mnro di fondo a sin. Bellissima figiira di Baccante. Pro- cede verso chi guarda, col piede sin. avanti, e volgendo la testa coronata di vite a sin. regge nella sin., alzata all'altezza della spalla, il timpano, che ella suona con la d. Ha braccialetti ai polsi. La veste, sorretta dalle spalle, fa fondo, svolazzando, alla parte superiore della persona e copre le gambe.
140, muro di fondo a d. Giovaue Satiro ignudo che alza la sin. in atto di dnoaxonevsiv.
Senz' alcun dubbio le piccole rappresentanze su fondo nero, che a guisa di fregio e a due altezze si vedono frapposte fra lo zoc- colo e la parte media delle pareti - scene mitologiche, Psiche che colgono tiori, Amori in varie occupazioni - sono la parte la piii interessante di tutte queste pitture, sia per la ricchezza e novitä dei soggetti, sia per l'arte che si rivela nella invenzione e nei concetti artistici delle figiire, sia infine per la maniera della ese- cuzione. Quest' ultima e comime a tutte queste rappresentanze, ed e r esempio il piü perfetto. fra le rappresentanze figurate, di cid che in un recente scritto (cf. Mitth. 1895 p. 227 sgg.) e stato cliia- mato « illusionismo " , di quella tecnica che non eseguisce perfet- tamente e minutamente le figure, le forme, modellandole per mezzo di luci ed ombre, ma mette gli uni accanto agli altri tratti di pennello, macchie di vari colori, senza sfumature, in modo da pro- durre soltanto nell'occhio di chi guarda da una certa distanza l'eftetto di ciö che si vuol rappresentare. E quest' eifetto e ottenuto nel caso nostro con somma perfezione e con una sicurezza infallibile. Non credo che fra le altre pitture fin qui ritrovate in Pompei vi siano opere del medesimo artista. Per abilitä gli si puö paragonare soltanto quello della casa di Castore e Polluce. Per la tecnica suddetta forse le rappre- sentanze mitologiche sono piü caratteristiche delle altre. II Toante del n. 141, l'Apollo del n. 142 sono in questo riguardo veri capolavori.
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Di scene mitologiche ve n' erano quattro ; ma e distnitta quella a sin. dello scompartimento medio del muro sin. Souo larghe 0,58. Si possono paragonare con Heibig 1261 b, ove il niito dei Peliadi e rappresentato similmente con piccole figiire in im fregio di colore sciiro. Ma ivi la rappresentanza e monocroma o quasi, laddove qui ogni cosa e resa nel suo vero colore, e con coloii vivaci.
141, miiro sin. a d. Oreste, Pilade, Iligenia e Toante. A sin. il gruppo di Oreste e Pilade. Oreste (manca la testa e le spalle) , niido, meno iina veste rossa che giace sulla coscia sin., e seduto V. d. sopra l'altare (?) verdastro, preceduto da im gradino, sul quäle egli mette il piede sin., mentre il d. e steso piii innanzi, avanti al gradino. Poggiava la testa sulla mano sin., il gomito sin. sulla
mano d. posta sopra una base, alla quäle dall' altro lato sta appog- giato Pilade (v. sin.) vestito di clamide verde. Egli mette in alto il piede d. (nascosto dietro la base) e poggia il mento sulla mano d., l'avambraccio sin. sulla base ; la testa e rivolta a d. verso le persona seguenti. Nel mezzo del quadro Ifigenia, camminando v. sin., si e fermata or ora per spegnere con la d., sopra una pietra posta per terra fra lei e Pilade, imafiaccola; porta l'idoletto dorato - di cui non si distinguono particolari - appoggiato alla spalla sin. E vestita di Chitone bianco con striscia verticale paonazza davanti e di im manto bianco che copre la spalla sin. ed il ventre, raccolto sul- l'avambraccio sin. Eivolge la testa a d., parlando evidentemente a Toante. Una donna molto piccola (a d. v. sin.) le porta con la d. lo strascico della veste e tiene alla spalla sin. un oggetto di un colore fra il giallo ed il paonazzo, che potrebbe sembrare un pic- colo scudo, se non avesse una forma un po' irregolare, con una
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sporgenza nella parte inferiore. AU' estremitä d. del qiiadro Toaute, iu luugö Chitone color lila dalle maniclie lunghe, veste gialla a guisa di sciallo ed alti stivali, e sediito v. sin. sopra iin sedile a guisa di sella curulis ma con bassa spalliera, coperto di im cu- scino verde. Mette il piede d. sopra iino sgabello, il sin., ritirato, per terra, e appoggia ambediie le mani ad un corto scettro. I piedi del sedile finiscono superiormeute in busti di animali, che perö non possono defiuirsi piü esattameute.
142, muro d. a sin. Apollo dopo l'uccisione del Tifone. A sin. del centro Xomphalos, color marrone, posto sopra un plinto qiia- drato e coperto dalla rete bianca {agrenon)] iutorno ad esso si avYolge il dracone; la sua testa sta a d. per terra in iina pozza
di sangue. Dietro Xomphalos una colonna di colore osciiro, alla quäle e legato il turcasso rosso e l'arco di color chiaro. A sin. un bei toro bianco, v. d., che rivolge la testa verso una donna ve- stita di Chitone turchino e veste gialla anuodata intorno alla vita, coronata di foglie, che gli sta al fianco sin., con la lunga bipenne alla spalla sin., e con la d. gli aft'erra il corno sin. La testa della donna, vista di protilo, e alzata, e Tocchio, largamente aperto, di- retto verso le persone a d. daWomphalos : sembra che parli a loro- Souo dessi prima un uomo, si puö dire un sacerdote, imberbe, coronato di foglie, in lunga veste bianca, nella quäle e avvolto anche il braccio d. con tutta la mano. II suo atteggiamento esprime una forte sorpresa e quasi spavento. Sta v. d., ma il suo viso e volto a sin. verso il gruppo del toro, con l'espressione di chi guarda attentamente un fatto insolito e con ansieta ne aspetta l'esito. E espressivo specialniente il movimento delle braccia : il d., entro
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la veste, e fortemente coiitratto, col gomito allontanato dal fianco e la mano (certo col piigno cliiiiso) alzata avanti al petto ; la mano sin., che appena esce dalla veste, e alzata fiiio al gomito (che rimane attaccato al fianco) e aperta con le dita spalancate in modo da mo- strare la pianta. Si direbbe che intorno a quel toro succeda qualche miracolo. Segne Apollo, nudo, meuo la clamide rossa che fermata con fibbia d' oro presse la spalla d. gli svolazza dietro il dorso, con sandali. La testa e cinta da una Corona di foglie gialle e circondata da nn nimbo azznrro. Sta nella nota posizione del citaredo, met- tendo avanti v. d. con nn gran passo il piede sin. e piegando nella stessa direzione l'intera persona. Tocca con ambedue le raaui le sei corde della lira che gli sta al fianco sin., volgendo la testa a sin., con espressione ispirata. All'estremitä d. del quadro Artemide, in Chitone verde e clamide gialla sulla spalla sin., i piedi mnniti di alti stivali, il turcasso sul dorso, sta v. sin. appoggiata con l'avambraccio d. sopra una bassa colonnina. La mano d. tiene nna hmga lancia, poggiata con la punta a terra. Apple della colonnina, fra essa e Apolline, giace per terra un ramo che puö credersi di ulivo. La dea guarda tranquillamente a sin., mostrando la testa di profilo.
143, muro d. a d. Agamennone che nccide la cerva di Diana. Nel mezzo un altare scuro in forma di una bassa colonna; sopra
un rialzo sulla sua superficie, intorno al quäle e posta una ghir- landa, arde il fuoco. A sin. sta, rivolta all'altare, la cerva bianca, e dietro di essa una donna (v, d.) in chitone turchino affibbiato snlle spalle e veste color lila annodata intorno alla vita. Porta sulla sin., avanti al petto, un piatto, nella d. protesa un Jcaatharos,
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che ella regge alla soniraitä di im mauico e lo incliiia come per versare siil dorso deH'auiniale: la testa, cinta di foglie, e vista di profilo, lo sguardo diretto tranquillamente a d. verso le altre persone. Dietro di lei, sopi-a una bassa colonna di colore sciiro, alla quäle, al disopra di ima testa di cinghiale che sporge v. d.. souo attac- cati l'arco di color chiaro ed il turcasso rosso, sta iin' immagine dorata di Artemide, con corto chitoiie e Corona dentata, che nella sin. abbassata regge l'arco, e con la d., sopra la spalla, prende una freccia dal turcasso. A d. dell'altare un uomo riccamente ve- stito ed armato s' avanza con passo concitato da d. e dal fondo verso r altare, protendendo nella d. una spada, con la punta in su ; la sin., accanto al tianco, reo-ge il fodero. La sua testa. dalla ricca chioma bionda e barba corta, e rivolta, con truce espressione, a d. verso nna douna coronata di foglie, cui una veste gialla col margine azzurrognolo, sorretta dalle braccia, copre il dorso e le gambe, lasciando nuda la parte anteriore della persona. Ella porta sulla sin. uu piatto, alza con gesto di spavento la d. fino al go- mito alquanto allontanato dal fianco, e con un gran passo fugge a d. e verso lo spettatore, guardando con espressione di sdegno e di spavento l'uomo suddetto. Quest' ultimo ha intorno alla vita un largo cinturone color lila, al disopra del quäle due strisce blanche passano sopra le^spalle e rlnchiudono in mezzo al petto un orna- mento (maschera?) in campo verde. La parte superiore delle braccia ed il veutre son difesi da un' armatura a strisce, bianca. Sotto tutto questo comparisce, alle braccia e sotto il veutre, un chitone tur- chino. üna clamide rossa. affibbiata avanti al petto, scende sul dorso. Intorno al cinturone e messa la corda, turchina, che regge il parazonio. I piedi sono muniti di alti stivali bianchi,
Non mi par dubbio che quest' uomo sia un re. Egli irrompe nel sautuario di Artemi de per compiere qualche fatto di sangue, al quäle pare difficile che sia estranea la cerva bianca. Non trovo nella mitologia un fatto che corrisponda a questa rappresentanza all' infuori dell' uccisione della cerva sacra di Artemide per parte di Agamennone, la prima origine di quella serie di fatti, il cui ultimo membro e rappreseutato nel quadretto 141. Veramente il fatto non e mai raccoutato proprio in questo modo: Agamennone uccide cacciando la cerva sacra di Artemide (Hygin. fab. 98); e qui evidentemente non si tratta di caccia. Non e mai detto che
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egli la uccide iiel santuario. Perö, siccome la tradizione letteraria intorno alla colpa di Agameuiione e estremameute povera - quella üguiata manca del tutto - e le poche notizie che se ne hanno quasi tutte si contradicono fra loro, cosi iion piiö recar meraviglia d' incoütrar qiü, con ima niiova testimoiiianza, questa volta figurata, anche iiiia versioue del mito iin poco difterente.
144, 145 muro sin. a sin. e a d., 1. 0,51 ; 146 muro di fondo a sin., 1. 0,59; 147, 148 muro d. a sin. o a d., 1. 0,51. Psiche che colgono fiori. Sono tre in ogniiu quadretto, con ali parte di farfalla, parte di pipistrello, vestite alciiue pienamente con Chi- tone e manto, altre del solo chitone affibbiato sia sopra ambedue le spalle, sia sopra iina sola; qiialcuna infine uuda, meno il manto
che copre la spalla sin. e le parti inferiori. Sono coronate di fiori meno che in 145 e colgono i fiori ognuna nel suo kalathos\ sol- tauto in 145 la scena e differente. E ammirevole la grazia e natu- ralezza dei loro movimenti fanciiiUeschi, piü ammirevole ancora r arte con la quäle il pittore ha saputo variare il soggetto per se stesso un po' uniforme. E questa varietä egli l'ha ottenuta dando alle Psiche tipi difterenti : sono tutte Psiche, cioe fanciulle alate ; raa queste fanciulle alate fanno le parti di persone di etä e di con- dizioni differenti, e questi varii tipi traspariscono nel modo piü gra- zioso sotto il tipo comune a tutte. Nel n. 147 sono vere fanciulle, nel 148 giovanette quasi adulte. Nel n. 145 rappresentano uua signora che con due ancelle e andata a coglier fiori; ella stessa si e portato un basso canestro col manico ad arco, le ancelle ognuna
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im alto kalatlios; arrivate nel giardiao la siguora si e messa a sedere sopra uno de' due kalathi rovesciato e, uel momento rap- presentato, si volge a d. per cogliere im tioie da ima pianta che le sta vicina. SiiU" altro lato della stessa pianta la serva di cui ella ha preso il kalathos, coglie i fiori nella clamide, reggendola con la d. A sin. l'altra serva, col ginocchio d. a terra, coglie nel suo kalathos i fiori di iin'altra pianta. I nn. 144 e 140 sono mal conservati. del tiitto irriconoscibile il qiiadretto sul muro di fondo a d.
149-159. Amori e Psiche in varie occupazioni. Erano in tutto 15 scompartimeuti : due sul muro d' ingresso, cinque sopra ognuna delle pareti laterali, tre su quella di fondo. Ma sul muro sin. di uno solo, a d. del ceiitro, rimane un frammento, questo perö ben conservato, Degli altri sono magnificamente conservati quelli del muro d. e quello del muro d' ingresso a d. per chi entra, malandati quelli del muro di fondo e del muro d'ingresso a sin. Qui piü ancora che nelle Psiche che colgono fiori si dimostra la somma valentia dell'artista nel rendere unitamente al tipo comune de" fanciulli alati i varii tipi delle persone da essi rappresentate ; il contadino, il lavorante, il signore, la signora, la serva, Toste, tutti questi tipi si riconoscono in modo indubitabile. E ciö di- stingue essenzialmente questa serie dalle altre simili fin qui cono- sciute (^). ün altro pregio di questo artista consiste nella somma maestria con la quäle egli sa rendere nelle sue figure delle mo- venze in parte complicate e difflcili, in parte delicate ed espres- sive; p. es. quando dietro il carro di Bacco un Amorino procede ballando con mosse vivaci e nt^l tempo stesso porta sulla spalla un vaso grande e pesante, per il quäle egli deve stare attento a non perder requilibrio; o quando nella fuUonica uno soUeva con le mani un panno finissimo per dargli aria, ma nel tempo stesso sta attento a sollevarlo con somma delicatezza per non fargli pren- dere delle brutte pieghe. Di tutto questo non mancherä l'occasione di rilevare altri esempi descrivendo le singole scene, alle quali ora ci rivolgiamo.
{}) Serie di Ercolano, Heibig 753 ed i nn. ivi citati. Macello, Helbig 777, 800. Casa di Lucrezio, Helbiir 757 ed i nn. ivi citati. Casa di Cissonio (VII, 7, 5), Sogliano 353. 364. 3G6. 400. 401.
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149, siil muro d'ingresso, a sin. per chi entra, 1. 0.26 (il fondo). Diie Amori; quello a d. (v. sin.) tiene sotto al braccio d. imanitra, della quäle e visibile la sola testa. L'altro, quasi di fac- cia, si piega in avanti e, teneado i gomiti presse i tianchi, pro- tende le avambraccia con le mani aperte per acchiapparla quando il compagno la lascerä fuggire.
150, muro d'ingr. a_d., 1. 0,70. Altro giuoco di fanciulli. Due Amori, v. d., tirano sassi ad una tavola di legno che un terzo ap- poggia ad un pilastro quadrangolare, e sulla quäle si vedono le im- pressioni di molti sassi. Di que' due uno sta in piedi, l'altro. piü di scosto dal bersaglio, sta a cavallo sul dorso di un compagno, reggen- dosi con lasin. alla testa di questo e alzando la d. per tirare. Quel-
^ l'altro che lo sorregge, ha, per star fermo. messo il piede sin. avanti e con ambedue le mani si appoggia a quel ginocchio. E egregia- mente espresso lo sforzo dell' uno per star fermo, dell' altro per non perder 1' equilibrio mentre tira. Un quarto sta ritto a d. del pilastro, in attitudine triste, con la mano d. chiusa, avvicinata all' occhio. Evidentemente egli ha tirato male e sta in penitenza. Certo perö la sua penitenza non deve consistere solo nello star fermo in quel posto. In questi giuochi, ne' quali si faceva a gara in qualche esercizio, il yincitore fu chiamato re, ßaaiXevc, il vinto öVog, asino, perche egli doveva portar sul dorso i compagni. Ed e questa la penitenza che aspetta anche quello che ora sta fermo presso il bersaglio.
151, muro d., all' estremitä d., 1. 1,15. Amori fiorai, cioe fab- bricazione e vendita di corone di rose. La rappresentanza si di- vido in tre scene. Cominciando da d. vi e prima il giardiniere che porta in cittä le sue rose. Egli stesso, ben caratterizzato dalle forme robuste, dalla carnagione rosea si, ma nella quäle traspare quella abbronzita del contadino. dalla camminata energica a grandi passi, con la frusta nella d., si tira dietro un gran caprone, che rappresenta 1' asino del giardiniere e porta su ciascun tianco una cesta piena di rose. Dietro al caprone corre, con le gambe piegate nel ginocchio, il liglio del giardiniere, rappresentato da un Amore piü piccolo, di carnagione scura auch' egli, vestito di corto Chi- tone color lila ; porta sulle spalle, appesa ad un bastone, una cesta ricolma di rose. Per non restare indietro ha atferrato con la d. il caprone. La scena seguente mostra la vendita all'ingrosso. Ne forma
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il centro uiia grande tavola di mariiio sorretta dai iioti trapezofori a busti di grifoni sovrapposti a zampe di leoni, siilla quäle gia- ciono corone, cioe corte ghirlande cou nastri alle estremitä. a giiisa di tenie, di rose. II venditore. ritto dietro e a d. della tavola, ne porge coa la d. diie ad im compratore ritto all' angolo anteriore a sin., che giä ne tiene in mano due. A sin. nna Psiche nuda (v. d., le gambe son distrutte) - una iuserviente, penso, del negozio - e occiipata a mettere corone in un cofauo piuttosto grande, desti- nato senza dubbio ad esser portato in casa del compratore. E egre- giameute caratterizzato il compratore : com' egli sta li dritto e franco, con le spalle buttate indietro. e evidente che egli nou ha a che fare con i fiorai, ma e un giovane siguore elegante venuto per fare un acquisto. La terza scena, fabbricazione e veudita al minuto. e mal conservata. Ne formano il centro due pilastri verdi. congiunti da un architrave, ad ognuno dei quali e attaccato un lungo rastrello. Ai denti di questi (non a tutti perö) sono appese corone (come sopra) di rose. Vi stanno intorno quattro persone La prima, una Psiche dalle ali di uccello, che ha le gambe co- peiie di una ^-^ste verde e sta seduta v. sin. sopra un lungo ed alto sedile dai piedi incrociati, e occupata con ambedue le mani ad intrecciare una ghirlanda appesa al rastrello. formata non nel modo solito, ma in guisa di mazzetti distanti un poco 1' uno dal- r altro. Un basso tavolino coperto di rose sta a sin., fra essa e la figura seguente, che e un Amore seduto v. d., poco conservato, occupato anch'egli di queste rose. Segue un altro Amore seduto V. sin., che alza la d. col medio e 1' indice stesi verso 1' ultima figura a sin., una Psiche cioe dalle ali di pipistrello, vestita di Chitone chiaro e manto verde raccolto intorno ai lombi, che arri- vando da sin., con un piatto sulla sin., prende cou la d. una delle corone appese al rastrello. Certo ella vuole acquistarla per un sa- crifizio (ciö e indicato dal piatto), e 1' altro col gesto suddetto le indica il prezzo di due assi. Ella ha il suo tipo a parte : come cammina presto, come alza la testa per guardar le corone e come camminando ancora stende la mano per afferrarne una e doman- darne il prezzo. infine da tutto il suo portamento traspare chia- ramente che questa qui non e una signora ma o una serva o almeno una donna di modesta condizione. Cfr. per questa terza scena Heibig 799. 800 ; Sogliano 364 {Ärch. Zeit. 1873 tav. 3, 2^) e
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gli ultri monumenti riimiti dallo Jahn, Abh. d. sächs. Ges. d. W. V p. 315 sgg. tav. VI.
152, a sin. di 151; 1. 1,25. Fabbricazione e commercio del- l'olio. A d. il niedesimo strettoio rappresentato nella pittura er- colanese Heibig 80(3 (riprodotta anche presso Jahn, Abh. d. sächs. Ges. d. W. V, tav. VI, 2 - cfr. p. 311 - e Blümner Technol. I, 341, i quali lo prendono per uno strettoio di vino, errore che viene ret- tificato dalla pittura nostra) ed in quella della casa di Cissonio, Sogliano 366 {Arch. Zeil. 1873 tav. 3, 2''). Si riconosce perfetta- mente come fondo dello strettoio quella pietra quadrangolare bianca con incavo circolare sulla superficie e becco in un lato, della quäle alcuni esemplari, di « travertino » , furono trovati a Pompei : vd. Ruggiero, Della eruzione del Vesuvio nell' anno 79 (in : Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio, Napoli 1879), tav. III, 2, pag. 8. Sopra questa pietra stanno, parallele ai due lati normal! a quello del becco, due grosse pareti di legno, fermate sulla pietra non si sa come, congiunte, poco sotto il loro m argine superiore, da una grossa tavola orizzontale. AI di sotto di questa ognuna delle due pareti e perforata da una larga apertura, che vertical- mente si estende fin sulla pietra. In queste aperture entrano con le loro estremitä quattro tavole, che dunque stanno parallele a quella piii grossa in cima, ma sono mobili, laddove quella sta ferma. Negli spazi rimasti fra queste cinque tavole sono infilati cunei di legno, e sotto 1' infima di esse sono collocate le ulive. Due Amori con lunghi martelli stanno battendo a tutta forza su quei cunei, ed e chiaro che internandosi essi sempre piü fra le tavole, e stando ferma quella in cima, 1' infima e spinta in giü e preme sulle ulive. L' olio si versa in un largo bacile bianco, posto sotto al becco. Piü a sin., sopra un basso tripode di ferro, sotto il quäle e acceso il fuoco, e posto un bacile della stessa forma pleno di olio, che una Psiche dalle ali di farfalla, seduta a sin. (v. d.), mescola con un ordegno tenuto in ambedue le mani. Si noti che anche nella pittura ercolanese, Heibig 806, 1' olio si me- scola in un recipiente posto sul fuoco; in Sogliano 366, e distrutta la parte ove si dovrebbe vedere il fuoco ; ma ivi pure 1' olio si mescola in un recipiente. Seguono a sin. due Amori nudi meno una veste cinta intoruo ai lombi, ritti intorno ad un grande reci- piente bianco (si pensa a « travertino ") in forma quasi di un
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kaiathos, pleno di olio, che essi mescolano con un lungo bastone ognuno. L" ultima scena a sin. e la vendita dell' olio. Questo e con- servato in recipientl di vaiie grandezze, riposti in due mobili. Primo (da d.) una cassa a quattro piedi, aperta supeiiormente. Vi si distinguono dentro, presso 1' angolo posteriore a d., 11 collo di una bottiglia grande e un piccolo e snello balsamario di vetro. Un Amore rltto dletro questa cassa ne ha levato una bottiglia (del tutto si- raile a quella trovata piena dl olio nella casa VIT, 15, 1.2 e con- servata nel Museo di Napoll), ed ora sta fermo guardando i due Amori ora descrlttl. Sulla cassa e posta una bilancia, la cui asta e poco piii lunga del lato della cassa stessa, e (cosi pare) un ro- tolo di papiro quasi della stessa lunghezza. Che 1' olio si vendesse a peso, lo conferma un' iscrizione graffita sulla parete sin. del ta- blino della casa adiacente a N:
XIII K FII OLI P DCCC XXXX
Qui e ricordata la compra o la vendita di una grossa partlta dl olio, 840 llbbre. L' altro mobile, piü a sin., e un alto armadio con porta a due battenti, sorretto da quattro zampe di leone e sormontato da un fastiglo. Neil' interno tre tavole formano quattro divisioni, nella superiore delle quali sta una statuetta di Venere (?) appoggiata ad una base o colonnina. Nelle rimanenti si distinguono bottiglie ed altri recipientl di varie forme. A sin. dell' armadio un baclle, simile ai sopradescrittl, sta sopra un sostegno di ferro a quattro piedi: posslamo credere che in esso si conservi una qua- litä piü ordinaria. Segue il venditore (v. sin ), uudo ma ornato di collana e di anelli ai piedi ed ai polsi; porta sotto il braccio sin. un recipiente rossastro dal collo stretto, dal quäle egli con la d., mediante un ordegno dello stesso colore del vaso, ha cavato una prova per offrirla alla compratrice. Questa, dalle all di farfalla, sta seduta v. d. sopra un sedile di metallo dal piedi incroclati e curvi, sul quäle e posto un cuscino rosso. Essa e nuda meno una veste turchina che copre le gambe e la punta di un bastone, sul quäle ella appoggia 1' avambraccio sin. e la mano d. ; i piedi stanno sopra uno sgabello. Guarda in giü, senza dar retta, a quanto pare, al venditore. Le sta dletro, ritta in piedi v. d., la sua serva, dalle all di pipistrello, che sulla spalla d. porta il ventaglio in forma di foglia (verde con margine rosso) in clma ad un bastone piut-
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tosto lungo; e vestita di chitoue verde e manto giallo. E gra- ' ziosissimo il contrasto fra la signora elegante, seduta li in una posa comoda uel tempo stesso e composta, e la serva che sta ferma in una posizione rigida ed im po' golfa, e non osa muoversi. La vendita e rappreseutata anche, perö in modo ditt'erentu, in So- gliano 366.
153, a sin. di 152, in mezzo alla parete d., 1. 1,73. Corsa di quattro bighe tirate da antilopi. Le estremitä del circo, le careeres e la meta, sono segnate ognuna da tre alberi, che dal loro habitas possono credersi ulivi. All' estremitä d., a d. ancora degli alberi, sta im Amore, di faccia, e con la d. alzata (la sin. tiene iiua friista) saluta il vincitore, che a sin. degli alberi sta ritto siü siio cocchio, niido meno una veste a guisa di sciallo verde, con la frusta nella d. ed un lunghissimo ramo di palma siilla spalla sin. ; le antilopi stanno ferme sulla gamba sin. davauti, che in quella a sin. e anche stesa innanzi, meutre la d. e ancora alzata, per in- dicare che appimto in questo momento si fermano; alzano il collo come conscie della vittoria. II vincitore giiarda iudietro verso il secondo corridore, dalla veste a guisa di sciallo rossa, al quäle si e staccata una riiota e rotto il timone. Egli stesso, caduto sul sedere, si appoggia sulla mano d., che tiene la frusta, e stende in alto la sin. che tiene le redini. Delle sue antilopi una fugge, r altra e caduta ginocchioni con la fronte per terra : si vede che il pittore 1' aveva fatta prima col raento per terra ed il muso avanti. II terzo, dalla veste a guisa di sciallo bianca, va di piena corsa, e chiuandosi im po' indietro volge la testa per guardare il quarto, dalla veste, come sopra, turchina. le cui antilopi. invece di correr dritto, vogliono volgere a sin. ; egli si china in avanti per frustaiie da quella parte : questa mossa piuttosto complicata e espressa con perfetta evidenza. Dietro di lui vi sono i tre alberi, e dietro questi un Amore in corto chitone bianco, che lo schernisce, aprendo la mano col pollice sotto il naso; la sin., pure aperta, e stesa in- nanzi. E evidente che i quattro corridori dalle vesti verde, rossa, bianca. turchina rappresentauo le quattro fazioni del circo. La piii antica menzione della fazioue veaeta e del tempo di Yitellio, il quäle, prima di diventare imperatore e certo anche prima che fosse esegiüta questa pittura, ne era fautore (Suet. Vit. 7. Dio Cass. LXV 5, 1).
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154, a siü. di 153, 1. 1,24. Orefici. All" estremitä sin. im grosso pilastro di color scuro. Quindi due Amori che lavorano siül" incu- dine posta sopra una base quadrangolare di legno ; a d., suUa stessa base, im' altra incudine piü piccola. L' Amore a sin. regge sul- r incudine un pezzo d' oro per mezzo di una tanaglia che fra il perno e 1' estremitä che regge l'oro si allarga a guisa di cerchio. L" altro, a d., alza il martello dalF asta limga, afferrando questa con la d. presso 1' estremitä, con la sin. presso il ferro. Alla base stanno appoggiati una tanaglia piü grande e un martello piü piccolo di quelli adoperati dagli Amori. — Segue un gruppo di compratrice e venditore. Quella, dalle ali di pipistrello, e seduta v. d. sopra un sedile senza spalliera, sul quäle e posto un cuscino turchino. E vestita di un chitone trasparente ; una Teste gialla con margine turchino copre soltanto le gambe; i piedi stanno sopra uno sga- bello. Appoggia la d. sul cuscino; la sin., alzata fino al gomito, e protesa con la mano aperta - gesto di aspettativa - verso il ven- ditore, che le sta incontro, quasi di faccia, rivolto un poco verso di lei, e nella d. tiene la bilancia, che sta in equilibrio, con un oggetto d' oro suU' una ed il peso sull' altra cbppa; la sin. e al- zata fino al gomito con un gesto simile a quello della donna: evi- deutemente ambedue osservano la bilancia e aspettauo che stia in bilico. A d., sopra una base di color scuro, si erge un' asta, alla quäle sono appese due bilance, una press' a poco come quella te- nuta dal venditore, 1' altra, piü in su, molto piü grande. Sulla stessa base sta a d. un piccolo mobile a tre tiratoi, che sono aperti e con- tengono oggetti di oro ; a sin, una bassa cassetta aperta, certo con con- tenuto simile. — Ad. della base un Amore, v. sin., con anelli ai piedi ed ai polsi, nudo meno una veste rossa posta sulle cosce, sta seduto sopra un alto sedile senza spalliera, sul quäle e posto un cuscino giallo : i piedi stanno sopra uno sgabello. Egli martella sopra un' alta incudine un oggetto d' oro, reggendolo con una tana- glia. — Segue a d, la fornace, di forma quadrangolare, posta sopra una base che si prolunga un poco a sin., formando ivi un piano avanti all' apertura, che e a volta ; in cima sta una testa di Vul- cano, col pileo. All' angolo sin. del piano suindicato sta ritta una Psiche, in lungo chitone turchino che lascia nuda la spalla d.. e con la d., raediante una tanaglia come quella descritta sopra, tiene nel fuoco un oggetto d' oro che ella riscalda col cannello ferrumi-
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natorio. A d. in tine della fornace, sta sopm im rialzo, v. sin., im Amore in chitone verde, che col cesello lun^jo lavora una scodella d' oro 0 dorata. Ed e espresso egregiamente com' egli, lavoraudo con certo sforzo, pure procura di tener dritta ed immobile 1' intera per- sona, facendo forza solo con le braccia, onde non scuotere la sco- della. Air estremita d. ima colouna sormontata da un vaso (sembra im calice coperto da ima patera rovesciata), alla quäle e attaccato un bastone.
155, a sin. di 154, all' estremita sin, del muro d., 1. 1.14. Fulloni. A sin. due corte pareti di legno, terminate superiormente a guisa di cornice, sono congiunte, vicino al suolo, da un piano col margine rialzato in modo da formar qui una specie di vasca, nella quäle due Amori calpestano le stoffe nel modo stesso come nella
nota pittura Heibig 1502 (vd. p. es. Overheck Poiiipeji \ p. 392); alla parete sta appoggiata, esteriormente, un' anfora. A d. giaciono per terra stoflfe di vari colori. A d. ua Amore in corta tunica bianca, che lascia nuda la spalla d., ritto v. d., rialza sopra un tavolino, come per darle aria, una stotfa giallo-scura ; fu giä rilevata sopra (p. 72) la delicatezza con la quäle egli la muove. Quindi a d. fra due pilastri, o piuttosto corte pareti di legno, e steso sopra un bastone traverso un panno giallo-chiaro, che un Amore-fullone, ve- duto dalle spalle, vestito di tunica gialla, e occupato a scopettare con una scopetta quadrata. A d. un basso sedile dal piano a rete, dal quäle si e alzato or ora un Amore nudo, che porta v. d., steso sopra le mani avanti al petto, un panno turchino. E egregiamente espresso com' egli. camminando pian piano e quasi fermando il passo, esamina, guardandolo attentamente, il panno, che egli certo deve consegnare alle due Psiche che piü a d., quasi di faccia, un poco
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V. d.. stanno sedute sopra sedili (o im sedile ?) molto alti e met- töno i piedi sopra un grandissimo sgabello di color giallastro, che poggia SU quattro piedi e in realtä dovrebbe essere alto uon nieno di m. 0,70; e disegnato con prospettiva sbagliata, come se fosse piü alto deU'occhio di chi guarda. La prima di queste donne esa- mina, tenendolo contro la luce, im pauno rosso ; e benche il viso non sia che ima macchietta, pure dall' atteggiamento dell' iutera per- sona appare nel modo piü evidente ed indubitabile la somma at- tenzione con la quäle ella guarda. L' altra guarda con eguale atten- zione, chinandosi in avanti, un panno scuro che le giace sulle ginocchia e del quäle pare che stenda una parte con tutt" e due le mani. Chiude la rappresentanza a d. una Psiche nuda meno una veste color marrone che copre le gambe, seduta v. sin. e verso chi guarda sopra un sedile dai piedi divergenti posto sopra un alto sug- gesto simile allo sgabello suddetto, preceduto da un basso e stretto gradino. Ella e occupata, a quanto pare, a piegare in forma qua- drata, sulle ginocchia, un panno di color chiaro.
156, sul muro di fondo a d.. 1. 1,34, mal conservato. Le Vesta- lia. A sin. una Psiche-serva porta v. d. un piatto. Segue un' al-
tra, seduta, che mette il piede sin. sopra im oggetto bianco che, a quanto io vedo, rassomiglia, piü che ad altro, ad un altarino. Quindi quattro persone sdraiate sopra coltri intorno ad un grande vassoio giallo in forma di patera, con margine alto ; su di esso stanno im cratere, sul quäle e posto il kyathos, e due skyphoi ; a sin., per terra, una bottiglietta gialla con pancia bassa, larga, coUo limgo e manico rettangolare. II primo dei commensali, v. sin., poggiato sul gomito sin., porge un cantaro alla Psiche seduta; al disopra di questi due si vede un asino che, a quanto pare, guarda giü sul cantaro. II seguente (mi sembra maschio), veduto quasi di faccia, ha le mani giunte ed appoggiate sulla coltre avanti al petto. II terzo ha il braccio d. posto sulla testa, e pare che sulla sin., appoggiata sul gomito, regga una patera. L' ultimo, seduto v. d . da da bere ad
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un asino. A d. di qiiesto uno che porta qualehe oggetto ; all' estre- mitä d. tigure ed oggetti non riconoscibili. Cf. Heibig 777.
157, a sin. di 156, in mezzo al muro di fondo, 1. 1,83. Ven- demmia. E qiiesta la piü estesa e la piü ricca, ma pur troppo nel tempo stesso la meno conservata di queste composizioni. Nel mezzo e rappresentato lo strettoio, a d. e a sin. la raccolta dell' uva. La parte centrale, che sarebbe la piü interessante, e assai svanita. Si riconosce perö a d., un angolo del forum, e dietro di esso Xarbor col j)relum attaccatovi, alla cui altra estremitä si vedono, supe- riormente, le corde di una taglia {Flaschenmrj), per mezzo della quäle gli Amori lo alzano. Giacche, per quanto ciö possa sembrare strano, e difficile interpretare diversamente : sotto il prelum non v'e alcuna traccia sicura di corde. La corda della taglia e avvolta intorno ad un argauo, un cilindro cioe, che si muove fra due travi vorticali {stipites) e vien girato da due Amori nella nota maniera,
per mezzo di due lunghe aste che essi infilano alternativamente in buchi praticati nel cilindro stesso. Uno dei due ha girato la sua asta a terra ed ivi, poggiandovisi sopra con le mani e col ginoc- chio sin., la regge, finche il compagno abbia infilata 1' asta sua nel buco seguente. Ciö che questo or ora ha fatto ; adesso il primo sfilerä l'asta sua (veramente dovrebbe giä averla sfilata) e aspet- terä che l'altro sia giunto a terra, per infilar poi da parte sua nel buco appresso. Ma questo strettoio e fatto per uomini, non per i fanciulli alati : 1' estremitä dell' asta or ora infilata sta tanto in alto, che l'Amorino, anche alzandosi in punta dei piedi, non avrebbe po- tuto arrivarvi. Ma egli ha saputo aiutarsi : 1' ha afferrata presso il cilindro e si e arrampicato fino all' estremitä, ove adesso si regge con le mani e col ginocchio sin. e cerca tirarla giü col peso del suo corpicino. Le messe di queste due figure sono espresse con grande veritä e uaturalezza. Non e rappresentata dunque la pres- sura stessa, ma i preparativi per essa. p] probabilmente in una
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massa biancastra, pöco distinta, appie' del forum, si ha a ricono- scere l'uva riposta li provvisoriamente per essere poi collocata sotto il preliim.
La raccolta dell' uva e abbastanza conservata a sin. I tralci delle viti sono tirati fra alberi, dei quali pare che se ne vedano sei. Due Amori si reggono sui tralci stessi ; iino e montato sopra un cofano roFesciato ; uno con grande sforzo - espresso con molta naturalezza - alza una scala a piuoli che ha due volte 1' altezza sua, uno infine versa da un kalathos \ uva raccolta in un recipiente piii grande che ha la forma di un cono rovesciato. Molto meno conservata e la rappresentanza analoga a d.; si riconoscono perö i motivi delle figiire. Vi e prima (a contar da sin.) una persona (il sesso non e chiaro) seduta v. d., alla quäle un Amore, che nella sin. abbas- sata tiene un basso canestro con manico ad arco, porge con la d. probabilmente un grappolo d' uva. II seguente, veduto quasi dalle spalle, mette le mani in un recipiente^a cono rovesciato. Segue uno montato sopra un cofano rovesciato e linalmente uno (v. sin.) che porta un canestro pleno.
158, a sin. di 157; 1. 1,33. Trionfo di Bacco. A sin. dal centro Bacco (rappresentato da un Amore) e sdraiato sopra un carro a quattro ruote in guisa di dischi [tympana) tirato da due caproni (v. d.), sul quäle e stata messa, sopra una pelle di pantera (cosi pare) una kliiie senza piedi col basso fulcro avanti. II suo brac- cio d. riposa sulla testa, la mano sin., con 1' avambraccio pog- giato sul fulcro, reggo il tirso; una veste rossa avvolge 1' avam- braccio sin. e le gambe. Sul fulcro siede, presso l'estremitä sin., il cocchiere che, coronato di pino, rappresenta un Satiro. Regge con la sin. le redini rosse ed alza con la d. un bastone. I caproni si sono fermati per bere da una larga kijUx, che porge loro un Amore coronato di pino e vestito di corto chitone bianco e clamide rossa. Segue a d. un Amore veduto dalle spalle, coronato di pino, vestito di corta tunica bianca e clamide azzurrognola, che si Sforza ad al- zare una grande fiaccola ardente. II corteo e preceduto (a d.) da una Psiche-Baccante coronata di vite, col tirso sulla spalla sin., montata sopra una pantera. Dal modo come ella si regge e tiene le redini mi pare che sia montata a guisa di donna ; perö una la- cuna nell intonaco non permette di verificarlo. AU'estremitä d. del quadro una fiaccola con la parte accesa (cosi pare) in giü sta ap-
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poggiata ad un pilastro o tronco (molto svanito: la siiperficie h obli- qua) cinto da una ghirlanda. Rostano a menzionare due figure che segiiono a sin. dietro il carro. Prima Pane itifallico, dalle gambe caprine, con coda e corna, che piegaudosi forteraente in dietro suona la doppia tibia: l'unica figura in tutte qiieste scene che non sia Amoie 0 Psiche. Dietro di lui un Amore coronato di vite porta sulla spalla sin. iin gran craterc, reggendolo con la mano al margine, nella d. abbassata una corta fiaccola accesa. Egli procede a passo di ballo, alzando fortemente la gamba sin.; ed e mirabilmente espresso il movimento complicato di chi balla Aävacemente e uel tempo stesso. col peso che porta, deve badaro a non perder 1' equilibrio.
159, sul muro sin., a d. del centro; frammento 1. 0,55. L'oste. A sin. stanno appoggiate alcune anfore ; ne conto sette, e mi par probabile che la parte mancante a sin. (0,22) fosse tutta riempita
di altre anfore. A d. di esse sta il compratore, di profilo v. d., vestito di clamide bianca, con un fino bastone nella sin. Protende la d. per ricevere la tazza bianca con vino di colore scuro, portagli dal ven- ditore, che gli sta incontro vestito (cosi mi sembrö) di una pelle di auimalc, gialla, con macchie blanche, affibbiata sulle spalle e cinta sotto il petto. Ha nella sin. abbassata un bastone fino che finisce come in un nodo: potrebbe essere un simpuhim dal manico molto lungo. E reso perfettamente il contrasto fra 1' attitudine elegante e disinvolta del compratore (che rassomiglia molto a quello delle corone : pag. 74) e quell a alquanto goffa e materiale dell' oste. Dietro quest' ultimo due suoi garzoni, nudi, versano da un' anfora in una tazza uguale a quell' a'^tra. Hanno posto 1' anfora orizzontal-
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mente sopra una bassa base, verde, con la bocca a sin. Uno, dietro la base, la regge con tutt' e due le mani alla pancia, 1' altro, a sin., pogs^iato sul ginocchio d., con la sin. afferra il manico dell' anfora per inclinarla, con la d. regge la tazza sotto la bocca. E egregia- mente espressa 1' attenzione con la quäle quel primo guarda da sopra alla bocca dell' anfora per osservare che 1' inclinazione sia giusta. Segne a d. im Amore nudo volto a d., del quäle manca la testa e la parte anteriore delU persona ; dietro di lui si scorge la parte sin. di una bassa base (?) di colore scuro. II resto del quadro (m. 0,47) e perduto.
160, nel carapo rosse del muro d'ingresso, a sin. per chi entra; manca la parte inferiore; a. la p. cons. 0,33, 1. 0,45. Ermafrodita
6 Sileno. La forma del quadro e irregolare in questo modo : | |— '
II margine inferiore cioe stava all'altezza deH'architrave della porta fra q e r; Q siccome quel tratto di muro e molto corto, cosi per dare al quadro dimensioni non troppo meschine si e allargata la su- perticie disponibile per mezzo, a quanto pare, di una nicchia (o finestra ?) praticata appena sopra l'architrave della porta, il quäle corrisponde all' angolo rientrante del quadro. L' Ermafrodita sta se- duto quasi di faccia, con le gambe a sin. Ha il collo cinto da una collana d'oro, i polsi da braccialetti, e per unico vestimento una veste di colore indeciso, che prima gli ha coperto la spalla d. e la parte inferiore della persona (conservata fin sotto le ginocchia), ma che ora egli alza con la d., allontanata dal fianco, per mo- strare il merabro in erezione a Sileno, che gli sta dietro, e del quäle egli con la sin, afferra la barba bianca, alzando con espres- sione languida gli occhi verso la sua faccia. Sileno, coronato di vite, con manto rosso-bruno sulla spalla sin., afferra con la sin. la mano che tiene la sua barba e, guardando il membro eretto, alza spaventato la d. A d. e appoggiato un tirso. Nello sfondo al- beri, a d. una gran base e piü in dietro una torre (?) con alte aperture in tutt' e due i lati visibili.
161-166. Gruppi volanti negli scompartimenti rossi laterali delle tre pareti interne, alti circa 0,60.
161, muro d., ultimo scompartimento a d. Nettuno, a d., col tridunte nella sin., cinge col braccio d. la vita di una donna che, veduta quasi dalle spalle, ma con la testa rivolta verso lo spettatore, gli ha messe il braccio d. intorno al collo e con la sin. gli afferra
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la spalla d. Nettimo alza la gaiiiba sin., con la piiiita del piede volta in su: nota maniera di esprimcre il volo ascendente. Una veste verdastra svolazza intorno ad ambedue.
162, muro di fondo a sin. Apollo e Dafiie. II gruppo rappre- senta, o piiittosto accenna, la fiiga e riuseguimento. A sin. Dafne, in veste verde che sorretta dalla mano d. sopra la spalla d. svo- lazza dietro la schiena e copre le gambe, con sandali ai piedi, anelli ai piedi ed ai polsi, vola verso sin., schermendosi con la sin. alzata fino all'altezza della spalla e volgendo la testa e lo sguardo piü verso lo spettatore che verso Apollo. Questo le si ap- pressa da d., visto di profilo, e le mette la d. sulla spalla d. ; iina clamide di un colore indeciso, che si avvicina al paonazzo, affibbiata siü petto e sorretta dall'avambraccio sin. gli svolazza dietro, lasciando visibile quasi l'intera persona; ha sandali ai piedi; il turcasso e l'arco compariscono sopra la spalla d.; la mano sin., presso il fianco, regge due giavellotti con la pnnta in giü. — I busti di qiiesto gruppo si hanno in un medaglione di una stanza della casa VIII, 2, 21, descritto Mitth. III, 1888, p. 207, n. 5; anche quella stanza, come questa qui, deve ascriversi ai tempi piü an- tichi del quarto stile.
163, muro di fondo a d. Bacco ed Arianna. Egli, quasi di faccia, vestito di nebride e di una veste paonazza che svolazza dietro la schiena e di cui un lembo giace sulla coscia d., con stivali alti ai piedi e lungo tirso sulla spalla d., coronato di vite, cinge con la sin. la vita della donna che gli vola accanto (a d.) e gli mette la mano d. sulla spalla d. I due visi sono talmente avvi- cinati fra loro, che le fronti quasi si toccano. La posizione di lei e decisamente di chi siede, con la gamba sin. piegata nel ginoc- chio, la d. stesa innanzi in modo da incrociarsi con quelle del dio ; e chi non osservasse il piede sin. di questo, visibile accanto al d., direbbe senz' altro che ella sia seduta sulla sua coscia sin. solle- vata: motivo ovvio in gruppi di Satiri e Baccanti, Ritengo per certo che un tal gruppo servisse di modello al nostro pittore; e sembrandogli il motivo troppo satiresco, lo modificö quanto alle gambe del dio, conservando quäl' era la posizione della donna. E ciö vien confermato dal viso di Bacco, che col suo naso camuso e del tutto satiresco. Arianna e ornata di un largo diadema verde, orec- chini, anelli ai piedi ed ai polsi; una veste gialla con margine
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biancastro, fortemente mossa dal vento, le passa sotto al brac- cio sin., s'inarca dietro la schiena e copre le gambe.
164, muro d., ultimo scompartimento a sin. Perseo ed An- dromeda. Egli, a d., ha in testa 11 berretto frigio turchino, col quäle le ali alle tempie pare non siano congiunte, nella sin. abbas- sata la testa di Medusa e Vharpe, e suU'avambraccio parte di una veste paonazza-chiara con margine giallo ; del resto e nudo. Ginge con la d. la vita di lei, seduta sulla sua coscia d. sollevata : la punta del piede innalzata esprime lo sforzo. Ella stende in giü la gamba sin. e piega fortemente il ginoccbio d. per reggersi sulla sua sede poco stabile. Pone la mano sin. sulla spalla sin. di Perseo e con la d. alzata regge un lembo della veste verde con margine tur- chino che le s' inarca dietro la schiena e copre in parte le gambe ; i suoi piedi sono muniti di scarpe; e ornata di uno stretto cer- chio d' oro nei capelli, di una collana e di anelli ai piedi ed ai polsi. — II viso di Andromeda e hello, e ricorda assai da vicino quello della bella pittura Heibig 1197, ove Perseo le mostra nell'acqua r immagine della testa di Medusa ; quello di Perseo e volgare e non trova riscontro nelle altre pitture che lo rappresentano. II gruppo non e hello, assai inferiore ai Satiri e Baccanti della casa di Ca- store e Polluce (Heibig 522. 529), che sono i piü belli del loro genere : pare piuttosto di vedere qualche giuoco di circo che due esseri i quali, liberi dalle leggi della gravitazione, si muovano per l'aria. Anche i gruppi precedenti ed il seguente non stanno affatto all' al- tezza delle rappresentanze descritte prima.
165, muro d., a sin. del centro. Marte e Venere (?). Uomo e donna volano tranquillamente in giü v. d., ella piü vicina allo spettatore, egli al fianco sin. di lei. Mancano le teste e tutta la parte superiore dell'uomo, che ha sandali ai piedi e nella sin. (non conservata), due giavellotti con le punte in giü; una veste rossa e visibile fia le sue gambe e al suo fianco sin. Ella tiene al fianco il braccio d. piegato nel gomito ; una veste gialla con margine tur- chino le s' inarca dietro la schiena e copre le gambe ; porta san- dali ed anelli ai piedi.
Molto piü belli, ma pur troppo assai meno conservati sono le figure e gruppi 166-178 disposti fra le architetture della parte superiore.
166, muro sin., sopra la parte d. del penultimo scomparti-
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mento; a. 0,68, 1. 0,46. Giovano donna e Satiro, che si preparano a snoiiare. A d. la donna, pienamente vestita, v. sin., abbassa la testa ciüta di foglie per giiai-dare la cetra a 10 corde che ella sta accor- dando con la sin., meutre nella d. abbassata e leggermente allon- fanata dal corpo regge il plettro; la cetra e retta da un nastro verde, che dalla spalla d. passa sopra la parte superiore del braccio sin. II Satiro le sta di rimpetto appoggiato con le spalle alla pa- rete o ad un pilastro; ascoltando il suono della cetra egli tiene le due tibie scostate dalla bocca.
167, a d. di 166; a. 0,45. Giovane donna in chitone verde ; sta ritta, un po' v. sin., dietro un parapetto, sul quäle e posta, a d., una maschera comica.
168, a d. d. 167; a. 0,68, 1. 0,45. Poeta o attore comico vin- citore. A sin. sta ritto un uomo di alta statura, in lunga veste; la d. abbassata tiene una Corona di foglie (non saprei definire di quäle pianta), la sin., piegata nel gomito, regge la veste; e di- strutta la testa, della quäle non rimane che il contorno superiore, e il petto. A d., sopra una base che si restringe nella parte infe- riore, una maschera comica. Dietro la base un uomo in veste bianca, che lascia libera la spalla d., imberbe, di statura piü piccola e posto piü in basso, regge nella sin. un ramo di palma e protende la d. verso 1' altro come per salutarlo.
169-176, sul muro di fondo, da sin. a d.
169, a. 0,58, 1. 0,42. Sileno, ubbriaco, cade v. d.; la sin. al- zata e appoggiata al tirso, la d., che pende in giü, tiene il can- taro. Egli e sorretto da una giovane donna (Baccante) , pienamente vestita e coronata di foglie, che gli sta dietro e con le mani lo aflferra alla vita.
170, a. 0,60. Giovane donna in lunga veste, che a passo di ballo procede v. d. suonando le due tibie.
171, a. 0,70, 1. 0,38. Bellissima figura di Baccante che balla V. d. suonando il timpano. Volge la testa in dietro e nell'iuterno del quadro verso un uomo, barbato a quanto pare, che da quella parte si e avvicinato e con la sin. le allontana la veste dalle gambe. Nella d. alzata egli tiene una figurina di auimale, di brouzo a quanto pare, con le gambe in su.
172, a. 0,60. Avanzo di una figura in lunga veste, che va con rapida mossa v. d., portando sulla spalla una fiaccola.
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Manca qiiindi il gnippo o la figura centrale, e segne a d. del centro :
173. ün iiomo (Satiro ? manca la testa) v. sin., che regge sopra un parapetto con la sin. im" anfora, con la d. uno skijphoSj 6 versa dall'una nell'altro. Fa riscontro a 172.
174. Baccante, v. sin., in veste verde, che lascia libera la parte superiore della persona; porta nella sin. il tirso, nella d. protesa il cantaro. Fa riscontro a 171.
175. Satiro sdraiato per terra, v. d. ; si appoggia sulla sin. e alza la d. verso nna Baccante che gli sta incontro (a d., v. sin.) e da una patera (?) versa del vino sopra di lui. Ella, nuda la parte snperiore, porta sulla spalla sin. il tirso. Fa riscontro a 1 70.
176. A d. Bacco, con corta barba, in lunga veste, coronato di foglie di vite, con la d. alzata appoggiata al tirso, giiarda in giü sopra un piccolo Pane dalle garabe, orecchie e corna di capra, che procede v. sin., volgendo la testa in su verso Bacco e portando con ambedue le raani una fiaccola. Fa riscontro a 169.
177-178 sul muro d. a sin.
177. presso l'angolo. Poeta e giovane donna. A d. un uorao, tutto avvolto in lunga veste, sta riLto, di faccia, e con ambedue le mani regge un rotolo di papiro, toccando con una estremitä di esso il mento; la testa e molto svanita. Assorto in meditazione guarda dritto avanti a se; ai suoi piedi, a d., sta lo scrigno, col coperchio appoggiatovi da sin. A sin., e coprendolo in parte, sta seduta sopra un sedile con cuscino rosso una giovane donna in lunga veste bianca. Se vedo bene, ella incrocia la gamba sin. sulla d., appoggia il gomito d. sul ginocchio sin. e la guancia d. sul lato esterno delle dita della mano d. La mano sin. e appoggiata sul cuscino. u ovvio pensare che quest' uomo sia identico al poeta vin- citore dirimpetto, n. 168.
178. a d. di 177. Sopra un parapetto sta una maschera tra- gica. La figura corrispondente al n. 167 e perduta, come tutto il resto della parete.
La stanza r, destinata certo ad essere un triclinio, ha le pa- reti blanche e serviva, a quanto pare, negli ultirai tempi, a teuer riposti vari oggetti. Vi si raccolsero (18, 20, 23 maggio, 10 giu- gno 1895) Otto delle note cerniere di osso, provenienti certo da qualche cassa; una mauiglia di osso con ornati alle estremitä,
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limga 0,259 ; due unguentari di vetro. Della mano con un' anitra in marmo fu giä parlato (pag. 39). Ma vi si trovö aacora un' altra sciiltura in manno: im masso quasi circolare, della circonferenza di 0,557, sul quäle sono scolpiti in rilievo quattro cagnolini che Süinbrano appena nati e stanno li sdraiati, in parte uno sopra l'altro. Vi stava anche un frammento d'iscrizione: STATIVS • L ; mancano perö le parti inferiori di tutte le lettere.
A d. di (7 evvi ancora, sul medesimo lato del peristilio, il piocolo complesso s t u: un cortiletto con portico su tre lati e due s Ganze che si api-ono sul portico. L'area scoperta non e piü grande di m. 4,97X2,01; il portico aveva cinque colonne di raattoni sul lato lungo (E), due sui lati corti, del diam. di 0,21 senza lo stucco. Pill tardi, prima perö che le pareti della casa ricevessero la loro ultima decorazione., la colonna in mezzo a ciascuno dei lati corti fu congiunta col muro per mezzo di un rauro grosso 0,27 compreso lo stucco. Anche il podio che congiunge le colonne, a. 0,63, coperto superiormente di marmo grigio, e un' aggiunta posteriore. II tetto del portico era alto 3,15 al margine inferiore, 3,75 al superiore, ed era tanto ben conservato che si e potuto ricostruire suUe tracce antiche. L" area scoperta ha tutt' intorno il canale per l'acqua pio- vana, rivestito di ügninum, e nell' angolo SE una bocca di cisterna praticata in un masso di lava e chiusa da un coperchio di marmo bianco con anello di bronzo. Quei brevi tratti di muro, fra le ul- time colonne e la parete 0 , sono dipiuti, dal lato esterno, di piante, e cosi anche il podio. Nel portico il pavimeuto e di una massa or- dinaria grigia, coperta una volta da un tenue strato di stucco nero. La decorazione delle pareti e contemporanea alle altre fatte dopo il 63 — im candelabro dipinto sul muro N rassomiglia perfettamente ad uno del muro 0 del peristilio — semplice del resto e senza In- teresse : zoccolo nero, grandi scompartimenti rossi alternati con stretti scompartimenti parte bianchi, parte neri, contenenti o un cande- labro 0 un semplice prospetto di architettura o ornaraenti vegetali ; nella parte superiore i soliti concetti a fondo bianco. In ognuno degli scompartimenti rossi sono dipinti rozzamente, in monocromo, una stinge, un grifone, im cigno o un' aquila volante. Merita men- zione soltanto:
179, nello scompartimento medio del lato N, a. e 1. 0,21. Attributi di Atene. Nel mezzo un vaso, anfora a quanto pare,
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sopra una base. A d. ad una base piü bassa, coperta di un panno turcbino, sta appoggiato lo scudo dorato con la testa di Medusa; a sin. pascola il Pegaso.
180-182, fra le architetture della parte superiore.
180, muro di fondo (N) a sin., a. 0,29. Centauro che suUa spalla sin. porta una enorme clava cinta da un nastro giallo, nella d. una tenia.
181, ivi stesso a d., a. 0,23. Pane che nella sin. porta una situla, sulla d. un piatto o basso canestro.
182, sul muro d., a. 0,24. Centauro che suona il timpano. Delle due camere t e un triclinio, 4,88 X 3,50, a. almeno 5,0 ;
r ingresso e largo 2,43. II pavimento e di una massa bianca (pez- zetti di tf travertino » in istucco). La decorazione, ultimo Stile, della Serie piü recente, a fondo nero, e di poco Interesse. Vi sono perö le seguenti rappresentanze figurate.
183, quadro nel centro del muro di fondo; manca la parte superiore; a. la p. cons. 0,72, l. 0,77. Achille in Sciro, la nota composizione Heibig 1296 segg. Sogliano 572 seg. Nel primo piano giaciono per terra kalathos e chelys. Poco piü addietro Achille si muove con un gran passo v. d.; ha la lancia nella d., sandali ai piedi, anelli ai malleoli; manca la parte superiore della persona. II suo braccio d. e afferrato da ülisse, che accorre da sin., col pileo in testa, la spada al fianco, la lancia nella sin., nudo meno una veste rossa con margine paonazzo, che avvolta al braccio sin. gli cinge il ventre e la coscia d. Diomede pare che non vi fosse. A d. una donna in veste scura, con le scarpe gialle e anelli ai piedi, fugge v. d. ; mancano la testa e le spalle. Due altre donne fuggono V. sin. Una, visibile fra ülisse ed Achille, piü in dietro, in veste paonazza che copre le gambe, con sandali ed anelli ai piedi, rivolge verso il gruppo dei due eroi e verso lo spettatore la parte superiore della persona, che e nuda ; mancano la testa ed il petto; ma e conservata, a sin., la mano d., con braccialetto al polso, molto allontanata dal corpo: questa donna apriva largamente le braccia in segno di dolore. E siccome questo dolore ella sola fra le donne presenti lo mostra con tanta veemenza, cosi in essa avremo a riconoscere Deidamia. L' altra, a sin. di Ulisse, in veste bianca che cuopre la spalla sin. e le gambe, porta nella d. ab- bassata un kalathos, alza spaventata la sin. e rivolge la testa
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verso Ulisse ed Achille. Finalmente nell' angolo superiore a sin. della parte conservata comparisce sopra un parapetto il busto co- razzato del trombettiere ; il gomito d. e appoggiato sul parapetto, la mano avvicinata alla bocca; maiicano la testa ed il braccio sin. 184, nel centro del miiro d., a. 0,88, 1. 0,745. Ercole ed Auge; la nota composizione Heibig 1142, Sogliano 499 seg. coii alciine notevoli moditicazioni. A sin. Auge e la compagna in riva al ruscello occupate a lavare il peplos, che ambedue tengono con la d. Auge, poggiata sul ginocchio sin., nuda la parte supe- riore della persona, corouata di foglie e fiori, con sandali ai piedi, si schermisce con la sin. stesa da Ercole, che le toglie dalle spalle la veste rossa con margine biancastro. La compagna si e alzata, e tutta rivolta a d. stende la sin. verso Ercole per respingerlo. Ella porta sotto il chitone rossastro una veste verde con maniche lunghe e strette; auch' essa e corouata di foglie e fiori. Ercole, barbato, con la pelle di leone sul dorso e intorno al braccio sin., coronato di foglie, il collo cinto da una tenia verde, sta nelia nota posizione, la quäle rai par certo che debba indicare ubbriachezza; la sin. e appoggiata alla clava, e dal polso pende 1* arco col tur- casso; la d. alza la veste dalla spalla sin. di Auge. Gli sforzi della compagna di Auge per venirle in aiuto vengono paralizzati dalle due donne che stanno al fianco d. di Ercole : il braccio che ella stende e dolcemente e tranquillamente afferrato dalla mano sin. della donna dalle grandi ali verdi, con nimbo scuro radiato intorno alla testa cinta di foglie e fiori bianchi e rossi. Nel tempo stesso ella con la d. alza un ramo sopra la testa della compagna di Auge. II suo viso e giovanile, hello, dolce e serio, lo sguardo rivolto a sin. fuori del quadro ; veste un chitone paonazzo e verde affibbiato suUe spalle. L' altra donna, fra essa ed Ercole, in chi- tone verde affibbiato sulle spalle, coronata di foglie e fiori bianchi, ha sul petto qualche cosa come un pauno frangiato verde con la testa di Medusa ; essa con la d. porge alla compagna di Auge un cantaro. — La donna alata manca nel quadro Heibig 1142; nelle altre due repliche essa ha, come qui, il ramo, senza perö farne il medesimo uso ; 1' azione poi di trattenere il braccio della compagna di Auge in tutte le altre repliche e attribuita all' altra donna, ed e essa pure sul cui petto si vede in Sogliano 500 (vd. Ann. d. Inst. 1884 tavv. IK) la testa di Medusa. E nuovo del tutto ii
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A. MAU
motivo del cantaro. Non voglio entrar nella questione dei nomi da darsi alle due donne. Ma la loro azione e qui molto piii cliiara che nelle altre repliche: esse col vino e col sonno assopiscono la compagaa di Auge. Nello sfoiido a d. e a sin. montagne diriipate, nel mezzo im graude albero.
185-188. In ciascuno degli scompartimenti lateral! eravi un medaglione a fondo bianco, diam. 0,30, col margine formato da una ghirlauda di foglie; ne sono conservati quattro: 185, muro sin. a d. ; 186, 187, muro di fondo a sin. e a d. ; 188, mm*o d. a sin. Contengono ogniino una donna volante, vestita e coronata di foglie, che nella d. porta un mazzo di fiori, sulla sin. ora un kalathos ora un basso canestro, anche con fiori. Non sono di una stessa mano: 187 e 188 sono di gran lunga migliori, fatti con mano piü franca e sicura, piü felici nelle messe e nel panneggio. L'altra camera, u, e un cubicolo, grande m. 3,67X2,75; pare che a m. 3,96 vi sia il margine superiore della parete, al disopra del quäle poteva esservi ancora la volta decorativa; la porta e larga 1,5'. II cubicolo e congiunto, come tante volte, con l'adiacente triclinio per mezzo di una porticina; cf. Mitth. VIII, 1893, pag. 50. II pavimento e uguale a quelle di t. La decora- zione delle pareti, della stessa epoca, all' incirca, come in /, e a
fondo bianco, rozzamente eseguita. Nei centri degli scompartimenti grandi vi sono le figure 189-191, a. circa 0,25:
189, muro sin. a sin. Psiche volante; porta tirso e piatto con fiori.
190, muro sin. a d. Amore volante con pedum e lepre.
191, muro di fondo a sin. Psiche con tirso.
192, nel centro della parte superiore del muro di fondo, a. 0,44 ; manca poco 0 niente ai piedi. Figura in posizione di statua. Sta ritta, un poco v. d., la d. al- zata appoggiata ad una grossa asta in cima alla quäle sta un oggetto che non saprei definire, probabilmente un Signum militare, Porta sulla sin., alzata quasi fino all' altezza della spalla, un elmo.
SCAVI DI VOMVr.l 93
Ambediie le camere non hanno soglie, soltanto pietre appie dögli stipiti. Qiiello appie dello stipite d. di u e 1' avanzo di un' iscrizioDe; vi e inciso, con tracce di color rosso, PRIVA.
Fii troYato in s uno de' cosi detti pesi con 1' iscrizione : : EME e HABEBIS (18 maggio 1895) e un'anfora con iscrizione (31 maggio 1805).
Varie iscnzioni graflite sono tracciate siille pareti di questa casa, Sulla parete sin. del vestibolo a si legge :
1. EVTYCHIS
VGRAECAA H
MORIBVS BELLIS
Nella seconda riga si era cominciato a scrivere verna; ma dopo aver scritto VERN lo scrittore cassö (imperfettamente) la V, fece deir E nna G, e cambiö la N in AE. Ciö fii chiarito dal eh. Zangemeister, il qiiale gentilraente mi comunicö questa sua osservazione. Sopra il punto, che e piuttosto una lineetta verticale, dopo (jraeea e la prima asta (verticale) dell' A seguente evvi una linea orizzontale con due lineette verticali alle estremitä, uguale a quella sopra il segno numerale II. Forse prima della correzione era scritto:
VERN AH e fu corretto GRAECA-AH
A sin. di questa iscrizione e scritto con lettere sottilissime
2. 1 II N Gl S V II R N A
A
Non so indovinare il nome che si nasconde nella prima parte della prima riga; anche la N e incertissima. Nella seconda riga dopo A doveva seguire il numero degli assi.
Non sono nuovi simili annunzi graffiti di persone venali, maschi e femmine, con indicazione del prezzo e con la raccomandazione bellis morihus, che naturalmente deve intendersi in senso osceuo; e conosciamo cinque persone di questa specie che son chiamate verna: Bull. d. Inst. 1877 p. 181, 1881 p. 32. Certo nuUa ci
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costringe a supporre che Eutychis e qiialohe altra persona sirnile dimorassero in qiiesta casa : tali anuuuzi potevano bene riferirsi a qualche stabilimento vicino. Ma non si piiö negare che fa una strana impressione di trovar nel vestibolo questi graffiti, poi nel prothyron la curiosissima pittura n. 5 (pag. 11), nell' interno della casa una cameretta con pitture di quelle solite a trovarsi ne' lupanari (pag. 11), fra le sculture del peristilio una che essa pure per la sua oscenitä esce dall' ordinario (pag. 39, n. X), a non parlare del due volte ripetuto Ermafrodita (pag. 54 n. 102 ; 84 n. 160). Ma tutto considerato e difficile a credersi che in una casa cosi riccamente ornata si esercitasse un' industria simile, e sopra tutto ad un prezzo tanto basso.
Sulla stessa parete del vestibolo si legge ancora:
3. H Y G I A
Poche iscrizioni sono graffite siüle colonne del peristilio. Vi si legge:
4. I O S I M V S •
e poco piü basso:
AV lOSIMVS e sotto quest' ultima :
5. OC CIILII R F HCl TU in un' altra colonna :
6. CHRYSEROS. e in un' altra :
7. VITALIOVA ACTIVS COSSINIAII
MAMMII SVAII PLVRIMA SALVT
Neil' atriolo v leggesi a d. della porta di z :
8. ROMANVS OLIM PALIM AVRVM PRO FIIRRVM DIIDICA
Palim credo che sia TrdXiv, e olim palhn: « tempo fa e nuova- mente adesso » ; del resto non intraprendo ad interpretare queste pa-
SCAVI DI POMK-EI 95
role. Di una tale mescolanza di greco e latino ne incontreremo im altro esempio (n. 12). La troviamo auche in im' iscriziono scritta col cai-bone sulla parete d. dell' atrio de IIa casa adiacente a N:
9. X K NOGM
Nel nostro atriolo sul muro d' ingresso a sin. per chi entra» e scritto :
10. IIROS CINIIDAII
Sul lato esterno del muro 0 della casa, a circa m. 7 dal- l'angolo sud-ovest, e scritto con pietra rossa:
11. ISIDORVS
e a circa m. 13 dall' angolo stesso, scritto ncllo stesso modo:
12. ISIDORVS
VERNA PVTIOLANVS CVNNVLIGGETIIR CCTE R
Neil' ultima riga e chiara soltanto 1' ultima lettera ; la seconda potrebb'essere im' E imperfetta: ceter...? La forma grecizzante cumiuliggeter puö paragonarsi col palim del n. 8.
Ivi stesso si legge graffito :
13. A N I C II T VS ANI ALIIXANDIIR
Sullo stesso lato ovest dell' isola si legge dipinto in rosso il seguento programma elettorale:
14. T-RVSTICELIVM CELEREM -n vir-i -d- iter-d-r-p- cf
Altri programmi elettorali si leggono sul lato est dell' isola. Presso r angolo sud-est
15. TREBIVM VaLeNTEw et ^AVIVM • RVFVM •
viROs Bouniiiiiiiuiiiiimiiiiiiiiiiiniiiu
e a d. deir ingresso della casa fin qui descritta :
16. A TREBIVM -VALENTEM AED Cf
HILARVS KOg
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Fra r ingresso e 1' angolo, suUo zoccolo di stucco di mattoni : 17". CASELLIVM-/5c)
e sul lato opposto della strada, suU' angolo sud-ovest dell' isola a nord di VI 14:
18. CASELLIVM
/^'Cf ■ DR-P
Poco a sud deir ingresso della casa descritta, sullo zoccolo :
19. GAVIVM AED
E a sin. dell'ingresso stesso, sullo zoccolo:
20. A L B V C I V M
AED
Quattro anfore trovate in o (20 dicembre 1894, 18 febbraio 1895) hanno le iscrizioni seguenti:
1, forma IX: GVSTATICIVM
Siccome con la gusiatio, antipasto, si prendeva mulsum, vino condito con miele (Marquardt Privatl. d. Römer^, p. 323), cosi qualche cosa di simile dev' essere stato contenuto in quest' anfora.
2, forma IX: 2 D ? B V S IAN/////
DE FORMIANO-DOL XXV
3, forma IX: XV K IAN
DE ARRIANO- DOL XV
4, forma VIII: J
////MIVS ALEX////
In s fu trovata (31 maggio 1895) un' anfora di iina forma simile a III, ma col coUo piü stretto:
5: I DI BVS IaN
DE ASINIANO • MCr\ MT
DOL////I
SCAVI DI I'OMPEI 97
Abbiamo in 2, 3, 5 la meuzione di tre fondi apparteneiiti torse al proprietario della casa; pur troppo resta oscuro ciö che e stato aggiunto iu 5 al nome del fondo Asiniano. Le date souo quelle del travasamento : fiirono dijfusi /lerd rgondg y^aiiiegirag {Geopon. VII 6).
Aggiungo un' anfora (forma X) trovata nel giardino della casa conUnante a nord; vi e scritto:
6 : MARCIO • FORTVNA
L' iscrizioue o non era finita o le ultime lettere erano state aggiunte piü piccole, a causa dell'ansa che sta immediatamente dietro l'A, e sono svanite. Cosi non sappiamo se si abbia a sup- plire Fo7Himato, o Fortmiatm, o Fortunata.
Chiudo qui la descrizione di questa casa, la piu importante senza dubbio di quante da molti anni sono state scoperte. Pur troppo non e stato possibile accompagnarla cou tutte quelle illu- strazioni che ci vorrebbero per darne un' idea adeguata. Tanto piü sono lieto di potere annunciare che il prof. Sogliano ne sta pre- parando una descrizione riccamente illustrata da pubblicarsi nei Mouumenti antichi dell' Accademia dei Lincei. E giova sperare che essa possa presto veder la luce.
A. Maü.
zu MITTHEILUNGEN 1895 S. 240 ATHAMAS UND LEARHOS
S. Reinach hatte die Güte mich an die von Rossbach wie mir selbst übersehene Bronze von Pawlowsk zu erinnern, welche Ste- phani, die Antikensammliiug von Pawlowsk (in Memoires de L'Aca- demie mp. de St. PHerhowrg VII. ser. n. 4) unter N. 89. be- schrieben und auf Taf. II in zwei Ansichten publiciert hat. Nur bis zu den Hüften des Mannes erhalten, ohne dessen 1. Arm und des Knaben r. Bein, ist dieser nur 0,29 M. hohe Ueberrest, wie Ste- phani sagt ' eine genaue Wiederholung " der Neapolitaner Gruppe. Der. namentlich wegen genauer Uebereinstimmung des Kopfes mit dem modernen Kopf der Marmor-Gruppe, sich aufdrängenden Vermuthung ' dass die Bronzegruppe eine erst später angefertigte moderne Copie der Marmorgruppe sei ' begegnet St. mit der Be- merkung, dass ' der Stil und die Behandlung aller Einzelheiten nicht das geringste Element entdecken lasse, welches nicht im vollstän- digsten Einklang mit der Art und Weise der antiken Kunst stände' , un°d ' auch die Beschaffenheit der Patina, namentlich die Art, in welcher zahlreiche einzelne Theile zerfressen und beschädigt sind '. würde mit jener Vermuthung ' gradezu unvereinbar sein, und nicht weniger weist die nachlässige und rohe Anfügung der Theile. Avelche abgebrochen gewesen waren, auf antiken Ursprung hin'. Natürlich muss nun St. voraussetzen dass der Restaurator des Ciiiqueceiito die Bronze, ' deren Herkunft leider gänzlich unbekannt ist '. zum Vor- bild genommen habe, und des weiteren, dass ' der römische Künstler, von welchem die Composition herrührt ' eine hervorragende Persön- lichkeit seiner Zeit ' unter der Form eines Heros der Vorzeit ' habe darstellen wollen. Wie durchaus unwahrscheinlich, um nicht zu sagen unmöglich, die Voraussetzungen sind, zu denen St. durch den Glauben an die Echtheit der Bronze gedrängt wird, liegt auf der Hand.^ ganz abgesehen davon, dass die Composition nicht einem römischen Künst- ler zugeschrieben werden darf, sondern in hellenistischer Kunst ihre Analogien findet, ganz besonders auch für den todten Knaben, nach welchem das Werk vor allem zu beurtheilen ist. Wegen des techni- schen Befundes richtete ich eine Anfrage nach Petersburg, die bis jetzt ohne Antwort geblieben; mir scheint aber der Loberkranz allein schon die Echtheit der Bronze, wie des Marmorkopfes auszuschliessen, nach dem Gedanken wie nach der Ausführung. P.
SITZÜNGSPKOTOCOLLE
10. Januar. Mau über die Fresken der Casa nuova (Yetüovum?) von Pompeji, oben S. 3. — Petersen über den Laokoon von Reggio, s. Mitth. 1895 S. 284.
24. Januar. Hülsen über den ältesten Meilenstein der via Appia, s. Mitth. 1895 S. 298. — Mau über die testudines alveolonim bei Vitruv V 10, s. Nachrichten d. K. Ges. d. Wiss. zu Göt- tingen, Phil.-hist. Klasse 1896 S. 5. — Petersen über echte und unechte Antiken. —
Petersen presenta una testa di satiro, che si dice scavata a Corfinio, ma che moderna si riconosce dalla grossezza del metallo, dalla patina color rame scetato e friabilissima, dalla rottura del collo in linea poco naturale e con rinforzamenti lungo di essa neir interno, dagli occhi non vuoti ma ese- guiti mediante la fusione stessa. Infatti, come fa vedere nna fotografia del Fauno della Tribuna, il bronzo e cavato da una forma fatta probahilniente sopra iin calco di quella testa, anch' essa non originale ma di ristauro!
Genuino non solo ma di bella scoltura gi-eca invece si e il frammento di bassorilievo* che con gentile permesso del proprietario, dottor P. Hart- wig, si presenta: un ragazzo ignudo che sta verso sin., ove si ha un pezzo del taglio antico senza cornice. In posizione un poco incurvata con le ginoc- chia piegate e la testa (oggi mancante) inclinata il ragazzo tiene le braccia indietro con le mani giunte eV xorvkr], e vi si poggia un ginocchio di una. ragazza, pare, perche uscendo dal vestimento, e perche abbastanza tenera sembra anche la man sinistra che si mette sulla spalla sin. del ragazzo.
Si tratta quindi del giuoco della palla (v. Mittheil., 1891 p. 272), e pare la ragazza stesse per raontare, veduta dal rovescio, volgendosi a destra, in re- lazione ad altre figure partecipanti al giuoco. Alto, quando era completo, cm. 40 incirca, il rilievo con due figure sole sarebbe stato di forma quadrata, bislungo invece se ne avesse avnto di piü, fatto a scopo decorativo anziehe ex voto.
Espone poi quanto in parte fu stampato nelle Notizie d. scavi 1895 p. 458 sulla metä di una base trovata presso il tempio rotondo in piazza della Bocca della Veritä, con iscrizione che egli restituisce cosi: Hercules invictus corjnominatus vulglo • olivarivs • opvs • scopae • minoris .
100 SITZLNGSPROTOCOLLE
Questo Scopa si ideiitifica con il padre dello scultore Aristandro UglaTuv- &QQg Ixöna Tläoio? insaxsvaaey in una base trovata nell'isola di Delo (Loewy, Inschr. gr. Bildhauer, n. 287j, e V Olivarius s'identifica con lo Hercules Oli- varius della regione XI di Roma, a cagione del nome non raro ma unico, e del luogo ove fu trovato.
