HARVARD UNIVERSITY. TODAS SS OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOÖLOGY. ie RICE E ^ MEMOR APR 28 1897 Mu N Si REALE ACCADEMIA B DELLE SCIENZE A ICI E SÉ e ACTE G? CAICH Ei Ga ` se CG N D] E EK e d DI TORINO (CEI Y LAC = CE 2) EE SERIE SECONDA ENS LS S'S SET S ETES SE Tomo XLVI D H TAR CE RSI D} C£ iS TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della A. Accademia delle Scienze >M MDCCCXCVI MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo XLVI v TORINO CARLO CUI A DUIS BEN Libraio della R. Accademia delle Scienze MDCCOXCVI PROPRIETÀ LETTERARIA Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi e della Reale Accademia delle Scienze. ELENCO ‘ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI AL 15 OrroBRE MDccexcv. APR 28 1897 PRESIDENTE Carte (Giuseppe), Dottore aggregato e Preside della Facoltà di Leggi, Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica, Socio Nazionale della H. Accademia dei Lincei, x, Comm. en. | VICE-P RESIDENTE Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d'Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola, e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corri- | spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non residente dell’Istituto d'Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio effettivo della Società e dell'O. d'Is. Catt. di Sp. Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. %, TESORIERE Camerano (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali, Professore di Anatomia comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- tura di Torino, Membro della Società Zoologica, di Francia, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore D'Ovinio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore, e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, ecc., Uffiz. x, Comm. e, Segretario Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, cx» ACCADEMICI RESIDENTI BALVADORI (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Sociétà Zoologica di Londra, dell'Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Im- periale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American Ornithologists Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. e», Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Cossa (Alfonso), predetto. VII BERRUTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano e dell'Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro del Consiglio Superiore delle Miniere, Gr. Uffiz. e»; Comm. #, dell'O. di Fran- cesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. D'Ovinro (Enrico), predetto. Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Direttore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Acca- demia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio Straniero dell Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc., Uffiz. a e Gr. Uffiz. e Ferrarıs (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino; Professore di Fisica tecnica e Direttore del Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, Prof. di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Membro del Comitato Internazionale dei pesi e delle misure e della Commissione Superiore metrica; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio onorario della R. Acca- demia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Francoforte sul Meno, e dell’ Associazione degli Ingegneri elettricisti dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. #:; , dell'O. di Franc. Gius. d’Austria e dell'O. reale della Corona di Prussia. Comm. NaccarI (Andrea), predetto. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Ac- cademia di Medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio Corri- spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, ecc. ecc., %, Comm. SPEZIA (Giorgio) Ingegnere, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, e Gre (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Botanica e Direttore dell'Orto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, s, Serre II. Tom. XLVI. I Giacomini (Carlo), Dottore aggregato in Medicina e Chirurgia, Professore di Ana- tomia umana, descrittiva, topografica ed Istologia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino e Direttore dell'Istituto Anatomico della Régia Università di Torino, +, ex. CauwERANO (Lorenzo), predetto. Secre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, sz. Prano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della * Sociedad Cientifica , del Messico, Socio e Membro del Consiglio direttivo del Circolo Matematico di Palermo. VozrerrA (Vito), Dottore in Fisica, Profess. di Meccanica razionale nella R. Uni- , versità di Torino, ee. JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nella R. Scuola d'Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, s». Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, s. Guanzsonr (Icilio), Dottore in Scienze Naturali, Professore e Direttore del- l’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Membro della Società Chimica di Berlino, «E. Gui (Camillo), Ingegnere, Professore di Statica grafica e scienza delle costru- zioni nella R. Scuola di Applicazione per gl’Ingegneri in Torino, cx Frzerr (Michele), Dottore in Chimica, Professore di chimica generale nella R. Uni- versità, Direttore della Scuola di Farmacia, : ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Brioscur (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bologna, ecc., Cor- rispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), IX e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio, di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matematiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d'Onore; e Comm. dell'O. di Cr. di Port. x CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del. Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Seienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera e della Società Reale di Londra, Comm. œ, Gr. Uffiz. er: =. ScnrapARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio Corrispondente del- l'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de' Naturalisti di Mosca e della Società astronomica di Londra, Gr. Cord. =; Comm. &; &. SrAccr (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Artiglieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, e dell'Accademia Pontaniana; Corri- spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; Uff. &, Comm. «=, Cav. del Merito Militare di Spagna. Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Matematica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della Scuola d'Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Accademia dei Linéei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Ac- cademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edim- burgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaeo, Membro onorario dell'Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luea, della Società Filosofica di Cambridge e dell'Associazione britannica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) dell'Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell'Università di Dublino, Professore emerito nell'Università di Bologna, Gr. Uffiz. +, Gr. Cord. æ, Cav. e Cons. =. Bertram (Eugenio) Professore di Fisica matematica nella R. Università di Roma, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Accademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società Matematica di Londra, Comm. s; : S FergoLa (Emanuele), Professore di Astronomia nella R. Università di Napoli. Socio ordinario residente della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli; Membro della Società italiana dei XL; Socio della R. Accademia dei Lincei, Socio residente dell’Accademia Pontaniana, x, c». Reizer (Riccardo), Professore Emerito della R. Università di Pisa. Socio ordinario della Società italiana delle Scienze, detta dei XL e della R. Accademia dei Lincei, Æ, Gr. Uff. «n, ©, ACCADEMICI STRANIERI Herurre (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. WzrersrrAss (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. Tuowsox (Guglielmo), Professore nell’ Università di Glasgow. GEGENBAUR (Carlo), Professore nell’Universitä di Heidelberg. Vmopow (Rodolfo), Professore nell’ Università di Berlino. koum (Alberto von), Professore nell’ Università di Würzburg. SYLVESTER (Giacomo Giuseppe), Professore nell'Università di Oxford. BumrRAND (Giuseppe Luigi), Professore nel Collegio di Francia, membro del- l’Istituto di Parigi. XI CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICHE PURE Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova Firenze Cantor (Maurizio) Prof. nell'Università di . . . . . . . Heidelberg Schwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di. . . Gottinga Krzrw (Felice), Professore nell'Università di . . . . . . . Gottinga Din: (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Università di Pisa Bertini (Eugenio), Professore nella RegiaUniversità di. . . Pisa | DanBoUx (G. Gastone), dell’Istit. di Francia . . . . . . . Parigi | PorwcARÉ (G. Enrico), dell’Istit. di Francia . . . . . . . Parigi Nope (Massimiliano), Professore nell'Università di. . . . Erlangen | Brancnr (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . Pisa Lre (Sophus), Professore nella R. Università di. . . . . . Lipsia JonpAN (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'IgbibuboPdr Au u e RE DOR AT Hob ASTORIA MrrrAG-LzrrLER (Gustavo), Professore a . . . . . . . . Stoccolma SEZIONE DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA E SCIENZA. DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE T'Aconrxr (Pietro), Direttore dell'Osservatorio del Collegio Romano Koma FaseLLa (Felice), Direttore della Scuola navale Superiore di. . Genova XII Hopkinson (Giovanni), della Società Reale di ZEUNER (Gustavo), Prof. nel Politecnico di Ewine gëeent Alfredo), Professore nell'Università di . Lorenzoni (Giuseppe), Prof. nella R. Università di CzLoRrA (Giovanni) Astronomo all'Osservatorio di. . . HzrwzRT (F. Roberto), Professore nell’ Università di Berlino. Londra Dresda Cambridge Padova Milano Berlino SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- versità di. KonrnAUScH (Federico), Presidente dell'Istituto Fisico-Teenico in Cornu (Maria Alfredo), dell'Istit. di Francia Vırvarı (Emilio), Professore nella R. Università di. Rorrr (Antonio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in WiEDEMANN (Gustavo), Professore nell’ Università di . Rieni (Augusto), Prof versità di ssore di Fisica sperimentale nella R. Uni- LiePMANN (Gabriele), dell'Istituto di Francia Raven (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella “ Royal THON Qs Ere NN ar Tromson (Giuseppe Giovanni), Professore nell’ Università di. F BorrZwANN (Luigi), Professore nell'Università di Roma Charlottenburg Parigi Napoli Firenze Lipsia Bologna Parigi Londra Cambridge Vienna SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA Bonyran (Giuseppe). Pcanramour (Filippo), Prof. di Chimica . Wii (Enrico), Professore di Chimica Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica Berrnzvor (Marcellino), dell'Istit. di Francia Parernd (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di Körner (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola super. d'Agricoltura in . FmrepEL (Carlo), dell'Istituto di Francia. Fresentus (Carlo Remigio), Professore a Bazver (Adolfo von), Professore nell Università di WinLrawsoN (Alessandro Guglielmo), della R. Società di. Tuonsen (Giulio), Prof. nell’ Università di . Les (Adolfo), Professore nell’ Università di MzxpELEjEPe (Demetrio), Professore nell'Imp. Università di Horr (J. H. van't), Prof. nell'Università di XIII Chambéry Ginevra Giessen Heidelberg Parigi Palermo Milano Parigi Wiesbaden Monaco (Baviera) Londra Copenaghen Vienna Pietroburgo Amsterdam SEZIONE DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA Srrüver (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di Roma * RosexBuson (Enrico), Prof. nell'Università di Heidelberg NorpeNsKI6LD (Adolfo Enrico), della R. Accademia delle Scienze di Stoccolma Zraxer (Ferdinando), Professore a. . . . . . . . . . . Lipsia Des CLorzraux (Alfredo Luigi Oliviero Lecrano), dell'Istituto di FTAD A E ERER EMT PARE E ISRAEL ROSE ENTER TEL CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia Università di. . . Bologna TscHERMAK (Gustavo), Prof.nell'Università di . . . . . . . Vienna ARZRUNI (Andrea), Professore nell'Istituto tecnico sup. (technische EE cq n au an Krem (Carlo), Professore nell'Università di . . . . . . . Berlino Gerr (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica . Londra Fougué (Ferdinando Andrea), Professore nel Collegio e membro dell'Istituto’ di aus «#5 SES Bola uai ^19 SABRE", Lotte Parigi SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE Trévisan pe Sainr-Léon (Conte Vittore), Corrispondente del R. Istituto Lombardo . Milano GrnNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di Cagliari Carver (Teodoro), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in. . . . . . . . . . Firenze ARDISSONE (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola SUporiUre agio ii Ue a EE, EE SACCARDO (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Padova Hooker (Giuseppe Darron), Direttore del Giardino Reale di Kew Londra SACHS (Giulio von), Prof. nell'Università di... (i. 2 Würzburg DzuPrwo (Federico), Professore nella R. Università di . . . . Napoli Prrorra (Romualdo), Professore nella Regia Università di . . Roma XV STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di . . . . Bonn Marrrgoro (Oreste), Professore nella R. Università di . . . . Bologna SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA De Serys Loweogawrs (Edmondo). . . . . . . . . . . Liegi PHILIPPE (hodolto Armando) LU e. i oque. COUT (CH) Gore: (Camillo), Professore nella R. Università di. . . . . . Pavia HAECKEL (Ernesto) Prof. nell'Università di... . . . . . . Jena ScrArer (Filippo LurLev), Segretario della Società Zoologica di Londra FATIC PILOTE) DOCCOL O red Ed KovaLewski (Alessandro), Professore nell’ Università di . . . Odessa Locard (Arnould), dell’Accademia delle Scienze di. . . . . Lione CuavvgAv (G. B. Augusto), Membro dell'Istituto di Francia Pro- fessore alla Scuola di Medicina di . . . . . . . . . . . Parigi FosrER (Michele), Profess. nell'Università di . . . . . . . Cambridge Heramngan mg (Rodolfo), Professore nell'Università di . . . . Breslavia Wazpeyer (Guglielmo), Professore nell’ Università di . . . . Berlino GoeNteer (Albertoyssot424i rn ee sii londra FLowrR (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale Londra Epwarps (Alfonso Milne), Membro dell'Istituto di Francia. . Parigi Seng Ii. Tox. XLVI. In CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore CLaretTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. de. Gr. Uffiz. Segretario Ferrero (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeologia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare nell’ Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Consigliere della Giunta Superiore per la Storia e l'Archeologia, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeo- logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispondente: della R. Depu- tazione di Storia patria per le Provincie di Romagna, dell'Imp. Instituto Archeologico Germanico e della Società Nazionale degli Antiquari di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1^ cl. della Rep. di S. Marino, ACCADEMICI RESIDENTI Peyron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblio- teca Nazionale di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. s, Uffiz. em. VALLAURI ('l'ommaso), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Let- tere e Filosofia e Professore di Letteratura latina nella Regia Università di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, del- l'Accademia Romana di Archeologia, del Circolo Filologico di Torino, della Società Emulatrice per le Scienze e le Arti in Italia (Napoli), della R. Accademia Paler- mitana di Scienze, Lettere ed Arti, della Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Presidente onorario dell’Accademia Dante Allighieri di Catania, Gr. Cord. & e Comm. s Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. o Le) XVII CrARETTA (Barone Gaudenzio), predetto. Rossr (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d'Egittologia nella R. Univer- sità di Torino, Vice-Direttore del R. Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispon- dente della R. Aceademia dei Lincei e della Società per gli Studi biblici in Roma, Maxxo (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tübingen, Jomm. se, Gr. Uffiz. æ», Cav. don e devoz. del S. O. M. di Malta. BoLLATI pr SArwT-PrERRE (Barone Federigo Emanuele), Dottore in Leggi, Soprin- tendente agli Archivi Piemontesi e Direttore dell’Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle an- tiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidente della Commis- sione araldica per il Piemonte, Membro della R. Deputazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia e della Società Accademica d'Aosta, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia e della Società di Storia e di Archeologia di Ginevra, Membro onorario della Società di Storia della Svizzera Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. s. ScmraPARELLI (Luigi), Dottore aggregato alle Facoltà di Lettere e Filosofia, Professore di Storia antica nella R. Università di Torino, Comm. *, e & Pezzi (Domenico), Döttore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Pro- fessore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, s Ferrero (Ermanno), predetto. Care (Giuseppe), predetto. Nuet (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Uff. ée, Cogwemti De Martis (Salvatore), Professore di Economia politica nella R. Uni- versità di Torino, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia dei Georgofili, :«, Comm. «ss. Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. % e œ, XVIII Bosezrt (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Università di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente del- l'Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle Finanze, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Uffiz. æ, Gr. Cord. Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia e dell'Ord. di Bertoldo I di Zühringen (Baden), Gr. Uffiz. O. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d'O. di Francia, e C. O. della Concezione del Por- togallo. CreonnA (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. Brusa (Emilio), Dottore in Leggi, Professore di Diritto e Procedura Penale nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente dell'Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), effettivo dell'Istituto di Diritto internazionale, Onorario della Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Accademia di Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, della Società Generale delle Pri- gioni di Francia, di quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Acca- demia di Scienze Morali 6 Politiche di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e di altre, Comm. dell'Ordine di San Stanislao di Russia, Officier d' Aca- démie della Repubblica francese, %, Uffiz. Perrero (Domenico), Dottore in Leggi, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. Arumvo (Giuseppe), Dottore in Filosofia, Professore di Pedagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo e dell’Accademia cattolica panormitana, Comm. « n ode ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI CanuTTI DI Cantogno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro dell'Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc., Gr. Uffiz. * e =», Cav. e Cons. &, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d'Is. la Catt. di Spagna, ecc. XIX Reymonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica nella Regia Uni- » 8 8 È versità di Torino, sk. Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del Contenzioso Diplomatico, Comm. x, e Gr. Croce e, Cav. Comm. dell'Ord. di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz."dellOrd. di Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell’O. di S. Stanislao di Russia. Tosrr (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archivista degli Archivi Vaticani. Bzmrr (S. E. Domenico), Ministro di Stato, Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Ordine della Corona d' Italia, Sena- tore del Regno, Professore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, e di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro delle RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell Emilia, Gr. Cord. o e ; Cav. e Cons. &, Gr. Cord. della Leg. d'O. di Francia, dell'Or- dine di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di San Marino, ecc. ecc. VILLARI (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia moderna e Presi- dente della Sezione di Filosofia e Lettere nell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istru- zione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di Baviera, della R. Acca- demia Ungherese, Dott. in Legge della Università di Edimburgo e di Halle, Pro- fessore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. 4 e c», Cav. &, Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc. CowPAnETTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell'Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle Scienze di Napoli e dell’Accademia della Crusca, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. #, Comm. ew», Cav. &. ACCADEMICI STRANIERI Mommsex (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino. MiiLLerR (Massimiliano), Professore nell’ Università di Oxford. Mryer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Écoles des Chartes a Parigi. Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. Bönrtuinek (Ottone), Professore nell’ Università di Lipsia. TosLer (Adolfo), Professore nell’ Università di Berlino. AnxzrH (Alfredo von), Direttore dell Archivio imperiale di Vienna. Maspero (Gastone), Profess. nel Collegio di Francia, Parigi. XXI CORRISPONDENTI SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE RENDOIMUGONO) 2. ne va SERA re PRA a OT COOUTI BowATELLI (Francesco), Professore nella Regia Università di. . Padova PrwLocHE (Augusto), Professore nella Università di. . . . . Lilla Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di Studi Superiori pra- tici e di perfezionamento dis. u ‘+ 34.5 ungen s rios Glam Lee Cantoni (Carlo), Professore nella R. Università di. . . . . Pavia CnurAPPELLI (Alessandro), Professore nella R. Università di . . Napoli SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI Lawpgrrico (Fedele) Senatore del Regno . . . . . . . . Vicenza Sep Apter (Filippo), Senatore del Regno, Professore nella R. Uni- versità di. Pisa Serra Dart, (Antonio di), Consigliere di Stato. . . . . Lisbona RopRiGuEZ DE BeRLANGA (Manuel). Malaga Scuuprer (Francesco), Professore nella R. Università di. . . . oma GagBa (Carlo Francesco), Professore nella R. Università di Pisa Buowamici(Francesco), Professore nella R. Università di . . . Pisa DanzsrE (Rodolfo), dellIstituto di Francia. . . . . . . - Parigi \ SEZIONE DI SCIENZE STORICHE Aprıanı (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria Cherasco Perrens (Francesco), dell'Istituto di Francia Parigi HAULLEVILLE (Prospero de) WazLox (Alessandro), Segretario perpetuo dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) Wirvens (Pietro), Professore nell’ Università di . . . . 31RCH (Walter de Gray), del Museo Britannico di. Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Archivi Napoletani WarrTENBACH (Guglielmo), Professore nell’ Università di. Chevatere(Canomco Ulisgo) oi toits. PAPE Paper De Srwoxr (Cornelio), Direttore del R. Archivio di Stato in DucHESNE (Luigi), Direttore della Scuola Francese in Bryce (Giacomo) ParertA (Federico), Professore nella R. Università di. SEZIONE DI ARCHEOLOGIA Parma di Cesnoza (Conte Luigi) Direttore del Museo Metropo- litano di Arti à Li Lettere s (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Pocet (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a Preyre (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a Parma Dr CEsxoLA (Cav. Alessandro), Membro della Società degli ANAUE Al nn Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia NADAILLAO (Marchese I. F. Alberto de). Brizio (Eduardo), Professore nell’Universitä di . ? BaraBer (Felice), Direttore del Museo Nazionale Romano . Garrr (Giuseppe). Bruxelles Parigi Lovanio Londra Napoli Berlino Romans Genova Roma Londra Siena New- York Milano Savona Leida Londra Parigi Parigi Bologna Roma Roma SEZIONE DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA Kırperr (Enrico), Professore nell Università di . Pigorini (Luigi), Professore nella H. Università di . Darra Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università di MammzLL: (Giovanni), Professore nel R. Istituto di Studi supe- riori pratici e di perfezionamento in XXIII Berlino Roma Roma Firenze SEZIONE DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE Knznr (Ludolfo), Professore nell Università di . SOURINDRO MoHun Tagore Ascoti (Graziadio), Senatore del Regno, Professore nella R. Acca- demia scientifico-letteraria di Weser (Alberto), Professore nell’ Università di . KERBAKER (Michele), Professore nella R. Università di. Marre (Aristide). OrrznT (Giulio), Prof. nel Collegio di Francia . Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Università di . Aueuınau (Emilio), Professore nella * École des Hautes Études , di Forrsrer (Wendelin), Professore nell Università di . Dresda Calcutta Milano Berlino Napoli Vaucresson (Francia) Parigi Roma Parigi Bonn SEZIONE DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA Bréaz (Michele), Professore nel Collegio di Francia . D’Ancona (Alessandro), Professore nella R. Università di Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore d'Italia a Rasna (Pio), Professore nell Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Der Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca . Serie II. Tow. XLVI. Parigi Pisa Vienna Firenze Firenze MUTAZIONI avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Febbraio al 15 Ottobre 1896. ELEZIONI SOCI Bryce (Giacomo) di Londra, eletto Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche) nell'adunanza del 15 Marzo 1896. Paterra (Federico), Professore nella R. Università di Siena, id. id. PinLocze (Augusto), Professore nell Università di Lilla, id. id. (Sezione di Scienze filosofiche), id. id. Garrr (Giuseppe), Avvocato in Roma, id. id. (Sezione di Scienze storiche), id. id. Tocco (Felice), Professore di Storia della Filosofia nel R. Istituto di Studi supe- riori pratici e di perfezionamento in Firenze, id. id. (Sezione di Scienze filosofiche), 10:10, Cantoni (Carlo), Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di Pavia, id. id. CHIAPPELLI (Alessandro), Professore di Storia della Filosofia nella R. Università di Napoli, id. id. Gurpr (Camillo), Professore nella R. Scuola di Applicazione per gl’Ingegneri in Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e à Eta a . » " à: naturali nell'adunanza del 31 Maggio ed approvato con R. Decreto dell'11 Giugno 1896. Fırerr (Michele), Professore nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 81 Maggio ed approvato con R. Decreto dell'll Giugno 1896. XXV MORTI 10 Febbraio 1896. Rıccı (Marchese Matteo), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 18 Febbraio 1896. NeerI (Barone Cristoforo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Geografia e Etnografia). 10 Maggio 1896. Cossa (nobile Luigi), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze giuridiche e sociali). 25 Maggio 1896. MxNABREA, Marchese di Val Dora (S. E. Luigi Federigo), Socio Nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 29 Maggio 1896. DausnÉg (Gabriele Augusto), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 11 Luglio 1896. Currius (Ernesto), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 13 Luglio 1896. Kekuré (Augusto) Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 18 Luglio 1896. Barton (Adolfo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matema- tiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). | | SCIENZE | FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | | INDICE CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle amine; Memoria I del Prof. Icırıo GuAnzscur Pag. 1 Sul? equazione di 5° grado; Memoria di FRANoEsco GIUDICE . . . . . , 31 Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate; Memoria del POL GIUSEPPE. ERT i 0 ea RR) 65 Descrizione di un miotonometro per studiare la tonicità dei muscoli nel- luomo; Memoria del Socio AnerLo Mosso . . . . . . . . . , 93 La tonicità dei muscoli studiata nell'uomo; Memoria del Dott. ALBERICO IDUNEDIOENTI 7-84 E VAN MA LI RI SO e 121 I Linfociti degli Oligocheti - Ricerche istologiche; Memoria del Dott. DAxrELE : 149 Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti; Memoria AA SANARE EE VO VBA RS O ART Ta E ANTONIO EE 11:114: dur dans cose cd s e a 179 y S K Mu tue Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasforma- zioni proiettive in sì; Memoria di Gino Fa . . . . . . . . , 187 Sulle cellule del sangue della lampreda; Memoria del Dott. Ermanno Grarro-Tos , 219 Per la storia del cannocchiale. Contributo alla storia del metodo sperimentale in Italia; Memoria del Socio Nicopemo JADANZA > . . . . . , 253 Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a Soperga; Memoria di BERN 01800, PORRO sek lee an re en OR 281 Ricerche batometriche e fisiche sul lago d’ Orta; Memoria di G. DE AGOSTINI , 337 » D . Endoderma e periciclo nel G. "Trifolium in rapporto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot; Osservazioni anatomico-critiche del Dottor SE 353 SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI DAGLI ETERI CHETONICI COLL'ETERE CIANACETICO IN PRESENZA DELL'AMMONIACA E DELLE AMINE MEMORIA I DEL SOCIO Prof. ICILIO GUARESCHI Approvata nell Adunanza del 1° Dicembre 1895. In precedenti memorie (1) ho dimostrato che l'etere cianacetico, agendo su amine chetoniche, fornisce dei composti fciantetraidropiridinici e Beiandiidropiridinici e che ber l’azione di amidochetoni od aminoaldeidi aromatiche produce dei composti idro- ehinolinici. Continuando queste ricerche, ho studiato l'azione contemporanea dell’etere cian- acetico o della cianacetamide sugli eteri chetonici e sulle amidi chetoniche, in pre- Senza di ammoniaca o delle amine primarie; ho così ottenuto una numerosa serie di Prodotti di condensazione assai interessanti. La nuova reazione da me trovata ha carattere di grande generalità. È noto che facendo agire l'ammoniaca sugli omologhi dell’ etere acetacetico si forma l’aminoetere e l'amide Bchetonica; ad esempio, dall'etere metilacetacetico si ha: CH? C = 0 — C000 Hë | NH? CH CH*. C0. CH — CONH* | CH? To ho osservato che mettendo in presenza l’etere cianacetico e gli eteri aceta- cetici, con ammoniaca od un'amina energica, non solamente hanno luogo le reazioni Sovracitato, ma l’amide chetonica formata reagisce, lentamente o anche rapidamente, e SE PEN SC (1) Nuovo metodo di sintesi di composti idropiridinici, Nota I e II, “ Atti della R. Accademia elle Scienze di Torino ,, t. XXVIII e Sintesi di composti idrochinolinici, Ivi, 1893, t. XXVIII; e ut. Chem. Gesell., 1893, t. 26 Ref. pag. 450, 948 e 944; t. 27 Ref. pag. 589. Sene Tl. Tom. XLVI. A Berichte à. de ICILIO GUARESCHI a temperatura ordinaria, sulla cianacetamide derivante dall’ azione dell’ ammoniaca sull’etere cianacetico, e si forma, con eliminazione d'acqua, un derivato piridinico. Ad esempio, dall'etere etilacetacetico per l'azione dell'ammoniaca, ottengo prima l'etere Baminoetilerotonico CH? .C—C — COOCH? fusibile a 60°, che si precipita, e ISS NH? CH’ dalla soluzione ammoniacale contenente l’amide etilacetacetica CH*CO . CH . CONH? em fusibile a 96°, per aggiunta di etere cianacetico, o di cianacetamide, ottengo il com- posto CH'N'O' che è il sale ammonico C’H’(NH’)N’O?. Questo composto si è for- mato senza dubbio nella reazione tra le due amidi, cioè tra l'amide chetonica e lamide cianacetica, nel modo seguente: CH? | CO CH? . CN 5 | CH’. HC | | + CO = CO # EN NH* Etilacetacetamide Cianacetamide Da questo sale ammonico, per aggiunta di acido cloridrico, precipita un com- posto con reazione acida: KC AN OH HO. C.cN | co o meglio, per le ragioni che esporr più innanzi, invece che nella forma imidica, nella forma ossidrilica: ops pn Go | HO.C co is In realtà, la reazione avviene dunque fra la cianacetamide e le amidi Bcheto- niche; ció ho potuto dimostrare anche con esperienze dirette facendo reagire le due amidi per via secca o in soluzione acquosa in presenza di ammoniaca; si ottiene sempre lo stesso prodotto. Ma gli stessi prodotti si ottengono anche scaldando gli SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 8 eteri chetonici colla cianacetamide oppure l'amide fchetonica con etere cianacetico; in ogni easo si ha lo stesso prodotto: n CH! CH? i | | A CO C j p N n R.HC + CH,CN = C’H.0H+R.HC- C.CN i | | i co co HOC CO ? N ge NO f OH’ Nm N d Eiere @chetonico Cianacetamide 1 j Cogli eteri acetacetico, metilacetacetico, propilacetacetico, ecc., ho ottenuto pro- À dotti analoghi al precedente. Mi pare assai interessante il fatto della facile e pronta ` ci A " 3 Á E 5 Pi À condensazione a temperatura ordinaria in presenza di ammoniaca, tra l'ossigeno delle { H amidi chetoniche e l'idrogeno metilenico della cianacetamide. Questi nuovi composti che ottengo, sono analoghi ai derivati ciantetraidropiri- 1 dinici, colla differenza che invece del gruppo o'CR? contengono un altro carbonile i © un altro ossidrile, il che cambia molto la fisionomia generale delle due serie di ! composti; quelli che ottengo ora dagli eteri Bchetonici hanno più analogia coll’acido citrazinico, a cui ora si dà di preferenza la formola (1): N CO. OH | | i S | EN N HOC CEE d lesi HO.C CO I Ne | N | H Questi miei composti funzionano come acidi, dànno facilmente delle materie coloranti azzurre, verdi o rosee, mentre i derivati cianpiridinici già descritti non | ne dànno. if Sostituendo all'ummoniaca un'amina primaria energica si ottengono i derivati contenenti il radicale alcoolico attaccato all’azoto. Tutti questi composti si colorano in azzurro-violetto o dànno precipitato azzurro- { violetto col cloruro ferrico; quei composti che derivano dagli eteri acetacetici e | l'etere cianacetico coll’ammoniaca dànno precipitato anche coll'acetato e col solfato di rame. Tutti precipitano col nitrato d'argento. Quei composti che derivano dall'etere acetacetico e in cui ammetto il gruppo: | (1) Easrermero e Serr, Journ. Chem. Soc., 1894, t. I, p. 28. | 4 ICILIO GUARESCHI si colorano in azzurro-verde col nitrito potassico: quelli invece che derivano dagli eteri acetacetici sostituiti e che quindi conterrebbero: R.HO HO.6 X non si colorano col nitrito potassico. I primi dànno colorazione violetta e rosea se si fanno bollire dopo aggiunto un eccesso di acqua di bromo, i secondi no. Tutti hanno reazione acida, anche quelli contenenti NCH’, NC'H5, ecc. Per ora, io considero questi corpi come contenenti un solo ossidrile; tutti dànno un sale monoargentico, monosodico, ecc. Per analogia coll'acido citrazinico, scriverò il composto più semplice che io ho ottenuto, e dal quale gli altri si possono far derivare, colla formola: nd GON (A) CO corrispondente ad una aß’düdropiridina e si dovrà quindi denominare: acheto B cian- y metil o'ossi of'diidropiridina. Questi composti derivano in fondo dalla glutaconimide: CH HC CH | co CO NZ NH ed il più semplice di essi che io ottengo sarebbe la Beianymetilglutaconimide : CH? | Questa formola imidica spiega certamente molto bene il modo di formazione di questi composti e la formazione di un solo sale argentico, sodico, ecc. Ma nei deri- 1 T A SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 5 vati che si ottengono colle amine e che contengono un radicale alcolico attaccato H all’azoto, bisogna pure ammettere un ossidrile e scrivere ad esempio: I $ i CH? i : IN : HO CAEN N le { (LEDen DL é ING } NCH? H CH? E | | 0 (o il N à AS CH. HO - Q.UON o meglio dA È | | | oc Co HO.C CO | Ne | NOH? NOH? N 9 questo col eloruro ferrico dà solamente una lieve colorazione azzurra fugace, per dar luogo ad un precipitato bianco, di un prodotto di condensazione. Il che può | Spiegarsi tanto coll'ammettere la prima quanto la seconda formola; meglio però colla Seconda, tanto più che questo composto in soluzione acquosa precipita abbondante- Mente col nitrato d’argento. Comunque sia, io preferisco per ora ammettere la forma Monossidrilica (A). Del resto sappiamo che composti col gruppo chetonico —C0—CH°— [ Sı comportano anche come contenenti il gruppo enolico — CH = C. OH; così pure sap- £ piamo che le ossipiridine si comportano anche come chetopiridine o piridoni ed è così | che alcuni scrivono l'acido citrazinico con: | | | | ICILIO GUARESCHI ed altri con CO. 0H cO. OH (o Ü A SS HC CH oppure HC CM | Il | HO.C C.OH co CO op co ene COCE" ups cHe. conn + CH ON CES AE E aiy EE | | | | | | 20 ICILIO GUARESCHI come anche puo avvenire che l'amino-etere /CN CHO = R | NCOOC?H* NH? coll’acqua a caldo, ed in mezzo alcalino, si decomponga in acetamide ed etere ciana- cetico : CN CN IIT) om = OC + HO = 0W.00+C0HX i NCOOCH’ | \COOC'HS NH? NH? In ogni caso si formerebbe dell'etere acetacetico e dell'etere cianacetico e quindi questi due eteri in presenza di ammoniaca si troverebbero in analoghe condizioni che nelle mie esperienze e da cio la formazione del composto C'H^N*O*. La cianamide per l'azione dell'aequa si trasforma in urea e questa poi in car- bonato di ammonio, sale questo che fu trovato da Held fra i prodotti della reazione e che in quantità notevole si deposita nel tubo refrigerante; la formazione di car- bonato di ammonio in altro modo difficilmente si spiega. Che l'etere acetileianacetico possa seindersi in modo da dare acetamide ed etere cianacetico è reso molto probabile anche dal fatto che ad analoga decomposizione sottostanno gli eteri acetacetici. È noto infatti che gli eteri acetacetici sostituiti per l’azione degli acidi o degli alcali possono subire le due decomposizioni seguenti: CH? CO CH(R) COOC?H* + H'O = CH? CO CH?(R) + CO? + CH’ OH CH? CO CHR) C00C?H* + H*0 = CH? COOH + CH? (R) COOCH’ In quanto alla formazione dell'etere acetacetico o dell'acetacetamide si potrebbe anche ammettere, invece della reazione I), che dall'etere acetilcianacetico si formi del cianacetone : opsoen CN + gno — CH. 00. CH?. ON LC. OH + C0? NCO0C?H* ; il quale darebbe l'acetacetamide CH’. CO . CH. NH? necessaria nella reazione per pro- durre il composto C'H°N°0*. Del resto le esperienze di Held stesso (1) hanno dimo- strato che l'etere acetilcianacetico per ebollizione prolungata con acqua si decompone dando: anidride carbonica, ammoniaca, alcol, acido acetico, materie resinose, e piccola quantità di un corpo che sembra un prodotto di condensazione del cianacetone. Quale di queste vie, per le quali puo formarsi dall etere acetilcianacetico il composto C'H9?N*O*, sia la vera, ora io non saprei dire; ma, ripeto, a me pare molto probabile che il composto di Held sia identico al mio. Se ciò si verifica resterebbe stabilita per altra via la vera natura di questo e di altri composti ottenuti da Held e dei quali egli non ha potuto riconoscere la costituzione chimica. Mi conforta in (1) Loc. eit., p. 518. SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 21 questo pensiero anche il fatto che le proprietà e la composizione del derivato etilico che ottengo dall'etere acetacetico colla etilamina e l'etere cianacetico corrispondono a quelle del composto che si forma dall'etere acetilcianacetico coll’etilamina. lo non ho preparato letere acetileianacetico da cui ottenere C'H*N'O* e farne un preciso esame di confronto col mio, per ottenere da questo il derivato etilico, Studiarne l'azione dell'acido cloridrico, ecc. N-metil-acheto-8cian-rmetil-o'ossi- A* diidropiridina (cianmetilglutaconmetil- imide): HOC 9 NOCH? Questo composto si forma quando si mescolano pesi molecolari di etere aceta- cetico ed etere cianacetico con soluzione di metilamina. 18 gr. di etere acetacetico furono mescolati con 11.3 gr. di etere cianacetico poi trattati con 25 em? di soluzione al 33 °/. di metilamina. Vi ha sviluppo di calore, il liquido ingiallisee e si fa subito omogeneo. Raffreddato con acqua, poi lasciato a se non deposita nulla, ma diluito con 3 a 4 volte il suo volume di aequa poi aci- dulato con acido cloridrico dà precipitato bianco cristallino che si rieristallizza dal- l'acqua, Questo composto ha tendenza a colorarsi in azzurro. Gr. 0.1500 di sostanza secca a 100°-110° fornirono 22 cm* di N a 17° e 744 mm. Da cui: trovato calcolato per CSHSN*0? — nn —— N ‘Jo 16.58 17.07 Questa sostanza si ha in piccoli cristalli brillanti che a 275° imbruniscono e Poi fondono verso 285». Si scioglie nell’alcol caldo da cui si ha in bei prismi corti brillanti; è quasi insolubile nell'etere. Ha reazione acida. Poco solubile nell’acqua. ù solubilissima negli alcali caustici, nei carbonati alcalini e nell'ammoniaca. Si colora ing azzurro-violetto col eloruro ferrico; la soluzione acquosa satura dà precipitato bianco col nitrato di argento. Trattata con poca aequa ed aleune goccie di soluzione al 10 °/, di nitrito potas- sico si colora in azzurro-verde che diventa cupo scaldando. Coll'aequa di bromo e poi scaldando moderatamente il liquido si decolora poi a poco a poco, continuando a scaldare, diventa violaceo ed infine color rosso fucsina. Dà dunque le stesse reazioni della cianmetilglutaconimide; tutte due contengono il gruppo HOC libero. Sale di ar gento. La soluzione concentrata o satura della sostanza tratto con n : Tm SUBITA itrato d argento; si forma un bel precipitato bianco costituito da lunghi prismi 22 ICILIO GUARESCHI brillanti che raccolgo e lavo bene. Poi dissecco nel vuoto. Scaldato a 100° non perde di peso. E poco solubile nell'aequa fredda. Perd avendolo dovuto precipitare da una soluzione con molt'aequa perché la cianmetilglutaconmetilimide è poco solubile, se ne perde molto nelle acque madri. Gr. 0.2309 di sale d'argento secco diedero 0.0914 di argento. Da cui: trovato calcolato per C*H'AgN?0? ro —T —— n Argento ^|, 39.58 39.85 Quando si scalda il sale d'argento per dosare l'argento, si osserva sublimato di color verde-azzurro o roseo. Cianmetilglutaconetilimide (N-etil-acheto-ß cian- y metil -o'ossi-A**diidropiridina): Questo composto isomero dell'etileianmetilglutaconimide più sopra descritto, si ottiene dall'etere acetacetico ed etere cianacetico in presenza di etilamina. À 13 gr. di etere acetacetico ed 11.3 gr. di etere cianacetico aggiungo 25 cm? di soluzione acquosa al 33 */, di etilamina. Dibattendo, si ha un liquido omogeneo incoloro, con poco sviluppo di calore. Poco dopo la massa si divide in due strati liquidi. Dibatto la miscela a lungo con un agitatore Rabe e dopo alcuni giorni ottengo un liquido omogeneo giallo che diluisco, filtro per separare un poco di liquido oleoso poi acidulo con acido cloridrico diluito. Ottengo così un precipitato bianco- cristallino che raccolgo e lavo con acqua. Le acque madri diventano verdi. Ricri- stallizzo il prodotto dell’alcol ma si colora ora in rosso ora in verde; perd avver- tendo di fare le cristallizzazioni nel vuoto e di disseccare subito il prodotto nel vuoto si riesce ad averlo bianco. Gr. 0.1423 di sostanza fornirono 20.4 cm? di N a 209.5 e 748.5 mm. Da cui: trovato calcolato per C7H*(C*H*)N?O? —— el NZ 15.98 15.78 Questo composto comincia imbrunire a 230° e fonde verso 242°. È pochissimo solubile nell’acqua fredda, più solubile a caldo, solubile nell'alcol, pochissimo solubile nell'etere. La soluzione acquosa ha reazione acida, col cloruro ferrico dà colorazione azzurro-violacea intensa, bellissima, ma non precipita. Precipita col nitrato d'argento. SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 23 Coll'acetato di rame dà colorazione verde. E solubilissimo negli alcali caustici e nel- l’ammoniaca. Si scioglie con effervescenza nel carbonato sodico; decompone il car- bonato di bario. Trattato con acqua ed alcune goccie di soluzione al 10 °/ di nitrito potassico si colora in azzurro verde intenso, specialmente a caldo. Coll'aequa di bromc reagisce, il liquido si riempie di cristalli, poi scaldando si sciolgono ed il liquido diventa incoloro e continuando a scaldare passa successivamente al violetto e rosso. È la stessa reazione data dalla cianmetilglutaconimide, ma le tinte sono più marcate € più belle. Forse questo composto è identico coll’acido C'H"N*O* che Held ottenne per l'azione dell'etilamina sull’etere acetilcianacetico. Held non dà il punto di fusione del suo composto. Però i caratteri descritti da Held corrispondono a quelli del mio composto. Sale di bario. La soluzione calda del composto C'H'N*O* trattai con latte di carbonato baritico e continuai a scaldare sino a che cessasse l'effervescenza ed il liquido fosse neutro. Il liquido filtrato che era verdognolo, concentrato e raffreddato, lascio depositare dei bellissimi aghi setacei, solubili nell'acqua e che quindi bisogna lavare con cura per non perderne troppo nelle acque di lavaggio. Gr. 0.6520 del sale asciutto fra carta lasciato 20 ore all' aria non perdette di Peso che 0.0072 e lasciato ancora all'aria, poi nel vuoto e scaldato anche a 130°- 135° per 1 ! ora non perdette più di peso o appena 0.0006. á Gr. 0.4461 del sale disseccato a 1309-135» fornirono 0.1682 di BaCO?’ cioè 0.1169 1 Ba. Da cui: Ba als 26:2 Per la formola (O*H*N*O*)Ba + 2H*O si calcola: Ba — 2608 gl Questo sale perde l’acqua sopra 160° ed ho creduto meglio dosare il bario sul Sale idrato. In un dosamento diretto di acqua a 160°-165° trovai 6.2 "/, ma il sale dava qualche segno di alterazione e non continuai a scaldare. Anche questi dati concordano per l'identità di questo mio composto C°H""N°0° con quello ottenuto da Held per l'azione dell'etilamina sull’etere acetilcianacetico. N - allil -a cheto- Beian-y metil-o'ossi- A^? diidropiridina (cianmetilglutaconallil- imide): cm ! (6) EN HC C.CN | HO. l co 24 ICILIO GUARESCHI Agitando 6.5 gr. di etere acetacetico con 6 gr. di etere cianacetico e 9 gr. di allilamina, sciolti in 10 gr. d’acqua, si ottiene un liquido omogeneo, giallo, con svi- luppo di calore e che dopo raffreddamento intorbida. Dopo avere per lungo tempo dibat- tuto il liquido rimane una parte di olio rosso non sciolto; diluisco con acqua e dopo separato quel poco di olio rosso, acidulo la soluzione acquosa, alcalina per allilamina, con acido cloridrico, diluito il quale dà precipitato bianco cristallino che si ricri- stallizza subito dall’acqua per evitare la colorazione, perchè tende a colorarsi rapi- damente in azzurro. Gr. 0.1200 di sostanza secca nel vuoto e a 100° diedero 16.6 cm’ di N a 24° e 744 mm. Da cui: trovato calcolato per C'H*(C*H*)N*0* SE _T—————€ NA 15.00 14.78 Cristalli incolori od azzurrognoli, solubili a 222° in liquido rossastro, poco solu- bili nell'aequa fredda, più nella bollente, solubilissimi nell'aleol, quasi insolubili nel- letere. La soluzione acquosa ha reazione acida. Dà colla soluzione di nitrito potassico, già a freddo, colorazione azzurro-verde intensa. Non dà la reazione coll’acqua di bromo. Col cloruro ferrico si colora in azzurro-violetto ma non precipita. Assorbe il bromo. Coll'acetato di rame inverdisce ma non precipita. m. Etere metilacetacetico ed etere cianacetico. a cheto - Bcian - y metil - B'etil-a’ossi-aß'diidropiridina (metilcianmetilgluta- conimide): LN CH. HC C.CN | ERROR CO NZ N L'azione dell'ammoniaca sola sull'etere metilacetacetico fu studiata da Brandes, da Isbert e da Peters (1). Si formano due prodotti: l’aminoetere QH^.C = 0— COOCH’ | | NE CH (1) Liebig’s Annalen, t. 257. | SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 25 fusibile a 53° ed insolubile nell'acqua, e l'amide chetonicu CH?. CO. CH. CONH* | Cm fusibile a 73° e solubile nell'acqua. Su questa seconda interessava a me di far agire l'etere cianacetico in presenza d’ammoniaca, cioè la cianacetamide. Agitando 25 cm? di etere metilacetacetico con 50 oppure 100 em" d'ammoniaca à 0.910, dopo alcune ore incominciano, dalla soluzione lasciata a sè, a depositarsi dei bei cristalli bianchi. Dopo 2 o 3 giorni si ha una gran massa di cristalli che non aumenta più e un liquido acquoso ammoniacale incoloro. Separo i cristalli che lavo con poca acqua e asciugo. Hanno odore di menta, fondono a 50° grezzi e a 929-590 se purificati, solubili nell'etere. Sono costituiti dall'aminoetere, già studiato da altri chimici. Con 25 gr. di etere metilacetacetico in un'operazione con 100 em d'ammoniaca ne ottenni circa 9-10 gr., e in un'altra con 50 cm? d'ammoniaca 9.8 gr. ll liquido ammoniacale limpido ed incoloro mescolo con 20 cm? d'etere ciana- cetico e dopo alcuni istanti di agitazione tutto si scioglie e si ha un liquido appena Siallognolo che dopo alcune ore incomineia a depositare dei cristalli, i quali si for- mano poi rapidamente e cadono al fondo. Dopo 24-36 ore si ha una poltiglia cri- stallina compatta che raccolgo e lavo bene con poca acqua ogni volta. Il filtrato deposita ancora pochi cristalli. Nell’operazione con 100 cm? d'ammoniaca ottenni x gr. di prodotto, e quando adoprai 50 em? d’ammoniaca, solamente 8 grammi. Coll’eccesso d'ammoniaca si forma più amide e meno aminoetere. Ricristallizzo il prodotto dall'acqua calda lasciando cristallizzare la soluzione E pressione diminuita e disseccando sempre il prodotto nel vuoto perché anch'esso all'aria si colora. Il composto così ottenuto è un sale d'ammonio; precipito la sua Soluzione con acido cloridrico o con acido nitrico, diluiti, e ottengo la metilcian- Retilglutaconimide in bei cristalli bianchi che, ricristallizzati, dissecco nel vuoto e poi a 1000-1100, L Gr. 0.1260 di sostanza secca diedero 18.8 cm? di N a 18°.5 e 750. Vol. corr. — 16.95. IL Gr. 0.1194 diedero 0.2535 di CO? e 0.0518 di HO. II, Gr. 0.1284 diedero 0.2755 di CO? e 0.0558 di H?O. Da cui: trovato calcolato per C*HSN®0? ——— r___ se — o I II I] = M 57.9 58.52 58.5 EEE — 4.8 4.88 4.8 Nigra 16.86 ROS 2 17.08 E Aanmeilgldaseninide fonde verso A in Ba Zeen, La i cA dia ha reazione Roda e denompon i carbonati. Umida lasciata all'aria, + Col cloruro ferrico dà precipitato azzurro. Col nitrito potassico non dà la Sere IL Tom. XLVI. D 26 ICILIO GUARESCHI reazione azzurra data dalla cianmetilglutaconimide; nemmeno coll’acqua di bromo non dà la caratteristica e bella reazione che invece e data dai derivati dell'etere acetacetico. Sale di ammonio. Ottenuto come fu detto e ricristallizzato dall'aequa si ha in cristalli incolori che fondono a temperatura alta decomponendosi; precipita in azzurro col eloruro ferrico. Gr. 0.0962 di sostanza secca diedero 19.6 cm? di N a 17° e 737 mm. Da cui: trovato calcolato per CSIT(NH*)N?O? Dii mme mme N totale 22.65 28.2 Gr. 0.1995 di sostanza diedero, per distillazione con idrato di magnesio in cor- rente di vapore, 0.0166 di azoto allo stato di cloroplatinato. Da cui: trovato calcolato per OSH'(NH*)N?O*? Perm — e N ammonico 8.3 7.75 Sale di bario. Si pud preparare sia precipitando il sale di ammonio con cloruro di bario oppure facendo reagire la metilcianmetilglutaconimide con latte di carbo- nato di bario. Cristalli incolori, brillanti, prismatici, solubili nell'acqua calda, anidri. Gr. 0.8529 di sostanza secca a 1009-1209 fornirono 0.1759 di BaSO', cioè bario = 0.1034. Da cui: trovato calcolato per (CSHN?O*)*Ba eme e mm Ba "y 29.30 29.57 Sale di sodio. L'ho preparato neutralizzando il composto acido col carbonato di sodio e concentrando la soluzione. Cristallizza in prismi incolori, splendenti, solubili nell'acqua fredda, molto più nell'aequa calda. Questo sale anche in soluzione non si colora all'aria. È anidro. Gr. 1.9360 di sale secco all’aria scaldata a 105° non perdettero di peso. Gr. 1.127 di sale secco all'aria scaldata a 100° e poi a 180° non perdettero di peso. Gr. 0.4250 di sale secco a 130° fornirono 0.1602 di Na'SO', cioè Na = 0.05189. Da cui: trovato calcolato per C?H'NaN?O* —— —MÀM— Na % 12.21 2 12.86 Sale d'argento. Precipitando il sale ammonico in soluzione calda col nitrato di argento si ha un precipitato bianco costituito da piccoli aghi quasi insolubili nel- SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 21 l’acqua, che disseccati nel vuoto sono anidri. Da 0.8 gr. di sale ammonico ottenni l.l gr. di sale argentino, mentre si calcola 1.2 gr. La quantità d'argento che questo sale mi form, in varie preparazioni, non era costante, vario da 38.3 a 41.7 %; in quest'ultimo caso però l'argento ottenuto sciolto in acido nitrico dimostrò di conte- nere un po’ di carbone. Per CH'AgN*O* si calcola 39.8 */, d'argento e per CH^Ag*N?O*? si calcola 57.1 Dar contiene dunque un solo atomo d'argento. Dal sale di sodio col nitrato d'argento ho invece ottenuto un sale d'argento in piecoli prismi incolori, affatto simili al precedente e che all'analisi diedero: Gr. 0.4402 di sale secco a 130°-135° fornirono 0.1762 di Ag. Le) Da cui: trovato calcolato per CHTAgN?0? TT — Ag % 40.01 39.85 Però anche in questo caso l'argento ottenuto sciolto in acido nitrico dimostrò di contenere un poco di carbone. Sale di magnesio. È poco solubile nell'aequa fredda, dall’acqua bollente cristal- lizza bene. Sale di rame. Trattando la soluzione calda del sale ammonico con acetato di rame ottenni un precipitato costituito da belle lamine sottili rettangolari, di color giallo bruno, con aspetto bronzato. Varî dosamenti di rame in questo sale mi diedero: I u IH Cu “h 26.4 26.7 26.7 Per un sale C°H°CuN®0® con una molecola o con mezza molecola d’acqua si calcola: C*H*CaN?0? + H°0 C*H*CuN?0? + 1/, H*0 — Cu % 26.02 27.01 —_— À— — Invece precipitando il sale sodico con solfato di rame ottenni un precipitato rosso-mattone microcristallino che asciutto all'aria e poi disseccato a 100° ed a 130°- 140° non perde quasi di peso: Gr. 0.3857 di sale secco a 130° fornirono 0.0718 di CuO, cioè Cu — 0.05739. Da cui: trovato calcolato per (C?H"N?O??Cu + H'O o ——_ — Cu % 15.1 15,5 Se si precipita a caldo il sale sodico col solfato di rame si ha il composto rameico in lamine rettangolari bellissime, riunite a rosetta. Questo perd non è un Sale basico con C*H°CuN°0*, ma è un sale con (C*H°N°0°Cu, che probabilmente con- tiene acqua ancora a 130°, perchè mi fornì solamente 14.4 °% di Cu. ICILIO GUARESCHI Non insisto sulle analisi di questi ultimi sali di rame perchè non essendo ben cristallizzati nè potendosi purificare perchè insolubili nell'acqua forse non erano affatto puri; la quantità di rame ottenuta peró mi pare dimostri a sufficienza che vera- mente si formano due sali di rame. Il sale sodico od il sale ammonico, trattato con solfato di rame ammoniacale dà lentamente un sale cuproammonico in bei cristalli prismatici di intenso color azzurro violetto somiglianti a quelli che si ottengono dal composto C'H?N*O*. Su questo sale riferirò in un'altra nota, insieme al composto cuproammonico dell'acido C"H?N*O* sovraccennato Motilcianmetilglutaconmetilimide (N-metil-acheto-B8 cian- r8' dimetil -a' ossi - A*5 diidropiridina): CH’ Mescolando 14.4 gr. d’etere metilacetacetico con 11.3 d’etere cianacetico o 25 cm’ di metilamina al 39 °/, si ottiene, agitando, quasi subito un liquido omogeneo che poco dopo separasi in due strati. Dibattendo bene si ottiene un liquido gial- lastro omogeneo, il quale, diluito con acqua, dà appena una traccia di liquido oleoso che si separa per filtro asciutto. Il filtrato acidulato con acido cloridrico diluito dà un precipitato bianco cristallino, che si purifica ricristallizzandolo dall'alcol bollente o dall’acqua. Questo composto è isomero col derivato etilico ottenuto dall'etere acetacetico ed etere cianacetico coll'etilamina e con quello preparato dall'etere etilacetacetico ed etere cianacetico con ammoniaca. Gr. 0.1428 di sostanza secca nel vuoto e a 100° diedero 20.4 cm? di N a 22».5 e 742 mm. Gr. 0.1425 fornirono 0.3154 di CO? e 0.0761 di H*O. Da cui: trovato calcolato per C?H!?N?0? I I (ues — 60.36 60.6 Im — 5.93 5.6 Neca 15.58 — 15.7 La metilcianmetilglutaconmetilimide cristallizza in belle lamine brillanti, solubili nell'acqua, specialmente a caldo e nell'aleol. Fonde a 264°-265° in liquido rosso scuro. La soluzione aequosa satura dà abbondante precipitato bianco col nitrato di argento. La soluzione acquosa di questo composto lasciata all'aria si colora in giallo. Trattata con cloruro ferrico diluito e aggiunto a poco a poco si colora dapprima in azzurrognolo, poi intorbida dando precipitato bianco cristallino, mentre il sale | | | SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI 99 ferrico rimane ridotto a sale ferroso. Il prodotto che così si ottiene è quasi inso- lubile nell'aequa, alcol ed etere, fonde verso 235? scomponendosi, ma incomincia ad arrossare già verso 135° e a 195° imbrunisce. Non ho ancora esaminato questo composto, ma è probabile che risulti, come il ditimolo, dalla riunione di due molecole del composto primitivo: CH? CH? | C CHCH C A too Ie NATN 1 C | Il Il I Il | Co C.0—0.C CO NASO P N.CH N. CH’ Sale d'argento. La soluzione acquosa concentrata e calda della dimetilcianmetil- glutaconmetilimide tratto con soluzione di nitrato d'argento. Si ottiene un precipitato bianco di aspetto gelatinoso, formato da aghi sottilissimi, quasi insolubili nell'acqua anche calda. Gr. 0.2576 di sale secco nel vuoto e poi a 100° fornirono 0.0976 di Ag. Da cui: trovato calcolato per C'H*AgN?*O? — _— — Argento °/ 37.88 37.83 Eye Etere benzoilacetico ed etere cianacetico. Non ho ancora terminato le esperienze che riguardano l’azione dell’ammoniaca sola sull’etere benzoilacetico e l’azione contemporanea su di esso dell’etere cianace- tico e dell'ammoniaea. Intanto ho ottenuto nell’un caso e nell’altro l'emino-amide benzoilacetica : C'H’. C — CH. CONE? | NH? che all’analisi diede i risultati seguenti: I. Gr. 0.1184 di sostanza secca nel vuoto diedero 18.5 cm? di N a 20°.5 e 742.5 mm. II. Gr. 0.1225 fornirono 0.2978 di CO? e 0.0696 di H*O. Da cui: I I ie — 66.3 HS 282 — 6.8 CR 17.27 — E per la formola C?H''N*O si calcola: Oi 66.6 ja iie kg INS 17.28 ICILIO GUARESCH! — SINTESI DI COMPOSTI PIRIDINICI Si ha in bei cristalli brillanti leggieri lamelliformi, solubili nell'aequa bollente, pochissimo nell’acqua fredda, solubili nell'alcool, nell'etere e nell'acido acetico. Fonde a 1649.5 residuo carbonoso. La sua soluzione acquosa od alcolica si colora in violetto col cloruro ferrico. La soluzione acquosa è neutra e non precipita coll’acetato di rame. Sciolta o sospesa in aequa poi trattata con soluzione di nitrito potassico e acidulando con pochissimo acido solforico molto diluito dà una bella colorazione rosa che scom- pare con lieve eccesso d'acido. Esponendo la sostanza solida ai vapori nitrosi svolti dal nitrito potassico con acido solforico si colora in rosa, color fior di pesca. Mi occu- però in seguito di questa amino-amide, riguardo anche la sua azione sull'etere cian- acetico o la cianacetamide. Ho anche ottenuto la cianfenilglutaconimide: 165°, poi si decompone sublimando e dando sviluppo di ammoniaca e un Cog 6 MC GON Ho. co N in bei cristalli setacei leggieri, fusibili a 280°-282° scomponendosi, contenenti una molecola d’acqua, O®H'N’O? + H'O, che perde a 100°-110°, pochissimo solubili nel- l’acqua, solubili nell'aleol. Questo composto col nitrito potassico si colora in azzurro- verde e dà coll’acqua di bromo dopo prolungata ebollizione una bella colorazione rosso-violetta. Il sale ammonico C“H'(NH')N°0° è ben cristallizzata e fornisce un bel sale cuproammonico in polvere cristallina di color azzurro d'oltremare. Il sale baritico (C*H*N*O*)*Ba + 5H*O è ben cristallizzato. In una prossima Memoria pubblicherd le ricerche fatte cogli eteri propilaceta- cetico, benzilacetacetico e benzoilacetico deserivendone i prodotti che si ottengono coll'ammoniaca sola e per l'azione contemporanea dell’etere cianacetico. Ho dovuto ora pubblicare queste prime ricerche per riserbarmi il campo di studio riguardante i derivati piridinici che ottengonsi dagli eteri chetonici coll'etere cianacetico e di cui mi occupo da lungo tempo. Ho già iniziato ricerche cogli eteri monoacetosuceinico, diacetosuceinico, succinilsuccinico, ossalacetico, malonico, dietil e dimetilacetico ed etere acetondicarbonico. E mia intenzione estendere questo studio ad eteri od acidi a e y chetonici quali gli eteri piruvico e levulinico e ad eteri aldeidici. Nel mio laboratorio si sta studiando l'azione dell'ammoniaca ed etere cianace- tico sull’etere -etilidenacetacetico e su diversi chetoni, quali il metiletilchetone, il metilpropilehetone, il metilbutilchetone, ed il metilessilchetone. Torino, Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica della R. Univ. Ottobre 1895. SULL'EQUAZIONE DI » GRADO MEMORIA FRANCESCO GIUDICE Approvata nel? Adunanza del 1° Dicembre 1895. Ci siamo occupati altra volta della “ risoluzione dell'equazione algebrica di 5° grado con l'aggiunta. dell'irrazionalità icosaedrale ,. Ora torniamo ad occuparcene per indi- care più ordinatamente e chiaramente che non siasi fatto fin qui i diversi metodi con cui si può procedere a tal risoluzione. A questo scopo diamo le equazioni tipiche risolubili algebricamente, che sono direttamente identificabili con le varie trasformate dell'equazione di 5° grado: in ognuna di tali identificazioni si ha un metodo di solu- Zione e la corrispondente irrazionalità trascendente, da aggiungersi, à quella occor- rente per poter conseguire l’accennata identificazione. Proponendosi di identificare l'equazione di 5? grado, o sue risolventi, con equazioni, che siano risolubili con mezzi trascendenti, si possono avere altri metodi risolutivi; e le corrispondenti irrazionalità trascendenti, da ritenersi aggiunte, sono quelle definite dalle equazioni utilizzate, se l'identificazione sia ottenibile algebricamente: di questi metodi non ci occuperemo in modo particolare, sia perchè non si possono ordinare secondo un criterio semplice, sia perche quelli dei medesimi, che già furono usati da Hermrrr, Bnroscur, KRONECKER, Kimi ed altri, si compenetrano in quelli che ordinatamente seguiremo. Con le equa- Zioni algebricamente risolubili già note ne daremo due nuove: una (v. 38) vera- mente è nuova solo per l'aspetto in cui la presentiamo; è importantissima perchè Si presta molto bene alla formazione delle diverse equazioni tipiche: l’altra (v. 39) è pure notevolissima, essendo il tipo generale Bringiano delle equazioni algebrica- Mente risolubili: naturalmente quest’ultima offre pure una rappresentazione parame- trica dei punti della curva di Brine. Le considerazioni, che facciamo intorno al secondo metodo di risoluzione, rispon- dente al primo di Klein, ci fanno pervenire nel modo più naturale ed elementare possibile a trasformate di Bring dell'equazione di 5° grado (v. 65, 65’, 66", 65”), che sono semplici quanto quella ottenuta da Klein in modo meno diretto. E le conside- razioni relative al terzo metodo, rispondente al secondo di Klein, provano in maniera Nuova la possibilità di togliere il 2° ed il 4° termine dell equazione di 5° grado senza introdurre irrazionalità accessorie. 32 FRANCESCO GIUDICE 9 Mettendo in evidenza che i diversi metodi di risoluzione dell'equazione di 5° grado riduconsi ad identificazioni di sue risolventi con equazioni algebricamente 2-54). Completiamo il lungo calcolo diretto della risolvente icosaedrale (v. 49-51). Calcoliamo direttamente con procedimento nuovo e semplice l'equazione differenziale soddisfatta risolubili, rendiamo chiari e facilmente accessibili i ragionamenti (v. p. e. dalle radici dell'equazione dell'icosaedro (v. 68-73). Esponiamo in modo chiaro quanto si riferisce al problema delle A ed alla sua trasformazione. Tuttavia non ci dilun- ghiamo mai eccessivamente; cerchiamo anzi d'esser sempre concisi. Considerazioni algebro-geometriche. — Le radici dell'equazione fa) = & + determinano, in coordinate pentaedriche legate dalla X ), 1 120 punti, che hanno per coordinate le 120 permutazioni delle cinque radici, delle quali radici, se inter- pretate come coordinate, si considerano solo i rapporti. Tali 120 punti sono dedu- cibili da uno d'essi mediante le 120 collineazioni, che rimettono su sé stesso il pentaedro base delle coordinate permutandone semplicemente le facce. Per nominare le 120 collineazioni accennate le diremo collineazioni fondamentali: esse formano un gruppo, che diremo gruppo simmetrico fondamentale, il quale & oloedricamente isomorfo al gruppo simmetrico delle permutazioni di cinque cose. Le collineazioni fondamentali, che trasformano in sé stessa una curva, formano un sottogruppo del simmetrico: diremo che tal sottogruppo è il gruppo della curva; ji È Ñ Ze : ` + 120 : : il suo ordine g è un divisore di 120 e la curva è una di ; Curve, che diremo equi- H pollenti pel pentaedro base, perché hanno le stesse proprietà relativamente al mede- simo: i loro gruppi sono equipollenti nel simmetrico fondamentale, perché diremo che due sottogruppi d'uno stesso gruppo sono equipollenti nel medesimo, se l'uno si possa ottenere trasformando l’altro con una sostituzione del gruppo. Per l impor- tanza del concetto ora richiamato (1), credo utile far notare che due gruppi simili possono non essere equipollenti in un gruppo, che li contenga entrambi, essendo pos- sibile che nessuna delle sostituzioni, che trasformano l'uno d'essi nell'altro, si trovi in quel gruppo nel quale sono contenuti. Il gruppo simmetrico contiene uno ed un solo sottogruppo d'ordine 60, che & formato delle collineazioni producenti permutazioni pari delle cinque coordinate: lo diremo il gruppo alternante fondamentale. Diremo che una curva è regolare, semi-regolare od irregolare secondo che il suo gruppo è il simmetrico, l’alternante o nessuno dei due. Considereremo equazioni, che contengono parametri nei coefficienti, e conteremo i parametri solo in quanto influiscano sui rapporti delle radici. Cosi la ideae H aa? + bx + ex -- d — 0 (1) V. p. es. Kusy, Ikosaeder. Leipzig, 1884, pp. 6, 7, 88, 233. 3 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 33 è a tre parametri, dipendendo i rapporti delle radici solo da d’:a’, c:a? e d:a perché sono p. es. determinati dal sistema d'equazioni omogenee: its CNE 9» ERU do 0, (Er) IS 8a ’ ac 2a Saab era due Cid si riconosce anche osservando essere (e) fero? Per valori dati numericamente dei parametri, che trovansi nei coefficienti di un'equazione, la medesima rappresenta un gruppo di punti e nella separazione di questi consiste la risoluzione dell'equazione. Invece di procedere direttamente a tale separazione, si può cercare di conseguirla mediante la preventiva separazione di altri punti, o piu generalmente di figure, che siano covarianti dei punti rappresentati dall'equazione. In ciò consistono i metodi delle trasformate e delle risolventi. Gruppo della monodromia. — Consideriamo un'equazione f (x, Z) = 0, che con- tenga l’unico parametro Z. Se Z si muove nel campo complesso, variano le radici, ma ritornano le stesse quando Z ripassa per uno stesso punto: ogni singola radice, variando con continuità mentre Z percorre un cammino continuo, non riprende neces- Sariamente il valore iniziale quando Z ripassa per il valore iniziale, potendo prendere invece il valore iniziale di altra radice; le radici riprenderanno dunque i valori iniziali, ma permutati generalmente. Siano x, zi, ... le radici in Z e supponiamo Che, essendo partito Z da Z, ed essendovi ritornato dopo d'aver percorso un cam- mino chiuso, la radice x, sia diventata zu sarà x’, uno dei valori æo, o, ... e Pac- cennato cammino avrà prodotta la sostituzione | 2v, dv’ | Vis US Tutte le sostituzioni delle x prodotte da tutti i possibili cammini chiusi descri- vibili da Z nel campo complesso formano un gruppo, che Herurre disse della mono- dromia per l'equazione f(x, Z) = 0. Supponiamo che il parametro Z entri razionalmente nei coefficienti dell’ equa- zione e consideriamo come razionalmente note le funzioni di Z, che siano razionali in Z, per cui se vi figurino irrazionalità numeriche, le intenderemo aggiunte al campo di razionalità. Il gruppo dell’equazione sarà così quello della monodromia. Infatti, sia » l'ordine di questo gruppo e sia P (&,%,...) una funzione razionale delle radici: tra o ed il parametro Z esiste un legame algebrico ottenibile eliminando le x dalle ef, a... ) = p, fia, Z) = 0, far, Z) —9, ..., per cui p, se rimanga inalterata per % delle sostituzioni del gruppo della mono- dromia, sarà funzione algebrica di Z ad r:% valori in tutto il campo complesso. Il Serre IL Tom. XLVI. E 34 FRANCESCO GIUDICE 4 legame tra p e Z sarà quindi stabilito da un’ equazione algebrica del grado r: k in ọ (1). Per l'indicato modo in cui può ottenersi tale equazione, si riconosce subito che i suoi eoefficienti saranno razionali in Z e vi potranno figurare sole irrazionalità numeriche contenute in f(x, Z) od in @ (m, #1, ...): ne segue che, dopo l'aggiunta di tali irrazionalità, q sarà radice d'un'equazione del grado 7: k con coefficienti razio- nalmente noti; e tale equazione sarà irriducibile perché, se fosse riducibile, ad ogni valore di Z corrisponderebbero meno di r: valori di o, che per cio dovrebbe rima- nere inalterata per più di k sostituzioni del gruppo della monodromia: ne segue che q sarà razionalmente nota solo se sia k= r. Sono dunque conosciute razional- mente tutte e soltanto le funzioni appartenenti al gruppo della monodromia, il quale quindi è il gruppo dell'equazione. Imagine d'un'equazione. — Se un'equazione contiene m parametri, variando essi nel campo complesso, i punti rappresentati dall'equazione generano uno Spazio ad m dimensioni, che diremo imagine dell'equazione: esso è invariante per il gruppo simmetrico fondamentale. L'imagine p. es. della d + ba? + ex + d — 0 è la quadrica irriducibile X2? — 0. L'imagine della a? t'a + ex + d — 0 è la superficie diagonale di Cresscx (2) Xa? — 0: essa contiene le 15 diagonali dei quadrilateri d'intersezione di ciascun piano del pentaedro fondamentale con gli altri quattro; si ha infatti che, per essere X = 0, due vertici opposti del quadrilatero d’intersezione del piano «,—-0 con gli altri sono dati da 99:90:99 125: 904::0:0:0:1:— 1, DEE 12:2 ::0:1: — 1:0:0 e trovansi tutti sulla X4? — 0 i punti della retta, che li congiunge, i quali sono dati da e Ce e Eege —p:1 — p:p — T. Consideriamo ora un'equazione f(x, ) — 0 ad unico parametro Z: ordiniamo le permutazioni dei valori, che le radici æ hanno nel punto Zo ed indichiamo con Av il punto, che ha per coordinate la v"* di tali permutazioni. Se Z si muove con conti- nuità nel piano complesso, il punto (zo 4i...) Si muove con continuità sopra un ramo irriducibile dell'imagine; ed inversamente, se il punto muovesi con continuità sopra un ramo irriducibile, Z si muove con continuità nel piano complesso: per cio, (1) V. p. es. C. Neumann, Vorlesungen über Riemann’s Theorie der Abel’schen Integrale. Leipzig, 1884, p. 122. (2) * Math. Annalen ,, 1871, Ueber die Anwendung der quadratischen Substitution... 5 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 35 se A, ed Av sono sullo stesso ramo irriducibile, potremo con moto continuo portare An in Av, facendo percorrere a Z un conveniente cammino chiuso, che principii e finisca in Zo: viceversa, se si puo far passare À, in Ay facendo percorrere a Z un conveniente cammino chiuso, vuol dire che A, ed Av sono sopra un sol ramo irri- ducibile. Il numero dei punti Av appartenenti ad unico ramo irriducibile dell'imagine dell'equazione è quindi uguale all'ordine del gruppo della monodromia; ma tal numero è anche uguale a quello delle collineazioni fondamentali, che trasformano in sè stesso quel ramo, il quale per cid sarà regolare o semiregolare allora e solamente allora che il gruppo della monodromia sia il simmetrico o l’alternante. Si riconosce, p. es., che, variando Z nel campo complesso, le radici della 28 (1) subiscono tutte e solamente le permutazioni pari, per cui il gruppo della monodromia è l’alternante e l'imagine dell'equazione si compone di due rami semiregolari, i quali, come mostra la (27), sono del 44^ ordine. E invece composta di due rami irridu- eibili del 38° ordine l'imagine della corrispondente equazione di Kg (2), la quale, con insignificante differenza di notazione, s'ottiene dalla 26 facendovi ME O ria 2-—144»f^: T H. Problema formale d'un'equazione. — Dal punto di vista geometrico abbiamo appena accennato all'uso delle trasformate e delle risolventi: ora ce ne vogliamo occupare dal punto di vista algebrico. La risoluzione d'un'equazione consiste nella determinazione d'un certo numero di quantità mediante i valori d'un egual numero di forme. Risolvere l'equazione fy) — y my + eb may tm 0 significa infatti determinare yı, Ye, ..., y, mediante i valori di Xy, Xy, Ys, Ai Ye- Yn che sono —@, dg ..., (—1)'a,: in questa determinazione consiste ciò che diremo pro- blema formale dell'equazione. In luogo delle precedenti forme, funzioni simmetriche elementari, si possono considerare le somme 2 Ly, Zy’, 2y € potrà talvolta convenire considerare forme, che siano contenute in campo ampliato di razionalità, cioè potrà convenire la considerazione d'un problema formale, che sia equivalente alla proposta equazione solo dopo l'aggiunta di opportune irrazionalità. Un problema formale si presenta sotto un aspetto tanto meno complicato quanto minore & il numero dei parametri da cui dipendono i valori delle forme date. Il numero dei parametri, che figurano nei coefficienti d'un'equazione, si pud ridurre col metodo delle risolventi e con quello delle trasformate, le quali sono risolventi che . (D) V. negli Atti di questa R. Acc. delle Scienze, vol. XXVIII, la precedente Nota * Sulla solu- zione dell'equazione algebrica di 5? grado... ,; in essa debbonsi cercare le formule richiamate con Numeri minori di 30. (2) Ikosaeder, pag. 106. 36 FRANCESCO GIUDICE 6 hanno per incognite delle funzioni simmetriche in » — 1 delle » radici. Una ridu- zione dei parametri, che sia ottenibile col metodo delle risolventi è pur ottenibile con quello delle trasformate, perché ogni risolvente di grado » d'una speciale risol- vente è una trasformata della proposta equazione (1) e non può contenere se non i parametri di tal risolvente speciale. Colla riduzione del numero dei parametri d’un’equazione si semplifica il suo problema formale in quanto che si fanno dipendere i valori delle forme conosciute da un minor numero di variabili. Si può ottenere nel numero delle forme note la stessa riduzione che si consegue nel numero delle variabili: in ciò consiste la vera riduzione e con essa si perviene ad equazioni, che diremo tipiche-risolubili; tipiche per la loro speciale importanza e risolubili perchè le loro radici sono razionalmente note nelle quantità, che figurano nei coefficienti, dopo l’aggiunta d’un’irrazionalità numerica algebrica. Trasformate. — L'equazione (30) aa? + 5ba* + 1002 + 10de + 5ex + f — 0 ponendo: y — az +b, H. — ac — P, G — ad — 3abc + 20, L= «(ae — Abd + 3c), K = (af — babe + 2acd + 80d — 656), diviene: (31) Y + 10 Hy? + 10Gy? + 5(L — 8H°)y + K — 2HG = 0. Per ridurre ancora il numero dei parametri, seguendo Klein (2), si ponga E \ , ev — yy + a (y — 3$ ) Eë [y Em Sal EMT [y^ H Géi y m Sn = Èy Si avrà così: xoc) x2 =— 20Haî + 20(9H* — L) o? + 20(15 HL + 66° — 145 H*)od + + 20(969H' — 196 H*L — 408HG* + 4KG + L°)oî .— 60 Go a; + + 40(13H* — L)a œ + 10 (102 HG — K)o -+ 10(78H G — K) ara + + 40 (11 HL + 156° — 93H?)a,a, + 20(7 HK + 236L — 663H*G)0,0,. Se 01, 0, 03, 0, si considerano come coordinate omogenee d'un punto dello spazio, (1) V. p. es. Nerro, Teoria delle sostituzioni, tradotta da Barracuisı, pag. 120. (2) Ikosaeder, pag. 170 f ` | i 7 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO FA l'equazione Z 2°— 0 rappresenta una quadrica. In infiniti modi (1) si puo ridurre tale equazione alla forma canonica R—S—T'--U'—0 dove R, S, T, U sono polinomii interi di primo grado nelle a o os, a Le due Specie di generatrici della quadrica sono quindi date dalle pe ne! re bibi Ba LEUR ae, Vale) dove À e u sono parametri. Ogni punto della quadrica è così determinato dai valori di X e a corrispondenti alle generatrici incrociantisi in esso punto. Fissändo arbi- trariamente À e prendendo il punto (à, o, 03, dj) sulla generatrice À, cioè fissando 9; 0, Ga, 0 in modo che sia R—S—AT—U)—0, T+U-MR-+S)=0 ne conseguirà DEA Ora, la generatrice À interseca in tre e quattro punti, rispettivamente, le su- perficie dove ai primi membri si debbono sostituire le equivalenti espressioni nelle a,, ay, a, O4. Dopo la separazione delle generatrici À e u occorre dunque solamente la risoluzione d'un’equazione del Ze o del 4° grado, per ridurre l'equazione di quinto grado all'una od all'altra delle due forme (32) ÿ + 5ay +B—0 (33) Ù + 10077 + 8 — 0. Il metodo, che usualmente viene indicato nei trattati (2), consiste nell'utilizzare la generatrice À — 0. Una trasformata della forma (22) V. + Say + 5By + r—0 8! pub p. es. ottenere facendo d, = a, = = (— 36 -- y90* — 4HL + 36H»). (1) v. p. es. Cesàro, Corso d’analisi algebrica. Torino, 1894, pag. 70. (2) v. p. es. Carznur Lezioni d'algebra complementare. Napoli, 1895, pag. 403. 38 FRANCESCO GIUDICE 8 Un'altra notevole trasformata della 30 à la (1) (34) Log + Br + y = 0 dove (2), essendo A, B, C, R gli invarianti di 4°, 8°, 12° e 18° grado della quintica, | come furono definiti da CLeBscH e GoRDAN (3), ed | E |l .1984 | — 5A, i= BB, j= 5*0, I= 5"R,5— a VA deh + — Brot du ` (Bli + 167), B= E (ij — #) ò, y = 1218. Equazioni tipiche risolubili. — L'equazione, che ha per radici i cinque valori dati da (35) yv — Ep + Ep, + Em ern ee? per v — 0, 1, 2, 3, 4, si ottiene con molta facilità e speditezza deducendone i coef- ficienti dalle somme Xy, ..., X yy, osservando che X yy" s'ottiene moltiplicando per 5 i soli termini di yv", che sono indipendenti da e, cosicchè nel calcolo di yv" si tras- cureranno subito quei termini, i quali conterrebbero € con esponente non divisibile per 5. L'equazione a cui si perviene è (85) — — 5b(pupi + pep) — 5 (pips + pin + pipi + Apy + 5 (pipi + + pup — pip — pipi — PiPi — Pips — pupspop y + 5 (pî papa + + pe psp + pippo + Pipe — Pypspi — Da PSI — Pp: — Ppi p?) — — Un Pe PO Ne segue che le radici della (86) y — 5 (Nike + Mp + NU — Mëtt + 501i + Nuit — — Munus — Mk + 35i p)y + 10 (s uu — MN uui — — MMi p — M Muti) — Ni (ui + 8) + NU — uj) = 0 sono date dalla (36) yv = EVA — EVA + EY hhe + € Ns. E se si pone (1) Herme, " Crelle's Journal ,, vol. 59, 1861, pag. 304. (2) Brroscni, aggiunta terza al Trattato delle funzioni ellittiche di Cayuzv. Milano, 1880, pag. 426. (8) “ Annali di Mat. ,, 1867. 9 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO | A = A} + AA, = 8 A4 A, A, — ZAZAPAZ + ATA? — A (A$ F AS) C = 320 ASATAS — 160 ASAÎA? + 20 A? AÍAi + 6 AS AS — — 4A, (A5 + Aj) (82 A4 — 20 A2A, A; + 5 A24?) LAN + AP. — OI — A) [— 102441 3840 ASA, À, (A? — À Àj) + + 100 AP AS AÏ(12 A3 — A,A,) + A,(AP + Ad) (852A: — — 160 ARA, A, + 10A2A3) + (At + AP] = [— 1728B + | + C + 720 AB°C — 80A°CB + 64 A*(5B* — AOy]3, le radici della (37) y" + 10By + 5(9B* — AC)y — D = 0 sono date dalla (87) yv = ev A, (A,A, — 4 A?) + ev (2AA? — A) + e2v(— 2A AE + A) + + evA,(4A3 — A, Ay) e si riconosce subito essere: 87) ` yy = (ev A, — € Aj) (Ai As — 4A3) + 2A ((e A)! — (e Aj) + + (e A) — (ev Ap — = (ev A, — e A) [1 + 5) Ao + ev A, + e A] [(1— V5) As + esv A, + e Aj]. Dalle 35 e 35' segue pure che le radici della (88) 9 —5k(E& LEE) — ARIS + BE JESS, HE] — 5% [RE + + k(B&-FE&-J-&b5&5& — RE BR) -- PEE] y — 5IP[E RE L + 298 — BRE — SEE + RIESS + HER Sue — ES EE) ] — — Eë PS KPE — kE — 0 Sono date dalla 1 2 4 (387) yv = EvE RS + evE kë La 3 + ev&k5 + evz,K 39 Quest'equazione è notevolissima perché da essa deduconsi subito equazioni riso- lubili mancanti del termine in y? o di quello in y, oltre che di quello in yf; per togliere il termine in y bisogna però risolvere un'equazione di 2° grado in k. Si può togliere contemporaneamente il termine in y fissando le č in modo da soddisfare la &:,—=— 5:8, Per avere un equazione della forma ridotta di Brine basta Quindi fare 40 FRANCESCO GIUDICE 10 z i 2 E = Mp, & = — Ai, & = Xx, £ = Xu, k = — EE SS ay Più semplicemente, si ha p. es. che le radici della (39) P + bad (a — V) [tab — (a* — b) (a' — 6 — 3&9] y + + ab? (af — 88) [4a bi — (a — bi) (at — A 4 22a? 9] = 0 | | | | sono date dalla 2 alza / SCH 2 (89) USE 20 E TL li s db PO Js ev + b (à? — P) bag — 0 (6 ad 6 re (Er as (soia) Le 35’, 36, 37 e 39 sono importantissimi tipi di equazioni risolubili del 5° grado: esse sono generali del rispettivo tipo; per cui si presentano ora spontaneamente, quali metodi per la risoluzione dell'equazione di 5° grado le identificazioni della 35’ colla 31, della 36 colla 22 (qui riportata dopo 33), della 37 colla 34 e della 39 colla 32. Le stesse equazioni 35', 36, 37 e 39 non sono altro che trasformate dell'equa- zione binomia (40) é—1-—)0 ed è evidente che per equazioni tipiche risolubili si possono prendere trasformate | d'una qualsiasi equazione, che sia risolubile algebrieamente, p. es. d'una di quelle della trigonometria risguardanti la divisione degli angoli (1). 1° Metodo di soluzione. — L’ identificazione della 35' con la 31 conduce a | risolventi studiate da Marrarrr, Jacosr Cavrzv, Bnrosenr ed altri (2), delle quali ci siamo occupati altra volta (3). Crediamo inopportuno fermarci su questo metodo molto noto. Daremo solamente, nelle p, la radice quadrata del discriminante di 35, che si potrebbe utilizzare per aver subito risolventi con coefficienti a due valori invece di dedurle mediante scomposizione di altre ad un valore. Per la 35 è: UD T y — y) = 25 V5 [p + p Fri — + po — più + vv Läpp — Bä — pepi + papi] [pt + pi pi + pi + pipi + + Di) + pss + p) + gus + Rn + Map + pp + pipi + + papi) + 8(pips + pipi + pm + psp) + Alp pt) (pi + p3) + + ppm + pippa + Pps P + Ppap) + 6Cpi pape + pups + (1) V. Asst, Œuvres, MDCCCUXXXI, I, pag. 503. (2) Brioscni, appendice terza al Trattato sulle funzioni ellittiche di Cavrey, pag. 429. (3) * Atti della R. Accademia delle Seienze di Torino ,, 1892. 11 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 41 + ppp. ppp) + 7((pî + Apps + (P H Dam) Æ + 11pip:pspa) [pi + pi + pi + pi + pipi + RB + apl + + pi) + pi + ps) — pipips Hipp, — pp — Dì Papi + + 2 ((pt + ph pape + (pi + p pipi — pipi— pps — Pipi — Dip! — — 8(pip, + pip + pipi + Didi) + (pL p) Gi + ps) — — Pupe — MPMP — ppp. — Piper) + 6p ppp). 2» Metodo di risoluzione. — L'identifieazione della 36 colla 22 s'ottiene ponendo: — M ui us — MM — MAD + Mui = 0. | Mx uf + Mus — Mu — M Mp + 3x X uid = P | LO RE ME gt UL — o da dI DO) — MN + 18) + Mit 4) = r. Queste non determinano M, Ay, Mı e us; per cui l'identificazione della 36 colla 22 si può ottenere con infiniti sistemi di valori delle M, À, Mi, Me. Se si pone A = IT (y, — yy): 25 V5, deducesi subito da 41 (1): v A Ms + M M), A =) Ms, À = — Ar Se, considerando X, Ae e A, M come variabili cogredienti, s'eseguiscono simul- taneamente sulle medesime le sostituzioni omogenee del gruppo dell’icosaedro, le A ricevono le 60 sostituzioni del gruppo generato da S: A'-— Än, ai VBA As + At À, CN V5 A', = 2A, + (+) Ai + (e + lä Y5A', = 2A, + (e€ + €) À; + (€ + €) A. (78) Come forma invariante per queste sostituzioni si riconosce subito la ION ee (79) A = A; + AA—| Ai Mal Se è A — 0, da 77' segue che (80) AA AI Et Onde rilevasi che vi sono solamente ancora tre forme fondamentali, che sono. dei rispettivi gradi 6, 10 e 15 nelle A perchè debbono divenir forme fondamentali del- l'icosaedro, quindi dei gradi rispettivi 12, 20 e 30 nelle À, per A, = — M, A, = X ed A, — — X. Per la legge di trasporto potremo prendere per le medesime le polari (1) v. p. es. Proamp, Traité d'Analyse, II, Paris, 1892-93, pp. 482-89 e 498-508. (2) v. Krem, Ikosaeder, pag. 212. 1 A 1 5 14 À H | 3 54 FRANCESCO GIUDICE 24 sesta, decima e quindicesima del polo (\',, V) relative ad f(M, M), H(i, M) e T (x, ào); indicando con B', C', D' tali polari, divise pei rispettivi divisori numerici, si ha per le 37, 21B = — B' + 164°, 1870 = — C' — 512A5 + 1760A!B, Di — D. Per completo sistema di forme invarianti fondamentali del problema delle A possiamo dunque pur prendere e prenderemo A, BA OD; Queste divengono precisamente f, H e T per A — 0 e debbono quindi essere legate da una relazione, che si deve ridurre alla 18 per A — 0. Si trova infatti subito, e se ne tenne già conto nell’ultima delle 37,: (81) D?’ = — 1728B + € + 720A CB? — 80 A*C*B + 64 A*(5B! — A Oy. Riduzione del problema delle A. — Se Y, Z sono quantità conosciute ed A, B e C sono le forme date dalle 37,, i rapporti delle A, sono determinati da B — YA? —0 € — ZA’ = che diremo sistema d'equazioni del problema delle A: esso è equivalente al problema delle forme perchè, se siasi trovato A: Aot: As, : 108 $0, e si ponga LEA AN = po A: = po, si ha immediatamente p — A ëng %) D (ao, 04, 0) PED, CAO D (Ao As, Aal pl Ai, o, 05) — Ms Az, Ag ` Il problema formale dell'icosaedro richiede invece l'estrazione d'una radice qua- drata, dopo risolta l’equazione. Cid si spiega osservando che il gruppo dell'equazione dell'ieosaedro è solo emiedricamente isomorfo al gruppo dell'icosaedro e sono invece oloedricamente isomorfi il gruppo del sistema di equazioni del problema delle A e quello delle collineazioni delle A. Il problema delle A riducesi alla determinazione di Ao, A, À, nelle X, Y, Z perché, come queste s'esprimono razionalmente nelle A, B, C, D, cosi le ABC s'esprimono razionalmente nelle X, Y, Z, essendo A — X! : (Z^ — 1728Y* + 720 Y'Z — 80YZ* + 64(5Y* — Zy) B—YA, C—7ZA, D= XA 25 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 55 Considerazioni geometriche e risolventi. — La Aus" ASA rappresenta una conica, nel piano delle A,; la diremo conica fondamentale: le coor- dinate de’ suoi punti sono date razionalmente nel parametro À = À: À, dalle (82) Aj AL N MN La polare, rispetto alla conica fondamentale, del punto (As, Aı, A.) dato dalle 77’ à (83) 2A,A', + AA + AA, = 0 dove sonsi accentate le coordinate del punto generatore della polare per distinguerle da quelle del polo. I punti di segamento di essa polare con la conica sono dati da A'j: Ah: A5 — — x :M:—M NONNI Ne NS ATOM Per eui À: M e M, : M, sono i valori di À nei punti di contatto della conica con le tangenti condotte ad essa da (A, Ai, Aj). Siccome, quando è A = 0, B, C e D riduconsi ad f, H e T, i punti d'interse- zione della conica fondamentale con le curve B = 0, € = 0, D = 0 sono dati da f, X) = 0, HM, X) —0, Th, Al = 0. Vi sono dunque sulla conica tre gruppi di 12, 20 e 30 punti collegati due a due per una sostituzione dell'icosaedro, che li lascia fermi: siffatte coppie di punti deter- minano tre gruppi di sei, dieci e quindici rette. Appartengono ad f= 0 e non sono Spostati da S i punti (0, 0, 1), (0, 1, 0) e li congiunge la retta A, = 0. E Le sostituzioni dell'icosaedro portano la retta A,— 0 solamente ancora nelle Inque À, + ev À, + eiv A, = 0 VESTI Queste sei rette congiungono dunque due a due gli opposti punti d’intersezione I curve A — 0 e B — o, cioè gli opposti punti di f — 0 come è facile verificare. Poli di queste sei rette, che diremo punti fondamentali, sono dati da A Ae Aseo t0 Oba A An SAT — Va Le rette congiungenti il polo di A, agli altri cinque sono date da ev Àj — ev, = 0 Ve: 56 FRANCESCO GIUDICE 26 Esse appartengono manifestamente alla curva D — 0, la quale devesi quindi spezzare nelle quindici rette congiungenti due a due i sei punti fondamentali, non avendo essa specialità per tali punti. Ritroviamo cosi la scomposizione già espressa con 37". Ponendo (84) SASA: (Ao + ev A, | ev À) = ev s’ottiene come risolvente del problema delle A l’equazione Jacobiana del 6° grado (M) — (e— AY — 44( — AF + 10B(e — A) — C@—A)+(6B"—A0)=0. Quando questa fosse risolta, sarebbero noti i rapporti delle A, perchè deducibili dai quadrati delle A e loro prodotti due a due, che sono dati immediatamente dalle 84: sarebbero quindi conosciute le stesse À, se anche D fosse data con A, B e C in conformità ad 81, potendosi esse calcolare nel modo indicato parlando della ridüzione del problema. La risoluzione dell'equazione Jacobiana di 6° grado diviene quindi equivalente a quella del problema delle A solo dopo l'aggiunta di D ossia, per 81, dopo l'estrazione d'una radice quadrata. BnroscHr per ottenere una risolvente del 5° ordine della Jacobiana pose (1) Ver Der e =) e pervenne precisamente alla 37. Si perviene pure alla 37 se (2), per formare una risolvente del problema delle A, si prende per incognita la terza polare del punto M, M' rispetto at (X, M). Trasformazione. — La trasformazione razionale del problema delle A ha per scopo la determinazione di quantità D, Bı, B, che siano funzioni razionali delle A, e subiscano corrispondentemente alle 60 sostituzioni delle A, le stesse sostituzioni, indipendentemente dall'ordine. Le forme fondamentali del problema delle B sono esprimibili razionalmente nelle A, B, C e perciò conosciute. Per vedere quali siano le possibili diverse trasformazioni razionali dobbiamo dunque vedere in quanti modi essenzialmente diversi il gruppo dell'icosaedro si possa considerare isomorfo con sé stesso quando due qualsiansi permutazioni delle 60 sosti- tuzioni si considerino come non essenzialmente distinte se le 60 d'una si ottengano eseguendo una medesima sostituzione sulle corrispondenti dell'altra. Ogni sostituzione di periodo 5 dell'icosaedro od è simile ad S od è simile ad HI: e mediante trasfor- mazione con una conveniente potenza di S si può ridurre ciascuna sostituzione di periodo 2 ad una delle T, U, TU. Se con S' e T" si indicano le generatrici d’un gruppo, che nel modo indicato sia isomorfo al gruppo dell’icosaedro, dovendo essere dello stesso periodo S ed $', T e T", ST ed ST’, sarà quindi S'—S e T'—T (1) V. p. es. appendice terza al Trattato delle funzioni ellittiche di Cavrex, pag. 422. (2) Ers, Ikosaeder, pag. 222 e 226. 27 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 57 oppure S'— S? e T' — TU. Le B, che subiscano la trasformazione S' o T” quando Sulle A si eseguisca la S o la T, saranno cogredienti alle A nel 1° caso e contro- gredienti nel 2°. Per conseguire effettivamente la trasformazione nei due casi pos- sibili, giova osservare che 2B,A,-]- BA; + B,A,, pel suo significato geometrico relativamente alla coniea fondamentale, à una forma invariantiva delle due serie di Variabili cogredienti À e B per le 60 collineazioni fondamentali: si riconosce infatti anche direttamente che 2B,A, + BjA, + B,A, rimane invariata se s'eseguiscono le 78 sulle A e si trasformano cogredientemente le B. Ne segue che, se la forma DIAS A, As; A" Ah, Ar) = Ee E Em (A) Ay As) AT E Lu OE dF y JE r + Pi(Ao, Ar, A; A^, = sand + sa A J- sa À © Invariante per le 78 quando le A’ si considerino cogredienti, o eontrogredienti, alle A, le 1 dF Ob Bi Po(Ao; A; A,) 722805 dA? B = a Saranno variabili cogredienti, o controgredienti, alle A. Infatti se, eseguendo le 78 sulle A e considerando le A' come cogredienti, o controgredienti, alle A, si mutano le A’ in A" e le q in ®, deve essere per ipotesi F = F' = 26,A", + 6A", + 6, A", Ma, per quanto fu detto, la F, che uguagliata a zero dà la polare di (qo, Pu 95), E Invariante anche se le p sono variabili cogredienti alle A’ per cui, se con questa Ipotesi mutinsi le p in Q', deve essere ancora F = 29 A, + pa A", + pa", Dovendo questa sussistere con la precedente per valori qualsiansi delle A’, quindi per valori qualsiansi delle A" ne segue p= po, Pr—=pr, 0,-— 9. 7 Il problema della trasformazione riducesi dunque alla ricerca delle forme F, che diremo di prima o di seconda specie secondo che le A ed A’ siano cogredienti o controgredienti. Se F,, Fe, Fs sono tre forme della stessa specie ed F è un'altra Qualsiasi della specie stessa, dall'identità F Fi F, F, DEE OA EE Ay 89A, 80A, dA dA dF ab, 9E, OF; | | = | w ki [4 | = a 5 dA, dA dA dA Serw I. Tom. XLVI. S 58 FRANCESCO GIUDICE 28 deducesi (85) E= R, Fi xm RF, ii R; F; dove R;, R, ed R4 sono manifestamente invarianti e per ciò esprimibili razionalmente nelle forme date A, B e C. Se dunque F sia data da 85, dove R,, R;, Rs siano fun- zioni note qualsiansi, le (86) EE 2 dànno tutte le trasformazioni di 1* o di 2 specie secondo che sono di 1è o di 24 specie le F,, F}, F,. Per completare la teoria della trasformazione del problema delle A aggiungeremo quindi (1) che tre forme di 1* specie sono per esempio Fi — 2A,A'; + A; A'; + ALA”, a 9B B dB (87) | Bog Aba Ata AN e tre di 2^ specie sono | Fi = 2A'(2 A5 — 8A,A, A) — AN (8 AL AE + A?) — A' (8A, A? + AI) F, = 2 A'(— BASA: A; + 6A,ATA; — AE — AÎ) + A’, (16A3A2 — 8 A2 A3 — — 4 As A, Ai + 2A1A;)-]- A^ (16 A2A? — 8 AZA2— 4 AL ATA; + 2A, A! (88 ^1 F—2A',(82A3ATAS — 4AG(AT + A3) — 16 A, ALAS + 3 A, A, (AS + AD) + FA^ (— 82 ASA; + 48 AGAT —82 ALA AS — LAS AtA + IAA A?A! — BATA:— Az) + A (— 321 AT + 48A4 A? —32A2 A? A — 4A3A\A{+ + 14 AL AA? — 8 ATA; — AD). Soluzione del problema delle A. — Si eseguisca una trasformazione 86 e siano B, B, B, le incognite nuove; si fissino i coefficienti R,, Re Rs in modo che sia Bi + BB; = 0, il che è possibile in infiniti modi. Le altre forme fondamentali delle B si ridurranno così ad f, H, T ed il calcolo delle B esigerà solo la risolu- zione d'una equazione icosaedrale o dell'equazione Jacobiana di 6^ grado pel caso di A — 0 (2). Dalle B si dedurranno le A per mezzo delle formule con cui s’ottenne la trasformazione. (1) Kre, Ikosaeder, pp. 230-82. (2) V. Kronecker, * Comptes Rendus ,, XLVI, 1858, pag. 1150; “ Crelle's Journal 301,80, 1861, pag. 306. Hermrre, " Comptes Rendus ,, LXI, LXII, 1865-66. i ` f f ` | 29 SULL’EQUAZIONE DI 5° GRADO 59 Senza perderci in spiegazioni, che sarebbero superflue dopo quanto fu detto per il 2° metodo di risoluzione, daremo ora delle formule che conducono direttamente alla risoluzione del problema delle A. Posto (1) fi = fih, M), d o fs EE Fa Si ha (89) z — (Gf ESO ENS HAS) Gun + Gun DYA CEPI 3450 f*, fa KA 8456 G5, dove Go, Gu e Che sono funzioni intere delle quantità date A, B, C e dei rispettivi gradi 60, 44, 12 nelle Ao, Ai, Ax Essendo calcolato Z,, si determinerà À = À : ke mediante l'equazione (90) H'A, 1) + 17287, f*(, 1) = 0. Si ponga ora df SE Pie — Pi f Na i ES N a u T, e si avrà: (91) 5 NORUNT. Ten GaVA p TD Dst GoVA DITS , HQ, 1) 2T Tenendo conto delle 77' si trova ora | S RE TER — dfl | (2) 4 A = (VA + P) ifo 1) | Aj AVR HAVE SER o Some) Quando fosse risolta la 90, sarebbe conosciuta P per 91. La risoluzione del pro- blema delle A resta dunque effettuata dopo l'aggiunta dell'irrazionalità accessoria VA e Bell ies: BE ell'irrazionalità icosaedrale. Complessi lineari. — Se sono dati in coordinate omogenee i due punti X = (Xi, X,, X, Xj, qo [uy D) 9 81 pone 9 1 i (93) Pa = XY, ZX P—=iprapii + pape + Pups TAO mare (1) V. Kuzm, Ikosaeder, pag. 237. | | | 60 FRANCESCO GIUDICE 30 si ha identicamente: (94) pat pu=0, 2P= | e SAL Delle dodici pa sono dunque linearmente indipendenti soltanto sei, che sono però legati da relazione di 2° grado. Le p, diconsi coordinate omogenee della retta p individuata dai due punti X ed Y. Due rette, p e p', si tagliano, se le loro coor- dinate soddisfano la come si riconosce osservando che il primo membro di questa equazione & metà del determinante, che s'ottiene da quello esprimente 2P accentandovi gli elementi delle ultime due orizzontali. Se gli 4, sono fissati arbitrariamente, si dice che le rette di coordinate sod- disfacenti la bod egeris Xa vs = El formano un Complesso lineare, che ha per coordinate i sei coefficienti a. Se è Cra Agi + d13 gn + au ge = 0, il complesso è speciale e consta delle rette seganti quella di coordinate , sieft - Dia = Air = Ou: che dicesi asse del complesso. Ogni complesso si puo ottenere addizionando sei com- plessi speciali, che siano linearmente indipendenti, dopo d'averli moltiplicati per numeri convenienti. In coordinate pentaedriche, legate dalla XX — 0, le coordinate Pa d'una retta sarebbero venti e sarebbero legate dalle dieci pi; + px — 0 e dalle quattro Zut — 0 (iz 0), che addizionate dànno come conseguenza Zu. — 0; per cui sono ancora sei le p; linearmente indipendenti: tra le p; esistono inoltre le relazioni di 2° grado analoghe alla P — 0. Un complesso contiene generalmente due generatriei di ciascuna specie della quadrica (95) XX + XX — 0. Infatti, se si pone rie Ai XX: Än Wees But Nes iu 31 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 61 i punti d'incontro della generatrice À con le u — 0 e u= co sono dati da NE Ne ee X — ded A NES AE S NOTE AT Ec O per cui le coordinate omogenee della generatrice À di prima specie sono PR VD MB MS Par Ur De = My De = NONE Sostituendole nell'equazione d'un complesso (96) EAy DE = 0 si trova che al medesimo, se è generale, appartengono due generatrici À e due sole che sono date da (97) Ag A + (As UIS Au) An Ae “E Ay M = 0. Si trova parimenti che al complesso 96 appartengono le due generatrici u date da (98) — Ay + (Ass + Au) Mi Me + An = 0. Risolvente del 20° grado dell'equazione di 5° grado ed interpretazione geometrica del problema delle A. — Se s’indicano con yo, Yy Ye Ys Yı le radici di 31 e si pone mey — SEI si ha Xj" — 0, per cui yf" punto dello spazio. Dando ad m i valori 1, 2, 3, 4 si ottengono i quattro vertici d'un tetraedro e Si può ottenere un general complesso lineare combinando i sei complessi speciali aventi per assi i sei spigoli del medesimo: prendiamo tal complesso come figura Covariante delle radici di 31. Poniamo per ciò | JU, yf", y, y sono coordinate pentaedriche d'un go = Xi Cim (yl y — yg), (Ll, m — 1, 2, 8, 4) dove le cm sono quantità date qualsiansi: l'equazione in a; sarà una risolvente del 20° grado di 31 (1): le sue radici sono legate dalle dix + u = 0, LR ew. T ERAN EIER (1) V. Kaes, Ikosaeder, pag. 178. 62 FRANCESCO GIUDICE 32 Introduciamo ora le coordinate di Laeraner, cioè facciamo la trasformazione di coordinate espressa da 2m ám log i Pa =Yk € od ey + € ys ET y e poniamo pi zii y + er y? + enyp + emy + em y} EE (D on (m) All Auv = ZimCm (pu py” pag pu py) onde sarà Auv = xx (euet vk —€— CERES] Ge, Segue da quanto precede che il complesso dP E Auv = Tn 0 contiene due generatrici À della quadrica pm, + pp: = 0; esse sono date dalla 97, per eui si potrà ottenere che le medesime siano appunto le À, M del trattato pro- blema delle A identificando 97 con 77, cioè ponendo 2A,— Ag — Au = Za ( gie — git EE gol et) (99) A = A = z(e Br; ENG, À,— — Ay E(e — eu), La prima delle 44, cioè la | yvyy+1 |, trasforma lo Ag, Ay, Au, Ay, Ag, Ay € Ap, EA, Au, Ay, Ar, Ay perchè, trasformando a; in a;,;,;,,, trasforma Au in TH+) Any. La sostituzione corrispondente alla 4 dell'icosaedro, cioe la (yı y4) (y:93), le trasforma in We? Au, Ap, GE Au, nad An, A, Gees Ass perché, trasformando a; in 4; s-r trasforma Au, in As _ 4,5. Tenendo pur conto della trasformazione che ax riceve per la seconda delle 44, cioè per la (1%) (ys Y4), è facile riconoscere che le A; A,, A, ricevono le trasformazioni 78 corrispondente- mente alle sostituzioni pari delle y. Le forme date dalle 37, se le A; siano definite dalle 99, sono dunque razionalmente note nei coefficienti di 31 o di 30 e di YA. Ricadiamo cosi sopra un problema formale ternario: e, ricordando come furono definite le quantità a4, si riconosce immediatamente che, dopo l'aggiunta di YA e la risoluzione di esso problema. ternario (per cui, come s’è visto, devesi risolvere 33 SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 63 un'equazione icosaedrale in À ed estrarre una radice quadrata accessoria, che è VA), sono conosciute le radici di 30. Con questo metodo al punto y si sono collegate covariantemente due generatrici cogredienti della quadrica pı pı + pz pa = 0; e ciò spiega come solo più tardi, rela- tivamente al 2° metodo di soluzione, debbasi aggiungere una radice quadrata acces- soria per la separazione di tali generatrici, come cioè si sia potuto far succedere la estrazione di radice accessoria alla formazione dell'equazione icosaedrale. Si poteva identificare 98 con 77, cioè porre | 2A',— — Ag — Au= x (eet — gk SE tit _ e. (100) | A — Ay — I(e* Hák SCH eloo A',— A, = lem — ea, € s'avrebbero così a determinare le A’, che sono controgredienti alle A perché i valori delle A nelle y si mutano in quelli delle A’ se si cambia € in e’, come vedesi dalle 99 e 100. Prima di terminare osserveremo che, se per le À contenute nella 37' s'inten- dono posti i valori dati dalle 99, la 37 è una risolvente della 30 e ne è quindi anche una trasformata, essendo del 5? ordine. I suoi coefficienti, non essendo alte- rati dalle permutazioni pari delle y, sono a due valori. Ancora seguendo questa via Si pub dunque, senza introdurre irrazionalità accessorie, trasformare l'equazione Senerale di 5° grado in una che abbia la forma 34, cioè manchi di 2° e 4° termine. Quarto metodo di soluzione. — Ponendo a — b =t ubi ed identificando la 89 con la 32, si ottiene "ut — P + 3tu) = a VE 4- 4v (a — 2520) = B dà cui, ponendo 257v = a(1 — T), deducesi T^ -- AT* + 20T* + S (T —1) — 0. a Non ci fermeremo sü questa risolvente e non ci occuperemo ulteriormente di questo quarto metodo perchè un'equazione di 5° grado, che abbia la forma di Bring, Si risolve immediatamente per funzioni ellittiche col metodo di Hermite, del quale ci siamo occupati. . Per analoga ragione non ci occuperemo del metodo di soluzione consistente nell’identificare la 33 con l'equazione risolubile di stessa forma, che si può subito 64 FRANCESCO GIUDICE — SULL'EQUAZIONE DI 5° GRADO 34 ottenere, come, fu detto, da 38. Basterà infatti osservare che le 32, 33 sono imme- diatamente identificabili con le risolventi d'ugual forma dell'equazione icosaedrale, le quali si possono dedurre da 28 fissando convenientemente w: v. Ricorderemo infine un singolar risultato ottenuto da JacoBr (1) e dal medesimo fatto. conoscere a titolo di pura curiosità, come lo ricordiamo ora noi per questa stessa unica ragione. Avendo posto a — y + 2, ottenne come risolvente della a? — Lige — p=0 y^ E Bay? + bo + oi SH py. Questa non è risolubile algebricamente, e ciò è naturale, accordandosi con la ormai molto nota irrisolvibilità per radicali dell'equazione generale di 5° grado: è però risolubile algebricamente la y" — 5q — Ba T — »y- (1) * Crelle's Journal ,, XIII, 1835, pag. 347. SULL EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE MEMORIA GIUSEPPE LAURICELLA Approvata nell Adunanza del 12 Gennaio 1896. Dt Lo studio delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate dipende dal problema analitico, di trovare una serie indefinita di funzioni p; (soluzioni eccezionali), corri- Spondenti ad una serie indefinita di valori %; (valori eccezionali) di un certo para- metro 5, le quali nei punti di un dato campo piano o soddisfino all'equazione: Lo d'u" | d'u she d x: Ae? Auf 1 dyt = ku A? (Au) = À e nei punti del contorno s si annullino insieme alle loro derivate normali (!). Di questo problema si è occupato in modo particolare il signor Mamme nella inserita nel * Journal de Mathématiques pures et appliquées , (Série 2*, T. XIV, année 1869). In tale sua importantissima Mémoire sur l'équation aux differences.. Memoria ? dimostrata l'esistenza della serie delle funzioni pi e quindi lo sviluppo in serie dell’integrale dell'equazione propria delle vibrazioni delle placche elastiche, Con un metodo che, pur essendo molto geniale, mi sembra non abbia sufficiente rigore, La perfetta analogia che passa tra il problema in parola e quello delle vibra- zioni delle superficie elastiche a contorno fisso e di altri simili, di cui ebbi ad occuparmi in una Memoria presentata lo scorso maggio alla R. Acc. delle Scienze di Torino (°), mi ha suggerito l'idea di tentarne la soluzione, adoperando il metodo che avevo tenuto in queste altre quistioni. È appunto in tal modo che mi è riuscito di dimostrare, con sufficiente rigore, l'esistenza della serie delle funzioni p; (!) Vedi ad es.: Mammen, Theorie de l'élasticité des corps solides, I° partie. €) Sulle equazioni del moto dei corpi elastici, * Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, anno 1894.95. Serre IL Tom. XLVI. í 66 GIUSEPPE LAURICELLA 2 Il metodo da me adoperato, suppone risoluto il problema dell'integrazione del- l'equazione: Ar (Au) = f (v, y) du per dati valori di « e di o» al contorno s del campo piano o. Comincierò quindi dallo studio di questa questione, la cui soluzione dipende, come si vedrà, dalla ricerca di una speciale funzione ausiliaria, analoga alla nota funzione di GREEN. Arr. I. — Sull’integrazione dell’equazione A (Au) = f (v, y). 1. Siano u e v due funzioni dei punti di una certa porzione 6 di piano, finite ed atte all'integrazione insieme alle loro derivate dei primi quattro ordini; sia s il contorno di 0 ed n la direzione positiva .della normale nei punti di s. La nota formola di GrEEN ci dà: { SA masse ASE PAST 2: 2, du PEL Y) È; IE u AP (A* v) A v. Au | do = [ {a DRE, cen M de, | | Au. Av — vA (Au) | do — [ (» o E Au $ jas, c DÉI n donde sommando si ottiene: 9 | SAH. AN? | =| Cy du d „Ar Ain de (2) IN uA? (A*v) — v A (A*u) | dU == Ia Oa Lo cn ace Au z | ds. Se le funzioni w, v sono integrali delle equazioni: B A (A = fey), AA) = ple, y) con f(x,y) e (x, y) funzioni finite e continue dei punti di 0, si avrà dalla (2): [ A? 7 à (4) È u. (v, y) do + IE A ds + f Au x de | v.. f(x, y) do + SN eu, + [^ à ds + JA u, ds. Questa formola ci dà un teorema di reciprocità tra gli integrali delle equazioni (3), analogo a quello di GrEEN per lequazione di LArLAcE ed a quello del Berti per le equazioni dell'equilibrio elastico.- 3 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACOHE ELASTICHE INCASTRATE 67 9. Sia P = (xv, yı) un punto di o ed r la distanza di questo punto da un altro punto qualsiasi. Preso: i (5) Sade i i*logr, è facile verificare che si ha: dv — logr + 1, AA) — 0. Per potere applicare la formola (4) alla funzione v data dalla (5), bisogna escludere dal campo c il punto P, dove non tutte le derivate di » sono finite. Per questo costruiamo un piccolo cerchio 0’ di raggio R col centro nel punto P; indi- chiamo con ad la circonferenza di 0’, e consideriamo il campo 0.— 0”, il cui contorno è uguale ad s + s'. Si avrà dalla (4): r° logr .f (@,7)d0 + | Si (rlogr dAu ; du — gr, — Ri 4 9n xm (log: + x: dn dn - 1 à(logr) 4 Ou Au | ds HU ossia: Wer AE SIAE "ker 4 is logr . fy) de + || 4 m dn y 1 d(r*logr) vn? 1 | SEE d ` R?logR [ dA? A ( E EE EE (6) 1 x. Aide ij logr .f(v,y) a + D | 3 f du ; | dlogR f ur 1 d(R2logR) 2 ` | — (log R. + ul In de cx ], ds EE T po uds’. Ora abbiamo: llog R 1 d (R?log R) è vi. EH — ngon + 1; e quindi, preso : deri Rido supposta la funzione « continua e indicato con w' il valore di w nel punto P, risulterà: lim R=0 Jo’ f*'logr.f(z,y) do' — 0, 1 32 ‚R [ 0A*u NS lim R*logR pae - ds! — 0, o : CLP 3 S E une: lim (logR + 1) 1T ere lim R (log R + ul à, 490, : dlogR - SC 27 lim —382 | uds' = lim | ud0 = lim | (u — w)d6 + 2nw' = 2nu, R=0 R Jy R=0 J0 R=0 Jo 1(RèlogR) f g 2log S Sec : lim BEN f A*uds' = lim R'(21ogR + 1) | Audo = 0. R=0 aR Je R=0 Jo 68 GIUSEPPE LAURICELLA 4 Dalla (6) avremo dunque, passando al limite per R = 0: SA NAS rlogr e. ft logs 047%

+g + NE SC (ds dn e quindi dalla (7) e dalle (9): 5 1 F 3] " \ 1 à u m IN £c — Jf (z,y)do + Sr | (logr + 1 — Ag — (10) dlogr dy), Kë | In da | Sc ds. Questa formola ci dà appunto l'integrale dell'equazione (8) corrispondente ai valori dati di u e di du nei punti di s, supposta nota la funzione g, che fa qui lo Stesso ufficio della funzione di GREEN nell’integrazione dell'equazione di LAPLACE. 4. L'integrazione dell'equazione (8) si può sempre ridurre a quella dell'equazione più semplice: (11) EH Per vederlo osserviamo anzitutto che, posto: RTS t = Ze | i Ce f(x,y) do, Si ha ovviamente: AU — ài (logr + 1). f(x, y)do; quindi, supposto che la funzione f(x, y) soddisfi alle condizioni richieste per la vali- dità del teorema del Porsson, avremo: (12) A* (A*u) = f (v, y). Posto poi: W A e Hy; risulta dalla (8) e dalla (12): A (Au) =D. Dunque per avere l'integrale u dell'equazione (8) corrispondente ai valori di u e di du : ; DA dn (ati nei punti di s, basterà integrare l'equazione (11) colle condizioni al contorno: du __ du dus KI u = — Ws, Can ya gs nn 70 GIUSEPPE LAURICELLA 6 Nel caso dell’equazione: (13) AE (AN wo la (7) diventa: Ne nier qe. qr. f is her 1 Qlogr) A | "= LI en + (log r +1) 35 mei da Aug ds, la (10): r D ogr E zgj o a CA NE a0) mU IR ern. Ag) än E ) S jum 5. Come applicazione del metodo esposto proponiamoci di trovare una funzione u, che nei punti di una regione piana indefinita o, limitata da una retta s, soddisfi alla equazione (13) e nei punti di questa retta prenda insieme alla sua derivata normale valori dati ad arbitrio. Anzitutto bisogna notare che, per la validità della formola (10'), è necessario ammettere che i valori di « sulla retta limite siano dati da una funzione atta alla integrazione, la quale all'infinito divenga infinitesima del primo ordine, e quelli di du da una funzione che sia essa pure atta all’integrazione e che all’infinito divenga infinitesima del secondo ordine. Ciò posto, possiamo supporre, senza togliere nulla alla generalità, che la retta s sia l’asse delle y e che la regione piana indefinita 0 sia quella dei valori positivi di x; allora preso: Tc @ Ba) Wy 4) poiche: r = (e — a + (y — y}, si avrà nei punti di s: E dr E dr; GA due de ed inoltre: DI) da ` Aa La funzione: T 1 Loi, log ri) (14) 1= rilogr, — 7 dI SCH + a*logr, è finita e continua in tutto 0 e soddisfa, come si può verificare, all'equazione (13). Si ha poi nei punti di s: NEED NE dg __ 1 9(rlognri) Dr L O(rlgr) dr |. HE er an 4 dr ee OEL 1 Abhlogrı) dr _= 1 d(r'logr) 4 ri "dae 4 de 7 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 71 Da quanto precede risulta quindi che la g, data dalla (14), à quella funzione, la quale per mezzo della (10') risolve il problema proposto. 6. Per completare la quistione del paragrafo precedente ci rimane da vedere a b EE d SE, ù Rab 2 quali altre condizioni devono soddisfare le funzioni date u e E affinchà si abbia: (15) lim v^ —3 m Ge uw zech sech On dn Sostituendo nella (10’) alle espressioni A*g, 3 i valori che ci dà la (14), si trova facilmente: | prep occu. x T S (16) use 5 ii + 2 | om os dy + Î de | n dy. —» Indicato con w il valore che la funzione arbitraria u prende nel punto Yı, Si ha: EI pen nV u ER dr 3 dy i ^ ` ni. 3 dy SC erum fe-w SCH Ja (17) S ^ \3 1 | Ex e Mo «Je aari uo) | 3 ) TA : Supponiamo la funzione u(y) continua; indichiamo con € una quantità piccola ad arbitrio, e stacchiamo dall'asse y un segmento s' contenente il punto 7, nel suo Interno e talmente piccolo che si abbia in tutti i suoi punti: lu—w| ds —'0, avremo dalle (16), (17), (18), (19), (20), (21): lim w' = 4. m=0 7. Per dimostrare la seconda delle (15) sarà utile fare anzitutto la seguente trasformazione. Ammesso che la funzione w sia derivabile rispetto ad y, si ha integrando per parti: 3 , au dy u\ aly—yı) Y— #1 | a GR = Dee e arctang ——— E f ein ee PUE | 1 H lg — ul Y—#1 ) du Ag fi EF ge E aneteng e "ée dii e quindi, se si osserva che all'infinito la funzione u si annulla, sarà: LAC Mu ctc ee VERRI Cori if | du ale Bee e + arctang* E ay dy. er. 9 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 73 Q Ciò posto, si avrà dalla (16): I ` 4 4 N? * a 99 du en 1 3 [( «(y—y»9) : y—yı) du E Ww a SES I— = x dy — € = EGG arctang ——— —— ay. ( ) on dx T | dx da? da 1 m de [a4 H-(y— y) + arct 8 a )dy d i | Ora si ha: i dn d i or T1 a | EE dy = 5 ! 3 a | : x ` x à A Ri ta î sicchè, supposta la funzione ta continua ed indicato con => il suo valore nel ( punto jy, avremo come al paragrafo precedente: dn dr du xD ON) {du duo | Or dr | de da an dy SEIN TE La ` da ) dx da dy, (23) ^ lim 1 ES NS Se Ze An dy — 0 west Je 9n In Ae da I Ze O / ðu duo dra 0*5, dr, —— — — Salis. gi tee e. | | dn dn ) dx ja dy < € , 0c dy E dove l'ultimo integrale esteso ad s' à certamente finito. Abbiamo poi: 4 à ( m(y—y) sf ` y—9 | du È = IR TRE ET = - arctang Te I A = ES | + 8 RE vic y. dy si, ten EE Lol 1 s | El i: 25 + (y ya)? je ale ale æ + (y — ya? dy L du re ^ dy. : È i ? 2 $ ; Ammesso che esista e sia sempre finita la ZX. si ha integrando per parti: dy? D ÿ — du 1 1 du 1 1 du d DR roae — = — TC — — EN e | je Fy — läit dy dy 2" ekip" dy t3 Jetun) ap 4 : | quindi sarà: Serre II, Tom. XLVI. 7 » | | 74 GIUSEPPE LAURICELLA 10 sene Val duo et EE F + arctang d | dy dy == È Real Se dy, var y tunc i Tus 0 m, ) dy uem im dat (y— dy ER j Questa insieme alle (22), (23) ci dà finalmente: * duo lim DI e dn ^ da EA Riepilogando abbiamo dunque che la funzione u deve essere finita e continua in- sieme alle sue derivate dei due primi ordini e si deve annullare all'infinito, la fun- zione 5,» oltre ad essere finita e continua, deve annullarsi all’infinito e deve soddisfare alla condizione: du |, E del: Bisogna osservare che in generale non tutte queste condizioni saranno essen- zialmente necessarie. 11 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 75 Amr. IL. — Sull’integrazione dell'equazione A (Au) = ku. 1. Principieremo dal dimostrare che i valori eccezionali del parametro k del- l'equazione: ` (1) A*(A*u) = ku non possono essere negativi. Seritta infatti l'equazione (1) sotto la forma: A*(A*u) — ku — 0 Si moltiplichi per u e si integri a tutto il campo piano o. Facendo delle integra- dom à x i E n E du a zioni per parti, coll'avvertenza che nei punti del contorno s le funzioni u e Dx annullano, avremo: UL | kudo — | v. A*(A*u)do = de pudo 4 | (dt P An Du du du du du) n Ju de + | | SE + w xw 5 ie» Ae è | 20 = = | tudo — RE PEE VE M ai IVO EIERE = | {hu — (Au) (do; 9 questa per k quantità negativa ci dà: IRSA) in tutti i punti di c. Questo risultato dimostra appunto il teorema. 2. Dimostriamo ancora che i valori eccezionali del parametro k dell'equazione (1) non possono essere complessi. Per questo supposto: — Y t^ kW. Sarà: u — w + iu" € quindi: A (Au) + iA (Atu) = IN + iE") (u + iu), ossia; A? (AN ul) — L'u ra k'u" = 0, [ASA Ee Ra MI “ti 76 GIUSEPPE LAURICELLA 12 Moltiplichiamo la prima di queste equazioni per u", la- seconda per u', sottrag- ghiamo ed integriamo a tutto il campo 0. Avremo: | I alt. AT (Au) — w A°(A*u")} + k" (w + u”) ao — 0; e da questa, integrando per parti coll'avvertenza che nei punti di s le funzioni v du n E ue a e 5, hanno valori nulli, risulterà: On | Kk" (w + u) do = 0. de Questa per k' diversa da zero ci dà, come si voleva dimostrare: in tutto 0. 8. Integriamo ora le equazioni: " | AA) — f(@, y); AS (A*u) = %, DIA; AA er; in cui f(x, y) è una funzione monodroma, finita e continua qualsiasi dei punti del campo 0, con la condizione che tutte le funzioni w; insieme alle loro derivate nor- H du . D H p mali M si annullino nei punti del contorno s. ` L'integrale w, di una qualunque di queste equazioni pub essere espresso dalla formola: (3) Un —=.| 9-146 , de con g funzione lineare a coefficienti finiti dell'espressione (!): 13 | r logr ed r distanza del punto di c, che si considera, da un altro punto qualsiasi. (! Vedi: Art. I; form. (10). 13 SULL’EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 77 Posto poi: Ws = | Um + dO, Van | Au, Aldo; e J3 si ha, facendo uso delle (2) ed integrando per parti con la solita avvertenza riguardo d ; ò D 3° |: al valori delle u; e T nei punti di s: e ( [ una d'un d'unti Ke 2 2 SS Un 9 EE _0'Un+ pera WE [». CASA”). f.to EX + 2 dad, + 72 ) doi d» dg = dum Osa dum dun dum duna | dum Pu] 2 = | (Re Ae + dx ` Ae Auf T ap dedy d os 2 S.) de= dum Bisi) up. i NI ai dy? da? = SR E dy” = | Agi NAT Mega de [Sus dum Pum din Dum dun Sum dun =- | (Le Qu Eet e Ae Die de) de i de de dx dpt dm dat ën dy. Auf dy NI dum g 0m | SC — Ls + 2 et) fe do = [run AA) a0 We Di qui risulta che i valori delle espressioni W,,,, V,, dipendono dalla somma degli indici; e così possiamo scrivere: NE. Se Mn cu MS n? Va “aa Wai = Nea 4. Si ha, indicando con a e B due costanti qualsiasi: | jou, + Bua PdO > 0, ossia: 0° Wan + 20BWan + B° Wenge > 0; e di qui: Wa. Was — Wan > 0, ossia, poichè tutte le W, sono positive: 4 Weng Want e Ware Wer i Similmente abbiamo: | jaoAu, + BA upa do > 0, — n M— D een Dent 78 GIUSEPPE LAURICELLA 14 - ovvero: 0° Van + 20BVonti + BP Vento 210% che si può anche scrivere: 0° Wan + 2a8 We eu 8° Wonyi Sa Questa ci dà: ; War: Wert Wi > 0, e quindi: (8) a > Wa / (6) SE 5. Se a e B sono le solite costanti arbitrarie e g la funzione introdotta al $ 3, avremo: | (eus + gydo > 0, ovvero: a Wang + 2aB[9.% ‚do + g | CA ESISTE e quindi: a < Wan | gdo. Poichè la funzione g è finita in tutto.il campo o, l'integrale al secondo membro della precedente disuguaglianza sarà uguale ad una quantità finita R; e così potremo scrivere: (7) Ue Rare donde: Wa = | do < R. Wa fao. Posto allora: R. | go =K, sarà: Wa e I Wess con K quantità finita e positiva. Questa poi insieme all'altra: Win < Wy. Won 2; ————À 15 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 79 che si deduce dalla (6), ci dà: West Wai donde: Wa a Wa w -Wa K. ae i er «a ost | 1 Questo risultato ci porta a concludere che le quantità sempre crescenti e po- i sitive: f i Mi W e _Wm Wo! m’ mitt mare ammettono un certo limite finito e positivo c, ossia che si ha: " Wa 8 2 SM us (8) im ,*- = e. 6. La serie: VW, + VWk + VW +... converge certamente finché: Dës |. |; «x d, [ W $2n—2 Ossia, poichè: Vas Vwa er | 4 finchè: | Ek 1 Si ha allora dalla (7) che la serie: | a + uk + uk +... © quindi anche l'altra: (9) u = ie + uk + uk p... | i : 1 COnvergeranno in egual grado in tutto 0 anche esse per |k| & —. ina i > + la serie (9) non pud essere convergente; infatti allora 1 80 GIUSEPPE LAURICELLA dovrebbe convergere anche l’altra serie: W = | wdo + k | Mado + E | ww do + .:... ! c 2 g = Web Wb ebe, WES tius. e poiche tutte le W; sono positive, si dovrebbe avere: : W, lim = = e, SE. Wai ossia: DS CES contrariamente all'altra: ; 1 zy en [2 CA Il raggio del cerchio di convergenza della serie (9) & quindi uguale ad +; così avremo che la funzione u è monodroma, finita e continua in tutta o per |k | < mentre per |k] = H deve presentare qualche singolarità. 7. Prendiamo a considerare ora le serie: ail = uP + uk + PR p uA... uo — up + uk + «PE + PR p.. «9 = a + uk A dPR PE T... in cui sia: mie PST y das, d) an QN Un tee wm RU UE (2 (2) E ^ u = u, uP = us, uf) = us, uL ESE (10) : uf) = th, Al = us, uy — Us, up — uw, ; e poniamo: m „= | Auf). Auf do, WU. | al . u9 do. de e Si ha evidentemente: Vin = Vngiiadi2t y wu, zma Was ; © e 17 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 81 e quindi: Np Vna ee Me | Wn, vn, wo, Wim 3 1 ee M ee NC: W "wd, "wn I WO, a E Risulta allora che le serie vil, wë u?, ..... sono funzioni monodrome, finite e È y T 1 y continue in tutto 0, finché | k| < —. 8. Siano o, 0, 03, ..... 0 4 p costanti per ora indeterminate. Posto: (11) w = au" + œuf +... +, Mu, + wik A wk + dl 4 A ^ mer I KA = Aunt Au do, Wian LA de, È Je avremo dalle (10): gd, = Qui oui aih aurons ur € nei punti di s: du! MI — = 0; Un >” 05 6 quindi, poichè si ha, come risulta dalle (2): 1 dog | A) = «A (tu) + o A (fis) +. + as (Ar) = ) 2 = Mua, = 0 Un1 F Ww, À + Aip Unta- avremo ancora, come nei casi precedenti: Vnn = Wan = Wahn, Í 9) W' W' Wi W'm 13 VE Ev x AE A (13) Wi we Web Le CE 9. Poniamo: | Ac dor BA) os Jo dg; | con u funzione dei punti di 0, assoggettata alle quattro condizioni: j d | ( o= fudo=0, C=|tao=0o, o—[%d40—0, D d o dae e dy L (14) | | gu [i389 _ dunes) gs = 0 j d = LIZ In ee n | Serre II. Tom. XLVI. » ] 1 f y i { | I D 82 GIUSEPPE LAURICELLA 18 Si ha integrando per parti: 2, du du ` LM Du. du du EJ -f DEE EE Lu BE -Í = da Tis da dy° Ze dy de? Au + dy dy? do son A'uds = re d'u \? du. y d'u \?} (IL du de “i LEGE) +2 | 1l ts) laot] (4 si GE A'u)ds, e per l’ultima delle (14): Leur EAR 9-2 (o) + DST |n Lc) eer fA Gr) eo dy} Risulta quindi: e d k (Au) do |, tu do [v.a [are |do + fal ) do f, Au. do B (15) — = — = V I. C4 i A È du V? du Y? ET m [^ac LI du} ao | (à) do È u do Ora è noto, che se la funzione u soddisfa alla condizione: | udo = 0 LA si ha (): Jane sa NT VS da in cui Z indica la massima distanza tra i punti del contorno s. Similmente, poichè H à a dre le funzioni KE È Se soddisfano alle condizioni: si avrà: Da queste disuguaglianze e dalla (15) risulta finalmente: s k 24 \? >| (!) Pomcart, Sur les équations de la physique mathématique, “ Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo; t. VIII, parte 1°, anno 1894; pag. 76 ,. Vedi pure mia citata Mem. dell'Acc. delle Scienze di Torino, cap. III, $ 2. 19 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTIOHE INCASTRATE 83 10. Supponiamo di avere 4 p funzioni dei punti di o: (17) Pis Pa, Pa, ..... Pap au e . e . H H æ . re H finite e continue insieme alle loro derivate dei primi tre ordini; formiamo con esse l'espressione: (18) u = 019; + Ge Po LIIS se Op Qa, € vediamo se è possibile di determinare le costanti o. as, ..... O% in modo che sia: B^ [ 24 È RZ AT m essendo B ed A formate con la u data dalla (18) ed essendo / una lunghezza non minore della più grande dimensione delle p — 1 regioni convesse R,, Rs, in eui supponiamo sia decomposta la regione piana g. Dio CAD AD C A ny D Dp DS RC AC xe OO UP UN C^, 0, ... Os O^, C", ... "1 le espressioni analoghe alle A, B, 9:05 C", 0" formate con la u data dalla (18) e relative alle regioni R,, Rs, ... R5; e Siano Si, Se, ... Sp i contorni di queste regioni. Si avrà: pA e L udo, Br È (Au) do, Ci f udo, d VA Ji = du wr du ^ 1 dAw du e Í du IS du Jur es 1 da "EA Ui Ae do sh je T dO SON [ ( DIET MET YA A u) ds. (19) (PET ER EE (= arme) avremo 4p — 4 equazioni nelle œ, 0%, ... %,, di cui le prime 3p — 3 lineari, le altre p — 1 del secondo grado; ed è chiaro che si potrà sempre determinare un Sistema di valori delle %, il quale soddisfi alle (19). Se questi valori delle o; si Sostituiscono nelle (18), il risultato del 8 precedente ci darà: Bi 24 \? k RE AR (ee 9 quindi: SL ADI TB. + Bpi (3) ANT TE AA Fa, TRAE Hä 11. Si abbia ora un numero comunque grande di funzioni analoghe alle (17), e Sa data una quantità positiva qualunque À. Vediamo se è possibile di determinare —— m F $ À 84 GIUSEPPE LAURICELLA 20 il numero intero p in modo, che le espressioni B ed À del $ precedente soddisfino alla disuguaglianza: B ub M (20) Per questo indichiamo con # il lato di un quadrato capace di contenere nel suo interno il campo 0, nel caso che questo sia convesso, oppure ciascuno degli » campi convessi in cui può essere decomposto 0, nel caso che non sia convesso; e dividiamo questo quadrato in 9° quadratini uguali, essendo g pel momento indeterminato. Il numero p — 1 delle regioni in cui viene così decomposto 0 è minore od uguale a d nel caso di 0 convesso, minore od uguale ad mg? nel caso di o non convesso, e la massima dimensione di ciascuna di queste regioni è uguale ad es a perchè B ed A soddisfino alla (20). 12. Di qui risulta che, preso u < c, si può sempre determinare p e quindi ($ 10) il gruppo delle 4p quantità costanti d, %, ... 4, introdotte al $ 8, in modo che si abbia: (21) ia „So... Di Se ora si considerano per un momento le costanti o, 0, ... a, come le coor- dinate omogenee dei punti dello spazio a 4p — 1 dimensioni, i valori di o, 0g, ... dp, per le quali si ha la (21), ci individueranno un certo punto M di questo spazio. Invece nello spazio a 4p dimensioni questi valori delle a; ci individueranno una regione 5, tutta di punti M. Similmente scambiando n in a LL, si può dimostrare l'esistenza di una regione önn nello spazio a 4p dimensioni, i cui punti sono individuati da valori delle o. per i quali si ha: WLW ESSA Win _ War Want? < "n Sana RE, Wai 21 SULL'EQUAZIONE DELLE VIBRAZIONI DELLE PLACCHE ELASTICHE INCASTRATE 85 Ora le disuguaglianze (21) sono certamente verificate, quando si verificano le precedenti; per cui la regione è, deve essere contenuta tutta nella regione òp- Seguitando a ragionare in questa guisa, si viene ad ottenere una serie indefi- nita di regioni: Gr CE ee i tali che ognuna è contenuta nella precedente; ci sarà allora una regione d, che può anche ridursi ad un punto, comune a tutte queste regioni, i cui punti sono indivi- V duati da valori delle œ, às, ... 0,, per i quali si ha certamente: [ W^ Wa W'm wo oer COSE UT adus ops 1 W^ LA RS E Da questo risultato segue, che le quantità sempre crescenti e positive: À Wie WTA i WERE We EE We : : 1 ammettono un certo limite finito e positivo c', tale che: DA e TE E 1 9 per conseguenza, ragionando come al $ 6, risulta che la serie: u = wo Wk + wik +... éi : , 1 M converge in egual grado in tutto 9 per |k| < v f Abbiamo dunque che la funzione u' si mantiene monodroma, finita e continua in a 1 PON 1 i tutto 0, anche quando, essendo |k | < Jo sia ER. ; A = C e 13. Si ponga: f = af + duo + 030 peo Dun ps y { 9 =f + kw f 4 wok 4 uk + uk + d I 3 1 1 ` La serie q converge in ugual grado in tutto o per |£| < 7, come l'altra u’; Y sicchè potremo scrivere: fg- odo = [gf do + kf g. wido +t f g.wdo+..., Ovvero come risulta dalla (12) e dalla (3): | g.pd0 = uw + uk puk +... w. 86 GIUSEPPE LAURICELLA 22 Chiamato r il raggio vettore che dal punto di c, che si considera, va ad un altro punto qualsiasi, si ha che la funzione g è lineare nell'espressione »*logr e col coefficiente costante; allora la funzione A*g risulta lineare rispetto a logr e l'integrale: [^ g.pdo sarà proprio, come è facile dimostrare; sicchè si avrà: Au = À | g.9do = Län pdo. La funzione E è finita in tutto o, perché dipende linearmente dall'espressione: à D EI logr + r) % i per cui sarà: Ora si ha evidentemente come al $ 5: ue hi NI et con R' costante finita; per cui sarà: |< VR Waa f, |2 |do; y : | ER P È e siccome la funzione | ba | 9 finita in tutto 6, posto: dg da |do K=|[, con K costante finita, si avrà: a varsi i pesi di 100 gr. collo stesso intervallo di 30” un altro eguale. Si vede che gli allungamenti fino in C. del muscolo tricipite surale vanno diventando Successivamente sempre più lunghi. Quando in B vi sono 400 gr. sul piattello del miotonometro (oltre i 100 che servono a compensare il peso dell’appareechio e a dare una leggera tensione ai muscoli) levo dopo 30" un primo peso di 100 gr. L'effetto è minimo. Il raecorciamento come nelle esperienze precedenti appare sempre mag- giore ed à massimo in C quando si toglie l'ultimo peso di 100 gr. del piattello. 102 ANGELO MOSSO 10 Per timore che i pesi adoperati nelle esperienze precedenti fossero troppo pic- coli in confronto alla grande massa del muscolo tricipite surale, adoperai dei pesi massimi capaci di tendere il muscolo tricipite surale fino al limite estremo, come quando la contrazione dei muscoli nella regione anteriore della gamba produce una flessione massima del piede. Nella seguente esperienza fatta sull'inserviente dell'Istituto, Giorgio Mondo, la trazione massima del peso che dobbiamo supporre attaccato al tendine di Achille, fu di 22 chilogr. cioè circa '/; del peso del corpo. Si applica un piattello più grande al miotonometro e vi si aggiungono dei pesi, in modo che facendo equilibrio al miotonometro, rappresenti una trazione di 1000 gr. in B, dove vi è l'uncino al quale si attacca la cordicella che passa sulla carrucola. Riferisco i numeri come furono letti in millimetri sull’arco graduato del miotono- metro. Ogni 30" si aggiunge un chilogrammo nel piattello fino ad avere 6 chilogr., e dopo col medesimo intervallo di tempo, si scarica il muscolo di 1 chilogrammo per volta. Grammi Lunghezza del muscolo Allungamenti successivi Pu A RER EEE Ee D 1000 m5 2000 ri — 11 3000 = — 15 4000 ENS — 16 5000 UNIO — 19 6000 eio — 25 5000 oo) — 5 4000 seo — 2 3000 Es tone) — 0 2000 erh eo 1000 ——n18,0 Anche per i pesi massimi sussistono dunque i medesimi fenomeni. Gli allun- gamenti del muscolo diventano successivamente maggiori aggiungendo dei pesi di 1 chilogrammo. L'allungamento persistente nel muscolo è perd assai maggiore in questo caso, che non nelle esperienze precedenti. La diminuzione nella tonicità del muscolo tricipite surale, dopo che venne disteso con 22 chilogr., è così grande che continua ad allungarsi anche dopo che vennero tolti 4 chilogr. dal piattello. — Questa diminuzione della tonicità muscolare ci spiega, perchè aggiungendo dei pesi eguali il muscolo si distenda successivamente di quantità maggiori per pesi eguali. Quando levati alcuni pesi di 1 chilogrammo, si vede che ciò malgrado il muscolo persiste nella posizione sua di una flessione forzata sulla gamba, si potrebbe credere che essendo diminuita la tonicità dei muscoli antagonisti nella parte posteriore della gamba, divenga prevalente l’azione di quelli che stanno nella parte anteriore: toc- cando però questi muscoli a traverso la pelle, si sente che sono completamente rilassati. — La ragione deve dunque cercarsi in un mutamento che è succeduto nel muscolo tricipite surale. 7 1l DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLT, ECC. 108 La prima cosa che viene in mente è che si tratti di un mutamento di tonicità: perd assai probabilmente & succeduto qui un semplice disturbo nella circolazione lin- fatica e sanguigna del muscolo. La prova che quest’ultima causa sia la più efficace, l'abbiamo in questo che se dura poco la distensione del muscolo, questo ritorna più facilmente alla sua lunghezza primitiva. In altre esperienze, delle quali per brevità non riferisco i numeri, ho evitato la tensione continua del muscolo. I pesi crescenti in proporzione aritmetica restavano solo per 5” sul piattello del miotonometro, e subito si levavano, lasciando interce- dere un periodo di 1' o 2', nei quali il muscolo non era disteso. Anche in queste esperienze la curva nella quale le ordinate rappresentavano gli allungamenti succes- sivi, era leggermente convessa verso l'ascissa. La curva che si ottiene studiando la tonicità nei muscoli dell'uomo appare dunque completamente diversa da quella che fino ad ora erasi ritenuta caratteristica della elasticità nei muscoli delle rane. Ancora nel lavoro recente di Blix (1) si dà come cosa fuori di dubbio che l'allungamento della sostanza elastica del muscolo dimi- nuisce a misura che crescono i pesi i quali producono la tensione. Nelle curve mio- tonografiche abbiamo veduto che succede l'inverso. Solo E. Gotschlich (2) lavorando sotto la direzione di Heidenhain trovò che riscal- dando lentamente e per lungo tempo i muscoli della rana si può ottenere una curva simile a quella che venne trovata da me e dal Dott. Benedicenti nei muscoli dell'uomo. Il fenomeno che fu studiato da Gotschlich è assai variabile e complesso. Egli trovò che riscaldando un muscolo di rana cambia la curva della sua estensibilità e che invece di essere concava come nel muscolo normale, diventa convessa e simile alla curva di elasticità del caoutchouc. In un lavoro recente Brodie (3) studiando con un nuovo apparecchio l'estensi- bilità dei muscoli della rana e del topo, è giunto a risultati poco diversi da quelli dei suoi predecessori. Le curve da lui ottenute rassomigliano a quelle dell’Hermann (4), pubblicate nella Allgemeine Muskelphysik del suo trattato, pag. 9, fig. 2. (1) M. Bux, Die Länge und die Spannung des Muskels, “ Skandinav. Archiv f. Physiologie ,, III Bd. pag. 316, 1892. -- Memoria seconda, IV vol., pag. 399. (2) E. Gorscnrrcn, Ueber den Einfluss der Wärme auf Länge und Dehnbarkeit des elastischen Gewebes und des Quergestreiften-Muskels, AgP, vol. 53, 1893, pag. 141. (3) T. Gregor Broo, The extensibility of Muscle, * Journal of Anatomy and Physiology ,, vol. XXIX, april 1895, pag. 387. (4) L. Hermann, Allgemeine Muskelphysik, pag. 9, fig. 2. 104 ANGELO MOSSO 12 IL. La tensione dei muscoli. Nella critica delle esperienze sovraesposte, si deve pensare alle inserzioni del muscolo tricipite surale, e alla tensione che subisce questo muscolo, quando si passa dalla posizione di essere seduti a quella di stare in piedi. Il gemello esterno e il gemello interno si inseriscono sopra ciascuno dei condili del femore, mentre il muscolo soleo si inserisce alla tibia ed al perone. — Fatta una preparazione anatomica dei muscoli della gamba, basta fletterla od estenderla, per vedere che nella posizione simile a quella in cui si è seduti, le inserzioni dei muscoli gemelli si avvicinano al muscolo, mentre che estendendo la gamba sulla coscia, si tendono i muscoli gemelli. Ma non fa bisogno di scoprire i muscoli, ciascuno pub sentire sopra se medesimo il rilasciamento dei muscoli gemelli nella flessione della gamba. Basta palpare colla mano il polpaccio quando stiamo seduti, e poi distendendo la gamba si sente subito che i muscoli divengono più duri e piü tesi. Questo è vero per lo strato superficiale, cioè per i gastrocnemi, ma non lo è per il muscolo soleo, il quale si inserisce sulla tibia e sul perone. In un cadavere che aveva i muscoli bene sviluppati, trovai che il muscolo soleo pesava 285 grammi, mentre che i due gemelli pesavano solo 150 grammi. La parte musculare del trici- pite surale che non si rilascia punto, quando stiamo seduti, sarebbe dunque circa due volte maggiore di quella che subisce un leggero rilasciamento. Siccome le espe- rienze in piedi presentano difficoltà maggiori per l’applicazione del miotonometro, ho preferito di fare la maggior parte delle esperienze qui riferite nella posizione seduta. Per farmi un'idea della tensione che subiscono nella stazione eretta i muscoli, che si inseriscono al tendine di Achille ho fatto la seguente esperienza. — Feci salire una persona sopra una tavola; mentre il piede sinistro poggiava sul bordo della tavola, il destro sporgeva fuori. Perchè potesse lasciare libera e pendente la gamba destra si erano attaccate alla volta della stanza due corde come un trapezio. Il bastone che le riuniva adoperavasi come appoggio, mettendovi sopra le braccia o tenendolo sotto le ascelle per sostenere il peso del corpo. Prima di cominciare l’esperienza mentre la persona stava diritta sulle due gambe in atteggiamento militare dell“ attenti , erasi segnato sulla gamba il punto che stava perpendicolarmente sopra un altro punto segnato nel centro del malleolo esterno. Questi due punti di repere sono necessari per poter rimettere dopo il piede nella medesima posizione coi pesi attaccati al miotonometro. Se uno poggia il peso del corpo su di una gamba e lascia l’altra libera e penzoloni fuori del bordo di una tavola, la gamba si porta in avanti per il suo peso e il filo della perpendicolare messo sul punto superiore passa 12 mm. verso il calcagno. L'angolo che fa il piede misurato sulla verticale è 68°, ossia 22° colla linea orizzontale. Applico il miotonometro e mantengo verticale la direzione della gamba. 13 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 105 In questa posizione sono necessari 2500 grammi (oltre i 100 che servono alla trazione minima ed a compensare il peso del miotonometro) per mettere il piede in posizione orizzontale. Siccome il rapporto dei bracci di leva à 22:5 così possiamo dire che occor- rono 11 chilog. applicati al tendine di Achille, per mettere la pianta del piede in linea orizzontale coll’asse verticale della gamba. Vedremo in seguito che la forte tensione che subisce il muscolo tricipite surale per il semplice fatto che il nostro corpo si mantiene in posizione eretta, non è senza influenza per la produzione di calore che i muscoli sviluppano per effetto della loro elasticità. Curva della estensione e della retrazione nei muscoli dell'uomo. — Quando Si tende il muscolo tricipite surale con un peso, succede subito un rapido allunga- mento del muscolo, e dopo lentamente il muscolo continua ad allungarsi di un'altra Piccola quantità. Questo fenomeno rassomiglia a quello che Guglielmo Weber studio nei fili di seta fino dal 1835 (1) ed al quale ha dato il nome di Elastische Nachwirkung € che è conosciuto nei trattati italiani col nome di elasticità susseguente. Fig. 6. — AIL ti e r i ti sivi del muscolo tricipite surale applicando un peso di 2200 grammi al tendine di Achille. Si vede che la curva della distensione ABC è diversa dalla curva della retrazione CDE. Levando il peso che tende un muscolo questo si raccorcia subito di una deter- minata quantità e dopo lentamente il muscolo continua ancora ad accorciarsi. Nella fig. 6 si vedono l'uno e l'altro di questi fenomeni. Il giorno 16 gennaio applico, alle ore 3 pom., il miotonometro all'inserviente dell'Istituto, Giorgio Mondo. Temperatura della stanza 15°. I| muscolo tricipite Surale trovasi sotto la trazione minima di 154 grammi che corrisponde a 100 grammi Sul piattello. La leva è lunga 30 centim.; la distanza dal malleolo al calcagno 5. L'altezza delle curve che scriviamo è dunque sei volte maggiore di quanto siano effettivamente gli allungamenti e i raccorciamenti del muscolo gastrocnemio. Questa esperienza fu scritta nel sonno quando, come fu già detto, riescono meglio le curve, Perchè viene esclusa l'influenza dell'attenzione e dei fenomeni psichici. (1) W. Weser, * Annalen d. Physik ,, vol. XXXIV, p. 247, 1835. Serre II. Tom. XLVI. è 106 ANGELO MOSSO 14 In A si mette un peso di 500 grammi nel piattello, e si ha cura di poggiarlo adagio per evitare una scossa. Prodottosi un primo allungamento si vede che il muscolo continua a estendersi. Le leggiere oscillazioni appena visibili della curva dipendono dalla respirazione, come fu già detto anteriormente. Si lascia agire per un minuto il peso di 500 grammi, che conoscendo essere il rapporto dei bracci di leva come 22 : 5 sappiamo essere eguale ad un peso di 2200 gr. In C si leva il peso di 500 grammi, la linea raggiunge dopo 1' l'altezza primitiva per riguardo all’ascissa. Devo però avvertire che due esperienze simili alla curva ABCDE si erano già fatte prima senza interruzione. Questa curva come le altre è scritta da sinistra a destra. Forse sarebbe più comodo per chi guarda la prima volta queste figure di capovolgere il tracciato e di leggerlo al rovescio. Ho preferito dargli la medesima posizione colla quale è scritto sul cilindro. Basta rammentarsi che nell’allungamento la linea va verso l’alto e nel raccorciarsi scende in basso, cioò può supporsi che stia verso il basso l’inser- zione fissa del muscolo tricipite surale. Si lascia il muscolo in tensione per 1’ e il muscolo, come per la elasticità susse- guente, si allunga ancora di una piccola frazione. Dopo 1' si leva il peso, e il muscolo si raccorcia. Ma la curva colla quale si raccorcia e ritorna quasi alla lunghezza primi- tiva è diversa, l’angolo D è alquanto più aperto dell’angolo B. Il fatto che queste due parti del tracciato non si rassomigliano, ci obbliga a distinguere una curva della distensione cho è la prima ABC, ed una curva della retrazione che è la seconda CDE. Torno a mettere in E un altro peso di 500 grammi, e la curva della esten- sione è uguale alla prima. Levo il peso, e si ottiene una curva della retrazione uguale a quella D. Ripeto una terza volta questa esperienza ed i risultati sono identici. L'esame di questa figura dimostra che l'apparecchio ed il muscolo funzionano con sufficiente esattezza. Che il peso ottenga un effetto più rapido nella disten- sione, è un fenomeno complesso sul quale dovremo fermarci più tardi, benché a primo aspetto paia logico che trovandosi il muscolo in AB sotto una forte trazione presenti subito lo spostamento maggiore della sua sostanza. Levato il peso che lo distende, il muscolo resta abbandonato alle sole forze sue molecolari e per ciò ritorna len- tamente allo stato della sua primitiva lunghezza colla curva CDE. Stato pastoso dei muscoli. — Mi servo di questa espressione per indicare la proprietà che hanno i muscoli nostri di non ritornare più esattamente alla loro lunghezza quando vengono contratti volontariamente, o distesi passivamente. Appli- cato il miotonometro al piede, se si flette o si estende il piede, la punta dello stru- mento non ritorna più alla medesima posizione, ma rimane colla punta in basso se si è fatta una contrazione del tricipite surale, o rimane sollevato se si sono con- tratti i muscoli della parte anteriore della gamba. Forse questo nome è male scelto, ma esso ha il vantaggio che avvicina due fatti già noti, mostrando la natura loro identica. Uno è la contrattura, ossia il rac- corciamento persistente, che osservasi dopo una contrazione (Verküreungsrückstand 15 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 107 dell’Hermann). L’altro è allungamento persistente del muscolo dopo che questo fu disteso passivamente. L. Hermann (1) aveva già osservato che un muscolo leggermente carico, non raggiunge più dopo una contrazione la sua lunghezza primitiva, e che questo deficit diviene anche maggiore quando il muscolo è ricoperto dalla pelle. Contemporanea- mente, nel 1859, Kühne (2) insistendo sul concetto che alla sostanza contrattile del muscolo dobbiamo attribuire le proprietà di un liquido, e non già di una materia solida, dimostrò che un muscolo non ritorna più allo stato suo primitivo, dopo una contrazione, se non agiscono su di esso delle forze esterne. È nota la sua classica esperienza che il muscolo sartorio di una rana messo sul mercurio, ed eccitato una sola volta, conserva l'aspetto e la lunghezza di un muscolo leggermente tetanizzato. Nelle esperienze seguenti fatte sull'uomo, vediamo che dopo una contrazione volontaria non basta la forza della gravità, nè la tensione della pelle e degli altri tessuti che avvolgono il muscolo, per ricondurlo alla sua lunghezza primitiva. E vedremo dopo anche nell'uomo, che un muscolo allungato passivamente non ritorna più alla sua lunghezza. E La natura dei fenomeni qui menzionati, credo sia diversa dall'allungamento per- sistente del muscolo, quando venne disteso lentamente con forti pesi, come nella esperienza riferita a pag. 102. L'aver osservato che levati i pesi, persiste quasi mezz'ora l'allungamento del muscolo tricipite surale, ci fa credere che nel muscolo siasi prodotto un disturbo nella circolazione linfatica e sanguigna, o che la sostanza contrattile abbia preso una disposizione diversa. È difficile indovinare quale sia il meccanismo di questo fenomeno, come non sappiamo dire nulla sulla causa intima della contrazione idio- muscolare e della contrattura, e sul diverso modo di comportarsi del rilasciamento nella curva della contrazione dei vari muscoli o del medesimo muscolo in circostanze differenti. Però è importante il fatto che l'allungamento del muscolo tricipite surale scom- pare subito, se dopo aver portato passivamente il piede nella flessione massima sulla gamba, lo si rilascia immediatamente, mentre invece persiste se venne prodotto lentamente. È un fenomeno che può osservarsi per mezzo di un catetometro senza applicare il miotonometro al piede, quando una persona siede sul bordo di una tavola e tiene le gambe penzoloni. Se mettiamo una setola fissa con un po’ di cera sull'unghia del- l’alluce, e poi guardiamo col catetometro la posizione che prende il piede quando si fa una flessione od una estensione, vediamo che esso non ritorna più alla medesima posizione. Nella flessione forzata rimarrà alquanto più alta la punta del piede quando esso è ritornato al riposo, e nella estensione rimarrà alquanto più bassa dopo che è cessata la contrazione del muscolo gastrocnemio. (1) L. Hermann, Beitrag zur Erledigung der Tonusfrage, “ Arch. f. Anat. u. Physiol. ,, 1861, p. 350. (2) W. Küuxs, Untersuchungen über die Bewegungen und Veränderungen der contractilen Substanzen, “ Arch. f. Anat. u. Physiol. ,, 1859, p. 815. 108 ANGELO MOSSO 16 La fig. 7 mostra un'esperienza simile fatta col metodo grafico. Metto un peso di 100 gr. sul piattello del miotonometro per avere la tensione minima. Come ho detto nel primo capitolo questa tensione cor- risponde a 154 grammi. Applicato il mioto- nometro al piede destro di Giorgio Mondo si scrive la linea orizzontale A B. In B si fa eseguire una flessione del piede sulla gamba e subito dopo i muscoli estensori tornano al riposo. La leva segna la linea CD che è superiore alla linea AB: in D si fanno contrarre i muscoli posteriori della gamba e appena eseguita una forte estensione questi si rilasciano e si scrive la linea EF inferiore alla linea CD. In F tornasi a ripetere con eguale risultato una contrazione dei flessori e Fig. 7. — Tracciato scritto col miotonometro, il quale n : . Ra mostra le posizioni diverse che prende il piede ritor- DO) UNA degli estensori che dura alquanto piu nando alla posizione di riposo, dopo aver fatto una flessione in B ed una estensione in E. In F torna a ripetersi una flessione alla quale succede una estensione fu detto prima che cioè i muscoli non ripren- della precedente, e anche qui si vede quanto GE dono la loro lunghezza. Sapendo che la gran- dezza di questo tracciato è cinque volte mag- giore delle lunghezze effettive misurate sul tendine di Achille, si può conchiudere che per i movimenti volontari di flessione e di estensione vi è una differenza di 2 mm. nelle posizioni di riposo del piede dovuto allo stato di contrattura dei muscoli. Il giuoco degli antagonisti non è tale che la posizione del piede si mantenga costante. Ho già esposto nel capitolo precedente le osservazioni fatte col catetometro nella contrazione volontaria dei muscoli, riprodurrò qui i numeri di un’altra espe- rienza fatta nel sonno nella quale si vede l'effetto dell'allungamento passivo dei muscoli. Per essere in condizioni normali e mantenere il piede libero, non applicai il miotonometro. L'inserviente del Laboratorio, Giorgio Mondo, era seduto sull'appa- recchio rappresentato nella fig. 2. La gamba pendeva nella sua posizione naturale e si era messo contro di essa il sostegno imbottito, senza pero allacciare le fibbie. I numeri che ora riferisco furono presi mentre Giorgio Mondo dormiva. La pianta del suo piede è così poco sensibile, che si può afferrare la parte sua anteriore e pro- durre una flessione massima del piede sulla gamba, senza che si svegli. Nel fare questa estensione passiva del tricipite surale, avevo cura di mettere una mano contro il calcagno per mantenere la gamba nella sua posizione naturale. La stessa cosa facevo quando afferrato il piede producevo una estensione massima del piede sulla gamba. Il catetometro era posto alla distanza di 2 metri e 50. Sull'unghia dell'alluce avevo fissato con della cera una setola, la punta della quale serviva per conoscere la posizione del piede. Avevo avuto l'attenzione di misurare la lunghezza di questa setola, in modo che la punta sua era lontana 250 mm. dal centro del malleolo interno. Questo distando 50 mm. dall'inserzione del tendine di Achille, sapevo che 17 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 109 i valori letti col catetometro erano cinque volte maggiori degli allungamenti o dei raccorciamenti reali del muscolo tricipite surale. Riferisco i numeri come furono letti sul catetometro, essendo per noi indiffe- rente il conoscere la lunghezza effettiva dei muscoli. Le osservazioni si ripetono ad ogni minuto. L'estensione passiva dei muscoli dura pochi secondi ed è fatta dolce- mente, in modo che la persona non si sveglia, e continua a sonnecchiare. Ore 10.43 Dopo una estensione passiva massima del piede sulla gamba, ritornato il piede alla posizione naturale di riposo, si legge col catetometro che la punta dell'unghia è ferma a 18.9 » 10.44 Flessione passiva massima del piede sulla gamba: la punta si ferma dopo nella posizione di riposo, a 38.0 » 10.45 Si fa eseguire un'altra flessione passiva massima, si ferma a 28.5 Poi una terza e nella posizione di riposo si ferma a » 10.46 28.2 Estensione passiva massima del piede sulla gamba si ferma a Ore 10.47. 21.5 2* Estensione » 10.48 19.9 3* Estensione „ 10.49 ° 19,5 Flessione passiva massima dopo il piede si ferma a Ore 10.50 24.1 22 Flessione ea KO ER 2 48 3* Flessione Estensione passiva massima dopo il piede si ferma a Ore 10.53 19.6 2* Estensione 10ER 3° Estensione „ 10.55 18.8 Questa esperienza dimostra che il giuoco dei muscoli antagonisti non è tale da mantenere il piede in una posizione costante, vi è come un giuoco morto nel con- gegno dei muscoli e dei tendini che muovono il piede. I numeri di questa esperienza ci permettono di misurare il valore di questa imperfezione, se è lecito esprimersi a questo modo. La differenza tra la posizione 110 ANGELO MOSSO 18 che prende la punta del piede dopo una flessione od una estensione passiva massima, è di circa 10 mm. Sapendo che le escursioni effettive misurate alla inserzione del tendine di Achille nel calcagno, sono appena '/; dei valori letti col catetometro, dobbiamo conchiudere che il giuoco morto è di circa 2 mm. Dai tracciati precedenti e da quest’ ultima esperienza appare evidente che i muscoli non ritornano più alla loro lunghezza quando sono leggermente distesi. À questo fenomeno può darsi il nome di stato pastoso. I muscoli sono come il piombo ed il burro, che quando vengono deformati conservano indefinitamente l'impronta che venne loro impressa. In altre esperienze ho aspettato parecchi minuti e posso conchiudere che nei limiti possibili, di tali esperienze, cioè per alcune ore, il muscolo che venne disteso o che si è contratto volontariamente, non ritorna più alla posizione sua normale. IV. Elasticità muscolare. È precisamente ora mezzo secolo che furono compiuti contemporaneamente due tra i lavori più celebri che esistano nella fisiologia intorno alla elasticità dei muscoli. Il primo è di Edoardo Weber — il quale studiando i muscoli delle rane trovò “ che bastano dei piccoli pesi per allungare notevolmente i muscoli, e questi non si allungano in modo proporzionale quando crescono i pesi che li distendono ,. Le tra- zioni fatte da Weber sui muscoli della rana, erano però di gran lunga superiori ai limiti fisiologici. La legge trovata da Ed. Weber per il muscolo hyoglossus della rana estirpato di fresco è quella che trovasi in tutti i trattati di fisiologia, ciod: “ che il muscolo vivo non si estende in modo uniforme, ma che la sua estensibilità è tanto mag- giore quanto più sono piccoli i pesi che già lo distendono , (1). Nel medesimo anno Wertheim pubblicò la sua quarta memoria intorno alla ela- sticità (2). A differenza di Weber vennero studiati da Wertheim specialmente i tessuti degli animali superiori e dell’uomo. Le ricerche di Wertheim confermarono nel cada- vere quanto Ed. Weber aveva osservato nei muscoli delle rane appena estirpati ed ancora contrattili. La legge di Wertheim è questa, che “ gli allungamenti rappre- sentano una curva simile ad una iperbole di cui la sommità sarebbe posta all'origine delle ordinate ,. Nelle memorie di fisica vi sono molte esperienze esatte per indicare l'allunga- mento che un filo d'acciaio subisce sotto la trazione di un peso. L’ allungamento entro certi limiti è proporzionale all’aumento del peso. (1) Ev. Weger, Handwörterbuch der Physiologie, III Bd., p. 110. (2) G. Werrurm, Mémoire sur Velasti ité et la ion des princip tissus du corps humain. * Annales de Chimie et physique ,, IIe série, tome XXI, pag. 385, 1847. 19 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 111 Quando nelle mie lezioni parlo della elasticità, per dare un'idea agli studenti della elasticità completa, attacco alla vôlta della scuola una corda da pianoforte lunga 12 metri, del diametro di 0,8 mm. Nel piatto metto un peso di 10 chilogr. per distenderla e poi vi aggiungo suc- cessivamente altri pesi di 10 chilog.; l'allungamento per ogni 10 chilog. è di 12 mm.; cosicchè dopo aver messo 60 chilog. l'allungamento totale è di 72 mm. Perchè si veda meglio questa esperienza da tutto l'uditorio scrivo sulla carta infumata di un cilindro gli allungamenti per mezzo di una penna applicata trasversalmente sul filo d'acciaio. Levando successivamente i pesi di 10 chilog. uno per uno la penna torna al medesimo livello delle linee precedenti fatte col medesimo peso. Wertheim pubblicò una tabella dove raccolse le osservazioni da lui fatte sopra una corda di pianoforte del raggio di 0,310. Da questa esperienza risultò che gli allungamenti non erano proporzionali ai pesi. Riferisco alcuni di questi numeri. Allungamento H . | n T show phezza $ " 1 Peso in thilogr. | Lunghezza sotto il peso |l per metro in rm. | | | 10 | 955.01 0.304 | 20 | 955.53 0.848 | 30 | 955.99 | 1.330 | 40 | 956.43 | 1.791 | 50 | 957.01 2.336 e 60 | 957.01 2.912 | Questi numeri rassomigliano a quelli che otteniamo sui muscoli, perché l'allun- gamento che ha subìto il filo per gli ultimi pesi è maggiore di quello che ha subìto per i pesi eguali messi in principio. Guglielmo Weber è stato il primo a studiare l'elasticità susseguente e nella memoria che pubblicava nel 1835 intorno alla elasticità dei fili di seta -dimostrò che quando si lascia lungo tempo in tensione un filo, succede un allungamento susse- guente, al quale diede il nome di Nachwirkung. Weber dimostrò che dopo una ten- sione aumentata l’azione successiva consiste in un allungamento, il quale dipende dalla durata della tensione; quando diminuisce la tensione l’azione successiva con- siste in una diminuzione della lunghezza, la quale dipende dalla diminuzione della tensione. Le esperienze fatte da Guglielmo Weber dimostrarono che queste due azioni Successive che agiscono in senso inverso, cioè l'una producendo un aumento e l'altra un raccorciamento, sono eguali fra loro per tensioni eguali. Le ricerche del Weber dimostrarono pure che differenza passa tra l’elasticità susseguente e l'allungamento dovuto alla elasticità ordinaria dei corpi. Guglielmo Weber osservò che un filo di seta tenuto sotto una determinata tra- zione per 2 ore si allunga e poi levato il peso si raccorcia, ma non ritorna più i ] d 112 ANGELO MOSSO 20 alla lunghezza primitiva. Mettendolo nuovamente in trazione per altre 2 ore si allunga ancora e l'allungamento persiste: alla terza trazione che subisce un filo di seta non vi è più un allungamento residuo e persistente. Anche questi fili presen- tavano sempre il fenomeno della elasticità susseguente tanto nell’allungarsi quanto nel raccorciarsi. Tra le sostanze che studiai per farmi un concetto della elasticità susseguente ricorderò alcune esperienze fatte con dei pezzi di sughero e col caoutchouc. Presi due sugheri ordinari, della qualità migliore che abbiamo generalmente nei laboratori, li scelsi che fossero bene piani alle due estremità e di forma regolar- mente cilindrica. Essi avevano il diametro di 2 centim. e messi l'uno sull’altro for- mavano un cilindro alto 8 centimetri. Per studiare l'elasticità di questo sughero vi esercitavo sopra una pressione per mezzo di una leva di 2° genere. Il tappo era messo sotto una spranga di acciaio che per la sua forma rassomigliava ad uno schiacciatappi, colla differenza che il fulero era alto 8 centimetri, per guisa che il tappo non veniva schiacciato ad angolo ed obliquamente, ma in linea normale alla sua base. Il tappo che rappresenta la resi- stenza era messo alla distanza di 9 centimetri dal fulcro, e la potenza ossia il peso Fig. 8. — Elasticità di un cilindro di sughero alto 8 cent. Fig. 9. — Elasticità del sughero. Le curve sono scritte con pesi, In A si comprime ; in B si leva il peso che fu messo in A. successivamente crescenti e decrescenti. che schiacciava il tubo era distante 24 centimetri dal fulero. Un’asticella di legno applicata alla estremità della leva scrive la fig. 8, nella quale la linea retta supe- riore rappresenta l'ascissa. Per conoscere il valore reale della deformazione subita dal sughero ricorderd che la distanza tra il fulero e la punta della penna era di 75 centimetri. In A si mette un peso di 2 chilog. e lo si lascia agire durante 3' e lo si leva in B. Si vede che il sughero non ritorna alla sua forma primitiva. La curva della elasticità susseguente dopo À e dopo B non mostra le differenze caratteristiche che osservammo nel muscolo nel tracciato 7 che è una esperienza simile; o per lo meno puo dirsi che nel sughero sono meno evidenti che nel muscolo vivo. Se invece di una sola deformazione facciamo una serie di compressioni con pesi suecessivamente crescenti, e dopo scarichiamo il muscolo di pesi eguali, come abbiamo fatto nel tracciato 6 preso nei muscoli dell'uomo, otteniamo una figura che mostra una qualche rassomiglianza colle curve miotonometriche. Il tracciato 9 si ottenne mettendo dei pesi di 500 grammi all'estremità della leva e lasciandoli agire per 30" prima di mettere un altro peso eguale. Dopo aver messo in quattro volte successive 4 pesi di 500 grammi, si levano nel medesimo intervallo di 30”. Qui la retta che rappresenta l’ascissa fu scritta inferiormente. 21 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 113 Finita la prima esperienza se ne incomincia una seconda col medesimo risultato. Questa è una curva simile a quella che trovasi in tutti i trattati quando si vuol dare la curva caratteristica della elasticità muscolare secondo le esperienze di Ed. Weber e di Wertheim. La lunghezza del sughero diminuisce tanto meno quanto più crescono i pesi che comprimono. Indipendentemente da tale fatto appare evidente la complicazione che reca in tale eurva lo stato di pastosità del sughero e l'elasticità susseguente. Benché nel sughero manchi il fenomeno osservato nel muscolo vivo il quale si allunga maggior- mente per i pesi maggiori (e qui anzi esista un modo inverso di comportarsi), appaiono ciò nulla meno nel sughero i fenomeni della elasticità susseguente e della pastosità. Questo dimostra che la pastositä del muscolo e la elasticità sua susse- guente non sono i fattori della curva caratteristica osservata nella tonicità dei muscoli dell’uomo. Il prof. Blix (1), il quale ha perfezionato la tecnica delle ricerche sulla elasti- cità dei muscoli nelle rane, pubblicò dei tracciati simili al nostro della fig. 6. Esperimentando, come fece Fick, sui due adduttori della coscia della rana, vide, per una distensione rapida la quale cessi subito, che il muscolo ritorna dopo alcune oscillazioni alla sua lunghezza primitiva, questo non ho potuto verificarlo nell'uomo e dovrei conchiudere che lo stato di pastosità è maggiore nei nostri muscoli di quanto non sia in quelli delle rane. Secondo le ricerche di Blix le due parti della curva, cioè quella della disten- sione e quella della retrazione nel maggior numero dei casi hanno la medesima forma. Nell'uomo le abbiamo trovato sempre differenti queste due parti della curva. Kohlrausch (2) esperimentando sopra dei fili di gomma elastica vide che gli allungamenti per trazione ed i raccorciamenti per lo scarico del peso medesimo decor- rono congruenti fino a che sono piccoli i cambiamenti di lunghezza: e che succede una differenza tra la prima parte della curva e la seconda quando gli allungamenti sono maggiori. In questo caso Kohlrausch ammette che il peso troppo grande faccia cambiare le proprietà del filo. Si tratta di sapere se questa affermazione del Kohlrausch possa applicarsi al muscolo dell’uomo. Ho già mostrato nel capitolo precedente che le trazioni alle quali Sottoponiamo il muscolo tricipite surale per mezzo del miotonometro (quelle almeno che adoperai per ottenere le curve precedenti), sono inferiori od eguali alle trazioni normali che subisce il medesimo muscolo nei movimenti volontari, o per il solo fatto di stare in piedi. Ho provato nel sonno ad attaccare dei pesi massimi, quali sono quelli sopra menzionati, senza che la persona si svegliasse. Nel maggior numero dei casi, levato l'apparecchio, le persone non hanno alcuna sensazione nei muscoli della gamba, solo qualche volta trovai delle persone le quali si lagnano come di un senso di stanchezza. (1) M. Buix, Die Länge und Spannung des Muskels, “ Skand. Archiv ,, IV Bd., p. 402. (2) F. Koncrauson, Experimental Untersuch gen über die elastische Nachwirkung bei der Torsion, Ausdehnung und Biegung. " Annalen der Physik und Chemie ,, B. CLVIII, 1876, p. 337. Serie IL Tom. XLVI. o 114 ANGELO MOSSO 22 Si può dunque conchiudere che le curve ottenute col miotonometro non rappre- sentano dei fenomeni simili a quelli osservati nei corpi elastici, o nei muscoli delle rane vicini a stracciarsi. Uno dei fatti più importanti nello studio che ora facciamo, è che il muscolo tricipite surale preso nel cadavere, non dà più la curva caratteristica ad elmo. Il muscolo morto si lascia distendere più del vivo, per dei pesi eguali. Aumentando i pesi, gli allungamenti diventano successivamente minori nel muscolo morto, mentre diventano maggiori nel vivo. Questo risulta dalle esperienze seguenti. Fissato solidamente il femore ad un sostegno: di ferro, si attacca al tendine di Achille un piattello sul quale possano mettersi i pesi per distendere il muscolo tricipite surale, che sta ancora attaccato superiormente alle sue inserzioni naturali. Questa gamba fu presa ad un cadavere fresco, con dei muscoli molto sviluppati. Si mise prima nel piattello un peso di 1 chilogr. per distendere i muscoli. Riferisco i numeri quali furono letti per mezzo del catetometro o ad ogni minuto si aggiungeva un peso di 1000 grammi. Base" in grammi Allungamento del muscolo , Differenza. ` in mm. tra ciascuna osservazione — mm Pr Lamm -< — nn — 1000 581 2000 570 11 3000 562 8 4000 556 6 5000 551 5 4000 555 4 3000 560 5 2000 568 8 1000 578 10 Paragonando i risultati di questa esperienza, con quella analoga fatta sul vivo che ho riferito sulla fine del secondo capitolo, pag. 102, si vede: che gli allungamenti per i medesimi pesi nel prineipio della trazione, sono maggiori nel cadavere che nel vivo: nel vivo una trazione di 1000 gr. (pari a 4444 gr. attaccati al tendine di Achille) producono un allungamento effettivo tra 2 e 5 mm., mentre nel cadavere basta un solo chilogr. per produrre un allungamento di 11 a 4 mm. Solo quando la tonicità è molto diminuita, otteniamo nel vivo dei valori che rassomigliano a quelli ottenuti sul cadavere. Forse è possibile di abolire nell'uomo l’azione nervosa dello sciatico per mezzo delle correnti elettriche, ma non ho ancora potuto eseguire tale esperienza. Nel cadavere il rapporto tra gli allungamenti successivi, coi pesi che tendono il muscolo, ‘corrisponde alla legge di Weber e Wertheim e non presenta le note caratteristiche delle curve miotonometriche. 23 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 115 V. La curva della tonicità dei muscoli rassomiglia a quella del caoutchouc. — Calore che si sviluppa nei muscoli per effetto della loro distensione. Astrazion fatta dai fenomeni sovra esposti, la parola elasticità non sembra adatta per esprimere i cambiamenti che possono prodursi per mezzo della trazione in una sostanza di composizione tanto eterogenea, quanto è quella che costituisce il tessuto dei muscoli e delle sue fascie e dei suoi tendini. Basta pensare alla struttura anatomica delle parti contrattili, agli elementi istologici tanto diversi che compongono ill muscolo, per comprendere che l'allungamento suo per la trazione esercitata ida un peso e la sua retrattilità, devono essere la risultante di fatti molto complessi. Ma più che tutto devono influire il metabolismo vitale sul protoplasma del muscolo e la circolazione sanguigna e linfatica, e i cambiamenti che dipendono dall’azione nervosa. Tutti i fisiologi sono d'accordo nell'ammettere che sia meglio adoperare la pa- rola tonicità. Il professore v. Kries (1) aveva già scritto fino dal 1880 che l'elasticità del muscolo attivo non ha il significato di una costante fisica, e Montgomery (2) fece rilevare che, trattandosi del protoplasma musculare è improprio il servirsi della parola elasticità. È però singolare che parecchi fatti osservati nel muscolo vivo, si producano anche nella gomma elastica e nella materia inorganica. Ho già accennato nel capitolo precedente che anche nei fili di acciajo Wertheim aveva già osservato, che la serie degli allungamenti per pesi eguali è tale che i pesi successivi producono degli allungamenti maggiori dei primi. Si era creduto che tale fenomeno comparisse quando il filo d’aceiajo era vicino a rompersi, ma nel caout- chouc tale fenomeno si presenta in condizioni normali. Guglielmo Weber (3) disse già che quanto è maggiore la forza elastica di un corpo, altrettanto sono meno evidenti e meno atte a misurarsi le azioni che modificano questa forza. Weber consigliava per ciò di scegliere i corpi meno elastici per lo Studio della elasticità e non quelli che (come i metalli sotto forma di verghe o di fili) posseggono in grado piü spiecato tale proprietà. Intorno alla elasticità del caoutchouc si sono stampati parecchi lavori importanti; eiterd fra gli altri quelli di Emilio Villari (4). Mi parve ciò nullameno necessario di rifare alcuni esperimenti per raffrontare i fenomeni osservati nel muscolo con quelli che si producono nel caoutchouc. I risultati che ne conseguii, mostrano una parte del cammino che ho percorso nel fare la critica delle curve miotonometriche. Sono esperienze interessanti perchè ci mostrano che due fenomeni apparentemente eguali, Possono avere una causa diversa. Ho scelto un tubo di gomma elastica nera, che aveva le pareti spesse 3 mm. e (1) I. v. Kries, Untersuchungen zur Mechanik des quergestreiften Muskels, * Arch. f. Anat. u. Phys. „, 1880, 374. (2) E. Mowraomery, Zur Lehre der Muskelcontraction, * Arch. f. g. Physiol. ,, vol. 25, 1891, p. 512. (3) WirneLw Wenn, Ueber die Hlasticität der Seidenfüden, “ Poggendorff's Annalen ,, 1835, p. 248. . (4) Eumo Vırvarı, Sulla elasticità del caoutehouc, “ Nuovo Cimento ,, serie II, vol. I, 1869. 116 ANGELO MOSSO 24 il diametro interno di 14 mm. Attaccai un pezzo di questo tubo ad un forte sostegno in posizione verticale. Due fili di ferro stretti fortemente limitavano una porzione di questo tubo lunga 46 centimetri. Nella tabella sottostante sono scritti nella prima colonna gli allungamenti che ha subito questo tubo ogni volta che si aggiungevano 500 grammi, fino al peso di 2200, con intervalli eguali di 2’. Dopo si levarono i medesimi pesi e nello stesso ordine con intervalli di 2', si ritornava da 2200 a 200 grammi. Per brevità, non eorreggo queste cifre e nella terza colonna riferisco i numeri come furono scritti nel registro delle osservazioni. Sapendo che il tubo era lungo 46 centimetri, non è necessario di ridurre queste cifre al valore effettivo. Tabella degli allungamenti prodottisi in un tubo di gomma elastica lungo 46 centim. che veniva caricato e scaricato successivamente con pesi di 500 gr. ogni 2’. k | Pesi in grammi Differenze nelle lunghezze Doder? eet, | 200 — 38.15 700 0,0080 37.35 | 1200 0,0080 | 36.55 | 1700 0,0085 | 35.70 2200 0,0095 34.75 1700 0,0065 35.40 1200 0,0075 36.15 700 0,0085 37.00 200 0,0090 37.90 JI. Pesi in grammi Differenze nelle lunghezze E E 200 = 38.19 700 0,0080 37.35 1200 0,0080 36.55 1700 0,0090 35.65 2200 0,0100 34.65 1700 0,0065 35.30 1200 0,0077 36.07 700 0,0088 36.95 200 0,0095 37.90 25 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 117 I 200 grammi, che stanno segnati in principio della tabella, rappresentano il peso iniziale attaccato al tubo per dargli un certo grado di tensione. In questi 200 grammi si comprende anche il peso del largo piattello che ‘serviva per raccogliere x i pesi. Una prima serie di osservazioni è segnata col N.I. Si è fatta dopo un’altra esperienza eguale e questa è segnata col N. II. Esaminando i valori ottenuti, appare evidente che nel caoutchouc si osservano i medesimi fatti che nei muscoli. I primi pesi producono un allungamento 0,0080: da 1700 gr. a 2200 gr. l'allungamento è di 0,0095. Quando si levano 500 gr. da 2200 a 1700 gr. il raccorciamento è solo di 0,0065, e questo è nuovamente di 0,0090, quando si toglie l’ultimo peso da 700 a 200. Per brevità, non riproduco le curve che ho disegnato, servendomi delle cifre contenute in queste tabelle, esse sono eguali a quelle ottenute col miotonometro sull'uomo. Nell'intento di paragonare meglio l'elasticità del muscolo a quella del caoutchouc, ho fatto un'esperienza, nella quale costrussi una gamba schematica. Al posto dei Fig. 10. — Curva miotonometrica scritta con una gamba schematica nella quale i muscoli gemelli erano rappresentati da un tubo di caoutchouc. Sul piattello del miotonometro si aggiungevano e poi si leva- rono dei pesi di 100 gr. con intervalli di 30". muscoli gastrocnemii c'era un tubo di gomma lungo 15 centimetri molto resistente. Le pareti di questo tubo erano Spesse 3 mm. Il lume interno era di 5 mm. Per non avere delle escursioni troppo grandi, scelsi questo tubo vecchio di due o tre anni che era meno elastico del tubo di caoutchouc nero, il quale servi per le esperienze precedenti. Fissata solidamente la parte superiore ad un sostegno di ferro, quella di sotto attaccavasi al toppone di cuojo del miotonometro. Non mi fermo sui particolari dell’apparecchio che imitava perfettamente le disposizioni delle leve che agiscono Sulla gamba, quando si applica il miotonometro sull'uomo. La figura 10 rappresenta un tracciato ottenuto colla gamba schematica, sulla quale i muscoli nella parte posteriore di essa sono fatti da un tubo di gomma. Sul piattello del miotonometro vennero messi 500 grammi per dare un certo grado di tensione all’apparecchio. Ad intervalli di 30” si aggiungono dei pesi di 100 grammi 118 ANGELO MOSSO 26 da A fino in B e dopo da B in C si levano nel medesimo ordine coll'intervallo eguale di 30". Vediamo ripetersi nella curva di elasticità del caoutchouc, i medesimi fenomeni che abbiamo osservato nella curva dei nostri muscoli. Il primo peso di 100 grammi in A produce un allungamento minore dell'ultimo peso di 100 gr. in B. Anche la curva della elasticità susseguente è diversa in A ed in B. Quando il muscolo trovasi sotto la trazione di 500 gr. -+ 100, l'angolo della curva dovuto all'elasticità susseguente è più acuto che non in B, quando il tubo di gomma elastica trovasi sotto la trazione di 500 gr. + 400. Dobbiamo dunque conchiudere che un tubo di gomma già teso diviene più esten- sibile e questo è il medesimo fenomeno che abbiamo osservato nei muscoli. In B, levando ùn peso di 100 gr., l’accorciamento, che ne segue, è minore di una metà dell’allungamento che aveva prodotto poco prima il medesimo peso, e l’ultima retrazione, che producesi in C, è maggiore della prima in B. Anche in questo tubo appare l’effetto dovuto ad una certa pastosità del caoutchouc, perchè il tubo non raggiunge la lunghezza primitiva. La distanza maggiore dell’ascissa e l'angolo che fa la linea CD colla medesima, mostra la lentezza, colla quale il tubo retraendosi tende a riacquistare la lunghezza primitiva. Dopo un'ora questo tubo non aveva ancora raggiunto la lunghezza di prima. L'aver riprodotto per mezzo del caoutchouc i fenomeni osservati, studiando col miotonometro la tonicità dei muscoli, non vuol dire che siano identiche le cause, che producono queste curve caratteristiche nel muscolo e nel caoutchouc, io ritengo che sia una coincidenza fortuita, dovuta in parte alla deformazione che il tubo di gomma subisce per mezzo dello stiramento, deformazione la quale manca nel muscolo tricipite surale, o vi esiste in modo incomparabilmente minore. In principio le forze attrattive (essendo le molecole più vicine tra loro) sono maggiori; dopo, a misura che il tubo di caoutchouc si allunga, diviene maggiore la distanza fra le molecole, e decrescono pure le forze attrattive. Questo ci spiega, perchè nel principio della distensione del tubo un medesimo peso produca un effetto minore; e come quando il tubo è già disteso per una trazione precedente, il medesimo peso produea un allungamento maggiore di prima. Quando il tubo è allungato, se leviamo un peso, siccome le forze attrattive sono minori, l’effetto di aver levato il peso sarà minore. E in ultimo per il riavvicinamento delle molecole le forze attrattive essendo divenute maggiori, sarà anche maggiore l’effetto che si ottiene levando un peso. È noto che un tubo di gomma stirato diviene più caldo, e si raffredda quando scema o cessa la sua tensione. Questo fatto osservato prima dal Joule nel 1857 venne studiato dopo dal Govi (1), dal Villari (2) e da parecchi altri fisici. (1) Govi G., Sulle anomalie che presenta il caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino „, Il, 225. — Ricerche sulla gomma elastica galvanizzata, Ibidem, II, 455, 456. (2) E. Virar, Sul calorico sviluppato sul caoutchouc per effetto della trazione, “ Rendiconti Istituto Lombardo ,, serie IT, vol. II, 1869. 27 DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ DEI MUSCOLI, ECC. 119 L'aumento di calore è tanto considerevole che, stirando un tubo di gomma, mentre si tiene in contatto colle labbra o sulla fronte, si sente che diviene più caldo, e viceversa si raffredda rilasciandolo. Ho voluto misurare questo aumento di calore in un tubo di gomma e dopo cercai se anche i muscoli del cadavere si riscaldano, quando sono stirati. L'aumento di temperatura è così grande in un tubo di gomma, quando lo si stira, che non fa bisogno di servirsi delle pile termo-elettriche, come fece il Villari. Assai meglio che colle pile termo-elettriche lo si può misurare con un termometro diviso in Lu, Presi un tubo di gomma nera, che aveva le pareti spesse 2 mm. e il diametro suo era di 12 mm. Misi dentro al tubo un termometro col bulbo sottile, fabbricato dal Baudin, diviso in Lie, nel quale ciascun grado à lungo 8 mm. Il bulbo di questo termometro è piccolo e la scala comprende — 4° a + 50°. In una stanza: con tempe- ratura quasi costante lascio parecchie ore il tubo col termometro su di una tavola e vedo che il termometro segna 16°, 4. All'estremità della tavola avevo prima fissato una morsetta. Prendo l'estremità del tubo con un asciugamani per non scaldarla e la metto nella morsetta, coll’altra mano afferro il tubo alla distanza di circa 50 cen- timetri e tenendo il tubo in un asciugamani tiro otto volte il tubo con forza, e lo lascio ritornare alla sua lunghezza primitiva ciascuna volta. Staccato il tubo dalla morsetta colle precauzioni anzidette, introduco il termometro nel tubo e questo segna 17°,1. Vi fu dunque un riscaldamento di 0°,7 per il fatto dello stiramento. Poco dopo la temperatura scende e ritorna a 169,5. Dopo mezz'ora ripeto la medesima esperienza ed osservo un eguale riscalda- mento. Villari aveva già osservato che l'aumento di temperatura, che si appalesa con la trazione, è maggiore in valore assoluto dell'abbassamento di temperatura che accompagna la detrazione, così che l'energia spesa per stirare il caoutchouc non viene totalmente restituita con la sua contrazione. Nelle esperienze che feci sui muscoli del cadavere, ho visto riprodursi i mede- simi fenomeni. Staccati i muscoli della coscia, conservai solo i muscoli che stanno nella parte posteriore della gamba. Il muscolo gastrocnemio era scoperto e mettevo il termo- metro bra i due gemelli od il soleo. Fissavo solidamente il femore segato a metà nella morsetta e mettevo un pezzo di legno sulla tavola, in modo che la gamba rimanesse sospesa colla punta del piede rivolta in basso. Per essere sicuro che il muscolo avesse la temperatura ambiente, aspettavo parecchie ore dopo che avevo messo in posto il termometro tra i muscoli gemelli ed il soleo. I seguenti numeri indicano i risultati di una esperienza fatta nel mese di di- cembre. Il termometro è quello diviso in Le sopradeseritto, la temperatura si leg- geva con un cannocchiale alla distanza di circa 40 centimetri adoperando le avver- tenze elementari, perchè fosse eliminata ogni causa di errore durante l’esperienza. La temperatura della stanza misurata prima col medesimo termometro era 7°,40. La temperatura dei muscoli gastrocnemii e soleo — 7°,72. Un assistente, afferrato il piede con un asciugamani, produce una forte fles- sione in modo da stirar bene i muscoli nella parte posteriore della gamba. Si rila- 120 ANGELO MOSSO — DESCRIZIONE DI UN MIOTONOMETRO PER LA TONICITÀ, ECC. 28 scia e si distende ancora e così per 6 volte di seguito. Il termometro segna un leggero aumento di temperatura e dopo un minuto la temperatura del muscolo è 79,82, cioè crebbe di 09,1 Dopo un'ora si fa un'altra esperienza, la temperatura del muscolo & 7°, 80. Si fanno otto trazioni dei muscoli posteriori della gamba e la temperatura di questi aumenta fino 75,87. Passata un'altr'ora circa, la temperatura dei muscoli à 75,81. Si stirano sei volte i muscoli, la temperatura sale a 75,88. Da queste esperienze e da altre eguali fatte sul cadavere, risultò che i muscoli gastrocnemii e soleo, quando vengono stirati e poi rilasciati nella flessione forzata del piede si riscaldano di 09,1 a 05,07. Certo in queste esperienze non o escluso il dubbio, che un leggero aumento di calore si debba all'attrito tra lo strato superiore e lo strato profondo del muscolo tricipite surale. Il bulbo del termometro era molto piccolo, e il fregamento doveva certo essere poco considerevole. Ho cercato di rimediare a tale causa di errore, mettendo il termometro lontano più che fosse possibile dalle inserzioni del muscolo sul femore, e continuerò con altri metodi tali indagini. Le ricerche di Danilewsky (1) e di Blix (2), le quali mostrarono primieramente che i muscoli si riscaldano come il caoutchouc, quando vengono distesi, furono ese- guite colle pile termoelettriche e col metodo calorimetrico. Essendo note le difficoltà e le incertezze delle indagini fatte a questo modo, considero come un progresso nella tecnica l’aver dimostrato i medesimi fatti nel caoutchouc e nei muscoli, servendomi semplicemente di un termometro diviso in Le, Secondo ogni probabilità, anche il muscolo vivo si riscalda quando viene disteso. Se ciò venisse provato dall’esperienza, si dovrebbe conchiudere che l’elasticità dei muscoli, la quale, specialmente nella marcia, continuamente trovasi in azione nel nostro organismo, è un fattore non trascurabile nei fenomeni di calorificazione. Sono grato al dott. Alberico Benedicenti per l’aiuto datomi in queste ricerche e per le ulteriori indagini da lui fatte sull'uomo per mezzo del miotonometro. Spero in un prossimo lavoro di applicare il miotonometro allo studio dei muta- menti del muscolo durante la contrazione e cercherò quale sia l'influenza che il sistema nervoso esercita sulla tonicità dei muscoli. (1) Danizewsxy, " Archiv f. d. g. Physiologie ,, Bd. XXI, p. 109. (2) M. Brix, “ Zeitschrift für Biologie ,, Bd. XXI, p. 190. LA TONICITA DEI MUSCOLI STUDIATA NELL’TOMO MEMORIA Dott. ALBERICO BENEDICENTI AIUTO NELL'ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI. TORINO Approvata nell’ Adunanza del 29 Dicembre 1895. L'elastieità dei muscoli venne trattata magistralmente dal Prof. L. Hermann nella introduzione alla fisica dei muscoli, nel volume primo del suo grande manuale di fisiologia stampato l’anno 1879. Poco dopo Carlo Richet pubblicava la fisiologia dei muscoli e dei nervi, dove un intero capitolo è consacrato a questo argomento. La questione del tono muscolare è pure svolta in parecchi trattati e ampia- mente in alcune memorie speciali, come in quella del Dott. Mommsen (1) e negli scritti recenti del Prof. Blix (2), Schenk (3) e Gütschlich (4). In questo mio scritto terrò conto solo della letteratura posteriore al 1882; dei lavori precedenti a tale data ricorderò alcuni che si riferiscono più direttamente alle esperienze da me fatte, altri vennero già presi in esame dal Prof. A. Mosso nella introduzione colla quale descrisse il miotonometro. Avendomi proposto il Prof. A. Mosso di intraprendere una serie di esperienze col miotonometro, non sto a descrivere questo apparecchio e mi riferisco alla me- Moria nella quale egli espose le sue prime esperienze (5). (1) I. Mommsen, Beitrag zur Kenntniss des Muskeltonus, “ Arch. f. path. Anat. u. Physiol. ,, 22-36 — CI. (2) Magnus Buix, Die secundären elastischen Erscheinungen des ruhenden Muskels, Zweite Abhandlung. “ Skand. Arch. f. Physiol. „ 1893, 398. — Die Länge und die Spannung des Muskels, Zweite Abhandlung. * Skand. Arch. f. Phys. „, Bd., IV, 5, 399. (8) E. Sensor, Ein Apparat zur Verzeichnung von Länge und Spannung des Muskels, * Arch. f ges, Physiol. „, LII, 117, 1892. — Ueber den Erschlaffungsprocess des Muskels, Ibidem, pag. 108. (4) Eur Gorscnrren, Ueber Einfluss der Wärme auf Länge und Dehnbarkeit des elastischen Gewebes und des quergestreiften Muskels, “ Arch. f. ges. Physiol. „, 1898, vol. 54, p. 109. (5) A. Mosso, Descrizione di un miotonometro per studiare la tonicità dei muscoli nell'uomo, “ Mem. R. Ace. Sc. di Torino ,, gennaio 1896. Serre II. Tom. XLVI. * rete ALBERICO BENEDICENTI Movimenti del piede sincroni con quelli del respiro. 1 Quando si applica il miotonometro al piede di una persona osservasi nel maggior numero dei casi un leggero movimento della punta del piede sincrono coi movimenti del respiro. Questo movimento che per brevità si può chiamare oscillazione respi- ratoria del piede, si vede nel maggior numero dei casi per mezzo del semplice cate- tometro, applicando una setola con un po’ di cera sull'unghia del pollice. Questo fe- nomeno può studiarsi assai meglio applicando al miotonometro una penna e scrivendo per mezzo di essa penna sul cilindro infumato. Nei tracciati che ora riferisco la punta della penna era 8 o 10 centimetri più lunga della punta del pollice. Applicando un pneumografo di Marey intorno al torace e scrivendo contempo- raneamente il tracciato della respirazione e quello del movimento dei piedi, si vede che tali movimenti sono sincroni. La punta del piede si abbassa nella inspirazione e si alza nella espirazione. Fig. 1. — A, oscillazioni respiratorie del piede scritte col miotonometro — B, movimenti respiratorii scritti col pneu- mografo di Marey. — La linea si abbassa ad ogni inspirazione. — In dd sono i punti di repere. La fig. 1 rappresenta uno di questi tracciati. La linea superiore è quella scritta dal miotonometro, l’inferiore è il tracciato del respiro. In dd vi sono i punti di ritrovo. La linea del respiro si abbassa ad ogni inspirazione. Due sono i meccanismi coi quali si può spiegare questa oscillazione respiratoria del piede. Il Prof. Mosso (1) dimostrò già colle esperienze fatte per mezzo della bilancia che vi à una leggiera stasi del sangue nelle gambe ad ogni inspirazione. Contraendosi il diaframma succede un aumento della pressione nella cavità dell’ad- dome. Questa pressione aumentata, che è capace di estendere l'addome e sollevarlo, produce una leggera compressione delle vene ed il piede si ingrossa; perchè il sangue non procede più con eguale facilità verso il cuore. L'esistenza di questo aumento del volume delle braccia e delle gambe sincrono coi movimenti inspiratori venne confermata recentemente da Hallion e Comte (2), da Binet e Courtier (3). (1) A. Mosso, Application de la balance à l'étude de la circulation du sang chez l’homme, * Arch. ital. Biol. „, V, 130-143. (2) L. Hauzion e Cu. Comre, Sur les variations de volume des extrémités en rapport avec les mou- vements respiratoires, “ Archives de Physiologie ,, VIII, 216, 1895. (8) A. Biner e J. Courter, Influence de la respiration sur le tracé volumétrique, * Comptes rendus Ac. d. Sciences Paris ,, CXXI, 219, 220. 3 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 123 Anche qui vediamo che ad ogni inspirazione succede una stasi sanguigna, per cui il piede si abbassa, indi nella espirazione successiva il sangue scorre piü facilmente dalla periferia al centro, il piede diminuisce di volume, e divenendo più leggiero sollevasi leggermente. Non mi & riuscito di trovare, per quanto io abbia fatto atten- zione, che i movimenti del respiro potessero muovere in altro modo la gamba ed il piede. Contro tale spiegazione stanno i fatti seguenti: 1° Che queste oscillazioni respiratorie del piede esistono anche quando per mezzo del pletismografo fatto a scarpa non si osserva aleun cambiamento di volume del piede per effetto del respiro. 