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EX LIBRIS
CAROLI WÄLDSTEIN
"PCSOOS
.y^UrMS LIBRARY
JOHNS HOPKINS UNIVERSITY
PRESENTED BY
Lady Walston
MITTHEILUNGEN
DES KAISBBLICH DEUTSCHEN
ARCHAEOLOGISCHEN INSTITUTS
ROEMISCHE ABTHEILUNG Band IV.
BÜLLETTINO
DELL' IMPERIALE
ISTITÜTO AßCHEOLOGlCO GEßMANlCO
SEZIONE ROMANA Vol. IV.
ROM
VERLAG VON LOESCHER & C.°
1889
3lWr OF L/ADV "Wä1.3*üW.
ßoma — Tip. dclla R. Accaderaia dei Lincei
SCAVI DI POMPEI 1886-88. INSULA IX, 7.
(Tav. I).
Contemporaneamente agli scavi descritti Bull. 1888 p. 181 sgg. fu dissotterrata in gran parte l'isola ad E della casa detta del Cen- tenario (Bull. 1881 p. 113 sgg.); le fu dato il n. 7 nella regione IX. Ne diamo la pianta sulla tav. I e la descriviamo cominciando dal lato N, procedendo da 0 ad E.
N. 1, 2, [11] (cf. Not. d. sc. 1888 p. 514 sg.).
La casa angolare NO esisteva essenzialmente fin da tempi antichi neirestensione attuale ; perö nella disposizione interna vi fu qualche cambiamento. Kimonta airepoca del primo stile deco- rativo la facciata, il muro E fino a tutto h ed il muro in fondo ad a, ove perö la porta e posteriore. La decorazione nello stile suddetto si conserva in /; le puö essere contemporanea la colonna angolare SO di /i, che e di tufo ; k-o sono d'origine posteriore, e ferse da questo lato la casa non ebbe sempre la stessa estensione.
Che fosse iina caupona, me lo fanno credere la bottega con- giunta con l'atrio trasformato in un locale coperto, ed i grandi triclinii, senza comunicazione fra loro e semplicissimi, mentre in case particolari triclinii di questa estensione sogliono essere deco- rati con un po' piu di cura.
«, bottega spaziosa (m. 5,52 X 4,36). Nel podio (largo 0,82) sono incastrati quattro vasi, di cui quello ad 0 e in parte co- perto dai cinque piccoli gradini (opera incerta rivestita di stucco) destinati a collocarvi vasetti ed altri utensili. Nel muro d., appena dietro il podio, e ricavata una nicchia a volta, alta 0,42, larga
4 SCAVI DI POMPEI
0,43, profonda da 0,17 a 0,21. — Manca la soglia, che era pro- babilmente di legno. II rialzo di materiale nell'angolo SO e il principio d'una scala di legno, la quäle, addossata al muro d. si iirigeva verso N ed era in origine accessibile anche da c ; poi qiiell'ingresso fu murato e avanti ad esso, in c, fu fatto un fiiso- rium, vale a dire un poggiuolo di fabbrica col margine rialzato e superficie inclinata verso l'angolo, ove un foro nel muro conduceva l'acqua sulla strada. ün tubo di creta incastrato nel muro sin. presso l'angolo NE puö provenire dalla latrina del locale superiore. a q c erano strettamente uniti per mezzo della larga porta, e l'atrio fa- ceva quasi le veci d'una retrobottega (^).
b, fauce (1,65 X 4,68) con porta (soglia di lava) postaimuie- diatamente sulla strada ; nella massa ordinaria del pavimento e immessa una pietra di lava con incavo per la trave obbliqua che s'ap- poggiava contro la porta per fermarla ; suUe pareti da circa m. 1,40 in SU intonaco grezzo dell'epoca del primo stile, inieriormente in- tonaco posteriore bianco diviso in scompartimenti da linee rosse.
c (7,45 X 6,62) occupa il posto dell'atrio. Pare certo che fosse coperto e servisse agli usi della caupona : manca l'impluvio ; la bocca di cisterna, fra le porte di d ed e, sta quasi nel punto piü alto, senz'apparecchio di sorta per farvi entrar l'acqua; il pa- vimento, d'una massa non molto resistente e che mostra di non es- sere recente, non potrebb'essere cosi conservato, se fosse stato a cielo aperto. SuUe pareti stucco di mattoni fino a m. 1,32, quindi into- naco bianco e piü sopra stucco grezzo dell'epoca del primo stile; la parete d. e bianca del tutto. Sul muro fra i?* e la porta di a era dipinto rozzamente in color rossastro qualche oggetto sospeso con una corda, forse un aniraale ucciso, piü in su qualche altra cosa, pure irriconoscibile, in turchino. La scala addossata al mm'O d. con- duceva con 15 gradini a locali sovrapposti a defg; e tutta mu- rata, sorretta da tre volte (-).
(1) Nella bottega furono trovate 2 monete di bronzo (di Tiberio e di Galba); 2 tazze ed una lucerna di terracotta, quest'ultima con maschera sce- nica in rilievo ; una bottiglia di vetro ; framraenti indefinibili di ferro.
(2) Sotto la piü alta di queste sta un mulino a mano della forma bassa, a. 0,35 diam. 0,40, di lava. I due incavi per i manichi sono rivestiti di piorabö ; mancano quelli del solito ferro perforato nell'apertura del catillus, e pare che
INSDLA IX, 7 6
La porta di d era in origine nell'angolo SO di c, ed era fatta a volta ; costruendosi la scala si procurö di lasciarla accessibile. Pu murata prima della decorazione di d, che h nel terzo stile.
d triclinio, 4,15 X 3,38 ; ha una finestra su c ed un'altra sulla strada, a. 0,58, 1. circa 0,37, discosta dal pavimento 2,33, con impronta del telaio di legno. Una porta che nell'angolo SO metteva in comunicazione d e /", fu miirata anch'essa prima che si facesse la decorazione del terzo stile a fondo bianco.
e triclinio con larga apertura, 3,30 X 3,4G. Per formarlo fu- rono riuniti (lo si conosce dal pavimento) una camera (cubicolo ?) e un corridoio (1. m. 1,0) a sin. di essa, e tale carabiamento fu seguito da una decorazione della pareti a fondo bianco simile a quella che in d si fece depo l'abolizione delle due porte : pare adunque che nell'epoca del terzo stile la casa fosse ridotta a cau- pona (').
Questi sono i locali aperti sull'atrio c. Per e, triclinio e pas- saggio nel tempo stesso, qq (1,94 [2,07] X 3,90), che non era altro che un passaggio, s'entra nel portico dell'ambiente che per analogia 'chiameremo peristilio.
Centro della parte posteriore della casa e lo spazio aperto (giar- dino ?) 2, circondato dal portico h. Credo che nell'estate qui pure si trattenessero i frequentatori della caupona : vi e un ingresso .largo m. 0,90 dalla parte dei triclinii ed un altro stretto dal lato della cucina. La larghezza del posticum (m. 1,73) lascia supporre che anch'esso fosse un ingresso per gli avventori. II tetto del por- tico era sorretto in origine da colonne di tufo (l'unica conservata, nell'angolo SO, e poligona nella parte superiore, liscia probabil- mente nella parte piü bassa coperta di stucco), piü tardi da pi-
in questo caso se ne facesse a meno. Di piü vi si trova un altaretto di tra- vertino, a. 0,18, largo 0,16 X 0,11 di sotto, 0,215 X 0,14 di sopra, con incavo (diam. 0,055 ; prof. 0,01) nel centro della superficie. — Fu raccolta anche neH'atrio, sul lato d., una secchia di bronzo frammentata e due anfore, fra cui una con iscr. poco chiara (Not. 1887 p. 244: SOHP ; ma mi sembro piuttosto greca: «^eHP).
(}) Ivi d e furono trovati fraramenti indefinibili di feiTo, un piccolo un- guentario di vetro, 16 globetti forati di pasta vitrea, una lucerna di terra- cotta con maschera scenica in rilievo (Not. 1887 p. 244).
b SCAVI DI POMPEI
lastri oblongi, di lunghezza diversa, grossi m. 0,295 senza lo stucco, coDgiunti da un podio alto 1,0 siil lato 0, 0,80 sul lato N, interrotto dai due passaggi giä menzionati. E probabile che i pi- lastri si facessero tanto forti per poter sorreggere un ambulacro siiperiore, e m'e sembrato di vedere, aU'estremitä S del lato 0, la traccia dell'ultima delle sue travi, che stava m. 0,15 piii in alto del soffitto di k. Appie del podio scorre un canaletto rivestito di signinum, dal quäle l'acqua piovana scolava, per due tubi di creta, in un piccolo bacino nell'angolo NO e quindi, sotto il pilastro angolare, passava nella cisterna : il puteale scanalato di travertino sta nel portico 0 presso l'angolo. Un altro canaletto nell'angolo SO gira intorno la colonna angolare e passando sotto il portico ed il muro conduce sulla strada. AI lato N del pilastro angolare e addossato un piccolo focolare con tracce di fuoco (m. 0,86 X 0,49, alto 0,27) : anche questa una testimonianza che nel giardino si pranzava, giacche spesse volte vicino ai triclinii murati, che in non pochi giardini s'incontrano, si vedono focolari simili (').
Nel muro 0, corrispondente alla metä del portico N, evvi la nicchia dei Lari, 1. m. 0,40, pro f. 0,30, disc. dal pavim. 1,27 ; l'altezza non e conservata ; nel fondo avanzi di pitture su fondo bianco, nel piano un incavo per una statuetta. Sotto di essa la solita pittura (1,40 X 0,46) : a sin. il serpente fra plante con fiori rossi si dirige verso l'altare, sul quäle si distingue l'uovo ; a d. dell'altare il Genio in atto di libare, col corno d'abbondanza, coronato, vestito di toga bianca con largo orlo rosso e tunica bianca con larga striscia verticale rossa sul lato d. del petto (a sin. e co- perta dalla toga) ; il panno rosso che cuopre la testa pare che non faccia parte della toga ; a d. del Genio un giovanetto coronato, in tunica bianca con le sollte due strisce verticali rosse, che porta sulla sin. un piatto con oggetti non definibili, nella d. abbassata bende e fronde. Piii a d. il 2^0'pa, coronato, nuda la parte supe- riore del corpo, conduce il niaiale cinto da larga benda rossa ; stende la d. col coltello verso il piatto tenuto dal giovane, forse per pren- derne la mola salsa. Esecuzione grossolana. Del resto le pareti di h rassomigliano a quelle di c.
(1) Overbeck-Mau Pompeji * p. 305. Bull. 1884 p. 128 ; cf. qui avanti p. 11.
INSÜLA IX, 7 7
Nell'angolo SE del portico N di h sta un mucchio di calce, e appie del prossimo pilastro un mucchio di mattoni o cocci pesti : materiali per fare un pavimento di opus signinum.
Sopra h si apre il grande triclinio f (5,54 X 3,51). La de- corazione nel primo stile — che presuppone l'estensione attuale — vi rimase fino agli ultimi tempi, soltanto lo zoccolo fu rimpiaz- zato d'uno stucco rozzamente dipinto. Rimane oscuro lo scopo delle due porte. Murando il passaggio fra f q d (nell'angolo NO di f) fu lasciata la porta di legno, di cui nella muratura si vede rira- pronta. II pavimento e di signinum.
Tutta la parte a S di A ^ e di costruzione piü recente : gli stipiti son di mattoni alternati regolarmeute con pietre di forma simile, le decorazioni tutte dell'ultimo stile.
La cucina ^; ha nell'angolo SE il focolare (1,80 X 0,93, a 0,88) formato da tegoloni posti sopra tavole di legno sorrette da due sostegni murati ed inoltre con una estremitä incastrate nel muro E. L' angolo NO e occupato dalla latrina : soltanto qui e sul lato E fino al focolare le pareti son rivestite di stucco grezzo; del resto son prive d'intonaco. La cucina uguagliava in altezza le camere sovrapposte alle localitä adiacenti ; ha una ünestra sulla strada (circa 0,40 X 0,50) discosta dal pavimento ra. 3,00 (').
Per il passaggio /, con pareti rozze e finestra su i (0,87 X 0,73, disc. dal suolo 0,93) si entra nel cuhicolo m (3,25 X 2,64), anch'esso con finestra su i (0,93 X 0,86, disc. dal pavim. 0,87). La caraera e alta 2,64 ; immediatamente sotto il soffitto evvi nel muro E una piccola finestra che si restringe verso l'esterno : superflua per dar luce ed aria essa non poteva avere altro scopo che di far entrare il primo raggio del sole. In questa sola camera la decorazione e quasi completamente conservata : e fatta nell' ultimo stile a fondo giallo, con zoccolo rosso ornato di plante, la parte superiore ha i soliti motivi, qui semplicissimi, su fondo bianco. In ognuno degli scompartimenti grandi del muro di fondo e cosi anche a d. della
Q) Vi si raccolsero una vaschetta, una pentola, una caldaia ed una conca di bronzo, un tripode, un rastrello ed una lama di coltello di ferro (Not. 1887 p. 243).
8 ÖCAVI DI POMPEI
tinestra, e dipinto un piccione bianco ; se ne vedono due, che s'im- boccano, in mezzo al muro d. (*).
n scala del piano di sopra: due, e piü in lä un terzo gra- dino verso S, uno verso 0, sette (di cui tre conservati) verso N. Dal pianerottolo fra il secondo ed il terzo gradino si scende sopra due gradini in o, che credo un cubicolo servile, con pareti rozze e piccola finestra, che esternamente si restringe, nel muro E. In / m o mancano le soglie, che probabilmente erano di legno.
II pavimento dei locali superiori stava a m, 3,50 sopra quello di h k. Dalla scala n s'entrava in una camera sopra /, da questa in una grande sopra in o, ambedue precedute sul lato N da una loggia (son visibili i buchi delle travi) larga 0,82, munita di un parapetto muräto, alto almeno 0,90, come si vede sul muro E del giardino. La loggia era accessibile per una porta larga 1,55 sopra m e per un'altra porta, di larghezza ignota, sopra l. Sopra m eravi inoltre una finestra larga 1,20 verso E. Dal locale sopra / s'entrava ancora in uno sovrapposto a k^ cioe all'estremitä S del portico 0, dipinto nelVultimo stile a fondo giallo.
Quanto al tetto della casa, non si puö dubitare che quello della parte posteriore, compresi forse d e, non fosse inclinato verso i. Quello ^\ ab c poteva essere inclinato verso la strada 0 (2).
Poche iscrizioni graffite si leggono sulla parete sin. della fauce b (cf. Not. p. 514).
1. CIILIIRVIRTORIV {Not. 1. c. Sil invece di VI).
2. a d. di 1 : ALLICI^II GAR-VMI (l'ultima asta e forse casuale).
3. sotto 1 : FAVSTVS
(1) In m si trovarono una bottiglia ed un balsamario di vetro, una taz- zolina ed una lucerna di ten-acotta, quest'ultima ornata d'una testa di Selene sormontata dalla mezza luna (Not. 1887 p. 248).
(2) Aggiungo alcune misure. II muro di strada e grosso 0,405, quello fra a e h 0,29, fra a e c 0,39, quelli ixa, d e & fg, fra d e e c, fra /' e g h son grossi 0,41, fra d eä e 0,28. L'ingresso n. 2 e largo 1,70, quello della bot- tega a 3,50; la porta fra ß e c 1,66, quella murata ivi stesso 0,73. La porta di d misura internamente 1,15, esternamente 1,08 ; la finestra äi d h larga 0,74, la scala 1,145 col parapetto.
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N. 3-5 (cfr. Not. 1. c. p. 515 sg.).
La casa segiiente ha una bottega su ciascun lato della fauce a, n. 4. Kimonta all'epoca sannitica la facciata e tutto ciö che sta avanti all'atrio, compreso lo stucco di « e ^, bucato per ricevere una niiova decorazioue. L'ingresso a, alto almeno m. 3,50, era traversato all'altezza di 2,30 da una trave ; la porta dunque non poteva arrivare ad un'altezza maggiore di questa, e possiamo sup- porre che sopra di essa il vano fosse chiuso da una inferriata. La soglia di travertino ha nella parte esterna e piü alta gli incavi delle antepagmenta, nella parte interna e piü bassa quelli dei catenacci, non perö quelli dei cardini.
L'atrio d ha il medesimo pavimento di signinum come la fauce, senza impluvio, e dobbiamo perciö crederlo coperto ; la ci- sterna (apertura in lava presso l'angolo sin. della fauce) doveva ricevere acqua dal peristilio. Non lo credo un airium teüudinatum quäle lo descrive Viti-uyio, non vedendosi alle pareti le tracce degli apparecchi per portar via I acqua piovana ; forse il tetto era incli- nato parte verso la strada parte sul giardino.
De' locali adiacenti ^ e la scala dei piano superiore, col sot- toscala che poteva chiudersi e servire p. es. da dormitorio servile. /■ (a. m. 3,0) poträ chiamarsi ala. A ?, con finestra e porta sul giardino, con ingresso senza porta (cosi pare) dal lato dell'atrio, poträ forse darsi il nome di tablino. Gli sta accanto il triclinio Ä, anch'esso con finestra sul giardino ed accesso al piccolo cubicolo g.
La decorazione e semplicissima. II lato d. deH'atrio ha uno zoccolo nero a. 1,40, e sopra di esso lo stucco grezzo dell'epoca sannitica coperto rozzamente d'un tenue strato di color bianco. Posteriori allo zoccolo nero sono le decorazioni deH'ultimo stile sul lato sin. dell'atrio, in ac g h i. Nell'atrio e nella fauce a (e similmente in c) il fondo rosso e diviso in .scompartimenti per mezzo di strisce gialle. In f il fondo e bianco, meno lo zoccolo, che e rosso : gli scompartimenti grandi delle pareti laterali con- tengono ognuno un uccello, sul muro di fondo quello a d. un qua- dretto con pesci (0,35 X 0,18); quello a sin. non e conservato. In i il fondo e nero sopra zoccolo rosso. Nel centro dei mui'O d un quadro mal conservato e poco riconoscibile rappresenta il noto
10 SCAVI DI POMPEI
gruppo di Chiron e ed Achille. Sul muro d. a d. e rappresentato un pezzo di carne cruda (a. 0,18, 1. 0,30), sul muro sin. a sin. due pani (a. 0,22, 1. 0,38). In h il fondo e rosso. La decorazione e rozza, senza quadri. Sul muro sin. e dipinto a sin. un cigno che nel becco ed ai piedi porta un nastro; sul muro d'ingresso vedonsi due fantastiche figure alate, delle quali quella a d. ha la testa d'un gatto e porta un nastro come il cigno, quella a sin. ha la testa d'uomo vecchio con cappello, messa in caricatura ; ambedüe hanno coda e piedi d'uccelli, a guisa di Sirene, e sono eseguite negligentemente in giallo. — Ä ha la soglia di lava e si chiudeva con una porta a due battenti.
II cubicolo g ha le pareti rosse fino a m. 1,60, quindi blanche. Manca la soglia. AU'estremitä d. del muro di fondo evvi l'incavo per il lato corto d'un letto, che stava dunque appie del muro d., nel quäle si vedono due buchi per i mutuli di una scansia.
Per i si passa nel giardino, preceduto da un rialzo largo 1,25, k, rivestito, come anche il canaletto che scorre appie di esso (largo 0,75), di signinum. II canale e traversato incontro alla porta di i da un ponticello formato da tegoloni posti sopra punte di anfore, dal quäle sopra un gradino si scende nel viridario. Sopra il rialzo k^ protetto senza dubbio dal tetto sporgente della casa, sta a sin. di chi esce dalla porta un gran puteale di terracotta (diam. interno 0,62) sopra un basso cilindro murato, nel quäle e incastrata esteriormente sul lato S una pietra di color grigio, larga 0,23, con un incavo (0,06 X 0,05, prof. 0,035) nella super- ficie : forse qui era immesso qualche apparecchio per tirar l'acqua; nel puteale stesso son pochissime le tracce delle corde.
Nell'estremitä 0 del muro di fondo (N) di k e ricavata una nicchia a volta, a. 0,40, 1. 0,40, profonda 0,12, probabilmente il larario. Avanti ad essa giace sul suolo un cubo (0,24) di traver- tino, che poteva servire da altare.
Sul lato anteriore del giardino evvi ancora a sin. una stanza l con due grandi porte, evidentemente un triclinio, perö le pareti son rivestite soltanto di stucco di mattoni, il pavimento di signinum. Un sedile murato sta a d. fuori dell'ingresso occidentale. II pic- colo vauo adiacente m non poteva essere che una specie di armadio ; vi sono nelle pareti vari buchi come di chiodi.
Nel giardino n troviamo a sin. un triclinio murato , rivestito —
INSULA IX, 7 11
com'anche la parte corrispondente del muro E — di stucco rosso. E curioso, ne saprei spiegaiio, che qui la parte d. del triclinio e di m. 0,40 piü lunga dell'altra, mentre generalmente lo e la si- nistra, conformemente al modo corae si giaceva a tavola. II tavo- lino e coperto d'una lastra di marrao bianco. Dirimpetto, presso il muro 0, sta un piccolo altare murato (0,43 X 0,37 di sotto, 0,58 X 0,61 di sopra, ove stanno i piilvini da S a N) rivestito di stucco di mattoni. Poco piü avanti, in un angolo formato dal murD, sta un piccolo focolare, coperto a volta, internamente non piü grande di 0,52 X 0,96.
Finalmente evvi ancom, in fondo al giardino, un piccolo edi- fizio contenente la cucina o ed il cesso p. La cucina ha il foco- lare addossato al muro E, la latrina nell' angolo NE ; nell'angolo SO la parte indicata nella pianta (1,70 X 1,90) e rinchiusa in un rialzo di stucco a. 0,12, e qui, nell'angolo stesso, giace un mucchio di calce. Accanto alla porta evvi una finestra, discosta dal suolo m. 1,83. — II cesso J9, alto 1,90, con finestra verso E, era sormon- tato da un basso locale sotto il tetto, anch'esso con finestrina Yerso E, accessibile soltanto per una porticina sopra il focolare di 0, alla quäle si doveva ascendere per mezzo d'una scala por- tatile. Una porta im o q p fu murata anticamente. Sopra ambedue son conservati i margini superiore ed inferiore del tetto inclinato verso N.
La costruzione di o e ^ e posteriore allo stucco del muro cui sono addossati, Prescindendo da questo stucco le pareti di p non hanno rivestimento alcuno ; in o il muro d'ingresso ha stucco di mattoni fino all'altezza di 1,40, e la parte corrispondente alla la- trina fino a 1,10.
Nel giardino n sono riconoscibili i buchi che segnano i posti delle plante (piccoli alberi, come pare), com'anche gli stradelli ac- canto ai quali la teiTa e rialzata un poco ; uno conduceya a sin., con curvatura a sin. dietro il triclinio, nel fondo della parte piü stretta del giardino, ove fu trovato qualche materiale proveniente da muri distrutti ; un altro si dirigeva dal focolare lungo il muro 0 ad 0, poi passando avanti ad op imboccava in quel primo.
Stanno appoggiate ad op cinque anfore piene di calce, due, ed una cui manca la parte superiore, piene a metä, una finalmente nella quäle non ve ne sono che tracce ; e un' altra simile sta
12 SCAVI DI POMPEI
nell'angolo SO del giardino. Due, che son vuote, stanno neH'an- golo NO di /*: e all'angolo di j). Presso l'angolo SO del giardino sta im recipiente cilindrico di tufo, al'o internamente 0,24, diara. interno 0,24, esterno 0,35.
Basta UDO sguardo sulla pianta per convincersi che la parte E del giardino deve aver appartenuto una volta alla casa adiacente n. 6-8. In fatto lo stucco del muro di fondo (S) prosegue dietro il muro che divide i due giardini, e similmente sul lato anteriore lo stucco dell'arcata che precede il giardino del n. 6-8. Ma pare che in quel tempo il giardino del n. 6-8 si estendesse piü ancora verso 0 : lo stesso stucco del muro di fondo comparisce sui muri cui op sono addossati, anche ad 0 di o, fino al punto ove confina la casa 1.2 col n. [12.13] : quindi segue il miu'o piü recente dei locali posteriori di 1.2. Pare adunque che una volta il proprieta- rio di 6-8 abbia acquistata tutta la parte posteriore della casa [12.13], la quäle probabilmente non era sempre tanto ristretta, e ne abbia fatto un gran giardino, e che poi ne abbia ceduto una parte (con una striscia del suo giardino antico) al n. 3-5. Ovvero, quando fu acquistata la parte posteriore del n. [12.13], le due case 3-5 e 6-8 erano riunite in una mano, e furono poi divisi le case ed il giardino fra piü eredi nel modo come adesso li vediamo.
E da osservarsi ancora che dalle parti superiori, sopra i, pro- vengono, come potei osservare durante lo scavo, tre mezze colonne sporgenti da pilastri e due colonne, i cui rocchi ora stanno parte nell'atrio parte nel vico ad 0 dell'isola. Erano alte circa 2,15 ;il diametro dei rocchi e fra 0,28 e 0,35 ; una delle colonne era piü grossa, ma l'altezza e esattamente quella delle altre. Sono di tufo, lavorate rozzamente e rivestite di stucco ; due delle mezze colonne erano congiunte, a m. 1,47 sopra la base, da una trave.
La casa fin qui descritta si crede quella d'un chirurgo a causa d'un ritrovamento fatto il 2 sett. 1887 nell'angolo SE delFatrio (Not. 1887 p. 413) ('). Vi si trovarono gli avanzi di una cassa di legno totalmente disfatta e gli oggetti che in essa erano stati conservati, enumerati nelle Not. 1. c. Primeggia fra essi un gran
(1) Si trovarono inoltre neU'atrio (Not. d. sc. 1887, p. 414 sg.): pochi vasi ed un coperchio di casseruola di bronzo ; un braciere di ferro ; un peso di piombo ; 16 cerniere di osso, e nell'angolo SO un'anfora con iscrizione. — In e (1. c. p. 564): una boccetta di vetro; pochi vasi di terracotta, fra cui
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*
numero di strumenti chirurgici : un speculum uteri, un forceps, pinzette, tasti, coltellini, un imbiitino ed altri strumenti non de- finibili, tutti di bronzo meno le lame dei coltelli che sono d'ac- ciaio ed in parte mancano. Di piü vi si trovarono, anche di bronzo, due calamai cilindrici. una misura d'un piede romano (0,295), di- viso sopra un *lato in 16, sopra un altro in 12 parti, una bilancia a due coppe coi pesi relativi, che sono in numero di cinque, se- gnati coi numeri greci 6 e q t i, vale a dire 4-7, 10, ed il cui peso conduce ad una unitä fra gr. 3,50 e 3,60 (i). Due altri pesi,
un piatto aretino coi boUo L • N • P in forma di piede e coi numero XXXX grafiStovi esternaraente. — In i (1. c. p. 414 : « a dr. del tablino ») : 2 orec- chini d'oro, ognuno con un globetto di madreperla ; 2 globetti di sottili la- minette d'argento ; 3 boccette di vetro ; un vaso di alabastro ; una lucerna di creta coi lucignolo di stoppa. — In l (1. c. p. 528) : una vaschetta ed un piede di mobile di bronzo ; alcuni vasetti di vetro ; un pignattino e tre lu- cerne di creta, fra cui una con testa muliebre e con la marca STrobiL! ; un'antefissa con busto muliebre ; un'anfora senza iscrizione ; due frammenti di tegole, ambedue coi bollo dojwiti . alexn {C. I. L IL 8042,44). — In m : un'anfora con l'iscrizione M ' A • M. Nella parte anteriore, forse nella fauce (1. c. p. 411 sg.) : caraflnette di vetro; 9 globetti neri, 9 bianchi ed uno giallo di pasta vitrea ; due dadi di osso. — In n (1. c. p. 528) : un vaso di bronzo ; 2 anfore con iscrizioni poco leggibili ; un frammento di tegola coi noto bollo L • SAGINI • PRODM. — In Z» (1. c. p. 244) : un piccolo piede di mobile di bronzo in forma di grifo con piede leonino ; una bottiglia di vetro ; un'antefissa con testa muliebre ; 4 monete di bronzo. — In c (1. c. p. 412), suUa soglia : un piccolo anello d'oro ; 23 cerniere di osso ; una chiave, un coltello ed una lucerna di ferro ; una moneta, un ago saccale, un pomo tor- nito e qualche ornamento di mobile in bronzo ; un pezzo informe di cristallo di rocca. Piü in dentro : un orecchino d'oro; un piccone, una chiave, un col- tellino di ferro, quest'ultimo (1. m. 0,11) con manico d'avorio ; due borchie con anello, due pinzette, una pentola ed una casseruola di bronzo ornata nel fondo di un dischetto d'argento con una testa poco conservata in rilievo : vi stava dentro un cucchiaio d'argento ; due unguentari di vetro, un ramo di corallo, due monete di bronzo ed una d'argento. Tutti questi oggetti non permettono una conclusione sul genere del commercio che nella bottega si esercitava ; pare che vi si trovassero casualmente e per esser portati via.
(') Vd. SU questi pesi Sogliano, Di alcuni pesi recentemente scoperti in Pompei, Napoli 1888 (estr. del vol. XIV degli Atti della E. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle arti). Pernice Galeni de ponderibus et mensuris testimonia, Bonnae 1888 p. 63 sgg. Cf. Hultsch, Metrologie^ p. 149.
14 SCAVI DI POMPEI
di forma sferica, sono segnati l'imo con un pimto, l'altro con due punti in argento, del peso di gr. 27,70 e 56,55 ed uno in marmo nero, non segnato, di gr. 85,02. Di ferro si trovö uno scalpello, una lama di coltello ed una forbice; finalmente una cote di are- naria ed una pignatta di terracotta contenente una sostanza non determinata. Che la casa fosse abitata da un chirurgo, il prof. So- gliano (Not. 1. c. p. 516) lo trova confermato, non senza probabi- litä, dalla summentovata rappresentanza di Chirone.
N. 6-7.
Le moltissime anfore vinarie trovate in questa casa inducono a cre- dere ch'essa fosse abitata da un negoziante di vini, il quäle nella bottega n. 7, e forse nella casa stessa esercitasse il suo commer- cio. Puö darsi che anche la bottega n. 8 fosse proprietä sua ed affittata a chi vi faceva un commercio simile : oltre oggetti insi- gnificanti ivi pure si raccolsero 7 anfore, fra cui una con iscri- zione.
La fauce a (2,0 X 4,45) in origine era aperta sulla strada nell'intera sua larghezza : delle ante che la restringono quella a sin. fu aggiunta posteriormente, mentre a d l'intero muro di strada di h, che una volta era una bottega, e d'origine posteriore ; sol- tanto lo stipite a d. dell'antica bottega, il pilastro fra 6 e 7 ed il muro da 7 fino a tutto il muro divisorio fra 7 e 8, rimontano all'epoca sannitica.
La porta stava immediatamente alla strada. La soglia di lava conserva il cilindretto in ferro del cardine a d. ; a sin. manca il pezzo relative della soglia. I buchi dei catenacci, l'uno grande, discosto m. 1,16 dallo stipite d., l'altro piü piccolo, a 0,74 da quelle sin., provano che il battente d. era piü grande e piü for- temente ferraato dell'altro. Senza dubbio per lo piü s'apriva que- st' ultimo soltanto, ed in fatto e visibilmente piü consumata la parte corrispondente del pavimento. Apple del mura d., a m. 1,65 dal cardine, e immesso nel pavimento un pezzo lavorato di marmo, per appoggiarvi contro la trave obliqua con la quäle si assicurava la porta.
Nel muro sin. evvi, immediatamente alla porta, un buco con- tenente un tubo di terracotta, mentre a d. nulla vi e di corrispon-
INSÜLA IX, 7 16
dente. Pare adunque che in tempi piü antichi s'adoperasse la sera e che dopo le siimmentovate ricostruzioni a d. vi rinunziassero, contentandosi della trave obliqua.
Vi sono nella casa quattro bocche di cisterna : presso l'an- golo interiore a d. di a ; neU'angolo corrispondente deH'atrio d ; nel corridoio /";* neU'angolo anteriore a sin. del giardino. I puteali nell'atrio ed in / (ambedue di travertino) hanno molte tracce delle corde ; quest' ultimo h pure stato rovesciato, e le tracce sono an- cora piü forti nel margine che ora sta di sotto. Le due altre aper- ture non hanno puteali ; ma ne sta uno neU'angolo posteriore a sin. deH'atrio, anch'esso con tracce delle corde. Perö non si com- pr«nde in quäl modo Tacqua sia entrata nella cisterna. Dal canale che precede il giardino un canaletto coperto si dirige sulla strada, passando sotto fda, con chiusino presso la porta fra a q c, senza scolo nella cisterna. Soltanto, nell'apertura in f si vede imboccare sotto terra, dal lato SO, dunque dalla parte del giardino n. 3-5, un tubo foderato inferiormente di metallo (probabilmente di piombo); ma non si vede da dove possa provenire.
Fra 1 ritrovamenti fatti in d notansi tre lucerne di terracotta: una in forma di nave, a 16 lumi, che sono disposti nelle sponde, con due manubri ad anello nella superficie; una a tre lumi, vale a dire una lucerna piü grande sormontata da due piccole ; final- mente una lucerna a due lumi. Siccome accennano ad un^illumina- zione piuttosto forte, e perciö a riunioni serali di piü persone, cosi sembrano favorire la supposizione che qui s'esercitasse non soltanto il commercio del vino, ma anche una caupona, supposizione che dagli altri ritrovamenti non e ne confermata ne contraddetta (^).
(1) Vi si trovü di bronzo ; un'asta di bilancia e 12 anelletti diversi fra loro ; di terracotta : un collo d'anfora con iscrizione poco leggibile ; un'an- tefissa con testa muliebre e tre maschere comiche per grondaia ; di marmo un mortaio col pestello in forma di dito piegato ; di pasta vitrea 98 globetti turchini. In a di bronzo: 12 chiodi e una moneta; di vetro : due boccette; di terracotta: una lucerna (Not. 1887 p. 412-414). — NeU'angolo NO di d sta un recipiente di lava, fatto da un'antica meta di mulino ; diam. interno al mar- gine 0,53. L'antefissa e le grondaie sembrano indicare che l'atrio d fosse sco- perto e che verso di esso si abbassasse qualche tetto ; non vorrei pero dar troppa importanza a simili ritrovamenti, visto che antefisse spesso si trovano anche in luoghi ove non potevano essere in opera ; cosi p. es. nella bottega n. 3 (vd. sopra p. 13).
16 SCAVI DI POMPEI
A sin. di d eravi la scala del piano superiore (N a S, un gradino di pietra, il resto di legno) ove forse abitava il proprie- tario. Ivi si trovarono («^ negli strati superiori delle terre " Not. 1887 p. 452) 7 lucerne bilychne e 2 monolychne (').
Sul miiro d'ingresso dell'atrio copiai due iscrizioni graffite :
1. IVCVNDVS VIINVS
VITALIS ROV/// RE VT NOMINII (2)
2, SOtto 1 : QVOIVS
LABORE
Due camere ^ e ^ si aprono suH'atrio; in h {cella penaria'?)
stanno ancora al posto almeno otto anfore, e ne fu tolta un'altra
con riscrizione
T • HAD • COL (3)
Sul principio del muro sin. evvi una nicchietta (a. 0,45, 1- 0,41, prof. 0,18, disc. dal pavim. 1,27) dipinta di color bianco con mac- chie gialle, verdi e paonazze, che sembrano indicare fiori: proba- bilmente la nicchia dei Lari; nel muro di strada, a m. 2,50 dal suolo, una finestrina che esternamente si restringe. Le pareti in a b d f hanno intonaco grezzo ; il pavimento e d'una massa ordi- naria grigia.
g fa r impressione d'una stanza per gli avventori della cau-
Q) Fra le bilychne una ha il manico ad anello sormontato dall'aquila con le ali spiegate, sul disco una Corona d'alloro ; un'altra ha in rilievo l'a- quila con le ali spiegate stante sopra il fulmine, dietro cui la luna crescente ; qui pure sul disco Corona d'alloro ; una terza mostra un fiore di loto in uno scudo triangolare sovrapposto al manico ad anello. Fra le monolychne una ha sul disco un rosone ed il manico ad anello sormontato da scudo triango- lare in cui h a rilievo il busto radiato di Helios fra due comi d'abbondanza ; un'altra ha sul disco un'anitra e sul fondo la lettera H.
(2) L'ultima riga non h molto chiara : la terza lettera h piuttosto v che II ; dell'o si vede soltanto la parte d., e l'ultima asta dell' n si confonde con un'altra linea.
(3) II gentilizio di Hadius si ha nel graffito Bull. 1878 p. 190. Forse la persona qui indicata e identica col Columbus dell'anfora C. L L. IV 2633.
INSULA IX, 7 17
pona, per la cui decorazione si e voluto far qualche cosa, in modo perö da spendere poco: appie dello zoccolo di stucco di mattoDi (') (a. 1,45) alcuni tiori son dipinti rozzamente in giallo ebianco; di sopra intonaco grezzo ; pavimento di slf/nmum^ conservato soltanto in parte. Una 'finestra (1. 1,45) sul passaggio h poteva dare poca 0 nessuna luce, ma era commoda per il servizio. Neue pareti contai le tracce di almeno 12 chiodi.
Fra i ritrovamenti notiamo 2 anfore ed un coUo d'anfora con iscrizioni (cf. Not. 1887 p. 561):
1, in un collo d'anfora (forma XII, dal collo lungo), con
color bianco :
SVRR FAB
IMP • VESPASIANO • II • COS (70 d. C.)
cf. C. I. L. IV 2556-2559 : quattro anfore del medesimo viuo Sor- rentino Fabiano, ma dell'a. 72.
2, (forma XI) in rosso :
AR//////// C • CAESIO • RESTITVTO
Not. 1. c. vs. 1 : AB ; mi sembrö di vedere avanzi che possono far parte d'un'A , quindi R e tracce illeggibili.
3, (f. XII) con r inchiostro :
O V R ASL
cosi pubblicata Not. 1. c. ; io non vidi che tracce incerte. Gli altri ritrovamenti (-) nulla hanno di caratteristico, ma non contradicono alla congettura suaccennata.
<?, bofctega n. 7 ; la porta che la congiunge con a anticamente era situata piü in dentro; quella attuale (a. 1,73, 1. 0,79) era a
{}) Non sarä forse inutile di rammentare che io chiamo. stucco di mat- toni uno stucco cui per Taggiunta di mattoni polverizzati e stato dato un color giallastro.
(2) Di vetro: 2 vasetti, di cui uno (a. 0,045), contiene della cordicina ; 2 boccette ed un unguentario. Di ferro : parte d'un'asta di bilancia. Di bronzo : un paio di pinzette ed un cucchiaio. Di pasta vitrea : .5 globetti violacei (Not. 1887 p. 412, 29 ag. p. 561, 3 nov.).
2
18 sc AVI DI POMPEI
due battenti, ferraata con catenacci dalla parte di c. Neil' ingresso dalla strada evvi la solita soglia delle botteghe (Overbeck-Mau Pompeji ^ p. 378). L'angolo a sin. per chi entra, separate per mezzo d'un sottile tramezzo, poteva servire per collocarvi p. es. anfore vinarie. Le pareti a sin., fino all' ingresso di e , son rosse fino a m. 1,80, a d. hanno stucco di mattoni fino a 2,10, di sopra son bianebe ; il pavimento, di una massa ordinaria grigia, e poco con- servato. 5 file di linee tracciate col carbone sul muro di fondo, a d. deir ingresso di e , evidentemente significano conti. Vi furono trovate 5 anfore, fra cui una con iscrizione; un piatto aretino con marca in forma di piede; una moneta ed un piombino di bronzo (12 sett. 1888); e negli strati superiori un fuso di osso ed un ago saccale di bronzo (Not. 1887 p. 415).
^, spaziosa retrobottega, alta tino al nascimento della volta decorativa m. 2,72 ; le pareti son dipinte assai modestamente a fondo bianco, meglio perö che in g. Negli scompartimenti son con- servate le seguenti piccole rappresentanze.
1 , muro d' ingresso a sin. : vaso posto sopra una pietra qua- drangolare, e due giavellotti appoggiativi.
2, muro sin. a sin.: nel mezzo un tavolino; a sin. due giavel- lotti appoggiati non si sa bene dove, per terra una pietra cubica ; a d. un'anfora cui e appoggiato un ramo di palma.
3, nel centro del muro sin.: grifone che salta verso d.
4, muro di fondo a sin. : tavolino cui sono appoggiati, non si vede bene come, due rami di palma; a sin. un'anfora.
5, muro d. a sin. : una palma sta inclinata a d. sotto un arco ; a sin. im ruUo ; a d. un vaso panciuto azzurrognolo sopra base cubica rossastra, un alto vaso rossastro ad un manico, un cerchio verde.
6, muro d. a d. : nel mezzo un'anfora turchina, che invece dei manichi ha su ciascun lato al margine superiore della pancia una maschera barbata ; a sin. due giavellotti appoggiati non si sa a che cosa; per terra una pietra cubica; a d. un grande scudo rotondo rosso appoggiato ad un oggetto poco ehiaro che ha due piedi; vi sta appresso, appoggiato non si sa come, un ramo di palma ornato di nastri (^).
(1) Non vidi sgombrata la retrobottega ; in uno strato alquanto superiore al pavimento si raccolsero un vasetto cilindrico di terracotta dalla patina inve-
INSULA IX, 7 19
Torniarao ora nell' interno della casa.
f, corridoio che daU'atrio si dirige verso le parti posteriori ('), ha a d. il passaggio h, con pareti rozze; esse ci porta in /, che piiö credersi uua dispensa: tutt'e qiiattro le pareti, con stucco di mattoni, mostrano tracce di tre scansie, La soglia e di lava, senza indizio di chiusura. Vi sta per terra il margine di un dolium ; del resto nuUa vi fu trovato.
Proseguendo in / troviamo, anche a d., k; non e la ciicina: il rialzo di fabbrica appie del muro di fondo e un letto (1,90 X 0,80) destinato forse per il servo che custodiva le parti anterior!. Vi si trovarono sette anfore fra cui una con 1' iscrizione dipinta in rosso :
A FAL • ARB • CAL
La R non e molto chiara e puö credersi B ; invece la C mi sembrö certa (cf. Not. 1887 p. 414). E chiaro che si tratta di vino falerno, mentre in ARB • CAL pare abbreviato il nome del producente.
II portico m, che precede il giardino p, e di una forma sin- golarmente irregolare. II suo tetto era sorretto da pilastri di pietra di Sarno rivestiti di stucco, " di cui il primo a d. e congiunto col mufo d. mediante un arco, mentre la congiunzione col prossimo pilastro a sin., e cosi pure fra quest' ultimo e Jl'angolo NO di ji , ove un pilastro simile e incastrato, era fatta per mezzo di archi- travi di legno. E ciö non rimonta a cambiamenti posteriori, ma e chiaro che, da quando vi furono i pilastri, e sempre stato cosi. E chiaro anche, che in tempi piü antichi il portico proseguiva sul lato sin. (E) del giardino : nel muro 0 di no sono incastrati, a distanze uguali (2,80-2,88), quattro pilastri simili, fra cui due agli
triata con due uccelli ed un quadrupede in rilievo, un vasettino di vetro, un martello di ferro, un frammento di mattone col bollo circolare ACTI e nel mezzo S (Not. 1887 p. 415, 17 seti).
(') Vi furono trovati i frammenti, fra cui uno piü considerevole, d'un cerchio di legno dal diametro di m. 0,15 « ornato esternamente di piastrine « rotonde di bronzo, disposte a tre a tre in serie verticali, ad uguale distanza « fra loro. In tre punti queste serie verticali di piastrine sono divise da una « doppia serie verticale di piccole borchie di bronzo » (Not. 1887, p. 414, 5 sett.). Non si tratta di un tamburino, come si potrebbe congetturare.
20 SCAVI DI POMPEI
angoli NO e SO ; non si piiö decidere, se proseguisse oltre il posto ora occupato da ^ o . Su tutto questo tratto il motivo dell'arco non era ripetuto: pare che in tal modo si sia voluto marcare il pas- saggio corrispondente a /. L'arco e alto 3,30, l'architrave di legno stava all'altezza di 3,25, in modo che col corpo dell'arco stesso da una parte, e l'opera incerta sovrapposta all'architrave dall'altra, fu raggiunta la stessa altezza. I pilastri, disposti in maniera da cor- rispondere a / e /, sono congiunti da un podio che incontro a l e alto 0,75, grosso 0,58 ed ha nel mezzo un passaggio largo 0,85, mentre a d. ed a sin. e grosso 0,28, alto a sin. 1,08, a d. 1,0 : qui cioe doveva restare al disotto dell'altare addossato al muro d., alto 1,13, ßopra il quäle e incavata nel muro stesso la nicchia del larario (a. 0,44, 1. 0,40, prof. 0,18), rivestita di stucco bianco. II lato interno del podio e le parti corrispondenti dei pilastri erano dipinti di color nero; esternamente hanno fino alla stessa altezza strisce irregolari yerdastre e nere su fondo bianco : forse ima rozza indicazione di plante.
In ognuno dei pilastri e incavata dal lato interno una nic- chietta, a. 0,08, 1. 0,12, prof. 0,10, discosta dal pavimento 1,47; difificilmente potevano servire ad altro che a mettervi delle lucerne, e vi si potrebbe scorgere un indizio che fin qui pure s'estendesse l'esercizio della caupona.
Sulla parete in fondo al portico uno zoccolo nero a. 1,44, terminato da una striscia rossa, s'estende fino ad un'anta corrispon- dente all'angolo di n, dipinta semplicemente con strisce rosse e blanche su fondo nero. Nell'estremitä del portico, corrispondente a w, com'anche al disopra dello zoccolo suddetto, non evvi che stucco grezzo.
Merita attenzione la porta fra f e m. E larga 1,47, fra gli incavi delle antepagmenta 1,25. I cardini stavano al margine po- steriore della soglia, la quäle e di uguale altezza in tutte le sue parti ; mancano gli incavi dei catenacci. Invece evvi quasi nel mezzo, un poco piü verso E (a m. 0,60 dalle antepagmenta ad 0, 0,57 da quelle ad E) un grosso incavo, profondo circa 0,25. Pare dunque che qui era immessa una trave verticale, contra la quäle battevano le due partite della porta e alla quäle furono fermate. E giova ricordare che in modo simile erano fatte le porte del calcidico della basilica {Bull. 1888 p. 60).
INSÜLA IX, 7 21
II portico in un tempo anteriore era in diretta comunicazione coi locali adiacenti del n. 3-5. II muro divisorio fu addossato al pilastro dell'arco summentovato mentre questo era giä rivestito di stucco, e nerameno esso fece una separazione, ma era interrotto da una porta larga 2,20, che piü tardi soltanto fu murata. Ciö con- ferma la congettura sopra espressa (p. 12), che cioe una volta le due case fossero riunite in una mano.
Non pochi oggetti furono trovati Qel portico ('). Preyalgono di gran lunga i vasi di terracotta, fra i quali si notano due urcei con le iscrizioni
1. G F SCOMBR
AB SCAVRO
2. LIQVMEN
OPTIMVM
CAMPAN I
e un corno potorio perforato nella punta e ornato di una figura di Amorino. Fra gli altri oggetti notansi una bottiglia e cinque boc- cettine di vetro e sette pesi ; il resto e insignificante.
Q) Not. 1887 p. 562. Sono, oltre i vasi sopracitati, di terracotta : Un'an- fora con iscrizione non intelligibile ; l'orlo di una pelvi col bollo prisci • af | DOMiTi ; una coppa contenente una sostanza non determinata involta in pa- glia ; un arceo frammentato contenente gusci di uova ; un piatto arretino sopra alto piede con animali in rilievo ed il bollo in forma di piede CN • TZ JR {CLL. X 8055,8), ed altri vasetti simili; 16 vasi rustici ad un manico; 6 pignatte; 2 anforette ; 6 lucerne ad un lume, fra cui una ha nel disco la protome di Medusa e nel fondo la marca Sabinvs | f ; di argento : un piccolo cucchiaio; di bronzo : un ago saccale, una fibula ed un oleare ; un colt^llo con lama di ferro ; di osso : un manico di coltellino finiente a zampa di cavallo col piede rivestito di laminetta di bronzo ; altri due manichi, 3 aghi crinali, un listello rettangolare e varie cerniere ; di ferro : una palettina e quattro falcette ; un novo di marmo ; un ariete accovacciato di pasta smaltata egizia. I pesi sono 4 di pietra in forma di cono tronco, di gr. 1086 (3 i libre ?) ; 324 ; 303 | ; 298 due di pietra, rotondi con due facce piane, di gr. 289,2 (con l'indicazione . : . un quinto forellino fu impiombato anticamente) e di 288 1 (libre poco esatte, corae anche i precedenti ? non so spiegare i 4 punti) ; uno di piombo di gr. 1918 1 (6 libre romane). Stanno ancora al posto, negli angoli ad 0 del' portico, un piccolo dolium ed un altro vaso di creta pleno di calce.
22 SCAVI DI POMPEI
Sul portico si apre /, che ha la forma d'uno spazioso triclinio (4,60 X 6,54 ; a. tiuo alla cornice 4,27), e a tale uso probabil- mente fu fabbricato. La pittura semplice e noD bella, a fondo nero, rosso e bianco, e fatta negli Ultimi tempi del terzo stile ; non la credo un'imitazione di tempi posteriori, come si potrebbe sospettare. Di rappresentanze non v'e che qualche uccello e qual- che testa poco riconoscibile (sul muro di fondo una testa di Me- dusa) rinchiusa in medaglione. Sul rauro sin. scorgonsi tracce non dubbie d'incendio. II pavimento, di una massa ordinaria grigia, e meglio conservato, probabilmente perche piü nuovo, che nelle altre parti della casa. Pare perö che la stanza non fosse adibita, negli Ultimi tempi, all' uso cui fin da principio era destinata, ma dovesse servire anch'essa al commercio del vino. Vi furono tro- vate (Not. 1888 p. 527) 9 anfore, fra cui 5 con iscrizioni :
1 (forma VIII), in rosso: TI ■ CL • ANTI (Ti. Claudi An- ti[ochi?J trovo fra le mie Schede due anfore, forme VIII e X coll'epigrafe K . ANTIOXOY).
2 (XI), in rosso: TICL-ANTI; suU'altro lato in nero ;
MOL LAA
3 (forma 10, Bull. com. 1879 t. VII. VIII), in rosso:
><
opepi
4 (VIII), in rosso: P
5 (urceo VI): LIQVAMEN
OPTIMVM
Nell'angolo NO sta un mucchio di calce; e tutti sanno che la calce fu adoperata nella preparazione dei vini (').
Due camere n o stanno sul lato E del viridario, ove prima si stendeva il portico.
(1) Vi si trovö ancora un pignattino ed 8 lucerne di terracotta, fra cui una con rappresentanza di Giove con l'aquila ; una boccetta ed una va- schetta di vetro ; una casseruola e 7 pezzi di ornamento di mobile di bronzo ; un'accelta di ferro ; (S% globetti di pasta vilrea.
INSULA IX, 7 23
n (2,66 X 3,03 ; a. 3,43) e, o era in origine, un cubicolo estivo ; ha ima tinestra sul viridario (a. 1,31. 1. 1,25, disc. dal pavim. 0,65) e §opra questa una finestrina quadrangolare. La massa origia del pavimento e coperta d'un tenue strato di stucco rosso, conservato in una striscia larga circa m. 1,15 liiugo il muro E. II fondo bianco delle pareti e diviso in scompartimenti da linee rosse e nere.
Pare che qui si trovassero {}) due boccette di vetro, un'anfora, un'anforetta e due urcei con le iscrizioni :
1. G FLOS 2. MVR
SEXTILLO
i quali ritrovamenti sembrano indicare che anche questa camera serviva all'industria del proprietario. Nel muro N e conservato un grosso chiodo, uno piü piccolo nel muro S, e di altri si vedono i buchi. ,
Sopra ^ non eravi alcun altro locale. II margine superiore del tetto, che s'abbassava verso il viridario, sta all'altezza di 5,05, come anche quello del portico: senza dubbio lo stesso tetto di n copriva una volta quella parte del portico che si estendeva sul lato E del viridario.
Invece o (5,69 X 2,74) erano due locali sovrapposti l'uno all' altro. L'inferiore era alto m. 2,20, la porta 1,55. Nel muro di fondo e ricavata la latrina preceduta da un grande fusorium (1,18 X 1,25) ; una larga apertura la matte in comunicazione con un canale sotterraneo. Nel tempo stesso il locale serviva come deposito di anfore vuote, che vi si trovarono capovolte in numero di 24, fra cui 11 con iscrizioni; di piü 4 frammenti ed un'anfo- retta pure con iscrizioni. Accanto alla porta una finestra rotonda e formata da un'anfora incastrata nel muro e rotta in ambedue le estremitä. II locale superiore era accessibile, presse il muro S, per un' apertura nel pavimento sorretto da travi rotonde (E ad 0) ; il muro non fii ancora pulito in modo da poter vedere se vi fosse addossata una scala. II locale era alto almeno m. 3 ; gli davano luce due finestre, una sul giardino (a. 0,90, 1. 1,15), l'altra, piccola
(1) Not. d. sc. 1888 p. 523: stanzetta a dr. del viridario.
24 SCAVI DI POMPEI
e che esternamente si restringe, sulla strada. Le pareti pare che fossero rozze in ambedue i locali.
Le summentovate iscrizioni di anfore furono pubblicate dal prof. Sogliano nelle Not. d. Sc. 1888 p. 571 sg. Ne rileviamo le seguenti, scritte, ove non dico altro, con Tinchiostro :
1 (forma XI): MOL
LCPM e con color rosso, posteriore : hELVI • ZOS
2 (forma XI): MOL
L-AA
e in rosso : FELVI ■ ZOS
3 (XI): MOL
CSA
e col carbone: CVI, e sotto il manico: XII
4 (XI): si 5 (XI): st 6 (XI): SR
C • S • F C • C • P R CSV//
e in rosso: Z
7 (XI): Sl 8 (XII): F-C-VITALJ
S- P -P- j
9 (XI): RVRIANVM
MMVS
In 9 non e possibile di leggere Alliamcm, come si potrebbe congetturare (Bull. 1877 p. 93).
10 (XI) : AFRICANO (cosi Not. d. Sc. n. 12 ; non veduto da me); in rosso: TEB, e col carbone FIIII e VIII.
11 (XI): Q.CP, e in rosso: QJ» C; e con carbone /lll\ e IIL
12 (urceo VI): HALLEX
OPTIMA
In un'anfora, senz'altra iscrizione, il nome FELIX e sopra di esso una croce sono graffiti nell'argilla ancora molle.
II viridario p^ col posticum n. 10, e preceduto da im cana- letto traversato da due ponticelli corrispondenti a / ed o, dalla cui estremitä 0 l'acqua piovana di mm fu portata sulla strada per mezzo d'un canale coperto, che passa sotto fda. II canaletto, come
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anche la bocca di cisterna nell'angolo NE, sono di opera iocerta riyestita di stucco di mattoni.
Gli oggetti trovati in p in parte stanno tuttora al posto. Presso l'angolo NO sta im fornello rustico, formato da due anfore, di cui quella che doveva contenere il fuoco, alta m. 0,50 senza la punta che sta nella terra, e priva del collo ed ha nel ventre un buco quadi-angolare, a. 0,11, 1. 0,15; all'altra (a. 0,55), messa sopra quella prima in modo che la punta vi entra per m. 0,22, h stata tolta tutta la parte superiore che si restringe ; essa e chiusa con un coperchio. Ivi stesso un grande dolium coperchiato (a. senza il coperchio 0,90) e fermato con muratura sul suolo. Questi due oggetti stanno al posto loro; altri si vedono dispersi nel giar- dino, alcuni presso quell' angolo stesso, altri in altre parti; ma e chiaro che vi stanno per caso; sono materiali e avanzi di costruzioni, parti di mobili scartati e cose simili (').
(^) Presso l'angolo NO, di terracotta: 16 cilindri (diam. 0,15, 1. 0,54) pieni di cemento, che potevano fonmar la suspensura d'un bagno; un rozzo sostegno di tavola, vale a dire un cilindro poco regolare (1. 0,45, diam. sup. 0,30) chiuso in una estremitä con una lastra quadrata (0,30); di « traver- tino » ; un sostegno di tavola scanalato, a. 0,53; di lava: una meta d'un mo- lino ridotta a recipiente cilindrico, a. 0,55, diam. interno al margine 0,42 ; una pietra per fermarvi sopra una cassa forte, rettangolare (1,30X0,75) con un incavo pure rettangolare in ogni angolo ; di marmo bianco : un masso non del tutto regolare (0,33X0^20X0,14). Nell'angolo NE: un recipiente di lava, anch'esso fatto da una meta (a. est. 1,0, int. 0,60, diam. int. 0,66) con avanzi di calce. Presso l'angolo S 0, di terracotta : un cilindro (puteale V) a. 0,57, diam. 0,32; una specie di margine, ovvero una lastra (0,60X0,64, gross. 0,06) sulla quäle intorno ad un'apertura (0,43X0,47) si alza un margine verticale, a. 0,12 e ripiegato alla sommitä orizzontalmente verso l'eöterno, in modo da presentar superiormente una superficie larga 0,055 — 0,07. Presso l'angolo SE, di terracutta: un sostegno di tavola a. 0,70; una tegola a grondaia che rapprc- senta la parte anteriore d'un cane con ovoli e dentelli al margine superiore, 6 a ciascun lato del cane qualche cosa come una palmetta ; h nuova e di lavoro grossolano, a. 0,25, 1. 0,22, lunga 0,65. AI muro N di 5' : due grandi lastre di terracotta (0,68 X 0,96) dal margine rialzato (a. col margine 0,12) e perforato in un angolo ; una grande tegola 0,98X0,67 che pare dovesse formare il mar- gine d'un tetto ; ha ai lati corti i soliti margini alzati ; essi in una estremitä (al lato superiore, ove doveva sovrapporsi un'altra tegola) non arrivano fino all'angolo, neH'altra estremitä raggiungono gli angoli, i quali invece non sono raggiunti da un rialzo che riveste il lato lungo adiactnte — necessariamente r inferiore — mentre quello opposto ö senza margine; se nell'interstizio fra
26 SCAVI DI POMPEI
Deve notarsi perö, che nel giardino furono trovate almeno 42 anfore, fra cui 26 con iscrizioni, pubblicate nelle Not. d. Sc. 1888 p. 524 sg. n. 4-22; p. 530 n. 49-51. Ne rileviamo le seguenti :
1 (anforetta, forma XV): OKTA
KOKY A
2 (forma VIII) : *IA AY . . . irOY : i punti segnano il posto di segni non leggibili.
3 (VIII) in rosso : L^'CR, e suU'altro lato, in rosso: CA • LV
IN
4 (XI) in rosso : "^ FELVI ZOS •
5 (VII) (Not. 1. c. n. 16) : iscrizione di C. Hostio Agatemero; cf. pag. 28.
6 (XII) evanescente: • SER
L E////NENHEL
SuU'altro lato e grafiito: CALVI
IVVIINA
7 (VTII) in rosso: DAE
8 Liy/'i/ (Liviae?) 9 (XI) vIr HEMERAES /V^
Pare che una volta il muro 0 di n.o proseguisse lungo tutto quel lato del viridario, e che poi fosse demolito, lasciandone in piedi un pezzo all'estremitä S, lungo 1,95, che e il muro E di q; questo cioe sta nella direzione del muro 0 di no, ed e chiaro che alla sua estremitä N non e terminato ma rotte per forza. A poca distanza da questa estremitä evvi incavata dal lato 0 una nicchia
i due margini dovevano entrar le anteflsse, esse lasciavano visibili, in modo insolito, i margini laterali; — due coperchi di dolii (diam. 0,54). — Furono raccolti ancora nel viridario — oltre qualche oggetto del tutto insignificante — due maniglie di bronzo e due guarnimenti di mobili pure di bronzo, che do- vevano stare, come pare, intorno alle toppe di due serrature. Fu trovato anche uno scheletro umano e vicino ad esso am bracciale d'argento, 4 monete d'är- gento e 2 di bronzo. Not. 1888 p. 525.
INSÜLA IX, 7 27
a. 0,45, 1. 0,38, prof. 0,24, discosta dal suolo 1,65, nella quäle fu trovata una 'fetatuetta di terracotta rappresentante un uomo dalla faccia grossa col naso prominente, avviluppato nella toga (a. 0,155).
A questo pezzo di muro dunque ed a quello in fondo al vi- ridario fu pol addossata una piccola fabbrica q, coperta soltanto dal tetto a schiena N a S, senza soffitto, grande m. 3,11 X 3,45 senza il muro E, alta fino al margine del tetto 2,05, con una porta nel lato 0, 1. 0,81, a. 1,60, e una finestra, che si restringe esterna- mente fino a 0,30 X 0,08, nel lato N". Non vidi sgombrato l'interno, che e rivestito di stucco bianco, ed ha nei muri tre nicchie a volta : una presso l'estremitä S del muro E, due nel muro N. Sotto que- ste ultime si vedono tre buchi dei mutuli di una scansia, quella e contorniata da una striscia colorata, sotto la quäle nel lato su- periore son dipinti due festoni o tenie. Nel mm-o E son conser- vati molti grossi chiodi di ferro, fra cui quattro disposti con una certa regolaritä intorno alla nicchia : mi par certo che questa ser- visse al culto dei Lari e che a quei chiodi si appendessero ghir- lande (cf. Bull. 1887 p. 114). — II tetto, conservato in modo da potersi ricostruire, e di pochissima pendenza; una trave maestra ed una trave ad essa parallela nella metä di ogni lato, tutte e tre tonde, sorreggevano le 10 e 11 travi oblique, tonde anch'esse, sulle quali posavano le tegole, fra cui una, presso l'angolo SO, con apertura tonda : e piü che probabile che il locale fosse la cucina — che nella casa stessa non trovammo — e che questo fosse il posto del focolare. Si raccolsero in ^, all'altezza di m. 1,20 dal pavimento, tre vasetti di vetro (Not. 1888 p. 573, 20 luglio).
N. 8.
La bottega n. 8 coi locali annessi appena puö esservi un dubbio che non fosse auch' essa una caupona^ quali molte dovevano trovarsi in questa frequentissima strada. Fra gli oggetti trovativi, del resto insignificanti, 7 anfore ed un vaso di vetro in forma di cratere a. 0,08, diam. 0,11, incontrati, in uno dei locali poste- riori, possono confermare tale supposizione, fondata suUa disposi- zione dei locali stessi. Delle anfore una contoneva il vino che il producente, C. Hostio Agatemero, chiamava « linfa vecchia »,
28 SCAVI DI POMPEI
lumpa vetus (cf. Not. 1881 p. 195 sg. 321). Essa cioe porta l'iscri- zione ('):
Q_POST
LYM VET
ÄlIIÄ
LX C HOSTl AGATHEMERI
Dalla strada si entra nella bottega a, con podio piegato ad angolo retto e coperto nella parte anteriore con lastre di marmo giallo e bianco : due fra quelle blanche erano una volta collocate in qiialche porta e mostrano ancora gl'incavi per i cUindretti dei cardini. Manca la soglia, che forse era di legno, ne del pavimento rimane altro che qualche avanzo. Nell'angolo SE e addossato al muro di fondo (S) un muretto a. 0,80, sulla superficie del quäle un canaletto, traversando il muro, sbocca sul vico E. — Le pareti sono coperte d'intonaco grezzo; soltanto l'anta a d. dell'ingresso di ^ e rossa, e qui si vede dipinto:
1. a. 0,65 : Mercurio, con petaso alato ed ali ai piedi, nudo meno la clamide turchina affibbiata sulla spalla d. e avYolta in- torno al braccio sin. ; cammina verso sin., reggendo nella sin. il caduceo, nella d. alzata fino al gomito la borsa bianca, con tre punte al fondo. E preceduto da un gallo che apre il becco come per cantare.
2. Sul pilastro fra gli ingressi di b e c e dipinto rozzamente un eigne volante.
3. Sul principio del muro sin., a circa m. 2,0 dal pavimento, sopra un ayanzo d' intonaco piü antico si e conservata la parte sin. della rappresentanza d'un combattimento di gladiatori (a d. rintonac<) e stato rimpiazzato da stucco piü recente) ; a. 0,60, 1. 0,50 : un oplomachus, armato di grande elmo, dello scudo grande qua- drangolare curvato orizzontalmente, d'un gambale alla gamba sin., che non arriva fino al ginocchio, e di una cintura (tutto questo dorato) ha nella d. il corto gladio con custodia che cuopre la
Q) Cosi copiata dal prof. Sogliano (Not. 1887 p. 562); io la vidi molto meno completa. Nella prima riga, che io non vidi, egli lesse q_host: cf. pero Eph. ep. I p. 168 n. 208 ; Not. 1876 p. 27 = Bull. 1877 p. 134.
INSÜLA IX, 7 29
mano. Una specie_ di corto grembiale gli pende sul ventre ; corde che finiscono in fiocchi svolazzano daH'elmo, altre corde presso il braccio d. involto in bende indicate con linee traverse nere ; iina benda nera e avvolta intorno alla garaba d., sopra il ginocchio. Egli con im gran passo mette avanti il piede sin. ; protende lo scudo, abbassandolo quasi fino alla terra, ritira la d. col gladio accanto al fianco, come per colpire di punta, e volge in dietro la testa, senza dubbio verso il pubblico per saper la sua decisione suUa Sorte delVavversario caduto. A sin. della sua testa e scritto con lettere nere, alte 0,019 :
//////IC////SVLE • XIIX
II numero si riferisce ai combattimenti sostenuti dal vincitore.
Gli oggetti raccolti nella bottega a sono registrati nelleNot.d.sc. 1887 p. 561. 563, 4.22 nov. Vi si trovö un frammento d'un ri- lievo, rappresentante una figura muliebre, vestita di chitone mani- cato cinto da una corda con nodi; e veduta di faccia; ha intorno al collo una grossa collana della nota forma che finisce anterior- mente da ogni lato in un bottone ; il petto e molto abbassato ; aveva le mani sul dorso ; manca la testa e parte delle gambe ; una benda cade sulla spalla sin. ; alt. m. 0,38 {}).
La retrobottega h (3,38 X 2,85, a. 2,85 ; l'ingresso 1. 1,75), h evidente che non era abitata dal proprietario, ma serviva agli avventori della caupona (2). Le pareti son dipinte semplicemente neir ultimo stile a fondo rosso e giallo, con zoccolo nero e la parte superiore a fondo bianco. Ognuna delle pareti ha due scomparti- menti ; quelli del muro di fondo e gli interni dei muri laterali
(') Vi si trovö inoltrc una lucerna di terracotta che ha sul disco la testa radiata di Seleno con la luna falcata ; una scodella arretina con la marca in forma di piede sex M {G.I.L.X, 8055,25); un frammento di tegola col bollo SAB R PI {CLL. X, 8042, 98) ; una tazza e tre unguentarii di ve- tro ; 4 monete di bronzo.
(2) Vi si trovu di bronzo: una serratura (ra. 0,11 in ogni lato); una te- stina ornamentale di tigre; una casseruola; una conca; di ferro: un martello (con manico di legno); una paletta ; una zappa ; di vetro: un vaso in forma di cratere; di terracotta: 7 anfore (vd. p. 27). Not. 1887 p. 561 sg. ; 1888 p. 523.
30 SCAVI DI POMPEI
contenevano ognuno un quadro, gli anteriori dei muri laterali ima figura volante. Dei quadri uno soltanto e in parte coaservato :
4, sul niuro di fondo a d., a. e 1. 0,31 : le tre Grazie (cf. Heibig 856-857). E riconoscibile quella che sta nel mezzo, veduta dalle spalle, e stende il braccio d. a d., e quella a d. che sta rivolta allo spettatore ma volge la testa a d. in modo da mostrarla di profilo ; mette la mano d. sulla spalla d,, la sinistra sulla mano d. della compagna. Di queste due e conservata la sola parte supe- riore, mentre della terza si vedono soltanto i piedi, e questi in modo assai indistinto.
Anche delle figure volanti una soltanto e conservata.
5, sul muro sin. ; fondo rosso ; a. 0,25 : Amore volante verso d. con veste svolazzante a guisa di sciallo ; porta con ambedue le mani im oggetto lungo a guisa di bastone, dei resto non riconoscibile.
II corridoio cd conduce ai locali posteriori ; la prima parte c pai-e che nel tempo stesso servisse da cucina. Sembra cioe che fra il muro posteriore di a ed il primo dei due corti muricciuoli visibili sulla nostra pianta vi fosse il focolare : nell'angolo d. di quel vano vedonsi avanzi di materiale e di sopra il muro (senza intonaco) e annerito dal fumo ; all'altezza poi di circa m. 2,80 usciva il fumo per un'anfora incastrata nel muro E e rotta in ambedue le estremitä. Non so che cosa fosse nel vano seguente, fra i due muricciuoli.
Segue a sin. di d l'uscita secundaria n. 9, al di lä della quäle era addossata al muro sin. la scala di legno per montare al piano di sopra.
e (3,0X4,23, non sgombrato); ha l'aspetto d'un triclinio ; pa- reti con stucco di mattoni ; nell'angolo SO un'anfora. Eiceveva luce per una finestra larga 1,60 da K, che perciö avrä a credersi un cortiletto scoperto e dava luce anche, per una finestra a. 0,56, 1. 0,44. al cubicolo g (intonaco (?i mattoni), ove poteva dormire sia il caupo sia il suo servo.
Del resto ^\ e f g h ^\ potrk forse giudicar meglio quando saranno dei tutto sgombrate. Intanto osserviamo che in h nell'an- golo NO sta UQ altare (0,50 X 0,35) la cui altezza (circa 1,60 sopra il pavimento di d) fa sospettare che il suolo fosse piü alto in h che in d. Sul lato esterno dei muro E di ^ e dipinto su fondo bianco un serpente che fra plante si dirige verso sin.
INSULA IX, 7 31
Per ciö che riguarda le camere superiori, pare che dal pia- nerottolo in cima alla scala in d si entrasse di fronte in qualche locale sovrapposto a fg, e a sin. in una camera sovrapposta ad e, e da questa in im'altra sopra b. Quanto alla bottega «, non vorrei ne negare ne affermare che sopra essa vi fosse qualche camera ; in ogni modo a era piü alta di ^ ; e se vi fosse stata una camera superiore, si aspetterebbe di trovare una scala in uno dei locali anterior! .
h pare che fosse un cortiletto scoperto (vd. sopra) : su questo particolare si potrebbe giudicar meglio, se avessimo un' idea chiara del modo come l'intera casa n. G-9 era coperta. Certo mi pare che non s'abbia a pensare ad un tetto unico, che anzi Vaspetto della casa — e probabilmente della maggior parte delle case pompeiane — dovesse essere abbastanza irregolare.
I due ingressi laterali n. 9-10 erano protetti ognuno da una piccola tettoia sporgente dal mm-o, e sotto di essa erano intisse nel muro, almeno sopra il n. 9, due travi, un poco a S degli stipiti. II loro scopo e ignoto; non servivano a sorreggere la tettoia, che era fatta senza legname e consisteva di una sola fila di embrici e tegole incastrate nel muro.
{sarä conliruiato)
A. Mau.
BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE.
(Tafel II, III)
V. VI. SELEUKOS NIKATOR. PTOLEMAIOS SOTER.
Derselben reichen Herkulan ischen Villa, welcher die Bd. III S. 113 auf Archidamos gedeutete Marmorherme entstammt, ver- danken wir auch die auf Tafel II abgebildete Erzbüste. Die ältere Litteratur und eine gute Vorderansicht bietet das schon genannte Werk Yon Comparetti und De Petra, La Villa Ercolanese Taf. 10, 1 S. 264, 19.
Dass wir in diesem Bildniss einen König zu erkennen haben ist allgemein zugestanden und nicht wohl zu bezweifeln. Die breite Binde, welche das Haupt umgiebt, ist ein genügender Beweis für die Richtigkeit jener Annahme. Zwar fehlen jetzt die langen, lose herabfallenden Enden, welche für die Königsbinde charakte- ristisch sind ; wir werden aber annehmen dürfen, dass dieselben einst vorhanden waren, wenn wir auch ihre Bruchstellen nicht mehr sicher erkennen können ('). Denn- so wie die Binde heute ohne irgend eine Verknüpfuug zusammengelegt erscheint, so dass das vom linken Ohr herkommende Ende das andere bedeckt und weiterhin unter dasselbe gesteckt ist, und in Folge davon beide Enden in lange Spitzen auszulaufen scheinen, die nebeneinander liegend die Breit3 des übrigen Bandes ausfüllen, kann sie doch ursprünglich nicht dargestellt gewesen sein. Das Fehlen der langen Enden müssen wir also auf die Beschädigungen und zum Theil
(') Ueber diesen Punkt verdanke ich E. Petersen und K. Wernicke einige Notizen.
SELEUKOS NIKATOR. PTOLEMAIOS SOTER 33
recht starken Ausbesserungen schieben, welche diese Erzwerke er- fahren haben.
Die Herkulanischen Akademiker hatten die Büste für Ptole- maios VI Philometor erklärt; E. Q. Visconti {Iconografia greca 111 S. 289 der Mailänder Ausgabe) glaubte vielmehr den ersten Lagiden, Ptolemaios Soter zu erkennen, und diese Ansicht ist die herrschende geblieben.
Beide Deutungen scheinen mir unhaltbar. Leicht lässt sich die erstere zurückweisen, seit J. Six ein authentisches Bildniss des Philometor nachgewiesen hat (Athenische Mittheilungen XII ^.212). Aber auch die zweite ist nicht haltbar. Eecht wechselnd zwar tritt uns das Bildniss dieses Königs auf der langen Reihe der Aegyptischen Münzen entgegen, oft mit einer fast karikirten üebertreibung der charakteristischen Züge ; aber diese eben kehren immer wieder (i). Die Stirn ist im unteren Theil stark vorge- wölbt, und auch die Nase ladet stark aus, während der verhält- nissmässig kleine und etwas eingefallene Mund dieser gegenüber ganz besonders tief liegt und das Kinn, an und für sich nicht klein, doch gegen Stirn und Nase zurücktritt. Charakteristisch sind auch die weit aufgerissenen Augen. Von alle dem finden wir nichts in dem Broncekopf der Herkulanischen Villa, während andererseits die starken Falten, welche seinen Mund umgeben, sich auf Münzen des Ptolemaios nie zeigen. Noch deutlicher wird der Unterschied durch den Vergleich mit dem auf Tafel III abgebildeten Kopfe, meiner Meinung nach dem ersten sicheren Bildniss des Ptolemaios Soter. Die Büste, an welcher Hals, Hinterkopf, die Ohren und die Nasenspitze ergänzt sind, von der also nur das eigentliche Gesicht und ein Stück Haar mit der Binde über der rechten Schläfe alt ist, stammt nach ihrer jetzigen Aufschrift (-) aus Griechenland und kam aus dem Besitz des Bildhauers Pajou in den Louvre, wo sie in der Salle du rjladiateur steht. Als Material wird Pa- rischer Marmor angegeben. Der Kopf gilt jetzt für Demetrios
0) Vgl. Poole, The Ptolemies. Head, Historia numorum S. 711 ff.
f2) Nach Conze's freundlicher Mittheilung, der auch die an gleicher Stelle angehrachten Angaben über die Ergänzungen, übereinstimmend mit meinen früheren Notizen, bestätigte und die Aufnahme der Photographie ver- mittelte. .Die Büste trägt die alte Museumsnuramer 457.
3
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BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
Poliorketes, früher für Otho. Die letztere Benennung ist mit Kecht aufgegeben, wie ein Vergleich mit dem steilen Profil, das uns die Münzen dieses Kaisers zeigen, ohne weiteres darthut. Aber auch mit den Münzen des Poliorketes (Irahoof-Blumer, Porträtköpfe
Taf. 1, 4. 2, 7. 8) hat er nur eine oberflächliche Aehnlichkeit ; grade der so charakteristische tief liegende Mund kehrt dort nicht wieder. Dagegen finde ich alle die bezeichnenden Eigentümlich- keiten in diesem Antlitz, welche ich soeben an den Münzbildern des Ptolemaios Soter hervorhob ; die Wiederholung des dem Mo- narchen gleichzeitigen Goldstaters (Imhoof-Blumer, Porträtköpfe Taf. 1, 2) auf unserer Tafel wird das anschaulich machen. Nur in den Haaren scheint eine kleine Verschiedenheit obzuwalten : die des Marmors scheinen dichter, gleichmässiger, die der Münzen
SELEÜKOS NIKATOR. PTOLEMAIOS SOTER 35
lockerer und freier behandelt. Einen Zweifel an der Identität der Person wird auf diese Aeusserlichkeit niemand begründen.
Die beiden bisherigen Deutungen des Herkulanischen Bronce- kopfes haben sich als unrichtig herausgestellt; ich möchte an ihrer Stelle eine neue vorschlagen. Wie die Ueberschrift dieser Zeilen andeutet glaube ich in ihm Seleukos Nikator zu erkennen.
So viel ich weiss, ist bisher nur einmal der Versuch gemacht worden, ein Bildniss des Seleukos nachzuweisen. Die Herkulani-
36 BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
sehen Akademiker haben ihn in einer Broncestatuette erkennen wollen (0, welche einen jungen Mann darstellt, der den rechten Fiiss auf einen ziemlich hohen Felsblock setzt, den rechten Arm auf das rechte Knie legt und in der Rechten einen Gegenstand ge- halten zu haben scheint. Eine dicke Chlamys ist auf der rechten Schulter zusammengesteckt und verhüllt den Rücken und den in die Seite gesetzten linken Arm ; die Füsse sind mit Stiefeln be- kleidet. Die äussere Erscheinung könnte zuerst an Hermes denken lassen, für welchen diese Stellung ja nicht ungewöhnlich ist (^) ; in der Rechten würde man alsdann ein Kerykeion voraussetzen. Aber gegen diese Annahme sprechen ausser dem Mangel der Fuss- üügel die kleinen Stierhörner über der Stirn ; diese führen zu- nächst auf ein Diadochenporträt (^). Lange giebt der Statuette Jagdspeere in die Hand : ihr Motiv würde dann ganz mit dem Münzbild von Segesta (Poole, Sicüi/ S. 133. Gardner, Types Taf. 6, 4. Head, Historia numorum S. 145) übereinstimmen, das uns einen jungen rastenden Jäger zeigt. In einer solchen Gestalt das Bild eines Diadochen wiederzufinden hat nichts befremdli- ches : aber bei der Deutung auf Seleukos Nikator haben sich die Akademiker oifenbar zu sehr von der Nachricht leiten lassen, dass die Statue dieses Königs Stierhörner getragen habe {^). Auch wenn diese Nachricht verständiger motivirt wäre würden wir weder folgern, dass alle Statuen des Seleukos gehörnt gewesen seien, noch dass alle gehörnten Porträts diesen Herrscher darstellen. E. Q. Vi- sconti ist deshalb von dieser Deutung abgewichen, da er keine genügende Ärmlichkeit mit den auf Münzen überlieferten Zügen
(1) Bronzi II Taf. 60. Clarac V Taf. 840, 2113. E. Q. Visconti, Icono- grafia greca II Taf. 3 S. 80 der Mailänder Ausgabe. Müller-Wieseler I Taf. 50, 221 a. Im Neapeler Museum N. 5026.
(2) K. Lange. Das Motiv des aufgestützten Fusses S. 20.
(3) Athen. Mittheilungen III S. 294, 1 erwähnt Furtwängler eine dieser Statuette im Typus verwandte und eine zweite, sitzende, welche er auf Grund der Stierhörner für Diadochenbildnisse hält. Vgl. auch K. Lange, Motiv des aufgestützten Fusses S. 30.
(*) E. Q. Visconti, Iconografia greca II S. 371 der Mailänder Ausgabe. Eckhel D. N. III S. 211. Appian, ^IvQtuxTJ 57. Suidas u. 2:e"/.svxog. Georgios Kodinos, JIaQsxßoXcd S. 27 der Bonner Ausgabe = Banduri, Imperium Orien- tale (1729) S. 110. Libanios, \4ynoxix6g I S. 301 Reisko.
SELEUKOS NIKATOR. PTOLEMAIOS SOTER 87
fand. Wie Recht er darin hatte lässt sich durch eine weitere Ver- gleichung zeigen Vorstehend S. 35 ist eine Marmorherme (') abgebildet, die ebenfalls der Herkulanischen Villa entstammt und, wie der Vergleich mit dem gegenüber wiederholten Kopf der Bron- cestatuette zeigt, mit dieser auf dasselbe Original zurückgeht. Die Herme, welche die Züge deutlicher erkennen lässt, zeigt aber klar, dass an Seleukos hier nicht gedacht werden darf. Die Herme gilt ohne genügenden Grund für Alexander, die Statuette hat Visconti für Demetrios Poliorketes erklärt {Iconografia greea II S. 86). Für unmöglich halte ich auch jetzt noch diese Beziehung nicht, obwohl zugestanden werden muss, dass die Aehnlichkeit der Herme mit den Münzen (Imhoof-Blumer, Porträtköpfe Taf. 1 . 4. 2, 7. 8. Gardner, Tupes Taf. 12, 19) nicht grade schlagend ist {% und man auch andere Porträts zum Vergleich heran ziehen dürfte, etwa das des Antiochos II Theos, allerdings weniger das treuere, dem Vater so offenbar ähnelnde (Imhoof-Blumer Taf. 3, 11. Poole, Seleiicid kings Taf. 5) als das zum Hermes idealisirte (Poole Taf. 5, 2. Gardner, Tijpes Taf. 14, 28) (3).
(') Villa Ercolanese Taf. 20, 3. S. 275, 73.
(2) Von dem Fragment einer Büste des Demetrios, das 0. Müller, Handbuch § 158, 3 erwähnt, ist mir nichts genaueres bekannt.
(3) Ich dalte daran fest, dass uns in der Herme und der Statuette Ko- pien einer Porträtstatue erhalten sind, besonders wegen der vielen gleichar- tigen Hermen der Herkulanischen Villa, in deren Gesellschaft diese gefunden wurde. Sonst könnte die oben berührte Uebereinstimmung mit den Segestaner Münzen zu einer ganz anderen Deutung führen ; der jugendliche Jäger auf diesen ist für den Flussgott Krimisos erklärt worden (Head, Historia numo- rum S. 144. 145. Gardner, Types S. 125. Servius zu Vergil V. 30). Diese Deutung des Jünglings ist höchst wahrscheinlich, obwohl er nur mitunter kleine Hörner zeigt (Salinas, Tetradrammi di Segesta, Periodico di Numis- matica III S. 14 ff.) : gegenüber dem ausdrücklichen Zeugniss des Aelian (Bunte Geschichte II, 33) und vor allem der Münzen wie etwa Poole, Italy S. 356, 111. 112 (Aisaros); S. 370, 1 (Krathis) ; Gardner, Types Taf. 2, 16 (Hypsas) ; 6, 1 (Selinus) fällt das nicht ins Gewicht, wie auch die sonst nahe liegende Deutung auf den von Hunden umgebenen (Aelian, Thiergeschichte XI 20) mit der Lanze bewaffneten (Plutarch, Timoleon 12 zu Ende) Adranos, dessen Verehrung in ganz Sizilien Plutarch, in Messana eine Münze, in Ha- läsa eine Inschrift {CIG. HL 5594, 1 Z. 54. 62 ; vgl. Kaibel, De inscriptione Ilalaesina, Rostock 1882 S. 17) bezeugt, durch den Umstand widerlegt wird, dass Adranos auf der genannten Münze der Mamertiner behelmt und bärtig
88 BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
Wir kehren zurück zu der Broncebüste aus Herkulaneum. Der Deutung auf Seleukos Nikator steht nach den obigen Erörte- rungen nichts im Wege ; es handelt sich also nun darum, aufzu- suchen, was für dieselbe spricht.
Wir kennen die Züge des Seleukos (') von den Münzen, seinen eigenen, denen des Antiochos Soter und des Philetairos (-). Das beste Bild des Fürsten bieten uns ohne Zweifel die Tetradrachmen seines Sohnes (Imhoof, Monnaies grecques S. 424) ; auf imserer Tafel II ist links von der Büste eine derselben abgebildet {^), rechts zum Vergleich eine der Pergamenischen Münzen. Leider ist die Stellung des Kopfes auf den Münzen nicht ganz in Ueberein- stimmung mit der Büste, doch tritt die Verwandtschaft aller we- sentlichen Züge, wie ich meine, auch so hervor. Eigentümlich bestimmend wirkt bei diesem Bildniss nächst der klaren Zeich- nung des schön gewölbten Hinterkopfs die in ihrem grösseren un- teren Theile so stark gewölbte Stirne, von welcher sich die feine, wenig gebogene Nase deutlich absetzt, die dann aber nicht, wie
erscheint (Poole, Sicily S. 109. Vgl. E. Q. Visconti, Opere varie II S. 197. Roscher's Lexikon S. 77). Ist also die Deutung der Segestaner Münze auf den Flussgott Krimisos richtig, so könnte man versucht sein auch die Her- kulanische Statuette auf einen solchen zu deuten, wozu die kleinen Hörnchen trefflich stimmen würden. Dagegen sprechen aber wie bemerkt die Fundum- stände der Herme sowie die Ungewöhnlichkeit des Gegenstandes.
(1) Die im Catalogue of engraved gems in the British Museum S. 171, 152G verzeichnete Gemme, welche nach der Inschrift 2EAE. doch wol Seleukos darstellen soll, schien mir von zweifelhafter Echtheit ; über den Künstlernamen KAPnOY, den sie trägt vgl. Brunn, G. G. K. II S. 615.
(2) Vgl. Imhoof-Blumer, Porträtköpfe S. 28. Dynastie von Pergamon S. 22. Monnaies grecques S. 422. Gardner, The Seleucid kings of Syria. Dass ich neben diesen Veröffentlichungen eine ganze Eeihe von Münzab- drücken benutzen konnte verdanke ich der unermüdlichen Zuvorkommenheit Imhoof s. Ich bemerke nebenbei, dass ich in dem behelmten Kopfe auf Münzen des Seleukos (Gardner, Seleucid kings Taf. 1, 11-13. Types Taf. 14, 8. 9) Imhoof folgend [Monnaies S. 424. Porträtköpfe S. 5) kein Bild dieses Für- sten sondern des Alexander erkenne; das jugendlichste Bild des Seleukos auf dem Goldstater [Seleucid kings Taf. 1, 6) stimmt mit diesem jugendlichen Kopfe nicht genügend überein.
(3) Es ist das aus der Sammlung des Baron L. von Hirsch stammende Exemplar; die zweite Münze ist das Dynastie von Pergamon Taf. 1, 4 abge- bildete Stück.
SELEÜKOS NIKATOR. PTOLEMAIOS SOTER 39
etwa bei dem Ptolemaios Soter noch weiter ausladet, sondern an der Wurzel gegen die Stirn zurückweichend im ganzen dieselbe Richtung zeigt, wie die Stirne. Auch das Kinn ist fein gezeichnet und hebt sich sehr klar gegen die weicheren Massen des ünter- gesichts ab ; starke Falten umgeben den Mund, eine besonders starke bildet sich bei der genannten Absonderung des Kinnes. Trotzdem zeigt sich in diesem Gesicht keine Schlaffheit ; nichts ist matt an ihm, vielmehr lässt besonders das durchgearbeitete Untergesicht eine angespannte geistige Kraft sichtbar werden, welche keine träge Ruhe kennt noch kennen will.
Ich habe früher den Versuch gemacht, eine Büste in Mün- chen als Bild des Antiochos Soter nachzuweisen (') ; ich glaube auch jetzt noch an dieser Deutung festhalten zu dürfen, trotz des Widerspruches den Brunn (-) dagegen erhoben hat, und finde in der nicht geringen Aehnlichkeit der Münchener und der Neapeler Büste eine gegenseitige Stütze meiner Auffassung derselben.
Wir haben Nachricht von einer ganzen Zahl von Bildnissen des Seleukos. Bryaxis (Plinius 43, 73), Aristodemos (43, 87) und Lysipp (Löwy I. G. B. 487) hatten ihn dargestellt ; ausserdem werden Statuen von ihm in Athen (Pausanias I, 16, 1), Olympia (VI, 11, 1), Antiochien (Libanios I, S, 301 Reiske und Malalas S. 276 der Bonner Ausgabe) auch in Konstantinopel (Kodinos, üaQexßoXai S. 27 Bonn) erwähnt. Letztere könnte mit einer der anderen identisch sein, auch die nach Künstlern und die nach Orten bekannten brauchen nicht durchaus verschieden zu sein. Bei diesem Stande der Ueberlieferung bleibt es natürlich ganz unsi- cher, wenn wir das erhaltene mit einem der erwähnten Werke in Beziehung setzen. Immerhin ist eins zu beachten. Die Nachricht über die Seleukosstatue des Bryaxis sowohl als des Lysippos hat den Forschern Bedenken erregt wegen des späten Datums, das sie für diese Künstler anzunehmen zwingt. Aber die Ueberlieferung scheint in diesem Punkte wirklich Recht zu haben (3) (vgl. Brunn,
(1) Arch. Ztg. 1884 S. 157.
(2) Glyptotheks S. 226, 172.
(3) Aus dem Umstand allerdings, dass die Tyche von Antiochien nicht Lysipp selbst sondern seinem Schüler übertragen wurde, könnte man schlios- sen, dass der Künstler die Gründung Antiochiens nicht mehr, oder nicht mehr in voller Schaffenskraft erlebt habe.
40 BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
G. G. K. 1. S. 251. 383; Löwy L G. B. 94. 487. 492; Athen. Mittheilungen X S. 149); sicher ist es'' für Bryaxis, bei dem äus- serlich die Bedenken am ersten begründet wären. Aber da er noch bei der Gründung Antiochiens die Apollostatue für das neu er- richtete Heiligthum in Daphne (') ausführte, liegt kein Grund vor, ihn nicht auch die Erhebung des Seleukos zum König erleben zu lassen. Unsere Büste stellt Seleukos in einem Alter von minde- stens vierzig Jahren dar ; die Kopfbinde beweist, dass er schon König war, als dies Bildniss gemacht wurde. Die Möglichkeit dasselbe Biyaxis zuzuschreiben wäre also da, doch sehe ich nichts, was besonders für diesen spräche. Dagegen kann ich nicht umhin, eine grosse Verwandtschaft der Büste mit dem Apoxyomenos her- vorzuheben. Es ist ja allerdings schwer, ein Porträt mit einer Idealfigur, einen gealterten Mann mit einem blühenden Jüngling zu vergleichen, aber trotzdem finde ich in der eigentümlichen Haltung des Kopfes, der Bildung der Augen, vor allem in derje- nigen der Haare eine so grosse Aehnlichkeit, dass ich die Frage aufzuwerfen wage, ob wir nicht in dieser Büste eine Wiederholung desselben Werkes des Lysipp besitzen, dessen einst in Kom be- findliche zweite Kopie uns durch die erhaltene Inschrift bekannt ist. Wie man aber auch hierüber und die versuchte Benennung urteilt, eines zeigt der Vergleich mit dem Lysippischen Werke klar : die Herkulanische Büste ist in der That ein Königsbildniss aus der ersten Diadochenzeit. Athen.
Paul Wolters.
(1) Der Ausweg, den Brunn vorschlägt, diese Statue schon aus Anti- gonia stammen zu lassen, scheint mir wegen des persönlichen Verhältnisses des Seleukos zum Apollokult im allgemeinen wie zu diesem Heiligthum im besonderen (0. Müller, Kunstarchäologische Werke V S. 43. Libanios I S. 302 Keiske) nicht möglich ; aber auch wenn wir ihn einschlagen, müssen wir die Lebenszeit des Bryaxis bis nahe an die Seleukidenära ausdehnen. Klein's Leugnung der ganzen Nachricht (Mittheilungen aus Oesterreich V S. 96, 30) scheint mir nicht berechtigt.
ANTICHITA DI MONTE CITORIO
II monte Citorio, dove sorge la grandiosa fabbrica della Curia Innocenziana, ora palazzo del Parlamento, ha attirato l'attenzione dei topografi fin dal secolo XV e XVI. Molti lo credevano una collina naturale, altri rigettando giustamente questa opinione hanno sfoggiato molta dottrina per spiegarne la formazione. Generalmente a causa della denominazione mons Citatorius o Accepiorius da- tagli nel medio evo fu creduto stare in relazione con i comizi o i septi. L'unico avanzo allora visibile, il tronco di una enorme co- lonna di granito rosse sporgente fuori del suolo quasi sei metri, per conseguenza fu spiegato come la columna eitatoria che avesse servito per affiggervi citazioni giudiziarie e bandi di magistrati. Altri assurdamente lo ritenevano per un argine fatto per repri- mere le inondazioni del Tevere: infine nella bocca del volgo nöl XVI correva la favola, essere stata terra con cui Agrippa empi la Rotonda per fabbricarvi sopra la cupola (Nardini R. A. III p. 83 ed. Nibby).
Tutte queste opinioni erano prive del fondamento necessario, cioe di ricerche nel suolo dell'antica cittä. Tali ricerche non fiu'ono fatte nemmeno nella prima metä del secolo XVII, quando il Ber- nini cominciö ad erigervi un suntuoso palazzo per la famiglia Ludo- visi, e furono corainciate soltanto circa il 1700 sotto Innocenzo XII e demente XI, quando si terminö il palazzo Ludovisi per opera di Carlo Fontana. Nel 1703 e 1704 fu sterrata la sudetta colonna di granito e ne fu scoperto il basamento. I commenti perö fatti dagli scienziati contemporanei mirano piuttosto a problemi anti- quari e cronologici, mentre per le questioni topografiche le notizie finora conosciute erano assai scarse. Ciö diventa chiaro giä dai molti dubbi, con cui parlano anche i topografi moderni dell'an-
42 ANTICHITA DI MONTE CITORIO
tico stato della zona fra Piazza Colonna e l'obelisco solare di Aiigusto; dubbi, i quali almeno in parte saranno schiariti dalle notizie pubblicate nelle pagine seguenti.
1. La colonna del Divo Pio.
Quando si constatö per gli scavi del 1703, che sotto la co- lonna chiamata citatoria esisteva in uno stato abbastanza ben conservato il basamento con la sua iscrizione e rilievi figurati, qiiesta scoperta inattesa diede origine ad una lunga serie di pub- blicazioni ('). Gli antiquari del secolo XVII avevano, da certi tipi monetär!, la conoscenza di una colonna dedicata al Divo Pio, ma essi la ritennero erroneamente per identica a quella tuttora esi- stente in piedi: e siccome i rilievi di quest'ultima raffigurano i fatti della guerra Marcomannica, cosi avevano formato la strana teoria, che la colonna di Piazza Colonna fosse cominciata in onore del Divo Pio, ma terminata soltanto da Marco Aurelio o da Com- modo. AUora essi si videro costretti ad abbandonare le loro teo- rie e con molta erudizione vollero constatare l'identitä del mo- numento recentemente scoperto con quello conosciuto dalle mo- nete, e spiegar minutamente i rilievi rappresentanti l'apoteosi di Paustina, e le decursiones funebres. Del ritrovamento stesso la maggior parte dei libri pubblicati park come di una cosa abba- stanza conosciuta ed in termini generali.
Intorno allo scoprimento ed al trasporto della colonna si co- nosceva giä una relazione abbastanza estesa, quella pubblicata dal Cancellieri (Effemeridi lett. di Roma II, 1821 p. 214-236): egli la trasse dalle Miscellanea del cardinal Garampi, e ne ritenne per autore l'abate Francesco Valesio, diligentissimo ricercatore
(1) Fr. Bianchini de Kaiendario et cyclo Caesaris dissertationes duae, quibus inseritur descriptio et explanatio basis in Gampo Martio nuper de- tectae sub Columna Antonino Pio olim sacra. Romae, 1703, fol. ; Lettera del sig. Michelagnolo de la Chausse .... in cui si fa parola della Colonna nuovaniente trovata in Eoma nel Campo Marzo . . . data in luce da Niccolö Bulifoni, Napoli 1704 ; Journal de Trevoux 1704 Sett. ; Seconda lettera del sig. M. A. de la Chausse . . . Napoli 1705 ; lo. Vignoli de columna Im- peratoris Antonini Pii, Romae 1705. 4; Journal des Savans XXXII (1704) p. 542, XXXm p. 785 ; Ap. Zeno Giornale de' letterati t. Vm p. 12.
ANTICHITA DI MONTE CITORIO 43
degli avvenimonti romani del suo tempo. Confrcntando perö qnesta relazione pubblicata con i diarii autografi del Valesio conservati neH'archivio Capitolino, m'avvisai presto che essa non possa es- sere desunta da quegli Ultimi. Che nei casi di discrepanza la Ga- rampiana si debba considerare conie meno autentica, giä si rico- nosce da uno sbaglio cronologico grossolano, e che rende con- fuso tutto il racconto : sono attribuiti al luglio e settembre del- l'anno 1704 cose accadute nel 1705, vale a dire, l'autore racconta Toperazione come felicemente riuscita e torna poi a descrivere minutamente i vari tentativi fatti dopo la prima operazione non riuscita. Vi sono altre ragioni che m'inducono a ritenere per autore della relazione Garampiana non il Valesio, ma uno dei concorrenti con gli architetti Fontana, essendo che questi Ultimi vengono giudicati in un modo assai sfavorevole, mentre tali tendenze ostili sono affatto estranee alle notizie originali del Valesio. Ed e da notare, che quei passi, ove l'autore della relazione stampata parla di se stessö ('), non trovano riscontro nel Diario Capitolino. Si potrebbe per mezzo delle notizie di questo diario tessere l'intera storia di quell'avvenimento, che desto grandissimo Interesse in tutta la popolazione di Koma e fuori : siccome perö tale racconto oltre- passa i limiti del nostro BuUettino, cosi pubblico soltanto per darne un saggio, le prime notizie, aggiungendovi poi quelle che ci danno qualche particolare archeologico intorno al monumento.
La prima notizia si trova nel diario sotto la data del 25 set- tembre 1703:
Nel giardino de PP. di Monte Citorio si vedeva sopra terra eretta Testremitä d'una gran colonna di granito Orientale reputata da molti autori falsamente la supposta colonna citatoria, nel passato pontificato d'Innocenzo XII, allhora che fabric5 ivi appresso la Curia, si divulgo che sarebbe stata cauata e portata suUa piazza della med*. Curia, il che non segui, hora S. B. la fa
(i) P. es. p. 11: 'al 1 di ottobre (1705) essendo io stato introdotto per trascrivere i caratteri greci che nella testa e piede di detta colonna si ritrovano . . . ecc. ' II diario Capitolino sotto questa data riferisce diversi fatti, senza accennar menomaniente alla cöpia dell'iscrizione greca, la quäle invece si trova giä riferita nel settembre del 1704. Puo essere perij benissimo che il Garampi abbia tratto questa relazione dalle carte del Valesio, essendo noto come quest'ultimo, oltre a compilar lui stesso delle notizie, fu anche raccoglitore di diarii compilati d'altrui.
44 ANTICHITÄ DI MONTE CITORIO
scoprire tutta, ed b stata ritrouata alta palmi 67 et la base guasta posta al- l'istesso piano di Piazza Colonna e disopra v'e intagliato in lettere greche Traiano Augusto, la base l'hanno scoperta nella casa che h quasi a mezzo il vicolo che b alle radici del Monte Citorio che viene da una banda for- mato dal muro del monastero delle monache di Campe Marzo (>).
Segue: Martedi 4 dicembre 1703.
Si h cessato di cavare la colonna dedicata ad Antonino in Monte Ci- torio, essendo stato scoperto digiä tutto il basamento, e si aspetta l'ordine di S.- B. per porre mano a cavarla fuori.
Dopo aver riferito (1704, maggio 5, giugno 23) di diversi preparativi relativ! al trasporto della colonna, il Valesio aggiunge (mercoledi 13 agosto):
E stato hoggi misurato il sito ch'e dietro la fontana di Trevi, medi- tando S. B. di formare a quella acqua una sontuosa facciata e porvi la gran colonna Antonina di Moi\te Citorio e formare avanti la detta fontana una spaziosa piazza con tirare quella addietro a filo della chiesa della Madonna de'Crociferi {^).
La stessa notizia si ripete sotto il giorno 28 agosto : il giorno 30 sett. (martedi) il cronista riferisce:
Essendosi compito il castello per togliere la famosa colonna Antonina di Monte Citorio, in breve si farä l'operazione di calarla, e digiä sono stati fatti cancelli dirimpetto all'offizii de notari del vicario allo spazzo delle case demolite, d'onde deve uscire la colonna per rimuovere il concorso del popolo in tempo della operazione.
(1) Intorno al tempo della scoperta si veda Bianchini de calendario et cyclo Caesaris p. 72: dum, huiusce lucuhrationis de calendario et cyclo Gae- saris postrema folia pra'elo subduntur per faustam diera IX kal. Decemhris qua literarii munusculi nuncupatio optima principi ojferebatur natalitii titulo indulgentius excipienda, aut excusanda, felici admodum eventu con- tigit, ut e ruderibus ad palmos quadraginta cum solo egestis in lucem edu- catur antiqua basis, columnae adhuc supposita. I moderni in parte attri- buiscono il ritrovamento al 1704 (Canina, edifizi III p. 127), altri secondo l'autoritä del Ficoroni [Gemmae ant. litt. p. 112) al 1705.
(2) II Cancellieri p. 226, citando dairAppendice della Biblioteca Fir- miana (Milano 1783 p. 127j il passo seguente: ' questa insigne colonna . . . fu dissotterrata a Monte Citorio nel 1704, e nel 1707 dovevasi . . . erigere nella Piazza di Trevi, coH'opera del celebre architetto Francesco Fontana. Ma ciü poi non succedette, attesa la ristrettezza in cui allora trovavasi Ferario Pontiflcio ' aggiunge : ' ma siccome alla fontana di Trevi non v'ha piazza capace per esservi situata, si sarä piuttosto pensato di situarla sulla piazza delle terme Diocleziani, dal volgo chiamato Piazza di Termini '. La notizia del Valesio, oltre a rifiutare i dubbi del Cancellieri, aggiunge un particolare quasi dimenticato intorno ai progetti edilizi di Clcmente XI.
ANTICHITA DI MONTE CITORIO 45
La prima operazione, fatta i giomi 15 e 18 ottobre 1704, non riusci, essendo il castello troppo debole per sostenere un peso tanto enorme (Cancellieri p. 216). II Valesio aggiunge in questa occasione una descrizione della colonna e del basamento, che non sarä inutile di riprodurre, essendo fatto prima che molteplici ri- stauri fossero aggiunti alle scolture.
' P^ qualche ragguaglio di questa tanto mentovata colonna, e ella com- composta di granito rosso Orientale di un sol pezzo d'altezza palmi 66 e mezzo, e di grossezza p. 26 e 3 quarti con diametrö di palmi 8 e mezzo. Un frammento del capitello ritrovato sotto terra pare indichi essere stata d'ordine Toscano. L'iscrizione che vi si legge nella cima con lettere greche TQuittvog di- mostrano che portata costä nö impiegata dal medesiino imperatore fosse driz- zata da M. Aurelio e L. Vero ad Antonino Pio dopo la consecrazione deno- tando ciö l'iscrizione Divo Antonino Aug. Pio Antoninus Augustus et Verus Augustus filii. — E verisimile sia stata eretta prima dell'altra nella quäle sono scolpiti i fatti di M. Aurelio, si perchö vi voleva del tempo per le istorie, come perchfe quella h dedicata dal solo M. Aurelio e questa da ambidue. E verisimile questa essere quella scolpita nella medaglia d'Antonino con la iscrizione Divo Pio essendo liscia. La cimasa del piedistallo h ornata di bel- lissimi fogliami. Nel lato principale verso il mausoleo d'Augusto v'ö l'iscri- zione, nell'opposto v'e l'apoteosi con figure assai consumate e di buona ma- niera. Vedesi nel mezzo un giovane alato con ali distese in atto di volare, tiene con la destra un panno svolazzante, che gli serve di mantello, porge con la sinistra un globo stellato con una mezza luna e la fascia traversale del zodiaco sopra cui sono scolpiti gli segni de'pesci e dell'ariete. Ergesi un serpe con tortuosi giri intomo ad detto globo, porta il giovane sulle spalle Antonino e Faustina, quello con lo scettro in mano nella di cui sommitä h un'aquila, questa col velo in testa in segiio della consecrazione. Veggonsi in alto due aquile, una per parte con ali distese, siede di sotto a raano dritta Roma galeata, e stende una mano verso il giovane alato accennando col dito appoggiato con il sinistro braccio ad uno scudo ove e effigiata la lupa con Romolo e Remo, dall'altra parte un giovane seminudo giacente che abbraccia con la sinistra un'obelisco e porge la destra ha manca, al di fuori sotto il giovane alato scorgonsi diverse armi, elmi e faretre, dalle due bände che sono simili rappresentasi qualche spedizione o decursione del medesimo im- peratore, sono le flgure assai maltrattate da tempo e da barbari.