Ora dalle misure della base, lunga in. 2,1, larga m. 0,50 ine, e dalla superficie di essa s' induce che quella statua di Ercole fosse di marmo e rap- presentasse 1' eroe giacente in riposo, quäle fu anche il cuhans della re- gione XIV. Un Ercole giacente di marmo e di pr^porzioni corrispondenti con la base teste trovata e quelle del museo Chiaramonti n. 733, la quäle statua da luogo anche ad un' altra osservazione. Essa cioe rassomiglia assai alla figura di un disegno del Cinquecento pubblicato or ora dal eh. S. Reinach nei Melanges della scuola francese 1895 p. 183 e tav. II, il quäle vi ha voluto riconoscere il famoso Iliso (Cefiso) del Partenone, benche sia difficile il capire come un pittore italiano di quel tempo abbia potuto copiare questa statua, e come V avesse copiata in tal modo. L' Ercole Chiaramonti invece conviene col citato disegno, ove e facile riconoscere Ercole, nelle forme e posizione in genere ed in ispecie nella disposizione della pelle leonina sottoposta alla figura coricata, e con una zampa suUa coscia destra. Lo stato attuale della scultura, e vero, non comsponde col disegno. La statua vaticana cioe ha molte parti restaurate che fanno difetto nel disegno (i) ; quindi con tali restauri essa e piü completa di questa, laddove senza i restauri e meno completa. A tale con- tradizione pero potrebbe opporsi la congettura che la statua, disegnata prima del restaui'o, dopo ciö avesse subito altri danni, e forse anche quest' altra sup- posizione suggerita dal carattere stesso delle rispettive parti del disegno, che qualche parte, come il braccio sinistro e la gamba sin., fossero state aggiunte soltanto dal pittore. (Phot. delle due figure unite pr. l'Istituto).
La statua vaticana nella Beschreibung lioms II 2 p. 87 n. 725 si dice proveniente dalla Villa d' Este, notizia ripetuta nel catalogo di Massi. Se poi Clarac Mus. de sculpt. pl. 79G u. 1991 riferisce cosi: Statue trouvee ä la villa Adriana ä Tivoli {^) et qu'on croit avoir decor^ pendant quelque temps la villa d' Este, pare che fatto e congettura abbiano cambiato posto, la con- gettura cioe del ritrovamento in villa Adriana ed il fatto della sua colloca- zione in Villa d' Este, da cui nacque la predetta congettura come altre simili (V. Winnefeld, die Villa des Hadrian p. 4 sg.). Questo fatto viene attestato
(') Si distinguono, credo, due restauri, il cui primo comprende testa, braccia fino a metä dei br. superiori, metä della gamba sin. e destra sino alla zarapa leonina, della quäle pure una piccola parte a sinistra e le dita son moderne, e in fine la testa leonina dagli occhi in su. Ad un secondo restauro vorrei attribuire le dita del piede sin. la parte anteriore e 1' estremitä destra del plinto. II pre^zo di scudi 10 piü parte di sc. 20, secondo pagamento (notato nei documenti citati piü sotto) sembra assai modesto, ma ivi a p. 198 B ab- biarao il seguente conto: ' per aver rifinte [rifatte ?] le gambe di quello ercole (di p. 197 A?) e fatogli le braccia e la testa.. sc. 15'.
('^j Quindi r Ercole vaticano come trovato in villa Adriana sta neH'elenco di Winnefeld, Die V. d. IL \\ 164.
SITZUNGSPROTOCOLLE 101
neirinventario di casa d' Este deH'a. 1572 (docuinonti \). servir ecc. III p. VII 4) ove ' nella seconda stanza ' ' della grotta ' di Vonere si descrive ' un Ercole a giacere intiero con la pelle del leonc sotto de luarinu ', piii accuratamente descritto iiel libro ' dell' auiichitä tiburtine — dal dott. Antonio del Re nel- r anno 1611 a p. 45 ' c o 1 c a di marino bianco iina statna d' Hercole lunga pabni undici et piü con la piegatura del corpo tutto ignudo alla Greca . . . lungo in terra, stanco dalle fatighe si stä colco sopra '1 gomito del braccio sini- stro posato sopra una testa di Leone di cui iina zampa scorticata li stä sopra la coscia dritta, et ha la gamba destra posata sopra la sinistra, et col braccio dritto sopra la zampa suddetta con im bastone corto dentro al pugno della iiiano destra '. Ecco tutto tale quäle oggi si vede nella statua del museo Chia- ramonti. La stessa statua perö non meno indubitatamente si riconosce nei do- cumenti pubblicati da A. Veiituri nell' Archivio storico dell'arte III 1890, ove dopo altre menzioni di statue di Ercole che non si riferiscono al nostro, (p. 197 A 198 B 202 A 'Hercole grande ') veniamo a sapere che a m/" Nicolu scu- tore furono pagati scudi 10 ' a di 21 agosto ' (1568) ' a buon conto della re- stauratione d' un hercole c o 1 c at o ' ed al medesimo ' a di 22 detto (novembre) sc. 20 . . . a conto della restauratione delF Ercole Colcato ecc'. In qnel tempo dunque la detta statua di Ercole stava a monte Cavallo in Roma, ne si trova nei citati documenti alcuna notizia che essa fosse stata rinvenuta negli scavi piü volte ivi menzionati di villa Adriana. A p. 203 B invece abbiamo la seguente nota ' adi 30 Decembre. A Spesa di statuve Sc. otto moneta ba- iocchi ottanta pagati al prefato Carratier contati per haver condutto da Roma a Tivoli la dianna, Colocatta et Hercollo ', ove non c'e diibbio che si deve leggere Hercole Colcato. Se dunque la statua vaticana fu restaurata da m.'" Nicolö (1) a Roma nei 1568, sta benissimo Topinione del eh. Müntz e di altri (v. l'articolo citato di S. Reinach a p. 184) che cioö il disegno sopra- lodato sia stato esegnito da un italiano ' vers le milieu du XVP siede, ri- nianendo incerto : s'il peut etre attrihue a Sehastiano del Piombo, ne ä Ve- nise en IJS'5, mort ä Rome en 1547 \
Ora se la corrispondenza della statua vaticana con il disegno deH'Äm- brosiana nei soggetto piuttosto raro di un Ercole colcato (^j, specialmente nei modo come la figura, riposando sopra la coscia sin. sola, si presenta qnanto piü possibile di fronte, gli stessi argomenti nonche la misura della statua la
(0 Nei sopra citati documenti si trova uno scultore di U'ime Nicolö, incaricato dal cardinale Ippolito d'Este nei 1561 e 1568, poi nei 1566 (15 febbr.) Nicolu da Vigna, e nei 1568 (20 giugno, e luglio 1569), lo stesso anno quando fu restaurato 1' Ercole colcato, Nicolö de Longhi. Si crede trattarsi senipre della medesima persona.
(2) Ercole in riposo su vasi a fig. nere presso Gerhard ylw-se/'/. Vas. II, t. CXXXII per terra, CVIII sopra una Mine ; con Bacco su vaso a fig. rosse Catalof/ue of greek a. etr. vases in the Brit. Museum III t. IV; sopra uno scarabeo di stile arcaico greco ^Helbig, Rendiconti dei Lincei 1891, 1 p. 69 ; cf. Stephan! Ausruh. Herakles p. 126) Ercole coricato sopra una zattera. Per rilievi si confronti Röscher Lex. I p. 2184 e Visconti Mus. Pio-Clem. V, tav. XIV.
102 SITZUNGSPROTOCOI.LE
quäle auticamente pare non abbia occupato che un rettan<ifi:'lo di m.2 X 0,50, rendono possibile se non verosimile, che 1' Ercole d' Este in Vaticano, trovato secondo ogni probabilitä in Roma, sia esso stesso 1' Hercules Olivarius opu^ Scopae minoris, benclie il marmo della statua non sia pario, ma pentelico.
7 Februar. Hülsen über Fresken vom Palatiü. Dazu Mau, Pe- tersen. — Petersen über ein Kelieffragment im Besitz des Herrn P. Hartwig. —
21 Februar. Mommsen: Nachruf auf G. Fiorelli. — Barnabei über den Tempel von Conca (s. Notüie 1896 S. 23). Dazu per- sönliche Bemerkung von L. Duchesne und Erwiderung von Barnabei. — Savignoni über Alterthümer der Insel Keos. —
Mommsen : Se e un santo dovere del nostro Istituto italo-tedesco di onorare e di conservare la memoria di quegli uomini che V hanno tutelato ne' suoi primordi, a vantaggio tanto degli studj comuni quanto della stretta e sincera amicizia delle due nazioni, io debbo chiamarmi felice ed onorato che i Direttori attuali delF Istituto archeologico Capitnlino Germanico m'abbiano fatto r interprete di questi ricordi, per quanto spettano a Giuseppe Fiorelli.
Ormai sono passati fra i piü quei grandi che hanno ricreato 1' Italia, che dalle scheggie disperse hanno fatto risorgere la Roma eterna col suo cir- condario legittimo dalle Alpi al mediterraneo, che hanno ravvivato la fenice immortale. Nmi fu questo opera di un individuo solo ; fu il risorgimento di una nazione, ed errano coloro che attaccano questo sconvolgimente ad un nome unico qualunque esso sia. Ma fra quelli che nella loro sfera hanno contribuito potentemente a questa opera santa e grande, non deve dimenticarsi il giovane Napoletano ricreatore di Pompei.
Gli archeologi Italiani, ed h vantaggio loro, sono meno di noi altri uo- mini da tavolino. II padre venerato della nuraismatica e dell' epigrafia Latina, Bartolommeo Borghesi, imparo l'alfabeto Latino sul medagliere del padre e Seppe prima delle lettere distinguere le teste degli imperatori. Giambattista de Rossi passö buona i arte della sua bella e Innga vita sotto teiTa nel bujo delle catacombe e nellu studio de' manoscritti, in cui pure non trovu il suo uguale, ricavandone la direzione delle zappe de' manovali. Cosi pure il Fiorelli, e meno ancora di questi due, non era uomo dello scrittojo. Si mise una sola volta a formare un volume, e fu per incarico del governo borbonico ; la vera opera sua non si deve cercare nelle biblioteche. L'opera del Fiorelli h il mu- seo napoletano. I tesori di esso, e vero, in maggior parte li trovu accatastati giä; raa l'aver riordinato i materiali immensi, spurgati quei camerini oscuri ed immondi, fatte le belle sale senza concorso del governo, regolati e stampati i cataloghi, in somma fatto modello le raccolte per i musei europei, questa e oi)era del Fiorelli. E merito suo che gli Studj di Via Roma non siano piii museo Borbonico, ma museo Nazionale.
SITZUNGSPROTOCOLI.E 103
L' opera del Fiorelli pure, e furse anc.ru piü, e l'attnale Pompei. Tempo fa questi scavi impareggiabili ed unici nel mondo furono condotti come Dio vo e, 0 per meglio dire come piaccjue ai cortigiani d' allora, sul modello delle cacce pnncipesche o delle rappresentazioni teatrali di gala. Dobbia- mo al Fu.relh, il quäle seppe governare e farsi ubbidire, che que' sovra- stanti e lavoratori si piegassero al dovere loro e si ispirassero al suo zelo • che gh scavi siano statt scientificamente ordinatt, le strade e le case rego- late; che la pianta in rilievo della cittä sia stata fatta; che le antiche me- raorie comunque scarse, peru utilissime, tenute tanto tenipo nascoste quasi come segreto di stato, fossero per la stampa rese di radone pubblica; che le scoperte ulteriori cominciassero a pubblicarsi con pienezza e regolaritä. Se la bibhoteca Pompeiana e la scuola di Pompei fondate dal Fiorelli non hanno iruttato come egli lo sperava, la colpa non e sua. II nostro Istituto specialmente deve a lui, il quäle nelParcheologia non conobbe il monopolio chauvbiiste, se 11 nostro Mau ha potuto per tanti anni, e puu ancora studiare le scoperte pompeiane, quando sono fresche e vive, ed aiutare cosi come testimonio se- condo quelh che d'uffizio ci dänno il ragguaglio delle nuove scoperte. Se Giu- seppe Fiorelli fasse stato secondatö dalla fortuna, ormai Pompei intera sa- rebbe risorta dalle ceneri di venti secoli, e sapremmo giä noi cio che in temiü mighori sarä palesato ai posteri. Pare ora che, per mantenere la fama dei be- nementi morti ci voglia la statua ; forse l'avrä pure il Fiorelli, ma in vero per_ lui non occorre ; il suo monuraento e Pompei. Fino a quando questa cittä rediviva durerä. vi rimarrä attaccato il nome del suo rista-uratore.
L'uomo che dopo aver tanto operato per il museo napoletano e per gh scavi pompeiani, chiamato a Roma ha fatto quel che poteva con industria e con equitä in compiti piü estesi, ma ineno adatti alle sue specialitä di archeologia pratica. questo uomo utile e grande, fu egli felice ? Certo fe- hce e Chi serve la patria, che puö dirsi che abbia contribuito al suo onore e al suo splendore. Del resto non mancarono nella vita del Fiorelli i guai Egh non era di quegli uomini calmi e tranquiUi che arrivano posatamente'alla croce governativa e alla benedizione sacerdotale : ha provato gli uragani della j.assione, ne gli mancarono disgrazie indipendenti dai fatti propri nel corso della sua lunga vita. Gli ultimi anni ha dovuto passare disteso sul letto do- loroso per lunga e penosa malattia; e pochi sono oggi che lo ricordano o-io- vane ardente e hello, pleno di fuoco e di attivitä. Sia permesso a me, che gh sono stato amico per cinquanta anni, e che ora arrivando a Roma fui at- tristato dalla notizia della perdita dell' ultimo grande Italiano mio coevo ed amico, dl augurargli colle pande del poeta che la felicitä dovutagli, ma per parte soltanto accordata al vivente, venga completata per la gloria'che resterä al trapassato.
6 März. S.^viGNONi : Fortsetzung über Alterthümer von Keos. — Petersen über Tocilesco-Benndorf-Niemann : das Monument von Adamklissi Tropaeiim Traiani. Dazu Mommsen über die
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naeh^efondene grosse Inselirift des daneben stehemdeii Denkmils. Dazn Hülsen. —
Petersen beriolitet zTmiciist kurz über iea. G-esammtinlialt der »os- ^eieickaeten Pablication über Jas itonnment, dessen Name Tropasum Traiani allerdings fordert, es als Wahrzeichen eines bestimmten Sieges zu verstehen., wenn auch die Weihinsohrift dies nicht erkennen lässt.
Inwiefern die Reste eines andern neuerdings daselbst gefandenen in- schriftlichen Denkmals dies thun, wollte Herr llommsen erörtem.
MoimSEN hebt das sich für römisches Kriegswesen aus dieser Traja- nischen Inschrift ergebende Neue hervor und steUt nach dem erhaltenen Theil eine Berechnung der Gesammtzahl der namhaft gemachten GeMienen an, (üe, zu genng füx den ganzen Krieg, eher an eine einzelne Schlacht denken lasse (s. Epkenieris ffpigraphica).
Petersen : Also auch diese Inschrift wird am besten auf eine einzelne Schlacht bezogen. Damit befindet sieh nun fieilich Tocüesco-Benndorfs AnoM- nung und Erklärung des lEetopenkranzes vom Tropaeum in Widerspruch. Ohne Zweifel stehen diese Bilder untereinander in Zusammenhang. Wenn aber, wie B.'ä lEeinuncp ist, verschiedene Gefechte xmi Schlachten AEocutionen u. s. w. aus beiden dakischen Eüegen darin dargestellt waren, und sogar, wie an der Trajanssäule die Victoria, so hier die Nachbüdimg einer Eeiterstatue des Kai- seiSj. die beiden Küege zu trennen dazwischengestelLt wäre, so würde das Tropaeum sich ja vielmehr als ein Euhmesmal des Doppelkriegs darstellen, denn als das auf dem Schlachtfeld selbst errichtete Denkmal eines einzelnen Sieses. Aber gegen jene Reiterstatue xmd. ihre Nachbildung auf der i^Ietope ff, wie auch segen die Beziehung des Denkmals auf beide Kriege sind schQ;! von Eoepp Q-) gegründete Einwendungen gemacht. In der That ist Trajan in diesem Bilderkranz überhaupt nicht häufiger dargestellt, als mit den verschie- denen ITömenten einer und derselben Action verträglich wäre. AUes Dargestellte, ilarsch, Angriff und Kampf des Fussvolka wie der Reiter gegen Fussvolk und. Waeen, endlich die Einbringung von Gefangenen kann gar wohl einheitlich zusammengefasst werden. Ja die Reihen der Gefangenen, der Wagen, der mm Angriff Vorsehenden, sind für besondere Bilder besehränktes Umfangs zu aus- gedehnt.
Ffl.nn also das Tropaeum auch nach seinem Bilderschmuck sehr woM als Denkmal eines bestimmten Sieges gelten, so muss allerdings die Frage sich melden : ob dieser Sieg nicht auch an der Säule, dem Denkmal des ganzen Exie^es. sich dargestellt finde; eine Frage, die Benndorf ja nicht blos auf- o-eworfen, sondern auch mit eingehendem Nachweis bejahend beantwortet hat.
Muss es aber nicht von vornherein stutzig machen, dass ein sehr bestimmt gekennzeichneter Volksstamm, der in Uetopen und Zinnen des Tropaeww als Hauptsegner der Römer erscheint mehr als die Daker, im SäuIenreHef zwar auch vorkommt, wie Benndorf nicht entgangen ist, aber, worauf derselbe kein
(^) Preuss. Jahrbücher 82 S 171 f.
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Gewicht zu legen sclioint, nicht als Gegner der Kümor, somlern unbewaffnet als Unterthanen derselben, bewaffnet als ihre Verbündete oder als Unterhänd- ler ? Letztei-es bei Froehner la Col. Traj. 52, wo Hihre erkunft nicht zu erkennen ist. ausser dass sie mit Dakorn (V) zu kommen scheinen ; ersteres dagegen bei dem sogleicli näher zu bostimnienden Ort an der Donau, wo sie, wenn auch niclit notwendig ursprünglich, ansässig scheinen.
Danach ist es nicht grade wahrscheinlich, dass ein Kampf dieses Volkes in den Kahmen des Trajanssäulenreliefs falle (}).
Docli sehen wir. wo und wie Benndort daselbst dennoch die Schlacht an der Stelle des Trojiaeum nachzuweisen unternimmt. Er giebt der Seereise Trajans zu Beginn des zweiten dakischen Krieges (Froehner 1 OS ff.) eine ganz neue Richtung, nur betreffs des Ausgangspunktes, Ancona, Froehners Erklärung folgend und sie mit neuen Gründen sehr glücklich stützend. Nach Benndorf reihen sich folgende Scenen aneinander :
1 (Froehner lOS) Abfahrt von Ancona;
2 (F. 111-12) Ankunft und Begrüssung in einer Stadt, die in sehr anspre- chender Weise als Korinth erklärt wird, auch deshalb weil von dort
3 (F. 112-15) Trajan sich mit Gefolge zum Opfern nach einem benach- barten Heiligthum begiebt, nach B. dem istlimischen.
4 (F. 115 f.) Zweite Station in einer auf Insel oder Halbinsel gelege- nen Hafenstadt, als Byzanz nicht zu erweisen, am allerwenigsten durch das ' Gegenufer '; denn hier hatte man vor B. richtiger gesehen dass
5 (F. 117 f.) ein dritter Landungsplatz ist. in bergumfasster Bucht mit darin liegendem, durch hohes Heck und Segelmastallein sichtbar gemachtem Schiff und dem, nordisches oder barbarisches Local anzeigenden, Breterhaus am Ufer. Wenn hier Trajan und sein Gefolge nnverkeinibar von der Bucht und dem Schiffe herkommen, so sind sie zuletzt gesegelt, also in längerer See- fahrt. An einem Castell vorbeigeritten
6 (F. 119 f.) wird Trajan mit Gefolge von friedlichen Dakern oder ähn- lichen Barbaren empfangen und
7 (F. 120 f.) bringt er ein Opfer an sechs Altären, wubei nicht allein Trajan sondern alle Anwesenden der bisherigen Richtung entgegen, links ge-
(*) Das b.inovkenswerthesto Abzeichen dieses Volkes bildet das Haupt- haar, welches nach einer, meist der rediton Seite des Kopfes zusammen- gestriclien. hier in einen Knoten geschlungen ist. Das mag an Tacitus Germ. 3S erinnern, wo von den Sueben gesagt wird: inai(jne gcntis ol'liquare critiem nodoquc suhstrinf/ere, obgleich weiterhin die Worte horrcnteni capillum retro sequuntiir, ac snepe in Ipso solo rertice rclinotur z. Th. wenigstens besser zu der an Quaden und Markomanen, also Sueben, an der Marcussäule wahrge- uoininenen Haavtvacht passt. Ein zweites Abzeichen jener mit nacktem, oder mir von ein. mm .Mäntrloheu wenig bedecktem Oberköriter dargestellten Barbaren ist das grosse, mit beiden Händen zugleich regierte Schwert, nach Tacitus //ist. 1, 7!' den Blio.volani, Sarmatica </nis eigen: (/ladii, (/uos prudoih/os utraquc mtinu regunt. Das dritte sind die Wagen, auf denen sie auch Weib und Kind bei sieh haben, auch dies nach Tacitus (rerm.\(S Savmatenart: ^S"«»-- mütis..in piaiistro rqtuxiuc riccntiöus, Sarmaten nahe der Donaumündung selbst am rechten Ufer können uns nicht befremden.
106 SITZUNGSPROTOCOLLE
wandt stehen. Benndorf hat diesen Eiehtungswechsel hervorgehoben, ohne ihn mit seiner Erklärung voll zur Geltung zu bringen. Denn statt dies so zu ver- stehen, dass hier der bisher weitergesponnene Erzählungsfaden für eine Weile aus der Hand gelegt wird, um erst mal einen andern anzuspinnen, lässt Benn- dorf den bisherigen nur sich theilen :
In Sceue 8-11 sollen die Praetorianer, die bis dahin mit Trajan waren, jetzt ohne ihn weiterziehn und über das Gebirge an die Donau gelangen; in 12 soll dann auf andrem Wege Trajan anlangen, nicht aber bei jenen son- dern bei anderswo in Noth gerathenen Legionaren. Im Einzelnen sieht B. hier
8 (F. 122 f.) die von Ancona her mit dem Kaiser gekommenen Praeto- rianer, jetzt ohne ihn, sich einen Weg über das Gebirge bahnend ;
9 (F. 123 f.) die Daker in ihre Festung 'flüchtend';
10 (F. 124 f.) 'die Gardeinfanterie hat den ersten Strauss jenseits (des Gebirges) allein auszufechten ' ;
11 (F. 126 f.) die Legionare gerathen bei den Laudwällen in Bedrängniss ;
12 (F. 127) Trajan mit der Gardecavallerie bringt ihnen Hülfe. — Hier ist in der That jeder Satz unhaltbar, wie es nicht anders sein kann,
wenn einmal ein falscher Weg eingeschlagen ist.
Nicht ein Aniieecorps, das sich hätte theilen können, um den Feind von verschiedenen Seiten zu fassen, ist mit Trajan von Ancona abgefahren, son- dern offenbar nur ein par Gehörten zu seiner Begleitung ; die Armee sollte er an der Donau antreffen. Es ist undenkbar dass diese geringe Mannschaft sich getheilt habe, und noch mehr, dass sie, eilend den Kriegsschauplatz zu erreichen, ihren Weg durch erst zu bahnende Gebirge genommen habe. Un- möglich endlich ist es in den arbeitenden Leuten (Sc. 8) Praetorianer zu erkennen.
In Sc. 9 sodann sind die Daker ja nicht flüchtend; sondern sie sammeln sich, um die Piömer anzugreifen, aber nicht die vermeintlichen anrückenden Praetorianer links (Sc. 8), zu denen sie in gar keiner Beziehung stehen, son- dern Bömer weiter rechts, in einem Castell, die sich theils von den Mauern herab theils durch einen Ausfall vertheidigen.
Es wäre ja wohl denkbar, wenn es auch nicht grade wahrscheinlich ist, dass die Daker zu Beginn des zweiten Krieges über die Donau gegangen wären und die römische Besatzung eines Standlagers angegriffen hätten ; aber diese hauptsächlich von links her angegriffene Besatzung für einen Teil der von Ancona u. s. w. hergekommenen Truppe zu halten, das geht gegen die Grammatik unseres Kunstwerks : weder durch Continuität der Bewegung noch durch sonst etwas ist die Identität dieser Römer mit den vorher gesehenen angezeigt. Alles weist vielmehr auf Verschiedenheit.
Die Daker sind auch in Sc. 10 die Angreifer, hier der Wälle, welche nach Benndorf eben die Trajanswälle der Dobrudscha sein sollen. Das Ca- strum in 9 und die Mauern in 10 liegen zueinander, wie wenn sie zusam- mengehörten ; und auch der Angriff scheint gleichzeitig und einheitlich. Nach Benndorf wäre jenes Castruni an der Stelle des nachmaligen Nicopolis, dieses wie gesagt die 2-.300 Kilometer davon entfernten Trajanischen Wälle.
Hier liegt offenbar der Keim dieser ganzen Auslegung, in der schein-
SITZUNGSPROTOCOLLE 107
baren aber oben auch nur scheinbaren Uebereinstimmung der drei Mauern mit den drei Wällen, deren Name ' Trajanische ' von gar keinem Belang ist.
Die zwei Mauern im Relief werden allerdings thatsächlich von Trajans Truppen vertheidigt, und die dritte eben erst gebaut : die ' Trajanswälle aber sind wie Tocilesco-Bonndorf S. 2 selber berichten, gar nicht drei ]\Iauern wie hier, sondern Ij'ein kleiner Erdwall', 2) 'ein mit einer dichten Reihe von Verschanzungen besetzter grösserer Erdwall ', 3) 'eine aus Quadern ausgeführte Mauer '. Deshalb, und weil ' in verschiedenen Epochen angelegt ' (') können diese drei Wälle unmöglich jene Mauern sein. Diese Wälle liegen ja überdies etwa 30 kiloni. vorwärts des Tropaeum, so dass dieses gar nicht auf der Kampf-u. Sie- gesstätte errichtet worden wäre. Ist es ferner schon nicht wahrscheinlich dass die Daker, wenn sie dem Angriff Trajans zuvorkommen wollten, einen so weit ausholenden Schlag über die untere Donau hinüber geführt hätten, wäh- rend der Feind eine auf ihr Centrum zuführende Brücke zum Angriff bereit hatte, so ist noch unwahrscheinlicher, dass solchem Dakischen Angriff gegen- über die Römer sich in die Defensive gesetzt hätten.
Glücklicherweise aber bringt uns die klare Sprache unseres Bildwerks hier über Wahrscheinlichkeiten hinaus. Wir brauchen nur noch Sc. 12 ff. anzusehen, um neue An&tösse für Benudorfs Erklärung und ebenda auch den Schlüssel für die ganze Scenenreihe zu finden. Sc. 12 bringt Trajan den Bedrängten Hilfe, aber nicht etwa blos, wie man nach B.'s Darlegung glau- ben sollte, mit Gardecavallerie ; sondern auch Infanterie kommt herbei. Warum aber käme Trajan von rechts, der bisherigen Marschrichtung ent- gegen, wenn doch sein Marsch dem der andern Abtheilung wesentlich pa- rallel ginge ? Doch das ist Nebensache. Das Entscheidende ist, dass derselbe Trajan au(h in den zwei nächstfolgenden Scenen 13 und 14 (F. 128 ff.) noch dieselbe abnorme Richtung innehat, und danach erst, hinter einem scharfen Einschnitt, die normale Richtung wieder durchschlägt. Benndorf macht den trennenden Einschnitt zwischen 12 und 13, wo er durch nichts angezeigt ist. Dadurch werden die zwei Scenen 18 und 14 aus allem Zusammenhang heraus- gerissen, und bei seiner Auslegung zwei, durch die Uebereinstimmung nicht etwa in der gewöhnlichen sondern in der aussergewöhnlichen Richtung sowie durch ein andres gleich hervorzuhebendes Moment, eng zusammengehöiige Scenen 12. 13 soweit auseinandergerissen, wie Rom und Mailand auseinan- der liegen; denn soweit sind die Trajanswälle von der Donaubrücke bei Turnseverin entfernt. Diese Brücke aber ist zwischen Sc. 13 und 14 im Hin- tergrund dargestellt mit einem Brückenkopf an jedem Ende, vor deren eintm die 13., vor deren anderem die 14. Scene sich abspielt.
(1) Schuchhardt in Archaeol. epigr. Mittheill. aus Oesterr. 1885 S. 87. ff. S. 112: 'jeder Wall ist für sich angelegt worden, und jeder einzelne stellt einen besonderen Versuch dar, die römische Grenze in möglichst praktischer und sicherer Weise abzustecken '. Der älteste dieser nach Kiepert, Forma orhis antiqui XVII. p. 3: 'frühestens aus bvzantinischer Zeit' herrührenden Grenzwälle ist ohne Zweifel der kleine Erdwall, mit Front gegen Süden (Schuch- hardt S. 91).
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Es scheint mm ciirentlich selbstverständlich, obgleich niemand so viel icli sehe so verstanden hat, dass die drei Scenen (12-14), in welchen wir Trajan linkshin bewegt sehen, eng zusammengehören, und nicht von links nach rechts, sondern der Bewegungsrichtung gemäss, umgekehrt linkshin sich fol- gend zu nehmen sind. Dass der Künstler es so gedacht, macht er aber auch deutlich. Denn in 14 und 13 erscheint Trajan mit seinem Gefolge in derselben Reisekleidung, der Paenula, in der wir ihn zuletzt in Scene 7 gesehen hatten, und erst in 12 hat er wieder die gewöhnliche Kriegstracht angenommen.
Aber der Künstler oder vielmehr die im Bilde dargestellte Wirklich- keit lässt uns den wahren Sachverhalt auch sonst noch erkennen. Es versteht sich von selbst dass wenn Trajan erst bei dem einen, dann bei dem andern Brückenkopf auftritt, wir zu verstehen haben, dass er die Brücke inzwischen passiert hat. Ebenso versteht es sich von selbst, dass, welchen Weg auch immer Trajan von Ancona aus zur See und weiterhin zu Lande genommen hat, er hier die Donau nicht von Nord nach Süd sondern von Süd nach Nord, d. h. von ^loesien nach Dacien hinüber passiert hat.
Nun sind die beiden Brückenköpfe aber so verschiedenartig charakteri- siert, dass wir leicht den raoesischen Pontes von dem dakischen Druheta unter- scheiden können. Oifenbar schon eine ältere Provinzialstadt ist es, neben der in 14 ein Amphitheater und ein grösserer Säulenbau steht ; dessen Bevölkerung buntgemischt, alle unbewaffnet, also nicht zusammengezogene auxilia, son- dern ortsansässig oder aus der Landschaft zur Begrüssung des Kaisers er- schienen sind. Auszunehmen sind nur die zwei, welche Pferde am Zügel halten, der eine einen Köcher am Riemen tragend, vielleicht Sarmuten, durch ihre Richtung ihre Zugehörigkeit zum Kaiser verrathend.
Ln feindlichen Dacien dagegen liegt oifenbar der andre Oi"t. (Sc. 13), in dessen Mauern, neben den Baracken noch ein Zelt, natürlich das Praetorium . steht, wo aber kein Gebäude ausserhalb der Mauern, und nichts von ein- heimischer Bevölkerung sichtbar ist. Nur römische Truppen, nach den Feld- zeichen wieder Praetorianer, kommen marschbereit, ein Praefectus voran, dem Kaiser entgegen, der ein Opfer bringt, gewiss zum Dank für den glücklich ausgeführten Brückenbau und üonauübergang.
So deutlich Bildwerk überhaupt reden kann, ist also in der ganzen Sce- nenfolge ausgesprochen, dass derjenige Faden der Erzählung welcher mit Sc. 8 verlassen war und als verlassener dort durch völlige Abkehr vom Fol- genden unzweideutig bemerklich gemacht war, in Sc. 14 wieder aufgenommen wird, um in umgekehrter Richtung der Verknüpfung mit dem in Scene 9flF. angesponnenen neuen Faden entgegengeführt zu werden. Nichts einfacher zu verstehen und nichts besser begründet als dieser neue Faden, an welchem nun, nachdem wir Trajan in die Donauländer begleitet haben, Bilder der dortigen Lage vor Trajans Eintreffen aufgereiht werden : zuerst Sc. 8 die Römer in voller Thätigkeit zur Sicherung ihrer Verbindungen; dann 9 die Daker von Dece- balus selbst gesammelt und zum Angriff auf die römischen Werke geführt. Denn , wie noch anderswo, ist der Herrscher der Daker auch hier nicht schwer zu erkennen, ausgezeichnet wie er ist schon durch das grosse Schwert, durch imponierende Grösse, mehr noch durch die ruhige Umschau, wo alle andern
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in Aufregung hasten, ganz besonders aber, und durchaus nach Analogie des rö- mischen Herrschers, durch die zwei niXocfÖQot, deren Aufmerksamkeit ganz auf ihn gerichtet ist; dazu kommt endlich die hier wie in dem Bilde seines Todes ihm gegebene Leibesfülle.
Wenn nun die Daker oder vielmehr Decebalus, wie es hier den Anschein hat, zu Beginn des zweiten dakischen Krieges eilt dem Angriffe Trajans zu- vorzukommen, was war für ihn dringender geboten als die inzwischen erbaute Brücke Apollodors in seine Gewalt zu bekommen und zu zerstören ?
Die Werke welche die Daker mit ungestümer Tapferkeit angreifen, er- halten im Augenblicke der höchsten Noth, wo die Daker schon theils zwi- schen die Mauern eingedrungen sind, theils sie umgangen haben, Hilfe zuerst von Infanterie, welche rasch auch noch eine dritte Mauer enüchtet ('), dann von Trajan selbst, der, wie wir jetzt wissen, in Sc 8 schon nicht mehr fern von der Brücke sein konnte, dann Sc. 14/13 die Brücke passiert und 12 bei den Mauern ist. Es ist also klar dass der nördliche Brückeniiopf unfern hinter diesen Mauern liegt, dass (^ese Mauern eben zu dem Zwecke erbaut wurden, den wir sie hier erfüllen sehen, nämlicli um einen Angriff der Daker nicht erst am Brückenkopf sondern schon weiter davon abzuwehren. Die Art und Beschaffenheit der ursprünglichen Doppelmauer selbst, die in grader Richtung quer zum Ansturm der Daker in unabsehbarer Länge sich hinzieht, entspricht durchaus diesem Erforderniss : es ist eine Sperre, wie sie nur westlich der Brücke gegen das Bergland am Eisernen Thurm-Pass denkbar ist; offenbar selbst auch nicht durch ganz ebenes Gebiet geführt. —
Vielleicht ist diese Anlage schon gleich im ersten Krieg, und dann ver- muthlich bereits im Hinblick auf die zu erbauende Brücke gemacht worden (^). Wir Averden darüber ja von Cichorius Aufschlüsse bekommen, hier mag kurz die Frage aufgeworfen werden, ob nicht schon Froehner T. 72. f. sogar auch eben jene Mauern, die Benndorf für die Trajanswälle ausgeben wollte, als theilweise bereits vorhanden zu erkennen sind.
Nachdena dort Trajan auf einer Stelle die Feinde glücklich geschlagen, geht er zu Schiff an einen andern Donau (?) - Ort und von hier, wo er Truppen vorgefunden haben muss, auf einer Schiffbrücke über den Strom. Drüben nun ziehn die Truppen gleich vom PTuss au theils neben theils zwischen einer Dop- pelmauer, die offenbar noch unfertig und deswegen wohl auch noch der Länge nach von einem Pallisadenzaun durchzogen ist, einer provisorischen Rücken- deckung für die an einer oder der andern Mauer Arbeitenden. Die diesseitige der zwei parallelen Mauern endet an einem runden Thurm, die andre endet ebenda noch ohne Thurm ; von dort setzt sich diese befestigte Strasse als stark im Zickzack ansteigender Gebirgsweg fort, nur mit Geländer je an der Aussen- seite versehen, aber durch ein flankierendes Fort geschützt. Was so in
(^) Die an der dritten Mauer mit ihren Instrumenten Beschäftigten sind nämlich durch ihre Panzerung von den Vertheidigern der Duppelmauer ver- schieden, dagegen ebenso wie die noch Anrückenden offenbar dieselben welche in Sc. 13 marschbereit vor Trajan standen.
(2) Das Folgende wurde in der Sitzung nur angedeutet.
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malerischer Ansicht nur zu einem kleinen Theil gezeigt werden konnte, ist, .unmittelbar daneben grundrissartig im Ganzen dargestellt: eine im Zickzack im Gebirge hinauiführende Strasse, die von einer Wendung zur andern je an einer, nämlich der zu Thal liegenden Seite in Abständen Verstärkungen hat, die mit dem vorher gesehenen Geländer in Zusammenhang stehen müssen. In jedem Winkel ferner ein kleines Viereck, kaum für etwas andres als für flan- kierende Redouten zum Schutze der Strasse zu halten. Diese Strasse zieht sich also von der Donau, gegenüber einem römischen Casfrura, ins dakische Bergland hinauf, und muss, wenn wir Trajan weiter folgen, sehr bald ins Herz des Landes und in die Nähe der Hauptstadt geführt haben.
Irgendwo von dieser Strasse — im Bilde, wie kaum anders dazustellen mög- lich — zu Anfang derselben, öffnet sich von diesem Zickzackweg. quer zu seiner Längenachse ein Tunnel im Höhenzug, den Trajan mit seinen Truppen passiert, und der, wie auf jener Seite durch die befestigte Strasse mit ihren Castellen, so diesseits auch gleich dirrch ein Castell vertheidigt wird, dessen Besatzung Trajan entgegenkommt (i).
Trajan marschiert von da auf Sarmizegethusa, das er etwa in 12 Sta- tionen erreicht. Auf dasselbe Ziel rückt er auch nach dem Kampf bei den Mauern los, d. h. nachdem er, wie begreiflich, zunächst wieder nach Pontes zurückgegangen und nun abermals die grosse Brücke nach Dacien zu pas- siert — wofern bei Froehner 131 wieder dieselbe zu verstehen ist, wie wegen der Trophäen auf dem Ausgangsthor wahrscheinlich ist. Von hier erreicht Trajan, noch rascher als damals von 72 flF. aus, die Hauptstadt 4er Feinde ; der Ausgangspunkt scheint aber ziemlich derselbe gewesen zu sein, hier die feste Brücke Pontes-Druhetae, dort eine Schiffbrücke von Transdierna nach Dierna (-). —
Um schliesslich auf den Sieg an der Stelle des Tropaeum noch einmal zurückzukommen, so könnte das in ihm verewigte Ereigniss an der Säule, wenn überhaupt, wohl nur an einer Stelle gefunden werden.
In einer Scenenreihe des ersten Krieges nämlich, nicht sehr weit ab vom Anfang, Froehner joL 52 ff. könnte manches zu passen scheinen: Nachdem die Römer eine Furt passiert haben, kommen Abgesandte, sowohl dakische als jener Männer mit dem Haarknoten, vor Trajan, der vom Castell (!) aus mit ihnen unterhandelt. Im nächsten Bild nahen dem, wie man denken muss, weiter vorgerückten Trajan wieder Abgesandte, jetzt ausschliesslich Daker. demüthi- ger. Darauf ein Angriff auf Daker, deren nicht viele erliegen oder flüchten. Dass auch Kinder dabei sind und nicht wenige Frauen, dass daneben ein Haus
(1) Dr. E. Oberg, deutsch^-r Consul für Serbien hatte die Güte mir init- zutheilen, dass in dem vom l. Donau-Ufer sich hinaufziehenden Blachnathal wohl deutliche Reste der alten Strasse, auch Felsabarbeitungen aber kein Tunnel vorhanden sei. Ein solcher, von der Insel Adakaleh ans 1. Ufer unter dem Strom durchführend, sei im letzten Herbst entdeckt, aber nur erst an Anfang und Ende zugänglich. Dies kann freilich nicht der an der Säule dargestellte sein.
(■2) Vgl. F. Kanitz. römisch« Studien in Serbien in Denkschriften d. K. Akademie d. W. Ph.-hist. Cl. 41, Wien 1892 S. 51.
SITZUNGSPROTOCOLLK 111
von römischen Auxiliaren angezündet wirJ und getödtetes \'iuli in einer Höhle liegt, erweckt allerdings die Vorstellung, als ob die Angegriffenen hier ansässig wären. Warum der Männer so wenig, erklärt sich sogleich: in einem Fluss, auf welchen Trajan und die Frauen blicken, sieht man Daker theils auf Pferden, theils oline solche mit den Fluthen ringen, augenscheinlich von den Römern hineingejagt, während am jenseitigen Ufer Volksgenossen ihnen die Hand reichen. Ein leeres Fahrzeug im Wasser und die Stellung und Richtung der Frauen, wie einiger sie vorwärts drängender Soldaten, lässt denken, dass auch sie über das Wasser hinübergeschafft werden sollen. Da der Gedanke an eine deductio hier ausgeschlossen ist, so könnte man wohl verstehen, dass hier Daker südlich der Donau sich festgesetzt hätten, jetzt aber von den Rö- mern wieder über den Fluss zurückgetrieben würden. Wenn auch im Säulen- relief die Wagen fehlen, so lässt doch die ganze Situation sehr wohl den Ge- danken zu, dass sie bei dieser Gelegenheit zugegen waren und in anders gehal- tener Darstellung des Gegenstandes z. B. statt der ins Wasser Gejagten eine Rolle spielten.
Auch das eine vor der neuen Scenenreihe noch folgende Bild, Angriff der Daker aaf ein römisches Castnim, fügt sich in jenen Zusammenhang. Aber freilich es bleibt immer ein doppelter Anstoss, erstens dass Trajans Rückkehr auf das südliche Donauufer vom nördlichen, wo er seit Froehner 32 sich befand, nicht dargestellt ist ; zweitens dass die Barbaren mit dem Haarknoten auch in jener Scene nicht vorkommen.
20 März. Cantarelli über eine christliche Inschrift von Porto. — Hülsen über die sogen. Poikile in der Villa Adriana (s. Arch. Anzeiger 1896 S. 47). — Mommsen über eine in Aegypten gefundene lat. Inschrift. —
II prof. L. Cantarelli discorre sopra un frammento epigrafico cristiano deir isola Portuense, pubblicato giä dal Fabretti {Inscr. Antiq."^. 737 n. 477), e che si trova anche nella silloge delle iscrizioni cristiane del Marini, edite dal Mai {Script. veter.,\, p. 158 n. 3); ne propone migliore lezione (+ Van- dalica rabies haue ussit Martyris aulam — Quara Petrus Antistes cultu meUore novata) e dimostra come la chiesa arsa dai Vandali, quando vennero a saccheggiar Roma nel 455, di cui parla il frammento epigrafico, non fu la chiesa di S. Giovanni Calibita nell'isola Licaonia, un tempo dedicata a S. Gio- vanni Battista, come comunemente si crede, per essere ivi stata ritrovata l'epi- grafe nella seconda raetä del secolo XVII da Carlo Morone, ma bensi la Ba- silica di S. Ippolito Martire, vescovo di Pnrto. che sorgeva nell'isola Portuense.
10 April. LöwY über eine Gruppe pompejanischer Wandmalereien. — Frothingham legt an der band grosser neuer Aufnahmen und Pläne seine Untersuchungen über die Mauern und Gebäude von Norba und die von dort ausgehenden Strassen dar. —
]12 SITZUNGSPROTOCOI.LE
24 April. Palilieusitzung: Duchesne über S. Maria Antiqua. — W. Gardner Halb über eine Frage der lateinischen Aus- sprache auf Grund der Epigraphik und Palaeographie. — Hülsen über den Obelisk des Pincio und das Grab des Au- tinous. — Spinazzola über die Inschriften des Colosseum. — MoMMSEN über eine datierte archaische Inschrift von Canta- lice. — Nach Schlnss der Sitznng erläutert A. Salinas die im Saale ausgestellten Aquarelle nach polychromen Grabstelen von Lilvbaeum. —
OBELISKEN ROEMISCHER ZEIT
II. DER OBELISK DES ANTINOUS.
Es sind jetzt zweiundsiebzig Jahre verflossen, seit Champol- lion auf dem Barberiniscben Obelisk zu Rom den Namen des Antinous aufgefunden hat (') und bei dem Interesse, das man nun einmal dem Lieblinge des Hadrian entgegen bringt, sollte man erwar- ten, dass diese Erkenntniss viele Aegyptologen veranlasst hätte, sich mit dem merkwürdigen Denkmale zu beschäftigen. Indessen ist dem nicht so und der schöne Obelisk des Pincio hat bisher kaum einen ernstlichen Bearbeiter gefunden. Lepsius ('-) hat ihm 1838 einige Bemerkungen gewidmet, in denen er im Anschluss an Champollion feststellt, welche Götter- und Personennamen auf ihm vorkommen ; er knüpft daran die Vermuthung, der Obelisk werde wohl in Anti- noupolis vor einem Tempel des Antinous errichtet und später nach Rom gebracht worden sein. Vier Jahre später erschien der Versuch einer vollständigen üebersetzung in üngarellis Werk (3) über die römischen Obelisken ; einzelne Sätze imd Worte sind richtig ver- standen, im Ganzen aber ist seine Uebertragung ein Phantasiestück ; bei der Schwierigkeit der Aufgabe konnte ein solcher Versuch damals ja auch nicht gelingen. Später hat sich meines Wissens nur noch Brugsch (^) mit diesem Denkmale beschäftigt; er führt 1857 und 1872 einzelne Sätze daraus an; ob er es je unternom- men hat, die Inschriften im Zusammenhange zu übersetzen, ist mir nicht bekannt.
(1) Champollion, Pi^ecis du Systeme hi^roghjphique (Paris 1824) p. 42 f.
(2) Platner, Beschreibung der Stadt Rom III, 2 p. 604.
(3) Ungarelli, InterpreCatio obeliscorum urbis (Romae 1842) p. 167 ff. (*) Geographische Inschriften I, 41 ; und in der Hieroglyphischen Gram- matik.
8
114 A. ERMAN
Auch ich habe mich dieser Aufgabe nicht ganz leichten Her- zens unterzogen : denn es tretfen bei ihr verschiedene Schwierig- keiten zusammen, die eine wirklich befriedigende Lösung verhindern. Der Text ist in einer toten Sprache abgefasst, die sein Verfasser nur unvollkommen beherrscht, und ist in einer Orthographie ge- schrieben, deren tolle Verwilderung jeder Beschreibung spottet. Die Schrift ist mit allerlei seltsamen Zeichen verbrämt und dafür so ungeschickt angeordnet, dass man die Eeihenfolge der einzelnen Zeichen oft nur errathen kann. In jeder Zeile unterbrechen Lücken den Zusammenhang und an den beschädigten Stellen geben die bei- den vorhandenen Abbildungen (') gewiss nicht immer das Rechte.
Der Leser wundere sich daher nicht, wenn in den unten ge- gebenen üebersetzungen der Zusammenhang so oft durch leere Stellen unterbrochen ist; ich mochte nur das übersetzen, was ich einigermassen auch verantworten konnte ; was auch in diesen über- setzten Stellen noch anstössig und zweifelhaft ist, ist in den An- merkungen angegeben.
Der oberste Teil der vier Seiten des Obelisken ist durch Darstellungen eingenommen, die dreimal den Antinous und einmal den Kaiser selbst vor verschiedenen Göttern zeigen ; die kleinen Beischriften sind leider in den Publikationen fast unlesbar. Auf Seite A opfert der Sohn des Re, der Herr der Diademe " Ha- drianus « der eioiglebende vor dem Sonnengotte Harmachis. Auf den andern Seiten empfängt Antinous, der durch Krone, Bart und Kleid als Gott bezeichnet ist, von den Göttern ein lebendes Herz, Heil und Jubiläen (d. h. ewige Dauer). Auf B ist es Tliolh der Herr von Hermopolis, der ihm giebt dass dein Herz lebe ewig- lich; in der Nähe von Hermopolis hatte Antinous ja seinen Tod gefunden und hier auf dem Gebiete des Thoth lag die ihm ge- weihte neue Stadt. Auf C steht er vor Amon von Theben, auf D
ist das Bild des Gottes zerstört.
(1) Zoega, de origine et usu oheliscorum, Taf. VI; Ungarelli, 1. 1. Taf. VI. — Für die Seite C stand mir eine Photographie zu Gebot: ein be- friedigender Text wird sich indessen nur mit Hilfe von Abklatschen gewin- nen lassen.
OBELISKEN ROEMISCHER ZEIT 111
A. HADRIAN VOR HARMACHIS.
Wie (0 ist das Heil, das gethan ist dem Osiris Anti-
mus den Seligen. Sein Herz freut sich sehr, seit er seine Gestali selbst erkamt hat nach dem Wiederaufleben und seinen Vater (?)
Horus (?) erblickt hat. Fr {-) also : o Re-Harmachis, du
der Götter ! der du hörst das Rufen der Götter, der Menschen, der hnmmt (3) und der Toten, höre das Rufen, das dir . . . . (^) \_dein'] Erbe, das Abbild dessen der [ihn'] schuf, dein geliebter Sohn, der König von Ober- und Unter aegypten, der die Lehre
in den Tempeln {^), allen Menschen, « der vom Nil
und allen Göttern [geliebte] » (6), der Herr der Diademe « {ßa- drianus Caesar]-^, der lebt, heil und gesund ist, der ewig lebt
. • der grosse, grünende, schöne. Er ist der Herr des
Genusses (?), der Herrscher jedes Landes, unter dessen Sandalen die Grossen Aegyptens und der neun Bogenvölker (") msammen
liegen, so wie Re die beiden Länder {^) beherrscht sein
Mund täglich. Seine Kraft reicht bis m den . . . . , dieses
Landes auf seinen vier Seiten, Die Stiere und ihre Kühe vermi- schen sich in Wollust und vermehren für ihn ihr Gebären, um sein Herz zu erfreuen und das der grossen königlichen Gemahlin, der von ihm geliebten, der Herrscherin beider Länder <^ Sabina -> die lebt, heil und gesund ist, « Sebaste, die ewig lebende ". Der
(1) Vermuthlich ist das verstümmelte . . hcl zu einem AJjectiv zu er- gänzen : « wie herrlich » oder ähnlich.
(2) Lies « betet " oder « spricht ». P) Eine Art der Menschen.
('') Das vieldeutige Verbum hmo bildet hier mit nis u Rufen » zusam- men oiTenbar einen gewählten Ausdruck für «beten» oder " anrufen », etwas wie « den Ruf vor dich bringen » oder ähnlich.
(^) Die Stelle ist in den bisherigen VeröflFentlichungen leider unlesbar ; sie scheint auf die Einführung Hadrians in die aegyptischen Priesterlehren Bezug zu haben.
(ß) Der Kaiser hat hier ausnahmsweise einen officiellen Namen, der nach alter Sitte gebildet ist, während er sonst « Autokrator Caesar Traja- nus " im ersten Namensschilde führt.
C) Die traditionelle Bezeichnung der feindlichen Nachbaren Aegyptens.
(^) Die alte Bezeichnung Aegyptens.
116 A. ERMAN
[iV//], der Vater der Götter, schwängert die Aecker Nut zu
ihrer Zeit, das Wasser betritt (?) die beiden Länder
Der Sinn dieses Wortschwalles ist klar : Antinous ist zu neuem Leben erwacht; er findet sich freudig als Genossen des Sonnengottes Re Harmachis wieder und bittet diesen Lenker der Welt dem Kaiser gnädig zu sein. Der Schluss schildert die Macht des Kaisers und seine glückliche Regierung, unter der Viehzucht und Ackerbau in Aegypten blühen ; in welchem Zusammenhang diese Schilderung zu der Bitte des Antinous steht, bleibt in Folge einer Lücke unklar.
B. ANTINOUS VOR THOTH.
Antinous der Selige, er luurde ein schöner Jüngling, indem
er erfreute (?) ; sein Herz wie das eines Starkarmi-
gen ; er emiofing den Befehl der Götter wie ('). Alle Gebräuche
der Osirispriester wurden an ihm wiederholt (-) und alle seine
als ungewusstes (?). Als (?) sein Buch (^) ii?nher ging, loar
das ganze Land .... und .... Nie ist Früheren Gleiches gethan
worden bis heute, seine Altäre, seine Häuser, seine Titel {^).
Er aihmet die Luft des Lebens. Sein Ruhm ist in den Herzen aller Menschen, [wie der des'] {^) Herrn von Hermoj)olis, des Herrn der Hieroglyphen. Seilte Seele verjüngt sich luie die . . .
zu ihrer Jahreszeit, bei Nacht und Tag, zu jeder Zeit und
jeder ....
Seine Liebe ist in den Herzen seiner Diener, seine Furcht
(1) Was sich von diesen Sätzen verstehen lässt, legt es verführerisch nahe, sie auf den angeblichen freiwilligen Opfertod des Knaben zu beziehen : wie ein Held hat er sich erzeigt und ist nach dem Befehle der Götter mu- thig in den Tod gegangen. Aber ehe wir daraufhin diejenige Version der Antinousgeschichte anerkennten, die an und für sich die weniger glaubwür- dige ist, müssten wir der Deutung dieser Sätze völlig sicher sein und das sind wir nicht.
(2) Der Sinn ist: was einst bei der Bestattung des Osiris vollzogen ist, das ward auch bei Antinous' Begräbniss gethan. — Was ich mit « Priester » wiedergegeben habe, scheint das Wort lonvot zu sein.
(3) So wörtlich; vielleicht ist gemeint, dass alles Volk die Kunde von Antinous Vergötterung mit frohem Staunen empfangen hat.
(■') Vielleicht: ebenso, d. h. sind ebenfalls etwas bisher unerhörtes. {^) Es fehlt mt « gleichwie ».
OBELISKEN ROEMISCHER ZEIT 117
[^w] allen [Leiberni ('), sein Lob bei allen Menschen, indem sie ihn preisen. Er sitzt in der Halle der Wahrheit (-). Die treff- lichen Verklärten im Gefolge des Osiris in Te-zoser {^)
geben ihm Rechtfertigung (''). Sie lassen seine Worte bleiben im ganzen Lande, ihr Herz ist fröhlich gemacht über ihn.
Er geht ««' jedem Orte, zu dem er gehen will (^). Die Thiirhfiter des Ekergaues, sie sagen ihm jedes Lob (?). Sie lösen ihre Riegel, sie öffnen ihre Thüren vor ihm, in einer Million von Millionen von Jahren, täglich . . . seine Lebensdauer, \_wi]ver- gänglich.
Der Inhalt der vorstehenden Inschrift ist also kurz der : An- tinous ist schön gestorben und feierlich bestattet. Er ist zum Gott erhoben und geniesst als solcher in ewiger Jugend die Verehrung und Liebe der Menschen. Auch im Totenreich findet er freundlichen Empfang, alles öffnet sich ihm dort und er lebt ewig.
C. ANTINOUS VOR AMON.
Osiris Äntinous der Selige^ der dort ist (^), ein hgiw (^) lüird in seiner Stätte von .... (^) gemacht, deren Namen nach seinem Namen ist, für die Tapfern, die in diesem Lande sind
Q-) Bekannte herkömmliche Ausdrücke, um eine Ehrfurcht gebietende Person zu schildern.
(2) Wo Osiris als Herrscher der Toten thront.
(3) Namen für das Totenreich oder Theil desselben.
(■*) Eigentlich das wahr an Wort; wie Osiris. das göttliche Vorbild der Toten einst als " wahr an Wort » befunden worden ist, so finden auch die Totenrichter in der Osirishalle den Äntinous gerecht. Auch der folgende Satz enthält wohl nur eine Anspielung auf diesen Mythus.
(5) Nach Belieben an jeden Ort gehen zu können, ist der ständige Wunsch der aegyptischen Toten.
(6) D. h. im Totenreiche, ein gewöhnlicher Euphemismus für « ge- storben ».
C) Das Wort hg'iw das hier steht, muss nach seiner Schreibung eine von einem Verbum abgeleitete Ortsbezeichnung sein.
(8) Das zerstörte Wort kann grammatisch ein Ortsname, ein genitivi- sches Substantiv (wie: Stätte der Verehrung, St. des Begräbnisses) oder ein Particip (wie : geheiligte Stätte) sein.
] 18 A. ERMAN
und die Rudermaiiiischafteii und die ....(') des gansen Landes und desgleichen alle Leute, ivelche die Stelle wo Thoth ist ken- nen (-), indem sie . . . geben, mit Kränzen auf ihrem Haupt, .... mit allen guten Dingen. Man bringt Opfer dar auf seinen Al- tären, man legt Gotteswohlgerüche (?) (^) vor [^ihn'] alltäglich nach der Vorschrift (?) (^)
Gejrriesen wird er von den Künstlern (?) (^) des Thoth als . .
seiner C*) ; er geht in seine Stätte die Städte des
ganzen Landes, denn {') er erhört die Bitte dessen der ihn ruft.
Er heilt (^) den Kranken, ihm einen Traum schickt. Er
verrichtet sein Werk unter den Menschen (?) (9), er thut Wun- der (?) ('0) sein Herz, dieiueil er ein loirkliches Erzeug-
niss göttlichen Samens ist .... in seinen Gliedern (?) Leib
seiner Mutter (?). Er wirde (") in seinem Geburtshause
von ....
Den Anfang des Textes ist man versucht auf die Einsetzung von Festspielen in Antinoupolis zu deuten; auf giiechischem Bo- den sind solche vielfach zu Ehren des Antinous eingesetzt worden und warum sollte diese Sitte nicht auch in die neue griechische Stadt Aeg}73tens übertragen worden sein ? Wie schon die Erwähnung der Bekränzung zeigt, ist hier von einem Feste die Eede und doch
(') Was auf die Soldaten und Schiifer folgt, sieht aus, als wäre es noch einmal das Wort « tapfer « in einer anderen Form, doch wird es wohl die entstellte Schreibung irgend eines anderen Wortes sein.
(2j Das soll wohl heissen: die Bewohner von Hermopolis, in dessen Nachbarschaft Antinoupolis belegen ist.
(3) Ich glaube auf der Photographie « Kyphi des Gottes » oder etwas ähnliches zu sehen.
(■*) Es stand wuhl tp-rd.
(5) So steht wirklich da ; das Wort bezeichnet sonst Tempelhandwerker u. ä.
(^) Vielleicht « als ein in seiner Trefflichkeit langer » oder eine ähn- liche Phrase.
(~) So ist gewiss zu übersetzen, obgleich die Verbindung von hr mit der n-Form des Verbums schwerlich zulässig ist.
(8) Man erwartet das Kausativ ssnb.
(^) Wörtlich wohl « den Seienden n.
(^*^) Ich denke, er braucht hprio hier in der Bedeutung, die es im Kopti- schen hat; die alten Bedeutungen « Existenz, Gestalt »> passen kaum in den Zusammenhang.
(*ij Nach der Schreibung ein Verbum des Redens oder des Denkens.
OBELISKEN ROEMISCHEH ZEIT 119
kommt keines der üblichen Worte für « Fest » hier vor ; der Ge- danke muss also in einer für Aeg}'pten ungewöhnlichen Weise aus- gedrückt sein. Ich möchte demnach vermuthen, dass das neue Wort hg^iu einen Spielplatz oder ein Festspiel bezeichnet. Auch die Er- wähnung der Tapferen und der Ruderer als Haupttheilnehmer des Festes fände bei dieser Annahme ein ungezwungene Erklärung.
Im Folgenden ist dann — die Lücken lassen den Zusam- menhang nicht erkennen — von den Wohlthaten die Rede, die Antinous den Menschen erweist; auch des Tempelschlafes der Kranken scheint dabei gedacht zu werden. Der Grund dieser Macht liegt in seiner göttlichen Natur ; ein Gott hat ihn erzeugt und in seiner Geburtsstunde haben ihn die Götter als neuen Mit- gott begrüsst — Redensarten, die in alter Zeit von den aegypti- schen Königen gebraucht werden.
D. ANTINOUS VOR EINEM JETZT ZERSTOERTEN GOTTE.
Antinous (') welcher dort ist (-), ivelcher ruht (^) in dieser Stätte, die im Grenzfelde ('^) der Herrin des Genus- ses (?) {^) Hrome liegt, er ist erkannt als (^) Gott in den gött-
(') Der Name ist hier in dem stereotypen Anfang als selbstverständlich nur mit dem Bildchen geschrieben, das ihn]in den gleichen Stellen in B und C begleitet. — Ich bemerke, dass in der folgenden Stelle, der wichtigsten des ganzen Obelisken, die Uebersetzung durchweg zweifellos ist.
(2) Vgl. oben S. 117 Anm. 6.
i^) htp wird ganz wie unser « ruhen » von den Toten gebraucht, die im Grabe liegen ; es ist der gewöhnliche gewählte Ausdruck für « begra- ben sein ".
(■*) Die gewöhnlichen Worte für « Feld " und « Grenze ", in gewöhn- licher später Schreibung. Beide gehörten als söse und tos auch noch der Sprache der damaligen Zeit mit den gleichen Bedeutungen an ; ich erwähne dies, weil wir demnach sicher sind, dass der Verfasser der Inschriften sich der Bedeutung beider Worte auch richtig bewusst war. Die Zusammensetzung der beiden Worte ist durch das zugefügte Stadtzeichen ausdrücklich als ein Ortsname gekennzeichnet.
(5) Es ist dasselbe zweifelhafte Beiwort, das in A der Kaiser selbst trägt; die Schreibung von Rom ist die in aegyptischen Inschriften übliche.
C) So wird die Praeposition ?' hier zu übersetzen sein, obgleich ich diese Konstruktion von rh " wissen », sonst nicht belegen kann.
120 A. F.RMAN
liehen Stätten von Aeg?jp:en. Ein Tempel (') wird ihm gebaut, er wird wie ein Gott verehrt von den Propheten und Priestern von Ober- and Unter aegypten, von den Bewohnern Aegyptens so viel ihrer sind. Eine Stadt (-) wird nach seinem Namen benannt ; die .... Soldaten (^) der Griechen und die .... derer die in den Tempeln von Aegypten sind, kommen [ßu seiner Stadt~\ . . ihren — Aecker und Felder werden ihnen gegeben, um ihr lieben damit sehr schön zu machen. Ein Tempel dieses Gottes ist darin, dessen Name " Osiris Antinous der Selige " ist, gebaut aus sehöneyn Kalkstein, mit Sphinxen um ihn her und Statuen und vielen Säulen, wie sie vordem von den Vorfahren gemacht wurden und desgleichen wie sie von den Griechen gemacht werden. Jeder Gott und jede Göttin geben ihm den Lebenshauch und er aihmet neue Jugend ein {^).
Was uns hier erzählt wird, die Anerkennung des neuen Gottes seitens aller Priester, die Gründung der neuen Stadt mit ihren Bauten in griechisch-aegyptischem Stile, das alles ist merkwürdig genug. Aber ungleich merkwürdiger ist doch das, was in den er- sten Worten dieser Inschrift nebenbei bemerkt ist, dass Antinous bestattet ist « in dem Grenzfelde von Rom ■' « in dieser Stätte " , d. h. dort wo unser Obelisk gestanden hat. Demnach ist — es ist nichts daran zu drehen und zu deuten {^) — Antinous in Korn
(1) Dass die verwendete Schreibung ein Singularis sein soll, ergiebt sich aus der Stelle, die den Tempel von Antin 'iipolis beschreibt.
(2) Time, das gewöhnliche spätere Wort für "Stadt" ; Brugsch der (Geogr. Inschr. I, 41 und Dict. geogr. p. 945) diesen Satz anführt, sieht darin hier einen Ortsnamen, wie, mir scheint, ohne Grund.
(3) Was der hier gebrauchte Ausdruck besagen soll, ist nicht ohne Wahrscheinlichkeit zu errathen. -S'.s ist ein bekanntes späteres Wort für Sol- daten, Truppen (Brugsch, Wörterb. Suppl. p. 1203); die Soldaten aber, die in Antinoupolis angesiedelt wurden, waren Veteranen. In dem auf Ss folgenden Zusatz fietmiti (oder wie man ihn sonst schreiben will) könnte also wohl ein Wort für Veteran stecken. — Die " Griechen " sind natürlich nicht wörtlich zu nehmen ; gemeint sind Nichtaegypter.
(■•) Der ihm geschenkte Lebensathem lässt ihn nicht altern.
(5) Ich brauche wohl auch nicht zu bemerken, dass « im Grenzfelde von Rom n nicht bedeuten kann « in einem Grenzlande des römischen Reiches » d. h. in Aegypten. Ein « Feld '> ist kein Land und Ilrome ist nicht das rö- mische Reich und welcher aegyptische Priester würde sein altes heiliges Land in so pietätloser Weise bezeichnet haben ?
OBELISKEN ROEMISCHER ZEIT 121
bestattet und sein Grab hat gelegen an der Via Labicana, unweit der Aqua Claudia, in der früheren Vigna Saccocci, denn an dieser Stelle ist, wie mir Chr. Hülsen freundlichst mitgetheilt hat, der Obelisk des Pincio gefunden worden.
Vermuthlich ist die Leiche des ertrunkenen Knaben in Ae- gypten mumisirt worden und dann in Korn nach den Erfordernis- sen des aegyptischen Ritus beigesetzt worden ; es steht zu vermu- then, dass diesem Grabe nichts von alledem gefehlt haben wird, was damals als aegyptisch galt : Obelisken und Sphinxe und Götter- bilder in der Weise der « Vorfahren » und in der Weise der « Grie- chen ".
Berlin.
A. Erman.
DAS GRAB DES ANTINOUS
Die überraschende neue Deutung der Inschrift des Pincio-Obe- lisken, welche Erman auf den vorhergehenden Blättern gegeben hat, wird bei jedem, der sich für die antiken Monumente Roms inter- essirt, die Frage aufsteigen lassen, ob der ursprüngliche Aufstellungs- ort des Obelisken noch genau zu ermitteln und ob von dem prächti- gen Grabbau noch Reste erhalten oder auffindbar seien. Zur Beant- wortung dieser Fragen wollen die folgenden Bemerkungen einiges Material beibringen.
Die mannigfaltigen Schicksale, welche der Antinous-Obelisk im Laufe der letzten drei Jahrhunderte gehabt hat, sind von Zoega {De origine et usu obeliscorum p. 77 f.) und Cancellieri (// mer- cato di Piazza Navona p. 173) verzeichnet ('). Seinen Platz in den Anlagen des Pincio hat er erst durch Pius VII 1822 erhalten: vorher lag er ein halbes Jahrhundert im Giardino della Pigna im Vatikan. Clemens XIV (1769-1775) hatte ihn von der Fürstin Donna Cornelia Barberini zum Geschenk empfangen (-) : im Bar- berinischen Besitz war er seit fast 140 Jahren gewesen, ohne eine Aufstellung zu finden. Er hatte im Hofe des Palastes bei den Quattro Fontane gelegen, nachdem Berninis Projekt, ihn vor seiner barocken
{}) Was Lanciani Jtinerario di Einsiedeln 59 =: Mon. dei Lincei I, 491 aus G. B. Cipriani, Trattato degli obelischi di Roma (1821) citirt, ist aus Can- cellieri genommen und für unsere Untersuchung wertlos.
(2) Die Absicht Pius VI, ihn vor der grossen Bramanteschen Halbkuppel- nische aufrichten zu lassen, in welcher die bronzene Pigna steht, kam nicht zur Ausführung; ebensowenig der bizarre Vorschlag Cancellieris (1783) ihn auf dem Turme der Porta Pia aufzustellen " afjßnche dal sontuoso quadrivio delle quattro Fontane potessero scorgersi in un punto quattro diversi obe- lischi, con sorpresa ed incanto dei Romani e de' Forcstieri, che stupirebbero in veder vinto V ingegnoso pensiero di Sisto V, di fare ammirare un solo da tre diverse strade! » {Fl mercato di Piazza Navona a. a. 0.).
CH. HUELSEN, DAS GRAB DES ANTINOUS 123
künstlichen Brückenruine aufzustellen, niclit zur Ausführung ge- kommen war. Die Barberini wiederum hatten ihn 1638 (^) herbei- schaffen lassen aus einer Yigna vor Porta Maggiore : in derselben Vigna war er schon seit Anfang des 16'®" Jhrdts, gesehen und hat ohne Zweifel auch in antiker Zeit dort gestanden. Die genaue Er- mittelung der Oertlichkeit ist daher für unsere Untersuchung von Interesse.
Leicht ist es zunächst zu sagen, wo der Obelisk von 1570-1633 gestanden hat. Noch heute findet sich an einem Pfeiler der Acqua Feiice, etwa 360 m. vom Eintritt derselben in die Aureliansmauer, wenige Schritte von dem Casino der Vigna di S. Marcello (« auf dem Plane S. 124), eine grosse Marmortafel mit der Inschrift (^) :
OBELISCI FRAGMENTA DIV PROSTRATA CVRTIVS SACCOCIVS ET MARCELLVS FRATRES AD PERPETVAM ■ HVIVS • CIRCI SOLIS MEMORIAM ERIGI CVRARVNT ANNO SALVTIS MDLXX
Jedoch diese Stelle ist nicht ganz die ursprüngliche: gerade in der Trace der alten Aqua Claudia, zwischen zwei Pfeilern der- selben kann der Obelisk in alter Zeit nicht gestanden haben. Um bestimmteres zu ermitteln, müssen wir die leider sehr spär-
(1) Dass Jahr giebt Ath. Kircher, Oedipus Aegyptiacus {1654} III, 271, welcher 1635 vom Kardinal Barberini nach Rom berufen wurde um die Hie- roglyphen des Obelisken zu entziiFern. Kirchers Angabe, dass der Obelisk in der Erde gelegen habe und erst durch eine Ausgrabung zu Tage gefördert sei, ist ohne Zweifel irrig. Auch seine Massangaben sind sehr ungenau, wie Zoega p. 77 nachweist.
(2) Cancellieri a. a. 0. 173: von mir revidirt. Der Widerspruch, den Lan- ciani [Itinerario di Emsiedeln 59 := Monumenti dei Lincei I, 491) darin findet, dass eine Inschrift von 1570 an einem Pfeiler der erst 1585 erbauten Aqua Feiice angebracht sein solle, löst sich sehr einfach: der betreffende Pfeiler steht auf Resten eines antiken (der Aqua Claudia), den die Saccocci benützt haben. Der nächstfolgende (nach der Stadt zu) zeigt in seiner unteren Hälfte gleichfalls Architekturreste von Peperin (Nische mit Halbkuppel) die den Charakter des ausgehenden 16'®" Jahrhunderts tragen und ohne Zweifel von den Bauten der Saccocci stammen.
J24 CH. HUELSEN
liehen Notizen über den Obelisken aus der ersten Hälfte des W*"" Jhdts. prüfen.
Es kommen hier vornehmlich drei Autoren in Betracht: An- drea Fulvio, Antonio da Sangallo der Jüngere und Pirro Ligorio (0-
(1) Ein viertes Zeugniss (und zwar das älteste von allen) würde die von mir Bull, comun. 1892 Tf. II, III, IV heran sgegebene Ansicht von Rom aus der Vogelschau auf einem Gemälde des Museums zu Frankfurt am Main bieten, welche, wie ich a. a. 0. gezeigt habe, auf ein Original aus der Zeit Sixtus IV (1471-1484) zurückgeht, wenn es sicher wäre, dass der in drei Stücke zerbro- chene Obelisk, der auf diesem Bilde innerhalb der Aureliansmauer zwischen S. Croce in Gerusalemme und den Aquäducten gezeichnet ist, den unseren darstelle. Man könnte jedoch auch an den anderen obeliscus confractus qui
DAS GRAB DES ANTINOUS 125
1) Andreas Fiilvius {Antiquität, lib. IV f. 67 ed. 1527) sagt: Alter (circus fiiit) extra portam maiorem iuxta viam Labica- nam et formam aquae Claiidiae post moenia urbis et coenobium S. Crucis in Iliermalem, cuius tm (== tantum) extat forma et pa- rietum vestigia inter proximas vineas, ubi in medio adhuc in duas confractus partes iacet obeliscus. Die Kuine des " Circus " und die Existenz des Obelisken erwähnt er auch noch einmal ganz kurz 1. IV f. 71.
2) Eine (dem Fulvius etwa gleichzeitige) Zeichnung Antonio da Sangallos des Jüngeren (Florenz Uffizien 900) stellt das untere Ende des Obelisken dar, mit der Massangabe ' grosso p. 4 in- cireha ' und der Beischrift (publiziert, aber nicht ganz correct, bei Lanciani, L' itinerario di Einsiedeln 59 ^= Mon. dei Lincei I, 491 ; eine Pause verdanke ich Hrn. N. Ferri) : l'obelischo e fuora di porta maiore P meso miglio apreso li aquidotto (so !) due tiri di mano in uno circho navale, quäle f= quäl' e) da la banda delli aquidotti diverso la porta S. lanni nella nignia di 7nes{ser) Girolamo Milanese, che ci lauora Rugieri scharpellino.
3) Am ausftihrlichsten spricht über den « Circus « und den Obelisken Pirro Ligorio. In seinem Libro delle antichitä di Roma (1553) f. 3' heisst es : L'ottavo Circo era quello, che hoggi sensa nome si uede 7'uinato fuor delle mura moderne di la daW Ampthitheatro Cast7'ense di Santa Croce in HierusoXem, poco discosto dalV Aquedotto, che portava sopra di se tre ca- nali ö vogliamo dire ruscelli d'acque, l'un sopra Valtro, ne i medesimi archi, cioe deWacqua Julia, della Tepula, et della Martia. Veggonsi grandissimi segni di questo Circo, doue hora sono i peszi di quello Obelisco, che vi era dedicato rnolto bello, ed ornato di figure delle lettere sacre de gli Egittii: et ueg- gonsi in parte i cunei, cioe gradi, doue si staua sedendo a ve-
extra portam (Tiburtinam) apv.d aedem D. Laurentii in vinetis lag (Mar- liani, Topographia ed. 1544 1. V c. 26 p. 117) denken, über dessen Verbleib nichts sicheres bekannt zu sein scheint (Zoega, Cancellieri und die Neueren haben die Angabe Marlianis unberücksichtigt gelassen). Topographisch ist das Frankfurter Bild jedenfalls nicht verwertbar, da man in dem einen wie dem anderen Falle annehmen muss, dass der Maler den Obelisken willkürlich ausser- halb statt innerhalb der Mauer dargestellt habe.
1-26 CH. HUELSEN
dere i giuochi, fatti con molta magnißcentia. Et qiiantunque La cosa sia cosi chiara, mndmeno i moderiii scrittori non ne hanno fatta mentione alcuna, non se ne essendo accorti.
Derselbe in seinen grossen handschriftlichen Äiitichitä di Roma (cod. Tänrin. 15 f. 152: ich benütze die Abschrift cod. Otto- bon. 3374 f. 254) : CiRCUS Aüreliani cum obelisco fü nell'E- squilie oltre all'aafiteairo Castrense, dove ancora ira le vigne si vede fuon della cittä moderna situato rente (?) l'Acquedotto del- l'Äcqua Claudia, j^oco discosto alla via Labicana, appunto tra essa via ed il detto Änfiteatro, ove si vedono i pem deU'obe- lisco che haveva in mezo, del marmo Arabico chiamato Poicile, che hör dicenio granito rosso, ove in im fodro di marmo fü trovata la dedicatione al suo Iddio Sole deW Imperatore, tutta pesta dalle percosse e dal fiioco, ma la forma desso litogo ha- vemo dissegnata nel libro dei Circhi et delli Teatri et Amphi- theatri. Es folgt die falsche Inschrift CIL. VI, 647*: Deo Soli orin. invicto sacr. \ Imp. Caesar L. Domitius Aurelianus \ con- servator urb. et orb. terrar, \ pius felix Aug. pontlfex maxi- mus I trib. potes. VI cos. IUI. p. p. procos. . . .
Endlich hat Ligorio auch den « Circus « samt dem Obelisken bildlich dargestellt auf Blatt 4 seiner Antiquae urbis imago (Rom, Mich. Tramezinus 1551): die betretfende Partie ist beistehend in Verkleinerung auf Vs reproduziert. Wir sehen darauf die von der 'Porta Asinniaria ' (sie) ausgehende ' Via Asinoiaria '. an welcher das 'Monumentum Q. Acili Scaev(o)la(e) ', ein ' (monumentum) An- nianorum ', die ' villa Peduceorum '. ein ' monumentum Publiorum Pacciorum ' liegen. Innerhalb der Aureliansmauer sind unter an- deren das ' Templum Veneris ' (die bekannte zum Palatium Ses- sorianum gehörige Rume neben S. Croce in Gerusalemme), dann : 'Temp{lum) Isidis; qui hoggi e la chiesa di Sancta Croce in Hie- rusalem ', endlich das Amphitheatrum Castrense abgebildet. Hinter diesem die (uncorrect gezeichneten) Bogen der Wasserleitungen, und vor den Mauern der ' Hippodromus Aüreliani Aug(usti) ' mit dem Obelisken mitten auf der Spina (').