2° Che le oscillazioni respiratorie del piede presentano delle variazioni di intensità, le quali non eorrispondono alle variazioni di intensità dei movimenti re- Spiratori. La fig. 2 scritta nel sonno di Pessione Chiaffredo mostra che alla variazione nella intensità dei movimenti respiratori non corrisponde una modificazione eguale nella intensità delle oscillazioni respiratorie del piede. La respirazione nel sonno ha qui un decorso periodico; vi sono dei momenti nei quali i movimenti respiratori Sono più profondi ed altri nei quali lo sono meno. Ma queste variazioni non eserci- tano una influenza nelle oscillazioni del piede, le quali presentano delle variazioni indipendenti da quelle del respiro. È quindi probabile che il meccanismo delle oscillazioni respiratorio del piede sia diverso. Forse vi è un leggero cambiamento nella tonicità dei muscoli sincrono coi movimenti respiratori. Il fatto che osservasi così spesso nel sonno dei cani di vedere che muovono leggermente le gambe tutte le volte che fanno una inspirazione, si ripeterebbe in grado più leggero anche nell'uomo. Se tale spiegazione è vera dob- biamo considerare le oscillazioni respiratorie del piede come dovute ad un aumento della tonicità dei muscoli della gamba, e con prevalenza del muscolo tricipite surale che abbassa la punta del, piede. In favore di tale spiegazione starebbe il fatto da me osservato più volte che le oscillazioni respiratorie del piede talora distintissime nel sonno, cessano appena la persona si sveglia. In tali casi potei assicurarmi, come del resto è noto, che il respiro nella veglia era più intenso che nel sonno, ciò malgrado le oscillazioni re- Spiratorie del piede erano diventate meno visibili. Nel pomeriggio del giorno 29 aprile del 1892 applico il miotonometro al Pessione Chiaffredo, giovane robusto di 17 anni con sistema muscolare bene sviluppato. Faccio Successivamente cinque estensioni e cinque rilassamenti del muscolo tricipite surale con un peso di mercurio di grammi 470, seguendo il metodo di Marey, descritto nella precedente memoria del Prof. A. Mosso. Ogni distensione impiega circa 1 minuto ber compiersi completamente ed un tempo eguale occorre perchè esca il mercurio dal vasetto con tubo capillare applicato al miotonometro. Questo tracciato 2, a differenza degli altri, è scritto da destra a sinistra. La linea superiore della figura rappresenta il tracciato scritto dalla punta del piede dopo un minuto che cessò l’ultima distensione: o per meglio dire la presente curva inco- Mincia dopo un minuto che si è scaricato completamente il miotonometro dal mer- curio. Vediamo che il muscolo tricipite surale riprende lentamente la sua lunghezza = naene 124 ALBERICO BENEDICENTI 4 primitiva con una curva che ha la sua concavità rivolta in alto. In questa curva mio- tonometrica sono evidentissime le oscillazioni respiratorie. Sotto vi è l’ascissa, e in basso la curva del respiro toracico scritta per mezzo del pneumografo di Marey. La linea del respiro si abbassa ad ogni inspirazione e così pure quella del miotonometro. Nel punto segnato A e B la persona che fino qui aveva dormito profondamente si sveglia, il piede si muove e la respirazione diviene più profonda e perchè cambia di posizione il tronco, la linea del respiro scende per alcuni movimenti respiratori più in basso. Per stabilire i punti di repere delle due penne basta guardare la posi- zione diversa dei punti segnati A e B. La penna del tracciato miotonometrico era leggermente più avanti di quella che segnava il respiro. CNN HM mv | fe eee mean inni R p Fig. 2. — Questo tracciato è seritto da destra a sinistra. La linea O è fatta dalle oscillazioni respiratorie del piede scritte nel sonno — R, tracciato del respiro toracico scritto contemporaneamente. Paragoniamo ora i due tracciati fra di loro. Nella curva miotonometrica oltre le oscillazioni respiratorie si vede in © che vi fu un sussulto, come succede spesso nel sonno quando i muscoli fanno delle contrazioni involontarie delle quali non cono- sciamo la causa. In D succede per qualche secondo una modificazione spontanea nella tonicità del muscolo; è questo pure un fenomeno comune nel sonno, del quale non sappiamo dare la ragione. L'altezza delle oscillazioni miotonometriche non è costante, ora è maggiore ed ora è minore, ma queste variazioni non corrispondono ai periodi che si osservano nel tracciato del respiro. Nella sua memoria sulla respirazione periodica il Prof. A. Mosso ha già dimo- strato come la profondità del respiro non rimanga costante nel sonno. Qui abbiamo un esempio di respirazione periodica. L'importante è di notare che questi periodi di respirazioni più profonde, o superficiali, non esercitano una influenza sulle oscillazioni respiratorie del piede. In AB la persona che fin qui aveva dormito profondamente si sveglia. Noi ve- diamo che i movimenti del respiro diventano più forti, od eguali a quanto erano prima, e ciò nulla meno sono divenute più deboli le oscillazioni respiratorie del piede. Questo fatto, insieme a quelli precedentemente esposti, proverebbe che i moti del diaframma e la conseguente compressione delle vene nella cavità addominale non bastano da soli per spiegare le oscillazioni respiratorie del piede. Queste probabil- mente sono prodotte da una modificazione della tonicità muscolare sincrona coi mo- vimenti del respiro. | | 5 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 125 Caratteri della curva della tonicità muscolare nell’uomo. Nella curva miotonometrica possiamo distinguere due parti: quella cioè costi- tuita dalla linea ascendente e che segna l'allungamento del muscolo, e quella formata dalla linea discendente che ne segna la retrattilità. Ho cercato come si comportino queste due parti della curva nei casi seguenti. Per brevità di linguaggio mi riferisco solo alla prima parte della curva: 1° nella distensione del muscolo eseguita con pesi crescenti in progressione aritmetica, vale a dire aggiungendo pesi uguali l’uno dopo l’altro con intervalli di tempo uguali; 2° nella distensione eseguita con un peso continuamente ed uniformemente crescente, senza alcuna interruzione di tempo, come nel caso in cui si distende il muscolo facendo cadere del mercurio in un vaso unito al miotonometro, al modo Stesso delle esperienze di Marey (1); 3° nella distensione rapida, cioè eseguita con unico peso messo tutto in una volta e lasciato agire sul muscolo per un tempo più o meno lungo. Quando si distende il muscolo con pesi crescenti in progressione aritmetica, come 1, 2, 3, 4, ecc. e con intervalli uguali di tempo fra un peso e l’altro, la curva che si ottiene non è sempre uguale. Due sono i casi che ho veduto verificarsi nell'uomo col miotonometro: o l’allungamento immediato è uguale per i singoli pesi coi quali il muscolo viene successivamente caricato, oppure l'allungamento è piccolo per l'azione dei primi pesi e va poscia aumentandosi coll’aggiunta dei pesi successivi. In altre parole, se noi distendiamo un muscolo nell’uomo con pesi crescenti in progressione aritmetica, l'allungamento immediato, o cresce nella stessa proporzione del peso, o cresce più rapidamente di questo. Il primo caso si verifica ogni volta che il peso usato a distendere il muscolo è piccolo e l'allungamento è ottenuto lentamente; il secondo di regola si ha tutte le volte in cui il peso è maggiore e la distensione è eseguita con rapidità. La curva classica che trovasi nei trattati di fisiologia, quella conosciuta da tutti per le ricerche di Ed. Weber, di Wertheim, di Marey e di tanti altri che stu- diarono i muscoli delle rane, non corrisponde alla curva che il Prof. A. Mosso ed io abbiamo trovato nei muscoli dell’uomo. Donders e Mansvelt nelle loro ricerche sul- l'elasticità musculare fatte sull'antibraccio dell'uomo avevano asserito essere la curva della elasticità proporzionale al peso che ha servito a distendere il muscolo. Questo caso, come ho detto, si verifica usando il miotonometro solo quando i pesi sono pic- coli, ma se il peso è un po’ forte e la distensione è fatta lentamente, si ha il fatto inverso, che cioè i primi pesi sono avvertiti dal muscolo meno dei successivi. Per avere un’idea di questi due tipi diversi delle curve miotonometriche basta guardare le fig. 3 e 4, e la fig. 5. Questa che qui riproduco rappresenta un'esperienza (1) Marey, Du mouvement dans la fonction de la vie. Paris, Bailliere, 1868. nd 126 ALBERICO BENEDICENTI 6 fatta sul soldato Gorret, mentre il muscolo tricipite surale veniva caricato succes- sivamente con pesi di 50 grammi e col ritmo di 5 minuti fra l'un peso e l'altro, e dopo venne successivamente scaricato levando un peso di 50 grammi per volta anche col ritmo di 5 minuti. In complesso furono applicati 500 grammi sul piattello del miotonometro. Nella descrizione dello strumento fatta dal Prof. A. Mosso, risulta che il rapporto tra il braccio della potenza e della resistenza nella leva di 1? grado del piede, quando vi sta applicato il miotonometro, è 22:5. In questo caso si ha quindi la seguente proporzione: 92:56::2:500 a = 2X _ 2992 Sarebbero dunque 2222 grammi che dobbiamo supporre attaccati al tendine di Achille. Fig. 3. — Curva della tonicità scritta sul soldato Gorret, con pesi successivi crescenti in proporzione aritmet In totale il muscolo à esteso con 500 grammi. Il muscolo si lascia distendere di più per gli ultimi pesi che non per i primi, e si rilascia meno in principio che in fine. Da ciò risulta la curva ad elmo, In altre esperienze ottenni la distensione del muscolo con un peso uniforme- mente e continuamente crescente. À tale scopo adoperai il metodo del Marey e feci cadere da un vaso pieno di mercurio, per mezzo di un tubo di vetro stirato alla lampada fino ad essere capillare, un getto di mercurio che raccoglievasi in un altro recipiente attaccato alla cordicella del miotonometro. Un tubo eguale applicato a questo vaso del miotonometro serviva ad ottenere la seconda parte della curva, quella nella quale viene scaricato il muscolo del peso. La fig. 4 rappresenta una di queste esperienze fatta il 14 marzo 1892 sul soldato lachini. Il peso del mercurio adoperato era di 470 gr., pari a 2068 grammi che per il rapporto tra il braccio della potenza e della resistenza dobbiamo supporre attaccati al tendine di Achille; il tempo di due minuti per l'estensione e altrettanto per il rilasciamento del muscolo. Il mettere dei pesi ad intervalli eguali di tempo o l'adoperare un peso unifor- memente, ma continuamente crescente, non influenza la forma della linea che indica l'allungamento del muscolo. Essa in entrambi i casi sarà retta o concava superior- mente, e ciò a seconda del peso impiegato a distendere il muscolo e delle diffe- renze individuali. Ma la distensione può essere praticata caricando il muscolo tutto ad un tratto con un unico peso, il quale ad esempio sia uguale alla somma dei singoli pesi usati | | | 7 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 127 e nella distensione frazionata. La linea dell'allungamento immediato sarà allora una linea verticale e sarà piü o meno alta a seconda del peso impiegato e del tempo in eui il peso agisce, come vedremo in seguito. Fig. 4. — Curva della tonicità scritta sul soldato Iachini, con peso uniformemente e continuamente crescente di 470 gr. di mercurio. Esaminiamo ora la seconda parte della curva, ossia la parte discendente che rappresenta la retrattilità del muscolo. Caricato il muscolo gastrocnemio con una serie di pesi uguali, se togliamo i pesi l'uno dopo l’altro e con intervalli uguali di tempo, il muscolo si raccorcia, ma il raccorciamento è minore al togliere dei primi pesi e maggiore pei successivi. La linea della retrattilità è per ciò una linea curva con convessità superiore. Dall'unione della linea dell'allungamento con quella del raccorciamento muscolare, risulta pertanto una figura ad elmo, la quale può dirsi caratteristica della tonicità muscolare nell'uomo vivente. Differenze individuali nella tonicità dei muscoli. Vedremo meglio in seguito quanto siano numerosi e complessi i fattori dai quali risulta la curva scritta col miotonometro. Accennerd adesso il fatto singolare che in una medesima persona in condizioni eguali rimane identico il tipo delle curve, e che queste curve hanno delle differenze individuali e caratteristiche che fanno rico- noscere in condizioni analoghe i tracciati di una persona da quelli di un’altra. Succede della curva che rappresenta lo stato della tonicità muscolare quanto il Prof. Mosso aveva già osservato coll’ergografo nella curva della fatica muscolare, che cioè rimanendo questa costante nel tipo, varia molto in altezza nello stesso individuo da una volta all’altra e spesso senza cagione nota. Però le differenze nella distendibilità che si osservano nello stesso individuo non superano mai un certo limite e la curva conserva sempre gli stessi caratteri. Maggiori invece e costanti sono le differenze che nella tonicità muscolare si notano fra individuo ed individuo. Nelle centinaia di esperienze che ho fatto su Pessione Chiaffredo, Pentenero, Solaro, Giorgio Mondo, Agostino Caudana, sui dottori Luzzatto € Muzio e su molti soldati, ho sempre veduto rimaner costante il tipo della curva della tonicità ed il grado della distendibilità dei muscoli entro un limite determinato. 128 ALBERICO BENEDICENTI 8 Basta infatti guardare la fig. 5 scritta sul dott. Muzio, dove estendo i muscoli per mezzo di grammi 470 di mercurio (pari a 2068 applicati sul tendine di Achille), per accorgersi subito che queste curve hanno un aspetto diverso di quello della fig. 4 che fu scritta sul soldato Iachini, distendendo i muscoli nello stesso modo e con un peso eguale di mercurio. Il dottor Luzzatto diede pure delle curve simili alla fig. 5. Questo tipo della curva rimane quasi sempre inalterato, anche se si fa uso di pesi maggiori, ed io non saprei a che cosa attribuire tali differenze. Non mi parve Fig. 5. — Due curve della tonicità muscolare scritte successivamente sul dottor Muzio, con peso uniformemente e continua- mente crescente di 470 gr. di mercurio. La linea B scritta dopochè il muscolo fu scaricato, dimostra come esso ritorni solo molto lentamente alla lunghezza primitiva, Questa figura, colla dimostra la diffi nel tipo e nell'altezza. che il volume del muscolo, per quanto possa giudicarsi esternamente delle forme anatomiche, abbia una grande influenza; è probabile che lo stato della nutrizione dei muscoli, della innervazione e circolazione siano le cause preponderanti. Così pure varia molto fra un individuo e l’altro il grado o la quantità di cui i muscoli si lasciano distendere per un determinato peso. Per brevità non riproduco la figura e descrivo due esperienze ottenute disten- dendo nello stesso modo il muscolo tricipite surale con un peso di 500 gr. (2222 g.) successivamente crescendo di 50 in 50 grammi col ritmo di due minuti. 17 giugno 1894, ore 3 pom. — Applico il miotonometro al soldato Oberhoffer tornato da una marcia fatta da Ivrea a Torino dopo che si è riposato per un'ora. La curva miotonometrica è descritta con pesi di 50 grammi l'uno. L'intervallo fra un peso e l’altro è di due minuti. Esprimendo con numeri l'allungamento del muscolo tricipite surale nelle successive estensioni, abbiamo i dati seguenti: 1° estensione = 4 28 y gut g: r ieu 4a J ab 58 y nil 62 y cur Va 616 8a A = Ot 9a y Sup " 108 " zoe B Subito dopo e nelle identiche condizioni, applico il miotonometro al soldato Camozzi di ritorno dalla medesima marcia. 9 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 129 In estensione — 1 9a MG | d Ottengo i risultati seguenti: " Boris 2.5 Bu 4a " zd | 5a e LO | ee 208.5 | Co x Ed | 8^ = b | aiia n Seib: 102 d = 6 | | j Al Da questa esperienza risulta adunque che il soldato Oberhoffer diede una curva | 1h molto più alta di quella del soldato Camozzi per il medesimo peso e col medesimo ] | ritmo, essendo eguali in entrambi la lunghezza del piede e della gamba. ji Il Rimanendo questo fatto costante, si è tratti a concludere che vi sono uomini m i cui muscoli hanno un grado maggiore o minore di distendibilità, come vi sono j uomini con muscoli più o meno capaci al lavoro, più o meno resistenti alla fatica, ecc. Abbiamo cosi ancora una, prova che per mezzo del miotonometro applicato ai muscoli dell'uomo si studia una proprietà diversa da quella dei corpi inerti, e che la tonicità nel muscolo vivente ed integro è una proprietà non solo fisica del muscolo, ma è dovuta a processi intimi che si svolgono nel muscolo e forse nel protoplasma muscolare. Le esperienze di Danilewski, di Blix e di Chauveau e quelle più recenti esposte | nella memoria sopra citata del Prof. A. Mosso, hanno dimostrato che il muscolo disteso passivamente si riscalda, mentre lasciato a sè si raffredda durante il raccorciamento. Chauveau ha dato altresì la grafica di queste variazioni di temperatura, le quali dànno un giusto concetto dell’importanza e complessità grande di questi fenomeni. E la stessa cosa fece anche rilevare lo Schenk, il quale asser ripetutamente nei $ suoi lavori che la tensione e l'allungamento del muscolo non si limitavano ad un effetto puramente fisico, ma agivano arrecando delle modificazioni intime e pro- I fonde sul protoplasma muscolare. Per non dilungarmi di troppo citerò solo i lavori più recenti di Richet, Von Anrep, Boudet, ecc., i quali tutti concordano in questa | opinione. Allungamento susseguente del muscolo. Il prof. Mosso nella descrizione del suo apparecchio ha già toccato quest'argo- mento. L’elasticità susseguente è uno dei fattori più importanti delle curve che si ottengono col miotonometro. Le varianti che presenta questo fenomeno meritano Dor ciò uno studio diligente. | Rosenthal fece già rilevare che l’elasticità susseguente è pei muscoli molto grande e maggiore di quello che non sia per gli altri corpi organici. Serre II. Tom. XLVI. a 130 ALBERICO BENEDICENTI 10 Blix nella sua seconda memoria intorno alla elasticità secondaria del muscolo in riposo, dice che un muscolo sotto l'azione di un peso può allungarsi indefinita- mente e che non ? possibile notare il momento in cui cessa di aumentare l'allun- gamento del muscolo, sotto l'azione di un dato peso. Percid occorrono talvolta delle ore o dei giorni durante i quali il muscolo ha tempo di modificare in alto grado le sue proprietà. Blix soggiunge quindi che lo studio della elasticità muscolare è dif- ficilissimo, che non può farsi se non astraendo dall’allungamento secondario e che non è possibile dare delle curve esatte e generali le quali indichino il modo di pro- cedere di questo fenomeno. Applicato il miotonometro alla pianta del piede, se distendiamo il muscolo tri- cipite surale con un peso e scriviamo su di un cilindro ruotante l'allungamento del muscolo, vedremo che la curva sarà una spirale i cui giri vanno lentamente e gra- datamente avvicinandosi. Fig. 6. — Curva miotonometrica scritta sul soldato Iachini, per dimostrare l'allungamento susseguente del muscolo. Si vedono bene le oscillazioni respiratorie del piede. Altendine di Achille fanno trazione 2222 gr. Per mostrare questo fatto riproduco colla fig. 6 un pezzo del tracciato scritto il 27 aprile alle ore 3 pom. sopra il soldato Iachini. Il cilindro gira lentamente, come si vede dalla linea inferiore dov'è scritto il respiro per mezzo del pneumo- grafo di Marey e fa un giro in cinque minuti. Il soldato Tachini dorme. Senza che si svegli, in o incomincia a colare il mercurio e distendere il muscolo tricipite surale. Si lascia agire il peso. Dal punto segnato a al punto c trascorrono cinque minuti. Il cilindro compie un altro giro e dopo la linea ricompare in d. Si vede chiaramente da questo tracciato che mentre la persona dormiva profondamente il muscolo tricipite surale va di continuo allungandosi sotto l'influenza di un peso che lo tende. Quanto maggiore è il peso impiegato, tanto più è notevole l’allungamento secon- dario dovuto alla elasticità susseguente, e se il peso adoperato è assai forte anche l'allungamento secondario è grandissimo. Nella elasticità susseguente esistono talora delle differenze notevoli fra individuo e individuo e fra un’esperienza e l’altra. Schenk dice che il peso maschera o modi- fica l'allungamento del muscolo, perchè è un vero irritante del protoplasma, e la stessa cosa scrivono Richet, Rossbach, Blix e Wedensky. Von Anrep poi notò che 11 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 131 allorquando si carica un muscolo con un dato peso e questo si è allungato, esso non À rimane mai in una posizione costante, ma ora si allunga ed ora si raccorcia per modo tale che non ? possibile stabilire il punto zero di partenza, se non quindici o ; venti minuti dopo aver caricato il muscolo. Blix, il quale rilevò questo fatto, che di io ho riscontrato costantemente nei muscoli dell'uomo, lo attribuì ad un'azione | diretta ed irritante del peso, ed aggiunse che il peso pud agire in modo ed in | misura assai diversi per rapporto all'allungamento primitivo come a quello secondario. | A rendere più complicati questi fenomeni si aggiungono due cause, lo stato | pastoso del muscolo e la incompleta retrattilitä muscolare. sta | l | Allungamento residuale. N Un muscolo allungato da un dato peso, se viene liberato dal peso, non ritorna ti alla lunghezza primitiva immediatamente, ma v'impiega un tempo più o meno lungo } a seconda dei casi. Questo allungamento del muscolo, dopochè fu completamente sca- | ricato dal peso che lo estendeva, può chiamarsi allungamento residuale analogamente Chr a quello che Hermann disse * Verkürzungsrükstand ,. Blix dice che un muscolo fisio- logicamente deformato dalla contrazione, allorquando torna allo stato di riposo, con- Serva ancora una parte di questa deformazione, e che questo resto di deformazione sparisce solo lentamente ed in un modo che ricorda molto quello dell'allungamento susseguente. La stessa cosa vale per il muscolo deformato passivamente coll'allun- gamento. Schenk occupandosi di questo argomento disse che se un muscolo è teso da un peso e poscia liberato esso si raccorcia, ma l’accorciamento procede più len- | tamente che non il togliere del peso, perchè nel raccorciarsi il muscolo deve vincere la resistenza interna. Però già Boudet, Anrep, Gotschlich, Richet avevano notato questo fatto ed avevano asserito essere l'elasticità muscolare alquanto imperfetta. Ma se il muscolo liberato dal peso che lo distendeva non ritorna subito alla lunghezza primitiva, vi ritorna però lentamente e completamente. Perchè questo si avveri | occorre che il muscolo sia leggermente disteso da un peso iniziale, come il Prof. Mosso ! accennd nella descrizione del suo apparecchio. Quando il muscolo tricipite surale è libero, può rimanere indefinitamente raccorciato od allungato per alcuni millimetri, se prima lo si è fatto contrarre o venne passivamente disteso. Nelle esperienze eseguite sull'uomo col miotonometro ho riscontrato in gene- rale una retrattilità muscolare assai imperfetta. Anche usando piccoli pesi, il muscolo allungato e poi rilasciato non torna quasi mai immediatamente alla lunghezza pri- m mitiva, ma sovente impiega un tempo lunghissimo (40-60 minuti o più) per raccor- 1 ciarsi completamente. Questo tempo nell'uomo varia moltissimo ed è influenzato da i un numero grande di cause. Se si distende il muscolo con un peso unico, l'allunga- mento residuale non si ha, se il peso è piccolo, ma al di là di un certo limite esso sì verifica costantemente. Si nota pure e con maggior frequenza, se la distensione | è fatta frazionatamente, caricando il muscolo con piccoli pesi successivi, o se è fatta con un peso uniformemente crescente. È tanto più notevole quanto maggiore è il peso che ha servito a distendere il muscolo, e ciò in rapporto coll'allungamento che | 182 ALBERICO BENEDICENTI 12 il muscolo ha subito. Se poi si adoperano pesi fortissimi, come ad esempio 5 pesi di 1 chilogrammo l'uno, l'allungamento residuale non solo à molto grande, ma il muscolo togliendo i pesi che lo distendevano, non si raccorcia più, anzi continua ad allungarsi sensibilmente. Riferisco i dati di un'esperienza fatta su Giorgio Mondo, inserviente del-Labo- ratorio, nel marzo del '96. È Alle ore 10.30 antim. applico il miotonometro. Peso iniziale gr. 500. Posizione dell’indice 6.5. Ogni minuto metto sul piattello un peso di 1 chilogrammo: in tutto furono 5 chilogrammi. Lascio agire il peso per due minuti. L'indice segna sul quadrante 15. Tolgo un chilo. Dopo un minuto vedo che il muscolo si è allungato, e sul qua- drante si legge 15.2. Tolgo un altro chilo e va a 15.1. Togliendo altri due chili va a 15.3 e 15.4. Insomma il muscolo in principio non si accorcia affatto; e solo togliendo l’ultimo chilo discende rapidamente a 13.8. Per 16 minuti il muscolo rimane in questa posi- zione oscillando fra 13.8 e 14.2, indi va rapidamente raccorciandosi e poco per volta ritorna alla posizione normale. Anche il tempo ha molta influenza sul grado di maggiore o minore retrattilità del muscolo, perchè quanto più lungo fu il tempo impiegato a distendere ed a rila- sciare il muscolo, tanto più è grande l'allungamento residuale. Si può quindi dire che la retrattilità muscolare è in ragione inversa del peso che ha servito a distendere il muscolo e del tempo impiegato nella distensione. Non riproduco per brevità alcun tracciato. Ad avere un’idea del fenomeno basta guardare la fig. 6 rovesciata. Cioè il raccorciamento è massimo subito dopo levato il peso e va rapidamente diminuendo con un decorso analogo a quello dell’allunga- mento secondario dei muscoli. Modificazioni che succedono nella curva della tonicità muscolare in rapporto col tempo e col peso della trazione subita dal muscolo. Dalle esperienze sovra esposte risultò, che per pesi uguali il muscolo tanto più si lascia distendere, quanto maggiore è il tempo impiegato nella distensione. Questo fatto si capisce facilmente pensando all’allungamento susseguente, il quale ha più campo di manifestarsi. Ma se la distensione del muscolo è fatta in tempi uguali e con pesi uguali, l’allungamento totale del muscolo è, caeteris paribus, uguale, sia esso fatto frazionatamente con pesi crescenti in proporzione aritmetica, o con un peso unico, o con un peso uniformemente crescente. Qui si vede quanto siano complessi i fenomeni della tonicità muscolare. Quando il peso totale agisce tutto d'un tratto per il medesimo tempo, parrebbe che l'allun- gamento prodottosi nel muscolo dovrebbe essere maggiore che non quando si appli- cano successivamente tutte le frazioni del peso totale. Invece trovai che gli allun- gamenti sono quasi gli stessi nell'un caso e nell’altro. Ciò fa supporre che quando si attacca al tendine di Achille il peso totale, si produca una eccitazione del muscolo 13 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 133 maggiore, che non quando si attaccano successivamente le frazioni del peso. Questo spiegherebbe il fatto anomalo che quantunque il peso (per la durata complessiva) sia minore, si ottiene il medesimo allungamento del muscolo. Io ho eseguito diverse esperienze in proposito; per brevità non riporto alcun tracciato, ma riferisco solamente i dati di una esperienza fatta il 6 maggio 1894 sul commissioniere Pentenero, alle ore 4 pomeridiane, allo scopo di paragonare fra loro l'allungamento muscolare che si ottiene caricando il muscolo con piccoli pesi Successivi o con un peso unico, rimanendo costante il tempo impiegato nella disten- sione. Carico dapprima il muscolo con 4 pesi di 50 grammi l'uno, messi successiva- mente coll’intervallo di '/, minuto primo fra un peso e l’altro. Sono così in tutto 200 grammi e la distensione dura 2 minuti. Rilasciato il muscolo, lo carico tutto in una volta con un peso di 200 grammi che lascio agire per due minuti. Ripeto poi questa esperienza con 300, 400, 500 grammi. I risultati sono riferiti nella tabella seguente. ALLUNGAMENTO DEL MUSCOLO | PESO VU DA DAD | IMMEDIATO SUSSEGUENTE TOTALE | ( frazionatamente 8.5 3.5 12.1 200 gr. | 2 minuti in una sol volta 8.5 3.5 12 | | frazionatamente 12.5 | 4.5 17 300 gr. 3 minuti | | | l in una sol volta 12.6 4.5 17.1 | frazionatamente 21 6:5 27.5 | 400 gr. | 4 minuti | | | in una sol volta (ezio 6.5 | 27.6 | | | | | | frazionatamente 30.5 10.5 |° 444 | | 500 gr. 5 minuti | | in una sol volta 30.5 10.5 | 41 | Un’altra esperienza fatta su Pentenero il 2 maggio 1894 nelle ore antimeridiane, dimostra anche come questi fenomeni della tonicità siano complessi e come la forma delle curve possa dipendere da molti e diversi fattori. La prima curva è fatta distendendo il muscolo con pesi di 20 grammi e coll'intervallo di 30 secondi, la se- conda coll'intervallo di 15 secondi, la terza coll'intervallo di due, e la quarta col- l’intervallo di uno. Si vede in queste diverse curve che l’allungamento totale del muscolo oscilla da 27 a 30 mm. Questo risultato sarebbe in apparente contraddizione con quanto si è detto prima, cioè che l'allungamento cresce a parità di peso in pro- porzione del tempo. Ma in questa esperienza l'allungamento susseguente è minimo, trattandosi di piccoli pesi, ed è quindi naturale che anche l'allungamento totale non presenti, nei diversi casi, notevoli differenze. Vediamo ora cosa accada nella tonicità muscolare, allorquando il muscolo viene rilasciato prima di applicare il nuovo peso piü forte del precedente. Queste osser- 134 ALBERICO BENEDICENTI 14 vazioni, dice Richet (1), sono assai complicate, poichè l'estensibilità e la retrattilità di un muscolo dipendono dalla posizione che esso aveva anteriormente e non sola- mente dal peso che lo tende. l Riferisco un'esperienza eseguita il 24 dicembre 1892 alle 9 ant. sul commis- sioniere Pessione Chiaffredo. Colloco un peso di 50 grammi sul piattello, indi dopo aver letto sul quadrante graduato l'allungamento del muscolo, tolgo il peso onde rilasciare il muscolo, indi lo carico con un peso doppio del precedente e cosi di seguito. I dati dell’esperienza sono i seguenti: Peso Numeri segnati sul quadrante GE AL. UŘ 50 da 0 a 2.8 100 À 2.9 a 4.9 200 m 49 a Tal 400 " PRE RE NE) 800 EE Anche per l'uomo perd in seguito alle numerose esperienze eseguite io posso ammettere quanto Donders, Marey, Volkmann, Wundt, ecc., avevano già stabilito che, se si distende un muscolo con un dato peso e poi si rilascia, indi si distende con un peso più forte e così di seguito, gli allungamenti che si ottengono non sono proporzionali, ma minori. Risulta quindi evidente la differenza che si ha, se si distende il muscolo dopo averlo rilasciato, ovvero lo si distende continuamente senza rila- sciarlo mai. La fig. 7 rappresenta una esperienza fatta su Pentenero. Si applicano 500 gr. sul piattello del miotonometro, poi nel punto segnato 200 incomincia una serie di estensioni e rilasciamenti fatti col peso di 200 grammi che si aggiungono e si levano dal piattello. In alto si vede che la retrattilità è diminuita. Scaricato completa- mente il muscolo, si ripete in basso e a destra della figura, col medesimo peso di 200 grammi, una serie di estensioni e rilasciamenti; dove si vede che la retrattilità è normale, e dopo ciascuna la curva scende più in basso di prima. Un altro fatto devesi prendere in considerazione, oltre alla modificazione che si manifesta nella tonicità del muscolo, quando esso sia stato precedentemente cari- cato da un peso e poscia rilasciato, e cioè come si comporti per la retrattilità e la distendibilità un muscolo, il quale sia già sotto l’azione di un peso forte e da un tempo più o meno lungo. Di questa esperienza non riproduco il tracciato, ma riferisco solo i dati. Caricato il muscolo gastrocnemio con un peso di 500 grammi, lascio agire il peso per 4', mentre scrivo il tracciato; aggiungo successivamente altri 10 pesi di 50 gr. l'uno, pari a gr. 500. Tolti questi 500 gr., si vede come la retrattilità del muscolo sia piccolissima, il che conferma quanto già dissi altrove, (1) Cn. Rione, Physiologie des Muscles et des Nerfs. 1882, p. 165. 15 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 135 che la retrattilità è tanto minore, quanto maggiore è il peso che agisce sul muscolo per allungarlo. Una seconda curva tracciata subito dopo prova che il muscolo così caricato è sempre meno retrattile nelle estensioni successive. La terza curva invece scritta con 500 gr., dopo avere scaricato completamente il muscolo, dimostra con- frontata colla precedente un aumento notevole nella retrattilità; poichè il muscolo rilasciato ritorna completamente al punto di partenza. Lo stesso fatto si verifica non solo per le estensioni eseguite con pesi singoli, ma anche in quelle fatte con un unico peso. Fig. 7. — Curva miotonometrica scritta su Pentenero. Si vede in essa la differenza che vi è nella retrattilità del muscolo quando in alto essendo già teso con 500 gr., vi si aggiungono e si levano per 8 volte di seguito 200 gr., e quando in basso rilasciato il muscolo si aggiunge e si leva per 6 volte îl medesimo peso di 200 grammi, Riepilogando, si può dire: 1° Un muscolo, il quale sia già allungato da un forte peso, se viene ancora disteso con pesi successivi, presenta una retrattilità diminuita; 2° Facendo una serie di estensioni in un muscolo il quale sia già allungato da un forte peso, si vede che la retrattilità va sempre diminuendo; 3° Scaricato il muscolo completamente, esso presenta in una serie di estensioni un forte aumento nella retrattilità, in paragone delle estensioni fatte sotto l'azione del peso. Questo che io ho detto, vale per un muscolo il quale successivamente sia disteso e rilasciato, mentre è costantemente sotto l’azione di un peso forte; ora conviene Vedere quale influenza possa esercitare sulla tonicità muscolare l’avere prima disteso il muscolo con un forte peso e poscia l'averlo rilasciato completamente. 136 ALBERICO BENEDICENTI 16 In altre parole noi dobbiamo domandarci se laver prima disteso il muscolo con un forte peso, liberandolo subito dopo può renderlo più o meno distendibile per allungamenti successivi fatti con pesi minori. Riferisco i dati di una esperienza fatta sul soldato alpino Sabot nel giugno del 1894. Le prime estensioni fatte con gr. 200 sono alte 12 mm., le altre quattro con gr. 900 sono alte 60 mm. e le successive di nuovo con gr. 200 sono alte 20 mm. Confrontando queste colle prime, si nota che la estensibilità muscolare è maggiore, per cui da questo e da altri amaloghi tracciati, fatti anche con pesi successivi, possiamo concludere che un allungamento rapido e forte del muscolo, ma di brevissima durata, rende il muscolo più estensibile di quello che fosse normalmente. Sui mutamenti della tonicità in seguito ad una serie di estensioni fatte eseguire al muscolo. Vediamo ora come si comporti il muscolo, estendendolo e rilasciandolo successi- vamente sempre collo stesso peso, in periodi di tempo uguali ed indipendentemente del muscolo tricipite surale eseguite con un peso di 470 gr. di mercurio (2068 gr. applicati al tendine d'Achille). La linea AB, che unisce la base delle successive curve nei punti di riposo del muscolo, è inclinata sull’ascissa. Fig. 8. — Dieci estensioni da ogni variazione di altro genere. Se distendiamo un muscolo e poscia lo rilasciamo, e subito dopo noi lo estendiamo di nuovo ricaricandolo col medesimo peso, noi vediamo che la retrattilità immediata va nella maggior parte dei casi regolarmente dimi- nuendo, cioè il muscolo rimane sempre un po’ più raccorciato che nella esperienza precedente, come si vede guardando la fig. 8, nella quale unendo la base delle suc- cessive curve nei primi punti di riposo del muscolo, si ottiene una linea AB leg- germente inclinata sull’ascissa. Nella fig. 8 sono scritte successivamente 10 curve della elasticità con un peso di gr. 470. La linea che unisce gli apici delle curve, è una linea pressochè paral- lela all'aseissa. Dal che risulta il fatto importante, che la retrattilità del muscolo diminuisce anche in una serie di estensioni consecutive o in altre parole che au- menta la sua tonicità. Questo è vero nella maggior parte dei casi, ma non sempre, perche se le estensioni sono fatte molto rapidamente e con un peso unico, può darsi che il muscolo ritorni sempre completamente o quasi alla sua primitiva lunghezza. Nelle estensioni fatte con peso uniformemente cr | | 1 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 137 cente o con pesi in progressione aritmetica e ad intervalli uguali di tempo, è però sempre ben. distinto quest au- n mento di tonieità muscolare per effetto di successivi distendimenti. | Rimane. a cercarsi,se un muscolo esteso più volte e poi lasciato a sè e com- | pletamente scarico, ritorni o no più presto alla lunghezza. primitiva, che non quando | sia stato esteso per una sol volta e poi rilasciato. Se si esamina un tracciato il quale dà la misura della retrattilità susseguente, | dopo. una e dopo tre estensioni e per un intervallo di tempo uguale; silvede che | | non vi è una differenza sensibile nella retrattilità susseguente. Anche in altri trac: | ciati, nei quali il muscolo sia esteso per tre volte e poi rilasciato libero per un certo | periodo di tempo e poscia di nuovo disteso per tre volte e rilasciato, e così di seguito; | non vi furono differenze. Si può dunque conchiudere che: In una serie di estensioni e rilasciamenti praticati successivamente in un muscolo senza intervallo di tempo, la | retrattilità va diminuendo ed aumentando la tonieità. Questo aumento di tonicità i | per effetto delle estensioni & più evidente, se lallungamento del muscolo è fatto lentamente. Il numero delle estensioni non ha grande influenza sulla retrattilità sus- seguente, che si manifesta in un dato periodo di tempo, allorquando ik muscolo sia | | zu liberato dal peso. | Mutamenti della tonicità muscolare dopo una contrazione volontaria prolungata. Per ottenere una contrazione prolungata del tricipite surale obbligavo la persona à Soggetta all'esperienza a rimanere sulla punta dei piedi per un tempo più o meno | Fig. 9. — Modificazione della tonicità prodotta da una contrazione prolungata. — I. Quattro estensioni d miotonometriche fatte con peso di 500 grammi in stato normale, — II. Altro quattro estensioni eseguite H sullo stesso individuo e collo stesso peso, subito dopo una contrazione volontaria prolungata. $ d LN lungo; applicando subito dopo il miotonometro, eseguivo una serie di estensioni del dr muscolo tricipite surale nel modo sopra descritto. I tracciati della fig. 9 rappresen- Mj tano in modo schematico una di queste esperienze fatta su Pessione il 3 gennaio 1893. Il primo tracciato è la curva miotonometrica di quattro estensioni fatte subire al muscolo tricipite surale “con un peso crescente di mercurio, applicato durante un |] intervallo di tempo di due ‘minuti e rappresenta il tracciato normale. Dopo il gio- SERIE IL Tom. XLVI. R 138 ALBERICO BENEDICENTI 18 vane Pessione sta per sette minuti sulla punta dei piedi. Finita questa forte con- trazione, si applica nuovamente il miotonometro e facciamo altre quattro distensioni del muscolo, che sono rappresentate dal secondo tracciato. Il peso usato in entrambi i casi, cioè prima e dopo la contrazione, fu sempre di 500 grammi di mercurio. Confrontando fra di loro questi tracciati, si vede chiara- mente che l’effetto di una contrazione prolungata del muscolo si esplica facendo si che il muscolo stesso si lascia poscia distendere meno, od in altre parole si mani- festa con una diminuzione dell'estensibilità. Quest’ aumento della tonicità non si manifesta però, se la contrazione è talmente prolungata da condurre all’affaticamento del muscolo. Boudet aveva già osservato che nel muscolo affaticato diminuisce rapi- damente l'elasticità. Cid che io ho trovato come proprio del muscolo assoggettato ad una contrazione prolungata, può verificarsi anche se la distensione muscolare è ese- guita con pesi diversi crescenti in progressione aritmetica. Tonicità del muscolo dopo una estensione forzata e prolungata. Per estendere il muscolo tricipite surale nell'uomo flettevo esageratamente il piede sulla gamba e lo mantenevo così flesso per un tempo più o meno lungo. La figura 10 rappresenta i dati di una esperienza eseguita il 3 gennaio 1893 sul giovane Pessione. Il primo tracciato rappresenta in modo schematico le curve miotonometriche di TEEN H O A E CADA LP RL I TT 1 EEE EEE anna Sek GH SU CRUE m ji ET AA y / i ini JE i-r rrt] ri f NEC À Hu ini Y sa 1 1 EA ES F li ji À j 20 H I I i Ser Wl À 15 f 4 F H 10 Hj 0 ER d Il Fig. 10. — Modificazione della tonicità prodotta da una distensione passiva prolungata. — I. Quattro curve miotonometriche eseguite con un peso di 500 gr. di mercurio. — II. Altre quattro curve eseguite collo stesso peso e sullo stesso individuo subito dopo un'estensione prolungata. quattro estensioni subite dal muscolo tricipite surale con un peso di 500 gr. ad inter- valli eguali di minuti due, in condizioni normali. Dopo aver flesso con forza il piede, ripeto nel tracciato secondo un numero eguale di curve miotonometriche col medesimo peso e ad intervalli eguali di tempo. La dif- ferenza dei risultati che si ottengono dopo una forte estensione, è evidente. Il muscolo tricipite surale per un eguale peso si lascia distendere assai più che non lo facesse prima. È come diminuita la tonicità del muscolo, e per una forte estensione prece- dente questo è divenuto più estensibile per il medesimo peso. | | | | I movimenti volontari esercitano un'azione evidentissima sulla retrattilità di un muscolo esteso e poscia liberato dal peso. Basta un movimento volontario per far scomparire l'allungamento residuale di un muscolo esteso e ricondurlo immedia- | tamente allo stato di primitiva lunghezza. Perd se la estensione del muscolo ha durato lungo tempo, e fu fatta con un peso considerevole, una semplice contrazione del muscolo medesimo non basta più, perchè questo ritornando al riposo riacquisti la sua lunghezza primitiva. | 19 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 139 | | Intorno a questo argomento non esistono, che io sappia, osservazioni fatte sul- y l'uomo, o sui muscoli striati degli animali a sangue caldo. (Ce invece una serie di il studi importanti fatti sulle rane. Siccome sarebbe inutile riferire qui la letteratura a di tale argomento, che fu trattata da parecchi scrittori, mi limiterò a ricordare il di) lavoro del Dott. Emil Gótschlich il quale, sotto la direzione del Prof. R. Heidenhain, ‘accolse con diligenza quanto vi è di più interessante intorno-a questo argomento. Le ricerche di Gótschlich vennero fatte esclusivamente sul muscolo sartorio | della rana, al quale attaccava un peso di 3 grammi, e trovò che il riscaldamento | produce una retrazione del muscolo. Altre volte perd vide che tale raccorciamento | Influenza della temperatura sulla elasticità muscolare. non si produceva nemmeno per temperature superiori a 27° e 28°, donde conchiuse che si tratta qui di un fenomeno eterogeneo e di natura complessa. S Durante il raccorciamento prodotto dal calore, Gótschlich trovò che l'eccitabilità elettrica del muscolo esisteva ancora, sebbene fosse molto diminuita. Le curve otte-, nute da Gótschlich nel muscolo raccorciato pel calore e successivamente raffreddato, corrispondono esattamente a quelle che io osservai studiando .col*miotonometro i h muscoli dell'uomo. Grünhagen (1) in un lavoro posteriore combatte alcune-delle idee di Götschlich. | | Egli dice che la diminuzione della estensibilità muscolare per effetto del calore non è un fenomeno puramente fisico, ma che è dovuta a cambiamenti che avvengono nel muscolo e a processi chimici assai complessi. Schmoulewitch (2), perd, fin dal 1868 aveva fatto degli studi sull'influenza che le variazioni forti della temperatura esercitano sui muscoli. Egli disse che se si i carica un muscolo con un peso e poi si rilascia, esso si raccorcia di più quando la | temperatura è elevata che quando è bassa. Ciò spiega, secondo Schmoulewitch, la | maggior rapidità nell'esaurimento degli abitanti dei paesi caldi. Anche le ricerche [ di Boudet dimostrarono che il freddo rende il muscolo meno retrattile, ma piü esten- ] sibile, mentre il caldo ne fa accrescere la retrattilitä, cosicchè un muscolo allungato e rilasciato ritorna più facilmente alla posizione primitiva. SEA PRATERIE 1 I (1) Grünnacex, Ueber die Würmekontractur der Muskeln. * Archiv f. g. Physiologie ,, 1894, vol. 55. (2) Scmwovnswircu, “ Journ. de l'Anat. et Physiol. ,, 1868 e * Compt. rend. Acad. des Sciences ,, vol. 68, p. 936. 140 ALBERICO BENEDICENTI 20 La temperatura dei muscoli della gamba l'ho modificata in due modi. Immer- gendo cioè direttamente tutta la gamba nell'acqua calda o nell'aequa fredda, oppure applicando localmente sui muscoli, per mezzo di una vescica, dell'acqua a differenti temperature. Per quest'ultimo modo mi servivo semplicemente di una vesciea che applicavo sulla faccia posteriore della gamba in corrispondenza del muscolo gastro- cnemio e la fissavo mediante una benda molto lassamente, in modo che nessun impe- dimento fosse arrecato ai cambiamenti di volume del muscolo. Tale veseic a era chiusa da un tappo a due fori attraversati- da due tubi, dei quali l'uno arrivava al fondo della vescica. Per quest'ultimo tubo messo in rapporto con un ampio recipiente collocato in alto, io facevo giungere del liquido nella vescica il quale poscia fuoru: iva dall’altro tubo ed andava a raccogliersi in un secondo recipiente collocato sul suolo presso al tavolo sul quale si faceva l'esperienza. Pe: tal modo era possibile avere nella vescica una continua circolazione di acqua calda o fredda a seconda che nel recipiente collocato in alto l'acqua veniva riscaldata con un fornello, o raffreddata col ghiaccio. Un termometro collocato nel liquido indicava esattamente la temperatura. Essendo il recipiente usato molto grande, la circolazione del liquido nella vescica poteva facilmente durare per molto tempo senza interru- Fig. 11. suce 2 di 50 grammi messi l'uno dopo l'altro. In corrispondenz IL Curva scritta cogli stess miotonometrica scritta con pesi dei punti AA vi è l'asci pesi mentre il muscolo è sotto l’azione di una temperatura elevat 0-419 zione, ed io lasciavo circolare l’acqua prima di incominciare a scrivere i tracciati e anche durante la registrazione grafica della elasticità. La figura 11 rappresenta una di queste esperienze fatta sul giovane Pentenero. Si comincia a scrivere la curva I che sta superiormente. Era il giorno 14 maggio, alle ore 4 pom. Si mettevano nel piattello del miotonometro dei pesi di 50 grammi, ad intervalli eguali di minuti uno. Vediamo che la curva presenta la solita forma e che aggiungendo successivamente dei pesi eguali fino a 500 grammi, diventano mag- giori gli allungamenti successivi. Quindi si scarica successivamente, levando col medesimo intervallo di minuti uno dei pesi eguali, e si ebbe la parte discendente della curva che rappresenta il raccorciarsi del muscolo. Vi rimane, come si vede, un allun- gamento susseguente abbastanza notevole. Poco dopo si cominciò a far circolare l’acqua calda nell'apparecchio per riscaldare il muscolo tricipite surale. Si continua per 20' a far passare dell’acqua alla tempe- ratura di 40°-41° nella vescica che sta sopra il muscolo. | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | 21 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 141 Quindi si scrive la curva Il; per poter mettere l'una sopra l'altra le due curve miotonometriche imprimo una velocità alquanto minore al cilindro. Il tracciato IT è Scritto col ritmo e eol peso di 50 grammi come il precedente. Si vede che il muscolo si lascia distendere meno. E quasi metà minore l'allungamento che è succeduto nel muscolo per il medesimo peso. Scaricando il muscolo nel modo anzidetto rendesi evidente la rotrattilità accresciuta. Infatti la curva scende sotto l'ascissa, mentre che prima era rimasta notevolmente al di sopra. In altre esperienze invece di applicare una vescica contenente dell’acqua calda su! muscolo tricipite surale, immersi tutta a gamba nell'aequa e la tenni immersa per un tempo non minore di 30' perché la temperatura di 41° a 429 avesse tempo a propagarsi internamente. Il giorno 7 maggio 1892, nel pomeriggio, feci prima quattro curve miotonome- triche sul giovane Pessione Chiaffredo. Le estensioni normali erano fatte con un peso solo di 400 gr. che si metteva tutto in una volta. Si lasciava che tendesse il mu- scolo durante un minuto e dopo lo si levava per rimetterlo nel minuto successivo. Le curve miotonometriche scritte a questo modo erano alte 40 mm. ciascuna. Dopo riscaldai il piede immergendolo nell'acqua fino al ginocchio, e la tempe- ratura dell’acqua era 41° a 42°. Riapplicato il miotonometro, l'altezza delle curve per il medesimo peso era solo di 32 mm. Qui però non apparve una differenza così sensibile come nella esperienza precedente. Riferisco anche brevemente una espe- rienza fatta per studiare l’azione della temperatura diminuita sulla tonicità musco- lare. Il 12 maggio 1892, alle ore 4 pom., applico il miotonometro al commissioniere Solaro. Faccio circolare nella vescica, posta sopra il muscolo tricipite surale, del- l’acqua raffreddata con ghiaccio: un termometro messo nel recipiente superiore segna + 4 gradi centigradi. Dopo 20 minuti primi dacchè circola l’acqua fredda, comincio à distendere il muscolo con pesi di 50 grammi messi successivamente l'uno dopo l'altro, fino ad avere un peso totale di 500 grammi, pari a 2068 grammi che si con- Siderano applicati al tendine di Achille. La curva che si ottiene à alta 4,5 centim. Il muscolo rilasciato non si raccorcia che di poco e rimane per lungo tempo allungato. Dopo una mezz'ora, cioè quando (avendo cessato di far circolare aequa fredda) il muscolo è ritornato alla temperatura normale, descrivo una seconda curva cogli Stessi pesi e lo stesso intervallo di tempo. La curva che si ottiene è alta 3,7 cent. ed il muscolo rilasciato presenta un allungamento residuale minore che nella prece- dente esperienza. Da queste esperienze e da altre fatte con un peso di mercurio uniformemente crescente, sia per elevate come per basse temperature, si può conchiudere: 1° È necessario sottoporre l’arto, nel quale si vuole esperimentare l'influenza che il calore esercita sulla elasticità muscolare, per un tempo non inferiore ai 20 mi- Nuti, sia al caldo come al freddo, perchè possano notarsi nel muscolo delle differenze sensibili. 2° Per l'azione del caldo e del freddo applicato localmente non si riscontrano grandi differenze nella estensibilità. Accade spesse volte quanto Gütschlich ha ricor- dato, che cioè l’azione della temperatura può rimanere senza influenza alcuna sul- l'allungamento del muscolo. " 3° Nel più delle volte per l'azione prolungata e locale di una temperatura elevata a 409-419 si nota una diminuzione della estensibilità muscolare ed un aumento 142 ALBERICO BENEDICENTI 22 della retrattilità. Questo concorda con quanto tutti gli autori hanno trovato speri- mentando sui muscoli degli animali e più specialmente colle osservazioni di Schmou- lewitch, di Gôtschlich e di Grünhagen. 4° Per l’azione locale del freddo sui muscoli dell'uomo si nota al contrario una maggiore estensibilità ed una diminuzione nella retrattilità. Anche questi feno- meni non sono sempre costanti. Un muscolo, sul quale l'allungamento secondario per lazione del freddo sia molto grande, può raccorciarsi lentamente se è poi sottoposto alla azione del calore. Influenza della fatica sulla tonicità muscolare. Weber aveva già osservato che i muscoli si allungano per effetto della fatica. Blasius (1), Schmoulewitch, Manswelt e Boudet confermarono tale osservazione fatta nelle rane. Il Prof. A. Mosso studio nell'uomo (2) l'allungamento del muscolo affaticato per mezzo dell’ergografo servendosi del miotonometro nella sua forma primitiva (3). Egli venne alla conclusione che la fatica allunga i muscoli producendo dei mutamenti nella loro tonicità. Egli sperimentò sopra diversi soldati prima e dopo una marcia di 36 km. con armi e bagagli, eseguita in una calda giornata di luglio. Egli vide che dopo la marcia il muscolo tricipite surale si lasciava distendere più facilmente. Per questo fatto conchiuse che tale mutamento nella tonicità del muscolo affaticato costituisce una condizione sfavorevole al lavoro ulteriore. In altre esperienze dimostrò che gli stessi muscoli lisci dei vasi sanguigni si lasciano distendere più facilmente dal peso del sangue che si accumula nel piede dopo una lunga marcia. Il dottor Dewèvre (4) poi recentemente asserì che anche nell'uomo i muscoli si allıngano per effetto della fatica e che in causa di tale allungamento & necessario uno sforzo maggiore per eseguire la contrazione e quindi un dispendio sempre mag- giore anche di energia nervosa. Anche Chauveau dice che nel muscolo affaticato la estensibilità è maggiore che nel muscolo normale, di modo che un muscolo stanco si lascia distendere più facilmente da un determinato peso che non un muscolo riposato. Le numerose esperienze da me eseguite col miotonometro mi conducono alla stessa conclusione che il muscolo si allunga per effetto della fatica e diviene per conseguenza piü facilmente estensibile. To ottenevo l’affaticamonto del muscolo tri- cipite surale della gamba facendo sollevare un peso attaccato alla punta del piede, con ripetute estensioni del piede stesso sulla gamba, ovvero piü semplicemente fa- cendo stare l'individuo soggetto all'esperienza per lungo tempo sulla punta dei piedi, od infine scrivendo la curva della elasticità muscolare prima e dopo una lunga (1) Brasrus, loc. cit., pag. 133. (2) Mosso, Le leggi della fatica nell'uomo. * R. Accademia dei Lincei ,, 1888. “ Archives ital. de Jiologie ,, tome XIII, pag. 123. Verhandl. des X Intern. med. Congres: es ,. Bd. II, Abt. II, pag. 13, 1891. s * Compt. rend. Société biologie ,, 1892, t. IV 23 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 143 | marcia. Ho potuto fare molte esperienze sopra alcuni soldati, i quali durante il pe- riodo di preparazione alla spedizione scientifica del Monte Rosa, fatta dal Prof. Mosso, hanno compiuto molte marcie a piedi da Ivrea a Torino (distanza 65 chilometri). In tali esperienze ho veduto che allorquando i soldati giungevano stanchi al Labo- ratorio, la tonicità muscolare era diminuita, perché i muscoli erano divenuti piü facil- | mente estensibili. | A conferma di queste asserzioni riporto il tracciato della fig. 12, in cui sono Sovrapposte due curve le quali rappresentano la tonicità muscolare del soldato Gorret prima e dopo la marcia. Il giorno 25 giugno 1894 il soldato Gorret, partito il mat- | tino di buon'ora da Ivrea, con armi e bagagli, arrivo al Laboratorio alle ore 3 pom. cogli altri suoi compagni in stato di profonda stanchezza. La temperatura rettale, 1 Fig. 12.°— Mutamento della tonicità muscolare prodotto dalla fatica. — I. Curva miotonometrica normale per una serie di 10 pesi, i ciascuno di 50 grammi, — II. Curva miotonometrica dopo una marcia di 65 chilometri. appena giunto al Laboratorio, era di 409,3. Dopo un riposo di due ore, quando il (m polso, il respiro e la temperatura si avvicinavano alla normale, si scrisse il trac- ciato 2 della fig. 12. Ad ogni 15" si metteva sul piattello del miotonometro un peso d di 50 grammi, fino al totale di 500. Due giorni prima erasi già scritto nel mede- Simo modo il tracciato 1 della fig. 12. Parecchie altre esperienze fatte nel riposo nei giorni successivi diedero un tracciato eguale per il soldato Gorret. In questi due esempi, come in tutte le altre esperienze analoghe fatte su altri Sonno profondo. A priori si potrebbe credere che il tono muscolare diminuisce nel sonno e che i muscoli si lasciano distendere più facilmente. Lo stato di rilasciamento che i mu- | Scoli presentano negli individui addormentati, la diminuzione dei riflessi durante il soldati, è evidente la diminuzione di tonicità prodotta dalla fatica nel muscolo. | La tonicita muscolare nel sonno. | | Una parte considerevole delle -esperienze da me fatte furono eseguite nel sonno. | Molte nel sonno leggero, come quello che succede nell'estate quando le persone (d rimanevano delle ore intere sedute sullo scanno, mentre era loro applicato al piede | il miotonometro. Altre furono eseguite appositamente nella notte per ottenere un Ji | d 144 ALBERICO BENEDICENTI 24 sonno, constatata da Rosenbach (1), la risoluzione delle contratture idiopatiche nel sonno naturale, o ottenuto con narcotici, sono fatti i quali ci conducono ad ammet- tere che la tonicità è diminuita; Cosa che è del resto accettata da Berthold e Blasius nei loro scritti. Questi occupa diverse pagine del suo lavoro sul tono per parlare dell’influenza che il sonno esercita sul tono medesimo; nota, come già Galeno aveva osservato, che la tonicità di alcuni sfinteri dura anche nel sonno, ma che in alcuni scompare, come ad esempio in quello della bocca, dalla quale, durante il sonno, può fuoruscire la saliva; dice che lo svanire del tono muscolare nel sonno è dimostrato anche dal penzolare del capo e dall'abbassarsi della mascella inferiore: egli ricorda i casi di-contrattura dei muscoli che spariscono nel sonno e ritornano nella veglia. a} | | dottor A. Treves: (2) nelle sue esperienze sui movimenti dell'occhio durante la cto- roformizzazione, eseguite in questo Laboratorio, ha trovato che il tono muscolare non solo è conservato nei quattro retti dell'occhio durante il sonno cloroformico, ma che anzi può dirsi aumentato. Altre osservazioni furono fatte sulle variazioni del tono muscolare nell'uomo durante il sonno provocato. Sono qui da ricordarsi i lavori di Richet (3), Lowenfeld, Buccola, Seppilli, Beaunis (4), i quali constatarono durante lo stato ipnotico un aumento della tonicità. Feré (5) dal canto suo fece notare l’influenza esercitata dal sonno e dalla oscurità sui muscoli, rilevando una notevole diminuzione nella forza e nella contrattilità mu- scolare. Egli anzi erede che si possano così spiegare certi casi di paralisi notturna citati da Ormerod, Weir-Michell ed altri. Il Prof. Mosso (6) ha eseguito col Dott. Pellacani delle ricerche sulle modthiea- zioni del tono della vescica durante il sonno ed egli constata che avvengono molte variazioni nella tonicità della medesima, ma che in. regola generale la vescica. si lascia più facilmente distendere negli animali profondamente addormentati col clo- ralio. Alle stesse conclusioni giunge per ciò che riguarda i movimenti dell'inte- stino (7), mentre egli ha trovato che il sonno aumenta la tonicità dei muscoli delle pareti vasali, riparando cosi allo sfiancamento che tali pareti dei vasi subiscono durante il giorno per il peso del sangue, specialmente nelle estremità del corpo (8). Le molte ricerche da me eseguite sulla tonicità muscolare nell'uomo, mediante il miotonometro, mi condussero a conchiudere che nel sonno leggero non esistono differenze grandi ed evidenti nella distendibilità muscolare tra il sonno e la veglia. E questo lo si vede facilmente sovrapponendo alcune curve della tonicità scritte (1) Rosensaca, Das Verhalten der Reflexe bei Schlafenden. “ "Zeitsch. f. klin. Mediz. ,, I, 1880. (2) Tr , Observations sur les mouvements de l'œil chez les animaux durant la narcose, “ Archives italiennes de Biologie ,, 1895, vol. XXIII. (3) Rrcner, * Compt. rend. Société biologie ,, 1890. (4) Buaunıs, Sonnamb. provoqué. “ Bibl. scient. contempor. ,. Paris, 1887. (5) Furt, Conditions physiolog. des émotions. “ Revue philosoph. ,, 1887. (6) Mosso e PxLrAcANr, Sulle funzioni della vescica. “ Atti R. Accad. Lincei ,, 1881.82. (7) Mosso e Prrracanr, Ricerche sui movimenti dell'intestino. “ Reale Accad. Lincei ,, vol. VI, serie 3°, Trans. (8) Mosso, I} sonno sotto il rispetto igienico. " Giorn. Soc. Igiene ,, anno IV, 11-12. 25 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 145 nella veglia e nel sonno. Una differenza esiste quando il sonno è profondo e le con- dizioni dell'esperienza sono buone; ma è raro di ottenere che la persona soggetta all’esperienza dorma profondamente e di un sonno prolungato. In tal caso si osserva che durante il sonno l'allungamento residuo del muscolo è minore, cioè che il muscolo allungato e poscia rilasciato ritorna più presto e più completamente alla posizione primitiva. Questo aumento nella retrattilità è quasi sempre accompagnato da una diminuzione nella estensibilità, la quale benchè non sia molto grande, è però sensibile. Il sonno quindi agisce nello stesso modo del caldo, cioè aumentando la retrattilità e diminuendo la estensibilità, od in altre parole, il muscolo allungato torna più facilmente alla lunghezza primitiva allorchè è scaricato del peso, ma per pesi uguali si lascia distendere un poco meno nel sonno che nella veglia, cioè pare che si aumenti la sua tonicità. Ciò, ripeto, tutte le volte che l’in- dividuo dorme profondamente ed a lungo. LLL FE A B O D Fig. 13. — Curve miotonometriche eseguite distendendo il muscolo con 600 gr. — Da A in B l'individuo è sveglio. — Da B in € dorme profondamente, la retrattilità aumenta. Da C in D si sveglia di nuovo. Riferisco colla fig. 13 il tracciato di un'esperienza fatta su Pessione Chiaffredo il 12 novembre 1892. Invece di scrivere la curva sul cilindro col miotonometro vo- lendo prolungare l'osservazione durante il sonno, mi contento di leggere sul quadrante i valori delle distensioni e delle retrazioni del muscolo gastrocnemio, mentre faccio agire un peso di 600 grammi di mercurio. Dopo aver fatto le prime 5 esperienze rappresentate da À in B del tracciato 13, Pessione Chiaffredo si addormenta da B in C. Tutte le esperienze successive, fino alla 14*, furono fatte nel sonno. Si vede che l'allungamento residuo è minimo e che il muscolo si avvicina all’ascissa. Nelle curve precedenti della veglia persisteva un legger grado di retrazione ad ogni singola esperienza, per cui la parte inferiore delle s Serre II. Tom. XLVI. ————————————— ttt Be ne ee rn a 146 ALBERICO BENEDICENTI 26 curve formava una linea ascendente. Appena si stabilisce il sonno, la base delle curve comincia a discendere, come se la tonicità del muscolo fosse modificata. Alla 14* estensione Pessione si sveglia nel punto C segnato da una freccia e immediatamente si modifica la tonicità del muscolo, perchè levato il peso, esso non ritorna più alla lunghezza primitiva, ma rimane considerevolmente retratto nella sua posizione di riposo. Nelle tre successive esperienze aumenta la sua retrattilità. È singolare però che il valore delle distensioni del muscolo siano così poco diverse nella veglia e nel sonno. L'essere la linea superiore quasi parallela alla linea infe- riore, prova che il fenomeno non è tanto semplice quanto parrebbe. Qui non trattasi solo di un cambiamento di tonicità, perchè in tale caso il muscolo dovrebbe lasciarsi distendere meno. 6 Influenza dell'attenzione sulla tonicita muscolare. Wundt (1) asserisce che i muscoli sono solo secondariamente ed in via simpa- tica influenzati dall'attenzione. Blasius consacra un intero capitolo del suo lavoro sul tono per studiare l'influenza che su di questa esercitano le emozioni. Egli dice che le emozioni deprimenti, quali la paura, l'angoscia, il terrore, fanno diminuire la tonicità dei muscoli volontari e degli sfinteri, mentre essa aumenta per effetto delle piacevoli emozioni. Le condizioni fisiologiche delle emozioni furono pure studiato da Feré, il quale dimostrò come per effetto di calcoli complicati o del lavoro intel- lettuale diminuisce la contrattilità muscolare. Questa stessa cosa già aveva osservata il Tissot (2), perd solo il Feró ebbe il merito di fare delle esperienze esatte in pro- posito. Ponendo in un’ isterica un miografo sull’estensore comune dell’avambraccio e sul peroneo laterale, vide che per eccitazioni sensoriali si manifestava un aumento di tonicità in entrambi i muscoli, ovvero in uno solo e di preferenza in quello del- Parto superiore. Feré dice che le eccitazioni od emozioni gradevoli portano sempre un aumento di tono muscolare almeno nell’arto superiore. Le sensazioni penose, come per esempio degli odori nauseanti o gli ultimi colori dello spettro, o la presenza di una civetta sulla finestra, ecc., portano aumento del tono nell'arto superiore e dimi- nuzione nell'inferiore, mentre le emozioni molto penose producono diminuzione della tonicità sia nell'arto superiore, come nell'inferiore. Bichet disse che l'attenzione puo influire sulla tonicità muscolare, come nelle altre proprietà dei muscoli. Le esperienze che io ho eseguito concordano nel far ammettere che l'attenzione eserciti realmente un’ influenza sui muscoli dell'arto inferiore, aumentandone la to- nicità. A dimostrazione di questo riferisco con dei numeri i risultati di un tracciato il quale si riferisce ad una esperienza fatta il 21 gennaio 1892 sul commissioniere Pessione Chiaffredo. (1) Wunpr, Physiolog. Psychologie, 1* ediz., p. 128-94. (2) Tıssor, De la santé des gens de lettres, 1874, p. 43 27 LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA WELL UOMO 147 Esaminavo l'estensibilità del gastrocnemio mentre lindividuo soggetto all'espe- rienza leggeva e mentre era distratto. In questa esperienza come in altre ana- loghe si vede che il muscolo durante la lettura si lascia distendere meno per uguale peso. Tale differenza era ancor piü sensibile se il Pessione invece di leggere dei caratteri stampati leggeva un manoscritto, poichè ciò gli costava una maggior fatica intellettuale, mentre era minore se durante l’esperienza faceva dei calcoli mental- mente, poichè pel suo mestiere e pel lungo esercizio aveva acquistato in ciò una rara abilità. Le prime sette curve del tracciato al quale qui mi riferisco sono scritte con un peso di 50 cc. di mercurio. Alla fine della 2è estensione si fa leg- gere al Pessione un brano di un giornale e più tardi, alla fine della quarta, un manoscritto. Questa esperienza dimostrò come con un egual peso di mercurio il muscolo si lasci distendere molto meno ed abbia inoltre una minore retrattilità. La settima esten- sione è eseguita con un peso di 50 ce. di mercurio mentre il Pessione è distratto; l'ottava invece con 60 ce. di mercurio e durante la lettura. Qui pure è evidente che l'aumento del peso non è avvertito dal muscolo e che l'attenzione agisce come una potenza inibitrice rendendo il muscolo meno estensibile e meno retrattile. Ma ciò che è più interessante si è che possono verificarsi degli aumenti passeggeri nella tonicità dei muscoli anche durante il sonno, e per effetto di fenomeni psichici. Il Prof. Mosso ha già dimostrato per mezzo della bilancia che allorquando un individuo dorme, si può avere senza che questo si svegli un maggiore afflusso di sangue all'encefalo per effetto di eccitamenti psichici: lo stesso accade per la tonicità dei muscoli, che può essere aumentata in modo evidente, come dimostra l’esperienza seguente, fatta su Pentenero nel maggio nel 1894, dalle 11 alle 12 antimeridiane. Egli si addormenta subito profondamente. Io distendo il muscolo con pesi di 50 gr. messi l'uno dopo l’altro, lasciandoli agire per l'intervallo di 1 minuto primo. Durante la 5* estensione, cioè mentre il muscolo à carico di 250 gr., passa un carro nella via. Si ha un abbassamento della punta del piede di 2 mm., il quale dura circa ' minuto, indi il muscolo ritorna alla lunghezza primitiva. Durante la 6° ed 8? esten- sione, succede lo stesso fenomeno mentre passano due altri carri nella via. L’indi- viduo continua a dormire profondamente. Il tracciato è di una grande regolarità. Dopo aver disteso il muscolo con 500 gr., comincio a rilasciarlo togliendo successi- Vamente i pesi dal piattello del miotonometro pure coll’ intervallo di 1 minuto. Mentre il muscolo è disteso ancora da 250 gr., il professore chiama ad alta voce l'inserviente in una camera vicina. Si nota subito un aumento assai sensibile nella tonicità, che dura circa duo minuti, indi il muscolo torna alla lunghezza primitiva, e tutto questo successe senza che l'individuo si sia svegliato. Egli si sveglia solo Molto dopo e non ricorda di essere mai stato disturbato durante il suo sonno. Se l’aumento di tonicità deve considerarsi come un periodo di preparazione all’azione muscolare, non si può fare a meno di collegare questo fatto con quanto già il Prof. Mosso osservò colla bilancia, attribuendo loro un medesimo significato. Infine, se è vero quanto Boudet ha scritto, che tutte le volte in cui l'estensibilità è diminuita la contrattilità è aumentata, bisogna convenire che i fenomeni psichici ber sè stessi aumentano la contrattilità muscolare e che questa diminuisce, come Feré ha detto, solamente nei casi, ad esempio, in cui il lavoro intellettuale sia 148 ALBERICO BENEDICENTI — LA TONICITÀ DEI MUSCOLI STUDIATA NELL'UOMO 28 stato lungo e assai difficile ed abbia condotto ad un grave affaticamento dei centri nervosi. L'aumento di tonicità dei muscoli striati da me osservato durante l'attività cerebrale si accorda con quanto osservò il Tschiriew e con quanto avevano già stabilito i Prof. Mosso e Pellacani (1), i quali trovarono un aumento del tono della vescica e dell’intestino per effetto dei fenomeni psichici. (1) A. Mosso e Pernacani, Contractions de la vessie chez la femme pendant l'activité cérébrale. “ Archives ital. de Biologie ,, tome I, pag. 106. | | | | | | | | | I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI RICERCHE ISTOLOGICHE MEMORI A Dott. DANIELE ROSA CON UNA TAVOLA Approvata nell’ Adunanza del 22 Mareo 1896. INTRODUZIONE In questi ultimi tempi si sono moltiplicati i lavori sui linfociti degli invertebrati, ma pochissimo si è fatto su quelli degli oligocheti. E pure questi annellidi sono par- ticolarmente adatti ad essere studiati sotto questo riguardo perchè sono tra i pochissimi invertebrati in eui il sistema linfatico sia ben separato dal sistema sanguigno e che non offrano perciò confusi insieme elementi così eterogenei come avviene invece negli artropodi, nei molluschi, negli echinodermi che son presi per solito come oggetti di studio. Gli oligocheti inferiori per la loro trasparenza lasciano facilmente scorgere i loro linfociti, tantochè in certi gruppi, p. es., negli enchitreidi, la forma di essi serve come carattere per distinguere le specie; questi elementi però sono in generale troppo piccoli per dare buoni risultati istologici. To ho scelto come materiale di lavoro i lumbricidi che sono per questo studio molto raccomandabili poiché il loro celoma contiene una quantità enorme di linfociti (ben distinti dai globuli sanguigni confinati nei vasi) (1) che si possono avere inal- terati per lo studio senza incidere l’animale: infatti il celoma dei lombrichi comu- niea coll'esterno per pori dorsali dai quali i vermi se irritati emettono facilmente la linfa. (1) Noto a questo proposito che i globuli sanguigni dei lombrichi, la cui esistenza fu spesso negata, sono molto rari nei tronchi maggiori. Tali globuli ho invece trovato molto abbondanti nei vasi che circondano i nefridii, e sopratutto nelle dilatazioni che essi presentano; nella Allolobophora foetida, dove li ho visti, sono rotondi, del diametro di circa 10 4 con un nucleo di circa 4 u. 150 DANIELE ROSA 2 Nessuno aveva mai descritto la forma veramente normale dei linfociti dei lom- brichi, si parla solo di cellule granulose che dai più sono confuse con cellule cloragogene staccate e di cellule ameboidi che son sempre descritte in uno stato di degenerazione che non ha piü nulla a fare colla forma normale. Le mie osservazioni mi hanno condotto a distinguere nei lumbricidi quattro sorta di linfociti: 1° Linfociti mucosi, presenti solo nell’Allolobophora rosea (= A. mucosa): sono linfociti non ameboidi che alterandosi fuori dell'organismo non presentano i così detti fenomeni di diffluenza proprii degli amebociti; sono lenticulari, senza inclusi, del dia- metro di sino a 100 p. 2° Linfociti oleosi (eleociti), presenti solo nelle specie che hanno linfa più o meno gialla (es. A. foetida e chlorotica), non ameboidi e senza i fenomeni di diffluenza degli amebociti, di consistenza semiliquida per cui la forma è variabile, in riposo sferica o discoide con diametro di sino a 80 u, e muniti di uno strato periferico di globuli oleosi. 3° Linfociti ameboidi (amebociti), presenti in tutte le specie, piccoli ed aventi allo stato normale forma sferoide con varii pseudopodii petaloidi, qualcuno piriforme con un solo pseudopodio digitiforme. 4° Linfociti vacuolari, frequenti sopratutto nelle specie con pochi eleociti, talora non distinguibili dagli amebociti piriformi, ma i maggiori non piü ameboidi, globosi o discoidi del diametro in quest’ultimo caso di sino a 50 u, con struttura vacuolare. In questo lavoro le diverse forme son descritte. coll'ordine 2, 8, 4, 1. Ho descritto minutamente questi linfociti dimodoché queste osservazioni sono anche un contributo alla conoscenza dei linfociti in generale, e i risultati avuti non si applicano ai soli lumbricidi; citerd fra altre osservazioni interessanti che mi vennero fatte quella della presenza delle centrosfere negli ‘eleociti. Ho anche avuto occasione di confermare le osservazioni del Cattaneo sulla forma normale e sulla diffluenza dei linfociti malgrado le opposte vedute recentemente emesse dall'Owsjannikow. : Non ho trattato la questione dell'origine e dell'evoluzione di queste varie forme di linfociti pel quale studio questo lavoro offre perd la base che finora mancava, tut- tavia ho aggiunto un capitolo su questo argomento perché quanto è detto in questo lavoro basta già a confutare una fra le piü recenti teorie emesse a tale riguardo, quella del Cuenot. Per la descrizione delle specie citate si può ricorrere alla mia “ Revisione dei Lumbricidi , in Mem. Accad. Scienze, Torino, 1893; oppure al Beddard * A Monograph of the Order Oligochaeta , Oxford, 1895. ELEOCITI Designo col nome di eleociti certe grandi cellule non ameboidi, ricche di globuli adiposi gialli uniformemente disposti alla superficie le quali sono sospese, talora in grandissimo numero, nel liquido celomico di molti lumbricidi. È noto da gran tempo che molti lombrichi quando siano irritati mandano fuori dai pori dorsali un denso umore giallo che ha talora uno spiacevole odore; questo | | | | | | | | | 3 1 LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 3 151 umore deve appunto la sua colorazione a tali cellule che però possono anche essere presenti in numero abbastanza piccolo da non colorare visibilmente il liquido. Questo liquido giallo è abbondantissimo sopratutto in tre lombrichi comuni in tutta la regione paleartica cioè nell Allolobophora foetida (Sav.) [= Lumbricus olidus Hoffm.], nell’ A. chlorotica (Sav.) [= Lumbricus riparius Hoffm.] e nell A. putris (Hoffm.) [= A. subrubicunda Eisen.]. L'ho pure trovato abbondante nell'A. veneta Rosa; anche l'A. rosea (Sav.) [= A. mucosa Kisen.| contiene tali eleociti ma in quantità minore tantochè il liquido che essa emette in gran copia dai pori dorsali non ne è che poco o punto colorato. Nelle citate specie, gli eleociti non sono localizzati ma escono da tutti i pori dorsali. Vi sono specie in cui essi appaiono localizzati in certi segmenti trovandosene Un deposito nel 13° segmento ed un altro all'estremità posteriore del corpo, e man- cando quasi totalmente altrove. Tale localizzazione si nota in tre specie affinissime fra loro cioè nell’Allolobo- Phora complanata (Dugès), nell’ A. transpadana Rosa e nell A. cyanea (Sav.) [= A. pro- fuga Rosa]. Questo fatto, già notato dal Savigny, aveva attratta la mia attenzione poichè speravo di trarne qualche indicazione sul luogo di formazione di quelle cellule. Ho però potuto accertare che questa localizzazione è dovuta a cause interamente meccaniche, al fatto cioè che gli eleociti, come tutti i corpi sospesi nella cavità celomica dei lombrichi tendono sempre a portarsi all'indietro, certo per effetto delle contrazioni locomotorie delle pareti del corpo. È un fatto che fu già spesso notato che nella parte posteriore del celoma dei lombrichi si trovano sempre in maggiore abbondanza parassiti diversi, ammassi di setole vecchie ecc. Qui dunque si accumulano anche gli eleociti mentre l’altra accumulazione di ei che si trova nel 13° segmento è dovuta al fatto che qui gli eleociti prodotti nella parte anteriore del corpo sono impediti dal portarsi più indietro per la presenza in quella regione di alcuni disse- Pimenti che a differenza degli altri sono completi e non lasciano comunicare le cavità celomiche contigue. Infine molte specie di lombrichi mancano costantemente di eleociti. Tale è il Caso per tutte le specie del gen. Lumbricus (str. sensu), p. es. nel L. herculeus (Sav.) = L. agricola part. Hoffm.], nel L. rubellus Hoffm. e nel L. castaneus (Sav.) [=L. pur- Pureus Eisen], ed anche per la comune Allolobophora caliginosa (Sav.) [= L. turgida Eisen], della qual specie la var. trapezoides (A. trapezoides Dugès) ne contiene però talora in piccola quantità. Molte altre specie di lombrichi emettono dai pori dorsali del liquido giallo che certo è anche dato da eleoeiti; tali sono l'A. icterica (Sav.), VA: Molleri Rosa, VA. dubiosa (Oerley), l'A. Hiseni (Levinsen), ecc. Lo stesso vale per varii terricoli esotici non appartenenti più ai veri lumbri- cidi. Così il Perrier nota (1) che dai pori dorsali “ plusieurs espèces de Lombrices de “ nos pays et les Perichaeta au moins parmi les lombriciens (senso largo) exotiques lancent “ quand on les inquiète une humeur jaunâtre épaisse, d'une odeur extrêmement péné- I ae (1) * Arch. de zool. expérimentale » t. III, 1874, p. 849. rete e 152 DANIELE ROSA 4 * trante, rappelant celle que dégage l'humeur qui suinte des différentes parties du “ corps des coccinelles quand on les saisit ,. Precisamente fra le Perichaeta è segnalata dal Beddard come emettente liquido giallo la P. barbadensis. È da ricordare che gran parte dei terricoli esotici appartengono a famiglie in cui mancano sempre (moniligastridi e geoscolicidi) o molto spesso i pori dorsali; sarebbe interessante sapere se in tali casi manchino pure gli eleociti nel celoma; a priori ciò sembra probabile. Non ho creduto inutile notare quali specie presentino questi elementi perche qualche autore ha creduto che essi fossero eostanti in tutte le specie variando solo secondo il grado di nutrizione dell'animale e su questa base fallace ha edificato teorie sull'origine degli amebociti. , Accenno al Cuenot che anche recentemente parlando dei lombrichi in generale ha queste espressioni: “ On peut même reconnaître à la vue extérieure un ver de “ terre bien nourri d'un ver de terre misérable; l'intestin du premier est recouvert * de cellules mûres, le liquide périviscéral est rempli de chloragogènes, ce qui donne “ une coloration jaune à l'animal; le second ver, au contraire, est rosé ou rougeâtre * et le liquide qui s'échappe par une incision, est à peu près incolore , (1). A parte l'errore che il Cuenot condivide con altri autori che le cellule che colorano in giallo il liquido periviscerale siano cellule cloragogene staccate dall'in- testino (o meglio dai suoi vasi), devo insistere sul fatto che la presenza degli eleociti, la cui maggiore o minore abbondanza può dipendere dalla nutrizione, non è un carattere proprio di tutte le specie. Che la presenza di questo liquido giallo e la sua emissione dai pori dorsali costituiscano una difesa per l’animale, fu già affermato da molto tempo (p. es. dal- l'Hoffmeister, 1845), ed è sopratutto evidente per le specie in cui esso ha un cattivo odore, come per l'Allolobophora putris e sopratutto per l'A. foetida. A questo pro- posito ho notato che quando il liquido celomico è ricco di tali cellule gialle esso è emesso con grande facilità pei pori dorsali al minimo contatto, mentre le specie prive di eleociti non lasciano uscire che difficilmente il liquido periviscerale. Questi fatti biologici sono d'importanza per comprendere la natura istologica e la fisiologia degli eleociti. Si tratta qui, come vedremo, di cellule realmente non ad altro destinate che ad essere emesse e che non si trasformano certo, come crede il Cuenot, in amebociti. Sono cellule poverissime di protoplasma, comparabili alle cellule in istato di degenerazione pigmentale che dànno origine al nero dei cefalopodi. Dal punto di vista istologico questo liquido giallo & stato pochissimo studiato. Nel 1836 il Suriray (2) aveva disegnato fra i prodotti organici ed i parassiti trovati nei lombrichi delle cosi dette rosaces (tav. 18, fig. 1, 2, 3), che sono forse i nostri eleociti. Nel 1843, l'Hoffmeister (3) dice a proposito dell’ Allolobophora foetida (Lumbricus (1) Cuzxor L., Études sur le sang et les glandes lymphatiques (2° partie: Invertébrés); in * Arch. de Zool. expér. ,, 2* série, t. IX, 1891. (2) “ Ann. Sc. Nat. ,, 2° série, t. VI, pp. 353-358, tabl. 18. (3) “ Arch. f. Naturg. ,, 1843, I, p. 190. 5 1 LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 153 olidus Hoffm.): * Der ganze Wurm ist sehr weich, das hintere Viertel seines Körpers ‘ist gelb gefürbt von einem dicklichen gelben Safte der in besonderen Drüsen zur * Seite der Respirationsblasen (nefridii) abgesondert wird. Er ist einen dünnen Emulsion ähnlich, hat einen widerlichen Geruch der sich nur mit dem Lactucarium vergleichen lässt, und wird zur Vertheidigung in Menge aus der Dorsalporen ausgepresst. Unter der Mikroskop erscheint er als eine schleimige Flussigkeit, in der eine Menge sehr kleiner Kügelchen, wie Fetttropfen, suspendirt sind. Bei näherer Untersuchung ergiebt sich die Materie als ein besonderer Harz ,. Nel 1852 il Williams (1) in un disegno rappresentante a piccolo ingrandimento le cellule linfatiche dei Lumbricus figura (tav. XXXII, fig. 22), certe cellule maggiori, discoidi, a grossi globuli o granuli che sono forse eleociti, perd nel testo egli descrive il liquido come incolore. Nel 1874 il Perrier (2) nota solo che i corpuscoli della cavità generale sono globuli perfettamente sferici muniti di nucleo e presentanti alla superficie numerosè granulazioni; anche queste espressioni sembrano riferirsi agli eleociti. Ancora nel 1886 l’Ude (3), parlando di questo liquido nell Allolobophora riparia Hoffm. (= A. chlorotica Sav.), lo descrive solo come una “ gelblich weisse Masse , che contiene i soliti amebociti ^ nebst einer grossen Menge von kleinen das Licht “ stark brechenden Kügelchen ,. Il Cuenot (l. c.) nel 1891 non dà descrizione degli eleociti e li considera solo come cellule cloragogene staccate, opinione che si ritrova in Ray-Lankester, Vogt e Yung ed altri. Nulla si trova a tal riguardo nel “ System und Morphologie der Oligochaeten , del Vejdovsky (1884) ed anche nella grande recente opera del Beddard * A Monograph of the Order Oligochaeta , (1895) si trova solo notato a pag. 26 che negli oligo- cheti superiori oltre agli amebociti piccoli vi sono dei grandi corpuscoli sferici carichi di granuli e vi è notato che le due sorta di globuli sopra indicati sono probabilmente solo stadii di accrescimento; quando la cellula diventa ricca di prodotti di escre- zione (?) essa naturalmente perde la sua attività di movimento ed assume la forma sferica. ` Per lo studio degli eleociti cioè delle cellule che colorano in giallo il liquido celomico mi sono servito sopratutto dell’ Allolobophora foetida nella quale questo liquido esce in abbondanza da tutti i pori dorsali quando l’animale sia irritato meccanica- mente o chimicamente (sopratutto con vapori di etere solforico). Gli eleociti dell’A. foetida quali si trovano allo stato vitale ed in perfetto equi- librio sono cellule sferiche del diametro medio di 25 u, limpidissime e caratterizzate da uno strato superficiale di globuli grassi non contigui. La consistenza di questi eleociti è però così minima che basta che essi si trovino alla superficie di un liquido o in immediata vicinanza colla superficie di un vetrino Perchè essi assumano immediatamente l’aspetto di sottili dischi del diametro di sino ü (1) Wirumus, On the blood proper and the chylaqueous fluid of invertebrate animals, * Trans. - Soc. » (2) Perrier, Études sur l'organisation des Lombriciens, * Arch. de Zool. expérim. ,, t. III. (8) Une, Ueber die Rückenporen der terricolen Oligochaeten, * Zeit. £. w. Z. „, Bd. XLII Serm II. Tox. XLVI. ; Do — — 154 f DANIELE ROSA 6 a oltre 50 u. Fuori di queste condizioni la loro forma, in vita, è variabilissima perchè essi si comportano come corpi quasi liquidi. Realmente il corpo stesso di queste cellule, quando non sia colorato, è invisibile e la loro presenza e forma non è rivelata che dai globuli adiposi che ne occupano la superficie. Per vedere queste cellule allo stato vitale, in uno stato cioè in cui qualunque sia la loro forma esse non presentano ancora fenomeni preludianti alla loro distru- zione, si possono usare diversi metodi. Anzitutto si possono esaminare per trasparenza, sotto graduale pressione, indi- vidui giovanissimi (lunghi al più 2 cm.); qui naturalmente la forma degli eleoeiti, rivelata solo dai loro globuli, è variabile secondo le pressioni e correnti cui essi sono esposti; tale esame può servire solo come controllo a quanto si osserva cogli altri metodi. L'esame delle goccie sospese in camera umida dà buoni risultati purchè fatto molto rapidamente. Bisogna raccogliere con un copri-oggetti il liquido uscente dai pori dorsali di un verme irritato con vapori di etere e disporlo immediatamente su un porta-oggetti incavato la cui concavità sia leggermente umida e spalmata agli orli con olio. Qui al primo momento le cellule più profonde, se in riposo, sono grandi, sferiche, limpide ed offrono tutti i caratteri normali; non si devono confondere colle forme di cellule pure sferiche ma un po’ minori, meno limpide, con globuli più addensati o parzialmente fusi che, come vedremo, sono già eleociti al primo stadio di distruzione. Se nel liquido della goccia sospesa vi sono delle correnti, come accade sovente, allora sotto l’azione di esse si vedono gli eleociti cambiare continuamente (passiva- mente) di forma diventando sacciformi, lobati, piriformi, ecc. e restringendosi come un filo al passare fra gli ostacoli in modo tale che dimostra la niuna consistenza del loro corpo. Nella goccia sospesa gli eleociti più superficiali (vicini al copri-oggetti) pigliano la citata forma di grandi dischi, per solito un po’ ovali, in cui si vede generalmente al centro uno spazio senza globuli corrispondente al nucleo. Se tali dischi vengono a contatto col copri-oggetti si vede aderire al vetrino un’aureola di globuli dei quali i più vicini si fondono presto insieme formando goccioline maggiori. Una leggera soluzione di qualche colore d’anilina mette facilmente in evidenza un nucleo al centro di queste aureole; è raccomandabile p. es. la genziana che colora i nuclei in violetto e le goccie adipose in azzurro. Seguitando l'esame della goccia sospesa si assiste alla distruzione degli eleociti che avviene nel modo seguente: Gli eleociti discoidi (che non siano però aderenti al vetrino), tanto come quelli di qualunque altra forma che siano liberi diventano sfe- rici; queste sfere si contraggono rapidissimamente a scatti formando sfere dapprima solo un po’ minori delle primitive, meno limpide, con globuli più serrati e parzial- mente fusi. In tale stato gli eleociti si mantengono abbastanza a lungo (per varii minuti) tantochò nei preparati in cui essi furono fissati opportunamente non si trovano stadii di degradazione più avanzati. Anche nelle goccie sospese, per quanto rapidamente si operi, buona parte degli eleociti sono già in questo stato, ma è evidente che queste | | | 7 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 155 cellule sono già morte: esse sono rigide ed incapaci di pigliare forma discoide, mentre l'enorme numero di aureole provenienti da eleociti discoidi che si vedono fin dal principio aderenti al copri-oggetti dimostra che tutti gli eleociti hanno primitivamente i caratteri sopra assegnati agli eleociti normali. Dopo qualche minuto gli eleociti liberi, sempre a scatti, si contraggono sempre più, i loro globuli adiposi si fondono insieme e di ciascuna cellula non rimane in ultimo che una gocciola o poche gocciole oleose, col nucleo ed una minima quantità di protoplasma ridotta ad una sottile membrana. Tutti questi stadii, salvo il primo, piü comodamente che in goccia sospesa si possono osservare in goccie di liquido celomico tenute semplicemente fra due vetrini un po’ allontanati; gli stessi fenomeni avvengono nell’acqua; a questa si può aggiun- gere una leggera soluzione di qualche colore d'anilina basico. Si possono fissare coll'anidride iperosmica al 2°/, gli eleociti in questi differenti stadii, è però quasi impossibile (almeno per l'A. foetida) avere eleociti globosi proprio al primissimo stadio e che non siano già leggermente contratti. Se mettiamo una grossa goccia di 0, 0, su un vetrino e poniamo per un istante a contatto con essa il dorso di un’A. foetida in modo che il liquido celomico che in tal caso è subito espulso in quantità dai pori dorsali, entri subito nel fissativo senza venire a contatto coll'aria, e poi esaminiamo senza copri-oggetti, notiamo che tutti gli eleociti che stanno alla superficie della goccia, sono discoidi mentre i profondi sono sferici sebbene già alquanto contratti. Da tutto quanto si è detto risulta chiaramente, che i caratteri che hanno gli eleociti dell’ A. foetida allo stato vitale, sono realmente quelli che si è detto al prin- cipio di questo capitolo, che la forma discoide non è per essi quella primitiva, ma è data solo da cause meccaniche agenti su cellule che in istato di perfetto equilibrio sono sferiche, ma così poco consistenti da comportarsi poco diversamente da quello che farebbero delle goccie quasi liquide e che tutti gli altri stati, in cui gli eleociti Sono rigidi, sono già da considerarsi come stati di contrazione incompatibili colla vita. Noi abbiamo sin qui giudicato della forma naturale degli eleociti prendendo come base l'aspetto presentato dal complesso dei globuli adiposi distribuiti unifor- memente alla loro superficie; infatti in tali cellule, anche se fissate, il protoplasma, Sopratutto nei primi stadii, è invisibile senza colorazione. — Questa colorazione facile per le cellule un po’ contratte è molto difficile per le cellule ben distese, discoidi Sopratutto se fissate in O, O,. Anche esse però si colorano trattandole per molte ore con una soluzione concentrata di violetto di genziana o di dahlia. Con questi colo- tanti, quando le cellule contratte ed i nuclei hanno già preso una colorazione molto Intensa, gli eleociti piatti cominciano a tingersi leggermente e lasciano vedere il loro Margine, Questo margine, che oltrepassa appena il contorno dato dal complesso dei glo- buli, è sempre affatto continuo, senza la minima traccia di pseudopodii, dei quali del resto non si vede mai traccia in nessun stato; anche negli eleociti sferici il proto- Plasma non presenta mai appendici. Gili eleociti sono dunque affatto privi di moti ameboidi. Ora non solo mancano a queste cellule movimenti ameboidi normali, ma inoltre esse non presentano mai quei fenomeni che si osservano nei veri amebociti posti in mr 156 DANIELE ROSA 8 condizioni anormali e che, sovente ancora tenuti come veri moti ameboidi, furono ben descritti e interpretati dal Cattaneo come fenomeni, come egli li chiama, di diffluenza preludianti alla distruzione delle cellule; qui infatti in questi stadii di degenerazione manca sempre l'emissione di zaffi acuti (spesso descritti come veri pseudopodii) di bolle, di espansioni ialine, la formazione di aloni, di pseudoplasmodii e simili, fenomeni tutti caratteristici dei linfociti realmente ameboidi e che si trovano anche, come vedremo, in certe forme in cui mancano i moti ameboidi normali. Invece i fenomeni di degenerazione, che presentano gli eleociti posti in condi- zioni anormali, si riducono, come si è detto, al fondersi insieme dei loro globuli ed al contrarsi del protoplasma che si riduce a minima quantità. In questo fenomeno la:massa protoplasmatica si condensa, diventando sempre piü facilmente colorabile, e diminuisce enormemente di volume, dal che si deve concludere che perda l'ele- mento liquido che doveva formare la massima parte del suo plasma. Altro carattere molto vistoso degli eleociti 6 lo strato di globuli che si nota presso alla loro superficie. Certo di tali globuli ne esistono spesso anche negli ame- bociti, ma qui essi non hanno mai disposizione regolare e costante. Si & creduto molto spesso, che questi globuli fossero identici ai granuli delle cellule eloragogene, e che anzi le cellule che colorano in giallo il liquido celomico di molti lombrichi non fossero che cellule cloragogene staccate. Ora i granuli che si trovano nelle cellule cloragogene sono solidi e distinti per la speciale resistenza che essi presentano ai reagenti. Per noi ha sopratutto inte- resse il fatto che essi sono insolubili nell'aleool assoluto, nell'etere e nel cloroformio. Invece i globuli degli eleociti non sono altro che gocciole adipose, come risulta da molti dei loro caratteri. Che questi globuli siano evidentemente goccie liquide si vede subito dal fatto che nelle cellule non fissate essi si fondono facilmente gli uni cogli altri quando la cellula si contrae. La colorazione degli eleociti è dovuta effettivamente a questo liquido che è giallo-verdognolo; tale colorazione però è estremamente leggiera e solo ben visibile a luce riflessa, benchè il complesso di enormi quantità di eleociti possa dare alla linfa una tinta intensissima. Questa colorazione viene tolta dall’acido cloridrico allun- gato, per cui essa è probabilmente dovuta a qualche lipocromo. Anche l'odore che manda la linfa dell'A. foetida, è certamente dovuto a queste goccie. Il liquido di questi globuli è insolubile nell'acqua, ma facilmente solubile (a freddo) nell'aleool assoluto, nell’etere, nel cloroformio (nei quali i globuli delle cellule clora- gogene sono insolubili). L'anidride iperosmica lo annerisce, sebbene con qualche lentezza, e lo rende difficilmente solubile provocando nelle goccie tutte quelle modificazioni che furono descritte dal Solger (1). Gli acidi non lo attaccano. Inoltre, e ciò è quasi decisivo, questo liquido è saponificabile; trattando con etere la linfa di molte A. foetida ho ottenuto qualche grossa goccia di liquido oleoso che trattato coll’idrato di potassa fra il porta-oggetti e il copri-oggetti mi diede col (1) Zur Kenntnis osmirten Fettes, “ Anatom. Anzeiger ,, 1898, p. 647. 9 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 157 rimestamento una massa vischiosa che si sciolse completamente nell'aequa colle stesse apparenze di un sapone. Credo che da tutto ció appaia fuor di dubbio che si tratti di un grasso. Un curioso carattere di questo grasso è il suo modo di comportarsi coi colori di anilina. È noto che il Ranvier dà come reagente dei grassi il colorarsi in bleu colla cianina ed il conservarsi di questa colorazione in glicerina. Il nostro liquido dà anch'esso molto bene questa reazione, ma inoltre ha grande affinità per molti altri colori d'anilina; soluzioni debolissime colorano intensamente i globuli degli eleociti non fissati, mentre spesso le parti protoplasmatiche di essi non sono ancora meno- mamente colorate; per molte di queste colorazioni ho verificato che si conservano in glicerina. Anche questo carattere serve a distinguere gli eleociti dalle cellule cloragogene, poichè, p. es., dei primi globuli colorati colla genziana anche dopo 15 giorni di conservazione in glicerina hanno ancora una bella tinta azzurra, mentre i granuli delle cloragogene, sebbene si colorino pure facilmente, perdono subito in glicerina la loro colorazione. In generale sta il fatto che questo liquido non è colorabile che dai colori basici (cianina, genziana, fucsina basica, safranina, verde metile, verde iodio), mentre le tinte acide (eosina, Alen d'anilina) non lo colorano affatto. Dànno utili differenziamenti soluzioni leggere di violetto genziana che colorano il protoplasma in violetto ed i globuli in azzurro e meglio ancora di verde metile, che colora pure in azzurro i globuli ed il protoplasma in verde. Anche dopo la fissazione in bicloruro di mercurio od acido osmico i globuli si colorano ancora, ma, sopratutto nel secondo caso, lentamente. La disposizione dei globuli adiposi negli eleociti è caratteristica. Anzitutto il loro diametro è costante e raggiunge (nell’ Allolobophora foetida) circa 1 Ta M. Secondariamente questi globuli sono fissi, disposti in un solo strato superficiale, coperto solo da un sottile velo protoplasmatico e press'a poco equidistanti. Negli eleociti discoidi i globuli, nelle cellule sottilissime, si vedono spesso a mancare in un'area centrale soprastante al nucleo, che occupa allora quasi tutto lo Spessore del disco e fa distendere su di sé come membrana sottilissima il protoplasma. Nelle cellule discoidi, fissate in istato un po’ contratto, la disposizione dei globuli non è più cosi regolare, essi tendono a disporsi in serie, il che dipende dalla contra- Zione dei filamenti interni ai quali essi sono aderenti. Per tutto cio gli eleociti si differenziano dagli amebociti i quali accidentalmente contengano globuli adiposi. Tali globuli in questi ultimi elementi hanno grandezze ‚ Variabilissime e sono sparsi senza ordine nell'interno della cellula. Fin qui ho parlato solo degli eleociti dell’ A. foetida, devo dare ora qualche cenno dei caratteri che presentano in altre specie di lumbricidi. Noto subito che queste differenze sono poco rilevanti. Le dimensioni massime che essi possono raggiungere colle varie specie sono Poco diverse. Nell' A. chlorotica, essi possono giungere, allo stato globulare, ad un diametro di 45 u e, allo stato discoide, sino ad 80 u; nel’ A. complanata e nell A. transpadana essi 158 DANIELE ROSA 10 sono per solito ovoidali. In tutte le specie essi subiscono gli stessi cambiamenti passivi di forma, ma in generale il plasma è più consistente che nell’ A. foetida; esso è soventi visibile senza colorazione. Anche nelle cellule discoidi esso si colora più facilmente e alla morte della cellula non si contrae tanto come nell A. foetida, spesso anzi i globuli adiposi rimangono allora molto a lungo distinti. La specie che nei fenomeni di degenerazione dei suoi eleociti si accosta di più all A. foetida è VA. chlorotica che è dopo la prima quella che ha il liquido celomico più ricco di tali elementi. Sembra realmente che appunto nelle specie ove essi sono emessi in maggior quantità essi raggiungano il minimo grado di consistenza ed anche la maggior ricchezza in globuli adiposi. L'A. putris merita di fermarci alquanto, perchè i fenomeni di degenerazione che presentano i suoi eleociti quando siano posti fuori delle condizioni vitali sono molto curiosi e diversissimi da quelli che abbiamo descritto per l-A. foetida, il che si deve alla maggior consistenza del loro protoplasma e anche alla natura alquanto diversa del loro grasso, che è rivelata anche dal suo diverso odore. Mentre nell’A. foetida e nell’A. chlorotica gli eleociti morendo si contraggono per modo che si fondono insieme i loro globuli in una o poche goccioline, qui ciò non accade. Osservando gli eleociti dell" A. putris in goccia sospesa, si nota che essi non perdono la loro forma globosa od ovoidale. Ora è interessante il fatto che in tale stato essi dopo breve tempo si coprono di una rete lucente a maglie esagonali. Questa rete si forma anche e più evidente quando gli eleociti si osservino invece nell'acqua. In tal caso questa brillante reticolatura dà agli eleociti l'aspetto preciso di certi radiolarii. S’ intende che quando si producono questi fenomeni la cellula si può considerare come morta. Per comprendere l’origine di queste reti bisogna studiarne la formazione negli eleociti discoidi che son rimasti aderenti al copri-oggetti dove di essi non è più visibile che un'aureola di globuli adiposi che però non tendono a fondersi tanto facil- mente insieme come nell' A. foetida. Qui si vede chiaramente che le reti si formano nel modo seguente: Dapprima nell’interno di ciascun globulo adiposo appare un vacuolo e poi il glo- bulo si cambia in un anello che si allarga sempre più finchò gli anelli vicini si toccano e fondendosi insieme dànno necessariamente origine ad una rete a maglie esagonali. Gli esagoni dapprima sono internamente rotondi, poi i loro lati si fanno rettilinei e sottili e nascono dei rilievi ai punti nodali. Lo stesso fenomeno avviene alla superficie delle cellule sferoidali. Nell’acqua gli eleociti sferici si rigonfiano fino a misurare 50 p di diametro (mentre normalmente non ne han più di 25), allora la reticolatura si adatta a questo accrescimento, nuove maglie si formano ai punti nodali e le antiche si rompono e rifanno; in tal modo naturalmente le maglie pigliano forme poligonali molto variabili. In questo stato rigonfio (in cui l’interno della cellula è occupato quasi esclusi- vamente da un grande vacuolo pieno di liquido) le cellule che vengono a contatto si saldano fra loro con distruzione delle superficie di contatto e le reti dell'una si rannodano a quelle dell’altra. Le cellule rigonfie dopo qualche tempo si ristringono di scatto a diametro molto minore ed anche le reti allora si rifanno. Non insisto più oltre su questi fenomeni che appartengono piuttosto alla fisica 11 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 159 molecolare, ma ho dovuto accennarli perché altri che li trovasse non perdesse, come ho fatto io, molto tempo a ricercarne la spiegazione. Per finire quanto riguarda i fenomeni di degenerazione degli eleociti noterd che in tutte le specie, come nell’A. foetida, mancano sempre in tali stadii i fenomeni cosidetti di diffluenza proprii degli amebociti. Sta anche per tutti gli eleociti il fatto di mancare di moto ameboide. I earatteri presentati dai globuli adiposi sono anche poco variabili, le reazioni del liquido sono dappertutto le stesse, varia la grandezza dei globuli che nell A. rosea Sono grandissimi e giungono a 3 u. di diametro; qui vi sono inoltre, fra i globuli grandi, gruppi di globuli molto piccoli; anche nell A. complanata e nell A. transpadana fra i globuli larghi 3 u sono sparsi in minor numero, non però a gruppi, globuli minori; in queste specie inoltre i globuli sono piü distanti fra loro. In tutte le specie però essi formano un solo strato superficiale. Nell’A. caliginosa, che raramente e solo nella var. trapezoides presenta pochi eleociti e che non emette facilmente il liquido celomico dai pori dorsali, questi eleo- citi sono appunto meno tipici, son cioè cellule di diametro vario, generalmente ovali o piriformi (non sferiche) e che non pigliano forma discoide, salvo che pel proprio peso quando posano sul fondo; esse hanno plasma consistente e globuli adiposi piuttosto distanti. Questa specie, per quanto riguarda gli eleociti, sta al grado infe- riore, mentre essi nell A. foetida raggiungono il grado superiore della loro evoluzione. In altre specie, come si à detto (p. es., nei veri Lumbricus), essi mancano sempre. Il nucleo degli eleociti è sempre quasi esattamente centrale, il centro vero della cellula essendo però occupato, come vedremo, dalla centrosfera. Esso si può osservare bene sopratutto nelle cellule fissate allo stato discoide. Per avere in quantità degli eleociti discoidi in condizioni tali da poter essere trattati coi varii reagenti, basta toccare leggermente con un porta-oggetti le goccie di liquido celomico giallo che escono dai pori dorsali di un verme irritato coi va- pori d’etere e trattare immediatamente con acido osmico o bicloruro di mercurio il liquido che è rimasto aderente. In tal modo moltissimi eleociti senza aver tempo di disseccarsi saran rimasti appiccicati al vetrino e saranno perciò fissati allo stato discoide; essi aderiscono così bene che si può trattarli con qualunque reagente. Essendo indispensabile far sparire i globuli adiposi che disturbano l’esame, è necessario lasciare agire per poco tempo i fissativi e sopratutto l'acido osmico, che à lungo renderebbe i globuli insolubili. Un’ eccellente colorazione del contenuto nucleare l'ho ottenuta dopo fissazione con O, 0;, tenendo le cellule almeno per 12 ore in soluzione concentrata di genziana € decolorando con alcool e poi con essenza di bergamotto e includendo (dopo pas- Saggio in xilolo) in balsamo del Canadà sciolto in xilolo. Con tale sistema si ottiene anche la colorazione della eentrosfera, mentre il resto della cellula à quasi scolorato. Si pud colorare più leggermente scolorando poi molto rapidamente, ed allora si ha in minor tempo la colorazione, limitata perd al solo Contenuto nucleare. Una colorazione buonissima ed anch'essa ben differenziata del contenuto nucleare l'ho avuta pure tingendo con ematossilina le cellule fissate in bicloruro mercurico 160 DANIELE ROSA 12 e trattate con allume ferro-ammonico secondo il metodo semplice di Heidenhain, con quel metodo però non son riuscito ad avere una buona colorazione della cen- trosfera. Il nucleo degli eleociti, se la cellula non è contratta, ha forma rotonda; nelle cellule fissate esso presenta spesso un aspetto alquanto piriforme e se si è colorato in modo da render visibile la centrosfera, si osserva che la parte appuntita del nu- cleo è sempre diretta verso di essa; è facile vedere che l'aspetto piriforme è dato dalla contrazione dei filamenti del mitoma che si vedono irraggiare dalla centrosfera e che aderiscono anche al nucleo. Anche nei linfociti del rincoceloma dei Nemertini il Bürger ha trovato una simile disposizione. Le stesse cause possono rendere il suo contorno più irregolare. Che si tratti di modificazioni prodotte meccanicamente nel nucleo dalla contra- zione dei filamenti che vi aderiscono, è da molti preparati affatto evidente (Cfr., p. es., la fig. 11). Noto ciò espressamente, perchè recentissimamente l'Owsjannikow ha considerato mei linfociti dell'anodonta i nuclei come giacenti liberi nel plasma cellulare e dotati di moti ameboidi proprii. Certamente cid non succede nelle nostre cellule, sebbene, dato lo stato semi- liquido del loro plasma, si dovrebbe aspettare che qui appunto si verifichino tali fenomeni, se pur è vero, del che io dubito, che si abbiano invero in qualche forma di linfocito. Quello che è importante riguardo alla forma del nucleo è che io nei miei pre- parati non ho mai trovato forme che accennassero ad un principio di divisione: quei nuclei a ferro di cavallo, reniformi, ecc., che ho trovato così frequenti nei linfociti ameboidi qui sembrano mancare sempre ed anche non ho mai trovato un eleocito con nucleo doppio, mentre spesso, come vedremo, si trova un nucleo doppio nei mu- cociti dell’ A. rosea, che anch'essi non sono ameboidi. Attorno al nucleo non ho mai osservato un’aureola ben distinta dal resto della cellula, sebbene qui sovente la cellula si mostrasse un po’ meno colorata. Le dimensioni dei nuclei degli eleociti sono in complesso, non solo relativamente al diametro della cellula, ma anche in modo assoluto, minori di quelle del nucleo dei linfociti ameboidi, sebbone questi ultimi elementi siano sempre molto più piccoli. Per VA. foetida e VA. rosea come diametro più comune degli eleociti ho trovato u 3,6; esso può discendere a 2,7 e salire a 4,5, cioè i più grandi nuclei che si possono trovare negli eleociti arrivano alla grandezza dei più piccoli nuclei degli amebociti, ma ciò non costituisce menomamente un passaggio tra le due forme perchè troppi caratteri delle due sorta di nuclei sono diversi. I nuclei degli eleociti hanno una membrana distinta. Un primo carattere essenziale del loro contenuto è la mancanza o per lo meno l'estrema minutezza del nucleolo. I nucleoli, che sono così evidenti nei nuclei di ame- bociti non colorati e fissati coll’acido osmico, qui non si vedono mai. Un preparato di A. foetida colorato con ematossilina col metodo sovracitato di Heidenhain nel quale i nucleoli degli amebociti erano molto colorati non mostrò alcun nucleolo negli eleociti. Parimente un preparato di A. rosea ottenuto con colorazione non molto intensa in genziana e scolorazione rapida mi mostrò fortemente colorati i grandi nucleoli degli amebociti e dei mucociti proprii di questa specie ma solo raramente mi mostrò nei 13 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 161 nuclei degli eleociti qualche minuto granulo un po’ maggiore degli altri e un po’ più colorato. Altro carattere dei nuclei degli eleociti è sovente nell A. foetida il concen- trarsi della cromatina in grandi e pochi pezzi di forma irregolare, centrali e periferici, riuniti da sottili masse come negli amebociti. rettilinei; tuttavia nell' A. rosea ho trovato la cromatina in piccole Le centrosfere (1), sono pure un carattere degli eleociti. Esse nei loro rapporti col nucleo e col resto della cellula sono affatto simili a quelle descritte sotto il nome di centrosomi nel 1871 da Otto Biirger (2) nei linfociti del rincoceloma dei Nemertini (Amphiporus). Esse si vedono bene in cellule sopracolorate colla genziana come sopra si è detto e lungamente scolorate. In tali preparati le centrosfere sono spesso tanto intensamente colorate come la cromatina nucleare; è strano che questo metodo non mi abbia mai colorato alcuna centrosfera negli amebociti. La specie in cui ho potuto mettere in evidenza queste centrosfere è D A. foetida alla quale si applica la descrizione seguente. La presenza di queste centrosfere è costante almeno in tutti gli eleociti in cui la sostanza della cellula ha ancora qualche consistenza; trovai infatti nello stesso preparato nel quale il massimo numero degli eleociti presentava una centrosfera distinta altri eleociti dei quali non rimaneva nel preparato, dopo le manipolazioni subìte, che il solo nucleo circondato talora da una leggera traccia di plasma; certo in queste cellule il plasma doveva essere ridotto al minimo di consistenza come lo prova il fatto che i loro nuclei erano sempre circolari, mentre il contrarsi delle fibre del mitoma al momento della fi zione avrebbe dovuto renderli, in parte almeno, piriformi. Appunto presso a questi nuclei non trovai traccie di centrosfera. La centrosfera si presenta come una maechia tonda (espressione di una sfera) Spesso tanto colorata come la cromatina, omogenea (senza struttura raggiata), a margini ben netti e continui e ben differenziata dal resto della cellula. Il diametro della centros è molto costante e di eirca Lu: questo diametro è pari alla distanza che separa normalmente la centrosfera dal nucleo; quando il nucleo à piriforme la centrosfera si trova presso all'estremità acuminata di esso come Si è detto. La centrosfera è perfettamente centrale mentre il nucleo si trova legge- "issimamente eccentrico e generalmente, nelle cellule ovali, spostato nel senso del- l'asse maggiore della cellula. Talora la distanza tra la centrosfera ed il nucleo appare molto maggiore (fig. 11), Ma allora si vede che si tratta di cellule che nell'atto di aderire al vetrino si sono Stiracchiate, come si vede anche dal decorso dei filamenti che uniscono il nucleo alla centrosfera e che nel tratto più vicino al nucleo rimangono allora paralleli. (1) È un po’ dubbio se si tratti qui di centrosfere o di centrosomi, tanto più che regna ancora molta disparità di-vedute sulla definizione che si deve dare di tali strutture. Ho accettato il nome di centrosfe ostandomi alle recenti idee dell'Heidenhain (1894) e pensando che nel loro interno © ancor possibile che si trovino centrosomi corrispondenti alla definizione datane da quest'autore (Cfr. M. Heidenhain, Neue Untersuchungen ueber die Centralkürper, * Arch. f. mikr. Anat. ,, Bd. 43, pag. 637. (2). Ueber Attraktionssphaeren in den Zellkürpern einer Leibesfiüs n. 17, pp. 484-489. igkeit, * Anat. Anz. ,, Jahrg. VI, Serre II. Tom. XLVI. S 162 DANIELE ROSA 14 Questi rapporti di posizione non si vedono bene nelle cellule più o meno sfe- roidali poichè allora la distanza apparente tra centrosfera e nucleo varia secondo l’orientamento accidentale. Doppie centrosfere come trovo due volte il Bürger nei Nemertini non vidi mai. Ciascuna centrosfera è collocata per solito al centro di un irraggiamento che a primo aspetto fa pensare ad un aster ed ha l'aspetto di quello che il Bürger (l. c.) considera infatti come una ^ Attraktionssphäre ,. Realmente perd si tratta qui, come vedremo, solo di fibrille della sostanza filare molto più debolmente colorata della centrosfera, dimodochè a queste pretese sfere attrattive si possono giustamente. applicare le conclusioni cui è giunto l'Eismond (1), non pero alla centrosfera che qui almeno non sembra essere anch'essa, come egli ritiene sia sempre, un addensamento di fibrille. Queste fibrille della massa filare in preparati ben differenziati si vedono partire tutte dai margini della centrosfera e si possono seguire spesso sino ai margini estremi della cellula. Per ciò che riguarda la struttura intima della sostanza cellulare ricorderò anzi- tutto che per gli eleociti, e sopratutto per quelli dell A. foetida ai quali specialmente mi riferisco, è affatto caratteristica la nessuna consistenza del loro plasma per cui queste cellule si comportano quasi come se fossero fluide e morendo si contraggono tanto che di una cellula di 20-30 u di diametro in ultimo non si trova più che una tenue membrana che avvolge il nucleo ed i globuli adiposi fusi insieme in una o poche goccioline. Nella contrazione la cellula deve perdere una grande quantità di sostanza liquida, il che però avviene senza che appaia in alcun punto una bolla o lacerazione visibile. Questo liquido che esce non è visibile in alcun modo, nè son riuscito a colorarlo, mentre invece si colorano le bolle di paraplasma o enchilema che fuorescono quasi liquide dagli amebociti in diffluenza, credo quindi che esso non rappresenti questo elemento ma piuttosto non differisca dalla linfa stessa. Tuttavia esso non appare contenuto in vacuoli chiusi e sembra compenetrare ugualmente tutta la massa spu- gnosa della cellula. Si nega per solito ai linfociti una membrana cellulare e pare che realmente essa manchi anche qui; tuttavia lo strato esterno nel cui spessore si trova lo strato di globuli adiposi si mostra alquanto differente dal resto. — Nei preparati fortemente colorati con genziana poi scolorati e liberati dalle goccioline adipose, lo strato esterno che allora si mostra alveolare appare più colorato dell'interno e alquanto granuloso. Qui del resto (nell’A. foetida) non si osserva il fatto (comune invece negli eleociti più consistenti di altre specie, p. es. dell’ A. putris) che le cellule non fissate al con- tatto dell’acqua diventino vescicolari gonfiandosi notevolmente e terminando per scop- piare come avviene normalmente per gli amebociti. La disposizione della massa spugnosa interna è in complesso raggiata, le trabecole più evidenti essendo quelle che vanno dalla periferia al nucleo o meglio alla centro- (1) S. Erswoxp, Æinige Beiträge zur Kenntniss der Attraktionssphaeren und der Centrosomen, “ Anat. Anz. ,, n. 7, 8, Bd. X, 1894. 15 1 LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 163 sfera. Ciò si può vedere facilmente in eleociti di A. foetida 0 meglio di A. chlorotica (che sono più consistenti), fissati allo stato sferico e poi trattati con alcool assoluto € poi con essenza di bergamotto o olio di garofani in modo da renderli ben trasparenti senza però colorarli. È, come io credo, in queste trabecole facilmente visibili che bisogna ancora distinguere una massa filare ed una interfilare. Le fibrille della massa filare sono rese in parte visibili trattando gli eleociti | discoidi dell’ A. foetida nel modo che fu sopra indicato per mettere in evidenza la | struttura nucleare e la centrosfera. In questi preparati rimane colorato meno inten- | samente del nucleo e della centrosfera ma più del resto della cellula un sistema di esili filamenti raggianti dalla periferia della centrosfera. Noto che per studiare questa struttura bisogna ben badare mediante un'accurata messa a fuoco a non confondere con essa la reticolatura presentata dallo strato | superficiale dal quale si sono estratti i globuli adiposi, confusione facile quando si | esaminino cellule discoidi. \ Nelle cellule ben distese questi fili sono finissimi, di aspetto capillare, quasi affatto rettilinei e si possono spesso seguire sino al margine della cellula; durante | il loro tragitto verso il margine essi si assottigliano sempre più. | | Questi fili si mostrano ramificati, sebbene scarsamente, e il più spesso non si biforcano ma mandano fili secondarii più fini che generalmente partono ad angolo | acuto dal ramo primario; le sezioni oblique trasverse di tali fili dànno spesso lil- lusione di noduli. I fili non mi parvero mai anastomizzarsi fra loro. Nelle cellule più contratte (e più colorate) si vedono in generale partire dalla centrosfera filamenti in complesso più grossi, d'apparenza più plastica, meno dritti, più ramificati, con molti rigonfiamenti o noduli sul loro percorso; alla periferia si vedono talora ramificarsi molto mentre i loro noduli che si fanno colà più numerosi si confondono coi granuli dello strato esterno coi quali sono probabilmente identici. In queste cellule le fibre sembrano talora anastomizzate e si ha l'apparenza di maglie. | In generale le fibrille dove si inseriscono alla centrosfera sono piü dilatate, molte hanno origine comune e Spesso si produce cosi attorno alla centrosfera un'area irre- | Solarmente asteroide (che è ben distinta dal centro stesso) e che ha l’aspetto di una sfera attrattiva. Quest'apparenza di aster è più comune nelle cellule più colorate. | Come si possano interpretare queste diverse apparenze non è facile dire. Certo | le apparenze descritte in primo luogo sembrano prodotte da sole fibre della massa | flare quali sono ammesse dal Fleming. Le apparenze descritte in ultimo sembrano | dipendere dal fatto che nelle cellule meno contratte e perciò più colorate rimane anche | | visibile la massa interfilare o paramitoma che è forse più addensata lungo le fibre | del mitoma stesso. AMEBOCITI Riservo il nome di amebociti ai linfociti che presentano il vero carattere delle Cellule linfatiche ameboidi, che possono cioè emettere dei pseudopodii distinti; tali amebociti si trovano in tutte le specie di lombrichi, mentre le altre forme di linfociti Possono sostituirsi. 164 DANIELE ROSA : 16 Le ricerche recenti hanno modificato, profondamente le idee che si avevano sulla forma e sui movimenti degli amebociti allo stato naturale. Come nota il Griesbach (1) * spetta indubbiamente al Cattaneo il merito di aver * per primo studiato a fondo lo stato normale degli amebociti ,. Le ricerche del nostro autore (2) come quelle del Griesbach e di altri hanno mostrato per molti gruppi animali (echinodermi, policheti, molluschi, artropodi, ecc.), che le forme che si considerano per solito come tipiche degli amebociti, quelle forme con pseudopodii acuti o molto ramificati capaci di fondersi gli uni cogli altri e le aggregazioni a plas- modii o pseudoplasmodii non sono dovute che a fenomeni, come li chiama il Cattaneo, di diffluenza, fenomeni che non si compiono mai nel corpo dell'animale, ma che sono invece il risultato delle condizioni anormali nelle quali si osservano gli amebociti fuori dell'organismo. Anche per ciò che riguarda gli amebociti dei lombrichi si deve dire che le forme descritte finora non corrispondono affatto alle normali. Del resto per questi animali i dati che si riferiscono con qualche certezza a veri amebociti e non insieme ad altre forme di cellule linfatiche sono abbastanza scarsi. Il Geddes nel 1880 (3) dà la figura (p. 5) di aleuni amebociti di lombrico in via di unirsi in ^ plasmodii ,; sono forme in via di degenerazione con pseudopodii acuti ‘ plasmodii , non si “ quali si trovano solo fuori dell'animale dopo un certo tempo; i formano nel resto nell’animale, ma solo fuori di esso e non sono perciò da parago- B ii D nare, come fa il Geddes, ai plasmodii veri. In questi * pseudoplasmodii , il Michel ha poi mostrato che le cellule conservano la loro individualità. Jl Sappey nel 1881 (stando ad una citazione del Cattaneo) descrive gli ameboeiti dei lombrichi semplicemente come corpuseoli tondi od ovoidali od irregolari conte- nenti un nucleo e granuli finissimi e privi di pseudopodii e li figura, ma i suoi dati sarebbero basati solo su preparati di cellule fissate in acido acetico che fa retrarre i pseudopodii. Il Vejdovsky (4) nel 1884 descrive (a pag. 58) e figura (tav. III, fig. 20), fra gli amebociti dei terricoli solo quelli del Criodrilus: egli ce li presenta come corpi stellati con molti processi acuti e dotati di moti ameboidi. Si tratta qui di amebociti come non si trovano mai nel corpo dell'animale vivente; tali forme sono di amebociti giunti a quello che il Cattaneo chiama secondo stadio di degenerazione. TI Beaunis nel 1888 dà a pag. 357 la figura di alcuni linfociti di lombrico con lunghi pseudopodii filiformi e con lobi acuti, tutti cioè in istato di degenerazione (5). Queste figure sono prese dal Balbiani (/oco?). Il Michel nel 1888 (6) in un lavoro in cui giustamente combatte l'opinione del Geddes secondo il quale i linfociti formano normalmente dei plasmodii, ci dice che (1) Griessacn, Beiträge zur Histologie des Blutes, " Arch. f. mikr. Anat. ,, Bd. 37, 1891. (2) CavrAxEo, Sulla morfologia delle cellule ameboidi dei Molluschi e Artropodi, “ Boll. scientifico ;, anno XI, Pavia, 1889. — Gli amebociti dei cefalopodi e loro confronto con quelli d'altri invertebrati, * Atti della R. Università di Genova ,, 1891. . On the coalescence of ameboid cells into plasmodia, “ Proc. Royal Soc. , upovsky, System und Morphologie der Oligochaeten; Prag, 1884. (5) Braunis, Nouveaux élém. de physiol. humaine, III, edit. (6) Mxougn, Sur la prétendue fusion des cellules lymphatiques en plasmodes, ©. R., t. 186, pp. 1555-58. 2 / 7 H PE d 17 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 165 le cellule della linfa dei lombrichi al momento in cui sono estratte sono cellule rami- ficate piatte che presto si saldano insieme dando origine a * pseudoplasmodii ,. Egli non poteva conoscere la forma normale di tali cellule poiché si procurava la. linfa ricavandola semplicemente dal verme mediante un tubo affilato; in questo procedi- 1 mento, come ho verificato, gli amebociti retraggono i loro pseudopodii normali emet- tendo invece i cosi detti pseudopodii di diffluenza. Nel 1891, il Cuenot (l. c.) a pagg. 447-458, tav. XVII, fig. 12, 13, disegna e | descrive gli amebociti veri come muniti di brevi pseudopodii acuti e dice che si | saldano (nella cavità stessa del corpo) in grandi plasmodii, mentre questo fenomeno | non avviene mai entro al corpo del lombrico ma solo fuori di esso, in vitro. Riguardo alla forma normale degli amebociti, servendomi fra i metodi indicati più sopra per gli eleociti dell'esame per trasparenza e sopratutto dell'esame di linfa passata direttamente dai pori dorsali del lombrico in una goccia di anidride osmica al 2 °%,, ho fatto le seguenti osservazioni. La forma normale piü comune degli amebociti dei lumbricidi, forma che ho ritrovato quasi identica in tutte le molte specie esaminate di Lumbricus, Allolobophora ed Allurus, è quella di corpi sferoidi od ovali con lunghi pseudopodii petaliformi par- 1 | tenti da un solo lato; è una forma di cui non esistono, a mia conoscenza, altri esempi fra i linfociti. Il corpo di questi amebociti quando i pseudopodii sono espansi resta ridotto al | nucleo rivestito da uno strato poco spesso di citoplasma; il diametro di esso è allora | in media di 8u (A. rosea 8-10 u). Gran parte della sostanza della cellula è invece | impiegata nella formazione dei pseudopodii che son lunghi sino a quasi due volte il diametro del corpo cellulare; la grandezza complessiva dell'amebocito coi pseudopodii espansi varia da 20-30 p. ; Spesso le cellule sembrano avere pseudopodii partenti da tutti i punti, tuttavia 8 | Son riuscito tante volte facendo muovere quelle cellule a vedere che si trattava solo | di easi in cui il ciuffo di pseudopodii era visto di fronte che credo che essi nascano Sempre realmente da un lato solo; di fianco esse hanno l'aspetto di un fiore con grosso ricettacolo globoso. | Il numero dei pseudopodii è molto vario e può andare sino a 20 o 30, talora | 9 solo di 5-6, nei veri Lumbricus li ho sempre trovati in numero piccolo. Questi | pseudopodii alla base non sono sempre ben distinti gli uni dagli altri e la loro forma per quanto varia è sempre quella di un petalo ovale o lanceolato coi margini con- tinui, inspessiti e rifrangenti che per solito appaiono variamente spiegazzati o | increspati. | La parte interna di questi lobi petaliformi limitata dagli orli inspessiti è spesso | di un'estrema sottigliezza, tanto che ad un esame superficiale con una colorazione non sufficientemente intensa quei lobi non appaiono che come archi poggianti coi due | capi sul corpo della cellula; talora anche i petali sono longitudinalmente accartocciati | in modo che appaiono come filamenti semplici. In quest'esame bisogna aiutarsi con leggere soluzioni di colori che non precipitino nell’acido osmico; servono bene p. es. il violetto di genziana, il verde metile. Che questa sia per gli amebociti una forma normale si ricava dal fatto che essa | Si trova abbondante nelle cellule fissate nel modo sovraesposto, che si vede abba- | 166 DANIELE ROSA 18 stanza distintamente coll’esame per trasparenza di individui giovanissimi, e che non si ritrova mai nella linfa che sia stata anche per brevissimo tempo a contatto coll’aria. Questa forma è infatti fugacissima e non sono riuscito a sorprenderla nelle goccie sospese in camera umida, tanta è la rapidità colla quale questi amebociti ritirano i loro pseudopodii. C'è inoltre una seconda sorta di cellule ameboidi libere che sono piriformi con un solo lungo pseudopodio digitiforme. Questi amebociti unipolari si trovano in tutte le specie ma sempre in piccolissimo numero; essi sono in tutto simili a quelli dise- gnati dal Cattaneo per l'anodonta, la tellina, il palemon, lo scorpione, ecc., non hanno dunque nulla di caratteristico; le dimensioni di questi ultimi amebociti sono molto variabili e possono essere notevolmente inferiori o superiori a quelle degli amebociti a fiore; essi formano forse già il passaggio ai linfociti vacuolari che descriverò in seguito; non ho invece mai visto forme di passaggio tra essi e gli amebociti a pseudopodii petaliformi. Ho ripetuto sui fenomeni di degenerazione (diffluenza) che presentano gli ame- bociti fuori delle condizioni normali le osservazioni del Cattaneo e sono giunto a risultati molto simili salvo in qualche punto secondario. La prima trasformazione che presentano gli amebociti studiati in camera umida, è anche qui il ritiro (rapidissimo) dei pseudopodii (1° stadio di Cattaneo). Veramente questo stadio non si può ancora chiamare di degenerazione, poichè certo tale feno- meno può avvenire transitoriamente anche nel corpo dell'animale. Il secondo stadio è caratterizzato pel Cattaneo dalla “ estrusione dal corpo cel- lulare di piccole espansioni ialine in forma di bolle o di zaffi acuminati „. L'emissione di bolle è negli amebociti dei lombrichi piuttosto rara, comune in- vece quella di zaffi acuminati (più spesso uniti fra loro alla base), che abitualmente incomincia da un punto solo della cellula. Spesso però invece di zaffi più o meno triangolari vengono emesse appendici simili a peli un po'ricurvi, che si vedono su tutta la superficie. Mi è parso che quest’ultimo fenomeno si compisse negli amebo- citi liberamente nuotanti, mentre la prima forma di espansioni fosse più comune negli amebociti vicinissimi o aderenti al vetrino. A questo stadio di degenerazione appartengono gli amebociti figurati dal Vejdovsky pel Criodrilus e dal Cuenot pei lombrichi in genere, e questa è la forma che si dà agli amebociti nel più dei trattati. Le appendici o, come le chiama il Cattaneo, i pseudopodii di diffluenza che le cellule presentano in questo stadio, sono distinte dai pseudopodii normali per la speciale ialinità, per la facoltà che hanno di fondersi le une colle altre ed inoltre perché una volta emesse non si ritirano più; in tutto ciò devo andare d'accordo col Cattaneo allontanandomi invece dalle conclusioni più recenti dell'Owsjannikow, delle quali parlerd fra poco. Tutto induce a credere che l'uscita di questi pseudopodii di diffluenza dipenda dall’alterarsi dello strato più superficiale che riveste insieme col corpo della cellula anche i pseudopodii normali. Il terzo stadio di degenerazione è distinto secondo il Cattaneo dal fondersi in- sieme degli zaffi acuminati in modo che ne nasce un alone o zona ialina piü o meno stellata attorno al corpo della cellula. Riguardo a questo stadio i miei risultati sono alquanto differenti da quelli del Cattaneo. 19 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 167 Anche qui dall'unirsi degli zaffi acuminati triangolari si formano aloni come li | descrive il Cattaneo. Perd nelle cellule perfettamente libere, in cui i pseudopodii di * diffluenza siano piliformi, i fenomeni di questo terzo stadio sono piü complicati; essi | sono importanti a conoscere, perché dànno origine a forme con espansioni petaliformi, che simulano quelle degli amebociti normali. Queste espansioni nascono dal fatto, che fra due appendici piliformi nasce dalla base un sottile velo che si espande fra di esse come una palmatura; mentre essa si | estende, le due appendici piliformi si uniscono all'apice formando un arco più o meno ogivale, nel quale sta teso il velo suddetto, dando l'aspetto di un petalo a margini inspessiti (cfr. fig. 15). In seguito l’estremità dell'appendice petaloide si prolunga in una nuova appen- | . dice piliforme che si collega allo stesso modo con quelle vicine nascendone nuovi archi e così via, dimodochè la cellula piglia l'aspetto di una rosa o dahlia vista di fronte. Il velo che riempie gli archi è molto sottile e per riuscire visibile deve essere fortemente colorato; senza colorazione non si vedono che gli archi che formano attorno al corpo cellulare una specie di trina. Questi archi del resto non si vedono solo al margine, spesso sono ben visibili anche su tutta la superficie della cellula, | e siccome sono variamente uniti fra loro, formano attorno ad essa un graticcio irre- | golare a larghi vani, che non si deve confondere colla reticolatura esagonale pre- sentata talora (A. putris) dagli eleociti. Come dicevo, queste forme di diffluenza con espansioni petaliformi si possono talora confondere con amebociti normali a pseudopodii petaliformi visti di fronte. Queste forme. però non appaiono che dopo un certo tempo; inoltre le espansioni sono sempre più brevi e nascono da tutte le parti della cellula. Anche da questo stadio con espansioni petaliformi di diffluenza si passa agli aloni; questi però si osservano solo quando le cellule giunte a questo stadio aderi- scono al vetrino; allora tutte le espansioni si applicano le une sulle altre e si fon- dono in una massa omogenea formando un alone continuo in cui si possono ancora Í scorgere nel periodo di formazione delle linee arcuate corrispondenti agli archi primitivi. Uredo che i fenomeni ora descritti, che si compiono nel terzo stadio di degene- razione, non siano limitati solo ai lombrichi, ma siano piü generali; infatti in una cellula libera non si comprende o priori perchè dovrebbe formarsi un alone in un Solo piano. L'ultimo stadio di degenerazione è anche qui la formazione di sincizi o plasmodii. Devo qui insistere anch'io come il Cattaneo, e contrariamente alle asserzioni piü recenti del Cuenot, che ne veri plasmodii come voleva il Geddes, nè pseudoplasmodii nel senso di Michel (nei quali le cellule conservano la loro individualità e coll’acqua si possono far rigonfiare a sfere distinte) non si trovano mai nella linfa fatta pas- sare direttamente dall'animale (qui dai suoi pori dorsali) nel fissativo, mentre tali formazioni appaiono regolarmente nella linfa osservate per un certo tempo fuori dell'individuo. Se in complesso le mie osservazioni sono d'accordo con quelle del Cattaneo, esse Sono invece in disaccordo con quelle recentissime (1895) dell'Owsjannikow. 168 DANIELE ROSA 20 Quest'autore serive (pag. 376) (1): * Cattaneo beschreibt bei Mollusken das Absterben der Blutkörperchen und theilt diesen Process in mehrere Perioden ein. In der That können die Blutkörperchen alle diese Perioden durchmachen und schliesslich wieder lebendig werden „. Nei lombrichi certamente ciò non avviene mai; nelle goccie sospese in camera umida gli amebociti possono conservarsi per lunghissimo tempo senza essere realmente morti, cioè seguitando a variare di forma pel prodursi dei pseudopodii di diffluenza, ma non si ritrovano mai in esse degli amebociti coi pseudo- podii normali, quali si trovano solo facendo passare direttamente la linfa dai pori dorsali del verme nell'anidride iperosmica. Gli amebociti delle anodonte sembrano avere una maggiore vita Tuttavia dalle figure dell'Owsjannikow mi pare risulti pure che i pseudopodii che egli dice, che essi presentano dopo averli ritirati sotto l’azione dell’acqua non siano pseudopodii normali ma solo pseudopodii di diffluenza. Del resto l'Owsjannikow giunge persino a dire che i linfociti minori dell'anodonta (Spindelzellen) seguitavano per mezz'ora a muoversi ed a mandare prolungamenti nell’acido osmico all’1 9/,! Stabilita cos la forma normale degli amebociti e viste quali modificazioni pre- senti la forma di essi in condizioni anormali, aggiungo anche qui, come per gli eleo- citi, aleune osservazioni sulla loro interna struttura. Senza colorazione gli amebociti non presentano internamente strutture speciali, salvo che si mostrano or più or meno finamente granulosi, le granulosità presentando il carattere di essere piü rifrangenti del resto. Gli amebociti giunti allo stadio in cui si mostrano gli aloni, e colorati con genziana mostrano molto bene la loro composizione da due sostanze diverse, l'una granulosa, che si colora intensamente e che si trova allora accumulata attorno al nucleo, ed un'altra limpida ed omogenea che si colora leggermente e che forma gli aloni e le altre espansioni di diffluenza. Inoltre gli amebociti presentano soventi degli inclusi che sono generalmente goc- cioline adipose che hanno gli stessi caratteri di quelle degli amebociti e possono essere estremamente minute o anche formare invece grosse goccie, sempre però disposte senz'aleun ordine. Talora invece sono globuli identici a quelli delle cellule cloragogene; su questi torneremo piü tardi. Negli amebociti non sono riuscito a mettere in evidenza una centrosfera. I] nucleo de amebociti è molto grande; in media il suo diametro è di 4-6 u, ma va talora sino ad 8 yu. La posizione del nucleo è sempre alquanto eccentrica, e se esso è concavo, la sua concavità è rivolta verso al centro della cellula. La forma del nucleo è raramente rotonda, il più spesso è ovale col lato esterno più convesso e l’interno quasi piano, spesso anche è reniforme. Non sono rari anche i nuclei così detti polimorfi, nuclei a ferro di cavallo, tu- bulari-contorti o in altro modo irregolari. In qualche rarò caso ho trovato realmente due nuclei distinti in una stessa cellula. (1) Owssannıkow, Ueber Blutkörperchen (Astacus, Anodonta), “ Bull. Acad. Imp. des Sciences, S. Petersbg., V ser., t. II, n. 5, 1895 , 21 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 169 Tutte queste forme nucleari degli amebociti sono già state descritte ripetutamente per varie sorta di animali; il Knoll (1) le descrisse e disegnò recentemente anche per aleuni anellidi (capitellidi). Nel contenuto nucleare si nota come carattere costante la presenza di un grosso nucleolo (talora doppio). Esso risalta facilmente per la sua grande rifrangenza in amebociti non colorati, fissati coll’acido osmico, ed è reso visibile da molti coloranti. Quanto alla cromatina, essa si presenta in molti piccoli granuli, uniti da filamenti meno colorati, disposti talora a reticolo, ma più spesso mostranti una tendenza note- vole a disporsi parallelamente gli uni agli altri in lunghi cordoni flessuosi, che col loro complesso possono dare l'aspetto di uno spirema lasso. Tuttavia non ho mai osservato nel contenuto nucleare qualche altra disposizione che accennasse ad un principio di mitosi. Prima di lasciare gli amebociti devo ancora accennare a certi rapporti, a quanto pare, di fagocitosi che intervengono fra essi e le cellule cloragogene. Essi rigudr- dano non gli amebociti con pseudopodii petaloidi, ma solo quelli più rari che sono piriformi con un solo pseudopodio digitiforme. Tanto nel Lumbricus herculeus, quanto nell Allolobophora caliginosa (molto più raramente nell’ A. foetida ed in altre specie) si incontrano nel liquido uscito dai pori | dorsali ammassi di cellule cloragogene morte che si vedono anche ad occhio nudo nel liquido, sopratutto se è privo di eleociti, come granuli nerastri per trasparenza e giallo-bruni aranciati per riflessione. Questi ammassi son formati da un numero vario di cellule cloragogene, e sono avvolti da un sottile strato protoplasmatico che offre lo stesso aspetto dalla sostanza di quegli amebociti che son più granulosi, ma si colora meno rapidamente colla gen- ziana. Le singole cellule sono fuse insieme, ma l'addensamento dei loro granuli attorno a diversi centri e la loro povertà o mancanza in linee intermedie occupate, pare, dalla stessa sostanza che avvolge la massa, permettono negli ammassi minori di distinguere le diverse cellule le une dalle altre. Inoltre in questi strati proto- plasmatici intermedii si trovano sparsi i primitivi nuclei delle cellule cloragogene, che sono facilmente colorabili. Questi ammassi di cellule cloragogene morte son quasi sempre coperti di amebociti piriformi che vi sono fissati in numero vario da tutti i lati e vi aderi- k scono mediante l'estremità attenuata, sebbene spesso vi siano affondati in modo che non si vede fuori che parte del corpo cellulare. Talora (forse in cellule meno ben | fissate) presentano qualche espansione o pseudopodio di diffluenza. Questi amebociti piriformi aderiscono tenacissimamente a quegli ammassi e nelle varie manipolazioni non se ne staccano mai. Nell'interno degli amebociti, oltre al nucleo che si trova Sempre nella parte più larga libera, si vede talora qualche granulo identico a quelli delle cellule cloragogene. Queste cellule cloragogene sono evidentemente morte; si trovano talora nel liquido celomico cellule cloragogene strappate evidentemente, mentre erano vive, da qualche (1) Knorr, Ueber die Blutkörperchen bei wirbellosen Thieren, * Sitzungsber. d. K. Akad. der Wiss. m CII Band, Abth. III, pag. 440, Wien, 1893. Serie IL Tow. XLVI. = 170 DANIELE ROSA 22 contrazione dell'animale, ma queste sono piriformi col nucleo collocato nel peduncolo alla cui base per solito ramificata aderiscono spesso lembi del tessuto cui erano connesse. Queste cellule cloragogene non presentano mai pseudopodii di diffluenza. Infine ho trovato talora qualche piccolo ammasso rotondo di granuli cloragogeni molto addensati, circondato da uno strato protoplasmatico presentante pseudopodii di diffluenza; mi pare si tratti di una cellula cloragogena isolata interamente inglo- bata da una sola, o pochissime, cellule ameboidi che nel preparato non rimasero rapidamente fissate. Questi fatti ci dimostrano anzitutto che gli amebociti piriformi hanno facoltà fagocitiche (per quelli a pseudopodii petaliformi ciò è invece dubbio) e che essi si attaccano alle cellule cloragogene morte per nutrirsi non già dei loro granuli (poichè solo rarissimamente quegli amebociti contengono qualche granulo isolato), ma invece della sostanza protoplasmatica che esiste ancora in quelle cellule cloragogene. ' Ricordo a questo proposito che già altre volte nei lombrichi si segnalarono ammassi di fagociti inglobanti dei fascetti di setole vecchie, rientrate nella cavità del corpo; uno di questi casi 6 segnalato pel Criodrilus dal Vejdovsky (1) ed io stesso ne incontrai soventi tanto nei lumbricidi veri che in forme esotiche, p. es., negli acantodrilidi (Benhamia). Ritornerò nell'ultimo capitolo su questi fatti, poichè essi, insieme coi fatti pre- sentatici dagli eleociti, servono a spiegarci in qual modo il Cuenot sia stato portato a sostenere la teoria dell'origine degli amebociti dalle cellule cloragogene. LINFOCITI VACUOLARI Nella loro forma più tipica quelli che chiamo linfociti vacuolari sono caratteriz- zati dal fatto di giungere a grandi dimensioni e di non emettere pseudopodii nor- mali; cio li distingue dagli amebociti, mentre poi essi si distinguono dagli eleociti e mucociti, che anch'essi non hanno pseudopodii, pei fenomeni di diffluenza che pre- sentano quando siano posti in condizioni anormali e che sono affatto simili a quelli degli amebociti, mentre le altre forme di linfociti non presentano mai fenomeni simili. Si distinguono inoltre per la loro struttura vacuolare. Forse questi linfociti vacuolari non sono che amebociti più vecchi che han per- duto la facoltà di emettere pseudopodii; possono infatti avere dimensioni molto grandi, ma esse sono anche molto variabili, spesso piccole, e allora per solito la loro struttura vacuolare & poco evidente e non si possono distinguere da amebociti coi pseudopodii retratti. Specialmente si trovano linfociti senza un vero pseudopodio, ma tuttavia alquanto piriformi, che sembrano formare un passaggio diretto fra gli amebociti a un solo pseudopodio digitiforme ed i linfociti non ameboidi vacuolari. Per queste circostanze io baserd la seguente descrizione solo sulle forme più tipiche e maggiori. (1) Vzszpovskv, Syst. d. Olig., pag. 58. 23 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 171 Questi linfociti vacuolari sono estremamente rari nelle specie in cui esistono eleociti abbondanti, come, p. es., nell’Allolobophora foetida, chloratica, rosea...; in- vece sono estremamente abbondanti dove sono rarissimi o mancanti gli eleociti, | come nei veri Lumbricus (str. senso) e nell A. caliginosa, complanata, ecc. | La forma naturale di questi linfociti pud essere sferoide od ovoide, oppure piatta | | a contorno più o meno circolare od ovale. Per le forme sferoidi trovai all’ A. complanata dei diametri di sino a 20 u, per le forme piatte trovai (nel A. caliginosa) diametri di sino a 50 u o di 30 per 15. Queste dimensioni sono variabilissime; trovai infatti nell'una e nell'altra delle dette specie cellule piatte, larghe solo 12-14 u, che erano ancora certamente riferihili a | questa sorta di linfoeiti. | Che i linfociti vacuolari tipici non siano ameboidi, cioè non emettano veri pseu- dopodii, è evidente pel fatto che tutte le cellule con pseudopodii normali che si tro- | vano nei preparati han sempre dimensioni molto minori di quelle cui possono arrivare questi linfociti. Tuttavia il loro contorno, che per solito è continuo, nei veri Lum- bricus si trova così sovente sinuoso o largamente lobato che un moto ameboide | limitato non si può forse in tutti i casi negare anche ai linfociti vacuolari abba- stanza grandi. Questi grandi linfociti non emettenti pseudopodii si accostano agli amebociti veri, oltre che pel grande nucleo sempre eccentrico e spesso affatto marginale del | quale diremo più oltre, anche pei fenomeni di diffluenza che sono poco diversi, pre- sentando solo qualche differente modalità nelle cellule maggiori delle quali sole ci occuperemo. | Anche qui un fenomeno di degenerazione che si produce rapidissimamente à il | comparire dei pseudopodii di diffluenza; questi sono pure piliformi, ma molto nume- rosi e si uniscono nel modo indicato per gli amebociti, tantochè molto presto la | cellula si vede coperta da un graticcio brillante, che conviene saper distinguere | dalla struttura vacuolare interna; allo stesso modo come negli amebociti si formano poi qui al margine dei grandi aloni, prima lobati, poi perfettamente circolari. | La costituzione interna dei linfociti vacuolari si manifesta diversa da quella | degli amebociti veri pel loro modo di comportarsi coi coloranti; fissati con acido osmico e tinti con una soluzione acquea di genziana o di dahlia essi si colorano | molto più lentamente degli amebociti. | La minor colorabilità proviene dal fatto che in questi grandi linfociti, l'enchilema, cioè la sostanza intermedia semiliquida, che è poco colorabile, predomina notevol- | mente più che negli amebociti sulla cosi detta spongiosa, fatta di plasma più solido e | colorabile. : Questo enchilema sembra realmente disposto in vacuoli chiusi; tale struttura però son riuscito a vederla bene solo seguendo coll’occhio il graduale colorarsi di | linfoeiti fissati e poi trattati con soluzione leggiera di genziana o dahlia. | Seguendo in tal modo il lento colorarsi di tali linfociti (p. es. di A. complanata) in genziana si vede che dapprima essi non si colorano che leggermente in bleu, | mentre i loro nuclei e tutt’interi i vicini amebociti son già intensamente violetti. | Dopo qualche minuto anch'essi pigliano una tinta violacea ed allora si distinguono | in essi dei vacuoli debolmente colorati, separati da maglie fortemente colorate; v'è | | | 172 DANIELE ROSA 24 un'areola nella cellula, da cui le maglie sembrano irraggiare, essa è priva di vacuoli e perciò si mostra fortemente colorata e la sua forma è più consuetamente stellata. La posizione di quest'addensamento di plasma è centrale (forse dentro di esso si potrebbe trovare un centrosoma), mentre il nucleo è sempre eccentrico. La grandezza di quell'areola è per solito circa metà di quella del nucleo, à perd variabile, come è variabile quella dei vacuoli; questi in una stessa cellula sono tutti press'a poco ugualmente grandi, forse un po' maggiori alla periferia, e misurano sino a 2-8 p. Seguitando la colorazione, tutta la cellula diventa uniformemente violetta e quei differenziamenti si sottraggono allo sguardo; essi si possono talora ritrovare in pre- parati rapidamente scolorati dopo intensa colorazione, ma sempre in modo meno evidente. ; Il plasma che forma l impalcatura in cui stanno i vacuoli è grossolanamente granuloso e rifrangente. Le due sostanze si distinguono bene nei linfociti allo stato di degenerazione in cui si sono formati gli aloni; anche qui si trova la parte gra- nulosa e fortemente colorata della cellula addensata attorno al nucleo, ma molto più abbondante da un lato di esso; oltre alla struttura granulosa si distinguono qui ancora traccie di filamenti. Il nucleo dei linfociti vacuolari ha gli stessi caratteri di quello degli amebociti; l'uniea differenza che vi ho notato, oltre alla sua posizione più eccentrica e talora marginale, sta in ciò che esso è sempre tondeggiante od ovale, non polimorfo, il che indica forse che in questi linfociti è scomparsa ogni tendenza alla divisione amitotica. MUCOCITI L' Allolobophora rosea (Savigny, 1869) è più nota sotto il nome di A. mucosa datole nel 1874 dall'Eisen, che volle appunto con questo nome alludere alla grande quantità di muco bianchiccio o leggermente giallognolo, che questo verme, quando sia irritato, manda fuori dai pori dorsali. Esaminando al microscopio questo liquido, ho trovato che esso deve la sua mucosità alla presenza in esso di una quantità enorme di grandi linfociti che non ho mai ritrovato in alcuna altra specie di lumbricide. Chiamerd per brevità queste cellule “ mucociti ,; oltre ad essi si trovano nella linfa i soliti amebociti a fiore che si ritrovano in tutte le specie e che qui sono particolarmente grandi con pochi pseudopodii petaliformi ed inoltre una quantità variabile di eleociti piuttosto consistenti con globuli adiposi molto grandi che dànno al muco la sua tinta giallognola. I mucociti dell’A. rosea sono cellule lenticolari, cioè regolarmente biconvesse à margine continuo circolare od un po’ ovale. Per la massima parte esse hanno un diametro considerevolissimo che può giungere sino a 100.u, per cui sono allora visi- bili ad occhio nudo; il diametro più comune è perd di 80 u; il più piccolo diametro osservato è di 20 X 14. 25 1 LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 173 Di profilo il loro aspetto è naturalmente navicolare; soventi si incontrano di | tali cellule piegate in due, delle quali per la grande trasparenza non e visibile che | la sezione ottica, che è appunto lenticolare. È I margini di tali cellule sono sottilissimi, ma verso il centro esse vanno diven- tando abbastanza spesse: in una cellula del diametro di 50u ho trovato uno spes- sore al centro di 10u. | Notiamo che la forma lenticolare non è dovuta qui, come negli eleociti, alle modificazioni che subisce una cellula semiliquida sferoidale in speciali condizioni statiche, poichè tale forma lenticolare si trova nei mucociti anche se passati diret- | tamente dai pori dorsali dell’animale in un fissativo contenuto in vaso profondo. Il | contorno è continuo senza lobi od insenature. | Queste dimensioni e questa forma fanno riconoscere immediatamente queste cellule; per dare fin d'ora i loro principali caratteri aggiungerd che esse sono affatto incolore, trasparentissime, senza globuli od inclusi di sorta, con un grande nucleo | centrale e che si tingono intensamente con ogni sorta di coloranti anche dopo essere State fissate con anidride iperosmica. | Queste cellule non sono ameboidi e poste in condizioni anormali non presentano | | alcuno di quei fenomeni di diffluenza proprii dei linfociti ameboidi (amebociti) e dei linfociti vaeuolari. | Fuori dell'organismo subiscono invece modificazioni affatto particolari, diventano | cio? filamentose; in una goccia di linfa di A. mucosa che sia rimasta qualche secondo sul vetrino prima di essere fissata, i mucociti per la massima parte non sono più | | lenticolari, ma hanno un corpo piatto, mono, bi o tripolare, che ad ogni polo si continua 1 ] | gradatamente in un lunghissimo filamento indiviso, che può avere estrema sotti- | | SECH In una goccia fissata tuttavia abbastanza rapidamente ho già trovato di tali ule filamentose, che erano lunghe quasi due millimetri. | d Uscendo dai pori dorsali del verme, i mucociti prendono subito questa forma e | Giò dà alla linfa di questi animali il suo speciale carattere, che anch'esso corrisponde | Probabilmente ad una disposizione difensiva almeno contro ai parassiti. | La struttura di queste cellule è affatto differente alla superficie ed all’interno. | La superficie è tutta coperta di una reticolatura irregolare, d'aspetto grossola- namente zigrinoide, data da linee continue irregolari, che sono realmente incavate e | che delimitano spazi chiusi, irregolarmente tondeggianti. Nelle cellule colorate e poi | decolorate questi spazi conservano una tinta più intensa; il plasma che li costituisce, © rifrangente e un po’ granuloso. i [ Nelle cellule stirate in filamenti queste maglie si fanno naturalmente allungatis- Sıme e sembrano fili paralleli. La reticolatura si estende su tutta quanta la cellula, ! Sebbene a primo aspetto essa sembri mancare al disopra del nucleo e dello spazio | | chiaro che lo circonda. | Un fatto curioso è che questi mucociti sembrano essere rivestiti da una mem- brana, Mucociti fissati in anidride iperosmica ed osservati nell'aequa mostrano una | membrana che spesso è notevolmente staccata dal corpo della cellula in modo da àvvolgerla come un sacco troppo ampio. | : Questa membrana è sottilissima, ma ha un doppio eontorno e non mostra aleuna Str N : . : t uttura, salvochè porta spesso le impronte della reticolatura sopra citata e che ad | 174 DANIELE ROSA 26 essa aderiscono spesso internamente grumi di protoplasma, che proviene evidente- mente dalle areole sottostanti; essa & molto molle e di consistenza mucilaginea, poiché ad essa aderiscono facilmente tutte le impurità che accidentalmente si tro- vano nel preparato. La parte interna delle cellule si colora piü intensamente della parte superfi- ciale, ma colla decolorazione perde anche maggiormente la sua tinzione, essa appare essere meno rifrangente che la parte esterna e si mostra interamente omogenea, ma scura, come si vede bene in regioni ottiche. Un terzo strato della cellula è l'ampia sfera che vvolge il nucleo e che si vede già benissimo senza aleuna colorazione nelle cellule semplicemente fissate in acido osmico o bicloruro di mercurio; qui essa appare come uno spazio più ialino del resto. Essa è ancora meglio visibile in mucociti colorati, poiché la tinta che essa assume è sempre estremamente debole. La forma di questa sfera o periplasto è un po’ variabile secondo le disposizioni presentate dal suo contenuto cioè dal nucleo (talora doppio) e dal gruppo o dai gruppi di globuli paranucleari (centrosomi?) e di questi rapporti diro più oltre, generalmente però è circolare od un po’ ovale. I suoi limiti sono ora nettissimi, ora sfumati, anche il suo diametro è variabile e talora oltrepassa di poco quello del nucleo, ma per solito il periplasto è grande circa '/; di più del nucleo cioè ha 8 p. Il diametro del periplasto è indipendente da quello della cellula, dimodochè nelle cellule piccole esso giunge ad occupare !/, del diametro totale, sembrerebbe quindi che in origine tutta o quasi tutta la cellula abbia il carattere del periplasto e che solo più tardi si sviluppi lo strato più scuro e torbido che lo circonda: anche la rete superficiale nelle cellule giovani è meno evidente. Tl nucleo dei mucociti rispetto al diametro della cellula è molto minore di quello degli amebociti sebbene esso misuri in media 5 u, variando solo di !/, u in più 0 in meno. Esso è, sempre rotondo od ovale, molto turgido e non ho mai trovato nuclei reniformi o altrimenti un po’ irregolari. Ciò malgrado ho trovato non tanto raramente dei grandi mucociti con due nuclei uguali, grandi come nuclei normali, leggermente ovali e disposti l’un presso all’altro coi grandi assi paralleli. Essi erano contenuti in un periplasto comune ovale. Le grandi cellule in cui ho visto tali nuclei doppi presentavano forma regolarmente discoide senza accennare a divisione: siccome, come ho detto, non ho mai trovato nuclei che accennassero a dividersi, devo ammettere che lo sdoppiamento del nucleo avvenga solo negli stadii giovanissimi dei mucociti e che tali nuclei si mantengano doppi per tutta la vita della cellula senza condurre ad una divisione cellulare. Nell'interno del nucleo si vedono sempre uno o due nucleoli abbastanza grandi; brillanti e fortemente colorabili, p. es. colla genziana. La cromatina si mostra in piccoli granuli disposti per solito ai punti nodali di una rete sottilissima a maglie rettilinee e che raramente tendono a formare delle serie lineari diritte o sinuose. Oltre al nucleo si trova costantemente nel periplasto uno o più gruppi di globuli molto più piccoli del nucleolo, poco colorabili, ma che com'esso dopo l'azione del- l'acido osmico sono rifrangentissimi, dimodochè nelle cellule non colorate sono molto evidenti. 27 I LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 175 Nei mucociti grandi dove il periplasto è relativamente piccolo essi sono vici- nissimi al nucleo, ed il periplasto presenta in corrispondenza a quei gruppi un inca- vazione, oppure rimanendo esso ovale o rotondo il suo centro corrisponde al centro comune del nucleo e dei gruppi di globuli. Nelle cellule piecole, dove il periplasto rispetto al diametro della cellula & grandissimo, i gruppi possono essere molto distanti dal nucleo. Quando ce n'è un sol gruppo esso è sovente triangolare colla base verso il nucleo; spesso i gruppi sono due ai poli opposti del nucleo, alle volte i gruppi sono dal a 3 irregolari con tendenza a formare masse allungate. Il numero dei globuli rifrangenti è vario e difficile a stabilire in ogni gruppo, può essere in media di una decina, ma è da notare che spesso essi non sono ben distinguibili gli uni dagli altri e possono formare semplicemente una massa granulosa. Se in questi gruppi si possano vedere dei centrosomi riuniti in microcentri è cosa ancora dubbia. Non posso perd a meno di rilevare la grande rassomiglianza che offrono colle apparenze sopradescritte, quelle descritte e disegnate dal Vejdovsky (1) per le cellule ipodermiche di giovani Gordius (fig. 40, 40^, 41) dove si nota un nucleo ed uno o piü corpi che egli chiama centrosomi in una grandissima aureola ialina comune che egli chiama periplasto; di qui anzi ho appunto preso questa denomina- zione; accettando questo vocabolo non intendo naturalmente esprimere alcun’opinione sul significato che il Vejdovsky dà a questo periplasto che egli considera come identico alla sfera attrattiva di Van Beneden. Come ho detto questi mucociti non hanno riscontro in alcuna sorta di linfocito che io abbia trovato in altri lombrichi, è però notevole la loro rassomiglianza coi grandi linfociti discoidi di molti enchitreidi. ORIGINE DEI LINFOCITI In questo lavoro non ho inteso trattare la questione dell'origine dei linfociti. Tuttavia tocco qui tale questione perche i fatti fin qui esposti bastano già da soli à confutare una recente teoria sull'origine dei linfociti stessi che fu esposta lar- gamente dal Cuenot nel suo citato lavoro Études sur le sang et les glandes lympha- liques dans la série animale, « Arch. de zool. exp. , 1891. Il Cuenot ammette che gli amebociti degli oligocheti sono una trasformazione delle cellule eloragogene il cui complesso egli considera perciò come una ghiandola linfatica. t Quest'opinione emessa dal Cuenot nel 1891 non è del resto interamente nuova ed era già stata espressa (meno decisamente) dal Ratzel nel 1868 e dal Ray-Lankester nel 1870. Anzi, già nel 1879 il Vejdovsky (2), aveva già combattuto su cio il Ray- Lankester fondandosi sull'enorme differenza di grandezza, di forma, di struttura che (1) Vexpovsky, Organogenie der Gordiiden, “ Z. f. w. Z. ,, Bd. LVII, 1894. (2) Vuspovsxv, Monographie der Enchytraeiden, Prag, 1889, pp. 17-18. 176 DANIELE ROSA 28 esiste negli enchitreidi fra le cellule cloragogene e le Wanderzellen o linfoeiti; questa grave obbiezione sembra essere sfuggita al Cuenot. Per quanto riguarda specialmente i lombrichi il Cuenot dice che le cellule clo- ragogene riempite di granuli gialli si staccano dal canale digerente (o meglio dalle pareti dei suoi vasi) e cadono nella cavità del corpo dove si trovano in grande abbondanza (pag. 449), che nei vermi ben nutriti il liquido periviscerale & pieno di cloragogene il che dà una colorazione gialla all'animale, mentre quelli mal nutriti sono rosei o rossastri ed hanno linfa quasi incolora (p. 452). Il Cuenot afferma che tali cloragogene libere diventano ameboidi, che i loro granuli diminuiscono di numero, poi si segmentano e si fanno più piccoli ed infine spariscono lasciando al loro posto una fina punteggiatura plasmatica, che allora le cellule sono molto ridotte di volume ed infine si riempiono di vacuoli e si dissol- vono (p. 450). Dal punto di vista fisiologico egli dice che i peptoni provenienti dalla digestione sono assorbiti dalle cellule cloragogene e trasformati in albuminoidi che si accumulano in esse sotto forma di granuli grassi e che, staccatesi le cloragogene e cambiatesi in amebociti quei prodotti si sciolgono e passano nel celoma allo stato di materiali assimilabili (p. 451). Disgraziatamente quest'ingegnosa teoria almeno pei lumbrieidi (poiché egli la estende più o meno modificata a tutti gli animali) non è accettabile poiché i dati che dovrebbero servirle qui di base non sono esatti. E evidente che il Cuenot ha confuso i nostri eleociti colle cellule cloragogene. Quanto egli dice di cellule libere con granuli gialli esistenti nel celoma in numero tale da colorare in giallo la linfa e, per trasparenza, il lombrico stesso non si può applicare che agli eleociti. Questi dunque non sarebbero che cellule cloragogene staccate e modificate. Ora anzitutto gli eleociti non esistono in tutte le specie. In tutte si possono trovare poche vere cellule cloragogene staccate, ma queste sono cellule morte che come ho detto vengono rapidamente distrutte dai fagociti; i loro granuli hanno tutti i loro caratteri primitivi fra i quali l'insolubilità nell’alcool assoluto, nell'etere, ecc. Per le specie dunque senza eleociti la teoria del Cuenot è inapplicabile, non tro- vandosi in esse fra le cloragogene fisse e gli amebociti liberi alcuna forma che possa servire almeno apparentemente di passaggio. Inoltre è evidente che il Cuenot non ha conosciuto la forma normale degli eleo- citi e li ha confusi colle cellule cloragogene per averli studiati in istato non ben fissato, contratto, nel quale la loro rassomiglianza colle cellule cloragogene è realmente innegabile. Questa rassomiglianza scompare quando si osservino eleociti normali (sferici 0 discoidi) e ad ogni modo persiste sempre l'enorme differenza del loro contenuto che negli eleociti è un grasso facilmente solubile. Eleociti con granuli insolubili o clora- gogene libere con granuli solubili non si trovano mai. Come è certo che gli eleociti non sono cellule cloragogene staccate, così è certo che essi non si cambiano in cellule ameboidi. Gli eleociti stessi non sono ameboidi, il che è dovuto al fatto che la parte liquida del loro plasma è troppo predominante sulla parte consistente, contrattile. Quando un eleocito si contrae perdendo la parte 29 1 LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI 177 liquida, la porzione che gli rimane di plasma avente la consistenza di quello degli amebociti è minima e non è materialmente possibile farne derivare gli amebociti dei lombrichi; anche i caratteri dei nuclei sono affatto diversi. Dalla descrizione data degli eleociti dell’ A. foetida risulta chiaramente che si tratta di cellule desti- nate ad essere emesse e non a trasformarsi in elementi con caratteri giovanili come gli amebociti. Oltre che dallavere confuso gli eleociti colle cellule cloragogene il Cuenot è certo stato anche tratto in errore dall’aver trovato cloragogene morte avvolte da fagociti presentanti pseudopodii di diffluenza che egli credette cloragogene in via | di divenire ameboidi. Il Cuenot dunque non ci ha dato alcun motivo per farci considerare il complesso delle cellule cloragogene come una ghiandola linfatica, nd per farci respingere l’idea più generalmente ammessa e sostenuta sopratutto dal Kowalevsky che esso sia in- Vece un organo di escrezione. 1 T IE Serie IL Tow, XLVI. DANIELE ROSA — 1] LINFOCITI DEGLI OLIGOCHETI SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Eleocito di Allolobophora foetida allo stato normale sferico (osservato in camera umida); . testo pag. 5. Ingr. °%,. 3 Alterazioni successive dello stesso; cfr. pag. 7. Ingr. 90/4. . — Eleociti di A. foetida all'ultimo stadio (= fig. 2). Ingr. /,. . — Eleocito allo stato normale discoide (oss. in camera umida); cfr. pag. 6. Ingr. "01, . — Eleocito allo stato sacciforme irregolare (id.). j. — Eleocito di A. rosea fissato allo stadio sferoide; cfr. pag. 11. Ingr. %%/. . — Eleoeiti di A. putris, forme piccole, fissati allo stadio sferoide. Ingr. 9%/,. . — Eleocito di A. putris oss. in camera umida nello stadio in cui appare la rete adiposa; cfr. pag. 10. Ingr. %%/,. ig. 9. — Eleocito di A. foetida mostrante il nucleo e la centrosfera; cfr. pag. 12. Ingr. !^^/,, ig. 10. — Altro piü ingrandito. ig. 11. — Eleocito con centrosfera allontanata dal nucleo per stiramento della cellula. Ingr. !/,. ig. 12. — Nucleo di eleoeito di A. foetida; cfr. pag. 12. Ingr. 20001. ig. 13. — Amebociti di Lumbricus castaneus allo stato normale coi pseudopodii petaloidi primitivi; cfr. pag. 17. Ingr. !''/,, chlorotica. Ingr. 1|, ig. 15. — Amebocito di A. foetida che sta alterandosi presentando i pseudopodii petaloidi di dif- fluenza; cfr. pag. 19. Ingr. 9%/,. ig. 16. — Id. più alterato. Ingr. "0, ig. 17. — Id. allo stadio in cui i pseudopodii di diffluenza si son fusi a formare l'alone; cfr. pag. 19. Ingr. 99/,. ig. 18. — Nuclei di amebociti di A. foetida in cui non è rimasto colorato il nucleolo. Ingr. **9/,. ig. 19. — Linfocito vacuolare di A. caliginosa; cfr. pag. 28. Ingr. 0}, ig. 20. — Id. maggiore. Ingr. %%/;. ig. 21. — Id. fissato allo stadio della fig. 17; cfr. pag. 28. ig. 22. — Amebociti piriformi (fagociti) di Lumbricus fissi su un ammasso di cloragogene morte; cfr. pag. 21. Ingr. 9. ig. 23. — Mucociti di A. rosea al 1° stadio di alterazione (El. eleociti); cfr. pag. 25. Ingr. 24. ig. 24, — Id. giovani mostranti i corpi paranueleari (centrosomi?); cfr. pag. 26. Ingr. °%/,. . 25. — Nucleo di mucocito (i corpi paranucleari son mal conservati); cfr. pag. 26. Ingr. 20%). . 26. — Nuclei di mucocito in uno stesso periplasto; cfr. pag. 26. Ingr. 20). . 27. — Mucocito mostrante la zigrinatura superficiale (disegnata solo per una delle faccie); cfr. pag. 25. Ingr. 99J,. . 28. — Mucocito in sezione ottica; cfr. pag. 25. Ingr. %],. Fig. 20 SOPRA ALCUNI FENOMENI LUMINOSI PRESENTATI DALLE SCAGLIE DI CERTI INSETTI MEMORIA DI A. GARBASSO Approvata nell Adunanza del 26 Aprile 1896. Mero proposto, or sono alcuni mesi, di studiare un po’ da vicino i fenomeni luminosi presentati dalle squame di che sono fornite le farfalle e taluni coleotteri. E un argomento sul quale poco o nulla s'era fatto allora, almeno dal punto di vista Strettamente fisico. Le mie ricerche erano già alquanto avanzate, quando il ch." prof. L. Camerano richiamo la mia attenzione sopra un libro, pubblicato di recente dal sig. B. Walter, assistente al laboratorio fisico di Amburgo (1). In questo libro è trattato assai diffusamente l'argomento del quale io mi occu- Pavo, vi sono quindi contenute parecchie cose, che io pure avevo trovato (2). Per questo ritengo inutile di pubblicare ora le mie ricerche per intero; mi limi- terd a dire qualche cosa sopra un argomento che il sig. Walter non ha studiato. Taluni Curculionidi del Brasile presentano in diverse parti del corpo delle scaglie estremamente brillanti, adorne di colori cangianti vaghissimi. (I) B. Warrer, Die Oberflächen- oder Schillerfarben (Braunschweig. Wieweg und Sohn, 1895). . (2) Per esempio avevo già riconosciuto che nelle squame delle farfalle vi sono due modi distinti di colorazione. In alcune il colore è dovuto a sostanze coloranti moderatamente assorbenti; in altre invece a Sostanze, che esercitano un forte assorbimento sopra certi raggi soltanto. Le prime hanno lo stesso colore per riflessione e per trasparenza, le seconde hanno nei due casi colori complementari. Come tipo della prima categoria possono servire le squame gialle del Papilio Machaon, come tipo della Seconda le squame dorate della Plusia Chrysitis o le belle squame azzurre o turchine del genere Morpho. Basta dare un’occhiata alle squamette della P. Chrysitis in luce trasmessa e in luce riflessa sure 1 e 2 della tavola) per riconoscere che si è in presenza di fenomeni analoghi a quelli cui * dovuta la colorazione brillante dei metalli. (figu. 180 ANTONIO GARBASSO 2 L'Entimus imperialis è il più noto e il più diffuso di questi coleotteri. Le scaglie degli Entimus hanno un particolare interesse ottico, perche la loro costituzione è completamente diversa da quella delle squame delle farfalle, e anche la causa che produce quei colori così brillanti è diversa nei due casi. Io ho studiato in modo più completo le scaglie della specie tipica. Renderò conto per ora solamente dei risultati ottenuti sopra di essa. Lo faccio tanto più volentieri che questa ricerca fornisce argomento ad alcune esperienze eleganti d’ottica (1). Le scaglie del’ E. imperialis hanno forma tondeggiante, allungata; la forma, a un dipresso, che avrebbe una sezione praticata in un ovo da un piano passante per l’asse, ma un po’ meno tozza. La lunghezza di queste scaglie supera di solito il decimo di millimetro, la mas- sima larghezza è press’ a poco di un ventesimo. Do le dimensioni di tre scaglie, prese sopra la testa dell'insetto: lunghezza (in centesimi di millimetro) 12 12 18 larghezza massima 3 6 5 Le misure furono fatte semplicemente ponendo le squamette sopra la gradua- zione del micrometro obbiettivo. Se con un bisturi o semplicemente con uno spillo si gratta alquanto l insetto o sulle fossette delle elitre, o sulle coscie, o sopra la testa, si riesce con grande facilità a staccare un certo numero di scaglie, che si possono raccogliere sopra un vetro porta-oggetti. Esaminate con un ingrandimento moderato (due o trecento diametri) queste scaglie offrono, sia in luce trasmessa che in luce riflessa, una mirabile varietà di tinte vivacissime. Nemmeno i colori dello spettro o le ordinarie frangie d’ interferenza possono dare un'idea della bellezza di queste tinte. Particolarmente se si osserva per riflessione, sul campo oscuro, i colori sono tanto vivaci, che le scaglie sembrano brillare di luce propria (2). Per trasmissione le scaglie dell'E. imperialis si vedono quasi sempre tinte in (1) Approfitto di questa occasione per ringraziare il prof. Andrea Naccari e il prof. Lorenzo Camerano. Il primo pose a mia disposizione gli strumenti di cui avevo bisogno, l’altro mi fornì il materiale per le esperienze e mi soccorse di consigli e d’aiuti d’ogni maniera. (2) Le figure 3-12 della tavola rappresentano tutte scaglie di E. imperialis in varie condizioni. Si sono messe sul fondo nero quelle osservate per riflessione, o fra Nicol incrociati ; sul fondo bianco quelle osservate in luce trasmessa. La tavola fu acquarellata da mio fratello Alberto, ora tenente d'artiglieria nelle truppe d' Africa. 3 SOPRA ALCUNI FENOMENI LUMINOSI PRESENTATI DALLE SCAGLIE DI CERTI INSETTI 181 celeste, turchino, o violetto, o rosso porporino; qualche volta di un colore giallognolo o verde giallo; raramente verdi. | In luce riflessa invece predomina il giallo, il verde, o il verde azzurro; talora, ma di rado, si osserva una colorazione rosata. Non vi sono scaglie, che abbiano su tutta la superficie il medesimo colore; qua € là si osservano dei tratti neri, come delle lacerature, che separano regioni diver- samente colorate; spesso sopra una sola squama si vedono fino a quattro o cinque tinte differenti. i L'aspetto generale è quello delle laminette cristalline (di gesso p. es.), osser- | vate fra due Nicol. | Un particolare che, come si vedrà in seguito, ha una certa importanza per la | Spiegazione del fenomeno, à questo che le varie regioni di tinte differenti confinano tutte per qualche parte con l'orlo della squama. Le porzioni che si vedono diversamente colorate per trasmissione hanno ancora colori differenti per riflessione. Basta un'occhiata per riconoscere che le tinte di una medesima porzione di squama, nei due casi, sono all’ineirca complementari. Bisogna notare perd che, facendo girare il vetro porta-oggetti sopra la piatta- forma, lo splendore della luce riflessa, in generale, cambia molto e può anche ridursi à zero. La tinta rimane sempre la stessa. Ciò dipende secondo ogni probabilità dal non essere le squame perfettamente piane, ma qua e là alquanto incurvate. Ho detto che i colori di un determinato tratto di scaglia per riflessione e per trasmissione sono complementari. Se ne pud dare una prova diretta, facendo arri- vare la luce ad un tempo sopra e sotto la piattaforma. Se si regola conveniente- mente l’intensità dei due raggi, si vedono di colore bianco sudicio le porzioni della Squama, che sono in posizione favorevole alla riflessione. Il bianco ha perd un'apparenza lattea o meglio perlacea, che accenna ad una Struttura superficiale non perfettamente compatta ed omogenea. Le figure 3 e 4 della tavola rappresentano la medesima squama, vista una volta in luce trasmessa e l’altra in luce riflessa. Una piccola porzione della scaglia, che apparisce di color celeste nella figura 3, è invece nera nella figura 4, essendo in posizione inadatta a riflettere. Se mentre si osserva al microscopio una scaglia di Entimus, la si fa spostare in qualche modo, conservandola sempre a foco (1), si nota che i colori cambiano con l'inclinazione, tanto in luce riflessa che in luce trasmessa. La cosa si può verificare in modo semplice prendendo una squama sulla punta di uno spillo, che poi si fa muovere nel campo del microscopio; più comoda assai è la disposizione rappresentata nella figura, disposizione che, con qualche modifica- | | zione, potrebbe anche prestarsi a misure. Si colloca la squama sopra un dischetto di vetro c (un copri-oggetti), tenuto da | un anellino metallico o. L'anello, per mezzo di due viti vv’, è assicurato ad un se- | micerchio d'ottone s, che, a sua volta, per l'appendice p, si ferma a vite nel pezzo | Massiccio 5. Con questa disposizione il dischetto c pub ricevere due movimenti di ERO S ( 1) l'ingrandimento deve essere piecolo; nelle mie esperienze da 50 a 80 diametri. 182 ANTONIO GARBASSO 4 rotazione: intorno all'asse v»' e intorno all’ asse p. Il pezzo 5 si fissa alla piatta- forma del microscopio, in modo che il vetrino c venga a coprire il foro; e la squama da osservare si pone prossimamente al centro di c. Con qualche tentativo & facile condurla in tale posizione, che resti a foco malgrado i movimenti dell'anello o (1). Ora, facendo rotare il vetro intorno ad un asse oppure intorno all'altro, si vede la squama cambiare poco a poco di colore. Ho riconosciuto con un esame sommario che la successione dei colori è quella stessa, che si ha negli anelli di Newton al variare dello strato d'aria. Le osserva- zioni si possono fare tanto in luce trasmessa, che in luce riflessa. Per una data po- sizione i colori di una stessa porzione di squama, in un caso e nell'altro, si conser- vanó complementari. Questo almeno nei limiti di inclinazione fra i quali ho osservato. Per spiegare i fenomeni descritti finora si può pensare che le squame di En- timus rechino delle sostanze coloranti « colore superficiale; oppure che si tratti in- vece di colori di lamine sottili. Il fatto dell’ essere complementari i colori di un medesimo tratto di scaglia, in luce riflessa e in luce trasmessa, si spiegherebbe così nella prima come nella seconda ipotesi. Se però si esaminano le cose un po’ più davvicino si riconosce subito che il secondo modo di vedere è il più verosimile. Sarebbe strano infatti che sopra una stessa scaglia esistossero 5 o 6 sostanze coloranti differenti, così nettamente sepa- rate le une dalle altre. Sarebbe strano che le sostanze coloranti sopra un medesimo insetto arrivassero, come arrivano le tinte delle scaglie, a parecchie decine se non a centinaia. E anche più strano sarebbe che i colori variassero tanto con l'incidenza della luce. Tutti questi fatti si comprendono bene invece se supponiamo che si tratti di fenomeni d'interferenza. (1) Anche qui bisogna limitarsi a piccoli ingrandimenti. E 5 SOPRA ALCUNI FENOMENI LUMINOSI PRESENTATI DALLE SCAGLIE DI CERTI INSETTI 183 | La struttura della scaglia mi sembra che si possa intendere così. Sarebbero due | pellicole sottili, trasparenti, saldate per gli orli una contro l'altra. Una delle due essendo screpolata, o entrambe, i diversi pezzi si incurverebbero in modo differente, dando origine ad una grande varietà di colorazioni. In realtà lungo l'orlo, in certe posizioni, si osserva una specie di costura, che è particolarmente visibile in aleune scaglie. Si vede assai bene, p. es.; per un tratto, nella squama rappresentata dalla figura 3. Inoltre è facile, fra molte scaglie, tro- varne alcune della forma e dimensioni solite, ma di colore unito, giallo pallidissimo in luce trasmessa. Queste scaglie sono intatte o appena leggermente screpolate; e Sono perfettamente trasparenti, giacchè attraverso ad esse si vedono, come attra- Verso al vetro, le divisioni del mierometro obbiettivo. Non danno mai nessuna colo- razione in luce riflessa. È probabile che queste siano scaglie ordinarie, ma sdoppiate. Del resto si possono facilmente imaginare delle esperienze per provare che si tratta di colori d'interferenza. Per esempio si possono assoggettare le scaglie ad una compressione. Se la loro tinta dipende da una particolare sostanza colorante non dovrà cambiare e invece si dovrà alterare se è dovuta ad un fenomeno d’interferenza. Ora si trova che le colorazioni delle squame di Entimus, quando si comprimono, cambiano moltissimo; anzi le modificazioni della tinta sono tali da rendere più plau- sibile la ipotesi, che ho messo innanzi sulla costituzione delle scaglie stesse. Per fare l'esperienza si colloca sopra la squama, che si vuol studiare, un copri- oggetti, poi si abbassa il microscopio fino a toccarlo, e si sforza un pochino la vite in modo da esercitare una leggiera compressione. Quindi si rialza e si rimette a foco l'apparecchio. La figura 5 rappresenta la stessa scaglia della figura 3, dopo che fu Sottoposta a compressione nel modo detto ora. L'osservazione è fatta in luce tras- Messa. Come si vede la disposizione dei colori ha cambiato quasi completamente; solo in alcune regioni (in quella celeste di destra e nella gialla inferiore) si possono riconoscere le tinte primitive. Si vedono però ancora le screpolature, che separavano Drima i tratti di tinta differente. Si nota subito che i colori non sono più distribuiti a casaccio; le linee isocro- Matiche corrono ora, più o meno, secondo l’orlo della scaglia. à Fatti analoghi a quelli osservati in luce trasmessa si possono riconoscere quando Sl osservi invece per riflessione. La figura 6 dà un'idea di ciò, che si vede in queste condizioni. Si noterà che i colori dei punti corrispondenti, nelle figure 5 e 6, sono Sempre complementari. La figura 6 rende bene l’aspetto degli anelli di Newton, pro- dotti sopra un vetro nero. 3 Si intendo come agli orli le due foglie, che formano la squama, siano tenute ad Una distanza invariabile dalla costola, che le riunisce. Ho cercato di modificare i colori delle scaglie di Entimus anche per altra via. A questo proposito gioverà ricordare brevemente le osservazioni, fatte dal signor in (1), sopra le prove colorate ottenute col metodo di Lippmann. Quando si Soffia dell’aria umida sopra uno strato di gelatina, sul quale sia fotografato uno Mesl ant (1) G. Mestix, “ Annales de ch. et de phys. ,, (6), XXVII, 369, 1892. 184 ANTONIO GARBASSO 6 spettro, si vedono i colori spostarsi sopra la lastra. Anzi in aleuni casi i colori non Sono nemmeno visibili in condizioni normali. Solo inumidendo comincia a comparire il violetto, che si muove lentamente sopra la gelatina, seguito via via dagli altri colori nell'ordine spettrale. Delle esperienze dello stesso genere si possono fare con le nostre squame. Anzitutto ho provato a bagnare la squama con una piccola goccia d'acqua, ma mi aecorsi che essa rimaneva, dentro la goccia, incolora e senza riflessi. Facendo evaporare l’acqua, tutto ritorna nelle condizioni di prima. Può darsi che la squama così inzuppata gonfii tanto, da non essere più in grado di produrre i colori delle lamine sottili. Ma si potrebbe anche pensare, che si avesse qui un fatto analogo a quello per cui il colore turchino intenso di una squama di Morpho, immersa nel- l’acqua, gira al verde. Ho cercato dunque un modo per inumidire gradatamente le squame, che volevo studiare, senza bagnarle. Ho trovato che il procedimento più conveniente è questo. Si prende una goccia d'una soluzione salina qualunque, un po’ diluita (un'acqua minerale può servire benissimo), e la si fa evaporare sopra un porta-oggetti. Restano molti cristallini di sale, che formano un reticolato sul vetro. Su questo reticolato si depone la squama, che si vuole studiare; e intorno ad esso si fanno cadere tre o quattro piccole goccie d’acqua. Osservando al microscopio si vede l’acqua infiltrarsi poco a poco nei canaletti, che restano fra i cristalli. Così la squama gradatamente si inumidisce, perchò lo strato, su cui essa riposa, si va sempre più inzuppando. E poco a poco si vedono variare i suoi colori. L'osservazione riesce particolarmente interessante in luce riflessa, sul campo oscuro. Le figure 7, 8 e 9 della tavola mostrano le varie colorazioni assunte da una scaglia di Entimus, sottoposta a questo trattamento. Sono prese a 5 minuti circa di distanza una dall’altra. Il verde e il turchino della prima figura girano nella seconda al rosso e al giallo. Dopo la tinta non cambia più notevolmente, solo i colori diven- tano alquanto sbiaditi. E press’a poco s'ottiene ciò, che si sarebbe ottenuto bagnando addirittura la scaglia. Si può anche variare i colori delle squame d’Entimus, disseccandole col riscal- damento. Disgraziatamente non ho potuto riprodurre con figure ciò, che succede in questo caso; riferirò soltanto alcune delle note prese durante lo esperienze. Dopo un moderato riscaldamento, ottenuto passando due o tre volte il porta- oggetti sopra un becco Bunsen, le tinte erano appena alterate; solamente l'azzurro girava al violetto. Se si scaldava più energicamente, tutti i colori tendevano al giallo o al ranciato; l'azzurro girava preferibilmente al giallo rossastro, il carnicino e il carmino al giallastro. Per riflessione, sul campo oscuro, le regioni gialle in luce trasmessa davano un bel colore turchino-cupo un po’ sbiadito. Un turchino particolarmente bello era dato per riflessione da una squama, che, prima del riscaldamento, era porporina in luce trasmessa, verde brillante in luce riflessa. Dopo cercai di inumidire le squame alitandovi sopra, e vidi che, poco a poco, i gialli cominciavano a diventare rosati, i rossastri tendevano al carmino o al vio- 7 SOPRA ALCUNI FENOMENI LUMINOSI PRESENTATI DALLE SCAGLIE DI CERTI INSETTI 185 letto; finalmente il turchino riflesso dalla squama, di eui ho parlato piü sü, girava al verde-azzurro. In una parola si tornava per gradi alle colorazioni, che esistevano prima del riscaldamento. Ho accennato più innanzi a certi fatti, che rendono probabile l’esistenza di mi- nute irregolarità nella struttura delle scaglie d’Entimus. Ho cercato di mostrare in diversi modi, che le cose stanno veramente cosi, e Sono riuscito assai bene, impiegando per le osservazioni la luce polarizzata. Se è vero che la struttura delle squame d’Entimus è alquanto irregolare, ci dobbiamo aspettare, che esse depolarizzino un raggio, che le attraversa. Vuol dire che, fra due Nicol incrociati, le squame non appariranno oscure, ma invece più o meno luminose. Supponiamo di fare le osservazioni in luce trasmessa. Il raggio polarizzato attraversando il foglio inferiore della scaglia’ si depolarizza in parte, si producono quindi, in luce naturale, i soliti colori delle lamine sottili, che saranno visibili attra- Verso al Nicol oculare. Le osservazioni confermano queste previsioni della teoria, almeno in parte. Si trova infatti, che le scaglie d’Entimus sono visibili fra due Nicol incrociati, ma salta Subito all’occhio una circostanza notevole. l colori non sono in ogni caso quelli stessi che si avevano per trasmissione in luce ordinaria. Ho riprodotto i fenomeni osservati in due squame, particolarmente caratteri- stiche, nelle figure 3 e 10, 11 e 12. La 3 e la 10 rappresentano la stessa squama, în luce trasmessa la prima e fra i due Nicol incrociati l’altra. Le figure 11 e 12 rappresentano gli aspetti corrispondenti per una seconda scaglia. : Si noterà subito che nelle figure 10 e 12 non vi sono altri colori che rosa pal- lido, porporino, turchino e violetto. Ho osservato un gran numero di scaglie fra i due Nicol e tutte senza eccezione mi hanno mostrato questo curioso fenomeno. Non mi sembra difficile intendere come avvengono le cose. Basta ammettere che le rugosità delle pareti della scaglia siano tanto minute da esercitare un'in- fluenza sensibile solo sopra le onde luminose più corte. Sarebbe qualche cosa di analogo a quello, che avviene nella nostra atmosfera. Le particelle minutissime, che essa mantiene in sospensione, diffondono preferibilmente le onde a periodo breve e così ha origine la colorazione del cielo. Se un fenomeno simile si presenta nelle scaglie di Entimus, è facile prevedere Quali tinte si devono produrre in ogni caso. Supponiamo che la lamina d’aria sia di tale spessore da dar origine ad una colorazione turchina; nella luce depolarizzata, che ha attraversato la prima parete, ^ sono delle onde turchine, si possono dunque produrre i consueti fenomeni di interferenza, Serre II. Tom. XLVI. d A. GARBASSO — SOPRA ALCUNI FENOMENI LUMINOSI, ECC. 8 Se invece la lamina, racchiusa nella scaglia, è di tale spessore da produrre un colore giallo, in luce naturale, questo non potrà più comparire fra i Nicol, perchè non vi sono raggi gialli depolarizzati. Resta a vedere che colore sostituirà il giallo. Per questo si osservi che, dietro una lamina sottile, vengono ad interferire non solo i raggi, che l'hanno attraversata direttamente con quelli, che furono riflessi una volta ad ogni parete, ma anche i raggi diretti con quelli, che subirono quattro riflessioni nell'interno. Il colore dato dalla prima interferenza è molto più intenso di quello, che si produce nella seconda; si percepisce dunque quello a preferenza di questo. Ma, se quello mancasse, è chiaro che l’altro diventerebbe percepibile. Nel caso nostro se le condizioni sono tali, che la seconda interferenza dia origine ad una colorazione azzurra o violacea, questa si mostrerà fra i due Nicol incrociati. La differenza di cammino fra i due raggi interferenti è per la seconda coppia due volte più grande che per la prima; la tinta, che sostituirà il giallo, è dunque a un dipresso quella, che si osserverebbe in luce trasmessa naturale dietro una la- mina sottile di spessore doppio di quella, che dà origine alla particolare colorazione gialla, che si considerava. N Per esempio la regione inferiore della scaglia rappresentata nella figura 3 è giallo-pallida. Per riflessione lo stesso tratto è grigio-lavanda (figura 4), lo spessore della lamina d'aria corrispondente (1) è d'una cinquantina di milionesimi di milli- metro. Ad uno spessore doppio corrisponderebbe un colore bruniccio ed è quello che si vede nella figura 10. Ancora: la prima regione in basso sulla scaglia della figura 11 è giallo-bruna, e corrisponde ad uno spessore di 110 milionesimi di millimetro. Uno spessore doppio darebbe un colore turchino-bigio, come quello che si scorge nel tratto corrispondente della figura 12. Si noterà che certi tratti, di colorazione molto simile in luce naturale trasmessa, appariscono alquanto diversi fra i Nicol. Questo non costituisce una difficoltà grave, perchè si sa che tinte poco differenti possono essere prodotte da spessori alquanto diversi; ma gli spessori doppii, in genere, non dànno più colori molto vicini. Mi sembra che queste osservazioni valgano a mettere in luce la particolare struttura delle scaglie dell' E. imperialis e nello stesso tempo confermino che i loro colori sono dovuti ad interferenza. (1) Cfr. Verne, Wellentheorie des Lichtes, I, 60, 1881. sia PENA + TR P CL Alb, dedi oo (dae do Mat. eS Cat. Serie 2% Como XIV A-GARBASSO -Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti. | | | | | | | | | | | | | f | | i | | i | | | | ET | H | ` | È | D i | | $ | | | | à | : | | E | | | AT | à | R 3j | x | i | | | | d | | E | + | i | P | H Ss A Gran — | ; basso di - en | È eil ORO TEANO oT 9 | 1 — ure | SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE DI TRASFORMAZIONI PROIETTIVE IN SE MEMORIA GINO FANO Approvata nell Adunanza del 12 Aprile 1896. un n Considerazioni generali. 1. Questa Memoria ha per iscopo di portare un nuovo contributo alla teoria delle varietà algebriche a un numero qualunque di dimensioni e appartenenti a uno Spazio qualsiasi, le quali ammettono un gruppo continuo di trasformazioni proiettive in sè stesse. — Poco meno che ovvio è ancora il caso delle curve algebriche con infinite trasformazioni proiettive in sè (Curve W, secondo la denominazione usata dai Sigg. Kun e Lie ()), essendo queste curve tutte razionali, e anzi razionali normali (di ordine r in $,) nel caso di un gruppo almeno co? di trasformazioni proiettive, mentre quelle che ammettono solo un gruppo co! di tali trasformazioni si possono ottenere come proiezioni di curve razionali normali da spazi aventi rispetto a queste determinate posizioni (°). — Il caso successivo delle superficie (o varietà 00°) presenta già difficoltà sensibilmente maggiori; ma anch'esso si può ritenere ormai come esau- rito, grazie ai risultati ottenuti dal Sig. Lie (Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, pag. 190-196, e: “ Leipz. Ber. ,, anno 1895, fasc. II, pag. 209-247) e dal Sig. Enriques (“ Atti del R. Ist. Veneto ,, ser. 72, vol. IV e V), e a quelle ulteriori estensioni ed osservazioni varie, anche per spazi qualunque, che sono contenute in C) “ Compt. Rend. ,, t. LXX, pp. 1224 e seg; “ Math. Ann. ,, Bd. IV, pp. 50-84. C) Cfr. Kua-Lue, 1. e; Loria, “ Giornale di Mat. ,, vol. XXVI, e * Rend. di Palermo ,, t. II (1888); come pure una mia Nota nei “ Rend. dell’Ace. dei Lincei ,, ser. 5°, vol. IV, 1° sem., pp. 51 e seg. ee 188 GINO FANO 2 talune mie Note (^ Rend. della R. Acc. dei Lincei ,, serie 5°, vol. IV, 1° sem., p. 149-156; “ Rend. di Palermo ,, t. X, pp. 1-15 e 16-29). — In questo lavoro io passo quindi allo studio delle varietà algebriche a tre dimensioni (M;) con infinite trasformazioni proiettive in sè, e mi occuperd.più specialmente di quelle fra esse che sono contenute in uno spazio a quattro dimensioni (S,), che sono cioè rappre- sentabili con un'uniea equazione algebrica intera fra cinque variabili omogenee. In particolare mi propongo ora di determinare quali varietà M, dello spazio S, ammet- tano un gruppo transitivo (quindi almeno co?) di trasformazioni proiettive in se (un gruppo tale cioè, che con un'opportuna operazione di esso si possa sempre passare da un punto generico della varietà M; ad ogni altro) (). 2. Ma i metodi che sono seguiti nelle ricerche sulle superficie con co? o più trasformazioni proiettive in sè non potrebbero forse riescire altrettanto utili nel caso attuale. Nella determinazione dei gruppi proiettivi oo? dello spazio Ss il Sig. Enrrques aveva già dovuta escludere (per evitare una soverchia complica- zione) la considerazione dei gruppi composti esclusivamente di omografie con punti uniti multipli. Io ho mostrato più tardi (^ Rend. Acc. dei Lincei ,, vol. e Nota cit.; “ Rend. di Palermo ,, t. X, p. 23 e seg.) che anche la considerazione di questi ultimi gruppi non conduce ad altre superficie algebriche, all’ infuori di quelle già studiate dal Sig. Exriques, o di talune superficie W (vale a dire superficie con OO? trasformazioni proiettive permutabili) che a lui pure si erano presentate per altra via. Ma se noi volessimo ora incominciare, seguendo una via analoga a questa, lo studio dei gruppi proiettivi co? dello spazio 8,, ci troveremmo ben presto davanti a un numero assai grande di casi da esaminare ; e ciò anche senza tener conto della maggiore complicazione prodotta sia dalla presenza di punti uniti multipli, dalla cui considerazione è per lo meno assai dubbio se qui si potrebbe ancora prescindere ; sia dal fatto che un punto unito variabile potrebbe qui descrivere un'intera super- ficie, e non soltanto una curva. — Si avverta pure che la determinazione di tutte le superficie di S, con cO? trasformazioni proiettive in sè, accennata appena dal Sig. Lie nel 3° vol. della sua Theorie der Transformationsgruppen, & stata ora com- pletamente eseguita da lui stesso in una Nota (già cit.) inserta nel 2° fasc. dei “ Leipziger Berichte , dell'anno 1895 ; ma anche il metodo seguito da quest'illustre scienziato, benchè immediatamente estendibile e di riescita sicura, presenta pur sempre taluni inconvenienti; esso si riduce, fra le altre, a un puro e lunghissimo lavoro di calcolo, e non permette nemmeno di fissare la propria attenzione sopra alcun concetto un po’ generale, al quale si possa informare tutta la trattazione; vantaggio que- st'ultimo non disprezzabile, che, per altra via, e almeno in parte, noi non disperiamo forse di raggiungere. — E nella determinazione delle superficie con almeno co? tras- formazioni proiettive in sè, è fondamentale, tanto per il Sig. Lie, quanto per il Sig. ENRIQUES, la considerazione delle linee asintotiche sulle superficie stesse; consi- (1) E questo infatti il caso più interessante. In ogni altro caso la varietà M; non sarebbe che un aggregato di OO! superficie o di OO? curve (razionali le une e le altre) ciascuna delle quali sa- rebbe di per sè unita rispetto a tutte le trasformazioni del gruppo proposto. 3 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 189 derazione che si potrebbe fors'anche estendere alle varietà M; di S, assumendo come analoghe alle asintotiche le curve determinate dalle direzioni delle tangenti quadripunte, ma che non riescirebbe probabilmente altrettanto utile. Si osservi ad es. (nel caso in cui tali linee siano rette) che mentre una superficie la quale contenga due diversi sistemi cO! di rette è necessariamente una quadrica di S, (ovvero un piano) non è noto invece che sussista una proprietà analoga, o almeno altrettanto semplice, per una varietà M; contenente un egual numero di sistemi co? di rette. 3. Noi prenderemo quindi le mosse, in queste ricerche, da considerazioni affatto diverse; e precisamente da aleune considerazioni (dovute pure al Sig. Lin) sulla com- posizione dei gruppi continui. Sarà per noi fondamentale la distinzione di questi gruppi in integrabili e non integrabili. Si chiama integrabile (') ogni gruppo continuo oo (6,), nel quale esista tutta una serie di sottogruppi G; (i =r — 1, r —2,...2, 1), dipendenti ciascuno da un numero di parametri essenziali eguale all'indice i, e tali che ciascuno di essi sia contenuto come sottogruppo invariante nel gruppo precedente G;,; (e in particolare G,., entro @,). — Allora si può anche dimostrare C) che la stessa serie di sotto- gruppi G;, o eventualmente un'altra serie analoga, deve anche esser tale che ogni sottogruppo G; risulti invariante non solo entro G, ,, ma entro ogni gruppo G;;, (dove l-k-r-i), e in particolare entro G,. I gruppi non integrabili saranno pertanto quelli in cui non esiste alcuna serie di sottogruppi G; aventi la proprietà ora indicata. Un gruppo continuo non integrabile deve contenere almeno tre parametri (essen- ziali). I gruppi non integrabili piü semplici ne contengono appunto tre soli; e in essi si possono sempre trovare tre trasformazioni infinitesime indipendenti X,f, ) X;f, per le quali si abbia : (X Xj-—Xf (X; X3) = 2X,f (X; Xi) Kë ER Questi gruppi 00° sono semplici (nel senso della teoria dei gruppi) non conten- gono cioè alcun sottogruppo invariante. Ne dà un esempio notissimo il gruppo co? delle proiettività in una forma semplice (ad es. sulla punteggiata). Un teorema che caratterizza ancor più la distinzione fra gruppi integrabili e non integrabili è il seguente, dovuto al Sig. Rue, (5: ` Un gruppo continuo à integrabile sempre e solo quando non contiene alcun sotto- c9 gruppo © semplice (avente cioè la composizione testé indicata). I gruppi non inte- (1) Lie, Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, p. 679; Lie-Scherrers, Vorlesungen über con- tinuirliche Gruppen... ; p. 587. La denominazione di gruppo integrabile fu usata per la prima volta dal sig. Lig nel 1889 (* Leipz. Ber. ,); ma il concetto di un tal gruppo risale ai primi lavori dello Stesso A. sulla teoria generale dei gruppi continui (1874). C) Lie-Scuereers, 1. c., p. 537. C) Los, Op. cit., vol. III, pp. 718-714; Lir-Scnerrers, Op. cit., p. 572. Ë) Kleinere Beiträge zur Gruppentheorie, Il, “ Leipz. Ber. ,, anno 1887, p. 89; Lie, Op. cit, vol. III, p. 757. 190 GINO FANO 4 grabili saranno dunque quelli e quelli soli che contengono (almeno) un sottogruppo co° così costituito (o hanno essi stessi questa composizione, se sono precisamente 09°). 