Trascorse un anno intero prima che si tornasse a ripetere 1' opera- zione. Avendo i piü celebri meccanici dato il loro parere et essendo secondo tali consigli rinforzate le macchine fu effettuato il tra- sferimento nei giomi 24 e 25 settembre 1705. Nei giorni seguenti sino alla fine dell'ottobre fu calata la colonna in piazza di Monte
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Citorio, ed estratto il basamento insigne per le sue sculture ('). Sopra alcuni trovamenti fatti in questa occasione, il Valesio rife- risce come segue:
Sabato 17 ottobre. Fu questa raattina con rintervento di itiolti perso- naggi fatta dal cav. Franc. Fontana Toperazione di tirare al piano della strada il piedestallo della Colonna Antonina alla forma che si legge descritta nel- l'annessa relazione, restando delusi coloro che credevano dovervisi ritrovare sotto qualche numero di medaglie, se pure non sono tra il medesimo et il primo piano della platea di trevertino che attaccato adesso con perni im- piombati e venuto fuori unito al medesimo.
Venerdi 30 ottobre. Cavandosi gli travertini che erano sottoposti alla co- lonna Antonina, fra il primo piano di essi et il secondo vi si b ritrovata, forse acciö havesse il piano perfetto, calce bianca freschissima, si come tra il 2° et il masso durissimo del fondamento composto di scaglie di pietra e calce vi si e ritrovata quantita di pozzolana fina. Gli travertini vengono cavati e por- tati SU la piazza di Monte Citorio.
Le vicende ulteriori della colonna, la quäle dopo essere stata riposta per molto tempo in un angolo della strada presso la Curia Innocenziana fu da un incendio nel 1764 danneggiata in modo che i pezzi servirono per risarcire l'obelisco di Monte Citorio, sono raccontate da altri e non vorrei ripeterle. Piü importante per la topografia antica e il definire esattamente il sito del monumento di Pio. Nö il Bianchini, ne il Vignoli hanno aggiunta alle loro dissertazioni una pianta icnografica dei siti allora scoperti. L'unico autore del secolo passato che ne abbia data una e il Piranesi. Egli indica la ' situazione antica della colonna dell'Apoteosi di Antonino e Faustina ', come pure la ' casa del sig. Carlo Eustachio, a tempi di papa demente XI prima che fosse demolita per comodo di estrar questa colonna ' (e quella casa che forma 1' angolo della piazza di Monte Citorio con la via degli üffizi, e sta all'incontro del palazzo
(1) Furono pubblicate da Francesco Posterla romano una Eelazione di quanto si e operato per l'innalzamento ed abbassamento deU'antica Colonna, Antonina trovata nel Campo Martio (Roma 1702, 4, pp. 8), ed una Relazione di quanto si h operato nel trasporto deU'antica Colonna Antonina, e nell'ele- vazione della sua base e sottozoccolo (id id.). Di arabedue si trova un esem- plare fra le collettanee del Valesio. Secondo il Cancellieri, queste relazioni si trovaTio ripetute nella seconda edizione dell'opera di Carlo Fontana, discorso sopra l'antico Monte Citatorio (Roma 1708, fol.), edizione da me invano ricer- cata nelle maggiori biblioteche di Roma.
ANTICHITA DI MONTE CITORIO
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della Missione). Nonostante l'apparente precisione quest'indica- zione (') del Piranesi e affatto sbagliata: ciö che non e superfluo di annotare espressainente, perche aiitori moderni (p. es. il Reber, Ruinen Roms p. 266) sono indotti in dubbio dall'autoritä del Piranesi, il quäle d'altronde non si mostra testimonio esatto intorno a ritro- vamenti fatti a Monte Citorio. Rimarrebbe come testimonio unico la grande-veduta deU'innalzamento incisa in rame dal Westerhout (Piranesi Campo Marzio tav. XXXIII) e pare che di questa si sia servito il Canina per stabilire il posto del monumento. Ma siamo in grado di definirne il sito con molta piü precisione mediante un documento inedito.
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II codice Chigiano P, VI, 10 a foglio 16 contiene un progetto per la casa dei padri della Missione fatto sotto Alessandro VII,
(}) La crederei proveniente da questo passo del Nardini : ' Nella casa del sig. Carlo Eustachi incontro al monastero di Monte Citorio h una gran colonna antica la piü parte sotterra ' (Nardini III p. 85 ed. Nibby), ove il Piranesi ha frainteso la parola incontro.
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riprodotto qui appresso (^) come unico documento dello stato ante- riore di questo sito, totalmente trasformato per le fabbriclie del secolo XVIII. II ' vicolo incontro a S. Biagio ' corrisponde all'at- tuale via della Missione (-) ; il ' vicolo comune col cancello ', che ora e chiuso da una casupola, ancora si scorge sulla pianta del NoUi, ove pure sono segnate le proprietä Marescotti e Paloinbara. Met- tendo per conseguenza la colonna distante palmi 175 = m. 39 dalla via della Missione, e palmi 62 = m. 14 dal detto vicolo, essa si trova piü di 40 metri distante dal posto assegnatogli dal Canina, e nel bei mezzo dello stadio da lui ideato delle Equirrie, che ne si trova menzionato negli autori antichi, ne puö avere mai esistito.
2. Edifisio antico scoperto nel 17 03 sotto la casa della Missione.
Mentre la scoperta della colonna Antonina, come abbiamo veduto, ha dato luogo a molte pubblicazioni, un altro ritrovamento fatto negli stessi dintorni e nella medesima epoca e stato osser- vato da pochi contemporanei, e le notizie da loro prese rimasero sconosciute a tutti i topografi della Roma antica.
II Valesio in data di mercoledi 29 agosto 1703 riferisce come segue :
Gli PP. della Missione nel cavare gli fondamenti della nuova habita- tione che aggiungono in Monte Citorio tirandosi in dentro e slargando la strada che cala dal detto monte verso il Campo Marzo, oltre quantitä di gran- dissimi travertini vi hanno ritrovati intieri gli stipiti e traversa di una gran porta di marmo gentile e d'esquisito lavoro, indizio certo che ivi fosse qual- che fabbrica cospicua.
(1) II presente schizzo, in proporzione molto ridotta, non affetta a dare esattamente i particolari dell'architettura interiore delle case rappresentatevi. Invece del nome Bonisi vi si deve leggere ßonnesi.
(2) La chiesetta di S. Biagio (vedasi Gigli presso Cancellieri, piazza Navona p. 35 not.), che scomparve per dar luogo aH'ingrandiraento della Curia Innocenziana, si trova indicata nella pianta prospettica del Falda (1670): da ciö si scorge come stesse quasi all'incontro dei numeri moderni 1 A e 2. E strano che il Bufalini la metta proprio nel lat > opposto, a sinistra della Via della Missione.
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Una seconda notizia si trova il martedi 22 gennaio 1704 :
Cavando gli PP. della Missione in Monte Citorio dirimpctto agli Offizii de notari del Vicario gli fondamenti della nuova fabbrica per cui slargano la strada, hanno trovata in essi una lunga platea di gran trauertini che per obliquo passa sotto la strada verso gli offizij de Notari, e niostra di essere stata fabbrica grande e magnifica, che faceva facciata avanti la grau colonna che meditft d'inalzare S. B., e forse sono vestigij della Basilica di Antonino e gli detti Padri hanno incominciato di giä a cavare detti travertini.
Non puö esservi dubbio che Topera della distruzione fosse com- piuta con la proutezza ed energia pur troppo usuale, di modo che presto si spense ogni memoria di tale ritrovamento. Ne basterebbero le scarse notizie del Yalesio per darci un'idea della « fabbrica cospi- cua " . Ma a tale difetto per Ventura rimedia un documento da me scoperto nella biblioteca capitolare di Verona.
Fra i meccanici invitati a dare il loro consiglio per l'estra- zione della colonna Antonina, v'era pure il celebre Francesco Bian- chini ('). Egli profittö di quest'occasione per prendere notizie esatte delle antichitä ivi ritrovate, e concepi il disegno d'illustrare in un'opera particolare le antichitä del Monte Citorio. Di quest'o- pera, che per ragioni a me sconosciute non e stata mai condotta a termine, il codice Veronese 356 contiene parecchi abbozzi {^). L'autore ha per piü volte cambiato il titolo e la disposizione del- l'opera; quella che ha l'apparenza piü definitiva e la seguente:
« De clivo Citorio sive aggere Campi Martii et de columnis veterum memorabilibus libri duo. In priori agitur : De aggere seu tuinulo (clivo) Campi Martii, quem vulgo Citorium appellant: de ustrino Caesarum ac de Columna Antonini cognomento Pii, inde nuper extracta: et de coUectis atque litaniis Christianorum hoc in loco institutis ad abolendas ethnicorum superstitiones.
« In secundo exponuntur tria genera columnarum memorabilium apud antiquos et cuiusque generis origo usus conexio cum historia sacra et pro- phana, quarti praesertim et quinti saeculi aerae Christianae ».
(') Le ' considerazioni teoriche e pratiche intorno al trasporto della Co- lonna d'Antonino Pio collocata in Monte Citorio ' (Roma 1704, parte I e II, pp. 52 in 4, con due tavole) pubblicate per questo scopo dal Bianchini, non si occupano dei ritrovamenti di cose antiche. Nfe viene ad aumentare il nostro materiale il codice Veronese 438, contenente una quantita di appunti e di- segni appartenenti alle sudette ' considerazioni \
(2) II codice Veronese 441 contiene una copia dei capitoli 3 e 4 del libro primo, fatta da uno scrivano abbastanza imperito ; essa manca oltracciö di ogni disegno e pianta.
4
50 ANTICHITA DI MONTE CITORIO
Capita libri Primi.
I.
« De ornamentis Campi Martii, et de superstitiosis ethnicorum sacris olim in eo peractis «.
n.
«De indigitamentis Heroum, seu divorum indigetum apotheosibus in Campo Martio, iuxta regis Numae, aliorumque veterum Romanorum errores ; ac de loco Indigetorio, sive Indecitorio nee non de aggestu, ethymologia et egestione tumuli, seu clivi, quem vulgo Citorium appellant, eiusque topogra- phica descriptione ».
m.
u De institutione Litaniae et collectae Christianorum in Campo Martio, ad titulum S. Laurentii in Lucina post eversas ethnicorum superstitiones. Kursus agitur de apotheosi principum ethnicorum celebrata in hac parte campi : in qua parietinae ac rudera nuper egesta ichnographiam et orthogra- phiam ustrini Caesarum indicabant. Utraque figuris exhibetur, et confirmatur ex aliis veteribus monumentis rogi et ustrini ».
IV.
« De occasione arrepta post obitum Magni Theodosii ex Gothorum in- cursu per ethnicos ad tentandum in Campo Martio restitutionem superstitionis et de Providentia principum christianorum in eisdem superstitionibus excin,- dendis n.
I difetti derivanti dallo stato non compito dell'Qpera sono manifest! : vi si trovano ripetizioni, qiialche volta anche contrad- dizioni sui particolari, lo stile e prolisso e manca d'eleganza. Ed appunto perciö e indispensabile che qui si dia uno spoglio com- pleto delle notizie topografiche ed antiquarie.
La prima parte di tali notizie si trova negli abbozzi del ca- pitolo 11 del libro primo. Ivi l'autore dopo aver ragionato sopra le indigitamenta heroum da lui supposte, prosegue cosi:
(p. 8) « Praestat vero in ipsius loci vestigio ethnicae consecrationis aream contemplari. In tumulo quem Citorium hodie nuncupant iacta fuerunt ante annos ferme LXXX (') Ludovisiani palatii magniflca fundamenta, quibus ab Innocen- tio Xn coemptis superstructa est curia iis magistratibus incolenda qui iuri
(1) Quest'asserzione non e esatta, essendo cominciata la fabbrica del detto palazzo dal principe Nicolo Ludovisi nel 1653, secondo la testimonianza del Gigli (presso Cancellieri, piazza Navona p. 38 not.).
ANTICniTA DI MONTE CITORIO 51
dicundo praesunt. Proximae autem aedes, quae summam clivi seu tumuli Citorii partein in hortulum explicatum intra se claudunt, ante annos circiter L tri- butae fuerunt sacerdotibus missionum munera eo instituto obountibus. Intra hortuli aream domestico sacello adhaerentem eminebat columna Thebano seu Syenitico saxo vulgo granito Orientale dimidia tantum parte st)'li conspicua ; nam reliqua portio ad imum scapum cum basi et stylobate ad palmos sexaginta infra hortuli superficiem lafebat. Licet vero eruendam plerique censerent sub Innocentio, ad ornamentum proximae curiae, attamen impensae gravitas obstitit, quominus educ^retur. Nam diruendae fuissent aedes non paucae, ut earundem per laxamenta moles adeo ingens traheretur ad ampliorem aream curiae, quae tractu continuo producitur ad cochlidem columnam Antoninianam. Nonnulli etiam opinabantur eiusdem cochlidis meiern tanta anaglyphorum copia specta- bilem derogaturam esse plurimum pretio huius saxi, nulla artis aut historiae, quod tunc quidera appareret, (memoria?) illustris, ruinis vero et incendio ita vexati et corrupti, ut areae dignitati et curiae ornamento aegre responsurura augurarentur. «
" Verum ex terrae concussione, qua infirmiora urbis aedificia paulo ante agitata labem contraxerant ('), prior illa difücultas expensarum in diruendis pro- ximis domibus sublata est. Proximarum enim domuum portio cum coiicidisset, admonuerunt arcbitecti, ut aliarum adhaerentium ruinis obviam iretur; fun- dorum autem domini, ac praecipue sacerdotes missionarii non tantum ruinis occurrere, sed ex integro excitare solidiores et laxiores aedes curarent. Tum vero diligentia et Studium maxime claruit 111.™' et R.™' Praesulis D."' Nicolai del Giudice Vicarii Praefecti (2), qui occasione utendum ratus compendia expen- sarum in egestione per aedes a dominis iam disiectis dum novas moliuntur, Beatissimo Patri ac D."° N.""" Clementi XI ita providenter indicavit exposuit, ut a })rincipe non minus studioso artium elegantiorum quam publicae felici- tatis et ornamenti facile impetraverit monumenti tamdiu neglecti curam et restitutionem. Actum feliciter. Sub columnae scapo reperta est basis e can- dido marmore, cui stylobata subiacebat amplissima palmis 16 quaqua versus expansa, figuris quoque apotheoseos et dccursionum et epigraphe quattuor in lateribus insignita. Interea etiam sacerdotes missionarii novarum aedium fun- damenta iacientes centum et quinquaginta circiter palmis dissita a columna et basis latere australi, detegunt aedificii quadrati vestigium triplici constans praecinctione ex lapidibus Tiburtinis. Utraque fabrica mirum in modum con- tulit ad Urbis veteris partem banc praecipuam illustrandam. Ut enim columnae inscriptio et figurae referunt consecrationem Antonini patris a Marco Antonino et L. Vero Augustis filiis ibi peractam : ita illius quadrati operis praecinctio triplex indicat bustum Augustorum eadem forma quadrata consignata in
(') Intorno a questo terremuoto, che spavento la citta dal Gennaio al- TAprile 1703, si veda Cancellieri, piazza Navona p. 161. 162.
(2) ' I monsignori del Giudice e Bianchini erano loro svisceratissimi amici ' dice l'autore della relazione Garampiana p. 219. Cf. Cancellieri piazza Na- vona p. 269.
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ANTICHITA DI MONTE CITORIO
numis Pii et reliquorum principum post Antoninos Romae imperantibus. Subicienda tarnen est oculis ichnographia montis, ut vocant, Citorii, cum area proxima columnae cochlidis et cum vestigio altorius columnae ac basis nuper dotectac, ncc non proximo cum ustrino seu busto imncipum, quae omnia.lucem sibi invicem impertiuntur n .
« A exhibet vestigium novae curiae Innocentianae cum adiacenti foro seu area R. Litera B indicat aedes Chisianas ad viam curricularem sive Hippo- dromum NQ : quibus appositum forum M continet columnam cochlidem M. An- tonini gestis insculptam, quam vocant columnam Antonini. Forum Antoninianum cingunt aedificia EDC. Forum vero Innocentianum R concluditur aedibus CFG. Proxima est missionariorum sacerdotum domus H, in qua sacellum domesti- cum c k ita obversum est, ut ea pars eins , cui campanula imminet, subiecta habuerit fundamenta anguli g d f eiformati a duobus lateribus praecinctionis externae et quadratae f d g e, cuius noütiam et dcscriptionem hie tradiraus ».
ANTICHITA DI MONTE CITORIO 53
" Primum adnotabo directionem parietum huiusmodi aedificii cum utraque columna, deinde libramentum ut appareat planities ad quam pertinuitn.
" Versorium magneticum gradus singulos distincte notans cum attulissem, exploravi angulum quem bases columnarum cochlidis M et Pianae P cum acu(?) magnetice excitata constituebant. Eeperi latus a b columnae Pii et latus h i columnae Marci esse parallela. Utrumque enim cum versorio constituit angu- lum graduum septem ad easdem partes. Declinat magiies hoc anno gradus 9
a Borea versus magislrale seu Quam [ob rem] latera columnarum a b, hi
constituunt angulum grad. 16 cum linea meridiana. Hisce lateribus parallelae erant facies d f, g e praecinctionum, quae detectae sunt in fundamentis domus missionariorum hoc anno excavatis et eodem anno exploratis. Quae ad eandem aream pertinuisse olim videntur ex laterum parallelismo. Accedit observatio complanationis soll columnae P et praecinctionum S , quam peritus magister fabrum a missionariis adhibitus ad cavandum et probandum opus novae constructionis aedium in loco g m, quae modo perficiuntur, acute collegit ex aquae libramento in proximis puteis conspecto. Narrabat enim se studiose me- titum fuisse depressionem aquae infra planum basis columnae P ex proximo puteo et eodem libramento explorasse superficiem plani marmorei praecinctio- num g f insistentium lapidibus Tiburtinis, quo loco ex architecturae legibus complanatio areae cum aedificio apparebat, quibus in vicem collatis apparuit ad idem planum horizontale pertinuisse infimam basim columnae et infimam basira praecinctionum; unde colligitur referri ad invicem columnam P et prae- cinctionem 140 palmis ab illa distantem et in eadem area constitutam: prae- sertim cum linea ex ceniro columnae P ducta ad rectos angulos cum proxime obverso latere praecinctionis g d medium ipsius lateris teneat " .
II resto del capitolo non conti ene notizie utili al nostro scopo: ma il Bianchini ritorna sopra lo stesso argomento nel ca- pitolo terzo.
(p. 19) «Summa sive acclivitas tumuli Citoriani aedibus iisdera includitur proxime adiacentibus columnae nuper efFossae in loco P superioris figurae, quam Antonino Pio ab Augusiis fratribus Marco et Lucio positam post eiusdem prin- cipis consecrationem aperte docent litterae lateri basis insculptae (C. /. L. VI, 1005):
DIVO • ANTONINO • AVG • PIO ANTONINVS • AVGVSTVS • ET VERVS'AVGVSTVS-FILlI
" Praeter litteras ita consignatas in ea superficie basis quae respicit Au- gusti mausoleum facies adversa ad australem et orientalem plagam posita continent anaglyphico opera expressam apotheosim Divi Pii et Faustinae eins coniugis. Huic vero lateri ad ausfrum praeponitur quadrata praecinctio triplex: quae ad bustum principum pertinere intelligitur, si eiusdem ichnographia con- feratur cum nummis antiquis consecrationem Pii referentibus et aliorum qui post Pium imperaverunt. Expandebatur enim aequis lateribus quadratura vesti- gium operis basi columnae parallclum et ad eandem superficiem et aream
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n n n f] fiV|
antiquitus complanatum : cuius centrurn S a centro columnae P palmis cir- citer centenis et octuagenis distabat».
" Interior praecinciio quadrati huius vestigii S latera singula extendebat palmis quinquagenis (sie). Intervallum praecinctionis intimae ad mcdiam definie- batur palmis quindecim cuius distaniiae modo a secunda ad extemam intercapedü constabat. Verum externae praecinctionis diversa erat structura. Nam paegmata quadrilatera ex lapide Tiburtino latus eiüsdem constituebant, stereobate infra supposito ex lapide Albanensi nuUa maceria suffulto. At secundi ac tertii ambitus latera multo erant solidiora. Ti- burtino enim saxo ad areae infimam partem e fun- damentis assurgenti imposita fuerant marmora ex iis quae Graeca dicimus et in parietem solidum connexa ita elevari videbantur ut tecto carerent('). Nam saxa eiusdem molis disiecta iacebant, quae Corona superius omata de- finitionem culminis indicabant ex proiectura et sectione fastigii, qualia ferme visuntur (2) in rogo Faustinae minoris expresso in tabula Capitolina (olim in arcu Portugalliae dicto ad Hippodromum) cum eiusdem Augustae apotheosi. Paulo rudior siructura est ustrini ad viam Appiam quinto ab urbe lapide a Roraanarum antiquitatum consultissimo Raph. abb. Fabretto fideliter explo- rata ac deliniata ueterum inscriptionum cap. 3° pag. 231. [Seguono schissi del rilievo Capitolino e del muro di cinta deWustrino sulla via Appia, che sarebbe inutile di riprodurre] « cuius area quidem est amplior, forma tamen et materies non dissimilis a secunda ex bis praecinctionibus ante columnam detectis: cuius latera singula palmis centum extendebantur. Intima praecin- ctio sexaginta palmis quaquaversum patens nihil aliud habenda est quam fulchrum sive basis cui pyra seu rogus in apotheosi superstrueretur, cuius flguram a se conspectam in consecratione Severi describit Herodianus ".
Segue un'estratto lungo del passo di Erodiano lib. IV cap. 1 (vedi sotto p. 63 not). « Quatemis igitur aut quinis plerumque tabulatis constabat rogus, ut historicus et nummi testantur, quorum secundo cum lectus funebris esset ab equitibus Eomanis inferendus per eam anuam quam numismata in eodem ostendunt constructam, colliguntur eaedem fere mensurae quae ichnographiae harum praecinctionum respondent n.
(1) A questo periodo b annotato sul margine con lettere assai dubbie: " [hoc ita] esse cognoscimus ex canaliculo sive excavatione et ex foramine me- dio in singulis [lapid]ibus insculpto ».
(2) Sul margine: in plcrisque basibus aniiquis.
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« Ita enim distributum videnms singularum partium modum, ut extima praecinctio prismatibus ad perpendiculum erectis imitetur periphragina (ita a Strabone dictum in busto Octaviani Augusti), quod ferreis repagulis arcebat ab interiori peribolo accedentes ('). Interiorem praecinctionem palmis centum extensam per lat«ra singula, formatam ad auertendum incendium in succen-
sione rogi, referendam puto ad ustrinum : cuius medium tenebat minor parastata quadrato vestigio assurgens palmorum circiter sexaginta. Huic vero pyram seu rogum superstructum arbitror mensuris aptissime respondentibus ad sustinenda quattuor aut quinque tabulata, quae ab inferiori et latiori fulcro palmorum cir- citer 60 sensim ascendebat in angustiorem suggestum : et in secundo continere poterat lectum funebrem ab equitibus Eomaiiis illatum, cum palmis circiter qua- dragenis aut quinquagenis idera suggestus patere posset, ut constat ex propor- tione ianuae et ex infima basi in nummis expressa : donec ad supremum et contractius tabulatum perveniretur ; in quo cum videamus quadrigam aliquando collocatam, ut iidem nummi demonstrant, necesse est palmis saltem vicenis quaquaversum fuisse explicatum. Ex busti Caesarei descriptione quam Strabo- nis liber quintus exponit, scio eiusdem structuram plerisque videri circulari forma praeditam : nee inflcior ustrinum Augusti ita conformari potuisse, ut Mausolei figuram imitaretur. (p. 22) Alia tamen forma electa videtur ab Anto- ninis, quorum ex aetate rogus quadrata basi semper assurgens in nummis conspicitur, qualem describunt historici qui interfuerunt apotheosi principum Romanorum Dio et Herodianus. Talis etiam observatur in rogo Faustinae minoris a marito Marco inter divas relatae : quem in marmorea tabula ex arcu ad Hippodromum translata in aedes Capitolinas antiquitus expressum videmus. Succensis enim tabulatis ac trabibus quadrato eins molis, quam ex Herodiano ac Dione paulo ante descripsimus ut ex pyra in bustum redigeretur, prae- cinctio intima ex pluribus ordinibus iunctorum lapidum constans et coronidem superne referens, regula sima cymatio proiecturis dislinctam,
Q) Strabo V, 3, 8 p. 236: eV jueau) tTe t(J nsdio) u irjg y.avaxQag av- xov neQißoXog, xal oviog XiHov '/.evxov, xix^u) jxtv nsQixs'fiSPoy t^ay aiörjQovv nsQi(fQC()'(j((. ifTog rf' tdyHQoig xarüipvTog.
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ANTICHITA Dl MONTE CITORIO
inferne autem ornaraentura basis ex regula sima inversa, torulo, et plintho, ingentis arae speciem praeferebat, ut figura exhibet eiusdem anaglyphi n.
« Busti uero Antoniniani ornamenta perquam similia uisuntur in fra- gmentis lapidum ex graeco marmore ibidem repertis quorum alia ad coroni- dem pertinentia distinguimus figura A, reliqua vero ad basim referenda exhibe- mus in figure B ('). Addendum est etiam nonnulla ex iis marmoribus quae coro- nidem constituebant sub coronae proiectura ornari denticulis, alia uero iisdem carere : praeterca etiam supercilium ostii sive superliminare ibidem reper- tura : et quidem utrimque laboratum, ut constet utriraque fuisse spectabile : quod puto impositum ostio secundae praecinctionis sive ustrini, unde scilicet aditus pateret in tertium peribolum busto seu rogo deputatum, quibus ex indi-
ciis et reliquiis colligere possumus praecinctionem secundam ac tertiam coro- nide simili superne fastigiatam : sed in secundae coronide zophorum et epi- stylium ab ostii membris enatum propagari debuisse circa perimetrum ustrini, interius uero undam sive cymatium inversum ut speciem redderet appositi schematismi,
u Eepertum etiam demonstrant tympanum breuius impositum (ut vide- tur) loculamento, in parietibus ustrini forsitan excavato ad continenda Anto- ninorum aut aliorum principum simulacra iuxta mensuras in figura diligenter servatas cuius tympani diameter est pal. 7. {^) ».
(') In un foglio non numerato, verso la fine del codice, se ne trova un'altro disegno che offre poche varianti, e perciö si e riprodotto qui a"^- presso.
(2) Oltre agli schizzi dei dettagli apposti al margine del teste, se ne Irovano altri neH'originale in un foglio, ora il 28" del codice, fuori del co-
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« Erat igitur intra periphragma externum quadrata praecinctio in modum fani absque tecto, qualis apud antiquos etiam Latinos templa olim extitisse ex eo quod superest ad lacum Gabinum vidimus cmn felicis recordationis praesule Joanne Ciampino pag. 4 to. 1° veterum raonuraentorum (•). Intra quam tertia praecinctio eleuata pyram seu rogum in consecrationibus continens prae se ferebat incenso busto specimcn ingentis arae : qualem substrucüo illa imitatur Faustinae rogura repraesentans in anaglypho Capitolino. Ceterum aras eiusmodi mira altitudine sublimes .... slalui iubet Vilruvius lovi et Diis superis
[Sull'originale di questa figura si trovano le postille seguenti : Praecinctio prima sive periphragma — praec. secunda sive ustrinum — praec. tertia seu bustum, ubi rogus excitahatur — sectio verticalis ustrini le quali, dovendo rimpiccolire la misura del disegno, abbiamo preferito di perle sotto il medesimo].
nesso e questi ultimi sono riprodotti sulla pag. 58. Nello stesso foglio 28 h pure nolato : in angulo novae domus missionarium fundando 50 pal. ex- cavato solo fundamenta reperta fuerunt super triplicis generis materie erecta et inter spatium palm. 45 per longum stratis veluti distincti.
(^) II Ciampini infatti asserisce di aver visitato quel fano insieme con Emanuele Schelstrate, Raifaele Fabretti e Francesco Bianchini: siccome i primi due erano morti prima del 1700, questo passo basterebbe per togliere ogni dubbiü sopra l'autore della dissertazione.
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amjolo
travertini dello 2" recinto
travertini dello 3° recinto
similes cuniculi prominentes
visuntur in opere aed. H. . . .
in cellis vinariis Quintiliorum,
quod videtur fuisse Basi-
lica. (v. p. 62 not).
ff
f i
11'
piombo squagliato con perno di ferro
sopraliminare lavorato da due facciate, da urea con la gola, dalValtro con frerjio
~D— 0-D~D-
Vacqua era bassa sotto il travsr- tino palmi 13 con i pozzi vicini
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II resto del capitolo e quasi interamente occupato da una lunga digressione intorno a questi altaii, specialmente a quello di Olimpia. Sulla fine il Bianchiui pronuncia il suo parere intorao aH'origine del Monte Citono:
« Intelligimus etiam causam aggerandi eius clivi supra inducitoriam hanc partem campi, quam frustra peteremus aliunde, nisi referendam ducere- mus ad sanctorum pontificuiu studia et christianorum principum leges abo- lendis ethnicorum superstitionibus maxime intentas, post impioa ausus pri- mura desertoris luliani Augusti, qui abolitam superstitionem restituerat, deinde gentilium magistratuum, qui potestate publica abusi sub Honorio Augusto annum aetatis vigesimum nondum egresso ludos seculares in campo Martio et Sacra deorum instaurare in foris curaverant ab anno aerae Christi 400 ad 420.
La dissertazione contiene tutti gli elementi necessari per rico- ßtruire la pianta e lo spaccato dell'edifizio (^): siccome perö gli
(1) E vero che per alcuni particolari vi sono incertezze oppure contra- dizioni. II lato del recinio int«riore una volta viene indicato con palmi 50 in- vece di 60; il lato del recinto raedio si calcola dalle distanze delle mura e dalle liro grossezze a palmi 104 invece dclla cifra tonda di palmi 100;
60
ANTICHITA DI MONTE CITORIO
schizzi aggiunti al codice Veronese non hanno che un valore dimo- strativo, cosi ne proponiamo una ricostruzione in scala metrica.
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La relazione del Bianchini in prirao luogo ci conduce ad un risultato importante sebbene negative. Vuol dire che ci libera defi- nitivamente da certe fantasie che dal secolo passato in poi sono State sostenute dai topografi. II Piranesi secondo l'asserzione di un soprastante alla fabbrica della Missione che « sotto la fab- brica della Curia Innocenziana, alla profonditä di cento palmi, come pure nelle fondamenta della casa dei PP. Missionari alla profonditä di 80 palmi sotto il livello attuale, fossero scoperti avanzi di alcuni sedili circolari » , yi collocö l'anflteatro di Statilio Tauro (Ant. Korn. I, 10). A questa supposizione, accettata dal Venuti, dal Nibby ed anche da altri fino ai giorni nostri, combattuta invece dal Becker (Topogr. p. 642. 681) con ragioni convincenti, il Canina
cosi pure la niisura coniplessiva di pal. 140 del recinto esterno, rende neoes- saria una piccola correzione per la distanza iudicata delle stipiti del mede-, simo. Abbiamo sopposto che sopra la cornice del secondo recinto vi corresse un attico, essendo impossibile di far sporgere 11 fastigio della porta sopra il perimetro delle mura. Basta indicare qui brevemente tali contraddizioni, es- sendo che la relazione da noi completamente ripetnta, permette ad ogni in- tendente di esaminare la ricostruzione da noi tentata.
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ne sostitui un' altra, anch' essa poco felice. Egli cioe vi credette situato uno stadio destinato al giuoco delle Equirria, edifizio non inai esistito. Credo che le memorie da noi raccolte, oltre a distrug- gere definitivamente queste congetture, ci spieghino pure l'origine della vaga supposizione intorno ai ' sedili di marmo ' : chiunque osservi la forma delle pbtre del ' secondo e terzo recinto ' (sopra p. 58) si accorgerä della somiglianza tra esse ed i sedili dei veri teatri Romani.
Dunque invece di im edifizio destinato a spettacoli e giuochi abbiamo una fila di monumenti onorari per la casa imperiale degli Antonini. Con ragione il Bianchini attribiii un' importanza speciale all'identitä della orientazione e della livellazione, che fu constatata fra la colonna di Antonino Pio, quella di Marco Aurelio, ed il monu- mento dei tre recinti. Ne contraddicono le scarse notizie intorno a ritrovamenti fattivi in tempi posteriori. Primeggia fra essi la sco- perta della casa di Adrasto, custode della colonna centenaria di M. Aurelio (') avvenuta nel 1777: pure in quell'anno furono ritro- vati, sulla piazza stessa di Monte Citorio, gli avanzi di un por- tico (-). A quäle edifizio appartenesse questo portico, non si puö sapere con precisione: certo e, che la zona da esso occupata non poteva estendersi di molto verso sud, perche in una distanza di appena 50 metri si trova il muro di cinta del Porticiis Ärgonau- tarum sotto il palazzo Cini (3). II sig. Middleton recentemente
(1) Se ne vedano le iscrizioni G. I. L. VI, 1598. Esse furono trovate, dice il Fea (Diss. sulle rovine di Eoma, p. 351 not.), nella parte della piazza di monte Citorio in mezzo fra la casa di Monsignor Vicegerente, Taltra casa accanto e il piedestallo della Colonna d'Antonino Pio posto in mezzo alla piazza; e furono trovate al loro luogo cogli avanzi della casa di Adrasto, alla profonditä per lo meno di dieci in dodici palmi dal piano della piazza suddetta.
(2) Fea, integritä del Panteon p. 3: 'nel 1777 scavando sulla piazza dalla parte di ponente in linea parallela al palazzo fu trovato sotto il piano attuale un portico assai profondo, in gran parte conservato e lasciatovi '. II Fea erroneamente lo attribuisce alla fronte dei Septi.
(3) Sopra questi si veda la dotta dissertazione del Lanciani, Bull. comm. VI (1878) p. 25 sgg. Alle memorie da lui raccolte si puö aggiungere la se- guente inedita, che traggo dallo stesso codice Veronese 356 del Bianchini. Ivi a foglio 28 si trova Tabbozzo di un pezzo di cornicione intagliato con ovolo e fusarola, non perö corrispondonte a quelli pezzi pubblicati dal Lan- ciani 1. c. tav. III, con l'indicazione ' nei marmi del tig. avv. Quintili; e la
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{Aneient Rome p. 385) dice di aver scoperto gli avanzi di grandi massi ed arcate di travertini sotto vari palazzi moderni a Monte Citorio, i qiiali avanzi egli e disposto ad attribuire al tempio del
Divo Marco. Ed e vero che sono molto deboli le ragioni addotte dal Canina per provar che questo tempio fosse situato sotto il pa- lazzo Chigi; specialmente l'esistenza della casa di Adrasto al lato
misura di un paliiio ' (lunghezza), e la postilla seguente : * a d. 10 aprile 1704 il sig. avv. Quintili mi ha detto che i marmi grechi ritrovati nella sua can- tina, posti da noi in opera alle terme Diocleziane nella linea [vuol dire la meridiana posta per cura del Bianchini nella chiesa di S. Maria degli Angeli] erano collocati fuori del sito ma prossinii a ' cementi della gran fabbrica, che aveva la pianta di sotto le case prossime della sua isola e sotto al pa- lazzo de' sig. Ferrini [e questa casa posta sulFangolo della via in Aquirc, accanto al Teatro Capranica; v. la pianta topografica annessa alla disserta-
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ovest di piazza Colonna non esclude affatto l'esistenza del terapio nel lato medesimo. La casetta del ciistode della colonna centenaria difficilmente poteva star isolata in mezzo di una grande piazza, invece e molto probabile che fosse adossata a qualche altra fab- brica piii cospicua (•).
Piü diflßcile si e il dire, quäle destinazione avesse in quel complesso di edifizi dedicati al ciilto della casa imperiale degli Antonini, il mopiumento dei tre recinti. Merita attenzione la ipo- tesi del Bianchini, che cioe in esso si abbia Tustrioo di quei pria- cipi. Che la cremazione solenne in quell'epoca si eseguisse nel Campo Marzo, e proprio nella siia parte piü larga, viene espres- samente affermato dalle parole di Erodiano (2). Quindi, data l'esi- stenza di un edifizio destinato a tal uopo, non potremo cercarlo ne a nord del Mausoleo di Augusto, perche ivi le elevazioni del ter- reno si avvicinano al fiume, ne al sud di piazza Colonna, essende questa zona occupata da terme ed altri edifizi pubblici. Ne puö es- sere casuale che su quel lato della base della colonna di Pio vicino ai tre recinti fosse effigiata l'apoteosi deU'imperatore e dell'impe-
zione del Fontana, sul Monte Citorio ed. 1694]. Un angolo di questo rivolto verso il Seminario Eomano dovendosi rifondaro per tema di ruina in tempo di Alessandro VII, furono scavati quei due bassi rilievi che stanno ora a mezzo le Scale del palazzo ove abitava il sig. Card. Chigi incontro SS. Apostoli, che rappresentano due provincie, ma per base alle quali furono scavati alcuni si-
mili sotto la chiesa degli Orfanelli in tempo di III come racconta
il Vacca al n. 20. II sig. Avvocato dice che sotto la cappella di piazza di Pietra ove prima fu la chiesa di S. Giuliano in tempo di Alessandro VIT gittata a terra, si scavarono grandissime e bellissime pietre. Dove e ora
S. Ignazio era la chiesa della Nunziatella in un cantina della casa
Quintili verso gli Orfanelli vi h la muraglia maestra della fabbrica che scorre verso gli Orfanelli. Ora la tiene l'orefice ' [il sito della casa Quintili corri- sponde al palazzo Cini, come si puö vedere sullo schizzo sopra p. 52 e sulla suddetta pianta del Fontana].
(1) Questa e pure l'opinione del eh. Richter, il quäle nella sua topo- grafla testö pubblicata, p. 148 dice : (der Tempel) lag unziveifelhaft an der Westseite des Platzes, mit der Front nach der Via Lata zu. Daselbst befand
sich auch ein Häuschen für den procurator columnae centenariae Divi Marci.
(2) IV, 1... xuxeaxsvaatut eV tw nhcrvtätio xov {"AQsog) nediov totjo) rexQÜyiayöv Ti xcd laönXsvQov , üXXrjg ^ey vXtjg oiUhuiug usje/oy , ix ^uöyijg de avjH7i7']Sf(og ^»'Aw»/ fAtyiariüy ig ff//;^« oixr'juurog.
64 ANTICHITA DI MONTE CITORIO
ralrice. rinalmente il rilievo dell'arco chiamato di Portogallo rap^ presentante l'apoteosi di Faiistina, äccresce la probabilitä, che il luogo della consecrazione - se anche non si puö credere strettamente attiguo al lato ovest dell'arco, essendovi il grandiose monumento dell'Ara Pacis - non fosse molto lontano. — Si potrebbe contrap- porre all'opinione del Bianchini, che le parole seguenti di Erodiano ' non vi e altra materia che il legno ' , non si addattano al nostro ediflzio di costruzione solida. Perö, lo storico parla della costru- zione del rogo da- farsi apposta per ogni consecrazione : il luogo stesso delFustrino senza diibbio aveva un recinto monumentale. Giä viene attestato espressamente che l'ustrino di Augusto fosse cinto di un muro di marmo con cancelli di ferro (Strabo 6 , 8, 9 p, 236) : tanto meno puö recare maraviglia che una tale cinta neir epoca degli Antonini assumesse una forma architet- tonica piü suntuosa. E sebbene io non vorrei attribuire troppo peso alla somiglianza fra l'architettura dei recinti coU'ara efiögiata sul rilievo dell'apoteosi di Faustina, non sarebbe giusto il disprez- zare la testimonianza del Bianchini, osservatore esperto e coscien- zioso dell'antica architettura Komana. Sarebbe perö da desiderare che ricerche locali venissero a confermare o a correggere le sue asserzioni, e cosi schiarirci delinitivamente sopra uno dei piü sin- golari monumenti dell'antico Campo Marzo.
Ch. Hülsen.
HERA VON ALKAMENES.
In Overbecks Kunstmythologie III S. 461 n. 5 — 12 sind die in verschiedenen Museen vorhandenen Copien eines hervorra- genden statuarischen Typus zusammengestellt und vergleichend be- sprochen (').
Die Grundzüge dieses T^pus sind die folgenden. Eine Frauen- gestalt steht aufgerichtet, vom r. Bein getragen, während das 1. mit eingebogenem Knie zurücksteht. Die seitlich hoch gehobene Linke denkt man am natürlichsten von einem Scepter gestützt ; die etwas nach vorn gehobene Rechte mochte eine Opferschale halten. Die Kleidung ist ein ärmelloser beiderseits geschlossener Chiton mit Kolpos und Ueberschlag {-), dazu ein .Mäntelchen,
(*) Vgl. daselbst S. 11 T** und S. 428. Gewiss werden sich noch andere Copien finden. Eine wenig sorgfältige ist vielleicht die rechts vom Asklepios vornan in der Villa Borghese (s. ßeschr. Roms III, 3 S. 207) aufgestellte arg geflickte und etwas unnahbare Statue. Näher kommt die-'J/wse' des Louvre (Frochuer iVotice n. 395, Clarac Musee pl. 321, 996. Die 'sacerdotessa' Overb. n. 10 ist kaum noch als zugehörig zu erkennen : die Faltenmassen des Chi- tons um die Beine sind nach hellenistischem Geschmack (s. unten S. 72, A. 2) umgestaltet. Dass das Madrider Exemplar (n. 11) und das der vatikanischen Rotonde (n. 12) enger zusammengehören, lässt die Abbildung jener nicht erkennen. Ueber die letztere s. die folgenden Anmerkungen. Auch ich habe im Text vorzüglich das capitolinische Exemplar berücksichtigt. Die Lands- downesche Tyche (Michaelis Anc. marbles n. 33; Clarac, Musee pl. 454, 839 B ist aus unserem Typus abgeleitet.
(2) Die vaticanische Statue n. 12 hat den Chiton ohne Kolpos und über dem Ueberschlag gegürtet, und zwar ist der Chiton oben nur an ihrer 1. Seite bis dicht unter die Achsel geschlossen, an der rechten dagegen unge- näht und nur durch Vorziehn des den Rücken deckenden Theiles geschlossen. Der starkgekrümmte untere Rand des üeberschlags findet sich so auf Va-
66 HERA VON ALKAMENES
welches, gedoppelt mit einem Zipfel über jede Schulter nach vorn gezogen, hinten die seitlichen wie den unteren Saum doppelt sehen lässt ('). Es ist eine Traclit die wir vom sechsten Jahrhundert neben anderen sich allmählich entwickeln sehen, mit zunehmender Mässigung einzelner anfangs überschwänglicher Theile.
Auf attischen Werken der zweiten Hälfte des fünften Jahr- hunderts, auf den Friesen des Parthenons, des Niketempels und Erechtheions erscheinen göttliche und sterbliche Frauen und Mäd- chen in dieser Tracht mit dem Mäntelchen, häufiger noch ohne dasselbe.
Die Formen des Körpers sind an unserem Statuentypus weder von jungfräulicher Zartheit, noch von mütterlicher Fülle ; der Kopf etwas nach links v. B. geneigt, reif und würdevoll, doch nicht herbe von Bildung und Ausdruck. Der Schädel ist lang und oben flach, gewölbt, das gescheitelte Haar geht anfangs nur ganz wenig, dann breiter auseinander. Ueber den Schläfen zurückgenommen, kräuselt es sich in charakteristisch grossen Wellenlinien, hinten in einen Kekrjphalos gefasst, zu welchem man das nur vorn sichtbar das Haar durchziehende Band in Beziehung setzen muss. Jeden- falls war aber über diesem Bande auch ein Kopfschmuck, Diadem oder Stephane, angebracht. An dem capitolinischen Exemplar (1) nämlich ist auf jenem Bande mitten über der Stirn ein auch in der Abbildung bei Overbeck, Taf. XV, 20 deutlicher als 13, sicht- bares Zapfenloch, dazu zwei kleinere Bohrlöcher da, wo das Band seitlich im Haar verschwindet. Ausserdem ist das Band selbst durch seine Abplattung oben zur Auflagerung eines Gegenstandes hergerichtet. Auch an dem vatikanischen Exemplar (12) sind in
senbildern häufiger als an Statuen, bei denen auch der breite Gürtel nicht üblich ist, vielleicht von der feierlichen Kitharodentracht herstammt. Ist die ganze Haltung strenger, die Fältelung sowohl unter als über dem Gürtel ein- facher, die Haarbehandlung, von der nicht feinen Ausführung abgesehen, Pheidiassischem Stile näherstehend, so wird man dies neben der übrigen Ue- bereinstimmung mit dem besprochenen Typus doch gewiss eher aus einer Umbildung etwa in Augusteischer Zeit erklären, als mit der Annahme, dass hier die treue Nachbildung eines älteren Typus vorliege, aus welchem das jüngere Original der zahlreicheren Copien abgeleitet wäre.
(1) An dem vatikanischen Exemplar läuft, wenn ich recht gesehen, so- gar eine dreifache Kante quer, was ich nicht verstehe.
HERA VON ALKAMENES 67
dem Kopfbaad rechts und links zwei fiusgebrochene Löcher zu bemerken, welche nur gleichem Zwecke gedient haben können.
An dem von Overbeck mit Recht vorangestellten capitolini- schen Exemplar wird der Eindruck des Antlitzes nicht allein durch die ergänzte Nasenspitze, sondern auch die bestossene Oberlippe hereinträchtigt. Allgemein denkt man als das Original ein Werk des fünften Jahrhunderts, genauer der zweiten Hälfte oder gegen das Ende desselben (').
Die verschiedenen Exemplare sind verschieden gedeutet und ergänzt, vorwiegend als Demeter oder Hera. Letztere Benennung glaubt Overbeck a. a. 0. durch den Vergleich mit der Demeter des eleusinischen Reliefs -^ das ist die Figur links — erhärtet zu haben. Aber die Kleidung ist wie bemerkt nicht charakteristisch genug, auch das Scepter natürlich nicht ausschlaggebend für De- meter, zumal dessen Haltung bei der Relieffigur bescheidener ist als bei den Statuen. Die Anordnung des Haares dagegen ist an diesen durchaus verschieden von der Demeter des Reliefs, an wel- cher es weder zurückgestrichen, noch in einen Kekryphalos ge- sammelt, noch mit einer Stirnkroue geschmückt ist. Dass dies alles bei anderen Demeterfiguren nachweisbar ist, kann für den vorlie- genden Typus nichts beweisen — namentlich dann nicht, wenn wir Darstellungen, welche nicht blos den einen oder den anderen Theil der angeführten Züge sondern sie alle zusammen enthalten, nicht Demeter sondern anders zu benennen genöthigt sind.
Eine solche war die schon von Overbeck a. a. 0. S. 428, 1 angeführte Relieffigur, welche, mit Athena durch Handschlag ver- bunden, über einer Urkunde der rafiiai r. L XQ- ^V^ 'AO^rivaiag
(1) Die von befreundeter Seite mir geäusserte Meinung, dass ein schöner Kopf des unteren Belvedere in Wien, Sacken und Kenner n.40 (cf. v. Sacken, die antiken Sculpturen u. s. w. T. XII, 3 als Hygieia bezeichnet, welcher als 'wohl identisch mit dem Berliner Kopf (Katalog n. 608, L. Mitchell history of ancient sculpt. zu S. 320) erklärt wird, dass dieser Kopf mit denen des fraglichen Typus zusammenstimme, scheint mir nicht richtig. Ich finde den Schädel, welcher allerdings fast gleiche Länge mit demjenigen der capitoli- nischen Statue hat (jener 0.29, dieser 0.30) in der Vorderansicht minder breit, das Gesichtsoval länglicher, die Umrahmung der Stirn wie auch die von ihr abgehenden Haarmassen anders gezeichnet, die Lippen, ebenso die Wangen gerundeter.
68
HERA VON ALKAMENES
xal io)v aXXon' d^ewv aus Olympiade 95, 1 steht ('), beistehend nach Photographie gezeichnet und zineographiert. Hatten andere diese Figur als Darstellung dei- Polis oder des CoUegiums der Schatzmeister, oder des Rathes oder sonstwie verstanden, so dachte Schoene a. a. 0. S. 30 richtig an eine Vertreterin der anderen Götter und zwar zunächst an Hera, zog aber dann wegen der Ue- bereinstimmung mit der Figur des eleusinischen Keliefs Demeter
vor. Jetzt ist es leicht einzusehen, dass die Statuen und das Relief nicht mit der eleusinischen Figur, von Avelcher sie beide in densel- ben Punkten abweichen, sondern miteinander Gemeinschaft haben, und dass Schoenes erste Ansicht richtig war, beweist das Relief einer zweiten fünf Jahre früher, Ol. 95, 1, abgefassten Urkunde, wel- ches im Deltion 1888 S. 124 abge- bildet ist und hier nach Photogra- phie gezeichnet jenem gegenüber- steht. Offenbar von demselben Steinmetzen sind hier, Zug für Zug übereinstimmend , dieselben zwei Gestalten der Athena und einer anderen Göttin in gleicher Weise verbunden dargestellt. Hier nun ist durch den Inhalt der Urkunde — es ist ein Beschluss der athenischen Gemeinde zu Ehren derjenigen Samier oaoi [ificc tov StjjLiov TOV 'Ai^rivaiwr fykvovxo — Hera als Vertreterin von Samos gesichert. Man wird sich nicht verwundern, dass der athenische Steinmetz der Hera nicht die dem Archäologen aus samischen Münzbildern (s. Overbeck K. M. III, Münztafel I) wohlbekannte Form des altheiligen und stets in Ehren gebliebenen Bjildes von Smilis gegeben hat, sondern sie in einem, wie die erste Urkunde beweist, ihm geläufigen attischen Typus des hohen Stils dargestellt hat. Sieht man schon den Reliefs an, dass es ein Cultbild sein muss, so wird das durch die Statuen bestätigt.
(1) Vgl. Scboeae Griech. Rcliefa T. X, 54. Corp. inscr. att. II, 2, n. 643.
HERA VON ALKAMENES 69
Eine athenische Statue der Hera aus der zweiten Hälfte des fünften Jahrhunderts : wer dächte da nicht an Pheidias und seine Schule, und wer fühlte sich nicht versucht zu fragen, was mr von
KH*!50^ANPA1AHIEY
Herabildern jener Zeit in Athen wissen. In der That ist kaum mehr als eines sicher bezeugt, und dass dies kein Zufall ist, be- weist der 'gänzliche Mangel von inschriftlichen Weihungen au Hera. Natürlich haben die Athener unter den Zwölf Göttern Hera ein- begriffen, haben zu ihr gebetet (Aristoph. Thesmoph. 973 mit Schol.), und bei ihr geschworen, und hat in den Göttervereinen des Pheidias und seiner Schule wie in denen der Vasenmalerei Hera ihren Platz, aber dies alles lässt sich auf Homer und die nationale Mythologie zurückführen. Cultstätten dagegen sind für Hera in Attika sicher bezeugt nur eine aedes in Eleusis unge-
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wissen Alters bei Servius zu Vergils Aeneis 4, 58 und ein Tempel an der Strasse von Phaleron nach Athen, mit welchem die "Hga *Vx- {Corp. inscr. att. I, 194) füglich identisch sein kann.
Von dem Tempel an der phalerischen Strasse sagt Pausa- nias I, 1 folgendes : tßn dt xard rrjv oSov rijv eg 'A^rjvag ix OaXrjQov vaoq "Hgag ovts -O-vgag s'xmv ovts OQO(fov. Maqööviöv (facTiv athov ei.inqrj(Sai xbv FcoßQVov, to 6i ayaXiia ro vvv 6ri xaO^a XiyovGiv "Akxaf.u'vovg sütIv eqyov ovx av rovid ys 6 MrjSog tl'r] XeXwßrji^uvog. Pausanias also oder sein Gewährsmann — er beruft sich ja auf andere — fand einen Widerspruch zwischen der Ueberlieferung vom Urheber des Brandes und derjenigen vom Ur- heber des Bildes, einen Widerspruch, der nicht vorhanden gewesen wäre, wenn es einen älteren, einen so alten Alkamenes gegeben hätte, dass er vor 480, wahrscheinlicher vor 490 oder kaum nach 500 hätte eine Statue der Hera arbeiten können. Die schon wie- derholt (1) aus anderen Gründen angenommene Scheidung eines älte- ren und eines jüngeren Alkamenes kann meines Erachtens an die?er Stelle des Pausanias keine Stütze finden, weil der zeitliche Abstand einer vorpersischen Hera von dem Westgiebel in Olympia kaum minder gross wäre als derjenige des jüngsten dem Alkamenes zu- geschriebenen Werkes von dem Werke in Olympia, so dass man zu dem zweiten wohl auch einen dritten Alkamenes anzunehmen sich entschliessen müsste. Weit gerathener scheint es mir, den Widerspruch mit Pausanias und wahrscheinlich seiner Quelle an- zuerkennen und eine der beinen unvereinbaren Ueberlieferungen zu verwerfen, entweder den Mardonios oder den Alkamenes fallen zu lassen. Pausanias freilich — dies dürfen wir nur ihm zuschreiben — hat das Unvereinbare zu vereinen verstanden : er verwirft weder die Verwüstung durch Mardonios, denn auch X, 35, 2 zählt er den Tempel an der phalerischen Strasse zu den von den Persern verbrannten Heiligthümern, noch äussert er einen Zweifel an Al- kamenes' Urheberschaft, das zeigt ro vvv 6ij. Er nimmt vielmehr
(1) Zuletzt Loeschcke, Die westliche Giebelgruppe des Zeustempels in Olympia S. 7. Ist aber schon Eoberts (Archäol. Märchen S. 43) Scheidung einer doppelten Ueberlieferung von Alkamenes wohl zu scharf, so ist die darauf gegründete Scheidung zweier Personen noch gewagter, von Robert auch keineswegs angenommen (Deutsch. Litt. Zeitung 1888 S. 603).
HERA VON ALKAMENES 71
an dass das vorhandene Bild später aufgestellt und bei andi-er Ge- legenheit beschädigt worden sei. Für uns ist dieses unannehmbar, da die Athener natürlich in ein zerstörtes und absichtlich nicht wieder hergestelltes Heiligthum nicht ein neues Bild von einem der ersten Meister stellten. Ich irre mich nun vielleicht, wenn ich aus den Worten des Pausanias, namentlich jenen ovx av tovtö ys «so hat dies wenigstens nicht der Meder beschädigt", (i) her- aushöre, dass der Gewährsmann des Pausanias eher den Mardonios preiszugeben geneigt war. Jedenfalls kann man einen Zweifel an der Arbeit des Alkamenes darin nicht finden. Ist aber die Wahl uns selbst überlassen, so kann es schwerlich zweifelhaft sein, dass wir eher den Perserbrand als die Thätigkeit des Alkamenes der Legendenbildung zuzuschreiben haben.
Die Seltenheit von Herabildern in Attika legt es nun aber nahe, die in einer Urkunde der raf^uai tmv äXXan' ^eöiv C. I. A. I, 194, 11 genannte "H^a syx— mit jener von der phalerischen Strasse zu identificiren. Müsste man in der Lücke den Namen eines der beiden mit X begennenden Demen : Cholargos oder Cholleidai ergänzen, so wäre die Identificierung allerdings misslich, da nach freundlicher Mittheilung Milchhöfers keiner der beiden zwischen Phaleron und der Stadt gelegen zu haben scheint. Die Buchstaben £yx lassen ja aber auch mehr als eine Ergänzung, sei es eines Beinamens der Göttin, sei es einer Oertlichkeit zu.
Ist es nun gewagt dieses einzige in oder bei Athen nach- weisbare Cultbild der Hera aus der Schule des Pheidias für das- jenige zu halten, welches ein Steinmetz, der nach den Zeitverhält- nissen gar wohl in der Werkstatt des Alkamenes gearbeitet haben könnte, zweimal nachgebildet hat ? Dass der von ihm wiedergege- bene Typus durchaus das Gepräge Pheidiassischer Schule hat, braucht nicht weiter nachgewiesen zu werden. Sehen wir uns jedoch nach dem um was von vorhandenen Werken mit dem Namen des Al- kamenes in Verbindung gebracht werden kann. Trotz aller Ein- wendungen wird dazu immer auch noch der Westgiebel von Olym-
(1) Overbeck Kunstmythologie III S. 192, 31, welcher vielmehr die Tra- dition des Alkamenes verwirft, billigt die Erklärung Brunns G. Gr. K. I S. 235, welche dem ys nicht gerecht wird. Uebrigens verwarf Brunn vielmehr die andere Tradition.
72 HERA YON ALKAMENES
pia gehören. Eine Figur, vielleicht die älteste, welche die an unserem Heratypus wahrgenommene Tracht hat, die Hippodaraeia oder nach Studniczka besser Sterope, stand allerdings nicht im Westgiebel des Alkamenes sondern im Ostgiebel des Paionios ('). In gleichem oder noch etwas grösserem Abstände sodann, wie vom Ostgiebel die Nike des Paionios, steht vom Westgiebel der von Furtwängler (Roschers Lexicon S. 412 für Alkamenes' Aphro- dite er xrjrroig in Anspruch genommene schöne in zahlreichen Wiederholungen erhaltene Typus (^). Derselbe hat nicht nur einer- seits mit der Nike von Olympia in der Behandlung und Darstel- lung der weiblichen Köpferformen, in der Entblössung der einen Brust, in der Bewegung der Arme, in der Zeichnung und Falten- gebung des anliegenden Gewandes ausgesprochene Verwandtschaft, sondern kommt andrerseits auch unserem Heratj^pus nahe durch die Neigung des Kopfes, auch die, freilich wieder anders motivierte Bewegung der Arme, die Anordnung des Haares, sowohl mit der anfangs nur wenig über der Stirn sich öffnenden Scheitelung als
(1) Boehlaus (Quaestiones de re vestiaria Graecorum S. 61) Scheidung zwischen dieser Trachtgestaltung und der attischen vermag ich nicht anzu- erkennen. Unter den Herkulanerinnen scheinen mir z.B. diejenigen welche bei Comparetti und De Petra, La Villa Ercolanense Taf. XIV, 3 und 6 ab- gebildet sind die Verbindung beider Gruppen herzustellen.
(2) Vgl. Bernouilli, Aphrodite S. 92. Dass diesen Typus auf die Venus genetrix des Arkesilaos zurückzuführen kein Grund vorliegt, scheint mir VQu Wissowa, de Veneris simulacris romanis S. 23 ff. nach ReiflFerscheids Vor- gang dargethan zu sein. Waldsteins {J^he American Journal of archaeology III PI. I S. 1 ff.) Zusammenstellung des besten Exemplars mit der 'Elektra' der Neapler Gruppe lässt Aehnlichkeiten sehen. Aber diese Aehnlichkeiten erklären sich daraus, dass der stilmischende Urheber der Gruppe von jenem Statuentypus Einiges entlehnt hat. Ist er dabei in manchem, wie der Bildung des Xopfes, der mageren Schulter, den schmalen Hüften auf noch älteren Formenbrauch zurückgegangen, so hat er, von dem Hüftengürtel abgesehen, in der Nabelsenkung, in den in hellenistischer Zeit beliebten drei Falten- gruppen neben und zwischen den Beinen — und die letztere wie gewöhnlich einheitlich, nicht zweigetheilt wie an dem Aphroditetypus — spätere Dinge beigemischt. Von solcher Miscl^img ist die Aphrodite rein. Die dem Körper anliegenden Gewandmassen, zu denen die Aphrodite im Ostgiebel des Parthe- non, die Nike des Paionios und manche Gestalten der Nikebalustrade zeit- nahe Beispiele liefern, sind in ihrer kunstgeschichtlichen Bedeutung von Bjundorf erfasst (Archaeolog. Untersuchungen auf Samothrake II S. 71 ff.).
HERA VON ALKAMENES 73
auch mit Haarband und Keki^phalos oder Netz, endlich auch der Tracht, deren wesentliche Abweichungen : der fehlende Gürtel, die eine entblösste Brust, das zierliche Anfassen des Mäntelchens über der r. Schulter, alle der Charakteristik Aphrodites dienen (*).
Q) Für diejenigen welche in der Lage sind einen echten und guten Kopf dieser Aphrodite zu vergleichen gehe ich ein par Masse der capitolini- schen Hera in Millimetern:
Scheitel bis Kinn 286
Stirn bis ob. Augenhöhlenrand 67
Von da bis unt. Nasenende 80
Untergesicht 80
Inn. Augenwinkel bis unt. Nasenflügelrand . 59
Mundbreite 54
Ohrlänge (oben bedeckt) c. 59
Innere Augenweite 35
Aeussere » (incl. Lider) 121
Augenlänge 40
Augenhöhe 16
Unteres Lid bis Braue 30
74 HERA VON ALKAMENES
Endlich die Hekate. Es giebt bekanntlich zahlreiche kleine Bilder der Trimorphos, vorzüglich athenischen Fundorts, welche die aus der Epipyrgidia des Alkamenes abgeleiteten Grundzüge mit einer mehr oder weniger starken archaistischen Färbung wieder- geben. Dass diese Archaistik nicht, wie man gemeint hatte, dem Alkamenes selbst zuzuschreiben ist, glaube ich in meiner Arbeit über die dreigestaltige Hekate bewiesen zu haben ('). Ich kann jetzt ein Hekataion, welches, im Bereiche der Sallustischen Gärten ge- funden ist, und welches Herr Spithöver mir zu schenken die Güte hatte, bekannt machen in vorstehender Ansicht. Vollständig einst etwa 0.35 hoch, misst es jetzt nur noch 0.22 und trug den Kopf wohl nicht durch ursprüngliche Stückung sondern durch nachträg- liche Ergänzung mit einem Nagel angeheftet. Schulterlocken in der archaischen Weise waren nicht vorhanden. Stand und Tracht sind frei und dem besprocheneu Heratypus völlig entsprechend. Denn dass vom Ueberschlag ein Kolpos nicht gesondert ist, kann bei der Kleinheit des Bildes und der ünfeinheit der Arbeit un- möglich ins Gewicht fallen. Trotz dieser stilistischen Abweichung kann nicht im mindesten zweifelhaft sein, dass diese Nachbildung in die von mir aufgestellte erste Klasse gehört, und dass wir die fehlenden Attribute nach dieser zu ergänzen haben. Die Ober- arme heben sich etwa wie beim Metternichschen Hekataion (a.a.O. Taf. III), doch lässt sich die immerhin nothwendige Scheidung der je zwei aneinanderliegenden Arme nicht mehr erkennen. Da keine Spur eines Ansatzes unterwärts sichtbar ist, scheinen mir nur Fackel und Schale, weniger die Kanne möglich, also etwa der a. a. 0. S. 150 C bezeichnete Typus, oder in jeder Hand die Fackel. Wie zu diesem Hekataion die grosse Masse der übrigen der ersten Classe, so stellt sich in mancher Beziehung zu der dem Alkamenes zugeschriebenen Hera derjenige Statuentypus, welchen Overbeck K. M. III S. 119 unter denen mit Schleier vorangestellt hat.
Petersen.
(1) Archaeol.-epigraph. Mittheill. aus Oesterr. IV S. 140 und V S. 1.
SITZUNGSPROTOCOLLE
4. Januar : Ficker setzt seinen Bericht über die Zeichnungen des cod. Escor ialeiisis fort. — Petersen über einen statuarischen Typus der Hera (s. S. 65). — Hülsen : das m. a. Lowenbild im Senatorenpalast.
Ficker r Di sarcofaghi antichi oltre quello giä riprodotto in fotografia col giudizio di Paride (f. VIII v°, segnato ' A sancta maria a monterene in roma') e an altro f. 27 ' nella turpea' con Eroti e la testa della Medusa nel mezzo : TAnonimo Escorialense ha disegnato i seguenti :
1. f. V V.: Nereidi sedute sopra Tritoni, Amoretti con delfini (Clarac (11) pl. 206 n. 192) nel Museo del Louvre; il disegno sta segnato 'in san fran- cescho in testeverj '.
2. f. 28 V. Trionfo indico di Bacco, ora nella villa Medici (Matz-Duhn (II) n. 2272), con la nota topografica non abbastanza chiara ' in chasa el can- polino '.
3. Altrettanto e nuova Tindieazione della provenienza per la rappresen- tanza della caduta di Faetonte nella Galleria degli UfiSzj a Firenze (Gori III, XXXVII; Dütschke n. 145): ara ceU (f. 29).
4. f. 32 A. Ratto di Proserpina, a Londra, Soane Museum (Overbeck, Kunstmyth. Atlas XVII, 33; Michaelis, Ancient Marlies p. 477 n. 26).
5. Anche per il sarcofago del Museo Kircheriaoo conla fucina di Eruti, f. 33 V. (Heydemann, Berichte der Sachs. Ges. d. W. 1878 S. 133) e nuova rindicazione ' santa cicilia '.
6. II codice (f. 33 v.) esibisce la sola meta sinistra della parte anteriore del sarcofago di Filottet«, oggi a Firenze in uno stato di assoluta distruzione (Dütschke n. 405). E indicato * in santa maria in tristeveri '.
7. Sarcofago con combattimento di Amazzoni, della cui parte anteriore un frammento si conserva nel palazzo Salviati (Matz-Duhn (II) n. 2221); le parti laterali nel Museo Chiaramonti : disegno a f. 44 A. ' san chosimo e damjano '.
8. f. 25. Coperchio di sarcofago : quattro Amazzoni sedenti, che con una mano s'appoggiano suUa ten-a, coIFaltra tengono la pelta. La mano seconda
76 SITZUNGSPROTOCOLLE
del manoscritto aggiunge : ' fregio del choperchio delamazone ' e sotto il di- segno ' freso optimus adüte '.
Per Tarcheologia cristiana sono di graiide importanza i disegni f. IV r. e v., spettanti aH'arte musiva. Nel primo (dichiarato * musaicho ') si vede un pastore in clamide e penula appoggiato sul pedo con le gambe crociate, tra buoi; nella seconda zona un aviarium o oQyi&oxQocpelov, al fine un pastore che acca- rezza due pecore : sono questi i motivi principali della decorazione noll'abside sinistra in SS. Euflna e Seconda, ripetuti nel musaico di S. demente (De Rossi, Musaici crist. V-VI f. 1-2). II disegno conferma la congettura del De Eossi intorno ai disegni del Cod. Vat, 5407, e, d'accordo con le notizie di Panvinio {De jpraecipuis basilicis Urbis p. 158), fornisce il materiale per la restituzione del musaico, dimostrando che i pastori si vedevano nella zona principale.
L'altro, segnato ' tutto musaicho in santa ghostan9a ', da piena luce sul celebre ciclo di musaici di S. Costanza: vi erano tre zone fra cui due con scene storiche, le inferiori del vecchio, le superiori del nuovo testamento. Qui pure, confrontando i disegni di Francesco d'Olanda, di Sangallo e altri, si possono restituire quasi interamente la decorazione e le singole scene. (De Rossi, Mu- saici crist. XVII-XVIII f. 5 segg.).
Fra gli altri disegni due rappresentano oggetti che ebbero qualche In- fluenza sugli artisti del rinascimento :
f. 17 : frammento del sarcofago Bartoli, Admiranda 82, ora a Firenze negli Uffizj (Dütschke n. 6 contro Crowe e Cavalcaselle, Raffael II, p. 244), che fu il modello per il sagriflzio di Listra.
f. IX V. : composizione somigliante alle Nozze Aldobrandine ed alle pit- ture del Sodoma e di Raffaello rappresentanti le nozze di Alessandro con Roxane, copia probabilmente d'una pittura antica, rappresentante forse Marte e Venere sorpresi dal Sole.
Hülsen: La silloge epigrafica di Nicola Signorili, compilata sotto gli auspizi del tribuno Cola di Rienzi, fra le antiche iscrizioni del Carapido- glio e del Tabulario, riferiscc la seguente del medio evo
IRATVS RECOLE QVOD NOBILIS IRA LEONIS IN SIBI PROSTRATOS SE NEGAT ESSE FERAM
aggiungendo la postilla : ' in ingressu secundae portae Capitolii et in limite scriptum, et fertur de more ostendi cuilibet senatori cum ofjßcium intrabat: et erat leo depictus feroci aspectu ex alto catulum inspicicns humiliter ante eum iacentem \ Di questa singulare pittura, memorabile anche perchö entra nella storia delle ultime vicende tragiche del tribuno (Gregorovius Gesch. der Stadt Rom 6, p. 356 : Camillo Re, Bull, comun. 1882 p. 105) finora non si avevano notizie piü esatte, se non che il Comm. de Rossi ha dimostrato (gli Studi in Italia IV, 2, 1881 p. 231) esser stata quest'imagine una imitazione di un'altra piü antica esistente presso il Laterano giä dall'epoca di Urbano II (1088-1099). Merita dunque attenzione un disegno conservato nella raccolta degli Uffizi di
SITZÜNGSPROTOCOLLE 77
Firenze, appartenente al libro (sched. 3275-3381) di Pier Giacomo Catani Sa- nfise. L'autore ad uno dei fogli ascrive la data del 1533: ma probabilmente egli copiö molti disegni piü antichi, in parte forse del suo compatriota Fran- cesco di Giorgio Martini. La maggior parte dei disegni sono di ornamenti e di fortificazioni : non mancano pero allri che si riferiscono aH'antichitä. Sul foglio 3280 vi f^ un disegno della basc della colonna Traiana e due fogli dopo il disegno di un lione , guardante un cagnolino che gli sta appiedi: rappre- seotanza affatto identica con la descrizione del Signorili, di modo che, sebbene non vi sia indicazione di luogo, non esiterei di riconoscervi un ricordo della curiosa pittura del Campidoglio, perita probabilmente nei restauri del Cin- quecento.
11. Januar: Mau über antike Mühlen von Pompeji (s. Mit- theill. später). — Petersen über eine Gruppe des Neuen Capitc- linischen Museums, zwei Satyrn im Kampfe mit einem Giganten darstellend (s. Bullett. della commiss. archeol. comun. 1889 Tav. I-II und S. 17).
18. Januar: Mau über antike Handmühleu (s. Mitth. später) — Ficker: die christlichen Sarkophage Spaniens.
FiCKER : I scguenti rilievi dei primi secoli cristiani sono sconosciuti fuori di Spagna; ne furono riprodotti alcuni in modo insufficiente, gli altri sono affatto ignoti.
1. Sarcofago, trovato nel 1846 nelle rovinc di Empotion, oggi Ampurias, ora nel Museo provinciale di Gerona: Eroti che simboleggiano le stagioni, tra loro il Pastore Buono, imberbe ; sul coperchio vendemmia e raccolta delle olive, fabbricazione dell'olio e del vino. Cfr. Noticia historica y arqueojögica de la antigua ciudad de Emporion por D. Foaquin Botes y Gisö, Madrid 1879 p. 118 sg. Nell'istessa opera p. 122 e menzionato, come proveniente dalle stesse rovine,
2. un frammento di sarcofago strigillato con il monogramnia tra « e to, circondato da una Corona. Si conserva presso il luogo del ritrovamento.
3. Tra la coUezione nella chiesa di S. Feiice a Gerona: un sarcofago strigillato con la donna orante in piccole proporzioni in mezzo; agli angoli un Pastor Buono imberbe; quasi identico con un rilievo che il Garrucci at- tribuisce a Pisa (375, 2).
4. Sopra la porta destra della cattedrale di Tarragona sta niurata la parte anteriore di un sarcofago, replica di un prototipo piü volte ripetuto (Le Blant, Sarcoph. de la Gaule p. 63); la buona conservazione permette di correggere i ristauri dell'esemplare Lateranense (Garr. 314,5) e stabilire che a sinistra dell'entrata a Gerusalemme vi fu la vocazione di Zaccheo.
5. Non abbastanza certa e l'origine cristiana di un sarcofago di lavoro grossolano nel Museo provinciale di Tarragona, con strigille ritte, pilastri agli angoli, nel mezzo uno scudo, ai lati del quäle vedonsi due delfini rivolti uno
78 SITZÜNGSPROTOCOLLE
verso l'altro. L'iscrizione, pubblicata insufficieuteraente da manoscritti nel CLL. II n. 4518, dice:
D M
CL SATVRNI
NO CL FELI
CISSIMVS AFR
S / /AXO FAB
M B • M F
G. Anche le due figure nella Puerta del Sol a Toledo, emgma per i cro- nisti, non sono che un gruppo preso da un sarcofago: Gesü Cristo annun- ziando la negazione a Pietro.
7. I nn. 1-6 appartengono a Hispania Tarraconensis. Uno solo viene dalla Lusitania. E un sarcofago, trovato sul terreno dell'antica Ilurbida, presso Ta- lavera la Reina, oggi nel Museo arquoologico nacional a Madrid: Gesü Cristo seduto fra i dodici apostoli indicati con i loro nomi, in parte ancora esistenti. (Cfr. Guerra y Orbe nel Museo espanol de antif/g. T. VI p. 591 e 599. Fidel Fita, Bolettn de la R. Acad. de la ff ist. T. IL Cuad. IV, 1883 p. 287 sg.).
8. Nell'anno 1886 si trovo a Ecija in Andalusia un sepolcro cristiano, contenente un sarcofago con bassirilievi del VII. secolo : il Pastore Buono, sa- crifizio d'Isaacco, Daniele tra i leoni ; a tutte e tre le scene sono apposte in- dicazioni greche : ABPAA eiCAK nvMH n AANmA{Fits,,Bolet{n de la R.Acad. de la Eist. T. X, 1887 p. 267 sg.).
9. Trovato presso Jaen nella Baetica, ora nel Museo arq. nac. a Madrid di Stile affine al n. 8 : La risurrezione di Lazaro, il Pastore difendendo le pe- core, la presa del nostro Signore con l'episodio di Pietro che taglia rorecchio a Marco. E evidente la somiglianza con gli aflfreschi della Reichenau e altre opere dell'epoca carolingo-ottonica, e cosi anche questi monumenti fanno testi- monianza di uno sviluppo storico e artistico non interrotto dai primi secoli cristiani fino al medio evo.
25. Januar: Hülsen über die Titusthermen und die Por- ticus Liviae.
Hülsen : Intomo l'architettura delle terme di Tito avevamo finora due documenti d'importanza speciale, la pianta rilevata da Andrea Palladio, ed il frammento 109 della Forma Urbis Romae. Peru il primo non e esente di ristauri arbitrarj, ed il eecondo non abbraccia che una parte del recinto esteriore Nord, con una piccola porzione deH'ediflzio centrale. Vengono a compiere questa la- cuna due plante inedite, della raccolta Destailleur, ora del Museo di Berlino : esse rilevate da un architetto esperto e corredate di misure esattissime danno correzioni ed aggiunte preziose non soltanto per la ricostruzione dell'edifizio principale ma specialmente per la parte centrale del recinto nord. Quest'ultima, quasi completamente distrutta al tempo del Palladio, fu veduta dall'anonimo in uno stato di conservazione abbastanza buono, e si riconosce come ingresso
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monumentale alle Terme. I frammenti dalla Forma Urbis 11 e 109 sagacemente ricongiunti dal eh. Lanciani (Bull, comun. 1886 p. 272) ci fanno vedere che que- sto ingresso si apriva sopra una plazzetta triangolare confinante verso Nord col portico di Livia. Intorno alla situazione di questo portico il eh. Gatti (1. c. p. 274) non ha espresso un'opinione positiva, limitandosi a dire che doveva estendersi sull'altopiano compreso fra il lato nord-est delle Terme di Tito, e la chiesa di S. Lucia in Selci : vale a dire proprio in quel luogo, ove il Pailadio ha rilevato la pianta di un complesso di rovine, chiamate da lui « Terme di Vespasiano Imperatoren; i moderni cambiando soltanto il nome di Vespasiano in quello di Traiano non hanno dubitato che si trattasse di una Terme, mentre in veritä l'icnografia si mostra poco adatta a tale scopo. Un confronto fra l'icnografia Se- veriana e la pianta del Pailadio mostra somiglianze cosi caratteristiche, che non esiterei di attribuire al complesso di rovine, finora credute le tenne di Traiano il nome del Portico di Livia (i). Stabilito questo, siamo pure in grado di risol- vere il problema agitatissimo dell'orientazione della Forma Urbis: i frammenti ricongiunti 11 -h 109 ci danno per la prima volta: 1) un edifizio di sito cono- sciuto; 2) una iscrizione; 3) una commettitura anticadi laslre. Quest'ultimo par- ticolare non si scorge nella pubblicazione dello Jordan, ma invece in quella nei raonumenti dell'Inst. VIII tav. XLVIII A. come nella fotografia Parkeriana Archeology of Rome 11= Forum Romanum tav. XLIV. Ne risulta che l'icno- grafia Severiana aveva in alto il SOvest, di modo che la via Appia ed il Circo Massimo stavano in direzione perpendicolare. Quest'argomento, come la ricom- posizione della Forma Urbis, spero di poterlo svolgere ampiamente in altra occasione.
1. Februar: G. B. De Kossi: Die Mosaiken von S. Costanza. — Petersen: Antike Yorkehrungen zum Schutze, von Tempeln und Bildwerken gegen Vögel (s. Athen. Mittheill. 1889).
De EiOSSI esibisce un disegno fatto sotto la sua direzione per rico- struire secondo la forma primitiva tutta la decorazione interna a musaico ed a lavoro di tarsia marmorea {opus sectile marmoreum) del mausoleo costan- tiniano della via Nomentana, appellato di S. Costanza. Gli elementi della restituzione sono stati presi da disegni varii e schizzi editi ed inediti degli architetti del secolo XV e del XVI ; specialmente da quelli di un codice del- l'Escuriale della fine del secolo XV fotografati nel passato anno 1888 dal sig. dott. Ficker.
8. Februar: Winnefeld: die Alterthümer von Alatri (s. Mitth. später), — Petersen über einen Typus des Herakles, der bisher für Ares gehalten ist (s. Mitth. später).
(1) Dalla pianta aggiunta alla Topographie von Rom del eh. 0. Richter, (Noerdlingen 1889) giuntami dopo che questo discorso era compiuto, rilevo, che il mio dotto amico abbia approvata questa congettura, comunicatagli fin dall'anno passato.
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15. Februar : Keisch legt zwei Oesterreichische Publicationen vor, den IL Band der Reisen im SW. Kleinasien und den ersten Theil der im Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des Al- lerhöchsten Kaiserhauses von Benndorf herausgegebenen Reliefs von Gjölbaschi. — Lignana: eine oskische Inschrift.
LiGNANA : A Capua vetere nel foiido Patturelli, onde giä sono venuti fuori negli anni precedenti monumenti insigni di epigrafla Osca, furono rinve- nute nelle scorse settimane altre iscrizioni Osclie. II sen. Fiorelli, direttore generale degli scavi e musei nel regno, ha voluto con singulare cortesia comu- nicarmene i calchi, e ai 19 del corrente luese di febbraiu per corrispondere il meglio che per nie si putesse alla cortesia usatanii ho coniunicato al sen. Fio- relli le niie osservazioni. Ora, se i colleghi dellTstituto me lo perniettono, coniunichero luro le iscrizioni come le ho leite, sogginngendo brevi osservazioni.
La prima iscrizione che mi fu comunicata e la segtiente :
W VI t M 3I> IT • M1N>IMVI< mN>IIMIVWI4iV>l>,/r'l^Vll>N>l
T^^t^^ji • >i vii'r^i:i>
Mettendo adunque assieuie i segni che sono ancora manifesti ed evidenti
si legge facilmente : diuvilam . tirentium . ...lagiium lum . muinikam
siais . eiduis . luisarifs rvist . iiuk . destrst.
L'alfabeto di questa iscrizione non distingue ancora I, V da h, V.
Diuvilam e acc. sing. La parola occorre spesso nella epigrafia Osca, p. e. ek{o) diuvil{o) al nora. sing, nella iscrizione pubblicata dal Büchelcr (nel museo Renano XXXIX p. 316), e al nom. plur. nella iscrizione pubblicata la prima volta dal Minervini ekas iuvilas luvet Flagiui. Con questa parola dev'essere indicata qualche cosa o qualche dono che spetta a Giove, e rimane quindi esclusa la spiegazione che ne da il Corssen, e quella pure del Minervini che vorrebbe vedervi una cosa preziosa, cioe un gioiello.
Seguono tre genitivi plurali, che quando siano di nomi proprii, non pos- sono appunto per la forma plurale essere nomi individuali ma collettivi. Ec- cettuato il primo tirentium gli altri due sono guasti nelle lettere onde inco- minciano. Prolungando il primo segno che rimane del secondo nome cio6 v in m risulterebbe magiium, ma quando si consideri che il g intervocale nel- rOsco diventa h, oppure scompare, il risultato difficilmente poträ persuadere, quando non si voglia ammettere como ancora non esistente l'accennata trasfor- mazione fonetica deirOsco II terzo nome presenta ancora maggiori difficoltä. L'ultima sillaba lum, e se non erriamo, Klum suggerisce subito la combina- zione Paklum, raa la linea piegata della prima lettera piuttosto che p fa supporre s.
Si potrebbe supporre che non si tratti di nomi individuali e leggere
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quindi siklum — seculorum, oppure saklum-sacellorum, oppure supporre nomi di tre popoli, tirentium, tlatiium, siklum, cio^ Tarentini, Latini e Siculi. In qaesto caso nel secondo nome il segno che ci h parso g sarebbe invece t.
Muinikam acc. singolare che si accorda con diuvilam occorre spesso e non ha bisogno di spiegazione.
Supplisco siais della terza linea coii fasiuis — fastis potrebbe anche essere fesiais e allora sarebbe il latino feriis, o con altro sufiRsso fes-tis.
Eiduis — idibus.
Luisarifs. Una prima supposizione sarebbe che fosse un abl. plur. cor- rispondente al latino ludificis. La iscrizione di Luceria ha loucarid invece di loucod. Allo stesso modo invece di ludus, lusus potremmo avere lus col suf- fisso ari, quindi l'Osco luisari ; fs sarebbe per f{iki)s, e cadute le vocali f{k)s. Siccome poi nella lingua Osca il gruppo ks diventa spesso s p. e. meddis per mediks c'osi luisarifs per luisarifks sarebbe spiegato. Ma contro questa spie- gazione prima di tutto e da osservare che la lingua Osca non ama le compo- sizioni e il solo esempio che occorre nella iscrizione di Pietrabbondante üvfri- künüss e si supplisce con lüvfrfkunüss e si Iraduce liberigenos non va apcora esente d'ogni difßcoltä. Inoltre la vocale i non manca mai nei dativi ed abla- tivi plurali deU'Osco.
Proporrei quindi di vedere in luisarifs una formaverbale. Se nella nostra iscrizione non mancasse il soggetto o per meglio dire i soggeiti, onde dipende il verbo, la cosa sarebbe stata certa a prima vista. Ma alle altre si aggiunge pure questa diflBcoltä.
Nelle iscrizioni latine di Capua occorre spesso la ' formola loidos fece- runt. Sono i raembri del collegio cioe i magistri per lo piu in numero di do- dici, i quali nell'entrare in ufißcio celebrano i giuochi. II nostro luisarifs che nel senso corrisponde certamente al loidos fecerunt dev'essere spiegato come una forma verbale perifrastica ? Luisarifs sarä per luisarif\eken)s ? Quando si ricorda il proffs della iscrizione pubblicata dal Minervini e dal Bücheier, che sta per prof(at)t{en)s — probaverunt la cosa diventa verosimile. Ma nell'Osco la reduplicazione, che qui sarebbe caduta, si mantiene. Sarebbe quindi meglio spiegare luisarifs come derivato da un verbo denominativo p. e. lusaria-re e allora avremmo un perfetto indicativo luisarif(en)s o un perfetto congiun- tivo luisarif{in)s — luserunt oppure luserint.
rvist della quarta linea dev' essere supplito sakruvist: v h inorganico, ciofe si sviluppa neH'Osco fra due vocali, quindi sakruvist — sacra est. E tale a mio avviso dev'essere la forma della iscrizione pubblicata dal Minervini e dal Bücheier. Sakruvit non h come vorrebbe il Bücheier, una forma come plovit, staluit, ma semplicemente sakruvist — ist gev:eiht, tralasciata la sibi- lante. Da approvarsi e la congettura del Bücheier che nella prt'detta iscrizione al postrei soggiunge iuklei.
iiuk — ea nom. sing. fem.
destrst — dextera est, il che equivale propitia est; e cosi pure in greco il deitöf significa qualche volta lo stesso che adaiog come Od. XV 16. dsciog oQvig, ne punto differiscono nel Sanscrito däksa e ddksina.
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Premesse queste osservazioni non posso per ora riassumere altriraenti il risultato che nel seguente modo :
Rem ad lovem spectantem Tirentium
iorum lorum communem
Fastis idibus luserunt Sacra est ea, propitia est.
22. Februar: LiGNANA über eine zweite oskische Inschrift. — Winter: über die kunstgeschichtliche Bedeutung der zusammen gefundenen herculanischen Bilder: Cheiron , Marsyas, Theseus, Telephos und besonders der Medea. — Hülsen: der Meilenstein von Mesa.
Lignana: L'altra iscriziono Osca trovata nello stesso fondo Patturelli h la seguente:
II 'mm wiiH'iiiiiiii ////mv>i-<itN<]s-w////////// ,
////7//T^3->IINIVH1-/7//////
//////•mvn- ^iNUNS
<in-^Nn-^//////NN3F N1TT<I^H1NW-/////IN NUN<1>IN^T3^ -^1
S V S • I N I >l >l 1 51 51
La prima parola della seconda linea essendo un gen. sing, rende proba- bile, che la prima linea in gran parte perduta contenesse un nome, che accor- dandosi colla terminazione che e rimasta al principio della terza linea fosse un nominativo neutro. Ritenendo adunque che le tre lettere delle quali ap- paiono ancora le traccie siano da leggersi a, k, l, si potrebbe supplire Sakai'^aklom.
La parola, di cui una sillaba, cioe me si legge in fine della seconda linea e la cui flessione in principio della terza potrebbe essere memnim, che occorre nella lamina di piombo trovata nel 1857. Non tralascio tutta- via di notare che l'intervallo che precede quella che noi chiamiamo la fles- sione m, non pare sufSciente a contenere tre lettere. La combinazione quindi h incerta.
Quäle sia la origine e la significazione della prima parola della seconda linea non sappiamo, solamente la flessioiie che e di genitivo singulare, h chiara.
fratr. — fratrum.
Dubbia mi e la lettura dei segni che seguono; nia nel caso che si deb-
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bano leggere Kom e forse Komb, si potrebbe sapporre assieme colle lettere scomparse al principio della quarta linea uiia abbreviazionc di Kombennieis 0 Kombenniei.
Moinik. sta per moinikom — commune.
est —■ est.
In fine di questa quarta liuea forse iiianca uiia parola, che potrebbe essere eiduis, che occorre nella precedente iscrizione accouipagnafa con fa- siais — fastis.
pom — quum. ed anche in fine di questa quinta linea nianca una pa^ rula, e se non erriamo la piü iniportante per intendere la seconda parte della iscrizione e a cui si dovrebbero riferire i pronoiui pas, ias che vengono in se- guito.
heriajlljlj' s sebbene lo spazio fra a e s possa contenere non nna sola, raa anche due lettere leggianio tuttavia herians terza persona plur. del con- giuntivo ; herians — velint.
pas — quae. nom. fem. plur.
II calco guasto e lacero non ci lascia discernerc della parola che la prima sillaba pra, o prai.
Mamerttiais — Martiis.
set — sunt.
sakras — sacrce.
ias — ülce
L. Pettieis — Lucii Pettii.
Meddikkiai loc. sing.
fufens — fuerunt.
Premesse queste osservazioni proponiamo la seguente spiegazione.
Sacellum eii monumentum, fratruni conventus commune est. Fastis
quum velint, quae pr Martiis sunt, sacrae illae Lucii Pettii in magistratura fuerunt.
Hülsen : Nel 1872 il eh. Brizio richiamö l'attenzione degli epigrafisti ad una colonna miliaria conservata nel palazzo postale di Mesa, l'antica sta- zione ad Medias nelle Paludi Pontine. II suo apografo [Eph. epigr. II p. 209) fu poi riveduto e corretto dallo Stevenson, dal Dressel e dal de la Blanchere (Bibliotheque des 4coles Francaises t. 34 p. 188). Secondo Vapografo del Dressel, fu pubblicato neWauctarium addendorum del vol. X del Corpus, n. 6838 p. 1019, nel modo seguente:
P • CLAVDIO • Ap. f I FOVRIO •//■
AIDIL es fac. CO ER
II Mommsen riconobbe nel priore dei due magistrati P. Claudio Pulcro, con- sole nel 505/249, famoso per la sua partecipazione alla prima guerra Punica. Quindi la colonna di Mesa sarebbe il piü antico miliario non soltanto dell'Ap- pia, ma dell'intero mondo Romano. Volendo la Direzione dell'Imp. Museo postale
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di Berlino arricchire le sue collezioni di una copia in gesso di tal insigne monumento, io esaminai diligentemente l'originale, il quäle essendo ripulito con cura, moströ in alcuni punti difl'crenze cunsiderevoli coU'apografo sopra
proposto. II facsimile aggiunto fa vedere come neU'iscrizione princi- pale, cioe quella incisa sulla super- ficie piana della colonna, non vi sia una riga quarta, ma che le parti inferiori delle lettere E5, ritenute erroneamente per le estremitä su- periori di queste er, fecero sospet- tarvi l'esistenza della formula fa- c{'nmdum) cocr{averu)it) , poco adatta all'alta antichitä delFepi- grafe. Qnanto ai due inagislrati, riconosceremo nel secondo C. Furio Pacilo consolc nel 503 la edilitä ch'egli sostenne con Claudio Pulcro dovrä ascriversi aU'ultimo decennio del secolo quinto della ciltä. Per la paleografia e interessante la forma dell'R che trova nelle inscriptiones antiquissimae un solo riscontro, vale a dire il terminone dell'agro ^ Falerno (C. /. X 4719). E singc-
lare poi che il numero X abbia accanto una linea, certaniente an- tica, sul cui significato nulla saprei dire, essendo poco verosimile che vi sia indicato il numero millenario.
8. März : Lignana über oskische Ziegelinschriften. — Maü über eine pompejanische Amphoreninschrift K Gestio L. Antestio c\^os] aus dem Jahre 55 n. Chr. — Gercke : Porträtbüste repu- blikanischer Zeit — Bethe weist die allmähliche Umbildung der zum Palladion laufenden Kassandra in die knieende nach.
Lignana : Nel bullettino dell'anno 1876 p. 171 il nostro collega F. von Duhn ha pubblicato una dotta ed importante dissertazione sulla necropoli e il san- tuario di Capua, e per la prossimitä di questo con quella ha congetturato. che il santuario potesse essere dedicato a una divinitä avente relazione col culto dei morti.
II santuario non e veramente, come scrive il Duhn, nel bei mezzo della necropoli Capuana, ma, come osserva il prof. Beloch nel suo libro sulla Cam- pania 1879 p. 356, dista solaraente una cinquantina di metri dalle mura della cittä. II sito adunque del santuario non basterebbe per rendere certa la sua relazione colla necropoli, e la sua dedicazione a una misteriosa Dea della morte.
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Ma che il santuario fosse dedicato non a un Dio, ma a una üea risulta dalla statua di marmo e dalle altre d^ tufo, che vi furono trovate e rappre- sentano tutte una Dea avente fra le braccia uno o piü figliuoletti. II fram- raento di iscrizione trovato in questo sito al tempo che il Dnhn fu a Capua, e la cui terza linea incomincia deiv — , proverebbe a mio avviso la stessa cosa, ed io vi leggo un dativo singulare cioe deivai.
Quäle fosse questa Dea h per ora raolto diflScile il decidere; il Duhn, come abbiamo giä detto, suppone una Dea che ha relazione col culto dei inorti : il Beloch invece, e a nostro avviso con niaggiore probabilitä una Dea geni- trice. Se si dovesse ritenere come certa questa seconda ipotesi si potrebbe al dativo deivai, come noi leggiarao, aggiungere genetai; il che ci e suggerito dalla tavola di Agnone.
Ma comunque sia nello esaminare le brevi e mutile iscrizioni osche dei mattoni trovati recentemente presso il santuario ci e oiFerta una occasione di esprimere una terza ipotesi sul nome della Dea.
Giä nel 1876 erano stati trovati altri mattoni; e di quelli un frammento fu regalato dal Patturelli al prof. Duhn, e si trova ora al museo di Berlino. II frammento incomincia colle seguenti sillabe mame
Se non erriamo, i mattoni recentemente scoperti ci pongono in grado di supplire ciö che manca. In un frammento di questi mattoni si legge:
V 5) I 3 VNkMJVU
Per noi e evidente che si deve supplire eiduis mamerttiais-Idibus martiis, e quindi le due sillabe mame — dei mattone regalato al prof. Duhn vanno completate mamertiais taciuto il sostantivo eiduis.
II rovescio dei nostro mattone e pure scritto, cioe SS. Non e facile il ^roporre una congettura e quindi se coi due f f non e iudicata una qualche forma dei verbo facere o fingere non sapremmo che dire.
In un altro mattone si legge :
Nfl
Se nel prirao erano indicati gli idi di Marzo, in questo secondo pu'> es- sere indicato il mese di Gennaio.
In un terzo frammento di mattone si legge:
$)M
Senza dubbio un abl. sing: e l'ultima sillaba di sakrid, come h indicato chiararaente dal quarto :
H |
Jll<>lr< |
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cioe rs {s)akrid. Dunque sacro, ed in r s genitivo singulare potrebbe essere accennato il nome della Dea cui era dedicato il santuario. Proponiamo, senza volere escludere altre combinazioni, che polrebbero in seguito parere piii probabili, di supplire entras che 6 il nome di una Dea nominata nel bronzo di Agnone.
15. März: Petersen über eine archaische Auiazonendarstel- lung ; Athena unter den neun Musen im Fries des Nervaforuras. — Hülsen : Eeconstruction der Regia mit den Consular- und Trium- phalfasten.
Petersen presenta con gentile permesso del eh. C. L. Visconti le fo- tografie riprodotte qui giü di una statua greca del secolo VI, trovata nella Villa Ludovisi. Lo stile arcaico della figura e l'avere essa servito di decora- zione archiMtgnica fu riconosciuto bene nel BuUett. coraun. 1888 p. 417. Le
forme verginali, il vestinfento con la punta pendente del berretto frigio visi- bile sulla chioma ondeggiante e finalmente Tarmatura fanno conoscere l'A- mazzone. Sulla coscia s. cioe un incavo di 0,10 e 0,13 col foro di penio dentro ha servito per fissarvi il turcasso lavorato separatamente. Anche l'atteggia- mento della persona desta subito l'idea di un arciere. La figura perö non stava tirando l'arco come fanno tre flgure dei frontoni di Egina, opponendosi a tale azione la tenuta delle braccia. L'avambraccio d. ha lasciato persino il suo
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puntello sul ginocchio sinistro. Monete di Tebe (v. Catalogue of greek coins in the Brit. Mus. Central Greece pl. XII) rappresentano Ercole giovane olire nel- l'iitto di tirare, anche in quello d'incordare l'arco, tanto ritto in piedi (n. 5) quanto inginocchiato (n. 2 riprodotta qui accanto, e 3). Qui il manteniniento delle braccia h tale quäle si deve ristaurare nella nostra statua, se non che TErcole sta ripiegato piü addiefro, nientre TAmaz- zone rassomiglia piü alla figura di uno Scita sul vaso di argento raffigurato nelle Antiquites du Bosphore Cim- m^rien Tav. XXXI, ove nel testo b detto che tal ma- niera d'incordare l'arco esiste ancora presse i Tatari. L'una estremiiä .dell'arco sempre preme la coscia deslra lä ove nella nostra statua si trova un forame di 0,01 diam. e 0,015 profonditä, perduto disgraziatamente nella zincografia. L'altra estremitä poteva essere tenuta o con la mano destra come fa l'Ercole, o con la sinistra — il braccio s. como fa vedere la fig. 2, era lavorato separatamente — come fa lo ScitiV. E questo ultimo io proferisco perche sul ginocchio s. avanti quel puntello un sottilissimo perno di bronzo pare indichi la direzione della corda. *
La figura ha nel dorso sotto la chioma un incavo quadrato di 0,10 X 0,10, nel cui mezzo vi h un altrp incavo quadrato di 0,05 X 0,06. Quello piü grande
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tagliato a sghembo, meutre a destra e profondo 0,0, a sinisfra lo h, 0,035 e l'incavo piccolo vi aggiunge altri 0,035. Se questo incavo, molto simile a quelli ovvii nelle figure frontonali di Olimpia, serv\, come credo, ad attaccare la figara ad un fondo architettönico, questa per l'obliquitä dellMncavo doveva pre- sentarsi come nella fig. 1. Ed 6 questa relazione con l'architettura, che in- sieme con lo stile ed il soggetto rammenta quello che Plinio n. h. 36,12 ri- ferisce intomo agli scultori di Chic Bupalo ed Atenide, figli di Archermo: Romae eorum signa sunt in Palatina aede Apollinis in fastigio et omnibus fere (il Loeschcke observ. archaeol. 1880 p. 4 volle correggere eo! manubiis fere) quae fecit divus Augustus. —
Sul fregio del portico di Nerva (v. Monum. ined. d. Inst. X t. XL sg.) certi personaggi non sono stati riconosciuti se non due volte Minerva D^ 20 sg., ove sta castigando Aracne e H 57 ove di nuovo si crede seduta frammezzo di donne lavoranti. Ma non ostante la composizione simmetrica di tutta questa parte, le figure 48-58 sono divise dalle fig. 59-61 si per il locale che per le occu- pazioni diverse. Quelle priori, che stanno tutte rivolte vcrso Minerva con cer- tezza si riconoscono come le Muse per il numero, per il loro carattere gene- rale come per la grande somiglianza di 53 e 52 con notissimi tipi di Muse (i), e finalmente per la lira a bastanza visibile di 49. Altri simboli o sirumenli musici pare non mancassero alle figure 45, 50, 56, 58, e se fosse difficile di supplire maschere o globo, siiFatta mancanza non proverebbe altro che Fan- "^tichitä dei tipi riprodotti {^). Siccome la base di Alicarnasso e la tavola di Archeiao ed ultimamente i rilievi di Mantinea (^j, cosl anche le Muse del fregio romano sembrano copiate da tipi statuarii, con questa differenza peio che negli altri rilievi in primo luogo sono caratterizzate le singole figure, mentre per il nostro artista la cosa principale era l'assieme di tutte le so- relle. Questa unione in primo luogo nasce dalla presenza di Minerva, la quäle dea qui ^ l'Atene musica, come nell'altra parte e TErgane, in secondo luogo 6 prodotta per la raffigurazione del paesaggio. Questo e l'EIicone, il quäle personato si vede a sinistra molto rassomigliante alla figura del Caucaso nella composizione pergamena felicemente restituito dal Milchhöfer (*), e forse non e troppo ardito pensare che l'artista, il quäle cvidentemente ha studiato modelli ellenistici, con quelle due rocce opposte abbia voluto rappresentare la valle Eliconia.
22. März : Petersen : der ursprüngliche Zusammenhang der Trajanischen Reliefmedaillons am Constantinsbogen (s. Mitth. spä- ter). — Mau : Büsten der Livia (s. Mitth. später). — Hülsen: über ein Relief von Terracina.
(1) L'Euterpe vaticana (Visconti, Mus. Pie-CUm. I, 17 addubitata dal Bie (v. la nota 2) p. 89) per il confronto del fregio e del rilievo di Mantinea e confermata essere una Musa.
(2) V. Trendelenburg, der Musenchor p. II e Bie, die Musen in der antiken Kunst p. 29, 49, 53; Fougeres, Bulletin de corr. hell. 1888 p. 125.
(3) Bulletin de corresn. hellten 1888 pl. II III, cf. Overbeck nelle Be- richte der K. süchs. Ges. d. Wiss. 1888 p. 284 sgg. Con queste Muse di Man- tinea quelle del nostro fregio .stanno in piü stretta relazione che con le Muse di Alicarnasso e di Archeiao. Si confronti II, 1 (da sin.) e 54, 2 e 51, 3 e 55, m 1 e 56, 2 e 53, 3 e 52.
(*) Die Befreiung des Prometheus p. 3.
IL MATRIMONIO ITALICO.
Discorso letto dal comm. G. F. Gamurrini
nella seduta solenne del Natale di Roma
ü 12 aprüe 1889.
(Tav. IV)
Molto si addice alla ricorrenza solenne del natale di Roma, che qui si festeggia, il monumento, nel quäle si figura il matrimonio italico nel suo vetiisto rito. Che la origine di ciascuna cittä com- ponendosi dell'aggregazione delle famiglie, conviene, che queste, per formare la societä e 1' ins civitatis^ da legittime nozze derivino : e tali non possono divenire, se un rito non le consacri o almeno iin costume non le sancisca. Ora il rito, che si presenta, sebbene espresso in un monumento tratto da una tomba di Chiusi (^), e scolpito nel periodo piü antico dell'arte etrusca, pure in tutto si conforma a quanto ci e dato di sapere, si usasse nei primitivi tempi di Roma: e ci conduce a quella civiltä italica, non ben definita, che si spandeva nell'Italia centrale, ed unificava nel costume e forse anche nella lingua l'Etruria col Lazio: onde mi pare, eome si vedrä meglio, di non essermi male apposto dando al soggetto tigm-ato il titolo di matrimonio italico. Se poi considero, che la maestä di Roma, l'impero, e la sapiente costituzione perirono, ed il tempo va consumando le vestigia dell'arte ammirabile; e che solo il dritte privato, vero monumento del senno romano, ha supe- rato i lunghi secoli, e diede e da lume alle genti, a ragione mi congratulo, che oggi qui si esponga un argomento, che tocca le origini della civile e familiäre convivenza di Roma.
E un cippo quadrangolare foggiato a modo di casa col tetto
(1) II monumento si conserva oggi nel pubblico museo di Chiusi.
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a doppio piovente, e si assomiglia ad alcune urne sepolcrali, che rinvengonsi nell'Etruria. Tre dei siioi lati si adornano di figure a rilievo bassissimo, e quasi piano, e nel quarto fu incavato il pro- spetto di una porta. Contrassegna una grande antichitä quel modo di rilevare; e dati i confronti coli' arte greca, che alquanto prima dell'etrusca si svolse per essere piü prossima alle rive asiatiche, e da stimare, che l'etrusco monumento, come non preceda il se- colo sesto, cosi non succeda al quinto. Allorche stava integro ed al posto suo entro la tomba, fu segato orizzontalmente per mezzo dagli etruschi stessi; e volle fortuna, che a noi fosse serbata la metä superiore delle figure, onde ci e dato ragionare dell'argo- mento. Vigeva nel territorio chiusino (che altrove non mi fu dato osservare) la pietosa, ma agli occhi nostri barbara, costumanza di segare e torre via dei pezzi di tali cippi scolpiti in pietra tenera, e collocati nei sepolcri i piü antichi : o questo fosse per ricordo e venerazione in famiglia, o per cagione di partenza inaltre regioni: sta il fatto che di rado avviene, che interi si riscontrino, veggen- done invece in piü parti accuratamente segati, ben poco quella gente badando, che le figure scolpitevi restassero offese e sformate. Or cominciando ä descrivere il lato, che apparisce il piü nobile per il soggetto, per il numero delle figure, e per l'esecuzione, osser- viamo nel gruppo principale di desfcra due donne, Tuna (a d.) di aspetto ansiano, con tunica senza maniche ed aperta sotto l'ascella, l'altra pure con tunica sopra la stola affibbiata all'omero sinistro, che sorreggono con ambe le mani in alto un drappo orlato a cor- doncini (1), col quäle coprono alle tre persone, che vi stanno sotto tutta la testa fino al petto. La prima di queste si distingue per uomo dal mantello (paenula) , soprapposto alla tunica, che afferra l'altra per il di dietro dell'abbondante veste, e come a se la traesse. Mentre fa tale atto di violenza colla sinistra mano, rimane poi quieto e composto della persona. Quella che viene tratta, si involge e si chiude nel manto cosi, che nulla di lei si scorge. La terza, che le sta di fronte, tiene pure come la prima il mantello, e pare che accenni coll'indice della mano destra quasi a significare, che debba partire con colui, che a se la tragge ; o la spinge anch'esso verso
(1) Probabilmente quel drappo altro non era che una coperta da letto, stragulum, peristroma.