(}) Die übrigen Astygraphen des 16'®" Jahrhunderts, Marliani, Fauno, Ga- mucci u. s. w. übergehen die angeblichen Reste des Circus wie den Obelisken gänzlich mit Stillschweigen. Wertlos ist die Notiz in Andrea Palladios Anti-
DAS GRAB DES A.NTINOUS 127
Was schon an sich wahrscheinlich ist, dass die Saccocci im Jahre 1570 die gewichtigen Bruchstücke des Monolithen (die drei Stücke haben, nach den Messungen Zoegas, in der Höhe 3,06 resp. 2,75 und 3,52 m. ; die Grundfläche des unteren Fragments
hat c. 0,86 X 0,83 m.) nicht aus grosser Entfernung haben her- beitransportiren lassen, wird durch diese Zeugnisse ausdrücklich bestätigt. Sangallos Angabe ' fuori dl porta Maggiore Uiio mezo miglio ' tritft fast die Stelle, wo der Feldweg von der Via Labi- cana nach dem Casino S. Marcello (den auch Bufalinis Plan ver- zeichnet) abgeht, ist aber natürlich nur annähernd zu verstehen. Dass der Obelisk vor 1570 weiter nach der Campagna zu (gegen den Südrand des Hügels, in der Nähe des Casino Fiorelli) gelegen habe, ist nicht anzunehmen, weil sonst der von Fulvius und Li- gorius übereinstimmend gebrauchte Ausdruck « hinter den Stadt-
chitä cli Roma (f. 9 ed. 15.55): (un circo) era fuori di Porta Maggiore, et se ne vedono le ruvine nele uigne et monasterio di Santa Croce in Gern- salemme. Was die Späteren, z. B. Aless. Donati {Roma vetus 1. III cap. H p. 263 ed. 1643) und Farn. Nardini [Roma antica 1. IV c. 2. = 2, 19 ed. Nibby) haben, geht nur auf Fulvio und Ligorio zurück.
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mauern und dem Kloster S. Croce » nicht passend wäre. Vielmehr wird er vor seiner Aufstellung westlich vom Casino S. Marcello zwischen diesem und der Stadtmauer, gelegen haben. Leider ist die Distanzangabe Sangallos « zwei Steinwürfe weit von den Aquä- ducten ' recht vage ; sie lässt es auch im Zweifel, ob wii' uns den Obelisken auf der Höhe des Hügels oder im Thale denken sollen. Vom Aquäduct bis zum Hügelrande sind es ungefähr 300, bis zur Sohle des Marrana-Thales gegen 400 Meter : was für ' zwei Stein- würfe ' mehr als reichlich ist ; ferner mag es wenig glaublich erscheinen, dass die schweren Granitblöcke aus dem Thale nach jenem Platze zwischen den Pfeilern der Aqua Claudia hinaufge- schleppt seien ; endlich scheint auch der von Ligorio im cod. Tau- rinensis gebrauchte Ausdruck sowie seine Zeichnung, dafür zu spre- chen, dass er sich den « Circus " auf der Höhe dachte. Andrerseits erwäge man, dass die Nachricht von den Resten des « Circus » mit der Beschaffenheit des Plateaus des Hügels schwer zu ver- einigen ist. Erhebliche Ruinen sind dort weder jetzt vorhanden, noch waren sie es in der Mitte des 16*®" Jahrhunderts. (Bufalinis Plan zeigt eine Menge Ruinen, wie es scheint von Grabmonumenten und Villen, östlich von den Aquäducten : auf dem uns interessirenden Terrain dagegen nur einen weissen Fleck); wie hätte aber, ohne das Vorhandensein von solchen, der Glaube an einen ' Circus ' und insbesondere einen ' circo navale ' auf der Hügelhöhe entstehen können ? Die Abhänge eines Thaies geben an und für sich die Vor- stellung von Sitzreihen eines Circus ; die Marrana schien wie dazu gemacht, das Wasser für Naumachien zu liefern ; Reste von Bauten aus regelmässigen grossen Quadern konnten leicht als solche der Sitzstufen aufgefasst werden (^). Die ganze ' Circus '-H}T)othese er- klärt sich viel leichter, wenn man den " Circus ' im Thale der Mar- rana sucht, wie dies die Neueren seit Nardini und Canina auch all-
(1) Man erinnere sich an die analoge Erklärung der Quadern des Ustri- num Antoninorum für Reste des Amphitheatrum Statilii Tauri) Rom. Mitthei- lungen 1889, 61); vgl. auch was Fulvius a. a. 0. sagt: {Circus) unus, cuius forma ac sedilium vestigia adhuc apparent inter Viminalem montem et Exqui- lias iuxta viam Suburam, ubi nunc est aedis S. Laurentii in Fontana et S. Euphemiae : eine Angabe die trotz der Bestimmtheit mit der sie auftritt sicher auf Missdeutang beruht. Ucber die antiken Gebäude zwischen Viminal und Cispius s. Lanciani bull, comun. 1891, 305-318.
DAS GRAB DES ANTINOUS 120
geiuein getlian haben. Gewisshoit ist nur zu erzielen durch Nach- grabungen an Ort und Stelle: und dieselben wären um so wünschens- werter, als wir von gelegentlichen Nachsuchungen und Funden in dieser Gegend aus den letzten drei Jahrhunderten nichts wissen.
Wenn speziell, was mir das glaublichere ist, der Obelisk vor 1570 sich im Thale befunden hat, so liegt die Vermutuucf nahe, dass das Grab des Antinous nach ägyptischer Art als Hypo- gäum construirt gewesen ist, und der Pincio-Obelisk, höchst wahr- scheinlich mit einem zweiten entsprechenden, am Eingange zur Gruft gestanden hat (ähnlich wie die beiden Obelisken vor dem Augustus-Mausoleum). Dann wäre sogar die Möglichkeit nicht aus- geschlossen, dass die Grabkammer im Tuff des Hügels noch heute, mehr oder minder wohl erhalten, zu finden sei.
Ob das Grabmonument freilich den Körper des Antinous selbst barg? Wir müssten, wie Erman (oben S. 121) ; auseinandersetzt, annehmen, dass der Leichnam des Antinous im Nil aufarefundeu, sodann einbalsamirt und nach Rom geschafft wäre. Es darf aber nicht verschwiegen werden, dass ein Zeugniss dagegen zu spre- chen scheint. Der Bischof Epiphanius von Coustantia auf Cypern, (7 403 angeblich hundertjährig) sagt in seinen 'AyxvQWTog c. 108 (opp. ed. Petav. 2, 109), nachdem er von der göttlichen Verehrung welche bei den Heiden einzelnen Sterblichen erwiesen sei, gespro- chen hat : cog ö Hvrivoog 6 iv Hvrivoov x€XT]6svfii'vog xal (Tvv Xov- (Twqioi Tikoio} xeCf^isvog vno 'Adqiavov ovrcag xarsTayt] (imter die Götter versetzt wurde). Epiphanius scheint öfters über ägyptische Dinge aus Autopsie zu berichten ; das Xovgwqiov nloTov (so ver- bessert Petavius statt des hschr. yXovaMQiov) bleibt zwar rätsel- haft, sieht aber doch wie ein aus eigener Kenntnis mitgeteiltes Detail aus. War das Monument in Antinoupolis die Stätte der er- sten Beisetzung, und der Leichnam später in das römische über- tragen? oder war eines von beiden ein Kenotaph, das andere das wirkliche Grabmouument? Bei dem direkten Wiederspruch, in dem das Zeugnis des Epiphanius und die Obeliskeninschrift stehen, können Avir, vorläufig wenigstens, zu keiner Entscheidung hierül)er kommen.
Wie dem aber auch sei, die Existenz eines grossartigen Mo- numents für Antinous in Rom ist ausser Zweifel. Was der Grund gewesen sein möge, dasselbe gerade an dieser Stelle der Via La-
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bicana. am äussersten südöstlichen Punkte der Stadt (dem Grabe des Kaisers selbst, der am nordwestlichsten Punkt der alten Stadt gelegenen Moles Hadriani. diametral entgegengesetzt) zu errichten, entzieht sich unserer Kenntnis. Aber ein für die römische Topo- graphie interessantes Detail lehrt uns die Hierogljpheninschrift noch. Antinous ist bestattet « in dem Grenzfelde von Kom ". Der Platz, den wir für das Monument ermittelt haben, liegt er. 300 Meter ausserhalb der Stadtgrenze, wie sie gewöhnlich ange- nommen wird, nämlich der Aureliansmauer. Aber dass die Befe- stigung gerade an dieser Stelle nicht der augustischen Regions- grenze folgte, sondern aus fortifikatorischen Eücksichten ein Stück der altern Region ausschloss, erweist auch der Zustand der Rui- nen. Lanciani {Itiiierario di Einsiedelii 59 = Moniimeati dei Liiicei I, 491) hat darauf aufmerksam gemacht, dass die gros- sen Reste innerhalb der Stadtmauer, das sogenannte Palatium Sessorianum neben S. Croce in Gerusalemme, die antiken Reste unter dieser Kirche selbst u. s. w. durchaus gleiche Orientirung haben mit den bedeutenden Mauerresten, welche von der Aurelians- . mauer (zwischen dem ersten und zweiten Turm östlich vom Anfiteatro Castrense) durchschnitten werden und die sich auch weiter in die Campagna hinaus fortsetzen (0 Bis zur Grenze dieser grossartigen Anlage — die Lanciani. älteren Topographen folgend, den Besitzun- gen des Varius Marcellus. Vaters des Elagabal, zurechnet — muss sich die regio V Esqiälina vor Erbauung der Aureliansmauer aus- gedehnt haben. So ermöglicht es die Obeliskeuinschrift, die Grenze der Augustischen urbs regionum X/Fan einer Stelle zu ermitteln, wo sie durch die Aurelians-Mauer verändert ist: ein Fall, der wie jeder weiss, der sich mit römischer Topographie beschäftigt, höchst
selten ist.
Ch. Hüelsen.
(1) In questi uJtmi tempi, spurgandosi sino al piano antico, il piede delle mura della cittä, fca le porle di S. Giovanni e maggiore, so^io tornati in luce avanzi di grandiose costruzioni variane, troncate dalle mura stesse. Avendoli delineati in corrispondenza con quelli giä noti, fui sorpreso di ri- conoscere come essi servono come perfetto « trait d'union " fra i due gruppi di fabbriche entro e fuori le mura, di modo che se ne ottiene ora un gruppo solo grandissimo, e pnragonabile nella lunghezza e nella potenza delle pa- reti alle piü nobili ville del nostro territorio.
AUSGRABUNGEN VON ßOSCOREALE
(Taf. III)
Die Ausgrabung der Villa rustica in dem Grundstück des Herrn De Prisco ist seit dem an dieser Stelle (IX, 1894, S. 349) gegebenen Bericht bedeutend fortgeschritten, jetzt aber vorläufig eingestellt worden. Auf den wichtigsten Fund, den in den Louvre gekommenen Silberschatz (Mitth. X, 1895, S. 235) kann hier nicht eingegangen werden. Aber auch abgesehen davon sind die Resul- tate nicht ohne Interesse.
Wir geben auf Taf. den Grundriss des bisher ausgegrabenen. Nur über die Räume nördlich von dem Peristyl b und dem Kelter- raume c konnte ich schon 1895 aus eigener Anschauung be- richten; die kurzen Angaben über das Peristyl und namentlich über die Cisterne nebst den mit ihr verbundeneu Vorrichtungen beruhten auf brieflichen Mitteilungen des Herrn De Prisco, zu denen freilich nur wenig hinzuzufügen ist.
Ich recapitulire kurz die schon früher besprochenen Räume. a Culina, k l m Baderäume, n Praefurnium des Bades, d Aufbe- wahrungsort für landwirtschaftliche Geräte, e g Schlafzimmer, f Gang zu unausgegrabenen Räumen, h Durchgangsraum.
Hier ist nun zu berichtigen, dass die Thür nordwestlich von h nicht, wie a. 0. S. 351 angenommen wurde, Hausthür ist, sondern in weitere Innenräume führt. Die Villa bildete ein Rechteck, des- sen Westecke, wie unser Plan zeigt, durch kürzlich begonnene Grabungen jenseits der modernen Strasse sichtbar geworden ist.
Im Peristyl, cors, b, wurden die I-IV bezeichneten Vor- richtungen zum Wasserschöpfen schon a. 0. S. 356 f. beschrieben. Zu berichtigen ist, dass das Podium zwischen den Säulen nur auf der NW.- und NO.-Seite (hier mit einem Durchgang) die Regenrinne nur auf der NW.-Seite vorhanden ist. Eine Cisternenötfnung in der NW.-Halle fand sich in sehr zerstörtem Zustande, ohne Puteal.
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Der weite Eingang von SW. war auch für Wagen bestimmt; er hat deshalb statt der Schwelle nur einen Stein in der Mitte, an den die ThiU-tiügel anschlugen.
In Betreff des Raumes c wurde a. 0. S. 351 vermutet, dass er die cella vinaria oder auch der Kelterraum sein könne. Letztere Vermutung hat sich bestätigt. Der langgestreckte Raum enthält zwei Keltern, die von den früher in Stabiae gefundenen (') nicht wesentlich verschieden sind. An jedem Ende des Zimmers der grosse Kelterboden {forum, calcatorium) AA\ um etwa 0,25 über den in der Mitte übrig bleibenden Raum B erhöht, von ihm durch eine 0,70 resp. 0,45 hohe Aufmauerung getrennt, gegen diese geneigt und hier in eine Art Rinne endigend , die sich in Ä gegen C senkt und hier durch eine Bleiröhre in das in den Boden einfrelassene Dolium einmündet, in A nach beiden Seiten, C, auch hier beiderseits durch eine Bleiröhre in ein Dolium einmündend, nur mit dem Unterschied, dass die Dolien C vor der Trennungs- mauer stehen, 6" in derselben. In A ist noch ein dritter Abtluss bei E vorhanden: eine Bleiröhre (äuss. Durchm. etwa 0,08) führt unterirdisch in den etAva 1,70 x 2,0 grossen, etwa 3,80 tiefen ci- sternenartigen Behälter F, mit 0,90 X 0,60 grosser Oeflfnung. Ein Abfluss aus Ä in F soll vorhanden gewesen sein, war aber zur Zeit meiner Anwesenheit nicht kenntlich. Dagegen war kenntlich eine die Mauer durchbrechende Einflussöffnung aus dem Gange o, in der Höhe des Fussbodens. Man konnte also die ausgepresste Flüs- sigkeit, je nachdem man die einen oder die anderen Oeft'nungen verstopfte, entweder in die Dolien oder in die Cisterue abfliessen lassen. Natüi-lich waren erstere für das feinere Product bestimmt. Vielleicht liess man den aus den zertretenen Trauben abfiiessenden Most in die Dolien, den durch Pressen gewonnenen in die Cisterne fliessen ( Geopon. VI, 11), vielleicht auch in letztere nur den Trester- wein {lora). In einer Villa in Stabiae (Ruggiero Tf. XV) war, wie es scheint, nur eine solche Cisterne, keine Dolien vorhanden. — Auf zwei Dolien {C) findet sich der Stempel SEX OBINI • SALVI.
Diese Cisterne ist der Fundort des bekannten Silberschatzes ; der Mann welcher ihn und noch eine beträchtliche Anzahl Gold-
(1) Kuggiero Scavi di Stahia Tf. X, 1. XII. XIII. XIV. XV. Ant. di Ercol. VIII prefazione. Schneider Scr. r. r. II S. 630. 635 ff.
AUSGRABUNGEN VON BOSCOREALE 133
münzen bei sich führte, hatte in ihr Schutz gesucht und war hier verschüttet worden.
Nahe der Rückwand einer jeden Kelter ist im Boden eine etwa U,32 X 0,34 grosse gemauerte Grube, G' mindestens 1,85 tief, G voll Schutt: der Platz des Balkens, arhor, an dem der Pressbaum, preium, befestigt wurde. Zwei kleinere, je mit einem viereckig durch- bohrten Lavastein rahmenartig eingefasste Gruben befinden sich jederseits ausserhalb der Kelter, und zwar jedesmal eine annähernd quadratische // (0,30 X 0,30) //' (0,20 x 0,25) und eine längliche //' (0,28 X 0,14): hier standen die Pfähle, stipites, zwischen denen sich die Welle zum Niederziehen des Pressbaumes drehte. Alles dies ist ebenso mehrfach in Stabiae gefunden worden. Es war offenbar in dieser Gegend allgemein üblich, den Pressbaum nicht, wie Cato {de agrl cidt. 18, 1-2) vorschreibt, zwischen zwei Balken [arbores), sondern in einem starken Balken quadratischen Durch- schnitts zu befestigen. Auch die verschiedene Form der stipites für die Welle fand sich in Stabiae in allen Fällen, und zwar so, dass der längliche Pfahl der Wand zunächst stand {Ant. di Erc. VIII pref. p. XXXVII, auch bei Schneider Scr. r. r. II 638, Tf. VI) ; so auch hier, wo freilich die ganze Pressvorrichtung nur wenig von der Mitte des forum entfernt war. Letztere Eigentümlichkeit brin- gen die herculanensischen Akademiker damit zusammen, dass in einem der beiden Pfähle das Loch für den Zapfen der Welle ir- gendwie offen und zugänglich sein musste, um dieselbe einsetzen und fortnehmen zu können ; recht befriedigend ist diese Erklä- rung nicht.
Aus der runden Grube K von 0,55 Durchra. und 1,90 Tiefe führt ein unterirdischer Kanal nach SW. Nach Analogie des be- kannten Kelterraumes in Stabiae müssen wir hier den Zugang zu einem Hohlraum suchen, in welchem die stipites durch einen Querbalken verbunden und dadurch befestigt sein konnten. Die Oeffnung ist wohl zum Hinabsteigen etwas eng, aber doch nicht so, dass diese Deutung ausgeschlossen wäre.
Von den im Plan angegebenen Fenstern liegen die auf b und o geöffneten sehr niedrig, 0,50 und 0,25 über dem Boden der Kelter. Drei Balken — ein Firstbalken, etwa 4,50 über dem Kelterboden, und zwei Parallelbalken in halber Höhe der Dachneigung — trugen, auf der NW.lichen Giebelmauer aufliegend und in die Mauer der
134 A. MAU
SO. lieh anliegenden Räume eingreifend, das Dach. Sie waren auf der laugen Strecke von 16 m. gestützt durch vier Paare Dachsparren, die in Querbalken, deren Plätze kenntlich sind, eingezapft waren.
Eine eigentliche cella viiiaria ist nicht vorhanden, sondern die Dolien standen, fast bis zur Mündung eingegraben, unter freiem Himmel, in dem geräumigen Hofe p. Dass dies nichts ungewöhnli- ches war, steht auch durch Schriftstellerzeugnisse fest. Vitruv. I, 4,2 unterscheidet offenbar celLae vinariae tectae von unbedeckten Räu- men gleicher Bestimmung. Ferner Plin. a. h. XIV, 136: Campa- niae nobiluüma expoüta sub diu in cadis verherari sole, luna, imhre, ventis ajUissimum videtur. Und Geopoii. VII 2 : rov la%v- QotfQov oivov VTtaid^oiov 0-ST60V, äjTeGTQccifd-oa 6h dvOewz xal iis- (TijiißQia^ ToiyMV tivatv TtQo(JTsd^tvTMr. tovc dt Xstttoik ol'vovg vno (TTsyt]r ^€V60v.
Vollkommen kenntlich ist auch, wie der Most aus der Kelter hierher geschafft wurde. In der Kelter ist neben der Cisterne F in der SW.-Wand eine auch im Grundriss angedeutete Nische und über dieser noch eine kleinere. 0,50 breite Nische angebracht, de- ren Boden durch ein flaches Thongefäss gebildet wird. Zwischen dieser oberen Nische und dem Gange o ist die Wand durchbohrt. Unter dieser Oeffnung lag ein Balken quer über o. Eine entspre- chende Oeftnung findet sich schräg gegenüber in der Wand zwischen
0 und p. in welchen letzteren Raum sie einmündet über der an seiner Nordwestwaud aufgemauerten, mit Ziegelstuck bekleideten, durch ein kleines, aus der Wand vorspringendes Ziegeldach ge- schützten Rinne, aus der wieder kurze Bleiröhren, je einem der in den Boden eingelassenen Dolien entsprechend, in den Hof selbst führen. Es ist klar dass, wenn in diesen beiden Oeffnungen ein Bleirohr lag, und wenn die aus der Rinne führenden Röhren durch weitere Röhren oder untergelegte Bleirinnen verlängert wurden, der Most, in die obere Nische gegossen, von selbst in die Dolien floss. Die ganze Vorrichtung erinnert an Palladius I, 18, wo frei- lich im übrigen die Anordnung eine andere ist: ex his lacubus canales stntcti vel tubi fictiles circa extremos parields currant, et subiectis lateri suo dolus per vicinos meotm mananüa vina defimdoMt.
Der Hof mit den Dolien, p, ist, wie auch v und y um etwa
1 m. über die übrigen Räume erhöht ; man betritt ihn aus o über
ALSGHABUNGEN VON BOSCOREALE 135
drei Stufen. Eine Thür führt nach SW. ins Freie, eine andere nach SO. in den weiter zu besprechenden Raum v. Durch sechs Fenster und gitterartige Durchbrechung der NW.-Mauer ist für Ventila- tion crosorort ! die Höhe der Mauern ist nicht kenntlich. Die Anord- nung: der Dolien zeigt der Plan. Ausser denselben steht in der S.-Ecke ein grosses Bleigefäss von 1,0 Durchmesser und 1,35 Tiefe; es ist in seinem unteren Teile ummauert und steht auf einer Bronzeplatte unter der von aussen Feuer angezündet werden konnte. Gleich daneben ein Pfeiler, der vermutlich ein diese Ecke schüt- zendes Dach trug:. An der SO. -Wand wird die Reihe der Dolien durch eine Cisterne unterbrochen. Endlich steht zwischen diesen, nahe der O.-Ecke, ein längliches, nicht in den Boden eingelassenes Thongefäss. Unter den Dolien unterscheidet man ältere, z. T. mehr- fach ausgebesserte, und jüngere. Einige der älteren haben die Stem- pel N • SILLI und N • SILLIVS • N • In einige Dolien, ältere und jüngere, sind Zahlzeichen (hoch etwa 0,12) eingeritzt: IV, VII, IIX, X.
Die Dolien dienten nicht ausschliesslich zur Aufbewahrung von Wein , sondern auch für andere Vorräthe : eines , in der W.-Ecke, enthielt Hirse, ein anderes, gleich neben dem Bleigefäss in der S.-Ecke Weizen.
An der NO.-Halle des Peristyls b ist über der Thür zu c die tempelf«3rmige Larennische angebracht; sie ist, einschliesslich der sie einfassenden Halbsäulen und des Oiebelfeldes, 0,63 breit und 1,10 hoch.
Der Gang o führt, an weiterhin zu erwähnenden Räumen vorbei, zur Oelkelter und dem Oelmühleuraum tv x\ das Vorhandensein dieser deutlich charakterisirten Räume beweist, dass die bisher be- sprochene Kelter ausschliesslich für den Wein bestimmt war. Das charakteristischeste Stück ist hier die in der Mitte von x stehende Quetschmühle, trapetim, L, genau den von Fr. la Vega (Schneider Scr. r. r. II 622 ff.. Blümner Technol. I 332) vortrefflich bespro- chenen und restam-irten Exemplaren aus Stabiae entsprechend, aber zur Zeit der Verschüttung nicht montirt : die beiden Dreh- scheiben lagen in dem offenen Räume des Peristyls b'. Weiter ist ganz klar, das in to die um 0,40 erhöhte, 2,0 X 2,25 grosse Flä- che M der Kelterboden ist; es ist unwesentlich, dass dieser nicht bis an die SW.-Wand reiht und die Grube für den arbor iV(0,35 X 0,35,
136 A. MAU
tief 1,80) nicht in dieser Erhöhung, sondern hinter derselben liegt. Auch hier zeigt von den Gruben für die stipites der Winde die der Wand zunächst liegende 0 längliche Form (0,32 X 0,25); die andere P ist quadratisch (0,32), beide von Lavaringen eingefasst, etwa 2,60 tief und einmündend in einen durch die ausgemauerte Grube ö, 0,55 im Quadrat, zugänglichen Hohlraum, in dem die Uipites, wie in der Weinkelter, durch einen Querbalken verbunden cfewesen sein werden. Das Gel floss seitwärts vom Pressbaum in das runde Thongefäss R, welches durch eine nahe ihrem oberen Rande von einem runden Loche (Durchm. 0,02) durchbohrte Zwi- schenwand in zwei Teile geteilt ist. Seine Höhe kommt der des Kelterbodens ziemlich gleich. Wir haben hier wohl ohne Zweifel das gemellar zu erkennen, dem Columella XII 52, 10 eine flache rmide Schale, labritm^ vorzieht; freilich ist es nicht, wie dort, structile, sondern fictile. Ein kleineres Thongefäss ist bei S in den Boden eingelassen. Unerklärt bleibt die kleine mit Schutt gefüllte Grube in derS.-Ecke I und die grosse in der W.-Ecke U'. an letzterer Stelle sollte vielleicht irgend etwas angelegt werden.
Die Kleinheit der Oelkelter im Vergleich mit der Weinkelter, das Vorhandensein nur eines, noch dazu nicht montirten Trapetum, das Fehlen der zahlreichen labra, die nach Columella XII 52,11 zur Behandlung des Oeles nötig sind, ja selbst des Platzes, um sie aufzustellen, sowie auch einer Vorrichtung zur Aufbewahrung der Oliven (a. 0. 3-5) : alles dies beweist wohl, dass hier neben dem Weinbau der Oelbau nur eine geringe Rolle spielte, wie es in dieser ganzen Gegend noch heute der Fall ist.
In vier Villen von Stabiae (Ruggiero Tf. X, 1. XII, XIV, XV) wurde immer nur eine Kelter constatirt ; man nahm daher an, dass dieselbe Kelter für Wein und Gel benutzt worden sei {Aat. dl Erc. VIII, pref. p. XXVI, auch bei Schneider Scr. r. r. II 638). Ohne Zweifel gilt dies ffir den oft besprochenen und abgebildeten Kelter- raum, der sich von unserem c wesentlich nur dadurch unterscheidet, dass in der Mitte zwischen den beiden Keltern das Trapetum steht (Ruggiero Tf. XIL Ant. d. Erc. VIII tav. I. Schneider 635 ff. mit Tf. V. VI. Blümner Technol. I 346). Dagegen wird über die entsprechenden Anlagen der Villa bei Ruggiero Tf. X 1 vielleicht. auf Grund des in Boscoreale gefundenen, anders zu urteilen sein, als es von Fiorelli (bei Rieh Duionarlo, auch bei Ruggiero a. 0.)
AUSGRABUNGEN VON BOSCOREALE 137
geschehen ist. Wir finden hier in einem Kaiime (1 auf dem Plan) eine deutliche Kelter; ein anderer, ziemlich entfernter, 7, enthielt das Trapetiim. eine runde Aufmauerung unhekannter Bestimmung und, in einer Ecke, einen etwa 2,1 X 2,4 grossen, von einer nie- drigen Aufmauerung eingeschlossenen (erhöhten?) Teil des Fussbo- dens mit Abtiuss durch die Wand in einen Behälter (vielleicht eine Hinne) über den nähere Angaben fehlen. Fiorelli erkennt hier die Vorrichtung zum Aufbewahren der Oliven : der Vorschrift bei Columella XIl 52. 4 entsprechend hätten Bretter darüber gelegt werden sollen, die dann die Oliveu getragen hätten. Dies ist aber unmöglich : an den beiden Seiten mit denen das Rechteck an die Wände stösst, fehlt das Auflager für solche Bretter. Nach Ana- logie des jetzt in Boscoreale gefundenen werden wir hier vielmehr die Oelpresse erkennen dürfen, wobei wir freilich, da die Gruben für arhor und stipites fehlen, annehmen müssen, dass das Pressen einfach durch aufgelegte Gewichte bewirkt wurde ; denn auch für eine Keilpresse, wie sie mehrfach auf Wandmalereien dargestellt ist (Mitth. XI, 1896, S. 75), oder für eine Schraubenpresse hätten die Pfosten im Boden befestigt sein müssen. Auch in Stabiae, wo nur zwei Trapeta und Teile eines dritten gefunden wurden, wird der Oelbau, wie noch jetzt, geringe Bedeutung gehabt haben.
In dem Gange o stehen, wie im Plan angegeben, fünf grosse Dolien. Von den anliegenden Räumen ist nur s deutlich charakte- risirt durch eine auf einer Aufmauerung an der 1. Wand stehende Handmühle. In der Rückwand ist eine kleine Nische für eine Lampe angebracht. Für eine in r befindliche länglich viereckige Grube, die durch einen nach NW. verlaufenden unterirdischen Kanal mit der Grube K in c in Verbindung steht, finde ich keine Erklärung. Im übrigen können q t ur Schlafzimmer oder auch Vorratskammern sein, wenn gleich in keinem dieser Räume Spuren von Regalen an den Wänden sind. Ueberall sind die Wände roh, nur in t ein kleines Viereck mit weissem Stuck bekleidet.
In dem grossen länglichen Raum v fand mau viel Bohnenstroh und Reste eines Wagens. Da aber ein solcher nicht wohl hierher gelangen konnte, so waren es vermutlich nur hierher gelegte Teile, was um so glaublicher ist, als sich hier auch sonst mancherlei Eisenwerk, z. B. Thürbeschläge, vorfand.
V öffnet sich mit einer Thür und vier Schlitzfenstern auf
138
A. MAU
die grosse, mit Signimim gepflasterte Terrasse y. Diese liegt nach
SO. etwa 2,0, nach NO. etwa 0,40 über dem äusseren Erdboden.
Ein gemauertes Doppelbassiu s nahm durch eine Thonröhre das
auf sie gefallene ßegenwasser auf.
Von den oberen Kimmen, zu denen die Treppe in a führte.
ist nichts kenntlich; über c waren keine obere Räume. Dagegen
sind sie kenntlich über o q r s i u tu X, und waren nach An- gabe des Herrn De Prisco auch über V vorhanden, Ihr Fussboden liegt circa 8,50 über dem unte- ren. Die Treppe in o, auf der man hinaufgelangte, war ganz aus Holz und ist verschwunden. Sie führte
L I j| vorbei an dem Eingänge zu ^j, so
U dass mau, um dorthin zu gelan-
amnBBBH g^n? unter ihr durchgehen musste.
Ich bezeichne auf beistehendem Grundriss die Bäume des Obersto- ckes mit den Buchstaben der dar- unterliegenden. Es war eine kleine Wohnung ; man gelangte von der Treppe zunächst in ein grosses Zimmer über o t und dem vor- deren Teil von s, und aus diesem in vier Kammern, die nach ihrer G-rösse Schlafräume sein konnten. Die Thüren zu u und w sind erhalten, die übrigen vermutungsweise angenommen. Das grosse Zimmer hatte ein grosses Fenster auf p ; an den Wänden war der Sockel schwarz, durch einen roten Streif abgeschlossen ; darüber weisse Fläche. Auch in dem Zimmer über dem inneren Teil von s ist die Wanddecoration kenntlich ; sie ist letzten Stils, auf gelbem Grunde über schwarzem Sockel.
Dagegen befand sich über c: ein grosses Wasserbassin: ich nehme an, dass es das auf eine Terrasse über o q r s t u gefal- lene Regenwasser aufnahm. Da Leitungswasser otfenbar nicht vor- handen war, so musste man das Regenwasser möglichst sammeln. Dies Bassin war zugänglich von einem Raum, der sich über den anstossenden Teil von iv erstreckte und mit dem grossen Zimmer durch eine Thür verbunden war. Der Fussboden, deutlich kennbar,
AUSGRABUNGEN VON BOSCOREALE 139
erstreckt sich nicht über ganz w\ die SW.-lich anstossenden Räume müssen höher gelegen haben, entspreclieud der höheren Lage von v. TaVl den Mitth. IX (1894) S. 357 herausgegebenen Inschriften sind folgende hinzuzufügen :
1 (Form XII) uiit weisser Farbe.
TRIFOLINO TIBVRTIANO Cos (60 n. Chr.)
CN • PEDANIO L VEELEIo
2 (VI) :
C F SCOMBr
SCAVRI
EX OFFICINA • AGATHOPI
3 (VI, aber zweihenkelig) :
M F AB VMBRICIO ABASCANTO
4 (VI)
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5 (VII)
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Weiter unten, roth : P • S C^
6 (IX) :
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TI • CLAVDI • E V I/I////////// auf der anderen Seite :
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140 A. MAU, AUSGRABUNGEN VON BOSCOREALE
7 (I) roth :
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8 (XI) :
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9 (bauchige Form, wie häufig bei M. Testaccio)
XVI
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10 (ähnlich wie 9) :
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A. Maü.
DAS CAPITOLIÜM
UND DER TEMPEL DES ZEUS MEILICHIOS
IN POMPEJI
Dass in dem grossen, das Forum von Pompeji überragenden Tempel di-ei Gottheiten verehrt wurden, darüber lässt die etwa dreimal so breite als tiefe, durch Pilaster an ihrer Vorderseite in drei Teile geteilte, drei Kammern enthaltende Basis an seiner Rückwand wohl keinen Zweifel. Dass eine dieser Gottheiten Jup- piter war, ist aus dem in der Cella gefundenen Kopfe dieses Gottes, aus der ebenda gefundenen Inschrift mit einer Widmung an Jupjnter optimus maximus mit Recht geschlossen worden. Denn wenn auch zur Zeit der Verschüttung der Tempel als Steinmetzwerkstätte diente — man fand dort eine Colossalbüste, aus der man ange- fangen hatte eine Statue zu machen: Pomj). ani. hist. I, 3, 190. III, 1, 9 — und daher nicht alles dort gefundene notwendig auch dahin gehört zu haben braucht, so ist dem gegenüber zu erwägen, dass der colossale Juppiterkopf doch einem Tempelbilde angehören musste, für das ein anderer Platz nicht zu finden ist. Wenn unter diesen Umständen der Gedanke an die capitolinische Trias nahe genug lag, so haben doch weder Nissen (Pomp. Stud. 326) noch ich (Overbeck, Pompeji^ 91) uns entschliessen können, hier das Capitolium von Pompeji zu erkennen : zu gewichtig schienen die dagegen sprechenden Gründe. Denn erstens deutet die Bauart — wie Nissen meinte, auch die Masse — des Tempels auf vorrömi- sche Zeit, zweitens ist der Cult der drei Gottheiten in einem an- deren Tempel nachgewiesen.
Dass der Juppitertempel das Capitolium sei, ist behauptet worden von 0. Kuhfeldt, De Capitoliis imperii Romani, Berlin 1882, S. 20 tf. Freilich mit ganz unhaltbaren Gründen. Auf die Bauart, auf den Cult der capitolinischen Trias in dem früher so genannten
14 2 A. MAU
Aesculaptempel geht er nicht ein. Die einzige Schwierigkeit liegt nach seiner Meinung in den Massen, nnd in Betreif dieser beruft er sich auf das von mir Pompej. Beitr. 200 ff. ausgeführte, dass nämlich der italische Fuss von 0,275 nirgends deutlich hervortritt, dagegen einige Dimensionen sich besser auf den römischen Fuss von 0,296 reduciren lassen. So namentlich die Gesammtlänge von ziemlich 125 Fuss und, was Kuhfeldt nicht erwähnt, die Länge der Treppe (wenigstens auf einer Seite) von 20 Fuss. Nun brauche ich nicht weiter darauf einzugehen, dass es, wie ich a. 0. hervor- gehoben habe, schwer ist, die Gesammtlänge recht genau festzu- stellen, dass das Nichthervortreten des römischen Fusses in den Mauerstärken, in der Thürweite, gegen obiges Resultat misstrauisch machen muss. Die Hauptsache ist, dass der italische und der rö- mische Fuss ihren Wert als Alterskriterien pompejanischer Bauten grossenteils eingebüsst haben, seit wir wissen, dass letzterer ein griechischer Fuss, also mutmasslich auch z. B. in Neapel üblich war. Denn wir haben nicht den mindesten Grund anzunehmen, dass die Osker Pompeji' s auch nur an öffentlichen Bauten besonders strenge auf Anwendung des nationalen Fusses gehalten haben sollten. Bezeichneten sie doch auf ihrem städtischen Eichblock ein Hohl- mass als kuiniks xoTvi^. Wenn also etwa der Bau von griechischen Architekten geleitet wurde, so wird man sie schwerlich gehindert haben, nach dem ihnen geläutigeu Fusse zu arbeiten. Dennoch aber dürfte die Kuhfeldfsche Behauptung das Richtige getroffen haben.
Wir gehen, um dies nachzuweisen, aus von dem sogenannten Aesculaptempel, den ich selbst bisher (Overbeck^ 110 ff".) für das Capitolium erklärt habe. Hier standen auf der Basis an der Rück- wand die Thonstatuen Juppiter's und Juno's, die Thonbüste der Mi- nerva. Hier wurde aller Wahrscheinlichkeit nach (a. 0. Anm. 49) die Inschrift CIL X 928 mit Widmung an Juppiter optimus maximus gefunden. Die Bauart ist zweifellos die der ersten Zeit der Colonie (meine Pompej. Beitr. S. 227). Das alles schien so zu stimmen, dass kaum ein Zweifel aufkommen konnte.
Und doch erheben sich bei näherer Ueberlegung schwere Bedenken. Recht wahrscheinlich ist es doch nicht, dass den Colo- nisten als Sitz der Reichsgötter, als Wahrzeichen der Herrschaft Roms, ihrer eigenen Herrschaft und Besitznahme, dies bescheidene Tempelchen an so wenig hervorragender Stelle genügt haben sollte.
DAS CAPITOLIUM UND DER TEMPEL DES ZEIS MEII-ICHIOS 143
Fehlte es ihnen doch nicht an den Mitteln auch zu grossen Bau' ten : das Amphitheater, das bedeckte Theater, die Badeanstalt beim Forum entstanden eben damals. Indess das wäre ja doch möglich. Ganz unmöglich aber ist es, und auch wohl von Niemandem ange- nommen worden, dass diese dürftigen Thonbilder — zwei Statuen und eine Büste, Juno grösser als Juppiter — die bei Gründung der Colonie und ihres Capitols aufgestellten Cultbilder der Reichs- götter sein sollten. Dass damals drei stattliche Statuen, sei es nun in Marmor oder in Bronze, aufgestellt wurden, kann vernünftiger Weise nicht bezweifelt werden ; diese Thonl)ilder können nichts anderes sein, als ein vorläufiger Ersatz nacli dem Erdbeden des Jahres 63. Die entscheidende Tatsache ist nun, dass diese drei vorauszusetzenden Statuen auf der Basis des kleinen Tempels nie gestanden haben können. Diese Avar so unsolide gebaut, nicht mas- siv, sondern aus kleinen Steinen gewölbt, dass sie jetzt unter der blossen Einwirkung von Luft und Regen spurlos verschwunden ist. Und es ist auch ganz unzulässig, anzunehmen, es habe hier früher, etwa vor 63, eine solidere Basis gestanden. Denn es wäre ja sinnlos gewesen, dieselbe, auch wenn sie durch das Erdbeben be- schädigt war, bis auf den Grund wegzuräumen. Hier waren also die capitolinischen Gottheiten nur provisorisch untergebracht wor- den, weil ihre eigentliche Cultstätte durch das Erdbeben von 63 zerstört war. Wenn wir nun an hervorragendster Stelle, das Forum beherrschend, einen grossen Tempel dreier Gottheiten, darunter Juppiters, finden, der zweifellos zur Zeit der Verschüttung in Trüm- mern lag und nicht als Cultstätte diente, wenn ferner kein anderer Tempel mit irgend welcher Wahrscheinlichkeit als Capitolium bezeichnet werden kann, es endlich höchst umvahrscheinlich ist, dass dasselbe in den vom Centrum entfernten noch unausgegrabenen Stadtteilen gelegen haben sollte, so werden wir, wenn nicht ganz unüberwindliche Schwierigkeiten dem entgegenstehen, hier das Ca- pitolium erkennen müssen.
Nun ist es freilich kaimi möglich, Erbauung des Tempels in römischer Zeit anzunehmen. Die durchaus charakteristische und leicht kenntliche Bauart der ersten Zeit der Colonie, mit ihrem dem Reticulat sich nähernden Lavamauerwerk, ihren Pfosten und Ecken aus Ziegeln oder ziegeiförmigen Steinen, die mit dreieckigen oder unregelmässigen Verzahnungen in jenes Mauerwerk eingreifen,
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ist hier zweifellos nicht vorhanden. Und ebenso zweifellos liegt die Abweichung in der Richtung höheren Alters. Dem früher (Pompej. Beitr. 204) über die Bauart des Tempels gesagten habe ich kaum etwas hinzuzusetzen : es ist die Bauart der spätoskischen Zeit mit ihrem guten Lavaincertum, ihren Quadei-pfosten, ihren stuckbeklei- deten Tuffsäulen, gleichartig z. B. der Basilica, aber wegen der Verwendung der dieser Periode sonst fremden ziegelförraigen Steine (an einer Stelle wo sie eigentlich keinen Zweck haben) eher etwas
junger.
Das Forum war ohne Zweifel in ältester Zeit nichts weiter als ein von Strassen umgebener Platz, die offen gelassene Fläche einer oder mehrerer Insulae. Aus dieser Zeit stammt, wenn nicht in seiner jetzigen Gestalt, so doch seiner Anlache nach, der Apollo- tempel: seine Orientirung weicht von der der Forumsportiken ab, folgt aber genau der in dem nördlichen Stadtteil erhaltenen Rich- tung der Nordsüdstrassen. Der Bau der Forumsportiken, bezeichnet durch die bekannte Inschrift CIL X 794, V. Popidüis Ep. f. q. porticus faciendas coeravit, fällt sicher noch in vorrömische Zeit. Der hochaltertümliche Schriftcharakter, im Vergleich mit den sicher suUanischer Zeit angehörigen Bauinschriflen des bedeckten Theaters, des Amphitheaters, der Thermen beim Forum, der Stabianer Ther- men, ferner der Quaestor, eine der Colonie fremde Magistratur, die oskischen Namen, alles dies lässt hierüber keinen Zweifel. Die lateinische Sprache der Inschrift deutet einerseits auf die späteren Zeiten der Autonomie, andererseits auf die Zeit vor der nationalen Reaction des Bundesgenossenkrieges. Also mag der Bau der Forums- portiken gegen das Ende des 2. Jahrh. v. Chr. fallen. Er war ver- bunden mit einer kleinen Verschiebung der Axe des Forums von NW. nach NNW. Dieser veränderten Orientirung folgen die Basi- lica und der Juppitertempel, und nach dem oben über die Bauart gesagten mögen wir letzteren als den Abschluss der Neuge- staltung des Forums betrachten. Ob er eine Neugründung war oder ein älteres, bescheideneres Heiligtum ersetzte, können wir nicht mit Sicherheit entscheiden. Ich halte aber ersteres für wahr- scheinlicher. Der Schutzgott des stark hellenisirten oskischen Pom- peji war doch wohl Apollo, sein Tempel das eigentliche Heiligtum des Forums. Auch noch nach dem Bau der Portiken war sein Peribolos durch zehn weite Durchgänge mit dem Forum verbun-
DAS CAPITOLIUM UND DKR TKMPEL DES ZEIS MEILICHtOS 115
den, oder, besser gesagt, er war von ihm nur soweit getrennt als notwendig war um durch eine Reihe von Pfeilern die Dächer der beiderseitigen Portiken zu stützen. Und wenn man noch bei der Neugestaltung des Forums auf eine solche ungehemmte Verbindung der beiden Plätze Wert legte, so dürfen wir wohl sicher schliessen, dass früher, als auch der Tempel noch keine Portiken hatte, eine Trennung überhaupt nicht stattfand, das Tcmenos des Apollo nur eine Erweiterung des Forums war. Denn dass auch die Portiken des Tempels ein späterer Zusatz sind, kann keinem Zweifel unter- liegen, da sowohl der Ost- als der Westportikus die Stelle früherer Strassen einnehmen, und letzterer noch bis gegen 10 v. Chr. als öffentlicher Durchgang diente (Overbeck'* 98 f. mit Anm. 48). Ein zweiter Forumstempel schon in älterer Zeit ist möglich, aber doch vielleicht weniger wahrscheinlich. Ferner liegt es doch nahe anzu- nehmen, dass in ältester Zeit die Strada dell'Abondanza mit ihrer Fortsetzung, der Strada della Marina, nicht über das Forum ging, sondern seine Südgrenze bildete. Und wenn nun bei der Neugestal- tung nach Süden über diese Linie hinausgegriffen wurde, so findet dies seine einfachste Erklärung durch die Annahme, dass eben damals im Norden durch den Bau des Tempels ein annähernd ebenso grosses Stück der freien Fläche verloren ging. Strenge Beweise sind dies freilich nicht; aber es ist schwer sich dem Ein- druck zu entziehen, dass hier im Zusammenhang mit der Neuge- staltung des Forums, im Anschluss an die veränderte Orientirung, eine Neugründung stattfand, dass hier neue Götter, die Götter Roms, ihren Einzug hielten.
Dass dies auch schon vor den Zeiten der Colonie geschehen konnte, sind wir wohl nicht berechtigt so unbedingt in Abrede zu stellen. Zwar nicht in der Zeit des Bundesgenossenkrieges. Aber früher, im 2. Jahrb., ging doch das Streben der Bundesgenossen eben dahin, Römer zu werden. Diesen Aspirationen konnten die Pompejaner dadurch Ausdruck geben, dass sie sich unter den Schutz der römischen Götter stellten, ihnen einen Tempel, ein Ca- pitoliuDi erbauten. Denn es war ja keineswegs ein Privilegium römischer Bürger, grade diese Götter als Stadtgötter zu verehren. Die Vorschrift des Vitruv (I 7, 1), ihnen bei Stadtgründungen an hervorragender Stelle Tempel anzuweisen, das Zeugniss des Servius {Aen. I 422), dass ohne ihre Tempel nach etruskischer Lehre
10
146 f"' "^u
die Stadt nicht recht gegründet sei, verglichen mit der Erbauung des römischen Tempels durch den etruskischen König, endlich das CapitoLium vetus auf dem Quirinal, alles dies darf nicht so leicht bei Seite geschoben werden, wie es bei Kuhfeldt a. 0. 79 geschieht, beweist vielmehr, dass Juppiter, Juno und Minerva vielfach auch sonst in Italien als Stadtgötter verehrt wurden. Also der Stiftung eines Tempels der drei Gottheiten seitens einer bundesgenössischen Stadt stand nichts im Wege ; usurpirt wurde dadurch nichts ; die sich darin aussprechende Tendenz stimmt gut zu dem Gebrauch der lateinischen Sprache in der derselben Neugestaltung des Forums angehörigen Bauinschrift des V. Popidius, zu den römischen Bezeichnungen {qnaestor, aecUlis) der einheimischen Behörden.
Aber noch eine andere Möglichkeit muss erwogen werden. Es wäre ja denkbar dass der Tempel ursprünglich anderen Göt- tern zugedacht gewesen, der Bau aber durch den Bundesgenos- senkrieg unterbrochen worden wäre, dass dann die Colonisten ihn vollendet und den römischen Göttern geweiht hätten. Eine sichere Entscheidung ist wohl nicht möglich. Verschiedenheiten in der Bauweise, wie man sie in Folge einer solchen Unterbrechung erwarten möchte, können, soviel ich sehe, nicht nachgewiesen werden. Denn wenn die dreigeteilte Basis etwas anders aussieht, als die Cellamauern, so kann das Folge der kleineren Verhältnisse sein. Die Taftsäulen mit ihren tief ausgehöhlten Cannelüren, mit den Resten ihres ältesten, feinen, sich den Formen des Steines genau anschliessenden Stuckes — später haben sie einen dicken Stucküberzug mit flachen und stumpfen Cannelüren erhalten — können wohl nur der vorrömischen Zeit angehören. Und da sicher die Säulen ihren Stuck und auch wohl ihre letzte Bearbeitung im Stein nicht erhalten haben, bevor das Gebäude unter Dach war, so muss es doch schon damals ziemlich fertig gewesen sein. An- dererseits freilich findet sich kein Rest einer Decoration des ersten, vorrömischen Stiles, überhaupt keine Spur dass der in der Cella erhaltenen Malerei zweiten Stils eine ältere vorausgegangen wäre. Der zweite Stil blieb bis in die Zeit des Augustus üblich; da aber hier der Sockel im dritten Stil restaurirt ist, so wird diese Decoration nicht grade der letzten Zeit des zweiten Stiles ange- hören, und es mag, bei der grossen Dauerhaftigkeit der Decorationen ersten Stils, und bei der geringen Abnützung, der sie gerade in
DAS CAPITOLIUM UND DER TEMPEL DES ZEUS MEILICHIOS 1-17
einem Tempel ausgesetzt war, immerlün einiges Bedenken erregen^ dass eine solche schon in der früheren Zeit des zweiten Stiles erneueruugsbedürftig gewesen sein sollte. Ist aber diese Decoration zweiten Stils die erste, die der Tempel erhalten hat, so ist er sicher erst in römischer Zeit ganz fertig geworden. Noch mag bemerkt werden, dass allem Anschein nach der ganze Grundriss des Tempels auf diese breite, für drei Cultbilder bestimmte Basis berechnet ist, also der Tempel von Anfang an, wenn nicht den capitolinischen, so doch drei Gottheiten zugedacht war. Es wäre ja auch möglich, dass er schon vor dem Bundesgenossenkriege den capitolinischen Göttern bestimmt, aber erst in der ersten Zeit der Colonie ganz vollendet worden wäre. Wie dem auch sei, dass wir in dem das Forum überragenden Tempel das Capitolium zu er- kennen haben, darf als sicher gelten.
Von dieser Erkenntniss aus findet vielleicht noch eine Beson- derheit der Anlage ihre Erklärung. Wir wissen aus dem Kelief im Hause des Caecilius Jucundus (bei 0 verbeck'' S. 71) dass auf der die untere Hälfte der Treppe unterbrechenden Platform der Altar stand, während doch die offene Fläche des Forums Platz genug bot, und er hier oben kleiner ausfallen musste als es sich für einen so bedeutenden Tempel eigentlich gebührte. Das römische Capitol lag auf hoher Bergkuppe ; der Weg des Priesters, des Feldherrn, der sich zum Opfer an den Altar begab, war ein Aufstieg. Diese Vorstellung haftete an dem Namen des Capitols, und auch in den Colonien und Municipien legte man es, wenn es tunlich war, auf einen Hügel. Sollte man nicht diese Vorstellung auch hier, freilich sehr im Kleinen, zum Ausdruck gebracht haben, indem man den Altar über die Forumsfläche erhöhte?
Eine Frage bleibt noch zu erwägen. Wie ist der kleine Tempel zu benennen, dem wir den Namen Capitol genommen haben, in dem die capitolinischen Gottheiten nach der Zerstörung ihrer eige- nen Cultstätte zu Gast waren? Einen Anhalt bietet die oskische Wegebauinschrift des Stabianer Thors: M. SiuUiis M._, N. Pon- tiis M., aldüis, ekak vlam ieremnaUens ant j)onttram Staßa- nam; v'ui teremnatust per. X; iossu via Pomjmiiana teremnat- te/is perek. II I ant kalla Jovels Meellkiiels ; ekass viass inl via Joviia Inl Dekkvlarlm medlkels Vomiwilaims serevkld imaden uicpsenSj Iossu aldilisprofattens. Das heisst: M. SUtius M. /., N. Pon-
148
A. MAU
Uns M. f. aediles haiic viam terminarunt adj^ontem Stablanum; via tenninata est perticis (?) X; idem viam Pompeianam terminarunt perticis (?) III ad aedem (kaUa, xaXia?) Jovis Milichii ; has vias
et viam Joviam et medicis Pompeiani arbitratu ab imo
fecerunt. idem aediles probarunt. Hier ist die zuerst genannte haec via bis zur Stabianer Brücke natürlich die aus dem Thor hinausführende. Dass die dann mit ihr in näherer Verbindung als die beiden letzten genannte die von demselben Punkte stadteinwärts führende ist, ist zwar nicht notwendig, aber doch eine naheliegende Vermutung. In diesem Falle dürften wir unseren Temp;3l für den des Zeus Meilichios halten, wobei sich freilich die Schwierigkeit ergiebt, dass er zweifellos seiner Bauart uach der sullanischen Zeit
^^gjH.:jk^aiijijiiiaii.uiik^
angehört, also jünger ist als die Inschrift. Wir müssten also an- nehmen, dass in sullanischer Zeit eine Erneuerung des alten Tem- pels stattgefunden hätte, welcher Annahme die Beobachtung zu Hülfe kommt, dass das Mauerwerk der linken Wand des Tempel- hofes dem des Tempels nicht gleichartig ist, sondern einen alter- tümlicheren Charakter zeigt, dennoch aber an dieser Wand keinerlei Ansätze von Quermauern vorhanden sind : dies scheint darauf zu führen, dass schon vor dem Bau des Tempels hier nicht Häuser lagen, sondern ein Platz wie eben dieser Tempelhof. Dazu kommt, dass die beiden erhaltenen Tuffkapitelle vorzüglich, ganz in der Art der vorrömischen Zeit, gearbeitet sind und für sullanische Zeit gar nicht recht passen: sollten sie von dem älteren, durch den sullanischen Bau ersetzton Tempel stammen? Ferner der eigen- tümliche, an dem Thürpfostenkapitell angebrachte Kopf (abgeb.
DAS CAPITOLIUM UND DER TEMPEL DES ZEUS MEILICHIOS 149
nach Mazois bei Overbeck' 111, auch in meinem Führer durch Pompeji- 43). Mit den mehrfach an den Thüren von Privathäusern aus vorröraischer Zeit erscheiaeuden bakchischen Figuren hat er nichts gemein. Dass er bloss ornamentale Bedeutung haben sollte, ist schon bei der Art wie er angebracht ist — nur der Kopf, wie eine Maske — nicht glaublich. Und dann der Kopf selbst: bärtig, mit langen Ringellocken, niedriger Stirn, ernstem Ausdruck, ist er offenbar eine freie Wiedergabe eines altertümlichen Göttertypus ; es kann sehr wohl ein Zeus sein. Und an dieser Stelle, an der Tliür des Tempels, werden wir doch zunächst in ihm die eben hier verehrte Gottheit suchen. — Eadlich wäre es ja durchaus passend, wenn grade in einem Zeustempel die capitolinischen Götter ein Unterkommen gefunden hätten. Wenn wir uns also auch die Unsi- cherheit aller dieser Argumente nicht verhehlen, so dürfen wir doch wohl vermutungsweise den Namen des Zeus Meilichios für diesen kleinen Tempel in Anspruch nehmen.
A. Mau.
DIE STATUEN DES FORUMS VON POMPEJI
k;^
Die zahlreichen Statuen von denen das Forum von Pompeji bevölkert war, zerfallen in drei Klassen.
1. Lebensgrosse Standbilder am Fusse der Säulen, auf der denselben vorliegenden Stufe.
2. Lebensgrosse Reiterstatuen vor dieser Stufe.
3. Colossalstatuen.
Keine Statue ist erhalten. Von den Standbildern stehen nahe dem Nordende der AVestseite, dicht bei einander, vier Basen mit ihren Inschriften, CIL. X 788-791. Zwei sind dem M. Lucretius Decidianus Rufus, zwei den beiden C. Cuspius Pansa, Vater und Sohn, gewidmet, alle vier wohl sicher nach dem Erdbeben des Jahres 63 an Stelle älterer Statuen aufgestellt. Dies ist für die eine Statue des Lucretius bezeugt durch den Zusatz: M. Pilonius Rufus : es war ein Verwandter des Lucretius, der diese und andere Statuen desselben erneuerte, wie CIL. X 851 bezeugt: M. Deci- dius Pilonius Rufus rej)osuit. Ohne Zweifel stellten alle diese Statuen Municipalgrössen dar.
Municipalgrössen und Patronen der Colonie waren wohl auch die Reiterstatuen in Lebensgrösse gesetzt. Nur an einer Basis ist Marmorbekleidung und Inschrift erhalten : Q. Sallustio P. f. II vir.
A. MAU, DIE STATLKN DES FORUMS VON POMPEJI 151
i. d. quinq. patrono d. d. Ihrer drei standen in der Mitte der Westseite auf einem gemeinsamen Unterbau.
Vier dieser Reiterstatuen standen auf der südlichen Schmalseite, und mochten sich dort neben und zwischen den drei Colossalstatuen unglücklich genug ausnehmen. In älterer Zeit aber, vor der Aufstellung der Colossalstatuen, war die ganze Südseite mit zehn solchen Keitorstatuen besetzt. Von der ersten, vierten, siebenten und zehnten von Westen stehen die Basen noch ; die Stelle der zweiten ist bezeichnet durch eine Erhöhung (0,07) des Kalk- steinpliasters, w^elches also seine letzte Bearbeitung erst nach Aufstellung der Basis erhielt, die der dritten, fünften und sech- sten durch eine Lücke im Pflaster ; die achte und neunte müssen der Symmetrie wegen angenommen werden. Auf diese Basen ist bei der Anordnung des Kalksteinpflasters Rücksicht genommen worden, wie beistehende Zeichnung des Mittelstückes der Südseite zeigt (Lücken im Pflaster sind punktirt) ; sie waren demselben zum Teil gleich- zeitig, zum Teil — wo ihre Plätze durch Lücken bezeichnet sind — noch älter.
Auch auf der nördlichen Schmalseite stand, in gleicher Flucht mit den Podesten der Treppe des Juppitertempels — die ja, wie das Relief im Hause des Caecilius Jucundus (Overbeck'' S. 71) lehrt, auch Reiterstatuen trugen — jederseits eine eben solche Basis. Auch hier war die rechts (östlich) stehende errichtet vor der letzten Bearbeitung des Pflasters; links freilich ist ihr Umriss in das Pflaster eingehauen ; doch müssen ja selbstverständlich die beiden Basen gleichzeitig errichtet oder doch in Aussicht genom- men sein.
Dagegen stehen auf der westlichen Langseite — östlich ist nichts erhalten — die Basen einfach auf dem Pflaster. Es scheint also, dass man, als das Pflaster gelegt wurde, nur auf den Schmal- seiten Reiterstatuen aufstellte, und erst nacliher allmählich auch die Langseiten besetzte.
Der Colossalbasen sind fünf. Drei an der Südseite, denen sechs der kleineren Reiterstatuen haben weichen müssen, eine etwas vor- wärts derselben, eine weiter nördlich vor dem Juppitertempel. Dass auf ihnen Kaiser und Mitglieder der kaiserlichen Familie standen, bedarf keines Beweises. Von diesen sind die auf der Südseite rechts und links und dazu die weiter vorwärts liegende (2. 3. 4) zweifei-
152
A. MAU
los gleichartig und gleichzeitig. Nach ihrer Bauart — ■ Reticulat aus gelbem Tuff, mit Ecken aus ziegeiförmigen Stücken desselben Steines in regelmässigem Wechsel mit Ziegeln — Avird jeder Kenner pompejanischen Mauerwerks sie möglichst spät datiren. Das höhere Alter der die Mitte der Südseite einnehmenden Basis inBogenform(l) ergiebt sich schon aus der Lage; es ist ja evident, dass die drei Basen um diese schon früher vorhandene gruppirt sind. Ihr Mauer- werk — Incertura mit rechteckig verzahnten Ecken aus Ziegeln der älteren, körnigen Art — deutet auf frühe Kaiserzeit; es ist
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durchaus gleichartig dem der älteren Teile des um 22 nach Chr. erbauten Gebäudes der Eumachia. Die Basis vor dem Juppiter- tempel — Sarnokalkstein in Ziegelform, regelmässig wechselnd mit Ziegeln — möchte man im Vergleich mit den drei Basen eher für älter als für jünger halten, ohne dass doch auf Grund der Bauart eine bestimmte Entscheidung möglich wäre.
Die Basis in Bogenform (1) schrieb Fiorelli {Niiove Mem. d. last. p. 67) auf Grund seiner Ergänzung — {arcum c)um suis orn. — der Inschrift CIL X 805 dem Augustus zu; indess, wie aus der Publication im CIL ersichtlich, ist diese Ergänzung ganz willkürlich und kann statt arcum jedes andere Wort gestanden
DIE STATUEN DES FORUMS VON POMPEJI
153
haben. Und gesetzt, die Ergänzung wäre richtig, so würde grade durch sie die Beziehung auf dies Monument ausgeschlossen sein. Denn die Bogenform, ja die Basis selbst sind hier ganz unwesent- lich; die Hauptsache war die Statue; diese, nicht der arcus, musste in der Insclirift erwähnt sein. Diese Inschrift muss also ganz ausser Betracht bleiben. Dennoch aber dürfte Fiorelli mit der Be- ziehung auf Augustus das Rechte getrotfen hal)en.
Wir gehen aus von den drei Basen. Dieselben sind, wie der Plan zeigt, von verschiedener Gestalt und Grösse. Die zur Linken, 2,
MittcUlüelt ict Süiit'de
ist länglich (5,92 X 4,60; hoch 2,44) und hat zweifellos eine co- lossale Reiterstatue getragen. Dagegen ist die zur Rechten, 3, an- nähernd quadratisch (3,83 X 3,23; hoch, soweit erhalten, 2,30): sie kann nur ein ebenso colossales Standbild getragen haben. Die weiter vorwärts liegende, 4, endlich (4,0 X 1,71; hoch, soweit erhal- ten, 2,10) trug ebenso sicher eine Reiterstatue von geringeren Di- mensionen. Daraus ergiebt sich ohne Weiteres, dass hier Kaiser, Kaiserin und ein kaiserlicher Prinz standen. Und nach dem so eben über das Alter dieser Basen gesagte konnten dies nur Claudius, Agrippina und Nero sein.
Weiter werden wir mit der grössteu Wahrscheinlichkeit an- nehmen dürfen, dass auf der Bogenbasis 1 Augustus stand. Sie ist die älteste der Colossalbasen, und es wäre doch sehr merkwürdig, wenn dem vielgefeierten ersten Kaiser während seiner langen Re- gierung hier kein Denkmal gesetzt worden wäre. Der Charakter des
154 A. MAU
Mauerwerkes stimmt, wie schon gesagt, .vollkommen zu dieser
Annahme.
Etwa für die drei Basen an Augustus, Livia und Tiberius, für die Bogenbasis an den Dictator Caesar zu denken, ist nicht tiinlich. Jedem der einige Erfahrung in pompejanischera Mauerwerk und die Basen selbst vor Augen hat, wird dies sofort einleuchten. Dazu kommt noch ein anderes.
Dass der Bau der älteren Forumsportiken, aus Tuff, in spät- oskische Zeit, nicht lange vor dem Bundesgenossenkriege fällt, wird doch wohl mit Kecht aus der lateiaischen Sprache der bezüg- lichen Inschrift des V. Popidius {CIL. X, 794) geschlossen. Ueber den Beginn der folgenden, nie fertig gewordenen Umgestaltung des Forums — Pflasterung mit « Travertin «-platten und Bau der west- lichen Säulenhalle aus demselben Stein — wissen wir nur, dass vor dem Bau der Bogenbasis schon der offene Platz gepflastert war und auf diesem Pflaster Reiterstatuen standen, deren zwei eben der Bogenbasis Platz machen mussten. Wurde nun diese zu Ehren Caesars, also doch wohl spätestens gleich nach Philippi (42 v. Chr.) errichtet, so wird die Neugestaltung des Forums noch höher hinauf- gerückt und kommt dem Portikenbau des Popidius doch allzu nahe. Also auch in dieser Beziehung verfällt obige Hypothese der grössten ünwahrscheinlichkeit.
Dass auf der Bogenbasis ein Standbild des Augustus stand, darf aus der annähernd quadratischen Form (4,29 X 4,20), ge- schlossen werden. Man könnte einwenden dass durch ein Standbild die nicht allzu solide Wölbung sehr stark belastet worden wäre. Aber um diesem Uebelstande zu entgehen, und die Last auf die beiden Füsse des Bogens zu leiten, müssten wir die lieiterstatue quer stellen, so dass sie dem Forum eine Seite zugewandt hätte, was an sich nicht recht glaublich ist und mit den Dimensionen der Basis streitet, deren grösste Länge vielmehr in der Richtung der Axe des Forums liegt. So ist doch wohl das wahrscheinlichste ein bronzenes Standbild, mit so grossem Fuss, dass der Bogen entlastet blieb.
In Betreff der Basis vor dem Juppitertempel können wir jetzt mit grösserer Bestimmtheit sagen, dass sie älter ist als die drei Basen. Denn ausgeschlossen ist Nero, dem man nicht eine zweite Reiterstatue, nicht grösser als die erste, auf dem Forum errichtet
DIE STATUEN DES FORUMS VON POMPEJI 155
haben wird. Ausgeschlossen sind auch die Flavier, zu deren Zeit das Forum in Trümmern lag und man dort keine Statuen aufge- stellt haben wird. Man könnte also an Tiberius oder Caligula den- ken. Aber freilich ist es nicht notwendig, dass es grade ein Kaiser war: die Pompejaner konnten auch einem anderen Mitgliede der Kaiserfamilie, das vielleicht besondere Beziehungen zu ihnen hatte, etwa als Patron, wie früher Marcel lus, ein lieiterbild errichten ; aber es ist doch nicht eben wahrscheinlich, dass man es grade hier z. B. Germanicus oder dem jüngeren Drusus errichtet haben sollte. Für Tiberius wird sich uns ein wahrscheinlicherer Platz ergeben.
Wenn es sicher wäre, dass die Reiterstatue vor dem Bogen im Eingange der Mercurstrasse Caligula darstellt, so wäre er für die Basis auf dem Forum auszuschliessen. Aber man zweifelt in Betreff jener Statue zwischen Caligula und Nero. Und da in der Tat mit keinem von beiden eine entschiedene Aehnlichkeit vorhan- den ist, so muss auch noch die Möglichkeit in Betracht gezogen werden, dass keiner von beiden, sondern irgend ein Prinz des kaiser- lichen Hauses dargestellt ist. Freilich mag dies, bei der hervor- ragenden Form des Monuments weniger wahrscheinlich sein. Ferner aber passt die kurze fette Gestalt durchaus nicht für den hageren Caligula, eher für Nero.
In der Nähe des Bogens der östlich vom Jiipitertempel den Eingang zum Forum bildet, fand man die Inschrift CIL X 798 :
FLAMINI • AVGVSTALI • SODALI AVGVSTALI • Q_
Die Platte ist oben, unten und rechts vollständig, links gebrochen doch ist flamini sicher Anfang der Zeile. Wenn hier eben so viel leerer Raum war wie rechts, so war die Platte 1,75 m. breit; sie konnte aber auch etwas schmäler sein. Sie ist 0,70 hoch; wenn, wie wahrscheinlich, die Inschrift aus zwei solchen Platten bestand, so war sie 1,40 hoch, 1,75 breit. Die Buchstaben sind 6 cm. hoch. Demnach kann diese Inschrift nicht als Hauptinschrift oben am Bogen, sondern nur unter einer der dem Forum zugewandten Ni- schen gestanden haben, ut de plaiio rede legi possei. Sie wird mit Sicherheit auf Nero, den 31 n. Chr. von Tiberius getödteteu
156 A. MAU, DIE STATUEN DES FORUMS VON POMPEJI
Sohn des Germanicus bezogen. In der anderen Nische dürfen wir seinen Bruder Drusus, oben auf dem Bogen die Reiterstatue des Tiberius vermuten. Diese richtige Ansicht Nissen's {Pomp. Stud. S. 373) habe ich früher (Overbeck^ S. 634 Anm. 30) mit Unrecht bestritten. Dass etwa der Bogen nur den beiden jungen Prinzen gewidmet gewesen wäre, wird ausgeschlossen durch die Beobachtung, dass die beiden Nischen, die ihre Statuen enthalten konnten, nicht von Anfang an vorhanden waren, sondern erst nachträglich ange- bracht worden sind, in ziemlich unschöner Weise, indem sie oben bis unmittelbar an das Gebälk der den Bogen verzierenden Halb- säulen reichten.
War also, wie wahrscheinlich, dieser Bogen dem Tiberius gewidmet und trug seine Reiterstatue, so dürfen wir die Basis vor dem Juppitertempel mit einiger Wahrscheinlichkeit für Caligula in Anspruch nehmen.
A. Maü.
FUNDE (I)
Eine dar hervorrageadsten Entdeckungen, welche letzter Zeit in Italien gemacht worden, ist diejenige des Tempels von Con ca.
In dem Winkel zwischen Astura und einem östlichen Neben- bach, auf grader Linie zwischen Anzio und Norma, jenem näher, war dies ähnlich wie die Burg von Ardea gelegene Castell von Nibby für Satricum gehalten worden, wogegen de la Blanchere Zweifel erhob (2). Den Gräbern der in Conca angesetzten antiken Ortschaft nachspürend, fand H. Graillot, schon bekannt durch Un- tersuchungen im französischen Afrika, im Januar d. J. auf einer Anhöhe, fast 1 2 Kilometer WNW. von Conca, Mauerreste und, mit Grabung ihnen nachgehend, die unverkennbaren Züge zweier auf derselben Stätte mit verschiedener Orientation nach einander ge- bauter Tempel, dazwischen eine Anzahl von architektonischen Terra- kotten und eine Masse reponierter Weihgeschenke. Ein Verstoss gegen die über Ausgrabung geltenden Bestimmungen des Landes gaben, als Graillot eben im besten Finden war, der italienischen Regierung das Recht, seine Tbätigkcit zu unterbrechen und die Weiterführung der Ausgrabung selbst in die Hand zu nehmen. Schon am 21. Februar (s. oben S. Iü2) berichtete Barnabei in un- serem Institut über die Resultate der noch nicht abgeschlossenen Grabung, und sehr bald erschien ein vorläufiger Bericht auch in den Notizle 1896 S. 23, wenige Tage bevor auch Graillot in den Me- langes XVI S. 8 ft". die Früchte seiner Untersuchung vorlegte. Als dann die Ausgrabung in musterhafter AVeise durch conte A. Cozza
(J) [Der erste Theil dieses Berichtes ist verloren gegangen und konnte, fern von Rom, von mir nicht ersetzt werden.]
(*) Nibby Analisi p. 748 ff. ; de la Blanchüre Melanges de Cöcole frangaise V p. 81.
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und Mengarelli fast schon zu Ende geführt war, konnte eine An- zahl Angehöriger unseres Instituts unter Leitung Barnabei's und der beiden Genannten die Ausgrabung selbst in Augenschein nehmen und danach auch die zahllosen Terrakotten besichtigen, fast alles freilich zerstückelt, dazu auch Gegenstände von Bronze, Eisen, we- niges auch von Gold, Bernstein, Knochen u. s. w., alles aufgespei- chert im gastlichen Hause des Herrn Attilio Gori-Mazzoleni, eines Grossgrundbesitzers, wie man sie Italien recht zahlreich wünschen möchte, der sich nicht zu gut hält selber auf seinen Ländereien zu hausen und deren Verbesserungen und Betrieb persönlich zu leiten und zu überwachen.
Nachdem die Ausgrabung, die auch später noch zu überraschen- den Funden führte, vor der Hand wenigstens abgeschlossen war, habe ich selbst sie zweimal besucht, auch, so gut ich es alleine vermochte, die ähnlich wie bei dem älteren und dem ionischen Tem- pel von Lokri durcheinandergehenden Grundrisse der auf einander gefolgten Bauten aufgenommen, nicht um mit ihrer Veröffentli- chung den Berechtigten vorzugreifen sondern zu eigener Aufklärung, und als Grundlage der nachfolgenden Bemerkungen, die ja viel- leicht in einem oder dem andern Punkte auch denen, welche die Ausgrabung gemacht und den Thatbestand am besten übersehen, von Nutzen sein mögen. Denn das Hauptergebniss zu welchem mich meine Untersuchung an Ort und Stelle geführt, und welches von dem, was in jenem ersten Bericht vorgetragen ist, und was man auch zur Zeit unseres gemeinsamen Besuches noch nicht ganz auf- gegeben zu haben schien, in manchem abweicht, ist für Barnabei und seine Arbeitsgenossen gewiss nichts Neues ('). Damals hatte man fünfmalige Aenderung des Tempels zu erkennen gemeint:
1. eine Cella, mit Porticus vorn;
2. eine vergrösserte und anders orientierte (-) Cella, eilig für das Bedürfniss des Kultus hergerichtet;
(') Vgl. übrigens den ebenfalls erschienenen zweiten und dritten Bericht Notizie 1896 S. 69 und 99. [Während der sich hinausziehenden Correctur geht mir auch der vierte Bericht von B(arnabei)-M(engarelli) zu, in welchem die früheren Eesultate mehr als ich gedacht aufrecht erhalten werden. Auch eine neue Planskizze der Tempel findet sich hier.]]
(2) OfiFenbar nur durch einen Schreibfehler — weil durch den Grundriss, Fig. 2 richtiggestellt — ist die Behauptung dass der zweite Tempel nach Westen
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8. diese neue Cella sodano durch eine ringsum gelegte Säulenhalle (') zum Peripteros gemacht;
4. danach erst der Cella 2 ein Pronaos vorgebaut (inner- halb der bereits bestehenden Säuleuhalle) (■).
5. eine abermalige Erweiterung des Tempels durch einen secondo recinto, bestimmt, wahrscheinlich eine zweite Colonnade zu tragen : also gar ein Dipteros.
Dabei ist die Verschiedenheit des bei diesen Umbauten ange- wendeten Materialien wohl beachtet. Es sind der Hauptsache nach ein röthlicher und ein hellgrauer Tuff, der letztere entschieden wohl nicht bloss der Farbe sondern auch grösserer Festigkeit und Homo- geneität wegen das vorzüglichere Material; was ja auch daraus hervorgeht, dass jener dunkle Tuff der am Ort gefundene, der helle von auswärts geholt ist. Aber jedesfalls hat die Fortsetzung der Ausgrabung dargethan, dass nicht etwa mit 3 erst der helle Tutf zur Verwendung kommt, während für die früheren Perioden aus- schliesslich der dunkle gedient hätte, sondern dass man auch zu Aufanff schon beider Gesteinsarten sich bediente, der hellen sogar vorwiegend , und zwar namentlich für alle freiliegenden Theile des Baus (3).
Bei den späteren Aenderungen hat man dann allerdings auch schon früher verwendete Materialien der verlassenen Construction wiederbenützt, was besonders autfällig da ist, wo Theile derselben Anlage buntscheckig und regellos aus beiden Materialien zusammen- gesetzt sind, wie namentlich der Pronaos 4; keineswegs etwa nur die Verlängerung der Cellamauern und der vordere Abschluss, son- dern mehr noch als diese die Scheidewand zwischen Cella und Pro-
gerichtet sei. Vielmehr ist es der ältere, dessen Axe, wovon ich mich durcli eif^eno Messungen überzeugt habe, der auf 260, also 10" südlich von West ge- richtet ist ; während die Axe des neuen Tempels um 21" weiter nach Süd gedreht ist.
(') Aus den Worten S. 12 dove fu allargato lo stilobate geht hervor, dass auch vorher schon ein Stjlobat vorausgesetzt wird. Siehe unten S. 166, 1.
(*) Unklar ist, wie diese vierte Phase gleich der zweiten als Nothbehclf für augenblickliche Kultuszwecke hingestellt wird, ebenfalls in Form einer Cella, jedoch mit Zutugung eines kleinen Pronaos.
(3) Streng genommen sind wohl mehrere Arten sowohl des hellen wie des dunklen (z. B. favissa I und Cella II) zu unterscheiden.
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naos, während die übrigen Theile der Cellasubstruction mehr als irgend ein andrer Theil dieser Reste gleichartig sind.
Schon diese Umstände lassen erkennen was ich, auf den ge- sammten Fundbestand gegründet, im Gegensatze zu den obigen ersten Aufstellungen Barnabei's und seiner Genossen mit völliger Entschiedenheit behaupte und voranstelle : dass von einigen späten Bauleistungen abgesehen, die auch fiii- Barnabei nicht in Betracht gekommen sind, alle baulichen Reste nur zwei Tempeln angehören, einem älteren nach West gerichteten Peripteros, und einem jün- geren, in der schon angegebenen Weise etwas mehr gegen Südwest gedi-ehten, gleichfalls nur mit einfacher, nicht mit doppelter Säulen- halle umgebenen Tempel, beide von ziemlich übereinstimmendem Grundriss, der unverkennbar griechisches Vorbild verräth, der ja auch in den von Barnabei seiner ersten Phase zugetheilten Terra- kotten schon deutlich vorliegt, das griechische Vorbild aber in ei- genthümlicher Weise moditiciert und zum tuskanischen Tempel einen Uebergang bildend. [Zur Prüfung meines Ergebnisses habe ich den Tempel noch ein drittes Mal besucht und in der That einige sich meldende Zweifel bestätigt gefunden. Bei der noch im Gange be- findlichen Untersuchung habe ich es aber für zweckmässig gehalten mein erstes Ergebniss stehen und nachher (S. 163) die Richtig- stellung für den Grundriss des älteren Tempels folgen zu lassen. Die Möglichkeit, dass die Cella I anfangs ohne Ringhalle bestanden gebe ich zu, ohne durchschlagende Gründe dafür zu finden.]