4. Passando adesso dal campo puramente astratto in cui finora siamo rimasti a quello concreto (e che a noi più interessa) dei gruppi continui proicttivi, troviamo quest'altro teorema, che è anche notevole (°) : Ogni gruppo proiettivo integrabile di uno spazio qualunque S, ammette almeno un punto unito fisso, una retta unita passante per questo punto, un piano unito per questa retta, ecc. e infine un iperpiano (S, X) unito fisso contenente questi vari spazi minori. In generale, per ogni S; unito fisso (0 < k< r — 2) passa un Sp del pari unito (e vi è sempre almeno un punto, ossia un S, unito, quindi un Si, ecc.) — L'inversa di questo teorema è pur vera e quasi evidente. Quanto ai gruppi proiettivi non integrabili, importerà anzitutto studiare quelli co, perchè questi entrano appunto come sottogruppi in tutti gli altri. E anche per questi gruppi œœ si ha un teorema generale, del quale ci occuperemo nel prossimo $. Quello che è stato detto finora ci sembra intanto sufficiente per giustificare la divisione che intendiamo fare della nostra ricerca in due parti: Varietà M, di S, con gruppi integrabili — e varietà con gruppi non integrabili di trasformazioni proiettive in sè. Le due questioni parziali verranno studiate con metodi e per vie affatto di- verse l'una dall'altra. Il caso dei gruppi non integrabili si rivelerà come molto più semplice ed ele- gante, nonché breve a trattarsi, e perciò appunto intendiamo dedicare ad esso questo primo lavoro. Avremo così occasione di occuparci anche di questioni relative a par- ticolari rappresentazioni geometriche delle forme e dei sistemi di forme binarie; questioni che si collegano al così detto Principio di trasporto di Hesse (*). In gene- rale, vedremo che la ricerca di tutte le varietà algebriche M, di uno spazio qua- lunque $, con un gruppo non integrabile di trasformazioni proiettive in sè, si può ricondurre a quella dei sistemi di relazioni invariantive (rispetto a sostituzioni lineari) tra i coefficienti di una o più forme binarie, e in particolare la ricerca delle M, , di S, a quella degli invarianti (nel senso ordinario) di una forma binaria di grado r e degli invarianti simultanei di due o più forme di gradi inferiori (e precisamente di gradi tali che, aumentati ciascuno di un’unità, diano per somma r+1). — Si av- verta pure che i gruppi (proiettivi) non integrabili sono anche i più importanti (si potrebbe anzi dire, i soli importanti) quando si voglia tener d'occhio l’applica zione che se ne può fare alla classificazione di talune categorie di equazioni differenziali, ad es. delle equazioni differenziali lineari omogenee (con una sola variabile indipen- dente), considerando questi stessi gruppi proiettivi, ovvero quelli corrispondenti di sostituzioni lineari omogenee, come gruppi di razionalità di altrettante equazioni (1) Liz, Op. cit, vol. I, p. 589; vol. III, p. 681; Lue-Scuerrers, Op. cit., p. 532. @) “ Journ. de Crelle ,, Bd. 66, pp. 15-21 (1866). Cfr. anche il 8 5 dell'opuscolo (Programmschrift) del Komm, Vergleichende Betrachtungen über neuere geometrische Forschungen (Erlangen, 1872), ristam- pato nel vol. XLIII dei * Math. Ann. „, e tradotto in italiano nel vol. XVII degli “ Annali di Mat. »- 5 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 191 differenziali lineari, secondo le idee svolte in vari lavori del Sig. Prcarp OI e nella Dissertazione del Sig. Vessror (%). Ogni qual volta infatti il gruppo di razionalità è integrabile, lequazione differenziale : lineare corrispondente risulta integrabile per quadrature (). È in cio precisamente, e in proprietà analoghe di altre equazioni diffe- renziali (con trasformazioni infinitesime in sè), che sta la ragione del nome di gruppo integrabile (*). Delle varietà di S; con un gruppo integrabile di trasformazioni proiettive in sè conto occuparmi in un altro lavoro, esponendovi, in parte almeno, i risultati che ho già ottenuti. Fra le varietà M, con almeno 00° trasformazioni proiettive in sè (che corrisponderebbero in certo qual modo alle superficie di S, con 00° trasformazioni così fatte) se ne troveranno alcune geometricamente interessanti. Delle M; di S, con sole 00° trasformazioni proiettive in sè ho determinati pure tutti i diversi tipi; ma dubito assai che l'esposizione completa di questi ultimi possa anche riescire utile e interessante. UD DO I gruppi proiettivi semplici tre volte infiniti. 5. In questo § mi propongo di determinare i diversi tipi di gruppi proiettivi semplici 00° di uno spazio qualunque S,. Poichè ogni gruppo non integrabile deve contenere (almeno) un sottogruppo © così costituito, è chiaro che le varietà inva- rianti rispetto a gruppi proiettivi non integrabili saranno anche tutte invarianti rispetto a qualche gruppo (proiettivo) semplice co*. Si può riconoscere facilmente () che i soli gruppi proiettivi semplici oo? di uno spazio Sr, à quali non mutano in sè nessuno spazio minore S, (0<%k 2) spazi uniti indipendenti di dimensioni h, , ho, ...hn (0 S h; © r — 1) tali che: EL 1) Li In particolare dunque, se vi è un S, , unito, vi dovrà anche essere un punto unito (fisso) esterno a questo spazio (iperpiano); se vi è un S,- unito, vi sarà anche una retta unita non incidente a questo S,_, D), e così via dicendo. — In ciascuno spazio unito minimo Sx, (per À; > 1) verrà poi subordinato un gruppo 00° con una curva razionale normale (di ordine A) unita; curva che, per h; =1, sarà la stessa retta Sa; = Die Questo teorema si trova già enunciato nel 3° vol. della Theorie der Transfor- mationsgruppen del Sig. Lie (p. 785), ma non vi è dimostrato ; è detto soltanto che la (prima) dimostrazione datane da Srupy non era forse del tutto soddisfacente, ma è stata poi completata da EnckL con opportuni sviluppi analitici (analoghi a quelli di cui è fatto uso a pp. 736 e 758 «del vol. stesso). — Io ho cercato di darne un'altra dimostrazione (geometrica), che è quella appunto che forma l'oggetto principale di questo $ (). La dimostrazione è divisa in tre parti. Nelia prima parte (n° 6) verrà in certo qual modo invertito il teorema del n° 5, o, per dir meglio, verrà esaminata DI Anche se vi fossero, fuori dell'S,-2, due diversi punti uniti, vi sarebbe pur sempre una retta unita — la loro congiungente —; ma non potrebbero su di questa essere uniti (per l’intero gruppo) soltanto quei due punti, perchè se no, imponendo a un terzo e quindi ad ogni punto della stessa congiungente di essere del pari unito, si verrebbe a staccare dal gruppo proposto un sottogruppo invariante 00%, il che nel nostro caso non può avvenire. Potrebbero perd essere uniti, per l’intero gruppo 005, tutti i punti di quella retta; ma l'$+ unito sarebbe allora asse di un fascio di Sr1 uniti, e noi potremmo limitarci allo studio delle trasformazioni subordinate entro ciascuno di questi spazi. 8) Non mi nascondo certo le difficoltà che la lettura di questa dimostrazione sarà per presen- tare. Ma la necessità di rimuovere fin d'ora talune obbiezioni che si sarebbero poi potute avanzare, e il desiderio di non introdurre possibilmente nel teorema nessuna restrizione (nemmeno quella ad es. dell’algebricità del gruppo) non mi hanno permesso di essere più breve, nè forse permetterebbero di rendere la lettura stessa tanto facile e chiara quanto sarebbe desiderabile. Il lettore che non volesse troppo stancarsi, e coloro soprattutto che non avessero molta famigliarità coi concetti e coi ragionamenti di cui dovrò valermi, potranno accettare il teorema come dimostrato altrove, e pas- sare senz'altro al $ 8. | | | | | di SULLE VARIETÄ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 193 una certa ipotesi che risulterà possibile nel solo caso del gruppo © con una (” ra- zionale normale fissa. Esclusa pertanto quest'ipotesi, nella seconda parte (n° 8) verrà studiato il caso più semplice fra gli altri previsti dal teorema generale già enun- ciato (il caso cioè di due soli spazi minori fissi, un S, e un S,_-1), e stabilito il teorema stesso per questo caso particolare. Nella terza parte infine (n° 9) si dedurrà dal teorema particolare del n° 8 la dimostrazione generale richiesta. 7. Anzitutto, nel caso di un gruppo proiettivo co’ con una curva razionale normale unita, è noto (cfr. anche quanto è detto al n° 5) che ogni sottogruppo co° ammette un solo punto unito fisso, che sta su quella curva; e questo stesso punto, contato r +1 volta, è anche il solo punto unito per il gruppo parabolico co! contenuto come sottogruppo invariante in quel gruppo co. Ma noi possiamo anche dimostrare, inver- samente (e sarà questa la prima delle tre parti), che : Se un sottogruppo parabolico ©! di un gruppo proiettivo semplice 00° di S, ammette un solo punto unito (r + 1) (sicchè le relative traiettorie saranno curve razionali nor- mali di ordine r (*)), allora : 1° Il gruppo ©0° che contiene questo gruppo parabolico come sottogruppo invariante si compone appunto delle omografie che lasciano fissa una certa C" razionale normale, e un punto sopra questa curva (°); 2° Il gruppo complessivo oo si compone a sua volta di tutte le omografie che mutano in sè una certa curva razionale normale dello spazio S,. Poichè ogni sottogruppo parabolico co! del gruppo 00° proposto è contenuto come sottogruppo invariante in un determinato sottogruppo co° dello stesso gruppo oo), così, nel nostro caso, avendo uno (e quindi ciascuno) di quei sottogruppi parabolici un solo punto unito P (variabile però eventualmente da un sottogruppo all’altro), questo punto sarà ogni volta unito anche per tutte le operazioni del sottogruppo oo (G») in cui quel gruppo parabolico è contenuto; e altrettanto si dica dei vari S; (k—1, 2,... p —1) uniti uscenti da quel punto. In particolare, sulla retta unita p che passa per P il gruppo Gs dovrà subordinare il gruppo anche co° di tutte le omografie per cui è unito P (e non soltanto il gruppo parabolico co! per cui P è punto unito doppio) perchè se no, imponendo a uno e quindi ad ogni altro punto della stessa retta di essere unito, si troverebbe in G un sottogruppo ©! invariante diverso da quello prima considerato, il che non è possibile. Nel piano unito TT per p verrà allora subordinato un gruppo, sempre 00°, con una conica fissa passante per P e ivi tangente alla p; ciò risulta ad es. osservando che in questo piano deve essere unito per tutto G, il fascio delle coniche che sono traiettorie per il sottogruppo parabolico (invariante) di G, stesso; fascio che si compone di coniche aventi in P un contatto di 3° ordine, colla retta p come tangente comune; e che, se in questo fascio la retta (doppia) p, che ne è la sola conica degenere, fosse anche la sola conica unita per tutto G, si avrebbe un C) Cfr. ad es., per "= 3, la Mem. del Prof. Prrrarertı negli “ Ann. di Mat. ,, ser. 2, t. XXII (82, n° 5, pp. 24-25); e analogamente si vedrebbe la cosa per r qualunque. C) Questa parte del teorema sussiste indipendentemente dall’essere o no considerato il prece- dente gruppo CO! come sottogruppo parabolico di un gruppo 00%, Serre IL. Tom. XLVI. z 194 GINO FANO 8 gruppo co° di proiettività permutabili col punto unito triplo P (!). Basterà quindi ora dimostrare che, ammesso che un gruppo G,, del tipo di quello che ora stiamo considerando, subordini sempre nell'unico S, unito fisso (k=2,3,...) un gruppo cc con una C^ unita, esso dovrà anche subordinare nell’ S} unito per questo S, un gruppo co con una C* unita; essendo infatti quell’ ipotesi riconosciuta vera per k — 2, ne seguirà la proprietà analoga per k=3,4,...r. — Ora, il gruppo Gs, come lascia fissa (per ipotesi) una C* di S,, lascerà anche fisso un cono razionale normale TT di Su, col vertice in P (perché le rette — o gli S, — di Sy, uscenti da P si possono considerare come punti di un nuovo spazio £,, sui quali G, dovrà operare come sui punti dell" S, unito prima considerato). Questo cono sarà luogo di œ curve C**!, traiettorie del sottogruppo parabolico ©; e le tangenti a queste stesse curve nei punti di una generatrice variabile del cono [* formeranno sempre fascio attorno a un punto variabile della curva C* (°). Per un sottogruppo ©! gene- rico di G, è unito un punto di C* (distinto da P) colla corrispondente generatrice di l* (distinta da p); se anche sopra questa generatrice vi fosse un nuovo punto unito distinto da P, la nostra asserzione risulterebbe senz'altro verificata, perche il luogo di questo ulteriore punto unito, esterno ad S,, non potrebbe essere altro che una C! passante per P e unita per l’intero gruppo G,. — Potrebbe però nascere il sospetto che sopra questa generatrice unita variabile fosse sempre subordinato un gruppo parabolico œœ con P come punto unito doppio; ma è facile vedere che le 00° operazioni cosi risultanti non formerebbero un gruppo. Supposto infatti che ne formino uno, è chiaro che tali operazioni si dovrebbero poter ottenere tutte moltiplicando fra loro due sottogruppi C0! comunque scelti in quel gruppo, ad es. il sottogruppo parabolico, e un altro qualsiasi; e questi due sottogruppi si potrebbero rappresentare rispett. (in coordinate o, %,... Urp di spazi Sj) con equazioni del tipo: wo = Wo $ wo == wu, = wu + um u'i = pu, u, = w, + 20w, + 0°% aui st niae Wa hat + Ya... + at Win = Mu + logp . uw. (!) Ciò segue immediatamente dalle equazioni semplicissime di questi gruppi, ed è pure con- fermato dalla determinazione completa, fatta dal sig. Lim, dei vari gruppi proiettivi del piano (e in particolare di quelli OO?) (cfr. ad es. Lie, Op. cit., vol. III, p. 107; Lie-Scaerrers, Op. cit., pp. 288-291). @) Si osservi che i piani tangenti al cono FF devono incontrare lo spazio Sx secondo le gene- ratrici di un cono F*-1, del pari unito, che sarà quello appunto che da P proietta la curva unita OF. Ciascuno di questi piani contiene una tangente di ciascuna delle C*! considerate di sopra, e una generatrice di ciascuno dei due coni F* e TF): e se quelle tangenti non formassero fascio attorno a un punto di quest’ultima generatrice, esse punteggerebbero proiettivamente queste stesse gene- ratrici con P come punto unito; formerebbero dunque fascio intorno a un nuovo punto di quel piano, il che non è possibile. 9 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 195 Wo = Wo ui = p(u + au) nl, = p° (us + Lau, + oui) wi= p'(ux + kam-ı +... + o*u,) le quali rappresentano bensì una schiera co* di omografie, ma a cui non compete la proprietà di gruppo (!). Rimane cos stabilito il n° 1 di questa prima parte della dimostrazione com- plessiva. Ammesso ora che, nel gruppo complessivo Co, uno e quindi ciascun sotto- gruppo 00° lasci fissa una certa C" razionale normale, faremo vedere che questa curva non può variare da un sottogruppo co° all'altro, ed è quindi unita per l'intero gruppo co". — Supposto infatti che varii, essa assumerà in tutto co! posizioni di- verse, ciascuna delle quali sarà a sua volta unita per un nuovo sottogruppo 00° con un (solo) punto unito fisso P posto su di essa. Due qualunque di queste oo! curve C saranno poi contemporaneamente unite per il sottogruppo C9! comune ai corri- spondenti gruppi 00° — saranno cioè traiettorie per questo sottogruppo —,e avranno quindi à comune i due punti uniti (distinti) che questo sottogruppo ammette Sopra di esse, nonché i vari spazi osculatori ad esse in questi stessi punti (°). Ma, tenendo fissa una di queste due curve, e facendo variare l'altra, questa coppia di punti uniti deve sempre comprendere il punto unito P relativo alla C" fissa; dunque il punto P relativo a una €" qualunque deve stare anche su tutte le rimanenti. E sic- come questo punto non può essere fisso per l'intero gruppo 00°, perchè se no le co! curve C" dovrebbero avervi a comune tutti i loro spazi S; osculatori (11, 2, ... r — 1), di modo che anche questi spazi risulterebbero fissi, e perciò il gruppo co? sarebbe integrabile, cosi si conclude che le co! posizioni del punto variabile P costituiranno una curva, colla quale tutte le diverse C" dovranno coincidere: sicchè queste coin- eideranno anche fra loro, come appunto si voleva dimostrare. 8. Veniamo alla seconda parte della dimostrazione complessiva. Faremo vedere ora che: Se un gruppo proiettivo semplice oc? di S, lascia fisso uno spazio S (0 —k < r), ma non, entro Si, uno spazio minore (sicchè entro lS stesso, quando sia k > 1, verrà (*) Ciò è confermato anche, per X+1=8, dalla determinazione eseguita recentemente dal sig. Lin di tutti gruppi proiettivi 00° di Sẹ e in particolare di quelli che lasciano fissa una conica (C* di Sr, in Sit) (Nota cit. dei “ Leipz. Ber. ,, 1895, cap. I, $ 1). A parte il gruppo co) con una cubica fissa e un punto unito fisso sopra questa (nel qual caso la conica unita sta nel piano oscu- latore alla cubica in questo punto) vi deve sempre essere una retta fissa, incontrante la conica, ma non contenuta nel piano di essa; e su questa retta deve esservi (oltre all'intersezione colla conica) un secondo punto unito fisso, che può essere distinto dal primo (gruppo di 4* specie di Exriques, Mem. cit.), oppure anche infinitamente vicino ad esso. C) Cid è chiaro geometricamente, e si può anche dedurre dalle equazioni del gruppo, che sono riducibili alla forma a/; = pizili=0, 1, ... 7), dove p è il parametro. 196 GINO FANO 10 subordinato un gruppo pure OO' con una C* unita), e non lascia nemmeno fisso, entro H. un Sr (k < k' < r) passante per quell S, esso lascerà fisso un S, 4.4 non incidente allo spazio Sy, e subordinerà in questo H (se r — k — 1 = 2) un gruppo OH con una CE unita. E questo, come si vede subito, il caso più semplice fra quelli previsti dal teo- rema generale del n° 6 (quando solo si escluda il caso ovvio della C" razionale nor- male unita). Di qui seguirà poi facilmente la dimostrazione per il caso generale. Possiamo supporre k > +; se cosi non fosse, sarebbe certo r — k — 1 > i e noi potremmo quindi ridurci a quell'ipotesi trasformando la questione per dualità, considerando cioè gli S, , di S, come punti di un nuovo spazio X,, nel quale sarebbe unito uno spazio minore Z,_,,. — In ogni caso, il gruppo © proposto opererà sugli co"! spazi Sı (o S.) passanti per 1’S, unito (che indicheremo con o) come sui punti di un S,,, nel quale si abbia una Ok) unita. Vi sarà quindi una serie OO' unita (T) di tali spazi S,,,, la quale avrà a comune r— k— 1 di questi stessi spazi con un S, generico passante per a; ciascuno di questi Co! spazi Spp sarà unito per tutto un sottogruppo 00° (Gs) del gruppo proposto, mentre per un sottogruppo 00' saranno uniti due di quegli spazi, in generale distinti, più altri r — k — 2 spazi Su passanti pure per a, ma non appartenenti alla serie F; tutti pero coincidenti in uno stesso S,,, di questa serie, se il sottogruppo è parabolico. (Nel caso estremo k— r — 1 questa forma fondamentale di spazi Sx; si riduce al solo spazio S,; ma il ragionamento che segue è applicabile anche a questo caso). — “iascun sottogruppo G, ammetterà un punto unito fisso P sulla curva unita (* di S,= 0, e una retta unita pure fissa per questo punto, che sarà la tangente alla stessa ©". Ma è facile riconoscere ch’ esso dovrà anche ammettere una seconda retta unita fissa p passante per P e non contenuta in a. Infatti il sottogruppo pa- rabolico co! contenuto in questo gruppo G, deve ammettere, oltre a P, almeno un secondo punto unito P’ (fuori di a, ma nell'unico S,,, unito passante per o), perchè si tratta ora di un gruppo complessivo 00° che non è certo quello di una C” razio- nale normale, sicchè appunto P non può essere, per quel sottogruppo parabolico, il solo punto unito (cfr. n° 7). Oltre a P' non può essere unito, per lo stesso gruppo parabolico, nessun altro punto P" esterno alla retta PP', perché se no si avrebbero o due S,,, uniti per a (gli spazi aP’ e aP”), oppure un secondo punto unito (distinto da P) in o stesso; casi entrambi da escludersi. Sarà però unito, sempre per quel gruppo parabolico co', ogni punto della retta PP’, perchè se no P’, come punto unito isolato per un sottogruppo invariante, sarebbe certo unito per tutto G,, e gli altri punti della retta PP' sarebbero a loro volta uniti per un sottogruppo invariante di Gs diverso da quello prima considerato, il che è assurdo ('. Questa retta PP’ sarà appunto la retta p richiesta; essa ? luogo di (tutti i) punti uniti (entro lo spazio aP) per il sottogruppo parabolico (invariante) di Gs (e teniamo nota in parti- colare di questo fatto), ed è pure unita, benchè in generale non più luogo di (!) Più generalmente, si può riconoscere in modo analogo che i punti uniti fissi di un gruppo continuo CO', il quale sia unico sottogruppo invariante ad i parametri entro un gruppo CO, devono formare uno spazio Sx unico; vale a dire, se due punti distinti sono uniti per un tal gruppo, lo saranno anche tutti quelli della loro congiungente. ll SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 197 punti uniti, per le rimanenti operazioni di G, stesso. — Al variare del sotto- gruppo Gs, ossia del punto P sulla curva C*, questa retta p descriverà una rigata razionale avente la C" stessa per direttrice (semplice). Da un S, generico per a questa rigata verrà ancora incontrata secondo r — k — 1 generatrici, perché tanti appunto sono gli S,,, della serie F contenuti in quell'S, ;, e ciascuno di questi con- tiene a sua volta una ed una sola retta p; la rigata sarà dunque di ordine r — 1, e perciò normale. ll gruppo cc* proposto dovrà evidentemente trasformare in sè questa rigata, lasciandone anche fissa la direttrice C" contenuta nello spazio a. Ora, a d de E ^ prode ai toe ond se k è precisamente SSC ECH vi sarà sulla rigata tutto un fascio di direttrici (mi- È : rr ri à : nime) di questo stesso ordine "o": sicchè il gruppo proposto, essendo privo di sottogruppi invarianti, e dovendo d’altra parte trasformare in sè questo fascio di diret- trici e (almeno) una curva di esso fascio, trasformerà in sè anche ciascuna delle rimanenti curve di esso (). Avremo dunque in tutto, non solo due, ma infiniti spazi ` D SA Sr uniti non incoftrantisi a due a due, e in ciascuno di essi una ©? del pari r—1 unita. Il teorema è dunque in questo caso dimostrato, essendo r— k — 1 = k 2 r—1 : N : . d E Invece, se k > mu la rigata ammetterà certo qualche direttrice di ordine inferiore a k. Ma essa non potrà più ammettere in questo caso un fascio di diret- cd trici minime di ordine ? (), perchè se no per un sottogruppo co! qualunque, r—l sarebbero unite, oltre alla C^, due generatriei p e due direttrici C? ; le une e le altre infinitamente vicine se questo sottogruppo è parabolico; e l’unica generatrice unita non sarebbe allora più luogo di punti uniti per lo stesso sottogruppo, come noi abbiamo invece supposto che fosse (*). — Vi sarà dunque una direttrice minima unica, di ordine < i; questa sarà evidentemente unita per il gruppo 00° pro- posto, e il suo ordine sarà precisamente =» — k — 1 (non inferiore, perchè se no non potrebbero esistere sulla rigata direttrici di ordine # (^); non superiore, perchè se no lo spazio di essa dovrebbe certo incontrare a, determinandovi così uno spazio minore unito). Anche in questo secondo caso è dunque vero il teorema enunciato. (!) Se così non fosse, imponendo a queste altre curve di essere anche unite, si staccherebbe dal gruppo CO? un sottogruppo invariante almeno CO!. grupp grup) 2) Si aggiunga anzi che, quand'anche la nostra rigata potesse ammettere un tal fascio di diret- ggiung 8 "Ze" se d à r+1 Y B trici minime, ciò potrebbe avvenire soltanto per boer" se no la O* incontrerebbe le sin- TL vol. XIX), e si avrebbe quindi su di essa un'involuzione unita rispetto all'intero gruppo 00°, il che è assurdo. 6 Č) La dimostrazione si potrebbe però completare facilmente anche in questo caso, senza tener conto del fatto che le generatrici p devono essere luoghi di punti uniti per i singoli sottogruppi Parabolici. — ll caso più semplice di un gruppo CO? di questo tipo è quello di una quadrica di S; con una conica fissa su di essa (ossia il gruppo proiettivo CO? che trasforma in se stessa una qua- drica di S; e lascia fisso anche un punto non contenuto in questa quadrica). ‘ () Ovvero, se vogliamo, perche si avrebbe in S, uno spazio minore unito contenente S;, il che si è escluso. en ee 198 GINO FANO 12 9. Da questo secondo teorema (n° 8) segue facilmente il teorema generale enun- ciato al principio del n° 6. Si abbia in S, un gruppo proiettivo semplice oo? con un numero qualunque di spazi minori uniti. Fra questi, prendiamone uno Sx di dimen- sione minima; poi lo spazio unito Sw di dimensione minima fra quelli che conten- gono S, (sicchè per S, non passeranno spazi uniti di dimensione < k#' e contenuti in Sy) (©); poi lo spazio unito S," di dimensione minima fra quelli che passano per Sr, e così di seguito, finchè non si arrivi a uno spazio non contenuto in altro più Si, e Sy si ampio e del pari unito, all’infuori di S, stesso. — Poichè gli spazi S, trovano nelle stesse condizioni degli S, ed S, al n? prec, avremo in S; anche un Sx_r-1 = Sa unito non incidente a S» (e dentro di esso, se ,>2, una C^ unita) (). Si considerino ora gli Sı di Sw passanti per S, = Sm. Questi si possono ritenere come punti di uno spazio X,".,-1:, nel quale è unito lo spazio minore Xy; for- mato da quegli S.. che, passando sempre per Si, stanno anche in Sy. Per questo Zw--x-1 non passa, entro X, —,, nessun altro spazio unito più ampio (se no vi sa- rebbe uno spazio unito per Sr inferiore a Sw); vi sarà dunque, in 2j" ,:, un nuovo spazio unito X," ,;. costituito da un sistema GH) di spazi Si per S,. Questi Su saranno contenuti in un Sx unito per S,, il quale si trova ancora, rispetto ad S, stesso, nelle condizioni richieste dal teorema del n° 8, e conterrà perciò un Ser = Sn, del pari unito e non incidente a Sm = S,. Nello spazio Sw abbiamo dunque trovati fre spazi uniti S,,, Sm, Sas, a due a due indipendenti, e tali che: (n + 1) + (s + 1) + (5 +) = +1. E così si può continuare, finchè non si sia esaurita la serie degli spazi Szo (consi- derando dapprima il sistema degli Sy:1 per Sr entro Sw, ecc.). Resterebbe solo a dire qualche parola sul caso in cui vi siano in S, almeno due e quindi infiniti punti uniti fissi. (E chiaro che, se vi sono k-l-1 punti uniti fissi indipendenti, l’ S, da essi individuato sarà anche tutto composto di punti uniti (°)). Allora, supposto che sia Sy (e sarà certo k > k + 2) lo spazio unito minimo (entro $,) contenente questo D, = a di punti uniti, dico che in Sy vi sarà egualmente un Sy ia unito (non incontrante a). — Infatti ogni sottogruppo G del gruppo 00° proposto ammette un S,,, unito fisso passante per a, e in questo spazio vi è certo almeno una retta unita fissa non contenuta in a. (Cid è evidente se il gruppo G, subordina in Sen un gruppo soltanto co! di operazioni (omologie) diverse; che se poi esso vi subordina un gruppo anche 00° di omologie, queste omologie non potranno essere tutte permutabili, e quindi speciali, sicché sarà unita la retta luogo dei centri, esterna appunto ad o). Variando il sottogruppo G,, e quindi lo spazio S,,,, varierà questa retta unita, ma in modo da passare sempre per lo stesso punto di a; essa (f) È questa, in sostanza, la sola condizione veramente necessaria per la dimostrazione; l'ipotesi della dimensione minima si introduce soltanto per fissare maggiormente le idee, e facilitare il linguaggio. Ê) Anzi, se # — 2k +1 (ad es. se k= 0, k = 1), avremo entro Sr infiniti Sx = Sm = Sh, uniti. (3) Cfr. la nota (!) al n° 6. — Questo caso si è implicitamente escluso finora, perchè appunto il ragionamento del n° 8 suppone che lo spazio S» non sia luogo di punti nè inviluppo di Sr-1 uniti. 13 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 199 descriverà dunque un cono razionale normale, il cui spazio non potrà incontrare a che nel solo vertice del cono stesso, e sarà perciò un Sy.; (non uno spazio infe- riore, se no per a passerebbe uno spazio unito inferiore a Sy). Questo Sy sarà pure unito rispetto all'intero gruppo ©; e poiché esso contiene uno (ed un solo) punto unito fisso, esso dovrà anche contenere (n° 8) un Sw_x-1 unito, non passante per quel punto, e quindi non incidente ad o: ed era appunto l’esistenza di un tale spazio entro Sr quella che si voleva dimostrare. 10. Con quest'ultima osservazione, il teorema generale del n° 6 rimane comple- tamente dimostrato, anche nel caso di infiniti punti (e quindi infiniti spazi minori) uniti fissi. Possiamo anche enunciarlo dicendo: Ogni gruppo proiettivo semplice co? di uno spazio S, trasforma in sè um certo numero di curve razionali normali di ordine =r, che appartengono a spazi fra loro indipendenti, e i cui ordini aumentati ciascuno di un'unità dànno per somma v +1. — Delle varie curve unite, qualcuna può anche ridursi ad un punto (ordine zero) — ma se ciò avviene per k curve, lo spazio S,, di questi punti è luogo di punti uniti fissi per tutto il gruppo co? —; e un numero qualunque (purchè naturalmente < "3 può esser costituito da rette. Il solo caso di una curva unica è quello della curva razionale normale di ordine r. In particolare, da questo stesso teorema segue anche immediatamente che: Un sottogruppo co' generico (e precisamente: non parabolico) di un gruppo proiettivo sem- plice co? di S, ammette sempre r + 1 punti uniti distinti e indipendenti (senza escludere naturalmente con ciò che vi possano anche essere infiniti punti uniti; solo che fra questi ve ne dovranno sempre essere r-|-1 indipendenti). Un gruppo proiettivo co! con punti uniti multipli non pud essere sottogruppo generico di un gruppo sem- plice 00°: può esserne sottogruppo parabolico, ma solo se i suoi punti uniti formano uno spazio S; unico (si riducono cioè, se in numero finito, a un solo punto (r + (el (1). Con questo teorema risultano dunque determinati tutti i diversi tipi di gruppi proiettivi semplici cO? di uno spazio qualunque S,; sono, in sostanza, le estensioni più ovvie e più naturali dei gruppi 00° a punti uniti in generale distinti, e composti di operazioni non tutte permutabili; gruppi già conosciuti per r—3 CL e facilmente prevedibili per 7r qualunque (). Da questi ultimi si possono ottenere i primi, con- servando come curve unite certe curve luoghi di punti uniti variabili (e precisamente, in ciascun sistema di curve unite con un punto a comune, quella di ordine più ele- Vato) e, eventualmente, uno o più punti uniti fissi (in quest’ultimo caso si avranno però infiniti punti uniti fissi per il gruppo 00). (1) Questa proprietà avrà forse la sua importanza anche per tutti i gruppi proiettivi non inte- grabili; ma è bene avvertire che l'operazione (o il sottogruppo OO!) più generale di un tal gruppo Può non esser contenuto in alcun sottogruppo semplice CO? del gruppo medesimo. Cid avviene ad es. in un gruppo CO non integrabile, contenendo quest'ultimo un solo sottogruppo semplice CO? (efr. Lux, Op. cit., vol. III, p. 723; Lrs-Scuxrrens, Op. cit., p. 574). C) Cfr. Enriques, Mem. cit. degli “ Atti dell’Ist. Ven. „, ser. 7°, vol. IV, pp. 1605 e seg. (C) Cfr. anche quanto è detto in una mia Nota inserta nei “ Rend. dell’Acc. dei Lincei ,, ser. 5°, vol. IV, 1° sem., p. 328. ome perse, 200 GINO FANO 14 8 8. Equazioni di un gruppo proiettivo semplice 00°. Collegamento colla teoria delle forme binarie. 11. Consideriamo un gruppo proiettivo semplice co? di uno spazio qualunque $,, e supponiamo (in seguito a quanto è stato dimostrato nel $ prec.) che si abbia tutta una serie di spazi minori uniti Sj, (i—1,2,...m; m=1) a due a due indipen- denti, tali che : i=m = (h--1-r-r1; i=l e entro ciascuno di questi spazi si abbia ancora (ogni qualvolta h; > 2) una curva razio- nale normale unita, dell'ordine corrispondente h; (per m= 1 si avrebbe dunque in $S, una sola curva unita di ordine r). — Fra queste varie curve (e rette, per h; — 1) unite (in quanto ve ne siano almeno due distinte) risulterà determinata una proiettività nella quale si corrisponderanno sempre; sulle curve stesse, i singoli punti uniti di un medesimo sottogruppo 00° contenuto nel gruppo proposto D). Noi potremo quindi rappresentare analiticamente queste curve in funzione razionale di un parametro È (o di due pa- 2 rametri omogenei £, č), in modo che i punti omologhi nella proiettività ora con- siderata, vale a dire i punti che risultano uniti per un medesimo sottogruppo 00°, 7 E s 5 corrispondano sempre a uno stesso valore del parametro # (ossia a valori pro- 2 porzionali, o anche addirittura eguali di £j e £j). Con un'opportuna scelta del sistema di coordinate, si vede facilmente che per le singole curve Ch, 0^5,... si avranno le equazioni parametriche seguenti : mi Eh; a = EE; = Eh; Yo = = Yh = äu = = e =. =0 (1) Y = Era; h= Ek BEN Ela; d m +. ===... = puel) Per effetto di una qualunque trasformazione del nostro gruppo co il para- metro SS risulterà assoggettato esso pure a una trasformazione proiettiva (ossia li- 2 () E chiaro infatti che ciascuno di questi sottogruppi ammetterà, sopra ogni curva Ch, uno ed un solo punto unito fisso. C) Gli spazi Sm, Sh, … delle varie curve si sono assunti tutti come spazi fondamentali del sistema di coordinate; per i punti del primo di essi sono in generale diverse da zero le /4 -|-1 coor- dinate che si sono indicate con lettere =; per i punti del secondo le ke + 1 coordinate jy, e così via. Nel caso di una sola curva fissa di ordine r si avrà per questa curva l'analoga rappresentazione: dy E; = Ep er = Erg, 15 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 201 neare fratta); in altri termini, i parametri omogenei &,, E, subiranno una sostitu- zione lineare omogenea : il cui determinante ad — be è diverso da zero (per una trasformazione non degenere) e può supporsi addirittura — 1. — Viceversa, ogni sostituzione lineare di questi due parametri determina sopra ogni curva C una trasformazione proiettiva, che si può estendere a tutto lo spazio cui la curva appartiene, e risulta anzi già com- pletamente determinata per questo spazio. Nello spazio Sn, p. e., le equazioni di questa proiettività si otterrebbero esprimendo per mezzo delle (2) le = ph, di = Seles JA da = Eh in funzione lineare omogenea delle Eh, E17 ,..., e introducendo in luogo di queste potenze e prodotti di potenze le stesse x, x1,... secondo le (1). — Quanto allo spazio complessivo S,, le equazioni della proiettività più generale fra quelle che nei singoli spazi uniti Sy... subordinano le trasformazioni testé considerate si otter- ranno aggiungendo nelle espressioni di ogni gruppo di coordinate omonime (indicate cioè da noi con una stessa lettera) un medesimo fattore arbitrario (variabile da gruppo a gruppo di coordinate); sicchè in tutto si avranno m nuovi parametri, dei quali saranno però essenziali soltanto i mutui rapporti. Queste proiettività di S, forme- ranno perciò complessivamente un gruppo 00”*?, dal quale, imponendo a due qualunque degli m nuovi parametri omogenei di essere eguali fra loro, si staccheranno altrettanti sottogruppi invarianti Co", Siccome noi vogliamo estrarne un gruppo CO? privo di sot- togruppi invarianti, questo gruppo Co? dovrà essere a sua volta contenuto in ciascuno di quei gruppi ©"; vale a dire gli stessi m parametri dovranno essere tutti eguali fra loro, e si potranno addirittura porre tutti eguali all'unità (il che equivale a non averli nemmeno introdotti). Ma così facendo non rimane più che un solo gruppo 00°; sarà dunque questo il gruppo che noi andiamo cercando: e potremo perciò concludere: Le stesse equazioni ottenute separatamente per i singoli spazi Sm, vale a dire le: vo dan + haha, + (hyah-29 +... + dan, Yo = ayo + hs ads by, + (fe) af y, +. + BY, rappresentano già, prese insieme, il gruppo OC? da considerarsi in S,, quando si in- terpretino ancora le a, b, c, d come parametri variabili, ma legati dalla relazione ad — bo — 1, e riducibili perciò a tre soli distinti. Serm II. Tow. XLVI. à een 202 GINO FANO 16 12. D’altra parte è anche facile verificare che, se noi consideriamo il sistema di forme binarie (nelle variabili &, &): f, = mE + Mae + (ane +. + a En f, = vot + hoy Ep E + P) e EPI B +. on, Re ^ e assoggettiamo le variabili stesse al solito gruppo Co? di sostituzioni unimodulari (2), che possiamo anche rappresentare cosi: EL de, 024 (2) (ad — bc = 1) Ec E WE, i coefficienti %,... Y,... subiranno corrispondentemente un gruppo 00° di sostituzioni lineari rispett. identiche a quelle testè considerate (equazioni (3)). — Ora, ogni varietà algebrica M, , dello spazio S, la quale sia trasformata in sè da questo gruppo pro- iettivo si rappresenterà analiticamente eguagliando a zero una certa funzione razio- nale intera omogenea delle æ, y, 2,..., la quale, per effetto delle trasformazioni (3), non potrà alterarsi che per un fattore costante, dipendente dalle sole a, b, c, d. Data pertanto la nuova interpretazione di cui è suscettibile il gruppo rappresentato dalle equazioni (3), l'algebra ci insegna che questo fattore costante sarà necessaria- mente una potenza del determinante ad — be (') (e sarà quindi nel nostro caso addi- rittura eguale all'unità); e quella funzione delle z, y, 2,... non sarà altro che un invariante delle forme f., f,,... (nel senso della teoria delle forme algebriche). Con- cludiamo percid: \ Ogni varietà (algebrica) M, dello spazio S,, la quale sia trasformata in sè da tutte le operazioni del gruppo protettivo co? che si considera (gruppo le cui equazioni sarebbero date dalle (3)), sarà rappresentata analiticamente dall’annullarsi di un in- variante simultaneo delle forme binarie £,, f,,... (senza escludere, ben inteso, il caso di un invariante di alcune soltanto di queste forme; solo che allora la M,_, sarebbe evidentemente un cono). E perciò: La ricerca di tutte le varietà algebriche M, , di uno spazio S,, le quali ammettono un gruppo semplice CO! — o, più generalmente, un gruppo NON INTEGRA- BILE — di trasformazioni protettive in sè, è ricondotta a quella degli invarianti dei vari sistemi di forme binarie di gradi hy, be... h, tali che sia: +1) ++ 1) +-+ ie + D 74-10. DI Cfr. ad es. Srupv, Methoden zur Theorie der ternüren Formen (Leipzig, 1889), pp. 7, 31. () Quando una delle A: fosse nulla, si deve intendere la forma corrispondente (di grado zero) come ridotta a un unico coefficiente, da considerarsi a sua volta come (unico) invariante di questa forma. | | | | 17 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 203 Non si può dire però (ed è bene notarlo) che la ricerca di tutte le varietà in- varianti rispetto a un tal gruppo (anche di quelle di dimensione inferiore a r — 1) sia ricondotta alla ricerca degli invarianti e sistemi di invarianti del sistema di forme considerato. Vi sono infatti delle relazioni fra i coefficienti di queste forme che si possono ancora chiamare, nel loro complesso, invariantive, ma che non si possono esprimere coll'annullarsi di un certo numero, anche sovrabbondante, di invarianti, ma solo mediante opportune equazioni tra i coefficienti di taluni covarianti (). In ogni modo pero siamo ricondotti anche in questo caso ad un problema di teoria delle forme algebriche. 13. Il teorema enunciato testé mette in luce in tutta la sua generalità un le- game notevolissimo fra la questione che noi ci siamo proposti di studiare, e che pud presentarsi sotto forma puramente geometrica, e la teoria delle forme binarie, in quanto precisamente le nostre ricerche geometriche si possono ricondurre al problema principale che à oggetto di quest'ultima teoria. — Nel caso di una sola forma binaria di grado r — ossia di una sola curva fissa in S,, la quale sarà precisamente una curva razionale normale di ordine r — il legame osservato rientra sostanzialmente nella nota rappresentazione dei gruppi di r elementi di una forma semplice mediante i punti di uno spazio S,; rappresentazione che, nel caso piü semplice di r — 2, fu già studiata da Hesse (* Journ. de Crelle ,, Bd. 66), e della eui possibilità per r qua- lunque è fatto cenno nel Programma già cit. del Kuzrw (8 5). Più recentemente, questa stessa rappresentazione compare melle Vorlesungen über continuirliche Gruppen... di Lig-Scugrrgns, fra le diverse applicazioni della teoria dei gruppi continui (p. 718 e seg). Anche lì si tratta di mettere in relazione pro- blemi relativi a quest'ultima teoria colla teoria delle forme binarie ; ma, prescindendo anche dal fatto che la parte analitica della questione, l'equivalenza cioè di due o piü forme binarie, vi è sempre messa maggiormente in evidenza, è bene notare che lo Scopo propostosi dall A. è quello di applicare i metodi generali di Lie per forma zione degli invarianti di un dato gruppo continuo di trasformazioni al caso particolare del gruppo di sostituzioni lineari a cui risultano assoggettati i coefficienti di una forma binaria corrispondentemente al gruppo oo? di sostituzioni unimodulari delle variabili. Si tratta insomma di formare effettivamente questi invarianti per una nuova via. — A noi invece interessa soprattutto il lato geometrico della questione, e quindi, più che la formazione dei vari invarianti (che in molti casi sono già noti da lungo tempo), l'opportuna interpretazione geometrica delle equazioni che si hanno eguagliando questi invarianti a zero. — Nell'op. di Lrm-Sorterrers à anche considerato un caso di sistema di due forme (e precisamente di due forme quadratiche), ma senza alcun cenno di rappresentazione geometrica; rappresentazione che condurrebbe, dal nostro punto di vista, a un gruppo proiettivo © dello spazio S, con due coniche fisse (in piani non incidenti). () Cfr. ad es. Cresson, Theorie der binären algebraischen Formen (Leipzig, 1872); pp. 91, 163. ee a GINO FANO $ 4. Varietà invarianti rispetto al gruppo di una C” razionale normale. Curve e superficie invarianti rispetto a un gruppo proiettivo semplice 00° qualsiasi. 14. Per il caso di un gruppo proiettivo co? di S, il quale trasformi in sé una curva razionale normale di ordine r, possiamo ancora aggiungere qualche osservazione d'indole generale (). Da quanto abbiamo detto risulta intanto che la ricerca delle M, , invarianti rispetto a un tal gruppo è ricondotta a quella degli invarianti di una forma binaria di grado r. E noto che fra questi invarianti (per r = 3) se ne possono trovare r — 2 (razionali, interi) distinti fra loro, e tali che i rapporti fra opportune potenze di essi siano invarianti assoluti di quella stessa forma (fra i quali ultimi r — 3 saranno indipendenti) (*). Se con A; , Ae, ... A,_, indichiamo quegli r — 2 invarianti (relativi), e con ge, @s,... O, un gruppo di esponenti (interi, positivi) tali che le A" siano tutte funzioni di uno stesso grado nei coefficienti della forma primitiva, epperò i loro mutui rapporti risultino invarianti assoluti di questa forma, è chiaro che in uno spazio S,, nel quale quei coefficienti zo, x,,... æ, si assumano come coordinate proiettive omogenee, ogni varietà del sistema lineare 00°: (1) kän bänk + kA; sarà invariante rispetto al gruppo 00° della curva razionale normale: | | Saranno dunque invarianti rispetto a questo gruppo anche le varietà intersezioni di due o più varietà qualsiasi del sistema (1). Se prendiamo in particolare r — 3 varietà (M, ;) indipendenti di questo sistema, e consideriamo le loro equazioni come lineari omogenee nelle. Ai, ne risulteranno individuati i mutui rapporti di queste ultime; vale a dire : ` (!) Le cose esposte in questo 8 non sono però necessarie per comprendere il contenuto dei due $$ successivi. C) Quegli r — 2 invarianti (relativi) sarebbero anche integrali indipendenti di un sistema com- pleto di tre equazioni alle derivate parziali lineari fra »-|-1 variabili; variabili che sarebbero date appunto. dai coefficienti della forma binaria considerata (cfr. Lix-Sonsreers, Op. cit., p. 785). Nel nostro caso però, essendo note le equazioni finite del gruppo 00° di cui si tratta, la loro determi- nazione si riduce a un semplice problema di eliminazione (ax, Op. cit., vol. I, pp. 225-226). 19 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 205 I punti della varietà intersezione variabile di r — 8 varietà M, , indipendenti del sistema (1) sono immagini in S, di forme binarie di grado r aventi gli stessi inva- rianti assoluti Ay": A?* (sono immagini, nel senso che le coordinate di quéi punti dànno i (mutui rapporti dei) coefficienti di queste forme). Quest’intersezione è in generale una varietà a tre dimensioni (M;), perchè r — 3 varietà M, , in S, hanno certo a comune almeno co* punti, e d'altra parte è anche noto che non vi possono essere più di co" forme binarie di dato grado aventi dati invarianti assoluti (generali). Lo spazio S, risulta così suddiviso in ©" varietà M, unite rispetto al gruppo proposto. Ma non è escluso che una tale M, possa ancora spezzarsi in due o più (certo però in un numero finito di) parti distinte e irreducibili (1), rispetto a ciascuna delle quali il gruppo 00° sarà transitivo (vale a dire due punti generici di una di queste M, irreducibili saranno sempre immagini di forme equivalenti) (8). Suddiviso così lo spazio S, in varietà M, irreducibili unite, rispetto a ciascuna delle quali il gruppo oo* è transitivo, è chiaro che ogni M, (k > 3) unita rispetto al gruppo 00° sarà una serie co*-? di tali M, (°). 15. Quali sono le‘ superficie (M;)'unite rispetto al nostro gruppo co? (9). Un punto qualunque di una tal superficie deve essere unito per (almeno) co! trasforma- zioni contenute in questo gruppo, e sarà perciò immagine di una forma avente al piü due radici distinte. Di qui si trae facilmente che: Le sole superficie unite rispetto al gruppo proiettivo oo di una C" razionale nor- male in S, sono i luoghi delle intersezioni di tutte le possibili coppie di spazi Sy e S, osculatori alla stessa curva' nei suoi vari punti. Queste superficie saranno dunque in numero finito, e precisamente in numero Eh x 1 e È Sn à di TA ere secondo che r è pari o dispari. In quest'ultimo caso esse appar- teranno tutte alla varietà base del sistema lineare (1). Infatti un punto qualunque di una di esse è immagine di una forma binaria di grado r con una radice almeno P la DEN E toc B CET H H às D (y , e avente perciò tutti gli invarianti identicamente nulli (). — Se invece + () Infatti gli invarianti assoluti di una data forma che sono razionali nei coefficienti di questa si possono ancora scegliere, in generale, in vari modi, e non si puo escludere quindi che l birapporti dei punti radici della forma a quattro a quattro non ne risultino ancora individuati, ma solo determinati in un numero finito di modi. Scelti perd opportunamente gli invarianti asso- luti, la loro eguaglianza ® anche condizione sufficiente per la trasformabilità di due forme o sistemi di forme l'uno nell’altro; quando nessum loro covariante sia identicamente nullo. In caso contrario, ši richiede ancora l'annullarsi identico degli stessi covarianti (cfr. ad es. Fm. Meyer, Rapporto sullo Stato presente della teoria degli invarianti; trad. italiana di G. Vıvanıı; * Giorn. di Matem. ,, vol. XXXIII, p. 278). C) Questa suddivisione si può estendere anche alla varietà base del sistema lineare (1), benchè non sia ivi ottenibile collo stesso mezzo. Nei punti di questa varietà si annullano infatti tutte le Ai. (°) Ammettiamo per il momento (cosa che vedremo fra poco) che le superficie invarianti rispetto à questo gruppo CO? sono in numero finito, e non vi sono perciò altre Ms unite oltre a quelle già considerate. — Non sembra facile perd l’istitùire; per varietà arbitrarie, una ricerca generale ten- dente a stabilire quali fra queste Mz ammettono ancora altre trasformazioni proiettive in sè. () La sola curva unita è evidentemente la Or stessa; C) Sarmon, Modern higher Algebra (4th edit.; Dublin, 1885); p. 233. eeneg 206 GINO FANO 20 è pari, non fa parte della varietà base del sistema la (sola) superficie luogo delle intersezioni delle coppie di S, osculatori. z Si può aggiungere anzi, più generalmente, che ogni M, , del sistema (1) con- tiene le varie M,,, luoghi degli S, osculatori alla €", corrispondentemente a tutti r—1 2 Fra le varietà M, , unite rispetto al gruppo oo? vi à sempre una quadrica (M$) ogni qual volta r è numero pari: quella quadrica (unica e ben determinata) che passa per la curva C” e tocca in ogni suo punto il relativo $,_; osculatore (Teorema di Currorp) ('). Del resto, è anche noto direttamente che ogni forma binaria di grado pari ammette un invariante quadratico (%). — Invece se r è numero dispari (= 3), non vi sono quadriche unite rispetto al nostro gruppo co^; ma vi è però sempre una varietà unita del 4° ordine DÉI A ()). quei valori di k che sono = 16. Nel caso di un sistema di due o più forme binarie si possono anche isti- tuire considerazioni analoghe (per mezzo degli invarianti, sia simultanei, sia anche di ciascuna forma separatamente); ci limiteremo tuttavia ad accennare come si pos- sano determinare in ogni caso tutte le curve e tutte le superficie invarianti rispetto al gruppo co proposto (cfr. n° 11), basandosi sul fatto che ogni punto di una curva unita deve essere a sua volta unito per un sottogruppo o? e ogni punto di una superficie unita per un sottogruppo (almeno) oo! contenuto in quello stesso gruppo proposto. Nel gruppo co’ di sostituzioni binarie (n° 11; eq. (2)): dove ad — be = 1, ogni sottogruppo co? lascia fisso un elemento à, che possiamo 2 sempre supporre sia £ = 0. Per ogni operazione di questo sottogruppo sarà allora 5—0; e, perchè il corrispondente gruppo proiettivo oo? di S, ammetta qualche punto unito fisso esterno ai vari spazi uniti S, si può riconoscere facilmente (scrivendo le equazioni di quel gruppo) che almeno due indici ^; devono essere eguali fra loro. Viceversa, se cid avviene, e, più generalmente, se k (< m) indici M, Ae, h, sono eguali fra loro, saranno uniti per quel sottogruppo co? tutti i punti dell'S, , determi- nato dai punti uniti fissi che questo stesso gruppo ha sulle singole curve C^, Ch... 0%; e ciascuno di quei punti verrà portato dalle altre operazioni del gruppo oo? nei punti di una nuova curva razionale normale (unita) di ordine A = h; =... e Concludiamo perciò : C) On the Classification of Loci, * Phil. Trans. „, 1878; pp. 668-669. Ê) Cfr. ad es. Sarmon, Op. cit., p. 128. D Ibid., p. 129. Per r = 3 l'invariante biquadratico non è altro che il discriminante della forma (eubica). 21 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 207 Un gruppo proiettivo semplice 00° di uno spazio S, non ammette in generale altre curve unite, all'infuori di quelle contenute negli spazi Sn,,... considerati da principio. Nel solo caso che k = 2 degli ordini h, di queste curve siano eguali fra loro vi à tutto un sistema di oo curve razionali normali di questo stesso ordine unite rispetto al gruppo medesimo. Queste curve sono direttrici della varietà M, (co! di spazi S}—ı) ge- nerata dalla proiettività che il nostro gruppo co determina (cfr. n° 11) fra quelle curve C" che si suppongono ora avere lo stesso ordine (!) 17. La ricerca delle superficie unite (non contenute in spazi S») non presenta nemmeno difficoltà di sorta, benchè il risultato a cui si giunge sia meno semplice. Bisognerà considerare i vari sottogruppi co! del solito gruppo co’, distinguendo quelli parabolici (quelli cioò che sulle singole curve unite subordinano omografie paraboliche) dai rimanenti. Nel primo caso possiamo supporre &—0, e a=d (quindi entrambi = 1); avremo allora: Lo = To en = m + ez a, = % + 2em, cim, dh = In + bom, 3 E (3) Pv, 3 + ER + ca e le equazioni analoghe nelle y, 2,... Nel secondo caso potremo supporre sia 1 è Wi WR 3 € allora avremo in generale: Ù Tp = ada, = ag, WII) e analogamente per le y, 2,... Nel primo caso sono uniti quei punti (e quelli soli) per cui sono in generale diverse da zero le coordinate £n, y» , 2»,,..., ed eguali a zero tutte le rimanenti ; vale a dire i punti delt 8, che congiunge i (soli) punti uniti che questo gruppo oo! ammette rispett. sulle m curve Oh, E questo ci permette di concludere: Stabilita fra le m curve C^ la proiettività di cui al n° 11, la varietà Mn luogo degli oo! spazi S,., che congiungono i vari gruppi di m punti omologhi sulle singole curve, è sempre luogo di co"— superficie unite rispetto al gruppo © proposto. — In particolare per » — 2 si ha una superficie unica, e precisamente una rigata razio- nale normale. La stessa varietà sarebbe anche luogo di 00”! curve unite, quando i numeri hi fossero tutti eguali fra loro (cfr. n° prec.). () A questo stesso risultato si potrebbe anche giungere con opportuni ragionamenti sintetici relativi all’incidenza di taluni spazi minori contenuti in Sr. gr — 208 GINO FANO 22 18. Nel secondo caso converrà vedere quand'è che due o più coefficienti at, ossia due o più esponenti del tipo A, — 2p, risultano eguali fra loro. Di qui anzi- tutto una distinzione degli spazi Sj, in due gruppi, secondo che l'indice h; è pari o dispari, e la considerazione di due spazi indipendenti X, e Zu, uno dei quali conterrà gli eventuali punti uniti fissi del gruppo Co, e poi le coniche, le quartiche, ece. unite; l'altro, le rette, le cubiche, ecc. Ogni superficie unita non contenuta nella M, poc'anzi considerata, starà in X, o in X, , ,. Quanto alle curve di ordine pari, supposto che tali siano ad es. le O^, O^», Os, …, avremo un primo-gruppo di coordinate z, , y, , 2, ,... tali che hy — 9p zz h,—2Q—h,—98—...—0; e questo ci conduce ad enunciare quanto segue: Consideriamo le superficie luoghi rispett. delle intersezioni delle coppie di Sx, oscu- " latori alle singole curve C" di ordine pari (supposte in numero di m’). Anche queste superficie risulteranno riferite proiettivamente fra loro per effetto della proiettività sta- bilita fra le curve C^. La varietà Mm41, luogo degli oo spazi Sw—ı determinati dai singoli gruppi di punti omologhi sopra queste superficie, sarà pure luogo di co"—! su- perficie unite rispetto al gruppo proposto. Possiamo anche aggiungere : Queste superficie invarianti hanno a comune con ogni singolo Sw-ı generatore della Mw+ı uno o due punti, secondo che quei numeri h; che sono pari sono anche tutti (o nessuno) multipli di 4, oppure uno o più fra essi sono multipli di 4, mentre altri non lo sono. In quest'ultimo caso gli co? spazi Sw—ı determinano sopra ogni superficie unita un'involuzione di 2° grado che viene trasformata in sè dal gruppo o? che stiamo considerando. Se una delle h, pari è zero, la M,+1 diventa un cono. Altri gruppi di superficie unite si avranno ancora in ponendo A, — 2p = he — 29 =..=+2, e così via; e analogamente, nell’altro dei due spazi X, ponendo h, — 2p— h,—2g—--1, ecc. In ogni singolo caso particolare si potrebbero determinare tutte queste superficie senza difficoltà. Osserveremo infine che, siccome le /i, non possono essere complessivamente (per uno spazio S, che non sia suddiviso in infiniti spazi minori uniti) in numero supe- r2... rdi 2 riore à ETAN questo limite, devono essere tutte eguali all'unità, fatta solo eccezione, se r è pari, per una di esse, che è nulla), cosi si vede facilmente che le superficie unite po- tranno tutt’ al più esaurire una varietà M,,;, vale a dire, per r > 3, non esauri- 2 , secondo che r è pari o dispari (e anzi, quando raggiungano ranno certo tutto lo spazio S,. Dunque: Per ogni gruppo proiettivo semplice oo di uno spazio qualunque S, (r > 4) esiste una ed una sola suddivisione dello spazio S, in oo varietà M; irreducibili invarianti ; e rispetto a una generica di queste Mz il gruppo stesso sarà sempre transitivo. (Può fare eccezione tuttavia il caso di uno spazio S, suddiviso in co" spazi S, uniti). Questo teorema è quasi evidente nel caso del gruppo 00° di una C” razionale nor- male; ma non lo è forse altrettanto nel caso in cui vi siano in S, spazi minori uniti. 23 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 209 8 5. I gruppi proiettivi semplici co? dello Spazio ordinario. 19. Prima di occuparci in particolare delle varietà M, di S, con un gruppo non integrabile co (o anche più ampio) di trasformazioni proiettive in sé, fermiamoci un momento ad esaminare i gruppi proiettivi semplici oc? dello spazio ordinario, tanto per mostrare come se ne possano ritrovare per questa via i vari tipi già noti. Ne abbiamo precisamente tre tipi diversi (); 1° Gruppo o? delle omografie che mutano in sè una data cubica sghemba. Questo gruppo è transitivo rispetto a un punto generico dello Spazio; la cubica stessa e la sviluppabile costituita dalle sue tangenti sono rispett. la sola curva e la sola super- ficie unita ; 2° Gruppo 00° con una conica fissa e un punto fisso fuori del piano di questa conica, ossia gruppo delle rotazioni intorno o un punto (quando la conica fissa si faccia coincidere coll’assoluto dello spazio Euclideo). Questo gruppo è intransitivo, e tras- forma in sè tutto un fascio di quadriche mutuamente tangenti lungo quella certa conica (e in particolare tutto un sistema di sfere concentriche, se si tratta di rota- zioni intorno a un punto); 3° Gruppo oo con una (sola) quadrica unita, sulla quale sono a lor volta unite anche tutte le rette di uno dei due sistemi. Anche questo gruppo è transitivo rispetto a un punto generico dello spazio; quella quadrica è la sola superficie unita, e le sole linee unite sono le generatrici di questa quadrica che appartengono al sistema testè considerato. 20. Il primo di questi tre gruppi è evidentemente quello in cui si rispecchia (secondo il già cit. principio di trasporto di Hesse) la geometria proiettiva di una forma semplice, nella quale si assuma come elemento la terna di elementi nel senso ordinario (ossia la forma cubica binaria). — E al terzo caso corrisponde analitica- mente, nel senso del $ 3, il sistema di due forme lineari, il cui (unico) invariante simultaneo rappresenta appunto, eguagliato a zero, la (sola) quadrica unita. L'esi- Stenza delle co' rette unite sopra questa quadrica era prevista dal teorema del n° 16. Aggiungerd ancora che i due ultimi gruppi 00° (2° e 3°) sono quelli stessi a cui conduce la così detta rappresentazione canonica della Geométria proiettiva di una forma, semplice (*). Si rappresentino infatti le trasformazioni proiettive di una tal (*) Non tenendo conto del caso in cui siano uniti tutti i piani di un certo fascio (vale a dire la retta, asse del fascio medesimo, e tutti i punti di una seconda retta non incontrante quest’asse). C) Cfr. ad es. Enriques, Conferenze di Geometria (lez. litogr., Bologna, 1895); pp. 131-132. Serie IL Tom. XLVI. 5 De ——À "== Bt M 2 210 GINO FANO 24 forma come punti di uno spazio S,, assumendo p. e. come coordinate proiettive omo- genee di questi punti i coefficienti dell'equazione bilineare : aca! + bx + +d=0 (1); e si consideri nello spazio stesso Ss la trasformazione (proiettiva) T in cui al punto immagine di una proiettività variabile P (della forma semplice) corrisponde il punto immagine o della trasformata di P mediante una proiettività fissa Q, oppure della proiettività prodotto PQ (o QP). — Nell’un caso e nell’altro, facendo poi variare (nella forma semplice) la proiettività Q, avremo in S; oo’ trasformazioni (proiettive) T formanti un gruppo. Nel primo caso sarà il gruppo 2°, la conica fissa essendo data dalle involuzioni paraboliche (degeneri) e il punto fisso dalla trasformazione iden- tica (). Nel secondo caso avremo il gruppo 3°, la (sola) quadrica unita essendo data dalle omografie degeneri; sopra questa saranno fisse tutte le rette dell'uno o del- l’altro sistema, secondo che al punto immagine di P si fa corrispondere, per ogni proiettività Q, il punto immagine di PQ o di QP. Ritroviamo dunque che, all'infuori del piano, /e sole superficie dello spazio ordi- nario che ammettono un gruppo non integrabile di trasformazioni proiettive in sè sono la sviluppabile circoscritta a una cubica sghemba, la quadrica, e il cono quadrico. Nel gruppo oo' di una quadrica non degenere sono contenuti anzi due diversi tipi di gruppi semplici oc^; uno si ottiene fissando un punto fuori della quadrica (e il suo piano polare); l'altro fissando tutte le rette di uno dei due sistemi (°). Nel piano, i soli gruppi proiettivi semplici 00° sono il gruppo delle omografie con una conica fissa e il gruppo lineare omogeneo speciale (con quelli ad esso proiet- tivamente equivalenti) (*). (1) Questa ste rappresentazione si trova in Sriemanos, Mémoire sur la représentation des homo- graphies binaires par des points de l'espac ^ Math. Ann. ,, Bd. XXII. Cfr. anche Cavrzv, On the correspondance of homographies and rotations, “ Math. Ann. ,, Bd. XV. DI Per questo gruppo OO? sono uniti il piano delle involuzioni (b — c = 0), il cono quadrico delle omografie paraboliche ([b + c — 4 ad — 0), la quadrica delle proiettività degeneri (ad — de = 0), e, più generalmente, tutte le quadriche del fascio [b — ef — k [ad — be] = 0 corrispondenti alle varie schiere di omografie di dato invariante assoluto. (3) In coordinate x, y sulla superficie (o sopra un piano rappresentativo di essa) questi due gruppi OO? potrebbero ritenersi generati rispettivamente dalle terne di trasformazioni infinitesime: pHa ap + yq, ep + y'a e p, p, sp (Las, Op. cit, vol. III, p. 203). (*) Cfr. anche le tabelle dei vari gruppi proiettivi del piano (Lr, Op. cit., vol. III, pp. 106-107; Lus-Souerrers, Op. cit., pp. 288-291). il 25 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 211 | i D uy (er) I gruppi proiettivi semplici co? dello spazio S,. Varietà M, con un gruppo non integrabile di trasformazioni proiettive in sè. $ ; 21. Veniamo ora a trattare il caso dei gruppi proiettivi semplici co? dello spazio Sy. 1 Questi gruppi (escludendo quelli con tutto un fascio di S, uniti fissi) dànno luogo ai quattro tipi seguenti : 1° Gruppo co’ con una quartica razionale normale unita ; 2° Gruppo 00° con una cubica normale (di S;) unita, e un punto del pari unito fuori dell’S; di questa cubica; 1 3° Gruppo oo’ con una conica unita e una retta pure unita non incontrante il piano di questa conica ; 4° Gruppo 00° con due rette unite sghembe, e un punto unito fisso fuori del- l S; di queste due rette. | Cominciamo col 1° caso. La quartica unita sia rappresentata dalle equazioni : | | do = E M = EE; De = Hu = ZEE; cy Eg. © | | | | D Ke . D H D | Dovremo allora considerare gli invarianti della forma binaria biquadratica (nelle va- riabili £ , £): | ay E + 4a, E E SC 62, 8 5 + dis E E "cna d | d vale a dire (facendo uso delle solite lettere i, j, ma prescindendo per brevità dai | fattori numerici): i= dm — 40,0 + 3a | WoW 3s | f | = | Wy Wy dg p= meni uff — dim. at Dani | | | | T m mdr | Saranno dunque invarianti tutte le varietà del fascio : E ke N 1 dove k à il parametro variabile. Queste varietà sono del 6° ordine, e contengono in | generale la quartica fissa come curva tripla. Fra esse notiamo la quadrica i=0 | contata tre volte, e la varietà cubica j— 0 contata due volte; nessun altra varietà 212 GINO FANO 26 > del fascio si spezza in due o più parti, distinte o coincidenti. Due punti generici di una varietà qualunque sono immagini di quaderne fra loro proiettive, e si corrispon- dono perciò in (almeno) quattro operazioni diverse del gruppo co. 22. La quadrica î=0 è quella considerata già al n° 14 per r pari qualunque. Qui essa è anche luogo dei punti per cui gli S, osculatori condotti alla quartica toccano questa in punti formanti un gruppo equianarmonico; come pure in questo caso, e allora soltanto, avviene altresì che lo spazio S, dei quattro punti di contatto contiene il punto da cui si è partiti (ossia l'intersezione dei quattro S, osculatori). Di qui appunto il noto teorema (': Se una quartica di seconda specie di Ss ha à quattro piani osculatori stazionari (supposti distinti) tali che à relativi punti di contatto stiano in un piano, questi stessi punti formeranno sulla curva un gruppo equianarmo- nico, e viceversa. La varietà cubica j= 0 contiene la quartica fissa come curva doppia, ed è perciò il luogo delle corde di questa stessa curva. Essa fu studiata già dal Sig. SEGRE (^ Mem. Ace. di Torino ,, ser. 2*, t. XXXIX ; — n° 43, 44), alla cui Memoria riman- diamo per le ulteriori e interessanti sue proprietà. Gli spazi osculatori alla quartica condotti da un punto qualunque di questa varietà — ossia da un punto di una sua corda — la toccano in quattro punti formanti un gruppo armonico. Un'altra varietà, anche notevole, del nostro fascio si ha per k = à ; è la varietà luogo dei piani osculatori alla quartica, o varietà discriminante, perchè il primo membro della sua equazione à precisamente, a meno di fattori numerici, il discriminante della forma biquadratica considerata al n? prec. Si può anche riconoscere facilmente che nessuna varietà del fascio j? — ki? = 0, tranne la quadrica 1— 0, ammette più di oo trasformazioni proiettive in sè. La qua- drica i=0 ne ammette invece, in tutto, un gruppo co", che dal Sig. Lre fu dimo- strato essere semplice (°). 23. Le superficie invarianti per questo gruppo co furono già determinate al n° 14 per il caso analogo in uno spazio qualunque S, (°). Sono due soltanto: 1° La superficie luogo delle tangenti alla quartica, che è l'intersezione delle due varietà i— 0 e j=0, e quindi del 6° ordine. Essa è la polare reciproca della va- rietà discriminante rispetto alla quadrica à = 0; 2° La superficie luogo delle intersezioni delle coppie dà piani osculatori alla quar- tica (doppia quindi per la varietà diseriminante), che è luogo dei punti immagini di forme biquadratiche con due radici doppie, e si rappresenta analiticamente scrivendo che (supposto, in generale, i, j= 0) i coefficienti della forma biquadratica xg sono ordinatamente proporzionali a quelli della relativa Hessiana (^). Questa superficie è us (!) Cfr. ad es. Franz Meyer, Apolaritüt und rationale Curven, Tübingen, 1883, p. 183. Ê) Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, p. 357. DI Per questo caso (r = 4) esse compaiono anche nell'Op. cit. di Lin-Scherrers. D) Cuessca, Theorie der binüren algebruischen Formen, p. 168; GonpAs-KznsonrxsmEmzm, Vorle- sungen über Invariantentheorie, vol. II, p. 197. 27 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 213 del 4° ordine, ed è la polare reciproca della varietà cubica j= 0 rispetto alla qua- drica i — 0 (Greng, 1. c.). Essa si può anche ottenere come proiezione della superficie di Veronese (F3 di Sj) ©) da un punto esterno a questa, e contiene perciò co" coniche, fra le quali è in particolar modo notevole la serie razionale co' d’indice due di quelle coniche che stanno nei piani osculatori alla quartica CL — Viceversa, si può anche dimostrare direttamente che la Fi di S; proiezione generale della superficie di Veronese (proiezione cioè di questa superficie da un punto non contenuto nel piano di alcuna sua conica) è trasformata in sé da un gruppo proiettivo co con una quartica unita, e deve appunto coincidere colla superficie testè considerata. Anche questa superficie di quarto ordine dello spazio S, appare dunque impor- tante e interessante, quasi quanto la superficie normale di cui è proiezione. Essa si è presentata anche al Sig. CAsrELNvovo nelle sue Ricerche di geometria della retta nello spazio a quattro dimensioni (^ Atti Ist. Ven. ,, ser. 7^, t. Il), come superficie singolare di una rete (sistema lineare 00°) di complessi lineari di rette. Possiamo ancora riassumerne le proprietà principali, d’altronde già note, dicendo: La superficie del quarto ordine luogo delle intersezioni delle coppie di piani oscu- latori a una quartica razionale normale di S, è anche superficie singolare per una rete di complessi lineari di rette, la cui varietà base è costituita dalle © trisecanti della superficie stessa D. Questa superficie è la proiezione più generale della F} di Veronese (normale per Sj), e si rappresenta analiticamente (in coordinate protettive omogenee) nel modo più semplice, scrivendo che i (cinque) coefficienti di una forma binaria biquadra- tica generale sono ordinatamente proporzionali a quelli della relativa Hessiana. 24. Veniamo al secondo caso; e qui (in coordinate 41, %3,... 5) supponiamo unito lo spazio xs = 0, e, dentro di esso, la cubica : ] 5244 Ws e | X wy dq di più, sia anche unito il punto fondamentale x —4 = x = x, = 0. Il nostro gruppo co’, entro lo spazio x; = 0, sarà allora rappresentato dalle equazioni: () * Mem. della R. Acc. dei Lincei ,; ser. 8*, vol. XIX (1883-1884). C) Questa serie OO! di coniche è anche unita rispetto al gruppo OO? proposto, sicchè la stessa F* di S, si trova nell'ultimo caso considerato al n*4 (p. 11) della mia Nota: Sulle superficie alge- briche con un gruppo continuo transitivo di trasformazioni proiettive in sè, * Rend. di Palermo ,, t. X, pp. 1 e seg. Di qui segue pure, per altra via, ch'essa potrà rappresentarsi sul piano in modo che a quella serie OO! d'indice due di coniche corrispondano le tangenti a una conica fissa del piano rappresentativo. D) Queste 00° rette sono rispettivamente immagini delle 00° involuzioni I} determinate dalle singole forme binarie biquadratiche colle rispettive Hessiane. Su ciascuna di esse risulta determi- nata una corrispondenza (2, 1) tra forme f e Hessiane H; le tre intersezioni della retta considerata colla superficie F* sono gli elementi uniti di questa corrispondenza; le due intersezioni colla qua- drica ¿ = 0 (forme equianarmoniche) si corrispondono in doppio modo. pero nn 214 GINO FANO 28 a" = a). o + 30b . m + Bab. + DP. x d'a = a*c . a + (ad + 2abe)e, + (2abd + Pe)xs + bd . x, a, — aè. ay + (bc? + 2acd)x, + (2bed + ad’)x,; + bd. x, d'a 38 0.2 + 36d t + 308. xs + dë. x, j dove a, 5, c, d sono i soliti parametri legati dalla relazione ad — be = 1. E a queste equazioni dovremo aggiungere, per lo spazio $;, ancora quest’altra : AE, Rispetto a questo gruppo sarà invariante il discriminante della forma cubica (nelle variabili &, &): oi. + än. SS Län. A8 + a. ossia : R = Bän ei — 4a — Ana — mai + Baia. Non muterà dunque, per una qualunque sostituzione del gruppo 00°, nessuna funzione (omogenea) del tipo R + kx? (k essendo un parametro arbitrario); e saranno perciò invarianti, rispetto al nostro gruppo proiettivo œœ, tutte le varietà del fascio : R + kr — 0. Queste varietà sono del 4° ordine e tutte irreducibili, all'infuori di quella che è costituita dallo spazio x; — 0 contato quattro volte. Questo stesso Spazio zy = 0 e il cono R=0 sono anche le sole varietà del fascio che ammettono più di co? tras- formazioni proiettive in sé. Il cono R=0 ne ammette precisamente co*, fra cui ch omologie. Le sole superficie unite rispetto allo stesso gruppo co sono la sviluppabile R=1=0, e il cono cubico normale che dal punto z; =...==%,=0 proietta la cubica fissa dello spazio «= 0. 25. Supponiamo ora (3° caso) che siano uniti la retta Xe M0; è il piano z,— 4; = 0 colla conica x — 4, s= in esso contenuta. Il nostro gruppo 00° sarà rappresentato dalle equazioni : x = d. x I 2ab.2 + b. zs di = ax F bas a, = ac. + (ad + dela, + bd. o, ay = ct + das ai = C. Mn 2ed.2, + du 29 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 215 colla solita condizione ad — be — 1. Rispetto a queste sostituzioni risultano invarianti il diseriminante della forma quadratica : xi - E kän. Es, & nonché il risultante di questa e della forma lineare: MA + $E vale a dire le funzioni : Reizer qe | | | | R,= x — x,23; R = | do ON O | = m + 20 — 200%. | | keen Lue SE PA a Saranno dunque invarianti rispetto al gruppo proiettivo co* le co! varietà di 6° ordine: R? + kR = 0. La varietà R, = 0 è evidentemente il cono quadrico di 2° specie che dalla retta M = % = tz = U proietta la conica fissa del piano z,— 4, — 0. Più interessante è la varietà cubica Re = 0, che contiene „=; —0 come piano doppio ; essa è luogo degli co! piani che congiungono i singoli punti della retta o, e = $4 = 0 rispett. s=% — tı% = 0 nei punti che corrispondono ai primi nella solita proiettività già considerata in generale al n° 11 (!). Le congiun- genti delle coppie di punti omologhi di retta e conica in questa stessa proiettività sono le generatrici di una rigata cubica normale che (contata due volte) è pure in- tersezione delle due varietà R, = 0 e R, = 0. Una proiettività che muti in sè una varietà generica del fascio R$ + kR? = 0 deve anche trasformare in sè questa rigata ; quindi la retta a = x, =, = 0, e così alle tangenti alla conica x, = pure la conica „=, — 4$ — 4 2; — 0, il cui piano gode della proprietà caratteri- Stica di incontrare quella varietà generica secondo questa sola conica, contata tre Volte. Da questo, e dal fatto che le R2 — 0 e R$— 0 sono le sole varietà riducibili del fascio, segue altresì che le stesse R,— 0 e Rs=0 sono le sole varietà che pos- sono ammettere altre trasformazioni proiettive. Il cono quadrico H, — 0 ne ammette in tutto un gruppo co”, come risulta facil- mente dall'enumerazione delle costanti. La varietà cubica R;—0 ne ammette invece un gruppo co. Questa varietà, come serie co! di piani, ammette infatti co? direttrici rettilinee, e per ciascuna di queste si ha un gruppo co! di omografie rigate che trasformano in sè la varietà stessa, () Questa varietà cubica compare anche nella Memoria già cit. del sig. SEGRE (n° 52), Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni....., * Mem. della R. Acc. di Torino ,, serie 2°, t. XXXIX, 1888. 216 GINO FANO 30 e per le quali sono uniti tutti i punti della direttrice che si considera, e tutti quelli del piano doppio z; = x; = 0. Queste omografie rigate formano in tutto un gruppo 00°, che, all'infuori della trasformazione identica, ha a comune col gruppo da noi prima considerato la sola collineazione involutoria (2): Vs Il gruppo complessivo di tutte le trasformazioni proiettive della M? deve essere dunque almeno co? (se no due sottogruppi co? avrebbero certo infinite operazioni à comune). — Viceversa, se questo gruppo dipendesse da piü di sei parametri essen- ziali, esso dovrebbe contenere un sottogruppo almeno co' per il quale risultassero uniti tutti gli co! piani della varietà M3, e quindi tutti i punti del piano doppio (piano direttore); e un sottogruppo almeno co! per il quale risultassero uniti anche tutti i punti di un dato piano generatore qualunque, quindi tutti quelli dell S; deter- minato da quest’ultimo piano e dal piano direttore. Ma questo gruppo Co! si com- porrebbe allora di omologie; e ciò non è possibile se la M3 non è (come non à appunto in questo caso) un cono. Le equazioni del gruppo complessivo cf, coll'introduzione di due nuovi para- metri m, n, e tolta la restrizione ad — be — 1, possono assumere la forma : di = da + 2ab . t + P. w + 2m(am, + bas) dy = ac.m + (ad + be)o, + bd . a, + nas + bas) + mex, + das) d'y = C. ay + Bed a, F P.a + 2n (ev, + dx;) g'i = a2, + bas L'y = Ca + das. Il gruppo co? di omografie rigate si ha ponendo «=d; b —e—0. Non vi sono altre superficie invarianti rispetto al nostro gruppo co* semplice (m — n — 0; ad — be = 1), all'infuori del piano x = x — 0 e della rigata cubica R=Rs=0 (la quale ultima ammette co° trasformazioni proiettive in sè). E non vi sono quindi nemmeno (come non vi erano nei casi precedenti) varietà M, invarianti non contenute nel fascio Rî + kR = 0. 26. Rimane il caso (4°) di due rette unite sghembe Le ss As use. e 4,— 4,— v = 0) e di un punto unito fuori del loro S (zx, = x; =, = a, = 0). Fra le due rette unite risulterà determinata la solita proiettività (cfr. n° 11), e in questo () L'omografia più generale di questo gruppo OO? avrebbe per simbolo [(111) (11)] (Sears, “ Mem. della R. Acc. dei Lincei ,, ser. 3*, vol. XIX) oppure [21] (Prepenra, * Ann. di Mat. », Ber. 2°, vol. XVII) Per il sottogruppo invariante OO? gli stessi simboli diventerebbero rispett. [(221)] e [(21)]. 31 SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO NON INTEGRABILE, ECC. 217 caso le congiungenti delle coppie di punti omologhi saranno generatrici di una qua- drica (di S) unita rispetto al gruppo co? che vogliamo considerare. Per questo stesso gruppo (cfr. n° 16) saranno anche unite tutte le singole rette (direttrici) della qua- drica appartenenti al sistema di quelle prime due. — Le equazioni del gruppo avranno in questo caso la forma: a, = ax + br, = at + ba; (ad — be= 1) ees op, dr, d'a — cm, + da, Saranno dunque invarianti tutte le quadriche del fascio : (21%, — Lots) + bag — 0 la cui varietà base è la quadrica dello spazio z,— 0 (contata due volte): Lily — WX. = Oltre a questa superficie, sono uniti tutti i piani del cono quadrico 21 a4 — e X, = 0 che appartengono al sistema di un =x=0 e nes in D (). Non vi sono però altre superficie unite, nè altre M; unite, all'infuori delle quadriche già considerate. 27. Riassumendo dunque, possiamo coneludere che le superficie appartenenti allo spazio S4, le quali ammettono un gruppo non integrabile di trasformazioni proiettive in sà, sono le seguenti: 1° Rigata (sviluppabile) del 6° ordine, luogo delle tangenti a una quartica ra- zionale normale ; 2° Superficie del 4° ordine proiezione della Fi di Veronese (normale per S;) da un punto non contenuto nel piano di alcuna sua conica (non posto cioè sopra nes- suna corda di essa); l'una e l'altra con sole co? trasformazioni proiettive in sè; 3° Rigata normale del 3° ordine, con oo* trasformazioni proiettive in sè (for- manti un gruppo simile a quello delle omografie piane con un punto unito fisso); 4° Cono cubico normale, con co trasformazioni proiettive in sò (questo gruppo è simile a uno dei così detti gruppi di Jonquières ()). Le varietà a tre dimensioni, pure con un gruppo non integrabile di trasforma- zioni proiettive in sè, sono le seguenti (): (!) Questi CO! piani rientrano come caso particolare nelle superficie considerate in generale al n° 17. C) Cfr. Evriques, * Rend. R. Acc. dei Lincei » ser. 5*, vol. II, 1° sem., pp. 532-538. () Prescindiamo naturalmente dalla considerazione dello spazio S, (come pure del piano, della quadrica di Ss, ecc.), non appartenendo questi enti allo spazio S, Serre II. To. XGVI. E “el | Í 218 GINO FANO — SULLE VARIETÀ ALGEBRICHE CON UN GRUPPO CONTINUO, ECC. 32 1° Varietà del 6° ordine, rappresentabili analiticamente coll'eguagliare a una costante arbitraria (== 0, 00) il solito invariante assoluto di una forma binaria biqua- dratica, espresso mediante i coefficienti di questa. Fra queste varietà & notevole una particolare M$ costituita da una serie co! di piani; 2° Varietà del 4° ordine rappresentabili analiticamente coll'eguagliare il discri- minante di una forma binaria cubica generale alla quarta potenza di una nuova (quinta) variabile (le prime quattro essendo date dai coeffieienti della forma cubica); 3° Varietà del 6° ordine rappresentabili analiticamente coll'eguagliare fra loro il eubo del discriminante di una forma binaria quadratica, e il quadrato del risul- tante di questa stessa forma e di una forma lineare (potendosi supporre — 1 il pa- rametro k del n° 24); 4° Varietà del 3° ordine luogo delle corde di una quartica razionale normale (ossia varietà j=0, dove j è il solito invariante cubico di una forma binaria bi- quadratica) ; tutte varietà con sole 00° trasformazioni proiettive in sè; poi ancora: 5° Varietà del 3° ordine con piano doppio, la quale ammette oo? trasformazioni proiettive in sé; 6° Cono (di 1^ specie) che proietta la superficie sviluppabile di 4° ordine cir- coscritta a una cubica di S da un punto esterno a questo spazio ; cono che ammette complessivamente co? trasformazioni proiettive in sè; 7° La quadrica (M5), con un gruppo (semplice) co" di trasformazioni proiet- tive in sè, se non degenere; con un gruppo co" di tali trasformazioni, se cono di 1° specie; con un gruppo co", se como di 2 specie. La varietà n° 1, in quanto sia costituita da una serie co! di piani, e le varietà n° 4 e 5 sono rispett. duali, nello spazio S,, delle superficie n° 1, 2 e 3. | | | | | | | | | | SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA MEMORIA DEL DOTTOR ERMANNO GIGLIO-TOS ASSISTENTE AL R. MUSEO DI ANATOMIA COMPARATA, CON UNA TAVOLA Approvata nel Adunanza del 26 Aprile 1896. Gli elementi cellulari del sangue dei vertebrati, la loro struttura, la loro forma, laloro origine furono oggetto sempre e specialmente in questi ultimi tempi di nu- merose e diligenti ricerche, rese pubbliche nei moltissimi lavori, di cui è ricchissima la letteratura di questo importante argomento. Perd, gli Autori, che si diedero a queste ricerche, ricorsero quasi tutti ai ver- tebrati superiori: mammiferi ed uccelli; o, se nella comparazione dovettero far oggetto delle loro osservazioni anche dei vertebrati inferiori, tutt’ al più discesero fino agli anfibi: alle rane, alle salamandre e raramente a qualche pesce. Ma gli infimi fra i vertebrati, che presentino sangue con corpuscoli rossi, i Ci- clostomi, furono quasi trascurati. Per quanto riguarda i Mixinoidi, possiamo trovare una ragione di questo fatto nella difficoltà di avere questi animali, in quello stato di conservazione che si richiede per tali delicati studi istologici. Ma cosi non ? per le lamprede, e specialmente poi per la lampreda di fiume che è comunissima nelle nostre regioni. Cosicchè, se qualche nozione si vuol avere su questo speciale argomento per i Mixinoidi, è necessario ricorrere al lavoro del MiiLuer (1) sulla loro anatomia, op- pure ad un altro più recente del Tmowrsow D'Arcy (2). La confusione e l'incertezza che regnò per molto tempo sulla forma dei corpu- (1) Müzuzm J., Untersuchungen über die Eingeweide der Fische in * Abhandlungen d. k. Akademie d. Wissenschaften zu Berlin ,, 1843, p. 119, tab. IL fig. 10, (2) Tuowesox »'Ancy W., Note on the Blood-corpuscles of the Cyclostomata, in “ Anat. Anz. ,, II, 1887, p. 630. 220 ERMANNO GIGLIO-TOS 2 scoli rossi del sangue nei Ciclostomi, da taluni ritenuti circolari, da altri ovali, dipende dal fatto, che quei pochissimi, che di questo argomento si occuparono o di- rettamente o indirettamente, vollero generalizzare troppo facilmente ed estendere a tutti i Ciclostomi quella struttura e forma dei globuli rossi che solo in qualcuno di essi avevano osservato. Così, per esempio, Huxrzv nella sua * Anatomy of the Ver- tebrata , attribuisce a tutti i Ciclostomi, — e percid anche ai Mixinoidi, — la forma circolare dei corpuscoli rossi del sangue della lampreda, e Guzziver ripeteva più tardi la medesima asserzione. Altri invece, riputando erronee le osservazioni del- l'Huxzey, attribuirono a tutti i Ciclostomi — e perciò anche ai Petromizontidi — la forma ellittica dei corpuscoli rossi della Myxine glutinosa. La verità invece si è: che, nel medesimo gruppo dei Ciclostomi, la lampreda comune, — come taluni già asserirono, e come dimostrerd in questo lavoro — ha cor- puscoli rossi circolari, mentre i Mixinoidi o, per meglio dire, la Myxine glutinosa ha corpuscoli rossi di forma ellittica, come Mürcer e Tnowrsow affermarono. Quanto alla lampreda marina (Petromyzon marinus), stando a quel che ne dice il Thompson ora citato, avrebbe corpuscoli rossi circolari, ma il RENAvT (1) in un suo lavoro anteriore asserisce che taluni di essi sono circolari, altri ellittici, e che ne trovo dell'una e dell’altra forma nel sangue preso dal cuore di uno stesso individuo. Veniamo ora a trattare più specialmente della lampreda di fiume che fu oggetto delle mie ricerche, sia allo stato larvale (Ammocoetes branchialis), sia allo stato adulto (Petromyzon Planeri). Waaner (2) fu il primo che descrisse i corpuscoli rossi e bianchi del sangue dell Ammocoetes branchialis e attribui ai primi un contorno circolare, ma li disse biconcavi come quelli dei mammiferi. Alcuni anni dopo WramroN Jones (3) in un lavoro generale sui corpuscoli del sangue degli animali, non descrisse, ma diede solo aleune figure dei corpuscoli rossi del sangue della lampreda. Essi vi sono rappresentati circolari, ma in una figura, molto mal fatta però, parrebbe che li abbia voluto rappresentare anche biconcavi. Gurriver (4) disse che la. maggior parte dei corpuscoli rossi della lampreda comune sono circolari, ma taluni invece leggermente ovali: che solo raramente o eccezionalmente hanno forma di disco biconcavo per una irregolare od ineguale de- pressione sulle due faccie; ma che generalmente sono, o piatti, o leggermente bicon- vessi. Aggiunge inoltre che questa forma puo alterarsi sotto l'azione di cause diverse. Nel 1881 i corpuscoli del sangue della lampreda furono oggetto di ricerche speciali del Rexaur (5), il quale li disse di forma circolare e li fece derivare dai (1) Ruxaur J., Recherches sur les éléments cellulaires du sang, in “ Archives de Physiol. norm. et pathol. ,, II sér., T. VIII, 1881. Paris, p. 649-671. (2) Waaxug R., Neue Beobachtungen über Blut und Lymphkörnchen der verschiedenen Thiere, in “ Isis ,, t. 26, 1833, p. 1011. (8) Waarton J., The Blood-corpuscle considered in its different phases of Development in the Animal Series, in “ Philos. Transactions of the R. Soc. of London ,, 1846. (4) Guruwver G., Om certain points in the Anatomy and Economy. of the Lampreys; in * Proced. Zool. Soc. of London ,, 1870, pag. 844. (5) Renaun J., Recherches sun les éléments cellulaires du sang, in * Arch. Phys. norm. et pathol. »; 1881, p. 662. | | | | | | | | | | | | | | 3 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 221 corpuscoli bianchi. Avrò occasione di ritornare sulle sue conclusioni nel corso del presente lavoro ed ometto perciò qui il riassunto delle medesime, che io d’altronde non accetto pienamente. x Ma poco di poi si attribui di nuovo ai globuli rossi del sangue della larva di Petromyzon fluviatilis una forma ovale; e questo dal Smerev (1). È noto come da molti sia stato discusso, se il Petromyzon Planeri, la cui larva è conosciuta col nome di Ammocoetes branchialis, ed è tanto comune presso di noi, non sia la medesima specie che il P. fluviatilis. Se in quest'ultimo, come afferma SHIPLEY, i corpuscoli rossi del sangue fossero realmente ellittici, non v'è dubbio che questo sarebbe un carattere specifico di grande importanza per la distinzione di quelle due specie, da molti e dallo stesso SmrPrEv ritenute identiche. Ma io non credo che sia così. Quest’autore osservò i corpuscoli rossi, non già allo stato fresco, ma in embrioni certamente fissati con un liquido fissatore e probabilmente con sublimato. Ora la forma ellittica da lui descritta, come pure altre apparenze che essi assumono, sono dovute ai liquidi fissatori usati che li alterano più o meno, come dirò in avanti. Infine è da aggiungersi a questi un piccolo lavoro, che vide la luce nel 1888, e che volge sullo stesso argomento. In esso l’autore, il Gace (2), ritorna a dare ai corpuscoli rossi della lampreda la forma biconcava, indicata dal WAGNER, ed anzi vi aggiunge che anche questi, come quelli dei mammiferi, si agglomerano a somiglianza di rotoli di monete. Il WiepERsHEM (3), che riferisce la stessa cosa, la tolse forse dal lavoro suddetto. ‘om’è facile scorgere da questo breve cenno storico bibliografico, i lavori su questo speciale argomento sono pochi, e abbastanza disparate sono le opinioni. Se a ciò si aggiunge che anche in quelli relativamente recenti, le osservazioni e le ricerche furono condotte in modo superficiale e con metodi non più rispondenti alle esigenze della scienza moderna, si comprenderà facilmente come l'argomento sia tutt'altro che esaurito. To ho ripreso lo studio delle cellule del sangue nella lampreda e credo non privo di interesse il pubblicare i risultati delle mie ricerche, le quali si riferiscono principalmente alla forma, alla struttura ed alle modificazioni che gli elementi subi- scono nel sangue circolante; in un altro lavoro tratterò della loro origine. Metodi usati. Mi servirono specialmente per queste ricerche le formé larvali della lampreda comune (Ammocoetes branchialis), che si trovano abbondanti ed ancora viventi sui mercati di Torino, mentre le forme adulte (Petromyzon Planeri) vi sono assai scarse € si trovano generalmente morte. Tuttavia anche il sangue di queste ultime venne (1) Surer A. E., On some Points in the Development of Petromyzon fluviatilis, in “ Quarter. Journ. of Microse. Scien. ,, vol. XXVII, N. Ser., London, 1887, p. 343. (2) Gace S. H., Form and Size of Red Blood-corpuscles of Adult and Larval Lampreys, in “ Proc. Amer. Soc. Micros. ,, X, 1888, p. 77-83; * Journ. R. Micros. Soc. London ,, 1889, p. 494 (riassunto). (3) WrepersHEm R., Grundriss der vergleich. Anatomie d. Wirbelthiere, 1893, p. 465. 222 ERMANNO GIGLIO-TOS 4 esaminato in aleuni individui viventi che potei trovare; ma esso non mi presento differenza aleuna da quello delle larve. Le mie osservazioni vennero fatte, tanto sopra individui appena pescati, quanto Sopra individui conservati per vari giorni in un acquario, senza che loro venisse fornito cibo. Non ho osservato differenze nella struttura delle cellule del sangue in queste due serie di individui. Siccome i corpuscoli rossi od eritrociti del sangue di questi animali si alterano nella forma a contatto coll'aria assai più facilmente e più presto che quelli degli altri vertebrati, & necessario agire per l'osservazione e per la confezione dei prepa- rati colla massima celerità. Io procedevo percid nel seguente modo. Asciugata per bene la lampreda, sì da evitare possibilmente che, o cellule, od organismi estranei si mescolassero col sangue, tagliavo colle forbici il corpo trasver- salmente, o immediatamente dietro la bocca in corrispondenza di quei due organi muscolari pulsanti, fatti a mo’ di ampolla, visibilissimi dall'esterno nella regione ventrale, e che lo Somwmmxn (1) chiamo velo boccale o velum, oppure in un tratto qualunque della regione branchiale; oppure ancora, se desiderava una maggiore quan- Dia di sangue, nella regione del cuore, cioè immediatamente dietro all'ultima fessura branchiale. Di tutto il lungo corpo della lampreda è questo il solo tratto da cui si possa ottenere una discreta quantità di sangue. Non ho scorto poi alcuna differenza notevole tra gli elementi del sangue presi in queste diverse regioni. Giova osservare che, così facendo, il liquido che esce dal corpo tagliato della lampreda, non è sangue puro, ma sangue misto a linfa che uscendo dagli spazi lin- fatici inevitabilmente si mescola con esso. Ciò tuttavia, per le ricerche che ci occu- pano, non produce alcun inconveniente. Tagliato così il corpo, se voleva esaminare il sangue fresco, sollecitamente por- tava una goccia di esso a contatto del porta-oggetti, ricoprendolo subitamente col copri-oggetti ed esaminando tosto. Tutto ciò nel minor tempo possibile. Ma non po- teva così impedire che almeno una piccola parte dei globuli rossi venisse alterata e specialmente quelli più verso la periferia e più a contatto coll’aria. Tuttavia la osservazione si poteva fare su quegli eritrociti che rimanevano più nell'interno, non deformati, perchè protetti dagli altri. Un preparato simile si può conservare per qualche tempo, — per alcune ore ed anche per un giorno o due — se si ha la precauzione di lutare il copri-oggetti con olio; e ciò a fine di evitare l’essiccamento del preparato. x Anche una soluzione al 0,50 ?/, di cloruro sodio serve a che gli eritrociti con- servino l’emoglobina per molte ore. L'osservazione del sangue diretta ed a fresco mi fu di grande utilità special- mente per lo studio degli eritrociti. Se poi intendeva procedere alla colorazione delle cellule e delle loro parti, al- lora ricorreva alla loro fissazione o col calore o con liquidi fissatori. (1) Scuneiper A., Beiträge zur vergleichenden Anatomie und Entwickl hichte der Wirbel- thiere, Berlin, 1879, p. 83. 5 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 223 La fissazione col calore mi diede ottimi risultati. Vi procedeva nel modo solito. Dopo di aver distesa sul porta-oggetti una piccola goccia di sangue in uno strate- rello possibilmente molto sottile lo portava su di una fiamma, per produrre la coa- gulazione del protoplasma e l'essiccamento della goccia. Aveva cura di agire colla massima sollecitudine affinché non avvenissero alterazioni nella forma degli elementi, ciò che però non ho potuto evitare per gli eritrociti. Ma per lo studio dei leucociti € per la struttura del nucleo ho trovato questo metodo di grande utilità. In questi preparati ne scapitano alquanto, più che la forma, le dimensioni appa- renti degli elementi. Come dirò più avanti, gli eritrociti della lampreda si possono considerare quasi come vescichette piene di emoglobina, e perciò di forma non determinata e propria come quelli degli altri vertebrati, ma dipendente dalle condizioni in cui si trovano. Così che, se essi sono sospesi nel plasma, e perciò sottoposti ad ugual pressione in tutti i sensi, hanno forma sferica; ma questa si muta in discoide, quando sieno com- pressi fra due vetrini od anche semplicemente debbano pel loro proprio peso pog- giare su di un corpo. Ne segue che in un preparato fissato col calore, siccome non è possibile di stendere il sangue in uno straterello sottilissimo ed uniforme come sarebbe deside- rabile, nei punti dove il plasma sanguigno è più abbondante e perciò gli eritrociti ed i leucociti vi stanno sospesi, avvenendo l’essiccamento rapidamente, essi ven- gono fissati nella loro forma sferica. Mentre che, verso i margini della goccia, dove lo strato di plasma naturalmente è tenuissimo, semplicemente pel solo pog- giare sul vetro ed anche in parte per l'adesione con questo, essi si appiattiscono diventando discoidi, ma necessariamente anche si allargano. Per cui in uno stesso preparato le dimensioni dei medesimi elementi appaiono maggiori verso la periferia e minori nella parte più interna; ed è perciò anche necessario e nelle misure e nelle figure che ho dato, che si tenga conto di questo aumento di diametro. Se questo è un inconveniente, è tuttavia largamente compensato dal vantaggio, che, negli elementi appiattiti, lo strato di protoplasma che forma il corpo della cel- lula, essendo più sottile, permette di potere studiar meglio la struttura sua ed anche del nucleo. Se poi faceva uso di reagenti liquidi per la fissazione, allora, appena tagliato il corpo nella regione del cuore per avere sangue in maggiore quantità, tuffava la estremità del corpo della lampreda, da cui sgorgava il sangue, subito nel liquido fissatore, affinchè le cellule passassero direttamente dal corpo nel liquido e si evi- tassero così quelle alterazioni di forma che avvengono immediatamente a contatto dell’aria. La fissazione dei globuli rossi del sangue di lampreda presenta però gravi diffi- coltà appunto per la loro struttura; tanto che si sarebbe condotti facilmente in errore, se nel loro esame non si controllassero le osservazioni degli elementi fissati con quelli freschi. Il D" Fischer di Lipsia in due recenti lavori (1) richiamò giustamente l’atten- an mn (1) Fischer A., Zur Kritik der Fixirungsmethoden und der Granula, in ^ Anat. Anzeig ,, Bd. IX 1894, p. 678. — Neue Beiträge zur Kritik der Fixirungsmethoden, in * Anat. Anz. ,, Bd. X, 1895, p. 769. 224 ERMANNO GIGLIO-TOS 6 zione degli istologi sulle alterazioni di struttura, che provocano melle cellule gli agenti fissatori più comunemente usati nella microscopia; per cui facilmente potreb- bero essere considerate come particolarità di struttura naturali quelle che invece sono artificialmente provocate. lo ebbi occasione di verificare in cellule normali, nei globuli rossi del sangue della lampreda, quelle alterazioni che il Fıscner aveva provocato in soluzioni arti- ficiali di emoglobina. Come si potrà vedere da quanto ora verrò dicendo, i risultati da me ottenuti sono pressochè uguali a quelli del botanico di Lipsia. Il sublimato corrosivo in soluzione satura coll’aggiunta di cloruro di sodio serve molto bene per la fissazione dei nuclei e della loro cromatina; ma coagula cosi vio- lentemente l'emoglobina degli eritrociti che questi cambiano di forma, diventando generalmente piatti e più o meno regolarmente ellittici od ovali. Ad un'alterazione simile devesi molto probabilmente la già citata affermazione del Sarpzey (1), che i globuli rossi della larva di lampreda sieno ovali. La emoglobina coagulata dal su- blimato appare in una massa unica e compatta, nè vi ho potuto scorgere le fini granulazioni menzionate dal Fischer. L’acido osmico in soluzione del 2 °/ọ o dell'1% è ottimo per fissare i leucociti e gli eritrociti. Ma in questi ultimi il nucleo si gonfia talmente sotto la sua azione e la eromatinà in certo modo quasi si scioglie, chè non è più possibile con le solite successive colorazioni mettere in evidenza la sua struttura. Quanto all'emoglobina pare che in buona parte fuoresca dall’eritrocito. L’alcool assoluto, l’acido picrico, l'acido cromico ed i sali da questo derivati agi- scono press’a poco nello stesso modo, come dirò. Ad essi devonsi aggiungere quei miscugli diversi che contengono queste sostanze. Tali sono: il liquido di Perenvr, il liquido di Femmina, il liquido di Arrmann, il liquido di Mütter, le miscele di acido picrico e sublimato, o di sublimato, acido picrico, acido osmico ed acido acetico preconizzate recentemente dal Rast. Tutti questi liquidi fissatori, ottimi per lo studio dei nuclei e dei leucociti, sono da evitarsi per quello dei globuli che contengono emoglobina; giacchè, coagulandola, la riducono in granuli ben distinti, che riempiono tutta la cavità della cellula e mascherano la struttura sua propria, dandogliene un’altra affatto diversa dalla normale. Essi hanno però il vantaggio di fissare rapi- damente il corpo delle cellule conservandone la forma pressochè sferica, senza dar luogo a quelle deformazioni che produce il sublimato. Le granulazioni di emoglobina che così si producono e specialmente quelle otte- nute col liquido di Ansmann si colorano facilmente colla fucsina acida, presentando così quel medesimo carattere che l'AyTMANN attribuisce ai suoi granuli. Quanto alla colorazione feci specialmente uso dell’azzurro di metilene in solu- zione satura e neutra, oppure della medesima resa alcalina coll’aggiunta di alcune goccie di ammoniaca. La fucsina acida mi servì per conoscere meglio certi caratteri differenziali fra le varie granulazioni e le diverse sostanze esaminate. (1) Surrey A. E., On some Points in the Development of Petromyzon fluviatilis, in * Quart. Journ. Micros. Se. ,, vol. XXVII, 1887, p. 343. y SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 225 Anche l'ematossilina acida di Emrrcm mi diede buoni risultati specialmente per la colorazione della cromatina; ed effetti ottimi e brillanti per questo stesso scopo ottenni pure col metodo preconizzato dall’HripeNHAIN (1) per mettere in evidenza i centrosomi e la rete nucleare e protoplasmatica. Tutte le osservazioni vennero fatte usando l'obbiettivo apocromatico Zeiss 1,5", apert. 1,30 e dell’oculare 4, seguendo il buon consiglio dato dall’HEIDENHAIN, per ottenere la massima chiarezza delle immagini, che consiste nel frapporre tra il vetrino porta-oggetti e la lente del condensatore ABBE una goccia del medesimo olio con cui si fa l’immersione. GLI ELEMENTI CELLULARI Tutte le cellule che si osservano nel sangue in circolazione della lampreda, si possono ripartire nel seguente modo: 1° Gli eritroblasti e gli eritrociti da essi derivati. 2° T leucoblasti da cui derivano: a) i leucociti a nucleo semplice; b) i leucociti a nueleo polimorfo. 3° Le cellule eosinofile. A questi elementi cellulari sono da aggiungersi gli stadi loro di passaggio che verranno a mano a mano descritti. Gli eritroblasti. » Che i primi momenti della vita dei globuli rossi del sangue sieno rappresentati da cellule, il cui protoplasma è incoloro, cioè affatto o quasi privo di emoglobina, fu ereduto ed affermato da molto tempo. Cosi per esempio, per non citare che uno dei lavori più antichi su questo argomento, ricorderò quello del Morsscnorr (2), dove nella tavola annessa sono disegnate certe cellule incolore del sangue che quell’autore ritiene come rappresentanti i primi stadi dei globuli rossi. Non considerando affatto le opinioni che vi sono esposte, è quasi certo, a giu- dicare da talune forme di quelle cellule, che l’autore vide e disegnò delle cellule corrispondenti ai moderni eritroblasti, ma sbaglid nella loro interpretazione creden- dole globuli bianchi del sangue. Altrettanto fecero di poi altri autori e caddero nella medesima erronea inter- pretazione, donde la teoria, da parecchi per un certo tempo sostenuta, della deriva- zione dei globuli rossi del sangue dai corpuscoli bianchi. (1) Hemenmarn M., Neue Untersuchungen über die Centralkörper und ihre Beziehungen zum Kern- und Zellenprotoplasma, in “ Arch. f. mikrosk. Anat. ,, Bd. 43, 1894, p. 485. (2) Morzscuorr J., Ueber die Entwickelung der Blutkörperchen, in “ Muller's Arch. f. Anat. u. Physiol. ,; 1853, p. 78. Serw II. Tow. XLVI. p! 226 ERMANNO GIGLIO-TOS 8 Così è quasi certo che il VurPrAN (1), descrivendo nel sangue della rana quei certi leucociti a protoplasma trasparente e privi della proprietà di emettere pseu- dopodi, indicò pure i moderni eritroblasti; ma egli credette queste forme derivate da ordinari leucociti (2). La stessa opinione manifestò il Povcuer (3) nello studiare il sangue di Tritone, e dello stesso avviso fu pure il Renaur (4), del quale anzi ci interessa in modo speciale il lavoro, perchè contiene alcune osservazioni sullo svi- luppo dei corpuscoli rossi della lampreda marina (Petromyzon marinus),i quali pas- serebbero per le seguenti forme diverse prima di giungere allo stato adulto: 1° Corpuscolo bianco con nucleo proliferante e protoplasma non limitato da uno strato esoplasmatico; 2° Corpuscolo con nucleo proliferante, con protoplasma che forma un disco incoloro, limitato da un esoplasma; 3° Corpuscolo con nucleo proliferante, protoplasma limitato da un esoplasma e formante un disco più o meno ricco di emoglobina; 4° Corpuscolo rosso con nucleo proliferante; 5° Corpuscolo rosso circolare con nucleo circolare. Dal che si vede, come pure il Renaur chiaramente riferisca l'origine prima dei globuli rossi ai corpuscoli bianchi ‘del sangue. Contro questa opinione si erano però già decisamente pronunziati l'anno precedente al lavoro del Renaut i Dottori Foà e Sarvioni (5), i quali riferirono l'origine dei corpuscoli rossi, non già a primitivi leucociti, ma a certe cellule con protoplasma ialino, che essi chiamarono cellule ialine e che trovarono nel fegato embrionale di vitello. Questa scoperta veniva l'anno dopo confermata dal Bızzozero (6) e poco di poi dal Löwır (7), che volle distinguere col nome di eritroblasti le cellule ialine di Foà e SALVIOLI, nome che venne in seguito generalmente accettato. Le ricerche del Lówrr si estesero dal Tritone, in cui prima erano state fatte, anche ad altri vertebrati, tanto che quell'autore fu condotto a questa generale con- clusione: ^ che nella milza dei vertebrati a sangue freddo (Salamandra e Tritone) * e nei diversi organi ematopoietici dei vertebrati a sangue caldo si trovino due * sorta di cellule distinte per la diversa struttura del loro nucleo e per il diverso (1) Vurrran, De la régénération des globules rouges du sang chez la grenouille à la suite d'hémor- rhagies considérables, in “ Compt. R. Acad. Sc. ,, Paris, 1885. (2) Devesi però notare che una parte di queste eellule descritte dal Vurrıan sono realmente eritroblasti; altre invece corrispondono, a giudicare dalla descrizione, a quelle cellule fusiformi (Spindelzellen) credute prima giovani globuli rossi, quindi rappresentanti delle piastrine nei verte- brati inferiori. Vurrra le confuse insieme. (3) Poucmer, Note sur l'évolution du sang des ovipares, in “ Gazette médicale de Paris ,, 1879, n° 26. (4) Renaur, Recherches sur les éléments cellulaires du sang, in “ Arch. de Physiol. norm. et pathol. ,, II série, t. VIIT, 1881, p. 665. (5) Foà P. e Sarvıouı G., Sull'origine dei globuli rossi del sangue, in“ Arch. per le scienze me- diche ,, Torino, vol. IV, 1880, p. 13. (6) Bizzozero G., Sulla produzione dei globuli rossi del sangue nella vita estrauterina, in “ Giorn. Acad. med. Torino ,, 1881. (7) Lówrr M., Ueber die Bildung rother und weisser Blutkörperchen, in “ Sitzungsber d. k. Akad. d. Wissensch. Wien ,, Bd. 88, 1883, III Abth., p. 378. — Ueber Neubildung und Zerfall weisser Blut- körperchen, in “ Sitzungsber. d. k. Ak. d. Wissensch. Wien ,, Bd. 92, 1885, III Abth., p. 60-61. 9 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 227 [3 modo di riprodursi, delle quali, le une (i leucoblasti) producono i corpuscoli bianchi, “ le altre (gli eritroblasti) i corpuscoli rossi del sangue ,. Ben presto l'asserzione del Löwır fu dimostrata vera anche da molti altri, quali Denys (1), Kusorn (2), Sepewick Minor (3), Howezx (4), Foà (5), Dek#vvzen(6), sebbene quasi tutti negassero recisamente uno dei caratteri distintivi degli eritroblasti dai leucoblasti che il Léwrr aveva creduto di poter dare sul modo di riprodursi. Però le conclusioni, a cui vennero nei loro lavori il Lowr ed il Denys sulla natura degli eritroblasti, non furono accettate pienamente dal Brzzozero (7), il quale pur ammettendo, anzi vivamente appoggiando, quale precipuo sostenitore di questa teoria, la origine dei globuli rossi del sangue da elementi cellulari indipen- denti dai leucociti, negò tuttavia che nel loro periodo giovanissimo gli eritroblasti fossero incolori, ma affermò che fin dal primo momento della loro vita autonoma i corpuscoli rossi posseggono già il protoplasma colorato dall'emoglobina. Ed egli dava ragione di quanto aveva osservato e decritto il Denys, attribuendolo al metodo usato nelle sue indagini ed alla mancanza di osservazione degli elementi freschi, appena tolti dall'animale vivente. Per quanto, dopo le accurate e convincenti ricerche degli istologi ora nominati, alcuni, come FzurnsrACK (8) Aur ed Esrrra (9), Mürrzm (10), continuassero a soste- nere la derivazione dei globuli rossi dai corpuscoli bianchi, tuttavia era questa opi- nione dai più abbandonata, quando in questi ultimissimi tempi una nota preventiva del Saxer (11) modifica notevolmente le idee che finora si avevano sull'origine degli elementi cellulari del sangue, e ritorna alla teoria della trasformazione dei corpu- scoli bianchi in corpuscoli rossi del sangue. Credo opportuno pertanto di dare di essa un breve riassunto. Secondo il SAxER dunque, la forma stipite comune dei corpuscoli bianchi e rossi del sangue sarebbero certi elementi che egli chiama cellule migranti primitive (primüre Wanderzellen) che comparirebbero assai precocemente negli organi dell'embrione, indipendenti e do- (1) Dzxvs J., La structure de la moelle des os et la genèse du sang chez les oiseaux, in “ La Cel- lule ,, T. IV, 1837. (2) Kusorx P., Du développ t des vaisseaux et du sang dans le foie de l'embryon, in “ Anat. Anz. ,, vol. V, 1890, p. 277. (3) Sx»ewick Miwor, Zur Morphologie der Blutkörperchen, in " Anat. Anz. », vol. V, 1890, p. 601. (4) Howez W. H., The Life-History of the Formed Elements of the Blood, especially the red Blood corpuscles, in " Journ. of Physiol „, vol. IV, Boston, 1891, p. 57-116. (5) Foà P., Neue Untersuchungen über die Bildung der Elemente des Blutes, in “ Intern. Beitr. Zur wissensch. Medicin ,, Bd. I, 1891. (6) Dexnuyzen C., Ueber das Blut der Amphibien, in “ Verh. d. anatom. Gesellsch. n: 1892, p. 90. (7) Brzzozero G., Nuove ricerche sulla struttura del midollo delle ossa negli uccelli, “ Atti R. Ace. Scien. Torino ,, vol. XXV, 1889-90, p. 156. ` (8) Feuersrax W., Die Entwicklung der rothen Blutkörperchen, in * Zeitsch. f. wissens. Zool. ,, Bd. 38, 1883, p. 136. (9) Ary et Everrn, Ueber die Vermehrung der rothen Blutkörperchen, in " Fortsch. d. Med. ,, Bd. III, 1885. (10) Men H. F., Zur Frage der Blutbildung, in “ Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch. Wien Bd. 98. 1889, III Abth., p. 219. (11) Saxer F., Ueber die Entstehung weisser und roter Blutkörperchen, in “ Anat. Anz. ,, Bd. XI, n* 11, 1895, p. 855. m 228 ERMANNO GIGLIO-TOS 10 tate di locomozione. Esse sarebbero affatto diverse dagli elementi del tessuto con- nettivo, anzi rappresenterebbero una speciale sorta di cellule. Da queste primitive cellule migranti deriverebbero: 1° le cellule giganti plurinucleate; 2° per mitosi, certe cellule di diversa grandezza con nucleo sem- plice e scarso protoplasma che egli indica col nome di cellule di transizione di 1°, 2° e 3° ordine. Anche queste cellule sarebbero, in certi stadi, dotate di locomo- zione e darebbero origine colla loro migrazione nei tessuti a certe forme le quali corrisponderebbero affatto a quelle dei futuri leucociti mi- granti. Tutti questi elementi formerebbero nei loro primi stadi di svi- luppo esclusivamente corpuscoli rossi del sangue: col cominciare della loro trasformazione in questi ultimi, trasformazione che avverrebbe nelle cellule di transizione di 2 e 3% ordine (eritroblasti) col colorarsi del corpo cellulare ialino per mezzo dell'emoglobina, col diventare il nucleo piü forte- mente granuloso e colla persistenza della divisione mitotica, parrebbe scompa- rire la loro motilità. Come già dissi, non volendo in questo mio lavoro trattare dell'origine degli elementi del sangue, ma solo della loro struttura e presenza nel sangue in circola- zione, non entro qui nel merito delle idee esposte dal Saxrm, nè riassumo il resto della sua nota, tenendomi pago di aver riferito quello che più ci interessa diretta- mente. Risulta chiaro insomma che, secondo quest'autore, i leucociti ed i corpuscoli rossi del sangue avrebbero un comune punto di partenza del loro sviluppo in una cellula dotata di locomozione. Il Saxer non si spiega oltre sul significato di questa parola; ma io credo che voglia alludere alla proprietà del protoplasma di emettere pseudopodi. Nelle ricerche degli autori precitati gli eritroblasti erano stati ritrovati nei vari organi ematopoietici; ma più tardi il Löwır (1) ne dimostrò la presenza in pro- porzioni varie nel sangue circolante nei diversi vasi di mammiferi, e DEKHUYZEN (2) nel sangue della rana. Anch’io nel sangue circolante della lampreda, preso nel modo che sopra ho detto, ho sempre riscontrato degli eritroblasti, ma in ogni caso sempre cosi ben di- stinti dai leucoblasti per caratteri che diro, da non essere possibile alcuna confusione con essi. E tuttavia preferibile, per essere certi di incontrare degli eritroblasti, di togliere sangue da una larva giovane e piccola di lampreda e perciò in via di ac- crescimento piuttosto che da una larva in cui questo sia cessato. In una goccia di sangue osservata a fresco, con buona luce e conveniente dia- framma, fra i numerosissimi eritrociti, distinti per il loro colore giallo pallido dato dall’emoglobina ed i molti leucociti colle loro caratteristiche granulazioni, si vedono pure parecchi altri elementi che spiccano precipuamente per la rifrangenza del loro (1) Löwır M., Die Umwandlung der Erythroblasten in rothe Blutkörperchen, in “ Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch. Wien ,, Bd. 95, 1887, III Abth., p. 129. (2) Dzxmuvzew, Ueber das Blut der Amphibien, loc. cit. ll SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA : 229 nucleo. Taluni di questi nuclei appartengono ai leucoblasti o alle cellule da essi derivate e di eui parleremo in seguito; altri invece sono quelli degli eritroblasti. L'osservazione degli elementi freschi del sangue, senza alcuna precedente pre- parazione o fissazione, ho trovato in questo caso come sempre, quando è possibile, di una grande utilità, perche mi hà permesso di vedere negli eritroblasti e negli eritrociti delle particolarità che mi sarebbero altrimenti sfuggite o che non avrei saputo interpretare giustamente, o che pure si sarebbero potuto credere prodotte dall'azione dei reagenti sopra di essi. I nuclei degli eritroblasti, che, colorati convenientemente, si distinguono subito per la diversa struttura da quelli dei leucoblasti, non si riconoscono cosi facilmente nel sangue fresco, perche non è possibile scorgerne la rete di cromatina. Ma, se si osserva attentamente, si potranno riconoscere per un contorno netto ma tenuissimo di forma varia che gira intorno ad essi ad una certa distanza; contorno che limita il protoplasma in eui i nuclei stanno ravvolti (fig. 1). È molto probabile che il WaawER (1), senza riconoscerne là natura, abbia os- servato precisamente questi nuclei; giacchè parla di nuclei molto rifrangenti la luce, e più piccoli dei corpuscoli bianchi. Il protoplasma degli eritroblasti, osservato in quelli piü giovani che si possono incontrare nel sangue circolante, è ‘trasparentissimo, omogeneo ed incoloro. Sebbene una distinta membrana cuticolare non si possa dimostrare in questo suo periodo di vita, mentre il Denys (2) la dice robusta (forte), è però certo che alla sua periferia il protoplasma presenta uno strato sottilissimo, quello che il Rz- NAUT chiamò esoplasma, il quale funziona realmente come una membrana. Essa è la membrana protoplasmatica (fig. 6-10). Gli autori che descrissero gli eritroblasti non sono d'accordo sulla loro pro- prietà di compiere movimenti ameboidi. Taluni la negano come Lówrr, VULPIAN, perchè non li videro mai emettere pseudopodi; altri come Denys, RenAUT, DEKHUYZEN affermarono di aver osservato in essi degli pseudopodi. Di questi ultimi, se non tutti, certo taluni scambiarono i leucoblasti cogli eritroblasti, donde la loro asser- zione. Così è quasi certo che il Dexnuyzen(3) fece un simile scambio, quando figura nella tavola annessa al suo lavoro certi eritroblasti che, a giudicare dalla forma del nucleo sono piuttosto da ritenersi come léucoblasti. I primi poi ebbero torto a negare ogni movimento agli eritroblasti, solo perchè non posseggono pseudo- podi. Dalle mie ricerche ho potuto di fatto notare: che, sebbene gli eritroblasti non emettano mai veri pseudopodi, posseggono tuttavia una certa motilità. La mancanza di pseudopodi non esclude in una cellula ogni proprietà di movi- mento. Gli eritroblasti ce ne porgono un esempio. Indipendentemente da ogni cam- biamento di forma portato al suo corpo da una causa esterna, à facile osservare su eritroblasti viventi che il loro protoplasma gode di una certa contrattilità, la quale (1) Wacxer R., Neue Beobachtung. ecc., in “ Isis ,, T. XXVI, 1833, p. 1013. (2) Denys, La structure de la moelle, ecc., loc. cit., p. 224. (8) Dzxnuvzzw, Ueber das Blut d. Amphibien, in “ Verh. d. Anat. Gesellsch. ,, 1892. 230 ERMANNO GIGLIO-TOS 12 si manifesta con un continuo cambiamento del contorno. Circolare in certi momenti, diventa sovente ellittico, ovale, a mo’ di lacrima, o assume anche forme più irrego- lari come nelle figure 1-10 ho rappresentato. Simili alterazioni di forma aveva già osservato il Lówir (1), ma volle attri- buirle all’aderenza della cellula col vetrino porta-oggetti con filamenti di fibrina. Questa supposizione però non trovai sufficiente per spiegare tutti i fenomeni che vidi. A questi cambiamenti nella forma segue anche un movimento lento di pro- gressione sul vetrino porta-oggetti, ed il nucleo vien trascinato anch'esso dalla massa protoplasmatica che lo ravvolge. Ad onor del vero giova notare che già il Denys (2) disse di aver osservato dei movimenti ameboidi negli eritroblasti del coniglio, col susseguente spostamento del nucleo, ma dal contesto del suo discorso pare che egli alluda alla emissione di reali pseudopodi, e perciò di un moto ben diverso da quello che ora ho descritto. La mancanza di veri pseudopodi, quali si osservano nei leucoblasti e nei leu- cociti è dovuta alla presenza della membrana protoplasmatica: la quale, se è tale per la sua tenuità, da non dare alla cellula una forma determinata ed immutabile, è però sufficiente ad impedire che da essa possano uscire all’esterno quei piccoli lobi protoplasmatici che formano i caratteristici pseudopodi. Del resto, trattandosi di un argomento così delicato, io non oso negare recisa- mente che in un periodo più remoto della loro vita gli eritroblasti emettano pseu- dopodi: mi limito ad asserire solamente che non li ho mai visti nei numerosissimi eritroblasti che osservai nel sangue circolante della lampreda, ed a manifestare il mio dubbio che non sieno realmente eritroblasti quelli a cui si attribuirono. La presenza della membrana protoplasmatica trae con sè come necessaria con- seguenza, un altro dei caratteri citati dal Löwır (3) e generalmente accettato come distintivo degli eritroblasti : voglio dire della mancanza nel loro protoplasma di fram- menti di emoglobina e di granuli di pigmento. Il che ho anch'io sempre notato. Quale sia poi la struttura intima di questo protoplasma, non è certamente cosa facile il dire, tanto più per elementi così piccoli e così delicati. Tuttavia io dirò quello che credo in proposito e che ho potuto arguire dalle mie osservazioni. Dissi dunque che il protoplasma fresco degli eritroblasti è assolutamente ialino, incoloro, omogeneo, almeno nello stadio di vita in cui finora lo descrissi. Vi aggiun- gerò ancora che, paragonato con quello dei leucociti e dei leucoblasti, mostra una fluidità notevolmente maggiore. Ma se gli eritroblasti si fissano col calore e si colorano coll’azzurro di metilene, allora esso ci appare con un aspetto che ora descriverò. Il vero protoplasma della cellula, quello che io indicherò più propriamente col nome di citoplasma, si mostra colorato in azzurro Prussia e relativamente scarso in confronto col volume dell'eritroblasto. Esso è disposto in un sottile strato intorno al (1) Léwrr, Ueber Neubildung, ecc., in“ Sitzungsb. k. Ak. Wien ,, 1885, III Abth, p. 69, (2) Denys, loc. cit., p. 223. (8) Löwrr, Ueber Neubildung und Zerfall, ecc. in * Sitzungsber. d. k. Ak. d. Wissensch. Wien s, 1885, III Abth., p. 70. 13 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 231 nucleo e di qui si distribuisce ın sottilissimi filamenti raggianti fino alla periferia, dove questi si riuniscono insieme in uno straterello periferico continuo, il cui mar- gine esterno forma quella che dissi la membrana protoplasmatica. Ma ciò che caratterizza di più ancora questo citoplasma e ce lo fa distinguere a primo colpo d'occhio da quello dei leucoblasti e dei leucociti & la sua struttura granulare. Tanto lo strato intorno al nucleo, quanto lo strato periferico, quanto an- cora e specialmente i filamenti raggianti, non sono già compatti e continui, ma ap- paiono formati dall'agglomerazione di numerosissimi granuli di una straordinaria minutezza, più fitti nello strato periferico e perciò quivi meno distinti (fig. 6-10). Coll'invecchiare dell'eritroblasto non pare che la quantità di citoplasma aumenti, sebbene cresca di volume il corpo dell'eritroblasto stesso. Ma quando si osservano eritroblasti in un periodo vitale più avanzato di quello ora descritto e di dimensioni maggiori, oltre ad altri caratteri che più oltre dirò, si nota che i filamenti raggianti sono più o meno spostati e allontanati l'uno dall’altro in modo irregolare, lasciando fra di loro degli spazi liberi, che paiono grandi vacuoli, privi tuttavia di membrana, e più o meno liberamente comunicanti fra di loro tra i filamenti citoplasmatici (fig. 6-10). Appare insomma evidente che il maggior volume acquistato dal corpo dell’eritroblasto non è già dovuto all'aumentare del citoplasma, ma piuttosto ad una sostanza che si accumula fra il citoplasma stesso e in certo modo lo infiltra e lo diluisce. Fissando, come dissi, col calore gli elementi sanguigni, la sostanza che sta cosi tra il citoplasma si evapora e scompare e lascia libere le cavità che occupava. Che cosa è questa sostanza? Emoglobina? Io non credo. Se così fosse essa dovrebbe dare un color giallo all'eritroblasto, e questo ci apparirebbe, sia pure molto debolmente. In secondo luogo, essendo l'emoglobina un albuminoide, sotto l'azione del ealore dovrebbe coagularsi e apparire tuttavia coagulata nell'eritroblasto. Ora, nulla di tutto cio, come già dissi. lo sto piuttosto per credere che questa sostanza sia, o acqua puramente, o un liquido che si avvicini molto ad essa, e che si potrebbe indicare col nome vago di succo cellulare. In ogni caso il non coagularsi di essa esclude che si tratti di un albuminoide. Dall'insieme di queste osservazioni io sono pertanto tratto a questa supposizione sulla struttura del protoplasma dell'eritroblasto. Esso sarebbe dapprima costituito da una massa di citoplasma, ricco di acqua. Questa infiltrerebbe intimamente tutto il citoplasma e, in ‘certo modo, penetrando tra le particelle elementari di esso lo diluirebbe e gli darebbe quella notevole fluidità che ho già detto essere uno dei suoi caratteri precipui. Quest’acqua corrisponderebbe insomma a quella che nella sua teoria micellare il Narerti chiamò acqua di capillarità. Col progredire nello sviluppo l’eritroblasto aumenterebbe così di volume, non già per l'aumentare della massa del citoplasma, ma per una continua imbibizione di acqua, la quale a poco a poco, spostando sempre più i filamenti citoplasmatici, si accumulerebbe così in maggior quantità negli spazi da questi lasciati col loro diva- ricarsi. Naturalmente, cid avvenendo, la fluidità del protoplasma dell’eritroblasto au- 232 ERMANNO GIGLIO-TOS 14 menta sempre più, mentre esso si mantiene pur sempre incoloro e trasparente, ed il nucleo stesso rimane collegato dai filamenti citoplasmatici alla membrana che nel frattempo si va consolidando. Tuttavia la fluidità stessa del protoplasma e la con- trattilità dei filamenti — ch'io ammetto che persista sempre, sebbene attenuata — dànno al nucleo, come vedremo, una certa mobilità nell’interno della cellula. Come già Lówrr, Denys dimostrarono per altri animali, così anche nella Lam- preda il nucleo degli eritroblasti si distingue da quello dei leucoblasti con una fa- cilità somma, tanto che, se anche mancasse il protoplasma, non sarebbe possibile la loro confusione. I nuclei degli eritroblasti giovani sono perfettamente sferici, ricchi di granuli di cromatina, prevalentemente circolari, insieme congiunti da numerosi filamenti cro- matinici in modo da costituire una rete discretamente fitta. Questa disposizione ri- sulta chiara e spiccata colla colorazione al bleu di metilene dopo fissazione col calore, e sarebbe di per se stessa già sufficiente a non permettere confusione alcuna coi leucoblasti, dove la cromatina è accumulata in masse proporzionalmente più grandi, ma più rara e coll’apparenza di grandi nucleoli. Del resto, a quanto pare, la cromatina stessa degli eritroblasti non deve essere perfettamente uguale, in composizione chimica, a quella dei leucoblasti ; almeno per quanto se ne può arguire dalla colorazione che subisce. Di fatto la cromatina di quelli si colora col bleu di metilene di un color azzurro più puro e più intenso di quella dei leucoblasti: il bleu di metilene si fissa su di essa senza subire alcuna alterazione nel tono del colore. Se poi si tratta con la fucsina acida, la cromatina dei leucoblasti si colora leggermente, ma nettamente, in roseo, quella invece degli eritroblasti non si colora affatto. Ma vi si aggiunge ancora un’altra proprietà del nucleo che colla colorazione suddetta spicca distintamente. Ed è che il nucleo dei leucoblasti si colora sempre più intensamente che non quello degli eritroblasti. Ciò proviene dal fatto, che il succo nucleare dei primi (chiamo in questo caso col nome generale di succo nucleare tutto il contenuto del nucleo nel quale sta immersa la cromatina) si colora anch'esso assai intensamente, specialmente poi quando il leucoblaëto è molto giovane e perciò il nucleo è ancora assai piecolo. Invece il succo nucleare degli eritroblasti si colora nelle stesse condizioni assai scarsamente e ne segue che esso appare più chiaro e perciò la rete ed i granuli di cromatina più distinti e spiccati. Tl nucleo degli eritroblasti possiede una membrana ben distinta, sulla quale si accumulano le granulazioni di cromatina. Esso non possiede però alcun nucleolo nel vero significato della parola, sebbene qualche volta alcune granulazioni di cromatina più grandi delle altre possano assumerne l’aspetto, formando così degli pseudonucleoli. Come già prima accennai, negli eritroblasti viventi, il nucleo, pur non essendo libero nell’interno della cellula, ma legato dai filamenti citoplasmatici alla membrana, tuttavia gode in essa di una certa mobilità, così che vi si muove lentamente tra- scinato dai filamenti colle loro contrazioni. Nelle condizioni normali il nucleo occup® quasi il centro della cellula, ma in altri casi si sposta più o meno verso la sua periferia. Avviene frequentemente nell'osservare preparati di sangue di lampreda di tro- varvi dei nuclei che si riconoscono subito appartenere ad eritroblasti, sia per la 15 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 233 Struttura del citoplasma che li circonda, sia per quella loro propria ora descritta ; ma essi sono visibilmente più grandi e assumono allora la forma ovale. Io credo che si tratti in questo caso di nuclei più vecchi, i quali sieno cresciuti di volume per avvenuta nutrizione (fig. 8). Nella enumerazione dei caratteri distintivi tra gli eritroblasti ed i leucoblasti il Lówrr aveva affermato e sostenuto che nei primi il nucleo si divide per mitosi, mentre nei secondi la divisione è diretta. Ma questo carattere non fu accettato dai più ed i lavori di FLemune (1) Denys (2) e Mürrzm (3), per non citarne che alcuni, dimostrarono che la divisione per mitosi ha luogo tanto negli uni quanto negli altri nuclei. Nel caso presente il carattere della divisione non puo nemmeno essere invocato come distintivo: non già perché, come dimostrarono per altri animali gli autori suddetti, essa si faccia in ambedue le specie di elementi per mitosi, si bene perche in ambedue è diretta. In tutte le numerosissime osservazioni che io feci del sangue di lampreda, in tutte le migliaia di elementi che mi pas- sarono sott'occhio non mi venne dato di osservare un solo caso di mitosi. Casi evidenti di divisione diretta dal nucleo degli eritoblasti io non trovai in verità che molto raramente. Per cid io son per credere che la divisione loro nel sangue circolante non sia un fatto normale. Tentai, è vero, di provocarla artificial- mente, togliendo sangue all'animale: ma non ebbe l'operazione esito felice, perchè, essendo questi animali delicati, morivano generalmente dopo il salasso. Ritenni tuttavia come fenomeni di divisione diretta dei nuclei, quelle forme che ho rappresentato nelle fig. 9-10. Basta dare uno sguardo a queste figure e confrontarle con quelle corrispon- denti dei leucoblasti per vedere come, pur essendo ambedue diretti, tuttavia i due modi di divisione si distinguono nettamente. Di fatto, mentre nei leucoblasti il nucleo si prepara alla divisione allungandosi, quindi curvandosi per strozzarsi in due frammenti, negli eritroblasti la divisione avviene senza aleuna modificazione nella forma del nucleo, o tutt’al più questo, aumentando di volume, si fa ovale. Quindi la membrana si insinua per invaginazione dentro al succo nucleare spostando i granuli di cromatina o fors'anche dividendoli e si forma così una fessura stretta che a poco a poco va estendendosi a tutto il nucleo nella direzione del suo dia- metro, finchè lo divide in due parti uguali. I due nuclei figli risultanti si trovano pertanto, quando la divisione è compiuta, così avvicinati l’uno all’altro come nella fig. 10 è rappresentato, da parere che il nucleo primitivo sia stato tagliato in due con una lama. Divisioni simili, sebbene rare, non ho mai trovato tuttavia che negli eri- troblasti. (1) Fromme, Studien über Regeneration der Gewebe, in * Arch. f. mikrosk. Anat. ,, Bd. 24, 1885. (2) Dzxvs, La structure de la moelle, ecc., loc. cit. (3) Müccer H. F., Zur Frage der Blutbildung., loc. cit. Serre II. Tow. XLVI. x! 234 ERMANNO GIGLIO-TOS 16 I granuli emoglobigeni. Cosi descritti il protoplasma ed il nucleo dell'eritroblasto voglio ora richiamare l’attenzione su certi granuli, che da parecchi autori furono incidentalmente solo accennati, senza che vi ammettessero alcuna importanza, mentre io attribuisco loro una funzione capitale nella cellula. Citerd qui coloro che più o meno chiaramente fecero allusione a tali granuli. Vuzpran (1) dopo aver descritto gli eritroblasti, aggiunge: “ Au voisinage du “ noyau la substance de la cellule est un peu granuleuse , (2). Denys (3) nell'enumerazione dei caratteri differenziali tra gli eritroblasti ed i leucoblasti accenna appena a questi granuli con queste parole: * protoplasme (des érythroblastes) homogène ou à peine granulé ,. Il Prof. A. Mosso (4) descrisse pure minutamente la formazione di numerosi granuli nei corpuscoli rossi delle rane, dei tritoni e delle tartarughe, dovuta alla loro degenerazione. Anche il Foà (5), usando vari metodi, riuscì a mettere in evidenza dei granuli in molti corpuscoli rossi di mammiferi, forse però alterati. Che i granuli di cui intendo ora parlare sieno della stessa natura di quelli osservati dal Mosso io non oserei affermare. Ritengo però quasi per certo che essi corrispondano alle granulazioni indicate dal Vuzpran e dal Denys e fors'anche a quelle dimostrate dal Foà. Nel 1889 il Cufwor (6) in un lavoro generale sul sangue richiamò l'attenzione su certi granuli che si osservano nelle giovani emazie dei vertebrati e che sono dotati di vivaci movimenti browniani. Egli li trovo negli eritroblasti di tutti i ver- tebrati inferiori, dai pesci agli uccelli, li credette derivati dal nucleo e cosi si esprime sulla loro funzione: * Pour moi, il est évident que les granules browniens * (qui ne sont au fond que des parties du noyau) jouent un rôle actif dans la pro- * duction de l'hémoglobine: mais, de là, à descendre plus intimement dans l'étude * du phénomène, il y a encore beaucoup de chemin à faire ,. Da quell’anno in poi nè quell'autore, né altri ripresero la questione, e l'ipotesi del Cufnor rimase quasi sconosciuta e non fu perciò nè combattuta né sostenuta. (1) Vurrrax À., De la régénération des globules du sang, ecc., in “ ©. R. Acad. Sc. Paris ,, t. 84, 1877, p. 1282. (2) Devo qui notare che i vacuoli descritti dal Ranvırr nel suo trattato di istologia, vacuoli che si producono nei globuli rossi della rana in alterazione, non hanno nulla a che fare coi gra- nuli di cui ora dirò. (3) Dzxvs, La structure de la moelle des os, ecc., loc. cit., p. 224. (4) Mosso A., Degenerazione dei corpuscoli rossi nelle rane, nei tritoni e nelle tartarughe, in * Atti R. Acc. Lincei, Rendiconti ,, Serie IV, vol. III, 1887, p. 124. (5) Foà P., Beiträge zum Studium der structur der rothen Blutkörperchen der Süugethiere, in " Bei- träge zur pathol. Anat. und zur allgem. Pathol. v. Ziegler ,, Bd. V, Jena, 1889, p. 255-263, tab. VII (6) Cuévor L., Étude sur le sang et les glandes lymphatiques dans la série animale, in “ Arch. de Zool. expér. et génér. ,, II sér., T. VII, 1889, p. 26. 17 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 235 Ma l'avere io negli eritroblasti della lampreda osservato dei granuli che certamente sono quei medesimi menzionati dal Cufwxor, e lavere questi granuli pure riscontrato negli eritrociti adulti, mi portò naturalmente a considerare la loro natura e la loro funzione. Quando io scrissi i risultati delle mie osservazioni, le mie idee, e le ipotesi che si troveranno qui esposte, non conosceva assolutamente altro che dal titolo il lavoro suddetto del Cuénor, e fui perciò molto meravigliato quando, nel prendere conoscenza perfetta della letteratura dell’argomento, trovai che le mie opinioni col- limavano per una strana coincidenza quasi perfettamente con quelle di Cufnor, al quale ne spetta pertanto la priorità. Per ben vedere queste granulazioni conviene esaminare il sangue fresco. Pochi sono gli eritroblasti che ne manchino e questi presentano la struttura che finora ho descritto. Ma nella massima parte di essi è facile discernere uno o più granuli bril- lanti, generalmente non maggiori di un mezzo u, e dotati di un vivace movimento di vibrazione, simile ad un movimento browniano. A tutta prima potrebbersi questi granuli, e pel loro movimento, e per l'aspetto scambiarsi per micrococchi. Ma tali non sono da ritenersi, sia per la costanza con cui si trovano in tutti gli eritroblasti e gli eritrociti, sia ancora e più specialmente perché non si colorano nel modo caratteristico di quelli coi colori di anilina. La denominazione di granuli potrebbe a tutta prima indurre a credere che essi sieno formati di una sostanza solida. Tali appaiono difatto a tutta prima. Ma dal modo loro di comportarsi, dalla proprietà di fondersi insieme facilmente se due di essi vengono strettamente a contatto fra loro, sembra piuttosto che sieno costituiti da una sostanza liquida, la quale, insolubile nel citoplasma, si mantiene in esso come una gocciolina di olio sospesa in acqua. Ciò spiega anche la loro forma sferica costante. Questa sostanza è forse un albuminoide, perchè si coagula come gli albuminoidi col calore e cogli altri coagulanti del protoplasma. La prima comparsa di queste granulazioni si ha in prossimità del nucleo, anzi così vicino, che pare che queste aderiscano quasi con esso (fig. 2). Ben presto però si fanno libere ed allora incominciano i loro movimenti vibratori. Però, come se una forza quasi le tenesse legate al nucleo, esse dapprima non si allontanano da quello che di brevissimi tratti. I loro movimenti oscillatori consistono nell'avvicinarsi al nucleo fino a battere contro la sua membrana e nel successivo allontanarsene. È uno spettacolo curioso allora, quando questi granuli sono già sette od otto, il vederli muoversi vivamente attorno al nucleo, proprio come farfalle intorno ad una fiamma. Il Cugnor descrisse pure questi movimenti negli eritroblasti di Tritone ed ag- giunge di aver visto il nucleo stesso spostarsi sotto l'impulso di questi piccoli gra- nuli; ogni volta che l'uno di essi lo urtava girava intorno a se stesso in modo molto Sensibile al microscopio. Altrettanto ho pure visto avvenire negli eritroblasti della lampreda. Poi incominciano taluni granuli — e forse i primi formatisi — ad allontanarsi lentamente, ma sempre oscillando, dal nucleo e avvicinarsi alla periferia della cellula ©, mentre altri se ne formano come i primi, continua per dir così la migrazione dei più vecchi verso il margine della cellula. Così che invecchiando l'eritroblasto, si accrescono in numero i granuli e si ha per così dise un modo per giudicare dell’età sua (fig. 2-9). 236 ERMANNO GIGLIO-TOS 18 Nel frattempo l'eritroblasto si colora lentamente in giallo per l'emoglobina che Si va formando ed, in seguito ad altre modificazioni che diro, l'eritroblasto si tras- forma nell'eritrocito, ricco di emoglobina e di granuli. Se poi col calore o coll’acido osmico si fissano gli elementi del sangue, allora si potrà facilmente scorgere che questi granuli non sono liberi di se stessi, ma stanno legati dai filamenti citoplasmatici. Il Cuénor (1), dall'osservazione dei movi- menti browniani di questi granuli, dedusse che il contenuto della emazia deve essere 2 assolutamente liquido, senza di che essi non vi si potrebbero muovere liberamente. | Questa conclusione & un po’ arrischiata ed assoluta. L'autore suddetto non ha fatto osservazioni su preparati colorati, dove avrebbe potuto notare i filamenti citopla- ! smatici. Egli avrebbe pure potuto notare che sebbene i movimenti dei granuli sieno vivacissimi, tuttavia si eompiono in limiti ristretti, non come avviene di corpicciuoli che sieno perfettamente liberi in un liquido. E, se questi granuli vanno dalla peri- feria della cellula al nucleo e viceversa, è facile perd osservare che questo trasporto non si fa d'un tratto ma lentamente. D’altronde la tenuità dei filamenti citoplasmatici non può impedire a questi granuli di muoversi oscillando, nè di spostarsi lungo essi stessi a poco a poco. Tali granuli si colorano scarsamente coi colori di anilina sieno basici o sieno acidi: con una soluzione satura neutra di azzurro di metilene rimangono quasi inco- lori; con una soluzione satura di fucsina acida si colorano debolmente in roseo; si colorano invece leggermente in azzurro se si usa una soluzione satura di azzurro di metilene, resa alcalina coll’aggiunta di alcune goccie di ammoniaca. In questo caso è d'uopo lavare il preparato, non già con acqua comune, nè tanto meno con alcool che porterebbero via la colorazione, ma con acqua resa pure alcalina con ammo- niaca ed osservare al microscopio in questa stessa acqua. | Anche col metodo di HemenHAIN (2) (solfato doppio di ammonio e di ferro come | mordente — ematossilina pura sciolta in acqua, come colorante — il medesimo sol- n fato doppio di ammonio e di ferro come decolorante) essi si colorano in nero: ma | perdono questa colorazione assai facilmente. 1 Sono questi granuli costanti in tutti gli eritroblasti e in tutti gli eritrociti? Qual'è la loro origine e la loro natura? | Quale la loro funzione ? Alla prima di queste domande è facile rispondere affermativamente osservando qualsiasi preparato di sangue di lampreda. Se si escludono quegli eritroblasti, i quali, essendo troppo giovani, ancora non li contengono, in tutti gli altri elementi della | serie emoglobinica del sangue si distinguono nettamente. Dird anzi che questo può | f considerarsi come un carattere infallibile per riconoscere in un preparato di sangue fresco gli eritroblasti. Nessuna delle altre cellule, sebbene granulose, presenta gra- nuli dotati di movimenti vivaci come quelli degli eritroblasti e degli eritrociti. | Ho voluto pure esaminare se nel sangue di rana si osservasse un qualche cosa di simile. E notai precisamente la stessa cosa. Anche in esso gli eritroblasti pre- e E E rta tr id (1) Cuixor L., Étude sur le sang, ecc., loc. cit, p. 26. 1 (2) Hemennan M., Neue Untersuchungen über die Centralkürper und ihre Beziehungen, ecc. in * Arch. f. mikrosk. Anat. „ Bd. 43, 1894, p. 485. 19 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 237 sentano granuli in movimento vibratorio vivace dello stesso aspetto e probabilmente della stessa natura di quelli della lampreda, ma alquanto maggiori. Essi scompaiono perd totalmente nell'eritrocito adulto. Io non ho fatto ricerche per questo scopo sul sangue di altri vertebrati, perche mi riservo di ritornare piü tardi su questo argomento; ma dalle mie osservazioni, da quelle del Cuor (1) sui pesci, sul Tritone e sugli uccelli e dalle parole sopra citate di altri osservatori che alludono abbastanza chiaramente a granulazioni simili io credo di non esagerare affermando che tali granuli si trovano costante- mente in tutti gli eritroblasti dei vertebrati. Alla seconda e terza domanda non e più cosi facile certamente il rispondere. Tuttavia io esporrd quanto dalle mie ricerche son condotto a credere. Per quanto riguarda la loro origine un dilemma si pone: o essi derivano dal protoplasma o dal nucleo. Negare in modo assoluto la prima di queste supposizioni io non oso certamente. T'uttavia, se si pone mente che la prima comparsa di questi granuli avviene sempre intorno al nucleo, si è condotti ad ammettere che, se essi derivano da trasformazione del protoplasma, il nucleo deve almeno esercitare un'azione importante sulla loro formazione. Ma io propendo più per la seconda supposizione. Io credo che la produzione di questi granuli sia dovuta esclusivamente al nucleo e sia anzi una parte del suo con- tenuto che entri nella loro costituzione. Questo avverrebbe per la fuoruscita di quella sostanza che indicai col nome generale di succo nucleare, sostanza che, come dissi, si colora scarsamente e nella quale sta la cromatina. Il succo nucleare trasuderebbe dunque in certo modo attraverso alla membrana del fucleo stesso e formerebbe i granuli. Un fatto degno di nota e importante e che corrobora questa mia ipotesi si è che, durante l'evoluzione dell'eritroblasto in eritrocito, all'aumentare dei granuli nell'interno della cellula corrisponde il diminuire di volume del nucleo, il quale a poco a poco si appiattisce e, da sferico od ovoideo che era, diventa discoide nell’eri- trocito. La coincidenza delle opinioni mie con quelle del Cuénor è notevole anche in questo punto. Quest'autore difatto a pag. 70 del suddetto lavoro, ritiene pur egli che i granuli derivino dal nucleo e ne adduce le medesime prove che ora ho esposto. Resta ora a vedere se il succo nucleare cambia di natura trasformandosi nei granuli. Anche tale quesito è difficilissimo a risolversi, mancando pur troppo alla microscopia il sussidio della chimica. Tuttavia io noterò che, come i granuli, anche il succo nucleare si colora scarsamente con una soluzione satura neutra di bleu di metilene (e questo ho già menzionato come uno dei caratteri differenziali tra il succo nucleare degli eritroblasti e quello dei leucoblasti): che si colora leggermente in roseo con una soluzione satura di fucsina acida, e si colora in azzurro con una soluzione satura di bleu di metilene, resa alcalina con ammoniaca e osservata nel modo sopra esposto. Si nota insomma che il succo nucleare degli eritroblasti ed i loro granuli hanno per i colori di anilina press'a poco la stessa predilezione. (1) Cuixor L., Étude sur le sang, ecc., loc. cit, p. 26, 75 e 76. eC ET 238 ERMANNO GIGLIO-TOS 20 Certamente da questa sola proprietà non si pud concludere che sia la stessa la loro composizione chimica, ma possiamo arguire che, se non è la stessa, sia per lo meno affine. Qual la loro funzione ? La costanza con cui questi granuli si incontrano in tutti gli eritroblasti ci può già far prevedere che la loro funzione dev'essere di un’alta importanza. Quale può essere questa per un eritroblasto se non la formazione della emoglobina ? L'eritroblasto giovanissimo non possiede granuli di sorta ed il suo protoplasma è ialino ed incoloro come fu descritto ; esso non contiene assolutamente emoglobina. Solo dopo che quelli si sono formati ed hanno raggiunto un numero discreto inco- mincia a comparire questa per una progressiva colorazione gialla della cellula. Questi granuli, a mio avviso, non sarebbero altro che leuciti o pla- stidi, come se ne conoscono di natura diversa, specialmente nelle cellule vegetali. Leuciti, la cui funzione importantissima consisterebbe precisamente nella produzione dell'emoglobina, e che chiamo perciò granuli o leuciti emo- globigeni. La sostanza che darebbe origine all'emoglobina starebbe sciolta nel plasma san- guigno sotto natura e composizione diversa. I granuli emoglobigeni avrebbero la pro- prietà di prendere dal plasma questa sostanza ignota e trasformarla in emoglobina (1). L'emoglobina poi, composto albuminoide ben definito e cristallizzabile, a mano a mano che si produrrebbe si scioglierebbe in quell'aequa o in quel succo cellulare che, ho detto, imbibisce il citoplasma dell'eritroblasto. Si avrebbe insomma un feno- meno consimile a quello della formazione dell'amido nei vegetali per opera degli amiloleuciti: colla differenza che mentre questi producono una sostanza che rimane solida e forse cristallizzata, l'emoglobina appena formata si scioglierebbe subito, ed occuperebbe gli spazi interplasmatici della cellula. Per quelle proprietà osmotiche poi della membrana cellulare che Prerrer e DE Vries dimostrarono in modo così chiaro, l'emoglobina, nelle condizioni normali, non puo diffluire attraverso alla membrana dell'eritrocito e rimane pertanto, una volta formatasi, sempre rinchiusa in esso. Solo ne esce, quando, per le cambiate condizioni, si rompe quell'equilibrio che deve esistere tra il succo cellulare o l’acqua in cui sta disciolta l'emoglobina ed il liquido ambiente; il che avviene per esempio quando il sangue venga esposto all'aria. Come effetto palese di questo invisibile ed incessante scambio molecolare tra il plasma del sangue, i leuciti emoglobigeni ed il succo cellulare od acqua interplasmatica, si hanno quei movimenti oscil- lanti o browniani dei granuli che ho descritto sopra e che sono cosi caratteristici. Il OvfNor così si esprime a proposito della funzione emoglobigena di tali gra- nuli: * On sait que l'hémoglobine résulte de la combinaison d'un albuminoide (96/100) * avec l'hématine, pigment qui contient tout le fer. Les granules sont-ils les agents (1) Qui si puo opporre alla mia ipotesi che negli eritrociti degli altri vertebrati i granuli man- cano nelle condizioni normali, come il Ouénor ed io stesso abbiamo notato. Risponderd a questa obbiezione in un altro lavoro su questo argomento. 21 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 239 | “ de la combinaison de l'albuminoide et du pigment, ou se combinent-ils eux-mêmes sl + * à l'albuminoide du sérum, en apportant tout le fer du noyau, pour former l'hémo- " globine? Il est difficile de répondre avec certitude: toutefois, il est infiniment “ probable que la seconde hypothèse est la seule vraie et que tout le fer du noyau “ passe dans l'hémoglobine de l'hématie Il passaggio dell’eritroblasto in eritrocito si fa gradatamente, insensibilmente, € si possono riassumerne le fasi cosi brevemente. Imbibizione del suo citoplasma di acqua o di uno speciale succo cellulare; formazione dei granuli o leuciti emoglobi- geni: produzione, per parte di questi, dell'emoglobina ; costituzione di una membrana cuticolare in sostituzione di quella protoplasmatica ; appiattimento del nucleo. a, Gli eritrociti. Cosi si formano lentamente gli eritrociti o corpuscoli rossi adulti. In un preparato di sangue fresco di lampreda gli eritrociti si riconoscono im- mediatamente per il loro colore giallo, dato dall' emoglobina, e sono naturalmente più numerosi di tutti gli altri elementi cellulari. Facilmente si puo scorgere che essi non sono ellittiei, come taluni dissero, ma circolari: che non sono biconcavi come WaGNER (1) anticamente affermò, e come @aer (2) ripetè, ma piatti e legger- | mente biconvessi come già GuLLIvER (3) corresse: che infine non si ammucchiano a | rotoli di monete, a somiglianza di quelli dei mammiferi, come il Guer ha recente- | | mente affermato. Il Cuénor (4) nel lavoro già sopra citato, dall'osservazione dei movimenti dei granuli emoglobigeni negli eritroblasti, — non già negli eritrociti — credette di poter | dedurre che non vi ha nell'interno dell'emazia adulta dei vertebrati alcuno stroma | Speciale. Per ciò, secondo lui, tutti gli eritrociti od emazie adulte dei vertebrati non | sono da ritenersi che come vescichette ripiene di emoglobina sciolta. | Non è mia intenzione di discutere in questo lavoro questa conclusione del Cuénor che mi pare alquanto recisa e gratuita: ma, se un'emazia adulta non è che una vescichetta piena di liquido e senza stroma, come si spiega la forma sua costante e specialmente quella a disco biconcavo nei mammiferi ? Una così semplice struttura, non che attribuirsi alle emazie adulte di tutti i Vertebrati, è appena applicabile a quelle della lampreda comune, ed ancora con alcune restrizioni. Ritiene di fatto il Cufwor che il protoplasma scompaia del tutto dal- l'emazia per trasformarsi totalmente nella membrana. Ora questo è vero per una parte del protoplasma; non però per tutto, giacchè un residuo di esso, sia pure una minima parte e di importanza affatto secondaria, rimane tuttavia nell’eritrocito a formare i filamenti che insieme congiungono i granuli emoglobigeni. (1) Wacxer R., Neue Beobachtungen über Blut-und L hkürnchen der verschiedenen Thieren, in " Isis „ T. 26, 1833, p. 1011. (2) Gace S. H., Form and Size of Red Blood- Corpuscles, ecc., loc. cit. (8) GurLıver G., On certain points, ecc., loc. cit. (4) Cuwor L., Études sur le sang, ecc., loc. cit, p. 26. ur, Ne Tong ere 240 ERMANNO GIGLIO-TOS 22 Eccezion fatta di questa particolarità di struttura è però vero che l'eritrocito della lampreda si può considerare come una vescichetta piena di emoglobina sciolta, limitata all’esterno da una membrana estensibile. E come tale esso si comporta. A quanto pare, la sua densità è appena superiore a quella del plasma sanguigno, per cui, quando vi è sospeso ed in riposo, prende la forma sferica perfetta; forma che deve necessariamente assumere qualunque vescichetta liberamente immersa in un liquido e perciò sottoposta da tutte le parti ad ugual pressione. Ma se il sangue si distende sul vetrino porta-oggetti per l'esame microscopico, allora gli eritrociti compresi tra due pareti di vetro, e per il proprio peso che li fa poggiare sul porta-oggetti e per la tensione superficiale esercitata dal vetro stesso si schiacciano e si dilatano essendo la loro membrana alquanto estensibile. Conser- vano pertanto in questo stato il contorno circolare, ma assumono la forma discoide a superfici leggermente convesse. Naturalmente il loro diametro in questo secondo caso diventa maggiore che nel primo. à A contatto coll'aria gli eritrociti della lampreda si alterano nella forma più presto e più facilmente che quelli degli altri vertebrati. Generalmente si ripiegano da due lati a mo’ di doccia; altre volte si infossano da una parte sì da assumere una forma concavo-convessa, come già accennò il GULLIVER; talora subiscono altri mutamenti che sarebbe lungo il descrivere. Ma tutte queste alterazioni non sono tali da spiegarsi semplicemente come fenomeni di adesione e di tensione superficiale; sì bene, a mio giudizio, sono da attribuirsi a contrazioni del protoplasma sotto l’a- zione dell’aria. Come avverrebbero esse se, come crede il Cuénor, il protoplasma fosse assolutamente tutto scomparso? A tutta prima gli eritrociti appaiono di colore giallo-pallido, affatto uniformi; ma se si osserva attentamente e con diaframma conveniente, ben presto si scorgono nella emoglobina i leuciti emoglobigeni, discretamente numerosi e coi loro vivaci movimenti. Essi si vedono pei primi, perchè si trovano verso la periferia della cel- lula quasi a contatto colla membrana cellulare; posizione che debbono necessaria- mente avere per render possibile la loro funzione emoglobigena. Difatto, se, come ho supposto, l'emoglobima viene da essi prodotta agendo in modo speciale su una sostanza del plasma del sangue, è naturale, anzi necessario, che essi debbano avere una posizione così periferica per poter essere in relazione strettissima con quello (Fig. 18). Esaminando sangue fresco, avviene immancabilmente di vedere gli eritrociti trasportati passivamente da piccole correnti che si formano nel preparato. Allora si può avere un’altra prova contro l'opinione del Cuénor, che i granuli sieno liberi nell'emoglobina. Si vedrà cioè, che per quanto gli eritrociti nel passare gli uni fra gli altri si comprimano e cambino di forma in cento modi, i granuli dentro ad essi pur oscillando continuamente, conservano una posizione costante rispetto alle altre parti della ceHula. Questo non avverrebbe certo se fossero liberi. Dopo un tempo più o meno lungo, essendo. l'emoglobina in parte fuoruscita dall’eritrocito, allora compare il nucleo, generalmente nel mezzo della cellula. Ben si può vedere che esso non è solidamente fisso, come negli eritrociti di altri verte- brati, ma alquanto mobile, tanto che a poco a poco si va avvicinando alla membrana con movimenti lentissimi. Questi però sono tali da escludere assolutamente che il nucleo sia libero affatto in mezzo all'emoglobina, come vorrebbe il Cufwor. 23 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 241 Sebbene raramente, tuttavia avviene, durante l'esame microscopico di sangue fresco, di osservare un fatto abbastanza curioso. Nelle piccole correnti, talora assai rapide, che si formano tra i vetrini, gli eritrociti trasportati dal plasma si pigiano gli uni contro gli altri e si comprimono e si strozzano. E mi è accaduto qualche volta di vedere che lo strozzamento subito da taluno di essi fosse tale che una parte se ne staccasse. Allora avviene ciò che già da tempo si conosce come una proprietà della membrana cellulare; nello strappo di una parte della cellula i due lembi della membrana si saldano immediatamente senza permettere che una sola minima goccia di emoglobina fuoresca dall'una e dall’altra delle due parti. Natu- ralmente in questo brusco distacco il nucleo non vi ha parte alcuna e rimane tutto intiero nell’eritrocito primitivo; per necessaria conseguenza il frammento distacca- tosi non possiederà nucleo di sorta. Tuttavia esso avrà portato con sè un certo numero di leuciti emoglobigeni che conserveranno ancora i loro movimenti carat- teristici. L'osservazione di questo fatto ha servito a darmi ragione di certi eritrociti che in preparati fissati io aveva veduto privi di nucleo, senza che riuscissi a darmene una spiegazione soddisfacente. g La membrana degli eritrociti & assolutamente liscia e priva di ogni qualsiasi struttura, ciò che permette il perfetto e facile scivolamento degli eritrociti l'uno sull’altro, e dei medesimi sulla parete dei vasi sanguigni. Essa è necessariamente elastica e lo dimostra il fatto che quando l'eritrocito, dapprima sferico, perchè so- Speso nel plasma, si appoggia sul vetrino porta-oggetti, come già notai, si appiat- tisce e si dilata, e riprende la sua forma sferica se di nuovo ne viene distaccato. Questo cambiamento di forma, seguito da un inevitabile variare del diametro loro, non ci permette di darne una misura precisa. Del resto anche indipendente- mente dalle mutazioni di forma, le dimensioni degli eritrociti sono assai varie ed oscillano tra gli 8 ed i 14 u. Il citoplasma degli eritroeiti è ben poca cosa in confronto al loro volume. Una certa parte di esso servì alla formazione della membrana; non ne rimane dunque più che una porzione, la quale è distribuita per tutto l’eritrocito in filamenti sotti- lissimi che costituiscono una rete più o meno fitta. Nel punto d incontro dei fila- menti stanno i leuciti emoglobigeni, i quali però non sono assolutamente tenuti fissi. Questi fili citoplasmatici, circondando il nucleo, lo tengono, sebbene debolmente, legato nel mezzo della cellula (fig. 18). Io non credo che essi abbiano nell’ eritrocito una importante funzione; parmi tuttavia che conservino ancora una certa contrattilità, la quale si manifesta specialmente quando l’eritrocito non si trova più nelle sue condizioni normali; e provoca quei molti cambiamenti di forma che essi subiscono a contatto coll’aria. Il nucleo degli eritrociti è generalmente circolare; talora più o meno irrego- larmente ovale, ellittico, o di altra forma, con piccole sporgenze, o gobbe, o con intaccature (fig. 11-17). In ogni caso però esso è sempre tabulare (fig. 12); per cui, mentre misura abitualmente dai 5 ai 5,50 u di diametro, non ha mai uno spessore Superiore ai 2 o 2,10 u. Il succo nucleare è notevolmente diminuito da quanto era nell’eritroblasto, e la cromatina è riunita in masse più grandi, più irregolari, legate fra di loro da minimi filamenti. Fra i numerosissimi eritrociti che osservai, mi è avvenuto, non raramente, di Serre II. Tom. XLVI. r 242 ERMANNO GIGLIO-TOS 24 ` incontrarne di quelli, in cui il nucleo presentava un foro ben netto e ben distinto, o nel centro od eccentrico, e degli altri in cui il foro si continuava con una fessura che si portava fino alla periferia del nucleo, dividendolo così in modo da dargli l'aspetto di un ferro di cavallo, come è disegnato nelle fig. 14-17. Tale struttura mi ha richiamato alla memoria quei lavori del Frzwwrwo (1) e e del GöPrert (2), in cui questi autori descrivono nuclei simili in altre cellule e ritengono questo come un modo di divisione indiretta del nucleo. Io sono pure di questo parere per quanto riguarda le cellule, di cui essi trattarono, ed anche per altre. Cosi ho potuto agevolmente confermare questa loro opinione eziandio per le cellule eosinofile e quelle così dette neutrofile (ErLicH) o polinucleate del sangue della rana comune. Ma per gli eritrociti della lampreda, sebbene il fenomeno si pre- senti nei suoi primordi pressochè nella stessa guisa, non posso venire alla stessa conclusione. Il perforamento del nucleo in questo caso non ha altro ulteriore effetto che una deformazione di esso; giammai non serve alla sua divisione. Del resto il fatto si spiega molto facilmente. Come già dissi, il nucleo degli eritroblasti si appiattisce a mano a mano che la cellula diventa eritrocito, sino a diventare di forma tabulare. La depressione pare che sia sempre maggiore nel mezzo, perchè non è raro di scorgere dei nuclei di eritrociti, i quali si presentano a mo’di dischi leggermente biconcavi. Quando una simile depressione è ben accentuata, le granulazioni di cromatina, che per avventura si trovano in corrispondenza di essa, si spostano lateralmente, formando coi loro filamenti come una specie di cerchio irregolare (fig. 13). La regione della depressione appare allora necessariamente più chiara del resto, perchè ivi le due pareti del nucleo sono separate solo da uno strato sottilissimo di succo nucleare. Aumentando la depressione, le due pareti si avvici- nano sempre più, finchè si toccano, si saldano insieme ed allora avviene nel punto di contatto una soluzione di continuità della membrana nucleare e la formazione di un foro. L'adesione delle due pareti può continuare a farsi per una linea che si estenda dal foro già prodotto fino alla periferia del nucleo ed in tal caso questo apparirà foggiato press’a poco a ferro di cavallo. Tutto però finisce qui. Nè si ha contemporaneamente strozzature del nucleo e moltiplicazione di esso come nei casi descritti dal Frzwwiwa e dal GoPPERT. Ragione per cui non si ottiene altro che una alterazione della forma del nucleo. Del resto l'appiattirsi del nucleo ha in questo caso una speciale importanza, perche, segnando in esso una diminuzione di volume e perciò di capacità interna, è ancora una prova in appoggio della mia ipotesi, che il succo nucleare fuoresca da esso per dar origine ai granuli emoglobigeni. Non e d'altronde improbabile che anche negli altri casi il perforamento del nucleo sia dovuto ad una causa simile. L'importanza del nucleo in un eritrocito adulto io credo che sia ben poca. Quando esso ha prodotto i granuli emoglobigeni, ha compiuto la sua funzione. Tut- (1) Fremme W., Amitotische Kerntheilung in Blasenepithel des Salamanders, in " Arch. f. mikrosk. Anat. ,, Bd. 84, 1889, p. 437. (2) Görrerr E., Kerntheilung durch indirekte Fragmentirung in der Iymphatischen Randschicht der Salamandrinenleber, in * Arch. f. mikrosk. Anat. ,, Bd. 37, 1891, p. 375. 25 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 243 tavia è probabile che conservi la proprietà di produrne degli altri, a mano a mano che il bisogno lo richieda. La sua funzione, se non è dunque affatto nulla nell’ eritrocito, è però di molto diminuita. Del resto ho già detto altrove, come si trovino talora nel sangue dei corpuscoli rossi privi di nucleo — contenenti però i leuciti emoglobigeni — i quali funzionano precisamente come eritrociti normali. Quanto duri tutta l'evoluzione di un eritrocito, non è cosa che possa dire. A quanto pare, la sua morte avviene nel sangue stesso in circolazione ed è seguìta dalla morte del nucleo. Io credo almeno che si debbano interpretare come dovuti alla morte naturale della cellula quelle masse che già descrisse e figurò il MüLLer (1), ma che attribuì invece ad alterazioni subite dal nucleo e dall’eritrocito nel confe- zionare il preparato. Per quanto agissi colla massima prestezza nel fissare gli ele- menti, a fine appunto di evitare che questi si alterassero, trovai però sempre fra mezzo ad elementi normali un certo numero di piccoli corpi che si coloravano leg- germente in violetto col bleu di metilene e che nella struttura corrispondevano per- fettamente a quelli descritti dal Mën. D'altronde mi era sempre facile cosa il trovare in ogni preparato tutti gli stadi di passaggio da un nucleo normale al suo ultimo stadio di dissoluzione, Pare adunque che incominci la cromatina a perdere la sua individualità e si sciolga in certo modo nel succo nucleare stesso. Il nucleo in seguito perde il suo contorno definito ed, a giudicare dalle varie forme che presenta, si direbbe che pos- segga la proprietà di compiere movimenti ameboidi e di emettere pseudopodi. Si trasforma insomma in una massa omogenea che ha tutta l'apparenza di un plasmodio e nel frattempo dentro ad esso si van formando vacuoli di grandezza e di figura varie. Molto probabilmente sono residui tali di nuclei di eritrociti che Ont, (2) de- scrisse col nome di masse protoplasmatiche libere del sangue. Questi apparenti plasmodi si diluiscono per così dire sempre più e finiscono per scomparire total- mente nel sangue (fig. 19, 20). Però, assai prima che questo avvenga, quando appena si sono iniziate nel nu- cleo le alterazioni ora descritte, la membrana dell’eritrocito si rompe ed i granuli emoglobigeni e l'emoglobina si versano nel plasma sanguigno (fig. 19). Prima di por termine a questo argomento degli eritrociti, io credo conveniente di richiamare l'attenzione su questo fatto, già menzionato d'altronde dal Rewaur (3): che la struttura degli eritrociti della lampreda comune, non solo allo stato di larva, come il RENAUT crede, ma anche allo stato adulto, è la medesima che quella degli eritrociti che compaiono negli altri vertebrati nei primi stadi del loro sviluppo. Che inoltre la struttura degli eritrociti della lampreda comune è da ritenersi come la più Semplice e primitiva. (1) Mürzer H. F., Zur Frage der Blutbildung, in * Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch. Wien „, Bd. 98, 1889, Abth. III, p. 227, tab. V, fig. 6-12. (2) Ozur E., Sur les masses protoplasmatiques libres du sang, in “ Arch. ital. de Biologie ,, T. VII, 1886, p. 363. (3) Renaur J., Recherches sur les éléments cellulaires du sang, in “ Arch. de Phys. norm. et pathol. „, Il sér., T. VII, 1881, p. 669. 244 ERMANNO GIGLIO-TOS 26 I leucoblasti. I corpuscoli bianchi del sangue della lampreda non furono che molto vagamente indicati dal WAGNER (1), descritti imperfettamente e figurati dal GuLLIvER (2), ride- scritti molto confusamente dal Rexaur (3), che con molta probabilità li scambiò cogli eritroblasti. Quanto ai due primi autori essi non compresero col nome di linfociti o corpuscoli bianchi del sangue che una sola sorta di corpuscoli, quelli che io indico col nome di leucociti a nucleo polimorfo. Mancano poi affatto nei loro lavori quei dati e quelle particolarità che richiede la scienza moderna; per cui credo opportuno l'esporre i risultamenti che ottenni dalle mie osservazioni, avvertendo, come già dissi, che, senza andare alla ricerca della loro origine, mi limito a descrivere quelle diverse forme di corpuscoli bianchi ch'io trovai nel sangue circolante. La forma più semplice dei corpuscoli bianchi o cellule bianche od incolore del sangue e rappresentata da quell’elemento che per consentimento generale viene chiamato leucoblasto. Il leucoblasto del sangue di lampreda è una minutissima cel- lula rotonda del diametro di circa u. 3,80, con un nucleo di circa u. 3,30. Come dunque facilmente si scorge, una buona parte del corpo cellulare è rappresentato dal nucleo, che si puo dire veramente enorme, paragonato colla massa totale; per cui esso rimane ravvolto da uno strato ben tenue di protoplasma (fig. 21). In un preparato di sangue fresco i leucoblasti si potrebbero forse confondere coi nuclei degli eritroblasti. Cosi non è perd se, fissati col calore, si colorano col bleu di metilene o con altri colori. Allora essi presentano caratteri distintivi tali che non è più possibile la loro confusione. Uno dei caratteri più spiccati è dato dalla colorazione del nucleo. Quale che sia la sostanza colorante usata, se questa è tale che si possa facilmente fissare sulla cromatina, anche il succo nucleare, come già feci notare, si colora intensamente, di guisa che la cromatina rimane pressochè invisibile, e per ciò, in leucoblasti molto giovani, è necessario ricorrere a decoloranti energici per metterla in evidenza. Essa, come già Löwır, Denys, Mütter ed altri descrissero per i leucoblasti di altri animali, non è come nel nucleo degli eritroblasti distribuita in molte granula- zioni riunite da filamenti, ma ammassata generalmente in una massa unica o tutt'al più in due masse che hanno tutta l’apparenza di grandi nucleoli. Alcuni tenui fila- menti di cromatina legano queste masse principali alla membrana del nucleo. Ho già detto, ma credo opportuno di ripetere qui, che, contrariamente a quella degli eri- troblasti che non si colora affatto coi colori acidi di anilina (fucsina per es.), la cromatina dei leucoblasti si colora debolmente in roseo, con questa sostanza colorante: ciò che rivela forse una diversa costituzione. (1) Wagner R., loc. cit. (2) Goen G., loc. cit., in “ Proc. Zool. Soc. London ,, 1870, p. 845, fig. 3. (3) Rexaur J., loc. cit. 27 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 245 Il protoplasma è in questo stadio affatto omogeneo e compatto, distribuito in uno strato sottile che ravvolge il nucleo, raramente in modo uniforme, piü sovente prevalendo in massa da una parte di esso (fig. 21). Solo raramente mi è occorso di vederlo accumulato ai due poli del nucleo, si da ricordare vagamente le cellule fusiformi (Spindelzellen) degli altri vertebrati inferiori. Cosi giovane, questo proto- plasma non emette pseudopodi, ma ben presto acquista questa proprietà in modo Spiccatissimo. I leucoblasti aumentano di volume assai rapidamente; ma la prevalenza in questo acerescimento è pur sempre tenuta dal nucleo, mentre il protoplasma cresce relativamente poco. Per contro pare che una maggior attività animi il protoplasma, il quale, non appena l’accrescimento in volume si 6 iniziato, incomincia a produrre i caratteristici pseudopodi ed a compiere i movimenti ameboidi (fig. 22). Tuttavia non è ancora questo il periodo di vita, nel quale il leucoblasto esplichi la massima vitalità sua in questi movimenti. I leucociti a nucleo semplice. Dire da qual momento il leucoblasto diventi leucocito, non è certamente nè fa- cile, nd possibile. D'altronde non ha questo una grande importanza. Merita piuttosto speciale nota il fatto, che, mentre taluni leucoblasti con notevoli ed importanti mo- dificazioni si trasformano in speciali leucociti, che descriverò in seguito, altri (e forse in ugual numero?) dànno origine ai leucociti a nucleo semplice. Questi leucociti non presentano d’ altronde caratteri notevolmente diversi dai leucoblasti. Da questi non si distinguono che per una mole molto maggiore, tantochè la cellula può raggiungere oltre i 13 u ed il nucleo i 9 u ed anche più (fig. 23). Il protoplasma non subisce mutazioni degne di nota nelle sue proprietà chi- miche, a giudicare dal modo con cui reagisce colle sostanze coloranti. Esso si con- serva omogeneo, senza granulazioni di sorta, ma diventa meno compatto e più o meno ricco di vacuoli. I suoi movimenti ameboidi si fanno più spiccati e gli pseu- dopodi più numerosi. Si è specialmente nell’osservazione di questi che si rivela la struttura finissimamente filamentosa di questo protoplasma; e vi si può inoltre ve- dere che nella loro formazione esso si accumula più abbondante all'estremità dei singoli pseudopodi (fig. 23). Non ho mai incontrato alcuno di questi leucociti che tenesse nel suo protoplasma inglobati dei corpi eterogenei. A parte la struttura, più decisamente filamentosa ed anche assai più compatta del protoplasma di questi leucociti, le proprietà che esso manifesta colle sostanze coloranti, mi parvero affatto simili a quelle del citoplasma degli eritroblasti. Io lo ritengo perciò della stessa natura e concludo pertanto che il corpo protopla- smatico di questi leucociti è unicamente costituito di citoplasma. Le modificazioni più importanti pare che sieno subite dal nucleo, durante l'in- vecchiare del leucocito. Di fatto la cromatina, prima ben distinta in grandi masse coll’apparenza di nucleoli, pare quasi che a poco a poco si sciolga nel succo nucleare 246 ERMANNO GIGLIO-TOS 28 e si risolva poi in un gomitolo di filamenti cromatinici,i quali hanno anche di molto diminuita la proprietà di colorarsi (fig. 23). Non ho mai visto in questi leucociti alcun caso di divisione nè diretta, nè indiretta. I leucociti a nucleo polimorfo. Mentre un certo numero dei leucoblasti modificandosi leggermente produce i leucociti a nucleo semplice, un altro numero (forse uguale?) subisce maggiori modi- ficazioni e dà origine ai leucociti a nucleo polimorfo. Io indico con questa denominazione dei leucociti che per forma, struttura e pro- prietà del protoplasma e del nucleo corrispondono ai leucociti detti a granulazioni fini da Max Scnurrze (feingranulirten Leukocyten) e da Miss: indicati con E-Leu- kocyten da Erron; da questo e da altri pure denominati leucociti plurinucleati o multinucleati; infine da taluni designati anche col nome di leucociti a granulazioni neutrofile. Io ho preferito la denominazione di leucociti a nucleo polimorfo, pure pro- posta dall’Erticn (polymorph-kernigen Leukocyten) perchè allude ad una proprietà che è costante in tutti i vertebrati. I leucoblasti che daranno origine a questa specie di leucociti si riconoscono ben presto, perchè, non sì tosto hanno raggiunto un mediocre volume, il nucleo, ingrandito a sua volta, cambia a poco a poco di forma ed incurvandosi ed allungandosi passa gradatamente a quella forma così caratteristica di ferro di cavallo o di salsiccia (detta dai francesi molto propriamente en boudin) che preludia alla divisione diretta od amitotica (fig. 24-27). Mentre questo mutamento avviene, incomincia la formazione dei granuli minu- tissimi che saranno caratteristici di questi leucociti. La prima comparsa di essi si ha intorno al nucleo e, se questo è già incurvato, in maggior quantità compaiono nella sua insenatura. Il che si pud mettere bene in evidenza colorando questi leu- cociti, prima fissati col calore, o col bleu di metilene che li colora leggermente in lila, oppure colla fucsina acida che li tinge debolmente in roseo. Nei due casi si potrà sempre trarre un buon argomento per giudicare della importanza e della parte diretta che deve avere il nucleo nella produzione di questi granuli (fig. 24-28). À mano a mano che questi si formano, si allogano nel citoplasma che circonda il nucleo, ed i filamenti citoplasmatici, divaricando ed intrecciandosi, li rinchiudono nelle loro minutissime maglie. Questo stadio della evoluzione di tali leucociti, caratterizzato dalla produzione incipiente di simili granuli e dalla forma a salsiccia del nucleo, merita di essere considerato in modo tutto speciale per altre proprietà che il leucocito presenta. È questo il periodo, si può dire, della sua massima vitalità. Questa si esplica principalmente in tre modi: nella formazione dei granuli neutrofili, nella divisione del nucleo ed anche nella manifestazione evidentissima di spiccati movimenti ame- 29 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 247 boidi per opera di numerosi e distinti pseudopodi. Devo tuttavia notare, che nemmeno in queste forme di leucociti non mi è mai avvenuto di trovarne di quelli che inclu- dessero nel loro protoplasma dei corpi eterogenei. Ma sovra tutto poi è degno di nota il fatto che questi medesimi leucociti si comportano, a quanto potei arguire, come le piastrine dei mammiferi e come certe forme speciali di leucociti dei vertebrati inferiori che si considerano da taluni come rappresentanti di quelle e che furono perciò dette piastrine nucleate dal Brzzozero (1), mentre prima erano state credute ematoblasti dall’Hayvew, e furono poi anche dette cellule fusiformi (Spindelzellen) da RECKLINGHAUSEN, trombociti da DEKHUYZEN (2). Essi sarebbero i loro veri rappresentanti, non già morfologicamente, ma fisiologi- camente. To non ho ripetuto nella lampreda gli esperimenti sulla coagulazione e sulla trombosi fatti dal Prof. Bizzozero; ma quanto vidi avvenire nella confezione dei preparati mi colpì per la grande analogia che presentava coi fenomeni descritti dal Bizzozero nel lavoro suddetto. Di fatto, mentre le altre forme di leucociti si trovano sempre isolate e indivi- dualmente ben distinte, nei preparati fissati col calore, queste si presentano gene- ralmente agglomerate e riunite in modo da formare dei falsi plasmodi. Per quanto procedessi colla massima prestezza nella essiccazione dei preparati io non potei mai evitare che si formassero dei gruppi di almeno due o tre di questi leucociti. E, se per qualche causa io avessi ritardato, non fosse che di pochi minuti secondi, a fissare ed essiccare la goccia di sangue distesa sul vetrino, i falsi plasmodi appa- rivano non più formati di due o tre, ma di parrecchie cellule (fig. 25-26). E la fusione di tutti questi leucociti si faceva così intimamente che non mi era più possibile il discernere traccia alcuna del loro primitivo singolo contorno, cosicchè nella massa unica e compatta protoplasmatica che ne risultava non poteva altri- menti arguire del numero di cellule che la costituivano, se non dai nuclei che in essa si scorgevano. Parecchi istologi, fra cui FLemwine, Denys, Müzrer ed altri che non è neces- sario che io di nuovo menzioni, hanno combattuto vivamente e con felice risultato l'opinione del Löwır che nei leucoblasti non si avesse divisione nucleare indiretta, ma sempre diretta, e che questo fosse uno dei caratteri principali distintivi dei leuco- blasti dagli eritroblasti. È quasi certo che eglino abbiano ragione quando si tratti di altri vertebrati, ed io stesso ho avuto occasione di osservare figure evidentissime di cariocinesi nei leucoblasti della rana comune. Ma nel caso presente, nella lampreda, la divisione nucleare dei leucoblasti è senza dubbio sempre ami- totica. Io non vidi mai assolutamente nessuna struttura del nucleo che, anche lontanamente, potesse ricordarmi la sua divisione indiretta. La divisione indiretta del nucleo dopo che esso ha assunto la forma a salsiccia (1) Brzzozero G., D'un nouvel élément morphologique du sang et de son importance dans la throm- bose et dans la coagulation, in “ Arch. ital. de Biol. ,, T. III, 1883, p. 114. (2) Dxxnvvzew C., Ueber das Blut der Amphibien, in“ Verh. d. Anat. Gesellsch. Erganzungsheft d. Anat. Anz. ,, 1892, p. 94. 248 ERMANNO GIGLIO-TOS 30 si fa per il suo strozzarsi precisamente nel mezzo, cosi che i due nuclei che ne risul- tano equivalgono alla metà del nucleo primitivo (fig. 28). Che anche la cromatina venga distribuita in parti eguali nell'uno e nell’altro è op che non ho potuto os- servare. Avvenuta cosi la divisione diretta e formatisi due altri leucociti, questi prose- guono nello sviluppo iniziato. Il nucleo si accresce ancora ma di poco : mentre invece vanno aumentando notevolmente le granulazioni finissime neutrofile, al punto che il leucocito adulto assume un diametro press’a poco uguale a quello degli eritrociti. Ma, mentre che nei leucociti a nucleo semplice l'aumento in volume è dato dall’accre- seimento del nucleo bensì, ma anche dall’aumentare del citoplasma, in questi leucociti il vero citoplasma aumenta di poco ed a sviluppo completo la massima parte del loro corpo è data dalle granulazioni. Subito dopo la divisione del nucleo, la massa citoplasmatica è ancora prepon- derante e forma uno strato periferico di un certo spessore, mentre che la parte gra- nulare sta più nell’interno immediatamente intorno al nucleo. In questo periodo il leucocito emette ancora pseudopodi e compie movimenti ameboidi per opera preci- samente dello strato citoplasmatico. Sebbene raramente, tuttavia mi è qualche volta avvenuto di incontrare leucociti includenti nel loro corpo dei grossi granuli di pigmento: essi si trovavano però sempre nel periodo di sviluppo ora descritto (fig. 31). A mano a mano che le granulazioni neutrofile si vanno formando e insinuando nella massa citoplasmatica, questa si divide sempre più in filamenti tenuissimi che le ravvolgono e le tengono rinchiuse nel corpo del leucocito. Talora avviene che una parte del citoplasma venga accumulato in una piccola massa da un lato della cel- lula (fig. 29), oppure in due o tre più piccole in vicinanza del nucleo (fig. 34). Esse corrispondono probabilmente a quelle masse protoplasmatiche, che l’HriprnHAIN (1) osservò pure in molti leucociti e che ritenne come rappresentanti di ciò che egli chiama la seconda zona dell'esoplasma o strato medio (Mittelschicht des Exoplasmas). In generale perd, a sviluppo completo, il citoplasma ? pressochè uniformemente distribuito in tutto il corpo del leucocito in filamenti tenuissimi fra loro intrecciati (fig. 30-33). In questo ultimo periodo di sviluppo, la proprietà di compiere movi- menti ameboidi e di emettere pseudopodi che era andata via via lentamente atte- nuandosi è scomparsa affatto, ed il leucocito presentasi a forma di disco circolare colle granulazioni alquanto più abbondanti alla periferia. TI nucleo frattanto, dalla forma pressochè emisferica che aveva dopo la sua divi- sione, passa a poco a poco ad una forma quasi ovoidea o alquanto irregolare. Mani- festasi perd sempre vescicoloso con membrana distinta, senza spiccate sporgenze e senza intaccature al suo margine, colla cromatina ancora raggruppata in grandi gra- nulazioni legate fra di loro da filamenti ben distinti, e suscettibili di colorarsi ancora intensamente coi colori di anilina, ed in bleu spiccato col bleu di metilene. Coll’invecchiare del leucocito esso aumenta di volume, e la cromatina non rimane (1) Heıwenuam M., Neue Untersuchungen über Centralkörper, ecc., in * Arch. f. mikrosk. Anat. ;, Bd. 43, 1894, p. 562. | 31 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 249 l più accumulata in granuli, ma lentamente si distribuisce in cordoni che assumono nel nucleo una disposizione varia. Nel tempo stesso non si colora più che scarsa- | mente coi medesimi colori che prima la tingevano intensamente, e col bleu di meti- i | lene prende una pallida colorazione violacea. ; | | In questo frattempo avvengono quelle modificazioni di forma che sono caratte- | | ristiche del nucleo di questi leucociti. Nella lampreda però sono sempre meno nume- , | rose e meno varie che negli altri vertebrati. Mentre che mei. leucociti a nucleo | polimorfo di questi ultimi il nucleo si allunga» e poi si strozza dividendosi in piü 1 | nuclei; oppure dapprima si perfora e quindi si divide in frammenti secondo il modo | descritto da Fiemme e da Güpperr e che poco sopra ho citato: in quelli della || | lampreda il nucleo si allunga, quindi si ripiega ad arco od a ferro di cavallo, si | | assottiglia sempre più nel suo mezzo e finisce col dividersi in due parti che possono m essere pressochè uguali o disuguali (fig. 32-33). In ogni caso questa divisione | del nucleo + che corrisponde affatto al processo ritenuto tipico della divisione | | diretta, preceduta dalla forma a biscotto del nucleo — non à mai seguito dalla À divisione della cellula. | Le cellule eosinofile. | Se è facile conoscere l'origine delle due sorta di leucociti ora indicati perchè | numerose sono le forme intermedie che segnano il passaggio dai leucoblasti ad ess, ~ | non è così per le cellule eosinofile. Per quanto abbia ricercato non mi fu dato mai- g di trovare nel sangue circolante alcune cellule che mi potessero indicare un graduale Passaggio dai leucoblasti a questa specie di leucociti. La presenza di cellule eosinofile perfettamente corrispondenti a quelle state descritte negli altri vertebrati superiori è facile a dimostrarsi nel sangue della lam- | preda. Se il preparato, essiccato col calore, vien colorato col bleu di metilene, si rico- Rosceranno perchè le loro granulazioni non si colorano affatto, mentre il citoplasma H che lo ravvolge si tinge in bleu Prussia, e la eromatina in un bel azzurro. Se poi | Si tratta con un colore acido di anilina, con la fucsina acida per esempio, esse spic- n" cano più ancora, per la colorazione rossa che assumono i granuli, mentre il nucleo rimane affatto incoloro. j Tali cellule eosinofile hanno forma sferica e per quanto varino alquanto nelle Il dimensioni da 9 a 14 e più p, tuttavia sono sempre ricchissime e piene zeppe di Sranuli, mediocremente grandi e molto rifrangenti. Questi poi hanno sempre la | forma sferica o quasi sferica, e non ne vidi mai di quelli a bastoncini, che Brzzo- à | ZERO (1) seopri e deserisse nel sangue di altri vertebrati, e di eui tennero pure parola NT RE "TTT 00 E m seguito Denys ed altri istologi (fig. 35). il; zola dat n | (1) Brzzozero e Torre, Sulla produzione dei globuli rossi del sangue, in " Arch. per le scienze | Mediche ,, vol. IV, 1881, p. 392, tab. X, fig. 1° e, f. — Bizzozero G., Nuove ricerche sulla struttura IN À del midollo delle ossa negli uccelli, in “ Atti R. Acc. Scien. Torino ,, vol. XXV, 1890, p. 172, | tav. IT, fig. 9, c. d Beste IL Ten, XLVI. e! A 250 ERMANNO GIGLIO-TOS 32 Il nucleo delle cellule eosinofile è sempre grande in confronto col volume totale delle cellule e non mi è mai occorso di vederlo di forma regolare sferica od ovoidea. Generalmente esso è spinto dai granuli alla periferia della cellula, dove sottoposto alla loro compressione si incurva, si adatta al contorno della cellula od anche si appiattisce sì da prendere alquanto l'aspetto di nastro, ed una forma più o meno irregolare. La cromatina vi è discretamente abbondante distribuita in masse e cor- doni irregolari. Per quanto riguarda poi la proporzione nel sangue circolante dei diversi ele- menti ora descritti, senza avere per ciò fatto ricerche apposite che credo prive. di interesse, data l’indole di questo lavoro, si può tuttavia in modo generale facilmente concludere: che naturalmente tengono il primo posto per numero gli eritrociti: seguono quindi i leucociti a nucleo polimorfo, poi i leucociti a nucleo semplice, ed i leucoblasti, ed infine le cellule eosinofile che sono assai scarse. Quanto agli eri- troblasti il loro numero è troppo soggetto a variazioni dipendenti da varie cause perchè possa essere considerato. Negli individui giovani e nei periodi del loro mag- giore accrescimento sono quasi altrettanto numerosi quanto i leucoblasti. Nella serie ora esposta, i leucociti a nucleo polimorfo tengono a ragione il secondo posto, e la loro abbondanza è facile da notarsi in qualsiasi preparato. Parrebbe con ciò che un numero non uguale, bensì maggiore, di leucoblasti dovesse trasformarsi in questi leucociti per spiegare questa preponderanza loro sui leucociti a nucleo sem- plice. Ma così non è o, per lo meno, non è assolutamente necessario ricorrere a questa supposizione per darsi ragione del fenomeno. Rappresentando graficamente l'evo- luzione delle due sorta di leucociti da un leucoblasto nel modo seguente: Leucocito à Leucocito à nucleo polimorfo ^ nucleo polimorfo \ 7 S 2 Leucocito a nucleo semplice bye 9 Divisione diretta ® e Leucoblasto Leucoblasto si vede chiaramente, che, anche supponendo in ugual numero i leucoblasti che si svolgono nei due modi, a sviluppo completo, i leucociti a nucleo polimorfo dovranno essere in numero doppio di quelli a nucleo semplice, per l'avvenuto sdoppiamento nel periodo della divisione diretta che ho descritto. 33 SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 251 Conclusioni. Da quanto ho sopra esposto si possono dedurre le seguenti principali conclu- sioni : 1° Gli eritrociti o globuli rossi della lampreda comune hanno forma di vesci- chette sferiche ripiene di emoglobina, sparsa fra lo scarso citoplasma. Essi hanno membrana distintissima e nucleo discoide. Fra l'emoglobina, legati dai filamenti del citoplasma, stanno i granuli emoglobigeni. 2° Fra tutti i vertebrati adulti la lampreda comune presenta gli eritrociti a struttura più semplice. 3° La struttura degli eritrociti della lampreda corrisponde sostanzialmente a quella che gli eritrociti degli altri vertebrati presentano nei primi stadi del loro sviluppo. 4° Gli eritrociti derivano dagli eritroblasti per la formazione dell'emoglobina accompagnata da altri mutamenti secondari. 5° Gli eritroblasti si distinguono per molti caratteri dai leucoblasti e molto probabilmente non hanno uno stipite comune di origine. à 6° La produzione di emoglobina ha luogo per opera dei granuli o leuciti emo- globigeni. 7° I granuli emoglobigeni non mancano mai negli eritroblasti di tutti i ver- tebrati. 8° I granuli emoglobigeni nella lampreda perdurano anche negli eritrociti : scompaiono invece, come granuli, negli eritrociti degli altri vertebrati. 9° I granuli emoglobigeni provengono dal nucleo, e forse dallo stesso succo nucleare. 10° L’emoglobina vien prodotta per opera dei granuli o leuciti emoglobigeni, che la tolgono dal plasma sanguigno per trasformazione di una sostanza in esso preesistente. 11° I vivaci movimenti browniani dei leuciti emoglobigeni sono indizio, pro- babilmente, di questo scambio molecolare. 12» Gli eritroblasti in circolazione non si riproducono mai per divisione indi- retta: forse, ma raramente, per divisione diretta. Gli eritrociti non si riproducono mai. 13° I leucociti a nucleo semplice ed i leucociti a nucleo polimorfo proven- gono da una medesima sorta di leucoblasti. 14° I leucoblasti si riproducono per divisione nucleare diretta: giammai per divisione indiretta. 15° Le fini granulazioni neutrofile dei leucociti a nucleo polimorfo provengono Probabilmente dal nucleo. 16° La divisione amitotica del nucleo di questi leucociti adulti non è mai Seguita dalla divisione del corpo della cellula. 17° Stando alle più comuni e generalmente accettate divisioni dei corpuscoli bianchi del sangue degli altri vertebrati, essi sono nella lampreda così rappresentati : —_ 252 ERMANNO GIGLIO-TOS — SULLE CELLULE DEL SANGUE DELLA LAMPREDA 34 a) i leucoblasti, i leucociti a nucleo semplice, i leucociti a nucleo polimorfo 'e le cellule eosinofile da elementi perfettamente loro equipollenti, salvo la loro origine; b) le cellule granulose (Mastzellen dei Tedeschi) mancano affatto nella lampreda, nè vi ha alcun elemento che li rappresenti ; c) le piastrine dei mammiferi, e le cellule fusiformi (Spindelzellen) o trombociti, degli altri vertebrati inferiori, sono nella lampreda rappresentate, non morfologicamente da uno speciale elemento, ma solo fisiologicamente da leucoblasti in quel periodo di sviluppo che precede immediatamente la divisione diretta del loro nucleo. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Tutte le figure sono state disegnate alla camera lucida di Asse : ocul. 4, obb. apocromat 1,5", apert. 1,30 Zers: tubo del microscopio evaginato 165", Proiezione sul tavolo da lavoro. Ingrandi- mento circa 1818 diametri, 1™™ = p 0,55. Fig. 1-10. — Eritroblasti in diversi stadi di sviluppo — Fig. 1-5, eritroblasti disegnati allo stato fresco, per mostrare le diverse forme prese dal protoplasma ialino — Fig. 1, eritroblasto più giovane mancante ancora di granuli emoglobigeni — Fig. 2, eritroblasto con un solo granulo emoglobigeno accanto al nucleo — Fig. 3-5, stadi più avanzati di sviluppo con 2, 4 e più gra- nuli emoglobigeni — Fig. 6-8, eritroblasti colorati per mostrare la struttura del protoplasma e del nucleo — Fig. 8, eritroblasto a nucleo grande, ovale — Fig. 9, eritroblasto con nucleo in. via di divisione diretta (?) — Fig. 10, stadio ulteriore in cui la divisione diretta è avvenuta; i due nuclei figli sono già separati ma strettamente avvicinati. Fig. 11-12. — Due eritrociti; in fig. 11 il nucleo visto di fronte; in fig. 12 alquanto di profilo per mostrare la sua forma tabulare. ` Fig. 13-17. — Eritroeiti con nuclei di forma diversa; in fig. 13 è prossima la perforazione del nucleo; in fig. 14 e 15 il nucleo è perforato; in fig. 16 e 17 la perforazione è seguita dal fendersi del nucleo. Fig. 18. — Eritrocito: per mostrare la rete dei filamenti citoplasmatiei ed i granuli emoglobigeni posti nel loro punto d’incrocio (alquanto schematica). Fig. 19-20. — Due stadi di dissoluzione di un nucleo di eritrocito. Fig. 21. — Leucoblasto giovanissimo, senza pseudopodi. Fig. 22. — Leucoblasto un po’ più vecchio con pseudopodi. Fig. 23. — Leucocito a nucleo semplice con abbondante citoplasma, numerosi pseudopodi e aleuni vacuoli; il nucleo è molto grande, ovale, colla cromatina distribuita in filamenti sottilissimi aggomitolati. : Fig. 24-27. — Leucoblasti in cui il nucleo si prepara alla divisione diretta per dar origine ai leu- cociti a nucleo polimorfo — Fig. 24, primo stadio; inizio della curvatura del nucleo — Fig. 25-26, falsi plasmodi formati dal riunirsi, in fig. 25 di due, in fig. 26 di sette leucoblasti (i nuclei della fig. 25 sono stati alquanto gonfiati dall'azione dell’ammoniaca messa nel bleu di metilene). In tutte queste figure la parte più scura compresa nell'insenatura del nucleo indica il luogo della prima comparsa dei granuli neutrofili. Fig. 28. — Leucoblasto in cui la divisione del nucleo è appena avvenuta. Fig. 29-34. — Leucociti a nucleo polimorfo — Fig. 29-31, ancora alquanto giovani e percid il nucleo ancora poco modificato; in fig. 29 la massa piü scura a destra del nucleo rappresenta un am- masso di citoplasma privo di granulazioni neutrofile: in fig. 31 un leucocito ancora giovane che rinchiude nel protoplasma 7 granuli di pigmento; in fig. 88-34 i nuclei dei leucociti sono in via di divisione; in fig. 34 le macchie allungate più scure rappresentano come in fig. 29 masse di citoplasma privo di granulazioni; in fig. 32 la divisione del nucleo à avvenuta. Fig. 35. — Cellula eosinofila. 4 E 5 K ep E s1T0f)s pp C ME cR Un o ONCE: Uy Die N ad PTT i Acca J, Melle Oc Worino. (Lasse dA DO Vitara (e Da ovo XIVI . È GIGLIO-TOS. Sulle cellule del sangue della Lampreda — —— o ona PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL METODO SPERIMENTALE IN ITALIA MEMORIA E DEL SOCIO | NICODEMO JADANZA Approvata nel? Adunanza del 31 Maggio 1896. “ Je l'ai dit souvent, il n'existe qu'une manière rationnelle “ et juste d'ócrire l'histoire des sciences: c'est de s'ap- “ puyer exclusivement sur des publications ayant date “ certaine; hors de là tout est confusion et obscurité e (Anaeo, Astronomie populaire, Tomo IV, pag. 518-519, edizione 1867). Queste savie parole dell'illustre astronomo francese ci vennero in mente nel ul leggere quel ponderoso lavoro che il signor RAFFAELLO CAvernt ha pubblicato col | titolo: Storia del metodo sperimentale in Italia. | In codest'opera, cui meritamente fu dal R. Istituto Veneto assegnato il premio | di fondazione Tomasoni, non si sa se più lodare la sostanza raccolta con pazienti | ed amorose cure, o la forma che incanta e seduce. Nel volume primo, dopo uno splendido discorso preliminare, in altrettanti capi- toli si parla dei principali strumenti del metodo sperimentali. Al capitolo IV che tratta dei Cannocchiali del Fontana, del Torricelli, ecc., siamo rimasti colpiti nel leg- j Sere il paragrafo V, dove a pag. 392 e seguenti & detto quanto segue: | " Tanto era giunto nel 1655 l'Huygens, a perfezionare il suo nuovo | ‘ Cannocchiale, che gli rivelò una luna, non più veduta ricircolare intorno a H “ Saturno. Ma la sua attenzione era tutta rivolta al Pianeta, e fu quello i | “ stesso Cannocchiale che fecegli nascere un sospetto di ció che fosse vera- | “ mente cagione di tante strane apparenze. Non si assicurava perd ancora, d “ infintantochè non si fosse preparato uno strumento più che mai perfetto, e dd: “ studiava in che modo vi potesse riuscire. Sagace com'egli era, conobbe che | “ doveva quel modo principalmente consistere in toglier l'iridescenza alle | “ lenti, ardua impresa e da tutti allora reputata impossibile. Ma l'Huygens | “ aveva con sua gran meraviglia osservato che, nei Cannocchiali a tre o a ; d 254 NICODEMO JADANZA 2 R quattro lenti, gli effetti d'iridescenza, che pareva dovessero moltiplicarsi, riuscivano invece alquanto minori. Incominció a pensare intorno a ció ^ attentamente, cosicchè all'ultimo vide quella sua prima maraviglia risol- versi tutta in una ragione, la quale, secondo lui, consisteva in far si che R l'una lente correggesse o togliesse via i colori, che le si venivano a rap- presentare dall'altra. Fu questa speculazione che condusse l'Huygens a compor di due convessi, invece che d'un solo, l'oculare del suo Cannoc- chiale astronomico. * La voce di una tale e tanta novità, introdotta nella fabbrica dei Tele- “ scopi, corse tosto di Olanda alle orecchie di tutti gli Astronomi, e special- mente d'Italia, i quali entrarono in gran curiosità di sapere il vero di Questa c088... . . AMAGAT DINGOJOIM. . . 