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di quello, il che per lo scopo dell'azione varrebbe lo stesso. Ma per la forma allungata del dito, la quäle non si addice al poUice (di cui abbiamo nel quadro stesso gli esempi), conviene preferire la spie- gazione del comando coll'indice. Separatamente fuori del descritto gruppo tre giovani addimostrano l'esser prooti alVaccompagaaraento festivo. II piü prossimo tiene un ramoscello, che sembra per la forma delle foglie essere di alloro, e si volge verso di quei, che stanno sotto il drappo, aspettando desideroso, che la loro cerimonia si compia. 11 secondo, quel di mezzo, pure dritto reggendo lo stesso ramoscello e nella mano sinistra stringeado un involto, che per la rottura della pietra non si puö vedere che cosa sia, si distingue per il pileo 0 tutolo sacerdotale, che ha in testa, e colla sua presenza rende il rito sacro e solenne. II terzo, che va innanzi a tutti, e il tibicine, che giä suona la dobbia tibia, e si avvia. Da ci6 s'in- duce, che la cerimonia dei tre, che stanno sotto il drappo, deve essere breve e disciogliersi per seguire la lieta comitiva. E anche noi, prima di procedere ad osservare gli altri tre lati del monu- mento, ci fermeremo alquanto alla dichiarazione di quello.
Come preparazione a meglio intendere il soggetto rappresen- tato giovano quegli scarsi ricordi, che ci furono trasmessi delle vetuste costumanze del matrimonio romano. Delle quali, perche note ed ampiamente trattate da uomini dottisbimi, non trarrö che quanto si riferisca e coufaccia all'argomento della simulazione del ratto, aggiungendovi alcuna nuova osservazione. Sappiamo, che nei tempi della repubblica le iustae nuptiae si contraevano dai romani 0 usUj 0 coemptioiie^ o eonfarreatione. L'uso non interrotto di un anno coll'uomo rendeva la donna usu capta, e moglie legittima, e quell a coutinuitä era dalle dodici tavole prescritta. I^a quäle forma di ma- trimonio apparisce a giudizio d'illustri giureconsulti essere stata antichissima, quasi che legittimasse il ratto per l'uso e la potestä sopra la donna e per la sopravveniente famiglia; e se ne richia- mava in Roma il fortunato esempio del ratto delle Sabine, popolarc leggenda, che si connette a quell' uso, o ne deriva. Quando per coem- ptioiiem la donna passava a marito [in viri manum- corweniebat) si simulava la vendita per la quäle era ella comprata dall'uomo colla bilancia in mano e alla presenza dei testimoni, e d'allora addive- niva mater familias in marlli manu mancipioque : sebbene poi in fatto la legge ed il costume non la riguardasse di condizione
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servile. II rito della confarreatio consisteva in un solenne sacri- fizio a GioYe, nel quäle si forniya dalla sposa il pane di farro {farreum libum), e si esprimevano le formule del mutuo consenso innanzi a dieci testimoni. Questi in sostanza i modi piü 'antichi del matri- monio, che ci porgono Timmagine dei tre stadi, per cui esso tra- scorse per eifetto ed ordine di civiltä nelle genti latine. II primo il ratto, legittimato dall'uso, che corris;)Dade a quel vivere rapto ricordato da Virgilio: l'altro della vendita, che il padre faceva della figlia, trasmettendo cosi al marito la sua potestä : il terzo del mutuo consenso e del convivium (da cui convivere), mangiando insieme il farro : contratto reso perpetuo e sacro dal rito religioso. Ma si tenga conto, che in tutti questi tre modi, allorche la sposa {sponsa da spondendo, onde sponsalia) doveva uscire della casa pa- terna, fingevasi che l'uomo la rapisse, e fosse veramente manu capta, cioe mancipium: per la quäl cosa si rileva, che il ratto sia stato in Italia la prima forma e l'origine del connubio, e quindi la donna sia -stata considerata (quäle presso molti popoli barbari) come la serva dell'uomo (del vir da vis) ; e a tal proposito si addice la testimonianza di Livio (34, 2, 11) : u- Maiores vestri — feminas volue- runt in manu esse parentum, fratrum^ virorum ».. Essendo appunto questo, che conviene porre in chiaro (quan- tunque sia in qualche modo da altri scritto od accennato), giova richiamare le prove, e considerarne la resultanza. Fingeva lo sposo di fare violenza alla vergine per trarla fuori di casa; e rapivala dalle braccia della prossima parente {}). Come di ciö non si potesse fare a meno, e il legittimo imeneo consistesse non solo nel consenso, ma ancora nell'atto del possesso violento (^). Cosi rapita la vergine si conduceva alla casa dello sposo; e la simulazione ripetevasi, al giungervi, che non doveva essa toccare col piede la soglia della casa, ma era levata su di peso, e v'entrava, come fosse rapita (^).
(1) Macr. Sat. I, 15 : Nuptiae in quibus vis fieri virgini videtur. Festus p, 289 M. : Eapi simulatur virgo ex gremio matris, aut si ea non est ex proxima necessitudine, cum ad virum trahitur.
(2) Virg. Aen. X, 79: Ft gremiis abducere pactas. Catull. Epith. 61,3: Qui rapis teneram ad virum virginem, o Hymenaee. E altri passi raccolti dal Be la Gerda in Virgilio, e da Marquardt Privatleben I p. 53.
(3) Plut. Quaest. Kom. 29 : //t« xi rrlv yccfxovfxevriv ovx swaiv cwrrjv vnsQ- ßrjvai TOP oväov rijg oix'iag, aXX' vneQcÜQovdiV ol ngons^nofTsg ; nötegov ort Tccg TiQMTug yvyatxccg agnuaccyrss, otJrwf eigrjveyxav, avxccl 6s ovx eigij'^^ov;
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Senza ricordare il rapimento delle faci neU'accompagnameiito degli sposi, dandosi loro dagli antichi vario significato, e che allu- dessero al presidio della vita, non e affatto dubbio, che nelle nozze chiaramente serbavasi Vapparenza del ratto, per quellamore, che ritiene gli uoraini alle antiche usanze, e per la credulitä, che col distaccarsene, il rito e l'atto solenne perdano di loro legittimitä e valore. Lo si riconosce nella forma, che piü risente dell'origine sua, quando ci volgiamo ad esaminare il modo, con cui si creavano le vestali. Il pontefice massimo entrato nella casa della vergine coUa mano afferravala, e la toglieva dal padre, o da colui, che l'avea in potestä, come fosse presa in guerra (•). E la formula, che in qiiell'atto pronunziava il pontefice, trasmessa da Fabio Pittore, e ser- bata da Gellio, finiva con le parole : «■ iia te amata capio ^ (^). Per dar ragione di quella voce am ata rivolta alla vergine, che nella bocca del pontefice non aveva significato, anzi era inoppor- tuna e sconvenevole, gli antichi non rinvennero altra spiegazione, se non che la vergine, che fu tolta per prima, avesse quel nome {^). Ma se noi riconosciamo nel ratto della vergine la primitiva forma del matrimonio, vi discoprireriio essere stata quella la formula stessa, che si ripeteva nell'antichissimo rito dell'elezione della vestale. Allorche lo sposo traeva a se la vergine in un modo simigliante a quello scolpito nel monumento di Chiusi, ad esprimere la vio- lenza amorosa, e compiere l'atto del possesso, gli erano bene ac- conce le lusinghiere parole: >t ita te, am ata, capio i>. Onde possiamo affermare, che il pontefice massimo faceva le veci dello sposo, e serbava colla vergine la costumanza di farla manueapta nella sua formula tradizionale.
Kisalendo pertanto alle origini, le vergini spose furono ra'ptae, e poi mamicaptae con i modi prescritti dalla legge, e dalla reli- gione. II rapimento delle Sabine fu compiuto con barbara ed oltrag-
(}) Gell. Noct. Att. I, c. 12 : Capi autem virgo propterea dici videtur, quia pontifici maximo manu prehensa, ab eo parente, in cuius potestate est, veluti hello capta, abducitur.
(*) GeU. 1. c. : Sacerdotem VestaUm, quae sacra faciat, quae ious siet, sacerdotem vestalem facere pro populo Romano Quiritium, utei quae optuma lege fouit, ita te, amata, capio.
(3) Gell. 1. c. : Amata inter capiendum a pontifice maximo appellatur, quoniam quae prima capta est, hoc fuisse nomine traditum est.
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giosa violenza, onde disse bene Virgilio : raptas sine more Sabinas, vale a dire, siae more maiorum, e senza ü convenuto rito. E qui non sfiigga, che la leggenda delle Sabine ha voluto adornare in modo poetico e glorioso per Roma la prima e selvaggia forma del matrimonio italico. Se si da ascolto a Dionigi di Alicarnasso ('), Romolo confortö le rapite vergini dicendo, che quel ratto non volgevasi a loro contumelia, ma risguardava il giusto conniibio, mostrando essere im simile costume assai vetusto fra i Greci ed arrecare grandissimo compiacimento ed onore alle desiderate donne: 11 che, se vero fosse, ci farebbe pensare ai Pelasgi, che con piü oneste forme l'aA^essero introdotto in Italia.
Ne conviene di omettere, che mentre gli sposi si conducevano a casa, si gridava dalla lieta comitiva : Talassio, Talassio! come i greci, Imeneo. Sopra il quäl nome due versioni si arrecano dagli antichi : l'una che Talassio fosse il canestro della lana da filare, segno dell'opera assidua addetta aUa novella sposa; l'altra, e piü accettata, che Talassio fosse il nome di un giovane romano, il quäle rapita fra le Sabine una vergine di rara bellezza, felici gli riuscirono le nozze, quindi la sua invocazione di buono augurio. Ma se SaXäaaiog^ come ben si estima, e il greco appellativo di Nettuno {OaXdaaiog Iloasidwv) , conviene ricercare, quäle relazione egli possa avere avuto col momento, che la sposa viene alla casa del giovane condotta. E non distaccandosi dalla leggenda del ratto delle Sabine, quivi la ritroviamo, essendo quelle avvenuto, allorche si celebravano con grande freguenza di popolo le feste al dio Conso, consiliorum^ secretorumque deo, id est, Nepiuno (^). Ma quan- tunque apparisca strano, pure bisogna teuer conto, che in quelle origini di Roma, per stabilire le prime famiglie, la vetusta tradi- zione abbia trasmesso il nome di Nettuno, ed in un tempo, che Roma era del tutto estranea al mare, ed al commercio marino. Come per le lunghe etä costantemente si proseguisse ad invocarlo col nome greco di Talassio, quasi che il rito nuziale avesse avuto una greca origine {^). Come dai latini si considerasse il Neptuniis
(') Archaeol. 2, 30 : wg ovx icp ' vßgei xrjg uQuayflg, uX'l ' enl ydfia) ys- vofyieytjg, EXkrjyixoy rs xtd ccQ^aToy anorpcäviav xo e&og.
(2) Ascon. Ped. in Cic. Verr. I. (Vedi Preller Römische Mythologie p. 289, e 347).
(3) Catull. 61, 31: Luhet iam servire Thalassio.
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noD solo il nume delle acque, ma Consus (da cui consüium e consul)^ il quäle s'invocava nei supremi atti della vita pubblica e privata : ed in qiiesto aspetto si puö intendere, che il suo culto fosse congiunto alle nozze, donde la vita nuova e la famiglia deri- vano. Mä non e ancora improbabile, che nella mente e nella reli- gione dei popoli italici, il Nettuno, nel senso di Talassio dio delle acque, abbia avuto un intimo rapporto coUe nozze e colla feconda- zione. Sebbene la filologia latina non possa concedere, che il nome di Neptunus discenda per fonetici cangiamenti da Nuptimus (e pie- namente ne convengo (0 ) ■> P^re per le fatte osservazioni, ricompare in lui non solo la potenza virile attiva, quäle fu considerato dai greci nel primitive concetto di IloaeiSwv , ma ancora la idea cosmo- gonica della virtü dell'acqua fecondante la terra. E che questo fosse stato il profondo simbolo, che dell'acqua e del suo nume tennero gl' italici, il rito manifestato dal monumento di Chiusi ce lo comprova. Due donne stendono in alto un drappo o larga coperta ornata di frange sopra le tre persone, per le quali le nuptiae divengono . iustae^ lo sposo, la sposa, cd il padre. Sono le pronube, le para- ninfe dei greci, le quali coprono (nubunt) e in qualche modo ascon- dono l'atto solenne, ed il mistero dell'origine della famiglia. II nu- bere ebbe il significato di tegere e operire, precisamente dalla nubes, che vela la serenitä, del cielo, e prepara la feconda pioggia. Formano le pronube col disteso panno una nubes sopra di loro, che cosi addivengono i nupti, cioe i coperti. Da qui penso, che tragga l'origine la voce conubium, la quäle chiaramente indica, che non solo la sposa, ma anche lo sposo, con qualche rito finora ignorato, venivano coperti. Sebbene fino dallo Scaligero siasi affer- mato, che il verbo nubere, non si appropria che alle donne, pure il Barth nei suoi Advermria lo rivendicö anche ai maschi citando le parole di Lucilio e di Nonio, «he ripoi-ta il passö del comico Pomponio, ed aiferma, che nella lingua italica volgarg esso serbava il significato allusivo ad ambadue gli sposi (^). Ciö accertato, si
(1) Oltre non amraettersi la mutazione nei radicali dell' w lunga in e , il nome italico di iVejofMWMS si riscontra in Nethuns, etrusCo. Amobio {Adv. Gent. 1. ni), (copiando ferse qualche antico) non ebbe scrupolo di scrivere: Quod aqua nubat terram, appellatus est cognominatusque Neptunus.
(2) Adversaria 1. VI. cap. 14. Lucil. Satur. XVII, fragm. 4 ed. Dousa : Nupturum te nupta negas, quod vivere Ulixem speras-, Non. pag. 143 Merc.
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possono allora comprendere le modiflcazioni, che arrecö il tempo nel rito primitivo, e la ragione, perche nel matrimonio del fla- mine colla flaminica fossero ambedue collocati a sedere insieme, e si gettasse sopra del loro capo la pelle dell'aniraale immolato per la celebrazione delle nozze (Serv. ad Aen. 4, 374) : ut ibi iiubentes vela- tis capitibus in confarreatione flamen et ßaminiea residerent.
Le pronube dai romani elette fra quelle, che semel nwpserunt, coUo stendere 11 panno simboleggiavano la mistica nubes, la quäle, come si e detto, rispondeva a quanto avviene in cielo, dove l'aria in nuvola si raccoglie, ed e la prima causa della fecondazione della terra : in tal guisa nel rito nuziale la nube stessa diviene la Celeste pronuba. Ne consegue da ciö, che Giunone, la quäle nell'originario concetto non fu che l'aria stessa, e la umida sostanza, che solle- vata, mossa, e compressa dal calore luminoso, cioe da Jupiter (il padre della luce) forma il velo, e gli si oppone, contiene la suprema virtü generativa, ed a ragione si appella pronuba, e quindi Lucina nel parto: ella, che rende legittime le nozze, e fecondo il matrimonio (^). E naturalmente si doveva in tale riguardo con- fondere il culto di Giunone con quelle di Diana e della Luna, in speciale presse gli italici per la etimologia e rassomiglianza del nome. L'ideapertanto dell'acqua, che in maniera nascosta e misteriosa col Yario umore infonde la vita nel mondo porse occasione a comporre la nube nel rito delle nozze : onde non farä meraviglia che il suo nome s'invocasse coU'epiteto di Talassio nel tragitto nuziale : se non che i romani col progredire della civiltä e del dominio nella terra e nel mare perderono di lui il concetto ed il simbolo primitivo.
Lo sposo sotto quel drappo fa l'atto del rapimento, traendo a se la vergine, la quäle gli Yolge le spalle, rimanendo dinanzi al padre. Questo e il momento, in cui egli esprimeva la formula, che, come si e Yeduto, presso gli antichissimi romani terminava: ita te, am ata, capto . A quel atto il padre presta il consenso ed alla manucapta ordina, coU'espressione del dito indice, di par-
Nubere veteres non solum mulieres sed eziam viros dicebant, ita ut nunc itali. Pompon. Pannuceatis : Sed meus frater maior, postquam vidit me inde eiectum domo, nupsit posterius dotatae vetulae, varicosae, afrae.
(1) Virg. Aen. IV, 59: Junoni ante omnes, cui vincla iugalia curae. Owidi. Heroid. 6, 43 : Non ego sum furto tibi cognita, pronuba Juno affuit.
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tire e di passare dalla siia potestä in quella del marito. Spettava al padre promettere e coUocare la figlia, onde udiamo nei versi di Ennio questo lamento : Iiiiuria abs te adflcior indigna pater .... Cur me locabas nuptui « ? Cosi presse i greci, della quäl cosa, come naturale e ben nota sarebbe fastidioso Taddurre i relativi testi. Compiuta l'apparente violenza dal giovane, e dato l'ordine dal padre, la vergine, fatta di quello mancipium, addiyiene forse p)er coemptionem la Caia, e la domina della noveUa casa. In quäl modo sia qui acconciata non si puö ben dire: si vede soltanto, che un manto tutta l'avvolge, e forse coprivale anche il capo, onde ne venne il ßammeum non mai lasciato dalle spose nell'atto so- lenne ('). E ne consegui, che essendo da quello coperte o nuptae, ar loro soltanto si applicasse il verbo nubere e da loro fossero dette le nuptiae; delle quali e del conubium abbiamo esposto quali ne siano stati l'origine ed il significato.
Or mentre il rito nuziale si celebra sotto la sacra nube, una festiva schiera aspetta gli sposi. II primo col ramoscello proba- biknente di lauro si volge indietro quasi impaziente a vederli. II se- condo tenendo nella destra lo stesso ramoscello si distingue dal pileo, che ha in testa, per il sacerdote : onde le nozze furono cer- tamente augurate da un sacrifizio (2). Precede tutti il tibicine, che giä suona, e si muove: similmente nel rito nuziale dei romani, praecedebat sponsam frequenti comitatu stipatam tibicen : o anche come ci narra Plutarco, piü suonatori di tibia andavano innanzi, con quello che esclamava Talassio.
Molto difficile sarebbe Tinvestigare. se il rito stesso nuziale sia provenuto dall' Oriente, o introdotto dai contrastati Pelasgi o dai Dori : sebbene non e a tacersi, che altre cerimonie, che si usavano nelle nozze, indicano una antichissima comunanza civile dei greci con gl'italici. Ci trasmette Varrone (3), che i personaggi piü cospicui di Etruria (cioe la casta patrizia) nel contrarre matrimonio immo- lavano un porcello, ed aggiunge: Prisci quoque Latini et etiam
(1) Come si acconci la sposa etrusca innanzi al rito del connubio vedesi in un monumento di Chiusi : Micali, Monumenti etc. tav. LVIII. ; Museo Chiu- sino P. I. tav. LVI.
(2) Juven. 10. 334: Veniet cum signatoribus auspex.
(3) De r. rust. 2, 4, 9.
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Graeci idem factitasse videntur. La grande idea Orientale dell'ele- mento umido fecondante le cose tutte, che dava origine al rito ita- lico, e lo informava, comunicö alla Grecia la Giunone Lucina, che secondo Omero commove il fecondo aere: onde divenne yufirih'a e tsXeia , e pronuha, e si confonde per questo con Venere Afrodite, che sorge dalle onde marine, allorche donarono il voluttuoso bacio alla terra. Ancora nel culto italico quelle due divinitä si riguar- davano come promoventi la fecondazione, e si sparse e si adorö nei seni del mare e le copiose sorgenti il nome di Feronia e di Cupra. Ricorderemo forse le ninfe, leggiadra personificazione dell'elemento umido, col cui nome si chiamarono in Grecia le stesse nozze? Ne piii m'inoltro in tale argomento nel timore, che dovendomi atte- nere alla forma concisa, gli stessi pensieri perdano della loro evi- denza. Anche nella Laconia simulavasi il ratto della vergine, de- scrivendoci Plutarco quello che si costumava nelle nozze spar- tane: ma se ne dovevano avere piü o meno precisi ricordi in tutta la Grecia, se Dionigi lo fa affermare come colä vetustissimo per bocca di Roraolo. Si rappresentö ancora nell'arfce, ne e raro vedere nei vasi dipinti espresso tanto il ratto violento quanto l'amo- revole ed il tranquillo nella fanciulla dinanzi a persona di dignitä, che raffigura il padre consenziente. Accennate le relazioni, che iden- tificano il matrimonio etrusco con il latino, al quäle si puö sicu- ramente apporre il nome di italico; e come questo nel concatto originario e religioso non differisce dal greco, proseguirö a dichia- rare le altre parti del monumento.
Nel lato sinistro vediamo effigiata la fronte di una casa, coUa sua trabeazione, e nel mezzo la porta. Si partono dal trave del culmine (culmen) del tetto i due cavalloni (asseres), che posano sui travi laterali {mutuli) , tra i quali corre la corda {trabicula) , for- mando cosi il triangolo del fastigio o timpano, dal quäle al modo primitivo la casa riceveva la luce. AI di sotto la porta col suo archi- trave {Urnen robusticm), i cui stipiti (postes) tendono ad allargarsi verso la base al modo arcaico etrusco od Orientale. CoH'incavarla ed approfondirla si e Toluto fare scorgere anche l'interno vestibolo ' dipinto in rosso, che in questa festa si ornava di verdi rami, onde Catullo (64, 294) : Vestibulum ut molli velatum fronde vireret (').
(1) Juven. Scvt. VI: Ornentur postes et grandi ianua lauro.
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Nel terzo lato osserviamo im uomo, distinto dalla barba, il quäle e vestito egualmente allo sposo nella rappresentanza delle nozze, coUa tunica, e sopra il mantello, che dalle spalle gli sceude a pieghe aperto dinanzi. Egli sta fra diie donne, avvantaggiandole assai di altezza. Qiiella a destra, che si riconosce per la pronuba ansiana gli tiene alto il braccio sinistro, sorreggendö il gomito, come ciö debba essere di rito. L'altra di aspetto giovenile gli porge colla mano sinistra presse al volto una piccola cosa, perche la gusti, ovvero bene la vegga, un frutto come un fico, o un sacchetto : nel tempo stesso riceve da lui nella destra una moneta, come pare che le paghi dall'attitudine delle dita della piegata mano. La scena manifesta quanto far si doveva prima della solennitä delle nozze, ed ap^unto l'artefice l'ha scolpito da questo lato, come dall'altro ha effigiata la porta della casa dello sposo. Niun dubbio, che tale matrimonio etrusco e stato fatto per coemptionem. Le parole di Servio, che commentano il verso virgiliano (Georg. I, 31): Teiiue sibi generum Thetys emat omnibus undis: bastano per dichiarare il soggetto qui rappresentato. « Emat ad aniüiuum nuptiarum ritum .... quo se maritus et uxor invicem emebant, dcut habe- mus in iure " ('). La sposa mentre riceve il prezzo dallo sposo, che k compra, gli mostra il sacchetto, dove stanno tre assi, o almeno un asse : essende che fosse per la vicendevole coemptio il costume, che dalle romane donne si tenesse un asse in mano per darlo al marito compratore, e un altro nel piede, ed il terzo in un sacchetto (2). In tal modo il matrimonio etrusco coll'antichissirao romano si con- fronta, onde ancora la forma della coemptio si deve giudicare italica.
Nel quarto lato corrispondente alla fronte si raffigura una caccia in una selva, veggendosi tre alberi probabilmente di pino: fra le plante tre uomini si affaticano ad uccidere una belva, della quäle
(1) Lo stesso ripete Servio in Aen. IV, 103 : Coemptio enim est, ubi libra atque aes adhibetur, et mulier alque vir in{ter) se quasi emptionem faciunt.
(*) Da Varrone citato da Nonio Marcello p. 531 M. : Asses tres ad ma- ritum nubentes deferebant, quorum unum, quem in manu tenebant, tamquam emendi causa marito dare, alium, quem in pede haberent, in foco Larium familiarium ponere, tertium quem in sacciperio condidissent, compito vi' cinali solere resonare.
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non si puö scorgere che un orecchio, presse il tronco di una pianta, essendo perita tutta la parte inferiore del monumento. Quello a destra coperto della sola tiinica tira della lancia, l'altro di mezzo col camiciotto aperto alle ascelle, e con un panno avvolto alla vita, vibra im colpo di scure : il terzo colla clamide, che gli lascia nudo e libero il destro braccio si piega in basso, e pare che egli pure abbia la lancia. Richiama l'attenzione il modo, come la scure (di cui il taglio e rotto) e applicata al manico di legno ritorto, non avendo l'occhio, ma l'incastro, con una legatura forse di cuoio piü in basso. Non sfuggirä poi come il bosco si distingua per le sole plante di pino; che puö darsi che l'artista l'abbia prescelte nell'essere quello sacro per gl'imenei (•). Ne importerä cercare la ragione, onde qui siasi figurata la caccia, la quäle poteva mo- strare tanto il valore del giovine sposo, quanto la preparazione al nuziale banchetto. A chi talenti di scorgervi la caccia al cignale Caledonio, non contrasto. Sarebbe allora Meleagro, che col colpo della scure uccide la belva, aiutato dai suoi compagni armati di lancia. Molto a proposito e sovente alludevano gli antichi a Melea- gro in argomento nuziale. Ricorderö soltanto uno specchio etrusco (-) nel quäle egli colla testa del cignale in spalla trae a se Atalanta alla presenza del padre. Ma poco omai cureremo di tali frondi, avuta la sorte di cogliere il fiore in questo egregio monumento di Chiusi, che ci ha per la prima volta disvelato il rito del matri- monio italico.
(1) Catullo 61, 15: Pineam quate taedam. Yirg. Ciris 439: Pronuba nee castos incendit pinus amores.
(2) Gerhard etrusk. Spiegel CCCLIV, 2.
SCAVI DI POMPEI 1886-88. INSULA IX, 7. (Continuazione)
N. [12.13]
Passiamo ora sul lato 0 dell' isola, per occuparci della piccola casa che confina col lato posteriore del n. 1.2, e alla qnale, perche non ha ancora la sua numerazione i;fficiale, abbiamo qÜfite: i'nijanto i nn. [12.133. ^ probabile che una volta fosse piü grande, e che ue sia stata tolta una parte per formare il grande giardino diviso poi fra le case 3-5 e 6-8. I] possibile anche che in qiiel tempo ciö che rimane tuttora fosse la parte posteriore, il peristilio, e 1' ingresso attuale il posticum. Checche ne sia di ciö, negli ultimi tempi di Pompei la casa non aveva che due ingressi dal lato 0, di cui l'uno [12] conduce al piano di sopra, il quäle non avendo comunicazione col pian terreno, deve credersi affittato separataniente. La scala raggiungeva l'altezza di ra. 3,45 : delle camere del pian terreno la piü alta e ha le pareti a. m. 3, e con la volta decorativa po- teva arrivare a quella stessa altezza. In cima alla scala si entrava prima in un locale situato sopra <?, al cui muro E la scala si avvicinava tanto che e quasi inevitabile di supporre incontro ad essa una porta nel muro stesso. Per conseguenza il piano snperiore si estendeva anche sopra w, mentre e certo, come vedremo in appresso, che non lo era sopra l: corrispondeva dunque a cmaefg. Non si esten- deva sopra h (a. 3,90) ed ?, giacche camere ivi situate non potevano essere accessibili da questa casa.
Nell'altra porta [13] risulta dagli incavi dei catenacci nella soglia di travertino, che il battente d. era piii grande del sin. (0,71
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contro 0,61), e da qiielli delle antepagmenta che esistevano solo sul lafo sin. ; avremo a supporre che ordinariamente si apriva il solo battente sin. (^). Negli stipiti osservansi i buchi per la sera (a. e 1. 0,17), che come al solito non stanno in altezza uguale: quello a d. a 1,20, l'altro a 1,28 dal pavimento.
Dalla fauce a si scende sopra un gradino di lava in d, che puö chiamarsi atrio corintio, ma, come giä fu detto, forse non e altro che un antico peristilio. Ciö che puö chiamarsi impluvio, inalzato di m. 0,15-0,30 sopra i portici, ha il pavimento di signinum con pendenza verso S 0 ed e circöndato dal pilastro angolare S 0 (vd. la pianta), da 4 colonne e dal muro 0 della cucina k, nel cui an- golo S 0 e incastrata una quinta colonna. Le colonne ed il pilastro son congiunti da un podio, alto esternamente 0,55-0,75, rivestito sulla superficie di signinum^ del resto di stucco di mattoni.
La stessa nostra pianta mostra, che le due colonne del lato N non corrispondono a quelle del lato S, e non stanno neanche in una linea con 1' angolare NO. In fatto sono d'ori- gin^ posteriore. Del portico piü antico facevano parte tutte le altre" colonne, compresa quella incastrata nell'angolo della cucina, e forse il pilastro angolare SO. In un tempo posteriore poi il portico N fu occupato da altre costruzioni : e gli avanzi d'un muro che dalla colonna angolare N 0 si stendeva verso N (indicati sulla pianta) ne fanno testimonianza ; esso fece conservare la colonna stessa, che vi fu inclusa, mentre le altre due del lato N furono tolte. E probabile che contemporaneamente nel portico E (ovvero nell'angolo SE dell'area scoperta) fosse fabricata la cucina /r, con- servando nel modo stesso la colonna angolare SE. In quel tempo fu fatto anche il podio (a. 0,55) del lato S, lasciando libero il passaggio alla cucina A", e quello del lato 0 dal pilastro angolare S 0 fino al puteale che occupa il centro di quel lato. Quindi le colonne rimaste in piedi ricevettero il loro rivestimento di stucco, la cui dipintura, per la corrispondenza con quella conservata al- Testremitä 0 del portico S, si riconosce appartenere ai tempi del terzo Stile. In una terza epoca finalmente furono demolite le costru-
(1) E sbagliato quanto a pag. 14 scrissi sulla porta n. 6; mi era sfug- gito un buco per un catenaccio, corrispondente a quello sin. : cosi ve ne sono tre, e la porta era a tre battenti.
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zioni ora mentovate nel portico N, e furono licostruite le due co- lonne di qiiel lato (non perö ai posti antichi, che senza dubbio coni- spondevano a quelle del lato opposto) e fu fatto il pilastro sporgente dal muro E. L'area scoperta fu inalzata e ricevette il suo rivesti- mento di opus signimim, con pendenza verso SO e due scoli per l'acqua : uno in un canaletto che passando sotto l'angolo S 0 del portico e appie del muro S di fg sbocca suUa strada, l'altro nella cisterna presso il puteale sul lato 0; quest'ultimo sta in un li- vello un poco piü alto, in modo che l'acqua vi entrava piü pura. Fu fatto flnalmente il podio del lato N, a. 0,75, prima che le co- lonne nuove fossero rivestite di stucco; pare anzi che non riceves- sero mai tale rivestimento.
Presso il passaggio alla cucina sta una seconda bocca di ci- sterna, fatta in una pietra di lava. Ivi stesso sull'estremitä del po- dio sta una piccola vasca, mm'ata, come pare, e rivestita di stucco di mattoni^ col fondo* formato da una lastra di lavagna cui ad 0 e aggiunta una lastra di marmo biänco (m. 0,öO X 0,33 al mar- gine, 0,42X0,13 al fondo, prof. 0,15); ha uno scolo verso N.
Le colonne sono alte m. 2,48. II margine inferiore, del tetto del portico era alto m. 2,65, il superiore 3,50 ; il tetto poi con la stessa pendenza era continuato sul lato N da quelle di /, il cui margine superiore e visibile dal giardino della casa n. 3-5: dunque il piano superiore non poteva esteudersi sopra l. — L'estre- mitä E del portico S, aocanto a k, aveva il soflßtto piano (a. 2,70) ed era sormontata da un locale superiore con finestrina verso E. Tanto di sotto che di sopra eravi nel muro E una nicchia pro- fonda m. 0,49: di sotto e a. 1,66, 1. 1,38, discosta dal pavimento 0,42; di sopra arrivava fino al pavimento ed e alquanto piü stretta; l'altezza ivi non si conosce.
Pra le porte di / e w sta la nicchia del larario, a. 0,30, 1. 0,28, prof. 0,20 disc. dal pavim. 1,38, incorniciata fra due mezze colonnette ed un timpano, il quäle su fondo turchino contiene una patera.
Nel peristilio furono trovati vari vasi di bronzo e vetro ed altri oggetti ('). Fra essi rileviamo 20 anfore, delle quali 10 con
(') Di bronzo : 5 vasi di varie forme ; un tasto chirurgico ; una piccolis sima stadera; una pinzetta; un coperchio di calamaio; 3 battenti di serratura;
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iscrizioni. Quattro di queste iscrizioni contengono il nome di Caesia Ilelpis, ed una quinta la indica con le iniziali: nome nuovo nel- l'epigrafia pompeiana. Non sarä troppo ardita la congettura che Cesia Elpide avesse qualche relazione speciale con la casa: forse ne era la proprietaria ; forse era moglie di Q. Nolano Primo o di C. Sulpicio Rufo, dei quali in / furono trovati i suggelli. La fa- miglia dei Cesii e ben nota a Pompei: ricordo il centiirione M. Cesio Blando che abitö la casa VII, 1,40 (Fiorelli Descr. p. 172. C. I. L. IV 1711. 1717. 1719. 1733), Cesia Optata, alla quäle Cecilio Giocondo fece una vendita (De Petra, Tavolette cerate p. 40 n. 24) ed il sepolcro d'una famiglia di Cesii incontrato probabil- mente sulla via Nucerina (Bull. 1888 p. 132). In un' anfora ab- biamo trovato (sopra p. 17) Cesio Restituto, e fu trovato prima M. Cesio Celere {C. I. L. IV, 2629). — Le iscrizioni delle anfore trovate in quest'atrio sono le seguenti, scritte, ove non dico altro, con inchiostro (cf. Not. d. sc. 1887, p. 244; 1888, p. 527-529): 1 (forma IX) cf. Not. 1887 p. 244 ß:
!• Villi ^ FLx !»viiii
CaESIAE • HELPID
: 2 (in rosso) 3 (X. XI) : CAESIAE • HELPIDJS sopra 3 suU'altro lato in rosso, evanescente: CAC
4 (XI), in rosso : CAESIAE ■ hELPIDI
a questa iscrizione fu sovrapposta posteriormente un'altra, scritta con inchiostro: VIR
TOLM suU'altro lato con carbone: IIAIX '
5 Not. 1888 p. 529, 45 (XI) : C • H
ßBVIBIA Vibia, che regalö quest'anfora col contenuto a Cesia Elpide, potrebb'essere quella che col suo marito di nome poco chiaro
4 borchie con anelli, ornamenti di mobilio ; una piccola borchia con fallo nel centro; una mascheretta; un palettino; una moneta. Di vetro: 16 fra bottiglie ed altri recipienti. Di ferro: una paletta; 2 tripodi; una chiave. Di terracotta: 3 lucerne ; un calamaio ; un vasellino ; un piatto aretino con bollo. (Not. d. sc. 1887, 244; 1888, 528.529).
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(AMBRIAEVS) tenne probabilmente ima bottega sul lato N della casa « del Centenario «, e in iin'iscrizione dipinta accanto alla bot- tega stessa (Not. d. sc. 1879 p. 281, 16) raccoraandö un candidato all'edilitä.
6 (X), in rosso: C-POPPAEI
APOLLONI
7 (XII): IP-C- suiraltro lato, con pietra gialla : M • ö^ • V
8 (XI); cf. Not. 1887 p. 244^»: S "^
CLP a d. in rosso con lettere grandi : C • HIN siiU'altro lato con pietra gialla: HVM sul coUo graffito nell'argilla molle: X
9 (XI): M NIMI
cosi publicata Not. 1887 p. 244 d?; io non vidi che tracce incerte.
10 (XII) trovata col coperchio il 28 maggio 1888: non vidi che avanzi non intelligibili.
Sul muro d'ingresso dell'atrio, a d. per chi entra, e graffito: PIERIS All e a d. : PIE, e sotto la prima iscrizione : PIERIS. Varie iscrizioni analogbe non lasciano dubbio che con All non sia iudicata la somma di 2 assi che la meretrice Pieride esigeva per i suoi favori (cf. C. L L. IV 1751. 1969. 2028 ; Bull. 1877 p. 131 ; 1881 p. 32 ; 1883 p. 149 n. 3).
Rivolgendoci ora ai locali che circondano l'atrio e la fauce, troviamo in h la latrina che per mezzo d'un tubo di creta (verso 0) comunica con una cloaca, in c una camera di forma irregolare, che ha la forma e la grandezza di un cubicolo e per la rozzezza della pittura delle pareti (fondo bianco) si crederebbe abitata piuttosto da un servo che da un membro della famiglia. Fra gli oggetti raccoltivi, del resto insignificanti ('), merita menzione un picco-
(1) Di bronzo : uu piccolo ramaiuolo e 2 aghi saccali ; di ferro: una scure, una martellina, una chiave, un piombino ed un anello « portante nel castone un'agata con l'incisione d'un'aquila dalle ali spiegate staute sopra un globo ri ; di vetro : 2 bottiglie e 10 unguentarii; di terracotta: una lucerna ad un lume e due vasetti ; di avorio : un cassettino con coperchio scorritoio e
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lissimo idolo, a. m. 0,039 di Igia, « coronata e seduta io trono, la quäle, poggiando i piedi sul suppedaneo, tiene nella sin. un ramoscello e nella d. una patera, nella quäle mangia un serpente che le poggia sulle ginocchia ; ai lati del trono due alberetti in- torno a ciascuno dei quali si avvolge un serpente " (Not. d. sc. 1887 p. 41).
Segue m (2,15 X 2,40) di carattere simile ; ha le pareti rive^- stite fino a ni. 1,42 di stucco di mattoni con strisce nere e rosse, quindi blanche, con avanzi di qualche rozza pittura (i).
Invece / (2,40 X 2,50, a. fino al nascimento della volta de- corativa 2,85, fino alla sommitä 3,15) potrebbe credersi il cubi- colo del proprietario. Eiceve luce per una finestra accanto della porta (a. 1,04, 1. 0,69, disc.-d. pavim. 0,62); una finestrina tonda poi nel muro E, che sta.a metä nella lunetta e si restringe ester- namente (diam. 0,20-0,70) non poteva avere altro scopo che di lasciar entrare il primo raggio del sole, nel modo stesso come l'abbiamo osservato nel cubicolo m del n. 1-2 (p. 7). La porta era a due battenti, senza catenacci. II pavimento e di una massa ordinariä ; su tre pareti — a d., a sin. ed in piccola parte sul muro d'ingresso — e conservata una decorazione del terzo stilc, la quäle nella composizione (l'esecuzione ed i dettagli sono molto inferior!) rassomiglia ad una bella parete della domus M. Spurt Mesoris (2), con la diiferenza perö che qui il padiglione nel mezzo d'ognuna parete contiene un piccolo quadro soltanto, e che le leggiere architetture arrivano fino al margine superiore e sembrano appoggiare il sofiitto. Nel fregio nero degli scompartimenti late- rali son rappresentati uccelli : sulla parete sin. a sin. due pavoni, a d. due piccioni che s'imboccano, sulla parete d. a sin. due gal- line di Faraone (?) a d. due piccioni. In ognuno degli scompar-
squadri di bronzo agli angoli, frammentato (0,10 X 0,05 X 0,03) : vi fu anche la piccola serratura, lunga m. 0,003 ; una piccola pietra bianca ellittica (0,01) con incisione d'un cavallo che galoppa a sin. ; un globetto forato di cristallo di rocca (Not. 1887 p. 41.242).
(1) Vi si trovü un candelabro ed una serratura di bronzo ; un vasetto aretino frammentato : Not. 1887 p. 41.
(2) Mau Gesch. d. decor. Wandm. in Pompeji tav. 12.
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timenti laterali un piccolo campo nero in forma di segmento di circolo (a. 0,11, 1. 0,34), di ciii l'arco e accompagnato in- ternamente da una ghirlanda di foglie, contiene un capriuolo con un capriuoletto in vari atteggiamenti. Vi sono pol i quadri seguenti :
1, uel centro del muro sin. ; a. 0,43, 1. 0,40 col margine ; disegno presso l'Istituto : A d. siede per terra sDpra una veste (?) biancastra un uomo ignudo, rivolto a sin. e neH'interno del quadro. La Corona che gli cinge la testa e gialla ; ma ciö dipende forse dal modo come e dipinto il quadro, con la massima economia cioe di colori, in modo da farlo comparire quasi monocromo. In tal caso potrebbe essere una Corona di pino, con la quäle l'uomo sarebbe caratterizzato da Satire ; e vero che le orecchie non sem- brano aguzze ; ma ciö non e abbastanza chiaro. Volge la testa a sin. verso un gran cane, che lecca per terra ciö che egli con la d. versa da un vasetto dal collo stretto ad un manico, mentre si ap- poggia suUa sin. Due altri cani stanno piü in dietro : uno (v. sin.) a d. del giovane, in parte nascosto dietro di lui, l'altro (di faccia), piü a sin., montato sopra alcune pietre; quest' ultimo guarda atten- tamente il giovane. Ambedue portano coUari, e sono di quella razza che rassomiglia ai lupi, il primo giallo, gli altri bianchi. Nello sfondo pietre e montagne nude.
2, nel centro del muro d. ; a. 0,42, 1. 0,40 ; disegno presso l'Istituto: Vittoria che fa un trofeo. II trofeo e composto di tu- nica, corazza, scudo, elmo e gladio ; giacciono appie di esso un altro scudo ed una corazza ; la Vittoria con la sin. vi mette una lancia. Ella, con grandi ali verdi, e vestita di tunica cinta biancastra, che scivola giü dalla spalla d., d'una clamide paonazza guarnita di frange, che pare fermata suUa spalla sin. e lasciando libera la parte superiore del corpo cuopre le gambe, e di scarpe gialle. Kegge nella d. abbassata un oggetto irriconoscibile, che puö essere un gladio tenuto per il manico. Lo sfondo e Celeste.
3, sopra 1, dipinto con pochi colori biancastri sul fondo rosso ; a. 0,16, 1. 0,32 : Amore che guida un carro a due ruote tirato da due cigni.
4, sopra 2, grandezza e maniera come 3 : Amore che casca in dietro dal medesimo carro (che qui perö e verde), mentre i cigni fuggono spaventati.
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Si trovarono in ^ 4 anfore ed un urceo con iscrizioni. Sopra una delle anfore (') e scritto con color bianco:
TI • CLAVDIO Chili 1 111^
i.'y\TEiiiii/ili
GAVR
I consoli sono del 43 o del 47 d. C. ; il vino pare che fosse del Monte Gauro ('). Le tracce poco cMare suU'urceo (Not. 1887 p. 243, 31 genn.) mi sembravano accennare al nome VALERI Ueliadis. Certo tali ritrovamenti non confermano la suaccennata congettura, che cioe qui dormisse il padron di casa, perö mi pare che non la escludano.
Sul lato 0 dell'atrio, a d. dslla fauce, troviamo e, che la porta larga (2,33), le dimensioni della camera stessa (4,15 X 3,47) nonche il solito incavo per il lectus medius neH'estremitä poste- riore del muro sin. caratterizzano come triclinio. E alto 3,0 fino al nascimento della volta decorativa (che si puö supporre ma non e visibile). Gli stipiti dell'ingresso avevano gli spigoli estemi rivestiti di antepagmenta ; appie d'ognuno di essi sta nel pavi- niento (di massa ordinaria) una lastra di marmo, ma soltanto a sin. trovai la traccia del cardine. Nel pavimento e formato con pietruzze blanche un rettangolo largo 0,11, che a m. 0,35 dalla soglia attraversa 1' intera camera ; quindi piü in dentro un fallo diretto verso l'interno (1. 0,38) e nel centro della camera un or- namento circolare. Pare che non vi fossero finestre. Non trovo no- tizia di oggetti raccoltivi.
Le pareti son dipinte nel terzo stile a fondo rosso meno lo zoccolo, che e nero con ornamenti lineari. II centro d'ognuna pa- rete e occupato da un gran quadro rinchiuso nel noto padiglione. Nella parte media (contando verticalmente) delle pareti lunghe ciö che rimane a ciascun lato del padiglione e diviso in due scomparti- menti mediante una striscia verticale nera contenente un candelabro dipinto in colori biancastri. Sulla parete di fondo evvi al posto corri-
(1) Le altre, non intelligibili vd. Not. d. sc. 1887 p. 41. — Vi si trova- rono inoltre una conca ed una lagena di bronzo ; un piccone, una chiave ed una martellina di ferro.
(2) Celebre per i suoi vini : Marquardt Privatleben der Römer ^ p. 451 nota 14.
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spondente, sul fondo rosso, in color bianco-azziirrognolo con pochi or- namenti policromi, un tripode di forme fantastiche : sopra una base tonda stanno tre erme, dalle cui teste s'inalzano bastoni sottilis- simi, congiimti a circa un quarto della loro altezza da due dischi e sormontati da un piattino (o cerchio?), sull'orlo del quäle stanno tre calici color d'oro. Nella parte superiore evvi al di sopra d'ognuno dei grandi quadri un semplice prospetto architettonico ; sopra i candelabri e tripodi stanno i quadri da descriversi (n. 7. 8. 9. 10) rinchiusi entro due strisce ornamentali verticali congiunte da un architrave ornamentato nella maniera di questo stile. Sopra ogni estremitä dei suddetti padiglioni contenenti i quadri grandi sta una Sirene (con ali, coda e gambe d'uccello), che sul muro sin., ove una sola e conservata, regge lira e plettro, sul muro di fondo un ramo con foglie, che serve di ornaraento alla parete. Kami cioe con foglie, fiori e frutta, e cose simili, riempiono nella parte su- periore gli spazi vuoti rimasti fra i motivi suddetti.
Vi sono le rappresentanze seguenti :
5, nel centro del muro sin. ; a. 1,37, 1. 1,06 ; disegno presso ristituto. Si vede l'interno d'un sacro recinto ; e se tale recinto contiene un tempio, ci troviamo avanti ad esso, rivolti verso il muro di ciüta di color paonazzo chiaro, sormontato da epistilio, fregio e cornice a dentelli, dalla quäle pendono ghirlande, con la porta d'in- gresso (color biancastro , massiccia nella parte inferiore, mentre di sopra e formata a guisa di cancello. E aperto il battente d., e vi entra da sin. un asino bianco con la testa abbassata e la lingua fuori dalla bocca. Piü vicino allo spettatore sta su ciascun lato un'edicola che tocca il margine del quadro ; non sono addossate al muro di cinta : ciö si rileva dall'ombra che quella a sin. getta su di esso. Sono sor- rette sul loro lato anteriore (verso il centro del quadro) da due co- lonne ioniche, mentre agli angoli posteriori stanno due pilastri ; hanno pareti sul lato posteriore e su quello opposto allo spettatore ; sul lato rivolto allo spettatore la colonna ed il pilastro sono con- giunti soltanto da un basso muro (a. 0,31). Essi portano l'epistilio bianco (con appesovi un bucranio), il fregio paonazzo chiaro con orna- menti bianchi, ed il cornicione; e visibile anche il tetto di color giallo. Le due statue femminili poste nelle edicole (rivolte verso il centro del quadro) pur troppo sono poco riconoscibili. Quella a sin. ha i capelli biondi cinti da foglie verdi ; il naso e aquilino ; appoggia
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la d. alzata ad un lungo scettro e regge suUa sin. protesa un oggetto che puö sembrare un frutto. L'altra ha la testa cinta da foglie (?) gialle ; pare che nel braccio sin. porti una cornucopia ; la d. protesa regge qualche oggetto affatto irriconoscibile. Nel primo piano sta nel bei mezzo un altare, di forma poco chiara, e mi par certo che sopra di esso arde una fiamma. A sin., e ri- volta all'altare, sta ritta la figura d'un uomo (a. 0,29) nudo o poco vestito, che pare sopra una mano protesa regga un piatto. II confronto del quadro seguente lascia appena un dubbio che sull'altro lato deir altare non fosse rappresentata la divinitä alla quäle qui si sacrifica ; ma ne e rimasta soltanto qualche traccia incerta. — Dietro il muro di cinta e le edicole sorgono plante con flori rossi, che riempiono quasi tutto lo sfondo. Fra esse ergesi una colonna ionica sorraontata da una tavola (0,13 X 0,26) con la rappresentanza mo- nocroma di Amore che lotta con Pane. Le parti inferiori delle plante e della colonna dovrebbero comparire nella porta aperta ; ma ciö non si verifica : vi comparisce il cielo ed una pianta iso- lata che nulla ha che fare con quelle.
6, nel centro del muro di fondo ; a. 1,36, 1. 0,985 ; disegno presse l'Istituto. Qui pure si vede l'interno di un sacro recinto ;
10 spettatore si trova di faccia al tempio prostilo tetrastilo, il quäle nel bei mezzo del quadro sta addossato al muro di cinta. Esso sorge sopra un basamento (a. 0,15) preceduto da due gradini, ed e accessibile (benche ciö sia poco chiaro) per una scala che in larghezza non oltrepassa le due colonne medie. Gli intercolunnii laterali son chiusi da un parapetto giallo ; le colonne sorreggono l'epistilio, con ghirlande appesevi, il fregio diviso per mezzo di mensole (cosi pare) in scompartimenti nei quali s'alternano bu- cranii e patere, dipinte in bianco, com'anche l'ornamento (irrico- noscibile) del fastigio. II tetto e giallo, con antefisse tutt'intorno.
11 fondo del pronao e rosso, giallo l'architraye della porta (gli stipiti non sono visibili) per la quäle si vede nella cella l'idolo giallo in veste lunga, posto sopra una bassissima base in posa ri- gida, con le avambraccia alzate obliquamente e allontanate dal corpo nella nota guisa delle divinitä che portano fiaccole. A cia- scun lato poi del tempio evvi la rappresentanza identica di una parte d'un altro edifizio, cioe del lato corto rivolto al tempio e di una parte del lato lungo, uguale in lunghezza press'a poco al lato
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corto. Questi edifizi, preceduti in ambedue i lati da tre gradini, sono a tre piani. II pian terreno ha verso il tempio la porta, dal- l'altro lato due finestre ; la porta h protetta da un tetto sporgente dal muro, che perö sta all'altezza del secondo piano, il quäle ha una grande finestra sul lato lungo e tre feritoie al disopra di quel tetto. Qui con epistilio, fregio, cornicione ed un bassissimo muro sor- montato da una specie di merli finisce ciö che propriamente puö dirsi il corpo dell'edifizio. Segue una costruzione leggiera, dipinta in bianco, cioe una specie di pergolato, coperto con soffitto piano, chiuso soltanto siü lato lungo rivolto allo spettatore con un muro evidentemente sottile e interrotto da una finestra, mentre sul lato opposto e aperto e protetto da un parapetto a guisa di cancello ; e aperto anche sul lato corto ; non dubito di riconoscere qui ciö che intendono gli antichi quando chiamano pergula una parte alta della casa (i). Fra questi edifizi ed il tempio e visibile il muro di cinta sormontato da bassi merli ed interrotto in ognuno dei due in- terstizi da un'alta finestra a volta. Presso l'angolo d. del tempio siede sopra un sedile non riconoscibile una figura virile (mal con- servata), veduta di faccia, di forme robuste. La parte superiore del corpo e nuda, le gambe sono avvolte d'una veste, visibili perö i piedi ; uno scettro std appoggiato al sedile accanto alla spälla sin. Avanti al tempio sta, nel mezzo del primo piano del quadro, un'altare, tondo a quanto pare (e mal conservato), e presso l'edifizio a sin. una figura femminile in piedi, con veste chiara che cuopre anche la testa ; regge nella sin. protesa un oggetto irriconoscibile, che perö e rotondo e potrebb'essere un frutto. Non v'e dubbio che in quella prima figura non s'abbia a riconoscere una divi- nitä, probabilmente Giove, e nella seconda un'adorante. Qui come nel n. 5 sorgono dietro il muro di cinta varie piante e fra essi un altro edifizio, cioe un breve portico, chiuso in ambedue i lati con 4 colonne congiunte da un parapetto; non si vede, come sia accessibile. Le colonne ioniche sono sormontate da trabeazione do- rica con triglifl, ciö che non farä meraviglia a chiunque conosca le architetture pompeiane.
7, 8, nella parte superiore della parete sin. a sin., e rap- {tresentanza quasi identica dirimpetto suUa parete d. ; a. 0,57, 1. 0,52 ; disegno presso l'Istituto. Architetture. Due corpi d'edi-
(1) Cf. Bull. 1887 p. 219.
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fizio quadrangolari, con porta e finestra sopra di essa tanto nel lato rivolto allo spettatore quanto in quello rivolto al centro del quadro, sono congiunti nel fondo da un muro (paonazzo), nel quäle si apre una larga porta a due battenti (gialla) dei quali quello a sin. e aperto, e vi entra una figura che soltanto sul muro d. e abbastanza conservata per riconoscervi una donna che con le avam- braccia protese si dirige verso sin. Ciascuno degli edifizi quadran- golari e sormontato da un portico di quattro colonne (comprese le angolari), che ha aperta l'estremitä rivolta allo spettatore ; all'altra estremitä i due portici sono congiunti per mezzo d'un terzo al disopra della summentovata porta, il quäle ha otto colonne, com- prese le angolari, ed e sorretto, cosi pare, da travi oblique. I due portici laterali son preceduti ognuno da una galleria munita d'un parapetto (giallo), il cui margine superiore sta al livello delle basi delle colonne, mentre un altro parapetto si stende imme- diatamente avanti alle colonne del portico in fondo, ed allo stesso lofo livello : cosi almeno mi pare di dover spiegare la disposi- zione non troppo chiara. II portico in fondo e sormontato da un altro breve portico che, col suo fastigio, ha la forma del pronao di un tempio prostilo esastilo, mentre i portici laterali son sor- montati, sulle estremitä rivolte allo spettatore, ciascimo d'un an- golo di fastigio. In tutti questi portici stanno figure blanche in vari atteggiamenti, nelle quali senz'alcun dubbio abbiamo a rico- noscere statue. Sul muro sin. se ne contano 10, e pare che qual- cuna sia svaniti, 6 sul muro d., ove quella parte non e completa. Dietro agli edifizi descritti sorgono alberi, dei quali qui pure nella porta aperta nulla si vede, ma vi comparisce il cielo.
9, nella parte superiore del muro di fondo, a sin. ; a. 0,485, 1. 0,61 ; disegno presso l'Istituto. Architetture. A sin. un edifizio rettangolare, veduto dall'angolo anteriore a d. II lato corto rivolto allo spettatore e aperto ; il lato d. consiste di 6 colonne poste sopra un basso podio ; quello posteriore (corto) e addossato all' edi- fizio seguente, quello sin. chiuso ma ha una porta, nella quäle sta un piccione bianco ; il tetto h fatto a due pioventi. L'edifizio seguente e a contatto col primo, ma sporge verso d. ; e press'a poco quadrato, a due piani, col tetto a schiena ; il pian terreno ha a d. la porta, quello superiore nessun'apertura nei due lati visibili, ciö che forse dipende dalla cattiva conservazione. Da quest' edifizio £no al margine d. si stende un muro in+errotto da un passaggio
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a volta ; al disopra del rauro comparisce al margine stesso parte d'un ediflzio alto, di cui perö non si distingue alcun particolare.
10, iyi stesso a d. Quasi identica rappresentanza, ma in di- rezione opposta. Nel primo ediflzio (a d.) le colonne sono congiunte a V3 dell'altezza mediante due sottili travicelle bianche ; i parti- colari del tetto e della trabeazione sono meglio conservate. L'edifizio a due piani ha il piano superiore aperto v. sin. con sei colonne.
11, sopra 1 ; a. 0,09, 1. 0,19; fondo nero. Amore (mancano perö le ali) che con una lancia s'avventa contro una pantera.
12, sopra 2 ; a. 0,16, 1. 0,33. Tavola con margine sporgente quäle spesso si osserva fra le architetture delle pareti pompeiane. Contiene su fondo scuro due maschere : a sin. un vecchio con faccia rossa, barba e capelli bianchi, veduto di profilo v. d. ; a sin. una donna veduta di faccia, di espressione seria, coi capelli che scendono da ambedue i lati.
Accanto a e stanno le due camerette f g^ le quali, almeno secondo la loro originaria destinazione possono credersi un cubi- colo col procoeton ; questo perö pare che negli ultimi tempi ser- visse per conservarvi ogni sorta d'oggetti.
/ e grande 2,13 X 2,62, a. 2,30 tino al nascimento, circa 2,70 fino alla sommitä della volta decorativa. E accessibile dal portico per due porte (2,25 X 0,63 e 1,93 X0,70); nel muro S evvi una porta raurata (1,78 X 0,83) che la congiungeva con la camera e della casa adiacente, la quäle camera dunque un tempo fece parte di questa casa. E ciö fu ai tempi del secondo stile decorativo, nel quäle ambedue le camere, ed anche g, son dipinte. Ib. f q g la decorazione rappresenta un'incrostazione di marmo, in / di pre- ferenza in giallo, in ^ a fondo bianco. g e grande 2,47 X 2,15, alta come /. Apple del muro S di ambedue le camere un gradino; a. 0,22 contiene il condotto che dall'impluvio conduce sulla strada.
Nell'angolo NO di / sta per terra un mucchio di mattoni polverizzati, coperto di tre tegole. Non pochi oggetti vi furono raccolti, fra cui due suggelli di bronzo :
1. Q • NOLANI (') 2. C • SVLPICI
PRIMI RVFI
(0 Sopra gentilizi come Nolanus vd. Bor^hesi Oeuvres IV p. 31 Hübner Eph. epigr. II p. 30.
114
SCAVI DI POMPEI
Gli altri oggetti sono insignificanti e senza importanza, tutt'al piü UDO specchio (rettangolare) ed un nettaorecchie, ambedue di bronzo, potrebbero dirsi non disadatti a stare nel procoeton ('). Pare che in g si trovasse (Not. 1888 p. 527, 3 apr.) un vaso ed una lucer- uina, ambed^ie di bronzo.
Sul lato S deU'atrio il cubicolo h ha le pareti dipinte nel terzo Stile : zoccolo nero con ornamenti lineari ; grandi scompar- timenti rossi sormontati da un fregio nero (con uccelli che man- giano) rinchiuso fra due strisce ornamentali biancastre; nel noto pa- diglione in mezzo ad ognuna parete : fondo nero, traversato da due strisce gialle, e nel centro un piccolo quadro, conservato sul muro d. (a sin. tracce incerte); negli scompartimenti laterali su i muri d.
e sin. medaglioni, sul mu- ro di fondo piccoli campi a lozanga, tutti con teste. La parte superiore ha su fondo bianco piccole archi- tetture, riempite in parte con color rosso, giallo e turchino. Son conservate le rappresentanze seguenti : 13, nel centro del mu- ro d. ; fondo nero , senza margine; a. 0,47, 1. 0,36 ; disegno presse 1' Istituto. Avanti ad un'alta base gri- gio-verdastra (fatta unica- mente per servir di fondo alla figura) sta ritto un bei - giovane nudo meno un ber-
(1) Vi si trovarono inoltre di bronzo : 8 vasi di varie forme, una cam- panella, una moneta; di ferro: 2 verghe, 3 chiavi, una lucema, una scure, un martello ; di terracotta : 2 scodelle aretine con le marche Lee mom, una pignatta con materia bituminosa, « un vasetto dal cui fondo internamente si eleva un piuolo in terracotta, il quäle h immesso in un oggetto elissoide vuoto, anche di terracotta, che scorre ma non puo togliersi dal detto piuolo » . di vetro : un unguentario ; di marmo : un piccolo mortaio col pestello, un peso (Not. d. sc. 1887 p. 245-379).
INSÜLA IX, 7 115
retto frigio turchino-chiaro, i cui lembi cadono sulle spalle, ed una clamide dello stesso colore che pende dalla spalla sin. ed e avvolta intorno a quel braccio. La sin. abbassata regge l'arco, la d. sta avanti al petto, pronta a cavar la freccia dal turcasso che gll pende al lianco sin., sorretto da im nastro che traversa il petto. La testa e rivolta a sin., e guarda attentamente da quella parte, senza dub- bio verso l'oggetto che vuol prender di mira. Non isbaglieremo dan- dogli il nome di Paride. Dal piede d., messo un poco in dietro, una striscia giallastra si stende verso sin. in su ; credo che essa non significhi altro che l'ombra. E vero che sta in contradizione con la luce che cade sul corpo del giovane ; ma forse fu fatta in corrispondenza con la porta della camera.
14, nel centro del miiro sin. ; son conservate tracce della sola parte d. ; a. 0,32, 1. la p. cons. 0,25 ; disegno presso l'Istituto. Sopra una sedia sta seduia una figura nuda o poco vestita (uomo ?) V. sin., che alza anibedue le mani verso la testa (all'altezza delle orecchie) ; pare che un pedum stia appoggiato al sedile.
15, sul muro di fondo, a sin. ; a. 0,155, 1. 0,125 ; disegno presso l'Istituto. In lozanga a fondo nero : busto di donna, di fiso- nomia molto individuale, non bella, con ricchi capelli biondi che cadono sulle spalle ; ha gi-andi pendenti nelle orecchie ed e vestita di una veste paonazza.
16, sul medesimo muro a d., come 15 ; disegno presso l'Isti- tute. Busto di uomo imberbe di forme individuali, dai capelli biondi e ricciuti.
Nella parte superiore in campi bianchi : 16, sopra 13 : un basso canestro con tralci di verdura, una siringe ed un rhyton.
17, sopra 14 : lo stesso canestro, rhyton e cantaro ; siringe, rhyton e cantaro sono ornati ognuno d'una tenia.
18, sul muro d. a sin. maschera gialla coronata di edera ; a d. un tamburino, a sin. una pantera.
19, sul muro d. a d. ; due maschere coronate di foglie : quella a sin., di facl;ia, femminile con lunghi capelli, l'altra, di profllo, virile, gialla, cui non so che cosa si rizza sulla fronte a guisa d'una Corona dentata ; a d. un basso canestro, a sin. una siringe.
20, sul muro sin. a sin. : due maschere, quella a sin. barbata, l'altra gialla ed imberbe, ambedue di faccia, coronate di foglie;
116 SCAVI DI POMPEI
a sin. qualche oggetto poco riconoscibile, a d. iiüa statuetta di Priapo sopra una base.
21, sul muro sin. a d. : due maschere poco riconoscibili ; a sin. un lirso.
i e un triclinio, dipinto nel terzo stile a fondo nero, con strisce rosse fra gli scompartimenti della parte media ed uno scompartimento rosso con margine nero nel centro d'ogni parete. Non vi sono rap- presentanze figurate ; soltanto nel centro d'ogni parete era rappre- ssntato un uccello (sul muro sin. un cigno volante che porta nel becco e coi piedi un nastro giallo con.piccoli pendagli puntuti), in ognuno degli altri scompartimenti un vaso.
k e la cucina, coperta d'un tetto che s'abbassa verso N, sor- retto da travi tonde che con l'estremitä inferiore riposano sul muro N, con quella superiore sopra una grossa traye tonda paral- lela al muro S. Una delle tegole ha un'apertura tonda dal dia- metro di m. 0,22. Accanto alla porta evvi una finestra a. 0,38, 1. 0,40.
22, La pittura lararia e distribuita sul muro d'ingresso e sul muro sin. Su quello il Genio vestito di tunica bianca con striscia rossa al coUo e due strisce verticali, pure rosse, sul petto, d'una toga biancastra, della quäle non e certo che faccia parte il panno che cuopre la testa, e di stivali. Ha il corno d'abbondanza alla spalla sin. ed e in atto di libare con la d. sull'altarecol fuoco acceso, che sta a sin. Di sopra bende rosse, verdi e gialle, di sotto piante. Sul muro sin., avanti al focolare, nel mezzo un altare, giallo ad imitazione di marmo, col fuoco e a d. un uoyo ; vi si attortiglia un serpe crestato che alza la testa sopra il fuoco. A d. e a sin. i due Lari, coronati di foglie, con corta tunica, che ha nel mezzo una larga striscia verticale rossa mentre e gialla nella metä ri- volta all' altare, turchina nell'altra. Hanno intorno ad ambedue le braccia una veste rossastra a guisa di sciallo e stanno nel solito atteggiamento con rhyton e situla ; fra ciascuno di essi e l'altare un alberetto. Di sotto due serpenti che fra piante si dirigono verso l'altare su cui stanno il fuoco acceso e due uova.
23, suUo stesso muro sin. accanto al focolare. Di sotto nel mezzo una pignatta sul fuoco, a d. un vaso poco riconoscibile ; piü sopra a sin. un'anguilla allo spiedo, a d. carne (costole ?) pure allo spiedo ; piu sopra ancora nel mezzo una grande testa di
INSDLA IX, 7 117
maiale, a sin. due salsicce, a d. 5 uccelletti a una corda legata con le due estremitä ad un bastone.
24, sul lato anteriore del focolare stesso : un presciutto. Tutto questo e dipinto rozzamente con color paonazzo su fondo bianco.
N. [14].
Parleremo brevemente soltanto della casa seguente, non ancora completamente scavata.
a fauce, h atrio, nel quäle Xopm ügainum di epoca tarda cuopre anche l'impluvio ; a d. di quest' ultimo una bocca di ci- sterna in lava, senza puteale ; nell'angolo d un armadio murato. L'atrio e dipinto neH'ultimo stile a fondo nero, il cubicolo a (con tinestra a. 0,86 1. 0,67 sulla strada) a fondo bianco. Invece nel triclinio e e conservata la decorazione nel secondo stile, che imita un'incrostazione di marmo ; era in origine un grande triclinio, ma negli Ultimi tempi era diviso in due parti per mezzo d'un muro traverso (N a S). II tablino / e dipinto nell'ultimo stile a fondo rosso ; il pavimento e di signinum con disegno di pietruzze bian- che. Seguono due camere non scavate : a d. del tablino, e l'ultima a d. deir atrio. II cubicolo g e dipinto nell' ultimo stile a fondo bianco ; nel pavimento di signinum un rozzo disegno di pietruzze blanche forma un rettangolo corrispondente alla porta. — h scala del piano superiore; sotto di essa in ?, presso il mm*o di strada, la latrina. — k era in origine un triclinio, dipinto nel terzo stile a fondo rosso ; piü tardi perö fu addossato al muro sin. (S) un rialzo di materiale a. 0,53, 1. 1,10, nel quäle, presso 1' estremitä 0, era immessa una grande caldaia con apparecchio per scaldarla di sotto.
Sülle pareti son conservate le rappresentanze seguenti :
1 e 2 neir atrio ; 1, sul muro E di ö? sul fondo bianco ; a. 0,48, 1. 0,70 ; poco conservato : *due gladiatori. Ambedue hanno il grande scudo giallo ed elmo dorato, quello a d. un gambale alla gamba sin., l'altro in ambedue. Quello a d. ha una benda (cosi pare) intorno al ginocchio d. e qualche cosa dorata al malleolo d. (manca il piede). Pare che quello a sin. avesse un corto tri- dente. Altri particolari non si distinguono.
2, sul muro sin. a d. della porta di ^ ; a. 0,95 ; poco con- servato : gladiatore v. d. dipinto in rosso sul fondo bianco. Si
118 sc AVI DI POMPEI
distingue la gamba sin. messa avanti ; il piede sta piü alto del d. ed e raunito d'un gran gambale che s'inalza sopra il ginocchio e presso al quäle si vede una corda. La mano sin. (cosi pare), col braccio involto, e stesa in dietro accanto alla coscia e regge oriz- zontalmente un'asta : la lunga linea rossa si vede per m. 0,85.
3-6 in c ; . 3-5 : quadretti incorniciati ma dipinti sul fondo bianco della parete; a. 0,17, 1. 0,25.
3, muro sin., P scompartimento : putto seduto v. d. che con ambedue le mani regge un uccello.
4, muro d., 2* scomp. : putto v. d. che tiene un porchetto mettendogli le mani sul dorso.
5, muro d'ingresso, a d. : putto che messosi in un ginocchio regge con ambedue le mani un lepre. — Tutti e tre sono nudi meno una clamide verde che svolazza in dietro,
6, sul fondo bianco senza cornice ; sul muro di fondo a d. ; a. 0,23, 1. 0,33 : cigno volante, sopra il quäle s'inarca un diadema dentato giallo, munito di nastri per legarlo sotto l'occipite.
7 e 8 in /; 7 sul muro di fondo, a. 0,50 1. 0,47 ; disegno presso ristituto : Venere pescatrice ; siede v. sin sullo scoglio, ap- poggiandovisi con la sin., ed ha la verga nella d. ; e nuda meno la veste gialla che avvolge le gambe; ha braccialetti ai polsi ed alla parte superiore del braccio, e nastri (o catene) che s'incrociano sul petto. Amore le sta incontro ritto sopra un altro scoglio, nella d. un cestino, la verga nella sin. protesa. Nello sfondo il mare.
8, sul muro d., a. 0,50, 1. 0,45 ; disegno presso l'Tstituto ; Narcisso, seduto (le gambe a sin.) sopra un sedile cubiforme, sul quäle giace una veste rossa che gli cuopre anche le cosce, appog- giandovi la sin.; la d. regge la lancia con la punta in giü. La testa e coronata ; guarda con mesta espressione a d. e in giü, non verso l'immagine visibile sotto il sedile. Dietro il sedile sta ritto un Amore (quasi di faccia), che^guardando Narcisso alza con am- bedue le mani v. d. una tiaccola. A sin. un albero.
In h sulle pareti sin. e di fondo son dipinti trascuratamente sacelli rustici.
Delle case [15-17] piccole parti soltanto furono scavate. II n. [17] era l'abitazione di Emilio Celere, scrittore di programmi. I suoi programmi si trovarono finora esclusivarnente in questo vico, e sono i seguenti :
INSÜLA IX, 7 119
1. II grande programma gladiatorio (ora caduto dal muro) Not. .d. Sc. 1880 p. 299, appartenente agli ultimi anni di Claudio Cesare.
2. II programma elettorale Not. d. Sc. 1887 p. 40, nel quäle Ti. Claudio Vero, il proprietario della casa del Centenario (1. c. 1880 p. 148), che forma il lato 0 di questo vico, e raccomandato al duumvirato dai vicini.
3. ün programma ora scoperto sul lato 0 del vico, press'a poco incontro al n. [17] (Not. 1888 p. 522):
L STATIVMRECEPTVM
II • VIR • I • D OV • F • VICINI • DIG • SCR / AEMILIVS-CELER-VIC- ITuV-^e";
AEGROTES
Numerose iscrizioni dipinte e graffite indicano l'abitazione di Emilio Celere, e specialmente la seguente, dipinta in nero a d. del n. [17J:
A CELER HiC HABITAT
V. INAVOSCIYDIIDE . . . DHQHIE
verticalmente sotto la fiue della seconda riga, che sembra conte- uer lettere senza senso: AENEIA NVTRIX (Virg. En. VII, 1), e sotto il principio della riga prima : IN • ERVM •
Piü in SU, anche a d. della porta, e dipinto in nero : P • AEMILIVS • CELER , e sotto questa a d. : ///,'' AILIVS • CELER •
Anche fra i graffiti s'incontra questo nome : CELER si legge due volte a d. e una volta a sin. della porta; fra [12] e [13]: AEMILIO-CELERI, e piü a d. : AEMILI CELERIS, e sotto que- sta: AEMILIVS-
Vi sono inoltre nel vico stesso le seguenti iscrizioni dipinte (cf. Not. 1888 p. 517 sgg): 1-14 lato E.
1. presse l'angolo NE dell'isola IX, 7, visibile da piü anni :
M-SAMELLIVM MODESTVM AED oT
2, a d. del n. [13], evanescente e nella parte inferiore co- perto di stucco posteriore : ////7 TVIVM • AED. Si tratta di L. Nae-
120 SCAVI DI POMPEI
vius Rufus, di cui si conosceva un solo programma, CLL. IV 475, anch'esso evidentemente di data antica; fu letto a poca distanza sul lato N della via Nolana.
3, sullo zoccolo sotto 2, evanescente : MVNATIO • FELICITER
4, fra i nn. [13] e [14] (Not. 1880 p. 299, 2): NEPOTE • AED . Si conosceva un solo programma di Nepote, di gentilizio ignoto, letto a poca distanza {C. L. L. IV 401).
Segne, a d. di 4, il programma gladiatorio Not. d. Sc. 1880 p. 299,3.
5, piü a d. : PRO SALVTE NER
INTERR 11 prof. Sogliano (Not. d. Sc. 1888 p. 547) supplisce Pro salute Neronis in terrae motu e pensa al fatto raccontato da Tacito {Ann. XV 34), e Svetonio (Ner. 20), che cioe a Napoli, nell'anno 64 d. C, sia crollato il teatro ove Nerone avea cantato. Forse egli ha ra- gione ; bisogna notare perö, che Tacito non fa menzione del terre- moto, mentre Svetonio racconta cose incredibili.
6, a d. di 5: VITELL //'////
Segne a d. del n. [14] il programma di Claudio Vero.
7, fra i nn. [14] e 15] : ATTI VM • AMPLV////
DRP AED • MO • V? Veniamo qui a conoscere il gentilizio di Amplo, noto dal solo pro- gramma Eph. ep. I p. 53 n. 165, scritto a poca distanza suU'aU' golo SO dell'isola IX, 5.
8, a sin. del n. [15] sopra intonaco piü antico: L • RV
9, fra i n. [15] e [16], in lettere grandi : PmROS
manca niente (') ; cf. n. 5.
10, sotto 9 : MVNA ; manca niente.
11, sotto 10 : PROS ; manca niente.
12, a d. di 11 : CELER
e a sin. in direzione obliqua : INT////CHR • DELECTA
MECVM • CANE
(1) II prof. Sogliano Not. 1888 p, 517 </ riferisce ancora un'iscrizione di- pinta in rosso : pro salwTE NEroww, da me non veduta, e confronta C. L L. IV 1197 sg. 3053. Le iscr. surriferite pare che per lo piü siano esercizi per programmi da eseguirsi altrove.
INSÜLA IX, 7 121
13, a d. del n. [17] : A • R^/ STIVM
14, a d. di 13: AR; probabilmente ambedue riferibili ad A. Riistio Yero, noto candidato all'edilitä ed al duumvirato.
15 e 16 sul lato 0. SuU'aQgolo stesso, incontro ad 1 sta il pro- gramma di N. Erennio Celso Not. d. Sc. 1880 p. 299, 1.
15, incontro al n. [16J, evanescente :
OI///';7"TIVM • BALBVW2
//////////////////////// ^n'MIGENIA KOgat /'7'///7A ET M AERA (^)
16, a d. della prima porta contando da N, suU'angolo di un angiportus poscia abolito, sta addossato al muro un altare (0,70 X0,55, a. 1,05), la cui superficie e stata allargata per mezzo di una nicchia a volta incavata nel mui'o (a. 0,37). Sopra l'altare e intorno alla niccbia evvi sul muro un rettangolo di stucco fino e bianco (0,74X0,70), sul quäle son dipinti sotto il margine supe- riore una ghirlanda (in verde, rosso e giallo) e piü in basso due corni d'abbondanza (in verde e giallo). Sotto la ghirlanda e scritto con color paonazzo, in lettere a. 0,02: SALVTIS. Questa pittura non appartiene agli Ultimi tempi di Pompei : le erano stati sovra- posti successivamente non pochi sottilissimi strati di stucco bianco, e SU questi eseguite altre pitture, di cui non rimasero che avanzi irriconoscibili. D'altra parte la pittura sudescritta evidentemente ne ha rimpiazzato una piü antica. Intorno ad essa cioe una striscia larga 0,12 — 0,20 e dealbata, e su questa striscia, sopra la pit- tura, si legge in lettere sottili di color paonazzo:
S A L V T E I SACRVM
Perö delle lettere delle 2"^ riga manca la metä inferiore, ed e evi- dente che questa parte andö perduta appunto quando fu messo lo
(*) Not. loc. cit. p. 521: C • rvstivm; ma e noto Q. Bruttio Balbo, mentre C. Rustio Balbo sarebbe nuovo. Tolgo dalle Not. il vs. 2, ove man- cano invece le tracce vs. 3. Vs. 4 : afra Not. ; infatti la lettera rassomiglia piü a F , cf. perö Eph. ep. I p. 152 n, 163.
9
122 SCAVI DI POMPEI
stucco fino per la pittura sopradescritta. L'iscrizione dunque si ri- ferisce ad una pittura anteriore. Ognuno vede che essa non e di- sposta simmetricaraente: la prima riga supera la seconda nel princi- pio di m. 0,10, nella fine di m. 0,01 ; siccome perö la parola Salutei sta proprio in mezzo a quella striscia dealbata, cosi non credo che dopo essa (ove h caduto quelle strato su cui l'iscrizione e dipinta) manchino altre lettere.
Segue finalraente il surriferito programma di Stazio Kecepto.
Fra le iscrizioni graffite (cf. Not. 1. c.) rileviamo le seguenti :
1, sullo stipite d. del u. [13], letta dal prof. Sogliano 1. c. da me non veduta: ARM. VIR
2, fra [13] e [14]: VilSTITVS
3, a d. di 2 : C\ RVSTIVS
VFC CvwiX Carustius = Carystius ? Nella riga 2^" CVMX pare scritto da altra mano. Le altre tre lettere mi sembrö certo che non dicessero hie.
4, a d. di 3 : MNHAIO
5, a d. di 4: SVCCESSVS
5, piü a d. : lANVARIVS
6, fra [14] e [15] : SECVNDVS
7, piü in giü : SVCCESS
8, a d. di 7 : CnOPOC
9, sotto 8, a d. : NliRV
7, fra [15] e [16] : SVCCESSVS HIC
8, a d. del n. [15] AVCTVS IVL XXX"- II prof. Sogliano, citando a confronto C.I.L.IY 1170. 1173. 1182. 2508, ha giu- stamente riconosciuto trattarsi d'un gladiatore iulianus col numero delle sue vittorie.
9, sotto 7^ -<~HAR AVCTVS
10, a sin. del n. [16]: M VAFER
11, ivi stesso : AVREVS EST DANAE .
Pare che qui si abbia un ricordo poco esatto del verso di Ovidio met. 6,113: Aureus et Danaen, Äsopida luserit ignis {Jupiter).
12, Sul muro d. dell' ingresso n. [16] :
O VTINAM- LICIIAT ■ COLLO • COMPLIIXA TIINIIRII • BRACIOLA- IIT 'TIINIIRIS OSCVLA- FIIRRII • LABELIS • i NVNC • VIINTIS • TVA • GAVDIA • PVPVLA • CRllDII CRIIDII • MIHI • LIIVIS • IIST NATVRA ' VIRORVM • SAllPll * IIGO • CVMIIDIA
INSULA IX, 7 123
VIGILARII • PIIRDITA • NOCTII • HAlIC • JWIICVM • MIIDITAS • JWVLTOS FORTVNA • QVOS • SVPSTVLIT " ALTII • HOS MODO • PROIIICTOS SVBITO • PRAllCIPITIISQVll • PRIIMIT • SIC • VlINVS • VT • SVBITO • COIVNXIT CORPORA • AMANTVIW • DIVIDIT • LVX ||T • Sil AARIIIIS QVID • A A M
il inutile l'aggiungere che mi rimane inintelligibile l'ultima riga e la fine della penultima ; pare che all' autrice non proce- desse piü la composizione della sua quasi-poesia.
13, sotto 12 : C R O C I N I V^ •
ISMARE • V\-
14, a sin. di 13: ISMARVS
CROCINEN SVAE SAL
15, fra 13 e 14 : DEVRONYM (i. e. Ssvqo w> . . .)
Nel muro d. dell' ingresso [17] e a d. di esso son tracciati col carbone non pochi segni nuraerali ed alcune date (Not. 1. c. 520, v.).
18, a d. del n. [17] : VI • K • APR A XII
Nel piano siiperiore della casa di Emilio Celere furono tro- vate 7 anfore con iscrizioni (Not- 1888 p. 526 n. 23-29). Due (forma VII) contenevano la lumpa veius di M. Valerio Eliade, una terza (X) vino del medesimo negoziante o produttore, indicato con le iniziali, la qiiarta lu{mpa vetus?) d'un altro produttore di nome non leggibile, la quarta vino di Filampelo, nome che accenna ad una famiglia di viticoltori; le due ultime portano numeri e segni non intelligibili. Le iscrizioni intelligibili sono le seguenti :
f
1. LMVF ^£• 53
ÄIIIIA ^
V c^
VALERI HELIADIS ^
2. come 1, soltanto vs. 3 VIII preceduto da un segno che puö es'sere P .
3. M • V • H
124 |
SCAVI DI POMPEI |
4. |
LV |
AiiiiA |
|
XX |
|
^\!II/IIIIICKE1IIIIH (Not. 1. c. M L..,) |
|
5. |
<I>IAÖ^MnGAOY |
U) |
|
0e ö. |
Nel n. [16] fu trovata un'anfora con l'epigrafe in rosso: M A) \£'
Delle isole situate sul lato N della via Nolana incontro a quella cui appartengono le case fin qui descritte ed alla casa detta del Centenario, furono scavate soltanto le parti anteriori; se ne parlerä meglio quando le case saranno ridate interaraente alla luce. Intanto notiamo che vi furono trovate quattro anfore con iscrizioni (cf. Not. d. sc. 1887 p. 243) :
1 (forma XII) : N • CESTIo
L ANTISTIO ^^
E probabile che questi consoli appartengano all'a. 55 d. C. e che N. Gestio sia stato sostituito a Nerone, che tenne il conso- lato soli due mesi (Svet. Nero 14).
2 (X): nAOYTOC
3 (VIII) : OINoC ^lo Nvtf \Ov
4 (XI): MOL
C A N ; cosi Not. 1. c. lo della riga seconda non vidi che tracce della C •
Vi fu trovato pure (V, 4, 7) uno dei noti sigilli dj bronzo :
SPATALI • SER CORJSELI • ZOSlM
Finalmente voglio menzionare una replica della nota compo- sizione di Teseo che abbandona Arianna (Heibig 1217 sgg. Sogliano 531 sgg.), assai mal conservata, venuta alla luce in una casa sca- vata soltanto in piccola parte a S della casa del Centenario, col- V ingresso da E. E a. 0,90. 1. 1,0. A sin. Arianna irriconoscibile.
INSÜLA IX, 7 125
A d. Teseo, con la spada al fianco, la lancia nella sin. , Tavam- braccio sin. avvolto nella clamide, mette il piede sin. sul ponte ehe conduce sulla nave, rivolgendo la testa ed afferrando con la d. la mano sin. del compagno barbato, vestito di esomide biancastra, che lo riceve e lo aiuta a montare. A d. sopra iino scoglio com- parisce Pallade librata in aria, che nella sin. insieme con lo scudo regge la lancia e con la d. alza sopra la spalia un lembo della veste.
A. Mau.
ANTICHITA DI ALATRI.
(Tav. V. VI).
Alatri, l'antico Aletriiim, cittä degli Ernici, a tre ore incirca dalla stazione di Frosinone sulla linea ßoma-Napoli, e nota come grandiose esempio di fortificazione preromana. Negli Ultimi anni perö l'attenzione degli archeologi vi fu attratta piuttosto dall'iscri- zione (appresso riportata) in onore di Lucio Betilieno, la quäle fra le altre opere fatte fare da questo benemerito cittadino corame- mora anche una condottura forzata a trecento piedi di elevazione. Sopra questa il P. Secchi scrisse una memoria fin dal 1865. II Mommsen poi per il volume X del Corpus tnscr. lat. diede im- pulso ad una nuova ricerca, di cui furono incaricati i signori Di Tucci italiano e Bassel prussiano. In quell' occasione, aprendosi una trincea per rintracciare l'andamento dell'acquedotto, si scoper- sero gli avanzi di un tempio fra quali lastre ed antefisse di ter- racotta, che ne avevano formato l'ornamento. Lo scavo di questo tempio, sin dal primo momento progettato dall'Istituto, fu effet- tuato, sul principio di questo anno, dalla R. Direzione delle an- tichitä, che perö cortesemente invitö l'Istituto a partecipare al lavoro, per lasciargli poi liberalmente la pubblicazione dei risul- tati. Siccome il tempio risultö di dimensioni piccolissime e di pes- sima conservazione, cosi lo scavo fu presto finito. Esso perö diede occasione ad un nuovo esame delle altre antichitä di Alatri, e fummo lieti nel vedere manifestarsi e durare nelle relazioni seguenti l'unione di lavoro e di studio, che in mezzo i monumenti stessi collegö i si- gnori conte Cozza, R. Ispettore dello scavo, ed il nostro dott. Winne- feld. Ne vuolsi tacere la solerte cura del soprastante sig. Tomassini.
P.
A"NTICHITA DI ALATRI 127
I.
La cittä ö situata sopra ima collina in fondo ad un fertile ter- reno ondiilato percorso dal fiume Cosa, in modo da dominare questa diramazione della valle del Sacco e nel tempo stesso l'ingresso alla stretta vallata che rinchlude il Cosa nel suo corso superiore.
Per due gioghi alti circa m. 440 la collina della cittä ö congiunta verso 0 e N con le alture circostanti, alle quali essa sovrasta considerevolmente con le sue due vette, la piü bassa, a. m. 485, sul margine N, e la rocca dell'arce, a. ra. 502, nel centro della cittä. Sul lato S e piü ancora sul lato E il declivio verso la valle e scosceso. Da queste condizioni natural! risulta la posi- zione della cittä sul colle. Per renderla possibilmente inaccessibile dalla parte del giogo settentrionale, il muro di cinta su questo lato fu condotto in alto quanto era possibile, e l'intera cittä dalla punta di questa vetta si stende verso S, in modo che il punto piü distante della cinta presso il ripido declivio del lato S rimane a m. 80 sotto il punto piü alto del lato N. La troppa ripidezza del pendio Orientale non permise di fare altrettanto dirimpetto al giogo 0, estendendo la cittä verso il lato opposto della montagna; di piü al giogo suddetto non corrisponde, come sul lato N, un rialzo della collina, ma l'abbassamento fra la vetta N e la rocca. Cosi alla cittä fu data la forma d'un oblungo che in generale s'abbassa fortemente verso S, con l'asse maggiore che passa per i punti piü alti della cittä ; la cinta retrocede sensibilmente soltanto sul lato 0 incontro all'accesso piü pericoloso, per non far scendere troppo il muro in quell' abbassamento.
L'antico muro di cinta, cosi descritto nelle sue linee fonda- mentali, lungo circa km. 4, oltre l'odierna cittä di Alatri, di 5500 abitanti, della quäle poche case soltanto (in origine torri e rinforzi di porte medievali) sporgono fuori del muro, rinchiude, fra orti e terreno non coltivato sull'altipiano dell'arce, una super- fiele press'a poco uguale a quella coperta d'edifizi. Se una pro- porzione simile abbia avuto luogo anche nell'antichitä, ovvero se l'intera superücie fosse abitata, non posso stabilirlo : gli avanzi di antichi muri di sostegno, visibili in ogni dove, nulla decidono.
128 ANTICHITA DI ALATRI
II sito degli accessi principali e indicato dalla natura stessa: sul lato 0 (neirabbassamento) e sul lato N due porte corrispon- denti ai due gioghi suddetti (porta S. Francesco e porta S. Pietro). Nonostante la minore altezza di quella prima, l'altra fin dall'anti- chitä dovrebb'essere stata la piü importante, essendoche sul giogo N si puö salire piü direttamente dalla pianura, mentre quello 0 dal lato della pianura sovrasta con rapido pendio ad una stretta vallata che ivi si dirama, ed e veramente accessibile soltanto dal lato della montagna. Oltre a queste puö dimustrarsi che ve n'era una anche nell'antichitä al posto deH'odierna porta Portati, sul- l'angolo NE della cittä. Che poi al posto e nella direzione del- l'odierna porta S. Niccolö, nel SE, vi fosse una porta antica, lo rende quasi certo la direzione delle strade al margine della cittä, spiegabile soltanto quando si suppone che essa dipenda da fonda- menta antiche utilizzate nelle costruzioni, ed inoltre la considera- zione che altrimenti piü che la metä della cinta sarebbe stata senza un'uscita maggiore. AU'incontro che anche l'ultima e la meno im- portante fra le cinque porte moderne, porta Dini, nell'O, stia al posto d'una porta antica, tutt'al piü potrebbe dedursi dall'analogia delle altre quattro (').
Uno sguardo sulla pianta tav. V. (2), dimostra che il muro di cinta in generale segue la direzione delle curve altimetriche, e perciö, conformemente all'uso delle fortificazioni della regione « etrusco-latina " , e per lo piü muro di sostegno, appoggiato dalla parte di dietro al terreno che s'inalza e sormontato probabilmente da parapetti. Quäle sia stata, su questi tratti, l'altezza del muro, e flno a quanta profonditä, forse sotto l'infimo strato, la roccia sia stata fatta artificialmente scoscesa, non puö essere determinato, essendo ignote le alterazioni subite dal terreno dietroposto, ed es- sendosi accumulati appie del muro grandi massi di rottami. Forse
(1) In Alatri h diffusa l'opinione che una porta antica si trovi nella cantina d'olio del convento della SS. Annunziata, ove di fatto era una porta medievale ; perö da un accurato esame risulto che su questo punto l'antico muro proseguiva senza interruzione.
(*) L'andamento del muro e iudicato con doppia linea punteggiata ove risulta con evidenza da pochi avanzi e dalla direzione di parti adiacenti meglio conservate, con linea punteggiata semplice ove fu dedotto dalla conformazione del terreno e dalla direzione delle strade odierne.
ANTICHITA DI ALATRI
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perö qualche cosa puö concludersi, per analogia, dall'altezza di quei tratti del muro che stavano liberi, benche anche questa non possa stabilirsi con piena certezza.
Non mancano cioe tali tratti, di estensione considerevole ed in parte ben conservati, almeno sul lato esterno. Erano necessari ove il muro traversava ad angolo approssimativamente retto le eurve altimetriche, vale a dire sull'intero lato N, ove passa sopra la vetta N invece di seguirne il pendio ; di piü fra porta S. Fran- cesco e porta Dini, ove scendendo per il ripido declivio s'avanza verso 0; finalmente nella prossimitä di porta S. Francesco, ove traversa l'abbassamento che da 0 si stende in alto,
Nel tratto raffigurato fig, 1, che da 0 s'attacca a porta S. Pietro, forse il meglio conservato, credo si possa determinare ad un dipresso
Fig. 1.
l'altezza del muro. E coronato cioe da due strati di massi lunghi e bassi, i quali per la loro altezza press'a poeo uguale e per la loro direzione, corrispondente all'iRclinazione del piano, scavato nella roccia, deH'infirao strato, si distinguono essenzialmente dal resto del muro ; misurano insieme circa 1 m. in altezza e stanno a m. 5,60 sopra la roccia. Che essi siano l'antico coronamento del muro, o un membro ad esso sottoposto, e un pensiero che tanto
130 ANTICHITA DI ALATRI
piü spontaneamente si offre, inquantoche avanzi simili si osser- vano ■ anche in altri tratti del muro N, esclusivamente perö in quelli conservati fino ad un'altezza considerevole, mai in parti piü basse. Ora il margine della roccia naturale nel punto raffi- gurato sta tutt'al piü a 1 m. sopra la soglia della vicina porta S. Pietro ; la roccia dunque sotto il muro puö essere stata resa ad arte scoscesa per un'altezza non superiore ad 1 m. E risulta cosi un'altezza massima della fortificazione in questo punto fra m. 8,50 e 9,50, secondo Faltezza del membro che puö credersi sovraposto a que' due strati paralleli.
Pur troppo non era possibile formarci un giudizio sicuro sulla grossezza e con ciö sulla costruzione interna di queste parti del muro : i massi isolati che nell'interno delle case situate dielro il muro compariscono qua e lä sotto intonachi e murature moderne, non oflfrono un materiale abbastanza sicuro ; e dalla grossezza del muro accanto alle porte, che a porta S. Pancrazio e di m. 3,80 almeno, nulla puö dedursi per altre parti, trattandovisi di costru- zioni piü complicate. All'incontro la struttura delle parti fatte essenzialmente a guisa di muro di sostegno puö osservarsi esatta- mente nel punto piü basso della circonvallazione, ove le acque di liltrazione hanno spinto in fuori un pezzo di muro. I massi della facciata combaciano esattamente e stanno con la loro lunghezza nella direzione del muro ; dietro a loro stanno massi non lavorati, press'a poco delle stesse dimensioni, con l'asse longitudinale ad angolo retto sulla facciata; i loro interstizi son riempiti di piccole pietre e rottami, e dietro di essi piccole schegge fanno quasi la transizione alla terra vegetale.
II lato esterno del muro, meno un'eccezione da menzionarsi or ora, mostra in tutfco il circuito essenzialmente il medesimo carattere: massi poligoni, per la maggior parte piü lunghi che alti, rare volte eccedenti la misura di m. 2 in una direzione qua- lunque, per lo piü di dimensioni non poco minori, diligentemehte lisciati tanto sul lato di fronte quanto nelle commessure, inca- strati fra loro esattamente, approfittando spesso di angoli rientranti, di modo che quasi in nessun punto e occorso riempir le. lacune con pietre piccole. Massi piü piccoli fra i grandi non sono affatto rari, ma sono lavorati e adoperati precisamente come quelli : sono riusciti piü piccoli nella caya, ma non servono mai coMe espediente, qualora,
ANTICHITA DI ALATRI 131
per färe una congiunzione esatta, non fossero bastati i massi grandi. La collocazione delle pietre e di preferenza orizzontale, senza perö che si possa parlare di strati che si stendono per tratti piü lunghi. Presse le porte ed agli angoli la collocazione orizzontale, unita ad una maggiore grandezza dei singoli massi, raggiunge un tal grado di regolaritä, da rammentar qualche volta una costruzione di pietre quadre. Pietre disposte a guisa di volta non ne vidi che in un piccolo tratto a S di porta S. Francesco.
Per quanto tale costruzione sia costantemente uniforme, grande pure e la differenza nell'aspetto esterno fra il muro N (tin oltre porta S. Francesco sul lato NO) da un lato, e le parti rimanenti sui lati 0 e S (del lato E quasi nulla e conservato) dall'altro. Ivi il bei muro liscio, con combaciamenti esatti, qui apparente- mente una rozza costruzione di massi appena lavorati che non combaciano, e di una quantita di piccole pietre frapposte da per tutto fra gli angoli e spigoli dei massi grandi. Per altro tutto ciö e effetto parte del vento di scirocco, cui questi tratti sono esposti, parte del terreno retrostante con le acque che vi si raccolgono : la superficie delle pietre e corrosa, sbricciolati gli angoli e gli spigoli ; ma chi guarda da vicino s'accorge che le varie parti della superficie retrocedono in grado diverse dietro la facciata originaria, mentre in una costruzione di pietre non lavorate queste dovreb- bero sporgere in grado diverse avanti ad una superficie ideale ; s'accorge pure, che nell' interne le commessure mostrano tuttora lo stesso lavoro esatto come nelle parti rivolte verso N e non appog- giate ad un teiTcno umido, II non tener conto di simili differenze di conservazione, che dipendono da condizioni fisiche, ha prodotto varie teorie artificiose ed impossibili ; p. es. che in Norba sui tratti del muro sovraposti ai piü scoscesi declivii i massi non fossero lisciati, perche non visibili da vicino ('); mentre in realtä quelle parti piü alte sono rivolte appunto verso 0 e SO, e appunto su questi tratti una maggiore quantita di acqua deve raccogliersi nel terreno posto dietro al muro. Cosi si e detto che in Cori il muro piü antico sia l'inferiore, quindi venire quelle di mezzo ed in ultimo quelle dell'arce (*), mentre il muro inferiore, che si dice
(1) Gerhard, Ann. d. Inst. 1829 p. 68.
(2) Nibby, Dintorni di Roma I p. 506, ripetuto in Fonteanive, Monu- menti ciclopichi nella provincia romana p. 133.
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uguale a quello di Tiryns, mostra e vero esternamente massi che non combaciano e fra essi franturai di pietre scomposte, ma in parti piü riparate ha commessiire ben lisciate e che combaciano non mono esattamente che in qualunque altro muro poligonale.
Una Vera e reale diiferenza nei muri d'Alatri si osserva sol- tanto suirangolo SE. Qui le commessure inferiori e superiori di tutte le pietre sono orizzontali ; si osservano strati che continuano per un tratto piü lungo ; manca soltanto un piccolo passo per giun- gere ad una costruzione di pietre quadre (vd. fig. 2). Qui senz'alcun
Fig. 2.
dubbio trattasi d'una costruzione piü recente, la cui presenza fa- cilmente si spiega. E questo il punto dell'intero circuito piü sas- soso e meno accessibile ed e probabile che qui in origine la roccia naturale, resa forse piü scoscesa ad arte, bastasse da se senz'altra fortificazione. Piü tardi le fu sovrimposto un muro, la cui base sta per conseguenza considerevolmente piü in alto di quella degli avanzi, superstiti in ambedue i lati, del muro piü antico.
Delle porte soltanto le due ai posti delle odierne porte di S. Francesco e Portati sono piuttosto conservate (^). Ambedue hanno una disposizione singolare.
(') Di porta S. Pietro non potei pivi constatare tutto cio che fu rilevato da Marianna Candidi-Dionigi , Viaggi in alcune cittä del Lazio tav. 29, secondo la quäle due pareti laterali convergenti, di cui quella a d. delVag- gressore avrebbe avuto doppia lunghezza deU'altra, avrebbero condotto ad un passaggio piü stretto con pareti parallele. Fonteanive, 1. c. p. 110 s., fon- dandosi sulla tavola della Dionigi, descrive la porta con la torre d'origine
ANTICHITA DI ALATRl
133
La facciata di porta S. Trancesco (fig. 3) sta m. 1,70 dietro quella del muro; a sin. di chi entra il miiro retrocede di tanto
in direzione obliqua, a d. ad
angolo retto. Non puö essere
determinata ne la larghezza
originaria della porta, ne l'al-
tezza, ne se e come fosse co-
perta; la profonditä non ol-
trepassava m. 2,20. Per essa
s'entrava in un cortile di circa
m. 7X11, nel cui lato oppo-
sto sta la seconda porta larga
m. 4,20, fiancheggiata a sin. da
un semplice pilastro che sporge
dal muro laterale m. 1,50 ed
Fig. 3. e largo m. 0,74 soltanto, a d.
da un membro simile di spor-
genza uguale, ma largo m. 3,30 : dunque anche nella disposizione
dolla porta interna si e voluto profittare del lato destro scoperto
dell'aggressore (').
Pur troppo molto meno conservata e porta Portati (fig. 4), della quäle sol- tanto il lato d. e antico, e neanche questo completo nella pianta. Anch'essa aveva un cortile, ma siccome era situata immedia- h ^M^ tamente presse F angolo NE del mm-o, cosi
""""^ ^^^^"^^ la parete sin. del cortile doveva esser for- mata dal muro stesso, il cui lato esterno, Fig. 4. stante la ripidezza di quel declivio, era
^
tarda che una volta stava a sin. di chi entra, ma ora e stata demolita, e con l'arco della porta, d'origine recente, che fa tolto in occasione della visita di Pio IX nell'anno 1863. Ho potuto vedere solo quelle pareti convergenti, nuUa del passaggio ne degli angoli sporgenti ch'esso faceva con quelle. Anche la decomposizione dei rilievi in alto suUa parete a sin. di chi entra, poco vi- sibili giä ai tempi della Dionigi, ha fatto progressi considerevoli.
(') Fuori porta S. Francesco tuttora la strada di Ferentino per un pezzo e sorretta da antiche sostruzioni di massi poligoni con un passaggio per l'acqua.
134 ANTICHITA DI ALATRI
quasi al sicuro di ogni assalto. II pilastro d. della porta esterna, la cui faccia forma un piccolo angolo con l'asse dell'edifizio della porta, e grosso m. 2,50, e col suo lato interno sporge di m. 1,20 avanti alla parete d. del cortile. Alla distanza di soll 2 m. un pilastro largo 0,60 sporge m. 0,87 da questa stessa parete: egli non puö aver servito che per applicarvi una seconda chiusura. Dal suo lato interno la parete del cortile prosegue oggi per altri 8 m. ; e siccome una tale continuazione entro la porta interna sa- rebbe priva di senso, e sarebbe troppo piccolo un cortile di 2 m. in lunghezza, cosi bisogna supporre che piü in dentro vi fosse ancora una terza chiusura. La disposizione dunque e in massima quella stessa di porta S. Francesco, modificata perö come lo ri- chiedeva la posizione speciale e la minore sicurezza di una delle pareti del cortile.
Molto piü semplici sono le posterle, le quali, se non ci trae in inganno la poca conservazione dei muri, furono fatte in quei punti oye la conformazione del terreno ne permetteva ne rendeva desiderabile una porta, mentre nell'interesse della difesa, essendo troppo distanti fra loro le porte, era richiesta una comunicazione fra l'interno e l'estemo. Si trovano ben conservate al punto a nel N e al punto b nel S, e sono aperture alte m. 2, larghe fra m. 0,90 e 0,95, che per conseguenza facilmente potevano chiudersi con pietre, ma la cui sicurezza speciale consisteva in ciö che stavano tanto al disopra del livello del suolo da non essere accessibili che per mezzo di scale. L'altezza della soglia della posterla meridionale non pote esser constatata a causa dei rottami accumulativi sotto, ai quali essa sovrasta di un metro soltanto. Invece quella setten- trionale tuttora si trova a m. 2,32 sopra il suolo, e si puö ritener per certo che questo nell'antichitä era molto piü basso ancora.
Di uguale natura pare che fosse un'apertura presso l'angolo sporgente NO (<?), pur troppo quasi tutta coperta da una torre medievale non accessibile. A giudicarne dalla sua posizione non puö essere stata una vera porta ; probabilmente essa serviva per prendere di fianco il nemico che assaliva porta S. Francesco. L'uscita pare che fosse alquanto piü grande che nelle altre due posterle, ma le condizioni del luogo non ci permisero di misurare esattamente neanche la parte Yisibile.
Le fortificazioni della cittä debbono aver servito come tali
ANTICHITA DI ALATRI 135
anche nel medio evo ed in tempi moderni ; lo dimostrano le torri costruitevi innanzi, da porta S. Pietro fino a porta S. Francesco, le quali oggi servono come abitazioni e ad altri usi ; lo dimostrano le costruzioni sporgenti a guisa di bastioni presso porta S. France- sco, porta Portati e porta S. Niccolö, com' anche lo stato di porta S. Pietro quäle si rileva dalle tavole 28-30 della Dionigi.
Un' immagine molto piü completa possiamo formarci della rocca, le cui grandiose mura sono la gloria speciale di Alatri. La si sgombrö completamente in occasione d'una visita di Gregorio XVI ; .lUora fu reintegrato l'antico altipiano con un parapetto, furono resi praticabili gli antichi accessi e fatta una strada che gira in- torno al piede della fortificazione e porta il nome di quel papa. E cosi la rocca, quasi tutta coperta di rottami al tempo della Dio- nigi, divenne fra i monumenti di questo genere il piü interessante ed il piü facile a studiarsi (v. tav. VI).
Quasi nel centro della cittä, ma con l'asse longitudinale da 0 ad E, alzasi la collina dell'arce, in origine una vetta che dalle altre simili non si distingueva che per l'altezza maggiore e forse per il pendio un poco piü rapido. La piü antica fortificazione, che consisteva di massi oblunghi rozzaraente lavorati, sovrapposti fra loro senza combaciamento esatto, con le testate in fuori, pare che abbia circondato la vetta quasi alla stessa altezza ove piü tardi cominciavano le grandiose sostruzioni dell' altipiano artificiale, alla stessa altezza dell'odierna via Gregoriana. Se ne riconoscono avanzi nell'angolo rientrante sul lato S ed in quelle parti del muro, che presso Tangolo NE stanno fuori dell'attuale recinto e seguono una rampa naturale che s'avauza sotto di esso, e forse anche nei massi rozzi nelle pareti interne della porta meridionale (vd. fig. 8). Questa fortificazione non avendo cambiato la forma del monte, cosi anche il piü antico edifizio che lo coronö pare che non abbia in alcun modo alterata la vetta, Non se ne riconosce che un pezzo di muro, di costruzione identica alla suddetta, sotto la parte occi- dentale del muro N dei locali addossati al lato N della cattedrale, e un piano incliriato, lavorato nella roccia, visibile ad E di quegli avanzi, che sembra indicare il posto d'un antico accesso, ne puö in alcun modo mettersi in relazione cogli edifizi eretti piü tardi in questo luogo. Pare adunque che quell' edifizio occupasse press'a
136
ANTICHITA DI ALATRI
poco il posto deH'odierna cattedrale e fosse accessibile dal lato N per mezzo di una rampa tagliata nella roccia.
Piü grandios! furono i mezzi e le intenzioni io una seconda epoca,' nella quäle si procedette interamente nel senso della terza, cui si deve l'attuale forma della rocca. Quäle fosse la forma di questa seconda fortificazione, non puö stabilirsi ; e certo perö che sul lato E tenne esattamente la direzione di quella attuale, cui per un lungo tratto serve di base (fig. 5). Essa dunque sul lato
Fig. 5.