I. Der frühere Tempel.
Im Grundriss markieren sich vier ineinander liegende Reclit- ecke : 1 das grösste der Stylobat der Ringhalle, ringsum bestimmt, vorn durch die zwei mittleren Säulen, an den Langseiten ebenfalls durch zwei bez. drei Säulen, liinten durch den Stylobat. Ich maass zwischen den Axen der Ecksäulen rund 24 m. Länge, 12 m. Breite; 2 Cella mit Vorder- und Hinterhaus ; 3 die Cella allein. Der hin- tere Abschluss von 2 wie von 3 ist allerdings nicht erhalten ; doch hilft hier aus 4, ein in der Cella selbst eingebautes Rechteck, in- nerhalb dessen die ältesten reponierten Weihgeschenke lagen, die stips votiva, welche schon Graillot zum Theil ausgegraben, die Italiener dann vollständig erschöpft haben. Da der Inhalt derselben
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das Aelteste darstellt, was im Bureiche des Heiligthums gefun- den wurde, und da eine zweite favissa, ganz zuletzt ausgegraben mit zweifellos jüngerem Inhalt, ausserhalb des Tempels angelegt war, so hindert uns nichts anzunehmen, dass jenes die beim Bau des Tempels I reponierten Weihegaben aus einem vor I bestandenen allerersten Heiligthum sind, von dessen Architektur gar nichts er- halten, es sei denn dass einige wenige nur bemalte Thonverklei- dungen ihm zuzuschreiben seien. Die sorgfältig bearbeiteten und creleo-ten Eintassun^steine dieser favissa nämlich, in ihrem, so viel noch zu sehen, genau abgemessenen Abstände von den Mauern von Cella und Vorhalle, sprechen, wie mir scheint, eher für gleicii- zeitige Entstehung als für späteren Einbau. Diese Einfassung nun, von welcher an allen vier Seiten genug erhalten ist, um das Rechteck, aussen rund 5 i X 9 ^ m. messend, festzulegen, ist an den Seiten einen halben Meter von den Cellamauern abstehend, vorn das Dop- pelte, allerdings nicht von der vorderen Cellamauer sondern von derjenigen des Pronaos. Hält man nun nicht diese Mauer und da- mit die Abtrennung eines besonderen Pronaos für nachträgliche Aenderung, was allerdings der minder sorgfältige Charakter ihrer Construction und die unzweifelhafte Zwischenfügung nahe legen könnte, so ist allerdings die Ursprünglichkeit der favissa gegeben, da jene Scheidewand zwischen Cella und Vorhaus über sie weg- geht (0- Wiederum gut einen Meter hinter der hinteren Einfassung der favissa sind die Eeste einer Quermauer, die man des gleichen Ab- standes von der favissa wegen für die hintere Cellamauer halten möchte, und da selbige nach meinen Messungen in gleichem Abstand von dem hinteren (Ost-)Stylobat der Ringhalle liegt, wie die vordere Cellamauer vom West-Stylobat, so dürfte hierin ein Beweis liegen nicht für jene Annahme allein, sondern auch für ein dem Vorder- hause maassgleiches Hinterhaus d. h. mit rund 3 m. auch nach dieser Seite über die Scheidewand hinaus verlängerten Cellamauern. Säulen standen an den Langseiten neun, mit rund 3 m. Axweite,
(') Man möchte daraus vielleicht sogar den früheren Bestand der /«üma schliessen, ja sie für die Sockelschicht jenes ältesten Heiligthums halten, wenn nicht die gute Erhaltung, die geringe Stärke (nicht 40 cm) und jenes freilich nur stellenvveis sichtbare Anzeichen seitlichen Plattenanschlusses dagegen spräche. [Im vierten Bericht wird die Scheidewand zwischen Cella und Pro- naos in der That für später erklärt.]
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an den Schmalseiten vier mit rund 4 Meter Axweite, d. h. das mittlere Intercolumnium um 20 cm. breiter, die beiden seitlichen je um 10 geringer. Wie weit der Pronaos vorne offen stand, etwa nur dnrch Thiir geschlossen, ist nicht zu sehn; jedenfalls aber standen die beiden Mittelsäulen weder vor noch zwischen den Pro- naosseitenmauern, weder prostyl noch in antis, sondern, gewisser- maassen zwischen diesen beiden Arten vermittelnd, vor dem Vor- haus, aber eingerückt, jedoch so wenig dass die, wie gleich zu sagen, bis 0.80 m. im Durchmesser habenden Säulenbasen aussen unge'ahr tangiert wurden von der verlängerten Jnnenlinie der Pronaosseiten- mauer. Man sieht, wie nahe der Uebergang von dieser Säulenstel- lung zu der normalen des Vitruvius e regione parietum, die. wie der Tempel von Alatri uns gelehrt hat, bei einem Tempel ohne Ringhalle mit zwei Frontsäulen sich begnügen kann, mit Ringhalle aber, oder, bleiben wir bei den nicht miszuverstehenden alae Vi- truvs stehen, zu vier Prontsäulen kommt, wie sie der Tempel von Conca hatte.
Wie nahe nun aber auch dieser hinsichtlich der Frontsäulen- stellung dem Normalschema des tuskanischen Tempels kommt, so steht er doch unverkennbar den ältesten Tempeln von Selinunt noch näher ('), nicht D (nach Serradifalco's und Benndorfs Bezeichnung), sondern C und F, und zwar nicht nur durch ähnliche Anordnung der Säulen, wobei die dichtere Stellung der Säulen bei weiterer Halle und die Verdoppelung der Halle vorn nichts ausmacht, sondern auch durch die allem Anschein nach ähnliche Dreithei- lung der Cella. Diese ist ja, wie Cozza (Rom. Mitth. 1891 S. 352) gezeigt hat, auch noch bei dem Tempel von Alatri bei- behalten, welcher in den Raumverhältnissen dieser Theile und sogar in den absoluten Maassen und der geringen Erhebung über dem Erdboden so sehr mit dem Tempel von Conca übereinstimmt. Bei ihm hat Cozza das Hinterhaus gleich dem Pronaos gegen die Halle ganz offen gedacht. Eine Nöthigung dazu lag nicht vor ; und beim Vergleich der etwa gleichzeitigen selinuntischen Tempel
(') Der ' griechische ' Tempel von Pompeji, wie wir ihn durch v. Duhn und Jacobi und A. Sogliano (s. Mau in Rom. Mitth. 1891 S. 258) kennen ge- lernt haben, konnte ja gleichfalls mit den ältesten selinuntischen verglichen werden.
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dürfen wir dies nun vielleicht eher gleichfalls als geschlossenes Gemach denken, in Alatri sowohl wie in Conca, und demselben Vorbild gemäss auch den Pronaos nicht in ganzer Breite, sondern nur durch eine Thür sich öffnend.
[Bei erneuter Prüfung fand ich die Steinlage, welche S. 161 für einen liest der Rückwand der eigentlichen Gella gehalten ist, zu schlecht in ihrem gegenwärtigen Bestand, um Schlüsse darauf zu bauen.
Um so entschiedener darf es ausgesprochen werden, dass die S. 160 für den Stylobat inanspruchgenoramene Untermauerung nicht Säulen sondern eine Mauer getragen hat. Die acht erhaltenen Säu- lenbasen haben jede ihr besonderes Unterlager, nicht ein gemeinsa- mes. Die unten S. 164 ausgesprochene Annahme, dass die verbin- denden Steine zwischenausgebrochen seien, ist angesichts der ein- zelnen Unterlager nicht zu halten : es mögen wohl einzelne Steine bei diesem oder jenem abgebröckelt sein, im ganzen aber sind es nicht Reste einer durchgehenden Mauer. Eine solche liegt dagegen an der Ostseite, zu schmal ausserdem um die grossen Basensteine zutragen. Ueberdies liegt am Süd-Ende noch ein Stein, soviel zu sehen, höher als die Basensteine, auch der sorgfältigen Bearbeitung wegen schon der Cellamauer selbst angehörig.
Der Tempel I war also kein Peripteros, sondern hatte ausser der vorderen Porticus nur alae an den Seiten ; ob aber diese mit neun Säulen, wie oben angenommen, hinten offen, oder mit nur acht Säulen hinten geschlossen waren durch seitliche Verlängerung der Cella-Ostmauer, das ist kaum zu entscheiden, sofern nicht die that- sächliche Verlängerung der Substruction über die Cella hinaus für die zweite Form den Ausschlag giebt (S. unten S. 164 Anm. 2).
Ob nun die Cella nur eine sehr lange, oder in zwei ziemlich gleiche Gemächer zerlegt war, das zu entscheiden haben wir kein andres Mittel als jenes schlechte Unterlager hinter der favissa.']
Leider fehlt ja der Aufbau der Cella wie der Halle, und nur von einigen Säulen des Peristyls stehen, nur durch Neigung auf eine Seite vielleicht ein wenig verschoben, die Basen, mit der Stylobatplatte selbst aus einem Stück gearbeitet, alle aus hellem Tuff, so dass die in den NotUie S. 31 f. Fig. 3 und 4 diesem Tempel zugeschriebenen Stücke : ein Säulenfuss — wenn nicht vielmehr ein Capitell — und der ' gran toro dello stilobate ' (?), ihm nicht gehören können, da wir
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auch nicht für die Capitelle desselben das geringere Material verwen- det denken können, wogegen die weitere Ausgrabung die damals noch zweifelhafte Zugehörigkeit des S. 32 abgebildeten Stückes, als einer unserer Basen herausgestellt hat, auch sie denen von Alatri R. M. 1891 S. 147 nicht unähnlich. Nur hat man sich unterhalb des wie ein umgekehrter Echinos geformten Torus nicht eine Plintlie zu den- ken, sondern es ist die Stylobatplatte, auf welcher die verschiedenen, auch im Durchmesser nicht gleichen Basen — ich maass bei den Frontsäulen 0.80, bei den seitlichen 0.63-0.75 — angearbjitet sind. Die Oberfläche der Platte war also sichtbar, und wie hier die an- stossenden Platten beim Bau des Tempels II zwischenausgebrochen sind, so lag darunter wahrscheinlich auch eine zusammenhängende Ueihe von Steinen, nicht wie jetzt nur einzelne unter jeder Säulen- basis, mehrmals erheblich kleiner als der aufliegende Stein.
Auf den Basen findet sich wohl eine Bezeichnung des Mittel- punkts durch einen hohlen Bronzenagel oder eine Röhre — sichtbar war eben nur der etwa 3 mm. im Durchmesser habende Ring, in- nen mit weissem Metall gefüllt — die ich auch nur bei einer Basis der Südseite beobachtet habe, bei einer andern tiefer ste- ckend einen Bronzenagel, dazu mehrmals ein eingerissenes Kreuz, das ich anfangs der neueren Aufmessung zuschrieb, dagegen keinerlei Spur von Befestigung des Säulenschaftes durch Zapfen oder Dübel, wie solche ja auch auf den Säulenbasen von Tirynth fehlen. Ob, wie hier, auch dort Holzsäulen vorauszusetzen, lasse ich dahinge- stellt. Bei solcher Voraussetzung würde sich jedenfalls am leich- testen das Fehlen jedes Schaftstückes erklären.
Das Capitell dürfen wir der Basis entsprechend djaken, da letztere in der That nur. ein umgekehrter dorischer Echinns älterer Form ist, nur ohne griechisches Formgefühl gearbeitet, und da wir in etruskischer Kunst solche Gleichförmigkeit von Kopf- und Fuss- profil an Altären und Unterbauten kennen (')•
Vom Oberbau ist nichts als etwa Terrakotten geblieben, von denen besser mit den übrigen zusammen gesprochen wird (^).
(1) Vgl. d. Unterbau des Tempels von Marzabotto bei Brizio Relazione sugli scavi in Mon. ant. dei Lincei I, t. II, mit Seite 260.
(2) Zu den ausser unserer Berechnung und Betrachtung zu lassenden Mauerzügen gehören vor allem die Re.-te einer dicht um das Peristyl von I
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IL Der spätere Tempel.
Ich schicke voran, dass von dem Neubau kaum irgend et- was an seiner Stelle erhalten ist, ausser den Substructionen, die, über den Unterbau nicht nur sondern auch über Stylobat und Säu- lenbaseu des älteren Tempels hinausragend, und jene zum gros- sen Theile umschliessend, sie eben erhalten haben, während solche Erhebung des neueren Tempels auch über das umgebende Terrain des Hügels ihm selber stärkeres Verderben bereitet hat. Von der Cella liegen noch drei, nach Osten zu auf deni abfallenden Boden sogar vier Schichten Quadern aus dunkelm Tutf, sorgfältig weder bearbeitet noch gelegt noch gefügt. Oben sind sie abgeglichen, aber auf der Mitte der Südseite sind noch einige Reste einer vier- ten, indem ich die unterste des Ost-Endes nicht mitzähle, vorhanden, und frühestens auf dieser vierten konnte erst die eigentliche Cella- mauer anheben, während jene in der Erde verborgen waren, von denen schon die zweite sogar die Säuleubasen des älteren Tempels überragt. Dieser neue Tempel sollte also mehr sich herausheben und von weitem sichtbar sein. Der neue Tempel war ohne Zweifel ein Peripteros, die Säulenstandplätze sind natürlich nur in den un- gefähr quadratischen Unterlagern zu erkennen, die fast ringsum sich von der sie umschliessenden, zusammenhängenden Stylobatuntermaue- runo- aenüsrend deutlich abscheiden. Es standen vier Säulen an den Schmalseiten, acht nicht neun an den andern, weiter gestellt an je- nen (rund 5 m. Axweite, in der Mitte mehr), etwas enger an diesen (rund 4 m. Axweite), die mittleren Säulen der Schmalseite wieder nicht vor sondern einwärts der Pronaosseitenmauern gestellt, sodass der letzteren Innen- und der Säulenuuterlager Aussenseiten in einer Flucht liegen. An den Langseiten dagegen standen wie im älteren Tempel je die zweiten Säulen von den Enden gegen die Cella-Enden.
herum.crelegton Mauer, deren zweite obere Schicht schon beträchtlich die Säulen- basen überragt, und also erst nach Eingehung des älteren Tempels herumge- führt sein kann, um dann bei Erbauung von II z. Th. dessen Fundamenten zu weichen. [Im vierten Bericht verbinden ß.-M. diese Mauer mit derjenigen, welche hier S. 6 für die üntermauerung der Rückwand des Tempels I er- klärt ist.]
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Die Cella selbst zeigt eine wesentliche Veränderung, indem, wenn jene dreitheilig war, diese nur zweiteilig ist, ohne Hinterhaus nur mit Pronaos, wie früher gegen Westen. Dabei sind aber die Abmessungen z. Th. dieselben geblieben : die Breite des Innenrau- mes ist ungefähr die gleiche, die Länge desselben in der eigentlichen Cella so gross wie früher Cella mit Hinterhaus zusammen, der Pro- naos halb so lang wie die Cella, fast so lang wie er im älteren Tempel mitsammt der vorliegenden Halle war ('). Ob er vorne in ganzer Breite oder nur mit einer Thür sich öffnete, ist bei dem theilweisen Fehlen der vorderen Substriiction ungewiss. Wenn aber die schon im Grnndriss der Notiüe Fig. 2 eingezeichnete Mauer vorn links und ein kleineres Stück entsprechend rechts gegenüber zugehört, was mir nicht ausser Zweifel ist, so haben wir allerdings am Eingang des Pronaos eine breitere Substruction als da wo auf- gehende geschlosseoe Wände vorauszusetzen sind, und würden wir darauf vielleicht einen nur in halber Breite etwa sich öffnenden Abschluss denken. Unverkennbar scheint an der Aussenseite des südlichen Pronaos-Endes ein Unterlager für eine breite Ante ge- genüber der zweiten Säule der Porticus angebracht zu sein, auch dieses bereits im Plan der Nolüie eingetragen.
Der Pronaos wird nun freilich in jenem ersten Bericht als eine spätere Zuthat hingestellt, zugefügt sogar erst, nachdem bereits die Kinghalle erbaut worden wäre. Aber es ist ebenso unmöglich zu glauben, dass diese Halle der Cella einst hinten gleich wie an den Seiten nur eine Säulenweite breit gewesen sei, vorn dagegen deren drei, wie es unmöglich ist anzunehmen, dass die Einghalle an der Westseite einstmals kürzer gewesen und erst mit Anbau des Pronaos verlängert sei; denn dann müssten die zwischen den beiden Pro- naosmauern noch vorhandenen Reste des älteren Tempels an Stel- len weggenommen sein, wo sie eben heute noch liegen. Ueberhaupt war die ganze Idee der Noth-Cella in sich widerspruchsvoll und weder aus den beobachteten Thatsachen zu folgern noch mit andern zu reimen. Die Gründe waren, dass die Cellafundamente nicht sehr sorgfältig und mit vom älteren Bau herrührenden Quadern aus rothem Tuff erbaut wären, ferner (2) che ü pronao mostra i segni di
(') Weshalb man Not. S. 13 von un piccolo pronao spricht, verstehe ich nicht.
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oper^a aggiunta e (3) certamente posteriore al tempio periitero per- che esegiUla in gran parle coi materiali di tufo biaaco proveaienti dalla demoiinom di qiiesto tempio. Der erste und dritte Grund für nachträglicho Anfügung des Pronaos sind ins Gegentheil ver- kehrt, seit wir wissen, dass eben schon der ältere Tempel mit hellem Tutf gebaut war, und dass grade die Quadern der Gella- mauer von ihm nicht hergenommen sein können. Die andre auch in dem Grundiss der Notizie sichtbar gemachte Thatsache, dass die beiden Seitenmauern an die Cella augefügt siud, ist insofern rich- tig, als wenigstens in der jetzt obersten, einst, wie schon gesagt, wohl zweitobersten Schicht, eine Fuge zwischen Cella- und Pronaos- mauern durchgeht. Dasselbe ist aber auch bei der Scheidewand zwischen Pronaos und Cella der Fall, die auch in Bezug auf die Verwendung des hellen Tuffs nicht in symmetrischer Vertheilung, wie der Grundriss der Notizie glauben machen könnte, sondern ungeordnet, der Construction der Pronaosmauern ähnlich ist. Von diesen ist die nördliche aus hellem, die andre aus dunklem Tuff gebaut, ja auch die nördliche hat in den unteren Lagen dunkeln Tuff, und einmal wenigstens einen aus der Cella in den Pronaos durchbindenden Quader. Erwägt man diesen Thatbestand, und dass die Cella in ihren Abmessungen zum Pronaos, und mit diesen zur Säulenhalle ein bestimmtes Verhältniss erkennen lässt, dass die- selbe ferner mit jenen ganz gleichartigen drei und vier, oder einst vier und fünf Schichten des Unterhaus schon die den alten Tem- pel erheblich überragende Höhe gewann, so wird man jene Idee einer nothdürftig hergestellten Cella, nach deren Herrichtung man dann doch sogleich zu neuem definitivem Bau vorgegangen wäre, nicht für begründet erachten können.
Auch der Unterbau des Peristyls (denn vom Stylobat ist kein Theil erhalten) ist theils aus hellem theils aus dunklem Tuff gebaut, beide der Hauptsache nach nicht regellos und nach Zufall verwendet, sondern von drei Steinlagen, jede etwa 0,50 breit, die äussere aus dunklem (i), die beiden inneren aus hellem Tuff, jene
(1) Ich wüsste nicht, was anders als diese dunkle Lage bei den unklaren Worten gemeint sein könnte, die, schon oben berührt, auf S. 32 des ersten Berichts auch einen Stylobat für die Noth-Cella schon vorauszusetzen scheinen, ein ganz unmöglicher Gedanke, aber noch festgehalten im zweiten Bericht No-
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eine Art von ev^vm^Qia, in der Skizze S. 166 mit R bezeichnet, ringsum in gleichem Niveau liegend und kenntlich, ausser an der Westseite, wo die Einschnitte für Stufen und Verschiebungen ge- stöjt zu haben seheinen. Man versteht ja auch wohl, weshalb man grade für den Unterbau der Stützen das festere Material gewählt, denn auf den beiden inneren Schichten vorzugsweise oder vielmehr" ausschliessleich ruhen die, wie schon gesagt, fast ringsum leicht kenntlichen und annähernd messbaren Säulenunterlager, in denen aber befremdlicherweise über mehreren Lagen aus hellem Tuff auch wieder eine aus dunklem liegt.
Es bleibt nun noch der zweite ' recinto ' auf dem man, offen- bar nicht ohne sich das Seltsame eines Dipteros von so kleinen Verhältnissen und so nahe aneinandergerückten Säulenreihen ein- zugestehen, eine zweite Säulenstellung angebracht vermuthete, ver- leitet vielleicht vor allem durch die damals schon freigelegte und in dem Grundriss Fig. 2 eingezeichnete Nordost-Ecke mit einem kreisrunden Stein, c. 1,20 m. im Durchmesser und 0,30 hoch. Von demselben kann man versichern dass er, so eingeschlossen in tiefer Lage, absolut nicht irgend ein Theil einer an ihrem Platze stehen- den Säule sein kann, weder Schaft noch Basis, auch für letztere — mit halbmal so grossem Durchmesser als diejenigen des älteren Tempels — aller Wahrscheinlichkeit nach zu stark. Nach Art der Verwendung muss er für ein wiederverwendetes Stück des äl- teren Heiligthums gehalten werden, vielleicht von dem Altar, wie er kreisrund, von ähnlichen Dimensionen, auch im Tempel von Alatri seine Basis hinterlassen zu haben scheint (R. M. 1889, S. 145) (').
Conte Cozza und Mengarelli werden bei Fortsetzung der Aus- grabung ohne Zweifel erkannt haben dass dieser zweite recinto nichts andres ist als das ünterlager ringsum geführter Stufen; denn selbst an der Ostseite, wo das jetzt vorliegende solcher An- nahme am wenigsten günstig scheint, wird man bei näherer üeber- legung kaum zu einer anderen Anordnung gelangen. Der Beweis
tizie 1896 S. 99, wo der Periptiros von I bezeichnet wird als anteriore alle
due costruzioni pcrittere rlconosciute nel prirao periodo (^. \\. dello scavo).
(') Man vergleiche die runde, wie aus einer Säulentrommel zurechtge-
sclmittene Basis im griechischen Tempel von Pompeji Mau R. M. 1891 S. 260.
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liegt vor allem in den stufenförmigen Einschnitten, unregelmässig wie begreiflich bei dem Unterlager, an der Westseite; ferner darin dass die verschiedenen dem Stj'lobatunterlager parallelen Steiu- reihen nicht dicht aneinanderschliessen, sondern Lücken lassen, die entweder mit Erde gefüllt oder als Hohlräume mit Platten überdeckt waren, welche beiderseits dieser ganz unregelmässigen Kinnen genügendes AuHager hatten, aber nach alter Bauweise nie- mals Stützen oder andern Aufbau tragen konnten. Nun liegen aber jetzt nocli an der Südseite an zwei Stellen solche Platten die auch
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des Materiales wegen, weil aus weissem Tuff, vielleicht für etwas von den wenigen üeberresten der Architektur selbst, wenn auch nur der Stufen, gehalten werden dürfen, wenn nicht gewisse An- zeichen dafür sprechen, dass auch sie nur das freilich letzte Un- terlager der Stufen waren. Die beistehende Skizze, worin heller und dunkler Tu, f ohne weiteres zu unterscheiden sind, und zu besserer Verdeutlichung des Niveaus der die Himmelsgegend bezeichnende Buchstabe auf die Höhe der Normierschicht K gestellt ist, wird das klar machen. Maassgebend ist natürlich das Besterhaltene, zunächst südlich. In drei Stufen geht es hinauf, die dritte ist schon das Stylobatunterlager, eben die dunkle Schicht auf heller, solches auch
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der Theilimg wegen. Denn sie besteht aus zusammengelegten Blö- cken. Man sieht zwischen 1 und 2 wie zwischen 2 und 3 die nicht solide ausgefüllte Rinne, zwischen 1 und 2 noch überdeckt durch eine Doppelplatte, ebenfalls rund 1 m. breit; und wie sie selbst gegen die untere Lage von 2 gegengestossen ist, so ist auch weiter- hin diese Lage, welche je weiter nach Osten, eben des abfallenden Bodens wegen, immer dicker wird, oben für den Anschluss zuge- richtet, und ebenso sind die beiden Seiten von 1 für Anschluss in der Linie dieser Stufe gearbeitet. Wie 1 jetzt 0,32 m. hoch ist, so 2 darüber 0,30 m., und über dieser 3 wieder 0,35 : ein für Stufen eines so kleinen Tempels, wie man sieht, ganz angebrachtes Ver- hältniss. Der Auftritt ist allerdings reichlich gross ; aber wiederum f^leichmässiff r. 1 m., 2 wie 1. denn 3 sieht man wieder für An- schluss der Verlängerung von 2 gearbeitet. Was nun hier dafür spricht, die oberen Lagen von 1 und 2 nicht schon selbst für die Stufen sondern nur für deren Unterlager zu halten, das ist haupt- sächlich der Umstand, dass sie bei 3 aus dunklem Tuff besteht, also eine hierauf liegende weitere, Stufe desgleichen dann auch auf 2 und 1 bedingen würde. Dafür kann geltend gemacht werden, dass der 1,10 m. messende Auftritt von 1 vorn einen 0,40 messenden rauheren Streifen zeigt, dahinter einen glatteren Theil wie durch aufliegende Platte geschützt. Endlich ist noch zu bemerken dass auch 1 unten auf Anschluss gearbeitet ist. Hier könnte entweder eine weitere Stufe oder ein Plattenpüaster gegengestossen sein (0-
Es bleibt nur noch zu sehen, wie weit auf den drei anderen Seiten des Tempels übereinstimmende Beweise von Stufen vorhan- den sind.
Das ist am meisten auf der andern Langseite (N) der Fall : auch hier am Stylobat, d. i. zwischen 3 und 2 die Rinne, mit 2 zusammen 1,10 messend, davor zufällig auch zwei getrennte Reste von 1, ebenfalls aus hellem Tuff von nahezu gleichen Maassen wie auf der Südseite jetzt, 1 m. im Quadrat, aber 'aus zwei unteren und zwei oberen Platten bestehend (von denen einmal eine, das andre mal beide oberen fehlen), jene als Binder diese als Läufer gelegt. An der Westseite reichen wenigstens die ebenfalls zuletzt nur
(1) Sofern nicht, wie öfters zu beobachten, die Abarbeitung oben nur bezweckte, diesen sichtbaren 'J'heil genauer abzugleichen.
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in einem einzigen Stein noch erhaltenen Unterlager noch weiter, aber eine Aufschnürung oder Witterungslinie auf dem letzten Stein entspricht wieder ziemlich genau der Kante von 1. Ausserdem wei- sen, wie schon gesagt, namentlich am Süd-Ende besonders deutliche stufenartige Einschnitte für Auflagerung auf Stufen hin.
An der Ostseite scheint es auf den ersten Blick anders zu sein, aber nur deshalb, weil das Bodenniveau ein andres ist, so dass die Schicht, welche gegen das West-Ende der Südseite die unterste ist, und kaum den Boden überragt, hier etwa 1 m. hoch liegt, und weil sie in solcher Höhe schon fast zutage lag, und infolge dessen alles darüber Gelegte verschwunden ist. Ihr Abstand vom Stylobat ist aber wieder nahezu derselbe 1,90 statt rund m. 2,0.
Dass nuü auch der ältere Tempel schon wenigstens eine vor- tretende Unterstufe gehabt, kann man au einer Stelle noch sehen, da wo die SO-Ecke desselben am 0-Ende der Südseite des zweiten Tempels, vortritt, mindestens einen Meter über das Peristyl selbst, aber, sofern ich recht gesehen, nur nach Süden, nicht nach Osten.
Ausserhalb der Stufen ist, von einer besonderen Anlage im- Südwesten abgesehen, wenig erhalten. Von der Spur eines Platten- anschlusses an der Südseite war schon die Rede. An der Ostseite läuft dem Stufenunterbau parallel, m. 1,75 ab, eine Steinlage aus dunklem Tutf, die am Nord-Ende abgebrochen ist, während auch da noch eine nach aussen rechtwinklig abgehende Steinlage erhalten ist, wie drei vorher abgehende, alle nicht bis ans Ende verfolgt. An der NO-Ecke endlich liegt in der Linie der Oststufen, bis etwa 2 m. vojo Stylobat ab, eine Art Plattenpflaster. An der Westseite ist nichts der Art, aber etwa 25 m. ab läuft nordsüdlich eine in Quadern gefasste Rinne (').
Eine besondre Anlage ist im Südwesten aufgedeckt worden, nach Orientierung und Niveau zu II gehörig. Es ist ein Raum nordsüdlich m. 3,42, westöstlich m. 6,20 messend, eingefasst west- lich von einfacher, an den drei andern Seiten von doppelter Mauer ab oder richtiger Schwelle, da nur westlich zwei, sonst eine Schicht hoch, auf Erde gelegt: a niedriger, etwa 0,30 hoch, 0,50 breit, wovon jederseits 0,10 eben, 0,30 in der Mitte eine bis 0,07 rund-
(1) Dieses ist einer der wenigen sichtbar gebliebenen Reste, welche im vierten Bericht aufgezählt und in einem Plan sichtbar gemacht sind.
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lieh eingeliöhlte Rinne bilden. Das Gefälle geht bei der östlichen nach Norden, bei der südlichen und nördlichen nach Westen, wo die südliche bis ans Ende, d. h. durch die AVestmaiier hindurch- gehend erhalten ist, die nördliche dagegen etwas früher mit der Zerstörung dieser Ecke abgebrochen ist. [Im vierten Bericht erfährt man die an Ort und Stelle wieder verschüttete Fortsetzung und weiteren Zusammenhang dieser Rinne nach Westen.]]
Hinter der Rinne liegt sodann auf allen drei Seiten die zweite Lage b von gleicher Breite, aber 0,23 höher, jetzt noch etwa 0,45 an höchster Stelle. Diese Schicht b liegt aber im Verhältnisse zum umschlossenen Raum bei der südlichen und östlichen Rinne a aussen, bei der nördlichen dagegen innen, und ist hier am W. Ende schon früher abgebrochen als die Rinne, am östlichen, bei ursprüng- lichem Zustande, nicht so weit gehend wie die Rinne, die ganz bis an die Kante der Mauer /; ausserhalb der O-Rinoe sich erstreckt. Unter der nördlichen Doppelmauer ab sieht man schräge eine Steinlage durchgehen, deren Orientierung weder zu I noch zu II passt; übrigens irrelevant. Im südlichen Theil des von der Rinne umschlossenen Raumes liegt ein Stück mit ziegelartiger röthlicher Oberfläche 1,20 X 0,50, die wie ein Rest des Fussbodens aussieht, der, danach zu schliessen, 0,46 unter dem Rande der Rinne gelegen hätte, also eher Rest einer älteren Anlage. Denn da unter der Rinne die Erde noch 0,20 etwa höher und der Fussboden gewiss noch höher, vielleicht der Rinnen kante gleich lag. so befand jenes Fussbodenstück so wie eine jetzt freigelegte, den Raum theilende Mauer sich unter dem Boden des Rinnenraumes. Nur die unter diesen hinabgehende Grabung legt die Frage nahe, wo die Thür war? Von solcher ist keine Spur, die Oelfnung in der Mitte der Ostseite scheint neuerer Durchbruch. In meiner Skizze der West- seite sieht man, dass, nach Augenschein bemessen, die Rinne nicht höher lag als etwa die unterste Tempelstufe. Von der Westseite, wo keine Rinne lag, trat man vielleicht sogar ein wenig hinab in den Raum.
AVozu aber hat dieser und die seltsamerweise nur an der Ost- und Südseite von innen, an der Nordseite dagegen von aussen zu benützende Rinne gedient? Der Gedanke an eine Bedürfnissanstalt, der vielleicht zuerst sich meldet, scheint durch die Lage vor der Front der Heiligtums und durch die gute Erhaltung der Rinn-
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Steine ausgeschlossen zu sein. Dann wüsste ich aber nichts andres vorzuschlagen, als dass der Kaum zum Waschen bestimmt gewesen, etwa die inneren lliunen für Frauen, die äussere für Männer.
Dass der erste Tempel der ältere war, ist unmittelbar gegeben, dass er sehr früher Zeit angehört, erhellt aus dem Grundriss. Bes- seren Anhalt für die Altersbestimmung gewähren die bei der Aus- grabung gefundenen Terrakotten und andren Dinge.
Die favissa in der Cella der älteren Tempels mit dem ältesten Inhalt ist schon erwähnt; auch dass eine zweite favissa mit be- seitigten Gaben einer viel jüngeren Zeit südwestlich vom Tem- pel gefunden worden. Der letzteren gedenkt auch schon der dritte Bericht der Notisie S. 99: es ist eine mit Quadern aus hellem Tutf ausgemauerte Grube, m. 1,25 lang, halb so breit und etwa 1 m. tief ('). Da nun zwischen dem Inhalt der einen und demjenigen der anderen favissa Jahrhunderte liegen, wird NotJ.zie S. 101 die Vermuthung ausgesprochen, dass noch ein drittes Depositum von Gaben der mittleren Zeit zu finden bleibe ; auf dieses richte sich jetzt die Nachforschung.
In Kürze sei hier auch über diese Ueberbleibsel von Weihge- schenken — wie das ganze Heiligtum nicht von grossem Keichthum zeugend — berichtet, und daneben über die mit dem Tempel in noch direkterer Beziehung stehenden Terracotten, so misslich das ist nach rascher Durchsicht so vieler Tausende von Bruchstücken in schwach- erhoUtem Kaume, und ohne Abbildungen beigeben zu können. Es sind unf^-efähr dieselben Dinge die man auch den Todten ins Grab mit- gab (-), vom Hausrath, vom Anzug, vom Werkzeug, kaum etwas aus PJdelmetall; von Bronze Becken, Schalen, ein Untersatz bekannter Form, oben kelchförmig, in der Mitte ein par kugelige Anschwellun- gen, der Fuss konisch; Dreifüsse von Stabwerk, ein 0,45 im Durch- messer habender platter Bronzering mit geometrischer Verzierung, Armbänder, Spangen verschiedener Form, auch mit geschwollenem Bogen aus Bernsteinscheiben ; Bullen, Anhängsel in Form einer Pfeil-
(1) Diese wurde mir an Ort und Stelle als Fundort angegeben : nach dem vierten Beiicht war es vielmehr die runde Grube G, weiter nördlich.
(2) Vgl. besonders die Gräber in oberen Treiathal Mon. ant. d. Line. IV; Gräber derselben Perioden hat man auch schon bei Conca gefunden, A'^. 9G S. 69.
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spitze, eines füiifspitzigen Sternes, Nadeln oben mit doppelter Spirale, Nägel, Angelhaken, Ohrpiitzer (?). Mir unbekannter Bestimmung ist ein Gegenstand, auch sonst gefunden : ein dicker Bronzering, ein gan- zer 7, ein halber 9 cm. im Durchmesser, etwa 4 Centimeter dick, aber die Oelfnung nur gering, aus zwei quergetheilten Hälften beste- hend, die durch zwei senkrecht zur Halbierung stehende runde Stäbe fest zusammengehalten werden. Auch kleine Bronzefigür- chen simpler Art fehlen nicht, ruhig stehend wie der bekannte Apollotypus, angreifend, auf dem Kopfe tragend. Von Eisen, stark vom Rost verunstaltet, fanden sich Beile und Lanzenspitzen, durch- lochte Kugeln. Von Bernstein auch Theile von Halsbändern, durchbohrte tropfenförmige Bommeln an einem gerundeten Stab, bikonische Perlen, Bes-artige Figuren, je zwei, Rücken an Rücken. Von Glas Perlen, Salbfläschchen. Von Thon ' Spinnwirteln ' klein mit glatter runder Durchbohrung, also ungeeignet mit in kreisende Bewegung gesetzt zu werden, Garnrollen und vor allem Gefässe, schwärzlich von der Villanovaurne nahekommenden Formen, auch ein Deckel, oben mit zwei sich überkreuzenden Gritfen, wie sie von Troja bekannt sind, auch bitcchero besserer Art, ' protokorinthische ' Näpfe, dann korinthische Aryballen und schlauchförmige Alabastra, d. h. wohl Imitationen solcher, auch ganz kleine roh geformte Gefässchen.
Nicht aus der favissa stammen können einige rothfigiirige Scherben des vierten Jahrhunderts, wohl grossgriechischer Fabrik, darunter namentlich von einem grossen Krater (?) mit Lorberkranz um die Mündung und Darstellung des in sehr erbärmlicher Weise über seinem Scheiterhaufen liegenden Herakles und daneben (?) Athena ; ebenso arretinische Scherben, Ziegel mit Stempel CC oder V • R oder A.
Unendlich viel wichtiger sind aber die zur Ausstattung der beiden Tempel selbst gehörigen Terracotten, davon einige der werthvollsten Stücke jetzt schon nach Rom gebracht, das meiste noch in Conca. Ob es je möglich sein wird, von jedem der ver- schiedenen Stücke ein ganzes Exemplar herzustellen und jedem sol- chen Stück seinen Platz im Zusammenhang eines Systemes zuzu- weisen, erscheint noch sehr ungewiss; jedenfalls gehört dazu die Müsse und Freiheit der Hantierung, wie sie natürlich nur den zu- nächst Berufenen zusteht. Man kann sich den trümmerhaften Zu- stand kaum arg genug vorstellen.
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Ebenso verkehrt aber würde es sein, nach der Zahl der etwa an den Terracotteu zu scheidenden Stilarteii auch die Zahl der einander ablösenden Tempelanlagen scheiden zu wollen, als um- gekehrt den gefundenen Tempelanlagen genau entsprechende Ter- racottenserien zu scheiden. Denn wie hier und anderswo Ausbes- serung schadhafter Stücke zu beobachten ist, so könnte ja wol\l auch derselbe Tempel einmal einen theilweise oder ganz neuen Teracottenschmuck bekommen haben. Ich suche also, wie ich die Tempel nur nach Maassgabe der Grundrisse unterschieden, so auch die Terracotteu in meiner summarischen Uebersicht nur nach Stil und Ausführung des Ornaments zu scheiden. Manches ist schon von Barnabei (B) nach Zeichnungen, und von Graillot (G) nach Pho- tographien abgebildet.
A Un figürlicher, architektonischer Zierrath.
1. Gewiss das Aelteste sind die Thonverkleidungen mit nur gemaltem Ornament in Schwarz und Roth auf dem stets blassgel- ben Thongrund : Zickzack zwischen Gruppen schwarzer Striche, Stab, Schuppen, Mäander, concentrische Kreise, Rosetten, Voluten, vereinzelt gross, oder wiederholt als Flechtband, endlich sehr simple Palmetten. Nichts von der Feinheit und dem Reichtum der gross- griechischen Thonverkleidungen, die wir durch Dörpfeld und Ge- nossen kennen. Die so verzierten Stücke sind meist Platten mit einer aufgebogenen Kante, darunter auch solche mit Verzierung auch der Schmalseite, eines der grössten Stücke noch 0,41 hoch, von einer innen eckigen Traufrinne, über dem dicken geschupp- ten Rundstab der aufgehende Theil durch dünnen, als gedrehtes Band verzierten Rundstab geschieden: der untere Theil mit Mäan- der, der obere mit Stab- oder Blattkrone, mit schwachem Anfang plastischer Ausgestaltung.
2. Unter den mit Relief, dessen Farbe meist vergangen ist, verzierten Stücken das früheste ist ein ä jour gearbeitetes reiches Bandgeschlinge, mit kleinen oben aufsitzenden Palmetten 0,325 hoch, offenbar eine Krönung.
3. Verwandter Art ein nur 0,08 hoher Streifen (G. S. 12) mit schräg gegeneinandergestellten Voluten, die, wo hoch, Scheibchen unter sich, wo tief, Palmetten über sich haben. Nach den in der einen Schmalseite eingeschnittenen haken -(Schwalbenschwanz?)- förmi- gen Löchern waren sie durch Bleiverguss an der Unterseite einer
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anderen Platte bangend befestigt; schwerlich aber an den unter 1 erwähnten Platten mit Palmetten, die allerdings nahe der Kante eingeschnittene Löcher für Bleiverguss haben, wie er noch haftend oder ausgebrochen erhalten ist, schwalbenschwanzförmig mit den Haken nach unten.
4. Späteres Stiles sind andre Tafeln mit Lotos- und Palmet- tenmustern, 0,20 und weniger hoch, mindestens zwei Arten.
B Figürliches, darunter besonders mannigfaltig die Stirn- ziegel, ausser diesen nur ein kleiner Fries und Rundtiguren.
Bei den Stirnziegeln ist die Grösse des Deckziegels (0,16 bis 0.20 Breite) nicht wesentlich verschieden, erscheint nur etwas grösser je nach der Stelle des Bruchs, mehr oder weniger dicht an der Basis. Die ursprüngliche Form des geschlossenen Halbrunds, mit Leisten unten giebt
1. das vereinzelte mit von Locken rings umgebenem Gorgo- neion (B. S. 36), wie in Capua (Minervini tcrrecotte del iMiiseo Campano t. XXX rechts), ohne den Blattkranz, auch in den Maassen einfacher, in Tarent. Lippen und Zunge waren roth. Haar und Augen schwarz mit Roth, h. 0,28). Der Blattkranz sondert sich noch deut- lich als Zuthat vom Halbrund ab. Dass auf die Hässlichkeit der Medusa mehr Sorgfalt verwendet ist als auf die Schönheit andrer Köpfe ist nichts Neues.
2. Vom Gorgoneion nicht weit abstehend durch breites Rund- gesicht mit breitem Mund ist der weibliche Kopf eines andern T3'pus, auch mit der Blattkrone (G. S. 29 B. S. 44) wie in Capua bei Minervini a. a. 0. XVIII, 2 (vgl. XIX 2), auch in den Maassen gleich. Eine ganz andre Auffassung bekundet
3. ein andrer weiblicher Kopf lang und schmal, aber durch das schräge Profil, die hoch gezogenen Mundwinkel und die vor- quellenden Augen sein höheres Alter beweisend (B. S. 34, G. T. I).
4. Vereinzelt wie das Gorgoneion ist auch der gleichfalls sonsther, z. B. aus Caere in Berlin, Panofka T. X, bekannte Kopf der Sispita in der Ziegenkopfhaut.
5. Häufiger dagegen sind bärtige Silensköpfe, ein kleinerer, nur 0,20 hoch, mit scheibengeschmücktem Kranz, und grössere mit 0,14 Schläfenbreite.
6. Daneben nun auch schon solche Stirnziegel, bei denen der vorgeklebte Schmuck den Ziegel mehrfach an Höhe überragt, ganze
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Figuren, ja Gruppon darstellend. Eine Sirene oder Harpyie, einst etwa 0.45 hoch, die Basis 0.2G breit, ganz in Vorderansicht mit zwei erhobenen, zwei gesenkten Flügeln, die Vogelbeine anliegend am eiförmigen Vogelleib gehoben, die menschlichen Arme eingebo- gen mit gestreckten Händen ; einen Kopf sah ich nicht.
7. a Häufiger, etwa 0.30 breit (die Basis), 0.55 hoch, die Gruppe eines Silens mit einer Mänade, und zwar beide verschieden bewegt in den verschiedenen Exemplaren, deren Zusammensetzung noch gefördert werden kann. Abgebildet werden konnte bei B. Fig. 11 und G. Taf. II nm* erst ein Uutertheil. Sehr charakteristisch und an Kentaurengruppen des Westgiebels von Olympia erinnernd, wie an schwarzfigurige Vasenbilder mit Silenen, welche auf Rücken oder Schultern Mänaden tragen, der Silen, menschenfüssig, sich nach der einen Seite bückend, um die Mänade sich aufzuhocken, wo sie, nach der entgegengesetzten Seite gebeugt, bereits sitzt, seinen 1. Unterarm mit der Linken packend und den r. Ellbogen auf seine Schulter stützend (die li. ging gegen ihren Kopf zurück) während er den 1. Arm um ihre Taille legend, beide Hände zusammen- schliesst. Ihr Gewand ist schematisch behandelt.
h In einer ähnlichen Gruppe, wo er sie auf die r. Hüfte nimmt, griff er um ihren Nacken nach ihrer r. Brust.
c Eine gehobene Frauenhand zieht das Kopftuch zur Seite, so dass der Saum am Arm entlang läuft.
d Ein ander Mal sind beide offenbar unverbunden nebenein- ander hertanzend nach rechts : er, allein erhalten, mit stark zu- rückgelegtem Oberkörper, in der Rechten eine Schlange, mit der Linken einen Gest staunender Abwehr machend, weit drastischer als die Gruppe eines Stirnziegels von Civitä-Lavinia bei Furtwängler MW. S. 251, der freilich statt der Schlange hier den über den Arm genommen Pferdeschweif sieht.
e Seine Begleiterin könnte mit den Krotala geklappert ha- ben : es sind sowohl rechte wie 1. Hände mit solchen vorhanden. Köpfe des Silens sind hoch 0.13 bis 14 mit Kranz und Bart, der Mänade 0.08.
8. Das Merkwürdigste vielleicht von allem sind die Reste einer Kampfsceue von kleinen Maassen, einzelnes davon reliefartig auf schwarzgefärbtem Grunde, andre Theile ganz oder fast gelöst, aber auch dann insofern reliefartig behandelt, als Füsse oder Köpfe
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nach links oder rechts gewandt, nur die bessere dem Beschauer zugekehrte Seite völlig ausgearbeitet zeigen. So der
a von B. Fig. 1.5 und G. T. IV abgebildete Kopf. Derselbe ist mit einem Helm bedeckt, dessen Kamm nur Spuren hinterlassen hat, an der 1., eben der besseren Seite den Ansatz eines thierischen Ohres erhalten hat, an den Helm des Reliefs von Grottamare erin- nernd, den Gamurrini N. 95 S. 20 abgebildet hat und für den natio- nalen Helm der Picener hält ('). Der Terracottakopf hat um die Stirn eine stilisierte wellige Masse, die in der Mitte eine Schwellung zeigt, an den Enden über den Backenschirmen sich hörn artig em- porkrümmt, von Graillot S. 23 ff. für Hörner gehalten, von Barnabei- Cozza für die Lefzen eines Löwenkopfes, wozu der vielbesprochene Kopf der Herakles im Tempelgiebel von Aigina angeführt wird. Mir leuchtet weder die eine noch die andre Erklärung ein, obgleich auch fellbekleidete Torse gefunden sind, die aber nicht zu behelmten Kriegern passen wollen, eher Silenen gehören möchten, auch wegen der rothen Körperfarbe. Die glänzende schwarze Masse im Auge, markiert keineswegs nur die Pupille, sondern füllt den ganzen Lid- spalt, statt des convexen biilbus vielmehr concav, also nicht mehr das Ursprüngliche, so wenig wie bei g.
b Von gleichen Maassen, etwa 10 cm. h., sind noch andre behelmte bärtige Köpfe erhalten, einer mit fast geschlossenen Augen, schmerzverzogener Stirn und scharfen Falten auch um dun Mund, auffallend auch wieder der in hohem Bogen die Stirn umrahmende Helmrand. Ausser Köpfen auch Hände, nicht ganz gleicher Grösse, aber gleich sorgfältiger Arbeit,
c eine Linke geballt nahe einem Stück des SchiLlrandes,
d eine Rechte den Schwertgriff stossbereit haltend.
e Auf sehr complicierte Bewegungsmotive lässt ein kleines Stück einer 3 cm. dicken Platte schliessen, an der auf schwärzli- chem Grunde ein 1. Fuss mit rothgefärbtem Rand einer Beinschiene haftet, über dem ganz nah eine geballte r. Faust mit kleinem Theile des Unterarmes sichtbar wird, so dass es gleich schwer ist, beide Glieder derselben wie verschiedenen Personen zuzutheilen.
(1) Vgl. auch den Helm des Aias 4 in Form eines Thierkopfs mit hohem spitzen Ohre, wie das in Rede stehende gewesen sein muss, auf dem von Svo- ronos im Jahrbuch 1886 S. 205 ff. richtig erklärten etruskischen Sarkophage.
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f Dasselbe beweisen andre Füsse entweder ganz frei, oder mit schmalem Abbruch nicht unter der Sohle sondern längs der Seite.
g Dazu gehört nach der Feinheit der Arbeit und den Maas- sen jedenfalls ein Pferdekopf, 0.15 lang, hellfarbig mit rother Zäu- mung, nach rechts bewegt, da die 1. Seite die schlechtere, aber nicht etwa am Grunde haftend. Im Auge dieselbe schwarzglänzende Masse wie bei a :
h Endlich ein Theil eines männlichen Leibes mit dem Gliede. Also ein Kampf, aber wie angebracht? An einen Fries zu denken scheint die freie Rundung, wenn auch mit schlechterer Ausfülirung der al)gekehrten Seite zu verbieten ; Grund hinter einzelnen Theilen widerspricht dem nicht. Man kann nicht umhin, zwei in jeder Be- ziehung naheliegende Beispiele zu vergleichen, erstens einen ähn- lich gearbeiten Kriegertorso etwas grösser, bemalt, verwundet mit blutüberströmtem Harnisch in Rom auf dem Esquilin gefunden, jetzt im Terracottenzimmer des Conservatorenpalastes, von Graillot citiert S. 34, 6 nach Milani Mmeo ital. I S. 93, 8; zweitens eine ganze Reihe solcher Kämpferfiguren aus Cervetri, einst AI. Castellani's (^), jetzt in der Sammlung Jacobsens Ny Carlsberg Glyptothekl^. 1191a, hoch bis 0.58. Diese letzteren haben gleichzeitig Furtwängler MW, S. 254, und ich Rom. Mitth. 1893 S. 100 besprochen, um ihnen beide ziemlich denselben Platz zuzuweisen, Furtwängler auf der Siraa und zwar an der Giebelseite, so auch Jacobsen a. a, 0.; ich au Stelle einer Sima, auf der Langseite, weil der sicherste tekto- nische Anhalt an der einen Figur von dem einen für den Giebel- first, von dem andern für einen Deckziegel gehalten wurde. War jenes der tektonischen Form wegen vielleicht richtiger (obgleich im Grunde beides dasselbe), so scheint bei der viel grösseren Zerstörung der Kriegerfiguren von Conca hier doch eine Bestätigung für Furt- wängler's Ansicht vorzuliegen (^).
Nach Gegenstand und Stil, wenn auch von etwas kleineren Verhältnissen, gehört nämlich eine andre Kriegerfigur hinzu, der
(') Catalogue... A. C. Paris 1884, 488 ff. und Taf. IX.
(2) Die von Furt\väni,der bemerkten Stützenbrüche hinter den Rücken der Figuren wären bei beiden AuiTassungeu denkbar, wenn auch bei Antefixen gewöhnlicher.
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mit Harnisch und Helm, auch Beinschienen angethan, nach 1. vom Beschauer sich kehrt, mächtig zum Hiebe mit über den Kopf zu- rück bewegtem Schwerte ausholend gegen den links gewiss schon hinsinkenden Gegner, der heut fehlt. Noch bis unterhalb der Kniee erhalten und 0.34 hoch, ist dieser Krieger, oder vielmehr war diese geschlossene zweifigurige Gruppe ganz Relief, und zwar auf einer rechts mit einem senkrechten Kundstab eingefassten, oben ohne solchen einfach schräg giebelförmig geschnittenen Stück: die rechte Schräge ist ganz erhalten, von der linken nur ein kleines Stück, und der jetzt fehlende gehobene r. Arm des Kriegers mit dem Ellbogen nahm gerade die Spitze des Dreiecks ein. Daraus nun dass die augenscheinlich einst wie ein Rechteck mit aufliegen- dem gleichschenkligem Dreieck geformte Reliefplatte nur an den Seiten (denn die linke entsprach ohne Zweifel der rechten) und unten — war es nun ebenfalls ein Rundstab oder die Fussplatte der Figuren — eine Einfassung hatte, darf man schliessen, dass oben dafür ein Ersatz eintrat. Nun entspricht die Reliefplatte durch- aus dem Kopf des Firstbalkens, wie er in der Giebelspitze unter dem Dach lag, sehr flach z. B. in dem Reliefbilde eines Hauses oder Tempels eines chiusiner Cippus bei Micali ML XXII, 1 = Martha l'art etr. S. 279 ; ganz unserer Tafel entsprechend an der tempeiförmigen Aschenurne Martha S. 267 nach Micali Mon.p. serv. LXXII. Ein Nagelloch links neben dem Rundstab unserer Platte giebt den letzten Beweis dieser ihrer Bestimmung als Verklei- dung des Firstbalkens (}\ für welchen eine solche Gruppe vorzüg- lich berechnet war. Dieselbe werden wir nun unschwer mit den andern Kämpfern in Beziehung setzen und diese an der Giebelseite einer oder beiden angebracht denken. Das ist nun aber doch wie- der auf zwei Weisen möglich: entweder auf dem First und den beiden Dachschrägen, oder auf den Stirnziegeln, die, wie uns das zweite Micalische Relief völlig deutlich, minder deutlich aber, irre ich mich nicht, auch das andre Relief erkennen lässt, auch auf dem Giebelboden üblich waren.
Der Fundort des Kopfes a, nach Graillot S. 22 en dehors du peiü cöte nord-est du second temple, würde einer wie der an-
(1) Ich habe leider versäumt das Stück hinten anzusehen, ob es kastenartig einschloss.
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deren Aufstellung entsprechen, aber sicherlich können die Figuren nicht auf dem Giebelboden gestanden haben, wenn andere, grössere Giebelftguren für den Tempel II — denn nur um diesen kann es sich handeln — erwiesen sind.
9. In der That sind mehre Stücke von ungefähr lebensgrossen Thonfiguren gefunden, darunter namentlich der nach Graillot S. 25 f. nahe jenem Kriegerkopf, doch etwas näher der N-Ecke zum Vorschein gekommene Kopf (B. Fig. 14, G. T. V), der grosse Erwartungen rege machte, die sich leider nicht verwirklicht haben. Es ist ein bärtiger Kopf, etwa 2/3 Lebensgrösse, der wie jene Krieger nur von grie- chischer Hand gearbeitet sein kann, um die Wende des (5. zum 5. Jahrhundert, alle Formen mit sicherer Hand gebildet, durch Roth des Fleisches, Schwarz an Haar und Augen gehoben.
Von ungefähr gleichen Verhältnissen sind nun einige andre Reste von thönernen Rundfiguren so namentlich mehrere Füsse auf 3-4 cm. dicken Plinthen, die letzteren mit zwei grossen Brenn- löchern unter jedem Fuss:
b e'm rechter,
c ein linker, kaum zu jenem gehörig, obgleich beide c. 0,25 lang,
d noch ein linker 0,21 lang,
e eine 1. Hand geschlossen um einen einst mit quadrati- schem Zapfen eingefügten Gegenstand ;
/ endlich eine bekleidete Brust mit grossem Gorgoneion also vermuthlich Minerva (').
Dieses letzte Stück erwähnt auch schon Barnabei's erster Bericht S. 42 und schreibt es gleich wie den bärtigen Kopf Giebel- figuren zu, indem er nachdrücklich hervorhebt, dass diese älteren Giebelfiguren rund gearbeitet seien wie griechische, nicht als Hoch- reliefs wie die späteren von Falerii und andern Orten. Von dem Kopf und der Gorgoneionbrust kann man wohl eigentlich nicht sagen, dass sie von den späteren Thonfiguren aus Giebeln sich wesentlich unterschieden. Von jenen Füssen ist das zuzugeben, aber wer bürgt dafür dass dies Giebelflguren und nicht vielmehr Akroterien waren? Das Loch (zwei statt eines), das jener einzige
{') Den Schooss einer sitzenden Figur mit doppeltem Gewand schreibt Graillot, der ihn S. 32 abbildet, mit Recht späterer Zeit zu.
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Kopf im Scheitel hat, und das nicht, wie Graillot S. 28, 1 meint, zur Befestigimg der Figur am Giebel, sondern zur Einfügung der, wir können wohl sagen, ionischen ' Yogelabwehr ' gedient haben dürfte, beweist allerdings Aufstellung hoch im Freien, aber nicht nothwendig im Giebel.
10. Die einzigen friesartigen Stücke etwa 0.25 einst hoch, ein geringeres Stück bei G. S. 15, ein vollständigeres bei B. Fig. 7, Eeiter, wahrscheinlich gemeint, wenn auch als solche nicht kennt- lich, Amazonen, zwei Figm-en fast sich deckend, wie es bei Fahrenden- und Reitern etruskischer Thonreliefs dieses Stiles nach griechischen Vorbildern gewöhnlich ist. Eine von ihnen wendet sich bogenschies- send um, ein ursprünglich aus dem Leben hergenommener Zug, von Furtwängler MW. 254, 4 an einem wohl übereinstimmenden Stücke aus Caere in Berlin nachgewiesen und mit Recht für ionisch erklärt, nach Vorgang Dümmlers und v. Duhns Mitth. IT, 186 und 244 ff. Das Motiv der halb sich deckenden Figuren und des umgewandten Schiessens bei stärkerem Andrücken eines Schenkels widerräth diese Reliefs zu hoch hinaufzusetzen, wozu die plumpe nicht griechische Ausführung verführen könnte.
üeberhaupt haben wir bei diesen italischen Thonfiguren, wie überall, bei Vasen, Bronzen u. s. w., ja nicht blos die Zeiten und Stile zu unterscheiden sondern auch 1 originales und 2 nach- geahmtes Erzeugniss, bei letzterem sogar, wenn auch weniger bei architektonischen Terracotten, noch wiederum 2 grossgriechische Nachahmung von aus dem Mutterland importierten Arbeiten, und 3 locale, namentlich etruskische Nachahmung bezw. Abformung, sei es von 1 oder 2, letztere beide natürlich schwerer zu unterscheiden. In unserem Falle z. B. möchte ich für ältere Waare der zweiten Kategorie das Gorgonenantetix 1 und die ihm verwandten 2 halten, der dritten den Fries 10 und die Stirnziegel 3, vielleicht auch 4 und 5 ; für jüngere Arbeit der ersten (oder zweiten) die Rundfigu- ren 9 und die Kämpfer 8, der zweiten die Silen-Mänadenstirnzie- gel 7, der zweiten oder dritten die Sirenen, üeberhaupt aber möchte ich keines selbst der älteren Stücke weit in das 7. Jhdt. hinauf- rücken.
Die in der favissa ausserhalb des Tempels reponierten Weih- geschenke sind, wie gesagt, der Hauptsache nach jünger als das vierte Jahrhundert. Es sind blassrothe weissliche, thom'othe, schwarz
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gefirnisste Gefässe, meist kleinere; Köpfe und Gliedmaassen, Gra- natäpfel, Kinder, Pferde, Häuser, auch eine der vom Esquilin her bekannten aride, besonders häutig thronende Figuren (auch Throne separat.gearbeitet, verschiedener Grösse) drauf eine, zwei, drei, ja vier und mehr Figuren nebeneinander sitzend, besonders häufig eine oder zwei, eine männliche links (v. B.) und eine weibliche, dann wohl er mit Kranz oder Schale, sie mit Kindchen auf dem Schoss, wie sie unter den der Minerva medicam Rom dargebrachten Gaben zahlreich sind ('). Nicht selten sind auch stehende Figürchen von allerlei Art. Hervorheben möchte ich ein etwas ungewöhnliches Thongeräth (Bar- nabei S. lOl, 1) vier Gefässe in Koptform, paarweis auf einer Art Tisch befestigt und beide Kopfpaare durch einen Henkel verbun- den, um das ganze aufzuheben. Sodann der untere Theil eines Drei- fusses, die Löwenfüsse der graden Beine auf einer Base stehend, durch Grund verbunden, vor dem drei gleiche weibliche Figuren 0,22 h. mit gekreuzten Beinen stehen, den 1. Ellbogen auf einen kleinen Pfeiler stützend, die R. im Mantel hinten auf die Hüfte stemmend. —
Sowohl Barnabei wie Graillot kehren zu der ob.en angeführten Meinung Nibby's zurück, dass Conca das von Livius öfter erwähnte Satricim sei, womit der Gedanke, dass unser Heiligthum das in den von Livius erzählten Kriegsfällen mehrfach erwähnte templiim malris MatiUae sei, sich von selber einstellt. Einen Beweis dafür sieht Barnabei S. 101 f. in der Inschrift eines beim Tempel gefun- denen Clppus, deren erhaltene Buchstaben er S. 102 facsimilisiert, indem er in den Buchstaben iMAi mit Sicherheit die llater Ma- tuta zu erkennen glaubt (^).
Man sucht weiter nach den Gräbern des vermeintlichen Satricums und wird wohl dessen Ausdehnung noch genauer bestimmen können.
(1) Man wird sich aber trotz andrer Anordnung der Figuren auch der tarentiner Terracotten erinnern.
(2) Der Stein ist unten gehöhlt; und enthielt, wohl nur drei Zeilen. Links von jenen Buchstaben, die das Einzigerhaltene der zweiten Zeile sind, war kaum mehr Raum als 0,20 bis zum Rande, also für höchstens fünf Buchstaben. [Ueber diesen Inschriftstein und die Lage von Satricum, viel- mehr westlich neben der Tempelhöhe — diese für die Akropolis. erklärt — über Gräber und Strassen macht der vierte Bericht Andeutungen, welche lebhaftes Verlangen nach ausführlicher Veröffentlichung der ganzen Entdeckung erregen.]
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Unser Tempel lag jedesfalls ausserhalb des Ortes, sogar durch die Astura von ihm getrennt, und Barnabei S. 6 findet, dass solche Lage des Matutatempels ausserhalb Satricums eben durch Livius' Bericht über zweimalige Verbrennung des Ortes aber dabei Erhal- tung des Tempels bestätigt werde, indem er oifenbar nicht sowohl auf die Worte des Livius 6,33 ('), die eher das Gegentheil auszusa- gen scheinen, als auf die Thatsache des Weiterbestehens des Tem- pels sich stützt.
Hat die völlige Freilegung auch nicht gehalten was die An- fänge der Grabung verhiessen, so ist das Ergebniss doch im höch- sten Grade lehrreich für das Eindringen griechischer Cultur in Italien. Erschöpfende Darlegung dürfen wir von Baruabei und seinen Mitarbeitern erwarten.
Kurz mag hier auch der Ausbeute von N o v i 1 a r a gedacht werden, die R. M. 1895 S. 77 nur erwähnt wurde. Denn inzwi- schen ist die ganze Untersuchung von Brizio im Verein mit Men- garelli in dem würdig seinen Vorgängern sich anschliessenden o. Bande der Linceer Monumente vorgelegt. Räumlich wie zeit- lich sich mit der Villanovacultur berührend, aber einem bestat- tenden nicht verbrennenden Volke gehört der Inhalt dieser Gräber, des älteren sepolcreto Molaroni, des jüngeren Servici, die letz- teren orientiert , der ganze Begräbnissplatz von einem Graben eingefasst. Die jüngeren Gräber innen getüncht, die besseren, mit tieferer kleinerer Grube innerhalb der grösseren, beides wie auch in Megara-Hyblaea und Syrakus. In den Gräbern die Leichen nicht gestreckt, sondern zusammengekrümmt auf die Seite gelegt, nach Brizio wie im Schlaf, wenn es nicht nur des kleineren Grabes wegen war, eingehüllt in Meereskies oder Kalk, welcher die Lei- chen mehrfach ganz oder bis auf die Zähne — Brizio citiert Plinius n. h. 36, 131 vom Sarcophagus lapis — verzehrt hat, wobei man sich ähnlicher Beobachtungen in den cerchi von Vetulonia erin- nern wird. Die Frauen, im s. Molaroni auffallend in der Mehrzahl, sind mit ihrem Schmuck und Arbeitsgeräth beigesetzt, unter wel-
(1) . . . ut urbem . . . igni concremarent ; nee aliud tectum eins su- perfait urbis, cum faces pariter sacris profanisque tnicerent quam matris Ma- tutae templum; inde eos nee sua religio nee verecundia deum arcuisse dici- tur, sed vox horrenda edita templo cum tristibus minis, ni nefandos ignes procul delubris amovissent [S. die vorige Anmerkung.]
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chom, da er im Ganzen der bekannte der Eisenzeit ist, nur ein paar Einzelheiten hervorzuheben sind, wie die Frauengürtel aus ürahtmaschen S. 145, Spangen mit drei Scheiben S. 131, Anhängsel in Form fast eines Menschen auf dem Wagen zwischen zwei Pfer- den (S. 148), mit langen Kettchen daran. Auch hier einmal die feine Spirale als King noch um den Fingerknöchel. Das gewöhn- lich für eine Spindel gehaltene Geräth erklärt Brizio nicht unwahr- scheinlich füi- den Rocken; die xgedyQct aber noch für das Pem- pobolon. Unter den Waffen der Männer besonders konische Helme mit Kamm wie in Corneto und sonst. Das merkwüi'digste einige Stelen, durch Form und Ornamentik, Spiralenreihen S. 91 f. an mykenische erinnernd, durch Darstellung eines Schitfskampfes S. 97 an Dipylonvasen — eine andre Darstellung mit Kampf und Jagd S. 182 ist allerdings völlig stillos — , endlich auch der Form nach schon jüngere mit Inschriften S. 177 ff.
Im nördlichen Etrurien bei Campiglia marittima iV. 95, 334 ist eine doppelte Nekropole gefunden, eine ältere, von deren Gräbern eines mit Villancvaurne a j:ioz:o, sonst Leichengräber a fossa oder a caswne ; die jüngere etwa des dritten Jahrhunderts, darin eine etruskische Inschrift, die nach Hülsens Darlegung (s. R. M. 1895 S. 303) von Wichtigkeit werden könnte.
Corneto iV. 96, 14 hat selbst aus einem schon geplünderten Grabe, einem der ältesten a eamera, wie Heibig urtheilt, noch werthvolles Material geliefert, hauptsächlich Gefässe, ein phoeni- kisches von Fayence mit aegyptisierenden Darstellungen, zu denen Schiaparelli einen Commentar verheissen hat; sonst namentlich ein par sehr stattliche Untersätze jener unten S. 173 nach Bronze be- schriebenen Form, mit ihren kugeligen Gefässen, wie sie in Corneto noch selten waren, diese thönern mit Malereien in breitem Strich, die aber nur durch das glanzlosere Braun der einst von Farbe be- deckten Theile schwach kenntlich sind.
Unter den wenigen Dingen die aus einem späteren etruskischen Grabe mit mehreren ipogei bei P o z z u o 1 o zwischen dem Trasime- iius und dem See von Montepulciano, hervorgegangen sind {N. 95, 33), sei nur eine Bronzekanne erwähnt, deren Henkelansatz unten in Relief eine auf Stufen sitzende bärtige männliche Gestalt zeigt, nackt bis auf ein über das r. hoch gestellte Bein hängendes Ge- wandstück. Die Linke scheint sich auf den Sitz zu stützen, die
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Rechte, indem der Ellbogen sich auf das Knie stemmt, unterstützt das langbärtige Kinn, so dass das Untergesicht stark gehoben ist. Das ist ein ö"/'],"« ziemlich verschieden von demjenigen, welche in etruskischer Kunst dem blinden Teiresias gegeben wird. Ga- murrini, der den Seher hier erkennen will, greift sicher fehl. Eher dürfte es Marsyas sein, der einigermaassen ähnlich dasitzt auf einem bekannten Vasenbild mit dem Wettstreit, wo auch eine Stufe — unter Apollo — nicht fehlt (s. Müller- Wieseler II, xiv, 149).
Auch aus Vetulonia interessiert diesmal weniger die Nach- lese aus der Nekropole, von schon bekannten Dingen, als die Gra- buncren in der Stadt selbst, welche Strasse und Häuser, mit La- den oder Werkstätten an derselben freigelegt haben, und deren verschiedenartige Fundstücke : Thongefässe, Geräth aus Bronze, dar- unter ein Stäbchen lang 16, breit 3 i cm., mit einem Frauenkopf am Ende und Abtheilungen (ein Maass?), auch Statuetten, bis in die Kaiserzeit hinabgehen, also die Existenz der Stadt auch in späterer Zeit erweisen; und dass dies Vetulonia sei, bleibt nach den zahlreichen Münzen, darunter viele dieses Ortes, kaum eine von einer andern etruskischen Stadt, immer weniger zu bezweifeln möglich.
Ein reicher Goldschmuck in einem Grabe unterhalb Monte- fortino {com. Arcevia) gefunden, hat zur Entdeckung von wei- teren Gräbern geführt, über die vorläufiger Bericht erstattet wird N. 95, 408. Rohe Thonwaare neben besserer zeigt auch hier ältere Culturzustände neben der aus Etrurien oder ünteritalien gekomme- nen Verfeinerung. An die Gallier jener Gegenden erinnert zumeist eine schwere goldene torques, allerdings, wie uns gesagt wird, ein Frauenschmuck; eine bestimmte Helmform dagegen wird von Bar- nabei a. a. 0. auch in nichtgallischen Gegenden nachgewiesen.
Bei Paestum wiedermal ein Grab mit Gemälden N. 95, 97: Kampfscenen an allen vier Seiten, mit schwarzen Umrissen auf weis- sem Grunde, von denen aber nichts Genaueres ermittelt ist. Darin schwarzgefirnisste und rothfig. Gefässe.
Einige Stücke alter Strassen in Neapel N. 95, 96 verbinden sich mit andern, früher gefundenen ; und auch für Lauf und Hö- henlage der Strassen versprechen noch Aufschluss die schon im Herbst 1888 in Angriff genommenen Gräber von via Cristallini 133, deren Hauptbedeutung freilich in ihrer Anlage und künstlerischen
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Ausstattuug liegt. Gewiss schon von manchem besucht^ dank der grossen Gefälligkeit des Besitzers, des Barons Donato, waren sie doch der Berichterstattung und Veröffentlichung der Neapler Aka- demie und des Mons. Galante vorbehalten, der nach ein par klei- nen vorläufigen Mittheilungen jetzt in den Atti dellaR. Accad. di archeol. lottere e b. arti v. XVII, p. I das Hauptgrab auf drei farbigen Tafeln abbildet und beschreibt, auch zwei und theilweise ein drittes ähnliches. Anordnung und Grösse ist bei allen ziemlich dieselbe. Die von Halbsäulen oder Pilastern ein- ffefassten Thüren der aus dem Tuff herausgearbeiteten Fassaden müssen, wie sie nebeneinander liegen, wohl unmittelbar an der Strasse sich befunden haben. Der Eingang führt in ein Gemach mit rings- umlaufender Bank. Durch eine Oeffnung im Fussboden steigt man auf eiaer Treppe hinab in das untere Gemach. Dieses misst in allen vier Fällen ungefähr 3,70 X 6,65, das obere 2,80 X 3,70 (') nur, bei dem schönsten 7,0 X 3,85, also sogar noch etwas mehr als das untere, sonst immer das grössere. Im oberen Gemach rings an den Wänden eine Bank aus Tuff', in den Wänden Nischen mit Aschen- gefässen oder kleinen Säulen oder Altären aus dem Tuff gear- beitet, oder — sofern sie nicht geraubt waren — mit eingefügten Reliefs aus Thon oder Marmor, vereinzelt auch aus Tuff. Dargestellt eine oder zwei Figuren, letztere sich die Hand reichend ; einmal, in Thon, vor einer sitzenden Figur die Gruppe von Amor und Psyche sich umarmend; dazu Inschriften meist griechisch mit dem x"^^Q^^ einmal auch ein leidliches Epigramm, die Namen überwiegend griechisch, theilweise gemischt, auch die lateinischen meist grie- chisch geschrieben.
Im unteren Gemach ebenfalls rings an der Wand die Bank, hier offenbar für Aufnahme der sterblichen Ueberreste bestimmt. Im dritten werden freilich nur die lociäi auf dem Boden rings an der Wand erwähnt; im zweiten waren die locidi und Sar- kophage zertrümmert, und was über die noch zu sagon, soll künftig gesagt werden; im vierten unten die Bank in sechs und zwanzig mit Ziegeln gedeckte loculi oder Sarkophage abgetheilt, und oben, unter dem Gesims dreissig Nischen für Aschengefässe.
(1) Ich nehme an dass beim zweiten von Galante die Maasse der Länge und Breite vertauscht sind.
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Das untere, wie die anderen, gewölbte Gemach des ersten, des Hauptgrabes, endlich ein völliges Triclinium. Die Wände sind in einer unverkennbar dem ersten und zweiten pompejani- schen Stil verwandten Weise verziert: unten ein dunkler Sockel, darüber die Wand gegliedert durch Pilaster, je drei (die in den Ecken mitgezählt) an der schmalen (an der Thürwand statt des mittleren die Thür), je vier an den langen Seiten, Pilaster wie Wand und Gebälk mit dem Sims weiss aber mit farbigen Capi- tellen, von denen grüne bandumwuiidene Girlanden hangen, je zwi- schen zwei Pilastern noch einmal aufgebunden; so auch an der schmalen Thürwund zwischen Eckcapitellen und Thürsims ; anders aber an der gegenüberliegenden Schmalwand, wo in jedem der beiden Intercolumnien oben zwei Rundkränze hängen. Hier, über dem Sims, ein farbiges Gorgoneion auf geschupptem Aegisrund, wie ge- genüber, oberhalb der Thür, eine Lichtölfnung.
An der gewölbten Decke hing noch die Kette: die Lampe selbst war herabgefallen; auf dem Sims lagen rings Früchte aus Thon: Aepfel Birnen und Granaten. An der Thürwand gewiss je- derseits, obgleich erhalten nur einerseits, gemalt, oben ein grosses goldfarbenes Becken, wie aufgehängt, unten wie auf (?) dem Sockel stehend andre Gefässe und je ein Kandelaber mit hoher weisser Kerze(?). Wirkliche grosse Thonamphoren auf Tutfuntersätzen wurden gleich am Eingang gefunden, wie weiterhin andres Thongeschirr, von dem noch nicht näher berichtet wird. Rings bis zur Höhe des Sockels reichend in jedem Intercolumnium ein Ruhebett, also zwei der Thür gegenüber, je drei an den Seitenwänden, aus dem Tuff gearbeitet, aber mit zierlich gemeisselten und bemalten Klinenbei- nen der altgriechischen milesischen Form, auch die Matratzen und je zwei natürlich am rechten Ende liegende Kopfpolster mit sorgfältig in Malerei nachgeahmten Säumen. Auf diese Ruhebetten waren also einst die Leichen gelegt, doch wohl nicht wie Schla- fende sondern wie alt- und spätetruskische Sarkophage und Ur- nen zeigen, und wir können kaum zweifeln, dass so, wenn auch nicht zu gleicher Zeit beigesetzt, verschiedene Leichen nebeneinander- lagen. Das Gebein der verwesten wurde dann später in die mit Deckeln gescnlossenen Höhlungen in jenen Ruhebetten — in einem sogar ein 3 m. tiefer Brunnen — gesammelt, um neuen Leichen Platz zu machen, woraus zu schliessen, dass gleichzeitig alle Betten
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besetzt waren. Denn dass auf demselben Bett Leichen nacheinander hingelegt wurden zeigen uns auch die an den Wänden eingeritzten oder aufgemalten Inschriften, wie einmal, auf dem rechten der zwei Hauptplätze, unter dem Gorgoneion, drei Namen mit x«'*'?^' übereinander stehen, der oberste über die Kränze weggeritzte ge- wiss der letzte. Der unterste liaum, zunächst über dem Bett ist immer freigeblieben, weil hier eben die Leiche davor lag. Auf dem Bette rechts zunächst der Mittelwand ruhte eine h'Qr^a Af^v^xa- d-tag nnd das neben ihren Namen allein gesetzte Verbot ov ^t/ug äXXi]v dmvM (') mag gewirkt haben, da wenigstens keine Inschrift weiter daneben steht. Freilich sind auch Felder ohne Inschrift, ohne dass wir doch daraus schliessen dürften, es habe hier nie eine Leiche gelegen.
Es braucht kaum hervorgehoben zu werden, dass dies, trotz seiner Ausraubung vorzüglich erhaltene Grab durch seine üeberein- stimmung mit etruskischen im Grundriss, in der Art der Beisetzung, der Ausstattung z. B. mit wirklichem und gemaltem Tafelgeschirr, auch Früchten noch erhöhte Bedeutung gewinnt.
Von römischen Gräbern in 01b ia (Sardinien N. 95, 50) sei nur eine neue Art des meist aus sechs Ziegeln zusammengestellten unterirdischen Grabhäuschens erwähnt, wo nämlich vom Dach eine oder zwei Thönrohren emporragten, wie man annimmt, über den Erdboden. Ob. aber zum Hineinschütten der zerstampften Gebeine, und nicht vielmehr zum Hinabgiessen oder -Schütten von Todten- gaben, das darf man wohl fragen.
Reste römischer Villen sind gefunden in Gragnano iV 95, 440: eine Wein - oder Oelpresse, in S.AngeloinCapoccia ,V. 95, 421 : Baderäume, zu solchen gehörig vielleicht auch die grosse Piscina in Faicchio N. 95, 384 ; von der auch in diesen Mittheilungen 1894 S. 349, 1896 S. 131 ff. schon behandelten Villa von Bosco reale hier zu schweigen, deren berühmten Silberschatz so eben Michaelis {Preiiss. Jahrb. 85 (1896) S. 17 und Winter (Arch. Anz. 74) besprochen haben.