7.2 “ La curiosità fu poi sodisfatta in tutti e tutti pur s’ acquietarono R nella certezza del fatto, quando nel 1659 l'Huygens stesso uscì fuori col SUO Systema Saturmum irene de iiy * Ma benche tutti fossero oramai resi certi delle invenzioni pM da R lenti accoppiate, nessuno sapeva però intendere, di quell’ efficace accop- piamento le vere ragioni. Di qui ebbero origine que’ giudizi vaghi, che si fecero intorno ai nuovi Cannocchiali ugeniani . . . . . . * Ma non era ancora dall'Huygens pubblicata la Diottrica, nella quale si riserbava a dar quella teoria dell’acromatismo di che aveva fatto già l'applicazione alle lenti del suo Telescopio. Nella proposizione LIV di quel celebre Trattato, uscito postumo nel 1703 come sappiamo, dopo aver R l'Autore descritto l'andamento dei raggi refratti ne’ Telescopi di quattro lenti, così soggiunge, per sodisfare co’ principi diottrici a coloro i quali sglunge, Į q non intendevano il segreto effetto del suo oculare composto: * Mirum EE tee Parve a noi che tutto quanto è detto in quel paragrafo V non fosse conforme alla verità storica, e, profittando della pubblicazione delle Opere complete di Ont: strano HuvaENS che si sta facendo per cura della Società Olandese delle Scienze, abbiamo creduto utile mettere sotto gli occhi del lettore quanto risulta dai docu- menti dell'epoca. Sarà facile, dopo aver preso cognizione di tali documenti, dedurne le conclusioni. Facciamo notare fin d'ora che abbiamo consultati sempre i documenti nella loro fonte originale, perchè ci siamo accorti che molti errori, in fatto di storia, si fanno appunto quando si presta cieca fiducia ad altri che hanno trattato il medesimo argomento. 3 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 255 Nell'anno 1655 e propriamente nel 25 marzo fu osservato da Cristiano Huygens uno dei satelliti di Saturno. Prima di quell'anno e di quel giorno nessuno aveva visto satelliti intorno a | quel singolare pianeta. | Il nuovo avvenimento fu annunziato con uno scritto di Huygens avente per titolo: Cristiani Heger, De Saturni Luna observatio nova (*). Hagae — Com. Mart. 1656. Nell’anno 1659 fu pubblicato il sistema di Saturno sotto il titolo: CHRISTIANI Here Zumonemm, Const. F. Sistema Saturniwm sive De causis mirandorum Sa- turni Phaenomenon et comite eius Planeta novo con una lettera-dedica al SERENISSIMO Principe Lroporno pi Toscana in data 5 luglio 1659 (Hagae Comitis). In questa pubblicazione l'Huygens parla dei cannocchiali adoperati e si esprime così a pag. 537: * Sed antequam observationes exibeamus, de telescopiis nostris quibus caelo eas deduximus, pauca referre expediet, ut sciant hinc, qui comitem Saturni, mirabilesque Planetae ipsius figuras intueri cupiunt, qualibus ad hoc turbis vitrisque indigeant; (tque suos si quos habent, possint cum nostris contendere. Primus quem adhibuimus duodenos pedes non exce- debat, duobus convexis vitris instructus, quorum id quod oculo vicinum | erat, radios parallelos cogebat ad trium paulo minus pollicum, sive un- / | “ ciarum pedis Rhenolandici distantiam. Eo planetam novum et deteximus | primüm, et per aliquot menses observavimus, nec non formam eam Sa- il turni, quae à nemine adhuc percepta fuerat, quámque postea describemus, D jl “ licet non prorsus erroris expertem. Inde verò duplicata priori longitudine, d * simul duplo propiores sideribus facti sumus, multóque meliùs faciliisque id “ phoenomena omnia adnotavimus. Et hi quidem tubi 23 pedum, è ferri | j j ; ; HM d * bractea constructi sunt, habentque ab altera parte vitrum insertum, cujus i « : 2 ` ; : i d latitudo ad quatuor pollices, sed in quo non major pateat circulus quam d Lj ` D . d + D diametro duorum pollicum cum triente. Ab altera parte, quae nimirum j U pe | , n D) Cfr. Christiani Hugenii a Zulichem, dum viveret Zelhemi Toparchae, Opera Varia, Volumen d “ecundum. Lugduni Batavorum, MDOCXXIV. d IH m i 256 NICODEMO JADANZA 4 1 oculo admovetur, bina sunt vitra minora 1 + pollicem diametro aequantia, ^ juncta invicem, quaeque hoc pacto aequipollent convexo colligenti radios ^ parallelos.ad intervallum unciarum 3, aut paulo etiam angustius. Ex quo sane majoris vitri excellentia aestimanda est, tam breve convexum per- * ferre valentis: quoniam quanto minori de sphaera id fuerit, tanto res ^ visae magis ampliantur. Illud enim in Dioptricis nostris. demonstratum * invenietur, speciei per tubum visae ad eam quae nudo oculo percipitur, ^ hane secundum diametrum esse rationem, quae distantiae foci in exte- riori vitro ad illam, quae in interiori sive oculari vitro est, foci distan- tiam. Centuplam itaque fere rationem hane in perspicillis nostris esse R constat, cum Galileana non ultra trigecuplam processerint. Nam quanti- R tatem incrementi eodem modo nos atque ille aestimamus; nempe ut tanto major res quaeque per tubos quam nudo visu conspici dicatur, quanto majori angolo ad oculum extrema ejus deferuntur, sive quanto latior eius imago in fundo oculi depingitur ,. Uno dei due cannocchiali (quello ad oculare semplice) adoperato da HuvcrNs avova l’obbiettivo del diametro utile di circa 35 millimetri e di distanza focale eguale a 3",78. Ciò risulta evidentemente dal brano seguente di una lettera scritta nelluglio 1656 a R. Paget (*): “ Accipe igitur lentes hasce manu nostra elaboratas, illisque. omnino ^ similes quarum ope Saturni lunam primitus conspeximus. Tubum cum * fabricari curabis, is ut ad minimum duodenis pedibus produci possit me- * mento. Item ut omnino rectus sit, ut introrsus niger et obscurus, quod * charta crassiori atramento infecta consequeris, qua intus totus vestiendus * est, simul dum quaeque pars ferrumine conjungitur. Atqui hic Caltho- * vium recte in consilium adhibueris, utique si adhuc meminerit cujusmodi (*) Cfr. Œuvres complètes de Curisrıaan Huvarxs publiées par la Société Hollandaise des Sciences. I. Correspondance 1638-1656. Pag. 471, n. 322. 5 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 257 R tubus is fuerit‘ quem a ‘nobis habuit. Majori lenti aperturam relinque Li quantam hic juxta expressimus, eademque mensurá caetera interstitia | Li pateant, quae intra tubum collocantur obscurandi causa, quibus saltem binis aut ternis opus est. Minor lens nulla sui parte contegatur, duosque | pollices cum "dimidio circiter ab oculo distet. Quantum 'à majori lente eadem removenda sit certam determinationém non habet; pendet enim à varia rei spectatae distantia: Imo ‘ét splendore. Siquidem experieris paulo breviori tubo; ad Saturnum contüenduni; quam ad Lunam Opus esse. cum tamen hoc ratione distantiae minime contingat; sed in rebus | non admodum longe dissitis plusculum variat longitudo. Unum quod ad- moneam superest, nempe coelo tantum haec majora telescopia destinari, | ideoque nihil obesse quod res visas invertant. de die autem inutilia esse fere praeterquam ad solis maculas deprehendendas, ut'ne quidem si erecta (| omnia repraesentarent, praestabiliora futura sint ijs, quae 5 aut 6 pedes non excedunt, quod non arbitror tibi ignotum. Itaque prout quamque rem inspicere volueris, sensim extendere et reducere tubum necesse est oculo | Simul admoto, ut tandem máxime convenienti situ detineri possit, cujus rei causam, invenire non admodum in promptu est. Cum solem aspicere voles, vitrum planum puta speculi particulam fumo inficito in flamma candelae. aliquantisper. detinendo, cui. alteram aequalem deinde. particulam | puram. superimpones,. atque affiges ita ut:superficiem. fumo inductam non tangat, qua, ratione, illaesa, praestabitur:. Vitrum. vero. sic! aptatum -oculo quam. proxime, apponendum. est. Haec; omnia. ubi tibi. ex sententia” suc- cesserint. rogo, ot Dominum ` Colyium. . vicissim. edocere. non ‚graveris, cui | alterum. vitrorum, par. dono mittimus. Vale iy. > | L'altro il cui obbiettivo aveva la distanza focale di 23 piedi del Reno (7,22) era presso a poco quello di cui si parla nelle lettere seguenti scritte da CHRISTIAAN Huyéens o Ta. BOULLIAU: “A la Haye le 23 feb. 1659 (°). il * Monsieur, " Je suis bien aise d'avoir enfin trouué cette occasion pour vous en- 4 Voyer vos verres seurement. C'est Monsieur l'Abbe Brunetti que j'ay prie “ de s'en vouloir charger, et qui tout a cet heure s'en va à Rotterdam pour S S'embarquer, de sorte que je n'ay pas le loisir de vous donner icy les | EE | M (*) Cfr. Œuvres complètes, sete. Tomo IT, pag. 857, n. 591. ji Serre II. Tom. XLVI. ni 258 NICODEMO JADANZA 6 « instructions necessaires touchant la fabrique de tuyaux. Mais apres 4 jours je vous en escriray amplement par la poste, laquelle lettre vous receurez encore beaucoup plustost que cellecy. C’est icy le grand verre lequel vous a fait veoir la lune de Saturne lors que vous estiez icy, et je n'en ay eu aucun autre que depuis deux mois en ca, lors que je vous fi scavoir que le travail avoit bien succede. le 2 autres doivent estre placez a 3 doigts de l'oeil et joignant l'un et l'autre. Je vous prie Monsieur d'agreer ce fragile present, et de le conserver avec soin afin que il vous fasse long- temps souvenir de celuy qui serà toujours * Monsieur “ Votre tres humble et tres obeissant serviteur ^ Car. Huyeens DE Z. ,. * 5 Mart. 1659 (*). * Monsieur, ^ J'avois promis dans le billet que je mis aupres des verres que je vous escrirois 4 jours apres touchant la maniere de vous en Servir, mais je fus hors de la ville ce jour de poste. Voicy done ce que j'avois a vous dire. ^ Si vous avez des bons ouuriers en fer blanc, je vous conseille de faire le tuyau de cette estoffe, car elle est assez fort pour se soutenir elle mesme, au lieu que si vous le prenez de bois mince il faudra encore un autre canal pour l'appuier etle tenir droit. Le mien n'est fait que de trois pièces grandes qui entrent un pied et demy l'une dans l'autre, et “ d'une courte de 2 pieds du coste de l'oeil pour allonger commodement la lunette lors qu'il ne s'en faut que peu. Il est revestu par dedans d'un papier un peu plus espais que celuy dont on fait les cartes a jouer, qui est teint d'encre, et par ce moyen rend la lunette suffisamment obscure, si bien qu'il n’est pas besoin d'y mettre aucune separations ou cercles. aussi n'en faut il point. Ce papier ce met dans chasque piece de fer blanc à mesure que l'ouurier les attache l'une à l'autre, et afin qu'il ne souffre rien en tirant et refermant la lunette l'on soude des cercles de fer blanc un a l'entrée de chacune des grandes pieces et un autre a un pied et (*) Cfr. Œuvres complètes, ete. T. IL, pag. 361, n. 593. 7 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 259 D demy dedans, afin que l'une entrant dans l'autre le papier ne soit point * touche. “ L'ouverture qu'il faut laisser au grand verre est de la grandeur de " ce cercle icy a coste. Vous avez vu que j'enferme ce verre dans une piece “ a part a fin de le pouvoir oster du grand tuyau sans danger de le casser. “ pour pourvoir a quoy il est aussi necessaire que le verre ne soit pas a “ l'extremite du tuyau mais 3 ou 4 doits dedans. Les deux petits verres o | ; | | EE / C B D F, E se doivent mettre eloignez de l'oeil de la distance F G. le coste plat “ de tous deux tournè vers l'oeil. Chacun d'eux est dans un petit tuyau “ d'un pouce et demy dont l'un entre dans l'autre, et tous les deux en- “ semble dans un autre A B C D, le quel a l'ouverture DO justement a la " mesure de l'oeil que l'on y applique. Enfin cette piece ce met dans celle “ que j'ay dit estre de deux pieds, lors qu'on veut observer. * Pour lever la lunette et la diriger commodement vers les objects, Jay premierement un engin comme je vous depeins icy, eb qui se fait a & [4 peau de frais, car ce ne sont que trois perches menues attachées ensemble. 260 NICODEMO JADANZA 8 “En observant il arrive; souvent, et presque toujours au moins en ce pais, qu'au gran verre il s'attache une rosee d'air condensè, quoy que. le | “ temps fasse fort clair; se qui fait, que. les objects; paroissent, obscurs. ^ Partant 1 v faut bien prendre garde et, baisser la lunette pour. es- sujer le verre, si tost que lon commence. de s'en. douter. Aux petit verres cela n'arrive que rarement. Que si tous les verres sont bien. nets et que vous ne voyiez pas; pourtant les objects assez distinctement, ou. qu'ils R paroissent colorez, soyez certain ou que la lunette n'est pas bien ouuerte * par tout, ou, qu'elle n'est pas tirée a sa juste longueur, ou qu'enfin il y a ^ quelque autre inconvenient. Car je puis vous assurer que les verres sont * gans deffaut et tout aussi bons que ceux que j'ay garde pour moy. “ Tl n'est pas besoin que je vous dise que ce grandes lunettes sont “ inutiles de jours et. pour les objects terrestres. J’ en attribue la cause * aux exhalaisons de la terre quoique je ne scache pas bien pourquoy elles ^ nuisent tant d'avantage aux grandes lunettes qu'aux petites. Vous aper- * cevrez cependant la mesme chose, quand la nuit il y aura le moindre ^ brouillart ou impuretè dans l'air, a scavoir que cela offusque beaucoup “ plus cette lunette que celles qui sont de 6.ou 8 pieds. Je suis etc. H 1 i 9 PEL LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 261 * J'avois mis les verres dans une boete e l'ay cachetée. Mon système “ de Saturne sera bien tost imprime ,. Le due lettere che precedono sono importanti; esse mostrano chiaramente che fino al marzo del 1659 l'Huygens costruiva meglio degli altri (il Torricelli, il Fon- tana) il cannocchiale astronomico, di eui perd conosceva che l'amplificazione si po- teva ottenere dividendo la distanza focale dell'obbiettivo per la distanza focale del- l'oculare. Se coi suoi eannocchiali si vedevano meglio i nuovi fenomeni celesti fino allora rimasti occulti, ció dipendeva dall'aver saputo più che altri fabbricare le lenti ed adoperare i diaframmi nel diminuire l'apertura della lente obbiettiva. L'oculare con due lenti accoppiate dello stesso vetro, mentre faceva aumentare maggiormente l'in- grandimento, attenuava le aberrazioni di sfericità non quelle cromatiche. Che le due lenti di cui era formato l'oculare composto adoperato nelle osservazioni di Saturno fossero a contatto, mentre risulta dalle parole stesse di Huygens nella prima delle due lettere che precedono e dal disegno annesso nella seconda, è confermato dal seguente brano di una lettera scritta da J. Wars ad Huyagns nel 28 feb- braio 1659 (*): * De lentium in tubis tuis dispositione quod dignatus es nobis indi- care, Domino Nelio quum primum feret occasio notum faciam; qui et lentes suas eodem plane modo disponit, nisi quod duas quae ad oculum Sunt non contiguas sed paulö disjunctas habeat; aperturas autem nunc ampliores nune contractiores, annulis chartaceis prout res tulerit adhi- bitis, pro lucis diversitate tum in aere tum in objecto, adhibet. Lentes autem habet, ut tuas, plano-convexas ,. II. Mentre i cannocchiali costruiti da Huygens erano dalla maggior parte degl'in- telligenti giudicati migliori, perché con essi e non con altri era stato visto il satel- lite di Saturno e le apparenze dell’anello, ecco comparire in iscena un altro costrut- tore di cannocchiali che non solo raggiunse ma supero in abilità l'Huygens. Questi fu Giuseppe Campani ottico e meccanico in Roma (**). Coi suoi cannocchiali non solo Si vide ciò che aveva visto l'Huygens, ma furono fatte altre meravigliose scoperte nel cielo. L'astronomo Gian Domenico Cassini con cannocchiali costruiti dal Cam- (*) Cfr. Œuvres complètes, etc. T. II, pag. 358. (*) Vedi nota 3* in fine. 262 NICODEMO JADANZA 10 pani scoprì la rotazione di Giove, di Marte e di Venere ed altri quattro satelliti intorno a Saturno. Nell'anno 1662 il cardinale Antonio Barberini aveva in sua casa a Parigi un cannocchiale di Campani che fu visto dal padre di Huygens (Costantino Huygens). La perfezione di un tal cannocchiale fece al sig. Costantino Huygens (padre) una impressione così gradita che egli se ne innamorò e tentò di averlo ad ogni costo. La lettera seguente del signor P. Perr a Crisrraxo Huvcexs in data 28 novembre 1662 (*) à molto importante. al gn Je ne differeray plus a vous escrire et premierement des lu- * nettes de Campani dont Je voys bien che Monsieur vostre pere vous à dit plus de merueilles quil ny en a. car Je lay veu tellement entesté de cette lunette quil en auroit donné jusqua sa chemise, Jl me pria de faire en sorte aupres de Monsieur l'abbé Charles que Monsieur le Cardinal antoine la troquast contre un excellent microscope quil à apporté dan- gleterre, Je my suis employé et y ay fait mon possible aupres de l’abbe Charles le priant de dire a son Eminence quil luy seroit facile dauoir une semblable et meilleure lunette encores de Campani puisquil estoit ouurier dans Rome. mais que den avoir une comme celle dangleterre jl seroit jmpossible, louurier mesme estant mort. bref je feignay et jnuentay ce que Je pus pour faire persuader cela a Monseigneur le cardinal par l'abbé Charles. a quoy Je ne sceus parvenir par la raison me dit jl que “ le Cardinal ne troquoit jamais et ne se desfaisoit point de ce quil auoit pour peu quil laffectionnast et quil estoit encores dams la premiere ardeur de cette lunette. ainsi Je nay pü la procurer a Monsieur vostre pere qui y auoit de laffection. mais pour vous en dire maintenant le vray Jen ay ' deux meilleures qu'elle et que Jay confronte despuis sur le lieu et dans la chambre de labbe, ce que Je nauois pas fait la premiere foys que je la vis auec Monsieur vostre pere nayant pas pour lors les miennes auec moy et vous scauez que cela ne se juge que par la comparaison en mesme “ temps et sur mesme object. Voicy donc ce que cest de cette lunette. Son objectif tire enuiron 2 pieds + sil estoit auec un Oculaire caue. et auec “ ses trois oculaires conuexes toute la lunette tire 3 pieds 2 pouces, ses “ trois Oculaires sont distants en tout du premier au 3° de 7 pouces par ou vous jugerez de la grandeur de leurs foyers qui sont enuiron de 1 D 3 pouces + sils sont esgaux ce que Je nay pas veu car les 3 verres sont dans vn mesme tuyau comme toutes les nostres. Je nay veu que l'ocu- (*) Ofr. Œuvres complètes. Vol. IV, pag. 266. b | ll PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 263 | laire et le 3°, qui sont a la verite dun beau verre et quasi sans points, | mais pas trop grands car jls nont pas plus de 7 a S lignes de diametre. AN ce qui fait que la lunette ne fracte pas excessiuement. lobjectif est aussi | forb bon mais pour vous dire quil ny a rien du tout qui soit extraordi- I naire, Jy portay la semaine passee deux lunettes que Jay lune de 2 pieds seulement lautre de 3 pieds +. Ma petite fit plus deffect auec un seul i oculaire conuexe que celle de Campani et sur ce qu'on mobjectoit le ren- uersement Jy appliquay vn miroir et vis aussi gros et plus despace “ quavec la Romaine, a la reserue qu'on ne lisoit pas la lettre a cause du | “ gauche a droit que fait le miroir. | “ Quant a la mienne de 3 pieds + garnie aussi de ses trois oculaires | qui se trouuerent auoir la mesme longeur cest a dire estre esloignez de 7 pouces elle faisoit voir de mesme que la Romaine vn peu moins clair M mais quand nous y eusmes mis le tuyau des oculaires de Campani elle fit beaucoup mieux et sans aucun jris ce qui montre que ses oculaires i sont dun meilleur verre et mieux trauaillez que les nostres. Conforme- | ment a ce que Jay tous jours dit que nos ouuriers ne faisoient pas bien 4| leurs oculaires et que leur main varioit plus que en faisant de grands j ' Objectifs qui a cause de cela estoient plus faciles à faire quoy que plus difficiles a rencontrer bons. Je croy donc que ces oculaires de Campani | sont faits au tour comme jen fais aussi presentement faire. et quil a trouue quelque verre auec moins de poincts que ceux qui nous tombent | en mains. Mais pour vous acheuer lhistoire de cette lunette auant que de | vous parler du tour, Je vous diray done que apres auoir mis ces ocu- laires de Campani a mon objectif et ayant trouué ma lunette pour le i moins aussi bonne que la sienne, Jy mis apres cela nos deux Oculaires ‘| conuexes et le miroir ce qui la rendit de beaucoup meilleure dont labbe n Charles resta tout estonne et encore plus quand Je luy dis ce que estoit "nl vray que cestoit Moy mesme qui auoit fait cet objectif de 3 pieds 3 d pouces qui sest trouué a la verite excellent. mais cest pour montrer que | C'est la rencontre du verre, car tous ceux que Jay fait sur le mesme moule ne sont pas de mesme. tenez donc pour tout asseure que cette Il lunette n'est pas vn miracle et que si vous rencontrez vn bon objectif par hazard, Je veux dir vn bon verre pour le faire, vous le ferez comme A Campani et Diuini. ljndustrie de louurier nestant pas la plus difficile chose | à trouer. quant aux oculaires jl est certain que la transparence et net- tete son extremement requises à la matiere, ce qui me fait beaucoup | i | i esperer de celle dont Je vous ay enuoyé un Eschantillon mais nous nen auons point encores aucune glace despaisseur propre a faire vn seul oculaire 264 NICODEMO JADANZA 12 “ ny mesme objectif par ce que ce nest que du verre en plaques pour faire fadeannitresh sergili B.s Y sb amia. asg iaon sii 180 ebnsre opt? 5 Il signor Der, sebbene qui voglia mettere in evidenza i cannocchiali costruiti da lui non può fare a meno di dichiarare migliore l oculare del cannocchiale di Campani. Ma vi è ben altro. In quel frattempo l'Huygens aveva costruito il suo cannocehiale a specchio che trovasi descritto a pag. 190 della sua Diottrica (Propositio LIII) e lo aveva mandato a Parigi al sig. Auzour per paragonarlo col cannocchiale del Campani. Il sig. Auzour nel novembre del 1664 scrive quanto segue a Crisrrano Huvazxs (*): * Je fus hier auec Monsieur de Zuillichem (**) chez Monsieur Labbé * Charles pour eprouuer vostre lunette à miroir contre celle de Campani, je D croy que la sienne est encore plus uiue mais peut être que c'est à cause * du miroir qui ne prend pas un beau poli. quoi qu'il en soit elle plaist * plus a Monsieur dé Zuillichem qui ne se peut ennuyer de la regarder: La “ vostre decouvre enuiron une fois autant d'espace, mais je n'ay pas trouué qu'elle grossist tant quoi qu'elle soit plus longue de plus d'un pied, ear “ celle de Campani n'a que 3. pieds 2: pouces de votre pied. car j'ay estimé que celle de Campani grossit enuiron 14. fois et la vostre guère que 12. fois; il est vray que ses oculaires sont bons et le verre objectif trèsnet et je n'ay point encore veü de verre objectif icy qui soit si net. j'ay essaijé contre quelque verres que j'estimoit assez bon mais il a un nüage plus fort que le sien que je n’ay peü encore oster de mes verres, particuliérement quand je me sers de cave, comme j'ay fait dans céte épreuue. je ne concois | » Ja D J e * non plus que vous Monsieur comment il peut trauailler ses verres au tour (*#**) et sans forme et pour moi j'ay eren qu'en se seruant mesme de “ forme La moitié droite plus fermee que le tour particuliérement pour les p D iù ^ grands verres et je n'ay jamais voulu m'en seruir outre que j'ay trouué une grande difficulté a remettre la forme en sorte qu'elle tourne parfaite- nenbcroudetgosg das laut. Alan eJITeY sl e. Sopori dass ro, es L'oculare del cannocchiale di Campani e la sua perfezione non puo essere de- scritta meglio che colle parole dello stesso Huygens. Nella lettera che egli scrisse da Parigi a suo fratello Costantino nel 18 luglio 1666 trovasi questo brano (****): (*) Cfr. Œuvres complètes, vol. V, pag. 145. ; (**) Costantino Huygens, padre, che si trovava allora a Parigi. (***) Il torno, di cui qui si parla, è quello che il Campani dice di aver inventato per lavorare le lenti nel suo: Ragguaglio di due nuove osservazioni una celeste in ordine alla Stella di Saturno; e terrestre. Valtra in ordine à gl'istrumenti medesimi, co’ quali s'è fatta Vuna e l'altra. osservazione: dato al Serenissimo Principe Mattia di Toscana da Giuseppe Campani da San Felice dell'Umbria di Spoleto. Roma, 17 Maggio 1664. (#4) Cfr. Œuvres complètes. Vol. VI, pag. 46. 13 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 265 | * La beauté de la Lunette Campanique chez l'abbé Charles consiste en ce qu'elle est sans couleurs d'iris, et qu'on ne s'appercoit point des points des verres oculaires: que l'ouuerture est passablement grand sans que pour- | tant les objets paroissent aucunement courbez et qu'en fin elle represente tres distinctement a cause de la bonté de ses verres. Il n'y a rien la direz | vous, qui ne soit aussi dans la vostre et mesme vostre ouverture est plus grande, aussi bien que la multiplication a proportion de la longueur, mais | en recompense les choses paroissent dans leur situation naturelle avec la | Campanine et l'on n'a pas affaire du petit miroir. J'y troue encore cela H fort bon et commode pour la construction que tous les 3 oculaires sont | tout a fait semblables et d'egale grandeur, et mesme | en egale distance l’un de l'autre. La grandeur n'est qu'environ que celle de ce cercle. Le foyer d'un pouce et | demy. J'en ay fait faire 3 de cette facon et d'un verre aussi clair que du cristal dont vous verrez un eschan- a tillon en celuy que j’envoye a mon Pere „. | E più oltre in un'altra lettera scritta da Cristiano Huygens (da Parigi) a suo fratello Costantino il 22 luglio 1666 (*) trovasi quanto segue: * La Lunette de Campani merite assurement que l'on travaille pour en 1 avoir une pareille, et je n'aurois pas esté si longtems sans m'y appliquer, | si j'en eusse eu la commodité, c'est a dire un lieu pour travailler, et une | forme pour le verre objectif. Je vous manday par ma precedente qu'il est de 2 pieds, mais il y a 4 pouces d'avantage a ce que j'ay veu depuis. Et toute la lunette estant tirée fait environ 3 pieds d 3 pouces. Les oculaires sont d'une ligne moins que | 2 pouces des nostres, c'est a dire, leur distance de foier, et leur grandeur egale a celle d’un double, c’est è dire, a un ronde comme cettuicy. * Je n'ay pas encore essaye les miens avec l'objectif i de Campani parce qu'auparavant il les faut faire rogner 1 jusques a cette petitesse, car ils son travaillez plus grands, et cela est necessaire a fin que la figure soit plus parfaite. * Les objects ne paroissent nullement bleuastres avec cette lunette, ny | aucunement colorez, et il ya un cercle de carton entre les 2 oculaires, | | (*) Ofr. Ibidem, pag. 68. Serre II. Tom. XLVI. I 266 NICODEMO JADANZA 14 “ qui sont les peus pres de l’oeil, qui fait que le rond de l’ouverture paroit parfaitement bien terminè, comme il l’est de mesme dans la lunette a miroir que vous avez. Le tuyau aussi est fort bien fait de 6 ou 7 pieces et chaque verre a sa vis de buis pour le tenir. l'Abbé Charles dit que cette piece a couste 100 Escus au Cardinal Antoine ,. & & Questa lettera non fu mandata (per dimenticanza di Huygens) che due giorni dopo per mezzo di una terza persona. Il 30 dello stesso mese di luglio 1666 Cri- stiano scrisse un'altra lettera al fratello Costantino in cui dice (2): “ Vous aurez veu dans cette lettre ou le verrez, si elle est encore a venir, des mesures plus justes de la lunette Campanine que cy devant, et que vostre forme de 2 pieds est a fort peu pres ce qu'il faut pour faire les objectifs requis. Car il y a 2 pieds, 4 pouces, et les pieds d'icy comme vous scavez sont plus grands que les nostres de quelque demy pouce. Si donc le trocq vous agree, envoiez moy quelque chose de bon, et je feray de mesme et vous mettray au jouste toutes les mesures et distances et “ la facon du tuyau que j'auray fait copier apres celuy de l'abbé Charles, parce qu'il ne scauroit estre meilleur „. L'ardore con cui i due fratelli Cristiano e Costantino Huygens si erano messi a lavorare per costruire un cannocchiale simile a quello del Campani si spiega non solo per la perfezione in sé del cannocchiale di Campani ma anche per poter con- tentare il loro padre che ne era il piü fervente ammiratore (**). Quasi che non fos- sero sufficienti le misure date nelle lettere che precedono, in una lettera in data 11 maggio 1668 (***) Cristiano Huygens manda da Parigi al fratello Costantino le misure piü esatte del cannocchiale di Campani: “ Voicy les mesures de la vraye Campanine, avec la quelle j'ay esté com- “ parer la miene, qui a cause de la grande ouverture que j'avois donne a “ l'objectif estoit beaucoup plus claire, mais en recompense un peu moins (*) Cfr. Œuvres complètes, vol. VI, pag. 70. (**) Cfr. Œuvres complètes. Vol. VI, pag. 218. (**) In una lettera di Huygens a R. Mouray del 21 novembre 1664 (cfr. Œuvres complètes, vol. V, pag. 150) si trova scritto cosi: * Mon Pere devient tous les jours plus amoureux de la lunette de " Campani, et fait traiter pour l'avoir mais je doute s'il en viendra a bout par ce que Monsieur “le Cardinal Antoine scait trop bien ce qu'elle vaut » E piü tardi in un'altra lettera al fratello Lodovigo (10 agosto 1666, Idem, vol. VI, pag. 74) egli dice: " Pour vos emplettes de tour de bras “ et coussinets il y a moyen de vous satisfaire; pour ce qui est de la Lunette Campanine non "item. Ne scavez vous pas combien longtemps et avec quel empressement il Signor Padre me sol- “ licite pour en avoir une, et qu'il est raisonnable qu'il soit servi le premier? P 15 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 267 " distincte que l'autre, qui en effect est un peu sombre, mais pourtant tres “excellent. J'ay du depuis estre cy mon ouverture, mais cela fait paroistre “ les points des oculaires qui en sont assez chargez. * L'ouverture chez l'ABbé Charles est cellecy “ Le diaphragme tel Du trou de l’oeil au premier oculaire ! I D Du premier au second oculaire. * Du second oculaire au troisieme D Je prens tousjours du milieu de l'epaisseur des verres. Les 3 oculaires ont chacun leur distance de foier d'l pouce 10 lignes. L'objectif est de 2 pieds 5 pouces. " Toute la longueur de la lunette 3 pieds 3 pouces, qui est moindre de “ 4 pouces que la miene. tout est mesure de Rhynlande , (*). & & III. L'oculare del cannocchiale di Campani era dunque composto di tre lenti bicon- Vesse identiche aventi ciascuna la distanza focale di 48 millimetri. Esse erano dis- Poste come si vodono nella qui unita figura. E LT C) Il piede del Reno = 07,8189; un pollice = 0%,02616; una linea = 07,00218. = 268 NICODEMO JADANZA 16 La 1° lente M è la più vicina alla lente obbiettiva del cannocchiale, la 22 lente N dista dalla 1* di una quantità eguale al doppio della loro distanza focale comune; la 3* lente P, cioè quella che è più vicina all'occhio dista dalla 2° di una quantità che à un po' meno del doppio della loro comune distanza focale. L’occhio dell'osservatore era in O ad una distanza dalla 3* lente P minore della distanza focale di essa. L'uffieio delle prime due lenti, che insieme costituiscono un sistema telesco- pico, & quello di raddrizzare la immagine data dall'obbiettivo senza alterarne le dimensioni. Le qualità principali di quest'oculare sono due: una inerente alla struttura delle lenti fatte con vetro limpidissimo e lavorate in modo perfetto, l'altra relativa alla loro disposizione la quale faceva sì che non si vedessero i colori dell'iride. Questo fatto ammesso da tutti coloro che videro cannocchiali del Campani era già stato osservato dallo stesso Campani fin dal 1662. A pag. 23 dell'opuscolo citato innanzi: Ragguaglio di due etc. si legge quanto segue: “ E questo ultimo Cannocchiale palmi 55. lungo, dà quattro vetri, ma con due artifici), che possono dirsi di mia invenzione. Il primo è, che etiandio con la mutatione di due altri oggettivi, che ci hò fabbricati uno di palmi 52. e di 50. l’altro, senza variar la distanza dell'occhio dalla lente oculare, che ha cinque once et vn minuto distante il suo fuoco, restano tutti e tre à Can- nocchiali Astronomici, togliendo solo le due lenti di mezo. Questo però non hò ma creduto che fosse nuova inuenzione, se non di poi, che l'hà sentita spac- ciar per nuoua in vn certo occhialone fabbricato vn anno dopo esser stati veduti publicamente in Roma due miei Cannocchiali fatti dell'istessa maniera. L'altro è; che nella circonferenza della lente oculare non vè quel colore, che pareua inseparabile da i Cannocchiali di quattro vetri; Anzi vi si scorge in tutto vna, merauigliosa nettezza e chiarezza, purchè locchio stia al suo debito punto: Condizione; che dal Sig. D. Candido del Buono eccellente Matema- tico del Sereniss. Principe Leopoldo fratello di V. A. fù auuertita V anno 1662. quando fù in Roma anco nel mio primo Cannocchiale di 10. palmi e di 4. lenti, che fin d Aprile del medesimo anno donai al P. Bartoli, come primizie douute à suoi amoreuoli documenti ,. 17 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 269 Adunque il Campani prima dell Huygens aveva osservato il fatto che aumen- tando il numero delle lenti dell'oculare di un cannocchiale non aumentava la colo- | razione delle immagini. Sono stati i suoi cannocchiali che ànno dato l'occasione ad il Huygens di perfezionare la scienza diottrica. E la maggior parte dei perfezionamenti \ fatti da Huygens alla Diottrica sono posteriori al 1668. Fino a quell’epoca l'opera | migliore di Diottrica era ritenuta quella di Kepler. Nella stessa lettera citata qui I innanzi dell'll maggio 1668 vi è scritto quanto segue: | “ Pour autheur de dioptrique je n’en vois pas encore de meilleur que Kepler dont il y a un exemplaire dans la bibliotheque de mon Pere, outre | celuy que j'ay emportè, qui est relie avec d'autres traitez. demandez moy ce que vous n'y comprendrez pas, et ce que vous voulez scavoir d'avan- tage, et je vous esclairciray de tout. Si ma dioptrique ne s'avance pas plus, ce n'est que faute de loisir, et parce qu'il est difficile de s'appliquer | a ces matieres par intervalles, quand on est distrait par beaucoup d’autres | choses comme je le suis toujours icy ,. Lo stesso Huygens era diventato ammiratore del Campani. Dopo le scoperte di Cassini fatte appunto coi cannocchiali del Campani in una lettera a R. F. de Sluse in data 11 settembre 1665 (*) scrive quanto segue: ^ gratias de missa epistola Cassini. speraveram observationes mittere sed | “ nihil adhue vidi. scribam quid postea successerit. si nihil, gratulabor Cam- | “ pano de praestantia perspicillorum suorum, et tentabo an similia perfi- | ‘ cere queam ,. L'ammirazione, del resto, era pienamente giustificata. Non solo il Campani aveva | colle sue diligenti osservazioni (**) confermata la teoria di Huygens dell’ anello di 1 Saturno, ma la superiorità dei suoi cannocchiali era stata già riconosciuta dal Prin- M cipe di "Toscana Leopoldo dei Medici. In data 16 agosto 1666 questi scriveva a Cri- Stiano Vgenio (***): |] D i “ Circa l'ombre dei Satellitj di Gioue credo che di alcune siasi appres- e n 5 y 2 pr UN sato alla Verità, ma non di tutte circa il tempo del apparizione, eb che | ta | D (*) Cfr. Œuvres complètes. Volume V, pag. 477. . x i (**) Nel volume V delle opere di Huygens si trova tra le pagine 118 e 119 una riproduzione d fotolitografica di una tavola dei disegni di Giove e di Saturno fatti dal Campani nel luglio 1664. " f Nella nota 1° a piedi della pagina 117 sono encomiati molto quei disegni che dànno una prova Preziosa dell'eccellenza dei hiali del Ci i, dell'esattezza e del meraviglioso metodo di questo di coscienzioso osservatore. C=) Cfr. Œuvres complètes. Vol. VI, pag. 78. 270 NICODEMO JADANZA 18 “ ui sia necessaria maggiore osservazione, la quale in parte ? stata da noj fatta con qualche 'diligenza ` si come ancora è stato osseruato Saturno più volte, et in diuersi tempi, et sempre più viene confermata la ypotesi di Vestra Signoria, come hauerà potuto conoscere ancora dalle osserua- zioni del Campani; ma circa il di lui Tornio ancora quà da molti è stato « | D R | “ creduto che non sia tale ma un artifizio competentemente lecito per che “ altrj non camminj per la strada uera del ben fabbricare le lentj. Vero peró i “ che i suoi Telescopi riescono, di qualsi uoglia grandezza che sieno, migliori | d'ogni altro che quà sia uenuto, non ostante che ne sieno stati mandati dei fatti a comparazione » La proposizione LIV della Diottrica di Huygens enunciata cosi (*): Prorosınıo LIV. Telescopii ex quatuor convexis compositi constructionem explicare, quo res visae erectae spectantur et magna copia. H è tutta dedicata alla spiegazione del modo di funzionare del cannocchiale terrestre con oculare a tre lenti. Colle due figure, che qui riportiamo e che trovansi a pa- gina 193 dell'opera citata, egli mette in evidenza l' andamento dei raggi luminosi | che entrano parallelamente all’asse nel cannocchiale, e l'ingrandimento di esso che | uguale al rapporto della distanza focale della lente obbiettiva a quella di una delle lenti oculari. A pagina 195 trovasi scritto quanto segue: | N | f | V m M 0 X 0 | E D | È D 7 | S ERI à Um 0 N B L P “ Haec egregia lentium compositio Romae nescio a quo primum fuit “ inventa, multum tamen adjuta annulo seu diaphragmate quod ad H, loco “ medio inter lentes E D, vel ad B focum communem lentium A et C inse- (*) Crersmani Hucenn Zelemii, dum, viveret, Toparchae, Oruscora rosruma quae continent Diorrricam, etc. Lugduni Batavorum, apud CorneLIoM Bouresreyn, 1708, pag. 192. ar 19 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 271 R ritur, cujus usum non ante cognitum (*) explicuimus in libro de causis phaenomenon Saturni. Est vero longe praecipuus cum in metiendis Plane- tarum diametris ut ibi docui, tum ad alia de quibus agam in sequentibus. “ In hisce vero telescopiis circulum apparentium imaginum praeciso ambitu iste annulus ideo circumscribit, quod quae circa H vel B collo- cantur distinctae cernuntur oculo F, cum radii ab H vel B egressi paralleli ad eum deferantur, simul vero colores circa margines ejus opera rese- cantur, qui non bene antea vitari poterant. “ Mirum videtur in hoc telescopio colores iridis oriri plurium ocularium refractione, non magis quam cum una ocularis adhibetur. Sed ratio haec est quod lens QR corrigit et aufert colores quas lens KL produxit. Idem enim accidit radio OK RN per s superficies inclinatas ad K deinde ad R, transeunti, ac E “ si per cuneos binos contrarie positos SS, TT transiret “ parallelis lateribus, qui colore non inficitur non magis à “ quam si per laminam vitream incederet , (**). E In questa proposizione l'Huygens non fa che spiegare quanto egli stesso aveva osservato nell'oculare del cannocchiale di Campani molti anni prima e da questi già Pubblicato nel suo Ragguaglio. Come mai l'Huygens non dice che quella egregia dis- posizione di lenti era dovuta al Campani? Eppure egli l'aveva vista coi propri occhi in un cannocchiale del Campani; aveva letto il Ragguaglio in cui è detto chiara- mente in che consisteva la perfezione dell’ oculare! Si può dubitare (fino a prova contraria) se il Campani sia stato il primo ad adoperare un sistema composto di due lenti (***) per raddrizzare la immagine data dall’ obbiettivo; è però fuori di dubbio che il sistema composto adoperato dal Campani era il migliore. Sicchè quella egregia disposizione di lenti è giusto che sia ricordata dai posteri col nome di ocu- lare del Campani. È bene però osservare che il Campani aveva perfettamente compresa la ragione per cui l'Huygens nei cannocchiali lunghi aveva adoperato l’oculare composto di due lenti a contatto anzichè una sola lente biconvessa. Cid è detto chiaramente a Pagina 37 del Ragguaglio citato innanzi nei termini seguenti : “ In proposito di questi Cannocchiali di straordinaria lunghezza, mi par “ di douer lodare il pensiero del Signor Christiano Hugenij, il quale nelle (*) Vedi nota 1* in fine. (**) Non sappiamo comprendere per qual ragione il sig. Caverni attribuisca all'Huygens questa i lenti che egli stesso dice essere stata inventata a Roma. Vedi nota Ze in fine. Composizione d e) SIR 272 NICODEMO JADANZA 20 sue osseruazioni di Saturno stampate l’anno 1659 si serul (come iui rife- risce à carte 4) in luogo della semplice lente oculare tutta conuessa, d'una lente composta di due vetri pianoconuessi, à fin di sfuggire in questa ma- * niera alcuni difetti, che nel vetro di straordinaria grossezza sono quasi ^ ineuitabili et ,. Non creda il lettore che da noi si voglia in un certo qual modo far rimprovero all'Huygens per aver taciuto il nome del Campani nella proposizione LIV della sua Diottriea. Lo splendore della sua fama é cosi intenso da non poter essere in nessun modo offuscato dalle nostre considerazioni. La Diottrica dell’ Huygens fu stampata 8 anni dopo la sua morte che avvenne nel giugno del 1695. Essa non era stata ulti- mata dall'autore. Coloro che nel 1703 attesero alla pubblicazione di quell'opera cosi si esprimono nella Prefazione: ^ Cui operi cum nos accingeremus, plus in eo laboris offendimus, quam “ in principio nobis persuaseramus. Etsi enim pleraque haec, quae hic exi- ^ bemus jam a multis annis conscripta sint, vix quidquam tamen invenimus ^ plane ad umbilicum deductum, sed multa, nec satis integra, nec conve- ^ nienti ordine disposita, utpote, quibus Auctor aliis, et aliis, ut fit, super- “ venientibus meditationibus distractus, ultimam manum imponere distu- * lerat ,. IV. L'oculare di Huygens. A pagina 182 della Diottrica di Huygens trovasi: Prorosrrıo LI. Quomodo pro duabus convexis tria adhibendo amplior fiat telescopü pro- spectus, quo ad sidera spectanda. utimur. “ Quamquam lentes non frustra sint multiplicandae, quod et vitri cras- “ situdine et iteratis reflexionibus non parum lucis depereat; hanc tamen uti- * litatem praebere potest, ut latior evadat eoque jucundior Telescopii pro- * gpectus. Adsumtis enim praeter magnam lentem ocularibus duabus certam * inter se rationem distantiamque habentibus, multo minor fit aberratio mr | 21 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 273 | “ radiorum a diversis punctis rei visae ad oculum tendentium quam si unica lens ocularis adhibeatur, quae eandem amplificationem efficiat, atque \ ita multo plura unico intuitu comprehendere licet, ac praeterea naevi ac y impuritas omnis lentium ocularium plane evanescit; cum alioqui in una d lente non parum adferat incommodi. H * Sit ratio augmenti proposita ea quae P ad Q. Lens exterior L, focus ejus G. Et ut P ad Q ita sit LG ad GK, cadente puncto K inter L et G. LEO | i 2 | Et in K lens convexa statuatur cujus foci distantia KV sit tripla ad KG, Í et divisa KV aequaliter in S, statuatur ibi lens altera EF cujus foci di- | ‘ stantia sit + SK. Oculus vero sit in M, posita SM distantia = + KG. Erit | d factum quod quaeritur „. W R L’oculare di Huygens è adunque un sistema composto di due lenti convergenti | (biconvesse) tale che, indicando con œ la distanza focale della prima lente cioè di quella che riceve prima la luce, con q; la distanza focale della seconda lente e con ^ la distanza delle due lenti si abbia: | p = 49, A = 20% Con tali dati si ottiene che la distanza focale del sistema composto è Ce ed il i Primo fuoco di esso sistema è interno (fra le due lenti) e trovasi nel punto G che dista dalla lente K di D x iN \ \ L’oculare d'Huygens è adunque un sistema a fuoco interno, o, come SO : Marlo, un sistema negativo, ed ha la proprietà di aumentare il campo del cannocchiale. Quest’oculare è posteriore a quello di Campani: certamente non è stato indi- cato da Huygens prima del 1670. Nella Diottrica, che, come si è detto, fu stam- Serw II. Tox, XLVI. 2 Geh gliono chia- Se gel Ad E Ra 274 NICODEMO JADANZA 22 pata dopo la morte dell’autore, non si fa cenno dell’epoca in cui fu inventata. Pro- babilmente l'Huygens non l'ha sperimentata nemmeno lui, giacchè non si potrebbe concepire tale silenzio quando si osservi nella Proposizione LIV la cura che egli ha messo nel far sapere che l'uso dei diaframmi era stato indicato da lui (*) molti anni prima! Nel volume V delle Œuvres complètes di Huygens, e propriamente in fondo alla pag. 199, si trova la nota 8 dove è detto: * Le micromètre de Chr. Huygens, pour la mesure des diamètres des * planètes, se composait d'une lame mince et de petite longueur en forme de trapèze, que l'on pouvait enfoncer plus ou moins dans la lunette, entre les deux verres de l'oculaire, là où se formait l'image réelle de la planète. « On déterminait à quel point de la lame le disque de la planète était en- “ tièrement couvert par la lame. Consultez le Systema Saturnium, page 82 „. Questa nota vorrebbe far credere che l'oculare di Huygens a fuoco interno esi- stesse già fin da quando fu pubblicato il Systema Saturnium, cioè nel luglio del 1659. Ora ciò non è esatto. Ecco il brano di Huygens relativo alla misura del diametro dei pianeti che trovasi nel suddetto Systema Saturnium (**): * Locus quidam est intra tubos qui Solis convexis vitris instructi sunt, circiter altero tanto amplius quàm convexum oculare ab oculo distans; quo in loco si quid intra tubi cavitatem visui objiciatur, quantumvis sub- tile aut exiguum, id distincte prorsus ambituque exquisite terminato con- * spicitur, atque ita pro ratione latitudinis suae partem aliquam rei lucidae, velut Lunae per telescopium spectatae visui subducit. Exacta loci deter- minatio, his quibus nullo vitio visus laborat, in focum convexi ocularis cadit; myopi aliquanto propinquius punctum accipiendum est, contraque, qui tantum à longinquo clare vident, paulo remotius; quod experientia protinus docere potest. Hic igitur si primó annulus statuatur cum fora- mine paulo angustiore quam sit vitrum ipsum oculo proximum, eo tota “ tubi apertura, sive spatium circulare quod uno obtutu in coelo detegitur, * praecisà circumferentià deseriptum habetur , . i... . . . . . In esso, come vedesi, si parla di oculari semplici e non di quello descritto nella Diottrica. DI Vedi nota 1* in fine. (**) Cfr. Crmisrrant Hugenı, Opera varia, Volumen secundum. Lugduni Batavorum, MDCOXXIV, pag. 595. | | | 23 PEL LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 275 VE Acromatismo degli oculari precedenti. Un sistema composto di due lenti situate a distanza l'una dall'altra dicesi acro- matico quando il secondo fuoco (quello corrispondente a raggi incidenti paralleli all'asse) è il medesimo per tutti i raggi elementari dello spettro. Se consideriamo le lenti infinitamente sottili, ed indichiamo con q, e 9; le di- stanze focali di esse e con A la loro distanza, è noto che le coordinate dei punti principali E, E* e la distanza focale p del sistema composto sono date dalle equazioni : A PA E=E pel E*— EX, 9» ` SES Dt — ^ Qi 4-9; — A Sec _Pı Pa Pi + Pr — À nelle quali E, à il centro ottico della prima lente, E*, quello della 2^ lente. Poniamo per brevità y — E*, — E* — mue. N y la distanza del se- Condo punto principale del sistema composto dalla seconda lente. Il sistema sarà acromatico quando le variazioni di y e @ saranno nulle, qua- lunque sieno le variazioni di Q; e @, in conseguenza della diversa rifrangibilità dei colori dello spettro. Ora si ha: Spes (ei + Pa — À) À 5 ps — 93 A (5i + 5) d Ip + pa — A) dp = (qi + Pa — A) (P1 ò P2 + 9559) — v, Pa(d p, + d pa) 3 (Pi + 9» — A)? d quindi le due equazioni òy — 0, òp = 0 si riducono alle seguenti: (1) j Ip — A)dp: — pdp: = 0 2) eig, — Alpe, + 9m — Alpe = 0. Perchè queste sieno soddisfatte contemporaneamente dovrà essere (nel caso delle lenti formate della stessa sostanza): @) sE Lë n Yale a dire che il sistema delle due lenti dev'essere telescopico. Questa condizione * soddisfatta nell’oculare del Campani e non in quella di Huygens. 276 NICODEMO JADANZA 24 Supposto un cannocchiale con obbiettivo acromatico di distanza focale Q», si può associare ad esso un oculare composto di due lenti della stessa sostanza tale che l'ingrandimento angolare del cannocchiale non varii per i differenti colori dello spettro. Se I è l'ingrandimento angolare e o è la distanza focale del sistema oculare composto di due lenti poste alla distanza A ed aventi le distanze focali Q1, P, Sarà e quindi Pod P le — ës Perchè dI sia nulla, dovrà essere nulla dp, ossia (4) mé — Pi) dp, + p(A — 9;)0 9, = 0 che è identica alla (2). Ora dp, e dp, si possono esprimere in funzione dell'indice di rifrazione n della sostanza di cui sono formate. Si ottiene Sostituendo questi valori nella (4) si ottiene Dn n—1 m ò (^ — 9)9,9; " + (A — Pe) Pi Pe (5) A Sem L’oculare di Huygens (quello descritto nella sua Diottrica) non soddisfa nem- meno a questa seconda condizione. L'oculare negativo che si adopera attualmente nei cannocchiali terrestri e nei microscopii composti e che ha per scopo principale di aumentare il campo dello strumento ottico cui è applicato soddisfa alla condizione (5) poichè si ha: 9 = 39; Asta Er Esso è posteriore a quello di Huygens (*); perd meritamente si suole chiamarlo col nome di oculare di Huygens appunto per la sua qualità caratteristica di essere a fuoco interno e di aumentare il campo. (*) Cfr. Una memoria di Grorer BinpeLL Arry, B. A., avente il titolo: On the Principles and Construction of the Achromatic Eye-Pieces of Telescopes, ete. (* Transactions of the Cambridge Philo- sophical Society ,, vol. II, parte II, pag. 243; ed anche S. Parkinson, A Treatise on Optics, London, 1870, pag. 130; G. Santini, Teorica degli stromenti ottici, Padova, 1828, vol. 2°, pag. 47; B. BAILLAUD, Cours d' Astronomie, pag. 138. | | | | 25 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 277 VI. Da quanto è stato esposto nei numeri precedenti si conclude essere storica- mente provato: 1°) Che i cannocchiali di Hvvazws, coi quali egli fece la scoperta dell’anello di Saturno e di un satellite di esso pianeta non avevano nulla di nuovo (teorica- mente) rispetto ad altri che si costruivano in quel tempo. 2°) Che l'oculare composto di due lenti vicine non ha che fare con l'oculare che attualmente è conosciuto col nome di oculare di Huygens, il quale ultimo è cer- tamente posteriore al 1670. 3°) Che l’Huycexs non fu né il primo né il solo ad adoperare come oculari lenti accoppiate piano-convesse. 4° Che fu Gruseppe CamPANI colui che osservò per il primo il fatto dell'a- cromatismo nell'oculare a tre lenti del cannocchiale terrestre, e dai cannocchiali del Campani l’Huyerns ed altri appresero quel fatto. 5°) Che l’oculare negativo o a fuoco interno, che attualmente si adopera per aumentare il campo nei cannocchiali terrestri e nei microscopi dev’ essere chiamato col nome di oculare di Huygens. 6°) Che dev'essere chiamato col nome di oculare di Campani quel sistema di due. lenti che serve a raddrizzare l’immagine. data dall’obbiettivo in un cannocchiale terrestre, quando esso è un sistema telescopico. Quando, come per lo più è in pratica, in un cannocchiale terrestre vi è il si- Stema oculare formato da quattro lenti delle quali le prime due costituiscono un Sistema telescopico e le altre un oculare di Huygens, quel sistema dev'essere chiamato oculare di Campani e di Huygens. R 278 NICODEMO JADANZA 26 NOTE 1°) Non è stato l'Huygens il primo ad adoperare i diaframmi nell'interno del cannocchiale. Nel libro del cappuccino P. Anton Marra pe Bora (*) pubblicato in Anversa nel 1645 a pag. 352 della prima parte trovasi scritto quanto segue: * Tertio obserua in singulorum tubi canalium orificijs debere collocari assarium, seu lamellam in medio aequa proportione per circuitum ex- cisam, perforatamque; adeo ut suo canali conoque radioso et aperturae vitri obiectiui ita sint proportionatae assariorü aperturae, vt quó magis oculo accedüt eó magis latae et apertae fiant, ita tamen, vt lucem per vitrum obiectiuum ad latera canalis interioris admissum, oculo omnino * etia contegant, tubumque vndique obscurum instar camerae obscuratae reddant. Nam quemadmodum species per convexum obiectiuum in camera maximé obscura multó clariüs, distinctius et excellentius dispiciuntur, quàm in cubiculo luminoso, vel semiobscurato, ita per canalem et tubum rite assarijs obscuratum, obiecti species multo excellentius et exactius ‘ immittuntur cernunturque, quam telescopio aut nullo, aut paucis assarijs intuskmunitos). ovidierddo Hai mab. cho stessedbour e otie ado Hal sub L'Huygens conosceva l'esistenza di un tale libro fin dal 1653. Cio risulta da una lettera serittagli il 10 febbraio 1653 dal sig. G. van Gurscmoven (**) in cui è detto: * Autores qui de vitris poliendis agunt, tantum quatuor novi, Sirturum, Reitam, Cartesium et Hevelium, si bene memini. Sirturus liber in Dr et in Jtalia editus describens modum conficiendi tubum opticum Gallilaei, et quid in vitris terendis observandum sit. Reita in opere suo Astronomico Enoch et Eliae, libro 4'° sat fuse constructionem telescopij tradit, usque opere continentur valde stulta sunt et tali autore digna, utpote, qui ne vel simplicissimam in Geometria demonstrationem intelligebat: is alias * ex me Antwerpiae aliqua audiverat et viderat, quae non intellecta ab- surdè in chartam coniecit ,. (*) Ocurus Exocm zr up sive RADIUS SIDEREO MYSTICUS PLANETARUM VEROS MOTUS SOLO EXCENTRICO TRADENS NOVA ET IUCUNDA CONTINENS CONDITOREM SIDERUM EIUSQUE PER FACTA VISIBILIA MAGNALIA PRAE- picans Antverriar Apud Hieronymum Verdussium Anno Domini M . DC. XLIII. Aurore R. P. Antonio Maria Dr Rerra Concroxar. ET EX LECTORE CAPUCINO. (**) Cfr. Œuvres complètes, vol. I, pag. 221. ad praeceptum 4", quae satis bona sunt: verum quae sequuntur, et toto ` 27 PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 279 24) In alcune opere di scrittori moderni trovasi scritto che l’oculare a quattro lenti del cannocchiale terrestre sia stato inventato dal suddetto Reita. Nel vol. I delle Œuvres complètes di Huygens nella nota 10 a pagina 85 è detto: Dans cet Ouvrage l’auteur (Rheita) publie l'invention de son télescope terrestre. Ora nel succitato libro (*) che noi abbiamo sotto gli occhi non vi è traccia di cannocchiali terrestri diversi da quelli già indicati dal Keplero. Il Rheita a pag. 351 nel Praeceptum VI dà le regole per costruire il cannocchiale astronomico con due lenti convesse (**) e nel Praeceptum VII che trovasi a pagina 354 parla De confec- lione tubi binoculi. & i gg quibus factis necesse est te habere 2 conuexa obiectiua ex * eadem patina elaborata omnino eiusdem aequalitatis longitudinis ac cras- sitiei et alia dua ocularia prorsus aequalia, atque ex ijsdem etiam scu- tellis parata: quae ita in canalem disponantur, vt ocularium vitrorum centra pupillas vtriusque oculi tui diametraliter semper respiciant . . ... * Ttaque oportet in hunc binoculum tubum ita conuexa quatuor (sive etiam duo concaua et duo conuexa, modo ordinario et pro terrestribus obiectis conspiciendis) disponere vt uterque conus visorius per illa vitro, ab obiecto, vtrimque in oculos immittendus, extra tubum in vnum am- plum conum et foramen luminosum colligatur, et sic cuncta obiecti puncta ab oculis non duplicata sed vnita conspiciantur, haud aliter ac in per- Spicilijs ordinarijs fieri consueuit ,. Nella pagina 356, che è l'ultima della prima parte, parla del cannocchiale ter- Testre e dice: .* Obiecta autem duobus conuexis euersa, tribus pulcherrime et am- “ plissimo obtutu eriguntur, scilicet duobus ocularibus et vno obiectiuo, rita “ tamen proportione, et distantia inter se et à se inuicem dispositis: tali “ tubo pro terrestribus nos vtimur, qui et vno obtutu centies quasi plus $ Spatij repraesentat, quàm concauo-conuexus etc. ,. In tutto quanto & detto sopra si vede che la invenzione del Rheita si riduce Soltanto a quella del binoculo. Nemmeno il cannocchiale di Keplero a due lenti con- Vesse è stato costruito la prima volta dal Rheita; l aveva già costruito, prima di ogni altro e fin dal 1614 il napoletano Francesco Fontana, come si vede nell'opera: Novae coelestium, terrestriumque rerum observationes, Et fortasse hactenus non wulgatae. A. Francisco FONTANA, specillis a se inventis, et ad summam perfectionem Perductis, editae. Neapoli Mense Februarii M.DC.XLVI. (*) Chi voglia consultarlo lo troverà nella Biblioteca nazionale di Napoli. CESR aura fu il primo ad adottare le parole obbiettivo ed oculare. 280 NICODEMO JADANZA — PER LA STORIA DEL CANNOCCHIALE 28 Nemmeno il Fontana, che fu uno dei buoni costruttori di cannocchiali in quel tempo, ha costruito cannocchiali terrestri con più di tre lenti. A pag. 21 dell'opera ora citata si trova: Gë Carur VIII. De modo dirigendi species inversas, tertia Authoris inuentio. * Diriguntur species inuersae virtute tertiae lentis eiusdem diametri, “ hc est media lens qua inuersae sunt species, et ponitur ete. , ....... 8) Dopo la morte di Gruseppe CAMPANI, il PAPA Beneoerro XIV comprò la sua collezione di telescopi ed istrumenti per l'Istituto di Bologna (*). Con nostro rin- crescimento dobbiamo dire che, per quante ricerche abbiamo fatte, nulla abbiamo trovato a Bologna che ricordi il Campani. Appena appena in quell'Osservatorio astro- nomico, abbandonato in un angolo della torre, abbiamo riconosciuto un cannocchiale del Campani, il cui tubo è in gran parte roso dai tarli! Le lenti erano coperte da uno strato di polvere e da una fitta tela di ragni! Nulla si trova di quanto donò Benedetto XIV! Non così a Firenze, dove si trovano parecchi cannocchiali del Campani e di altri costruttori contemporanei conservati con quella religiosa cura, che la gentile città ha messo sempre per ricordare ai posteri le grandezze del passato. (*) Cfr. Œuvres complètes, ecc. Vol. III, pag. 46, nota 10. OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA MEMORIA Di FRANCESCO PORRO Approvata nell Adunanza del 21 Giugno 1896. Ho intrapreso nel 1889 lo studio delle stelle variabili, quando le cattive condi- zioni della montatura equatoriale che porta il massimo obbiettivo del nostro Osser- vatorio, il rapido estendersi dell’illuminazione elettrica nella città e la difficile manovra delle chiusure della grande cupola mi costrinsero ad abbandonare le osservazioni di comete, alle quali avevo principalmente atteso nei primi anni della mia dimora a Torino. Essendosi nel settembre di quell’anno smontato il refrattore, pensai di col- locare nel cupolino orientale l'istrumento di Fraunhofer che già aveva servito alla Spedizione italiana per il passaggio di Venere nel 1874, e che poi era rimasto ab- bandonato, credendosi che le sue dimensioni non ne permettessero il collocamento nei cupolini. Fu infatti malagevole assai il farlo capire nello stretto cireuito che à Protetto dalla piecola cupola girevole; si dovette far penetrare il piede equatoriale nel pavimento, mediante una buca rettangolare profonda quaranta centimetri, sul fondo della quale fu collocata la base in ghisa del piede stesso. Cionononstante, l'ob- biettivo rimase sempre a pochi centimetri dalla parete della cupola, e non in tutte le posizioni dell’istrumento fu possibile far passare fra la parete stessa e l'oculare la testa dell'osservatore. In queste malagevoli condizioni, ho iniziato le osservazioni Sulle variabili il 16 ottobre, dopo che nei giorni precedenti l'istrumento era stato rettificato nella sua collocazione rispetto ai piani fondamentali della sfera. L'argomento di studio che io mi ero proposto presentava speciali difficoltà per essere affatto nuovo in Italia. Qui infatti, nonostante l'origine nazionale di siffatte "cerche, nonostante i limitati mezzi che esse richiedono (in perfetta armonia con la Povertà di mezzi degli osservatorii nostri), nonostante la limpidezza del nostro cielo tanto decantata, nonostante l'indirizzo del Secchi, del Donati e di alcuni loro valenti continuatori verso l'astronomia fisica, nessun astronomo si dedicò mai ex professo alle Stelle variabili, e solo in alcuni casi e quasi per incidenza furono fatte accurate in- Vestigazioni sullo splendore delle stelle. Serre II. Tom. XLVI. x 282 FRANCESCO PORRO 2 La mancanza di una tradizione doveva necessariamente influire sul carattere delle mie prime ricerche, le quali sembrano piuttosto rivolte a formare il mio giu- dizio sui campi dove una serie di osservazioni è più desiderata, che a fornire dati utili sui fenomeni delle stelle variabili di qualsiasi categoria. Sono saggi, esercita- zioni, che tuttavia non reputo indegne di pubblicazione, perchè in simile materia ogni dato positivo o negativo può essere utilizzato per colmare qualche lacuna nella serie delle osservazioni, o per qualche altro consimile motivo. In tale mia opinione mi conforta l'esempio di colui, che, dopo aver posto sopra basi veramente scientifiche questo studio, è ancor oggi insuperato nell’arte di eseguire le osservazioni, di discu- terne e di pubblicarne i risultati. Nelle sue “ Beobachtungen und Rechnungen über veränderliche Sterne ,, che occupano la seconda metà del settimo volume delle Os- servazioni di Bonn, l’Argelander ha infatti raccolto, insieme con le ammirabili serie di osservazioni, molte note prese incidentalmente sullo splendore assoluto o relativo di stelle variabili e non variabili, reputando utile di far conoscere ogni risultato di sue indagini sul cielo. Il progresso delle mie ricerche mi condusse a formarmi diverse opinioni perso- nali sul migliore indirizzo da dare alle ricerche successive, tenuto conto delle mie condizioni speciali. Incominciai con limitare le ricerche ad occhio nudo e con sem- plice cannocchiale da teatro; queste infatti possono essere fatte da molti osservatori, che non posseggono i mezzi che ho io per lo studio delle variabili telescopiche, e che d'altra parte non 6 difficile abbiano sopra di me il vantaggio di una vista mi- gliore e di un cielo meno artificialmente illuminato. Riconobbi ancora essere deside- rabile che l'osservatore disponga generalmente di un campo abbastanza ampio, perchè in esso le stelle di confronto siano vedute contemporaneamente alla variabile. I con- fronti dello splendore relativo di due stelle, facili e sicuri quando l’occhio può pas- sare rapidamente e senza bisogno di altra cura dall'una all'altra, diventano invece incerti e poco soddisfacenti, quando occorre occupare qualche tempo e qualche at- tenzione per muovere il cannochiale. D’altra parte un telescopio a grande campo non permette di osservare con ingrandimenti sufficienti le variabili più esigué e quelle vicine al minimo, essendo in codesti casi necessario potersi delineare uno schizzo accurato, in una scala conveniente, delle piccole stelle con le quali la varia- bile può essere scambiata. Per tali motivi, nei primi giorni del marzo 1890 ho fatto attaccare al piede equatoriale del Fraunhofer un cercatore dovuto al medesimo ce- lebre costruttore, in modo che ogni stella potesse osservarsi contemporaneamente nell'uno (117 mm. di apertura, ingrandimento 46) e nell’altro (97 mm., ingr. 14). Con l’istrumento così modificato, ho proseguito le osservazioni ancora per qualche mese, finché altri impegni me ne distolsero per oltre un anno. La seconda serie delle mie osservazioni incomincia con il dicembre 1891, ed è fatta all’equatoriale di Merz, dove l’opera intelligente e sollecita del signor Collo; meccanico dell’Osservatorio, era riuscita a rendere nuovamente possibili le osserva- zioni: non senza grave disagio però, in causa della viziosa costruzione dell’istrumento e della cupola. Era mia intenzione, riprendendo il lavoro a questo potente telescopio, di valermene per seguire le variabili nelle epoche di loro minor luce, essendo particolar- mente deficiente su questo punto la nostra conoscenza delle loro mutazioni. A ciò mi spingeva anche una pubblicazione del professore Edward C. Pickering, l'infaticabile 3 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO ED A SOPERGA 283 direttore dell'osservatorio di Harvard College a Cambridge nel Massachussetts, il quale, con l'autorità che gli viene dalla sua ben nota competenza in materia, si faceva centro di una investigazione sistematica su 17 variabili a lungo periodo, for- nendo agli osservatori carte minute delle stelle di comparazione più acconcie a cia- scuna, e invitando a trasmettere a lui i risultati per l'opportuna discussione com- parativa. Di buon animo e con grandi speranze mi accinsi alle osservazioni; ma anche qui una delusione mi aspettava. Nello stesso telescopio, che quattro anni ad- dietro mi aveva servito a misurare micrometricamente comete debolissime e pianeti inferiori alla tredicesima grandezza, non mi veniva più fatto di discernere stelle inferiori all'undecima! Ciò in grazia di quell’illuminazione elettrica, della quale avevo preveduto gli effetti in una nota presentata a questa Accademia nel 1887. Tutto l'Osservatorio è ora circondato da luce elettrica; quattro fari si elevano a 17 metri di altezza, ai quattro angoli del palazzo; convergono nella piazza cinque vie elettri- camente rischiarate; i fanali ad arco della Piazza Reale ed i riflessi lontani di Piazza Carlo Felice e di Piazza Emanuele Filiberto compiono l’opera. Si noti che, oltre al disturbo che ne viene all'osservazione, oltre al rendere inaccessibili al refrattore ben due grandezze stellari, la luce elettrica produce due altri effetti caratteristicamente esiziali nelle ricerche fotometriche, e segnatamente in quelle sulle stelle variabili. Anzitutto essa rende il fondo del cielo scialbo, uniformemente rischiarato, così da togliere alle stelle il risalto, che tanto facilita la valutazione di splendore. In secondo luogo essa esagera quelle influenze perturbatrici, sin qui poco studiate, che traggono la loro ragion d’essere dal differente colore delle luci messe a confronto; influenze che nel caso della maggior parte delle variabili a lungo periodo, fortemente colorate‘ m rosso, bastano a rendere conto delle discrepanze fra gli osservatori, tanto spesso lamentate. Le cause di codesti due disturbi dovuti alla luce elettrica si possono ri- condurre all'assorbimento atmosferico elettivo, e segnatamente alla forte prevalenza di raggi violetti ed azzurri che il vapor acqueo diffuso nell’aria assorbe, rispetto ai raggi della porzione meno rifrangibile dello spettro. Su questo argomento ritornerò fra poco, perchè mi sembra che le mie osservazioni possano fornire argomento ed occasione a talune considerazioni non prive di interesse, non solo per la critica delle osservazioni di variabili, ma eziandio per altri rami dell’astronomia, fra i quali prin- Gpalissimo quello della refrazione, sinora studiato forse più dal lato géometrico che dal lato fisico. Riconosciuta l'impossibilità materiale di rispondere all’invito opportuno del Pickering, con una serie regolare di osservazioni sulle stelle da lui proposte a studio, mi decisi ad un progetto più radicale, quello di stabilire una stazione succursale sulla collina di "Torino, in località libera da tutti gli inconvenienti che l'esperienza mi Msegnava doversi sfuggire in simili ricerche. Dopo aleune pratiche con la Casa Reale, mi fu possibile ottenere la concessione di un'area adatta nel giardino del Grande Albergo di Soperga. Ivi la cortese e liberale ospitalità dei fratelli Angelo e Pietro Delvecchio mi offerse l'opportunità di dimostrare nel modo più chiaro le condizioni Veramente eccezionali della collina torinese per la collocazione di un Osservatorio astronomico. Si può dire senza esagerazione che lassù le osservazioni si fanno in condizioni altrettanto favorevoli, quanto contrarie sono quelle di Torino. Le nebbie Invernali, che formano una sgradevole caratteristica del clima di Torino, come di 284 FRANCESCO PORRO 4 tutta la valle del Po, arrivano difficilmente a duecento metri sopra la pianura; più spesso la punta della Mole Antonelliana, alta 152 metri sul suolo, emerge da una fitta cortina di nebbie, che avvolgono l’ampia distesa fra la collina torinese e le ul- time propaggini delle Alpi. La maggiore quantità di raggi solari direttamente rice- vuti, l'inversione della temperatura nei periodi anticiclonici invernali, infine la lenta trasmissione notturna delle radiazioni del suolo attraverso lo strato denso ed umido interposto fra la pianura e la parte più elevata delle colline, sono altrettante cause che modificano notevolmente il clima dell'alta collina durante i mesi piü freddi, pro- ducendo una maggiore temperatura di otto, dieci e persin dodici gradi a Soperga (metri 680), rispetto a Torino (metri 230). Questo invidiabile privilegio cessa natu- ralmente quando il tempo si guasta e prende aspetto ciclonico; allora infatti l'equi- librio statico dell'atmosfera è violentemente perturbato da correnti orizzontali e ver- ticali, che tendono a pareggiare le condizioni climatiche in alto e in basso. Senza di cio la collina torinese nulla avrebbe da invidiare alla riviera ligure. Ho stimato non inutile insistere su questo fatto, anzitutto perché non lo credo abbastanza noto, neppure a Torino, e perché ad ogni modo non penso ne siano note le condizioni fisiche determinanti, poi perché desidero illustrare con esempi i motivi che giustificano il trasferimento della Specola di Torino sulla cima della collina, cosa da tanti anni desiderata, che ora sta per avere un principio di attuazione. Ma più che le dichiararioni generiche varranno alcune note che trascrivo letteralmente dal mio libro di osservazione. 1893. Novembre 28. — A Torino nebbia fitta; qui limpido sino a pochi gradi dall'orizzonte. 1893. Novembre 29. — Cielo splendido. A Torino nebbia fitta! 1893. Dicembre 2. — Cielo sereno, nebbia folta in basso. La posizione di To- rino è appena segnata da un bagliore che illumina la nebbia. Non si vede alcun fanale, benché quelli di Rivoli, tanto più lontani, si possano contare. 1893. Dicembre 5. — La nebbia a Torino si dirada a sera inoltrata grazie ad un fresco vento di Sud. 1893. Dicembre 6. — Nebbia folta a Torino, e su tutta la pianura. 1898. Dicembre 7. — Continua il bello; a Torino nebbia fitta. 1893. Dicembre 15. — A Torino nebbia rara. Più tardi nebbia molto più fitta. 1893. Dicembre 16. — A Torino nebbia leggiera, che più tardi si affolta; a Soperga cielo tanto limpido, da permettere di osservare stelline minutissime non ostante la Luna alta in Primo Quarto. 1893. Dicembre 31. Sereno bellissimo; a Torino nebbia fitta che sale su per i fianchi della collina sino a poche diecine di metri sotto Soperga. Non occorre proseguire le citazioni, perche i fatti notati nel Dicembre 1893 ba- stano a mettere in chiaro due punti: che quando il tempo è freddo e calmo, a To- rino si ha nebbia, a Soperga cielo limpidissimo; che quando spira vento, e d’inverno, allora soltanto, il cielo si fa sereno anche a Torino. Ma tutti gli astronomi sanno che in questo caso le immagini sono oscillanti, diffuse, effervescenti, così da impe- dire spesso ogni buona osservazione. Ne viene che le condizioni di osservazione astro- | | | 5 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 285 nomica a Soperga sono incomparabilmente migliori che a Torino, specialmente nei mesi invernali. Scelta una località così favorevole, era mio obbligo cercare di cavarne il mas- simo profitto possibile, compatibilmente con le difficoltà dipendenti dall'avere una Stazione di osservazione posta a nove chilometri di distanza ed a quattrocento metri Sopra il livello del luogo dove ho la mia dimora abituale, e dove mi trattengono altri molteplici doveri di astronomo e di insegnante. Occorreva sopratutto curare che il vantaggio del cielo non andasse perduto per insufficienza di mezzi strumen- tali; e poiché a trasportare l'equatoriale di Merz non si poteva pensare, ed i due Fraunhofer mi sembravano uno troppo piccolo, l’altro non adatto per questo genere di ricerche, ricorsi alla munificenza del Consorzio Universitario torinese per l'acquisto di uno strumento costruito razionalmente in modo da rispondere a tutte le esigenze di simili studi. Di vari costruttori stranieri interrogati, lo Steinheil fu quello che mi fece le proposte più convenienti; affidai quindi a lui la costruzione del nuovo refrattore a cortissimo foco, e ne fui soddisfatto oltre ogni aspettazione. L'obbiettivo, in vetro di Jena, porta il numero 37151 dell’officina; ha un'apertura libera di 162 millimetri, ed una distanza focale di soli 1296 millimetri. Il vetro è verdognolo, ri- cordando, però con molto minore intensità, il colore dei vecchi obbiettivi di Dollond. Ne fu fatto un esame ottico sommario nella camera oscura dell’Osservatorio, dove è montato il reticolo di Rowland; si riconobbe che la centratura delle lenti è per- fetta, e che l’assorbimento è massimo per il verde (più precisamente per la regione dello spettro compresa fra D ed E). Anche il rosso è debolmente assorbito. Sarebbe sommamente desiderabile che un esame consimile fosse fatto sopra tutti i telescopii che servono ad osservazioni di variabili; solamente infatti lo studio dell'assorbimento elettivo può dare un criterio comparativo per osservazioni fatte a diversi strumenti, come per osservazioni fatte in diverse condizioni atmosferiche. Il fatto già notato dall'Argelander e dallo Schönfeld, che le stelle colorate in rosso acquistano di splen- dore proporzionalmente più delle altre, allorchè si esaminano con maggiori aperture Obbiettive, prova che tutte le lenti si comportano più o meno secondo la legge ri- velata dalle nostre ricerche sommarie sull’obbiettivo di Steinheil, e che quindi l'au- mentare il diametro della lente produce sulle osservazioni un effetto analogo a quello prodotto dall’interposizione di un maggiore strato di aria densa ed umida. Le immagini delle stelle osservate con questo refrattore sono brillanti, ma senza traccia di deformazione, nè di colorazione; l’aberrazione sferica e la cromatica sono State corrette egregiamente, cosa tanto più commendevole in un obbiettivo la cui distanza focale raggiunge solamente il valore di otto diametri. Non rimane che una lieve traccia violetta intorno ai dischi dei pianeti più brillanti, come Giove e Venere; ma i particolari più minuti della loro superficie sono veduti con tutta la nitidezza che si può sperare in un istrumento costruito per altri intenti e capace solo di pic- coli ingrandimenti. Il costruttore ha fornito l'istrumento di due oculari negativi, aventi l’ingrandi- mento di 24 e di 48 diametri rispettivamente, e muniti di un micrometro molto Semplice a grossi fili, per misura speditiva di posizioni relative. La montatura è di tipo germanico, con due assi equatoriali, muniti di circoli del diametro di 162 mil- limetri, divisi in mezzi gradi. Il tubo à in rame, e può portare, oltre ai due oculari Ge 286 FRANCESCO PORRO 6 anzidetti, anche quello di Merz con doppio anello, il quale ha un ingrandimento poco superiore al secondo degli Steinheil. Per dare un'idea dell’eccellenza delle mie condizioni di osservazione a Soperga con lo Steinheil, mi limito a segnalare il fatto che la nebulosa di Merope è un og- getto facilissimo con tutti gli oculari. A Torino, prima che si impiantasse l'illumi- nazione elettrica nelle vie, avevo molte volte cercato di vedere questa nebulosa, ma non mi era mai stato possibile neppure di sospettarne la visibilità nel Merz! Una cupola in ferro, trasportabile, costruita dalla casa Manfredi e Denina di Mondovì, protegge il refrattore a Soperga; in poche ore il tutto può venire smon- tato e non più di una giornata si esige per ricollocarlo in posto. Con questo impianto modestissimo, economico, ma razionalmente studiato nei suoi particolari, in vista dello scopo che mi ero prefisso, io ho potuto fra il novembre 1893 e il febbraio 1895 raccogliere una serie di osservazioni di stelle variabili, che mi pare adatta per offrire un saggio di ciò che si può ottenere lassù, quando in luogo di una stazione provvisoria, presso un albergo frequentatissimo, specialmente nei mesi estivi e autunnali, in cui ogni lavoro è impossibile, si abbia una sede de- finitiva, in casa propria, con tutte le comodità di potervi dimorare e tenere il centro delle occupazioni La cupoletta di Soperga, collocata sul terrazzo o nel giardino di una casetta, dove si possa abitare e tenere i libri, è tutto ciò che basta per dare ad un astronomo volenteroso il modo di spendere utilmente lunghi anni in una delle ricerche più affascinanti della moderna astronomia. * Perchè i tre stadi delle mie osservazioni, ai due Fraunhofer, al Merz, allo Steinheil, mi hanno gradatamente convertito, dall'accettare lo studio delle stelle va- riabili come l'occupazione forzata di un astronomo privo dei mezzi di fare altro, al desiderare vivamente che le condizioni mie e dell’osservatorio mi permettano di de- dicarmi ad esse esclusivamente o almeno di preferenza. Ho esaminato con attenzione lo stato di queste ricerche fuori d’Italia, e mi sono convinto che una delle cause precipue del piccolo interesse che esse destano generalmente sta nel loro carattere apparentemente troppo semplice e rudimentale. Avviene qui ciò che, in grado mag- giore o minore si è avverato per quasi tutti i campi della fisica terrestre e cosmica, per la climatologia, per la luce zodiacale, per le stelle cadenti. Pare troppo facile l’osservare e registrare i fenomeni, perchè valga la pena cho fisici od astronomi se ne occupino di proposito, in luogo di attendere ad altre ricerche più importanti e più complicate. Basta il fatto di semplici dilettanti, senza grande preparazione, che si diano con ardore a simili studi, perché alcuni cultori della scienza giudichino in- degno di sè l’occuparsene. Ora io penso, che l’apparente semplicità sia inerente al modo ancor primitivo con cui le osservazioni si fanno e si discutono. Quali progressi infatti si sono ottenuti dal tempo di Argelander? Si à continuato a camminare sulle sue orme, e si è fatto benissimo, perchè la scienza vuole anzitutto fatti; ma la quan- tità di fatti ora raccolti non si accontenta più di una semplice coordinazione empi- rica, quale poteva bastare trent'anni fa. Quando un solo osservatore, o due al più, raccoglieva osservazioni con metodo uniforme, l’unico modo di trarne partito consi- steva nel prescindere affatto dagli errori costanti di natura locale, personale e stru- mentale, dai quali le osservazioni stesse si potevano ritenere affette. Ma adesso, mentre venti persone contemporaneamente osservano una medesima stella, e ricavano 7 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 287 dati discordanti, non è chi non veda la necessità di un'indagine più minuta sulle Singole cause di errore. E in questo lato, essenzialmente fisico, della questione, che io credo sia riposto il massimo interesse di queste ricerche nell'epoca nostra; ed è per fornire tutti gli elementi ad una discussione esauriente, che io non credo superfluo il pubblicare integralmente le mie note su ogni osservazione, anzichè dare risultati sommari, nella forma adottata dagli astronomi americani per il Giornale astronomico di Gould. Due cose mi pare debbano in primo luogo essere indicate; le condizioni stru- mentali e locali di osservazione, e il colore della variabile e delle stelle di compa- razione. Senza di questi dati infatti è impossibile giungere ad una conoscenza degli effetti dell’assorbimento atmosferico elettivo, che la mia esperienza di Torino e di Soperga mi ha convinto essere fattore importantissimo dei risultati. Tutte le mio serie, ma sopratutto le due di Torino, hanno carattere di prove; non sarà che quando io possa attendere di proposito alle osservazioni fuori di città, che io potrò dare serie piu regolari. Per questo, e per lo stato ancora incompleto della teoria, hp creduto opportuno di astenermi per ora da ogni considerazione sui risultati, che presento senza commenti, o confronti con altri, o con risultati teorici. Ho designato le stelle con le lettere e con i numeri d'ordine che loro si asse- gnano nei cataloghi di Chandler (Astronomical Journal, N. 300, 347 e 369). Anche Senza accettare in tutto i criteri svolti da questo infaticabile astronomo, bisogna ri- Conoscere nell'opera sua, forse alquanto farraginosa, la legittima continuazione di quella di Argelander e di Schönfeld. Dai cataloghi di Chandler ho pure ricavato gli elementi più recenti di ogni stella, calcolandone i massimi e talora i minimi piü pros- Simi all'epoca delle mie osservazioni. Seguendo l'esempio dello stesso autore, ho adot- tato, insieme alla data ordinaria nel Calendario Gregoriano, anche la data nel periodo giuliano, la quale facilita in modo straordinario il computo del tempo trascorso fra due date molto lontane. Generalmente ho soppresso nel numero giuliano che rappre- Senta un dato giorno le prime tre cifre (241); cos ad esempio, per indicare il 5 dicembre 1893, del quale il numero giuliano sarebbe uguale a 241 2803, ho scritto: 98 XII 5 = 2803. Aggiunsi l'ora, in tempo medio dell'Europa Centrale. Ho osservato frequentemente il colore della variabile, stimandone il grado nella scala di Chandler da 0 (assenza completa di colorazione rossa) a 10 (rosso intenso). Per alcune delle più caratteristiche variabili a lungo periodo le variazioni di colore durante le diverse fasi sono manifeste. Indico brevemente il colore con il numero corrispondente, preceduto dalla lettera che rappresenta la stella e seguito dalla let- tera » a guisa di esponente. Dalla data si può riconoscere il luogo dove l'osservazione è stata fatta, e Tistru- Mento, quando si ricordi che le osservazioni al Fraunhofer durarono sino al Febbraio 1891, quelle al Merz sino al Dicembre 1892, e quelle allo Steinheil incominciarono il 28 Novembre 1893 a Soperga. Dove poteva nascere dubbio ho aggiunto le indi- cazioni: (F) Fraunhofer, (M) Merz, (C) Cercatore annesso al Merz, (B) binocolo, (N) occhio nudo o con occhiali. A Soperga ho anche indicato spesso l’oculare, (I) di minimo ingrandimento, (II) il successivo, (A) l'anello. € 288 FRANCESCO PORRO 8 103 T Andromedae (A J 347). Scoperta dal reverendo Anderson a Edimburgo nel 1893. Il Pickering (A N 3213) le assegna un periodo di 281 giorni con massimo alla data 239 8587. L'Hartwig (A N 3213), fondandosi sopra un'osservazione propria del 28 Dicembre 1893, ridur- rebbe il periodo a soli 74,4 giorni. Tale risultato è contraddetto dalle mie osserva- zioni, pubblicate nel numero 3223 delle AN, e da quelle che successivamente rese di pubblica ragione il signor Yendell (A J 335). A questo osservatore si debbono gli elementi seguenti, che rappresentano nel modo migliore le osservazioni sin qui ese- guite, e sono pure confermati dalle mie osservazioni: 1855 Settembre 10 = 239 8837 + 265,35 E. Risultati delle osservazioni. 93 XII 5 = 2803; 9" — Non identificata; inferiore alle più minute di BD. | GSX 6. — 2804, 8 2 dios cT, DL (0 — asp SR. SOIT | 93 XII 8 — 2806; 9" — d3Tle. | 93 XII 16 = 2814; 8° — d notevolmente > T; difficili a vedersi in (A); nebbia e Luna vicina. 93 XIL27 = 2825; 10° — d4e5.6T. Cielo caliginoso: T si vede appena in (A). 93 XII 28 = 2826; 10" — d > e > T — Tutte esigue. 94 II 4 — 2864; 9" — T certamente > d. e non si vede che a tratti. Immagini deboli, cielo lattiginoso. 4 II14 — 2874; 6" — T molto > d in (II); e non si vede affatto. La Luna in Primo Quarto vicinissima e molto alta (nel Toro) disturba molto l'osservazione; tuttavia non è dubbio un rapido incremento della variabile. 94 1127 = 2887; 5" — Molto cresciuta. Nel crepuscolo chiaro si vede benissimo, mentre sono ancora invisibili d ed e. A notte: 52 T2c. 94 III 7 — 2895; 8" — a2T35. — Bassa. 94 IX 27 = 3099; 4" — Non identificata: all'estremo limite di visibilità in (II). 95 1114 = 3239; 9% — Non distinta fra alcune minute stelline. 95 II16 = 3241; 9" — Non distinta, ut supra. Q Da questi risultati appare confermata l'esistenza di un massimo (E — 53) verso I11 Marzo 1894, secondo gli elementi di Yendell. Le osservazioni tutte mostrano poi che l'incremento della variabile verso il massimo è abbastanza rapido, e che non meno rapidamente essa ritorna al disotto della duodecima grandezza. 9 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 289 Stelle di comparazione. | | a = BD + 26° 47 (9",1) OP 15” 50%,4 + 26° 18',4 b — BD + 26°48 (9,5) 16 9,8 12,1 e = BD + 26046 (9^4) 15 474 22,9 d — Anonima (117) 14 20 9 e — Anonima (12°) 15640 15 | D — BD + 26° 43 (var.) 14 48,8 10,3. | Le coordinate (1855,0) e le grandezze delle prime tre stelle sono ricavate dal- l'Argelander; quelle di d ed e risultano da mie valutazioni approssimate. 107 T Cassiopejae (A J 300). Scoperta da Krueger nel 1870. Una delle 17 eircumpolari di Pickering, dal quale sono designate le stelle di comparazione. Osservata una volta sola a Torino, cinque È giorni prima del massimo, che, stando agli elementi dati dal Chandler, non tenuto conto dell’ineguaglianza periodica (della quale egli non dà l'espressione), va posto al Il 13 Dicembre 1891 (E= 17). il Risultato della osservazione. H H 91 XII 8 = 2075; 6* — c8T1d. n Stelle di comparazione. c — BD + 55072 (72,0) OR 187 20,7 + 550 58,5 d= BD + 54° 59 (4) ` 18 14,8 54 41,8 T= BD + 54°48 (var) 15 25,1 54 59,5. 112 R Andromedae (AJ 300). Scoperta nel 1858 a Bonn e registrata come variabile in BD. Il Chandler ne li dà gli elementi seguenti: | d 1859 Marzo 27 = 240 0131 + 410,7 E + 25 sin (12° E + 90°), Il donde si ricavano i massimi consecutivi corrispondenti ai valori E = 31, E = 32: H 1894 Febbraio 27 — 241 2887, 1895 Aprile 12 — 241 3296. | 1 Le mie osservazioni confermano il primo di codesti due massimi previsti dalla teoria ed indicano l'aumentare della variabile verso il secondo. Li Serre IL Tom. XLVI. 290 FRANCESCO PORRO 10 Risultati delle osservazioni. 94 II 14 = 2874; 6" — a282R2c R5,6* 941127 = 2887; 5^ — 512R R5 94 III 7 = 2895; 88 — BIRla R6' aria pessima; immagini diffuse e oscillanti. 95 IL 16 = 3241; 9" — f293R3h R 3 951119 = 3244; 8 — f—g2R4A2k R4,5' 951123 = 3248; 8% — e3R2d4f2g Re Stelle di comparazione. a = BD + 87° 48 (7,5) Op Län 5750 + 370 23,2 b = BD + 37954 (770) 15 19,8 37 57,0 e = BD + 3742 (6^8) 12 272 37 26,5 d — BD + 38°46 (8,3) 18 8,8 38 34 e = BD + 38042 (8,5) 17 25,7 38 21,4 f —BD--37»65 (9,0) 18 80,8 37 32,0 g = BD + 37° 64 (9,1) 18 29,8 37 26,3 h — BD + 37°59 (92,2) 16 49,0 37 32,9 k — BD + 37°62 (93) 17 9,8 37 26,3 R—BD + 3758 (var) 16 24,0 37 46,3. 114 S Ceti (AJ 300) La variabilità di questa stella è stata sospettata dal Borrelly a Marsiglia nel 1872, e più tardi confermata dallo Schünfeld a Bonn, dal quale fu poi inserita come variabile nella continuazione australe della Durchmusterung (BB VIII). Gli elementi dati dal Chandler 1872 Dicembre 27 = 240 5155 + 321,0 E stabiliscono il massimo al 30 Gennaio 1894 = 241 2859, per E = 24. L'uniea mia osservazione mostra che la stella aveva già quasi raggiunto la gran- dezza ottava un mese prima di questo massimo. Risultato dell’osservazione. 93 XII 31 = 2829; 8! — 42525 S4' (Cielo non troppo limpido). Stelle di comparazione. a =BD = 1060 (82,5) „08150 2558 — 1004550 b — BD — 10959 (92,29) 15 25,3 — 10 27,5 S=BD 1065 (var) ^16 41,3 — 10 ‘8,1. n OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 291 209 a Cassiopejae (A J 300) Delle variazioni di questa cospicua stella, scoperte da Birt nel 1831, l'Arge- lander dà notizie diffuse nel settimo volume delle Osservazioni di Bonn (pag. 385), riferendo anche molte sue osservazioni. Dall’insieme di tutte le osservazioni a lui note, egli deduce gli elementi seguenti: Massimo 1840 Maggio 3,7 — Minimo 1840 Marzo 26,2 Periodo 79,03 + 0,084 giorni A ragione il Chandler ritiene questi dati come molto incerti; il color rosso della variabile e il ristretto campo di sua escursione rendono molto discutibili i risultati delle osservazioni. Con gli elementi dell'Argelander ottengo: E = 229 Massimo 89 XI 21 = 241 1328 E = 230 Minimo 89 XII 31 — 241 1368, Massimo 90 II 8 — 241 1407. Le mie osservazioni accennerebbero invece ad un massimo verso la fine del Di- cembre 1889. Risultati delle osservazioni. 89 X928 — 1299; 7 — v1a28 a colore ranciato chiaro 89 XII17 = 1354; 7 — y—038 DE 89 XII 18 = 1355; | 8 — vla2ß SIR 20 195175. T^c y DU OB 89 XII 21 = 1358; 7" — vlalp 89 XII 23 — 1360; 11° — a=y3B 90: 118 = 1376; 7° — a=%v1B JUS NU Br) 90. 118 — 1981, 7^ = 71028 Succ et mcer Iq S0 REA ELI ee I A 90 0194 1592 75 80,5 b (Osservazione molto sicura) 90 II 9— 1408; 8 — r1a28 92 X125 = 2428; 8^ — 202,58 . . . D è q Tutte queste osservazioni sono state fatte a Torino (salvo Pultima a Soperga) con un buon binocolo di Salmoiraghi. Le stelle di comparazione furono 8 e y Cas- siopejae, delle quali le grandezze nell Harvard Photometry sono rispettivamente 27,42 e 2n 30. Rewe 292 FRANCESCO PORRO 12 248 U Cassiopejae (AJ 300). Scoperta da Espin nel 1887. Dagli elementi 1886 XII 12 — 241 0253 + 276,0 E si deduce un massimo al 5 Aprile 1895 — 241 3289 (E — 11). Risultati delle osservazioni. 951116 = 3241; 9" — Dep 951119 = 3244; 8' — U ed a quasi uguali 951128 = 3248; 8* — a2U. Ur Stelle di comparazione. a = BD + 47° 197 (9m4) 0° 38m 4746 470 237,6 U=BD-+4719 (var) 38 16,1 27,8. 432 8 Cassiopejae (AJ 300). Scoperta a Bonn nel 1861; una delle 17 cireumpolari di Pickering, dal quale ho preso le stelle di comparazione. Gli elementi M — m = 300 1863 Marzo 18 — 240 1588 + 610,5 E + $0 sin (10° E + 50°) dànno: prd Massimo 91 VII 15 — 1929, Minimo 92 V 15— 2234, TS Massimo 93 III 11 — 2534. Risultati delle osservazioni. 91 XII 5 — 2072; 6" — S notevolmente inferiore a k, l, m, superiore a due vici- nissime che precedono m, 2! circa al Sud. 91 XII 6 — 2078; 6^ — k=12m383p 91 XIE 8 = 2075; 8" — 5312m388p (Lap non è sicuramente identificata). 91 XII 17 = 2084; 6^ — K3/2m4S4o 91 XII 21 = 2088; 11° — Sipin 91 129 — 2127; 11° — 8 di gran lunga inferiore a k, l, m. 13 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 293 Stelle di comparazione. k (Pickering 1900) (10%) 1 12m7 - 72» 2' i 3 (10%) 13,4 E m 4 (10%) 11,6 72 12 n $ (11m) . 13,8 71.52 0 e (11%) — 12,8 71 50 . p s (12) 13,0 71 59 8 y (var) 12,3 72 5 (BD + 71°66) 434 S Piscium (AJ 300). Scoperta da Hind nel 1851. Osservata una sola volta a Soperga, 45 giorni prima del massimo corrispondente all'epoca E — 26, secondo gli elementi 1866 Gennaio 4 — 240 2606 + 405,3 E. Il Chandler non dà gli elementi dell'ineguaglianza periodica, cui questa stella Sarebbe soggetta nelle sue variazioni. Risultato dell’osservazione. 1894 Settembre 27 = 2413099; 17^ — a428351c — S45". Stelle di comparazione. a — BD + 8° 202 (9^3) 1^ 9»3644 +8 77 b — BD + 8205 (955) 10 39,0 10,3 c — BD + 8204 (92,5) 10 31,4 16,4 S = BD + 8° 203 (var.) 10 0,0 10,0 466 U Piscium (AJ 300). Scoperta da Peters nel 1880. Gli elementi 1880 Gennaio 8 — 240 7723 + 172,7 E, Prescindendo da un’ineguaglianza periodica, della quale il Chandler non dà l'espres- Slone, conducono ai seguenti massimi: E= 30; 1894 Marzo 16= 241 2904, E— 32; 1895 Febbraio 24 = 241 3259. 294 FRANCESCO PORRO 14 Risultati delle osser ioni 94 127 = 2887; 6" — a4,5U3b 94I 7 = 2895; 8° — 53U (Vento forte, aria pessima, immagini diffuse e oscillanti). 95 1[14 — 3239; 9^ — U=f=e 95 IL16 = 3241; 10° — U>f=e>b Tutte esigue. 95 119 = 8244; 9* — DU — f—e Forse biflelg. 95 11238 = 3248; 9" — U>f=e>b>g. f è rossiccia. Stelle di comparazione. a= BD + 11° 178 (9,2) 1^17»4651 + 11°51"1 b = BD + 12167 (9^5) 14 30,5 12 22,3 e = Anonima (10) 15 44 12 10,9 f = Anonima (10m) 12 12 11 57 g = Anonima (11m) 14 40 12 20 U — Variabile (var.) TEIS 12 64. Il luogo della stella e è dato da Peters nelle Astronomische Nachrichten, 99, 114, dove è da correggere un errore di 2 gradi nella declinazione della variabile. Il luogo delle due f e g è stimato; quello di U viene dal Catalogo di Chandler. È da notare che la 5 è assai inferiore alla grandezza 9,5, che in BD le viene assegnata: le due e ed f la superano, benchè non siano segnate nella Durchmusterung. 513 R Piscium (AJ 300). Scoperta da Hind nel 1850, e notata come variabile in BD. Gli elementi 1866 Novembre 22 = 240 2928,9 + 344,15 E + 13 sin (12° E -+ 180°) conducono a un massimo per il 27 Febbraio 1895 = 241 3252 (E = 30). Risultati delle osservazioni. 95 II 14 = 3239 3239; 9* — a8R2b4c 9511 19 — 324 4; 9% — g9R454c 051% Stelle di comparazione. BD + 2° 229 (8,3) 1^25-1655 + 2° 17',5 | b = BD + 2 221 (8,8) 928 02 12,4 e = BD + 2 224 (9,0 23 43,2 8,3 R= BD + 2 222 (var). 28: 9,0 8,0. Il 15 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 295 782 R Arietis (AJ 300). Scoperta a Bonn nel 1857. Gli elementi 1866 Settembre 4 — 240 2949,0 + 186,60 E + 7 sin (5° E + 235°) dànno un massimo al 18 Aprile 1895 — 241 3302. Risultati delle osservazioni. 95 II 16 = 3241; 10^ — 23R3c 95 II 19 = 3244; 9" — R2b4c 95 II 23 = 3248; 9 — a253R3c8d R#. Stelle di comparazione. a = BD + 24° 332 (9m,4) 2^ gm 235,5 | 24° 47/,0 b = BD + 24° 334 (9"4) 9 34,9 27,2 e = BD + 24» 331 (92,5) 8 15,7 29,8 d — Anonima (109 8 20 32 R = BD + 24° 330 (var) 7 52,2 29,7. 793 T Persei (AJ300). Questa stella presenta variazioni irregolari (scoperte dal Safarik nel 1882), che arrivano appena ad una grandezza. È una delle 17 circumpolari di Pickering. Risultati delle osservazioni. H 91 XII 8 — 2075; 10° — «3T 91 XII 17 = 2084; 7^ — u supera T di oltre mezza grandezza 92 .199 — 2127; .10^.— c8T. Stelle di comparazione. e = BD + 57° 552 (8,5) 2^ 11m 25,0 + 57° 54,9 u = BD + 58» 512 (8,7) 11 15,5 582967 = BD + 58» 439 (var.) 8 599 58 16,7 din 296 FRANCESCO PORRO 16 806 O Ceti (AJ300). Di questa celebre variabile (Mira Ceti), scoperta nel 1596 da Fabricius, e rico- noseiuta come periodicamente variabile da Holwarda nel 1638, sono stati calcolati elementi dall’Argelander (BB VII, 320) e dal Chandler (A J 300), basati principal- mente sulle osservazioni piu antiche. Il risveglio degli studi intorno a Mira negli ultimi anni dà motivo a credere che anche la formula di Chandler non sia atta a rappresentare le complicate variazioni nello splendore della stella e che quindi non si debba tardare ad intraprendere una discussione definitiva di tutto il materiale disponibile insino ad oggi (Si consulti Bulletin de la Société Astronomique de France, Avril, 1896; Comptes Rendus de l’Académie des Sciences, 30 Mars; Nature, 1896, Avril 16). Non mi sembra che un'esauriente indagine possa ora farsi, finché almeno non si sia raccolta una sufficiente quantità di notizie intorno al modo di compor- tarsi della variabile fuori dall'epoca dei massimi. Quello infatti che i più competenti scrittori di tale materia asseriscono delle variabili tutte a lungo periodo, vale a mio giudizio per questa, più che per ogni altra: doversi cioò studiare la forma della curva che rappresenta le variazioni di splendore non solo in prossimità dei massimi, dove & più facile siano dissimulate le sue peculiari caratteristiche, ma ancora in ogni punto dove la stella sia accessibile ai telescopii. Per queste considerazioni mi limito a presentare qui i risultati delle mie osservazioni, senza cercare di trarre da essi o dal loro confronto con quelli di altri osservatori alcuna conclusione sulle eventuali correzioni degli elementi di Chandler. Risultati delle osservazioni. 90 I 9= 1377; 8° — Appena visibile nel binocolo - Nebbia 90 113 = 1381; 7% — Nel binocolo stimo Mira di sesta grandezza 90 121= 1389; 8 — Non arriva alla sesta grandezza (Binocolo) 90 124= 1392; 7 — f3M1% (Fraunhofer) 93 XII 31 = 2829; 8 — 92M3,4k Mar 94 II 4 — 2864; 10° — g2M6,7k Cattive immagini 94 I14— 2874; 6^ — 16M3n 94 1127 = 2887; 6" — Mira supera di oltre due grandezze le d ed e; una comparazione più rigorosa non è possibile, essendo la variabile già molto bassa. 94 III 7 — 2895; 8^ — Mira notevolmente < a, M > 5, M > c (occhio nudo) 5 1[14— 8289; 10 — 6 M, ez M 5 116 —3241; 9" p= M. peco «e 95 1119 = 3244; 9 — c1M25 5 1128 — 3248; 8' — cla2M. 17 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 297 Stelle di comparazione. a — y Ceti — — BD Lä 492 (82,5) 21 355498,5 + 20882 è = a Piscium = BD + 2° 817 (82,5) 1 54 33,8 +2 38,7 e=d Ceti | — BD — 0° 406.(82,7 2 32 3,2 — 0 17,8 d= BD — 8° 484 (62,0) 2 27 33,0 — 8 29,4 e = BD — 8° 489 (62,0) 2 28 51,5 — 8 27,7 Eet Bd ee g — BD — 2° 889 (7,8) 2 10 26,5 — 2 42,8 (p — 90345 (82,5) 2 9 30,9 — 3 848 o = BD — 4° 879 (82,5) 2 12 48,0 — 4 12,0 EE (ER DIE EE m — BD — 2° 375 (62,3) — 4 144 — 2 30,5 814 S Persei (AJ 300). Una delle 17 circumpolari di Pickering, il quale le attribuisce un periodo di 346 Slorni, mentre il Chandler arriva a 2 anni e EE Probabilmente le variazioni di questa Stella, scoperte dal Krüger nel 1872, sono irregolari, come quelle di T Persei. Risultati delle osservazioni. 91 XII. 8 — 2075; AS Lë KT ENEE EE Stelle di comparazione. b = BD + 58° 467 (8,0) 2^ 16m 185,1 + 58° 12,6 € — BD + 57° 549 (85,5) 11 25,0 57 541 w= BD + 58» 450 (755) 10 49,9 58 34,8 SBD 22.576 582 (var) ' 19 32,1 57 549. 845 R Ceti (AJ300). Scoperta da Argelander nel 1866. Gli elementi dati nel Catalogo di Chandler 1867 Marzo 2 — 240 3028,0 + 167,0 conducono a un massimo per il 21 Febbraio 1894 = 241 2881, prescindendo da una Ineguaglianza periodiea, della quale non sono ancora caleolati il coefficiente e l'ar- Somento, 1 Serre IL. Tom. XLVI. S E 298 FRANCESCO PORRO 18 Risultati delle osservazioni. 94 IT 14 — 2874; 06 — R —a 94 127 = 2887;.0^. — al,2R — b3R3c 94 .1II..7 2895; 95 — diR2e. Stelle di comparazione. a = BD — 1° 336 (82,5) 22 19m 5859 — 10403 b — BD — 1° 340 (8,7) 20 26,9 26,3 e =BD — 1° 341 (91) 20 45,9 21,1 d = BD — 1° 888 (9,2) 18 423 6,2 | e — BD — 1° 339 (8,9) 20 14,0 3,9 R — Variabile (vani ele gesellt 1072 p Persei (AJ300). Scoperta da Schmidt nel 1854. Sinora le sue variazioni (assai ristrette del resto) non presentano evidenza di regolare periodicità. Osservata con binocolo. Risultati delle osservazioni. 89 XII 17 — 1854; 755 — Bän p2,3 | 89 XII 18 = 1355; 7^5 — e3p2v 89 XII 20 = 1857; 755 — p=n 60: 750: = 1090. 72092 p Lig c TUDOU 5; 70 — e3p2v | 1 1 1 89 XII 23 2-1 89. XIT 28 — 1 CASSETTE Pa Eo] WU) a SE | 90. 124=1 UI XIDIS S IPA 1; 750 — 12p8V | 92; 755 — 52p 085; 7^,32 — Bin Le stelle di comparazione sono tutte designate con la lettera che portano nelle carte di Bayer e nella costellazione di Perseo. 1090 B Persei (A J 300). Di Algol, come delle altre variabili del tipo che ne prende nome, non mi s0n0 occupato che per incidenza. Ad ogni modo riporto qui le poche osservazioni relative; notando che le lettere greche designano le stelle con esse indicate secondo Bayer | nella costellazione di Perseo, mentre con o e b ho indicato rispettivamente B Arietis e B Trianguli. Bi j À 19 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO ED A SOPERGA 299 Risultati delle osservazioni. ; 89. X. 98 — 1299; 9"1l1*" — a19820 | 9 Ip. (CE BO | 9 21 — yila i 9.87. E, | 10 50 — v1B15 11 40 — yigib 89 XII 17 — 1354; 7 29 — Bän 89 XII 18 — 1355; 7 39 — oa28 90 121—1389; 6 39 — o28 90 III10—1437; 8 9 — 8—t1e | 8 32 — ZIRle d 91 XII 18 = 2085; 7 32 — B4p. 4 H i V 1222 R Persei (A J300). / | Scoperta da Schönfeld nel 1861. Con gli elementi | | 1861 Settembre 25 = 240 1044,0 + 210,1 E + 20° sin (7°, 5 E + 135°), M — m = 96 i | Si calcolano i massimi e minimi seguenti: | 1 | È | E Massimi Minimi | 56 93 XII 6 — 2804 98 TX47013—312/08 È 57 94 VII 2 = 3012 94 III 28 — 2916 58 95 I 26 — 3220 94X 22 — 3124. | Risultati delle osservazioni. | 93 XI 28 — 2796; 7 Rid R2* Í | 93 XI 29 = 2797; 11^ R3d R3' ii 93 XII 5 — 2803; 10" 54R3c2,3d4 R2 | 93 XII 6— 2804; 6^ 56R5c3d R1' | 93 XII 7 = 2805; 5^ R2c2d Ri” 93 XII 8— 2806; 5° 53R4e and OU: | 98 XII 16 = 2814; 5° a4R2d R2" | 93 XII 28 — 2826; 6% d4R3c (c è molto inferiore a d) R2,9" | 93 XII 30 — 2828; 6^ c2R5e (ob ear 93 XII 31 — 2829; 6" d3R5e Bits 5. CS IU | 94 II14—2874; 7^ R affatto scomparsa in (II) — (Luna alta in Primo Quarto | vicina). ! | 94 IT27— 2887; 6^ Non si vede più R, benchè il cielo sia meravigliosamente j | : | bello. 300 FRANCESCO PORRO 20 94 XII 1= 3164; 9^ R si discerne a stento; è all'estremo limite di visibilità nello Steinheil. 3239; 10^ b2R3d 3249; 10° 52R3d 95 I 14 95 NERO 95 1119 — 3252; 9^ 58R34 R 2,3” 95 1123— 3256; 9% 52R2d2c R3. Stelle di comparazione. a = BD + 84° 659 (82,3) 3^ 19» 9,7 + 340 461,8 b = BD + 35° 703 (82) 20 569 35 43,5 e = BD + 35° 706 (8,6) 21 12,1 35 43,5 (rossa - variabile ?) d = BD + 35° 698 (8,8) 19 37,8 35 113 e — BD + 35° 701 20 52 ..85 10,3 R — Variabile (var) 20 50 95 10,1. (1344) Persei (A J300, 347). Questa stella, annunziata come variabile da Kam, è stata inserita fra le stelle che attendono conferma, nell’appendice al secondo Catalogo di Chandler. Questi, che la trovò invisibile nell’Aprile e nell'Agosto 1888, la riporta nel numero 347 dell A. J. fra le * unconfirmed stars ,. Io ho esplorato attentamente la regione nelle notti se- guenti: 1893 Dicembre 7, 8, 16, 28, 31; 1894 Febbraio 14, 27, Dicembre 1; 1895 Febbraio 16, e mi sono persuaso che a tutte queste date nessuna stella accessibile allo Steinheil (A) si trovava entro un raggio di tre o quattro primi dalla posizione indicata nel Catalogo di Chandler. Per dare un'idea della penetrazione di questo ot- timo istrumento, collocato in buone condizioni atmosferiche, come a Soperga, ed in pari tempo perché si possa in seguito verificare se per avventura il Kam non ha errato nel fissare le coordinate della stella, riporto qui sotto i luoghi e le grandezze di cinque stelline tutte inferiori alla decima grandezza, rilevate da uno schizzo della regione compresa fra le stelle BD + 35°750 e 755. Noto che nel campo a Nord, assolutamente privo di stelle di BD, si osservano tre stelle di 10", tutte notevol- mente superiori alle cinque di cui si tratta. Stelle osservate. a 120 3 4imjjs + 850 287 b 108 41 ‘35 21 e. 1103 4l. 45 20 d 1155 42 15 16 e 102,5 42 10 3. 21 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 301 1574 W Tauri (AJ300). Gli elementi di questa variabile, dati dal Parkhurst, sono i seguenti: 1880 Febbraio 15 = 240 7761 + 141 E, donde si ricava: T4559 Massimo 1895 Marzo 7 — 241 3260. La scoperta è dovuta all'Espin (1880). Pare che rimanga molta incertezza sul luogo vero della stella. Io l'ho cercata in due notti (16 e 19 Febbraio 1895), senza riuscire a identificarla fra due stelline all'estremo limite di visibilità in (ID). 1577 R Tauri (AJ 300). Scoperta da Hind nel 1849. Gli elementi 1862 Maggio 1 — 240 1262 + 325 E, M — m—140 ci forniscono un massimo (E = 31) al 30 Novembre 1889, un minimo (E = 36) al D 24 Dicembre 1893, un minimo (E — 37) al 14 Novembre 1894, un massimo (E — 37) al 3 Aprile 1895. Risultati delle osservazioni. 89 XI 30 — 1837; 16^ — c — Rad 89 XII 1 — 1888; 15* alR1c; R10; R2d 89 XII15 = 1352; 10 " c9R; Ra 89 XII 18 — 1355; 10* e2Rld 89 XIT 20 — 1857; 8 Rd 89 XII 21 = 1358; 14 Rid 89 XII 23 = 1360; 12* itd 90 1I 7 — 1375: 7 d2R 90 I 8—1376; 7 d3R28 90 I13= 1381; 6^ d3R18 90 1I14— 1382; 6^ R inferiore a f, g, ^ 90 .120—1388; 7 Appena visibile in F 90 1211389; 7* Appena visibile in F 90 D 9= 1408; 9 All'estremo limite di visibilità in F. Inferiore a 11! 90 1124— 1423; 8 Invisibile in F: le stelle vicine si vedono sino alla 10* grandezza nonostante la forte illuminazione lunare. 94 1127 — 2887; 7 R appena visibile in (A). RR; e>S 94 III 2— 2890; 8° S>R e>S; e poco R; 8 notevolmente < e. Voti = 792595 107 e=f—=g=h, tutte maggiori di S. RS oral 16: Re fle1S2R 92.11.19 — 324455108 f2R2 els. % 1717 V Tauri (AJ 300). Seoperta da Auwers nel 1871. Gli elementi 1872 IX 14 — 240 5051,0 + 170,4 E (ineguaglianza periodica?) darebbero un massimo al 1° Marzo 1894 (E — 46). Risultati delle osservazioni. Oneri 28905 1» a98V 208c2d1e4f 941I 2— 2890; 8 V quasi eguale ad a — Cielo caliginoso — V 4 941I 7 = 2895; 10° a8V2b4ce V 4 Stelle di comparazione. a = BD + 17° 797 (92,0) 4° 43m 265,3 -i- 17° 27,0 b = d 793 (9,2) D 53, 6,8 c = » 796 (9,4) 43 16,9 9,8 d = 799 (9,5) 43 33,0 24,2 e= 3 801 (9,5) 43 58,5 25,5 f = Anonima (10) 43 0 8 V = BD + 17° 800 (var.) 48 89 17,4. Il luogo della variabile dato in BD e 1° pr, 0,9 al Sud di questo: ma lo Schönfeld (AN 83,363) afferma esplicitamente che la V è BD+ 17° 800. Le coor- dinate più esatte sono ricavate dalle zone di Bessel. 1768 e Aurigae (AJ 300). Le variazioni di questa stella fra le grandezze 3 e 4, 5, sospettate da Fritsch nel 1821 e confermate indipendentemente da Schmidt nel 1843 e da Heis nel 1847, Sono molto irregolari. Spesso rimane di splendore immutato per Questo sembra sia avvenuto nel periodo di tem aleuni mesi di seguito; po abbraeciato dalle mie osservazioni. PEE cm 304 FRANCESCO PORRO 24 Risultati delle osservazioni. 89 XII 28 — 1360; 8^ eln2, 5%; PRET DC Sur le GENS dE Bde2n3c 9072 tie ST ere eln3Z 90 I 9—1377; 7 e2m8r SU T 9 gel € — £3 sic! — Forse ho scambiato n con L per errore e di scrittura. 90 I21— 1889; À eln3z 907 124 5 59000 eet eln2c. Le stelle di comparazione sono quelle cui Bayer ha assegnato le lettere rispet- tive nella medesima costellazione dell'Auriga. : 1771 R Leporis (A J300). Scoperta da Schmidt nel 1855 e chiamata da Hind the crimson star. È veramente la stella più intensamente rossa che io abbia incontrato nel cielo; percid i confronti di splendore riescono oltremodo incerti. Dagli elementi dati nel Catalogo (probabile ineguaglianza periodica) 1864 Marzo 5 = 240 1936,7 + 436,1 E, sì ricava un massimo (E= 26) per il 22 Marzo 1895 = 3275. Risultati delle osservazioni. 95 II 14 = 3239; 11 R poco diversa da A 95:116 — 8241; 11: R notevolmente maggiore di 5; poco minore della media dia e b. R9, 10" 9ouT- 19.292448: CH R alquanto cresciuta; ma sempre minore dia. R9". Stelle di comparazione. a = BDi— 149 1008. (67,3) 4° 51m 695 — 149 9714 b = BD — 15» 938 (7,5) Set Bb SE R= BD — 15° 915 (var) 52591 15 18 1855 R Aurigae (A300). Scoperta a Bonn nel 1862. Schönfeld e Chandler hanno notato che l'incremento di splendore si arresta bruscamente, da due a quattro mesi innanzi al massimo, in- torno alla nona grandezza. H una delle 17 circumpolari di Pickering. Gli elementi 1862 Novembre 16 = 240 1461,8 + 460,6 E dànno un massimo al 18 Novembre 1891 (E — 23). 25 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 305 Risultati delle osservazioni. 91 XI 4 — 2071; ob R4a (Qui è intervenuto quasi certamente uno scambio di stella o un errore di scrittura) | 91 XI 5 — 2072; . 9 R notevolmente maggiore di e p 91 XII 8 — 2075; 105 R supera e di una grandezza almeno. | 91 XII 17 = 2084; 7^ — R—e (bè preceduta da una stellina di 10”, non | segnata sulle carte). 91 XII 21 = 2088; 8 R2e R è molto rossa. | = 2100272 e5R, R4f (La stella innanzi a b non si vede più). È 92. 127 — 2125; . 6! R1f. | Stelle di comparazione. | | a (Pickering 1900) (6%) 5^ 6-7 + 53° 6' (BD + 53° 892) H ) b ; 18,2 54 9 (BD + 54° 882) e 5 n 58 22 (BD + 53° 878) | | f s 9,5 53 35 (BD + 53° 884) 1 R A 9,2 58 29 (BD + 53°, 882). N cient iion } 1953 T Aurigae (AJ 300). 1] 1 E la Nova dell'Auriga, scoperta nel 1892 dal reverendo Anderson. Le mie os- azioni incominciarono a Torino il 3 Febbraio, quando ricevetti il telegramma N dell'Ufficio Centrale Internazionale di Kiel e si chiusero il 22 Aprile; di esse ho N dato cenno diffuso nei numeri 3076 e 3152 delle Astronomische Nachrichten. Riunisco qui i risultati con quelli ottenuti posteriormente a Soperga. d Risultati delle osservazioni. 99. 11..8:5:2192 118 T > x. T supera x di 0,3 circa. Bianca con leggiera i tinta gialla 92 1| 4221383; 9' TL2x E 16:—5:9155; 5 T2x: T bianca con leggiera tinta gialla. — Crepu- i scolo, poi Luna vicina in Primo Quarto. I} 92 I18=2142; 7^ T esattamente intermedia fra x e 26 Aurigae (a) — | Crepuscolo t 92 14 = 2143; ® Tlx | 92 1126 — 2156 7 T=a; T3b À 92 ]II15 = 2173; 7 cAT 3d. La differenza fra c e d 6 molto maggiore che l in BD. T è fosca, tendente al color rosso. 1 92 HI17—2175; 8 d3T2f i 92 III 18 = 2176; 9^ d4f2T2e | 92 IM 20 = 2178; 11 T=g=h=k Serre IL Tom. XLVI. o | 306 FRANCESCO PORRO 26 | 92 IV 17 — 2204; 8! T inferiore a 11": non identificata fra le stelline mi- | nutissime À 92 IV 22 = 2209; 8° T inferiore a 11": non identificata in un campo di | stelline ! 93 X 32805, 107 T non identificata; certamente non arriva alla decima N grandezza. | 98 XII 6— 2805; 9* T non identificata in uno schizzo della regione, con- 1 frontato con gli analoghi schizzi eseguiti dal Burn- | ham all'Osservatorio di Lick e dallo Stone a quello | di Radcliffe; del resto non mi riesce neppure di mettere d'accordo questi due fra loro (Monthly Notices, LII, 6). 93 XII 28 — 2826; 11* T non sicuramente identificata; certo & molto piccola 93 XII 31 = 2829; 7° T inferiore alle minime visibili in (IT) 94 XIP di — S004 8^ T non identificata fra molte stelline all'estremo limite di visibilità in (II) e in (A). | Stelle di comparazione. ` a = BD + 30° 963 (6",0) 5" 29" 1956 + 30° 23',9 b = È 898 (6,2) 17 514 4,2 e = 2 906 (8,3) 18 52,4 31,1 d S 912 (8,5) 20 27,2 28,4 e = j 913 (8,7) 20 48,6 19,8 f= x 911 (9,1) 20 15,9 37,8 "EE a 918 (9,3) 21 55,6 3,9 h = a 910 (9,4) 20 12,0 37,5 k= BD + 29 917 (9,4) 21 50,0 29 58,6 x — BD + 32° 1024 (4,8) 23 18,4 92 4,8 f T = Nova (var.) 22 39,6 30: 19,7. La posizione di T deriva da una mia determinazione fatta all'equatoriale di Merz, 4 con micrometro circolare, la notte del 3 Febbraio. Ottenni, a 8? 32" del tempo medio | di Torino: Aa (e — N) = — 1" 515,02, | Ad (e — N) =+ 0 8". 2098 à Orionis (AJ 300). Le piccole variazioni di grandezza di questa stella, scoperte da Sir John Herschel 1 nel 1840, sembrarono all'Argelander rappresentabili da un periodo di 196 giorni; ma le ricerche successive dello Schónfeld escludono la periodicità affermata dal ce- lebre osservatore di Bonn, e il Chandler non sembra di diverso avviso. 27 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E À SOPERGA 307 Risultati delle osservazioni. 99-XIL +1 — 19385 10: B2ald SOLE Eet B2a3d 89 XII 20 — 1357; 14* aleld 89 XII 21 = 1358; 15^ c2a3d RL Eer 11! alc3d, 18° blalale 89 XII 24 — 1961; 7 o 302 10291408 2.08. vB SIE 24 1423; 192 cla2d. Stelle di comparazione. Tutte le stelle di comparazione sono prese da Argelander (BB VII, 387), salvo la b. b = a Bootis ([-—— 3079) B = B Orionis (16550519) B a = à Aurigae (1 — 79) c = à Canis min. (155755) d — o Tauri (=?) € — R Geminorum (= 0). 2100 U Orionis (A300). Scoperta nel 1886 da Fore ed annunziata come Nova; fu riconosciuta di poi come una delle più interessanti variabili a lungo periodo, del tipo di Mira Ceti. Il Suo periodo è stato discusso ripetute volte, da Dunér, da Schwab, da Chandler, da Gore e da parecchi altri, con risultati discordanti. Come io ho già avvertito nella mia nota sulle prime osservazioni che ho fatto di questa stella, il carattere sogget- tivo delle osservazioni, la probabile variabilità entro ristretti limiti di una delle Stelle di comparazione più spesso adoperate, infine la lunga durata del massimo di Splendore, sono altrettanti argomenti che spiegano la divergenza fra i calcolatori. Due metodi soltanto credo possibili per arrivare ad una soddisfacente teoria delle Variazioni di questa stella: o fondare la costruzione della curva sopra le osserva- Zoni di un solo astronomo, ripetute per otto o dieci anni consecutivi ed estese a Parecchi mesi prima e dopo il massimo; oppure raccogliere tutto il materiale dispo- nibile, rifonderlo con critica severa e rigorosa (non in base a giudizi « priori), eli- nare possibilmente gli errori sistematici di ciascun ossérvatore, e ricavarne il ri- Sultato più probabile. Sarebbe un lavoro ingente, ma fornirebbe notizie più comp lete forse che per ogni altra variabile di questo tipo. Certamente, ad una teoria che l'appresenti nel miglior modo possibile tutte le osservazioni non si arriverà, finchè 5 risultati saranno comunicati in una forma sommaria e incompleta, come quella ora m uso 308 89 XI 21 = 1328; 16^ 89 XI 30 — 1337; 16^ SIR A e= 1995; 16° 89 XII 8 — 1840; 16^ 80 XII 198—555; M SIR 20:8 1957 sen 89 XIT 19585 E 89 XII 23 = 1360; 12^ D s la oo JUS UIDI TTE DU IER BV E i 90, 1/20.—7:19985; 7! 90-71 216— 1889; 75 e 90 II 9 — 1408; 9* 90 21 29 — 1421: 8 90 1,24 — 1493: 8. 00 = ene SORDI = 14978888 90 II 26 = 1458; 8! En = 146540881 e le 1455; gi 90 I 29 = 1456; 8^ GR AIR A EAN 90 IV 20 — 1478; 8 90 IV 21—1479; 8! 90 IV 24— 1482; 8! 90 IV 28 — 1486; 9^ 90 XII 13 = 1715; 10° 90 XII 14 — 1716; # 90 XII 15 — 1717; 9 90 XII 17 = 1719; 10* Jon «8: 209865: 05 9, «Til 194455 75 91. 119 — 417406; 7 91: I14—1747; 7 91. | 26: 55107595 561 91 127 — 1160; 65 91. (1.28: Mëtte 91... 1,29 = 1762;. 6^ Olin ab 21251464; 108^ 91 T5n2—:17665 ER SIME Wel FRANCESCO PORRO Risultati delle osservarioni. k1U9l h2U1j h1U1j h1U2,3j c1U37 d1U; c2U Call Sud TU. dle2U d1c0,5U clU1,5d CPG, SU. LL Uic2d d2e—U cd U3f f4U3g f5 U3h f3U2g Ulh h5U3j h4U3j h6U2j h6U2j j1U4I j4U21 j4U21 j5U 37 j6U1i j4U31 j5U21 j4U31 m3U 1725 U3f3e e3d3U3f5e c2d4U4f5e5g c= d4U 5f5e5g d203U6f dic3U56f d2c2U6f dic2U6f d2c2U6f diciU7f c1d2U6f 29 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 309 Ce 0 da U6f 9171110 — 1774) 06°. NOE 0207 | Si^ IT 11 — 17759 near 0208087 | 91 I112= 1776; 10 c=d2,5U4f | 91 1118 — 17775; Y^ dle2U4f I 91 111421778; 7 cld8U8f | 91 1115 —1779; ® dle3U8f | 91 1116— 1780; 7 c142U4f 91 I 17= 1781; 7 eld3U5f 91 XII 4— 2071; ® ` i4U5r 91 XII 21 = 2088; 9' mIU Jac] 2 2100827 h1U4j d2c Colore di U meno intenso del solito [ 92 1,3 — 2101876: U2h U mi pare piü intensamente rossa di ieri Jar 2A — 2122 a: c2U (M) ei (C) U rosso ranciato die À 92 120— 21929 ad^ pi Csa PC i 322 TOT 1958 gb. c2U d2c Crepuscolo, aria ottima | SIA 21334. 877 2c d=c ti 92 I| 6=2135; v U142c (M) d=c10U (0) 1 92 1113 —21429; 7? U—die (M) d1U1c (0) i 92 1114— 2148; 7^ os Uidic (M) diUic (0) 1 92 ]I26 — 2155; 7^ | U—dle (M) d1c2U (0) i 92 IO 15 = 2173; 7^ d2c3,5U (M) d2c3,5U (0) 92 II 16= 2174; 8& d2c4U8% 92 IM 17 = 2175; 8% d=c4U3f $ 92 II 18 = 2176; 8 U2f È Bei, UN ved H 92 IV 17— 2206; PO UM d 92 Iv22— 92911; 9 U=% j 92 X120 = 2493; 9! 22U3y N 92 XI 7 — 2440; 8" 23,8U3x d2c | 99 XII 8= 2441; 8 U2:2vle c2d l 93 XII 5 — 2803; 10 22U8y U già decisamente rossa ii 93 XII 6 — 2804; 9 Dis U4,5 4 93 XII 7— 2805; 9 »5U2,32 Us (II) f 93 XII 8— 2806; 9 v5U42 U6” k 93 XII 28. — 2826; 10^ U27 9" i 98 XII31— 2829; 7 — p4US3,4 Ur j 94 II 4=2864; 9" dle8,4U2,3g g3” Up \ 94 IT14— 92874; 7° d2c4U6,7f U6' Luna vicina disturba l 94 I 27=2887; 7% U84 d2,3c 4,562,5f as UG [ 94 II 2— 2890; 9^ q2U die iid Cielo caliginoso | 94 TII 7 — 2895; 9" q2U8s Us q4 94 XII 1— 3164; 9 — U—y Diffiili 95 1114— 3939; 10" — c2d3,4U d 95 1116 — 3241; pr d2c2U. UP | 95 1119 — 8244; 10 cid=U dr US. | 310 FRANCESCO PORRO Stelle di comparazione. c = BD + 19° 1126 (6",3) d — BD + 19° 1110 (6,0) e — BD + 19° 1106 (6,8) f — BD + 20 1156 (7,2) g = BD + 19° 1113 (7,5) h= BD + 20° 1171 (8,2) 4 — BD + 19° 1136 (8,3) j = BD + 20° 1168 (8,6) k — BD + 20° 1150 (9,1) 1 = BD + 20° 1172 (9,2) BD + 19° 1134 (9,2) n — BD + 19° 1188 (9,5) p = BD + 19° 1146 (9,0) q 7 I = BD +18 987 (7,0) - = BD + 20° 1169 (9,5) s = BD + 18 990 (7,5) — Anonima (10) v = Anonima (10) w = Anonima - (10) x = Anonima (11) y = Anonima (11) z = Anonima (11) U = Nova 1886 (var. 43 43 44. 43 56, 47 47 € 46 44 47 47 HE 99 48 : 42 46 42 usd 5^ 467 19 T9 20 19 20 19 20 20 20 19 19 T9 18 20 18 20 20 20 20 20 20 20 2250 + 19° 437,6 19,4 28,6 15,8 > P am © PP Ox bo bo ND bo N N Pi on do Cx ho mn wu 8,7. 2213 n Geminorum (A J 300). Scoperta da Schmidt nel 1865. Varia fra la grandezza 3,2 e 4,2; talora scende soltanto a 3,7. Con gli elementi di Schönfeld, corretti da Chandler, Minimo 1865 Novembre 5 — 240 2546 + 231,4 E si calcola un minimo (E —38) per il 2 Dicembre 1889 = 241 1339, con una incer- tezza di parecchi giorni dovuta a una probabile ineguaglianza periodica. Nel periodo abbracciato dalle mie osservazioni la stella si mantenne costante al massimo. Risultati delle osservazioni. 89 XII 21 = 1358; 16^ 89 XII 23 = 1360; 11° 90 I21 = 1389; 7° 90 I24—— 1392; 7 90 II 9 — 1408; 10 uin n=nle ulein ulein pleln. 31 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 311 Stelle di comparazione. Nei confronti furono adoperate le stelle indicate con u e con e da Bayer nella stessa costellazione dei Gemelli. 2279 T Monocerotis (A J300). Scoperta da Gould nel 1871. Appartiene al tipo di 8 Lyrae, e non fu quindi compresa nel mio programma di osservazioni regolari. Gli elementi che il Chandler dà nel Catalogo 1885 Aprile 1 — 240 9633,81 + 27,0037 E (M — m — 7,93) hon sono definitivi. Risultati delle osservazioni. 98:XII 5 — 2808; 11^ ^ a5TS,4b aa 93 = 09890 Eu 93 XII 31 = 2829; 8^ c2T2d GE 94 Sn 147987435 «8h cour 4e T3 94 "197 —/2887, 8*" T3845 94 11[:2 — 2890; * 9* 297. Stelle di comparazione. a = BD + 6 1172 (72,3) 6^ 795450 + 6° 6'4 b = BD + 7 1216 (7,5) 9 92 AMIE c = BD + 5° 1168 (6,5) 9 36,1 5 Së d = BD + 6° 1160 (7,0) DIS. 05 AAN e = BD + 6 1729 (6,7) 28 51,6 6 10,5 f = BD + 7 1243 (7,2) 12 25,6 7 AT. 2362 R Monocerotis (A J300). i Nell'estremità meridionale della nebula che porta il numero 399 nel Catalogo di Sir John Herschel (2261 del nuovo catalogo generale di Dreyer) è stata scoperta da Schmidt nel 1861 una stella irregolarmente variabile fra la nona e la tredice- sima grandezza. Ho cercato di vederla sei volte fra il 24 Gennaio e il 17 Dicembre 90. o s : h 1890: ma una volta sola mi parve di averla osservata, il 26 Marzo, a 8°. 312 FRANCESCO PORRO 32 2478 R Lyneis (AJ 300). Una delle 17 cireumpolari di Pickering, scoperta da Krueger nel 1870. Gli elementi 1874 Settembre 15 = 240 5782 + 380,0 E (M — m — 143) dànno due massimi entrambi lontani dall’época delle mie osservazioni; il primo, per E= 16 al 9 Maggio 1891, il secondo, per E — 17, al 23 Maggio 1892. Risultati delle osservazioni. 91 XII 5=2072; 9^ I 91 XII. 8 = 2075; 10* Beck Hl tee 20857472 k2R (forse scambiata una stella con l'altra) 91 XII 21 = 2088; 7° R3% 09 9c = 2100040 k1R. Stelle di comparazione. k (Pickering) (10) 6% 49m 405 + 55° 33,9 R (var.) 49 20 55 31,6. Non si capisce quale fra k, R ed m sia le BD + 55° 1154. Schönfeld (AN 87, 13) pare escluda sia la R, dicendo che Argelander non l’ha osservata nella zona 179. 2509 z Geminorum (AJ 300). Variabile a corto periodo ed a variazione ristretta (fra 3,7 e 4,5), scoperta da Schmidt nel 1847. Gli elementi dati dal Chandler: 1888 Gennaio 3 = 241 0640,603 + 10,15382 E, non sono ancora definitivi. Risultati delle osservazioni. 89 XII 23 = 1360; 115 e27103À 90 I 21 = 1389; 75 527 90 I24 = 1392; 75 MZ 90 II 9 — 1408; 9^6 bätiu Stelle di comparazione. Ho indicato le stelle di comparazione con le lettere di Bayer nella costellazione dei Gemelli. La scala di Argelander (BB VII, 390) è la seguente: u= 4,9, A= 8,1, 09,0, 33 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 313 2539 R Canis minoris (AJ300). Una delle numerose stelle delle quali si riconobbe la variabilità durante il lavoro di compilazione della Durchmusterung a Bonn. Gli elementi ’ 1859 Febbraio 28 = 240 0104, 5 + 336,5 E, (M. — m — 135) calcolati senza tener conto di antichi dati di Bessel e di Lalande, non contengono il termine periodico, che il Chandler crede probabile. Se ne ricava E-— 34, Minimo 901II12 — 1411; en Massimo 94 III 3 = 2891. Risultati delle osservazioni. 89 XII 23 = 1360; 14 R invisibile in (F) 90 I 24 = 1392; 12^ R inferiore alla decima grandezza 5 98 XII 31 — 2829; 9^ b2R4c R6, 7* À 94 II 2 = 2890; 9^ R3a R67" SCH Stelle di comparazione. a = BD + 10° 1429 (82,3) 7^ 0» 585,2 + 10° 16,8 | b = BD + 10° 1422 (9,0) 6 59 49,0 13,0 c = BD + 10° 1433 (9,3) 7 1 15,6 22,1 R= BD + 10° 1428 (var) 7 0 44,0 14,9. 2625 V Geminorum (A J300). Scoperta da Baxendell nel 1880. Gli elementi 1880 Febbraio 1 — 240 7747 + 277,0 E (M — m = 184) dànno un massimo (E= 13) al giorno 11 Dicembre 1889, un minimo (E = 14) al | : Maggio 1890, un massimo (E — 14) al 15 Settembre 1890, un massimo (E — 20) al 3 Aprile 1895. Risultati delle osservazioni. i 89 XII 20 — 1857; 17 a3V2c 89 XII 21 = 1358; 15 b2V 2c ; 89 XII23 = 1360; 19^ 52V2d | 90 I 8— 1876; 10 V2c 90 124 = 1892; 19 ciV 90 II 1 — 1428; 10% Invisibile in (F) 1 90 XII 17 = 1719; 11^ Vid, Vie d 35 tie 3241; 12 Vd; V»e V>e j 95 M19 — 3244; 11% V25 V2. I o Serre IT. Tom. XLVI. | ———— — a = BD + 13° 1655 b = BD + 13° 1652 c = BD + 13° 1654 d = BD + 13° 1650 e = BD + 13° 1648 V = Variabile FRANCESCO PORRO Stelle di comparazione. 84) 7150 895,8 13° 14/6 H (9,0) (9,4) (9,5) (9,5) (var.) 14 15 14 14 15 41,7 20,0 22,5 15,2 9 á 36,5 20,9 25,6 26,0 21,9. 34 Oltre a queste ho osservato frequentemente due stelle di nona in decima gran- dezza a 7° 14” 20° + 13° 28', l’altra a 7^ 15™ 305 + 13° 17'. Tenuto conto di ciò che osserva il Kreutz (AN 100, 318) sull'identificazione di V con due stelline osservate luna nell'eliometro di Bonn il 5 Febbraio 1857, l'altra da Felloecker nella compila- zione della carta accademica di Berlino (hora VII), si vede che la regione merita di essere esaminata con attenzione. 2684 S Canis minoris (A J300). Scoperta da Hind nel 1856. Gli elementi 1863 Maggio 3 = 240 1629 + 330,3 E + 20 sin (12° E + 30°) dànno un minimo (E — 30) al 12 Gennaio 1890, un minimo (E — 31) al 12 Dicembre 1890, un massimo (E — 34) al 19 Febbraio 1894. 89 XII 23 — 1360; 90 I 8 — 1876; 90 124 = 1392; 90 III 1 — 1428; 90 XII 14 1716; 90 XII 17 WARE 93 XII 31 2829; 94 II 2 2890; Risultati delle osservazioni. 195 IS 12^ 10^ 10^ 12% 9h 10^ Non supera le stelle vicine di 9° in 10* grandezza Non identificata ; certamente assai debole. Notevolmente maggiore di e Invisibile in (F) Invisibile in (F) See, d4iS a2b4,5$6,7c3d: Un fatto degno di nota è l'essersi la variabile elevata sin verso là nona gran” dezza nelle due sere del 24 Gennaio e del 17 Dicembre 1890, a pochi giorni da due minimi calcolati, e mentre le altre osservazioni accennano a maggiore oscurazione. ex 35 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 31 Stelle di comparazione. a — BD -i 8° 1791 (72,8) 7 23m 35,2 JL 8° 51',2 b = BD + 8° 1780 (8,2) 20 44,3 48,4 c = BD + 8° 1816 (8,2) 27 27,8 50,2 d — BD + 8 1801 (8,5) 24 53,4 57,8 e = BD + 8° 1799 (9,3) 24 25,7 40,9 S = BD + 8 1800 (var) 24 50,8 37,8. 2691 T Canis minoris (AJ 300). Scoperta da Schönfeld nel 1865. Gli elementi G d 1870 Marzo 16 — 240 4138 + 322,7 E dànno la mia osservazione del 24 Gennaio 1890 quasi equidistante dai due massimi consecutivi che corrispondono alle epoche 22 e 23. Invece il massimo E = 27 viene | a cadere fra le mie osservazioni di Soperga, al 22 Gennaio 1894. Gli indizi di una Í Ineguaglianza periodica non sono sufficienti, secondo il Chandler, per affermarne la 4 esistenza. Risultati delle osservazioni. f € c S A f È SE eod 199219 Identificata a stento; intorno alla 10° grandezza j 92 XTT è Bo" tia (ën + A 93 XII 31 = 2829; 10° Veduta a grande fatica insieme con le due stelline S a e b, delle quali è ancor più esigua. Oculare (II). i € sei ` B È 94 II 2 = 2890; 10° TT non si distingue fra le stelline che l'accompagnano. j ( i Pare che queste osservazioni che il periodo sia notevolmente in errore. Se ne à anche una misura della potenza dell’istrumento, il quale arriva alla tredicesima À grandezza, 3 d 1 Stelle di comparazione. E j a = Anonima (122,7) 7% 25m 555 + 12° 2,7 (Chandler) č b = Anonima (12,2) 2020 sali (Chandler) i T (var.) 25 56 3,0 ) 2735 U Canis minoris (AJ 300). Scoperta da Baxendell nel 1879. Elementi incerti; variazioni irregolari. Assumendo j 1880 Febbraio 14 — 240 7760 + 410 E, (M — m= 175) 316 FRANCESCO PORRO 36 si avrebbero i massimi e minimi seguenti (data del periodo giuliano): E M m 9 1450 1275 10 1860 1685 12 2680 18 2915. Risultati delle osservazioni. 89 XII 23 = 1360; 14* U invisibile in (F) BE Bes oer U invisibile in (F) 90 I 24— 1892; 18* U si vede appena; inferiore alla 10° grandezza 91 1012: 1776; 10* U invisibile in (F); certamente inferiore alla 10° grandezza 94 III 2 — 2890; 10% Non identifico U fra parecchie stelline. 2742 8 Geminorum (AJ 300). Osservata una sola volta, otto giorni prima del massimo fissato per E — 52 dagli elementi È 1852 Febbraio 27 — 239 7546 + 294 E. Scoperta da Hind nel 1848. Risultato dell'osservazione. 93 XII 28 = 2826; 12% 82a, S4, a3, 4^, Stella di comparazione. a = BD + 23° 1797 (8,5) TR 34m 985,7 + 23° 4713 = BD + 23° 1796 (var) 34 215 47,8. un 2780 T Geminorum (AJ 300). Scoperta da Hind nel 1848. Gli elementi 1848 Dicembre 7 = 239 6369,5 + 288,1 E dànno un massimo (E= 57) al 23 Novembre 1893. 37 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 317 Risultati delle osservazioni. 93 XII 7 — 2805; 10^ a5,6T45, T4 93 XII 78 = 2826; 19^ — 55,6T, COR aM sese Dcos Stelle di comparazione. a = BD + 24° 1769 (77,8) 7:38" 285,3 + 24° 0,8 5 = BD + 24° 1786 (8,2) 42 94 8,7 c = BD + 24° 1770 (8,7) 38 30,5 4,7 j T = BD + 24° 1778 (var.) 40 36,4 EE ) 2815 U Geminorum (A J 300). | s Ho cercato una volta sola questa curiosa variabile, il 28 Dicembre 1893, senza 1 tluseire ad identificarla fra molte stelline. Il Chandler ne dà gli elementi d 1892 Dicembre 15 = 241 2448 + 86,3 E, I dai quali risulta un massimo (E — 4) trentatrè giorni avanti la mia osservazione; Ma ciò non contraddice al mio risultato, perchè la stella rimane quasi per tutto il Periodo vicina al minimo, e solo pochi giorni prima del massimo presenta un im- Provviso aumento di splendore, seguito da un decremento egualmente rapido. 2976 V Cancri (AJ300), } Scoperta da Auwers nel 1870. Con gli elementi 1871 Maggio 20 = 240 4568 + 271,9 E (M — m = 102) | SL calcola un massimo al 16 Marzo 1895 (E = 32). | Risultati delle osservazioni. 1 95 II 16 = 3241; 12^ a4,5V2ble i ] 195-1119 — 3244; 11^ | E N Stelle di comparazione. 9 = BD + 18 1927 (nai 814m 445,0 + 18 75,9 b = BD + 18° 1923 (8,2) 18 37,8 18 3,9 ^ — BD + 18° 1926 (8,4) 14 31,8 18 -5,4 | V= BD + 17° 1825 (var) 18 27 17 44,5 (Schönfeld), j ——— 5 318 FRANCESCO PORRO 38 3493 R Leonis (AJ 300). Scoperta da Koch nel 1782. Gli elementi, dei quali il Chandler assicura la pre- ` eisione, dànno 1757 Aprile 21 = 236 2902,0 + 312,90 + 25 sin (2°, 75 E + 318°), donde si ricava un massimo all’undiei Aprile 1895. Risultato dell’osservazione. 95 II 19 = 3244; 19^ R2a4b R4”. Stelle di comparazione. a = BD + 11° 2058 (nä 9524" 850 4 11° 55,7 b = BD + 12° 2090 (6,2 38 34,3 12 29,2 R= BD E 19 2096 (var) 39 454 12 5,8. 3994 S Leonis (AJ 300). Scoperta da Chacornac nel 1856. Non l'ho cercata che una volta sola, il 19 Feb- braio 1895, senza riuscire a identificarla. Certamente era inferiore alla decima gran- dezza; ma è da notare che qualche volta raggiunge appena questa grandezza al massimo, ed il massimo era ancor lontano di 42 giorni, secondo gli elementi 1860 Dicembre 1= 240 0746,0 + 190,0 E + 25 sin (10° E + 60°). 4511 T Ursae majoris (AJ300). Scoperta a Bonn nel 1860. Con gli elementi 1860 Ottobre 21 = 240 0705,8 + 257,2 E + 20 sin (9° E + 90°) si calcola il massimo (E — 47) precisamente per il giorno della mia unica osservazione. Risultato dell’osservazione. alT4b an al) Stelle di comparazione. a = BD + 60° 1416 (87,2) 12° 33" 5255 + 60° 19,6 (Pickering e) b = BD + 60° 1413 (8,3) 32 42,6 32,9 (Pickering f) — BD + 60° 1406 (var.) 29 46,6 AM 39 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 319 4521 R Virginis (A J300). Scoperta da Harding nel 1809. Le numerose osservazioni di questa importante stella sono state successivamente discusse dall’Argelander (AN 40), dallo Schönfeld (AN 69) e dal Chandler (AJ 189). Dagli elementi di quest'ultimo 1809 Giugno 0,8 — 238 1934,8 + 145,47 E + + 20,0 sin (Ÿ EL 216°) + 4,8 sin | #'p+ 348°), \ Si ricava il massimo E — 203 al 28 Marzo 1890. Risultati delle osservazioni. 90 III 26 = 1453; 13" a2R R4 90 IV 20 = 1478; 10° ER 0 IV 2 = 14795 98 a2R252c. Stelle di comparazione. a = BD + 8 2621 (87,2) 12" 27" 4454 + 8° 18,8 e = BD + 8 2634 (8,0) 34 (56,2 8 50,8 c — BD + 8° 2626 (8,5) 33 14,1 8 30,3 R= BD + 7 2561 (var) SE 29 ni ri 4557 S Ursae majoris (AJ 300). Scoperta da Pogson nel 1853 e messa dal Pickering fra le 17 sue circumpolari. Dagli elementi 1860 Giugno 24 = 240 0586,0 + 226,1 E -+ 43 sin (5°, 76 E + 1815,5) 1 ricava un massino (E= 47), che deve aver avuto luogo 55 giorni prima della Mia osservazione. Risultato dell’osservazione. 98 XII 5 = 2808; 6* c4y58 S5. Stelle di comparazione. c I BD + 61° 1309 (7^,0) 12% 38» 7° + 61° 41^,1 (cin Pickering) y — BD + 62° 1241 (7,5) 42 46 62 10,0 (manca in Pickering) S= BD + 61° 1313 (var.) 20253 1 Ul. 593: | | | y | | i 320 FRANCESCO PORRO 40 4596 U Virginis LA 300). Scoperta da Harding nel 1831. Gli elementi 1866 Giugno 25 = 240 2778,0 + 207,0 E dànno un massimo (E — 42) al 14 Aprile 1890, prescindendo da una piccola inegua- glianza periodica, che gli indizi sinora avuti non sono sufficienti a calcolare. Risultati delle osservazioni. 90 III 26 = 1453; dos c3 U2d 90 IV 20 — 1478; 10° a2U2b. Stelle di comparazione. a = BD + 5 2679 (97,0) 12° 40% 485,4 + 5° 56',4 b = BD + 6° 2663 (9,0) 42 59,2 6 48,7 c = BD + 6° 2666 (9,0) 44 27,2 6 8,7 d — BD + 5° 2685 (9,4) 49 185,4 5 56,7 U= Variabile (var.) 43 45 6 20,6 (Chandler). 5950 W Herculis (AJ 300). Scoperta dal Dunér nel 1880. Gli elementi 1879 Luglio 12 = 240 7548 + 280,0 E + 25 sin (15° E + 330°) dànno un massimo (E— 20) posteriore di 20 giorni all'unica mia osservazione. Risultato dell’osservazione. 94 IX 27 = 3099; 21° alW1b; Vento di Sud-Est; immagini scialbe e oscillanti. Stelle di comparazione. a = BD + 37° 2774 (82,2) 16% 30% 1448 + 37° 12/,6 b EBD + 37 2772 (8,5) 30 6,0 18,7 W = Variabile (var.) 30 5 38,1 (Chandler). 4l OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 321 (6088) V Herculis (A J 300). La variabilità di questa stella, affermata da Baxendell, è stata ammessa dallo Schönfeld. Il Chandler, basandosi sopra osservazioni proprie, del Parkhurst e del Yendell, la pone in dubbio, relegando la stella fra le * non confermate , del secondo catalogo. Al momento di pubblicare il * Revised Supplement , nel numero 347 del- l Astronomical Journal, il Chandler non mostra di aver risoluto la questione, e lascia ancora la stella fra quelle che da ulteriori osservazioni riceveranno la prova di es- Sere variabili o di non esserlo. Il Kreutz invece (AN 2396) dimostra con le due os- Servazioni di BD che questa stella (BD + 35° 2892) deve certamente essere stata Più brillante il 6 Maggio 1856 che il 4 luglio; e questo fatto sembra all'Hartwig sufficiente per mantenere la stella nelle sue effemeridi (VJS d. A. G. 1892, pag. 296). Per quanto un'osservazione sola non abbia grande peso, pure io credo poter dare un forte appoggio all’ipotesi di variabilità, avendo stimato con sicurezza la stella di Undecima grandezza la sera del 27 settembre 1894, alle ore 9 e 40. 6442 Z Herculis (AJ347). La più recente fra le variabili del tipo di Algol, la cui scoperta diede luogo a (questioni non bene definite di priorità. Benchè le osservazioni di codeste stelle non Sano comprese nel mio programma, me ne oceupai la sera del 28 Ottobre 1894, ma a un'ora di attento esame (fra le 7 e 35 e le 8 e 30) non riuscii a riconoscere la minima variazione nello splendore della stella. Le nubi mi impedirono di continuare m quella sera, per la quale un minimo era previsto dalla teoria. 6512 T Herculis (AJ 300). Scoperta a Bonn nel 1857. Gli elementi 1868 Marzo 9 = 240 3401,0 + 164,85 E + 8° sin (7°E + 59°) Portano ad un massimo (E= 57°) per il 7 Dicembre 1893. Risultati delle osservazioni. 93 XI29 = 2797; 7 «3T; T4,5' 93 XII 2 — 2800; 5^ Jor T3,4* 93 XII 5 = 2808; 7° ME Bg ti i bl 93 XII 6 = 2804; 6^ éi e eso EE 93 XII 7 2805; 6! ET 33 XII 8 — 2806; 7% päe T£ 93 XIT 15 = 2813; 6^ Tia; 5,60; T1" Immagini diffuso e oscillanti 98 XII 16 = 2814; 5» de oy 93 XII 25 — 2823; o 55T; c2,3T. Serie II, Tox. XLVI. x FRANCESCO PORRO Stelle di comparazione. a == BD + 30° 3183 (77,5) 18^2" 4352 + 80° 58/7 b = BD + 30° 3142 (8,0) 4 33,8 30 49,2 e = BD + 31° 3196 (8,2) 5 304 81 12,5 T — BD + 30» 3137 (var) 3 37,1 30 59,9. Le due stelle BD + 30° 3135 e 3136, segnate rispettivamente di 9,5 e 9,4, sono molto inferiori. Aleune sere non mi riusci affatto di vederle; altre sere ne vidi una o l'altra, a stento. 6758 ß Lyrae (A300). Di questa cospicua variabile a corto periodo, cui si riferiscono le celebri investi- gazioni di Argelander, mi sono occupato per semplice esercizio nei primi mesi delle mie osservazioni a Torino. Risultati delle osservazioni. 89 XII 13 = 1350; 70. Ber 89-XII 17.— 1354; 750 TER 89:XII 18011855 ; 1705 Y2p3cz 89 XII 19 = 1356; 6^5 Bir 89 AL 20 = 1357; 750 Y1P; 518 89 XII 21 = 1358; 750 Op 89 XII 23 = 1360; 70 v28; z=B SOA SR 76 7210 KEIER: 9071.59: — 13/51. 055 TIPS 6528 9051 I5, — 1381: 655 b2Y1B 92 XI Jo 2418, 059 Y38 (Soperga) 92 XI 25 = 2498; 6^7 BET hi Stelle di comparazione. Le lettere greche sono quelle assegnate da Bayer alle rispettive stelle nella Lira; b indica 8 Cygni, stella che il Klein ha sospettato variabile (AN, 70, 108) € che anche a me non ha dato risultati tali da escludere questo dubbio, confermato d’altra parte dalla scoperta di righe brillanti nello spettro (Pickering). 43 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 323 (6897) Cygni (AJ 319 e 347). Di questa stella il Prof. Deichmüller di Bonn ha annuziato la variabilità fra i limiti 8,7 e 10,2 nel numero 3191 delle Astronomische Nachrichten. Non compresa quindi fra le variabili del Secondo Catalogo di Chandler, essa à stata inserita nella lista delle stelle non confermate, in appendice ai due supplementi che lo stesso Chandler ha pubblicato, benchè un osservatore autorevole, l'Hartwig ne abbia am- messo la variabilità. Le mie osservazioni seguenti sembrano confermare l'opinione dei due valenti astronomi tedeschi. Risultati delle osservazioni. 98 XII 15 = 2818; 7° a288; 882,9 93 XII 16 — 2814; 7* 883a; 883,4" i 93 XII 27 = 2825; 9 GSS: ESSA ! SIA 9864; 7 a4SS4b; (A) 94 XII 28 — 8191; ON SS2,3a. Stelle di comparazione. a = BD + 49» 2961 (8,8). 19^ 8" 555,7 + 49° 80',2 b = BD + 49» 2953 (9,1) 7 40,0 36,2 SS — Variab. sospettata (var.) 8 26,9 24,2. 7045 R Cygni (A J300). i Scoperta da Pogson nel 1852. Le sue variazioni molto cospicue sono rappresen- e dai seguenti elementi: 1854 Ottobre 16 — 239 8508,9 + 425,7 E, donde si ricava (M — m — 150) et Massimo il 4 Dicembre 1890, E — 34, Minimo il 4 Gennaio 1894, E=355, Minimo il 5 Marzo 1895. Risultati delle osservazioni. 90 XI 15 = 1717; 7? c2R2d: a5R 90 XII 17 = 1719; 6^ 31R2c (F); b1R3c (0) 91 I 3 — 1786; 7 R—c3d 91 I 4— 1787; 6 c15R3d 91 I11— 1744; 6 c3R2d 91 I14— 1747; 6^ c3R2d = 1760; 7? d3R4e Sra" FRANCESCO PORRO 93 XII 27 — 2825; 9 R affatto invisibile 93 XII 28 — 2826; 9^ R invisibile 94 IT 4 2864; 8^ R invisibile (A) 94 XII 28 8191; = rge R visibile a fatica in (II). 95 II 14 = 3239; 8% R invisibile in (A). e Il [esi Il Stelle di comparazione. a = BD + 49° 3059 (77,0) 19% 82" 350 + 49° 54'8 b = BD + 50° 2829 (7,7) 34 24,8 50 54,7 c = BD + 49° 3033 (7,8) 27 10,6 49 58,4 d — BD + 49° 3038 (8,3) 28 112 49 51,5 e = BD + 50° 2819 (8,4) 81 148 50 18,1 R= BD + 49° 3064 (var.) 32 55,8 49 52,6. 7085 RT Cygni (A .J 300). La variabilità di questa stella, scoperta dal Pickering sulle fotografie di Harvard College (AN 2968), è stata confermata dalle mie osservazioni del Dicembre e Gen- naio 1890, pubblicate nel numero 8036 delle AN. Il Chandler, fedele al suo sistema di parzialità che gli è aspramente rimproverato dall’ Hartwig (Vierteljahrsschrift der Astronomischen Gesellschaft, 30 J., 262), non ha potuto esimersi dall'ammettere la stella fra le variabili del suo secondo catalogo, ma aggiunse un punto d'interroga- zione alla nota “ confirmed by Porro ,. L'inutilità di quel punto è stata presto di- mostrata dalle osservazioni di Parkhurst e di Yendell, nelle quali l'illustre autore del Catalogo meritamente ripone tanta fiducia. Risultati delle osservazioni. 90 XII 17 — 1719; 7 oe Bet Rame d < 107 ESSE Vedo e ed f, non RT. Aria cattiva 91 I 4= 1787; 7 Come ieri 91 Pun Come il 3 e il 4 91 —I- =. 174908178 c > RT; RT poco superiore a d, che si vede appen? 91 127 1760; 8 RT=e 93 XII 28 2826; Ok RT supera o e b 94 II 4 = 2864; 8 RT supera a e b. Stelle di comparazione. a = BD + 48° 2941 (82,0) 19^ 39” 21°,0 + 48° 13/0 (Parkhurst: I, A. J. va, b = BD + 48° 2943 (8,0) 39 35,2 BAD Tes or c = BD + 48° 2988 (9,2) 38 32,0 i5 EE d = BD + 48° 2936 (9,5) 37 59,9 20,0 e — Anonima (10-11) 39 32 29 f — Anonima (11) 39 38 28. 45 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 325 7120 x Cygni (A J 300). Scoperta da Kirch nel 1686. Le sue variazioni sono state accuratamente stu- diate da Argelander, da Schönfeld e da Chandler, il quale ultimo, basandosi sull'ipo- tesi di Schónfeld di un periodo crescente con il tempo, e per di più affetto da una Ineguaglianza periodica, stabilì i seguenti elementi: Massimo 1763 Giugno 3 = 236 5136,5 ) + 406,02 E + 0,0075 E° + 5= Minimo 1762 Dicembre 14,0 = 236 4965,0 } + 25,0 sin (5°. E + 2729). x s Su questa formula, che il suo stesso autore non reputa ancora atta a rappre- Sentare la legge assai complicata delle variazioni di x Cygni, si fondano i seguenti massimi : E= 116 1898 Ottobre 24 — 241 2761 E -—117 1894 Dicembre 5 — 241 3168. Risultati delle osservazioni. 98 XI 28 — 2796; 8 x4c; x3" 98-XI 29 — 2797; 8 b supera la variabile di una grandezza circa; X su- pera c di oltre mezza. x4,5" 93 XII 2 — 2800; 6 GERT 13,4 93 XII 5 — 2803; 8 clx; x5, 6 93 XII 6 — 2804; 7 x=c; x3 98 XIT 7 — 2805; 7 x2c; x9" 93 XII 8 = 2806; 7 — x26; x8 93 XII 15 = 2813; 7 e5x6d; x4 93 XII 16 — 2814; 7* c4,5x6,7d; Xx5,0 93 XII 27 = 2825; 8° x2d c supera x di circa una grandezza x4" 93 XII 28 — 2826; 8^ e=x2f e=d 94 XII 28 = 8191; 8^ a2x. Stelle di comparazione. a = BD + 34° 3798 (4,2) 19^507 51°,8 + 34» 41,9 (n Cygni) b = BD + 34° 3590 (4,6) 26 23,1 34 8,7 (8 Flamsteed) c = BD + 33° 3587 (5,4) 40. 56,3 | 88 23,6 (x 2580) d = BD + 32° 3531 (6,0) 37 100 99 A4 e — BD + 33 3572 (6,7) 38 242 89 48,6 f — BD + 34 3691 (7,0) 39 123 34 4,0 X = BD + 3% 3593 (var.) 4d: 59 «2992. 99,0. 326 FRANCESCO PORRO 46 7124 n Aquilae (A J300). Notissima variabile a corto periodo (7 giorni), scoperta da Pigott nel 1784. La discussione definitiva di Chandler non è ancora stata pubblicata. Non l'ho osservata che due volte, a Soperga, il 15 e il 25 Novembre 1892, a 7", trovandola due gra- dazioni superiore a ı Aquilae. 7192 Z Cygni (A J300). Scoperta da Espin nel 1887. Gli elementi 1887 Marzo 11 = 241 0342 + 265 E (M — m — 125) dànno un massimo (E — 5) a 50 giorni prima della mia osservazione 15 Dicembre 1890, un minimo (E — 6) a 47 giorni dopo la mia osservazione del 27 Gennaio 1891 e un massimo (E — 11) per il 4 Marzo 1895. Risultati delle osservazioni. 90 XII 15 90 XII 17 TCR Pre dns b322d LASER b1Z4d Upper a223e IE Ed — Dor x Z==0 LA age kat Ha cea RB Z uguale alle stelle più minute di Argelander 9E: 21121747; 75 b4Z2d UA 170030 5 clZ 95: 11: 14: 82808. 9E 742b; oc, e, f molto minore di b. Z intensamente rossa JET GE 3241, & 5272; Z4" c,e,f molto inferiori eg ne b17; c,e, f molto inferiori 9248; - 7 532; Z5e per lo meno; Z6,7. — Vento di Sud: immaginr oscillanti; forte scintillazione. FE 11:29 Stelle di comparazione. a = BD + 49° 8156 (8",5) 19^ 56^ 525,0 + 49» 51',0 b = BD + 49° 9163 (8,7) 58 1,7 36,5 c = BD + 49° 3164 (9,1) 58 74 21,2 d — BD + 49° 3157 (9,3) 56 58,8 36,4 e — BD + 49° 3162 (9,0) 57 59,0 32,0 f = BD + 49° 3165 (9,1) 58 16, 26,7 Z = Variabile (var.) 57 21 38,4. 47 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 327 7947 RX Cygni — (7238) Cygni (A.J 347). La variabilità di queste due stelle à stata annunziata quasi contemporaneamente, per la prima dal prof. Deichmüller, per l'altra del rev. Espin (1893). Secondo il Chandler, una solamente delle scoperte à confermata, mentre l'altra non ha presen- tato agli osservatori successivi indizi sicuri. Le mie osservazioni sono poco concludenti. Risultati delle osservazioni. SR Io 29199 7e RX4(ST); RX0'; (ST)5,6" 93 XII 16 — 2814; 7 a2RX3(ST)30 ; RX0'; (ST)4, 5" 98 XII 27 — 2895; 9ù RX-a4(ST)55; RX0'; (ST) 5,6" 93 XII 28 = 2826; 9^ a3RX5(ST)50 ; RX0'; (ST) 6 94 II 4 = 2864; 9 RX2a, (ST)6c; (ST)26 94 XII 28 — 3191; o a3RX2(ST)36. Stelle di comparazione. « — BD + 47 3025 (851) 20”8® 8155 4 479 755 b = BD 4 47 3049 (8,3) 9 13,4 42,3 c = BD + 47° 3084 (9,5) 5158 24,9 RX = BD + 47 3038 (var.) 6 24 23,0 (Chandler) (ST)= BD + 47 3081 (var.?) DAS 25,4 7257 R Sagittae (A J 300) Scoperta da Baxendell nel 1859. Appartiene al tipo di 8 Lyrae. Risultati delle osservazioni. ORNE 29 070/75 ano EE EE 93 XIL 2 — 2800; 752 d1R; f4R 93 XII 5 — 2803; 7^1 f2d1R2,3y; d più rossa di R. 98 XII 6 — 2804; 757 fediR; y=R; RO, dm 93 XII 7 = 2805; 757 f2,3R; Rl"; y2d; (dif evidentemente c’è scambio di lettere). 93 XII 8 — 2806; 6^9 f3y2R3d 93 XII 15 — 2813; 659 f3R2y2d; d2,3" 93 XII 16 = 2814; 5^4 ylflR84; 99"; Ri 93 XII 27 = 2825; 751 {4,543R; y=f 93 XII 28 = 2826; 7^3 fiy5d2R, R3"; y4 Il Il 94 XI 1 = 3164; 75 f3d1,2y4R3a 94 XII 28 — 3191; 6^7 fly34555a3R; y5. 328 FRANCESCO PORRO 48 Stelle di comparazione. f = BD + 16° 4203 (9°,2) 20^ 8" 145,8 + 16° 20'3 (Schönfeld, AN 1858, I = 22,6) 7 d — BD + 16° 4200 (9,3) 46,1 17,9 (Sch. I — 17,1) b — Anonima (10) 8 50 17,2 (Sch. I — 11,5) a=BD-+164191 (9,5) 7 2,3 17,5 (Sch. I= 8,7) y = Seven Years 1951 (8,8) 8 32,9 18,7. La stella y che manca in BD, ed à stata osservata a Greenwich (7 Years 1951) ed a Washington (Yarnall-Frisby 8988) è quasi certamente variabile. La grandezza è presa da Y III. 7299 U Cygni (AJ 300). Scoperta da Knott nel 1871. Gli elementi 1871 Giugno 9 + 240 4586,0 + 463,5 E + 12° sin (36° E + 324») dànno un massimo (E — 18) posteriore di 54 giorni all'unica mia osservazione. Risultato dell’osser i 94 II 4 — 2864; 8° HESE DES Stella di comparazione. a = BD + 47° 3078 (82,8) 20% 15" 12,5 + 47e 974 U= BD + 47» 3077 (var) oy 26,3 (Chandler). 7428 V Cygni (A J300). Scoperta da Birmingham nel 1881. Periodo di 418 giorni (Epoca 0 al 12 Giugno 1881). Il minimo precede di 220 giorni il massimo. Gli elementi dànno un massimo (E — 11) al 13 Gennaio 1894, ed 1 al 7 Marzo 1895 (E — 12). Risultati delle osservazioni. 93 XI. 23 — 27%; % Identificate tutte le stelle di BD intorno a V, la quale non si distingue fra molte altre stelline piccolissime 98 XI 29 — 2797; !8? Non identificata 98 XI 2 — 2800: 62 Non identificata 93 XII 5 = 2803; 6» e2V; V8,4f; V5,6" 93 XII 6 = 2804; 7 elV; V5,6f; V7,8 JS 7 — 28055 ^ V2,8e; d2V; V6,7 49 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 329 93 XII 8 93 XII 15 93 XII 16 93 XII 27 98 XII 28 2806; 8 b5V3c8e; V 7,8" 2818528" d3c3e2V; Va 2814; 8^ V3c2d; V8e; V7 29255 98 63V Ldile: ele; V2e; V8 2826; 9! a3V5,6e; V7,8 HH gg d gd d JA A 2864; 8 VOTEN OH 94 XII 28 3191; 10% D CORAN s 95 II 14 9239; 8h c2d2V2f; geh visibili a stento LATE CS 9241; 8 V1,2c2d; V8'; confronto malsieuro per l'intenso colore di V. Voet 19 m— 9244- - gh c2V; V non più di 3"! 95 M28 = 92485 B? Viet Ever Le osservazioni di questa stella hanno presentato speciali difficoltà per l'intenso colore di essa e per l’identificazione dello stelle di confronto. Sono fermamente per- Suaso che le rapide e notevoli variazioni di colore segnate non sono fenomeni d’in- dole subbiettiva o di origine atmosferica, ma hanno carattere reale di vere modi- ficazioni nello stato fisico della stella. Come già per altre stelle di accentuata colorazione rossa, io ho notato che le temporanee decolorazioni sono accompagnate da leggiere diminuzioni nello splendore. Riesce difficile accordare fra loro i due feno- meni, mentre più probabile ci sembrerebbe il contrario; non è quindi da escludersi l'ipotesi, che le fluttuazioni accompagnanti le mutazioni di colore siano solo appa- renti e dovute alla diversa impressione che i raggi più rinfrangibili fanno nell’occhio. Quanto alla scelta delle stelle di confronto, io ho cercato di costruirmi uno Schizzo molto preciso delle stelle più minute che cireondano V; ho poi confrontato Questo schizzo con le note pubblicate in diversi luoghi delle A. N. da Birmingham, Lindemann, Hartwig, Kreutz. Concordo nell'opinione di quest'ultimo astronomo, essere Stato commesso un errore di 10 da Birmingham e da Lindemann, che li condusse à scambiare la BD + 47° 3167 con una white star, della quale l’esistenza è molto problematica. Stelle di comparazione. a = BD + 47° 8160 (8,5) 20^ 35m 0*5 447° 35,3 b — BD + 48° 8191 (9,1) SE ^ — Anonima (9,2) 96 15,7 47 48,1 (AN 2608, Hartwig x, Kreutz a) d — BD + 47° 8166 (9,5) 30 16/47 A OGZ e = BD 4} 47°8162 (9,5) 35 19,8 47 34,8 f = Anonima (10) 36 30 47 26 (Posiz. ricavata dal mio disegno) 9 = Anonima (11) 86 0 4788( 5 i SS h = Anonima (11) ST EE, E SE 5 = rer) V = Variabile (var) 36 28 47 37,5 (Chandler). Le stelle A e c del Kreutz sono segnate nel mio disegno ai luoghi esatti, ma non mi hanno servito nei confronti. La prima & BD + 47° 3167 (Differenza BD — K = + 05,3 — 0',3). Serre TI. Tow. XLVI. x €— + Arret oe 330 FRANCESCO PORRO 50 7437 X Cygni (AJ 300). Variabile a corto periodo, scoperta da Chandler nel 1886. Elementi provvisori. Risultati delle osservazioni. 93 XI 28 — 2796; 9,7 XD) Më GE X3c; X supera b di 07,7 o 07,8. Xar 98 XII. 2 2800 à 750 cAX 457 7 XS 98 XIba-5:i52808510759 KOALU TOX WE E IVI 6h eXd92* SEXE Fa 2805; 1769 X 2,907 X2" 9381.38 — 2806: 758 X2b; X1,2 O9 XI. — Delon SUD X4c4b; Kär 98 XII 16. = 2814; ^ 859 h6,7X5b 98 XH 27 — 2825; OS X 2:89 0^ 1122" 93 XII 28 = 2826; 958 g4X2,3b; X2,9" 94 XII 28 — 8191; 852 b2,3X. Stelle di comparazione. Le stelle b, d, a (non adoperata), f sono date da Chandler (AJ 191) con le in- tensità 10; 7; 15; 6; da Yendell (ivi) con 8,5; 4,5; 2,7; 0. b = BD + 34° 4197 (7,5) 20" 36? 435,2 + 340 56/44 e = BD + 37° 4002 (6,0) 31 567 937 49,5 d = BD + 34 4111 (7,2) 34 15,9 ^ 34 52,5 f = BD + 34 4114 (75). 35 90 348314 g = BD + 36° 4105 (6,5) 25 985 896 26,9 h = BD + 32° 3980 (6,0) 48 1.6 32 53,2 7450 V Aquarii (AJ300). Scoperta da De Ball nel 1891. Osservata una sola volta, cinquantadue giorni rima del massimo corrispondente ad E = 3. Periodo provvisorio = 245 giorni. p Risultato dell osservazione. 92 XII 8 = 2441; e V3c; a supera V di 0",5 almeno. Anche b è molto più grossa di V. Stelle di comparazione. a = BD + 1° 4870 (8^3) 20% 41% 155,9 + 1° 302 b = BD + 1° 4371 (8,8) 41 22,3 181,2 c = BD + 2° 4242 (8,5) SET TEE RER V= BD + 1° 4359 (var.) 39 29,5 1 545. 51 OSSERVAZIONI Dl STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 331 7456 RR Cygni (AJ 300). Scoperta da Espin nel 1888. Sinora non se ne hanno elementi. Risultati delle osservazioni. 95, LL; d6 =;,82415 2 alc152RR; 02,9'; RR3" 95,1L 19 3244 8! ale152RR 95, IL, 23: 3248 4,788 ale LEARR 5.625158',. I I8, Stelle di comparazione. a = BD + 44° 3569 (82,3) 20° 40m 55°,7 + 44° 16,2 b = BD + 44° 3570 (8,5) 40 58,7 16,5 c — BD + 44» 3573 (9,1) 41 24,4 18,5 (Millosevich in AN 2844 stima c di 8,8) RR — Variabile (var.) si 20,4. Il 16 Febbraio ho notato come invisibile in (IT) la BD + 44° 3568, che poi mi riuscì di vedere il 19 a gran fatica e ad intervalli (immagini cattive). Lessi poi in AN 2844 che Millosevich il 31 Maggio e Deichmüller il 9 e 11 Giugno 1888 non Videro la medesima stella, che manca pure nella zona di revisione della Durchmu- sterung. L'ipotesi di Deichmüller di un errore nella declinazione è quindi suffragata; alla 3568 va sostituita adunque in BD una stella 9m 4 20^ 401225,9 + 440 23',7. Nè questa, nè la 3568 figurano nel Catalogo della Società Astronomica (Zone di Bonn). 7483 T Vulpeculae (AJ300). Scoperta nel 1885 da Sawyer. Corto periodo: elementi non definitivi. Risultati delle osservazioni. 98 XI 29 = 2797; 9^2 Tia "Tl 98 XII 2 — 2800; 8,0 Tib; T almeno una grandezza maggiore di a. T1’ 93 XII 5 = 2803; 8^1 c2T25 93 XII 6 — 2804; 759 | c3T25, T1,2 98 XIL- 7 —=12805%) 850 T x OT" 93 XII 8 2806; 858 Teaser Ti 98 XII 15 — 2813; 858 CILZI 3,40 T2" 93 XII 16 = 2814; 6^7 c3T45, TI 93 XII 27 = 2825; 850 Tees 93 XII 28 = 2826; 758 c4T4b, cs, TO I I SAXTI 28 51915 757 53'T3d3a. eee 332 FRANCESCO, PORRO Stelle di comparazione. a = BD + 27° 3909 (72,0) 20% 48m 1852 + b = BD + 29° 4181 (6,5) 94. 85,7 c = BD + 29° 4191 (6,5) 88 "1S d = BD + 29° 4221 (6,6) 47. 28 T= BD + 27° 3890 (var.) 45 19,4 52 27° 58,8 29 17,5 29 49,6 29 6,7 27 42,8. Questa variabile offre speciali difficoltà per la distanza di adatte stelle di com- parazione. Hanno pubblicato scale di intensità luminosa il Chandler e il Sawyer. Il primo (AJ 145) ha nella sua lista, delle stelle qui sopra enumerate, la @ e la è, alle quali assegna rispettivamente le lettere f e c, e le intensità 4,6 e 10,0; il secondo (AJ 169) comprende invece la a (e, 1=1,8) e la c (d, I = 9,3). 7488 Y Cygni (AJ300). Le osservazioni mie di questa stella si limitano ad una sera sola, nel periodo delle prime prove al Fraunhofer; ancora non ho potuto attendere il minimo, perche la stella si perdette nelle nebbie dell'orizzonte. Riferisco ad ogni modo il pochissimo che ottenni. Risultati delle osservazioni. 1889 Novembre 17 = 241 1324. TOSS Y=m, Y2p TUS m e2Y1p 10 14 Y2p 10 34 Ylp (nebbia) 10:599 Ylm 10 46 Yimip (la nebbia è diminuita) 112.16 mlYlp 11 44 m2Y1p 118250 Y-p (nebbia. — La stella à già bassa) I2: NS (osservazione sicurissima) 1286 Ye» (Forse Y1p) 12 24 Y=p 12 28 Y=p (Forse Y 17). Stelle di comparazione. e = BD +35 4282 (72,5) 20^ 43m 295,6 350 1’,7 (Chandler, AJ150; I= 12) m = BD + 34» 4219 (7,6) 52 50,7 34 10,4 (Chandler, 1— 8) p = BD + 34° 4191 (7,8) 47 15,8 34 12,8 (Chandler, 1— 5). 7492 RZ Cygni (AJ347). Annunziata da Espin con circolare 18 Ottobre 1893, pubblicata dalle AN il 30 Novembre (N. 3198). Ne intrapresi le osservazioni a Soperga il 7 Dicembre. 53 OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 333 Risultati delle osservazioni. 98 XH 7 2805; (74 RZ appena visibile in (II): in (A) non si vede 98 XII 8 = 2806; 9! Riconosciuta a stento dopo attento scrutinio della regione con (II) INTERN BEI ; J 8 Fra le piü minute visibili in (II) 93 XII 16 2814; 8^ Visibile in (ID, non in (A) 93 XII 27 2825; 10% Invisibile 98 XII 28.55.2890. 9 Invisibile. — La stella a, che manca in BD, è in- tensamente rossa; la direi maggiore di-+46° 3077 (99,5) — ap 94 I 4 = 2864; 9 RZ minore di a e di b, ma visibile distintamente in (A). I Il Il Stelle di comparazione. a = Anonima (9”,4) 20" 46" 50° + 47° 2' (Posizione e grandezza a mia stima) b = Anonima (107) ATA EE 5 » y ) RZ = Variabile (var.) 47 0 46 48 (Chandler, AJ347). 7560 R Vulpeculae (AJ 300). Scoperta a Bonn nel 1858. Gli elementi 1865 Settembre 18 — 240 2498,0 + 136,90 E -+ 18 sin (4° E- 80°), (M — m = 62,0) dànno un minimo (E— 76) al 5 Gennaio 1894, un massimo (E= 78) al 31 Di- cembre 1894. Risultati delle osservazioni. 99 X129 5— 9795 95 R3,4d HE 99003 8h c2 R; (R cresciuta moltissimo). R4" HE 28080207 R2d; R4 SESO EE — 2804. 88 Rid GBA 372805: 8% d4R GENS = 2900 95 d2R 99 XII 16 — 28145 NE R riconosciuta a fatica in (II). Minore di f, g, h (f2939) 93 XII 27 — 2895; 8! R affatto invisibile anche in (II). Si vedono k, l, ma R è certamente inferiore. 93 XII 28 = 2826; 8° R affatto invisibile anche in (II). k ed / si vedono distintamente 94 XII 28 = 3191; &# a2 R1». Stelle di comparazione. a — BD + 22° 4313 (8^2) 21" Om 585,7 + 22° 49/,7 b —BD-L-22 4316 (8,7) 21 1 29,7 22 58,2 e —BD+ 23° 4224 (7,5) 20 57 4,0 23 954 sprite n ces — 334 FRANCESCO PORRO di d —=BD + 23° 4231 (9,5) 20 58 2,0 29:915,2 f — Anonima (10) 20 58 6 98 10 g= ` (10-11) 20 58 7 23 6 | A stima, da un mio di- has " (11) 120 158 a 23 18 > segno della regione cir- Dee " (12) 20.57 59 29 16 costante alla variabile. mc sy (12) 2058 3 23 14 R — BD + 23 4230 (var) 20 57 55,7 28 149: | | | | | 7609 T Cephei (AJ 300). Una delle 17 circumpolari di Pickering. Scoperta da Ceraski nel 1878. Gli elementi 1873 Agosto 29 — 240 5400 + 383,3 E (M — m = 193) dànno un minimo (E — 18) al giorno 8 Gennaio 1892. Risultati delle osservazioni. 91 XII 22 = 2089; 7 m3T; T2n 91.XI 28 = 2090; 6° m2 T; T3n EE m4T; Tan. Stelle di comparazione. m = BD + 67° 1294 (9*2) 21” 9m 25° + 67° 49,5 n= BD + 67° 1292 (9,4) 8 31 56,9 T= BD + 67° 1291 (var) 7 88 54,4. Le stelle m ed n sono indicate con le medesime lettere da Pickering. 7779 8 Cephei (A J 300). Altra delle variabili di Pickering, scoperta da Encke nel 1858. Gli elementi 1865 Giugno 21 — 240 2409 + 484 E dànno il massimo per E — 20 al 22 Dicembre 1891. Risultati delle osservazioni. JL XI 2222208986 S2g S molto rossa. 91.XII:28:—.2095:; 16% 339, S22. Stelle di comparazione. z — BD + 77 829 (9"5) 21*41m 1* + 779 47,7 g = BD + 77 825 (9,5) 34 47 49,2 S = BD + 77° 827 (var. 36 55 58,7. e Qt OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 335 n 7803 u Cephei (AJ 300). | Le variazioni di questa stella, sospettate da Hind (1848) e dimostrate da Ar- 3j gelander, sembrano irregolarmente periodiche. Osservazioni difficili per il colore di p. N Risultati delle osservazioni. [i I ^5. Z2u8d | il 89 XII 17 S9 XE 13 — 1950: 7 1354; 750 Z2u3v 7 89 XII 18 = 1355; 752 Z2u3e | | 89 XII 19 = 1356; 65 = Z2u3,4e 89 XII 20 = 1357; 752 Z3u8e 89 XII 21 = 1358; 7^2 z8u2e | 89 XII 23 = 1360; 7*2 Z4ule; uiv ii| 90 I 7— 1375; 70. z2u3e if 90 I 8= 1376; 7,0 z2p2v j 90 I 9= 1877; %5 Z2u282v i 90 I18 = 1381; 655 ZIp2v | 90 I 21 = 1889; 70 z2u4v | 90 I 24 = 1392; 69. Zon | Stelle di comparazione. Le lettere Z, ò, e, v rappresentano le stelle che da Bäyer furono così designate | nella costellazione di Cefeo. | 8073 è Cephei (AJ300). Scoperta da Goodricke nel 1784. Periodo di 5 giorni e un terzo circa, che de- Cresce progressivamente con il tempo. Risultati delle osservazioni. 89.XII 18 = 1350; 7*5 z2u3d i 89 XII 15 = 1852; 9^5 72 | Sr — 1854, 505 9 STE | 89 XII 18 = 1355; 759 1852e; b—v | 89 XII 19 — 1856; 655 — Z452e 89 XII 20 — 1857; 752 Z452e; b—v | DAS dC | 2 89 XII 21 = 1358; 7, 89 XII 28 = 1360; 7, z1d4e | 90 I 7 — 1875;, #0, r1,254e 90 I e 1376; 710 28526 PU T D — 1977. Vi PALONOV UU 119: 1950]; 845 aste | 90 I21= 1389; 710 Z4d3e | 90 I24— 1392; 659 23536 | 92 XI 25 = 2498; 8^0 z4ò (Soperga. — Cercatore di Fraunhofer). 336 F. PORRO — OSSERVAZIONI DI STELLE VARIABILI ESEGUITE A TORINO E A SOPERGA 56 Stelle di comparazione. Le medesime stelle servirono per u e per d Cephei. 8591 V Cephei (A J 300). Seoperta da Chandler nel 1882. Gli elementi 1 1883 Marzo 16 = 240 8886 + 360 E (M — m = 220) í dànno un massimo (E= 11) al 17 Gennaio 1894. d Risultato dell’osservazione. H 93:XIT- 6 7280476: 057,80: v0. | 1 Stelle di comparazione. i a = BD + 82° 703 (50,0) 22^47»55* + 829 98/1 b = BD + 82» 748 (7,0) 55 23 10,0 V — Variabile (var.) 49 44 23,0. 8600 R Casséopejae (A J300). j Una delle cireumpolari di Pickering; scoperta da Pogson nel 1853. Gli elementi 1 dati da Chandler À 1854 Luglio 14 = 239 8414,0 + 429,0 E + 23 sin (16° E + 346») j portano a un massimo per il 28 Dicembre 1890. i Risultato dell'osservazione. DE 197 b5R5a. À Stelle di comparazione. 1 a = BD + 45° 4283 (32,5) 23° 30m 295,3 -+ 45° 40',6 b — BD + 43° 4522 (4,7) 33 16,3 48 31,3 f R = BD + 50° 4202 (var.) 51 3,6 50 84,9. RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D’ORTA MEMORIA G. DE AGOSTINI con 2 CARTE ED 1 TAVOLA Approvata nel? Adunanza del 21 Giugno 1896. Il lago d'Orta, uno fra i più ridenti laghi del versante meridionale delle Alpi, è situato a 290 m. sul livello del mare, a circa gradi 4°3' di longitudine ovest dal Meridiano di Roma (Monte Mario) ed all'altezza di 45° 49' di latitudine nord. Seb- bene in territorio piemontese (spetta per tre quarti al circondario di Novara e Der la restante parte a quello di Pallanza), viene considerato come lago lombardo, facendo parte del bacino idrografico del lago Maggiore, col quale comunica mediante "n emissario detto Nigoglia che versa le sue acque nel torrente Strona e questo a Sua volta nel fiume Toce, affluente della riva occidentale del lago Maggiore. La configurazione generale del lago d’Orta è quella di una lunga e stretta fen- ditura in direzione da nord a sud, come lo è degli altri maggiori laghi prealpini. Le rive, in specie quelle centrali e settentrionali, sono quasi sempre ripide, ma di facile approdo pressochè in ogni punto. Nella parte centrale, ove il lago raggiunge a massima larghezza, si protende dalla riva orientale verso occidente una penisola, al piedi della quale sorge Orta e sulla sommità il celebrato Sacro Monte. Da questa Penisola e dal M. di Carcegna viene formato il golfo di Bagnèra che si interna in direzione sud-est per 1200 m. circa, con una larghezza che varia da 500 a 600 m. i Nella stessa parte centrale del lago e quasi di fronte ad Orta, da cui dista non più di 400 m., si eleva la graziosa Isola di S. Giulio; ha forma quasi ovale in direzione da nord-est a sud-ovest e misura 275 m. di lunghezza, 140 di larghezza, 650 di circonferenza e 30.000 mq. di superficie. Tra Pella e la Punta Casario si stende a guisa di semicerchio I’ insenatura di Lagna, la più ampia e ridente del lago; a nord quella di Brolo, ove ha foce il tor- Tente Bagnella ed a sud quella formata dal promontorio su cui sorge la torre di uccione. 1 Serre IL Tow. XLVI. 4 | Zen a 338 G. DE AGOSTINI ‘ 2 Oltre la punta Cusario, che segna il limite tra la parte centrale e meridionale del lago, sono ancora da notare quella del Mövero a nord della penisola d’Orta, e quella di Crabbia da cui ha principio la parte settentrionale del lago. Lunghezza e larghezza del Lago. — La sua lunghezza misurata secondo la linea mediana dall'estremità nord (chiavica di Omegna) all'estremità sud (Buccione) è di Km. 13,4, invece in linea retta fra le due estremità risulta solo di Km. 12,4, e ciò per la forma leggermente ricurva che presenta il lago. La sua larghezza non è proporzionata alla sua lunghezza e varia da un minimum di 500 m. alle due estremità, ad un mazimum di 2500 m. nella parte centrale à nord della punta del Môvero, tra il Monte S. Giulio e Carcegna. La media delle diverse larghezze nei vari punti del lago è di 1400 m. Perimetro. — Lo sviluppo cireumlacuale delle sponde misurato sulle tavolette di campagna dell'Istituto geografico militare, mi risultd di Km. 33,5. Superficie. — La superficie del lago d'Orta è di Kmq. 18,15 compresa 1’ Isola di S. Giulio, e di Kmq. 18,12 senza l'Isola (1). Scandagli. — Fino a questi ultimi anni non si conosceva neppure approssima- tivamente la morfologia del fondo, tanto incerte e contradditorie erano le notizie sulla profondità che si attribuiva alle acque di questo lago. Fu solo nel 1884 che un dotto cultore di scienze naturali, il Prof. Pietro Pavesi dell'Università di Pavia praticò nel lago d'Orta alcuni scandagli (2) coi quali e con quelli eseguiti aleuni anni prima dal Conte Enrico Morozzo della Rocca, ci diede le prime notizie batometriche su questo lago. Tali dati perd non erano sufficienti per conoscere il rilievo del fondo; per cui nell'estate del 1894 intrapresi una serie di regolari scandagli, mediante i quali ho potuto costruire la carta batometrica del lago, che accompagna il presente lavoro. Data la forma allungata ed abbastanza stretta del lago d'Orta, il metodo più semplice per eseguire gli scandagli mi parve quello di praticarli lungo tante trasver- sali, normali alle sponde e distanti tra di loro da 200 a 500 m., sécondo le acci- dentalità del fondo del lago. A tal uopo mi servii di un apparecchio a scandagliare con filo metallico; per determinare poi il punto nel quale eseguivo lo scandaglio, adoperai una sagola di canape del diametro di 4 mm., lunga 2500 m., numerata progressivamente ad ogni 25 m. ed avvolta attorno ad un rocchetto fissato su apposito congegno (3). (1) O. Mammen, Area, profondità ed altri elementi dei principali laghi italiani, in “ Rivista geo” grafica italiana ,, vol. Ie II, Roma, 1895. È (2) Notizie batometriche sui laghi d'Orta e d'Idro, in “ Rendiconti del R. Istituto lombardo di Scienze e lettere ,, serie 2°, vol. XVIII. Milano, 1885. e (8) Con opportuni raffronti sapevo qual era l’accorciamento della sagola sull’acqua per ogn! 25 metri e ne tenevo conto nel misurarvi le distanze. 3 RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 339 Il procedimento per le misurazioni era il seguente: stabilita la linea trasversale al lago lungo la quale intendevo fare gli scandagli, ad una estremità di questa linea fermavo il capo della sagola sul quale era segnato zero, quindi, fissato un punto della sponda opposta, a questo dirigevo la barca percorrendo in linea retta la distanza ira le due rive. Man mano che mi allontanavo dal punto di partenza, la sagola si Svolgeva dal rocchetto liberamente, ed io ad ogni 25 m. di distanza, segnati sulla sagola, fermavo la barca per applicare a quella un galleggiante con banderuola, ri- petendo successivamente tale operazione ad egual distanza sino al punto stabilito sulla Opposta sponda del lago. Quivi giunto fissavo la sagola, indi ripercorrendo la me- desima linea tracciata dai galleggianti e dalle banderuole, facevo scendere lo scan- daglio presso ciascuna di queste e misuravo la profondità di quel punto. Presso le rive scandagliavo la profondità ad ogni distanza di banderuola, ossia di 25 in 25 m.: invece, oltrepassati i 150 o 200 metri dalla sponda, limitavo gli scandagli ad ogni 50 m., e ciò perchè in generale il fondo del lago si presentava molto regolare, pianeggiante o con debole pendenza. Con tal metodo eseguii cinquanta sezioni circa, facendo oltre a 700 scandagli. Debbo ancora far notare come tutte queste misure vennero fatte quando il lago era in calma, e ciò per evitare gli errori che avrebbero potuto derivare dallo spo- stamento della barca e dai galleggianti quando il lago fosse stato agitato. Nell'unita Carta batometrica alla scala di 1:25.000, le isobate sono segnate di 10 in 10 m. Profondità. — Dagli scandagli fatti il fondo del lago risulta formato di due grandi bacini separati l'uno dall'altro da una rimarchevole dorsale sommersa esistente tra la Punta di Crabbia e Ronco. Quello settentrionale è il più profondo e la mas- sima profondità (m. 143) la trovai nella parte centrale di esso, tra Oira ed il Casotto ferroviario N. 32 (1). Si può dire che nel tratto compreso tra Ronco e Bagnella-Borca, a breve di- Stanza dalle rive, le acque si abbassano rapidamente e misurano ovunque oltre 100 m. di profondità. Il bacino meridionale, a sud della Punta di Crabbia, è meno profondo e la parte più depressa di esso si trova ai piedi del M. Camosino di fronte a Pettenasco ove M parecchi punti misurai quasi costantemente 122 m. In questo bacino i 100 m. di profondità si raggiungono solo nel tratto Ronco — Crabbia— Punta del Movero—Isola S. Giulio—S. Filiberto—Pella—Ronco. Le grandi Profondità cessano ad ovest della Punta del Movero in direzione Isola—Lagna, ove 3 (1) Il prof. Pavesi trovo presso a poco nella stessa località 147 m. La differenza tra questo ato ed il mio di 143 credo sia da attribuirsi al raccorciamento della sagola di canape da lui ado- Perata, soggetta sempre a variazioni di lunghezza, quand'anche numerata dopo averla bagnata; il che non avviene facendo uso di un Blo metallen, Inoltre devesi ancora tener conto che il Prof. Pavesi fece gli scandagli in Gennaio, quando le acque del lago per effetto della trattenuta di Omegna sono Seneralmente elevate, mentre in estate, epoca dei miei scandagli, a motivo dell'evaporazione e per à siccità che in generale accompagna questa stagione, le acque erano più basse. H 4 340 G. DE AGOSTINI 4 il fondo rapidamente si innalza verso la sponda occidentale dell’ Isola, quasi a picco, e forma la restante parte meridionale del lago, che è la meno profonda. À sud della penisola d'Orta fino a Buccione nessuno degli scandagli raggiunse i 40 m. di profondità, e tra l'Isola ed Orta i punti più profondi non arrivano à 20 metri. Sono invece più depressi il golfo di Bagnera e l’estremità settentrionale del lago a nord di Borca, nelle quali parti il lago, a breve distanza dalle rive, si abbassa notevolmente. Dall'esame delle diverse profondità del lago rappresentate nell'annessa tavola dei profili secondo la linoa mediana da settentrione a mezzogiorno, risulta come il fondo del medesimo discende gradatamente per i primi 2 Km. sino alla profondità di 150 m. di fronte a Borca, poi resta quasi piano per un tratto successivo di circa 3 Km., presso la metà del quale raggiunge la massima profondità di 143 m., indi dopo un breve percorso risale a 100 m. sulla dorsale sommersa tra la Punta di Crabbia e Ronco per ridiscendere, quasi colla stessa pendenza con cui era salito, à 120 m. che raggiunge dopo 350 m. circa. Da questo punto e per un tratto di 2 Km. il fondo è perfettamente piano e si estende ai piedi del Monte Camosino sin quasi all'altezza di Pella, ove risale a 110 m., poi tra lIsola di S. Giulio e Lagna a 100 m. e dopo un breve tratto a 40 m. tra l'Isola e la Punta Casario. Giunto a questa altezza e per piü di 2 Km. il fondo del lago ? quasi piano, dopo, tra Corconio ed il Pascolo, per la residua larghezza di un Km. e mezzo va gradatamente salendo sino a raggiungere la riva presso Buccione. Da quanto si è detto e dall’esame della carta batometrica risulta adunque come il fondo del lago d'Orta nella sua linea mediana e per vasti tratti sia molto rego- lare, quasi piano od a debole pendenza ed a curve regolari. Questo pud dipendere da configurazione naturale della vallata subacquea, ma piü probabilmente dal depo- sito delle materie portate dalle acque affluenti nel lago, le quali, naturalmente di- stendendosi in strati successivamente accumulatisi l'uno sull'altro, si disposero oriz- zontalmente, colmarono alcune delle cavità eventualmente esistenti ed in certi punti livellarono completamente il fondo. Uno di questi tratti in perfetto piano orizzontale ? quello che si stende ai piedi del M. Camosino per la lunghezza di circa 2 Km. Ritenendo la quota altimetrica del lago d'Orta ad acque ordinarie di m. 290 sul livello del mare, il fondo del lago nella sua massima profondità sarebbe elevato 147 m. sopra il livello del mare. Confrontandolo coi maggiori laghi prealpini, il suo specchio d'acqua sarebbe ele- vato di 225 m. su quello di Garda, di 105 m. su quello d'Iseo, di 96 m. sul lago Maggiore, di 91 m. su quello di Como, di 24 m. su quello di Lugano edi 78 m. sotto quello d'Idro. Nel seguente quadro comparativo sono espressi i dati altimetrici e batometrici relativi a tali laghi : 5 RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 341 | | Orra |Maccrore| Lugano Como Iseo | Ipro | GARDA i | | | Í | | | | | | j Sul livello del mare m. 400 1 d E a Tw. 968 | | a a ] | ee | | a i M. 246 | H > Tm. 485 | Nit | , ` | io d 3 d ^ D è | 4 H D Vi Ui » ÿ KE id livello del mare i sotto il livello del mare \ 1 2 D d » —65 M | 4 : i | | DH E | | l4 | » | | ul : 3 || | ini 1 : ir \l ud | E: ’ » | | | ul D n | È 4 » 5 | | | em , " I ^ à | i > | | Condizioni del fondo del Lago. — In vari punti il fondo à roccioso come | nel tratto tra Ronco e la Punta di Crabbia e nella parte centrale tra la Punta del | | Green l'Isola e la Punta Casario; paludoso invece nell'estremità meridionale verso ul Ucclone, ove le acque sono poco profonde; quasi in ogni parte poi è ricoperto da Una fanghiglia finissima ricca di diatomee. Secondo il dott. Bonardi (1) la melma del fondo del lago contiene avanzi organici diversi ed abbonda di laminette micacee e di frammenti di altri silicati come l’anfibolo, il feldispato ortoclasio ed oligoclasio, ecc. Pareti del Lago. — Il lago è chiuso, specie nella parte settentrionale e cen- trale da ripide sponde, le quali scendendo verso il fondo del lago costituiscono le Pareti del bacino lacustre. Queste, come si può osservare nell’annessa tavola dei Profili, sono ripidissime nella parte centrale alla Sassina nel golfo di Bagnèra ed ai | * ee (1) * Boll. Scient. ,, anno VII, n. 1, Pavia, 1885. | À 1 í PR 342 G. DE AGOSTINI 6 piedi del M. Camosino, più ripide ancora e tagliate quasi a picco nella parte set- tentrionale del lago oltrepassata la Punta di Crabbia dove le rocciose rive lacuali discendono con forte e pari pendenza dei monti emergenti dal lago; nella parte meri- dionale invece, chiusa dal circuito di colline moreniche, le pareti del lago sono appena leggermente inclinate ed incontrano il fondo a piccola profondità. Allo sbocco delle principali aeque affluenti come il torrente Bagnella, il Pellino, la Scarpia, il Pescone, per le materie da questi trascinate si formarono dei delta più o meno protendenti nel lago; quello del Bagnella è il più notevole. Affluenti. — Il lago d'Orta non ha affluenti considerevoli, ed a differenza della maggior parte dei laghi italiani ha l'emissario all’estremitä settentrionale. Le prin- cipali acque che alimentano il lago sono: a levante il torrente Pescone ed a ponente il torrente Bagnella, la Qualba, il Pellino, la Plesna e la Scarpia. Il Pescone nasce sul fianco sud-ovest del Mottarone, scende precipitoso fra rupi selvaggie ed ardite, bagna la borgata Pescone, attraversa lo stretto varco tra i monti Crabbia (639 m.) e Carcegna (613 m.), irriga le terre di Pettenasco, che lascia alla sua destra, e va a gittarsi nel lago mezzo Km. a sud dell’abitato, dopo un percorso di 10 Km. circa. Il Pescone alcuni anni fa aveva un’altra foce più a mez- zodi dell'attuale verso il golfo di Bagnera; essa venne deviata nel 1840-45 quando si costruì la strada provinciale Gozzano —Omegna. Tl torrente Bagnella, a sud-ovest della riviera occidentale, è formato da più rami, specialmente dal Rio Salvetta e dal Rio Monello. Dalla confluenza di questi due torrentelli si forma il Bagnella, il quale si accresce ancora di altre copiose sor- genti che scendono dalle due rive, bagna le terre di Quarna e procedendo ad arco passa sotto Cireggio, poi presso l'abitato di Bagnella e sbocca infine nel lago attra- verso il suo esteso delta. Ha un corso di poco più di 10 Km. che percorre presso a poco in direzione da ponente a levante. Siccome questo torrente è formato in gran parte da sorgenti continue non gela mai ed è il più ricco corso d’acqua che sbocca nel lago. Le sue acque vengono uti- lizzate come forza motrice per molini, segherie ed officine che sorgono lungo il suo percorso. ` La Qualba od Acqua alba è cos denominata pel colore e per la limpidezza delle sue acque che precipitando fra dirupi e scogli vanno a piombare sul lago for- mando una bellissima cascata di 26 metri circa di altezza. Questo torrente scatu- risce sotto la Colma Novesso, scende verso Cesara che lascia alla sua sinistra, quindi procede incassato fra la Colma di Cesara, il Monte Piovè ed il Pizzo, dirigendosi da sud-ovest a nord-est e precipita nel lago sotto Nonio dopo un percorso di 6 Km. Tl Pellino scaturisce alla Colma per la quale si discende a Civiasco in Valsesia; cala precipitoso ingrossandosi a destra delle acque che ‘nascono dal fianco orientale del M. Briasco (1185 m.) e da quello nord-ovest del M. Navigno (1136 m.) a sinistra del Rio Val Rosa e dal Rio Fissé, bagna le terre di Arola sin all'incontro del Rio della Valle di Cesara, indi per una profonda e stretta valle esce a shoccare nel lago sulla sinistra di Pella. Ha un percorso di 6 Km. e mezzo circa, e le sue acque sono utilizzate come forza motrice dalla Cartiera Sonzogno a Pella. " RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 343 La Plesna o Pollesina trae le sue origini dal fianco nord-est del M. Navigno | | € scende in direzione sud-ovest nord-est bagnando le terre di Boletto e di Artò, e | dopo essersi piegata ad arco in vieinanza della borgata di Centonara, sbocca nel j lago a sud di Pella dopo un percorso di 4 Km. e mezzo. f La Scarpia o Lagna deriva le sue acque dal fianco sud del M. Navigno, irriga | | le terre di San Maurizio d'Opaglio e sbocca nel lago a sinistra della borgata di | Lagna quasi a metà del golfo tra Pella e la Punta Casario. Ha un percorso di | 6 Km. all'incirca, in direzione da ponente a levante fin presso San Maurizio d’Opaglio, | dove piega volgendosi a nord sino alla foce. Oltre queste acque che si possono chiamare continue, portano ancora il loro \ contributo di alimentazione al lago d'Orta quelle avventizie provenienti da ruscelli e rivi, quasi tutti di corso assai breve, che scendono dai monti vicini quando piove od avviene lo squagliamento della neve. A queste acque si devono aggiungere le numerose sorgenti che affluiscono al lago dai terreni soprastanti, come quelle cono- Sciutissime e copiosissime di Aneda e di San Giulio (1) tra le borgate di Lagna e di Alpiolo, e finalmente le acque di infiltrazione e le sorgive che sgorgano dalle pareti del lago o direttamente sul fondo di esso. Che il lago sia anche alimentato | da sorgive che scaturiscono dal suo fondo è stato chiaramente provato durante la | eccezionale magra estiva del 1883 in cui all'emissario si ebbe sempre un deflusso di circa un metro cubo al secondo, mentre gli affluenti del lago erano affatto asciutti. Il Conte Morozzo della Rocca racconta di aver incontrato presso il Pascolo una forte corrente che gli fece deviare la sonda, lo stesso avvenne al geom. Luigi Dallosta Presso la Villa Faa di Bruno ai piedi del Colle della Torre di Buccione. | Questi fatti, oltre a provarci l'esistenza nel lago d'Orta di sorgive subacquee, | ci dimostrano ancora come esse siano frequenti e di una portata non indifferente. | | Emissario. — Il lago d'Orta versa le sue acque a nord nel fiume Toce, tribu- | tario del Lago Maggiore per mezzo di un emissario detto Nigoglia, il quale scor- rendo in direzione da mezzogiorno a tramontana, ad un Km. da Omegna si unisce | al torrente Strona; questo giunto a Gravellona e passato il ponte dividesi in due rami, di essi il primo confluisce colla Toce e l'altro porta direttamente le acque al Lago Maggiore. La Nigoglia è un emissario permanente del lago: la sua portata prima delle Opere d'invaso era di litri 900 al minuto secondo ed in alcuni mesi aumentava sino a 1500 litri; dopo l'esecuzione dell’edificio di trattenuta salì a 3168 litri al minuto | Secondo e tale quantità può considerarsi costante tutto l’anno (2). . . Per ovviare in parte ai danni che le piene recavano alle proprietà fronteggianti ìl lago e facilitare il libero deflusso delle acque, vennero in epoche diverse fatti | OU rape à d | 14 ( Quest'ultima fontana rimase asciutta durante 17 mesi cioè dal novembre 1870 sino al + aprile 1872 nel qual giorno ricomparve abbondante come prima. Tale fatto, non mai verificatosi | R Passato neppure nelle magre eccezionali, diede luogo a strane supposizioni, mentre si può | Plegare con un franamento avvenuto nei poco estesi letti argillosi che in quel punto si intercalano | alle morene, d'o (9) Controversie tra il consorzio per l'invasamento del lago d'Orta e la ditta Vittorio Cobianchi megna. Novara, tip. Miglio, 1894, pp. 9, 10 e 39. MUN AVR. d i 344 G. DE AGOSTINI 8 lavori per l'abbassamento dell'alveo della Nigoglia. — Un notevole abbassamento venne fatto nel 1602 a spese delle comunità di Omegna e di Orta, ed un altro venne eseguito nel 1816 in seguito a deliberazione presa tra il Comune di Omegna ed i delegati della Riviera addì 19 marzo stesso anno. Altezza delle acque, loro livello e variazioni. — Gli affluenti del lago, essendo tutti di breve corso, non possono portarvi una grande quantità d’acqua, nè questa è costante. Essendo poi ora il lago munito di apparecchio moderatore del deflusso delle acque, lo specchio d’acqua difficilmente subisce notevoli variazioni di livello. Avvennero peraltro alcune inondazioni, intorno alle quali si hanno le seguenti notizie : 1755. Inondazione nella parte meridionale del lago, sommersa la piazza d'Orta e danneggiate alcune proprietà limitrofe al lago; 1800—1815. Oltre cinque o sei volte dal 1800 al 1815 tutte le spiagge confrontanti il lago trovaronsi sommerse ed Orta in tutta la sua lunghezza da mezzogiorno a settentrione ebbe le acque ad alcuni metri di altezza; 1844. Venne allagata la piazza d’Orta, i portici circostanti e le botteghe; 1868, 3 ottobre. Piena straordinaria, il livello del lago in brevissimo tempo crebbe di circa tre metri, recando gravissimi danni e pericolo alle case e persone, ed impedì affatto per più di otto giorni il commercio ed il passaggio sulle strade di Omegna (1); 1872. Piena straordinaria: la piazza d’Orta venne inondata, e ad Omegna le acque toccarono quasi la sommità degli archi del ponte, per cui lo sbocco di esse era diventato difficilissimo e pericoloso; 1880, 7 ottobre. Nel breve periodo di quattro ore il livello del lago per la pioggia dirotta crebbe di un metro. Le acque irruppero allagando le strade e varie case; nelle circostanti campagne i torrenti ingrossati strariparono rovinando ponti e strade. 1882. Pioggie memorabili nell'autunno; le acque si elevarono ad oltre m. 1,85 sullo zero dell’ idrometro ad Omegna. ; In generale le acque aumentano di livello nei mesi di ottobre e novembre per le pioggie autunnali, od in primavera durante lo squagliamento delle nevi; in feb- braio ed in agosto si verificano invece le massime magre. Prima delle opere d'invasamento, durante le piene, il pelo d'acqua del lago si alzava e si manteneva elevato per alcuni giorni dopo cessata la pioggia, e quindi ritornava ad abbassarsi. — Secondo il Rusconi (2) l’altezza massima raggiunta nelle piene straordinarie fu di m. 2,50 sulla soglia esterna delle pile del ponte di Omegna e tale altezza non si manteneva per un periodo al di là di tre giorni. Durante le magre l’acqua restava elevata da 15 a 20 centimetri sulla soglia esterna delle pile anzidette, per cui la differenza di livello fra il periodo di massima piena e quello di magra era prima dell’invasamento del lago di circa m. 2,30. (1) Merita di esser qui ricordato quanto avvenne allora nel lago d'Orta e nel lago Maggiore; mentre in entrambi i laghi soffiava impetuosa l’inverna. Nel lago d'Orta le acque spinte verso Omegna defluivano senza grande ostacolo pel loro naturale emissario la Nigoglia e non si elevaron 0 che a circa tre metri sul livello ordinario; nel lago Maggiore invece le acque spinte verso Pallanza ed Intra non trovando via d'uscita si innalzarono fino a 7 ed 8 metri sul livello ordinario cagio- nando gravissimi danni. (2) Guida del lago d'Orta, ece., pag. 16, 17. 9 RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 345 Tra le eccezionali magre avvenute dopo le opere d'invaso è da segnalarsi quella del maggio 1893, in cui dopo una siccità di sette mesi, assai rara nel bacino del lago d'Orta, le acque della Nigoglia si trovavano ancora ad un'altezza di 17 o 18 cm. al disopra della risega del ponte d'Omegna. Nel maggio di quest'anno, dopo una lunga siccità, le acque erano a 95 em. sotto il livello medio. Condizioni climatologiche. Debbo premettere che le notizie riguardanti la meteorologia della Riviera d'Orta sono molto scarse. Non essendovi Osservatori nè pubblici nè privati, mancano dati Precisi sulla temperatura, precipitazione, stato del cielo, ecc. di questa località. L'Osservatorio meteorologico del M. Mottarone, a 1490 m. a nord-est della Riviera, che funziona da qualche anno, e le osservazioni pluviometriche fatte nel convento di Mesma (576 m.) dal 1877 al 1886, rimaste fin'ora inedite, non sono dati suffi- cienti per lo studio climatologico della Riviera. Malgrado questo, ecco alcune notizie riguardo al clima di questa regione. Come in tutti gli altri laghi di una certa estensione, il clima della Riviera d'Orta è mite, precoce la primavera, temperato l’inverno. Rare volte nella fredda Stagione il termometro scende a 4-5 gradi centigradi sotto zero, per cui il lago non gela mai, e soltanto nei più rigidi inverni si forma presso le rive una sottile, crosta di ghiaccio. — La neve, anche quando cade in grande copia, non rimane a lungo, Quasi sempre si squaglia rapidamente, in ispecie sulla riviera orientale, per la sua favorevole situazione. In primavera, ed in autunno, dominano abbastanza di frequente i venti, e l'inverna Si fa sentire con più forza soffiando talora anche per due o tre giorni di seguito. D’autunno si hanno le maggiori pioggie, nelle altre stagioni invece e special- mente in quella invernale si hanno le più belle giornate di sole. Nell'estate assai raramente la temperatura sale oltre i 25° centigr., essa è quasi Sempre 6° o 7° più bassa delle non lontane città di Novara e Milano, come di. altret- tanti gradi è più elevata nella fredda stagione. Durante il gran caldo l'atmosfera è mantenuta fresca dai venti periodici, spe- cialmente dall'inverna che spira nelle ore più calde del giorno. 3 Nella Riviera d'Orta sono rarissime le giornate di nebbia, quasi sempre il cielo 3 Sereno e l’atmosfera asciutta. Per citare un solo esempio, dirò come nel dic. 1885 St ebbe un solo giorno di neve, 3 di cielo coperto, gli altri 27 di tempo bellissimo 9 con una temperatura affatto primaverile. ll tempo bello è segnato dall’inverna e dalla tramontana, quando spirano rego- larmente; se al levare od al tramontar del sole soffia l'inverna invece della tramon- tana, secondo i rivieraschi, è indizio di cambiamento di tempo. : Nel lago d'Orta oltre alla brezza di monte (tramontana) ed à quella di valle (inverna) soffiano talora altri venti come il quarnón (maestro), il margozzolo (greco), il blemm, il marescön, il cûs ecc.; questi però sono più irregolari e di minor impor- lanza nel regime anemometrico. i Sarre II. Tox, XLVI. s BE 346 G. DE AGOSTINI 10 Condizioni fisiche delle acque del lago d'Orta. La mancanza di notizie sulle condizioni fisiche delle aeque del lago d'Orta mi indusse ad istituire fin dal 1894 alcune ricerche sulla temperatura a varie profondità, sul colore e sulla trasparenza di esse. Misure di temperatura (1). — Per tali osservazioni mi servii del termometro a rovesciamento Negretti-Zambra di Londra (Deep Sea eebe Termometer), il più indicato per tali ricerche. Oltre a questo feci uso ancora di un termometro comune comparato al primo, per misurare la temperatura dell'aria. I risultati delle mie ricerche sono espressi nella seguente tabella: (1) Non mi risulta che sieno state fatte nel lago d'Orta osservazioni di temperatura delle acque all'infuori di quelle eseguite un secolo fa dal conte Morozzo (Sur la température de l'eau de quelques lacs et de quelques rivières à différentes profondeurs, in “ Mémoires de l'Académie royale des Sciences ,, année 1788-89, Turin, 1790). Per l'interesse storico che presentano credo opportuno di qui riprodurle: * Le 30 Août, à 5 heures du soir * Le thermomètre à l'air étoit à . . d e a ; i , S 22 deg. (R. ?) “ A la surface de l’eau . 5 d a 7 E 7 È ; 18 “ A 50 pieds de profondeur (m. 16, 25 (*)), après y avoir été plongé une heure 15 * Le 31, à 8 heures du matin eode ES net: FRE FOR LEON qute Ei ABER * À la surface de l'eau . d e ý i j 3 15, 24 “A 200 pieds (m. 65) après y avoir demeuré environ 2 heures x p Ära “ Le même jour, à 10 heures du matin ELE $ f i à 3 i B $ x E i 1595. * À ]a surface de l'eau . S 7 (teg “ A 100 pieds (m. 32,5), après be avoir laissé pendant 2 heures j e 15515 * Le 9 Septembre, à 5 heures du soir TA nice 3 A 5 4 i : ^ 2 S $ 3 160% “ À la surface de l'eau . S ` f È > À 182 * A 50 pieds (m. 16,25), où il étoit resté une demi-heure . Y d 5 ET “ Le même jour, à 6 heures du soir “A Dad. È A $ È P K T 5 , , t do; * A la surface de l'eau È IN * Alors j'ai plongé la pompe à 80 pieds ( m. 26), je l'y laissai pendant 22 heures, et en la retirant Lg trouvé le thermomètre “A l'air. F 4 f F 4 i 7 P j 9 ` Jë * A ]a surface de l'eau . ` i Å d a È S d ij Lori “Et à 80 pieds . d $ 3 È > T 5 S E E d VE lari Di queste osservazioni credo siano da ritenere attendibili solo quelle riguardanti la.temperatura dell’aria e dell’acqua alla superficie; le altre a varie profondità non hanno alcun valore nemmeno approssimativo, poichè lo strumento di cui si servì il conte Morozzo essendo un termometro ordi- nario, per quanto rivestito con sostanze isolanti, non era indicato per simili misure. Malgrado ciò, quando si tenga conto dell’epoca in cui furono fatte tali osservazioni, resta sempre lodevole l’iniziativa del conte Morozzo per simili ricerche. (*) Ammesso che la misura adottata dal conte Morozzo sia stata il piede parigino (pied du roi = m. 0,3248), allora usato in Piemonte. IT Osservazioni di temperatura delle acque del lago d'Orta fatte negli anni 1894-95. 1894 1895 E E E I bei RES I | I Ill ©: fe Y Sev | vu vu | m x XI Em | E) DATA 5 settembre 9 settembre 18 gettembre| 20 settembre! 5 Sech novembre| 9 febbraio # febbraio| 22 maggio | 1° giugno E | zm ——— i Q Dalle ore 7-8,80 | 8-10,80 | 18-19 10,35-11,45 1445-16-30 | 13,30-14,45| 10,30-12 14,20 13,30 17-19 10-12 E | In "em GRD WO DU EI Ux at ti | > ane ul Lace Dat opd 189—199 | 19186 Ae 21°—20° | 160,5— |14— 15/19 147° |18——17»| 19 E T t tig ti dell’acqua alla meteo | 282 | 2260 | 220 | 200 20,8 | 1498 | 1444 | 556 | 4e9 | 1408 |180 S e " tans 290] 210,8 220,0 200,1 200,2 145,8 Hx 50,2 4,8 |13°8 | 1558 E 3 20 10 | 2000 189,5 220,0 209,1 209,0 145,7 1443 | 50,0 4,8 | 18955 | 1094 = S SD 140,0 119,3 1155 125,0 = E E 50,0 4,8 89,0 89,6 E S 20520 75,6 85,0 70,5 7,5 70,7 79,2 7,5 | 500 45,8 50,9 50,7 = 5 355 25 65,8 65,2 65,7 60,6 = = ix 40,8 40,8 50,4 50,8 3 » 39:90 69,0 65,0 65,0 69,0 60,2 69,0 69,0 | 498 40,8 50,0 50,1 E Q 3 “820 50,6 50,7 50,7 50,7 50,7 50,8 5,8 | 408 40 49,9 49,9 $ 2 5 $ 125 30 50,5 50,5 50,5 50,5 E 30,5 | 408 40,8 49,8 40,8 S $ » 60 553 50,4 50, 504 | 40,8 49,8 49,8 40,8 > S ne 90 | 52 50,2 50,2 5,2 | 408 40,8 40,8 49,8 $ » 100 SUD. 50,2 50,2 50,2 | 408 40,8 49,8 49,8 È > 120 50,2 50,2 5,2 | 4°8 40,8 F 22140 50,2 50,2 5,2 | 408 40,8 © I 348 G. DE AGOSTINI 12 Dai numeri ottenuti nelle varie serie di osservazioni sopra indicate, misurando in epoche diverse la temperatura dei diversi strati, dalla superficie sino al punto di massima profondità si nota come la temperatura dell'aequa non diminuisce sempre gradatamente dalla superficie sino al fondo del lago; questo avviene soltanto nei mesi freddi, in quelli caldi invece la temperatura decresce rapidamente sino alla pro- fondità di 25 m., debolmente da 25 a 50 m. e diventa pressochè costante da 50 a 80 m., dopo i quali si mantiene uniforme sino al fondo. Inoltre nei mesi caldi, dallo strato di superficie a temperatura pressochè uniforme, si passa tutt’a un tratto a degli strati ove il termometro discende rapidamente segnando una notevolissima differenza di temperatura. Questi strati detti strati di salto (Sprungschichte) si formano in prima- vera quando il lago incomincia a stratificarsi termicamente e scompaiono quando la stratificazione termica cessa. Nel lago d’Orta lo strato di salto si verificò tanto in autunno (osservaz. settembre-novembre 1894) quanto in primavera (osservaz. maggio- giugno 1895) e sempre tra i 10 edi 20 m. di profondità — manca affatto in febbraio in cui tutta la massa acquea ha presso a poco la stessa temperatura (1). L'andamento delle variazioni termiche delle acque di un lago è in correlazione coi vari mesi dell’anno: durante le stagioni di riscaldamento, in primavera ed in estate, il lago si stratifica termicamente, le isoterme discendono sempre più abbas- sandosi e sviluppandosi, ossia, per usare l’espressione del Forel, il lago è in fase di stratificazione. Durante le stagioni di raffreddamento, in autunno ed in inverno, invece, le acque diventano uniformi, le isoterme risalgono gradatamente verso la superficie, la stratificazione termica scompare, ed allora il lago è in fase di uniformità. Le più notevoli variazioni di temperatura avvengono alla superficie, la quale, essendo in diretto contatto coll’atmosfera, assorbe od emette la maggior parte del calore, mentre invece negli strati sottostanti, non penetrandone che una quantità minima, le oscillazioni della temperatura atmosferica si fanno poco o nulla sentire. La temperatura dell'acqua alla superficie, che era a 23°2 C. nel settembre scese a 4°9 nel febbraio: per cui l’escursione di temperatura nel lago d'Orta fra il 5 di settembre ed il 16 di febbraio fu di 18°3 C. (1) L'abbassamento di temperatura che si osserva nella serie 9* della riferita tabella, devesi ad una fortissima inverna che soffid per tre giorni continui dal 12.al 15, in seguito alla quale, pro- babilmente per la mescolanza degli strati superficiali con quelli immediatamente sottostanti, la temperatura della massa acquea divenne uniforme. | È 13 RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 349 f Questi rapporti ed altri analoghi sono espressi nella seguente È Tabella dell'escursione di temperatura nel lago d’Orta | fra il mese di Settembre 1894 e quello di Febbraio 1895. | Massima Minima Differenza | Temperatura alla superficie 239,2 49,9 185,3 | S a 5 metri 230,1 40,8 185,3 | | A CITE 220,0 49,8 179,2 | À ^ A IS 140,0 40,8 99,2 | t COUTE: 85,0 40,8 30,2 | 5 e 65,8 49,8 29,0 | È SURI 69,0 49,8 10,2 | Pme 59,8 40,8 19,0 | " ik, tg 55,5 49,8 09,7 : | a EC 50,4 408 00,6 ; Eee 502 40,8 00,4 1 Le osservazioni sin ora fatte non sono sufficienti per darci un'idea esatta del- | l'andamento annuo della temperatura dell’acqua di questo lago, per cui mi limito a rappresentare nel seguente diagramma gli estremi di temperatura estiva (Serie II) e di quella invernale (Serie X). In esso le ascisse indicano le temperature osservate; le ordinate, le profondità, e nella scala che vi è accanto sono rappresentate le diverse isoterme secondo le differenti profondità. Stato termico dell'estate Stato termico dell inverno 9 Settembre 1894 9 Febbraio 1895 | o 2 | 5 d | m le | FEAR i \ i d BEA 5 i ti | n_\40 D #0 | I pipes cM d | E I | m | nali Ls p] + | 1 | 1 | | H CLAN Kee | I || | 131039 en ce | x I | I | ando 1 pira i d Il lago d'Orta appartiene al tipo dei laghi tropicali, secondo la classificazione D Ari — PAS 350 G. DE AGOSTINI 14 del Forel (1), e presenta sempre ‘la stratificazione termica diretta, ossia gli strati più caldi sono sovrapposti agli strati più freddi, i quali non discendono mai fino a 4° C, temperatura della massima densità dell’acqua. Essendo state fatte osservazioni di temperatura (2) anche negli altri maggiori laghi prealpini credo opportuno metterle a confronto con quella del lago d'Orta della II Serie, ottenuta in settembre. Osservazioni di temperatura FATTE NEI LAGHI D'ORTA | Maeerore | pi Lugano DI Como DI GARDA nel Son di settembre a 1894 — 1889 1889 1889 1894 Temperatura in centigradi del- LEE Cr 3 l’acqua alla profondità di | metri HCH 22°,0 21°,5 20°,0 1950) » LUE Ne 1855 19°,1 14°,6 18°,6 — 5 Lo la RS 89,0 16°,6 6°,8 13°,4 18°,0 È e GU 6°,0 1959 65,0 7^4 1358 s 40 | 5°,7 dë 5°,6 6°,8 — e OUsd ansia 55,5 855 55,6 65,6 1050 y Uess 552 T 55,5 6°,5 — | E RU e ES 5°,2 6271) 5°,4 6°,4 Een | EE E Se S^ NS 59,9 594 62 à LAUNE cs 5°,2 = keng = — y dëser 50,7 558 Dh — x Dsum = — 6°,1 — A D SE me 5538 = VETE " US: Seer M T — 33. 