N retrocedeva dietro la fortificazione antica — e a tale scopo dev'es- sere stata tolta una parte della roccia naturale — , mentre sul lato S oltrepassava non poco 1' antica linea, la quäle pare che in una curva a poco sesto si stendesse fra i ruderi conservati : qui dunque necessitavano gi'andi sostruzioni. La costruzione e essenzialmente uguale a quella della prima epoca, ma il combaciamento e piü esatto, i massi alquanto piü grandi. Ne e conservato un tratto,
ANTICHITA DI ALA.TRI 137
interrotto da una lacuna riempita di muratura moderna, sopra la roccia sporgente presso l'angolo NE ; quindi gli avanzi s'abbas- sano verso S, seguendo rinclinazione della superficie della spor- genza, per sparire poi del tutto e riapparire sull'intera metä me- ridionale del lato E nell'altezza uguale di m. 3 sotto il muro piü recente. Sugli altri lati della cinta non si vedono muri di questa costruzione ; ma le corrispondono evidenteraente gli avanzi che in ciina alla rocca stanno a N della cattedrale : racchiudono quel- l'antico piano inclinato e verso 0 si estendono sotto il muro N del giardino vescovile molto oltre il puntp piü alto della vetta, occupato dalla navata lunga della cattedrale.
La terza fortificazione diede alla rocca quella forma nella quäle oggi la vediamo. A giudicarne dal modo di costruire sembra quasi contemporanea al muro di cinta, forse un poco piü recente. In poche linee dritte essa circonda un altipiano, la cui superficie fu formata parte spianando la roccia fino ad un certo livello, parte per mezzo di grandi terrapieni. Soltanto ove erano stati i summenzionati edifizi delle epoche anteriori, la roccia fu lasciata an'che sopra il livello dell' altipiano, per servir da fondamento ad una nuova fabbrica. Di questo terzo editizio un gran tratto di muro e visibile nel muro N della cattedrale : riposa in parte sul muro, in parte suUa rampa della prima epoca; con es^o fanno angolo retto due muri dello stesso genere, di cui abbiamo trovato gli avanzi nei locali contenuti nelle sostruzioni della navata trasversale della cattedrale, in parte altre volte serviti da prigioni. Inutili erano le nostre ricerche di altri avanzi, giacche le parti rimanenti della chiesa ed il palazzo vescovile stanno immediatamente sul suolo naturale. Prescindendo dal fondo degli edifizi e da una leggera pendenza dell'angolo NE verso la salita, 1' altipiano e esattamente orizzontale, e recentemente e stato di nuovo munito di un parapetto che puö credersi poco piü basso di quelle che deve supporsi esistente nell'antica fortificazione. Sulla pianta della rocca nei punti piü im- portanti e iudicata Taltezza dallo spigolo superiore del parapetto moderne fino alla via Gregoriana, il cui livello corrisponde in ge- nerale a quelle ove il muro della rocca riposa suUa pietra naturale.
II margine dell' altipiano su tratti piü brevi, ove retrocede dietro il decliyio originario del monte, e formato dalla roccia stessa lavorata a picco, del resto da poderosi muri a scarpa, ma di poca
10
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ANTICHITA DI ALATRI
prominenza, rimpiazzati qua e la da muratura moderna. II muro e composto di massi in parte enormi, lunghi fino a 3 e 4 m., alti 2 m. e piü, di forma poligonale, ben lisciati sulla faccia e con combaciamenti esatti (') (fig. 5). La disposizione dei massi in ge- nerale e del tutto arbitraria e casuale ; soltanto siil lato N pare non possa disconoscersi la tendenza di coUocarli a guisa di arco (il pezzo piü caratteristico e abbozzato fig. 6) ed agli angoli le
].._-
Fig. 6.
commessure inferiori e superiori sono essenzialmente orizzontali, anche le altezze delle pietre relativamente uguali. Quanto bene e fermamente le pietre fossero incastrate fra loro, lo dimostra l'an-. golo SE (a. m. 16,62), staccato da un fulmine attraverso i massi, ncl quäle, le pietre non si sono quasi messe dalla loro originaria disposizione.
Un muro del quäle rimangono gli avanzi e che in continua- zione del muro 0 della rocca si dirigeva verso S e quindi, pie- gando verso E, andava quasi parallelo, alla distanza di circa m. 16, al muro S, stava in contatto immediato con la fortiflcazione della rocca — lo dimostra lo stato dell'infimo masso dell'angolo SO di quest'ultima — ma non sembra avere avuto scopo di fortiflcazione ; pare che servisse come muro di sostegno del. terreno molto declive.
(1) In un punto del lato E si ö cominciato a lisciare anche i massi della fortiflcazione anteriore, congiunta ivi con questo muro : in alcune pietre täl lavoro fu finito; altre rimasero col solo margine lavoKito, la piu gran parte non fu neanche toccata.
ANTICHITA DI ALATRI
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Non e facile indövinare il significato delle tre nicchio poste iina accanto all'altra sul lato S vicino a quel punto ove il muro della rocca rientra ad angolo retto. Queste nicchie, di cui rorien-
tale e ritratta nella fig. 7, sono profonde circa m. 0,90, larghe fra 1,61 e 1,75, alte circa 2,20 (i). La collocazione delle pietre di- mostra che sono originarie, non fatte posteriormente. Per la di- fesa sono affatto inutili, anzi piut- tosto nocevoli, giacche indeboli- scono il muro e potevano dar ri- coYero a qnalche nemico avyici- natosi di soppiatto (2).
L'unico cambiamento di ri- lievo che la fortificazione del- l'arce ha subito in tempi antichi, concerne gli accessi. In epoca piü tarda, come anche oggi, una larga rampa nella metä Orientale del lato N serviva alla comuni- cazione fra la cittä e la rocca, accesso che per la difficoltä della difesa toglie addirittura alla rocca il carattere di fortezza, e sta
Fig. 7.
(') Quella media ora h a. 3,25, perö Tarchitrave sta al raedesimo livello di quelli delle altre nicchie, ed il livello piü basso del piano pare dipenda da danneggiaraenti posteriori.
(2J Una spiegazione assai ipotetica sarebbe la seguente. Essendo esclusa ridea di tombe, sia per la posizione neH'interno della citta, sia per Torigi- narietä della costruzione, pare debbano mettersi in relazione con santuarii esistiti qui a S della rocca. Probabilmente essi stavano fuori della sua piü antica fortificazione, sul cui andaraento in questo punto c'informa la parte conservata che le sta accanto. Facendosi poi la fortificazione rettilinea, si dovette con essa occupare una parte del suolo sacro, e ciö si volle in certo modo compensare mettendo il muro stesso al servizio del santuario, per mezzo delle nicchie destinate a contenere immagini di divinitä e cose simili. In tal caso quei muri di sostegno rappresenterebbero il confine di santuarii nuo- vamente istituiti sul lato S della rocca in connessione con la nuova fortifi- cazione.
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in aperta contradizione con la straordinaria somma di lavoro e di arte impiegata nel fare i due celebri accessi primitivi.
Di essi il piü grande e quello anch'oggi molto praticato da S (porta di Civita), del quäle un'immagine sufficiente e data siille tavole di Fonttanive sotto il n. 2, benche ivi le tracce dello scom- ponimento appariscano troppo nella fototipia; Ja nostra fig. 8 offre
X
Fig. 8.
un taglio longitudinale per il passaggio ('), A 2 m. sopra il piede del muro sta la soglia (a. 0,25) della porta, alta 3,75, larga 2,42. L'enorme masso deH'architrave ha piü che m. 5 di lunghezza, 1,60 di altezza, 1,75 di grossezza ; al margine esterno del suo lato inferiore evvi una sporgenza alta 0,07, larga 0,20 contro la quäle doveva battere la porta ; dietro di essa si vedono in ambedue i lati gli incavi per i cardini, cui corrispondono incavi simili nella soglia. Adesso una larga scala scoperta conduce fino alla soglia della porta ; nell'antichitä, almeno finche si ebbe cura di poter difen- dere la rocca, puö credersi che avanti alla porta vi fosse una co- struzione di legno, facilmente araovibile nel caso di un assalto. Dalla soglia la strada con una pendenza media di 1 : 4 ascende sul livello dell'altipiano, accompagnata in ambedue i lati per 12-13 m. dalle antiche pareti della porta, e almeno per i primi m. 4,67 coperta tuttora dai massi antichi, dei quali il secondo,
(>) Per errore in questo disegno non furono indicati i singoli massi della porla.
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di m. 1,40 di profonditä, sta al livello dell'architrave, il terzo (ora Tultimo) di m. 0,50 piü in alto ; il quarto stava nuovaraente di 0,90 ed il quinto di altri m. 0,40 piü in su. Pin dove arrivasse l'antica copertura, non puö determinarsi. La costruzione delle pa- reti laterali della porta rassomiglia in ji^enerale a quella del muro esterao ; e notevole perö che in ambedue i lati presso Testremitä interna della parte conservata i massi furono lasciati rozzi e s'avan- zano molto avanti la linea del muro regolarmente lavorato. Giä fu accennato sopra, che qui si potrebbero riconoscere avanzi della prima fortificazione, il cui andamento non contradirebbe ; ma sembra troppo esatto il combaciamento nell'interno delle commessure la- terali, e difficilmente si spiegherebbe come sul lato d. un masso del tutto simile a quei posteriori (cf. fig. 8) sia venuto a stare sotto gli avanzi del muro antico. NuUadimeno quella supposizione mi sembra la piü verosimile.'
La fig. 9 presenta la veduta dell'ingresso della piü piocola sa- lita N, ora, che vi e la comoda rampa, appena praticata, la fig. 10 il taglio longitudinale. La porta e alta m. 2,12, larga 1,26, l'archi- trave lungo 3,35, alto 0,87, gi'osso 1,15; sulla sua facciata erano
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Fig. 9.
scolpiti in alto rilievo tre falli affrontati fra loro, due orizzon- talmente, uno verticalmente. Qui pure come nella porta S si os- serva la sporgenza contro la quäle batteva la porta e gli incavi dei cardini. La maggiore facilitä di difendere una porta tanto pic-
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cola e la circostanza che la sua soglia si trova al livello del piede del muro, probabilmente stanno in connessione fra loro. NeU'interno evvi ed eravi evidentemente fin dall'origine un pic- colo piano orizzontale di 2 m. di lunghezza ; quindi comincia la
Fig. 10.
scala, la quäle in tre capi supera l'ascensione di circa 1:1,15. Che ciö corrisponda esattamente allo stato antico (la scala pare tutta moderna), "lo dimostrano le gradazioni dell'antica copertura, qui tiitta conservata e formata da grandi travi di pietra, la cui varia e crescente altezza evidentemente ha determinato la disposizione della scala moderna. I massi delle pareti della scala soltanto presse l'in- gresso somigliano del tutto a quelli del lato esterno ; piü in su sono piü piccoli e disposti in generale orizzontalmente : conseguenza naturale del problema, proposto dalle circostanze, di salire ugual- mente e fortemente in uno spazio ristretto (0-
Che la grande rampa del lato N non possa essere contempo- ranea a questi due accessi, fu giä accennato sopra ed e general- mente riconosciuto. Per lo piü non si crede nemmeno antica ; e
(1) La Dionigi indica a sin. due piccoli vani, uno aH'estreniitä inferiore, Taltro a quella superiore della scala ; ora arabedue sono murati e nh dalle indicazioni della Dionigi, nä da quelle di persone che dicono di esservi ancora anträte, puo rilevarsi alcun chh di preciso.
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eiö sarä vero quantö alla sua forma attuale : essa ora e sorretta parte da muri del tutto moderni, parte da pietre provenienti dal muro della rocca e rozzamente ammassate in tempi recenti. Perö fin dalla fine del 2° secolo a. Cr. dev'esservi stata una salita nel medesimo luogo, nella medesima direzione e con la stessa pen- denza ; perche il porticus qua in arcem eitur di Betilieno, di cui piü avanti a7remo a parlare, e parallele al muro della rocca, al quäle e addossata la rampa, ed ha la medesima pendenza di essa (1:10) ed inoltre non puö esser messe in relazione con alcuno dei due altri ingressi. Esso dunque presuppone l'esistenza di una sa- lita corrispondente esattamente all'odierna, sia che questa vi fosse fin da tempi anteriori, sia, ciö che pare piü probabile, che fosse fatta contemporaneamente alla costruzione del portico ; giacche il titolo onorario di Betilieno {C. I. L. X 5807) prima di tutti gli altri suoi meriti dice che egli fece semitas in oppido omnes.
n.
II tempio il cui scaro fii il centro della nostra attivitä in Alatri, e situato poco piü di un chilometro a N di porta S. Pietro, fra le due strade, l'antica e la nuova, che conducono a Guarcino, sopra un piano inclinato, sorretto da un basso muro poligonale, sopra la yalle nella quäle Bassel ed altri vogliono riconoscere il campum ubei ludunt (0- Bassel credeva la fronte del tempio ri- volta a questa valle, mentre in veritä ad essa e rivolto un lato lungo, e la fronte guarda la cittä. Avanti al centro della fronte evvi una piccola fossa per i sacrifizi, cinta di muratura in pietra calcare, mentre il fondo e composto di schegge di peperino. A d. del tempio vi sono gli avanzi, traversati dalla fossa d'esplorazione del Bassel, d'una casa di due camere con focolare in ognuna ; se auch' essa appartenesse al santuario, non puö decidersi, ma non e improbabile ; vi si trovarono terrecotte architettoniche e votive pro- venienti dal tempio.
JE stato un santuario piccolo e di poca importanza, e alle pic- cole dimensioni corrisponde il poco valore del materiale, la negligenza
(^) Cf.lo schizzo del Bassel, Centralblatt der Bauverwaltung, 1886 p. 197.
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ANTICHITA DI ALATRI
del lavoro nei dettagli e la pessima fondazione, tre circostanze le quali, stante la quasi completa distruzione, che lasciö in piedi pochissimo
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vi,ej. s
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n
Fig. 11.
di quanto s'ergeva sopra il suolo antico, rendono assai difficile la ricostruzioBe. Le parti superstiti sono indicate suUa pianta fig. 11,
ANTICHITA Dl ALATRI 145
II tempio, orientato a S con una diflferenza di 13° 48' verso E, era diviso in pronao e cella, di profonditä, a quanto pare, appros- simativamente uguale, almeno se abbiamo a ragione riconosciuto un avanzo del miiro posteriore in una pietra che sporge un poco so- pra il livello del pavimento presse l'estremitä della parte conser- vata del muro N, a m. 14,40 dallo spigolo della soglia; altrimenti di quest' ultimo non rimane traccia alcuna. Ne molto piü esatta- mente puö stabilirsi la larghezza del tempio, essende gli avanzi del muro S della cella troppo meschini per farne il punto di partenza della misurazione, mentre il pronao non aveva fondamenta all'infuori dei due angoli che portavano le colonne, e queste fon- damenta parziali erano di natura tale che depo la distruzione dif- ficilmente potevano restare al loro posto originario. L'attuale di- stanza dei due angoli del pronao e di m. 7,975.
L'unico Interesse che offra la pianta, consiste nella forma del pronao. E profondo m. 6,79 ; fino alla metä dei lati lunghi son continuate le pareti della cella, che finiscono in ante di pianta pressoche quadrata. Ad esse corrispondono le colonne poste sugli angoli. Nel pronao poi, sull'asse longitudinale, e discosta dalla fronte d'un terzo incirca della profonditä del pronao stesso, sta ima base che difficilmente puö aver sorretto altro che un altare. Fra questo e l'anta d. evvi un canale di destinazione incerta, profondo 0,18, largo 0,12, che in ambedue le estremitä finisce nel pavimento senza continuazione di sorta. La disposizione, affatto diiferente dalle plante di templi greci, corrisponde esattamente ai precetti vitruviani sul tempio tosca- nico, trasferendo cioe le sue parole, che riguardano templi a tre Celle, a quelle ad una cella. II passo molto commentato (IV 7, 2) dice : Spatium quod erit ante cellas in pronao, ita coiumnis de- signetur ut angulares contra antas parietum extremorum e regione, conlocentur , diiae mediae e regione parietum qui inter antas et median aedem fuerint, ita diürihuaniur , et inter antas et columnas priores per medium isdem regionibus alterae dispo- .nantur. Avanti alle ante del muro della cella debbono collocarsi le colonne angolari ; e evidente che in un tempietto, che nella fronte ha due soll sostegni, non si poteva sui lati lunghi del pronao aggiiingerne un terzo, una colonna cioe frapposta fra l'anta e la colonna angolare.
Della costruzione, staute il triste stato della conservazione,
146 ANTICHITA DI ALATRI
poco si puö dire, fiiorche delle terrecotte servite per rivestire la trabeazione (^). II tempio, le cui fondamenta son composte di pietre calcaree non lavorate, stava immediatamente sul livello del suolo, dal quäle le pareti s' innalzavano senza zoccolo, mentre il pavi- mento del pronao era preceduto da un basso gradiuo. II pavi- mento ha l'istessa altezza nel pronao e nella cella ed e formato di piccoli frantumi triturati di pietra calcare {^). L'edifizio stesso consisteya di muratura in pietra calcare rivestita di stucco, il quäle suU'anta era scanalato e inferiormente formato a guisa di zoc- colo (^). Siccome il gradino del pronao non era che uno stretto orlo di pietre intorno al pavimento, cosi le basi delle colonne non potevano stare su di esso, ma dovevano esser collocate immedia- tamente sulle pietre del fondamento (v. il prospetto del lato E fig. 12). Conformemente a ciö esse consistono in un alto cilindro,
immesso per due terzi nel pavimento, sul quäle superiormente il toro della base, nel senso piü stretto della parola, e scolpito nella pietra stessa. La parte del cilindro che sporge dal suolo corrisponde in certo modo ai plinti tondi di Vitruvio (IV 7, 3), mentre del resto le misure di queste basi non possono mettersi d'accordo coi precetti vitruviani intorno al tempio toscanico. II diametro del « plinto " e di 1,118, la sua elevazione sopra il pavimento 0,09, il diametro del toro 1,095, la sua altezza 0,155 (cf. il profilo
(1) Speriamo di pubblicare nel prossimo fascicolo una importante me- moria del sig. conte Cozza sulle terrecotte sudette.
(2) II limite del pavimento conservato e indicato sulla pianta con linea punteggiata.
(*) Lo stucco conservato sui diversi lati deve rimontare a diverse epoche, perche le scanalature del lato interno discendono fino ad un livello al quäle, e ancora piü sopra, dovrebbe aspettarsi, in analogia del lato esterno, lo
ZOGCOlo.
ANTICHITA DI ALATRI
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fig. 13). II diametro inferiore della colonna era di m. 0,76 ; man- cando ogni traccia d'un perno, e siccome per la larghezza deH'in- tercolunnio la trabeazione doveva necessariamente essere di legno, cosi si sarebbe disposti ad ammettere che fossero di legno anche le colonne (').
Fig. 13.
Fig. 13a.
Lo zoccolo dell'altare e profilato ed immesso nel pavimento in modo simile come le basi delle colonne, ma senza fondamento sottoposto. E singolare che esso, come il fondo della fossa avanti alla facciata, consista di peperino, mentre del resto non fu ado- perata per il tempio che pietra calcare, meno in una parte evi- dentemente restaiirata, ove sono frammischiati anche alcuni mattoni.
(1) Sarebbe interessante se si potesse portare a certezza la conghiet- tura, che la pietra profilata rafBgurata qui appresso nella metä dello spaccato, la quäle adoperata una volta come pietra di molino ora giace rotta nel cortile, d'una casa vicina al tempio, fosse un capitello del tempio stesso. Materiale, grandezza e lavoro, per quanto la cattiva conservazione permetta un giu- dizio, ben vi si adatterebbero.
148 ANTICHITA DI ALATRI
III.
L • BETILIENVS • L • F • VAARVS • HAEC • QVAE • INFER A • SCRIPTA
SONT • DE • SENATV • SENTENTIA FACIENDA • COIRAVIT • SEMITAS IN-OPPIDOOMNIS-PORTICVM- QVA IN • ARCEM • EITVR • CAMPVM • VBEI LVDVNT-HOROLOGIVMMACELVm BASILICAM • CALECANDAM • SEEDES MCVM-BALINEARIVM-LACVM-AD ' J9 ORTAM-AQVAM-IN-OPIDVM-ADOV ARDVOM-PEDES-CCCXO'FORNICESCL. FECIT • FISTVLAS • SOLEDAS • FECIT OB-HASCERES-CENSOREM-FECERE BIS SENATVS • FILIO • STIPENDIA • MERETA ESE • lOVSIT • POPVLVSQVE • STATVAM DONAVITCENSORINO
L'iscrizione e dell'epoca dei Gracchi aU'incirca; fra i laTori enumerativi, fatti per ordine di Betilieno, l'acquedotto ad alta pres- sione e senza alcun dubbio il piü interessante. Ma nell'esplora- zione di esso soltanto im tecnico potrebbe, in circostanze favore- voli, aggiungere qualche nuovo risultato a quanto fu stabilito dalle ricerche del P. Secchi (*), del Di Tucci (2) e del Bassel {^). Invece si offri appunto adesso l'occasione di esaminare accurata- mente il lacus ad poriam, descritto giä dal P. Secchi (p. 27). Dovendosi cioe fare iina strada da porta S. Pietro a porta S. Fran- cesco fu tagliato il bacino, e le parti cosi tornate alla luce insienie con quelle visibili da lungo tempo ed alcune altre esplorate con
(1) Intorno ad alcuni avanzi di opere idrauliche antiche rinvenuti nella cittä di Alatri. Roma 1865.
(2) Not. d. scavi 1879 p. 269.
(3) Centralblatt d. Bauverwaltung 1881 p. 121, 134; Ann. d. Inst. 1881 p. 20i tav. d'agg. 0; cf. Not. d. sc. 1882 p. 417.
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piccoli tasti permisero di rilevarne una pianta esatta che si pub- bUca fig. 14 (').
Fig. 14.
La costruzione di Betilieno — e che con essa abbiamo da fare, non permettono di dubitarne la posizione presso porta S. Ple- tro, la qualitä del tnateriale, le monete repubblicane trovate nei lavori per la strada (-), — era un bacino scoperto, lungo m. 42,25, largo 15,57; il suo fondo ö grosso circa 0,70 e consiste in uno Strato di cemento grosso 0,10, che poggia sopra uno strato com- patto di piccole pietre; sotto questo evvi ancora im altro strato simile ma meno compatto. II muro che lo circonda e grosso m. 2; il suo nucleo e composto di pietre messe in calcina; il lato in- terne (quelle esterno non trovammo conservato in alcun punto) h rivestito di mattoni triangolari, che da parte loro erano coperti d'uno strato di stucco.
Piü tardi sembrö necessario coprire il bacino. A tale scopo fu diviso, permezzo di due file di pilastri lunghi 3,76, larghi 0,90, in tre navate, e su queste furono condotte delle volte, 11 cui na- scimento sta all'altezza di m. 1,30; una parte d'una volta ca- duta illesa sul fondo, dalla corda di 2,20 e dall'altezza di 0,lö
(1) Le parti visibili quando fu rilevata la pianta sono indicate con tinta piü scura, con nero la costruzione originaria, con graffiatura Ic ag- giunte posteriori.
(2) Ne vidi tre, fra cu; una di vanie: A testa di Giano, R prora, con iscj:. Q^ TITI,
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permette di presentare il taglio fig. 15. I pilastri consistono di un nucleo simile a quello del muro circondante, ma piü grosso- lano, e rivestito anch'esso di mattoni triangolari, che da quelli del muro si distinguono per ima tinta piü scura; uno strato di
Fig. 15.
stucco grosso 0,04 cuopre il tutto. Non hanno altre fondamenta air infuori d'un semplice strato di mattoni quadrangolari (0,44X0.43 X0,039); ove sui lati stretti del bacino sono addossati al muro che lo cinge, ne toccano il rivestimento di mattoni in maniera da non lasciare alcun dubbio sulla loro posterioritä. Pur troppo i mattoni son privi di bolli, tanto quelli del muro quanto quelli dei pilastri, ed e impossibile perciö di precisare l'epoca di questi ultimi. La volta e composta del medesimo materiale come i nuclei dei pila- stri, ma senza rivestimento di mattoni e semplicemente coperta di stucco. In mezzo ai rottami della volta fu trovato un tubo di ter- racotta, di lavoro straordinariamente buono e fermo, con incastro in una estremitä e la corrispondente parte piü stretta nell'altra, delle dimensioni seguenti: lunghezza totale 0,34; diametro 0,14- 0,155; grossezza delle pareti 0,04; diametro dell'incastro al mar- gine (si restringe internamente) 0,125; profonditä del medesimo 0,05; lunghezza della parte piü stretta all'altra estremitä 0,045. Lo scopo cui serviva pur troppo non risulta con precisione dalle circostanze del ritrovamento. Siccome perö stava vicinissimo alla parete rivolta alla cittä, cosi e probabile che abbia fatto parte di uno di quei condotti che portavano nella cittä l'acqua raccolta nel bacino.
Come il lacus ad portam sta in relazione con l'acquedotto, cosi lo e il porticus qua in arcem eitur con la sistemazione delle strade (vd. sopra p. 143). Dei suoi avanzi una gran parte e scomparsa per i recenti lavori stradali ; e demolendosi recentemente
ANTICHITA DI ALATRI
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una casa ne fu trovata un'altra parte, che sembra essere l'estremitä occideütale. Perö dai tenui avanzi poco aH'infuori della piantasi pud rilevare (fig. 16). Era un passaggio largo 4,12, che con
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Fig. 16.
l'ascensione di 1,10 [saliva limgo il lato N della rocca. Deve re- stare indeciso, se gli avanzi tuttora esistenti del muro di fondo, di ordinaria muratura in pietra calcare, con varie nicchie, rimon- tino alla costruzione originaria ; la loro facciata nella continuazione non conservata del portico rimarrebbe ad una distanza di circa m. 0,90 dal muro della rocca, il quäle dunque non avrebbe formato egli stesso la parete di fondo del portico, ma sarebbe stato rivestito di muratura in pietra calcare. Con piena certezza invece puö ascri- versi alla costruzione di Betilieno la soglia dello stilobate, alta 0,33, coi posti affondati per un ordine di sostegni, i quali dobbiamo la- sciare indeciso se fossero pilastri quadrati ovvero colonne su plinti quadrati. La distanza delle assi era di circa m. 2,52 ('). Con ciö s'accorda un masso d'un fregio di triglifi, adoperato come materiale nella casa ora demolita, che comprende due metope e un triglifo e mezzo con le relative gocciole : egli e grosso m. 0,50, ciö che cor- risponde esattamente alla larghezza dei posti per i sostegni, e la di- stanza fra un centro di triglifo all'altro e di m. 0,63, di modo che quattro metope con i relativi triglifi corrispondono alla distanza
(') Le singole distanze non possono misurarsi con esaüezza; per la divisione della somma di otto distanze risulta una media di 2,5275.
152 ANTICHITA DI ALATRI
fra le assi di due sostegüi. Purtroppo la forte decomposizione non permette di prendere raisure tanto esatte da poter constatare con certezza negli angoli una differenza dall'angolo retto corrispondente all^, pendenza di 1:10. Nel lato posteriore del masso alto 0,565
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Fig. 17.
sono incavati al margine superiore due buchi per travi, press'a poco cubici, profondi circa 0,16, con una distanza fra le assi di 0,6125, ciö che. tenendo conto del lavoro trascurato, deve consi- derarsi come corrispondente alla distanza dei triglifi di m. 0,63. Pare che verso 0 il portico fosse continuato da alcuni gra- dini; appie della soglia dello stilobate scorre un canaletto com- posto di massi di varia grandezza, che accanto al penultimo so- stegno piega verso d. Fra il settimo e l'ottavo sostegno esso e in- terrotto per un canale che si dirama lateralmente e nel quäle, come sembrano dimostrare alcuni incavi fatti in questo punto nello stilobate, furono condotte le acque piovane cadute dal tetto. Quanto ad una soglia coi posti di due pilastri, che sta a qualche distanza dallo stilobate e forma con esso angolo retto, pare piü che dubbioso che essa stia al posto suo, perche in tutt'altro modo che la soglia dello stilobate si sovrappone ai massi del canaletto, ed e impossibile spiegare in modo probabile la sua presenza in questo punto.
H. WiNNEFELD.
zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN.
(Taf. VII).
Bei einer Durchmustei-ung des römischen Apparates des Ar- chaeologischeu Institutes fand ich eine Durchzeichnung der bisher unedirten grossen Schale des Glaukytes, welche Klein MS. S. 78 als nach England gelangt bezeichnet und die ich 1885 im British Museum sec. vas. room. case hl sah (gegenwärtig, wie Mr. Cecil Smith mir gütigst mitteilt, n. B 364). Sie ist vielfach restaurirt, doch sind die Ergänzungen ohne gründliche Eeinigung nicht anzu- geben. Diese Zeichnung der 1846 in Vulci (') gefundenen Schale hat wohl der mangelhaften Beschreibung im Bullettino 1847 S. 124 und der verbesserten in Brunns Künstlergeschichte S. 691 zu Grunde gelegen: eine neue zu geben (Tf. VII) bin ich durch das freundliche Entgegenkommen des Herrn Murray, dem dafür der schuldige Dank ausgesprochen werde, im Stande. Der Figuren- reichthum erheischt eine kurze Beschreibung.
A) Von 1. stürmt ein Viergespann vorwärts, dessen Lenker barhäuptig mit Haarschopf den Stab hält. Daneben verfolgt ein Panhoplit mit Schild und Speer einen gleichbewaffneten, umblickend nach r. Fliehenden. Unter dem Viergespann, das Gesicht zu Boden gekehrt, liegt ein Gefallener, neben dem zwei Vollbewaffnete mit gezückten Lanzen gegen einen aufs Knie Gesunkenen vordringen, den ein zurückgewendeter Flüchtiger mit dem Schilde deckt. Da- hinter schwingt ein behelmter, nackter Bärtiger mit schuppigem Schilde den Speer gegen einen gewappneten (?) Behelmten, mit rothem Schild, der vorgebeugt gegen einen auf dem Rücken lie- genden Panhopliten steht. Hinter dem Angreifer eilt nach r. ein Krieger auf einem Viergespann, dessen Handpferd gestürzt ist, gegen einen Speerwerfer in Schuppenpanzer. Vor dem Gespann
(') vgl. C. I. G. 8144 mit der Litteratur daselbst.
11
154 zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN
steht ein langgelockter mit Speer, Panzer, Beinschienen und Schild bewehrter, sonst nackter Lanzner, neben dem ein Nackter mit Schild gegen einen zappelnd am Boden Liegenden vordringt, dessen Arm noch im Schild steckt, ohne dass er sich desselben zu be- dienen vermag. Zum Schutze stürmt ein Panhoplit mit Lanze herbei, hinter dem ein Viergespann ansprengt, gezügelt von einem langgewandeten bärtigen Lenker mit Schild. Diesseits des Gespannes verfolgt ein bärtiger Panhoplit einen gleichbewaffneten Bärtigen, der umblickend, mit geschwungener Lanze entweicht.
Kechts schliesst ein Fliehender in gleichem Schema das Bild ab. Unter den Henkeln steht L HIPOKPITOS KAUISTO$(i) r. AUAVKVTESEPOIESEH (2).
B) Links schreitet ein bärtiger Krieger mit Schild und Speer nach r. neben einem Bärtigen mit Pilos, gesticktem, über den Knieen gefaltetem, herabhängendem Gewand, dessen 1. Arm vor dem Oberkörper erscheint, während der rechte nach der Hüfte greift. Vor ihnen sprengt ein bärtiger Lanzner mit Pilos, Mantel und Schurz, mit einem Handpferd. Vor ihm stürzt ein Panhoplit kopfüber zu Boden. Ihn deckt mit dem Schilde ein Gleichbewaff- neter, dem ein Viergespann folgt, dessen unbärtiger, langgewan- deter Lenker, den Schild auf dem Kücken, mit beiden Händen die Zügel führt. Jenseits des Gespannes verfolgt ein Panhoplit lanzen- schwingend einen im Fliehen umblickenden, speertragenden Gleich- bewaffneten. Es folgen zwei Gewappnete, die Speere gezückt über einem auf den Rücken Gefallenen gegen einen Panhopliten mit Lanze gestellt. Dahinter stürmt auf einem Viergespann ein bärtiger, langgewandeter Lenker mit Pilos und Schild nach rechts. Daneben ficht ein Panhoplit mit . Schuppenschild und Lanze gegen einen Entsprechenden im Schuppenpanzer. Vor den Pferden stürmt ein Panhoplit mit Schuppenschild und Lanze nach rechts ; vor ihm sinkt, den Schild vorhaltend, mit geschwungenem Speer ein Flie- hender ins Knie, dem von r. zwei Panhopliten zu Hilfe eilen.
(1) Zu Hippokritos als Lieblingsnatnen vgl. Jahn, Arch. Aufs. 139; Wel- cker Rhein. Mus. VI, 1848, 395;Roulez, Acad. d. sciences de Bruxelles Tf. IX, 1; MÜ. arch. IV, 4 ; leider stehen mir beide Publicationen nicht zur Verfü- gung ; citirt nach C. I. G. 1^21^.
(") Zu Glaukytes vgl. The classical Revieic, Jane 1888 p. 188 im Akropolismuseum AUAVKUEE5KAU05.
zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN 155
Hinter ihnen sprengt ein barhäuptiger, speertragender Knappe mit Handpferd. Ein nach 1. gewendeter, speerwerfender Panhoplit schliesst r. das Bild ab.
Ein figiirenreiches, vielbewegtes Schlachtenbild stellt sich uns dar, keineswegs « wenig übersichtlich " oder im Detail kaum mehr verständlich, vielmehr jeder Figur ihr Recht wahrend, inhaltlich sowohl, wie in der sorglich abgewogenen Composition (•) den bei- den übrigen grossen figurengeschmückten Schalen entsprechend, welche wir dem Glaukytes zuschreiben dürfen. Zweifellos ist er der Maler der aus der Töpferei des Archikles hervorgegangenen raünchener Schale (^), wie der aus Vulci stammenden Berliner (1799) (5), die durch den Stil, den mit der unseren übereinstim- menden Lieblingsnamen und den lediglich unserem Maler eigen- thümlichen Superlativ der Schönheitspreisung ihm zugewiesen wird, wenn auch die Stelle unter dem Henkel, welche die Trägerin der Signatur zu sein pflegt, weggebrochen ist (^).
Der Darstellungskreis ist für die Aussenbilder der in der sf. Malerei beliebten Heldensage entnommen. Die mythologisch inter- essante Eberjagd erinnert an die Dodwellvase, mit der sie die Schwierigkeit der Namensbeischriften theilt, das Minotaurosaben- teuer mit seinem Chor an die Pran9oisvase ; zur Gigantomachie giebt Meyer Gigantomachie S. 282 die Parallelen au. Ebenso ist der Heldenkampf, besonders unter Anwendung des Streitwagens uns aus früher Kunstübung vertraut. Auch der Typus der Hasen- jagd (^), der sich in den unteren Schalenabschnitt gerettet hat, weist an dieser untergeordneten Stelle zurück auf eine lange Kunst- übung, in welcher er, wie Löschcke (^) darthut, den Ehrenplatz behauptet hatte.
(*) Welche schon Brunn betonte, K.-G. a. a. 0.
(«) München 333. Gerhard A. V. 235, 36. M. d. I. IV, 59.
(3) Gerhard A. V. 61, 62.
(*) Eine ganz ähnlich decorirte, allerdings flachere Schale befindet sich bei Herrn Castellani in Rom ; sie hat Einfassung und Behandlung des Innen- bildes und der langen schmalen Streifen der Aussenseite mit den Glaukytes- schalen gemein. Eine directe Verknüpfung lässt sie nicht zu. Vgl. auch München 1035.
(5) Vgl. Arch. Zeit. 1881, Tf. V.
(«) Arch. Zeit. 1881, S.275; vgl. Arch. Zeit. 1869, S. 34, 2; 1883, X, 2.
156 zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN
Die Wahl der Stoffe, Jagd und Feldschlacht, erklärt hinrei- chend die Lebhaftigkeit der Darstellungen. Denn gegen den Vor- wurf, Glaukytes habe nur durch carrikirte Lebhaftigkeit wirken wollen ('), verwahrt ihn der Gegensatz in der Minotaurosscene. Man kann sich keine ruhigere Darstellung denken, als diese, welche in die Mitte den bewegten Typus zweier Figuren, und diesen selbst massig bewegt, setzt und daran fast identische Schemata anreiht, welche ihre Teilnahme an der Handlung nur durch einen Arm- gestus andeuten.
Die Anregung zur Bevorzugung bewegter Scenen gab unserem Meister die Lust am Erfinden neuer Schemata, die sich in der Mannigfaltigkeit offenbart, die neben Verwendung altgeprägter Typen, bei Darstellung der Gefallenen auf der Londoner Schale er- strebt wird und die in der gutbeobachteten Zeichnung des ge- stürzten Pferdes, bes. seiner Hinterbeine hervortritt.
In der Composition herrscht die symmetrische Gebundenheit der archaischen Kunst, welche wenigstens in den Hauptfiguren, gleichsam in den rhythmischen Incisionen beide Seiten sich ent- sprechen lässt. Bei der Londoner Schale zeigen dies die Seiten in sich und in ihrer Gesammtheit. R. und 1. schliesst auf der einen Seite ein Reiter mit Handpferd nach innen sprengend, r. u. 1. ist je ein Viergespann, die Kampfgruppe in der Mitte angeordnet: Dem entspricht die Gegenseite : die Wagen als äusserer Abschluss, dift Kampfscene in der Mitte, rechts davon das nach aussen ge- wendete Viergespann ; nur der ihm entsprechende schwere Takttheil ist aufgelöst um, wie die aufgelöste Länge den klappernden Takt, so das langweilige Einerlei zu verhindern.
Dasselbe Princip zeigt formell Berlin 1997, wo jedesmal zwei Viergespanne die isolirte Haupthandlung einschliessen, inhalt- lich die Münchener Schale, wo jedesmal der Kampf mit einem Ungeheuer, hier kalydonischer Eber, dort Minotauros den Mittel- punkt bildet.
Unterstützt wird diese Compositionsmethode durch die in archaischer Kunst gewöhnliche Erscheinung, dass trotz aller Be- wegtheit der Darstellung , die Teilnahme der Figuren an den Enden erlischt und dann durch eine etwas mehr teilnehmende
(i) Klein,' Euphronios S. 32.' - - : •
zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN 157
Einzelfignr wieder aufgenommen wird. So traten im Londoner Bild die Knappen mit Handpferden, actionslos selbst wo sie angegriffen werden, an die Stelle, welche ihnen ein langer Gebrauch typisch zugewiesen hatte ; ähnliches zeigen die Typenwiederholungen bei der Eberjagd und im Chor des Minotaurosbildes. Die inneren Gründe hierfür habe ich an anderer Stelle darzulegen gesucht ('). Eine besondere Begünstigung brachte in unseren Fällen die Länge des Bildstreifens, welche das Typenmaterial des Malers sehr in Anspruch nahm, so dass er nicht eine ausreichende Menge feiner Varianten an sich ähnlicher Stellungen aufzubieten vermochte. Zur Befriedigung dieses Bedürfnisses des langen, niedren Streifens die- nen die vier um die Henkel gruppirten Sphingen (-). Dass er diese consequent S (t) I + 5 statt 5 0 1.A + S schreibt wird sich daraus erklären, dass Glaukytes zu der immer mehr wachsenden Reihe der uns bekannten, in Attika arbeitenden, Nichtattiker gehört (3). Der Gebrauch der persönlich redenden Inschrift mit f/**' oder /if, welcher in der rf. Malerei verschwindet (^), bietet eine Handhabe zur chronologischen Einordnung, Er teilt ihn mit Exekias und Nikosthenes ebenso wie seine Vorliebe für figurenreiche,, epische Darstellungen (^).
Die grosse Schale mit figurenreicher Decoration der Aussen- seite verdankt, wie schon mehrfach erinnert worden ist (^), ihren Schmuck orientalischen Metallvorbildern. Auf welchem Wege dieser . Einfluss vermittelt wurde, scheint uns die Decorationsmethode des Inneubildes zu verrathen. Freilich entbehren diese Schalen meist eines solchen, allein das der Berliner ist charakteristisch genug. Es ist dort kein Versuch gemacht, das ßund durch ein für diesen Raum geschaffenes Figurenschema zu füllen, vielmehr ist durch eine Basislinie ein Segment abgeschnitten worden, welches als selbständige Fläche durch die Hasenjagd ornamentirt ist, während ein Viergespann en face, zu dessen Seiten je eine kleine nackte,
(') Troischer Sagenkreis S. 187, 10 ; 188, 11 u. sonst.
(2) Ebenso zeigt die rf. Schale Neapel 2614 den bewegten Typus der Mitte von unbeteiligten Figuren umgeben, abgeschlossen mit Sphingen. . (3) Arfldt, Studien zur Vasenkunde,. S. 123.
{*) Klein, MS. S. 13. : (5) Auch kehrt das eingelegte Weiss an der Münchener Schale wieder.
(6) Klein, Euphronios S. 31.
158 zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN
männliche Figur tritt, die obere Hälfte einnimmt, das Kund nur durch die Figurenverkleinerungen mühsam überwindend.
Dies Verfahren, schon in der rhodischen Kunst gebräuchlich (•), ist stehend in der kyrenischen Schalenmalerei {^). Auch tritt schon dort gerade die Hasenjagd in den unteren Kreisabschnitt. Nun ist für diese Gefässklasse orientalischer Einfluss wahrscheinlich ge- macht worden {^). Der phönikische Silberteller des Mus. Kircheriano, M. d. I. X. 31 welcher ganz dieselbe Ornamentirungsart zeigt, be- stätigt dies. Die schwarzfiguren Malerei nimmt dies Verfahren auf ; ich erinnere nur an Ga^. arch. 1887 pl. 14, 1, Brit. Mus. 412 B ('*) und den aus Konstantinopel Ftaramenden Teller im Wiener Industrie- museum (^). Dass es sich längere Zeit erhielt, beweist ein flüchtig gemalter Teller in Bologna {^). Freilich hätte die compositioncUe Schwierigkeit zur selbständigen Erfindung führen können, mittels Anwendung der Sehne eine Basis zu gewinnen. So stellt eine rf. Schale im Museo Civico zu Verona eine Liebesverfolgung auf eine breite Basisborte, aber sie lässt den Abschnitt leer. Die schöne Ei-gotimos-Aristophanesschale trägt im unteren Abschnitt nur die Signatur. Spätere Schalen erfüllen ihn, wie El. cer. II, V und VIT, mit Terrainandeutung.
Eine genaue Controle unserer Vermutung scheint somit not- wendig. Wenden wir uns daher der Vasenform und deren Schöpfer Archikles zu, dem Genossen des Glaukytes. Dass die Herstellung der Gefässe sein Hauptverdienst war, geht nicht nur aus der Dop- pelsignatur der Münchener Schale 333 hervor, sondern auch dar- aus, dass Berlin 1761 und die Candelorischen Fragmente nur den Namen des Archikles, die nolaner Schale des Britischen Museums nur ein Innenbild, die Castellanische ausser der Inschrift nur zwei
(') z. B. Salzmann 53 (wiederholt im letzten Heft des Ehein. Mus. mit verbesserter Erklärung, Kekulö) 49. 55. 54.
(2) z. B. A. Z. 1881, S. 227, Tf. XII, XIII; Overbeck H. G. XXXI, 4; Urlichs Beitr. X.
(3) Puchstein, Arch. Zeit. 1881 S. 227.
(*) Oberhalb der bärtige, leierspielende Apollon zwischen zwei Satyrn. Unten Dionysos mit Trinkhorn zwischen zwei Satyrn gelagert.
(5) Oben Herakles mit dem Stier, im Feld ßebzweige. Unten zwei Fi- sche gegenständig.
(^) Oben zweimal die Gruppe eines Mannes, der ein Thier anbinden will, unten vier Figuren.
Zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN 159
kleine Thierbilder trägt. Stets liefert er tiefe Schalen auf hohem Fiiss. Ihre Eigenthümlichkeit liegt in der Dreiteiligkeit, welche die Schalenriindung, einen niedren Seiten streifen, an den die Henkel ansetzen, und den Schalenrand von einander abhebt. Dies entspricht abor wieder aufs genaueste der Methode der kyrenischen Schalen.
Eine Art Prototyp hierzu glaube ich in, einem Gefäss der Sammlung der Evang. Schule in Smyrna zu erkennen. Dieses trägt auf dem Fuss ein ganz flaches Schalenrund, an welches senkrecht ein hoher Rand geradlinig ansetzt. Derselbe ist durch eine hori- zontale Linie getheilt; beide Streifen sind getrennt mit abwechselnd verticalen Streifen und geometrischen Figuren ornamentu't. An den unteren Streifen setzen die Henkel an. Dies Gefäss stammt aber aus Kypros, darf also auf ähnliche Einflüsse, wie die kyrenischen zurückgeführt werden, nämlich auf phönikische oder doch durch Phöniker vermittelte. In Kypros würde aber der Ausfall des Na- sals in S (J) I + S nicht auffallen. Selbstverständlich ist es unstatthaft, bei den zahlreichen Berührungen, welche vor Alters die phöniki- sche Cultur mit der hellenischen innerhalb und ausserhalb des Stammlandes hatte, und bei der Verbreitung, welche die erwähnte Decorationsmethode nachweislich in Athen gefunden hat, Vermu- tungen über die Herkunft unserer Meister aufzustellen, wohl aber glaube ich für die ihres Stils aus den dargelegten Beobachtungen Schlüsse ziehen zu dürfen.
Bei Ueberwindung der compositionellen Schwierigkeiten, wel- che die tektonische Gliederung des Schalenrandes unserer Gefäss- gruppe bietet, schliessen sich Archikles und Glaukytes noch eng an die Decorationsprincipien ihrer Vorbilder an. Diese bezeichnen durch das Verticalornament (^) die zwischen den Henkeln lie- gende Fläche als die sog. todte, d. h. als die zu bildlicher Aus- schmückung geeignete. Glaukytes fühlt sich dadurch an die aus- gesparte Bildfläche der Amphora erinnert, daher sind seine stoff- lichen Vorlagen meist dem Repertoire der grossen Amphoren mit langem Streifen entlehnt, da der, im Verhältniss zur Höhe sehr lange, Streifen bei der Theilung des Schalenrundes eine Einschrän- kung durch Augen nicht duldete. Archikles andrerseits übernimmt von der kyrenischen Schale die von den Henkeln ausgehenden
(») A. Z. 1881, X, 2 ; Urlichs Beiträge X u. s. w.
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Palmetten, und setzt an Stelle des Verticalornaments einfach Buch- staben und erhält so das denkbar günstigste Spruchband.
Selten verbindet er damit ein anspmchloses lunenbild (^). Der Eeiter, dessen Ross mit Vorderbeinen und Schweif in das Schuppenornament des Randes übergreift, findet zahlreiche Analo- gien z. B. üdichs, Beiträge VII. Sollte der Aussenseite ausser der Inschrift bildlicher Schmuck verliehen werden, so wird der obere Randstreifen mit einer Thierfigur versehen. Es ist möglich, dass das Thierbild durch die grossen, figürlichen Darstellungen vom Mittel- streif aus dorthin verdrängt worden ist, wie z. B. Gerhard Trink- schalen II/III zu zeigen scheint, das gleichsam des Glaukytes Manier mit der des Archikles verbindet.
So selbstverständlich diese Decorationsmethode erscheint, so ist sie doch keineswegs allgemein gefunden worden.
Das Bewusstsein, dass der Schalenrand ursprünglich ein Ganzes, nur durch eine Linie, nicht durch eine tektonische Glie- derung geteilt war, war wohl der Grund, dass man die Figuren durch beide Streifen hindurch zog. Dies zeigt Polytechnion 3060 an einer figurenreichen Gruppe C^); eine Schale sorgfältigen sf. Stils von gleicher Form im Museo Gregoriano bei einer Einzelfigur, die geflügelt, umblickend nach rechts eilt. Dieselbe Erscheinung, bietet Polytechnion 2009 in der laufenden Meduse der Aussenseite, wäh- rend die des Mittelbildes den üebergang vom blossen Medusen- haupt zur ganzen Figur, zeigt. Auch die Aussenseite bietet den üebergang, indem der obere Streifen die Sonderdecoration von zwei Fischen zeigt. Durch einen Kunstgriff sucht die Londoner Schale Blacas VI den missglückten Versuch der einen Seite, beide Rand- streifen mit vertical durchgehenden Figuren zu schmücken, dadurch zu verbessern, dafs sie die Figuren liegend auf dem oberen Strei- fen unterbringt, während Kline und Esstisch den unteren einnehmen. Diese Beispiele mögen genügen darzuthun, wie wenig man alige- mein die Bedürfnisse des zu decorirenden Gefässes verstand. Xeno- kles, der sich in der stilgerechten bildlichen Decoration des Ober- streifens und Anwendung des Spruchbandes im unteren mit Ar- chikles triift (3), zeigt im Innenbild die gleiche Unfähigkeit wie
(') Brit. Mus. Blacas XYl, 1, 2 aus Nola.
(2) vgl. Polytechnion 3966. 3716.
(3) Trinkschalen I, 6, Blacas XIX.
zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN 161
Glaukytes, das Rund zu füllen, das ihn zur Figui-enverkleinerung und Verunstaltung treibt (') und ihn die Basislinie beibehalten lässt.
Zur Beurtheilung der Darstellungsweise des Archikles können die Thierfiguren einer 0,11 hohen Schale Augusto Castellanis (^), deren Durchmesser 0,156 beti'ägt, dienen, welche den oberen Rand- streif • schmücken, während der untere zwischen Palmetten die Si-
M O.ir 0»,'f'
gnatur A-KUE^:n^lESN u. A • KUES : P^l ESN trägt, an der die wiederholte Elision des E in der Verbalendung auffällt. Die Darstellung weidenden Hochwilds, schon dem geometrischen Stil bekannt, ist besonders heimisch in der rhodischen Malerei und kehrt bei den sog. protokorinthischen Gefässen wieder (^).
Die Thierfigur unserer Vasenklasse hebt sich deutlich ab durch die zierlich:-, fast übertriebene Schlankheit der Extremitäten, die Eleganz der Stellungen, die an Erzeugnisse eines eigenartigen, manieiirten, auf spielende Niedlichkeit gerichteten Stils denken lassen könnten {*), ja, an den in unserem Stil gehaltenen Thier- figuren des Exekias fällt ein bestimmter Gegensatz zu seinen son- stigen kräftigen Figuren auf (^). Dass diese Behandlungs weise jedoch einer ganz naturgemässen Entwicklung entspringt, dass solche scheinbare Stilinconsequenzen keineswegs aus der Liebhaberei des einzelnen Malers abzuleiten sind, sondern sich nach ganz be- stimmten, handwerklichen Gesetzen vollziehen, unserem Stilgefühl,
(') Overbeck, Hcroengallerie IX, 2.
(2) Klein M. S. 76, 3 aus Caere.
(3) z. B. Syracus Inv. 2409.
• {*) vgl. Neapel 2500 ; Athen, Polytechn. 704. (5) vgl. Wiener A^orlegebl. 1888, 6.
162 zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN
das wir von der Arbeitsweise gewisser Epochen zu haben vermeinen, zum Trotz, mag die historische Betrachtung der Entwickelung eines solchen Thierschemas zeigen.
Die Amphora im Polytechnion 3749 zeigt die eigenthümliche Erfindung eines Hirsches mit hohem Gabelgeweih, der den Kopf zurückbiegend, sich mit dem Hinter-huf an der Schnauze reibt. Auf grosser Malfläche steht er in kräftiger, breiter Ausführung. Dieses Schema wird auf das Schalenrund übertragen, wobei die Vorderfüsse aus Kaummangel verkrüppeln. Noch ist die Zeichnung von alter Breite, wie Brit. Mus. sec. vase-room case 20 (1885) Blacas VI zeigt. Die Schale wird kleiner, mit ihr die Thierfigur, das Schema bleibt in allen Einzelnheiten gleich, aber eben deshalb werden diese zierlicher und feiner vgl. Blacas, XVI, 4. Die letzte Phase der Entwickelung giebt die noch kleinere Schale Louvre 3251, wo die Extremitäten zur äussersten Dünne gelangt sind. Welcher Contrast hier zwischen Zierlichkeit der Ausführung und Ungeschick der Composition : das Schema erbt fort, aber das Ge- fäss erzwingt in der Zeichnung einen seinen Verhältnissen ange- passten Stil.
Für gleichfalls technisch, nicht stilistisch bedingt, halte ich eine zweite Erscheinung, welche durch die sf. Amphora Museo Gregoriano IX mit der soeben besprochenen Stilgattung verbunden wird. Dort erscheint die Gruppe von zwei Panthern ('), welche ein ganz im Stile unserer Schalen gehaltenes Reh zerreissen, neben einem Bauchbild, dessen Eiguren die übertrieben schlanken Pro- portionen zeigen, welche man als stilistische Eigenthümlichkeit einer späten, Altes imitirenden Kunstübung anzusehen geneigt ist. Nun hat schon Brunn Probleme S. 125 mit Recht darauf hinge- wiesen, dass mit dem Hals der Grabvasen die Figuren wachsen. Wir können dies jetzt für alle Prothesisvasen aussprechen, welche nach Art der Marmoramphoren und Lekythen mit langgezogenem Hals und Henkel, monumental wirken sollen. Dies zeigt gut sf. Polytechnion 6 u. 84 ; streng rf. Polytechn. 663, Berlin 2372; später Polytechn. 1316; ganz spät Polyt. 3022 u. 24. Somit ist diese Beobachtung auf die ganze Vasenmalerei zu verallgemeinern,
(*) Zahmes Hochwild von stilisirten Raubthieren zerrissen gibt z. B. ein etwa 0,30 D. haltende Schale des Louvre, ferner Polytechnion 965,
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ja schon in dem Gegensatz bestätigt, welchen im geometrischen Stil die am schlanken Hals gestreckten Vögel zu den gedrungenen des Fusses bilden (').
Wo diese Dehnung bis zur vollen Unmöglichkeit stattfindet, wie an den immer wachsenden Untersätzen z. B. Polytechnion 1386 wird man ohne weiteres einen äusseren Anlass als massgebend zugestehn. Anders bei unsern Gefässen, die sich meist durch sehr sorgsame Ausführung auszeichnen. Und doch ist hier derselbe Vor- gang feszustellen. Meist sind es Amphoren, deren einzelne Teile eine grosse Ausdehnung gewonnen haben z. B. Würzburg 306, 338 (2), München 156, 610, vorzugsweise Amphoren ohne markirten Hals- absatz, wie München 74, 79, 316, 696, ferner ins Schlanke dif- ferenzirte, sog. Peliken, wofür die Sammlung in Florenz zwei, die zu Bologna ein Beispiel giebt, bei denen gleichfalls die Figuren auf den Hals übergreifen. Wir dürfen uns also bei unseren Thier- figuren weder durch ihre Verbindung mit den sog. langgezogenen Figuren noch durch ihre Zierlichkeit abhalten lassen, sie an das Ende der archaischen, schwarzfigurigen Malerei zu stellen, viel- mehr ihre Abweichung vom Ueblichen als handwerklich bedingt erkennen. Dies bestätigt die Verbindung, in welche Thierfiguren unseres Stils mit denen des Exekias treten. Dass dieser auch der Decorationsweise nach mit Archikles eng verbunden ist zeigt z. B. Polytechn. 3757. Seine kunstgeschichtliche Stellung habe ich an anderer Stelle darzulegen gesucht.
Eine noch genauere Datierung des Archikles kann uns seine nahe Verwandtschaft mit Tleson verschaffen.
Um diesen selbst kunstgeschichtlich genauer bestimmen zu können, möchte ich ein Gefäss heranziehen, welches schon Heyde- mann in seinem Neapler Vasenkatalog N. 2627 ihm zuteilte, während Klein im Euphronios S. 104 und den Meistersignaturen S. 75 Anm. dies ablehnte. Da, wie Herr Prof. Klein so freundlich war mir brieflich mitzutheilen, lediglich die " Sinnlosigkeit » der Buch- staben seine Ansicht bestimmt hat, so glaube ich das Gefäss, von dessen Zeichnung mir freundlichst gestattet wurde eine Durch- zeichnung zu nehmen, erneuter Prüfung unterbreiten zu dürfen.
(1) z. B. Stackeiberg, Gräber IX, 1. . («) vgl. bes. Urlichs Beitr. Tf. V,
164
Zü DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN
In der That ist die Inschrift nicht ohne Mängel, doch ist T U E 5 O N wie E P O I E 5 E N , wie ich glaube, mit voller Sicher- heit zu lesen. Von dem üblichen HONEAPXO könnten die beiden ersten Buchstaben gemeint, bez. leicht verschrieben sein. Das N des Anfangs des Patronyms und das O der Endung ist in Ordnung, die Mitte des Namens freilich sehr verstümmelt. Wenn wir aber sehen, dass auf Schale 2532 derselben Samm-
lung neben der correcten Signatur der Gegenseite NEAPAPXO und auf der 0,165 hohen, 0,195 im Durchmesser haltenden Schale des Mus. Greg. T"AjNHONEAP geschrieben ist ('), so. wer- den wir um so weniger ein ähnliches Versehen in der Schrei- bung unserer Signatur abweisen, als z. B. die bei Tleson häufige f ähnliche Bildung des P im Verbum wiederkehrt {-). Eine so ge- naue Kenntniss der Schreibweise — läge sp.ä,tere Aufschrift vor —-
(') vgl. München V. Tf. in, 7.
(2) vgl. u. a. Sammlung Bourguignon D. 0,22 ; A. Hahn, B. H^nne.
zu DEN ATTISCHEN KLEINMEISTERN 1G5
hätte sich nicht mit dem Fehler im Patronym verbunden ; auch hätte zur Zeit des Bekanntwerdens dieser Schale Niemand gewagt, den Namen des Tleson mit einem rf. Bilde des Stils unserer Schale zu verbinden.
Der Stil verweist uns mit Bestimmtheit in den sog. Epikte- tischen Kreis, dem laufende, unbekleidete Jünglinge in ßücken- ansicht zu geläufig sind, als dass es der Anführung von Bei- spielen bedürfte.
Somit wird ein neues Band geknüpft, welches uns erlaubt, Tleson, und somit auch seinen Bruder, mit den Führern der roth- figurigen Schalenmalerei zu verknüpfen, ihn etwa Nikosthenes zu coordiniren (').
Archikles steht ihnen stilistisch sehr nahe ; an ihn knüpft sich die Schale mit Spruchband, sei es Künstlerinschrift, sei es ein Liebesgruss, oder ein guter Wunsch zum Trunk, schliesslich selbst eine sinnlose Buchstabenreihe, welche den Schmuck des Gcfässes ausmacht.
Glaukytes, dessen Compositionsweise auf etwas frühere Kunst- übung ebenso wie seine redenden Inschriften hinzuweisen scheint, wird sein älterer Genosse gewesen sein.
Arthur Schneider.
(1) Bolte, de mon.fid Odysseam pert. p. 57 setzt Nikosthenes noch nach den Perserkriegen an.
BßONZI DI EPIDAUEO
Sul principio dell'anno scorso ebbi occasione di vedere in Roma alcuni bronzi di proprietä privata, interessanti non soltanto per lo stile, ma specialmente perche si dissero scavati in Grecia, nel suolo dell'antico Epidauro. Mi fu permesso dal possessore, per gentile me- diazione del eh. Heibig, di farne prendere fotografie riprodotte qui appresso in zinco. Ora fanno parte della collezione del conte Michele Tyskiewicz a Parigi ; due di essi furono mostrati dall'Helbig all' Acca- demia dei Lincei nelle sedute del 22 gennaio e 19 febbraio 1888 con poche parole le quali non rendono superflua una nuova discussione.
La piü arcaica (') delle tre figurine mo- stra un tipo piü ita- lico che greco. II la- voro assai grossolano rammenta i noti grup^ pi delle eiste prene- stine e le Statuette poste in cima di can- delabri etruschi. E fiior di dubbio del re- sto, che anche la no- stra figurina apparte- neva a qualche arne- se,perciocche ha posto i piedi sulle due estre- mitä d'un bastone bi- lorcato. Anche i chio- di ribaditi, i cui avanzi sono rimasti nelle ma- ni distese, sembrano accennare che la figu-
(') AUezza 0,115.
BRONZI DI EPIDAÜRO 167
ra fosse attaccata con la concavitä che si osserva nella parte infe- riore del lato dinanzi alla pancia di un bacile rotondo: con la parte superiore sovrastava all'orlo, mentre con le mani reggevasi al margine stesso. II bastone siiddetto poi accenna ad un tripode di bronzo corae p. e. Mus. Greg. I tav. 56. La figura e muliebre ; il suo abito consiste in una tunica lunga, che perö non cuopre i piedi, ed una giubba a maniche corte senza cintura. I capelli spartiti nel mezzo sono quasi interamente coperti da una specie di cuffia che finisce in un pizzo ripiegato. Tali cuffie ci sono note principalmente dal costume etrusco; ma l'Helbig (') ha di- mostrato, che erano portate da tutti i popoli del mediterraneo come segno d'uomo libero. Anche la giubba trova le sue analogie fra i raonumenti etruschi, benche non me ne sia noto un esempio del tutto corrispondente. Neanche il volto della figura ha alcun che di greco ; gli occhi grandi e spalancati, la forma barbarica del naso, la bocca senza grazia con le labbra^, grosse e volgari, tutto ciö e estraneo ai tipi greci anche del periodo arcaico. Dunque, se dav- vero il bronzo viene da Epidauro {^), abbiamo un nuovo prodotto di arte italica proveniente dal suolo greco e che richiama alla me- moria p. e. il satiro di Dodona (3).
La seconda statuetta (^), benche anche essa lavorata in uno Stile assai trascurato, rivela al primo sguardo la fabbrica pelopon- nesiaca. Un guerriero ignudo procede a grande passo ; la mano si- nistra protesa teneva uno scudo ora mancante ; manca ßure l'arma brandita dalla d. con parte delle dita : credo che fosse un' asta, perchö una spada o una clava richiederebbe un'altra posizione del cubito e della mano {^). La forma quasi quadrata della testa e molto caratteristica ; i capelli corti sono cinti da una benda, la barba che consiste tutta di piccoli ricciolini, segue talmente le
(1) Über den Pileus der^ alten Italiker. Sitzungsber. d. bayer. Akad. d. Wissensch. 1880, p. 527 ss. Homer. Epos^ p. 221 ss.
(*) Cosi disse il mercante Ateniese dal quäle lo comprö il conte Tys- kiewicz ; ma nessuno s'illude sul valore di simili asserzioni.
(3) Gaz. archiol. 1877, pl. 20; trattato dal Brunn, Certosa, p. 5 seg.
(4) Altezza 0,17. Cf. Atti dei Lincei 1888, p. 59.
(5) Certamente la mossa h simile a quella notissima di Ercole (cf. Koscher Lexicon p. 2141), ma tutto il tipo del viso e della figura non meno che la lancia da noi supposta proibiscono di ravvisarvelo.
168
BRONZI DI EPIDAURO
forme del mento e delle guance, che al primo sguardo non com- parisce affatto. La tigura sta sur una lastra di forma irregolare destinata ad esser incastrata in un'altra lastra sia di mia base
piü regolare, sia di qualche arnese. A tale scopo ha servito un biico tondo fra i piedi del guerriero; fatto prima che s'incidesse l'iscrizione
^^^T^ ^^/O
percbe le lettere * e c del nome proprio sarebbero piü awicinate se non l'avesse impedito il buco.giä esistente. Le lettere ineise
BRONZI DI EPIDAURO 169
a colpi leggieri d'un istrumento aguzzo mostrano forme molto antiche, La c e composta di tre linee ; la /f ha gli angoli acuti ; lo spirito aspro e espresso nella scrittnra ; vi e anche il vau. II dialetto del nome proprio 'YßgfCTag (') e dorico, ed e quelle di un corsaro lacedemo- iiio (2) ; il nostro bronzo dunque potrebbe credersi opera d'un artista lacedemonio. Che non e di Epidauro, lo dimostra la FI con le aste verticali di uguale lunghezza, forma estranea, a quanto pare, all'alfa- beto argolico : l'hanno soltanto le iscrizioni d' un tempo molto piü recente ; tutte le altre hanno P , anche quella del cuoco Callistrato (^), la piii antica di tutte, sebbene piü recente del nostro bronzo. D'altra parte, siecome gli antichissimi monumenti laconici (^) hanno lo spirito aspro fra due vocali invece dell' ü regolare o del vau degli altri dialetti, cosi dovremmo aspettare sTiofrJ ossia (come in qualche iscrizione argolica) inoifr^e. E perciö dalla fonna delle lettere e dal dialetto non si puö dedurre altro che la provenienza dorica. La superficie e piuttosto ben conservata;*i numerosi buchi hanno l'ap- parenza d'essersi formati depo il getto, per rottura di qualche boUa. La testa mostra il tipo quasi quadrato generalmente chiamato pelo- ponnesiaco; ma in ispecial modo somiglia alle teste dei frontoni d' Olimpia, p. es. ai cosidetti Apolline e Cladeo: non solamente l'acconciatura dei capelli e la stessa, ma rassomiglia anche il trat- tamento un po' mollicello del viso. Perö e chiaro che il bronzo dev'essere molto piü antico di quei frontoni: le forme schematiche del petto e del ventre, a parer mio, non trovano analogia che fra i vasi a figure rosse dello stile severo, al quäle paragone non con- tradice il lavoro meno cattivo delle gambe e delle braccia. Pos- siamo dunque assegnarlo all'epoca di quello stile, vale a dire alla metä 0 alla fine del sesto secolo.
(1) Lo Heibig (1. c.) legge 'YßQiaaTcis ; ma la traccia leggiera che egli prende per l'avanzo deU'A, non e che una lesione accidentale della superficie.
(*) Liv. 37. 13. Infestum id [sc. Cephalleniam} latrocinio Lacedaemonius Ilybristas cum iuventute Gephallenum faciebat, clausumque iam mare com- meatibus Italicis erat. Un Variante dello stesso nome, ' YßQearag , b ovvia in iscrizioni tessaliche, v. Athen. Mitth. 1882 p. 67 (iscr. di Larisa) ; ib. 1883 p. 103 (Phalanna), p. 124 n. 54 (Larisa).
(3) 'Eiprjfiegis uQx^ioXoyix^ 1885, p. 198, n. 101. Kirchhoff Alphabet*, p. 161.
{*) V. Röhl Inscr. antiquissimae n. 79. 80. 88. 85-88.
12
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La terza figurina (i), un Satiro ignudo e barbato, ci conduce in un altro periodo dell'arte. Sta in piedi con gamba destra posta in dietro, col braccio sin. appoggiato al fianco. II braccio d. e alzato, come per esprimere Testrema meraviglia. Non e chiara, dal tronco del braccio, la movenza della mano destra, dalla quäle pui-e dipende il giudizio suU'espressione dell'intera figiira. Lo Heibig dubita, se il Satiro si prepari a ballare ovvero versi da un supposto vasetto il liquore nella bocca d' una pantera, che sarebbe stata aggiunta suUa base ora mancante.
Altre probabilitä ed altre supposizioni ancora potrebbero farsi. L'affinitä generale col celebre Satiro di Mirone e il solo piinto si- curo. Ma questo tipo nei tempi posteriori ha servito per esprimere azioni assai differenti. E giusta l'osservaziono del Furtwaengler (-) che tanto l'Atteone del Museo Britannico (^), quanto la statuetta berlinese d'un Satiro che si difende contro un qualsiasi nemico sono
(1) Altezza 0,115. V. Atti dei Lincei 1888, p. 166.
(2) Der Satyr aus Pergamon p. 8 s.
(3) Anc. Marbl. II 45. Friederichs-Wolters n. 457.
BRONZI DI EPIDAÜRO 171
deriyati dallo stesso tipo. Ad essi possiamo aggiungere una serie di pitture vascolari, rappresentanti il litorno di Proserpina o, se- condo una spiegazione recente, l'origine d'una fönte (*). Tutti questi raoniimenti esprimono lo stupore e lo spavento prodotti da un' appa- rizione improvvisa. Non ballano (2) i Satiii, ed il movimento natu- rale solo domina nelle loro membra. Airincontro la mossa del Satiro di Epidauro e molto piü tranquilla : facendo un piccolo passo indietro, egli sembra piü attento che attonito. E daU'attenzione mi pare che sia prodotta anche l'azione del braccio destro : per osseryare atten- tamente egli alza la mano sopra le ciglia riparando gli occhi dall' In- fluenza immediata della luce — unoüxoTisvfi. Quanto a ciö che at- tira la sua attenzione sarebbe inutile perdersi in futili congetture. II lavoro della figura non e molto grazioso; perö possiamo assegnarla ancora all'epoca ellenistica.
Evvi finalmente fra i bronzi del conte Tyskiewicz, un fram- mento d'una corazza, la parte inferiore cioe della metä destra d' una pettabotta. SuU'orlo ripiegato al disotto e incisa l'iscrizione seguente
'^ b
\
^^ ^^K^An^
vale a dire 6 Seiva ävs'JO^rjxs Ji Kqoviwvi . . . Era poetica senza dubbio, e stando all'interpunzione dopo ^exs, questa era la fine d' im esaraetro e Jl Kqoviwn il principio del pentametro o d'un secondo esametro:
— uy — uu — wo — uo ^ — dvsO-rjxe
Jl Kqovicovi o oü — [jSexärrjvJ^
La scrittm-a, priva di carattere locale, e del principio del se- colo quinto ; era un voto come p. e. l'elmo di Gerone {^). Berlino.
CORRADO WeRNICKE.
(1) V. Annali dell'Ist. 1884, tav. d'agg. M. N. p. 205 ss. (Froehner). Robert, Archaeol. Maerchen p. 179 ss. tav. II-V.
(2) Neanche al suono del flauto, come vuole il Petersen, Arch. Zeit. 1880, p. 25, il flauto essendo giä gettato al suolo ; poi non si balla cosi barcollando indietro.
(3; Roehl, 1. c, n. 510.
MISCELLANEA EPIGRAPICA *
I.
La tessera gladiatoria pubblicata dal nostro Gatti iiel Bul- lettino comunale del 1887 p. 188 :
MODERATVS
LVCCEI SPIIINON-OCT LMINIC-L-PLOTIO
recentemente e entrata nel museo Britannico, e la comunicazione gentilissima che me ne fece il sig. Miirray mi fu occasione di studiarla di nuovo. Ricorderö con brevi parole ciö che fu giä esposto ottimamente dal Gatti, non per contradirlo, ma per ag- giungervi un supplemento.
Egli la giudica deH'anno 88. Gli ordinari di questo anno furono l'imperatore Domiziano per la quartadecima volta ed un Minucio Rufo. II prenome di questo e contrastato ; Lucio lo chiama Censorino ; la pietra urbana C. VI, 541 e di lezione dubbia (L • C Marini, Q_Hübner); il frammento Arvalico C. VI, 2065, ii 65 del 15 Apr. 88, disgraziatamente perduto, nominando i consoli del primo quadrimestre di questo anno probabilmente lo nominö pure ed in primo luogo, e l'avanzo che fu copiato cosi: LV| avrä dato come pare piuttosto L • m|. II secondo console, se pure questa tessera appartiene all' anno indicato, viene nominato nel medesimo fram- mento Arvalico sotto il 15 Aprile; il prenome che vi manca per essere rotta la tavola, ora viene supplito dalla tessera nostra.
Tutto questo fu esposto dal Gatti assai bene, ed io non m'op- pongo. Resta perö una difficoltä abbastanza seria.
La tessera poteva nominare o i consoli del primo gennaio o quelli in esercizio; in questa epoca di transizione e l'uno e l'altro puö
MISCELLANEA EPIGRAFICA 173
ammettersi con nguale probabilitä. Ma la seconda eveutualitä rimane esclusa per la data del 5 Ottobre, essendo certissimo che Plotio Gripo era in carica il 15 Aprile 88, ne potendosi ammettere, in questa epoca dei nundini consolari quadrimestri {Staatsrecht 2^ p. 85), che gli istessi consoli siano stati in carica al 15 Aprile ed al 5 Ottobre. Ordinario di questo anno e bensi Minicio, ma non Plotio. Dunque di due cose l'una : o si tratta di consoli suffetti scono- sciuti affatto, e la tessera non appartiene all'anno 88 ; o, se vi ap- partiene, e scritta dopo la catastrofe di Domiziano e dovendosi sopprimerne il nome, ciö si fece in guisa che se gli sostitui il successore nei fasci, quasi come ordinario. Similmente nel celebre bronzo sardo C. I. L. X, 7852 al 15 Marzo si appose la data ne secondo i consoli in carica a quel giorno, ne secondo il corfsole del 1 Gennaio, l'imperatore Galba, ma invece di lui si nominö il prossimo successore imp. Othone Caesare Aug. III.
Se questa spiegazione e la vera, come lo credo, ne ricaveremo, che le tessere gladiatorie potevano incidersi parecchi anni dopo la data che portano; che alcune nominano giomi interregnali colla data del console entrante dopo l'interreguo, Tho giä osservato altrove {Her- mes 21, 275)
IL
ün vasetto di terra cotta rossa, di provenienza incerta, acqui- stato anni sono dal museo Britann ico da un certo Doubleday nego- ziante di anticaglie londinese, ma esposto soltanto recentemente, porta sulla pancia la seguenie iscrizione tracciata con punta acuta prima della cottura :
v:^-
fTMfJv\C)\\^E
174 MISCELLANEA EPIGRAFICA
li'autenticitä della iscrizione e indubitabile. Le lettere sono le sollte deU'impero, inclinanti ad angolo acuto perche l'argilla meglio vi si presta.
L'interpretazione in gran parte e arbitraria, tanto piü che l'ultima riga mostra ad evidenza, che vi e corso anche errore ; Chi vi omise l'A avanti il numero o lo cambiö in X e scrisse QVIXIT in luogo di QVI VIXIT, ha probabilmente pure storpiato la terza riga. Tuttavia m'azzardo di proporre la lezione seguente: I){is) m{anibus) et memoriae piae d\_e]d{icata) Ulp{i) Balbi[ß\i Sditis (?) s{u2')ra) s{cripti) — ossia 8{criptae) — conl{iberti) vic- tim{a) ord{inaria) — ossia vicim{is) ord{i?iariis) — rä{e) expia- t{is). Q\ui^ vixit [«.] XXXX Villi. Pare che lo scrittore si rife- risca ad altra urna giä coUocata prossima a questa. Vexpiatio sarä ciö che Cicerone {de leg. 2, 22, 57) chiama iusta facta et porcus eaesus. Non conosco monumenti simili.
Th. Mommsen.
IL CESTO DEl PüGILI ANTICHI.
Non sono rari i monumenti antichi riferibili al pugilato, sia che rappresentino la lotta stessa, sia singoli atleti prima o dopo il combattimento. Ma la maggior parte di questi monumenti — vasi dipinti, specchi, lucerne di terracotta — sebbene ci danno un'idea abbastanza chiara del modo di combattere, non perö fanno conoscere un particolare interessante, l'armatura delle braccia col cesto, essende o di dimensioni troppo piccole, o di esecuzione tra- scurata. Ne piü ci giovano per questi particolari i rilievi dei sar- cofagi, sui quali sono raffigurati dei pugili, talvolta sotto la forma di eroti. Le statue poi che rappresentano, o si credono rappresentare atleti di tal genere, per la maggior parte mancano di autenticitä, essende in quasi tutti le braccia con il cesto di ristauro moderne ('). Fra le opere conservateci nell'origiDale aveva il primo posto il celebre rilievo Lateranense (Benndorf e Schoene p. 8 n. 13), chia-
(*) Cosi sono interamente moderne le braccia di due statue del Louvre (Clarac tav. 270 n. 2187 ; tav. 327 n. 2042), di due conservate a Londra, Lansdowne House (l'una Michaelis ancient marbles in Great Britain 438, 3 = Clarac tav. 851 n. 2180 A; l'altra ivi 446, 37 = Clarac tav. 856 n. 2180 ; Cava- ceppi raccolta 1,21) ed una di Dresda (Augusteum 190 = Clarac tav. 858 n. 2181) ; e lo erano pure quelle di una statua in basalto nero, conservata giä alla villa Negroni (Guattani mon. ant. 1788 tav. I), passata poi nella colle- zione del conte Fries a Vienna (Clarac tav. 856 n. 2182), la quäle ignoro ove attualmente esista. I cesti sono conservati soltanto in parte (v. p. 180) nella statua giä nel palazzo Gentili, ora del Drago (Clarac tav. 858 D n. 2187 ; Matz e Duhn antike Bildwerke in Rom n. 1097). Questi ristauri moderni (cf. anche Clarac 11. cc.) sono ritenuti come autentici anche in opere recenti. Pare servisse di modello a quasi tutti la incisione del rilievo Lateranense data dal Du Choul, De' bagni ed esercitii dei antichi (Lione 1559) p. 34 (ripetula dal Fabretti col. Trai. p. 260 e dal Montfaucon nnt. expl. toni. III, 2 p. 169).
176 IL CESTO DEI PUGILI ANTICHI
mato giä « Darete ed Eatello » . Oltracciö alcuni disegni secondo original! ora parduti si trovano nell'opera di ßaffaele Fabretti de columna Traiana (Roma 1683, j). 261); ma qiieste iucisioni in legno, le quali, nonostante la rozzezza dell'esecuzione, sono le piü istruttive (i), pare che siano sfuggite all'attenzione di quasi tutti gli scrittori moderni che hanno trattato della ginnastica degli antichi.
Ora, essende in questi ultimi anni venuti alla luce due mo- numenti relativi, che per importanza superano di gran lunga tutti i finora conosciuti, non credo inutile offrirne agli studiosi disegni esatti, poiche da essi possiamo farci un' idea piü chiara degli stru- menti destinati a quella lotta sanguinosa, la quäle, comune in Gre- cia giä fin dall'epoca eroica, e in progresso di tempo resa viep- piü terribile, fece le delizie della plebaglia Romana ai tempi di Orazio.
II primo dei due monumenti e la statua di atleta trovata nelle fondamenta del nuovo teatro drammatico Nazionale, ed ora conservata nelle terme Diocleziane. Siccome la pubblicazione di questa statua {Antike Denkmaeler I tav. 4) non e destinata a dar un' idea anche di tali particolari, cosi il sig. dott. Winter gentil-
(1) Sono questi : a) una figura di pugile, con la sinistra alzata, nella destra un gran ramo di palma: sub flore capituli compositi, ut vocant, in- gentis magnitudinis, in hortis pontißcis Quirinalibus ; b) due braccia : ex hortis Estensihus Tiburtinis et signo marmoreo Pollucis ; c) mano sinistra con cesto : ex museo Puteano fragmentum ; d) braccio destro : ex eodemmet museo, olim a Claudio Menetreio Sequano-Burgundo habitum ; e) mano destra: ex eodem museo a Francisco Soncino lapicida habitum. Osservö bene il Tabretti che i cesti descritti o disegnati da Aldo Manuzio giuniore {de quaesitis per epistolam VIII) e da Girolamo Mercuriale {de arte gymnastica 1. II cap. 9) secondo comunicazioni di Pirro Ligorio, sono semplice fantasie del famoso impostore. Non posso indicare finora, se nei volumi Napoletani o Torinesi si trovino disegni corrispondenti a quelle di Mercuriale : invece nel libro 39 del manoscritto di Napoli ho trovato una curiosa relazione sopra la scoperta di un cimetero cristiano presso il * tempio del Dio Eediculo ', che spero di pubblicare altrove, ove in un sepolcro dice essere ritrovati parecchi arnesi atletici, che pare gli abbiano dato occasione ad ideare queH'armatura. Dal resto, il Fabretti egli stesso sbagliö, credendo di vedere i cesti anche nel rilievo del gladiatore M. Antonius Exochus (C. I. L. VI, 10194) malamente interpretando le linee 7. 8: tir{ö) cum Araxe caest{ario) miss{us), invece di tir{o) cum Araxe Cae{saris) st{ans) missus.
IL CESTO DEl PUGILI ANTICHI
177
mente si h incaricato di disegnare esattaraente da ambedue le parti la mano destra col cesto.
La parte principale della terribile armatura consiste in tre sti'isce poste l'ima dietro l'altra, in modo da avvolgere le prime fa- langi delle dita. 11 materiale h certamente cuoio , la grossezza di Cent. 1 '/g in circa ed altrettanto la larghezza. Sono legate in- sieme cou quattro grappe dopple di metallo, due nelle estremitä della mano e due nell'intermezzo. Queste grappe, oltre a stringere
insieme i tre cuoi, aecrescevano di molto l'effetto dell'armatura portando suUa parte di fuori due o tre borchie, pure di metallo. Le tre strisce, conforme al loro scopo di arma oifensiva, erano di cuoio piuttosto duro; la loro parte inferiore riposa sopra una specie di cuscino di stoffa piü molle, frapposto fra esse ed il guanto, parte seconda dell'armatura. Di siffatto guanto i monumenti finora conosciuti non davano un' idea ben sicura : di modo che anche i dotti editori della statua di cui discorriamo pare non si siano
178 IL CESTO DEI PUGILI ANTICHI
accorti della sua esistenza {^). II guanto, di cuoio sottile e ade- rente strettamente alla pelle, copre l'avambraccio dal gomito in giü, lasciando perö libere le estremitä delle dita : il verismo nel rappresentare i dettagli e spinto dall'artista a tal grado che si distinguono, sulle parti meglio conservate, con tutta chiarezza i punti indicanti le cuciture del cuoio, e ciö neH'interno della mano, che difficilmente poteva essere veduto da chi osservava la statua. Nella parte interna dell'avambraccio il guanto pare sia fermato in due punti, non si puö sapere se per mezzo di lacci o bottoni, rima- nendo coperti questi punti dalle correggiuole. Sulla parte esteriore del braccio si vede un incavo stretto, lungo c. 3, segno di un difetto di fusione poi riparato, ed un altro simile piü sopra presso al gomito {^).
1 • •
(1) Heibig 1. c. : « Die in stärkster Schwellung aus den Gesten hervor- quellenden Handrücken ", mentre invece il dorso della mano rimane affatto coperto dal guanto.
(2) L'osservazione del eh. Studniczka, che gli incavi visibili sulla super- ficie del bronzo significhino fenditure della pelle per colpi di pugno ricevuti, h giustissima per quanto si riferisce agli incavi esistenti suirorecchio destro, e forse anche sotto gli occhi, sulle guance. Tali incavi, con quel verismo che distingue tutta la statua, sono caratterizzati come lesioni della pelle : essi, larghi nel mezzo, finiscoho a punta, e la pelle scalfita si ripiega insu: sull'orecchio sono finanche indicate le gocce di sangue stillanti dalla ferita. Non h cosi per gli incavi visibili sul braccio e sulla spalla : essi sono come tagliati dalla superficie del bronzo, senza i margini ripiegati, e finiscono in linee dritte o leggermente curve ; forma che non potrebbe mai assumere una ferita cagionata da un colpo di cesto. Oltracciö, esaminando la statua attentamente con un distinto artista, il sig. A. Sommer, la cui perizia per la scultura in bronzo e incontestabile, ci accorgevamo, che simili rattoppa- menti, nei quali perö rimangono ancora le riempiture, si trovano in parecchie parti della statua, p. es. sul collo, sulla gamba sinistra, sul ginocchio destro. Tutti sono fatti in maniera simile e ben si distinguono dai restauri modemi ; essendo perö la superficie del bronzo cesellata e ripulita con somraa cura, cosi nh la pubblicazione, ne una riproduzione in gesso possono farceli vedere. Quindi non posso credere che tali incavi, riempiti con qualche materia di colore rosso, abbiano servito per accrescere il naturalismo neH'effigiare la pelle lacerata dai colpi, come credette il eh. Heibig. Anehe per la formazione della bocca non potemmo ac- cordarci interamente eol eh. editore. Se fosse vero, come sostiene'egli, che al- l'atleta mancassero i denti superiori infrantigli in una lotta precedente, il lab- bro superiore con i baffi caderebbe indietro in ben altra maniera. La diflferenza nella posizione del labbro superiore e quello inferiore ö incontestabile : ma la ragione h questa, che l'atleta spinge avanti il mento, segno di ferocitä vera- mente selvaggia, e che contribuisce molto ad accrescerne l'espressione brutale.
JL CESTO DEI PUGILI ANTICHI 179
Nella parte superiore, il guanto finisce con un intiluppo di pelle villosa, stretto da due cordoni piuttosto sottili, il quäle copre pure il principio di quell' allacciamento di correggiuole (larghi cm. 0,5 incirca), che stringe il guanto al braccio. Le correggiuole sono due : esse si avvolgono due Yolte aH'avauibraccio, circondano la parte media della mano, e ridiscendono al punto di partenza. Sul polso, luogo piü esposto ai colpi deH'avversario, si intrecciano
con altre correggiuole, destinate a fermare le suddette striscie di cuoio e che si rannodano neirinterno della mano. I disegni esatti del sig. Winter per altro mi dispensano dal darne una descrizione piü dettagliata.
L' altro braccio disegnato qui sopra appartiene alla statua mar- morea di pugile vincitore scoperta nel 1888 a Sorrento, memo- rabile per l'iscrizione dell'artefice ^A(fQodtGitvc Kif^ßka\yoc ti^yü-
180 IL CESTO DEl PUGILI ANTICHU
dato ('). I disegni della mano destra, l'unica rimasta — essendo mancante tutto l'avambraccio sinistro — sono dovuti alla cortesia del sig. dott. Winnefeld. L'esecuzione e buona, sebbene non arriva alla scrupolosa ' esattezza della prima : inoltre il modo corae e rap- presentata la mano, cioe con le dita ripiegate insieme, non fa vedere i singoli particolari con la stessa chiarezza. Perö anche qui si scorgono abbastanza chiaramente le tre parti deH'armatiira : in primo luogo le tre strisce di cuoio duro, messe insieme con spranghe e riposanti sopra un cuscino molto piü spiccante di quello della statua romana. SuUe spranghe non v'e traccia di borchie me- talliche; e l'inviluppo della mano e del braccio non assiime le forme precise di un guanto : pare invece che si limiti ad una serie di strisce larghe incirca m. 0,02, sovrapposte l'una all'altra. Certa- mente le dita non portano rivestim^nto di sorta, essendo le unghie indicate abbastanza chiaramente sul pollice, mentre suUe altre dita piü corrose dal tempo non se ne scorge traccia. L'inviluppo piü semplice si puö paragonare con quello visibile p. es. in un sarco- fago del Louvre (Clarac tav. 200 n. 221) e col capitello di colonna pubblicato dal Fabretti : in questi Ultimi sembra che un pezzo di pelle copra l'avambraccio dal gomito sino al polso, e vi sia stretto con corregge abbastanza larghe. Sopra, presso il gomito, anche in questa statua si vede un inviluppo di pelle villosa, la quäle sembra non circondi interamente il braccio. Un simile sistema si vede adoperato sulla statua Del Drago, ove il pezzo di pelle, largo m. 0,08, copre soltanto il lato esteriore del braccio, mentre dal- l'altro e fermato per mezzo di tre correggiuole. Per stringere vieppiü l'armatura dell'avambraccio e legare insieme le tre strisce, serve nella statua sorrentina pm'e un allacciamento di correggiuole piü sottili : ma sono in numero di tre (conformi al frammento pubbli- cato dal Fabretti p. 261 ex museo Puteano e della statua Del Drago), ne si puö, a cagione della minore esattezza del lavoro, se- guime l'intreccio con la stessa chiarezza come sulla statua romana. Quanto alla cronologia dei monumenti di cui abbiamo parlato, l'atleta di bronzo del Quirinale viene ritenuto dal eh. Heibig opera
(1) Si vedano intorno a questa statua le dissertazioni del senatore Bar- racco, Not. degli scavi 1888 p. 289 e del prof. Sogliano, Atti deiraccademia dl Napoli 1889 p. 35-43.
IL CESTO DEl PÜGILI ANTICHI 181
originale piuttosto dell'epoca ellenistica che dell'etä romana ; la statua di Sorrento, secondo il eh. Sogliano, e da attribuirsi al primo secolo depo Cristo, ma forse imitata da un originale piü antico ; di epoca molto piü bassa sarä il rilievo del sarcofago nel Louvre, come pure la scoltura del capitello conservato giä negli orti pon- tifici quirinali. Supponendo che quest'ultimo sia stato ritrovato non lontano dal luogo, ove si conserrava nel seicento, con molta proba- bilitä avrä appartenuto alla decorazione architettonica delle terme di Costantino.
Ch. Hüi.skn.
NOTE DI EPIGRAFIA
(Iscr. di Roma, Sepino, Sardegna)
I. In UDO dei priini fascicoli del BuUettino della Commissione archeologica comunale (Die. 1872-Febbr. 1873 p. 71) e stata pub- blicata dal eh. Lanciani, seeondo l'apografo di persona poeo perita di epigrafia, la seguente iscrizioncella, trovata il 9 ottobre 1872 nelle fondazioni di una nuova casa spettante al prineipe Barberini, sull'angolo della via di s. Niccolö di Tolentino :
SEXCOCCEIO
VERIANO XVR
PROC PA
Questa iscrizione, a primo aspetto priva di ogni importauza e, qiianto alla seconda metä, anche di significato, riceve luce da una lapide rinvenuta nella lontana Africa. Esiste ivi in una casa del villaggio di Telmin, in Tunisia^ una lapide, vista da diversi viaggiatori ed ultimamente dal Wilmanns (Corp. Inscr. Lat. VIII, 84) coH'iscrizione :
SEX COCCEIO VIPIANO PROCOS PROVINCIAE AF PATRONO MDD PP
E chiaro che qui si tratta dello stesso personaggio, e che nell'i- scrizione romana i caratteri PROC PA debbono spiegarsi procon- suli provinciae Äfricae. Quanto alle lettere XVR mi e agevole credere che in questo luogo la copia non fosse esatta o piuttosto
NOTE DI EPIGRAFIA 183
non completa, e che vi fosse una abbreviazione del titolo sacerdo- tale XV VIR SACRIS FACIVNDIS. Sarebbe da desiderare che si ritrovasse 1' originale deH'iscrizione passata, qiianto abbiamo potuto sapere, in proprietä private, per poter verificare la lezione dell'in- tera seconda riga, tanto di quelle lettere XVR, quanto del cognorae del proconsole Cocceio, il quäle, secondo l'iscrizione africana non fu Verlano ma Vibiam.
IL Nel 1884 venne alla luce a Sepino fra i ruderi di un grande edifizio pubblico il seguente frammento d' iscrizione, pubblicato nelle Notizie degli scavi di quell'anno p. 243:
IVI NERVA D AVG • PONTI
T-XIIII*COS RCELLVS COS
Appartiene ad un monumento posto a qualche imperatore della di- scendenza di Nerva da un console Marcello (v. 4), il quäle certa- mente non fu diverso da L. Neratio Marcello, fratello del giurecon- sulto L. Nerazio Prisco, governatore della Britannia sotto Traiano e console due volte (la seconda volta nell'a. 129), nativo di Sepino, dove esiste una iscrizione posta a lui per ordine supremo della moglie, Corp. Inscr. Lat. IX, 2456 (ved. anche Borghesi, Annali 1852 pag. 20 = opere t. 5 p. 359). L'iraperatore, al quäle il mo- numento era dedicato, non e Traiano (nella seconda riga non sono i titoli di Germanico, Dacico ecc), ma Adriano, rivestito allora della tribunicia potestas per la decimaquarta volta ; appartiene dunque l'iscrizione all'a. 130.
III. Nelle vicinanze di Cagliari, nel villaggio di Elmas, il eh. Nissardi osservö nel 1878 une iscrizione, della quäle pote de- eifrare queste parole (Notizie degli scavi 1878 pag. 273):
HERENNIAE M-F-HIMOIN MM . . . \ \ . . CLAVDIPROCVL
O KARALITA
NORVM
184 NOTE DI EPIGRAFIA
Tre anni piü tardi, il nostro Giovanni Schmidt, andato snl luogo, sottomise l'iscrizione ad un nuovo esarae, nel quäle riusci di riconoscere nella seconda riga il nome di Ilelvidia ; nella quarta invece di Procul., lesse proeur. Nel 1886 gli scavi di Tivoli ci hanno fatto conoscere il nome completo delle persone ricordate nel- riscrizione sarda, inoltre il loro alto grado, cioe appartenenti a fa- miglia consolare. Venne a luee in questi scavi un piedistallo posto Heremiiae M. f. Helvidiae Aemüianae, L. Claudi Proculi Cor- neliani cos. (cioe uxori) (Gatti, Notizie degli scavi 1886 p. 276 ; C. I. L. XIV, 4239). Non dubito che, applicando all'iscrizione di Elmas nuovi studj, si riuscirä di costatare che vi furono gli stessi nomi di Herennia M. f. Elvidia Emiliana e del console L. Claudio Proculo (^).
H. Dessau.
{sarä continwato)
{}) JE dunque erroneo quel che dissi in una nota aH'iscrizione tiburtina C. I. L. XIV^, 4239 : ' Tarn Herennia Helvidia Aemiliana quam L. Claudius ProciUus Cornelianus ex hoc primum titulo innotescunt \
SITZUNGSPROTOCOLLE
29, März. Mau : eine römische Poi-trätbüste in Besitz des Hrn. Prof. J. Kopf. — Hülsen : zur Topographie der Kaiserpa- läste auf dem Palatin.
Mau : La testa di raarmo posseduta dal prof. Kopf, di buonissimo la- voro e perfetta conservazione, non puo, come crede il proprietario, rappre- sentare M. Bruto, l'uccisore di Cesare, mancandole i Iratti caratteristici, ed in ispecie la forma quadrata del cranio, che si rilevano dalle sue monete. Trattasi perö di persona conosciuta : lo provano due repliche, l'una trovata nei Prati di Castello (C. L. Visconti Bull. comm. 18S5 p. 25. 355 n. 21), ed ora esposta nella sala ottagona del palazzo dei Conservatori (questa di lavoro molto inferiore), l'altra trovasi nel museo Torlonia, la cui esistenza fu indi- cata al rif. dal prof. Haie.
Hülsen : Nel 1883 il eh. Lanciani pubblicando alcuni disegni inediti deH'architetto Gio. Ant. Dosio (Firenze, Uffizi 2039) che rappresentano cor- nicioni di finissimo lavoro, ritrovati sul monte Palatino, sospettö che essi stessero in relazione col sacrario Palatino di Vesta, dedicato secondo i calen- dari il giorno 28 Aprile 742 : e dello stesso tempietto rotondo egli credette ritrovare la pianta nel noto codice Orsiniano-Vaticano 3439. Perö i disegni del Dosio (dei quali il rif. propose copie in grandezza originale) mostrano nello stile grandissima somiglianza con la decorazione della cosi detta Domus Flavia : e le dimensioni, che si rilevano dalle numerose misure segnate sull'originale, sono tali, che queste cornici, invece di un porticQ circondante un tempietto, potevano bene decorare una delle sale maggiori del palazzo. Con ciö sta d'ac- cordo quel poco che sappiamo dell'andamento degli scavi Palatini del Cinque- cento. La pianta inserita nel libro del Panvinio de ludis circensibus segna il templum Apollinis Palatini , di forma rotonda ed avente attiguo verso oc- cidente un « atrio » pure di forma rotonda." Che aH'icnografia di quest'ul- timo abbiano servito come modello le due nicchie dei'ninfei attigui alla cosi detta Jovis Coenatio, diventa chiaro dal confronto delle piante. Quindi gli scavi del Cinquecento si sono spinti da questa sala piü verso Oriente, e pro- babilraente in questo stesso posto, nel peristilio del palazzo, forono trovate le
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cornici disegnate dal Dosio. Quanto alla pianta del codice Vaticano 3439, essa appartiene alla serie dei terapj rotondi, piena di fantasie Ligoriane, della quäle e raeglio astenersi parlare, se non vengono in aiuto altri documenti. Dai di- segni architettonici del Cinquecento non possiamo dunque ricavare alcuna cer- tezza sopra il sito del tempietto di Vesta Palatina.
Coloro poi volessero ritornare aH'opinione del Tlion e del Canina, che cioe il tempio fosse situato sotto la villa Mills, dietro la cosi detta loggia imperiale del Circo Massimo, ne sono impediti da un documento, il cui valore topografico finora non si pote giustamente apprezzare. II frammento della F. U. R. 163 Jord. (conservato soltanto in un disegno Vaticano) e luesso dallo Jordan fra le fragmenta operum puhlicorum incerta rappresenta quella parte della cosidetta casa di Augusto, che confina con le due sale absidate comunemente chiamate Accademie. A questo frammento si aggiunge un altro conservato nell'originale (144 J.), che rappresenta la parte Orientale delPistesso peristilio. La figura aggiunta che niette i due frammenti riuniti in confronto con la bella pianta che il sig. Deglane um al suo lavoro sul. Palatino {Gazette archeo- logique 1888 tav. 36) mi dispensa di esporne a lungo : osservo soltanto : 1) che la composizione dei due frammenti giustifica l'opinione dello Jordan circa il modulo adoperato dal disegnatore del Vat. 3439 ; e 2) che il confronto delle misure della forma Urbis con quelle delle rovine esistenti anche qui ben si adatta alla supposizione, che la forma fosse eseguita nella relazione di 1 : 250 del vero.
4. April. Barnabei : Grabfund von Gabii (s. Notüie degli scavi 1889. S. 83). — Petersen über einen Kopf in Villa Medici das Original des vatikanischen Meleagros. — Ehrhard über die christliche Epigraphik von Constantinopel.
Ehrhard : La epigrafia cristiana di Costantinopoli non comiucia prima del trasferimento della residenza imperiale a Bisanzio : le poche iscrizioni che potrebbero attribuirsi al secolo terzo (C. /. Gr. 9445, 9446. Dethier u, Mordtmann Epigraphik von Byzanz n. 34. 56, J^exiforoi sniyQucpcd Bv^ayrlov tav. 1 n. 2 nel IvXXoyog eX'krjv. q)ikoX. iv KwanöXei. Huquqx. t Tofi. ig 1885) 0 sono di epoca posteriore, o non provengono da Costantinopoli : Tultima delle sopra citate che nomina un coUegio nov veojv si riconosce dal confronto con altre iscrizioni simili (C. /. Gr. 4945, 4946 ; Conze Reise auf Leshos p. 32 ecc.) come affatto priva di carattere cristiano. — Poche sono pure le epigrafi del- l'etä Costantiniana conservateci nell'originale, mentre di un maggior numero abbiamo copie piii o meno esatte negli storici (Eusebio, Giorgio Codino, Ce- dreno, Zonara). All' incontro le enitvfjßia di Costantino e di altri imperatori bizantini nelle antologie poetiche (Cramer Anecd. Paris. 4, 309 sgg. ; Ch. Graux catal. des manuscr. de Copenhague p. 77 non sono proprio iscrizioni). — Assai notevole per l'epigrafia di Costantinopoli h il regno di Giustiniano primo : titoli di monumenti pubblici ed iscrizioni onorarie ai reggenti sono in gran numero inserite nell'Antologia Palatina, alla quäle somministrano un sup-
SITZÜNOSPROTOCOLLE
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Frammcnti della Forma C'i'bis Romae.
Parte degli tdifizi Palatini secondo Degluiie.
188 SITZUNGSPROTOCOLLE
plemento altre antologie (p. es. quelle pubblicate dal Gramer, 1, c, e dal Bois- sonnade Anecdota Gracca I-IV) ; ed a queste si possono aggiungere altre ine- dite, come quella di Firenze menzionata dallo Schneidewin {progymnastica in antholog. Graecam, Götting. 1855 e dal Dilthey, c?e epigr. graecorum syllogis quibicsdam minoribus Götting. 1887), come pure quelle dei codici Ottobon. Gr. 309 ; Vallicell. E. 26 ; Pakt. Gr. 141 ; Bibl Nationale Paris suppl. Grec. 392. Di un centinaio d'iscrizioni sopra pitture, immagini e musaici di chiese di Costantinopoli sono consei-vate le copie dagli scrittori, essendo stati distrutti gli originali al tempo degli iconoclasti. Fra essi, Tepigramma sulla chiesa di S. Polieuto a torto viene considerato dal Banduri, dal Bayet, dal De Eossi come una semplice descrizione, poiche un lemma del codice Pa- latino indica esattamente il luogo dove si trovavano i singoli versi. Quanto alle iscrizioni sepolcrali di quest'epoca, sono scarse anch'esse. Una fu pub- blicata nel G. I. Gr. n. 9447, un'altra, conservata nel museo di S. Irene, nella Revue archeologique 1868 p. 261 ; una terza inedita mi fu communicata daH'illustre De Eossi. A questi si possono aggiungere quelle poche pubblicate nel ^vXXoyog 1. c. n. 8555 t. 2 p. 83 e nella Revue archöologique 1886, 11 p. 85). — Nel terzo periodo dell'epigrafia di Costantinopoli, che si puö chia- mare propriamente bizantina (sec. 7-15), lo sviluppo delFepigrafia fu impedito tanto dalle lotte degli iconoclasti, quanto dalle guerre dei crociati, i quali o distrussero o portarono via molti monumenti cristiani, dispersi poi in tutta TEuropa occidentale. Tra le iscrizioni conservate primeggiano quelle delle fortificazioni : di esse possiamo sperare una nuova pubblicazione. Per le perdute, un materiale assai ricco ci viene fornito delle opere di Teodoro Studita, l'Alcuino dell'Oriente, di Giorgio Pisida, Michele Psello, Cristoforo Patrizio ed altri anteriori al secolo decimoterzo. Dopo il sacco di Costanti- nopoli nel 1204 non era piü possibile una nuova efflorescenza deirepigrafia, e quindi non e da meravigliarsi che le poesie di Massimo Planude mostrino la totale decadenza dell'epigrafia metrica : e presentano lo stesso carattere forse le ultime iscrizioni metriche anteriori alla caduta di Costantinopoli, cioe le due eniTvfißoa pubblicate dal Sakkelion nell' 'EiptjfJSQig aQ/aioi.oyiy.i] 1886 p. 236 e dal Papadopoulos Kerameus nel IvkXoyog Ilagagr. x Tofi. IE' 1888 p. 103.
12. April. Festsitzung zum Gedächtniss der Gründung Borns: Gamürrini über die italische Ehe (vgl. S. 8Ö). — Mau: Por- traits des M. Marcellus.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES. (Taf. VIII. IX)
Von einem in vielen Wiederholungen verbreiteten, mit einem Pappelkranze geschmückten Jünglingskopf, in welchem Visconti {Museo Pio-CL VJ, S. 93) auf Grund eben dieses Kranzes einen jugendlichen Herakles erkannte, hat Wolters im Jahrbuch des Archäologischen Instituts I, Tf. V, Nr. 2 das besterhaltene Exem- plar veröffentlicht; dasselbe stammt aus Genzano und befindet sich im British Museum. Wolters glaubte (a. a. 0. S. 55) in diesem Heraklestypus ein Werk Praxitelischer Kunst zu erkennen, und man wird gewiss zugeben müssen, dass damit Zeit und Stil, so
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190 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
weit dies gegenüber einer späten und trotz ihrer äusseren Sorgfalt doch nicht sehr guten Copie möglich ist, richtig umschrieben sind. So hat denn auch Furtwängler in Roschers Mythol. Lexicon S. 2166 zugestimmt. Aber die Betrachtung von besseren Repliken, welche Wolters nicht oder nur in ungenügenden Abbildungen bekannt sein konnten, ermöglicht es, einen Schritt weiter in der Erkenntniss der kunstgeschichtlichen Stellung dieses Typus zu kommen.
Eine dieser Repliken ist auf Taf. VIII und vorstehend in Zink- druck abgebildet. Die Herme ist aus grobkörnigem, vielleicht pa- rischem Marmor, und befindet sich im Capitolinischen Museum. Ergänzt ist die Nase und Teile der Unterlippe. Da die von Wolters erwähnte Abbildung im Museo Ca])itollm Bd. I, Taf. 87 die Güte des Originals nicht erkennen lässt, schien es angemessen, dasselbe in Lichtdruck zu veröffentlichen; dieser ist leider wegen der grellen einseitigen Beleuchtung, unter der die Aufnahme ge- schehen musste, für den Gesammteindruck nicht günstig. Da er aber einige wichtige Einzelheiten besonders scharf wiedergiebt, so erschien er gerade für die folgende Untersuchung zu wertvoll, um ver- worfen zu werden ; zu seiner Ergänzung mag der obige Zinkdruck dienen.
Der Kopf zeigt sich dem von Genzano in jeder Hinsicht über- legen. Letzterer, wie man auf der Photographie (Photographien des ßrit. Museum Nr. 830) besser als auf der Tafel des Jahrbuches erkennen kann, ist etwas schematisch und trocken gearbeitet. In der Vorderansicht fallen die scharfen Kanten an Mund und Augen- höhlenrand und dessen Uebergang zur Nase so wie die kleinliche Regelmässigkeit in der Haarbehandlung ungünstig auf. In jeuer Schärfe und Trockenheit etwa die besser bewahrten Eigentümlich- keiten eines Bronzeoriginales zu suchen, muss uns der Vergleich mit unserem Kopfe verhindern, welcher bei gleicher Bestimmtheit aller Formen durchweg weicher behandelt, reicher und lebensvoller modellirt ist. Die Umgebung des Auges, wie sie sich auf unserer Tafel darstellt, ist davon ausreichender Beweis. Ausschlaggebend aber ist ein zweiter Kopf, zu dessen Betrachtung wir uns nun wenden.