So ist nur über das viel besprochene Schiff im Nemisee noch zu berichten. Es ist ' eine alte Geschichte', die aber ewig neu bleiben zu sollen scheint. Nicht lange vor 1450 hat zuerst L. B. Alberti im
(1) Männer und Frauen tauschen sonst auch den Platz.
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Auftrage der Cardinais Prospero Colonna versucht dort ein gesunke- nes Schiff zu heben, dessen Existenz Fischer an ihren Netzen er- fahren hatten. lieber das mislungene Unternehmen berichtete Fl. Blondus in seiner Italia illaürata. Ungefähr hundert Jahr später tauchte Fr. de Marchi, der Verfasser der Architettura militare, selbst und berichtete in ergötzlich naiver Weise über seine Un- tersuchung. Das dritte Mal Hess in unserm Jahrhundert ein Inge- nieur Fusconi seinen Tauchapparat an dem schon berühmt ge- wordenen Objekt erproben.
Alle Nachrichten über diese früheren Versuche stellte C. Maes in seinem Cracas Juni- August 1892 zusammen, ohne gerade die historische Folge einzuhalten und ohne direkte und abgeleitete Be- richte zu scheiden ('). Und bald wurde nun die Sache aufs neue in Angriff genommen, dies mal von der Seite, von welcher man eine endliche Lösung des Problems erhoffen darf: im Oktoberheft der NotUie 1895 berichtet Barnabei über den Erfolg der Hebungsar- beiten, zu denen sich der Fürst Orsini und der Kunsthändler El. Borghi verbunden haben ; und zu grösserer Gewähr wurde noch vor Eintritt des Winters auch von einem Taucher der Marine das Schiff auf dem Seegrunde untersucht, nach dessen Aussagen der Marinetechniker V. Malfatti berichtete N. 95, 462 und 472 [und ausführlich in seiner Monographie, le navi romane del lago di Nemi Rom 1896].
In diesem letzten Bericht ist nun auch wieder wie schon in dem allerersten von Biondo, von zwei gesunkenen Schiffen die Rede, und dass alle Versuche und Berichte sich auf dasselbe oder dieselben Objekte beziehen scheint in der That kaum zweifelhaft. Allerdings hat Barnabei den Widerspruch zwischen denen, die ein oder zwei Schiffe in der Tiefe bezeugten, und Nibby, der als Au- genzeuge von Fusconis Untersuchung die versunkenen Reste einer Villa zuschrieb, so zu beseitigen versucht, dass er durch Verhörung von Augenzeugen (nach fast siebzig Jahren !) Fusconis Tauchungen an ganz verschiedener Stelle zu erweisen sucht. Aber jedesfalls
(1) Wiederherausgegeben von demselben mit prefazione und note in fine dopo le odierne scoperte unter dem Titel La nave di Tiberio: Roma 1895. Uebrigens hatte Fusconi für seine Zeit dasselbe gethan. C. Maes hat dann noch eine Sammlung von Nachrichten über Prachtschiffe im Alterthum folgen lassen: Voriginale della nave di Nemi, 1893.
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hatte es Fiiscoiii eben auf das schon berühmt gewordene Schiff ab- gesehen, das er von vorn herein als villa (jalleng laute ansah, weil eben die früheren Berichterstatter, de Marchi (') wie Bioudo, solche Vorstellung aus den angestellten Untersuchungen und Hebungen gewonnen hatten, wie denn auch ein Stich des 16. Jhdts in der Corsiniana mitten im See eine an Seilen festgelegte schwimmende Plattform mit einem Aufbau zeigt. Ueberdies scheint es, als habe sich bei Tauchungen am südlichen Seeende neuerdings (A^. 96, 12 f.) nichts gefunden. Der Hauptbeweis aber, dass auch Fusconi die alte Fundstätte für seine Versuche ersehen hat, liegt in der Uebereinstim- raung der Fundstücke, nicht sowohl der travi und tavolitii, als vielmehr der vielen (vierzig) mattoni inielarati di ferro von 3 Palm im Quadrat, die ja nothwendig an Biondos Avunderbaren Bericht von dem über Thonunterlage ausgegossenen geschmolzenen Eisen erinnern, dazu die Nägel verschiedener Grösse und besonders solche mit vergoldetem Kopf, gewiss di lucenti di metallo de Marchi' s ; endlich die due tondi di pavimento, um di porfido orieatale, V altro dl serpentino ; bis auf das Material den neuesten Funden gleich. [Ebenso urtheilt Malfatti a. a. 0. S. 32 und 33.]
Ausser den genannten Dingen wurde ja in verschiedenen Zeiten beobachtet namentlich die Verkleidung der Planken mit Blei über einem Unterlager von getränktem Stoff und der smalto vom Fuss- boden, wozu neuerdings namentlich die heraufgeholten kastenar- tigen Bronzeverkleidungen von einem aufrechten runden Balken und erst vier, dann noch eine fünfte solche von vierkantigen horizontalen Balken gekommen sind, eine vorn mit einem Medu- senkopf geschmückt, wie die letztgefundene seltsamerweise mit einem Unterarm mit geöffneter Hand, alle andern mit Thierköpfen (zwei Hunde oder Wölfe, drei Löwen), welche starke Bronzeringe im Maule halten (-). Von Bronze ferner ein Gitter, Stück eines Pfostens, kastenartige Umkleidung eines gebogenen Trägers (?).
(') Auch de Marchi spricht ja von dem palazzo che qui era edißcato sopra questa barca, kann also nicht wohl an eine nave vera e propria ge- dacht haben.
(2) Ob es diese waren, welche die Zeugen Pius II (hei Maes S. 35) gesehen qui nantes ad ima locus descenderunt aiunt in fundo navis arcam ferream seu cupream se vidisse quattuor annulis colligatam, et hydriam fictilem, cuius coopertorium aeris deaurati fuerit.
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Dachziegel, auch Platten, wie Scheiben und Bänder von bunten Steinen und mehrfarbigem Smalt zur Incrustation, sei es des Fuss- bodens sei es der Wände, zu dienen bestimmt.
Barnabei's nachdrückliche Betonung, dass es sich hier um Ueberreste eines oder gar zweier wirklicher Schilfe handle, gründet sich aber vor allem auf die Reste von ' Kiel '. Steven, Rippen. Planken und auf die Aussagen der Taucher, die unten das Ganze, d. h. doch immer nur einen kleinen Theil nach dem andern, geschaut haben. Indessen, wie schon in früheren Zeiten, so wird auch jetzt noch gerathener sein zwei grosse Pontons als Träger einer Platt- form mit Aufbau zu denken, da unter den Fundstücken zu vieles wie z. B. auch Säulen, eine Marmorbasis von 0.50 Durchmesser, ein Antefix. und vor allem die wiederholt gefundenen Bleiröhren einer Wasserleitung, sich der Vorstellung von Schiffen wenig fügt, und die Annahme eines kleinen i:>orto, an dem alles zum Schilfe nicht Pas- sende angebracht sein soll, mit Aufiindung des zweiten Schilfes noch viel unwahrscheinlicher geworden ist. Holten wir dass es nicht auch diesmal wieder nur bei halber Erkenntniss bleibe.
Von dem Platze jener Schiffe werfen wir endlich noch einen Blick auf das nahe gegenüberliegende Heiligthum der Diana, wo {N. 95, 424) man bei neuerer Nachforschung innerhalb der von Säulenhallen umgebenen Area die drei Stufen, auch weitere anlie- gende Gemächer gefunden hat, auch einen mit zerstückten Marmor- skulpturen gefüllten Raum, darunter acht über 0.60 hohe massive Marmorvasen mit Ranken und bildlichen Darstellungen, wie zwei Greifen die eine Hindin anfallen, oder zwei Satyrn, lebhaft bewegt gegen einen zwischenstehenden Krater, oder Amoren im Circus reitend; am oberen Theil zwischen je drei henkelartigen Thier- hälsen die nicht befriedigend gedeutete Inschrift CHIO ■ D • D •
Sehr merkwürdige Nachricht giebt Barnabei über vor zehn Jahren befundene Reste von architektonischen Bronzen aus dem Tempel : Dachziegel, Gebälkverkleidungsstücke, Fragmente einer Diana d. h. eines Köchers, wie B. meint, von einer Giebelfigm-; auch von einem prächtig vergoldeten Fries. —
Von Statuen die in Rom gefunden sind erwähne ich nur eine namentlich des Kopfes ermangelnde Wiederholung der Giustiniani- schen Vesta, gefunden beim Colosseum (iV. 95, 229).
Petersen.
UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS.
(Fortsetzung. S. Mittheilungen 1895, S. 252-283.)
5. Der Tempel des Apollo Palatinus.
Dass über die Lage des vornehmsten Heiligtums auf dem Palatin, eines der grössten und prachtvollsten Tempel von Rom, sehr widersprechende Ansichten aufgestellt sind und noch auf- gestellt werden, mag verwunderlich erscheinen: es erklärt sich aber aus der völligen Zerstörung, welcher der Bau zum Opfer ge- fallen ist und nach seiner Construction zum Opfer fallen konnte. Die Ziegelmauern des kaiserlichen Palastes haben, ihres kostbaren Marmorschmuckes beraubt, die Jahrhunderte tiberdauert ; selbst wo die Raubsucht neuerer Zeit (namentlich im 16*®" Jhdt.) ihnen auch die äussere Ziegeldecke genommen hat, erhalten sich die riesigen Massen aus Gusswerk vermöge der vorztiglichen Bindeki-aft ihres Mörtels. Aber den Tempel des palatinischen Apollo hatte Augustus ganz von Marmorquadern aus den neu erschlossenen Brtichen von Luna (Serv. ad Aen. VIII, 720) erbaut: der furchtbare Brand von 363 (Ammian. Marcell. XXIII, 3, 3) mag die vierhundert- jährigen Marmorwände zum grossen Teil in Kalk verwandelt haben, eine Herstellung erfolgte nicht, und was die Elemente begonnen, vollendete im Laufe des Mittelalters die Menschenhand. Die Ma- terialsucher und Kalkbrenner konnten wohl nicht häufig ein so bequemes Arbeitsfeld finden wie hier : spurlos sind die Quadern der Wände, die Säulen der Hallen, selbst die Platten des Pavi- ments verschwunden. Die Substruktionen des Heiligtums freilich, aus unverwüstlichem Gusswerk, liegen wohl noch in der Erde ver- borgen. Aber in dem bis jetzt freigelegten Teile des Hügels ist auch nicht einmal ein Fundamentrest erhalten, an den mau den Namen des Apollotempels gewohnheitsmässig heftete, und nur das
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haben uns die Ausgrabungen der letzten dieissig Jahre gelehrt, an welchen Stellen des Hügels der Tempel nicht liegen kann.
Damit entfallen freilich schon viele der früher aufgestellten Hy- pothesen. Eine vollständige Aufzählung wäre zwecklos : nur beispiels- weise erwähne ich, dass im sechszehnten Jahrhundert Panvinius den Tempel ins Bereich der Domus Flavia versetzt (s. diese Mitteilungen 1895, 38), im siebzehnten Nardini die Wahl zwischen der Höhe über S. Maria Liberatrice und der über S. Anastasia gelassen {Roma antica 1. VI, c. 14, ed. Nibby III, 187), im achtzehnten Bianchini ihn an der Südseite hinter S. Bonaventura gesucht hat (Mitth. 1895, Tf. VI, VII). Im Anfange unseres Jahrhunderts hat Nibby die Meinung aus- gesprochen und zu begründenversucht (^), dass der Tempel ungefähr an der von Panvinius bezeichneten Stelle gelegen habe, und dass eine damals (1825) wenig über den Boden hervorragende grosse Halbrandnische aus Ziegelwerk, hinter dem kleinen Casino Farnese mit der gemalten Doppel-Loggia, ein Kest der Cella sei. Diese Hypothese, welche dm-ch Canina {Iiidicadone ^ p. 474 ; edißsj di
(1) Zuerst gedruckt erscheint dieselbe in dem von Vincenzo Ballanti verfassten Text zu C. Thons Palaszo dei Cesari (1828) p. 63; aber Nibbys UntersuchuDgen sind, obwohl erst in seinem posthumen Werke Borna nel 1838 (dessen über den Palatin handelnder Abschnitt, ^arfe antica vol. II, p. 372-482 manche nützliche Einzelnotiz enthält) publiziert, schon 1825-26 angestellt. Zu seiner Ansetzung hat ihn mit bewogen eine Stelle im Monumentum An- cyranum die beweisen soll, dass der Tempel in solo magnam partem a privatis empto, also unmittelbar neben der Domus Augustana (in Villa Mills- Spada) gelegen haben müsse. Nun ist es freilich eine arge Flüchtigkeit Nibbys, diesen Passus auf den Apollotempel zu beziehen : denn es ist der allbekannte vom Marcellustheater handelnde, welcher beginnt: theatrum ad aede(m) Apollinis in solo magna ex parte a privatis empto feci; und so verliert auch die merkwürdige Notiz che non si trova in nessun antico scrittore, cioe che questa fabbrica (der Apollotempelj andö sotto il nome di Marcello: quod sub nomine M. Marcelli generi nitescit (so falsch die alten Aus- gaben, generi raei esset Perrot und Mommsen) ihr Wunderbares. — Schlimmer aber ist es, wenn Lanciani bull, comun. 1883 p. 185-188 diesen ganzen Unsinn nachdruckt (auch, trotz des Citats ' Res gestae p. 32 Mommsen ' die alte von M. beseitigte Lesart nitescit), und daran sogar noch Folgerungen knüpft wie S. 197, wo die Notiz über eine von Marcellus in den Apollotempel gestiftete Daktyliothek mit der Bemerkung begleitet wird ' era il meno che poteva fare per riconoscenza versa di Augusto, il quäle aveva iscritto il nome del gener 0 sul frontone del tempio ' .' .'
UNTERSUCHUNGKN ZIR TOPOGRAPHIE DKS PALATINS 195
Roma V p. 106. VI tav. CCXCVI. OCXCVII) und dessen Nach- folcrer weite Verbreituns: erlanc(t hat, erwies sich als unhaltbar, sobald die Ausgrabungen P. Kosas in den 60er Jahren diese Teile bis auf das antike Paviment blos legten, und statt einer Tempel- cella ein Prachtsaal der Kaiserburg zu Tage kam. Aber wohin sollte man den Tempel nun verlegen ? An den von der Domus Tiberiana eingenommenen Nordabhang konnte man nicht mehr denken; Rebers Versuch, den sog. Juppiter-Victor-Tempel zum Apollotempel zu machen, hat mit Recht keine Nachfolger gefunden (•). Da aber auch die oben augeführte falsche Argumentation Nibbys von der unmittelbaren Berührung zwischen Tempelbezirk nnd Domns Au- gustana ihren Eintiuss nicht verlor, so schien es am einfachsten, den vorderen (östlichen) Teil der Villa Mills, der seit 300 Jahren von keiner Ausgrabung berührt war. als Ort des Apollotempels zu bezeichnen. Lanciani, der diese Hypothese zuerst Gmda del Palatino p. 37 f. ausgesprochen hatte, hat dieselbe später besonders im Bull, comim. 1883, p. 185-204 (-) weiter ausgeführt, und sie hat bei fast allen Topographen kanonische Geltung erlangt. Meine abweichende Ansicht habe ich in der Sitzung des Instituts vom 21. März 1890 entwickelt (s. Rom. Mitteilungen 1890, S. 76. 77) und auf Richters Einwände (die älteste Wohnstätte des röm. Volkes, Progr. Berlin, 1891) geantwortet Mitth. 1892, S. 293. Nachdem auch Lanciani (Röm. Mitth. 1894, S. 13) sein Festhalten an der recipirten Ansicht erklärt hatte, bin ich bei Erläuterung der Re- liefs der Sorrentiner Basis kurz darauf zurückgekommen (Röm. Mitth. 1894, S. 243). Die an jenen verschiedenen Orten gegebenen Andeutungen sollen nunmehr etwas weiter ausgeführt, zunächst die Unmöglichkeit der gewöhnlichen Meinung dargethan, und sodann, durch Prüfung der Schriftstellerzeugnisse, die wahre Lage des Tem- pels ermittelt werden.
(1) Er basirt eigentlich nur darauf, dass nach den Eegionaren der Cybele- und der Apollotempel einander nahe und zwar südwestlich von den Kaiserpalästen gewesen sein müssten. Aber dass, wenn zwei Gebäude derselben Kategorie von den Regionariern mit et verbunden werden, daraus nicht auf Nachbarschaft geschlossen werden darf, ist klar und allgemein anerkannt. Wo in der Umgebung des " Jupiter Victor » die aurea Phoebi porticus, die Biblio- theken u. s. w. sein sollen, lässt R. unerörtert.
1,2) Dieser Aufsatz ist gemeint, wo einfach ' Lanciani p. . . ' citirt wird.
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Dass der Apollotempel im vorderen (östlichen) Teile der Villa Mills gelegen haben könne, ist, wie ich Mitth. 1894, S. 243 be- merkt habe, unmöglich wegen der Beschränktheit des Raumes. Leider hat uns keine Münze, kein Relief, kein Stadtplanfragment (') Plan oder Aufriss des Tempels überliefert, und die enthusiastischen Beschreibungen der Dichter verweilen hauptsächlich bei der Pracht von Marmor, Gold und Elfenbein ohne uns positive Daten zur Re- konstruktion zu geben. Soviel aber steht fest, dass der Tempel gross o-enug war um für Senatsversammlungen zu dienen, also sein In- nenraum der Senatsaula (S. Adriano) oder den Tempeln der Con- cordia und des Mars Ultor (-), die in der Kaiserzeit zum gleichen Zwecke benützt wurden, nicht allzuweit nachgestanden haben kann ; und dass er dkistylns, seine Intercolumnien gleich drei Säulen- durchmessern waren (^). Bei einem unteren Säulendurchmesser von 1.20 m. (die Säulen des Castortempels haben 1,50, die des Mars
(ij Das von mir Mitth. 1889 S. 74 publizierte Stück, einen grossen Tempel mit umlaufenden Portiken darstellend, darf man nicht auf den ApoUo- terapel beziehen. Da der Tempel auf diesem Fragmente dekastyl ist, kann es kaum ein anderer als der der Venus und Roma sein: und die Ueberein- stimmung der Masse ist derartig, dass ich kein Bedenken trage, den Inschriften- rest zu ergänzen
TEMPLMW
romm et
ueneris. Aus der Stellung der Buchstaben ergiebt sich, dass die Südfront, nach dem Colosseum zu, dargestellt ist: der Eingang und der freie Platz davor stim- men (die Basis des neronischen Kolosses fällt schon ausserhalb der Grenze des Fragments). Dass die Treppe nach dem Platz hinunter fehlt, wird eine von den zahlreichen Flüchtigkeiten der Forma sein: der Eingang zum Temenos steht an seiner richtigen Stelle.
(2) Die Stellen s. bei Mommsen St. R. III, 929.
(3) Denn auf den palatinischen Tempel müssen die Worte Vitruvs III, 3, 4 tamquam est Apollinis et Dianae aedes bezogen werden, schon weil in dem Tempel am Circus Flaminius Diana nicht verehrt wurde, wie Mommsen (Eph. epigr. VIII, p. 259) mit Recht au.s dem Schweigen des Sibyllenorakels über die ludi saeculares schliesst, in dem nur 4>oi:ßog UnöXXwy erwähnt wird; ebenso schreibt das hemerol. Urbin. {CIL. P, p. 330) nur Apollini Latonae ad thea- trum Marcelli. C. Pascals Widerspruch gegen Mommsen {Bull, comun. 1893, p. 5.5) scheint mir unbegründet. Dass im Tempel auch eine Statue der Diana stand (Plin. 36, 5) beweist für die Dedication des Tempels nichts; auch Sta- tuen der Musen, denen er doch sicher nicht geweiht war, standen ja darin.
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Ultor 1,75) würde also, wenn wir den Tempel hoxastyl annehmen (') die Frontlänge 25,20 m. (fast genau soviel wie die der Pronaos des Concordientempels), die Tiefe aber mindestens 50 m. betragen. Vor dem Tempel stand die Kolossalstatue des Apollo Actius. mit der Opferschale in der Rechten gleichsam libirend an dem grossen Altar im Vorhof (Mitth. 1894, S. 242): mn diesen Altar herum die ' armenta Myronis qaattuor, artificis vivicla signa, bores' (Propert. III, 31, 7; über Stier und Stieropfer im Apol- lokult vgl. C. Pascal Bull, comim. 1894, 70). Mag man sich diese Gruppe noch so nahe zusammen gerückt denken, 15 bis 20 m. vor der Tempel front muss sie sich doch ausgedehnt haben ('-). — Etwas besser als über den Tempel selbst sind wir über die um- gebende Portikus unterrichtet. Den Eingang bildete ein Bogen von bedeutenden Dimensionen, denn auf seinem Scheitel stand unter einer säulengeschmückten Aedicula ein umfangreiches Werk des Lysias, Apollo und Diana aut einer Quadriga (•^). In den Interco- lumnien der Giallo-antico-Säulen standen die Statuen der fünfzig Danaiden (Propert. 1. c; Ovid. Trist. III, 1, 61) und vor den Säulen ebenso viele Reiterstatuen der Söhne des Aegyptus (Schol. Pers. II, 56). Die Intercolumnien waren demnach über 50, denn an einigen Stellen muss der Durchgang frei geblieben sein, z. B. nach der
(1) Wenn Lanciani S. 196 versichert: il tempio era quasi certamente octastilo perittero, so hat er dafür keine Belege ; und dass seine These durch Vergrösserung der Dimensionen immer noch unmöglicher wird, liegt auf der Hand.
(«) Unmöglich ist eine Aufstellung wie die von Deglane (nach Clerget, s. S. 198 Anm. 1) Gaz. archeol. 1888, pl. 30 vorgeschlagene: der Altar auf den Stufen des Tempels, die vier Stiere en ligne vor der Front; auf die Apol- lostatue ist keine Eücksicht genommen.
(3) Dass die Worte des Plinius XXXVI, 36: in Palatio super arcum vom Eingangsbogen des Apollotempels za verstehen sei, ist eine auch mir sehr wahrscheinliche Vermuthung Lancianis {Ball, comun. 1883, 190). Weniger sicher scheint mir die Beziehung des Fundberichtes Vacca mem. 11 (grosse Thür aus marmo saligno mit einer mezza nicchia di mischio africano, kolos- saler Juppiterkopf aus schwarzem Basalt) auf diesen arcus. Leider ist der Ort des Fundes nicht sicher auszumachen: eine der beiden von Schreiber (Berichte der sächs. Ges. der Wiss. 1881 S. 76) benutzten Handschriften giebt an contro Vhorti Farnesiani (was keineswegs auf Villa Mills, wohl aber auf die Höhe von S. Sebastiano passt), die andere canto Vhorti F. (Feas Druck, den Lanciani citirt, macht daraus vicino gli horti F.).
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Bibliothek zu: auch in den Ecken kann nicht vor jeder Säule eine Reiterstatue gestanden haben. Nehmen wir die Axendistanz der Säulen wie es der französische Architekt Clerget in seiner Ee- konstruktion (V) gethan hat, mit 8,5 m. an (-) so ergeben sich die Raumverhältnisse der ganzen Anlage etwa wie sie die neben- stehende Skizze (S. 200 obere Hälfte) darstellt. Das gesammte Areal ist er. 6500 qm. (wir haben 80 X 84 m. angenommen, natür- lich kann man die 50-60 Säulen auch in etwas anderer Weise dis- poniren, so dass der Hof eine länger gestreckte Form erhält: was aber für die Gesamtfläche wenig ausmacht), die Tempelcella nicht einmal 500 qm. gross (Cella des Concordia-Tempels 40 X 20 = 800 qm., Innenraum der Curia Julia 29 X 29 = 841 qm., Cella des Mars Ultor 32 X 24 = 768 qm.). Diesen Massen (3) wird man nicht den Vorwurf machen können, dass sie um den Gegner leichter ad absurdum zu führen, möglichst gross angenommen seien {^): sehen wir nun wie sie in den disponibeln Raum passen. Nach dem Plane von Zangolini (in Visconti-Lancianis Guida) freilich, dem Middleton und Richter (älteste Wohnstätte des röm.
(') Clergets Zeichnungen sind nur photographisth vervielfältigt: Coli. Lampue Bl. 258-264; er verlegt den Tempel noch wie >*ihhy in die farnc- sischen Gärten.
(2) Die Säulen der Porticus Argonautarum haben einen Axenabstand von 4 m., ebensoviel die der Portikus des Forums von Pompei, deren Ver- gleich auch wegen der von den Hallen aufgestellten Reiterstatuen lehrreich ist. S. Mau in diesen Mitth. S. 152. — Thon Tf. VII giebt den Säulen seiner porticus ApoUinis einen Axenabstand von über 4 | m.
(3) Sie sind übrigens fast gleich den von Deglane in seiner Rekonstruktion (pl. 30) zu Grunde gelegten. Nur hat sich Deglane die Freiheit genommen statt 50 Statuen und 50 Reiterstandbildern je 46 anzunehmen! Ein \'ersuch weitere 4 unterzubringen führt in bedenkliche Collision mit den Xachbarge- bäuden. — Seine Tempelcella ist 20 X 25, also 500 qm. gross.
(*) Lehrreich für unsere Vorstellung von der Grösse der po7'ticus Apol- Unis sind die Stellen Ovids a. am. I, 67-74, und TU, 387-392, wo die belieb- testen und besuchtesten Spaziergänge der eleganten Welt aufg'^zählt werden : es sind die Porticus Pompeiana, die Porticus Octaviae, Porticus Liviae, die Porticus Vipsania, die Porticus Apollinis (quaque parare necem miseris pa- truelihus ausae ßelides et stricto stat ferus ense pater). Man vergleiche die Grundrisse der übrigen uns wohlbekannten Anlagen (Kiepert u. Huelsen FÜR. f. n): die Porticus Liviae bedeckt gegen 8000, die Porticus Vipsania er. 10000, die Porticus Octaviae gegen 20000, die Porticus Pompeiana er. 23000 Dm.
UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS 199
Volkes) folgen, haben wir in der vorderen Haltte der Villa Mills ein gänzlich freies Terrain von 120 X 80 m., also um V3 grösser als unser Ansatz erfordert. Aber erstens täuscht Zangolinis Plan über die westliche Grenze, denn er zeichnet von der Domus Augu- stana (unter Villa Mills) nur den Unterstock, die drei Kuppelsäle oder Nymphäen. Es sind aber auch noch vom Oberstock bedeu- tende lieste unter dem Casino Mills erhalten (aufgenommen schon von Barberi und Piranesi, deren Pläne Thon Taf. II und Deglane Taf. 21 wiederholen), die sich über 20 m. weiter ostwärts erstrecken, und zwar so, dass mit ihrer östlichen Grenze die Front des Pa- lastes offenbar noch nicht erreicht war. Weiter aber sind (durch De- glane) die von Scellier de Gisors und Arthur Dutert geraachten Aufnahmen der antiken Keste, welche beim Fundieren des neuen (im Bau unterbrochenen) Flügel des Klosters zu Tage gekommen sind, bekannt geworden. Danach erstreckten sich die Kaiserbauten noch bis zur Vorderseite dieses neuen Flügels (>) (Deglane in seiner Eekonstriiktion setzt hier, Lanciani folgend, die unmögliche aedi-
(1) lieber die Construction s. Lanciani S. 203; sie entsprach durchaus den noch sichtbaren Teilen in den orti Farnesiani und der westlichen Hälfte der Villa Mills : tre muraglioni paralleli alV asse delle case di Augusto e dei Flavii, costruiti a cortina fino ad una certa profonditä, epiü in bassu a scaglie di seid coi canali degli sbadacchi. I due muraglioni piü vicini alla casa dei Flavii appartengono al lato sud del peristilio della medesima: il terzo muraglione entra giä nel perimetro delle fahhriche augustee. Dalla parte d' Oriente si scoprl un quarto muro perpendicolarc a quelli descritti. Darunter dann ein ganzes Netz von Abzugskanälen, mit zahlreichen Ziegelstempeln, die in situ befindlichen zum Teil der flavischen Zeit angehörig {XV, 999, 2 : zwischen 60 u. 93; XV, 1097, 39: vor 80; XV, 792, 2, saec. II med. vel exeuntis; XV, 151, 1: saec. II ineuntis 3 Expl.), aber auch aus hadrianischer (XV, 1115, 1 : 10 Expl.; 1115, 10: 1 Expl.; beide um 120) und antoninischer Zeit (XV, 399, 1 : 2 Expl. ; Faustina minor). Die fuori di posto gefundenen erstrecken sich aus der flavischen (XV, 995, 1. 998, 3) über die hadrianische (XV, 596. 4:16 Expl. u. a.) bis in die severische (XV, 192, 2) Zeit. — Noch tiefer fand man (13 m. unter Terrain) eine Reihe von Travertinpilastern, deren Richtung einen Winkel von 25° mit der Axe der kaiserlichen Bauten bildete (Lanciani S. 185; s. Deglane Tf. 23). Es ist bemerkenswert, dass die Richtung genau mit derjenigen der jedenfalls voraugustischen Mauern aus Quasi-Reticulat stimmt, welche sich in die Substruktionen gegenüber der Südecke des Flavierpalastes {a auf unserem Plane) verbaut finden. Freilich sind beide Reste zu unbedeutend, um darauf weitgehende Schlüsse zu bauen.
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UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS 201
cala Vestae [S. Mitth. 1895 S. 28-87] mit einem atrium und lucus Vestae, von deren Existenz-auf dem Palatin niemand spricht). Ferner nehmen Zangolini und Kichter an, dass die südliche Aussenwand des soo-, ' lararium ' die Grenze des Palastes nach dieser Seite hin be- zeichne. Auch Deglaue legt seine Porlicus Äpollims direkt vor diese Mauer. Dabei wird Bianchinis Angabe vernachlässigt, dass die Aus- grabungen von 1725-26 {Palazzo dei Cesari p. 258; Mitth. 1895, S. 265) südlich noch anstossende Räume aufgedeckt haben, von wel- chen wenigstens die Keller noch wohl erhalten waren. Niemand wird annehmen, dass die Vorrathskeller des Flavierpalastes unter die vorher existirende Prachthalle des Apollotempels gegraben seien: auch zeichnet ßianchini eine grosse Mauer in er. 15 Fuss (= 4,42 m.) Abstand von der Südwand des ' Larariums '. Durcli Zugabe eines solchen Raumes wird der südlich vom grossen Mittel- saal gelegene Teil des Palastes genau gleich dem nördlichen (Basilica), die Unsymmetrie der Anlage verschwindet, die Hauptthür des grossen Mittelsaals kommt in die Mitte der Front zu liegen ('). Endlich habe ich in diesen Mittheilungen 1895 Tf. VIII. IX einen Plan über Ausgrabungen im « Stadium « publiziert, welcher zeigt, dass man um 1550 in vorderen Teilen der Villa Mills Reste von mehreren offenbar der Kaiserwohnung angehörigen Sälen entdeckt hat, deren Nordwand wahrscheinlich in einer Flucht mit dem noch existirenden Saal unter Casino Mills lag.
Die (auf Grund von Lancianis FÜR. f. 29 entworfene) Skizze S. 200 (untere Hälfte) vergleicht den in der vorderen Hälfte von Villa Mills disponibeln Raum mit einem Tempelbezirk des Apollo, wie er nach den Schriftstellernachrichten zum mindesten anzunehmen ist : ich glaube dass die Nebeneinanderstellung beider genügt um jedem unbefangenen Beurteiler zu beweisen « dass für den Apollotempel da wo er einmütig angesetzt wird, absolut kein Platz ist » . Und wollte jemand die Masse dadurch noch verkleinern, dass er etwa annähme, es seien nicht fünfzig Danaiden und Beliden dargestellt, oder die Statuen seien stark unter Lebensgrösse gewesen (was mir beides unzulässige Verlegenheitsmittel scheinen), so bleibt immer noch die unbegreifliche Sonderbarkeit der Anlage, der Eingang in
(!) Auch Lanciani {F. U. R. f. 29) führt die Säulenhalle vor der Front ein ganzes Stück über die Südecke des ' Larariums ' hinaus.
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einer Hinterecke der Halle, der den Beschauer erst nach Durch- schi-eitiing des engen Seitenraums vor die Front des Tempels führt, als habe man die Absicht gehabt den erste Eindruck des Ganzen möglichst zu beeinträchtigen. Sollten die Architekten des Augu- stus, die fast zur selben Zeit in schwierigem Terrain den Prachtbau des Augustusforums schufen eines solchen Verfahrens fähig gewesen sein? (1).
Ich habe ausführlicher sein müssen, als es bei einer so einfach liegenden Sache an sich notwendig gewesen wäre, aber Lanciani sowohl wie Richter haben die Erörterung dieser Cardinalfrage leichterhand bei Seite gelassen. Sehen wir nun, was aus den Zeug- nissen der Klassiker über die Lage des Tempels zu gewinnen ist.
Leider sind die Stellen, welche von der Lage des Tempels in Bezug auf benachbarte Gebäude sprechen, sehr selten. Besonders wichtig ist Festus 258 M. . . : Quadrala Roma in Palatio ante tem- lüum Apoämis dicitur^ ubi reposita sunt quae soleat boni ominis gratia in urbe condenda adhiberi. Man hat geglaubt dieses qiia- drata Roma oder auch mundus genannte Heiligtum in der Mitte des Hügels suchen zu müssen, weil es ^^ der ideelle Mittelpunkt •> der Stadt sei. Allerdings sagt Plutarch Rom. 11, nach der Be- schreibung des mundus eha wansq xvxXov xt'rvQo^ neouyQaxpav r-^v nöXiv. Aber wieviel Verlass auf die Genauigkeit seiner An- gaben und die Correctheit seiner Vorstellungen ist, zeigt seine Ansetzung des mundus der romulischen Stadt auf dem Comitium, also gänzlich ausserhalb des palatinischen Mauerkreises ! Was wir sonst über das an die Stadtgründung erinnernde Heiligtum ermit- teln können, weist auf einen ganz anderen Punkt hin. Von Wich- tigkeit ist hier zunächst das Gedicht Ovids Trist. III 1, in dem der verbannte Dichter sein Gnade erflehendes Buch nach Rom schickt und den Weg, den dasselbe unter Führung eines freundlichen Quirlten nimmt, genau beschreibt. Die Stelle ist allbekannt, muss aber doch im Zusammenhange hergesetzt werden :
(1) Man kann nicht einmal sauren, dass Eücksichten auf die Orientirung die Anlage des Tempels gerade mit dieser Axriclitung erzwungen hätten: H. Nissen bezeichnete mir die von Deglane angenommene Lage des Tempels als widersprechend der römischen Auguraldisciplin.
UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS 203
Paruit (der Freund) et clucens ' haec sunt fora Caesaris \ iriqiät:
' Jlacc est a sacris quae via nomen habet. Hie locus est Vestae, qui Pallada servat et ignem:
Ilic fuit antiqui regia imrva Niimae\ 30
Inde Intens dextram ' Porta est ' ait ' isla Palatl '
Ilic Stator, hoc primum eondita Roma loco est. Singula dum miror, video fulgentibus armis
Coiispieuos postes tectaque digna deo. ' Et Jovis haec ' dixi ' domios est ? ' quod iit esse putarem, 35
Augur ium menti quer na Corona dahat.
(folgt lange Apostmiihe an Augustus)
Inde tenore pari gradibus sublimia celsis
Ducor ad intonsi Candida templa dei, eo
Signa peregrinis ubi sunt alter na columnis
Belides, et stricto barbarus ense pater : Quaeque viri docto veteres coepere novique
Pectore, lecturis inspicienda patent. Also über das Forum, die sacra via, beim Vestatempel und der Regia vorbei geht der Weg; an der summa sacra via. wo jetzt der Titusbogen steht, biegt der Führer nach rechts ab und zeigt die porta vetus Palatii (Mugonia), den Tempel des Juppiter Stator und den Ort « wo Rom zuerst gegründet ist » . Mit letzteren Wor- ten kann nichts anderes gemeint als das Meine Heiligtum der Poma quadrata oder des mundus (')• üass die Roma quadrata
(1) Richter (älteste Wolinstätte des röm. V. p. 8) meint freilich, dass « Ovid, der übrigens nur die allerhervorragendsten Gebäude nennt, beim Er- blicken der Porta Palati und des Juppiter Stator, die beide auf den Stadtgründer zurückgeführt -werden, naturgemäss ausruft: hoc primum eondita Roma loco est, und auch nicht im entferntesten an den wohl für Antiquare, aber kaum
für Dichter interessanten mundus gedacht hat denn weder mit dem
Tempel des Juppiter Stator noch mit der porta Palatii hat derselbe irgend etwas zu thun ". Dabei wird der Charakter des Stückes vollständig verkannt : nicht eine schwungvolle Schilderung der Herrlichkeiten Eoms, sondern eine schlichte Periegese ist es, in der das Pronomen demonstrativum seine be- deutsame Stelle hat: das dreimalige ista—hic—hoc bezieht sich auf drei ver- schiedene Objekte, daher auch im nächsten Verse singula. Und glaubt Richter, dass die als Antiquität conservirte porta vetus Palatii zu den « allerhervor- ragendsten Gebäuden n gehört hat? Statortempel, Porta Palatii und Roma quadrata haben freilich nur das eine miteinander zu thun, dass sie benachbart liegen. Das ist es aber gerade worauf es ankommt!
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noch in der Kaiserzeit eiistirte, und zwar als Bauwerk, bezeugen die acta ludonim saecidariiim Severiana (')• Und es ist gewiss nicht zufällig, dass gerade an der Stelle, wo nach Ovids Ausdruck dieser Ort gesucht werden muss, zwischen der summa sacra via und dem Kaiserpalast, südlich der yon Rosa mit Unrecht templum Jovis Statoris benannten Ruine, eine Reihe von Inschriften gefunden sind, die an das älteste Rom erinnern : ich meine die Peperinstelen mit dem Elogium des Fertor Erresius rex AequicoLus qui preimus ins fetiale jmravit {C. I. L. VI, 1302 = 1- p. 202 n. XLI), sowie mit den Weihungen an Marspiter (C. /. L. VI, 487), an die Re- mureine {C. VI, 566) und die rätselhaften Anabestas (C. VI, 21). Endlich ist noch in Betracht zu ziehen die Stelle des Josephus Ant. Jtul XIX, 3, 2, wo er die tumultuarischen Vorgänge bei Claudius, Thronbesteigung beschreibt. Die Prätorianer schleppen den Claudius vom Palatin nach der sacra via und passieren dabei die area Palatina : ev svqvxmqCci Sh rov UccIcctiov ysvoue'voig — TTQMTOV J^ olxi]d^rivai Tr]c T(OLiccicor rroAecog Tovto TxaqaSi^MOiv 6 tisqI ciVT)]c löyoq — xai ]]d)] rov di]iiioaiov clmkau ßavofie'voic rtoXv nXsim' rj inKfoirr^aic ^v tmv aTguncoron' etc. Es wäre absurd, wenn Josephus, der schon im ganzen vorigen Buche vom Palatin gesprochen hat, hier auf einmal die Notiz anbrächte, dass auf dem Palatin der erste Kern der Stadt Rom zu suchen sei. Er muss vielmehr einen ganz bestimmten Punkt der evQvyMQia rov IlaXa- Tiov im Auge haben, die Oertlichkeit quo primum condiia Roma (man beachte die üebereinstimmung seines Ausdrucks mit dem Ovidischen !). Aus beiden Stellen ergiebt sich m. Er., dass die Eo- ma quadrata, der mundiis der palatinischen Stadt auf der area Palatina, zwischen der summa sacra via und der Front der domus Augustana, gelegen hat.
(1) Eph. ep. VIII, p. 283. Es ist dort Z. 12 die Rede von einem tri- bunal [. . . quod es]t ad Romam quadratam, von dem heruntfr mehrere Quin- deciravirn (wahrscheinlich vier : Mommsen Eph. ep. 250) dem Volke suffimenia verteilen. Ein zweites Tribunal, von dem die Kaiser selbst unter Assistenz mehrerer Quindecimvirn die Verteilung vornahmen lag [in Palatio] in area aedis Apollinis (so ist aus Z. 11 und 23 sicher zu combiniren). Nun versuche man sich vorzustellen, wie eine solche Verteilung auf dem Platze vor dem Apollotempel in Villa Mills (S. 200) ausgefallen wäre! Man ist in Verlegenheit Kaum zu finden für die zwei Tribunale mit den je vier verteilenden Priestern - geschweige denn für das zudrängende Volk !
UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIK DES PALATINS 205
Kehren wir nun wieder zu den Worten des Festus zurück, denen zufolge die Rorna quadrata ante temjilum Apollinis lag. Von der bezeichneten Stelle auf der area Palatina haben wir nord- wärts die domus Tiheriana, westwärts die domiis Augustana, ost- wärts die Sacra via — : nach allen diesen Richtungen kann der Apollotempel nicht gelegen haben, es bleibt nur die eine Richtung nach Süden zu, welche jetzt von der Kirche S. Sebastiano und der zugehörigen Vigna eingenommen ist.
Diese Hügelhöhe präsentirt sich als ein grosses, durch Sub- structionen aus gutem Ziegelwerk begrenztes Rechteck von 150 X 90 m. Nach der area Palatina zu finden sich Reste eines grossen dreithorigen Eingangsbaues, der mit der darunterliegenden area durch eine grosse Treppe verbunden gewesen sein muss. Auf dem Plateau sind jetzt keinerlei antike Reste mehr sichtbar: eben- sowenig sind sie in der Renaissancezeit bedeutend gewesen. Einen Plan des Terrains giebt, wie Lanciani F. U. R. f. 29 richtig erkannt hat, einzig Ligorius cod. Bodl. f. 56. Wir lernen wenig daraus, da die von ihm gezeichneten Substructionen mit ihren ofewölbten Kammern grossenteils noch existiren: bemerkenswert ist nur, dass er an den inneren Langseiten des grossen Rechtecks eine Säulenhalle zeichnet (vgl. dazu die Ansicht auf Ligorios an- teiquae Urbis imago f. 7, wo die Halle ganz um den Raum herumgeführt ist). Ganz unergiebig (') ist Bianchini, (der hier die Curien und ein quartiere delle guardie ansetzt) ; wenig gewinnen lässt sich auch aus der ziemlich ausführlichen Beschreibung der Ruinen, die G. B. NoUi oder einer seiner Hilfsarbeiter er. 1744 ge- nommen hat (^). In unserem Jahrhundert hat sich kaum jemand
(') Aus dem 17 Jhdt. haben wir gar keine Notizen über Ausgrabungen auf diesem Teile des Palatins, abgesehen von der unbedeutenden memoria 8 Bartoli's (Fea misc. I, 224): [in tempo di Alessandro VII) contiguo alV of- ficina delV alume, furono cavate quantitä di statue e marmi di diverse sorti, finissimi e di gran perfezione.
(*) De Rossi, Note di ruderi e monumenti antichi prese da G. B. NoUi p. 69: Nella Badia delV Em. Barberini di s. Sebastianello alla Polveriera nel giardino, ed orto di sopra che confina con s. Bonaventura, si vede una tela di muro di tufi con cortina di mattoni, nel mezzo della quäle d un grand' arco, e sotto una grotta che va sotto la chiesa di detti PP., seguono poi diversi archetti nelV altro muro dove rivolta a squadra, ne' quali si
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um diese Reste gekümmert: Nibby {Roma antica 2, 450) hat hier die Adonaea {F. Tl. R. fr. 44) ansetzen wollen, hauptsächlich weil ' in tutta V area del palazso, solo dal canto che guarda l' anß- teatro, ossia ml ripiano della vigna e giardino di S. Sebasliam, si ha um spaslo sußcieiite per potervi collocare questi giar- dini' ('). Die Hypothese Nibbys hat zunächst etwas bestechendes durch die Uebereinstimmung der Masse des kapitolinischen Plan- fragments, welches ein Rechteck von er. 110 X 160 m. darstellt, mit der Substruction auf der Höhe von S. Sebastiane. Yei sucht man aber das Fragment den Resten anzupassen, so ergiebt sich ihre Unmöglichkeit sofort. Da die Inschrift ADONAEA nicht di- rekt auf dem Kopf stehen darf, könnte das dargestellte Stück ent- weder die Südwesthälfte, oder die Nordosthälfte des Glänzen sein ; dann aber müssten auch die angrenzenden Bauten, im ersten Falle Apollotempel und Kaiserpaläste, im zweiten sacra via uad Titus- boc^en mit dargestellt sein, während das Stadtplanfragment den grossen Garten völlig isolirt zeigt. Ebensowenig stimmt, trotz Nibbys entgegengesetzter Versicherung, die Beschreibung der aiU?} 'AÖMvidoz, in der nach Philostratus ( Vit. Apoll. Tijan. 32) Do- mitian den Wunderthäter ApoUonius von Tyana empfing. Dies war ein Saal der Kaiserburg, geschmückt mit Blumen nach Art der Adonisgärten (-), aber keinesweges, wie Nibby will, ein Ge- bäude inmitten eines grossen Gartens {^). Bei der Verbreitung des
osserva esservi stato nel mezzo un apertura bislonga rimurata di tufi con cortina di mattoni. — Segne nel sudetto orto di sotto alla dirittura di detti archetti una serie continuata di muri antichi fabbricati di tuß con cortina dl mattoni, ed in alcuni luof/hi si vedono archi che vi formano piccole grotte, ed in una parte poco lungi dalla casetta si vede un miiro piano con arco murato, ed in detto muro si osservano molti canali quadri che vien- gono in giü, che suppono servissero o per scoli di acqua, overo per hagni etc.
(1) Man vergesse nicht, dass Nibby den Apollotempel noch fälschlich mitten in den Flavierpalast hinein versetzt.
(2) \'gl. darüber den Aufsatz der Gräfin E. Caetani-Lovatelli, i giardini di Adone (Nuova Antologia 1892, fasc. 14 p. 262-268), welcher ausser dem vollständigen Material aus dem klassischen Altertum interessante Parallelen aus neueren Cultgebräuchen bringt.
(3) 0 ßuaü.ev? ETvyxfcyet' si^ (cv'/.tj 'A&ojytdog, ij &e avh) (Ivd^ewu Ete9rjlei xjjnoig ovs 'A(h')vi^v 'Jaavoiot, noiovvrca vnsQ oQylaiv 6fj.u>Q0(pL0vg avrovg cpv- xevovteg. Man beachte das otxtaQocpiovg, unter einem Dache.
U.NTERSUCHU.NGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PAI.ATI.NS 207
Adoniskultiis kann es nicht Wunder nehmen, dass auch in der domitianiöchen Kaiserburg ein « Adonisgarten " existirte : aber der- selbe war nach Philostrats Beschreibung durchaus verschieden von den severianischen Adonaea, und diese sind Ungewisser Lage. Auf Deglanes Hypothese eines ' quartier des soldats ', die indirekt aus Bianchini stammt, braucht weiter nicht eingegangen zu werden.
Die Viijna von S. Sebastiano stösst nach Westen an die Kirche und das Kloster von S. Bonaventura : hier hat Deglane ( Gasetle archeol. 1888, p. 152; Melanges de l' Ecole fran/^. 1889, p. 199- 205 und Taf. VI) die Reste eines grossen Centralbaues nachgewiesen, in welchen er den Mittelsaal der Bibliothek, den Standort des von Plinius (34, 43) erwähnten kolossalen Apollo Tuscanicus, erkennt. Seine Hypothese hat allgemeine Zustimmung gefunden, und wie mir scheint mit Recht: es ist unmöglich, unter sämmtlichen Bau- ten des Palatin einen gleich geeigneten für die Bibliothek zu fin- den. Also auch wegen der Lage dicht bei der Bibliothek empfiehlt sich die Höhe von S. Sebastiano für den Platz des Apollotempels.
Bei dieser Gelegenheit müssen wir einen Statuenfund erörtern, der in allen topographischen Diskussionen über den Apollotempel eine grosse Rolle spielt: ich meine Flaminio Vaccas mem. 77: me ricordo, poco lontano dal detto loco (vielleicht ist der Ein- gang der Vigna di S. Sebastiano gemeint, s. o. S. 197 Anm. 3), nella vigna del Roncoiii, quäle e iiielusa neue rovine del pallasso mag- giore^ ui trovö da disdotto a vinii tord di marmo, tutti erano di Amaszoni, poco maggiori del naturale (^). Bianchini zuerst hat die Vermutung ausgesprochen, dass diese Amazzoni in Wahrheit Reste der Danaiden gewesen seien, welche in den Portiken des Apollotempels standen. Die Lage der Vigna war streitig; aber nachdem Lanciani seine früher freilich ohne jeden Beweis aus- gesprochene Behauptung (-), sie sei identisch mit Villa Mills, selbst
(1) Eine von diesen Amazzoni wurde i. J. 1570 für 75 Scudi an den Kardinal Hippolito d'Este verkauft (Notiz aus dem Rechnüngsbuch des Kar- dinals publiziert von Venturi, Archiuio storico delV arte 1890, S. 204; vgl. Rom. Mittheilungen 1890, S. 106): woraus sich wohl auch auf das Datum der Ausgrabung schliessen lässt.
(2) Bull comun. 1883, p. 192: nel corso delV opera il Bianchini non rivela il segreto della sua scoperta : ma non y' ? dubbio che la vigna Ron-
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zurückgenommen hat (•), ist es nicht mehr notwendig, die Schlüsse welche Deglaue, Richter u. A. für die Lage der Porticus ApoUinis aus dieser falschen Fimdnotiz gezogen haben, zurückzuweisen. Wir wissen vielmehr jetzt, dass die Villa Mills um 1550 der Familie Paolostati (-) gehörte, von der sie bald darauf die Mattei kauf- ten (Rom. Mitth. 1895 S. 36). Die Vigna Ronconi (auch Roncioni, Roncone) dagegen umfasst, das Stadium (s. Lanciani Mitth. 1894 S. 1(5, 17) und das anstossende Terrain bis zur Vigna di S. Se- bastiano. Der östliche Teil wurde unter ürban VIII abgetrennt
coni sia quella istessa posseduta dipoi doi Mattet, dai Magnani, dagli Spada, dal Bancoureuil u. s. w. Danach Eichter (älteste Wohnstätte S. 7) : « die Identität der V. Ronconi mit der Villa Mills ist sicher; es ist (nach Lan- ciani) die spätere Villa Mattei, dann Magnani " etc. Vgl. meine Gegenbe- merkung Eöm. Mitth. 1892 S. 294.
(1) Rom. Mitth. 1894 S. 16: alcuni topograß confondono questo terreno dei Ronconi col vicino degli Spada, ma il sito r' indicato con precisione
dal Venuti a p. 34 vol. 1 anche piü decisiva e la pianta Nolliana, la
quäle prova gli orti Ronconi o Roncioni essere stati veramente due, uno superiore nelV ambito dello stadio, uno inferiore fra Villa Spada-Magnani e via de' Cerchi.
(2) Zu den Notizen über Vigna Paolostati füge ich noch folgende aus Ligorio Taur. vol. 9 s. v. Jove Propugnatore : . . . . havemo veduto il petto con la gola et parte della barha et la bocca (eines Kolosses des Juppiter Prypugnator) di larghczza di otto piedi, lo quäle ß venduto per marmo a Leonardo Cieco scultore, per farne opere moderne, lo quäl fragmento fü nella vigna di M. Christophoro Paulostati nel colle Palatino appunto sopra Vatrio regio (folgt die lügenhafte Angabe dass die fasti sodalium in aede I. P. consistentium, CIL. VI 2004 in derselben Vigna gefunden seien). Anderswo finde ich diesen Kolossalkopf nicht erwähnt; möglicherweise ist die ganze Er- zählung Schwindel. — Ferner trage ich über die Vigna Statio de' Cecchi und die Kirche S. Andrea in Pallara nach, was derselbe Ligorio Taur. vol. V s. v. Casa angiebt: della casa privata havemo osservate alcune cose nel cavare de' fundamenti della casa Scauriana, che fü gin nel colle Palatino nel clivo di Scauro dallato della Suhura, ove fu gid la chiesa vecchia di Santo An- drea, et il monasterio et la casa di San Gregorio Papa, cli" e dallato del vecchio Septizonio, adilo Regio Palatino, ove in piü anni havemo veduti i fondarnenti et statue dei suoi ornamenti, trovati da M. Jovanbattista Puritä et da Mr. Franciscone et Statio suo figliuolo, che hanno continuamente cavato et piantato le vigne loro sul sito di essa casa. Der Plan, den Ligorio von der angeblichen domus giebt, ist wegen seiner offenbar starken Zurecht- machung kaum brauchbar.
UNTERSUCHUNGEN Zt K TOI'OGRAl'HIE DES PAI.ATINS 209
und dort Kirche und Kloster S. Bonaventura erbaut ('). Mag also die von Lanciani oder die von mir behauptete Lage des Apollo- terapels richtig sein, die ' Amazzoni ' sind in einem Avie im anderen Falle nicht an ihrem ursprünglichen Platze gefunden. Wüssteu wir genau, dass sie im oberen Teile der Vigua gefunden seien {-) so
(*) Die Dokumente, auf welche gestützt Biancliini {pal. dei Cesari p. 60 und Tf. VIII) die Vigna Ronconi an der Stelle von S. Bonaventura angesetzt hatte, stammen, wie ich Köm. Mitth. 1894 S. 244 bemerkt habe, aus dem Fa- milienarchiv der Mattei. Auf einem Blatte, das Bianchini in das Autograph seines Werkes (cod. Veron. 436: s. Mitth. 1895 S. 273) zwischen f. 8 und 9 eingelegt hat, findet sich, mit der Beischrift (vc^i B.'s Hand): Memoria da- tami oggi 4 m.aggio 1727 da Mgr. Illmo e Revmo Luigi Mattei, figlio del Ecrnio. Sig. Duca di Giove estratta da documenti nel suo archivio, essendo da nie supplicato di ricercare ove fasse la vigna del Ronconi sul Palatino. Die memoria selbst, von Matteis Hand (auch ein eigenhändiger Begleitbrief dazu findet sich in Bianchinis Scheden) lautet: II testamento di Pavolo Mattei fii rogato da Luca Antonio Butü notaro Capitolino V anno 1592. iVeWinventario de' beni hereditarii di Paolo Mattei si dice ' un giardino a Palazo Magiore che confina col giardino del Cardinal Farnese e con la vigna di Gio. Battista Isolani ' [diese letztere entspricht dem unteren Garten Ron- cioni, unterhalb der grossen Exedra des Augustuspalastes ; vgl. das von Lan- ciani Mitth. 1894 S. 32 publizierte Document von 1649, wo eine Doniina Fran- cisca Isolana dieses in loco nuncupato S. Anastasia subtus viridarium dominorum de Farnesiis et viam publicam — die Via dei Cerchi — gelegene Terrain verkauft]. Quest' inventario fu fatto V anno 1592. NeW inventario poi delle Statue esistenti in detto giardino fatto parimente V anno 1592 da Turia moglie di Paolo, si dice: Inventarium statuarum repertarum et existentium in viridario oUm III '"' /)."■* Pauli in Palatio Maiori, iiixta sua nota latera, etc.; e piü sotto si dice: Entrando per la porta principale di detto giardino a man manca, versa la vigna che fu del Roncioni, nel principio del viale una Cerere, ovvero Dea delV Abbondanza di marmo eic. Die Herausgeber, Gius. Bianchini und G. Perotti, haben nicht gewusst, was Duca di Giove ist ; in ihrem die Herausgabe betreffenden Briefen faseln sie von der Stadt Gio- venazzo im Neapolitanischen u. A., und einigen sich schliesslich, in Bianchinis Text, die Worte ' la vigna ... del Roncione essere stata a man sinistra del- Vingresso principale del giardino allora Mattei, giä Spada, cioe ove oggi e la chiesa e convento di San Bonaventura ' zu ersetzen durch ' essendomi finalmente riuscito a trovare dove il Rone, tenesse la vigna \ Ein spre- chendes Zeugnis für Urteil und Gewissenhaftigkeit der beiden Leute, denen leider die Herausgabe von Bianchinis Werk in die Hände gefallen ist!
(2) Man könnte dafür anführen, dass die « Amazonen " wahrscheinlich erst 1570 gefunden sind (S. 207 Anm. 1), während die gr(tssen Ausgrabungen im " Stadium " bereits ins Jahr 1552 fallen (S. Rom. Mitth. 1895, S. 276 f.).
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210 CH. HUELSEN
würde das für iiosere Ansetziing ins Gewicht fallen : doch ist bis jetzt auch die Annahme, dass sie im Stadium selbst gefunden seien und zu dessen antiker Dekoration gehört haben, nicht ganz aus- zuschliessen. — Ganz abzusehen ist endlich von einer Vermuthung, die ich Rom. Mitth. 1894, S. 243, freilich mit allem Vorbehalt ausgesprochen habe, dass nämlich die als Miisa Barberini bekannte Statue der Glyptothek zu München, welche wie ich a. a. 0. nach- gewiesen habe, den Typus des vor dem augustischen Tempel stehen- den Apollo Actius wiedergiebt. in der Vigna Barberini bei S. Seba- stiano gefunden sei. Die Statue stammt vielmehr (worauf mich Petersen aufmerksam gemacht hat) aus einer tusculaner Villa ('). Die Oertlichkeit des Hügelplateaus bei S. Sebastiano dürfen wir also für die Ansetzung des Tempels ausgezeichnet geeignet nennen, und die Funde über welche wir Nachrichten haben, wi- dersprechen unserer Hypothese wenigstens nicht. Einen positiven Beweis aber bietet endlich ein Schriftstellerzeugnis, welches zwar viel besprochen ist, dessen Erklärung jedoch bei allen bisherigen Hypothesen über die Lage des Apollotempels äusserst schwierig war. Ich meine Solinus I, 18: {Roma quadrata) incipit a silva quae est in area ApolUnis et ad siqoercilium scalarum Caci habet terminum, ubi tiigurium fuit Faiisiuli. Für den topographischen Abschnitt des Solinus ist, nach seiner eigenen Angabe, Varro die Grundquelle ('-). Bei einem Autor dieser Bedeutung wird man an- nehmen müssen, dass die Grenzbestimmung verständlich sei und sich sowohl mit der Oertlichkeit wie mit den sonstigen bei den
Auch der Ausdruck Vaccas (mem. 76, besonders wenn (oben S. 197 Anm. 3) contro li orti Farnesiani zu lesen ist, stimmt besser zu der Stelle bei S. Bo- naventura.
(1) Vgl. De Rossi, Annali delV Istituto 1873, p. 195. Die Fundnotiz welche er dort publiziert, kommt aus einer anonymen Schede des 17'^" Jhdts., die der Canonicus Santovetti in Frascati an P. Cozza mitgeteilt hat : doch ist kein Grund, ihre Glaubwürdigkeit zu bezweifeln.
(2) Wollte man einwenden, dass Varro (f 29 v. Chr.) die Vollendung des Apollotempels nicht mehr erlebt habe, so ist darauf erstens zu erwiedern, dass zwar die Dedication des Tempels erst 28 v. Chr. erfolgt ist, der Bau aber schon acht Jahre früher begonnen war. Und selbst wer glaubt, dass die An- gabe in area ApolUnis nicht in Varros ursprünglichem Texte gestanden haben könne, wird zugeben müssen dass auch die Mittelquelle, aus der Solinus di- rekt schöpft, gut und alt ist. S. Mommsen praef. p. X if..
UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS 211
römischen Antiquaren allgemein recipirten Ansätzen über das älteste Rom vereinigen lasse. Nun kennen wir den Umfang des « romu- lischen » Pomeriums aus der berühmten Stelle Tac. ann. XII, 24, und wissen daraus, dass dasselbe — wie bei der Beschaffenheit des Hügels natüiiich — beide Höhen, den Cermalus und das eigentliche Palatium umfasste ('). Auf irgend einem Punkte der Hügelgrenze also, nicht in der Mitte in villa Mills (^), müssen wir die ülva, mithin auch die area Apolliiüs suchen. Wenn nun der eine Grenz-
(*) Der Cermalus war ohne Zweifel Separatname für den ganzen Nordrand des Hügels : der Versuch Gilberts, von ihm die äusserste Westecke beim Magna-Mater-Tempel als 'Palatium' abzutrennen, und der Südhöhe den Namen Velia zu vindiciren ist gänzlich verfehlt. Die Argeerurkunde mit der Angabe Cermalense quinticeps apiid aedem Romuli würde genügen, um die Ausdehnung des Namens Cermalus bis auf die äusserste Westspitze des Berges zu beweisen. Freilich Gilbert hält es für möglich, dass diese aedes Romuli von der casa Romuli verschieden, nnd ein sonst nirgends genannter Romulustempel im Thale bei S. Teodorn gewesen sei !
(2) Richter hat autfallender Weise die Solinstelle weder in seinem Abriss der Topographie, nuch in dem Programm über die älteste Wohnstätte des röm. Volkes überhaupt erwähnt. Jordan (Topogr. I, 1, 168) ist auf das un- glückliche Auskunftsmittel verfallen, die Grenzlinie bei Solin als den " Mauer- zug der arx-n, aufzufassen, welcher vom Pomerium der Stadt verschieden- gewesen sei — gegen die klaren Worte des Schriftstellers und alle örtliche Möglichkeit. Als Stütze dafür soll « Dio fr. 4, 15)> dienen, der eine ktiqa nöhg TSXQc'cyiai'og von der des Romulus unterscheidet. Aber diese Nachricht steht nicht in den echten Dio-Excerpten, nicht in der Epitome des Zo- naras, sondern einzig bei Tzetzes {in Lycophr. 1232), dessen Eigenthum sie wohl ebenso sein wird wie die damit verknüpfte profunde Nachricht über die Gründer dieser sxbqu 7i6hg, Romulus den älteren und Remus den älteren. Ueber diese beiden Schattengestalten ist mau denn in der historischen und antiquarischen Forschung (Schwegler, R. G. I, 405) Verdientermassen zur Ta- gesordnung übergegangen (nur Gilbert Top. I, 97 hat die Notiz einer aus führlichen Erörterung für wert gehalten;, aber in der Topographie ist leider noch gang und gäbe, was anderswo längst nicht mehr möglich wäre, dass Zeu- gen verschiedensten Wertes, verständige Leute die in Rom schreiben, und Con- fusionare die von den Oertlichkeiten keine Ahnung haben, als gleichwertig verhört werden. Die Frage ob das älteste palatinische Rom den ganzen Hügel oder nur die Nordhälfte umfasst hat, ist überhaupt müssig. Dass die An- siedler, statt die Befestigung den ausgezeichnet geeigneten Hügelrändern folgen zu lassen, mit grosser Mühe eine Mauer quer über die Hügelfläche gezogen hätten, kann nur glauben, wer denselben einen ungewöhnlichen Mangel an gesundem Menschenverstand zutraut.
212 CH. HLELSEN, UNTERSUCHUNGEN ZUR TOPOGRAPHIE DES PALATINS
punkt, das suim^cilium scalarum Caci, sicher ein Eckpunkt des Hügels ist, liegt es doch auf der Hand, dass auch der zweite Grenzpunkt nicht ein beliebiger der Peripherie, sondern wieder ein Eckpunkt sein muss — und zwar der diagonal entgegengesetzte (an die Nordecke oberhalb des Vestatempels oder die Südecke beim Septizonium zu denken ist auch aus anderen Gründen unmöglich). Die Worte Varros also lassen sich nur so erklären, dass die silva und damit auch die area ApoUinis und der Tempel selbst auf der Ostecke des Hügels, der Höhe von S. Sebastiane, gelegen haben. (Fortsetzung folgt).
Gh. Huelsen.
DI UNA PITTURA ANTICA
RITROVATA SüLL'ESQUILINO NEL 1668.
(Tav. I\'-VII)
La figura in testa di qiiesta pagina riprodnce una incisione di P. S. Bartoli (nell' Ichnographia veteris Romae di G. P. Bellori p. 1), ch' egli dice di aver copiato ex antiqua pictura, senza indi- care il luogo dove esistette 1' originale. II soggetto rappresentatovi per la sua raritä ha richiamato l'attenzione degli eruditi, che in vai'i modi 1' hanno spiegato. I primi editori credevano esservi rap- presentata la sponda del Tevere, sotto il Campidoglio e verso 1' Aven- tino, e questa opinione per lungo tempo fu generalmente accettata. II Canina poi (Architettura autica sez. III tav. 161) vi ravvisö il porto e le 'pilae di Puteoli. Questa ipotesi venne combattuta dal Merklin {de vaso vitreo Pojjuloiiieasi, Dorpat 1851); il de Rossi che dapprincipio (le prime raccolte d' antiche iscrizioni p. 58 sg.) aveva seguito 1' opinione antica, poi (Bull, arcli. nap. 1853 p. 135) dichiarö sembrargli assai piü verosimile quella del Canina, e ne espose piü a lungo nel medesimo Bull. 1854 p. 155 sg. AI di lui parere
214 CH. HUELSEy
hanno acoönsentito lo Jordan {Ärchäol. Zeitung 26. 1868 p. 91 : Topogr. I, 2 p. 474) ed altri, credendo che 1' aftresco rappresen- tasse il porto di Pozzuoli con alcune parti adiacenti della cittä : e lo provano specialmente col confronto di alcuni vasetti di vetro. nei quali. come risiüta dalle iscrizioni. e rafBgiirata la spiaggia del golto di Baiae.
L' originale della pittnra sembra andasse presto perduto. Una descrizioue in una lettera di Ottavio Falconieri all'Heinsio scritta da Borna il 19 Agosto 1668 ('), e stata finora l'unico documento conosciiito oltre la piccola incisione del Bartoli. 11 Falconieri da ragguagli non privi d' Interesse siüla etä della pittnra e siüle epi- grafi ; perö ambedue le descrizioni facevano deplorare la perdita deir atfresco originale, di cni s' ignorava finora il luogo del ritio- vamento.
La scoperta di niiovi documenti intorno a quel monnmento interessante mi ha dato motivo a riprendere in esame la qnistione trattata dal de Eossi e dallo Jordan. Ed in primo luogo osservo, che ad ambedue i chiarissimi autori e sfuggita una pubblicazione che riproduce. e vero, una piccola parte soltanto del quadro. ma la da in iscala piü grande e con maggiore esattezza. La la- Yola 204 dei monumenti inediti del WinckeLnann rappresenta il ' Balineiim Faustines '. II Winckelmann ha riconosciuto giusta- mente che 1' edifizio fa parte dell' atfresco inciso dal Bartoli. ne gli e sfuggito la lettera del Falconieri al Heinsio. Che egli non abbia
(i) Pubblicato dal Barmaim, clarorum virorum epistulae vol. V p. 527. II Falconieri scrive : Ilhid non praetermittam, quod tibi antiquitatis omnis amantissimo scitu non erit, opinor, injucundum, repertas nuper in ejfodiendis ruinis antiquorum, ut videtur balneorum parietinas graphice depictas, in qtii- bus non sohim varits deorum imagines videre est, sed etiam oppidiim ad mare situm, aedificiis frequens, arcuato ponte, seu potius mole in altum procurrente, cui moli gemini arcus, statuae equestres, atque alia etiam ejus generis orna- menti loco insistunt. Hujus picturae aetatem, si quid mei judicii sit, non mnlto superiorem Constantini aetate duxerim, idque praecip-ue conicio ex inscriptio- nibus ad nonnulla ex iis aedificiis appositis, quae sequioris ai'vi barbariem redolent ut illae, Fonis Boarius, Fonts Olitorius. Portex Ncptuni, Aquae Pensiles. Id procul dubio est, illam Antonini Pii tempora non excedere. nam id constat ex alia inscriptione, quae ibidem legitur Bai. Faustinaes. Harum omnium picturarum iconismum est jam, ut audio, qui formis excu- dendum curat, quod si verum erit, habebis quam primum, unde desiderio tuo hiculentius satisfacias.
PITTCRA AXTICA RITROTATA SrU-'ESQVlLINO 215
avuto sott' occhio 1" orisrinale. si rilera dalle frasi da lui usate ' il bagno vedevasi espresso in un* antica pittura. . . e probabile che questa pittura nel dissotterarla fosse stata trorata in stato di mal' es- sere e co" colori tutti svaniti : imperocche presentemente di questi non se ne puo giudicare ". Egli Iha riprodotto senza dubbio se- condo un disegno della biblioteoa Albani: e forse le ricende di questa celebre racoolta spiegano la reticenza usata daU'editore sulla font^ donde ha attinto.
La stampa del Winckelmann fii pubblicata nel 1767; cinque anni prima, la raccolta di disegni del cardinale Albani era stata veüduta al re Giorgio III d' Inghilterra (Michaelis Äncient marbles in Great Bn'tain p. 84). In uno dei volumi. ora conservato nel regio Gabinetto di TVindsor Castle, si troTano imdici disegni, i quali rafiigurano le diverse parti della pittura. ad unica eccezione del Balimum Faustines. Quesf ultimo foglio dunque per qualche caso, meutre gli altii passarano in Inghilterra. e rimasto a Borna: probabilment« sarä ormai perduto come tutti gli altri manoscritti della biblioteca Albani.
II Tolume di Windsor nel quäle si trovano gli nndici disegni proriene dalla coUezione di Cassiano del Pozzo; e segnato P 246 e porta il titolo ' Disegni di rarie antichitii: Nettuno ". Una breve descrizione ne danno il Michaelis Ancieni Marbles ia Great Bri- tain p. 719 n. XIJI ed il Lanciani BuU. comtm. 1895 p. 169. il quäle p. 178 accenna anche alla serie di cni ci oceupiamo. II volume e composto di disegni tagliati da un codice anteriore, e perciö i fogli portano oltre all'attuale numerazione unaltra piü antica. Per gentile intervento del eh. sig. dott. P. Müller-Walde ebbi dal bibliotecario della libreria di Windsor Castle, sig. Holmes, il permesso di far eseguire delle fotografie dei disegni. secondo le quali sono rimpiccolite le autotipie sulle tavole IV, Y, VI, YII ('). Compio il grato dovere di attestare anche pubblicamente la mia riconoscenza a questi signori, come anche al eh. Michaelis, cui debbo parec^hie notizie sul codice.
Comincio da una breve descrizione dei singoli disegni del
(*) Gli originali appaiono non disegnati nell' istessa scala, ma ridotti in modo da occupare sempre un foglio intero del codice: da ciu si spiega la diversitä nelle misure dei singoli edifiij rappresentati.
216 CH. HLELSEN
codice di Windsor ( W) paragonandoli con V incisione del Bar- toli (B).
Tutti gli ediftzi segnati su ß sono riprodotti dal disegnatore di IF, tranne quello che sta piü a sinistra, ed ha 1' aspetto di una lunga fabbrica a due piani, con in mezzo im' arcone o nicchia con statua; questo forse e stato omesso perche l'augolo dellaffre- sco era giä troppo sciupato.
Tay. IV. V. 1. (cod. f. 165 giä 633). Angolo superiore a sinistra. TFomette Tiscrizione dipiuta siüle quattro fabbriche uguali a sinistra : HORREA. A destra del cortile, ovo W disegna una fontana ov- vero un laciis, B rappresenta una specie di edicola con statua co- lossale. Non si puö decidere quäle abbia veduto piü esattamente.
2. (disegno perduto; riprodotto da Winckelmann mon. ined. tav. 204) Bal(ineim) Faustims. La raffigurazione e molto piü rego- lare e simmetrica presso il AVinckelmann che in 5 ; la figura rau- liebre visibile in quest' ultima, che fa 1' impressione di una sta- tua colossale (?), manca nell'altro.
3. (cod. f. 164 giä 628). Gruppe di edifizi vicini alla spiaggia oppure SU un" isola.
4. (cod. f. 168 giä 626). Edifizio composto di due cortili ret- tangoli circondati da portici chiusi. W tralascia un particolare che m B h ben distinto, nonostante la scala piccola, vale a dire le Tasche d' acqua a modo di comi^luvium nel mezzo dei cortili.
5. (cod. f. 160 giä 631). Gruppo di edifizi privati, senz' in- dicazione.
6. (cod. f. 162 giä 627). Simile.
(Tav. VI, VII). 7. (cod. f. 161 giä 623). Edifizio con colon- nato ionico e tre torri, senza indicazione.
8. (cod. f. 159 giä 632). Piazza quadi-ata cinta di portici, in parte aperta dal lato destro; sul lato anteriore, un grande ar- cone d' ingresso. In W vi e sotto apposta 1' iscrizione Form olito- rius, mentre B raetle entro il recinto Fo. Boar. Non dubito che quest' ultimo sia vero : un errore poteva accadere molto piü facil- mente a chi segnava i nomi in fogli isolati che ad uno che rap- presentava il quadro nella sua totalitä. Anche in quanto alla co- struzione, 8 si puö credere piuttosto un mercato per bovini eil uno per erbaggi che viceversa.
9. (cod. f. 157 giä 634). Costruzione ad archi, simile ad un
HITTURA. ANTICA RITROVATA SULL' ESQUILINO 217
ponte, ma che piuttosto e da ritenersi per molo di iin porto. Sulla piattafonna, due archi a due ingressi portante il priino una figura di Nettuuo con quatti'O cavalli marini, il secondo ima tigiira virile coli scettro e quattro Sirene.
10 (cod. f. 166 giä 625). EdiKzio a piü piani, con tre torri; sotto vi e scritto aqaae pensüis (piü correttamente B e Falconieri haniio ])ensiles).
11 (cod. f. 161» giä 609). ' For{Lis) boarius ': e 1' editizio di- segnato da B come forus olitrUis.
12 (cod. f. 163 giä 630). ' Portkc {portex B Falc.) NejHuni' e ' l{emplum) Apollinis ',
II disegiiatore di W ha rivolto la siia principale attenzione ai particolari deU'architettura: per poterli raffigurare meglio, egli ha tralasciato tiitte le figure di corredo, e non ha messo le iscri- zioni al posto che occupavano suU' artresco. Cosi gli e accaduto di tralasciarne una (HORREA) totalmente, e di cambiare quella di For{us) boarius con Taltra del For{iis) olüorim. Sono sbagli di lettura in W senza dubbio il PENSILIS ed il PORTIX, come ri- sulta dal consenso di B con Falcouieii; invece W e Falconieri hanno piü esattamente FOR(VS) BOARIVS, FORVS OLITORIVS, ove Bartoli per ragioni dello spazio, abbrevia FO • BOAR •, FOR • OLITOR.
Sul luogo del ritrovamento nulla e notato nei fogli di W\ perö non puö essere casuale che stia insieme con altri disegni di musaici e pitture ritrovate tutte sull' Esquilino. Le copie dell' af- fi'esco, come sopra abbiamo veduto, occupano i fogli 157, 159 — 166, 168 — 169 del codice. In mezzo ad esse sta a f. 158 il di- segno di un musaico rappresentante Apollo che suona la lira. Questo musaico e stato pubblicato dal Bartoli le lyitture aatiche delle grotte di Roma tav. II; ed egli nel teste pag. 2 nota come segue: ' Non lungi dalle sette sale suddette furono scoperti l'anno 1668 nel mese di luglio in im orto, che fa fianco alla strada del- TAntiteatro Flavio detto Coliseo . . . alcuni superbi residui di fab- briche antiche probabilmente dell' istesse terme accresciute e con maggior raagniticenza adornate da Traiano, Adriane e loro succes- sori . . . nelle quali trovaronsi piü camere e corridori ornati di pit- ture e di musaichi con ripartimenti di stucchi, e pavimenti di vari marmi. Nel principal nicchio della prima camera . . . vedesi
218 CH. HUELSEN
iin bellissimo Apollo di rausaico . . . (segne iina limga descrizione) ... de' due altri nicchi della medesima camera, iino e parimeiite lavorato di musaico, e rappresenta pesci e mostri marini, e iielF altro sono dipinte fabbriche antiche. Segue un' altra camera con qiiattro ripartimenti di pittiira alliidenti alla favola di Adone ' ecc. (^).
La coincidenza della data ' nel liiglio 1668 ' con quella della lettera del Falconieri dimostra chiaramente che si tratta del rae- desimo scavo, e non esiteremo a riconoscere il nostro quadro nelle ' fabbriche antiche ' mentovate nella fine del passo citato. Ed in- tatto al medesimo ritrovamento si riferiscono la maggior parte dei disegni sui fogli precedenti e seguenti del codice Windsoriano : a f. 155 si hanoo i pesci e mostri marini disegnati anche in altri codici Bartoliani (Lanciani p. 175) [f. 156 sacrifizio mitriaco non pubblicato nelle' pitture antiche, ma probabilmente anch'esso prove- niente dalla ' Casa di Tito'; Lanciani pag. 178], ai fogli 173-174 le fatiche di Ercole e il mito di Adone (pitture antiche tav. 3-6).