30550 E e | 5^7 | — | Sr LEM | | IRE i | Se si paragona la temperatura dellago d'Orta con quella degli altri laghi lom- bardi: Maggiore, di Lugano e di Como, si osserva come in questi la temperatur& (1) Il Forez dà la seguente classificazione termica dei laghi: 1° Laghi di tipo tropicale, quelli in cui gli strati profondi variano a partire ed al di sopra della temperatura della massima densità dell’acqua, 4°. 2° Laghi di tipo temperato, quelli in cui gli strati profondi variano tanto al di sotto come al di sopra di 4°, i 3° Laghi di tipo polare quelli in cui gli strati profondi variano a partire ed al di sotto di 4°. V. Le Leman, vol. II, pag. 297. (2) Le osservazioni sul lago Maggiore, di Lugano, di Como furono fatte dal prof. Forex (Ricerche fisiche sui laghi d'Insubria, in “ Rendic. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere ,, vol. XXI, 1889); pel lago di Garda dal prof. E. Ricurer (Corrispondenza scientifica) in “ Rivista geografica ita- liana ,, Roma, 1894. 15 RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 351 abissale differisce di neppure un grado centigrado, mentre quella del Garda à note- volmente superiore alle altre. Questa temperatura elevata del Garda credo sia da attribuirsi alla sua maggior profondità sotto il livello del mare. Anche negli altri laghi si nota il medesimo rapporto. I dati relativi sono espressi nel seguente Specchietto: Lago d'Orta fondo a 14 7 m. sopra il livello del mare, temperat. 55,2 C. » di Lugano 5 22 , sotto " » 958 y » Maggiore d T7895 E d # BR » di Como ÿ 215 , s P S 6971.03. » di Garda E 2815 e ^ y posi zs Per cui nei laghi sopra indicati la temperatura abissale cresce col crescere della Profondità sotto il livello del mare. Sarebbe interessante fare per tutti questi laghi osservazioni di temperatura a Profondità eguali, possibilmente in un breve intervallo di tempo ed in condizioni atmosferiche identiche. I dati che ne risulterebbero, oltre a farci conoscere l’anda- Mento della temperatura di ciascuno di essi, ci indicherebbero ancora come la stra- tificazione termica tra di loro si comporti. Trasparenza delle acque. — È noto come l’acqua in natura, per quanto lim- pida apparisca, non sia mai del tutto trasparente, arrestando essa ad una certa profondità i raggi luminosi. Nella ricerea delle condizioni fisiche delle acque di un lago questo della trasparenza d un fattore importante, ed io lo studiai col metodo del P. Secchi (1), facendo scendere verticalmente nell’ acqua un disco bianco di 30 em, di diametro, attaccato ad una funicella graduata, perpendicolare al suo piano 9 cereando la profondità alla quale il disco scompare all'occhio discendendo e quella alla quale riappare all’oechio ritirandolo: la media di queste due misure ripetute alcune volte ed in località diverse dà la profondità limite di divisibilità ossia il grado di trasparenza delle acque. Ecco i risultati delle mie osservazioni: 9 settembre trasparenza delle acque m. 8 e temperatura alla superficie 235,2 C. ombre ©, si ; y 148 , 15 febbraio =, ege ; Ä 409 , giugno p : 8.50 A a 1850 , . Questi dati ottenuti in differenti stagioni dell'anno, paragonati fra di loro, SPlegano chiaramente il rapporto che corre tra la temperatura e la trasparenza delle acque: questa raggiunge il suo maggior limite nell'inverno, quando la tempe- ratura degli strati superficiali è più bassa, e diminuisce nell’estate quando si innalza. Nelle osservazioni fatte la differenza fra i limiti estremi (settembre e febbraio) è stata di m. 3,50. Questo crescere o diminuire della trasparenza delle acque, pro- Viene specialmente dal maggiore o minor calore delle acque stesse, nelle quali du- "Ante la stagione calda la vita organica è in grande attività, e nell'inverno invece ven in perfetto riposo; nè va dimenticato come l’acqua calda assorbendo una Minor quantità di luce, è meno trasparente di quella fredda che ne assorbe di più. maus EE si (1) A. Szcomr, Esperienze per determinare la trasparenza del mare, in Ciaro, Sul moto ondoso del “re, Roma, 1866. 352 G. DE AGOSTINI — RICERCHE BATOMETRICHE E FISICHE SUL LAGO D'ORTA 16 Inoltre la copia e la natura delle sostanze tenute in sospensione o disciolte nelle acque ne diminuiscono la limpidezza e quindi anche la trasparenza. Mettendo poi a confronto il limite di visibilità del lago d'Orta (m. 8 in set- tembre ed 11,50 in febbraio) con quello dei laghi Maggiore e di Como (m. 6 in settembre) e di Lugano (m. 3 pure in settembre) (1), risulta come la maggior traspa- renza delle acque di questi laghi sia raggiunta da quelle del lago d'Orta. Questa maggior limpidezza delle acque devesi attribuire specialmente al non aver questo, come altri laghi, un grande affluente che lo attraversi, ed esser invece alimentato da torrenti di breve corso formati in gran parte da abbondanti sorgive, i quali scor- rono su roccie relativamente molto compatte, per cui i materiali di trasporto che contribuiscono a formare le torbide sono pressochè nulli. Colorazione delle acque. — La colorazione delle acque dei laghi è una delle loro proprietà caratteristiche. Io la studiai e la determinai servendomi della scala proposta dal Prof. Forel e che da lui prende nome. Essa è formata da un miscuglio in varie proporzioni di due soluzioni, l'una azzurra di solfato di rame ammoniacale, l’altra gialla di cromato neutro di potassio. Dalle varie osservazioni fatte sul lago d’Orta notai che nel mese di settembre 1894 il colore di quelle acque corrispondeva al N. IV della scala Forel, tendendo cioè all'azzurro, mentre nella parte sud tra Pascolo ed Imolo era tra il N. IV e V. Nella prima metà di novembre invece la colorazione corrispondeva in tutta la linea mediana al N. IV e così nel febbraio e nel maggio seguenti, per cui si può ritenere che il colore delle acque del lago d'Orta corrisponda al N. IV della citata scala. Paragonato il colore di questo lago con quello degli altri maggiori della Lom- bardia (2), si avrebbe la seguente graduazione : Lago d’Orta N. IN corrispondente a ‘1/,,, di soluz. azzurra e Tun di soluz. gialla Maggiore N. VI-VIl y 80/,60-"%/100 E 30/1003 1/109 Jj di Como N. VI-VII y $ ‘| di Lugano N. VIII ^ S EOD n Confrontando tra di loro queste varie gradazioni, si osserva come il lago d'Orta, che è anche il più trasparente di quelli esaminati, sia quello le cui acque si avvi- cinano di più all'azzurro, quindi al color proprio dell'aequa pura (3). Fra le varie cause che influiscono sulla diversa colorazione delle acque dei laghi sono specialmente da notare: la natura delle torbide che vi portano fiumi e torrenti, la qualità e la quantità di aleuni sali che vi stanno disciolti e le sostanze » » » organiche tenute in sospensione. Dalle osservazioni sopra riferite si vede che in generale le acque dei laghi che hanno maggior trasparenza sono anche quelle che piü si avvicinano alle colo- razioni azzurre. (1) Forez F. A., Ricerche fisiche sui laghi d'Insubria, ecc. (2) Forst, Ricerche fisiche, ecc. (3) R. Bunsen nel 1847 constatò che il turchino è il color proprio dell’acqua pura distillata» Questo risultato fu poi in seguito confermato per opera specialmente di J. Soret e W. Spring; ? quali distillando dell’acqua colle maggiori precauzioni e lasciandola riposare per lungo tempo otten- nero del turchino tanto più azzurro, quanto più pura era l’acqua. Vedi F. A. Forez, Le Leman vol, II, pag. 473 e segg. AN). NE delle de di Doro Classe di Sc. ba Tale Nat. deis 2° Gomo XLVI G.DE AGOSTINI- Studio sul Lago d'Orta G. DE AGOSTINI CARTA TOPOGRAFICA DELLA RIVIERA cLAGO ORTA. À - e Scala chilometrica di 1:100,000. ella Gua 54) M aw AN SEGNI CONVENZIONALI MAND. AMENTO EZ omme | Borgata Ferrovie Strade provinciali comunali Casolare alpino ~ non sempre praticabili | 940 Quota di altezza in metri sul_ livello del mare. mulattiere campestri ee. Limite di Circondari Sentieri alpini » P roi io pini AS Rocco. v VERT FES SC. BORGOMANERO SE G.DE AGOSTINI- Studio sul Lago d'Orta N Tei 3 BA COSTRUTTA "Ie Deeg: GIOVANNI DE AGOSTINI Scala di la 25000 CARTA BATOMETRICA LAGO D'ORTA Secondo gli scandagli fatti nel 1894 S.Filibekt Also È Le curve altimetriche sano di 25,in 25 metri Le isobate di 10,in 10 metri VA Va D 1 Km Bun Miasino 501 $ S \ ueciago rconio e eege Tav. IT. RE ee i ——Ó————— e e e " — — Lav. IH G.DE AGOSTINI- Studio sul Lago d'Orta PROFILO LONGITUDINALE DEL LAGO D'ORTA DA OMEGNA-ISOLA S.GIULIO-BUCCIONE = 3 S x $ A E N $ E 3 i ES à N S è E N D è N N E: IN N $ S N mU ES ad Sy È s N Ÿ N X N Ed N S d È À à 3.8 S N D 3 ZS s Š SAIS RS È S 3 N S E = Pelo SON dell'acqua sopra SS & mare x Ed à S È Y EE i j Li, E À 00 | €— "a - I 125 | 10 22222 zz Gi, LI, CIS, 4 IL HE i E: UA sa > 2 TRASVERS PROFILI TRASVERSALI DEN, Gs P Isola m E Taa Ms. Giulio PMovero larcegna S Filiberto Giulio Orta P lasarıo arctago - T - 0 zz Ki = TA zn. om —— EU om. 25 a Casotto 25 da N : 777 25 E 50 50 a \ 50 50 L e em 75 75 15 Ko WE, 75 100 100 100 22223 100 us "s res COIN à LL vso Scala per le distanze 1: 50000 Scala per le profondita 1 : 5000 i % o A Fe E ent " met ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM IN RAPPORTO COLLA TEORIA DELLA STELIA [DIM Ss THIEGHEM E JI OULIITOI OSSERVAZIONI ANATOMICO-CRITICHE Dott. SAVERIO BELLI LIBERO DOCENTE DI BOTANICA E 1° ASSISTENTE NEL R. ISTITUTO BOTANICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO * (cox 6 TAVOLE) Approvata nell Adunanza del 21 Giugno 1896. INTRODUZIONE Da qualehe anno sto lavorando all' Anatomia comparata dei Trifogli a scopo tassonomico, e, in questo lavoro di lunga lena, fornitomi da un materiale di quasi 100 fra specie e sottospecie, mi son veduto sorgere dintorno ad ogni piè sospinto un’ infinità di questioni riguardanti la significazione anatomica dei tessuti; problemi che stanno in dipendenza di interpretazioni nuove e di nuove teorie che in questi ultimi anni si pubblicarono sulla classificazione anatomica nei vegetali superiori. Uno fra i più salienti e che più d'ogni altro attrasse la mia attenzione, si è quello dell’esistenza del cosidetto periciclo nei caulomi e nei fillomi, introdotto dalla Scuola francese capitanata da V. Thieghem, ed accettata senz'altro da molti scrit- tori d’anatomia vegetale italiani. Questa denominazione di periciclo è stata definitiva- Mente adottata nel Trattato di Botanica di V. Thieghem (1), per designare una regione anatomica generale del caule, un fatto indiscutibilmente acquisito alla scienza, ed è il nome di un tessuto che, come posizione, limiti e funzione, dovrebbe essere non solo omologo ma continuo con quello da molto tempo ammesso nella radice con altro nome (pericambio) (2). Di pari passo colla nozione del periciclo nel fusto, va per questi Re i (1) v. Turegaen, Traité de Botanique, 2* ediz., pag. 139. I i O) L. Fror, Recherches sur la zone perimedullaire, “ Ann. Sc. Nat. „, serie 7%, t. XVIII, p. 37, 1898, ^a in questi ultimi anni adottato il nome di zona perimedullare per significare un tessuto omologo al pe riciclo, ma situato dal lato opposto del fascio vascolare, cioè in corrispondenza del protoxylem. Serie IL Tom. XLVI. S 1 354 SAVERIO BELLI 2 Autori quella dell’endoderma caulinare, anch'esso oggidi ammesso addirittura dalla scuola francese. E quantunque a loro stessa confessione, questa zona che limiterebbe internamente la corteccia (écorce) nel fusto, non posseda sempre gli stessi caratteri istologici che la caratterizzano nella radice (anelli interni d’ispessimento, pieghettati 0 no, suberificazioni, ecc.), pure V. Thieghem e la sua scuola, lasciando il campo ana- tomico ed entrando in quello teorico, ammettono sempre nel fusto un endoderma come topograficamente esistente. Come è noto, Strasburger (1) ha adottato per questo strato del fusto il nome di fleoterma che si ritiene da lui più adatto. Sulle idee di questo illustre anatomico dovrò ritornare a suo tempo. Intanto le mie proprie osservazioni sulla struttura del fusto dei Trifogli mi hanno condotto alla conclusione, che l'esistenza di queste due regioni endoderma (fleoterma) e periciclo non sono in questo Genere dimostrabili e non hanno ragione. di essere considerate come entità autonome, a meno di voler creare delle subiettività, che non sarebbero giustificate in certi casi, neppure dalla funzionalità che loro si vorrebbe attribuire. Anche interpretando la parola fleoterma nel senso di Strasburger, esso non esiste nei Trifogli. Le idee del V. Thieghem più sopra citate, nonchè la sua teoria sulla Stelia (2) derivata dall'esistenza, supposta costante, delle due regioni sovracennate, vennero, in questi ultimi tempi, applicate con criterii molto subbiettivi e con riserve discuti- bili dal Vuillemin (3) allo studio di alcune Leguminose, e fra queste del G. Trifolium. Gli è soprattutto questa teoria dei fusti astelici, strettamente legata coll’esistenza di un periciclo e di un endoderma caulinare, che io non ho potuto adattare alla strut- tura dei Trifogli, come non ho potuto persuadermi della possibilità della sua gene- ralizzazione. Una delle conseguenze dirette delle idee di V. Thieghem et Douliot è questa: che in tutti i lavori di Anatomia dal 1885 in poi, le produzioni fino a quell’epoca ritenute come appartenenti al libro, soprattutto le guaine meccaniche esterne dei fasci vascolari vengono considerate come derivate dal periciclo e ad esso appartenenti; da una zona cioè, la quale (come sarà detto più estesamente nel seguito di questa memoria), pur appartenendo, al cosidetto cilindro centrale ed avendo una origine comune istologica col fascio (4), si pretende sia un'entità regionale diversa dal resto delle altre parti uscite dal cordone procambiale, e capace perfino di reagire in certi casi chimicamente in modo diverso (5). Già nel 1889 il Lecomte nel suo accurato studio sul Libro delle Angiosperme (l. c.) scriveva, che per poter dire con sicurezza se le fibre, che si trovano alla periferia esterna dei fasci vascolari, formando un arco di sostegno tra l'endoderma e il libro, appartengano piuttosto al libro che al pericielo, bisognerebbe fare uno studio (1) Ueber den Bau und Verrichtung der Leitungsbahnen, Jena, 1891, pag. 809-10. (2) Sur la polystélie, par V. Tumanrm et Doucror, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7^, t. III, p. 275. (3) La subordination des caractères des la feuille dans le Phylum des Anthyllis (Nancy, Berger- Levrault et C., 1892). (4) Vedi Russow, Vergleich. Untersuch., pag. 186 e From, Le, (5) Lxcowre, Étude du liber des Angiospermes, “ Ann. Sc. Nat. » vol. X, pag. 223, 1889. à ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLI diligente di sviluppo (1). Il Lecomte ha messo il dito sulla chiave del problema; iti di poi su argomenti di anatomia ma, malgrado ciò, pare che in molti lavori us caulinare, questa questione, decisiva in materia per ogni singolo Genere, o per lo ssa famiglia, siasi molto trascurata. Spesso si meno per qualche Genere di una proc e allo studio anatomico di caulomi, in pieno sviluppo, considerando i rapporti mutui definitivi dei tessuti tali quali stanno, senza seguirne lo sviluppo iniziale; mi e tessuti cominciano ad emergere almeno da quel momento, in cui i diversi si dalla spesso inestricabile ed informe ganga dei meristemi apicali, per prendere forma e struttura, definitiva o transitoria, ma discernibile e paragonabile. Lo stesso Morot che trattò monograficamente la questione del periciclo si riferisce a cauli e foglie completamente sviluppate. A. Gravis (3) lamentò già l'inconveniente che deriva dallo studiare la struttura anatomica dei vegetali, limitando lo studio alle sezioni trasversali o longitudinali in eM Punto dato di un fusto, di una radice, e supponendo che detta struttura si ri- IA Con questo processo solo. “ Il y a peut-être une autre raison pour laquelle l'anatomie végétale n'a pas fourni jusqu'ici tout ce qu'on pouvait espérer d'elle. à Pour connaître l'organisation d'un animal quelconque, les zoologistes l'étudient ` tout entier et à divers âges; ils le suivent dans ses métamorphoses. En botanique, 9n s'est trop souvent borné à l'examen d'une coupe transversale et d'une coupe à longitudinale pratiquées en un point indéterminé d'une tige ou d'ume racine. On a a volontier supposé que ces deux coupes suffisaient pour caractériser la structure : de l'organe tout entier. Plusieurs travaux d'anatomie comparée ont pour base des È Observations ainsi faites en des points indéterminés d’un certain nombre d’espèces. u a est résulté, que bien souvent les parties comparées n'étaient pas comparables „. ni sd “= canto però bisogna ammettere come indispensabile per chi si accinge Ra di un fusto o di altro membro vegetale, il seguire la via tracciata dai 2M piu antichi e continuata via via fino ad oggi dai più valenti anatomici, io non posso: però trattenermi da un’osservazione: I! risultato degli studii sulle delimitazioni dei moristemi apicali o embrionali a loro trasformazione nei tessuti e regioni permanenti si concreta talora in una — di teorie, non di rado diversissime fra di loro. Pare, in questi casi, che il atto materiale dell'osservazione non basti a sé stesso, ma esca dall'ordine delle cose e» vna © venga interprétato. Si ha così una specie di anatomia teorica (mi si passi espressione) diversa dall'anatomia pratica. . Basta per convincersene dare uno sguardo alla teoria sui meristemi di Nog ; confronto di quella di Sanio, per restringermi alle due principali e non citare le ent Or bene; la discordanza su di una teoria, è ammissibile, ma sui fatti come = non si può discutere. È questione di vedere una cosa o di non vederla; ma la “Scordanza su cose di fatto non può provenire che da inesattezza di osservazioni si Lecomre, loc. ert, p. 219. ope m S C 88 F Recherches sur le péricicle, " Ann. Sc. Nat. ,, t. XX, pag. 217, 1885. Introd Recherches anatomiques sur les Organes végét. de l'Urtica dioica. Bruxelles, A. Manceaux, 1885, a, » P. Iv. RE 356 SAVERIO BELLI 4 o da insufficienza di dati; circostanze che possono condurre a generalizzazioni arbi- trarie. Quando poi si hanno delle conclusioni spesso diametralmente opposte da Osservatori diversi che si sono occupati di un identico soggetto, tutto porta allora a credere che, o le circostanze d'osservazione mutino, o che losservazione diretta ceda il posto alle interpretazioni delle strutture; interpretazioni che possono essere ingegnose ma che non sono cose di fatto, non rappresentano la definizione della forma e dei limiti caratteristica dei tessuti, regioni ed elementi. Questa discordanza di vedute trova in parte la sua scusa nelle parole di Sanio (1), anche ammettendo i grandi progressi fatti in questo ultimo ventennio nella tecnica microscopica. Per esempio, si capisce benissimo, che M. de Janezewski e M. Russow siano giunti a con- clusioni divergentissime a proposito della struttura delle punteggiature ed aree cribrose, del loro callo, ecc. I risultati di siffatte ricerche sono dipendenti da cir- costanze cosi variabili, prodotte dai reagenti, dallo stato del materiale che si ado- pera, dai liquidi conservatori, ecc. che si può bene non maravigliarsi se, anche a poca distanza, i risultati stessi mutino col perfezionarsi dei mezzi d'osservazione. Voglio dire insomma, che in certi casi le conclusioni disparate od erronee possono essere il risultato dell'osservazione diretta e non dell'interpretazione. Ma in altri casi questa scusa non vale. Tolgo un esempio dalla parte storica del lavoro di Flot (2) più sopra citato. Scrive lA. che la teoria di Nœgeli sui meristemi apicali è accettata da Sachs, il quale però nelle espressioni di cui si serve mostra una certa riserva: * Les portions “ du tissu fondamental situées entre les faisceaux, paraissent, sur la coupe transver- * sale, n'étre que des communications radiales entre l’écorce et la moelle, ou, comme * on les appelle, des rayons médullaires primaires ,. Perché “ paraissent? „. Se sono tali, la sezione longitudinale puo confermarli, se no, saranno qualche cosa d'altro. Cosi (secondo l'esposizione di Flot), Russow “ pense que dans les Phanérogames on * ne trouve pas d’initiales distinctes, mais un massif de cellules (protoméristeme); * il admet comme exactes les idées de Sanio, sauf en ce qui concerne lanneau d'é- * paississement, qu'il ne considère pas comme un tissu différent des autres méristèmes »- Perchè pensare che vi siano o no delle iniziali distinte, mentre non c'è che da osservare? Forse che l'osservazione non basta a dar la convinzione all'osservatore? Qual altro fattore occorre? L'anello d'ispessimento di Sanio ha o no dei caratteri suoi proprii, non fosse altro di orientazione degli elementi, per cui possa dirsi diverso dagli altri meristemi? In tal caso non c'è bisogno di considerarlo come identico O diverso, ma di constatarne semplicemente la diversità o la simiglianza. Per cio che riguarda i meristemi primitivi, io dubito, stando alle mie osservazioni sui Trifogli, che sia molto più facile il figurare arbitrariamente in essi delle regioni definite che il riconoscerle, e che soprattutto sia di una difficoltà enorme, per non dire impossibile; il fissare nei meristemi stessi e seguire lo sviluppo di una fila di cellule, peggio poi di un elemento isolato, fino alla definitiva modificazione che ne deriva. (1) Santo, Vergleich. Untersuch., ecc., * Botan. Zeit. ,, 21 ann. (1863), pag. 359. (2) Fror, l. c., pag. 39-41. > ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 357 Briquet (1), p. e., nella sua Monografia del G. Galeopsis, trova impossibile il distin- guere al punto vegetativo un periblema ed un pleroma “ en tant qu’histogenes distinctes „, e, del resto, basta dare un'occhiata alla sua nota a pag. 21, per vedere quanta di- versità di opinioni esistano negli Autori allorchè si tratta di venire alla definizione di zone meristematiche procedenti dalle iniziali dell’apice. Di fronte a tanta difficoltà nel segnare i limiti di esse, è certamente meravi- glioso il risultato ottenuto da V. Thieghem nel mettere in rapporto la struttura astelica degli Equiseti colla segmentazione tangenziale dei segmenti “ issus de la “ cellule terminale tetraédrique , (2). Ma, nè le sue figure del Traité de Botanique (3) né le ricerche di Hofmeister (4), di Cramer (5), di Max Rees (6), e neppure quelle di Russow (7) dimostrano questa struttura. D'altra parte nel Traité de Botanique (p. 774) l'A. distingue due diversi processi di segmentazione apicale, a seconda che il fusto degli Equiseti è astelico o monostelico. Vedremo altrove come I Autore ammetta nel G. Equisetum esclusivamente la struttura astelica. Come si spiegano al- lora le segmentazioni apicali che darebbero origine alla struttura monostelica de- Scritte nel Traité? Quando furono viste? Si vedrà pure, come fra i vegetali a strut- tura astelica V. Thieghem annoveri delle Fanerogame. Per questi vegetali l'Autore ammette, nella massima parte dei casi * l'impossibilità di mettere in esatto rapporto “ le segmentazioni primitive apicali colla delimitazione delle sue cosù dette regioni , (8); quindi l’astelia supposta in questi vegetali (Auricula, Ranunculus), ecc. & genetica- mente non dimostrata (ammesso che lo sia quella degli Equiseti) Nelle osservazioni Poste in fine al mio lavoro sul T. repens a pag. 46 il Lettore troverà aleune brevi annotazioni alle diverse teorie sul differenziamento dei meristemi formativi del caule dalle iniziali dell'apice nelle Fanerogane. In questi ultimi anni un chiaro scrittore di Anatomia vegetale, il Kruch, in un bellissimo lavoro sulle Cicoriacee (9) porta un largo contributo a colmare la lacuna lamentata dal Lecomte, e dimostra come in questo gruppo di piante, certe produ- zioni, che colle idee generali del V. Thieghem avrebbero dovuto appartenere alla re- Silone da lui detta periciclica, debbono anatomicamente e istogenicamente essere riferite al libro nello stretto senso della parola, perchè esse “ nascono col fascio procambiale 4 raggiungono la loro definitiva costituzione nel posto stesso dove si originarono i Primi tubi cribrosi; che anzi esse finiscono per sostituirvisi ,. In simili casi non si pub dunque parlare di regione periciclica. Questo lavoro del Kruch non à citato da nessuno degli ultimi scrittori di anatomia vegetale della Scuola di V, Thieghem. (1) Briquer, 1. c., pag. 20:21. (2) v. Turrones, Remarque sur la structure de la tige des Préles, “ Journ. de Bot. ,, p. 871-72, 1890. (8) Pag. 774. 7 (4) HorwersmeR, Vergl. Untersuch. ueb. Keim., ecc., pag. 89-97, 1851. (5) Cramer, Pfianzenphysiolog. Untersuch. v. Nogeli u. Cramer, III, pag. 21 e seg., 1855. Di Y Max Rens, Zur Entwickelungsgesch. d. Stammspitze v. Equisetum , * Jahrb. wiss. Bot. ,, VI, «4, fig. 1 et pl. XI, fig. 8-4-5. (7) Russow, Vergl. Untersuch., * Mem. Acad. St-Petersb. ,, vol. XIX, n° I, pag. 141, 147, 184 (1872). (8) V. Tram, Traité de Bot, 2* ediz., pag. 776-777. R x I fasci midollari delle Cicoriacee, Ricerche del Dott. O. Knvon. Estratto dall' " Annuario del - Istituto Botanico di Roma ,, vol. IV, fasc. 1°, tip. Acc. Lincei, 1890. 358 SAVERIO BELLI 6 La prima conseguenza che nasce da questo lavoro del Kruch è che la legge generale enunciata da V. Thieghem (1) pare soggetta ad eccezioni gravi; tali da infir- marne il valore; conciossiachè questa delle Cicoriacee sia una tribù che conta un numero stragrande di Generi. Ad un identico risultato io son giunto collo studio anatomico ed istogenetico dei fasci caulinari delle specie del G. Trifolium, come verrà esposto nel seguito di questo lavoro; portando così una nuova contribuzione alle ragioni di fatto, che fanno sup- porre, non essere la struttura caulinare, enunciata da V. Thieghem, cosi generale come appare a tutta prima. Ma un'altra considerazione di maggior peso nasce dallo studio del caule dei Trifogli, considerazione anche alla quale il Kruch ha già ac- cennato nel suo lavoro più sopra citato delle Cicoriacee (2), che cioè “ la distinzione * del fusto delle Dicotiledoni in corteccia e cilindro centrale, oggidi ammessa dalla maggioranza degli anatomici, massime francesi, è nel caso dei Trifogli, come in * quello delle Cicoriacee, arbitraria, insostenibile, stando alle caratteristiche stesse, per D “ cui queste due regioni si vogliono distinguere; caratteristiche, vuoi anatomiche, * vuoi istogenetiche, vuoi funzionali ,. Si tentò, come è noto, di riportare la divisione del fusto delle dicotiledoni in corteccia e cilindro centrale al primo apparire dei meristemi apicali, e di metterla d'accordo colle pretese divisioni di Hanstein in ple- roma, periblema e dermatogene. Per conto mio non ci son riuscito. Altri, e fra questi primo V. Thieghem, oltre che tentar la precedente derivazione, fondano questa di- visione sull'esistenza di un endoderma caulinare e di un periciclo. Di queste due produzioni, una non esiste nei trifogli, il periciclo. Se si vuol ammettere l’altra come tale, ne nascono degli assurdi come sarà detto più avanti. Finalmente se si vuol desumere la solita divisione dall’antica significazione derivante dalle produzioni pe- ridermatiche, anche queste non autorizzano nei trifogli questa separazione. 50 dunque a questa nomenclatura generale si vuol dare un substratum anatomico, e Se si vuol essere conseguenti, converrà abolirla nei casi in cui l'anatomia non si presta più ad un simile concetto. In ogni caso, ripeto, che di tutti i Generi, che venissero studiati a scopo anatomico, necessita lo studio istogenetico, per poter con sicurezza parlare di periciclo e sue modificazioni o produzioni, non bastando allo scopo l'esame bi evoluti (3). Lo studio istogenetico del fusto dei Trifogli mi ha condotto dunque alla dimo- te periciclo, se al periciclo dei fu strazione di questo fatto: che nel G. Trifolium non “es (1) Pn. V. Turenem, Sur quelques points de l'anatomie des Cucurbitacées, “ Bull. Soc. Bot. m France ,, 1882, t. XXIX, p. 280. V. Thieghem si esprime cosi parlando dell'anatomia del fusto 1n generale: “ Sous l'épiderme s'étend l'écorce limitée en dedans par l'endoderme; au dessous de * l'endoderme est le cylindre central. Les faisceaux libéro-ligneux du cylindre ne touchent pas * l'endoderme, mais laissent entre lui et le bord externe de leur liber une couche plus ou moins * épaisse de tissu conjonctif, parfois réduite à une seule assise, Pour abréger appelons périeycle * cette zone conjonetive comprise entre l'endoderme et les f (2) Loc. cit., pag. 53. (3) In un recente lavoro sull'anatomia delle Casuarinee del Prof. Morini, le fibre addossate al libro nel caule sono dette evidentemente pericicliche, ma potrebbero, salvo dimostrazione istogenetica, aisceaux libéro-ligneux ,. essere dette anche evidentemente librose. EE EE OI M ENDODERMA E PER!CICLO NEL G. TRIFOLIUM 359 “ si annette la significazione più sopra enunciata da V. Thieghem, cioè: tutto quanto si produce fra il limite più esterno del fascio vascolare (libro molle) e un endoderma. * Ne consegue quindi che le produzioni più o meno selerificate, fibrose, che stanno “a ridosso di ciascun fascio nella struttura primaria della maggioranza delle specie * del G. Trifolium, e quelle secondarie foggiantisi a cingolo chiuso in certe altre, “ non appartengono al periciclo ma al libro, ed al cambio interfascicolare “ rispettivamente , che in generale poi appartengono al fascio e non al connettivo fondamentale. Dal cosi detto endoderma del caule dei Trifogli sarà a suo tempo ampiamente discusso, Ma, a priori, debbo dire che, per quanto riguarda i trifogli, solo il Vuillemin (1) ha creduto di ammettere nelle foglie, del G. Trifolium, un periciclo ed un endoderma come produzioni definite, seguendo le teorie del V. Thieghem; conclusioni che io non Posso adottare in seguito alle mie osservazioni sullo stesso Genere. Sulle riserve fatte da Vuillemin circa alla teoria della Stelia sarà detto più avanti. SERI LI (1) Loc. cit., pag. 224 fig. 164. 360 SAVERIO BELLI 8 x DUE E INI Prima di entrare in materia sento il bisogno di ringraziare vivamente il Prof. G. Gibelli Direttore di questo Istituto Botanico, il quale mi fu ognora largo del suo sapiente consiglio nel corso di questo lavoro. E grazie dico pure al Dott. Francesco Ferrero, Assistente volontario nello stesso Istituto, che gentilmente volle spesso ripetere qualcuna delle mie osservazioni; nonché al carissimo amico Prof. Mattirolo, al Dott. Buscalioni ed a tutti coloro che direttamente o indiretta- mente mi furono di aiuto nei dubbii e nelle incertezze. Riassumerd anzitutto brevemente la storia di questo periciclo del caule, aggiun- gendovi alcune osservazioni preliminari, e a tal fine prenderd le mosse dal lavoro di Morot sopracitato, il quale compendia tutto quanto se ne scrisse sotto altro titolo fino al 1885. Morot (1) passa dapprima in rassegna i lavori di Hugo Mohl, di Mirbel, di Næ- geli e di Leitgeb per venire a V. Thieghem, al quale è dovuta la conoscenza della vera struttura della radice, nonchè della funzione della zona rieogena che V. Thie- ghem sostituì alla denominazione di pericambio, e che infine cambiò in quella di periciclo della radice stessa. Citati i lavori di Olivier (1881) l'A. conclude che, se è ben conosciuto oggi i periciclo della radice, altrettanto non può dirsi di quello del caule; e la prima ra- gione di ciò è, secondo Morot, il fatto che nel fusto “la délimitation entre l'écorce * et le cylindre central n’est pas d’ordinaire aussi facile à établir tout d'abord que * dans la racine , (2). E questa è una grande verità, della quale gli Autori in 8 nerale e perfino il Morot stesso, che la scrive, fanno poco conto nella pratica, mentre gli à su questa delimitazione talvolta impossibile che sono fabbricate delle region! anatomiche ipotetiche. E bisogna non dimenticare che l'anatomia si basa sui fatti e tien conto dei fatti e non delle teorie. (1) Loc. cit., pag. 219 e seg. (2) Loc. cit., pag. 222. 9 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 361 Ecco il periodo testuale del Morot che riguarda intanto l'endoderma, fissato come limite esterno delle produzioni pericicliche, e che io trascrivo per intero, poichè nel seguito di questa nota sarà necessario ritornarvi Sopra: “ L'endoderme en effet, dont la présence est si commode pour distinguer ces deux “ régions l'une de l’autre (corteccia e cilindro centrale) se montre dans la racine “avec des caractères d'une nettetè que l’on ne retrouve pas toujours dans la tige; " si bien, que le parenchyme cortical wy semble être souvent que la simple conti- "nuation à travers les rayons médullaires du tissu conjonctif interne „. In una nota a piò di pagina poi l’A. aggiunge: * Dans beaucoup de cas l'en- “ doderme se présente dans la tige avec des caractères analogues à ceux qu'il affecte " dans la racine, c'est-à-dire avec les plissements des parois latérales de ses cel- “ lules, produisant sur une coupe transversale l'aspect de petites taches noires " plus ou moins allongées ,. Qui l'Autore cita le Famiglie nelle quali questo endo- derma à così foggiato: Aroidee, Clusiacee, ecc. Poi aggiunge nella stessa nota a pag. 222: * Ailleurs les plissements caractéristiques font défaut, mais l'endoderme “ se reconnait encore facilement à la forme ou aux dimensions de ses cellules; à “la subérification précoce de leurs membranes. Fréquemment aussi les cellules endo- > dermiques sont le siöge d’un depöt abondant d’amidon, qui permet de le distinguer “ des cellules voisines; de là le nom d'assise amilifère donné parfois à l'endoderme. " Mais si l'on songe que la tige présente pendant longtemps des phénomènes d’al- “ longement intercalaire, qui manquent dans la racine, on comprendra que les ca- “ ractères énoncés ci dessus puissent se modifier au point de devenir méconaissables. i C'est ce qui explique notamment pourquoi les plissements des parois des cellules > endodermiques peuvent n'avoir qu'une existence fugitive, qui, bien souvent, a fait conclure à tort à leur absence absolue ,. Convien notare anzitutto che le nozioni sulle cosi dette pieghettature dell’ en- doderma in generale (plissements) sono oggidi alquanto diverse. Cid che una volta SU Interpretava come prova della loro esistenza, oggidi à riconosciuto invece come Segno caratteristico (in sezione trasversale) di un ispessimento, sia o no questa zona ISpessita pieghettata (AB) Quindi il distendersi della pieghettatura non importa sempre che l’ispessimento Non possa essere visibile in molti casi sotto la nota forma dei punti di Caspary. dn ogni caso si potrebbe domandare, perché non scompaiono mai questi punti È nell’endoderma del caule delle famiglie più sopra citate dal Morot, Aroidee, ustacee, Piperacee, ecc., le quali saranno anch'esse passibili di accrescimento inter- calare negli internodii? degna di nota l'opinione di Gerard (2), il quale nel riassumere la struttura del fusto vorrebbe, nelle sue conclusioni, che l’endoderma fosse sempre riconoscibile anche quando non ha le caratteristiche punteggiature. “ Elle (l'assise interne ou en- TOES see. ae, Vedi gli ultimi studii sull'endoderma e sui cosi detti puna ui Caspary, in * E Sc. Nat. » b tst. XVIII, pag. 128 e seg. di G. Pomaurr; vedi pure: G. GIBELLI e FERRERO, Ricerche di ana- n SC © morfologia intorno allo sviluppo del fiore e del frutto della Trapa natans (Estratto della Talpighia » vol. IX, fasc. IX-X, pag. 45 (separ.) e seg. (2) Passage de la racine à la tige, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie VI, t. XI, pag. 295, 1881. Serw II. Toy, XLVI. ; 362 SAVERIO BELLI 10 * doderme) est cependant reconnaissable à la disposition particulière de ses éléments * (opposés aux cellules plus externes du parenchyme cortical alternes avec celles de “ la couche rhyzogène (periciclo); il che non succede sempre anche nella radice (1). Ma ritorniamo all'esposizione del Morot. Un secondo motivo, che avrebbe impedito, secondo Morot, ai botanici di fissare la loro attenzione sull'esistenza del periciclo è ^ l'habitude ou l'on était de considérer * comme appartenant au liber non seulement les faisceaux de sclérenchyme que dans * bien de cas lui sont adossés, mais aussi les fibres qui ailleurs forment à la pé- * riphérie du cylindre central une ceinture plus ou moins complète, séparée parfois * des éléments libériens par plusieurs assises de parenchyme. Or les faisceaux et “ ces anneaux fibreux si frequents les uns et les autres dans la tige, à la quelle ils * constituent un puissant appareil de soutien, appartiennent comme nous le verrons au péricycle et non au liber (2) ,. Importa notare subito come Morot tra le fa- miglie da lui studiate annoveri aleune Leguminose come aventi un periciclo for- mato da fibre addossate al fascio vascolare (3), le quali darebbero l'esempio di un periciclo formato da fibre localizzate in faccia ai fasci. Non cita particolarmente il G. Trifolium. Ora dunque per ciò che riguarda il fusto del G. Trifolium, appartenente a questa famiglia e mostrante delle fibre localizzate appunto a ridosso dei fasci, si vedrà a suo luogo, come non si possa ammettere che esistano fibre pericicliche, dappoichè pe- riciclo non esiste; bensì è forza ammettere delle fibre di libro, ed è ciò che, come si è detto, verrà dimostrato colla storia di sviluppo del fascio. Mi pare del resto che, allorquando Morot scrive, che una delle ragioni che hanno impedito di fissare l’attenzione dei botanici sull'esistenza del periciclo nel fusto “ è l'abitudine di considerare le fibre addossate ai fasci come appartenenti al libro * anzichè al periciclo ,, egli lasci supporre la quistione a priori come risolta in tutti i casi; mentre poi questa sua asserzione costituisce precisamente il fatto ancora da dimostrarsi; fatto che in alcuni casi potrà essere tale, in altri no. Non bisogna mai del resto perdere di vista, che l'esistenza di queste produzioni, fibrose o no, che si vogliono localizzate in una regione anatomicamente differente dal resto del cordone procambiale (conjonctif externe p. p. di Flot), sono sempre determinate come condizione sine qua non dal punto esterno di repere costituito dall'endoderma, visibile, constatabile in qualche maniera. In caso contrario assieme alla nozione di un periciclo scompare anche quella della divisione di un fusto in corteccia e cilindro centrale. Noto di passaggio che il Kruch p. es. figura come un endoderma ben definito la zona segnata colla lettera e nella fig. 80 della tav. XIX, mentre poi, a parte forse la grandezza un po’ maggiore degli elementi (e non in tutti), non si saprebbe per (1) In un lavoro anatomico sulle Ranunculacee del sig. Nrmour (^ Mém. des Sav. étrang. Acad. Royale de Belgique ,, t. LII, pag. 8, 1890-93), è detto p. e. che nella struttura dell'asse ipoc > elementi dell'endoderma sono riconoscibili all’ * alternance parfaite avec ceux qui leurs sont immédia- tement sous-jacents ,, poichè mancano le pieghettature caratteristiche. Ora, la fig. 2 della tav. Idi questo lavoro è lungi dal mostrare questa alternanza perfetta! (2) Moror, loc. cit., pag. 222. (8) Monor, loc. cit., pag. 257. otile gli il ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 363 qual altro carattere distinguere questa zona dal resto del tessuto circumambiente. Kruch, del resto, non ammette nel suo lavoro la distinzione tra cilindro centrale e corteecia. Morot continua nel suo lavoro accennando agli studi fatti nel 1872 da V. Thie- ghem (1) sulla Tagetes patula, dove Y'A. dimostra come la membrana rizogena o pe- riciclo della radice passi nel fusto. Morot aggiunge perd, che siccome V. Thieghem considerava coll’opinione generale i gruppi fibrosi, addossati al libro, come facenti Parte del fascio, così ammetteva che il periciclo si interrompesse nel fusto a li- Vello dei fasci stessi, continuando solo negli spazii interfascicolari: “ A l’entrée “ même de la tige la membrane rhyzogène s’arréte brusquement en dehors des “ faisceaux libéro-ligneux, qui viennent désormais appuyer leurs cellules les plus “ externes contre les cellules protectrices (endoderma). Mais elle se continue dans x l'intervalle entre les faisceaux pour donner naissance, par son bord externe aux - racines adventives, dont la disposition en quatre (Tagetes patula) est ainsi déter- ' minée, et par son bord interne aux arcs générateurs, qui relieront entre eux les < arcs générateurs des faisceaux et en formeront une zone génératrice continue ,. V. Thieghem, come si rileva dal suo lavoro (2), ha preso a considerare lo svi- luppo della giovane pianticella di Tagetes patula dai suoi primordii. La questione quindi del passaggio della zona periciclica della radice al fusto doveva risultare, “elle Sue modalità, dall’esame di questa struttura e non altrimenti. Non si capisce quindi, perchè l'opinione generale sulla natura dei gruppi fibrosi posti esternamente al libro dovesse far arrestare il V. Thieghem a considerarli come appartenenti piut- tosto al fascio stesso che al periciclo. Morot prosegue riportando il lavoro di Vesque (3) sull’anatomia della corteccia. Questo Autore non avrebbe riconosciuto il periciclo, considerando all’ uso antico la corteccia come l'insieme dei tessuti compresi fra l’epidermide e il libro inclusiva- Mente, e mettendo nel parenchima corticale le fibre che spesso esitava a riferire al libro. Non si può dire però che Vesque abbia torto, se in moltissimi casi non tro- vava la ragione anatomica di stabilire delle regioni che non vedeva. Viene quindi la volta di Falkenberg (4), che conserva la denominazione di guaina esterna alla “ porzione periferica del cilindro centrale (periciclo) , e mostra che Principalmente nei rizomi, dove le sue cellule conservano pareti sottili, essa corri- Sponde per la sua natura e per la sua funzione al pericambio (periciclo) della radice. Falkenberg ammette dunque il periciclo del caule come corrispondente a quello della radice, ma non dimostra che ne sia la continuazione diretta. Quanto al corrispondere Per la sua funzione al periciclo radicale, Falkenberg allude certamente ai casi, in cui Questo tessuto nel caule dà origine alle radici avventizie, e, in questo senso, l'omo- Be (1) v. Tursanzw, Canaux sécréteurs des plantes, " Ann. Sc. Nat. „, serie V, t. XVI, pag. 111, 1872. (2) Negli * Annales , mancano figure dimostrative di questa struttura. ©) Vasque, Anatomie comparée de l'écorce, “ Ann. Sc. Nat. „, serie VI, t. II, pag. 82, 1875. S (4) Vergleichende Untersuch ueber den Bau der Vegetationsorgane der Monokotiledonen. Stuttgard, 1876, 364 SAVERIO BELLI 12 logia funzionale è in parte sostenibile. Non però nel G. Trifolium come si vedrà & suo luogo (1). Morot seguita la sua esposizione storica riferendo lo studio di Mangin (2), il quale scrive che “ les racines adventives se développent aux depens de l’assise péri- * phérique du corps central (periciclo) remplacée à ce moment par plusieurs assises “ constituant une couche génératrice particulière. Cette couche est la continuation * dans la tige du péricambium de la racine principale ainsi que le démontre l'examen “ des plantules en germination , (3). Non si pub a meno però di rilevare come il Mangin, dopo aver constatato (4) col- l'esame anatomico delle pianticine in germinazione la continuità del pericielo radicale con quello caulinare, ne discorra poi come di una ipotesi ammissibile in grazia della analogia, che si riscontra fra la disposizione strutturale dei rami e quella dei cauli. “ Comme on voit à l'insertion d'un rameau sur la tige principale les différentes “ formations du rameau se continuer avec les formations homologues de la tige, on “ conçoit que dans la plante entière la couche génératrice des racines peut être “ considérée comme continue depuis la racine primaire jusqu’au sommet des rameaux * végétatifs , (5). Strasburger (6) nega la continuità dell'endoderma radicale in quello caulinare, tanto più poi quella del periciclo. Lasciando impregiudicata la questione che i rami siano un'emanazione del fusto principale, mi giova qui ricordare cose note. I due pericicli, radicale e il supposto caulinare hanno origine da due meristemi opposti, separati, almeno teoricamente, dalla regione generalmente variabile pei diversi vegotali, dovo succede il cambiamento di orientazione dei fasci; dal colletto insomma interno ed esterno (7). I meristemi crescono in direzione opposta, si raccordano volgarmente in un piano, ma in realtà si raccordano in spazii e tempi diversi nelle loro parti corrispondenti. Gli studii futuri dimostreranno in qual misura siano applicabili le generalizza- zioni nello stabilire il punto, o la regione, dove avviene il cambiamento di struttura da radicale a caulinare. I pochi lavori conosciuti su questo argomento dimostrano che le diverse regioni radicali possono non concordare con quelle caulinari almeno come posizione, e quindi, astrazion fatta dal piano teorico, partendo dal quale i due coni meristematici crescono e si allungano in direzione opposta, si possono in Së guito avere formazioni anatomiche nella radice che mancano nel caule e viceversa (8). Gerard nello studiare il passaggio della disposizione strutturale della radice a quella (1) Cfr. Rem, Untersuch. ueber Wachstumsgeschichte und Morphologie der Phanerogamenwürzel (* Bot. Abhandl. v. Hanstein , (1871) citato da Lremarre, ^ Bull. Soc. Bot. Fr. ,, t. XXX (1883). (2) C. Maxaiw, * Comptes Rendus , (Juin, 1880); et Origine et insertion des racines adventives d modifications correlatives de la tige chez les Monocotiledones, “ Ann. Sc. Nat. ,, VI série, tome XIV, p. 258 (1882). (8) “ Comptes rendus , (1880), 1437-39. (4) Non esistono, che io sappia, figure dimostrative di questo fatto nel lavoro di Mangin. (5) “ Comptes rendus ,, 1. c. (6) Srraseuréxr, Ueber Bau u. Verricht. der Leitungsbahnen in den Pflanzen, Jena, 1891, p. 306- 307 e seg. (7) Geraro, Passage de la racine à la tige, “ Ann. Sc. Nat. ,, VI série, tome XI, p. 298 (1881). (8) Geraro, 1. c., p. 349. 13 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 365 del caule nelle Leguminose (non pare che abbia perd esaminato il G. Trifolium) scrive, che il periciclo (assise rhyzogène) “ est visible jusque sous les cotylédons: elle com- “ mence à faire défaut devant les faisceaux libériens ,. Invece Briquet (1) trova, che nel G. Galeopsis il periciclo non scompare nel passaggio dalla radice al caule in faccia ai fasci librosi. Ammesse come esatte Queste due osservazioni ne consegue, che à impossibile formulare una legge struttu- rale generale per le Dicotiledoni a questo riguardo (2). Léon Flot (3) a sua volta, nella sua nota preliminare sulla regione tigellaire des arbres, accenna ad un pericielo, che nella Vitis o nell’ Ampelopsis formerebbe da solo la zona esterna del cilindro centrale nel fusticino adulto. Continuando l'esposizione della storia del periciclo, Morot riporta l'opinione di Gerard in contraddizione con quella di V. Thieghem, secondo il quale (V. Tieghem) il periciclo caulinare darebbe origine ai ponti cambiali interfascicolari, mentre Gerard lo nega. Morot per suo conto ammette in molti casi esatta l'opinione di V. Tie- ghem (4). Nel lavoro test? uscito e più sopra citato di Briquet (5) l'Autore conferma nel G. Galeopsis le osservazioni di Morot e di V. Thieghem. I fasci secondari, che si originano nell’interstizio dei preesistenti, sarebbero cioè dovuti all'attività formativa del periciclo. Notisi perd che nel G. Galeopsis, secondo Briquet, è dimostrato ad un certo punto sotto l'apice vegetativo un endoderma generale caratterizzato o da suberi- ficazione delle pareti o dai soliti punti di Caspary (6), e quindi la serie di cellule Che gli stanno internamente rappresentano un periciclo. i Per conto mio invece ho potuto osservare, che nel G. Trifolium i fasci secon- darii interfascicolari sono dovuti alla segmentazione ripetuta di elementi, che stanno a livello del cambio endofascicolare, e che si continuano direttamente nel raggio mi- dollare con quelle del midollo stesso, toltane la dimensione minore degli elementi Stessi (Vedi fig. 30, tav. IV). Il voler quindi chiamare periciclici questi elementi varrebbe Quanto voler distinguere o fissare una fila qualunque di cellule in una produzione felloidea fatta da elementi perfettamente simili. Io convengo dunque col Gerard sull'origine dei ponti od archi interfascicolari, naturalmente per cid che riguarda il Senere Trifolium. Notisi poi che in questo Genere non si può mai osservare un endoderma generale paragonabile a quello p. e. del G. Galeopsis, e quindi manca il Punto di partenza per delimitare una zona periciclica soprattutto negli spazii inter- fascicolari, Morot cita ancora la nota presentata da V. Thieghem alla Società Botanica pol. Ce (1) Briquer, Monographie du genre Galeopsis (Bruxelles, F. Hayez, 1893), p. 30. SE? (2) STRASBURGER, Ueber Bau und Versicht. der Leitungsbahn, pag. 314, “ nega la continuità del- doderma caulinare nelle foglie nella maggior parte dei casi ,. (3) Sur la région tigellaire des arbres (Note de M. Léon Fror, * Compt. Rendus „, tome CVII, P. 306-308), 1889, (4) Monor, 1. c., pag. 227. (5) Briquer Monog. G. Galeopsis, pag. 46. (6) Baraver, 1. c., pag. 49, fig. 11 e 51, fig. 12. l'en 366 SAVERIO BELLI 14 di Francia nel 1882 (1), il cui riassunto ? già stato citato a pag. 6 di questo lavoro (Vedi in nota), e finalmente un altro periodo del V. Thieghem a schiarimento della suesposta definizione, che suona cosi (2): * Le méme caractère (c'est-à-dire l'existence * d'un péricycle comprenant une zone parenchimateuse entourée d'une gaine fibreuse) " se retrouve dans d'autres tiges appartenant à des familles très éloignées des Cucur- “ bitacóes, et très différentes entre elles: p. e. dans les Berberis, Aristolochia, Lonicera, “ dans les Saponaria, Dianthus, et autres Caryophyllées ete. Au même titre que ces arcs elle appartient au cylindre central dont elle occupe la périphérie; mais ni plus ni moins qu'eux elle ne fait partie du liber des faisceaux; elle n'est libérienne; c'est une qualification à laquelle il est temps de renoncer tout à fait , (1). Se con queste parole V. Thieghem ha voluto estendere a tutte le Dicotiledoni la qualificazione di archi periciclici in opposizione a quella di archi librosi, io ripeto, che quest'ultima espressione deve essere mantenuta nel G. Trifolium, come lo & da Kruch per le produzioni analoghe nelle Cicoriacee. Morot finisce l'esposizione storica dicendo, che questa struttura generale del fusto vien ripetuta da V. Thieghem nel suo Traité de Botanique (3), e che Lemaire (4) constatò che, come Mangin (5) nelle Monocotiledoni, così nelle Dicotiledoni le radici avventizie si originano dal periciclo. Faccio osservare, che il Lemaire a pag. 261 descrive il suo secondo tipo di radici laterali (avventizie), il cui cilindro centrale solo è generato dal cosidetto periciclo, mentre la corteccia e la piloriza nascono dal- l’endoderma caulinare. Questo tipo secondo PA. comprende la famiglia delle Legu- minose. Nella tavola XI colle figure 25-27 l'A. presenta la struttura caulinare del Lotus uliginosus. L'endoderma non sarebbe distinguibile nella figura che per la gran- D D « dezza maggiore delle cellule, quantunque a pag. 261 egli scriva che * sur une tige “ déjà agée, on peut facilement reconnaitre l'écorce et le cylindre central ,. A pa- gina 262 parlando del Trifolium repens YA. scrive, che esso “ offre les mêmes phéno- * mènes de développement, mais la démarcation entre le cylindre central et l'écorce * de la tige est encore moins nette ,. L’ Autore non dà figure del T. repens, ma se la distinzione fra cilindro centrale e corteccia è, a detta dell'Autore, ancor meno netta che nel Lotus uliginosus, dove le cellule dell'endoderma supposto sono caratterizzate solo dalla grandezza, si può ben dire che nel T. repens non vi è differenza alcuna, © che non si può discernere un cilindro centrale ed una corteccia. L'origine delle radici laterali nelle Leguminose venne studiata nuovamente nel 1886 da V. Thieghem e Douliot (6), ed i risultati ottenuti sono alquanto diversi da quelli di Lemaire. Secondo V. Thieghem e Douliot le radici laterali prendono origine (1) V. Tumenem, Sur quelques points de l'Anatomie des Cucurbitacées, “ Bull. Soc. Bot. de Fr. » tome XXIX, p. 280, 1882. (2) Moxor, Le, p. 227. (3) V. Tureouzw, pag. 731-743, 1° ediz. e pag. 753, 2* ediz. (4) Le Marne, Note sur l'origine des racines latérales chez les Dicotilédones, “ Bull. Soc. Bot. de Fr. ,, t. XXX, p. 283, 1883, e “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7°, t. III, pag. 269, tav. XI, fig. 25-27. (5) Maxen, 1. c. (6) “ Bull. Soc. Bot. Fr. ,, t. XXXIII, pag. 494, 1886, e Recherches comparatives sur l'origine e membres endogènes dans les plantes vasculaires, Paris, Masson, 1889. 15 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 367 nel fusto come nella radice, cioè tutte intiere dal periciclo, mentre l'endoderma non darebbe origine che alla saccoccia digestiva. Lemaire invece ammetteva che, dal pe- riciclo, si originasse soltanto il cilindro centrale della radicella laterale, mentre l'en- doderma dava origine alla caliptra. V. Thieghem e Douliot hanno osservato l'origine delle radici laterali nel T'rifo- lium repens e T. Wormskioldi (1). Gli autori scrivono, che la produzione delle ra- diei laterali nel T. repens succede esattamente nello stesso modo che nel Lotus uli- ginosus, tenuis e hispidus e L. corniculatus, al quale si riportano le fig. 441-445. In queste figure è disegnato un endoderma generale. Ma nel T. repens non si hanno endodermi di sorta, bensi una guaina parziale (che dal Vuillemin si ritiene come endoderma particolare a ciascun fascio) tal quale come nella foglia (Vedi anche fig. 164 di Vuillemin, 1. c.). Non è dunque possibile che la radicella laterale si formi nel T. repens come nel Lotus; cioè che là dove manca un periciclo, soprattutto negli spazii interfascicolari, luogo d'origine della radicella, le sue cellule aggrandite e segmentate formino la bozza radicellare, la quale ^ pousse devant lui les cellules correspondantes de l'endo- derme , (2); e non le può spingere, perchè anche l'endoderma negli spazii interfa- Scicolari del G. Trifolium manca (come del resto manca in corrispondenza dei fasci). Franck (3) serive: * Die an Caulomen entspringenden Seitenwurzeln enstehen “ gewöhnlich aus der dussersten Phloemschicht der Fibrovasalstränge; manchmal (z. B. “ bei Impatiens parviflora) aus dem Znterfascicularcambium. Doch fehlt es hierüber noch “ an hinreichenden Untersuchungen ,. Nel T. repens le radici secondarie non si originano tutte dallo strato più esterno del libro, ma, come si vedrà a suo luogo, appoggiano i loro estremi laterali ai lati del fascio, a livello della regione del cambio interfascicolare. Il corpo della radice Vien dato dal cambio interfascicolare stesso. Non si pud dunque parlare di endoderma e di periciclo producenti delle radici avventizie del T. repens. Accenna per ultimo Morot alla scoperta del periciclo della foglia fatta da V. Thie- ghem (4), il quale dimostra che esso accompagna i fasci che abbandonano il fusto Der. entrare nel picciuolo ed affetta in questa regione delle relazioni diverse, sia col-. l'insieme dei fasci stessi (monostelia), sia con ciascuno di essi (astelia) (5). Su quest'ul- timo punto dell'anatomia della foglia si ritornerà parlando della stelia in generale. EN (1) Quest'ultima specie, ancora controversa, pare appartenga al gruppo del T. Aybridum L. Nel lavoro di V. Thieghem e Douliot non esistono figure dimostrative dell'origine delle radici late- Tali nel 7. repens od altri. (2) V. Tuman et Dovuzror, l. c., p. 447. (3) Lehrbuch der Botanique, pag. 52, vol. IL. (4) V. Tarecnew, 1. c., p. 283 e Traité de Botan., 2 ediz, p. 841-42. (5) Vedi a pag. 58 la definizione dei vocaboli astelico, monostelico, polistelico ece. che spesso Occorrono nel corso di questo lavoro, prima di trattare della stelia direttamente. 368 SAVERIO BELLI 16 I. Morot viene quindi alle osservazioni proprie sul periciclo, che io qui espongo succintamente, aggiungendo qualche osservazione indispensabile per la comprensione della parte critica del mio lavoro. L'Autore si occupa della struttura tanto primaria quanto secondaria del periciclo della radice e del caule. Tanto questa che quella presentano diverse modalità che sono le seguenti: 1° Periciclo omogenco e semplice; 2° Periciclo eterogeneo; 3° Periciclo incompleto ; 4° Periciclo modificato nella struttura primaria; 5° A queste modalità bisogna aggiungere il caso della mancanza di periciclo. 5 Tralasciando per ora il periciclo della radice che non mi interessa, vediamo come si dofiniscano dal Morot queste modalità. 1° PERICICLO OMOGENEO E SEMPLICE. È abbastanza raro nei fusti (Dipsacee, Va- lerianacee, Rubiacee ete.). In questi esempi il periciclo è costituito da elementi pa- renchimatosi alternanti con quelli di un endoderma generale caratterizzato dalle pie- ghettature (1) solite e differenziato in guaina amilifera. Contro questo perieiclo si appoggiano i primi tubi cribrosi. 2^ PERICICLO ETEROGENEO. Contiene fibre ed elementi secretori (vasi latici- feri) o tutte e due assieme queste produzioni miste a parenchima. a) con fibre. Le fibre possono essere miste a parenchima (Hezacentris, Sola- nacee, Gen. Achymenes, nelle Gesneracee) disseminate qua e là nel periciclo, isolate 0 riunite in piccoli gruppi (Petunia, Batatas edulis, Ruellia strepens, Clerodendron Thompsonae). b) Le fibre possono invece essere riunite a gruppi grandi che prendono forme distinte, isolotti più o meno regolari (Scyadocaliz, Fraxinus, Ligustrum) 0 costituenti un anello quasi completo, senza lasciare cellule parenchimatose frammezzo agli elementi fibrosi (Berberis). c) Finalmente in altri casi questi isolotti flbrosi, invece di essere sparsi irregolarmente, ovvero di saldarsi in un tutto continuo, si localizzano in faccia ai fasci libro-legnosi. “ Les exemples d’une localisation absolue », Scrive il Morot, “ des “ fibres péricycliques en face des faisceaux sont très nombreux et repartis dans des “ familles très diverses, telles que les Composées, les Labiées, les Légumineuses, les “ Bignoniacées, les Polygonées, les Renonculacées ete. „. Morot fa seguire i diversi modi di essere di queste fibre addossate ai fasci. Tralascio di riferire le modalità del periciclo ad elementi secretori di cui non ho ad occuparmi. Convien tenere sempre a mente che.in tutti i casi citati da Morot, riguardanti l'esistenza di un periciclo eterogeneo, si ha costantemente la coesistenza di un endo- derma circolare generale. Nel lavoro di Morot non sono citati i Trifogli, e neppure è data una figura che rappresenti una Leguminosa qualsiasi. Stando alle generalità (1) Sull'inesatta significazione di questo vocabolo per designare i punti neri di Caspary vedi la nota a pag. 9 di questo lavoro. 17 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 369 Strutturali del caule esposte dal Morot, tutto lascia supporre che .egli ammetta in tutte le Leguminose un endoderma generale, tanto più poi che nel periciclo cosi detto incompleto (che porta seco l'esistenza di un endoderma pure incompleto), l'Autore non cita nessuna Leguminosa. 3° PERICICLO INCOMPLETO. Riporto alla lettera le parole del Morot (1): “ Nous “ avons supposé jusqu'à présent que le péricycle (de même que l'endoderme) entourait “ complètement le cylindre central. C'est là en effet le cas de beaucoup plus fréquent; mais il y a cependant quelques exceptions à cette règle générale et le péricycle peut parfois se trouver interrompu dans l'intervalle des faisceaux libero-ligneux. i On se rappelle que, dans la ragine des Graminacées et Cypéracées, le péricycle i Mañque en face des faisceaux ligneux, mais l'endoderme n'en forme pàs moins un cercle continu. Au contraire dans les tiges où le périeycle est fractionné, l'endo- ; pe lest également, et l'on peut méme dire que la structure spéciale du péricycle st une conséquence de celle de l'endoderme. Une autre particularité à noter c'est que, dans les différents cas où l'endoderme est ainsi interrompu, les arcs qu'il dé- È veloppe vis-à-vis des faisceaux, se replient autour, de ceux-ci, et leur deux extré- mités vont se rejoindre à la pointe du bois. Le péricycle entraîné dans ce mouve- : ment de l'endoderme affecte la méme disposition, de sorte que chaque faisceau se 7 trouve alors enveloppé d'un endoderme propre dont il reste séparé, sur tout son Pourtour, par un péricycle plus ou moins épais ,. Questa struttura sarebbe, secondo Morot, propria dell Hydrocleis Humboldtii, di bed Primula e anche, secondo ricerche di Marié (2), di molte Ranunculacee (Caltha, Ficaria, Eranthis, Ranunculus sp. et var:). M E qui debbo fermarmi un momento per far notare « priori, che se le idee del ` ops emm dovessero ege? eg tutti à casi un'applicazione esatta, se cioè, Bins sie d Dee vero pel G. ei rifolium che le produzioni fibrose, che starne a dS fasci in forma di cuffia sclerenchimatosa, fossero realmente di origine Eo mentre mon lo sono, le specie del G. rs mi dovrebbero Ne er R 1 quelle citate da Morot come aventi un periciclo incompleto. Ma già si disse iau e si n meglio EE del mio lavoro, come nel G- Trifo- en möstri i haec libro-legnosi, alla fine della loro struttura primaria, per- , “ente isolati e come immersi in una ganga fondamentale, e che se nella pri- "éen sa iuba fasci er ae ER top sogmentazioni doll’ Urmeristem, em in in cerchia chiusa, è tuttavia impossibile —À Dt essa geneticamente alato s : le dia origine al periciclo come regione a sè, caratterizzabile topografica- wë Strutturalmente. un SN esposizione dello studio gal Morot, Se te: alle consi- già i da lui sul modo di essere del perieiclo nel G. Li rimula, soggetto ato da Kamienski (3) e ripreso in studio dipoi da V. Thieghem (4). Morot E os ls m Moron, Le p. 260. "s Manti P., Recherches sur la structure des Renonculacées, “ Ann. Sc. Nat. „ serie 6°, t. XX, 1884. È va, Zur Vergleichenden Anatom. der Primeln. Strassburg, 1875. È ; ` -HIEGHEM, Structure de la tige de Primevères nouvelles du Yun-Nan, " Bull. Soc. Bot. Fr. ,, + — Groupement des Primevères d'après la structure de leurs tiges, Le Serre TI, Tom. XLVI. : XXXII, 1886 370 SAVERIO BELLI 18 scrive: * En présence de cette série de transformations on peut se demander s'il * wy aurait pas lieu de considérer les rhyzomes de ces divers Primula comme cons- * titués soit en entier, soit en partie, suivant les cas, par une sorte de faisceau des * bases des feuilles concrescentes ,. A pag. 292 Morot scrive ancora: " D'autre part l'existence d'un péricyele frac- * tionné enveloppant sóparemment chaque faisceau libero-ligneux n'est pas spéciale ‘ au pétiole, on peut aussi bien que rarement la constater dans la tige ,. E pro- segue: “ J'ai fait remarquer, il est vrai, que dans certains cas au moins, on semble * étre en droit de regarder les portions de la tige, qui présentent cette disposition, * comme n'étant plus qu'une réunion de bases de pétiole plus ou moins longuement * concrescentes ,. L'idea che non solo i rizomi delle Primule in tutto o in parte, ma tutti i cauli in generale non siano che la fusione delle basi fogliari è, come è noto, non nuova. Ma nessuno ne ha trattato in questi ultimi tempi (dopo Braun, Decandolle, ecc.) con maggior competenza e con criterii più generali di. Delpino (1) e Celakowsky (2). Celakowsky (in literis) accenna alle antiche idee sul germoglio. Trascrivo le parole di Celakowsky : “Il germoglio non è l'elemento morfologico che viene dopo la cellula; ma * tra la cellula e il germoglio havvi lo Sprossglied (o fitoma di Gaudichaud e Dangeard) * che consta di un filloma e del relativo articolo caulinare. E precisamente il fillo- * podio di Delpino, il quale nel 1882 si era formato lo stesso concetto dell'asse, quale “io appunto l'aveva formato nel 1876, e già prima era stato espresso da Gaudichaud, * ehe ingiustamente Schleiden aveva messo in ridicolo ,. Secondo Delpino, le piante non sono cormofite ma fillofite, ed il sistema caulinare non esiste; “ le foglie, lungi dall'essere organi appendicolari o periferici, sono or- “ gani centrali, e ciò che fin qui venne considerato come sistema caulinare non è “ che una congenita fusione delle busi di un numero indeterminato di foglie. Non è un “ un sistema organico; è semplicemente una regione, e quindi deve essere denomi- nato fillopodio o regione fillopodiale , (3). Se una questione simile (che sfugge allo scalpello anatomico, ed è, diremo cosi, di ordine metafisico) ha potuto in qualche modo essere graficamente dimostrata, lo è cer- tamente nei lavori di Celakowsky, ma più ancora in quello di Delpino (4), dove, è messo in chiaro che, solo coll'ammettere l'esistenza teorica di queste basi fogliari, si può spie- gare l'ordinamento fillotattico della serie principale più sparsa in natura, ciò che non si ottiene supponendo che gli organi fogliari siamo ordinati attorno a cilindri assili. Da questa teoria nasce un corollario immediato, che cioè la distinzione fra cor- teccia e cilindro centrale nel caule è impossibile teoricamente come è arbitraria in pratica, e non è d'accordo neppure coi processi biologici e funzionali dei vegetali. (1) Dureıwo F., Teoria generale della fillotassi, “ Atti della R. Università di Genova „, 1883. (2) Cecaxowsky, Ueber terminale Ausgliederungen. “ Sitzgb. der k. bóhm. Gesellsch. d. Wissenschf. »» 6 Heft, 1875. (3) Vedi anche Recherches de Morphologie et d’Anatomie végétales, par M. P. A. DANGEARD; * Le Botaniste ,, serie 1*, 1889, pag. 175 e seg. (4) Dzrriwo, Loc. cit. ’ 19 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 3 EAN EL ES EE OSSERVAZIONI ANATOMICHE sul Trifolium repens L. e sul Trifolium alpinum L. Queste osservazioni si dividono in due capitoli: 1° Sviluppo e struttura dell’endoderma e periciclo nell’asse ipocotile del Tri- folium alpinum L. 2° Sviluppo o struttura degli stessi tessuti nel caule a diversi stadii nel T repens L. NB. Nell'esposizione strutturale, che segue, io tralascio a bella posta i fatti co- Muni, per non fermarmi che su quelli che interessano i due tessuti o zone in que- stione e che sono loggetto speciale di queste ricerche. Accennerd eziandio a quelle Particolarità anatomiche od istologiche che mi parvero interessanti, riservandomi di esporre l'anatomia completa del T. repens nel lavoro che tratta della struttura com- Parata del Genere in corso di studio. Ho scelto pure a bella posta un trifoglio dei più comuni ed a portata di chi voglia Verificare l'esattezza delle mie osservazioni. Per le osservazioni sull'asse ipocotile ho scelto il T. alpinum che si presta meglio; le osservazioni nel loro complesso e nelle loro conclusioni servono pure per la generalità dei Trifogli. La struttura delle altre specie del Genere, che da molti anni vado esaminando, varia naturalmente alquanto da questa del T. repens; ma per ciò che riguarda il periciclo e l'endoderma H vi sono variazioni che infirmino le conclusioni a cui sono giunto e che si possono ritenere generali. Il lettore troverà però talvolta accenni a cose note e descrizioni di strutture comuni. In questi casi voglia concedermi venia poichè vi sono costretto dalla conca- tenazione delle idee e soprattutto della critica. Asse ipocotile (Tav. VI, figg. 42, 43, 44; tav. V, fig. 35). — Questa regione è al solito facile a distinguersi esternamente dalla radice primaria con cui si continua. Seguendo nel T. alpinum dall’apice alla base una radice principale, è facile ricono- Scere un punto, in cui alla disposizione irregolarmente ondulata della superficie esterna Segue una superficie liscia, provvista di epidermide, con cuticula sottilissima. Questo punto corrisponderebbe al cosidetto colletto esterno. Se p AS pin ptc 372 SAVERIO BELLI 20 Il passaggio apprezzabile dalla struttura radicale interna a quella caulinare av- viene, nell'asse ipocotile, in una regione che si estende dal colletto esterno fino sotto i cotiledoni. — Siccome a me interessa soprattutto di seguire, nell'asse ipocotile, le due zone, endodermica e periciclica, cosi non mi dilungo molto sui processi di sviluppo e di morfologia interna, dell'ipocotile stesso. Mi limito quindi a riportare solo gli stadii di sviluppo dell'asse ipocotile e di quello radicale, in quanto riguardano quello delle due sopracitate regioni in rapporto colla teoria della Stelia. Le sezioni dell'asse ipocotile vennero studiato soprattutto a tre livelli differenti: 1° al colletto, 2° a metà, 8° sotto ai cotiledoni. La radice del T. alpinum è tetrarca (Tav. V, fig. 89 e tav. VI, fig. 41). Seguita nel suo sviluppo dall’apice vegetativo essa mostra i seguenti stadii strutturali: 1° À qualche decimo di millimetro sotto l’apice ricoperto dalla pileoriza si hanno i primi elementi usciti dal meristema apicale, differenziati in due gruppi distinti: 1° il cilindro centrale omogeneo; 2° la corteccia con un epiblema (Tav. V, fig. 33). Il cilindro centrale presenta, a un certo punto, la disposizione dei suoi elementi come nella fig. 33 della tav. V. Una porzione centrale ad elementi poligonali è circondata da due o tre file di elementi piü grandi. Una di esse, a cellule allungate elo (p. c. o. r.). Lo strato che sta al di fuori di questo è l'endoderma (end.) nella figura 38, tav. V (1), ma non si puo dirlo tale se non perché, paragonando la sezione della figura sopra citata con quella rappresentata dalla fig. 41 della tav. VI, che si riferisce ad uno stadio più avanzato, si vede che quella zona mostra un endoderma perfet- tamente caratteristico. Agli stadii rappresentati dalle figg. 33 e 39 della tav. V, l'endoderma può dirsi tale solo topograficumente, perchè mancano le caratteristiche istologiche sopracitate. Nel cilindro centrale i primi elementi, che nascono dalle cellule procambiali (Tav. V, fig. 39) e quasi contemporaneamente, sono di tre sorta; trachee iniziali, fibre e cambi- forme. I due primi si originano alternandosi su quattro punti della periferia, cosicchè la radice è fetrarca, come già si disse. — Alla prima trachea, in senso centripeto, Se nel senso del raggio, rappresenta il pericambio o y ne aggiungono altre di maggior diametro. Le fibre sono disposte disordinatamente in quattro gruppi ed hanno la parete tenera, non troppo spessa, e di natura cellulosica. Frammiste ad esse, ed al loro lato interno, qualche elemento cambiforme ma non tubi cribrosi. Contrariamente quindi a quanto succede nell’apice vegetativo del caule evoluto, come si vedrà più avanti, i primi elementi che compaiono nella radice sono degli stereomi. Queste fibre, diciamo subito, man mano che si va verso la sua base, cioè verso il colletto, aumentano di numero, di spessore e formano un rivestimento esterno al libro, più o meno regolare, analogo a quello dei fasci del caule. Si sa che la presenza di fibre primarie nella radice delle ‘Dicotiledoni è un fatto raro (2). Haberlandt (3) scrive: “ Sichelfórmige Bastbelege auf der Aussenseite der (1) Preendoderma di Briquer, 1. c., pag. 22, fig. 4. (2) Vedi Russow, Betracht. ueber das Leitbündel u. Grundgewebe ecc., Dorpat, 1875, pag. 10. (3) Haserranor, Physiologische Pflanzenanatomie, Leipzig, 1884, pag. 233. 21 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 378 “ Leptomtheile sind bloss in verschiedenen Papilionaceenwurzeln (Phaseolus, Pisum) “ beobachtet worden ,. E De Bary (1): * Eine, meines Wissens, nur bei Dycotiledonen “ vorkommende Eigenthümlichkeit ist das Vorhandensein eines im Querschnitt etwa “ halbmondförmigen Bündels Sklerenchymfasern an der Aussenseite der Siebtheile “ triarcher und tetrarcher Papilionaceen-Wurzeln (Pisum, Phaseolus). Das Faser- “ bündel liegt innerhalb des Pericambiums , (2). De Bary aggiunge: “ Der Siebtheil bedarf hier übrigens noch einer genauern “ histologischen Untersuchung ,. Nella radice del T. alpinum dunque, i primi elementi che si differenziano nel cilindro centrale, all'indentro del pericambio, sono fibre, vasi e non tubi cribrosi. Ed anche nell'ipocotile del T. alpinum, come in quello delle specie di Trifogli apparte- nenti al gruppo degli Stenostomi (Gib. et B.), il libro è rappresentato solo da cambi- forme e dalle fibre suddette. Già dalle ricerche di V. Thieghem (3) era noto che nella struttura primaria delle radici delle Dicotiledoni i tubi cribrosi mancano: * les faisceaux libériens sont eux aussi “ non seulement continus, mais fort peu allongés, point du tout lamelliformes, et ils " ne présentent ordinairement que des cellules étroites sans trace d'éléments larges et Irillagés „. Ammesso che questa struttura primaria della radice si possa generalizzare nelle Dicotiledoni, bisogna dire, se non erro, che v'ha un punto trascurato dagli istologi e che meriterebbe una ricerca speciale, cioè quello di stabilire dove e quando compaiano è primi tubi cribrosi nella struttura secondaria della radice. Su questo soggetto, per ‘anto io mi sappia, poco si è scritto e più poco ancora si è figurato. Mancano in Quasi tutti i trattati che io conosco, e anche in numerosissimi lavori originali, figure di sezioni longitudinali di radici con libro sviluppato. Nei lavori innumerevoli di ana- tomia, nei quali si disegnano le sezioni trasversali della radice, non è facile capire Quali siano i tubi, quali le cellule concomitanti, se esistono, quale il parenchima con- nettivo libroso. Si segna invece il libro topograficamente, con una particolare trat- teggiatura convenzionale. Nello stesso lavoro di V. Thieghem (4) nello esame delle Leguminose pel Pha- og vulgaris si legge: * Les quatre faisceaux libóriens alternes ont en dehors un ; are d'éléments étroits qui sont de bonne heure épaissis e» fibres, ce qui est rare 3 dans le système primaire de la racine. Ce faisceau de fibres est suivi d'un groupe 2 de cellules étroites et longues à paroi mince; ce sont les éléments qui ordinaire- ment constituent seuls le liber primitif ,. 2 Lecomte (5) scrive pure “ Enfin nous ajouterons que le liber des racines est : Presque toujours beaucoup plus riche en, parenchyme que le liber des organes aériens ,. E per ultimo Lopriore (6): * Die Differenzirung dieser einzelnen Gewe- (1) Dx Bary, Vergleich. Anatom. Leipzig, 1877, p. 869. 18 (2) Vedi anche Lecomte, Étude du Liber des Angiospermes, " Ann. Sc. Nat. ,, serie 7*, vol. 10, 89, pag. 291 a (8S m ME Tara, Recherches sur la symétrie de structure des plantes vasculaires, “ Ann. Sc. Nat. 3 9^. t. XIII, pag. 278, 1970-71. 4) V. Tumori, 1. e., p. 217. 5); Deco 3 ) Lxcowrg, Recherches, ecc., 1. c., pag. 238. ( ( n? 2 3) Loprronr, Ueber Regeneration gespaltener Wurzeln, “ Nova Acta Akad. Carol. ,,.Bd. LXVI, ^^ Pag. 240, 1896. i mom SR 374 SAVERIO BELLI 22 “ besystemen (libro e legno) lässt sich wie in anderen Leguminosenwurzeln so auch “ in denen von Vicia Faba erst, wie schon Prantl angegeben, in grosseren Entfer- * nung vom Scheitel unterscheiden ,. Alla fine della sua struttura primaria la radice del T. alpinum è costituita come risulta dalla tav. VI, fig. 41: un epiblema, una corteccia (non figurate nella Tav. VI), un endoderma a cellule perfettamente suberizzate, un periciclo di una o due file di cellule che si segmentano già irregolarmente; un libro disposto in quattro gruppi, rappresentato da stereomi parenchimatosi e da cambiforme un po’ irregolarmente sparso; al centro lo xilema foggiato a croce; nessun midollo. L'inizio del passaggio dalla radice al fusto nell’ipocotile si può osservare nella fig. 42 della stessa tavola. Seguird qui più specialmente l endoderma e il pe- riciclo radicale nei loro raccordi colle corrispondenti zone dell'asse ipocotile. Negli assi esaminati, oltre ai cotiledoni, era accennata la profilla. La fig. 42 mostra dunque uno stadio a livello del colletto esterno dove la croce di xilema si è frazionata in quattro gruppi. Il periciclo è rappresentato dalle solite file di elementi, contro cui si appoggiano i gruppi di libro ancora disposti in quattro nuclei, alternanti colle quattro braccia primitive dello xilema. È, in altre parole, to- pograficamente continuo con quello radicale. d L'endoderma è completo, colle pareti tutte suberizzate, e continuo topografica- mente con quello della radice. Al centro si è formato un midollo per la frattura dello xilema. La figura 48 della tavola VI rappresenta una sezione fatta a metà circa del- lasse ipocotile. Il periciclo generale è ancora visibile in una fila di cellule più grandi appoggiate contro l’endoderma. Il cambiforme è in aumento ; qualche cel- lula va fino contro la zona periciclica e contorna i gruppi di stereoma poco aumen- tati di numero. Nell’insieme il libro tende a prendere una- disposizione semicircolare da ciascuna parte del diametro mediano, corrispondente all’inserzione dei cotiledoni. Nello xilema centrale gli elementi sono aumentati di numero, nel suo insieme tende a disporsi concentricamente al libro. Fra libro e xilema si è sviluppata una cerchia di cambio anch'esso diviso in due semilune: manca invece in corrispondenza dei due poli cotiledonari dove il tessuto fondamentale è rimasto stazionario. Il midollo è aumentato. L'endoderma, e questo è interessante, non mostra più le sue pareti suberizzate ma i caratteristici punti di Caspary, rispondenti alla sezione trasversa di una benderella, che sta nel'interno delle sue cellule, ed à più prossima alla parete anticlina interna che all'esterna. I due gruppi di xilema segnati colle lettere f. €. t. sono destinati ai cotiledoni. In questa figura comincia dunque a delinearsi una struttura che si può chiamare a tipo concentrico e dalla quale, con somma facilità, si passa alla struttura collaterale dei fasci propria del caule. Nella fig. 44 della tav. VI abbiamo questa struttura concentrica pienamente delineata. L'endoderma è di nuovo a pareti totalmente suberizzate. Yl periciclo ha aU" mentato il numero de’ suoi. elementi. Il libro è perfettamente diviso in due sem cerchi e così pure il legno. Il midollo si è ingrandito. Il cambio seguita a funzionare e gli elementi, che ne derivano, si dispongono più o meno in file radiali, cosicchè Se non vi fosse la continuità della cerchia si potrebbero già immaginare dei gruppi & tipo collaterale. Ai due poli cotiledonari il tessuto fondamentale, in continuità col peri- ciclo, si segmenta vivamente (fig. 44). 23 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 375 A questo punto il cilindro centrale, allungato nel senso dei cotiledoni, tende ad allargarsi nel senso al piano che passa per l'inserzione dei cotiledoni. Finalmente» nella fig. 46 della tav. VI, che rappresenta una sezione della pian- ticina oltre l'inserzione dei eotiledoni, cioè già nell'asse epicotile, i fasci cotiledonari Usciti non appartengono più alla sezione del caule ma a quella della guaina cotile- donare, La sezione dell'asse è prevalentemente anteroposteriore. I fasci sono perfet- tamente collaterali. L'endoderma generale della fig. 45 è scomparso al momento in cui ne è successa, diremo così, la frattura coll’uscita dei cotiledoni, i cui fasci soli sono rivestiti da una guaina endodermica a pareti perfettamente suberizzate (Tav. VI, fig. 46, ge.). Nella pianticina corrispondente a questa figura, oltre i cotiledoni e la Profilla, erano sviluppata una fogliolina normale ed abbozzate altre due. " Da questo momento in poi non si pub parlare più nel caule del T. alpinum di Un endoderma generale, che è irreperibile, e neppure di un endoderma parziale at- torno a ciascun fascio caulinare, nel senso che esso sia fatto da pezzi provenienti dalla rottura dell’ endoderma generale ipocotilare. I soli cotiledoni ne hanno una Porzione evidente. Che cosa è avvenuto del periciclo generale ipocotilare? Scom- Parso l’endoderma e perdutosi così uno dei punti di repere del periciclo, secondo la definizione di V. Thieghem, non è più possibile riconoscere un periciclo generale, che si fonde nella continuità del tessuto fondamentale degli strati sottoepidermici del caule, La massa dei primi elementi xilematosi, cambiforme e stereoma, che seguita di- rettamente al colletto, è dunque destinata ai fasci cotiledonari, alla profilla ed alla prima foglia normale. Dall'attività prosecutiva del cono vegetativo si origina la cerchia più interna dei fasci. OSSERVAZIONI. 3 Dalla struttura e dallo sviluppo piü sopra esposti nascono le seguenti conside- razioni, che mi paiono interessanti. Anzitutto è da notare, nello stesso asse ipocotile, la Presenza’ di due specie di endodermi o meglio di due modificazioni; l'uno a cellule Suberificato parzialmente, cioè in forma di benderella interna, l'altro a cellule suberi- (Cate totalmente : la prima a livello del colletto, la seconda a livello della metà del- Asse ipocotile e sotto ai cotiledoni. mg causa di guan disposizione anatomica den 2 alpinum in rapporto colla ne potrebbe fornire un interessante soggetto di ricerca. 1° Nell'asse ipocotile si puo dire che vi ha uno stelo, nel senso di V. Thieghem (1), dui vi ha un endoderma sw periciclo generale fre a livello dei Se RS DT endoderma si rompe a livello dei cotiledoni stessi (per usare l'espressione di 2 Thieghem) non e più reperibile nel caule evoluto. Perchè (1) Traité de Botanique, 9* ediz. (1891), pag. 764 e segg. e 767. EE 376 SAVERIO BELLI 24 Ammettendo anche come possibile la continuazione nel fusto di questi fram- menti dell'endoderma rotto, a ridosso di ciascun fascio vascolare, non si capisce poi come possa avvenire una seconda frattura di un endoderma parziale supposto per ogni fascio caulinare, allo scopo di dar origine a delle astelie nuove di 2 ordine, cioè quelle di ogni foglia caulinare (1). | 2° Altrettanto dicasi del periciclo del caule, così detto parziale, nel G. Trifo- lium. Le cuffie librose radicali nascono addossate al periciclo radicale, quindi nella radice sono evidentemente sempre distinte dal periciclo stesso, poiché concorrono a rappresentare il protofloema. Nell’asse ipocotile, fino all'uscita dei fasci cotiledonari, il perieiclo & rappresentato, sempre, almeno da una fila o strato di elementi che sta al di fuori del libro (fibre e cambiforme), e la cuffia librosa. non ha nulla a che fare con esso. Nell'ordinamento dei fasci nell'asse epicotile dove l’endoderma scompare, evidentemente la cuffia librosa costituisce la porzione più esterna del fascio stesso ed il periciclo si continua colla massa di tessuto periferico ad essa. In conclusione: un endoderma ed un periciclo generali, nelle specie del G. Trifolium, esistono soltanto nell’asse ipocotile. E solo fino a questo punto si può ammettere la separazione teorica di un cilindro centrale e di una corteccia. Al disopra dei cotile- doni non esistono più endoderma nè periciclo generali o parziali. Esistono guaine ami- lifere e cristallifere, ma queste modificazioni sono di indole istologica, non anatomica, nè topografica. E, per quanto riguarda la continuità del periciclo radicale nell'asse ipocotile, è facile riconoscere, che il periciclo vero della radice non ha a che fare colla cuffia librosa. Infatti questa, tanto nella radice che nell'asse ipocotile, si appoggia contro al periciclo fino al momento in cui quest’ultima regione al disopra dei cotiledoni scompare coll endoderma, fusa e continuata col parenchima che sta sotto all’ epi- dermide. Il L'apiee vegetativo del caule del Trifolium repens L., che abbia un certo numero di internodii sviluppati, è ravvolto in un manicotto formato dalle stipole guainanti delle foglie sottostanti. Una sezione trasversa che interessi l'apice stesso, asportandone la cupola quasi pianeggiante o leggermente compressa e poco sporgente dalle bozze fogliari, non ancora o poco differenziate (fig. I della tav. 1b), lascia vedere il solito meristema primitivo (Urmeristem Naegeli) ed un protoderma. (1) Queste conclusioni in rapporto colla stelia avrebbero dovuto essere scritte dopo il cap. il, che tratta della stessa in modo diffuso, per essere più facilmente comprese. Ma poichè ragioni di ordinamento del lavoro mi costringono ad esporle in questa seconda parte, cosi il lettore potrà, dando un'oechiata alle pagine 58, 59 e 60 del lavoro stesso, farsi in breve un'idea delle basi di questa teoria. os EE ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 377 : In questa figura la prima bozza fogliare, che sta immediatamente sotto all'apice, è allo stato meristematico. È fatta dalla guaina della stipula ed avviluppa (come tutte le altre) il cono vegetativo (Tav. I, fig. 85). La seconda bozza fogliare mostra l’inizio di tre nervature. Nella fig. 26 della tav. 4, la sezione passa a livello di un Nodo, il secondo, dove la guaina si continua senza interruzione col cono vegetativo abbracciato. Le cellule mostrano tutte il nucleo, ed in una di esse è visibile una fase del processo cariocinetico (0.). Un po’ più in basso, a livello della linea «—x della fig. 1, tav. 1, la sezione, da circolare si fa leggermente ellittica (tav. V, fig. 40). Compare ben presto un anello di elementi, che in sezione trasversa si riconoscono al lume più stretto, dovuti alla Dura segmentazione in senso longitudinale delle cellule del meristema primitivo, al- lungate nel senso dell'asse e formanti una zona circolare chiusa, concentrica al pro- toderma, e dividente il cono vegetativo in due porzioni, una interna, midollare, una esterna corticale (endistema ed esistema di Russow) (1). La sezione longitudinale sta corona chiusa è realmente formata da elementi (tav. II, fig. 15), dimostra che que alungati nel senso dell'asse, con estremità ristretta od appuntata, od anche più o meno à lati paralleli. Nella porzione intermedia di questa zona è facile vedere che Bli elementi sono più allungati che non ai margini, confinanti col midollo da un lato © collo strato corticale dall'altro. In questa porzione intermedia gli elementi mostrano, anche più spiccatamente, le estremità ristrette che non ai margini. Nel midollo (m.), Tav, V, fig. 40, e nel tessuto corticale (t. c.), la segmentazione è vivissima in tutti i Sensi; molto più che nella zona circolare chiusa, i cui elementi si segmentano bensì ancora, ma seguitano contemporaneamente ad allungarsi nel senso dell’asse. Questi elementi sono a parete tenuissima e ripieni di plasma, e taluni tuttora provvisti di ien (nella figura non disegnato). Sono insomma gli inizii dei cordoni procambiali (cambiali di Nœgeli) (2). Sarà più avanti spiegato perchè questo anello, che corrisponde ; Verdickungsring di Sanio, non debba essere considerato come un'entità diversa da quella che vien descritta da Negeli col nome di cambio (procambio), come da molti Sl vuole (3) À questo stadio, che non si può dire un brusco trapasso ma un graduale allun- garsi i E S EC : "S! degli elementi, succede ben presto un secondo riconoscibile alla fig. 7 della av. I » che rappresenta la sezione trasversa del fusto a livello della linea y—y nella fig, 1 della tav. I. . Nell'anello chiuso, cioè nell’inizio dei cordoni procambiali, e a tutto spessore, si delineano delle aree irregolarmente circolari a elementi poligonali. Il loro apparire ° dovuto semplicemente al cessare della segmentazione nel senso longitudinale in quegli elen H Ee “+ ^ " ‘enti che stanno tra un cordone procambiale e l'altro, e costituiranno poi i così detti RE, (1) nelle D "ergle "erdie, ficazione dei tessuti originantisi dal meristema primitivo apicale w e schematizzato a pag. 186 del suo lavoro, t. XIX, n°1, nonchè sul A Proposito della classi "1cotiledoni deseritto in forma generale da Ru fehende Untersuchungen, ecc., ^ Mém. Acad. impér. St-Péte Been) di Sanio, il lettore troverà più avanti qualche osservazione. (8) "ëch Beiträge der Wissensch. Botan. Leipzig, 1858, pag. JE i SS SE pag. 11a EN Guru, Anatomie de la tige des monocotiled., “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 6°, vol. V, 1878, LE seg, Seme II, Tom. XLVI. pros 378 SAVERIO BELLI 26 raggi midollari primarii. La sezione longitudinale, fig. 16, tav. IT, che passa per uno di questi spazii, dove cessa la segmentazione in senso longitudinale e ripiglia quella trasversale, mostra indiscutibilmente il fatto. Questi elementi riprendono dunque & segmentarsi trasversalmente e in pari tempo ad ingrandire, cosicchè le aree circolari più sopra dette spiccano sempre più per la piccolezza dei loro elementi, in confronto a questi, in cui appaiono infine come immersi. Il comparire di queste aree circolari ben delineate coincide colla sezione trasversale a livello della terza foglia o meglio guaina stipulare apicale, nella quale sono già iniziati i processi di differenziazione degli elementi del fascio. In altre parole corri- sponde alla sezione trasversale passante per la linea y—y già nominata (fig. 1, tav. 1). Il midollo (endistema di Russow) mostra, di mano in mano che si va scendendo verso il basso, una segmentazione prevalente trasversale, di modo che i suoi elementi assumono l’aspetto di cubi schiacciati. Gli elementi dell’esistema o zona corticale, in segmentazione onnilaterale, vivissima già fin dal principio, vengono a digradare poco a poco e a confondersi in forma e grandezza con quelli dei raggi midollari, cosicchè la ‘omogeneità. degli elementi è evidente in tutto il tessuto, salvo che negli ele- menti ipodermici che sono più piccoli di quelli del midollo. Impossibile qui distinguere in qualsivoglia maniera, con criterii vuoi anatomici, regionali, od istologici, un cilindro centgale ed una corteccia. I fasci procambiali, che così vanno formandosi nel seno nell'anello iniziale (se- condo l’inesatta espressione di Sanio e di Russow), non compaiono tutti in un tratto, ma poco per volta; avviene come se l’anello iniziale si frazionasse graduatamente in pezzi di disuguale grandezza (tav. I, fig. 7 e 4). » In qualche punto i raggi midollari sono già accennati, in altri vi ha solo unà strozzatura corrispondente al punto dove si formeranno. Contemporaneamente a questo processo è già cominciato il differenziamento degli elementi in ciascun fascio. Finalmente a livello della linea z—2 la sezione mostra un numero diverso di fasci a seconda dei casi, quasi disgiunti e come immersi nella ganga fondamentale primaria proveniente dal meristema iniziale. Questa ganga è rappresentata dal mi- dollo all’interno e dalla zona corticale all’esterno ravvolta dall’epidermide qui per- fettamente differenziata. Riassumendo abbiamo la seguente teoria evolutiva nel G. Trifolium: 1° Meristema primitivo (Urmeristem). 2° Inizio dei cordoni procambiali, sotto forma di zona circolare chiusa, cioè ad un certo punto allungamento nel senso dell'asse degli elementi e diminuzione delle segmentazioni trasversali e radiali nella zona circolare o anello. 3° Isolamento e costituzione dei cordoni procambiali stessi per cessazione del- l'allungamento nel senso dell'asse degli elementi corrispondenti ai raggi midollari pri- marii; consecutiva ripresa della segmentazione in senso trasversale e ingrandimento del lume degli elementi stessi. 4° Differenziamento degli elementi del fascio. 27 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 379 Osservazioni. — L'origine dei fascì vascolari dalle iniziali dell'apice vegetativo Si fa nel Trifolium repens secondo il processo stabilito da Noegeli (1). Se, ad un certo punto del differenziamento, è visibile in sezione trasversale un anello chiuso di elementi, distinto dal resto del cono vegetativo, esso non è altro che un anello pro- cambiale nel senso di Noegeli, non di Sanio nd di Russow. Allorch® questo anello Compare nelle sezioni trasversali, le corrispondenti longitudinali dimostrano che esso è distinguibile alla disposizione allungata degli elementi nel senso dell’asse. Qui co- mincia la vera differenziazione. Prima di questo momento si è sempre nel noto Urme- ristem. Non esiste cioè un anello di elementi isodiametrici distinguibile per altri carat- teri di qualsivoglia natura. Si è discusso a lungo, come si sa, sul cosidetto Verdickungsring di Sanio (2). Nelle Fanerogame questa zona costituirebbe un'entità a se, fatta da elementi presso a poco ISodiametrici, e che si pretendono distinguibili come uno stadio preesistente alla for- mazione dei cordoni procambiali, i quali nascerebbero (con certi processi per me molto Oscuri) in seno ad essi (3). In nessuna specie del G. Trifolium io ho potuto trovare una struttura simile a quella descritta da Sanio, nè potrei ad essa applicare la divisione dei tessuti iniziali derivati dall’ Urmeristem in Mesistema e Desmogeno introdotta da Russow (4). Dal- lUrmeristem si viene, gradatamente sì, ma esclusivamente, ad un tessuto procambiale omogeneo ad elementi allungati. Che questo tessuto nel fattispecie dei Trifogli sia foggiato a cingolo chiuso (e ciò per un tratto brevissimo del cono vegetativo, forse Per uno spessore non superiore ad un centesimo di millimetro) è quanto sarà spiegato altrove, L'anello procambiale (naturalmente in stretta relazione col decorso dei futuri fasci fogliari) produce in certi punti i fasci vascolari ed il cambio endofascicolare, ed in altri punti, corrispondenti ai raggi midollari, diventa tessuto fondamentale, segmen- tandosi rapidamente in senso normale all'asse longitudinale degli elementi (Vedi più Avanti a pag. 46, le osservazioni al lavoro di Flot). i Ho quindi il dubbio che, tanto Sanio che Russow, abbiano esteso a torto a tutte e Dicotiledoni una struttura, che io non arrivo a spiegarmi pel G. Trifolium, e che, opo tutto, anche per le altre Dicotiledoni, né luno né laltro Autore hanno illu- Strato con figure spiegative soprattutto longitudinali. La generalizzazione fatta da Questi Autori dei processi da loro descritti a tutte le Dicotiledoni dunque non regge. Un altro fatto, che io ho osservato nel G. Trifolium, e che già Noegeli aveva BONOS i TAM * 5 ato come dubbio e poco verosibile (5), è questo: Secondo Hanstein e Schacht la formaz; ` : i Wues dei cordoni procambiali avverrebbe pel fatto, che la segmentazione cel- Are cesserebbe nel midollo e nella zona corticale, e perdurerebbe invece nei punti dove E © en (1) Beoe: Le pag. 11. e x Saxro, Vergleich. Untersuch. über die Zusammensetz. des Holzkörpers, * Bot. Zeitg. ,, pag. 387 88., 1863, . 8) Sitzbe dell ga. Vedi Ramann, Ueber unverholete Elemente in der innersten Xylemzome der Dycotiledonen, T. k. k. Akad, Wissensch. Wien », XCVII Band, Abth. 1, 1889, pag. 50-51. Sviluppo del caule culus (sp. 9), 4) Russow, 1, c, oe p. 6. (5) Noen 1 | d j | d H 380 SAVERIO BELLI 28 si formano i fasci procambiali stessi. Noegeli ritiene succeda precisamente il ro- vescio. ^ Stammspitze, Wurzelspitze und junges Blatt bestehen aus einem paren- * chymatischen Bildungsgewebe (Urmeristem) dessen Zellen alle ziemlich isodiame- “ trisch und in Theilung begriffen sind. In diesem trüben mit Protoplasma erfüllten Gewebe, treten hellere Partien auf, bestehend aus verlängerten mehr hyalinen * Zellen (gli inizi dei cordoni procambiali). Einzelne dieser letzten theilen sich nicht mehr und werden zu Gefässen oder auch zu Bastfasern, indem die andern sich vorzugsweise durch Längswände sich vermehren und das Cambium (quello endo- fascicolare) darstellen (1). Das ganze übrige Gewebe bleibt aber noch einige und oft noch längere Zeit in lebhafter Vermehrung begriffen. * Ich vermuthe dass die ersten Gefässe, und in vielen Fällen auch die ersten Bastzellen, unmittelbar aus Urmeristemzellen hervorgehen, welche sich nicht weiter theilen und in die länge wachsen. Es wäre indess möglich, aber nicht wahrschein- * lich (?), dass immer zuerst eine Längstheilung vorausginge und somit das Urme- * ristem zuerst sich in Cambium (procambium di Sachs) umwandelte. Sicher ist dass * die ersten Zellen eines Gewebes, in denen die Theilung aufhórt, dem Prosenchym * angehören (2), und in manchem Fällen ‚lässt sich nachweisen dass, nachdem die ‘ Theilung in den ersten Gefüssen oder Bastzellen aufgehört hat, jede Rinden-und Markzelle noch 10, 20, und 30 in der Längsrichtung hinter einander liegende Zellen erzeugt, abgesehen von den gleichzeitigen Theilungen durch tangentiale und ra- diale Längswände ,. Ora nel T. repens è evidente che dall’ Urmeristem non si ha la diretta produzione di elementi costitutivi del fascio (legnosi o librosi), ma bensì una produzione precursoria di elementi che si allungano, continuano a segmentarsi lenta- mente, costituiscono l’anello procambiale più sopra citato (che si puo dire lo stadio iniziale dei cordoni), e si differenziano poi grado a grado negli elementi del fascio; man mano che l’anello si scioglie ed i singoli cordoni vanno isolandosi nel tessuto = fondamentale. Nelle osservazioni, che fanno seguito alla esposizione strutturale del T. repens; accennerd alla circostanza, accidentale nel G. Trifolium, della disposizione ad anello chiuso dei cordoni. procambiali, o meglio delle loro iniziali. Negeli ritiene che la formazione dei cordoni stessi avvenga (nel massimo numero dei casi da lui osser- vati) non contemporaneamente, ma in tempi diversi in relazione col decorso delle traccie fogliari. Ritiene come caso più raro la comparsa isocrona dei cordoni stessi (3). Il G. Trifolium apparterrebbe a questa eccezione. Sarebbe cosa interessante il sapere; ciò che io ignoro, se tutte le famiglie di piante, nelle quali la foglia è munita di (1) È noto che si rimprovera al Noegeli il non aver fatto distinzione, almeno cronologica, fra il cambio iniziale (procambio degli Autori) ed il cambio posteriore endofascicolare (Vedi del resto quanto l'A. scrive a schiarimento di questi concetti a pag. 13 del lavoro sopra citato, “ Beiträge »» ecc.). (2) Sacms, Lehrb. der Bot., pag. 90 in nota, osserva che le giovani cellule procambiali non sono sempre allungate e prosenchimatiche, p. e. nella radice della Zea Mais le giovani cellule vascolari che non si segmentano più, sono tabulari o cubiche. — Pare perd che in questo caso la loro differen- ziazione non si possa rilevare, se non quando si manifestino i loro caratteri istologici, rimanendo la loro distinzione più topografica che istologica od anatomica. (8) Roost, Le, pag. 11. 29 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 381 una larga guaina stipulare, ricca di fasci vascolari, presentino nelle iniziali dei cor- doni procambiali un anello chiuso, ovvero dei gruppi sparsi; poichè la ragione del Processo sta precisamente h. In ogni caso potrebbe anche darsi che Noegeli si fosse riportato nel suo lavoro ad uno. stadio un po’ più avanzato dell'anello procambiale, dove la isolazione dei fasci stessi nel seno del meristema fondamentale si fosse già lmiziata. Istogenia del fascio vascolare. — Struttura primaria. — Dal cordone pro- cambiale omogeneo si originano gli elementi del fascio come segue: I primi elementi distinguibili sono dei tubi cribrosi (1). Essi appaiono già quando l'anello iniziale non 9 ancora del tutto frazionato, ovvero nei singoli cordoni già isolati (fig. 19, tav. 3) ed occupano ordinariamente la porzione più esterna della periferia del cordone stesso. In qualche raro caso ho potuto osservarne qualcuno spingersi fin contro alla zona, che diverrà in seguito la guaina particolare esterna del fascio vascolare (endoderma parziale degli autori francesi; fleoterma di Strasburger?) (fig. 29, tav. IV) (2). Quando Questi primi elementi del fascio compaiono non è possibile distinguere (ne è del resto possibile mai) un endoderma, caratteristico o no, ma generale. I primi tubi cribrosi iniziali sono difficilissimi a riconoscersi nelle sezioni longi- tudinali per molte cause: prima per la loro piccolezza, secondariamente perchè sono Pochi; infine perché a questo stadio manea, od almeno non Si può osservare, la caratteristica massa mucilaginosa che sta addossata alle aree cribrose, e che col so- lito aiuto del bleu d’anilina si mette in evidenza. A tutto ciò conviene aggiungere la estrema somiglianza delle cellule floematiche con quelle del rimanente del cordone, ancora allo stato procambiale. Siccome poi questi elementi sono molto labili, fugaci, e Yengono ben presto sostituiti dalla cuffia di libro che ne prende il posto, così è facile che, a questo stadio, non funzionino come tali. Il tappo caratteristico mucila- Bingen non si può osservare, in sezione longitudinale, che nell'internodio sottostante à quello, Ja cui stipula avvolge tutta la gemma apicale cogli internodii potenziali. he Nel lavoro presente io adotto la nomenclatura di libro e legno (xilem e LE ae, E Liber SC nao stesso significato che la scuola francese e V. Thieghem. usayana altra volta a parola di > bois, e questo a scanso di equivoci che potessero nascere dall'uso promiscuo dei nomi dei TN tessuti che costituiscono questi sistemi. Adotto poi nei particolari la classificazione di HABERLANDT Ysiolog. Pflunzeanatom., 1884, Leipzig), pag. 230 e 358-59. een pel sua les poro ai ee ap PLUS VE suit le ppt des é smon js des ne E: bor gneur on s i D P achée de leur portion ligneuse apparait au voisinage immédiat de la moëlle, de même & aus le premier tube criblé ou le premier groupe criblé de leur portion libérienne se forme en si succedessero in tutte le fanerogame iclo, nè zona perimedullare; oppure quando esistono, al tessuto fon- ER Geng voisinage immédiat de l’écorce dur Se le cos RER bisognerebbe ammettere che non esiste mai nè peric "Sha e ammettere, a Ge queste zone appartengono, á ee tëscht cribrosi enr Nel CASO del Trifolium repens accade talora, che le prime m ie s CN m l'altr. SE Se immediatamente contro al midollo da un lato, e contro la zona Ge al 2 al- ro. Ma in moltissimi casi invece persiste al polo ventrale (polo legnoso di Bertrand), tra le tra, ala : e va >> £ chee iniziali ed il midollo, un tessuto che trae la sua origine da elementi procambiali non dif- erenziati, Al libro, Verso il polo dorsale o libroso invece non si ha altro che uno stereoma appartenente ER Freni Se o al 382 SAVERIO BELLI 30 Sulla possibile diretta derivazione delle fibre librose della cuffia dai tubi cribrosi iniziali, sarà detto piü avanti. Ben altrimenti corre la cosa in sezione trasversale, dove i tubi cribrosi primi formati e le loro cellule concomitanti sono molto bene riconoscibili. Essi spiccano sulla massa procambiale sotto forma di elementi a parete pix spessa, di un colore perlaceo e mostrano le segmentazioni speciali, costanti e regolari, che dànno origine alle cellule concomitanti (1) (fig. 29, tav. IV, e tav. 1 fig. 7). Un reattivo che serve ottimamente per metterli in evidenza e che finora, per quello che io mi sappia, non fu usato a questo scopo, è il Réactif Genevois indicato da Chodat (2), e usato in special modo per lo studio dei tessuti meccanici e per la sua tripla colorazione sui tessuti suberizzati, lignificati e cellulosici. I tubi cribrosi iniziali si colorano in rosa vivo, che spieca sul resto del cordone colorato in rosa pallido; di più essi conservano, immersi in glicerina, molto più a lungo la colorazione che non il resto degli elementi procambiali. Non ho la pretesa, a questo stadio, di aver seguito la segmentazione della cel- lula originaria in tubo cribroso e cellula concomitante; processo che poi, verso il primo internodio evoluto è facilissimo ad osservarsi (tav. I, fig. 5 e 6), per quanto, in causa della piccolezza dei tubi cribrosi stessi, esiga una certa abitudine di osservazione. Il parenchima libroso, specialmente, si confonde facilissimamente con queste cellule concomitanti, non avendo il primo che gli elementi un po’ più grandi più corti. Ordinariamente sono queste ultime, una o due per ogni tubo cribroso, spesso più piccole nel lume, ma talora egualmente grandi (tav. V, fig. 34, c. p.). Si è detto più sopra che questi primi tubi cribrosi occupano la porzione cen- trale del cordone procambiale spingendosi talora fino alla periferia del cordone stesso, a toccarne il supposto endoderma parziale (guaina amilifera o cristallifera). Mano mano che il fascio vascolare cresce in spessore, questi tubi cribrosi scompaiono, ed altri se ne originano verso l’interno del fascio, cosicchè, quando nel cordone si sono delineati tutti gli elementi che lo comporranno (xilema, cambio, parenchima, ecc.), il floema, o più specialmente i tubi cribrosi, occuperanno la loro consueta posizione all’interno del fascio contro il cambio (fig. 18, tav. III, e tav. IV, fig. 27). Nel posto, occupato primitivamente dai tubi cribrosi iniziali e dal resto degli elementi procambiali più esteriori del cordone, si sviluppa la cuffia librosa a sostegno del floema stesso, là quale compare ben presto e talora è già formata quando ancora non è comparso il protoxilem (tav. III, fig. 23 c. c.), o più spesso contemporaneamente. Le fibre della cuffia librosa, lunghissime, stipate, a punta affilatissima (tav. Il, fig. 13) perdurano a lungo con parete tenera e cellulosica, al solito si colorano in azzurro col cloro-joduro di zinco, e col reattivo di Chodat in rosa pallido. Il loro (1) Si potrebbe obbiettate qui che, dal momento che un cribro non è visibile, non si può con sicurezza parlare di libro, e quindi si potrebbe dire che i primi elementi originati nel fascio sono delle fibre provenienti direttamente dagli elementi procambiali, come succede per la radice. Ma 3 ciò si oppone il fatto che, seguendo lo sviluppo dei tubi cribrosi suc cessivi, i quali vanno via vi® spostandosi verso l’interno del fascio, essi presentano gli stessi caratteri dei primi che sono scom- parsi, cioè parete più spessa, colore perlaceo e colorazione identica col reattivo di Chodat. (2) Vedi Briquer, Monographie du Gen. Galeopsis, Bruxelles, 1893, pag. 26. al ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 383 lume cellulare va adagio adagio rimpicciolendosi per ispessimento; ma anche quando sono già molto ispessite perdurano ancora allo stato cellulosico; solo negli inter- nodii più veechi e in certe condizioni speciali si ha una forte lignificazione, che col reattivo di Chodat si manifesta al colore giallo intenso. Le fibre della cuffia sono dunque evidentemente di origine librosa e non periciclica, perchè esse si originano nel posto identico dove comparvero i primi tubi cribrosi, si spingono indentro al posto dei tubi susseguenti, così da occupare in fine della struttura primaria una diversa profon- dità (nella metà o nei due terzi esterni del fascio) « seconda dello sviluppo e della forma diversa del fascio stesso, e delle accidentalità individuali. La regione quindi periciclica qui non esiste. Non è però molto frequente, come già si è detto, il trovare nel 7. repens, dei tubi rosi immediatamente a contatto collo strato corticale. Abbiamo già detto che Manca nel G. Trifolium un endoderma generale. Ammettendo per endoderma parziale eril lo Strato a contatto con eiaseun fascio iniziale, quando i tubi cribrosi vanno fino a Contatto con esso (tav. IV, fig. 29), si deve escludere anche un periciclo parziale. La definizione del periciclo data da V. Thieghem stesso vi si oppone (1). Ma anche quando i primi tubi cribrosi non si originano proprio di contro al supposto endo- derma (tav. II, fig. 13), non si può ammettere come periciclica una parte della cuffia librosa e non periciclica l'altra, cioò, quella parte, in cui i tubi cribrosi vennero Sostituiti in modo qualunque dalle fibre. Data la omogeneità e continuità della pro- duzione meccanica, una tal distinzione (a parte l'origine evidentemente librosa) Sarebbe funzionalmente arbitraria e senza ragione plausibile (Vedi più avanti al capi- tolo * Osservazioni , a pag. 46). Xilema. — L’apparizione di questo tessuto (protorylem Russow) è in qualche d contemporanea a quella del protofloema; ma, di regola, quest'ultimo è in antici- Pazione. È degno di nota il fatto che il protoxylem spesso si forma alloraquando la cuffia meccanica ha già acquistato un certo sviluppo se non un ispessimento molto avanzato (tav. Hb 85.295,11. Non si riscontrano particolarità ragguardevoli nella formazione di tutto il tes- puo salvo le seguenti: il protoxylem è dato da tracheidi esilissime, dapprima non lignificate, zioni della Tra | trachea pe che ben presto si saldano a tubo continuo, e più tardi dànno le solite rea- lignificazione (tav. IV, fig. 28, tri.). estrema punta interna del cordone procambiale (parte ventrale) e la prima N rsistono soventissimo uno o più strati di elementi procambiali (tav. IV, fig. 28), che posteriormente si comporteranno diversamente secondo i casi, ma che talora mancano (tav. III, fig. 22). In quest’ultimo caso la trachea iniziale sta addossata immediatament fatto si OSserv; Caso, Allora e al primo strato del tessuto fondamentale (guaina circolare). Questo a frequentemente nei fasci del peduncolo fiorale. Quando, nel primo persistono elementi del procambio fra la prima trachea ed il midollo si ha l'inizio di quella zona che Flot chiamò perimedullare o impropriamente peri- Ciclo intor, è à ® as : o ‘Interno, e di cui sarà detto più avanti; zona appartenente evidentemente al ( D v. Tregmem, * Journal de Botanique ,, t. IV, 1890, pag. 433, Péricycle et périderme. smi ne eg 384 SAVERIO BELLI 32 cordone procambiale nè più nè meno che la cuffia librosa e tutto il resto del fascio (1). Non è dunque un connettivo, ma fa parte del fascio. A queste prime trachee ne seguono, in ordine centrifugo, altre a lume grada- tamente più grande, evidentemente in file radiali, le quali sono separate da elementi parenchimatosi a pareti sottili (tav. III, fig. 18). Guaina dei fasci (endoderma parziale di Vuillemin, Morot, V. Thieghem, ecc. — fleoterma di Strasburger). A1 momento in cui il fascio vascolare presenta il grado di sviluppo rappresentato nella fig. 19, tav. III, cioè al momento in cui nel cordone procambiale comincia a differenziarsi il protofloema, tutto il tessuto, in cui il cordone sta immerso, appare, in sezione trasversale, omogeneo. In sezione longitudinale è più evidente la differenziazione tra l’endistema e l’esistema di Russow o midollo, dovuta alla forma cubica schiacciata degli elementi del primo. Gli elementi del tessuto fondamentale (per lo più due serie), che attorniano immediatamente il fascio, sono però distinguibili dagli altri, per ciò che appaiono schiacciati nel senso radiale e stirati nel senso della periferia, come se subissero una pressione fra due masse di tessuto. Il fascio accrescente ed il tessuto corticale potrebbero rappresentare queste due masse (tav. III, fig. 22). Un'attenta osservazione permette di vedere in qualcuno di questi elementi delle segmentazioni irregolari nel senso radiale e qualeuna anche nel senso tangenziale (tav. IV, fig. 29). Queste segmentazioni col crescere del fascio si fanno più frequenti in corrispon- denza dei lati, ed anche la metà interna che abbraccia la punta vascolare del fascio si segmenta in diversi sensi (tav. II, fig. 18). Ma in quei due punti laterali soprattutto si hanno in definitiva degli elementi più piccoli, che formano come dei gruppi irre- golari, confondentisi gradatamente col tessuto interfascicolare (tav. IV, fig. 25, e tav. E fig. 9; quest'ultima tolta dal lavoro di Vuillemin e rappresentante il T. rubens). Rimane così una semiguaina esterna al fascio (dorsale), la sola ad elementi ben deli- neati e che prendono solo ogni tanto qualche sipario per seguire allargarsi del fascio stesso. Questa semiguaina avvolge direttamente la cuffia. librosa. Essa si distingue molto meglio dell’altra metà (ventrale) per la forma appiattita de’ suoi elementi ; istallini di cui si dirà a suo luogo (tav. II, fig. 14, tav. I, fig. 9 0, tav. IV, fig. 25). In sezioné longitudinale essa mostra elementi a sezione quasi qua- per i depositi c drata o leggermente allungata nel senso dell'asse; più piccoli di quelli che stanno loro al di fuori, i quali vanno man mano ingrandendosi nello strato corticale per ridiventare piccoli sotto l'epidermide (ipoderma). (1) V. Tursemgw, Traité de Bot., 2^ ediz, pag. 754. Probabilmente questo tessuto diventa più tardi, in molti casi, ciò che viene da V. Thieghem compreso in quelle produzioni che egli chiama Selérenchyme médullaire. Questo dimostra una volta di più, come sia spesso impossibile il separare funzionalmente le modificazioni degli elementi del fascio da quelli del midollo, mentre poi ad ge certo punto dello sviluppo non si possono delimitare anche strutturalmente le regioni ed i tessuti, salvo a rimontare all'origine che puo essere diversa, magari pei diversi Generi di una stessa Famiglia, a seconda dei bisogni funzionali delle piante che la compongono. Quindi il pericolo delle genera lizzazioni basate su poche osservazioni, e la necessità di studiare istogeneticamente tutte le specie di un genere (Vedi a questo proposito, Gravis, Urticacee, Conclusioni, pag. 230). 33 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 385 Vuillemin (1) parlando del suo cosi detto endoderma interno nei fasci delle foglie del T. pratense, scrive: * Dans les fines nervures les cristaux de l'endoderme s'étendent * fréquemment jusqu'à la face ventrale, de maniére à former une gaine continue “au faisceaux. Cette disposition se retrouve dans le rachis. Ainsi les gros faisceaux “ du T. pratense présentent dans tout leur pourtour une délimitation d'une égale “ netteté à l'égard de l'écorce; et lendoderme comprend, en face de la pointe du " bois, qes oxaliféres identiques à ceux de lare externe (fig. 164 di Vuillemin e fig. 9. tav. I di questo lavoro), tandis que les cellules avoisinant les flancs des È faisceaux, tout en se distinguant aussi clairement des élément issu du procambium, diffèrent peu de celles corticales ordinaires ,. Siamo d'accordo con Vuillemin sulla Struttura delle cellule della guaina dei fasci ai loro lati, come già fu detto sopra. Sservo solo che nel T. repens non si osserva mai una guaina intera come nel ` Pratense, ed anche i cristalli nella zona interna (ventrale) del fascio sono sempre Pochi. Vuillemin accenna ancora a questa struttura differente sui lati della guaina » periodo: Chez le 7. Lupinaster, Ononis spinosa, les cellules appliquées à la face à Ventrale du faisceau, rassemblent aussi à la portion externe de l'endoderme à ; laquelle elles sont reliées par une assise continue sur les flancs. Dans la tige les Portions dorsale et ventrale restent ce qu’elles étaient dans la feuille, mais les è éléments intermédiaires, prennent part au recloisonnement du cambiforme, qui rac- Corde les arcs générateurs intrafasciculaire ,. Abbiamo visto perd come pel : "epens la metà interna del così detto endoderma (o guaina del fascio) non sia così nettamente definita come la metà esterna. $ Quando il fascio comincia ad assumere una certa grossezza, in seguito al lavoro ambiale, succedono nella zona interna della guaina delle segmentazioni in diverso Senso I » Massime in corrispondenza della punta vascolare del fascio, che tolgono agli elem enti quel distacco così evidente, conservato alla metà dorsale, dal tessuto fonda- me < s ë E d à "tale, Così avviene che, spesso i pochi cristalli, che stanno nelle cellule della por- Zio s 5 : š A : ne ventrale, chiamati da Vuillemin dell’endoderma ventrale, paiono essere nelle cel 3 ` aie ER: Y RER RE lule del midollo, se si vuol giudicare dall’esistenza degli spazii intercellulari evi- dentissimi ` fra esse, e dalla grandezza e forma degli elementi (tav. II, fig. 14, tav. III, S A 17). All'infuori di questa guaina & impossibile discernere ne in corrispondenza “el fasci, nè negli spazii interfascicolari, un endoderma generale nel senso tipico, o Comunque riconoscibile dai caratteri pretesi dagli Autori. Se dunque si vuole con uillemin e per analogia con Morot, V. Thieghem, ecc., ammettere questo strato esterno come un endoderma, si avrebbe nel T. repens un endoderma parziale e quindi ma struttura astelica secondo V. Thieghem o schizostelica secondo Strasburger. La SM cosa, come già si è detto ripetutamente, e come si vide nell'asse ipocotile, è un assurdo, Infatti paragonando un fascio vascolare del fusto di T. repens col fascio dellà E 9 della guaina stipulare della stessa specie, nion s Hon di See dien 0 della disposizione dei loro tessuti. Essi sono cioè astelici (o schizostelici) in (1) 1899 = Vursus, La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis. Nancy, . erger-Levrault, pag. 225). Sene IL Toy, XLVI. Y vr egen — ee BL ERI LOS Ee Ge re Er SS RER Sege má. + re Eet e, BEE 386 SAVERIO BELLI 24 ambedue le membra. Ho riprodotto a questo scopo nella tav. I, fig. 9, la figura 164 del lavoro di Vuillemin (1) rappresentante la sezione trasversa di un fascio fogliare del Trifolium pratense L. (non del T' repens, ciò che del resto non implica nulla, perché quella del T. repens ha i suoi tessuti similmente disposti) La figura di Vuillemin viene cosi spiegata dal suo Autore (p. 337): * Nervure médiane du ‘ rachis avec oxalifères endodermiques ventraux et dorsaux ,. Basta dare un'occhiata alla mia figura 14 della tavola II, per vedere la perfetta corrispondenza delle parti nelle due figure; questa, del caule, quella, della foglia. Uguali produzioni endodermiche (o pretese tali) nella foglia e nel caule dovreb- bero dunque colle idee di V. Thieghem essere derivate una dall'altra, ed avere signi- ficazione diversa, ció che è assurdo. Abbiamo visto come, all'iniziarsi del fascio, questa guaina sia perfettamente in- tegra, inquantochè è rappresentata dallo strato più esterno del tessuto fondamentale (tav. III, fig. 22). Poi abbiamo visto, che questa guaina rimane molto ben evidente al di fuori del fascio per quei pochi caratteri, che abbiamo più sopra citati, mentre alla parte ventrale si confonde spesso colle cellule del midollo. Si deve dunque am- mettere un endoderma (fleoterma) parziale esterno, o due endodermi, uno esterno ed uno interno? Qualunque di queste interpretazioni si adottino, è evidente che la struttura astelica della foglia non deriverebbe da quella del caule già astelico lui stesso secondo le idee di V. Thieghem. Cristalli della guaina dei fasci. — Nel 7. repens la guaina esterna (erronea- mente endoderma, fleoterma degli Autori, ecc.) presenta, come già si disse, quasi sempre dei cristalli di ossalato di calce (fig. 12, tav. II), fatto notorio in tutte le Trifoliee (2). Queste produzioni, delle quali io m'occupo incidentalmente e solo dal lato topografico, vennero a lungo discusse ed accuratamente esposte per le Trifoliee nel lavoro di Vuillemin, a cui io rimando il lettore. Ultimamente è uscito un pregevole lavoro sui cristalli di Ossalato calcico del Dott. Luigi Buscalioni, nel quale il lettore potrà trovare anche la bibliografia completa su questo argomento. Dal canto mio non posso qui far altro che riconfermare per la specie T. repens tutto quanto è detto generalmente nel lavoro di Vuillemin, aggiungendovi poche particolarità. Vuillemin, come si è già ripetuto altrove, considera erroneamente la guaina del fascio come un doppio endoderma ventrale e dorsale. Scrive, del resto giustamente, che “ là “ localisation des cristaux d'oxalate de chaux dans l'endoderme devient constante “ chez les Trifolióos ,. E poichè ritiene come periciclo la cuffia che abbiamo visto essere di origine librosa, Egli scrive non pertanto con ragione, che questo (preteso) ^ est absolument privé d'oxalate de chaux dans les Trifoliées; ces plantes ne possèdent done aucun cristal dans le faisceau ,. periciclo “ Però nell'asse ipocotile del T. alpinum si incontrano talora all’interno dell endo- derma vero ed in corrispondenza ai gruppi di fibre librose alcuni elementi cristal liferi. Siccome. essi stanno all’interno dell'endoderma, così, secondo le comuni inter- 1) P. Vururemmn, Loc. cit. 2) Vourcemx, Loc. cit., pag. 224. ( ( > ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 387 pretazioni strutturali, essi apparterrebbero al periciclo. Ma quando, nell'asse epicotile, l'endoderma vero scompare, questi elementi cristalliferi si interpretano allora come endodermi parziali mentre nell'asse ipocotile erano periciclici. Come si vede, il soste- nere sempre ed ovunque un endoderma nel caule può condurre a conclusioni disastrose, Nel T. repens e in molte altre Amorie è difficile trovare tutte le cellule della zona esterna del fascio con cristalli nel loro interno. Di solito si trovano infram- Mezzate cellule non cristallifere (tav. II, fig. 14). In sezione longitudinale si vede Però che le file degli elementi cristalliferi sono meno interrotte (tav. II, fig. 12). Spesse volte si vedono cellule divise in quattro cavità contenenti ciascuna un cri- Stallo ed allora, naturalmente, i cristalli sono più piccoli. Mancano sempre le cellule cristallifere sui fianchi del fascio a livello del cambio (tav. II, fig. 14), anche allor- quando non & ancora iniziata la segmentazione, che dà origine a fasci interposti ai Slà esistenti per mezzo delle segmentazioni degli elementi dei raggi midollari. Ri- Compaiono meno numerosi alla punta vascolare del fascio in elementi, che spesso Sono simili per forma a quelli della guaina dorsale (tav. II, fig. 11 e 14). Ma è dif- cile il dire se esista una vera guaina simile all’ esterna per le ragioni più sopra es des B prie z À : 4 * o € “poste; quindi il chiamare produzioni cristallifere endodermiche interne quelle, che Stanno alla punta interna del fascio, è azzardoso; inquantochè anche il midollo, qualche Volta, possiede cristalli nelle sue cellule (1). Si aggiunga a tutto ciò, che spesso dalle Segmentazioni degli elementi procambiali, residui fra la prima trachea e il téssuto fondamentale midollare (guaina), nasce un tessuto parenchimatoso, a elementi grandi, che Soventi si confonde con quelli della guaina stessa, e quindi non vi è limite ben definito fra ciò che è fascio e ciò che è tessuto fondamentale. Di questo tessuto Sì parlerà altrove (vedi endoxile). : I cristalli del T. repens appartengono al sistema del prisma romboidale obliquo (e Morrombico); sono per lo più allungati nel senso dell'asse maggiore della cellula È Sensibilmente cubici, talora geminati (tav. II, fig. 14). Sono attaccati alla parete Ge interna dell'elemento mediante una saccoccia di cellulosi che ben presto si "fica. Col reattivo di Chodat si colora in giallo vivo. I cristalli di ossalato di calce, nel caule, si osservano solo nei fasci del primo Internodio che comincia ad allungarsi; mancano nel fascio giovanissimo anche quando 780 già comparse le prime esili tracheidi ed i primi tubi cribrosi; è curioso invece che si osservano di buon'ora nell’asse ipocotile della pianticina germinante. Così almeno concludo dall’esame di una cinquantina circa di individui di T. repens. Talvolta si osserva anche, in alcuni fasci, esistere qualche cellula cristallifera ella Suaina, mentre ancora non sono formate le trachee iniziali. > La zona, che attornia immediatamente il fascio vascolare, contiene, già fin da pr Meipio, numerosissime granulazioni amilacee; le cellule cristallifere non ne conten-. iu si trovano assieme nella zona pero dd cellule SE ge ran n tin i Caso di dire qui che non è per lo più possibile GRENZE a zona ES Pante i fasci come un endoderma amilifero, poichè lo strato più esterno ad essa TOR E ns. (1) Vortex, Loc. cit., fig. 161. 388 SAVERIO BELLI 36 ne contiene quasi sempre altrettanto. Neppure pud distinguersi come una zona ad elementi alternanti con quelli della sottostante. Avviene spesso che le cellule cristal- lifere della guaina del fascio, massime la dorsale, siano numerosissime (otto, dieci), non interrotte da elementi vuoti (non cristalliferi); più di rado tutta la zona ha cellule cristallifere. In questo caso à sacchi sembrano formare una fascia non interrotta, che spicca coi reattivi sulla cuffia librosa e sul parenchima corticale, e (tav. IV, fig. 25), contribuisce « dare alla guaina del fascio una falsa apparenza di endoderma carat- teristico (1). Struttura del fascio vascolare evoluto. — (Fine della struttura primaria) (tav. III, fig. 18). I fasci vascolari nel T. repens, una volta formati, sono irregolar- mente arrotondati od ovati o cuneiformi, di grandezza diversa, talora più larghi nel senso della periferia che in quello del raggio. In ciascuno di essi si trovano, dall'esterno all'interno, i seguenti tessuti. Sotto la guaina dei fasci (che appartiene al tessuto fondamentale): “ Una cuffia librosa formata da elementi prosenchimatici allungatissimi, affilati, stipatissimi (Tav. II, fig. 13). La cuffia ha, a seconda dei casi, la forma di una mezzaluna di vario spessore, talora occupante la metà della lar- ghezza totale del fascio, tal altra fatta da cinque o sei file di elementi. E facile vedere, anche in sezione longitudinale, nella massa di questi elementi, qualche tubo cribroso in via di obliterazione, ma dove ancora è riconoscibile, al so- lito col bleu d'anilina, il noto callo (tav. I, fig. 6). (Vedi più avanti sull'Origine delle fibre del libro al paragrafo “ Osservazioni ,). Il lume cellulare di questi elementi è in sul principio ancora relativamente ampio, e la parete perfettamente cellulosica. La cuffia librosa è separata dalla zona del libro molle o floema da qualche cellula di parenchima libroso. I tubi eribrosi sono sparsi relativamente in più file disordinate. Appartengono ad un tipo intermedio al tipo Cucurbita ed al tipo Vitis; le placche cribrose stanno cioè all'estremità del tubo e sono od orizzontali o leggermente oblique (2). Hanno un diametro medio di 10 u e una lunghezza media di circa 330 HM. Stanno come 1 a 3 per la grandezza, paragonati coi vasi punteggiati più grandi (3). Più all’interno si organizza la zona cambiale, per cui il passaggio dalla struttura primaria alla secondaria è quasi insensibile. Il cambio in questo stadio si può dire un cambiforme, che comincia appena a risegmentarsi, e quindi non si vede la solita disposizione in serie radiali degli elementi. Più all’interno ancora stanno dei grandi elementi, che diventeranno trachee e parenchima legnoso, e finalmente le trachee primitive a lume grande ed a pareti appena lignificate. Nella fig. 14 della tav. Il, (1) Vedi Vurccemn, Loc. cit pag. 224: “ En dehors des fines nervures où il joue le rôle de collecteur et où il n'est jamais complètement obstrué par les cristaux il est (l'endoderma preteso. * synergique des fibres péricycliques (per me fibre di libro non di periciclo), et la présence des cristaux “ ne fait que corroborer sa fonction protectrice ou mécanique; ou bien il demeure indifférent et * devient un entrepôt d'amidon ou, plus tard, de produits définitivement éxclus des échanges DU D tritifs comme l'oxalate ou le tannin ,. (2) Kar Wimax, Beiträge zur Kenntniss des Siebröhrenapparates dycot. Pflanz. Leipzig, 199 — H. Lecomte, Étude du Liber des Angiospermes, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7%, t. X, 1889 (colla biblio grafia anteriore). (3) Cfr. Lecomte, Loc. cit., pag. 242. 1880. St ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 389 gli elementi, posti fra la guaina e le trachee iniziali (zona perimedullare di Flot), hanno già subito una leggera segmentazione, ed hanno originato un gruppo di ele- menti (regione endoxilare), che si vuol ritenere come una regione speciale. Ne parle- Témo fra breve, A questo stadio mancano cristalli nella guaina. Osservazioni. — Le fibre della cuffia librosa esterna ai fasci derivano diretta- mente dalle cellule procambiali come già fu detto, le quali subiscono un ulteriore allungamento nel senso dell'asse. Nel fascio, durante la struttura primaria, non si trovano altre fibre inframmez- ni al libro molle, per cui, in sezione longitudinale, queste zone sono molto ben distinte (tav. III, fig. 18), e solo nella struttura secondaria si frammettono ai tubi Cribrosi degli elementi del tutto simili a quelli della cuffia, sparsi a gruppetti di tre 9 Quattro e frammisti ai tubi cribrosi ed al parenchima libroso (Tav. I, fig. 3). Non S1 potrebbe quindi, nella struttura secondaria, discernere un sistema di fibre intra ed evtraliberiane salvo che per la topografia e per l'origine, derivando le prime dal cambio endofascicolare, e le seconde direttamente dal procambio iniziale. Non ho po- tuto mai seguire una diretta trasformazione dei tubi cribrosi (soppiantati alla peri- feria esterna del fascio dalle fibre) in queste stesse fibre. Non devesi perd escludere del tutto la possibilità di questo fatto, dapprima perchè non ripugna il supporre che un tubo cribroso possa ispessirsi al pari di un elemento cambiforme, dipoi, perchè Sì conoscono fatti consimili (1). . Lecomte (2) parla della possibilità citata da Hartig, Chalons, Schacht, che i tubi ER diano luogo direttamente e rispettivamente origine a fibre librose od a cel- ule sclerose, Riporta pure una simile opinione di Vesque; ma infine ritiene che questo non accada, anzi scrive sottolineando * je me crois autorisé à affirmer que les cellules du parenchyme libérien peuvent seules devenir des cellules scléreuses ,. Nel caso del T. repens e dei Trifogli in generale non si tratterebbe di forma- es di cellule sclerose a spese del tubo cribroso ma di vere fibre librose (3). Lecomte des fibre librose quelle che generalmente * sont emprisonnées dans le tissu "rien , e fibre extralibrose “ celles qui constituent par leur réunion des zones * plus dion A i Plus ou moins étendues à la surface du liber , (4). sei ^, ` r C serie 7 217 (1889 al Lscowrg, Étude du liber des Angiospermes, “ Ann. Sc. Nat. ,, t. X, serie 7°, p. 217 (1889). 9 y AECOMTE, Loc. cit., p. 220. (8)- Cha 5 " x e "Or he h: J >) Che questo possa succedere in diversi casi è detto da Russow nel suo lavoro che ha per SUR; Betrachtungen er das Leitbündel und Grundgewebe, ‚eco. Dorpat, Ka pag. 8 $ 9: È Che È * ttantago, wie bereits Schacht angiebt, und Plectogine variegata, verholzen simmtliche Ele «nte: des Weichbastes (auch die Siebgefüsse!) dasselbe geschieht auch zuweilen bei Ophio- Et Spicatus ,. E più avanti a pag. 9: *...auch scheinen, bei Monocotyledonen wenigstens, T. = Siebgefüsse mit zu verholzen » — Io non ho motivi per credere che questo non avvenga nel Ew tanto più che mi è accaduto soventi di riconoscere frammezzo al Lue Gs T fig. 6i zione longitudinale al callo caratteris Zer (tav. ; ammisto alle fibre qualehe elemento libroso quasi `" Qualche tubo ancora riconoscibile nella s Bue m parte è più frequente vedere = E ia ST e in via di scomparire (tav. I, fig. 6). Pub darsi dunque che accadano tanto o c Altro di questi processi. Go (4) Vedi anche “ Bulletin de l'herbier Boissier ,, t. II, 1894. Recherches sur Vanat. comparée du n T! de a “nbergia par C, Bomen, pag. 308 e seg. er ee ne ger x EE Se fi v Mann iis E ee EE > men di; _ 390 SAVERIO BELLI 38 Lecomte usa la terminologia di fibra extralibrosa nel senso topografico esclusivo, poichè lascia insoluta la questione della loro origine librosa o periciclica. Le vere fibre librose nel senso di Lecomte, che si potrebbero dire intralibrose per antitesi alle prime, mancano affatto, come si è detto, nella struttura primaria del T. repens. Quindi le extralibrose sole si trovano in questa stessa struttura; ma bisogna pur convenire che queste fibre extralibrose, topograficamente parlando, per quanto non imprigionate negli elementi del libro molle, non meno per questo esse si originano contemporaneamente al protofloema. Per questa ragione il G. Trifolium non va com- preso nella generalizzazione espressa da Lecomte (1) con questo periodo: * Quant “ aux fibres libériennes elles sont rares dans le liber primaire, où on le rencontre notamment dans la racines des Légumineuses, Malvacées, etc. », poichè le fibre extralibrose sono nel G. Trifolium fibre primarie. & Russow (2) a proposito delle fibre che stanno al di fuori degli elementi del fascio a guisa di sostegno, scrive quanto segue: , Gehóren nun jene Bastzellen am d Umfange des Leitbündels wircklich zum Phloem, so ist nicht einzusehen warum “ letzteres nicht auch in seinem Innern eben solche Elemente bilden sollte, da es solcher Steifungszellen hier bedarf; durch die starke Verdichung und Verholzung eines grossen Theiles seiner Elemente wird es jedenfalls in seiner Function be- eintrüchtigt ,. D D D lo non saprei spiegare perché esistano queste produzioni primarie al di fuori del libro del T. repens, ma, certo, esse sono tanto primarie geneticamente quanto il floema stesso; e del resto quelle che si formano poi nel libro secondario sono per- fettamente identiche alle prime, come fu detto, salvo forse la loro lunghezza. Più avanti Russow scrive (3): “ Mit Ausnahme der Wurzelstrünge in den Familien der * Papilionaceen, Anonaceen, Celtideen und Cycadeen, wo im primären Phloemtheil “ stark verdickte, bastfaserühnliche Elemente vorkommen, ist mir kein Beispiel “ bekannt, wo im primären Phloemtheil (d. h. vom Cambiform oder Weichbast “ umschlossen) verdickte Bastfasern den s. g. echten Bastzellen gleiche Elemente vorkämen ,. Questo del T. repens e dei Trifogli in generale, à invece un esempio, di questo fatto, da aggiungere agli altri. Nel principio di questo lavoro io ho detto, come il Lecomte indichi il mezzo di decidere se le fibre esterne al libro appartengano piuttosto a quello che al peri- ciclo, risalendo all'origine istogenetica del tessuto. Lecomte si preoceupa poi di alcuni fatti che a priori gli farebbero escludere la denominazione di fibre di libro alle produzioni meccaniché esteriori al libro stesso, come sarebbe il caso nei Trifogli. Egli dice (4): * Si on désigne sous le nom de fibres libériennes come le fait M. Vesque * les fibres extérieures au liber, et comme lindique aussi M. Sachs dans sa figure “ d'un faisceau de Ricin, il faudra admettre que le péricycle n'est pas continu, quand “ certaines de ces fibres confinent directement à l'endoderme (Ricin); ou bien il “ (1) Lecowre, Loc. cit., p. 221. (2) Russow, Betracht. über das Leitbundel und Grundgewebe, ecc. Dorpat, 1875, pag. 9. (3) Russow, Loc. cit., pag. 10. (4) Lecomte, Loc. cit., pag. 220. 39 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 391 * faudra renoncer à trouver une limite entre le péricycle et le liber, puisque les deux “ tissus seront formés de fibres identiques ,. In verità io non vedo perché non si debba rinunciare a trovare per forza un limite quando esso non esiste. Nè vedo la ragione di ammettere per forza un periciclo pone una regione indispensabile, ‘quando, come si vedrà a suo luogo, si cerca perfino di far diventare periciclo il libro (1), dicendo che esso periciclo “ subit la différenciation eribreuse! » E il libro & un sistema che val bene il periciclo, come importanza fun- Zionale, E evidente che Lecomte, proponendo questa soluzione, ammetteva, già o priori, il Periciclo come un'entità reale, che dovesse esistere sempre fra l'endoderma e il libro del caule di tutte le Dicotiledoni. Ora, se per supposizione, come difatti succede pel G, Trifolium, lo studio istogenetico avesse per risultato di escludere una regione peri- ciclica nel senso di V. Thieghem, le considerazioni di Lecomte più sopra esposte, o meglio le sue preoccupazioni sull'indistinguibilità di due regioni, libro e periciclo, m una produzione perfettamente omogenea, sarebbero fuori luogo. Piü avanti poi le considerazioni di Lecomte diventano interessanti. Egli scrive a €): * Allons plus loin: si on appelle fibres libériennes les fibres constituant un j e de soutien autour du liber mou des faisceaux chez les Monocotyledones, il de- à viendra materiellement impossible de tracer la délimitation entre les fibres ligneuses i] et les fibres libériennes quand le faisceau tout entier sera entouré par une gaine fibreuse (maiz) ,. Cid che significa che non vi sarebbe altro carattere, secondo Lecomte, per distinguere fibre legnose (libriforme) da fibre di libro, che la loro topografia $ È i H . D D x + 4 " li E bene il caso di meravigliarsi allora che si possano distinguere le fibre di 3 fra di loro, cioè in extra ed intraliberiane, ed anche per mezzo di reattivi (2) Che nor „ non indicano generalmente altro che una maggiore o minore lignificazione, pos- Ple in tutti o due i sistemi. a E così finisce Lecomte: * On avouera qu'il est absolument inutile de créer des È Noms pour désigner les différents tissus qui entrent dans la constitution d’un or- S Sane, Si on doit pousser la fantaisie jusqu'à donner le nom de fibres libériennes aux fibres du bois E Io non saprei dar torto a Lecomte nel caso supposto delle Monocotiledoni, ma Mi par ge SO n Pare che, quando delle produzioni del fascio vascolare hanno comune l'origine, la Op ; d Se ars ma, la struttura, la funzione, le reazioni e non hanno neppure la topografia co- Stante che li distingua, sia puro convenzionalismo il denominarle diversamente. Al Postutto trovo che si spinge più in là la fantasia, chiamando in certi casi il libro en Dericiclo differenziato come fa Vuillemin (3), che non chiamando fibre librose in Corti casi le fibre del legno o viceversa. 3 Nel fusto del 7. repens le fibre legnose (libriforme) sono relativamente indistin- Juibili da quelle del libro tanto primario (cuffia) che secondario (intralibrose), se ER o + Nan Vase, La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis, pag. 136, ey, Berger-Levrault, 1892. È e E, Loc. cit., pag. 223. vries, Loc. cit., pag. 136. | Lt E | 392 SAVERIO BELLI 40 non sia per la lunghezza un po’ maggiore nelle prime. La zona cambiale funzionante è quella che segna i limiti di divisione di queste due produzioni quasi identiche (1). Lo stereoma del T. repens & dato esclusivamente da queste fibre, le quali sono stereomi nel senso di Wiesner (2) non fibre di schlerenchima nel senso di De Bary (3). Bisogna pero distinguere secondo me le due produzioni, quali si osservano nella struttura primaria e nella secondaria. Da principio gli elementi della cuffia librosa rivelano una affinità grande come struttura col collenchima (4) tanto pel modo d'r spessimento che per la nessuna lignificazione; non pero per la forma. In altre specie di trifogli (T. pannonicum), negli internodii più bassi di piante evolute assai, si tro- vano a ridosso del libro delle fascie di fibre quasi completamente lignificate (tav. VI, fig. 47 cel.). Sotto questo riguardo non credo che il Trifolium Lupinaster sia la specie “la plus coriacée , come serive Vuillemin (5). Ho esperimentato, seguendo l'indicazione di Lecomte (6) il cloruro d' alluminio jodato, che, secondo IA. colorerebbe nel Genere Glycine le fibre librose in violetto e le extra-librose in giallo. Io non ho potuto constatare queste colorazioni nel T. repens. L'altro reattivo indicato da Lecomte per distinguere le fibre librose' dalle extra- librose nel Genere Glycine è il cloruro di calce iodato. Anche con questo reattivo i due sistemi di fibre non hanno dato reazione differente nel 7' repens. Regione endoxilare (Zona perimedullare di Flot) (7). Intraæilares Cambiform di Raimann (8). Primäres Vasalparenchym di Strasburger (9) etc. (tav. IT, fig. 11; tav. Ill, fig. 17). — Io non so spiegarmi perché si voglia fare una regione anatomica spe- ciale di questo tessuto che Strasburger, nel suo Botanische Practicum, chiama sem- plicemente ^ parenchymatische Elemente an dem Innenrande des Holztheils ,. Questa regione avrebbe per limite esterno la prima trachea iniziale; per limite interno il midollo. Vuol dire dunque che, perchè esista questa regione, deve sempre rimanere una fila almeno di cellule procambiali fra midollo e trachea differenziata. Succede sempre così? Se badiamo al lavoro di Flot ed agli esempi che egli ci reca, nonchè alle sue conclusioni generali (10), secondo me troppo affrettate, la maggior parte delle Dicotiledoni presenterebbe questa regione. Nel capitolo susseguente a queste osservazioni anatomiche sarà discussa a lungo questa regione. Nel T. repens, e nella struttura primaria, non succede sempre che la prima trachea sia separata dalla porzione interna così detta guaina circolare, che lo avvolge, da una o più file di cellule procambiali. Talora invece le trachee iniziali ) Vedi Harerranpr, Physiologische Anat., 1884, pag. 100, al capitolo: * Libriformzellen ;. ) Wınsner, Elemente der Anat. u. Physiol. d. Pfl., Wien., 1885, pag. 294. ) De Bary, Vergleich. Anat., Leipzig, 1877, pag. 138. ) ) ) ) emin, Loc. cit., pag. 291. 301. > De Ag. rin, Loc. cit., pe , Loc. cit., pag (7) Fror, Recherches sur la z t. 20, pag. 37. (8) Hamen, Ueber unverholzte Elemente in der innersten Xilemzone der Dikotyled., * Sitzsber- K. Akad. Wiss. in Wien ,, t. XCVIII, 1889. (9) ScvRAsBURG Das botanische Prakticum (fig. 60, pag. 133). (10) Fror, ibid., pag. 105. 7a 7 ne périmédullaire, " Ann. Sc. Nat. ,, serie 7*, 41 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 393 toccano direttamente la guaina, o, se si vuole, la prima fila delle cellule del tessuto fondamentale cosi chiamata (tav. IIT, fig. 22). Nello stesso fusto diversi fasci possono Presentarsi nel primo o nel secondo modo più sopra esposto. Questo tessuto, quando esiste, col crescere del fascio si segmenta, e dà origine ad un parenchima, che si comporta differentemente secondo i casi. Comunque sia, non D può dire che esista sempre una zona perimedullare nelle Dicotiledoni. Epidermide e tricomi. — Questo tessuto non ha cosa che meriti una speciale attenzione, Faccio osservare come nel T. repens la leggera produzione peridermica, a 8là si può osservare nel 6° o 7° internodio, ha origine dalla segmentazione ini- ae dell'epidermide, o del secondo strato di essa; quindi il fellogeno non si origina SC endoderma come vuole V. Thieghem (1). È supponibile anzi che qui si abbia a are con un lapsus calami, tenuto anche conto di ciò, che, nei Trifogli, non esiste un endoderma generale nel senso di V. Thieghem. Eege dei Trifogli in generale, i peli glandulosi elavati già da noi BS be (2) (tav. 1, 2S. 1)e GC Vuillemin EE minutamente nel a SN SC * A sua Bea (47 della tav. III) E servire d Lù pel x er SS e. p, la loro genesi è semplieissima. Una cellula epidermica ta proemi* il élite at sl foggia a papilla. Con un setto tangenziale si divide in due; ie Sg SE si allunga; sì divide in quattro segmenti con due sipari ee luas, poi, con altri setti, in sei od otto o più cellule, la basilare prende uno 9 due ; : ST E ; x br © setti e le cellule si allungano a costituire il peduncolo. La loro parete è for- nente eutinizzo E Har 11,9 = J > AR n " te cutinizzata già da bel principio. È degna di nota l'enorme quantità di questi po Nos Pus gemma apicale, stanno Ca le stipule a E di cuscinetti pro- - d, fig. 1) e che mancano in alcuni trifogli (T. alpinum). To nn epidermiche del = 'epens non conténgono mai cristalli, ed è Taro rne nell'ipoderma. Come già si disse è la guaina dei fasci il luogo d'elezione; Quale s ` S che raro cristallo si trova pure nel midollo. Struttura Secondaria. — Fu già notato che il passaggio dalla struttura pri- aa secondaria si fa, nel caule del T. repens, insensibilmente. Organizzatosi il E Sw IT, fig. 18), il tasto; yede u. in grossezza à cambia anche la a à questo rispetto è difficile agg un — > deeg: EH del È eg i en (bene inteso nelle sezioni trasversali), poichè essa po assai conda dell e sport esteriori, PE degli passa e soprattutto " "s Bau a diversa età degli internodii (tay: III, fig. 20 E 23). EEN „mensione e del numero loro che sono in stretta relazione col decorso dei fasci. Hiassumendo in breve le modificazioni secondarie che avvengono nel fascio, esse le Seguenti, comprendendovi anche la guaina, la quale in realtà non fa parte B (1 di S Turon, Traité de Botan., 2* ediz., pag. 794. 7. Dose: ed S. Bean, Saggio monografico del G. Trifolium, ecc., * Mem. Accad. Se Mari Sono Torino ,, Cal Ho 2 È Séch : Pisis. DRM, pag. 3; Trigantheum, pag. 8; Galearia, pag. 8. — Vedi pure Rivista crit., gruppo Semium in * Malpighia ,, anno III, vol. III, pag. 2, fig. 1. SERIE IL Tox, XLVI. VA s E — HR — a Sca arc ui SE 394 SAVERIO BELLI 42 del fascio ma del tessuto fondamentale. Al lato esterno del fascio la cuffia librosa di forma per lo più semilunare, a convessità esteriore formata da fibre, il cui lume è ristrettissimo. La lignificazione è leggerissima negli strati più esterni della cuffia stessa. In ogni elemento fibroso si vedono strati concentrici che coi reagenti rivelano una lignificazione sempre minore verso il centro. — Più all’interno il com- plesso dei tubi cribrosi sparsi relativamente senza ordine, colle cellule concomitanti e poco parenchima. Più all’interno ancora il cambio, e finalmente le tracheidi secondarie costituite esclusivamente da elementi a punteggiature areolate con areola ellittica ovvero con qualche trachea spirale ancora persistente (tav. II, fig. 10érsa; tav. I, fig. 3; tav. V, fig. 34 trsa). Frammezzati a questi, pochi elementi di libriforme e di parenchima legnoso (tav. I, fig. 2 lb e tav. VI, fig.‘45 1). Lo xilema secondario mantiene talora la sua disposizione in file radiali; spesso è sparso disordinatamente: il parenchima legnoso è scarso ed i suoi elementi sono lignificati più delle fibre librose e del libriforme. Alla punta del fascio vascolare gli elementi del protoxilema, oramai scomparso; e riconoscibili talora come masse puntiformi innicchiate fra il tessuto intraxilare (tav. II, fig. 11). Questo tessuto persiste nel T. repens allo stato cellulosico e con pareti tenere ed è un parenchima a cellule piuttosto allungate (tav. TI, fig. 10 enda). A livello del quarto internodio circa dall’apice vegetativo le cellule, che stanno a livello del cambio, tra un fascio e l’altro, si segmentano per dare origine ad altri fasci di minor calibro (tav. III, fig. 23). Talvolta però le segmentazioni loro non hanno per risultato di dare origine ad altri fasci interfascicolari, bensì gli elementi che ne derivano persistono allo stato di cambiforme e le loro pareti si ispessiscono (tav. V, fig. 37). Si forma in questo caso al livello suddetto, ed anche in corrispondenza dei fianchi dello xilema dei fasci primitivi, l’ anello sclerenchi- matoso che corre tutt’attorno al midollo, che collega fra loro i fasci esistenti e si estende negli spazii interfascicolari come una linea ondulata, lignificata, la quale coi reattivi coloranti spicca benissimo sul resto dei tessuti (tav. III, fig. 20). Costituisce insomma il Festigungsring di Jannicke (1), sul quale solo carattere l'Autore ha voluto; forse a torto, sistemare i Trifogli dal lato anatomico. Questo Festigungsring, come pure il prodursi fra i fasci vascolari primitivi altri fasci o no, dipende dal decorso delle traccie fogliari. Regione endoxilare secondaria (tav. II, fig. 11). — Fino ad un certo punto si può chiamare regione, come già dissi, perchè presenta dei limiti almeno nella strut- tura primaria; le furon dati per limite esterno il protoæylem, e per limite interno il midollo, o più precisamente, quella zona che, appartenendo al tessuto fondamentale midollare, vien ritenuta come guaina primitiva del fascio stesso. È una regione che si origina dipoi, ogniqualvolta in un cordone procambiale i primi elementi dello xilema non si differenzino all’ estrema periferia del cordone stesso, ma lascino fra (1) Botanische Hefte, Marburg, 1885. Papilionacee, pag. 51, Taf. II. 43 " ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 395 quelli ed il midollo uno o più strati di elementi procambiali indifferenziati. Così le venne il nome di cambiforme intraxilaro (1). Osservammo già che nel T. repens non succede sempre così (tav. III, fig. 22). Le trachee iniziali toccano direttamente il midollo ed allora non vi sono cambiformi mee Pur non di meno si vede in questi casi una regione che ne ha tutta apparenza e che si forma a spese del midollo stesso (tav. III, fig. 17). i Nel caso che le trachee iniziali si trovino a contatto col midollo (guaina dei = E. ra ammettere con Vuillemin l'esistenza di un endoderma interno (ven de dy ifero, amilifero ecc., rappresentato dalla prima fila di cellule midollari; : à ammettere per forza che questo preteso endoderma, segmentandosi, dia ori- E oe RE e nel caso in cui si trovino dei cristalli alla punta Bo oe ascio, gs appartengano ad uno strato proveniente da queste segmen- à av. III, fig. 17, e tav. II, fig. 11 cr). E ss eae PR questo tessuto endoxilare ates si presenta ap m n : onjeni a pareti tenere, allungati nel senso dell asse, e con tra- analogo * ontali o quan appartiene dunque al tessuto parenchimatoso secondario a quello del libro (tav. II, fig. 10 enda). E dei es si hanno nn. tessuto varie modalità BE Gli otn se e parete un em Spes a punteggiature semplici, rotondeg- 6 Pu : à IC SS Talora le pareti si RES We EN (Tav. I, fig. 11 gv). iios E pa ge potio pauca dei tubi ott? in LEA Eo così da far a ct v interno. Mi piace qui tendéré giustizia all pite n dal ducs i = lavoro dhe ha pec Sen f Geo La b Leg de l'anatomie des il Eo Pis _ dëi in EBEN gli anatomiei sulla rassomiglisnza che spesso tici che De as Ce Pad eos tubi salina. zs eu dei axes Sou bar kreis pps s il cellulari e euer all — dell BROWN cui furono Sog. a na Gem MAER Questi ammassi colorati col bleu d a possono Placche an. SES 1108 eei] il noto callo che sta in mer delle E o n. M pure CS anni sono, tratto ni Se ca altri con me) da nes. ES x nias: cosi da ammettere un libro eg nei Trifogli che asso- M u Se Anche nella. struttura secondaria del T. Ze zi regione E ix 3 = sempre p elementi teneri e vue La dI di Vuillemin (3). questa en sezione trasvorge di un fascio vascolare E d Geer mostra gitudinale 1a Ute foggiata ps emi ue come la cuffia librosa. In sezione lon- però la cosa è tosto chiarita. em EE nis fusti di T. repens, dove i fasci mostrano sviluppatissima questa bon "à EB della ng si spinge talora deg fianchi del fascio e talora fino uparla, cosicchè vi si trovano elementi di libriforme (fig. III, tav. 1 20). Rai r PORN ; ; : : amann (4) definisce il suo intrazilares Cambiform: “ ..... an der Innenseite des CITE S Baan, Loc. cit. 7 Atti del Congresso Botanico Italiano ,, Genova, 1893, pag. 183. Ven: .UXLLEMIN, Loc. cit, vedi fig. 9 della tav. 1 del mio lavoro, dove la figura di Vuillemin ne riprodotta, Loc. cit, pag. 40. 396 SAVERIO BELLI 44 D Xylems, zwischen den Erstlingsgefässen der Blatispurstränge und der Markscheide, Gruppen zartwandiger cambiformer Elemente sich finden, welche in vielen Fällen, (lange noch nachdem die sie umgebenden Elemente des Markes und Xylems ver- holzt sind) unverholzt bleiben, so dass man, bei Behandlung von Querschnitten mit Wiesner’s Holzstoffreagens (Phlorogluein und Salzsaure), ein sehr auffalliges “ Bild erhält; ein Bild welches zunächst an jenes erinnert das bicollateral gebaute * Hölzer bieten ,. D D D & L'A. dice di essere stato indotto dapprima a ritenere questo tessuto come un libro interno. Ma siccome mancano i tubi cribrosi, così credette rappresentasse un libro rudimentale, e cita molti Autori che emisero diverse opinioni in proposito. Nel suo lavoro poi si propone precisamente di dilucidare la questione. Si ca- pisce come la questione della regione endoxilare sia in stretta relazione coll’origine dei libri cosidetti interni dei fasci bicollaterali, e si sa che essa venne ampiamente trattata in questi ultimi tempi (1). Raimann si servì per i suoi studii dei Generi Aesculus, Tilia, Aristolochia Sipho, Fagus. Le conclusioni sue sono le seguenti (2): 1° La formazione dell’endoxile succede più tardi che la formazione delle zone legnose esterne al protoxylem; 2° Gli elementi del protoxylem non formano un gruppo distinto, ma si originano dagli elementi della porzione più interna delle iniziali xilematiche (periodo un po’ oscuro); 3» Gli elementi dell'endoxile (intrazilares cambiform) si lignificano più tardi (quando lo fanno) che tutti gli altri elementi legnosi di pari età; 4° Stando all’origine, alla forma ed alla struttura loro, questi elementi sono simili a quelli del cambiforme del libro molle (cellule concomitanti); motivo per cui YA. li chiamò intrazilares Cambiform ; 5° Nelle ulteriori lignificazioni di questo tessuto gli elementi suoi mantengono la loro forma e perciò si riconoscono facilmente dagli altri tessuti; 6° La funzione, la significazione del cambiforme intraxilare è oscura e da studiarsi; non è impossibile che sia un organo ridotto (3). Come si vede dal riassunto precedente e come del resto si può vedere dalla memoria di Raimann in disteso, A. ha scelto, per le sue ricerche, dei rami già avan- zati in cresciuta, e le figure corrispondenti rappresentano una cerchia chiusa del legno delle piante esaminate. Nell'esposizione non troppo chiara, secondo me, dello sviluppo dei fasei dall'a- pice vegetativo, UA. non fa risaltare bene se questo tessuto proceda originariamente dal fascio o dal midollo, quantunque poi, nelle conclusioni sue, lo ascriva al fascio. Manca insomma la spiegazione dell'istogenesi della zona. Mi pare anche che l'A. dia nel complesso del suo lavoro alla zona stessa dei limiti più estesi che non siano ra (1) Lawouxerre, Recherches sur l'origine morphologique du liber interne, ^ Ann. Sc. Nat. „, serie 7°, t. XI, pag. 193, 1890, ed altri anteriori citati in bibliografia. (2) Raımann, Loc. cit., pag. 72, 73. (3) Briquer, Monograph. du Gen. Galeopsis, Bruxelles, 1893, pag. 69. D | | | | | | | 45 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 397 quelli dati dalla sua definizione piü sopra espressa: * Zwischen den Erstlingsgefüssen * der Blattspurstrünge und der Markscheide ,. È inutile dire che la Markscheide va qui intesa nel senso di Wiesner (1) e non nell'antico significato di anello fatto dal protoxilem, che implicherebbe un assurdo. E poiché l'occasione si presenta, non sarebbe male che, in un prossimo Congresso Botanico, si discutessero queste omonimie a base anatomica od istologica diversa, falsa o multipla, allo scopo di eliminarle. Basti citare, per esempio, le significazioni ambigue della parola cambiforme. 3 Mi permetto qui una osservazione a quanto Briquet scrive sulla denominazione, impropriamente, secondo lui, data da Raimann a questo tessuto cioè di intrawilares Cambiform. Briquet scrive (2): * Le terme de cambiforme a primitivement été ré- “ servé pour les éléments prosenchimateux du liber, afin d'exprimer l'analogie de * forme qu'ils ont avec les éléments du cambium. Or nous avons ici (Galeopsis) un “ parenchyme typique dont les cellules superposées sont séparées les unes des autres par des cloisons horizontales. Le terme * forme histologique qui n'est pas du tout celle du tissu en question ,. Nel caso del T. repens losservazione di Briquet -non sarebbe del tutto a suo posto. Ammesso che questo cambiforme intraxilare sia originato da elementi procam- D “ cambiforme , éveille donc l’idée d’une biali i quali non sono del tutto prosenchimatosi, non c'è ragione di escluderlo. Le cellule compagne dei tubi cribrosi non sono soventi prosenchimatose ed hanno ori- gine dagli stessi elementi da cui proviene l'endoxile. E difatti anche il parenchima libroso primario, nel fascio vascolare del T. repens, à molto simile, nella disposizione dei sepimenti orizzontali, a quello della regione endoxilare. Tutto cid sia detto senza pregiudizio della significazione multipla della parola cambiforme, che potrebbe anche significare a forma di cambio. Periderma. — A livello del sesto o settimo internodio dall'apice vegetativo, secondo i casi, si ha nel 7. repens la formazione del periderma. Il fellogeno si genera o nell'epidermide o nel secondo o terzo strato sottoepidermico; dà origine a pochi strati di cellule suberificate: da tre a otto secondo i casi. Non si forma fel- loderma nel senso stretto della parola; gli strati peridermatiei restano aderenti al fusto in un coll’epidermide, e non si formano ritidomi anulari che in qualche Si caso di fortissimo accrescimento del fusto in grossezza o negli infimi internodii. è già detto altrove che, forse per errore, V. Thieghem mette il fellogeno della specie del G. Trifolium nell'endoderma (tav. 1, fig. 8). Radici avventizie. — Si formano negli archi interfascicolari, e non sempre ai nodi, appoggiandosi ai lati della zona cambiale endofascicolare. Il cilindro centrale si organizza nello spazio interfascieolare in grazia di segmentazioni ripetute della zona corrispondente al, cambio fascicolare. Non esistendo endoderma non si capisce la for- zm, Elemente der Anatom. u. Physiolog. der Pflanzen, Wien, 1885, pag. 117. 49 (in nota). jer, Monographie du Gen. Galeopsis, pag. 398 SAVERIO BELLI 46 mazione della saccoccia digestiva citata da V. Thieghem e Douliot (1). La descri- zione circostanziata della formazione delle radici secondarie sarà data nel lavoro generale. Certo è che, mancando un periciclo tanto in corrispondenza dei fasci che negli spazi interfascicolari, & impossibile ritenere qui come esistente una zona rizo- gena (periciclo) come tessuto o regione a sè, omologa a quella radicale (tav. IV, fig. 30). OSSERVAZIONI. Come introduzione al suo lavoro Léon Flot (2) distingue due processi secondo i quali si possono delimitare le regioni, che comprendono i differenti tessuti in un membro qualsiasi della pianta. Mi sia permesso di notare che, mentre l'A. accettando il vocabolo regione nel senso di V. Thieghem (3), e ritenendo che si possano fissare per esse ^ des limites établies après l'apparition de la structure primaire „, adotta poi, e più giustamente, nel titolo del suo lavoro l'espressione di zona; quantunque persista a ritenerla, nel concetto, come omologa al peri ciclo (altra regione secondo V. Thieghem), ma non dandone i limiti nè come regione differenziata nà dal punto di vista istiogenetico, come si vedrà fra poco. I due processi più sopra nominati cioè l'anatomico e l'istogenetico, coincide- rebbero, secondo PA., nella radice dove le regioni si limiterebbero bene, tanto nello stato meristematico, che in quello definitivamente differenziato. Secondo Guillaud (4) invece, i meristemi primitivi di Hanstein, pleroma, periblema e dermatogene non sareb- bero ben distinti in tutti i casi, neppure per la radice; peggio poi nel caule, dove la struttura si complica per lo sviluppo ed il raccordo col fusto degli organi appendi- colari. Comunque sia, anche Flot scrive che, nel fusto “ om a réuni sous le nom. de “ conjonctif les régions connues sous le nom de péricycle, rayons médullaires, et moelle; régions qui ont certainement (?) une origine différente , (5). Il lavoro delt" A. è diretto a dimostrare questa tesi, partendo dalla teoria di Russow sulle delimitazioni primitive dei meristemi nelle Fanerogame. Accompagnano il lavoro delle tavole dimostrative. Fra le vedute di Flot e quelle di V. Thieghem esistono divergenze; in quanto che quest'ultimo autore precisamente sia uno di quelli che hanno riunito * sous le nom de conjonctif , il periciclo, i raggi midollari ed il midollo. Difatti a pag. 777 del Traité de Botanique (6) V. Thieghem scrive * Les “ segments issus des initiales du cylindre central subissent en tous sens des nom- “ breuses divisions longitudinales. Puis, dans le méristème homogène ainsi produit cer- “ (1) V. Tamecnex et Dozen, Recherches comparatives sur Vorigine des membres endogènes, ecc. Paris, 1889, pag. 448, fig. 443, 444, 445. (2) L. Fror, Recherches sur la zone bérimédullaire, * Ann. Sc. Nat. ,, serie 7%, t. XVIII, p. 37, 1898. (3) V. Trixanzw, Un nouvel exemple de tissu plissé, * Journ. de Bot. ,, t. V, pag. 169, 1891. (4) A. Gurav, Recherches sur l Anatomie comparée etc. dans les Monocotyledones, “ Ann. Sc. Nat. ,, t. V, serie 6^, pag. 91, 1878. (5) L. Fror, Loc. cit., pag. 38. (6) II ediz., pag. 777. Ss ‚47 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 399 “ taines cellules continuent de se segmenter dans la longueur, pendant que les autres * cessent de se cloisonner. Les premières produisent autant des cordons de cellules étroites * et longues qui sont les futurs faisceaux libéro-ligneux; les secondes forment en * dehors le péricycle en dedans la moelle; et dans les intervalles les rayons médullaires ,. È dunque evidente che il periciclo secondo V. Thieghem non proverrebbe dai cordoni procambiali. Invece secondo Russow e secondo Flot il midollo sarebbe ben distinto cronologicamente ed istologicamente dal periciclo e, rispettivamente, dalla zona perimedullare. Queste due ultime produzioni sarebbero di identica natura se non isocrone ed apparterrebbero al fascio vascolare. A pag. 739 del Traité de Bota- nique invece si legge: “ Moelle, rayons medullaires et péricycle ne sont que les diverses “parties d'un seul et même massif dont le rôle principal est de réunir les faisceaux D 1) entre eux et à l'écorce, et qui est par conséquent le conjonctif du cylindre central ,. Malgrado questa esplicita dichiarazione in proposito della distinzione fra con- nettivo e fascio vascolare, Flot accenna altrove (1) a certe formazioni descritte da V. Thieghem, che dovrebbero rappresentare la sua zona perimedullare, per quanto ascritte chiaramente da V. Thieghem stesso al midollo ed ai raggi midollari e quindi al connettivo. Pare quindi che qui vi sia un po’ di confusione. Queste formazioni si originano talora in corrispondenza del protoæylem e V. Thieghem le ritiene analoghe al periciclo, ma senza la benchè minima allusione ad un’origine comune col fascio. Dove Flot non mi par troppo esplicito è nell’esposizione storica (che egli pre- mette alle sue osservazioni sulla zona perimedullare) riguardante l’origine meriste- matica del caule. Molto più chiaramente si esprime Guillaud nel suo lavoro, già citato, sulle Monocotiledoni (2). Seguendo le sue indicazioni è facile riassumere questa storia; l'esame poi delle singole opere degli Autori da lui citati, mi permette di aggiungere qualche altra osservazione (3). è Karsten (4), Hanstein (5), correttosi di poi (6), Mohl (7), Schacht (8) fanno de- rivare, specialmente nelle Dicotiledoni, i fasci vascolari da un anello meristematico primitivo (cambium), il quale, oltre ad essi, darebbe origine alle porzioni che rappre- senteranno poi i raggi midollari. Vogliono insomma questi Autori che questo anello rappresenti la sezione di una zona cilindrica, la quale, facendo astrazione dal midollo (o endistema) sarebbe cava al centro e dalla quale si originerebbero tutti i tessuti posteriori corrispondenti alla zona stessa. — Nella sua porzione interna, o nel- l'esterna, o nel suo complesso essa ha preso diversi nomi a seconda dei diversi autori: Holecylinder, Verdickungsring, Cambiumsring, Scheidegewebe, Aussenscheide, ecc. Nœgeli invece (9) fonda pel primo una distinzione esatta, chiara, e basata sul- l'istologia fra cambio (procambio dei modernissimi) e meristema. Secondo Nœgeli i (1) Fror, Loc. cit, pag. 42. (2) Gurcrau», Loc. cit., pag. 12 e pag. 111. (8) Riassumo cose note al solo scopo di fissare le idee. (4). Die Vegetation der Palmen, “ Beitr. zur Vergl. Anat. u. Physiolog. ,, Berlin, 1847, pag. 10. (5) Plantar. vascular. folia, caulis, radix etc., Berlin. Univ., Dissert. inaugur., pag. 44, 1848. (6) HaxsrEm, -Untersuch. über Bau und Entwick. der Baumrinde, Berlin, 1858, pag. 89. (7) Mont, Ueber die Cambiumschicht des Stammes der Phanerog., ecc. * Bot. Zeit., 1858, pag. 188. (8) Schacht, “ Lehrb. der Anat. und Physiol. ,, Band I, pag. 293-307, 1856. eur, “ Beiträge zur Wissenschaft Botanik ,, Heft I, pag. 1-20, 1858. 400 SAVERIO BELLI 48 fasci vascolari nascono, come è noto ed accettato dalla maggioranza degli anatomici tedeschi, da corrispondenti cordoni isolati (o riuniti raramente in cerchia continua) in seno ad un meristema unico ed omogeneo. Il tessuto che non è trasformato in fasci vascolari, forma i raggi midollari, il midollo ed il tessuto corticale. È un tessuto omogeneo cronologicamente e strutturalmente equivalente, capace perd di funzionare da meristema secondario nell’accrescimento progressivo del fusto. Sanio (1) ha una teoria che vuole essere intermedia fra quella di Noegeli e degli autori sopra citati, ma che, in realtà, mi pare poco differente da quella di questi ultimi. Ecco secondo Sanio il processo con cui si formerebbero i fasci nel maggior numero delle Dicotiledoni: 1° * Scheidung des Urparenchyms in die Erste Anlage des Markes (Urmark) “ und Aussenschicht , (Endistema ed Esistema di Russow); 2e * Scheidung der Aussenschicht in die erste Anlage der primüren Rinde * (Urrinde) und den Verdickungsring , (fase indelimitabile nei suoi primordii per il Genere Trifolium); 3» * Scheidung des Verdickungsringes in Cambiumbündel und Zwischengewebe , . Lo * Verwandlung der Zellen des Cambiumbündels in die Gefüssbündel-Ele- : mente, und Erlöschen der Zellenbildenden Thätigkeit im Zwischengewebe „. 5° * Aufreten des Cambiumringes in den Gefüssbündeln zwischen Bast- und * Holztheil; im Zwischengewebe in einer mit dem Cambium der Gefüssbündel gleich- * laufenden Zellreihe ,. Si noti anzitutto che, perche il Verdickungsring possa scindersi in cambio e tessuto interposto, deve già succedere un arresto nella segmentazione in senso longitudinale degli elementi che corrisponderanno a quest'ultimo. Quindi la seconda parte della 4a fase è una ripetizione inutile. È poi inesatto, almeno nel G. Trifolium, che questi elementi del tessuto interposto (raggi midollari primarii) perdano- del tutto la loro facoltà di segmentarsi negli altri sensi; che anzi avviene un aumento nella fre- quenza e rapidità della segmentazione in senso trasversale, che poco a poco cessa, ed è accompagnata da ingrandimento degli elementi. L'Autore fa ancora osservare, che spesso gli elementi del fascio vascolare (cribri e vasi) si differenziano nel fascio isolato prima che lanello meristematico giunga à chiudersi (?), e che, ad ogni modo, questo Verdickungsring non si origina di colpo, ma poco per volta in certi punti speciali dello strato meristematico esteriore (Aussen- schicht), i quali finiscono, convergendo, per formare l'anello. In sostanza poi questa oscura esposizione ammetterebbe con Nœgeli la formazione dei fasci procambiali in certi punti determinati, ma ne differirebbe essenzialmente, perchè fa precedere alla formazione dei cordoni procambiali due formazioni meriste- matiche, delle quali non dà nè i limiti, nè la forma differenziale; cosicchè questi cor- doni nascerebbero in seno ad un tessuto foggiato ad anello, ed il tessuto interposto ai fasci (raggi midollari), passerebbe anch'esso per queste fasi metamorfiche prima di diventare tessuto fondamentale, del pari che i fasci prima di diventar tali. Così (1) Santo, Vergleich. Untersuch. über die Zusammensetz. des Holzkörpers, “ Bot. Zeit. , (1863), pag. 357 e seq. seg., pag. 871. | i | | 49 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 401 ne avviene che, secondo Sanio, è forza considerare i raggi midollari per quello spazio compreso fra due linee circolari concentriche, la cui distanza è determinata dallo spessore dei fasci vascolari esistenti, come un qualche cosa di differente, perchè ori- ginata nel Verdickungsring assieme ai cordoni vascolari. Ed alloraquando, a diffe- renziazione primaria finita, i fasci appaiono come immersi in un tutto omogeneo dall'epidermide al midollo, convien tuttavia figurarsi e tener sempre presente la di- versa origine (dato che diversa sia) di questo cilindro cavo da tutto il resto del fusto, e riportare a quella le modificazioni che si seguono nell'ulteriore differenziamento. Sachs è in massima partigiano dell'esposizione Nœgeliana (1), per quanto Flot scriva (2) che l'Autore faccia delle riserve a proposito della differenza genetica dei raggi midollari primarii dal resto del connettivo, colle parole: “ Les portions de tissu “ fondamental situées entre les faisceaux paraissent n'étre que des communications “ radiales entre l'écorce et la moelle, ou, comme on les appelle, des rayons médul- “ laires ,. Lo stesso V. Thieghem, nelle annotazioni al Traité (pag. 751) scriveva giustamente: “ On peut, si l'on veut, séparer par la pensée ce tissu conjonctif en “ une région centrale ou moelle et en portions interfasciculaires ou rayons médul- ‘ laires; mais cette distinction est SANS VALEUR ANATOXIQUE! et ne doit pas être as- * similée à la séparation réelle (?) et double que l'endoderme et la membrane rhyzogène (periciclo) tracent entre le tissu conjonctif tout entier et le tissu cortical ,. Fatte le debite riserve anche a proposito di questa separazione reale tra tessuto corticale ed endoderma e periciclo, che in troppi casi non & reale, le idee del V. Thieghem erano allora basate sull’anatomia e non come oggidì sull'interpretaeione. Russow invece (8) ammette con poche varianti la teoria di Sanio (4). Il suo lavoro perd, secondo me, pecca di soverchia generalizzazione, per quanto ha rap- D porto all'origine dei tessuti nelle Fanerogame. Non si puó a meno di osservare che l'Autore riassume in poche pagine non corredate da figure di sezioni, soprattutto longitudinali, questa . struttura originaria. È supponibile che egli abbia esaminato una grande quantità di casi per venire alle seguenti conclusioni: Anzitutto si differenziano dal meristema primitivo (Protomeristem) due zone: una interna (Ændistem); una esterna (Esistem); mentre le cellule dell Endistema ingran- (1) Sacus, Traité de Botanique; 3° ediz., p. 749-750 (con annotazioni di V. Thieghem). (2) From, Loc. cit., pag. 41. (8) Russow, Vergleichende Untersuch. üb. histolog. etc. der Leibundel, Kryptogamen etc., * Mém. Acad. imper. Scienc. S. Petersb. „, t. XIX, n? 1, pag. 178-198 (1872). (4) Russow, Loc. cit., pag. 179: " Wie die folgende Darstellung ergiebt, weiche ich in der hi Auffassung der von Sanio Verdickungsring genannten Gewebeschicht von dem genannten Forscher ab; “ während Sanio in der genannten Meristemschicht ein von den uebrigen Theilungsgeweben ganz * verschiedenes Gewebe erblickt, sehe ich in derselben nur den inneren Theil der, Rinde, Blätter “und Leitbündelsystem erzeugenden Aussenschicht (Existems), woher ich das aus den zwischen “ den Leitbündeln liegenden Partien hervorgehende Gewebe als Grundgewebe betrachte, welches “ das centrale mit dem peripherischen verbindet; daher mochte icht die alte Chatin'sche Bezeichnung, ed Markverbindungen ' für diese Gewebepartie beibehalten; gegenüber dem Sanio'schen Scheide- " gewebe im Sinne eines das Mark von der Rinde Trennenden-Gewebes ,. Dietro questa distin- zione di Russow non mi pare che si accordi quanto scrive Flot nella sua memoria a pag. 62 cioe " ehe l'esposizione di Russow dia “ la formule la plus approchée , dell'opinione di Sanio, almeno per quella parte dei raggi midollari che viene dall'uno considerata come tessuto fondamentale e dall'altro come un qualche cosa di differente subbiettivamente. Serre II. Tom. XLVI. => tren 402 SAVERIO BELLI 50 discono segmentandosi parcamente, l'Esistema si differenzia in due strati; il Peristema piü esterno, ed il Mesistema all'interno; corrispondente quest'ultimo, con poche diffe- renze, al Verdickungsring di Sanio. Finalmente in seno a questo Mesistema si differenzia, in un modo per me non troppo chiaro, un altro tessuto transitorio, il Desmogeno che darà origine ai fasci vascolari, mentre il resto del Mesistema stesso non differenziato in fasci, originerà il tessuto interposto, cioè i raggi midollari. Credo bene di trascrivere qualche periodo a maggior schiarimento (1). “ In allen Stämmen der Phanerogamen mit Leitbundeln deren Xylem und Phloem collateral, erfolgt die Differenzierung des Protomeristems in Grund- und Leitbundelgewebe in derselben Weise vie bei Equisetum. Zunüchst giebt sich ein Unterschien kund zwischen einem ^ aus weitlichtigeren langsamer sich theilenden Zellen bestehenden Innengewebe, Endistem, und einem, wenigstens in seinem inneren Theil, aus englichtigeren, sehr “ Jebhaft sich theilenden Zellen zusammengesetzten Aussengewebe; Existem..... Während in dem Endistem die Zellen, zumal diemittleren, durch Streckung an Grösse zunehmen ‘ und sich langsam theilen, beginnt in dem inneren Theil des Existems, zuerst an den Punkten, welche den Abgansstellen der jüngsten Blätter entsprechen, eine sehr lebhafte Zellenvermehrung, ohne dass die Zellen vor jedesmaliger Theilung sich ^ merklich vergrössern, woher bald von dem äusseren aus weitlichtigeren und ziem- ‘ lich regelmässig angeordneten Zellen bestehenden Theil des Existems, sich ein ‘ innerer aus englichtigen Zellen bestehender Theil sondert; es differenziert somit das Existem, wie bei Equisetum in eine innere und eine äussere Schicht in Mesistem und Peristem.... Mit dem Aufreten des Mesistems oder etwas später beginnt die Bildung des Desmogens d. h. es differenzirt sich das Mesistems in strangförmige aus sehr englichtigen, in Richtung des Längsaxe des Stammes gestreckten Zellen be- ‘ stehende Gruppen, und letztere, von einander trennende, aus weitlichtigeren, na- ' hezu isodiametrischen, später radial gestreckten Zellen bestehende Partien, die in ‘ Grundgewebe uebergehen, welches das innere aus dem Endistem hervorgehende ‘ Grundgewebe (Mark) mit dem aus dem Peristem sich bildenden Grundgewebe (pri- märe Rinde) verbindet ,. Come si vede non deve essere una cosa molto facile il delimitare in regioni queste successive divisioni del meristema primitivo, i cui elementi non presentano altra differenza che la grandezza del lume cellulare, dovuto ad una segmentazione rapida ma confusa, ed impossibile a delimitarsi con esattezza. E poichè il risultato finale di queste divisioni è quello di condurre alla formazione ultima e definitiva di due soli tessuti, cioè il tessuto fondamentale e il desmogeno, soli riconoscibili alla forma, così ne nasce che è ipotetica l'esattezza nel riportare i tessuti che verranno di poi, cioè i tessuti persistenti, a quei periodi anteriori di transizione, che Russow descrive nel suo lavoro. A me pare che esista dunque una grande differenza fra l'esposizione di Nœgeli e quella di Russow e di tutti coloro che, come lui, fanno derivare i tessuti da spe- cializzazioni e localizzazioni di meristemi di 1°, di 2° e di 3° grado; ed è questa: quella di Nœgeli è l'esposizione di una struttura anatomica facile a constatarsi (1) Russow, Loc. cit., pag. 179. 51 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 403 nella massima parte dei casi (per me è la sola che ho potuto prendere come punto di partenza per l’istogenesi della struttura consecutiva dei tessuti); quella di Russow, checchè se ne dica, è una interpretazione. Nægeli è preciso nel dare i caratteri ana- tomici ed istologici delle sue grandi divisioni meristema e cambio (procambio); Russow interpreta la disposizione degli elementi piuttosto che non la dimostri o la caratte- rizzi con note istologiche speciali. In anatomia ed in istologia, come nella sistematica se non si dànno caratteri di forma o di orientazione o di topografia esatta, tanto agli elementi che ai tessuti, si farà sempre un lavoro inutile. La topografia anatomica stessa deve avere per substratum un certo periodo del suo sviluppo con caratteri costanti. Noegeli scrive a pag. 2 del suo lavoro (1): “ Meristem und Cambium (procambio) sind verschieden “ mit Rücksicht auf die Form und die Wachsthum der Zellen, die Theilungsrichtung und ‘ die Natur des aus ihnen hervorgehenen Dauergewebes. Die Cambiumzellen sind verlüngert, und haben, wie ich spüter zeigen werde, das Bestreben in der Richtung ihrer Achse (des langen Durchmesser) noch mehr in die Lünge zu wachsen! Sie schieben daher ihre Enden in einander und werden keilfórmig oder spitz. Sie theilen sich vorzugweise durch Wünde die mit ihrer Achse parallel sind ; aus ihnen entsteht das Holz und der Bast. Die Meristemzellen sind parenchymatisch; sie haben die Neigung sich eher durch Wände zu theilen, die ihren lüngsten Durchmesser halbiren. Ein selbstandiges Wachstum in einer bestimmten Richtung mangelt ihnen, und wenn das aus ihnen hervorgehende Parenchym zuweilen in der Achsenrichtung eines Stammtheiles verlängert ist, so rührt das daher, dass, nachdem die Theilung aufgehört hat, das ganze Organ noch vorzugsweise in die Länge gewachsen ist ,. E a pag. 11 dello stesso lavoro Nœgeli espone la struttura iniziale del tipo Dicotiledone più comune con mirabile chiarezza: “In dem Urmeristem der Stamm- “ spitze scheidet sich ein Kreis von Cambiumstrüngen aus. (Procambio). Diess ge- schiet nie gleichzeitig, sondern in einer bestimmten Zeitfolge von der ich später (bei der Anordnung der Gefüssstrange) sprechen werde. Von diesen Strüngen ver- schmelzen die naher beisammen liegenden (tav. V, fig.36 del mio lavoro): wüh- rend die entfernter stehenden, durch Meristem getrennt bleiben, aus welchem sich “ die sogenannten Markstralen entwickeln. Seltener vereinigen sich alle Cambiumbun- * deln zu einem ununterbrochenen Ring. Durch das Aufreten eines Kreises von Cam- biumsträngen wird das Urmeristem in Mark und Rindenmeristem geschieden. Beides bleibt noch einige Zeit thätig, wobei sich vorzugweise Querwände bilden. Das Markmeristem, in welchem ausserdem ziemlich spärliche radiale und tangentiale ‘ Längswände aufreten, geht zuerst in Dauergewebe ueber; viel später das Rinden- meristem, in welchem (ausser den Querwänden) auch zahlreiche radiale Längs- “ wände sich bilden, weil durch die Bildung von Epen (Xilem und Phloem) die Pro- “ tenrinde beträchtlich ausgedehnt wird ,. La conclusione di tutto cid è che nel G. Trifolium è impossibile riportare la Struttura definitiva dei tessuti (peggio, delle pretese regioni) ad uno stadio istoge- netico anteriore alla formazione dei cordoni procambiali. Le divisioni iniziali Peristem e Mesistem segnate da Russow non si lasciano riconoscere. La comparsa della corona (1) * Beiträge zur Wissenschaft. Bot. ,. eege E tm a RR ER Le dere d nr de Danei REA | 1 j ^ I) 8 404 SAVERIO BELLI 52 procambiale, graduale, nei punti corrispondenti all'inizio delle traccie fogliari è-la prima fase caratterizzabile. Questo inizio, è segnato da un punto comune alla base della foglia ed al caule. Ma anche il fatto del disporsi a corona chiusa dei fasci nel G. Trifoium è un'accidentalità contemplata nella definizione Noegeliana (Vedi più indietro a pag. 25-26 nella parte II). Tornando al lavoro di Flot, l'A. tende evidentemente a dimostrare coi casi il- lustrati nelle sue tavole, che esiste un anello meristematico nel senso di Sanio e di Russow. Anzi Flot prende come punto di partenza l'esposizione di quest'ultimo Autore, che, secondo lui, ne ha dato, come già si disse, ^ la formule la plus approchée ,. Gli è in questo anello meristematico (Mesistema di Russow) che Flot fa origi- nare il desmogeno, cioè il cambio di Nœgeli, od il procambio dei moderni. Secondo Flot il desmogeno non occuperebbe tutta la larghezza del mesistema foggiato ad anello, ma ne lascierebbe una zona al di fuori ed una al di dentro le quali formerebbero, quella il periciclo, questa la sua zona perimedullare. Ecco il periodo di Flot (1): “ ...les “ faisceaux du desmogène d’où proviendront les faisceaux vasculaires primaires, n'oc- * cupent pas toute la largeur de l'anneau de mésistème; outre les rayons il reste * encore une bande en dehors et en dedans de chaque faisceau. Pour la bande externe D M. V. Thieghem a créé le nom de péricycle; la bande (non regione) interne reste à [3 nommer (?); de plus le développement et la structure de cette région (2) de la tige * méritent d’être étudiés. C'est l'objet de ce travail ,. È chiaro dunque: 1° che, per Flot il periciclo e la zona perimedullare appartengono al fascio, mentre per V. Thieghem il periciclo appartiene al connettivo (Vedi Traité de Botanique, 2* ediz., pag. 777); 2° che il fascio vascolare sta fra due bandes le quali debbono essere della stessa natura dei rayons, dai quali il fascio stesso è distinto. E qui sta appunto la contraddizione di Flot. Chi cerchi di farsi un'idea dalle figure di Flot, di un Mesistema come un qualche cosa di differente dal desmogeno che esso produce nel suo seno, non ci riuscirà. Per es. la figura 1 della tavola II in mvi, oppure la fig. 6 della stessa tavola in pm ed Z, mostrano un tessuto perfettamente omogeneo formato da elementi allungati nel senso dell'asse; in questo tessuto si originano elementi vascolari, ma la porzione residua di elementi rappresentanti periciclo e zona perimedullare à perfettamente iden- tica originariamente a quella donde si originano gli elementi dei fasci. In una parola chi esamini le figure del Flot si fa l'idea, che periciclo e zona perimedullare appartengano (come in realtà è) al cordone procambiale o desmogeno e non ad un ipotetico mesi- stema, che dovrebbe essere, stando a Russow ed a Sanio, parenchimatoso a cellule isodiametriche. Del resto il processo genetico descritto dall Autore a pag..47 (1) nell Evonymus japonicus, dove dal meristema apicale segue la differenziazione dei fasci di procambio, si riferisce chiaramente ed esclusivamente al desmogeno e non ad un supposto mesistema. Nella figura 1 della tavola III non si può veder altro che: 1° un apice meristematico, che dà origine ad una porzione centrale ad elementi segmentantisi in Pd (1) Fror, Loc. cit., pag. 62. (2) Qui l'Autore adotta nuovamente l'espressione région per caratterizzare la zon« perimedullare. 53 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 105 senso orizzontale (parenchima centrale); 2? una porzione periferica a cellule, che per la loro configurazione * se rattachent à celle des feuilles en voie de croissance , (parenchima corticale); e 3^ finalmente, fra queste due porzioni, una terza ad elementi allungati, tutti somiglianti, che separano le due prime, cioè i cordoni procambiali di Nœgeli. Dove sarebbe qui il mesistema residuo all'interno od all'esterno del cordone, costituente zona perimedullare e periciclo? È fuori dubbio che l'Autore ha immaginato una teoria ed ha ereduto di dimo- strarla anatomicamente; ma precisamente le risultanze di fatto coscienziose del suo lavoro lo hanno condotto senza volerlo a dimostrarne l insussistenza, meglio ancora lo hanno condotto a ripetere la struttura Nœgeliana, sola anatomicamente dimostrabile. Egli è riuscito senza volerlo a dimostrare di più, che se realmente le prime trachee non si originano proprio negli estremi strati periferici del cordone procambiale, ma lasciano fra il midollo ed esse uno strato più o meno grande di elementi procambiali indifferenziati, questa zona o regione, come egli la chiama peri- medullare, non appartiene ad altro tessuto che al desmogeno od in altre parole al cor- done vascolare, poichè un mesistema, distinto dal desmogeno, non si vede nelle sue figure e si può solo immaginare. Rimarrebbe invece dimostrato che, stando ai casi illustrati da Flot, il limite ven- trale del fascio vascolare non è dato sempre come si ammetteva generalmente dal protoxilem, ma piuttosto dall'ultimo elemento periferico interno del cordone vascolare anche non differenziato (Vedi la parte anatomica del mio lavoro a pag. 40 e 42). Questa delimitazione però, come già altri hanno osservato, facile nella struttura primaria dei tessuti, o, meglio ancora, nel primo comparire dei primi elementi xile- matosi, si oscura di poi talora pel comparire di elementi similari nel midollo in modo da riuscir difficile l'assegnarli all'uno o all'altro (1). : La ricerca dell'origine di questi gruppi di tessuti che spesso assumono uno svi- luppo notevole (e che da aleuni Autori furono ritenuti come un libro interno rudi- mentale) (2), allo scopo di ascriverli o al midollo od al cordone desmogenico, ha dato causa ai numerosi lavori conosciuti e già citati di Raimann, Strasburger, Prunet (3), Briquet, Borzi (4); a quelli di Dennert (5), Jannicke (6), Petersen (7), Flot (8), Solereder (9), Pax (10), Radlkofer (11). (1) Vedi Briquer, * Atti del Congresso Botanico italiano ,, 1892, pag. 201. (2) Vedi Briquxr, Loc. cit. (8) Pruner, Recherches sur les nœuds et les entrenœuds de la tige des Dicotyled., “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7^, t. XIII, pag. 362 (1891). s (4) Contribuzione alla conoscenza dei fasci bicollaterali nelle Crocifere e delle anomalie di essi, “ Malpighia ,, t. V, pag. 316-30 (1892). (5) Dewwerr, in “ Wigand's Botanische Hefte ; I (Marburg, 1885). — ^ Beiträge zur anat. Syste- matik. Crue > ,, pag. 83-120. (6) Jarnnıcke, in * Wigand's l. c. Papilionacæ ,, pag. 51-81, fig. 16 d. (7) Pr , Ueber das auftreten collateraler Gefüssbündel, ecc, * Engler's Bot. Jahrb. f. system. Pflanzengesch. u. Pflanzengesch. ,, t. III, 1882. mo BOLLE (*, (8) Fror, Recherches sur la structure comparée de la tige des Dicotyled., * Ann. Sc. Nat tome II, 1885. (9) Sorurzver, Ueber den systemat. Werk der Holzstruktur bei den Dicotyled., pag. 30-31. Münich, 1885, (10) Paz, Die Anatom. der Euphorbiaceen ece., in Engler's Bot. Jahrb. ,, t. V; 1884. (11) RApzxorzm, Ergänzungen zur Monographie der Sapindaceengatt. Serianja, p. 16. Münich, 1886. A dat EM rotore 4 PE AR = hi iiti ARTO Street des ee re. LA { | f i 406 SAVERIO BELLI 54 Altrove questo tessuto viene accennato come appartenente al midollo (1). Flot assegna queste produzioni alla sua zona perimedullare, che, come si disse, egli ri- tiene omologa del cosidetto periciclo. Marié (2), nel dare la spiegazione della fig. 41 rappresentante il Ranunculus Thora (3), riporta ancora al midollo la zona ad elementi piccoli ed ispessiti che sta fra la prima trachea e le grandi cellule midollari. Secondo tutta probabilità invece questa zona corrisponde alla zona perimedullare di Flot. L'A. così si esprime: la moelle se sclérifie autour de la pointe interne des faisceaux et forme ainsi un arc interne allant se souder à l'arc. fibreux externe qui doit être rapporté au péricycle. Lo stesso tessuto nella figura 35 di Morot (l. c.), rappresentante il Picridium vulgare (4), e già citata altrove, evidentemente omologo alla zona perimedullare di Flot, viene pure da Morot ascritto al midollo. La spiegazione della fig. 35 suona così: " m. sc. arc scléreux médullaire développé au bord interne du bois „. Converrebbe dunque fare l’istogenesi del fascio del Picridium vulgare e del Ranunculus Thora, per decidere se questo tessuto appartiene al midollo od al cordone vascolare. Lo studio di Flot sugli internodii più avanzati in sviluppo dimostra ancora meglio la subbiettività della divisione’ dei tessuti meristematici in desmogeno e me- sistema, tanto in origine quanto nelle posteriori formazioni da essi provenienti (fasci vascolari e connettivo). La figura 10 della tavola VI rappresenta una sezione longitu- dinale dell'Evonymus japonicus passante per uno spazio interfascicolare, dove, come scrive UA. a pag. 48 “ les cellules allongées existent seules , cioè rappresentano una porzione di quel tessuto, che secondo l’A. sarebbe potenzialmente generatore di desmogeno e di mesistema (cio che avviene nelle porzioni fascicolari). Or bene in questi spazii interfascicolari “ les cellules allongées „ sono tutte identiche; è quindi subbiettivo il differenziarle in due regioni, una vascolare e l’altra congiuntivale come vuole Flot. Nell'evoluzione del fusto dei Trifogli abbiamo dimostrato come questo tessuto omogeneo ad elementi allungati, negli spazii interfascicolari, si trasformi ben presto in tessuto fondamentale, mentre in corrispondenza delle porzioni appartenenti alle traccie fogliari tutto si trasformi o in elementi del fascio od in guaina librosa e non periciclica. Anche Briquet (5) ha constatato che questa zona perimedullare appartiene al cordone prodesmico senza distinzione di una regione speciale o mesistematica residua come vorrebbe Flot. Studiando lo sviluppo della zona perimedullare o endoxile nella Matthiola incana cosi egli scrive: * Si l'on remonte par des coupes successives jusqu'au dessous du * point végétatif on constatera que les ilots de parenchyme intraxilaire dans lesquels * sont plongées les trachées initiales constituent le bord interne des faisceaux procam- * biaux de la couronne primaire; ils font done partie intégrante du faisceau ,. (1) V. Dong, Traité de Bot., 2* ediz. (1891), pag. 754 (citato da Flot nel lavoro sulla Zona perimedullare a pag. 42). (2) Marré, Recherches sur la structure des Ranunculacées, " Ann. Sc. Nat. ,, serie 6%, t. 20 (1885). 3) Riprodotta nel mio lavoro alla tav. III, fig. 21. 