Auf Tafel IX wird zum ersten Male eine Herme veröffent- licht, welche sich im neuen Capitolinischen Museum (Conservato- renpalast) befindet, nach Bullettino Municipale IV (1876) S. 217. 9
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 191
im Jahre 1876 auf dem Quirinal gefunden. Der Marmor ist etwas grobkörnig, doch scheint er kein griechischer Inselmarmor zu sein. Die Nasenspitze und ein Teil der Flügel sind ergänzt; an der r. Seite fehlt ein Stück des Hinterkopfes, welches, wie es scheint, angestückt war. Ueber der 1. Schläfe befinden sich im Haare zwei Eisenstifte, wohl eine absichtliche Verletzung.
Dass wir eine Wiederholung desselben Typus mit entgegen- gesetzter Kopfhaltung zu erkennen haben, lehrt der Augenschein. Nicht nur der eigentümliche Schmuck des Kopfes mit Pappelkranz und Tänie mit hängenden Enden führt darauf, sondern der Ver- gleich der Kopf- und Gesichtsform, der Gesichtsteile im Einzelnen zeigt es, die Gleichheit der Maasse bestätigt es.
Hier die wesentlichsten Maasse unserer Köpfe in Millimetern, denen einige des Kopfes Corsini und des Florentiner Kopfes aus den Ufiizien (vgl. die folgende Liste Nr. 8 und 14) beigefügt sind :
Capit. Conserv. Oors. UfF.
Kopfhöhe ca. 255 ca. 245
Kopftiefe (Nasenwurzel-Hinterkopf ) . ca. 240
Schläfenbreite ca. 143 142 140
Gesichtslänge (Haaransatz-Kinn) . , 188 ca. 195
Nasenflügel-Ohrläppchen r. 110 111 107
Haaransatz-Unterrand der Nase. . . 117 123 129
Kinn-Innerer Augenwinkel 125 123 120 124
Haaransatz-Innerer Augenwinkel . . 72
^ r 75 75
Innerer Augenwinkel-Mund • • • ] i' 70 73 ^^ ^^
Nase (bis zum Augenhöhlenrand) . . 72 73 74
Untergesicht 72 73 75
Stirn 47 52 53 54
Innerer Augenwinkel- Unterrand d. Nase 54 52 53 53
Kinn 54 52 51 54
Mundbreite 48 44 48 50
Innere Augenweite 38 38 34
Augenlänge 33 34 36
Augentiefe (vom Nasenrücken) ... 33 34 38
Ohrlänge 60 55
Nasenflügelbreite 37 ca 44 43
Die einzige wesentliche Verschiedenheit bieten die vom Haar- ansatz an genommenen Maasoe ; dies hängt aber aufs engste mit der Haarbehandlung zusammen, denn es ist klar, dass die durch- weg mit Hülfe des Bohrers stark vertieften Einschnitte, welche
192 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
bei dem kapitolinischen Kopfe die Locker! von einander trennen, etwas mehr von der Höhe der Stirn wegnehmen raussten, als dies bei der flacheren Arbeit des anderen Kopfes der Fall war. Es fragt sich, ob diese Verschiedenheit im Verein mit der verschiedenen Haltung ein Hindernis sein kann, unsere Köpfe auf ein und das- selbe Original zurückzuführen. Die Betrachtung der übrigen Wieder- holungen, welche fast alle üebergangsstadien zwischen beiden Kopfhaltungen zeigen, lässt diese Frage verneinen. Besonders wichtig sind aber drei Wiederholungen, von welchen zwei die Hal- tung der einen mit der Haarbehandlung der anderen Herme vereinen, nämlich der schon erwähnte Kopf Corsini und der in den üffizien (Nr. 9 in der folgenden Liste) während der dritte, der Kopf Chia- ramonti (Nr. 4) die Haltung des anderen mit der Haarbehandlung des ersten verbindet.
Ich zähle daher zunächst die mir bekannt gewordenen Wie- derholungen unseres Typus auf. Freilich ist namentlich bei schlechten Exemplaren nicht in jedem einzelnen Falle mit Sicherheit zu ent- scheiden, ob man es noch mit einer strengeren oder freieren Wieder- holung des Originals oder einer Umbildung zu tun hat. Der Kopf war im x\.lterfcum, wie es scheint, so beliebt, dass er eine gewisse maassgebende Bedeutung für die Bildung des jugendlichen Herakles erlangte. Der Kopfschmuck ist kein untrügliches Kennzeichen, da sich noch ziemlich genaue Wiederholungen ohne denselben finden ('). Es mag sich also in der folgenden Liste einiges finden, was Andere lieber ausgeschieden haben möchten, wie andererseits auch manche gute Wiederholung mir unbekannt geblieben sein wird. Die Eeihen- folge will die Exemplare ähnlicher Kopfhaltung zusammenstellen und unter sich einigermassen nach ihrem Werte und ihrer Treue gruppiren (-).
(•) Furtwängler schloss aus diesem Umstand (Roschers Lexicon S. 21()7) und aus dem Wechsel des Schmuckes, dass das Original schmucklos gewesen sei. Doch haben die meisten und besten Wiederholungen Kranz und Binde, und der Kranz ist wieder meistens sicher ein Pappelkranz.
(2j Aus Rom sind im ganzen 15 Wiederholungen aufgezählt. Furt- wängler in Roschers Lexicon S. 2166 erwähnt 12, unter Verweisung auf seine nachfolgenden Worte aus Annaü delVIst. \S11, S. 245 zu einer kleinen Bronzebüste des Herakles in Dresden {Mon. d. I. X, Taf. 45j: Ueroe i ancora giovane e Vespressione del viso rivolto un jöo' a sinistra, ha un che di molle
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
1. Die Herme des Conservatorenpalastes (Taf. IX).
2. Die Herme des Miiseo Capitolino (Taf. VIII u. Vign.).
Etwa die Haltung von Nr. 1 haben:
3. Paris, Louvre. Heraklesstatue.
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e di dolce che pare contrario al suo carattere. Tuttavia giova ricordarsi che cV una classe di teste d'Ercole giovane in marmo (tutte appartenenti come pare ad erme) le quali rivelano ancora pih questo carattere di certo cotal vago e molle desiderio. Mi spiace che lo spazio troppo ristretto non mi conceda di spiegarmi meglio ; ma mi riserbo di ritornare su questo
194 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
Aus Villa Borghese. Clarac, PL 301, 1968. Vorstehend nach einer Photographie abgebildet, welche Herr Heron de Villefosse so freundlich war zu besorgen. Demselben verdanke ich auch die Nachricht, dass der Kopf nie von dem Rumpfe getrennt war, und die Angabe der folgenden Ergänzungen : Unterarme, ein Teil des 1. Beines mit dem Knie, der obere Teil der Keule, Teile des Löwen- felles und des Baumstamms, fast die ganze Plinthe. Am Kopf: Nase, Teile des 1. Auges, Teil der Oberlippe, des Kinnes, des r. Ohres und des r. Tänienendes. Dass der Kopf dem Typus nach hierher gehöre erkannte Herr Professor W. Klein, welcher auf meine Bitte so freundlich war die Statue zu untersuchen. Doch scheint, so weit man nach der Photographie urteilen kann, schon eine ziemlich starke Umbildung vorzuliegen ; namentlich der Mund ist recht ab- weichend, und die Gesichtsteile scheinen überhaupt verhältnismässig kleiner zu sein.
4. Rom, Vatikan, Museo Chiaramonti 693, Kopf.
Abgeb. Pistolesi, Vaticaiio, IV, 55, 3 (von Wolters a. a. 0. als im Braccio Nuovo befindlich angeführt) und Mus. Chiaramonti I, 43. Vgl. S. 331. Der Kranz wird vom Herausgeber wohl mit Recht für einen Pappelkranz erklärt ; die Blätter sehen zwar eher denen der Eiche gleich, doch fehlen die bei Eichenkränzen üblichen Eicheln.
5. Palermo, Museum, Nr. 736. Kleiner Kopf, auf Büstenfuss gesetzt.
Laubkranz, dessen Blätter aufwärts gerichtet sind. Im Nacken scheinen die Bindenansätze abgebrochen zu sein. Sehr schlecht. Scheint trotz des geschlossenen Mundes noch hierherzugehören. Haltung etwa wie der Kopf Chiaramonti.
6. Rom, Villa Albani, Vorhalle des Casino, N. 52. Herme. Kurzes Haar, ohne Binde und ohne Kranz. Kopf noch etwas
weniger nach 1. gewendet und geneigt als der vorige. Ist eine
argomento urCaltra voUa ; per ora basti dire che di qtiesta classe di teste, fino ad oggi poco osservata, soltanto in Roma ho contato io stesso da ben dodici esemplari. Vgl. dazu die Note : Qualche volta venivano scambiate per Bacco., — Un esemplare e stato pubblicato da Visconti, Pio-Cl. VI, 12. Zur Identification fehlen nähere Angaben. Einige dieser Köpfe scheint auch Dilthey Bull deirist. 1869 S. 134 zu meinen.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
195
sehr vergröberte Wiederholung-, hat aber eine gewisse unten zu bespre- chende Eigentümlichkeit der Augenbildung, die die meisten Repliken vollständig aufgegeben haben, bewahrt und etwas übertrieben.
In der Haltung stellen sich zu Nr. 2.
7. London, British Museum, Herme.
Abgeb. Spec. of Anc. Sculpt. I, 60 ; Ancient Marbl. II, 46 ; Ellis, Townley Gallery, I, 326 ; Guide to Graeco-roman scul- ptures, I (1879), S. 199, 105 ; Jahrbuch des Archäol. Inst. I, Taf. 5. Ebenda S. 55 die näheren Angaben.
8. Rom, Palazzo Corsini, II. Zimmer, Kopf.
Matz-Duhn, 138. Vorstehend abgebildet. Der Marmor ist zwar etwas grosskörnig, ich kann ihn aber nicht für 'parisch' halten.
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196 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
Pappelkranz, Binde, Pankratiastenohren. Im übrigen ist der Kopf im Marmor, der Haarbehandlung und dem allgemeinen Eindruck dem Kopf aus dem Conservatorenpalast am ähnlichsten und das beste Exemplar nächst den beiden abgebildeten in Rom. Nun ist aber die Kopfhaltung und Kopfform gerade die des capitolinischen Kopfes (vielleicht ein wenig mehr n. r. geneigt). Der Mund ist geöffnet, aber ohne Zähne. Besonders schön ist der erhaltene Teil der Nase. Es ist noch eine Andeutung jener vor dem inneren Au- genwinkel liegenden Erhöhung erhalten, von welcher unten die Rede sein wird. Das Kinn ist etwas verkürzt (vgl. die Maasse in der obigen Tabelle).
9. Venedig, Museo Archeologico, IV. Saal. Kopf. Dütschke, V, 334. Abgeb. Zanetti, Delle antiche slatue, etc. I, 2.
Erwähnt von Wolters. Haltung wie beim capitol. Kopfe. Die drei grossen Blätter des Kranzes sind nach Mitteilung Winnefelds ergänzt nach einem über dem 1. Ohr knapp am Kopfe anliegend erhaltenen. Von den Eicheln ist die Mehrzahl ganz antik. Von den vom Kranz niederfallenden Bändern sind wenigstens die An- sätze erhalten.
10. Rom, Villa Martinori. Statue.
Matz-Duhn, 100. Abgeb. Clarac, PI. 802 E, 2007 B als im Pal. Altemps befindlich. Den Kopf hält Clarac für modern ; Matz, der aber die Statue auch nicht genau untersuchen konnte, sieht nur ein modernes Zwischenstück im Hals und hält den Kopf für 'wahrscheinlich zugehörig.' Ich habe das Stück auch nicht ge- nauer untersuchen, sondern mich nur überzeugen können, dass der, wie Matz beschrieben, aufgesetzte Kopf hierher gehört, einen Pappelkranz trägt, dem die Tänienenden fehlen, und dass die Nase ergänzt ist.
11. Rom, Vatikan, Gall. geografica. Herme.
(1) Die von Dütschke mit diesem Kopfe verglichene Büste der Uffizien (Ant. Bildw. in Oberitalien III Nr. 9) gehört nicht hierher; der eigentümliche und schöne Kopf gehört eher dem Kreise Lysippischer Kunst an. Am nächsten steht er ei)iem Kopfe des Vatikans (Sala dei Busti 338), welcher eine Binde um das Haar und Löcher zum Einsetzen von Hörnern hat. Aehnlich der Kopf im Lateran, VIII. Zimmer Nr. 512 (Benndorf-Schöne Nr. 265) Dass der va- tikanische Kopf mit dem Kopfe auf der Münze des Lysimachos (Imhoof-Blumer, Porträtköpfe, Taf. II, 14 und S. 17) übereinstimmt, hat Wolters gesehen.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 197
Visconti, Museo Pio-Cl. VJ, 12, wo die Deiitun<( auf Hora- kles ausgesprochen ist. Ich habe das Stück nicht gesehen.
12. Rom, Museo Capitolino, St. d. Filosofi, Nr. 17. Herme. ' Hieron.' Abgeb. Museo Capitolino, I, 38. Vom Kopf ist im we- sentlichen nur das Gesicht alt, von der gedrehten Binde im Haar ein Stück an der r. Seite des Kopfes. Die Haltung stimmt mit dem auf Taf. VIII abgebildeten Kopfe. Der Kopf ist etwas roh decorativ gearbeitet und übertreibt manche Formen, indem er namentlich alle Einsenkungen zu stark betont, vor allem ist neben dem äusseren Augenwinkel ein tiefes scharfkantiges Loch, aber die Uebereinstimmung ist sonst unzweifelhaft. Der Kopf ist lehrreich für die Kraft des Ausdrucks, welche selbst in der schlechten Abbildung dieser schlechten Replik nicht erloschen ist.
13. Rom, Studio Canova. Kopf.
Aussen über der Tür in Via delle Colonnette eingemauert, fehlt bei Matz-Duhn III, S. 302. Der Kopf ist nm* mit der gedrehten Binde geschmückt, also wie der vorige, mit dem er auch in der Haltung übereinstimmt. Die Arbeit scheint ziemlich gering zu sein.
14. Florenz, üffizien. Kopf.
Dütschke, III, 19. Athletenohren, im Haar nur eine schmale Binde. Der Kopfsteht dem Kopf Corsini (Nr. 8) am nächsten, wenn auch die Arbeit noch äusserlicher ist als bei diesem. Er hat auch die flache Behandlung der Haare; die einzelnen Löckchen ringeln sich nicht wie beim capitolinischen Kopfe, sondern biegen sich nur etwas um wie bei Nr. 1 u. 8. Obgleich der Kranz fehlt, ist doch die Anordnung der Haare, die sich über der Stirn zu einem grösseren Bausche auftürmen, bewahrt, auch ist die kleine Teilung in den Haaren an derselben Stelle wie beim capitolinischen Kopfe augedeutet. Bewahrt ist auch die starke Ausbildung des Muskels vor dem inneren Augenwinkel wie bei Nr. 1 u. 8. Im Auge sind die Tränendrüsen angedeutet, im Mund ganz in der Tiefe die Zähne nur in der später üblichen Manier schematisch gebildet. Die Winkel sind etwas herabgezogen.
15. Rom, Museo Capitolino. Herme.
Abgeb. Mus. Capit. I, Taf. 84. Von Wolters noch hierher- gezogen ; hat einen, wenn auch anders angeordneten, Pappelkranz ohne Binde. Im übrigen ist der Typus fast bis zur Unkenntlichkeit entstellt.
198 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
In geraderer Haltung.
16. Brocklesby-Park, Herme.
Michaelis, Anc. Marbl. S. 232, Nr. 33. Abgeb. Mus. Worsl. Cl. II, 5 {PI. 13, 1). (Ich habe nur die Mailänder Ausgabe ein- sehen können). Nach Michaelis a. a. 0. ist der Kopf mit Epheu bekränzt, Tänienenden hängen herab. Die abweichende Angabe Mus. Worsl. S. 47 mit der die daselbst gegebene Abbildung übereinstimmt, scheint auf falscher Ergänzung zu beruhen. Die Kopfhaltung scheint ziemlich gerade.
17. Rom, Lateran. Herme.
Benndorf-Schöne, Nr. 395. Schlechte Zeichnung im Apparat des Archäol. Instituts I, 42. Mit Tänie, allenfalls noch hierher- gehörig.
18. Eom, Museo Torlonia ('), 53. Herme.
Abgeb. (rcdl. Torlonia, Taf. XIV. Tänie mit Enden ohne Kranz. Kopf leise n. r. geneigt. Geschlossener Mund.
19. Rom, Museo Torlonia, 57. Kopf.
Abgeb. Gall. Torlonia, Taf. XV. Tänie mit Enden ohne Kranz. Kopf leise n. 1. geneigt. Dem Typus nach noch allenfalls hierhergehörig.
20. Rom, Museo Torlonia, 186. Herme.
Abgeb. Gall. Torlonia, Taf. XLVII. Kopf leise n. r. geneigt. Binde mit Enden. Sehr schlechte Replik des Kopfes.
21. Rom, Museo Torlonia, 263. Sehr schlechte Replik des Kopfes.
23. Athen, Nation almuseum. Herakleskopf mit Löwenfell, h.0,29.
Inventar der Arch. Gesellschaft '■Aitfira 2146. Gefunden im Februar 1873 beim Dipylon. Vgl. nQuxiixit 1872/73, S. 19. un- terer weisser pentelischer Marmor nach der Bestimmung von Prof. Lepsius. Nachstehend nach einer Photographie in Zinkdruck abgebil- det. Die Arbeit ist garing und handwerksmässig ; ausserdem ent- stellen die eingehauenen Huchstaben (die doch wohl O A zu lesen sind) den Kopf. Er ist an beiden Seiten sehr verschieden gear- beitet: das 1. Auge sitzt viel höher als das rechte, zugleich ist
(•) Diese vier Exemplare habe ich nur bei flüchtigem Besuche des Museo Torlonia notirt, ohne sie näher uijtersuchen zu können.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 199
nur am lechten der charakteristische Wulst über dem Oberlid. Denselben Unterschied zeigen auch die beiden Augen des Löwen-
kopfes, Die Uebereinstimmung mit unserem Typus ist unverkenn- bar ; die Haltung des Kopfes ist die des capitolinischen.
23. Athen, Nationalmuseum, N. 4204. Heraklesstatuette, h. 0,55.
Unterer weisser pentelischer Marmor (Lepsius). Ums lebend abgebildet. Die Kopfhaltung ist die des capitolinischen Kopfes. Die Uebereinstimmung mit unserem Typus, wenn auch die Zähne nicht angedeutet sind, vollständig.
Wir kehren zu unseren beiden Köpfen zurück : die übrigen Wiederholungen haben den Dienst getan, uns zu zeigen, dass es
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HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
sich in der Tat um ein gemeinsames Original handelt, Ueber den stilistischen Charakter dieses Originals können sie gegenüber jenen beiden besten nichts lehren. Dass von diesen beiden der Kopf des
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Conservatorenpalastes in einigen Teilen der bessere ist, wie in dem lebendigeren Mund, dem feineren Uebergang vom Auge zur Schläfe, der besser ausgebildeten Muskulatur des Halses, ist ohne weiteres klar ; doch muss die endgiltige Entscheidung darüber,
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 201
welcher von beiden dem Original am nächsten kommt, vorerst verschoben werden, und wir halten uns zunächst an beide, um durch ihre gemeinsame Zergliederung eine Vorstellung von dem künstlerischen Charakter desselben zu gewinnen. Dabei soll zu- gleich zu erweisen versucht werden, dass dieser bei mancher üebereinstimmung doch ein von Praxitelischer Weise verschie- dener ist.
Ich verbinde also mit einer eingehenden Betrachtung unserer Köpfe die Vergleichung mit dem Hermes des Praxiteles. Der naheliegenden Gefahr, die Unterschiede zwischen einem Original- werk und einer Copie für solche der Kunstrichtung zu halten, bin ich mir dabei wohl bewusst, doch bieten die übrigen mit Wahr- scheinlichkeit dem Praxiteles zugeschriebenen Werke, welche ja auch nur in Copien erhalten sind, eine Controlle für den Vergleich, und bestätigen in den Punkten auf die es hier hauptsächlich an- kommt lediglich die am Hermes gemachten Beobachtungen.
In der allgemeinen Erscheinung Praxitelischer Werke ver- bindet sich mit der vornehmen Ruhe der Haltung die feine Durchbildung der Formen. Zu der leisen Neigung des Kopfes, mit welcher der Hermes ja nicht allein steht, gesellt sich die milde Freundlichkeit seines Ausdrucks, der fast ein Zug wie von Träu- merei beigemischt ist. Anders der Herakles: seine Formen sind bei aller Jugendlichkeit derber; waches Leben liegt in seinen Zügen, namentlich in dem etwas aufwärts und wie in die Ferne gerichteten Blick. Die Schädel Praxitelischer Köpfe zeigen in der Seitenansicht jene besonders harmonische Rundung. Vom Nacken steigt es in schlanker concaver Krümmung zum Hinterkopfe an, der dann ganz allmählig in den schöngewölbten Oberkopf übergeht. Dem entspricht in der Vorderansicht das feine Oval, das sich nach unten ziemlich stark verjüngt. In fast überall gleicher Stärke decken die Haare den Schädel und lassen so das Ebenmaass der Form für jede Ansicht gleich deutlich erscheinen. Der Schädel des Herakles, wie die Seitenansicht des Kopfes aus Genzano (Jahrbuch I, Taf. 5), mit welcher die anderen übereinstimmen, erkennen lässt, ist oben flach ; der Hinterkopt bildet beinahe eine Ecke ; seine weiteste Ausladung sitzt viel dichter über dem Nacken. Der ganze Schädel erscheint im Verhältnis zum Gesicht kleiner, darum liegt auch das Ohr weiter zurück. Breiter und kürzer ist die Form des
202 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
Gesichtes, durch den kräfiigeren Bau von Unterkiefer, Backenkno- chen und Stirnbein im wesentlichen bedingt.
Lässt sich die Formgebung des Hermes weit hinauf in die attische Kunst verfolgen ('), so möchte man den Herakles eher mit Typen peloponnesischer Kunstübung vergleichen. Als Beispiel diene die von Comparetti und De Petra, La Villa Ercolanese, Tafel XXI, Nr. 3 abgebildete Herme Polykletischen Kunstcharakters, auf welche wir noch öfter zurückkommen werden, xiuch das Haar des Herakles, an Ober- und Hinterkopf noch glatt anliegend, baut sich in Verbindung mit Kranz und Tänie hoch über der Stirne auf, ladet an beiden Seiten stark aus und giebt so dem Umrisse des Kopfes in der Vorderansicht auch äusserlich etwas von jener grösseren Bewegung, auf deren Vorhandensein im Inneren der Ausdruck des Gesichts schliessen liess. Innerhalb seiner fein umschriebenen Form ist das Gesicht des Hermes in allen Teilen und Einzelheiten mit gleicher Sorgfalt durchgebildet : die Wangen zum Beispiel spielen nicht nur um Mund und Augen in feinen Zügen, sondern sind auch in sich noch belebt; die reiche Modellirung der Stirn ist oft hervorgehoben. Ganz anders ist der Herakleskopf construirt : wie im Bau die Hauptpunkte stark be- tont iAnd, so concentrirt sich auch die Einzelausführung nur um gewisse Stellen, nämlich Augen, Mund und etwa die Nase. Den Mund athmend, die Augen intensiv blickend darzustellen, also den Ausdruck regen Lebens in den Kopf zu bringen, darauf ist alles gerichtet, dem werden Einzelheiten geopfert. Die Wangen sind leer, die Stirn, wenn auch nach einem verwandten Schema, wie beim Hermes, eingeteilt, ist doch viel einfacher. Es ist haupt- sächlich ein Teil der Unterstirn stark vortretend gebildet und» während diese Partie beim Hermes sowohl vom Nasenansatz als seitlich von dem Augenbogen deutlich durch feine Einsenkungen geschieden ist, lastet sie beim Herakles fast auf den Nasenansatz herab und geht seitlich allmählig zum Augenbogen über, so dass man den Eindruck gewinnt, als ob die ganze Stirn dieser Schwel- lung zustrebe. Zugleich wird damit erzielt, dass die Umgebung des Auges am inneren Winkel einheitlicher und stärker hervortritt, als dies beim Hermes der Fall ist. Etwas ähnliches ist für den
(') Vgl. Kekuld, Der Kopf des Praxitelischen Hermes S. 11.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 203
äusseren Winkel durch besonders starke Bildung des Augenknochens geleistet. So liegen also die besonders gross geöffneten Augen stark beschattet von einer fast gleichmässig über ihnen vor- springenden, dort am kräftigsten entwickelten Stirn. Aber dies ge- nügt noch nicht. Jener Teil des Stirnbeins, welcher sich bis über den äusseren Augenwinkel fortsetzt, tritt so weit vor, dass er mit den unter ihm vorquellenden weicheren Teilen das obere Augenlid für die Seitenansicht völlig verdeckt, das äussere Ende desselben sogar auch in der Vorderansicht, da es überhaupt gar nicht be- sonders ausgearbeitet ist, sondern die Kante des Lides sich ganz in den Umriss jener vortretenden Augenknochenpartie verläuft. Diese charakteristische Eigenheit ist von Durchschnittscopisten stets vernachlässigt worden, so dass sie den meisten übrigen Wieder- holungen des Herakles fehlt. Es erschien wohl zu fehlerhaft — wie es ja auch ein bewusstes Abweichen von der Natur ist — und man glaubte seine Vorlage zu verbessern, wenn man das obere Augenlid in seinem ganzen Verlaufe sichtbar bildete. Auch beim Hermes ist zwar für die Seitenansicht das Oberlid nicht in seinem ganzen Verlaufe frei; es ist aber doch vollkommen bis zu Ende ausgearbeitet, und weder ist das Vortreten des Knochens darüber, noch das Vorquellen der weicheren Gewebe annährend so stark und autfallend gebildet. Bei dem Herakleskopfe wird aber nun weiter dadurch bewirkt, dass auch neben dem äusseren Augen- winkel zwischen Stirn- und Backenknochen eine tiefe Einsenkung entsteht, schon etwa ähnlich wie beim Kopfe des Apoxyomenos. Denn auch unterhalb des Auges treten die Massen wieder stark vor. Der Muskel, welcher .sich von der Nase schräg herab zur Wange zieht, fäUt nicht, wie beim Hermes, so steil herab, dass unterhalb des Auges eine Stelle bleibt, wo die Wange flach ist; sondern unmittelbar unter dem Auge ist alles gleich stark vorgebaut, wie der capito- linische Kopf (Taf, VIII) gut erkennen lässt; und bei dem anderen Kopfe endlich sieht man wie jener Muskel ganz oben mit einem kleinen Wulst ansetzt, der sich vor den inneren Augenwinkel legt. So ist also alles dazu getan, das Auge mit einem Wall zu um- geben, der es bei jeder Beleuchtung wie tief in einer beschatteten Höhle liegend erscheinen lässt. Die Bildung im Auge selbst ent- spricht dieser Tendenz. Die Augenlider sind dick, die ünterfläche des Oberlides ist breiter als die Vorderansicht, durch eine kleine
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Uüterschneiduug ist der Augapfel davon gelöst; dies ist besonders gut am capitolinischen Kopfe zu beobachten, aber auch an dem anderen, namentlich im r. äusseren Augenwinkel. Das Unterlid ist zwar bei beiden Köpfen stark verscheuert; doch erkennt man noch deutlich, dass seine obere breite Fläche durch eine scharfe Furche vom Augapfel getrennt ist. So ist also wieder dafür gesorgt, dass der Augapfel gegen die Lider zurücktrete, und um dies aufs letzte zu steigern, fehlt die Tränendrüse, so dass im inneren Winkel an ihrer Stelle ein tiefes Loch entsteht, und der Winkel ganz unnatürlich tief in den Kopf hineingeht. Dies ist namentlich an dem Kopfe aus dem Conservatorenpalast stark übertrieben ; es sieht schon fast so aus, als ob der innere Winkel tiefer als der äussere läge, während er doch in Wirklichkeit weit vor denselben vortreten muss.
Von dem allen ist beim Hermes nicht die Rede, ja den zuletzt ausgeführten üebertreibungen widerstreitet eine oft beob- achtete Eigentümlichkeit seiner Augenbildung geradezu. Der Aug- apfel ist nicht von den Lidern gelöst, im Gegenteil das Unterlid ist so gebildet, als ob es gegen den Augapfel zu ganz dünn würde, und geht daher für die Betrachtung aus nächster Nähe fast un- merklich in diesen über ; die Grenze zwischen beiden ist kaum genau zu finden; erst bei Betrachtung aus der nötigen Entfernung sieht man, dass der Künstler trotz des fliessenden üebergangs die Stelle der Grenze richtig empfunden und genügend angedeutet hat. Und wenn auch das Lid nicht, wie bei dem kleinen Kopfe der Knidierin in Olympia, noch ausserdem hochgezogen ist, um das Auge nur schmalgeötfnet erscheinen zu lassen, so kann man doch andererseits auch nicht eigentlich behaupten, dass die Augen des Hermes weitgeöffnet seien. Auch daa^ Oberlid, wenn auch weit über den Apfel vorspringend, setzt doch weich ohne eine scharfe Kante von ihm ab ('). Also auch hier ein bewusstes Abweichen von der natürlichen Form zu Gunsten einer, wenn man will, ma-
(') Jener Mangel scharfer Umrisse, welchen man auch immer wieder beobachten kann, wenn man die Ausdehnung irgend eines Muskels am Körper des Hermes genau verfolgen will, kann ja geradezu als ein Geheimniss Praxitelischer Kunst gellen: weich in allen Uebergängen zu sein, aber nie verschwommen, weil doch jede Form bestimmt angelegt und richtig ver- standen ist.
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lerischen Wirkung, aber gerade in einem dem Herakles entgegen- gesetzten Sinne.
Für die Nase des Herakles fehlt mir leider die eigene An- schauung des einzigen Exemplars an dem sie vollständig ist, des Kopfes aus Genzano, aber die Abbildungen, namentlich die Seiten- ansicht bei Wolters a.a.O. genügen um zu sehen, dass, bei einer im Grossen und Ganzen der des Hermes sehr verwandten Anlage, die des Herakles doch etwas kürzer und breiter ist. Namentlich ist die Spitze nicht so weit ausgezogen und fein ausgebildet wie beim Hermes. Noch bezeichnender aber ist, dass gegenüber den feinen, anliegenden und kleinen Nasenflügeln, die der Hermes mit den meisten attischen Werken gemein hat, der Herakles die leicht gehobenen etwas breiten Nüstern desAthmenden zeigt ; nament- lich das Exemplar des Conservatorenpalastes, bei welchem dieser Teil ganz erhalten ist, lässt dies erkennen. Die Bildung ist ähnlich der des oben erwähnten Neapler Polykletischen Kopfes, und findet sich in den olympischen Köpfen bereits angedeutet. Am stärksten nun endlich ist im Munde danach gestrebt das Athmen und ener- gisches Leben zur Geltung zu bringen ; er ist so weit geöffnet, dass die Oberzähne bis zu ihrer ünterkante erscheinen ; diese Unterkante ist tief unterschnitten, so dass ein dunkeler Schatten sie begrenzt. Letztere Eigentümlichkeit hat nur der Kopf im Conser- vatorenpalast, während bei dem anderen zwar die Zähne angedeutet sind, aber durchaus in der später allgemein üblichen Weise. Ausser dieser Oeffnung des Mundes aber, welche durch Abwärts- bewegen des Unterkiefers geschieht, ist auch noch, wiederum wie beim Einathmen, die Oberlippe gehoben, und eben dadurch wird die Zahnreihe so weit sichtbar. Der Vergleich des Mundes am Po- lykletischen Kopfe mit dem nur leise geöffneten Munde des Hermes, dessen Oberlippe in voller Euhe geblieben ist, macht auch hier den Unterschied besonders deutlich.
Eine analoge Bildung des Mundes ist auch in älterer Zeit der griechischen Plastik nicht fremd; doch ist sie da nur ver- wendet, wenn es sich darum handelte, das Letzte an leidenschaft- lichem Ausdruck zu veranschaulichen und tritt demgemäss nur da auf, wo auch die übrigen Züge einen solchen bekunden, wie z. B. in den Metopen des Parthenon. Dieses Mittel aber anzuwenden, lediglich um inneres Leben in äusserlich unbewegten Mienen aus-
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zudrücken, miiss schon beinahe als gesuchte üebertreibung gelten. Man überblicke die stufenweise Belebung des Mundes. Zunächst sind in der ältesten Kunst die Lippen festgeschlossen; schon früh beginnen sie sich leise zu lüften, dann endlich löst man sie so weit von einander, dass ein wirklicher Spalt entsteht ; dann erscheinen in diesem Spalte die Zähne einfach als Kückwand des- selben. Auf dieser Stufe steht der Hermes, um zwei Elemente ist dies im Herakles überboten, um das ünterschneiden der Zahnreihe und um das Heben der Oberlippe.
Verschieden an Hermes und Herakles ist auch das Ohr : zunächst ist seine Stellung beim Hermes nahezu aufrecht, während es beim Herakles weit hinten überliegt wie bei Polykletischen Köpfen. Ferner ist die Muschel beim Hermes schlank und nicht breit, die Höhlung gross und der innere Knorpel schmal, kaum viel breiter als der aufgebogene ßand der Muschel ; das Läppchen schliesst sich in sanftem üebergang an, ist gross und schön ge- rundet und so gestaltet, als ob es auch mit seiner Vorderkante ganz losgelöst wäre. Das Ohr des Herakles hat eine breite Muschel, die Höhlung ist klein, die innere Knorpelfläche gross, das l^äppchen setzt sich von dem unteren Rand der Muschel in einem starken Höcker ab, der auf Taf. IX sehr deutlich sichtbar ist ; ebenda sieht man, dass eine tiefe Furche sich bis weit auf das Läppchen erstreckt • Letzteres ist verhältnissmässig klein und vorne nicht ganz losgelösi;, sondern angewachsen, wie es nach einem in Deutschland verbrei- teten Aberglauben bei unmusikalischen Menschen sein soll.
lieber die Behandluüg der Haare endlich ist bei der Ver- schiedenheit unserer beiden Köpfe vorläufig nicht zu urteilen, aber in der Anordnung derselben ist ausser der anfangs gemachten Be- merkung noch ein kleiner Unterschied zu betonen. Beim Hermes fallen die vorderen kurzen Haare in die Stirn, wie dies ja bei der grossen Mehrzahl griechischer Köpfe der Fall ist. Beim Herakles sind sie über der Stirn in die Höhe gerichtet, so dass diese in ihrer ganzen Ausdehnung nach oben frei wird, und man den wirk- lichen Haaransatz sieht, eine namentlich in älterer Zeit durchaus nicht häufige Anordnung.
Ich bin weit entfernt davon zu glauben, dass die aufgeführten Unterschiede zwischen dem Hermes und unserem Herakleskopfe sämmtlich gleich wesentlich seien, und mit gleichmässiger Wahr-
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scheinlichkeit zur Annahme verschiedener Künstler drängten. Man- ches könnte sich ja aus der Verschiedenheit des künstlerischen Vorwurfes ('), manches aus einer anderen Entwickelungsstufe des Künstlers erklären lassen. Auch das Urteil darüber, welcher Art von Verschiedenheiten die meiste Beweiskraft zukomme, wird ver- schieden sein: der Eine wird geneigt sein, dem allgemeinen Ein- druck, der Andere , der einzelnen Form mehr Gewicht beizulegen. Immerhin aber muss die Gesamtheit dieser Unterschiede und die Spuren eines ganz anders gearteten künstlerischen Strebens, wel- ches sich als ihre Hauptursache ergeben hat, uns zu der Annahme drängen, der Herakles sei nicht von Praxiteles. Und so raüssten wir urteilen, selbst wenn es keine anderen Monumente gäbe, an die wir ihn stilistisch anreihen könnten.
Es giebt aber solche Monumente, und das sind die Köpfe aus dem Giebel des Tempels der Athena Alea zu Tegea. Sie zeigen im Ganzen und im Einzelnen dieselbe Kunstweise, wie der Hera-
(1) Abgesehen davon, dass ja auch schon die Wahl des Stoffes für den Künstler bezeichnend ist, lässt sich auch noch auf andere Weise einem der- artigen Einwände begegnen : Furtwängler hat auf den Herakles der Gemme des Gnaios (Jahrbuch III, Taf. 10, Nr. 6) als Praxitelisch hingewiesen. (Roschers Mythol. Lex. S. 2167 und Jahrb. III, S. 315). In der Tat scheint dieser Kopf im Typus Praxiteles recht nahe zu stehen. Und wenn auch ein Teil des Ober- und Hinterkoi^fes ergänzt ist, so steht doch, wie aus der Füh- rung der Nackenlinie zu schliessen ist, die Kopfform der des Hermes recht nahe. Mit unserm Typus hat die Gemme nichts als die Jugendlichkeit ge- mein. Furtwängler freilich will auch diesen Kopf zum unsrigen stellen und für Wiedergewinnung seiner ursprünglichen Gestalt verwenden. Nun stimmt in der Haltung der ge3chulterten Keule mit der Gemme genau überein die Heraklesstatue in Sammulang Lansdowne (abgab. Specimens of Anc. Sculpt.I, PL 40 und danach Clarac 788, 1973), in deren Kopf Furtwängler wiederum (Roschers Lex. S. 2171) Praxitelischen Stil erkennt; und so weit man aus der unzureichenden Abbildung schliessen kann, könnte das der Fall sein, auch die Verhältnisse des Körpers und seine Stellung mit ausgebogener Hüfte würden das nur befürworten. Eine Wiederholung dieser Statue in klei- ncrem Maasstabe befindet sich nach Matz-Uuhn (Nr. 95) in R )m im Palazzo Barberini. Endlich gehört vielleicht der von Wolters im Jahrbuch I, Taf. 5, Nr. 1 veröffentlichte Praxitelische Kopf hierher. Danach muss die Möglich- keit offen gehalten werden, dass es einen Typus für den jugendlichen Hera- kles gab, welcher sich innerhalb der uns bisher bekannten Grenzen Praxite- lischer Kunst hielt. Um so mehr Gewicht werden wir auf die bei unserem Typus hervortretenden Abweichungen legen dürfen.
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kies, und stimmen in allen den Punkten mit ihm überein, in welchen er sich vom Hermes scheidet. Treu hat in dem vierten Abschnitt seines Aufsatzes über die Köpfe aus Tegea (Athen. Mitteil. VI, S. 405 ff.) dieselben einer eingehenden stilistischen Analyse unterzogen und auch gerade das wesentliche dieser Kunst- weise an dem Vergleich mit Praxiteles entwickelt. Die Zusammen- stellung unserer Beobachtungen an den Heraklesköpfen mit den Ausführungen Treu's könnte an sich genügen die obige Behau- tung zu beweisen, so vielfach berühren sich beide. Mehr der Vollständigkeit der Beweisführung wegen sollen daher die Te- geaköpfe im Folgenden noch einer kurzen vergleichenden Betrachp- tung im Verhältniss zum Herakles unterzogen werden. Leider macht der traurige Erhaltungszustand dieser Werke das Gelin- gen einer mechanischen Abbildung unmöglich. Sie nach den Pu- blicationen eingehend zu studiren ist daher recht mühevoll. Der Kopf Nr. 68 (Kavvadias) verliert am meisten ; er ist auf der Tafel in Brunn's Denkmälern Nr. 44 unkenntlich; macht aber auch auf der nach Abgüssen hergestellten Tafel 35 der Antiken Denkmäler Band I einen vom Originale recht verschiedenen Ein- druck. Für ihn ist Gillierons vorzüglich gelungene Zeichnung (Athen. Mitteil. VI, Taf. 14) unentbehrlich, aber auch für den Kopf Kavv. 09 muss man die nach desselben Künstlers Zeichnung hergestellte Tafel der ^Etpr^iieqlg dqxmoloyixrj (1886 T. 2) mit zu Kate zu ziehen. Ausserdem sind recht gelungene Photographien der Köpfe von Moraitis in Athen im Handel. Die folgenden Beob- achtungen sind vor den Originalen aufgezeichnet, und der daneben aufgestellte Abguss des Hermes erleichterte es die wesentlichen Ab- weichungen von dessen Formgebung herauszufinden. Der dekorative Zweck und Charakter dieser Bruchstücke, ihr Erhaltungszustand, endlich die Darstellung einer bestimmten Handlung, für welche sie gearbeitet waren, verbieten es, subtil in der Vergleichung zu sein; es kann sich hier nur um Hauptpunkte handeln. Aber auch von diesen müssen wir für einen, die Schädelbildung, auf Be- lehrung verzichten; beide Köpfe sind oberhalb abgemeisselt, und gerade der unbehelmte Kopf ist in einer gewaltsamen Stellung gebildet, welche fast eine Verzerrung der Form hervorgerufen hat (').
(1) Man kann höchstens im allgemeinen erkennen, dass die Tiefe der Schädel verhältnissmässig gross ist, wie dies L. E. Famell, Journal of h. st. Vn, S. 115 hervorhebt. Und dies ist ja auch bei unserem Herakles der Fall.
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Für den allgemeinen Eindruck ist dieser Kopf gleichwohl und trotz seiner schlechten Erhaltung fast wichtiger als der andere ; der ganze Kopf ist, wie beim Herakles, von einem intensiven Ausdruck stark erfüllt, die Augen blicken Leben und Leidenschaft. Die kürzere und breitere Gesichtsform des Herakles finden wir in den Tegeaköpfen wieder, wie' auch die stärkere Betonung des Knochen- baus. Auffallend ist die Breite an den Schläfen des unbehelmten Kopffes, der Fortsatz des Stirnbeins über den Augen, die Backen- knochen, das Kinn sind unter den deckenden Muskel- und Haut- massen als kräftig entwickelt empfunden und in der Formgebung stark betont, noch stärker als bei dem behelmten Kopfe, der seinerseits wieder den Unterkiefer besonders breit und kräftig entwickelt hat, wie der Herakles in dem Conservatorenpalast (i). Für die Betrachtung der Einzelheiten muss wesentlich der besser er- haltene behelmte Kopf herhalten. Die Stirn ist wieder wesentlich darauf angelegt nach unten stark auszuladen (gut auf der Tafel der A. Denkmäler zu sehen), und wieder sinkt die ungegliederte vortretende Masse tief zum Nasenansatz herab. Der unbehelmte Kopf übertreibt dies so weit, dass der (noch gerade erhaltene) Nasenansatz hier eigentlich durch gar keine Einsenkung markirt wird (vgl. die A. D.). So hat nun auch der Augenhöhlenrand nicht
(') Hier einige Maasse der beiden tegeatischen Köpfe, um sie mit denen des Herakles zu vergleichen; dass erstere als decorative Arbeiten nicht so genau proportionirt sind wie dieser, kann nicht auifallen.
Nr. 68 Nr. 69
Schläfenbreite 126 132
Haaransatz-Kinn 160
Haaransatz (o. Helmrand)-Unterrand der Nase 101 111
Kinn-Innerer Augenwinkel 108
Nase (bis zum Augenhöhlenrand) 57 67
Uutergesicht 58
Stirn 43
Kinn 41
r. 47
Innere Augenwinkel-Unterrand der Nase. . , , „ __
\ J. 45 oz
Mundbreite 38 ca. 46
Innere Augenweite 35
Augenlänge 25 31
Augentiefe 25 29
Ohrlänge 63
210 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
den schönen Schwung welcher beim Hermes dadurch entsteht, dass die schräge Vertiefung, welche die Erhebung der ünterstirn ab- gränzt (vgl. Kekule, Kopf des Prai. Hermes, S. 9 u. 11) hier einschneidet, sondern dieser Teil der ünterstirn geht fast un- merklich beiderseits zu den Wülsten über, welche an der Seite über dem Augenlid liegen. Der unbehelmte Kopf lässt nur gerade noch erkennen, dass das Oberlid in bekannter Weise unter dem Wulst vollkommen verschwindet, bei dem anderen Kopfe lässt sich Dank der trefflichen Erhaltung die Arbeit bis ins einzelne ver- folgen : wieder das charakteristische vollständige seitliche Ver- schwinden des Oberlides unter dem überhängenden Wulst, das Auge ist so weit geöffnet, dass von dem Lid selbst die sichtbare VorderÜäche nicht einmal so breit ist wie die Unterfläche. Das Lid ist scharfkantig gearbeitet und durch eine leichte Unterschneidung vom Augapfel gelöst. Das Unterlid ist nicht ganz so gut er- halten; es ist nicht ganz so breit, aber auch durch eine kleine Furche gegen den Augapfel abgesetzt. (Dies alles ist auf der Tafel in Brunn' s Denkmälern gut zu beobachten). Die Augen- bildung des capitolinischen Herakles stimmt also bis ins ein- zelnste überein. Unterhalb des inneren Winkels liegt wieder der derbe von der Nase schräg abwärtsgehende Wulst (leider in keiner einzigen Abbildung ganz deutlich), von da bis zum Backen- knochen tritt die ganze Partie gleichmässig stark vor. Es ist also durch genau dieselben Mittel das Tiefliegen des grossgeöffneten Auges erreicht wie beim Herakles. Es sei noch bemerkt, dass auch bei dem Eberkopfe das Auge analog gebildet ist, und hier findet sich auch jenes starke Zurücktreten des Apfels im inneren Winkel gegen die nach vorne ausbiegenden Lidränder. Die tiefe Ein- senkung neben dem äusseren Augenwinkel, da wo der obere Wulst mit der Backenknochenpartie zusammenstösst, kehrt auch bei den Köpfen der Jünglinge wieder. Von den Nasen ist genug erhalten, um zu sehen, dass auch hier die Flügel breit und etwas geschwellt waren. Der Mund des unbehelmten Kopfes ist leicht geöffnet, die Oberlippe angehoben (vgl. Gillieron's Zeichnung); die Zähne werden sichtbar, wenn sie auch freilich nicht stark unterschnitten gewesen sein können. Um so mehr sind sie dies bei dem anderen Kopfe, dessen Mund auch durch seine starkgeschwungene Oberlippe dem unseres Kopfes aus dem Conservatorenpalast sehr ähnlich ist. Es
HERAKLES DES SKOI'AS UND VERWANDTES 211
kommt noch eine auffallende Beziehung hinzu: beide Köpfe haben die Mundwinkel abwärts gezogen, der eine wenig, der behelmte stark. Man ist geneigt das lediglich für ein die Situation betref- fendes Ausdrucksmittel zu halten. Aber auch der Mund der He- raklesköpfe ist derselbe, wiewohl die einzelnen Exemplare in dem übrigen der Mundbildung etwas von einander abweichen. Ver- gleicht man nun diese Art der Mundbildung mit der oft er- wähnten Neapler Polykletischen Herme einerseits und dem Hermes anderseits, so wird man geneigt sein, darin eine künstlerische Eigentümlichkeit zu sehen, die gegenüber dem mildfreundlichen attischen Munde eine Reminiscenz an peloponnesische Herbigkeit bewahrt hat.
Das etwas schräg nach hinten liegende Ohr mit dem an- gewachsenen Läppchen und der Furche darauf zeigt wenigstens der behelmte Kopf; bei dem anderen ist die Stellung gerade entgegen- gesetzt, aber wegen der eigentümlichen Haltung nicht maass- gebend. lieber die Anordnung der Haare lässt sich bei dem un- behelmten Kopf noch gerade so viel mit Sicherheit erkennen, dass kurze Löckchen von der Stirn in die Höhe steigen. Also auch hier üebereinstimmung, und zwar, was die Arbeit der nur im all- gemeinen angelegten, durch geringe Vertiefungen belebten und gegliederten Haarmasse angeht, grössere üebereinstimmung mit dem Kopfe des Conservatorenpalastes.
Wenn nun Robert (Phil. Unters. X, S. 49), methodisch, wie mir scheint, mit vollem Recht, zur Vorsicht in der Verwertung der Tegeafragmente für die Erkenntniss der Kunstweise des Skopas mahnt, so glaube ich doch, dass der Nachweis eines im Altertum berühmten Werkes von eigenartiger Schönheit, welches stilistisch das Gepräge der durch jene Skulpturen bisher allein vertretenen Kunstweise trägt, geeignet ist das Vertrauen zu den letzteren zu steigern. Sie stützen sich gegenseitig, und es darf also wohl als höchst wahrscheinlich angesehen werden , dass mr in unserem Herakles die vielverbreiteten Wiederholungen eines Werkes des Skopas besitzen.
Ehe ich einige Monumente anreihe welche von der Seite der "stilistischen Betrachtung diese Zuteilung empfehlen können, sind noch einige Fragen zu besprechen welche sich unmittelbar an un- seren Herakles selbst anschliessen.
212 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
Zunächst hat bereits Wolters (Jahrbuch I, S. 55) aus der bewegten und wechselnden Kopfhaltung der verschiedenen Wieder- holungen geschlossen, dass das Original nicht als Herme, sondern als Statue componirt war. Diese Statue ist unter dem vorhandenen Vorrat von Heraklesstatuen zu suchen. Von unseren Köpfen be- finden sich nun nur zwei als sicher zugehörig auf Statuen, denn die Zugehörigkeit von Nr. 11 zu seinem Rumpfe muss für mehr als zweifelhaft gelten. Es bleiben Nr. 3 und Nr. 23, welche in der Körperhaltung übereinstimmen, in der Kopfhaltung die beiden Extreme vertreten. Da die Statuette Nr. 23 schon durch das Lö- wenfell sich als nicht mehr strenge Wiederholung kennzeichnet, so möchte man ohne weiteres geneigt sein, in der Pariser Statue Nr. 3 die sichere Wiederholung der Originalcomposition zu erkennen, zumal sie auch in der Kopfhaltung mit der Herme aus dem Con- servatorenpalast, die sich ja in mancher Beziehung als die treuere Replik erwiesen hat, übereinstimmt. Nun ist aber gerade bei dieser Statue nicht nur der Kopf schon von den übrigen ziemlich abwei- chend, sondern auch der Körper zeigt eine gewisse Uebertreibung der Formen, namentlich an dem Ansatz der Hüften, welche man ungern dem Anfang des vierten Jahrhunderts zutrauen möchte. Man wird also wie in den Formen so auch in der Stellung schon eine Umbildung gewärtigen müssen. Dazu kommt noch, dass die Kopfhaltung der capitolinischen Herme, welche ja die bei weitem häufigere ist, auch ihre Erklärung verlangt. Es scheint also das Zeugniss der Pariser Statue allein nicht zu genügen (').
Nun wird von Pausanias (II, 10, 1) ein Herakles des Skopas im Gymnasium zu Sikyon aus Marmor erwähnt, und die Verfasser des Numismatic commentary of Pausanias haben eine Nachbildung
(') Wiederholungen dieser Statue, so weit man das nach den Abbil- dungen beurteilen kann, sind ausser der im Motiv übereinstimmenden athe- nischen Statuette, ein überlebensgrosser ziemlich guter Torso im Capitolini- schen Museum, im unteren Gang Nr. 2 (die Bewegung des Eumpfes und des erhaltenen Ansatzes des 1. Oberarms stimmt genau mit der athenischen Sta- tuette und der Statue im Louvre; dass die Kopfhaltung dieselbe war wie bei der letzteren, geht aus dem Ansätze der Halsmuskeln noch gerade hervor. Auf den Achseln liegen die Enden der Tänien); ferner die Statuen Clarac^ PI 788 Nr. 1975, Matz Duhn 102 und Clarac PI 784, Nr. 1964 A, beide mit ergänztem Kopfe; endlich die Bronze aus Byblos im Brit. Museum, Clarac PI 785 Nr. 1966.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 213
desselben mit grosser Wahrscheinlichkeit auf einer sikyonischen Kupfermünze des Geta {Catalogue of greek coins, Peloponnesos S. 56 Nr. 246. Taf. IX, 21) erkannt {Journal of. hellen st. VI S. 70; Taf. LIII Nr. 11). Es muss wenigstens die Frage aufge- worfen werden, ob dieses die gesuchte Statue sei. Leider ist das bisher einzige Exemplar dieser Münze so schlecht erhalten, dass man nicht eben viel darauf erkennen kann. Ja, über die wichtigste Frage, ob der Kopf bärtig oder unbärtig ist, kann man der Ab- bildung gegenüber zweifeln : Imhoof-Blumer und Gardner erklären ihn für unbärtig, Furtwängler (bei Röscher S. 2171) für bärtig, womit natürlich jede Beziehung zu unserm Typus fortfiele. Doch bestätigt eine von Herrn Cecil Smith freundlichst erteilte Aus- kunft die Angaben von Imhoof und Gardner ; derselbe schreibt nämlich : ' / have examined the coin to which you refer, and, as far as the bad condition of the surfaee enable me to judge, I find that the Herakles is certainly beardless, has long hair, and seems to wear a wreath ' und hat mir durch Uebersendung eines Abdruckes Gelegenheit gegeben, den Thatbestand nachzu- prüfen, danach kann die Bartlosigkeit nicht bezweifelt werden. Wenn nun C. Smith von langem Haar spricht, und in der That etwas Gewelltes vom Hinterkopf auf die Achsel herab fällt, so wird man bei dem Mangel anderer Heraklestypen mit langem wallendem Haupthaar, hier das Ende einer Tänie erkennen. Es ist also durchaus möglich, dass der Kopf mit unserem Heraklestypus übereinstimmt.
Der 1. Arm ist auf der Münze gebogen; auf dem Unterarm hängt das Löwenfell, welches deutlich zu erkennen ist ; in der Hand möchte man, der ganzen Stellung nach die Hesperiden- äpfel vermuten. Der r. Arm ist in sehr ähnlicher Haltung wie bei der Pariser Statue, wo er zwar zum Teil ergänzt aber durch den erhaltenen Oberarm in seiner Richtung bedingt ist. So würden also Körperstellung und Kopftypus übereinstimmen können, Kopf- haltung und Verteilung der Attribute abweichen. In den beiden letzteren Punkten kommt nun der Bronzekoloss aus der Rotunde des Vatikans der Münze ausserordentlich nahe (abgeb Mon. i. d. I. VIII 50). Hier ist die Haltung des Kopfes mit der capitoli- nischen Herme identisch, und dem Kopftypus gegenüber wird man trotz aller seiner Rohheit nicht ableugnen können, dass er aus
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dem unserer Köpfe entwickelt sei. Es ergiebt sich demnach viel- leicht die Nötigung, in diesem unerfreulichen Werke die letzte Spur der Statue des Skopas suchen zu müssen {^). Eine Entschei- dung ist mit dem vorliegenden Material noch nicht zu fällen (2) ; jedenfalls bleibt die Möglichkeit uasern Typus auf die sikyonische Statue zurückzuführen. Und diese giebt noch zu einer weiteren Auseinandersetzung Anlass.
Treu hat für die tegeatischen Skulpturen den stilistischen Zusammenhang mit peloponnesischer Art und Kunst nachgewiesen
(') Ein gleiches oder ähnliches Stellungsmotiv zeigen folgende bei Clarac abgebildete Statuen :
PL 802 A Nr. 1999 B Samml. Mattei. » 302 ^ 1967, Louvre Nr. 505. r^ 786 " 1964, Florenz. « 802 D ^ 1964 B Eom Villa Pamfili. Ferner scheinen etwa nach der Beschreibung hierherzugehören Matz-Duhn Nr. 99. 103. 112.
(2) Um wenigstens eine Reihe von Typen als sicher nicht in Betracht kommend auszuschliessen, und damit zu einem Skopasischen und einem Pra- xitelischen Typus ein Lysippischer nicht fehle, sei hier angeführt, dass sich zu der Heraklesstatuette in Villa Ludovisi, Schreiber Nr. 45, welcher im Kopftypus und 'in den Proportionen durchaus Lysippischen Stil bekundet, wie Furtwängler (bei Koscher S. 2172) bemerkt, ausser der von demselben herangezogenen Bronze im Brit. Mus. (Spec. of anc. sculpt. II. 29 = Clarac 785, 1966) und der von Schreiber verglichenen Figur auf der Neapler Brunnen- mündung (A/useo Borb. I. 49) noch die Bronzestatue im Conservatorenpalast (Clarac 802 E 1969 B), eine Statuette im Palazzo Torlonia (Matz-Duhn 98) und wahrscheinlich der Herakles aus Aequura stellt (Oesterr. Mitth. IX Taf. 1 Vgl. S. 55, wo in eingehender Analyse R. von Schneider den Lysippischen Stil hervorhebt). Kopfhaltung und der Rest der Hand mit der Keule scheinen dafür zu sprechen. Lysippischen Einfluss erkennt Duhn auch in der Kolossal- statue des Herakles im Mus. Torlonia Nr. 401 (Matz-Duhn 97). Nun sind aber vom Kopfe alle den Gesichtstypus bedingenden Teile aus Gyps, nämlich die Unterstirn mit Augenhöhlenrand, Nasenansatz und die ganze Nase, ausserdem das Kinn. Ob der Kopf überhaupt zugehört, konnte ich nicht untersuchen; die Wahrscheinlichkeit spricht ja in diesem Museum nicht dafür. Von der übrigen Figur ist ausser zwei Wadenstücken und einem Fussmittelteil, welche antik scheinen, nur der Torso sicher alt , und dieser ist stilistisch mit den olympischen Skulpturen identisch. Dies zeigt namentlich die sehr charakte- ristische Bildung des unteren Randes des Brustkorbes, ausserdem sind auch die Schaamhaare archaisch. Das Stück ist also auch aus der Liste der He- raklesstatuen zu streichen.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 215
(Athen. Mitth. VI. S. 407). Aehnlich ist im Verlaufe der Betrach- tung des Herakleskopfes mehr als einmal auf die Neapler Herme (Z« Villa ercolanense Taf. XXI Nr, 3) hingewiesen worden. Von dieser Herme sind mir noch zwei Wiederholungen bekannt, eine im Late- ran (Benndorf-Schöne 491), und eine sehr schlechte im Museo Chia- ramonti (Nr. 139): der Binde fehlen hier die herabhängenden En- den. Dass der Typus Polykletisch sei, ist von Benndorf-Schöne a. a. 0. erkannt. Wenn er daselbst als eine ' verfeinerte Bildung ' des Dory- phorostypus bezeichnet ist, so liegt das wohl an einer gewissen fla- chen Weichheit, die das nicht besonders gute Exemplar des Lateran aufweist. Das Neapler Exemplar ist gerade im Gegenteil beson- ders kräftig gebildet, und wenn auch dieses als eine ziemlich rohe Arbeit bezeichnet werden muss, so ist es doch so charakteristisch in allen Formen, der mächtigen Stirn, den grossen Augen, den schwellenden Lippen und dem kräftigen Kinn, so wirksam durch den Ausdruck von Leben und Kraft, dass man nicht zweifeln wird, hier dem Originale am nächsten zu sein. Nun scheint die gewundene Binde mit den hängenden Enden eher einem Gotte als etwa einem menschlichen Sieger zuzukommen, der Charakter des Kopfes sich für einen Herakles wohl zu schicken. Unter diesen Umständen darf wenigstens die Vermutung ausgesprochen werden, dass die Beziehungen, welche unser Herakles zu diesem Kopfe hat, und welche sich mir immer und immer wieder bei der Be- trachtung desselben aufdrängten, vielleicht aus einer bewussten Anlehnung an diesen Typus zu erklären seien. Wenn Skopas einen Herakles für die Vaterstadt Polyklets schuf, so lag es für ihn ja eigentlich nahe, an ein Werk desselben anzuknüpfen.
Wie dem allem nun auch sei, die Berechtigung aus stilisti- schen Gründen imseren Herakles dem Skopas zuruschreiben, wird durch die Entscheidung über die an die Statue sich knüpfenden Fragen in keiner Weise berührt. Es erübrigt jetzt noch, der oben gegebenen Ankündigung gemäss, anzuführen, was zu dieser stili- stischen Betrachtung bestätigend hinzutreten kann. Es wird nämlich das Vertrauen zu der Autorität der tegeatischen Köpfe und zu der Richtigkeit der vorgenommenen Vergleichung noch erhöht da- durch, dass der Herakles nicht das einzige Werk ist, welches sich auf diese Weise Skopasischer Kunst zuschreiben lässt, sondern dass die bisher beobachteten Merkmale, und zwar stets wieder
216 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
alle vereint, sich noch bei einer Reihe anderer Werke finden, die demnach, mit ähnlichen Mitteln ähnliche Wirkungen hervorbrin- gend, sich auch unter einander nahe zusammenschliessen, wie sie denn auch, gleich dem Herakles, bisher meist als Praxitelisch angesprochen worden sind. Ich führe nur einige der am meisten ins Auge fallenden Beispiele an.
Im Nationalmuseum zu Athen steht neben den Köpfen aus Te- gea der Athenische Mittheilungen I Taf. XIII abgebildete Frauen- kopf vom Südabhang der Akropolis. Julius ebda. S. 271 erkannte in ihm die ' originale Arbeit eines bedeutenden Künstlers ' und dachte, freilich damals noch vor Auffindung des Hermes, im allgemeinen an die Richtung des Praxiteles; dasselbe tat auch nachher noch Wolters (Berliner Abgüsse Nr. 1277). Aber die ausserordentliche Aehnlichkeit, welche dieser Kopf *mit den Köpfen aus Tegea hat, springt bei der jetzigen Aufstellung fast von selbst in die Augen, und Wolters selbst war der Erste, der mich darauf aufmerksam ge- macht und dabei zugleich auf Einzelheiten, wie die ]<^orm der Ohren, die Behandlung von Augen und Mund, hingewiesen hat. Dass der Kopf der Skopasi sehen Kunstrichtung angehöre, hat Waldstein, mehr auf Grund allgemeiner Erwägungen, wie es scheint, in einer Sitzung des Amerikanischen Instituts in Athen im Januar 1889 ausgesprochen, und durch die Vergleichung mit den Köpfen aus Tegea kommt zu demselben Resultat Treu im Text zu den Antiken Denkmälern (Bd. I Taf. XXXV S. 22). Dass wir uns nicht bei der allgemeinen Zuteilung dieses Kopfes zur Skopasischen Richtung zu begnügen brauchen, sondern in diesem Werke wahrscheinlich geradezu eine Originalarbeit des Skopas besitzen, ist Wolters' Ansicht (i), für welche die Vorzüglichkeit der Arbeit zu sprechen scheint, welcher man an dem Vergleich mit der Berliner Wieder- holung (Athen. Mitth. I Taf. XIV) erst recht inne wird, und die Julius a. a. 0. gebührend gewürdigt hat. Die Arbeit ist auch nicht nur im Allgemeinen vorzüglich, sondern sie zeigt einige Eigen- tümlichkeiten, welche Originalen eignen, an Copien sich wol kaum finden dürften. Ich meine die verschiedene Bearbeitung der Mar- moroberfläche an verschiedenen Stellen, je nach der beabsichtigten
(1) Ein bedeutendes Originalwerk sieht auch Furtwängler in unserem Kopfe, nur hält er noch an der alten Ansicht, dass der Stil der '_ des Praxiteles sei, fest (Berliner philologische Wochenschrift 1888 S. 1482).
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 217
Wirkung, und die Vernachlässigung von Nebensachen. So ist die Oberfläche des Marmors überall ganz ungewöhnlich fein be- handelt. Ohne eigentlich polirt zu sein, ist sie doch so weit geglättet, dass sie einen eigentümlichen milden Glanz besitzt, dessen Schönheit noch durch den Keiz des parischen Marmors erhöht wird. Dagegen ist die, schon durch ihre Breite auffallende, Unterfläche des oberen Augenlides rauh geblieben, und es liegt nahe, daran zu denken, dass hier die Augenwimpern gemalt waren : sie sollten möglichst lang erscheinen. Die Fläche ist breiter als das was in der Ansicht überhaupt vom Lide sichtbar wird, um so das tief liegende Auge noch besonders zu beschatten. Es ist also durch ein ganz anderes Mittel etwas ähnliches, wie in der ar- chaischen Kunst durch die schirmartig vortretenden Lider, erreicht. Können wir also diese seltsame Bildung nur als bewussten Kunst- griff auffassen, so muss man anderseits die eckig und flüchtig ge- machten Tränenwinkel als Nachlässigkeit ansehen. Ebenso ist das Haar hinten und oben auf dem Kopfe ganz vernachlässigt, während es vorne in Strähnen gebildet ist, die füi* die Färbung rauh ge- lassen sind.
Das Wichtige an dem Kopfe für unsere Frage ist nun aber seine überraschende Aehnlichkeit mit dem Herakles. Sie tritt na- mentlich hervor an der im Handel befindlichen Photographie, welche ihn in derselben Ansicht, mit derselben Kopfwendung zeigt, wie der Herakles auf unserer Tafel IX. Abgesehen von den geringen Veränderungen und Milderungen der Form, welche füi* einen weib- lichen Typus nötig waren, ist die üebereinstimmung eine voll- kommene. Und dass diese sich zwischen zwei verschiedenen, von verschiedener Seite mit einem dritten verglichenen Werken findet, darf als Probe auf die Richtigkeit des angestellten Vergleiches gelten. Uebrigens ist von diesem Kopfe zu dem der melischen Aphrodite der Weg nicht eben weit.
Der Athletenkopf aus Olympia (Ausgrab. V 20) gilt im all- gemeinen (auch in Keschers Lexicon S. 2166) füi* Praxitelischer Weise nahe stehend. Es genügt aber ein Blick auf Gillieron's Zeichnung des unbehelmten Kopfes aus Tegea und einer auf un- seren Herakles, um ihn in den Kreis Skopasischer Kunst zu rücken. In der Tat finden sich bis auf eine solche Aeusserlichkeit wie die emporstrebenden Haai'e alle bisher erörterten Merkmale wieder.
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Ferner finde ich diese Merkmale zu einer gleichen Wirkung vereinigt, wenn auch vielleicht schon mit einer, späterem Geschma- cke entsprechenden, Steigerung an einem weiblichen Überlebens- grossen, meist als Hera erklärten, Kopfe des capitolinischen Mu- seums, welcher in der oberen ' Galleria ' steht und die Nr. 49 trägt. Die grossen Augen waren bei diesem Kopfe aus anderem Material eingesetzt. Eine Abbildung ist mir nicht bekannt, gute Photogra- phien sind im Handel.
Endlich muss hier noch die besonders durch die vatikanische Eeplik bekannte Statue des Meleager angereiht werden, seitdem der originale oder dem Original nahe kommende Kopf in der Villa Medici aufgefunden ist (Vgl. Eöm. Mitth. IV S. 186). Derselbe wird in dem bevorstehenden Heft der Antiken Denkmäler veröflent- licht werden.
Dass er in Beziehung zu Skopas zu setzen sei, ist von allen denen, die Gelegenheit hatten, den Kopf im Original oder in Abbildungen zu sehen, erkannt worden. Ehe wir näher hierauf eingehen, stelle ich zunächst, so weit sie mir bekannt geworden sind, die Wiederholungen der Gruppe zusammen. Freiere Nach- bildungen, zu denen bereits die Statuette in Neapel (Clarac PI. 805 Nr. 2022) und die beiden von Kekule Arch. Ztg. 23 S. 15 ge- nannten Statuen in Villa Albani und im Capitol gehören, sind bei Seite gelassen. Unterschiede in der Anordnung der Chlamys, ja auch deren gänzliches Fehlen, scheinen jedoch bei sonstiger üeber- einstimmung nicht dagegen zu sprechen, dass es sich noch um eine wirkliche Wiederholung handelt. Voran stehen die Statuen und Torsen, es folgen die Köpfe. In den genaueren Angaben über die verschiedenen Stücke ist nach Gleichmässigkeit nicht gestrebt, sondern sie sind je nach der Möglichkeit genauerer Untersuchung oder der Wichtigkeit eines Stückes gemacht (*).
(') Die Litteratur über den Meleager ist in Benndorf-Schönes Lateran- katalog S. 32 angegeben. Auf die Berühmtheit der Gruppe hat hingewiesen Kekule Arch. Ztg. 23 (1865) S. 15; daselbst sind auch einige Monumente anderer Art zusammengestellt, welche den Einfluss jenes Werkes zeigen. Zu dem daselbst angeführten Sarkophagrelief aus Palazzo Doria (Braun Antike Marmorwerke II. 6j kommt, wie mir Herr Professor Robert freundlichst mit- teilt, noch ein jetzt verschollener Säulensarkophag hinzu, welcher von del Pozzo (Windsor II 53) gezeichnet ist. Meleager steht hier im Mittelfelde die r. Hand
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1. Die vatikanische Statue.
2. Holkham Hall.
Michaelis Nr. 20 Clarac PL 807, 2022 A. Dies scheint ausser dem vorigen das einzige Exemplar zu sein, welches noch einen antiken zugehörigen Kopf trägt. Die Chlamys fehlt.
3. Kom, Vatikan. •
Clarac PL 805, 2020. Vermutlich stark ergänzt. Ich habe das Stück nicht wieder auflinden können. Die Chlamys stimmt im Beginn ihres Verlaufes mit Nr. 1.
4. Rom, Pal. Barberini.
Matz-Duhn 1104: ' Die Figur hat r. Standbein, das sich an einen Baumstamm anlehnt; der r. mehrfach gebrochene Arm ist auf den Rücken gelegt. In der Hand des 1. gesenkten Armes ruht die Lanze. Neben derselben und um sie zu unterstützen ein riesi- ger Eberkopf. Neben dem Tronk ein sitzender in die Höhe blicken- der Hund, Modern sind an der Statue Kopf und Hals '. Modern ist auch der 1. Arm. Die Arbeit ist sehr schlecht. Die einzige Abweichung von der vatikanischen Gruppe besteht darin, dass die Chlamys vollständig fehlt.
5. Versailles, Park.
Clarac PL 806, 2020 A. Vermutlich ist der anders gestellte Kopf — Clarac sagt es nicht — nicht zugehörig. Die Chlamys ist nicht in der eigentümlichen Weise der vatik. Gruppe von aussen kommend einmal ganz um den Arm geschlimgeu, sondern fällt zwischen Brust und Arm herab und ist dann über den letz- teren gelegt; ausserdem ist die Schulter bedeckt, wie bei den Dioskuren vom Capitol. Im übrigen sagt Clarac ausdrücklich : 'ce Me- Uagre ressemble 'peut-etre plus quaucim autre ä celui du Vaiican '.
6. Neapel 6077.'' Dommano' angeblich aus Rom.
Der mit Ausnahme des 1. Armes ganz erhaltene Köi-per ist eine genaue Wiederholung des Meleager, auch der Tronk fehlt nicht, und neben demselben befindet sich noch ein Klotz, den man für einen Rest des Hundes halten könnte. Die Chlamys lässt die Schulter frei.
auf dem Rücken, die linke gesenkt an dem Speer, auf welchen er sich stützt; r. von ihm der aufblickende Hund; die Abhängigkeit von der Gruppe ist evident.
220 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
7. Korn, Villa Borghese.
Abgeb. Amiali d. I. 1843 Tav. I. Vgl. S. 255 ff. Feuerbach.
8. Kom, Palazzo Corsini.
Matz-Duhn 1048 (nicht erkannt). Der antike Teil ist ein Meleagertorso, der r. Arm ist erhalten, der 1. fehlt; das r. Bein ist bis kurz über dem Knie erhalten, daneben noch ein Stück des Baumstammes; vom 1. Bein ist nur ein Stück des Oberschenkels erhalten. Die Anordnung der Chlamys, soweit sie auf die Brust fällt, stimmt mit dem vatikanischen Meleager; ebenso sieht man zwischen Brust und Arm noch ein altes Stück ; dann aber ist, wie bei Nr. 4, die Schulter bedeckt. Ich habe nicht untersuchen können, ob dieses Stück modern ist. Den Kopf hielt Matz für zugehörig, mir schien der Marmor wesentlich gelber als am Torso.
Dieser Torso ist in so fern wertvoll, als er trotz einer gewissen Kohheit der Arbeit sehr viel reicheres Detail der Modellirung namentlich in der Gegend der Hüften bietet, als der Körper der vatikanischen Statue.
9. Berlin, Kgl. Museum, Torso.
Abgeb. Mon. i. d. L III, Taf. 58. Im übrigen vgl. Königl. Mu- seen zu Berlin, Verzeichnis der antiken Skulpturen Nr. 215. Die Chlamys fehlt. Dies Exemplar gilt als das beste.
10. Eom, Lateran. Torso.
Benndorf-Schöne Nr. 49. Die Chlamys ist etwas anders an- geordnet.
11. Verona, Museum Lapidarium.
Abgeb. Maffei Mus. Veron. CLXVII, 5 Die Chlamys lässt zwar die 1. Schulter frei, kommt" aber von innen an den Arm.
12. Rom, Pal. Barberini.
Clarac PL 812 B, 2022 C, fehlt bei Matz-Duhn. Clarac giebt keine Ergänzungen an. Ich habe das Stück nicht gesehen.
13. Der Kopf Medici. Matz-Duhn I, 215.
14. Rom, Museum der Diocletiansthermen. Kopf.
Aus ' parischem ' Marmor. Die Oberfläche ist corrodirt , die Augenknochen sind verletzt, die Nase ergänzt. Es ist der beste nächst dem vorigen.
15. Neapel, Museo Nazionale.
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Kopf des Aristogeiton. Vgl. Friedrichs- Wolters S. 66. Es wäre nicht unmöglich, dass er mit der Statue Nr. 5 ursprünglich zusammengehörte: die Farbe des Marmors ist sehr ähnlich. Die üebereinstimmung mit dem Meleagerkopf ist eine vollständige.
16. Rom, Vatikan. Museo Chiaramonti Nr. 509.
Nase und Oberlippe ergänzt. Das Untergesicht ist ein wenig schmaler, imd dadurch macht das ganze Gesicht einen etwas läng- licheren Eindruck, dies ist aber nur ein zufälliger Fehler des Co- pisten, der etwas zu viel Marmor abgearbeitet hat. Im übrigen ist der Kopf eine genaue und noch ganz leidliche Wiederholung, die von dem eigentümlichen Charakter immerhin mehr bewahrt hat, als der glatte Kopf der vatikanischen Grappe.
17. Rom, Villa Ludovisi.
Kopf des ausruhenden Kriegers Nr. 55. Schreiber Nr. 118.
Dies ist die schlechteste und wohl auch späteste Wiederholung des Meleagerkopfes. Im Auge ist der Umriss der Iris eingeritzt und die Pupille vertieft. Der Mund ist ganz geschlossen, nur eine roh gemachte Furche trennt die Lippen von einander. Im Haar sind in roher Weise die Bohrgänge stehen geblieben. Zwar kann man im Haar nicht mehr ganz genau die einzelnen Locken verfolgen und vergleichen , doch ist im wesentlichen die Anordnung dieselbe, wie die des Meleagerkopfes, namentlich sind die charakteristischen stärker heraustretenden Locken übereinstimmend vorhanden, Schä- delform, Ohrform, auch die Maasse, alles stimmt genau; man sieht wie weit ein schlechter Copist einen schönen Typus entstellen kann.
Schreiber a. a. 0. S. 140 entscheidet sich zwar des verschie- denen Marmors und der schlechteren Arbeit wegen, für die Un- zugehörigkeit des Kopfes, aber seine Worte : ' Der aufgesetzte, dem mit dem Rumpf zusammenhängenden Hals auch in der Wendung n. r. genau anpassende Kopf ' könnten doch Zweifel dagegen wach rufen. Dieses genaue Anpassen ist aber künstlich hergestellt : mit dem Meleager verglichen zeigt der Hals dieses Kopfes sich als dünner und weniger bewegt, der Grund iot der, dass er hinten und beiderseits sehr sauber abgearbeitet ist. Die abgearbeiteten Stellen sind weiss, während der Marmor sonst einen bräunlichen Ton hat ; hier allein sieht man auch, dass der Marmor des Kopfes ein etwas grösseres Korn hat. üebrigens hat der dichte etwas
15
222 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
geäderte Marmor der Statue in semer äusseren Erscheinung mit pentelischem nichts zu tun.
18. Rom, Villa Albani, Vorhalle des Casino, N. 57. Herme. An der r. Seite oben absichtlich beschädigt, ausserdem
einzelne Hiebe im ganzen Gesicht, dazu ist der Kopf durch eine sehr schlechte moderne Nase entstellt. In den Augen sind die Pu- pillen einfach als kleine kreisförmige Vertiefungen angedeutet, wohl auch eine spätere Verletzung. Trotzdem ist der Kopf noch als Wiederholung des Meleager kenntlich, wozu auch seine Wendung stimmt.
19. Rom, Museo Torlonia.
Kopf, welcher der Statue Nr. 473 aufgesetzt ist. Bestossen und geflickt, aber unverkennbar.
Der Kopf Medici, dessen Identität mit dem Meleager die Zu- sammenstellung im nächsten Hefte der Denkmäler lehren wird, zeigt sich, trotzdem seine Oberfläche stellenweise stark gelit- ten hat, allen übrigen Köpfen an unmittelbarer Frische der Ar- beit, an Schönheit, Leben und Ausdruck so weit überlegen, dass man daran gedacht hat, in ihm das Original zu besitzen ('). Jeden- falls können diesem Kopfe gegenüber für die kunstgeschichtliche
(1) Einigen Maassen des Kopfes Medici, die ich leider nur am Abguss genommen habe, stelle ich die des vatikanischen Kopfes nach Winters Messung gegenüber. Von den übrigen Repliken habe ich mich bei dem Kopfe der Dio- kletiansthermen (Nr. 14) und dem der Villa Ludovisi (Nr. 17) überzeugt, dass einige Hauptmaasse, so wie die wesentlichsten Gleichungen übereinstimmen.
Kopf Medici. Meleager,
Höhe des Kopfes . 260
Tiefe (d. h. Naswiwurzel-Hinterkopf) , . . 2.50
Ohr-Ohr 160 156
Kinn-Halsansatz 53 53
Nasenflügel-Ohrläppchen 122
Haaransatz -Kinn 185 185
(Hierbei ist die durchgehende Haargrenze genommen und
die eine tiefer ins Gesicht fallende Locke ausser Acht
gelassen)
Haaransatz-Unterrand der Nase 119 117
r. 117 Innerer Augenwinkel-Kinn 119 ihq
1. 11t/
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 223
Würdigung die Kepliken kaum in Betracht kommen, und, da wir bei der Vergleichung der Meleagergruppe mit den Bruchstücken aus Tegea für die Behandlung der Formen des menschlichen Kör- pers und der Tiere ein sehr geringes, für die des Gewandes gar kein Material haben, so sind wir wieder lediglich auf die Betrach- tung der Köpfe angewiesen.
Eine Reihe der offenbarsten Berührungspunkte fällt in die Augen, am besten wieder, wenn man die Tafel XIV der Athen. Mitth. zu Grunde legt, auf welcher der unbehelmte Kopf aus Te- gea in sehr ähnlicher Haltimg abgebildet ist, wie die Vorderan- sicht des Meleager auf der Denkmälertafel.
Der lebhafte Blick der weitgeöffneten, etwas nach oben ge- richteten Augen, der Ausdruck des Athmens in Nase und Mund findet sich ebenso wieder wie der kräftige Bau und die breite 'Form des Gesichtes, ja die üebereinstimmung des ünterkieferumrisses ist geradezu überraschend. Das charakteristische Verkriechen des Oberlides (welches vollständig keine der übrigen Wiederholungen wiedergiebt) ist hier zwar nur an der rechten Seite ausgeführt, da der Kopf ja für diese Ansicht berechnet war, aber ganz kurz ist auch das linke Oberlid gebildet. Ebenso wird man auch leicht in dem geöffneten Munde mit den etwas herab gezogenen Winkeln die Aehnlichkeit erkennen.
Es sind aber innerhalb dieser grossen üebereinstimmung auch einige Abweichungen zu bemerken, namentlich wenn man
Kopf Medici. Meleager.
Untergesicht 70 68
Nase, bis zum Augenhöhlenrand gemessen 70 68
Oberrand der Unterlippe-Kinn 47 47
r 49 Innerer Augenwinkel — Unterrand der Nase ,' „
Stimhöhe 48 47
Mundbreite 48 45
Augenlänge 35 34
Innere Augenweite , 35 35
Augentiefe (vom Nasenrücken gemessen) 30
Augenhöhe 16
Nasenflügelbreite • 40 38
Ohrlänge 67 l' f!
1. 61
224 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
sich nicht nur an den einen tegeatischen Kopf hält, sondern auch den anderen in Betracht zieht , Abweichungen, die ihn in gleicher Weise auch von der einheitlichen Gruppe der bisher aufgezählten Monumente unterscheiden. Es ist vor allem ein grösseres Maass einer gewissen äusserlichen Eleganz, das mir diesem Kopf anzu- haften scheint, selbst nach Abstreifung jeder peinlichen Erinnerung an die vatikanische Statue. Das liegt zum grossen Teil an den mit geflissentlicher Sorgfalt angeordneten und behandelten Haaren.
Das Haar schmiegt sich keineswegs mehr als einheitliche Masse der Form des Schädels an, sondern ist in einzelne sich stark abhebende, durch tiefe Einsenkungen von einander getrennte Partien von ungleicher Erhebung aufgelöst, welche dem Umriss des Kopfes eine unruhigere und unregelmässigere Form geben. Hierdurch ist es auch möglich in zweifelhaften Fällen eine Wieder- holung des Meleager daran zu erkennen, dass man dem Haar ' Locke für Locke ' nachgehend die Uebereinstimmung feststellen kann, während wir gesehen hatten, dass die Heraklesköpfe diese Ueber- einstimmung nicht zeigen; und die Behandlung des Haares an dem tegeatischen Kopfe, so wie die anspruchslose, mehr auf die Gesammtwirkung berechnete, an dem Kopfe vom Südabhang der Akropolis scheint dafür zu sprechen, in jener, gesuchtere Eleganz und grössere Bewegtheit gleichmässig erstrebenden, Arbeit das Re- sultat einer weiter geschrittenen Entwickelung zu sehen.
Einem ähnlichen Geschmack entspricht die starke Einsattelung beim Nasenansatz, die grösste formelle Abweichung von den Te- geaköpfen, welche, gewiss zum Vorteil des dadurch viel feiner und reicher bewegten Profiles, doch den Eindruck der Tiefe in den Augen wesentlich abschwächt ; ferner fehlen dem Munde die Zähne ('), so dass man nur in einen tiefen dunkeln Spalt hinein-
(1) Der einzige Kopf, bei welchem die Zähne angegeben sind, ist grade der vatikanische, dort aber in einer ganz schematischen Weise als eine die Oberlippe nicht überschreitende Kante, welche also den tiefen Spalt in seiner Wirkung keineswegs beeinträchtigt. Diese Art hat mit der oben charakteri- sirten nichts zu tun, sie findet sich gerade bei mittelmässigen Copieen sehr liäufig, und scheint also in einer gewissen Zeit die gewohnte Weise, den Mund zu bilden gewesen zu sein, die dann unterschiedslos auf alle W^erke angewendet wurde, z. B. auch für den sonst so altertümlichen Kopf der Neapler ' Venus Genetrix '.
HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES 225
sieht , gewissermaassen eine mehr decorativ-einfache Wirkung. Noch giebt die Arbeit in den Augen zu einigen Bemerkungen An- lass : zwar die ungeschickte Art, wie jetzt das rechte Oberlid von dem Wulst bedeckt erscheint, liegt wesentlich daran, dass das Lid gerade an der Stelle , wo es sich zu verkriechen beginnt, etwas ausgebrochen ist, immerhin fügt sich der Wulst nicht in so ge- schmeidiger Weise der Linie des Lides an, wie bei den tegea- tischen Köpfen. Auffallend aber ist das Fehlen jeglicher Andeutung des inneren Thränenwinkels, die beiden Lidränder stossen einfach in einem etwas abgerundeten Winkel auf einander im Gegensatz zu der sehr deutlichen Ausbiegung für die Drüse am behelmten Kopf aus Tegea und den übrigen oben besprochenen Köpfeu. (Hier hat sich der Copist des vatikanischen wenigstens für das rechte Unterlid eine Correctur erlaubt). Auch sind die Lider nicht so besonders scharf, sondern etwas unbestimmt gegen den Augapfel abgesetzt; das Eigentümliche des Blickes wird vielmehr dadurch hervorge- bracht, dass der gewölbte Augapfel — wie namentlich die Seiten- ansicht erkennen lässt — nach oben weit hinter den Vorderrand des Oberlides zurücktritt. Also auch hier ist gegenüber dem Sy- stem zusammenwirkender Feinheiten beim Tegeakopf und dem He- rakles, die Wirkung mehr im Grossen und Allgemeinen angestrebt. Der Vollständigkeit wegen sei erwähnt, dass auch die Form des Ohres etwas abweicht.
Es wäre vermessen, einem Künstler gegenüber, dem man eben erst beginnt etwas näher zu treten, sich bereits eine abgeschlos- sene Meinung über die Grenzen seiner Vielseitigkeit bilden zu wollen ; aber wenn die aufgeführten Abweichungen wenigstens zum Teil mit Recht als Beweise einer geringeren originalen Kraft an- gesehen werden können, so scheinen wir vor der Alternative zu stehen, dass der Meleager entweder auf Skopas zurückzuführen sei, dann aber selbst in dem schönen Kopf der Villa Medici noch nicht im Original vorliege, oder dass dieser Kopf ein Original, dann aber nicht mehr von Skopas selbst, sondern von einem ihm ausserordent- lich nahe stehenden Künstler sei, der aber bereits eine etwas spä- tere Entwickelung verkörpert. Auf einer solchen Entwickelungs- stufe steht ungefähr der von Farneil {Journal of h. st. VII S. 114) abgebildete und auf Grund eingehender Analyse der Schule des
226 HERAKLES DES SKOPAS UND VERWANDTES
Skopas mit Kecht zugeschriebene Terracottakopf aus Oxford ; er ist dem Meleager recht verwandt.
Wohin diese Entwickelung strebt, mag etwa der Steinhäu- sersche Apollokopf, namentlich in der durch Kekule {Arch. Ztg. 36 Taf. 2) veröffentlichten Abbildung des noch unrestaurirten Ab- gusses, veranschaulichen.
Kom, im September 1889.,
Botho Graef.
JAHRESBERICHT
ÜEBER NEUE FUNDE UND FORSCHUNGEN
ZUR TOPOGRAPHIE DER STADT ROM
1887-1889.
Der folgende Bericht, welcher alljährlich fortgesetzt werden soll, heah- sichtigt einerseits über die in Rom gemachten und für die Topographie der antiken Stadt wichtigen Funde, andrerseits über die neuen Forschungen, welche bereits bekannte Monumente betreifen, eine Uebersicht zu geben. Mein hauptsächlicher Zweck war für beides aus eigener Anschauung zu referiren : wo sich dann den publizierten Berichten über neue Ausgrabungen etwas hinzu- fügen liess, oder wo die Nachprüfung einer neueren Arbeit vor den Monu- menten selbst Gelegenheit bot die Untersuchung weiterzuführen, habe ich dies nicht unterlassen wollen, sehe aber namentlich in letzterem nicht den Zweck dieser hauptsächlich referirenden Arbeit. Eben so wenig kann Vollständigkeit in der Aufführung aller Einzelfunde von Kunstwerken oder Privatbauten angestrebt werden, vielmehr muss dies den Notizie degli scavi und dem Bullettino della commissione archeologica comunale überlassen bleiben. Der offiziellen Berichterstattung, wie sie in den genannten Organen namentlich von Larciani, Gatti, Borsari in verdienstlicher Weise geboten wird, durch erste Bekanntmachung neuer Funde vorzugreifen, liegt natürlich diesen über längere Zeitabschnitte rückblickenden Berichten fern. Systematische Behandlungen der Topographie, welche im Wesentlichen mit bekanntem Material operiren, können hier im Ganzen nur kurz, im Detail nur an Punkten erwähnt werden, wo sie sachlich neues bieten.
Der Epigraphik ist insofern ein erheblicher Raum gegönnt, als In- schriften, welche, wie z. B. Dedicationen von Gebäuden, Wichtigkeit für die Topographie haben, mit möglichster Vollständigkeit aufgenommen sind ; dagegen würde eine Aufführung der in den letzten zwei Jahren gefundenen Inschriften von rein historischem oder sprachlichem Interesse die Grenzen dieser Blätter weit überschreiten.
228 JAHRESBERICHT UEBER
Der vorliegende erste Bericht erstreckt sich vom Oktober 1887, von wo ab mir meine Rückkehr nach Rom verstattete von Neufunden als Augen- zeuge Kenntniss zu nehmen, bis April 1889. Nur ausnahmsweise habe ich diese Grenzen überschritten : so schien es hinsichtlich der in der zweiten Hälfte des laufenden Jahres veröffentlichten Arbeiten nicht angemessen z.B. Deglane's Aufsatz über das palatinische Stadium oder Richters Rekonstruktion der Ostseite des Forums auszuschliessen, den ersteren wegen seiner Gleichar- tigkeit mit Sturms Programm, letztere weil sie die Ausführung mancher in besprochenen Aufsätzen desselben Vf. angedeuteten Gedanken giebt. Auf Ent- deckungen und Arbeiten aus der ersten Hälfte des Jahres 1887 habe ich namentlich dann zurückgegriflFen, wenn dieselben in Richters Topographie (1889 : s. u. S. 231) keine Berücksichtigung gefunden hatten und doch allgemeiner bekannt zu werden verdienten.
Dass über die in diesen Mitteilungen selbst erschienenen Arbeiten mit möglichster Kürze berichtet ist, wird man natürlich finden : einige Ungleich- heiten in der Behandlung hoffe ich in der Folge vermeiden zu können. Ebenso soll versucht werden, den Bericht auch auf die nähere Umgebung Roms (Gräberstrassen u. dgl.) auszudehnen, wovon für diesmal aus äusseren Gründen hat abgesehen werden müssen.
I. Quellen der römischen Topographie. Neue Fragmente ^lqx Forma urbis Romae.
Beim Niederreissen einer vor etwa 200 Jahren aufgeführten Mauer im Vicolo del Polverone hinter Palazzo Farnese im Sommer 1888 stellte sich heraus, dass dieselbe grossenteils aus Bruchstücken des antiken Stadtplans erbaut war. Nicht weniger als hundertachtundachtzig Fragmente kommen zu den bisher bekannten hinzu [Not. 1888 p. 392. 437. 569; Bull. com. 1888 p. 386). Allerdings ist der Wert derselben vorläufig schwer zu bestimmen, da die meisten unbedeutende, oft nur handgrosse Splitter sind, wenige die Grösse von 20X20 cm. übersteigen. Unter den Stücken, welche ich zu sehen Gelegenheit hatte, namentlich den mit Inschriften versehenen, war keines mit einem der seit Bellori als verloren geltenden, in den Zeichnungen des Vat. 3439 erhaltenen identificirbar. Die neuen Fragmente zeigen, was die im Kapitol eingemauerten Stücke nicht erkennen lassen, dass die Stärke der Platten wechselnd gewesen ist. Dies Kriterium würde, namentlich wenn sich die Herausnahme jener Stücke aus der Wand ermöglichen Hesse, die Zusammen- setzung des ganzen Plans wesentlich erleichtern.
Ein auf dem Forum beim Tempel des Divus Antoninus gefundenes Fragment zeigt zwei im spitzen Winkel aufeinander stossende Strassen, und an ihrem Kreuzungspunkte drei runde Basen oder Altäre {Not. 1888 p. 728). Man könnte an den auf der kapitolinischen Basis in der zweiten Region genannten vicus trium ararum (vgl. C. I. L. VI, 452) denken.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 229
Betreffs der Orientirung der Forma habe ich in diesen Mit- teilungen S. 79 den Beweis beigebracht, dass Südosten oben war, der Circus Maximus und Via Appia senkrecht standen. — Ueber Fragm. 163 und 144 Jord. s.u. S. 259.
Mittelalterliche Quellen zur römischen . Topographie.
Die lange erwartete Fortsetzung von De Rossi's Ins er ip t i o ne s Christianae hat zu erscheinen begonnen: der erste Teil des zweiten Bandes, ein stattlicher Foliant von über 500 Seiten, führt den Separattitel: series codicum in quibus veteres inscriptiones Christianae praesertim urbis Romas sive solae sive ethnicis admixtae descriptae sunt ante saeculum XVI. Eine aus- führliche Besprechung des Gewinns, den die antike Topographie aus De Eossis neuster Arbeit ziehen kann, würde die Grenzen dieses Berichtes weit überschreiten, ich hoffe sie an anderer Stelle geben zu können ; hier genüge es, die mit gewohnter Meisterschaft ausgeführte Behandlung des Anonymus Finsidlensis und der alten Beschreibungen des Vaticanischen Gebietes zu
Mirabilia Urbis Romas. The marvels of Rome, or a picture of the goldsn city. An English vsrsion of the medieval guide-book with a Supplement of illustrative matter and notes by Francis Morgan Nichoi.s. London u. Rom, 1889. XXXIII u. 205 pp. 8, 2 Illustrationen, giebt ausser der englischen Uebersetzung Noten, welche gut und bequem über das durch De Rossi, Jordan und Urlichs für die Textconstitution und Erklärung der Mirabilia geleistete orientiren. Die Beigaben {Mirabiliana) sind: 1. the marvels of Roman churches, A.D. 1375 (aus dem Vatic. 4265); 2. Beschreibung Roms von Benjamin v. Tudela (nach der latein. Uebersetzung in Urlichs codex topographicus); 3. Ordo Romanus von 1143; 4. Drei Urkunden: Bulle Anaclet II von 1130, Innocenz III von 1199, Tabula Lats- ranensis ; 5. Plan des mittelalterlichen Rom (nach cod. Paris. 4802). Ein Titelbild nach Filaretes Bronzethüre von S. Peter schmückt das elegant aus- gestattete Buch, ein sorgfältiges Register erleichtert die Benutzung.
Auf die Abbildung Roms auf Ciniabues Fresko in der Oberkirche von S. Francesco d'Assisi hat Strzygowski Mitteil. 1887 S. 62 hinge- wiesen; seiner Hypothese über Cimabue als Urheber des mittelalterlichen Stadt- planes (weiter ausgeführt in des Vf. Cimabue u. Rom, Wien 1888) kann ich mich ebensowenig anschliessen wie die meisten Beurteiler des genannten Werkes. Dem Stadtbilde in Assisi hat De ßossi (Mitteil. a. a. 0. S. 63) vollkommen richtig seinen Platz an der Spitze der bisher mit der Bulle Ludwigs des Baiern (1328) beginnenden Serie angewiesen, und daran ändert auch der Nachweis, dass der Künstler 1272 in Rom gewesen sei, nichts.
230- JAHRESBERICHT UEBER
Die bisher nur im 128. Bande der Bibliothek des Stuttgarter litte- rarischen Vereins gedruckte Beschreibung Roms von Nicolaus Muffel (1452) hat Michaelis in diesen Mitteilungen (1888 p. 254-276), soweit sie sich auf antikes bezieht, mit italienischer Uebersetzung und erläuternden Noten neu veröffentlicht. Als Quellen werden die Mirabilia und Poggio de varie- tate fortunae nachgewiesen. Hinzuzufügen ist die bei Parthey Mirabilia S. 47-62 abgedruckte Beschreibung Roms aus Vat. 4265, welche, verfasst für den Ge- brauch der Pilger im Jubeljahr 1375, vermutlich in Muffels Händen gewe- sen ist. Wenigstens bietet nur sie Parallelen zu zwei sonst vereinzelt stehenden Notizen bei Muffel : erstens zu Muffels n. 15 die entsprechende Erklärung der Trofei di Mario (Parthey p. 56 § 68) : in eadem via (von S. Prassede nach S. Sisto) est memoriale anserum, qui Romanos de sompno excitaverunt et de captivitate liberaverunt ; ferner (Parthey p. 59 §85) den Passus: iuxta illud {templum S. Grucis in Hierusalem) est cisterna cuiusdam imperatoris, quam semper plenam habuit vino, et nunc est ecclesia ibi Sancti Angeli, wodurch die vergebens gesuchte Kapelle S. Michael bei Muffel n. 27 nachgewiesen, und die Beziehung des Paragraphen auf die Piscina in Villa Conti gesichert wird. Eine Vergleichung des mir hier nicht zugänglichen deutschen Originals auch für die Notizen über Kirchen und Reliquien würde das Quellenverhältniss wohl zur Evidenz bringen.
Handzeiehnungen-Codices der Renaissance.
Der codex Escorialensis — II, 7, gezeichnet zwischen 1490 und 1510, auf den in neuerer Zeit zuerst eine kurze Notiz Garrucci's {Sto- ria delTarte IV p. 7), aufmerksam gemacht hatte, war von E. Müntz nach Justi's Mitteilungen summarisch beschrieben {Rev. archeol. 1887, 1 S. 175-179; vgl. noch G. Boissier, un plan de Rome et une vue du Forum ä la fin du XV. siScle, Compte-rendu de Vacad. des inscr. 4, 15, 1887). Im vorigen Jahre wurden sodann zwei Blätter in photographischer Reproduktion in Rom vorgelegt (Müntz Rendiconti dei Lincei 1888 S. 71-73; De Rossi Mitteilungen des Instituts 1888 S. 94). Photographien einer grössern Anzahl von Blättern werden Hrn. J. Ficker verdankt , welcher in diesen Mitteilungen ( 1888 S. 317 ff'.; 1889 S. 75) über die für antike und christliche Kunst wichtigen Blätter berichtet hat(i). Die Forumsansicht ist unten S. 237 wiedergegeben. Die Zeichnungen des Escorialensis haben ausser für die antiken Reste noch einen ganz einzigen Wert, da sie von der Stadt vor den grossen baulichen Verän- derungen Julius II und Leo X eine bessere Vorstellung geben als sonst irgend eine Quelle. Eine würdige Veröffentlichung wäre sehr zu wünschen. — lieber einige Zeichnungen M. Heemskerks (früher Sammlung Destailleur, jetzt im Kupferstichkabinet zu Berlin) vgl. unten S. 236. 237.
(1) [Die Redaction trägt bei dieser Gelegenheit auf Wunsch des Hrn. Ficker nach, dass die Identiflcationen der Sarkophage Mitt. 1889 p. 75. 76 gütiger Mitteilung des Hrn. Robert verdankt werden].
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 231
II. Darstellende Werke. Baugeschichte der Stadt IM Allgemeinen.
0. Richter, Topographie der Stadt Rom (Sep.-Abdr. aus Iwan Müllers Hand- buch der klassischen Altertumswissenschaft, Bd. III). Nördlingen 1889, 8. 206 SS. 4 Pläne. '
Dem Buche liegt der vom Vf. in Baumeisters Denkmälern S. 1436-1535 publiziert« Artikel 'Rom' zu Grunde, jedoch an vielen Stellen verbessert und erweitert, nicht nur durch einen einleitenden Abschnitt (Quellen, Litteratur, Stadtpläne), einen Abdruck der Konstantinischen Regionsbeschreibung und einen Index, sondern vor allem durch die Angabe der Litt<'ratur zu jedem einzelnen Paragraphen. Ausser der knappen und klaren Darstellung des auf diesem Gebiete hauptsächlich wissenswerten bietet es nunmelTr auch einen Führer zu gründlicher Beschäftigung mit dem alten Rom, und wird hoffentlich zur Belebung und Verbreitung der topographischen Studien in Deutschland einen nachhaltigen Anstoss geben. Eine Besprechung im Einzelnen kann hier nicht beabsichtigt werden : die wenigen Bemerkungen, die unten S. 234. 256. 268. 269 gemacht werden, möge man als Beiträge für eine zweite Auflage, die dem Buche nicht fehlen wird, betrachten.
R. Lanciani, Ancient Rome in ihe light of recent discoveries. London 1888, 8. XXIX u. 329 SS. 100 Illustrationen.
Eine gründliche, wenn auch gedrängte Uebersicht über die grossen Fortschritte, die unsere Kenntniss des alten Roms dank den Ausgrabungen der letzten zwanzig Jahre gemacht hat, zu geben, dieses Ziel hat sich der Vf., der betreiFs jener Errungenschaften mit Recht sagen könnte quorum pars magna fui, in diesem Werke noch nicht gesteckt. Sein Buch, entstanden aus einem Cyklus von Vorträgen , die L. auf einer Reise durch Amerika gehalten hat, verläugnet diesen Ursprung nicht. Die Ueberschriften der elf Ka- pitel {the renaissance of archaeological studies ; the fundation and pre- historic life of Rome ; the sanitary condition of ancient Rome ; public places of resort ; the palace of the Caesars; the house of the Vestals; the public libraries of ancient and medioeval Rome; the police and fire de- partment of ancient Rome ; the Tiber and the Claudian harbor ; the Gam- pagna ; the disappearance of works of art and their discovery in recent years) zeigen, dass die gewählten Themata zum Teil mit der eigentlichen hauptstädtischen Topographie nur in loser Verbindung stehen, während andrerseits grosse Gebiete derselben gar nicht gestreift werden. Die Dar- stellung ist stets anziehend ; aus der Fülle der ihm zu Gebote stehenden De- tails wählt L. mit grossem Geschick aus: besonders operirt er mit Rücksicht auf sein Publicum gern mit Zahlen und statistischen Angaben, deren Sicherheit
ä32 JAHRESBERICHT ÜEBER
freilich manchmal bedenklich ist. Wenn auch die Absicht des Vf. nicht war wissenschaftlich neues zu bieten, hätte doch stellenweise etwas weniger con- servativ verfahren werden, und z. B. die als verfehlt nachgewiesene Eecon- struction des Vestatempels nicht wiederholt werden sollen.
J. H. MiDDLETON, Ancient Rone in 1888 (Edinburgh 1888) ist nur das mit neuem Titel imd Register versehene, sowie durch ein Schlusskapitel discoveries 1885-1888 erweiterte Buch desselben Vf. Ancient Rome in 1885. Das Schlusskapitel giebt auf 11 Seiten einige Notizen über neue Funde, aber weder vollständig noch eingehend : z. B. wird die für die Grenzbestimmung der dritten und fünften Region so wichtige Entdeckung des Tempels der Minerva Medica nicht einmal erwähnt, ebenso wenig die des Pons Agrippae. Entbehrlich wäre dagegen die ganz ungenaue Copie der Inschrift des Mausoleums des Lucilius Paetus und die ästhetischen Betra- chtungen über die am Quirinal gefundenen Bronzestatuen (der Faustkämpfer ist dem Vf. zufolge of very dijferent and inferior s'yle als der stehende Athlet, a characteristic exemple of purely Roman art). Die beigegebene, Pläne und Karten sind natürlich auf dem Standpunkt von 1885 geblieben.
A. Mayerhoefer, Geschichtlich-topographische Studien über das alte Rom
(München 1887) behandelt in drei Kapiteln: 1. Die Bedeutung des Wortes Pontifex ; Stel- lung des Janiculum in der Königszeit; neue Beiträge zur Brückenfrage; — 2. Wandlungen der Strassenverhältnisse auf dem rechten Tiberufer ; — 3. Die Thore der aurelianischen Mauer an der Flussseite nebst den Veränderungen welche die spätere politische Entwicklung im Gefolge hatte. — Der Vf. sagt selbst S. 65, er beschäftige sich mit Fragen deren Beantwortung sich nicht ausgraben lasse, hoffe aber dadurch, dass das Untersuchungsgebiet einen Zuwachs an neuen Gesichtspunkten erhalte, der Forschung einigen Dienst zu erweisen. Ich bedaure in der breiten und oft verworrenen Darstellung diese neuen Gesichtspunkte nicht finden zu können ; dass Vf. durch die Annahme u. A. eines zweiten Pons Aemilius-Neronianus in das Brückenverzeichnis Ordnung zu bringen glaubt, war aus seinen früheren Schriften bekannt. In das dunkle Gebiet der Topographie des mittelalterlichen Rom, auf welchem sich die Erörterungen M.'s über die Thore an der Engelsburg grossenteils bewegen, wird vielleicht noch an vielen Punkten Licht zu bringen sein — dazu gehört aber sehr viel mehr Methode und Monumentenkenntnis als der Vf. besilzt, dem es z. B. passirt, dass er (S. 103) seine Ansicht über das Thor an der Engelsbrücke erläutert mit Hülfe des kleinen Holzschnitts aus Marlianis Topographie (1588). Letzterer ist natürlich dem grösseren Stiche Du Peracs nachgezeichnet und neben diesem wertlos ; . das Original zeigt deutlich, dass die von M. als frühmittelalterlich angesprochenen Partien den Bauten der Sangallo angehören.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 233
Lage, Boden, Klima.
Tommasi-Crudeli, Alcune riflessioni sul clima delVantica Roma (Mitteilun- gen 1887 p. 76-89). handelt über den Einfluss der Malaria auf den menschlichen und thierischen Organismus, über die antikeYi Schutzmittel gegen dieselbe (Drainage, eigen- tümliche Einrichtung der Campagnahäuser), endlich über die Malaria im Mit- telalter und der Neuzeit.