L' edificio, secondo le surriferite parole del ßartoli, deve essere stato fra il Colosseo e le terme Traiane : e piii esattamente viene precisato il siio sito da un' altra nota, anch' essa del Bartoli, in un disegno giä posseduto dal Caylus e da lui pubblicato {Recueil de 2^eintures aniiqiies, d' apres les desseias colories faits par Pie- iro-Sante Bartoli, Paris 1757, tav. 36). Ivi, presso la pianta del- l'edifizio (ripetuta dal Lanciani bull, comun. 1895, p. 176) e no- tato ' fabrica antica scoperta T'anno 1668 nelle rovine della casa di Tito dalla parte occidentale del Colosseo, e lontano da esso palmi 250 ( = m. 55,75) '. E un corridore, parte coperto a volta (in fondo di questa parte sta la nicchia della fontana coli' Apollo), parte scoperto; sul corridore si aprono cinque stanze bislunghe; dietro alle due prime vi e una scala di 27 gradini che ' ascen- deva alla parte superiore della fabbrica '. II corridore ' era dipinto da ambo i lati con diverse vedute e fabbriche, ma guaste in modo che poco si conoscevano, eccetto al segno IV erano conservatissime '. Questo pezzo, ch' era vicino all' Apollo, fra le porte della stanza
(') Nella traduzione latina stampata a Roma 1738 (I'unica citata dal Lanciani quando tratta dello scavo bull, comun. 1895 p. 175) e soppressa la data dello scavo ed alle parole in un orto che fa fianco alla strada del- VAnfiteatro Flavio h sostituita l'espressione generica in quodam horto prope amphitheatrum.
PITTURA ANTICA. RITROVATA SULL' ESQUILINO 219
prima e seconda, con somma probabilitä si poträ ritenere per il nostro paesaggio.
Nella postilla del disegno parigino vi e uno sbaglio manifesto : la ' casa di Tito ' non si e mal cercata ad occidente del Colosseo, verso il Celio; perö non so se remendazioue proposta dal Lanciani, ' dalla parte Orientale ' sia vera. Piuttosto sospetto che il Bartoli abbia voluto scrivere : ' nelle rovine della cai^a di Tito, dalla parte occidentale [verso il] Colosseo'. Questo ben conviene con l'indi- cazione ' in un orto che fa fianco alla strada dell'Anfiteatro Flavio '. Dalla distanza di metri 55 si rileva che la serie delle stanze sot- terranee fii scavata nel giardino posseduto nel sec. XVIIl dal Si- nibaldi e dai Massimi, ora ridotto ad area fabbricabile, poco al di lä degli scavi recentissinii per lo sterro del lato Orientale del- l'Anfiteatro ('). E questo viene confermato dalla memoria pm-troppo laconica dell' istesso Bartoli n. 3 : ' Facendosi la cava nell' orto di una tal signora de' Nobili [questo e appunto il giardino Sinibaldi : V. Lanciani FÜR. f. 30], nella parte settentrionale del Coliseo, fu- rono trovate diverse stanze sotterranee, tutte nobilmente adornate di marmi, pitture, fontane e statue, oltre quantitä grande di con- dotti di piombo, che fecero conoscere esser luogo di gran conside- razione e delizie '.
Quäle sia stata la fabbrica antica, alla cui decorazione appar- tenevano gli affreschi, non si puö indovinare : ma che non sia ante- riore alla metä del secondo secolo d. Cr. risulta, come giä riconobbe il Falconieri, dal nome di Balineum Faustines. Dall'altra parte, forse r attribuzione all' epoca Costantiniana scende un poco troppo basso. I solecismi forus i^ortex ecc. sono paragonabili a quelli ovvii sulla Forma Urbis Romae (v. Jordan FÜR. proleg. p. 7): e tutto lo stile della pittura converrebbe bene anche al terzo secolo.
Quanto alla spiegazione abbiamo veduto che si contrastano
(1) II eh. Lanciani sul foglio 30 della sua Forma Urbis attribuisce in- vece lo scavo del luglio 1668 ad un terreno (' orto di Dorotea Eotolanti ' ) vicino air esedra meridionale delle ternie di Traiano. Non so da quali docu- menti egli abbia attinto; certamente per5 la ipotesi h in contraddizione con le parole precise del Bartoli, perclie il sito e distante dal Colosseo non 55 metri, ma piü di 150, e perche quell' orto non e attiguo alla ' strada del Coliseo '.
220 CH. HUELSEN
diie ipotesi : 1' ima vi ravvisa la sponda del Tevere sotto 1' Aventino, r altra la spiaggia del golfo di Piiteoli. Le ragioni contro la prima sono assai bene esposte dal eh. de Kossi Bull. Nap. 1854 p. 156. Secondo lui e casuale che fra i nomi di edifizj segnati sulla pit- tura. tre si ritrovano a Koma, riferibili tutti alla sponda Tiberina; e adduce per prova altri nomi di localitä m-bane ripetuti in mu- nicipj, come p. es. i vici delF Aventino, del Cermalo e del Ve- labro a Rimini; la regione esquilma a Benevento ecc. E gli pare tinanche che ' la stessa collocazione di fori e di qiiante altre fab- briche sono ritratte nella pittura del Bellori, vieta il cercarne l'argomento nella ripa subaventina " , perche i due fori, boario ed olitorio stanno nel senso inverso della loro vera posizione, e mede- simamente gli horrea si trovano a siuistra dei fori invece della destra. Cosi, conchiude il de Rossi, si deve credei-e rappresentato im porto di mare, e con ogni probabilitä la spiaggia di Baiae o Puteoli, raffigurato in modo analogo sopra due vasetti di vetro, r uno trovato a Piombino e 1" altro conservato a Roma nel museo della Propaganda. Lo Jordan, pubblicando nella Archeologische Zei- tung 26 (1869) tav. 11 cf. p. 91 sg- un terzo vasetto simile tro- vato ad Odemira nel Portogallo, segue perfettamente 1' opiuione del de Rossi; e anche nella Topograjihie I, 2 p. 474 not. 48 egli la chiama unzweifelhaft richtig ed asserisce che l'atfresco pub- blicato dal Bartoli rappresenta ' die pilae von Puteoli mit der anliegenden Stadtgegend, deren Darstellung auf dem Gefäss von Piombino und von Odemira bis auf die Details {Bögen, Säulen) damit i'ib er einstimmt '.
Ora chiunque paragona l'incisioue del Bartoli con i due vasetti di vetro {Arch. Zeitg. 1. c. ; Bull. Nap, N. S. vol. I, 1853 tav. IX), sarä maravigliato nel vedere a che cosa si riducono queste somi- glianze nei particolari. Totalmente diversi sono ' le parti della cittä adiacenti alle pilae ' : sul vaso di Odemira sono indicate Tkerni(a)e [_Trai]ani{?), theatrum, pilae, ripa, Solarium, amphitheatrum ; SU quello di Piombino pilae, ripa, palatium, ostriaria, stagnum; SU quello del museo della Propaganda faros, stagnum Neronis, ostriaria, stagnum, silva, Baiae. Dunque di tredici nomi ovvii sui tre vasetti di vetro neppure un solo si ripete sull" alfresco ; e mentre i vetri hanno comuni fra loro almeno alcuni degli edifizi principali la pittura romana di essi non esibisce nemmeno uno, ma aggiunge tanti
l'ITTIKA ANTICA RITROVATA ST I.I.' ESQUILINO 221
altri che appena si possoiio credere tntti vicini al poito di Piiteoli. La somiglianza fra 1' affresco esquilino ed i rilievi in vetro si ri- diice a questo : vi e disegnato iin molo costruito ad archi e decorato con due archi oiiorari e con colonne sormontate da statue. Ma 11 molo di un porto, sia marittimo sia fliiviale, doveva essere costruito sempre quasi nell' istesso modo. Ne la decorazione con colonne si sarä trovata unicamente nel molo di Puteoli ; neppure quello che per lo Jordan pare sia stato 1' argomento piü decisivo, i cavalli mariui che ugualmente decorano il primo arco sulla pittura esqui- lina e sui vasetti di Piombino e di Odemira, puö recare maravi- glia in un ediüzio destinato a decorare uu porto, messo natural- mente sotto la tutela del dio delle acque.
Piü considerazione merita un altro argomento addotto dal eh. Beloch {Campanien- p. 127), il quäle identitica la portex Neptimi coUa porticm Nepluni menzionata a Pozzuoli da Cicerone (•) ed il Forus Olitorins con il Macellum (cosi detto tempio di Sera- pide). Quest' ultimo perö non e senza difficoltä, perche per 1" edi- tizio puteolano e accertato il nome di macellum dall' iscrizione CIL. X 1701 : ed in genere le diversitä fra 1' affresco roma- no ed i vasetti di vetro sono raolto piü grandi che le somi- glianze. ßesta fra le obbiezioni del de Rossi specialmente quella che r ordine topografico dei fori non corrisponde al loro vero sito. Ma a questa si risponde con una considerazione, alla quäle ci guida r istesso vaso di Propaganda. II de Rossi giustamente ha osservato che in esso la spiaggia del golfo non e raffigurata come dovrebbe, con Puteoli a destra e Baiae a sinistra, ma a rovescio: ed io non dubito che il medesimo caso sia nella pittura esquilina (-). AI de Rossi non e sfuggito questo pensiero, ma egli lo rigetta su- bito, dicendo ' in tal caso, salvo il traslocamento delle due parti, tutto del rimanente dovrebbe rispondere al preteso soggetto della ripa subaventina '. E secondo me, e cosi infatto.
(') Acad. II 25, 80 : o praeclarum prospectum ! Puteolos videmus, at familiärem nostrum C. Avianium, for lasse in poriicu Neptuni amhulantem, non videmus. II locale del dialogo h Baiae.
C) Un altro esempio simile ce lo offre, come ho esposto negli Atti della pontificia Accademia di Archeologia, ser. II vol. VI p. 253, il medaglione di Antonino Pio rappresentante Tarrivo del serpente sacro di Esculapio sul- risola tiberina.
222
CH. HUELSEN
Qui appresso si vedono disegnati i contorni del rame Bartoliano riflesso in uno specchio e sotto essi uno schizzo topogratico della regione tra il Tevere, il Campidoglio e 1' Aventino. Questa figiira parlerä meglio di ima lunga esposizione : vediamo i due fori, boario ed olitorio iü giusta situazione, ed a nord il tempio di Apolline
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L
extra portam Cannentalem (delle horrea, che dubito assai siano quelli nella pianura del Testaccio, parlerö piü sotto). Ne si puö dire di tutto sconosciuto il portico che da questo tempio fa capo : perche sappiamo che giä nel 179 a. Cr. fu costriiito un porticus post Spei a Tiberi ad aedem Apollinis Medici. Puö essere benis- simo che questo, ricostruito in epoca piü tarda ('), e denominato
(*) La costruzione del teatro di Marcello p. es. doveva essere causa di f^randi cambiamenti nelle fabbriche adiecenti.
HITTIKA ANTICA KITROVATA SLLI.' KSQUl LINO 223
porticus Neptuiii sia appunto qiiello rappresentato. 11 luolo poi si spiega facilmente qiiando ci ricordiaino, che appunto sulIa sponda presso il Foro Boario stettero i Navalia, il piü antico arsenale di Koma (v. ciö che ho esposto negli Atti dell' Acc. pontificia Ser. II vol. VI p. 249 sgg.), üel balineum Faustines nulla sappiarao; iii- vece mi paie degno di attenzione il nome delle aqiiae pensiles. II posto che occiipano suUa pittura ce le fa cercare sul pendio del Cam- pidoglio. II nome non puö significare altro che un serbatoio di acqua, costriiito in alto ('). E noto che im ramo dell' Acqua Marcia perveniva al Campidoglio (Frontin. de aq. I, 7 ; Lanciani acque 99) e senza dubbio ve ne doveva esistere un serbatoio importante. E d'uopo ricordare un nome ovvio nella Notitia Costantiniana, che verso la fine della regione ottava annovera aquam ceraentem, quattuor scaros sab eadem. I quattuor scari vengono mentovati anche in una iscrizione sepolcrale C. I. L.Yl 9671 : C. Clodius C. l. Euphemus aegotiator penoris et viiiorum de Velabro a IIIF scaris, dalla quäle si rileva che la fontana ornata con i quattro pesci si trovava sul versante sud del Campidoglio. E sopra questa fontana era situata r aqua, il cui cognome senza dubbio e scorretto nei testi della No- titia. Le spiegazioni del ceniens finora proposte non sono piü con- vincenti dell' emeudazione dello Jordan {Topogr. II, 19), il quäle voleva scrivere aquam ferventem. Piü facilmente il cernens si po- trebbe sostituire pendem, e credesi che le aquae pensiles sull' af- fresco esquilino fossero identiche con quell' aqua pendens. Ma con ciö non si esce dal campo delle congetture.
Resta una sola difiicoltä essenziale, 1' isola disegnata incontro al molo: ma questa difiicoltä sussiste non meno per chi riferisce la pittura a Pozzuoli. Anche lä non si trova un' isola vicina al contiuente e che si possa credere raffigurata insieme con gli edifizi della spiaggia: il Beloch sospetta che il pittore abbia voluto indi- care la spiaggia di Baiae. Non voglio decidere se si tratti di un' i- nesattezza nelle copie TFe B (del resto poco verosimile), e suU'ori-
(1) Affatto inammissibile e 1' opiniono dello Jordan {Archaeol. Zeitung 1869 p. 92) esservi indicati balineae pensiles, cioe bagni con suspensurae (Plin. XI, 168). Ma cosi costruiti erano senza dubbio tutti i bagni di Roma imperiale : ne le parole balneae ed aquae sono omonimi che si fpossono senz'al- tro canibiare fra loro.
224 CH HUELSEN
giuale fosse acceiinata la ripa trasteverina ; oppure se il pittore stesso abbia arbitrariamente aggiiinto qiiesto particolare. — L' obiezione fi- nalmente che manchino localitä vicine e molto importanti, come il Campidoglio ed il Palatino, non si piiö sostenere : perche non sap- piamo se la pittiira sia stata ritrovata inteia, anzi mi sembra molto probabile che fosse mancante nella parte di sopra.
Quäle vantaggio possiamo trarre dall' affresco per la rappre- sentazione iu dettaglio dei singoli edifizi? lo credo che sotto que- sto rigiiardo non bisogna esageravne il valore, perche quasi sempre gli artisti roraani si perraettevano grandi arbitrii neue raffigu- razioni architettoniche. Basta citare il rilievo Lateranense del se- polcro degli Aterii, ove se non fosse l'iscrizione ARCVS IN SACRA VIA SVMMA, nessuno, credo, azzarderebbe di riconoscervi 1' arco di Tito, tanto ne differiscono i particolari dal vero. Ed e un caso ove r artista nemmeno puö essere scusato con la ristrettezza dello spazio, che p. es. lo ha costretto a rappresentare il Coliseo a tre piani invece che a quattro che ha ed aveva ('). Dunque la pittura nostra non puö dar motivo a figurarci il Foro Boario di pianta per- fettamente quadi-ata, o ii tempio di Apolline come prostilo esastilo.
Ma ciö nonostante. 1' affresco esquilino ha un valore grande ed incontestabile per la nostra conoscenza dell' architettura an- tica. Se il pittore non ha rappresentato i singoli edifizi con in- dividuale esattezza, egli perö ha effigiato in modo assai detta- gliato i tipi delle diverse fabbriche. E vi si deve notare un par- ticolare, che anche al Winckelmann e sembrato degno di speciale attenzione, il modo come sono rappresentate le finestre e gli in- tercolumni dei portici chiusi da invetriate. Di tali chiusure fa menzione Plinio giuniore descrivendo il cavedio della sua villa Laurentina (cf. II, 17, 4: Porticus in D litlerae ümiütudimm circumactae, quibiis parva, secl fesiiva area includüur, egregium adversiis tempestates receptaculum : nam specularibus ac multo magis immirientibus tectis mmiiimtur) ; ne molto differente sarä stato il triclinio undique valvas aut fenestras non minores valvis habens dal quäle si godeva per tre lati la veduta del mare (ivi
('j L'opinione recentemente proposta che il Coliseo abbia avuto origi- nariamente tre piani soli, e che il quarto sia una aggiunta del tempo di Elagabalo non mi sembra doversi prendere sul serio.
o
HITTIJRA ANTICA RITHOVATA SlILl/ ESQUILINO 225
§ 5, cf. Wianefeld nello Jahrbuch des [iistUuts 1892 p. 213), II Mazois credette di aver ritrovato tinanche a Pompei gli avanzi di im peristilio corredato di tal apparecchio {Ruines de Poiwpei II p. 52 tav. 13; e ima casa siil lato meridionale della strada con- solare segnata 4^* siilla pianta presso Overbeck-MaiiPor/z;?!?^'*), e le sue indicazioni meriterebbero di essere riscontrato sui liioghi. Altre aperture, che sembrano anche chiuse con vetro, si vedono nell" aftVe- sco esquilino in piü edifizi immediatamente sotto le lioee dei tetti e dei fastigii, e ricoi'dano in qualche modo le loggie coperte suUe case vecchie della moderna Roma. E degni d'attenzione sono anche i quat- tro edifizi rettangolari stretti (tav. IV-V fig. 1) isolati fra loro, co- perti a volta e affatto senza finestre nella parte esteriore, i qiiali per r iscrizione segnata dal Bellori si qualificano come horrea. Non credo che essi rappresentino i grandi magazzini nella pia- niira dei Testaccio, ma altri horrea pubblici sparsi per la cittä. La differenza fra gli horrea in senso di magazzini mercantili, e gli horrea come luogo da deposito non mi pare sempre ben avvertita dai topografi di Roma. Alla prima categoria appartengono gli horrea. Galhiana e Lolliana, quelli candelaria, chartaria q pij^erataria; il posto speciale di questi era la pianura dei Testaccio, sotto 1' Aven- tino. La seconda categoria, dispersa in tutta la cittä (') in modo quasi uguale (v. Jordan Topogr. II 67 sg.) serviva al comodo anche delle classi meno agiate. A quest'nltima si riferisce la detinizione di Paulo Dig. 1, 15, 3, 2: in horreis, uhi homines pretiosissimam partem fortunarum suarum reponunt; ed il passo nella biografia di Ales- sandro Severo c. 39 : horrea in omnibus regionibus publica fecit, ad quae conferrent bona ii qui privatas custodias non haberent. Nelle case nobili a Roma esistevano senza dubbio vani preparati in modo da ricoverare gli oggetti preziosi da ogni pericolo, ma il sem- plice borghese era costretto a servirsi degli horrea per depositarvi le sue cose piü preziose e questo costume deve essere stato molto piü esteso che non generalmente si crede, a Roma cittä tanto infe- stata da incendii e dalle gesta dei ladri {-). L' insula per 1' allog-
(1) Anche a Puteoli, grande cittä somigliante alla capitale per molti riguardi, non saranno mancate siniili istituzioni.
(2) Mi fu asserito che nel Giappone esiste o esisteva poco fa un costume afFatto uguale, cioe che i privati, anche di famiglie agiate, affidano le cose
15
226 CH. HCELSEN, DI UNA PITTURA ANTICA ECC.
gio, gli horrea come deposito debbono essere stati due componenti essenziali nella vita piivata del plebeio romano : e ne fa fede il modo come le due localitä, ed anche le cariche d' insidarius ed horrearius vengono mentovate nei libri giuridici. Ad uno di qiiesti depositi, secondo me, si riferisce anche la lex Jiorreorum Caesaris spiegata con molta dottrina dal Gatti (bull, comun. 1885 p. 110 sg.). Gli armaria menzionate in essa non mi danno 1' idea che si trat- tasse di cellae vmariae et frumentariae, come supplisce il Gatti (o che in tutto il contratto si parli di mercatores frumentarii, come volle il Mommsen in Bruns fontes iuris romani 5 p. 271). Ed e molto caratteristico per questo un altro passo del libro del- l'istesso Paulo de officio praefecti vigilum (Dig. 5X111, 2, 56): cum domini horreorum insularumque desiderant diu non appa- rentihus nee eins temporis pe?isiones exsolventibus conductoribus aperire et ea quae ibi sunt describere^ a publicis personis quo- rum interest audiendi sunt, tempus aiitem in hiäiismodi re bien- ni debet observari. Ivi certamente non si puö trattare di derrate alimentarie depositate in qualche granaio. Edifizi della foggia di quelli rappresentati sul nostro affresco, che rassomigliano a casse di pietra, certamente erano molto adatt e per depositarvi oggetti di pregio.
Ma pongo fine a queste osservazioni, lasciando a quelli che piü di me s' intendono dell' antica architettura. la spiegazione di altri dettagli. A me basta di aver dato di un monumento interes- sante e finora poco conosciuto le prime riproduzioni esatte anche nei particolari.
Ch. Huelsen.
preziose, oggetti d' arte ecc. regolarmente ai magazzini pubblici, e li ritirano soltanto per addobbare le loro case in giorni di festa. Anche colä questo sistema si adopra per mettere le proprietä raobili piü preziosi fuori dal peri- colo d' incendii e terremoti.
MISCELLANEA EPIGRAFICA
(Continuazioue. Vedi Mittheilungen 1895 p. 289-301).
XXI. Tessere lusorie.
Le tessere o marche d' avorio e d' osso figurate ed iscritte sono, sotto molti riguardi, una crux per gli epigratisti. Se ne trovano mol- tissime, disperse nei musei pubblici; la loro piccolezza ne fa un oggetto da comraercio ricercato dai collezionisti privati ; non di rado e difScile accertare 1' identitä di piü esemplari che compariscono in diversi luoghi ed in diverse epoche ; in fine 1' industria delle falsificazioni si e estesa abbastanza sii qiiesto campo. Dali' altra parte, il gran numero di questi monumentini mostra che sono stati di qualche importanza nella vita privata degli antichi: e le loro rafBgurazioni in parte strane o enimmatiche hanno attirato da piü secoli la curiositä dei dotti. Due lavori recenti francesi, del sisf. I. A. Blanchet (i) e del sig. H. Graillot {-). danno un materiale copioso e una ricca bibliografia degli scritti precedenti. Quanto alla spiegazione, i due autori anzicche esaminare le ipotesi anteriori o di proporne una nucva, registrano le opinioni dei diversi dotti, e propendono per lo piü a crederle tessere destinate a servire come biglietti d'ingresso alle rappresentazioni teatrali.
Ora non mi pare inutile di riprendere in esame le questioni; e pongo da capo 1' opinione mia : la maggior parte delle tessere nulla hanno da fare ne col teatro ne (come altri hanno voluto) con le liberalitä e le sparsiones. Si debbono invece considerare
(') Tesseres antiques theatrales et autres. Revue Archeologique. Ser. III vol. Xm (1889) p. 225-242. 369-380. XIV (1889) p. 64-80. 243-257.
(2) [/ne collection de tesseres. Melanges de Vecole fran(;aise de Rome. XVI (1896) p. 299-314.
228
CH. HUELSEN
coine strumenti da giuoco (^) ; il che voglio provare preüdendo in esame due categorie di esse, le cosidette alimentarie e le teatrali.
1. II primo griippo si compone di tessere in forma di un ba- stoncino con iina specie di maniglia cilindrica. Somigliano assai alle gladiatorie, ma sono molto piü platte, di modo che nei lati corti non rimane posto per la scrittm^a e le lettere sono incise sol- tanto siilla faccia e sul rovescio. La maniglia in quasi tutti gli esem- plari e perforata nel senso della lunghezza.
Propongo in primo liiogo un elenco di tutte le tessere a me conosciute : quelle che ho potuto esaminare nell' originale sono se- cfnate con asterisco. Molte comunicazioni debbo al eh. amico Dressel.
Nel museo |
di Perugia, |
ritrovate nel 1887, rivedute da me nel 1888 |
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* |
1 |
MOICE |
)( |
III Not. d. scavi, 1889, p. 369. |
* |
2 |
PATICE |
)( |
VIU |
* |
3 |
// PPA |
)( |
villi |
* |
4 |
VIX • RIDES |
)( |
XIII |
■* |
5 |
MORARIS |
)( |
XIIII |
* |
6 |
ARGVTE |
)( |
XV |
• |
7 |
PERNIX |
)( |
XVII |
• |
8 |
mini |
)( |
XVIIl |
* |
9 |
BENIGNVS |
)( |
XX A. |
• |
10 |
AIWATOR |
)( |
XXX |
* |
11 |
FELIX |
)( |
IX |
* |
12 |
FVVCO |
)( |
// A. |
* |
13 |
PIGER |
)( |
///// |
• |
14 |
/acete |
)( //// |
|
* |
15 |
TVBE |
)( |
/// 0 |
(') Naturalniente non bisogna esagerare questo principio: ad altri usi p. es. servivano le tessere gladiatorie. Del resto non ogni pezzo quadrato d'osso ne ogni borchia circolare ove siano incisi o graffiti nuraeri isolati, si deve annoverare fra le tesserae.
(2) E d'iiopo ripetere qui la relazione che di questo curioso ritrova- mento danno i proff. Carattoli e Brizio (Kotizie degli scavi 1887 p. 396). Presso Perugia, nei lavori per 11 nuovo cimitero, fu aperta il giorno 22 agosto 1887 una tomba nella quäle era giä deposto un morto in cassa di legno su banchina; a piedi dello scheletro si trovarono ' pallottole di vetro in grande quantitä, a piü colori e di diversa forma; e due grossi anelli pure di vetro
MISCKLLANEA EPIGRAFICA 229
Neil' istesso museo, dalla collezioue Guardabassi
* 16 GVLO )( IUI
* 17 FATVE )( XI
Di questi due iion ho potuto vcdere i rovesci, ma li ha copiati il eh. col- lega Wolters.
Nel museo di Napoli, trovate a Pompei
* 18 EBKioSE )( im C./.Z.. X, 8069, 2
* 19 VAPio )( im 3
* 20 CVNV-LINGE )( VI 4(1)
Neir istesso museo, giä nella collezione Borgia ; quindi probabil- mente di origine urbana.
* 21 BENIGNE- Tpr-datI )( XXX .ifN t-iii-virJ CJ-L. X, 8070, 7;
Inv. Borg. 427, 14.
* 22 ARPAX )( XIX CLL. X, 8070, 8; Inv. B. 427, 13 {^)
Presso di queste ei*ano sedici tessere in osso bianco, . . . quindici
scritte da ambo le parti Con queste tessere si trovarono 33 sasso-
lini piatti, irregolarmente ellittici, due dei quali con segni di lettere e den- tellati sull'orlo .... ültimaraente si raccolsero pure 816 pezzi di pasta vitrea, in forma di semisferette e di tre colori, cioe turchino, giallo e bianco'. L' attribuzione cronologica del eh. Garaurrini, il quäle li erede del secolo se- condo a. Cr., non mi pare ammissibile. lo le ritengo, come anche le altre so- pra annoverate, del principio deirepoca imperiale. Due dei mentovati sasso- lini portano delle iscrizioni : seeondo il mio apografo :
1)
Cioe Valen(a) Rufa, o piuttosto Rufa Valerii.
(1) II Fiorelli, pubblicar.do questa tessera nella relazione sugli scavi di Pompei 1861-1872 p. 91, per errore non attribuisce a questa il numero VI ma un'altra tessera rotonda, della quäle sarä fatta menzione piü sotto (p. 239 n. 6).
(2) L'inventario stampato della collezione Borgia {Documenti per la storia dei musei fr/faZia Ip. 275-427) non e stato adibito per il Corpus \o\.X, ne per i supplementi nelT Ephemeris vol. VIII: quindi le tessere di origine campana ed urbana non sono sempre ben distiute. Nella tessera 21 le lettere messe fra parentesi sono aggiunte da un interpolatore moderno : v. p. 235 not. 2.
• *
•
230 CH. HUELSEN
Nel miiseo di Napoli, di provenienza incerta.
23 FVR. )( 11 A. CLL. X, 8070, 12ß
24 PERNIX )( XVII 14c
25 FACHTE )( XXV 10 * 26 FELIX )( IX 11
Napoli, collezione Bourguignon.
27 VAPio ){ iv 'L CLL. X, 8070, 16
28 vix-RiDES )( xin
29 VEL )( XXX
Le due ultime pare provengano dalla collezione Depoletti di Roma.
Trovate a Cuma, ora perdute.
30 C1NAI6/V5 )( VII CL.L. X, 8070, 9 CINAIOVA ha l'unico apografu.
31 PERNIX )( XVII \Ab
Napoli, collezione Castellani.
32 NVGATOR )( I CL.L. X, 8070, 13
33 FVR )( II 123
Napoli, collezione Fiisco.
34 PERNIX )( XVII CL.L. X, 8070, 14a
Trovata a Frosinone (si dice nell'anfiteatro; v. sotto p. 235 n. 1.)
35 Qvmlwge )( vm Bull. delV Istituto 1830, p. 260; Momm-
sen Ber. der sächs. Gesellschaft 1849 p. 287. CVN • i-iN- X l'unico apografo. Noneidentica coln.20, come fu supposto Fph. epigr. VIII, 807.
Trovate a Pentima: rivedute secondo calchi favoritimi dal sig. cav. de Niuo.
36 FVR )( II A. CLL. IX, 6089, 4
37 v^io )( VIII A. 6
38 CVNNIO )( X 2
39 Fvvco )( XII A:. 8
40 ARPAX )( XVUII 1
41 GVMIA )( XXI Notizie d. scavr 1886, p. 421
MISCELLANEA. EPIGRAFICA 231
Trovata a Pesto
42 FACHTE )( XXV Le Bliint Revue des soc. savantes V (1879)
p. 426.
Nel inuseo di Taranto.
43 MOECE )( XXIII Notizie d. scavi 1884 p. 125.
43a AiWATOR )( inedita, comunicatami dal eh. Wolters.
Atri, collezione Cherubini.
44 PATICE N )( VIII CLL. IX, 6089, 5.
Nel museo di Palermo.
45 viNOSE )( xHii CLL. X, 8070, 17.
A Roma, collezione Drossel.
46 MOICE )( III A.
47 MVLA )( VI
48 ARPAX )( XVIIII
ivi, presso l'antiqiiario Depoletti.
49 GAVDESNE )( XI
50 VERECVND )( XII Henzen Bull. deW Lst. 1859, p. 98.
51 ARPAX )( XVIIII
52 INPVDES )( XXII
ivi, presso Balboni.
53 FICOSE )( VII
ivi, collezione Bruzza.
54 FATVE )( XVII
ivi, collezione Scalambrini.
* 55 FACETE )( XI PAL
ivi, collezione Kestner; ora trasferita ad Hannover.
56 VAPIO )( VIII Al i Henzen Monum. IV, tav. 53, n. 45, 46
57 TRico )( XI ) Anmli 1848, p. 273.
232 CH. HUELSEN
Roma, presso il sig. Marchese Campanari.
58 EBRiosE )( im Mitth. 1888, p. 91.
59 AMATOR )( XXX ivi.
■*
Roma, collezione Castellani, ora a Vienna, collezione Trau.
_ w \ Catal Castellani, 'P&Tisl884,T[>. 2b, n.2B0,
bO VAPio )[ vm jL (^ 231 ; Scholz JVienernumismat. Zeit- Öl ARGVTE X XV ) ^^j^., 1893^ p 15
A Roma, in varie collezioni. Comunicatemi dal eh. Dressel.
62 EBRIOSE )( 1111
63 PATICE )( VIl
64 LVPA )( XVI
65 FATVE )( X;,','l QQ GVMIA )( XX
67 FORTVNAT )( XXlIll
68 PERNIX )( XVII
Corneto, collezione Bruschi. Comunicatemi dal eh. Wolters.
69 LVPA )(
69a NVGATOR )( XI
A Firenze.
70 FORTVNATE )( XXII 11 Gori 7. E. I, p. 80, 233.
Nella collezione d' Ancona a Milano.
71 GAVDESNE )( XI
Questa potrebbe essere identica con la Depolettiaiia n. 49.
Nel museo di Vienna.
72 CINAEDVS )( VII ) ^ ,
/; } Sacken et Kenner p. 128.
73 AVDAX )( XXI )
Vienna, collezione Heckscher
74 MVLA )( VI ) Scholz Wiener numism. Zeitschrift 1893
75 LVPA )( XI ..L ) p. 15.
MISCELLANEA EPIGRAFICA 233
Neir antiquario di Monaco.
76 AKGutE )( XV Refnei- Rom. Bayern \}. 598. ARGiVE traditur
Nel museo di Berlino.
* 77 FVR )( ;//
78 ///// )( VI.. .L
79 /// )( II. .L
*
Parigi, Louvre.
80 VAPio )(v\n A.)Knehn(iVt}/onatsb.d.Berl.Akad.lS67,-p.l66.
81 BENIGNVS )( XX A.^
Londra, British Museum.
82 STVMACOSE )( .1 A. CLL. X, 8030, 15.
Proveniente clalla collezione W. Temple, forse d' origine Napoletana.
83 MALEST )( XX. II A. Huebiier 1. c. p. 767.
Tarragona, collezione Hernandez, ma provveniente dall'Italia.
84 FVR r// DE )( II ^ CLL. II, 4963, 2.
Ordinando adesso le tessere secondo i numeh segnativi, abbiamo lo specchio segiiente:
I |
nugator 32. |
||
II |
für 33 (77?). |
II |
A. für 23. 36. 84, |
n |
A. stumacose 78. |
||
in |
moice 1. |
in |
A. moice 46 |
IUI |
ehrlose 18. 58. 62. |
||
vapio 19. |
IUI |
A. vapio 27. |
|
gulo 16 |
|||
V |
— |
||
VI |
cunulinge 20 mula 47. 74. |
||
VII |
cinaidus 30. 72. ficose 53. patice 63. |
||
VIII |
patice 2. 44. 63. cunilinge 35. |
VIII A. vapio 37. 56. 60. 80.
234 |
CH. |
HUELSEN |
|
VTTTT |
vappa 3. |
||
X |
cunnio 38. |
||
XI |
trico 57. gaudesne 49. 71. |
||
facete 55. |
XT |
A. lupa 75. |
|
fatue 17 |
|||
nugator 69a |
|||
XII |
verecundie) 50. |
||
XII |
^ fuuco 39. (12 1 |
||
XIII |
vix rides 4. 28. |
||
XIIII |
moraris 5 vinose 45. |
||
XV |
argute 6. 61. 76. |
||
XVI |
lupa 64. |
||
xvn |
pernio; 7. 24. 31. 34. 68. fatue 54 (16 ? 65 ?) |
||
xvm |
8. |
||
XVIIII |
flr/jfla; 22. 40. 48. 51. |
||
XX |
gumia 66 |
||
XX |
^ benignus 8. 77, |
||
XXI |
gumia 41. audax 73. |
||
XXII |
impudes 52. |
||
XXIII |
woece 43. |
||
XXIIII |
fortunat{e) 67. 70. |
XXIII |
-1- malest 83. |
XXV |
/öcefö 25. 42. |
||
XXX |
amator 10. 43ä (?). 59. VEL 29. |
XXX |
jL benigne 21. |
LX |
felix 11. 26. |
A queste si debbono poi aggiungere due, nelle quali e ser- vato soltanto il motto senza il numero, cioe piger (13) e iube.. (15) mentre il n, 14 f^aceie rimane dubbio, perche occorre tanto con il rovescio XI quanto con XXV, e cosi pure il 69 lupa, che po- trebbe associarsi con le cifre XI e XVI. Finalmente le tessere 8. 78. 79 hanno conservato il numero solo, mentre i motti sono illeg- gibili (').
Chi ha sott' occhio la serie intera di queste tessere, facilmente converrä che le due spiegazioni finora proposte, che fossero cioe o
(') Ho escluso dal mio elenco una tessera veduta a Roma dal eh. Dressel: EXORAT )( im, la quäle si distingue dalle altre per essere scritta non sui lati opposti, raa su due lati vicini; la forma e alquanto differente.
MISCELLANEA EPIGRAFICA 235
biglietti teatrali ('), o tessere per sparsiones (-), non hanno bisogno di iina lunga coafutazione : invece avrä 1' iinpressione, che qiiesti oggettini siano istrumenti da giuoco. II fatto che nel sepolcro di Perugia una serie di sedici, tutti diversi fra loro, si e trovato insieme ad altri oggetti, pallottole di vetro e sassolini serviti cer- tamente per giuochi, mette tale supposizione fuori d' ogni dubbio. II eh. Gamiirrini nelle note aggiunte alla relazione sul ritrova- mento perugino {Notide 1887 pag. 398) ha subito riconosciuto questo : ed osserva anche con ragione, come ad un giuoco ben con- viene il fatto che i numeri inferiori per la maggior parte hanno
(*) II Mommsen {Berichte der sächs. Gesellschaft 1849 pag. 287. avendo sott'occhi soltanto Tapografo iniperfetto pubblicato da Gerhard (Bull, deirist. 1830 pag. 265) cvnv • i • in • x )( viii rinterpreto cuneo sexto in- feriore gradu decimo, loco octavo ; e questa congettura ha trovato 1' assenso di non pochi che depo hanno trattato delle antichitä teatrali (anche recen- temente del Blanchet, rev. arch. 1889, I, p. 232 ; ne ha dubitato il eh. Benu- dorf, Beiträge zur Kenntniss des attischen Theaters pag. 9 not. 2). Ormai non si metterä in dubbio. che non si tratta di altro che di un secondo esera- plare della tessera 20, forse con Variante nella cifra. L'asserzione che la tes- sera di Frosinone sia trovata nell' anfiteatro, h assai sospetta; io credo che sia inventata in seguito alla spiegazione generalmente accettata di queste t6s- sere. Similmente lu da molti detto che le due tessere rotonde p. 239 n. 5 e p. 243 n. 47 fossero trovate nel teatro di Pompei : loche, come osserva l'O- verbeck {Pompei, ed. 2, p. 160) e assolutamente impossibile, perche esse fu- rono giä pubblicate parecchi anni prima che si scavasse il detto teatro.
(2) Questa ipotesi fu proposta dal eh. Henzen (Annali deH'Ist. 1848 pag. 286), il quäle volle interpretare la nota x con alimenta ; egli ad- duce per prova la tessera Napoletana 21: benigne • pr • dat • )( xxx A^ NT . in . VIR riferibile, come egli suppose, a qualche munificenza di un pretore. Ma un esame attento della tessera mi ha mostrato con ogni certezza che la sua iscrizione e interpolata da mano moderna. Di an- tico non c' e altro che le parole benigne )( xxx^. II falsario moderno, prendendo la sigla A. per un semplice A, forse ha pensato ad una fräse come benigne p {opulo) R{omano) d{at) Ant{onius) Illvir: la falsifica- zione chiaramente apparisce nella forma del P e dell' R; Le tessere per le sparsiones n«i muuicipi e molto piü nella capitale, ove ne abbisognavano migliaia e migliaia, erano senza dubbio o fuse (come la tessera di piombo per una frumentatio nella Minucia, presso Garrucci piombi tav. III n. 7 ; cfr. Hirsohfeld Vervo. -Gesch. 139), oppure di legno con note dipinte (i acpalgia ^vhya di Cassio Dione 66,25). Tessere del genere nostro richiedevano giä per la loro fabbricazione una certa spesa, che sarebbe statu irragionevole togliere alla munificenza destinata al popolo.
236 CH. HUELSEN
voci ingiuriose {^), mentre ai maggiori sono associate appellazioni di buono augiirio.
Ma quäle sarä il giuoco, cui haniio appartenuto le tes- sere ? II eh. Gamurrini pensa ad una specie di lotteria, ove i sin- goli bastoncini fossero posti in un' urna, e poi estratti ; oppure ad « un giuoco simile alle nostre carte, ende la maggiore pren- desse la minore con certe date regole ". Forse un poco piü di luce ci viene dal paragone di una tessera di metallo, il cui unico esemplare, giä appartenuto al medagliere Estense, ora si conserva nel museo di Parigi (io ne ho potuto esaminare una im- pronta in zolfo nel museo di Berlino). Sopra un lato vi e la cifra XIII entro una Corona: sull' altro, due figure assise sopra sgabelli e tenenti sui ginocchi una tavola lusoria con degli scac- chi. L'uno dei giuocatori tocca con la destra un pezzo per fare un tiro ; 1' altro alza la destra con un gesto, come pare, di emo- zione o sorpresa. Di sopra e scritto: MORA(-).Il sig. Becq de Foucquieres, nella sua pregevole opera les jeiux des aiiciens (2* ed. Paris 1873, pag. 497) ha giustamente rilevato che mora e morari sono termini tecnici in uno dei giuochi piii favoriti del- r antichitä, il ludus latrimculorum. Lo scopo principale in questo era d' inchiudere un pezzo dell' avversario fra due dei propri ; e di ridurla ad incitum: dei pezzo aggredito si diceva moratur, subit moras, e la parola mora aveva un significato simile a quello di scacco nel giuoco raoderno. La tessera di bronzo duuque, senza dubbio, apparteneva in qualche modo al ludus latrimculorum, forse per segnare i punti vinti. Sarä un caso che la cifra quasi
(1) Sebbene questa regola non e senza eccezione ; v. i n. xxi gumia e XXIII impudens.'Nb si puo credere (come vuole il Gamurrini) che le sedici tessere perugine rappresentassero il giuoco intero: pare invece che la serie si componesse alraeno dei numeri i-xxv senza interruzione (sarä un caso che finora non sono venuti fuori ne il v ne il xxiv), ai quali si aggiunge il XXX e il Lx.
(2) Cosi leggono gli editori parigini (Ch. Lenormant Iconographie des empereurs romains pl. X, 4; Cohen Jlf^dailles imperiales ed. 2'' tom. VI pag. 266 n. 5). SulF impronta in zolfo, dopo I'a finale, si vedono tracce in- certe; ma soltanto una revisione dell' originale potrebbe decidere, se vi sia stato MORARis, 0 se si tratti di lesioni casuali.
MISCELLANEA EPIGRAKICA 237
identica(') si tro^a pure su imo dei nostri bastoncini segnati col motto MORARIS? lo non lo credo. sebbeiie non posso spiegare con certezza, in quäle maniera servissero queste niarche da giuoco. Ma finanche 1' esistenza di due serie diverse, l'una con la cifra semplice, 1' altra con 1' aggiunta nella sigla jl mi pare additi un giuoco fra due avversari (■').
(1) Non mancano esempi, che l'istessa voce si trova associata con nu- meri diversi, in parte continui ; dal nostro elenco rilevo
pattce |
VII |
e |
VIII |
|
cunilinge |
VI |
e |
VIII |
|
gumia |
XX |
e |
XXI |
|
piü lontani fra loro |
sono |
|||
ynoice |
III |
e |
XXI II |
|
vapio |
IUI |
e |
VIII |
|
lupa |
XI |
e |
XVI |
|
fatue |
XI |
e |
XVII |
|
facete |
XI |
e |
XXV |
|
beniqm |
[m-e) |
XX |
e |
XXX |
sc pure i numeri dei differenti esemplari sono letti bene.
(2) Non posso fare a meno di toccar qui con poche parole una classe di tessere, clie per ragioni ben manifeste restano quasi sempre escluse dalla discussione. La tessera cosi ben spiegata dal Becq de Foucquieres si trovava nel gabinetto di Parigi fra le cosidette spintriae: i numismatici furono condotti a questa classificazione non per la rappresentanza stessa, che certa- mente non ha niente di erotico, ma per la perfetta somiglianza di grandezza ed esecuzione, che esiste fra questa e le medaglie con soggetti osceni. Anche queste ultime portano sul rovescio numeri dal i-xvi e poi xxix (Eckhel D. N. VIII p. ;315) ; oltre alle cifre semplici vi sono altre con 1' aggiunta di un A (Eckhel cita A • XVI ' dal gabinetto di Waldeck ' ; il catalogo dei Museo Theupoli I pag. 391-395 annovera tessere di questo genere con A • I, A • II, A • VIII, A- xvi). Cifre precedute da un' a non mancano in altre tessere, che neanche si possono annoverare fra le spintrie ; p. es. Cohen VI pag. 265 n. 3: SiUne assis sur un dne qui marche ä droite et tenant un thyrse )( a • i cians un grenetis ; ivi 266 n. 7 ; deux enfants nus, jouani dans une baignoire )( a • xv, e n. 8: meme type )( a • xvi, dans un grenetis. Dunque, come fra le tessere di osso non si possono separare quelle con voci oneste dalle oscene, cosi anche fra le tessere di metallo debbono avere esistite Serie con rappresentanze in parte generiche o mitologiche, in parte erotiche. Tutte quante stanno in relazione con i giuochi antichi, e non si debbono con- siderare isolate, ma paragonarsi con le tessere figurate e scritte, in avorio ed osso. Recentemente il eh. Fr. Gnecchi (Rivista numismatica italiana VIII, 1895 pag. 31-51) ha esposto teorie simili sopra i contorniati. Egli propone di chia- marli ' medaglie da giuoco ' e crede che abbiano fatto appunto rufficiodellc
238
CH. HCELSEN
2. Di un secondo genere di tessere si e occupato specialniente il sig. Blanchet: sono quelle di forma rotonda, del diametro di tre cm. incirca, che portano da un lato una figura (divinitä, ma- schere, editizi) e dall" altro un nome con 1' aggiunta di due cifre identiche, 1' una latina, 1' altra greca. La raccolta del sig. Blanchet ne fornisce un elenco ricchissimo ; perö alcuni gli sono sfuggite, come quelle pubblicate dal Benodorf {Beiträge zur Kenntnis.^ des attischeii Theaters; Zeitschr. für österr. Gymn. XXVI, 1875) e dal Mommsen ( C. L L. X pag. 949) ; altre ne ha aggiunto il sig. Graillot nel lavoro sopra citato. II Blanchet poi ha ricevuto nel suo catalogo alcune che non appartengono strettamente alla medesima categoria ('); infine, non sempre si rileva bene quanti esemplari di ogni tipo esistano. Quindi non ho reputato inutile di annoverare sommariamente le tessere credute teatrali, disponendole secondo 1' ordine alfabetico. — La nota B si riferisce alla raccolta del Blanchet, K all' elenco del Kaibel I. G. L p. 620 n. 2414, Gr. all' articolo del Graillot Melanges de l'ecole fraagaise, 1896, p. 299 sg.
1. coli. Tolley
2. presso Saulini
serpens cum grandi capite humano
similis
3. Parigi, Bibl. nazio- fratrum gemello- nale, forse trovata a rum imago, inter Porapei (?) quos palma
VII AFAeOCAM B. 1 ; K. lö z
AFAGOCA B. 1 ; K. U(2)
X
AA6A4>0 B. 2 ; K. 2
1
nostre carte. La sua spiegazione, conferraata da non poche prove razionali e tecniche, mi pare la piii soddisfacente di tutte le emesse finora. Sono pienaraente d'accordo anche con quanto egli scrive (pag. 41): ' abbiamo giä perduta la nozione di parecchi giuochi del secolo scorso, dei quali pure ci rimangono tutti gli attrezzi, che ora per noi sono lettera raorta; come probabilmente fra un secolo rimarranno una specie d'indovinelli per i nostri posteri le carte 0 le marche di niolti giuochi, che ora si fanno in societä. Quäle meraviglia dunque che si sia perduta ogni memoria di giuochi, che erano in uso or fanno quindici secoli? '.
(1) Sono i numeri Bl. 27 (busto di Toth senza iscrizione), 48 (testa di don- na, rov. HAI, senza numeri), 73 (wom de la ville de Xo'is, senza numeri).
(2) Anche in questo esemplare non saranno mancati i numeri vii e z, sebbene il Brunn non ne faccia menzione.
MISCELLANEA EPIGRAFICA
239
4. museo di Napoli, Borfifiana
5. museo di Napoli, trov. a Pompei
6. trov. a Pompei ora perduta ?
7. coli. Kestner
7a. Atene, Museo na- zionale, gia coli. Di- mitriu
8. British Museum
9. Parigi, Bibl. nazio- nale.
persona cui galea imposita est
aedificium turri- tum cum porta a- perta et scalis
typ US similis
aedificium turri- tum simile, cuius porta clausa est
protome barbata dextrorsum
templum tetrasty- lum
templum tetrasty- lum
VIII
A0HNA
H
Z
XII
AICXYAOY
IB
XIII AICXYAOY
ir XI i
AICXYAOY IB
XV
AAKMAN
le
III
AACOC
r (III
«JACOC
' r
B. 3; K. 3
B. 52; K. 4 B. 52 ; K. 6 (1)
B. 53 ; K. 5
inedita, comuni- catami dal eh. Wolters.
B. 61; K. 7(2) B. 61 ; K. 8
(1) Questa h pubblicata in modo poco esatto dal Fiorelli, scavi di Pompei 1861-72 p. 91 : « (una tessera) con in | aicxyaoy | ir, e dalFaltra parte vi «. I numeri sbagliati ed il rovescio non corrispondente hanno fatto nascere dubbi al Mommsen (C. I. L. X, 8069 3): ma il rovescio h congiunto con 1' antica sol- tanto per negligenza, mentre in realtä appartiene alla tessera sopra p. 229 n. 20. E della lezione ci assicura V Overbeck, il quäle nella seconda edizione della sua Pompeji (p. 161) ne parla come testimonio oculare: ' In dem Helm eines Gladiators, der die drei Zimmerchen des Erkers der Casa del balcone pen- sile bewohnt zu haben schei?it, fand man zwei tesserae, die jetzt in dem kleinen Localmuseum im Direktorialgebäude in Pompeji aufbewahrt werden. Die eine derselben hat auf der Vorderseite eine der eben mitgetheilten (n. 5) ähnliche Ansicht und auf der Kehrseite ebenfalls den Namen des Aeschylus, aber mit den Zahlzeichen x'ii und ir statt xii und ib; die ziceite zeigt ein Stück Amphitheater auf der Vorderseite und hat auf dem Revers EYPOAOXOY mit den Zahlzeichen u und s '.
(2) II sig. dott. RostovzeiF mi cita una tessera di piombo inedita, da lui veduta nel museo di Marsiglia, che da una parte ha un tronco di albero, dal- r altra V iscrizione Sal I tvs.
240
CH. HUELSEN
lO.pressoR. Fabretti(') caput laureaium ora perduta
11. ' acquise a Rennes'' protome Apollinis
presso il sig. Blanchet vestiti, a d. lyra
12. cuUezioiie Kestner protome Martis ga-
leati
18. British Museum protome Martis ga-
leati
14. giä presso G. B. Vi- protome Martis ga- sconti, ora a Madrid leati
15. trov. a Beyrut, ora protome Harpocra- Parigi, Bibl. iiazio- tis
nale
16. British Museum
protome viri bar- bati
17. Louvre, giä coli. protome Veneris Campana (2)
18. collezione Kestner protome iuvenis
19. museo di Berlino
protome viri bar- bati
20. coli. P^retie a Bey- arae duae rut
VIII
AnOAAUJN
H
X
AnOAAtuN I
VII
APHC
Z
VII
APHC
Z
XIIII
APHC
I A
XIIII
APnoxPA
lA
II
AP<t>OXPA B C
VIII
A*POAITH
H
Villi
A X A I C
0
■/IUI
BAXYAOC 0
VI
bDmoi
B. 4; K. 10
B. 5
B. 6; K. 11
B. 7
B. 8; K. 12
B. 9
B. 28
B. 10
B. 29 ; K. 13
B. 30 ; K. 14
B. 62
(') Agli epigrafisti greci pare sia sfuggita 1' osservazione che le nume- rose iscrizioni riferite dal Fabretti nel suo libro e segnate cou cifre romane, tutte facevano parte della sua collezione. Tanto il Corpus Inscr. Graec. quanto il Kaibelle riproducono come di provenienza ignota, mentre gli originali, alraeno in parte, esistono ancora con le altre Fabrettiane nel palazzo ducale di Urbino.
(2) Di questa tessera e delle due n. 44 e 79 si trova un disegno presso l'Iätituto, con rindicazione 'nel museo Campana \
MISCEM.ANEA KPIGRAFICA
241
21. British Museum
22. Parigi, Bibl. nazio- nale
protome tuvenis protome
II TAic B. 31 ; K. 15
B
ii:
23. coli. Martinetti protome imberhis
24. coli. Martinetti
25. raus. diNapolijBor- giana
26. trov. presse Roma
27. collezione Kestner
28. British Museum
29. British Museum
30. coli. Älartinetti
31. coli. Martinetti
intra coronam protome barhata
intra coronam
AIA
r A I oc |
B. 32 |
|
r |
||
VI |
||
FAYRTH |
Gr. 1 |
|
Ci |
||
XIIII lA |
Gr. 7 |
|
XIII |
||
AAMAC |
B. 33 ; K. |
16 |
ir |
||
XIIII lA |
B. 12b |
XIII
protome imberbis AiAroPAC B. 34 ; K. 17
ir
VII \ii protome imberbis Aio.NY|(r B. 35 ; K. 18
0 I
VI in protome imberbis aiony"' B. 36
0
vir et mulier con- cumbentes
protome diadema- ta imberbis
32. coli. Martinetti similis
II
6IC TO TONY Gr. 15 B
VII
eiCAC B. 363; Gr. 2
I
Villi /
6 i c A cj Gr. 3 (1)
(1) La lezione delle cifre c dubbia in ambedue gli esemplari di questa tessera. Nel n. 31 si aspetterebbe vii — z, nel 32 viii — H. Ma il Graillot as- serisce che ü piccolo vestigio di cifra greca, che a prima vista sembra di un H, si deve prendere piuttosto per una B di forma quadrata.
16
242
CH. HUELSEN
33. trovata nella villa aedificia Altieri
im
€AeYC6IN B. 68
A
34. coli. 3Iartinetti aedißcium cuius
porta clausa est
GASYCIN Gr. 9
6
34ß. collez. Bourgui- turres ant aedi-
gnon, trov. a Capua ficia
35. mus. di Napoli, Bor- aedificii ianua giana
eA€YCIN'OIN K. 19 6
VII
evciN B. 68'; K. 20
z
36. trov. nella campa- Corona lemniscata x
gna di Roma, coli. eniAA*Nic B. 70; K. 21
Kestner '
37. British Museum protome Eratus
VI
6PATU; B, 11; K. 22
c
38. Napoli, collezione protome Bourguignon
XIIII
6 p M A C K. 24
lA
39. museo di Napoli protome iuvenis
40. trovata a Pompei protome iuvenis
41. trov. a Pompei pars aedificii te-
studine tecta
42. British Museum pars muri
VI
ePMHC K. 23
C
XIII
ePMHC
ir
II
eVPOAOXOY B
II
Sogliano Aot. d. scavi 1890,357; Eph. ep. Vm,
808.
Overbeck Pom- pei, ed. 2 p. 161 (v. p. 239 not. 1); K. 26a
6YPOAOXO B. 56 ; K. 2Qb
B Y
43. trov. ad Alessandria nescio quid carbi ii Y
d'Egitto, coli, de Me- simile nasce
eYPOAOxo B. 56^
B
MISCELLANEA EPIGRAFICA
243
44. Louvre, giä coli. Campana
45. British Museum
46. coli. Kestner
47. trov. a Pompei, mus. dl Napoli
48. museo di Parma, si dice trovata a Pom- pei (?)
49. mus. di Monaco, giä collez. Dodwell
50. biblioteca di Ra- venna
51. coli. Martinetti
52. Louvre
protome Jovis
protome Solls ra- diata
similis
cavea theatri
V Z6YC B. 13
e
II
HAioc B. 15; K. 28
B
VIII
HAIOC B. 14; K. 29
H
XI
HMIKYKAIA B. 54 ; K. 30 lA
aeclificium cum xi
porta semiaperta imikykaia B. 55 ; K. 31 (')
lA
V
H p A B. 16 ; K. 32
e
I
HPAKAHC B. 17
A
Villi
iBicoN/ Gr. 30 ©
villi
porta semiclusa / b i c o n B. 59 ; K. 60
e
protome lunonis
protome Herculis
aedificium turri- tum
53. a Madrid, ma d'o- rigine italiana
pars ampkitheatri
XII
l E P O N
IB
B. 60; K.p. 707 32a (2)
54. British Museum protome hidis
IUI
IC IC B. 18
(^) Debbo una copia esatta di quest' esemplare al eh. Schreiber : gli fu asserito a Parma, che la tessera provenisse da Veleia.
(2) Siccome le lettere di mezzo sono di lezione molto incerta, forse si tratta di un terzo esemplare delle precedenti con ibicon. — A destra del- r iscrizione e graffito leggermente riiTR, forse ilnomediun qualche possessore.
244
CH. HU ELSEN
55. trov. a Pompei protome vitiata
XI
KACTViJP K. 33
lA
56. giä presso R. Fa- protome Castoris bretti
57. LouTxe, giä colle- protome vetulae zione di Carlo X mitratae
58. Perugia, coli. Guar- protome mulieris dabassi
59. coli. Kestuer
protome Proserpi- nae
XII
KACTWP B. 19: K. 34
IB
V
K I A
6
VI
KOPH
G
XV
KOPHl
IE
B. 50 ; K. 35 (i)
B. 20
B. 21 ; K. 36
60. Parigi, Bibl. nazio- protome vin nale
61. trov. nella campa- protome imberbis gna di Ptoma
62. coli. Peretiö a Bey- ;jerso?i« comica rut
63. coli. Castellani aries zodiad
64. coli. V. Gonzenbach protome Saturni a Srairua
65. museo di Monaco, protome barbata giä coli. Dodwell
I
KAICAP A
II
KAlCAP
B
III KPIOC
r xin
KPONOC
ir
VI
B. 37
B. 37i
VII KOPMINH B. 38
z
B. 67
Benudorf Beitr. zur Kenntnis des att. Theat. tav. 1
K T 7/ C I 4> u) N B. 39 ; K. 37 ) (
(') La tessera ora e rotta, e iiel v. 2 si vede soltanto |ia. L' ultima let- tera fu letta A dal Wieseler, ma il Blancbet asserisce che realniente e un' a.
MISCELLAUEA EPIGRAFICA
66. Napoli, coli. Bour- turris, in qua se- guignon, trov. a Ca- cht figura; croco-
245
pua.
dilus ; plantae vel flores
67. British Museum caput barbatum
taenia cinctum
68. mus. dl Napoli caput mulieris
kyamüJn K. 38 I
11 AHNAIC B. 40; K. 39
B
IUI A I B I A K. 40
69. British Museum Musae duae
70. Parigi, Bibl. naz. protome imberbis portata da Eoma
VI
MOYCAI
0
Q II
B. 22 ; K. 41
NA"ic B. 41 ; K. 42
71. coli. Pe'retiö a Bey- spina hippodromi im
ri't cum obelisco et nikohoaic B. 74
sphinge a
II
72. British Museum corona lemniscata OAYwni« B. 69 ; K. 44
B
73. di provenienza in- intra coronam certa haNa
0HNA lA
XV 16
B. 72 ; K. 45
74. coli. Pöretie a Bey- porta rut
75. coli. Martinetti protome barbata
76. giä coli. Piot, ora protome viri coli. Froehner
I
n;//AHOC B. 57
A
villi nAniAC Gr. 6
e
IUI
nAPATTJ^riWA B. 65; K. 46
A
villi
77. coli. P^reti^ a Bey- navis velis expan- rut sis nAPAnAOYC B. 66
0
246
CH. HUELSEN
78. giä coli. Depoletti protome mulieris
velatae
XIIll
n I c T
lA
B. 23
79. Louvre, gfiä nel mu- mulus cliteilas
seo Campana.
portans ?
XllII nT€P A
lA
B.63(cfr.p.257); K. 48.
80. Louvre, giä coli, di aedificium Carlo X
81. coli. Kestner
simile
82. giä presso E. Fa- intra coronam bretti, ora a Parigi, nye
Biblioteca nazionale ia
XIIII nT6 P A
lA
XI i i
TlT EQCl
II
B. 64; K. 47
Henzen, Jllon. delV Ist. IV, tav. LH, n. 16 (0
B. 71 ; K. 49 (2)
83. museo di Napoli ianua ex parte pa-
tens
84. British Museum similis
85. British Museum ornamentum capi- tis aegyptium
86. Museo di Napoli, persona ridicula Borgiana
nVAH |
B. |
58; |
K. |
50a |
A |
||||
I |
||||
nVAH |
B. |
58; |
K. |
50i |
A |
||||
vjw |
||||
/Tanoyc cepAnic |
B. |
25; |
K. |
52 |
z |
||||
XV |
||||
CIMH |
B. |
42; |
K. |
51 |
16 |
(') Sebbene 1' iscrizione di questa tessera e quasi distrutta, la rappre- sentauza molto caratteristica dell' altra parte non lascia dubbio che si tratti di un'altra copia del tipo precedente. Del resto dubito assai die vi sia effi- giato, come crede 1' Henzen, un mulo portante le some, e credtrei piuttosto doverla spiegare per un edifizio, una porta con due piloni, per la qualo passa il somaro.
(2) L' asserzione del Wieseler, che un altro esemplare di questa tessera esista nel British Museum, sarä erronea: certamente lo Huebner non l'ha ivi ritrovata {Monatsber. der Berl. Akad. 1867 p. 769).
MISCELLANEA. EPIGRAFICA
247
87. coli. Castellani
88. coli. Tyszkiewicz
vir navi vectus . ar
VIII i
HCixoPOC B. 44 ©
villi
cranium mortui «Thcixopoc B. 45 ; K. 53
©
89. British Museum protome viri
90. coli. Martinetti
vir ithyphallicus dextrorsum cur-
rens
91. coli. P^retie aBey- vir vestitus, bra- rut r.hium dexterum
tollens
92. coli. V. Gonzenbach protome viri im- a Smirne berbis
93. Napoli, coli. Bour- mulier in lecto re- guignon, trov. a Poz- cumbens
zuoli
XII |
|
TPY4>U:/N |
B. 46 ; K. 54 |
IB |
|
Villi |
|
*AMOAHC |
Gr. 5 (') |
© |
|
VIII |
|
<t>AIWOAHC |
B. 43 (1) |
H |
|
XIII \ |
Benndorf, Beitr. |
<t = A I J»! |
zur Kenntnis des |
ir \ |
att. Theat. tav. I |
IUI |
|
;f6AIAwN |
K. 55 |
94. Louvre
XI
protome vetulae xgaiaonin B. 47 ; K. 56
lA
95. gia coli. Tolley caput barbatum
taenia cinctum
B. 49 ; K. 58
(1) La lezione di queste due tessere uon e esente da dubbi. II Graillot suir esemplare Martinetti riconobbe oamoahc o oamoahc, e volle leggere eAMOAHC. La tessera di Beyrut fu letta nAMOAHC dai sigg. Beaudouin e Pottier Bull, de corr. helUnique 1879 p. 270, che lo dicono rotto in parecchi pezzi. II Blanchet aggiunge ' Albert Dumont (de plumbeis Graec. tesseris) dit avoir vu dans la meme collection en 1868 une tessere avec vin-<t>AMOAHC-H et un thMtre ; il s'agit probablement du mSme monument, malgri les diff4- rences de d^scription et de lecture \ Convengo col Blanchet per quest' ultimo : soltanto dal confronto della tessera Martinetti rilevo che la lezione del Du- mont sia piü esatta dell' altra.
248
CH. HUELSEN
96. Parigi, Bibl. nazion. pars sceletri
97. Museo di St. Ger- protome diadema- main, trov. a Vaison te Aegyptio ornatu
98. presso Caylus ? protome feminae
^Toc B. 51; K. 59
I
null
A
X ,'C/lL>C
//(
B. 26(1)
B. 12; K. 25
Anche di questa classe aggiungo iino specchio disposto secoüdo le cifre.
I. 'HQaxXTJs 50 KtclaciQ 60 ....cüro?96 .... 97
II. \4Q(foxQ(ig \Q r«tV21 "HXiog 45 KmauQ 61 ^Oiivvnia 72 Tl6»ia 82
ni. ':<4X(To?8.9 r«'to?22
IV. ^E^erffftVit«) 33 7(jf?54 JIuQÜnrjY^u 76 Xj^AtcJüii/ 93
V. 'EA£wtV(tß) 34.34a Zei;'? 44
VI. Bw.uot 20 TXvnxri 23 JiCo^»7 58 Kr7]airpwy 65
VII. 'AyaS-og duiucoy "-^Qt/5 12. 13
1(2?)
n. .. Xtjog 74 nvXi] 83. 84
E<V ^0 yöyv 30 Evqo'aöxov 41. 42. 43 Ar}vaig 67 AV^w? 70
ATpto'? 63 Aißia 68
Sixönohg 71
"Hpa 49 ä:*« 57
'Eparw 37 'EQfiijg 39 .VoiJffwt ^69
'EAJf ufftV^t«) 35 £<'ffa?31
lEQunig 85 'AnöXXüiy 10
Bu)(v'Aog 19 Jlaniag 75
^AnÖAXoiv 11
KoQfiiir] 62
VIII. !^^??»'« 4 ^auoXrjg 91
IX. '.^/W?18 7j3Kroy 51. 52
^ufxoXrjg 90
X. 'A(f6X(poi 3 ... w? 98
XI. 'HfxtxvxXiu 47. 48 KiiaxwQ 55
XII. ^tV/JXow 5. 7 7epoV53 Xin. ^tV/wAoü 6
X^^örof 64 XIV.'.4()»j<: 14
niartg 78 XV. 'AXxfiäula . . . xovg 95
^icpQodiT't] 17 "HXiog 46
Jtoi/rff. . . 28. 29 E»<r«? 32
JIuQÜTx'/.ovg 77 IxTjaixoQog 87. 88
'Enidcecpyig 36 Kvufxfäv 66
XeAKJoVt(o)>' 94
Käarwg 56 TQvcpnjy 89
Jäuag 25 JiuyÖQcig 27 'EQf^TJg 40
*tAt;/ . . 92
'^(»Tro;^ pa(TJ??)15 rvuy(i{auc ?) 24 'EQ/ncig 38
Jlrep« 79. 80. 81 jr« 26
Ko'p»; 59 Jluyad^iqycaa 73 2't,uj; 86
(1) /Z we resfe ;)as c?e irßces o?e T inscription, car la tessere est tres- abira6e, mais il est probable qu" il y avait un nom de divinite. Blakchet.
MISCEI.LANEA. EPIGRAFICA 249
Coloro che credono che queste tessere abbiano servito come biglietti d' ingresso ai giuochi scenici, lo provano sopra tutto dai soggetti raffigurativi. Le maschere sceniche, i ritratti di poeti. le imagini di teatri, aufiteatri e circhi, secondo qiiesti autori, le dimostrano chiaramente oggetti di uso teatrale. Ma siccome queste raffigurazioni, sebbene numerose, nou formano nemmeno la maggioranza, le altre sono state considerate come emblemi dei singoli ciiiiei, nei quali la cavea fu divisa (')• Nel teatro di Sira- cusa esistono ancora le iscrizioni indicanti la xsqxIc di Giove Olimpio, di Ercole. del re lerone, della regina Pilistide ; nel teatro di Dio- nisio ad Atene, i tredici cutiei erano suddivisi secondo le |;Ä///rt6; nei teatri di Roma esistette un ciuieus detto Gennaiiici. Ma anche cosi restano molte denominazioni assai strane. Si capisce un cuneus detto di Gaio, di Livia, di Cesare (sebbene giä e sospetto di non trovare piü nomi derivati dalla famiglia imperiale in monumenti che per la maggior parte senza dubbio appartengono ai primi secoli del- r era nostra), di Castore, di Apolline e magari dell'Agathodaemon ed Arpocrate. Ma come si spiega iina xeoxk Tiuoctnlov, o (yif^ii]c, o TTTSQüiv, 0 xvafxcövog? come credere, che la denominazione delle TiTSQci sia stata usata in tre teatri diversi? Chi crederä vero- simile che il nome di Eurolochos abbia designato un cuneo nei teatri d' Alessandria e di Pompei ? o che il nome oscuro di (2>«/iöA/;c sia stato adibito nel teatro di Berytos ed in qiialche municipio dei dintorni di Roma? Dunque ne i nomi ne le iscrizioni militano in favore della tesi generalmente accettata : ed essa viene rigettata addirittura, come mi sembra, dai numeri.
I numeri suUe tessere ammontano tino a quindici: e non vi e una sensibile difterenza fra esemplari con cifre basse e cifre alte. Ora il numero di quindici cuiiei e enorme: nei maggiori teatri, tanto greci quanto romani, non si trovano mai piü di tredici, almeno
(*) Una categoria per la qualc questa spiegazione e inainmissibile, sono le tessere oscene (sopra n. 30; catal. del miiseo Borgiano p. 427, n. 17; Heibig Bull, deirist. 1882 p. 6): queste si spiegano come biglietti d' ingresso in qualche tioqveTov. Ma giä il fatto, che gli esemplari di questo genere si di- stinguono per la loro esecuzione molto accurata, dimostra che non possono essere stati roba delle quadrantariae della Subura, ma invece oggetti da lusso destinati a giuocatori ricchi che si dilettavano di siifatta merce.
250 CH. HUELSEN
nelle parti infehori della cavea ('). Ed a questi bisogna restringere l'uso delle tessere anche secondo TopiDione finora accettata, perche, come giustamente osserva il Benndorf, la fabbricazione di esse e troppo costosa per crederle adoperate per tutto il pubblico : invece si deve supporre che fossero riservate ai pochi personaggi ragguar- devoli che avevano il diritto della proedria.
Ma se il numero di quindici e troppo grande per designare la divisione di un teatro, esso si collega perfettamente con la destina- zione che io ritengo per piü probabile: perche nno dei giuochi piü fa- voriti deir epoca imperiale, il ludus diiodecim scriptorum {nerteia) si giuocava con quindici pezzi, simili alle nostre damiere (v. Becq de Foucqiiieres p. 357 sgg.). Che bene a tale uso convengano le tessere rotonde di avorio e di osso, non v' ha bisogno di dimo- strarlo lungamente : e se un caso fortunato ne avesse portata alla luce una grande serie, come per le tessere lunghe quella sopra mento- vata di Perugia, nessuno credo dubiterebbe piü della vera natura di questi oggettini. Ma disgraziatamente per le tessere nostre finora mancano tali serie. Non perö sarä superfluo di rammentare alcuni ritrovamenti di tessere simili, ma senza parole o rappresentanze figurate. In una tomba di Rugge sono stati trovati quindici dischi rotondi di osso (diam. mill. 0,24, spessore mill. 2), portanti le cifre
I XV
greche e latine, all' . fino al j^ (Barnabei notizie degli scavi
1886 p. 240). Qui il numero mi pare escluda ogni dubbio che si tratti del medesimo giuoco (-). — Meno completo, ma non meno
C) Nel teatro di Siracusa e conservata ancora la divisione e finanche i nomi dei cunei (Serradifalco ant. tom. IV, p. 137, tav. XX; Kaibel 7. G. I. 3): essi sono in numero di nove. A Roma abbiamo una sola certa indicazione di cunei, ma e riferibile all' anfiteatro : dall' iscrizione degli Arvali C. I. L. VI 2059 (V. le mie osservazioni nel Bull, comun. 1894 p. 312 sg.) si rileva, che nel Colosseo il maenianum secundum fu diviso in sedici cunei. Se questa cifra corrisponde ad un edifizio rotondo, il piü enorme di tutti i conosciuti, come si pu»j credere che per teatri di cittä piü piccoli sia stata frequente la divi- sione in quindici cunei?
(2) Lascio da parte un ritrovamento fatto circa il 1600 presso Oderzo, ove furono ritrovate ' molte lamine di rame, rinchiuse in un vaso quadrato di bronzo . . . recavano tutte scolpita la lettera P da un lato, e vari numeri Ro- mani, non maggiori di XV, dalFaltro ' (Mantovani Museo Opitergino p. 125; C. I. L. V 8123, 1.3). Bisognerebbe avere sott'occhio gli originali per deci- dore se anche qui si tratti di tessere lusorie, oppure, come sospetta 1' editore, di exagia o pondera.
MISCELLANEA EPIGRAFICA 251
degQo di attenzione, e un secondo ritrovamento fatto iu Atene uel 1866. Ivi scavandosi le fondamenta del palazzo della Banca, fiirono scoperti ima stele iscritta ^ioqy^] IJuik/ü.ov e diie sar- cofaghi lisci, il tutto forse appartenente al secondo secolo d. Cr, Insieme ai sarcofaghi e dentro di essi vennero alla luce oggetti d' oro, UDO specchio, alciine pissidi d' argento, un rilievo in osso, un caiiieo, degli astragali di osso, e intine sopia un disco d' argento (diam. circa 0,22) di forma particolare, dodici oggettini di osso segnati con i uumeri roinani I a XII (Conze arckaeol. Anzeiger 1866 p. 184). Lo Schoene, che ebbe occasione di esaminare nove di questi ossicini (con i numeri I IUI VI VIII [2 es.] Villi X XII), asserisce che lianuo la forma di oche o polli spiumati e corrispon- dono perfettamente a quelle ritrovate a Pompei ( Griechische Reließ aus athenischea Sammliuigen p. 69). Delle ventidue Pompeiane, dieci furono trovate ' a sinistra del vicolo di Augusto, nella terza dietrobottega in seguito alla seconda casa' {Giornale degli scavi di Pompei NS. II, 1872 p. 287); esse portano tutti numeri diversi cioe (secondo il Dressel C. I. L. X, 8069, 46-55) I II IUI VII VIII Villi X XI XIII XIV; anche gli altri dodici serbati nel museo di Napoli, e due ivi nella collezione Bourguignon, non hanno numeri superiori al XV, — Nel museo di Napoli si conservano anche dieci piccole anitre di terracotta ('), che portano i numeri I III IV V VII X XI XIII XV, ed oltracciö una che invece del numero porta una palma. Queste (come altre simili, in forma di lepri, pesci ed altri animali : se ne veda im catalcgo sommario in Blanchet Revue archöol. 1889, II p. 248) tinora furono classi- ticate come tesserae convivales (Henzen annali 1848 p. 285). Ma il trovare riunite parecchie volte ' mazzi ' di queste tessere, sempre non eccedenti il numero di quindici, fa sospettare che anche qui si tratti di pezzi destinati a qualche giuoco. Inline anche le iscri- zioni greche e la numerazione greca e romana bene si addice a questo scopo, perche naturalmente i fabbricanti di tale merce dove- vano provvedere a compratori nell'una e nell' altra parte dell'impero,
(') La differeiiza del materiale non osta; abbiamo p. es. anche una tes- sera rjtonda di terracotta, affatto siniile a quelle sopra descritte di osso, avente da una parte la testa di Apolline, dall' altra xiii | ahgaaCjün | ir (Vienna, raccolta Windischofrätz ; I. Scholz, Wiener numismatische Zeitschrift 1893 p. 16).
252 CH. HUELSEN
Si potrebbe opporre alla iiostra spiegazione, che nel ludm duodecim scri^Horum singoli pezzi, secondo 1' opinione generale, avevano uii valore eguale fra loro. Ma qiiesto in primo luogo non esclude che fossero numerate ; e poi chi ei assicura che oltre alla forma piü comune del giuoco non ne esistesse una moditicazioni, in cui i pezzi avessero valori differenti ? E tanto scarso quello che sap- piamo sui giuochi antichi, che sarebbe ardito 11 negarlo soltanto perche finora milla se n' e riconosciuto. Basta per ora stabilire che le tessere dette alimentarie e teatrali hanno servito come stru- menti da giuoco, e sono da considerarsi in connesso con altri mo- numentini, in parte simili per la materia, in parte registrate finora sotto il nome di pseudomoneta che non conviene a loro. Speriamo che qualche «passo finora dimenticato di qualche antico scrittore ci fornisca lumi maggiori, come p. es. da im trattato di Nicoiao Smirneo il eh. Froehner sagacemente spiegö la significazione delle tessere di osso che hanno da nna parte ima mano con le dita aperte o chiuse; e come il eh. Becq de Foucquieres riusci a dare quasi tutte le regele del ludits duodecim scripto'nim da un epigramma del Bizantino Aga- thias, che per tutti i suoi predecessori era restato un euimma. E sopra tutto sarei lieto, se le mie congetture a coloro che conoscono altri oggetti simili, dassero motivo a pubblicarli ed aumentare cosi il materiale necessario per le nostre ricerche.
XXII. Iscrüione di Casalbordino.
Nelle vicinanze di Casalbordino, paese situato nella provincia di Chieti, fra Vasto {Histomum) e Lanciano {Anxanum), fu tro- vato sul principio di quest' anno un frammento di lapide calcarea alto c. 75, largo 65, con avanzi di una iscrizione molto svanita. Dobbiamo la notizia dell' interessante monumento al prof. Carmelo Mancini, il quäle ne ha ragionato ampiamente nel vol. XVIII parte P degli Ätti della R. Accademia di Najjoli (•) ed ha cor- redato la sua memoria anche di un buon facsimile inciso in legno. La lapide non e rotta, ma segata sul lato superiore, sulla parte destra e sinistra ; le lottere sono danneggiate come suole accadere per essere lungaraente attrite dei piedi : le aste verticali cioe,
(') Una nota supplementäre a questa Memoria e inserita nei Rendiconti della raedesiraa Accademia, 1896, giugno.