4) Riprodotta nel mio lavoro alla tav. IV, fig. 31. ( ( (5) Briquer, " Atti del Congresso Botanico internazionale di Genova ,, pag. 180, 186-200. | or Di ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 407 Delle conclusioni esposte da Flot alla fine del suo lavoro rimane dunque per me da escludersi quella che generalizzando è così concepita: * Le méristème vasculaire se * différencie de la même façon dans toutes les Angiospermes (?) en desmogène et tissu “ interposé ou conjonctif externe. Du desmogène proviennent les faisceaux libéro-ligneux “ primaires. Ce qui reste du méristème vasculaire forme autour de la tige un anneau * continu primitivement homogène qui est le conjonctif externe , (1). Quando poi le trachee iniziali occupano, come spesso avviene, l'estremo limite interno del cordone desmogenico, e quando, come nei Trifogli, l'estremo limite esterno del cordone stesso è occupato da tubi cribrosi, non si può più parlare di connettivo interno od esterno, di zona perimedullare o di periciclo. Quindi non tutte le Angio- sperme entrano, come vorrebbe Flot, nel quadro strutturale da lui stabilito. È uscito nel 1889 un lavoro di P. A. Dangeard (2), che non trovo citato da quasi nessuno degli anatomici, e che io non potei leggere che in questi giorni. Il Dangeard in un capitolo sul modo d’unione del fusto e della radice (cap. IV) rias- sume brevemente le idee odierne sull’ endoderma e sul pericielo ed accenna anche alla stelia di V. Thieghem e Douliot. Scrive A.: * Dans les faisceaux libéro-ligneux c’est ordinairement le liber qui ‘ se différencie le premier ,. Così succede pure nel T' repens; e d'altra parte è già stato accennato da Sanio e da altri (3). Le vedute generali di Dangeard però sul- l'origine delle produzioni fibrose od altre addossate ordinariamente ai fasci, e tanto discusse da Morot, non concordano colle mie osservazioni sul G. Trifolium ed in molti punti sono ben lungi dall’esser chiare. Nel libro adulto PA. distingue generalmente due parti: 1° “ la région des ilots = grillagés et des cellules annexes aw contact du bois , (4); 2° * entre cette région et l'endoderme le périphragme , che l'Autore fa corrispondere al pericielo di Morot © degli autori in generale. “ Le périphragme peut être en entier cellulaire; parfois ‘ sa partie externe qui confine à l'endoderme se différencie en fibres que l'on peut désigner indifféremment sous le nom de fibres libériennes ou de fibres périphragma- tiques , (o pericicliche). Dangeard considera dunque il perifragma come facente parte del libro. Ma non si capisce perché poi consideri questo perifragma come corrispondente al peri- ciclo di Morot e di V. Thieghem, il quale non appartiene, secondo essi, al cordone pro- cambiale ma al connettivo piü esterno del cilindro centrale, ovvero stando al cosidetto mesistema di Russow. d Al solito dovrebbe essere l'istogenia del fascio procambiale quella che può de- (1) Vedi anche Gravis, Anat. Urtica dioica. Bruxelles, 1885, pag. 14 (e in nota). (2) Dawanarp P. A., Recherches sur le mode d'union de la tige et de la racine, " Le Botaniste ,, serie I, 1889, Caen, pag. 116-117. (3) Saxro, “ Vergleich. Untersuch. ,, Loc. cit., pag. 361. è 5 (4) Nel G. Trifolium io non ho mai osservato che le cellule annesse o i tubi cribrosi stiano in contatto immediato cogli elementi dello wilema; sempre ho trovato qualche sératerello di parenchima interposto fra gli elementi più esterni dello xilema ed i più interni del floema; strato riconoscibile molto facilmente nei tagli longitudinali, ma confondibile facilmente colle cellule annesse nelle sezioni trasversali. Kai TT. ie Sy SEE Cd ee — Dee T a me E e AT a "re d CL, I K sg j i | 1 3) citi terti T AVI Qul Eo SS è Spe SAINS me im b À H # Ai 408 SAVERIO BELLI 56 cidere, se il libro si possa o no dividere in due porzioni almeno cronologicamente. L'Autore, a quanto pare, deve essersi occupato in modo generale di questa ricerca, poichè scrive: “ Si l'on cherche à se rendre compte du mode de développement de * ces deux régions (?), on voit que la première formée est celle des ilots grillagós et * des cellules annexes au contact de lendoderme et que le périphragme apparait * ultérieurement; il est produit par un cloisonnement actif des cellules péricambiales (?) * qui entourent les ilots grillagós ,. Evidentemente qui c’è un errore di stampa: forse l'Autore ha scritto procambiales e fu stampato péricambiales (1). Comunque sia, l'Autore erra, stando alle mie ricerche sui Trifogli, anche allo- raquando scrive, che il perifragma è dovuto in tutti i casi a segmentazioni attive di cellule procambiali che attorniano i tubi cribrosi. Nel T. repens e nei Trifogli in generale talvolta si osservano dei tubi cribrosi, che occupano l'estremo lembo este- riore del cordone stesso e toccano la cosi detta guaina del fascio (endoderma pre- teso di molti Autori) (tav. III, fig. 19 td e tav. IV, fig. 29 tb). Non si pud dunque conciliare nel fattispecie dei Trifogli la genesi del loro perifragma col modo generale più sopra esposto di Dangeard; poiché in essi i tubi cribrosi ed il perifragma si originano bensi in tempi diversi ma in posto identico. Del resto DA. più esplicitamente scrive: “ la distinction du liber primaire en deux * régions n’est pas possible dans tous les cas , (alludendo a questa impossibilità solo nei primordii genetici del fascio). E poco chiara anche l'espressione di Dangeard sul modo con cui i fasci vasco- lari possono riunirsi alle cosidette regioni componenti il fascio stesso: “ Les fai- * sceaux libero-ligneux peuvent être: 1° séparés lun de l'autre dans toutes leurs * parties; 2° unis seulement par leurs périphragmes; 3° unis par leur liber tout en- * tier; 4° rapprochés par leur bois et leur liber en un anneau complet. Dans les * trois derniers cas le périphragme peut paraître indépendant des faisceaux, et par * suite être considéré, mais à tort, comme du conjonctif ,. Questa à l'esposizione sommaria delle diverse strutture secondarie del fusto delle Dicotiledoni secondo i diversi tipi conosciuti, ma è ben naturale che le appa- renze diverse, che i tessuti prendono sviluppandosi, debbano riferirsi geneticamente, nel limite del visibile, ai diversi tessuti originarii; quindi il perifragma apparter- rebbe o no, stando pure alle idee di Dangeard, al connettivo a seconda che si svilupperebbe nel cordone procambiale o negli spazii interfascicolari. Per coloro che ammettono invece un mesistema come Russow od un Verdickungsring nel senso di Sanio, il perifragma dovrebbe appartenere sempre al connettivo (conjonctif externe di Flot, péricycle di V. Thieghem), mentre poi, come si è visto, non è possibile ana- tomicamente di distinguerlo dal cordone prodesmico o vascolare. Molto più oscuro e imbarazzante per la nomenclatura anatomica è il seguente periodo: * Il est possible d'ailleurs que si l'endoderme ne se rejoint pas dès le debut, (1) In caso contrario non vi sarebbe senso nello scrivere che il perifragma, ^ est produit par “ un cloisonement des cellules périphragmatiques ,. Dappoichè l'A. ammette che perifragma è uguale a periciclo; ed a sua volta periciclo è sinonimo di pericambio. | | | 57 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 409 ' d'un faisceau à l'autre (struttura astelica?) le conjonctif puisse s’intercaler latéra- “ lement entre le faisceau et larc endodermique, arriver à les séparer (P) en con- “ stituant une région à laquelle devra s'appliquer alors le nom de perieyele , (??). Il periciclo (quello di Morot già dall'A. fatto sinonimo di perifragma) assumerebbe qui un'altra.significazione tutt'affatto speciale e poco esatta. La conclusione di quanto riguarda il pericielo in questo lavoro si riassume nel seguente periodo: “ Le péricyele de la tige, tel qu'il est généralement compris actuel- ^ lement, n'est qu’une région libérienne du faisceau à laquelle on peut appliquer le * nom de périphragme „. E precisamente il rovescio delle idee di Vuillemin e di V. Thieghem, i quali, come si vedrà piü avanti, ammettono che il libro sia in certi casi, una modifica- zione del periciclo. Serre II. Tom. XLVI. à i | ul d È f 410 SAVERIO BELLI 58 PARTE TERZA SULLA TEORIA DELLA STELIA OI Sotto questo nome intendo di raggruppare tutte le modalità definite dagli Au- tori coi nomi di polistelia, monostelia, astelia. Ho intitolato questo capitolo col vocabolo teoria, poichè si dimostra in questo lavoro che la Stelia non è spesso un fatto anatomico (2). Credo utile riportare per intero l'esposizione di questa teoria, quale si trova negli Annales des Sciences naturelles. * L'appareil conducteur des plantes vasculaires se compose, comme on sait, de “ faisceaux libériens, dont les éléments essentiels (3) sont les tubes criblés, et de faisceaux ligneux dont les éléments essentiels sont les vaisseaux. Dans la racine ces faisceaux libériens et ces faisceaux ligneux sont séparés, simples; dans la tige et dans la * feuille ils sont intimement associés deux par deux en faisceaux doubles, libéro- ligneux. Simples ou doubles les faisceaux conducteurs peuvent affecter trois dispo- sitions différentes: 1° Ils peuvent être groupés en un cercle ou en plusieurs cercles “ concentriques autour de l'axe du membre considéré, unis tous ensemble par un conjonctif dont la région interne est la moelle, les portions intercalées aux faisceaux les rayons médullaires, et la région externe le péricycle de maniere à former un cylindre central entouré à son tour par l'écorce dont il est séparé par l’endoderme. * — 2° [ls peuvent être groupés en plusieurs cercles autour d'autant d'axes diverse- * ment disposés, de manière à constituer tout autant de cylindres centraux distincts, * ayant chacun sa moelle ses rayons médullaires, son péricycle et son endoderme, (1) V. Taregmem et Dourror, Sur la polystélie, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7*, t. III, 1886, pag. 275. (2) Srraseureer, Ueber Bau und Verrichtung der Leitungsbahnen in den Pflanzen. Jena, 1891, pag. 906-307 e segg. (8) Altrove i tubi cribrosi non sono più elementi essenziali del libro, ma un'accidentalità di esso (Vedi * Journal de Botanique ,, anno V, t. V, 1891, pag. 117, e pag. 61, lin. 33). 59 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 411 * tous reliés et enveloppés par une écorce commune. — Enfin 3°: ils peuvent être * isolés, non réunis en un cylindre central, individuellement enveloppés par un en- * doderme particulier et directement plongós dans la masse générale du corps qui * ne se sépare pas alors en écorce et conjonctif. * Pour abréger appelons stèle l’ensemble des faisceaux conducteurs et de eonjonctif * qui compose un cylindre central; nous dirons alors que la disposition de l'appareil “ conducteur est monostélique dans le 1° cas; polystélique dans le 2"* et astélique * dans le troisième. Ces trois modes de structure peuvent d'ailleurs se transformer * l'un dans l'autre. La polystélie p. e. dérive de la monostélie par division répétée; * l'astólie provient, suivant les cas de la monostélie par dissociation ou de la poly- “ stélie par réduction; la monostélie bien qu’elle soit toujours le mode primitif peut “ cependant aussi dériver de l'astólie par association latérale ou de la polystélie par association latérale suivie de réduction ,. L'esposizione dettagliata delle osservazioni sui diversi tipi vegetali, che condus- sero V. Thieghem a stabilire questa teoria, à data dai singoli lavori dell'A. (1) ai quali rimandiamo il lettore. Nel Traité de Botanique dell A. (2) si riassumo, nei diversi capitoli, la teoria stessa; in questo lavoro perd sard costretto qua e là & citarne e riportarne dei brani per maggior chiarezza della mia esposizione. i Bisogna non perdere mai di vista, per farsi un'idea della stelia in generale che essa è, come già ripetutamente si disse, in stretta dipendenza colla esistenza, sup- posta costante dagli Autori, dell'endoderma caulinare in prima linea; e in seconda con quella del periciclo (3). Sull'endoderma è basata la divisione regionale del fusto primario in cilindro centrale e corteccia, per cui, ove questa cosi detta regione en- dodermica (4) non esistesse, non vi sarebbe più ragione di mantenere la divisione di cilindro centrale e corteccia nel senso di V. Thieghem, e la teoria della stela cadrebbe di per sè. Queste due regioni, cilindro centrale e corteccia, sono, come è noto, tolte dalle omologhe della radice, dove l'endoderma, non solo anatomicamente, ma funzionalmente le delimita nella quasi generalità dei casi. Soc. Bot. n y. H H x 7, bal (1) V. Dumong, Structure de la tige des Primevères nouvelles du Yun-Nan, Bull. de de Fr.,, t. XXXIII, 1886, pag. 95. — Remarques sur la structure de la tige de Préles, * Journ. Bot. ,, t. IV, 1890, pag. 365. — Remarques sur la structure de la tige des Ophioglossées, ib., pag. 405. — Péricycle et péridesme, ib., pag. 433. (2) V. Tuonen, Traité de Botanique, 2* ediz., 1891, pag. 764 e seg. e 167-17 Structure primaire de la feuille, fig. 546. (3) V. Turxeuzw, Traité de Bot., 2* ediz., pag. 789. (4) V. Turzaumkw, Un nouvel exemple de tissu plissé, * Journ. de Botan. ,, t. V, 1891, pag. 169. V. pure pag. 841, cara it e rre À A iii d È Gët DES EZ E ee A ce ea RE E d EE eg i 412 SAVERIO BELLI 60 Si tengano presenti di più le seguenti premesse che si pretendono generalmente costanti secondo questi Autori: 1° che l'endoderma (fleoterma) di Strasburger è il limite più interno della corteccia; 2° che in molti caulomi è dimostrabile un endoderma caratteristico (1) simile a quello che di solito si trova nella radice; 8° che in molti caulomi, nei quali non si rinviene un endoderma caratteri- stico, gli A. lo riconoscono ai suoi elementi fortemente amiliferi o cristalliferi; in tal caso è da supporre che il resto degli elementi, che circondano questa zona, ne siano sprovvisti o per lo meno dotati in minor quantità, lo che abbiamo visto non essere pel G. Trifolium; 4° che mancando un endoderma caratteristico, o un endoderma amilifero, o cristallifero, l'endoderma è per essi riconoscibile alla forma o alla grandezza de’ suoi elementi paragonati colle serie di elementi vicini; 5° che mancando tutte queste note all'endoderma, esso è ancora riconoscibile, secondo gli A., alla disposizione de’ suoi elementi di fronte a quelli del periciclo che gli è interno; 6° che l’endoderma può essere generale; abbracciare cioè il complesso dei fasci, riuniti dal connettivo, periciclo, raggi midollari primarii e midollo (nei fusti tipicamente monostelici) ; 7° che l'endoderma pud essere parziale, cioè abbracciare ogni singolo fascio (nei fusti astelici) ; 8° Si intende (sempre secondo V. Thieghem) per periciclo una regione (2), che ha per limite esterno l'endoderma (parziale o generale) e per limite interno è tubi cribrosi del libro; 9° Nel caso di endoderma particolare a ciascun fascio (struttura astelica) si intende per periciclo la regione che vien abbracciata da ogni endoderma parziale e che confina, al solito, internamente col libro (regione). Ritenute queste definizioni, è per me di somma importanza far precedere al- cune considerazioni sulle idee ultime di V. Thieghem a proposito di endoderma e di libro (3). Nella sua nota su di un nuovo * tissu plissé , l'A. così scrive: * L'endoderme n'est pas un tissu particulier, plissé ou autre; c'est une région * anatomique qui peut, suivant les plantes et, dans une même plante, suivant le ‘ membre considéré, être formée par les tissus les plus divers. Ici, comme partout ailleurs en anatomie, il faut avec le plus grand soin éviter de confondre la région * avec le tissu ,. (1) Per brevità intendo nel corso di questa nota di indicare col nome di endoderma earat- teristico quello i cui elementi sono in tutto o in parte suberificati, sia che la suberificazione si mostri sotto forma definita di anelli, placche, ecc., pieghettate o no, ma tali insomma da dare in one tr all'osservatore l'impressione dei noti punti di Caspary, o le reazioni caratteri- he della modificazione della cellulosi in suberina, ecc. (2) V. Tarscmem, Sur les tubes criblés extralibériens et les vaisseaux extraligneux, * Journ. de Botan. ,, anno 5°, t. V, 1891, pag. 117-118. (8) V. Turmenen, ^ Journ. de Bot. ,, Loc. cit., pag. 169, 1891; Un nouvel exemple de tissu plissé. versale il 61 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 413 In altra nota (1) l Autore così si esprime: * Dans le langage de 1’ Anatomie moderne, le mot liber désigne une certaine région de la racine de la tige et de la feuille caractérisée ordinairement par des tubes criblés, mais qui peut aussi * renfermer d'autres tissus, du parénchyme, du tissu sécréteur, du sclérenchyme etc. * et qui peut même être dépourvue de tubes criblés ,. * De méme le mot bois désigne une autre région de la racine de la tige et de ‘ la feuille caractérisée ordinairement par des vaisseaux, mais qui peut aussi ren- fermer d'autres tissus: du parenchyme, du tissu sécréteur, du selérenchyme ete., et * qui peut méme être dépourvue de vaisseaux... Ceci rappelé, si l'on vient à rencontrer * des tubes criblés ailleurs que dans le liber primaire ou secondaire, et de vaisseaux * ailleurs que dans le bois, primaire au secondaire, il faudra se garder de donner “à ces tubes criblés extralibériens le nom de liber; à ces vaisseaux extraligneux le * nom de bois; ce serait confondre un /issu avec une région: faute grave en Ana- * tomie. Il suffira de les désigner par un adjectif indiquant la région spéciale oü * ils se sont formés. Si c'est dans la moelle ce seront des tubes criblés médullaires, * des vaisseaux médullaires; si c'est dans le péricycle de la racine ou de la tige, “ se seront des tubes criblés péricycliques, des vaisseaux péricycliques; si c'est dans “ le péridesme (péricycle) de la feuille ce seront des tubes criblés péridesmiques, * des vaisseaux péridesmiques ,. Risulta da questa definizione che il libro, ritenuto finora come un sistema del tessuto vascolare, caratterizzato, anche nella sua più semplice espressione, dal tubo cribroso, è diventato una regione la quale può contenere ogni sorta di elementi, ma può anche essere priva di tubi cribrosi. Risulta pure che l'endoderma non è più un tessuto limitante internamente la corteccia, ma è anch'esso una regione. Ora, una regione generalmente parlando ha dei limiti. Le regioni epigastrica, ipogastrica, toracica, addominale, ecc., in anatomia umana p. es., sono determinate da linee precise, almeno convenzionalmente, e da punti di rèpere fissi. Un tessuto a sua volta è caratterizzato da qualchecosa, per cui i suoi elementi sono diversi da un altro tessuto. Se quindi non esistono limiti per le regioni, e caratteri fissi pei tes- suti, non si può dar loro un significato concreto, a meno di voler fare tutt'altro che dell'anatomia. Quali sarebbero i limiti di questo endoderma diventato regione? L'A. non lo dice. Quali sono i limiti della regione che secondo l'A. chiamasi libro? Egli scrive che il libro è caratterizzato ordinariamente dai tubi cribrosi. Ma il tubo o i tubi cri- brosi sono elementi speciali di un sistema e non segnano dei limiti al libro. Del resto, lo dice l'A., possono anche mancare. Dove dunque sono i limiti di questa re- gione? L'A. non lo dice. Quali sono i limiti del periciclo? Lo dice Flot (2) togliendoli da V. Thieghem: * La limite interne de l’écorce est l'endoderme; celle du péricycle est le premier élé- “ ment libérien externe ,. Ora, nel caso in cui il libro, secondo V. Thieghem, manchi V. Trsomen, Sur les tubes criblés extralibériens, Loc. cit, pag. 117. F 68, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie 7*, t. XVIII, 1898. 1 (2) Fror, Recherches sur la zone périmédullaire, pag SEN ER EI nt PIT n E RE dE A A enne e mt CRM. DER i a ma m Xe AA pe cR gage Rn A nag X iae Fre UR gi US n | | h 414 SAVERIO BELLI 62 di tubi eribrosi e mostri invece elementi simili a quelli del cosidetto periciclo, chi potrà mai delimitare precisamente (come dice Flot che si è fatto da V. Thieghem) queste due supposte regioni? Non mi paiono molto giustificate in questo caso le parole del Flot (l. c.): “ Dans ce système (quello di V. Thieghem) les mots perdent “ parfois leur sens primitif peu précis, pour en acquérir un nouveau et une précision * mathématique (?) ,. In teoria avranno una precisione, ma in pratica siamo molto lontani dalla precisione matematica. Ripetasi la stessa argomentazione per lo zilem«. E per venire ad una domanda generale: chi può stabilire limiti esatti alle regioni così dette dal’ A. endodermica e periderma (liege)? (1). Finalmente è da osservare che l'A. ritiene come regioni perfino gli strati (as- sises) cellulari; p. es. “ assise sous-endodermique e l’assise sus-endodermique (2). Per poco non diventano regioni anche i singoli elementi! Ora è lecito il domandare se sia proficuo in anatomia vegetale il sostituire ai concetti esatti di tessuto e di sistema quello inesatto di regione, quando non se ne dànno i limiti fissi, semplicemente perchè è impossibile il farlo; o se non sia invece arbitrario il fissare delle entità subbiettive, quali la regione endodermica o la peri- ciclica caulinare, e inquadrarvi poi dentro a volontà dei tessuti che possono a volta esistere e non esistere. Di questo passo si va incontro all’abolizione della nomenclatura anatomica, la si rende farraginosa ed in dipendenza di ogni singola interpretazione, al punto che ognuno sarà padrone di fabbricare, a sua posta, quante regioni voglia; p. e., in un periderma uniforme, non appena le formazioni accidentali che in una parte di esso si possono trovare, stereidi, sclereidi, cristalli, rafidi, tannifere, secretori, ecc., diano alla regione l'apparenza di una certa diversità dal tessuto circumambiente e si for- mino con una certa costanza. Seguendo queste idee sarà quindi innanzi inutile il conservare alla nomenclatura anatomica la parola libro (Phloem), destituita del suo valore, che era bensì convenzionale, ma tassativo; dappoichè esso può, nelle circo- stanze più sopra citate da V. Thieghem, essere un amalgama di ogni sorta di tes- suti, ed anche privo di tubi cribrosi. V. Thieghem mette in guardia gli studiosi contro il grave errore che potrebbe provenire dal confondere tessuti con regioni. Ma, a parte le regioni nuove da lui create (endoderma, strato sopra-endodermico, strato sotto-endodermico, periciclo), neppure le regioni, che anticamente così si chiamavano, come tali son ben definite. Così p. es. il midollo, una di quelle che lo sembrano di più, ha spesso dato origine a discussioni non ancora esaurite sui suoi limiti esteriori (3). E se, spesso, anche il libro, come regione, non può essere ben definito, non v'ha ragione di non ritenerlo come un sistema, di cui il tubo cribroso rappresenta la caratteristica. Secondo me, (1) V. Tareguew, Loc. cit., pag. 167. (2) V. Tarecnew, Loc. cit., pag. 167. (3) Rammanw R., Ueber unverholete Elemente in der innersten Xylemzone der Dicotyledonen, “ Sitzber. d. k. Akadem. d. Wisschf. Wien ,, XCVIII Band, Abth. 1, pag. 47, 1890. — Briquer J., Sur quelques points de l'Anatomie de Crucifères et de Dicotylées en général, * Atti del Congresso Botanico internazionale di Genova ,, 1892, pag. 201. 63 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 415 ha tutta la ragione il Vesque (1) allorquando scrive che: “ l'élément tout à fait ca- * ractéristique du système libérien est la cellule grillagée, et là où cet élément manque il ne faut parler de liber qu'avec une extrême réserve, et surtout n'appliquer ce “ mot à des tissus situés ailleurs qu'à la place ordinaire du liber, que quand il y a “ des raisons sérieuses pour le faire , periodo già citato dal Briquet a proposito del libro interno supposto nelle Crucifere (Vedi nota di Briquet a pag. 201). Il vocabolo place usato dal Vesque potrebbe essere il rappresentante della pa- rola regione, che V. Thieghem vuole assegnare al libro. Ma Vesque aggiunge alla parola place quella di ordinaire, il che significa che nei fusti a libri doppi, p. es., mal si potrebbe adoperare il vocabolo regione di V. Thieghem, che implica una fis- sità di limiti che Vesque non determina. Per ció che riguarda poi l'endoderma, bisogna dire che, se si vuol intendere con questo nome il limite più interno della corteccia (fleoterma di Strasburger) evidentemente esso sarà una ^ assise ,, uno strato; e in sezione trasversa sarà rappre- sentato da una fila di cellule. La quale fila di cellule non potrà mai essere altra cosa che un tessuto, riconoscibile a caratteristiche sue proprie quando esistono; in- discriminabile dal tessuto eircumambiente quando non ne ha, tanto piü nei casi ci- tati da V. Thieghem, in cui un'altra fila di cellule sua vicina, usurpa la caratteristica degli elementi endodermici (2), diventando un falso endoderma a caratteri veri. L'esame della struttura più sopra esposta del caule del T. repens ha dimostrato che non esiste una regione periciclica in questo vegetale e nei Trifogli in generale. Prova più lampante della possibile insussistenza di questa regione ontologica non si potrebbe dare. Ma i sostenitori della generalizzazione strutturale delle regioni ricor- rono in simili casi (che, per quanto eccezionali, costituirebbero un lato debole alla loro teoria) a dei ripieghi che implicano dei circoli viziosi. L. Flot (8) serive che: * dans certaines plantes (Monocotylédones, Renoncu- “ lacées), le conjonctif externe (periciclo) forme à chaque faisceau une gaine de pa- “ renchyme plus ou moins selérifié: et le reste de ses cellules devient souvent semblable “ à celles du parenchyme central où du parenchyme cortical ,. Ma l'osservazione diretta insegna che si deve dire tutto il contrario; cioè che nel connettivo dapprima omo- geneo si differenziano poi le porzioni sclerificate a ridosso dei fasci; dunque non è già che il resto del connettivo (non selerificato) divenga simile al midollo od alla zona corticale, ma semplicemente, non si sclerifica e rimane quello che era prima. Seguendo le idee regionali anatomiche di V. Thioghem, ne nascono le conclusioni di Vuillemin (4) al suo capitolo: “ Les régions anatomiques ,. L'autore vuol distin- guere i limiti tra il fascio isolato e il tessuto fondamentale nella foglia. Ricorre allo Studio anatomico, il quale gli fornisce i dati seguenti: “ Les faisceaux de la feuille (1) Vesque, Mémoire sur l'Anatomie comparée de l'écorce, pag. 51, * Ann. Se. Nat. ,, serie VI, tome II, 1875. (2) V. Tursengw, Un nouvel exemple de tissu plissé, * Journal de Bot. ,, Loc. cit, pag. 165. (3) Fror L., Recherches sur la zone périmédullaire, Loc. cit., pag. 105. (4) Vurcuemin P., La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis, Nancy, Berger-Levrault et C., 1892, pag. 156. cite mas MT à { j f À ke ` sr er PR re ae P re e à na El EEE rep ed PISTA LIST Rouen Ue e tagli "ES DET mesi Il 416 SAVERIO BELLI 64 issus des cordons prodesmiques (cordoni procambiali della foglia) comprennent ‘ deux régions constantes: du bois sur la face ventrale, du liber sur la face dorsale. On ne voit rien de plus vers le sommet des plus fines nervures (fig. 105 di Vuil- * lemin, op. cit.). A l'extréme pointe, les cellules vasculaires débordent même le liber ‘ et peuvent le coiffer. Mais pour peu que l’on descende on trouve entre l’endo- derme et les cordons conducteurs une zone indifférente (?), un tissu conjonctif (?) an- nexé au faisceau sur le dos du liber et sur le ventre du bois; plus bas encore ‘ cette gaine s'étend aux flancs du faisceau et l'enveloppe totalement , (fig. 106-108, ut sup.). Una sezione longitudinale praticata nel desmogeno iniziale avrebbe potuto, meglio che una trasversale nel fascio evoluto (per quanto * fine nervure ,), dimo- strare a che punto il così detto conjonctif o zone indifférente di Vuillemin prendeva D origine. — Ad ogni modo, per quanto questi nomi di * conjonctif, zone indifférente ,, non mi paiano troppo appropriati (p. e. per una cuffia di stereomi di sostegno), Vuillemin fa originare, e giustamente, la regione che egli chiama peridesma (o peri- ciclo fogliare) nonché quella diametralmente opposta, o ventrale (zona perimedullare di Flot), che egli non denomina, dal cordone procambiale (desmogeno), * mais en dehors * du procambium qui donne les deux autres régions ,. Quindi Vuillemin ritiene esistano nel fascio fogliare, a differenziamento com- piuto, tre regioni: libro, legno e peridesma (periciclo fogliare); di quest’ ultima re- gione però è ben lungi dal dare i limiti. — E questo è tanto vero, che l'autore accenna alle cause che possono rendere oscuri i limiti tra il periciclo fogliare (peridesma) e le due altre regioni (libro e legno) uscite dal cordone procambiale fogliare (prodesma) (p. 136, l. c.): * Tantót le procambium prend les devants (?) * pour entrer en jeu, et le péridesme reste aussi nettement distinct que le péri- cycle de la racine; tantôt l'activité du péridesme est précoce, et cette accélé- ration a pour effet, en unissant plus intimement l'évolution du péridesme à celle du procambium, rendre très obscures les limites du premier à l'égard du second ,. In altre parole, ma meno chiare, questa è la teoria di Dangeard già riportata in questo lavoro. Il prodesma fogliare o procambio 6 fatto di due porzioni iniziali; l'una darà origine al libro e al legno, l'altra al peridesma, o periciclo o perifragma di Dangeard. E, secondo Vuillemin, ora si differenziano prima gli elementi del fascio, ora quelli del periciclo (pure appartente istogeneticamente al cordone nel suo: com- plesso). Dangeard serive precisamente che * la distinction du liber primaire en deux * régions (poiché egli considera giustamente il perifragma come parte del libro) n'est * pas possible dans tous les cas (1) ,. Tutto si riduce dunque a voler mantener distinta ad ogni costo una regione prodesmica o perifragmatica dal libro, anche quando questa regione è occupata dai tubi cribrosi, poichè non si può ammettere che la differenza cronologica di sviluppo tra la parte procambiale, che darà origine ai fasci vascolari, e quella che darà origine al periciclo, debba, secondo l'A., essere per sè causa di una differenza strutturale e regionale. D [3 [1 (1) Daneeann, Loc. cit. 65 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 417 L'Autore prosegue: ^ La distinction est particulièrement laborieuse, quand des “ fibres, analogues à celles de la gaine extérieure du péridesme (periciclo fogliare), ou D des idioblates à cristaux, propres à cette région, viennent s'insinuer entre les ilots cribreux, ou quand des tubes cribreux se différencient sur les flancs du liber "jusqu'au voisinage de l'endoderme , (fig. 108). E poi aggiunge: “ En même temps “ que le péridesme subit la différenciation cribreuse!! au voisinage du liber, il forme vers la pointe, plus rarement sur le flanc du bois, du sclérenchyme à cloisons pon- ctuées presque transversales (fig. 107) ,. Perché non dire addirittura che il libro à tutto un peridesma (periciclo) diffe- renziato? Sarebbe ben meglio che il sostenere, che contro l'endoderma non deve ap- poggiarsi mai altra cosa che un periciclo. Così il tubo cribroso cesserà di essere l’ele- mento caratteristico del libro e diventerà un accidentalità del periciclo fogliare (o peridesma)! Ecco come queste nuove regioni create a scopo di rischiarare l'anatomia del fusto sono talora tanto chiare, che una invade l’altra, e i limiti loro sono di tut- t'altro dominio che dell'anatomia. In conclusione Vuillemin rigetta quello che vede, cioè le formazioni identiche nel libro e nel suo supposto periciclo, per sostenere quello & [3 che non si vede, cioò una regione peridesmica che è subbiettiva: dice che le regioni pericicliche, librose e legnose, esistono; ma quando non possono vedersi ben delimitate, la causa è che... tutto è omogeneo, e quindi i limiti sono oscuri, e sono oscuri perchè “ l'activité du péridesme est précoce! ,. Si provi il lettore a mettere d'accordo queste vedute colle definizioni delle regioni di V. Thieghem, che secondo Flot do- vrebbe avere una precisione matematica (1): “ La limite interne du péricycle est le “ premier élément libérien!! ,. IL L'origine della teoria sulla stelia dei fusti risale all’epoca, in cui V. Thieghem (2) nella sua memoria sui canali secretori delle piante scriveva che il fusto è, come la radice, composto di due parti in tutta la sua estensione: corteccia e cilindro centrale; limitata la corteccia dall'endoderma, e il cilindro centrale producente, in grazia di un meristema procambiale, i cordoni vascolari. Ed aggiungeva (p. 112-113, in nota): ‘ La moelle de la tige n’est donc pas, comme il parait généralement admis, de “ méme nature que le parenchyme cortical, dont elle serait la simple continuation à “ travers les rayons medullaires. La moelle et la partie des rayons médullaires in- “ térieures à la membrane protectrice (endoderma) d'une part, l'écorce avec la partie (1) Vedi pag. 63 del lavoro di Flot piü sopra citato. (2) V. Tregua, Mémoire sur les canaux sécréteurs des plantes, “ Ann. Sc. Nat. » serie 5°, t. XVI, 1872. Serw IL Tow. XLVI. : e en ( i f H t D on te a EE ad RSS Sa ev burton — ET ebe 418 SAVERIO BELLI 66 “ des rayons médullaires extérieure à cette membrane d'autre part, sont des tissus * distincts et d'âge différent (1). La preuve en est dans la membrane protectrice * (endoderma) qui limite si nettement l'écorce (quando la limita) à laquelle elle ap- * partient. La preuve en est encore dans la formation des racines adventives, aux * dépens des cellules périphériques du tissu (1) central (periciclo del giorno d’oggi), “ qui sont directement en contact avec les cellules plissées dans les intervalles entre * les faisceaux; en sorte que cette membrane rhyzogène (periciclo) limite nette- * ment (?) le tissu conjonctif central partout où il communique avec le parenchyme * cortical. Une double ceinture (endoderma e periciclo) sépare ainsi ces deux tissus ,. Nel fusto del T. repens abbiamo veduto come questa struttura sia irreperibile. Tra un fascio e l'altro non si trova traccia di questa doppia cintura a meno di im- maginarla, e in corrispondenza di ogni fascio la porzione di cintura, che si vuol ri- tenere come endoderma, non ha mulla a che fare coll’endoderma che stava nell'asse ipocotile; la seconda porzione, che corrisponderebbe al periciclo, non esiste nè istoge- neticamente, nè anatomicamente, nè regionalmente, nè funzionalmente. Ma, a parte ciò, che cosa si vuol significare colle parole “ la moelle de la tige * n'est pas de la méme nature que le parenchyme cortical ,? Forse che i loro ele- menti sono differenti nella forma? Al momento della differenziazione dei fasci pro- cambiali certamente no, e in molti casi neppure a sviluppo finito. Forse sono diffe- renti nelle proprietà istologiche, chimiche o fisiche? Neppur questo è da ammettersi. A sviluppo finito poi si possono avere produzioni similari e comuni, tanto alla corteccia quanto al midollo. Basti citare in proposito le produzioni di stereomi e di canali secretori tanto nell'uno che nell’altro sistema. Per V. Thieghem la porzione dei raggi midollari, interna all'endoderma da una parte e la corteccia colla porzione dei raggi midollari esterna all’endoderma dall'altra. parte, sono cose distinte e di età differente. Se si vuol risalire ai rapporti cronologici istogenetici primitivi di questi tessuti, non è possibile distinguerli anche a detta dello stesso V. Thieghem (2). “ Qu'il y ait seulement trois assises d'initiales superposées, “ou quil y en ait davantage, parce que l'écorce en a pour elle plusieurs, il arrive * cà e là dans les plantes les plus diverses que ces initiales et les segments récem- ment issus d'elles sont plus ou moins fortement enchevétrées. Elles deviennent alors * difficiles à distinguer et paraissent (?) constituer un tout homogène. Il semble (?) * que les trois régions de la tige ou tout au moins deux d’entr’elles, p. e. l’écorce et * le cylindre central, se confondent au sommet dans un groupe d'initiales communes ,. Per gli Equiseti invece, nei quali secondo V.-Thieghem, sempre ed ovunque si trova la struttura astelica (3), V. Autore, basandosi sugli studii di Hofmeister (4), di Cramer (5) e di Max Rees (6) asserisce che-* Le parenchyme interne, séparé tout (1) Il periciclo era allora un tessuto e non una regione (pag. 112-118 in nota). (2) Traité de Botanique, 2* ediz., pag. 775 al capitolo: “ Formation de la tige par un groupe * de cellules mères ,. (8) V. Turauxw, Sur la structure de la tige des Préles, “ Journal de Bot. ,, t. IV, 1890, pag. 371. (4) Horueıster, Vergl. Untersuch. Keim. ecc., Höherer Kriptog. pag. 89-97. (5) Cramer, Pflanzenphys. Untersuch. von Nogeli u. Cramer, III, pag. 21 e f., 1855. (6) Max Been, Zur Entwickel h. der Stammspitze v. Equisetum, “ Jahrb. Wiss. Bot. ,, VI, pl. X, fig. 1 e pl. XI, fig. 8, 4, 5. 67 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 419 D d'abord, est la région interne de l'écorce et non, comme il est admis, la moelle; son assise cellulaire externe devient l'endoderme intérieur. Le parenchyme externe, séparé un peu plus tard, est la région externe de l'écorce (1) et non, comme il est admis, l'écorce toute entiére; son assise cellulaire interne devient l'endoderme exté- rieur (2). Le massif moyen, par son rang externe et par son rang interne, produit les deux péricycles et, par le reste, le liber et le bois ,. V. Thieghenî non dà nessuna figura che dimostri aver seguito la strada fatta dai segmenti per divenire le regioni e gli strati che egli descrive. Ma neppure dagli studii di Hofmeister, Cramer e Max Rees à, possibile desumere questa specializza- D D D D k zione strutturale, salvo a sostituire alla storia di sviluppo un arbitraria interpreta- zione. Comunque sia, dato e non concesso, che sia possibile seguire un elemento nelle sue segmentazioni iniziali in modo ininterrotto, da poter stabilire con sicurezza lori- gine di ogni singolo strato definitivo, sta il fatto che, per poter con ragione applicare le vedüte più sopra esposte dei füsti astelici, dalle crittogame vascolari alle Dicotile- doni, converrebbe seguire, p. es., per le Primule il processo di segmentazione apicale seguito negli Equiseti da Hofmeister, Cramer, Rees, ecc. Che i tessuti così ben distinti nella struttura primaria della radice mostrino un'egual distinzione nel caule, vien messo in dubbio da Falkenberg (3) colle seguenti parole: “ Es fragt sich nun zunächst ob diese Sonderung der Gewebe, wie sie im * ausgebildeten Stengel sich häufig findet, auch nicht mit der Differenzirung des “ Urmeristems in der wachsenden Stengelspitze im Widerspruch steht, und ob ein Cen- tralcylinder und eine Rinde sich auch bei solchen Monocotylen unterscheiden lassen, bei welchen eine specifische Ausbildung von Zellen, welche die Grenze zwischen beiden Theilen bezeichnen, nicht stattfindet ,. La risposta a questa quistione, de- [3 D D dotta dalle proprie osservazioni è che, in pochi easi, Asparagus, Tradescantia, le cel- lule più esterne dello strato interno del periblema diventano il limite esterno del cilindro centrale. Nell’ Epipactis palustris invece non è già più possibile seguire questa guaina esterna del cilindro centrale (perieielo del giorno d'oggi) dalle cor- rispondenti iniziali del meristema apicale, avvegnachè queste “ sich durch ihre Lage “ in nichts von den angrenzenden Zellen unterscheiden , ed allora * kann man wohl richt in der That die Grenze zwischen der Rinde und dem Centraleylinder bildet, und ob nich vielmehr diese Annahme eine rein will- * kührliche ist, indem ihre Lage mit einer Trennung der Stengelgewebe in Rinde und “ Centraleylinder in keinerlei Zusammenhang steht „. Falkenberg si esprime invece altrimenti, parlando dei rapporti fra le differenziazioni dei meristemi iniziali e la loro definitiva costituzione nei tessuti della radice: “ Viel regelmässiger und schärfer aus- “ geprägt als im Stengel der Monocotylen wiederholt sich die gleiche Sonderung der “ Gewebe in den Wurzeln, in denen sich auch die Entwickelung des Centraleylinders D D im Zweifel darüber sein, ob jene S. D aus dem Plerom des Vegotationspunktes mit grüsserer Regelmüssigkeit vollzicht ,. : m + N Ts. D 3 ivi 7a- (1) La corteccia non sarebbe dunque più una regione a sè, dappoichè lA. la suddivide nuova à 5 e sarola regione say Thi mente in due altre; l'esterna e l’interna. Che valore pc avere la parola regione, su cui V. Thieghem insiste tanto allo scopo di non confonderla col termine tessuto, ognuno può qui giudicare! n "PRSE : regi Te rma! ) Ecco nuovamente uno strato (assise) che diventa una regione (lendoderma!). (8) Farxzxsrno, Loc. cit, pag. 129. (2 420 SAVERIO BELLI 68 Si potrebbe qui obbiettare che la non esistenza di una distinzione fra corteccia e cilindro centrale nelle Monocotiledoni non può essere presa come termine di pa- ragone colle Dicotiledoni, dove essa potrebbe essere meglio caratterizzata, anche in relazione coi meristemi apicali. Ma è facile vedere come la struttura primaria di certe Dicotiledoni a fasci separati da porzioni di tessuto fondamentale comunicanti col midollo, non ha, sotto il riguardo dell’omologia delle parti (e fatta astrazione dalla struttura secondaria) ragione di essere differenziata dalla struttura delle Mo- nocotiledoni (Ranunculus species) le quali la rappresentano a un di presso (1). Nel lavoro sopra citato di Falkenberg è anche discussa questa omologia (2): “ Man hat * früher die Frage aufgeworfen ob die Bezeichnungen ‘Rinde’ und Mark sich ohne * weiteres von den Dicotylen auf die Monocotylen übertragen lasse. Nach den vor- * liegenden Untersuchungen muss dieselbe einfach bejaht werden ,. Ma Falkenberg annette con Meyen (3) alla distinzione fra cilindro centrale e corteccia una signifi- zione piuttosto morfologica che istogenetica, allorchè scrive che questa distinzione può venir mantenuta anche là “ wo sie sich erst in grösserer Entfernung unterhalb * des Vegetationspunktes sondert, und nich bereits als Periblem in Urmeristem “ differenzirt war ,. Le prove anatomiche, che V. Thieghem adduce nel periodo più sopracitato per giu- stificare la separazione del fusto in corteccia e-cilindro centrale, non sono probatorie. A provare che i raggi midollari primarii interni all'endoderma e quelli esteriori ad esso sono cose distinte, riporta il fatto dell’esistenza della membrana protettrice (endoderma) che “ limita nettamente la corteccia a cui essa appartiene ,. E quando non la limita? o la limita tutt'altro che nettamente che prove abbiamo? Ed anche quando pare limitarla nettamente, si dovrà dire che questo strato è sempre di ori- gine e di età differente dagli altri tessuti confinanti all’interno, perchè le sue pareti assumono una struttura speciale? Cosa si deve dire allora di quelle Felci, p. e., in cui si ha un endoderma e un periciclo, i cui elementi non alternano fra loro e sono evidentemente generati da uno stesso elemento progenitore? L'ultima prova anatomica che V. Thieghem adduce è quella dedotta dal fatto dell’origine delle radici secondarie dalla zona periferica del cilindro centrale (peri- ciclo). Gli studii di V. Thieghem e Douliot (4) concludono indicando questo loro pericielo caulinare come il tessuto, al quale spetta l'ufficio di generare radici avven- tizie. Le eccezioni non sono però poche. ` Ma, in ogni modo, pel fattispecie della separazione anatomica del fusto in cor- teccia e cilindro centrale, questa ragione non ha valore. Se l’idea di corteccia vuol riportarsi all'antica e funzionale significazione di involucro protettore del fusto, ognun vede quanta differenza corra fra queste due significazioni. Altrettanto accadrebbe (1) Vedi Srrassurcer, Ueber den Bau und Verrichtung der Leistungsbahnen in dem Pflanzen, pag. 306, Jena, 1891. (2) Farxensere, Loc. cit., pag. 133. (3) Mess, Physiologie der Pflanzen, I, pag. 347. (4) Origine des radicelles et des racines latérales chez les Légumineuses et les Cucurbitacées, “ Bull. Soc. Bot. Fr. ,, t. XXXIII, pag. 494, 1886 e Recherches comparatives sur l’origine des membres endo- gènes dans les plantes vasculaires, Paris, 1889. 69 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 421 ove si volesse accettare, nel senso antico, la corteccia primaria, la quale comprendeva, come è noto, anche il libro molle, ed i tessuti che lo accompagnano. Né la struttura secondaria della radice, paragonata colla secondaria del fusto, mostra per rapporto alle formazioni corticali soverchia omologia. Il periderma cioè si forma nella radice (delle Dicotiledoni) quasi sempre nella zona periciclica, mentre nel caule, i sistemi che dànno origine al periderma sono varii (epidermide, ipoderma, il cosidetto endoderma caulinare, il cosidetto periciclo, il libro ecc.) (1). Questa divi- sione del fusto primario in cilindro centrale e corteccia è in molti casi dunque una subbiettività vera e propria; si potrà mantenerla arbitrariamente come una teoria, ma non è possibile di considerarla, nel fusto, come una realtà dimostrabile anatomi- camente. Ha avuto per suo fondamento tre cose: la novità, la comodità ed il nome dell’ Autore. La nota precitata del V. Thieghem a pag. 113 contiene il prodromo, dird cosi, dell’ individualizzazione di quel tessuto (ora regione) del caule, che DA. chiamò poi periciclo, e che oggidi ha invaso la sua nomenclatura strutturale. Essa è espressa nelle parole del periodo più sopra citato: une double ceinture sépare ainsi ces deux tissus, cioè il connettivo centrale all'indentro dell'endoderma e del periciclo dal tes- suto corticale esteriore ad essi. E quindi V. Thieghem conchiude con questa gene- ralizzazione : “ J'appelle done, comme dans la racine, tissu conjonctif la partie du “ cylindre central non différencié en faisceaux libéro-ligneux, et parenchyme cortical ou écorce tout ce qui est en dehors de la membrane protectrice ondulée y compris D & cette membrane ,. Finalmente anche i prodromi della teoria sulla stelia dei fusti è contenuta nel- l'ultimo periodo della stessa nota, dove la generalizzazione più sopra enunciata da V. Thieghem comincia a soffrire qualche modificazione: ^ Le caractère sur lequel je viens d'appeler l'attention (cioè l'esistenza di un endoderma generale nel fusto, limitante la corteccia primaria) se retrouve dans la tige de la grande majorité des ‘ plantes vasculaires, mais il souffre pourtant quelques exceptions. M. Caspary a montré en effet que dans quelques plantes (Menyanthes trifoliata, Adoxa moschatel- ‘ lina, Brasenia peltata) chaque faisceau constitutif de la tige est individuellement en- ‘ touré par une membrane protectrice à cellules plissées. J'ai retrouvé le même fait “ sur quelques autres plantes, notamment sur l'Hydrocleis Humboldtii. Dans ces cas, il n'y a plus de membrane rhyzogène dans l'entrenceud de la tige, et il n'existe aucune * solution de continuité, aucune distinction réelle entre le parenchime cortical et la moelle ,. A 20 anni di distanza le idee del V. Thieghem su queste mancanze dell'endo- derma e del periciclo sono alquanto mutate, ma, secondo me, erano buone le idee vecchie. Negati a queste piante (Menyanthes, Hydrocleis ecc.) periciclo ed endoderma, ritornano sotto forma di endodermi e pericicli parziali (2), e la continuità, ammessa allora fra cilindro centrale e corteccia, viene. sostituita dalla struttura astelica che or ora discuteremo. (1) Vedi lo stesso V. Tarecnem, Traité de Botanique, 2 ediz, pag. 719 e 807. (2) Moror, Loc. cit., pag. 261. 422 SAVERIO BELLI Uno stelo è per V. Thieghem (1) l'insieme dei fasci conduttori e del connettivo, che compongono un cilindro centrale, sia che gli elementi abbiano la così detta di- sposizione perixilematica o centroxilematica nella radice, nell’ ipocotile o nel fusto. Consideriamo un momento la così detta struttura astelica. V. Thieghem così si esprime: “ D'ordinaire le cylindre central périxilé de la région inférieure et primitive “ de la tige se dilate progressivement vers le haut, passe à la structure centroxile, “ prend une moelle et de rayons médullaires, et acquiert enfin la structure normale “ que nous lui connaissons. Quelquefois en se dilatant ainsi, il se rompt en faisceaux “ libéro-ligneux distincts, entouré chacun d’un péricycle propre et d’un endoderme “ particulier et cesse d'exister comme tel. Dans un parenchyme, qui depuis l'epiderme * jusqu'au centre est cortical, la tige renferme alors un certain nombre de faisceaux * libéro-ligneux collatéraux, disposés en un cercle, ou épars, çà et là anastomosés en * réseau, et que produisent aux nœuds les branches foliaires ,. Cita qui IA. molti esempi di questo modo di essere dei fusti, tra i quali figurano gli Equiseti, e finisce cosi (2): * Si d'une façon générale on appelle stèle le cylindre central, on dira que la * structure ainsi définie est astélique, puisque les faisceaux n'y sont pas réunis en * un cylindre central „. Si paragoni ora questo periodo colla definizione del fusto astelico data nella pagina 58 di questo lavoro, e prendiamo a considerare il momento caratteristico della differenza fra stelo e non stelo. V. Thieghem è chiaro su questo punto. Nel primo caso il periciclo e l'endoderma formano una doppia cintura al complesso dei fasci riuniti in un cilindro da tessuto connettivo interfascicolare e dai raggi midol- lari primarii; nel secondo caso ogni fascio libro-legnoso è attorniato da un periciclo proprio e da un endoderma particolare e cessa di esistere come cilindro centrale perchè si è rotto in questi pezzi. Secondo lA. dunque l’astelia proverrebbe sempre da una stelia preesi- stente, avvegnachè, un tutto, per rompersi, deve prima essere intero. Evidente- mente questo espressioni la tige se dilate, et se dilatant ainsi se rompt ecc. debbono essere prese in senso figurato, ma bisogna pur dire che, per ammettere questo fra- zionamento di un cilindro centrale (artificiale, come è quello del V. Thieghem nel caso in cui manchi un limite di separazione fra esso e la corteccia o cilindro corti- cale) è forza di prenderle nel loro significato reale, ciò che è semplicemente assurdo, e la teoria dell'astelia è una vera subbiettività incompatibile coll'anatomia. La potenza formativa dei meristemi apicali fa sì, che i tessuti permanenti nei fusti e nelle radici crescano bensì dal basso all'alto o viceversa nelle radici, come se gli elementi si sovrapponessero, e quindi sono più vicini alla loro definitiva strut- ur (1) V. Taıseuem, Traité de Bot., 2° ediz., pag. 763, al capitolo: périxilé ,. (2) V. TurxaueM, Loc. cit., pag. 765. iges à bois centripète ou | | | | | | | | | | | | | HE ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 423 tura quelli che più sono lontani dall'apice vegetativo corrispondente radicale o cau- linare. Ma non è meno vero la forza plasmatrice, diremo così, del meristema si esplica dall'alto al basso. Per farsi un'idea esatta del processo, con cui avviene l'astelia da una struttura primitivamente stelica, bisognerebbe figurare il cilindro centrale supposto come una colonna liquida che, riunita dapprima in grosso corpo, si scinda in rami minori man mano che si avanza verso l’apice del fusto, ma il paragone non regge colla realtà dei processi di segmentazione, che possono dar luogo o non dar luogo alla formazione di tessuti in diversi punti del caule, indipendentemente da quelli formati prima, cioè verso la base del membro caulinare o radicale (1). Sarebbe invece più esatto il cominciare dal principio, e dire cioè, che da un apice vegetativo, dove il fusto è sempre astelico, si possono avere casi in cui i diversi fasci si contornano di un periciclo generale e di un endoderma generale, e divengono stelici; oppure che a un certo punto le cellule addossate a ciascun fascio prendono caratteri speciali di endoderma, racchiudendo col fascio un tessuto che si potrà chiamare periciclo, ed in questo caso il fusto sarebbe astelico. Sarebbe sempre meglio che far derivare la struttura astelica da una rottura di uno stelo preesistente. Quindi è che V. Thieghem e Douliot scrivono (2): “ La tige est toujours mo- " nostélique à sa base, c'est-à-dire, tout au moins dans sa région hypocotilée ... aussi “ la monostélie est-elle regardée (lo dicono loro) comme étant la structure typique de la tige des plantes vasculaires ,. Sotto l’apice vegetativo, e ad una certa distanza dalla ganga meristematica api- cale dei membri della pianta, tutti i vegetali sono astelici, monostelici, o polistelici a “ volontà, avvegnachè finché non sia possibile distinguere un ‚endoderma generale o parziale, e quindi un periciclo generale o parziale, non sarà possibile dire se si avrà a che fare eon un fusto astelico o stelico. Cosi p. e. nella figura 514 del Traité de Bota- nique di V. Thieghem, rappresentante la sezione trasversa del fusto di Heterocentron diversifolium, già avanzata molto al di là delle segmentazioni del meristema apicale, bisogna avere molta buona volontà per vedervi altra cosa che due gruppi di cellule più piccole ai due lati della figura, corrispondenti ai cordoni procambiali, ed un'e- pidermide. V. Thieghem nella leggenda della figura scrive ^ l'écorce est séparée ,, ma questa separazione a quello stadio è una vera illusione; gli elementi sono per- fettamente simili dalla periferia al midollo (salvo quelli dei cordoni), e fin qui la separazione tra corteccia e cilindro centrale è una supposizione. Quindi pare impos- sibile il pretendere di poter metterla in rapporto colle segmentazioni apicali! Si è detto più sopra che, secondo V. Thieghem, l’astelia proviene sempre da una monostelia preesistente. L'A. si contraddice poi evidentemente. Infatti nella sua nota sulla struttura degli” Equiseti (3), dopo la esposizione, aggiunge: “ De tout ce qui “ précède il faut nécessairement conclure que la structure de la tige des Préles est (1) Vedi anche V. Tmrreuzw stesso (Traité de Bot., pag. 777): Marche de la différenciation dans les faisceaux libéro-lignenx. (2) V. TursGmkw et Dovrror, Sur la polystélie, * Ann. Sc. Nat. „, serie 7°, t. IMI, p. 276, 1876. (8) V. Tixeaugw, Remarques sur la structure de la tige des Pröles, " Journ, de Bot. ,, tome IV, pag. 371, 1890. 424 SAVERIO BELLI 72 * dans toutes ses parties, et dans toutes les espèces la même: partout essen- * tiellement astélique ,. Ma se l’astelia degli Equiseti deve, come per tutti i fusti astelici, provenire da una monostelia preesistente, dovrà pur esservi negli Equiseti una regione in cui questa sia riconoscibile e paragonabile a quella che nelle Fanerogame risiede nell'ipocotile, o, quanto meno, gli Equiseti dovrebbero essere monostelici alla base del loro fusto. Dove è questo punto, o questa regione? Il V. Thieghem tace su questo capi- tolo; dice anzi: “ la tige des Próles est dans toutes ses parties essentiellement la * méme, partout essentiellement astélique „. Comincierà dunque la monostelia nella ra- dice? Ma in questo caso bisognerebbe ammettere che non è più “ la région inférieure “ de la tige qui se dilate et se rompt progressivement vers le haut , per assumere la struttura astelica; e d'altra parte la radice, caso mai, si dilaterebbe e si romperebbe nel senso tutt’affatto opposto, cioè verso le sue ramificazioni ulteriori, a meno di voler ammettere che, negli Equiseti, il fascio radicale si insinui nel caule dilatandosi e rompendosi. La letteratura degli Equiseti è forse un po’ lacunosa nell'argomento dell'iniziarsi dei fasci vascolari primitivi, ma, comunque, vediamo che cosa ne scrivono Cramer e Nœgeli (1): “ Die Gefüssbündel werden sehr frühe angelegt; schon im dritten Inter- * podium von oben fand ich einmal deutliche Gefässzellen. Derjenige Theil des Bündels * welcher im Internodium liegt entsteht immer zuerst; die Verlängerung aufwürts in * die Blätter sovie die gabelförmigen Aeste, wodurch jedes Bündel später mit den * zwei nächstliegenden des unteren Internodiums verbunden erscheint, treten zuletzt auf. Bald bildet sich ins Blatt ausbiegende Verlängerung vor der gabelfórmigen Verbindung unten, bald wird diese vor jener angelegt (Fig. 5, Taf. 34 vereinigt D D D beide Fülle). Sie stellt einen Seitenzweig mit viergliedrigen Quirlen dar, dessen Gefüssbündelkreis durch einen längsschnitt bloss gelegt ete. ,. Nulla dunque che aecenni ad una monostelia. E neppure dal seguente periodo del lavoro di Hofmeister (2): * Nach dem Hervortreten von Wurzel und Laubspross * au dem Protallium, bilden sich im Innern beider organe die Gefüssbündel; im * Stengel drei, in engem Kreise stehende; in der Wurzel ein einziges axiles , (t. 19, fig. 5). La figura 5 mostra in realtà tre fasci separati, immersi in un tessuto omogeneo e non si pub rilevare se esistano endodermi; infine, tali si mostrano alla base come D verso l'alto; del resto, ripeto, lo stesso V. Thieghem ammette che detto fusto sia ovunque e sempre astelico. Dove è dunque la monostelia generatrice di questa astelia negli Equiseti? i V. Thieghem ci offre un secondo esempio del come la monostelia dia origine all’astelia nell Ophioglossum vulgatum; anzi egli vorrebbe in grazia di questa strut- tura ravvicinare sistematicamente gli Ophioglossum agli Equiseti (3). E qui salta fuori una nuova contraddizione. Non ha detto infatti UA. che negli Esquiseti la struttura (1) Cramer und Naserı, Pflanzenphysiolog. Untersuch., Zürick, 1855, pag. 26, Taf. XXXIV, fig. 5. (2) Hors er, Beiträge zur Kennt. der Gefüsskryptog., " Abhandl. der Kónig-Süchs. Gesellsch. der Wissensch. ,, IV, Taf. XIX, fig. 5, pag. 176. (3) V. Tursonzw, Remarques sur la structure de la tige des Ophioglossées, t. IV, pag. 410, 1890. ' * Journ. de Botan. ,, | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | 73 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 425 del fusto è sempre ed ovunque astelica? Se dunque negli Ophioglossum il fusto è (se- condo lui) prima monostelico e poi astelico, mi pare che precisamente per questa ra- gione, gli Ophioglossum si distaccherebbero dagli Equiseti. Analizziamo un momento queste osservazioni sugli Ophioglossum. L'A. scrive (pag. 404 e seg.): “ Dans toute “la région de la tige inférieure à la première feuille, région où se forment déjà “ plusieurs racines latérales, il ya un cylindre central étroit et sans moelle, com- posé d'un péricycle unisérié, d'une zone libérienne, et d'un paquet axile de vais- seaux. Au péricycle confine un endoderme à plissements larges et peu saillants, faiblement ou pas du tout lignifiés. Au voisinage de la première feuille le cylindre central s'élargit un peu, et le paquet de vaisseaux prend à son centre quelques “ cellules de parenchyme constituant une petite moelle. Jusque là la structure de “la tige est certainement monostélique. Puis un faisceau libéro-ligneux se sépare du cylindre central pour entrer dans la première feuille, entraînant avec lui un arc de péricycle et un arc d’endoderme qui se reploient autour de lui pour l’envelopper d'un péricycle propre et d'un endoderme particulier. Au dessus du point de dé- ‘ part de ce faisceau foliaire, le manchon libéro-ligneux, ouvert de son côté en forme de fer à cheval sur la section transversale, se dilate et se fend progressivement ‘d’abord en deux, puis en quatre faisceaux distincts; le péricycle et l'endoderme “ se rompent en méme temps en quatre arcs qui se reploient autour des faisceaux ‘ correspondants, pour leur former à chacun un péricycle propre et un endoderme particulier. Dès lors la structure est dévenue astélique. “ Elle se maintient telle dans tout le reste de la tige de la jeune plante consi- dérée et se retrouve aussi, comme on sait, avec les mêmes caractères dans toute la longueur de la.tige chez la plante adulte. Il faut remarquer seulement que, ‘ l'endoderme, déjà faiblement plissé et lignifié dans la région de la tige, inférieure à la première feuille, où la structure est monostélique, ne l'est plus du tout dans la région supérieure oü la structure est astélique, ce qui explique pourquoi Russow (1) ‘ et M. Holle (2) en aient méconnu l'existence ,. To debbo dire che per quanto mi sia sforzato di trovare nel fusto degli Ophio- glossum una struttura simile a quella più sopra descritta non ci sono mai riuscito. Ho potuto procurarmi materiali freschi di Ophioglossum vulgatum e le sezioni fatte nei punti indicati da V. Thieghem, dove si originano radici laterali, non presenta- rono mai endodermi caratteristici. De Bary (3) scrive che nell'Ophioglossum si trovano fasci collaterali. Come si concilia questa struttura con quella di V. Thieghem? Ma, data per un momento la monostelia del fusto dell’Ophioglossum vulgatum in tutta la regione inferiore alla prima foglia, è difficile il mettere d'accordo questa struttura, tal quale vien definita dall A. con quella che Poirault espone nel suo ultimo lavoro sull’ Ophioglossum vulgatum (4). Questo Autore, fra le particolarità interessanti dell'anatomia di questa Filicinea, con- stata anzitutto la mancanza del periciclo nella radice ed anche nel fusto (pag. 71): (1) Russow, Vergleich. Untersuch., “ Mém. de l'Acad. de S. Pétersb.,, XIX, pag. 121, 1878. (2) Horte, Ueber Bau und Entwickelung der Vegetationsorg. der Ophiogl., “ Bot. Zeit. ,, 1875. (3) De Bary, Vergleich. Anat., pag. 331. : (4) G. Pormauir, Sur l'Ophioglossum vulgatum L., * Journal de Bot. ,, t. VI, pag. 69, 1892. 2 Serre II. Tom. XLVI. E 426 SAVERIO BELLI 74 * En définitive la seule anomalie de la racine des Ophioglossées .... c'est l'absence * de péricycle au dos des faisceaux libériens; et dans une racine anomale, on ne * peut appeler péricycle la partie du conjonctif interposóe entre lendoderme et le * flanc des faisceaux ligneux puisque, lorsque des tubes criblés apparaissent dans cette * région c'est directement contre l'endoderme que se fait leur développement „. Questo periodo pub anche servire per coloro che, come Vuillemin, vogliono che il libro possa diventare una modificazione del periciclo, circostanza a cui fu già accennato prima d'ora, ed è la riconferma di quanto io ho esposto a proposito dell'origine delle cuffie librose nel Trifolium repens L. Poirault prosegue: “ Nous allons voir que cette absence de péricycle se retrouve “aussi dans la tige ,. E difatti egli continua riportando i risultati delle sue osserva- zioni, secondo le quali nell'O. Bergianum, Capense, ellipticum si trova sempre un en- doderma a ridosso dei fasci e quindi mancanza di periciclo anche nel fusto. Quindi nasce che, nella struttura astelica dell’ Ophioglossum, il fascio vascolare che esce dal fusto monostelico per entrare nella prima foglia non trascinerà più con sè un arc de péricycle (come vuole V. Thieghem) e non potrà più ripiegarsi attorno ad esso per costituirgli un periciclo parziale. Le osservazioni di Poirault sull'endoderma degli Ophioglossum sono lungi dal confermare questa teoria della stelia, per quanto Egli cerchi in qualche modo di non mettersi in contraddizione col maestro. Poirault (1) ammette che nell’ Ophioglossum non è sempre visibile un endoderma caratterizzato come negli Equiseti, per cui “ on a au premier abord quelque peine à décider de ce qui * appartient au conjonctif entourant le faisceau et de ce qui doit être rattaché à l'écorce. * Cela est tellement vrai que théoriquement sans doute (non è dunque tanto fuori * di posto la mia denominazione di teoria sulla stelia) M. V. Thieghem a consi- * deró la couche touchant aux tubes criblés, comme le péricycle et celle * immédiatement extérieure, comme l'endoderme ,. Ma l'Autore prosegue dicendo che, avendo esaminato le diverse specie di Ophioglossum, per cid che riguarda le punteggiature caratteristiche dell'endoderma, ha trovato queste molto ben visibili à la base dela tige , dove * chaque faisceau provenant de la rupture du cylindre ^ central est entouré d'un endoderme à cadres lignifiés très mets, et l'exactitude de la comparaison avec l Equisetum limosum est évidente ,. “ Plus haut , invece “ l’endo- R derme perd ses caractères, non pas brusquement mais par place , e finalmente più in su non si trova che qua e là qualcuna di queste cellule différenciées in endo- derma. Secondo Poirault “ la présence de ces cellules, même isolées , permette * de fixer la position de l'endoderme ,. Ora io mi domando: e più in su ancora, dove non si vedrà altro che parenchima omogeneo attorniante il fascio, e non v'ha più traccia di suberificazione, di placche, d'ispessimento ‘ecc., come si fa a stabilire la posizione dell'endoderma? Poirault ha tutta l'aria di dirlo ma non lo dice col periodo che segue: “ La notion d'endoderme sur laquelle V. Thieghem a insisté à tant de * reprises dans les écrits et son enseignement est donc parfaitement réelle , (e più sopra scriveva che V. Thieghem “ théoriquement sans doute a considéré * la couche touchant aux tubes criblés comme le pérycicle et celle immédiatament * extérieure comme l'endoderme!!) ,. E dunque reale o teorico questo-endoderma? (1) Loc. cit., pag. 72. | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | 75 ENDODERMA E PERICIOLO NEL G. TRIFOLIUM 497 Seguita ancora Poirault: * et alors même que les caractères différentiels “ SEMBLENT le PLUS MANQUER, un étude attentive doit conduire directement ou indi- rectement à la détermination de cette couche!!! ,. Questo à veramente meraviglioso! Nel caso citato da Poirault non è già che i caratteri endodermici * semblent le * plus manquer , ma mancano addirittura se l'endoderma li perde. E si avrà un bel sforzarsi ad esplieare in simil caso “ une étude attentive ,, dappoichè non si pub vedere quello che non c'è; e qui si potrebbe domandare a Poirault, in che modo questo studio attento possa condurre (piuttosto che debba: doit) direttamente alla determinazione dell'endoderma? Forse la via indiretta vi condurrà, contando cioè gli strati che stanno contro il fascio vascolare e battezzando il più vieino per periciclo ed il susseguente per endoderma? . Ma si è ben visto che un simile processo, usato da V. Thieghem per stabilire la struttura dell Ophioglossum, lo ha condotto ad una determinazione così esatta di questi strati, che Poirault invece ha dovuto negare il periciclo negli Ophioglossum ed ha tacciato di considerazione teorica lesposizione strutturale di V. Thieghem !! E così Poirault concludendo su questa struttura degli Ophioglossum a volta reale, a volta teorica, scrive quest’ultimo periodo: “ Puisqu'il y a (?) continuité entre * l'endoderme du faisceau de la tige et celui du faisceau de la feuille, nous devons, * dans ce dernier membre, considérer comme endoderme la couche des cellules entou- ‘ rant les tubes criblés les plus externes ,. Se c'è proprio continuità fra l'endoderma del fascio del fusto con quello del fascio fogliare, à perfettamente inutile di consi- derarlo come tale. O non c'è ed allora si può supporre tutto quello che si vuole; ma questo, ripeto, è far della metafisica e non dell'anatomia! La teoria sulla stelia, oltre alle forme già esaminate che si potrebbero chiamare originarie, cioè la monostelica, astelica e polistelica, derivate queste due alla lor volta dalla prima che si potrebbe chiamare tipica, si complica ancora con diverse moda- lità, che l'Autore fa risultare da ulteriori processi di saldatura, i quali possono avve- nire fra le parti derivanti dalla rottura di uno stelo originario. Intanto chi voglia leggere per disteso questa teoria la troverà nei diversi lavori dell" A. sugli Equiseti ed anche nel Traité de Botanique. Per formare adunque un fusto astelico, lo stelo si rompe, e con esso si frammentano endoderma e periciclo. Quindi si può dire che le porzioni di periciclo e di endoderma, che accompagnano ciascun fascio vascolare rappresentano le parti di un tutto che, come tale, non esiste più. Ma in taluni casi questi pezzi possono saldarsi di nuovo. La porzione di periciclo parziale che accompagna il fascio vascolare nella strut- tura astelica vien dall’A. designata col nome di peridesma, e lo ragioni di questa 428 SAVERIO BELLI 76 denominazione sono date dall'Autore nel seguente periodo (1): “ D’après la définition * rappelée plus haut, pour qu'il y ait péricycle il faut qu'il y ait conjonctif, et pour * qu'il y ait conjonctif il faut qu'il y ait stèle; péricycle pourrait en effet tout aussi * bien se dire péristèle. Dans la structure astélique il n'y a pas de conjonctif, par- * tant pas de péricycle, de même qu'il n'y a ni moelle, ni rayons médullaires. Il est * vrai que l'assise des céllules, qui sépare le liber d'avec son endoderme particulier * provient, pour sa partie externe supralibérienne, du péricycle de la stèle primitive * d’où procède toujours, cemme on sait, la structure astélique; mais, pour ses * flancs, elle provient des rayons médullaires de cette stèle, et, pour sa partie interne, * supraligneuse, de sa moelle. Elle ne saurait done, sans abus de langage, porter le nom * de périeyele particulier; tout aussi bien pourrait-on la nommer moelle particulière. * C’est seulement lorsque la stèle primitive n'a ni rayons médullaires, ni moelle * que cette assise procède toute entière du péricycle qui se reploie autour du fais- * ceau; mais même dans ce cas elle n’est.qu’une partie de ce péricycle et il ne saurait convenir d'attribuer à la partie le móme nom qu'au tout. * L'assise ou la couche de tissu qui entoure sous l'endoderme particulier, le “ liber -et le bois de chaque faisceau libéro-ligneux dans la structure astélique, ce * qu'on a appelé jusqu'ici le péricycle particulier du faisceau, peut être nommé le péridesme ,. Faccio notare di volo un controsenso che esiste in questa esposizione. L’Autore scrive che periciclo “ pourrait en effet tout aussi bien se dire péristèle ,. Ora nella definizione di stelo data da V. Thieghem altrove, il periciclo entra già come com- ponente dello stelo stesso. Infatti nel Traité de botanique (2* ediz., p. 765) si legge: * Si d'une fagon générale on appelle stéle le cylindre central on dira etc. etc. ,; ma il cilindro centrale comprende già il periciclo (V. Thieghem, Traité de Bot., p. 739) quindi si avrebbe nella parola péristèle (quale sinonimo di *periciclo) un periciclo che avvolgerebbe se stesso. Del resto, ecco come l’A. nel suo lavoro sugli Equiseti (2) espone queste diverse modalità della stelia, provenienti dalle modificazioni di fusti astelici, i cui peridesmi si saldano nuovamente. À queste strutture si è già accennato nell’ ultimo periodo dell'esposizione della teoria fatta in principio di questo capitolo (v. p. 58). Descritta la struttura astelica del fusto degli Equiseti, che rappresenta per V. Thieghem, come già si disse altrove, la struttura propria e tipica loro, PA. passa a descrivere un secondo modo strutturale di questi vegetali e che si riscontra nei rami (non nel rizoma) delle specie seguenti: E. hiemale, trachyodon, ramosissi- mum etc. “ Dans le second mode la structure est encore astélique, avec cette seule “ différence qu'il y a fusion latérale des pérycicles et des endodermes sans que cette fu- “ sion intéresse toutefois les faisceaux libéro-ligneux. Cette modification de la struc- “ ture astélique peut être dite gamodesme, tandis que la structure type (cioe l'aste- “ lica) sera dite dyalidesme. La région interne de l’écorce y est séparée de la région * externe et simule une moelle ,. (1) V. Tumensm, Péricycle et péridesme, ^ Journ. de Botan. ,, t. IV, 1890, pag. 433 e seg. (2) V. Tamenem, Sur la structure de la tige des. Préles, “ Journal de Botan. ,, t. IV, pag. 371 e seg., 1890. eBo 27 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 429 Poi viene il terzo modo di essere degli Equiseti (E. variegatum, sylvaticum, arvense et * Dans le troisième mode, la structure est toujours astélique sous sa modifica- tion gamodesme, mais avec arrêt de développement avec avortement dans le par- ‘ cours des entrenœuds non pas de l'endoderme interne lui-même, mais des plisse- ‘ ments subérisés, qui donnent à l'endoderme interne son caractère particulier. Non ‘ seulement l'écorce interne simule alors une moelle, mais encore dans les intervalles des faisceaux les deux péricycles accolés simulent des rayons médullaires et len- = semble de la structure prend une apparence monostélique. Il y a là une erreur grave “ è éviter! „. E finalmente nel suo lavoro più sopra citato (1) l'A. scrive: * Quand la structure astélique est à faisceaux séparés ou dyalidesmique comme ‘ dans les Nymphéacées, divers Ranunculus (R. aquatilis etc.), les Hydrocleis et Lim- nocharis, les Ophioglossum, divers Equisetum (E. limosum ete.) ete., les péridesmes * sont indépendants, au méme titre que les faisceaux. Ailleurs les faisceaux s'unissent latéralement, mais seulement par leurs péridesmes comme on le voit chez certains ‘ Equisetum (E. variegatum, sylvaticum, arvense etc.) dans toute l'étendue de la tige, * et chez autres (E. hiemale, ramosissimum etc.) dans la tige aérienne seule. Il y a alors deux péridesmes généraux en contact direct dans les intervalles des faisceaux ‘ libéro-ligneux proprement dits, et la structure semble monostélique, le péridesme gé- néral externe pouvant être pris pour un péricycle. D C’est une gamodesmie commençante. La gamodesmie devient complète si les “ par leurs libers et par leur bois en un manchon libéro-ligneux, comme dans les Bo- trychium et l'Helmintostachys. La structure en réalité astélique, semble alors tout à fait monostélique, le péridesme général externe simulant un périeycle; il faut de l'attention pour ne pas s'y tromper ,. y L'Autore accenna poi alla possibilità che questa struttura possa provenire an- cora da una modificazione della struttura polistelica, allorchè molti steli contenuti in una sola corteccia (Marsilia) prendano a fondersi confondendo assieme i loro peri- cicli ed i loro fasci vascolari, costituendo la modalità da lui definita col nome di polistelia gamostela. E finalmente l'Autore conclude con questo periodo: “ Au premier abord la structure monostélique à faisceaux libéro-ligneux unis la- téralement en un manchon, ou gamodesmique avec son péricycle unique; la struc- ture polystélique à stèles unies latéralement ou gamostélique avec son péricyele ‘ général externe, et la structure astélique à faisceaux fusionnés ou gamodesmiques, avec son peridesme général externe, pourraient être confondues. On reconnaîtra 3 toujours (?) la seconde à son péricycle général interne séparant le liber intérieur * de l'endoderme général interne; et la troisième à son péridesme général interne Séparant le bois de l'endoderme général interne!! ,. Dopo le raecomandazioni, che l'Autore fa di evitare gli errori gravi, che potreb- (1) V. Tarecmem, Péricycle et péridesme, Loc. cit. ‘ faisceaux s'unissent latéralement, non seulement par leurs péridesmes, mais encore. - 430 SAVERIO BELLI 73 bero provenire dalla confusione di simili strutture, e dell’attenzione che conviene porre per evitarli, VA. non dà in realtà i mezzi anatomici per sfuggire all'errore stesso. E, per verità, prescindendo dal fatto, che la posizione dei pericicli e peridesmi è per sè indeterminabile, se non esiste un endoderma riconoscibile ad un carattere qualsiasi, o strutturale, o mettiamo anche topografico, V. Thieghem dice ai lettori: badate, lo stelo che proviene dalla fusione dei frammenti di un fusto astelico, che torna a ricostituirsi, ? uno stelo falso, apparente, mon deve essere confuso com wno stelo vero, tipico; fate attenzione, evitate questo errore. Ma, pur troppo, pericicli ed endodermi, una volta fusi, sono irreconoscibili da quelli usciti interi di pianta dalla fabbrica dei meristemi apicali. Lo stelo si è rotto, secondo l’espressione di V. Thieghem; poi si è di nuovo riunito per mezzo dei suoi strati periferici (endodermi, pericicli) saldati lateral- mente in un manicotto; talora anche i fasci vascolari si sono saldati in uno stelo. Saranno steli falsi. Ma forse che riunendosi gli elementi hanno presa un’altra dispo- sizione? No certo. Forse riunendosi lateralmente hanno cambiato la natura istolo- gica degli elementi? Neppur questo! Peridesma è un vocabolo stato adottato nell’u- nico scopo di distinguere un tutto da una delle sue parti, ed indica una speciale situazione di un tessuto, la qual situazione è, del resto, in dipendenza forzata della situazione ed esistenza di un altro tessuto (endoderma); ma come tessuto sarà sempre quello che sarà. E quali sono i caratteri istologici o topografici, che fanno distin- guere un periciclo intiero da un periciclo frammentatosi dapprima, e riunitosi dipoi in un tutto continuo come succede nel periciclo della monostelia vera? Si capisce molto bene come in questi casi le osservazioni di Russow (1) e di Holle (2), che non descrissero un endoderma nell'Ophioglossum, abbiano dato luogo alle parole seguenti di V. Thieghem a proposito di queste Filicineo (3): “ Il faut remarquer seulement “ que l'endoderme déjà faiblement plissé et lignifié dans la région de la tige infé- rieure à la première feuille, où la structure est monostélique, ne Vest plus du tout dans la région supérieure, où la structure est astélique, ce qui explique que M. Russow et M. Holle en aient méconnu l'existence P i Russow ed Holle non hanno già sconosciuto lendoderma nell'Ophioglossum ma non l'hanno visto perchè non c'è. Se, del resto, in ogni caso si dovesse chiamar en- doderma il secondo strato decorrente all'esterno dei fasei vascolari di un vegetale, e periciclo quello che sta direttamente a ridosso di essi, senza che un carattere strut- turale intervenga a distinguerlo dal resto dei tessuti, è facile supporre che si an- drebbe incontro a molti inconvenienti. Basti ricordare i Trifogli e il caso di Poirault più sopra citato a proposito del pericielo negato agli Ophioglossum, che V. Thieghem attribuiva loro (4). E del resto, che nel caso degli Equiseti non si tratti di fatti anatomici ma di interpretazioni gratuite di disposizioni strutturali, vien provato dal (1) Russow, Vergleichende Untersuch. über Leitbündel, Kryptogamen und Phaner., * Mémoires Aead. Imp. Sciences S. Pétersb., serie 7*, t. XIX, n. 1, 1872. (2) Ueber Bau w. Entwickel. der Vegetationsorg. der Ophioglosseen, “ Bot. Zeit. ,, 1875. (8) V. Tumenes, Sur la structure de la tige des Ophioglossées, " Journal de Botan. ,, tomo IV, pag. 406, 1890. (4) Pomavur, Sur l'Ophioglossum vulgatum L., © Journal de Bot. ,, t. VI, pag. 72, 1892. ^ N DÉS RO EEE A | | | | 79 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 431 seguente periodo di V. Thieghem, col quale finisco le sue citazioni (1). Nel terzo modo di essere del fusto, riportato nel suo lavoro della struttura degli Equiseti, si legge : * Un seul péricycle général externe distinct et un seul endoderme général distinct, “ le péricycle général interne n'existant pas moins avec tous ses caractères, et lendo- ‘ derme général interne n'existant pas moins aussi bien que dépourvu de ses plisse- * ments caractéristiques; en dedans des faisceaux libéro-ligneux il faut voir alors le “ péricycle général interne dans l'assise cellulaire qui confine au bois; l'endoderme ‘ général interne dans l'assise cellulaire suivante: dans leurs intervalles, il faut voir ‘ le péricycle général interne dans la seconde assise.cellulaire à partir de l'endo- ‘ derme externe; l'endoderme général interne dans la troisième assise ,. Quindi non à che si veda, ma il faut voir e quindi bisognerà vedere, nello stesso modo che per gli Equiseti, un endoderma in tutti i casi in cui non è possibile rico- noscerlo, o anche dove non esiste ‘nell’asse ipocotile di un fusto; dappoichè, se in ogni fusto síelico deve supporsi esistente una corteccia ed un cilindro centrale, dovrà sempre ritenersi come esistente teoricamente un endoderma, salvo a non accettare la divisione più sopra accennata. Nel caso poi che, come nel G. Trifolium, non sia visibile un endoderma generale nel caule, e si volesse ammettere la presenza di endodermi parziali (Vuillemin) amiliferi, cristalliferi, bisognerà allora riferire la strut- tura di quei fusti all’astelica, e in tal caso la struttura della foglia nel G. Trifolium sarebbe sotto questo rispetto identica a quella del caule. Ne nasce allora anzitutto l'assurdo di un astelia proveniente da un astelia preesistente, e poi ciò che Vuillemin ha intravisto in parte nel suo lavoro già altra volta citato, e che esaminerò bre- vemente. VI. Vuillemin nel suo studio sulla subordinazione dei caratteri della foglia nel Phylum delle Anthyllis (2), ricco di ingegnosissime speculazioni teoretiche sulle analogie e sulle discrepanze fra i tessuti e le regioni della foglia paragonati con quelli del caule, ha ben veduto dove pecchi la teoria della stelia di V. Thieghem, ma (non se ne abbia a male l'egregio Autore) non ha voluto batterla direttamente in breccia. Bensi ha cercato, fino al limite del possibile, di coonestarla coi fatti anatomici. Ma qui mi pare non sia riuscito. Paragonando la foglia col caule, l'A. cita le opinioni di Lestiboudois, che dice essere le foglie * la terminaison des fibres vasculaires qui s'échappent de la tige , in opposizione a quella di Lignier che vede nella cerchia primaria dei fasci “ l'ag- “ glomération généralement régulière des faisceaux de la tige comme un tout indi- * vidualisé ,. L’Autore propende anche esso, come già nel 1884 aveva scritto (2), a non ammettere una simmetria assile nel caule, e quindi a negare ogni stelia (1) V. Turganzgw, Sur la structure des Préles, Loc. cit., pag. 970. (2) Vuruemn, Tige des composées, pag. 19, 1884. 432 SAVERIO BELLI 80 come struttura a só, indipendente dalle foglie. Per quanto Vuillemin faccia vedere che ama piuttosto “le domaine des faits que celui des idées, méme les plus * séduisantes ,, mi pare che talvolta queste idee esercitino una seduzione troppo forte perchè egli vi resista. Vuillemin intende bene per stelo ciò che V. Thieghem ha definito precisamente, poichè scrive che lo stelo manca nella foglia: * la structure stélique lui fait défaut ,, ma non si accorge, che ammettendo endodermi e pericicli nelle foglie, bisogna per forza ammettere la teoria di V. Thieghem almeno parzialmente, poichè essa è tutta fondata sulla divisione del caule in cilindro centrale e corteccia. Ora, questa distin- zione & in contraddizione colle idee vagheggiate da Vuillemin, di negare cioè una simmetria assile nel caule delle Dicotiledoni (1). Solo nei casi in cui il picciuolo fo- gliare tende a diventare od è del tutto cilindrico, l'Autore ammette uno stelo, diverso però dallo stelo vero; uno stelo cenogenico (2) “ évidemment produit par gamodesmie „. Vuol dire con questo VA. che lo stelo del fusto di un Aralia p. e. è di altra natura che quello di un picciuolo? cioè gamodesmico e non cenogenico? Potrà darsi i» teoria; ma forse che l'anatomia presta una base a questa teorica distinzione? Per es., nelle Aralie il picciuolo, perfettamente actinomorfo come il caule d’un Trifoglio, ne diffe- rirebbe per ciò solo che i fasci vascolari, all'entrata loro nel fusto, manifestamente si sciolgono, come del pari si sciolgono nella lamina. Ma anatomicamente nessuna differenza fra essi. Quindi FA. conclude che “ dans la feuille considérée isolément, la stèle (quando esiste) dérive d’une disposition astelique primitive ,. E giunto a questo nodo gli è forza dire che * M. V. Thieghem, en se basant sur l'étude de la tige, arrive à la con- “ clusion inverse ,, cioè che la struttura astelica della foglia procede da una struttura stelica preesistente! È impossibile immaginare una confusione più deplorabile. Vuillemin scrive: “ Or, je le répète, on n’a pas plus de raison pour considérer “ la feuille comme un prolongement de la tige, que la tige comme une aggrégation “ de feuilles ,. Abbiamo già detto, che se non si può dimostrare anatomicamente, che il fusto è una aggregazione di foglie, cosa che non ripugna al pensiero, non è meno vero che la proposizione opposta è insostenibile, per poco che si pensi al potere organiz- zatore delle foglie indipendente morfologicamente dal caule. Vuillemin non dice, ma implicitamente ammette questo: che lo stelo di V. Thieghem è basato sull’esistenza dell’endoderma e del periciclo, e quindi è ritenuto o almeno deve ritenersi come avente un substratum anatomico. Or bene questo stelo vien ritenuto tale da Vuillemin anche quando il substratum anatomico fa difetto, come io ho dimostrato pel G. Trifolium, ed allora si ricade in quel dominio delle idee che seduce, e che Vuillemin vuol ripu- diare. Sempre teoria e non anatomia. Ho già accennato più indietro a qualche caso in cui la teoria tiene il posto dell’osservazione nel lavoro di Vuillemin (Vedi a pag. 63 di questo lavoro). Qui mi limiterd a qualche altra osservazione generale sui due tessuti periciclo ed endoderma quali vengono intesi dall Autore. (1) Vuruemn, Phylum des Anthyllis, ecc., pag. 130. (2) Cioè in via di formazione. Vedi Veure, loc. cit., pag. 6. 81 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 433 Vuillemin ha un periodo sulla teoria della stelia, che è il seguente (1): * Si la loi posée par M. V. Thieghem sur labsence de péridesme (periciclo fo- * gliare) dans la structure astélique était démontrée, elle éclairerait la structure de “ la feuille (?); nous en tirerions ce corollaire intéressant, que les faisceaux de la “ feuille dérivent d'une stèle primitive ,. Perchè questo, dal momento che V. Thieghem stesso ammette nella struttura astelica un periciclo parziale, che Vuillemin chiama peridesma, precisamente per distinguere la parte dal tutto? Vuillemin continua, e qui confesso che non giungo a comprendere il significato delle sue parole: ^ Mais comme une telle déduction ne peut ótre basóe sur une as- “ sertion aussi hypothétique, voyons quel degré de vraisemblance cette opinion com- porte en elle même (P) (Che cosa vuol dire?). Le stèle n'existant pas en fait, dans la feuille, il faudrait admettre que ce membre est une expansion de la tige, et que ses cordons prodesmiques (periciclici) sont des prolongements directs des systèmes homologues de l'axe. Or une partie des faisceaux de la feuille se différencie iso- * Jément dans l’appendice, avant de se raccorder avec les faisceaux de la tige ,. Ed a questa osservazione giustissima e che basterebbe da sola ad abbattere ogni idea di stelia nel senso di V. Thieghem, l'Autore fa seguire un periodo oscu- rissimo, che vorrebbe, come piü sopra dissi, diminuire il peso della precedente. Eccolo il periodo: “ Ce fait peut s'expliquer par une accélération de la région distale (2?) ,. L'A. osserva, l. c., pag. 139, che l'endoderma è caratterizzato nettamente dai cristalli e dall' amido. Abbiamo visto a pag. 35 di questo lavoro quanto valgano i cristalli a caratte- rizzare topograficamente un tessuto. Dell'amido poi, nel G. Trifolium almeno, non è neppure il caso di far parola. Piu avanti ancora l'Autore, il quale propende altrove (2) a negare la simmetria assile del caule e a non ammettere quindi una corteccia e un cilindro centrale come unità indipendenti, torna da capo a sforzarsi di dimostrare, che questa corteccia e questo cilindro. centrale esistono nelle piante che prende a considerare, fra le quali il G. Trifolium, che è proprio una di quelle che vi si presta meno. Nella discussione della distinzione fra il midollo e la corteccia PA. descrive il modo di comportarsi della rachide delle Hedisaree e delle Faseolee (3), la quale prende una struttura & D caulinare. “ En un mot on wa plus dans le rachis, comme au sommet du renfiement * moteur ou dans la zone de raccordement de la feuille avec la tige, des faisceaux isolés dans un tissu fondamental homogène, mais un cylindre central aussi nette- ment opposé à l'écorce que celui de la tige, et limité comme lui par un endoderme. ‘ La structure classique de la tige considérée par bien des auteurs comme primitive, * est ici évidemment secondaire ,. Ma dove poi Vuillemin pare stia in piena teoria, eredendo di far della pratica, Si è nel periodo a pag. 136, nel quale, dopo aver detto che nella foglia “ les files “ vasculaires et les groupes cribreux issus du procambium des faisceaux isolés, sont D D « . cit., pag. 138. iN, Loc. cit., pag. 125. (8) Vue, Loc. cit., pag. 142. Serie II. Tow. XLVI. E y d n À 434 SAVERIO BELLI 82 “ séparés par des rayons parenchymateux qui sont en continuité avec la péridesme ,, lAutore si domanda: “ Doit-on y voir de véritables rayons médullaires appartenant * au même tissu conjonctif que le péridesme et considérer chaque ilot libérien avec “ Ja file correspondante de vaisseaux comme issu d'un procambium propre? ,. La risposta che l'Autore fa a sè stesso è la seguente: “ On est assez tenté de répondre * par Vaffirmative, si Von considère que les plus fines nervures sont précisément réduites * à un semblable groupe. Mais dans la pratique il est plus commode de considérer * comme un seul bois et un seul liber composés l'ensemble plongé dans un péridesme * unique! C’est d'ailleurs ce que l'on admet aussi pour les faisceaux de la tige! ,. E adunque tanto vero che prima si faceva della teoria, che si dice di entrare adesso nella pratica. Ma quale pratica! e per che fare? per ammettere ciò che non si vede; cioè per interpretare una struttura, mentre, lo dice l'autore stesso, sarebbe tanto facile ammettere quello che c'è cioè “ du bois sur la face ventrale, du liber “ sur la face dorsale. On ne voit rien de plus... au sommet des plus fines nervures! „. VII. La teoria sulla Stelia e sulle sue modalità nelle piante superiori e nelle eritto- game vascolari si trova discussa ampiamente nell’ opera dell'illustre Strasburger, uscita non ha guari (1) sulla struttura dei fasci vascolari. Dopo aver fatto rilevare la grande affinità strutturale fra le Ranunculacee e certe Monocotiledoni, l'A. prende ad esaminare la questione generale della Stelia trattata da V. Thieghem. Egli dice che V. Thieghem designa come endoderma lo strato più interno della corteccia, sia che questo possa o no riconoscersi per caratte- ristiche istologiche speciali, cioè, in altre parole, che V. Thieghem crede esistano sempre, teoricamente almeno, i limiti di una corteccia come entità a sè, anche quando non sia possibile riconoscere una differenza negli strati, che, in un fusto, attorniano il complesso dei fasci vascolari; e questo senza tener conto dell’uniformità che spesso si incontra nelle segmentazioni primitive dei meristemi apicali. Strasburger così si esprime: “ Ich stimme mit V. Thieghem überein, dass es * nothwendig ist an dieser innersten Grenze festzuhalten, auch wo dieselbe gegen * das Centralcylinder nicht abgesetzt ist ,. Strasburger non diee perd perchè sia necessario il mantener distinto questo limite interno della corteccia anche quando e impossibile il farlo. Poi prosegue: “ ...habe aber Bedenken die Bezeichnung Endo- * dermis für diese innerste Rindgrenze anzuwenden. Denn die Bezeichnung Endodermis * ist von der Schutzscheide der Wurzel uebernommen, die, durch besondere charak- * teristische Eigenschaften ausgezeichnet ist, welche ihr diese Bezeichnung ver- * schafften „. b (1) SrmaspunoER, Ueber Bau u. Verrichtung. der Leitungsbahnen in den Pflanzen. Jena, 1891, pag. 306-307 e seg. 83 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 435 * Die Endodermis der Wurzel ist im der That eine innerste Rindenschicht, aber * nicht alle innersten Rindenschichte, vornehmlich im Stamme, haben einen solchen Bau “ aufzuweisen ,. Mi pare qui evidente una petizion di principio. Per dire quali siano gli strati interni di una corteccia, sia che essi siano foggiati sullo stampo radicale o no, bisogna che esista una corteccia; ma i limiti di essa sono, per supposto, dati da uno strato limitante caratteristico; quindi, per dire che vi sia corteccia deve per forza esistere un endoderma o un fleoterma. E quando non esiste, non si può dire dove la corteccia finisca, per stabilire se lo strato limitante sia endodermico o no. Continua Strasburger: “ Ja vielfach ist die innerste Rindenschicht gar nicht gegen “ das Centraleylinder abgesetzt, und passt dann sehr wenig die Bezeichnung innere ^ Haut auf dieselbe. Andererseit kommen Scheiden von ganz dem nühmlichen Bau wie die Wurzelscheide vor, die nicht an die innerste Rindenschicht gebunden sind, vielmehr andere morphologische Bedeutung haben. V. Thieghem hat denn auch “ die Bedürfniss empfunden, den Begriff assise plissée von demjenigen der Endodermis zu trennen. Ich halte es fur richtiger, die Bezeichnung Endodermis im alten Sinne zu brauchen, und sie auf alle Scheiden anzuwenden die der Wurzelendodermis gleich gebaut sind: dagegen aber die innerste Schicht der Rinde als innerste Rinden- schicht, wo nöthig, hervorzuheben, eventuell als Rindengrenze “ Phloioterma „, oder einfacher “ Phleoterma , zu bezeichnen. Die innerste Rindenschicht wird darnach als Endodermis entwickelt sein können, oder auch nicht; andererseit auch Endodermen in einem anderen Gewebesystem sich ausbilden. Die Bezeichnung “ Endodermis , wird so zu einem histologischen und nicht zu einem morphologischen Begriff, während innerste Rindenschicht oder Phleoterma nur in morphologischen Sinne zu brau- chen ist ,. In poche parole riassumendo, Strasburger ammette, come più sopra si disse, la necessità di mantenere come esistente un limite interno della corteccia anche quando non si vede: * auch wo dieselbe gegen den Centralcylinder nicht abgesetzt ist ,, e senza dirne la ragione. Egli ritiene che il concetto di endoderma caratteristico, cioè colla struttura istologica radicale, debba essere mantenuto solo per la radice e per quelle membra della pianta che mostrano un tessuto qualsiasi, im qualsiasi regione, purchè così fabbricato. Invece ritiene doversi chiamare fleoterma il limite interno della corteccia, wo nöthig. È facile che con queste parole egli voglia intendere lè dove esiste. Ma se fleoterma vuol significare, secondo il concetto di Strasburger, li- mite della corteccia, è poi impossibile spiegare perchè egli abbia scritto prima: “ Ja “ vielfach ist die innere Rindenschicht gar nicht gegen den Centralcylinder abgesetzt, und passt dann sehr wenig die Bezeichnung were Haur auf dieselbe ,. Dunque, neppure la parola fleoterma, o derma interno (per tradurre letteralmente), non è un vocabolo che convengà per esprimere uno strato quando non esiste. Quindi nasce che nella frase di Strasburger: “ die Bezeichnung Phleoterma, oder innere Haut nur in “ morphologischen Sinne zu brauchen ist , io sostituirei alla parola morphologischen Sinne quella di teoretischen Sinne, come più adatta a giustificare la supposizione di uno strato che, spesso, non à distinguibile dai vicini: * gegen den Centralcylinder * nicht abgesetzt ist ,. Non si pub a meno di convenire con Strasburger, che il concetto di endoderma caratteristico è così legato alla funzione sua fisiologica, che è impossibile il traspor- D H 436 SAVERIO BELLI 84 tarne il significato ad uno strato fisso topograficamente dall'anatomia del fusto. E difatti l'Autore (1), dopo aver rammentato che questo tessuto (non regione come ritiene V. Thieghem), tipico nella radice, compare qua elà nel fusto nei diversi si- stemi, dove siano necessarie difese contro l'entrata di gas e facciano d'uopo, in pari tempo, lentrata di liquidi e un aumento di solidità nel membro, rammenta che questi endodermi caratteristici non debbono essere paragonati, nè come topografia, nè come funzione, alle guaine amilifere che gli Autori moderni della scuola francese ritengono omologhi all'endoderma come limite interno della corteccia. Cita come esempio lo studio del G. Ranunculus, i quali mostrano in certe specie i cauli prov- veduti di endodermi generali (monostelici), altre cauli con endodermi parziali (aste- lici) anche appartenendo a sezioni identiche nella esterna struttura. Cita il Ranun- culus multifidus, il quale nel rizoma mostra degli endodermi particolari a ciascun fascio (astelia), e nel fusto un endoderma generale. E quindi conclude: “ Sollte nun die Endodermis stets Phleoterma sein und die “ innere Grenze der primären Rinde angeben, so wäre als Consequenz hiervon bei * Ranunculus-Stengel (von sonst uebereinstimmenden Bau) einmal das Ganze Grund- gewebe zwischen den Gefässbündeln, von der Rinde, das andere mal vom Grund- ' gewebe des Centralcylinders eingenommen ,. Cioè che nel caso di un endoderma generale (struttura stelica) il tessuto fon- damentale in cui stanno i fasci apparterrebbe al cilindro centrale, nel caso invece di una struttura astelica, caratterizzata dallendoderma particolare a ciascun fascio, il tessuto fondamentale apparterrebbe tutto alla corteccia. È in altre parole l’espo- sizione di V. Thieghem dell’astelia e della stelia fatta nel Traité de Botanique (2): * Dans un parenchyme qui depuis l'épiderme jusqu'au centre est cortical la tige ren- “ ferme alors un certain nombre de faisceaux libéro-ligneux collatéraux disposés en “ cercle ou épars, çà et là anastomosés en réseau etc. ,. Questo per la struttura astelica. La stelica, come già fu scritto altra volta, à definita nella esposizione di V. Thieghem et Douliot citata a pag. 58 di questo lavoro. E quindi Strasburger non è d'accordo con V. Thieghem, allorquando quest'ultimo usando la parola Stelo, come sinonimo di cilindro centrale (3), designa i Ranunculi come in parte stelici ed in parte astelici, a seconda che mostrano un endoderma generale o parziale, e in quest'ultimo caso la corteccia si estende dall' epidermide al centro del fusto. Strasburger scrive perciò: “ Sollaber wirklich Stele, gleichbedeutend mit Cen- ^ traleylinder benutzt werden wie es ja auch V. Thieghem will, so lässt sich eine derartige Auffassung des Baues der betreffenden Ranunculus Arten nicht rechtfer- ‘ tigen. Vergleichend-morphologische Gesichtspunkte müssen über die histologischen * gestellt werden, und die morphologische Deutung bestimmen. Solche Vergleiche ‘ müssen aber zu dem Ergebnisse führen dass in allen Ranunculus-Arten die Grenze zwischen Rinde und Centraleylinder an derselben Stelle liegt und dass diese somit monostelisch gebaut sind ,. = (1) Strassurere, Loc. cit, pag. 310-311. (2) Pag. 764. (8) V. Tarecnem, Traité de Botan., pag. 765. | | | | | | | 85 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 437 L'esposizione critica dello Strasburger sulla teoria della Stelia lascia perd adito a qualche dubbio sull’accettazione o meno di questi «concetti teorici, tali quali ven- gono esposti da V. Thieghem. Questo Autore, p. es, ammette la lamina fogliare in ogni caso come astelica; non cosi, pare, la struttura del picciuolo (1). Egli distingue due casi: * Si les faisceaux demeurent distincts dans le pétiole, séparés * par des plus ou moins larges rayons de parenchyme, l’endoderme et le pérycicle se reploient ordinairement autour de chacun d'eux pour l'envelopper d'une double ^ gaine (fig. 546 A). Si les faisceaux se rapprochent au contraire et s'unissent en arc ou en anneau, les portions de endoderme et de péricycles se reploient de manière à recouvrir l'are ou l'anneau dans toute son étendue (fig. 546 B). Quand les faisceaux sont enveloppés individuellement par un endoderme propre et un pé- ricycle particulier, le pétiole n'a rien qui corresponde au cylindre central de la tige; sa structure peut être dite astelique. Quand au contraire les faisceaux sont disposés en un anneau entouré d'un péricycle général et d'un endoderme commun, le pé- * tiole a, comme la tige, un cylindre central et sa structure peut être dite monostélique ,. È facile però convincersi, che in moltissimi esempi di picciuoli a struttura cosi detta monostelica è impossibile dimostrare l’esistenza di un endoderma generale, e bisogna supporlo (Aralia, Ficus, Hedera, ecc.). Di più accade che molti di questi pic- ciuoli mostrano al di sopra del libro una cuffia che rappresenterebbe una differen- ziazione periciclica, la quale essendo parziale tanto nei picciuoli a fasci disposti a corona o chiusi, che in quelli disposti ad arco, assumerebbe cosi ora la significazione di un periciclo generale parzialmente sclerificato, ora quella di periciclo parziale, con evidente contraddizione di termini. Nello stesso modo che V. Thieghem si esprime a. proposito della supposta ú astelia, o stelia nei picciuoli a seconda dei casi surriferiti, egli scrive pure che “ si * può considerare nei picciuoli monostelici un midollo che offre gli stessi caratteri “ del fusto in caso identico (2) ,. Strasburger non si accorda con V. Thieghem nel considerare come monosteliei i picciuoli che mostrano la disposizione più sopra accennata, ma dà questa curiosa spiegazione: * Auch dort wo die Blattstielbünde zu einem geschlossenen Kreis grup- pirt und von einem gemeinsamen Stärkescheide oder Endodermis umgeben sind, das Centralgewebe das sie umschliesst nicht Markgewebe ist. Würe dasselbe Mark- gewebe so hätte es sich in das Markgewebe des Stammes fortzusetzen, wahrend that- “ sächlich stets auch ein solcher, scheinbar monostelischer Gefässbündelkreis des “ Blattstiels sich beim Eintritt in den Stengel oeffnet, und das Gewebe das er umgab “in die Rinde des Stammes uebergeht! , Ma come si può conciliare questa maniera di considerare il fascio vascolare che entra nel fusto aprendosi ed i tessuti che lo accompagnano come fondentisi nella corteccia, mentre poi poco prima l'Autore con- cordando con V. Thieghem, scrive che i picciuoli sono astelici perchè: “ thatsächlich * der Centraleylinder sich gespalten, und in seine einzelne Theilstücke zerlegt hat! ,. (1) V. Tumonsm, Traité de Botan., 2* ediz, pag. 842-48, fig. 546. (2) V. 'Turzenzw, Loc. cit., pag. 843. 438 SAVERIO BELLI 86 Il cilindro centrale rotto dei fusti asteliei comprende anche il midollo (1) in parte, e Strasburger conferma ancora queste vedute colle parole: * Der ursprüngliche Cen- © tralcylinder, als solcher, hört bei einer derartigen Spaltung auf, doch Theile seines * Grundgewebes bleiben als solche um die einzelnen Gefässbundel bestehen „. Dunque, se il midollo del cilindro centrale è uscito diremo così, trascinato in singole porzioni dai pezzi corrispondenti di fascio vascolare del cilindro centrale rotto, ed è entrato a costituire gli involucri dei fasci della foglia, astelica, come va che considerando la cosa alla rovescia cioè, come se i fasci entrassero dalla foglia nel caule a costi- tuire di nuovo il fusto stelico, questo midollo si ferma tutto nella corteccia; “ in die * Rinde uebergeht?! ,. Evidentemente qui ci ha da essere un malinteso. Strasburger (1. c., p. 312) propone per la struttura astelica di V. Thieghem la denominazione di schizostelia. Forse il nome è in realtà più adatto, ma in ogni modo il fondamento teorico è lo stesso, cioè la solita frattura del cilindro centrale. Parlando del limite interno della corteccia, lo Strasburger dimostra collo studio dell’ Anatomia del Ranunculus repens, che questo fleoterma, studiato ad altezze diverse nel pieciuolo, ora si mostra costituito come un endoderma vero, ora da una cuffia di sclerenchini ventrali o dorsali, e che questi strati non si corrispondono di mano in mano che si studiano i fasci nei picciuoli secondarii e nelle lamine. E finalmente scrive; che non esiste continuità in ogni caso fra il fleoterma del fusto e quello della foglia. Secondo Strasburger sono rari i casi, in cui il fleoterma abbracci completa- mente i fasci vascolari nella struttura astelica fogliare, cioò quando è un endoderma caratteristico ed in continuazione diretta con un simile endoderma caulinare. E cita lesempio del Galium Aparine, dove si realizzerebbo, fra altri, questa struttura. Per concludere: nel G. Trifolium ho dimostrato che vi à astelia nel fusto; astelia nella foglia; quindi impossibile pretendere che questa derivi da quella, come vuole V. Thieghem, dato che astelia significhi frattura di fusto monostelico nelle sue parti. Ed emerge evidente quest’altra considerazione, che, senza tener conto della funzione dei tessuti, à vano ed irrito il fabbricare teorie anatomiche pure. E lecito quindi supporre che l'avvenire fruttifero in queste ricerche sia riserbato all'ana- tomia fisiologica. (1) V. Targaugw cosi si esprime nella struttura astelica (Péricycle et péridesme, “ Journal de Bot. ,, 1890, pag. 434): Vassise des cellules qui sépare le liber du faisceau d’avee son endoderme particulier, provient... pour sa partie interne supraligneuse de la moelle? 87 ca tri trps trsa lb prl prb 2p enda: ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 439 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE fascio vascolare principale della guaina stipulare. guaina stipulare della prima foglia. prima bozza fogliare. Cuffia librosa od elementi lignificati (cuffia periciclica di Vuillemin, Morot, etc.). epidermide. periderma. tessuto fondamentale sottoepidermico. guaina dorsale dei fasci vascolari (endoderma parziale di Morot e Vuillemin). cuffia librosa ad elementi poco ispessiti e cellulosici. - cambio. trachee (e tracheidi) iniziali (protoxilem di Russow). trachee primarie spirali. trachee areolate secondarie (tracheidi comprese). libriforme. parenchima legnoso. parenchima libroso. zona perimedullare. endoxile. eristalli. midollo. anello iniziale procambiale. raggi midollari. libro molle. apice vegetativo. guaina stipulare. tubi cribrosi. guaina ventrale-dei fasci. peli clavati. cellula compagna. guaina primitiva intera del fascio. Festigungsring di Jännicke. Fascio interfascicolare, Stereoma iniziale radicale. corteccia della radice avventizia. Ed 1 d wi fi 440 SAVERIO BELLI 88 cic — cilindro centrale. ir? ^ — tracheidi iniziali radicali. elp — elementi procambiali: tf — tessuto fondamentale. peor — periciclo radicale. H libro. ® — xilema. end — endoderma. cbm | — cambiforme. ctre — corteccia radicale primaria. ssep — — strato sottoepidermico. ip — ipoderma. cut cuticula. fet — fascio cotiledonare. for — fascio principale della profilla. ge — endoderma del fascio cotiledonare. tbo — tubi eribrosi obliterati. te — tessuto corticale. o — guaina del fascio segmentantesi ai lati del fascio stesso. fell fellogeno. ra — apice vegetativo ramo ascellare. cor — corona di fasci vascolari. IX. Tav. I, Fig. 1. — Sezione longitudinale di una gemma apicale di T. repens: a, apice vegetativo; b, prima foglia allo stato meristematico; f, tricomi che funzionano da cuscinetto fra le guaine stipulari. Fig. 2. (T. repens L.). — Formazioni secondarie nella punta vascolare del fascio. La così detta guaina ventrale, o zona perimedullare di Flot è indistinguibile dal midollo. La pretesa regione endoxilare è in perfetta continuità col resto detto xilem. Il libriforme viene avvicinandosi alla punta „ventrale (Per la spiega- zione delle lettere vedi la pagina precedente) (3 Es Koristka ). Fig. 3. (T. repens). — Sezione trasversale di porzione di fusto. Formazioni secondarie fell. (fellogeno). Il fellogeno si origina nella prima fila di elementi sotto l'epi- dermide e da 7 od 8 strati di periderma (per) che stanno aderenti all'epi- dermide stessa. Tra un fascio vascolare e l’altro sta un tessuto perfettamente simile al corticale ed al midollare, ma ad elementi più piccoli. Nessuna traccia di endoderma generale caratteristico od altro. I cristalli cr della guaina esterna del fascio sono numerosi; mancano alla punta ventrale. Libriforme e fibre librose indistinguibili alla sez. trasversale i id K.). Fig. 4. (T. repens). — Differenziamento dei fasci vascolari dalla corona procambiale. Le cellule più scure sono tubi cribrosi, tb. Gli spazii interfascicolari sono già molto grandi (4° K.). 6 obb. | 89 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 441 ex Fig. 5. (T. repens); — Sezione longitudinale. attraverso un fascio vascolare. La guaina dei fasci (endoderma parziale degli Autori) si distingue per le cellule più piccole. L'endowile è tuttora ‘allo stato procambiale a elementi allungati a setti orizzontali. Sono differenziate due trachee delle quali la più interna a spira più larga, è in via di scomparire | È Ha K.). Fig. 6. (T. repens). — Sezione longitudinale passante per la. cuffia librosa dove à ancora visibile qualche tubo cribroso col rispettivo collo colorato in bleu coll’anilina [3 °% Kl \ 8 obb: Fig. 7. (T. repens). — Stadio, meno ‘avanzato ‘che nella fig. 4. Cominciano a formarsi gli spazi interfascicolari. (raggi midollari). La grande, guaina, stipulare avvol- à 3 oc. gente il caule ad un ramo ascellare mostra tre grosse nervature ( vx ^: K.). Fig. 8. (T. repens). — Sezione trasversale mostrante l'insieme della gemma apicale (a livello della linea x-x nella fig. 1), p.i (peli clavati) ut supra. Fig. 9. — Tolta dal lavoro di Vuillemin (1) e rappresentante la. sezione trasversa di una nervatura della foglia’ del Trifolium rubens L. Nella figura il polo ventrale ed: il dorsale sono rivestiti rispettivamente da una cuffia che, in Sezione trasversa, si direbbe della medesima natura. L'esterng invece è co- stituita da fibre librose; l'interna da parenchima proveniente dalla segmen- tazione della zona perimedullare o regione endoxilare. Tav. II, Fig. 10. (7° repens). — Sezione longitudinale passante per la metà di un fascio vascolare e comprendente tutto lo spessore della epidermide al midollo; la guaina dei fasci gd (endoderma degli Autori) si distingue solo per gli ele- menti più piccoli; mancano i cristalli; viceversa la guaina ventrale gv è cri- stallifera. Lo vilema primario è rappresentato ancora da una trachea spirale; quello secondario mostra dei vasi areolati senza parenchima legnoso e senza libriforme (On, Re). Fig. 11. (T. repens). — Regione endoxilare secondaria; tri, trachee primitive (proto- xilem) riconoscibile ad elementi puntiformi evanescenti nel tessuto dell'endo- xile E SE Kl 8 obb. Fig. 12. (T. repens). — La stessa della fig. 10 un po’ più ingrandita. Nello. xilema -primitivo una trachea spirale a doppia spira; la più vicina all'endoxile con spira unica, a giri allontanati. FE Fig. 13. (T. repens). — Fibre librose isolate. i K. Fig. 14, (T. repens). — Fascio vascolare al principio della struttura secondaria, La regione endoxilare (endx) presenta elementi collenchimatici. Le trachee ini- ziali (tri) sono ancora visibili come punti piccoli che si colorano vivamente colle sostanze coloranti del legno. Una sola cellula. cristallifera alla punta ventrale del fascio. Il cristallo è stato tolto coi reagenti per mostrare la saccoccia di cellulosi con deposito di lignina. Alla guaina dorsale (gd) quattro sole cellule sono cristallifere (il cristallo è stato tolto) Ke d a]. Fig. 15. (T. repens). — Sezione longitudinale attraverso alla corona procambiale la cui sezione trasversale è rappresentata dalla fig. 40 della Tav. V. Le cellule Ac ee BADIUS eh Y grate (1) Loc. cit. Serw U. Tom. XLVI. Fig. Tav. Fig. Fig. da Fig. Te Fig. (1) Marth, Recherches sur la structure des Rénonculacées, “ Ann. Sc. Nat. ,, serie VI, t. XX (1884). SAVERIO BELLI 90 midollari e corticali quasi uguali in grandezza si segmentano trasversalmente; quelle della corona sono cambiformi gege? nel senso dell’asse. Non ai [4006 ri) distinguono guaine dorsali o ventrali | fr È obb. K.j. 16. (T. repens). — Sezione longitudinale attraverso alla corona procambiale al momento in cui comincia la frammentazione della corona stessa in fasci va- scolari e tessuto interposto. Sono già differenziati, libro, legno e cuffia librosa, mentre dalla parte opposta la sezione passa per un tratto del cordone pro- g y 2 Dy N ; ' 9 oc. cambiale differenziantesi in raggio midollare rm ($ obb zb HI Fig. 17. (T. repens). — Regione endoxilare dove non è più possibile distin- guere il limite fra essa e la guaina (endoderma ventrale). 18. (T. AM — Fascio vascolare in struttura primaria; tbo, tubi cribrosi obli- terati Ug d Ta 8 ST TU UL N — Inizio del differenziamento di un fascio vascolare. La guaina è ancora quasi continua attorno al fáscio e si differenzia poco dal tessuto in cui il fascio à immerso. Noel punto o corrispondente ad un lato del fascio la segmentazione produce gruppi di elementi più piccoli Le db K.). . 20. (T. repens)...— Struttura, secondaria del caule. Formazione del Festigungsring di Jannicke. Tra un fascio e l’altro mon si originano altri fasci minori. "ig. 21. Ranunculus Thora. — Figura tolta dal lavoro di Marié (1). . 22. (T. repens). — Inizio di un fascio vascolare in cui la prima trachea (trà) sta addossata alla guaina del fascio stesso Lë Si A K. do 3. (T. repens). — Porzione di caule in sezione trasversale. Formazione di fasci interposti ai primi a spese del tessuto fondamentale (Raggio midollare; paren- chima non cambiforme!) che si risegmenta. La cuffia librosa è sviluppata assai oc. mentre appena comincia a formarsi lo xilema E att Kl 24. (T. alpinum). — Sezione longitudinale dell'asse ipocotile. IV, Fig. 25. (T. repens). — Struttura secondaria di un fascio. Cristalli dorsali numerosissimi, ventrali pochi, libriforme mancante e fibre librose relativa- carse | 3.99. EI mente scarse |n bb; K.J. . 26. (T. repens). — Sezione trasversale della gemma apicale corrispondente alla linea z-s della fig. 1 della tav. I (£ °% KL . 27. (T. repens). — Progressione dei We cribrosi verso l'interno del fascio di mano in mano che la cuffia librosa si sviluppa E ge K.). . 98. (T. repens). — Sezione longitudinale attraverso un fascio vascolare in cui e he : T 3 oc. \ appena iniziata la differenziazione | e Gen K. | 29. (T. repens). — Inizio del differenziamento di un fascio vascolare. I tubi cribrosi si spingono fin contro quasi alla guaina s E EL imm. . 80. (T. repens). — Origine delle radici avventizie dal Lio, La sezione non è mediana, ma mostra quanto basti l’origine dei tessuti della radice nuova dalle segmentazioni del tessuto interfascicolare | : T K.). 91 ENDODERMA E PERICICLO NEL G. TRIFOLIUM 443 Fig. 31. (Picridium vulgare). — Figura tolta dal lavoro di Morot ( 1) per mostrare le diverse interpretazioni della zona midollare. Tav. V, Fig. 32. (T. repens). — Sezione di un tratto di tessuto corticale e di epi- dermide. Non si forma in questo caso alcun fellogeno, ma gli strati sotto- stanti (uno, talvolta due) si tuberizzano in posto. Fig. 33. (T. alpinum). — Inizio della radice a 2 decimi di mill. sotto l'apice vegetativo. Fig. 34. (T. repens). — Sezione longitudinale attraverso un fascio; tb, tubo cribroso con una cellula concomitante cp. Una cellula della guaina dorsale divisa in quattro cellule piü piecole contiene quattro cristalli E dai Rol Fig. 35. (T. repens). — Sezione transversale del fusto. Stadio più avanzato che nella fig. 7 della tav. I e della fig. 4 della stessa tavola. Incomincia qui la forma- zione di fasci interposti ai precedenti ( i p b ST Fig. 36. (T. repens). — Sezione longitudinale passante per uno spazio interfascicolare, dove le cellule del raggio midollare hanno dato per risegmentazione e con- secutivo allungamento degli elementi una specie di cambiforme che si scle- rifiea in posto e fa parte del Festigungsring di Jünnicke E Ze K.). Fig. 37. (T. alpinum L.). — Endoderma a cellule tutte suberificate dell'ipocotile (por- zione della lunghezza di un terzo di millimetro isolata e vista di piatto Ur 8 obb. Fig. 38. (T. alpinum L.). — Stadio della radice consecutivo alla fig. 33 (+ FS E È Fig. 39. (T. repens). — Corona di elementi procambiali (allungati nel senso dell'asse), da cui deriveranno fasci vascolari e raggi midollari, questi ultimi per cessa- zione di allungamento delle cellule, segmentazioni trasversali, rapide e ripe- tute, e ingrandimento degli elementi E Ee h ER E Fig. 40. (T. alpinum). — Stadio della radice consecutivo alla fig. 38 ( ST, K.). Fig. 41. (T. alpinum). — Sez. trasv. ipocotile. Formazione di midollo centrale; frat- tura del cilindro assile xilematico; endoderma tutto suberificato ( E e K. 5 Fig. 42. (T. alpinum). — Fase più avanzata dell'ipocotile. Disposizione concentrica del legno e del libro; endoderma a punti neri di Caspary ($ s K.). Fig. 43. (T. alpinum). — Stadio più avanzato dell'ipocotile che nella fig. precedente. Fig. 44. (T. repens). — Sezione longitudinale a traverso il legno secondario per mo- strare il libriforme [ i Kl \ 8 obb. Fig. 45. (T. alpinum). — Sezione trasversa poco sopra l’inserzione dei cotiledoni. Le guaine stipulari dei due cotiledoni sono saldate. Fig. 46. (T. repens). — Sezione trasversa comprendente una porzione di fascio vasco- lare (struttura secondaria) e un tratto di raggio midollare, in cui gli ele- e i S PORT s ^ d + Ta: 4 oc y menti sclerificati costituiscono il Festigungsring di Jännicke E obb K. ) (1) Monor, Recherches sur le péricycle, " Ann. Se. Nat. ,, t. XX, fig. 35 (1885). PT E rua Essendosi dovuto modificare le tavole illustrative della Memoria del Dr. S . BELLI, Endoderma e periciclo nel G. Trifolium, sfuggirono alcuni errori specialmente nelle citazioni delle rispettive figure, che preghiamo il lettore di corre ggere come segue: Pag. 5-357 19-371 20-372 id. id. id, 24-376 25-377 id. 26-378 30-382 31-383 33-385 35-387 37-389 id. 40-392 42-394 lin. 10 quart'ult. ERRATA — esistano — ; tav. V, fig. 35) -— e V, fig. 89 e tav. VI, d 41. — fig. 44 . nel senso al piano — fig. 46 . — fig. 45. — fig. 46 . — Una sezione = uo in- teressi..... 19,40% — fig. 40 . — di questi spazi, — (fig. 29, tav. IV, e tav. L d D. — (tav. II, fig. 13), ; à — fig. 14. 3 — fig. 14. 3 — A questo stadio mancano... — (tav. I, fig. 3). — fig. 47. — fig. 37. CORRIGE esiste si tolga fig. 33 e 40 fig. 40 fig. 33 e 38 fig. 38 fig. 40 fig. 41 fig. 41 fig. 42 fig. 43 nel senso normale al piano fig. 45 fig. 44 fig. 45 Una sezione trasversale (tav. IV, fig. 39 di questi spazi rm., (fig. 29, tav. IV). (tav. V, fig. 35), fig. 11 fig. 12 A questo stadio della fig. 18, tav. III mancano..... (tav. I, fig. 3 fl.). fig. 46 fig. 36 385 Ze = (IL, 1v, 357) (2). 61. Ümmtoc, ripiegato indietro ecc. — negligente (Aristide, Artem., Stob.); prolisso (ppéoic, Mig, D. A., Fil). 62. delude, destro — idoneo, prudente ecc. (Pind., Erdt., Att.) di buon augurio (Om., tr., Sen.). de, destra — patto (Il); promessa (deEiäg dobvar ecc., Sen.) (cf. impalmare ecc.). detbouar, do la destra — saluto (i. o., Att.); prendo com- miato (Sen., PI. ecc.). 63. Apıotepös, sinistro — di mal augurio (Od.*); dprotepà, n. pl, la parte del- l'errore, del torto (Sof.). Oxouög, sinistro — goffo, rozzo, non amichevole (Alcm., Erdt., Sof., Eur., Ar., Pl., Dem., Plut.) ecc. (3). 64. ónép, sopra — col gen. in favore; in relazione, rispetto a (ma con espressione T ‘interessamento °) (Om. e post). Fra i composti si menzionano qui ümephpävog e Ünepo(oAoc. únepńpavoç, che appare sovra gli altri — albagioso (4) (Es., Pind., Att.); anche senza nota di ‘biasimo °, eminente ecc. (PI. ed altri). úneppiaioç (5), Superiore in potenza, dapprima non in significazione sfavorevole (Od., xxr, 289), poi con quella d’ orgoglioso, violento (Om., Pind., Ap. R., Teocr., Orf.) (6). 65. ónó, sotto (7) — idea di ‘ direzione °, di ‘ comando ° (col dat.; col gen., Od.*); di ‘subordinazione logica (coll'acc., Arist.); di ‘ segreto °, d’ ‘ inosservato ? (in comp.). Ümébpa, di sotto in su — biecamente, torvamente (per mal volere o sfregio) (Om., Es.). (1) Già omer. è mpo@vpin ficit... » (Ebeling, ad v.). (2) V. Ebeling, alle voci táMv e AdZouat. animus alacer et promptus, pl. tantum: ea quae animus alacer per- (8) D valore d’ “infausto ^ trovasi in Eust, ma non v'ha esempio. Per gli altri sensi traslati si consulti Schmidt, Hi. n° 100, 3, p. 546; Thomas, pp. 90-1. : (4) Propriamente colui che ha gran concetto di sè, che lo mostra in qualsiasi occasione, senza i dovuti riguardi, ma senza maltrattare alcuno. V. Schmidt, Syn., n° 176, 5, 8, — IV, pp. 268-73. (5) Intorno all'origine di questo composto v. Ebeling, ad v.; Brugmann, Grundriss ecc., I, p. 149; Prellw., ad v. Si vedrà in quante varie guise sia stato interpretato il secondo elemento di questa Parola, del quale qui non ? opportuno discorrere. . . (6) Per lo Schmidt (op. cit., 1. c.) ÖmeppioAoı sono © uomini, ed anche discorsi, che procedono oltre 1 limiti comunemente non varcati ?. . (9) Delbrück, Syntax, 1, p. 692 e sgg. ove si mostra come fra i valori vari di questa parola sia M greco “ die nuance des ‘unter’ zur alleinherrschaft gekommen ,. Serie II. Tow. XLVI. 8 (n. 59—65) (n. 66—71) 18 DOMENICO PEZZI 66. kad, in giù (1) — col gen., contro (PI. ed altri), rispetto a (PL, Dem. ecc.) (2); coll’ace., tendenza, fine (Om. e post.): in compos. ha, fra altri sensi, quello di ten- denza, azione contraria (ad es. in karayıyvworw col valore di condanno, pr. att. ecc.). 67. mAnoıdzw, m'avvicino, sono vicino (per un certo scopo) — sono seguace, allievo, compagno, amico d'aleuno (Pl, Is., Sen., Plut.). dmiatog, cui non si può andare vicino, inaccessibile — orribile, spaventevole (Es., Pind., tr., ep. post., Arist.). 68. Fra le preposizioni indicanti idee di ‘ vicinanza? s’ annovera qui in primo luogo, giusta l'ordine alfabetico, émí (3. Dei sensi traslati giova qui ricordare i seguenti: col dat., scopo (Om., Erdt., Att); condizione (Erdt., Att.); direzione (Dem.); favore, disfavore (Om., Att.); col gon., direzione, presidenza (Erdt., PL, Sen., Dem. ecc.); scopo (PL*) coll'aec., scopo ed altre relazioni immateriali, di cui mal si potrebbe far cenno senza citare combinazioni con verbi di ‘ moto °, estranei alla presente tratta- zione (4). E quest'avvertenza sarà utile anche per quanto concerne le due preposi- zioni seguenti e soprattutto la seconda. 69. mapd (5). I sensi metaforici, pressochè tutti postomerici, dei quali qui vuolsi toccare, sono: col dat., giusta il parere di (map èuoi ece., Erdt., Att.); in sè, assen- nato (tap éaur® yeveodaı, ritornare in sè, Plut.); coll’ace., in paragone di (Erdt., pr. att.); in composizione, idee di ‘ difetto °,-d’ ‘errore’, di ‘ contrarietà ’, di‘ negazione °. 70. npôs, presso, verso a (6) — col dat., idea d’ ‘applicazione della mente” (DIS Dem., Luc.); coll'aec., idea di * Scopo ° ecc. (i sensi traslati coll’acc. sono postomerici); col gen. (= abl.), dalla parte di (in significazione trasl.), in preghiere, giuramenti ecc. (Om., Att.), secondo il giudizio di (Tue., Sen. ecc.), in favore di (Erdt., Atti). 71. GUv, con, insieme (7) — senso traslato di ‘ concordia d'idee, di sentimenti" (oi civ man, à compagni, gli amici, à fautori di, Att.). Guvouoia, l'essere insieme — (1) Intorno alla primitiva significazione di kard, al valore della preposizione coll’accusativo, v. Delbrück, Syntax, 1, pp. 759-61 (ove il senso d’‘ hinab’ è giudicato di probabile derivazione da quello d'' hinein in’, per ragioni tratte dall'uso di kard con casi e dalla comparazione), ed anche Bernhardy, Wissenschaftl. syntax d. griech. sprache, Berlin, 1829, pp. 237-43, e Kühner, Ausführl. gramm. d. griech. sprache’, Hannover, 1870, II, 1, pp. 411-6. Lo Schmidt attribuisce a kard la signi- ficazione d'un ‘moto verso un punto riguardato come punto di riposo, materiale od immateriale ' (Syn., n° 107, 14, = III, p. 226; n° 109, 4, = III, pp. 248-9). (2) Particolarmente notevole è la funzione di katà coi verbi di < giurare ; con essi designa il ‘chiamare la vendetta divina sopra una persona od un oggetto in caso di violazione ' (ad es. Kara TÓv maíbuv duvivar, Dem.) (3) Intorno al suo valore omer. v. Ebeling, che bene interpreta “ ad, apud, prope, an, auf, bei ,. Della significazione fondamentale bene discorre il Delbrück, Syntaæ, 1, pp. 678-7: v. soprattutto le considerazioni sui sensi dell’api indiano a p. 674. (4) Ai sensi menzionati d’ mi con casi corrispondono quelli che appariscono in composizione. (5) Il Delbrück (Syntakt. forschungen, IV, pp. 130-1) prende le mosse dall'idea di ‘lungo ` (^ entlang ,), notando come questa " hat sich nach zwei richtungen hin entwickelt, und zwar, angewendet auf ruhende dinge zu , neben, bei “, angewendet auf bewegte zu » aus der nähe, weg, fort “,: del primo senso il greco dà esempio nell’uso di tapé coll’acc. e col dat. (= locat.) del secondo nella costruzione col gen. (— ablat.). Vedasi ora anche Syntax, 1, pp. 755-6. (6) Delbrück, Syntax, 1, pp. 726-30. Schmidt, Syn., n° 101, 4, = IIT, leet pp. 231-2. (7) Intorno alle relazioni fra l'uso poetico di ouv col dat. ed il prosastico di perá col genit. v. Tycho Mommsen, Beiträge zu der lehre von der griech. prüpositionen, Wrankf. a. M., 1886-7 (cf. Hecht, pp. 74-81). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 19 familiarità, conversazione (Erdt., Att.); commercio scientifico fra maestro ed allievo, col- loquio scientifico (Sen., Pl., Plut.) (1). — Cf. Zuvöppwv, benevolo (A. AR S 11. Idee di linee varie e loro combinazioni. A. Idee di linea retta e di linee curve. a) 72. i86g (2), diritto — retto, giusto (Il.*, Es., Esch.*?, Erdt., Ap. R.). ieüvu, raddirizzo — rendo giusto, correggo (Es.); reggo, governo (Call*); do sentenza giudi- ziaria (Teocr.*); punisco (Krdt.). iouw, mi spingo avanti difilato — anelo a (Od. Erdt., Ap. R.) — ev@vg, diritto — retto; senz'ambagi , schietto (Eur., Pl. ecc.); giusto (Tirt., Sol., Esch., Pind.). €000, direttamente — affatto contro, a dispetto (PL), Sun, raddrizzo, guido — reggo, governo (Sof., Eur., Pl, Dem.); correggo (Sol.*); biasimo (Plut.); castigo (Erdt., PL, D. C.) (3). 73. Non è inopportuno richiamare qui alla memoria del lettore il vocabolo kayuıv, canna diritta, regolo — regola, norma, modello (Eur., Dem., Arist., Luc. ecc.); indice di scrittori approvati dalla scuola alessandrina o dalla chiesa cristiana (nel se- condo senso presso gli autori ecclesiastici) ecc. b) 74. &ykÓNoc, curvo (4) — intricato (in senso metafor.), ingannevole (A. P., Luc.); scaltro (Licofr.*); rotondo (dello stile) (D. A.). äykuAountmng, che ha consigli tortuosi, scaltri (Om., Es.) (5). 75. BAaicóc, curvo in fuori. Blaiowois, storcimento delle gambe in fuori — Praevaricatio, accordo segreto fra parti avversarie (Arist.*). 76. yväuntw, curvo — induco a (Esch.). Yvaumróc, curvo — arrendevole (vénuo, VISSE Eemyvöuntw, incurvo — induco ad altri pensieri (IL*, A. P*); freno (piov xfip, IL, ep. post.); guido (vóov éoe\üv, Il). 77. oKoAtös, curvo, tortuoso ecc. — sleale, falso, insidioso, ingiusto (IL, Es., Sol., Pind., PL, Plut., Luc.). (1) Cf. 6uAéw, sono insieme — sono uditore, allievo (Sen. ecc.); m’occupo per lo più di (piAocogig. DI ecc); mia, essere insieme — colloquio, conferenza (Esch., Dem.), istruzione (Sen.). Of. anche MoppoOÉu, remigo insieme — sono concorde, assento (Sof, Eur., El). (2) Intorno alla relazione etimologica fra i@úç ed eùdbc, che tosto verrà accennato, v. Prellw., alle due voci menzionate. (3) Il Thomas, pp. 37-8, mette in rilievo l'origine postomerica dei sensi traslati. (4) Designa la ‘linea curva guardata internamente ’, ossia come ‘ concava”: così lo Schmidt, Syn., n° 189, 9, — IV, pp. 462-8; Hb., n° 108, 6, pp. 575-6. x (5) Chi serive queste pagine ® sempre fermo nel giudicare probabilissima fra tutte le si varie etimologie proposte del vocabolo ävéykn, necessità, quella che vi scorge un composto della radice &yk, Curvare, con àv- negativo, onde il concetto d’inflessibilità (v. Pezzi, ANATKH, Note filologiche , Torino, 1879 [estr. dagli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, XIV], p. 14; La lingua greca @ntica, p. 147, ove l'indieato senso fondamentale della voce àváyxn viene paragonato con quelli delle non poche altre parole di cui i Greci si valsero per significare l'idea di ‘ fatalità ^). Vedasi ora, per altro, intorno all’origine del nome &v&rkn anche il libro dei due Baunack, Die inschrift von Gortyn, Leipzig, 1885, p. 58, ed il lessico etimologico del Prellw., alle voci ävéykn ed èverkeîv. E notisi la definizione che d àváykn leggiamo nella Syn. dello Schmidt (n° 148, 13, = III, pp. 682-8): “ der unen t- rinnbare zwang, der von personen, von den verhältnissen, von der natur selbst ausgeübt ist... s (n. 71—77) (n. 78—85) 20 DOMENICO PEZZI 78. «ükAoG, cerchio — il senso traslato d'una certa estensione di materia intellet- tuale appare nel nome kukMkoí (1) ecc. ed in dkÓkMoc, che non ha fatto tutto il corso degli studi giovanili, incolto (Pl. com. in B. A.*). ékkuk\éw, [giro in fuori; fo vedere 2 ^ per mezzo dell’ exkürinna (macchina teatrale) — rendo noto (Plut.): cf. ékkükAnois (Cl. AL). B. Idee d'angoli (acuti, ottusi). a) 79. dkovdw, affilo, aguzzo — eccito ecc. (Sen., Dem. ecc.). 80. Onyw, affilo, aguzzo — acuisco (metaforicamente, tenyruévor Aöyoı, veOnruévn Toca, Esch., Sof); eccito, accendo l'animo (Pind., Eur., Sen.). 81. dkpidw, aguzzo; dkpidopoi, divento acuto — m'adiro, m'esaspero (Od.*, Licofr.*). 82. óEóc, affilato, aguzzo — che sente vivamente, eccitabile, irritabile (Il., Teogn., Erdt.* audace, precipitoso (Tue. ecc.) (2). 6Zuvw, affilo, aguzzo — istigo, inacerbisco (Erdt., Sof). ó&00uuoc, iracondo (Epicarmo, poeti att., Arist., Luc.): cf. ó£vxópbiog (Esch., Ar.). dEUNaNog, che parla rapidamente, con motti pungenti (Ar.*). ó£ópwpov, locuzione Sof, Eur., PL); perspicace ece. (ep., Tuc., Eur., PL, Dem.) pronto, risoluto, molto arguta che a primo aspetto pare semplice, sciocca, principalmente combinazione di due idee che in apparenza escludono a vicenda (v. g. insaniens sapientia, strenua inertia) (gr.) (3). b) 88. außAUg, ottuso, debole — indifferente, svogliato (Tuc., Plut.); privo d'energia (Pl.). 83°. xwés, ottuso (4) — ottuso di spirito (Pind., Sof., PI. ecc.). 84. A questa serie di parole si porrà termine col composto tetpérwvoc, quadran- golare — forte, inalterabile (in senso immateriale) (Sim. in P1.*, Arist.). II. Idee di tempo. $ 12. Assai meno numerosi che i provenuti da idee di ‘ spazio sono i sensi traslati svoltisi da idee di ‘tempo ', come apparirà dai cenni seguenti. 85. Úpa, tempo opportuno, tempo del più completo e splendido svolgimento (onde paîog, opportuno, maturo, bello, attraente (5)) — èvwpatzouai, tento di piacere, lusingo (Luc.*); mi compiaccio d’alcunchè, ne vo superbo (ser. eccl.). (1) V. le opere citate dal Christ, Geschichte der griech. litteratur....., Nördlingen, 1889 (in Müller Iw., Handbuch der klass. altertums-wissenschaft, VII), p. 57. (2) V. Schmidt, Syn., n° 48, 17, — II, p. 152. V. anche Blümner, p. 14 e segg. (3) Col participio çita- d'uma rad. ind. ça, aguezare, si paragona il gr. x6tog (cf. maMirkotog, -ov): v. Prellw., ad v; Fick, Vgl. wrtb, D p. 425. Xóroc (Om. e poeti posteriori, D. A.*) è, nota lo Schmidt (Sy»., n° 142, 11, 1 , pp. 564-70), rancore conservato in cuore contro aleuno da cui altri si reputa leso, 0 le cui azioni e natura gli ripugnano, anche senz'idea di torto patito. (4) V. Thomas (pp. 48-52), ove a dimostrare che questa è la più antica significazione della parola bene s’adduce I’ omer. kwpôv BeAog, contrapposto ad Aën BeAog (IL, xı, 890-2). V. anche Pillon, n° 806, p. 409. Incerta è l'origine della parola: incerta l’affinità, sì spesso affermata, fra essa e k6mtw (cf, pel senso, il lat. obtusus). V. Ebeling, ad v.; Prellw., ad v.; Persson, Studien zur lehre von d. wurzelerweiterung....., p. 58. (5) Schmidt, Syn., n° 44, 6, = II, pp. 61-6; Hb., n° 92, 4, p. 459. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 2] 86. uów, precipitatamente (1) — in modo inconsiderato, cieco, stolto, temerario; invano (Om.). Cf. payidiwg (id.). 87. Bpobóc, lento, ch'esige molto tempo (2) — neghittoso, tardo di mente (Il, PI., Àr). Bpadurig, infingardaggine (Il. e post.; pl., Isocr., Dem.); ottusaggine (Tuc., D. C.). 88. äpxñ, principio, il dare principio — il guidare, il reggere (in senso trasl.) (Pind., Att., soprattutto pl); dpxaîog, primitivo, antico — venerabile (tr.); antiquato (Esch.*); sciocco, semplice (Pl., Ar.) (3). dpyw, sono il primo, precedo, comincio — guido, reggo, domino (Om.*, Pind., Att.; cf. äpxñv dpyw, Erdt., pr. att. (4)). àmdp- Xoua ha, fra gli altri, il senso offro primizie in sacrifizio agli dei — consacro (Plut.); scelgo ciò che è più nobile ecc. (PI.). únápxw, comincio — do origine a contesa, pro- voco (Erdt., Eur., Sen., Pl., Dem. ecc.); sono presente — sono favorevole ad alcuno (Sen.). 89. óyé, tardi. óyipaerc, imparante tardi — orgoglioso di sapere tardi acqui- stato, pedante (Pol.*, Luc.*, At.*, anche Cic.*); che se ne vale malamente (Teofr.*). CAPITOLO QUARTO H Idee di movimento e di quiete. I. Idee di movimento (5). A. IDEE DI MOVIMENTI CONSIDERATI SOPRATTUTTO NELLA LORO QUALITÀ E QUANTITÀ (6). 8 13. Idee d''andare', ‘correre’, ‘saltare’, ‘cadere’ ecc. a) Idea d'* andare `, 90. Baivw, fo passi, incedo. dBoroc, senza via, inaccessibile — puro (wuxn, PI, Plut.); inconcesso (Sof.*). ékBaivw, esco fuori — mi ritraggo da (in senso trasl.) (1) Intorno alle relazioni etimologiche fra udy e parole d'altre lingue indogerm. con senso di ‘celerità’ v. Prellw., ad v. (2) Schmidt, Syn., n° 49, 2, = II, p. 160; Hb., n° 97, 1, pp. 520-1. (3) Schmidt, Syn., n° 46, 2-5, — II, pp. 79-87. (4) V. Thomas, pp. 22-6. Bene vi si mostra come dal senso omer. frequente di ' precedere in guerra’ a poco a poco derivasse quello di “dominare ° (che in Omero è ancora rarissimo). " Der übergang der bedeutung “ vorangehen , zu der bedeutung “ herrschen, regieren , ist ein kultur- Beschichtliches denkmal. Das vorangehen zum und im kampf war anfangs das wesentlichste geschäft Und das wesentlichste merkmal des herrschers ,. Ben diversa da questa, ma meno probabile, soprat- tutto ove si badi allo svolgimento storico dei significati, era l'opinione di G. Curtius intorno ad dpxw domino (Grundz^, n° 165, pp. 189-90: Dän gr. vi è paragonato coll’ark ind., essere degno, Potere ecc.). (5) V. Blümner, p. 21 e segg.; Corstens, p. 79 e segg. ecc. (6) Esse sono i caratteri secondo i quali verranno divise le parole enumerate nella prima parte della presente trattazione. Non si giudica opportuno separare da esse certi composti in cui sono espresse idee di moti con ispeciali ‘ direzioni . Ma solo nella parte seconda di questa trattazione la ‘direzione d'un movimento ' sarà il criterio giusta cui verrà ordinata la materia. (n. 86—90) (n. 90—91) 22 DOMENICO PEZZI (Eur., Pl. ecc.); trasgredisco (Pl); fo digressioni (Sof., Sen., Dem.). éníBacic, Vac- cesso, il salire ecc. — la gradazione nel discorso (Longino). èmBateúw, salgo — assumo (un ufficio) (D. C.); m'arrogo (?, Erdt.*). émikaraaívu, discendo — investigo per punire (tav. eracl.). napaßaivw, vo accanto — Ex tivog, recedo da, rinunzio a (N. T.); vo oltre — trasgredisco, violo (Esch., Eur., Tuc., Ar. ecc.); pecco (Esch.); offendo un dio violando una legge (Erdt., D. A.); passo sotto silenzio (Sof.); trascuro (Din., Esch.). Cf. tapdBacis nei sensi di trasgressione, fallo (N. T.), digressione (Longino); parte del- l'antica commedia (gr., soprattutto Poll) vi s'aggiunga mapéxBao1s, trasgressione (Arist.), digressione (Iseo, Pol., D. A. ecc.). mpoceuBaivw, ascendo altresì, calpesto — insulto (Sof.*). GuuBaivw, vo insieme — vo d'accordo, fo pace (Erdt., Tuc., Ar.); sono conseguenza (di premesse) (P1., Dem.): cupRatikég, conciliativo (Tuc., Pol., Plut., Arr.). cuykaraBatvu , discendo insieme — sono pronto a (eig kivduvov), oso (Pol. eco.). ürepßaivw, frascendo — trasgredisco, violo (leggi ecc.) (Erdt., Sof., Eschine ecc.); erro (1.*, PL, N. T.); passo oltre, trascuro, accio (Erdt., Pl., Dem.). BadiZw, cammino, procedo: éní tiva, assalgo alcuno — accuso, chiamo in giudizio (Dem.). BéBoos, saldo (1) — certo, degno di fede, costante ecc. (Erdt., Att.): BeBoiów, consolido — con- valido (Tuc., Dem.); mantengo (promesse ecc.) (Sen., Pol); mallevo (or.); med., massi- curo l'amicizia Rale. (Tuc.); fo convalidare; dimostro (Pl.). BéBnhoc, accessibile — profano (2), non consecrato (Pl. ecc.), non santo, impuro (Eur., EL, N. T.) (3). 91. ei, vo, vengo (senz' ulteriore determinazione di senso). enävemı, salgo, ritorno indietro — ripeto (Sen., Pl.; cf. énav, &mi töv mpórepov Aöyov, Erdt., Sen., Pl.). dieu, passo attraverso — espongo esattamente (Ar., Pl. ecc.). doe, entro, mi presento — vengo in mente ecc., m'insimuo (Erdt., Att.); entro in un personaggio, lo rappresento (PI. ecc.). . " H DÉI T monio un ‘acceleramento del camminare comune’ e conserva vivo questo senso primordiale che già Sattenua in dpaueiv, (2) * In una determinata direzione *, giusta quanto avverte lo Schmidt, op. cit., n° 39, 2 ecc., = I, D. 684 © wer. (3) Pillon, n° 196, p.272. (4) Of. ouo, salto (in genere): v. Schmidt, Syn., n° 81, 5, — I, p. 543. (5) mnbav * bezeichnet: den mit einer bestimmten kraft geschehenden sprung, bei dem man namentlich den bestimmten. ansatz an den boden und den nachher erfolgenden anschlag ins auge fasst ,. Aut. cit., OP. cit., n^ 81, 5, =I, pp. 543-4. (6) Dicesi anche di ‘ salti sfrenati di danzatori* (aut. eit., ibid., n° 81, 6, = I, pp. 545-6). | Serw II. Tom. XLVI. 4 | (n. 103—105) 26 DOMENICO PEZZI d) Idea di * fluttuamento `. 103. oaAog, fluttuamento (soprattutto del mare) (1). Galeüw, muovo, agito; vacillo, ondeggio, sono in pericolo — sono inquieto, temo (caNebwv únèp éavroO, anon. in Suida). ooAoiZw, mi lagno inquieto od angosciato (Anacr.*); oaAdiZeıv * Kömteoda (Esich.) ecc. goÀékuv, millantatore (Arist.*) = 6 nrwxès Ahoi (Esich.) (2). àoeNrhs, scapestrato, petulante (Ar., or., Plut.) (3). e) Idea di * cadere `. 104. óMicO0Óvu, sdrucciolo — dNiodorvwpovew, erro (Luc.*). 105. nintw, cado (anche in senso metaforico, mi riduco a condizione infausta, con eis, [Sol.*, Teogn.*, tr., P1.] (4)) — erro (PL*, N. T.); cesso (rai ékníot neoeîv, Pol.); divento estraneo, perdo (con €x, IL*, Eur.). nta, caduta, disgrazia — errore (tr., PL, Plut.). &vantmru, cado indietro, retrocedo — mi vien meno l'animo (Plut.; TOig wuxaîg PI.) (cf. npoxarenintw, D. 8); perdo la voglia, divento neghittoso, indugio (Dem.*). avrınintw, cado incontro — sono contrario, contraddico (Arist., Pol., Plut.). ueramímtu, cado verso altra parte — mi muto, cangio opinione (Eur.*, Pol, App.). nponintw, cado avanti — sono precipitoso, temerario (Iper., Epitt., Plut.), cf. npomereia (Isoer., Dem., Arist.); amportwtos, che non si volge rapidamente verso una parte — prudente (Epitt.; -uc, Plut., D. L.). npoonintw, cado verso, sopra, dentro — mi prostro supplicando (Erdt., tr., N. T., Plut. ecc.) (cf. mpoonitvw); m’accosto ad alcuno come partigiano ecc. (Sen.*). ouunintw, cado insieme — sono d'accordo (Erdt., Eur 1 ünonintw, cado sotto — prego prostrato (Ar., D. S., Plut); mi do ad alcuno come adu- latore (Ar.*, Dem.); cado nel campo d’una scienza (Arist.); sono inteso come una specie sotto un genere (Plut.). Ai composti indicati s'aggiunga buonetéw, sono disgraziato — sono triste ecc. (less.). nraiw, urto, inciampo all'improvviso (5) — erro (PL, Erdn.). La medesima radice appare in nrnoow, mi sgomento, divengo attonito (Od., Att.; anche trans., Teogn.*) (6). Appare in nıWoow, mi curvo, mi rannicchio per paura (Il., Arch.), fuggo per ispavento (Il.*, Eur.); sono sgomentato (Il., Erdt.); mi curvo per men- dicare ecc. (Od.); in mroéw, agito vivamente l'animo (Sf., Ap. R.*); comunemente pass., sono gettato in isgomento, in angoscia ecc. (Od., Esch., Eur., Pol, Plut. ecc.) sono agitato da veemente passione, soprattutto da amore (Es., Teogn., Eur.); il perf. ha valore di bramo con passione (Pl, Arist., Plut., Luc.) (7). Con tali verbi a ragione si vuol connettere nrüpw, sgomento (Ipp., PL, Esop., N. T.). (1) Aut. cit., ibid., n° 103, 9,= III, p. 143. (2) V. anche Cic., ad Att., x1v, 2. (3) * Schamlos ,, traduce lo Schmidt., Hb., n° 117, 2, pp. 744-5. — I sensi dei due nomi citati sono certamente favorevoli all'opinione che la radice di cui qui si discorre abbia avuto in origine la significazione di gonfiarsi oltre misura. V. Prellw., alla voce odAoc. (4) Thomas, pp. 75-6. (5) Schmidt, Syn., n° 139, 7, — III, p. 518. (6) mrnooev è chinarsi rapidamente (per evitare un pericolo), curvarsi sotto, sottomettersi, attendere sommessamente alcunchè con paura e ribrezzo. Schmidt, Syn., n° 139, 7, = III, pp. 518-20; Hb., n° 116, 9, pp: 729-31. (7) Ant, cit., ibid. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 27 (n. 106—108) 8 14. Idee di movimenti vari impressi ad un corpo (1). a) Idea di * movimento impresso ° in genere. | 106. rivéw, metto in moto — eccito, suscito (in senso trasl.), fo impressione, anche | impressione sgradita (tr., Sen., PL, Dom., Plut., Luc. ece.). àkívntoç, immoto, I immobile — pigro (dx. ppeves, Ar.); intangibile, sacro (Erdt., PL); inflessibile (in significato morale, reidoî) (Pl). duokivntos, difficile a muovere — lento, pigro (Plut.); d'ingegno non vivo (Plut.); inflessibile, inesorabile (A. PF): dıakıvew, metto in vivo movimento; disordino — investigo (Ar.). b) Idea’ di “far andare’ ecc. 107. npoßıßäzw, fo andare avanti — eccito, fo giungere a (virtù ecc.) (Sen., PL, Arist., N. T); ricordo, insegno (LXX). npooßıßazw, «ccosto, conduco — induco (ad patto od alleanza (Erdt., Tuc., Pl); pongo insieme colla mente, deduco (Pl, Arist.); dimostro insieme (Arist., Oc. Luc., N. T.); insegno (LXX, N. T.). 108. &rw, conduco (2), in senso proprio — anche in senso trasl. (ém còda- Moviav ecc., Erdt., Att.); dirigo, governo, induco (Att.), educo (Pl, Dem.); mantengo, Osservo (onovèds, eipñvnv, Nouxiav ecc.) (Pind., pr. att., Luc.); stimo, giudico (Esch., Erdt., Sof., Sen., Luc.) (3). Notevoli sensi traslati ha anche aywyn: direzione verso uno scopo (Pl), intima tendenza a (id.); educazione (Pl., Arist. ecc.); metodo, in senso Scientifico (Arist., D. A.), in senso pratico (Pol.); scuola di filosofi (D. L., S. Emp.). avarw, conduco in su (anche in senso trasl., v. g. eis puocopiav) (PL) — mi preparo, mi dispongo (med., Pl. ecc.); fo risalire a (Plut.); computo (id.): con &véyw ora si con- giunge dvwra (con &àvibye ecc. (4)), eccito, comando (poet., soprattutto ep. e tr., Erdt.; ŭvwyov è anche cipr.) (5). åvtaváyw, traggo in alto all'incontro (d’un nemico che una deliberazione) (Ar.*, Pl. ecc.). cuuBiBáZu, metto insieme — riconcilio, unisco con | | Il | | | | | (1) * Movimenti più o meno palesi e di cui gli uni s'estendono ad un intero corpo, considerato | Come un tutto indiviso, giungendo sino a rapida traslazione di esso, gli altri ne concernono in par- ticolar guisa singole parti, producendo fenomeni che non sono volgarmente annoverati fra quelli di moto". (2) Nel significato d’äyw lo Schmidt pone in rilievo due elementi, l'idea di ‘ forza estrinseca ° | © quella di ‘estensione della via” (Syn., n° 105, 12, = III, p. 193). : (3) A questa significazione traslata il verbo è giunto per vie che non è facile scoprire. Il Thomas (p. 39) nega che tal senso siasi potuto svolgere da quello di ‘ pesare, ponderare ' (v. Curtius, d "det, p.171; Schmidt., Syn., I, p. 335), notando che äyw poteva significare soltanto ‘ pesare ' con il valore intrans. (cf. &&oc, di cui si toccherà tosto) e che, in ogni caso, la spiegazione non varrebbe Il j Per fyéoua, che, come vedremo ben presto, ha anch'esso il valore di ‘stimare ° ece. Ma il Thomas non crede di poter proporre una nuova e migliore interpretazione del fatto di cui qui si discorre. orse il senso trasl. trasse origine dall'uso d’&yw in varie combinazioni significanti l'idea di ‘ giu- dizio? (yw od drouor èv Cu, Ev odeur uoipn, map’ oùbév, epi metotov). 5 (4) Meister, Die griech. dialekte, Göttingen, 1882-9, II, p. 225; Danielsson, cit. dal Brugmann, || Grundy., IL p. 1228; Wharton, Some greek etymologies, p. 19. *wya pare un perfetto non raddop- il Plato d'ënn (cf, per la qualità e la quantità della vocale radicale, &rwri ecc.). | (5) Veitch, Greek verbs....., Oxford, 1887, p.81; Kühner-Blass, Ausführl. gramm. d. griech. spr., Lu, Pp. 370-1; Meister, op. cit., Le | (n. 108) 28 DOMENICO PEZZI s’avvieina); med., mi dispongo a vincere disputando (Pl., Eschine Socr.). àTüyw , conduco via, fo marciare un esercito das... — traggo in giudizio un malfattore colto sul fatto (Pl. ecc.) (cf. ànaywyh in senso d'accusa); allontano dalla buona via, seduco (PI. ecc.). eiodyw, conduco dentro — induco (Tuc.); cito, accuso innanzi a tribunale (Sen., Pl, Dem. ecc.); metto im scena, rappresento (PL): cf. eicarwr nei sensi d'in- troduzione dell'accusa o delle parti in giudizio (Pl. ecc.) e d'introduzione ad una scienza, trattazione scientifica in genere (D. A., S. Emp.). KOTELOGYW, svelo a proprio mio danno (A. P*). mpoeıodyw, conduco entro prima — introduco, narro prima in uno scritto (Plut.*). éndrw, adduco ecc. — anche in senso trasl. (ad es. un'accusa, un voto) (Tuc., PL, Dem., Luc. ecc.); mi valgo dell'indueione (èraywyi) (Arist., Cl. AL); med., cito, allego (Sen., Pl); m attiro, alletto (Tuc., Luc.). napdyw, conduco allato; devio — travio, seduco (Pind., Tuc. ecc); inganno (Licurgo); corrompo (Sof.); applico tortamente (vôuov, Iseo): cf. napaywyń nei sensi di seduzione, inganno (Erdt., Dem.); pretesto (Plut. ecc.); trasgressione di legge (PL*); anche persuasione (id.*). Guváru, conduco insieme, unisco ecc. — ouvéye éavróv, raccoglie le forze (Plut.); espongo insieme (come scrittore) (Pl. ecc.); traggo una conclusione (Luc. ecc.): cf. Ouvaywyn con valore di conclusione logica (S. Emp.). Qui vuolsi ricordare anche &yuv, luogo d'adunanza, di lotta; adunanza, lotta — lite, processo (Pind., Erdt., Att.); sforzo, sollecitudine, affanno (N. T): cf. érwvio nelle significazioni d'ansia, angoscia (Dem., Arist.), angoscie di morte (N. T.); d:rwviZouar nel senso di lotto innanzi ai tribunali, ho una causa (or.); gareggio nel far rappresentare, anche nel rappresentare drammi (Ar., Dem.); disputo d'argomenti scientifici (PI.); tva Vioc, appartenente alla lotta ecc.; veemente (D. S., Longino) buokararbvitos, difficile a combattere — difficile a confutare (D. S.). Già gli antichi avevano saputo Scorgere nella citata significazione di pesare della rad. dr l’origine del senso d’ d£ıoc (1). Li seguirono i moderni (2). Qui giova addurre dE16w, stimo eguale, stimo degno (Pind., Erdt., Att.); onoro (tr.); stimo conve- niente, equo, giusto (Sof., Pl. ecc.); desidero, domando, esigo (Att.); non esito (PI. ecc.); oso (Erdt., Tuc., Sen. ecc.); reputo in genere (Erdt., Att.); pongo come proposizione certa e non bisognosa di prova (Plut.): cf. dEiwya (nell'ultimo senso testo cit.) (Arist. e filosofi post.) (3). (1) Et. M., 116, 1: “ dmò uerapopäc zu grou TOY lonv pomv éxévrwv , (cit. dall’ Ebeling, ad v. che traduce dog “ pondere cui par, quo quid compensatur..... n). (2) Curtius G., Grundz., n° 117, p. 171: * uvag d&oc, eigentlich uvav äywv. das gewicht einer mine habend ,. Prellw., ad v. Pochi ricorsero non felicemente ad altre interpretazioni etimologiche. Bene il Thomas (pp. 17-9) dimostrava come in Omero l'uso d'á&og sia ancora assai meno lontano dal valore primitivo che nella grecità posteriore e notava che di tale aggettivo il senso omer. & sempre “ aufwiegend, gleichwertig ,, non mai * würdig ,. Quest’ ultimo signifieato appare, giusta il Thomas, primamente in un frammento d'Aleeo, poi in uno di Senofane, in Teognide, in Pindaro, in Eschilo eec. "Avrá&oc, com’egli avvertiva, a cagione del suo ávrí, conservò assai meglio il valore fondamentale anche nell’uso traslato. (3) L'esich. Aere ` ppovri£a fu da alcuni etimologi ricondotto, non senza probabilità, alla me- desima rad. onde provenne il lat. düco, di cui è notissimo il senso trasl. reputo. Dal cit. debker non si vorrà disgiungere l'avv. évbukéwc, con sollecitudine ecc. (Om., soprattutto nell'Od. Es., Pind. coll'évbukéc che si legge in Ap. R. ecc. V. Vanicek, Griech.-lat. etym. wrtb., p. 364; Ebeling, ad v.; Prellw., ad v. Un verbo che, per ragioni etimologiche e semasiologiche, suolsi accoppiare con dYU, conduco e stimo, giudico, cf. lat. duco, è fréoum, precedo, guido — comando, son capitano (Ont, Erdt., Att.) ed CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 29 109. inui, mando ece: (1). &vinut, mando im su; lascio andare, sciolgo, libero (anche in senso trasl.), rilasso (in senso proprio) — eccito, stimolo (Om.); tralascio, rinunzio (Tue., Sen.); permetto (pr. att.); cesso da (npo®uniag, Eur.); rilasso (metafo- ricamente, tò dvewiévov tig YyWuns, Tuc.; tò távu &veiuévov, Luc.); &veois, rallenta mento — mitigazione (könng ecc., Plut.); sollievo (PL, Pol, ecc); rilassatezza, licenza (Pl. ed altri); rilassamento, quiete, languore (N. T.) (2). doinu, mando, getto via, fuori ecc. — paleso (0upóv ece., Sof., Dem.), depongo (figuratamente, sentimenti, inten- zioni ecc.) (Il, tr.); pretermetto, non menziono (Sof., Pl. ece.); lascio ad ale., quindi con- sacro (0e, PL*); concedo, permetto (Pl. ecc.). évvecin, insinuazione, consiglio, co- mando (Il, Ap. R. ecc.): évinui, mando dentro — suborno (fropac, Tuc.); infondo (un sentimento ecc.) (Om., Eur., Pol.). épinut, mando ecc. — eccito (Om.); comando (Pind., Sen.); concedo, permetto (Erdt., Sof., Tuc., Sen., Pol.); commetto (una causa a...) (Dem., Luc.); m’abbandono ad un sentimento (Eur., PL, D. A.); med., bramo (Att.); cò- mando (Om., tr., Ar., Tuc., Teocr.); concedo (Erdt., Sof., Sen. ecc.) (3): cf. épecig nel senso di tendenza, brama (Pl. Arist., Plut. ecc.); &perun, mandato, comando; consiglio, esortazione (ep. .Pind., GA preghiera (Pind.*). uedinui, allento — allevio (un dolore, Il); perdono (Erdt.); depongo (x6Xov, Om., Eur.); divento neghittoso (Om.); trascuro (Erdt., Sof., Sen.); rinunzio (ad un disegno, Erdt.); permetto (Erdt., tr. ece.). maptnu, lascio cadere accanto, allento ecc. — pretermetto (nel discorso), trascuro (Pind., tr., Erdt., Sen., PI., Pol., Plut., Paus.); rilasso (metafor., xéap ecc.) (Sof., Eur.); perdono (Ar.*, Fil.); med., attiro a me (con buone parole) (Sof.*, Eur.*); prego (Pl.*) ecc. Guvinu, mando insieme, metto insieme — odo, intendo, apprendo, riconosco (Om., Pind., Erdt., tr., Tuc., PL, Pol, Plut., Luc.) (4): ouveréc, intelligente ecc. (Pind., Erdt., Att.); intelligibile ino (Erdt., Att.). Esso, avverte lo Schmidt (Syn., n° 17, 3, = I, pp. 336-8), * pflegt..... ein bewussteres, Sicheres urteil oder ein auf sorgfältigerer prüfung der tatsachen beruhendes urteil auszudrücken, als vouiZewv; es ist also noch weniger subjektiv als dieses ,. Che questo senso trasl. postom. non siasi Potuto svolgere dal primitivo mediante l'idea di ‘pesare ’, estranea affatto a myéouo, già bene fu insegnato dal Thomas (pp. 39-40 — v. anche la precedente nota ove s'è toccato del senso metafor. d'äyw). Incerta è anche I’ origine di ńyéoua. Il Darbishire (Notes on the spiritus asper in greek, London, 1889, estr. dalle Transactions of the Cambridge philol. Society, III, 11, p. 96) scriveva: * The notion that fyéoua is the causal of ğyw is a mistake. It is the causal of a root iag which appears in skt. (nbntg.) as 7j, and as yaj. The original sense of ‘set in motion, move’, is retained by % And fyréouu, but yaj is specialised for the sense of ‘ move by sacrificing’ ,. In tal caso pub non essere inopportuno il ricordare quanto sopra fu supposto come non improbabile intorno all'origine del senso trasl. d’äyw. Ma ben altra etimologia fu ed è ancora proposta di ńyéoma (Ebeling, ad v.; Prellw., ad v.) secondo la quale deriverebbe dalla rad. sag, rintracciare (cf. lat. sägio, ted. suchen): m questo caso il trapasso dal senso proprio al figurato bene s'illustrerebbe mediante paragone col lat. sagus, sagax. (1) Lo Schmidt opina che questo verbo indichi un moto non ‘ di natura speciale ', ma ‘in una direzione determinata ° (Syn., n° 104, 4, — III, pp. 158-7). (2) Schmidt, op. cit., n° 111, 2, — III, pp. 263-4. (3) Il med. &pieuan, bramo, è il principale degli argomenti, per lo più ora poco pregiati, con cui G. Curtius tentò dimostrare l'identità radicale di inui, mando, e di teuot, bramo, che presente- rebbe, in tal caso, un notevole esempio di svolgimento di senso traslato (Grunde, pp. 401, 604-6). Gli etimologi odierni riferiscono teuo (od i-) bramo (da Fleuot) ad una radice vei: Prellw., alla voce teuot; Vick, Vgl; wrtb, I, p. 124. (4) IL Thomas (pp. 92-4), dopo avere avvertito quanto sia antico in greco il senso metafor. di questo verbo, senso che appare già predominante in Omero, mette opportunamente in rilievo l'affi- (n. 109) rre nae sense nen ste era e gi (n. 109—115) 30 DOMENICO PEZZI (Teogn., Erdt., Arist.); cf. ouverew, -iZw. kaOupinm, lascio andare alcunchè (per guisa che giunga illegalmente a stranieri), abbandono, tradisco (Dem.) ecc. 110. neunw, mando (1). moponeunw, mando allato, mando oltre, lascio passare; accompagno, conduco — non curo (Dem., Pol., D. S. ecc.); do a, abbandono a (metafor., éaurdv móroig xoi ovoci, Plut.). únonéunw, mando giù — mando segretamente, con ufficio occulto, insidioso ecc. (Tuc., Sen., Lis., Plut. ed altri). nounn, l’in- viare ecc. — disposizione, impulso (per parte di dei) (Erdt., Eur., Plut.). ToNreia, processione — beffe, motteggi (permessi in certe processioni) (Dem.*): cf. roumesw. Idee di moti impressi con particolare energia ecc. 111. mavdw, fo errare, traggo lungi dalla meta — travio (metafor.), seduco, inganno (Sof.*, PL, Dem., Arist: pass., erro (in senso proprio) (2) — erro (in senso figurato) (Esch., Sof., Isocr.); digredisco (Sen., Pl); sono incerto (Pl.); pecco (N. T.). C£. mAavn e voomAavüe, che è pazzo, che rende pazzo (Nonno*). 112. diwkw, metto in vivo movimento; perséguito (8) — vo dietro con brama WE, Es*, Arch.*, Teogn.*, Pind., Att.); tengo dietro col discorso ecc. (Pind.*, Pl., Sen.); accuso in giudizio (Esch., Erdt., Ar., or., Pl., Sen., Plut.); vendico (Eur.). diwäig, persecuzione — il tendere con brama a (Pl, Plut.) accusa (Dem., Plut.). 118. eneiyw, premo, spingo — med., tendo vivamente a, bramo (Om.). 114. oun, metto in movimento, stimolo (4) — eccito, suscito (xoAuóv, IL; dperdg, Pind); maltratto, ingiurio (Dem. ecc.); procedo oltre (anche in senso morale, Ze mácav xox6tnta, Erdt. ecc.). 115. 06w, “ feror cum impetu , (5) — infurio (Om.): cf. Obvw. Oviác, aggett., delirante (Timot. in Plut., Ap. R.); folle d’amore (Licofr.); sost., la delirante, l'ispirata, la baccante (Esch., Ap. R., Plut. ecc.). Ouu6s, animo (soprattutto in quanto sente e s'appassiona e tende con forza a manifestare questo suo stato (6)). emiduuew, bramo nità ideologica fra tale composto e ouuBdAAw, ouvriónu:. * Es handelt sich überall ursprünglich um ein tellen, zurechtlegen der von aussen zukommenden eindrücke in den sinnen oder im geist oder in beiden zusammen... „. Lo Schmidt scorge significato in ouviéva il combinare che fa lo spirito da sè solo, indipendentemente dai sensi (Hb., n° 111, 10, pp. 674-5). (1) Esso © unterscheidet sich von févar durch die deutliche bezihung auf “den endpunkt”, (Schmidt, Syn., n° 104, 5, = III, pp. 157-8). (2) Aut. cit., op. cit., n° 32, 3, 5, =I, pp. 551-6. (8) Pongo in moto uniforme non insolitamente rapido, giusta lo Schmidt (op. cit., n° 103, 14, — III, 148-9). Per lo più nell interpretare questo verbo si dà risalto all'idea di ‘rapidità `. V. Thomas, pp. 34-5, ove si mostra come siasi svolto il senso d’ ' inseguire' dal significato primitivo cui si venne sempre più aggiungendo l'idea d’ ‘ intenzione ostile’ e come da quel senso siano provenuti i traslati. (4) Tra äyw ed èXaivw v'ha, osserva lo Schmidt (Syn., n° 105, 4, = III, p. 174), la differenza che il primo rappresenta più spiccatamente l’idea di ‘forza estrinseca imprimente moto’, il secondo ritrae in modo più vivo la ‘velocità’, la ‘ potenza del movimento comunicato, la ‘lunghezza della via’. (5) Ebeling, ad v. Ma questo che nel Lex. hom. è dato come senso traslato è manifestamente il fondamentale: cf. ant. ind. dh, scuotere, gr. Overa ecc., e consulta G. Curtius, Grundz.5, n. 320, pp. 258-9, ove bene si pone come primitivo il significato “ einer heftigen bewegung ,, onde trassero origine tre sensi assai distinti fra loro, dal primo dei quali (^ brausen — erregen ,) provenne “ die geistige bedeutung ,, come senso traslato che tosto vedremo. Cf. Schmidt, Syn., n° 55, 3, — II, pp. 224-6; n° 174, 3, = IV, pp. 230, 1; Prellw., ad v. (6) Così lo Schmidt, Hb., n° 109, 5, pp. 635-7; Syn., n° 147, 3, = III, pp. 624-7 ; n° 142, 4, 5, = III, pp. 556-8. Ouuóc è pertanto, in ispecial guisa, passione, un moto forte di tutto lo spirito, moto ch'è UONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 31 (Erdt., Att.). évevpéopai, prendo a cuore, considero, rifletto ecc. (Esch., Ar., pr. att.); provvedo (con un, PL); ho l'animo eccitato (Ipp.): cf. évavunpa nel senso notissimo d'una sorta d'argomentazione (Arist., Cic.). TopevOuuéouai, trascuro, disprezzo (M. Ant., Filone). 116. xéMw, spingo: cf. kéime, cavallo celere, piccola nave veloce. Ke\evw, spingo (21.4 (1)) — eccito, esorto, comando (Om. e post.); anche approvo, permetto (Tuc.*, Lis., Sen.); desidero, prego (I1.*, Od.*, Tuc. ed altri) (2). xeAouoı, incito, esorto, comando (Om.). Dalle citate parole parmi non potersi separare xóAa£, adulatore (Dem., Arist. ecc.), con koXaxesw, adulo, inganno adulando, sebbene ora se ne giudichi incerta l’origine (3). 117. öpivw, metto in moto — eccito (con vari affetti), perturbo (Om. e poeti post.; Öpıvaevreg, sgomentati, Od.). öpvunı, muovo — desto, produco (certi stati psichici e le loro manifestazioni) (Om. ed altri poeti); eccito a fare..... (Od., Pind., Sof.). 118. öpun, moto violento, impeto, assalto — istinto (4), brama (Od., Erdt., PL, Pol., Luc.): cf. épudouor nel senso traslato di moto intimo di brama (Erdt., Tuc., Pl. ecc); épuaivw nel significato di medito (animo volvo) (Om. ed ep. post.); bramo (epigr. om*); àpoppń, punto di partenza ecc. — avversione, dissuasione (contrapp. a ôpuń negli Stoici, Plut., S. Emp.); eùdpoppos, facile a difendere, a scusare (scol., Scrittori eccl.). 119. òtpivw, metto in moto rapido — eccito, incoraggisco (Om., Pind., tr.). 120. mé, scuoto, vibro (5). avrinakog, vibrante o vibrato contro; che fa con- trappeso, equilibrio — avversario; indeciso (Eur., Ar., pr. att. (6)). 121. oeiw, metto in moto violento, scuoto — rendo inquieto (Sof., Eur., Ar., PL); eccito a (Plut. ecc.); vesso con false accuse (Antif., Aleifr.). dvaoeiw, scuoto — minaccio (Dem.); fo insorgere (D. 8., N. T.). diaceiw, scuoto — agito, confondo (Erdt., Dem., Pol, Luc); abuso dell'ufficio di magistrato, estorco minacciando (N. T.): cf., nell'ultimo Senso, dıaceıouösg (scol. Ar.). 122. oelw, metto in moto rapido (7) — &ooupoı, per lo più agogno (Om.). 123. ooßew, metto in moto rapido — pass., sono in moto violento (di passione, BUOUÈS cecofnuévoc, Longino); agogno (Plut.). ooßapög, rapido ed energico (8) — RE Le ne ee difficile dominare; è coraggio, anche sdegno subit , senza riflessione, principalmente nella grecità Postom.; è brama improvvisa, amore, piacere, compassione..... L'omer. Oupóc, insegna un altro filologo, bene completa col suo senso quello di ppéves (xatà ppéva x. katà Ouuôv): esso rappresenta tutta la vita umana di sentimento e di volontà; significa anche pensiero, ma più scarsamente e connettendolo ber lo più col sentimento e col volere. V. Schrader, Die psychologie des ält. griech. epos (Jahrbücher f. class. philologie, 1885, pp. 159, 164 ecc.). (1) Thomas, p. 46, ove bene si cita il udoriyı xéXevev (= &avve), che due volte si legge nell H. (xxn, 642; xxiv, 326). « (2) Perciò lo Schmidt attribuisce a xeAeóu l’espressione più indeterminata dell'idea di ` comando °: mehr als ein antreiben gefasst , (Syn., n° 8, 2-4, 11, — I, pp. 200-4, 214). (3) Prellw., ad v. V. Vanicek, op. cit., pp. 122, 125; Wharton, E. G., ad v. m “ Der innere trieb, der naturtrieb.... „ (cf. lat. appetitus): Schmidt, Hb., n° 122, 3, p. 778. 5 ) * Von gleichmässig wiederholten bewegungen , (Schmidt, Syn., n° 103, = III, pp. 134 e sgg.). (6) Aut. cit., Hb., n° 121, 5, p. 772. Intorno a Tuc. v. Corstens, pp. 105-6. (7) In moto unifor: te vivo, senz'impedimento: Schmidt, Syn., n° 103, 14-5, = III, pp. 148-9. (8) Aut. cit., op. cit., n° 48, 17, = II, p. 152. (n. 115—128) L (n. 123—128) 32 DOMENICO PEZZI altero, orgoglioso, pomposo (Dem., A. P.), cf. GoBapeóouo (A. P.*); nobile (del discorso) (Ar., Plut.). 194. onepyw, melto in moto rapido — Omépxouu, sono mosso da passione (Pind., Erdt., Eur., Call); sono adirato (Erdt.*). 125. onevdw, affretto, m'affretto — mi sforzo con zelo ecc. (Pind., Att. ecc.); sono inquieto, sgomentato (LXX). omovdn, fretta ecc. — zelo, diligenza, sforzo (Od.*, Pind., Erdt,, Att, Pol, Plut. ecc.); zelo per un partito, per una persona (Plut.); esercitazione oratoria (Fil); serietà, dignità (IL*, Tuc., Ar., Sen., Pl.). Cf. omovdalog, diligente (Erdt., PI. ed altri), serio, dignitoso (Sen.), moralmente buono (Sén., PI. ecc.), di persone; degno di cura, importante (Pind., Erdt., Att.), di cose: omoubáZu, ne’ sensi d’ opero con molto zelo (Att.); sono serio (Ar., PL, Sen., Luc. ed altri). 126. tapdoow, metto in moto agitando, disordinando (1) — disordino (in senso trasl.), inquieto, sgomento (Att. eccito (anche a sedizione) (Att., Plut.). 0páoou, rendo irrequieto. (Pind., Att., Arist.*). 127. tıvaoow, vibro, do un forte urto — "wácooyon, sono messo in timore (Plut.). 128. opdııw, fo cadere (2) (anche in senso trasl) — rendo incerto (Erdt.*); traggo in errore (Erdt., Att. (3)). Cf. cpakepôs e vooo gon (4). 128°. Wiw, urto — med., alterco (Erdt.*): cf. WBronög Aöywv (Erdt., Plut., Luc.). dıwoew, med., mi caccio a traverso; respingo — schivo, disdegno, rigetto (Tuc., Dem. ecc.); confuto (Pl.). &w6éw, caccio fuori, spingo — distolgo (Dem.); respingo, disprezzo alcuno (Sof.*). Tapwoéw, spingo da parte — sdegno, disprezzo (Kur.); celo, dissimulo (Sof.*); rinvio ad altro tempo (P1*). Tepiwoéw, urto all'intorno — vesso (Dem.*); respingo, disdegno (Tuc.*, Arist.). “ entweder eine aus verschiedenen personen oder tieren beste- (1) È un “ verwirren ,, vale a dire hende menge in solche bewegung setzen, dass die einzelnen individuen durch einander geraten; oder bei einem einzelnen. dinge die verschiedenen teile durch einander bewegen , (aut. cit., op. cit., n° 189, 6, = III, p. 516). (2) Con opdMeodgı si ritraeva “ den schwankenden gang namentlich des betrunkenen und dann das , straucheln * ..... » (aut. cit, ibid., n° 139, 7, = II, p. 518). 3) V. Thomas, p. 95, ove si nota che del significato metafor. täuschen, irren , il primo indizio trovasi in Esch. (4) Non è inopportuno far qui menzione del verbo Aavddvw (Afu) e d'altri derivati della mede- sima radice cui l'odierna etimologia comparativa attribuisce il valore primitivo di far cadere (v. Prellw., ad v., e ef. lat. Zabor ecc.). È noto come, nell'attivo accanto al senso proprio sfuggo, resto nascosto, stia l’altro sono ignaro, inconsapevole (con o senza accusat. di persona e con participio: abröv AavOáva ci mOU)V, fa inconsciamente, Att.; &dvdave Bóokuv, sottint. ÉWUTÉV, nutriva inconsape- volmente, Erdt.), e vi siano anche quelli di rendo immemore (IL*, Ort, Ap. R.) e dimentico Rigida, Plut*) (cf. labi memoria, Svet.). Quest'ultimo senso è notevolissimo nel medio (in Om. e nella grecità postomer., soprattutto nella poesia, meno frequentemente nei prosatori, Pl) vi s'aggiunga il signi- ficato trascuro a bello studio (IL* ecc.). Ahnen, dimenticanza (IL, Pind., Att.). Anoiußporog, che sorprende di nascosto, ingannatore (à. 0.*). ANONS, che non inganna, verace ecc. (Prellw., ad v.; Schmidt, Syn., n° 178, 6, = IV, pp. 290-2). Intorno ad dAdotwp, (che manda in ruina) — spirito vendi - catore (tr., com., Plut., Luc.), perseguitato da spirito vendicatore, ossia scellerato ecc. (Esch., com., Dem., Plut, EL), ed intorno ad dAaotos, di non certa significazione (v. Ebeling, ad v., ed Esichio), si consulti Prellw., ad v., ma anche Persson (op. cit., p. 226), che li disgiunge dalla rad. \G0 e D riferisce ad dAao- (cf. dÀamáZu). “ in irrtum bringen, täuschen — sich CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 33 Idea di * portare’. 129. BaotdZw, sollevo, tengo sollevato, porto (1) — lodo (Pind.); sopporto, tollero (N. T.). ouußaotalw, porto insieme — paragono (cf. confero) (LXX). 130. oiotés, sopportabile. Zëogroe, che si può fare conoscere (S. Emp.*): duoézor- OTOS, difficilmente spiegabile (Porf., ser. ecel.). ampoooiotog, inaccessibile, irresi- stibile: ouOnpóGoiwoc, intrattabile, insocievole (Sof.*); cf. &mpocotorue (Isocr.). 181. öxew, porto ecc. (2) — sopporto (Od., Esch.). 132. Zem, (presi su me, portai) — sopportai, resistetti (di fatiche ecc. dello spi- rito, non del corpo) (Om. e poeti post.); osai (ep., Sim., Pind., tr., Ar.; raro in prosa, Sen.*, Plut.*, Luc.*) (3). roAovreuw, muovo variamente (ora da una parte, ora dal- l’altra); peso — decido (Alcifr.*). TéAas, che sopporta, che soffre, infelice (i. o. tr., Ar); sciagurato (in senso di ‘biasimo’, Od.*); raro in prosa (Sen.*). Anuwv, tollerante, paziente, costante (IL, Pind., Esch., Ar.); ardito, temerario (Il, Esch., Sof., Plut.); infelice, funesto (tr., Sen., Plut.); (4). tóňua, ardire, temerità (Pind., Erdt., Att.), con roAudw, ne’ due sensi di sopporto e d'oso (5). ó-toc, il sopportare, il soffrire ecc. (Esch.*): órMéw (Ap. R., Licofr.). 133. pépw, porto — sopporto (Od. e grecità post. (6); porto annunzio, quindi rendo noto, profferisco ecc. (tr, Dem., Pol); miro a (yvwun pépa ecc.) (Erdt., Tuc., Pl. ece.): gpepopa, sono portato — sono indotto (da un forte impulso, anche interno) (Eur.). Cf. popé nel senso d’impulso, tendenza (&mi A6 TOUS x. puiocogíav, Plut.); di setta filosofica ecc. (Plut., Luc., S. Emp); qoptikóc, gravoso (solo im significazione trasl.), rozzo, goffo, volgare (Ar., Pl. Eschine, Arist. D. A., Plut, Lue. biapépu, porto attraverso; porto oltre — sopporto (Sof., Sen. ecc.); porto in varie direzioni — disunisco, metto in dissenso (specialmente pass. con fut. med., cado in disaccordo) (i. o., Erdt., Tuc., Sen., PI., Dem. ed altri); mi segnalo (Att., Pol, D. A.) ef. iapopd, didpopog, Adıdpopog (non diverso — indifferente, soprattutto nel significato stoico di ciò che non è nè bene nè male) (Epitt.), ünodıapepw (induco di nascosto a diverse opi- nioni) (D. C.). duopopew, porto a stento, malvolentieri — sono sdegnato, afflitto di... (Erdt., Att. D. S., Plut.); sono inquieto (Ipp., Arist., Plut.). émipépw, apporto — cito (Xérovrá n, D. S; assolut., D. A., App.); rimprovero (mi) (Erdt., Tuc., Eur., PI, D. C.): cf. émipopé nel valore di conclusione (S. Emp., D. L.). nato in giù — propenso (Plut., At. ecc.). > Katapepng, incli- ueTüpépw, porto altrove — porto notizia, . (1) Significa propriamente, giusta le ricerche dello Schmidt (Syn, n° 105, 8, = III, pp. 185-7), - einen. gegenstand fassen und heben....., und ihn so tragen und handhaben ,: poi prevalse l'idea di aufheben „ ed il verbo diventd equivalente ad alpeıv. (2) * In leichter und ungezwungenen haltung: ; (Schmidt, Sym., n° 105, 7, — III, pp. 181:5). (3) Aut. cit., Hb., n° 72, 3, p. 309. (4) Aut. cit., Sun, n° 188, 23, = IV, pp. 446-50. (5) Aut. cit, Hb., n° 72, 4, p. 310; Syn., n° 24, 3, 4, = I, pp. 427-9. (6) Il senso metafor. è, come avverte il Thomas (p. 103), ancora affatto sporadico in Om., già meno raro in Es., sempre più frequente nei meno antichi (Sol, Teogn., Esch., Pind. ecc), mentre T\fva non appare più nel senso fondamentale di portare. Lo Schmidt interpreta pépew, distinguen- dolo dal verbo teste citato, nel modo seguente: “ "genen natur, ° sgg.). etwas vertragen oder ertragen entsprechend der dem eignen wesen und karakter „ (Hb., n° 72, 5, p. 311; Syn., n° 105, 1-5, = III, p. 167 Serm IL Tom. XLVI. 9 erre secco (n. 199—188) $ (n. 188—184) 34 DOMENICO PEZZI fo sapere (App.); trasferisco il significato d'una. parola ad un'altra (Arist.). Tapa- pépw, porto a lato ecc. — allego come argomento (Erdt.*); porto oltre, porto via — traggo dalla via retta (PL), col pass. nel senso mi scosto dallo stato sano dell'intelletto (grado inferiore di delirio) (Ipp.); traggo da parte — storco (metaf., Aöyov, yvúuny) (Plut., App.); lascio. inosservato, trascuro (Dem., Plut.). trepıpepw, porto attorno — scompiglio, seduco (Plut.); anche persevero, sopporto (Tuc.*, Teofr., App., D. C.): cf. mepipopá nel senso di conversazione (Plut.*); edouurepipopos, affabile (D. L.*) ecc. mpoopepw, apporto ecc. — espongo, propongo (Erdt.); pass., mi comporto (Erdt., Sof., pr. att.). cuupépw, porto insieme, giovo — m’accordo con (Erdt., Sof., pr. att.). Üneppépea, orgoglio (LXX). Idea di * porre’. 134. form, colloco, erigo ecc.; (in altre forme. temporali) mi colloco, m'erigo; med., colloco per me ecc. — cf. oräcıg nei sensi di ribellione, di discordia (Batr., Pind., Sof., Sen.), con derivati notissimi. àviornm, (mi) fo sorgere — eccito ad attività UL sorgo — mi metto in sedizione (Erdt.). àpiotnu, (mi) allontano — (mi) rendo ribelle ecc. (Erdt., pr. att.); m’astengo, rinunzio (Att.) (1). diiotnui, colloco sepa- ratamente ecc. — distinguo (PI. ecc.); med., mi disunisco, m'inimico (1L*, pr. att., Plut): cf, per l’ultimo senso, didotaois (Tuc., Pl. ed altri) e dixootacia (Sol., Erdt., Dem. ecc.) (2). éviornut, (mi) colloco in..... ecc. — med., accuso, adduco preten- sioni giudiziarie (iscriz., Teofr.'in Stob.*), con altri sensi traslati: dieviotapo, sostengo fermamente (grec. tarda). èZiotnpi, (mi) metto fuori — levo di senno (Luc., Plut., N. T.); affascino (Bur.); fo stupire (Arist., Plut.); mi vergogno d’aleunche, rinunzio a, resto privo di, mi ritraggo da, dimentico (pr. att. ecc.); esco di me, vo in estasi (Arist.) ecc. Of. ékoracic in senso di rapimento di spirito (estasi, delirio) (Ipp., Arist.), di viva ammirazione (Longino, N. T.). épiotnut, (mi) pongo sopra; presso — pongo come soprintendente (Esch., Sen., PL, Dem., Pol); richiamo l’attenzione sovra un argomento (Arist., Pol, Plut. ecc.); comando (Arist.); rattengo, indugio (App.): cf. &pıoravu nel significato di pongo mente, pondero (Pol, Arr.); mpoepiomp, avverto prima (Pol.*). xagiommui, (mi) colloco, stabilisco — scelgo, eleggo (ad un ufficio) (Prat.*, Esch.*, Erdt., Ar., pr. att); istituisco ecc. (Att.): cf. Karéoraois come significante determinazione, volontà (Eur.*). mapiormu, (mi) metto accanto — paragono (Isocr.); mostro, dimostro (Lis., Pol., At.); induco a (Pol, Plut.*, Paus.); vengo in mente (Erdt., Lis., Pl, Dem., Dione Cris. Luc. ecc.): cf. tapdotacis in quanto esprime presenza di spirito, fiducia, risolutezza (Pol.); Vessere fuori di sè per una passione (Antifane, Pol.). GuvioTnui, (mi) metto insieme — presento, raccomando (Sen., PI. ecc.); lodo (N. T.); espongo, dimostro (D. SX, Pol); sono d'accordo con, sono o divento partigiano di (Tuc., Sen. ecc.). ópio, (mi) metto sotto — pongo (a me) come principio fondamentale (Sof.*, Pol); m’immagino, giudico (D. S.*, D. L., S. Emp.); m’assumo (Tuc. Eur., Sen, Dem.); (1) Intorno ad &pioranaı v. Thomas, p. 27. (2) A *dFı-ora-diw il Prellw. riconduce il dotdzw, dubito (Pl., Arist Plut), ch'Esichio inter- preta cosi: diotdze + dixovoeî, àmopei, &upıßarraı. Ma i derivati dotayuòs, dubbio (Plut., scol.), diota- vreée (gr), biordEuoc (scol.) non sono favorevoli a tale etimologia e possono far pensare a OTÓZU, stillo, gocciolo, cado giù. Intorno al di- v. sopra, 9. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 35 prometto (Om., Att.) (1): cf. ómóovaoig come designante intenzione, disegno, proposito (D. S); materia d'uno seritto (Pol.*); costanza, coraggio (id.). 135. otéMw, colloco, metto in ordine, mando (2); med., m'apparecchio; att. e med., in senso marittimo, ammaino ecc. — nascondo (otéMeodar tò ouußeßnköc, Pol); mo- dero (Aöyov aGxéAAeo0o1, contrapp. a.mappnoia opáZew, Eur.*; senza Aórov, Pol., A. P*); mi guardo da (per timore) (N. T.*); cf. order * poBeîra (Esich.). dIAOTÉAAW, separo — distinguo (Pl., Str.); determino, ordino (D. S.); comando (N. T.); med., spiego (Pol, Arist.); determino, illustro (Pl., Arist. ecc.); distinguo (S. Emp.). TEPIOTÉA AW, vesto (particolarmente un cadavere ecc.); copro, nascondo (anche metafor.) (Eur., Pol., Plut., Lue.) — mi prendo cura (Pind., Erdt., Sof, Dem.); proteggo (Erdt., Dem. ecc.). TPOCOTENNWw, accosto, appoggio: mpoceotaruévog, stretto, bene aderente (giusto alla vita, d'un abito) — semplice, modesto (P1). GuoTÉA\W, accozzo insieme, accorcio ecc. — umilio, disanimo (Eur., Isocr., Pl., Pol., Plut.). UmootéMw, traggo giù, contraggo, tiro indietro; med., mi ritiro — sono riguardoso, timido (per paura o reverenza) (Pl., or.); faccio, nascondo (Pl, Dem., Lue. ecc.). 136. tin, pongo (pongo stabilmente) ecc. — pongo in una classe, ascrivo, giu- dico (specialmente med., onde appare indicata la ‘soggettività del giudizio °, senso di cui v'ha già indizio nell'omer. ti © éXéryea rotrg Tißeode;, Od. XXI, 93, e che si svolge nell’atticismo ed in parte anche più nella prosa post., in varie combinazioni, ad es, con èv e dat. ecc., ed anche assolutamente); pongo un’asserzione, affermo, suppongo (Sen., Pl, Dem., Arist., Luc.); dispongo, comando (Om. e post.). Giova ricor- dare qui tosto i seguenti derivati della medesima radice: 0éua, ciò chè stato posto — argomento proposto (Quintil); Beuıc, lo stabilito dall'uso — il conveniente, costume, quindi diritto, legge (Om., Att.) (3), pena (Esch.*), cf. 0émotec, leggi, ordini di dei (Od., Pind.), @’uomini, sentenze (Il., Es., ep. post.), casi di diritto (Es.), con PeuiZw, giudico, punisco (Pind.); 0eouóc, ciò che è stato posto (4) — lo stabilito, principalmente per volere divino, per natura, o per uso antichissimo (Pind., Erdt., Sol.*, Esch. ed altri Att.) (5); 0€o1g, il porre ecc. — lo stabilire (Sen., PI., Dem. ecc.); proposizione (Pl., Arist. Plut., ret.; cf. 0&oıg éméwv, Pind., e 0écie, opera poetica, Alc. in E. M.), con dAecia, incostanza, violazione di fede (Pol, D. S.); 0eróc, posto, con dBetéw, abrogo (Pol., D. S. ecc.), non consento (Pol), dichiaro illegittimo (Luc.), e con duoderew, metto în cattivo stato (anche di spirito), pass. sono mal disposto (Pol). Notevolissimi sono i composti di ti@npi con prefissi. dvationui, pongo sopra — attribuisco (Il., Pind., PL, Pol); commetto, affido (att. e med., Tuc., Ar., Pl, Pol, Plut.); espongo, spiego CN. T) appendo ad onore d'un dio, consacro (Pind., Erdt., Att., Pol., iscrizioni); col- (1) Schmidt, Hb., n° 16, 1, p. 68. (2) Mando uomini autorevoli per mettere in ordine, onde si svolge un senso simile a quello di Feu : così interpreta uno dei valori di questo verbo lo Schmidt, Syn., n° 104, 6, = III, pp. 158-60. (3) “ Das ewige, göttliche gesetz, jenes ungeschriebene und von anfang bestehende , (Schmidt, Syn., n° 18, 1, — I, p. 848 ece.). (4) Il senso materiale primitivo appare ancora mella glossa esich. Gegugde vóuou(c) PBelouc. À Tag cuvOécetg r&v EvAwv, citata dal Thomas (v. pp. 41-8, soprattutto le osservazioni intorno al vero significato, ch'egli col Döderlein e coll'Ameis giudica non ancora metaforico, di 9ecuóv nell Od., xxur, 296). (5) Oltre al 1. c. del Thomas si consulti qui Schmidt, Syn., n° 8, 8, = I, p. 210. (n. 134—136) BT (n. 136—137) 36 DOMENICO PEZZI loco in altra guisa, muto ordine — cangio opinione, ritratto (Sen., PL, D. A.); diffe- risco (att. e med., Sof.*, Pl. e post.): cf. àvá6nua nel senso di dono votivo (Erdt. e post.), qualsiasi monumento ricordante alcunchè (copias, Pl), ed àvá0euo, come signi- ficante ciò che è stato dato, consecrato ad una divinità, onde il noto senso religioso della parola (1) (N. T., scr. eccl.). diatinu, colloco qua e là, dispongo, ordino — pongo in una disposizione di spirito (Att.); med., spiego, espongo (Str.); determino, con- vengo con (Ar., PI., Sen.); determino per testamento (PI. ecc.): cf. Snéfege, ekrionn, pongo fuori — pubblico (marm. oxon.); spiego, racconto (Pol*, Plut; med., D. S.*, MU enıtiönm, pongo sopra — impongo (trasl., Guten, Il; Znuiav occ; Att.); commetto, affido (Erdt., Dem.); med., incarico, comando (Brdt., Àt.*); m’impongo (trasl., v. sopra) (Esch., Tuc.); tendo, desidero (Arist., Plut. ecc.). xororíónui, depongo — propongo una tesi a disputare (Pl. ecc.); med., metto da parte, non considero (PL); metto in iscritto (Pl.). ueroríónpi, metto fra, trasporto ecc. — fo mutar sensi a taluno (Pol, Plut.); med., muto opinione (Eur., Tuc. ecc.) pero0fÉuevog è um filosofo passato da wn sistema ad un altro (D. L., At.). napariönu, pongo accanto, pongo dinanzi — espongo, spiego (Sen., Iseo); dimostro (N. T.); confronto (Isoer., Plut., Luc.); tengo conto (iscrizioni); cito, allego (D. A., Plut.; med., PL, At.) mpotiônu, pongo innanzi — rendo noto, divulgo (Sen., D. B., Plut., Luc.); propongo a deliberazione, votazione (Erdt., pr. att., D. S., Plut.); determino, comando (Sof., Erdt.); med., mi pro- pongo una cosa (Tuc., PL); dichiaro (fx0pow ecc., Erdt., Tuc.); preferisco (Erdt., Sof., Bur.). TPOOTIANNI, pongo vicino a ..... ecc. — commetto a (Erdt., Eur.); aggiudico (i. o., Esch.) ece.; med., mi concilio alcuno, fo de miei (Erdt., Tuc. ecc.); mi metto dalla parte d'uno, mi fo de suoi (Erdt., Att): cf. Ampooderew, non sono d'accordo (DSL: ouvtionyi, metto insieme — macchino astutamente (Sof., Tuc., PL); compongo . (lavori letter.) (Tue., Eur., PL); paragono (Dem., Plut.); congetturo (Pol.); med., raccolgo nello spirito, osservo, fo attenzione (Om.); m’accordo, patteggio con (Pind. Erdt., Eur., pr. att.); m’impegno, m’obbligo (Sen., Plut.). ünoTiOnmt, metto sotto — pongo come tesi fondamentale (Pl); med., suggerisco, consiglio, in genere comunico, mostro (Om., , Erdt., Tuc., Ar.); m’incarico (Andoc., Sen.); suppongo (Pl.); opino (D. A.*); m'im- magino (Filone ecc.) fo oggetto di discorso (Luc.). 137. Ai precitati verbi corrispondenti all'idea di ‘ porre ° s'aggiunge Téoow, pongo in ordine, assegno un posto — incarico alcuno d’alcunchè (Erdt., Att.); annovero alcuno fra... (Sen., Eschine, Dem.); stabilisco, pattuisco (Erdt., Att.) (2). dTaKTOG, disordinato (fuori dell'ordine di battaglia) — non osservante il dovere, irrequieto, intem- perante (Erdt., pr. att.): cf. eüraxroc. emrdoow, pongo, ordino sopra — incarico, comando ecc. (Erdt., Att.) (8); med., mi lascio comandare (Eur.*): cf. ederritaxtog, obbediente (A. P.). maparácou, ordino l'uno accanto all’altro — paragono (Isocr.); (1) Il significato “ rei... sive Deo, sive diris devotae , (Thes., ad v.: cf. quanto vi si legge intorno al divario di valore fra dvdönua ed &vddena). (2) Giusta lo Schmidt (Sys. n° 8, 9, = I, p. 210) Tdooeıv è ^ eine bestimmte stelle geben. fehlen oder anordnen in rücksicht auf einen bestimmten platz, eine bestimmte stellung oder verhà anderen gegenüber, z. b. wo leistungen in verschiedener weise verteilt werden Së be- (3) Come émréooav, così anche mpoorécoav significa, nota lo Schmidt (Hb., n° 13, p. 54), “ als feststehende, in dem bestehenden verhiiltniss als untergebener begründete pflicht remi » CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 37 med., mi colloco rimpetto o contro — m’oppongo (Pl). ^ cuvrácqu, metto insieme ecc. — compongo (un libro ecc.) (Pol, Plut. ed altri; med., PL. Pol, D. AJ; macchino, ordisco maliziosamente (Dem.); prescrivo, comando (Sen., PL, Dem., D. S., Plut.); med., mi melto d'accordo con (Dem., Pol.). Idea di * versare ’. 138. onevdw, verso, libo — med., fo un patto, m'unisco, mi riconcilio (con solennità di libazione) (Erdt., Eur., Ar., pr. att., Plut. ecc.). 139. xéw, verso. àváyuOtc, i] versarsi o lespandersi — rilassatezza (N. T.). dlaxew, diffondo, sciolgo — pass., mi rassereno, divento allegro (Pl., Plut., Luc. ecc.). OUYXÉW, verso insieme, disordino, confondo, distruggo — perturbo ecc. (dvdpa, Ouu6v) (Om., Erdt., Eur., PI., Plut. ecc.); istigo (Pol.) (1) í Idea di * gettare ’. 140. BáAu, getto, colpisco ecc. Béhoc, ciò che si scaglia come arma — ciò che fa rapida e profonda. impressione sull'animo (ad es. parola che ferisce) (Esch., PL); ten- tazione (N. T.). äupiBélu, getto intorno ecc.; getto qua e là — dubito (Pol., El. ecc.): Cf. uppoa, posizione, condizione dubbia, angustia — doppio senso, dubbio (Plut., Lue. ece.). dvriBaMNw, getto incontro o contro — paragono (Str.): cf. dvuBoMéu, vengo incontro ecc. — mi getto incontro, supplico (Lis., Sen., com. ed altri); mpoo- AvTIBANNWw, paragono con (scr. eccl). àAmopaQMuw, getto via, giù — getto con disprezzo, disdegno (PI., Sen. ecc.); anche dimentico (Erdt., Att.). d1aBGAAW, porto o conduco attraverso, al di là — discredito, calunnio, rendo odioso (Erdt., Ar., Tuc., Lis., Sen., Isocr.); sono adirato contro alcuno (Tuc., Pl. ecc.), inganno, soprattutto com parole (Erdt., Ar., PL). eioßoAN, invasione, assalto, ingresso — esordio d'un discorso o d'uno scritto (Eur. Ar. Antifane, D. A., Longino). éxgáilu, getto da, via — rigetto con disdegno, disprezzo (A6vov ece., Pl): cf. éxBoM| Aöyou, digressione (Tuc.*, Arr.); TapexBo\n, scelta e raccolta d'osservazioni altrui sopra uno scrittore (post.). èuBéMw, getto dentro o sopra ecc. — infondo (metaf., fuepov, uévoc, ÉmOuuiav) (Om., Sen. ecc.). emBáMu, getto o pongo sopra; mi muovo celeremente verso — volgo l’attenzione (tivi M. Ant); èmiBaMer (uoi mi, o coll'infin.), conviene, è dovere (Erdt., pr. att., Plut.); med., mi getto sopra ecc.; tendo, agogno a (Dem., Arist.); imprendo (PI., D. A. ecc.); mi Sforzo (Dem., D. S.); m'assumo (Tuc.*): cf. émgoM| nei sensi di pena stabilita (Ar.); Vosservare, l'apprendere (Epic., S. Emp.); lintraprendere, il proporsi ecc. (Tuc., Pol. ed altri. —kataB&Mw, getto giù ecc. — rigetto, disprezzo (Erdt., Isocr., Arist., Plut.). HETOBGAAW, rivolto, muto — cangio opinione (Erdt.*, Eur., Plut.; anche med., Tuc. ecc.). REEL (1) Non manca chi congiunga con xéu un verbo che il Prellw. dà come voce d'oscura origine, vale à dire XWouat, sono o divento sdegnato, anche perturbato (Om., soprattutto Zl, Ap. R. ed altri ER, post, Call) “ Es bedeutet die schmerzhafte erregung durch eine person oder durch einen vorgang, Segen. welche wir als die ursache derselben eine feindselige stimmung erhalten; und somit fliessen in dem worte gleichsam die begriffe von dolere und irasci in einen einzigen zusammen , (Schmidt, Syn., n° 142, 13, = II, pp. 567-9). Per l'etimologia della parola si consulti G. Curtius, Grunde., p. 205; anicek, op. cit., p. 263; Wharton, E. G., ad v. Il Curtius nota: ^ Schon Aristarch erklürte xwóuevoç diesem sinne mit ouyxeöuevog (vgl. confusus animo) Lehrs Arist) 145 » Il Wharton in- erpreta xWou con * am angry, ` burst forth’ y Zürnend in t (n. 137—-140) (n. 140—143) 38 DOMENICO PEZZI naMpfohoc, (che abbatte di nuovo) — mutabile, incostante, falso, maligno (Pl. Eschine, Plut.). napaßáMw, getto accanto, da parte ecc.; metto accanto — paragono (Erdt., Sen., PL ed altri) cf. napapındnv (dyropeuwv), di sbieco, in senso non naturale, ingan- nevole, derisorio (Om.*) (1); rapagMic, impazzito (Man.). TepiBaMw, getto intorno, avvolgo; med., mi getto intorno, m’avvolgo, mi vesto, mi copro — uso giri di parole (PL*): ef. mepiBoMj, in senso d'agognare (Sen.), intenzione (Isocr.*). mpoBd\lw, getto o pongo avanti — propongo (problemi ecc.) (Ar., Pl, Plut.) med., uso come pretesto (Tuc., Esch.); cito (ad esempio, a teste) (Erdt., P1., Isocr., Dem.); propongo ad un ufficio (Sen., PL, Dem.); mi propongo (per lavoro, Es.*); getto via con disdegno, disprezzo (Plut.); accuso (Sen., Dem., Pol) cf. npofoM; GupBáAAu, getto insieme ecc., con- giungo — metto insieme (col pensiero), paragono (Erdt., Plut., Licurgo); considero (Sof.), congetturo, riconosco, interpreto, conchiudo (Pind., Sof., Eur.; med., Erdt., Pl); med., computo (Erdt., anche pass.); fo un patto (Sen., PL, Dem.) (2). úneppáňiw, getto al di sopra, al di là — eccedo (anche in senso trasl.) (Pind.*, Tuc.* ed altri) (3); indugio (Erdt., Pl). ÜTOBGAAW, getto o pongo sotto, somministro — ricordo (Sen., Eschine, Dem.); suborno (App.*): cf. ómógAnrog e particolarmente ómofo|. emeoßökog, che getta parole attorno a sè, sfacciato, malédico (IL): éneogoMa, cicalto (Od.*), ingiuria (Man., Qu. Sm.), poesia ingiuriosa (A. P*): cf. émeopoMon..... * Aoıdopian. mr(iu)oers. moAvXoyiaı. kakohoyiar, ed émeopóhog..... ` Aofoopos. npó[Auwocog ` Toig émeo: BaAAwv (Esich.) (4). 141. fintw, getto (anche trasl., tr.). dimtdZw, scaglio frequentemente o ripe- tutamente qua e là, soprattutto maltrattando (11.) (5): fimtaopòs, il gettarsi qua e là, irrequietudine — agitazione d'animo, affanno (Plut.). ómoppimru, rigetto, disprezzo (Esch., Erdt., Dem., Plut.). fiwavynv, alzante la cervice — animoso, baldanzoso (Pind.*). fuy6paauos, che getta sguardi frequenti — bramoso (tarda grecità). c) Altre idee di movimenti (v. sopra, p. 27, nota 1). Idea di ‘toccare `. 142. Gvrrévw, tocco (6) — tocco parlando, commuovo, affliggo, offendo (Esch., Eur., Plut.). _ &dıktog, intatto — incorrotto (Esch., Plut.); intangibile, sacro (tr.). ^ eg: roc, che tocca, che colpisce nel segno — spiritoso (Pol, At.); atto, destro (Arist., At.). 143. uoiouaı (7), cerco (Od. e post.; meno usato in prosa). uorudw, bramo; (1) * Subdole lacessendo ,, Ebeling, ad v. Vedi ivi le varie interpretazioni proposte da vari filo- logi, fra le quali è stata sopra addotta quella che più pare probabile, del luogo omer. cit. (JL, rv, 6). (2) V. Thomas, pp. 91-92. (8) Aut. cit., pp. 102-3. (4) Forse non è inopportuno citare qui il verbo okuBaMZw, rigetto con disprezzo, sdegno (Pempel. in Stob. D. A, LXX ed altri post.), d’incerta etimologia (Vanicek, op. cit., p. 1122; Prellw., ad v.). (5) Schmidt, Syn., n° 104, 3, — III, p. 153 ecc. (6) Secondo l'aut. cit. Orrávew “ muss... eigentlich ein solches fassen bedeutet haben, durch welches man absichtlich einen bestimmten druck ausübt, um so auf den gegenstand eine bestimmte ein- wirkung auszuüben „ (Hb., n° 106, 6, p. 603). (7) Per lo studio del primitivo significato di u. è molto notevole il comp. èmuaiopar, tasto — esamino (Il), tento di conseguire, tendo a, aspiro a (Om., Arato, Teocr., Orf.). V. G. Curtius, Grundz", p. 312; Prellw., alle voci maiou, uatebw. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 39 infurio (IL, Sof., Teoer., Orf. ecc. uatedw, cerco (IL, tr.); investigo (Ar., Teocr.); agogno a (Pind., Sof): cf. uaoteüw (nao-T- = pat + -T- suff.). 144. xpoívu, passo sopra qualcosa, lambisco, sfioro (1); coloro, macchio — conta- mino moralmente (tr., Pl); ingiurio (Eur., EL) (2). Idee di ‘ fregare ` * grattare ° ecc. 145. teipw, fregando consumo — affliggo ecc. (Om., Esch., Pind., Eur., Ar., pr. post.). Topóc, che penetra, che trapassa — intelligibile, chiaro (Esch.); topic, esat- tamente (Eur.: cf. tpavng (Sof, Arist., D. AA &reipric, non consumabile, durevole — indomabile (Om.); senz'amore (Teocr.). &répauvoc, non facile ad ammollire, duro — inesorabile (Od., Eisch.). Altri verbi appartenenti alla medesima radice: TPÜW, consumo (fregando), vesso, cf. Tpuodvwp, che travaglia, che affligge l'uomo (add, Sof.*); TPÜXW, consumo (fre- gando), molesto, tormento ecc., rpóxouat rivos, languisco di desiderio di (Ar.*); molto probabilmente anche tnpéw, osservo (Eur. pr. att.); guardo per proteggere ecc. (i. o., Pind., Tuc., PL, Dem., N. T.); spio (Erdt., Att.); mi guardo (con uf, ecc.) (Ar., PI.) (3). 146. tpiBw, frego, trito, logoro, consumo. — pass., moccupo di (Teogn.). Tpi- Bakóc, consumato ece.; pratico di (Gal); scaltro (scol.). tpıßn, fregamento ecc. — esercizio, pratica, destrezza (Pol.). tpíBoc, via molto battuta ecc. — occupazione con- tinuantesi (Tpp., Aret.); esercizio, destrezza, abilità (RON)? Tpigwv, abito logoro — simbolo di vita filosofica (Eur.*, Fil., Tem.); esercitato, uomo scaltro (Ar., Luc.) (cf. tpiupo). Gugirpifric , astuto (Archil.). diatpiBw, trito, consumo — indugio, tardo (Il, Ar., pr. att.; med., Ap. R.); perá mvoc, m'intrattengo con alcuno (Sen., PL); m'occupo di (pr. att., Lue.) differisco (Om., Ar., PL); cf. dtarpıpr nei sensi di studio, colloquio (soprat- tutto scientifico), insegnamento (PI. ecc.), passatempo (Ar., Plut. ecc.), dissensione (D. An Enirpimtog, consumato — astuto (con idea di ‘ biasimo ’) (Sof., com., Luc.). Tühvrpiffie, ripetutamente sfregato — ostinato, maligno (Sim.), o scaltro (Sof.*). napa- Tpißw, confrico — med., vengo a contesa (Pol.). mpootpiBu, frego a, contro; fre- Jando comunico (soprattutto med.) — attribuisco, rimprovero alcunchè ad alcuno (Dem., Plut.; att., D. L.*). ouvrpifw, frego insieme, o l'uno all'altro; trito ecc. — pass., cado in confusione, perturbazione, angoscia di spirito (D. S., Luc.); mi pento (N. T.): cf. ouv- TB, umiliazione (LXX). Notisi infine mouborpiBéw, esercito fanciulli nella lotta — @mmaestro (Dem., Plut.); esercito (in genere, ri), aspiro a (tupavvida, Plut.). nt 5 (1) Per lo più si scorge nella significazione di xpaivw un'idea di ‘leggerezza ^: ma intorno a cò V. Schmidt, Syn., n° 10, 10, 12, = I, pp. 238-9 e 243. Vi si nota come, più che l'idea di “contatto ' Vi domini quella dell’ “azione” da esso esercitata. (2) Fra i verbi che, almeno primitivamente, significarono toccare, quindi anche turbare, guastare, v'ha anche quello che in greco ci si presenta nella forma d’hrov, dAtraivw (v. G. Curtius, Grundz”, bp. 557; Fick, op. cit, I°, p. 533; Prellw., alla voce dAettng). alıralvw è pecco (Om., Teogn., Bech, Ap. R., Opp.); erro, manco (Call): si dice principalmente di ‘ colpa contro divinità ' (Schmidt, OP. cit, n° 177, 2, = IV, p. 275). Circa ad dAettns (Om.*, Ap. R.* v. Ebeling, ad v.: per quanto Concerne l'eol. (?) &Aoirng si consulti Hoffmann, Die griech. dialekte, II, p. 426. Cf. vmAetribec ` dva- Häptnror (0d.*): v. Ebeling, ad v. (3) Of. ant. ind. tards, penetrante, sonoro, scintillante, anche salvatore. Indi appare per qual via questo verbo sia potuto giungere alla propria significazione, che lo Schmidt reputa probabile do- Versi far consistere nel concetto d’una “ dauernde oder sorgfältige beobachtung , (Syn., n° 208, 4, — IV, PP. 686-8), (n.143—146) (n. 147—155) 40 DOMENICO PEZZI 147. yáw, frego, raschio (1). xatayáw, liscio colla mano, accarezzo — adulo (Erdt., Ar., Sen., Pl, Pol. ecc.) Con yáw, si suole connettere yihóç, spelato, privo di quanto era attorno, nudo — senza prove od esempi (Dem.*, Pl); in astratto (P1.*) ecc. (2). 148. xviZw, scalfisco, gratto, raschio, solletico — produco un’eccitazione sgradevole d'animo ecc. (Pind., Erdt., Sof., Eur., Ar., Plut., App.); pass., sono perturbato (so- prattutto da amore) (Eur., Teoer.*, Luc.*, App.): cf. «vıouög, nel senso di stimolo, principalmente « gelosia (Alcifr.). Etimologicamente affine alle voci ora mentovate è xvimeío, spilorceria (grecità tarda). 149. okapipéoum, raschio leggermente la superficie d'un corpo; disegno con una punta, abbozzo — fo alcunchè superficialmente o di volo (less., scol.); cf. okapipiouéc, cosa fatta con poca cura (Ar.*). 150. xapácow, rendo affilato od acuto; raschio, intaglio, imprimo — irrito, esa- cerbo (Erdt., Eur.); eccito (Plut.): xapaxthp, strumento d’intaglio, intagliatore, impronta, proprietà impressa ecc. — stile proprio d’uno scrittore (Plut., D. A. eco.) (3). Idee di ‘ premere ', di ‘ pungere `, 151. OMBw, premo; opprimo — molesto, irrito (Plut., Luc.). 152. matéw, calco coi piedi — tratto con disprezzo (IL, Ap. R., Att.): cf. nepi- natog, passeggio — conversazione fatta passeggiando (Ar.*, Bat. in At.*); scuola filosofica (Plut., Luc.) 152°. méZw, premo; angustio (4) — affermo con insistenza (Pl., Pol.). 153. otéußw, calpesto — maltratto (Eust.). oreuféieu ` Aordopeiv, yAeuóZew (Esich.). o1ópoc, Vingiuriare, anche il vantarsi (Lieofr.*); 0T6Bog ` Aowbopia, óveibog (Esich.): otoßáčw, -éw, ingiurio (less.); grobdie ` KaxoNoreîv (Esich.). dotéupaxtog, non oltraggiato (Eufor.) (5). 154. vócou, premo con istrumento acuto, pungo, urto. xatavioow, traforo. — affliggo vivamente (LXX, N. T.). mapavócou, inquieto segretamente (Luc.?). 155. roixwpüxos, che fora la parete, che invade una casa, ladro — mariuolo ecc. (Ar. ed altri com., Plut. ecc.). (1) Per i verbi che hanno comune l'elemento radicale wa anche lo Schmidt pone come il più probabile senso fondamentale quello di “ reiben ,, accanto a cui appariscono qua e là i significati particolari di " streichen , e di ^ zerreiben , (Syn., n° 10, 2, = I, p. 226). (2) Alla radice di cui trattasi ben si pub ricondurre anche ca0póc, corrotto, putrido, vano (cf, senso, woOupóc, fragile, molle ecc.) — mendace (Pind., Erdt., Eur., Dem.). Se veramente ebbe in origine il senso di lisciare, accarezzare; vuolsi far qui menzione anche di ONU), incanto (Om.); inganno, accieco ecc. (Om., tr); adesco (Sof, El); incateno l’animo (in buon senso) (Od., Esch., Pind., PI., Alcifr.). In favore della citata significazione primitiva v. Vanicek, pp. 400-1, che adduce l'ant. ind. dhraj, strisciare ecc. Nessun etimo ci dà il Prellw., ad v. (3) Il Pillon (n° 196, pp. 273-4) nota la voce xapaxthp nei LXX con valore di “ coutumes, mœurs n e poi osserva che “ il ne se trouve point d'exemples de Xapakrhp employé au figuré comme le mot français pour le ‘caractère moral',. (4) Intorno allo svolgimento postom. di questo senso v. Thomas, pp. 70-1. (5) Qui sarebbe opportuno addurre anche rerinuon, sono turbato, afflitto (Om., Es.), se si dovesse, pe come fa il Prellw. dubitando (ad v.), congiungerlo etimologicamente con un ant. ind. ti, sc Ad altre origini, a concetti di “moto violento’, di ‘ terrore ’, lo riconducono altri investis Van., op. cit, p. 319). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 41 Idea di ' battere °. 156. xöntw, batto, urto, taglio (1) — stanco, molesto (Dem., Plut. ecc.); med., mi batto (per dolore), m’affliggo vivamente (Esch., Pl); deploro la perdita d’aleuno (Ar.*, A. P., CI. AL). xouudrıov, scheggia — detto breve, sentenzioso (Fil.*). xóm, chiac- cherone, millantatore, mentitore (Eur., Licofr.. àvaxértw, respingo, rattengo, impedisco; pass., rimbalzo, inciampo — perdo il filo nel discorso (Luc.). mapaxómru, batto fal- samente (batto monete false) — inganno (att. e med., Ar.); confondo, fo delirare (Eur. 9 post.); deliro (Arist., Plut., D. S., D. L.): cf. noom, delirio (Esch., Pol., Plut.). npooköntw, percuoto, urto, inciampo — erro (A. P.