Fr. Olck, Flcckeisen und Masius Jahrb. Bd. 135 S. 465-475. behandelt die Frage: hat sich das Klima Italiens seit dem Altertum geän- dert? mit negativem Ergebnis — wobei auch die bekannten Stellen über Tem- peraturverhältnisse der Hauptstadt zur Sprache kommen.
Genannt werden muss hier noch das Kapitel aus Lanciani's S. 231 angeführten Buch : sanitary conditions of ancient Rome, welches sowohl durch des Vf. genaue Kenntnis der antiken Stadt als auch durch die Paral- lelen aus dem modernen Rom einen besonderen Wert erhält.
Stadt- und Bau geschieh te im Allgemeinen.
Der Aufsatz von Studemund, die sacraArgeorum (Philologus N. F. I S. 168-177) versucht auf die berühmte Varrostelle neues Licht zu werfen dadurch, dass die Lage der sacraria Argeorum mit dem Schema des Auguraltemplums und zwar eines solchen, dessen vier Hauptteile durch analoge Teilung zu einer im Ganzen 16 Quadrate enthaltenden Figur ge- staltet sind, in Einklang gebracht wird (i). Nimmt man diese freilich nirgends ausdrücklich überlieferte Prämisse an, so kann man nicht umhin auch der wei- teren mit mathematischer Strenge geführten Deduction beizustimmen. In dem Einleitungspassus bei Varro wird statt des überlieferten Argeorum sacraria in Septem et viginti partis urbi sunt disposita vorgeschlagen wird A. s. septem et viginti in quattuor partis urbis s. d; die Zahl der 27 sacraria wird erklärt durch die Annahme von 9 sacraria für die ursprüngliche regio Palatina und je 6 für die drei später hinzugekommenen. Dass die Lage des Sacrariums apud aedem dii Fidii {collis Mucialis quinticeps), welches durch die vom Vf. noch nicht berücksichtigten Ausgrabungen (u. S. 274) sich ziemlich genau localisiren lässt, in das System hineinpasst, darf als Stütze für dasselbe angeführt werden.
Mein Aufsatz : das Pomerium Roms in der Kaiserzeit (Hermes XXH, 1887, S. 615-626) berichtigt Jordans Aufstellungen Top. I, 1,
(1) Die Möglichkeit, auf einer solchen Figur 27 statt 25 auf den Schnitt- punkten liegende sacraria anzunehmen, wird durch die doppelte Zählung zweier Punkte, diese wiederum durch die Zweiteilung der Prozession auf den 16*«" und n^^n März begründet.
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S. 324-333. Es wird nachgewiesen, dass die claudische Termination den grössten Teil der Regio IX zwar aus-, dagegen den Aventin (R. XII und XIII) einschloss ; dass die späteren Terminationen von dieser abwichen und die Steine weder conlinuirliche Bezifferung noch gleichen Abstand hatten ; dass die Termination des Claudius im Süden begann, die des Vespasian im Norden ; endlich dass die Hadrianische Termination ex senatus consuUo erfolgte.
L. BoRSARt, Le mura e forte di Servio {Bull, comun. 1888 p. 12-22),
zählt die seit 1881 gefundenen Stücke der Serviusmauer auf, giebt von zweien (in Via di Marforio n. 73-75 und in via delle Finanze) Pläne und Durchschnitte und trägt zu mehreren schon länger bekannten auf dem Qui- rinal die Notizen aus der Monographie des Gio. Lucio (cod. Vat. 9137 ; de Rossi plante di Borna p. 117) nach (i). Den beiden letzten Jahren gehört nur ein im Garten der Suore di S. Vincenzo gemachter Fund an, dessen Zu- gehörigkeit zur Befestigung mir fraglich ist (s. u. S. 260).
Besondere Erwähnung verdient die dem Aufsatze eingefügte Beschreibung eines antiken Steinbruchs (Tuff) in der Vigna Querini (1872 entdeckt; vgl. Lanciani Bull, comun. 1872 p. 6), von dem Plan und Durchschnitte (bisher unedirt) gegeben werden.
J. H. MiDDLETON, On the chief methods of construction used in ancient Rome. {Archaeologia tom. LI, pari 1, p. 41-60).
Der Verfasser, an dessen Ancient Rome in 1885 die auf umfassender Monumentenkenntnis beruhende Berücksichtigung des Technischen besonders zu loben war, handelt über Quader- und Gusswerkbau. Namentlich dem letz- teren wird eine durch 3 Tafeln (Wände vom Palatin, den Caracallathermen u. A. nach eigenen Aufnahmen) erläuterte ausführliche Besprechung gewidmet, und seine constructive Bedeutung gegenüber den nur zur Verkleidung die- nenden Ziegelwänden hervorgehoben. Einzelheiten sind zu berichtigen : so z. B. sind die unteren Kammern der grossen Exedra des Traiansforums bei Magnanapoli nicht Ziegelrohbau gewesen (p. 58), sondern auf Steinbelag berechnet. Ueber seine Vorgänger urteilt Vf. sehr absprechend ; nicht nur Canina's sondern auch Choisy's Buch ist ein simply toork of imagination and worse than useless to the real Student (p. 41 not.) Der Vorwurf über- triebener Eleganz, welcher Choisy's Zeichnungen gemacht worden ist, wird die des Vfs. nicht treffen : ob sie dafür durch absolute Zuverlässigkeit ent- schädigen, mögen Fachmänner entscheiden. Von den Facsimile's der Stein-
(1) Der Lauf der Servianischen Befestigung auf Richters Plan (o. S. 231) ist an mehreren Stellen nicht correct angegeben : so sind auf dem Esquilin die Reste auf Piazza Fanti gar nicht berücksichtigt, die bei der Station nicht richtig eingezeichnet. Merklicher noch ist die Abweichung beim Quirinal, wo die Mauer, statt dem Hügelrande folgend von der Höhe bei Magnanapoli nach der Arx zu laufen, im Thale (Hof von Palazzo Colonna und Piazza SS. Apo- stoli) gezeichnet ist.
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metzzeichen auf dem Palatin und der Serviusmauer lässt es sich nicht behaupten.
Eine mehr technische als topographische Frage behandehi T. Homolle und H. P. NiNOT in ihrem Essai de restitution de V amp h i. thöatre de Gurion (Gazette arch6ologique, 1889 p. 11-16). Es wird der durch Zeichnungen (Tf. -3. 4) erläuterte Nachweis der Möglichkeit einer Construction wie sie Plinius 36, 117,120 beschreibt, gegeben, allerdings mit Verwerfung der Lesart des Bambergensis: jiost primos dies etiam sedentibus aliquis und Kückkehr zum 'texte de nos pires' : postremo iam die disceden- tibus tabulis.
Für die Geschichte der städtischen Wasserleitungen interes- sant ist die Auffindung einer eigentümlichen sehr alten und in bedeutender Tiefe liegenden Leitung in Villa Wolkonsky {Notizie 1888 p. 59 ; Bull. com. 1888 p. 400 ; Narducci sulla fognatura di Roma p. 30). Durchbohrte Tuifblöcke (wie untenstehende Figur, nach einer von mir in V. Wolkonsky genommenen Skizze, zeigt) stellten eine Kohrleitung von bedeutender Wand- stärke her; die Verbindung der einzelnen Stücke war durch er. 6 cm. vorsprin- gende MuflFen und entsprechende Vertiefungen am anderen Ende bewirkt. Im
Inneren hatte das Wasser Kalkablagerungen bis zur Stärke von 3 und mehr cm. hinterlassen. Aehnliche Funde waren 1886 auf dem Caelius gemacht {Bull. com. 1886 p. 406), welche insgesamt die Leitung fast 2000 m. weit zu verfolgen gestatten : Lanciani [rendiconti delVaccad. de' Lincei 1888 p. 301) erkennt darin den von Frontin de aq. 19 beschriebenen rivm Her-
culaneus der Aqua Marcia. Kichtung (Anfang post hortos Pallantianos
dann per Gaelium ductus finitur supra portam Gapenam) und Nivelle- ment {ipsius montis usibus nihil, ut inferior, subministrans) stimmen.
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PiETRO Narducci Sulltt fognatura della cittä dl Roma, descrizione tecnica. Eom 1889. 124 p. gr. 8°. Atlas von 14 Tf. in gr. q. fol.
Der Vf., welcher als Chefingenieur der römischen Canalisation seit langen Jahren auch den antiken Kloakenanlagen seine Aufmerksamkeit ge- widmet hat, giebt nach einer kurzen historischen Einleitung eine Beschreibung der jetzt functionirenden Kloakenstränge Roms, unter denen folgende zum grösseren oder geringeren Teil antik sind : N. 3, chiavicone di Schiavonia, vom Pincio beim Mausoleum des Augustus vorbei an der Eipetta in den Fluss mündend. — N. 4, chiavicone di Trevi, antik der obere Teil bei Via del Bufalo, die weitere Leitung bis zur Mündung unterhalb des ponte di Ri- petta Werk des siebzehnten und achtzehnten Jahrhdts. — N. 11, chiavica della Giuditta, früher chiavica della Rotonda genannt, weitverzweigt, einen grossen Teil des Marsfeldes von Monte Citorio ab entwässernd, mündet in den Fluss gegenüber der Insel. — N. 12, chiavicone deWOlmo, für welchen antike Entwäs- serungsbauten des Circus Flaminius benutzt sind, mündet bei Ponte Quattro capi. — N. 13, Gloaca maxima. Ausser dem bekannten Stück im Forumsthal wird die Zuleitung aus den oberen Stadtteilen {chiavicone delle terme Dio- cleziane) beschrieben; ferner ein System von unterirdischen Gängen im Tuff des Quirinal bei S. Vitale, seit 1876 verschüttet. — Auf dem rechten Tiber- ufer ist nur der fognone di Borgo (n. 14) vielleicht ein Werk der Kaiserzeit; im eigentlichen Trastevere finden sich römische Kloaken nicht. Sonderbar ist es freilich wenn der Vf. p. 56 behauptet: per quanto si e indagato nei molli autori delVantichitä non fu rinvenuta una notizia, una descrizione di fabbri- cati nella regione trastiberina da poterla cosl riguardare come parte abitata. — Ein parte seconda : delle antiche cloache di Roma überschrie- bener Abschnitt behandelt besonders die Wasserableitung des Colosseums ; aus der parte terza ist hervorzuheben die tavola sinottica delle piazze, vie, vicoli ecc. con Valtimetria stradale e delle fogne (S. 73-117), welche für hunderte von Punkten des modernen Eoms exacte Höhenangaben liefert. — Der Atlas enthält, ausser einem Uebersiclitsplan des Kloakennetzes von Rom, 14 Tafeln meist mit Querschnitten, unter welchen die beiden letzten (Ent- wässerungsanlagen des Colosseums) ein besonderes Interesse haben.
III. Topographische Rundschau. < Forum Romanum.
Ueber den Zustand des ganzen Forums im 15'^° u. 16**" Jahr- hundert geben einige kürzlich bekannt gewordene Zeichnungen neue Aus- kunft. Den ersten Platz nimmt unter diesen die Zeichnung im cod. Escoria- lensis ein, über welche Müntz (s. u.), De Rossi (Mitteilungen des Instituts 1888 S. 94), Nichols (ebda. S. 98), Richter (Jahrb. des Instituts 1889
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S. 158) gehandelt haben, und von welcher beistehende nach einer von Hrn. Dr. Ficker genommenen Photographie verkleinerte Skizze eine Vorstellung
geben'mag. Dass die Zeichnung älter sein muss als 1503/04 zeigt die Wie- dergabe der in diesem Jahre zerstörten Eeste der Basilica Aemilia (s. u. S. 242),
Zwei Zeichnungen aus dem Berliner Skizzenbuch Martin Heemskerks (um 1535), von mir publicirt Bull. com. 1888 p. 153, tav. VII. VIII, stellen das Forum einmal vom Kapitol, das andere mal vom Palatin gesehen dar. Die letztere gibt endlich Aufklärung über die Lage der vielgesuchten, zur Zeit Pius IV (1559-65) zerstörten Kirche S. Sergio e Bacco, an die sich die Localisirung zweier antiken Monumente, des umbilicus urbis Romae und der sog. Schola Xantha, knüpft (s. u. S. 240). Die Kirche kehrte ihre Front nicht, wie Jordan (Top. H S. 451-57; I, 2 S. 249) und C. Ee [Bull. com. X, 1882, p. 94-129) annahmen, dem Kapitol, sondern dem Forum zu : ihr Standort ist noch heut gekennzeichnet durch das Stück alten Basaltpflasters, welches durch die Vorzüglichkeit seiner Arbeit gegenüber den sonstigen frühmittel- alterlichen Pflasterungen des Forums sofort auffällt, und für dessen ganz singulare Erhaltung bisher keine Erklärung möglich war.
Westseite des Forums.
Von der Westseite des Forum Romanum nach ihrer Gestaltung in früherer Kaiserzeit entwirft 0. Richter am Schlüsse seines unten zu bespre- chenden Aufsatzes (Jahrb. 1889 S. 137-162) ein Gesamtbild, an welchem als
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neu hervorzuheben ist die Annahme eines Triumphbogens des Drusus nörd- lich von der Rednerbühne, entsprechend dem südlichen Bogen des Tiberius. Die Existenz eines derartigen Bogens wird gefolgert einzig aus der Dar- stellung einer Münze, welche wegen ihrer abweichenden Details mit dem gewöhnlich so genannten Drususbogen über der Via Appia nichts zu thun haben könne : sie steht und fällt also mit der (m. Er. verfehlten) Theorie über die Genauigkeit der Münzbilder. Ferner wird die Stellang des Tiberius- bogens da, wo ihn die bisherigen Forumspläne nach dem Fundbericht von Eavioli (1851) hinsetzen, bezweifelt ; wie mir scheint ohne genügenden Grund, da die Spuren desselben bei der sehr starken Restauration der Nordwestecke der Basilica Julia verschwunden sein dürften, und der Bogen doch gewiss über der sacra via, nicht daneben gestanden hat. Das Bild, welches Richter von der schön durchdachten Harmonie der Forumsbauten des Augustus ent- wirft, ist ansprechend, aber sehr hypothetisch ; wenn z. B. behauptet wird, dass erst Septimius Severus durch das an Stelle des (vermutheten) Drusus- bogens errichtete Triumphthor den Gesammteindruck unheilbar zerstört habe, so bleiben dabei Denkmäler wie das des Hadrian (C /. L. VI, 974) und das von Mommsen {R. G. D. A. pag. 128) zweifelnd dem Vespasian zugeschriebene ganz unberücksichtigt, deren Stellung am Clivus durch die Fundumstände höchst wahrscheinlich ist.
0. Richter, Die römische Rednerbühne (Jahrb. des Instituts 1889 S. 1-17)
berichtigt zunächst eine frühere Ansicht des Verfassers über den sog. locus inferior der Rostra. Die Existenz eines Sprechplatzes zweiten Ranges hatte Mommsen aus der Stelle Cic. ad Att. II, 24, 3 vermuthet, Richter hatte dann (Berl. Phil. Wochenschr. 1887 S. 895, und bei Mommsen St. R. III, S. 383 Anm. 5, S. XII Anm. 1) diese Hypothese durch bauliche Gründe zu stützen und den Nachweis anzutreten versucht, dass u. A. die ganze Dreitei- lung der Rostra-Fassade auf die Existenz eines tiefer liegenden Sprechplatzes in der Mitte hinwiese. Er nimmt jetzt diese Ansicht sowohl aus philologi- schen wie tektonischen Gründen zurück und bietet in fünf Abschnitten (die Fassade — die Schiffsschnäbel — die Seitenfassaden — der Aufgang — die Ehrendenkmäler auf den Rostra) wesentliche Berichtigungen und Ergänzungen seiner früheren Arbeit. Als gesichert oder sehr wahrscheinlich darf gelten, dass die Fassade kein besonders architektonisch hervorgehobenes Mittelstück hatte; dass die ganz gleichmässigen Schiffsschnäbel nicht wirkliche vom Feinde erbeutete, sondern eigens zu diesem Zwecke gearbeitete waren; dass die sanft ansteigende cordonata nicht die ganze Breite der Rückseite, son- dern nur die Mitte derselben eingenommen hat; dass endlich die massigen Einbauten aus Gusswerk und Ziegeln, welche früher für mittelalterlich gehal- ten wurden, den Zweck gehabt haben, der Platform, welche durch Aufstellung immer zahlreicherer und kolossalerer Denkmäler (deren Dimensionen vermit- telst der Stilichobasis in Villa Medici und der Abbildung auf dem Constan- tinsbogen erörtert werden) gefährdet schien, eine sichere Stütze zu bieten.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 239
Gegen andere Aufstellungen aber erheben sich Bedenken ; so z. B. gegen das was S. 7 über den nördlich an die Quadermauer stossenden Backsteinbau gesagt wird. Derselbe soll ein in später Zeit gemachter Anbau zur Redner- bühne, und gleich der Hauptfront mit Schiffsschnäbeln geschmückt gewesen sein. Zum Beweise werden angeführt die durch die ganze Wandstärke hin- durchgehenden, in Stellung und Entfernung den Zapfenlöchern für die Schiffsschnäbel entsprechendep Löcher in der Vordermauer. Solche finden sich an mehreren Stellen, und zwar entspricht eins an der Vorder- und zwei an der Rückseite (letztere auf der Figur S. 5 nicht sichtbar) in der Höhe und in der Entfernung den Zapfenlöchern der unteren Schiffsschnäbelreihe. Aber gleichartige sind weder an allen Stellen, wo man sie vermuten muss, vor- handen, noch fehlen sie da, wo sicher keine Schiffsschnäbel befestigt gewesen sind (z. B. eines er. '/a m. vom Pflaster, unter dem grossen Wandloch). , Ueberhaupt ist der Zustand des ganzen Mauerrestes, der seiner Zeit in die Fundamente des ponte della Consolazione hineingezogen, daher vielfach modern geflickt und überscbmiert ist, von der Art, dass ich nicht wagen würde aus so unsicheren Spuren Schlüsse auf die Decoration zu ziehen. Dass der Ablauf an der Ostseite den Rostra entnommen sei, ist richtig, kann aber bei dem späten Ursprung nicht befremden. — Die Frage nach der Befestigung der Schiffsschnäbel wird durch eine von Hrn. F. 0. Schulze gemachte Beob- achtung in einem von Richter etwas abweichenden Sinne gelöst. Nach R. waren an die kurzen starken Zapfen derselben (deren Construction durch die Abbildung auf dem Bogen von Orange erläutert wird) eiserne Stangen angeschmiedet welche, sowohl durch die Tuffmauer wie durch die Travertinpfeiler hindurch- gehend, an der Rückseite verankert waren. Nun gehen allerdings die Bohrlö- cher durch die ganze Stärke der Tuffwand, und zwar etwas abwärts geneigt; wo die Theilung auf den hinten stehenden Travertinpfeiler trifft, gehen sie auch noch durch diesen (so am zweiten Pfeiler von der N. Ecke gerechnet); wo das Bohrloch gerade auf die Kante trifft, wie am ersten Pfeiler (von N.), geht es nicht durch, sondern nimmt nur so viel von der Kante heraus, dass man behufs der Befestigung dem Loche im Tuff beikommen konnte. Die Ver- festigung geschah durch einfache Verbleiung, wie ein noch mit Metall ge- fülltes Bohrloch nahe der Nordecke zeigt. Die ganze Rückwand wurde dann verputzt, wie an dem bis zur 3'"» Quaderlage herauf erhaltenem Stück an der Nordecke noch zu sehen ist. Dies Verfahren war gewiss für die Last der wahrscheinlich nicht einmal originalen, sondern eigens angefertigten Rostra vollkommen genügend.
L. Cantarelli, Osservazioni sulle scene storiche rappresentate nei due bas-
sorilievi marmorei del Foro Romano {Bull. com. 1889 p. 99-115). kehrt im Gegensatze zu Henzens Brizios Jordans und Bormanns Ansicht, dass auf den beiden 1872 gefunden Reliefs zwei Staatsacte des Trajan (resp. Hadrian) dargestellt seien (die institutio alimentaria und der Erlass der rückständigen Erbschaftssteuer), zu der Erklärung C. L. Viscontis zurück, der dargestellte Kaiser sei Domitian und die beiden Acte die Proclamation des Edicts gegen die
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Entmannung, sowie die Verbrennung der libelli famosi. Richtig ist die Be- merkung gegen Bormann, der wegen der Barttracht der Lictoren das Relief unter die Trajanische Zeit herabrücken wollte, dass auf sicher trajanischen Monumenten (Säule, Bogen von Benevent) Leute mit Bart unter dem kaiser- lichen Gefolge nicht fehlen. In der Hauptsache dagegen hat mich C.'s Dar- legung nicht überzeugt, vielmehr erledigt sich m. Er. die ganze Frage da- durch, dass auf dem zweiten Relief nicht Bücher, sondern Diptychen oder Triptychen, d. h. Urkunden verbrannt werden. Der Versuch p. 113 zu bewei- sen, dass auch diese letzteren zur Darstellung von libelli vulgo edita hätten dienen können, ist nicht besser als wenn jemand behaupten wollte, der mo- derne Künstler könne Buch und Brief beliebig eins für das andere darstellen, weil unter Umständen auch Bücher unter Couvert verschickt würden. Ob es glaublich sei, dass ein Monument Domitians, eines Kaisers bei dem die me- moriae damnatio so energisch durchgeführt scheint, wie kaum bei einem . anderen — wir haben von ihm aus Stadt und Umgegend nicht eine einzige Ehreninschrift mit ungetilgtem Namen! — an der hervorragendsten und zugänglichsten Stelle des Forums unbehelligt weiter existiren konnte, diese Frage scheint sich C. nicht vorgelegt zu haben.
Ueber ein der Rednerbühne benachbartes Gebäude, die schola scribarum Ubrariorum aedilium curulium (gewöhnlich Schola X anth a genannt) habe ich in diesen Mitteilungen 1888 S. 208-232 gehandelt und mit Hülfe der Fundberichte des 16*®" Jahrdts. den Beweis zu führen gesucht, dass das Ge- bäude nicht zwischen Saturntempel und Tabularium, unterhalb der porticus deorum consentium, sondern westlich vom Saturatempel am Clivus, zwischen Tiberiusbogen und Rostra gelegen habe. Entscheidend ist es, dass Funde, wel- che zusammen mit denen der Reste der Schola gemacht sind, genannt werden ante aedem S. Sergii et Bacchi. Die chronologische Ansetzung der Bau- inschriften, deren eine die Gründung, die zweite die Erneuerung zu nennen scheint, ist bisher nicht richtig getroffen : die scheinbare Restaurationsinschrift ist vielmehr die ältere, wie aus onomatologi sehen Gründen in der dem Aufsatz angehängten Nota sopra i nomi doppi di servi e liberti della casa imperiale gezeigt wird.
Nordseite des Forums.
Th. Mommsen giebt Hermes XXIII S. 631-633 mit Hülfe mehrerer Stellen aus Cassiodor und Ennodius den Nachweis, dass im sechsten Jhdt. die Bezeichnung Atrium Libertat is für einen Teil der Curie gebräuchlich gewesen sei, womit die Bedenken Jordans (Top. I, 2 S. 460) erledigt werden. Zu den beiden mit Recht herangezogenen Inschriften C. I. L. VI, 1794 (S. Adriano) u. VI, 470 (S. Martina) hätte wohl auch noch VI, 472: Libertati ab imp. Nerva Ga[es\aii^e'\ Aug. anno ab urbe condita DCCCXXXIIX Xini[K.} öc[f]. resti- tut^ae] s.p. q. R. hinzugefügt werden können. Dieselbe steht beim Anonymus Einsidlensis (C. /. VI p. XII n. 39) mit der Ortsangabe 'in Gapitolio\ d. h. der-
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selben welche die Inschriften der drei Tempel am Clivus, der unmittelbar vorhergehende Bogen des Marc Aurel neben dem Concordientempel [G. Z L. VI, 1014; vgl. praef. p. XII n. 38) und die bald darauf (n. 43) folgende Inschrift der curatores tabulariorum (C. I. L. VI, 916) haben. Ich möchte sie daher statt einem unbekannten Libertas-Heiligtum auf dem Kapitol, einem der- selben Gottheit geweihten Monument bei der Curie zuteilen. Die Inschrift CLL. VI, 470 könnte nach den Massen der Buchstaben wohl als Dedications- inschrift einer aedicula mit dem Bilde der Liberias gedient haben. Sollte sich das von Mommsen mit Kecht als aufEallig hervorgehobene vielfache Vorkommen des atrium Libertatis in der allerspätesten römischen Zeit, nachdem vom ersten bis fünften Jahrhundert fast nie von dem Gebäude die Rede ist, in der Weise erklären, dass man nach Entfernung der alten Schutz- göttin der Curie, der Victoria, geflissentlich die benachbarte Libertas in den Vordergrund stellte ? — Hinsichtlich dess Stadtplanfragments Jord. 25 mit LIBERTATIS ist nach dem oben S. 229 bemerkten sicher, dass es die nach Quirinal, nicht die nach dem Kapitol zu gelegene Apsis des Trajansforums vorstellt : damit schwindet m. Er. die Möglichkeit, es mit dem alten atrium Libertatis in Verbindung zu bringen. Was die Inschrift (deren Parallelisirung mit VI, 470 sich von selbst erledigt, da an letzterem Ort der Dativ steht) bedeutet, ist schwer auszumachen ; ob Trajan ein sacellum Libertatis auf seinem neuen Forum nach Muster des alten errichtete ? die von Früheren versuchte Beziehung der Stelle Plin. Panegyr. 36 : eodem foro utuntur prin- cipatus et libertas ist freilich chronologisch unmöglich.
Einen anderen Beitrag zur Forumstopographie der spätesten Zeit bietet De Rossi's Aufsatz il luo g o app ellato ad p almam e suo emiciclo nel for o Romano {Bull. com. 1887 p. 63-66). Er fügt den von Jordan (Top. 1, 2 S. 259, Anm. 91) gesammelten Belegen aus Cassiodor, dem Anonymus Valesii etc. zwei neue hinzu. Erstens ist der Beiname der römischen Synode von 502, synodus palmaris, nicht, wie früher angenommen, von der porticus ad palmata beim Vatikan abzuleiten, sondern von dem Orte ad palmam bei der Curie, wo die kirchlichen Abgeordneten mit dem Senat ver- handelten. Die zweite ältere Belegstelle findet sich in den Gesta promulga- tionis codicis Theodosiani von 438, wo der Palast des praefectus praetorio Anicius Acilius Glabrio Faustus gesetzt wird ad palmam {^).
(') Einen Nachtrag geben De Eossi und Gatti in dem soeben erschienen Heft 7. 8 des Bullettino municipale (p. 363): die Basis C. I. L. VI 1767. von dem genannten Anicius Glabrio seinem Schwiegervater Tarrutenius Maxi- milianus geweiht, und gefunden in Campo vaccino, hat vielleicht zum Schmuck der domus palmata (der Dedicant nennt sich ornator huius loci) gehört. Ferner wird vermutet, dass das Atrium Libertatis der auf Peruzzi's Plan (bei Lanciani Vaula e gli ußzi del Senato tav. I) ersichtliche saalartige Raum zwischen Curie {S. Adriano) und Secretarium (ß. Martina) sei.
242 JAHRESBERICHT ÜEBER
Da die im Zusammenhang mit den neuen Strassenanlagen geplante Freilegung der Nordseite des Forums zwischen S. Adriano und S. Lorenzo in Miranda in diesem Jahre noch keine Verwirklichung gefunden hat, so sind wir über das wichtigste dort gelegene Gebäude, die Basilica Aemi- 1 i a , nach wie vor auf Vermutungen beschränkt. Eine solche zuerst von Jordan (Top. I, 2 S. 219. 393) ausgesprochene, dass nämlich die nur aus architektonischen Aufnahmen des 15*®" u. 16*®" Jhdts. bekannte Ruine bei S. Adriano (von den San Gallo 'Foro boario' genannt ; von Lanciani als 'Janustempel' publiziert ; vgl. meinen Aufsatz Annali 1884 p. 323 ff.) in Wahrheit eine Seitenfront der Basilica Aemilia gewesen sei, erhält eine ge- wichtige Stütze durch die neu aufgefundene Zeichnung aus dem Codex Esco- rialensis (s. o. S. 237), welche den Bau durch den einen Seitenbogen des Arcus Severi sehen lässt, womit das bisher vermisste genaue Zeugnis über die Lage der Ruine erbracht ist. Ich habe dies in der Sitzung des Instituts vom 27*®" Ja- nuar 1888 erörtert, und hinzugefügt, dass ein 1885 am Nordrand des Forums gefundenes Triglyphon mit Bukranium, in der Gliederungenfolge nnd einzelnen Maassen zu den Zeichnungen San Gallos und Fra Giocondo's stimmend, das einzige z. Z. nachweisbare Fragment dieses Baues ist. — Eine weitere Diskussion über die Basilica Aemilia wurde in der Institutssitzung vom 3*®" Februar 1888 geführt (Mitteilungen 1888 S. 95 ; vgl. röm. Quartalschrift 1888 p. 407). Die von Lan ciani aufs neue verfochtene Ansicht, dass die Pavonazzetto-Säulen von S. Paolo fuori le mura aus der B. Aemilia stammten, fand Widerspruch, sowohl weil diese Säulen den aufgemalten Namen der Julia Sabina (d. h. der Gemahlin des Hadrian) tragen, als auch weil das Fortbestehen der Basilica Aemilia noch ein halbes Jahrhundert nach Erbauung von S. Paolo bezeugt wird durch den laterculus des Polemius Silvius.
Mitte des Forums.
lieber die Phokassäule hat F. M. Nichols in der Sitzung des Instituts vom 13*®" April 1888 (Mitt. 1888 S. 99) die Vermutung geäussert, dass sie nicht ursprünglich für den Usurpator aufgerichtet, sondern aus einem älteren Monument, vielleicht einem ursprünglich Theodosius d. Gr. geweihten zurecht gemacht sei. Die Profilirung der Basis sei für das beginnende 7*® Jhdt. zu elegant, und die Inschrift stehe auf Rasur. — Ich kann mich diesen Ausführungen nicht anschliessen : so sicher es ist, dass, wie die Säule selbst, so auch die Blöcke der Basis schon einmal verwendet waren, so giebt doch die Beschaffenheit der Inschriftfläche keinen Beweis dafür, dass die Dedication an Phokas nach Tilgung einer älteren eingetragen sei. Die Stufenpyramide als späteren Zusatz zu betrachten ist unmöglich, wie sich jeder, dem die genaue Valadiersche Aufnahme vorliegt, leicht überzeugen wird. Die Errichtung eines Monuments aber, welches den ganzen Eindruck der Nordfront des Forums so verdarb wie die Säule mit ihrer Stufenbasis, wird man dem vierten Jahrhundert noch nicht zutrauen dürfen.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 243
Für das mehrfach (von Henzen, Brizio, Jordan") behandelte Fragment einer M o n u m e n t a 1 i n s c h r i f t {C. T. L. VI, 3747), welches man anfangs der Basis Domitiani, dann einem Denkmal des Augustus zuwies, habe ich nach erneuter Untersuchung des Steines die sichere Ergänzung auf Vespasian vor- schlagen können (Mitt. 1888 S. 90). Welcher Art das Denkmal, das sehr bedeutende Dimensionen gehabt haben muss, gewesen sei, ist bisher nicht auszumachen.
Ostseite des Forums. .
0. Richter, Der Tempel des Divus Julius und der Bogen des Augustus auf dem Forum Romanum. (Alte Denkmäler Ip. 14.15; Taf, 27. 28). — — Die Augustusbauten auf dem Forum Romanum. Jahrbuch des Instituts 1889 p. 137-162). Es sind vornehmlich die im März und April vergangenen Jahres unter Richters Leitung am Caesartempel gemachten Ausgrabungen (vgl. Notizie 1888 p. 226; Bull. com. 1888 p. 167; Mitteilungen 1888 S. 99-100), deren Resultate die vorstehend genannten sich ergänzenden Arbeiten bringen. Für den Tempel des Divus Julius haben dieselben eine vollständige Reconstruc- tion ermöglicht, welche die Aufriss-und Grundrisszeichnungen F. 0. Schulze's (Jahrb. S. 140. 141) geben. Die Grenzen des Tempels nach Norden, Süden und Osten sind durch Aufdeckung der Grundmauern genauer bestimmt, wobei sich zeigte dass an der Nordseite Reste älterer Bauten (Caesarische Rostra ?) in die Fundamente aufgenommen sind. Die seit Rosa allgemein angenommen An- sicht, dass gewisse in 2,95 m. (= 10 Fuss röm.) Abstand von einander lie- gende Travertinblöcke an der Südseite die Stereobaten einer umlaufenden Säulenhalle gewesen seien, ist widerlegt. Die Entfernung der Schuttmassen aus dem Kern des Unterbaues hat sichere Ansätze für die Cella ergeben. Der Tempel war demzufolge ein Prostylos mit sechs Säulen in der Front, die Cella auffallend breit aber wenig tief, die Säulenordnung wahrscheinlich komposit. — Für die Nische in der Mitte der Vorderfront vermutet Richter sie habe zur Aufbahrung der verstorbenen Mitglieder des Kaiserhauses gedient, welchen, vielleicht nach einer ausdrücklichen Bestimmung des Augustus, hier die laudationes funebres gehalten wurden. Dagegen lässt sich ein- wenden nicht nur, dass die rostra ad divi Julii wenigstens noch im Jahre 745/9 für Gesetzvorschläge dienten (Frontin de aq. 102), sondern vor allem, dass eine solche Einrichtung für den ersten Bau von 718 unmöglich ist : von einem eingreifenden Umbau in früherer Augustischer Zeit spricht aber R. in der « Geschichte des Caesartempels » nicht.
Die Fortsetzung der Ausgrabung südlich nach dem Castortempel zu führte sodann zur Aufdeckung der Fundamente eines in der Queraxe des Caesartempels stehenden Triumphbogens. Derselbe hat drei Durchgänge, die mittleren Pfeiler sind erheblich breiter als die äusseren. An den südlichen Mittelpfeiler ist in spätester Zeit ein Steinring (Brunnenumfriedigung?) lie- derlich angelegt, den man bisher Lacus Juturnae oder Puteal Libonis betitelt
244 JAHRESBERICHT UEBER
hat. Die Steine desselben sind vielleicht vom Bogen selbst genommen, der im übrigen gründlich zerstört worden ist, da sich sicher ihm zugehörige Architekturstücke bisher nicht gefunden haben. Eichter versucht daher eine Wiederherstellung des Bogens wie der ganzen Ostfront mit Hülfe der Schriftstellernachrichten und der Münzbilder. Wir erfahren aus den Histori- kern von zwei Bogen des Augustus, einem nach dem aktischen Triumph und einem nach der Rückgabe der an die Parther verlorenen Feldzeichen er- richteten ; Darstellungen dreithoriger Triumphbögen finden sich auf zwei Münzen der augustischen Zeit, einem Denar von 18/17 v. Chr. (Eckhel VI, 101 ; Cohen Aug. 82) und einem des L. Vinicius (Eckhel VI, 106 ; Cohen Aug. 544). Richter folgt nun der Ansicht von P. Graef, dass beide Münzen ver- schiedene Triumphbögen darstellen, und dass die Darstellung des Partherbo- gens auf der Münze von 18/17 die Möglichkeit ausschliesse, als gehörten die gefundenen Fundamente diesem Bogen an; mithin hätten wir uns den Tempel des Divus Julius flankirt zu denken auf der Südseite vom aktischen, auf der Nordseite vom Partherbogen, und besässen für die architektonische Reconstruction des ersteren einen Anhalt in der Münze des Vinicius. Mit dem Partherbogen werden, wenn auch zweifelnd, einige an der Nordseite des Caesartempels gefundene Grundmauern in Verbindung gebracht; ferner wird die Vermutung geäussert, dass er noch im 15'«° Jhrdt. existirt habe. Es soll nämlich der sowohl auf die Escorialzeichnung (oben S. 237), wie auf dem Fresko Sodomas in Monte Oliveto vor der Südwestecke des Faustinentempels sicht- bare, in ein mittelalterliches festungsartiges Haus eingebaute Quaderbogen nichts anderes sein, als der bis an die Kämpferansätze verschüttete Parther- bogen. Diese Vermutung scheint mir durch die Niveauverhältnisse ausge- schlossen: ein Bogen, dessen Kämpferansatz nach der Reconstruction bei Richter kaum 5 m. über dem antiken Planum gelegen hat, kann nicht so in das — m. Er. durchaus mittelalterliche — Gebäude eingebaut gewesen sein, welches auf der Eskurialzeichnung mit seinem Giebeldach die Säulenhalle des Faustinentempels fast ganz verdeckt. Die Benutzung der Münzbilder scheint mir wenig glücklich : eine durchgeführte Vergleichung der Abbildungen be- kannter Gebäude mit den Bauwerken selbst würde entgegen den von Graef aufge- stellten Prinzipien zeigen, dass eine Ableitung tektonischer Eigentümlichkeiten, wie sie zur Unterscheidung des aktischen Bogens und des Partherbogens von Gr. versucht sind, nicht thunlich ist. Auch bleibt zu erwägen, ob ein dreithoriger Bogen, wie ihn Graef an der Nordseite des Caesartempels annimmt, nicht mit der Basilica Aemilia in Collision kommen würde. Hierüber können nur fort- gesetzte Ausgrabungen Klarheit verschaffen : die geringen an und unter der Nordmauer des Tempels gefundenen Reste sind , wie der Verfasser selbst zugiebt, ungewisser Deutung.
Für das Bestehen eines Aichungsamts am Castortempel sind die Zeugnisse von Jordan, Top. I, 2, p. 374, Anm. 83 zusammengestellt. Es kommt dazu ein neues (Eev. arch. 1888, 1, p. 422), welches hier erwähnt werden mag, da es vom Herausgeber missverstanden ist. In Brimeux (Departement Pas
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 245
de Calais) ist ein Satz von sieben Bronzegewichten, in der Form von inein- anderpassenden Cylindern, gefunden, welche die in Silberbuchstaben einge- legten Inschriften tragen : 1) ex ad I CAS ; 2) ex a S CAS ; 3) ex a :: CAS ; 4) EX A *.• CAS ; 5) EX A • • CA ; 6 fehlt , 7 ist unleserlich. Eine in der Form nach entsprechende Serie, aber beginnend mis dem Zehnpfund- gewichte und heruntergehend bis zum quadrans (die kleineren fehlen) befindet sich im Museum der Brera in Mailand (C. /. L. V, 8119, 4). Es verdient bemerkt zu werden, dass sämtliche Exemplare mit der Bezeichnung des Aichungsamts am Castortempel von Bronze, sämtliche Gewichte mit der Legende exactum ad Articuleianum (Gatti u. de Rossi Annali 1881 p. 181 ff.) von Stein sind.
Hans Auer, Der Tempel der Vesta und das Haus der Vestalinnen am Forum Eomanum (22 S., 8 Tfif. gr. 4: aus dem XXXVI. Bande der Denkschrif- ten der philosophisch-historischen Klasse der kaiserl. Akademie der Wissenschaften in Wien, 1888 S. 209-228), untersucht zunächst das Vestalenhaus auf seine Baugeschichte eingehender, als dies Jordan und Lanciani gethan hatten, und kommt zur Unterschei- dung von wenigstens drei Bauperioien : 1) der Osttract, sog. Tablinum mit den sechs Zellen und austossendem Wirtschaftshof — cella penaria bei Jordan — ; 2) der Südflügel, in welchem die Mühle und andere Wirtschafts- räume, weiter Wohnzimmer und ein Saal mit ehemals prächtiger Marmordeco- ration; 3) Nordflügel samt dem alle Teile zu einer Einheit verbindenden grossen Säulenhof. Den ersten Teil setzt der Verfasser ins erste Jhdt. n. Chr., den zweiten in die hadrianische, den dritten in die nachseverische Epoche, oder vielleicht noch später. — Ueber den Tempel der Vesta wird mit Hülfe sehr exacter Messungen namentlich der Kassettendecke, deren Steine in radia- len Fugen gelagert waren, so dass je zwei Platten die dazwischenliegende trugen, sowie aus den Dimensionen des Unterbaues, der Beweis erbracht, dass die Halle 20 Säulen (welche Zahl auch Schulze, statt der 18 von Lanciani vermuteten annahm) gehabt habe. Die Kassettenplatten sind von ungewöhn- licher Stärke, und offenbar bestimmt, Cellawand und Säulenreihe zu einer gemeinsamen Stütze für das Gewölbe zu vereinigen, wesshalb Wand und Säulen einzeln verhältnissmässig schwach gehalten werden konnten. Für die Rekonstruktion des Inneren wird aus einem Architravstücke, welches beider- seitig bearbeitet ist. Gewissheit über die Höhe des Gewölbeansatzes ge- wonnen, eine Dreiviertelsäule (besonders genau gemessen Tf. VI) der Thüröff- nung in der Cellamauer zugewiesen ; endlich die bisher falsch gedeuteten Stege an einigen Säulenfragmenten als Kerne und Stützen von Thürgewänden erklärt. Für die äussere Form des Daches ist der flachen Wölbung in Schulzes Reconstruction ein kegelförmiges Zeltdach als wahrscheinlicher vorgezogen. In dem ganzen Bau ist das Vielfache des römischen Masses (aber des Fusses von 0,295, nicht dessen Viertel, des palmus, wie der Vf. S. 8 und 19 annimmt) nachzuweisen.
246 JAHRESBERICHT ÜEBER
Die baugeschichtlichen Eesultate sind ein bedeutender Fortschritt Ober die bisherigen Arbeiten, wenn auch im Einzelnen für Zweifel Raum bleibt. So z. B, ist der Einwand des Vf. gegen die bisher beliebte Annahme einer zweistöckigen Säulenhalle gewiss insofern begründet, als weder die Cipollin- noch die Breccia-Schäfte einer Stockwerkshöhe von S*/» m., wie die des Südtracts ist, entsprechen können. Aber ebensowenig ist seine Ansicht plausibel, dass wir uns nur « eine relativ ziemlich niedrige, weitgesäulte Halle um den Hof vorstellen dürfen, deren schräg geneigtes Dach an die Umfassungsmauer ziemlich unterhalb der Fenster des Obergeschosses an- gelehnt gewesen sei». Auer hat selbst mit Eecht hervorgehoben, dass das Peristyl seiner Anlage nach mit dem Nord(und West)tract zusammenhängt. Sollte nicht hier, worauf schon die geringere Mauerstärke schliessen lässt, auch die Stockwerkshöhe in der That geringer, etwa 7 m. gewesen und die Säu- lenhalle in zwei Stockwerken, deren Höhe sich nach dem Westtract richtete angelegt sein, um die ungleichmässigen Höhenverhältnisse der verschiedenen Bauteile zu verdecken? ('). — Die Zweckbestimmung der einzelnen Räume unterliegt natürlich grossen Bedenken, namentlich möchte ich Einspruch erheben gegen die wie es scheint allgemein werdende Ansicht, als hätten wir im Osttract « den Saal und die Schlafzimmer der Vestalischen Jung- frauen n vor uns. Wohnräume dürfte das ganze Erdgeschoss nicht enthalten haben, dieselben vielmehr, gerade wie heutzutage in Rom, in die oberen Stockwerke gelegt worden sein. Der Vf. spricht sich am Schluss (S. 24) gegen Jordan dahin aus " dass die Wohnung der sechs Jungfrauen nicht so gesund- heitsgefährlich und weit davon entfernt war, den bedenklichen Eindruck zu machen, den jetzt die grünüberzogenen, durchnässten Mauern, die ein Jahrtau- send in der Erde steckten, hervorrufen.» Ich glaube nicht, dass Jordan, der Klima und Gesundheitsverhältnisse von Rom aus jahrelanger Erfahrung kannte, seine Ansicht auf eine solche Anschauung begründet hatte. Die sechs Zellen, schlecht beleuchtet (trotz der Ausführungen des Vf.), nicht unterkellert und vor der Bodenfeuchtigkeit durch eine Amphorenschicht notdürftig geschützt, wären heutzutage wahre Fieberlöcher, und können auch im Altertum nie gesund ge-
(1) Der Westtract ist bei Auer gar nicht behandelt, auch auf dem Plan I aus den Notizie 1882 weniger genau gegeben als bei Jordan Tf. 1. In einer der Mauern fand ich, sicher an ursprünglicher Stelle, nämlich in einem Bogen, einen Ziegel mit dem Stempel
O O D EX PR -DOKmlu^VEK CL Q_V
ANT IUI -E VER II
COS P- C. 145
(Marini 503 = C. L L. XV. 1072^«), welcher den von Drossel und Jordan {Bull. delVIst. 1884 p. 99 ff.) gesammelten hinzuzufügen ist, und gleichfalls für den nachhadrianischen Ursprung dieses Teiles spricht.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 247
Wesen sein; das ist nicht nur im Winter, sondern erst recht wenn die Julisonne auf den (nicht mehr grünüberzogenen) Mauerresten brennt, augenfällig. Weiter sagt Auer a. a. 0. « Andrerseits kann ich aber auch die Begeisterung nicht theilen, in die der genannte Gelehrte gerät, indem er sich im Geiste in den weiten mit Marmorsäulen und Statuen geschmückten Hof versetzt. » Als Gründe werden angeführt u. A. « das dünne Plattenwerk der Ver- kleidung n (durch das der Beschauer doch nicht auf den Ziegelkern durch- sehen konnte; dass überhaupt die römische Bauweise in Ziegelwerk mit Plattenbelag statt in Quadern aus Haustein keineswegs durch Sparsamkeit, sondern durch klimatische Rücksichten bedingt ist, hat z. B. Viollet le Duo durchaus treffend ausgeführt) ; die aneinander gestückelte Fussbodenpflasterung (ist frühmittelalterlich); der über dem Peristyl nicht in den Axen, sondern seitlich aufragende Osttract (wird im Vergleich mit den Palatinischen Bauten nicht sehr ins Auge gefallen sein) ; die verschieden gruppirten Teile des Nord- und Südflügels — « welches alles zusammen vielleicht eine malerische Wirkung gemacht habe, gewiss aber längst nicht mehr den Eindruck herab- gekommener Grösse verbergen konnte. » Ich glaube Vf. tliut dem Gebäude ebenso Unrecht, wie der Zeit des Severus. Doch können diese Nebendinge wie einige andere, wo Vf. auf das philologische Gebiet übergeht (*) dem Verdienste der trefflichen Arbeit keinen Abbruch thun. •
Die Kaiser fora.
Die Freilegung der südlichen Hälfte des Augustusforums, welche seit December 1888 von der Commissione archeologica comunale mit an- erkennenswerter Energie und erheblichem Kostenaufwand durchgeführt ist, hat den daran geknüpften Erwartungen bisher nur in beschränktem Masse entsprochen. Das Pflaster des Forums liegt mehr als sechs Meter unter dem jetzigen Strassenplanum, Reste des kostbaren Marmorpaviments und Architek- turstücke von vollendeter Technik . sind gefunden. Von den Augustischen Elegien sind bisher nur unbedeutende Trümmer zu Tage gekommen : das lehrreichste ist das von Lanciani (Not. 1889 p. 16-33; Bull. com. 1889
(1) so z. B. S. 18, wo «der Ansicht entgegengetreten wird, dass in diesem Tempel... auch Heiligtümer und Reliquien... aufbewahrt waren » ; vielmehr sei « die Aufstellung irgend welcher anderer Objecte im Inneren des Tempels ausgeschlossen. » Die Ansicht stammt nicht von Jordan, der citirt wird, sondern aus Varro und Veranius, an deren deutlicher Angabe penus vocatur locus Intimus in aede Vestae durch Interpretationskünste nicht vorbeizukommen ist. Auch die Ableitung des Namens 'Atrium Vestae^ von dem Osttract « in welchem die einst hölzerne Decke dem Gewölbe gewichen sei Ti wird angesichts der mannigfachen Verwendung des Namens atrium (Jordan Top. I, 533), für welche ein einheitlicher baulicher Typus ebenso- wenig zu statuiren ist, wie für das deutsche von J. zur Uebersetzung von atrium mit Vorliebe gebrauchte 'Hof,' schwerlich überzeugen.
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JAHRESBERICHT ÜEBER
p. 78) mit Hülfe des Arretiner Exemplars {C. I. L. I p. 287 n. XXVIII) zusammengesetzte des Appius Claudius Caecus :
appius Claudius
c. /. caecus
censor coif. bis dict. interrex iii
pr. ii. aed. cur. ii. q. tr. mil. iii
complurlA • o P ? \ d a de samnitibus. cepit sabinoru\iA ' ET ' Tvslcorum exercitum fuditX pacem. fie\K\ -cwfm pyrrho rege prohibuit in censura viam appiam stravit e{i'\Ciuama in urbem adduxit aedem bellon\KE-'P^]ßit\
Also wenigstens ein Teil der Elogien war auf zwei nebeneinander stehenden Tafeln, jede mit besonderer Umrandung, eingehauen. Die gleiche Anord- nung zeigen C.VI, 1311 = I p. 278 elog. n. V.VI; C. VI, 1283=1 p. 279 elog. IX. X (1), wo aber die Zweiteilung durch die Doppelzahl der Personen motivirt ist. Diese auf grosse Platten {^) eingehauenen Inschriften befanden sich wahrscheinlich unter den Nischen in der Umfassungsmauer des Forums. Eine andere Serie besteht aus wirklichen Statuenbasen (Vorderfläche 0,88 X0,87 ; Dicke 0,37) : dazu gehören
und
FELIX
die letztere von Lanciani ergänzt l. Cornelius l. f. sulla] felix nict. Derselben Serie lassen sich mit ziemlicher Sicherheit zuweisen C. VI, 1279. 1310, vielleicht auch C.VI, 1271. 1273. Charakteristisch ist für beide Serien die Angabe der Collegen, mit denen zusammen die Dargestellten die höchsten Würden bekleidet hatten. Zahlreiche Fragmente von Elogien, meist nur wenige Buchstaben umfassend, harren noch der Zusammensetzung und Pu- blication {Not. 1889 p. 69). — Von anderen inschriftlichen Funden sind zu nennen: 1) kleine Marmorbasis mit Zapfenlöchern auf der Oberfläche: Imp. Caesari \ Augusto p.p. \ Hispania ulterior \ Baetica quod | beneficio eius
(1) Ein Bruchstück dieses seit dem 17. lahrhundert als verloren gelten- den Steines, die Worte... eneficis pr .... | .... cum M. Perperna enthaltend, ist 1879 bei S. Martino a' Monti wiedergefunden und veröflfentlicht Bull. com. 1880 p. 318, wo aber die Zugehörigkeit nicht erkannt ist.
(2) Das von Lanciani in seinem ersten Aufsatz geäusserten Bedenken gegen die Zugehörigkeit des Elogiums des L. Albinius [C. VI n. 1272 =1 p. 285 n. XXIV) erledigt sich damit ; dagegen ist das angebliche des L. Furius Ca- millus auszuscheiden, s. C I. L. VI, 895.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 249
et I perpetua cura \ provincia pacata \ est. Auri \ p{ondo) c{entum) ('). 2) Piedestal, aus dem Fragment eines geriefelten Kindersarkophags roh zurechtgearbeitet : Divo \ Nigriniano \ nepoti Gari \ Geminius Festus v. d. \ rationalis. Die erste bezeugt die Teilung Spaniens schon unter Augustus (Mommsen Res gestae D. A. p. 222), die zweite klärt über die Verwandt- schaftsverhältnisse des bisher nur aus Münzen bekannten Nigrinianus (Eckhel Vn, 520) auf.
Auf dem Fries des Nervaforums hatte man die Darstellung der Minerva als Ergane und die Züchtigung der Arachne längst erkannt. Pe- tersen (Mitteil. ob. S. 88) giebt nunmehr auch die Deutung der Figuren des westlichsten Stückes (n. 48-57 auf Monum. ined. X, t. XLI*). Es sind dort zwei- fellos die neun Musen, Minerva und eine Berggottheit, wahrscheinlich der Helikon, zu erkennen.
Kapitol.
Ueber die Massverhältnisse des Kapitolinischen Jupiter- tempels hat kürzlich L. Holzapfel (Hermes XXm, 1888 S. 477) die Vermu- tung ausgesprochen, dass dieselben auf den oskischen Fuss von 0,275 zurück- gengen. Die Gründe, die dafür angeführt werden (die Seitenlänge des Tempels des Jupiter Feretrius, nach Dionys. 2, 34 eXärxovag ij neyje no(fwy xtd Ssxa r«? fieiCovg nXevQag s^oy. eine Dimension « welche in auffallender Weise mit der zwi- schen der Länge und der Breite des grossen Jupitertempels bestehenden Dif- ferenz übereinstimmt n sei wahrscheinlich 16 X 0,275 = 4,21 m. = 14,86 Fuss römisch-attischen Masses von 0,296 gewesen ; durch analoge Anwendung auf den grossen Tempel erhalte man 208 und 192 Fuss: ein Verhältniss von 12: 13, wie solches aus Gründen der Symmetrie wahrscheinlich sei) sind so schwach, dass man sich billig wundern darf, die Verwendung des oskischen Fusses in Eom als eine keinem Zweifel mehr unterliegende Thatsache ausgesprochen zu hören. Bei dem Zustande der Trümmer und den sich nur als ungefähre gebenden Zahlen des Dionysios ist es m. Er. überhaupt vergebene Mühe da- rüber zu debattiren, ob von zwei nur drei Millimeter von einander abweichen- den Fussmassen das eine oder das andere beim Bau zu Grunde gelegt sei, und nachdem Mommsen (Hermes 1886 S. 421) und Richter (Hermes 1887 S. 17) die Möglichkeit bewiesen haben, den römischen Fuss mit den Zahlen des Dio- nysius und den Trümmern in Einklang zu bringen, sollte man sich bei dieser Annahme beruhigen.
In meinem Aufsatz Osservazioni s o pr a Varchitettura del tempio di Giove Gap itolino (Mitt. 1888 p. 150-155) habe
(1) zwischen est und auri fehlt nichts ; auch z. B. die Inschriften der Weihgeschenke aus dem Concordientempel (C. VI, 91-94) haben die einfache Gewichtsangabe ohne Praeposition.
250 ■ JAHRESBERICHT ÜEBER
ich über zwei in den Uffizj in Florenz befindliche San Gallosche Handzeich- nungen berichtet, deren eine die Maasse eines kolossalen im Garten Caffarelli 1540 gefundenen Säulenstumpfes, die andere (reproduzirt auf Tf. V) ein eben- dort gefundenes Gesimsfragment wiedergiebt. Letzteres wird zwar zum Gebäude gehört haben, kann aber nicht das Hauptgesims gewesen sein. Ueberhaupt lässt der Umstand, dass von einem Hauptgesims, dessen Dimensionen ganz kolossale (7 m. freitragender Architrav) sein raussten, sich niemals die ge- ringste Spur gefunden hat, es glaublich erscheinen, dass auch der domi- tianische Bau, gleich den früheren, ein hölzernes Epistyl trug.
A. AuDOLLENT, Desseiu inedit dfun fronton du temple de Jupiter Gapitolin
{Müanges de VEcole franQaise de Rone, IX, 1889, p. 120-123. publizirt aus dem Skizzenbuche eines französischen Künstlers {un scul- pteur de Reims fort connu dans son pays), der um 1576 Italien bereiste, eine Zeichnung nach dem Relief mit der Darstellung des Kapitolinischen Tempels, welches bisher nur aus dem ungenauen Stiche Piranesis {della ma- gnificenza ed architettura de'Romani, p. 198, 'ex schemate veteris anaglyphi quod adservatur in bibliotheca Vaticana') und dem Codex Coburgensis (publ. von E. Schulze, archäol. Zeitung, 1872, Tf. 1) bekannt war: und zwar mit der (bisher unbekannten) Ortsangabe in Campidoglio. Der Herausgeber hat die Zusammengehörigkeit dieser Zeichnungen erkannt, und auch das Original des Piranesischen Stiches in dem bekannten Ursinianus Vaticanus 3439 f. 83 nachgewiesen. Letzteres Blatt (reproduziert auf S. 251) ist von besonderem Wert, da es nicht nur, wie die Zeichnungen des Coburgensis und des Bildhauers von Rheims, das Giebelfeld, sondern das vollständige Relief darstellt, und so die Identificirung des seit dem sechzehnten Jahrhundert als verschollen gel- tenden Marmororiginals ermöglicht. Die Opferdarstellung ist nämlich keine andere als das in den Louvre gelangte, bei Clarac tav. 151, n. 300 abgebil- dete Relief. AudoUent hat letzteres gekannt, leugnet aber die Identität, car le fronton manque au temple repr^sentS par ce has-relief, et ne semhle pas avoir jamais existö. Diese Schwierigkeit löst sich m. Er. sehr einfach : als das Relief aus dem Kapitolinischen Besitz an die Borghese kam, wurde es zum Einmauern in die Ostfassade des Kasinos bestimmt, und zwar als Pen- dant (1) zu dem gleichfalls jetzt im Louvre befindlichen Clarac tav. 195 n. 311. Da letzteres sehr viel geringere Höhe hatte, schnitt man von ersterem den beschädigten Oberteil mit dem Giebelrelief kurzweg ab (die jetzigen Höhen- masse sind nach Clarac für das früher Kapitolinische m. 1,968, für das zweite m. 1,663). Auch die Köpfe der Figuren, — mit Ausnahme des auf dem Re- liefgrund haftenden Jünglings mit dem Apex — dürften damals ergänzt worden
(1) Montelatici V. Borghese (1700) p. 171 : {la prima tavola) ... rap- presenta sei ßgure in hahito consolare, che stando d'avanti ad un ara ras- sembrano d''assistere a qualche sacrificio : et a questo basso rilievo si puö dire che corrisponda Vultimo... nel quäle fra malte altre figure si vede un toro steso supino in terra u. s. w.
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sein. Die drei Zeichnungen der Giebelgruppe — da Piranesis ungenaue Kopie wegfUüt (i) — stimmen in einer Weise überein, dass fast sämmtliche bei E. Schulze a. a. 0. bemerkten Widersprüche verschwinden. Die Weglassung des einen Pferdes vor dem Wagen der Luna kommt auf Rechnung des Vati- kanischen Zeichners, der auch in der Angabe des Thrones hinter den Göttinen weniger genau scheint. Dagegen hat er allein die Angabe des Adlers über der Ecksäule : das Relief im Louvre scheint auf dieser Stelle jetzt über- arbeitet zu sein.
Zu den im ersten Bande des C I. L. unter n. 587-589 zusammenge- stellten Inschriften von Weihgeschenken lykischer Gemeinden nach dem ersten mithridatischen Kriege sind in den letzten Jahren neue Stücke gefunden, welche von Mommsen in Sallets Zeitschrift für Numismatik XV (1887) S. 207-219 erörtert, sind. Topographisch bieten sie ein Interesse, weil sie sich nach dem Fundorte in zwei Serien scheiden, von denen die eine auf dem Capitol, die andere auf dem Quirinal beim Capitolium vetus unweit Palazzo Barberini ihren Platz hatte. Mommsen hat diesen von ihm selbst zuerst {Ann. delVIst. 1858 p. 206 ; C. I. L. I p. 170) hervorgehobenen Ge- sichtspunkt in seiner neuesten Behandlung fallen lassen ; und da auch ausserdem seit 1887 einiges nachzutragen bleibt, gebe ich die Texte hier vollständig, und zwar zunächst die Kapitolinische Gruppe (die Quirinalische s. u. S. 276). Die Inschriften stehen sämmtlich auf grossen Blöcken von Tra- vertin, welche 0,45 dick, 0,95 hoch und am oberen Rande mit einer kleinen 0,13 hohen und etwa 0,01 vorspringenden Randleiste geschmückt sind.
1. {Notizie 1886 p. 452; 1887 p. 110; Bull. com. 1886 p. 403j.
rex metradates pilopator et pil ADELPVS -regvs- JsijBrflJADATi-F populum romanum amicitiai e|T-sociETATis-ERGo\Q/vAE-iAiw
inter ipsum etromanos? ojo^m.ET-LEGATi-coiRAVERVNT
nemanes ne man ei f. etma i-ies • mahei-f
ßaaiXevg fxid-Qaddrrjg (pikpTl\TCi? KAI *IAAAEA<I>05:
OY TON AHMON TON Z Y JW M A X O N A Y T O Y ENEKEN THZ EI2 AYTON
rov ßcca iXs (ag /utO-gadfir xüi V Q w fi a i (0 f cp iX o v x al svvoirc g xai sveQyealag n Q ea ßeva ävx <av »/«t^/VNOYZ TOY nAIMANOYZ fjit'covrovfiaov I
Der Block hat links antike Stossfläche und ist, zugerechnet das auch auf ihm stehende griechische Fragment 2a 0,80m lang. Als ich den Stein im
(1) Es erklärt sich andrerseits aus der Orsini'schen Zeichnung sehr wohl, wie bei Piranesi aus der Schmiedegruppe r. ein Mann unter einem Baum werden, und wie die Luna auf dem Giebel r. ihre verkehrte Stellung sitzend, den Rü^en halb den Pferden zugekehrt, erhalten konnte.
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Mai 1888 im Garten Moroni in Via Leopardi sah, war er in zwei Stücke gebrochen und dadurch wenige Buchstaben der beiden ersten Zeilen verloren gegangen. Die Ergänzungen sind von Mommsen, welcher die Beziehung auf einen König der paphlagonischen Dynastie begründet hat.
«. a. Not. 1. c; Bull. 1. c— ö. Not. 1887 p. 110; Bull. 1887 p. 125; 1888 p. 138. — c. Not. 1888 p. 189 ; Bull. 1888 p. 138.
0\\TJ fl O
s/D TABHNSüN
VO? K: AI CYJWMAXO C fi ß töiJ N
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T O Y F
> P V L
P C) P V Li
Der Stein b hat eine Länge von 0,80 m. und zwei Stossflächen; der von Gatli vorgeschlagenen, von Mommsen gebilligten Zusammenstellung mit CLL. I, 587 = VI, 394 kann ich sowohl wegen des verschiedenen Fundorts als wegen der Massverhältnisse nicht beistimmen. — Gatli selbst hat seine frühere Lesung Zeile 1, (^.^^.^abhnwn (danach Mommsen 1. c. p. 218) in Not. 1888 p. 134 und Bull. com. 1888 p. 139 berichtigt, und bemerkt dass die Dedicanten die Einwohner der Stadt Tabae in Karien sind. Stück c habe ich nicht ge- sehen : nach Gatti's Angabe hatte es beiderseits antike Flächen.
:«. Not. 1887 p. 16. 112; Bull. com. 1887 p. 14. 124; Mitteilungen 1887 p. 59. 146.
r\EX • ARIOB' arsanes
T RFniNiA/ athenais
•I. Not. 1887 p. 110; Bull. 1887 p. 125.
Grosser Block, 1,10 m. lang, zwei Stossflächen, wohl vom rechten Ende des Monuments.
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Dazu kommen noch zwei im IG'«"» resp. Anfang des 17*«"* Jhdts. in Ca- pitolio abgeschriebene, seitdem verschollene Stücke : 5. C. I. Gr. 5880 ; G. I. L. I, 589 = VI, 372.
ab cojmuni restitutei in maiorum leibert[atem Lucei] Eomam Jovei Capitolino et poplo Eoraano v[irtatis benivolentiae beneficique causa erga Lucios ab comu[ni.
Avxitav x6 xoivov xofiiacc/nevov x-^v nÜTQiov &f]fio- XQuxiav xijy 'Poiy,rjv Jd KanerwXlwi xal xcSt, 6rjfxu)i rcJ[t] PoDfXfdoiv UQBtfjg Epsxev xcd svvoiag xfd evEoyeaiccg xrjg Eig xo xoivov xwv Avxicov.
«. C. I. Gr. 5882 = G. I. L. I p. 169.
[i; noXig rj . . ^mv Evegyexrjd^sTacc r« [xiyLaxa vno xov örj^ov [toi 'Pco^uaiwv g)iX]ov ovxog xal avfifiä^ov )ruQiairjQia Jd Kanetio- Xi(oi nQs]<fß6v<fc(vx(ov Bax/iov xov Ak^uttqIov .... xov Jijovvaiov , ^alSQov xov Ilavaccviov.
Die Zusammengehörigkeit von 6 mit der neuerdings auf dem Quirinal gefundenen (unten S. 276), welche Mommsen S. 211 annimmt, ist mir nicht wahrscheinlich. Ueber die bauliche Gestaltung des Monuments lässt sich aus den Fragmenten 2abc entnehmen, dass die Basis aus abwechselnd schmalen und breiten Quadern (Läufern und Bindern ?) bestand. Da weder 4 an 2, noch eins der beiden im Original verlorenen Stücke sich an 2 oder 4 anschliessen lässt, so erhalten wir, selbst ohne das Fragment 3 (dessen Schriftcharakter ein von dem übrigen etwas verschiedener ist ; Gatti bei Mommsen S. 213) zu rechnen, eine lineare Gesamtlänge von über 10 m. Ob sämmtliche Dedicationen in einer Eeihe standen, oder auf verschiedenen Seiten eines grossen quadratischen Unterbaus, kann gefragt werden, doch haben mich verschiedene Combinationsversuche zu keinem bestimmten Re- sultat geführt.
Die grossartigen Arbeiten für das Monument König Victor Emanuels auf der Höhe von Araceli, der alten Arx, haben für die Topographie nur geringe Ergebnisse geliefert, und aufs neue erkennen lassen, dass die Zerstörung auf der nördlichen Kuppe des Kapitolinischen Hügels nicht minder weit gegangen ist als auf der südlichen. An der Ostseite ist eine Mauer aus 4-5 Lagen Tuffquadern freigelegt {Not. 1887 p. 113; Bull. com. 1887 p. 175. 220), welche aber eher Substruction eines Gebäudes aus der Kaiserzeit als uralte Hügelbefestigung ist: dieselbe war auch bereits auf Nollis Plan (1748) ein- getragen. Wirklich zur ältesten Befestigung gehört dagegen die in Via della Pedacchia hinter dem ehemaligen Palazzo di Pietro da Cortona constatirte künstliche Abschroffung des Felsens [Bull. com. 1887 p. 275). Wenig westlich davon, hinter der Kirche der Beata Kita, ziehen sich Privatbauten in mehre-
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ren Stockwerken, entsprechend den von Bunsen und Urlichs (Beschr. Koms 3, 1 S. 34) und Reber (Ruinen Roms^ p. 201) beschriebenen am Berg hinauf, bis fast an die Fundamentmauern von Araceli; ausser Resten von Marmor- pflaster und Wandbekleidung (beschrieben Not. degli scavi 1889 p. 68) haben sie jedoch keine Funde geliefert. Im Inneren des Berges ist ein weitver- zweigtes System von Gängen teils antiken teils mittelalterlichen Ursprungs constatirt: eine Beschreibung der in mehreren Stockwerken übereinanderlau- fenden Stollen und Schachte ist ohne einen detaillirten Plan, dessen Aufnahme die Bauverwaltung sich angelegen sein lässt, nicht zu geben. Die Arbeiten dauern fort.
Gelegentliche Funde unter der von Piazza del Campidoglio .nach der Seitenfront von S. M. in Araceli führenden Treppe haben Reste von Privat- gebäuden, welche, wie namentlich aus der Beschreibung des Sturms der Vitellianer bei Tacitus bekannt war, die ganze mittlere Einsattelung des Kapitolinischen Hügels einnahmen, zu Tage gebracht. Wertvolles Marmor- pflaster bedeckte den Fussboden eines saalartigen Raums. Die Mauern wie die gefundenen Hausgeräthe trugen Spuren der Beschädigung durch Feuer (Not. 1888 p. 497 ; Bull. com. 1888 p. 331).
Die berühmte mittelalterliche Haupttreppe von Araceli, das einzige mo- numentale Werk aus der Zeit des Avignoneser Exils, ist im Jahre 1887 einer Reparatur unterworfen, indem die vielfach schadhaften Marmorstufen grossen- teils durch solche aus Travertin ersetzt wurden. Die Hoffnung bei dieser Gelegenheit wertvolle antike Reste zu finden, ist nicht in Erfüllung ge- gangen : fast alle beschriebenen oder sculpirten Marmorquadern stammten von antiken oder mittelalterlichen Grabmonumenten {Not. 1887 p. 234. 276 ; Bull. com. 1887 p. 173). Insbesondere ist die von Pomponius Laetus in Curs gesetzte Behauptung, dass die Trümmer des Quirinustempels auf dem Quirinal zu der Treppe das Material hätten liefern müssen — der schon Gregorovius (Gesch. d. St. Rom VI, 370. 791) energisch widersprochen hat — nunmehr auch durch die Thatbestand der Funde widerlegt.
Palatin.
Der palatinische Hügel ist durch Ausgrabungen in den letzten Jahren so gut wie gar nicht berührt worden : dagegen sind mehrere wertvolle Ar- beiten über die Ruinen der Kaiserpaläste zu verzeichnen.
H. Deglane, le palais des C4sars au Mont Palatin. Gazette arch^ologique 1888 p. 124-130. 145-163. 211-244.
Der Verfasser konnte ausser eigenen Aufnahmen auch solche von Clerget (1838), Arthur und F. Dutert (1868. 1871), Pascal (1870), von Vespi- gnani und Scellier de Gisors benützen und auf Grund dieses Materials eine Reconstruction des sog. Flavier- und d«s Augustuspalastes unternehmen. Der Text ist, so weit er historisches behandelt, wesentlich abhängig von Lanciani.
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Die eigenen Torschungen des Vfs. betreffen namentlich den südöstlichen Teil des Berges. In den bisher ungenügend bekannten Ruinen unter S. Bonaven- tura sucht D. die Bibliothek des Palatinischen Apollotempels nachzuweisen : in der That ist der imposante im Grundriss ein griechisches Kreuz bil- dende Saal, den er nach den vorhandenen und in älteren Quellen gezeich- neten Eesten construirt, wohl geeignet zu diesem Zwecke wie zu Senats- versammlungen und Aufstellung einer Colossalstatue zu dienen. Hingegen kann ich der Gleichheit in der Construction mit der sog. Domus Augustana ('). kein entscheidendes Gewicht beilegen, da der augustische Ursprung dieses Complexes keinesweges als sicher gelten darf. Die ausführliche Beschreibung der Reste unter S. Bonaventura und in den anliegenden Vignen in den von
(1) Richter bezeichnet Top. p. 108 die Reste unter Villa Mills als sicher domitianisch, « nach der Bauart, den dort gefundenen Ziegelstempeln und Bleiröhren, n Die beiden letzten Argumente sind nicht beweiskräftig da Wasseranlagen, die gewiss einer häufiger Erneuerung bedurften, nicht notwen- dig dem ersten Bau anzugehören brauchen. Das sog. Haus der Livia setzt doch auch Richter nicht in domitianische Zeit, obwohl die dort gefun- denen Röhren den Stempel dieses Kaisers — überhaupt auf römischen Bleiröhren einen der häufigsten — tragen. Betreffs der Ziegelstempel, mit denen R. in seiner Geschichte des Palatins vielfach operirt, wäre wohl der Hinweis am Platze gewesen, dass wir Stempel aus augustischer Zeit, wie über- haupt mit Namen oder Consulaten aus der ersten Kaiserdynastie, in Rom nicht haben. — Auch einer zweiten von Richter mehrmals und mit Nachdruck ausgesprochenen Behauptung muss ich widersprechen. Er sagt (Top. p. 107, Anm. 1): « Gewöhnlich nimmt man an, es seien auf dem Palatin mehrere Kaiserpaläste zu unterscheiden. Dem steht vor allem der Sprachgebrauch entgegen, dass man immer nur von dem Palatium redet, resp. gleichlautende Bezeichnungen braucht. Trotz der vielen Erweiterungen der kaiserlichen Re- sidenz bleibt doch immer ihre Einheit gewahrt, etwa wie beispielsweise der Vatikan, der zu verschiedenen Zeiten entstanden, verschiedenartige Bauten in sich schliesst, aber doch immer als ein Ganzes gilt, dessen einzelne Teile nur gelegentlich nach ihren Urhebern bezeichnet werden ». Er setzt demge- mäss auf seinem Plane den Nomen ' Palatium ' dorthin, wo Visconti u. a. die 'Domus Flavia' annehmen. Aber den Sprachgebrauch lernen wir doch am besten aus offiziellen Schriftstücken kennen, und hier entscheidet schon die Notitia, die freilich keine Domus Caligulae, Commodi u. dgl. kennt, wohl aber unzweideutig nennt domum 'Augustianam et Tiberianam. Ferner über- sieht Richter ganz die Inschriften der kaiserlichen Hausbedienten, in denen der Ausdruck Palatium nicht vorkommt (denn das colleyium cocorum Aug. n. quod consistit in Palatio C. I. L. VI, 7458. 8750 ist etwas anderes), son- dern stets domu{u)m oder domus Palatinarum (Plural!) resp. die Teilbezeich- nungen domus August{i)ana und domus Tiberiana: beide häufig und nicht nur im ersten Jhdt. sondern auch in trajanischer und antoninischer Zeit (C. /. L. VI, 8640-8661). Auch der Vatikan ist als Beispiel nicht glücklich gewählt: wie die Existenz von Sonderbezeichnungen sich mit der eines Ge- sammtnamens wohl verträgt, zeigt z. B. das Heidelberger Schloss. Es ist daran festzuhalten, dass Palatium im urkundlichen Sprachgebrauch noch bis ins 4'® Jhdt. den ganzen Berg , die domus templa und sonstigen Baulichkeiten zusammengenommen, bezeichnet; wenn die Schriftsteller der Wort für die Kaiserburg gebrauchen, se ist das eine Uebertragung, gerade wie der Gebrauch des Namens Quirinale im modernen Italiänischen.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 257
De Rossi publizirteii note di ruderi e monumenti antichi per la pianta di G. B. Nolli (Rom 1884) hätte erwähnt zu werden verdient.
Für den sog. Flavierpalast benutzt der Vf. die Originalaufnahme Du- terts, aus welcher Einzelnheiten genauer gegeben werden als in der stark verkleinerten Publication [Revue afchMogique 1873). Besonders erwähnei.- werth ist der Grundriss des « Triclinium du palais de Domitien n mit den beiden anstossenden NjTnpheen, von denen das südliche unter Villa Mills un- zugänglich ist und bisher nicht aufgenommen war. Ausser mehreren Textil- lustrationen sind vier Tafeln beigegeben, darunter Tf. 23 ^tat acluel des fouilles, 30 plan restaur^, beide in eleganter und detaillirter Ausführung einen wesentlichen Fortschritt auch über die neuesten Arbeiten (Lanciani- Visconti, Middlcton) bezeichnend. Auf dem restaurirten Plan has Vf. für die durch Ausgrabungen weniger berührten Gebiete seiner Phantasie manchmal etwas stark die Zügel schiessen lassen: das sacrum Vestae sammt anliegendem atrium und lucus hätte lieber wegbleiben sollen ; über die Lage des Apollc- tempels bleiben Zweifel, und in dem Garten des Klosters S. Sebastiane wird man, statt der nirgends bezeugten grossen Kaserne, mit Rücksicht auf dortige ältere Funde (Bartoli Mem. 6. 7 ; pianta del Nolli p. 68. 69) lieber die pracht- vollen Gartenanlagen der Adonaea setzen.
Eine zweite Arbeit desselben Verfassers in den MÜanges de V^cole frangaise IX (1889) p. 184-229 behandelt das palatinische Stadium, doch wird einleitungsweise der die Augustusbauten betreffende Abschnitt des vorgenannten Aufsatzes, meist in wörtlichem Abdruck gegeben. Die etwas grössere Wiedergabe des Plans der Reste bei S. Bonaventura {Bibliotheca Apollinis), welche in der Gazette arch^ologique sehr stark verkleinert war, ist dankenswert. Der das Stadium behandelnde Hauptteil (p. 205-229) ist na- türlich erheblich erweitert. Drei Lichtdrucktafeln geben den Zustand der Ruinen und die Restauration sowohl im Grundriss wie im Durchschnitt. De- glane unterscheidet zwischen dem ursprünglichen Bau der Domitianischen und den Neubauten der Antoninischen-Severischen Epoche. Zum ersten Bau gehört, wie er gegen Lanciani ausführt, auch die grosse Exedra (tribune imperiale), wenigstens in ihren unteren Teilen, während in den oberen spä- tere Ausbesserungen anzunehmen sind. Auch die Porticus — eingeschossig mit flachem Dach für die Zuschauer — gehört dem Plane nach schon in den ursprünglichen Bau, während die jetzigen Reste einer Reconstruction, vielleicht unter Septimius Severus, ihre Gestalt verdanken : der frühere Bau wurde bei dieser Gelegenheit durch Wandpfeiler verstärkt, welche die Ein- gänge zu den Sälen unterhalb der kaiserlichen Loge zum Teil schliessen. — Weiter wird die Arena (i) und die anschliessenden Thermen beschrieben ;
(1) Zu dem figürlichen Schmuck der Arena rechnet Deglane p. 194-227 (ebenso Sturm S. 41) die von Flaminio Vacca mem. 78 genannte dieciotto o venu torsi di statue di Amazzoni poco maggiori del naturale, welche ge- funden seien in der vigna del Ronconr, quäle ? inclusa neue ruine del pa-
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letztere sollen unter Augustus erbaut und unter Hadrian wiederhergestellt sein. Eine Fortsetzung der Ausgrabungen, welche wir mit dem Vf. wünschen, könnte über diesen interessanten Complex neues Licht verschaffen.
Neben dieser besonders durch ihre technische Untersuchungen und das reiche Material an Plänen ausgezeichneten Arbeit bleibt auch der kurz vor ihr erschienenen Schrift von J. Sturm : das kaiserliche Stadium auf dem Palatin (Progr. des königlichen neuen Gymnasiums zu Würzburg, 1888. 62 SS. 8, 1 Plan) das Lob ungeschmälert, welches ihr 0. Kichter (Berl. philol. Wochenschrift 1889 p. 600) zu Teil werden lässt : dass sie durch klare und ruhige Erörterung ausgezeichnet, in jeder Hinsicht ein wertvoller Beitrag zur Geschichte des Palatin sei. Das historische Material findet sich bei Sturm vollständiger und kritischer zusammengestellt als bei Deglane : schätzenswert sind die Bemerkungen über den Süden des Palatin im Mittelalter (S. 14. 15), wo der Vf. die unzweifelhaft richtige Erklärung des rätselhaften Porticus qui vocatur ^(a^QÜfxvbDyy supra Septem solia (Urkunde von 975), als porticus Materniani (Urkunde bei MitarelU Ann. Cam. 4, 337), aufweiche auch Stevenson gekommen ist, selbständig gefunden hat. Gegen einige Annahmen Sturms z. B. seine Benutzung der Acta S. Sebast'iani, der älteren Stadtpläne, der Beschreibung des Palatius aus der Hschr. von Farfa hat Kichter Bedenken geäussert, denen ich mich anschliessen muss. Auch für das rein bauliche behauptet Sturms Aufsatz einen selbständigen Wert neben Deglane durch die Berücksichtigung der späten Einbauten aus dem IV/V Jahrhundert.
Ausgrabungen welche im Frühjahr 1889 an der Stelle des Septizoniums gemacht sind, haben keine nennenswerten Funde geliefert; dagegen bietet eine wertvolle aus älteren Quellen geschöpfte Bereicherung unserer Kenntniss der Aufsatz von E. Stevenson : il settisonio Severiano e la distruzione dei suoi avanzi sotto Sisto V {Bull. com. 1888 p. 269-298). Eine von ihm in dem Codex IV, 149 der Marciana in Venedig aufgefundene Zeichnung giebt
lazzo maggiore. Deglane identificirt diese vigna Ronconi ohne weiteres mit den auf Nolli's Plan verzeichneten orti Roncioni, welche die Stelle des Sta- diums einnehmen. Dies ist schwerlich richtig. Die Bemerkung, welche Bian- chini an den Fund der von ihm mit den Danaiden im Vörhof des Apolln- tempels identificirten amazzoni knüpft {essendomi finalmente riuscito di rilevare ove in tempo del Vacca il Ronconi tenesse la vigna) wäre absurd, wenn er den zu seiner Zeit existirenden Garten des conte Eoncioni {iVote per la pianta del Nolli p. 68) gemeint hätte. Es ist aber auch nicht richtig wenn Lanciani sagt {Bull. com. 1883 p. 192): nel corso deWopera il Bian- chini non rwela altrimenti il segreto della sua scoperta, und darauf be- hauptet, der Garten Ronconi sei identisch mit Villa Mills. Vielmehr besagt die Legende zu Tafel XVIII des Bianchinischen Werkes ausdrücklich vinea Ronconi ubi postea coenohium S. Bonaventurae constructum est, und ähnlich Tf. VIII. Von einer Zuteilung dieses merkwürdigen Statuenfundes an ein be- stimmtes Gebäude auf dem Palatin wird man also lieber vorläufig absehen.
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nicht nur die Masse des unteren, sondern auch der beiden Oberstockwerke. Genaue Angaben über diese letzteren fehlten in allen bisher bekannten Zeich- nungen, und geben dem Blatte des Marcianus einen besonderen Wert ; Steven- son erörtert sachkundig und eingehend die Berichtigungen, welche sich zu der von P. Graef und mir (im Winkelinannsprogramm der Berliner archäologischen Gesellschaft von 1886) versuchten Reconstruction ergeben. Ich bin sogar ge- neigt, die Zuverlässigkeit der Marciana-Zeichnung in einem Punkte noch höher anzuschlagen, als Stevenson, nämlich betreifs der Dimensionen des Oberstocks. Die genannte Reconstruction nahm über zwei Hauptgeschossen ein niedrigeres Obergeschoss an, wegen der perspektivischen Zeichnung San Gallos und unter Verwerfung der Angabe Serlio's, dass die Stockwerke nach oben zu um ein Viertel ihrer Höhe abnahmen. Letztere Angabe wird nun aber bewahrheitet durch die detailHrten Masse des Marcianus, aus welchen auch eine etwas grössere Gesamlhöhe als die a. a. 0. angenommene hervorgeht. Dass die cubische Berechnung der beim Abbruch gewonnenen Materialien, wie sie Stevenson nach Fontanas Papieren anstellt, für die geringere Höhe zu sprechen seheint, ist kein entscheidender Einwand, da die Hintermauer des Gebäudes nicht an allen Stellen gleich hoch erhalten gewesen sein wird. Die Bau- rechnungen Sixtus V im Vatikanischen Archiv zeigen ferner, dass die Zer- störung des Gebäudes Ende d. J. 1588 begonnen und bis zum 15*®" Mai 1589 vollendet war; die gewonnenen Säulen und Quadern sind verbraucht für die Basis des Obelisken auf Piazza del Popolo, die Restaurirung der Colonna Antonina, für die Kapelle Sixtus V in S. Maria Maggiore, das Hauptportal der Oancelleria, die Fabrikanlagen des Papstes in den Diocletiansihermen, den lateranischen Palast. Die genauen Massangaben Fontanas gestatten Rück- schlüsse auch auf die ursprüngliche Gestalt des Gebäudes , besonders über den Stylobaten und die Fundamente. Betreffs der Schicksale des Septizoniums im Mittelalter wird die rätselhafte porticus ftwdQwnfiayy in der Urkunde von 975 überzeugend erklärt, eine unbeachtete Urkunde von 1067 nachge- wiesen, endlich die ungenaue Angabe Zaccagnis, dass die Kirche S. Lucia in Septisolio erst von Sixtus V zerstört sei, berichtigt.
Auf die Künstler Bupalos und Athenis, deren Werke nach Plinius von Augustus zum Schmuck des Palatinischen Apollotempels verwandt waren, führt Petersen (Mitteilungen 1889 S. 88) einen jüngst in Villa Lu- Ludovisi gefundenen Amazonentypus zurück.
Dass die von Lanciani auf das palatiuische Sacrarium der Vesta bezo- genen Zeichnungen des Dosio und Panvinius wahrscheinlich auf Ausgrabungen im Flavierpalast zurückgehen, habe ich oben S. 185 gezeigt ; ebendort, dass die beiden zusammengehörigen Stücke 163 und 144 (i) der forma Urbis Romae
(*) Letzteres ist, was ich a. a. 0. übersehen habe (auch in Jordans Ausgabe fehlt der Hinweis) schon von Thon {palazzo de'Cesari tav. I n. X) ganz richtig als Fragment der ' casa di Augusto ' erkannt.
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einen Teil der sog. domus Augustana samt den anstossenden Eäumen des Flavierpalastes darstellen.
Die südlichen Stadtteile
haben wenig erwähnenswerten Funde geliefert. Die seit Jahrhunderten so oft durchwühlten Gräberstrassen zwischen Appia und Latina beim Grabe der Scipionen hat man im letzten Jahre aufs neue zu durchsuchen begonnen, aber mit sehr dürftigem Eesultat {Not. 1889 p. 31. 65). — Der Aventin ist von Ausgrabungen ziemlich unberührt geblieben. Ausgrabungen am östli- chen Abhänge beim jüdischen Begräbnisplatze haben die Westgrenze des Circus maxiraus constatirt. Ueber den Fund von Sitz stufen mit Inschrift (wenige Buchstaben unsicherer Deutung) ebenda berichten Notisie degli scavi 1888 S. 191. 227. — An der Westseite, nach dem Forum Boarium zu, wur- den Ende Oktober 1887 auf dem Grundstücke der suore della caritädiS. Vin- cenzo di Paolo Beste einer gewaltigen Mauer aus Tuffquadern, etwa rechtwin- kelig auf den Tiber zulaufend gefunden. Von den mehr als 10 Quaderschichten, welche gefunden sein sollen, sah ich am 21'*" Oktober 1887 nur noch die untersten in situ, da die oberen für Durchführung der neuen Kanalisation hatten entfernt werden müssen : ebensowenig habe ich den wohlerhaltenen Quader- bogen (3, 30m. Weite) gesehen, welcher nach Borsari's Vermutung {Bull. com. 1888 p. 21) der porta Trigemina angehören sollte : letzteres allerdings nach dem was wir über den Lauf der Serviusmauer wissen, wenig wahrscheinlich. — Für die Strassennamen des Aventin bietet neues Material der Aufsalz von De Eossi : collari di servi fuggitivi con indicazioni topografiche delle regioni XII e XIII {Ball. com. 1887 p. 286-296). Es sind folgende Halsband- inschriften : 1) die schon Bull. arch. crist. 1879 p. 165 tav. XI publicirte : Hilarionis \ so{=sum), tene me et revo\ca me quia fugi de r{egione) XII a balin{eum) Scrib\oniolum Borne. A. i2. Dieselbe ist gefunden in Grottafer- rata, vielleicht im Gebiet der Tusculaner Villa der Scribonii Libones. 2) unedirt, gefunden in einem Grabe bei Frascati, noch um den Hals eines Skelettes geschlossen und verlöthet : tene me et reboca me Aproniano pala- tino ad mappa aurea in Abentino quia fugi ; 3) aus der Gegend von To- lentino in Picenum {Not. degli scavi 1884 p. 220): fugiti\bus so, revo\ca me in Aben\tino in domu \ Potiti v. c. | ad Decia\nas. Die Mappa aurea, bereits bekannt aus der Not. reg. XII, muss eine Strasse auf der Nordseite des Berges gewesen sein, über den carceres des Circus Maximus nach der Seite des Velabrum und Forum Boarium zu : vielleicht sind Eeste derselben 1881 zwischen S. Alessio und S. Maria del Priorato entdeckt {Not. degli scavi 1881 p. 138). Die domus Potiti ist sonst nicht bekannt; vielleicht ist der Mann identisch mit dem vicarius Urbis, welcher im Cod. Theodo- sianus zwischen 379 und 381 öfter genannt wird, und auf den sich Symma- chus Ep. 1, 19 bezieht.
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Caelius.
Die Basilica S. Giovanni e Paolo ist der Tradition zufolge erbaut an der Stelle, wo auf Befehl des Kaisers Julian zwei hohe Hofbeamte, Johannes und Paulus, in ihrem eigenen Palaste den Märtyrertod erlitten. Seit 1887 hatte einer der Passionisten des Klosters, P. Germano, in den Räumen unter der Kirche Nachforschungen anstellen lassen, welche zur Entdeckung eines altrömischen Hauses mit heidnischen und christlichen Wandmalereien führten iNot. degli scavi 1887 p. 532; Bull. comm. 1887 p. 321). Bisher ist nur ein Teil der mit Schutt gänzlich ausgefüllten Räume gereinigt, und auch dieser noch nicht ganz veröffentlicht (Rom. Quartalschrift 1888 p. 137-147; 322-32G; 404-405 ; Tf. XII); der beigefügten Planskizze, auf welcher dies antike schwarz, die heutige Basilika im Umriss eingetragen ist, liegt eine vom Leiter der Aus-
grabungen überlassene Copie der vollständigen Original-Aufnahme zu Grunde. Soviel lässt sich bereits erkennen, dass der Grundriss nicht dem Typus des altern römischen Atrienhauses, sondern den Plänen auf der Forma Urbis Romae entspriecht. Von der gewöhnlich mit dem Clivus Scauri identifizierten Via dei SS. Giovani e Paolo führen sechs jetzt vermauerte Bogenthüren auf ebensoviele rechteckige Gemächer, Eine zweite und dritte hinter diesen liegende Flucht von Zimmern zeigt weniger regelmässige Anlage, da die Hinterwand mit Rücksicht auf die Lage am Abhänge des Hügels sich stumpfwinkelig mit den Seiten- wänden schneidet. Die Säle der dritten Reihe haben von der älteren Dekora- tion die bedeutendsten Reste. Ein besonders wohlerhaltener Saal (a), vom Entdecker tahlinum genannt, ist an den Wänden mit einer Marmorbelag
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nachahmenden Malerei geschmückt; die Wölbung zeigt, ausser den üblichen Meerwesen, Blumen und Masken, auch drei christliche Darstellungen (Moses am Horeb, derselbe die Gesetztafeln empfangend, eine Orantin). Dem Stil nach kann die Decoration dem 4'en-5*«" Jhdt. angehören. Ein anderer Raum (b) hat einen etwa 2,5 m. über dem Boden laufenden Fries : auf weissem Grunde nackte Genien in halber Lebensgrösse, hinter deren Schultern sich Blumen- gewinde hinziehen ; zwischen ihnen auf dem Boden Vögel. Ausführung und Farbengebung sind geschickt, ob die Malereien dem dritten Jahrhundert oder einer früheren Zeit angehören, ist bei dem Mangel an Vergleichsmaterial für Rom schwer zu sagen, jedenfalls sind sie die ältesten und künstlerisch vollen- detsten des Hauses. Der gänzliche Mangel an Fenstern lässt für diesen Raum wie für das sog. Tablinum Beleuchtung durch Oberlicht notwendig voraussetzen ; mithin kann das Gebäude an dieser Stelle kein oberes Stockwerk gehabt haben. Für andere Teile wird die Existenz eines solchen (in dessen Höhe die jetzige Kirche liegt) verbürgt durch die Erhaltung der Aussenmauer an der Nordseite (Höhe bis 15 m.) und die Spuren alter Treppen. Hinter der Gruppe von Zimmern, welcher a und b angehören, liegen nach dem Hügelrande und den Bögen der Neronischen Wasserleitung zu einige kleine Gemächer, welche der Entdecker als Bäder und Küche bezeichnet. Wasserröhren (?) aus Terracotta sind daselbst gefunden: von einer Fortsetzung der Ausgrabung darf man auch über den Lauf der Aqua Claudia Aufschlüsse erwarten. Die ursprüngliche Anlage ist bisher nicht nur wegen der Unvollständigkeit der Aufdeckung und der Lichtlosigkeit sämtlicher Räume schwer zu erkennen, sondern namentlich weil das antike Haus bereits in frühchristlicher Zeit zu einer Stätte der Verehrung für die Märtyrer Johannes und Paulus umgewandelt wurde. Mancherlei Ein- bauten mit Fresken, die frühesten nach dem Urteil der Herausgeber aus dem Ende des 4*^° oder Anfang des 5'®° Jhdts,, spätere bis ins 12'® Jahrhundert zu datiren , verdanken diesen Aenderungen ihre Entstehung. Erst Fort- setzung der Ausgrabung, zu der hoffentlich die Mittel nicht mangeln werden, wird ein klareres Urteil über die Einzelnheiten der ursprünglichen Anlage ermöglichen.
Beim Bau eines Kanals in der Via Annia auf dem Caelius, unweit SS. Quattro Coronati, ist folgendes für die Stadteinteilung vor Augustus interessante Fragment gefunden :
MAG • HEi
SVFFRAGIO • PAG • PRI-M LVDOS • FECERW
Das Material ist griechischer Marmor, die Schrift gut und wohl der cicero- nischen Zeit angehörig. Zeile 1 wird zu ergänzen sein mag{istri) He[rculani\ ; das sujfragio pag{i) prim[i facti] bringt Mommsen (bei Gatti Bull. com. 1888 p. 326) mit der Wiederherstellung der 690 unterdrückten, 696 durch die lex Clodia wiederhergestellten ludi compitalicii zusammen.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 263
Das Marsfeld.
Nördlicher Teil. Bei einem Neubau in Via dei Banchi recchi unweit des Vicolo del Pavone fanden sich Bleiröhren, darunter eine mit der Aufschrift /acTiONis • prasinae- Der Herausgeber Gatti {Bull. com. 1886 p. 393; 1887 p. 10) bemerkt die Wichtigkeit für die Ansetzung der in der Regionsbeschreibung genannten stabula quattuor factionum und namentlich der prasina, von welcher die Kirche S. Lorenzo in Damaso auch den Bei- namen in prasino führt.
Bei Piazza della Chiesa Nuova sind Reste eines grossen monumentalen Gebäudes 5 m. unter dem jetzigen Strassenplanum aufgedeckt (Not. degli scavi 1887 p. 180; Bull. com. 1887 p. 276. 277). Unter den Fundstücken ver- dienen besondere Aufmerksamkeit zwei Blöcke (Länge 2,50, Durchmesser 0.80) von den pulvini eines grossartigen Altares (im Bull. 1. c. falsch als « Säulen » beschrieben). Die Arbeit, Blattornamente, Mäander, an der Kopf- seite Rosette, ist äusserst fein ; da das Mäanderband, welches die Mitte des Stückes ausmachte, erhalten ist, lässt sich die Gesamtlänge auf 3,40 m. be- rechnen. Eine eingehende Erläuterung des für die Topographie des Marsfeldes wichtigen Monuments ist demnächst von Hrn. Lanciani zu erwarten.
Dass in der Gegend zwischen Chiesa Nuova, Piazza Navona und Piazza Nicosia in antiker Zeit viele Steinmetzwerkstätten lagen, lehren frühere Funde (Flam. Vacca Mem. 32 Schreiber ; P. S. Bartoli Memorie 68-70 bei Fea Miscdl. 1, 239; Ficoroni Mem. n. 100 bei Fea 1, 146; Urlichs Beschr. Roms III, 3 S. 82 ; NotÄzie 1883 p. 14). Die Entdeckung einer grossen Granitsäule unter der Kirche S. Antonio de' Portoghesi melden die No- tizie degli scavi 1889 S. 391. Ich erwähne bei dieser Gelegenheit einer ähnlichen, welche, obwohl zu den grössten in Rom existirenden gehörig, selbst dem fleissigen Sammler Faustino Corsi unbekannt geblieben ist : die Nachweisung verdanke ich Hm. Cav. A. G. Spinelli. Im Keller des Hauses Via del Governo vecchio 99 liegt etwa 4 m. unter dem Niveau der heutigen Strasse ein Granitschaft von 'dem kolossalen Durchmesser von er. 2,30 m. Er ist oifenbar nie zur Verwendung gekommen, hat am einen Ende eine umlaufende 0,06 m. vorspringende Leiste von 0,77 Breite, und an der einen Endfläche (die andere ist gebrochen) noch die Einkerbungen für die Holzbalken des Gerüsts, in welches er zum Zweck des Transportes eingespannt war. Die Gesamtlänge ist nicht sicher zu konstatiren, da die Fundamente des Hauses (das seiner Bauart nach dem 15'*" oder Anfang des lö'^^Jhdt. angehört) quer über die Säule weggehen, und ein Stück sogar noch im Keller des Neben- hauses sichtbar wird : sie war aber nicht geringer als 7 m.
Die von mir in den Mittheilungen des Instituts 1889 p. 41-64 ver- öffentlichtan Berichte von Fr. Valesio und Fr. Bianchini über Ausgrabungen auf Monte Citorio 1703 und 1704 ermöglichen eine genauere Localisirung
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JAHRESBERICHT ÜEBER
der Säule des Antoninus Pius, und bezeugen ferner die Aufdeckung eines bisher gänzlich unbekannt gebliebenen antiken Monuments (um eine quadra- tische Basis von 13 m, Seitenlänge doppelter Mauergürtel, äussere Seiten- länge 30 m.), dessen Beziehungen zu den benachbarten Denkmälern (Säulen des Pius und Marcus) durch Höhenverhältnisse und Orientirung ausser Zweifel steht. Von Bianchini ist es nicht unwahrscheinlich für das ustrinum der Kaiser des Antoninischen Hauses erklärt. Die immer noch auftauchende Vermutung über die Existenz eines Schaugebäudes (Amphitheater des Sta- tilius Taurus nach Piranesi ; stadio delle Equirrie nach Canina) wird damit definitiv beseitigt.
Südlicher Teil. Circus Flaminius, Theater u. s. w. Geringe Ausbeute hat die Niederlegung des Ghetto zwischen dem Fluss und der Porti cus Octaviae gebracht. Die Dedicationsinschrift der letzteren,
if». ÄRA VI ASCL 2. f. Ca/Uj} a Coütii/naAA.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 265
seit dem 14'°"* Jhdt. oft, aber stets mit einer Lücke im Anfang der Zeilen abgeschrieben (C. /. L. VI, 1034) ist vollständig frei gelegt {Notizie degli scavi 1887 p. 448; Bull. com. 1887 p..332}, doch bestätigt das nun zu Tage gekommene lediglich die im Corpus a. a. 0. gegebenen Supplemente. Ueber die zur Sicherung des Freigelegten und zur weiteren Erforschung des Ter- rains in Aussicht genommenen Massregeln berichtet das Bull. com. 1888 p. 132-134.
In via de'Chiavari, gegenüber dem Seiteneingang zur Kirche S. Andrea della Valle, fanden sich 5,50 m. unter dem jetzigen Niveau Reste eines mit Travertin gepflasterten Platzes, südlich davon eine Strasse mit Basaltpflaster. Letztere wird die dem modernen Corso Vittorio Emanuele fast parallel lau- fende sein, welche die Bauten des Agrippa und des Pompeius schied. Daselbst fanden sich Gebälkstücke mit Relief (Opferdarstellung, beschrieben von Visconti Bull. com. 1888 p. 420) ; Fragment eines kolossalen Hoch- reliefs (Barbarenstatue, ;9onä! anassiridi e calzari: Notizie 1888 p. 569); Fragment eines grossen bogenförmigen Architravs (lg. m. 1,48, hoch 0,68). Die Zugehörigkeit des letzteren zum Pompeiustheater oder zum Hekatostylon an dessen auf der Forma Urbis verzeichnete halbkreisförmige Nischen man zunächst denkt, ist zweifelhaft wegen des Fundortes wie des Stiles (s. Vi- sconti Bull. 1888 p. 478); dagegen mag man an einen fast genau an derselben Stelle gemachten Fund erinnern, von dem Flaminio Vacca Mem. 2 erzählt (vgl. Lanciani Ann. 1883 p. 15. J6).
Aus dem Gebiet der pompejanischen Bauten stammt eine Kolossal- statue , gefunden in Via Tata Giovanni [Not. degli scavi 1889 p. 34 ; Bull. com. 1889 p. 93) ; die Reste einer monumentalen Treppe bei S. Carlo a' Catinari {Not. degli scavi 1889 p. 34) ;eine in den Fundamenten des Palastes Santacroce bei S. Carlo a' Catinari verbaut gefundene Basis, welche eine (verlo- rene) Büste des Antinoos als Hermes trug, wie die Inschrift besagt {Not. 1889 p. 17) :
'ASQiuyrj avyodög ae veov d-eov \ 'EQfxdwfa \ arriaa^sv, nl^öfxspoi top | xccXav ^Jvtivoou
Nixiov l^Qvauviog, oy ciQrjTfJQa | &Efxeaftci \
(SSV fidxKQog ßioxrjv TTQsaßvy | vnoa^oueyoy.
Die Zufahrtstrasse zu dem im vorigen Jahre vollendeten Ponte Gari- baldi, Via Arenula, durchschneidet das Gebiet westlich der Bauten des Pora- pejus. Bei Anlage derselben fand sich, kaum 100 m. vom Flussufer, an der Kreuzungsstelle der früheren Strassen V. della Mortella und di S. Bar- tolomeo de' Vaccinari, 8 Meter unter dem modernen Boden {Notizie degli scavi 1888 p. 498; Bull, cornun. 1888 p. 327. 379; 1889 p. 69-72), noch am ursprünglichen Platz auf einem Basament von Travertinblöcken mit der Inschrift macisTKX vici aescleti anni vmi ein M arm oral tar mit fol- genden Weihinschriften :
266
(Vorderseite)
JAHRESBERICHT UEBER LAKj^J- AVGVST,
r-e-S-pVS -C-N/
MAG • viel • ANNI NONI
(Eechte Nebenseite)
(Linke Nebenseite)
P • CLODIVS • p • L>
/S • L • L • SALVIVS
Die Inschrift gehört wahrscheinlich (aber nicht sicher, vgl. Henzen zu C. I. L. VI, 454) ins Jahr 2 n. Chr. Der Name des vicus Aescleti ist neu : die Lokalität hat vielleicht zu thun mit dem von Varro L. L. 5, 152 und
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM
267
Plinius N. H. 16, 37 {Q. Hortensius dictator cum plebs secessüset in lani- culum, legem in Aesculeto tulit, ut quod ea iussisset omnis Quirites teneret) genannten Hain. Der Eeliefschmuck der Ära ist den beiden bekannten im
Vatikan {Sala delle Muse) und in den UflBzien ähnlich, nur dass die auf den genius Caesaris bezüglichen Darstellungen fehlen. Die linke nicht abgebil- dete Seite zeigt einen Lar von entsprechendem Typus, die stark beschädigte Rückseite das Unterteil einer corona lemniscata (i).
Im Zuge derselben Strasse, unweit piazza de' Cenci, sind Reste eines grossen Gebäudes aus Travertin, etwa 5 m. unter dem heutigen Boden, ge-
(}) Technischer Schwierigkeiten halber hat die erste Quader der Fun- damentinschrift nicht herausgehoben werden können, so dass die von Gatti {Bull. com. 1888 p. 330) copirten Buchstaben vor /tri an dem jetzt im kapitolinischen Museum befindlichen Original fehlen. — Am Altar selbst ist der grössere Teil der Bekrönung, in der Vorderseite das Stück links über dem Lictor, rechts über noni in Stack ergänzt.
268 JAHRESBERICHT ÜEBER
funden worden. Zwei Säulen standen noch aufrecht {Not. 1888 p. 135). Andre Reste bedeutender Ziegelbauten bei Via de' Falegnami erwähnen Not. 1888 p. 277.
Die rüstig fortschreitenden Arbeiten der Tiberregulirun g haben mehrere Monumepte von hohem topographischem Wert ans Licht gefördert. Hinter der kleinen Kirche dl S. Biagio della Pagnotta in Via Giulia, 660 Meter nördlich von ponte Sisto, fand man im Sommer 1887, noch an seinem alten Platze, einen Travertincippus mit der Inschrift : Paullus Fabius Persi[cus\ C. Eggius Maruü[us] L. Sergius Paullus C. Obellius Rulfus] L. Scribo- niu[s Libo] curatore\ß riparum] et alv[ei Tiberis] ex auctorit[ate'\ Ti. Claudi Caesaris Aug. Germanicli] principis s.... ripam cippis pos[itis] termina- verunt a tr[ig']ar{io) ad pontem Agrippae. Das trigarium, aus der Regions- beschreibung und der Inschrift C. I. L. VI, 8461 bekannt, wird dadurch nicht näher lokalisirt {}), ausser dass es stromaufwärts gelegen haben muss. (Ueber den Pons Agrippae s. unten S. 285).
Eine 1887 gefundene Inschrift von Bajä, dem Schriftcliarakter nach aus Augustischer Zeit stammend, ist von G. B. De Rossi [Not. 1888 p. 709-714) scharfsinnig ergänzt worden : ^orizcMS tri[umphi] long. effic{it) pe\_d. DLVI}, itum et red{itum) pe[d. MCXII'], pass{us) GGXXII [semis] ; quinquies it[um et red{itum)\ eßcit pa\ssus\ MCXII. Zwei Inschriften, die eine gefun- den vor porta Metrovia (Orelli 660Q), die andere in der Villa Hadriana (C. /. L. XIV, 3695^), sichern die Supplemente und bezeugen die Existenz von porticus triumphales wie in Bajä so auch in der Nähe von Rom. Alle drei sind Nachah- mungen der für die pompa triumphalis im Marsfelde bestimmten, deren Lage zwar durch kein directes Zeugniss gesichert, aber höchst wahrscheinlich in der Nähe des Circus Flaminius und der Villa Publica zu vermuten ist. De Iiossi glaubt, dass ursprünglich ein Teil der Porticus der Saepta oder der Villa Publica triumphalis geheissen habe, dieser Name aber durch die glänzenden Umbauten der späteren Kaiserzeit in Vergessenheit geraten sei (2).