MISCEIXANEA EPIGRAFICA 253
essendo piü proibnde, sono abbastanza beii couservate, laddove i tratti orizzontali meuo profondamente incisi sono in grau parte sva- niti, di modo che le lettere I, T, L, E appena si distinguono fra loro. Spoutaneamente dunqiie nasce la congettura, che la pietra (trovata quasi a fior di terra) fosse adoperata come materiale da costruzione in im pavimento di epoca bassa. II testo delV epigrafe e il seguente :
CIO C O R N V
LI Flaviali leg avg p q.vae est in moesia Tyriam eTcallaecia b pleb candidato
Ij) O N I S M I L I T A R I B AIVRALI • VEXILLO A G • PlI • PROVINCIAE ik
D • D
II uome nella riga prima e stato sagacemente siippiito dal eh. Mancini con I' aiuto di im bollo figulino rinvenuto pure uelle vici- nanze di Vasto (6'. /. L. IX, 6078, 91): E RE FVFICI CORNVTI. E questo personaggio non e del tutto sconosciuto: perche, come pure rico- nobbe il Mancini, im diploma militare conservato nel museo di Buda- pest (C././^. III S. p. 1984 n. LIX), con la data : .... Oct. L. Petronio
Sabim Rufo co(ii)sulibiis, e accordato ad im soldato della cohors
V Lwcensiiim edCallaecorum.... in] Panii[o])iia sub] FiificioCor-
Mito. I consoli suffetti Sabino e Rufo non si conoscono da altri monu- menti: ma il Mommsen {CLL. IIIS. 1. c.) circoscrive la loro etä con buone ragioni (*) fra gli anni 138 e 146: si puö escludere certa- mente 1' anno 139, perche in quelle nei mesi di settembre ed ot- tobre i consoli suffetti si chiamavano P. Cassiiis Secundus e M. No-
(1) formula praemiorum ea est quae post annum 138 ohtinuit. Sena et vicena dassiariorum stipendia cum declarent constitutionem anteriorem esse aetate Severiana, ante a. 146 scripta sit necesse est, quoniam in stipendiis ädest numerus distributivus post eum annum non repertus.
254 CH. HUELSEN
nius MuciaQUS {Eph. ep. II, 273), e con molta probabilitä anche l'anno 138, perche nel giugao di quest' auno il comandante della PanQonia superiore era Haterio Nepote (Dipl. XXXIV C. III p. 879). La co/iors V Lucensium et Callaecorum stazionava nella Paimonia superiore, come viene attestato da parecchi diplomi (n. XLVII a. 133, LX a. 148, LXI a. 149, LXY a. 154) ed altri monumenti [C. I. L. III, 3662, 3664, ritrovati a Cnimerum- Neudorf, castello che il Mommsen prima aveva attribiiito alla Pan- nonia inferiore; ma egli poi ha corretto la siia opinione nelle arf- deada p. 1042). Duuque Fiificio Cornuto e stato legato della Pan- nonia superiore fra il 140 ed il 146, ed ha retto i fasci come console suffetto qualche anno prima.
La legazione pannonica non si trova mentovata (ne si puö sup- plire) nella epigrafe di Casalbordino, la quäle quindi e posta prima del 140 ine. Ma giä allora Cornuto aveva avuto non poche cariche onorevoli. Sta in primo luogo, come spesso, un sacerdozio: se si debba supplire sod^ali Flaviali semplicemente, oppure sodali, — 0 anche sacerdoti — Titf\ali Flaviali, non si puö decidere (v. Mar- quardt, Staatsverwaltung III p. 471). Segue il comando di una legione appartenente all' esercito Mesiaco. Verso la fine del regno di Adriano e nel principio di Antonino Pio stazionavano nella Mesia Bon meno di cinque legioni : la III Flavia e VII Claudia nella provincia superiore, la I Italica, V Macedonica ed XI Claudia neir inferiore. Quäle di esse sia stata sotto il comando di Cornuto, non e possibile di sapere. Nella riga 4 si supplisce facilmente le- gatus Aug. per As']ty?''iam et Callaecia[_m : siccome questa carica venne data a pretorii, nella fine del v. 4 o nel principio del 5, avanti il tri']b(uiio) pleb(is) camlidato deve essere stata la nota PR. Per le righe 6 e 7 e certo il supplemento donis militarib.[do-
nato Corona'] murali vexillo a[_rgenteo ; aggiuntovi il nome
deir ex'peditio e dell' imperatore da cui fu data 1' onorificenza, questo passo avrä occupato quasi 1' intero spazio delle righe 6 e 7. II fatto che di ogni decorazione un solo eseniplare fu dato a Fuficio, fa credere che egli, quando le ebbe, non era ancora legato, ma pro- babilmente tribuno o prefetto. II Mancini crede trattarsi della guerra giudaica del 132-35 : questo mi pare poco probabile, perche allora tutta la carriera di Cornuto si sarebbe svolta nel breve spazio di otto 0 dieci anni ; supponendo invece che avesse preso parte, in
MISCELLANEA EPIGUAKICA
255
etk giovaiiile, alla guerra Orientale di Traiano, puö egli essere per- venuto al consolato sutfetto circa il 185.
Mentre e chiaro che il ciirsiis hodorum nelle righe 2-7 e an- noverato in linea discendente ('), 1' uffizio che sta in ultimo luogo deve essere stato posteriore a tutti gli altri: cioe la legazione di iina provincia la quäle, sebbene sia conservata la sola prima let- tera, deve credersi una delle due Moesiae. Per queste si voleva la qiialifica consolare : il nome dell' imperatore Pio assegna questo uffizio agli anni dopo il 138; probabilmente 1' avrä avuto circa il 140, poco prima del governo della Pannonia non mentovato nella nostra lapide.
Da quanto abbiamo esposto risulta che ogni riga deve conte- nere circa 40 lettere, e che manca troppo assai per poter stabilire con certezza i supplementi. Soltanto a modo di esempio ne propongo i
seguenti :
COS. sodali titia
leg
leg. aug. per as praef. cand. tri
X,
leg.pr.pr. imp.antonini au l.
CIO CORNVUo
LI Flaviali leg avg pr qvae est in moesia Tyriam eT callaecl b pleb candidato
trj^. /e(/. ..BONIS M I L I T A R I B Corona ?IVRALI • VEXILLO • A
G Pll
D
PROVINCIAE noesiae sup. (?)
D
0 pr
\^m
donato a divo traiano rgenteo hasta pura
d
La cronologia della vita di Cornuto dunque si potrebbe trac- ciare brevemente cosi: egli era nato nel Piceno circa il 90-95 d. Cr., meritö come giovane ufficiale le clona müüaria nella spedizioiie
(^) II eh. Mancini pare che non si sia reso conto di quest' ordine ; ap- pongo la sua restituzione, senza combatterla nei particolari. . ^ . Fuficio Cor- nuto consuli; sodali Titiall Flaviali: legato Augusti pro praetore legionis quartae Flaviae, quae est in Moesia ; legatus Augusti pro praetore ad census per Astyriam et Callaeciam; triumviro capitali; quaestori urbano ; tribuno plebis candidato Divi Hadriani; praetori; in expeditione Judaica donis militaribus donato hasta pura, corona rnurali, vexillo argenteo ; legato pro praetore Imp. Antonini Augusti PH provinciae Moesiae superioris.
25(3 CH. HIKLSKN
Partica di Traiauo, fii poi, sotto Adriano (forse vigintivir) e tribuno della plebe, pretore, legato nella Spagna, legato di una legione Mesiaca, arrivö al consolato verso la fine del regno di Adriano, e governö nel principio del regno di Antonino Pio prima la Mesia, poi la Paunonia superiore. L' etä di cinquant' anni conviene bene air importanza di quest' ultimo comando.
XXIII. hermone clelle terme di Taranto.
Nel principio di questo anno vennero scavati e subito distrutti a Taranto gli avanzi di un grande edifizio termale, con resti della decorazione in marmo, moltissimi tubi di terracotta, di piombo ecc. II prof. Orsi, che ne ha ragionato brevemente nelle Notizie degli Scavi 1896 p. 116, rileva giustamente come piü importante un'epi- grafe incisa in una lastra di marmo, di m. 1,60 X 0,50, la quäle stava murata nel calidarium, nel centro del prospetto della ban- china della sala, il che vuol dire che fu ritrovata al suo posto dove rimaneva alla vista del pubblico. L' iscrizione nelle Notizie e edita nel modo seguente:
PENTASCINENSIBVS THERMIS QVAE LONGO TEMPORIS TRACVT INTERCEPTO AQVAE MEATV LAVACRIS FRE MTARI DESIERANT VNDIS LARGIORIBVS AFLVEN ^VIPHALEM AQVAM IN MELIORES VSVS SVA "^^FVRIVS • C • L • TOGIVS QVINTILIVS ^i INDVXIT LIO PETRIO VP
\
lo leggo, con alcune lievi emendazioni : Pentascinensibus ther- mls, qiiae longo iemporis trac\_lii\ intercepto aquae meatu lava- cris fre\_que~\iitari deüerant, undis largioribus a(f)flueii\_te7n
ny~\m'phalem aquam in meliores usus sua [impensa ] Furius
Cl(audius) Togius Quintil[r\us induxit {curante ] lio Petrio
v(iro) pierfectissimo).
ßiesce nuovo il nome delle thermae Pentascinenses ; nel v. 4 preferisco di supplire ii]ymphalem, vocabolo che si trova una volta
MISCELLANEA EPIGRAFICA 257
presso Teodoro Priöciano medic. praei^ent. IV, 1, invece di lyra- fhalem, che sarebbe nuovo nella lingua latina. II eh. Orsi attri- biiisce r epigrafe al quarto secolo ; e si puö aggiungere che il magistrato nominato nel v. 5 e d' altronde conosciuto. In una ba&e ritrovata ad Eclano (C. /. L. IX, 1127) escritto: C. Toglus Quiii- tiilus V. c. corrector Apuliae et Calabriae \_cu~\ravi\_t ?']. II Dressel che r ha copiata, aggiunge che tiitta 1' epigrafe sta in rasura, e che legge il piimo gentilizio Togius piuttosto che Tocius. II titolo Tarentino conferma questa osservazione : credo perö che il segno dinanzi a Togiiis nell' Eclanense non sia una semplice C, nota del pronome giä quasi audato in disuso nel quarto secolo, ma invece CL abbreviazione di Cl(audius). 11 cognome Quintülits sarä da restituire nell' epigrafe tarentina invece del Qitintilius. II Mommsen {C. I. L. 1. c.) crede che il Togius della base Eclanense sia identico con quel Tociiis Maximus v. c. cur(ator) reipiiMicae) Bene- vent(anorum.) che dedicö all' imperatore Giuliano 1' epigrafe Ben e- ventana (C. /. L. IX, 1561): questo mi pare poco probabile, ma certamente ambedue i personaggi appartengono come all' istessa fa- miglia e provincia, cosi alla raedesima epoca, cioe alla seconda metä del secolo quarto.
Ch. Huelsen. (Sara continuato).
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ANCORA DELL'ARA DI CLEOMENE
Sulla questione soUevata in questo BuUettino (') dal Michaelis circa la forma genuina della composizione che adorna la nota ara di Cleomene (-), reca imo schiariraento interessante la replica della medesima rappresentanza in iino scrigno in avorio del South-Ken- sington-Museum, di ciii, dopo il raffronto fattone giä con il rilievo dell'ara dal Bloch (3), teste R. von Schneider ha pubblicato un disegno (^). II Michaelis voleva limitare la composizione originale al solo gruppo di Calcante, Itigenia ed Achille, ed il Bloch vi acconsente in massima. Ora lo Schneider dalla ripetizione che si e fatta nella parte destra dell'avorio del motivo del ministro (•'•)
(') VIII, 1893, p. 201 segg.
(2) Suir iscrizione cfr. Michaelis, 1. c, e Hauser, '^neu-attische Reliefs, p. 78, ai quali, dopo aver visto l'originale, io noa ho che ad associarnii.
(3) Griechischer Wandschmuck (Monaco, 1895), p. 48 segg. (*) Serta Harteliana (Vienna, 1896), p. 287.
(5) .-'nche il Bloch senti la difiicoltä di conciliare la presenza del mi- nistro nell'avorio con la congettura del Michaelis ; ma la sua ipotesi d'un'opera, in cui la comiiosizione primitiva a scopi decorativi sarebbe stata interpolata
E. LOEWY, ANCORA DELL'aRA DI CLEOMENE 259
inferisce, che anche questo facesse parte deiroriginale. Ed alla stessa conclusioüo (per prescindere da altre obiezioni a ciii si presta la congettiira del Michaelis) ei porta, credo, uiia terza rappresentanza del soggetto medesimo. Nella notissima anfora basilicatese gik della collezione Durand ed ora del Museo Britannico ('), le figure di Apollo e di Artemide, nonche quella femminile a sinistra di ciii una spiegazione soddisfacente nessimo, che io sappia, ha data, si pos- sono certameute ritenere proprietc\ del pittore vascolare, a ciii attribuirei auche la trovata ingenuamente spiritosa di accennare la sostituzione dTfigenia con la cerva mediante le due Silhouette riu- nite in una. Invece non mi pare cosi delle figure d' Ifigenia. di Calcante e del ministro, che nel vaso troviamo non solo nella stessa successione come nel rilievo tiorentino, ma in un atteggiamento il quäle, se nelle due prime con taluni motivi ricorda i corrispon- denti dell'ara, e addirittura identico nella figura dell'assistente: a cui il pittore vascolare, piü fedele in ciö degli altri copisti, ha lasciato nelle mani l'arnese per le x^Q^'^ß^? (^), guarnendo soltanto il xavovv di quei ramoscelli, che in simile uso gli erano tanto familiari. Abbiamo dunque una terza, e la piü antica, replica (anch'essa, come le due altre, monca ed interpolata al tempo stesso) della composizione originale, a ricostruir la quäle veramente, oltre a confermare la presenza del ministro, non ci offre nessun dato nuovo. Senonche con essa si aggiunge un altro esempio a quelli (^) che ci fanno un poco intravvedere, quali e donde venuti fossero i modelli della pittura vascolare della Magna Grecia.
E. LoEWY.
con elementi estranei, e che a sua volta avrebbe servito cForiginale ai rilievi dell'ara e dello scrigno, apparirä anche piü inverosimile da quel che espongo nel testo. Noto ancora la singulare somiglianza, si nella disposizione simme- trica come nel motivo, delle due figure dello scrigno con i due eroi, che nel grande vaso raediceo (Dütschke III, n. 537) fiancheggiano il gruppo centrale. (•) De Witte, catal. Durand, n. 381. Catal. of Greek and Etr. vases in the Brit. Mm. II, n. 1428. Raoul-Rochette, monum. in^d. I, tv. 26 B, p. 127 segg. Overbeck, Gallerie heroisch. Bildw. tv. XIV, 9, p. 317. Conze, Vorlegeblätter, ser. V, tv. IX, 3.
(2) Cfr. SU questo Michaelis, 1. c, p. 203. 207.
(3) Cfr. Hartwig, Arch. Zeit. XLII, 1884, p. 262. 270 seg. Koepp, Arch. Ans. 1892, p. 127 seg. Kuhnert, Jahrb. d. Inst. VIII, 1893, p. 108. Furt- wängler, Meisterte., p. 148 segg. Robert, die Marathonschlacht in der Poi- kile, p. 36 segg. 48, 54 seg.
FUNDE (»).
In der Terramare von Caorso hat sich 2iuf dem. dect/ma- nus des templiim in der Sohle eines m. 4 tiefen Grabens, ganz ähn- lich wie in der Terramare von Fontanellato (s. Mitth. 1895 X, 75), eine Eeihe von Gruben gefunden, je m. 1,25 quadrat, 1,30 tief, 1,25 von einander entfernt, die mittlere mit Scherben und Muscheln N{otizie) 96, 57.
Bei einer Nachforschung auf Pantelleria hat Orsi nichts Hellenisches gefunden, nur Semitisches, Häuser, Gräber N. 95,240.
Auf Sicilieu hat derselbe Orsi in Pantalica die grösste Sikulernekropole der ' dritten ' Periode durchforscht und daselbst in Filiporto auch unberührte aber ärmliche Gräber gefunden; in Erbessos den Palast eines Fürsten, m. 11,60 X 37,0 gross aus grossen Steinen erbaut, innen getheilt : in einem Räume eine foa- deria primitiva {N. 95, 268, wo ausführlicher Bericht verheissen wird).
Orsi's Hauptarbeit war aber die weitere Ausgrabung der syrakusanischen Nekropole del Fusco (A. 95. 109, Vgl. Mitth. 1895 X 78), wo er nun den allerältesten Theil gefunden zu haben glaubt. Orsi giebt uns da wieder einen auf eigener sehr sorgfältiger Beobachtung beruhenden Bericht, bemüht den geschicht- lichen Zusammenhang stets im Auge zu behalten und durch Ver- gleichen verwandter Erscheinungen andrer Orte nachzuweisen.
Von 380 dichtgedrängten griechischen {-) Gräbern, sind 332 mit Bestattung, nur 30 mit Verbrennung. In jenen die Todten mit
(') Dies der oben S. 157, 1 als verloren gegangen bezeichnete Theil.
(2) Barbarengräber, im Ganzen 69 an der Zahl, sind oft mit einem Theile in anstossende Griechengräber eingedrungen. Die Bestatteten, nicht Verbrann- ten, von ungewöhnlicher Körpergrösse, Christen, mit dem Koj^fe nach Westen gelegt, hält Orsi für Barbaren im Solde Theoderichs und der Byzantiner.
E. PETERSEN, FUNDE 261
dem Kopfe nach Osten, ein Drittel etwa in Sarkophagen, über ein Drittel unmittelbar im Grabe, das nur besonders tief einmal aus- nahmsweise getünchte Wände hat (Grab 840). Die Verbrennung war theils auf besonderen Plätzen, theils in den Gräbern selbst vollzogen; die Brandreste in Sarkophagen, oder in kupfernen Becken, oder in Thongefässen, oder unmittelbar in den Gräbern beigesetzt. Bei der nicht seltenen Beisetzung von sei es Erwachsenen, sei es Kindern auf den Deckeln grosser Sarkophage wird wohl richtig an das Gesinde der Herren, reicherer Beigaben wegen gelegentlich auch an Kebse gedacht.
Im Allgemeinen allerdings sind griechischer Sitte gemäss die Beigaben spärlich: Geräth, z. B. eine Axt im Grab 261, zum Anzug oder Schmuck Gehöriges, Nadeln wie in Megara Hyblaea, das über- haupt durchweg Vergleichungspunkte bietet, an den Schultern, eine oder zwei neben dem Schädel (von Befestigung eines Schleiers ? doch auch beim Manne wie Gr. 261), Spangen, im Ganzen häufiger als in Megara, in einem einzigen Grabe (428) sogar zwei bis dreimal so viele als in Megara überhaupt, nämlich in zwei Reihen vom Kopf des Todten bis zur Scham, kleine wie grössere, diese von Ei- sen mit Elfenbein und Bernstein, jene von Bronze. Unter den For- men, wie z, B. a navicella mit Thierchen des geometrischen Stiles, hebt Orsi eine neue, aus dem Osten und Griechenland bekannte hervor, von ihm a gomito genannt, weil wie ein gebogener Arm aussehend. Ferner Perlen, Halsbänder, Ringe, ein Stirnband; un- gewöhnlich eine grössere Elfenbeinscheibe mit zwei kleineren dar- unter (^) (vgl. unten S. 265) aus Gr. 436; dazu Amulette, wo- runter mit Unrecht gerechnet wird der Bommel eines Halsbandes Fig. 6, wie er aus Bernstein auch in Conca gefunden ist (s. S. 174), richtig dagegen die kleinen Aexte Fig. 7. Ferner Thonfiguren, wohl als Spielzeug zu verstehen, namentlich im Kindergrab 210 die Thierchen : Affe, Taube, Schildkröte Fig. 11, Rind, Widder in Gr. 334,
(') Erwähnung verdient auch das etwa 5X9 cm. messende Elfenbein- plättchen Fig. 1, nach Orsi von einer Spange, gefunden hinter einem Kin- derschädel, verziert mit der geflügelten Arterais, die neben einem Bock steht, also als Herrin und Pflegerin des Gethiers, wie doch auch in anderen von Studniczka, Kyrene S. 158 gesammelten Beispielen, ähnlicher noch trotz fort- geschrittenen Stiles die schöne Oinochoe Dutuit bei Fröhner, les musees de France pl. 4.
262 E. PETERSEN
der sorgfältig gearbeitete Vogel Fig. 59, Taube wohl eher als Käuz- chen ; dazu auch menschliche : der hockende ' Bes ' (?) Fig. 39. sitzende weibliche Figuren, mascherelle in Gr. 311, auch ein sim- plegma oscem aus aegyptischem Porzellan, Ci-. 276, des Materiales wegen vielleicht eher phoenikisch als griechisch, wie namentlich auch einige Skarabäen mit Pseudohieroglyphen. Eine kleine Leky- thos aus demselben Stofte, Fig. 4, wird freilich der Form wegen für griechisch gehalten. An phoenikische Herkunft ist wohl auch bei den nicht zahlreichen Gegenständen aus Glas und Bernstein zu denken.
Das Wichtigste von Allem sind die Thongefässe, Avelche in ihrer grossen Masse die Entwickelung vom geometrischen Stil durch den ' protokorinthischen ' zum altkorinthischen in ziemlicher Ge- schlossenheit darstellen. Orsi wird sich freilich bewusst sein, dass es zum guten Theil ' Gefühlschronologie ' ist, wenn er nach Maass- gabe der mehr oder weniger vorwiegenden geometrischen Verzierung, der daneben aufkommenden Darstellung von Thier und Mensch, dann der orientalischen Phantasiegebilde zusammen auch mit einem Wandel der Gefässformen durch drei je etwa ein halbes Saeculum dauernde Perioden hindurch bei der korinthischen als vierter im sechsten Jahrhundert anlangt. Denn wenn man auch im Allgemei- nen die Entwickelung von linearem und andrem blossem Ornament fortschreitend zu höheren Formen der Darstellung denken mag, obgleich Mensch und Thier ja schon vor den ältesten syrakusischen Gräbern auch in der Vasenmalerei zur Darstellung gekommen waren, so haben sich jene Darstellungssphären doch nicht einfach abgelöst, vielmehr die früheren einfachen neben den aufkommenden reiche- ren länger fortbestanden. Und wenn wir zwischen Gräbern älte- ster Zeit einzeln solche antreffen, die verschieden erscheinen, wie z. B. 334, 515, und namentlich auch innerhalb desselben Grabes Gefässe, welche zweien oder gar dreien von Orsi's Perioden anzuge- hören scheinen wie in 219, 241, 244. 264, 396. 425, 428. 430, 441, 470, 471, 473, so genügt es nicht, dies, wie zu 396 geschieht, damit zu erklären, dass der Inhalt eines solchen Grabes dem Ueber- gang von einer Periode zur andern angehöre. Denn die Uebergänge so kurz bemessener Perioden würden erst recht zu kurz sein, um darin solche Verschiedenheiten unterzubringen. Findet man doch selbst an einem und demselben Gefäss, wie z. B. aus Grab 276
FUNDE 263
Fig. 24, oder 175 Fig. 45, Dinge nebeneinander gestellt, welche nach Orsi's Entwickelungsschema schwer zusammengehend zu denken sind.
Was die Formen der Gefässe anlangt, so darf bezweifelt werden, ob die schlanke cuoriforme Lekvthos, an welcher allein die zier- lichere protokorinthische Decoration sich darstellt, aus der kugel- förmigen globare hervorgegangen sei, weil jene schlankere Lekythos nicht selten auch mit einfacherem Ornament vorkommt und na- mentlich deshalb, weil die schlanke Form ja bereits in mykeni- schen Kannen vorgebildet ist, wie am besten das von Furtwängler in Marseille entdeckte und Arch. Anz. 1893 S. 9 abgebildete reichverzierte Exemplar zeigt.
Die Anfechtbarkeit jeuer Chronologie tritt auch bei einem historischen Schluss zu Tage, das noch besonderen Bedenken un- terliegt. Eine Form der niedrigen Kanne (Wilisch. Die altkorinth. Thonindustrie Taf. 1, 6) ist nach Orsi N. 95, 132, 1 in Syrakus del Fusco öfters, in Megara gar nicht gefunden, so wenig wie die kleinen kugeligen Lekythen geometrischer Decoration ' ü che ', sagt Orsi, ' vorrebbe dire che la xtiaic di Megara, cotitrariaMeate alla tradülone sl deve metter e circa un quarto di secolo dopo quella di Siracusa, o che la parte antichissima della necropoli mega- rese rion e ancora rinvenuta, cosa iaverosimile dopo le vastis- sime esplorasiom colä eseguite '. Hier sieht man wie wörtlich doch Orsi seine Periodenfolge versteht: er erklärt sich das Fehlen jener Kannen und Lekythen in Megara daraus, dass diese Stadt ein Vierteljahrhundert nach Syrakus gegründet sein müsse, obgleich nach der schriftlichen Ueberlieferunor vielmehr Megara die ältere Gründung gewesen wäre. Diesem ersten Vierteljahrhundert des Bestehens von Syrakus müssten also alle Gefässe der beiden be- zeichneten Arten angehört haben, was Orsi's eigener Chronologie zuwiderläuft, indem nicht blos, wie schon bemerkt, die bauchigen Lekvthen öfters mit den schlanken zusammen s^efunden worden sind, sondern auch jene niedrigen Kannen mit Thierfriesen und sonstiger späterer Decorationsweise ausgestattet vorkommen, so N. 95 S. 153; 93 S. 468, und 477, ja im Grab 428 auch vier solcher Kannen (aufgezählt unter 5 und 6) gefunden sind, ausser vielen anderen Beigaben, die Orsi in ihrer Gesammtheit al secolo 7° pieao, e pro- babilmente alla seconda meto, di esso^ d. i. hundert Jahre nach der Gründung von Svrakus, zuschreibt.
264
E. PETERSEN
Mit Recht hebt Orsi als eiae Eigeuthünüichkeit dei- ältesten Nekropole del Fusco hervor das häufige Vorkommen grosser, mehr oder weniger geometrisch verzierter Ossuare, welche nach ihrer Form als Vorläufer des vaso a colonnette zu bezeichnen seien, bauchige, weitmündige Gefässe, welche zu den zwei horizontalen auf den Schultern sitzenden Henkeln noch zwei verticale haben, die, auf den horizontalen ansetzend, mit flacher Wölbung oben sich an die Lippen des Gefässes heften ('). Dem Einwurfe Brunn's, dass die Co- lonnettvase, in Etrurien so häufig, aus Korinth gar nicht nach- weisbar sei, hatte Wilisch a. a. 0. S. 114 das noch nicht ausrei- chende Argument entgegengehalten, dass solche grosse Vasen eben nur für Export gearbeitet seien: jetzt sehen wir die Vorstufe jeuer Vasenform in der ältesten Nekropole der korinthischen Colonie nicht selten zu Tage kommen. Zu weiterem Beweis der östlichen Herkunft der Colonnettvase weist Orsi ferner mit ßecht auf Di-
pylongefässe mit der Urform ähnlichen Henkeln hin. Ich möchte hinzufügen, dass die Urform der Colonnettvase noch deutlicher und den syrakusischen Exemplaren näherstehend sich in Kypros gefun- den hat, so bei Cesnola-Stern, Kypros VII aus Idalion, in bei- stehender Skizze 3, zu vergleichen namentlich mit Orsi's Fig. 86, beistehend 6, weil hier der verticale Henkel so lang, da- gegen in Figur 12, beistehend 4, so kurz, fast schon ein Theil des Randes geworden ist. Jener flachgewölbte Henkel des altsy- rakusischen Ossuars hat nämlich eine doppelte Entwickelung ge- habt, und damit ergiebt sich ein neuer Beweis für die Herkunft der Colonnettvase. Aus jener Urform ist nämlich, wie auf der einen
f^) In beistehender Skizze findet sich auch ein Beispiel (1 = Orsi Fig. 47, daneben 2 das bekannte Gefäss des Aristonothos) derselben Vasen- form ohne die horizontalen Henkel.
FUNDE 205
Seite die normale Colonnettvase (Wilisch II 27, IV 46), so auf der andern eine ebenfalls in Italien, besonders in Unteritalien häutige Form hervorgegan^ren, die hohe Amphora (beisteh. 9) mit Voluten- henkeln und Schwanenhälsen, wo die Schwanenhälse Auswüchse des horizontalen Henkels sind, wie die Voluten des verticalen, der immer noch wie einst oben auf dem horizontalen aufsitzt. Der verticale Hach- gewölbte Henkel der Urcolonnettvase, ist nämlich, wie schon bei dieser selbst zu erkennen war. entweder bei zunehmender Kürze, Dicke und Weite des Gefässlialses, an der normalen Colonnettvase (5) völlig wagrecht und zu einem ausspriugenden Theile des Lippenrandes geworden, oder er hat bei sich reckendem Halse des auch im Ganzen in die Höhe gezogenen Körpers der Volutenamphora sich selbständig entwickelt und, fast vertikal geworden, am oberen Ende aufgerollt sich auf die Lippe des Gefässes gelegt. Dass nun diese zweite Form sich im Osten entwickelt hat, erhellt zur Genüge aus Beispielen einer sich entwickelnden Uebergangsform, wie sie aus Attika die Fran^oisvase beist. 8 darstellt, aus Kyrene die in der Arch. Zeit. 1881 Taf. II, 2 abgebildete Vase, beisteh. 7. —
Eine Anzahl interessanter Bronzen der frühen Eisenzeit aus den Abruzzen hat Pigorini TV. 95, 255 ff. zusammengestellt, aus der Umgegend von Aquila und Sulmona: Bogenspangen und solche a foglio, d. h, mit dem charakteristischen Doppelblatt, auch Paal- stab und rasoio lunato, namentlich aber Bronzescheiben der Mu- seen von Kom, Perugia, Ascoli, und andern Orten Italiens, von München, Dresden, Berlin, Wien, deren Herkunft aus den Abruzzen, aus Umbrien, dem Picenum, vereinzelt aus Süd-Etrurien und der Basilicata nachgewiesen wird. Sie haben bis 250 mm. Durchmesser und tragen getriebene und gravierte geometrische Verzierung. Für die einstige Bestimmung hat Pigorini nach Vorgang andrer, wie namentlich Guardabassi's, der in den Notizie 1880 S. 22 ff. mehrere jener Scheiben bekannt machte, ausser Form und Grösse überhaupt, zwei technische Merkmale geltend gemacht: erstens nämlich dass gelegentlich mit den grösseren Scheiben, deren Durchmesser un- gefähr von 170 bis 250 mm. geht, kleinere von halb so grossem Durchmesser gefunden worden sind; zweitens, dass offenbar zum Durchstecken durch einen anderen Stoff, etwa Leder, und zur Be- festigung unterhalb desselben, sich unfern der Peripherie dieser Scheiben Stäbchen, unten mit Loch oder Ring, vernietet gefunden
266 K- PETERSEN
haben, oder wo diese fehlen die zu solcher Vernietung bestimmten L<5cher, und zwar in ungleicher Zahl an den entgegegengesetzten Seiten, meist drei einfache oder drei Doppellöcher (') einerseits, gegenüber nur zwei einfache und zwar diese dichter gestellt als die gegenüberliegenden.
Die genauere Beobachtung dieser technischen Merkmale Hess von der früher geäusserten Muthmaassung, dass diese Scheiben von Schil- den herstammten, absehen, und Guardabassi, dem andre zustimmten a.n phalerae für Pferde denken, wogegen Pigorini S. 266 die ungleiche Zahl und Stellung der Nietlöcher oder Stäbchen geltend macht. In der That lag es, weniger freilich aus diesem als aus andern Grün- den, näher an phalerae für Menschen, oder besser deren Vorläufer in weit früheren Zeiten zu denken. Bekannt sind die Lauersforter phalerae, namentlich durch ihre gelehrte Herausgabe von Otto Jahn im Winckelmannsprogramm des Vereines von Alterthumsfreunden in den ßheinlanden 1860. Es sind von der Kunst der Kaiserzeit aus Silber getriebene Scheiben mit Köpfen, Büsten oder andrem Bildwerk verziert ; je mit Pechfüllung, durch ümbiegung des Randes auf eine untergelegte Kupferplatte befestigt, die selbst dann rück- wärts drei Drahtösen zum Durchstecken und Befesti- gen auf Riemen aufweist. Römische Grabsteine zeigen uns dann die Anordnung und Befestigung dieser Insignien auf der gepanzerten Brust römischer Krieger (s. Jahn Taf. II). Aber Jahn übersah nicht, dass auf unteritalischen, wir dürfen sagen campanischen Vasenbil- dern nicht selten Krieger dargestellt werden, die mau längst als italische Nachbarn der campanischen Griechen (-) anzusehn gewohnt ist, und diese, auch sonst gerüstet, auf der Brust mit drei runden Scheiben versehen, welche nach der gelben Farbe als golden, oder vergoldet, wenn nicht von heller Bronze zu denken sind (^). Diese Scheiben, stets drei, sind immer so angeordnet, dass zwei gleiche
V) An einzelnen Exemplaren wurden fünf oder sieben Einzellöcher beob- achtet, an dem Wiener (auf der Photographie) auf der einen Seite gar keiner.
(2) Vgl. Heibig, Annali 1865 S. 281, der diese Krieger auch mit denen Paestanischer Wandgemälde zusammenstellt.
(3) Jahn citiert Tischbein 1,60; Miliin vas. 1,41; Mus. Borbon. VI 39 = Heydem. 871; VioreWi, vasi dipinti rinv. a Guma 12; einige andre Beispiele Heibig, Annali 1865 S. 286, 1, der anf tav. d'agg. 0 Heydem. 776 abbildet. Letzteres ist unten mit einer Figur aus Mus. Borb. VI 39 zusammengestellt.
FUNDE
2G7
nebeneinander die Briistluüt'ten decken, die dritte, einmal {Ännali 1865 0 2) entschieden erheblich kleiner, in der Mitte unter ihnen das Herz. Ihre Grösse, nach dem Verhältniss der Körper geschätzt, entspricht durchaus der wirklichen Grösse der von Pigorini ge- sammelten Scheiben, und diese Grösse zusammen mit der stets gleichen Zahl und Anordnung macht es klar, dass bei den Samniteu des dritten Jahrhunderts die Bronzescheiben noch nicht zu einem blossen Prunkstück, wie die späteren "phalerae geworden waren, sondern wirkliche SchutzAvaffe sind, wahrscheinlich unter sich ver-
bunden und zusammen auf eine gemeinsame Unterlage von Leder geheftet, was dann zur Nachbildung in einer einzigen Bronzeplatte mit drei herausgetriebenen Scheiben führen konnte, wie sie, von Jahn nicht übersehen, in Gargiulo's Raccolta auf Taf. ßQ abge- bildet ist.
Auch ehe noch ein Grab einmal drei solcher Scheiben bei einander bietet, darf die Zurückführung der Pigorinischen Scheiben, deren ungleiche Nietlöcher sich nun wohl zu erklären scheinen — die kleinere Zahl gegen Schultern oder Unterleib, die grössere ge- gen die je zwei andern Scheiben — auf italische Panzerform wahr- scheinlich gelten, die mithin als uralt sich herausstellt.
Petersen.
Am 15. Oktober verstarb zu Rom nach längerem Leiden
FERDINAND FREIHERR VON PL AT NE R
Ehrenmitglied des Instituts. Dasselbe verdankt ihm drei grossartige Schnkungen (1879. 1885. 1893) von AVerken zm- italiänischen Mimicipal- und Provinzialgeschichte, welche zusammen die der Institutsbibliothek angeschlos- sene Bibliotheca Platiieriana bilden. Der Verewigte hat damit ein unvergleichliches Hülfsmittel für Studien zur italiänischen Lokalgeschichte geschaffen, wofür ihm ein dankbares Andenken beim Institut und allen auf diesem Gebiete arbeitenden Fachgenossen gesichert ist.
>4
DER TEMPEL DER FORTUNA AUGUSTA IN POMPEJI
Es giebt bisher keine irgendwie brauclibare Bearbeitung des in Pompeii an der Ecke der Nolaner Strasse und der diese mit dem Forum verbindenden kurzen und breiten Strasse (Strada del Foro) liegenden Tempels der Fortuna Augusta. Die beiden Tafeln Gau's bei Mazois IV 24, 25 mit dem Text von Barre sind ganz ungenügend ; seitdem aber hat sich niemand eingehender mit dem Tempel beschäftigt, lieber einige Besonderheiten desselben handeln Schöne und Nissen in des Letzteren Pompeianischen Stu- dien S. 178 ff., ohne zu einem recht befriedigenden Schluss zu kommen. Und doch sind für eine Reconstruction vollkommen ge- nügende Elemente vorhanden.
Im Jahre 3 n. Chr. ist das Collegium der mimstri Fortunae Augustae gegründet worden {CIL X 824); es ist wahrscheinlich, dass damals oder wenig früher auch der Tempel dedicirt worden ist. Sein Mauerwerk — Incertum aus gemischtem Material, Ecken und Thürpfosten aus Ziegeln — widerspricht dem nicht. Dm-ch das Erdbeben des Jahres 63 ist er stark beschädigt worden. Zwar der Mauerkern der erhaltenen Teile zeigt keine Ausbesserunc^en ; deutlich aber können wir an den Marmorresten die dem ursprüng- lichen Bau und die der Wiederherstellung angehörigen unter- scheiden, wie weiterhin zu zeigen sein wird. Zwar sind hier wie überall in Pompeii die Marmorteile durch antike Ausgrabungen grösstenteils entfernt worden, doch ist fast von allen wichtigeren Gliedern ein Stück oder mehrere übrig geblieben: wir sind hier in dieser Beziehung besser daran als in den meisten anderen Mar- raorbauten Pompeii's.
Wir geben zunächst den unrestaurirten Grundriss, der ja. kaum irgend welcher Erläuterung bedarf. Die Treppe zerfällt in zwei Abteilungen ; zwischen beiden eine Platform, die in der Mitte,
18
270
A. MAU
die untere Treppenabteilung durchbrecheQd, bis an die Strasse vortritt und hier den Altar trägt. Ein Eisengitter mit zwei Dop- pelthüren. von dem hinlängliche Reste erhalten sind, sperrte die Platform gegen die Strasse ab. Diese Platform imd die unterste Abteilung der Treppe reichen bis au den Fahrdamm, das Trot- toir unterbrechend. Dieses letztere war vom Tempel bis an die an der Nordseite des Forums vorbeifiihrende Strasse durch ein säulen- cretrac^enes Dach in einen Porticus verwandelt. Vielleicht ist dies
t' I. k I. i ^ l >
durchaus ungewöhnliche Verfahren so zu verstehen, dass da- durch diese kurze Strasse dem Forum mit seinen Portiken ange- gliedert werden sollte, indem man Wert darauf legte, dass der Tempel gewissermassen am Forum lag. An der Rückseite des Tempels ist die Apsis mit der Aedicula ein späterer Zusatz (Schöne bei Nissen a. 0. S. 179). Früherstand der Tempel isolirt; so ist er nun mit dem Nachbarhaus durch partes communis verbunden. Man wölbte an beiden Enden der Apsis vom Tempel an das Nachbarhaus hinüber und verband die beiden Wölbungen durch Balken ; hierauf stehen Apsis und Aedicula. Die Front des Unter- baues der Aedicula liegt genau in der Linie der alten Rückwand und ist wohl sicher ein Rest derselben ; die Vorsprünge an beiden Enden, aus Tuffblöcken bestehend, sind vielleicht, wie Schöne an- nimmt, Reste der alten Basis für das Tempelbild. Lieber die Zeit dieses Zusatzes wissen wir nur, dass er nicht der Wiederherstel- lung nach 63 angehört, sondern älter ist, wie weiterhin gezeigt
DER TE.MHEI- i)KR FORTUNA AU«iUSTA IN POMPEJI 271
werden soll. So ist es wohl am wahrscheinlichsten, dass er gleich nach dem ursprünglichen Bau, vielleicht noch vor der Marmor- bekleidung gemacht wurde.
Vor die Langwiinde der Cella traten nach aussen je fünf an- nähernd 0,60 breite Pilaster vor; ihre Spuren sind in dem der Marmorbekleidung als Unterlage dienenden Stuck auf das deut- lichste zu erkennen. Ihre Distanz ist ziemlich gleich dem Inter- columnium, welches sich ergiebt, wenn wir in der Vorhalle, wie ja unvermeidlich, zwischen der Cella und der Vorderecke noch zwei Säulen annehmen.
Dies vorausgeschickt betrachten wir nun die erhaltenen mar- morneu Bauglieder.
1. Ablauf des Unterbaues, oberhalb des Sockels.
2. Gesims am oberen Rande des Sockels.
3. Drei Säulenkapitelle (S. 272. 273), zwei auf den Vorderecken der Vorhalle, eines rechts etwas weiter zurück. Das auf der rechten Vorderecke ist von den beiden anderen stilistisch verschieden ; es hat breitere, mehr auf die Fern Wirkung berechnete Formen, während jene feiner und zierlicher gearbeitet, auch stärker beschädigt sind : kein Zweifel, dass die einen dem ursprünglichen Bau, das andere der Erneuerung angehört. Auch die Masse sind nicht ganz gleich : die beiden älteren führen auf einen oberen Schaftdurchmesser von 0,45. das jüngere auf einen von 0,49 m. Es scheint also, dass der ältere Bau schlankere Verhältnisse hatte als der spätere. Die Höhe ist bei beiden 0,58, der Abstand der Ecken des geschweiften Abacus 0,73.
4. Drei Pilasterkapitelle, stilistisch mit demjüngeren Säulen- kapitell übereinstimmend. Obere Breite 0,88, untere 0,57, doch fehlt das unterste, besonders gearbeitete Stück. Sie gehören an die Aussenseite der Lang wände.
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A. MAU
5. Fragment eines Eckpilasters, jetzt irrtümlich, auf den Kopf gestellt, am 1. Thürpfosten angebracht; es ge- hört an eine Vorderecke der Cella.
6. Drei Stücke eines grossen Incrustations- epistyls, hoch 0,46; das erste ist lang 2,70, vollständig, antik ziemlich in der Mitte ge- brochen imd mit Eisenklammern zusammenge- setzt ; oben 0,36 vom 1., 0,42 vom r. Ende Reste von Eisenklammern zur Befestigung an der Wand. Das zweite ist lang 2,75, voll- ständig, gebrochen und zusammengesetzt wie das erste; oben 0,31 vom 1., 0,44 vom r. Ende Eisenklammern zum Befestigen an der Wand. Das dritte ist lang 1,15, r. vollständig, 1. ge- ^^..^^ brechen, und war hier antik mit Eisen zusam-
aM/- - • mencresetzt. Am r. Ende ist bis m. 0,38 der
Teil, wo die Klammer zum Befestigen sein könnte, weggebrochen.
ß;v
Vi
DER TEMPEL DER FORTUNA AUGLfSTA IN I'OMPEJI
273
Zweifellos lag dies Epistyl auf den Pilastern der Aussenseite ; das gleiche Profil miisste das Epistyl der Vorhalle haben. Die antiken Ausbesserungen weisen diese Fragmente dem ursprüngli- chen Bau zu.
7. Hauptgesims, das 1. hintere Eckstück, lang 3,48 unten.
An dem 0,42 langen Profil der Rückseite ist statt Eierstab und Zahnschnitt nur Rundstab und Leiste.
Es fehlt mithin für Vorhalle und Aussenseite nur der Fries, die Basis der Säulen und Pilaster und die Säulenhöhe. Letztere muss sich aus der Reconstruction des Innenraumes ergeben. Mass- gebend ist hier die Apsis. Denn dass die Erweiterung in Form eines Kreissegments als Apsis zugewölbt war, und nicht etwa, wie Gau bei Mazois IV 25 annimmt, mit verticalen Wänden au die Decke reichte, darf doch wohl als selbstverständlich gelten. Dem Grundriss der Apsis entsprechend konnte die Wölbung ihrer Oetf- nung kein Halbkreis sondern nur ein kleineres Segment sein, wie
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unser Querdurcbschnitt S. 280 zeigt. Die Höhe des Ansatzes der Wöl- bung ist nicht direkt kenntlich ; den einzigen Anhalt bieten die bis zur Höhe von 4,20 m. vom Fussboden erhaltenen Seitenwände der
Aedicula. Sie geben uns ein Minimum, zunächst freilich nur für die Höhe der Aedicula; es fragt sicli, in welcher Weise ihrem Gebälk der Gewölbeansatz entsprach. Da es nun aber unmöglich ist, ihn in der Höhe der Unterkante des Epistyls anzunehmen
DER TEMPEL DER FORTUNA AUGUSTA IN POMPEJI 275
— man braucht es nur aufzuzeichnen um sich zu überzeugen, dass die Wirkung eine unerträgliche sein würde — so giebt eine in der Höhe der Oberkante des Epistyls ansetzende Wölbung das Minimum. Mit ihr erreichen wir für die Apsis eine Höhe von 6,0 und da doch zwischen ihr und dem die Wand oben abschliessenden Gliede — welches, wie wir gleich sehen worden, erhalten und 0,26 hoch ist — noch ein Zwischenraum bleiben musste, so konnte die Cella nicht unter 6,50 hoch sein.
Nun kommt aber dies Minimum dem auf anderem Wege zu ermittelnden Maximum so nahe, dass wir in ihm, von ganz unwe- sentlicher Dilferenz abgesehen, die wirkliche Höhe der Cella er- kennen dürfen.
Wir gehen von der Voraussetzung aus, dass Cella und Vorhalle gleich hoch waren ; ferner, dass — nach nicht hinlänglich bekannter Regel — die flache Decke der Vorhalle etwas höher lag als die Ober- kante des äusseren Epistyls, und unter ihr nur ein etwas höheres Kpistylprofil sichtbar war ('): da das Epistyl aussen 0,46 hoch war (oben n. 6). so nehmen wir drinnen etwa 0,60 an. Damit haben wir das Maximum für die Deckenhöhe : sie darf eine bei einem un- teren Durchmesser von doch allerhöchstens 0,60 glaubhafte Säulen- höhe nicht um wesentlich mehr als 0,60 übersteigen. Diesem Ma- ximum sind wir aber mit dem oben gefundenen Minimum von 6,50 so nahe, dass wir uns fragen müssen, ob es nicht schon über- schritten ist. Denn, wie gesagt, der untere Durchmesser ist mit 0,60 sehr hoch, wohl zu hoch geschätzt, und auch so kommen wir mit 5,90 auf fast zehn Durchmesser. Es ist also nicht unwahr- scheinlich, dass die Decke doch etwas mehr als 0,60 über der un- teren Kante des Epistyls lag. Auf keinen Fall aber dürfen wir für die Höhe der Cella das Minimum von 6,50 wesentlich überschrei- ten. Auf dieser Grundlage ist die in unseren Zeichnungen vorlie- gende Restauration entworfen.
Für das Innere der Cella liegen nun folgende Reste der Mar- morarchitektur vor.
8. Zwischengesims. Fünf grade Stücke, von denen eines, 0,85 lang, an beiden pjnden vollständig ist. Zwei gekrümmte Stücke,
(1) Vgl. hierüber Mitth. III, 1888, p. 32 f. Overbeck, Pompeji* S. 643 Anm. 119.
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von denen eines, 0,72 lang, vollständig, das andere, 0,68, links gebrochen ist. Dies Gesims erstreckte sich also in die Apsis und
kann selbstverständlich niu- in der Höhe des Gewölbeansatzes der- selben gelegen haben.
9. Kleines Incrustationsepistyl, hoch 0,26: ein 0,77 langes,
an beiden Enden gebrochenes Stück. Es kann nur den oberen Abschluss der Wände gebildet haben.
10. Epistyl der Aedicula, vollständig erhalten mit der In- schrift CIL X, 820 : M. Tullius M. f. d. v. i. d. ter. quinq. augur
tr. mil. a i^op. aedem Fortimae August, solo et iteq. sua. Es gehört zweifellos der Wiederherstellung nach 63 an. Die obere Fläche ist ganz unfertig, so rauh, dass nie die Friesblöcke darauf gelegen haben können. Ja auch dies Epistyl selbst war wohl nie in opera\ denn sonst würden sicher die drei Blöcke durch Eisen- klammern verbunden gewesen sein, was nicht der Fall war.
DER TEMPEL DER FORTUNA AUGUSTA IN POMPEJI
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11. Gesims der Aedicula. Erhalten ist das linke Eckstück des graden Gesimses: 0,15 nach vorn, 0,24 nach der Seite, unten ge- messen. Das Seitenprofil ist daran kenntlich, dass hier das oberste Glied nicht ganz soweit abgearbeitet ist wie es sein sollte, so dass es um 0,02 statt höchstens 0,005 vorspringt. Fast vollständig sind die beiden schrägen Gesimsstiicke, nur rechts ist am unteren Ende etwas abgebrochen. Sie sind unten r. 1,0(5, 1. 1,04. oben 1. 1,575 lang. Der Neigungswinkel ist, so genau ich ihn habe bestimmen
können, 18°. Merkwürdig ist, dass die beiden Stücke nicht ganz gleich sind. Die obere Fläche ist 1. 0,41, r. 0,37, die untere 1. 0,22, r. 0,17 breit, die Höhe im Schnitt an der Spitze 1. 0,21, r. 0,18, senkrecht auf das Profil gemessen 1. 0,19, r. 0,18. Auf der oberen Fläche ist das Klammerloch am oberen Kande 1. 0,125 vom hinteren, 0,285 vom vorderen, r. 0,10 vom hinteren, 0,27 vom vorderen Rande entfernt. Auch das Profil ist nicht ganz gleich; r. ist die Sima mehr ttach und vorgestreckt, ebenso auch das unter ihr liegende Glied. Dennoch gehören wohl beide sicher dem ur- sprünglichen Bau an ; denn dass sie in opera waren — was nach dem zu 8 bemerkten nach 63 nicht der Fall sein konnte — be- weisen die Klammerspuren. Rechts war vorn unten ein 0,(39 lan-
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ges, 0.14 breites Stück antik ergänzt und mit eisernen Nägeln befestigt, deren zwei erhalten sind.
12. Endlich liegt in der Cella noch ein dem der Aedicula aehnliches, aber doch abweichendes schräges Gesimsstück, oben, rechts, vollständig und vertical geschnitten, unten, links, gebrochen. Die untere Fläche ist 0,85 lang; dies auf die Horizontale proji- cirt ergiebt, mit dem horizontalen Schnitt durch das Gesims, für die Basis des Dreiecks ein Minimum von 2,20. An die Nischen in der Cella ist also schon deshalb nicht zu denken; auch wür- den wir hier mit dem Zwischengesims 8 in Conflict kommen. Ich habe angenommen, dass dieser Giebel in der Vorhalle über der
Thür lag. Es ist aber auch möglich, dass er an derselben Stelle in der Cella angebracht war. Die Höhe der Thüi- kennen wir nicht; sie konnte so hoch sein, dass das Zwischengesims 8 an die Ober- kante ihrer Einfassung anstiess, über der sich dann das Giebel- feld erhob.
Von der Marmorbekleidung der Cellawände sind nur geringe Reste geblieben. Deutlich erkennbar ist der oben mit einem vor- springenden Streif abschliessende Sockel und der kleine Vorspmng unten am Boden. Der unterste Streif war an der Vorderwand r. hellgrün, an der r. Seitenwand dunkelgrau, die Rückwand der 2. Nische r. mit Africano bekleidet. In der Apsis und an der Ae- dicula r. weisslich-graue Reste; der Fussboden der Aedicula, vor der Tuffstufe für die Statue, war weiss.
In Betreff der Aedicula muss noch eine Besonderheit hervor- gehoben werden. Sie bestand aus einer Cella von geringer Tiefe und einer Vorhalle, deren Dach und Giebel von zwei auf den Vorderecken des Unterbaues stehenden Säulen getragen sein musstc. Das Epistyl der Vorhalle (oben n. 10) ist vollständig, von den Säulen
DER TEMPEL DER FORTUNA AlIGUSTA IN POMPEJI 279
uichts crhalteu. Die Cella der Aedicula ist weit 2,21, gemessen voni von Mauer zu Mauer; die Vordertläche der Seitenmaliern (Anten) misst links unten deutlich 0,19 im Mauerkern; die Marmorbekleidung der Aussenseite ist mindestens auf jederseits 0,05 zu schätzen. Also Gesammtbreite 2,09. Da nun das Epistyl in der Front, unten gemessen, nur 2,48 lang ist, so konnte sein Ausseiiprotil sich nicht unmittelbar an die Aussenseite der Anten anschliessen, son- dern es musste hier, wie unser Querschnitt andeutet, eine Ver- kröpfung stattfinden. Das Seitengebälk der Vorhalle konnte nur
9 < Q o Ol)
mit — — '■ — = 0,14 seiner 0,28 betragenden Breite auf dem
Mauerkern der Anten aufliegen; die 14 cm. um die es innerhalb derselben vorsprang, waren natürlich durch die innere Marmorbeklei- dung ausgeglichen, die also auf einer sehr starken Stuckunter- lage ruhte und oben einen gesimsartigen Abschluss gehabt haben wird. Andererseits sprangen die Anten nach Aussen mit etwa 0,06 des Mauerkerns, wozu noch die Marmorbekleidung kam, vor das Gebälk der Vorhalle vor; dies also, etwa 0,12, war der Betrag der durch Anmauerung und Incrustation hergestellten Verkröpfung. Ferner ist zu beachten, dass das erhaltene Gebälk nicht zu dem Unterbau stimmt. Die AussenÜächen des Mauerkerns der beiden Vorspriinge desselben stehen 2,64 von einander ab. Dazu kommt durch die Marmorbekleidung unten, wo sie etwas vorspringt, jederseits 0,08, oben höchstens 0,04, eher 0,03. Also Gesammtbreite 2,70, abgesehen von dem gesimsartigen oberen Abschluss, auf den sich doch die Säulenbasis nicht erstrecken durfte. Die Vorsprünge selbst sind im Mauerkern 0,36 breit; durch die Marmorbekleidung kam auch auf der Innenseite nicht mehr als etwa 0,03 hinzu; der kleine Sockel zu unterst ist auch hier deutlich zu erkennen; also Gesammtbreite 0,42. Das Epistyl ist, unten gemessen, vorn 0,30, auf den Seiten 0,28 stark ; es ergiebt sich also das unerträgliche
r, u , A A- (1- ^ , 2,70 — 2.48 + 0,28 . _. Resultat, dass die Saulencentren um — ' = 0,2o von
der Aussenseite, dagegen nur 0,18 von der Innenseite der Vor- sprünge entfernt waren. Dass aber die Säulen nicht etwa rückwärts der Vorsprünge standen, ergiebt sich aus den Seitenbalken des Epi- styls. Dieselben haben auf ihrer Unterseite das in unserer Zeich- nung sichtbare wulstartige Ornament bis 0,:!1 vom hinteren Ende.
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A. MAU
Soweit also lagen sie auf den Anten auf; zwar auch auf ihrer Marmorbekleidung, deren Stärke wir nicht kennen, immerhin aber doch wohl mit etwa 0,20 auf dem erhaltenen Mauerkern. Vor diesen trat also das Gebälk mit etwa 1,18 vor: die Säulencentren lagen 1,04 von ihm entfernt. Da nun der Unterbau ohne die Vor-
sprünge nur 0,98, mit ihnen 1,35 vor den Mauerkern der Anten vortritt, so wäre er ohne die Vorsprünge durchaus ungenügend, mit ihnen ist er reichlich gross; denn es bedarf eines Plinthus von 0,62 um den Vorderrand zu erreichen. Freilich aber bildet ia in dieser letzteren Beziehung die Marmorbekleidunsf der Anten
DER TRMPEL DER FORTUNA AIIGUSTA IN POMPEJI 281
und damit das Auflager des Epistyls eiuen unsicheren Factor in unserer liechnung.
Wie dem auch sei, aus dem oben über die Breitendimen- sionen gesagten ergiebt sich zweifellos, dass für die Säulen der nach dem Erdbeben hergestellten Aedicula der Unterbau verändert
werden sollte, vermutlich durch Ausfüllung des Zwischenraumes zwischen den Vorsprüngen, wie wir ihn in unserer Restauration aus- gefüllt haben. Und es bestätigt sich uns so das schon oben (S. 276) gewonnene Resultat, dass die Aedicula nach G3 nicht hergestellt, das erhaltene Epistyl nie in opera war. Ferner ist hiermit die
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oben (S. 270 f.) berührte Frage nach der Entstehungszeit der Apsis so weit erledigt, wie sie erledigt werden kann : die Apsis und mit ihr die Aedicula waren schon vor 63 vorhanden.
Da nun, wie wir sahen, die zu diesem Epistyl gehörigen Säulen auf diesem Unterbau etwas zu weit einwärts zu stehen kommen würden, so muss dieser Unterbau für eine um ein weniges breitere Vorhalle der Aedicula gemacht worden sein. Es drängt sich nun die Frage auf, ob auch diese ältere Aedicula jenes eigentümliche Verkröpfnngsmotiv hatte. Dies war zweifellos der Fall. Die Rechnung kann hier mit grosser Genauigkeit gemacht werden. Die Säulencentren lagen natürlich in der Mitte der Vor- sprünge, also 2,70 — 0,42 = 2,28 von einander entfernt. Die Plin- then massen 0,42 im Quadrat; nehmen wir an, dass sie wenig vor den Säulenschaft vorsprangen, so konnte das alte Epistyl die Breite des erhaltenen, 0,28 bis 0,30 haben ; auf keinen Fall aber konnte es stärker sein. Somit war die Vorhalle nicht breiter als 2,28 + 0,28 = 2,56, während sich uns für die Aedicula mit ihren marmorbekleideten Seitenwänden ein Minimum von 2,69 ergeben hat. Also die Verkröptüng war schon damals da, aber sie war kleiner, und es stimmt ja gut zu der Wandelung des Zeitgeschmackes, dass das beim ursprünglichen Bau nur leicht angedeutete Motiv bei der Wiederherstellung kräftiger herausgearbeitet wurde.
Ob man die Marmordecoration der Cellawände unverändert erneuert haben würde ? So wie sie in unserer Zeichnung hergestellt ist, trägt sie entschieden den Stempel der augustischen Zeit: das Vorwiegen der ungegliederten Fläche, das niedrige, discrete Zwi- schengesims erin-^ern an Wände dritten Stiles.
Eine Frage, die viel Kopfzerbrechen gemacht hat, wird nun wohl eine einfache Lösung erhalten. Weshalb hat man die Dedi- cationsinschrift auf dem Gebälk der Aedicula, nicht aussen 'an der Fassade angebracht? Schöne bei Nissen a. 0. wollte die Inschrift nur auf die Aedicula beziehen und bringt sie in Zusammenhang mit der eigentümlichen Art, wie diese nebst der Apsis nachträglich angefügt worden ist. Der Tempel wäre m-sprünglich nicht der For- tuna Augiista geweiht gewesen. Er hätte isolirt gestanden. M. Tul- lius war, wie ja inschriftlich bezeugt ist {CIL X 821: M. Tulli M. f. area 'privala), Besitzer des der südlichen Langseite des Tempels anliegenden Bodens; ihm hätte nach Schöne auch der
DEU TEMl'EI. DER FORTUNA Al.OUSTA IN POMPEJI 288
schmale Streifen hinter dem Tempel und das hier anliegende Haus gehört. Da nun Apsis und Acdicula zwar nicht auf, aber doch über diesem Streifen stehen und an das Haus angelehnt sind, so hätte M. Tullius mit Recht sagen können, er habe die Aedicula — aedem — auf seinem Boden bauen lassen.
Mit Recht hat Nissen diese Auffassung verworfen. Was wäre denn aus der früheren Gottheit des Tempels geworden? Und dann steht doch auch die Aedicula nicht bloss über jenem Bodenstreifen, sondern mit ihren vorderen Teilen in der alten Cella. Man müsste also schon annehmen, der alte Tempel sei exaugurirt und irgendwie Eigentum des M. TiiUius geworden, der dann die Aedicula der Fortuna Augiista hineingebaut hätte. Aber was hinderte ihn dann, dieser den ganzen Tempel zu dediciren und die Inschrift auf das Gebälk der Vorhalle zu setzen ? Und, wie Nissen mit Recht sagt, für einen so complicirten (dazu an sich unwahrscheinlichen), Vorgang verlangt man Beweise, die absolut fehlen.
Aber auch Nissen's eigene Erklärung befriedigt nicht. Nach ihm wäre der Tempel älter als die Stiftung des Collegiums der mimstri. Seine Dedication wäre als Kaisercultus, der in der frü- heren Zeit des Augustus noch nicht geduldet wurde, von Rom aus inhibirt worden. Man hätte dann den Ausweg gefunden, durch Anlehnung der Apsis an das Nachbarhaus und Zurückziehung der Inschrift in die Cella diesem Cultus gewissermassen der Charakter eines Hauscultus zu geben. Aber der Cultus der Fortuna Au- gusta ist doch kein Kaisercultus, und es ist schwer glaublich, dass man ihn nicht geduldet haben sollte. Und eben so wenig leuchtet es ein, dass der nicht nur auf die Strasse geötfnete, sondern auch mit seiner Treppe und seinem Altar das Trottoir unterbrechende Tempel durch obige Veränderungen zu einer Haus- kapelle geworden sein sollte.
In Betreff der Anlehnung an ein Privathaus sind wir durch unsere Untersuchung nicht klüger geworden. Wir können nur sagen, dass man sich hier einmal unter dem Zwang der Raumverhältnisse über sacralrechtliche Bedenken hinweggesetzt hat. Dagegen fällt auf den ungewöhnlichen Ort der Inschrift jetzt ein neues Licht. Zur Zeit der Verschüttung lag die Vorhalle wie die Aedicula in Trümmern. Man war mit den Vorarbeiten zum Neubau beschäftigt; neue Bauglieder waren in Arbeit, aber auch die alten lagen noch
284 A. MAI', DER TEMPEL DEU FORTUNA AtlGt'STA IN POMPEJI
da. Man mochte wohl vorherseheu, dass die Wiederherstellung noch geraume Zeit in Anspruch nehmen würde, und da man die Inschrift doch nicht entbehren wollte, so entschloss man sich, sie einstweilen au der Aedicula anzubringen, die man schneller auf- zurichten hotfen durfte.
A. Mau.
DER STAEDTISCHE LARENTEMPEL IN POMPEJI
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liSitSirJfrj
Ueber Form und Bestimmung des auf der Ostseite des Fo- rums von Pompeii zwischen dem Macellum und dem Vespasians- tempel gelegenen, unter dem Namen Curie oder Senaculum bekannten
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Gebäudes sind wohl verschiedentlich Ansichten und Vermutungen geäussert, ist aber nie eine eingehende, zu einem bestimmten Schluss kommende Untersuchung geführt worden, so dass alles was etwa als Vorarbeit bezeichnet werden könnte, getrost bei Seite gelassen werden darf. Namentlich in Betreff der grundlegenden Frage, ob der Hauptraum bedeckt oder unbedeckt war, ist auch nicht das allersrerinofste vorgearbeitet. Es scheint dass die Reconstruction des Gebäudes für ein gänzlich verzweifeltes Unternehmen gehalten wur- de, und man der Meinung war, dass es für dieselbe an den nöti- gen tatsächlichen Anhaltspunkten fehle. Und doch sind diese für den, der zu suchen und zu sehen weiss, in ausgiebigster Weise vorhanden, und, wenn gleich fast alles Detail fehlt, können doch die Bauformen im Grossen mit aller Sicherheit nachgewiesen wer- den. In Betreff der Bestimmung und Benennung des Gebäudes werden wir freilich wohl immer auf mehr oder weniger wahrschein- liche Vermutungen angewiesen bleiben.
Unsei-e Figuren geben den Grundriss, einen Längen- und einen Querschnitt, beide restaurirt. Dieselben sollen im Folgenden be- gründet werden.
Die Bauart giebt über die Entstehungszeit keinen recht prae- cisen Aufschluss. Eckpfeiler aus Ziegelwerk, welches mit regel- mässigen, rechtwinkeligen Verzahnungen in das Reticulat eingreift. Dieses selbst, aus ungewöhnlich grossen Steinen bestehend, unten Kalkstein und Cruma, oben Tuff, gleicht am meisten dem der sogen. Schule (Comitium?), die aber der ersten Zeit der Colonie angehört, während unser Gebäude nach dem ganzen, weiterhin zu entwickelnden Charakter seiner Architektur nicht wohl vor der Kaiserzeit entstanden sein kann. Sonst ist mir kein ähnliches Mauerwerk bekannt. In den durch eine Thür aus dem rechten Seitenraum zugänglichen Räumen sind Reste von Malereien dritten Stiles vorhanden, Malereien, die doch wohl ausgeführt wurden, bevor die früher hier stehenden Privathäuser diesem Gebäude und dem Vespasianstempel weichen mussten. Ist dies richtig — Irr- tum ist hier nicht ausgeschlossen — so ist unser Gebäude nicht vor der Zeit des etwa am Beginn unserer Zeitrechnung üblich gewordenen dritten Stiles entstanden. Der allerletzten Zeit Pom- peii's gehört es sicher nicht an. Dies ergiebt sich aus einem auf der Aussenseite der D vom Forum trennenden Wand unter den
DER STAEDTISCHE t.ARKNTEMPEL IN POMPEJI 287
Resten der Marmorbekleidiing erhaltenen Streifen bemalten Stuckes. Leider ist es zu wenig um den Stil zu bestimmen, zweifellos aber beweist dieser liest, dass wenigstens hier draussen der Marmor- bekleidung Stuckmalerei vorherging, also das Gebäude eine län- gere Vergangenheit hatte. Dieselbe ergiebt sich auch aus einer kleinen Thür in der rechten Wand von C, die vor der Marmor- bekleidung vermauert worden ist. Auch das Verhältniss zu den anstossenden Gebäuden giebt keine genauere Zeitbestimmung. Der Vespasianstempel ist zweifellos jünger (') ; aber das hilft uns nicht weiter, da er der Zeit nach 63 angehört. Die Mauer zwischen C und dem Macellum ist zweifellos älter, und es ist bei dem Bau unseres Gebäudes an dieselbe angemauert worden ; aber das Macel- lum, wie es uns vorliegt, ist eine WiederherstelluDg eines älteren, gleichartigen Baues, und es ist mir nicht gelungen, zu entschei- den, ob die fragliche Mauer diesem älteren Macellum oder dem Neubau angehört. Wir müssen uns also wohl damit begnügen, dass wir einen Bau der ersten Kaiserzeit vor uns haben.
Die marmornen Bestandteile dieses Baues sind durch antike Ausgrabungen sehr gründlich entfernt worden. Von all den Säu- len und Pilastern unserer Restauration ist nur ein Teil einer Pilasterbasis erhalten; sie liegt jetzt auf der Basis in C; Gau (bei Mazois III p. 51) sah sie an dem im Plane mit 2 be- zeichneten Punkte, und in der Tat kann sie sehr wohl einem der Eingangspilaster der Apsis angehört haben. Dazu ein Stück Mar- morbekleidung draussen bei 1 und dürftige Reste der Marmor- bekleidung im Inneren ; ein wichtiges Stück derselben, bei 3, soll weiterhin besonders besprochen werden. Die Mauern sind in ver- schiedener Höhe erhalten, nirgends höher als die Pilaster der Apsis. Wertvoll sind die Reste der dicken Stuckschicht, die der Marmor- bekleidung als Unterlage diente: sie bewahren vielfache Spm'en der Anordnung der Marmorbekleidung und der durch dieselbe aus- gedrückten Bauglieder. Der Fussboden aus buntem Marmor ist noch jetzt zum Teil und war zur Zeit der Ausgrabung in noch viel grösserer Ausdehnung erhalten. Das damals vorhandene giebt in Farben Gau bei Mazois III 37 (ohne Farben auch bei Over-
[}) S. Mau Osservazioni sul creduto tempio del genio di Augusto, S. 3. = Atti della r. Acc. di Napoli XVI p. 183.
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beck^ S. 130); es reicht vollkommen aus, um das Muster heizu- stellen und, was wichtiger ist, jede innere Säulen- oder Pfeiler- stellung auszuschliessen, wie dies auch Gau selbst hervorhebt.
Von dem Altar G in der Mitte des Hauptraumes sind nur die unteren Teile erhalten. Dass es aber ein Altar ist, nicht etwa eine Statuenbasis, kann nicht wohl bezweifelt werden. Erstens musste, bei dem tempelartigen Charakter der Aedicula, ein Altar doch vorhanden sein. Zweitens wäre der Platz für eine Statuenbasis sehr seltsam gewählt. Denn es kann doch kein Zweifel sein, dass die Hauptstatue, oder die Hauptstatuen, denen das Ganze gewidmet war, in der Aedicula standen ; diese aber wären durch eine in der Mitte stehende Statue in ungebühilicher Weise in zweite Linie gerückt worden. Endlich ist vollkommen erhalten die zu unterst umlaufende, 0,15 hohe, 0,30 breite Stufe. Sie ist regelmässiger Bestandteil des Altars und hat hier ihren Zweck, indem der Prie- ster beim Opfer auf sie tritt ; dagegen wäre sie bei einer Statuen- basis wohl unerhört und sinnlos.
Sehr mit Unrecht hat man, in der Voraussetzung dass dies der Sitzungssaal der Decurionen wäre, diesen Altar mit dem bekann- ten, in der letzten Zeit des Heidentums viel umstrittenen Altar der Victoria in der römischen Curie verglichen. Dieser nahm sicher nicht so die Mitte des Hauptraumes ein ; sondern in irgend einer Nische stand die Statue der Victoria und vor ihr der vermutlich kleine Altar. Dagegen ist hier der Altar das Centrum der Anlage und darf als vollgültiger Beweis für den sacralen Charakter der- selben gelten.
Ein annähernd quadratischer Raum (20,35 X 18,45) B ist auf drei Seiten von Mauern umschlossen, auf der dritten offen gegen das Forum. Auf ihn öffnen sich drei Nebenräume : auf der Rück- seite ein Halbrund E\ welches, obgleich kein Gewölbeansatz er- halten ist, doch zweifellos als Apsis zugewölbt war und eine auf hohem Unterbau stehende Aedicula F enthielt. In gleicher Höhe des Unterbaues (1,90) läuft an den Wänden der Apsis ein vor- springender Sockel, auf dessen Oberfläche, wie im Plan angedeu- tet, eingelegte Lavablöcke die Plätze von vier Säulen und eben so vielen Halbsäulen bezeichnen. Auf beiden Seiten des Hauptraumes öffnet sich je ein viereckiger Nebenraum, CD, für den wir wohl den Namen ala (Vitr. IV, 7, 2) in Anspruch nehmen dürfen. An
DER STAEDTISCHE LARENTEMPEL IN POMPEJI 291
die Rückwand eines jeden derselben ist eine Basis angemaiiert; die Plätze je zweier den Eingang teilenden Säulen sind durch in den Boden eingelegte Lavablöcke bezeichnet. In den Wänden des Haupt- raumes sind acht Nischen // angebracht; ihr Boden liegt in glei- cher Höhe mit der Oberfläche des Unterbaues der Aedicula und des Sockels der Apsis. In eben dieser Höhe lief in dem ganzen Gebäude ein Sockel um, dessen Spuren in der Stuckschicht, die der Marmorbekleidung als Unterlage diente, deutlich zu erkennen sind. Unter jeder der genannten Nischen hat er einen Vorsprung der etwas breiter ist als die Nische selbst. In jeder Seitenwand ist die der Innenecke zunächst liegende in der Kückwand einer bis auf den Boden hinabreichenden gewölbten Nische angebracht; die halbkreis- förmige Wölbung ist hier erhalten.
Vor der offenen Seite der Anlage sind in die den unbedeckten Raum des Forums begrenzende Stufe viereckige Lavasteine ein- gelegt, jeder mit zwei Klammerlöchern zur Befestigung einer Mar- morplatte, wie sie, in gleicher Weise befestigt, vor dem Macellum erhalten ist. Es ist klar dass diese Steine hier wie dort eine mar- morne Säulenreihe trugen. Und zwar kam die nördlichste dieser Säulen der südlichsten der vor dem Macellum stehenden so nahe wie unser Plan zeigt. Später hat man dies ändern wollen und diesen (im Plane punktirten) Stein entfernt; erliegt unter anderen Bau- trümmern in der Markthalle auf der gegenüberliegenden Seite des Forums.
War der Hauptraum B bedeckt oder nicht? Für die Be- deckung könnte man den Marmorfussboden geltend machen, der al- lerdings in einem unbedeckten Räume in Pompeii sonst nicht nachweisbar ist. Aber das zweifellose Beispiel des Augustusforums in Rom genügt doch wohl, um dies Argument zu entkräften.
Gegen die Bedeckung spricht die technische Schwierigkeit derselben. Für ein Gewölbe von solcher Spannweite sind nicht an- nähernd die Widerlager vorhanden. Eine Dachconstructiou war sicher nicht unmöglich; war doch auch das 28 m. breite kleine Theater bedeckt. Aber wir müssen fragen: weshalb sollte man sich diese ganz ausserordentlich schwierige und kostspielige Leistung zuge- mutet haben? Was war denn unser Gebäude, wenn es bedeckt war? Doch eine Art von Tempel; der Hauptraum die Cella, auf die sich Apsis und Altar öffneten. Doch aber ein Tempel geringe-
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ren Kanges, einmal weil er nicht erhöbt ist, und dann weil in der Aedicula, auf einer Basis von so geringer Tiefe, nur verhält- nissmässig kleine Statuen, nicht viel über Lebensgrösse, stehen konnten. Was für Grund hatte man denn da, die Cella so unge- wöhnlich breit zu machen ? Und wenn man dies doch wollte, wes- halb erleichterte man sich nicht die Bedeckung durch innere Säu- lenstellungen y Wie seltsam ferner ein mit solcher Anstrengung bedeckter Raum, der doch nicht geschlossen, sondern nach vorn in ijanzer Breite offen ist! Und das Missverhältniss zwischen dem trrossen Raum und den kleinen Cultbildern! War der Hauptraum unbedeckt, so war die Aedicula oder allenfalls die Apsis der Tem- pel, und zu ihm standen die Statuen in richtigem Verhältniss. War er bedeckt, so ist er der Tempel, und wir verlangen, dass sie zu ihm im Verhältniss stehen. Und ein Tempel zu ebener Erde ! End- lich ist es doch auch das nächstliegende und natürlichste, den Altar unter freiem Himmel zu denken.
Wir dürfen also wohl sagen, dass allgemeine Erwägungen eher auf Unbedecktheit des Hauptraumes führen. Dass er in der Tat unbedeckt war, wird sich uns bestimmter ergeben, wenn wir uns nun daran machen, die ihn einschliessenden Wände nach den vor- handenen Spuren zu reconstruiren. Sollte sich uns dabei ergeben, dass alle drei Wände gleich hoch waren, so bliebe die Frage oifen. War aber die Rückwand (wie in unserer Restauration) höher als die Seitenwände, so war Bedeckung unmöglich.
Wir betrachten zuerst die Rückwand mit der grossen Apsis. Die Innenwand der Apsis schliesst sich bis zur Höhe von 1,90 der dem Eingang zugewandten Seite des Eingangspfeilers an; dann weicht sie um etwa 1 m. zurück : die WandÜäche ist hier gewis- seniiassen aufgelöst und bis zu einer weiterhin zu bestimmenden Höhe ersetzt durch eine Säulenstellung mit ihrem Gebälk. Ober- halb dieses letzteren tritt — ich glaube dies ist selbstverständlich — die eigentliche WandÜäche in so fern wieder in ihr Recht ein, als die Wölbung auf dem Gebälk, nicht auf der hinter den Säulen liegenden AVand ansetzt. Weiter gehen wir von der Voraussetzung aus, dass das Gebälk dieser Säulen dem der Aedicula gleich war und mit ihm in gleicher Höhe lag. Denn die Existenzberechti- gung dieser Auflösung der Wandfläche beruht doch eben auf dem Anschluss an die Aedicula; es ist eine Erweiterung des dort ge-
DER STAKDTISCHE LARENTEÄH'KI, IN POMPEJI
293
gebenen Motivs. Unter dieser Voraussetzung haben wir für die Säulenhöhe ein Minimum in der erhaltenen Höhe der Seitenwände (Anten) der Aedicula : sie sind erhalten bis 4,20. Dies Minimum wird aber zugleich als Maxiraum zu gelten haben; denn schwer- lich hatten die Säulen einen mit einer grösseren Höhe verträg- lichen Durchmesser.
Auf der Innenseite des rechten Eingangspilasters der Apsis, an dem auf dem Plan mit 3 bezeichneten Punkte, ist eine Incrusta- tionsplatte an ihrem Platze erhalten, wie beistehende Figur zeigt.
Es ist klar, dass diese Platte sich an die einst hier angelehnte Halbsäule anschloss: wir lernen aus ihr die Form der tuscani- schen Basis und die Entfernung der Säulen von der Rückwand kennen. Leider nicht den Durchmesser. Für diesen ereiebt sich nur ein Maximum. Wenn nämlich die Säule von der Ecke des Eingangspilasters einschliesslich seiner Marmorbekleidung eben so weit entfernt blieb, wie von der Innenecke, so war die Säule 0,55 stark. Es ist aber wahrscheinlich, dass hier die Entfernung eine etwas grössere und somit der Durchmesser ein etwas ge- ringerer war. Denn da doch das Gesims nur um ein Weniges vor den Eingangspilaster vorspringen durfte, nicht weiter als dass der Vorsprung durch das Pilasterkapitell gedeckt wurde, so mussten die Säulen um etwas weniger als den Betrag der Ausladung des Gesimses von dem Rande des Sockels und der Kante des Pila- sters entfernt bleiben. Schätzen wir diese Entfernung auf 0,30, so bleibt ein unterer Säulendurchmesser von 0,48, der sehr wohl mit der oben gefundenen Minimalhöhe von 4,20, nicht aber mit einer wesentlich grösseren Höhe verträglich ist. Wenn wir also den Säu- len und der Aedicula 4,20 geben, so entfernen wir uns sicher nicht
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weit von der Wahrheit. Das Gebälk ist dann freilich willkürlich zu schätzen; ich habe es etwa 1,10 hoch angenommen und denke, der Augenschein lehrt, dass es wesentlich niedriger nicht sein konnte. Auf diesem Gebälk setzte also das Gewölbe an, lothrecht über der Vorderfläche des Epistyls, so dass es von der Kante des Eingangs- bogens um annähernd 0,30 entfernt blieb : der Abstand musste etwas grösser sein als er in unseren Zeichnimgen erscheint.
Damit haben wir die Höhe des Gewölbeansatzes auf 1,90 + 4,20 -}- 1,10 = 7.20 bestimmt; dies musste also auch die Höhe der Eingangspilaster der Apsis sein. Dass diese Pfosten als Pila- ster gebildet waren, ist zweifellos. Das erhaltene Fragment der Marmorbasis links bei 2 wurde schon S. 287 erwähnt. Die Pila- ster sind aber auch in dem der Marmorbekleidung als Unterlage dienenden Stuck deutlich zu erkennen, namentlich der rechte, des- sen Breite sich ziemlich genau auf 0,85 feststellen lässt, also zu obiger Höhe gut passt.
Die Wölbung der Apsis ist, dem Grundriss entsprechend, als fast vollständige Viertelkugel und folglich der Eingangsbogen als fast vollständiger Halbkreis zu denken : von der Viertelkugel geht ja die Breite des Eingangsbogens ab. Eine flachere Wölbung ist absolut auszuschliessen, weil sie neben den Halbkreiswölbungen der beiden grossen Nischen der Seitenwände (s. d. Längenschnitt) uner- träglich sein würde. Da die Apsisöffnung 11 m. weit ist, so war die Wölbung annähernd 5,50 hoch. Rechnen wir dazu den Stirn- bogen, ein zu oberst abschliessendes Glied und einen wenn auch geringen Zwischenraum zwischen beiden, so kommen wir auf eine Gesammthöhe von kaum weniger als 14 m.
Wir sind von der Voraussetzung ausgegangen, dass Säulen und Gebälk an der Aedicula und auf dem Sockel der Apsis gleich hoch und auch wohl gleich geformt waren. Dass die Aedicula durch grössere Höhe hervorgehoben gewesen wäre, ist in hohem Grade unwahrscheinlich ; die drei verschiedenen Höhen der Eingangspi- laster, der Aediculasäulen und der Wandsäulen hätten eine allzu unruhige und unerfreuliche Wirkung hervorgebracht. Aber aller- dings positiv widerlegen lässt sich eine solche Annahme wohl nicht. Und ebenso, wenn jemand annehmen wollte, die Wandsäulen hätten kein vollständiges Gebälk sondern nur ein Epistyl getragen, so könnten wir wohl einwenden, es wäre unglaublich, dass man sich
DER STAEDTISCHE LARKNTKMPEL IN POMPEJI 295
dio viel schönere und kräftigere Wirkung des vollständigen Gebälkes hätte entgehen lassen ; aber einen zwingenden Gegenbeweis könn- ten wir nicht führen. Es wird also gut sein, auch diese Möglich- keiten und die sich dann ergebenden Höhenverhältnisse in Betracht zu ziehen.
Hier ist nun zunächst hervorzuheben, dass die Höhendifferenz zwischen Aedicula- und Wandsäulen, wenn diese vollständiges Ge- bälk trugen, keineswegs gegenüber unserer Zeichnung so herzu- stellen sein würde, dass man nur letzteren geringere Höhe gäbe. Denn wenn auch nur die Oberkante ihres Gesimses der Oberkante des Epistyls der Aedicula entsprach — geringer konnte die Diife- renz nicht sein — so ergiebt sich, bei der von uns angenommenen Höhe der Aedicula, ein schwer erträgliches Verhältniss zwischen dem hohen Sockel und den niedrigen Säulen. Wir würden also unter dieser Voraussetzung auch eine grössere Höhe der Aedicula annehmen müssen, und die Verminderung der Gesammthöhe würde kaum mehr als 0,50 betragen. Wollten wir aber den Wandsäulen nur das Epistyl geben, so würden wir auch in Betreff des Säulen- durchmessers zu einem anderen Resultat kommen als oben S. 293 Denn wenn wir den vorspringenden Teil des Gebälkes unterdrük- ken, so haben wir keinen Grund mehr, anzunehmen, dass die Säu- len von dem vorderen Kande des Sockels weiter entfernt standen als von dem hinteren, nämlich 0,22, und es ergiebt sich dann ein Dm-chmesser von 0,55, der wieder eine geringere Höhe dieser Säulen als die von uns angenommene höchst unwahrscheinlich macht. Und da wir doch auch dem Epistyl als einzigem Gebälkgliede eine etwas grössere Höhe zugestehen müssten, so würde wiederum die Ver- minderung der Gesammthöhe nur eine geringe sein, etwa 0,60 — 0,70, so dass auf alle Fälle ein Minimum von mehr als 13 m. bestehen bleibt.
In Betreff der Aedicula ist noch eine Besonderheit unserer Reconstruction zu begründen. Die Aussenseiten der beiden Anten sind 5,20 von einander entfernt. Ziemlich ebenso breit ist der vorspringende Unterbau, vielleicht um ein Geringes schmäler. Zu beiden kam durch die Marmorbekleidung noch etwas hinzu, etwa 0,04 bis 0,05. Da nun die auf den Vorderecken des Unterbaues stehenden Säulen mit ihren Plinthen nicht über die Seitenfläche des Unterbaues hinaus, nicht etwa auf das am Rande desselben
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vorspringende Gesims übergreifen durften, die obere Peripherie des Schaftes aber, und das Epistyl doch um einiges hinter der Kante des Plinthus zurückbleiden mussten — bei den Säulen der Apsis, deren Basenprofil wir kennen (S. 293) beträgt die Differenz 0,09 schon ziemlich unten am Schaft — so ergiebt sich, dass das auf diesen Säu- len aufliegende Gebälk sich nicht einfach an die Anten der Aedicula anschliessen konnte, sondern die Front etwas schmäler sein, die Sei- tenepistyle etwas weiter einwärts liegen mussten, so dass die Anten mit einer Ecke von etwa 0,10 über sie hinaus seitlich vortraten (0- Wir werden annehmen dürfen, dass auf dieser Ecke das Ge- bälk der Apsissäulen sich mit einer Verkröpfung an das der Ae- dicula anschloss. Die Sache ist so seltsam, man sieht so garnicht ein, wozu diese Verkröpfung, dass man auf den Gedanken kommen könnte, die Aedicula habe garkeine säulengetragene Vorhalle gehabt, sondern ihr Giebel habe auf den dann pilasterartig ausgebildeten Anten aufgelegen. Aber wir haben ja ganz das gleiche Motiv an der Aedicula des Fortunatempels gefunden (S. 278), dort in viel unzweifel- hafterer Weise, Dank der Erhaltung des Gebälkes. In der Tat wäre das Fehlen der Säulen, da doch der Unterbau für sie vorhanden ist, kaum minder seltsam als die Verkröpfung.
Um gleich alles auf die Kückwand bezügliche zu erledigen, bemerken wir noch, dass die Ausbildung der Statuennischen // neben der Apsis, sowie der gleichartigen in den Langwänden, mit Pilastern und Gebälk nicht nur sich ergiebt aus dem Sockelvor- sprung unter der Nische, der, etwas breiter als die Nische selbst, eben nur den Zweck haben kann, diese Pilaster zu tragen, sondern auch stellenweise, namentlich an der letzten Nische der rechten Wand, die Spuren der Pilaster in der Stuckunterlage deutlich zu erkennen sind. Das kleine Giebelfeld ist freilich nicht erweislich, aber ich denke man würde es ungern entbehren. Die Spuren des Sockelgesimses sowie des kleinen Vorsprunges unten am Boden sind durch das ganze Gebäude zu verfolgen.
Wir wenden uns jetzt zu den Seitenwänden (s. den Längen- schnitt). Auch hier ruht die Kestauration auf durchaus sicheren factischen Grundlagen. An der gewölbten, in ganzer Höhe erhal-
(1) Ich wurde auf diese Schwierigkeit durch Herrn Dr. Pallat aufmerk- sam gemacht.
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tenen Nische sind die einfassenden Pilaster in der Stuckunterlage kenntlich. Deutlich kenntlich sind auch die Eingangspilaster der alae CD; sie waren an der dem Eingang zugewandten Seite 0,59 stark, welches also auch der Durchmesser der Säulen war, von denen nichts übrig geblieben ist, als die Steine auf denen sie standen. Gegen den Hauptraum sind die Pilaster im Backstein- kern 0,59 breit, waren also mit ihrer Marmorbekleidung etwas stärker. Die Höhe ist willkürlich angenommen, konnte aber nicht viel anders sein ; frei erfunden sind natürlich Gebälk und Giebel. Von besonderer Wichtigkeit ist der grosse Pilaster an der Eingangsecke des Kaumes, auf unserer Zeichnung ganz links. Er ist auf der 1. Wand in der Höhe von 2 m. im Backsteinkern 0,88 breit. Die Marmorbekleidung der Wand nach dem Forum ist mit ihrer Stuckunterlage 0,08 dick ; dies ist also das Minimum für das Uebergreifen des Marmorpilasters über die Backsteinecke. Nach der Innenseite (r.) ist 0,04 für die Marmorbekleidung wenig ge- rechnet ; also Gesammtbreite nicht unter 1 m. Die Ecke war nur nach dem Inneren unseres Gebäudes zu als Pilaster gebildet, nicht auch nach dem Forum, wo an der auf dem Plan mit 1 be- zeichneten Stelle eine andere Marmorbekleidung erhalten ist. Es ist ferner ganz sicher, dass dieser Pilaster der einzige an der Wand war; ein Blick auf unsere Zeichnung lehrt dass für einen zweiten, namentlich an der Innenecke, absolut kein Platz ist. Seine Func- tion ist, die Wand gegen das Forum abzuschliessen ; und daraus ergiebt sich die künstlerische Notwendigkeit, dass auch das von ihm getragene Gebälk sie nach oben abschloss, nicht etwa ein Zwischengebälk war ; dieses hätte durch mehrere Pilaster gestützt sein müssen. Und da es ganz unmöglich ist, mit diesem Pilaster und seinem Gebälk die Höhe der Rückwand zu erreichen, so er- giebt sich, dass Seitenwände und Rückwand von verschiedener Höhe, mithin der von ihnen eingeschlossene Raum unbedeckt war. Wären die drei Wände gleich hoch gewesen, so hätte ja ein ge- meinsames abschliessendes Glied, und zwar, wegen des grossen Pilasters, ein starkes Gebälk, an ihrem oberen Rande umlaufen müssen, in einer Minimalhöhe, wegen der Apsis, von etwa 13 m. So hoch also hätte der Pilaster sein müssen, was bei nur 1 m. Breite natürlich unmöglich ist. Ferner wäre es ja ganz unvermeid-
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lieh gewesen, ein solches Gebälk auch an den Innenecken durch je einen Doppelpilaster zu stützen.
Bei der Wichtigkeit grade dieses Punktes ist es vielleicht nicht übertiüssig, noch weiter zu zeigen, weshalb es unmöglich ist, den grossen Pilaster als Träger eines Zwischengebälkes zu denken: die Höhenverhältnisse würden ja allenfalls gestatten, auf das Ge- bälk unserer Kestauration noch einen kleineren Pilaster zu stellen, der das zu oberst abschliessende Glied in der Höhe der Rückwand getragen hätte. Verfolgen wir aber diese Vorstellung weiter, so stossen wir sofort auf die grössten Schwierigkeiten. Wenn das Zwi- schengebälk nur durch einen einzigen Pilaster gestützt war, so könnte dies ja vielleicht darin eine Art Entschuldigung finden, dass die ganze Wand von anderen Motiven eingenommen ist. Aber im oberen Wandteil wäre doch Platz für weitere Pilaster, das Fehleu derselben unerträglich gewesen, namentlich wieder in den Innenecken, wo je ein Doppelpilaster notwendig war, um das auch auf der Rückwand fortlaufende Gebälk zu stützen. Dass aber dieser keine Stütze im unteren Wandteil gehabt hätte, wäre doch wohl unerträglich gewesen. Und dann hätte doch auch das Zwischen- gebälk sich auf die Rückwand fortsetzen müssen; denn bei gleicher Höhe wären ja die drei Wände ganz gleichartig, verschieden nur die sich auf sie öffnenden Nebenräume. Es wäre ganz unvermeid- lich gewesen, dies Zwischengebälk auf den Eingangspilastern der Apsis aufliegen zu lassen; diese und der grosse Eingangspilaster hätten gleiche Höhe haben müssen, was schon durch die verschie- denen Durchmesser widerlegt wird. Und sollte jemand diese Wi- derlegung nicht für zwingend genug halten, so wäre noch Folgen- des zu erwägen. Der Stirnbogen der Apsis hätte dann auf dem Zwischengebälk ansetzen müssen. Und da wir den Gewölbeansatz nicht höher hinauf rücken können, als es in unserer Zeichnung ge- schehen ist, so müssten die Apsispilaster um die Höhe des Ge- bälks niedriger werden. Ihnen bliebe nur eine Höhe von höchstens 6,20, und in dieser Höhe müsste das Zwischengesims laufen. Dies aber ist unmöglich, weil es dann den Stirubögen der gewölbten Ni- schen in den Seitenwänden und dem Gebälk der Alen zu nahe kom- men, wenn nicht gar mit ihnen zusammenstossen würde. Auch wäre doch obige Höhe für den Durchmesser des grossen Pilastors allzu
genng.
DER STAEDTISCHE I.AHENTKMHEL IN l'OMPEJI 20P
Wie immer wir es versuchen, für die Seitenwände die Höhe der Rückwand zu gewinnen, überall stossen wir auf unüberwindliche Hindernisse. Es darf also als erwiesen gelten, dass sie niedriger waren, woraus weiter die ünbedecktheit des eingeschlossenen Rau- mes folgt.
Die alles überragende Rückwand musste nun natürlich einen monumentalen oberen Abschluss haben. Das ihr aufgesetzte Gie- belfeld findet seine Analogie in dem Gebäude der Eumachia, wo das Gebälk des die grosse Apsis der Rückseite bekrönenden Gie- bels zum Teil erhalten ist, ferner in der bekannten halbrunden Nische an der Gräberstrasse (Overbeck Pompeji' S. 406) und zwei kleinen Nischengräberu ebenda (a. 0. S. 408). Das Gebälk konnte natürlich anders gestaltet sein, unter dem horizontalen Gesims konnten noch Fries und Epist}^ liegen. In unserer Restauration ist angenommen, dass der Stirnbogen das Epistyl, der Zwischenraum zwischen ihm und dem Gesims den Fries vertritt.
In Betreff der Säulenreihe zwischen A und dem Forum ist schwerlich die Annahme zu umgehen, dass sie nur decorativ hier entlang geführt war, aber kein Dach trug; denn für die Dachspar- fehlt durchaus das obere Auflager. Es kann als ganz sicher gelten, dass in dem weiten Eingang unseres Gebäudes keinerlei Teilungen
— Säulen oder Pfeiler — vorhanden waren: unmöglich hätten deren Fundamente so spurlos verschwinden können. Und wollten wir auch, über aesthetische Bedenken hinwegsehend, den Eingang durch einen mächtigen Balken überspannt denken, so würde doch dieser bei solcher Spannweite ausser Stande gewesen sein, die Last des Daches zu tragen, zumal es wegen der Eingangspilaster nicht tunlich war, ihn an den Euden durch schräge Stützen zu verstär- ken. Sonst würde ja die Höhe zu einer doppelten Säulenstellung
— deren Höhe Mitth. VII, 1892, S. 118 auf 8,13 berechnet wurde — wohl passen.
Welches war der Zweck des Gebäudes? welchen Namen dürfen wir ihm geben? Dass es ein Cultlocal war, beweist der die Mitte des Ganzen einnehmende Altar; und zwar ein wichtiges, mit gros- sen Kosten hergestelltes und reich ausgestattetes Cultlocal. Aber doch kein Tempel einer dor grossen Gottheiten, überhaupt kein eigentlicher Tempel. Sowohl der Platz als die aufgewandten Kosten hätten hingereicht, einen solchen zu schaffen. Wenn man es doch
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nicht getan hat, so dürfen wir schliessen, dass den hier verehrten Wesen — denn dass ihrer mehrere waren, beweist doch wohl die 4,50 breite, nur 0,75 tiefe Basis der Aedicula — nicht ein eigent- licher Tempel, sondern nur eine Aedicula zukam. Eben deshalb möchte ich auch nicht an den Kaisercultus denken. Schon Augu- stus wurden wirkliche Tempel gebaut. Es ist wenig wahrscheinlich dass die Pompeianer ihn oder einen seiner Nachfolger mit grossen Kosten von den Gröttern, denen solche zukamen, so ausdrücklich unterschieden haben sollten.
Sicher aber standen die in diesem so eng mit dem Forum ver- bundenen Räume verehrten Wesen in enger Beziehung zur Stadt, waren ihre Schutzgeister. Damit ist auch der Name gegeben. Ich wüsste nicht, welchen Cult wir hier mit grösserer Wahrscheinlich- keit suchen dürften, als den der städtischen Laren, der Lares jm- blici. Die bekannteste Form ihres Cultus ist ja der seit Augustus den Vicomagistri obliegende Compitalcult. Es gab aber doch auch in Rom gewissermassen eine Centralstelle für diesen Cult, den von Augustus {Mon. Aiicyr. IV 7) wiederhergestellten, aber schon bei Cicero {N. D. III G3) erwähnten Tempel, aedes Lamm, der in summa Sacra via lag, wo sich später der Titusbogen erhob ('). Dass die Colonie auch hierin nicht hat hinter der Hauptstadt zurückstehen wollen, ist wahrscheinlich genug. Es ist ja bekannt, dass Augustus mit dem Cult der Laren den seines Genius verband. Ist also unsere Vermutung richtig, so stand sicher in der Aedicula zwischen den Laren der Genius des Kaisers, d. h. der Kaiser selbst, mit über den Kopf gezogener Toga, mit der Patera libirend.
Nur ganz unsichere Vermutungen sind über die einst auf den Basen in den Alen CD stehenden Statuen gestattet. Wir dürfen aber doch daran erinnern, dass in den Lararien der Privathäuser nicht selten ausser dan Bronzefigürchen der Laren und des Genius auch die verschiedener Gottheiten gefunden worden sind : Apollo, Hercules, Fortuna, Mercur, Aesculap u. A. Es sind solche Gott- heiten, denen in der betreffenden Familie besondere Verehrung ge- zollt wurde. Vermutlich wendete man auf sie den Namen der Pe- naten an, dessen ursprüngliche Bedeutung längst vergessen war. Es liegt also nahe zu vermuten, dass hier neben den Laren zwei Gott-
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(') Preller Rom. Myth.^ II 115 (497).
DER STAEDTISCHE I.ARENTEMPEI. IN l'OMPEII ;JUl
heiten verehrt wurden, in deren besonderem Schutze die Pompeianer zu stehen glaubten. Man könnte z. B. an Ceres und Venus Pom- peiana denken : Priesterinnen der Ceres und Venus (eine beider Göttinnen Mitth. VII, 1892, S. 172) kennen wir aus den Inschriften, doch ist noch kein Tempel derselben gefunden worden. Aber frei- lich konnten es auch ganz andere Gottheiten sein. Dazu aber, dass hier neben den Laren wirkliche grosse Gottheiten verehrt worden wären, würde es wohl passen, dass diese Alen durch ihre Dimen- sionen weit mehr als die Aedicula an eigentliche Tempel erinnern, lieber die Statuen in den Nischen // wird es besser sein, sich aller Vermutungen zu enthalten. Es konnten ebenfalls Götter, aber auch Mitglieder der Kaiserfamilie oder auch verdiente Bürger sein. Die in unserer Restauration hier und in den Alen erscheinenden Statuen wollen keinerlei Vermutungen zum Ausdruck bringen, son- dern nur andeuten, dass hier Statuen standen.
A. Maü.
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SÜL MONUMENTO Dl ADAMKLISSI (0
Oggi e la terza volta che si paiia in questo luogo del monu- mento di Adamklissi. La prima fu nel 1891, quando il prof. Tocilesco rifeii sulla bella scoperta di quel magnifico trofeo, la cui rovina torreggia ancora nella deserta campagna della Dobrudja fra Kassowa e Kustendje. Appena pol pubblicato il risiiltato degli studi comuni di Tocilesco, Benndorf e Niemann, io qiii nell' adunanza del 6 marzo deir anno spirante ho dimostrato erronea 1' interpretazione data dal Benndorf a tutta una Serie di scene rappresentate sulla colonna tra- iana, a scopo di riconoscervi quegli stessi combattimenti scolpiti sul trofeo di Adamklissi {-). Alla quäle mia osservazione, tosto segui un articolo (3) di Furtwängler, certo il piü fecondo nonche il piü ingegnoso di tutti gli archeologi odierni. Esso dunque, non contento di escludere ogni relazioue fra il trofeo e la colonna, andö perfino a negare ogni relazione del detto monumento con Tra- iano; anzi lo vorrebbe dimostrare anteriore di piü d"un secolo, eretto cioe in memoria delle vittorie riportate nel 29 a. C. da Li- cinio Crasso sopra popoli germanica Cosi nel momento stesso quando i rilievi della colonna di M. Aurelio, per la prima volta fedelmente riprodotti, si pubblicano come le piü antiche rappresentanze della
(') Questo discorso fu letto nell' adunanza solenne 11 dicembre 1896. (2) Per la relazione di Tocilesco si v. questo Bullettino 1891 p. 151. Sulla opera: Das Monument von Adamklissi 7'ropaeum Traiani unter Mit. icirkung von Otto Benndorf und George Niemann herausgegeben von Gr- G. Tocilesco, Wien 1895, fu riferito ivi 1896 p. 103.
(3) Intermezzi, Kunstgeschichtliche Studien von A. Furttcängler, Leipzig und Berlin, I80ß, p. 49: Das Monument von Adamklissi und die älteslcn Darstellungen von Germanen.
K. PETERSKN, SlIL MONIIMENTO 1)1 ADAMKLISSF 803
riizza germauica ('). d' altra parte si pi-etendo di otfrir tipi ger- manici di arte romaiia assai piü autichi. Certo 1' ollerta sarebbe gradita, ina prima di accettarla credo iudispensabile che si prenda in disamina la tesi sorprendente, se cioe il monumento appartenga veramente ad Augusto e non a Traiano.
La carattcristica piü marcata del popolo, che nei rilievi del trofeo primeggia fra gli avversari dei Komani, fu da me iudicata nel citato discorso, cioe i capelli annodati al lato d. della testa, e misi in confronto le parole con cui Tacito descrive la capigliatura degli Suebi. Appunto da qiiesta caratteristica, che siilla coloniia non e data mai agli avversari dei Komani, ma due volte sole vi si trova presso gente non ostile, oppm*e amica ('-), non mancai di dedurre la diversitä dei fatti raffigurati sul trofeo da quelli rap- presentati sulla colonna. II eh. F. perö, secondo egli dice p. 55, 2, non prese le mosse da questa mia osservazione ma da ima sua, o meglio di Benndorf, che cioe 1' armatura dei Romani nel trofeo sia
(') Die Marcussäule auf Piasza Colonna im Rom herausgegel/en von Eugen Petersen Alfred von Domaszewski Guglielmo Calderini, mit 128 Ta- feln Folio München, F. Bruckmann 189G.
(2) Bullettino p. 104. La seconda volta tali barbari appariscono nella seconda guerra dacica presso il castcUo Pontes all' estremitä sud del famoso ponte del Damibio (Froehner /« colonne Trajane 130), ove essi sono senz'armi, non soci ne ostili, ma indifferenti verso i Romani. La prima scena ove siano presenti invecc appartiene alla prima f^uorra (Froehner 52, Cichoriiis, die Reliefs der Trajanssäule I tav. XXI, 68), ove dubito se a ragione il nuovo edi- tore della colonna li creda soci romani, venuti per accompasjnare quell' amba- sciata dacica. Prima perclie hanno armi soltanto da diih'i^.icL Die Marcussäule scena IL p. 70) , secondo per essere anteposti agli altri e piuttosto oratori che compagni. A mio parere dunque sono duc ambasciate di popoli di- versi venute insieme, come nella lodata scena della Marcussnule. Una terza poi sono i Daci pedoni della scena seguente, i quali in nessun modo possono essere identici, sniontati cioe, ai cavalieri della precedente, anche perche ivi Traiano, non fa allocuzione ai soldati, mentreche quelle ambasciate si av- vicinano, ma bensi a questi si rivolge, i soldati facendo gli onori come al- trove. Ciö risulta puranche dalla lacuna nel muro fra l'imperatore e i fo- rastieri. Incerto pero rai sembra se costoro siano pronti per far reclama- zioni, come p. e. i Buri, o domandare la pace, ovvero offrire i loro servizi ; certo invece e che si sta qui in contrada transdanubiana, poiche depo aver passato il ponte del Danubio nella scena IV, i Romani sono sempre rimasti al di la.
3(J4 E. PETERSEN
sotto molti aspetti diftereate da quella traiauea, laddove sia simile sopra Uli monumento dell' epoca augustea, cioe sul fregio del Loiivre con rappresentanza di sacrifizio preparato da im generale vincitore, fregio dallo stesso eh. F. in un altro dei suoi studi intitolati Intermezzi (') sagacemente e con prove stringenti con- giiinto col famoso fregio delle Nereidi a Monaco e riconosciuto come parte del santnario dedicato a Nettuno da Domizio, uno dei generali eminenti depo la morte di Cesare. Infatti F. crede rav- visare nelle metopi del trofeo una spedizione od un combatti- mento posteriore soltanto di pochi anni a quelle gesta di Domizio, vale a dire la spedizione di M. Licinio Crasso contro Traci e Bastarni e Geti, riferita da Cassio Dione 31, 23. Un combattimento vinto dai Romani in una selva, secondo F., sarebbe la parte piü marcata nei rilievi del trofeo, il cui sito gli pare fosse scelto perche ivi stesso, trentadue anni prima, un altro generale romano era stato battuto, perdendo qualche insegna. Ciö posto il trofeo sarebbe stato eretto come spauracchio per i feroci barbari transdanubiani. Lascio stare per ora la parte topografica di questa esposizione (-), basta notare che F. ha di gran lunga esagerato l'importanza della strage dei Bastami. Ciö che egli chiama un avvenimento straordi- nario d' immensa importanza storica (^), nel resoconto di Augusto sul monumento ancirano non e nemmeno menzionato. Augusto non tace l'invasione dei Daci, ma tace completamente la sconfitta dei Bastarni, secondo F. il fatto principale, e invece in un passo vicino ma separato. riferisce avere i Bastarni ed i Sciti chiesto 1' ami- cizia dei Romani (•^). Egli e improbabile poi, e non lo afferma
(1) Der Münchener Poseidonsfries und der Neptunstempel des Domitius. p. 33 sgg. degli Intermezzi sopra citati.
(2) Una minaccia contro i Transdanubiani perö starebbe meglio vicino al fiume, che non a piü di 10 chilometri dalla riva.
(3) L. c. p. 62: Es ist dieses gewaltige Freigniss von ungeheurer ge- schichtlicher Tragioeite, das in dem Denkmal von Adamklissi seinen Ausdruck erhalten hat.
(■*) Res gestae D. Aug. Lat. 5,47: Citra quod {/luminis Daniel) Dacorum transgressus exercitus meis auspiciis victus profligatusque est etc.; poi dopo le ambasciate venute spesso dall'India 5,51 sg. contiüua, : nostram amicitiam petierunt per legatos Bastarnae Scythaeque etc.
SUL MONCMENTO DI ADAMKLISSI 305
neanche il Mommsen ('), che le insegne perdute da Antonio, fos- sero State riprese da Crasso, e che questa gloriosa rivincita in primo luogo possa esser diventata il motivo ad erigere il trofeo sul sito, ove in fatto sta. Imperocche Dione Cassio nel luogo rispettivo park si delle insegne perdute, ma no della riconquista; anzi, rac- contando egli, come il re barbaro fuggisse coi tesori, fa pensare che con questi tesori il nemico asportasse puranco i suoi trofei. Ed Augusto stesso ce lo conferma, facendo nel resoconto menzione delle insegne riprese, mediante le sue vittorie, dalla Spagna, dalla Gallia e Dalmazia, ma non giä dai Bastarni e Geti.
Ma ecco le metopi del trofeo, delle quali alcune, al dir di Fm-twängler, sarebbero 1' illustrazione piü espressiva e piü completa della lotta riferita da Dione. Incredibile, che sulla 32 la ligura di un imperatore che fa il gesto dell' allocuzione, seguito da due compa- gni, ci debba rappresentare l'esercito romano nascosto nella selva in attesa dei barbari attirati nell' imboscata. La 31 poi ci presenta in veritä un combattimento nella selva, quali in fatto non sono rari neanche sulla colonna traiana, ma nella metope citata la situazione e proprio contraria a quella riferita da Dione. Sa cioe un barbaro dall' alto d' un albero sta scagliando le sue freccie contro un Romano che lo attacca da basso, e manifesto, che sono espressi piuttosto i barbari in agguato aspettando i Romani.
Ne sono piü giuste le osservazioui del Furtwängler sull" uso e la forma del trofeo. Quello di Adamklissi secondo lui non trova alcuna analogia nei tempi di Traiano, molte invece in quelli di Augusto, dopo le tropaea in Pyremeo di Pompeo cioe quelli di Druso e Germanico suU' Elba e sul Weser, e speciairaente il tropae/m Alpiim dell' anno 6 a. C., le cui linee generali da de- scrizioni lasciateci dal Cinquecento ancora si possono ricostruire,
(0 Res gestae Divi Aucjusti ed. Mommsen 2, p. 124 : ßastaniae quae a. 695 ad Istrum oppidum a proconsule C. Antonio ceperant, si a. 725. M.Crassus recuperavit (Dio 38,10. 51,26) id Augustus praeteriit. Dione,51,26: e/rt^ re'yovxXa.. . ip^v, ort tu at^iieTa, « rov '^ynoriov tov Fmov ol Ba'auiwai TtQog Tfi to-jy 'laTQiavotp n6Xei capfjQ.jyTo, iyrav»a ijxovey oyrcc ■ x(d cw'tS. xalroi tov ZvQÜiov fif) nagSyros elXsu ■ ixsT^og y«>, ,6s Tccxiarcc xrjg SQf^ijg avTov fla^ero, n(,6g ze xovg 2:xv&,cg ini avufxaxiav fAsui xwu ;f(.i?.u«'rw^ ünriQev xccl ovx Ecp!l}j tlvnxofAiad^eig.
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306 E. PETERSEN
conie le ha rintracciato Benndorf ('). Tale fabbrica perö a giiisa di torre cilindrica posata su di uno zoccolo ciibico e circondato il cilindro da due colonnati sovrapposti l'uno all' altro, col trofeo in cirna, doveva tanto per le proporzioni svelte quanto per 1' eleganza dei colonnati. differire assai da quel bassotto e compatto cilindro di Adamklissi, quasi come il monumento dei Giiilii di S. Remy differisce dalla mole di Adriano. Di forma atfatto diversa poi fu- rono anche i trofei di Druso e Germanico, i quali dalle parole un po' brevi di Floro e Tacito s' immaginano come gli ammassi di seudi e altre armi, non rari in tipi monetari con figura ritta o seduta sovrapposta (^). E cM raai dall' essere nella serie dei trofei menzionati presso autori anticlii piii numerosi gli esempi nell'epoca di Auguäto, Chi mai ne vorrebbe dedurre che all' imperatore soldato per eccellenza, quäle fu Traiano, non si potesse attribuire un trofeo ? A Traiano, cui archi trionfali, altra specie di trofei, si eres- sero piii numerosi che ad ogni altro imperatore dopo Augusto (3). A Traiano, sulle cui monete trofei germanici, dacici, partici sono tanto frequenti? Importantissima a tale riguardo, sebbene F. la passi sotto silenzio, si e la moneta della cittä greca di Tomi. oggi Kustendje, moneta, la quäle, come hanno osservato Pick e Benn- dorf, dauna parte fa vedere un trofeo eretto su di una base cilin- drica, che diüicilmente non puo ritenersi per il trofeo di Adam-
(1) Opera cit. neiringegnoso capitolo sui trofei antichi p. 127 sgg. e spec. p. 140 s. Lasciarao stare lo zoccolo, la cui forma cubica a ragione sembra messain dubbio dal Benndorf; al di sopra dello zoccolo poi si alzava il cilindro, il quäle, corapresi i due colonnati, doveva essere alto circa il doppio dei
diametro.
(2) Di Druso parla Floro II 30 : Marcomannorum spoliis et insignibus quendam editum tumulum in tropacL modum excoluit ; di Germanico o dei suoi soldati Tacito Ann II 18 miles vi loco proelii Tiberium imperatorem salu- tavit struxitque aggerem et in modum tropaeorum arma subscriptis victarum gentium nominibus imposuit, ove Benndorf {auf einem Schuttberge aufpflatizte) intende r albero armato, e II 22 : Caesar congeriem armorum struxit superbo cum titulo. In quest' ultimo passo sembra fuor di dnbbio che il trofeo sia in primo luogo nieut' altro che un cumulo di armi, quäle spesso su monete si vede con sovrapposta figura umana, come 1' Etolia, Roma, Ercole vincitore, Claudio imperatore^, oppure un trofeo come p. c. sul deaario di Augusto. Cohen I, 401.
(3) Nel catalog«» di Graef (Baumeister, Denkmäler III, se nc contano dodici di Ausrusto. otto di Traiano.
SUL MONUMENTO DI ADAMKLISSI '.>0"
klissi, assai vicino a quella cittü,, dall' altra parte il ritratto di Traiano col nome insolitamento in dativo, per esprimere che a liii si facesse oraaggio riprodiiceiido suUa moneta il monumento delle sue vittorie.
II tecitimonio piü incoiitestabile perö dell" origine traianea del trofeo rimaae serapre 1' iscrizione, cui Niemann nella maestrevole ricostruzione del monumento, ha assegnato il suo posto preciso, sui diie lati opposti cioe dell' esagono, elevato sul tetto conico del cilindro, come base del trofeo proprio ('). Siffatto esagono, come hanno bene dimostrato, gli editori, aveva diie fronti al pari del trofeo stesso con le sue armature, e quindi vi dovevano essere anche due iscrizioni sui due lati opposti. Qui perö ottende il vedere 1' iscri- zione non messa intera sopra V uno o 1' altro lato, ma bensi divisa, metü, sull'una, metä sull' altra facciata. Questa anomalia epigrafica fu schiettamente notata da Tocilesco e Benndorf, non senza tentarne alraeno una spiegazione. Piguriamoci il monumento costruito secondo il gusto del tempo o il sentimento artistico dell' ar- chitetto, con le due facciate della base esagonale, destinate a con- tenere ciascunal'intera iscrizione dedicatoria; che perö da un esperimento fatto con iscrizioni semplicemente dipinte prima di inciderle fosse risultato che nello spazio dato e flsso le lettere alla indispensabile distanza di almeno 30 o 40 metri, sarebbero rimaste illeggibili (-). In tale condizione certo altro non si poteva fare che dividere l' iscrizione. II Furtwängler perö non ammette 1' anomalia e taglia corto, escludendo 1' iscrizione dal trofeo, senza inquietarsi piü della sua provenienza. Ecco un esempio assai eloquente, in quäl modo 11 eh. F. dall' amore di scoperte ad eflfetto, che egli sa
(') Furtwängler assai francamente si esprime a p. 52: Die von Niemann mit gewohnter Genauigkeit und Sorgfalt verzeichneten Thatsachen zeigen, dass die Inschriftreste einfach nicht zu dem Bau gehören. Niemann hat zwar versucht, die Inschrift an dem Bau anzubringen. Aber eben dieser Versuch zeigt die Unmöglichkeit.
(2) Ciascuna tavola di circa sei metri quadrati, invece di lettere 5X13 u 6 X 13, poteva benissimo avcr 7 linee di 20 caratteri ognuna, i quali scmpre potevano avere l'altczaa di 25 centim. in media. Quindi puü stare la suppo- sizione fatta ncl testo. Che 1' iscrizione non fosse ripetuta intera sul lato opposto, se ne ha un forte indizio nell' esserne nessuna parte stata trovata in duplo.
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E. PETERSEN
esporre sempre con molto acume e dottrina, si lasci sedurre a su- bordinare i fatti alle sue congetture.
Nel caso nostro i fatti sono stati esposti dagli editori sineera- inente e con chiarezza, da permetterci un giudizio dopo breve esame di qualche particolare. Fa mestieri premettere, che i singoli blocchi della fabbrica sono stati lavorati con poca esattezza. Qiiindi v' e molta probabilitä che anche nel totale vi fossero non poche disu-
guaglianze di parti corrispondenti ; 11 che vale raeno, s' intende, per r altezza della base esagonale (v. fig. 6) che per la larghezza dei singoli lati (uno si vede a fig. 4). L' altezza dei pilastri, e per conseguenza anche delle tavole incluse, era di cent. 205 ('). L'iscri-
(0 Furtwängler a p. 53 mette in dubbio il calcolo, dicendo : Ja auch die Höhe der ersten fünf Zeilen . . . ist, loie nachträglich auf S. 107 ange- geben vnrd unsicher, also auch Niemanns Schluss hinfällig. Piano! Chi sta un po' raeno fcrmo, non cade subito. Dato e anche conceduto cha
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zione e ricomposta da fiaramenti ; ma anche dai fraramenti risulta cbiaraniente che le cinque linee superiori non sono state divise ne orizzontalmeute ne verticalmente, laddove per le inferiori tale evi- denza di coesione non esiste. Ora le cinque superiori restituite, come ancora si puö, sarebbero alte appunto cm. 205, vale a dire quanto i pilastri. Le 5 rigbe inferiori poi, non divise anch'esse almeno per altezza, con una sesta aggiunta in proporzione, avrebbero la uguale altezza di cm. 205, indizio non lieve della divisione, a metä uguali. I prescritti, vale a dire le prime righe, hanno lettere al- quanto maggiori, nella quäle circostanza non so come il F. trovi un argomento contro la bipartizione dell' epigrafe. Anzi 1' essere
anche la sesta riga, come segnataniente mi assicura l'amico Niemann, piü alta della precedente e prova convincente che quella sesta riga abbia formato un nuovo principio, cioe della seconda metä, sul lato opposto deir esagono.
La larghezza di tale lato fra pilastro e pilastro, comprese le due striscie unite ai pilastri visibili in flg. 6 e 4, era almeno di cm. 246, ma poteva per le ragioni anzidette, e perche 1' esagono, posto SU di un piano non quadrato ma un po' bislungo ('), forse
il framraentino con la I non stia suo loco, rimane serapre vero che le cinque righe, con tanto spazio in calce quanto ne hanno in testa, arrivano all' al- tezza di m. 2,05.
(>) Nciropera Viennese a p. 31 la fig. 82 fa vedere che il piano bislungo in un sensu avuva centim. 37 di piii che ncll'altru, differenza uguale a quella
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aver due lati im po' piü larghi, per tali ragioni, dico, diie lati del- r esagono almeno potevano avere fino a m. 2,80 circa, quanto infatto misiira 1' iscrizione restituita.
Le lastre iscritte sono di 10 cm. meno grosse delle altre non iscritte, che chiudevano i quattro rimanenti lati dell' esagono, ed erano coUegate coi pilastri, come fanno Yedere fig. 1 e 2, me- diante spranghe di metallo, non come le altre lastre (in fig. 3) con grosse spranghe di legno, differenze di cui a torto il F. si e valso per separare le lastre scritte dalle non scritte : giacche queste ditferenze si spiegano facilraente. Le lastre senz' iscrizione cioe erano composte a due (v. fig. Q b, 1, 2), laddove per 1' iscrizione (ivi, a) si preferirono lastre intere per tutta la larghezza, qiiindi di doppia grandezza, o di 6 invece di 3 metri quadrati. Quindi, per semplice risparmio di forza e di materiale, le lastre di 6 metri q. sono state fatte alquanto piü sottili di quelle che avevano tre metri solo, e per esser piü sottili, ai lati non c' era spazio per le grosse spranghe di legno, quali perö non raancano, ove per lo spazio potevano stare, cioe nel mezzo del rovescio (in fig. 1), altro indizio manifeste di omogeneitä fra le lastre dal F. separate. Di questa omogeneitä evvi poi im altro indizio tanto minuto quanto significante. Nella fig. 6 si puö vedere come sui lati deir esagono alle lastre frapposte fra i pilastri si aggiungono le strisce strette accanto dei pilastri. Ora le fig. 5 e 4 fanno vedere come r ultima I della prima riga dell" iscrizione stava proprio sulla congiuntura, onde risulta che per dar luogo a questa unica let- tera e non piü, la lastra iscritta doveva trovare un supplemento tale quäle offrono i pilastri dell' esagono.
Dopo tutte queste prove della pertinenza dell' iscrizione con sorpresa si viene a sapere che i due pezzi piü grossi di essa, r uno pesante qualche quintale, furono anche trovati sull' alto del- r ardua e poco accessibile rovina stessa. Come mai e credibile che
esistente fra le due misure, V una cioe m. 2,46 provata per uno degli altri lati, 2,86 al massirao per quelli con iscrizione. E giova fare anche quest' altra osservazione, che, secondo ci insegna la flg. 17 di Niemann con p. 22, uno dei lati piü larghi guardava infatto il Municipmm Tropaeum, verso il quäle pare che debba cssere stato rivolto tanto il trofeo proprio, quanto la parte l)rincipale dell' iscrizione.
SUL MONUMENTO DI ADAMKMSSI 311
essi in tempi posteriori vi siano stati portati in alto? A quäle scopo?
Di im ristaiiro? E corae e possibile crederlo, se un indagatore e tecnico, esatto ed esperto quäl' e Niemann, ci assicura che in tutta la rovina non vi esisto la menoma traccia di aggiunta o modifi- cazione posteriore? Ma dato anche sifatto ristauro, che strano caso sarebbe se vi si fossero prestati avanzi di un altro monumento che in tutte le sovraesposte relazioni per qualitä e per misure fos- sero State corrispondenti in tal modo con le parti di un monumento affatto diverse, corrispondenti oltracciö anche per il contenuto del- r iscrizione. La dedica cioe a Marte Ultore, a quäle altro monu- mento meglio si adatterebbe che non ad un trofeo come quello di cui si ragiona?
Tale coincidenza casuale di due monumenti, incredibile da per se, viene esclusa definitivamente dagli avanzi di un altro mo- numento epigrafico, scavati nella vicinanza del trofeo. L' iscrizione, ignota ancora agli editori del trofeo, ma nota al eh. Furtwängler, dalla relazione che ne ebbe dato Momrasen (^), contiene un elenco di soldati romani, caduti per la patria ed onorati da un imperatore, il cui nome andö perduto, come anche 1' epiteto della guerra, dal quäle si sarebbe potuto sapere il popolo nemico. Ma ricorrendo fra i nomi dei soldati piü volte quello di Flavio, non sarä anteriore ai Flavii e quindi deve spettare a Domiziano o meglio a Traiano. Cosi questo documento e 1' iscrizione del trofeo si confermano a vi- cenda, e terzo vi si unisce il nome degli abitanti del municipio Tro- paeum (2), chiamati Tropeenses, ma anche Traianeases Tropeenses. I due monumenti uniti danno il risultato che Traiano su questo luogo prese rivincita di un disastro precedente ed onorö i suoi sol- dati caduti ; dai superstiti poi, credo, vi fece erigere il trofeo, ed una parte forse di essi formarono il nucleo del municipio fondatovi.
Questi fatti sembrano tanto bene accertati, che su questa base solo si debbono spiegare le diiferenze di costumi ed armatura fra
(') BuUettino p. 104, citato da Furtwängler a p. 57, 1, ove egli comii- nica anche la notizia avuta da Moramsen sul nome di Flavio.
(2) A ragione Furtwängler p. 53, 2 ci censura per averlo cliiamato Tro- paeum Traiani. Delle iscrizioni ivi citate 1' ultima Arch. epigr. Mittheil. aus Oesterr. 1894 p. 111, 55 fu riconosciuta prima dal Toutain, Melamjes de V Ecole franr. 1891 XI p. 13, 1 il quäle ha rammentato pure il Tgoncdo? iVa 7o,uk(1) c TpoTjUt? (12) nel Synecdemus di Hierokles 037, 8 Parthey.
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i Romani del trofeo e qiielli della colonna traiaua. Tnammissibile iuvece si e il metodo seguito dal eh. F. di prendere le mosse da quelle difterenze di armatura, vale a dire da cosa non ancora ab- bastaaza nota e chiara.
Le differenze che in realtä vi sono, furono diligentemente no- tate dagli editori del trofeo, ma e ua' illusione di F. che, ove diffe- risca il trofeo dalla colonna traiana, esso si accosti piü del fregio di Domizio. Giacche con questo ha corrispondenza iinicamente ne- gativa, non positiva, non essendo simili in ambedue ne corazze, ne scudi ('), ne elmi, ne stromenti musici, ne 1' intero contegno degli armati. Le differenze fra colonna e trofeo in parte certo son do- vute a disuguale valentia degli artisti, meno abili ma piü realisti al trofeo ; maggiormente perö 1' armatnra sul trofeo ci presenta in realtä uno stato piü antico, ma di quanto, ce lo fa sapere con pre- cisione unicamente 1' iscrizione del trofeo, e che non sia molto piü antico, credo, risulta anche dal confronto stesso.
La barba p. e. i Romani del trofeo la portano tutta rasa ; alla colonna invece cominciano a lasciarsela crescere, conforraemente al cambio di moda inaugurato da Adriano. Suonatori e signiferi al trofeo non hanno coperte le teste dalle ben note pelli ursine, come sogliono alla colonna, secondo usanza cominciata almeno in Ger- mania sotto i Flavii (-). Nella colonna non vi e alcun Romano con un braccio e una gamba protetta da manica e gambale, armi da difesa non rare nel trofeo, specialmente le maniche. Tali armi perö da tempi assai rimoti sono rimaste di uso anche nel s. L e II del-
(») Riguardo agli scudi Furtwängler constata che sulla colonna traiana i legionari portano lo scutum, i coortali iino scudo di forma ovale ; che invece sul trofeo non vi sia regola. Ciö parte e vero, parte no. Gli hamati cicfe, vi sono muniti o dell'una o deiraltra forma di scudo; gli squammati all'incontro (v. metope 12, 13, 17, 19, 29, 33) portano csclusivamente lo scutum.
(2) Cf. il rilievo sepolcrale di A. Luccius in Lindenschmit AU. u. heidn. Vorzeit 1, 4, 7, 2 = Domaszewski, Fahnen p. 35 fig. 12 e p. 36, 1. Anche sulla colonna traiana 1' uso di questo ornato piuttosto barbaro (cf. i soci combattenti con esso in testa tav. XXVII di Cichovius e p. 178) non e costaiite nei particolari, giacche suonatori e signiferi, del resto uguali a tal riguardo, lo hanno messo, assistendo al sagrifizio tav. 38 Cich. (signiferi), ne vanno privi in simile occasione i suonatori tav. 10. In testa lo hanno con le zampe ora annodate al collo, ora sciolte ma pendenti sul petto, ora pendenti soltanto indietro.
SUL MONUMENTO Ol AUA.MKMSSI 813
l'era iiostra, como tanno credere certi rilievi sepolcrali (') ed iina tomba pisidica, il cui fregio, e vero, dal IJenndorf venne spiegato assai diversamente, ma a torto secondo mio avviso, comunicatogli subito (2). E vero che in questi monumeuti le dette armi appari- scouo sempre quasi fossero di riserva, e quindi taluno le ha cre- duto armi soltanto di parata. Adesso le metopi del trofeo mostrano iuvece come di fatto servissero, al paro degli elmi da grande riparo alla nuca, a proteggere i Komani contro le sciabole-falci vibrate con ambedue le mani da quci barbari feroci e robusti. Per la medesiraa ragione, credo, i pedoni romani del trofeo sono ar- mati anche di loriche piü lunghe che altrove e munite perfino di quattro file di quelle corregge pendenti attorno alle cosce.
Con siifatta ciutura sui rilievi sepolcrali spesso si congiuuge un sistema di quattro a otto piccole striscie ornate di borchie, un
(') Furono citati dal Benndorf con altri eserapi p. 77, 2, ove rammenta pure i gladiatori, fra i quali specialmente al confronto si prestano i Sanniti per aver usato la manica destra e garabale sinistro, ed i Traci, essi pure con manica, per esser vicini al paese ove sta il trofeo.
(2) Reisen im Südwestl Kleinasien II p. 151 sgg, fig. 69 sgg. : Vkeroon di Saradschik, ornato di bassirilievi. Essi in parte rappresentano armi indubitabili : corazza ed elmo sulla facciata; al flanco destro poi scudo ovale, due gambali, scudo tondo con due lance, due bipenni, elmo ; al fianco sinistro parma, scudo tondo con spada. Fra queste armi vi si vedono poi al fianco sinistro una corazza, un elmo con viso e collo, due braccia, due gambe ed un collo equino con la testa, e due simili si hanno anche fra le armi del fianco destro. Benndorf dichiaro questi oggetti, raffigurati h vero con arte non abbastanza sottile onde escludere equivoci, per le membra di un nemico trucidato. Dal non aver egli pero, ove nuovamente tratta di tale /naaxcdiafxög (Das Mon. v. Adam- klissi p. 131 sg.) citato quel monumento pisidico, forse risulta che abbia carabiato d' avviso. Ed infatto manca la prova di simile ornamento sepolcrale. Tutt'altro sono invece i due prigionieri, simbolo tipico di vittoria, rafBgurati iu alto sulla facciata didW heroon. E come credere che il fiaaxcchßij.6g sia stato applicato anche ai cavalli ? Anzi, questi colli equini o sono abbreviazioni dei palafreni del defunto soldato, ovvero loriche delle parti rispettive di essi. Fra le nQofX£T(oniö'ia e le TiQoatE()A&ui (v, Ausgrabungen von Pergamon II xLvi e p. 114) non avranno mancato coperte ne anche dei colli. I cavalli dei Sarmati si vedono coperti interamente sulla colonna traiana. Quindi presse la corazza, la quäle in nessun modo mostrasi contenere un torso mutilato, abbiamo due maniche, due stivaloni — evidentemente non sono gambe ignude — , ed una casside piü completa con riparo pure del collo. in che bisogna rico- nosccrc un'inesattezza dello scalpellino.
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insieme che serabra inutile. Ed in fatto sul trofeo come sui monu- menti trionfali tale insieme non si trova piü ; ma fra questi e quello vi e la differenza che i pedoni del trofeo portano la cintui-a anzi- detta senza le piccole striscie; suUa colonna invece la cintura di due file non piü, e riservata agli ufficiali, laddoye il sistema di stri- scioline e diventato appendice non regolare ma esclusivo di una specie di lorica affatto nuova, la cosi detta segmentata, ormai armatiira dei legionari come la hamata e la ^quamata dei coor- tali ('). In connesso con le dette riforme pare stia un'altra in- novazione, le brache corte e strette, indossate prima, come pare, dagli equiti (^) , sul trofeo poi giä quasi sempre date anche ai pe- doni senza differenza; suUa colonna invece riservate ai coortali, per i quali sembrano un compenso delle piccole striscie pendenti, di cui essi vanno privi. Un'altra innovazione, che si puö osservare sul trofeo e che sembra ristretta ai tempi di Traiano fino a Antonino Pio, si e r oriiato dei cavalli, prima con pendagli attaccati alle cinghie
(') Quelle striscioline, illustrate da A Müller, das c'mgulum militiae bene si vedono sui bassorilievi sepolcrali di soldati romani (Lindenschmit op. cit I IV ß, vin 6, IX 4, x 5, xi 6, vi 5). Sulla colonna traiana non sono tanto rari quanto sull' altra di Marco ; ma auche su quest' ultima (p. c IL) si trovauo insieme solo con la lorica segmentata, di cui si ignora origine e nome antico. Se e la colonna che ce l'attesta per la prima, deve essere uaa innovazione di Traiano fatta a]ipunto per la o:uerra dacica. Nei rilievi del trofeo non si trova ancora, ma le maniche usatevi ed evidentemente costruite col medesimo s'stema (cf. le metopi 14, 17, 20, 22, 33 e massimo a 18 e 29), potrebbero aver servito da modello. Intanto peru se ne trova anche un altro. Fra le armi cioe raffigurate suUo zoccolo della colonna traiana vi sono due esemplari (v. Cichorius tav. II infer. a destra della mezzo, III sup. a sin. in alto (Froehner 9, 12 a 14 e I6j di corazza ovvero abito ' segmentato '. Eviden- temente differisce dalle loriche romane, e quindi deve ritenersi per un oggetto di preda. I Daci, e vero, non sono mai corazzati, e meno i barbari del trofeo, raa credo ammissibile Tipotesi che questi ultimi abbiano posseduto tali co- razze da qualche rapina. In ogni caso e difBcile credere tali armature non opere d'industria greco-orientale.
(2) V. Lindenschmit A. u. k. V. I, XI, 6, 2, II-, VII, 4; Müller in Phi- lologus 28, 31, 33, G43. E cavaliere puranche quello del rilievo fiorentino. Arch. Zeit. 1870 tav. 29. Anche il classico del rilievo berlinese ivi 1868 t. 5 (ma e del secolo secondo) ha le brache, benche sembrino calze a qualcheduno secondo Müller, Philol. 33, 641. Non porta brache invece, ma 7ireou/f? tanto 11 C. Val. Crispus presso Lindenschmit 1. c. III, VI ."), quanto il Q. Luccius, citato nell'unnotaz. 19, checche ne dica Müller Phil. 47, 528.
SIJL MONUMENTO ül ADAMKLISSI ^]T>
che tengono la sella avanti come di dietro, secondo due cinghie at- torno al collo al di sopra della briglia.
Tutte qiieste osservazioni tendono a provare che il trofeo ap- partiene ad uu tempo di transizione e di riforme, lo quali qui si vodono cominciate, compiute sulla colonna traiana. Ora il trofeo se- condo la sua iscrizione fu dedicato iiell' anno 109, quatti'O anni prima della colonna, onde risulta, e vero, che il trofeo sia stato termiuato prima della colonna, ma non che sia stato anche prima cominciato, e meno ancora che i fatti raffigurativi abbiano preceduti quelli glo- rificati sulla colonna. Cotale prioritä del trofeo perö risulta in vero dair osservazione sopra accennata, che cioe il popolo dai capelli annodati, siauo Bastarni, o siano Rossolani, nei rilievi della colonna non sono piü ostili ai Romani, corae lo erano in quelli del trofeo. Per conseguenza le lotte rappresentate sul trofeo hanno preceduto la guerra dacica. Giacche crederle posteriori e impossibile.
Presse gli autori non abbiamo notizia certa tanto di un disastro precedente avvenuto sulla riva destra del Danubio, — poiche le scon- fitte subite dai legati di Domiziano accaddero, come pare, piü verso ovest — quanto della rivincita presa da Traiano. E noto perö che Tra- iano, appena saputa la sua adozione e 1' innalzamento al trono, accorse al Danubio e vi passö l'inverno dal 98 al 99, preparando la guerra, e che nel 100 stava costruendo la strada lungo la riva d. del Da- nubio, onde coUegare questi paesi con la Germania ('). Sono state fondate da lui a sud del fluvio Marcianopoli, vicina all' odierna Varna, e Nicopoli, che ebbe nome da una vittoria riportata proba- bilmente sul luogo stesso (-). Alla quäle vittoria il nuovo editore della colonna Traiana riferisce una scena su di essa rappresentata, appartenente alla prima guerra dacica (•'). Ammessa, questa inter-
(1) Cf. Mommsen, Rom. Geschichte V. p. 139 e 202.
(2) Gli autori sono citati da Tocilesco-Beiindorf p. 124, 1. I dubbi di Furtwängler p. 57, 1 potrebbero sembrare amniissibili riguardo ad Ammiano, il quäle parla dei Daci, raeno perö riguardo a Jordanes, ove iinece sono nomi- iiati i Sarniati.
(3) Cicliorius 1. c. p. 150 e 180, ove egregiamente vanno interpretate le scene XXIX a XXXVIII, fra esse anche XXXI, coi cavalieri Daci nel Da- nubio. Dair intero complesso con evidenza risulta i Daci non essere in fuga, nb passare il fiume, siccorae aveva opinato io (R. M. 1896, p. 110)dallaripa de-tra alla sinistra, ma bensi dalla settentrionale alla meridionale, onde at-
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pretazioae renderebbe piü probabile aucora che fra le preparazioni della giierra dacica la ciira principale dovesse liferirsi alla paci- ticazione e sicurezza dei paesi cisdanubiani fino alla foce. Quindi sembra ora quasi necessario pensare che le legioni le quali dai teinpi di Adriano certo si coaoscono stazionarie a Novae e Duro- storiim e Troesmls, cioe nelle vicinanze del trofeo, siano state fatte avanzare fia lä da Traiano per farle dopo passare il gran fiume. Sarebbe stata congettura poco azzardata che dopo le debolezze di Domiziano anche Traiano prima avesse trovato ostili le varie popo- lazioni cisdanubiane e quelle venute dal di lä del fiume. Invece di congettura, ecco evidenza di fatto, fornitaci dal trofeo, il quäle sarebbe monumento d' importanza secondaria, se fosse nient' altro che un secondo trofeo delle guerre daciche, di sommo valore invece quäle unico testimonio circostanziato dei fatti preceduti, e del modo come Traiano preparö le due grandi spedizioni, documento importante altresi per la storia dell' armatura romana (').
E. Petersen.
taccare con l'aiuto dei Sarmati una delle fortezze romane cisdanuviane. Cio che osta al mettere quella scena in rapporto col monumento di Adamklissi dal Furtwangler e accennato a p. 56, 4, come Tebbi esposto io, 1. c. p. 111. (i) Nel momento dell' imprimatur ricevo, iion ancora ultimati, i foo^li contenenti la replica di Benndorf (Arch.-epigr. Mitth. a. Oesterr. XIX 2). Riguardo ad Adamklissi siamo d'accordo, non cosi sulFinterpretazione della colonna traiana. Tranquillamente io lascio il giudizio ad altri.
La relazione figurata della colonna, cominciando a basso, mostra essa stessa il suo procedere dalla sinistra di chi guarda verso la destra, secondo Io svolgimento della grande spirale. Quindi, ove eccezionalraente la direzione s'inverte, come nel complesso di scene in questione, pare una semplice con- seguenza, che qui dobbiamo seguire la relazione verso sinistra, appunto come in generale la seguiamo nel senso contrario.
Del resto mi dispiace assai che, avendo voluto al possibile lasciar par- lare i fatti, cioe il rilievo stesso, questo parlaro sia riuscito meno chiaro che io non sperava.
ANABOLICÜM.
In der Sammlung des Antiquars Martinetti in "Rom befindet sich eine ganze Reihe sog. lesserae. Davon sind die Elfenbeintes- serae zum Teil von Graillot {Melanges d' archeol. et d' Just, de l' Ec. frangaüe de Rome 1896, p. 300 sq.) herausgegeben worden, die wenigen Bleitesserae sind dagegen bisher noch unpublicirt. Diese sind wahrscheinlich wie die ähnlichen jetzt im Umlauf befindlichen Stücke im Tiber und bei der Uferregulirung gefunden worden.
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Unter diesen Bleitesserae ist eine besonders interessant ('), sie gehört in die recht zahlreiche Reihe der im Tiber gefundenen Handelsplomben (-). Alle diese Plomben wurden, wie schon ihr
(') Ich verdanke der Liebenswürdigkeit Hrn. Martinettis die Erlaubniss das Stück zu photograpliiren und publiciren.
(2) G. Mowat. Bull, des Ant. de France, 1895, p. 215, f.; Garrucci, Piombi antichi ecc. R 1845, tav. III, nn. 14, 15, 19, 20, 21 (n. 16 ist, wie mir Stevenson freundlichst mitgeteilt liat, ein Lampengriff). Ficoroni, J piombi antichi, p. I, tav. III. IV. u. XIX, nn. 2, 4, 5, 6, 8, 10; Garrucci Revue numism., 1862, n. 8, 9 ; Froebner. Annuaire de la soc. num. 1890 p. 2.36. Cf. Ficoroni 1. c, n. 10. Alle diese piombi stammen wohl aus Rom. Aehnliche sind aber auch in anderen Gegenden gefunden worden. Sicilien: Salinas Annali delVIst., 1864, p. 343, ff.; 1866, p. 18, ff.; Notizie degli scavi, 1894. p. 400, ff.; Gallia: eine Reihe Handels- und Zollpiombi in der leider
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äusserer Anblick lehrt, ohne Zweifel entweder an dem Strick, der die Waarenballen oder dergl. umgab, angehängt, oder das heisse Blei wurde auf den mit einem Strick umschnürten Ballen oder Kasten direct aufgegossen und der Stempel dann eingedrückt, so dass die Schnur von der Plombe umschlossen war. Auf den Plomben finden sich teils Namen von Privatleuten, teils verschiedene Dar- stellungen allgemeiner Art, teils endlich Inschriften und Darstel- luncren, die auf ihren officiellen Charakter hinweisen. Zur letzten Kategorie gehört auch die uns beschäftigende Plombe. Ihr jetziger Zustand zeigt noch deutlich, wie sie entstanden ist: durch ein nmdes Stück Blei war eine Schnur gezogen, und der Stempel von beiden Seiten autgedrückt. Man bediente sich hiezu einer Art Zange, in deren aufeinander passenden Enden sich die zwei ein- geschnittenen Stempel befanden. Manchmal, z. B. im vorliegen- den Falle, war der Durchmesser der beiden Matrizen verschieden
gross.
Auf der einen Seite unseres piombo sehen wir die Büste des Septimius Severus nach rechts, über seinem Kopfe einen stark abgeriebenen, schwer zu bestimmenden Gegenstand (Steuer- ruder?) Die Umschrift lautet AN ABO/LICi. Auf der anderen Seite der Kopf des Caracalla nach links, darüber derselbe Gegenstand und rings herum dieselbe Inschrift ANABO/LICI. Ein anderes Exemplar derselben Plombe, jetzt im Pariser Cabinet des medaüles ist schon vor langer Zeit vom Grafen Caylus im Reo. des anl., t. III, pl. LXXXVII, n. 7 veröii'entlicht worden, aber infolge der falschen
noch iinmer unpublicirten Collection Eecamier's. Cagnat, Etuie sur les imp. indir.,i). 68, n. 8; Weil Gaz. arch., 1884, p. 259, pl. 34, 3; Lenormant, la monnaie dans Vantiquite, I, p. 207-211. Eine Reihe derartiger im Lyoner Museum befindlicher Plomben wird nächstens von Dissard publicirt werden. A fric a: Eine Reihe |3iomÄi besonderer Form aus Eusicade CIL. VIII, 10484. — Illyricum: CIL. IH, 12018, cf. Domaszewski Arch.-ep. Mitth., XIII, p. 140. ^^ri& Bull, de corr. hellen. Jll {\^1^) p. 270-271. Germania: Jahrbücher d. Vereins d. Alterthurasfr. im Rheinlande H. 44, p. 73. Britannia: CIL., VII, p. 318, n. 202, Eph. ep. IV, p. 209, n. 706, CIL. VII, p. 346, n. 1149; Haverfield Archaeol. Journal, XL VII, p. 264 und Proceedings of the soc. of Antiquaries, t. XIV, p. 52. Eine Sammlung solcher Plombagen befindet sich im Pariser Cabinet des MMailles, ich hoife diese wichtigen Denkmäler in der Vorrede zur Ausgabe der Pariser piombi eingehend behandeln zu können.
ANABOLICUM 31f»
Lesung ANABOICI trotz seiner Wichtigkeit unbeachtet geblieben. Ich hatte in Paris Gelegenheit die Inschrift nochmals zu ver- gleichen und die richtige Lesart festzustellen; die auf diesem Exemplare abgebildeten Köpfe sind wohl dieselben wie auf unserer Plombe.
Der Genetiv in der Legende erklärt sich daraus, dass die Plombe auf die Zugehörigkeit der Waare zu der Abteilung der römischen Finanzverwaltung hinwies, die den Namen anabolicum (d. h. vectigal, dvaßoXixdv reloc) trug (0-
Unser Wissen über das Anabolicum ist sehr dürftig ; die Stel- len sind zuerst von Borghesi {Oeuvres, III, p. 132) und Mommsen {Ann. cleir Inst., 1849, p. 214) zusammengestellt worden, zuletzt hat Cantarelli {Bidl. comun., 1888, p. 866-376) darüber gehan- delt (bei ihm findet sich auch die übrige Litteratur). Seine Schluss- folgerungen, die keineswegs befriedigend sind, werden von Ruggiero {Diz. epigr., t. I, p. 463) wiederholt, die früheren Ansichten re- ferirt Kubitschek (Pauly- Wissowa Realenc, I. 2, 2016).
Die früheste Erwähnung des Anabolicums findet sich im Edict des Tib. Jul. Alexander (C/6^. III, 4957, cfr. Bruns Fontes^ p. 235 u. n. 2), wo von verschiedenen Missbräuchen die Rede ist : die Beamten hätten gesetzliche Hypotheken vernichtet, hätten schon bezahlte Schulden nochmals gefordert, festgeschlossene Kaufverträge cassirt und die Erwerbungen der Käufer confiscirt, ok üv{.ißfßX)]x6t(ov nah' uvccßoXixd € 1 1 1] (f 6 (S \j~\ sx tov (fiCxov, rj (TtQcnijyoi'g., r] nqay- f^iarixoTq, rj aXXolg twv TtQoaocpeiXr^xoTori' rm Sr]fio(fi(i> Xoyoh Ohne Zweifel ist hier die Rede von demselben anabolicum; der Plural weist darauf hin, dass unter dieser Bezeichnung nicht irgend ein einzelnes Vectigal, sondern eine ganze Reihe von Vectigalia ver- standen sind, die unter diesem Namen zusammengefasst wurden. ^AvaßoXixa dXr](f6Teg ist ein ganz analoger termimis technicus wie (ovrjv XafxßccvHv, wvrjv iyXctßsTv, a)vi]v sx^iv (-). Daher scheint mir
(') Der Genitiv auf unserer Plombe zeigt, dass in den abgekürzten Le- genden ähnlicher Plomben stets der Genitiv herzustellen ist z. B. fisc(i) Alex(andrini) und nicht fiscus AI., wie Fröhner in seiner Pnblication schreibt, u. s. w.
(2) S. Pap. d. Louvre 62 ol tu rsXr] Xafißüvovxs? (Col I, z. I0); ol iy'Aa[§6vxEs\ (Z. 14); \ol r\ iykceß6yTsg r«? wV«? (Col. HI, Z. 17^ cf. Cül. VI. 1; II, 2, 3 (ich zitire nach der neuen Ausgabe in Grenfell's Revenue Laus of
320 M. ROSTOWZEW
die Erklärimg Mommsens (Bnins Fontes '' 1. c), bei welcher er trotz Cantarellis Wiederspruch geblieben ist, mutatis mutandis, wie wir unten sehen werden, vollkommen richtig, während die von Cantarelli angenommene Erklärung von Letronne ( Oeuvres chois. II, p. 542) und Franz (zu CIG. 4957) durch keine Analogien ge- stützt wird.
Bei der Bestimmung dessen, was eigentlich dvctßohxä oder ana- bolicum ist, kommt uns zu statten die Nachricht in der Aurelians- vita (Fl. Vopiscus Aurelianus c. 45, 1) : Vectigai ex Äegypio urbi Romae Aurelianus vitri, chariae, Uni, stujjpae atque anabolicas species aeternas constitmt. Wass heisst nun vor allen Dingen ana- bolicas species ? Species hat im späten Latein die Bedeutung u Gegenstände, Waaren »; eine ganz analoge Verbindung ist an- nonariae species des Cod. lust. (XI, 73, 3), was sicher bedeutet: alles das, was zur annona gehört, alle Waaren, die die annona bilden. In unserem Falle würden also unter anabolicae species alle die species zu verstehen sein, die zum aaabolicum gehörten. Was sind nun das für species t Auch darauf giebt uns die oben ange- führte Stelle aus der Vita die Antwort. Cantarelli verwirft mit Unrecht die Erklärung Mommsens, dass anabolicae species ein allgemeiner, alle vorher aufgezählten Vectigalia mit umfassender Ausdruck sei, atque hat hier sicher die schon im classischen Latein sich findende (s. z. B. Draeger Hist. Synt. II, p. 47, § 5) Bedeu- tung « und überhaupt « und anabolicae species sind ohne Zweifel die in natura gezahlten Steuern: Glas. Lein, Hanf, Papier und vielleicht noch andere ähnliche Dinge. Ob auch die mit Getreide, Wein und Oel bezahlten Abgaben dazu gehörten, ist sehr zweifel- haft, da wegen ihrer grossen Wichtigkeit wohl jede von ihnen ihren eigenen Namen und ihre eigene Verwaltung gehabt haben wird (^). Das Wort anabolicum ist von avaßdXXm abzuleiten und
Ptolemy Philadelphus Üxf. 1896 App. II); (oytjf e/siy ist ein stereotyper Ausdruck in den Pev. Laws. Beide Urkunden gehören allerdings in viel frühere Zeit als das Edict des Alexander, aber 1) haben wir keine analoge Urkunde aus späterer Zeit und 2) hat sich der officielle Sprachgebrauch der ägyptischen Verwaltung seit der Ptolemäerzeit nur wenig geändert.
(i) S. Urkunden d. Berl. Mus. n. 336 Z. 10, 12 n. 24 Z. 17. Die Ver- schiedenheit der Verwaltung der annona von der des Anabolicums ergiebt sich besonders deutlich aus der Existenz einer Plombe, die sich sicher auf
ANABOLICUM 321
von den Waaron zu verstehen, die aufs Schiff geladen und nach Rom versandt werden sollten (vgl. die catabolenses Cod. Theodos. XIV, 3, 9, deren Namen von dem Gegensatz zu dvcißäXXw aufladen, näm- lich xaTaßdXXü) ausladen abgeleitet ist; Cantarelli, 1. c, p. 886 ('). Die anabolicarü der vaticanischen Fragmente (n. 137 Huschke lurisp. anteiustin. ed. 5, p. 758) sind dann die bei dem anabo- licum beschäftigten Arbeiter, besonders diejenigen welche die Waa- ren auf die Schiffe zu laden hatten. Sie sind gewiss zu unterscheiden von den dvaßoXixd «Az/yor^g des Edicts Tib. Alexanders, da diese sicher Steuerpächter gewesen sind, und der Kaiser schwerlich einen Grund haben konnte, ihnen das wichtige Privileg (Freiheit vqn tu- telae und curationes) zu geben, das bei den anabolicarü, Arbei- tern des aiiaboUciims, die wohl ein Collegiura bildeten, ganz ver- ständlich ist {-).
Wir haben also in dem anabolicum eine Naturaliensteuer, deren Existenz uns durch vereinzelte Zeugnisse vom ersten bis ins dritte Jahrhundert belegt ist, die aber wahrscheinlich auf die Ptolemäische Ordnung Aegyptens zurückgeht.
M. ROSTOWZEW.
die ratio annonae bezieht. Mowat Bull, de la Soc. des Ant. de Fr. 1895, p. 217 beschreibt sie folgendermassen : Deux bustes drapös laures, V un en regard de V autre. Celui de gauche harbu, celui de dr. imberbe jeune et plus petit; au-dessous une palme couchee ou p. e. un ^pis. Leg.///////civs///// AVGG suivie du mot kuu en lettres petites et remont^es rempHssant Vespace entre le mot avgg et Vepi. A lire : Traian(us) De^cius[et filfiusj] Augg. Annfona [wohl Annfonae].
(1) Die catabolenses arbeiteten in doii Ausladungsplatze catabulum (bei der jetzigen Kirche S. Marcello. Lib. pont. vita Marcelli Duchesne XXXI. III C 2 giebt die Lesung Catabolo) neben den als Bazar namentlich auch für orienta- lische Waaren dienenden Saepta, s. Lanciani, J/ore. rfei Lincei, I, 469; Hülsen- Kiepert Forma urbis nomencl. s. verbo, und Plan III, Auf die Stelle des Lib. pont. hat mich Prof. Hülsen aufmerksam gemacht. Mit den catabolenses ist zu vergleichen der exonerator calcariarius G. VI 9384.
(2) Diese Leute standen bei der bekannten Steuer-Organisation Aegyp- tens im direkten Dienste des Staats und nicht in dem der Pächter, lieber deren Lage s. jetzt die zitirten Rev. Latcs ; dass es in der Kaiserzeit nicht wesentlich anders geworden ist, zeigen die Ostraka und besonders das Edict des Ti. Julius Alexander. Aisein Collegium führt sie auch Waltzing Diz. epigr. s. V. Collegium II p. ;>42 n. 20 an.
Zu Mittheilunoreii X 240 und XI 98.
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Bei erneuter Prüfung der Neapler Gruppe, welche oben als Athamas erklärt wurde, bestätigte sich, dass die Schwertscheide nur ganz oben an den Seiten geringe Flicken hat; dass, von an- deren Gründen abgesehen, die Leere der Scheide auch deshalb wahrscheinlich ist, weil vom Griff weder an der Scheide noch an der Hüfte irgendwelche Spur vorhanden ist. Auch kann die Wunde des Kaben mit herausquellendem Eingeweide nicht durch einen Pfeil, der ja noch darin haften wüi-de, sondern nur eben durch das in der Rechten der Hauptfigur vorauszusetzende Schwert her- vorgebracht sein. Stamm und Schild dagegen werden mit dem, nur durch einen Spalt davon getrennten, Theile des Beines als moderne Zuthat anzusehen sein.
Zu Mittheilungen XI 2i33.
Die angeführten Worte Orsi's habe ich nicht ganz richtig ausgelegt : es musste heissen ' obgleich nach der schriftlichen üe- berlieferung Megara nur um wenige Jahre jünger gewesen wäre '.
P.
SITZUNGSPROTOCOLLE
11. December: Festsitzung zu Ehren Winckelmanns. A. Mau über die sogen. Curie von Pompeji (s. oben S. 285). — Cf. Lum- BRoso über den Gebrauch des weiblichen Modells bei grie- chischen und aegyptischen Künstlern. — Petersen über das Monument von Adamklissi (s. oben S. 302).
LuMBRoso lesse una Nota in cui premesso nn breve elenco delle mo. dolle-etere a noi conosciute di artisti greci e latini, prese ad illustrare una novella egiziana relativa allo scultore degli occhi della Gran Sfinge di Gizeh (Chicco, Memorie ml Levante, Torino 1874 p. 71-74), nella quäle figura come modella la moglie dell' artista, e si notano vari altri riflessi curiosi deir ambiente storico e sociale a cui la novella appartiene.
18. December: W. Amelung über antike Sculpturen, welche in römischen Kirchen andere Verwendung gefunden haben. — Petersen über die neue Veröffentlichung der Trajanssäule von C. Cichorius.
Zum Winckelmannsfeste wurden ernannt
zum Ehrenmitglied Ihre Majestaet die Kaiserin Friedrich ; zum ordentlichen Mitgliede Herr Guil. Calderini in Rom; zum correspondierenden Mitgliede Herr Aristomenes Stergogli- Dis in Vathy (Samos).
INHALT
A. Ermann, Obelisken römischer Zeit. II. Obelisk des Antinous
S. 113-121. Gh. Huelsen, Das Grab des Antinous S. 122-130. » » Untersuchungen zur Topographie des Palatins.
V. Der Tempel des Apollo Palatinus S. 193-212. » « Di una pittura antica ritrovata sull' Esquilino nel
1668 (Tav. IV. V. VI. VII) S. 213-226. » » Miscellanea epigrafica (continiiazione) S. 227-257.
E. LoEWY, Ancora delVara di Cleomene S. 258-259. A. Mau, Scavi di Pompei S. (Tav. I. II) 3-97. » » Ausgrabungen von Boscoreale (Taf. III) S. 131-140. » » Die Statuen des Forums von Pompeji S. 150-156. », » Der Tempel der Fortuna Augusta in Pompeji S. 269-284. » " Der städtische Larentempel in Pompeji S. 285-302.
E. Petersen, Funde S. 157-192 und 260-267.
» » Sul monumento di Adamklissi S. 302-316.
M. Rostowzew, Anabolicum S. 317-321. Zu Mittheilungen X 240 (Athamas) und XI 263 S. 98 und 322.
SlTZUNGSPROTOCOLLE Und ERNENNUNGEN 323.
F. von Platner f S. 268.
Roma — Tipügrafia della R. Accademia dei Lincei.
1. 11.
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