(1) Der von Richter p. 144 (vgl. den Plan von Rom) ausgesprochenen Vermutung, es habe zwischen Ponte S. Angelo und S. Giovanni de'Fiorentini gelegen kann ich mich nicht anschliessen. Dieses Gebiet scheint in der Kaiserzeit von Privatbauten so eingenommen gewesen zu sein dass für einen ronog onov l'nnoL yvfxyä^ovTca schwerlich Raum blieb : in nachaugustischer Zeit durchschnitten es mindestens zwei grosse Strassen, die auf den Pons Aelius und Pons triumphalis zuführenden. Wahrscheinlicher ist die Lage nördlich von Piazza Navona, in Verbindung mit dem Stadium Domitiani und den stabula IUI factionum.
(2) Einen Nachtrag zu obigem Aufsatz giebt De Rossi Bull, comun. 1889 p. 355, wo die von Lanciani Bull, comun. 1885 p. 100 n. 1019 publizierte Inschrift einer unweit Ponte Sisto gefundenen Priapusherme : s~\patia X in ci\r]cuitu effic\i\unt passu[s'] mille pedes [v] angeführt, und zu der aus Villa Hadriana (welche nur auf einer Abschrift Ficoroni's steht) folgende Ergänzung Bortolotti's mitgeteilt wird: porticlus triumphi?^ circuitum, hab\et^ ped. MCCCCL; hoc niießcit] passius) MMXX(X].
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 269
Die Seite rechts von ViaFlaminia. Das templum Solis Aureliaui localisirt Urlichs (Mittheilungen des Instituts 1888 p. 38) überzeu- gend in der Gegend von S. Silvestro in Capite. Abgesehen von den Berichten über Säulen- und Mauerfunde in dieser Gegend beweist dafür die Inschrift C. I. L. VI, 1785 (Tarif über Transport u. s. w, der Weine vom Tiberhafen ad templum, gefunden 1787 unter dem Kloster von S. Silvestro in Capite) in Verbindung mjt der Notiz Vita Aureliani c. 48: in porticibus templi Solis fiscalia vina ponuntur.
Bei den Erweiterungsarbeiten für Palazzo Sciarra sind vier wohlerhal- tene Bögen der A q u a Virgo (Tuif mit Schlusssteinen und Gesims in Tra- vertin) gefunden worden, welche die Vermutung Lancianis über den Lauf der Leitung in ihrem letzten Teil [Bull. com,. 1881, p. 21) bestätigen : nicht rechtwinkelig auf den Corso, sondern mit geringer Ausbiegung nach Nordost (}). Bei Publication dieses Fundes {Bull. com. 1888 p. 61-67) weist Gatti darauf hin, dass die bisher in den Worten Frontins {aq. 1, 20: arcus Virginis initium habent sub hortis Luculianis, finiuntur in Campo Marlio secundum frontem Septorum; und 1, 10: opere arcuato passuum septingentorum) gesuchte Schwierigkeit in der That nicht existirt. Man hat finiuntur in Campo Martio secundum frontem Septorum nicht zu übersetzen : « sie endigen neben der Front der Septa, » sondern « sie endigen, längs der Front der Septa entlang gehend, im Campus Martius. n Letzterer ist der durch cippi eingegrenzte Campus minor (C. I. L. VI, 874 ; Lanciani in Bull. com. 1883 p. 11). Die Leitung der Aqua Virgo endigte etwa in der Gegend von Palazzo Serlupi ; so wird auch die Angabe Frontins über die 700 passus betragende Länge der Bogenreihe gerechtfertigt.
Collis hortorum.
Die seit 1808 geschlossene Porta Pinciana (2) ist im vergangenen Jahre aufs Neue geöffnet. Dabei ist constatirt, dass für den Belisarischen Bau derselben, wie von Porta Flarainia und Porta Salaria längst bekannt
(1) Die ungefähr an derselben Stelle 1885 zu Tage gekommenen Eeste (Zicgelmauern, Porticus mit Cipollinsäulen) gehörten keineswegs einem mo- numentalen Gebäude aus früher Kaiserzeit, wie Richter Top. p. 149 aus dem Berichte Not. degli scavi 1885 p. 70. 250 zu folgern scheint, sondern einem späten Privathaus an. Borsaris Widerspruch (Mitteil. d. Instituts 1886 p. 61) gegen die von Manzi geäusserte ganz haltlose Vermutung (Castell der Aqua Virgo) kann ich mich als Augenzeuge der damaligen Ausgrabung durchaus anschliesseu.
(2) Den Namen Pincius bezeichnet Eichter Top. S. 151 als unerklärt : m. Er. ist die schon von früheren aufgestellte Ableitung von der Gens Pincia zweifellos richtig. Allerdings kommt das Gentilicium nur einmal in einer Inschrift aus dem Jahre 395 n. Chr. (VI, 1754 : Aniciae Faltoniae Probae Amnios Pincios Aniciosque decoranti etc.) vor ; aber es scheint bisher über- sehen, dass der Pincio im 4'«" Jhdt. im Besitz des Gemahles der Anicia Faltonia,
18
270 JAHRESBERICHT ÜEBER
war, ältere Gräber Material hatten beisteuern müssen. Die Schwelle war ge- bildet durch ein Grabepistyl aus Travertin mit der Inschrift erotidJj in grossen und schönen Buchstaben {Not. 1888 p. 60; Bull. com. 1888 p. 41).
Unweit des Thores, nördlich vom Casino deWAurora der ehemaligen Villa Ludovisi (Via Lombardia) ist eine Reihe von Ziegelpilastern mit Be- krönung von Travertin gefunden worden {Not. 1888 p. 729), vielleicht einer auf das Thor zuführenden Porticus angehörend (Richter Top. 151) : doch ist letzteres nicht sicher.
Gleichfalls aus der Nähe von Porta Pinciana stammt eine Votivinschrift (Not. degli scavi 1887 p. 275 ; Bull. com. 1887 p. 223) : numini domius) Aug{ustae) | T. Marius Processus | signum Bei Silvan\i'\ | ... (zwei aus- radirte Zeilen) ... | aedem ipsius marlmoratam a solo su a pecunia fecit [e]t I templum marmoris (sie) | stravit idemq{ue) dedic[avit). Der Herausgeber nimmt templum als den weiteren {tutta Vq.rea destinata a luogo sacro), aedes als den engeren Begriff. Die Ausführungen Jordans (Hermes XIV, p. 571 ff.) über den Sprachgebrauch aedes, aedicula u. s. w. sind dabei nicht berücksichtigt : unter den von J. angeführten Inschriften berührt sich mit der neugefundenen besonders nahe die der cultores Silvani von Philippi [CLL. III, 633), in welcher zuerst, unter mehreren bedeutenden Spenden, tegulae GGGC tectae ad templum tegendum (dies der grössere Bau), und dann die statua aerea Silvani cum aede (das ist also die kleinere Kapelle im Inneren) verzeichnet werden. Auch in der städtischen Inschrift wird also wohl aedes marmorata nur die Nische für das Götterbild sein. — Dass zahlreiche Funde im Gebiet der Villa Ludovisi {G. I. L. 583. 640 ; Bull. com. 1887 p. 223. 224; 1888 p. 402; Not. degli scavi 1888 p. 267) ein dort befindliches Heiligtum des Silvan bezeugen , hat Gatti {Bull. 1888 p. 402) richtig- bemerkt.
Der Aufsatz Lanciani's 'la Venus hortorum Sallust ianorum' {Bull.
com. 1888 S. 3-11), geht aus von der Memoria 58 des Flaminio Vacca, in welcher der Fund eines Rundgebändes mit prächtigem Marmorschmuck in der Vigna des Ga- briele Vacca bei Porta Salara erzählt wird. Nicht bekannt war bisher, da^ s von demselben Gebäude ein Plan im Vaticanus 3439 enthalten ist, der, von Pan- vinius Hand mit erläuternder Beischrift versehen, die Angaben Vaccas teils bestätigt teils ergänzt. Die Combination ist höchst ansprechend und interessant ; dagegen kann ich mich den weiteren von Lanciani gezogenen Folgerungen
des Petronius Probus, gewesen ist (Inschr. G. I. L. VI, 1751, gefunden bei Trinitä dei Monti). Es mag ihm das Palatium Pincianum von seiner Gattin als Erbin der Pincii zugebracht sein.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 271
nicht anschliessen (i). Er erklärt nämlich das Gebäude für den Tempel der Venus in hortis Sallustianis, welcher mit dem der Venus Erycina ad portam ColUnam identisch sein soll: eine Annahme, welche bei genauerer Prüfung des Grundrisses unzulässig scheint.
Lanciani nennt hier wie in früheren Arbeiten die architektonischen Zeichnungen des Vat. 3439 disegni del Ligorio posiülati dal Panvinio. Dies ist nicht richtig , der Codex enthält, soweit er sich auf römische Baureste bezieht, überhanpt keine Ligorianischen Autographen, und ist zum grössten Teil nur ein von Panvinius für seinen Privatgebrauch geraachter Auszug aus noch ex'istirenden Büchern des Ligorius, daher mit wenigen Aus- nahmen ohne selbständigen Wert. Die Grabgrundrisse finden ihre Vorlagen im 49'*° Buche des Neapolitanus, die Tempelzeichnungen teils im Bodleianus (vgl. Ann. delVInst. 1884 p. 327), teils, und dies ist der Fall für die Venus hortorum Sallustianorum, im Parisinus {fonds St. Germain 86) : eine Ab- schrift des bezüglichen Passus verdanke ich Hrn. Prof. W. Klein. Es heisst in dieser Hschr. fol. 309 :
In una testa della piazza o vogliamo dire foro Sallustiano (^j fu un tempio di cinquanta dui piedi diametro con tutto il perittero o circuitioni di colonne. Le quali erano di dui piedi grosse, del marmo caristio giallo svenate di alcune macchie rosse . erano striate . il portico era di vano sei piedi, i muri dentro del tempio erano grossi tre piedi senza la parastate a incontro delle colonne, che sportavano infuori un quarto di palmo. Le spire delle colonne cioh basi non hanno il plinto o vogliamo dire socco, erano alte impiede senza intagli, deWordine composito cioi (?) i capitelli i quali erano alti dui piedi un quarto, i fusti delle colonne piedi deciotto manco vn quarto di piede. I nichi di fori erano larghi tre piedi e mezzo, quelli di dentro al tempio piedi due e mezzo. Questi erano ornate di co- lonnette picciole picciole, due terzi di piede, del marmo alabastrino che posavano sopra a certi modelleti [che] ornavano essi nicchi, de' quali non havemo demostrate altezza alcuna,per esser stati giärovinati per gli tempi
(1) Ebenso scheint mir die von L. versuchte Beziehung von Bartoli Mem. 33 auf denselben Fund durch die Verschiedenheit von Zeit und Ort ausgeschlossen.
(2) zur topographischen Fixirung diene folgender Passus aus Ligorius Taur. 15 = Ottobon. 3374 p. 265 : Forvm salvstii era una piazza nel fondo dein Horti Salustiani, opera giä di Salustio Grispo incominciata, ma per essere luogo hello, et uario fu dalli imperatori sempre mantenuto, et ornato, et haueano gV horti attorno per portico un deambulatorio di mille colonne, come scriue Philone. Vi furono templi, bagni, et alberghi uarij, et innumerabili statue, et la cui uarietä hauemo dissegnata et rappresentata nella Roma stampata (die Eßgies Romae des L. setzt das forum Sallustii in dieVl'halsenkung, welche spätere Topographen Circo di Flora zu nennen
pflegen) oue sono hoggidl motte uigne, trä le quali i quella delli
uenerandi Padri di S. Saluatore del lav.ro, la vigna del vescouo Mutti, quella delvescouo di Pauia, del vescouo Colotio, et di Francesco SiliUa, et di uenti altri padroni. .
272 JAHRESBERICHT ÜEBER
passati, e quel che era rimasto sotto delle rovine ci ha insegnato la forma di quanto ho scritto c demostrato in questa pianta circolare. Era di dentro e di fuori incrostato con tavole sottili di alabastro, di porphidi, serpentini ei altri niarmi , come anche era fatto il suo (?) piano del pavimento suo di fuori e di dentro del tempio, in cui s'ascendeva per se (') gradi que (?) attorno tutto il circuivano. Certamente opera picciola, ma di grandissima
spesa et di vaghezza mirabile L'architravi e le cornici sue tutte per altri
tempi ftirono portati via. Fu trovata una inscrizione che diceva veneri •
HORTORVM • SALLVSTIANORVM • C • SALLVSTIVS • DVRDVS • AEDITVVS ■ D • D
e furono gli horti prima fatti da Sallustio che scrisse le cose di Catilina, e dopo dalla fameglia mantenuti et nobilitati dalV imperatori (2).
Es folgen ein Plan , dem von Lanciani publizierten (3) entsprechend ; eingetragen sind folgende Masse : piedi XXX il vano del tempio; zwischen der äusseren Säulenstellung und der Cellawand piedi 6 ; als Intercolumnium piedi 8 ; als Masse der Nische 3 */2 und 2 V2 . Ferner Zeichnung von Säulen und Gebälk.
Auf Grund dieser Angaben ist beifolgende Skizze nach metrischem Masse aufgetragen (*) : sie lässt keinen Zweifel, dass wir es nicht mit einem ve<ag ahöXoyog sondern mit einem kostbar ausgestatteten Pavillon der Sallustischen Gärten zu thun haben. Wahrscheinlich war er in Verbindung mit Wasser-
(1) So in der mir übersandten Abschrift ; im Original wahrscheinlich tre. ■ (2) Der Vollständigkeit halber mag auch noch die das templum Veneris hortorum Sallustianorum betreffende Stelle aus Taur. vol. 15 Platz finden, obwohl die Zuverlässigkeit dieser späteren Eecension gering scheint : fu ancora esso picciolo tempio, ma ornatissimo, tutto del marmo pario con colonne striate bianchissime, deWordine Corintio, di forma rotonaa con peryptero attorno, cioi circondato di portico, come havemo posto nei disegni degli Horti Sal- lustiali, lo quäle era in un poggio soprastante al foro Sallustiano, incirca della valle verso V Oriente, dove appunto havemo veduto cavare delle sue rovine pretiosissime, et d'ammirabile diligentia lavorate, et quivi incirca fu trovata questa dedicatione, la quäle hebbe Mr. Angelo Uolotio (C. VI n. 122).
(3) 'Auf dem Holzschnitt Bull. com. a. a. 0. S. 4 ist aus Vat. 3439 nach- zutragen das Mass zwischen Säulen und Cellawand p{iedi) 6; statt des unver- ständlichen L*^ PALMi zu berichtigen d"' palmi. Die von Lanciani nur zum Teil entzifferten, freilich auch schwer lesbaren Beischriften des Panvinius (welche ich wiederhole um das Verhältnis zwischen Original und Excerpt deutlich zu machen) besagen : T{emplum) Veneris Salustianae in capite fori Sallustii. Columnae e marmore caristio hialo, svenate di alcune macchie rosse, striate ; spirae basium sine plinto vel zoccolo alte p. 1, sine intalio, ordo co{m)positus, capitula alta p. 2 et un 4.^° Columnae p. 18 minus 4." pedis. Columellae (ein Stern auf der Zeichnung beweist, dass P. damit die inneren meint) e marmore alabastrico: incrustata tabulis alabastrinis porphyrcticis serpentinis. Etiam solum . a pavimento ascensus tribus gradibus circum circa.
(■*) Lanciani scheint das gar nicht versucht zu haben, es wären ihm sonst die Wiedersprüche in Panvinius Massangaben, besonders das unmögliche vano del tempio piedi 20 (eine Tempelcella von 6 m. Durchmesser!) auf- gefallen.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM
273
künsten, wenn nicht überhaupt eine Badeaulage, worauf trotz Lanciaui's Widerspruch die von Vacca erwähnten marmorgetäfelten Gänge und Leitungs- röhren am ehesten führen. Ich verweise z, B. auf die Aehnlichkeit mit dem
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als lavacrum bezeichneten Grundriss forma U. R. fr. 59 lord., welcher vier Eingänge und Stufen im Inneren hat, gerade wie Vacca von unserem Gebäude zagt : detto ovato aveva quatlro scale che scendevano in esso al pavimento fatto di mischio. Uebrigens melden die Notizie degli scavi 1888 p. 497 den Fund vortrefflicher Marmorfriese, die ihrer Decoration nach für ein Nympheum der Sallustischen Gärten wohl passen würden, an der Ecke von Via Buoncom- pagni und via Quintino Sella, also gerade im Bereich der Vigna Vacca. — Für die Gestaltung des Inneren hat Ligorio wahrscheinlich seine Phantasie walten lassen, und wie häufig, durch Zuthat von Nischen und Säulchen den Grundriss zu beleben gesucht (vgl. Lanciani bei Henzen Scavi nel bosco degli Arvali p. 105. 106).
Der von Lanciani am Schluss seines Artikels versprochenen Behandlung einer Eeihe von topographischen Fragen sehen wir mit Interesse entgegen, ohne auf das Einzelne vorläufig einzugehen. Nur mag bemerkt werden dass
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JAHRESBERICHT UEBER
die Ansetzung des Monumentum libertorum Q. Sallustii [C I. L. VI p. 1100- 1102) in der Nähe der porta Salaria trotz des Fundes zweier Grabschriften von Freigelassenen der ens Sallustia nicht mehr ist als eine recht unsichere Vermutung.
Quirinal.
Beim Bau des Teatro drammatico in Via Nazionale, hinter Pal. Colonna sind Bleiröhren mit der Inschrift dec sacerdotivm videntalivm gefunden. Diese bidentales sind, wie Gatti Bull. com. 1887 p. 8 ff (vgl. Not. degli scavi 1887 p. 15) ricthig bemerkt, eine in dem alten Heiligtume des Serao Sancus auf dem Collis Mucialis fungirende Priesterschaft, welche auch vorkommen auf einer im 16'^"» Jahrhundert ganz in der Nähe, im Garten der Kirche S. Silveslro, gefundenen Dedication an den Sancus (C /. //. VI, 568). Möglicherweise gehören dem Unterbau des Tempels die 1878 fra il casino Rospigliosi deW Aurora e la porta dHngresso delle stalle del Bernini aufgedeckten Beste eines Guss- werkkernes an, der Not. 1878 p. 92 (vgl. auch 1879 p. 39) irrtümlich als
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tempio del Sole (s. oben p. 269) bezeichnet wurde. Jedenfalls passen Lage und Dimensionen dieser Reste besser auf das Heiligtum des Sancus, als die von Lanciani [Bull, comun. 1880 p. 5) vermutungsweise auf die aedes Sanci bezogenen Bauten unter dem Refectoriura von S. Silvestro (drei Fundamente, das grösste 6X12 m., wohl eher Basen oder Altäre als Tempelchen). — In unmittelbarer Nähe des Heiligtums lag bekanntlich die Porta Sanqualis : von ihr herab auf das Marsfeld führte eine Strasse, deren oberer Lauf durch das zuletzt von Lanciani {Bull, munic. 1876 p. 126) beschriebene aus republika-
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 275
nischer Zeit stammende Grab der Sempronii bestimmt wird. Die Lage des Grabes ist auf unserer Skizze nach freundlicher Mitteilung Lanciani's ange- geben (1). Auf diese Weise ist die Lage der Porta selbst bis auf einen Spielraum von wenigen Metern bestimmt.
Auf der entgegengesetzten Seite der Via Nazionale, zwischen der Strasse und der kleinen Kirche S. Maria del Carmine sind unter anderen antiken Resten auch mehrere Travertinsäulen in situ gefunden. Gatti {Bull, comun. 1889 p. 84) erinnert an die 10 Jahre früher an der anderen Sirassenseite ausgegrabenen [Not. degli scavi 1879 p. 14. 39). Damals fanden sich in be- deutender Tiefe dorische Säulen von Travertin und Peperin ; wenn diese wirk- lich ihrer Grösse und ihrem Stil nach einem Monumentalbau aus republika- nischer Zeit angehört haben — ich habe sie nicht gesehen — , so könnte man sie vielleicht der porticus ab porta Fontinali ad Afartis aram zuweisen, welche in der für Eoms Baugeschichte so wichtigen Aedilität des Aemilius Lepidus und Aemilius Paulus (193 v. Chr.) aufgeführt wurde. Mit dieser Porticus können jedoch die neu gefundenen Baureste nichts zu thun haben, tragen vielmehr den Charakter der Kaiserzeit.
Beim Bau eines der Amministrazione della R. Casa gehörigen Hauses in via Venti Settembre, südwestlich von der Rundkirche S. Andrea in Quirinale fand man etwa 3 m. unter dem Strassenplanum einen mit Travertin gepflaster- ten Platz; in der Mitte erhebt sich, umgeben von grossen pyramidal auslaufenden cippi aus Travertin, der Kern eines grossen Altares aus dem gleichen Material, dessen Marmorbekleidung grossentheils zerstört ist. Das Monument, zunächst für die Ära Quirini {Bull, comun. 1888 p. 300), dann für eine ara compita- licia {Not. 1888 p. 493) erklärt, ist neuerdings von Lanciani {Rendiconti del- Vaccademia dei Lincei 1889 p. 264) durch die überzeugende Corabination mit der an gleicher Stelle im 17*^" Jahrhundert gefundenen Inschrift C. I. L. VI^ 826 (cf. add. p. 839) als einer der zum Andenken an den Neroni- schen Brand errichteten Altäre, bei welchen an den Volca- nalien ein Sühnofer gebracht wurde, 6rka,nnt worden. Eine Publikation des Fundes ist demnächst von Lanciani zu erwarten. (2).
Auf demselben Terrain, etwas weiter östlich, fanden sich grosse Traver- tinpfeiler, welche zum Teil noch die rot aufgemalte Steinbruchsmarke 11 ( einmal /R ) in fast meterhohen Buchstaben trugen. Dieser Marke ist zweimal das Datum ///. K . Afr . (in Ligatur), einmal der Name totil in fast cursiver Schrift hinzugefügt ; letz terer weist in die Periode der Gothenherrschaft im 6'«° Jhdt. n. Chr. {Not. degli scavi 1888 p. 187 ; Bull, cbmun. 1888 p. 108).
(1) Im Text des Bull. ist. a. a. 0. statt : nelVangolo sud-est del cortile deito di S. Feiice zu lesen nelVangolo nord-est.
(2) Dieselbe ist inzwischen im 7. Heft des Bull. Comunale 1889 p. 331- 339 erfolgt.
276 JAHRESBERICHT UEBER
Etwas weiter südlich, neben der Kirche S. Vitale und dem Kunstaus- stellungspalast, sind zahlreiche Reste von Privatgebäuden aus früherer Kaiser- zeit, und darin allerlei kloine Kunstwerke und Hausgeräte gefunden worden. Eine Bleiröhre nennt den Namen der Besitzerin aemilia pavlina asiatice. Spuren der Zerstörung durch Brand sind mehrfach constatirt {Not. 1887 p. 275. 321. 374. 400. 446. 1888 p. 225. 275. 390; Bull, comun. 1887 p. 222. 253. 283. 320. 329. 1888 p. 173).
Bei Niederreissung einer modernen Mauer im Garten des Kapuziner- klosters S. M. della Concezione (i) ist, unter anderen antiken Fragmenten, folgende Inschrift verbaut gefunden worden {Not. degli scavi 1887 p. 321 ; Bull, comun. 1887 p. 251):
OIWANVM . COGNATVM - AMICVM- SOCIv\ lAEI • BENEFICIQVE - ERGA - LVCIOS - IN - COM\\
Das Material ist Travertin (nicht wie Bull, comun. 1. c. angegeben wird, Marmor), Länge m. 0.62 (beiderseits Stossfläche), Höhe 0.16, wovon 0.12 auf die O.Ol vorspringende Randleiste kommen, welche die Inschrift trägt. Es gehört, wie Gatti a. a. 0. richtig auseinandergesetzt hat, der auf dem Capitolium vetus aufgestellten zweiten Reihe von Weihgeschenken kleinasiati- scher Gemeinden nach dem Mithridatischen Krieg an, von deren kapitoli- nischer Serie oben (S. 252) die Rede war. Die Inschrift entspricht etwa der n. 5 der kapitolinischen Serie. Die Ergänzung von Z. 2 Anfang macht Schwie- rigkeiten, da aller Wahrscheinlichkeit nach ein Steinmetzfehler vorliegt. Doch
empfiehlt sich die nächstliegende Ergänzung populum R\omanum cognatum
amicum sociu\m honoris causa erga se et benevolent]iae beneficique erga Lucios in comu[ne immer noch am meisten. Die beiden bisher bekannten derselben Serie, gefunden 1637 unter Palazzo Barberini, jetzt im Vatikan, siehe C. I. L. VI, 373 (Weihung der Ephesier) und 374 (Block von 0,75X0,55, Weihung der Laodicener). Beide haben die charakteristische 0.12 m. hohe Leiste am oberen Rande ; die auf dem zweiten links neben dem griechischen Text sicht- baren Buchstabenreste S | N | N können nicht als Schluss der letzten Zeilen des kapitolinischen Fragments 2,c betrachtet werden (s. o. S. 253), eben- sowenig als Rest einer älteren radirten Inschrift. Eigentümlich ist, dass sie (wie auch auf Ritschis Tafel P. L. M. LXXII. B angedeutet und wie ich bei einer mit der Leiter angestellten Untersuchung verificiren konnte) auf einer etwas erhöhten und umrandeten Fläche stehen, wofür ich keine Erklärung weiss.
Von den älteren Bauten, welche Diocletian bei Anlage seiner Thermen {coemptis aedificiis pro tanti operis magnitudine: C. I. L. VI, 1130) demolirte, haben sich zu verschiedenen Zeiten ansehnliche Reste gefunden : so auch 1888 bei Anlage der neuen Fontäne auf Piazza Termini, gegenüber
(') Nicht wie Zeitschr. für Numismatik XV S. 211 angegeben ist, als Schwelle verbaut im Palast Ludovisi.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 277
der Kirche S. Maria degli Angeli in der Axe der Via Nazionale {Not. 1888 p. 60; Bull, comun. 1888 p. ?jQ). — Die Niederreissung des Hauptpalastes der ehemaligen Villa Massirao an Piazza Termini hat zur Aufdeckung einer der grossen Nischen der Umfassungsmauer der Thermen geführt {Not. 1888 p. 627 ; Bull, comun. 1888 p. 414) ; dass dieselbe einen Hauptteil der Fun- damente des 1580 von Domenico Fontana erbauten Palastes bildete, war u. A. schon aus NoUi's Plan (1748) ersichtlich.
Aus dem Gebiete der Castra praetoria kommen einige epigra- phische Funde : eine sehr verstümmelte grosse Ehreninschrift, vielleicht an Severus und Caracalla {Not. 1888 p. 188 ; Bull, comun. 1888 p. 109) ; ein der Dea Fortuna Restitutrix geweihter Altar, dessen Inschrift schon im Altertum zum Teil getilgt war ; ferner Eeste des Mosaiks eines Atrium, in der Nord- westecke des Lagers {Not. 1888 a. a. 0.). Gleichfalls aus dem Prätorianerlager stammt ein Inschriftenfragment, welches Gatti im Pflaster des Umgangs der Kirche S. Vitale auf dem "Quirinal gefunden und durch glückliche Conjectur mit einem seit über 100 Jahren im Vatikan befindlichen {C. I. L. VI, 16) wie folgt vereinigt hat {Bull, comun. 1888 p. 140) :
NVJWINI SANCTI DEI \AESC
V i\ap
S1^DRINAE REG • PHJIL I PP O PO L I Ua NAE • AVR • MVCIANvfs • SACERDOS • MI ^ l COH • X PR • P • V • G^iRDIANAE J S^ v\e 5 rVS • VOTVM QVODfsVSCEPERAT LIBEN S SOLVIT • CVM CIVI BVS • ET COMMIL iTONIBVS • SVIS • vi- IDVS MAI • IMP • G OZ-DIANO • AVG/U -ETPOMPE i A N c/ • C O S
Der Herausgeber bringt auch mit Recht die in Z. 1. 2 genannte Gottheit zusammen mit dem Asclepius Zimidrenus der Inschrift C I. L. VI, 2799 (vom J. 227 n. Chr.), unter dessen Verehrern sich auch ein Prätorianer der 10*«° Co- horte M. Aarelius Mucianus civis PhiUppopolitanus findet. In Zeile 4 hatte der Steinmetz zuerst geschrieben gordiae r SVV, dann corrigirt in gordianae • 7 SEV , dagegen das falsche vs für i im Anfang von Z. 5 stehen lassen.
Ausserhalb der Mauern nicht weit von der Nordostecke des Prätoria- nerlagers, fanden sich Reste umfangreicher und glänzender Privatbauten aus früher Kaiserzeit, darunter besonders zwei Säle mit wohlerhaltenem Marmor- fussboden. {Not. 1888 p. 735; Bull, comun. 1889 p. 89). Die Fortsetzung der Erdarbeiten für die grosse dort zu erbauende Poliklinik wird voraussichtlich weitere Funde zu Tage fördern.
278
JAHRESBERICHT UEBER
Esquilin.
Nur kurz Erwähnung gethan sei der Funde archaischer Gräber in Via dello Statute, Via S. Martino, Piazza Vittorio Emanuele (i), welche den städtischen Sammlungen Zuwachs an den üblichen namentlich bronze- nen Grabgeräten, jedoch ohne hervorragende einzelne Stücke, gebracht haben. Für die wichtigen Anfang 1887 gemachten Funde von Votiv-Terracotten zwi- schen den Titusthermen und Via Merulana , welche die Localisirung des be- rühmten Tempels der Minerva Medica ermöglichen {Not. 1887 p. 179. 446; 1888 p. 133; Bull, comun. 1887 p. 151. 327; 1888 p. 125 fF. 699), wie für die ebendort gefundene Weihinschrift der magistri et flamines Montan{orum) montis Oppi (2) {Not. 1887 p. 177; ßull. comun. 1887 p. 156) kann auf Richters Referat (Topogr. p. 184) verwiesen werden.
(1) Notizie 1887 p. 372. 373. 534. 1888 p. 59. 132. 699 ; Bull, comun. 1887 p. 278. 328.
(2) Ich bemerke nur, dass das Original des Steines bestätigt, was das Facsimile {Bull, comun. 1887 tav. VIII) vermuten lässt, das nämlich der Schriftcharakter keineswegs ein besonders altertümlicher ist : ständen nicht innere Gründe im Wege, so würde man geneigt sein, unter die von Mommsen St. R. HI, 1 p. Vni vermutungsweise gegebene Ansetzung auf ciceronische Zeit um ein halbes Jahrhundert herunter zu gehen.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 279
Im Gebiet der Villa Wolkonsky sind bei Durchlegung einer neuen Strasse östlich von Via Emanuele Filiberto, etwa 100 m. nördlich vom Aquaeduct der Aqua Claudia antike Gräber aus dem Beginn der Kai- serzeit, an der zum Teil mit ihrem Pflaster wohl erhaltenen Via L a b i- cana {Not. degli scavi 1888 S, 624. 679; 1889 p. 12) gefunden. Eins der- selben, aus Tuffquadern erbaut, im Inneren 2,65 m. im Quadrat messend, zeigte noch Reste seiner Decoration : die Thür mit 0.65 weiter Oeffnung hatte zwei Pfosten aus Travertin von 40X40 cm. ; das Thürgewände (einfach profilirle Leiste), der Sturz (mit Ohren) bewahrten ihren Ueberzug mit feinem weissem Stuck, auf welchen zwei hellrote und eine gelbe Linie dem Laufe der Profile fjlgten. Die Wand dem Eingang gegenüber hatte auf weissem Stuck sehr verloschene Malereien : einen Mittelbau mit Giebel, daneben r. u. 1. in halber Höhe zwei rechteckige Felder mit Delphinen. Ein anderer Grab aus grossen Tuffblöcken, zeigte dorische Architektur, Thürpfosten und Oberschwelle aus Tra- vertin, letztere mit der Inschrift in • fronte • p • xxvm • in • agro • p • xx {N'ot. 1888 p. 624, von mir nur zum Teil gesehen). Die Gräber haben wegen ihrer tiefen Lage, mehr als 5 m. unter dem Niveau der Villa Wolkonsky , wie- der verschüttet werden müssen. Unter den gefundenen Inschriften bietet topo graphisches Interesse die eines 1/. Octavius M. l. Attalus centonar(ius) a turre Mamilia. Der Mamilierturm in der Subura war bisher nur aus der berühmten Stelle des Festus (p. 178) über die Opferung des Oktoberrosses bekannt. — lieber die Reste einer sehr alten hier gefundenen Wasserleitung 8. 0. S. 235.
Zu den früher in der Gegend der Scala Santa gefundenen Denkmälern der e qui t e s s in g ul ar e s, durch welche die Lage der Kaserne dieser Truppe flxirt wird, tritt folgendes neue, aus der früheren Villa Giustiniani bei Via Merulana {Ä''ot. 1889 p. 66; Bull comun. 1889 p. 145): pro salute \ eq. sing. I genio turmes | Herculi sancto \ Aur. Hermogenes \ et {V'\ibius Sali- nus I et Aur. Maximianus \ tec[t]ores n. s. s. f. \ Maximi ex votum | tu[r]- malibus bene \ mer[e]ntes animo | animo (sie) pleno \ posuerunt \ columna et | lucerna aenea \ Decio Aug. \ II et Grato cos. Z. 8. 9 liest der Herausgeber Gatti tec[t]ores n{umeri) s{upra) s{cripti) lt]iurma) Maximi, und macht auf den befremdlichen Umstamd aufmerksam, dass tectores als militärische Charge bisher in ächten Inschriften nicht nachzuweisen waren, wohl aber in mehreren Ligorianischen Fälschungen {C. I. L. VI, 688*. 1788*. X, 73*; XIV, 104*) vorkommen. Es ist wohl möglich, dass Ligorius zu diesen Erfindungen durch eine ihm bekannte, jetzt nicht mehr nachzuweisende Inschrift veranlasst wurde.
Das Isis-Heiligtum, welches der dritten augustischen Region den Namen gegeben hat Q), ist schon von Frühern unweit der Kirche SS. Pietro
(^) Parisotti ricerche sul cullo cflside e Serapide in Roma (studj e documenti di storia e diritto 1888 p. 43-55) geht auf die topographischen Fr.igen nicht näher ein.
280 JAHRESBERICHT ÜEBER
e Marcellino gesucht worden; eine neue Stütze erhält diese Ansicht durch Statuen- und Inschriftenfunde. Beim Abreissen einer fast ganz aus antiken Marmorbruchstücken gebauten mittelalterlichen Mauer zwischen den Titus- thermen und der genannten Kirche, etwa 200 m. von letzterer, fand man zahl- reiche Fragmente, welche nach Stil und Darstellung aus dem Isis-Heiligtume stammen müssen, darunter nicht weniger als vier Isisköpfe und einen Sera- piskopf [Not. 1887 p. 140; C. L. Visconti Bull, comun. 1887 p. 132 ff.). Die meisten Fragmente, z. Z. im sogen. Auditorio di Me:enate aufbewahrt, er- warten noch ihre Zusammensetzung. — Aus derselben Gegend kommt eine Weihinschrift, gefunden beim Anlegen der Kloake der neuen Via Labicana : hidi Lydiae \ educatrici \ valvas cum \ Anubi et ara \ Mucianus Aug \ üb.» proc. {Not. 1888 p. 626 ; Bull. 1889 p. 37. 38).
Beste eines grossen Gebäudes, u. A. eine grosse Treppe mit Marmor- stufen in 2 Läufen, fand man bei Fortsetzung der Via Galilei westlich von Via Merulana {Not. 1888 p. 222).
Der im 16**" Jahrhundert neben S. Lucia in Selci erhaltene, von Pal- ladio im Grundriss aufgenommene, jetzt fast verschwundene Euinencomplex , den die neueren Topographen als Trajansthermen bezeichnen ist, wie ich in der Sitzung des Instituts vom 25*®"^ Januar 1889 dargethan habe, vielmehr PorticusLiviae zu benennen (s. o. S. 78. 79). Die a. a. 0. erwähnten Grundrisse der esquilinischen Thermen aus der Sammlung Destailleur hoffe ich bald an anderer Stelle zu publizieren ; über die Consequenzen für Orien- tirung der Forma Urbis Romae s. o. S. 229.
In via S. Martine ai Monti, ungefähr gegenüber der Apsis der Kirche, wurde bei der Fundamentirung eines Hauses etwa, 3 m. unter dem modernen Strassenplanum ein wohlerhaltenes Compitalsacellum aufgefunden {Not. 1888 p. 224. 225 ; Bull: 1888 p. 149). Gatti, welcher über den Fund ausführlich Bull. 1888 p. 221-239 gehandelt hat, unterscheidet zwei Bau- schichten : zu der jüngeren aus augustischer Zeit gehört eine Marmorbasis mit der Inschrift : Imp. Caes[ar\ Divi f. August{us) \ pontif. maccimus cos. XI \ tribunicia potest. XIIII | ex stipe quam populus Romanus \ k. lanuariis apsenti ei contulit \ lullo Antonio (i) Africano Fabio cos. \ Mercurio sacrum. Die Inschrift reiht sich den früher auf dem Forum gefundenen G. I. Z. VI, 456-458 an : betreffs der Weihung an Mercur erinnert der Herausgeber mit Recht an den vicus sobrius auf dem Esquilin, in welchem dieser Gott verehrt wurde (Festus. p. 397 ; C. I. L. VI, 9714). Die Basis stand wie es scheint unter freiem Himmel : Säulen und Gebälkreste, die in der Nähe gefunden sind, ge-
(ij Ueber diese für die Horazüberlieferung nicht unwichtige Constatirung der wahren Namensform des Sohnes des Triumvirn vgl. meine Bemerkungen in der Berl. philol. Wochenschrift 1888 p. 667 ; Mommsen Hermes 1888 p. 155; Bücheier Rhein. Museum 1889 p. 317-319.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 281
hören zu benachbarten Privatgebäuden. Die Basis ruht auf einem ehemals mit Marmor verkleideten Unterbau aus grossen TufFblöcken ; die Orientirung ist genau nach Süden ; das wohlerhaltene Strassenpflaster vorn und seitlich zeigt, dass es sich in der That um ein compitum, eine Kreuzung mehrerer Strassen handelt, an deren Schnittpunkt sich ein ziemlich geräumiger Platz bildete (i). — Die Basis lehnt sich rückwärts an einen älteren Bau aus Tra- vertinquadern, dessen vorderer Sockel bei Aufstellung des Augustusmonuments durchschnitten wurde. Gatti findet darin einen Kest des alten Argeerheilig- tums, des sexticeps der zweiten Region cpud aedem lunonis Lucinae, ubi aeditimus habere solet.
Von dem Larenkult in derselben Gegend legt auch eine an der Nord- ecke des Klosters S. Lucia in Selci gefundene sehr fragmentarische Inschrift Zeugnis ab, welche von der Erbauung oder Wiederherstellung eines den lares Augusti geweihten Monuments durch Severus und Caracalla 203 p. C. spricht {Not. 1888 p. 389 ; Bull. 1888 p. 211). Ebendaher kommt ein Kalenderfrag- ment (Apr. 1-3. 18-29. Mai 1-4), welches nach Gatti's sehr wahrscheinlicher Vermutung zu demselben Exemplar gehört wie die nur aus Sammlungen des 15/16 Jdts. bekannten, gleichfalls bei S. Martin o ai Monti abgeschriebenen sog. Fasti Esquilini [C. I. L. vol. I p. 310 n. VII; vol. VI n. 2206).
Von der Compitalcapelle nur durch Strassenbreite getrennt liegt die mittelalterliche Torre Cantarelli : neben dieser wurden 1888 sehr alte Sub- structionen aus grossen TufFquadem aufgedeckt {Bull, comun. 1888 p. 394), und weiter westlich eine Mauer aus kleinen rechtwinkligen Tuffsteinen, deren einer die eingeritzte Inschrift trägt
I
K • MA • C • VAL DAT
Gatti {Not. 1889 p. 13 ; Bull. 1889 p. 40) bezieht diese auf ein VTeihge- schenk in dem berühmten, am 1*^" März dedicirten Tempel derluno
(1) Auf die Regulirung dieses Platzes- bezieht Gatti eine gleichzeitig gefundene Inschrift (Travertincippus, am ursprünglichen Orte), welche er mit Hülfe von C. I. L. VI, 1262 wie folgt ergänzt :
imp. Caesar augustus ex privKVo in publicum
RESTITVI« IN PARTEM SINISTRAM REC^Ö 5 REGIONE AD PROXIM CIPPMm
PED CXLIVS
et in partEiA • dextram recta regione
AD • PROXIM • cippwm
PED • LXXVI
282 JAHRESBERICHT ÜKBER
L u f i n a auf dem Esquilin. Die Combination ist ansprechend, wenn auch die Art der Anbringung der Inschrift aufiallig bleibt, und die Annahme der Vermutung zu der Folgerung führen muss, die bekannte Inschrift C. I. L. VI, 358 (gefunden etwa 200 m. davon auf der anderen Seite der Via S. Lucia in Selci, beim Bau des Klosters der Oblate di S. Francesco di Paola 1763) sei in einiger Entfernung von ihrem ursprünglichen Standorte zu Tage gekommen. Gewissheit kann erst die Fortsetzung der Ausgrabungen bringen.
Bei Durchlegung der Via Cavour, zwischen den Kirchen S. Francesco di Paola und S. M. dei Monti, fand man folgende in zwei Stücke gebro- chene Inschrift : Flavius Phüippus v. c. praef. urbi \ nymphium sordium squalorem (sie) | foedatum et marmorum nuditate defor\mem ad cultum pri- stinum revocavit. Von derselben sind mehrere Exemplare bekannt {C. VI 1728 ab) ; da eins derselben im 16*«" Jhdt. unweit des Trajansforums, bei dem Spolia Christi genannten Ort, abgeschrieben ist, vermutet Gatti (Not. 1887 p. 445; Bull, comun. 1887 p. 333-335) die Lage des N'y mp h a e um Phi- lipp i an der Südseite des Quirinals, zwischen piazza del Grillo und via S. Agata de' Goti.
Die in der Gegend von S. Lorenzo in Panisperna gefundenen Eeste von Privatbauten (Badezimmer mit Mosaiken, zum Teil von "künstlerischem Wert : Notizie 1888 p. 437. 492. 728; Bull, comun. 1888 p. 263) haben kein allge- meineres topographisches Interesse. Die von Gatti N'ot. 1888 p. 437 mit aller Reserve versuchte Beziehung auf die Thermae Olympiadis ist nicht eben wahr- scheinlich.
Der Tiber und die Brücken.
Da der Flussarm westlich der Insel erheblich verbreitert wird (von 48 auf er. 76 m.), so muss der Pons Cestius (S. Bartoloraeo) vollständig um- gebaut werden, und ist die Abtragung bis zum Wasserspiegel bereits vollendet. Die neue Brücke wird, statt des einen Bogens mit seinen zwei kleinen Sei- tendurchlässen, drei grosse Bögen von fast gleicher Spannung erhalten.' Der Ingenieur P. Bonato, welcher in- den Annali della Societä degli ingegneri e degli architetti Italiani [tom. IV fasc. 2, Eom 1889 S. 139-152 und Taf. VI- VIII, wonach unsere Figuren) einen interessanten Bericht über diese Ar- beiten geliefert hat, beklagt die auf Veranlassung der archäologischen Com- mission getroffene Entscheidung, dass der Neubau des Mittelbogens in den alten Formen und mit dem alten Material erfolgen solle. Kaum ein Drittel der Bogenquadern sind so erhalten, dass sie beim Wiederaufbau verwendet werden können. Viel Schuld trägt die von den antiken Architekten be- liebte Construction, welche, sei es in der Absicht die Wölbung im höchsten Grade zu sichern, oder um die Gerüste für die Brückenbogen während des Baus möglichst zu entlasten, die einzelnen Quadern durch ein complicirtes System bleivergossener Eisenklammern verbunden hatten (s. S. 284): der Erfolg
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM
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ist kein günstiger gewisen, da die vielen Löcher die Zerstörung durch atmo- sphärische Einflüsse begünstigten, und die Last der Verbindungen die Stabi- lität der Wölbungen beeinträchtigte, lieber die Fundirung der Pfeiler sind Aufschlüsse gewonnen, welche, wie zu erwarten war, Piranesis Zeichnung (Ant. di Roma tom. IV tav. 23. 24) als gänzlich phantastisch erweisen. Während nach ihm die Pfeiler auf einem Fundament von kolossalen Travertinblöckeil, diese wieder auf einem Pfahlrost — der nicht weniger als 26 m. unter dem Flussbette läge — ruhen, haben sich jetzt die Fundamente schon in einer Tiefe von 1,52 unter Niederwasser (3,48 ü. M.) zu zeigen begonnen. Sie be- stehen aus Gusswerk, welches von einem doppelten Gürtel (etwa 1,10 m. breit)
eingerammter Eichenpfähle umgeben ist: unmittelbar darüber beginnt die Construction in Travertin. Zwischen den Quadern fand sich Mörtel an kei- ner Stelle verwendet. Aus dem Umstände, dass sich Löcher zum Einlassen von Rüstbalken in den Pfeilern 0,70 unter dem jetzigen (durchschnittlichen) Nie- derwasser finden, schliesst der Vf. auf eine (unbedeutende) Aufhöhung des Flussbetts seit der römischen Zeit.
Es hat sich herausgestellt, dass die Restauration der Brücke unter Gra- tian eine äusserst tumultuarische gewesen ist. Unter den damals zum Aus- flicken verwendeten Materialien haben sich gefunden: Architekturstücke, welche Lanciani aus stilistischen Gründen dem Marcellustheater rcsp. den anschlies-
286
JAHRESBERICHT üEBER
ist der des ponte Sisto nicht parallel, sondern weicht um etwa 20° nach Norden ab, was auf eine Aenderung des Tiberlaufes, der früher weiter nach der Seite des Marsfeldes ausbog, schliessen lässt. In der That haben die Arbei- ten für die Quaimauern in dieser Gegend keine Eeste von antiken Gebäuden
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auf dem linken Ufer, sondern nur Anschwemmungen von Flusssand constatirt : Palazzo Falconieri und die benachbarten Häuser sind deshalb auf Ffahlrosten erbaut.
Von den sonstigen in den letzten lahren zum Vorschein gekommenen Grenzsteinen des Tiberufers beansprucht ein besonderes Interesse
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 2S7
der Not. degli scavi 1886 p. 363 und Bull, comun. 1887 p. 15 publizirte : [ex auctoritate Imp. Gaes. Vespasiani Aug. ;?.] m. tr. p. {iiii] imp. X p.p. COS. an desig. V censor . . . Dillius Aponianus curator riparum et alvei Tiberis [terminajvit rip. Veimt. \r. r. prox. cipp.] p. CCCXXXVI, durch die hier zum ersten Mal ausgeschriebene {}) Bezeichnung des rechten Tiber- ufers als ripa Veientana (*).
Die Verbreiterung des Flusses bei Ponte S. Angelo würde, nach dem ministeriellen Entwurf, teilweise Abtragung und Neubau der Brücke und Demolirung eines Teiles des Unterbaus der Moles Hadriana zur Folge haben. Die archäologische Commission des Municipiums hat sich gegen dieses Project ausgesprochen [Bull, comun. 1888 S. 129-131), und es bleibt zu hoffen, dass es gelingen wird, den technischen Ansprüchen zu genügen, ohne die einzige noch ziemlich erhaltene antike Brücke Koms in ihrem Bestände zu gefährden.
Das rechte Tiberufer.
Auf den früheren Pr ati d i Gast e Ho haben die Erdarbeiten für den neuen Justizpalast begonnen ; über die dort gemachten Funde und den Bauzustand der Gegend im Allgemeinen berichtet Lanciani Bull, comun. 1889 S. 173 ff.. Demzufolge bezeichnet eine Linie in der Axe des neuen Palastes annähernd die Grenze zwischen den kaiserlichen Bauten {horti Domitiae) welche sich hinter der Moles Hadriani erstreckten , und den Privatvillen. Auf dem
(1) Wahrscheinlich ist sie auch zu verstehen auf dem früher, gleichfalls unterhalb des Gartens der Farnesina, gefundenen Cippus {Not. degli scavi 1880 p. 142) des Severus und Caracalla (des einzigen von dieser Termination erhal- tenen) wo es heisst : terminos vestustate dilapsos exaltavit et restituit r{ipa) V(eientana) . . lius Valerius Macedo curator alvei Tiberis et riparum et ctoa- car. urbis.
C) Die Thatsache, dass im ersten und zweiten Jahrhundert n. Chr. das rechte Tiberufer « der Vejantaner Quai » hiess, fällt vielleicht ins Gewicht für die Erklärung der bekannten Horazstelle I, 2, 6: Vidimus flavum Tibe- rim retortis litore Etrusco violenter undis ire deiectum monumenta regis templaque Vestae. Die meisten Ausleger verstehen litus Etruscum von der Mee- resküste und retortis undis von dem Eückstau an der Mündung. Ganz abge- sehen davon, ob letztere Theorie möglich ist (Nissen Italische Landeskunde 1, 322), darf man wohl fragen : werden die Wasser des Tiber litore zurück- geworfen, wenn sie bei starkem Scirocco nur langsam sich ins Meer ergiessen können ? ist es richtig an der Tibermündung von litus Etruscum zu reden ? und vor allem wird der Zuschauer, der beim Hochwasser die Tiberwellen am rechten Ufer anschlagen sieht, und gewärtig sein muss, sie baldigst an den gefahr- detsten Stellen — zu Horaz Zeiten am Forum, heut beim Pantheon und der Ripetta — sich in die Stadt ergiessen zu sehen, dabei an die hydrographi- schen Verhältnisse der meilenweit entfernten Mündung denken ? Mir ist diese Auffassung immer äusserst unpoetisch vorgekommen, während andrerseits der Gebrauch von litus stalt ripa nicht mehr als eine dem Dichter gestattete Freiheit sein dürfte.
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erstgenannten Terrain finden sich ausgedehnte einheitliche Anlagen in Eeti- culat mit kostbaren Marmorresten ; das letztere zeigt Bauten aus später Zeit in viel schlechterer Ausführung. Eine Bleiröhre {Bull, comun. 1889 p. 212) trägt den Namen des Crispus Passienus, wohl des Gemahls der Domitia, der Vaters- schwester Neros. Im ganzen Bereich des neuen Quartiers der Prati sind weder gepflasterte antike Strassen, noch Cloaken, noch Eeste von städtischen Wohn- gebäuden gefunden. — Am 10. Mai 1889 wurden, 8 ra. unter dem jetzigen Boden, zwei antike Sarkophage, in die Erde eingesenkt ohne jegliche Spur eines oberirdischen Denkmals, ausgegraben. Der eine hat am Kopfende die Inschrift, in sehr schlechten ungleichmässig tiefen Buchstaben D m | e L 0 CREPEREi* ö EVHOD* ß (Gcnetiv aus Dativ corrigirt), der andere auf der einen Schmalseite des Deckels, mit etwas besseren Buchstaben, den Namen e cre- PEREIA CS TRYPHAENA , darunter ein sehr roh gearbeitetes Relief (die Todte mit zwei Trauernden, wohl den Eltern). Der Sarkophag enthielt den Goldschmuck der Verstorbenen (Kranz; drei Fingerringe, davon einer mit dem Namen FILETVS, einer mit zwei verschlungenen Händen; zwei Ohrringe; eine Gürtel- schnalle mit Amethystgemme : Greif eine Hirschkuh verfolgend ; eine Halskette), ferner eine Puppe aus Eichenholz, 30 cm. hoch, von guter Arbeit, mit zwei Miniatur-Fingerringen, die Haartracht etwa die der älteren Faustina (vgl. Lan- ciani u. Castellani im Bull, comun. 1889 S. 173-180, wo auf Tf. VIII diese und noch einige weniger bedeutende Objecte in Lichtdruck wiedergegeben sind).
Zwischen Ponte di Ripetta und Via Reale wurden im Mai 1888 Reste einer Villa aus guter Zeit (Reticulat), u. a. ein Saal mit schönem Marmorfuss- boden aufgedeckt; doch gestattete dier Ortlichkeit und der hohe Wasserstand keine Fortsetzung der Ausgrabung. Unter den gefundenen Kunstwerken ver- dient eine weibliche Figur in halber Lebensgrösse (Haltung der sog. Pudi- citia) wegen der wotlerhaltenen Bemalung (roter Mantel mit violettem clavus) erwähnt zu werden. (Bull, comun. 1889 p. 174; Beschreibung mit Plan von D. Marchetti in den Notizie degli scavi 1889 p. 188-189).
Am laniculum ist zwischen Palazzo Salviati und Salita S. Onofrio ein Grab aufgedeckt, nach der Beschreibung Not. 1888 S. 499 aus später Zeit. Die Ziegelstempel (Marini 459 vom J. 130 ; Mar. 335. 388 vom J. 123) lehren über die Zeit nichts.
Im eigentlichen Trastevere sind die Funde, trotz der grossen Erd- bewegungen bei Anlage der neuen Quartiere, spärlich. An der Ecke von Piazza S. Callisto und Vicolo della Cistema wurde eine sehr zerstörte Inschrift gefunden, welche in 26 Zeilen das Statut eines Handwerkercollegiums enthält, aber nicht, wie der Herausgeber Borsari (Not. 1887 p. 17; Bull 1887 p. 3-7) gelesen hat, der Gerber und Citronenhändler, corariorum et citriariorwn, sondern der Elfenbeinarbeiter und Kunsttischler, eborariorum et citriario.
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 289
rum (1). Damit fällt die von B. aufgestellte Corabination mit den im Cu- riosnm genannten coraria Septimiana der 14**" Region. Gleichzeitig zu Tage gekommen sind Architekturreste (Kapitelle, Gesimse, Säulenfragmente), viel- leicht von dem in der Urkunde öfter genannten tetrastylum.
Eine in der Campagna, 15 Miglien vor Porta del Popolo an der Via Clodia gefundene Inschrift muss hier erwähnt werden wegen der in ihr ge- nannten Anlagen des Augustus in Trastevere. Der Stein, in eine spätere Was- serleitung verbaut und auf allen Seiten unvollständig, besagt :
fc
' AVGVSTVS O N T I F • MAX JVIAM • MENTIS • ATTRIB IVO • AQVAE • AVGVSTAE VAE PERVENIT • IN N EMVS • CAESAR VM EX • EO • RIVALIBVS • QVI VCCINAM-ACCIPIEB
Das nemus Caesarum, bekannt aus Mon. Ancyr. 4, 44 (vgl. Moramsen Res Gestae D. A.]^. 95), Sueton Aug. 43, Tacit. Ann. 14, 15 (2), umgab die Naumachie des Augustus bei S. Francesco a Ripa ; stadtrömische Inschriften hatten sie bisher nicht erwähnt. Auf die Ergänzung der Inschrift im Einzelnen kann nicht eingegangen werden ; für den Schluss hat Barnabeis {Not. degli scavi 1887 p. 186) Ergänzung et] ex eo rivalibus qui [jper h]uccinam acci- pieb\ant aquam perennem dedit] d. h. statt stundenweiser Zumessung dauernde Gewährung, den Sinn wohl getroffen (obschon die Orthographie buccina auf- fallig ist), doch müssen die Lücken zu Anfang und Ende der Zeilen erheblich grösser gewesen sein. Dass (Z. 1. 2) Augustns in einer öffentlichen Inschrift einzig den Titel pontif. maximus geführt habe, wie B. annimt, ist schwer glaublich : eher könnte der Pontifikat (was sehr selten, aber nicht beispiellos ist ; Mommsen St. R. 11* p. 783 Ann.) in der Titelreihe nicht die erste Stelle eingenommen haben. Auch Z. 5. 6 scheint quae pervenit in ne- mus Caesarum ohne Erwähnung der Stadt oder der Naumachie bedenklich,
(1) Bekannt sind als Luxusmöbel die monopodia mit Citrusplatte und Fuss aus Elfenbein : Friedlaender zu Martial 2,43. Eine Publikation des in- teressanten Dokuments nach berichtigter Lesung ist in der Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft zu erwarten.
(2) Die von Mommsen a. a. 0. citirte Stelle Strabo 13, 1, 19 p. 590 wird nicht hierhergehören, da sie zwar von der Aufstellung eines Lysippischen Werkes cV tw aXaei rw fisxa^v xijg Ufxprjg xal rov si'qltjov spricht , aber durch Agrippa, also mindestens 10 lahre vor Einrichtung der Naumachie.
288 JAHRESBERICHT UEBER
erstgenannten Terrain finden sich ausgedehnte einheitliche Anlagen in Eeti- culat mit kostbaren Marmorresten ; das letztere zeigt Bauten aus später Zeit in viel schlechterer Ausführung. Eine Bleiröhre {ßull. comun. 1889 p. 212) trägt den Namen des Crispus Passienus, wohl des Gemahls der Domitia, der Vaters- schwester Neros. Im ganzen Bereich des neuen Quartiers der Prati sind weder gepflasterte antike Strassen, noch Cloaken, noch Reste von städtischen Wohn- gebäuden gefunden. — Am 10. Mai 1889 wurden, 8 m. unter dem jetzigen Boden, zwei antike Sarkophage, in die Erde eingesenkt ohne jegliche Spur eines oberirdischen Denkmals, ausgegraben. Der eine hat am Kopfende die Inschrift, in sehr schlechten ungleichmässig tiefen Buchstaben D M | ts l e CREPEREi* o EVHOD* es (Genetiv aus Dativ corrigirt), der andere auf der einen Schmalseite des Deckels, mit etwas besseren Buchstaben, den Namen e cre- PEREIA ß tryphaena , darunter ein sehr roh gearbeitetes Relief (die Todte mit zwei Trauernden, wohl den Eltern). Der Sarkophag enthielt den Goldschmuck der Verstorbenen (Kranz; drei Fingerringe, davon einer mit dem Namen FILETVS, einer mit zwei verschlungenen Händen; zwei Ohrringe; eine Gürtel- schnalle mit Amethystgemme : Greif eine Hirschkuh verfolgend ; eine Halskette), ferner eine Puppe aus Eichenholz, 30 cm. hoch, von guter Arbeit, mit zwei Miniatur-Fingerringen, die Haartracht etwa die der älteren Faustina (vgl. Lan- ciani u. Castellani im ßull. comun. 1889 S. 173-180, wo auf Tf. VIII diese und noch einige weniger bedeutende Objecte in Lichtdruck wiedergegeben sind).
Zwischen Ponte di Ripetta und Via Reale wurden im Mai 1888 Reste einer Villa aus guter Zeit (Reticulat), u. a. ein Saal mit schönem Marmorfuss- boden aufgedeckt; doch gestattete dier Ortlichkeit und der hohe Wasserstand keine Fortsetzung der Ausgrabung. Unter den gefundenen Kunstwerken ver- dient eine weibliche Figur in halber Lebensgrösse (Haltung der sog. Pudi- citia) wegen der wotlerhaltenen Bemalung (roter Mantel mit violettem clavus) erwähnt zu werden. {Bull, comun. 1889 p. 174; Beschreibung mit Plan von D. Marchetti in den Notizie degli scavi 1889 p. 188-189).
Am laniculum ist zwischen Palazzo Salviati und Salita S. Onofrio ein Grab aufgedeckt, nach der Beschreibung Not. 1888 S. 499 aus später Zeit. Die Ziegelstempel (Marini 459 vom J. 130; Mar. 335. 388 vom J. 123) lehren über die Zeit nichts.
Im eigentlichen Trastevere sind die Funde, trotz der grossen Erd- bewegungen bei Anlage der neuen Quartiere, spärlich. An der Ecke von Piazza S. Callisto und Vicolo della Cistema wurde eine sehr zerstörte Inschrift gefunden, welche in 26 Zeilen das Statut eines Handwerkercollegiums enthält, aber nicht, wie der Herausgeber Borsari (Not. 1887 p. 17; Bull. 1887 p. 3-7) gelesen hat, der Gerber und Citronenhändler, corariorum et citriariorum, sondern der Elfenbeinarbeiter und Kunsttischler, eborariorum et citriario.
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rum {}). Damit fällt die von B, aufgestellte Corabination mit den im Cu- riosum genannten coraria Septimiana der 14**" Region. Gleichzeitig zu Tage gekommen sind Architekturreste (Kapitelle, Gesimse, Säulenfragmente), viel- leicht von dem in der Urkunde öfter genannten tetrastylum.
Eine in der Campagna, 15 Miglien vor Porta del Popolo an der Via Clodia gefundene Inschrift muss hier erwähnt werden wegen der in ihr ge- nannten Anlagen des Augustus in Trastevere. Der Stein, in eine spätere Was- serleitung verbaut und auf allen Seiten unvollständig, besagt :
fc
' AVGVSTVS O N T I F • MAX
IVO • AQVAE • AVGVSTAE VAE PERVENIT • IN N EMVS • CAESAR VM EX • EO • RIVALIBVS • QVl VCCINAM'ACCIPIEB
Das nemus Caesarum, bekannt aus Mon. Ancyr. 4, 44 (vgl. Moramsen Res Gestae D. A. p. 95), Sueton Aug. 43, Tacit. Ann. 14, 15 (2), umgab die Naumachie des Augustus bei S. Francesco a Ripa ; stadtrömische Inschriften hatten sie bisher nicht erwähnt. Auf die Ergänzung der Inschrift im Einzelnen kann nicht eingegangen werden ; für den Schluss hat Barnabeis [Not. degli scavi 1887 p. 186) Ergänzung et] ex eo rivalibus qui [jper b]uccinam acci- pieh\ant aquam perennem dedit] d. h. statt stundenweiser Zumessung dauernde Gewährung, den Sinn wohl getroffen (obschon die Orthographie buccina auf- fällig ist), doch müssen die Lücken zu Anfang und Ende der Zeilen erheblich grösser gewesen sein. Dass (Z. 1. 2) Augustus in einer öffentlichen Inschrift einzig den Titel pontif. maximus geführt habe, wie B. annimt, ist schwer glaublich : eher könnte der Pontifikat (was sehr selten, aber nicht beispiellos ist ; Moramsen St. R. 11' p. 783 Ann.) in der Titelreihe nicht die erste Stelle eingenommen haben. Auch Z. 5. 6 scheint quae pervenit in ne- mus Caesarum ohne Erwähnung der Stadt oder der Naumachie bedenklich,
(1) Bekannt sind als Luxusmöbel die monopodia mit Citrusplatte und Fuss aus Elfenbein : Friedlaender zu Martial 2,43. Eine Publikation des in- teressanten Dokuments nach berichtigter Lesung ist in der Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft zu erwarten.
(2) Die von Mommsen a. a. 0. citirte Stelle Strabo 13, 1, 19 p. 590 wird nicht hierhergehören, da sie zwar von der Aufstellung eines Lysippischen Werkes eV tw uXaei, rw (xetu^v xrjg Xifxvrjg xai rov svqinov spricht , aber durch Agrippa, also mindestens 10 lahre vor Einrichtung der Naumachie.
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und Z. 3. 4 formam mentis attrib'uit) in rivo aquae Augustae bleibt mir trotz des Citats aus Vitruv (4, 3, 6 mentum = Hängeplatte) dunkel.
Die Anlage der neuen Eisenbahnstation in Trastevere samt ihrer der Via Portuensis folgenden Zufahrtslinie hat eine Anzahl von Funden her- beigeführt, welche hier erwähnt werden mögen, obwohl sie eigentlich schon über die Grenzen dieses Berichtes hinausgreifen. Dass in dem Gebiet dier horti Caesaris (Vigna Bonelli) Kultusstätten für orientalische Lichtgot- theiten (Belus ; Juppiter Beellefarus) sich befanden, war aus früheren Funden bekannt (vgl. Marucchi Bull. com. 1886 S. 124 ff.). Dazu kommt jetzt ein neues ebenda gefundenes Fragment :
^I V L 1 V S( V I C E T V S
TO • SVSCEPTOi PRIMAM PORTICV/ OLIS • CVM • MARJWORIbI OPERE NOVO • AMPLIa/ NTIS • INCHOATIs • SV A • A SOLO • RESTITVIT ^ ATORVJA PONTIFICV
Über welcher Borsari {Notizie 1887 p. 144; Bull, comun. 1887 S. 90-95) handelt. Er bemerkt treffend, dass dies Fragment zusammenzusetzen sei mit dem C. I. L. VI, 2185 gedruckten, ferner dass der Z. 1. 2 genannte Julius Anicetus aller Wahrscheinlichkeit nach identisch ist mit dem C. 1. L. VI, 709 als Dedicant einer Basis an den Sol Divinus verkommenden: er ergänzt denmach Z. 5 Anf. cellam oder aram S]oUs. Mit ziemlicher Sicherheit lassen sich auf dasselbe Heiligtum beziehen die Inschriften C. I. L. VI, 708. 709. 712. 755. 2269, deren Provenienz zwar nicht genauer bekannt, die aber sämtlich zuerst in Trastevere abgeschrieben sind.
In der Pozzo Pantaleo genannten Gegend sind antike Puzzolangruben und Gräber aus der Kaiserzeit entdeckt {Not. 1888 S. 136): nach Lanciani {Not. 1889 S. 72) ist wahrscheinlich das ganze Thal ein künstlicher, durch die sehr ausgedehnten Puzzolangruben bewirkter Einschnitt.
Ein von Helbig {Notizie 1888 p. 229) bekannt gemachter Fund kleiner Bronzen beansprucht ein topographisches Interesse, welches noch höher sein würde wenn die Stelle des Fundes genau bekannt wäre. Es tauchten Ende des Jahres 1887 im römischen Kunsthandel zahlreiche Votivstatuetten aus Bronze auf, unter welchen Helbig, der 28 Stück davon genau untersucht hat,
TOPOGRAPHIE DER STADT ROM 291
zwei verschiedene Typen unterscheidet. Sämtliche Figuren sind männlich. Die einen, offenbar griechischer Import, ähneln archaischen Apollofiguren ; andere einheimischer Fabrik tragen als charakteristisches Abzeichen den pileus. Ueber die Provenienz war nur zu erfahren, dass sie vor Porta Portese gefunden seien, was auch durch die anhaftenden Erdspuren bestätigt sein soll. Heibig ist geneigt, diese Figürchen für Votive der Arvalbrüder zu halten, da es unwahr- scheinlich sei, dass z. B. der Fortuna nur Weihgeschenke von Männern ge- widmet seien. Es darf aber wohl daran erinnert werden, dass die Fortuna an der Via Portuensis so recht die Göttin der Sklaven war : führte doch auch die Tradition die Gründung des Heiligtums auf den guten König Servius zurück (Ovid Fasti VI, 772 und die Ausleger z. d. St.). Es wäre wohl möglich dass diese ärmlichen Votive von Sklaven zum Dank für die Freilassung ge- stiftet waren : teils — vielleicht anfänglich — bediente man sich beliebiger männlicher Figuren griechischen Imports, dann fand sich auch die einheimische Kunst im Stande, ähnliche, und zwar mit dem charakteristischen Abzeichen der Freiheit, dem pileus, herzustellen.
Eom, August 1889.
Ch. Hülsen.
BIBLIOGEAFIA POMPEIANA.
1. lieber antike Steinmetciseichen, fünfundvierügstes Programm zum Winckelmanns feste der Ärchaeologischen Gesellschaft zu Berlin^, von Otto Richter, mit drei Tafeln. Berlin, Gr. Rei- mer 1885.
L'autore tratta degli antichi segni di scarpellino in sei capitoli : 1, dif- fusione dei segni suddetti ; 2, Roma ; 3, Pompei ; 4, Perugia ; 5, origine e significato dei segni ; 6, la fortificazione di Erice. A Pompei si riferiscono i capitoli 3 e 5.
Nel cap. 3 Tantore da Telenco dei segni di scarpellino esistenti a Pompei, divisi in tre classi : 1, quelli nel rauro di cinta; 2, quelli dei massi di tnfo negli ediflzi dell'epoca « sannitica » ; 3, quelli dei marciapiedi. Soltanto dei primi alcuni si trovano in pietra calcare, gli altri tutti esclusivamente nel tufo. La prima classe e indubitatamente molto piü antica delle altre. Eimane ancora a studiarsi il rapporto cronologico fra la seconda e la terza : ambedue contengono segni desunti dall'alfabeto osco (58. 68a), e degli altri alcuni (46. 47 = 65. 51 = 63. 57. 55 = 58) ricorrono, con esecuzione un po' diversa, in ambedue le classi ; il n. 50 = 66 non si trova in alcun edifizio che indubita- tamente appartenga a quell'epoca.
La minore grandezza e profonditä dei segni nei marciapiedi non di- pende, come crede l'a., dalla maggiore durezza di quelle pietre : una tale dif- ferenza non esiste; nö pu6 sostenersi che in tutti i casi di segni piü grandi anche nei marciapiedi (68a. 50) la pietra sia piü moUe. Dipende invece dalla minor cura che si aveva nel lavorar queste pietre, e forse i massi con segni piü grandi e piü profondamente incisi erano in origine destinati per edifizi. In fatto il carattere di tali segni h quello della classe 2% ed fe perfetta l'analogia fra 53 (nli) e 68a (rnk), Si noti ancora, che il marciapiede sul lato 0 dei vico delle Terme h composto dei massi dei cornicione dell'an- tico portico dei foro. Uno di essi ha i due segni 57h, 11 primo (con qualche aggiunta) lateralmente, l'altro sulla superficie. E quest'ultimo ö inciso anche in un masso dei portico superiore dei foro, ora nella basilica.
BIBLIOÖRAPIA POMPEIANA 293
Poco potrei aggiungere all'elenco (cap. 3) dei segni esistenti a Pompei. Dopo 3 deve inserirsi un segno simile a K, con qualche distanza fra le linee oblique (VI is. occid. 13, due volte, una volta col segno 17). Nel 23b il segno riprodotto con linee sottili h moderno. Del 47 evvi nel tempio di ApoUino un esemplare soltanto ; l'altro ö IX. II n. 53 ö assai rozzamente inciso ; un segno simile, (la linea obliqua ascende verso d.; invece della linea sovraposta due lineette verticali sopra la superiore obliqua) b inciso bene in uno dei massi della trabeazione dell'adiacente atrio n. 21. II n. 46 s'incontra tre volte nei marciapiedi (VII, 10 lato E, VII, 11 lato 0 e S), 47 ancbe in uno dei gradini dei tempio di Giove, 55 anche in un capitello dei Capitolium (« tempio di Esculapio »).
A ragione l'a. sostiene (cap. 5) che non sono segni di richiamo per la coUocazione, ma marche della cava o dello scarpellino. Ciö dimostra la stessa loro distribuzione, e lo conferma il fatto che i segni sono diversi secondo lo qualitä della pietra. Quest'ultima osservazione puö essere completata. L'a. nc parla a pag. 33 sg. E evidente che i segni incisi nella pietra calcare sono diflferenti da quelli owii nel tufo. Quanto a quest'ultimo, le accurate notizie dei Dressel, su cui si fonda l'a., non furono fatte con l'intenzione di classi- ficare le varie qualitä di tufo, e perciö quelle descrizioni non si escludono a vicenda. Inoltre, chi vuol classificare non deve teuer conto della differenza nei colori, giacche non mancano massi di cui una parte h chiara e giallastra, l'altra piü scura ed azzurrognola; e lo stesso vale per il piü o raeno di cruma. Esaminando attentamente le pietre dei tratto di muro visibile incontro alla strada di Mercurio, non ho potuto distinguere con qualche certezza che due specie di tufo. l'una con pezzi piü grandi, l'altra con pezzi piccoli di cruma. Di quella e composta la parte superiore, di questa l'inferiore ; s'incontrano nel sesto strato, contando da sopra. Ora i segni 20. 25. 26. 27. 29. 30. 32 si trovano esclusivamente nella prima, i nn. 21. 22. 23. 24 esclusivaraente nella seconda ; e si noti che fra questi undici segni son compresi tutti quelli di cui vi sono molti esemplari. Per gli altri non sono arrivato ad un risultato ben chiaro.
NuUa di simile ho potuto osservare nei massi degli edifizi. Riguardo poi ai marciapiedi, h degno di nota che dei due segni che per il numero degli esemplari superano di gran lunga tutti gli altri, l'uno (57) h inciso quasi sempre in un tufo che da un poco nell'azzurrognolo, l'altro (58) in un tufo piü giallastro.
L'a. nulla sa dirci di ben sicuro o di molto probabile intorno a quei massi che portano piü d'un segno. (p. 41 seg.) Rigetta l'opinione che i pic- coli segni (specialmente il n. 17) siano quelli della cava, quei piü grandi, ai quali sono aggiunti, quelli dei singoli lavoranti ivi occupati, perchö, dice egli, i segni aggiunti s'incontrano indistintamente su tutte le specie di tufo. Debbo osservare perö, che incontro alla strada di Mercurio il segno 17 si trova quasi esclusivamente au pietre della seconda specie e congiunto coi segni di essa. Una sola volta (n. 26) si trova con un segno della prima specie. Ciö contradice, mi pare, all'ipotesi accennata dall'autore (p. 42), che cioh questi
294 BIBLIOGRAPIA POMPEIANA
segni aggiunti siano marche di controUo, apposte alle pietre consegnate sul luogo della fabbrica, e fa supporre che anch'essi appartengano alla cava. Qnanto perö al loro significato, non so indovinarlo neppure io.
2. W. Deecke. Bemerkungen über Bau und Pflastermaterial in Pompeji (in Mittheilungen des naturwiss. Vereines für Neu- vorpommern und Rügen zu Greif swaldj 1886 p. 61 sgg.).
L'autore, figlio del noto indagatore della lingua etrusca, h geologo e dobbiamo essergli grati di avere intrapreso una ricerca di interesse esclusi- vamente archeologico.
Paria delle pietre adoperate in Pompei, ed in primo luogo della lava. Dice che nei muri lava compatta non si trova che sporadicamente. Ciö che nelle descrizioni degli edifizi (basilica, teatri) si chiama lava, non essere che scoria, presa dagli strati superiori e meno compatti delle lave : i Pompeiani cioh, secondo l'a., per fondare gli edifizi sulla lava compatta, rimovevano prima la scoria e se ne servivano per le costruzioni stesse.
Non credo che i Pompeiani avessero tanta cura delle fondamenta. Dietro la basilica son visibili, in un cavo modemo, quelle di un grosso muro (pa- rallelo all'attuale museo) : non ostante la straordinaria profonditä di circa m. 3,20 distano ancora circa m. 0,80 dalla scoria. Quelle della basilica, per poggiare su d'essa, dovrebbero aver la profonditä affatto incredibile di m. 5 airincirca. Lo strato di terra che cuopre la lava h tenue sul declivio, presso i teatri, ma ciö nuUa prova per il rimanente, ove non v'ö occasione di veri- ficarne l'altezza. Quanto al fatto stesso, che cioö il materiale p. es. della ba- silica, duro, compatto e pesante, sia scoria, confesso di non esser pienamente convinto, e vorrei che fosse nuovamente esarainato sia dall'autore stesso, sia da altri esperti. — Oltre la pompeiana l'a. distingue tre altre varietä di scoria, secondo il prevalere dell'augite o del leucite.
Della lava compatta egli distingue sei specie vesuviane, ma non prove- nienti dalla collina stessa di Pompei : 1, quella del selciato ; 2, quella dello zoccolo del tempio di Giove ; 3, quella della scala addossata all'angolo SE della basilica ; 4, quella delle soglie e delle lastre che portano i puteali ; 5, una lava che sembra macchiata a causa dei molti (e grandi) augiti ; 6, quelle dei molini (piü recenti).
Non posso permettermi un giudizio sulla giustezza di tali distinzioni. Mi par certo perö che il n. 2 sia o scoria pompeiana, quäle si vede sotto il foro triangolare, o lava d'uno strato vicinissimo ad essa. Le diflferenze fra le lave 1, 3 e 4 sfuggono all'occhio mio, e vedo che non le distingue neanche il comm. M. Ruggiero, il quäle prima del Deecke ha parlato — pur troppo in modo assai succinto — delle lave di Pompei (i): egli ritiene che le lave 1. 3 e 4 siano
{}) Della eruzione del Vesuvio nell'anno 79, nel libro : Pompei e la re- gione sotterrata dal Vesuvio nell'a. 79 a. C, Napoli 1879, pag. 5 segg.
BIBLIOGRAFIA POMPEIANA 295
quella compalta della coUina di Pompei, quäle 6 visibile nel teatro minore ; ed in fatto, l'aspetto esterno h, per l'occhio mio, identico. Certezza non potra aversi che da esarai microscopici, che il sig. Deecke non ha potuto fare. In- tanto Credo utile di indicar brevemente, in quäl modo le lave di Porapei si presentano a chi non h deirarte : cio poträ servire come punto di partenza per le ricerche dei geologi.
1. L'epoca antichissima(i) pare che non conosca lave all'infuori della scoria pompeiana (rossastra, qualche volta macchiata di bianco per i grandi leuciti) dispersa qua e lä fra la pietra calcare di Sarno, che h il materiale di quel tempo.
2. Fin dalla seconda epoca, nelle facciafe e per le colonne in tofo (2), comparisce la lava che chiamerö « lava comune», la piü diffusa cioh negli edifizi di Pompei, il materiale prediletto di quell'epoca, e ancora dei primi tempi della colonia romana (basilica, terapio di Giove, teatri, anfiteatro, Ca- pitolium (3), terme minori). Di essa furono lästricate le strade e fatte, le soglie e le scale. Piü volte questa pietra, molto solida, fu adoperata soltanto nelle parti piü basse dei muri ; cosi nelle terme stabiane ed in epoca piü tarda nel macello {*). Consiste di una massa grigia che da un poco nel paonazzo, con molti cristalli di leucite ed augite, ma non grandi, assai ugualmente di- stribuiti ; a causa degli Ultimi la pietra mostra molte piccole macchie nere ; pochi sono i cristalli di olivino. L'aspetto estemo h quello della lava com- patta di Pompei quäle h visibile nel teatro minore, e tale la giudica il Rug- giero 1. c.
3, Accanto a questa s'incontra, ma in quantitä piccola, una lava che chia- merö « lava macchiata " con grandi augiti, i quali nella massa grigia, che qualche volta da nel paonazzo, compariscono come grandi macchie nere; pochi leuciti, pochissimi olivini {^). Essa si trova nel muro di cinta a d. di chi esce dalla porta d'Ercolano, e qua e lä per le case ; in quantitä piü grande nella casa VI, 1?, 13, specialmente nel muro 0 , accanto al posticum n. 18 («).
(1) Fiorelli Gli scavi di Pompei dal 1861 al 1872, pag. 78-83, tav. 14-19. Nissen Pompej. Studien pag. 397 segg. Mau Pompej. Beiträge pag. 47 segg. Overbeck-Mau Pompeji * pag. 499 segg.
(2) Fiorelli 1. c. pag. 83-85.
(3) Overbeck-Mau Pompeji * pag. 110 segg. con la nota 49.
(4) Mau Pompej. Beitr. pag. 118. 258.
(5) Nella casa VI, 8, 22, nel muro dei corridoio che sul lato sin. della casa porta nelle parti posteriori, vicino ad un pezzo come sopra ve n'ö un altro che per la perfetta uguaglianza della massa grigia si potrebbe credere della medesima specie, ma con molti piü leuciti, molti ma piü piccoli augiti, pochi olivini.
(ö) Nel muro posteriore dei giardino della villa di Diomede; nel muro di fondo della bottega VII, 5, 26 (terme minori); nella casa VI, 14, 6; una pietra nella facciata dei tempio di Giove, a d. in alto; non poca nel selciato dei vico dietro il macello ; un gran masso nella bottega VII, 4, 63 ; un altro nel pavimento della bottega V, 2, 1 ; una meta d'un molino a mano VI, 9, 6, Camera a d. deiringresso ; due recipienti nel locale anteriore d''un pistrino sul lato N dell'isola VH, 12.
296 BIBLIOGRAPIA POMPEIANA
Conteraporaneamente perö anche la scoria pompeiana (o ifiia lava molto somigliante) fu piü di prima adoperata nelle costruzioni. Nel tempio di Giove essa s'incontra in grandi lastroni nello zoccolo, accanto all'ingresso e accanto alla scala che porta sopra le tre celle, che pure sono fatte della stessa pietra. In essa b costruita la domus Cornelia (VIII, 4, 15) ; gran quantitä se ne trova nelle case del Fauno, di Pansa, della parete nera, intorno al serbatoio d'acqua presse l'angolo NO delle terme stabiane. Di parallelepipedi di pietra simile h anche composto un tratto di muro sul lato N dell'isola VI, 14, del quäle non si pu5 definir l'epoca (i). Negli ultimi tempi si ritornö alla pietra di Samo, che prevale di gran lunga nelle costruzioni dell'epoca imperiale.
Alcune altre lave furono adoperate per usi speciali.
4. La lava dei molini piü antichi (2) differisce dalla lava comune per la maggiore durezza e porositä della massa grigia, la quäle, com'anche nella lava comune, prende un colore scuro ove sta al cpntatto deH'aria (3).
5. La lava di un piccolo molino nella casa VII, 12, 22 e 23. La massa grigia, che da nel paonazzo, quasi nera al contatto dell'aria, h di grana fina con molti piccoli vuoti ; molti leuciti piccoli, pochi piü grandi, pochi olivini ; non vidi augiti.
6. La lava dei molini piü recenti. La massa grigia pallida, con molti piccoli vuoti, sembra quasi verdastra vedendola accanto ai molini antichi; molti grandi leuciti, spesso uniti in massi dal diametro di 2 ctm. e piü ; au- giti piccoli e che non danno neH'occhio ; olivini non ne vidi, ma furono con- statati dal sig. Deecke, il quäle rileva come questa pietra fosse adattissima all'uso cui era destinata. Egli ritiene per certo che sia una lava del monte Sorama : tutt'al piü egli ammetterebbe come possibile la provenienza dai laghi di Bracciano e di Vico, poco probabile in s5 stessa. Invece secondo il Rug- giero h lava dei vulcani di Roccamonfina ; e dice che pietra similissima ancor oggi si Cava a Valogno neirantico territorio di Suessa Aurunca.
7. La lava del trapeto esistente nella casa VI, 10, 6 (*): massa grigia durissima con grandi vuoti ; leuciti molti, di forma, come pare, non regolare; non vidi altri cristalli. II Ruggiero la dice dissimile affatto dalle rocce finora conosciute del Vesuvio, e lascia indeciso se provenga da qualche cava ora smarrita ovvero da paese lontano.
8. La lava di una base non finita e di alcuni massi quadri che stanno sul
(1) Nissen Pompej. Stud. pag. 6; Mau Pomp. Beitr. pag. 46.
(2) Pariert fra breve in questo Bullettino dei molini di Pompei e della difi'erenza fra i piü antichi e quelli degli ultimi tempi.
(3) II Ruggiero dice che fra i molini alcuni sono di lava pompeiana, alcuni di lava di Cisterna; non so se egli abbia voluto indicare questi ed il seguente (5). Della lava dei molini antichi mi pare che siano fatti il sommo gradino ad E della terrazza avanti alla domus Epidi Ruß (IX, 1, 20), una pietra con buco quadrato nell'atrio della casa stessa, un massiccio puteale nella casa del Toro (V, 1, 7); in quest'ultimo i cristalli sono piü grandi che nella lava comune, piü numerosi e piü grandi anche gli olivini.
(*) Ruggiero 1. c. pag. 7; tav. 3 n. 1.
BIBLIOGRAFIA POMPEIANA ^ 297
lato N della strada della Marina ; b durissima e di grana molto fina ; mol- tissimi piccoli leuciti, che perö a causa del color chiaro della massa grigia danno poco nell'occhio ; augiti compariscono soltanto come puntini. Della stessa pietra, o di una molto simile, b fatto il basamento del sepolcro di Naevoleia Tyche (^).
L'autore parla poi delle due qualitä di tufo, il grigio ed il giallo. Pare che il tufo grigio adoperato a Pompei egli lo creda proveniente dalle parti del Gragnano, mentre suppone che la pietra di Nocera sia una pietra somigliante al piperno dei campi flegrei. Ma secondo quelli che a Pompei si occupano di queste cose, appunto il tufo grigio di cui h tanto esteso l'uso per facciate, portici ecc. b in generale tufo di Nocera e solo eccezionalmente di Gragnano. Quanto al tufo giallo, l'autore ci dice che non si trova piü vicino di 20 chi- lometri da Pompei (fra Poggio Reale e Pizzofalcone) ; e quindi egli spiega l'uso scarso che ne fu fatto. Perö h affatto incredibile che i Pompeiani siano andati tanto lontano a prendere quantitä relativamente piccole di un materiale assai mediocre e per il quäle evidenteraente non avevano predilezione alcuna; e mi si assicura che anche oggi il tufo giallo si cava a Nocera.
Intorno alla pietra calcare di Sarno l'a. nulla ci dice di nuovo. Si me- raviglia della raritä negli edifizi pompeiani della pietra calcare grigia delle vicine montagne ; ma la pietra di Sarno, cavata in luoghi molto piü vicini, fu creduta un materiale sufficiente.
I mattoni di Pompei, il sig. Deecke non li crede fatti di argilla pura, di cui non si trovano colä strati maggiori, ma della pozzuolana dei campi flegrei con poca argilla aggiuntavi : ciö risulta, dice egli, dalla stessa strut- tura del materiale. Debbo osservare perö, che oltre ai mattoni di materiale arenoso ve ne sono anche di argilla piü o meno pura. Tali sono i pochi mat- toni adoperati nell'epoca preromana, p. es. nella basilica. Nei primi tempi romani poi, almeno flno alla fine della repubblica, prevale il materiale are- noso, mentre nell'epoca imperiale h prediletta l'argilla pura ; ambedue i ge- neri si trovano p. es. nel macello : questo nelle parti piü recenti, cioe in quasi tutto l'edifizio, quello nelle parti piü antiche.
3. F. PoüQüE Sur les materiaux de construction employes ä Pompei (in Association frangaise pour V avancement des Sciences, Compte-rendu de la 15^ Session, Nancy 1886. Paris au secrHariat de l'association).
L'a. parla della lava, del tufo e dell'argilla. Oltre la scoria adoperata secondo lui nelle volte delle fogne e degli acquedotti (?) egli distingue tre specie di lava, fra cui due provenienti dalla corrente sulla quäle e fondata
(}) Credo che di questa stessa lava parla lo Schöne nelle Pompej. Stud. del Nissen p. 6.
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Pompei : 1, quella delle cave (moderne) presso Tanfiteatro : leucotefrite all'oli- vino, simile alle lave recenti del Vesuvio (= 2 sopra p. 295) ; 2, massi neri 0 giallo-rossastri cavati nel suolo della cittä stessa (= 1 sopra p. 295) o lava da strati vicini ; 3, quella dei molini (piü recenti), proveniente o dalla base del monte Somma o dai massi vulcanici di Eoccamonfina (= 6 sopra p. 296).
Oltre al tufo grigio e giallo, ambedue andesitici ed anteriori al Vesuvio, che egli non dice ove fossero cavati, l'a. distingue un tufo leucitico d'origine pivi recente, adoperato (egli non dice dove) sporadicamente, cavato in riva al mare presso Pompei.
Dice i mattoni esser formati di eleraenti vulcanici, andesitici e leucote- fritici, e fabbricati, a causa di questi ultimi, al piede del Vesuvio, probabil- mente dalla parte di Napoli. Invece il materiale delle tegole e delle anfore essere di grana piü fina e d'origine sedimentaria ; la massa argillosa essere ferruginosa ; non osservarvisi altri cristalli che lamelle di mica e numerosi fraramenti di quartzo. Secondo l'a. questi manufatti o sono fabbricati sul ter- reno argilloso-calcare del Sarno, o importati.
Non h esatto che con l'occupazione romana alla costruzione in pietra calcarea con argilla sia succeduta quella in materiali vulcanici con cemento a base di calce (vd. sopra p. 297), nfe che 1' introduzione del tufo abbia cagio- nato l'abandono della pietra calcarea : sono note le facciate (preromane) com- poste di lastroni di tufo, mentre per i muri interni non fu adoperato che spo- radicamente.
4. Les eleetions municipales ä Pompei, par P. Willems. Paris, Thorin, 1887. 8, 142 pagg.
E uno studio dettagliato e diligente sui programmi elettorali dipinti sui muri delle strade di Pompei. II dotto autore da un quadro vivace di quelle elezioni municipali ; raduna quanto si puö sapere intorno ai candidati e le loro famiglie ; mostra come trovarono aderenti chi in una chi in un'altra re- gione, come furono appoggiati dai loro vicini, come presero parte alla lotta le associazioni religiöse e quelle dei commercianti ed artigiani e non se ne astenevano neanche le donne. Tratta poi in otto paragrafi di öclaircisaements (p. 79-142) alcune questioni relative alle antichitä pompeiane. E qui in vari punti non sono d'accordo con lui.
§ 1. L'autore crede che i programmi con ro.^. cup. e forraole siraili siano anteriori alla professio dei candidati e destinati ad incoraggiarli a presen- tarsi, posteriori quelli con facit, perch^ in essi chi scrive dichiara di votare per 11 candidato : distinzione, a raio awiso, priva di fondamento. Per lo piü dicono semplicemente p. es. Casellium aed. ovvero Casellium aed. ovf (i. e. oro vos faciatis). Qualche volta rog. o prende il posto di ovf {Marcellum aed. rog.) o vi si aggiunge {Paquium Ilvir.i.d.d.r.p.o.v.f. rog. IV 366; cf. 706). II nome poi di chi raccomanda, con rog., o s'aggiunge a ovf {Mar- cellum aed. ovfcognatus rog.) o ne prende il posto {Marcellum aed. agrico-
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lae rog.). Tutti questi programmi, ed anche quelli che al posto di rog. hanno qualche sinonimo (cupit, volunt, fieri rog.) dicono in modo poco diverso una stessa cosa, nh evvi ragione alcuna per far distinzioni quanto alla situazione cui si riferiscono. liO stesso vale per i programmi con facit{ . . . Ilvir. i. d. Baibus facit) o fecit ( . . . aed. Baibus fecit) : chi vuol raccoraandare un tale, puö pregare gli altri di votare per lui, puö, se crede di aver qualche autoritä, dichiarare di votare o di aver votato per lui egli stesso, puö finalmente far l'uno e l'altro (IV 699 . . . rogat et facit). Del resto facere significa fare eleg- gere, sia col voto, sia facendo valere la propria influenza, e possono perciö facere anche le donne (IV 425. 457. 923), e si puö dire Firmum aed. ovf Capella facit, nel quäl caso facit h evidentemente sinonimo di rogat. Non sono in alcun modo stringenti le ragioni che l'a. adduce in contrario. Nä mi pare che sarebbe stato logico di dipingere sui muri ciö che doveva incorag- giare una singola persona.
§ 2. I forenses (IV 783), Salinienses (128j e Campanienses (470. 480) sono, secondo l'autore, gli abitanti di tre sezioni elettorali {tribus o curiae) intorno al foro, presso la porta d'Ercolano e quella di Nola. Ma non e atfatto probabile che i candidati fossero raecomandati da sezioni elettorali, la cui vo- lontä era un'ignota fino all'atto della votazione.
I Salinienses certo non erano nö locatari nö operai delle saline, nh ven- ditori di sale, ma probabilmente gli abitanti di un villaggio (pagus o vicus) formatosi presso le saline. Cosi, il fullo Crescens poteva distinguerli dai Pom- peiani, scrivendo sulle colonne d'un peristilio deirisola V, 2 i suoi saluti ai Sorrentini, Stabiani, Pompeiani e Salinesibus (Not. d. sc. 1884 p. 50 sg.) ('): Avevano un conventus (*); se poi formassero una circoscrizione elettorale, non lo sappiamo. Venendo a Pompei entravano per la porta d'Ercolano, ed era na- turale perciö che ivi stasse il loro programma. E giova ricordare il veru sa- rinu delle note iscrizioni dipinte osche, che difficilmente puö essere altro se non la porta d'Ercolano, e che il Nissen propose di tradurre porta Saliniensis {^).
I Campanienses non s'incontrano che nei due sopracitati programmi. Ma in due iscrizioni graffite (IV 1216. 2353) sono acclamati i Campani, e secondo una terza nella nota rissa soccombettero coi Nucerini anche i Campani (1293- Campani victoria una cum Nucerinis peristis). E poco probabile che vi fos- sero in quelle parti due classi ben distinte di persone chiamate Campani e Campanienses. E se vi era li vicino un luogo i cui abitanti (in origine Ca- puani) si chiamavano Campani, e avevano simpatia per i Nucerini, e forse in quella rissa presero la loro parte, e se questo luogo si chiamava p. es. vicus 0 pagus Campanus, allora quei Campani potevano anche chiamarsi, con un
(1) Cf. IV 1611 Salinesibus feliciter; e poco probabile che simili accla- mazioni s'indirizzassero ad una semplice circoscrizione elettorale.
(2) Not. d. Sc. 1880 p. 185 d-, cf. anche Bull. d. Inst. 1874 p. 201.
(3) Zvetaieff Inscr. Italiae mediae dialecticae pag. 56 n. 160. 161 ; cf. Nissen Pompej. Studien pag. 497 segg., specialmente pag. 504 ; Overbeck-Mau Pompeji * p. 56.
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nome derivato da quello del luogo, Gompanienses (i). I programmi dei Cam- panienses furono letti verso la porta di Nola : possiamo dunque sospettare che fuori di questa fossc situato il luogo da loro abitato.
Chi fossero i forenses, non lo sappiaino. II Nissen {Pomp. St. p. 268) li crede i negozianti autorizzati a commerciare sul foro ; e mi pare che cio sia xneno improbabile che l'opinione del W., per lo stesso motivo addotto sopra a proposito dei Salinienses e Campanienses.
§§ 3. 4- 5. 6. L'a. crede di poter dedurre dai programmi — che egli a ra- gione dimostra (§ 4} essere in generale posteriori al terremoto delFa. 63 — chi fossero i candidati dell'a. 79 e con probabilitä anche quelli degli anni pre- cedenti fin dal 74. Dispone cioö i candidati alFedilitä, e cosi anche quelli al duumvirato, in una serie ordinata secondo il numero dei programmi di ognuno. Prendendo poi per base la serie delle candidature edilizie ne attribuisce aH'ul- timo anno quelle che hanno il maggior numero di raccomandazioni, e le altre agli anni precedenti, sempre secondo il numero dei programmi, unendo per6 fra loro quelle la cui contemporaneitä risulta da iscrizioni contenenti piü nomi. Assegna quindi ai singoli anni i candidati al duumvirato parte sulla testimo- nianza dei programmi che li nominano unitamente agli edili, i rimanenti an- ch'essi secondo il numero delle raccomandazioni.
La ricerca h fatta con somma diligenza, ma il metodo stesso non ha base sicura. Se l'avesse , dovrebbe risultarne una serie di candidature duum- virali ordinata anch'essa secondo il numero dei programmi. Invece nella lista del W.
quelle del 79 hanno 57, 48, 30, 22 programmi « n 78 ^ 22, 17, 16, 12 «
" 77 r, 50, 26, 8, 12 w
" " 76 " 24, 6, 3 »
Vale a dire che i due criterii non danno aifatto risultati identici.
In fatto, quello del numero delle raccomandazioni ä assai fallace, e non fe sicuro nemmeno quello dei programmi in favore di piü candidati. Un nu- mero piccolo puö dipendere dal poco favore incontrato dal candidato. E quando ve ne sono molti, egli puö avere ambito piü volte la medesima carica. E per questo stesso motivo, quando lo troviamo unito in comuni programmi ora con uno ora con un altro candidato, non possiamo dedurne con sicurezza che anche
(1) Cosi a Koma gli abitanti del vico Tusco in principio erano Tusci, ma piü tardi non meritavano piü questo nome, mentre nulla avrebbe impedito di chiamarli Tuscienses. Forse il questore 0. Campanio, che fece fare il pa- vimento del tempio d' Apolline (Bull. d. Inst. 1882 pag. 223; Overbeck-Mau Pompeji * p. 636 nota 40) era oriundo del pagus Gampanus. Lo Henzen cre- dette che Campanienses fossero Gampani vel cives Capuani Pompeiorum in- colae, ma a ragione osserva il W. che nh cosi si spiega il nome, ne e proba- bile che questi, come tali, si siauo immischiati nella lotta elettorale. II W. pensa che la parte della cittä assegnata agli antichi abitanti quando fu de- dotta la colonia romana, sia stata chiamata curia o tribus Gampaniensis : ma non h probabile che le sia stato dato un nome che ricordasse l'antica auto- nomia.
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queste candidature siano fra loro contemporanee. Infine ci sfuggono le circo- stanze che potevano in un anno determinare una lotta piü vivace che in un altro, 0 contribuire in qualche caso a conservare un nuraero maggiore di pro- grammi d'una candidatura piü antica.
Anche per la lista , proposta dal W., dei candidati nel 79 appena puu ammettersi una certa probahilitä. Che le due coppie
edili: L. Cuspius Pansa
L. Popidius Secundus Ilviri: M. Holconius Priscus C. Gavius Eufus
fossero fra loro contemporanee, egli lo deduce da un sol programma che unisce Olconio e Pansa. Ma quest'ultimo puö avere ambito l'edilitä due volte, una volta con Popidio, un'altra con altri competitori e mentre Olconio e Gavio Eufo ambivano il duumvirato. E viceversa Olconio poteva arabire il duumvi- rato una volta con Gavio Enfo, un'altra con altri e mentre Pansa e Popidio ambivan l'edilitä.
A queste due coppie il W. aggiunge:
edili: Cn. Helvius Sabinus Ilviri : C. Calventius Sittius Magnus L. Ceius Secundus
Elvio cioe e Sittio Magno si trovano uniti ognuno in un programma con Ol- conio, e si trovano anche uniti fra loro (i), e Elvio con Pansa; Ceio e rac- comandato una volta con Elvio, un'altra con Pansa: sono dunque contempo- ranei a Olconio Ilviro e Pansa edile. Ma siccome ognuna di queste due can- didature puö essere stata posta piü volte, cosi nulla impedisce di distribuire le sette candidature su tre anni:
1. Ilviri: Olconio, Sittio Magno, Ceio; edili: Elvio, Pansa.
2. Ilviri: Olconio e Eufo.
3. edili: Pansa e Popidio.
E possibile, ma non necessario, che i gruppi 1,2 o 1,3 o 2,3 o infine 1,2,3 siano contemporanei.
Nessun legame evvi fra questi sette e gli altri tre candidati all'edilitä che il W. ascrive al medesimo anno:
M. Casellius Marcellus
L. Albucius Celsus
M. Cerrinius Vatia
Sono incertissime le congetture con le quali egli vorrebbe veder congiunti in alcuni prograrami Casellio e Albucio con Olconio, Albucio con Ceio, Marcello con Ceio, Cerrinio con Sittio e con Albucio.
(1) G.J. L. IV 843; Not. d. Sc. 1879 pag. 45 n. 8. 9: questi due numeri in fatto formano un sol programma, mentre ne h diviso quelle di Olconio n. 7.
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E dunque tutt'altro che sicuro che le dieci candidature si riferiscano ad un medesimo anno. Per tatte il gran numero dei programrai accenna agli Ultimi tempi, ma piü di questo non oserei dire. Quanto agli anni anterior! al 79, sono persuaso che l'a. stesso non s'illuda sul grado di probabilitä della sua lista. Qui non possiamo fare altro che riunire gruppi di candidature con- temporanee, e aspettare che ulteriori scoperte , specialmente di programmi sovrapposti uno aH'altro, ci mettano in grado di stabilir fra essi , poco per volta, una cronologia relativa.
§ 7. A ragione, credo, l'a. sostiene che non vi sia differenza fra gli edili V. a. s. p.p. (chiamati anche II v. v. a. s.p.p.) e gU edili semplicemente detti. Tutti quelli che in qualche programma isolato si raccomandano per l'edilitä v. a. s. p. p., sono noti come candidati all'edilitä ; ricorrono le stesse coppie (Casellio e Albucio, Q. Mario Rufo e M. Epidio Sabine). Qualche volta poi quelle let- tere son divise da aed. e stanno fra le formole di raccomandazione (C. Cuspium Pansam aed. d. r. p. v. a. s. p. p. iuvenem probum ovf) ciö che sarebbe im- possibile, se aed. non bastasse a indicar la carica. Un programma in ottima forma (IV 222) congiunge i duumviri e gli edili s. v. a. p. p. Le lapidi non con- tradicono: in esse di edili non v'e esempio sicuro anteriore all'epoca nero- niana (i); prima si dicono Ilviri (X 819) o, unitamente ai duumviri i. d., Illlviri (X 800. 938). In quelle poi relative al culto d'Augusto, e in X 803, che non sappiamo se avesse un tale significato, troviamo i d. v. v. a. s.p.p., cui fin dall'epoca neroniana si sostituiscono gli edili (826. 827). Forse quest'ultimo titolo, nsato al tempo dell'autonomia, fu soppresso appunto perciö nella colonia romana. Rimase perö nell'uso non uflficiale (programmi antichissimi) e piü tardi fu riammesso anche nelle iscrizioni pubbliche. — II supplemento v{iis) a{edi- bus) s(acris) p{ublicis) p{rocurandis) non manca di probabilitä.
§ 8. L'a. rileva come anche a Pompei si distingueva i figli per il co- gnome, preso spesso, per il secondo ed i seguenti, dalla famiglia materna, e come in modo speciale si costumava, nelle grandi faraiglie, di aggiungere al prenome e gentilizio del padre gentilizio (omesso nell'uso non ufificiale) e co- gnome della famiglia materna o d'altra famiglia congiunta, p. es. D. Lucretius (Satrius) Valens. E curioso il fatto del figlio del noto banchiere L. Cecilio Giocondo, che si chiamö Metello, assumendo un cognome della celebre famiglia dei Cecilii: l'a. lo deduce bene dall'iscrizione d'un'anforetta (Caecilio Jucundo ab Sexsto Metello) trovata in una bottega della casa stessa ove abitavano, come si rileva da un programma, Q. S. Caecili lucundi.
Voglio rettiflcare ancora un malinteso dell'a. (p. 4). I programmi anti- chissimi non sono punto anterior! all'uso di rivestire i muri di stucco, ma soltanto a quelle del dealbare.
(1) Certo l'edilitä di L. AUeio Luccio Libella (X 1036) era anteriore all'a. 26 d. C. (X 896), ma l'iscrizione fu posta dopo la sua morte. Ignoriamo l'etä di T. Terentio Feiice (X 1019) e di P. Sextilio Rufo (X 1273); quest'ul- tima, a causa dell'ortografia aid. puö credersi piü antica; ma uu titolo sepol- crale poteva bene scostarsi dal linguaggio ufSciale, specialmente essendo posto in altra cittä (Nola).
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5. Römisches Staatsrecht von Theodor Mommsen. Dritter Band, Leipzig 1887.
L'illustre autore a pag. 349-351 parla dei prograrami elettorali di Pompei. Egli h d'opinione che essi non facciano testiraonianza di vere ed effettive elezioni popolari ; non crede che, aboliti i comizii elettorali di Koma, abbiano potuto sopravivere quelli dei municipii. E ciö gli pare confermato dal silenzio deir epigrafia municipale — le poche iscrizioni con menzione di comizii (C /. L. X 7023 ; XIV 375. 2410) sembra che parlino di fatti ecce- zionali — e dagli stessi programmi di Pompei, nei quali non compariscono le sezioni elettorali. Giacchö l'a. rigetta l'opinione dei Willems (sopra p. 299) intorno ai Campanienses ecc. Crede dunque che, come in Eoma al senato, cosi nei municipii le elezioni fossero trasferite all'öriio dei decurioni, e che ai comizii non rimanesse che la facoltä dell'acclamazione. Quanto alle dispo- sizioni della legge di Malaga, data da Domiziano, ritiene possibile che simili leggi fossero date secondo l'antico sistema, mentre l'applicazione degli ordi- namenti contenutivi dipendesse, per disposizione imperiale, dall'iniziativa del- Vordo 0 dal permesso dei preside della provincia; crede possibile anche che i comizii municipali continuassero nelle province, sotto la sorveglianza dei presidi, non perö in Italia, ove mancava un tale controUo. I programmi dunque o s'indirizzerebbero all'ör^o, o non sarebbero che complimenti ai candidati da questo designati.
La questione oltrepassa i limiti d'una bibliografia pompeiana; nö io sarei competente a discutere le considerazioni su cui si fonda l'autore.
Mi limito dunque ad osservare che, se la grande maggioranza dei pro- grammi (anche quelli con facit: vd. sopra p. 298) non si oppone ad una tale supposizione, ve ne sono perö alcuni che poco vi si prestano. Dico quelli che s'indirizzano ai caupones, pomarii ecc. {caupones facite) : non so spiegarmeli se quelle persone dovevano soltanto a,cclamare fra la folla. Quanto poi alle sezioni elettorali, non so se l'argomento ex silentio sia stringente. Non trat- tandosi di eleggere un rappresentante per ogni sezione, nö riferendosi queste ad altro che al modo di votare, non era forse impossibile che l'agitazione si facesse in comune, senza teuer conto delle sezioni. Ciö poteva dipendere da abitudini, da circostanze infine che si sottraggono alla nostra investigazione.
6. Memorie storiche dell'antica Valle di Pompei., per Ludovico Pepe. Valle di Pompei, scuola tipografica editrice Bartolo Longo 1887. 152 pagg. e 8 tavv.
L'amtore narra la storia, con la scorta dei documenti, dell'abitato che col nome di Valle sorse nella pianura sottostante alla sepolta Pompei. Tombe pagane (vd. p. 18) attestano che fin da tempi antichi quel sito era di nuovo
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abitato. Fin dal 1093 poi si conosce la chiesa di S. Salvatore di Valle, fin dal 1327 si fa menzione del " casale » di Valle, e fin dal 1511 si conosce la parocchia. Valle dal 1093 al 1323 dipendeva dal convento di S. Lorenzo in Aversa; divenne poi feudo dei Caracciolo e, dopo esser passato per varie mani, dei Piccolomini (discendenti dei duchi d'Amalfi), che fin dal 1647 por- tavano il titolo di prineipi di Valle. Essi, costruendo palizzate nel Sarno, resero malsana la regione, ciö che ebbe per conseguenza l'abandono di Valle : nel 1662 fu tolta la parocchia, che solo nel 1842 potö essere ripristinata, essendosi verificato, fin dalla seconda metä del secolo passato, un aumento di popolazione, dovuto agli scavi di Pompei. Oggi intorno alla nuova chiesa del Eosario, cominciata a costruirsi fin dal 1880, si sta formando un villaggio di popolazione sempre crescente.
Tutto ciö sia qui accennato brevemente. Agli studi nostri si riferisce:
1. La relazione sopra uno scavo, fatto sotto la direzione e sorve- glianza dell'a. nel podere De Fusco dal 10 die. 1886 fino al 6 maggio 1887 (p. 13-17, tav. I), ristampata dal giomale II Kosario e la nuova Pompei, fasc. 15, giugno 1887 p. 356 sgg.
2. L'appendice (p. 135-146): La Pompei dei superstiti dopo l'anno LXXIX.
Intorno a quello scavo una relazione piü estesa e piü dettagliata del prof. Sogliano si trova nelle Not. d. sc. 1887 p. 246-251. Si tratta di una fabbrica rustica coiitenente un opificio industriale, che l'a., senza ragioni sufficienti, sospetta che possa essere una fuUonica. L'unica pittura incontra- tavi mostra il genio sacrificante fra i due Lari ed in ogni estremitä un Pane. Fra le tombe posteriori al 79 merita menzione una, la quäle, lunga 1,40, composta di quadroni ed assicurata con cemento, col tetto a capanna, aveva perpendicolarmente situato sul comignolo un condotto formato da tre tubi in terracotta (p. 17). Certo si tratta d'un apparecchio per le libazioni: cf. Bull. 1888 p. 120 sgg. La tomba conteneva, oltre i resti umani combusti, due unguentarii di vetro, una lucerna fittile con un gallo in rilievo, e parec- chi chiodi, serviti senza dubbio per la costruzione del rogo (cf. Bull. 1888 p. 141).
Nell'appendice l'a. ristampa un suo opuscolo pubblicato anteriormente intorno al noto passo di Martino monaco (pressö Borgia, Mem. stör, di Bene- vento 1 Q): in Pompio campo qui a Pompeia urbe Campaniae nunc deserta nomen accepit. Egli si oppone aH'opinione del Fiorelli, seguita dal Breton e dal Beul^, che cio^ quel passo si riferisca ad una nuova Pompei, sorta dopo il 79, 6 che avanzi di questa fossero trovati con certi scavi fatti a Boscoreale. In fatto deserta puö credersi un'espressione impropria per « di- strutta, sepolta », e quegli scavi incontrarono edifizi anteriori al 79 ; le ra- gioni dell'a. sono buone, ma potevano esporsi in modo piü breve e con pole- mica meno vivace, sia per l'importanza non grandissima del soggetto, sia per i meriti di chi aveva sostenuto un'opinione diversa, pienamente riconosciuti dall'autore nel libro seguente:
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7. Gli scavi di Pompei^ notüie tratte dai documenti originali,
per LuDOvico Pepe. Valle di Pompei, tipografia editrice del- l'avv. Bartolo Longo 1887. 8° 40 pagine.
E una breve storia degli scavi di Pompei, composta sulla base dei docu- menti pubblicati dal Fiorelli. L'autore non si h prefisso uno scopo scientifico; il suo libro sarä letto con piacere da chi, senza studi speciali, vorrä infor- marsi suU'andamento e suUe vicende di quegli scavi.
8. Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti (Nic-
coLiNi). Napoli.
Finita la parte sistematica Fa. seguita a pubblicare T« Appendice », ed e amvato al fascicolo 95. I fascicoli si succedono a brevi intervalli e sono privi di valore sia artistico sia scientifico. Sarebbe terapo che gli associati si mettessero d'accordo per por fine ad una speculazione fondata sul desiderio, specialmente delle biblioteche, di non restare con esemplari incompleti.
(Sarä continuato).
A. Mau.
DUE MONÜMENTI DELL'ITALIA MERIDIONALE. (Tavv. X e XI).
1. '^qIY Archaeologischer Aiiseiger 1867 p. 110 sgg. comunicai come i due frammenti della « base di Sorrento « , tolti dal posto ove stavano murati, erano stati riiiniLi con altre antichitä sorrentine, tin allora disperse, in un piccolo Museo miinicipale. Scoperto in tal modo il terzo lato (<?) del frammento maggiore (I) lo feci dise- gnare da im artista napoletano. Ma quel disegno non riusci sod- disfacente, e se ora si pubblica la base completa, lo si deve al mio chiarissimo amico sig. Otto Donner von Richter, il quäle sog- giornando, anni sono, a Sorrento, ne feee un nuovo disegno e lo mise, con la sua solita cortesia, a mia disposizione. Lo pubblico piü tardi che non ayrei voluto, riferendomi alle circostanze sopra esposte e rinnovando all' artista amico i miei ringraziamenti. Ripe- tendosi qui le altre rappresentanze della base, aggiungo poche pa- role di spiegazione tolte dai miei appunti.
I due frammenti disuguali, se non combaciano piü esattamente, pure stante 1' identitä del marmo, la conformitä del lavoro, degli ornamenti e della grandezza d.-lle tigm-e non si puö in alcun modo dubitare che non facessero parte d'uno stesso monumento. Cf. la pianta della base e le figure sulla tav. X.
Ib: riprodotto Gerhard Antike Bildiv. tav. 22. — Müller- Wieseler Deakm. d. a. K. II 63, 810. la: riprod. Gerhard tav. 21.
I c : riprod. per la prima volta dietro il disegno del Donner.
II d : riprod. Gerhard tav. 24. — Baumeister Benkm. klass. AUerth. III n. 2173; qui dietro un nuovo disegno del Donner.
II(?: riprod. Gerhard tav. 23.
21
308 DÜE MONUMENTI DELL'iTALIA MERIDIONALE
Era la base di forma quadrangolare bislimga ed aveva la lun- ghezza di circa m. 1,36 {d 0,57 piü c 0,69 ; lacuna in mezzo non piü di 0,10), il lato corto di m. 0,82 senza la cornice, ora in gran parte smussata, con essa di circa 0,94, l'altezza di 1,18: misure che la dimostrano destinata per una figura seduta grande press' a poco al vero, sul genere del Menandro vaticano {^) e di statue simili. Un gruppo di diie statue in piedi una accanto all'altra, non sa- rebbe compatibile con la composizione dei lati lunghi della base, in ciascuno de' quali le divinitä sedenti son dirette verso il lato corto e come lato di fronte. Verso questo stesso lato dunque do- veva essere rivolta la figura seduta. Di quäl genere essa fosse, forse le rappresentanze della base possono aiutarci ad indagarlo, dovendosi ammettere, a quanto pare secondo analogie antiche, una relazione piü o meno stretta fra la statua e le tigure ond' e adorna la base.
Nel bei mezzo del lato principale, di cui pur troppo non ri- mane che la metä, siede, avanti alla facciata d'un tempio ionico (^), una divinitä, virile a giudicarne dal corto chitone, che sul grembo e nella sinistra regge una grande cornucopia. Le corregge dei san- dali (non indicate sul disegno) arrivano fino ad una certa altezza. Avanti a lui sta un duce armato che alza la d. in atto di ado- razione ; il fanciullo nudo che gli sta accanto pare che l'abbia condotto qui e che con la d. lo additi. Sopra la divinitä una Co- rona di foglie e tenuta da un putto alato (Erote), cui nella metä perduta corrispondeva una figura simile. Dietro la divinitä poteva stare un guerriero, qualcuno del seguito del duce, o un seguace ossia inserviente della divinitä, in ogni modo una figura, senza che si possa dire alcun che di piü preciso.
Sul lato stretto opposto i figli di Leto si riconoscono a prima vista; Apollo citaredo fra Artemide con la face e Leto con lo scettro. Apollo, in lungo chitone, epiblema e mantello, con cin- tura e nastri che s incrociano sul petto (sie) sta li tranquillamente, seduto di faccia, poggiato sul piede sin., reggendo nella sin. la lira, nella d. probabilmente il plettro : figm'a che rimonta ad un
(1) Le misure del plinto di questo sono : larghezza posteriore, 0,73, an- teriore 0,95; lunghezza 1,0; cf. Fürster Arch. Ztg 1884 p. 100,
(2) L' indicazione degli strati delle pietre e aggiunta posteriore.
DÜE MONÜMENTI DELL'ITALIA MERIDIONALE 309
bell' originale — si confronti p. es., la nota statua di Monaco di Baviera, che ne differisce soltanto nella posizione delle gambe — e deve aggiungersi alle rappresentanze di Apollo vestito con la cetra enumerate dall'Overbeck Kunstmyth, Apollon p. 270 n. 25. Dietro il dio s'erge un gran tripode. A d., rivolta al fratello, sta ritta Artemide con la gamba sin. incrociata, con la d. poggiata nel fianco menfcre con la sin. tiene aiferrata ima lunga face pog- giata per terra ; e vestita di lungo chitone ed epiblema con nastri che s' incrociano sul petto. Sall'altro lato stä Leto, in chitone e mantello che le cuopre l'occipite ; per lo scettro cf. p. es. la Leto ax^Ttvqov exovda di Scopa (Strahl p. 640). Avanti ai suoi piedi sta seduta per terra una donna in veste lunga, con mantello che le cuopre l'occipite ; il chitone, scivolando dalla spalla d., lascia sco- perto il petto {sie) ; il capo chino e la d., che pende fiacca sulle ginocchia dimostrano grande tristezza ; la mano sin., abbassata mi sembrava che riposasse sopra un vaso. La spiegazione fin qui ac- cettata (proposta da Gerhard Prodromus p. 269 ('), che cioe essa sia la tebana Manto, e priva di fondamento ; potrebb' essere p. es. Pythia : il vaso che credetti di dover ravvisare conterrebbe allora sia oracoli sia l'acqua santa della fönte Castalia. Ovvero — e allora l'evidente tristezza sarebbe meglio giustificata — la donna rappre- senta una provincia vinta ; il yaso potrebb' essere un simbolo, un attributo della provincia stessa, sul cui significato perö non saprei proporre nulla di soddisfacente.
Piü agevole riesce 1' interpretazione dei lati lunghi, di cui uno {d-\- e) e completo. Cinque figure di donne {-) in lungo chitone e manto che nel maggior numero cuopre loro anche l'occipite, in at- teggiamento solenne (con le braccia aderenti ai corpi) e in mossa sostenuta s'avvicinano ad una donna in trono, che accogliendole stende loro incontro la destra; l'avambraccio sin., che stava tran- quillo e aderente al corpo, e rotte. La dignitä e nobiltä della fi- gura e accresciuta dal bei panneggiamento, che rileva le forme, del chitone e dell'ampio mantello che cuopre la testa e la parte inferiore del corpo, dallo scabello e dalla spalliera riccamente or-
(1) Cosi anche Otfr. Müller Handbuch^ p. 692 § 412, 3 ; Overbeck, Sa- genkr. p. 162,4; Panofka Arch. Ztg 1848 Beilage p. 74*; ecc.
(2) Baumeister 1. c. senza ragione alcuna vi riconosce Vestali.
310 DÜE MONUMENTI DELL'iTALIA MERIDIONALE
nata del trono. Ad analogia dell'altro lato lungo possiamo ricono- scere qui forse una divinitä,, forse una sacerdotessa che tiene il luogo della divinitä stessa. Due donne leggermente vestite, che possono credersi sue compagne o inservienti, stanno una ad ogni lato di lei ; l'una raette il braccio sin. sul petto e china la testa sulla mano d. alzata, mentre l'altra con la d. tira su il raantello all'altezza della spalla.Tutte le figure femminili provengono anch'esse da egregi modelli riprodotti piü o meno esattamente. 11 fondo die- tro di esse e chiuso con tappeti sospesi, al di sopra dei quali com- pariscono qua e lä colonne ioniche del peribolo d'un tempio. Sopra e dietro la figura in trono vedönsi tre doni votivi coUocati su pi- lastri alti e larghi : avanti alle para'^ietasmata due aniraali con le teste alzate che io notai come vacca o toro e vitello, aggiun- gendo perö non esser sicura quest' ultima denominazione ; fra essi, dietro e sopra il tappeto, comparisce un piccolo simulacro di Atene, caratterizzata in modo indubitabile dal grande scudo nella sin., alzata; pare che la testa sia coperta dall'elmo e che la d. afferä la lancia poggiata per terra. Per quanto la figurina stia in alto e per quanto sia piccola, pure avremo a ravvisarvi la statua del tempio, del quäle sopra di essa, che sta fra due colonne, e accen- nato il tetto; l'altezza e le piccole dimensioni dipendono dal de- siderio di mostrar completo l'idolo non ostante il parapetasma. Cosi la donna in trono potrebb' essere la sacerdotessa d' Atene, in atto di accogliere avanti al sacrario della dea^ circondata dalle sue inservienti, una schiera di donne supplicanti.
ün soggetto simile era forse rappresentata sull'altro lato lungo, del quäle per disgrazia rimane soltanto una metä {b). Sopra un trono pomposamente ornato ('), con sgabello per i piedi {sie) siede riccamente vestita Cibele (o ßhea) ovvero la sua sacerdotessa; le sta accanto il leone accoccolato. Dietro il trono due altre figure: prima un Curete o Coribante in elmo, esomide e balteo, che dan- zando alza nella sin., lo scudo (-) (l'intero braccio d. e rotto); sul quäle si riconosce 1' insegna di due galli combattenti. Quindi
(1) II bracciuolo visibile parc ornato d'una testa di Medusa; ravvisarvi un timpano (Gerhard) h impossibile.
(*) E piuttosto uno scudo che un timpano, al quäle pure si potrebbe pensare.
DUE MONUMENTI DELL'iTALIA MERIDIONALE 311
una nobile figura di donna (*) in chitone e liingo mantello che le cuopre anche l'occipite ; tiene la mano d. sul ventre e con la sin. tira sopra il mantello press' a poco all'altezza della spalla (sie) : non • si puö disconoscere la rassomiglianza, nel vestire e nell'atteggia- mento, con quella donna che suU'altro lato lungo (c) sta anch' essa airestremitä della rappresentanza accanto (dietro) alla donna in trono ; soltanto le messe delle mani e dei piedi sono inverse. Se tale rassomiglianza sia casuale ovvero debba indicare 1' identitä delle due figure, non saprei deciderlo ; si potrebbe pensare ad una donna (o alla regione personificata) messa sotto la protezione qui di Ci- bele, lä di Atene. Con piü sicurezza si puö supporre suUa parte mancante avanti a Cibele una processione di donne adoranti ac- colte dalla dea come suU'altro lato lungo dalla supposta sacerdo- tessa d'Atene.
Abbiamo finito la descrizione di quanto e conservato e rap- presentato. senz'aver potuto proporre, quanto alla interpretazione di tutto r insieme e delle particolaritä, altro che congetture. Forse ci avviciniamo alla veritä riconoscendo sul lato di fronte (e) il duce vittorioso, la cui statua consolare stava sulla base, nel tempio di quella divinitä cui egli maggiormente si sentiva obbligato, mentre gli altri tre lati ci mostrano la provincia vinta, o amministrata, nella tutela di tre divinitä, e in atto di adorarle : Rhea-Cibele {b), Atene (de) ed i Letoidi. Non m'avventuro a dir di piü ; forse un altro sarä piü ardito e piü felice.
Rimane a dir qualche parola sul lavoro e sull'epoca dell'opera in discorso. Per quanto sia cousunta la superficie, traspira per tutto l'originaria bellezza ; greco, come il marmo, mi sembra anche il lavoro. Puö appartenere al primo secolo avanti Cristo ; in ogni modo la base di Sorrento, per quanto incompleta e logora, nuUadimeno e uno dei piü belli monumenti antichi che possegga l'Italia me- ridionale, ed e perciö giustificato che qui di nuovo si richiami su di essa l'attenzione degli archeologi.
2. In Ruvo, mentre vasi dipinti adesso come per il passato si trovano in abbondanza, sono estremamente rare le antichitä di altro genere. Ciö m' induce a pubblicare una piccola statuetta in bronzo di Mercurio, scavata l'anno passato in Ruvo ed ora conser-
(1) Gerhard 1. c. qui pure riconosce « Manto ».
312 DUE MONÜMENTI DELL'iTALIA MERIDIONALE
vata nella bella collezione del mio venerato amico Jatta. AUa sua gentilezza si deve il disegno che qui si pubblica, alla sua dottrina l'esatta descrizione nelle Not. d. scavi 1888 p. 533, alla quäle vo- lentieri mi riferisco.
La piccola figura e discretamente conservata : non manca che la mano d., con l'attributo che una volta portava. Pur troppo la superficie ha sofferto molto per l'ossido, in modo che le particolaritä in parte possono esser indovinate soltanto. L'altezza e di m. 0,09. II figlio di Mala e rappresentato non come l'ellenico messaggero degli dei e preside della palestra, ma come il dio romano del commer- cio, quäle spesso lo rappresentano, ed in modo simile, i piccoli bronzi, parte serviti da doni votiyi, parte coUocati nei lararii, che in gran numero si trovano nei musei ; cf. p. es. Ant. di Ercol. VI 33.34; Sacken Wien. Broten X 4; XII, 3; XVII 8; ecc.
Mercurio sta li poggiato sulla gamba d., con la clamide sulla spalla e sul braccio sin.; ha la testa cinta da una Corona di fo- glie ('), i cui nastri cadono lunghi sulle spalle; regge nella sin. il grande caduceo; nella d. protesa ora mancante, deve supporsi con assoluta certezza la borsa, il quäle, insieme col caduceo, e nei tempi romani il piü frequente attributo del dio. Accanto al piede d. sta un piccolo ariete, che spesso lo accompagna (cf. p. es. Paus. II 3, 4; Ann. d. Inst. 1863 tav. Q 1; Sacken 1. c. tav. 20; ecc), fin dai tempi piü antichi il dio e noto nei mito e nell'arte come xQiotfoQoc, ed ancora nei rilievi panteistici di provenienza gallica e germanica (-) non di rado Variete si vede in compagnia di Mer- curio come simbolo della tutela degli ai'menti.
L'epoca cui appartiene la figurina puö essere determinata sol- tanto approssimativamente : puö ascriversi non meno bene al primo che al terzo secolo d. C. Con maggior precisione possiamo giudi- care suU'epoca dell' originale al quäle in ultima istanza rimonta il Mercurio di Ruvo. II messaggero degli dei sta li tranquillo « la gamba su cui poggia il corpo vista di profilo, di faccia l'altra, il cui piede tocca il suolo non con 1' intiera pianta ma con la parte
(1) Cf. ora Wieseler, Archäol. Beitr. II p. 21 sgg. {Abh. d. Ges. d. Wiss. zu Göttingen, vol. XXXV).
(*) Benndorf, Arch. epigr. Mitth. Oestr. II 1 sgg.; 10. Hall. Progr. Nota 130.
DÜE MONÜMENTI DELL'iTALIA MERIDIONALE 313
anteriore soltanto; la gamba sgrayata del peso del corpo non h piegata nel ginocchio, ma stesa lateralmente con mossa leggera. II fianco corrispondente alla gamba che sorregge il corpo sporge infuori, con che e ottenuto l'eftetto di riposo completo ». Tale po- sizione di figure che stanno ritte tranquillamente i\ Winter {Jung, att. Vasen p. 8 sgg.), a ragione come pare, fa rimontare a Fidia, e cosi la figura originale che fu il modello del Mercurio Jatta e delle sue repliche, appartiene circa alla metä del quinto secolo a. Cr, Naturalmente non e ne, necessario ne probabile che quest' ori- ginale sia stato im Hermes.
H. Heydemann.
Non molto dopo questo articolo ci giunse la triste notizia della morte prematura del suo autore, nostro socio benetnerito. La lunga serie di dotti la- vori di cui egli ha arricchito le pubblicazioni deH'Istituto fin daH'anno 1867 si chiude con queste osservazioni, la prima delle quali si avrebbe voluto in onore del defunto corredare di una migliore riproduzione del monumento, poichö la litografla del sig. Mariani (tav. X) non ä potuto eseguirsi sui di- segni originali, non esistenti piü, ma su lavori di altro litografo. Non riu- scimmo pero ad averne una fotografia.
La Red.
I RILIEVI TONDI DELL'ARCO DI COSTANTINO (').
(Tav. XII).
Tutti sanno che l'arco di Costantino e stato ediflcato con ma- teriali di costruzioni anterior!, nia Topinione comune, che cioe tutte quelle parti che non mostrano il rozzo lavoro dell'epoca costanti- niana, appartengano ai tempi di Traiano, e falsa senz'altro (-). La parte costantiniana si riconosce facilraente ; ma, tolta questa, non tutto il rimanente puö attribuirsi a Traiano. Gli si attribuiscono (^) le colonne con i pilastri, a parer mio senza ragione. Le mezze co- lonne ed i trequarti di colonne degli archi traianei d'Italia, di Be- nevento cioe e di Ancona, conformi tra loro, hanno la base e la scanalatura differenti dalle nostre, e per quanto queste, fusti e ca- pitelli, siano superiori per la scultura a quelle dell'epoca costan- tiniana, pure non possono paragonarsi al cornicione e all'unico pi- lastro che ha conservato almeno la parte superiore col capitello, degno dell'epoca traianea, voglio dire il primo da sinistra sul lato Nord, l'unico, se non m' inganno, di giallo antico. Degli altri cre- derei antichi i soll capitelli; ma questi sono di esecuzione assai diversa, benche di disegno simile. Di piü il monumento traianeo spogliato da Costantino pare sia stato senza colonne, non giä perche gli archi di Traiano sufBcientemente conosciuti non ave-
(1) V. sopra p. 88, Sitzung sprotocolle dei 22 marzo.
(2) II Nibby, Borna etc. parte I ant. p. 445, volendo distinguere una terza parte, ha commesso il grosso eiTore di attribuire l'una metä del magni- fico rilievo quadripartito a Traiano, l'altra ai Gordiani. Acconsenti p. e. Dj'er, city of Rome p. 312.
(3) Rossini, Gli archi p. 11 ; Graef in Baumeister Denkmäler p. 1881; Mid- dleton, Rome p. 270.
I RILIEVI TONDI DELL'aRCO DI COSTANTINO 815
vano che mezze colonne (^), sibbene perche il cornicione non aveya fia dalla sua origine le sporgenze corrispondenti, o alnieno non le aveva sporgenti abbastanza per colonne.
L'epistüio col fregio, essendo di epoca posteriore, non prova nuUa ; ma del cornicione, che si e soliti a dire sommariamente del tempo di Traiano, non sono di lavoro originario che le parti diritte, mentre i membri sporgenti posti sulle colonne sono di un' esecuzione molto inferiore, e debbono senz' altro ascriversi alla fabbrica attiiale. Inoltre si noti che ciascimo degli otto membri sporgenti non consiste di im pezzo solo, come la parte sottoposta della trabeazione, bensi di tre pezzi, di cui sempre uno forma il lato maggiore del rettan- golo scolpito da tre lati, e meglio scolpito sulla fronte che sui iianchi, mentre gli altri due formano gli angoli rientranti con le parti attigue piü o meno grandi del cornicione diritto (-). Questo dunque, se per l'assenza di parti sporgenti non poteva avere colonne ap- plicate, per un'altra ragione non poteva nemmeno esser sorretto da colonne libere, per la diversa lunghezza cioe dei singoli pezzi : essendone due di 30 e 33 dentelli, due di 21 ^ e 22, dieci di 11 a 15, sei di 7 a 9 i. Ne sono congiunti perö sei da formare tre pezzi angolari di 11 e 7 l'uno, di 14 ^ e 7 l'altro e di 33 e 7 il terzo. Salta nell'occhio una proporzione delle quattro grandezze prese in media di
a |
71 |
( 6 esemplari) == n |
b |
13 |
(10 « ) = 2n |
c |
22 |
(2 " ) = ^n |
d |
3U |
(.2 ^ ) = 4n |
Potrebbe credersi che siffatta differenza di lunghezza facil- mente si spieghi dalla pianta di archi come quegli eretti a Traiano
(1) Rossini, Gli archi ecc. Tav. XXXVIII sgg. XLIV sgg. Graef. 1. c. p. 1881 sgg.
(2) Contando da mano sinistra sul lato Nord si troverä di aggiunta po- steriore a sinistra della prima sporgenza nessun dentello, a destra 5, a sin. della seconda 5, a d. 2 |, a sin. della terza 8, a d. 3, a sin. della quarta 3, a d. nessuno ; sul lato Sud a sin. della prima 5, a d. 4 ; a sin. della seconda 3, a d. 5; a sin. della terza 3, a d. 2 | ;,a sin. della quarta 2 ^ : a d. nuUa si puö aifermare, essendo tutto quell'angolo di ristauro moderno ; ma per cou- gettura suppongo nel mio calcolo che esso abbia rimpiazzato un pezzo angolare antico. Si vede inoltre che i pezzi antichi sono commessi sonza esattezza alcuna
316 I RILIEVI TONDI
in Ancona ed in Benevento ; ma ne a questi ne a quello che for- mava l'ingresso al foro di Traiano mancavano parti sporgenti della trabeazione.
Ne questo e l'unico argomento contrario all'opinione general- mente adottata, che cioe l'arco di Costantino sia stato costruito e ornato soltanto con materiali d'un arco di Traiano ; anche quel magnifico rilievo rappresentante le vittorie e il ritorno di Traiano non trova posto, per la sua grandezza, in un arco. Prima del Rossini, il quäle pare ne meni vanto, il Bellori ed il Santa Bartoli (') rico- nobbero che i quattro rilievi ora occupanti i lati corti dell'attico ed i lati destro e sinistro del passaggio principale sono parti di im sol fregio grandiose, non segato in quattro, come stranamente dicono alcuni (-), ma soltanto scomposto, essende anzi ciascuna delle quattro parti formata da due lastre invece d'una sola. Ri- composte, le otto lastre danno un bassorilievo lungo di quasi 45 piedi 0 metri 15, e tale dimensione, giä per se troppo grande in qualunque arco, manca nel caso nostro ancora di qualche parte. I rilievi stessi (meglio che i disegni pubblicati dal Rossini 1. c. tav. 70 e dal Bellori tav. 42 e 45) fanno vedere che a sinistra {^) come a destra doveva continuare la rappresentanza, dimodocche ai 45 piedi di lunghezza se ne aggiungono almeno altri 11.
Anche le statue dei prigionieri barbari, poste suUe colonne, mancano di analogia negli archi di Traiano, mentre figure simili furono trovate negli scavi del suo foro. Ma io lascio ad altri il giudicare, se il racconto di Ammiano Marcellino XVI 10, 15, essere stato Costanzio stupefatto dalla magnificenza del foro di Traiano, o altra cosa (^) impedisca veramente di credere spogliata in quel tempo anche una parte di questo foro. Certo e che, se alcune parti, delle quali abbiamo parlato o parleremo in appresso, potevano provenire da un arco di Traiano, ve ne sono altre di arte traianea si, ma non poste nella loro origine in un arco.
(1) Rossini, Gli archi ecc. p. 11, Bellori, Veteres arcus ecc. tav. 45 haec et antecedentes tres unam olim conficiehant tahulam in arcu vel in aedificiis fori Trajani ecc.
(2) Come Reber, Ruinen p. 425; Burn, 1. c. p. 171 e Middleton, 1. c. p. 278.
(3) A sinistra quelle figure che troppo chiaramente accusavano come incompleto il rilievo furono rozzamente abrase.
(4) Cf. Jordan, Topogr. I, 2 p. 457.
DELL'aRCO DI COSTANTINO 317
Vi e poi una terza parte, che benissimo puö attribuirsi ad un arco piü anti'co, ma certo non di Traiano, benche queste rap- presentanze — sono i rilievi dell'attico sui lati lunghi — da tutti (') dopo il Bellori siano stati riferiti alla vita di Traiano. Mostrano qiiesti rilievi in piü d'una parte imitazione manifesta di opere traianee, ma per lo stile, per l'esecuzione, e per essere quasi tutti i maschi di etä virile, soldati, ufficiali e le persone del cor- teggio imperiale barbati, hanno da ascriversi all'epoca degli An- tonini. Anzi, le dimensioni delle singole tavole e la loro incor- niciatura le dimostrano compagne di quelle quattro che dalla chiesa di S. Martino furono traslocate al palazzo dei Conservatori, ma che non si sa donde venissero a S. Martina. Molti li pongono a raffronto con i due rilievi in cima della scala del palazzo dei Conser- vatori e con un terzo nel palazzo Torlonia a piazza di Venezia, i quali si sa aver fatto parte della decorazione dell'arco di M. Au- relio e Lucio Vero presso il palazzo Fiano. Ma questi, benche di Stile simile, sono di un'esecuzione forse un po' migliore e certo di dimensioni differenti, e mancano della cornice. II fatto stesso che queste rappresentanze furono spiegate dalla vita di Traiano, le di- mostra non riferibili ad una determinata individualitä. Di fatto pompa ed ingresso nella cittä, sagrifizio, allocuzione, giudizio di prigionieri supplichevoli o scene simili dovevano ripetersi nella vita di vari imperatori. Egualmente difiicile poi, per non dire impossi- bile, riesce il volerle disporre tanto secondo le linee e la simmetria delle composizioni, quanto secondo il loro significato.
Da quanto abbiamo esposto si rileva che piü d'un monu- mento anteriore ha dovuto fornire materiali per la fabbrica co- stantiniana, e che appunto per questa mescolanza di elementi ete- rogenei, scelti e disposti arbitrariamente, sarebbe ardito il voler precisare natura e forma dei monumenti spogliati. Vi e perö una certa serie di rilievi che per argomenti intrinseci lasciano travedere un po' piü della loro disposizione e del loro numero ori- ginario, e questi appartengono alla parte migliore, voglio dire traia-
(1) Non vi si oppose nerameno lo Zoega, BR. I p. 147. Di altri v. Venuti, Descriz. topogr. I» p. 22 ; Beschr. Roms III, 1 S. 316 ; Braun, H. u. M. p. 7. Reber 1. c. p. 428. Graef. 1. c. p. 1881 ; Burgess, Topogr. I p. 258. Burn, Rome p. 172. Dyer, city of R. p. 112 ; Middleton 1. c. p. 278, 280.
318 I RILIEVI TONDI
nea, dell'opera, cioe gli otto tondi o medaglioni dei lati hmghi. Essi si vedono riprodotti in eliotipie piü grandi e secondo l'ordine attuale nelle Antike Denkmäler herausgegeben vom K. D. Ar- chaeologischen Institut, vol. I tav. XLII (lato Nord) XLIII (lato Sud); riprodotti sulla nostra tav. XII in eliotipie piü piccole e secondo l'ordine che nelle seguenti osservazioni si vorrebbe provare essere stato l'origina'rio (').
E prima d'ogni altro il fatto che ai lati corti si do vettere aggiungere due simili tondi di lavoro contemporaneo porta a de- durre che il monumento spogliato ne fornisse solo otto, a meno che non si voglia credere l'architetto dell'arco tanto invaghito dell'idea di rappresentare 1' Oriente sul lato Est e l'Occidente sul lato Ovest, da rinunziare piuttosto al materiale pronto che alla sua idea. Ma gli otto tondi traianei, benche scomposti e nuova- mente aggruppati dall'architetto costantiniano, formano precisamente quattro paia. e questo e un altro argomento, ch' essi non fiirono mai in numero maggiore (2).
Ora e manifesto che anche la disposizione attuale non e for- tuita, ma secondo un concetto. Ai commentatori non sfuggi che i medaglioni sono disposti in modo da esibire un alternarsi regolare di cacce e di sagrifizi. E certo perö che questo ordine, il cui Schema sarebbe a b a b, h tutt' altro che originario. Siccome un arco trionfale doveva essere disposto simmetricamente, sia nell'ar- chitettura stessa che nelle figure che vi erano sovrapposte, cosi s'intende che anche i tondi dovevano essere ordinati simmetrica- mente a sin. e a d. del passaggio, non secondo la formola ab ab, ma piuttosto secondo quell'altra abba ovvero baab. E questa legge di composizione non era ignota all'architetto di Costantino; lo dimostrano le rozze figure di Vittorie sugli zoccoli delle co- lonne, disposte tutte verso il passaggio centrale, come anche le Vittorie voianti nei sesti della volta grande e le figure di fiumi nei sesti di quelle piccole (3). Se niente di meno per il riordina-
(1) Sull'arco di Costantino si trovano verso Nord da sin. a d. i nostri nn. 3. 1. 7. 8, sul lato Sud parimente da sin. a d. i nostri nn. 2. 5. 6. 4.
(2) Tre delle paja furono riconosciute giä dal Fabretti, de columna Trajana p. 171, seguito dal Montfaucon, Ant. expl. II p. 200.
(3) II vedere i Daci prigionieri al di sopra delle colonne posanti tutti ugualmente sulla gamba sinistra, forse sarä un altro motivo per non crederli
DELL'aRCO DI COSTANTINO 319
mento dei tondi hanno trascurato questa legge, la causa dev' es- sere che, dimenticata o confusa la disposizione primitiva, si h seguito piuttosto un calcolo alla buona che un sentimento arti- stico. Lascio in sospeso per ora se l'intenzione di riui ire nel lato Nord i tondi, ove la figura principale e adorna del nimbo, sia stata una ragione della disposizione attuale ; il nimbo perö in dne tondi pare sia di aggiunta posteriore, nel primo cioe e nel terzo da sinistra : sopra questa particolaritä e suUo stato attuale dei rilievi, come suUe deformazioni che i tondi hanno soiferto per la traslocazione, ed anche suUa loro policromia, si troveranno le indi- cazioni necessarie nel testo delle Antike Denkmäler (I tav. XLII). ove sono pure accennate le interpolazioni del Sante Bartoli (*), in parte, ma non tutte, rigettate dal Rossini. In questo luogo invece, prima di poter ricercare la disposizione originaria di tutti, bisogna accertare ciö che e rappresentato nei singoli tondi, non seguendo l'ordine attuale, ma riaccoppiandoli secondo indizi manifesti.
Ed e rimasta inseparata almeno uno coppia, quella a destra cioe del lato Nord (XII, 7 e 8). Vi si vede nel tondo a sin. la caccia finita: un gran leone ucciso giace prostrato ai piedi dei cacciatori, i quali, per guardare piü da vicino la belva, sono scesi dai ca- valli, tenuti per le briglie da due giovanetti. L'imperatore imberbe, con fattezze non troppo somiglianti ai ben noti ritratti di Traiano, mentre pare non possa essere altro che lui, e, come sempre (^), di statura un poco piü alta delle altre persone, e adorno del nimbo (v. Denkmäler 1. c). Egli sta sopra la parte anteriore del lione, rivol- gendosi con un gesto della sinistra al compagno, uomo di aspetto dignitoso, forse per offrirgli qualche cosa. ün altro barbato, che sta fra loro, rassomiglia un poco ad Adriane (3).
coUocati originariamente in un arco. Le vergini xöqcu che sorreggono il tetto della piccola Tigöaraoig ngog rw KexQon'uo deirEretteo di Atene, posano le tre a man sinistra sulla coscia destra, le tre a destra sulla coscia sinistra.
(1) AI sig. 0. Kern debbo alcune notizie sui disegni del Dal Pozzo con- servati a Windsor. Ne risulta che quesi disegni sono senza interpolazioni. Forse uno dei nostri coUeghi inglesi farä un confronto della nostra tavola col Codice di Windsor, per mettere in evidenza lo stato nel quäle si trovano i rilievi in quel tempo.
(*) Sulla colonna traiana questa legge talvolta non e stata osservata.
(') Piü rassomigliante serabra a una bella testa del Museo capitolino
320 I RILIEVI TONDI
Nel tondo compagno a destra si vedono quattro cacciatori, caratterizzati come tali dagli spiedi con vesti cittadine. II prin- cipe, col capo coperto del manto, sta libando sopra un altare dinnanzi l'idolo d'un Ercole giovane (del quäle parlerö piii oltre) seduto in alto sopra la sua pelle leonina. Qui certamente egli non e Traiano. Non ostante il naso rotto si riconosce con perfetta chiarezza un personaggio piü vecchio, con molte rughe nella fronte, con chioma e barba molto corte. Anche i suoi eompagni, almeno quanti hanno la testa conservata, tanto quello che gli sta din- nanzi dall'altra parte dell'altare, quanto il giovane a sinistra, pos- sono dirsi con certezza differenti da quelli del primo tondo, raentre con uguale certezza si riconosceranno in qualche altro. Ma la pelle (') d'un lione colossale, sospesa come un ex voto alla base dell'idolo (-) unisce questo medaglione a quell' altro, da non lasciare alcun dubbio.
Un secondo paio (XII, 3. 4), disunito, essendo un medaglione il primo a sinistra sul lato Nord, 1' altro il primo a destra sul lato Sud, mostrano quello la caccia del cinghiale (3), questo un idolo di Diana cui viene offerto un sagrifizio di ringraziamento per l'uccisione d'un cinghiale, la cui testa si vede collocata sull'albero al disopra della dea. Anche qui debbono intendersi due cacce al cinghiale diverse fra loro, essendo differenti, secondo tutta l'apparenza, i cac- ciatori della prima scena dai sagrificanti della seconda, meno forse l'imperatore, il quäle nel sagrifizio ha il viso tanto logoro da potersi affermare soltanto possibile l'identitä di persona in
(galleria n. 32) falsamente spiegato Domizio Enobarbo. Nei rilievi della co- lonna Trajana, ove tante volte rafBgurato si vede Trajano coi eompagni, fra questi non ho mai potuto riconoscere un solo personaggio dei nostri medaglioni.
(1) Anthol. Palat. VI, 57 la pelle di un leone sospesa su di un pino si dedica a Pane. Cf. anche VI, 262 e 263. Ad Ercole s'indirizza VI, 114 con dedicazione di una pelle di toro con le coma posta ilyu nQonvXoy, come 112 tre teste di cervo si dicono fissate vn ai&ovatjoii' di Apolline, mentre in altri epigrammi simili doni vengono attaccati con chiodi agli alberi (VI, 96, 110, 112, 255), 0 semplicemente sospesi sui rami (VI, 35, 57, 106).
(*) Una strana spiegazione di questo rilievo si trova presso Middleton* p. 278 : ' in the sky among clouds is a figure of Jupiter and by him a small figure of Minerva \
(=<) Cf. la caccia d'un cinghiale su moneta di Adriane, Cohen 502, d'un lione Coramodo 867, di una pantera Commodo 957, ove sempre l'imperatore a cavallo insegue la belva fuggente.
DELL'aRCO DI COSTANTINO 321
ambedue le scene. Invece nell'altro tondo la testa e assai bene conservata, e qui si osservano meglio le specialitä dei ritratti di Traiano. Gli altri due cacciatori a cavallo credo riconoscerli nella scena del lione ucciso, ove pure di quelli che assistono al sagrifizio sembrano ricorrere i due airestrema destra e sinistra, mentre l'uomo robusto a sin. dell'altare, che tiene la spada nel fo- dero con la sin., si riconosee nella caccia all'orso a sinistra del principe. II simulacro di Diana sopra base tonda, ombreggiata — non molto perö — da due alberi (fogliame e frutti paiono di lauro) e graziosissimo. Nel chitone succinto credo ravvisare quella stoffa a pieghe fine, prediletta dall'arte greca arcaica e tornata di moda, se non m'inganno, fin dalla fine del secolo quarto. E cinta da una cordicella non molto sotto le mammelle; la dea inoltre si e av- volta la vita con un panno affaldato, la cui estremitä pende din- nanzi alFornero sinistro. Dietro l'omero destro apparisce il tur- casso; sul rilievo stesso ho creduto riconoscere una parte dell'arco nella manca abbassata; la destra alzata teneva la lunga fiaccola, di cui la parte inferiore si e conservata. Ove Sante Bartoli ha disegnato una piccola luna sulla fronte della dea, io non riconosco che due ricci della chioma raccolta da un nastro. La testa del cin- ghiale ucciso e propria di Diana (II IX, 548), e corae qui si vede consecrata suU'albero, cosi in altro rilievo un cacciatore l'ha at- taccata alla cappella (i). L'altare e coperto di varie frutta, con una grande pigna in ciraa, sopra legni incrociati non ancora ac- cesi. L'imperatore sta per consacrarle con la destra, mentre nella sinistra reggeva l'asta.
II terzo paio (XII, 5. 6) e dedicato alla caccia dell'orso; i meda- glioni compagni sono divisi, benche non molto, e si vedono sul lato Sud,quello con la caccia stessa a destra del passaggio principale,quello
(1) Sul bei rilievo Spada, con Adonide (?) ferito, in Guattani Mon. ined. tav. XXX, 'Qmnn, XII Basreliefs T. II; Schreiber, Relief bilder IN. Cf. Guat- tani XXXIV, Braun III, Schreiber V. NeH'Antologia Palatina VI, 111 un certo Licorma ha ucciso un cervo, deQfia de xcd dixeocuof... xov^cc d-rjxE ticcq', 'Jygöndi. Alla stessa Artemis spettano forse i palchi attaccati a un pino nel n. 110; mentre la pelle di un cinghiale nel n. 168 si dedica a Pane. Cf. p. 322 annot. 1 e Filostrato, Imagg. 1, 28 xcd xrjv \4yQotEQ(ip ngogiäyrss uaovxuv vm<; yccQ rig avz^s fxc? x(d (cya^/uu Xeiof vno zov ^QÖyov xcd aviov xecpa'Acd xcd aqxtcov.
322 I RILIEVI TONDI
col sagrifizio a sinistra. La composizione della caccia e quasi iden- tica quella del cinghiale : tre cacciatori perseguono la belva verso destra: perö per variare qui si e dato all'imperatore non il posto piü innanzi, ma quello piü verso chi guarda, e perciö egli e posto piü nel mezzo, e lascia indietro il giovanetto. L'imperatore non e piü riconoscibile ; il suo compagno a destra fu giä raifrontato con l'as- sistente al sagrifizio di Diana. L'orso, molto piccolo, non e forse la parte men lodevole della composizione; giacche il cavaliere piü avanzato, il cui cavallo, troppo gracile, sembra correre per aria, ha la gamba destra d'una liinghezza eccessiva, e simile sproporzione del cavallo e del cavaliere si osserva nell' ultimo. II me- daglione compagno si riconosce dalla pelle con la testa colossale, sospesa sull'albero accanto al simulacro. La pelle, di cui anche una gamba si vede pendente, non fu riconosciuta ne dal Bellori ne dal Rossini, e la testa nei loro disegni ha piuttosto l'apparenza di leone. Eppure e un orso evidente (riconosciuto giä da Fabretti p. 170, ove rafligura il tondo non interpolato); e ciö vien confermato dal nume al quäle e stato consecrato Q). Divinitä barbuta di forme erculee, perö non e Ercole, non solamente perche un Ercole giä l'abbiamo trovato in un altro medaglione, raa eziandio per l'acconciatura dei capelli, per la pelle piena di frutta sorretta dall'omero o braccio sinistro, pelle non di leone ma di capra, finalmente per un piü antico ex voto di una siringa {-) sospesa all'albero sagro, il quäle ora porta anche il nuovo dono della pelle d'orso. Tutto ciö accenna manifestamente al dio Silvano {^), dio venerato dal
(1) A Silvano si fa una dedicazione ob aprum eximiae formae captum ; Corp. inscr. lat. VII, 451, e Silvano corrisponde al greco dio Pane, piü di ogni altro nume venerato dai cacciatori. A Pane si dedica testa o pelle di cervo nell'Antol. Palat. VI, 255, di lupo 106, di cinghiale 168, di leone 57.
(2) La siringa viene sospesa come ex voto di Pane Antol. Pal. VI, 177. Pr^sso Silvano si vede Bötticher, Baumkultus fig. 16, 19. Cf. Tibull II, 5, 29.
(3) Vd. Preller-Jordan, Rom. Mythologie I p. 392, Keifferscheid, An- nali 1866 p. 219. Nella nota 1 p. 225 quest'ultimo dice riguardo alla nostra figura ' certo e che non sia ne Ercole ne Silvano '. Invece egli lo crede Fauno. Ma non aveva riconosciuto bene i particolari del rilievo, perche parla di una testa di pecora pendente dall'albero e di un pedum nella raano del dio. Per Silvano l'aveva spiegato il Bellori, al quäle si oppose il Rossini, e lo chiamo Ercole, non basandosi che su interpolazioni del Sante Bartoli, sulla clava cioe ; ma non vi esiste oggetto che somigli ad una clava o ad un pedum,
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cacciatori, e specialmente da Traiano ('). Il vero che mancano alcuni dei soliti attributi del niime silvestre : manca il cane e man- cano gli stivali, attributi non indispensabili. Indispensabile invece e il coltello, il quäle non manca che per difetto deiravambraccio destro : due puntelli, l'uno per la raano, l'altro un po' addietro, in- dicano un oggetto tenuto orizzontalmente dalla mano stessa, appunto come sarebbe tenuto il coltello. Se finalmente e o sembra almeno privo di Corona, gli e certamente perche, mentre l'Augusto si ap- presta al sagrifizio dinnanzi alla statua, uno dei compagni da dietro sta per incoronarlo. Dall'essere quest' ultimo scalzo e vestito d'eso- mide, e dalla sua stessa movenza di protendere il pie destro ed alzarsi(2), afferrando con la mano sinistra un ramo dell'albero per poter giungere alla testa della statua, si riconosce non essere egli un personaggio del seguito dell'imperatore, neppure un paggio, bensi un servo, quäle altrove non abbiamo trovato, ma che qui e richiesto dal concetto della rappresentazione. Neil' imperatore, beu- che ora sia perduta tutta la parte superiore del corpo, pure la fi- gura e la movenza richiamano piuttosto Traiano che quel vecchio dalla chioma corta ; e nell'uomo posto dietro di lui, di statura un po' pesante e dal collo robusto, non ostante l'assenza della testa credo ravvisare quelle ovvio nelle scene del leone e del cinghiale. Anche il giovane che con la destra alzata sta adorando il nume potrebbe identificarsi con qualche figura delle scene prelodate.
Kestano due medaglioni, l'uno (XII, 2) il primo da sin.sul lato Sud, l'altro (XII, 1) il secondo da sin. sul lato Nord; e questi due s'ac- coppiano appunto per un motivo opposto a quello che unisce le altre coppie: lä i medaglioni con la caccia ad una bestia del medesimo ge- nere hanno per riscontro medaglioni con la bestia uccisa che si con- sacra al nume cui e prediletta ; qui nel primo si presenta non la caccia
suUa pelle leonina, che invece h caprina, sui pomi delle esperidi, che sono frutta semplici. Per Silvano fu riconosciuto anche dal Braun R. u. M. p. 8.
(1) V. Fabretti, 1. c. p. 172; Keifferscheid, 1. c. p. 223. Silvano sull'arco di Benevento presso Rossini, 1. c. Tav. XLI.
(2) E raolto simile per l'azione la figura di un compagno d'Ippolito, il quäle sul sarcofogo di Costantinopoli pubblicato nel Bulletin de corresp. hel- lenique 1889, pl. V, sta per attaccare i palchi di un cervo al terapietto di Artemis. Nella tragedia conservata di Euripide Ippolito stesso incorona 11 si- mulacro della dea. Cf. l'annot. 1 p. 321.
22
324 I RILIEVI TONDl
ma la partenza per la caccia, l'uscita dalla porta ; nell'altro un'ado- razione ossia sagrifizio, ma senza alciina preda. Anzi visto la mo- venza della persona incontro al principe, che sta per allontanarsi piuttosto che per assistere alla solennitä, si penserä non giä ad im sagrifizio di ringraziamento, ma ad uno di preghiera, fatto nel pas- sare, come prescrive Senofonte Cyneg. 6, 12 avrov 6i tag xvvag XaßovTa Uvai ngog rrjv vrrayoyyrjv rov xvvr^ytaioi^ xal ev^ccfisvov TO) 'AtiÖXXmyi xal Tji 'Agrefudi rfj 'AyQorsQa {.israSovrai rrjg ^r^gag Xvaai lAiav xvva ecc. L'Apollo al quäle qui si fa la preghiera non e Y arcitenens^ ma, guardato dal suo grifone alla destra, con la sinistra afferra la cetra posta sul tripode allungato, nel quäle si torce il serpente; la destra pendente teneva senz'altro il plcttro. L'imperatore col nimbo non e Traiano, ma lo stesso vecchio con capelli e barba tonsi che abbiamo veduto sagrificare ad Ercole; e anche dinnanzi a lui si ripete il medesimo personaggio ; l'altro compagno che sta addietro, nel sagrifizio d' Ercole era senza testa; qui all'incontro l'ha conservata molto bene, ed e quelle che ab- biamo raffrontato ad Adriano nella scena del leone ucciso. Nella scena di partenza l'imperatore ed il suo compagno principale non hanno piü la testa ; ch' essi per altro siano diversi da quei che stavano a d. e a s. dell' Apollo, lo credo, parte perche nelle altre coppie vi era piuttosto diversitä che identitä di persone, parte perche i due giovani, che sono assai riconoscibili nella scena anteriore, per certo mancano nella seconda. E di questi giovani quello che sta sotto la porta forse si ritrova nella scena del leone ucciso a sinistra o dinnanzi a Silvano. L'altro, come venne osservato a proposito dal Bellori, rassomiglia ad Antinoo.
Essendo cosi le persone delle due scene compagne assoluta- mente diverse, potrebbe credersi troppo debole il legame, per cosi dire negativo, che consiste nell'assenza di una belva uccisa e con- sacrata. Ma qnesto non e l'unico legame. Vi si aggiunge un altro positive, Tessere in ambedue riuniti i medesimi concetti, della sortita cioe e della preghiera : nella seconda, al santuario d' Apollo, prevale l'adorazione del nume, ma l'amico del principe, appena fermatosi, giä continua il cammino. Nelprimo tutti s'avanzano, e non si vede alcun santuario ; che perö esso sia vicino, lo si puö conchiudere dal fatto che l'imperatore va a piedi condiicendo egli stesso il suo cavallo per le briglie, ciö che certo non farebbe se
DELL ARCO DI COSTANTINO 325
fosse aucora lontano. Lo credo dunque sceso or ora vicino ad im santuario, entrato nel quäle lascerä la cura del cavallo ad iino dei compagni.
Ma perche troviamo nelle scene accoppiate diversitä di per- sone? Forse perche si vollero celebrare non quattro cacce sole ma otto, due cioe al cinghiale, diie al leone ecc. In ogni caso la di- versitä di persona non puö contradire all'accoppiamento proposto, il quäle viene approvato anche per la disposizione tradizionale, no- nostante la parziale scomposizione. Confrontando cioe l'accoppia- mento attuale con l'originario, si troverä l'uno dall'altro meno di- vergente che non si crederebbe ; e ciö salterä negli occhi metten- doli in lila tutti ed otto e unendo con spranghe di sopra le coppie attuali, con spranghe disotto le coppie primitive:
Lato Nord Lato Sud
cinghiale Apollo Lione Ercole sortita Silvano Orso Diana (cinghiale)
Basta ritirare la sortita di due o tre posti per avere unite le quattro paia. Nasce perö subito una nuova quostione, se cioe nelle rispettive coppie i singoli medaglioni abbiano conservato il loro posto a sinistra o a destra, e se le coppie abbiano mantenuto il loro ordine originario o no. Ciö che spicca subito si e che, come i medaglioni si accoppiano, cosi anche le quattro coppie fanno due quaderne : Apollo si unisce con la sorella ed Ercole con Silvano (^), e nella fila sopra proposta ancora si travede come stavano insieme. Ora confrontando le due quaterne:
Cinghiale-Diana ; sortita-Apollo Orso-Silvano ; lione-Ercole,
delle quattro scene di caccia due, una di ciascuna quaderna, ci rappresontano la caccia stessa (cinghiale e orso) in forma quasi identica; le altre due, anch'esse per consegueuza una in ciascuna quaderna, ci presentano l'una un momento prima della caccia (sortita) l'altra un momento dopo la caccia (leone ucciso), di
(i) Sull'unionc di Ercole a Silvano v. Preller-Jordan, Rom. Mythol. II p. 282. Keiffersclieid, 1. c. p. 219.
326 I RILIEVI TONDI
modo che un certo progresso si fa sentire dal principio della caccia alla fine.
Osservando poi nei singoli medaglioni la direzione nella quäle le figure, o tutte, o le principali e la maggior parte, si muovono, per il cinghiale e l'orso senz'alcun dubbio si puö affermare che vanno a destra (»-^), benche non ei sfugga come l'artista, per contenere, la composizione nel tondo, abbia piegato verso chi guarda la mossa di qualche figura. Negli altri due prevale la tendenza verso sinistra. Ponendoli dunque provvisoriamente in fila, secondo il progresso so- praccennato, e ordinandoli, com'e il piü naturale, da sin. a destra, e con rispetto ai quaterne giä costituite, abbiamo tale Schema :
I II III IT
sortita cinghiale orso lione
^ '■"^ /f/r ^ mi ^ ^ WS.
Che qui non ci lasciamo ingannare da qualche caso, lo si vede subito, rivolgendoci ora ai quattro medaglioni compagni, quelli cioe con i sagrifizi. E vero che non vi e mai una tendenza cosi forte e dominante ne verso sinistra ne verso destra come nella caccia del cinghiale o dell'orso. Ma vi e sempre la figura princi- pale, il principe che fa il sagrifizio ; e desso con tutta la certezza si puö affermare due volte dirigersi a sinistra, due altre a destra, ed essere la sua direzione sempre contraria a quella che egli ha nei medaglioni compagni : se cioe nella caccia va a destra, nel sagrifizio si volge a sinistra o viceversa, come lo mostra lo Schema seguente, confrontato con quelle sopraproposto.
I II III IV
Apollo Diana Silvano Ercole.
Che questi contrapposti non siano Teffetto di un caso, si vede meglio ancora quando si osserva che in ciascuna quaderna l'impe- ratore si dirige in una caccia a sinistra, nell'altra a destra e rela- tivamente nelle scene compagne una volta a destra, l'altra a si- nistra, come fa vedere lo schema seguente nel quäle l'insieme, senza pregiudizio dell'ordine originario, si ritiene come sopra:
sortita- Apolline ; cinghiale-Diana; orso-Silvano ; lione-Ercole.
^ ^nV"» mr' ^ fiir ^ ^■' ' VlTv mr ^ ^" W*\ ^ V.Tv mt ^
dell'arco DI costantino 327
Da ciö si deduce con sufficiente probabilitä, che i modaglioni accoppiati originariamente, messi a sinistra e a destra di un co- raune centro, erano disposti per equilibrarsi a due a due secondo la formola abb a ovvero b aab , e che per conseguenza le due quaderne ornavano non una ma due diverse facqate d'un medesimo monumento. La quäle supposizione inoltre vien raccomandata da altri momenti, da certe somiglianze cioe delle scene corrispon- denti. Apollo e Diana, adorati nella prima quaterna, riposano e vero, tutti e due suUa garaba destra, ma del resto tutte le parti del corpo si fanno riscontro : l'uno lascia pendere la man destra ed alza la sinistra alla cetra posta sul tripode ; l'altra abbassa Ja sin. ed alza la destra con la fiaccola; ambedue volgono la testa verso l'imperatore adorante, ma siccome questo si accosta al simu- lacro di Apollo dalla parte sinistra, a Diana dalla destra, cosi questa guarda a destra, quello a sinistra. L'uno perö come l'altra sta fra mezzo di due alberi ossiano due rami d'un medesimo tronco (1), e stanno ambedue nel bei mezzo del tondo. L'ApoUo essende, come fu detto, privo di selvaggina consacrata, e accom- pagnato, in compenso della testa di cinghiale, dal serpente e dal grifone, mentre a Diana manca e cane e cervo.
I simulacri dell'altra quaderna, (Silvano, Ercole) mancano di una corrispondenza tanto dettagliata. La causa n' e manifesta. L'ApoUo e la Diana nell'insieme ci presentano tipi ben noti, ma le particolaritä sono accomodaie per la simmetria e per l'antitesi dei medaglioni e delle coppie. Per conseguenza e piuttosto un caso, se nei musei si trova una statua completamente identica {^). Lo stesso potrebbe concedersi riguardo al Silvano ; ma 1' Ercole, come vedremo in appresso, e un tipo speciale e perciö meno degli altri idoli e stato accomodato alla composizione, e la sua forma pro- pria poco corrisponde alla figura del Silvano; perö i posti che occupano nel tondo, non giä nel mezzo come i figli di Latona, ma piü da un lato, si corrispondono affatto : Silvano, al quäle
(}) Nel tondo della Diana i due tronchi si vedono a destra come a si- nistra della base cilindrica e assai stretta; nell'altro tondo la base quadrata e molto piü larga non lascia vedere tronco nö a sin, ne a destra.
(2) Eassomigliano assai all'Apollo e alla Diana due figure del dipinto pompeiano Mus. Borb. X tav. XX.
328 I RILIEVI TONDI
l'imperatore s'avvicina dalla parte destra, stassi a sinistra; il con- trario si verifica nell'Ercole. La pelle sospesa della belva si vede in ambedue. Questa somiglianza antitetica fra loro e dissomiglianza dagli altri due basterebbe a parer mio a provare che le coppie dl Apollo e Diana, nel monumento traianeo stavano in contrap- posto e miravansi insieme, ma separate dalle altre due con Ercole e Silvano.
Ma la separazione delle quaterne viene confermata anclie da un'osservazione di natura opposta, da somigiianze cioe fra le due quaderne, le quali, siccome invece di antitesi mostrano paral- lelismo o ripetizione, cosi rendono probabile che fossero disgiunti piuttosto che uniti. La caccia all'orso e pur troppo simile a quella al cinghiale; ma anche il leone ucciso e l'uscita concordano nel prevalere la direzione a sinistra e nell'essere tutte le figiire in piedi.
Pare adunque che la disposizione originaria dei medaglioni non fosse tanto diversa dall'attuale, e che per essi almeno si debba pensare ad un arco di Traiano spogliato da Costantino, come hanno pensato tutti. Fra gli archi eretti a Traiano quello di An- cona (Kossini, tav. XLIV sg, Graef Taf. LXXXIV) non offre analogie; le oifre invece quello di Benevento (Rossini tav. XXXVIII sgg.), sebbene i molti suoi rilievi hanno tutti la forma bislunga, e sono, essendo l'arco a itn passaggio solo, posti a sinistra e a destra, non a coppie ma l'uno sopra l'altro. I rilievi corrispondenti perö contrastano sempre per lä figura deH'imperatore, il quäle a sinistra sempre si volge verso la destra, a destra sempre verso la sinistra : la loro composizione dunque, come il loro ordinamento, sta in relazione col centro. L'arco piü grande poi che faceva ingresso al Foro di Traiano, come e stato copiato suUe monete, era adorno di tondi, due a sinistra, due a destra del passaggio principale, e uno centrale sopra quest' ultimo.
Ora depo aver riconosciuto gli olto medaglioni aver formato due quaterne, coUocate sulle due facciate di un arco e disposte a raffronto, sorge la domanda, se sia possibile indagare anche il posto preciso di ciascun medaglione. Non si puö rispondere, s'intende, con certezza, ma per farlo con qualche probabilitä ci possono aiu- tare i quattro argomenti seguenti: V la tradizione ossia l'ordine attuale; 2° la simmetria e l'equilibrio dei medaglioni riguardo all'azione caccia o sagrifizio) ; 3° la simmetria dei medaglioni
DELL'aRCO DI COSTANTINO 329
corrispondenti riguardo alla direzione della figiira principale ; 4° il progresso che si e potuto osservare nelle scene di caccia : 1 sor- tita, 2 caccia, 3 caccia, 4 caccia terminata, ovo la ripetizione della seconda azione parmi che sia un niiovo indizio della ripartizione su diie lati diversi. Tale progresso, siccome secondo l'uso greco e romano andrebbe dalla sinistra alla destra ('), cosi ci aiiita anche esso a ricostituire l'ordine originario. üna disposizione raccomandata concordemente da tutti questi argomenti sarebbe quasi certa; ma tale disposizione non esiste.
Imperciocche quella che qiianto piü e possibile ritiene l'or- dine attuale : I. Diana-cinghiale ; IL sortita-Apollo ; III. leone- Ercole ; IV. Silvano-orso, (essendo A B le due facciate d'nn arco)
. , B IV III '''' A 1 if
ha contro se gli argomenti 2 e 4 ed in parte anche il primo. Offende cioe la simmetria dell'azione (2), essendo fatto sul lato A secondo la formola b aa b , siiH'altro secondo quella ab b a , e fa sparire il progresso (4).
Sulla nostra tavola XII si vedono disposte ^osi : I. Apollo- sortita; II. cinghiale-Diana ; III. Silvano-orso; IV. lione-Ercole,
. . B IV III '''' A 1 II
II progresso (4) va bene; la simmetria dell'azione (2) e completa, ambedue le quaterne essendo disposte secondo la formola b aab;\B, simmetria della direzione (3), e vero, nel lato B e opposta a quella
del lato A (A B ) e
l'ordine tradizionale (1) e invertito quanto alle coppie, mentre per i singoli medaglioni delle coppie III IV e ritenuto. AI difetto di
(1) A meno che non sia richiesto un'altro ordine dalla natura dell'edi- fizio. Cosi p. e. i grandi rilievi nell'arco di Tito hanno Tuno la direzione a sin., l'altro a destra, perchö ambedue, rappresentanti l'entrata dei vincitori, sono diretti verso la eitta e il Campidoglio. L'ha imitato l'architelto di Co- stantino, quando, quadripartito il gran fregio di Traiano, scelse le due parti per ornare il passaggio principale del suo arco : e nell'uno e nell'altro si vede Timperatore diretto verso la cittä.
330 I RILIEVI TONDI
simmetria si potrebbe supplire contrasposizione delle coppie III e IV, ma a costo del progresso e con rinunzia completa alla tradizione.
Credo dunque che la disposizione da me preferita soddisfi piü d'ogni altra i quisiti proposti. Inoltre pare ragionevole di met- tere le scene di sagrifizio, come posteriori, verso la parte esterna, le cacce, come anteriori, verso il centro. La ' sortita ', poi, fa- cendo vedere un arco dal quäle escono l'Augusto col corteo vol- gendosi a sinistra, pare esiga un posto a sinistra del passaggio principale (^) ; e ciö ammesso si vorrä anche ammettere che con la sua quaderna doveva occapare il lato davanti o di fuori, mentre l'altro con Silvano ed Ercole, con le cacce piü pericolose stava sul lato interno, che si guardava dopo. —
Tra i simulacri adorati ve n'era uno che meno degli altri si prestava alla simmetria, e perciö piü degli altri doyeva ritenersi per un tipo individuale: l'Ercole cioe, solo di tutti e quattro se- duto, solo senza base, solo rappresentato come posto dentro un tempio, adorno di festoni. Ed essere questo tipo di Ercole pur troppo individuale ed insolito, ce lo prova il fatto che fin dai tempi di Sante Bartoli e del Bellori quasi {-) tutti l'hanno preso piuttosto per un Marte che per un Ercole ; per lo piü segnende lo Stark {^) il quäle non dubitö identificarlo col Mars .... sedens colossiaeus eiusdem (Scopae) manu in tempio Bruti Callaeci apud circum {Flaminium) di Plinio h. n. 36, 26, benche, quand'anche fosse Marte, non altra congruenza vi sarebbe che quella dello star seduto, mentre la statua del medaglione certo e tutt'altro- che colossale. Ma non e punto Marte. L'asta fuuna interpolazione del S. Bartoli, rifiutata dal Rossini nella tavola, ritenuta perö nel teste. Un'asta, aiferrata come nella ta- vola del Bellori, non avrebbe potuto fare a meno di lasciare qualche traccia come le tante aste dei cacciatori, lavorate tutte nel marmo stesso con puntelli qua e lä. Invece l'avambraccio d. del giovane dio seduto nel tondo faceva aggetto, appoggiandosi su qualche
(1) Sarebbe questa una relazione fra la rappresentanza ed il monumento che ne h adorno, come nel fregio del Partenone e stata osservata in piü luoghi: vd. Petersen, Kunst des Pheidias p. 199. 302.
(2) II Reber, Ruinen giustamente l'ha detto Hercules victor e cosi Mar- chetti nelle Notizie d. scavi, agosto 1889 p. 244.
(3) Philologus XXI p, 435 ; Overbeck, Gesch. der griech. Plastik n» p. 13.
DELL'aRCO DI COSTANTINO 331
attributo, di cui ora resta solo un puntello sulla corazza alla sua destra. Le corazze, essendo due, sono attributi del dio, non nel senso che egli ne facesse uso, ma come trofei ; anzi pare un dio senz'arrnatura egli stesso, vincitore di nemici armati. Di Marte dunque manca ogni indizio : aU'incontro la teniä, la pelle leonina di cui e coperto il suo sedile, e di cui si vede la testa sulla co- razza a destra, piü signiflcativa poi l'altra spoglia, consecrata dal principe cacciatore, e perfino le forme del corpo e della testa, tutto ciö indica piuttosto Ercole. E come mai Marte farebbe riscontro a Silvano, adorato come questo da cacciatori?
Fu una bella scoperta di C. L. Visconti, esposta nel Bullet- tino comunale 1887 p. 299 con tavola XVII sg., di riconoscere il me- desimo tipo di Ercole — da lui perö con gli altri creduto Marte — nei frammenti di tre Statuette : la piü bella (1. c. fig. 1, 2) tro- vata non molto fa in via Leonina ; un'altra da molto tempo con- servata nella Galleria lapidaria del Vaticano {Beschreibung Roms 11 p. 32, 14 ; 1. c. fig. 3) ; la terza posseduta dal Visconti.(l. c. fig. 4). Se ne puö aggiungere una quarta esistente a Liverpool (vd. A. Mi- chaelis Ancient marbles in Great Brilain p. 423, 2). Quest'ultima sola, che e di lavoro meschino, ha conservato la parte superiore del corpo meno le braccia, come si vede nella fig. 1 riprodotta da una fotografia favoritami dal sig, Entwistle per mediazione del Michaelis e senza confronto fu riconosciuta per Ercole. Come tale e designato neir iscrizione della base, pubblicata giä, come vide Michaelis, nel Corpus inscr. lat. VI, 1, 322 (ristretta in due righe) ed il cui teste: Ilerculi Invicio\sacrum\M. Claudius Esychus d.d. sulla fotografia si rintraccia quasi completamente. Una statua simile, ri- conosciuta sempre per Ercole, e quella del palazzo Altemps, de- scritta Matz-Duhn I, 123, pubblicata dal Clarac 802 F, 1988 A. Nonostante le dimensioni colossali e la mancanza dei trofei ed un cambiamento di r^ovimento che hanno subito le braccia essa pure mostra affinitä certissima, come si rileva dalla zincografia fig. 2. Si osservi la larga roccia, coperta dalla pelle leonina, la cui testa tanto cospicua si alza a destra ,per dare appoggio a qualche at- tributo. I piedi hanno conservato la posizione, avanzato il destro, ritirato il sinistro (col ginocchio di rozzo ristauro) mentre quella delle braccia e cambiata, essendo alzato il sinistro (non di ristauro) invece del destro, e protesa la destra (la mano oggi di ristauro)
332
I RILIEVI TONDI
invece della sinistra. L'attributo principale trovandosi nella mano protesa come nelle altre repliche, e la testa rivolgendosi ad essa, il cambiamento delle braccia produsse anche un'altro movimento della testa. La te«ta stessa perö, rotta, raa senza ristauro, con la siia benda e con le forme alquanto simili a quelle trattate dal Graef suUa p. 189 sgg., ma piü arcaiche, piii di ogni altra parte con- ferma l'identitä del tipo (')•
Fig. 1.
In questo tipo dunque l'eroe o dio, tntto ignudo, sta seduto con il piede desti-o piü in avanti, col sinistro piü indietro sulla roccia coperta
(1) Si confronti la statuetta trovata negli orti di Cesare a deslra della via Portuense, anch'essa divergente in piir d'un punto. Notizie d. sc. 1889 p. 245 ; finalmonte una della collezione Decpdenc 19 (Michaelis, Anc. marhles in Gr. Br. p. 286; Clarac 730 B, 1755) la quäle per la testa rimessasi dice un Sileno.
DELL ARCO DI COSTANTINO
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dalla pelle ('), la cni testa, a destra di chi guarda, molto elevata, porta le tracce di qiialche oggetto postovi sopra. Diie corazze stanno appoggiate contro la roccia, a destra e a sinistra di Ercolö (-), il cui piede sinistro calca uno scudo (nn. 1 3 e 4, una galea n. 2); e altri scudi di varia forma si vedono ai fianchi e addietro, special- niente nella statua di via Leonina. Tiitto questo particolare corri- sponde esattamente alla figura del medaglione, e mentre questo ci
Fig. 2.
fa comprendere le tracce sulla testa del leone nelle Statuette, quelle all'incontro ci aiutano a riconoscere nel medaglione lo scudo sotto 11 piede sinistro.
(^) Nel secondo e quarto esomplare, e forse ncl primo, uiia gamba dclla pelle era gettata sulla coscia destra del dio.
(*) Nel n. 4 non sembra essere che una, e di altre armi vi si riconosce un arco e im turcasso, forse un' interpolazionc nata por errore del copista.
334 I RILIEVI TONDI
Ma per ristaurare gli attributi delle mani era necessario un altro dato, che fortunatamente ci ha somministrato l'accor- tezza del Dressel, il quäle partendo 1' ultima volta da Eoma a noi lasciö le impronte d'una moneta di Adriano e di un'altra diAn- tonino, del Museo di Berlino, tutte e due riprodotte qui in zinco- grafia, figg. 3 e 4. AI primo sguardo si scorge la loro perfetta con-
Fig. 3. Fig. 4.
cordanza con il tipo di cui stiamo ragionando. Si conferma la di- sposizione della pelle con una gamba gettata sulla coscia destra dell'eroe. La Vittoria a destra non apparisce che nel bronzo di Adriano, e neanche ivi con troppa chiarezza, in modo da lasciare dubbio se stia librata nell'aria ovvero, contro ogni usanza, poggiata sul braccio di Ercole : giacche per stare sulla testa del leone sembra essere troppo elevata. E certo perö che qui, come nel tondo, non sta sulla mano. La mano sinistra cioe tiene fermo un altro og- getto, piü chiaro nel bronzo d'Antonino. Ma bisogna confrontare anche altre monete descritte nell'opera del Cohen vol. II : Adriano n. 329-332 di argento, 1081 sg. di oro, di bronzo nessuno ; An- tonino 215 (pare il nostro di fig. 4) (^) di bronzo e 933 d' argento. Di queste descrizioni importa soltanto 1' essere raffigurato Ercole tre 0 quattre volte di faccia (1081, 1082, 215, 933), tre volte verso la destra (330 sgg.), una volta a sinistra (329) (-) come anche
Q) Anche presso Froehner, Les m4daillons de Vefnpire romain p. 57. (2) La Vittoria non e menzionata che ad Adriano 332, e per un errore molto spiegabile vi h posta nella mano dell'eroe.
DELL'ARCO DI COSTANTINO 335
le Statuette con le armi raffigurati ai fianchi e nella fig. 4 persino ad- dietro, provano l'originale fatto da essere veduto da ogni lato. L'at- tributo dell'una mano (non si dice di quäle, ma sarä la destra corae figg. 3 e 4) e sempre la clava. Quello della siuistra quasi sempre si dice des fleches, anche al n. 214, ove perö l'oggetto rafligurato corrisponderebbe piuttosto alla descrizione del n. 1082 wie que- nouille. Non occorre dire che il fuso in mano di questo Ercole e tanto impossibile quanto le frecce senza l'arco sono improbabili ; e sulla nostra moneta fig. 4, molto bene conservata, per certo non e ne l'uno ne l'altro, ma pare piuttosto un acrostolio, di modo che r Ercole si mostri vincitore o porgitore di vittorie non soltanto in terra ma anche in mare.
E perche fu prescelto questo tipo di Ercole, ove non preda bellica, ma di caccia si consecra ? lo credo, anzi tutto perche egli rappre- senta un culto stabilito da Traiano, caduto depo i primi succes- sori di lui. Imperocche tutte le copie accennate ripetono un solo e medesimo originale ed appartengono tutte, come credo, alla prima metä del secolo secondo ; la piü antica pare sia quella nel me- daglione dell'arco. L'originale e nato dalla fusione di certi tipi piü antichi di Ercole seduto con un tipo di figura sedente su di armi. Belli tipi di Ercole seduto (-) con in mano la clava e il boccale, simboli quella delle fatiche, questo del dolce riposo, si ve- dono SU monete di Taranto, Crotone Eraclea ; per la clava appog- giata sul suolo si avviciuano un po' piii del nostro tipo una di Antioco {Catalogue Seleucid. IFI, 2, Coins 37, 14) e un' altra di Allaria in Greta {Coins 43, 28); piü ancora una di Agatocle {Coins 39, 27) ma piü di tutte Y01KI2TA2 di Croton {Coins 25, 19 ; Gardner, Types V, 2 Head, H. n. p. 81) seduto su d'una roccia coperta della pelle d'innanzi ad un altare, con un ramo- scello nella destra, e la sinistra appoggiata sulla clava posta sulla roccia; ma niente di armi tranne l'arco col turcasso dietro la sede. Con armature di nemici vinti si vede su monete dei tiranni Timoteo
(1) Non hanno nessuna relazione con questo tipo le rai)presentanze di Ercole divinizzato e condotto al cielo al di sopra della pira sulla quäle s'ab- brucciano le armi dell'eroe. V. Ghirardini, Kiv. di fllologia 1880 p. 20 e Furtwängler in Röscher. Lexicon p. 2240.
(2) Ved. l'articolo * Herakles ' in Koscher, Lexicoii p. 2160.
336 I RILIEVI TONDI
e Dionisio, e si crede voler erigere un trofeo ('); Portatore d'un trofeo si vede su monete di C. Antiiis ('). L'Ercole onXoifida'^ su monete di Smirne (3) si spiega altrimeiiti ; e veramente al tipo di cui ragioniamo il soprannome di d/iXo(fvXa^ non potrebbe appli- carsi che per iino scherze. Inoltre la testa deH'oTrAo^jU«^ e barbata. II sedere sopra o frammezzo di armi conquistate, che nelle tante rappresentanze di Ercole non si trova prima di Traiano o Adriane, si usava molto prima per altre divinitä o personificazioni. La piü antica ferse e im Apollo (?) su monete di Marathus, ignudo, seduto a sin. sopra degli scudi, con acrostolio e palma nelle mani (^). Meno soggetta a dubbii e l'Etolia che sulle monete della confederazione etolica (dal 279 al 168) suole raffigurarsi sediita, con un petaso, con la destra sull'asta e una Vittoria nella sinistra, circondata di armi, massimamente scudi, ma talvolta anche con una tuba ai piedi (Head h. n. p. 284 ; Coins 42, 14 sg. Catalogiie, Thessaly XXX, 3 sgg. ; Gardner Journal of hellenic studies IX p. ^ß). E quasi necessasio ravvisare in questa figura la copia di una statua e nelle armi soltanto una piccola parte di quelle che si vedevano accumulate sotto l'originale. Che questa perö fosse la statua descritta da Pausania 9, 18, 7 tQonciiöv rs xal yvvaixoq ayaXfia MTtXidfibvr^c, come vorrebbe lo Head 1. c, non lo credo, perche le armi sul suolo non sono un xQÖnaiov, ed escludono anche una tale aggiunta. Presse un trofeo invece di una figura seduta meglio ne starebbe una ritta in piedi, la quäle anche potrebbe dirsi piü adattata per essere dedicata nell'estero, come una seduta piü adattata al proprio paese. Credo dunque nelle monete essere co- piata piuttosto una statua posta p. e. a Thermen, capoluogo del- l'Etolia stessa. Certo si e che i ßomani, imitando, come solevano, tipi greci per la loro dea Roma, hanno adoperato quei due tipi, l'uno ritte in piedi presse un trofeo, per il quäle basta citare lo Zoega B. R. I p. 146, l'altro seduto su d'un mucchio d'armi. Quest' ultimo, ovvio giä nell' ultimo secolo della repubblica su mo-
(1) Mionnet II p. 444, 179 e 181 Su. V p. 70. 359 Head, H. n. p. 442 Gardner, Types XIII, 6. Coins 29, 25. Conf. Cohen, Med. imp. III Commodus 913.
(2) Babelon, Monnaies de la rep. rom. I p. 155.
(3) Vd. Eckhel, D. n. II p. 543. Mionnet 3 p. 209, 1149 sg. {*) Head, //. n. p. 670. Gardner, Types XIV, 13.
DELL'aRCO DI COSTANTINO 337
nete delle genti Carisia e Cecilia e Poblicia e Vibia (v. Babelon Monnaies de la republiqiie rom.), fii poi ripetuto innumerevoli volte da Nerone fino a Marco Aiirelio : una virago armata, il ciii sedile e stipato di corazze e scudi, mentre ella con un piede talVolta calca un elmo. Spesso anche una Vittoria le vien data in mano, ed e forse degno di nota che una Roma siifatta su d'una moneta di Domiziano presso Cohen vol. I 728 sta per essere inco- ronata da Ercole ('). La Virtü poi in monete di Adriano Cohen 714, di Marco Aurelio 1006 e Commodo 964, e la Vittoria in quelle di Marco Aurelio 356 e Commodo 483, l'una e l'altra assisa sopra armatura, non sono che varianti della dea Roma. Questo concetto e stato trasferito anche agli imperatori stessi, come a Claudio seduto sopra sedia curule con armi tutto intorno presse Cohen I p. 221 e similmente Tito n. 399. Finalmente il mucchio d'armi si rappresenta solo (M. Aurelio 154, 173. Commodo 89, 95, 103). II tipo di Ercole di cui ragiono nel titolo aggiunto alla sta- tuetta di Liverpool e designato come Hercules Imictus. Lo stesso cognome, ossia Victor, insigniva Ercole a Tibur e a Roma presso la porta Trigemina, ma sopra tutto quelle venerato al famosissimo santuario dell'ara massima, al quäle era uso romano di dedicare la decima. Lo Henzen nel BuUettino 1845 p. 74 e 76 sg. ed il Mommsen nel Corpus iascr. lat. I, 540 p. 149 hanno dimo- strato come prima di ogni altro guadagno era del bottino di guerra, che i generali vincitori e trionfanti dedicavano la decima. II simulacro piü antico era quello dedicato da Evandro raffigu- rato con la testa coperta dalla pelle leonina (Serv. Aen. 8, 288). ün altro tipo, Ercole cioe tutto ignudo, ci presenta la statua capitolina (-), trovata nelle rovine dioWlaedes rotunda Ilerculis in foro boario (Livio 10, 23), tempio che esisteva fino al secolo XV ed e stato illustrato dal de Rossi negli Annali 1854 p. 29 sgg. Non vi era quindi un tipo solo sagro ed inalterabile dell'/Zer-
(^) In modo simile e rafBgurata anche in qualche rilievo, como in quello della villa Albani presso Zoega I tav. XXXI ; e nel raonumento degli Aterii Mon. Ined. d. I. V t. VII come statua posta nel passaggio dell'arcMS in sacra via summa (v. Ann. 1849 p. 10). Nella statua posta nel cortile del palazzo de'Conservatori in fondo le armi appoggiate contro il trono sono di ristauro.
(2) V. Itighetti I tav. 36.
338 I RILIEVI TONDI
cules^ come nemmeno il suo cognome era uno ed immutabile. Secondo l'uso antico cioe generali ed imperatori trionfanti, quando consagravano la decima del bottino, non potevano fare a meno di dedicarla qualche volta sotto la forma di un simulacro coii o seoza tempio od edicola ('), come 1' iscrizione conservata {Corp. inscr. lat. I, 540) c' insegna aver fatto L. Miimmio ; o quäle era probabilmente anche (^\Q\Yaedes rotunda, che si e voluto identificare con la Mum- miana; e come finalmente secondo la tradizione favolosa di Masu- rio Sabino presso Macrobio III, 6, 11 aveva fatto M. Octavius Ilerrenus. Un tale ex voto credo dunque anche 1' originale del quäle abbiamo riconosciuto le copie nelle statue e Statuette, tutte di pro- venienza romana, e nel medaglione trajaneo, e la dedica di questo originale per congettura l'attribuisco a Trajano. Le armi accumulate attorno alla sede del nume sono forse la decima piü naturale del bottino bellico, come anche il tributo piü significativo che si po- tesse offrire al vietor o invictus, massimamente se s' immaginano arme reali, non raffigurate, addossate al sedile del nume di mar- mo ovvero di bronzo. Siffatte armi, se si suppongono dedicate si- multaneamente col simulacro, dovevano presto diventare parte essenziale del simulacro, nonostante la loro natura diversa; di modo che si copiassero come parte di essa con piü o meno esattezza, ma tal- volta anche si omettessero come nella statua Altemps (-). Anche la pic- cola Vittoria pare essere un' aggiunta posteriore, fatta per carat- terizzare meglio il Victor, ma poco conveniente al sentimento dei Greci, i quali anzi raffiguravano l'eroe divinizzato condotto all'Olimpo da Atene o da Nike. L'ultima di queste aggiunte, fatte per acco- modare al culto romano un simulacro greco piü antico, sarebbe l'acrostolio, se a ragione fu riconosciuto come tale. E questo po- trebbe spiegarsi dalla storiella di Masurio Sabino, la quäle puö ammettersi creduta dai Romani, benche fosse composta, a giudizio del Mommsen, per spiegare l'uso delle decime, comune a soldati e mercanti. Ercole, il quäle in tutta la sua mitologia greca poco si presta ad essere adorato come nume potente anche sul mare, da meritare spoglia navali, in quella istoriella almeno tale si mani-
(1) V. Preller-Jordan, Rom. Mythol. II p. 205.
(2) Quelle altre potrebbero credersi dedicate da soldati, quest' ultima da un mercaute o quando si faceva il voto o dai voti compotes.
DELL'aRCO DI COSTANTINO 339
festö a Octaoius Herrenus. Esso cioe navigans a praedonibm
circiimventus fortissime repugnavit et vietor recessit per l'assi- stenza di Ercole, come questo gli rivelö in un sogno.
ün'altra concordanza fra l'Ercole dell'ara massima e il simu- lacro del medaglione ci e data da quel passo di Ateneo 45, 65, tanto importante per l'uso della decima, e che ci fa sapere che C. Marius dedicö all' Ercole invitto anche preda di caccia, cioe qualche pelle di mostruose belve dell'Africa.
Era falsa l'opinione che Marte fosse raffigurato nel medaglione, ma per falsa che sia, pure conferma in certo quäl modo la spie- gazione giusta, perche l'Ercole Victor o Invietus e quasi un'altro Marte, o Marte un'altro Ercole, äXXoq ovrog '^HQaxXr-g, quäle era il nome di una Menippea di Varrone (•) üi qua cum de Invicto Hercule loqueretur eundem esse ac Martern probavit.
E. Petersen
(1) V. Macrobio III 12, 6, corretto dal Mommsen.
POSTILLA ALIA PAG. 168.
L'iscrizione sulla p. 168, che per errore fu rovesciata, qui si ripete corretta :
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23
SITZÜNGSPEOTOCOLLE
Festsitzung am 13. Dezember zur Geburtstagsfeier Win- ckelmanns. — Lumbroso : Pomponius Laetus und der piemonte- sische Graf Ludovico Tizzone. — Petersen : Ausgrabung eines ionischen Tempels im alten Lokri epizephyrii.
Lumbroso : Pariare in questo luogo, in questo giorno, di uno dei padri delFepigrafia e topografia romana, e delle romane umanistiche adunanze solenni, quäle fu Pomponio Leto, h cosa tanto naturale che mi permette di entrar subito in raateria quasi senza esordio.
Pomponio Leto non fece, non pare abbia fatto, una Silloge epigraflca propriaraente detta. Forse l'indirizzo de' suoi studi, nei quali Tepigrafia veniva ad essere soprattutto come un sussidio allarinascentee cara filologia, fors'altri motivi che mi sfuggono lo tennero lontano dall'impresa di un Corpus quäle si fosse. Ma fatto sta che amö singolarmente, ricercö, trascrisse, adoperö le antiche iscrizioni,
Della sua attivitä in questo campo abbiamo varie testimonianze dirette ed indirette. C'fe, prima di tutto, un suo taccuino epigrafico, segnalato dal De Rossi, nella Vaticana (i). Cb qualche altro suo notamento dello stesso genere, accennato per le stampe dal signor De Nolhac, ed a me privatamente dal signor dott. Huelsen, in quella niedesima biblioteca (^). C'e il rauseo la- pidario della sua casetta sul Quirinale, non molti anni dopo la morte di lui ricordato, fragli altri, dall'Albertiui {^), e pubblicato nella raccolta Mazochi (■*). Ci sono sue lettere piene di ghiottornie epigrafiche, al Sabellico, al Poli- ziano {^). Ch l'uso ch'egli fa nel suo storico compendio dei ritrovamenti epi- grafici di Roma e d'Italia dei suo tempo {^), Ci sono le raccolte d'iscrizioni
(1) Cod. 3311, f. 172-180: cf. De Rossi, Inscr. II, 1888, p. 401.
(2) Cod. 3233, in principio: cf. De Nolhac, La Bibl. de Fulvio Orsini, 1887, p. 198 sgg.
(3) De mirabilib. Romae, 1509, f. XLII.
(*) Epigrammata antiquae Urbis 1521, f. XLII, sgg. (5) Opera M. A. Sabellici, 1502, f. W;Politiani, 1539, 1, p. 20, 24. Cf. De Rossi, Fasti di Venosa, 1853, p. 16; Mommsen, in G. I. L. I, p. 300. («) Opera Pomp. Laeti, 1515, f. IX'.
SITZUNGSPROTOCOLLE 341
di Fra Giocondo, di Pietro Sabino (i), di un Anonimo marciano (2), e soprat- tutto del bolognese Tommaso Gammaro (3),nelle qualiegli ebbe tanta parte. C'ö il ricordo di una passeggiata e conversazione epigrafica fra le rovine di Roma, fatta in compagnia di lui dall'Alessandri, l'autore dei « Dies Geniales » {*) Tutto cib h noto ed acquisito alla scienza. Ma non vedo segnalate in alcun luogo le due notizie ch'io ricavo da un Codice dell'Universitä di Torino (I, 111. 13, giä L. IV. 22) e comunico quest'oggi all'Istituto.
II codice nel suo insieme, e Tautore di esso, un personaggio piemontese di quel tempo, Ludovico Tizzone, conte di Desana nel Vercellese, il quäle copiö nel grosso volume membranaceo tutto ciö di cui gli piacque conservare 0 tramandare memoria, sono stati sufficentemente descritti ed illustrati dal Gazzera {^). Ludovico Tizzone, unitamente a Benvenuto di s. Giorgio, e ad An- drea Novello vescoTO di Alba, fu dal marchese Bonifacio di Monferrato in- viato a Eoma coll'incarico di prestare la sua obbedienza al nuovo pontefice Alessandro VI. u Recatisi al Vaticano, vi comparvero, scrive il Gazzera, con tale maestosa e prestante dignitä, e con tanto sfoggio di rieche e preziose vesti e livree, da trarre lo sguardo ed eccitare l'ammirazione di una Corte usa pur troppo in que' tempi, allo sfarzo ed allo scialacquo delle ricchezze, ed al piü intemperante lusso».
Probabilmente fin dal giorno di quel ricevimento e di quell'orazione mon- ferina, il conte di Desana ebbe occasione di conoscere Pomponio Leto (^). Ma io lascio stare le congetture e vengo dritte dritte al f. 107 del codice, dove in proposito di certa operetta che trascrive, il nobil uomo dice cosl : « Opus apud praeclarissimum poetam Poraponium Laetura in Urbe: in eius biblio- theca per me visum: dum apud Alexandrum sextum hispanum Pontificem Maximum pro eo salutando : pro Bonifacio Paleologo Marchione Montisferrati legationis munere fungor. Is ut erat natura mitis: perliberalis : ac penitus humanus: videns me eodem opusculo oblectari: non solum videndi copiam: sed eo me donavit: in quo nonnulla monumenta antiqua: tum ex triumpha- libus arcubus : ac Aquaeductibus : tum ex vetustissimis Marmoribus ac sepulcris : et ex Urbe : et ex tota Italia excerpta (erat enira Is reverende vetustatis ob- servator maximus): quorum nonnulla.. hoc meo libro annotabuntur » : il che egli fa, dopo trascritta l'operetta, dal f. 11?"" al f. 120'".
AI f. poi 327'" di questo stesso codice trovasi copia di una lettera del Tizzone, da Desana 1506, al segretario dell'imperatore Massimiliano, Giovanni Collavero, giureconsulto e insieme « venerande antiquitatis sectator maximus : ac amator affectatus » ; nella quäle gli dice : « Libellum multarum antiqui-
(1) Henzen in C. L L. VI, 1, p. XLIII.
(2) De Rossi, Note di topogr. rom. ecc. Roma, 1882.
i"^) Mommsen in Monatsber der k. Akad. der Wiss. zu Berlin, 1866, p. 372 sgg.
(4) Lib. I, Gap. XVI.
(5) Memorie storiche dei Tizzoni, Torino, 1842, p. 22 sg. Ne aveva giä parlato il Peyron nella Notitia librorum Valp. Calus., Lipsia, 1820, p. 85.
(6) Cf. Petri Carae Orationes Torino, 1520, p. 19-20.
342 SITZUNGSPROTOCOLLE
tatum refertum tibi dono mitto : quas dum apud Alexandrum Pontificem max. pro Bonifacio etc. : Pomponio duce viro litteratissimo ac reverende antiquitatis observantissimo : a sepulcris: a vetustorum marraorum fragmentis: ab aquae- ductibus: a triumphalibus arcubus propriis manibus excerpti. De nonnuUis etiam Pompouius mihi copiam feeit: quas e Sicilia: et ab aliis Italiae ur- bibus (ut summus antiquitatis investigator erat) conquisierat ».
In somma o l'erudizione dei piü competenti in materia di latine iscri- zioni mi tradisce, o noi abbiamo qui una fönte nuova di notizie intorno agli studi epigrafici di Pomponio Leto. Ond'io faccio voto, non oso dire che si cerchi in Germania il « libellus multarura antiquitatum refertus » donato al segretario di Massimiliano, ma che sia chiesto intanto a Torino e studiato in Roma il duplicato conservatone nel codice del Tizzone.
Petersen : riferi come nell'estate 1889, condotto sul luogo dal cav. E Candida sindaco di Gerace, trovö sul sito dell'antica Locri epizefirii a tre chiloraetri da Gerace gli avanzi d'un tempio ionico (^), di cui, da una base di colonna, subito si riconobbe l'afiSnitä col tempio di Giunone Samia.
II govemo italiano (il quäle, come si seppe piu tardi, ebbe da parecchi anni prima impedito la spogliazione giä molto avanzata del monumento), aderi presto airidea di una esplorazione, e ne diede l'incarico al R. Ispettore dott. P. Orsi, invitando cortesemente l'Istituto di mandare un suo rappresentante per assistervi e per studiare il tempio. Lo scavo incominciato al principio del no- vembre diede finora i risultati seguenti. II tempio ionico, eretto sui soliti tre gradini, era esastilo con diciasette colonne ai lati lunghi, con pronao ed opi- stodomo in antis, sul sommo gradino lungo metri 17.34, largo poco piü di metri 43 e mezzo. La costruzione solida ed esatta dello stereobata e stilobata occidentale, soli rimasti in situ, indica la migliore epoca greca. Le colonne di cui non furono trovati che scarsi frammenti, pare fossero composte ciascuna di quattro tamburi di quasi uguale altezza, e rassomigliano per la forma della base a quelle dell'anzidetto tempio di Samo, per l'anthemion sotto il capi- tello alle colonne dell'Eretteo di Atene, ma piü ancora a certi frammenti del tempio arcaico di Naucratis ; ed anche il capitello locrese per due singolaritä non trova riscontro piü esatto che in un capitello di Samo. La base della colonna con un plinto tondo ed un toro, di misure proporzionali, alti cio5 quello m. 0. 350 ine, questo 0.175 ine. pare dia la chiave del sistema me- trologico, ed essere la larghezza il centuplo della priore misura o il cinquan- tuplo della seconda (2)
Dell'epistilio come del fregio e del cornicione non fu trovato quasi niente, della grondaia e dei tegoloni diversi frammenti, di cui pochi con segni di scalpellino, l'unico scritto che si sia scoperto.
(1) H tempio ionico era stato riconosciuto anche dal benemerito fu ispet- tore di Eeggio, ora vescovo di Mileto monsig. de Lorenzo. Nella pianta di cui h corredata l'utile opera di P. Scaglione, Storie di Locri e Gerace Napoli 1856 il tempio non si trova indicato, se non fosse al n. 7, il quäle allora per isbaglio sarebbe messo all'Est del muro vicino invece aU'Ovest.
(*) V. la relazione seconda p. 345.
SITZÜNGSPROTOCOLLE 343
Dinnanzi alla fronte Ovest poi si scavö un gruppo di marmo pario di- scretamente conservato : un giovane accanto al suo cavallo, e con esso sop- portato da un tritone, quasicchö da questo venissero trasportati pel mare. Questa scoltura pier lo stile a pena puö essere anteriore al 400, mentre per la figura del Tritone e per il sistema di difesa contro gli uccelli (') richiama alla memoria le metope del tempio di Giove in Olimpia, e per questo appa- recchio si mostra parte della decorazione architettonica. Prima si dubitava, se fosse an acroterio, ovvero parte di un gruppo frontonale ; m_a vinse la se- conda opinione, quando piü tardi piü a destra si trovarono pochi ma indu- bitabili frammenti di un gruppo corrispondente, mosso verso la sinistra di chi guarda, come quelle prima trovato era mosso verso la destra. Simili sculture si potevano supporre avere ornato anche la fronte Orientale, ma nelle trincee fatte per indagarle non se ne ritrovo niente.
Invece vi vennero alla luce avanzi di un tempio molto arcaico, prede- cessore dell'iönico, di orientazione un po' differente, di dimensioni simili, di larghezza cioö quasi identica, ma di lunghezza alquanto minore, anch'esso in antis, esastilo e peristilo, benchö una certa diiferenza di costruzione e di ma- teriale facesse dubitare se questo peristilio non fosse un' aggiunta posteriore. Due pezzi di tamburi di colonne e due frammenti di lastre di terracotta con ornamenti dipinti pare appartenessero a questo tempio anteriore. — Per de- finire il nume culto in questo santuario finora mancano i mezzi.
Zum Palilienfest waren ernannt worden :
ö) zum Ehrenmitgliede :
S. Exe. der Kaiserlich deutsche Botschafter in Constantinopel, Herr von Radowitz ;
b) zu ordentlichen Mitgliedern die Herren Conte Agostino Antonelli in
Eom, Ed. Brizio in Bologna, A. von Domaszewski in Heidelberg, Percy Gardner in Oxford, Ernest Gardner in Athen, Fr. Koepp in Berlin, G. Kieseritzky in Petersburg, P. Narducci in Eom, A. Sogliano in Neapel, Charles Waldstein in Athen, Franz Win- ter in Charlottenburg ;
c) zu correspondierenden Mitgliedern die Herren Julius Centerwall in
Söderhamm (Schweden), Botho Graef in Berlin, Joh. Ficker in Leipzig, G. Kawerau in Athen, Iphikratis Kokkides in Athen, Alexander Kontoleon in Smyrna, Fr. Pichler in Graz, Arthur Schneider in Leipzig, Cecil Smith in London, H. Winnefeld z. Z. in Rom.
Zum Winckelmannstage wurden ernannt:
a) zu ordentlichen Mitgliedern die Herren Dr. Richard Bohn in Nien- burg, Richard Borrmann und L A. Kaupert in Berlin, Robert Koldewey in Hamburg, Dr. Adolf Trendelenburg in Berlin, Dr. Lindenschmit in Mainz, Eugöne Müntz in Paris, Dr. Karl Schuchhardt in Hannover;
(») V. Athen. Mittheilungen 1889 p. 233.
344 SITZÜNGSPROTOCOLLE
b) zu Gojrrespondenten die Herren Ernest Babelon, B. Haussoullier Ed- mond Pottier und Salomon Keinach in Paris.
20 Dezember. Mau : Inschrift von Scafati. — Huelsen : Der Fundort des Apollon vom Belvedere.
Mau : Facendosi certi lavori presse la chiesa parocchiale di Scafati fu trovata incisa in una lastra di marmo bianco con lettere buone, alte m. 0,067, riscr. seguent.e, copiata dal rif. in casa del sig. dott. Morlicchio a Scafati:
J-,IVl/ö<-^l-lii 1 L O ivi V b MAG-PAGI • FELICIS . SVBVRBANI • EX • TESTAM
ARBITRATV RVFIONIS • L • F+S CClOD
La prima riga facilmente si supplisce liO'C-l-philomvso Nel principio h probabile che sia stato corretto Livs in Lio, non viceversa, sia perchö il dativo e piü usitato in iscrizioni di questo genere, sia perchfe col nominativo la riga diventerebbe soverchiamente lunga ; forse il motivo della correzione era appunto questo che il nome di Filomuso oltrepassava lo spazio assegnatogli e che, invece di aggiungere altre due lettere al cognome, si preferi di correggere il gentilizio. Quest'ultimo dev'essere stato lungo : altri- menti, anche adoperando un carattere piü grande per la prima riga, pure si sarebbe procurato di farvelo entrar tutto. Fra i gentilizi pompeiani finora conosciuti solo quello di Rusticelius vi si adatta. L'iscrizione dimostra che il pagus Augustus Felix non ebbe fin da principio il nome di Augustus. Questo nome probabilmente gli fu dato quando vi fu istituito il culto di Augusto nell'a, 7. a. C, nel quäle anno entrarono in ufScio i primi ministri pagi Augusti Felicis suburbani {C. I. L. X 924). Che il pago stesso fosse piü antico, fondato da Silla forse coi Pompeiani espulsi per far posto ai co- loni romani, lo si era dedotto dal cognome di Felix :, prova insufficiente, essendo stato portato quel cognome anche da colonie non fondate da Silla (Capua, Nola, Benevento). La nova iscrizione prova almeno l'esistenza del pago prima della istituzione del culto d' Augusto. La paleografia non contrad- dice ai primi tempi augustei.
Huelsen : L'opinione adottata da quasi tutti gli archeologi moderni, l'ApoUo di Belvedere essere stato trovato fra le rovine della villa Neroniana in Anzio, si fonda principalmente sopra l'autoritä di Pirro Ligorio, scrittore posteriore di molto al ritrovamento, e di fede, come tutti sanno, sospettissima. La vera provenienza della statua pare la riveli una notizia nel codice Ambro- siano di Bartolomeo Suardi (tav. VI ed. Mongeri) : secondo questa l'ApoUo sarebbe stato trovato in una tenuta del cardinale della Rovere situata nel tenitorio Tusculano.
SITZDNGSPROTOCOLLE 345
10 Januar. Petersen legt die Mr. Entwistle in Liverpool ver- dankten Photographien einer vierten Replik des von C. L. Visconti (Bull, comun. 1887 p. 299) erläuterten Statuentypus vor (S. oben S. 331). — Derselbe: zweiter Bericht über die Ausgrabung in Lokri (S. Sitzung vom 13 Dez. 1889). — Mau : pompejanische Gladiatoreninschriften (S. Mittheill. unten.).
Petersen immediatamente dt>po l'adunanza solenne era tornato a Gerace, ove Tispettore Orsi nel frattempo aveva sostenuto solo il lavoro cori molto disfavore del tempo. Dai 17 ai 21 vi si ebbe anche la pregevole assistenzadel collega Dörpfeld, venuto dopo l'invito del riferente secondato dalla direzione centrale. La sera del 23, allorquando i lavori necessarii parevano essere ter- minati, anche il riferente lasciö Gerace. La pianta del tempio come era stata esposta nella prima relazione in tutti i punti essenziali fu approvata dal Dörpfeld, il quäle perö con la solita prontezza ne levö una nuova piü di arte, da pubblicarsi nel Bullettino. Anche la quistione metrologica dall'egregio col- lega fu posta in piena luce. Egli riconobbe cioö che si avesse a unire le due parti della base di colonna e che sommati cosi i millimetri 525 ovvero 528 rendessero appunto la differenza delle distanze assiali delle colonne laterali e delle frontali, essendo distanti i centri di queste m. 3.17 e di quelle 2.64, e che quest'ultima misura fosse il quintuplo come quella priore il sestuplo della raedesima misura. E questa misura egli si ricordö essere il braccio samio pa- ragonato da Erodoto al braccio egizio, il quäle dal Lepsius era stato calco- lato di m. 0.525. Di questi bracci sami dunque secondo il Dörpfeld il tempio ionico locrese misurava 36 di larghezza (suirinfimo gradinetto) Ö6 di lun- ghezza, 30 e 80 di distanza assiale delle colonne angolari, 18 di larghezza del naos, 9 di larghezza dei portici laterali ecc. Del gi'uppo creduto frontonale ovest il eh. Orsi aveva trovato il piede di una figura centrale come pare. AI fronte est ancora niente di simile.
Anche pel tempio arcaico si ebbe qualche complemento : parte del fon damento del peristilio ovest, la cui distanza dalla fronte del naos e soltanto la metä incirca della corrispontente distanza sul lato opposto (i), (e questa fronte ovest si mostro senza propileo in antis); poi parte del muro est della cella. Nell'angolo Sud-Ovest finalmente di questa cella si scopri un basamento che per la sua posizione puo credersi aver sorretto l'aitare della cella nuova, come un'altra pietra poco distante il simulacro della cella arcaica.
(1) Dopo la raia partenza perö l'ispettore Orsi fece un ultimo sforzo per ritrovare l'augolo Nord-Ovest di questo peristilio che si poteva supporre na- sc3sto sotterra, per andar fuori dell'area del tempio nuovo, e con ottimo suc- cesso. La filata Ovest pero, secondo mi scrisse il eh. Orsi sporge di m. 3.86 SU quel pezzo trovato prirai. Dal quäle fatto pare risulti uua doppia colon- nata alle fronti.
INHALT
H. Dessau, Note di epigrafia S. 182-184.
G. F. Gamürrini, // matrimonio italico (Taf. IV) S. 89-100
B. Graef, Herakles des Skopas und Verwandtes (Taf. VIII, IX)
S. 189-226.
H. Heydemann, Dm monumenti dell'Italia meridionale (Taf. X, XI) S. 307-313.
Ch. Huelsen, Antiehitä di monte Citorio S. 41-64.
« 11 II cesto dei pugili antichi S. 175-181.
» » Jahresbericht über Funde und Forschungen zur To-
pographie der Stadt Rom 1887-1889 S. 227-291.
A. Mau, Scavi di Pompei (Taf. I) S. 3-31 und 101-125.
» » Bibliografia pompeiana p. 292-305.
Th. Mommsen, Miscellanea epigraphica S. 172-174.
E. Petersen, Hera von Alkamenes S. 65-74.
» » / rilievi tondi dell'arco di Costantino (Taf. XII)
S. 314-339.
A. Schneider, Zu den attischen Kleinmeistern (Taf. VII) S. 153-165.
C. Wernicke, Bromi di Epidauro S. 166-171 (vgl. S. 339). H. VP'innefeld, Antiehitä di Alatri (Taf. V, VI) S. 126-152. SiTZüNGSPROTOCOLLE, S. 75-88, 185-188, 340-345.
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