*); offendo alcuno (Pol, Sin.); mi offendo, mi sdegno (Pol., D. S.); sono attediato (D. S.); così pass. (App., M. Ant.). Ourköntw, datto insieme, distruggo — abbrevio (gr.); Ouyköntouo, mi lagno insieme (grec. tarda). bmépxomoc, spossato — che oltrepassa la misura, arrogante, sfrenato (Esch., Sof.). Altri composti notevoli: bnuokoméw, m’ingrazio il popolo con artifizi, con arti cattive (Plut., App.), con roMrokonéwu, che vale anche \odopéw, kwuwdéw (Pl. com., Dif.); ôx\okômoc, adulatore del volgo (Pol.*, cf. ôxhoxoméw, Plut.); éMnvoxoréw, adulo i Greci, gl'imito (Pol); ékmboxoméw, illudo con vane speranze (S. Emp.*); 8oAaccokonév, (datto il mare) — ciancio inutilmente (Ar.*, Lib.); npa£worméw, uso sorprese, astuzie, tradimenti (Pol., iser.). 157. xpoów, urto, batto (2); provo battendo — esamino (PL). xpoucibnuéu, ludo, inganno il popolo (Ar.*): cf. xpovoinerpew, inganno nel misurare (urtando la bilancia ece., less., v. soprattutto Esich.). Guvekkpoüw, metto fuori con — pass., sono perturbato insieme (Plut.*). ueraxpoUu, spingo indietro — muto opinione (Plut.*). Topakpoüw, datto nel fianco (bilance ed altre misure) ecc. — inganno (Poll; per lo più med., PL, Dem. ed altri); allontano dalla retta via, dal retto giudizio (P1.*), cf. napa- Kpover..... "mAovQ, é£amorQ (Esich.); perdo la conoscenza (Ipp.) (3): cf. mapáxpouocig nei Sensi d errore (Arist.), inganno (Dem., S. Emp.), assenza di spirito, vaneggiamento (grado minore della tapaxoth, v. sopra, n.° preced., Ipp.). mpookpoúw, urto, inciampo — do scandalo (Dem., Plut.); offendo, ingiurio (Plut. ecc.); m'offendo, mi sdegno, sono di mal animo verso alcuno (Dem. ecc.). OmoxpoUw, datto di sotto o leggermente — indico, opino (Ar.*); interrompo (un discorso altrui) (Ar., Alessi, Pl., Eschine, Pol. Lue.); rispondo (Luc., Plut., Imer.); órokpoóet ` &vriléyer (Esich.). 158. mardoow, datto ecc. txnarácou, spingo fuori — metto fuori di sè, sgo- mento (Wur., A. P. ppévas èxteratayuévog, Od.*) (4). 159. mAnoow, datto, colpisco (5); pass., sono battuto ecc., sono vinto — sono cor- rotto (ugoen, Erdt.); sono commosso, abbattuto (da passioni ecc.) (IL, Esch., Sof., (1) Ted. haue, ossia colpisco mediante strumento affilato od ottuso, con vario effetto (Schmidt, Syn., n° 118, 8, — III, pp. 286-9). (2) < Anstoss, ruck, weiter fürdernd, oder dadurch dass der getroffene (nicht der treffende) gegenstand ertönt bemerkbar , (Schmidt, Syn., n° 113, 9 e 12, = III, pp. 289-92 e 296-7). (8) Aut.. cit., Hb., n° 110, 6, p. 660. , HI Aut. cit, Syn, n° 118, 3, HL p. 280, ove si nota come questo verbo indichi in Omero das laut klopfende herz... dessen der in furchtsamer erwartung ist oder sonst in grosser aufregung p. (5) Designasi con tal verbo in Omero, giusta lo Schmidt (Syn, n° 118, 3-5, 12, = IIT, p. 280 9 segg.), uno “ stärkerer schlag, je nach der natur des werkzeuges wirkend ; tief einschneidend, schallend oder erschütternd ; das werkzeug selbst tönt bemerkbar mit. „. Serie Il: Tom. XLVI. 6 (n. 156—159) n (n. 159—162) 42 DOMENICO PEZZI PI. ecc.). mAnktilw, batto — sbalordisco (Plut.), cf. mAnkriZeodai (Ar. Eccl. 963) uéxec0ot, ÓgpiZew (Esich.); mAnkrırög, atto a battere, a contendere ecc. — che fa grande impressione sui sensi (Diosc., Plut., S. Emp.); nAnkrıouög, correzione, biasimo (scr. eccl.) (cf. émppamopuóc, biasimo (Pol.*), ed èmpparizw, vergheggio); sguardo seducente d'amore (cf. nAnktiZoua, A. P.*). La medesima radice trovasi in mAayktög, che à spinto, che erra — confuso, mentecatto (Od.*, Esch.*); m\ark(r)ôv * àvónrov, tds ppévac BeBhau- uévov, mhavüuevov (Esich.). Parecchi composti meritano considerazione. èkmàńoow, caccio fuori battendo — metto alcuno fuori di sè (come per un colpo improvviso), spa- vento, rendo attomito, confondo (Om. e post.); induco così ad alcunchè (Pol); il pass. presenta non dissimili sensi (Om., Erdt., Att.) e significa inoltre sono colto da pas- sione (Eur., Sen. ecc.), stupisco (A. P.): vi s'aggiunga èknayàéopor (da *èxmAayà. (1)), mi meraviglio altamente (Erdt.), ammiro grandemente (Esch., Eur., D. A). èumAnktoc, sbalordito (come da colpo improvviso), confuso ecc. (Sen.); insensato (Plut.); inconside- rato, incostante (Sof., Eur., PL, Plut.). émimAMOOw, batto sopra ecc. — biasimo, inveisco (Il, Erdt., Esch., Sof., Sen., PL, Luc. ece.). xaramocou, abbatto — mera- viglio, sgomento (Il, pr. att., Pol., D. A. ecc.) maponınoow, batto accanto — pass., mi sbalordisco, divento pazzo (Ar., Eur., Plut.) (2). 160. rómoc, colpo (3), impressione esterna, visibile, fatta in un oggetto percotendo o premendo; forma, contorno, schizzo — il contenuto d’uno scritto all incirca (LXX, ENT); avorunwua, immagine formata, idea (D. L.*). &vrírumoc, che ribatte — che contrasta, avversario (Esch., Pl. ecc.; in senso retor., D. AA dIOTUTÉW, formo, figuro — dorunworg, rappresentazione particolareggiata (Plut. eco.). Idea di ‘ tagliare ’. 161. téuvw, taglio. ronde, tagliente, acuto — acuto, penetrante (in sénso metafor., detto di discorso, Pseudofoc.); focoso, passionato (Call.). &mórouoc, reciso, erto, ripido — aspro, severo, duro (coll’avv. in -ws, tr., Cic., N. T.): amotéuwg, assoluta- mente, in sè e per sè (or.) (4). émiéuvw, taglio alla superficie, incido — compendio (Att., Sin.; med., Luc. ecc.); riduco a nulla (ràg mpoeipnuévag vvduas, Pol.); inter- rompo (tivà Nérovta, id... Ouvreuvw, divido — distinguo nel disputare (PL); abbrevio (X\6yovg) (Eur., Ar., Pl, Eschine) (5). Idea di ' rompere `. 162. Opüntw, trito, sminuzzo; ammollisco, indebolisco — anche in senso figur. (Tim. Locr., Plut.); specialmente pass., sono ammollito, indebolito — anche di spirito (Sen., Luc.); sono voluttuoso, me la godo ecc. — mi comporto come un uomo ammollito; mi pavoneggio, sono orgoglioso (Plut., EL, A. P.); fo il resto a mo’ delle donne ecc., (1) Per dissimilazione : v. Brugmann, nel 1° vol. del Grundriss.., p. 217; Prellw., alla voce ErrrayAoc. (2) Intorno ai composti &xmAnoow, emmAnoow, karanınoow v. Schmidt, op. cit., Le (8) Circa a túntev in Omero (ove s'indica con esso “ der schlag schlechthin ,) v. aut. cit., op. cit., n° 118, 3, — III, p. 282 ecc. (4) Schmidt, Syn., n° 101, 12, = III, pp. 121-2. (5) Vuolsi qui aggiungere keprouéu, schernisco ecc., se veramente, com' e assai probabile, si deve ricondurre a *kepd-rouew, taglio il cuore (v. Prellw., ad v., e v. sotto, al n° 402). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 43 fingo di ricusare un'offerta (Ar., Sen., Plut., Luc. ecc.). tpupdw, fo vita di fine lusso, vita rilassata, voluttuosa ecc. — sono orgoglioso, fo il ritroso ecc. (Eur., Ar., BIS on). (15; 162°. xMabapóc, fragile — innamorato, voluttuoso (dyerg, Cl. AL; cf. xAadapòv TepiBAémew, id.). x\aotaZw, sfrondo viti — umilio (Ar.*). ÉTkAGW, scavezzo, im- pedisco, rendo vano — pass., vengo commosso (App.*). émukAdw, rompo — muovo a pietà (El. Plut.); spec. pass., sono commosso (Tuc., Dem., Plut., Luc. ecc.). 163. Il senso primitivo di rompere dovette appartenere anche a xoAóZw, mu- tilo ecc. — rimprovero, punisco (Att., Arist.) (2): così pure a koloüw, mutilo; cf. TepıkoAouw, taglio intorno — umilio (Plut.*). 164. oxioua, scissura — dissensione (N. T.): cf. éoyiZovró opewv oi yvd par (Erdt.) (3). Idee di ‘tirare, tendere ° e ‘ rilassare °. 165. é\xw, tiro (4) — alletto (Pind., Sen., Pl): cf. &peAkw. Aen, il tirare (special- mente il tirare che fa il più pesante dei gusci della bilancia), peso ecc. — (anche in Senso metafor.); inclinazione (Plut.). 166. öpeyw, stendo; med., mi stendo ecc. — aspiro a (1l, Eur., Tuc., Pl, Pol., Luc. ecc.) (5). öpežıç, brama (Pl. Arist. ecc.). 167. ondw, tiro (6) — alletto (Sof.*, Pl.). (1) Cf. le glosse esich. 0pómreroi' naAakiZeran, TPUPA, Orpnvid. kAGTa ..... Opówat* Bpadoar. Köwaı . K\doo . kal dvaxAdoar. uoAdEm. V. anche Schmidt, Syn., n° 178, 10, — IV, pp. 225-7. (2) Nel concetto di ‘rimprovero ', di ‘ punizione ' domina qui, nota lo Schmidt (op. cit., n° 167, 1,3, = IV, p. 175), più l’idea * der einschrünkung zu weit gehender triebe oder leidenschaften, Unarten , ecc. che quella di ‘torto ': questa è limitata e più o meno attenuata. Qua e là appare l’idea di ‘ correzione ` (3) Una radice significante rompere rinviensi anche in AevyaAéoc, triste, lamentabile, infausto, cat- tivo (ep.); Auypög (ep., lir, tr, Erdt.*, gr. tarda); cf. ant. ind. rujati, rompe (v. G. Curtius, Grunde., n° 148, p. 183). Cid deve dirsi anche di Amm, perturbazione, afflizione, affanno ecc. (Erdt., Att); Avréw (Es. e post.) ecc.: cf. ant. ind. lumpati, ‘ rompe’. G. Curtius (op. cit., n° 341, p. 266), dopo aver notato che “ ...lässt sich der begriff des ' kummer’ und des ' kümmerlichen' vielleicht aus dem sinnlicheren ‘ brechen ’ ähnlich ableiten wie oben unter no. 148, no. 284 ,, mette in risalto Opportunamente il fatto che " bei Homer nur Aum-pö-< als bezeichnung des ‘ ärmlichen (brüchigen ?) bodens ', erst später Aür-n mit seinen ableitungen vorkommt ,. V. Prellw., alle voci Aeuyakéoc e Abm. Un verbo indicante in origine tritare (fregando?) dovette essere papatvu, fo consumare ecc. : Y. G. Curtius, op. cit, n° 481, p. 337; Prellw., ad v.; v. anche Schmidt, Syn., n° 158, CR HE Pp. 88-90, ove gli s'attribuisce particolarmente il senso di “ das verlüschen einer flamme aus innern Ursachen... „. Con papaivw è connesso uwpés, ottuso, pigro, lento — ottuso di spirito, semplice, sciocco (Att.). Non vuolsi qui passare sotto silenzio qe(bouoi (cf. ant. ind. bhinatti, bhedati, col valore di fende, disgiunge, lat. findit), risparmio, tratto con riguardi, sono mite (Tuc., Pl.); m'astengo, evito, tralascio (Bur., Sen., Pl, Luc., A. PL) cf. dperdhg, che non risparmia, non cura (Att); che non teme pericolo (Tue.), fatica (Dem.); senza riguardi, inumano (A. P.*), con àpebüc, duramente ecc. (Erdt., Plut.). (4) Con azione uniforme, non repentina, non violenta (Schmidt, Syn., n° 110, = III, p. 251 e segg.). 1 (5) Giusta l’aut. cit. (op. cit, n° 145, 1, = III, 591-2) dpeyeodan, = ted. streben, è soprattutto die richtung des ganzen menschen, wie sie in seinen handlungen und seiner haltung zu tage tritt, nach einem bestimmten ziele..... ,. In significato psicologico denota “ jedes streben nach einem ziele, besonders ‘nsofern es auch üusserlich zu tage tritt, nicht als untätiger wunsch im herzen verborgen bleibt ,. 0) Indica, nota l'aut. cit. (op. cit, n° 110, — III, p. 251 e segg.), un'azione più energica, più rapida che em, (n. 162—167) (n. 168—173) DOMENICO PEZZI 168. otopévvupi, stendo; rendo piano, liscio, tranquillo — mitigo, umilio (Esch., Tue.). 169. oúpw, trascino (1). diaoüpw, distendo, lacero — dileggio (com., or., Luc. ecc.). emovpw, tiro, stendo sopra — tratto superficialmente, con traseuranza (Lis., Dem., Pol, Luc.): cf. émovpués nel senso di scherno (Stob.). ma paoUpu, tiro da una parte, strappo ecc. — traggo a ciò cui non si riferisce (énos, Esch.*); napa- oeouppevwg, schernevolmente (Filone). $mooUpu, traggo giù — seduco (S. Emp., Cl. AI). 170. teivw, tendo — ho la mira a (Erdt., Eur., PI). Tóvoc, ciò che è teso, il tendere ecc. — severità (Plut.) ^ &revüg, assai teso — costante, inesorabile (Es., Esch., Pind., D. A.). avareivw, tendo in alto ecc. — med., tendo la mano per minaccia, minaccio (Dem., Pol): cf., in tal senso, &váracig (Pol, D. A.), anche tendenza del- lanimo all'alto (Plut.*). emavateivw, minaccio (con tpocavateivw); med., parlo prolis- samente (D. A.*). diateivw, distendo — affermo con forza (Pl. ecc.): cf. iéraois nel senso di concitazione, passione (Arist. ecc). ékreivw, distendo — desidero (Pol.); allungo un discorso, parlo, espongo (tr., Pl.); €xrévauou, io sono teso (metafor., Sof.") (2): cf. exteivein in senso di perseveranza (LXX, N. T.). évreivw, tendo entro ecc. — riduco in versi (anche senza eig émog ecc.) (Pl. ecc.); resisto, ripugno (Eur.*); èvteta- uévoc, con fervore (Sen.), -wç (Erdt.) Evrovog, teso — veemente (Erdt., Eur., Ar., PI, Plut.). èmreivw, tendo sopra ecc. — tendo, accresco; eccito (Sen.); pass., sono ecci- tato, stimolato (Luc. ecc.), onde sono innamorato (Parten.), ho l'umimo volto a (D. S.), agogno (Sen.). eùtovog, gagliardo, resistente (Plut., D. S.); mue, con fervore (Ar., Sen. ecc.). xatateivw, tiro, stendo — contendo (Eur., Tem.); fo con fervore (Eur.*, PI.) napateivw, stendo accanto ecc. — trattengo troppo, infastidisco (Sen., Plut.). nporeivw, tendo innanzi -— allego come pretesto (Erdt., Sof., Eur.; med., Pl); tengo innanzi, indi mostro (med., Pl.) — prometto, offro, gabbo (anche med., Esch., Erdt., Antif., Sen., PL, Dem.); propongo (aivirua ecc., Plut., Luc., D. L. ecc.): cf. npóracic, come significante quesito proposto ecc. (Plut., At.), o proposizione antecedente (Arist., gr.), pro- posizione in genere (Arist.). ouvreivw, tendo — dirigo alcunchè ad uno scopo (Pl., Plut.); tendo come ad un fine (Sen., PI, Isocr., Dem., Arist.): oüvrovos, nel valore di concorde (Eur.*). Ünoteivw, tendo sotto — mostro, prometto, abbindolo (Erdt., Tuc., Ar. Dem., D. A. ecc.); propongo un quesito (Pl.); suggerisco, insinuo (Bur.*). 171. yxaXdw, rilasso ecc. — cedo, sono indulgente (Eur.) (3). xoMgopwv, di spi- rito non teso, inconsiderato, negligente, folle (Od., Opp.) ecc.; arrendevole (Mus.*). Idea di ‘ lacerare ' ecc. 172. duicow, graffio, squarcio — affliggo (Il, Esch., Teocr., A. P.). 173. dántw, squarcio ecc. — affliggo gravemente (Esch., Sof.). (1) Significa “ das zihen in die länge... oder auf gewünder angewandt... lang nachschleppen lassen , (aut. cit., op. cit., n° 110, 4, — III, p. 259). (2) Aut. cit., op. cit., n° 108, 8, — III, p. 141-2. (8) Dicesi specialmente dell ' ' e delle ‘vive brame” (aut. cit, op. cit, n° 111, 2, — III, pp. 262-3). | CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 45 I | 174. dépw, scortico — tormento, infastidisco (Pl.). &vabépu, riscortico — ridesto ` (n. 174—181) | sentimenti dolorosi (Ar.) (1). 175. AakiZw, lacero — Aaxepoloría, mordacità, maldicenza (Epitt.). | 176. ok6Mw, scortico ecc. — travaglio, vesso (Erdn., N. T.); pass., m’affatico, mi Í angoscio (N. T.) (2). | | 177. omapdoow, stiro, lacero — travaglio (in senso metafor.) ecc. (Pl., Dem., Plut.). | 178. TU, strappo — stuzzico, dileggio (Anacr.; pass., Ar.) (3). B. IDEE DI MOVIMENTI CONSIDERATI NELLA LORO DIREZIONE. $ 15. Idea di ‘volgere’ (in varie forme). o 179. xMvuw, inclino (4). orokarakAMvonat, m’inclino, mi metto sotto — trasl., mi sottometto, m'adatto, accondiscendo (Pl., Dem., D. A., Plut. ecc.). x\îuat, oggetto appoggiato, scala — elevazione graduata di stile (‘ gradatio °) (Demetr. ed altri). 180. cuykiniw, m'inclino insieme — cospiro con alcuno (Erdt., Ar.). 181. rpému, volgo ecc.; med., mi volgo a — mi do a, m'occupo di (Il. e post.), cf. Terpannevog, inclinato a (Sen., Pl. ecc.); distolgo (Om.); vpánopat, muto opinione (Erdt.), Cf. tétpanto (Od.), tetpappévog (Tuc.). tpönog, volta, direzione — uso, costume, | carattere (intellettuale, morale) (5). &rpomía, inflessibilità — inesorabilità (Ap. Bi i | Cf. buorpámeAog (Sof.), diotpotog (Eur., Dem. ecc.), caparbio. ànotpénw, volgo da, rimuovo da — distolgo, dissuado (Il., pr. att., Luc.); pass., mi lascio distogliere (Sen., Eur., Dem.); evito, abborrisco (Esch., Eur., PL). diatpénw, distolgo (Pol); pass., muto proposito (Dem.); mi vergogno (Ipp., D. S., Plut.); sono sbalordito, ho timore (Plut., Epitt.). éxtpemw, disvio — pass., fo digressione discorrendo (Pl.). ÉVTPÉTW, ri- tolgo — fo rientrare alcuno in sè, lo fo vergognare, lo convinco (D. L., EL, S. Emp., N. T.); pass., mi rivolgo — indugio (Sof.); mi commuovo (Om., Pol.); mi do cura, mi | vergogno, temo (Sof., Sen., Pl, Pol, D. A.). èmtpénw, volgo a — affido, mi fido (Om. e post.); rimetto a, specialmente rimetto ad alcuno il giudizio, la decisione (Tuc., Ar., Pl.); concedo, permetto (Il, Pind., Erdt., Ar., pr. att.); do incarico (PI). eù- Tpdmerog, che facilmente si volta, agile — che facilmente si muta; che sa adattarsi a uomini, a cose; destro, scaltro (anche con ' biasimo °) (Pind., Ar., Isoer.) (6). mav- Tporia, il volgersi indietro — incertezza irrequieta (Ap. R.). Taporpému, devio ecc. — fo errare (Plut. ecc.); muto senso (Es.); med., aberro (Sen.): ef. naparponn, mepi- Tpenw, volgo sossopra, abbatto — confuto (PL, Luc.). mporpému, volgo avanti — N ——— M —À— : (1) Con depw pare affatto opportuno congiungere ÓpiuÜc, penetrante, acre ecc. — violento (Om., | Es., Esch.) ; duro, severo (Esch., Alcifr.) ; appassionato (Pl. ecc.); perspicace, prudente, astuto (Eur. I} PL e post.) Il (2) Spetta a questo luogo la glossa esich. kookuAuarloıg (Ar. Eqq. 49) korakevuatiorg . Ñ mapa- F Aoyıonoic. | (8) Intorno a tiXeo0a1 come esprimente atto di ' grande dolore ` (Z7., xxiv, 711) v. Ebeling, ad v. (4) Di xMvev insegna lo Schmidt: ^ gilt von jedem aufgeben der gewönlichen stellung, besonders freilich von dem neigen am einen bestimmten stützpunkt (Syn., 112, 2, = II, p. 270 ecc.). (5) * Die vpómot sind nicht der eigentliche innere charakter (006), sondern das in der berürung mit den mitmenschen entwickelte , (Schmidt, Syn., n° 98, 2, — II, p. 78). (6) V. aut. cit, Hb., n° 26, 4, pp. 103-4. Il (n. 181—185) 46 DOMENICO PEZZI med., mi rivolgo ad alcuno pregando (Sof); att. ed anche med., spingo, esorto (tr., Tuc., Sen., PL, or); med., mi rendo favorevole alcuno (S. Emp.*); rinfaccio (Fal.). TPOOTpÉTW, mi volgo a — mi volgo pregando, prego (Sof., Eur.); anche med., in tal senso (tr. Plut. El) (1): npootpönaog, che si volge chiedendo protezione o purifica- zione (dopo un delitto) (tr., Plut.), o vendetta (Esch.*, Antif.*); il vendicatore, lo spirito vindice dell’ucciso (Antif.*, Pol., Poll.); il colpevole (tr., Eschine*); cosa macchiata da delitto (Eur. ecc.); tò mp., la colpa stessa (D. C). molórpomoc, che si volge qua e là — molto accorto, scaltro (i. o., Tuc., Pl.) (2). 182. otpepw, volgo — ripenso (Eur.*, Luc.* ece.); OTpepona, cf. versor, m'occupo di (Arist.); posso essere inteso in altro senso (D. A.). orpopn, il volgere o volgersi — destrezza, astuzia (Esch., Ar., Pl): cf. otpôœic, scaltro (Ar.). dotpertog, infles- sibile, inesorabile (Licofr.. edavéotpopoc, accostevole, socievole (Tol.): cf. xakoavdotpo- pos (Proclo). ouvavaotpépu, ritorno indietro con; — -opai, pratico con (D. S., Plut., Arr.). diaotpépw, storco, slogo — interpreto stortamente (Dem.); turbo la mente (Arist. ecc.); bieorpauuévos, stravolto (N. T.): ouvdlaotpepouon, sono pervertito insieme (Plut.). ueraotpegw, volgo altrove, distolgo — falsifico (tò evoyyelıov, N. T.); med., mi rivolgo a, pongo mente a (con ppovriZw, Dem.); intrans., muto parere, cedo (IL*). Tapaotpépw, scontofco — traggo a senso contrario (parole, PI.). OUOTPÉPW, attorco insieme ecc. — pass., m’unisco, congiuro (Plut.); uso forma concisa d'espressione (Pl., Arist., D. A., Dem. Fal). TOÂVOTPEPAS (TONISTPOPOG, to\votpertog), che molto si attorce; mobile — versatile (Pind., Nic., Poll.). 183. Alle parole testè citate occorre qui aggiungere atéloc, che si volge viva- mente, vario (3) ecc. — scaltro, con dnaoNdw, confondo, inganno (Eur.*, Babr.*), e mapoioMZw, inganno (Licofr.). 184. émdivéw, ruoto (specialmente scagliando); pass., mi muovo in giro — volgo nell'animo (con Buuóç soggetto ed évi ovíjeeco) (0d.*). 185. éMoow, voltolo, attorco — rifletto, animo volvo (Sof.*, PL; uñnv, Ap. R.): &Mkróc, intrecciato, flessuoso, in genere curvo — falso, ingannevole (Kur.*); confuso, oscuro (ënn, Licofr.). dieMoow, svolgo — spiego, espongo (Plut.*). inavreAiktng (non -eħxteús), (che torce, intreccia coregge) — che inventa sofismi (Democr. in Plut.*, CI. -AL*) (4). (1) Aut. cit., op. cit., n° 11, 4, p. 46. (2) G. Curtius (Grundez.*, n° 633, p. 468) ammetteva affinità etimologica fra tpérw ed &rpexng, certo, vero (Om. [solo nell'avverbio -éwc ed -éç], Pind., Erdt., Eur., Pl., Pol. e pr. post.): cf. àTpékelc, -ein, certezza, realtà (Erdt., A. P*, Arr.) ; rettitudine (Pind.*). “ dtpexng ,, scriveva lo Schmidt (Syn., n^ 178, 4, — IV, pp: 283-7), “ ursprünglich von einer sinnlichen anschauung ausgehend und bedeutend nicht verkehrt, richtig, bedeutet schon bei Homer das wirkliche und tatsächliche oder das damit stimmende..., mit dem nebenbegriffe sicher oder zuverlässig, der später zu herrschenden be- deutung des wortes wie des davon abgeleiteten substantivs Arpekeın wird » Ma intorno all'origine d'étpekhs v. ora Prellwitz, ad v. (8) Soprattutto di ‘colore ', secondo il vario modo d'esporre un oggetto alla luce volgendolo, ad es. metalli" (Schmidt, Syn., n° 48, 15, = II, pp. 149-50; n° 188, 3, — IV, pp. 363-4). (4) Alla radice di éMoow si riconduce anche EINEW, contraggo, stringo ecc. (v. Prellw., alla voce elw), onde v'ebbe, fra gli antichi e fra i moderni etimologi, chi trasse ámeéuw (v. Ebeling, alla voce àmeuat). Ma è cosa assai dubbia e bene il Prellw. dà drei, dmeéw, come parole d’incerta origine. Intorno al vario valore omer. del verbo si consulti lo Schröder (p. 38), secondo il cui pa- rere * ..als grundbedeutung ist etwa ankündigen anzusetzen, das je nach der situation ein drohen, ein prahlen oder ein geloben sein konnte. Vgl. eöxouaı. Bei Homer ist die bedeutung prahlen die vorherrschende... ,. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 41 186. xuMivdw, -éw, voltolo — -ouu, mi occupo, versor (Sen., Isocr., Plut.). Cf. kuMivöngıg Ev Toig Móroic, destrezza (Pl.). mpoxuMivdéw, mi getto ai piedi d'aleuno — lo supplico (Ar., Dem., Arist., Luc., S. Emp.). 187. nólog, il punto intorno a cui alcunchè si volge ecc. (1). &varokéw, rivolto — rifletto, pondero (Plut.). Cf. èmimoháčw nel senso di m’oceupo di (Luc.*). Altri sensi notevoli di tal verbo: sono alla superficie, m’innalzo — inorgoglisco (D. A.*, Plut., App.); prevalgo, divento frequente (d'usi, vizi ecc.) (Sen., Pl, Arist, Pol, D. S). Cf. émimóAaioc, superficiale — anche trasl. (noıdeio, Isocr.); chiaro, manifesto a tutti (Arist.). 188. péuBw, muovo in giro; féuBopai, erro — anche trasl. (Plut); sono di mente instabile, dubbiosa; opero senza disegno (Plut.). beuBaouc, irrequietudine (Emdvniag, LXX). 189. Da una radice significante muovere in giro, torcere, avvolgere, procedono anche le voci seguenti: orpefAóe, torto — astuto (Ar.), perverso (Es.), con moAUgTpe- Bios = moAóotpopog (v. sopra, 182) (LXX) e otpeRAdw, torco ecc. — falso il senso di una sentenza (N. T.); otparyakıwdng, torto — astuto (LXX, less.), con otpayyetoua, mi torco — resisto, indugio, temporeggio (Ar., P1.?), e orparyakıd, laccio — astuzia, insidia (LXX) (2). 190. vuMoGw, rotolo. dvatuMocw, avvolgo e svolgo, avvolgo ripetutamente — Aöyoug mpôs Eauröv, revolvo, riconsidero (Luc.) (3). 8 16. Idee di ‘ moto in alto od in basso”. 191. aipw, alzo — metto in alto, manifesto (qualità morali) (Sof., Eur.); innaleo a Potere,' aceresco reputazione a, lodo, celebro (Att.; Aörw, esagero, Dem.); pass., minor- 9oglisco (Att.); sono eccitato (da timore ecc.) (tr.); med., assumo su me, imprendo (Od.*, Att.) dpors, elevazione; toglimento — negazione (gr. Fra i composti vuolsi qui menzionare, per copia di sensi traslati, soprattutto èZafpw. Notisi anche ueréporoc, elevato — superbo (Eur., A. P*): uerapororeoyia, cicaleggio su cose superiori alle comuni, cicaleggio metafisico (Plut.*, D. d) aiwpéw (4), levo, tengo sospeso in alto ecc. — metto in tensione (tivà, App.); pass., Sono incerto, sono teso di spirito (Erdt., Sen., Plut.). Cf. erawpew nel senso di mi- naccio (Plut.) ecc. ueréwpoc, in alto ecc. — elevato, nobile (Sen.); orgoglioso (Pol.); "mpolloso (dello stile, D. A.); eccitato, posto in aspettazione (Tuc., Arr., Luc.); incerto, dubbio (Dem., D. A. ecc.); bramoso, inclinato (Pol.). uereupía, smemorataggine (Svet,, Claud., 39) (5). mapñopos, aggiunto od attaccato a fianco; steso obliquamente — di mente aberrante, arrogante, temerario ecc. (Il.*, Arch., Trif.). ee het (1) Intorno al primitivo valore di zéi v. G. Curtius, Grundz.ÿ, pp. 470-1; Prellw., ad v. (2) Prellw., alla voce otpefléc, .. (8) Qui ben può farsi menzione dei verbi di moto composti con dui e mepi (v. sopra, 56 e 57). Già ne abbiamo trovato buon numero d'esempi: äupBéAw, 140; dpqvrpiffic, 146 ; mepiepxouaı, 92: Teptobeóu, 94; mepuwbéw, 128; mepipépw, 133; mepioréAlw, 135 ; mepiBéAAw, 140; mepikoAoóu, 163. (4) Da *FaFwpa, cf. *àFepiw: v. Prellw., alle voci deipw ed aîwpa. (5) Lo Schmidt nota che “ ..bedeutet aïpav Ouuóv » (Sof, OW. túp., 914) “ ..ein versetzen in @ufregung und unruhe; und wir werden daran denken, dass ueréupoc ganz besonders von schwan- kenden und unsicheren verhältnissen und stimmungen gebraucht wird, denen eine solide grundlage fehlt (Syn., n° 105, 8, = III, pp. 186-7). (n. 186—191) (n. 192—195) 48 DOMENICO PEZZI 192. Anche in téMw appare la significazione di moto in alto (1). évréAAw, per lo più med., incarico, ingiungo, comando ecc. (Pind., Erdt., Att., Pol.) (2). Cf. émrél\w. L'idea di portare a compimento appare in télos (3); basti qui richiamare alla memoria del lettore i sensi seguenti: scopo (Od., Pind., Pl); consecrazione, ini- ziazione a misteri (soprattutto agli eleusini), i misteri stessi (Sof, Eur., Pl); cf., nel significato d’iniziare a misteri, teXéw (Erdt., Sen., Pl., Luc.). 193. xpeuauaı, perdo, sono sospeso — sono in aspettazione, in incertezza (Arist.): ef. xpeudvvuui nel senso di rendo sospeso, incerto (Ar.). éxkpeuávvuuat, m’appendo, m’attacco a — sono dedito a (Bur.). èmixpéuauoar, pendo sopra — minaccio (Sim., Erdt., Tuc. Ap. R., A. PL) émxpepns, che pende sopra — dubbio (scol. sof.). S'ag- giunga xpnuvóc, dirupo (4), in composti: kpnuvoßártng, che va per dirupi — che usa parole altisonanti (Greg. Naz.); xpnuvorto16g, (Ar.*); immokpnuvos (nnara, Ar.*). 194. fénw, m'inchino, trabocco (particolarmente del piatto d'una bilancia) — sono favorevole ad alcuno (Esch. ecc.); sono inclinato a persona od a cosa (Esch., Pl., Dem., Emp.). 195. Qui l'ordine di questa trattazione vuole che, oltre a ümép, ómó e xorá già Arist., Pol.). dppeyioa, equilibrio — quiete immutabile di spirito (D. L., mentovati (5), si ricordi dvd, il quale mostra anche in composizione il suo valore di ‘ moto in alto” (6), con cui si connettono quelli d’indietro e di nuovo (7). * (1) Due modificazioni del senso primitivo della rad. indogerm. tel, * heben, aufheben, tragen ,, vi scorge G. Curtius (Grunde, p. 221): * 1) intransitiv sich erheben von gestirnen..... 2) transitiv eigentlich über jemand heben, auflegen, auftragen... ,. V. Prellw., ad v. Lo Schmidt ne determina il valore cosi: “ bis zu einem bestimmten punkte (wo es sichtbar wird) gelangen , (Syn., n° 28, 3, — I, p. 400; n° 81, 6, — II, 526-8). (2) Giusta l'aut. cit. v'ha in èvréMeo@ar (cf. &rvréAAew, Emgréi eng, piesa) il concetto di * bef'ehl, auftrag zw etwas bestimmten, so dass der beauftragte sich als gebunden betrachten muss x (op. cit n*' 8, Led, puel. (3) Lo Schmidt distingue il valore di réie: da quello di tekeuth nel modo seguente : “ rédoc ist die vollendung, der abschluss eines dinges, wodurch dieses vollstündig und in sich abgeschlossen wird ,, mentre “ tereuth ist der endpunkt, das ende, womit das ding aufhört zu sein , (op. cit., n° 193, 2, — IV, p. 498 e segg.). (4) * Abhang, als erscheinungsform einer land- oder gebirgsmasse , (ant. cit., op. cit., n° 99, 14, = IIl, p: 99). (5) V. sopra, 64, 65 e 66. Esempi già notati di ómép prefisso a verbi di moto sono i segg.: UmepRaivw, 90; ümeprpéxw, 98; dreprnddw, 100; ümepBélAW, 140; vi s'aggiungano úneppépera, 133, e ümépkomoc, 156. Per quanto concerne óró giova richiamare alla memoria del lettore le voci ómép- xouai, 92; ümorpéxw, 98; bmoppew, 99; Ümomnirru, 105; kaðupinu, 109; ómonéunu, 110; únodiapépw, 138; óptornuy 194; ümootéMw, 135; ómotiðnu, 136; bmoßdAAw, 140 ; úmokpovw, 157 ; omocópu, 169; bmorelvw, 170; ómoxaraxMvouo, 179. Infine dei composti con xard siano qui addotti di nuovo ouyka- rafaivw, 90; xa0nkw, 93; karadpoun, 96; xatatpéxw, 98; kataðéw, ibid.; xoraqeptic, 183; xatocnut, 134; xoraridnuı, 136 ; xataBdMw, 140; xatavioow, 154; karamınoow, 159; xarareivu, 170; ómoka- raxhivouon, 179. (6) Come preposizione significa, nota il Delbrück (v. la già citata Syntaæ, I, p. 734 e sgg.) unà * bewegung nach aufwärts., namentlich bei erstreckwng über eine fläche hin, ...dann auch häufig, ohne dass eine aufwärts bewegung hervortritt... ,. (7) Sensi traslati in parole di cui il pref. dvd è un elemento abbiamo già veduti in parecchi dei vocaboli sopra citati: émavépyoua, 92; énávoboc, 94; Avarpexw, 98; àvamimru, 105; dvdrw ed àvc- avdyw, 108; dvinu, 109; dvaceiw, 121; Aviornu, 184; àvariónu 136; &vakómtu, 156; Avarımwua, 160; dvateivw, 170; dvadéepw, 174; edavéorpopos, 182; ouvavaotpépw, ibid.; ävarohéw, 187; àva- ruMoow, 190. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 49 8 17. Idea di ‘moto attraverso’, di ‘ penetrazione”. 196. did, per mezzo ecc. — anche in senso trasl.; per cagione, per colpa; anche per iscopo (1). 197. diw, immergo ecc.; med., penetro ecc. avadvonaı, emergo; mi ritraggo — cerco sotterfugi (Sen. ecc.) cf. diébuois (Dem., Plut.). évouw, entro dentro (un abito ecc.), penetro — Evdbona, penetro — anche negli animi (Sen., Pl. ecc.); m’incarico d'un ufficio (Ar., Sen.). 198. teipw, penetro, traforo. neîpa, prova, esperienza, ricerca, disegno, impresa (postomer.; ma già omer. è meipáw) (2). i mópoc, strada attraverso checchessia ece.; via per giungere ad uno scopo — &nopoc, senza passaggio ecc., difficile, impossibile — anche in senso immateriale; chi non ha via, Muto, consiglio (Att.): cf., in tal senso, &mopía ed dmopéw, non so, sono dubbio, incerto (Att.); temo, suppongo che (Pl.*, Plut.); tò dmopovuevov, tò Aropndev, ciò che è in dubbio, ciò ch'è problema (PL, Arist., Teofr.) (3). Si noti anche diemopéw, come signi- ficante investigo (Arist., Plut., Longino). éutopevouar, vo ad un luogo (anche me- taforicamente, v. g. elg îatpixfiv, Ipp.); traffico — tratto mercantilmente, inganno (N. T.); att., parlo astutamente (Pol.*) 8 18. Idee di ‘moto a luogo’, di ‘ moto da luogo’ ecc 199. de (4), verso — anche in vari sensi traslati (di scopo, d'ostilità, di favore, di relazione morale in genere (5). 200. àmó, da, separatamente da (6) — anche in senso metafor.; esprime eziandio l’idea di ‘ provenienza ° e in senso proprio ed in senso trasi. (oi &mò TIAdrwvog, gli alunni, i seguaci di PI. ecc.; oi àmò Aöywv, i dotti) (Plut., Luc. ed altri di tarda gre- à) a cagione. di (Att.); giusta, conforme (7). cità); a cagione di (Att.); giusta, conforme (1) Del valore metaforico di did in composizione già abbiamo veduto non pochi esempi: die, 91; biépxouoi e diektpy., 92; buxvéoua, 93; dietodevw, 94; biaxivéw, 106 ; diacetw, 121 ; beu, 128; drapépw, 183; diotnu, 134; diaoteMw, 135; diationui, 136; diaxéw, 139; diaBdXMw, 140; diatpifw, 146 ; datunów, 160; diacipw, 169; diateivw, 170; diarpémw, 181; dıiaorpepw, 182; dieMoow, 185. (2) Cf. lat. experior, periculum. (8) Intorno a mópoc, &mopoc, v. Thomas, pp. 77-8. D'émopoc, eÜmopoc, discorre lo Schmidt, Syn., n' 185, 8, e 186, 2, — IV, p. 385 e segg. (4) Per quanto spetta alla relazione etimologica e sintattica fra elg ed èv v. Brugmann, Die Drüpp. En, èv und eis, nei Berichte della Società scientifica di Lipsia, cl. filol.-stor., 1883, pp. 181-95 ; cf. Pezzi, La lingua gr. ant, p. 801: " Circa la metà de’ dialetti greci usa la prep. èv, giusta il suo valore primitivo (cf. lat. i» ecc.), anche in senso di ‘ moto a luogo coll’accusat. e non possiede l’altra forma di essa, quella con c finale , (clc, fe da évc, che sta ad èv come éE ad èx). (5) Già parecchie occasioni abbiamo avute di conoscere il valore di el; come prefisso a verbi di moto. Siano qui richiamati alla memoria del lettore i seguenti : eoem, 91 ; eloépyouar, 92 ; elodyw, 108, con Katedyw e mpocıodyw, ibid.; eiofokñ, 140. Con èv- (v. sopra, 54, e la nota precedente): èvinu, 109; èvovpéoua, 115; éviormu, 134; éuBáAAu, 140; éurmAinktog, 159; &vreivw, 170; èvrpérw, 181; tvc&u, 192. (6) Delbrück, Syntaz..., I, pp. 666-9. (7) Fra le parole che hanno dmó come primo loro elemento già furono notate le segg.: amdyw, 108; dpinu, 109; dpopun, 118; dpiornm, 134; AmoßdAAw, 140; àmoppintw, 141; ämérouoc, 161; AmOTPETW, 181; dmarvidw, 183. Degni di particolare considerazione per lo studio del valore trasl. d'Ae in composizione sono i verbi àmevvému, interdico, vieto (tr.), abbomino (Esch.*), cf. dmöppnna, il vietato (PL); ämouavOdvw, disimparo (Sen., Pl. ecc.); ämondoxw, m'immagino non esistente cosa ch'esiste (stoici). V. Schmidt, Syn, n° 107, 18, = III, p. 231 ecc. Serm IL Tox. XLVI. 7 (n. 196—200) X ran ee (n. 201—202) 50 DOMENICO PEZZI 201. ék, da (1) — indica pure provenienza immateriale (2). Per ciò che spetta ad ékróc, giudicato ablat. d’ex, è notevole per senso trasl. la locuzione ékróg Epyonat, non tengo promessa (Sof). Notevoli non meno, per egual ragione, sono alcuni usi d’ézw, fuori: nnuátwv Gu (Esch.); "oi mdoyeıv Karls čžw vevíoeo0e (Dem.); čžw aútoð eivor, yiyveodcı, essere fuori di sè ecc. (Pl., Dem.); Zë zo Aöyou (Pl); oi &zw, i pagani (scr. eccl. ^ &Ew0ev, fuori — oi EEwdev Aöyoı, discorsi inopportuni (Dem.). eZwrepikög, esteriore — popolare, ossia accessibile, comunicabile a molti (di scritti filo- sofici) (Arist., Cic., Plut.). 202. A compiere questi rapidi cenni oecorre ancora far menzione d'aleune altre preposizioni e prefissi corrispondenti a varie altre idee di moto. D'émí, mapó, mpóc, npö, Gurt e náMv già s'è dovuto brevemente discorrere altrove, per guisa che qui basterà raccogliere alcuni esempi, già per altre ragioni e con altro ordine citati, dell'uso di quelle parole come prefisse à vocaboli di moto adoperati anche in signi- ficazione traslata (3). Il senso di fra, in mezzo, proprio di uerg, in combinazione collo accusativo può contenere anche l'idea d’internarsi fra....., quasi di mescersi con....., ma può anche ridursi a semplice espressione di moto verso alcunchè, come dal signi- ficato d’accostamento, vicinanza, può svolgersi quello di posteriorità (4). (1) Lo Schmidt (op. cit., n° 156, 5, = IV, p. 56) così tenta distinguere il valore di êk da quello d’àmò, discorrendo d'éxOvfjgkew: “ Die prip. èk scheint hier anzudeuten, dass man aus dem kreise seiner mitmenschen entfernt und in eine andere lage versetzt werde, ohne dass damit aber an einen mangel oder an ein vermissen von jener seite gedacht wird, wie dies eigentlich durch &mó zur an- schauung kommt ,. (2) E qui il lettore si ricordi d’&xßatvw, 90; d'é£euu ecc., 91; d'éfoboc, 94; d'éEw0Ééw, 128; d'éornu, 134; d'éxr(ónu,, 186; di ékBéxAw, 140; d'éxrarácou, 158; d'éknAñoow, 159; d'ékreivu, 170; d'ékrpérw, 181; d’èkkpeudvvupi, 193. Gioverà volgere la mente anche ad ékAoyéouot, mi scuso (App.); ad é£ovoía, libertà, arbitrio (Att), sfrenatezza (Dem., Plut.) ecc. (8) Abbiamo èni (intorno a cui v. sopra, 68) in érífactc, 90; freu, 91; èmépxoum, 92; &podog, 94; émdpoun, 96; émrpéxu, 98; Emmmddw, 100; Emdyw, 108; &pinu, 109; émOvuéw, 115; éntpépu, 183; épiornm, 134; Emriönm, 136; &mrdoow, 137; &mßdAAw, 140; émuotopot, 143; mmAñoow, 159 ; émréuvw, 161; énudidu, 162; émovpw, 169; émreivw, 170; émrpénw, 181; émbivéu, 188 ; émimoAdZu, 187; &rawpew, 191; èmkpéuguo, 198. Ci appare mapd (v. sopra, 69) in mapafaivw, 90; mapowia, 91; mapépxoua, 92; mopé£oboc, 94; maperdpoun, 96; mapatpéxw, 98; mapannddw, 100; napáyw, 108; mapinm, 109; mapevduueouaı, 115; Tapwdéw, 128; mapapepw, 133; mapiotnu, 134; mapariônm, 136 ; rapardoow, 137; mapaBéAAw, 140; maparpíBu, 146; mapakómtu, 156; mapaxpovw, 157; mapanınoow, 159; mopacópu, 169; Tapareivw, 170; maparpénu, 181; mapaorpépw, 182; mapmoAizw, 183; maphopos, 191. Di mpóc (v. sopra, 70), sono esempi : npoofikov, 93 ; eümpóooboc, 94; mpooníintu, 105 ; mpooßıßdzw, 107 ; &mpócoic roc, 130 ; mpoopépw, 183; mpocovéAAw, 135; mpooti@nu, 136; mpoorácow, 137; mpoo- tpiRw, 146; npooxöntw, 156; mpoorpenw, 181. Troviamo mp6 (v. sopra, 59) in mpooíutov, 91; mpoaññ, 100;. mporintw, 105; mpofiBáZu, 107; mpocíónu, 136; mpoBéAlw, 140; mpoteivw, 170; mporpenw, 181; mpokuAivdw, 186. avri (58) ci si e presentato in dvrınintw, 105; dvravdyw, 108; dvrimaloc, 120; AvrıßdaAAw, 140; dvrirumog, 160: má (60) in maAiußoAoc, 140; mahvrpBñc, 146 ; raw rpomía, 181. > (4) Delbrück, Syntax... I, pp. 741-8; Synt. forschungen, IV, pp. 182-3. Vocaboli di moto con Het prefisso, già ricordati per isvolgimento di sensi metaforiei, sono i seguenti: Mererm, 91; Mmerepyona, 92; uédodoc, 94; ueranimrw, 105; uedinui, 109; uerapépw, 183; nerarienu, 136; ueraBdAAw, 140; erakpoüw, 157; ueraotpéeow, 182; perdporos, 191; ueréupoc, ibid. A questa breve enumerazione di verbi composti giova porre termine qui raccogliendo quelli che hanno come primo elemento oUv: ouufaivw, 90; ouvdpoun, 96; Ouurintw, 105; ovußıßazw, 107; ouvdyw, 108; ovvinu, 109; ouupépw, 133 ; ouviotnu, 134; ouoréAAw, 135 ; ouvrianu, 136 ; ouvréoow, 137; ourxéw, 139; cuuBaMw, 140; ouvrpißw, 146; ouyköntw, 156; ovvrenvw, 161; ouvreivw, 170; ovyrüntw, 180; ouotpépw, 182. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 51 8 19. Idee di vari atti connesse con idee di ‘di moti a luogo' o di moti da luogo”. a) Idee di © dare" e di ‘prendere °. 203. didwu, do, concedo ecc. — grazio (tivà vwi, Sen.); perdono (tivi m, Eur., Dem.); consacro a, dedico a (éautòv toig dervoîg, Dem.; de ti, èni ti, Dem., Pol. ecc.); permetto (Om. e posti). tpoarodidvui, rendo prima — consegno, notifico prima (S. Emp.). dwpodorew, accetto doni — mi lascio corrompere (or. ecc.; pass., Pol., DA. ecc.); att., corrompo (D. S., Luc. ed altri post.): cf. &bwpobéknrtos, incorrutti- bile (or. ecc.); ddwpia, incorruttibilità (Poll. äbwpos (Tuc.). 204. aipew (1), prendo ecc., tolgo via, riduco in mio potere ecc. (2) — comprendo (Sen., PL); med., mi prendo ecc. — scelgo (Erdt., Att.); mi scelgo, preferisco, desi- dero, mi propongo, voglio (Om. e post.); oípéouat ti, mi dichiaro in favore di (Atti). Uf. afpeois nei sensi di scelta, preferenza (Pind., Erdt., Att.); d’inclinazione d'animo (Dem., Pol.); proposito (Pol., Plut.); idee fondamentali, modo di pensare o d’operare (PI. Dem.) dogma, setta filosofica (At., D. A., D. L., N. T. ecc. dvapew, sollevo, porto via ecc.; tolgo di mezzo ecc. — fo salire dal profondo, profferisco un oracolo, spec. delfico, predico (Erdt., Att.); contraddico, nego (Arist. med., m assumo (uw impresa ece.) (Erdt., pr. att). diampew, disgiungo, divido ecc.; distinguo (Sen., Pl. ecc.; anche med.); spiego, affermo con determinatezza (spec. med., Erdt., Att); interpreto (Plut.; anche med., D. A.); decido ece. (Erdt., Esch., Sen.). mapoipéu, levo via, dimi- nuisco ecc. — med., alieno alcuno da (Sen. 205. dMokopai, vengo preso, sorpreso, còlto (3) — sono convinto d’un reato, sono condannato (termine di giurisprudenza) (Erdt., Att. e spec. or., Plut.). dAWOWOC, facile a prendersi — intelligibile (Sof., Plut.). 206. ápmóZw, afferro, rubo (4) — afferro coi sensi, percepisco (Ipp., Plut.). duv- Dréi. afferro insieme ece.; strascino via — fo mio qualcuno (Eur.*), specialmente coll’amore (Call., A. P.), col discorso (Longino); afferro rapidamente collo spirito (gre- atà tarda). dapraréoc, avidamente cercato (Od.*); attraente ece. (Teogn., Mimn., Pind.) (5). (1) Per l'etimologia si tenga conto anche del nuovo tentativo del Darbishire (Notes on the spir. asp. in gr., p. 95), che vi scorge una rad. ler (cf. amt. ind. ir), mettere in moto. (2) Questo verbo, osserva lo Schmidt (Sys. n° 107, 1-6, = III, pp. 203-15), nel greco omerico Parla meno ai sensi che Aaußdvw ed indica non tanto l'espediente con cui altri s'impadronisce d'al- Cunchè quanto l'impadronirsene. (3) E un verbo che non può, avverte lo Schmidt (Syx., n° 107, 5, = III, p. 212), * weder die astischen bedeutungen von afpeîv, noch die freien übertragungen teilen , e deve pertanto “ sich auf die bedeutung gefangen oder eingenommen, auch etwa ertappt werden beschränken ,. (4) I1 Pillon (n° 96, p. 139) interpreta ápráčew colle parole: “ au propre, ravir comme un oiseau de proie, et généralement comme les animaux carnassiers ái (5) Il lessico esichiano e l'Æymolog. M. (148, 33) ci fanno conoscere un diprus nel senso d’&pwg artenio in Crinagora), “ mapà tò ápmáZew tàs ppévac , (E. M): cf. ápnoAcoc. La mentovata eti- mologia corrisponde manifestamente assai bene alla significazione del vocabolo ed allo spirito aspro di “sso, spirito di cui rimane per lo contrario affatto oscura l'origine se si vuol trarre äprug dalla medesima radice onde proviene l'arcus lat. (arco che ferisce pote certamente essere detto da poeti Amore anche in tal caso), ove non si giudichi tale * dovuto ad un erroneo accostamento di &pruc a úpnáčw, V. Hoffmann, Die griech. dialekte..., II, p. 281. pl (P (n. 208—206) ri (n. 207—208) 52 DOMENICO PEZZI 207. béxouai (dor., lesb., ion. dékopo1 (1)), ricevo — accolgo bene, approvo (Tuc., PI.); accolgo con pazienza, sopporto, permetto (Pl. ecc.); m'assumo (Pol); aspetto (Om., Eur.); accolgo come alcunchè (principalmente come un vaticinio (Erdt., Ar.); giudico, reputo (Sof.); interpreto (Str., Filod., gr.); prendo (fra più cose), voglio, desidero (pr. att.). dvadéxopoai, ricevo — assumo su me, sopporto (Od., Pl. Pol, D. S.); assumo su me, prometto (Pind., Erdt., pr. att., Pol.); mi rendo mallevadore (Tuc., Sen., Pol.); aspetto (Pol., D. A.). &mobéyopou, ricevo, accetto ecc. — accetto un'opinione, approvo, lodo (Erdt., Tuc., Pl. ecc.); assento, credo ad alcuno (Pl), ad alcunchè (Lis.); seguo una dottrina (Sen.*) ; riconosco alcuno (N. T.); prendo in wn certo senso, intendo (Sen., PL): maperdexonan, accolgo, interpreto altrimenti o male (M. Ant., Eus.). Úno- béxouot, accolgo — anche in senso trasl. (Od., Eur.); m assumo (un lavoro ecc., Erdt.); prometto (Om., Erdt., Tuc., Pl. ecc.); sopporto (0d.); approvo, gradisco (Erdt.): cf. ùmodoyn ne’ sensi di supposizione, aspettazione (Dem., Eschine*) (2). dexdZw, corrompo (soprattutto i giudici, Isocr. ecc.); pass., mi fo corrompere (Lis., Luc.): cf. dexaou6ç (D. A. ecc.). Il concetto d'' accogliere collo spirito ° (3) appare in parecchi derivati nei quali la radice si presenta nella forma dox. doxdZw, osservo (Sofr. in Dem. Fal.*). mpoodoxdw, aspetto (Eur., Pl. ecc.); spero, temo (Erdt., Att.); mpooboxía, aspettazione, speranza, timore, cura (Tue., Sen., Pl. ecc.) (4). doxeüw, osservo (Om.); spio (Eur.); insidio (IL, Pind., Teocr.); considero (Orf., Nonno); opino, credo (Coluto). dok- uóLuw, esamino (Erdt., pr. att.); ricevo come provato, approvo (pr. att.); scelgo dopo prova (Sen.). boxéw, penso, opino, m'immagino (Om. e post.) (5); dokeî, pare, piace, si delibera (Erdt., Att.). eùdokéw, mi contento di, approvo ecc. (Pol, D. A., LXX, UNS xarabokéu, ho opinione cattiva od erronea (Erdt., Antif.). döyna, opi- nione (Pl. ecc.); deliberazione, decreto (Sen. ecc.); insegnamento di filosofi (placita, Plut. ecc.). bó£o, opinione, aspeltazione (Om., Erdt., Att.) pura opinione, contrap- posta alla vera cognizione od alla vera natura d'una cosa (Pl, Accademici), quindi anche immaginazione, apparenza; parere, giudizio (PI. ecc.); proposito (Erdt.); opinione ch'altri ha d'aleuno, fama, onore (Erdt., Att.); dottrina filosofica (Arist., Epic.) (6). 208. èpdocopai, afferro (quanto si può stringere con una mano) (7). brobpáo- Oopa, agogno segretamente, tento in modo occulto d'impadronirmi (Plut.*). (1) Intorno alla relazione esistente fra le due forme v. Meyer G, Gr. gramm?, pp. 210-1. ^ dexeoda ist der allgemeine ausdruck für empfangen oder erhalten im gegensatze zu nehmen (Xau- Bávev).... (Schmidt, Syn., n° 107, 4, specialmente 18, — III, pp. 210, 231). (2) * Etwas übernehmen ist Ómobéyec00t und Avadexeodaı, jenes im sinne von auf sich nehmen, dieses in dem von auf sich nehmen: d. h. in jenem tritt der begriff der last in den vordergrund, in diesem der der pflicht.... , (Schmidt, Hb., n° 16, 1, p. 62). (3) Prellw., alla parola dékouon, (4) Tal verbo e tal nome “ bezeichnen... nur die persönliche meinung die man sich von zukünfti- gen dingen macht welche einen in irgend einer weise angehen „ (Schmidt, Hb., n° 115, 2, pp. 719-20). (5) Il valore di dokeîv viene definito dallo Schmidt con queste parole: “ meinen oder denken, von unserer anschauung aus , (Hb., n° 118, 5, pp. 696-7; n° 114, 3, pp. 715-6). (6) V. l'aut. cit., op. cit., n° 24, 2, pp. 90-1; n° 118, 8, p. 698; n° 114, 6, p. 717. Colla radice dek si congiunge ora anche dıddorw (*d1-bax-okw), insegno (Om. e post.); espongo bene, svolgo, dimostro (Att.) ; tro, educo (Eur., Pl. ecc.). Intorno allo svolgimento del senso leggiamo nel lessico del Prellwitz: ^ eigl. teile mit = lat. disco aus *dide-sco lerne, eigl. nehme an (vgl. dokéw; doceo zur bedeutung) , (alla voce 6ibáoku). (7) Schmidt, Syn., n° 22, 6, — I, p. 394. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 53 209. \auBavw, prendo (1); med., m’impadronisco di — convinco alcuno (Pl.); bia- Simo (Fil); att., ispiro (Beög..... Aaußäveı, Erdt., Luc.); apprendo, comprendo (Erdt., Att.). Muua, ciò che si prende o s'è preso — in dialettica una proposizione am- messa, una premessa (Arist., Plut. ecc.); il concetto contrapposto all'espressione (D. A.); xpa Mypara, concetti principali (Longino). ävakauBävw, prendo su, in alto — mi approprio, imparo (Pl. ecc.); imparo a memoria (Plut.*); m'assumo (un'impresa, Pol.) ; correggo (Erdt., Sof., Eur., D. S.); med., m’assumo ece. (Erdt.). di\nuuo, proposi- zione doppia (con cui si costringe un avversario ad ammettere come vera una delle due parti ond’essa consta, gr.). dia\auBdvw, ricevo divisamente; prendo fra le due mani ecc. — spiego, dichiaro (Luc., D. S., D. L.); afferro collo spirito (Lis., Pl., Arist.); pondero (Eur., Pol. ecc.); decido (iid.) ecc. èxìaupávw, tolgo via — scelgo (Pol. ecc.); comprendo, imparo (Pl, Isocr., Pol., Plut.); ammetto (Pol); scopro da un fenomeno, interpreto (Plut.*, gr.). émilaunBávu, prendo inoltre, afferro — med., intraprendo (Plut, Luc.); tocco discorrendo (Pl); assalgo con parole, biasimo (Sen., PL, Plut. ecc.). eUNaBrig, che prende, che tiene fermo — circospetto (Pl., Dem., Plut. ecc.), e tò eühapéc, prudenza, eircospezione (Pl, Plut.), coscienziosità (iid.); timorato di Dio (N. T.); ansio, timoroso (Arist. ecc.) cf. eòNABera, evAaßeouaı, sono prudente (Att.), mi guardo, sto in timore (iid.); temo Dio (N. T.), fo attenzione, mi curo, veglio (Sof., Pl., Luc.). KOTO- Maußavw, afferro con forza ecc. — anche in senso figur.; condanno (Dem.); prendo colla mente, comprendo (Pl., Pol. ecc.); contengo (me stesso, Erdt.); med. (?), marro, espongo prima d'un altro (Erdt.*). npohauBévu, prendo prima — anticipo un giu- dizio (Dem.*): cf. npöAnyıg nei sensi di congettura, idea oscura (Pol.); idea di cosa non ancora imparata a conoscere mediante insegnamento (filos. epicur., Cic., Plut., S. Emp.) idea (Arr.); il prevenire un’obbiezione (figura ret.) (Cic., Quint.). ÜTohau- Büvu, prendo di sotto, prendo sopra di me — afferro come pretesto, querela (Tuc.*); obbietto (Tuc:*); parlo dopo altri (2) (Tuc., Sen., PL, Dem.); intendo, spiego (Eur. PI. ecc.); reputo ecc. (Sen., PL, Isocr., Dem.). Qui occorre ricordare anche Adßpog, violento ecc. — che discorre inconsiderata- mente (Teogn.); temerario, impudente (Sof.); avido (Arist. ecc.), cf. Aógpug (Esch.). b) Idee d'' accostare’ e di ‘ scostare `, 210. óxolouOéw, seguo, accompagno (3) — aderisco (metafor., tì yvüun, Tuc); Osservo, m’attengo a (xoig xpôvois, l'ordine dei tempi, D. A.); obbedisco (M. Ant.); cor- rispondo, sono conforme, sono conseguenza (Lis. ece.); seguo coll'intelletto, intendo (Mótw, PL); imito, sono allievo (Ar., Luc., N. T.). Of. dkoXov0ia nel senso di conseguenza logica (Filone, Plut.): vi s'aggiunga duormapaxoXoventos, difficile a seguire, quindi o comprendere (Men., Dem. Fal, D. A); che comprende difficilmente (M. Ant., Iambl.). 211. xupéu, m’imbatto, trovo (4) — colgo il vero (Esch., Sof.). Cf. ävroum, àvriáZu, V. Sopra, 58. (1) V. sopra, p. 51, nota 2. (2) V. Schmidt, Hb., n° 15, 3, p. 61. (3) Laut, cit. osserva come nel significato di questo verbo vi sia maggiore intensità e carattere Plastico che in quello di Zenger (Syn, n° 108, 4, = III, pp. 237-40). (4) Aut. cit, op. cit, n° 81, 8, = II, pp. 541-2; Hòb., n° 74, 5, p. 326. (n. 209—211) 54 DOMENICO PEZZI (n. 212—218) 212. otoydZopar, dirizzo ad un dato punto, ho la mira a, scaglio — ho intento "(Dem., Pl, Arist., Pol.) (1); congetturo (Sen., Pl, Dem., Pol, Plut.). edotoyia, attitudine a colpire, a cogliere il buon punto (metafor.) (Pl., Arist., D. A., D. 8.). 218. tuyxávw, incontro, tocco ecc. (2) — colgo mel segno (trasl.) (tr., PI. ecc.). Notisi évruyxévw nei sensi di vengo a colloquio (Sen., Pl. ecc.); mi volgo ad alcuno pregando (Plut.): cf. évreuxrikôc, accessibile — affabile (Plut.); évreu£ig, incontro, col- loquio (Isocr. ecc.); allocuzione (Arist., D. A.); preghiera (D. S., Luc., Plut., N. T); lettura (1fig mpayuateias, Pol., Cl. AL); con évruxía nel significato d'accusa (Sereno é in Stob.*); karevreuxrfjc, accusatore (LXX, less.). 214. xıyavw, raggiungo, trovo. Axixntog, che non si raggiunge — inesorabile (Esch.). 215. ápaprávu, erro, non colpisco nel segno — ho un concetto erroneo (Od., Erdt., Tuc., Eur., Pl); pecco ecc. (Om., Att.). vnueprüc, che non falla, verace, vero (Om., Esch.) (3). 216. eikw, mi ritraggo — anche trasl. (eike Ouuoû, Sof.); mi lascio guidare (Om., tr., Sen.); permetto, concedo di (Om., Sof., PI.). | 217. xwpéw, do luogo, cedo, procedo — mi diffondo (trasl., di notizie) (Erdt., Pl., | Sen. ecc.): comprendo (in senso materiale), contengo in me — concepisco (trasl.) (Plut., | N. T.) (4). é£avoxupéu, rebrocedo — tà eipnuéva, tento sottrarmi alla parola data È (lac): Tapaxwpéw, vado da un lato, fo luogo — cedo alcunchè (or., Pol., Luc.); | concedo, permetto (Pl., Plut.); seguo, obbedisco (Pl.). GUYXWPÉW, vo insieme — m'ac- cordo (Dem. ecc.): do luogo — cedo, m’acconcio a (Erdt., Att. ecc.); sono indulgente li (Dem.); concedo, permetto (Eur., Sen., PL, Dem., D. S., Luc. ecc.) (5). | 218. péfouu, poßeonaı, fuggo (poBéw, metto in fuga; qóBoc, fuga (6)) — cado in timore, temo (Erdt., Att.; pófoc in tal senso è già in Es.). | E (1) Aut. cit., Syn., n° 41, 7, = II, p. 17. (2) Nel senso di turxdvw “ das ziel nur als zufällig erreichter endpunkt vorschwebt , (aut. cit., op. cit n’ 104, 2; — II p. 151). ` (8) H valore d’ * unfehlbar (...das rechte treffend) ,, avverte lo Schmidt (op. cit., n° 178, 3, = IV, E pp. 282-8), appare ancora in Omero : poi la parola “ von einer rein sinnlichen anschauung ausgehend, nach welcher namentlich die worte mit den dingen selbst die da sind zusammentreffen, nimmt schon bei Homer die bedeutung wér an, insofern damit die wirklich vorhandene dinge bezeichnet werden ,. (4) Nella seguente guisa descrive lo Schmidt (Sys. n° 41, 7, = II, p. 17) i due valori fondamen- tali di tal verbo: " xwpeîv einerseits in sich fassen, enthalten, andererseits raum geben. d. i. als be- | stimmte Xbpa sich offenbaren, was nur durch die fortbewegung deutlich geschehn kann; es ist fast wie sich plaziren, d. h. einen andern platz einnehmen ,. (5) Da una radice significante in origine farsi indietro innanzi ad alcunchè (cf. amt. ind. tyaj, lasciare, rinunziare ecc.) si trae ora déou, ho pudore, mi vergogno UL, Esch., Pl.) ; venero con pio terrore ecc. (Esch., Pind. PL, Sen); onoro altamente, approvo (anche att, Erdt., tr, Pl, Sen.) j “ oéfetv, oéBeoðo bedeutet ehrfurchtsvoll scheuen oder verehren , (Schmidt, Syn., n° 181, 12, = IV, | pp. 344-5). C£. oepáčouor e oefizw. oeuvôc, venerabile (i. o., Pind., Erdt., Att); pomposo (Sen. or.); | dignitoso (ne' modi ecc., Isocr.); artifizioso, orgoglioso (Sof., Eur., Isocr., Dem.). Intorno all'etimologia si consulti il già cit. Grundriss del Brugmann, I, pp. 71 e 317; II, p. 1152; Prellw., alla voce oéfouan. (6) Leggiamo nello Hb. dello Schmidt, n° 116, 2, p. 723: " peßegbaı, qóBoc und qofeic0m be- deuten bei Homer durchaus noch flihen und flucht, wie Lehrs zuerst überzeugend nachgewiesen hat. Doch wird damit, im unterschiede von pere und quy, nur die flucht im schnellsten Taufe, und namentlich eine solehe flucht bezeichnet, im der man im wilden laufe, bei unmittelbar drohender gefar, CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 55 219. peúyw, fuggo, sfuggo — sfuggo alla mente (Esch. ece.; cf., in tal senso, dia- peúyw, Isocr., Pl; ékpevrw, tr., Dem.); mi périto, mi vergogno (Erdt., Eur., Pl.) (1). Alle parole testé mentovate, corrispondenti all'idea di ‘ farsi vicino ' od a quella di ‘ farsi lontano °, terranno dietro alcune altre significanti atti diretti a © produrre vicinanza o lontananza ` 220. épetdw, colloco fermamente presso a, appoggio ecc. — sostengo (trasl., rvbuav, Teoer.). Eerrepeidouon, m'appoggio — mi fido (Ap. R.*); m'oppongo (Ar.*). 221. oxfmru, appoggio — med. (anche att., Eur.*), allego per pretesto, mi scolpo (Erdt., Tuc., PI, Dem., Pol. ecc.). Okfjytc, pretesto, discolpa (Erdt., tr., Dem.) (2); finzione (Luc.). ÉTIOKATTW, appoggio sopra, getto sopra — ingiungo ad alcuno ecc. (Erdt., Att.) prego, incarico pregando (di moribondi) (tr., or.); supplico, scongiuro (Sof.*, Eur., D. A; impreco (Erdt.*); accuso (Pl); med., intento querela di falsa testimonianza, mi volgo contro un falso teste ecc. (or. accuso di volontaria offesa (Lis., Pl.). 222. dubvw, tengo lontano, respingo (3); duivouo, mi difendo — mi vendico (Atti). Wim, pretesto (Od.*). 223. éEeiprw, escludo (arceo) — proibisco (Eur., Sen. ecc.). c) Idee di ‘ chiudere’ e d’‘ aprire ` Le loro relazioni coi significati dei vocaboli teste addotti sono si manifeste che occorre parola intorno al posto assegnato a tali idee in quest'enumerazione. 224, x\eiw, chiudo ecc. amorkelw, escludo, chiudo — fo riserva (Dem.); inter- dico (Ar) (4). 225. dvantioow, dispiego — chiarisco, manifesto (tr., Plut.). TPOOTTUOOUW , applico a, abbraccio, per lo più med. — accolgo affettuosamente (Od., i. 0.); prego con insistenza (Od., Nonno) ecc. 226. xaívu, xdoxw, mapro, sto aperto ecc. (hio, hisco). émixaivw, abbocco, acchiappo — agogno (inhio, Luc.). tpooyaivw, sbadiglio verso — sono avido (Filone). Kataxdokw, apro la boceu — desidero (gr. tarda). ^ mepwáoxu, apro molto la bocca — bramo (CL AL). Xaoudouo, sbadiglio — sono confuso, impacciato (P1.). Xatéw, non re FAR dahinfart, „wie ein wetter * „. Of. Syn., n° 189, 4, = III, pp. 512-3. Ma, notasi alla voce qóBoc nel Lex. dell'Ebeling, “ negari tamen vix potest, locis nonnullis velut èvopvivai, &ußdAkcıv, èviévar p. Vocem iam prope accedere ad vim temporum posteriorum ,. (1) Intorno al senso di sono accusato, citato in giudizio (Ar., pr. att.) v. Thomas, pp. 103-5, che mette anche in rilievo la significazione di sono assolto (Esch., cf. &xpebyw e soprattutto dmogevyw) P quella di mi difendo (v. l'interpretazione ch'egli propone del v. 390 delle ‘Ixét. d'Esch.). (2) Lo Schmidt traduce “ finte, d. h. jedes künstliche mittel, durch das man etwas eu erreichen oder'eu vermeiden sucht „ (Syn, n° 109, 6, = III, p. 250). (3) Anche nel senso di non diretta difesa, nota l'aut. cit., op. cit, n° 148, 10, = IIT, p. 676. (4) Mal certa è l'etimologia, quindi anche la significazione primitiva della voce épkoc (Vanicek, Griech.-lat. etym. wrtb., pp. 898, 903; Prellw., ad v, chiusura, steccato, luogo chiuso ; riparo, difesa; cappio, lacciuolo — astuzia, ing , tradimento (tr.): cf. ópkávn, luogo chiuso ecc. Con tali voci si connette evidentemente ópkoc, giuramento (Om. e post.), con épxiZw, fo giurare (Sen., Dem. ecc.), Scongiuro (Orf., N. T. papiri) ecc. Il Jacobitz ed il Seiler nel lessico di cui qui si fa continuo uso Interpretano Ópkoc come un * Épkoc, cine schranke, durch die man gehalten ist etw. zu thun u. nicht ge thun „: il Prellw. scorge nel primitivo valore di ópxóu, 6pkiZw, l'idea di * mache fest, hege ein ,, ch'egli reputa rappresentata in origine anche da duvun; cf. ant. ind. ami-, ^ festmachen, festsetzen „. (n. 219—226) or 6 DOMENICO PEZZI 2 (n. 226—228) (ho yfitog, abbisogno) — agogno (Om., Arato, Ap. R., A. P): cf. xaxíZw. xaûvos, rilassato -— negligente, stolto, vano (Sol., Pind.); orgoglioso (Ar., PL, Arist., Plut.) (1). d) Idee d'* unire’ e di ' separare ' Corrispondono anch'esse, come ognuno pud facilmente scorgere, alle idee d' * ac- costare ° e di ‘ scostare ’. 227. dreipw, raccolgo. ouvareipw, id. — trasl., ouvareiper éautóv, si raccoglie, riprende animo (Pl.): cf. le locuzioni om. ... Buuég Evi orndeocıv &répOn, ..... Ze ppeva Ouuóg drépon. ayopd, adunanza, luogo dell'adunanza; mercato, merci, vettovaglie — discorso pubblico (Om. ecc.) dono della parola (Il.*); negoziazione (Om. ecc.) ^ dro: peüw, parlo in adunanza, parlo con ispeciale valore d'esposizione, annunzio, dichiaro | (Om., Erdt., Att.). GyupThs, ciurmatore; &puprikóc, ingannevole (Plut.). àroayo- ` peúw, vieto, sconsiglio (Erdt., Ar., Sen., PL, Arist, Plut.); rinunzio (DL, Plut.); mi vien meno l'animo, sono infastidito (Sen., Pl., Lue.). é£wropeüw, annunzio (Od., Erdt., | Plut., Orf.); paleso ciarlando, svelo (Luc. ecc.). ouvoyopeuw, parlo insieme per con- sigliare alcunchè (Isocr.); sono d'accordo (Tuc., Sen. ecc.); difendo (Tuc., or. ecoc.). únayopeúw, dico in primo luogo, detto (Sen., Dem.); annunzio segretamente (LXX); | consiglio, insinuo (Str., Plut. ecc.). xammropéw, parlo contro, biasimo (Pl. or.); per i: lo più accuso (Erdt., Att. (2)) ecc. mapnyopéw, eccito, ammonisco (Esch., Pind., | Erdt., Sof, PL, Ap. R.); consolo (Esch., Dem., Ap. R., Luc.*); acqueto (Eur., D. A., 1 Plut.). npoonyopog, che volge il discorso, il saluto (od «a chi si volge ecc.); amico | (PL, Plut.); concorde (P1.*). 228. \éçw, raccolgo — scelgo (spec. med., Om.); annovero (Om., Call); recito, rac- conto, descrivo (Od., Sen. ecc.); parlo, dico (postom.) (3), anche metaforicamente di | scritture (Pind., Erdt., Sen., or.); nomino (Erdt., Att.); comando ecc. (Esch., Pl, Dem.); parlo in pubblico (Tuc., Sen.); recito cosa scritta, leggo ad alta voce (PL, or.); penso, (1) Lo Schmidt (Syn., n° 206, 5, == IV, pp. 670-1), prende le mosse dal concetto di “non com- LV baciar bene’ (* klaffen ,) per giungere a quello di ‘tumido’ (* aufgedunsen ,): * es werden damit körper bezeichnet, die einen grossen umfang einnehmen, one wirklich derb zu sein und — je nach dem D verhältniss des gegenstandes — eine grössere masse zu besitzen „; indi l’idea dell’ “ aufgeblasene wesen | eines menschen ..... dem es an jeder gediegenheit fehlt. So zeigt sich besonders der praler, überhaupt | aber ein eitler mensch ,. | (2) Si mette in rilievo l'accusa come atto pubblico (Schmidt,, Hb., n° 10, 2, pp. 38-9). | (3) Dal senso di raccogliere (“ sammeln, auflesen „) il Thomas (pp. 53-6) trae quello di numerare , (* das “zählen ’ ist ein ' geistiges sammeln ’ ,), e da questo il significato d’enumerare, recitare, nar- rare (^ aufzählen, hersagen, erzählen ,): soli i sensi accennati ammette come omerici, non ancora quello di dire senza più (* bei Homer also hat Atyaıv die bedeutung sagen, reden noch nicht, der grundbegriff des wortes sammeln, d. h. eine mehrheit zusammenfassen ist auch in der übertragung noch zu mächtig ,). Aérev con manifesto valore di dire non appare, a parer suo, prima d’Alemane (cf. il comp. nayı\öyog nelli. o. ad Erme, 546): ne’ tempi seguenti questa significazione b la predo- minante; le precedenti cadono in disuso, fatta eccezione di composti con tk, Gv, nei quali vediamo ancora vivo il senso più antico, quello di numerare. Lo Schmidt insegna che Aéyew è in Omero * erzählen, indem man eine reihe von tatsachen, taten oder ereignissen, natürlich in ihrem ordentlichen zusammenhange, nach einander verführt oder aufzühlt ,. Se ne svolge naturalmente il senso di “ sagen » in genere; poi il verbo diventa l'espressione comune “ der aussage, auf den inhalt gehend und speziell auf die geordnete form der darstellung, die nach logischen prinzipien erfolgt..... „ (Syn., n° 1, 20, 44, 55, =], pp. 36-7, 73-5). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 57 giudico (Erdt., Pl. ecc.); lodo (Sen.). Non puossi qui, senza troppo lungo discorso, nè (n. 228—230) menzionare parecchi composti, nè esporre i significati mirabilmente vari del derivato \6yos: basti ricordare come questa parola presenti soltanto sensi traslati, che cor- rispondono ai valori delle voci latine oratio e ratio; la seconda serie di essi non è ancora omerica (notisi per altro &Aoyew, rationem non habeo, IL*) (1). Cf. AoyiZonon, calcolo (Erdt., Ar. ecc.); metto in conto per... (Sof, Ar., Dem., N. T. ecc.); conto per aleunchè, ascrivo ad una classe (Erdt.); prendo in considerazione, rifletto (Erdt., Att.); ` conchiudo (Sen., PL); delibero (Erdt.*, Eur.*). 229. &ntw, unisco, attacco; med., attacco per me, m'attacco a, tocco, afferro (2), | | assalgo ecc. (in vari sensi, anche psicologici) — metto mano a, m occupo (Pind., Eur., | Pl. ece. (8)); tocco discorrendo (Pl.). àvántw, annodo, lego ecc. — attribuisco, im- | puto (Od., Eur., Plut., A. P.). xa8ómtu, attacco, tocco, afferro; med. m’attacco, tocco | — aspiro a (Sol. in Plut.*); parlo ad ale. (Om.); volgo rimproveri (Erdt., pr. att.); | chiamo a testimone (Erdt.*) (4). ouvénrw, lego insieme — inferisco, conchiudo (Call.*) | (cf. cuvnuuévov, con o senz'àziwpa, conseguenza, Plut. ecc. Guvénre mi mpóg pe, mi | viene in mente (Plut.). dmapiorw (etimologicamente tocco, liscio) — inganno (Od.*). {dl érapdw, tasto (5) — m'occupo un po’ d’aleunche (Aleifr.*): cf. ènaph, contatto — È riprensione (Plut.). | 230. dpapioxw, adatto, congiungo, fornisco bene, armo ecc. — intrans., dipape, è ben fermo, deliberato (tr., Luc.); sono adatto, gradito; piaccio (Od., Es*, Eur); cosi dpuevog (Pind.) (6). äpeiwv, äpiotos, significanti superiorità che in Om. non ha d ancora valore ‘etico °, valore di cui le prime tracce appariscono in Es. (7). óàpé- | OKW, rendo pago con un compenso (IL), appago (Eur.); piaccio (Erdt., Att.); sembro vero (rà àpéokovra, placita philosophorum, Plut.); med., mi rendo inclinato, benevolo (Om. Esch., Sen., Teocr.); pass., sono appagato, contento (Erdt., Att.). Of. äpeokeia in senso di piacenteria (Pol. ecc... ^ Guvevapeoréu, approvo insieme (iscr.); pass. -o0uo (D. S.). &pemoc, collegato, concorde, amico (Od., Erdt.). b1iap0póu, divido membro a membro | (1) Intorno a Aóyoç leggasi il lungo articolo nel Wrtb. del Jacobitz e del Seiler. | (2) Per lo Schmidt (Syn., n° 10, 2, 8, = I, pp. 226, 232-5) &ntesða è * eigentlich mit der hand i fassen, festhalten , : egli crede probabile che dal concetto “ der ‘ festen verbindungen `, il suo senso | S'estendesse sino a diventare quasi eguale a quello di @vrrdvw (v. sopra, n° 142). Cf. Hb., n° 106, 2, pp. 601-2. (3) Thomas, pp. 19-20. (4) Giusta lo Schmidt vofdmteggo è “ eine person bei einer bestimmten gelegenheit angreifen, auf bestimmte sachen seinen angriff richten. „ (Syn., n° 5, 8, = I, p. 159). (5) Non il valore di befühlen, betasten, ma propriamente quello di prifend handhaben lo Schmidt vuole attribuire ad &päv (op. cit., n° 10, 9, I, p. 235). | (6) Intorno allo svolgimento dei sensi della radice dp v. G. Curtius, Grundz.", pp. 889-40. " Die | bedeutungen entwickeln sich einfach aus dem begriff ‘ fügen °, der bald transitiv gefasst wird, und von dem die vorstellung der “engen verbindung’, aber auch der ' enge ' (lat. ar-tu-s) und ‘ bedrüngt- heit'...ebenso wenig abliegt, als die übertragene des ‘ gefallens ’... Im hom. äpoavrec katà Oupóv 4 136, ëvi opealv Tjpapev fjuiv 5 777 sieht man deutlich den übergang. Zu äperh stellt sich als eine schöne bedeutungsparallele mhd. vuoge, passendes benehmen... Die grundbedeutung aber dieser w. kann kaum eine andre als die der ‘ bewegung zu etwas hin’ gewesen sein. In den meisten anwen- dungen ist diese als “eine gelingende, ihr ziel erreichende ’ aufgefasst ,. (7) Hecht, pp. 154-7. Anche lo Schmidt (Syn., n° 179, 4, = IV, p. 298 e segg.) mostra come questi aggettivi si riferiscano in Omero ad un’ ‘aristocrazia guerriera”. Serre II. Tom. XLVI. 8 — (n. 230—284) 58 DOMENICO PEZZI — spiego distintamente (Pl. ecc.): cf. evbiápOpuroc, chiaro, intelligibile (Eust.) ^ àperf, attitudine, eccellenza in genere. (praestantia), varie specie di essa, soprattutto l’eccel- lenza morale (valore che in Om. è appena nel suo inizio) (1). àvaptáw, appendo, sospendo — pass., dipendo da, confido in (PL, Plut., Luc.); mi lascio tenere a bada (Dem.); med., mi rendo dipendente alcuno, me lo guadagno (Sen.); imprendo (Erdt.). diaprdw, sospendo — metto in aspettazione, in ansia; inganno (Men., D. A.). guvy- aptáw, sospendo insieme — pass., sono continuamente occupato in (Plut.). àprùv * qiMav.xoi oúußaow . À kpioiv, cf. àprg* oúvtažiç (Esich.) (2). 231. ápuóZw (3), connetto, adatto — ordino, guido, reggo (Pind., Sen., El): áp- uóZet decet, conviene (Sof., Ar., Pl., Dem.) ecc. Of. cvvapuóZu ne’ sensi di m’adatto (trasl., med.) (Sen., D. L. ed altri); corrispondo, concordo (Sen., Pl., Arist. ecc.). 232. déw, lego — lego l'animo (Om., Pind., Eur. ecc.); incanto (A. P). ävabéw, cingo, incorono — ricompenso, onoro (Pl.). xatadéw, lego — incanto (At.*, D. C.); condanno (Erdt.*) (4). 233. mAérua, l'intrecciato ecc. — Vintreccio del discorso (PI); mÀokü, intrec- ciamento, tessitura — irretimento, astuzia (Bur.); l'intrecciarsi del nodo tragico (Arist.). mepmhékw, avvolgo, attorciglio — uso avvolgimenti nel discorso , parlo oscuramente a bello studio, specialmente per non dire colle parole proprie cose sconvenienti (Eschine*, Luc.*; med., PL, Plut.*, Arr). ouumhékw, intreccio con — vengo a disputa con (Eur.). 234. fámtu, cucio, connetto — ordisco (xaxd tivi ecc.) (Om., Erdt., Eur.). xaxop- papin, macchinazione astuta, insidia (Om.); xaxoppapew (tarda gr.). fowubóc, chi (1) Hecht, pp. 68-9, 146-8. (2) Dubbia è l'afinità etimologica fra i verbi teste indicati od épauu, épáu, épéouu, amo (spe- cialmente d'amore sensuale) (Om., Pind., Erdt., Att., Plut., Luc.); in genere mi compiaccio (Om., Pind., Att), bramo (Teogn., Pind. Erdt., Att): “ heftige und besonders sinnliche liebe zu personen ; begierde zu dingen, Mit genitiv. Mit infinitiv : wünschen , (Schmidt, Syn., n° 136, 2, 9, == III, pp. 475-6, 488 ecc.). Il Prellw. connette, dubitando, épauœ (ad v.) con dpaptoku, dpéokw : così, senz'esitazione, il Wharton (Et. gr., ad v.). Altri ricorrono ad altra rad. (cf. ant. ind. ram, riposarsi, dilettarsi, godere) : v. G. Curtius, Grunde, p. 825; Vanicek, op. cit., pp. 768-70. V. anche Persson, scritto cit., p. 24, ove congiunge ëpw con Epw-(F)-h " aufhören, rast , e cita esempi di simile nesso di sensi. (8) Intorno all'incerta relazione d'origine fra questo verbo ed dpapioxw v. Darbishire, ser. cit., p. 95. (4) I partieipi ved. agadhita, legato, attaccato, e parigadhita, stretto intorno, comparati con àya0óc ben possono far parere probabilissimo che, pel suo primitivo, fondamentale significato, l'aggettivo greco debba annoverarsi fra i vocaboli di cui qui si discorre e sia giunto al senso in cui lo vediamo adoperato passando per quello d'aptus od altro simile. V. Grassmann, K. Z, XII, p. 129; Prellw., ad v. Tutte le altre etimologie proposte. della parola greca sóno di gran lunga inferiori all’accen- nata: v. Vanicek, op. cit., pp. 382, 385; Ebeling, ad v. Intorno ai vari valori d'éya06c nel linguaggio omerico esiodeo (utile, opportuno, gradevole, eccellente ecc., soprattutto di nobile origine, forte, corag- gioso in Om., con inizi dell'uso in senso morale nell'Od. e negli "Epya x. fuépu) v. Hecht, p. 148 e segg. Meno verisimile viene ora giudicata la provenienza di reiOw (persuado [Om. e post.], persuado con astuzia, inganno; muovo con preghiere [Om.], rendo mite [IL, Es., Pind.], pass. e med., mi lascio muovere da parole, credo, obbedisco [Om. e post.], nénowa, mi fido, confido [ep., Att.]) ecc. da una rad. significante legare (cf. meîcua, corda, gomena; mevOcpóc, suocero ed anche altri congiunti); pro- venienza che parve probabile a G. Curtius, il quale ammise i seguenti gradi intermedî nello svol- gimento del senso: “ sich binden lassen, sich fügen, sich fest verbunden fühlen „ (Grunde, p. 261). Vi s’accostd lo Schmidt, notando come i derivati della rad. meg esprimano “ einen solchen glauben an personen und sachen..., der einem festen verhältniss, in welchem wir zu denselben stehen, entspricht „ (Syn., n° 17, 2, = I, p. 886). Ma v. ora Prellw., ad v. ecc. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 59 connette canti, soprattutto epici, colla recitazione, disprezzato più tardi, quando la scrit- tura Vaveva reso inutile (Erdt., Pl. ed altri); faywdéw ha anche il senso recito solo componimento altrui appreso a memoria (Pl, Dem. ecc.). 235. xepávvupu, mesco (1) — anche in senso trasl. érxepávvuju, mescolo; med., mescolo per me — ordisco, macchino (Erdt.). Ouykepüvvuuı, mescolo insieme — pass., converso, fo amicizia con (Sen.). xexpouévwe, temperatamente — in modo espressivo (Plut.*). dkparoc, non mescolato, puro — anche in senso immateriale, nella sua schietta natura, nella sua piena forza (Pl. Plut.); immoderato, senza freno (Esch., Plut.) (2). dxéparos, non misto, puro, non alterato nelle sue proprietà — innocente, incorrotto (Eur., PL, D. C.); imparziale (Pol); senza falsità (N. T.). 236. xuxdw, mesto, mischio; confondo ecc. (8) — pass., cado in grave perturba- zione (IL, Pl). Cf. movroxóxn, donna scompigliante il mare — irrequietissima (B. A probabilmente da Crati). 237. utrvupt, mischio (4). dicuiktog, poco socievole (Poll.). eÜpikTOG, socie- vole (Poll, Tem.). 238. púpw, mescolo, impasto insieme (5), macchio, insozzo — ingiurio (púpovtor Um uv, Plut.). 239. xpivw, separo ecc. — lotto, lotto disputando (Erdt., Ar.*, Tuc.); scelgo (Om., Erdt., Esch.); decido, giudico (Om., Att.) spiego, interpreto (IL*, Erdt., Esch., Eur.) approvo (Sen., Iseo); aggiudico (Sof); investigo (id.); accuso (or. ecc); condanno (Dem.)* (6). Cf. xpina, xpioig. eùkpiviig, den distinto, puro — chiaro, intelligibile (Iseo, Ermog.): eükpwGe, chiaramente (Pl). éEeuxpvéw, investigo esattamente (Pol.*). úno- kpivu, separo un po’, distinguo — med., rispondo (Om., Erdt., N. T. (7)); spiego, interpreto (Od., Ar.); rappresento una parte d'un dramma (= interrogo e rispondo come attore) (Dem., Plut., Erod., Luc.); declamo (Luc. ecc.); fingo, fo l'ipocrita (Dem., Pol. ece.); cf., in tal senso, Öroxpırig (LXX, N. T.). 240. evdoreona, med., divido, lacero — ingiurio, maledico (Esch.*, Sof.*); enumero Partitamente (Esch.*). “7 MAN e tee A (1) Indica in particolar modo un’intima unione “ bei der der eine gegenstand verändernd auf den anderen einwirkt „ (Schmidt, Syn., n° 205, 3, = IV, p.650 e segg.). (2) Thomas, p. 12. (8) Questo verbo designa, nota lo Schmidt (op. cit., n° 205, 8, = IV, pp. 660-2), il * zusammen- rüren od, quirlen, durch einander rüren, von flussigkeiten und kürpern mit pulveriger oder erdiger beschaffenheit, Es unterscheidet sich dadurch von œupôv, dass es das zu bringen dieser bestand. teile durch rüren bezeichnet ,. 4 (4) Corrisponde, avverte lo Schmidt, all'idea d'un'unione di corpi senza denotare azione reciproca, dagegen mit deutlicher hervortretender örtlicher bezihung , (op. cit., n° 205, 3, = IV, p. 650 e segg.). (5) Propriamente pupäv, giusta laut. cit., ^ heisst einen trocknen pulverigen körper durch bei- Mischung eines flüssigen zu einer teigartigen masse verbinden , (op. cit., n° 205, 7, = IV, pp. 658-60). . _ (6) Il verbo xpivav “ bedeutet ... eigentlich scheiden oder sondern und nimmt denn mehrere spe- Zialbedeutungen an, von denen die eine entscheiden und aburteilen, ein urteil füllen über hierher gehört , (usasi trattandosi e di persone e di cose). ..muss in allen den füllen, wo das richterliche unt hervorgehoben werden soll, wáZew stehn; und in allen denen, wo die erwügung der umstände, Se prifende tätigkeit in den vordergrund tritt, xpiverv angewandt werden , (aut. cit., op. cit., n° 18, 6, 771, pp. 357-9). 7 : (7) Propriamente in Omero brokpivouan, più che semplicemente rispondo, significa “ responso qa velim declaro ,. Scadde poi nella prosa ionica sino al senso di rispondo in genere. V. Ebeling, ad v.; Schmidt, Hb., n° 15, 2, 3, pp. 60-1. (n. 234—240) | (n. 241—242) 60 DOMENICO PEZZI 241. véuu, ripartisco; per lo più med., posseggo (come parte assegnata, in origine probabilmente soprattutto di pascolo), godo, abito, amministro; att., conduco al pascolo — assegno ad alcuno (metafor.), tengo per, stimo (Esch.*, Sof.); nomino, scelgo a (Isoer., Arist., D. A.); reggo, governo (Esch., Pind., Erdt.) (1). avaveuw, ridivido — med., enumero, recito (Erdt.*); leggo (Teocr.*). véueois, (distribuzione — attribuzione, im- putazione), giusto sdegno contro ingiustizie ecc., indi biasimo (Om.); invidia (divina od umana) (Erdt.*, tr., Arist., Plut.); ciò che può esserne oggetto (Om.); sdegno d'ingiu- stizia commessa da sè stesso, pudore d'azione colpevole (11): veneodw, mi sdegno (Om., Pind., PL); invidio altrui un bene (Es., Arist.) ecc.; med., mi sdegno giustamente contro me stesso (Od.); mi vergogno (Om.) (2). vôuos, uso (Es. e post.); uso diventato legge (Es.*, Sof., Eur., Pl. ecc.); legge naturale o data da un potere legislativo (Es., Erdt., Att.); opinione generale (Erdt.*, P1.*) ecc. (3): voniZw, riconosco come uso (Esch., Erdt., Sen.); ammetto, introduco un uso (Erdt., Sen.); stimo legge, stimo bene (iid.); tengo per (Att.) (4). vwudw, distribuisco (cf. émvwudw); muovo abilmente, dirigo — anche in senso trasl. (Pind.); ^ animo verso „ (Ebeling), considero (Sof., Eur.); osservo, m’ac- corgo (Erdt.*, PL*, che pone vwu&v come equivalente a okoteîv, Kpar., p. 411, D) (5). 242. Mw, sciolgo. Ma, dissoluzione — discordia (Pind.*). Moris, soluzione — confutazione (Arist. ecc.); discorso asindetico, interruzione di discorso mediante dia- logo, attenuamento d'espressione (ret. e gr.); spiegazione (Orf., Argon.*); espiazione (P1.*, Arist.*). ^ &váAucic, soluzione — anche d'una questione, d'una. difficoltà (Plut.). èni- Auge, soluzione — spiegazione (El., N. T.): cf. émiów ne’ sensi di spiego (N. T., S. Emp., scol), confuto (Luc.). KaTOAUW, sciolgo — intrans., mi riconcilio, mac- cordo (Tuc., Sen.); med., fo tregua, fo pace (Erdt., Tuc.). (1) Aut. cit., op. cit., n° 118, 2, pp. 693-4; Syn., n° 17, 1, — I, pp. 333-4. (2) Intorno a vépeotc, veueoüv, veueoileoda osserva lo Schmidt che * weniger die augenblickliche aufregung .....ala den dauernden unwillen, entrüstung bezeichnen , ( Hb., n° 128, 5, p. 788). Degno di considerazione, sebbene non tale che si possa accogliere senz'esitazione, è quanto leg- gesi intorno allo svolgimento dei sensi di vépecic nello scritto Zur griech. bedeutungslehre dello Schröder (pp. 17-24). Egli procede dal significato di “ scheu , (“ scheu vor strafwürdigen handlungen, ehr- und rechtsgefühl ,), che dice non citato, a torto, dall'Ebeling nel Lex. hom., ma che ammette egli stesso apparire già in.gran decadenza nell'età del canto epico ed essere andato affatto perduto dopo Esiodo, mentre il senso di punizione divina ci si presenta nella grecità postesiodea (e non nella Ocoy., v. 223 e segg., a parer suo) giunto a personificazione. Dal valore posto come fondamentale lo Schröder trae quello di ^ verübelung , comune in Omero, prendendo le mosse dalla locuzione où véueois e da altre simili (probabilmente “ es ist nicht zu scheuen... „, indi ^ es ist nicht zu ver- übeln..... ,). Ma l'autore stesso deve confessare che non è possibile far risalire à véuw il più antico senso di véueoig e ricorre perciò a lingue indoeraniche (v. pp. 22-3). Di qualche altra difficoltà sa- rebbe qui troppo lungo discorrere. (3) Per lo Schmidt vóuoc è “ die bestimmte einteilung oder zuerteilung, eine solche sitte die jedem bestimmte grenzen des handelns und verhaltens zwweist, und schliesslich das gesetz , (Hb., n° 118, 2, p. 693). (4) Il primo senso di vouiZav, secondo lo Schmidt (op. cit., 1. c.), fu “ etwas als feste sitte pflegen p soprattutto per quanto si riferiva ad usi religiosi. " Darnach bezeichnet vopiZerv den glauben der aus der betrachtung des gegenseitigen verhältnisses der dinge entsteht, tlich nach ihrem sittlichen werte „ (p. 694). (5) Lo svolgimento dei significati di vwudw ® accuratamente descritto dal Thomas, pp. 63-7. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 61 e) Idee di ‘fare? e di ‘ disfare `. Le relazioni semasiologiche fra le parole testé ricordate e quelle. che ora si menzioneranno sono, almeno per alcune di queste, sì chiare che appena occorre richiamare su tal fatto l'attenzione del lettore, cui sarà tosto manifesta la ragione dell'ordine qui seguíto. 248. mAdoow (metto a strati (1)), formo (d'una massa molle), figuro — invento; mentisco, fo l’ipocrita, falsifico; med., m’infingo (Esch.* (2) poi altri Att., Erdt., D. C.). Cf. mhdoua ne’ sensi d'invenzione, cosa immaginata (Senof.*, Dem., Arist.); d'illusione, finzione (Plut.*), d'artificio, leziosaggine in arte (Teofr., Plut); di conformazione del discorso, stile (D. A.) (3). 244. xfjbw, ledo (materialmente), mando in ruina — perturbo (lo spirito), rendo sollecito (Om., Es.); med. (con Kéknda), mi curo, mi perturbo di, m’attristo (Om., Pind., Erdt., Att.) xfidog, cura, perturbazione, tristezza (Om., Pl); in ispecie lutto per un morto (IL, Pind., Erdt. ecc.) (4). 244*, pOeipw, guasto, anniento (5) — seduco (Eur. D. 8.) (6). II. Idee di quiete. $ 20. 245. xeîuon, giaccio (7); sono in certe condizioni — anche di spirito (afflizione deprimente, spec. Om. (8)); ho fiducia in alcuno, ne dipendo (čv nn, Pind., Sof., Pol.; ER (1) Cf. -mAdorog in dimAdonog, doppio, ecc., ed anche méAac, vicino. V. Prellw., alle voci indicate. (2) Thomas, p. 76. i (3) Qui vuolsi anche mentovare now, soprattutto se s’accoglie, come par doversi fare e come fa il Prellw., l'etimologia giusta cui questo verbo avrebbe la radice comune coll'ant. ind. ci-no-mi, metto o strati, raccolgo ecc. (Brugmann, Griech. etymologien, I, aus den Berichten der E. sächs. Ge- Sellsch. der wissenschaften, 1889, pp. 36-41). Vi si mette in rilievo come l’idea del ‘costruire’ si Mostri ancora ben manifesta nei sensi omerici di rroréw (v. anche Schmidt, Syn., n° 28, 4, = I, p. 397 © segg.). Notinsi qui i significati postom. : creo poetando (Erdt., Ar., Pl. ecc.) ; metto in versi (Pl., Li- curgo); espongo poeticamente (Pl. Plut.); invento (Pl); suppongo ecc. (Erdt.*, Sen., PL); med., tengo Der, reputo, stimo (Exdt., pr. att.). C£. moinua, moinoiç, tomtés (notevole il senso d'infinto in momrög Tpörog, Eur.) ecc. ävriroiéw, fo a vicenda, in ricambio — med., fo a gara, aspiro a (Antif. com., ES att.). mpoomatw, fo in aggiunta ecc.; med., mi procuro — traggo alla mia parte, mi fo seguaci (Erdt,, Att); mi curo di (D. C., D. Li); mi do per, mi spaccio per (pr. att.); adduco a pretesto (Tuc., 1); fingo di non sapere, di non badare a (Tuc., Dem., Pol., D. (RH (4) Intorno all’incerta etimologia di kńðw, xfjboc, che anche per tal ragione sono stati posti qui, fra i verbi indicanti le idee di ‘fare’ e ‘ disfare ' in genere, v. Vanicek, op. cit., p. 1067 ; G. Curtius, Grundz’, p. 242; Ebeling, ad v. «hdw; Fick, Vgl. wrtb., I°, p. 32; Prellw. ad v. know. Del senso di tali parole discorre lo Schmidt, Syn., n° 88, 4, 5, 17, — II, pp. 577-9, 593; Hb., n° 125, 2, 11, Pp. 801, 808, ove si nota che nella grecità omerica kfjbev è ^ ein leid zufügen, schmerz verursachen... ,; ed yon leid betroffen werden ,, specialmente ^ leid fülen „; «dos poi è “ jedes leid das uns Unmittelbar betrifft, namentlich in dem verluste teurer angehörigen ,. Giusta l'uso postom. xMdeodar e Per lo più anche kñdoç hanno “ die bedeutung der wolwollenden fürsorge, die der im herzen teilneh- Mende ausübt... ” "i (5) Per lo Schmidt qOeípew è un “ verderben; besonders bis zu dem grade, dass etwas sein eigen- ‘es wesen einbüsst und vernichtet wird , (Hb., n° 88, 3, pp. 386-7; cf. Syn., n^ 158, 3, — IV, p. 86 ecc.). (6) Da una radice sostanzialmente identica a quella di pdelpw si trae ora q6óvoc, invidia ecc. È Prellw., ad v.), che solevasi connettere con Tévouot, manco di, e con omdvis, scarsità (G. Meyer, "iech, gramm, p. 250). (7) Senza denotare, osserva lo Schmidt (Syn., n° 25, 9, = I, p. 458), nè riposo nè sonno. (8) Ebeling, I, p. 739. (n. 243—245) À | | (n. 245—249) 62 DOMENICO PEZZI eni tivi, Pind., Luc.; ëx rıvos, Ap. R.) ecc. — ávóxeiuou, sono posto (in alto), sono ser- bato — sono dedicato, consacrato (Erdt., pr. att.); sono devoto ad alcuno, ne sono seguace (Eur., Plut.) (cf. qui mpooovdreımm). dókeimar, sono in una data condizione — anche di spirito; ho uwintenzione (Eur., pr. att.). érKemoi, giaccio in; sto intorno a — insto, insisto, incalzo con forza (mó00c, Ar.), com parole (Erdt., Tuc.), con preghiere (Plut., El., Longo); sono ostinato in un desiderio (Teocr.*). Erkeıudı, sono esposto — sono interpretato (Plut.). èrixeruo1, giaccio sopra o presso — stringo con preghiere (Erdt.): cf. npocenikeiua (Dem.). mpookeiuai, giaccio presso, davanti — sono dedito a (Erdt., Tuc., Plut.); stringo con preghiere ecc. (Erdt. ed altri). Umdkemor, giaccio sotto — mi sottometto, obbedisco, m’umilio (Pl., Luc.); sono posto come principio, come deliberazione ecc. (Erdt., PI., Dem., Pol.). 246. uévu, rimango — persevero, resto costante, fedele (a leggi ecc.) (Pind., PI, Arist.); resto in vigore (di giuramenti, patti) (Erdt., Att.). uóviuoc, durevole — costante, fedele (Sof., PL). ürouévw, rimango indietro, nel mio posto — aspetto (Od., Sen. ecc.); sopporto con forte animo (Erdt., PL, Dem. ecc.); m’assumo, m’incarico, ardisco (Sof., Sen.) (1). 247. otńkw, sto — persevero; aderisco ad alcuno ecc. (ëv tivi) (N. T.). OUVE- omnkötwg, tristamente (Arist.*). oTéois, lo star saldo — punto di vista filosofico, anche dottrina (Plut., S. Emp.). támog, stabile — quieto, costante (Pol.); serio, moderato (ée, Arist.). 248. âoteupñs, che non si lascia muovere — inflessibile, crudele (ep., Ar., Teocr., As D). 249. Zum, tengo, ho (2) ecc. — anche in senso traslato (3). àvéxu, tengo in alto, alzo — onoro (Sof.*, Eur.*); med., sopporto (Om., Att.): cf. tpocavéxw nel senso d'aspetto, spero, ho fiducia (Pol. ecc.); osservo (S. Emp.), med. (Pol.*). évéxu, tengo, ho fermamente — sono ostile a... ecc. (N. T.): notisi anche &voxog, = &vexöuevog da un'accusa, da una pena ecc. (PL, or.). ^ éméyw, tengo sopra, verso, contro, indietro — faccio (Eur.); ho in mente (Erdt., Tuc., Pol., N. T.); aspetto (Erdt., Att.); indugio (Od.*, Sof.*, Sen. ecc.); m’astengo (Ar., pr. att.); tengo in me, non esprimo la mia opinione (Erdt.*, Tuc.*, Luc. ecc.) — med., ho per iscopo (Od.*); titubo, indugio (Tuc., Pol., Luc.): ége£ic, pretesto (Ar.*), cf. émoxeotn (0d.); épekrixot, scettici (S. Emp.). KAT- éxw, tengo, tengo fermo, rattengo, occupo, ho in mio potere — inspiro; pass., sono inspirato (ër Oeo) (Pl. Arr. Luc.). mepıexw, circondo ecc.; contengo in me — anche trasl (27, dragdv è oùk Emornum mepiéyei, Pl); supero; med., m'attengo fortemente a (1) Schmidt, Hb., n° 72,3, p. 809; Syn., n° 24,7,= III, pp. 432-4. (2) * Grundbegriff : aushalten, sustinere , (cf. ant. ind. sah), “ stark verblasst im griechischen, am meisten in èxupós durchblickend und im EN. ‘“Extwp , (G. Curtius, Grande, n° 170, p. 193). Di tale trasformazione del senso primitivo della radice s'è tenuto conto nel collocare il verbo di cui trattasi fra quelli che in questo luogo si menzionano. Lo Schmidt nell’enumerazione dei significati si vari di questo verbo procede da quello di " sich erstrecken durch den raum nach einem punkte hin ,, venendo indi ai valori seguenti : “ sich voran anschliessen ,, “ angrenzen ,, “ sich nahe halten „, ^ nahe sein , (Hb., n° 90, 2, p. 446; Syn., n° 42, 5, = II, pp. 30-1). (3) “ Saepe status s. affectus, quem nobis videntur homines habere, dicuntur occupare et quasi habere hominem „ (Ebeling, I, p. 518). Si noti anche l'éyu = conosco, so UI, Att. [ràc Téxvac &xovres]) e l’éxw vov, rvbunv, vónua móc Tu elc ti (Atti). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 63 — amo vivamente, agogno a (Erdt., Plut. Tpooexw, tengo verso, accosto, volgo a — volgo la mente (rdv vodv ecc., che poi ben potevasi omettere), fo attenzione a... ecc. (Ar., PI. ecc.), penso a, sono dedito a (Erdt., Ar., Tuc., Sen. ecc.); mi euro di (Sen., ecc.); mi guardo da (mé tıvog, N. T). Ouvexeıa, continuità — cura costante (Dem.): cf. oúvoyoç nel senso di concorde (Eur... ünexw, tengo sotto, sottopongo, porgo ecc. — sopporto (Sof); prendo sopra di me, m’assumo (airíav, Antif., Sen.) permetto (PL); allego a pretesto (Ar.*): cf. &royog, nel senso giudiziario (Dem.), v. évoxoc. loxu, tengo, rattengo ecc., ho — med., mi freno (Om.); desisto, taccio (Od.): cf. ioxavéu, Intrans., m’attengo ad alcunchè, bramo (Om.); — opo, mi contengo, indugio (id.). bni- Oxouai, Ómicxvéopoa, mi sottopongo (ad un'impresa), m’assumo (1); prometto (Om. e poste- riori, fra cui Sen. (2)); affermo (profiteor) (Om., Erdt. ecc.) oxfiva, habitus, il tenersi, l'atteggiarsi (in varie guise), figura, apparenza ecc. — pretesto (Plut.: indi oynua- TIZw (3), ond'è qui notevole il med. nel senso di fingo ecc. (Pl), do ad intendere, inganno (Pl., Plut.), con éoxnuariouévos, figurato (A6yros ecc., ret.), e Oxnnarıouög nel Significato d’ostentazione (PL), finzione (Plut.); doynuwv, deforme, che fa cattiva impres- sione colla sua forma esteriore — indecoroso, vergognoso (Erdt., Eur., Sen. ecc... —Ooxé- "uge, di persona, che sostiene, che imprende alcunchè; forte (colle idee secondarie di eccesso, sgomento, danno, e con espressione ora di meraviglia, ora di biasimo) (Om., Es., Erdt tr., PL, Dem. ecc.); misero (tr.); di cosa, crudele, terribile ecc. (Om., Es., Erdt., Ar., Eur., Pl, Dem.); oxerMáZu, mi lagno, soprattutto d’ingiustizia, di violenza Patita, sono malcontento (Ar., Pl., or., Plut.). oxeðpóç, (che tiene saldamente), stretto — accurato (Ipp.); oxe0pU)c, con diligenza (Esch., Eur.). OXéotoc, vicino, che segue immediatamente ecc. (4): oxediälw, fo, dico all'improvviso, senza la necessaria prepa- razione, con leggerezza (Pl., Pol., Ermog.); sono negligente (Pol, D. S.). oxoAn, (fer- mata), ozio, riposo, libertà da occupazioni professionali, spec. da affari di stato (otium) — occupazione scientifica (colloquio, lezione ecc.) (Pl. ed altri); luogo di essa (scuola) (D. A, Plut., N. T.); lentezza, indugio (Esch.*): cf. oxoAdZw nei sensi d'indugio (Esch., Tuc. ecc.); ho tempo per alcunchè, do il mio tempo ad alcuna occupazione o ad alcuno, ne sono allievo (Sen., Luc. ecc.); insegno (Plut.*). doyardw, sono di mal animo, Sono sdegnato ecc. (ep., tr.): doxdMw, sono sdegnato (Od., Erdt., Sof., Sen., Dem., Pol., Longo); deploro (Eur.) (5). Marri a (1) Il, x, 89; xm, 866. (2) Prometto spontaneamente, od anche non volontariamente, ma non senz’idea di dovere, giusta lo Schmidt (Syn., n^ 107, 16, = III, p. 229). (3) Per l'aut. cit. (Hb., n° 101, 20, p. 566) oxnuaciZew è “ einem vorhandenen dinge eine bestimmte Jestalt geben ” oi (@ Cf. oxedöv ed èxeodar. “ Daraus muss sich schon frühzeitig der begriff des unvorbereiteten, ichthin geschehenden entwickelt haben, da bereits in dem Platon zugeschriebenen dialog Sisyphos, is Jedenfalls aus nicht später zeit stammt, und dann mehrmals bei Polybios das wort oxediáZeiv im ne von extemporiren und dgl. sich findet. Diese entwicklung der bedeutung entspricht ganz dem Beiste der griech. sprache, in welcher mrpóxetpoc, mapà móða u. ünlich eduapiig den begriff Zeicht (facilis) Beben, zum teil aber in den der 'flüchtigkeit' übergehen , (Schmidt, Syn., n° 42, 6, = II, p. 32). (5) In àoxáMev G. Curtius scorge un contrapposto a oxo ed interpreta ^ ungeduldig sein „ Grundz’, n° 170, p. 193): cfr. Prellw., ad v. (“ bin * ungehalten ' „,...“ halte nicht aus „). x Coll’ant. ind. dhar, tenere ecc., l'etimologia comparativa unisce il Opn di Opnokedw, sono zelante et culto religioso ecc. (Erdt., D. A., Plut., Erod.): ef. Esich. 6p4okav: dvamımvhoreıv (^ zu etwas an- (n. 249) mea (n. 250—255) 64 DOMENICO PEZZI CAPITOLO QUINTO Idee fisiche ece. (1. 8 21. Idee di pienezza e di vuoto, di densità e di rarezza. 250. niummu, empio. ékmiumAnm, id. — adempio (leggi ecc.) (Erdt., Eur.); sop- porto (Eur.); racconto sino alla fine (Esch.); sazio, appago (Tuc., Sen., D. C.). Cf. màn- pów e soprattutto &momAnpóu, riempio — appago affatto (Pl., Luc.). OSuumAnpwotg, recapitolazione (Longino). mAnpopopew, conduco a perfetto compimento — do piena persuasione, piena sicurezza (Ctes., N. T.); pass., ricevo od ho intera soddisfazione, sono certo (N. T.) 251. kevóc, vuoto, vano — vanitoso (Pind., Sof., N. T.). xeveayopía, discorso vuoto, millanteria (pl, poeta in P1.*): cf. kevea'ynua, id. (Eust.). kevenßartew, fo un passo falso — erro (Plut. ecc.) (2). 252. maxÜs, pingue, spesso ecc. — ottuso di spirito (Ar.*, Ipp., Luc., Fil) na- xUbepuoc, che ha pelle spessa — ottuso (Luc.*): cf., per l'ultimo senso indicato, noxU- ppwy (Arist.*) e rrayóvooc (less.); raxivoor: maxüv voüv &xovrec, dvónro: (Esich.). 253. núka, compattamente, saldamente — con prudenza (Il). TUKVOS, com- patto ecc. — prudente, scaltro (ep., Pind., Sof., Eur., Ar., PI.). 254. OTupeXög, stivato, denso, duro — severo (Esch., Orf) émorépu, contraggo; restringo — ingiurio (D. A.); sgrido (Alcifr.). Cf., nel senso di maltratto, ingiurio, otuperzw (Om., Pind., Ap. R.) (3). 255. nkw, liquefaccio, sciolgo — pass., mi struggo di cordoglio, di desiderio (Od., Eur. ecc.); témka, mi struggo d'amore, amo ardentemente (èni tivi, Luc.). Per questo significato metaforico cf. rokepóg, che si consuma di passione, spec. d'amore (Ibico, A. P., Luc., Alcifr.). halten „, G. Curtius, Grundz., n° 317, p. 257; Vanicek, op. cit., p. 395); Opnorw' vo (ënne vóu, M. Schm.). Il Prellw. riferisce alla rad. di cui qui si fa cenno, ma non senza dubbio, anche d-Gepizw, stimo poco, disprezzo (Om., Ap. R.): etimologia che fra tutte le proposte (v. Vanicek, pp. 394, 398, ed Ebeling, ad v.) è la più probabile. Ma da tale rad. il Prellw. disgiunge, e non senza grave ragione, il gr. (é)0éw, che il Pott ed altri con essa congiunsero: v. G. Curtius, Grunde, p. 726; Vanicek, p. 896; Ebeling, ad v.; Prellw., ad v. (1) V. Blümner, pp. 5-21, 254-75. (2) L'idea di ' vuotare attingendo, esaurire ', trovasi in dvrA&w, estraggo dalla stiva acqua marina penetratavi, attingo esaurendo, vuoto — tollero sino alla fine (Esch., Eur., Luc.). (3) Alla rad. steu, base delle voci test? citate, il Prellw. riconduce anche gli omer. oredtaı, OTEÛTO, forme d'un verbo che fu variamente interpretato (reputo; mi vanto, affermo vantandomi, prometto; dico, simulo) : v. Ebeling, alla voce oreöuaı. Il biefefot0010, con cui venne spiegato lo oteto omer., è senza fallo un indizio favorevole all'etimologia sovraccennata. V. per altro le osservazioni di G. Curtius, Grundz, n° 228, p. 216: egli procede da stu, ^ aufrichten, erheben »; OTEÛT è per lui “ er steht nach etwas..., macht * anstalt zu etwas „. 11 Fick (Vgl. wrtb..., I, p. 145) ammette una rad. 1. stew “ loben „ (cf. ant. ind. stu in tal senso), onde trae ote0ton (^ er gelobt, verspricht ,), ed una rad. 2. stew “ sich ballen ,, che & quella di eui sopra s' fatta menzione. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 65 8 92. Idee di gravità e di leggerezza. 256. ugoe, peso — molestia, dolore, affanno (postomer., spec. poet. (1)). dxBonaoı, sono carico — sono mal disposto d'animo (crucciato, disanimato) (Om. e post.). 257. Bápoc, peso — molestia, cordoglio (Erdt., Att.); autorità (Plut. potenza mo- rale, influenza (Pol., D. S.). Of. Bapóc, Bapews, nel senso di mal animo (Erdt., Lis., Sen., Pl., Arist; Bapóvoum, come significante gravor (Pind., Sof., Tuc., Call, D. A., Plut. ecc.); BeBapnuévoc, nel valore d’afflitto (N. T.), cf. BuuoBapñs (A. P.*). Affinità d'origine (2) e di significato induce qui a ricordare Bpi0Uc, pesante, con Bpi@üvooc, di mente grave, prudente (A. P.*); éufpiñc, pesante, serio, dignitoso (Pl); costante (Plut.), veemente, adirato (Erdn.); Bpiun, peso, forza — ira (o forza?) (Ap. RS re 1677), minaccia (Bpiun: dre . koi yuvoxela Gppnronotio, Esich.); BpuióZw Uess 1 Bpindouan, Dpuéougt, sono adirato (Ar.*, Sen.), cfr. BpiudZwv *.... Bodry, Gren (Esich.); Bpiuaiveran‘ Yunaiveran, öpyiZeran (id.); Bpıunoaoa ` Beni, xadern (id.); Bpıuobodon' Duuotogo, öpyizeodon (id.). 258. Groe, volume, peso (3) — dignità esteriore, maestà (Eur.*, Plut., Luc.); orgoglio (Sof., Eur., Alessi, Plut.); altezza, gravità (dello stile) (Arist., Longino); am- pollosità (Arist., Plut.) (4). 259. &Aappög, snello, leggero (5) — mite (Isocr., PL, Teocr.); che lenisce (Teocr.*); incostante (Pol.*). &\appia, leggerezza — anche in senso trasl. (N. T.) (6). 260. xoügoc, leggero (7) — incostante (Pind., Sof., Tuc.); vogue, con equanimità (pépav, Eur.) ecc. xoupiZw, sono o rendo leggero — mitigo (Dem., Teocr. ecc.); consolo (Arist. Plut.); pass., sono sollevato da speranza, da fiducia (Pol*). KOUPO- \oria, discorso leggero, ciance (Tue., Plut., App. cf. xougobo£ía, idea vana, illusione (ser. ecel.). (1) Ebeling, ad v. Thomas, pp. 27-8: il primo esempio di tal uso rinviensi, a parer suo, nel- l'’Aom. esiodeo; poi se ne citano due tratti da Teognide, uno da Eschilo. (2) Prellw., alle voci Bonge, Bprapôc, Bpúw. (3) Il Pillon interpreta così: “ ..proprement, ce qu'on porte, en le considérant sous le rapport du volume, de la masse, moles... , (n° 116, pp. 171-2). (4) Col lat. onus viene congiunto l'eol. òvia (Sf., Alc.) (v. Hoffmann, Die griech. dialekte, II, p. 355), eui corrisponde negli altri dialetti àvia (Prellw., ad v.), etimologicamente peso, indi molestia, do- lore ecc, (Om. e poeti post., PL). Lo Schmidt (Syn., n° 88, 13, = II, pp. 587-8) scorge in àvia “ einen Sanz allgemeinen ausdruck..... für jedes leid, das jemandem widerfärt, sogar noch allgemeiner als um. , : particolarmente poi àvia è “ ein eindringliches weh, ein schneidender schmerz der seele (cf. l'éxoc omer., la dun dei tragici). (5) Non impedito nel muoversi (Schmidt, Syn., n° 48, 4 ece., = II, p. 131 ecc.). (6) Ad &agpóc, ode suolsi accostare &Aéryw (v. Prellw., ad v., ove citasi l'ant. ind. langh, sal- tare, assalire ecc.). I lessici gli attribuiscono per lo più i significati spregio, svergogno (Om.), cf. Beryetn, Ekerxoc(té) ; confuto ecc. (Att.); dimostro (Erdt., pr. att.) ; ammonisco, biasimo (Att.) ; esamino (Aït); ef. Éxeyxoc(ó'. Ma nota lo Schmidt (op. cit., n° 4, 12, = I, pp. 147-8): * &éryev hat eigentlich nicht die bedeutung " tadeln, schmühen, zurechtweisen ,, welche ihm die lexika zuschreiben, sondern bedeutet nichts als überführen; dies geschieht natürlich aber oft in harten worten, und namentlich um worstellungskreise des dramas, welches die heftigsten auftritte vor augen führt, erhält es am eichtesten jene üble nebenbedeutung ,. L'affinità fra éAaxüs ed &Atyxw ecc. parve per altro assai dubbia a G. Curtius (Grundz.®, n° 168, p. 192): v. anche Ebeling, alla voce &éyyu. (9 * Die eigentlichen ausdrücke für leicht und leichtigkeit im sinne des natürliches gewichtes » KOÜPoc und Kkoupérns sind , (Schmidt, Syn., n° 206, 2, = IV, p. 665). Sens II. Tom. XLVI. 9 (n. 256—260) (n. 261—265) DOMENICO PEZZI 8 93. Idee di durezza e di mollezza. 261. otepeôc, rigido (1) — severo, ostinato, crudele (Om., Esch., Pind., Pl. ecc.): nel medesimo senso traslato troviamo oteppés (Esch., Eur., Ar., D. A.), con oteppi, fermamente (Sen., gnom.). otpnvidw, sono troppo forte — intemperante nel godere, tracotante (Antifane, Dif., N. T.) (Orpnviäv è kai tò Dë mhoûrov üBpizev, xoi Bapéws gépei, Esich.); bramo vivamente (Sofilo in At.*) (2). 262. ámoMóc, delicato, tenero, molle (3) — anche in significato metafor. (Plut.); cf. árrolóppuv (A. P.*, Cl. AL). 263. uoAakóc, molle — mite (Om., Es., Pind., tr., Ar., PL); indulgente (Erdt., Tuc., Ar.); effeminato (Sen., Pl. ecc.); neghittoso (Tuc., Sen.); timoroso (Sen.). podaxia, mollezza — mancanza d’animo, di coraggio (Erdt., Tuc., Sen. ecc.); pl, adulazioni (Iseo*?). PAGE (4), torpido, pigro, trascurato, codardo; semplice, stolido (Sen., Luc. ed altri) (5). &unAaxícku (6), erro, pecco (Esch., Eur.) (7). $ 24. Idee d'umidità e di secchezza. 264. üypög, umido; molle, pieghevole ecc. (8) — cedevole (Plut.); inclinato (id.). dvurpaivw, inumidisco — mitigo (id.). üypöyeAws, che ride mitemente (B. A.*). úypó- vooc, di sensi molli o cedevoli (Poll.*). 265. teyyw, inumidisco, rendo molle — -ouoi, mi lascio commuovere ecc. (Esch., Eur., Ar., Pl. ed altri) (9). dterktog, non umettato, non ammollito — duro, ineso- rabile (Sof., Eur., Ar., Plut., Luc. ecc.). (1) * Fest ,, interpreta l'aut. cit avvertendo che si dice d'un corpo considerato in sè stesso, non in relazione con altri corpi (op. cit., n° 206, 6, = IV, p. 672). (2) Pochi probabilmente col Prellw. da orepeög disgiungeranno otnpiZw, che con esso si soleva accoppiare dagli etimologi (v. G. Curtius, Grundz.*, n° 222, p. 213; Walton, Et. gr. ecc.). ornpilw, pongo fermamente ecc., significa anche, in senso metafor., coll'infin. mi propongo, ho deliberato di (N. T.), do forza ad ale. (tıvd, ibid.): cf. otnpiyuós, stabilità — fermezza d'animo (N. T.). (8) Schmidt, op. cit., n° 173, 6, — IV, p. 219: ivi gli s’attribuisce il valore di “ zart ,, il senso primitivo di ófpóc. (4) Da *ußAoE, *urat, cf. maAKdv' uakakôv, Esich. : v. G. Meyer, Griech. gramm, n° 179, pp. 185-6. (5) Secondo lo Schmidt ^ BAGE heisst der mensch, dem es an dem impuls einer kräftigen und selbstbewussten seele fehlt „: l'uomo che non sa parlare, che non ha desiderio d'imparare, che si lascia facilmente perturbare e sgomentare dal mondo esterno (Syn., n° 147, 19, = III, pp. 650-1). Cosi BAakeveıv è “ one tatkraft und eifer sein , (ibid.). (6) Intorno al dor. (?) duBXaxtoxw v. Veitch, Greek verbs..., alla voce àumAaktoku ; Kühner-Blass, Ausf. gramm. d. griech. spr., l, 11, p. 366. (7) A non diversa radice, ma priva dell'elemento ampliativo k, spetta Mékeoc, vano, nullo, inerte — che non sa far bene, degno di compassione. uéreoc, nota lo Schmidt (Syn., n° 188, 16, = IV, pp. 484-6), ^ entspricht mehr unserm “ unselige ,, und bedeutet mehr den menschen der in der verblendung oder übereilung schlimme taten vollbracht hat, und daher noch immer als der bedauerns oder mitleides würdig erscheint ,. E lo Hecht (p.181) mette in rilievo il fatto che uéeos, in Omero ^ vergeblich, nutzlos ,, = Häroge, in Esiodo assume già quel valore di ^ bejammernswert „, == olkrpóc, che pre- senta nei tragici. (8) Indica, giusta lo Schmidt (Syn., n° 62, 3, = II, pp. 388-40), “ jeden aus einer flüssigen masse bestehenden, von ihr durchdrungenen oder auch nur benetzten körper... ,. Pertanto “ es wird gebraucht von allem hmeidi, und bi , leicht sich anschmiegenden, aber auch schwankenden.... p. (9) Il senso trasl. di reyyw è la significazione d' “ eine entwirkung auf das gemüt, im guten wie im bösen sinne, eine umwandlung zum mitleid, ein beugen der starken oder starren sinnesart , (aut. cit., op. cit., n° 62, 12, = II, p. 354). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 67 266. okAnpôs, secco, arido — duro, senza pietà, severo, arcigno (Sof, Ar., VADE Cf. dokeléc nel senso d’inesorabilmente (Om., Nic.), mepiokeñs nel valore d’ostinato (Sof., A. P. ecc.) e d'arido intellettualmente (Str., S. Emp., Nemes.) (1). 8 25. Idee di scabrosità, di liscezza e di viscosità. 267. tpayic, scabro ecc. — duro, severo, inflessibile; rozzo, veemente, selvaggio (Es. Pind., tr., PL); duro (dello stile, D. A.); cf. tpaxéwc, in senso figurato (Erdt., Isocr. ecc.) (2). tpayúvw, rendo scabro — fo adirare ecc. (Pl., Pol. ed altri). 268. ppioow, sono scabro (horreo); sto rigido in alto — raccapriccio, tremo (i. o., tr., Pl. ecc.); temo (Il, Esch., Pind., Eur., Luc.); m'astengo per terrore da (Dem.*); tremo per religioso terrore (PL*, Plut.); tremo per amore (Sof*). ^ qpíxn, l'imasprirsi, il farsi scabro (della superficie del mare inquieto) — raccapriccio (Erdt., Pl Plut.) tremore sacro innanzi a Dio (Sof, Sen.) (3). 269. Neîog, liscio — dolce, lusinghiero (Esch.; Aeiwg, Sol. in Arist.*); piacevole (PI. ecc.); scorrente (dello stile, D. A.); Aeiwg, mitemente, amichevolmente (Plut.) (4): Cf. keéruueeoe, con lusinghe, con adulazione (Simm., LXX). — Mróe, polito, semplice — anche dello stile (D. A.); Mrótng, semplicità — figura d’attenuamento del concetto nell espressione (ret.). 270. óuaMZw, rendo eguale, piano, liscio — mitigo, acquieto (Isocr., Arist.). dvw- alia, disuguaglianza, disformità — instabilità; deviazione dall'uso comune, dalla regola (Plut., gr.). 271. yMoypos, viscoso, tenace, lubrico — spilorcio, avaro (Luc. ecc.); gretto (PL, Dem. ecc.); ostinato (Ar.*), anche senza riguardo al vero (Isocr.*). TM 0Ypevopai, sono tenace, spilorcio (M. Ant.*). rMioypororéopar, m'occupo di sottili inezie (Filone). Myxouoı, sono tenace di — desidero con perseveranza (Erdt., com., pr. att.). 272. Mimapfig, viscoso, tenace — perseverante, assiduo, diligente (PL, Plut., Luc.). Mnopéw, persevero (Erdt.); persevero nel pregare (Esch., Sen., Pl. ecc.) (5). MITW, bramo (ep. post., Esch.); My: èmOuuia (Esich.) (6). (1) Chi ammetta identità d'origine fra kakóç e xdykavoc, arido, come fa il Prellw. (alle voci indi- cate), deve menzionar qui il primo dei due citati aggettivi. È noto il vario valore di kaxóç : inetto, codardo, infausto, malvagio. V. Pillon, n° 274, pp. 878-9; Schmidt, Syn., n° 188, 2, 4, = IV, pp. 409, 413-4 (kakôc è chi trovasi in cattive condizioni rispetto ad altri); Hecht, pp. 157-61, ove si mette in rilievo il fatto notevole che il senso ' morale di kaxóc è appena ne’ suoi inizi nella grecità ome- xs (v. Ebeling, ad v. ma appare ben formato nell'esiodea. Altri attribuiscono a xaxóg il valore Primitivo di piccolo (cf. xaxx6p ` ó pixpàc bdkruAoc, Esich., e v. Brugmann, Grundr...., I, p. 90) ecc. (2) Intorno allo svolgimento postomer. del significato metaforico di page v. Thomas, pp. 101-2. (3) Intorno ai vari sensi di ppioow, ppikn, v. Schmidt, Hb., n° 116, 16, p. 788. @ * Wie in der eigentlichen bedeutung, so bildet auch metaphorisch Acto; den gegensatz zu TPAXÙS..., indem es das sanfte, milde, einschmeichelnde in gemütsart, rede und stimme bezeichnet , (Thomas, pp. 56-7). i (5) Il valore di Avropeiv è, insegna lo Schmidt (Syn., n° 7, 2, — I, p. 179), “ instündig, dh. an- uernd bitten; diese nebenbeziehung bildet sogar die grundbedeutung des verbs, welches eigentlich @usharren oder verharren bedeutet ys E. © Notisi qui anche koAAdw, incollo; congiungo saldamente — -doua, m’accosto, m'unisco ad ale. animo (Luc. N. T): cf. per tal valore, mpookoMdouar, sono fedelmente devoto a... (N. T). (n. 266—272) 68 DOMENICO PEZZI 8 26. Idee di calore e di freddo. 273. Géi, scaldo, infuoco, brucio (1) — accendo di passione (Esch., Sof); ral- legro, conforto (Sim., El.); inganno (Ar.); curo con amore (N. T.); affanno (Alcifr., Aristen.) (2). 274. Gépouen, divento caldo, ardente (3) — metafor., d'amore (A. P). Oepuôs, caldo, in ogni grado — focoso, ardente, appassionato, anche temerario (Esch., Sof., Ar., Luc. ed altri) (4). mapá8epuoc, troppo caldo od ardente — trasl., troppo ardente od ardito (D. S., Plut.). tepideppog, molto caldo — molto esacerbato (scol. Ar.). Gepunropéw, parlo con ardore, con ira (orac. presso Luc.*). BepubBouNoc, d'ardenti sensi o propositi (Bur., El). 6epuôvouc, id. (Esch.*). Geppoupròs, che opera ardi- tamente (Sen., Luc.) 6epuaivw, riscaldo, accendo — accendo di passione (Esch.; con vari nomi di passioni, Pind., Sof., Eur., Ar.) (5). 275. iaivw, riscaldo, ammollisco mediante calore — ricreo, conforto, rassereno, ral- legro (Om., Arch., Alem., Pind.) (6). i 276. Mm, divento caldo, m’ammollisco — me la godo, lussureggio con una certa albagia (Esch.*). XMapóc, non troppo caldo, tiepido (7) — non fervido (N. T.) (8). 277. ai0w, ardo. — anche trasl. (Sen., Ap. R., Qu. Sm., A. P.) (9). aldoy, (1) Indica “ die wärme als eine naturkraft ausserhalb des menschen und der einzelnen körper, welche von aussen auf die körper einwirkt und in dieselben eindringt „ (aut. cit., op. cit., n° 60, 5, = II, pp. 306-14). (DE Ubertragen wird Däer angewandt auf die erfüllung mit solchen regungen, durch welche man die volle herrschaft über sich selbst einbüsst „ (Schmidt, Hb., n° 62, 6, p. 259). (8) Designa ^ die wärme als naturkraft, welche die körper in ihrem innern erfüllt und sich nach aussen verschiedentlich offenbart (aut. cit., Syn., ]. cit.). (4). * 6epuôc bezeichnete auch in prosa nicht selten metaphorisch den hitzigen, leidenschaftlichen, besonders aber den verwegenen frevler. Diese übertragung tritt zuerst bei Aeschylus auf , (Thomas, p. 41). (5) * Übertragen bedeutet 0epuotvew “ die hervorrufung edlerer neigungen oder gedanken im herzen: mit freude, sehnsucht, hoffnung beseelen ; aber auch die erfüllung mit grimm u. dgl. „ (Schmidt, Hb., l c., p. 258). (6) L'om. lotvew è “ ein erwärmen oder erhitzen, welches den vorher starren körper im bewegung setzt... Übertragen wird laivév von dem bewegen zum mitleid, ganz besonders aber von der erregung zur freude gebraucht , (aut. cit., Syn., n° 60, 9, = II, pp. 314-6). Intorno a iepóc, etimologieamente congiunto col verbo preaccennato (v. Ebeling e Prellw., ad v., “ validus, u con Darbishire, ser. cit., pp. 97-8) basti qui ricordare che il primitivo senso di vigoroso, vigens, vegetus „ (cf. ant. ind. i$ira-) appare ancora in Om. accanto a quello di sacro, " quem memo potest audetve laedere , (Ebeling), significato che poscia si sostituì al più antico. (7) Designa in genere ^ den grad der wärme..., der uns angenehm ist ,: così xMaivw (Schmidt, Syn., n° 60, 10-1, — II, pp. 810-9). (8) La radice delle parole qui menzionate ben può trovarsi anche in xAeUn (Prellw., ad v., ecc.), scherzo (i. 0.*), scherno ecc. (Eschine*, Luc., Erdn., At., Eliod., A. P.) ; xAevdZw, scherzo (Ar., Arist. ecc.); schernisco (Pl., Dem.). em, scrive lo Schmidt, “ bezeichnet jede tollheit, jeden “ ulk durch den man lachen erregen will „: "... yXeudZew... bedeutet hönen oder verhünen, wobei man jede schuldige achtung vergisst... , (Hb., n° 26, 11, p. 108; cf. Syn., n° 183, 4, = III, pp. 460-2). Ma per quanto con- cerne l'origine della voce em v. anche Persson (ser. cit, p. 197), che la mette con parole indicanti rumore. (9) Designa 1’ “ äussere erscheinung des feuers, sein funkeln ; oberflächliche aber immerhin kräftige einwirkung „ (Schmidt, Syn., n° 64, 4-7, = II, pp. 370-8), e, metaforicamente, heftigen begierden , (id., Hb., n° 64, 4, pp. 269-70). “ „die erfüllung mit CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 69 ardente, scintillante — veemente (Sof.). idapög, puro, sereno — ifaiveiv * eùppoveîv, if: eüppocóvn (Esich.). 278. dmrw, accendo (1). èEGmtw, accendo — eccito (El. ecc. (2); amore, Alcifr.). Updmiw, accendo di sotto — accendo inavvertitamente, segretamente (Sen., K. mon. V, 1, 16). 279. baiw, fo avvampare (3), incendio; pass. (col perf. dédna), ardo (intrans.) — anche tras]. (di passioni avvampanti, Il.). dog (tr. Ar.), diog (ep, Esch.), eti- mologicamente che arde, che tormenta, che distrugge, onde nemico (4): ddiog, è anche il travagliato, misero, infelice (tr.) (5). din, sventura ecc. — = om. &yoc ne’ tragici (6). 280. kaíw, accendo, ardo — anche in senso metafor. (con ppaot, Pind.; xapbíav, Ar.) (7). ävoxaiw, accendo — pass., ardo d'ira (Erdt.). diakaiw, abbrucio da una parte all'altra, del tutto — eccito (con passioni) (Plut., Luc.); cf. èkkaiw (Luc. ecc.). Tepıkaiw, accendo, ardo intorno — pass., sono angosciato, provo dolore ardente (Andoc.*). 281. mòp, fuoco (8) — ardore amoroso (Call); anche conforto di speranza ecc. (Sof.). mupóu, ardo — infiammo (di passioni) (Anacr., N. T., A. P). — mópwoic, il riscaldare, A cuocere, l'ardere ecc. — brama ardente (scol. Ar., ser. eccl); la prova dei patimenti (NOT mupoög, tizzone, fiaccola (soprattutto come segnale) — amore ardente (Teoer.*). biérupos, ardente — appassionato (Pl., Plut. ecc.) (9). ^ Zwmupéu, maccendo, accendo — eccito (Esch., Eur., Ar.) (10). 282. cubyw, abbrucio lentamente — pass., mi consumo per una passione (grecità tarda) (1) * Z. b. eine lampe, aber auch einen haufen holz u. dgl; man nimmt dabei auf die vernichtung des betreffenden. gegenstandes, die ja zum teil auch gar nicht stattfinden. soll, keine bezihung , (Schmidt, Hb., p. 268-9). i (2) Cf. évavoua, con che s'accende fuoco — stimolo (D. S., Erdn.). (3) In antitesi al fuoco che cova (Schmidt, Syn., n° 64, 7, = II, pp. 376-8 ; cfr. Hb., n° 64, 5, p. 270). S (4) G. Curtius, Grundz.S, n° 258, pp. 231-2. Il senso omer. primit. è, giusta lo Schmidt (Syn., n° 138, % =M, pp. 503-5), quello d'una * mächtig um sich greifenden, vernichtenden gewalt ,. (5) G. Curtius, l. c. Per lo Schmidt (op. cit., n° 188, 24, = IV, p. 451) ddios è colui che e ^ fein- lichen, unentrinnbaren gewalten anheimgegeben ,. (6) v. sopra, 44. Ma, dopo aver affermato ciò, lo Schmidt soggiunge: “ doch ist es nur der beu- gende und vernichtende schmerz » (Hb., n° 195, 5, 8, pp. 804-5). Non si puo asserire che alla rad. di cui qui si discorre (cf. ant. ind. du-, abbruciare, travagliare eco.) Spetti anche ó5óvn: potrebbe avere altra origine (Ebeling, ad v.; Prellw., ad v.; Persson, ser. cit., PP. 191, 248, ove la paragona al lat. odium). òdúvn è dolore — anche dell'animo (Od). È, scrive lo Schmidt (op. cit., n° 124, 3, pp. 796-8), “ der augenblickliche starke schmerz..... Übertragen auf die Seele ist es auch hier der heftig ergreifende schmerz ,. . (7) Come avverte l'aut. cit. (Syn., n° 64, 3, = II, pp. 368-70), * xoíew enthält die besondere be- zihung auf die verzehrende und vernichtende eigenschaft des feuers ,...." die wirkung der feuersglut bezeichnet, insofern sie bis ins innere des gegenstandes sich erstreckt... — Anche nell'uso trasl., nell'espressione di passione amorosa, non designa un accendersi, ma una brama profonda, non disgiunta da dolore (ibid.) (8) Come potenza naturale (uno di quelli che furono chiamati elementi) (aut. cit., op. cit., n° 64, 5, Sa L,p.372). d (9) V. aut. cit., Hb., n° 69, 9, p. 269: “ bikmupoc = candens, rot- oder weissglühend, oder von toirklichem feuer glühend. Auf menschen übertragen bezeichnet das wort die wilde, ungezügelte lei- denschaft a i (10) Troviamo in Esichio mupmaÀdunc* Tupralduous &Aeyov Toùc dià Tdyoug Ti unxavGoOa: duva- 2 kai Toùc mouwikous zé ñ60ç. Intorno al dtarupralduncev restituito nell’. o. ad Erme, verso 357, v. Ebeling, ad v. Hévouc, (n. 278—282) (n. 283—289) 70 DOMENICO PEZZI 288. pAérw, abbrucio ecc. (1) — metto in vivo moto d'animo, accendo d'amore (PL, Mosco); empio di vivo dolore (Sof.#) ece.; intr., ardo d'una passione (Plut.); anche illustro, rendo rinomato, e, pass., divento rinomato (Pind.). Cf. pAeyuoivw. Intorno a pieyupés v. il Thes. ecc. 284. Zew, bollo — anche trasl. (di passioni ardenti) (Esch., Sof., Pl, D. A. ece.). 285. deu, mando fumo, vapore — anche in senso metafor. (d'amore ardente, divo- rante, A. P.): cf. èmtúpw, sono acceso d'aleunchà (Ar.*). tupôw, mando fumo, vapore — offusco la mente, rendo stolto per boria ecc. (Erdn., Plut.); pass., divento borioso, goffo (Ipp., PL, Dem., Luc. ecc.). TÜpos, fumo, vapore — offuscamento d’intelletto, boria ecc. (Antifane, Plut. ed altri). tupedavög, millantatore, sciocco (Ar.*). TU- quòns, stupido ecc. (Ipp., Gal.). Tupoyepwv, vecchio colla mente imbecillita dall età (Ar.*). tupopavia, boria delirante (Plut.*) (2). 286. xpuepóc, freddo (di ghiaccio) (3) — che fa rabbrividire, raccapricciare (Om.); terribile (Es., Ar., poeta in Luc.). xpuóetc, che fa rabbrividire (Il, Es., Pind.). 287. fîrog, freddo, gelo, intirizzimento (4). Drréu, rabbrividisco — per terrore, per orrore (Om., Sof., Ap. RJ); mi rilasso nello zelo (Pind.*). 288. wOxoc, freddo (5). wuxpög, freddo — insipido, privo di sale ecc. (Eur., Sen. PL*, Arist, D. A., Luc.); indifferente (Ar., Sen., Luc. ecc.) ^ wvypeóopon, dico freddure (Ermog.). wuxpoloréw, id. (Luc., scol. Ar.). mapayuxr, refrigerio, con- forto (Eur., Timocle, Iseo, Dem. ecc.) (6). Colle parole menzionate in questo paragrafo ben si possono accoppiare le seguenti che significano le une cottura, maturità, le altro crudezza. 289. méocw, cuoco, maturo, digerisco — anche trasl. (di sentimenti varı, ira ecc.) (IL, Arist. ecc.) mepimécow, nascondo, pallio, abbellisco (Ar., Pl., Luc.). reratvw, fo maturare, ammollisco — mitigo, addolcisco (Eur., Ar., Sen.). nenwv, maturo — mite (Om., tr); effeminato, vile (Il, Es.) (7). (1) “mit heller flamme ;, nota lo Schmidt (Syn., n° 64, 8, = II, pp. 378-80). (2) Ricordasi qui anche wóAoc, fumo, primo elemento del composto wolokouria, quasi fumo di millanteria (Ar.*); woXoxoymíow dAaZévec, xoumaotai (Esich.). V. kóumoc, 319. (8) Schmidt, Syn., n° 59, 9, = II, pp. 296-7. (4) Avverte laut. cit. che “ ist fiyog in jedem falle nicht die allgemeine naturkraft (xoc), son- dern immer die den menschen selbst erfüllende, ihn erstarren machende kälte , (effetto del freddo do- minante o di febbre) (Syn., n° 59, 10-11, = II, pp. 297-800). V. anche quanto vi si legge intorno à Drot, frreîv, pfrynAôc, prvrebavóc. (5) È il freddo, nota lo Schmidt, considerato come ^ naturkraft , (Syn., n° 59, 8, = II, pp. 294-6). “ wüxoc und frigus sind die allgemeinen bezeichnungen sowol für die kälte wie für die küle » (Hb. n? 68, 2, pp. 261-3). (6) L'idea di ‘freddo acuto’ vuolsi anche scorgere nel più antico significato di oruyéw: cf. pl. orüyeg, gelo (Teofr.*), cogli esempi di voci slave svoltesi da identica rad. e citate dal Prellw. (v. otuyéw). Il verbo menzionato indica propriamente mi sento molto avverso a, ne rifuggo vivamente ecc. (Om. e post.) ed anche rendo tale da destare sù fatto sentimento (Od.*). * otbyog und oruyeiv entsprechen mehr unserm abscheu und verabscheuen; und bezeichnen also das gefül des widerwillens welches uns beim anblick oder überhaupt der warnehmung eines dinges ergreift, und auch im gesichtsausdruck sich lebhaft zu äussern pflegt , (Schmidt, Hb., n° 120, 3, p. 767; v. anche Syn., n° 137, 3, = III, pp. 494-6). (7) Per lo Schmidt (Hb., n° 88, 1-3, pp. 427-30) neooeıv designa in particolar modo ^ l'attività maturante del sole ,; mémuv “ ist reif, mit starker bezihung auf mürbheit , ; menalvewv (cf. maturare) è propriamente “ ein wirkliches ausreifen vermüge einer natürlichen entwicklung „, quindi, per meta- fora, “ mildern oder besünftigen ,. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 71 290. ud, crudo ecc. — duro, fiero, crudele (Erinna, Esch. ed altri att.) (1). Wunotns, che mangia carne cruda — inumano (IL*, Ap. R.). 8 27. Idee di dolcezza e d’acidità. 291. yhuxüs, dolce (2) — vezzoso, insinuantesi, grazioso (Sof. ecc.); semplice di spirito (con fine biasimo) (PI.). YuxiZw, diletto (iscr.). TAuku6upío, gradevole disposizione d'animo (Plut. ed altri); debolezza d’animo (Pl., Stob.); bontà, affettuosità (Plut.), yhukóOupoc, d'animo mite, amichevole (Il); buono (Plut.); che ama la pia- cevolezza (Luc.); che rasserena l'animo (Ar.). 292. fjbóc, dolce (3) — soave, piacevole (in genere) (Om. e post.); caro ecc. (di persone) (Sof.): amichevole, lieto (Sof., Plut.); maliziosetto (con lieve ironia), bonario, Semplice (cf. YAukig) (Pl.). dopar, mi rallegro, mi compiaccio (Erdt., Att.). áv- bávu, piaccio (Om. ed altri poeti, Erdt. ecc.). 298. adornpôs, acido, aspro (4) — serio, accigliato, severo (Pl. e post.); cf. aù- Stnpéme, severità, rigidezza. 294. diig, acre, acido, amaro: èEivng, acido — burbero (Ar.). dEupeyuia, eruttazione acida — iracondia (id.) (5). b 295. mkpóç, acerbo, amaro (6) — spiacevole, penoso (Od., Pind., tr.); severo, duro, ‘mplacabile (tr., Ar., Dem., Arist., Pol); odiato (Sof*, Eur.*). S'aggiungano mixpío nel senso d'amarezza — esacerbazione d'animo, severità, durezza (Dem., Pol., Plut.), © mkpaivw, amareggio — esacerbo (Pl, Dem. ecc. anche rendo duro o rozzo lo stile (D. A.) (7). 296. otpupvóç, di sapore astringente, acido — burbero (Ar., Anf., Sen., Arist. ecc.); Sottile, acuto (d’espressione) (D. A.*). i 297. Non è forse del tutto inopportuno far qui menzione di qualche derivato Cuna radice significante destar nausea puzzando ecc.: Boelüoow, mando fetore; fo nausea, ribrezzo ; -oua ho nausea, ribrezzo — aborrisco ecc. (Ar., N. T., Luc., ser. eccl.); Bdehupóg, fetido — impudente, detestabile (Ar., Pl. ed altri); Bòeħupeúouor, mi comporto ‘ndegnamente (Dem.) (8) EIC TER S () v. Thomas, pp. 112-4, ove si mette in rilievo lo svolgimento postom. di questo senso trasl. (2) In antitesi ad acido, ad amaro (Schmidt, Syn., n° 82, 5, — II, 557). "PI, E, insegna l'aut. cit., ^ alles, was unsern körper mit angenehmem Ku Sl oder auf einen à nen sinn. einen angenehmen eindruck macht ,: perciò si distingue da YAuxüg, dolce, e si contrap- ne à Aummpög (op. cit, 1. c.). den V. Prellw., alle voci aüos, arido, ed adxubés. Steht saft und trockenheit ,. V. anche sopra, 266. (5) D'óEóc in altri sensi, propri e traslati, già s'è fatto cenno (v. sopra, 82). ao ci "ES ancora il significato antichissimo d’acuto, pungente ecc. (v. Prellw., alle gono i SC Le E Thomas, pp. 715). Ma giù omerico è il senso sopra indicato e da esso proven- în cui Sensi traslati di cui tosto si farà menzione, come bene avverte il Thomas citando più esempi e mxpòg con valore metaforico vedesi contrapposto un yAvkug in eguale funzione. sape, indica pertanto con sì fatte parole “ eine dauernde schmerzhaft gereiete stimmung, die eine neigt ma folgerung auf das gemüt eines menschen gestattet, und leicht zu gewalttätigen handlungen ge- cht „ (Schmidt, Hb., n° 123, 7, pp. 789-90). db (8) d S'aggiunga BdUMWw, temo (giusta Esichio), disprezzo (secondo Suida). V. Ar., Auo. v. 854; ECK * V sauko auspressen, saugen... Vom auspressen (n. 290—297) (n. 298—303) DOMENICO PEZZI 8 28. Idee di luce e d’oscurità: idee di colore. a) Idee di luce e d’oscurità. 298. Aykala, splendore, pompa — festività, gioia solenne (Es., tr.);vilarità, diletto li OER &yAotZw, adorno; splendo — -touow, pompeggio (IL*, Sim., Pind.) (1). 299. àprûs, biancosplendente — évapyhs, chiaro — manifesto (Om. e post.) (2); évápreia, chiarezza, viva esposizione o rappresentazione (Pl, Pol. ecc.). émáprepoc, avente macchia bianca sull'occhio, cieco — oscuro, inintelligibile (Esch.). 300. ravdw, splendo — mi rallegro, mi compiaccio, mi conforto (Esch.*, poeti d'età tarda). ravów, rendo splendente o bianco (3) — rassereno; dep. pass., mi rallegro, mi diletto (Anacr.*, Ar., PL, Alcifr. ecc.). Yavupar, mi rassereno, mi rallegro o diletto (Om. ed altri epici, Eur., Pl, Luc., con altri prosatori d'età tarda) (4). 301. doç (5), bene apparente, ben visibile — chiaramente conoscibile (Om.*, Erdt., Att. ecc.) (6). — ioc, “ splendidus, ap. Hom. fere ubique transl. illustris, plerumque propter generis nobilitatem „ (7) (Om., tr.). eùdia, bel tempo, tranquillità atmosferica; tranquillità in genere — soprattutto d'animo (Plut.). 302. Xaumpóc, splendente (8) — segnalantesi, rinomato (Pind., Erdt., Sof, Eur., Isocr., Sen. ecc.); molto intelligibile, manifesto (Esch., Sof., Tuc.); liberale, largo di doni (Dem., Plut.) S'aggiungano \aump®g nel senso con albagía (Pol), \aumpivopar come significante fo pompa di (Plut.). 303. onuí (cf. ant. ind. bha-mi, apparisco) — dico, racconto ece. (cf. lat. fa-ri (Om. e post.); affermo, prometto, ammetto (Il. e post.); opino, penso, m'immagino (Il, Sof.) (9). &qoroc, non detto, non nominato — senza nome, senza fama (Es.*); non pronunziabile grande, immenso (Wrdt., tr., Ar., Plut.); difficile a dire (Pol.). ómpógaroc, non (1) Usasi dyAaiZeodai, scrive lo Schmidt (Syn., n° 173, 3, = IV, p. 215), discorrendo del “ prunken des pfaues ,: quindi tal verbo e BpevO6eoôm diconsi “ ganz besonders von der stolzen haltung der in kämpfen oder wettkämpfen siegenden. ,. i (2) È propriamente “ das ganz klar und hell vorliegende , (aut. cit., op. cit; n°129; 7, =TM; pp. 428-9). (3) Il valore di yaväv è, per lo Schmidt, “ prangen, von heiterer erscheinung , : quello di yavoüv è “ politurgeben, glasiren, verzinnen „ (Syn., n° 33, 17, 24, = I, pp. 589, 598). (4) L'omer. yåvuoðm ^ beziht sich auf eine freude die man bei einem anblicke hat der herz und sinn erfreut, geht also ebenfalls, aber in anderer weise , (che yaiw) * auf die lebhaft sich offenbarende freude. yndeiv zeigt etwas abgeschwüchte bedeutung...., (Schmidt, Hb., n° 196, 3, pp. 816-7). Intorno alle relazioni etimologiche fra vávoc splendore ecc. e o0-po-g orgoglioso, Ya-i-w godo, con yé-yn-0-a, Yn-6é-w ecc. v. G. Curtius, Grundz., n° 192, p. 172, e le opere ivi citate. (5) Da *deradog ? Cf. om. déerov (v. Ebeling, ad v.) = *oeteXov ? V. Prellw., alle voci déehoc, déarai. (6) Significa propriamente, distinguendosi così da pavepéc (v. sotto, 303), “ das zur kunde gelangte, was man erkennt und weiss, besonders aber aus anzeichen und tatsachen schlussfolgert ,, (Schmidt, Hb., n° 80, 2, pp. 118-9; Syn., n° 129, 2, — III, p.419 e segg.). (7) Ebeling, ad v. dîa Gedun, "mof, è per lo Schmidt (Syn., n° 151, 5-6, = IV, pp. 6-10) “ die lichte unter den göttinnen oder weibern „. (8) E, nota l'aut. cit. (Syn, n° 83, 28, = I, pp. 595-7), un " hell, d.i. im hellen lichte stehend und so vor anderen gegenstünden hervorragend und sich auszeichnend ,. pressappoco un “ glänzend p Esprime “...die aüssere, glänzende, auch wol prunkende erscheinung ,. Intorno all'età varia de’ sensi traslati postomer. v. Thomas, pp. 52-3. (9) E un verbo che vale, osserva lo Schmidt, “ als ausdruck des eigenen gedankens (subjekt. urteil), dem in lat. ajo entspricht... , (Hb., n° 1, 5, pp. 4-5; Syn., n° 1, 32, = 1, pp. 56-7 ecc.). w CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I annunziato, inatteso; ineffabile, violento (Ap. R., Nic.) (1). páokw, assevero (Om. e post.); opino (Il (il detto); manifestazione (anche involontaria), predizione (in qualsiasi guisa (2)) (Od., Erdt., Sof., Eur., PI annunzio, discorso ecc. (Esch., Sof., Erdt., Eur., Pl. ecc.); fama, tradizione ecc. (Esch., Sof.); prometto (Il., Tuc. ecc.); mostro di, simulo (Sen. ecc.). eum, Sen. e« ) ` JA. H H s p ); opinione pubblica intorno ad alcuno (Es., Pind. ecc.); PL, Luc.: personif., Sof); anche canto, encomio (Esch., Pind.). Cf. pfiuis; orig (3), con pariZw, dico (Erdt., Sof., Ap. R.), prometto (in isposa) (Eur.), denomino (Parmen., Ap. R., altri ep. post.); odois, nel senso di denunzia pubblica (or. ece.), con mpó- Pao, pretesto (Erdt., Att.); saggiunga anche Ómogfimme, nunzio, interprete del volere divi :c. (IL, Ap. R., Luc.), poeta (Teocr., Arato) (4). dos (da pau, oof), pic, luce ecc, (5) — intima gioia, conforto (Esch., Sof. splendore, fama (Pind., Sof.) (6). CE. @aeivw, fo luce — splendo (di gioia) (A. P. trasl., famoso (poet., frequente in Pind., Luc. ed altri prosatori di tarda età) m- alt ); gaervòs, lucente, splendido — anche Pavoxw, fo apparire, mostro — mostro con parole (annunzio, racconto (Om., Esch affermo, dichiaro (11.4); dep. med., anche mi fo dire, apprendo (poeti di tarda età) (7). Paivw, fo vedere ecc. (8) — manifesto (pensieri, sentimenti ecc.) (Om., Es., Esch., Pind., Erdt.); rendo noto, indico, scopro (Od., Sof., Eur., Pl. ecc.); interpreto (Erdt.); denunzio (Ar., or., PL, Sen.); predico (Sen.); fra i valori del pass. notisi quello di parere (Om. 9 post., specialmente PI.). qavepóc, visibile — manifesto (9), ragguardevole, rino- mato (Tuc., Sen. ed altri, soprattutto di tarda grecità). qavróZu, rendo visibile, rappresento (comunemente coll'idea di pura apparenza) illudo (gr. tarda); pass., sono mmaginato (Pl., Plut.); mi mostro con pompa, inorgoglisco (Erdt.*); med., m'immagino (grecità tarda). Cf. gavtacia e œavnrias, ostentatore (Greg. Naz.). VEOQUVTING, nuovo iniziato (i. 0.8). Oukopévrns, denunziatore di fichi (di chi portasse fichi fuori dell Attica per venderli (10) — chi suole denunziare per malignità o cupidigia, cupido, (1) * Der bdtg. unerbittlich, unabwendbar, die e. neuerer annimmt, widerspricht die erklärung d. scholiasten „ (Jacobitz n. Seiler, Wrtb. cit, ad v.). (2) E, scrive lo Schmidt (Syn., n° 1, 33, — I, pp. 58-9), “ das offenbarende wort, wie menschen wusst es reden ,, contrapposto a prodigio, annunzio divino. (3) Ha, come avverte lo Schmidt (op. cit., n° 1, 33, 43, — T, pp. 58-9, 73), due sensi omer., signifi- cando 1° " die rede (und das urteil) der leute ,, 2° “ die rede, das gespräch, inhaltlich bei einer be- stimmten gelegenheit „ (ove l'idea del giudizio soggettivo perde intensità): v'ha un 8° valore (tr.), la feierliche verkündigung eines orakels oder wahrzeichens „ (Sof.). unbe (4) La radice di cui qui si discorre scorgesi anche nella seconda sillaba di oá-pa, oa-ph-< ecc. (Preilw., ad v.), sebbene non manchino fautori d’una diversa etimologia, che per altro par meno Probabile (v. Ebeling, ad v., ecc... oda è chiaramente, con certezza, con sicurezza, anche esatta- mente, con veracità (Om., Pind., tr.; raro in pr.). (5) * Das licht allgemein und physisch „ (Schmidt, Syn., n° 33, 2-3, — I, pp. 565-70). (6) Notisi per altro che, in quanto concerne questi sensi metaforici di «doc, ai lessicografi si °Ppone lo Schmidt (ibid.), osservando che per significare ^ der hoffnung » il vero traslato è péyyoc. A (7) Per l'aut. cit. mpavokev è propriamente “ ein offenbaren oder an den tag bringen mit einziger rücksicht auf die fremden personen, an die man sich wendet „ (op. cit., n° 1, 34, = I, pp. 59-60). x (8) Verbo che si riferisce al senso meno di beuvova e che significa ' eine weise z ruhmesglanz ,, ed anche “ einen strahl ú * einen gegenstand auf irgend e zur erscheinung bringen , (Schmidt, op. cit., n° 127, 2, = IIT, pp. 402-4). (9) È “ das offen zu tage liegende ,, non già “ das zur kunde gelangte „, come bñhoc (aut. cit., OP. cit., n° 199, 2, — III, pp. 419-20). (10) Giusta la comune interpretazione : v. Plut., XóA., 24. Serre IL Tox, XLVI. x (n. 303) (n. 303—310) 74 DOMENICO PEZZI intrigante, anche calunniatore, cavillatore (Ar., Sen., Pl. ecc.); oukopavréw, calunnio, cavillo (Ar., Sen., Dem., Plut. ecc.), inganno (N. T.) (1). 304. paidınog, lucente, splendido — illustre (ep., Pind.). qoibpóc, lucente, sereno — lieto, vivace (tr., Sen., Dem. occ.) (2). 305. äx\Üc, oscurità, tenebria, nebbia, particolarmente oscurità, notte di morte — forte tristezza (IL*; personificata presso Es.*) (3). 306. okótoç, oscurità ecc. — Vessere occulto, segreto, non famoso (Pind., Att.); difetto di chiarezza (PL, Plut.); ignoranza (Dem.*, N. T.) (4). 307. Sia permesso qui aggiungere due parole significanti coprire, nascondere, coi loro sensi traslati. La prima di esse è x&Avppa, coperta, velame — ciò che non lascia intendere (N. T.); con èxxéAvppa, lo svelare — dimostrazione (Plut.*) (5); émxéAuuua, coperchio ecc. — pretesto (Men., N. T.); tapaxGAvpua, coperta — pretesto (Plut.) (6). La seconda di tali parole è 308. otéyw, copro ecc. — taccio (con o senza cw) (Sof, Eur., pr. att.). 5) Idee di colori. 309. xp@ua, colore — colorito del discorso (D. A., PL*), soprattutto il colorito mite, palliante (D. À. e ret.). äxpwuos, che non ha colore — che non arrossisce, svergognato (Ipp., Artem.). mpocavoypüvvuut, do un colore; pass., avvicinandomi ricevo una tinta — comunico, tratto con (Plut.). 310. Aeux6g, lucente, chiaro, puro, sereno; bianco — molto intelligibile (Kliod.); leggero (trasl., euxaîç ppaoiv, Pind.) (7). diakeukaivw, imbianco — spiego (Diosc.). Neuxntatiag, con fegato bianco — timido ecc. (Zen.), = eùnong (B. A.). (1) Intorno alla relazione fra i sensi apparire, splendere, parlare v. G. Curtius, Grunde", n° 407, pp. 296-7. (2) Già a G. Curtius (op. cit., p. 657) riusciva malagevole il derivare i due accennati aggettivi dalla radice cui si riferiscono le parole addotte nel n° precedente. Il Prellw. (alla voce qoibpóc) li disgiunge affatto da essa. Intorno ai significati v. Schmidt, Syn., n° 83, 19, 22, = I, pp. 591-4. Ad una rad. indicante le idee d’ ‘ apparire °’, ‘ vedere ° (cf. ant. ind. caks) si fa ora risalire Tékuap, segno, indizio (v. Prellw., ad v., che lo distingue nettamente da Tékuap, -wp, meta ecc. Dal primo rékuap abbiamo Tekuaipw, indico (Esch.*, Pind.*); med., conosco da un segno, congetturo, conchiudo, giudico (Pind., Erdt., Att). Dell’altro tékuap già s'è detto al n° 40. Il significato di ‘ splendere’ sembra essere il senso primitivo anche di xMòń, delicatezza, mol- lezza ecc. — orgoglio (Esch.*, Sof.*), con xMáw (nell'ultimo senso) (tr., Plut.) ecc. (3) Aon., v. 264 e segg. — Intorno all'uso om. d'àyAóc leggiamo nella Syn. dello Schmidt (n° 84, 9, = I, p. 610) quanto segue: “ dyxAbg ist bei Homer nur in übertragener bedeutung die ver- finsterung des auges und geistes, wie cin gott sie dem menschen bringt oder auch der tod sie mit sich führt ,. Ma v. Ebeling, ad v., e consulta i luoghi omer. ivi citati. Nemmeno nel v. 421 del xx del- TIL AMG ha vero senso trasl.: significa oscuramento della vista “ in folge eines entsetzlichen, tief betrübenden anblicks „ (Suhle u. Schneidewin, Handwrtb. cit., ad v.). (4) Indica ^ den gänzlichen mangel an licht..., welcher cine erkennung der dinge ringsum unmöglich macht ,. Indi facili i traslati ^ auf den zustand da etwas nicht wargenommen werden kann... „ (Schmidt, Hb., n° 46, 1, p. 189). — Notisi qui anche wepnvôc, oscuro — ignoto, basso (Pind."). (5) Cf. rapayuuvéw, denudo — rendo manifesto, chiarisco (Erdt., Pol.). (6) D'incerta origine è xpómTU (v. Prellw., ad v., ed anche Vanicek, op. cit., p. 1096), nascondo (coprendo ecc.; v. Pillon, n° 801, p. 404) — rendo segreto, taccio (Od., Pind., Att. ; v. Thomas, pp. 41-8). Of. kpuntög, occulto — ingannevole (ënn, Sof.). (7) V. Schmidt, Hb., n° 47, 3, p. 197, e Syn., III, p. 12, ivi cit. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 75 311. èpuðpóç, rosso (1) — dmepuopidw, non arrossisco più — sono impudente (com. Luc. ecc.). 312. xeXaivég, nero (ater) (2) — che desta terrore (Esch.). Si notino, fra i com- posti, keAowóopuv, (di nero animo) — maligno (Esch.*), xeAowdmag (di nero aspetto) — tenebroso (metafor., Guuóc, Sof.*). 313. pag, oscuro, nero (3) — triste, sinistro, spaventevole (di creature mitiche, d'astratti personificati dell'animo ecc.) (Om., Pind., tr.). Of. ueravoxdpdiog, (di cuor nero) — crudele (Ar.*). Troveremo altrove ueXorxoXdw, soffro d’atrabile — sono triste, deliro (Ar., Pl. ecc.). 314. mowílog, variamente ornato, variopinto, vario (4) — scaltro (Es.* (5), Pind., Att.); ambiguo (Erdt., PL, Sen.). moi(Au, rendo vario ecc. — parlo, tratto scal- tramente (Sof., Pl, Plut.). 8 29. Idee di suoni. 315. yé6@og, rumore, suono (6) — vano suono di parole e non più (Ar., Eur.); discorso insignificante, ampolloso (Sof.*, Eur.*, D. A., Luc. ed altri). 316. rnmów, fo risonare con forza, a lungo ecc. (7) — annunzio ecc. (tr., Mosco, Orf.). 317. gg, "xd, rimbombo (8) — évnxéw, risuono in — insegno (scr. ecel.). gen? Xéu, risuono, fo risonare — parlo scipitamente (Polem.); pass., sono annunziato (N. UL. katnyéw, risuono incontro, attorno — ammaestro a voce (Luc., N. T., ser. eccl); rendo avvertito (tr... Fil). 318. xeAabéu, rumoreggio, fo risonare ecc. — lodo altamente (Pind. Eur.) (9). 319. xóumoc, rumore di corpi urtantisi (10) — vanteria, millanteria (tr., Erdt., Eschine, (1) Aut. cit., Hb., n° 54, 1, p. 221; Sun, n° 94, 2, = III, pp. 41-2. (2) Sebbene già i tragici confondano kekaivôc con uékac, avverte lo Schmidt (Syn., n° 89, 2, = I, p. 15) il primo dei due aggettivi era proprio veramente “ nur von den gegenständen, die mit der dunklen farbe etwas bei uns schrecken erregendes verbinden ,. (8) E, nota lo Schmidt (Hb., n° 48, 2-3, pp. 199-201), l'espressione comune * für schwarz ,, colla quale * auch die dinge bezeichnet werden von ihrer freundlichen seite aus. .....uÉas schon bei Homer der ganz umfassende ausdruck ist, der neben dem lieblichen ebenso gut auch das schaurige bezeichnet... Nach Homer erlöscht das gefül für den verschiedenen wert der beiden wörter , (u&Aac e keAavöc). V. anche Syn., n° 89, 2, = IIT, p. 15. (4) Designa propriamente, secondo l'aut. cit. (Hb., n° 102, 2, pp. 567-8), “ einen gegenstand der zur selben zeit eine menge verschiedener erscheinungen zeigt, unter denen eine mehrzal von farben be- Sonders hervorragt ,. V. anche Syn., n° 183, = IV, p. 360 e segg. Cf. aîdAos, v. sopra, 183. (5) V. Hecht. p. 131, ove si mette in rilievo lo svolgimento postomer. di tale significato. Ma ® già Omer. il comp. mouaAoufyrne, ^ varia consilia habens , (v. Ebeling, ad v.). t (6) Indica, in modo affatto generico, “ jede erscheinung die im sinnlichen bereiche des gehöres liegt „ (Schmidt, Syn., n° 116, 2, — IIl, pp. 313-5). (7) Esprime id ganz eigentlich die lang hinhallende stimme, die nicht in einem stosse erfolgt um dadurch zu erstrecken und dgl., sondern nur auf wirkung in die ferne berechnet ist „ (aut. cit., op. cit., n’ 117, 11, = III, pp. 332-3). È Lo stridere del vento, il gridare, il chiamare ad alta voce ecc. (8) Aut. cit, op. cit., n° 116, 3, = III, pp. 815-7. . (9) Al rumoreggiare dell’acqua e del vento si riferisce keXddwyv: cf. keXobewóg ecc. Fra i sensi di KéXadoc, xe\adeîv, lo Schmidt mette in rilievo particolarmente * die beifälligen zurufe, hände Haischen und del... » (Hb., n° 86, 1, pp. 148-9) : nota poi che *...geht keAabelv ..... geradezu in die bedeutung feiern über, d. h. durch laute töne verherrlichen..... » (Syn., n° 125, 4, = IIT, p. 377). (10) Pillon, n° 248, p. 340. (n. 811—819) (n. 319—328) 76 DOMENICO PEZZI El; cf. Köunog Aórov, Tuc.); il gloriarsi, rinomanza, lode (Esch., Pind., Sof.). Cf. kou- naZw, xouméw ecc. (1). 920. xpóroc, rumore che si fa battendo corpi duri gli uni cogli altri, o sopra di essi (2): kpótaħov, sonaglio — chiaccherone, eiarliero (Eur., Ar.). kpörnuo, ciarliero, scaltro (Sof.*, Eur.*; éri zy doMiwy T&ooeraı, Esich.); ouykpérnua ha anche il valore di macchinazione (scol.); moNIKpotog, rumoroso — astuto, scaltro, furbo (scol. Ar.*). 321. Adoxw, mando suono — parlo, dico ad alta voce, annunzio (tr., Ar.) (3). Aakeduv, annunzio, dottrina (Tim. in S. Emp.*) (4). 322. widupos (wiupóc?), susurrante, bisbigliante — cicalante, calunnioso (Pind., Sof., Plut., Luc. ecc.) (5). $ 30. Idee di minerali. 323. GAS, (6), sale; (ñ), onda salsa, mare (cf. nóvrog dAéc ecc.) — ec, spirito, arguzie (sales) (At., Plut.). 324. MOoc, pietra (6) — uomo duro, spietato, anche incapace di sentire, stupido (Om.*, Ar.*, PL, Luc.). — orange, (affatto di pietra) — inesorabile (Orisost.). M6o- ,Kápotoc, con cuore di pietra (scol. Eur., ser. eccl.). 325. yfipog, pietruzza, ciottolo ecc. (7); pietruzza per numerare, computare — conto (Esch., Dem.); pietruzza gettata come voto nell'urma — voto (Att., anche Erdt.); giudizio, opinione (Pl.); deliberazione, decisione (tr., Sen.). Cf. ynpizw. Notisi qui anche yid, pietruzza per giuoco fanciullesco: wiábbw, giuoco — scherzo, sono allegro (Ar.*). 926. Bácavoc, pietra di paragone (lapis lydius) — esame, investigazione (Pind., Erdt., Sen., PI. ed altri); confessione estorta con tortura (Dem.*). Cf. BacaviZw, parti- colarmente poi BeBaoavioôo, essere forzato (dello stile) (D. A.). 327. olönpog, ferro ecc. ^ oibfjpeoc, di ferro ecc. — virilmente fermo (rop, 9uuóc, «pobín, ep.); inconfutabile (Aöroı, PI.); incapace di sentire, stupido (Lis.). 328. xaAkög, rame, bronzo. — xóM«eog ha pure il senso trasl. di forte, duro, anche moralmente (IL, Pind., Erdt., Pl, A. P.). (1) Di voAokopmía già s'è fatto cenno, v. sopra, 285, in nota. (2) Schmidt, Syn., n° 117, 6, — III, p. 325. (3) È parola che indica * keine bestimmte klangfürbe, sondern allgemein einen schneidenden, scharf sich markirenden ton ,: fu spesso usata dai tragici per designare “ die lauten äusserungen der ver- schiedensten meist starken affekte „ (aut. cit., op. cit., n° 1, 42, = I, pp. 71-2). (4) Intorno alle relazioni etimologiche fra Adoxw e Ado0n, contumelia (Erdt., El.*), v. Vanicek, op. cit, pp. 774 e 777 ecc.; Fick, Vgl. wrtb., D p. 582; Prellw., ad. v. Giusta lo Schmidt (Syn., n° 133, 5, = III, p. 462) “ den höchsten grad des hons scheint AddOn bedeutet zu haben ,. Le voci oképBoloc, che schernisce, che ingiuria (Call.*), oxepgóAAu (Ar.*) vengono ora riferite alla medesima radice cui appartiene xpéufaXov, sonaglio, castagnette (v. questa parola in Prellw.). (5) Chi reputa, com'è pur sempre assai verisimile, che widupoc stia per *wu0upog (v. G. Curtius, Grundz®, p. 530, e Prellw., alla voce weóbu, ma anche G. Meyer, Griech. gramm?, p. 108), è natu- ralmente tratto a connettere tale parola, per quanto concerne la parte sostanziale di essa, con we0doc, invenzione, illusione, inganno, menzogna (Om. e post), weóbouot ecc “ wevdeoda ,, scrive lo Schmidt (Hb., n° 19, 1, pp. 71-3), * hat nicht einen so ' schneidigen ° begriff wie unser lügen, es streift mehr an unser bilden (mAóáocew, fingere) und erdichten ,. wcüboc può essere anche una bella rappresentazione poetica. (6) In senso affatto generico (Schmidt, Syn., n° 51, 3 ecc., = II, 170 e segg.). (7) Indica ^ jeden kleinen stein, den man selbstündig findet, also nicht als bruchstück eines grös- seren „ (aut. cit, op. cit., n° 51, 9, = II, p. 180) E I CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 8 31. Idea di campagna. 929. àypóç, campagna, campo (contrapp. a città, come a bosco, monte ecc.). &rptoc, selvaggio — duro, feroce (IL, spec. Att.); appassionato, violento (Om., Erdt., PL); incolto (Om., PI.) (1). arpıaivw, sono selvaggio — sono adirato, cattivo (Pl.); rendo Selvaggio — adirato, cattivo (D. C., Achille Tazio). $ 32. Idee meteorologiche. 330. dp, aere. depouetpéw, misuro Varia — mi perdo in sottigliezze metafi- siche (Sen.*). depoNéoyns: dynAòg èv TW Aéreav, xouynrépog (Esich.); chi parla con iattanza, chi dice cose vane (v. Thes.). Cf. aîdepoX6rog, che discorre dell'etere — di cose metafisiche (D. La 331. áveuoc, vento (2) — passione veemente (Sof.*); incostanza (N. T.). La mede- Sima radice, col pref. dvd, si scorge in Av-alvonaı, ricuso, nego, mi vergogno, sdegno (Om., tr., Sen., PL, Dem.) (3). 332. mvéu, spiro, soffio, respiro (soprattutto con forza) ecc. (4) — spesso trasl., con voci indicanti animo coraggioso (spiro valore ecc.) (Om., tr.) e con aggettivi di grandezza (sono altero) (Eur., Dem., D. A.); nervuua, sono intelligente, prudente (Om., Rs.) (5). — nveüna, soffio, vento, respiro ecc. — coraggio, ardore (Plut.); spirito (N. T., SCr. eccl.). ayrınvew, soffio contro — sono ostile (Pol., Luc.).. eunvew, soffio dentro — ispiro (di fare aleunche) (Od.) ecc.; infondo entusiasmo (Plut., Luc.): cf. ém- Tvéw (specialmente nel senso d’eceito, infiammo, avé tivi, Eur.), Eninvevoig. ouunvéw, soffio insieme — m'accordo (Esch., PL, Dem., Pol.). Omepmvéu, sbuffo sopra — sono Orgoglioso (Filostr. sen.) (6). 993. guodw, soffio ecc., gonfio — rendo alcuno orgoglioso con lodi (Sen., Dem., Plut.). puoiwoig, (il gonfiarsi) — superbia (N. T., pl; Ol. AL). éupéonua, il sof- fiar dentro — ispirazione divina (scr. eccl.). 384. wüxu, soffio e rinfresco (7). yuxn, soffio; principio imperituro di vita Spirito (in varia attività) (Erdt., Att.) (8). (1) Schmidt, Syn., n° 97, 1, 4, = III, pp. 69-70, 72-3; Thomas, pp. 40-1. (2) Designa “ jede schwache oder starke bewegung der luft „ (Schmidt, Hb., n? 58, 1, p. 235). (3) Esprime * ..... widerwillige abwendung von tatsachen sowol als von anforderungen und bitten (id., ibid, n° 18, 2, p. 69). (4) Come nota Taut. teste cit. (Syn., n° 55, 2 ecc., = II, p. 219 e segg.), ^ mveiv hält von Homer an die drei bedeutungen atmen, blasen, wehen fest ,. (5) Riprende il suo valore proprio (zespiro, sono animato) nella prosa meno antica (Pol.). Intorno al valore metafor. di menvunaı scrive lo Schmidt (I. c., p. 222): * Der geist wird wie das leben mit dem. atem identifizirt ,. Ma altri connettono, sebbene probabilmente senza ragioni abbastanza forti, TETVUNIOI con mivuTÓG, di cui s'avrà tosto a toccare: ciò fanno anche di mvutég: Zuppwv, oWppwv (Esich.) (6) Intorno a mıvuröc, prudente, che G. Curtius anche nell'ultima edizione dei Grundzüge... volle Congiungere etimologicamente con mvéu (n° 370, pp. 279-80, ed anche p. 431) v. soprattutto Brug- Mann, Grundr...., I, p. 42, e II, p. 1012; Fick, Vgl. wrtb...., I, p. 879; Prellw., ad v. (7) Per lo Schmidt (Syn., n° 68, 2, = II, pp. 262-3) woxew è * kalt oder kül machen....., besonders WO ein dauernder zustand hervorgerufen wird ,. bos (8) Ze Omero wyuxñ ha ancora senso assai meno alto che nella poesia e nella prosa delle età Suenti. * Er denkt die yuxh durch den ganzen kórper luft- oder nebelartig verteilt, mit dem (n. 329—334) (n. 335—340) 78 DOMENICO PEZZI 335. duomeéuperog, assai tempestoso (1) — burbero, poco amichevole (Es.*, A. P.*); pedante (Erodico in At.*). 336. yeudZw, agito con bufere, con tempeste (2) — pass., sono messo in grande perturbazione d'animo (tr., Ar., Pl. ecc.) (cf. zem nel senso di demenza, Sof.*). 337. Bpovrn, tuono. eußpovraw, rendo attonito col tuono, colla folgore — sgo- mento, sbalordisco (Dem., Plut. ecc.); Eußpövrntog, sbalordito dal tuono — confuso, insensato (com., Pl.). Of. émBpévrntos (3). 338. yalñvn, calma di mare, serenità (4) — anche trasl. (PI, Luc.). ya^epóc, sereno d’animo, contento (less. -&c (A. P*). 8 38. Idee astronomiche. 339. tépag, (stella), indizio soprannaturale, presagio, prodigio (5) — Tepatevonaı, parlo di cose meravigliose; sono ciurmatore, millanto; mentisco (Ar., Eschine, Luc. ecc.); aggiungi tepatefa, tepdtevua ecc. 340. oeAnvn, luna. oeAnviöZw, sono lunatico — predico (in tale stato) (Man.*; med., N. T°). Si notino anche oeAnvößintog, -rAnkrog (scol. Ar.) (6). letzten atem oder durch die wunde entweichend, und nun zwar die alte gestalt bewarend, aber one inneres fülen und empfinden: sie hat keine qpévec , (v. 403 N.) (Schmidt, Hb., n° 109, 4, p. 634). Of. Schrader, Die psychologie des ältern griech. epos (Jahrbücher f. class. philol, 1885, p. 149). “ In der nachhomer. sprache erlängt yuxh allmülig ganz den begriff unseres seele, so dass ihr also alle emp- findungen und das ganze wesen der qpévec zugeschrieben werden ,. E...“ bei Pindar ist wuyfj schon die erkennende seele, die unsere handlungen richtig zu leiten versteht , (Schmidt, Hb., 1. c. ; cf. Syn., n? 147, 3, 6, = III, p. 624 e segg., soprattutto p. 633). (1) Intorno a méuqu£ v. Schmidt, Hb., n° 60, 5, p. 249; Prellw., ad v. (2) In Omero xeiua è. nota lo Schmidt (Syn., n° 55, 18, = II, p. 248), soltanto “ winter, winter- kälte ,; in poeti meno antichi diventa “ unwetter „ (cf. xeuwv) : yerudZev significa ^ mit sturm oder unwetter heimsuchen ,. (3) Converrebbe far qui cenno anche di 66h06, ciance (Pl, Dem., Luc. ecc.), “ das sinnlose ge- wäsch des dummen oder ungebildeten , (Schmidt, Hb., n° 8, 3, p. 28), se fosse certa l'affinità etimolo- gica fra tale vocabolo e úw, fo piovere, piovo. Essa pareva non improbabile a G. Curtius (Grunde, p.523; v. anche Vanicek, op. cit., p. 1046) ; il Prellw. non propone etimologia (ad v.). Si puo qui aggiungere l'esichiano 000Aóc* calde, pAüapoc. (4) Giusta lo Schmidt (Syn., n° 175, 9, = IV, pp. 263-4), è “ die allgemeine stille in der natur...... die allgemeine heiterkeit in der natur „. Ebenso ist yaAnvög heiter und ruhig ,. (5) V. Prellw., alla voce teipea, e Thomas, pp. 95-7, giusta il quale ^ wäre als vorhomerische bedeutungsentwicklung von Tépac anzusetzen: 1) stern — 2) determiniert: stern als gottgesandtes zeichen (bes. meteor) — 8) übertragen und dadurch erweitert: vorzeichen überhaupt. Auf der letzten stufe treffen wir das wort bei Homer..... Später hat répac neben der hom. bedeutung.... noch die weitere, durch übertragung entstandene bedeutung einer wunderbaren, besonders schreckhaften na- turerscheinung überhaupt (auch ohne Zeus etwas damit bezweckt) , (Es. Pind., Esch.). Tépac è, scrive lo Schmidt (Syn., n° 168, 2, = IV, pp. 180-1), un fenomeno od oggetto che paia sovrannaturale. (6) Qui non è inopportuno ricordare anche ouvaotpia, costellazione — lieve discordia fra amici, broncio (cf, pel senso del primo elemento, il lat. simultas) (Tol., Proclo). di d, |: È li SAGGI D'INDICI SISTEMATICI ILLUSTRATI CON NOTE PER LO STUDIO DELL'ESPRESSIONE METAFORICA DI CONCETTI PSICOLOGICI | NELLA | : LINGUA GRECA ANTICA | MEMORIA SECONDA un f DEL SOCIO f DOMENICO PEZZI Approvata nell'adunanza del 16 Giugno 1895. À SAGGIO SECONDO SENSI NON PSICOLOGICI ONDE SI SVOLSERO SENSI PSICOLOGICI | LA SESTA ED ULTIMA SERIE D'ESEMPI (1) IE IH UMEN 1 CAPITOLO SESTO e Idee bDiclYogiche'(. I. La natura organica. ? A. IDEE CONCERNENTI LA NATURA ORGANICA IN GENERE $ 34. 341. yevog (cf. rtrvopou), me genere ecc. (3): ebyevng, di buona, mobile (n. 341) origine — nobile d'animo (tr., Pl, Arist. ecc.); nobile di lingua, di stile (Eur., Arist., D. A.); duoreviig, ignobile di EN — ignobile di sensi (Kur.). ^ vevvatoc, di nascita, d'origine nobile — nobile di sensi e d'opere, valoroso ecc. (Att.) (4). dàrevvia, viltà LT (1) Come, per quanto si riferisce alla materia, si prosegue e si conduce a termine in questo Secondo Saggio l'esposizione fatta nel primo, così la numerazione del capitolo, dei paragrafi e delle Singole famiglie di parole qui continua quella dello scritto precedente. ; (2) S'adopera qui tale aggettivo in senso cosi ampio che s'estende non solo alla ' vita fisio- logica’, ma anche alla ‘ sociale ’, come apparirà dall’ultima classe di parole greche di cui si dovrà fare menzione. i (3) V. Schmidt, Syn., n° 157, 5-6, = IV, pp. 68-70; Hb., n° 73, 4-6, pp. 317-8. (4) Giusta l’aut. cit. (98. 1. c., p. 319), Yevvaîog è * ....... ein tino insofern er nicht nur einen bestimmten, physischen ursprung hat, sondern auch ein seiner abstammung entsprechendes wesen zeigt, as ist teils die körperliche beschaffenheit.....; teils das sittliche gepräge, welches wir im guten sinne ig namentlich durch wacker bezeichnen ,. " E (n. 341—349) 80 DOMENICO PEZZI (Pol.). yvnoiog, di schietta, legittima origine; legittimo — sincero (äpetai) (Pind., Isocr. ed altri); probo (N. T.) (1). 342, qw, fo nascere; med., divento, cresco (2). diagiw (soltanto pass. ed intrans.), cresco in mezzo — sono versato in alcunchè (D. C.). émipüw, fo crescere sopra — -ouor (col perf. ed aor. asigmat. att.), mi stringo fermamente a — afferro (metafor.), incalzo con accuse (D. A., Plut.). àurig, senz'attitudine naturale — sciocco (Att.); semplice, ingenuo (Sof.): cf. eópufig (3). —puteta, il piantare — dottrina della salute dell'anima (N. T.*). veöpurtog, di recente cresciuto o piantato — testè con- vertito al cristianesimo (ibid.). 343. oméppa, cosa sparsa, seminata — OmepuoAöyog, che raccoglie semi, ogni cosa sparsa — ciarlatore, millantatore, buffone, uomo dappoco (Dem., N. T. ecc.), = pAvapog (Esich.). 344. óópóc, giunto a pieno svolgimento, maturo — idoneo a, valente (Isocr.); alto (di locuzioni, in antitesi. a vamewóc) (Long.) (4). 345. maívu, ingrasso — rallegro (Esch.); med., mi diletto (Pind.) (5). Pb, De Ag Plut.) diordaivw, mi gonfio — insuperbisco (Erdn.) dioidéouu, mi sdegno (Eliod.). 346. oiddw, -éw, mi gonfio — anche metafor. (d'effetti di passioni) (Erdt. 347. òpyń, impulso naturale, istinto — moto d'animo (i. o.*, Pind., Erdt., tr., Tuc.); specialmente moto violento, soprattutto ira (Erdt., Att.) (6). Il valore primitivo della radice meglio si scorge ancora nei sensi d'ópyów, sono gonfio, ribocco d’umori, cresco rigoglioso — bramo vivamente (Esch., Erdt., Plut., Eliano, Longo); mi trovo in pas- sione ardente (Tuc., Plut.). öpyoivw, rendo irato (So£.*); m'adiro (Sof.*, Eur.*). öpyiZw, muovo ad ira; med., mi sdegno (Att.) (7). 348. omopydw, sono turgido — sono pieno di voglie (Pl., Plut.); son pieno di pas- sione ardente, d'ira (iid.). 349. Le parole che devono venir qui menzionate si riferiscono tutte ad una radice il cui valore proprio fondamentale bene appare nel verbo qAéw, mi gonfio, ribocco, quindi anche soffio ecc. (8). qnóc, ingannatore (Men., Babr.); mé, inganno (Esch., Eur., Licofr., Ap. R., Babr.); pnAnthg, ingannatore, ladro (i. 0.*, tr.) (9). (1) ^ Von unverfà in senso trasl., ^ der art entsprechend , (Schmidt, Syn., 1. c., pp. 71-2). (2) Per l'aut. cit. (Syn., n° cit., 2, 11, pp. 62, 76 e segg. — cf. Hb., n° cit, pp. 314-5) que è “ zeugen....., mit hervorhebung des innern zusam hanı mit dem erzeugenden- wesen y. (3) Significa ^ leiblich und geistig wozu beanlagt „: eòpuns è “ nicht bloss der zu einer bestimmten sache beanlagte, sondern wer gute anlagen überhaupt hat, der begabte talentvolle, ebenso 'eòputa, die be- gabung. Der 4pung also ist derjenige, dem es an solchen anlagen fehlt, seine natur die äputa , (Schmidt, Syn., 1. c., 3, p. 64). (4) V. Schmidt, Hb., n° 88, 4, pp. 430-1. (5) V. l'aut. cit., Syn., n° 207, 7, = IV, pp. 680-1, ov'esprime i sensi trasl. di questo verbo greco coi tedeschi “ beglücken oder erfreuen ,. (6) Per lo Schmidt (Syn., n° 142, 3, = III, pp. 553-5) òprh “ ist..... allgemein der innere naturtrieb, das innere auf ein bestimmtes ziel gerichtete streben, das sich aii h als sinnesart offenbart..... Sp òpy come ^ zorn „ è un “ gewaltsam hervorbrechende, durch die vernunft nicht gezügelte naturtrieb... p, il quale “ sein ziel sucht, also der gedanke an rache oder strafe welche dieser trieb bei dem schuldigen schter abstammung..... also dem bestimmten geschlechte wirklich angehörend „, poi, ei auszuüben sucht biegt nahe „. (7) Intorno ai tre verbi menzionati v. l'aut. cit. (Syn., 1. c. ; Hb., n° 123, 2, pp. 784-5). (8) Prellw., ad v. V.ivi anche le parole che tosto verranno citate. (9) V. G. Meyer, Griech. gramm.?, p. 250. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA 'ANTICA, II 81 9Mébuv, cianciatore (Esch. ecc.) (1). œAñvapoc, ciance (Luc., Aristen. ecc.) (2); cianciatore (Sin., Aristide). pAvapog, cicalata (Ar., PL, Cic., Plut. ecc.); chi parla non seriamente (P1.*, LXX, N. T.) (3). Abo, farsa, parodia (A. P.*); buffone (At., Poll.) (4). 350. ioxvóc, arido — semplice, inornato (cf. tenue dicendi genus) (D. A., Plut.); loxvdc, senz'ornamenti oratori (Pol.). ioyvoenew, -\oyéw, -uußew, parlo con accu- rata finezza (scr. eccl); ioxvouu0ia © Aertoloyia, ed icyvouu0o0vreg ` AerroAoro0vtec . äkpiBolorodvres (Esich.); ioxvoA&oyng, cianciatore arguto (Posidippo in Suida). 351. fuepoç, non salvatico, ossia domestico, addomesticato — mite, incivilito ecc. (Pind., Att). Of. avAnepos, salvatico — rozzo, non incivilito (Anacr., Esch., D. A., Lue.) (5). 352. m6acóc, addomesticato (6) — mite, ben disposto, docile (Esch., Luc.; e, PL, Arist.). tıdagelw, addomestico, ammanso — rendo mite, civile, docile (Sen., Dem., Plut. ecc.); concilio, fo amico (Plut.). (1) Intorno a oAébuv, come a p\ñvapos, pAbapog, nota lo Schmidt che * der grundbegriff spru- delnder überfülle, den Curtius n. 412 annimmt, ist verwischt. Denn keins der hierher gehórigen würter bedeutet die nicht enden wollende geschwätzigkeit , (Syn., n° 6, 11, — I, p. 170). qAébóuv è per lui * ein wichtig tuender schwätzer, der mit grossem wortschwall seine weisheit verkündet , (n° cit., 12, p. 171). (2) E propriamente * wirres gerede ,, secondo l'aut. cit., perciò pAnvapav è schwatzen , (ibid. 11, p. 170). (3) Come sostantivo “ entspricht unserm possen (plur. und bedeutet das nicht ernst gemeinte, nicht einmal eine richtige idee zeigende, ganz wesenlose und windige, wodurch folglich nichts erreicht und gefördert wird, worauf niemand sich verlässt oder achtet (Schmidt, 1. c., 12, p. 171). (4) Probabilmente devesi alle parole teste addotte aggiungere qAapoc, PadAog (v. Prellw., ad v.), ados è dappoco in vari sensi: inetto (Eur., PL); codardo (Eur., Sen. ecc.) ; leggero d'animo (Tuc.); anche moralmente cattivo (Teogn., Eur., Sen., PL). V. Pillon, n° 274, p. 380, ove lo contrappone ad åyaðóç, e cf. qauAMZw, disprezzo (Sen. Pl, Luc.) — Notisi qui anche maqAdZu, “ aestuo, bullio, cum sonitu , (Ebeling; v. Schmidt, Ho., n° 44, 2, pp. 179-80) — sono dominato da passione violenta (Ar., Timoc). in At.*), con rráqAaouo, il ribollire — il millantarsi (Ar.*), e PAdopnuog, BAaopnuew, se hanno, com'è verisimile, B iniz. da pọ per dissimilazione, appartengono anch’essi alla presente serie di Parole (v. Prellw., ad v. Blaspnuéw). Questo verbo ha vari,sensi: ledo la buona reputazione d'alcuno, discredito (Isoer., Pl, N. T., Plut); impreco (Pl., Teofr.); oltraggio (Aleifr.) ; bestemmio (Pl.*); cf. BAd- SPnuoc, BAaopnuia (N. T., scr. eccl.). Ad una radice indicante gonfiezza, cavità (in greco kv) spettano parecchi vocaboli con significati metaforici di forza, fama. KOpog, forza — di decisione, di determinazione, autorità (Esch., Erdt., Pl. Seel validità (Sof.), con kupôw, confermo, convalido (Esch., Ar., pr. att.), decido, delibero (Esch., Erdt., Eur. ece.); K0boc, splendore, onore (particolarmente militare) (Om., soprattutto IL, Esch., Pind., Erdt. ecc.) ; cat- tiva fama (less.) (k0boc è per lo Schmidt “ das aüssere ansehen dessen man geniesst vor den augen der menschen, die auf einen gerichtet sind ,, Syn., n° 82, 12, = III, p. 569). (5) L'aggettivo fjuepoc è usato discorrendo d'animali “ insofern sie bei den menschen gleichsam ansässig geworden sind ,, rinunziando a vita salvatica: così anche di piante, * insofern auch sie in den wonsitzen des menschen wachsen. ,, coltivate, modificate dall'uomo. Anche nell'uso metaforico “ ist die gesittung gemeint, die aus den gesellschaftlichen zustünden, auch wol deren der natur (der aüsseren, die uns zu einer bestimmten lebensweise zwingt), sich ergibt „ (Schmidt, Syn., n° 98, 1, 3, — III, p- 76 e segg.). V. anche Thomas, pp. 40-1: ivi si mette in rilievo il senso trasl. postomer. della parola, Soprattutto in Pl. (6) Nell'uso classico si riferisce soltanto ad animali : “ bezeichnet nur die zamen, an den menschen Jewönten und ihm sich unterordnende tiere, durchaus nicht die zamen oder kultivirten pflanzen „ (Schmidt, Syn., 1. c., pp. 76-8, 81-2). L'adopera di piante Plut. * wirres zeug Serie II. Tom. XLVI. 11 (n. 849—352) (n. 353—364) 82 DOMENICO PEZZI B. IDEE CONCERNENTI IL REGNO VEGETALE (1). 8 85. 353. i£óc, vischio — avaro sucido (Ar.*). 354. dapvn, lauro (sacro ad Apollo). dapvnpéyos, (che mangia lauro) — ispi- rato (Licofr.*). 355. Ménw, tolgo la corteccia. Aentög, scortecciato ecc.; sottile, fine — anche in senso trasl. (d'intelletto), che intende acutamente ecc. (Eur., Antif., Ar., D. A., Luc. A. P.); esatto, diligente (D. A.); delicato (di sentire) (Plut.). AentoAoyew, parlo acu- tamente, fo sottili ricerche (Ar., S. Emp., Luc. ecc.); \emtovpréw, fo lavori fini — metafor. == NertoXoréw (Eur., D. C.). 356. oxıvdäkauog (oxivddiapos), scheggia di legno con punta — plur. (con o senza Aöywv), sottigliezze, sofisticherie (Ar., Alcifr., Luc.). OKıvdolauoppädtng, cianciatore arguto, sottile ecc. (A. P.*). 357. dkav0a, spina ecc. — ardua sottigliezza (Luc., At.). &kav@olGros, (che rac- coglie spine) — che va in cerca di sottigliezze (A. P.*). é£akavO(Zu, tolgo spine — investigo sottilmente (Cic.*). 358. Bpùw, germoglio riccamente ecc. Bpudzw, sono ricolmo, ribocco — abbondo d'allegrezza, godo (Esopo, Epic. in Plut., A. P.). 359. dAnpa, fior di farina — uomo scaltrito (2) (Sof.*). 360. momdàn, fior di farina — uomo scaltrito (Ar.*); naımdAnna, id. (Ar., Eschine, Luc.) = moiíAog év kaxíg (Esich.). 361. dupaxias, vino d’uve non mature — burbero, increscioso (Ar. [mépoëus, Esich.], Plut.). C. IDEE CONCERNENTI IL REGNO ANIMALE. VARIETÀ DI TIPI — PARTI DEL CORPO — FUNZIONI. $ 86. Idee d'animali inferiori all'uomo (3). 362. okopmíoc, scorpione — immagine d'uomo maligno (Dem., A. Pi okop- maivw, incollerisco (gr. tarda). 363. «npñv, fuco — segno d'infingardaggine impudente (Es., Ar., Pl. ed altri). 364. uelı00u, ape — immagine letteraria di musa poetica, di poeti e poetesse (A. P.); ogni anima pura e casta (Porf. ed altri di tarda età). uerippwy, dolce come miele per è sensi — per l'animo, ovvero rallegrante il cuore colla dolcezza (Om. (4), Es., Pind., Bacchil., A. P.). (1) Blümner, pp. 242-54. (2) © Ein geriebener, d. i. durchtriebener mensch , (Jacobitz e Seiler, Wrtb. cit., ad v.). (8) Blümner, pp. 197-242. (4) V. le varie interpretazioni proposte nel Lex. hom. dell'Ebeling, ad v. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, U 83 365. oîotpog, tafano, assillo; puntura, stimolo — passione veemente, furore (in ispecie amoroso) (Sof., Eur., PL, A. P. ecc.) (1). 366. dœqis, serpente — uomo falso (Teogn.). 367. oiuvóc, uccello, soprattutto grand’uccello di rapina, quindi uccello da auguri, da predizioni — augurio, presagio (Il, Erdt., Eur. Sen., PL, Plut., D. C.) (2). olwviZouon, osservo il volo, il canto degli uccelli per trarne auguri (Sen., Plut.); tengo per presagio, presento (Sen., Ar., Pol, D. S.) (8). 368. xémpoc, uccello marino, che si lascia facilmente adescare e prendere..... — uomo d’animo leggero, o minchione (Ar.) (4). Indi xemqóopo (Cic., ad Att., xni, 40; LXX, Prov. vu, 22; ser. eccl.) 369. kópa£, corvo — okopaxizw, mando uno ai,corvi, alle forche — ingiurio, disprezzo (Dem.*, Plut.*, Lue.*); dmò roi eig kópakaç méunew (5), rä ekpauMleiv (Esichio). oKopakıouds, oltraggio, disprezzo (Plut., LXX), = xAevaouög. mat. ÜBpig, pauhou6c, dodoximacia (Esichio). 370. roc, gufo — chi si lascia facilmente gabbare (com. in At.*, Plut.). 371. mpößatov, gregge, in pr. soprattutto pecore — sciocco (Ar.*, Luc.*); gregge eristiano (N. T.). 372. tpéyos, capro, becco. tpayıkög, di capro — tragico (pr. att. e post.); conforme a tragedia, magnifico, elevato; esagerato, ampolloso (Pl, Arist.) (6). Tpa- fwbia, canto del sacrifizio del capro — dramma eroico (Ar., Pl, Arist. ecc.) (7); nar- razione pomposa, anche esagerata, lagrimosa (Iper., Pol., D. S.); cf., in tal senso, tpa- ywdéw (PL, Dem., Arist., Pol. ecc.). 373. àpvóc, agnello — äuvoi toùg rpómoug (Ar.")' mpâot koi ualaxoi (Esichio). Guvoxdv (cf. koéw, odo, osservo), (testa d'agnello, di montone) — sciocco (Ar.*). 374. BoOc, toro, vacca, per lo più bue — sciocco (Mac. in At.*). Boca fuata, parole ampollose (Ar.*). A BouxoMéw, pascolo, lo Schmidt (8) nega che si debbano (1) I vocaboli oîotpog, oiorpâv ed olorpnua “ die wilde aufregung bedeuten welche den menschen wie durch fremde macht erfasst, ihn zwar auf ein bestimmtes ziel eudrüngen kann, aber der überlegung entbehrt..... ,, eccitamento che pare estrinseco e che fa soffrire ecc. (Schmidt, Syn., n° 174, 5, = IV, pp. 233.6). — Notisi anche uwy, tafano, pungiglione, stimolo (Plut., Luc.). Vedasi inoltre quanto si dirà di kevrpov (n° 412). (2) V. Sehmidt, op. cit., n* 73, 1-3, — II, pp. 446-8. (8) Con oluvóg (*óFt-wvóc) viene ora congiunto etimologieamente il verbo diw, ofouœ, oîua: (che è vero perfetto, da *wîuar): v. Prellw., alla voce olwvöc. È verbo fornito di vari significati: traggo indizio, presumo, congetturo, opino; spero, temo; penso di, ho intenzione, mi propongo, voglio (Om. e segg.). oïeoôm, paragonato dallo Schmidt col ted. meinen, in parte poi con glauben, * … ist... ein glaube der unserm gefül entspringt, nach dem man sich und andere abschätz..... , e che e “ in dem wesen einer person begründet, ihrer leichtgläubigkeit, voreingenommenheit u. s. w. (Hb., n° 118, 4, pp. 695-6; Cf. Syn., n° 17, 4, — I, pp. 838-40). (4) Così il Pillon (n° 244, pp. 333-4) ed altri. In Esichio troviamo ` xémqoc* eldog ópvéou Koupo- TATOU, mepi Tv 0dAaocav diatpiBovtoc, È euxepc mà Av&uou uerdyetai, évOev Acyeraı dEÙS Kal xod@oc ÓvOpurroc kémpoc. V. il Thes, ad v. (5) Prellw., ad +. (6) V. PL, Kpar., p. 408 C. (7) V. intorno allo svolgimento del senso di tal parola quanto scrisse lo Hecht, p. 68. * Man kann... streng genommen gar nicht sagen, dass Tpaywbia nur bocksopfergesang und tragödie bedeute, vielmehr bezeichnet das wort auch alle zwischen anfangs- und endpunkt liegenden entwicklungsstadien... „. (8) Syn., n° 200, 9, = IV, pp. 591-2. Ma v. anche Pillon, n° 80, p. 112. (n. 865—374) LE See prt (n. 374—383) 84 DOMENICO PEZZI attribuire sensi veramente traslati, quali per lo più s'ammettono: illudo, inganno (Ar., Luc. e post.); med., mi fo illudere, ingannare (Alcifr., scr. eccl., Luc.); cf. Bou- kéAnoic, illusione, conforto. 975. GADTNE, volpe. &Nwrrek(Zu, (sono volpe) — sono malizioso (Ar., Babr.): dNwrexiZe ` dmaràv (Esichio). S'aggiunga il comp. xvvoMómnE, bastardo di cane e volpe — nome di sprezzo dato ad womo astuto, malizioso (Ar.*); ai cinici (da Luc.*). Cf. tpuraXwrnz (rpum- perforare), col medesimo senso trasl. (B. A.). 376. xibágn, volpe. kibapos, xtbáqioc, astuto (gr.): Kidapog ` bóMoc, con Kıdaplwv (xiv6-) * mavovpywv (Esichio). kidapeüw, sono astuto (gr.) Kıdapevcıv ` mavoupyreîv (Esichio). 377. xivados, volpe — uomo astuto, sopraffino (Sof., Ar., or., Luc.). 378. kúwv, cane — simbolo d’impudenza, di temerità, di viltà (voce di spregio, Om.); simbolo di fedeltà (custode fedele) (Esch., Dem.*). KÜvetoc, canino — spudo- rato ecc. (Il, Es., Timone, Ap. R., A. P.): cf. kóvrepog, küvratos. KuviKég, canino — cinico (spec. in senso filosofico) (Men., Plut., D. L.). kuviZw, sono cinico, mi com- porto cinicamente (Luc., At., D. L. ecc.). 379. Nikog, lupo — uomo rapace (grecità bibl). ^ Ausgang, amicizia di lupo — amicizia falsa (Pl., M. Ant., ser. eccl.). Auképpuwv (Plut.) © dervéppwv (Esich.) (1). 380. mißnkog, scimmia. monkiouòg, contegno scimmiesco — astuzia, inganno (Ar., M. Ant.). 8 87. Idee di parti del corpo (2). 381. Kepa)m, capo — xepalaıöw, riduco a sommi capi, cito, compendio somma- riamente (Tuc., Ar.); med., accenno caratteri generali di (nvé, PI.) (3). 382. xóun, chioma ecc. — xoudw, ho lunga chioma — fo pompa, sono orgoglioso (Ar. Plut.. Luc.; de Bi ece.). 383. képaG, corno ecc. kepoutidw, (alzo corna) — sono orgoglioso (Ar.*): Ke- Doud ` yaupıd. uerevrjvekrat dE dò TWV Oyauxevoovruv Tavpwy (Esichio); kepouraou6s, orgoglio (Foz.). xepativng, sillogismo cornuto (D. S.*, D. L.*, Tem.) (4). (1) Il Wharton (Some greek etymologies, p. 4) connette, come già erasi tentato, con AÜKkoc la voce booa, rabbia canina, rabbia in genere — furore guerresco ( martial rage, the spirit of a wolf ,) (IL) ; ardente passione (tr, PL): intorno a tale parola v. Fick (Vgl. wrtb...., D. p. 541) e Prellw. (ad v.), che le attribuiscono altra origine (v. anche Vanicek, op. cit., pp. 820-1; Ebeling, ad v., ecc.). E con Abooa il Wharton congiunge &-Aukré£w, à-Aó00U, che già furono menzionati ove si discorreva däm, dAvw (v. sopra, 95), a cui anche nel significato notevolmente s'accostano (v. Prellw., ad v. dAUw). (2) Blümner, pp. 38-46. Corstens, pp. 15-9. (3) Sommità del capo significò dapprima Kopupñ, indi s'estese il suo valore; v. Ebeling, ad v., ed Esichio (kepoAn. Aópoc, dxpwrhpiov): onde dmokopupéw, riduco a punta — compendio, rispondo in breve (Erdt.), e ovykopupwarg (Thes) V. Schmidt, Syn., n° 19, = I, pp. 381-9. Notisi qui anche Ümepxufiovdu, mi getto a capo in giù nel pericolo, ardisco oltremodo (Pol): cf. kÜBn (= Kkepaññ, E. M.). (4) Ad un pregiudizio di contadini vuolsi dovuto l'uso di kepaoßöAog per significare duro, che la cottura non rende tenero — indi duro in senso trasl., inflessibile (P1.). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 85 384. mpócumov, aspetto, volto (1). dınpöownog, che ha due volti — ambiguo (Luc.*) (2). 385. ðppúç, sopracciglio ecc. — segno di serietà, cordoglio, malvolere, ira, soprat- tutto di superbia (con vari verbi di moto) (da Esch. a Luc.), =..... Zonge, Ürepn- pavia (Esichio). ógppuóouoi, tiro sw le sopracciglia — prendo contegno superbo (Timone, Aleifr., S. Emp., Luc.). òppúwua, alterezza, superbia (scr. eccl.) ecc. 386. émokÜviov, pelle al disopra delle ciglia (che suol muoversi in perturbazioni d'animo) — superbia, vanità (A. P.); serietà (Pol.). 387. uuxmtip, naso — scherno (fatto coll’arricciare il naso o col fiatare per esso, cf. lat. nasus) (Tim. in D. L.*, A. P., Luc.) (3). uuxtnpiZw, torco il naso — scher- nisco (Lis. in Poll.*, N. T., S. Emp.); uvxrnpiZe : yAeuóZei, KOTOYENG. , (Esichio). 388. pis, naso. piväw, (meno pel naso) — inganno (Ferecr., Men., Alcifr.); fivav ` mi rod éEamarüv kataßoukoAoüvrag (Esichio). 389. oTdua, bocca. eUoTouoc, con buona o bella o grande bocca — eloquente (A. P.); che dice parole di buon augurio (eüpnuos) (Erdt., Sof. e post.). moAU- Stouog, che ha molte bocche — loquace (Nonno). Notisi anche edpuorouia, pronunzia larga — loquacità, millanteria (Bust.). otwuYNoc, loquace, facondo ecc. (anche per ischerzo) (Ar., PL, Teocr., Dem., Luc., Dem. Fal, A. P.); oTtwuYXog * ô AdAog. ni0avo- Aöyrog. eürpómeAog vi) Aöyw (Esichio) (4). 390. otóupoç, (bocca piena) — affettata ampollosità (Long.*). OTOUPOE, che parla con bocca piena — che usa parole ampollose (Ar.*). oroupälw, ho la bocca piena nel parlare ecc. — millanto (Ar.*); otoupádar’ oroupoloyñooi. Koundooı. &\a- Loveveodai (Esichio). 391. yAWooa, lingua (come organo della loquela) — linguaggio (Om. e post.); dialetto (Erdt., Tuc. ecc.); voce non comune (Arist. ed altri); potenza di parola (Crat.*, Ar.*), DtrMugagoe, con due lingue — che sa due linguaggi (Tuc., Plut., Arr.); 6 b., interprete (Plut.); malizioso, finto (Or. sib.*). edyAwooog, chiaccherone (Ar.); che parla con felice facondia (Esch. Eur., Nonno, A. P.; tò ein, D. A.) (5); v. anche TepiyAwooog, npórAuGGog. emyAwoodouon, vitupero (Esch., Ar.). YAWOGOOTPOpÉW (volto e rivolto la lingua) — sono chiaccherone (Ar.*). 392. pax, spina dorsale. paxíZu, fendo la spina dorsale ecc. — = perda Veóbouoi (Dinarco, in B. A.); HaxiZeiv tò eikaiwç xal fqdiws vedbegpot (Esichio). foxiorhp (Teop. com.*)* weborns. diaZwy. uerahouprés, meyáňa KakoupyWv, uerdàa Wevdöuevog (Esichio). EE (1) Schmidt, Syn., n° 191, 11, = IV, p. 484. . . (2) Nell’-nvfig d'ámmvhic, mpoonvhg, seorgesi un derivato della rad. an(e), spirare, soffiare, cf. ant. ind. Gnd-, volto (v. G. Curtius, Grunde, n? 419, pp. 305-6 — v. anche gli scritti del Göbel e del Benfey ivi citati; Prellw., ad vv. ämnvñc. dveuoc). ànnvýg varrebbe pertanto * mit abgewandtem gesicht , ; mpoonvhe, “ mit zugewandtem [gesicht] ,: onde i sensi traslati, pel primo, d'avverso, duro, inesorabile (ep. Ar, Pl, pr. post); pel secondo, di benevolo, mite (Pind., Tuc., Luc. ecc.). (3) C£, pel significato, uvyx0izw (v. Prellw., ad v. MO), con labbra chiuse mando suono pel naso Schernisco (Teocr., Pol, A. P): v. Schmidt, Syn., n° 126, 20, = III, p. 400. (4) E orwuvhoc, giusta l'aut. cit. (Hb., n° 7, 7, pp. 25-6, cf. Syn., n^ 6, 2, — T, pp. 162-3), “ der geschiwützine, der nach seiner gewonheit mit worten so rasch zur hand ist, dass ein anderer sich nicht mit ihm messen kann. Ebenso OTWUVAEG OM, otwuvhia (5) V. aut. cit, Bb., n°8, 5, p. 14. y (n. 38422899) re" (n. 398—403) 86 DOMENICO PEZZI 393. Aógog, collo, cervice ecc.; altura. b00Aogoc, che troppo preme il collo — restio a piegare il collo sotto il giogo; duoAöpws, a malincuore (pépav ti, Eur.*); o0030- pov’ diokorov, où% ápuóZov vU Aóqpui* oi dE tò vokemge Pepönevov, And TOV Aöpwv, ot eic: tpäynAoı (Esichio). 394. vpáynAoc, cervice, collo. TpaxnMäw, alzo orgogliosamente la cervice — sono arrogante (LXX). éxrpaynMZw, getto giù dalla cervice ecc. — fo diventare superbo (Dione Cris.) espongo in forma tronfia (Ermog.). 395. KOÀATOS, seno. ÓmoxóMmoc, sotto il seno, nel seno — amato di cuore (Tootti A. Bt 396. orépvov, petto — sede di sentimenti ecc. (Sim., tr.) (1). 397. oTfj9oc, petto — sede di sentimenti, passioni, pensieri (Om., Esch., PI.) (2). 398. vWTog, vÕtov, dorso. xaravwriZoua, prendo e porto sulle spalle — tras- curo, disprezzo (Simpl.); karavwrıorng, spreezatore (Dicearco). 399. on\dyxva, viscere (soprattutto cuore, polmoni, fegato) — sede d'affetti (amore, pietà, ira (tr., Ar.); sede di pensieri (Bur.*); persona amata (cf. lat. viscera) (N. T., Fil.). omioryviZouar, sento pietà (N. T.). Notisi anche omAa[yveów nel senso di predico dalle viscere (Str., Porf.). 400. otôuayxoc, gola, bocca dello stomaco, stomaco (3) — otopayéw, mi sdegno, sono di mal umore (cf. lat. stomachor) (Greg. Niss.). 401. firop, cuore — sede di sentimenti, d'affetti (gioia, dolore, desideri ecc.); di pen- sieri (ep., lir., anche Esch.*) (4). 402. kéap, xfjp, cuore — sede dei sentimenti, delle passioni (Om., tr.); particolar- mente del desiderare, del volere (Il, Esch., Sof); del coraggio, della fermezza (Om., Sof); dell'intelletto (riflessioni, intenzioni, risoluzioni) (Od., Eur.); = anima (Pind.*). Kapdia, cuore — sede dei sentimenti, delle passioni (coraggio, viltà [cf. àxńhpiog, vile, TL], ira ecc.) (Om., Es., Att., soprattutto poeti ecc.); di pensieri, deliberazioni (Il, tr.), ove vale in genere spirito, animo (5). 403. npanis (comunemente pl), diaframma — sede dello spirito (intelletto, pen- sieri) (Om., Pind., Esch.); sede del sentimento (Il, Es.) (6). (1) Pillon, n° 263, p. 365; n° 281, p. 386. (2) V. la nota preced. (3) Pillon, n° 141, p. 201. (4) Per l’uso omerico, in cui già domina il senso psicologico, v. Ebeling, ad v., e gli scritti ivi cit. 2 (5) Rimettendo in onore un’etimologia già proposta da qualche lessicografo (v. Vanicek, op. cit., p. 1086) il Prellw. sembra disposto a trarre xeprouog da "*xepb-Touóc, “ herz-schneidend , (ad v.). Keptopeîv, schernire ecc. (Om., tr. ed altri) è, nota lo Schmidt, " jemanden mit worten angreifen, um ihn in irgend eine aufregung (affekt) zu versetzen, ihn zu reizen (Syn., n° 170, 5, = IV, pp. 202-3). (6) Alla mente del lettore si presenterà qui senza fallo la parola pv (ppévec), diaframma, anche, in genere, viscere, e le parti più vicine al cuore (Ebeling, ad v.) — sede dei sentimenti, degli affetti, coscienza, memoria di essi, volontà (Om., Pind., tr.); rara in pr., ove significa soprattutto senso retto, perspicacia (Erdt., PL, Dem., Plut. ecc.) Intorno ai sensi omerici si consultino lo Schmidt, per cui pb, ppéves sono propriamente “ die empfindende seele „ (Hb., n° 109, 4, pp. 638-4, e Syn., n° 147, 5,= III, pp. 628-33), e lo Schrader (v. lo scritto cit. Die psychol. des ältern griech. epos, p. 155), che prende le mosse dalle idee di “ bei lebem und sinnen sein , e giunge a quelle di “ bedenken und erwügen ,, poi “ meinen ,. qpeviric è delirio in febbre calda, delirio in genere (Plut, Luc.). Per quanto spetta a qpovéw, ppövnua, ppóvnoic, ppovris ecc. v. il Wrtb. del Jacobitz e del Seiler e lo CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, IT 87 404. mrepóv, penna (mtepò, penne, ala); anche uccello — presagio (oiwvóc) (Sof., Ariel). nrepöw, provvedo di penne, d'ali — sollevo l'unimo con isperanze, pas- sioni ecc. (Anacr., Plut., Luc. ecc.) (2). ninvés, pennuto, alato; fugace — pauroso (Sof.*, Eur.*). 405. xeip, mano (3). xeipiZw, maneggio — governo, dirigo (Pol, D. S.). buo- xepfis, difficile a maneggiare — di persone, contrario per ogni rispetto (Tuc., Dem.); pervicace, arcigno, fastidioso (Pl. ecc.). duoyepaivw, sono di mal animo, malcontento, fastidioso (or., PI., D. A., Luc.); non tollero; mi mostro mal disposto verso alcuno od alcunchè (Att., Luc.); fo difficoltà, disapprovo, rigetto (Isocr.); desto indignazione (Sof.*). Cf. eigene e particolarmente edyépera, agilità, prontezza, attitudine di persona o cosa — propensione (buona o cattiva) (Pl, Plut., Luc.); leggerezza, negligenza (Pol. Plut.); petulanea, temerità (Esch., Plut.). Emiyeipew, pongo mano — intraprendo, tento (Teogn.*) (4); ho il soverchio ardire di (Erdt., Eur., Ar., Sen., Pl. ecc.); mi propongo di (Pl); dimostro (termine logico) (Plut., S. Emp., D. L.); cf, in tal senso, èriyetpnua (Arist. occ.); conseguenza artificiosa (ret.). mpoyerpos, (alla mano), pronto — disposto a (di persone) (Sof., Eur., Pol.); inclinato o (Pol., Luc.); leggero, inconsiderato, credulo (Pol); si noti anche mpoxetpíZw, soprattutto come significante scelgo, nomino (Isocr., Dem., Pol., Luc. ecc. . xeiponons, avvezzo alla mano — arrendevole (Sen., Plut. ecc.). Xeipotovéw, stendo la mano — voto, scelgo, nomino (ad un ufficio ece.) (pr. att., con Ar.*, Plut.); decido, confermo nell'adunanza popolare (Ar., or. ecc.). 406. maXdun, palma della mano, mano; simbolo di forza, di destrezza ecc. (5): eÜTéhauoc, abile di mano — inventivo ecc. (A. P., Orf.) (6). 407. ÔVUE, artiglio, unghia. òvuxiZw, taglio unghie, artigli; esumino coll’unghia l'esattezza d'un. lavoro (cf. eic óvuxa, ad unguem; òvuyieî ` èmpuer®g é£eráce, Esichio); vinco con astuzia, truffo (Artem.). €ZovuxiZw ha anche il senso trasl. ricerco esat- tamente (Artem.*, At.). Hb. dello Schmidt (l. c., pp. 639-40 (* ®poveiv ist absolut: vernunft haben; und mit objekten : emp- finden. Damit ist immer die innere empfindung gemeint. ,]; cf. Syn., l. c., pp. 634-6, e n° 86, 3, = II, Pp. 628-9). Di ppáčw (ppnò-) discorre il Thomas (pp. 105-11), mettendo in rilievo come il senso fon- damentale, attestato dall'uso omer.-es., sia quello di * zeigen ,, onde poi naturalmente si svolsero quelli di * angeben, bezeichnen , ecc. Ma il ragionare qui meno brevemente dei valori di @phv e de' suoi derivati pub parere poco opportuno ora che l'etimologia comparativa riconduce tali parole ad una rad. significante * accorgersi , (Fick, Vgl. wrtb., I°, pp. 417-8; Prellw. alle voci @pdZw, pit, 60ppaivouat). (1) Schmidt, Syn., n° 74, 3, — II, p. 458. (2) D'ávamrepóu, in senso trasl, nola laut. cit. (1. c., 4, p. 455) come significhi " jede art der @nregung, anfeuerung ,, come s'usi * vom jedem in bewegung setzen durch worte, hoffnung, liebe, furcht u. dgl. , (Ar., Eur., Sen.). (3) Anche come immagine del vario potere, della varia operosità umana (Schmidt, Syn., n° 22, 2, =J, p. 389 e segg.). (4) Thomas, p. 86. (5) Per lo Schmidt (Syn., n° 22, 2, = I, pp. 389-99) noAdun è “ die geschickt oder kräftig fassende und arbeitende hand ,: mentre “ xeip ist die hand als bestimmter kürperteil,..... gibt das wort eine Vorstellung von der macht oder auch dem fleisse des menschen av (6) TI concetto di cavità della mano scorgesi ancora in &yyün, pegno, malleveria, promessa di nozze, ove si badi ad éryuaA(Zw, do nel cavo della mano, consegno (v. Prellw., alle voci érrün, yvarov). Notisi qui èrrudw, soprattutto mapeyyudw, nei sensi di prometto (Sof.*), esorto, comando, esigo (Sen., Plut.). (n. 404—407) ne dn ore pd i nea eh D Ze (n. 408—420) 88 DOMENICO PEZZI 408. rövu, ginocchio: vouvézoum, abbraccio le ginocchia d’aleuno — supplico prostrato (ep.). x 409. Toc, piede. meLög, pedestre — (che non s'alza da terra, in senso trasl.), che non s’eleva ad espressione altamente poetica (di prosa o di poesia di genere infe- riore) (Luc.). Eumedog, stabile, fermo — costante (voüg ecc.) (Om., Sof.). àva- modizw, retrocedo; fo ritornare indietro — interrogo ripetutamente (Erdt.); fo rileggere (Eschine); ritratto, contraddico (con pron. rifless.) (Erdt.); &varodiZev ` tò dxpiBóg éEeráZewy xod ocvrkpover. TTobíZew yàp tò perpeîv (Esichio). diatodiZw, saltello qua e là — bianobiZuv: BacaviZuv, mueldc Zëeréiua (Esichio). 410. mrépva, calcagno. mrepviZu , datto col calcagno, (metto il piede sotto) — inganno (LXX, Fil.). 411. oáp£, carne. vapkırög, carnale, sensuale — peccabile (N. T.). Gopnkäiu, mordo, lacero carne; mordo le labbra per ira — ciò facendo vitupero alcuno (Stob., scol. Ar., Eust.). oapkaouög, discorso amaramente schernevole (ret.). 412. kévtpov, pungiglione (d'insetti ecc.) — causa di vivo dolore (Sof., PL); pun- golo (per cavalli ecc.) — attrattiva, stimolo (tr., Pl. ecc.); simbolo del potere (Sof.). 413. képkog, coda. Kepkwy, (animale con gran coda) — uomo scaltro (Eschine*), mariuolo (D. L.). KÉPKWTES ` moikíAot. Tovnpoi. Tavoopror, con xepxümuv * 5oMuv. movnpWv. ckumrÜüv. KokoUpyuv, e képxuwy ` mot[vidbec. À eldog Anpiov uerdinv oùpàv éxovtog (Esichio). 8 38. Idee d’istinti, di funzioni del corpo ecc. (1). 4) Idee di nutrizione, secrezione ecc. H14. meiva, fame — viva brama (Pl.*). 415. Aapupög, vorace ecc. — audace, quasi impudente (Sen., Plut., El); malizioso, schernevole (Plut., A. P.); anche amabilmente ardito (grecità tarda) (2). Cf. \auupevopar, parlo molto e da sfrontato (Eust.). 415°. Myvos, ghiotto — bramoso (P1.*, Callim., A. P.); curioso (Eur.*). 416. Edw, éo8íw, mangio. mapec0tu, mangio allato; assaggio — beffeggio (D. L.*) (8). 417. paodouar, mastico ecc. dvanaoaouaı, rimastico — ripenso, riando colla mente (Ar.*). 418. TpÜYW, rodo ecc. — mpoomaparprtu, schernisco (D. L*). Tpwxtng, rodi- tore — mariuolo, ingannatore (Od.*, A. P.*; = ..... xepbaíveww BouAöuevog, mavoüpyoc, dmarev (Esichio). 419. bupáw, ho sete — bramo vivamente (Pind., Erdt., Sen., Pl., Arist., N. T. ecc.). 420. nivw, devo. mporívu, devo prima, bevo a ..... ; fo dono (facendo brindisi) — prometto, abbandono inconsideratamente, tradisco (come talvolta nell’atto indicato) (Esch., Eur., Dem.). (1) Blümner, pp. 46-60. (2) Ot Apxatoı tòv iraudv kai dvardi), ol vOv rèv émixapiv T® Övönarı onuaivovor (Frin., eit, dal Vanicek, p. 769). Si noti qui anche l'oraz. grata protervitas. (8) V'ha chi connette etimologicamente con &w il nome óbóvn (v. sopra, 279, e gli scrittori ivi citati). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 89 421. don, sazietà, malessere corporeo (Ipp.) — tedio, malessere dello spirito (Sof., Erdt., Eur., Pl, Longo). 122. x6pog, sazietà, nausea — per lo più trasl. (Om., Pind., Att., Luc.); orgoglio proveniente da sazietà ed eccesso di buona fortuna (Esch., Pind.; personificato, orac. in Erdt.*). kopévvum, sazio — anche trasl., soprattutto nel medio e nel pass.: divento pago, infastidito (Om., Ar., Plut., Luc.) (1). 123. owxaivw, provo nausea -— provo malcontento (LXX, Call., Arr., M. Ant.). 124. ùrrepuaZdw, (sono troppo pieno di pane d’orzo, in genere di cibi nutritivi) — sono tracotante (Luc., D. C., At., Alcifr.). 125. ueOüw, sono ubbriaco — sono inebbriato, ammaliato, delirante (Anacr., PI. Dem., Lue., Fil, Opp.). 126. vpn, sono sobrio, specialmente non bevo vino — sono moderato, prudente ecc. (Epicarmo, Arist., Plut.). 127. opuyuöc, polso, soprattutto polso grosso per malattia ecc. — moto d'animo (Plut.). GqUZw, sono in moto violento, in ispecie del polso morboso — sono in moto d'animo (Longino) (2). 428. BAévva, -oc, moccio ecc. BAevvög (o 8Aévvoc?), raffreddato (imbecillito dal catarro) — ebete (Sofr.*); Bhevvév ` vu. uwpöv (Esichio). 129. x6puZa, infreddatura, catarro — scempiaggine, ingenuità (Luc., Lib.). 430. Xéupoc, moccio — ingenuità (nel senso di sopra) (Lib.); come aggett., sem- plicione (Men., Lib.); A&upog ô uuzwdng. xoi udtarog. bnÀoi dè TÔV dvontov, xoi dmó- nAnktog (Esichio). 431. nraipw, starnuto (anche segno d'augurio) — énwrratpu, ^ sternutando affirmo Ebel. (Od.*, i. o.*); di dei, sono favorevole a (Teoer.*). 432. mrÓw, sputo — mostro nausea od avversione (Kpicr. in At.*); disprezzo, detesto (Sof.). norpuntüctng, che sputa lontano — uomo gonfio di sè (scol. Luc.). 433. x6Aog, xoM, bile — collera, corruccio, rancore (Esch., Plut., Luc.); disdegno, fastidio (Ar., Plut.). xoAdw, principalmente xoAöw, fo adirare (Om., Es., Sof.); med., m'adiro, sono adirato (Om., Pind., Erdt., Sof., Eur., D. S.*, Plut.* ecc.) (3). Di meday- XoXdw già s'è fatta menzione (v. sopra, 313). i 434. oxZa, frega — okiZouar, ho l'animo molto male disposto (Om., Teocr.); DÉI (1) E questo luogo opportuno per far menzione di tépmw, sazio — ricreo, diletto, rallegro (Om., Es, Pind, Erdt., Att, Luc.) V. Thomas, pp. 97-101. Ivi si distinguono accuratamente, col Fulda, nell'uso omerico le forme aoristiche medie o passive colla vocale a e coll'oggetto in genitivo (se è un sostantivo — come l’hanno i verbi di riempire) dalle forme con €, costruite col dativo, se hanno un oggetto oltre al Ougóv, al ppéva, che divennero sempre più rari: le prime presentano il senso fondamentale del verbo, le seconde il derivato, il metaforico, sebbene il divario fra le une e le altre non sia rimasto senz’eccezione. Dopo l'età omerica la significazione traslata appare affatto vincitrice, come si scorge anche dalla serie dei derivati e da quella dei composti. (2) Schmidt, Syn., n° 103, 7, — III, pp. 140-1. (3) Come nota lo Schmidt (op. cit., n° 142, 6, = III, pp. 558-9) xéAog è * ..... bekanntlich eigent- lich die galle, und übertragen der erguss der galle. Darunter versteht der Grieche den plötzlich aus- brechenden zorn, bei dem man jenen unser physisches befinden zugleich störenden vorgang zu merken glaubt... Serre II. Tom. XLVI. 12 (n. 421—434) MT E ine Tes | | * e (n. 484—443) 90 DOMENICO PEZZI okúčeoðai” XKoAododaı, HBuuodohdı, ckuOpurmóZew, con altre glosse esichiane) (1). oxu- 0póc, di malumore, arcigno (Men., Arato). d DÉI 435. mopveia, fornicazione, anche adulterio (2) — idolatria (LXX, N. T.). b) Idee di moto e di quiete. 436. vedw, muovo, piego qua e là; accenno, lat. nuo — do segno (IL, PL); accen- nando affermo, prometto (Pind., Sof., Eur., anche JL: accennando ingiungo (Eur. esorto (N. T.). dvavedw, piego indietro la testa — nego, ricuso ecc. (Om., Erdt., PI. ecc.) (3). 437. DAée, che torce gli occhi, che guarda di traverso. xatiwirtw, guardo di traverso — fo l'occhio dolce (Filem.*, A. P.*); schernisco (Poll.). KaTLA\GVON ` Kate- uuxtnpio®n (Esichio). 3 438. kuvéu, bacio. npooxuvew, mando un. bacio colla mano per mostrare reve- renza — supplico (dei) (Att.); venero profondamente (re persiani) (Erdt., Sen.); venero (in genere) (Pl.*). 489. uów, mi chiudo (specialmente labbra, occhi); cesso; chiudo. UUOTPIOV, (mezzo di chiusura della bocca; onde anche rimedio contro la tosse) — segreto (Pl., Men., N. T) soprattutto segreto sacro, religioso (Sof); tà nuorhpia (Erdt., Eur., Ar., pr. att.). uuéw, inizio ad un uuotpiov, vi ammaestro (Erdt., Pl, Dem., Plut.); in , genere insegno (N: T., Alcifr., A. P.) 440. EZoua (*ceb-iopot), mi siedo, seggo: Ww (*01-0dw), mi pongo, sto quieto; pongo a sedere ecc. &bpa, sedia; sede; base; seduta ecc. — l’indugiare, il temporeggiare (Erdt., Att. diedpos, dissidente, avversario (Arist.). oUvedpog, che siede insieme, adunato — unito in consiglio (Sof.); consigliere, consiglio (Erdt., Tuc. ecc.). Tpooe- dpevw, siedo accanto ecc. — sono assiduo, diligente in alcunchè (Dem., Arist.); osservo (roic koipoic) (Pol.). ueraxa0iZw, traspongo — muto opinione (S. Emp*). . 441. Gpaddlw, springo, agito le gambe — segno d’impazienza, dolore, arroganza (Esch., Sof.*, Sen.*, Pol); bramo ardentemente (Plut. ed altri post.). Vi s'aggiungano opedavög, veemente (IL), e oqobpóc, id., anche deciso, energico (pr. att.). 442. NaxtiZw, do calci, percuoto col piede; calpesto — tratto ignominiosamente, disprezzo (Esch., Eur., Luc.). 443. oalvw, dimeno la coda ecc. — accarezzo, blandisco (Pind., tr., Luc.); do pia- cere, rallegro (Pind., tr., Arist.) (4). (1) E verbo che * ganz deutlich die üble gesinnung bedeutet, welche man wegen erlittener krünkung oder übler behandlung hat ,, senza riguardo ad atti esterni (Schmidt, op. cit., n° 142, 14, — III, pp. 569-70), vale a dire * das verschlossene, machtlose gefül des verletzten , (aut. cit., Hb., n° 128, 9, p. 70), (2) Intorno a möpvn, cortigiana, riguardata come ignobilmente venale, v. Schmidt, Syn., n° 68, 6. = II, pp. 417-8. (8) Con vebw si congiunge ora etimologicamente vóoc, che prima solevasi riferire alla rad. yvw (Vanicek, op. cit. p. 197; v. anche G. Curtius, Grunde, p. 179). Intorno al valore di tale parola nella grecità omerica e nella posteriore ed a quello di voéw v. Schmidt, Syn., n° 147, 4 e 6, = Ill, pp. 627-8 e 634; Hb., n° 109, 7, p. 637 ; Schrader, D. psychol. des ält. griech. epos, p. 157. Il vóoc, in genere, è, nota lo Schmidt, il * sinn... der an sich selbst erfarend die gegenstünde erkennt ,: vociv & ist allgemeiner ausdruck für die geistige warnehmung ,. (4) Giusta lo Schmidt (Hb. n° 25, 4, p. 99) “ oatveıv, “ schwänzeln’, wird durchaus nicht wie adulari gebraucht, sondern bedeutet einen sinnlich angenehmen eindruck machen, etwa vie blandiri ,, ad es. nel passo eiceron. “ quam suaviter voluptas sensibus nostris blandiatur ,. l; q ” CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 91 c) Idee di senso (1). t44. díu, ^ sensibus percipio, potissimum auribus, audio , (2). ^ odc6&vopuot, per- cepisco coi sensi — apprendo colla mente (Att., Plut., Dione Cris., Luc. ed altri) (3). {45. veów, fo gustare — fo provare un sentimento ecc. (nuñs, éXeu8eptac) (Pl., com., Plut.). revonaı, gusto — sento, fo esperienza, piacevole o sgradita, di cose immateriali (Erdt., Sof., Pl.). 146. àOpéw, guardo attentamente — considero, pondero (Pind., e specialmente pr. att.) (4). 147. -Bàénw, guardo, miro, ho lo sguardo intento a, vedo (5) — considero (Att.); riconosco, ravviso (tr.); guardo confidando (etg tiva) (Sof.); guardo bramando, bramo (PL); cerco, voglio (Ar., El); mi guardo da (ri, amò twos) (N. T., ser. eccl). GmoBAému, dirigo lo sguardo, miro attentamente — considero con cura, ammirazione, piacere; guardo con isperanza, con fiducia (variamente costruito) (Erdt., Att., Luc.); pass., sono ammirato (Ar., Plut., Luc.). tepiB\étw, guardo attorno — guardo con ammirazione, ammiro (Eur., Sen.): vi s’ aggiunga dmepiflentos ecc. ÜToBAETW , guardo dal basso insi, guardo un poco o con occhi socchiusi — guardo con timidità, di soppiatto, con ira, con invidia, con disprezzo (Eur., Ar., Pol., Luc). 448. La radice Fed appare in una serie di derivati ancora col doppio senso di “ vedere cogli occhi’ e di * vedere collo spirito; in un'altra non ci presenta più se non il senso traslato. a) eibov, vidi — riconobbi (Il. e post.); considerai, esaminai (DL); eiboc, aspetto, figura, forma ecc. (6) — idea (PI., Arist.). 8) oîda (7), so, (1) Bechtel, Üb. die bezeichnungen der sinnlichen wahrnehmungen in den indogerm. sprachen, Weimar, 1879. (2) Ebeling, ad v. — “ Bei Hom. bedeutet ótew das physische hören, d. i. durch den sinn des gehöres wahrnehmen, nie das aufmerken; während aber die bezihung auf den spezifischen sinn ganz zurücktreten kann, so dass nur die allgemeinere bedeutung merken (oder warnehmen) zurückbleibt, haftet doch die vorstellung der direkten empfindung fest an dem worte und es bedeutet also nie ein. erfahren durch andere , (Schmidt, Syn., n° 12, 2, = I, pp. 272-3). (3) V. gli esempi raccolti nel Thes, ad v. — “ ....die sinnliche warnehmung überhaupt alodd- veo@aı, atoßnoıg heisst, ein wort das aber auch weiter auf die geistige warnehmung übertragen werden kann „ (Schmidt, Syn., n° 147, 7, — III, p. 634). (4) Denota, come avverte l'aut. cit. (ibid., n* 11, 11, — I, pp. 260-1), " den forschenden oder prü- fenden blick, besonders. dessen der nach einem gegenstande sieht, um ihn sich anzueignen oder des neu- gierigen und vorwitzigen ,. (5) * Der physische sinn des sehens überhaupt wird durch ópàv und BAémetv ausgedrückt. Jenes ist mehr das sehen überhaupt, und hat mehr bezihung auf den erkennenden und denkenden geist ; dieses bezeichnet mehr den einzelnen blick (BA&uno), die auf einen einzelnen punkt gerichtete auf merksamkeit und zeigt mehr die gerade herschende gemütsstimmung „ (aut. cit., Hb., n° 107, 3, pp. 611-2; cf. Syn., n° 11,7 e segg., = I, p. 253 e segg.). (6) “ Da ideîv nicht einseitig das aüssere, organische sehen bezeichnet, sondern vielmehr das er- kennende, bei dem der geist wesentlich betätigt ist....., so bedeutet eidos die gesammte aüssere erschei- nung, durch die sich das wesen des menschen oder eines dinges offenbart, und von der wuchs und gestalt nur einen teil bilden. Konkret werden deshalb die arten einer gattung, Yévos, so genannt... , (aut. cit, Hb., n° 101, 2, pp. 549-50). È (7) Col piuccheperf. (originariamente aor.) Feldea, idea, fderv; coi futuri eloouaı, eldnow; col- laor. enoa. (n. 444—448) -— ——— gag me (n. 448—450) D 92 DOMENICO PEZZI ho in mente, penso (Om. e post.) (1); m'intendo di (Om. e segg Eur. Dem.). Cf. efónua (Enom.), elöncıg (S. Emp., Cl. AL, scol.), sapere. Touuwv, ic., A. PL); topic, che sa ecc. (Od., Es., Pind., tr., Ap. R. ed altri) (2); fotwp, che sa ecc. (i. o., Es., Sof., Eur., Pl); testimone, arbitro (IL, Licurgo, Poll., Aristide); onde ioropía, investigazione sono capace di (Sof., che sa (A. P., Nonno); ibuoGUvn, conoscenza, cognizione (Es. L , DH È (Erdt., Plut.), esposizione, narrazione (Erdt., D. A., Plut.) (3), sapere, cognizioni (Isocr., Pol), sapere acquistato colla propria esperienza (Eliano), scienza (Pl, Arist., Tem.). 449. @éa, il guardare, il contemplare cogli occhi (4) — il contemplare collo spirito (PL) desonan, guardo, contemplo — specialmente con attenzione, con ammirazione; mi meraviglio, ammiro (Om. e post.) guardo colla mente, considero ecc. (Sen., PI., Dem.). ^ 0ewpéw, sono spettatore, vedo ecc. — contemplo con interesse, considero, pon- dero, investigo (Pl., Dem., Eschine, Arist.); intendo, concepisco (N. T.) (5). 450. 8000nuaı (cf. ö00e - *ôkie), guardo, vedo (cogli occhi del corpo) — vedo nello spirito, prevedo, presento (Om.); presagisco (Om., Es.) eec. (6). ôuua (= *òrpa), occhio, sembiante — persona cara (tr.) (7). ÉTONTEUW, osservo, veglio, soprintendo a Esch., Pl. ; consequo l'ultimo e supremo grado ne misteri eleusini, sono giunto alla ; J } 1 i 1 bile contemplazione (PL, Plut.); godo la più alta felicità (Ar.*). mepiontog, v (1) Per lo Schmidt (Syn., n° 18, 3, = I, p. 289 ecc.) eibévot * heisst eigentlich geschaut haben mit dem geistigen auge, folglich wissen. Es ist das also ebenfalls eim auf erfahrung begründetes erkennen und steht als solches dem gegenüber, was man nur durch mitteilung anderer weiss... Ma intorno al vario valore di questo perfetto, il cui senso non sempre può ridursi, giusta la comune interpre- tazione, all'idea di ho veduto e pertanto so, e soprattutto intorno alla ‘funzione intensiva ' di esso e deî tempi che hanno il medesimo tema, v. Loebell, Quaestiones de perfecti homer p.47; Ebeling, pp. 353-5 ecc. (2) * "löpıs nicht nur wie ‘ kundig? von aüssern fühigkeiten, sondern auch von dem geistigen ver- stündniss, und mit moralischen bezihungen , (aut. cit., Hb., n° 111, 12, p. 676). (3) Cf. foropéw. Il significato veramente proprio di questo verbo viene e con “ fragen und erforschen ,; egli nota poscia com'esso s'usi “ berichten „ (Hb., n° 6, 2, p. 22). (4) L'autore teste citato (ibid., n° 107, 10, p. 615 — cf. Syn., n° 11, 14, = I, p. 265 e segg.) dopo avere ricondotto con altri 06a e 9ed0901 alla rad. 9aF, etimologia che ora parecchi respingono, nota forma et usu, presso dallo Schmidt von sorgfältigen darstellungen und come tali parole “ eigentlich das staunende anschaun bedeuten ,, senso che @nelodaı mostra ancora in Omero. “ Daraus entwickelt sich dann die bedeutung eines solchen anschauns, das nur für den sinn des gesichtes befriedigung sucht, also des anschauns um seiner selbst willen. , Intorno all'affinità d'origine fra @éa (da *6^o, con n — à?) e Vadua v. Q. Curtius, Grunde, n° 308, pp. 258-4; Vanicek, op. cit., pp. 404 e segg.; G. Meyer, Gr. gramm, p. 51, favorevoli a sì fatta opinione; Fick, Vgl. wrtb..., Y, p. 74, che disgiunge 0éa (= *0eja) da Padua; Prellw. alle voci 9aéouo e Bea, ove si accosta al Fick. Per quanto spetta al valore di Badua, oggetto che occupa la nostra attenzione, facen- dosi contemplare assiduamente per pregi o difetti, v. Schmidt, Syn., n° 168, 5, = IV, p. 184 e segg. (5) Per lo Schmidt la voce Bewpéc “ bezeichnet nicht wie Pearhg den der aus blosser schaulust eine sache betrachtet, sondern den der sie in augenschein nimmt aus irgend einem höheren interesse, als ein in der sache selbst beteiligter „. Egli avverte poi come dewpeiv, Bewpia * ... gehen... auch auf die wissenschaftliche untersuchung, und OeWpnua ist von Aristoteles an ein durch eine solche gewonnener wissenschaftlicher lehrsatz..... „ (Hb., l.c. — cf. Syn., 1 (6) L'aut. cit. scorge nella radice del verbo di cui si discorre una speciale attitudine a signifi- care l'atto fisiologico del ' vedere ', di fronte alla rad. Fed colla sua tendenza a senso traslato (* seine lebendige bezihung auf die geistige erkenntnis ,), ed alla rad. Fop (6pdw ecc.) nel cui va- lore v'ha anche l’idea di ‘cura’. V. Hb., n° 107, 2, p. 610; Syn., n° 11, 3, — T, pp. 247-8. (7) Aut. cit., ibid., n° 20, = I, p. 371 e segg., ove nota come Auug rappresenti qui l'occhio in quanto è espressione di stato d'animo. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 93 all'intorno — ammirato, ammirabile (D. S., Plut., A. P.) (cf. mepígAerroc): ämepiontoc, che non si guarda attorno — che non si cura (Tuc.*) (cf. mepiopäw, nel senso di non curo [Erdt., Tuc. ed altri]; anche med., Tuc., ma in tal forma per lo più coi sensi di guardarsi bene attorno — indugiare, spiare [Tue., App., D. C.]; curarsi d’aleunche, col gen. [Tuc.*]). Ünomroc, (guardato dal basso) — sospetto (Att., Plut.*, Luc.); sospettoso ecc. (Eur., Tuc., Isocr., Dem., Plut. ece.): ünonteüw, sospetto ecc. (Erdt., Att., soprattutto pr.) (cf. úpopáw). ovvowig, sguardo, veduta (1) — considerazione mentale, ponderazione (Pl., D. A.); punto di veduta (Pol.); esposizione compendiosa (Plut.): cf. cuvortikóg nel senso di perspicace (PL). Umepoyia, orgoglio, disprezzo (Tuc., Lis., Isocr., Dem., Plut. ecc.). öpdoruös, occhio: èpda\pidw, ho gli occhi infermi, Specialmente cisposi — (vedo di mal occhio l'altrui bene), ho invidia (Pol.); guardo con intenso desiderio, bramo (Pol, Fil); énopealuéw, guardo con occhi avidi od invi- diosi (Plut.). buowméw, fo sgradevole impressione sull'occhio, fo abbassare lo sguardo — fo arrossire (Plut.); infondo ribrezzo, scrupolo (Filone, Giuseppe); prego sì che altri debba vergognarsi di respingere la preghiera (Luc., Esopo, El); confuto (S. Emp.); pass. ed anche att., ho ribrezzo, ho vergogna, temo (Sen., D. A., Plut.), specialmente temo un male prossimo (PI. ecc.) (2). xatumidw, abbasso gli occhi — sono costernato (Arist., Porf., Qu. Sm.). Notisi anche xotevümov, al cospetto di — secondo il giudizio o la testimonianza di (N. T.) (3). 451. oxentouon, guardo attorno con cura prudente, esplorando (cf. okoméw, Oko- TiáZu) — considero, pondero (Att.); ho riguardo a, miro a (Eur., Sen., PL) (4) — ge, il vedere, l’esaminare cogli occhi — il considerare, l’investigare, il riflettere (Eur., Ar., pr. att., Pol); il dubbio (della scuola filosofica che webbe nome) (A. P.*); parere (Erdn., Poll) vi s'aggiunga oxentixög nel senso sì noto nella storia del pensiero (Luc. S. Emp., D. L. ecc). ckotéw, spio da lungi, esploro — ho riguardo a, mi curo (1) Quasi * über- und anblick, -sicht, conspectus..., compendium , (Suhle und Schneidewin, Hand- wrtb. cit.). (2) V. Schmidt, Hb., n° 116, 11, pp. 731-2. * duowreioßan, duowria..... bedeuten teils das wider- Streben, teils die scheu vor einem gegenstande : seelenstimmungen, die sich besonders deutlich durch die gesichtszüge verraten ,. (3) L’affinità etimologica fra le parole teste addotte ed ómic (v. gli scritti citati dall’ Ebeling e Prellw. che ne dubita) ha fra i suoi propugnatori anche lo Schróder. Egli nello scritto già menzio- Nato (pp. 24-7) pone come significato primitivo, fondamentale, della voce indicata l'idea di * rück- Sicht, scheu , (cf. òničoum), che si sforza di mostrare non estranea alla poesia omerica e che nota anche in Erodoto ed in Pindaro: la locuzione dmg dewv, ove il genit. oggettivo sarebbe poi stato inteso come soggettivo, avrebbe agevolato il passaggio ad un nuovo senso, quello di pena (IS, Od., Es. ecc.) Il Prellwitz riferisce alla radice di cui si discorre anche dooeia, presentimento, timore supersti- zioso indi derivante (D. A.), con 600eVoum, presento per segno divino, predico (Ar. Pol, Plut. EL), riguardo come segno avverso, temo (D. A., Luc.), detesto (D. A.): parole che prima solevansi congiun- gere con 600a, voce, fama ecc. (Vanicek, op. cit., p. 857). (4) Lo Schmidt nota che “ cxémrec6ot hat nur in einem hom. hymnos noch die allersinnlichste bedeutung * wonach spühn ,; sonst ist es bei Hom. besorgt wonach schaun oder worauf achten; bei den nachhom. schriftstellern hat es durchaus vorwaltend die noch ‘ geistigere ` bedeutung sorgfältig Überlegen oder erwägen... „ (Hb., n° 107, 7, pp. 613-4; cf. Syn, n° 11, 12 e specialmente 16, = I, Dp. 261-4, 270: okomióZew, okomeiv vi sono interpretati colle parole “ wonach spühen, besonders in die ferne, beobachten si (n. 450—451) eg (n. 451—454) 94 DOMENICO PEZZI (Erdt., Sen. Pl); osservo, considero, esamino (Esch., Eur., Pl. ece.); pondero, rifletto (Erdt., Att.) (1). Cf. oxonög nel significato di fine, intenzione (Od. e segg.). 152. qUXaE, custode, guardia (2) — osservatore, seguace (roù émvrarrouévou, Sen., PIS: œqudokh, guardia ecc. — osservazione (Eur.); circospezione, prudenza (Erdt., Tuc., Sen., Pl. ecc.). puidocw, veglio, eustodisco ecc. — osservo, seguo (ETOS, véuov ecc.) (I, Att.); med., mi guardo, sono cauto (Il., Erdt., Att.). 453. Coi verbi di “guardare, vedere’ testé addotti non parrà inopportuno con- giungere qui befxvuut, addito, mostro, fo vedere; fo apparire — insegno (poesia cicl.*, i. o.*, Es*, Teogn., Esch., Pind.); rendo noto ecc. (Sim.*, Teogn.*, Esch.* ed Att. in genere); denunzio (Sof., Str.) (3). Notevoli sono parecchi dei composti. àmobetk- vun, mostro, presento — presento in un dato grado od ufficio, nomino (Erdt., pr. att.); rendo noto (Sen.); provo, dimostro (Pl., Arist. ecc.), dedico, consacro (Erdt., Plut.): cf. dva- deikvupi. napadeikvun, mostro accanto — espongo (Pl., A. Pn: paragono (Fil.). nopadeıynoriZw, mostro aleuno ad esempio, do in lui un esempio (rapéberrua (4)), cioè punisco (Pol. N. T.), espongo a ludibrio (Plut., N. T.) din, (indicazione, norma), uso — diritto (Om. e segg.); pl., ricerca, cura del diritto ecc. (IL, Es., Pind.); giustizia personificata (Es., Pind., Att.); causa giudiziaria (Att.); sen- tenza di giudice (Od., Sen. ecc.); pena inflitta (Att.) (5). dikarog, giusto (Om. e post.) (6). dixézw, giudico (Om. e post.) (7): cf. &xewáZw nel significato di vendico (Eur.). 4 dimostro (Pol. ecc.); 54. àxoów, odo (8) — apprendo (alcunchè, da alcuno) (Om. e post.); so (pres. = perf. (9); odo l'esposieione del fatto come giudice (or.); imparo (in genere) (Pl.); o Ke È 3 prüfend ins auge fassen ;, “ ein viel (1) Il senso trasl. di okoneiv viene dallo Schmidt espresso colle parole anche “ bezielen oder wofür sorgen ,. Egli avverte che tal verbo di fronte a okenreodaı konkreteres wort ist, und namentlich mehr die dem einzelnen gegenstande gewidmete aufmerksamkeit bezeichnet , (Hb., 1. c.). (2) V. nella Syn. dell'aut. cit. (n° 208, 2, 3, = IV, pp. 683-6) come nell’atticismo il valore di questo nome siasi esteso, significando esso in genere " wächter ,, ma conservando ognora anche il senso militare, si notevole nell'uso omerico. (3) Intorno alla storia dei sensi di questo verbo si consulti Thomas, pp. 29-31, ove l'aut. ne dimostra postomer. l'uso traslato. V. anche Schmidt, Syn., n° 127, 2, = III, p. 402 e segg.; Hb., n° 28, 1. Qui si definisce il valore proprio di bewvovot colle parole * einem anderen durch hindeutung mit der hand eine sache zur kenntnis bringen; dies kann auch geschehn, indem man ihm den gegenstand inhült oder ihn zu demselben hinanfürt ,. Nell’altro luogo cit. lo Schmidt avverte che propria- mente dexvüvai non significa mai dimostrare (* beweisen ,); © es ist immer: zur erkenntniss eines anderen bringen ,. (4) Che è propriamente “ was neben einer andern sache gezeigt wird; d. i. das beispiel welches vorgefürt wird besonders damit man sich in einer sache darnach richte, oder auch sich dadurch ab- schrecken lasse..... , (Schmidt, Hb., n° 29, 2, p. 116). (5) Per l'aut. cit. (Syn., n° 18, 3, 4, = I, pp. 352-6) bien è la “ weisung oder anweisung „ dei di- ritti, dei doveri assegnati ad ogni stato, ad ogni età, nell'ordine divino del mondo: è il diritto morale, anche in qualsiasi dei singoli casi, e si determina nel véuoc. — V. anche Hecht, p. 132. (6) “ Der diano unterscheidet sich dadurch, dass er nach gesetz und anerkanntem herkommen handelt und als richter entscheidet „ (Schmidt, Hb., n° 105, 2, p. 583). (7) È il verbo che s'adopera quando “ das richterliche amt hervorgehoben werden soll ,, mentre, ove s'intenda mettere in rilievo l'esame, usasi kpivw (v. Schmidt, Syn., n° 18, 6, = I, pp. 357-9). (8) Intorno al cret. dxeóovroc v. Joh. u. Th. Baunack, Die inschrift von Gortyn, Leipz., 1885, pp. 54, 97, 125. diede’ Tnpet. Kümpıor (Esichio): cf. Meister, Die griech. dialekte....., IL Gött., 1889, p. 231. (9) V. Krüger, Griech. sprachlehre......, I e IT, 8 53, 1, oss. 2^. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, I 95 Gkovovteg, i lettori (Pol.); intendo (At., N. T., Poll. ed altri); altro senso notevole è quello d'obbedisco (Om. e segg.) ; modo chiamare, sono in fama di (Pind., Erdt., Att.) (1). Notisi diakodw come significante sono allievo.... in una disciplina (Plut., BD. DY: dvnkoog, che non ode — che non bada (Sen., D. A.); che non ha udito — ignaro (Pl, Eschine ecc:); non ammaestrato in (Sen., PL, Plut); tò &vi- Koov, la disobbedienza (D. A.). eunkoog, che ode bene — obbediente, seguace (Arist., Plut.). moAunkoog, (che ha molto udito) — assai erudito (Cleob. in Stob.*, Plut., Fil). únńkooç, (che ode) — obbediente (Erdt., Esch., Eur. Tuc., Sen., PL, con altri post.); uditore, scolare (lambl. ecc.). ewer aggiungo in pensiero, sup- plisco con esso a quanto ho inteso (Pl, Arist. g 455. &kpodouu, ascolto (2) — porgo de attento (p. es. ad un maestro) (pr. att.); obbedisco (Tuc., Pl. ecc.). Of. àxpóacig in senso di lezione poly Plut., Luc.). 456. x\dw, odo — apprendo, acquisto notizia (Om., tr., Ar.); odo con attento animo, esaudisco (Om., tr.); obbedisco, seguo (Om., E (tr) (8). xAeiw, xAéw, rendo rinomato, canto, lodo (Om., Es., Eur.*, Sof.); modo nominare, sono in fama Ar.); k\éopat, sono rinomato (Om., Pind.) (4). ` xAnndwéy (da xAnF-ndwy), a kAndwv, voce che è un augurio, un presagio (Od., Erdt., tr., Plut., Luc. ecc.); grido, tradizione, notizia, fama (Od., Erdt., tr., And.*) (5). — xMjZw (da *xAnF-ıdıw), vanto, lodo; canto (i. o., Eur., Ar., Frin.); diffondo una notizia (Esch. Ippocr., Eur.); nomino, do il nome (Sof.). d) Idee d'atti fonetici. 157. Tra le voci testé addotte e quelle che in seguito dovranno venir qui men- Zionate è opportuno ricordare yehäw, rido (6) — derido (Sof.*, Sen., Luc. ecc.). Cf., pel secondo senso, xatoyeAdw (Erdt., Eur., Ar., PL, Sen. ecc, LXX). YyehoiáZu,, Scherzo parlando (Aristarco in At., Plut.). 458. xaxáZu, kayxáčw, rido sonoramente — schernisco (Sof., Teocr.) (7). (1) Lo Schmidt (Hb., n° 108, 2, 3, p. 626 e segg.) scrive: “ dxove, der allgemeine ausdruck für den sinn des gehürs, wird von Homer an auch von dem mittelbaren erfaren durch andere angewandt, wogegen xAbeıv bei Homer nur auf das unmittelbare hören sich beziht. Das letztere bedeutet eher willig worauf hören... Im attizismus unterscheidet sich dkpo&0daı so von dkoverv, dass es nicht die Fähigkeit, den physischen sinn bedeutet; sondern nur das hören insoweit dabei der wille des hörenden beteiligt ist , (cf. Syn., 12, = 1, p. 271 e segg.). (2) V. la nota precedente. (3) In Omero, insegna lo Schmidt (Syn., n° 12, 3, 4, — I, pp. 274- 7) xAbeıv indica anch'esso , besonders aber auf das willige hören auf etwas geht und so übersetzt werden kann: auf etwas ES u. dgl.) merken, anhören, erhüren; willig folgen ,. (4) Di xAéoc nota l'aut. cit. (Hb., n° 23, 4, pp. 87-8) come significhi propriamente solo “ was man von jemandem hört, und kann daher ebenso gut ein unsicheres gerücht, wie eine kunde bezeichnen, wodurch wir wirklich eine gewisse ‘auskunft erhalten ,. Per altro già in Omero indica * den weit * den verbreiteten, von mund zu mund fortgepflanzten guten ‘ruf’, besonders eines menschen ,. (5) V. Schmidt, op. cit., pp. 88-9, ove si nota il senso favorevole frequente nell'uso della pa- rola citata. (6) Avverte l'autore della Syn. (v. n° 169, 1, = IV, p. 188) come y&Awg significhi " die ganze handlung, wie sie sowol dem auge als dem ore sich darbietet „ (cf. Hb., n° 33, 1, p. 181). (7) * Das laute helle lachen, besonders in ausgelassener freude, aber auch mit hon verbunden, heisst Kayxdzeıv und kayxaouöc, bei Homer Karton. » (Schmidt, Hb., n° cit., 4, p. 182; cf. Syn., n° eit., 4 Pp. 191-9). (n. 454—458) (n. 459—465) 96 DOMENICO PEZZI 459. rorruZw, mormoreggio (1) — sono di mal animo (LXX, N. T., Arr., M. Ant.). 160. ppuáccopgot, sbuffo — sono sfrenato, orgoglioso, insolente; millanto (LXX, D. S., Filone, Plut., At., A. P., A. Pl); Ppudocetar: énereípevoi, neraAoppovel, yaupıd (Esichio): ppuaoow, fremo d’impazienza (N. T.). 461. arua, latrato — discorso impudente (pl, Esch.). úňaktéw, abbaio — fremo dira nel profondo del cuore (Od.*); tengo discorsi temerarì ece. (Sof); sgrido aleuno con parole villane (Isocr., Pol. ecc.) (2). 462. mépdw, scoreggio. ^ mpoomépbu, id. — tratto con disprezzo (Sosip. in At.*). Cf. onnopòéw, tratto con isfacciato disprezzo (Posid. in At.*) (3). 463. addñ, suono, voce, principalmente voce umana (4) — discorso (Om., tr. ecc.); fama (Sof.), notizia (Eur.); responso d'oracolo (id.). dvavdog, senza voce, senza fa- vella — segreto, od inesprimibile, nefando (Sof.*): cf. dppntog ecc. avddw, parlo (Om. e poeti post.) (5); annunzio (Pind., tr.); comando (tr.). dmaubóu, interdico, proibisco (Sof., Eur., Ar.); rinunzio, perdo animo (Eur., Plut., Luc., A. P.); nego (A. Py cuvaubóu, consento, vo d'accordo (Sof.*); confesso (Tem.). 464. vfjpuc, voce (6). qnpóu, -ouai, mando, suono — dico, racconto (Es., tr.); canto, cantando annunzio (Pind.) (7). 465. (F)éroc (cf. öy, voce), parola, detto (Om., Pind., Erdt., tr., post. [ Luc. ecc.]) (8); parola come contrapposta ad atto (Om., Erdt., Esch., pr. att.), e talora vana parola (Eur. sione di volontà (Il.*); responso d'oracolo (Od.*, Erdt., tr., Luc.); il contenuto d'un detto ); narrazione (Om., Sof); parola data, promessa (Il.*, Esch.*); consiglio, espres- (1) Dicevasi, giusta Polluce, dell’astore e della colomba (Schmidt, Syn., n° 191, 6, = III, p. 851). (2) Giova qui far cenno dell'aggettivo yopyóc, (mugghiante, ruggente, cf. rad. ant. ind. garj) — che sgomenta (Esch., Eur., Sen., A. P.). (3) Non si dimentichi per altro la glossa esich. onnopòeiv' gumropbfjoar otpnvıäv, ópoveoOot, Apumreodan, xAıdäv. Ai verbi mentovati s'aggiunga qui mommóZu, fo rumore di fischio o di scoppiettio (specialmente colla bocca, per attirare un animale, per accarezzarto): cf. wepvrommUZu nel senso d'adulo (Greg. Naz.) e monnüouara: koAakeluara (Esichio). Potrebbesi anche notare foyxaou6c, il russare — me pippoyxdw, schernisco (scol. Ar.). (4) In Omero è, avverte lo Schmidt (Syn., n° 1, 25, = I, p. 43 e segg.) “ die menschliche sprache von ihrer wohltönenden seite betrachtet ,. Of. 66v, Andy (v. Prellw., alla voce ddéw). (5) Significa * die offene, wohltünende und volltinende aussage oder rede... » (aut. cit., ibid., 29, p. 51). (6) Parola che “ nicht den einzelnen ton bezeichnet..., sondern gleichsam die ganze tonerschei- nung nach glanz und artikulation, womit uns zu offenbaren pflegen ,, come ynpvew, che verrà tosto mentovato, * nicht den klang an und für sich bedeuten kann, sondern nur die in allem ihren tönen und. lauten. offenbarende sprache , (aut. cit., Syn., n° 1, 40, — I, pp. 68-9). (7) Appartengono alla medesima radice (v. Prellw., p. 70) le glosse esichiane vyoppwupue0a ` Aordopovueda, derpiàv: Aordopetodan. Adkwvec, bepelov Aoldopor. of aùtoi, depi’ Aoiboptat. A tal ra- dice il Prellw. riconduce anche il nome Yépac, onore reso ecc. (Om., Att. ecc. — v. Schmidt, Syn., n° 106, 4, = III, p. 199), cf. Vanicek, op. cit., p. 203: ma v. G. Curtius, Grunde, n° 129 b), p. 176; Fick, Vgl. wrib....., I°, p. 34, e, per la storia dei tentativi etimologici, anche Ebeling, ad v. Intorno al senso primitivo dell'ant. ind. gar, lodare, celebrare, v. Grassmann, Wrtb. zum Rig-veda, Leipz, 1878, p. 397. (8) E il senso che a ragione lo Schmidt nota come schiettamente omerico: “ das wort (aus- spruch), aus dem affekt hervorgegangen , (Syn., n° 1, 12, = I, pp. 21-8). Anche öw'& * die stimme phy- sisch und als trügerin des affekts , (24, pp. 41-8, cf. p. 64). L'idea d ‘affetto’ appare, egli avverte, molto meno conservata nel valore d' etmeiv (ibid., 18, pp. 31-3). | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 97 * Ar. PL, Call, Luc.); poema eroico (Erdt., pr. att.); poema in genere (n. 465—469) 4) (1) Fra i derivati sia qui ricordato almeno dneinov, dissi apertumente ri ecc. (Il. e post.); nega? (Pl); interdissi, : ; venni meno, perdetti coraggio, forza (Att.) (2). Om.); rieusai (Om., Pol, Plut.); rinw proibii (At 466. pOéryouou, mando suono (cf. pO6ryos), alzo la voce (* in Il. et Od. semper de hominibı 3 „ Ebeling, ad v.) (8) — lodo ad alta voce, celebro col canto (Pind*); parlo | (Bur., PL, Plut.); chiamo per nome (Pl.). 467. wvñ, voce ecc. (4) — lingua (Erdt., Att.); dialetto (Plut., Luc. ece.); detto, Sentenza (D. S.); espressione, parola (Plut.). œuvéw, mando suono, alzo la voce — chiamo per nome (Sof., Ap. R., N. T.); comando (Sof.*). diapovéw, dissuono — | sono discorde d'opinione ecc. (PL, Arist., D. A., Plut.). ànpocguUvnroc, cui non si E volge parola, saluto — inesorabile (Plut.). ovupwvew, consuono — sono d'accordo, ho | la medesima opinione ecc. (Sen., Pl., Teofr., D. S.); congiuro insieme (Ar., Pol., D. S.). £68. Bon, < chevole, preghiera (tr.) (5). Bodw, grido, chiamo — nomino, lodo ad alta voce si ido (di giubilo, di lamento, @ aiuto, di lotta) — invocazione suppli- n d (Aless.), quindi, nel pass., sono lodato ecc., e, nel pf., sono rinomato (Erdt. ed altri); comando, esigo ad alta voce, fo noto (tr., com., pr. att.) (6). i 169. B6pußog, strepito, confuso gridare di moltitudine di persone (7) — disappro- ardt., Att.). vazione (Erdt., Att.); approvazione (Ar., Pl); inquietudine, perturbazione (E (1) Intorno al senso di " parola modulata, esametro, poema in tal metro , (senso che ricorda quello di parola cantata, di cui notansi due esempi già nell'OG.) v. l'aut. cit., ibid., 55, p. 98. 0 ;., n° cit., 60, p. 109. . cit, n° 1, 31 e 37, 53, = I, pp. 54-6 e 64, 93-5, ove si mostra come nell'atti- cismo questo verbo sia diventato © der ausdruck für die ganze mannigfaltigkeit der menschlichen stimme oder sprache ,. | (4) Non come esprimente affetti (op. cit., n° 1, 27, — I, pp. 47-50; v. anche 57, pp. 102-4). E (5) V. op. cit., n° 3, 2, = I, pp. 126-8. (6) Qui ben si può far menzione anche di xoAéu, il cui valore primitivo appare ancora dalle e voci greche kéAadoc, éuo-xAm e da altre di lingue affini (v. Prellw., alle parole citate). xoAéuw, com'è noto, non significa soltanto chiamo, chiamo per nome, convoco, ma invito (Od., Eur., Sen., Dem.); pro- EE voco, sfido (Il, Pind., Sof.); invoco, supplico (Pind., tr., PL); accuso (citando innanzi a tribunali) (Ax., TE Sen., Dem.); esigo (Dem., Call). Fra i derivati è assai notevole mapakak&w, chiamo a me, chiamo a chiamo in aiuto, chiedo soccorso (Erdt., Esch., Ar., Sen., Pl., Plut.); invito, Sen., Isocr., Plut.) ammonisco, rammento (Pol); pretendo (Pol, Plut); consolo (N. T., Plut." prego (App.). — Con XaAéw il Prellw. pare non alieno dal connettere etimologicamente xnAéw, calmo, quieto, soprattutto d incanto (Pl., D. A. ecc.); ricreo, ammalio, specialmente colla musica (Eur., com., Sen., Luc); seduco, cor- rompo, inganno (Pl). Ma è verbo d'incerta origine: basti qui l'averlo accennato. (2) 2 (8) V ito a (Eur., Intorno ad aitéw, chiedo, esigo (Om. e post.), “ bitten oder heischen ohne berücksichtigung der form f (Schmidt, Syn., n° 7, 12, 16, = I, p. 193 e segg.), cf. la glossa esich. aixdZeı kaet (?), v. Prellw., ad v. i — Si consulti l'aut. cit. anche pel verbo xauxdonm, (etimologicamente grido) — mi vanto (Pind., | Erdt., Licurgo, Arist., D. S., Luc., At.), vanto (N. T.). | Qui vuolsi infine ricordare anche «npÜoow, (sono gridatore), sono araldo — annunzio (Om., Erdt., | Att.) comando (Sof); lodo, celebro (Eur., Sen.); bandisco la parola divina, prédico (N. T.). — àxhpukroc, non annunziato (Erdt. onde sono esclusi i xhpukec con proposte di pace (nóXeuoc, guerra implacabile, Sen. ed altri; Éx0pa, Plut.) (non gridato, non pubblicato da araldo), non celebrato, privo di rinomanza »(Eur., Eschine); segreto (Nonno). (7) Come avverte lo Schmidt (772., n° 36, 2, p. 149), Gopufeîv designa sempre “ einen wilden lärm „. Serre IL Tom. XLVI. 13 as poemes) | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | (n. 470—476) DOMENICO PEZZI 470. 606, alto lamento, soprattutto funebre (1) — réne, che fa alto lamento — che pronunzia formole d'incantesimo con certe intonazioni (6 petà Y6ov Enddwv, Eust.), incantatore, ciurmadore, ingannatore (Erdt., Eur., Pl. ecc.) (2). 471. 0poéw (cf. Opeoum), fo risonare altamente, fo udire, pronunzio ecc. — an- nunzio apertamente, racconto (Esch., Sof.) sgomento; pass., sono sgomentato (N. TT.) (3). Opfivos, lamento (soprattutto funebre (Il, Pind., Erdt., tr.) (4). Opurew, dico molto, spesso, ripetutamente, annunzio, racconto (Eur., com., Pl., Arist.). 472. kwkiw, mando acute grida di lamento (5) — compiango ecc. (Od., tr., Ar.) (6). 473. ONoNIZw, grido altamente (7) — gridando invoco, ringrazio dei (Om., Esch., Ar.); giubilo (Od., Eur., Dem. ecc.). 474. deidw Adw, canto (in senso proprio) (8) — celebro cantando (Om. e posti); ho sempre in bocca (Pl, Plut. ecc.); inneggio (tO Ge, N. T.). Fra i composti, verbali e nominali, si menziona qui in primo luogo &Zddw come significante libero da incanto (grecità tarda); poi enddw nei sensi di canto per allettare (Sen.); vinco, consolo, acquieto con malia di canti (PL), con iscongiuro (Esch.*) [cf. enwdn, incantesimo, discorso che acquieta (tr., Pl. ecc.)|; xarddw, opero con formole magiche (Erdt.*, D. A., Luc.); na- pubóc, che altera un canto, soprattutto dando a forma seria un senso ridicolo |cf. na- pwòéw, sto contraffacendo comicamente un canto, dileggio (D. L., Luc., At. ed altri)|; npooddw, canto d'accordo — sono concorde (Sof., Pl); al quale ultimo senso giunse anche ouvgdw (Sof., Pl. ecc.) da quello di canto ins N 475. dw, údéw (9), celebro cantando (Call. ecc.) (10). 476. uéhoc, canto, melodia (11). &upeM|e, consonante — conveniente; garbato, ieme. (1) * Föog und yoàv oder yo8o0o01 bedeuten die ganze von trünen und schlucheen erfüllte rede, mit besonderer bezihung auf das schluchzen , (aut. cit. Hb., n° 35, 8, p. 141; Syn., n° 126, 9, — III, pp. 385-7). (2) V. aut. cit., Syn., n* 172, 3, — IV, pp. 210-1. (3) Id., ibid., n° 1, 42, — I, pp. 72-3, ove notisi, fra gli altri sensi, quello di “ ein offenes und lautes verkündigen ,. (4) “ Opfivog ist der klagegesang, von der hom. einfachen form an bis zu den späteren kunst- reichen eines Simonides und Pindar , (id., Hb., n° 35, 11, p. 142; Syn., n° 126, 16, = III, p. 396). (5) Denota propriamente, giusta l'aut. cit. (Syn., n° 126, 10 e segg., = III, pp. 387-8 ecc), “ den lauten schrillen aufschrei, wie ihn besonders die weiber bei verschiedenen gelegenheiten hervorbringen...,. (6) La medesima radice, in forma non raddoppiata, scorgesi ora in kuddZw, fo oltraggio (anche med., Epic., Esch., Ap. R.; pass., Sof). V. Prellw., ad v. Schmidt, Syn., n° 4, 2, = I, p. 140: * xuddZev ein milderer ausdruck war, als Aordopetv ,. - (7) Indica, avverte lo Schmidt, " die lauten heulenden singweisen welche die weiber als toten- klage oder bei schwerem unglück, aber auch gelegentlich bei ausgelassener freude erschallen liessen , (Hb., n° 35, 10, pp. 141-2; Syn., n° 126, 15, = III, p. 395-6). (8) Vuolsi qui almeno accennare come, rimettendo in onore un'antica etimologia (v. Ebeling, ad v.), il Göbel (ivi cit), lo Hoffmann (Die griech. diall., I, p. 106), il Wharton (Some greek etymologies, p.4)si mostrino inclinati a connettere detdw (&-Feldw) colla rad. Fe (v. sopra, 448), cf. giän: cosi il Wharton traduce deldw “ make my meaning known ,, e, coll’ace., ^ make known, celebrate ,. Il Prellw. riferisce il verbo ad una rad. veido, ^ rufen „. (9) Intorno al senso primitivo di questo verbo v. Prellw. alle voci andwy, adön, bdew (rad. ved, vad..., ud, “ rufen ,). (10) Per quanto concerne le glosse esich. Donc e Üdvng G. Curtius, disgiungendole da 6v, -éw, scriveva ne’ Grunde, n° 998, p. 248: “ Übn-c: ouverdc À momrtg, Hesych. weist eher auf w. Fib, vozu Ud-wn-g' eldubc, Eumeipoc..,. (11) E, insegna lo Schmidt, ^ der gesang seiner ganzen fortlaufenden komposition nach, und be- CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 99 ingegnoso (PL); abile, modesto (Plut.). tinuuerhg, (stonante) — erroneo: mAnuuehéw, (n. 476—483) (erro cantando) — erro, pecco (Eur., Sen., PI. ecc.) 477. own, silenzio (1), tranquillità — segreto, segretezza (Eur., Ar., Sen., Dem., Plut., Paus.) (2). e) Idee di “veglia ’ - ecc. 178. dypunvew, sono insonne, veglio — ho cura LN, T.). 479. èreipw, sveglio, desto — suscito (sentimenti vari ecc.) (Om. e post.); évpñropa, sono desto — sono di spirito vivace (Sen.) (3). 180. eóváZu, corico, metto a riposo, a dormire (4) — acquieto, ammanso (m600v) (Sof., Orf., ep. post.); pass., sono calmato (Sof.*). f) Idee di ‘sanità’ e d" infermità'. 481. bris, sano, in pienezza di forze (del corpo — dello spirito); quindi retto, giudizioso ecc. (Il, Erdt., Att., specialmente PI.). Uriaivw, sono, divento, anche ‘rendo sano di corpo — sono sano di mente, savio (Teogn., Erdt., Ar., Sen. ecc.). 182. dxéouai, sano ecc. (b) — espio (Erdt., Att., D. C., Porf.); per quanto spetta al significato placare v. i commenti al v. 115 del mr delt Z}. 183. œépuaxov, rimedio, medicina prescritta ecc., veleno, espediente per vari scopi — strumento d'incanto (formola magica ecc.) (Longo*) ecc. (6). papuaxäuw, soffro di veleno — ho la mente infiacchita da veleno (Dem. ecc.). qappokeóu, applico rimedio, anche avveleno — incanto (Eur., Pl). Cf., per questo senso, papudoow, ammalio ecc. (Ar., PL, Ap. R., Plut. ed altri). qappuakóc, persona, per lo più già condannata a morte, destinata ad espiare colpa d'individuo, più spesso d'uno Stato; pappakoi’ kabap- Thpiot, mepixadaipovteg tds mÓAeig, åvňp xoi ruvh (Esich.) — scellerato, avuto in ispregio (Ar., Dem.). i sonders der kunstreich komponirte gesang der tragödie....., (Syn., n° 122, 1, = II, p. 353). V. anche Hb., n° 22, 1, p. 82, ove si mette in rilievo il concetto di serie regolarmente limitata e successione di suoni con bell'ordine insieme congiunti come significato dalla parola greca di cui trattasi. (1) I nomi cwm e on, avverte lo Schmidt (Syn., n° 9, 2, = I, p. 215 e segg., cf. Hb., n° 20, 2, 4,.pp. 74-7), non altrimenti che i verbi corrispondenti gıwrräv e Otyàv, indicano propriamente l'uno il semplice fatto che è il ‘tacere’; il ‘non dire alcunchè’, l’altro uno stato psichico, di cui il ‘si- lenzio' è non meno effetto che segno: ov “ ist mehr sache des gefühls „, own ^ des verstandes ,. (2) Ben si può aggiungere qui ownAòs, silenzioso — di cui si tace, non famoso (Zenod. in Stob.*). (3) L'idea d'' essere o diventar desto’ appare anche nel valore primitivo di mebdopar, muved- vouar (v. G. Curtius, Grunde.5, n° 328, pp. 261-2; Prellw., ad v.; cf. ant. ind. bódhati) — ricevo notizia, apprendo (Om. e post.); m’informo, domando, esploro (intorno a tal valore del verbo in Om., soprat- tutto nell'Od., v. Ebeling, ad v.; Erdt., Att): v. Schmidt, Hb., n° 14, 3, p. 57. (4) V. Schmidt, op. cit., n° 78, 4, pp. 344-5: *...hat das dicht. eùv@00aroder ebváZeo0oi die be- stimmte bedeutung, sich auf eine lagerstätte hinstrecken um daselbst zu ruhn; oder, indem es seine inchoative bezihung einbüsst, wird es von dem ruhen der menschen und tiere auf einer dazu geeig- neten lagerstätte gebraucht ,. (5) Questo verbo ed idouaı, nota lo Schmidt, nell'uso omerico e nel posteriore, indicano " die heilende tätigkeit kundiger personen und werden übertragen auf die entfernung anderer übel und fehler ,: ma, con senso più esteso che idouaı, äkéouo si pub “auf jede ausbesserung anwenden , (Syn., n° 160, 2, = IV, pp. 108-10 ece.; Hb., n° 81, 5, p. 378). (6) Aut. cit., Syn., n° 160, 2, = IV, pp. 108-9; Hò., n° 81, 4, p. 377. N — (n. 484—488) 100 DOMENICO PEZZI 484. vócoc, malattia corporale — perturbazione dello spirito: delirio (Sof.); scon- sideratezza, stoltezza (Sof., PL); passioni varie (Sof., Sen. ecc.); colpa, vizio (tr., Sen., Pl. ecc.) (1). 485. te, -iv, doglia di parto; doglia viva, straziante — dolore d’animo (Att.). Notisi anche Wdivw ne’ sensi di sento angoscia, ho aspettazione affannosa (Sof., Eur., Plut.); ho in mente alcunchè (Pl, N. T.); mi propongo di fare, bramo penosamente (Eliod.) (2). e 486. xwAög, storpio, zoppicante — imperfetto di mente, inetto (Pl); tÒ xwMóv, di- fetto nella fede (N. T.) (3). 487. tupXög, cieco; anche ottuso d'aliri sensi — ottuso di spirito (rop, voûv) (Pind., Sof.); inintelligente d’alcunchè (Sof., Sen., Plut. ecc.). ^ ruqów, acceco — rendo inintelligente (soprattutto in pass.) (Pind., PL). TtupAurtw, sono cieco — sono ottuso di mente (Pol., Cic., Plut., Erdn., Luc.) (4). 488. èvéog, muto, sordomuto, soprattutto per ispavento o meraviglia — stupido (PL). éveóv: kwpóv. kai uwpév. 60ev kai duwuwv. —éveóg: VWXEANS. HETÉWPOS. kuqóc okaóç. uupóc. Be oUre dkover oùte AoÀei (Esich.) (5). (1) Perciò lo Schmidt scriveva che “ ..... ist dem Griechen vóooc bekanntlich nicht nur jede sondern auch jeder wnnormale zustand der fülenden, empfindenden geistige störung, wie der wansinn....., und unsere handlungen bestimmenden seele, namentlich die sünde , (Syn., n° 149, = III, p. 697 e segg.). Col lat. aeger si paragonano oikroc, compassione (Od., Erdt., Att.), compianto (tr.), oiktičw, esprimo pietà di (tr., Sen., post.); oikripw, sento compassione (Il. e post.) ecc. Intorno ad oîktipw (non oikteipw) v. Meisterhans, Gramm. der att. inschriften?, Berl., 1888, p. 142, nota 1242, Per l'etimologia si con- sultino Wharton, Etyma graeca, e Prellw., ad v.oîkroc. Per lo Schmidt oîkteiperv (com'egli scrive), oiktipuós designano propriamente la compassione che si sente nel cuore (cf. Ëkeoc, &Xeeiv): olktoc, oikri- Zew, sono giunti a denotare la pietà che s'esprime con parole; olkrwpóc la pietà come azione (Syn. n° 148, ni 4, 5, = III, pp. 577-80; Hb., n° 118, 3, p. 752 e segg.). La medesima radice che vi ha nel lat. aeger ora scorgesi anche in doxoc (= “aix-oxoc): v. Fick, Vgl. wrtb., I‘, p. 845, e Prellw., ad v., che lo disgiungono da aibi, con cui solevasi connetterlo etimologicamente (v. Vanicek, op. cit., p. 93; Wharton, Etyma graeca, ad v.). dîoxoc è onta, oltraggio (ep., Att.), azione infame (Od.*); deformità fisica, morale (Sen., post.), vizio (PI.). Cf. aioypòs, soprattutto poi oloxóvm, pudore, vergogna d'azione biasimevole già commessa o che si sta per commettere (Att.); ignominia ecc. (Erdt., Att.); anche stima, venerazione (npóc tiva) (Dem.). V. anche aloxivw, -oudt. Lo Schmidt (Syn., n° 140, = III, pp. 586-43) distingue il valore d’ aioxüvn da quello d'oibU colle parole seguenti: " ....aibUc und seine ablei- tungen mehr die bezihung auf eine fremde person an und für sich hervortretenlassen, würend aicyóvn u, s. w, vie unser scham, deutlicher die bezihung auf uns selbst und unsere handlungen hat ,. Cf. Hb., n° 117, 2, pp. 743-6. (2) Schmidt, Syn., n° 84, 10, = II, pp. 609-10. (8) Non è inopportuno il ricordare in questo luogo la voce kiufiz, spilorcio (Sim., Arist., Plut.); cf. omıußdzw, zoppico (v. Prellw., ad v. kıußdZw): ne si dimentichino le glosse esich. kiuféte otpar- veberon, ed dkıußdZev diatpiberv. kai OTpayyebeodcı. (4) Giova qui addurre anche vevinAog, imbecille di spirito (Call.*) = TupAög. ämémAnToc. dvonTos (Esich.). È (5) V. anche Pill., n° 306, p. 409. Meritano menzione le voci äßerhuwv, áBaxhc, dBoxiZóuevoc, àßáknoav. ófaxhuuv: diaroc, dot: verog (Esich.). dBaxñc, mite, tranquillo (S£, framm. 72, ove si contrappone ad 6pyav = opybv): àBdkenv” äpehñ, dovvetov, Bodo, ümeipov, Aduvatov, dkakov, ed dBáxnc: dat, dquvoc, cwumpóc..... (Esich.). ófoxaZóuevoc, quieto (Anacr.). Intorno all'om. äBéknoav (solo nell'Od., 1v, 249) v. Ebeling, ad v. dpaxéw: fra le interpretazioni assai disparate fra loro (äpwvor dià drvorav, Ayvénoav, éuwpdvonoav ecc.) quelle che il contesto fa parere verisimili sono la prima (Kt. M., 2, 48 ecc.) e la seconda citata (che leggesi in Esichio ed altrove). Non va esente da dubbio l'etimologia per lo più proposta delle parole men- tovate (da BdZw, parlo, v. Schmidt, Syn., n° 1, T, pp. 87-9): v. Vanicek, op. cit., pp. 857 e 860; Prellw., alle voci dfaxmg e BáZw. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 101 189. weMósc, balbuziente; anche ciò che viene balbettato — poco intelligibile (Esch.*). WeMMZu, per lo più med., balbetto (1) — non esprimo ancora con chiarezza (Arist.). yéoua, ciarle inconsiderate (Imer.*). 490. éAxoc, piaga (2). éAkomotéw, piago — ricordo mali dimenticati (cf. vulnus refrico) (Esch.*). 491. où), ferita rimarginata. ÜmouAoc, suppurante sotto la cicatrice; persona 0 cosa sana in apparenza, ma in realtà guasta — ingannatore (Tuc., Pl., Plut. ed altri); VmouAwg diakeîodar, essere segretamente ostile (Pol., Plut.) (3). 492. nrpwokw, perforo, ledo, ferisco (4) — fo viva impressione sull’animo (do: more ecc.) (Eur.* ed altri). 493. báxvu, mordo — offendo UL, Es., Att.). ènyuòs, morsicatura, mordacità (Plut.). Cf. Guuodaxig (Od.*, poeti di tarda età), = ówikápbioc, \umoy v wyuxñv (Esich.) (5). 494. qóvoc, uccisione ecc. (6). qovikóc, che si riferi sione — inclinato ad uccidere, crudele (Tuc., Pl., Plut.). Of. mepio-patog (7): mepiopara (Trag. inc. fr. 266) tà émepavnre, kai uox0npàg émipuvüceug dE, con MEPIOPATWE" TEPIWDUVUW. nepıßontwg (Esich.). sce all’ uce 8 39. Idee d'età (8). 195. maîg, fanciullo. noiZw, fanciulleggio; mi do buon tempo, scherzo (contrap- posto al ‘fare seriamente’, otouddZerv [v. sopra, 125]) (Erdt., Eur., P1.); tratto alcuno o qualche cosa scherzevolmente, metto in burla (Ar., PI, Plut., Luc., A. P.) (9). mai (1) Propriamente, nota lo Schmidt, questo verbo * beziht sich auf eine fehlerhafte aussprache bei der ganze silben ausgelassen werden, (Hb., n° 87, 1, p. 151; cf. Syn., n° 124, = III, pp. 369-73). (2) E * eine auf beliebige art entstandene verletzung,. insofern. sie für uns schmerzhaft oder gefür- lich ist, z. b. auch wenn sie, schon längere zeit vorhanden, eitert , (Schmidt, Syn., n° 114, 2, 5, = III, pp. 300-2). Vedasi anche quanto vi si nota intorno al senso me for. (, sventura rodente ,). (3) Un senso primitivamente non dissimile a quello di ‘ferita’ viene attribuito ad den (cf. aù- &tav, Pind), da *àFarä, dFnrä, cf. oüráu (da *ó-Fn-va-uw): v. Fick, Vgl. wrtb., If, p. 547, per la rad. ven; Wharton, Etyma graeca, ad v. addra; Prellw, ad vv. dn, obrdw, dtn significa, com'è noto, danno, ruina (soprattutto per malevolenza d'una divinità) — particolarmente poi confusione, acceca- mento d'intelletto (Om., tr.); errore, colpa, più o meno gravi, commessi nello stato predetto, sventure che da essi provengono (Om., tr.) Intorno ad &rn, anche personificata, v. Ebeling, ad v. Ad altra radice, significante beffarsi, sembra appartenere, giusta gli odierni etimologi, la voce dráo9oloc, im- prudente, temerario ecc. (v. Wharton, op. cit., ad v.; Prellw., ad v. TwOdZw). (4) Designa propriamente, scrive lo Schmidt, la “ verwundung durch einen scharfen gegenstand , (Syn., n° 114, 3, 5, — IH, pp. 300-2). (5) A bdxvw s'accostano, pel proprio valore etimologico, ouepboAéoc e opepbvóc (cf. lat. mordeo e v. Ebeling e Prellw., alla prima delle due citate parole). ouepdaréoc, che sgomenta ece. (ep., Ar., Luc.). ouepdvôc, id. (ZZ, Esch., Nic., Opp.). V. anche il-lessico esichiano. (6) E, come avverte lo Schmidt (Hb., n° 76, 5, pp. 333-4), ^ vie caedes im besonderen der gewält- Sume tod, meist mit blanker waffe ,. (7) Intorno alle relazioni etimologiche fra arés ed Enepvov, pévoc, Belvw, v. Prellw., all'ultima voce cit.; G. Meyer, Griech. gramm, pp. 15, 204 ecc. È (8) Blümner, pp. 105-6. (9) * In keinem falle bezeichnet m. den spott und hon zum verdrusse eines anderen, wol aber den scherz und die neckereien, die sich ansgelassen lustige bei verschiedenen festlichen gelegenheiten gegen andere erlauben durften „ (Schmidt, Syn., n° 132, 3, = II, pp. 449-51). D . 489—495) (n. 495—499) 102 DOMENICO PEZZI Dein, educazione, istruzione intera del fanciullo (Esch., Tuc., Ar., Sen., Luc. ed altri); perfezionamento del corpo e dello spirito (Pl. ecc.); ciclo di studi giovanili (Pl., Arist.); letteratura d'un. popolo, arte, scienza, soprattutto come oggetti d'insegnamento (Plut., Erdn.) (1); castighi, prove imposte dalla Divinità (N. T.). modbiKóc, fanciullesco ecc. — ingenuo (Ar., Pl. ed altri); puerile, scipito, anche motteggevole (Sen., Pl); meschino (p@6vog) (Pl., Arist., Plut.); gradito, preferito (Att.; in senso particolarmente nobile, PL). Fra i composti notansi qui èurtarruovi, illusione, seduzione (N. T.), e mpootaizw nel senso di ólandisco, rendo omaggio (0coc, con- canti) (P1.). 496. xópoc, fanciullo, giovinelto ecc. (cf. xópn). -émokopitou, parlo da fanciullo; chiamo alcuno con nomi diminutivi, vezzeggiativi — uso parole mitigative, pallianti un male (Dem., PL, Plut., At.); di rado seredito cosa buona con nome che P impicciolisce (Sen.*, Arr.*) (2). 497. ueîpaë, adolescente (solo femm. negli Att.). ueipoxiwòne, proprio d'ado- lescente — puerile (in senso metafor.) (Pl., Arist. ecc.). ueapakietouo, sono adolescente; mi comporto come un ad. — anche con petulanza (Luc., Plut.) (3). 498. veötng, giovinezza; i giovani — leggerezza giovanile (Pl., Plut.). veaviag, giovanile, giovane, giovanilmente vigoroso — precipitoso, petulante (Eur., Pl.), to\unpég (Esich.). veavieboua, sono giovane; mi comporto da giovane (in parole ed in atti) — mi comporto con precipitazione, leggerezza, temerità (Isocr., Pl., Dem., Plut., Luc.): veavieUeroi* véou čpya mpárre. À Kauxätaı, À uerologpovet mi dvdpeia, xoumáZei KEving, A rohu (Esich.) (4). Cf. èm- e mpooveavieb oua. j 499. mpeoßus, precedente in età, vecchio — onorato, onorando (Erdt., Tuc., Sof., PI.) (5). mpeoBeÜw, sono più vecchio od il più vecchio; ho posto d'onore ecc. — pre- ferisco, stimo, onoro (tr., specialmente Esch., Pl, Plut., Arr., Luc., At.); curo (D. L., Luc.). (here Die ganze erzihung und zucht, und der ganze kreis des wissenswerten , (Schmidt, Hb., n° 83, 3, pp. 884). J (2) Allo Schmidt per altro questo verbo sembra significare solamente “ eine sache mit namen benennen, wie man sie im umgange mit kleinen kindern gebraucht ,, soprattutto con ‘diminutivi (Syn., n° 181, 6, = III, pp. 444-7; Hb., n° 25, 4, pp. 99-700). — L'interpretazione esichiana giunge sino à KOÂGKEUELV. (3) V. laut. cit., Syn., n° 152, 4, 5, = IV, pp. 27-9: * uapakiwdng bezeichnet den Jungen burschen nach der jenem alter eigentümlichen geistigen unreife....... Auch die sprache hat in diesem lebensalter das eigentümliche der voreiligkeit und der übertreibung, so wie des gebrauches allzu häufiger und allzu üppiger bilder. Ganz dasselbe bezeichnet als verbum perpaxieveodar ,. (4) Aut. cit., op. cit., n° 47, 2, = II, p. 96 (e v. quanto leggesi a p. 108 sul significato di veaAnd); n? 152, 8, — IV, pp. 31-2. (5) Intorno a npeoBurérnv (IL*) (mpeoBurátn: évriuorérn, Esich.) v. Thomas, pp. 83-4, ove si fa cenno anche di mpeofBürtepos, -raroc, usati di “cose avute in particolar pregio (Sol*, Erdt., Tuc.). Vuolsi ricordar qui anche l'omer. mpéoBa: v. Ebeling, ad v., e notisi la glossa esich. mpéoBa: &vrıuoc, npeoßurdrn, geuvn. V. anche Schmidt, Syn., n° 46, 6, = II, pp. 87-8; n° 180, 12, = IV, p. 312. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 103 II. La civiltà. A. LAVORI E DIVERTIMENTI DELL'UOMO E LORO STRUMENTI (1). $ 40. Lavori e divertimenti. a) 500. 6npeów, vado a caccia, prendo cacciando (2) — agogno (Pind., Ippocr., Att.). Notisi anche òvoparo@rpag, cacciatore di parole, inventore di vocaboli (At.*). 2 501. Di BouxoAéu e dei sensi traslati che per lo più gli vengono attribuiti già S'è fatta menzione (v. sopra, 374). : toaivw, pascolo, mi prendo ogni cura del gregge (3), vale anche governo collo Spirito, dirigo, guido (otpatév, Eur.) ecc. ed appare eziandio ne’ sensi figurati di ri- creo (Luc.*), distraggo (Teocr.*) (cf. BovkoAéw). Merita qui nota il significato crist. di tommy, pastore spirituale (N. T.). 502. Bavavoog, operaio intento a lavoro meccanico — non d'alti sensi, volgare (ef. lat. illiberalis, ed anche ted. philisterhaft) (Pl. ed altri). Cf. Bavavoía come con- trapp. a mardeto (Ippocr., Pl, Arist.). 503. kaOOÛW, cucio insieme — tramo (Ar., Alcifr.). Di fantw già s'è detto quant’ occorre (v. sopra, 234), discorrendo dei verbi di ‘connettere’, senso a cui il primitivo valore di esso non tardò ad estendersi. 504. xAwow, filo. émkAwOW (solo in senso metafor., primieramente delle Moirai, poi, in genere, delle divinità concepite come filanti ai mortali felicità od infe- licità), destino, impartisco (Od., tr., Pl. ece.). 505. mpiw, sego ecc. (detto dei denti, per tura) — med., sono arrabbiato (Babr.*, A. P.*). Cf., per quest'ultimo senso, diampi- ouai, sono fortemente adirato (N. T., scr. eccl.). 506. textaivouoi, fabbrico, costruisco — fo con astuzie, con frodi (Eur., Plut. ecc.). Cf. réxvn, prima arte meccanica — poi anche ogni altra, qualsiasi grado d'intelligenza esiga (postomer.); atto dastuzia (Od.* e post.). 507. Ypé@w, incavo, intaglio ecc.; segno con uno stile linee, figure ecc., in ispecie lettere; scrivo — rappresento, significo scrivendo (Pind., Erdt. e post.); annovero fra (tiva tivwv) (Sen.); determino, conchiudo legalmente, propongo (or.); cf. med. nel senso di depongo querela (con o senza ‘rpapñv) (Ar. PL, or.). E di vpapñ notisi il valore d'accusa scritta contro un reo di delitto pubblico, in genere accusa grave (valore ben significare stridore ed anche morsica- distinto dal senso della voce dixn, v. sopra, 453) (4). Così di yp&upa, ciò che è scritto, lettera dell'alfabeto, documento scritto ecc., qui si ricordi il plur. nel significato di cognizioni elementari, letteratura, scienze (Sen., Pl. ecc.), onde moAuypäuuarog, assai dotto (Plut., Fil). Fra i composti vuolsi qui menzionare principalmente moparpágu, scrivo accanto od inoltre, trascrivo ecc. — che nel med. significa anche (con o senza (1) Blümner, pp. 60-71, 88-105, 125-57; Corstens, pp. 41-71, 97-112. (2) V. Schmidt., Syn., n° 72, 3, = II, p. 448 ecc. (8) Id, ibid., n° 200, 5, 6, = IV, pp. 584-8. (4) V. Pillon, n° 179, p. 249. (n. 500—507) i (n. 507 51 9 ) 104 DOMENICO PEZZI tpopnv) fo un’eccezione alla querela giudiziaria dell'avversario (0 TOpoypaupua, 4g- giunta ad uno scritto; lo scrivere una lettera invece d'altra — bisticcio per ischerzo o beffa (Arist., Ag: Ypépuw come significante svolgo retoricamente (D. A.*). ret.); cf. rapaypaupatiZw in senso di deffo (D. L. 'iungasi Tepi- b) 508. éyidouo, giuoco, scherzo (1). épeyidouot, dileggio , schernisco (Od.*). xaeyi&ouon, schernisco, insulto (Od.*) (2). 509. öpxeouaı, danzo. éEopyxéopor, vado danzando — rappresento con danza pantomimica e così fo conoscere, svelo (tà uuvomipia, tà dmóppnro) (Alcifr., Ach. T; anche Cl. Al. ed altri); rendo ridicolo taluno contraffacendolo (Plut., Erdn.); é&opyü- Douai’ x\eudow, ÜBpiow (Esich.). S'aggiunga xaropxeonaı nel significato di beffeggio, tratto con disprezzo alcuno (Erdt.*, Plut.*): xatopxovpevog: xoromaíZuv (Esich.). 510. xopeüw, danzo in coro — festeggio, onoro con danze corali (Pind., Sof., Eur., Pol.). dxbpeutoc, non festeggiato con danze, lugubre (tr.) (3). 511. waau6ç, il far vibrare colle dita corde d’uno strumento musicale (4) ; canto accompagnato da tale strumento — canto di lode alla Divinità (LXX, N. T., ser. eccl.). 512. xWuos, banchetto con petulante allegria di canti, suoni, danze, processioni — processione bacchica solenne, od in onore dei vincitori nei grandi giuochi pubblici, xw- udZw, fo il x&uog ecc. — lodo cantando alcuno festivamente (Pind.); = 6Bpi£w (Imer.), cf. émxwuozôuevos, trattato ignominiosamente (Plut. KwuıKög, scherzoso, comico (Plut., Luc., At. ecc.), xwuwdew, soprattutto nel senso di metto in commedia, rendendo ridicolo (Ar. ed altri com.); in genere metto in burla (Ar., Pl., Plut.) (5). Euros, appartenente a persona bacchica, in ispecie poi a quella processione che accompagnava a casa un vincitore d'una lotta — ërkümov, lode recitata pubblicamente (discorso, poesia) (com., pr. att.) (6). (1) Dal senso di “ sich belüstigen, sich unterhalten „lo Schmidt crede potersi trarre quello di óuuMa che Esichio attribuisce con altri (r&Aws, mardid, dein.) a éyia (Syn., n° 171, 3, = TV, pp. 207-8). (2) Una rad. li, Zi, onde leid, loid, lid, col senso di giocare (cf. Mie: maiza, Esich., lat. arc. loidos, loedus, onde lüdus, ant. ind. lila, giuoco ecc.) ora sembra doversi scorgere in Mpég. sfacciato, impudente (Call*) (cf. Mpaiva” dvardevetai, Esich.); in Audpôc, id. (Nic., Massim.), = \auupôc. óvoibfic. bewóc. 0paoóc. rouge (Esich.); in Aolbopoc, malédico, ingiurioso (Eur. Plut., A. P.), cf. Aowopeîv, che lo Schmidt interpreta colle parole * reden in unfreundlichem tone , (....meist deutlich aus übler ge- sinnung.....); schelten , (Syn, n° 4, 4, = I, pp. 189-41 ecc. ed anche p. 148). Per l'etimologia indicata v. Fick, Vgl. wrtb., I‘, p. 533; Prellw., ad v. Aoldopog; Stolz, Histor. gramm. der lat. sprache, Leipzig I, 1894, pp. 151 e. 359. (8) Danza di Traci con armi doveva essere il xoAafptouóc, probabilmente diretta da un canto petulante detto xöAaßpng (Poll, 4, 100). xoAafpiZu, danzo con salti,; xoXafpiZew: okiprôv (Esich.) schernisco, disprezzo (LXX, At.*). Cf. oxıprdw (v. sopra, 102). : (4) Come avverte lo Schmidt, “ wdAAcıv im gegensatz zu kpobav das anschlagen der saiten mit dem finger selbst bezeichnet , (Syn., n^ 113, 9, = III, pp. 291-2). (5) Intorno all'origine del nome kwuwdia dalla voce citata (k@uoc), non da kwun, villaggio ecc. v. Christ, Gesch. der griech. litter. ..... (nello Handbuch... d'Iw. Müller, VII), Nördl., 1889, p. 148. (6) Non è inopportuno richiamare qui alla mente del lettore l’esich. Oupgonhñyeç' ol èv tois Bakxelois èvBeaZbuevoi. Cf. mapévOupooc, manifestazione di non sentito entusiasmo (Teodoro ret. in Longino*). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 105 8 41. Strumenti vari di lavori e divertimenti. 513. unxovn, ogni strumento (uñxos), ogni oggetto materiale per effettuare che che Erdt. e post.) Cf. unxavéw in quanto significa astutamente, segretamente ideo, diviso (Om. e seggi). 4 sia — ogni modo accorto d'operare, invenzione, artificio, astuzia, raggiro (Es. okeüoc, arnese di qualsiasi specie ecc. Okeudlw, preparo ecc.; fornisco ecc. avackevdZw, raccolgo e porto via; distruggo — confuto (Arist., Pol.). KOTOOKEVÄLW, apparecchio, assetto — immagino, invento, macchino (Sen., Dem.); dimostro (Arist., Plut.). mapaokeudZw, appresto ecc. — suborno, induco alcuno a cattiva azione, produco falsi testimoni avanti a tribunale (Iseo, Dem.); tramo, macchino (Lis.*); fo raggiri prima del cominciamento d'un processo (or.). cuokeudZu, affardello, apparecchio ecc. — in- vento, macchino (Dem.); med., mi concilio ale. (con buone o cattive arti) (Sen., Dem. Plut.); tramo (Dem., Plut., Luc., D. C.). OKevomolew, appresto arnesi ecc. — tramo con astuzia, con inganno (Iper.). Aggiungasi cuokevwpéopor nel senso d’ordisco astuzie, raggiri (Dem.*). 515. rpipog, rete da pescatore — parlare oscuro, enigma, per avviluppare ale. (com., Luc., At.; ..... vuoti Zfrnois oivıyuarWöng (Esich.) (1). 516. béAeap, esca — allettamento non materiale (Eur., Pl. ecc.). dekedlw, adesco — abbindolo (Sen., or. ed altri) (2). 517. Zeðypa, aggiogamento, giogo ecc. — figura con cui S'usa per più parti d'una proposizione composta un solo predicato ecc. (gr.); cf. EMELEUYUEVOV e guveleuyuévov (Quint.). 518. fivia, redine (fvíav Adpa yoMvoO, Esich.) — direzione, governo (PI. ed altri) (Esich. alle parole riferite aggiunge é£ovoía) dpnvié£w, sfuggo alle redini, al freno — disobbedisco, mi ribello (Plut. ecc.). eùnviog, che facilmente si può imbrigliare, guidare — docile, mite (id.). 519. oxdvdarov, lacciuolo, trappola — cf. cxavdéinop’ ..... enwv (Ar.*); inciampo (in senso trasl.), stimolo « peccare (N. T., scr. eccl.). 520. tépBpov, estremità d'antenna; estremità in genere, altezza massima — tep- Opeía, ciurmeria; vane, sottili ciarle (Isocr., Plut. ecc.); vana apparenza, illusione (D. L.); = Aoyonayio. ånátn. phuapio. PAnvapia (Esich.). Cf. tepdpevonaı (Dem., Arist., Plut.): TepApevovtar: dmatòviai (Esich.); notisi anche l'altra glossa tep@peverv: tnpeiv. oko- neiv. Amopeiv (3). (1) V. Pillon, n° 40, p. 55. (2) G. Curtius congiungeva etimologicamente con békeap il nome 6630€ (Grundz.’, n° 271, p. 237, ct. Od., xu, 252), significante ogni artificio per ingannare ecc. (Om. e post.). Ma intorno all’origine di tal nome v. Prellw., ad v. (3) Le parole di cui qui ci diamo pensiero “ ein leeres wortgepränge, dem ein wahrer inhalt fehlt, bedeuten. Und so heisst denn TepOpeia überhaupt das herausklauben künstlicher ausdrücke und die virtuosität im gebrauche hochtonender terminologien u. dgl, so wie in der handhabung des formellen der sprache überhaupt (Syn., n° 6, 9, = 1, pp. 168-9). Pochi reputeranno non inverisimile, con G. Curtius (Grundz.’, n° 317, p. 217), che tepOpeia deb- basi unire con Opéouc, fo risonare ecc. (v. sopra, 471), disgiungendolo da vépOpov (op. cit., n° 238, p. 222). D Serie II. Tom. XLVI. 14 (n. 513—520) — (n. 521—531) 106 DOMENICO PEZZI 921. Ogporíc, sigillo — opparizw, sigillo — confermo, approvo (N. T., S. Emp., AEP). 522. otáðun, piombino, squadra ecc.; norma. otaðuáw, per lo più med., mi- suro colla ováOum, misuro in genere, calcolo, estimo — giudico (Erdt.), congetturo, in- ferisco (Erdt., Sof., Teofr.); pondero, esamino (P1.). 523. MikuGoc, ampolla del olio; ampolla per balsami, colori, belletti — ornamenti retorici del discorso eco. (Cic.*, Plin. il giov.*). Cf. lat. ampullae, pigmenta. 524. oxipapog, bossolo per dadi — furfanteria (Ippon.*). oKıpapWöng, mali- zioso, briccone (less.). 525. aùNdg, flauto. ‚avaukog, senza suono di flauto — senz’allegrezza (Eur.): cf. äxopoos (Arist.*). KOTOUAËW, suono il flauto — ammalio col suono del flauto, m’impossesso dell'animo d'aleuno (Pl., Alcifr.). B. LA VITA SOCIALE. 8 42. La famiglia (1). 526. vóðoç, illegittimo. vo6eóu, falsifico ecc. — vo8eóev dmoorpiot. éraré. XoAaxeóer (Esich.); pass., sono attribuito falsamente ad ale. (di scritti) (D. L.* ecc.). Umovodevw, seduco, corrompo (LXX). 527. dbeApóc, fratello (uterino), prossimo congiunto di sangue — correligionario (grecità bibl.). Cf. ddeApn. 528. nörvia, signora (cf. ant. ind. patnī, moglie, signora; mée, marito ecc.) — epiteto di riverenza dato a dee ecc. (Om. e segg.). motvidonoi, invoco una dea, invoco umilmente (Filone, Plut., Luc., El., Alcifr. ecc.). ; 529. àvopórmobov, schiavo (2) — uomo di bassi pensieri (Sen., PL, Dem.). àv- dpamodWöng, di basso sentire, operare (Sen., Pl.). 530. dodo, servo, schiavo (3) — parola di sprezzo (Lis.*) (4). 531. Oepaneúw, servo con cura fedele ecc. — rendo culto (agli dei) (Es., Eur., Sen. ed altri; cf., in tal senso, 6epaneia, Eur., Isocr., Pl.); apprezzo, venero (Pind., Erdt., (1) Blümner, pp. 71-6; Corstens, pp. 27-85. (2) Sottint. npóßarov: v. alle due voci cit. il Prellw. che interpreta “der mit menschlichen füssen versehene teil des TPORATOV, viehes ,, ossia “ auf mannsfüssen sich fortbewegender besitz, d. 1. sclave ,. Per altre assai meno probabili etimologie v. Vanicek, op. cit,, p. 983; Ebeling, ad v. Lo Schmidt (Syn., n° 162, 2, 3, = IV, pp. 125-7) definisce dvòpamodov colle parole “ der sklav als eine blosse ware ,, e, dopo aver citato l’ dvöpdnoda congiunto con $00Aa in Sen. ((EM., I, vi, 15), nota che “ nur doûhoc auf das dienende verhältniss sich beziht, ävèpémodov aber einzig auf den zu- stand und die beschaffenheit des sklaven.... Daher ist dvópómobov in übertragener anwendung nicht ein unterdrückter und männlichen mutes entbehrender mensch, wie dodos, sondern ein unwissender, roher, und geistig verkommener mensch.....,. (3) Oltre a quanto leggesi nella nota precedente lo Schmidt avverte (1. c.) che in dodAog * ist der begriff der unterwürfigkeit besonders ausgeprägt, weshalb das wort auch den menschen bezeichnet der üblen leidenschaften und begierden sich unterordnet. Ferner ist die vorstellung mangelnder tat- kraft und mutes damit verbunden ,. (4) Qui giova anche far cenno della voce u69wv nel senso di schiavo nato, allevato in casa (ol- KOYEVAG, verna) — petulante ecc. (Ar.*): uWwdovag: TOÙG TApPatpepopéevouc, TOÙG Aeyouévouc Tmadioxous. Adxwvec. of dè oe bouAompermeic. vol onepuohóyous. uoBwvia’ dAaZoveta (Esich.). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 107 Eur., Pl. ece.); bado, fo attenzione a (Sof., Tuc., Dem. ecc.); adulo, mi concilio adulando (Tuc., Dem. ed altri) (1). 532. MorpeUu, servo per prezzo (2) — rendo culto, obbedisco a, mi lascio dominare da (Sen., Isocr., Plut., N. T., Luc.). 533. éotia, focolare domestico, in ispecie come sacro. épéorioc, nel, presso al focolare — supplice (sedente al focolare) (0d.*, tr., Ap. R.) ecc. 534. oîkoc, casa ecc. oikéw, abito ecc. — amministro, governo (Sof., Tuc., Sen. ed altri) ^ oixetoc, di casa, domestico — familiare (metafor.), fidato (Erdt., Att., spec. pros.) (3). Cf. oikeiórne, dimestichezza, confidenza, amicizia (Tuc., Pl. ed altri), anche proprietà di locuzioni (Plut.); oîkerodpar, pass., divento familiare con alc. (Luc. ecc.); med., rendo altri familiare con me (Erdt., Luc., Alcifr.). $ 48. La città, materialmente e socialmente considerata (cit- tadini; stranieri, genti varie) (4). a) 535. otu, città (spec. Atene, negli Att.) (5). doteîog, cittadinesco, fine — educato, urbano, arguto, anche buono (Ar., Sen. ed altri) (6). ^ àoceiouóc, discorso (od atto) fine, spiritoso (D. A., Fil.). eveAdoteıog, che vuole parer fine (Eliod.). Cf. nomc, con moderazione (Pol. ecc.). ; 536. müpyog, torre, opera di fortificazione ecc. mupyóu, munisco di torri, for- tifico, elevo — esalto, lodo (Eur.); esagero (id., Mimn.*): pass., vo pettoruto, sono orgo- glioso (Esch., Eur. tuproùta:: üyoûroi (Esich.). 537. oThAn, colonna ecc. ommkıreuw, serivo su colonna — rendo moto (Plut.*, Filone, ser. eccl); rendo infame (iid.): omkretoga ` mi ornAng Ypdyar, Bpıaußeücaı, 5nuocie0oat, mapadeıynarioan (Esich.) (7). b) 538. dfiuos, popolo, parte di popolo ecc. (8). ónuocióu, fo diventare di proprietà dello Stato — rendo noto (Pl, Plut.) Aggiungi rà deonuooieunéva, le cose note a tutti (Arist.). (1) * Ein allgemeiner ausdruck für jede, auch unmoralische dienstfertigkeit und sich unterordnen unter die interessen eines anderen ist depamebeiv....., (Schmidt, Syn., n° 131, 4, = III, pp. 442-3; cf. Hb., n° 25, 2, p. 98). * Gepomebav..... wird... gebraucht von jedem dienste bei dem es sich um sorgfalt und treue handelt, und der zum teil, wie der gottesdienst, die pflege hochbetagter eltern, die sorgfültige beobachtung der gesetze, ebenso aber auch das hofmachen bei einem mädchen, innere neigung erfordert , (id., Syn., n° 164, 4, 5, = IV, pp. 138-41). (2) Aut. cit., op. cit., n° 164, 3, — IV, pp. 137-8. (8) L’ oîkeîov è veramente, come scrive lo Schmidt (op. cit., n° 135, 1-3, = III, pp. 471-4), * das mit uns innig und familiar verbundene , (contrapp. ad dAAötpıog, “ fremd „). (4) Blümner, pp. 181-97; Corstens, pp. 123. (5) Intorno alla differenza di significato fra dotu e mÓMc v. Schmidt, op. cit., n° 79, 1-5, = II, bp. 495-502, ov'è notato come doTv, soprattutto nell'uso omer., sia propriamente la città come di- mora, mentre mée è già la città come sede di signoria ecc. (6) Come insegna lo Schmidt (Mb., n° 26, 4, p. 103), * .....bezeichnen doreiog und dotasrng, ur- banus und urbanitas die feine stüdtische bildung, zu der auch die gewandtheit im reden und namentlich in feinen scherzen und witzigen darstellungen gehört ,. (7) Si può qui non inopportunamente far cenno anche di y&pupa, ponte, onde yepupičw, mot- teggio, dico improperi (Plut.*): cf. yepupiotai: oi oxümco: émel èv 'EAevoivi émi Tfj; yepÜüpac Toic MUSTNPIoIg koOeZóuevoi Eokwnrov Tote mapióvrac (Esich.; v. anche la precedente glossa Yepupig). (8) In senso ‘civile, politico’, non ‘etnico’. V. Schmidt, Hb., n° 73, 4, p. 316. (n. 531—538) an 77 (n. 589—549) DOMENICO PEZZI 539. idiwrng, uomo individuo, privato (contrapposto «llo Stato, all'uomo pub- blico) ecc. — ignaro d’aleun’arte, in genere incolto, ignorante (Ippocr., pr. att., Luc.). 540. Zévog, straniero ecc. — straniero in alcunchè, ignaro (Sof., Teocr., A. P.); nuovo, inusato, destante meraviglia (Esch., Luc., Alcifr. ecc.). Cf. ZeviZw come signifi- cante fo meravigliare (Pol. e post.); pass., mi meraviglio (Pol., N. T., At.). c) 541. Botwtóc, beota — Borwriälw, (mi comporto da beota) — mi comporto con sciocca semplicità (com. in Stef. biz.): cf. Bowriog voüg (paremiografi). 542. Kpng, cretese. xpntizw, (procedo da cretese) — mentisco, inganno (Plut., A. P... Cf. davamapiaZw, muto intenzione a tradimento come Tidpior (Eforo in Stef. biz.). 543. Xórupow satiri — catupixés, simile a satiro — sventato, scherzevole (Plut.). Cf., nell'ultimo senso cit., oatupi£w (CI. A1.*). $ 44. La lotta (in largo senso) (1). 544. uéxouon, lotto (soprattutto in battaglia), lotto (in genere) (2) — contendo con parole, contraddico (Il.); contendo come scienziato (Pl). àmoudgopa mi difendo (par- ticolarmente da un punto più alto) — ricuso ecc. (Erdt., Sen., D. A.). TTEPINÄXNTOG, combattuto intorno — assai desiderato (Sen., Pl., Arist. ecc.) 545. moaíw, lotto. máAoiwpa, artificio di lottatore — ogni artificio, scaltro ac- corgimento, astuzia (Att.); nélmoua’ kaxoreyvia (Esich.). 546. 6mov, arnese qualsiasi; arme (soprattutto arme pesante e difensiva) (3). üneporrkog, insolentemente fiero della forza delle armi (4), tracotante ecc. (Il, Es., Pind.) (5). Cf. ómepomMn, üneporAiloua. üreponkiaig' Umepnpavia, ÜTEPPPOOUVMG....... ónépomAov: ómép TO déov. únepńpavov. Tueubéc (Esich.). 547. tozevw, scaglio coll'arco, ferisco — miro a, ho intenzione (Eur., Plut.). 8 45. Commercio e furto (6). D 548. äpyupog, argento. Gpyüpiov, moneta d'argento, denaro. | àváprupoc, senz'ar- gento, senza denaro — incorruttibile (Poll.). KATNPYUPwWUÉVOS, corrotto col denaro (Sof.*). 549. xiBdnAog, falsificato, impuro (particolarmente di metalli mobili) — ambiguo Erdt.); infinto, ingannevole (Eur., Pl, Luc.); ingamnatore (soprattutto in commercio) , ng G P (1) Blümner, pp. 176-81; Corstens, pp. 113-23, 75-9. (2) Pillon, n° 26, p. 36. (8) Aut. cit., n° 342, p. 447. (4) Prellw. ad v. Altre assai meno verisimili etimologie v. nel lessico dell'Ebeling, ad v. (5) Con questo composto greco si designa, come dice lo Schmidt (Syn., n° 176, 4, 7, = IV, pp. 268, 271): “ was zu weit geht im reden und tun ,: Pomer. ÓnépomAov eimeîv egli traduce liberamente “ unbedachtes reden p. (6) Blümner, pp. 157-75; Corstens, pp. 98-7. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 109 (Teogn., PL, Dem 3... Zen dè kígonhig Ev roig ueráM oic oxwpia, Ae ñs mv palov KißdnAov, uoxenpóv, weü(c)ua, vóOov, ddökıuov (Esich., ad v. KıßönAıWvras) (1). 550. eüreM|g, che costa poco, di poco valore — eùteMZw, stimo poco, disprezzo (Anacr., Plut., Luc.). eureltouög, termine retor., lat. extenuatio (Longino*). 551. dneuro\dw, vendo — tradisco (per denaro) (Bur., Ar.). 552. xómnogc, trafficante a minuto, rivendugliolo (specialmente bettoliere) — in- gannatore (Esch.*). Cf. xormhkóg come significante ingannevolmente astuto (Poll.); ka- mmkegu nel senso di falsifico (N. T.); xannkevovreg' npayruateuôuevor (Esich.). 553. vréougt, m'acquisto — mi propizio alc. (Sen., Plut.). 554. Wveouoı, compero (2) — corrompo (Dem., Plut. ecc.). 555. dréuBw, danneggio, privo, defraudo — med., m'adiro com ale., rampogno (Ap. R.); dréufeoôm: orepeodaı, óbuvác0o1 (Esich.). 556. xAentw, rubo, di nascosto, per inganno (3); fo alcunchè occultamente ecc. — inganno (con fine scaltrezza) (Il. e post.). x\otn, furto — astuzia, inganno (Sof., Eur., Eschine). émik\otog, furace — ingannevole, scaltro, valente (ep., Esch., PI, App. ecc.) (4). 557. púp, ladro. pwpaw, cerco, sorprendo il ladro ecc. — cerco, scopro, rico- ^osco, convinco (Eur., Dem. ecc.). Fra le glosse esichiane che si riferiscono a questo Verbo basti citare pwpâ: Znrei, con qupafvai: yvwobñvor, éAeyyOfjvon, e ....... Qupd- Oavrec* EÜPÖVTES TÀ KANG... (1) Sia qui ricordata anche la voce Ouwpitng, che esamina monete ecc. — che giudica (x4Movc, Licofr.*). (2) Propriamente Wveiodaı è, nota il Pillon (n° 21, p. 28), * mettre ou proposer un prix à un objet pour l'acheter ,. (3) Intorno a kAémru come contrapposto a äprétw v. Pillon, n° 96, p. 140, ecc. (4) V. Ebeling, ad v. (n. 549—557) Y — S ELENCO ALFABETICO DOMENICO PEZZI delle parole più notevoli menzionate nei due SAGGI (o aßarrıc, 488 N. áBpovu, 18. åyaðóç, 232 N. ayarıw, 19. äyauaı, 1 N. &yeipw, 227. äyküloc, 74. dyAata, 298. aypöc, 329. àypurvéw, 478. drxw, 44. äyw, 108. aderpöc, 527. ábpóc, 344. &c(bw, 474. dën, 330. à8epizu, 249 N. äOpéw, 446. otov, 277. aiéloc, 183. aipéw, 204. atpw, 191. atoddvouan, 444. aîoxoc, 484 N. aitéw, 468 N. äiw, 444. aiwpéw, 191. äkavda, 357. dxéopar, 482. áxoAou8éw, 210. äkovéw, 79. äakoüw, 454. dxpoaduar, 455. din, 95. dinua, 359. äMoxou, 205. ältaivw, 144 N. dAXoc, 33. dig, 323. &Aükn, 95. àAuxtTétw, 379 N. aXuodaivw, 95. &Avoow, 95, 379 N. dng, 375. ápaprávu, 215. duBAuc, 83. &uvóc, 373. äurAakiokw, 263. äuvuwv, 23 N. äubvw, 222. auboow, 172. àupi, 56. dupw, 8. avd, 195. äväykn, 74 N. Avatvouaı, 231. &vbpámobov, 529. äveuoc, 331. &vri, 58. avrı-, 202. ävridw, dvtopar, 58. ävrhëw, 251 N. &moAóc. 262. annvnc, 384 N. ano, dmo-, 200. ämtw (unisco), 229. äntw (accendo), 278. äpapiokw, 230. äpyns, 299. äpyupoc, 548. äpéokw, 230. äperh, 230. apıorepöc, 63. äpuözw, 231. üprézw, 206. àapyn, 88. don, 421. doteupnc, 248. äotpov, 340 N. dotu, 535. àtdodarog, 401 N. åtéußw, 555. ärn, 491 N. a, 60. addi, 463. auAöc, 525. ab£ávu, 2. aboTnpóc, 293. aûTéc, 28. äxdoc, 256. AxAoc, 305. äxoc. 44. BaOuc, 47. Baivw, 90. Báň\w, 140. Bávaucoc, 502. Bápoc, 257. Bácavoc, 326. Baoráčw, 129. Bdelüoow, 297. BouAw, 297. Bigózu, 107. Bloc, 75. PAGE, 263. BAévva, 428. BAému, 447. Bon, 468. Bowröc, 54. BoukoAéu, 501. Boûc, 374. Bpaduc, 87. BpiOUc, 257. Bpiun, 257. Bpovrn, 337. Bpüw, 358. Buoodc, 48. (1) I vocaboli composti sono per lo più eselusi da quest’ Elenco ch’ essi renderebbero troppo lungo: sarà facile il trovarli nei due Saggi per mezzo delle parole semplici onde constano e che qui sono disposte giusta le lettere iniziali, coi numeri corrispondenti alle più piccole parti in cui sono divisi gl’Indiei precedenti. Coll’abbreviatura N. s’indica che una parola dev'essere cercata nella nota od in una delle note che si riferiscono al numero cui tal voce appartiene. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II yaiw, 300 N. yalnvn, 338. yavdw, 300. Yappubue0a, 464 N. Yadpoc, 300 N. YAdw, 457. Yévoc, 341. Yépac, 464 N. Yevw, 445. yfinuc, 464. Y^ioxpoc, 271. TAuküc, 201. Y\dooa, 391. Yvdurrw, 76. YoyyuZw, 459. Yöns, 470. Yôvu, 408 Y6oc, 470. Ypdpw, 507. Ypipoc. 515. daiw, 279. dakvw, 493. dartw, 173. dareonaı, 240. ddpvn, 354. deikvun, 453. bepiàv, 464 N. dékeap, 516. dekiöc, 62. déoua, 9 N. depw, 174. deuke, 108 N. dexonan, 207. dew (lego), 232. doç, 301. dñuoc, 538. ov, 9. did, 196. dtapiOuéw, 7. diddoxw, 207 N. ddwm, 203. dikn, 453. divéw, 184. diotdzw, 134 N. buyáv, 419. Zus, 112. bokáZu, doxevw, 207. dokéw, 207. bóXoc, 516 N. do0hoc, 530. dpdocoua, 208. Apnuge, 174 N. dpopdic, 97. duoméupehoc, 335. dÜW (numerale), 9. bow (verbo), 197. èrron, 406. èyeipw, 479. &bw. 416. Elou, 440. Iëpehu, 249. eidov, 448. eikdZw, 30. eixf, 30 N. eikw, 216. eiiew, 135 N. ein, 91. eipyw, 223. de, eio-, 199. ëtokw. 30. èk, éx-, 201. éiavvw, 114. &\appöc, 259. eAeyxw, 259 N. èkeñeepoc, 92 N. &oow, 185. €Akoc, 490. É\xw, 165. 69,154) éveóc, 488. eEirnAog, 91. erreiyw, 113. émnavoin. 95 N. eni, 68. emı-, 202. émoküviov, 386. ëmoc, 465. épaua, 230 N. épeidw, 220. Epxoc, 223 N. epußpöc, 311. čpxoua, 92. éobiw, 416. éotia, 533. érepoc, 34. env, 132. eb00c, 72. edvétw, 430. edTehñc, 550. &xw, 249. Eyidouar, 508. Zedyua, 517. Zew, 284. Areonaı, 108 N. nddc, 292. MAaivw, 95. fiuepoc, 351. via, 518. Nmeponeuw, 34 N. mów, 316. Tioca, 15. fitop, 401. "xf, -w, 317. 6dArw, 273. Oéa, 449. Dë, 147 N. Bélw (v. éékw, 249). 6epameóu, 531. Oépoum, 274. Eñyw, 80. Onpevw, 500. dıyyavw, 142. Dä, 151. Gópufoc, 469. 0pácou, 126. Opnoxevw, 249 N. Opoéu, 471. 0puAéu, 471. Gpüomcu, 162. Buuöc, 115. BupoonAniyes, 512 N. Dom, 115. Buwpitng, 549 N. iaivw, 275. tdwbrng, 539. töuwv, 448. nm, 109. 1906, 72. ixvéouat, 93. iMéc, 437. tóg, 308. coc, 29. totnm, 134. loxvóc, 350. irauóc, 91. loxupóc, 12. xa(y)xázw, 458. xa8aípu, 16. xa0nxw, 93. xaiw, 280. xakóc, 266. kakéw, 468 N. xdAvupa, 307. xavwy, 73. kámnoc, 552. xapbía, v. kéap. xaprepéu, 13. xaccou, 503. xaxd, 66. xara-, 195. kauxdouar, 468 N. xéap (kp), xapdia, 402. keiucı, 245. xeladew, 318. keAatvóc, 312. KEMw, 116. Kevôc, 251. xévtpov, 412. xemqóc, 368. kepdvvun, 235. xépac, 383. xepaoßöAog, 383 N. képroc, 413. 111 112 xeprouéu, 161. xéprouoc, 402 N. kepaın, 381. know, 244. xnAéu, 468 N. xnic, 21. knpüoow, 468 N. knphv, 363. KißönAoc, 549. kbdpn, 376. x(upiz, 486 N. kivadoc, 377. kivéw, 106. xıavw, 214. xAduy, 1622. xActu, 224. xAéoc, 456. xAértw, 556. kAivw, 179. kAUW, 456. xAwow, 504. xvizu, 143. xvırrela, 148. xoióc, 32. xoXdZw, 163. KOÂGE, 116. koAAdw, 272 N. xo\ovw, 163. x6Mroc, 395. kôun, 382. kóumoc, 319. xóntu, 156. xópa£, 369. xópoc (sazietà), 422. xópoc (xodpoc), 496. xópuZa, 429. kopupn, 381 N. Koouew, 20. kôtoc, 82 N. xodpog, 260. kpatéw, 13. xpéuauar, 193. Kpñc, 542. xpivw, 239. xpóroc, 320. xpovw, 157. xpuepóc, 286. Kpurtw, 307 N. Krdouaı, 553. xußıordw, 381 N. kuddzw, 472 N. kukáw, 236. kükAoc, 78. kuAivow, 186. xuvoAdimng, 375. xuvéw, 438. Kom, 180. xupéw, 211. klwv, 378. kwkúw, 472. DOMENICO PEZZI uge, 512. xugóc. 83? Aófpoc, 209. Aaibpóc, 508 N. XakiZw, 175. MaxTtiZw, 442. AauBévw, 209. Aaumpóc, 302. Aauupôc, 415. Aáo0n, 321 N. Adokw, Aatpevw Méyw, 2 Meîoc, y Aéugoc. 430. Aénw, XeuyaXéoc, 164 N. Aeuxóc, 310. Arıkudog, 523. Ai6oc, 324. Awrapric, 272 Aıpöc, 508 N. Myvoc, 4152, Aoíbopoc, 508 N. Ao£óc, 52. Àógoc, Aókoc, Abun. 22. Agen, 164 N. Avooa, 379 N. Aou, 242, 3. uazáu, 424. uaiouar, 143. uakpóc, 41. uaAakóc, 263 uapaivw, 164 N. uacdoua, 417. udyomar, 544. udy, 86. uérac, 1. uébouot, 10. undouaı, 10. ue00u, 425. ueióu, 6. ueîpaë, 497. uéAac, 313. uéAeoc, 263 N. uélooa, 364. uédoc, 476. uévw, 246. uécoc, 55. uera-, 202. uérpioc, 10. une, 10. unxavn, 513. waivw, 23. utrvuu, 237. uößwv, 530 N. uolüvw, 24. uvéw, uu, 439. uuxthp, 387. uduap, 23. uuooc, 23. uüww, 365 N. uukóc. 23 N. u®uoc, 23. uwpöc, 164 N. 4 véuw, 241. vevinhoc, 487 N. veótnc, 498. vevw, 436. vfipu, 426. vizw, viru, 17. vóðoç, 526. vócoc, 434. vooow, 154. vü)Toc, 393. £évoc, 540. öykoc, 258. 6666, 94. òduvn, 270 N, 416 N. oiba, 448. oibáu, -éw, 346. oixoc, 534. oikroc, 484 N. otun, 91. oloróc (cf. pépw), 130. oîotpoc, 365. diw, otouai, 367 N. olwvöc, 367. ókpidu, 81. dMoBaivw, 104. óXoAUZw, 473. duarizw, 270. dunéw, 71 N. öuordw, 31. ópoppo8éu, 71 N. oupakiac, 361. òvia, 253 N. E, 407. dEUC, 82, 294. Sms, 450 N. ômhov, 546. öpyn. 347. öpeyw, 166. ôp@6c, 51. öpivw, 117. ópkoc, 223 N. öpun, 118. öpoc. 38. ôpxéouo, 509. dooeia, 450 N. Gogougt, 450. üthoc, 132. òtpuvw, 119. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, II 113 ovAn, 491. Doc, 366. dppuc, 385. òxéw, 131. dye, 89. Tamtdin, 360. mais, 495. Taraiw, 545. raAdun, 406. Tarw, 60. Tarv-, 202. TAXA W, "opd, 69. Tapa-, 202. Tapév8upcoc, 512 N. Tépror, 542. Tg, 4. marácou, 158. nortew, 152. maybe, 252. Teiva, 414. meipw, 198. méurw, 110. mépac, 39. mépbu, 462. nepi, TEPIOOOG, 57. neoow, 289. Terdvvuui, 43. Tevdouar, tuvedvouar, 479 N. anddw, 101. maivw. 345. mEZW, míOnkoc, 380. Tikpóc, 295. riumnu, 250. mívoc, 25. TivuTÓc, 332 N. Tivw, 420. nintw, 105 mAdyıog, 53. mÀaváu, 111. mAdoou, 243. matig, 42, Tiéyua, 233. TAe0ptZu, 11. TÀéováZu, 3. mAnoıdzw, 67. mnoow, 159. "tw, 17 N. nvew, 332. motéw, 243 N. morkiAog, 314. Touatvw, 501. -moAdw, 551. mois, 535. méhoc, 187. mommuzw, 462 N. Topveia, 435. Tópoc, 198. Serie IL. Tow. XLVI. môtvia, 528. mo, 37. movc, 409. mpamíc, 403. mpéoBuc, 499. mpiw, 505. mp6, 59. mpo-, 202. mpoañc, 100. mpéBarov, 371. mpóc. 70. mpoo-, 202. mpoonvhc, 384 N. mpécwmov, 384, nraipw, 431 mrépva, 410. ntepöv, nrnvôc, 404. nrnoow, 105. nrüpw, 105. TTUO0U. 225 mrüw, 432 rrwoow, 105. mika, 253. nûp, 281. TÜpyoc, 536. farizw, pférrw, 234, 503. fayic, 392. peußw, 188. perw, 194. few, 99. piro, 287. pinrw, 141. Die, 388. forxaouôc, 462. puOuóc, 99. furaivw, 26. wun, 14. ca0póc, 147 N. oolvw, 443. oékoc, 103. odpz, 411. Zdrupor, 543. oäpa, 303. céfoua, 217 N. oelw, 121. oeAnvn, 340. cevw, 122. otmAóc, 477 N. ciòdnpoc, 327. oıkxalvw, 423. ounmropdéw, 462 N. ownn, 477. oxaióc, 63. GkávboAov, 519. okapipéoua, 149. oxémtopar, 451. oképBoloc, 321 N. oxedoc, 514. OKATTW, 221. okıvdarauog (0%x.), 355. okipapoc, 524. oxıpraw, 102. okAnpôc, 266. okoMôc, 77. okopmiog, 362. okôtoc, 306. oxußakizw, 140 N. oxiza, 434. orbAAw, 176. ouepdakéoc, cuepdvoc, 493. OutKpóc, ouuxw, ooßew, 123. onapdoow, 177. otaprdw, 348. ondw, 167. onevdw, 138. onépua, 343. onepxu, 124. otevdw, 125. oniXog, 27. omAdyxva, 399. otáðun, 522. oreyw, 308. oTéAAw, 135. oreußw, 153. otevòc, 45. otepedc, 261. orepvov, 396. OTEÔTO, OTfj8oc, otóua, 389. oréuaxoc, 400. oTóugoc, 390. oropevvun, 168. oroxdZouaı, 212. otpayraubènc, 189. oTpeBAóc, 189. orpepw, 182. orpnvıdw, 261. orpupvöc, 296. otuyew, 288. orupexög, 254. oa, 71. ouv-, 202 N. ovpw, 169. opaddzw, 441. opdıAw, 128. opparic, 521. opuyuög, 427. oxioua, 164. rareıvög, 49. tapdoow, 126. 15 AINE | 114 tåoow, 137. Téyrw, 265. reivw, 170. Teipw, 145. Tékuap (meta), 40. Tékuap (segno), 304 N. Textaivouar, 506. "ém, 192. Téuvw, 161. Tépac, 339. TépOpov, 520. Tépmu, 422 N. rerinuan, 1532. Tetpdywvos, 84. Thkw, 255. Tnpéu, 145. Ti8acóc, 352. TiOnm, 136. TIMW, 178. rıvdoow, 127. TiTpWokw, 492. Toxwpuyoc, 155. Tozevw, 547. TéToc, 35. tpdyoc, 372. Tpéxnhoc, 394. Tpaxùg, 267. Tpénu, 181. Tpexw, 98. Tpißw, 146. TpuralbnnE, 375. Tpupdw, 162. Tpüw, 145. Tpbyw, 418. ruyxavw, 213. TuMoow, 190. rüroc, 160. TupAôc, 487. TÜqu, 285. Üppic, 46. DOMENICO PEZZI dy, 481. Uypòg, 264. Übnc, Übvnc, 475 N. üdw, óbéu, 475. hoc, 337 N. ayua, 461. ünep, 64. brep-, 195. uno, 65. úro-, 195. Droe, 61. $00Aóc, 337 N. ÜOwnAóc, 46. paidiuog, 304. pépuaxov, 483. péBoua, 218. œpeivoucu, 164. pépw, 133. qeovu, 219. qnAóc, 349. qnut, 303. qOérrouaw 466. qetpu, 2442. q6óvoc, 244? N. qAéru, 283. qAébuv, 349. pAñvapoc, 349. Pivat, 349. Pidapog, 349. portdw, 96. «óvoc, 494. pphv; 403 N. ppioow, 268. ppvdooouaı, 460, quAaE, 45 œÜpw, 238 quodw, 333. qiu, 342. quvn, 467. qup, 557. xaivw, 226. xakdw, 171. xoXkóc, 328. xauaı-, 50. xaunAóc, 50. xapdoow, 150. xaudw, 336. xeip, 405. xéw, 139. Xen, 276 N. xadh, 304 N. xaiw, 276. Xo, xóAoc, 433. xopevw, 510. xpaivw, 144. xpwua, 309. XwAóc, 486. xWouan, 139. Muno, 36. xwpew, 217. waAuóc, 511. ydw, 147. weAAóc, 489, weddoc, 322 N. wfipoc, 325. yid, 325. wi8upoc, 322. yug, 147. wóAoc, 285 N. wógoc, 315. wOxoc, 288. yúxw, 334. Wdig Liv, 485. Wweizw, 1282. wuéc, 290 Wveouan, 554. (po, 85. (Toc, 370. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, IT 115 CONSIDERAZIONI FINALI Chi abbia posto mente alla quantità di parole appartenenti a ciascuna delle sei grandi classi d'esempi esposti nei due Saggi e delle minori in cui esse vennero divise e suddivise non può non avere notato quanto varia sia l'estensione delle une e delle altre, quanto vari i limiti entro i quali esse contribuirono all'espressione metaforica di concetti psicologici. Fra la classe sesta ed ultima (Idee biologiche, n° 341-557), la più ricca di serie di vocaboli, e la prima (Idee di quantità, n° 1-11), che fra tutte è la meno fornita, stanno la quarta (Idee di movimento e di quiete, n' 90-249, con molti composti) la quinta (Idee fisiche ece., n* 250-340), la terza (Idee di spazio e di tempo, ^ 35-89) ed infine la seconda (Idee di qualità, n' 12-34). Dei molti vocaboli signifi- canti idee biologiche i più si riferiscono alla natura organica (n° 341-499), la minor parte alla civiltà (n° 500-57): fra i primi soltanto pochi spettano alla natura orga- nica im genere (n 341-52) od al regno vegetale (n° 353-61), mentre i più numerosi con- cernono il regno animale (n° 362-499), soprattutto istinti, funzioni del corpo (n° 414-94), e qui si notino in ispecie le idee d'atti fonetici (n' 457-77) e di senso (n° 444-56); fra i secondi quelli di vita sociale (n° 526-57) superano di poco gli altri, indicanti lavori e divertimenti dell'uomo e loro strumenti (n° 500-25). Alla gran copia di voci esprimenti idee di movimento (n° 90-244?) pochissime parole si son fatte tener dietro denotanti quiete (n° 245-9): nella categoria delle prime quelle che ritraggono movimenti consi- derati soprattutto nella loro qualità e quantità (n° 90-178) e segnatamente movimenti vari impressi ad un corpo (n: 106-78) sono un po’ superiori di numero alle altre che cor- rispondono ad idee di movimenti considerati nella loro direzione (n° 179-244), fra le quali meritano qui speciale attenzione le idee di var? atti connesse con idee di‘ moti a luogo? o di ‘moti da luogo’ (n° 203-2442). Le idee fisiche ecc. che meno scarsamente delle altre si videro trasformarsi in concetti psicologici sono quelle di calore e di freddo (m: 273-90), di luce e d'oscurità, di colore (n 298-314). Di simile mutamento le idee di spazio diedero ai presenti Indici una serie d'esempi assai meno breve (n° 35-84) che quelle di tempo (n' 85-9): notevoli in principal guisa sono le idee di posizioni (n° 51-71), e, dopo esse, quelle di linee varie e loro combinazioni (n' 72-84). Le altre due classi (Zdee di quantità — Idee di qualità) fra i loro angusti limiti non esigono particolari considerazioni e ciò ch'è stato qui notato è più che sufficiente a mostrare in quanto varia misura le varie parti del lessico greco diviso in categorie ideolo- Siche concorressero alla produzione dei fenomeni di cui con questi Saggi si tenta di Promuovere lo studio. 116 DOMENICO PEZZI SAGGIO TE ZO CAPITOLO PRIMO Lo spirito umano in genere. QUALITÀ, STATI COMUNI A VARIE ATTIVITÀ DELLO SPIRITO UMANO. $ 1. Concetto di spirito. I. Idee di spirito in genere e d'animo: idee meteorolog. (mvedpa, 332; wuxt, 334); di movimento (far andare) (0uuóc, 115); di parti del corpo (otf8og, 397; omAayxvo, 399; Trop, 401; xfjp, Kapdia, 402; mpomíc, 403; ppv, 403 [cf. ppovew, ibid. NI. IL Idea di carattere: idee di movimento (volgere) (tp6mtog, 181). II. Idea di stato d'animo: idee di movimento (correre) (ëuëuée, 99). Sono in un certo stato d'animo: idea di quiete (xeîuar, diák., 245; v. anche &xw, 249). M’accosto o ritorno ad uno stato d'animo: idee di movimento (verbi di moto a luogo con cic, 199; dvatpéxw, 98; v. anche moto attraverso, penetrazione, évdbw, med., 197). Provengo da uno stato d'animo: idee di movimento (moto da luogo) (àmó, 200; èx, 201). Sono estraneo ad uno stato d'animo: idea di moto da luogo (&Ew, 201). IV. Idea di regola, norma: idee di limite (6pos, 38); di linee varie (Kavwv, 73). — Idea di deviazione dalla regola, dall'uso comune: idea di scabrosità (&vwpoMa, 270). (1) In questa terza ed ultima parte del suo lavoro l’autore, come avvertiva nella pagina seconda della Prefazione ai tre Saggi, si propose di presentare di nuovo al lettore la materia contenuta nelle prime due parti, ordinandola in tal guisa da far apparire con quanta varietà di denominazioni di origine metaforica siano stati nella lingua greca antica significati i singoli concetti psicologici la cui espressione trovasi indicata nelle pagine precedenti. Mentre in esse si procedette dai sensi non traslati delle parole raccolte e giusta essi divise ai varî significati metaforici assunti poscia da quei vocaboli per rappresentare fatti della vita dello spirito, nelle pagine seguenti chi scrive prenderà le mosse da questi, disposti coll’ ordine che parrà più opportuno, ricordando le famiglie, secondo i casi più o meno numerose, di parole che, acquistando a grado a grado valori più alti, divennero atte a ritrarre, in guisa per lo più assai varia, sentimenti, desideri, volizioni, pensieri. Già com- prende il lettore che nella scelta delle voci da citare non si varcheranno i limiti segnati ai due primi Saggi ed indicati nella Prefazione (v. la pagina terza). Ogni considerazione fatta intorno ad una parola nelle precedenti due parti di questo lavoro verrà qui omessa. Gioverà non di rado esporre congiuntamente le espressioni metaforiche di più concetti fra cui esistano strette relazioni d’affinità. Coll'intento d'evitare difficoltà che spesso esigerebbero non breve discorso nè talora potrebbero venir superate in guisa che appaghi, la parola o la serie di parole significanti un con- CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 117 $ 2. Idee di varie qualità psichiche. a) Idee d'altezea e di bassezea d'animo. 14 Y d V. Idea d’altezza, di nobiltà d’animo: idee di grandezza in genere (neyos, 1); di È dimensioni (altezza materiale) (bwos, 46); di posizioni (eminenza materiale) (brepñ- d Pavoç, 64); di movimento (im alto) (uertéwpos, 191); di natura organica in genere (revvoiog, tege, 341); d’animali (rpankés, paywdio, 372). Cf. anche l'idea d'essere liberale: idea d'andare (&keó0epog, 92 N.). — Idea di maestà : idea di scostare (Geuvóc, 217 N.); di peso (dyxog, 258). — Idea di degnità: idea di movimento (far andare) i (dZ106, 108). 1 VI. Idee di dassezza d’animo. Idea di lordura morale, d'ignominia: idea di sudi- ciume (u®pog, 23). Idea di volgarità, abbiettezza, meschinità d’animo: idee di gran- dezza im genere ((Ghuxpôs, 5); di nettezza (káðapua, 16); di sudiciume (poħúvw, 24); d'essere comune (kowóc, 32); di dimensioni (bassezza) (xaunh6ç, 50); di portare (pop- Tikóc, 133); di viscosità (rMoxpos, 271); di lavori ecc. (Bávavooc, 502); di famiglia ecc. (&vbpámobov, 529; dodiog, 530; póðwv, 530 N.). b) Idee di forza e di debolezza. d'animo. VII. Idea di forza morale in genere: idee d’angoli (revp&ruvoc, 84); di tendere, | con eù- (eürovos, 170); d’unire (?, dradég, 231 N.); di quiete (oxéThos, 249); di minerali (xöhkeog, 328). Raccolgo le forze mie: idea di far andare, con Guv- (ouvérw éuautév, 108). Supero: idee di correre, di saltare, con mep- (Ümeptpexw, 98; Urep- nnddw, 101). Accresco potere, reputazione ecc.: idea d'alzare (aïpw, 191). Idea di continenza (forte dominio sopra sè stesso): idea di forza (èrkpáreia, 13). Idea di vivacità: idee d'istinti e funzioni corporee (veglia, &rpriropa, 479). Idea di veemenza: idee di far andare (ëvarwvios, 108); di tendere (Evrovos, 170); di lacerare (?, dpıuic, 174 N.). cetto psicologico qui si farà precedere dalla sola indicazione del senso non traslato comune alla i famiglia di vocaboli cui tal parola o tal serie appartiene: si noterà, cioè, soltanto l’idea rappre- sentata da tutte le voci contenute in un paragrafo od in una delle parti in cui i più lunghi ven- | nero suddivisi (v., ad es., il $38, “Idee d’istinti, di funzioni del corpo , ecc.) Non si farà eccezione | se non per additare agli studiosi qualche prefisso, di particolare importanza semasiologica, che si troverà in vocaboli di eui subito dopo si farà menzione. Perciò spesso apparirà una lacuna fra il Senso non metaforico che verrà indicato ed il concetto psicologico. che vi corrisponde : a colmarla Sioveranno le notizie date dai due primi Saggi nei luoghi cui rimandano i numeri arabici che qui terranno dietro alle parole greche. Cosi, ad es., dal n° 249 tosto si scorge come fra le parole * idee j di quiete , e le voci greche scelte fra quelle cui è comune la radice get debbasi porre come termine Intermedio per chiarire lo svolgimento dei sensi il verbo tenere, che, per comodo del lettore, nelle 2 Prime citazioni di vocaboli appartenenti alla mentovata famiglia è stato notato fra parentesi, come sè fatto, in simili casi, per parecchie altre parole. Sia pertanto concesso sperare che la concisione imposta da ragioni di spazio alla forma dell’Indice seguente non lo renderà inetto ad essere di qualche utilità agli studî semasiologici, invitando i cultori di essi a considerare di nuovo, con me- todo affatto diverso da quello ch'è stato seguito nei due Saggi precedenti, i fatti che vennero ivi menzionati e compiendo così, entro i confini segnati al presente lavoro, l’opera intrapresa. 118 DOMENICO PEZZI VII. Idea di debolezza d'animo: idee di rompere (0pómrw, 162); di dolcezza (yAv- xuOupía, 291). — Idea di debolezza di fede: idee d'istinti, funzioni corporee (infermità) (TO xwA6v, 486). Idea d'insipidezza: idea di freddo (wuxpôç, 288). — Idea di svogliatezza: idee | d'angoli (äuBAôs, 83); di cadere, con àva- (ävaninrw, 105); d'atti fonet., con àno- (dm- | auddw, 463; dreîtov, 465; cf. àmayopeów, 227). Idea di tardezza: idea di tempo | (Bpabóc, 87). c) Idee di gravità e di leggerezza di spirito. IX. Idea di profondità psichica: idee di dimensioni (Baeüs, 47; Buooodonew, 48). | Idea di serietà (cf. dignità, severità): idee di far andare (omoubñ ecc., 125) ; di | peso (éuBpôñs, 257); d’acidità (adornpéc, 293; dzivns, 294); v.anche idee di parti del | corpo (6ppôs, 385; émokóviov, 386). X. Idee di superficialità, di leggerezza psichica: idee di fregare, grattare (oxapı- pdouoi, 149); di tirare (émovpw, 169); di peso (&Xappia, 259; xovpororia, -doëia, 260); di colori (Xeux6g, 310); di natura organica in genere (?, paños, 349 N.); d'animali f (xempos, 368); di parti del corpo, con eù-, npo- (eùxépeia, mpéxeapoc, 405;); d'età (maiZw, | 495; veórnc, 498). d) Idee d'attitudine e d'inettitudine d'animo. XI. Idea d’attitudine: idee di posizioni (be£tóc, 62); di toccare, cou eù- che riap- pare in parecchie delle voci seguenti (eUOuroc, 142); di fregare, raschiare (rpBaxôs, TPiB, Tpißwv, 146); di volgere (eùtpémerog, 181; xuMvbnoig [èv roig Aóyoic], 186); | d'aecostare (edotoyia, 212); d'unire (?, ara0dc, 231 NJ; di natura organicu in genere (áopóc, 344; edpuñs, 342 N.); d’istinti e funzioni corporee (senso, oîda, 448; atti fo- netici, &uueMic, 476). XI. Idea d’inettitudine: idee di posizioni (okméc, 63); di mollezza (uékeos, 263 N.); di piccolezza o di secchezza (?, xaxóc, 266 N.); di natura organica im genere (paükog, 949 N.); d'istinti e funzioni corporee (infermità) (xuóg, 486). e) Idee di moderazione e d'eccesso. XII. Idea di moderazione: idee di misura (pérpioc, 10); di porre (otéloua, 135); d'unire (xexpapévwe, 235); di nutrizione (vnpw, 426); d'atti fonetici (enneing, 476); di città (roMrwüg, 535). | XIV. Idea d'imparzialità: idee di grandezza in genere (nappnota, 4); d'essere co- mune (Kowóc, 32); di posizioni (uécog, 55); d'unire (dxépatoc, 235). XV. Idee d’immoderatezza, d'eccesso: idee di battere, con únep- (Umépkomoc, 156); | d'unire, con à- (dkpatog, 235); di gettare, con ürep- (ónepBéAAu, 140). | f) Idee di concordia e di discordia. XVI. Idea di concordia: idee di posizioni (cóv, 71; duv- con voci indicanti an- dare [ouufoivw, 90], cadere [ouunimrw, 105], portare [ouupépw, 133], porre [ouv- iotouoı, 134, e Guvrécooum, 137], tendere [oüvrovos, 170], scostare [ovrxwpéw, 217], CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 119 unire [cuvapuéZw, 231], quiete [oüvoxos, 249], soffiare [ouunvew, 332], atti fonetici [ouvaropeiw, 227, e npooyopos, 227, con cuvauvddw, 463, con Guupuwvéw, 467, con Suvddw, cf. mpooddw, 474]; óuo- in Önoppoßew, 71 N.); d'unire (dp@pios, &próc, 230); di separare (kataħúopor, con o senza móleuov, 242); di quiete, con èv- (orhkw [ëv tivi], 247); di viscosità (koN\Gouœu, 272); di famiglia (dbeMpóc, A, 527). XVII. Idee d'essere, di farsi seguace ecc. ` idee di posizioni (mAnoıdlw, 67); di cor- rere, con úno- (ümoppéw, 99); di cadere, con mpoo- (mpoomímru, 105), cf. úno- (omo- Tintw, ibid.); d’alzare, con èx- (èxxpeudvvupi, med., 193); d'accostare (dxoAovdew, 210); di quiete, con dva-, npoo- (ävéxeauo ecc., 245; mpocéyw, 249). Mi fo seguaci: idee di movimenti (fare, con mpoo-) (mpoonoroüugn, 243 N.). XVII. Idea di discordia, dissenso: idee di numero (bo, dixa, di-, 9); di posizioni (&ugicfnréu, 56); di portare, con dia- (diapépw ecc., 133); di porre (OráOig, 134; con dia-, dixo-, ibid.; con &-, aderew, 136); di fregare, raschiare (biatpifñ, 146); di rompere (oxioua, 164); di separare (Ava, 242); astronom. (cuvaotpia, 340 NI Qatti fonetici iapuvéw, 467). $ 8. Idee di varie modificazioni dello spirito. XIX. Idea di disporre l'animo, in genere: idee di far andare (ävéyw, 108; noun, 110); di porre (biaríónpi, 136 ecc.). XX. Idea d'eccitazione: idee d’angoli (üxováw, 79; eyw, 80; oëde, 82); di mo- vimenti impressi, in genere (xwéw, 106); di far andare (mpoßıßazw, 107; àvúrw, 108; vin, épinu, 109; &Xaívu, 114; évOuuéouo 115; xeAona, kekeüw, 116; óptvu, öp- vun, 117; órpóvu, 119; ceiw, 121; tapdoow, 126); di porre, .c. àva- (@viornm, 134); di versare (Guyxéw, 139); di fregare, grattare (xviZw, 148; xapéoou, 150); di tendere (&m- Teivw, 170); di volgere, con mpo- (mporpenw, 181); d’alzare (aipw pass., peréwpog, 191); di calore (é&&mtvw, 278; évauouo, ibid. N.; dioxaiw, éxx., 280; Zwrupéw, 281); meteorolog. (èm, èunvéw, 332); di parti del corpo ((àva)ntepów, 404 N.; taperrudw, 406 N.; xévrpov, 412). S'aggiunga napnyopéw (idee d'unire, onde dire, 227). Idea di tensione di spirito: idea d'aleare (aiwpew pass., 191). XXI. Idea d'infondere (sentimenti, affetti); idee di far andare, con èv- (èvinui, 109); Jeitare (èuBáMw, 140). XXI. Idea d'educazione: idee di far andare (ëmt, dywyn, 108); di far prendere (diddokw, 207 N.); d'età (moubeío, 495): di città (dotetog ece., 535). — Idea d’essere incolto: idea di campagna (&rpıos, 329). XXIII. Idea d'ispirazione: idee di correre (bpopác, 97); di far andare (Qvidg, 115); di prendere (NauBévw, 209): di quiete (xatéxw, 249); meteorolog., con èv- (éurvéw, 332; ÉUpÜONua, 333); di regno vegetale (dbapvnpéryos, 354). XXIV. Idea di perturbazione: idee d'andare (dn, 95); di cadere (mroéw, 105); di far andare (öpivw, 117; diaceiw, 121); di porre, con é£-, napa- (EZiomui, mapáorootc, 184); di versare, con duv- (curxéw, 139); di fregare, grattare (ouvrpißw, pass., 146 ; KVíZu, pass., 148); di premere (?, térinuo, 153 N.); di battere (cuvexkpovw, pass., 157; Tapakxpovw, ibid.; èknìńoow, éunAnkroc, katanınoow e napanMjoou, pass., 159); di rom- Pere (dan, 164 N.); di volgere (tiactpépw, 182); d'aprire (xacudopoi, 226); d'unire EH 120 DOMENICO PEZZI (xurdw, 236); di disfare (xfjbw, «ñdoc, 244); meteorolog. (Den ecc., 336; éugpóv- mrog ecc., 337); d’atti fonetici (8ópuBoc, 469); d'infermità (vócoc, 484; &rn, 491). XXV. Idea di quiete d'animo: idee di moto in basso, con à- (&ppewia, 194); di luce, con eù- (eùdia, 301); d'atti fonetici (?, vnihéu, 468 Nr di sonno (edvéZw, pass., 480). Per l'idea d'acquietare v. tapnyopéw (227). 8 4. Altre idee varie. XXVI. Idea di comportarsi: idea di portare (npoopepw, pass., 133). XXVII. Idee di costumi, usi: idee di fregare, raschiare (xapaxthp, 150 N.); di vol- gere (xpóroc, 181) (v. anche émmolä£w, 187). XXVIII. Idea (simbolo) di vita filosofica: idea d'abito logoro (tpißwv, 146). XXIX. Idea di fama: idee di prendere (dóza, 207); di calore (phéyw, pass., 283); di luce e d'oseurità (dioc, 301; Aoumpóc, 302; äparos, pńun, 303; péos [pérros], pa- vepóc, 303; paidınog, 304); di natura organ. in genere (kõdoç, 349 N.); di senso (äkoüw, 454; kìýw ecc., 456); d'atti fonet. (detdw, 474; Üdw, 475). — Idea di mancanza di fama: idee d’oscurità (oxéroc, 306); d'atti fonet. (ovtmAóc, 477 N.). XXX. Idea d'autorità: idea di peso (Bépos, 257); di natura organica in genere (xüpoc, 349 N.). CAPITOLO SECONDO DE benc diese nn tınnento. $ 5. Il sentimento in genere. XXXI. Idea di sentimento (d’esperienza, gradita o sgradita, di cose immateriali) : idee di senso (yevoua, 445). Idea di sede di sentimenti: idee di parti del corpo (otépvov, 396). XXXII. Idea d’impressione: idee di moto impresso in genere (xwéw, 106); di gettare (Békoc, 140); di battere (mAnkriZw, 159); d'infermità (TirpWorw, 492). XXXIII. Idea di commozione: idee di toccare (Ovrrávw, 142); di battere (m\oow, pass., 159); di rompere (èrkAdw, pass., émikx\dw, id., 1622); di volgere (&vrpenw, pass., 181); d'umidità (teryw, pass., 265). Idea di finezza, di delicatezza di sentire: idee di regno vegetale (Nentés, 355) — XXXIV. Idea d’abbandonarsi ad un sentimento: idea di far andare (&pinm, 109) — Idea di smaltire un sentimento: idea di cuocere (méoow, 289). $ 6. Sentimenti vari. a) Idee d'inquietudine e di calma serena. XXXV. Idea d’inquietudine : idea di fluttuamento (oakeüw, 103); di far andare (ocu, 121; omevdw, 125; rap&oow, 126); di portare, con duo- (duopopéw, 133); di gettare (fintaouòg, 141); di pungere (napavócou, 154). Idea di sollecitudine (affanno): idea di far andare (dyd)v, &rwvia, 108). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, IH 121 XXXVI. Idea di serenità di spirito: idee meteorolog. (rvaMepóc, 338). Per rassere- narsi v. versare, con dia- (diayéw, pass., 139). b) Idee varie di piacere e di dolore. XXXVII. Idea di piacere: idee d’ornamento (&yaXM&w, 19); di tempo (bpaños, vw- poiZona, 85); di far andare (0vuóc, 115); d'unire (dpéoxw, 230; cf. äpapiokw, ibid); di liscezza (Neïos, 269); di calore (yMw, 276); di dolcezza (&vbávw, 292, con dû, fibopot, ibid.; ef. yAvkig, 291); di luce (?, raiw, 300 N.); di matura organ. in genere (maivw, med., 345); cf. anche ooivw (443). XXXVIII Idea di felicità: idee di dimensioni (lunghezza) (udkap, -dipios, 41); di correre, con eù- (eüpora, 99); cf. anche ènonteúw (450). XXXIX. Idea di letizia, allegria ecc.: idee di calore (100, idatvw, 277); di dolcezza (dús, 292); di luce (àyhaïa, 298; yévuuor ecc., 300; péos ecc., Pérrog, 303; qoibpóc, 304); di minerali (yıdddow, 325); del regno vegetale (Bpiw, 358); d'amimali inferiori (uedippwv, 364); d'atti fonetici (low, 473). XL. Idea di diletto: idee di dolcezza (rAukitw, 291); di luce (arNota, 298); di nu- trizione (xépnw, 422 NA Idee di ricreazione, passatempo: idee d’andare (ërëm, 94 N.); di fregare, grattare Lterpupé, 146); di lavori ecc. (mouaivw, 501). XLI. Idea di dispiacere: idee di portare (poprixög, 133; cf. ugoe qépew, con metafora tratta da parte del corpo, 393); d’ acidità (acerbità, amarezza) (mıxpög, 295). XLII. Idee di dolore, tristezza, infelicità: idee di dimensioni (strettezza) (äyx6vn, dxog, diyvupar, 44); di posizioni (XoEóg, 52); di cadere (nintw [eig...], buometéw, 105); di portare (rákag, TMpuwy, 132); di toccare (Orrravw, 142); di fregare, grattare (teipw, Tpuodvwp, 145); di premere (?, terinuoi, 153 N.); di pungere (xatavicow, 154); di battere (xöntw, med., 156); di rompere (Xómm, 164 N.; Aeurokéoc, Aurpóc, ibid.); di lacerare (duiocw, 172; bámru, 173; dvadépw, 174; ox$Mopoat, 176; onopdoow, 177); di disfare (xfidog, xhdw, 244); di quiete (xeîuar, 245; Guveornkôtivs, 247; Gxéthioc, 249); di rarezza (poca densità) (tiKw, pass., 255); di gravità (peso) (dx00g, 256; Bápoc ece., 257; dvia, 258 N.); di calore (0óÀmw, 273; óbóvm [?], 279 N.; mepwoíu, pass., 280; TÓpugic, 281; phéyw, 283), d'oscurità (àyAóg, 305); di colore (uélaç, 313), coll'idea di bile (ueroryoXdw, 433); di parti del corpo (xévtpov, 412); di nutrizione (?, dvn, 416 N.; owxaivw, 423); d’infermità (Wdig, -iv, -ivw, 485; mepíoparoc, 494); cf. anche, fra le voci di moti animali, opabdd£w (441); idee di lavori e divertimenti, con à- (àyó- Peurog, 510; cf. ávavAoc, &yopboc, 525). XLII. Idea di noia: idee d’andare (&ħúw, 95); di battere (npooxöntw, 156); di tendere (mapareivw, 170); di lacerare (depw, 174); di nutrizione (don, 421; kopévvupi, Med. e pass., 422). XLIV. Idea di sopportare: idee di portare (Baotáčw, 129: òxéw, 131; &rAnv ecc., ToAuGW, órAéw, 132; pépw ecc., 133); di prendere (déxopar, àvob., úrod., 207); di quiete, con Avo-, dTo- (Imopévw, 246; dvexouon, 248; únéyw, 249); di pienezza (ékniurAnm, 250); di vuoto (&vxMéw, 251). ; XLV. Idea di deplorare: idee di quiete con à- (doydMw, 249). Idea di lagnarsi: idee di fluttuare (caNotzw, 103); di battere (ovyköntoua, 156); d'atti fonetici (0pfivoc, 471). Serw II. Tom. XLVI. 16 122 DOMENICO PEZZI c) Idee varie di speranza e di timore, di coraggio e di paura. XLVI. Idea di speranza: idee di prendere, con mpoo- (mpoodordw, 207); di quiete, con Tpoo-av- (rpocavéyu, 249). XLVII. Idea d’aspettazione: idee di posizioni (èp06g, 51); di prendere, anche con vari suffissi (dexonon, dvad., ómoboyf, mpoodoxdw, 207); di quiete, con Tpoo-ay- (TPOO- avexw, 249). Idea d'aspettazione affannosa, d'ansia: idee d’unire, con dia- (diapraw, 230); d'in- fermità (woivw, 485). XLVII. Idee d'ardire (risolutezza, audacia, anche temerità): idee d’ angoli (OEUS, 82); d'andare, con Gur-xata- (curkataBaivw, 90; irapóc, 91); di cadere, con npo- (nponírrw, 105); di far andare (à&ów, 108); di portare (Érhnv ecc., tàńuwv, TÓNO, 132); di porre, con mapa- (tapéotaois, 134); di gettare ($uyavynv, 141); di prendere (Mápoc, 209); di calore (0epuovprég, mapáOepuoc, 274); d'animal (Aux6ppwv, 379); di parti del corpo (ümeprußioräw, 381 N.; eùyépera, èmyepéw, 405); di nutrizione (Aa- uupôs, Aapupevonon, 415); d’etü (neipakıevonon, 497; veavias, veovieóoguat, anche con vari prefissi, 498); di famiglia (u60wy, 530 N.); di lotta (ömeponkog ecc., 546). XLIX. Idea di coraggio: idee di forza (pin, 14); di far andare (0uuóc, 115); di porre, con úno- (ónóctoOtc, 134); meteorolog. (mvedua, 332); di natura organ. in genere (revvatoc, 341). L. Idee di timore, paura (fatta o sentita), codardia: idee di forza, con à- (dp- pwotio, 14); di dimensioni (bassezza) (ramewóc, 49): di posizioni, con à- (äm\aros, 67); di cadere (nmmoow, nrWoow, ntúpw, 105); di far andare (orevdw, 125; tapácou, |126; tıvacoonaı, 127); di battere (natdoow, 158); di volgere (da-, évrpénu, pass., 181); di prendere, con mpoo-, eù- (npootokáu, 207, v. sopra XLVII; edlapñc, ecc., 209); di sco- stare (peßonon, Pößos, 218; qeórw, 219); di mollezza (uaħakóç, PAGE, 263); di sec- chezza (?, xax6g, 266 N.); di scabrosità (dpikn, ppioow, 268); di freddo (xpuepóc, xpuóetc, 286; friréw, 287); di colore (Aeuxnmartias o devy., 310; Kelatvóc, 312; uéAag, 313); meteorolog. (Eußpovraw, 337); di natura organ. in genere (àrevvia, 341; aoc, 349 N.); di parti del corpo (nrnvóc, 404); di senso, con éro-, buc- (ónoBAénu, 447; duowrew, att. e pass., 450); d'atti fonetici (ropyôs, 461; 0poéw, 471); d'infermità (ouep- dakéoc, Ouepdvög, 493 N.). d) Idee di pudore e d’impudenza ecc. LI. Idee di pudore, vergogna: idee di volgere (dia-, évrpénw, pass., 181): di scostare (céBouon 217 N.); di dividere (véueois, veueotouon, 241); meteorolog., con àva- (ävai- vopoi, 331); di senso (ouowméw, att. e pass., 450); d'infermità (?, aioyóvn, 484 N.). Idea di riguardi: idea di porre, con úno- (úmootéMiw, med., 135) di rompere (peidouoi, 164 N.). LII. Idea d’impudenza: idee di fetore nauseante (BdeAupög ecc.; 297); di colore, con «d-, àno- (dxpwuos, 309; dmepuOpiáw, 311); di nutrizione (auupôs ecc. 415); di atti fonetici (ayua, dNaxtéw, 461); di lavori, divertimenti (?, Mpóc, Amdpôs, 508 N.). LIIL Idee di scapestratezza, sfrenatezza: idee di saltare (okıpraw, 102); di fluttuare (doeXris, 103); di moto da luogo (é£ouoia, 201 NL CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 123 e) Idee di modestia e d'orgoglio. LIV. Idea di modestia (ed anche d’affabilità): idee di misura (uétpios, 10); d'or- namento (xexoounuevos, 20); di comunanza (kowóc, 32); di bassezza (ramewóc, 49), d'andare, con eù-mpoo- (ebmpócoboc, 94); di porre, con mpoo- (npoceoraMuévoc, 135). LV. Idea d’umiliazione: idee di grandezza in genere (ueiów, 5); di debolezza (ñooo, 15); di bassezza (taneıvög, 49); di porre, con duv- (cvovéM wu, 135); di fregare, grattare (Svvrpißn, 146); di rompere (kħaotáčw, 1622; nepıkoAobw, 163); di stendere (otopevvun, 168); di senso, con kata- (xatwmidw, 450). LVI. Idee d’alterezza, orgoglio, superbia, tracotanza: idee di grandezza in genere (uérag, ueraMZopai, 1; mieovazw, 8); di dimensioni, ossia di lunghezza, lontananza (narpontuorng, 41 [intorno a mrów v. 432]) e d'altezza (Bpis, 46 N.; bynAóc, 46); di posizioni (ümephpavos, Üüreppioloc, 64); di tempo (dywadfig, 89); di far andare (co- Bapóc, ooßapevonaı, 123); di portare, con únep- (6meppépaa, 133); di volgere, con ém- (ëmmoldtw, 187); d’alzare (atpw, pass., 191; uerdporog, ueréupoc, mapñopos, ibid.); di scostare (ceuvóc, 217 N.); d'aprire (xadvog, 226); di peso (drkog, 258); di durezza (orpnviaw, 261); di calore (yMw, 276; stoe, ruqóu, -oûum, rupebavóc, 285); di luce (?, radpog, 300 N.; pavrdZouan, pass. con qavnríac, 303; up, -dw, 304 N.); meteo- rolog. (nvew, con uërg ece., 332; ómepmvéu, ibid.; Puodw, quoíuoic, 333); di natura organ. in genere (ooidaivw, 346); di parti del corpo (xoudw, 382; xepouri&u, 383; óppic, dppudopai, 385; émokiviov, 386; Tpaynkıdw, éxrpaynMZu, 394); di nutrizione (kópoc, 422; ómepuoZáu, 424); di moto anim. (ooadétw, 441); di senso, con Omep- (Ürepowia, 450); d'atti fonetici (ppuéooouc, 460); di città (nuproOpot, pass., 536). LVII. Idee di vanità, di pompa, di vanteria: idee di grandezza in genere (pera- Móvouor 1); di misura (me0piZu, 11); d’ornamento (äBpüvouo, 18; &yáAMoum, 19); di larghezza (miativw, pass., e nAatuouög, 42; meraxvöw, med., 43; cf. eùpuotopia, 389); di fluttuare (coNdkwv, 103); di premere (0t6Boc, 153); di battere (x6mc, 156); di rompere (Bpürrw, pass., e Tpupáw, 162); di scostare (oeuvös, 217 Nr di fare (npoonotéw, med., 243 N.); di quiete (oxnuarıouög, 249); di vuoto (Kevôc, keveayopia); di densità D, retro, -ro, 254 N.); di calore (yoXokoumía, 285); di luce (AykaiZonon, 298; Naurpy- voua, 302); di suono (x6prrog, 319); astronom. (tepatevopo1, 339); di natura organica in genere (?, néphaoua, 349 N.); Tatti fonetici (Ppuäooouaı, 460; kauxéouou, 468 N.). f) Idee di benevolenza e di malevolenza. LVII. Idea di bontà (buona disposizione d’animo): idee di dolcezza (yAukudunia ece., 291); di parti del corpo, con mpoo-, eù- (npoonvüc, 384 N.; eüorouos, 389); di città (Goretos, 535). LIX. Idea di mitezza: idee di rompere (peidopar, 164 N.); di scostare (ouyxwpew, 217) di peso (ëlappôs, 259; Kodpos, 260); di mollezza (paraxég, 263); di dolcezza (rvxveunta, 291; cf. ueMgpuv, 364); di liscezza (Neiwg, 269); di natura organ. in genere (fiuepoc, 351; mi09acóc, 352); d’infermità (?, àBaxng, 488 N.). — Idea di mitigare: idee di stendere (oropévvum, 168); d'umidità (àvovpotvu, 264); di liscezza (öuoMZw, 270); di cuocere (menaivw, 289). LX. Idee di socievolezza, familiarità, affabilità: idee di posizioni (cóv, 71; ójuMéu, 7l NI: di portare, con cup-mepi- (eóoupmepípopoc, 133) di volgere, con eù- (edavé- KA e 124 DOMENICO PEZZI orpogos, 182); di prendere (béxoua ece., 207); d’aprire (npoontuooouaı, 225); d'unire, con eù- (eUjikroc, 237); di colore (mpocavaypwyvupi, pass., 309); di famiglia (oiketog ece., 534). Vi s'aggiunga l'idea di salutare: idea di destra (derrdopar, 62). LXI. Idea d'ira, collera ecc.: idee di grandezza in genere (&rancı, 1 N.); d'angoli (ékpiéw, 81); di far andare (Dune, 115; onepyouan, 124); di portare, con duo- (dud- popéw, 133); di versare (xbouo, 139); di gettare, con dia- (b1aBéXlw, 140); di battere (npooröntw, 156; mpookpovw, 157); di dividere (véueois, veneodw, 241); di quiete, con à- (GoxaXdw, àcyáAAw, 249); di peso (äx6oum, 256; ëuënëte, BpiuóZu ecc., 257); di scabrosità (rpaxôs, 267); di calore (&vaxatw, pass., 280); d'acidità (6Euperuia, 294): di campagna (&rpiaivw, 329); meteorolog. (Avaivouaı, 331); di natura organ. in genere (dioidéouo, 346; öpyh, ÓpríZw ecc., 347); d’animali (oxopmaivw, 362); di parti del corpo Lëmpde, ece., 385; oTouaxéw, 400; duoxepaivw. 405); di nutrizione (xoM, xoAöw ecc., 433; okütouot, 434); Qatti fonetici (iNaxtéw, 461); di lavori ecc. (mpiouœu, 505); di furto (areußonan, 555). LXII. Idea d’esacerbazione d’animo: idee d'angoli (dE6< ecc., 82); di fregare, grat- tare (xap&oow, 150); di calore (mepidepnos, 274); d'acidità (amarezza) (mıxpatvw, 295). LXII. Idea di cattiva disposizione d’animo: idee di posizioni (AoEóc, 52); d'angoli (xóroc, 82 N.); di gettare, con maMv- (moMpfoloc, 140); di colore (xekowógpuv, 312); di animali (oxopriog, 362); di senso, con úno- (6moBhémw, 447); Qatti fonetici (YoY- Zw, 459). LXIV. Idee d'atti corrispondenti agli stati psichici sopraccennati (idee di maltrat- tare, assalire ecc.): idee di correre, con &mı- (émirpéxyw, 98); di saltare, con èm- (ëmt: nnddw, 101); di far cadere (mepwdéw, 128); di gettare (pwrráZw, 141); di premere (OMRw, 151); di battere (kóntw, 156); di lacerare (OkóNNw, 176); di peso (Bapüvw ecc., 257). LXV. Idee d'essere burbero, rozzo, intrattabile: idee di portare, con buG- (buc- np60010T0g, 130); di scabrosità (tpaxic, 267); d’acidità (Orpuqvóc, 296); meteorolog. (duotéuperog, 335); di regno vegetale (òupakiaç, 361). D g) Idee di stima (in vario grado) e di disprezzo, di fiducia e di sfiducia. LXVI. Idea di stima: idee di spazio in genere (xbpa, 36); di far andare (dE16w, 108). LX VIT. Idea di rispetto: idee di senso (Ómc, 450 N.); d'infermità (?, aioxüvn, 484 NL LXVII. Idea d’ammirazione: idee di grandezza in genere (drapar, 1 N.); di porre, con èk- (éxoracig, 134); di battere (ExmAnooonaı, èkrmroydéouor, 159); di senso, con vari prefissi o senza (ümofAému, pass., 447; mepigAému, ibid.; Bedopar, Halo, 449 N.; me: piontoc, 450); di città ecc. (Eévoc, EevíZw, att. e pass., 540). LXIX. Idea d'onore (reso o ricevuto): idea di far andare (à£&iów, 108); di quiete, con dva- (àvéxw, 249); di matura organ. in genere (xüdoç, 349 N.); Qatti fonetici (répas, 464 N.); di divertimenti (xopebw, 510). LXX. Idea di venerazione (resa o ricevuta); idee di tempo (dpyaîog, 88); di sco- stare (céBouo, ceuvég, 217 Nk di moti animali (npooxuvew); d'infermità (2, aioxüvn, 484 N.); d'età (npéoBus, mpeoßeiw, 499); di famiglia (depatesw, 531). Qui non è inopportuno far menzione di alcune voci che si riferiscono ai concetti di venerabilità, di venerazione ecc. in senso religioso. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 125 LXXI. Idea di sacro, inviolabile: idee di moto impresso in genere, con à- (dxivnrog, 106); di toccare, con à- (&Owroc, 142); di calore (vigore) (iepés, 275 N.). — Idea di CONSACTATE o. : idee di tempo (àmapyopai, 88); di far andare (äpinm [ded], 109); di porre, con dva- (ävariônm, 136); di quiete, con dva- (üvóxeuiat, 245); di senso, con dva-, àno- (àva-, dmobeíkvupu, 453). — Idea di culto, d'entusiasmo religioso: idee di divertimenti (8upcomMirec, mapéveupoos ecc., 512 N.); di famiglia (Bepareüw, -eia, 531; Aorpeóu, 532). Idea d'iniziazione ad un culto: idea d'aleare (teħéw, 192). — Idea di gregge cristiano : idee d'animali (npóBarov, 371). — Idea di empietà: idea di sudi- ciume (mapôc, 23). Idea d'essere profano: idea d'andare (BeßnAog, 90). Per l’idea di idolatria v. mopveía (435). Idea di pagani: idee di dimensioni (distanza) (oi paxpàv övres, 41 N.); di moto da luogo (oi &&w, 201). LXXII. Idee di disprezzo (come sentimento, come atto), di scherno e simili: idee di sudiciume (u®pos, 23; Wee, ibid. N.); di posizioni (Noë6s, 52); di saltare, con kata- (karaokıpraw, 102); di far andare (noureia, mourmesw, 110); di far cadere, con vari prefissi (d1-,-2E-, map-, mepiwoéw, 1282); di gettare, con vari prefissi (amo-, éx-, KATOA- Bá, TpopéMoyoi, 140; ckuBaMZu, ibid. N.; droppintw, 141); di premere (navéw, 152; Oreußw ecc., 153); di battere (moAroxonew, 156); di tagliare (xeptouéw, 161 N.); di tirare, con vari prefissi (1aoüpw, moupuôs, rapaoeoupuévuws, 169); di lacerare (TIMW, 178); di quiete (tenere, ?), con à- (dBepizw, 249 N.); di calore (o rumore ?) (xħeún, 276 N.); di puzzo nauseante (BOÚMw ?, 297 N.); di suono (oképBoloc, 321 N.); di matura organ. în genere (?, qouMZw, 349 N.); di regno animale (oxopaxiZw, 369; xiwv, 378); di parti del corpo (uuxthp, 387; uvx0tZu, ibid. N.; xatavwriZoua, 398; keprouew ?, 402 N.; Sopkacuóc, 411); di nutrizione (napeodiw, 416; Tpootapatpwrw, 418; midw ecc., 432 ; Cf. xoMj, 433); di moto animale (karıdAurntw, 437; Aaxtitw, 442); di senso, con Ümep- ecc. (Imepowia, 450; rapaderruarizw, 453); datti fonetici (reAdw ecc., 457; xaxdZw, 458; mpoonepdw, 462, con oımnopdew, ibid. N.; mepipporyózw, 462; nopwdew, 474); d'infermità (qopuakóc, 483); d'età, con úno- (Ömoxopilonan, 496); di divertimenti (&p-, Kadeyidopoi, 508; éE-, koropxéouot, 509 ; kolaßpizw, 510 N.; xwuwdéw, 512); di genti varie (oarupiZw, 543); di commercio, con eù- (eüveMZu, 550). LXXIIL Idee d'offesa, ingiuria, oltraggio, provocazione, maldicenza, ed anche di contaminazione: idee di sudiciume (dun ecc., 22; funoivw, 26); d’andare, con mpoo-ev- (npoceugatvu, 90); di gettare (&necgóhoc, 140); di far andare (èħaúvw, 114); di toccare (Orrrávu, 142; ypatvu, 144); di battere (mpooxöntw, 156 ; moMrokonéw, ibid.; mpoc- Kpoüw, 157); di lacerare (AakepoAoyio, 175); d'unire e di separare (pipw, 238 ; èvda- Teouaı, 240); di densità (èmorTÜpw, orupelitw, 254); di natura organica in. genere (9, BAaopnuew, 349 N. di regno animale (oxopaxizw, 369); di parti del corpo, con èm- (emıyAwoodoua, 391; capxéZw, 411); d’atti fonetici (derpiàv, 464; kaħéw, 468; kubóZu, 472 N); d'infermità (?, aloxog, 484 N.; dakvw ecc., 493); di divertimenti (Notbopos ecc., 508 N.; xwudZw, 512); di città ecc. (repupizw, 554 N.). LXXIV. Idea di fiducia: idee di forza (toxupizoum, med., 12); di porre, con napa- (Mapdoranıg, 134); di volgere, con èm- (ëmrpémw, 181); d'accostare, col medesimo pref. (Erepetdonan, 220); d’unire (&vapráw, pass., 230; mémowa?, 232 N.); di quiete (xeiuon, con preposizioni, 245); di senso (Blérw, con cic, 447); v. anche oikeiog ecc. (534). LXXV. Idea di sospetto: idee di spazio, con úno- (ómoroméw, 35); di posizioni (Aoëés, 52); di senso, con úno- (Ünorroc, ünonreëw, 6popäw, 450). DOMENICO PEZZI Idea di guardarsi da.....: idee di porre (otéMw, med., con ufi, 135); di fregare, grattare (?, 1npéw, con ui, 145); di quiete (npooexw [mé tıvog], 249); di senso (Bħénw [tı, and rıvog], 447). h) Idee d'amicizia ecc. e d'inimicizia. LXXVI. Idea d'amicizia: idea d'unire (ourkepévvum, pass., 235); cf. anche Beßaró- ouai Tiva (v. andare, 90) e mpoohyopog (v. unire, 227). — Idea d'amicizia falsa: idee di regno animale (XoxoqiMa, 379). LXXVII. Idee di favore, protezione (essere favorevole, proteggere): idee di posizioni (mepi, 57, cf. mepioréllw, 135; mpó e mpo-, 59; ómép, únep-, 64; èni, 68; mpée, 70); di tempo, con úno- (Imdpyw, 88); di correre, con eù- (edpoéw, 99); di moto a luogo (eis, 199); notinsi inoltre npew (v. idee di fregare, raschiare, 145) ed ëmmroipu (idee di secre- zione, 431). — Idea di rendersi alc. favorevole: idee d'andare, con úno- (orépxouoi, 92); di volgere, con npo- (mporpenw, med., 181); di commercio (kváouo, 553). LXXVIII. Idea d'inimicizia : idea di calore (bios, 279). i) Idee di pietà e di crudeltà, di durezza e di mollezza ecc. LXXIX. Idee di pietà, di compianto: idee di parti del corpo (onkayxvizoua, 399); Qatti fonetici (kwküw, 472); d'infermità (olkrog ece., 484 N.; v. anche nepioparog, 494). LXXX. Idea di conforto; idee di peso (kovpiZw, 260); di calore e di freddo (E&Anu, 273; iaivw, 275; müp, 281; mapayuyi, 288); d'atti fonet. (napoxaAéu, 468 N.; cf. na- pnropéw, 227). : LXXXI. Idee di difetto di pietà, di crudeltà: idee di quiete (oxéthiog, 249); di crudezza (Wu, Vunotiig, 290); di colore (ueXavokápbioc, 313); di minerali (M8oc, 324); di campagna (&rpıos, 329); d'infermità ecc. (povióc, 494). LXXXII. Idee di durezza morale, di severità: idee d'identità (o30ékac0oc, 28); di tagliare, con àno- (ämérouoc, 161); di tendere (tövos, 170); di lacerare (opuôc, 174 N.); di densità (otupehóç, 254); di durezza (Grepeóg, 261); di scabrosità (rpoxóg, 267); di acidità, amarezza (mwpôs, 295); di minerali (xékeoc, 328). LXXXIIL Idee di rilassatezza, di mollezza: idee di far andare, con vari prefissi (&v-, ue6-, mapinm ecc., 109; di versare, con àva- (&váxucic, 139); di mollezza, in senso proprio (ümoAóc, 262; uaAokóc, 263); di cuocere (menwv, 289). CAPITOLO TERZO Vita di desiderio. 8 7. Il desiderio in genere (in senso positivo ed in senso ne- gativo). LXXXIV. Idee varie di passione: idee di far andare (0upóg ecc.; 115 ; coRéw, pass., 123; onepxw, dep. pass., 124); di battere (kmAñoow, pass., 159); di tendere (d1d- taois, 170); di lacerare (puge, 174 N.); di calore (04Xmw, 273: 0epuóc, con derivati CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 127 e composti, 274; aidw, atdoy, 277; dpéntw, 278; baiw, pass., con dédna, 279; kaiw, 280; mupöw, diérupos, 281; oubxw, pass., 282; Zéw, 284); di campagna (àrpios, 329); me- teorolog. (äveuos, 331); di natura organ. in genere (olddw, -éw, 346; dpr ecc., 347; STApyrdw, 348; mapháčw?, 349); di regno animale (otovpoc, uóww, 365); di nutrizione ecc. (Opuyuög, oquzw, 427); di moto animale (opodpôs, cqebavóc, 441); @ infermità (vócoc, 484). LXXXV. Idea d’appagamento: idea di pienezza (ànonìnpów, éxniumAnun 250). a) Idee d'amore, desiderio, inclinazione. LXXXVI. Idee varie d'amore: idee di debolezza (hoodonon, 15); di dimensioni (nho- TÓvu, pass. con xopbía, 42); di fregare, grattare, c. à- (dreiptis, 145); di rompere (Kha- Dopde, 162); d'unire (?, épauu, 230 NI: di quiete, con nepi- (mepıexw, med, 249); di calore (dépopar, 274; nÜp, nupcóc, 281; gAérw ecc., 283; TÜpw, 285); di dolcezza (fioc, 292); di parti del corpo (ómóxokrog, 395; omAdyyva, 399); di moto animale (karı\- Minn, 437); di senso (duno, 450); d'età (maıdırdg, 495) — V. anche Ao£óg (idee di posizioni, 52) e mAnkrıouög, mAnKTizoua (idea di battere, 159). LXXXVII. Idee varie di desiderio, brama di.....: idee di grandezza im genere (nAeovekréu, 3); di numero (devona, béouor, 9 N.); di linee varie (idw, 72); di correre, con ènmi- (èmirpéxw, 98); di far andare (dE16w, 108; Siem, 112; Eneiyw, med. 113; Ougóc, émOuuéw, 115; ópuf con derivati, 118; éoouua, 122; coféw, pass. 123; v. anche égíeua, 109 N., e xeheów, 116); di porre, con èm- ëmt: Tnm, med., 136); di gettare, con émi-, nepi- ecc. (émáAÀu, med., mepıßoAn, 140 ; $upópOoAuoc, 141); di toccare (uopáw, nareóuw, 143, con émpotopgo, ibid. N.); di fre- gare, grattare (tpixw, pass., 145); di tendere (ôpéyw, med., con ópe£ic, 166 ; àváraoic, 170; &xreivw [ràs xeipag], ibid.; émreivw, pass., ibid.); d’alzare (ueréwpos, 191); di prendere (oipew, med., opene, 204; dexonan, 207; Ómobpáccouoi 208; Aófpoc, 209); d’aprire, con vari prefissi (émi-, mpooyaívu, con karamepixáoku, xatéw, 226); d' unire (kaBämrw, med., 229; épauœu? ecc., 230 N.); di fare, con dvti- (ävnimoioüucu, 248 N.); di quiete, con nepi- (mepréxw, med., 249; ioxavéw, ibid.); di poca densità (týkw, pass., con Ternka, takepóç, 255); di durezza (otpnviaw, 261); di viscosità (yMxouoı, 271 ; Mrtw, 272); di calore (mipwors, 281); di natura organ. in genere (òpyáw, 347); di nutrizione (neiva, 414; Myvog, 416; dupdw, 419); di moto animale (opaddzw, 441); di Senso (Bew, 447; Öpdalnıdw, érogooMuéw, 450); di lavori e divertimenti (0npeów, 500); di lotta (repruéxnros, 544). V. anche oukopévrne (303). LXXXVII. Idee varie d'inclinaeione d'animo, propensione, tendenza ecc.: idee di posizioni (xatdvins, 58); d'andare, con peta- (uéreuu, 91); di saltare, con mpo- (mpooMic, 100); di far andare (&ywyf, 108); di portare, con kata- (karapepńs, 133); di tirare (öAkn, 165); di volgere (retpauuévos, 181); di moto in basso (fenw, 194); di quiete, con mpoo- (npéokeauo, 245); d'umidità (órpóc, 264); di parti del corpo, con Prefissi (eüyépeia, mpöxeıpog, 405). S'aggiunga per l’idea di rendersi inclinato, benevolo alc., äpéoxw, med. (v. idea d'unire, 230). LXXXIX. Idea d’atti corrispondenti agli stati psichici testà indicati (idea di pre- ghiera, d’invocazione ecc.) idee di posizioni (dvtopai, &àvmiáZw, 58); d’andare, con Keta- (uéreun, 91; ixvéouan, 93); di cadere, con npoo-, úno- (npoc-, ónonínmu, 105); ici 128 DOMENICO PEZZI di far andare, con vari suffissi (&peran, rapinuı, 109); di gettare, con àvri- (àvrigoAéw, 140); di volgere, con mpo-, npoo- (nporpému, med., 181; mpootpérw, att. e med., con mpoorpómonoc, ibid. ; mpokuMivdéw, 186); d’accostare (èvtuyyávw, Evreuäig, 218; ÈMIOKATTW, 221); d'aprire, con mpoo- (mpoomrócOu, med., 225); di quiete, con ëv-, émt-, npoo- (éni-, &r-, mpöoreinan, 245); di parti del corpo (rouvétonm, 408); di moto animale (mpooxuvew, 438); di senso (duownew, 450); d’atti fonetici (Bon, 468; xoMéw, ibid. N.; ÓAoAUZu, 473); di famiglia (morvidona, 528; &peorıog, 533). Cf. npóg, col genit., in preghiere, scongiuri (idee di posizioni, 70). b) Idee d'odio, d’avversione ecc. XC. Idee d'odio, d'aborrimento (in senso attivo ed in senso passivo): idee di su- diciume (uócoc, 23); di volgere, con àno- (ümorpému, pass., 181); pel valore del pref. ef. dmevverw, 200 N.); d’acerbita, d'amarezza (m«póc, 295); di puzzo nauseante (BdE- Aóccu, BdeAupög, 297); di senso (ó00€0opoi, 450). XCI. Idee d'aeversione di vario grado e d'opposizione: idee di differenza (àMórpioc, 33); di posizioni (&vri-, 58 [con àvtimintw, 105, con ävrimalos, 106, con &vrirunog, 160, con dvrınvew, 332], èvavtiog, npoodvrng, 58; gé, 60; okan6g, 63; ómóbpa, 65; xorá, kata-, 66; mopa-, 69, cf. napardoooum, 137); di linee varie (c000, 72); di porre, con èv- (éviornu, med., 134); di tendere, con èv- (Evreivw, 170); di moto a luogo (eis, 199); di prendere, con mapa- (napoupéw, 204); d accostare, con èm- (ém- epeidw, med., 220); di quiete, con èv- (èvéxw, 249; v. anche doyardw, dcxyáAÀw, 249); di freddo (otvréw, 288 N.); di parti del corpo, con dmo-, dvo- (ëmge, 384 N.; dvo- Xepñs, -Xepaivw, 405); di nutrizione eco. (mtúw, 432); di moto anim., con di- (diedpog, 440); di senso, con duo- (duownew, 450). Idee d’atti conformi agli stati d'animo teste indicati. XCH. Idee di maledire, imprecare, bestemmiare: ideo di natura orgam. im genere (?, Blaopnuéw, 349 N.); cf. idea d’accostare, con èm- (émokfmru, 221). Per l’idea di maledizione religiosa v. idea di porre, con àva- (ävébeua, 136). XOIIL. Idea di schivare disdegnando: idea di far cadere (bwi0éw, 1282). 8 8. Altri stati d' animo (di carattere più determinato). a) XCIV. Idea di liberalità: idea di luce (Aounpög, 302). b) Idee d’avarizia, rapacità, invidia. XCV. Idee d’avarizia, spilorceria ecc.: idee di sudiciume (furapés, 26); di fre- gare, grattare (xvıneia, 148); di viscosità (rMoypog ece., 271); di regno vegetale (iEóc, 353); d’infermità (xiuBiz, 486). XCVI. Idea di rapacità: idea di regno animale (Nixog, 879). XCVII. Idea d’invidia: idee di grandezza in genere (neraipw, 1; Grau, 1 N.); di dividere (véueois, veneodw, 241); di disfare (?, p0óvoc, 244? NI: di senso (&pdah- mów, Eropdaruew, 450). | | | | | | | | | | | | | | | CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 129 CAPITOLO QUARTO Vita di volonta, I. LA voLoNTÀ CONSIDERATA IN SE STESSA. 8 9. La volontà in genere e nella vita individuale. XCVII. Idea di volontà: idee d'identità ecc. e di differenza (adrôuodos e qualche altro comp. d’aurög, 28). Idea di libertà: idea di moto da ..... (eZovoia, 201 N.). XCIX. Idee varie di scopo, intenzione, disegno, proponimento: idee di misura (pé- dopo, 10); di limite (tépua, 40); di posizione varia (repi, 57; katá, xota-, 66; Ent, 68; mpóc, 70); di far andare (6puoivw, 118); di portare (pépw, 133); di porre, con Ùto-, npo- (ómóoracic, 134; mporíónui med., 136); di gettare, con mepv, npo- (mepi- BoAn, con mpoBáAAu, med., 140); di tendere (teivw ecc., 170); d'aleare (télos, 192); di moto attraverso (did, 196; meîpa, 198); di moto a luogo (cic, 199); di prendere (cipéopon, OÍpecic, 204); d’accostare (OroxóáZoum, 212); di quiete, con dia-, èm- (didkeruoi, 245; ènéxw, med., 249); di parti del corpo, con èm- (ëèmxepéw, 405); di senso (okénropon, Okotéw, okomóc, 451); d'infermità (Wdivw, 485); di lotta (roëeüw, 547). C. Idee di pretesto: idee di larghezza, con napa- (napaneraoua, 43); di far an- dare (napaywyn, 108); di gettare, con npo- (mpoB&Alw, med., 140); di tendere, con Tpo- (mporeivw, 170); di moto attraverso (dvadiouai, didduors, 197); di prendere, con úno- (ónoAauBévu, 209); @ accostare (oxnnrTw, med., con okfjig, 221); di scostare (uvm, 222); di fare, con mpoo- (mpoomoiéu, med., 243 N.); di quiete, per lo più con Varî prefissi (oxua, 249, con mpóoynuo, 59; mee, émioxeoín, óméxyo, 249); di luce, con mpo- (mpépaois, 303); di coprire (émxäluuua, 307). CI. Idee di deliberazione, decisione: idee di misura (undoum, 10); di limite (tex- hoipw, per lo più med., 40); di portare (taħavteúw, 132); di porre, anche con xora-, dia- (karáctacig, 134; diaotéNNw, 135; Oécig, dation, mpor., 136); di prendere, con 9 senza pref. (bwupéu, 204; dokeî, bóruo, 207; diadaußavw, 209); d'unire (NoriZopo1, 228; cf. dpape, 230); di quiete, con úno- (émékemuor, 245); di durezza (Otnpizw, 261); di natura organ. im genere (Küpos, xupów, 349 N.). Idea d'indecisione: idee di far andare, con àvti- (ävrirahoc, 120); di volgere, con mav- (noAıvrporia, 181); d’alzare (olwpew, pass. 191). V. sotto OXOCIII. CI. Idee di preferenza, di scelta: idee di posizione varia (npó, Eumpoodev, 59, cf. Tpotionui, 136); di tempo (&mápxouon 88); di prendere, con o senza èk- (aipéw med., penis, 204; éxAapBávu, 209); d’umire (Mw, soprattutto med., 228); di separare (kpivw, 239); d'età (nadırdc, 495). ; CHI. Idea di voto, suffragio: idee di minerali (yfipos, yngizw, 325); di parti del corpo (xeıporovew, 405). Serie IL Tow. XLVI. 17 ob er TS" 130 DOMENICO PEZZI CIV. Idee di conferma, di validità: idee d'andare (Begoiów, 90); di quiete (uévw, 246); di natura organ. in genere (xupów, 349 N.); di lavori ecc. (OppayiZw, 521). Idea d'abrogazione: idea di porre, con à- (dBetéw, 136). CV. Idee di condizione, di restrizione: idee di posizione varia (ëmt, 68); di chiu- dere, con àno- (dmoxAeiw, 224). CVI. Idea di macchinazione: idee di profondità (Buocodopesw, 48); di porre, con duv- (duvrinm, 136; ouvräcow, 137); d'unire (pántw, Kaxoppapin ecc., 234; èrke- pévvum, med., 235); di lavori ecc. (kata-, mapa-, ouoxkeudZw, 514; Oxkevomoiéu, Ou- okevwpéouon, ibid.); cf. anche mupmóAapuog (idee di calore, 281 N.). CVH. Idea d'assumersi uw impresa, un ufficio ecc.: idee d’ andare (ëèmBareüw | As fireuovíac], 90); di porre, con úno- (Öpiornu, med. ecc. 184); di gettare, con ènmi- (èmBéaw, med., 140); d’alzare (aipw, med., 191); di moto attraverso (èvdúw, med., 197); di prendere, con àva-, úno-, o senza pref. (dvæipéw, med., 204; déxopai, bnodexonon, 207; ävalauBévw, 209); di quiete, con úno- (bnouevw, 246; únéxw, Ürioxouc, -10xvéoua, 249). CVII. Idea d’imprendere ecc.: idee d'andare (uéveuu, 91; épxouon, éme£épy., 92); di gettare, con &mı- (ëmBdAAw, med., &mıßoAn, 140); di prendere, con èm- (émAaufévu, med., 209); d'unire (äntw, med., 229; àvaptáw, med., 230); di parti del corpo, con ènmi- (énixeipéu, 405). CIX. Idea d'occuparsi d'aleunchà: idee di stato in luogo (Ev, 54, e nepi, 57, con eiut, rirvonan); d'andare, con dež- (ów£obeUu, 94); di fregare, raschiare (tpiBw, diatp., pip, 146); di volgere (rpénw, med., 181; orpépu, med., 182; cfr. anche xuMvdw, med., 186; émwmoAóZzu, 187); di dare (dwm [éuavróv Ze mn, gt mi], 203); d'unire (Svvapraw, pass. 230; cf. ènapáw, 229); di quiete (Oxo, in senso di varia occupa- zione scientifica, 249). CX. Idea d'astensione: idea di rompere (peidopor, 164 N.). CXI. Idee d’indugiare, differire: idee di far cadere, con napa- (mapwoéw, 128); di porre, con àva- (àvatiðnm, 136); di gettare, con ümep- (ümepBélw, 140); di fregare, grattare, con dia- (diarpißw, 146); di volgere, con èv- (èvtpémw, pass. 181; otpayyeú- ouo, 189); di quiete, con emi- (Errexw, -oucı, 249; ioxavdopoi, ibid. ; Oxo, -áčw, 249); di moto animale (dpa, 440); d'infermità (wıuBäalw, 486). CXII. Idee di desistere, rinunziare a …, ritrarsi da .....: idee d' andare, con €x-, napa- (éx-, rapapaivw, 90); di far andare, con àva-, peta- (dvinui, nedinu, 109); di porre, con àmo-, é£- (äp-, éfiornu, 134); di quiete (loyw, med., 249); d’atti fonetici, con àno- (&maubáw, dmeimov, 465; cf. dtayopevw, 227). Idea di mutar proposito; idea di volgere, con dia- (diatpénw, pass., 181). CXIII. Idee di cura, di zelo. Idea di cura, diligenza: idee di far andare (è vQvpéopoi, 115) ; di porre, con nepi- (mepiorélaw, 135); di fare, con mpoo- (npoomoiéw, med., 243 N.) e di disfare (Know, -ouaı, kñdoc, 244); di quiete, con mpoo-, duv- (rpocéxw, cuvéyera, 249; cke0póc, ibid.); di viscosità (Nmopng, 272); di calore (66Xmw, 273); di veglia (dypunvew, 478); d'età (npeopeüw, 499). | Idea di zelo: idee di far andare (otebdw, gouft, omovbóZw ecc., 125); di ten- | dere (èvrerauévos, eütóvug, xatateivw, 170). Per l'idea di zelo religioso v. 6pnoxeüw (idea. di quiete, 249 N.). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 131 CXIV. Idee di negligenza, pigrizia ecc. Idea di negligenza ece.: idee di posizione varia (Ürmoc, 61); d'andare, con mapa-, Urep- (mapaßoivw, órepgatvuy, 90); di correre, con mapa- (moparpéyw, 98); di saltare, con ómep- (ómepmnbáu, 101); di cadere (àvanintw, 105); di far andare, con vari pre- fissi (dv-, &p-, ue0-, napinu, 109; mopaneunw, 110; mapevôuuéouo, 115); di far ca- dere (Naveévw, med., N.); di portare, con napa- (rapapépw, 133) ; di porre, con Kata- (kararíónu, 136); di rilassare (xoMgpuv, 171); d’aprire (xadvog, 226); di quiete (oyedidzw, 249) ; di mollezza (uahaxôc, BAGE, 263) ; di parti del corpo‘ (katavwrtičonon, 398); di senso, con prefissi (mepıopdw, àmepiottoc, 450). Idea di poco zelo: idee di calore e di freddo (yMopóc, 276; frréw, 287). Idea di pigrizia, d'infingardaggine: idee di moto impresso in genere, con à-, (àxi- vnrog ece., 106); d’animali (x«n@nv, 363). CXV. Idee di costanza, fermezza, ecc.: idee di forza (xaprepéw, 13); d'andare (BéBarog, 90); di portare (TAhuwv, 132; mepipépw, 133); di porre, con úno- (0móoraoic, 134) ; di tendere (ärevñs, éxvetveva, 170); di quiete (nevw, uôviuos, 246; org, oTé- ciuog, 247); di peso (èuBpôñs, 257); di durezza (otnpiyuós, 261); di viscosità (Mra- pis, -éu, 271); di minerali (oidñpeos, 327); di moto anim., con mpoo- (mpocedpesw, 440); cf. Eumedog (409). CXVI. Idee d’ostinazione, d'indomabilità ece.: idee d'identità e di differenza (ad0é- kaotog, 28); di fregare, grattare (ärapñs, nakıvıpıßng, 145-6); di volgere, con duo- (duotpAmnAog, düorporoc, 181); di durezza (Otepeös, 261); di secchezza (mepıokeAng, 266); di viscosità (yMoxpoc, 271); di parti del corpo, con duo- (buoxepñs, -xepaivw, 405). Idee d'inesorabilità, d’inflessibilità ece.: idee di moto impresso in genere, con à-, duo- (à-, duoxivntos, 106); di fregare, grattare, con à- (érépauvos, 145); di tendere, (&revfc, con à- = sm-, 170); di volgere, di nuovo con à- negat. (&rpomío, 181; Gotpentoc, 182); d’accostare (dxiyntog, 214); di quiete (äoreupñc, 248); di secchezza (Érerkroc, 265; okMnpóg ecc., 266); di parti del corpo (xepaoB6Nos, 383 N.; &àmmvfc, 384 N.); d’atti fonetici (ampoopwwntog, 467). CXVI. Idea d’incostanza: idea di porre, con à- (d8eoia, 136); di gettare, con maliv- (maMuBorog, 140); di battere (£umAnktog, 159); di volgere (eütpénelos, 181; ToÂuorTpephs, OoAUOTPOPog, roAUoTpentog, 182; péuBouoi ece., 188); di peso (&Aagpóc, 259; koügoc, 260); v. anche idee di scabrosità (dvwuarta, 270) e meteorolog. (vepos, 331). XVIII. Idee di pazienza, longanimità, resistenza: idee di spazio e di tempo (ua- kpodunew, 41); di portare (vMjuwv, 132); di quiete (èméxw, 249). Idea d'impazienza manifestata: idee di moti animali (opodaZw, 441); Qatti fone- tici (ppuácow, 460). $ 10. La volontà nella vita sociale. CXIX. Idea di proporre: idee di portare, con npoo- (mpoopepw, 133); di porre, con npo- (mporienu, 136); di gettare, col medesimo prefisso (npoBóMw, -opoi, 140); di lavori ecc. (rpapw, 507). CXX. Idee di domandare, esigere ecc.: idea di far andare (dEıöw, 108). CXXI. Idea di promettere: idee di porre, con úno- (6piornu, med., 134); di tend ere, con mpo-, úno- (npo-, 9roretvu, 170); di prendere, con dva-, úno- (àva-, ümodéxouo, 207); 132 DOMENICO PEZZI di quiete, con úno- (Önioxouaı, -10xvéouo, 249); di densità (?, OTEDTAI, -T0, 254 N.); di luce (pnui, péoxw, paritw, 308); di parti del corpo ((nap)erruáw, 406 N.); di moto animale (veów, 436); d atti fonetici ((F)énoc, 465). V. anche mponívu (420). Idea di mantenere promesse: v. Begoiów (idea d'andare, 90) — Idea di non man- tenere promesse: idea di moto da luogo (Extög Epxonaı, 201). CXXII. Idea di mallevare: idea di prendere, con ava- (&vabéxouon, 207); v. anche il cit. Begouów. CXXII. Idea di patto ecc.: idee di differenza, con duv- (cvvaMari, 291: di po- sizioni (ef, 62); di porre, con Ouv-, dia- (ouvriômu, med., e diatiônut, med., unito con buxerxnv, 136; ráccu, 137); di versare (omevdw, 138); di gettare, con ovv- (ouu- BáMw, med., 140). Per l'idea d'accordo segreto fra avversari v. idee di linee varie (BAoicóc, 75). CXXIV. Idea di riconciliazione: idee di differenza, con dia-, ouv- (ot-, Ouvak- hay ecc., 33); di far andare (cvuBIBAZWw, 107); di versare (omévow, med., 138). CXXV. Idea di cospirazione, congiura: idee di volgere, con Guv- (ouykúntw, 180; ouotpépw, pass. 182); di suono, con Guv- (ourkpérnua, 320); d’atti fonet., col mede- simo pref. (cuupwvéw); di lavori (kacoów, 503). CXXVI. Idea d’insidia: idee di linee varie (GkoMóc, 77); di prendere (doxesw, 207). Idee di tradimento: idee di far andare, con xod-uno- (kodvpinu, 109); di battere (mpa&woméuw, 156); di nutrizione, con mpo- (mpomivw, 420); di città ecc. (àvana- piáZw, 542); di commercio (ämeurolëw, 551). — Per l'idea di fedeltà v. idee d’animali (xówv, 378). CXXVII. Idee d'insinuarsi nell animo altrui, d' attirare a sè ece.: idee d'andare, con bmo-, èm- (ónépyouon 92; Epodog, 94); di correre, con úno- (ómorpéxu, 98); di far andare (ènárw, 108; mopíeuo, 109); di porre, con Tpoo- (npootí0nut, med., 136); di fregare, raschiare (6Aru, 147 N.); di tirare (&xw, 165; ondw, 167); di volgere, con npo- (mporpenw, med., 181); di prendere (ouvaprétw, ápmoéog, äpruc, 206 N.); d'unire (àvapráw, med., 230; dew, 232); di natura organica in genere (rıdacevw, 352); di lavori ecc., con Guv-: (ouGkeuóZw, 514; déheap, 516); di famiglia (0cpomeów, 531); di commercio (xt&onaı, 553). V. anche mAnkricuóc, mAnkríZouoi (idea di battere, 159). Idee di malia, fascino, incanto: idee d'andare, con ém- (émnAuoin, 95); di fregare, grattare (8€vrw, 147 N.); d’unire (béw, 232); di nutrizione (ue0vw, 425); d'atti fone- tici (P, xnAéw, 468 N.; vónc, 470); d'infermità (pápuokov, papuaxeüw, qopuáocu, 483) ; di divertimenti (Kotaukew, 525). — Per l'idea di disincantare v. idee d’atti fonetici, con €£- occ. (EE-, én-, Karddw, 474). CXXVII. Idea di consiglio ecc.: idee di fur andare (&vveotn, Eperun, 109); di porre, con úno- (ómoríónui, med., 136); di tendere, con úno- (ónoretvw, 170); Qatti fonetici ((F)énoc, 465; cf. únayopeúw, 227). V. anche ovvedpog (idee di moto ani- male, 440). CXXIX. Idee d’invitare, persuadere, indurre. Idea d'invitare: idee d'atti fonetici (kaħéw, napak., 468 N.). Idea di persuadere: idee di far andare (napaywyh, 108); d'unire (?, neí0w, 232 N.). Idea d'indurre: idee di linee varie (rvéunrw, 76); di far andare, con o senza eio-, mpoo- (npoofiBóZu, 107; drw, eiodyw, 108); di portare (popé, 133, cf. pépouot, sono indotto, ibid.); di porre, con napa- (mapiompi, 134). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 133 CXXX. Idea di dissuadere: idee di far andare, con &mo- (äpopuñ, 118); di far cadere, con .éE- (é£w0év, 128); di volgere, con o senza prefissi di separazione (rpémw, IMO-, éxrp. ecc., 181); v. anche drayopevw (227). Idea di rattenere: idee di porre, con èm- (èpiotnm, 134); di prendere, con KATA- (karalouBévw, 209); di quiete, con èm- (èméxw, 249; cf. toyopa, ioxavéomar, ibid.). CXXXI. Idee di direzione, presidenza, governo ecc.: idee di posizioni (mpo-, 59; cf. ómó, 65; èni, 68); di linee varie ((Qóvw, eùðúvw, 72); di tempo (àpxń, äpxw, 88); di far andare (ëm, &ywrn, 108; fyréono: [?], 108 N.); di porre, con ém- (épiornmu, 134); di dividere (veuw, vwpáw, 241); di parti del corpo (xapizw, 405); di lavori (noynoivw ecc., 501; fivia, 518); di famiglia (oixew, 534). CXXXII. Idea d’ordinare: idea d’unire (ápuózw, 231) — Idea di destinare ece.: idee di limite (texuaipw, per lo più med., 40); di lavori ecc. (èmxkAwOw, 504) — Idea d'istituire: idea di porre, con kata- (xagiotnyi, 134). Idea di disordinare: idee di far andare ecc. (rapéoow, 126). CXXXII?. Idee di commettere (un ufficio), di dare incarico: idee di far andare (Epinu, 109); di porre, con àva-, èm-, mpoo- (Avarienuı, &mır., mpoot., 136; TÉCOW, ëmm. 137); di volgere, con èm- (èmrpérw, 181); d'aleare, con èv-, èm- (èvréAAW, ETIT., 192). CXXXIII. Idee d'eleggere, nominare: idee di porre, con kata- (kadiornu, 134); di dividere (véuw, 241); di parti del corpo (mpoyeipizw, xeıporovew, 405); di senso, con &mo- (&mo-deikvun, 453). OXXXIV. Idee di prescrizione, di comando: idee di forza (xparew, 13); d'ordine (tà kocuovpeva, 20); di posizioni (mpo- in mpóppnotg, 59); di far andare (èvvecin, épinu, épieuou, Eperun, 109; xeAoudı, xeAeów, 116); di porre, con èmi-, mpo-, Ouv- ecc. (Epiormu, 134; diaotAMw, 135; "iënu, ëm, mpor., 186; ouvrdoow, 137); d'aleare, Con éy-, ém- (èvtéeMw, Enır., 192); d'accostare, con ém- (èmoknnrw, 221); d'unire (onde dire) Dén, 228); di parti del corpo ((nop)erruäw, 406 N.; v. anche xévrpov, 412); di moto animale (veüw, 436); d'atti fonetici (addaw, 463; pwvew, 467; Bodw, 468; knpÜüoow, 468 NL CXXXV. Idee di permettere, di concedere: idee di far andare, con dva-, àmo-, ueta- (dv-, &p-, uedinui, 109; épieuon, ibid., N.; keheüw, 116); di volgere, con ém- (Emı- Tpenw, 181); di dare (ddwm, 203); di scostare (eixw, 216; mapo-, Guyxwpéw, 217); di quiete, con úno- (üméxw, 249). — Idea d’esaudire: idee di senso (xków, 456). OXXXVI. Idea di proibire ecc.: idee di moto da luogo (äro- in &nevvémw, Amöppnuo, 200 N.); di scostare (èžeipyw, 223); di chiudere, con àno- (&rokMetw, 224); idee d'atti fonetici, con àno- (dmavddw, 463; àmeimov, 465; cf. i primi due esempi citati ed ag- giungi ànayopeúw, 227). CXXXVII. Idea di ricusare: idee meteorolog., con àva- (dvaivopa, 331); di moto animale, col pref. indicato (ävaveüw, 436); d'atti fonetici, con àno- (@meîmov, 465); di lotta, col medesimo pref. (mondxona 544). Cf. 0pómrw, rpuqáuw (idea di rompere, 162) per l’idea di fare il restío, fingere di ricusare. CXXXVII. Idea di cedere, d'essere arrendevole: idee di debolezza (ñooa, 15); di rilassare (xoAdw, 171; xoMopuv, ibid.); di volgere, con ÜTO-KATA-, con eù- (ÜMOKATAKA- Voum, 179; eürpámeoc, 181); di scostare (etkw, 216; mapa-, ouyxwpéw, 217); d'unire (Guvapuézw, med., 231); d'umidità (óypóg, óvpóvooc, 264); di parti del corpo (xa- Doiëne, 405). 134 DOMENICO PEZZI CXXXIX. Idea d'obbedienza: idee di porre, con èm- (ëmréoow, med., 137); d'ac- costare e di scostare (dkoXovOéw, 210; mapaywpéw, 217); d'unire (9, neidoun, 232 NI: di quiete, con úno- (Ömöreruoı, 245); di senso (àxoów, con eùńkooç, úmńkooç, 454; àxpoóoua, 455; kAüw, 456); di lavori ecc. e loro strumenti, con eù- (eüfjvioc, 518); di famiglia (Narpeüw, 532). CXL. Idee di disobbedienza, di ribellione: idee di senso, con àv- (tò àvfikoov, 454) ; di lavori ecc. e strumenti, con àno- (dpnviaZw, 518); cui s'aggiunga, per l'idea di ribellione, grëgte, con Aviormu, àqíotnu (idee di porre, 134). CXLI. Idea di minaccia: idee di fare andare (ävaceiw, cf. anche diao., 121); di tendere (ävareivw, ävéraois, con navar., mpooavar., 170); di volgere (8, àmeuéw, 185 N.); d'aleare, con èm- (énowopéuw, 191; Emıxpenanan, 193); di peso (Bpiun ecc., 257). CXLII. Idea di contesa, di lotta (in senso morale) ecc.: idee di far andare (&rw- vitona, 108); di far cadere (W0itw, med., 128°); di fregare, grattare (maparpißw, med., 146); di tendere (xatateivw, 170); di lotta (udxopar, 544). Per l'idea d'essere il primo a contendere, di provocare ecc. v. idee di tempo (ünäpxw, 88). Idee di causa giudiziaria, lite, processo: idee di far andare (àywv, 108); di porre, con èv- (éviornm, med., 134); di senso (bien, dırdlw, 453). CXLIP. Idea d'accusa, per lo più giudiziaria, in senso attivo ed in senso pas- sivo: idee d'andare, con èni, émi- ecc. (BadiZw [èni tiva], 90; én-é£-, anche were, 91; éme£épyoua, 92); di correre, con kata- (Karadpouñ, 97; xatatpéyw, -0éw, 98); di far andare, con dno-, eio- (àn-, eioávw, -aywyn, 108; diwxw, 112); di gettare, con npo- (npo- BAMWw, med., mpoßoAN, 140); d’accostare, con èv-, Kat-Ev-, ém- (évruxía, KOTEVTEUKTNG; 219; èmokńntw, -onaı, 221) e di scostare (peiyw, 219 N.); di unire (onde dire, parlare in adunanza), con Kata- (katnyopéw, 227) e di separare (xpivw, 239); di quiete, con év-, ùro- (Ev-, noxos, 249); di luce (päoıs, 303); di matura organica, in genere, con èmi- (émqouot, 342); di senso (deikvunı, dmob., 458); d'atti fonetici (Kohéw, 468 N.); di lavori ecc. (rpapñ ecc., 507). — Intorno ad èMérxw, convinco di.., v. idee di gravità (?, 259 N.) Per &Mokouoi v. sotto. Idea d’aceusa maligna, calunniosa: idee di far andare (oeiw, 121); di gettare, con dia- (6aBóM ww, 140); di luce (cvxo- pévrns ecc., 308); di suono (wí0upoc, 322); di natura organ. in genere D. PAaopnuew, 849 N.). CXLII 8, Idea di difesa, in vario senso: idee di far andare, con àno- (eddpoppos, 118); d'unire (indi dire), con Guv-, èk- (cuvaropesw, 227; éxhoréouos 228 e 201 N.); V. anche napaypápw, med. (507). CXLII*. Idee di giudizio, d'assoluzione e di condanna. Idea di giudizio, di sentenza giudiziaria: idee di linee varie (i06vw, 72); di sepa- rare (kpivw, 239); di senso (dien, dırdZw, 453); v. anche Ouwpirns (idee di commercio, 549 N.). Idea d'essere assolto: idea di scostare (peorw, èkọp., soprattutto drtop., 219 N.) Idea di condanna: idee di prendere, con o senza kata- (GMokopor, 205; KATO- AauBévw, 209); d'unire, col medesimo prefisso (katadéw, 232); v. anche kpivw (idea di separare, 239). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 135 II. LA VOLONTÀ CONSIDERATA IN RELAZIONE COLLA LEGGE MORALE. $ 11. Alcuni concetti etici fondamentali. OXLIIL Idee di giustizia, d'equità, ossia di necessità o di convenienza morale: idee d'identità e di somiglianza ecc. (1006, 29; émewfic, -eixera, 30); di posizioni (óp8óc, 51); di linee varie (bc, edous ecc., 72); d andare ecc. (xa8-, npoohkw, ixvéopot, 93); di porre (0€pig ecc., 136); di gettare, con &mı- (émBéAke uoi Ti, 140); di volgere, con à- (Arpereıa, 181); d’unire (ápuóZw, 231); di senso (din, dikanog, 453). — Idea di legge: idea di porre (ëeoude, 0cpicrec, 136). Idea di dovere e di diritto: v. di nuovo, per la prima, xa6- e mpoonkw (93); per la seconda, dixn (453). CXLIV. Idea d'ingiustizia: idee di differenza (dMos, 33; cf. 34); di linee varie (ckoMóe, 77). Per l'idea d'indifferenza in senso morale v. &tiépopos (193). 8 19. Atti buoni ed atti cattivi: stati psichici corrispondenti agli uni ed agli altri. CXLV. Idea di dovere adempiuto: idee di posizioni (karópOwpa, 51); di pienezza (ékniumAmu, 250); di porre, con eù- (edraxtog, edraxréw, 137); di senso (pu\üoow [vóuov ecc.] 452). — Idea di coscienziosità: idea di prendere, con eù- (tò eüaéc, €e)loBéouon, 209). CXLVI. Idee di purità d’animo, di vita intemerata, d'innocenza : idee di nettezza (kagapés, 16); d’andare, con à- (dBatos, 90); d'unire, con à- (àképarog, 235); di na- tura organ. in genere (rwhowog, 341); d animali (uéNioca, 364) — Idee di virtù, di nobiltà morale: idee d'unire (dpetà, con dpeiwv, dpiotog, 230; dyadög?, 231 N.). CXLVII. Idea d’inosservanza del dovere: idea di porre, con a- (draxtog, órakréu, 137). Per l’idea d’osservar male, usare tortamente una legge v. rapóvu [véuov] (108). CXLVIII. Idee di trasgressione, violazione di legge, di peccato: idee di moto, con Vari prefissi, ed in primo luogo idee d’andare (èx-, mapo-, ómepBotvu, 90; mapé£euu, 91; nap-, mapekepyonan, 92); di correre (ömeprpexw, 98); di saltare (mapannddw, 101); di far andare (napaywyr, 108; tiavdw, pass. 111); di porre, con à- (&deoio, 136); di toccare (?, äMraivw, 144 N.); di scostarsi (éuaprévw, 215); di mollezza (àpmha- xioxw, 263); di parti del corpo (capióg, 411; datti fonetici, con mAnv- (rAnuuehéw, 476); d’infermità (v6oos, 484; črn, 491). Per l’idea di nefandità v. ävavooc, dppntog (idee d'atti fonet., con à-, 463). CXLIX. Idea d'impurità morale: idee di nettezza, con à- (àkáðaptos, 16); di su- diciume (motvw, uíocua, 23; furapia, 26; onikoc, 27). V. anche RéBnAog (idee dan- dare, 90). CL. Idee di malvagità, di marioleria: idee di far cadere (P, &\äorwp, 128 N.); di pungere (vowdpuxoc, 155); di volgere (mpootpönaog, 181; orpeßXög, 189); di sec- chezza (o piccolezza ?, xaxóg, 266 N.); di natura organ. in genere (?, paños, 349 N.); 136 DOMENICO PEZZI v. anche idee di parti del corpo (képxww, 413); di nutrizione (tpwxtng, 418); di stru- menti vari (okipapos, -Wöng, 524). CLI. Idea di pentimento: idee di fregare, grattare (ouvtpifw, pass., 146). Idea di correzione: idee: di correre, con àva- (ävatpéxw, 98); di prendere, anche con àva- (&vohapfávu, 209). Idee di purificazione, d’espiazione: idee di nettezza (kadoipw, kadapuög ecc., 16; exvintw, 17); di separare (Nüoiç, 242); di sanità (äkéouo, 482). CLII. Idee di tentazione, di scandalo: 1. idea di gettare (B&Aog, 140); intorno a meipagpóc v. teîpa, -dw, meipw (idee di moto attraverso, 198); 2. di battere, con mpoo- (rtpookpoóuw, 157); di strumenti vari ecc. (oxévbalov, 519). Idea di pervertimento: idea di volgere, con ouv-dia- (ouvdtaurpépw, pass., 182). Idee di seduzione, corruzione morale, subornazione: idee di far andare, con àro-, napa- (Ar-, napáyw, 108; v. anche &vinu, 109; mÀaváu, 111); di portare, con napa- ecc. (mapo-, anche mepipépu, 133); di gettare, con úno- (ómogóMiuw, 140); di tirare (úno- oüpw, 169); di dare e di prendere (dwpodorew, 203; dekézw, 207); di disfare (QIeipw, 244?); d'atti fonet. (?, knìéw, 468 N.); di strumenti vari ecc., con mapa- (rapackeuóZu, 514); di famiglia (6rovo0Éuw, 526); di commercio (Karnpyrupwuévos, 548; dvéouc, 554). L'idea d incorruttibilità morale viene significata da ddwpia, ddwpodéxntog, da ävépyupos (v. sopra); vi s'aggiunga dıktog (kepdüv ecc.) (idea di toccare, con à-, 142). 8 13. Premi e pene. CLII. Idea di premio, di ricompensa onorevole: idea d’unire, con àva- (&vabéw, 232). CLIV. Idee di pena, di vendetta: idee di sudiciume (máotwp, 23); di linee varie (iGóvu, epfduu, 72); d'andare, con èm-, éme£-, peta- (éméEeun, mérem, 91; ém-, éme- épyopoi, 92); di far andare (ówóxw, 112); di far cadere (P, &Adotwp, 128 N.); di porre (denıg, BeniZw, 136); di gettare, con ènmi- (èmiBorń, 140); di rompere (xoXdZw, 163); di volgere, con . tpoo- (mpootpómo:g, 181); di scostare (duivw, med., 222); di senso (?, ómig, 450 N.; dien, 453; mapodeıyparizw, ibid.). Per l’idea di nota d'infamia v. ne (idee di sudiciume, 21); Ornkırevw (idee di città, 537). — Intorno all idea di maledizione religiosa v. &váOcua (idea di porre, con dva-, 136). CLV. Idea di perdono: idee di far andare, con nera-, mapa- (uc0-, tapinpi, 109); di dare (didwpi, 203). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 137 CAPITOLO QUINTO Vita di mente e sue manifestazioni. I. VITA DI MENTE IN SE E NELLE SUE RELAZIONI COLLA VERITÀ. 814. Qualità*e stati della mente. CLVI. Idea di saggezza, di rettitudine di giudizio: idee di sanità (brms, úyiaivw, 481). Idee di circospezione, prudenza, gravità di mente; idee di misura (ufi, 10); di cadere, con d-mpo- (ämpémrwros, 105); di prendere, con eù- (eülafñs, Tò eühapés, evraßeoucn, 209); di densità (mika, muxvóg, 253); di peso (Bpı8Uvoog, 257); meteorolog. (?, TETVUHOI, mvutés, v. anche mivuróc, 332); di senso (quAoxh, œu\dooopa, 452). CLVII. Idee varie d'inconsiderateeea, insipienza in genere, stoltezza ecc.: idee d'identità, somiglianza ecc. (abrws, 28 N.; ex, eikatog, 30 N.); di tempo (udy, 86); d'andare (ñ\eôs, 95); di correre (&möponn, 97); di rilassare (xaMigpwv, 171); d'aprire (xadvog, 226); di mollezza (PAGE, 263); di calore (Tupbdns, ruporépuv, 285); di natura organ. in genere, con d- (auris, 342); d'animali (xenpös, 368; roc, 370; mpóporov, 371; àuvokGv, 373; Boûc, 374); d'età (moubwóg, 495; pespaxiòng, 497); per l'idea di sventatezza notisi anche qui oarupixés (idee di genti varie ecc., 543). CLVII. Idee d’irragionevolezza, demenza, follia, delirio (sofferti o prodotti) ecc.; idee d’andare (din, Gu, MAaivw, 95; poirdw, soprattutto qorrác, qorraAéoc, POÎTOG, 96); di far andare (voonlavie, 111; úw, 0úvw, Qvidg, 115); di portare, con Tapa- (tapapépw, pass., 133); di porre, con &£- (é£iornu, &xotaoız, 134); di gettare, con Tapa- (mapapıns, 140); di toccare (naındw, 143); di battere, specialmente con Tapa- (napa- Köntw, konń, 156; mapókpoucig, 157; TmAGTKTOS, ÉumAnkrog, NAPATAŃOOW pass., 159); di rilassare (xoMppuv, 171); d’alzare, con napa- (mapriopog, 191); di moto da (EEw gon eivaı, yirveodaı, 201); di colore, coll’idea di bile (neAayxoAdw, 313); d'infermità (vócoc, 484). Intorno ad &Aoroc, dorto, àXopéu v. quanto fu detto di Aórog (idee d'unire, 228). CLIX. Idee di perspicacia, prontezza, finezza, acutezza di spirito, accortez idee di dimensioni (Grxivoog, 44); d'angoli (òžúç, 82); di lacerare (pe, 174 N.; cf. téuvw, v. idea di tagliare, 161); di minerali, (ëies, 323); di regno vegetale (Ne TTÓç ece., 355); di senso, con duv- (cuvommikéc, 450); d’atti fonetici (èuperńs, 476); di città (dotetog ecc., 535). OLX. Idee di scaltrezza, astuzia, furberia: idee di posizioni (mAdyıog, 58); di linee varie (d:rkiNoc, àrkuhouñrne, 74); di correre, con èv- (évrpexñs, 98); di fregare, raschiare (xpiBuv, &upırpißrig, èritpimtog, marivipipig, 146); di battere (npa£wonéu, 156); di volgere (edtpdmeNOg, 181; otpopń, Grpóqic, 182; oióhoc, 183; O1pefAóc, OTPOAY- valıWdng, otpayyakıd, 189); di chiudere (?, Eprog, 224 N.); d’unire (mhoxfi, 233); di densità (ruxvóc, 253); di calore (nupnáAouoc, -roaAáunc, 281 N.); di colori (moios ecc., 314); di suono (xpórnue, molkporoc, 320); di regno vegetale (inua, 359; Toma, Serre IL Tom. XLVI. = 24 ecc.: 138 DOMENICO PEZZI mowtáhnua, 360); di regno animale (aAwrekilw, kuv- e rpuraAdmnE, 375; kidapos, ki- dapıos, 376; xivadog, 377; mıönkıonög, 380); di parti del corpo (képkww, 413); di la- vori ecc. (rekratvogat, téxvn, 506; unxavń, -&u, 513); di lotta (néAuioua, 545); di furto (èmik\omos, 556). CLXI. Idee di semplicità di spirito, d' ingenuità, anche di dabbenaggine: idee di tempo (äpxaîos, 88); di dolcezza (rAurüg, 291; fous, 292); di natura organica in genere, con à- (äpuñs, 342); di secrezione (KöpuZa, 429; \éupos, 430); d'età (moubwóc, 495); di genti varie (BowrmnáZu, 541). V. anche Aeuknmaríag (idee di colori, 310). CLXII. Idea d’ottusità, imbecillità di spirito, ebetismo: idee d'angoli (xwqóg, 83°); di rompere (uwpóc, 164 N.); di densità (maxüç, maxübepuos, maxippwy, -voog, 252); di secrezione (xöpuZa, Aupog, teste citati, con BAevvóc, 428); d'infermità (rup\ôc ecc., 487; vevínhoc, ibid. N.; évéog, 488; v. anche ibid. NL 815. Atti dell'intelligenza, sinteticamente ed analiticamente considerati ecc. a). OLXIIL Idea di pensiero (venire in mente ecc.); d'andare, con èmi-, eid- (éme, 91; ém-, cicépyopoi, 92); di porre, con napa- (napiornu, 134); d’unire (cuvantw, 229); di senso (oîda, 448). CLXIV. Idea di giungere a sapere, d'apprendere, d'imparare: idee di far andare, con guv- (ouvinw, 109); di prendere (NauBävw, dva-, dia-, ÈKA., 209); d’accostare (xupéw, 211); di luce (mipavorxw, med., 303); di moto animale (voéw, 436 N.); di senso (aic0á- vouar, 444; dkovw, v. anche biakoüw, ümnkoog, 454; xAów, 456); di veglia (meddopal, muvdavoua, 479 N.); di furto (pwpaw, 557). CLXV. Idea di leggere (con varie determinazioni): idee d’andare, con ëmi- (énép- xopai, 92); d’aecostare (Evreukıs, 213); di dividere (dvaveuw, med., 241); v. anche idee di senso (dkovw, 454). CLXVI. Idea d’attenzione (volta ad un oggetto): idee di posizioni (mpóc, con eiui, Yirvopai, e dat., 70); di gettare, con &m- (ériBdAAw, 140); di volgere (neraotpepw, med., 182); di prendere, con eù- (eùNaBéopar, 209); di quiete, con èm-, mpoo- (én-, mpooéxu, 249); di senso (äkpodouou, 455); di famiglia ecc. (Ocpomeów, 531). Per l'idea di richia- mare l'attenzione ad alcunchè v. &piornu (idea di porre, 134). CLXVII. Idee di ricerca, d'esplorazione, d’esame, di problema, di soluzione, di me- todo, d'imperscrutabilità. Idee d'investigazione (di varia natura, con vario scopo): idee d'andare, con vari prefissi (emkataßaivw, 90; diézepi, 91; éme£épyouo, 92; uédodog, 94); di movimento impresso in genere, con da- (dıakıvew, 106); di toccare (uotopo1, mu. uareóuw, 143); di battere (xpoów, 157); di moto attraverso (meipa, 198; dianopéw, ibid.); di prendere (doxiudzw, 207); di separare (xpivw, é&eukpwéw, 239); di minerali (Büoavos, 326); di parti del corpo. (Zovuxizw, 407; diamodizw, 409); di senso (iotopia, 448; Gewpéw, 449; Gkéyic, okonéw, 451); di strumenti vari di lavori ecc. (orabudw, 522); di furto (Qupdw, 557). Intorno ad éMéfyw v. idee di gravità ecc. (259 N.). Per l’idea d'aridità di ri- cerche troppo minute ecc. v. idea di secchezza (mepıokeAig, 266) e v. anche idea di viscosità (YMoxpokoyeouoı, 271). | | | | | | | | CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, NI 139 vertice EE es Idea di problema: idea di tendere, con mpo-, úno- (mpétaoiç, ómoretvu, 170). — Idea di soluzione: idea di separare (àvéAuoic, 242): v. anche idea d’andare, con é£- (&oboc, 94). — Idea di metodo: idea d’andare, con meta- (ué8oboc, 94). Idea d’imperscrutabilità: idea di limite, con à- (dmépatos, 39); cf. idea di moto : attraverso, di penetrazione (198). | CLXVIII. Idee d'osservare, spiare, vegliare ecc.: idee di gettare, con èm- (émfoM;, 140); di fregare, grattare (rnpéw, 145); di prendere (boxeüw, boxáZu, 207); di dividere (vupdw, 241); di quiete (mpooavexw, 249); di moto animale, con mpooc-. (npoocopeUu, NM 440); di senso (dewpew ecc., 449; Enonreuw, 450; okomréw, 451; quhaxh, puAdcow, 452). Idea d’essere inosservato: idee di posizioni (mo-, 65); d'andare, con mapa- (napep- dag., &xp., 219). | xomo, 92); di correre, col medesimo prefisso (mapatpéxw, 98); di scostare (peru, | MAR $ i : enge : Non ? inopportuno far qui cenno dell'espressione metaforica di due altre idee, È Mns di quelle di presagio e d'essere impreveduto, inatteso. Idea di presagio, d'augurio (con quelle di previsione, presentimento): idee di posi- zioni (deEiöc, 62; dpioTepóc, 63); idee astronom. (TEpas, 339); idee di regno animale H (oiuvóc, oiwvitouo, 367); di parti del corpo (nrenôv, 404); di senso (Occoyo, 450; ócceía, 600eVouaı, ibid. N.; xAndwy, 456). Idea d’essere impreveduto, inatteso: idea di luce, con à-mpo- (Aampöporog, 303). CLXIX. Idea d’esperienza: idea di moto attraverso, di penetrazione (meipa, 198). j | CLXX. Idea di considerare: idee d’andare, con èm-, mepi-, èu-mepi- (èmépxouou, | éumepiepy., 92; mepiodeüw, 94); di far andare (évQvuéouon, 115; cf. deve, 108 N.); A7 di porre, con &mı-, Ouv- (ëpiorévw, 134; ouvrienu, med., 136); di gettare, con ouv- (cuuBóéAAu, 140); di volgere (orpepw, 182; émbivéw, med., 184; élioow, 185; dva- moAéu, 187; v. anche dvaruAioow, 189); di prendere (doxedw, 207; diodaußavw, 209); d’unire (AoytZoua, 228); di dividere (vwudw, 241); di nutrizione, con àva- (àvauacáopon, i | 417); di senso (à0péw, 446; Bim, àmoB., 447; eldov, 448; Geéougt, Bewpew, 449; : d góvoyic 450; okénroua, Okéyic, okoméw, 451). i A { ' Idea di non considerare: idea d’andare, con napa- (rapépxoum, 92). 4 f CLXXI. Idee di computare, calcolare ecc.: idee di far andare, con àva- (ävérw, 108); di gettare, con ouv- (cvuBaMw, med., 140); d’unire (AoylZouaı, 228); di minerali } (yñpos, ynpizw, 325). 4 1 y CLXXII. Idea di paragonare ecc.: idee d'identità, somiglianza ecc. (éiokw, eikátw, 30; önordw, 31); di posizioni (mapà, 69); di portare, con ovv- (ouuBaorélw, 129); di porre, con mapa-, Ouv- (rapiornu, 134; mapa-, ouvriômu, 136; moparácou, 137); di gettare, con dvti- ecc. (dvrı-, TTPOO-AvTI-, mapa-, GuuBOMun, 140); di senso, con napa- (napadeikvun, 453). | CLXXIIL Idee d'intendere, di comprendere (in senso attivo ed in passivo): idee | di spazio in genere (xwpew, 36, 217); di far andare, con Ou: (ouvinu, Guveróc, 109); i | di prendere, anche con vari prefissi (oipéw, 204; ä\woiuos, 205; Ouvoprazw, 206; émobéxouo, 207; AauBévw, kata)., Úno., 209); d’accostare (äkokoubéw [Aóru], duona- | pokoAoó0nroc, 210; — v. anche ruryxávu, 213); di senso (0ewpéw, 449; — v. anche 1 àkoúw, 454). KS) | Idea d'essere inteso come una specie sotto un genere: idea di cadere, con úno- È | (ömonintw, 105). — Per l'idea. d'aggiungere, supplire pensando a quanto s'udì v. mpoc- di utakovw (454). i 1 » 140 DOMENICO PEZZI Idea di concepire intellettualmente in un dato modo, giusta un sistema particolare; concetto di scuola filosofica: idee di far andare (&rwrà, 108); di portare (pop, 133); di prendere (aipeois, 204); di quiete (otäoiç, 247). — Intorno a Kuvikot v. idea di regno animale (378). CLXXIV. Idea di conoscere (in senso attivo ed in passivo), di sapere, cultura ecc.: idee di luce (?, dos, 301); natura organica in genere, con dia- (diapiw, pass. ed intrans., 942); di senso (Blénw, 447; «iov, olda, eidnua ed etdnors, con Tduwy, iduogivn, löpıg, Îotwp, iotopia, 448 — dkovw, 454, con moAunkoog, ibid.); d'età (mardeia, 495); di lavori ecc. (rpéuuara, molurpéuuatos, 507). Idea d'essere giunto alla contemplazione (ultimo e supremo grado ne’ misteri eleu- sini) idee di senso, con èni- (émonteüw, 450). CLXXV. Idee d'ignorare, d'essere ignoto: idee di far cadere (Naveévw, 128 N.); di scostare (pebrw, dia-, èkp., 219); d'oscurità (ox6tog, 306; wepnvôs, ibid. NI: di senso, con àv- (àvńkooç, 454); di città ecc. (ibuvrnc, 539; Eévoc, 540). Per l’idea d'inintelligibilità v. xaAuuna (idee di luce e d'oscurità ece., 307). Per quella di storta interpretazione v. dia-, mapaotpépu (idea di volgere, 182). b). 9) Percezioni, idee. CLXXVI Idea di percepire: idea di prendere (&práZw, 206). CLXXVII. Nozione varia d’idea, di concetto: nozioni d’eguaglianza (ef, 30); di battere (dvatimwpa, 160); di prendere (una, mpöAnwıs, 209); di senso (eldog, ibéa, 448). Per l'idea d'essere considerato in sè e per sè, im astratto ecc. v. idee di fregare, grattare (ywóc, 147); di tagliare (&noróuwc, 161). Per i concetti di sottigliezze intellettuali, di metafisicherie v. idee d’alzare (uerap- oroXeoxia, 191); meteorolog. (&epouerpéw, aidepoAöyog, 330); di regno vegetale (oxıvdd- Aauot [Aöywv], 356; dxav0a, akavBoXéroc, cf. anche eZakavdizw, 357). CLXXVIO. Idea di chiarezza: idee di fregare, grattare (topög, 145); di volgere, con èni- (émiméhaios, 187); d'unire, con eù- e dia- (evdıapepwrog, 220); d'aprire (àva- mivoow, 225); di separare, con eù- (cükpiviüc, 239); di luce (èvaprńs, 299; Aaumpóc, 302; qavepóc, 303; cápa?, ibid. N.); di scoprire (mapayuuvöw, 307 NI: di colore (Meuxóc, 310). CLXXIX. Idea d'oscurità (difetto d'intelligibilità); idee di volgere (é\ixtég, 185); d'unire (mepinhékw, 233); d’oscurità (difetto di luce) (ëmépreuos, 299; okéroc, 306); d'infermità (yeMN6g ecc., 489); di lavori ecc. (rpipos, 515). 8) Giudizi. CLXXX. Idea di principio fondamentale (porre, essere posto come tale): idee di porre, con úno- (üpiornu, med., 134; ómoríónu 136); di prendere (oípecig, 204); di quiete, con úno- (ónóxeu, 245). Idea di proposizione ammessa come vera ed usata come premessa: idea di prendere (upa, 209). — Idea di proposizione doppia fra le cui parti l'avversario deve scegliere (iinuua, 209). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 141 CLXXXI. Idee di giudicare, reputare, essere d'opinione, di parere, pensare ecc.: idee d'identità, somiglianza ecc. (towa, 30); di posizioni (mapà, 69; mpóc, 70); di far andare (ër, àziów, 108; Trréougt, ibid. N.); di porre ((0nut, soprattutto med., 136); di | prendere (béxouo, dmobéy., con dorew ecc., döyua, dóža, 207; ÜrolauBévw, 209); d'unire | | | | | | (Aérw, Aöyog, 228); indi piacere (tà àpéokovta, 230); di separare (dividere) (véuw, 241; vopíčw, ibid.) di fare (mow, med., 243 N. [tengo per..... ]; di luce (paivw, pass., | 303; pnuí, pńun, ibid); di minerali (wfipog, 325); d'animali (oïouu, oîuoi, 367); di | | senso (xatevwmiév Tivoc, 450; v. anche Okéyig [dhuov ecc.], 451). — Idea di reputare 4 conveniente, giusto, equo: v. il teste cit. dE16w (108). — Idea d’antieipare giudizi: idea | di prendere, con npo- (npoAaußavw, 209). — Idea d'aver opinione cattiva: idea di pren- | dere, con karta- (karadorew, 207). — Idea di mutar parere: idee di cadere (uera- rintw, 105); di porre, con dva-, peta- (ävatiônm, med., con uerationui, med., 136); | di gettare, con ueta- (ueragáAAu, 140); di battere, col prefisso indicato (ueraxpovw, 157); i | di volgere (rpärouaı, 181; neraotpepw, 182); di moto animale, con peta- (ueraxa(Zu, (i È 440). — Idea di far mutare opinione: v. perationui, att. (136). | CLXXXIL Idea di giudizio affermativo (per lo più espresso con particolare energia): | idee di forza (ioyupíZouoi, 12); di far andare (dEıöw, dEtwua, 108); di porre (tiðnm, Ofcig, 136); di premere (méZw, 1522); di tendere (bwareivw, med., 170); di prendere, | con ða- (ówupéw, 204); di quiete, con ùmo- (ónícyopat, ómoxvéouoi, 249); di densità | (?, oreüron, -ro, 254 N.); di lace (omui, pdokw, 303). 4 | CLXXXIIL Idea di giudizio negativo: idee d'aleare (dpors, 191); di prendere, i | | con dva--(dvarpéw, 204); metorolog., col medesimo prefisso (àvatvouat, 331); d'atti W | fonetici, con àno- (àmavdáw, 463). | | Intorno al valore negativo di napa- v. sopra (69). CLXXXIV. Idee d’attribuire, aggiudicare, anche d'imputare: idee di far andare | (rw [ri èni tiva], 108); di porre, eon dva-, mpoc- (dva-, npootienu, 136); d'unire | con dva- (dvamtw [ti eig tiva], 229); di separare (xpivw [tivi ti], 239). — Per l'idea di f | | d’essere attribuito falsamente ad alcuno (come un libro a chi non wè l'autore) v. vo- È | Ocóu, pass. (idee di famiglia, 326). m | CLXXXV. Idea d’annoverare fra ..... , d'aserivere @.....: idee di porre (ti- 6nut [ri ëv tivi ecc.], 136; vácow [tivà eig mune, Ev moi], 137); d'unire (dire) (Méyw | [tivà &v noi], Norizopat, 228); di lavori e divertimenti (rpapw [tiva rıvwv], 507). : 1! | CLXXXVI. Idea di definizione: idea di limite (öpos, Spizw, 38). N CLXXXVIL Idea di distinguere: idee di numero, con dia-, come per lo più nelle | | voci che verranno qui citate (diapıduew, 7); di porre (ouiornm, 134; diaotéMw, 135); | | di prendere (bwupéw, 204). S'aggiunga, per l'idea di distinguere nel disputare, cuvtéuvw (idea di tagliare, 161). | | CLXXXVIII. Idea di giudizio favorevole, d’approvazione: idee di prendere (&mooé- | | xouat, 207; dorınäalw, ibid.; cf. èx\auBdvw, 209); anche di separare (kpívw, 239). | Cf. vouičw, riconosco come uso, stimo legge, stimo bene (idea di separare, 241). | | soltanto le idee di porre, con à- (ddetew, 136), e di separare (véueotc, veuecáopot, 241); ; più tardi verranno indicate voci significanti varia espressione di biasimo. — Per tx quanto concerne éAMéryyw v. idee di gravità ecc. (9, 259 NL CXC. Idea di giudizio vero, di verità im genere: idee di posizioni (6p96<, dpdodo- À $ 142 DOMENICO PEZZI Zew, 51); di far cadere, con à- (äAneñc, 1282 N.); di volgere (o confondere?), con à- (ürpeküc, 181 N.); di scostare, con vn- (vnueprñc, 215). CXOL Idea di giudizio falso, erroneo, di falsità, torto ecc. in genere: idee di dif- ferenza (Aog, dANoboEéw, 33, cf. érepodoëia, 34); di posizioni (äpiotepé, ntr. pl., 63; mapa-, 69); di cadere (ôMoBorvwuovéw, 104); di prendere, con kata- (karadorew. 207); di scostare (ünapravw, 215). Per l'idea d'assurdità v. dromog (idee di spazio in gen., con à-, 35). Per la varia espressione metaforica dell'idea di commettere errori sono notevoli le parole corrispondenti alle idee di cadere (nintw, mra, nraiw, 105); di far an- dare (mAavaw, pass., 111); di toccare (akıratvw, 144 N.); di battere, con mpoo-, napa- (mpooröntw, 156; mopáxpoucig, 157); di vuoto (KeveuBaréw, 251); di mollezza (äur\a- xioxw, 263); d'atti fonetici, con mAnv- (tAnuueréw); d’infermita (ëm, 491). CXCH. Idea di certezza: idee d’andare (BéBoioc, 90); di volgere (o confondere?), con à- (àtpekńç, 181 N.); di pienezza (mAnpopopéw, 250); di luce (?, oépa, 303 N.). CXCHI. Idea di dubbio, d'ambiguità, d'incertezza (soprattutto di spirito): idee di numero (ÉEauporepiZw, Auportepößkenrtog, 8; dom, boidZu, èvò., d10066, birpócumozc, ðt- otáčw, diwuxog, 9, cf. 134 N.); idee di posizioni (koEóg, 52; mAdyıog, 53; ugi- in AupiBéA\w, dupiBoroc ecc., &upiAoyog, dupıvoew, dupioBntéw ecc., 56, cf. 140 ecc); d'andare (dNdoua, diów ecc); di far andare (nkavów, pass., 111; géi, 128); di alzare (nerewpog, 191; xpéuapai, xpeuévvuui ecc., 193); di moto attraverso, con à- (&nopéu, 198); di quiete, con ém- (épekrixóc, 249); di colore (mowthoc, 814); di senso (Gkéyic, orentikög, 451); di commercio (xígonAoc, 549). V. sopra, OI. OXCIV. Idea di congettura, supposizione (giudizio ipotetico): idee d'identità, di so- miglianza (eixáZw, ecc., 30); di spazio in genere (xomáZw, 35); di porre, senza prefisso o con Guv-, úno- (Tien, Ouvriänu, srot. med., 163); di gettare, con ouv- (CUUBANNW, 140); di prendere, con $mo-, mpo- (bnodoxn, 207; mpóAqyie, 209); d'accostare (otoxd- Zoucı, 212); di fare (moıew, med., 243 N.); di luce (texuaipw, med., 304); v. anche ctagudw (idee di lavori ece., 522) e non si dimentichi TOU (idee di spazio in ge- nere, 37). CXCV. Idea di probabilità, di verisimiglianza: idee d'identità, somiglianza (iow, 29; elkóc in eikoroloréw, 30). y) Raziocini. CXCVI. Idee di prova, dimostrazione: idee d'andare (BeBarów, med., 90; épodos, 94); di porre, con mapa-, ouv- (rap-, ouviomu, 134; v. anche napariönu, 136); di parti del corpo (èmxeapéw, 405); di senso (@modeikvun, 453; cf. napad., ibid.); di strü- menti vari di lavori ecc. (xataokevdZw, 514). Per l’idea di privo di prove ecc. v. idea di fregare, grattare (W\6ç, 147). CXCVII. Idea d'argomento: idee di spazio (rônos, 35); di limite (6 nepaivwv Aóroc, 39); di far andare (èvðúunua, 115); di porre (dena, 136); di parti del corpo (keparivng; 383; èmyeipnua, 405). Per l'idea di ragionamento erroneo v. napa- (69, cf. mopaloriouéç); iuavreMxkrne, 185; ouxopévins (303); v. anche kooxuAudrıa (176). CXCVII. Idea d'allegare, di citare (come argomento, come testimone): idee di far andare (ènérw, med., 108); di portare, con ém-, napa- (èmipépw [\érovré Ti], Tapa- CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 143 pépw, 133); di porre, con napa- (naporienu, 136); di gettare, con npo- (npogóMu, med., 140). CXCIX. Idea di deduzione: idea di far andare, con duv- (ovußıßalw, 107). Idea d’induzione: idea di far andare, con ém- (énáyw, enoywyn, 108). Idea di conseguenza: idee d’andare, con duv- (cuupatvw, 90); d'accostare (dxoAoudia, 210). Per l'idea di conseguenza artificiosa v. &rıxeipnua (idee di parti del corpo, 405). Idea di conclusione: idee di limite (nepaivw, ovun., 39); di far andare, con ouv- (ouvérw, -owf, 108); di portare, con èm- (émpopé, 133); di gettare, con ouv- (ouu- BAMw, 140); d'unire (AoyiZoucı, 228; ouvarıw, 229); v. anche idee di luce (?, texuat- pou, 304 N.) e, pel concetto di conclusione legale, v. idee di lavori ecc. (rpáqu, 507). CC. Idea di convincere: idee di prendere (Maugávw, med., 209); di gravità ecc. D. éMérxw, 259 N.). CCI. Idea di confutare: idee di far cadere (6w0éw, 128?); di tagliare (ëèmréuvw [rvduas], 161); di volgere, con mepi- (mepırpenw Te, Aöyov], 181); di sciogliere (Dee, émAUW, 242); di senso, con duo- (duownew, 450); di strumenti vari, con àva- (&va- OkeuáZu, 514). — Per l'idea di non facile confutabilità e per quella d'inconfutabilità V. duokatarwviotog (idee di far andare, indi d adunanza, di lotta, con buG-kaxa-, 108) e ordnpeog ([Aöyog], idee di minerali, 327). — Notisi qui anche npöAnyıg come significante il prevenire un’obbiezione (idea di prendere, 209, con mpo-, 59). $ 16. Memoria ed immaginativa. a). CCH. Idea di rammentare, ricordare: idee di gettare, con úno- (ónogáAAu, 140, cf. idee di porre, con dva-, àváðnua, 136); di quiete (tenere) (0p&àckew, 249 N.); d'in- fermità (Ekomoiéw, 490, col senso di richiamare alla memoria mali dimenticati). Per l'idea d’ammonire rammentando v. mapakalkéw (idee d'atti fonet., 468). CCHI. Idea di dimenticare: idee d’andare, con éE- (é£irnhoc, 91); di far cadere (Aavdavouan, mià., On, con AavOávu nel senso di fo dimenticare, rendo immemore, 128 N); di porre, con èž- (é£otnut, med., 134); di gettare, con àno- (droßäAAw, 140); di scostare (dragevyw, 219). Per l’idea di disimparare v. idee di moto da luogo, con uaveévw (dmon., 200 N.): per quella di smemorataggine v. idea d’alzare, con ueta- (nerewpia, 191). b). CCIV. Idea d'immaginarsi: idee di porre, con úno- (Lpiotnu, med., 134); di luce (pavré£w, med., 303). — Per l’idea d'immaginarsi non esistente cosa ch'esiste v. àno- méoxw (200). CCV. Idea d'inventare: idee di fare (m\üoow, nAdona, 243; mow, 243 N.); di suono (?, weüdos, 322 N.); di parti del corpo, con eù- (eùmaNapos, 405); di strumenti vari (xata-, GuckevóZu, 514). Per l'idea d'arte v. téxvn (idee di lavori e divertimenti, 506); pel concetto d’ar- tificio, di leziosaggine in arte v. nMáoua (idee di fare, 243). ee nà RE ea Eet? Ei ee Ca i i I N 1 il 144 DOMENICO PEZZI IL. VrrA DI MENTE NELLE SUE MANIFESTAZIONI. A. Espressione del pensiero in genere. 8 17. CCVI. Idee varie di far conoscere, manifestare, palesare, pubblicare, svelare ecc.: idee di posizioni (uécoc [èv uéow Tidévar — eis tò uécov TiO., péperv], 55); di linee varie ecc. (éxkuxAéu ecc., 78); di far andare, con Kartero-, àno- (kareıodyw, svelo a mio danno, 108; dpinm, 109); di portare, con o senza prefissi (&Zototog, 130; pépw, nerap., 133); di porre, con éx-, mpo-, úno- (èk-, mporienui, Ömorideun, 136; v. anche mpoegi- cornu, 134); d'alzare (oipw, 191); di moto da luogo (EEwrepikög, accessibile, comuni- cabile a molti, 201); di dare (mpoamodidwpi, notifico prima, 203); d'unire (onde dire) (é£oropebw, cf. ómayopeUu, fo sapere segretamente); di luce (paivw, PÜTIS, TIPAVOKW, Dome, 303; intorno a rekuaípu v. 304 N.); di suono (nmów, 316; katnyéw, 317; Aáckw, Aokebi)v, 321); di senso (deikvun, dmob., mapab. ecc., 458 — xMjZu, xAndwy, 456); Tatti fonet. (addi, adddw, 463; ynpúw, 464; Bodw, 468; xnpUccu, ibid. N.; 0poéu, 471, con 0puAéu, ibid.); di divertimenti (èEopyéouar, svelo con rappresentazione mimica, 509); di città ecc. (otnMTeúw, 537; dnuocidw, 538). Per l'idea di diffondersi di notizie, di rendersi, diventare manifesto v. idee di andare, con é£- (Gem, 91); di scostare (xwpéw, 217); di suono, con &E- (éEnxéw, pass., 317). CCVP. Idea di ritrattazione: idea di porre, con àva- (ävariônm, 136); di parti del corpo, col medesimo prefisso (ávomobíZu, con pron. rifi., 409); v. anche idee di posizioni (nàMv, 60). Per l'idea di confessione estorta (colla tortura) v. B&cavog (idee di minerali, 326). CCVIL Idea di testimone, testimonianza: idee di senso ({orwp, 448; v. anche katev- (mov, 450). Per l’idea di chiamare a testimone v. xaddmrona (idee d'unire, con Kato-, 229). Per l'espressione del concetto di giuramento v. öpxog (idee di chiudere o di fis- sare ?, 224 N.). OCVIIL Idee d’istruzione, d'insegnamento, ammaestramento: idee di posizioni (mhia, 71 N.); d’andare e far andare, con o senza prefissi (mpo-, eic-, cuv-) (6560, 94; 6dnréw, ibid. e 108 N.; mpo-, ouußıßdzw, 107; eisaywyn, 108); di fregare, grattare (marwdorpıßew, 146); di prendere (diddokw, 207 N.); di suono (èv-, xatnyéw, 817); di moto animale (uvéw, 439); di senso (deikvum, 453); d’età (maıdeia, 495). CCIX. Idee di spiegare, interpretare, esporre: idee di numero, con éE- (é£amAów, 9); d'andare, con pera-, dia-, ém-e£-, di-et-, émi- (étre, 91; di-, ére-, èrépyouai, 92; dieë- óbeucic, 94); di porre, con dia-, dva-, éx-, napa- (diaoreA\w, med., 135; dva-, èk-, na- pationu, con diat., med., 136); di gettare, con ouv- (cuupaMw, 140; cf. mapexBoM, ibid.); di volgere, con dia- (dieMoow, 185); di prendere, con dia- ecc. (bwupéw, 204; dia-, ómolouBávu, 209); d'unire e di separare, con qualche prefisso (dia- ecc.) 0 > CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 145 senza (d1apOpôw, 230; Kpivw, Ümoxpivouor, 239; Aócic, Émiluois con ëmAUW, 242); di quiete, con èk- (Exkeınan, sono interpretato, 245); di luce (paivw, 303); di colore (dia- Aeuxaívu 310). Idea di rappresentare la parte d'un personaggio drammatico: idee d'andare e di far andare, con cid- (cioe, 91; eiodyw, 108); di separare, con úno- (ómoxkpivu, med., 239). Per l’idea d'iniziazione v. veopüvrns (idee di luce, 303) e uvéw (idee di moto anim., 439). Cfr. puteia, dottrina della salute dell'anima, e veöpurog (342). COX. Idee varie di predizione: idee di prendere, con àva- (dvapew, 204); di luce (prium, v. anche œaivw, 303); astronom. (oeAnvıdlw, 340); di parti del corpo (omharxveüw, 399); di senso (600eVouaı ?, 450). CCXI. Idee di lodare, esaltare, celebrare, rendere famoso: idee di grandezza in genere (ueroNivw, 1; aùžávw, 2); d’ormamento (xocuéw, 20); di dimensioni (úyów, 46); di portare (BaotdZw, 129); di porre, con ouv- (cuviotnu, anche presento lodando, rac- comando, 134); d'unire (onde dire ecc.) (Xérw, 228); di luce (pun, 303); di suono (xerodéw, 318; k6urog, 319); meteorolog. (puodw, 333); Qatti fonetici (p0érrouu, 466; Bow, 468; knpüoow, 468 N.; 0ópuBoc, 469); di divertimenti (èrkwurov, xwudZw, 512; v. anche waAuög, 511); di città (muprôw, 536). CCXII. Idea di biasimare (manifestare riprovazione), riprendere, rimproverare, sgridare, anche dileggiare: idee di nettezza (mAivw ré ecc. 17 N.) e di sudiciume (uge ecc. 23); di linee varie (edOüvw, 72); d'andare, con èm- (énépyouou 92); di portare, con èm- (emipepw, 133); di fregare, grattare (npootpißw, soprattutto med., 146); di battere (nAnkriouôç, &mıminoow, 159, con &mippamouösg, ibid.); di rompere (koXdZw, 163); di volgere, con npo- (nporpenw, med., 181); di prendere (Aaugóvu, ëmA., med., 209); d'unire, con xara-, èm- (kaOánrouoi émapñ, 229); di densità (èmotigw, 254); d’atti fonetici (0Naxtéw, 461; 06puBog, 469); v. anche idee di commercio e furto (àréu- Boum, 555). Di TéAaç interpretato in senso di biasimo fu fatto cenno al n° 132 (idee di portare). Intorno ad ëkérxw v. 259 N. (idee di gravità e di leggerezza). Siano qui ricor- dati i vocaboli corrispondenti all'idea d'accusa, per lo più giudiziaria (v. sopra, CXLIP). CCXIIT. Idee di veracità, schiettezza, sincerità: idee di numero (am\6og, 9); di identità (addékaotog, 28); di posizioni (èp06ç, 51); di linee varie (ege, 72); di far cadere, con à- (dAnofig, 128 NI: di scostare, con vn- Dunueprge, 215); v. anche idee d’unire, con à- (dképarog, 235). Pel concetto di libera schiettezza di parola v. nap- pnoia (idea di grandezza in genere, 4). COXIV. Idee di celare, nascondere, dissimulare: idee di porre, con o senza mepi- (otéMw, med., con mepiotéeMw, 135); di quiete, con èm- (énéyw, 249); di coprire (?, xpüntw, 307 N.) Idea di segreto: idee di posizioni (ómo-, 65, v. ad es. únoméunw, 110); di moto animale (nuorhpiov, 439); d'atti fonetici, con d-, àv- (ävaubos, 463; dxfpuxroc, 468 N.; own, 477). V. idea d'ignoto, CLXXV. CCXV. Idea di menzogna, fallacia: idee di genti varie («pnriZw, 542); intorno a yeddog, wevdouai, v. 322 (idee di suoni); v. anche idee di fregare, raschiare (ca0póc, 147 N.); di parti del corpo (fayiZw, poxiothp, 392). Idea di falsare: idee di volgere, con ueta- (neractpepw, 182, cf. mopoorp.; O1peBAóu, 189); di famiglia (vogevw, 526); di commercio ecc. (xamnAevw, 552) Serie II, Tow. XLVI. 19 il | | j | ee tit ét à 146 DOMENICO PEZZI OCXVI. Idea d’esagerare: idee d’alzare (oípw, 191); di città (mupyöw, 536). Idea di palliare, d'abbellire: idee di cuocere, con mepi- (nepıneoow, 289); d'età, con úno- (ómoxopíZouot, 496). CCXVL. Idee di trarre in errore (doppiezza, finzione, inganno, illusione): idee di numero (ów in bimAóoc, diriwodog ecc., 9); di differenza (Nmeponeuw, 34 N.); di posizioni (nMériog, mAayıdZw, 53); di linee varie (àykülos, 74; GkoMôc, 77); d’andare, con vari prefissi (mepı-, Óm-, anche mapepxonaı, 92; pué0odog, 94; dmdatn ecc., 94 Ni: di far andare (con mapa-, tapéàrw, -aywyn, 108; mAavdw, 111; opáňiw, 128; Anoiußpotog, 128 N.); di gettare, con vari prefissi (o1aB&Alw, napagMjonv, v. anche taMuBorXog, 140); di fregare, grattare (?, 06Xyw, 147 N.); di battere, con napa- (mapaköntw, con ëAmi- bokoméu, 156; rapaxpovw, con xpovordnuéw, xpovowetpéw, 157); di tendere, con mpo-, úno- (npo-, ómoreívu, 170); di volgere, con mapa-, àno- o senza (maporpénu, 181; amaoAdw, mapoioMZu, 183; Eıtösg, cf. iuavreAiktng, 185); di moto attraverso (ëumo- pevonan, 198); d'unire (àrupris, -wóc, 227; Amapiorw, 229; biapráu, cf. dvapr.) e di separare, con úno- (ümokpivw, med., 239); di fare (m\äoow, att. e med., con nAdoua, 243; montés, npoomoiéw, med., ibid. N.); di quiete (oxynuati£w, med., oxnuaricuóc, 249); di calore (86Anw, 273); di luce (pavralw, ovkopavrew, v. anche qóokw, 308); di coprire (P, xpuntög, -1K6ç, 307 N.); di suono (weddog, weóbu, 322 NI: di natura organ. in genere (pnhôw, 349); d'animali (dpi, 366; intorno a BovukoAéu v. 374; mOnkouôs, 980); di parti del corpo (fıvaw, 388; v. anche övuxiZw, 407; mrepviZw, 410); di nu- trizione (tpwxtns, 418); d'atti fonet. (rónc, 470); d'infermità, con úno- (ÜnovAoc, 491); d'età (Eumorynovn, 495); di strumenti varî (deredZw, bolog?, 516 N.); v. anche idee di famiglia (vodevw, 526); di genti varie (xpnriZw, 542); di commercio e furto (KiBbn\os, 549; xémnoc, -iKög, 552; xMémru, xAomf, émíkhomog, 556). COXVIII. Idee d'adulare, piaggiare, blandire con lusinghe; idee di correre, con úno- (Örorpexw, 98); di far andare (P, kÓloE, kolaxeüw, 116); di fregare ece., con kata- (katayáw, 147); di battere (in bnuo-, ôxho-, EAnvoronew, 156); di liscezza (Aeîog, Aeaó[Auoooc, 269); di moto anim. (caivw, 443); d'atti fonet., con nepi- (nepirormZu, gommdouarg, 462 N.); v. anche koGkuMuória (176 N.). B. La parola com'espressione del pensiero. 8 18. La parola in genere. CCXIX. Idea di parlare, dire: idee d’unire (Méyw, Aóvoc, 228 ; cf. àyopeúw, 227); di luce (pnui ecc., 303); d’atti fonet. (atodw, 463; ynpúw, -ouaı, 464; (F)étoc, 465 [con (F)eneeooı appare congiunto ka0ómrouot v. idea d'unire, 229, verbo che trovasi per altro usato anche solo nel medesimo senso di mi rivolgo parlando]; PYerronan, 466; pwvn, 467). Varie determinazioni del concetto di parlare, dire vengono signifi- cate dai vocaboli qui addotti, come si scorge dalle notizie date intorno ad essi nei due Saggi precedenti (v. i numeri citati) Per l'idea di dire recitando ecc. v., oltre a Aeyw, bié£euu (idea d'andare, con éE-, 91); ävavéuw, med. (idea di dividere, con àva-, 241). 1] SE; ME: MES A) CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 147 ] Le | COXX. Idee di lingua, di dialetto: idee di parti del corpo (yAWooo, 391); d'atti 1 fonet. (pwvn, 467). CCXXI. Idee varie di senso di parole (significato). Nozione di senso indeterminato (ora buono, ora cattivo): idee di posizioni (uécoc, 55). Idea di riferirsi a... nel senso: idea d'andare, con kata- (kaðńkw, 93). Idea di poter essere inteso in altro senso: idea di volgere (otpeponan, 182). Idea di limitazione di senso: idea di forza, con tepi- (ne- ] pixpérnois, 13). Idee di prendere im un dato senso, di mutar senso a ...: idee di pren- dere, con àmo-, con map-ek- (ümo-, mapexbéyouoi, 207); di portare, con peta- (uera- | pépw, 133); di tirare, con napa- (mapaoüpw [émoc], 169). V. sopra CCVIIT. CCXXIL Idea di facere: idee di porre, con úno- (úmootéMw, med., 135); di quiete Dovu, med., ed éméyw, 249); di coprire (otérw [con o senza own], 308). V. sopra, COXIV. OCXXIII. Idea di dire ripetutamente: idee d’andare, con èm-, émavo- (énávewi. 91; èmavépxouon, 92); datti fonet. (Bpukéw, 471; deidw, 474). CCXXIV. Idea di dar nome, denominare: idee. di luce (pariZw, 303); di senso | (Aw, 456). S'aggiunga ôvouaroëñpas (idee di lavori e divertimenti, 500). Idea di chiamare per nome, nominare: idee d'unire (Ayw, 228) ; Qatti fonet. (pOér- VE a STORE TA at vou, 466; quvéu, 467; xaXéw, 468 N.) Idea di chiamare = convocare: v. xaNéw, | testé citato. [ CCXXV. Per quanto concerne le idee di dire affermando e dire negando v. sopra, ] |] CLXXXII-II. 8 19. La parola considerata in alcuni usi speciali. i a) CCXXVI. Idee d'esporre, enumerare, narrare, raccontare: idee di numero, con xata- H anne : id (xatapiduéw, soprattutto med., 7); di misura, con dva- (dvanerpew, med., rimemoro, rac- t E conto di nuovo, 10); di limite (mepaivw, racconto sino alla fime ecc., 39); d’andare, N d specialmente con dia- (oïun, andamento di narrazione, 91; bié£euu, ibid.; diépxouon, 92); | | ` di far andare (ie, 112; cf. ouvéyw, mpoeıoayw, 108); di porre, con èk- (èxtienm, 136); d'unire (Méyw, 228); di separare, con àva- (àvavéuw, med., 241; v. anche èvda- teouan, 240), di pienezza (ékmiurAnm, 250); di senso (iotopia, 448); v. anche idee ! d’atti fonet. ( (F)enos, 465). À Idee d'allocuzione, di predica: idee d’accostare (Evreuäic, 213); d'atti fonet. (xn- À püoow, 468 NL Per l'espressione del concetto di descrivere, oltre \éyw ed anche mpoacéruw teste He menzionati, v. mepíobog (idee d’andare, 94) e vpáqw (idee di lavori, 507). | COXXVII. Idee di colloquio, di conversazione, di commercio intellettuale, di collo- LE quii scientifici: idee di differenza, con duv- (cuvaMarii, 33); di posizioni (ouvouoia, 71; mia, ibid. N., cf. Ouyyiyvona); di portare, con nepi- (mepıpopd, 133); di fregare ece., con dia- (diatpif, 146); di premere, con nepi- (mepímaroc); v. anche idee di volgere, | con ouv-ava- (cuvavactpépopat, 182) ecc. Venire a colloquio: v. Evruyxdvw, ÉVTEUELS ecc. (idee d’accostare, con ëv-, 213). pr 148 DOMENICO PEZZI COXXVIIL Idea di domandare, interrogare: idee di veglia (meó00pot, rruvOdvouon, 479 N.) Per l'idea d’interrogazione ripetuta, insistente v. dvanodiZw (409). Idea di rispondere: idea di separare, con úno- (ómokpivu, med., 239). Idea di rispondere soprattutto contraddicendo: idee di battere, con úno- (ómoxpoóu, 157); di pren- dere, col medesimo pref. (ümoAaußdvw, 209). Per l'idea di risposta d'oracolo, oltre il già citato Avampew (204), v. aùdh e (F)enog (atti fonet., 463 e 465). Idea d'interrompere chi parla: v. di nuovo mpookpovw (157) e vi S'aggiunga èti- téuvw (idea di tagliare, 161). CCXXIX. Idea di disputa: idee di far andare (àywvirouoi, 108); d'unire (ouu- mÀéku, pass., 233); di separare (xpivw, med., 239). Idea di proporre una tesi ad argo- mento di disputa: idea di porre, con kata- (xarationui ece., 136). CCXXX. Intorno all'espressione dei concetti di difesa e di confutazione d’una tesi basti qui ricordare pel primo i verbi &peidw [yvwyay] (idea d’accostare, 220) ed anche dievioraua (idea di porre, 134); pel secondo v. sopra, CCI. Per l’idea di con- cessione, nel senso dei retori, v. cuvòpopi (idea di correre, con guv-, 97). CCXXXI. Idea di parlare seriamente: è uno dei sensi di GmoubáZu (idea di far andare ecc., 125). Idea di parlare scherzando, anche motteggiando: idee di calore (o di rumore ?) Dein, xAevdZw, 276 N.); d’atti fonet. (rehoidtw, 457); d'età (maiZw, rudwôs, 495); di divertimenti (kwyuwóc, kwuwdew, 512). b) CCXXXII. Idea d’opera poetica: idea di fare (motéw, moínoic, moinua ece., 243 NE); v. anche idee d’atti fonet. ((F)enea, 465, ma principalmente in senso di poema eroico) e d’andare (oïun, 91). Per l'idea di poeta v. anche idee di luce, con úno- (émophrn, 303); per quella di musa poetica ecc. v. idee d'animali (uéhooa, 364). Idea di mettere in versi: oltre al teste citato toiéw (243 N.) v. &vreivw [con o senza de émoc] (idea di tendere, 170). CCXXXIII. Idea di tragedia: idee di animali (tpayırds, Tpaywdia, 372). Pel con- cetto d’intreccio, di nodo tragico v. mox, (idee d'unire, 233). 8 20. La parola considerata nel vario valore dell'uso (orale, Scritto). a) CCXXXIV. Idea d'attitudine al dire, facondia: idee di correre, con eù- (cUpoia, 99); di parti del corpo, con eù- (edotopog, 389; edyAwooog, mepiyA., 391). V. anche mpooAng, rapidissimo, precipitoso nel dire (idea di saltare, con mpo-, 100). Idea di perdere il filo del discorso: idea di battere, con àva- (àvakóntw, pass., 156). Per l'idea d’esereitazione nel dire v. omoubn (idea di far andare, 125). COXXXV. Idea di comporre (libri ece.): idee di porre, con ouv- (ouvrienm, 136; Suvröcow, 137). Idea di scrivere: idee di porre, con kata- (katatiðnui, 136); di la- CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 149 vori ecc. (rpüpw, 507). Per l'idea di luogo, passo di scrittore v. tönog (idee di spazio in genere, 35); pel concetto d'un complesso di poemi v. XÓkXog (idee di linee varie, 78); per quello d'indice di scrittori approvati v. xavwwy (ibid., 73). CCXXXVI. Idea di materia, soggetto, argomento d’uno scritto: idee di porre, con úno- (ónó0ecig, v. Ümoríónu, 136; cf. ómócoracig, 134); v. anche idea di battere | DE es (túnoç, 160). CCXXXVIL Idea d'esposizione particolareggiata: idee di dimensioni (rhatuoués, 41); d'andare, con da- (ie, 91); v. anche diarunwoıg (idea di battere, con dia-, 160). | Idea d'esposizione prolissa: idee di posizioni (Üntios, 61); di tendere, con éx-, È én-ava- (èxteivw [Aöyov], émavaretvu, med., 170); v. anche idea di gettare, con nepi- (mepiBéAw, med., uso giri di parole, 140). Per l'espressione del concetto d'esposizione retorica v. mepiypäpuw (507). CCOXXXVIII. Idea di vana loquacità, di ciarle, di ciance: idee di battere, con quella di mare (Balacookonéw, 156); di freddo (wuxpevona, wuxpoloyéw, 288); di suono (éEnxéw, 317; kpótaħov ecc., 320; wiôupos, 322); meteorolog. (P, 50X0g, 337 N.); di | natura organ. in genere (onepuoAóyog, 343; qiédwy, oMjvapoc, pAüapos, 349); di parti del corpo (OtwuuAog, molüorouos, eüpócrouoc, 389; yAwooootpopéw, 391); d'in- fermità (weidıoua, 489); di strumenti varî (tepäpeia, TepOpetouo, di ciarle sottili, in- | gannevoli, 520). COXXXIX. Idea d’ esposizione breve, compendiosa (rapida, superficiale): idee di correre, con ém-, Tapa- (éni-, tapatpéxw, 98); di tagliare, con èm-, ouv- (èmi-, ouvtéuvw, 1 | 161; cf. ouyköntw, 156); di volgere, con Ouv-, (cvorpéou, 182); di prendere (ëèmou- Bévw, med., 209); d'unire (&nvouew, 229); di parti del corpo (kepalaıöw, 381; àno- I | kopupöw, ibid., N.); di senso, con duv- (oüvoyis ecc., 450). Idea di ricapitolazione: È idee d’ andare, con En-av- (émávoboc, 94); di pienezza (ouurAñpwois, 250); di parti ] del corpo, con àva- (dvakeparatworg, 381). d CCXL. Idee varie d'ordine nell'esposizione. Idee di relazioni fra proposizioni: idee i | d'unire (m\érua, 233); d’andare, con nepi- (mepíoboc, 94); di tendere, con npo- (mp6- d^ tao, 170). i | T Idea d'esordio ecc.: idee di gettare, con eio- (eioBoañ, 140); d'unire (indf dire), A! con ÜTo- (naropeúw, 227). À Idea di dire per ordine: idea d’andare, con EneE- (énéEeuu, 91). Idea di digressione: idee d andare, con éx-, map-ek- (éxBatvu, mapékBaoic, 90; 24 tapézei, 91; mapé£oboc, 94; maperdpoun, 97); di far andare (n\aväw, pass., 111); À di gettare, con èx- (èkBoM [Aöyou], 140); di volgere, con èx- (èktpérw, pass., 181). d i b) H | CCXLI. Idea di stile (colorito del discorso ecc.) in genere: idee di fregare, grat- | | tare (xapaxrhp, 150); di fare (n\doua, 248); di colore (xpWna, 309). Per l'idea di discorso asindetico v. Aboıg (idea di separare, 242). COXLII Idea di forma seria: idea di quiete (oréoiuos [con Aé&ic], 247). Idea di forma faceta, di scherzo: idea di divertimenti (kwpkóç, cf. xwuixevopa1, 512). V. sopra, CCXXXI. A a 1 $ 150 DOMENICO PEZZI COXLIIT. Idee di varia forza nell'espressione del pensiero. Idea di gradazione: idee d’andare, con ènt- (éníBacic, 90); di volgere (KMuoë, 179). Idee d'esilità, d’attenuamento: idee di dimensioni (taneıvög, 49); di separare (dee, 242); di liscezza (Arörng, 269); di commercio (ebrekiouög, 550). CCXLIV. Idea di parlare accuratamente esatto, fine, sottile, arguto: idee di dimen- sioni (otevoleoxéw, 45); di natura organ. im genere (ioxvoenéw, -Aoyéw, -uu0éw, ioxvo- Aéoyng, 350); di regno veget. (Memtóg, Xemroloréw, 355); v. anche idea d'acidità (orpupvés, 296). COXLV. Idea di proprietà d'espressione: idea di famiglia (otveéme, 534). Idea d'espressione figurata: idee di quiete (tenere) (oxñua, éoxnuariouévos [Aóroc], 249); v. anche idee di somiglianza (eixdZw, 30; cf. elkuv, similitudine). Notinsi anche l'idea di parabola e quella di proverbio espresse con mapoınia (idea d’ andare, con tapo-, 91). — Tra le così dette figure grammaticali vuolsi qui ricordare lo Zeüyua (idee di strumenti vari ece., 517). CCXLVI. Idea d’elocuzione copiosa ecc.: idee di natura organ. in gen. (&opóc, 344). Idea d’elocuzione tenue, semplice: idee di liscezza (Mr, 269); di natura organ. in genere (ioxvösg, 350). V. anche, per l’idea di severa semplicità arcaica, nívog (idea di sudiciume [ruggine], 25). Idea d'elocueione troppo ornata e ricercata: idee di posizioni (meproods, 57). Idea d'ornamenti retorici: idee di strumenti vari ecc. (MjkuOoc, 528). — Idea d’ampollosità : idee d’alzare (uetéwpos, 191; xpnuvoBérns, xpnuvomorgg, immékpnuvos, 193); di peso (Órkoc, 258); di suono (yé@og, 315); d’animali (tparixés, tparwdia, 372; Béeg [Óf- gota], 374); di parti del corpo (oTtôupos, oTôupar, oroupézw, 390; éxrpoxnMZw, 394). COXLVII. Idee di nobiltà, gravità, altezza d'elocuzione: idee di far andare ecc. (coBapóc, 123, voce che potrebbe anche venir aggiunta alle testè mentovate indicanti ampollosità) ; di peso (dykog, 258). Idea d’eleganza ece.: idea di posizioni (nepioo6ç, 57). Idea di discorso che non s'eleva ad alta espressione poetica, soprattutto di prosa: idee di parti del corpo (tà mezá, Teli, 409). CCXLVIII. Idea di fluidità d'eloquio: idee di liscezza (Aetog, 269). Idea d'eloquio. duro, forzato: idee di scabrosità (tpayig, 267); d’acidità (mxpaivw, 295); di minerali (Beßaodvıoucı, 326). Idea d’arcaismo: v. sopra, CCXLVI, mívoc. Idea di vocabolo non comune: idee di parti del corpo (r\üooa, 391). CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 151 ELENCO ALFABETICO delle parole italiane più notevoli menzionate nel Saggio terzo. abbellire, CGX Vl. abbiettezza d'animo, VI. aborrimento, 90, abrogazione, CIV. accordo segreto, CX XIII. accortezza, CLIX. accusa (giudiziaria ecc.), CXLI’. acutezza di spirito, GLIX. adulare, CÓXVIII. affabilità, LIV, LX. affanno, XXXV. affermativo (giudizio), CLXXXII. aggiudicare, CLXXXIV. allegare (ad argomento), CXCVIII. allegria, XXXIX. allocuzione, COX XVI. alterezza, LVI. altezza d'animo, V. altezza d’elocuzione, COXLVVII. ambiguità, CXCIII. amicizia, LXX VI. ammaestramento, GCVIIL. ammirazione, LXVIII. ammonire rammentando, CCII. amore, LXXXVI. ampollosità, CCXLVI. animo, I. annoverare fra, CLXXXV. ansia, XLVII. anticipare giudizi, CLXXXI. appagamento, LXXXV. apprendere, CLXIV. approvazione, CLXXXVIII. arcaismo d'eloquio), COXLVIII. ardire, XLVII. argomento, CXGVII. argomento d'uno scritto, CCXXX VI. argutezza nel parlare, CCXLIV. arrendevolezza, CX XXVIII. arte, CCV. artificio in arte, CCV. ascrivere a, CLXXX V. asindetico (discorso), COXLI. aspettazione, XLVII. aspettazione affannosa, XLVII. assalire, LXIV. assoluzione, OXLII“. assumersi un'impresa, un uffi- cio, CVII. "dità, CXCI. astensione, CX. astratto (in), CLXXVII. astuzia, GLX. attenuamento (d'espressione), CCXLIII. attirare a sé, CXXVII. attitudine al dire, COXXXIV. attitudine d'animo, XI. attribuire, GLXXXIV. attenzione (richiamare, rivol- gere l'att. a), CLXVI. audacia, XLVIII. augurio, CLXVIII. autorità, XXX. avarizia, XCV. avversione, XCI. bassezza d'animo VI. benevolenza, bontà, LVII. benevolo (rendersi), LXXX Vin. bestemmiare, XCII. biasimo, CLXXXIX, CCXII. blandire, CGX VIII. brama, LXXXVII. brevità compendiosa d'esposi- zione, COXXXIX. burbero, LX V. calcolare, CLXXI. calunnia, CXLII?. carattere, Il. causa giudiziaria, CXLII. cedere, GXXX VIII. celare, CCXIV. celebrare, CCXI. certezza, CXCII. chiamare (convocare), COXXIV. chiarezza, CLX XVIII. chiedere, CXX. ciance, COXXXVIII. ciarle, CCXXX VIII. circospezione, CL VI. citare come testimone, GXGVII. codardia, L. collera, LXI. colloquio, CGXXVII. colorito del discorso, CGXLI. comando, CXXXIV. commercio intellettuale, COXXVII. commettere un ufficio, CXXXII? commozione, XXXIII. compianto, LXXIX. comporre libri, COXXXV. comportarsi, XXVI. comprendere (e venir compre- so), CLXXIII. computare, CLXXI. concedere, CXXXV. concetto, CLX XVII. conclusione, CXCIX. concordia, XVI. condanna, CXLII 4. condizione, CV. conferma, CIV. confessione estorta, CCVE. conforto, LXXX. confutare, CCI, CCXXX. congettura, CXCIV. congiura, CXXV. conoscere (ed essere conosciu- to), CLXXIV. conoscere (fare), GGVI. conseguenza, CXCIX. considerare, CLXX. consiglio, CXX VIII. contaminazione, LXXIII. contemplazione (essere giunto a), CLXXIV. contesa, CXLII. continenza, VII. conveniente (reputare), CLXXXI. convenienza morale, CXLIII. conversazione, COX X VII. convincere, CC. copia d'elocuzione, CCXLVI. coraggio, XLIX. correzione, CLI. corruzione morale, CLIL. coscienziosità, CXLV. cospirazione, CXXV. costanza, CXV. costumi, XXVII. cristiano (gregge), LXXI. crudeltà, LX XXI. TERMES nd rin d A H | í Ai 152 culto religioso, LXXI. cultura, CLXXIV. eura, CXIII. dabbenaggine, CLXI. debolezza d'animo, VIII. decisione, CI. deduzione, CXCIX. definizione, CLXXX VI. degnità, V. deliberazione, CI. delicatezza di sentire, XX XIII. delirio, CLVIII. demenza, CLVIII. denominare, CCXXIV. deplorare, XLV.' descrivere, CCXXVI. desiderio, LX XXVII. desistere, CXII. destinare, CXXXII. dialetto, CCXX. difendere una tesi, COXXX. difesa, CXLII?. differire, CXI. diffondersi di notizie, GC VI. dignità, IX. digressione, CCXL. dileggiare, CCXII. dilemma, CLXXX. diletto, XL. diligenza, CXIII. dimenticare, CCHI. dimostrazione, CXGVI. dire, CCXIX. dire ripetutamente, CCXXIII. direzione, CXXXI. diritto, CXLIII. disapprovazione, CLXXXIX. discordia, X VIII. disegno, XCIX. disimparare, CCIII. disobbedienza, CXL. disordinare, CXXXII. dispiacere, XLI. disporre l'animo, XIX. disposizione cattiva d'animo, LXIII. disprezzo, LXXII. disputa, COXXIX. dissenso, X VIII. dissimulare, CCXIV. dissuadere, CXXX. distinguere, CLXXX VII. dolore, XLII. domandare, CCXXVIII. doppiezza, CCX VII. dovere, CXLIII. dovere adempiuto, CXLV. dubbio CXCIII. durezza d'eloquio, COXLVIII. durezza morale, LXXXII. DOMENICO PEZZI ebetismo, CLXII. eccesso, XV. eccitazione, XX. educazione, XXII, eleganza d'elocuzione, CCXLVII. eleggere, CXXXIII. empietà, LXXI. entusiasmo religioso, LXXI. enumerare, CCXXVI. equità, CXLIII. equo (reputare, CLXXXI. errore, CXCI. errore (trarre in), COXVII. esacerbazione (d'animo), LXII. esagerare, COX VI. esaltare, COXI. esame, CLXVII. esattezza accurata nel parlare, COXLIV. esaudire, CXXXV. esercitazione nel dire, CCXXXIV. esigere, CX esilità d'espressione, COXLIII. esordio, CCXL. esperienza, CLXIX. espiazione, CLI. esplorazione, CLXVII. esporre, CCVIII, CCXXVI. faceta (forma), CCXLII. facondia, COXXXIV. fallacia, CCXV. falsità, CXCI. fama, XXIX. familiarità, LX. famoso (rendere), COXI. fascino, CXXVII. favore, LXX VII. favorevole (giudizio), CLXXX VIII. fede debole, VIII. felicità, XXX VIII. fermezza, CXV. fiducia, LXXIV. figurata (espressione), CCXLV. filosofica (seuola), CLX XIII. filosofico (sistema), » filosofica (vita), XXVIII. finezza di parola, CCXLIV. finezza di sentire, XXXIII. finezza di spirito, CLIX. finzione, CCX VII. fluidità d'eloquio, CCXLVIII. follia, CLVIII. giudicare, CLXXXI. giuramento, CCVII. giustizia, CXLIII. giusto (reputare, CLXXXI. governo, CXXXI. gradazione nel dire, CCXLIII. gravità d'elocuzione, CCX LVII. gravità di mente, CLVI. gravità di spirito, IX. guardarsi da, LXXV. idea, CLXX VII. idolatria, LXXI. ignorare (ed essere ignoto), CLXXV. illusione, CCX VII. imbecillità di spirito, CLXII. immaginarsi, CCIV. immoderatezza, XV. imparare, CLXIV. imparzialità, XIV. impazienza, CXVIII. imperserutabilità, CLX VII. imprecare, XCII. imprendere, CVII. impressione, XXXII. impreveduto, CLX VIII. impudenza, LII. impurità morale, CXLIX. imputare, CLXXXIV. inatteso, CLXVIII. incanto, CXXVII. incaricare, CXXXII? «incertezza, GXCIII. inclinazione d'animo, LXXXVIII. inconfutabilità, CCI. inconsideratezza, CLVII. incorruttibilità morale, CLIL. incostanza, GX VII. indecisione, CI. indifferenza (in senso morale), CXLIV. indomabilità, CXVI. indugiare, CXI. indurre, CXXIX. induzione, CXCIX. inesorabilith, CX VI. inettitudine d'animo, XII. infamia (nota di), CLIV. infelicitä, XLII. infingardaggine, CXIV. inflessibilità, CX VI. infondere (sentimenti ecc.), XXI. inganno, COX VII. ingenuità, CLXI. ingiuria, LXXIII. ingiustizia, CXLIV. inimicizia, LXX VIII. inintelligibilità, CLXXV. iniziazione, LXXI, CCIX. innocenza, CXLVI. me CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 153 inosservanza del dovere, CXLVII. inosservato, CLX VIII. inquietudine, XXX V. insegnamento, CCVIII. insidia, CXXVI. insinuarsi nell'altrui animo, CXXVII. insipidezza morale, VIII. insipienza, CLVII. intemerata (vita), CXLVI. intendere (ed essere inteso), CLXXIII. intenzione, XCIX. interpretare, CGVIII. interpretazionestorta, CLXXV. CCXX VIII. interrogare, interrompere chi parla, » intrattabilith, LXV. inventare, CCV. investigazione; CLX VII. invidia, XCVII. inviolabile, LX XI. invitare, CXXVIII. invocazione, LXXXIX. ipotesi, CXCIV. ira, LXI. irragionevolezza, CLVIII. ispirazione, XXIII. istituire, CXXXII. istruzione, CCVIII. lagnarsi, XLV. legge, CXLIII. leggere, CLXV. leggerezza di spirito, X. lemma, CLXXX. letizia, XXXIX. leziosaggine artistica, CCV. liberalitä, XCIV. libertà, XCVIII. lingua, CCXX. lite, CXLII. lodare, CCXI. longanimità, CXVIII. loquacità vana, COXXXVIII. lotta, CXLII. luogo, passo di scrittore, CCXXXV. lusinghe, CCX VIII. macchinazione, CVI. maestà, V. maldicenza, LXXIII. maledire, XCII. maledizione religiosa, XCII, GLIV. malevolenza, LXIII. malia, CXXVII. mallevare, CX XII. maltrattare, LXIV. Serre IL Tom. XLVI. malvagità, CL. manifestare, CCVI. manifesto (diventare), CC VI. mantenere promesse, CXXI. marioleria, CL. materia d'uno scritto, CCXXXVI. mente (venire in), CLXIII. mente (vita di), CLVI e segg. menzogna, CCXV. meschinità d'animo, VI. metafisicherie, CLX XVII. metodo, CLX VII. minaccia, CXLI. LI mitezza, mitigare, LIX. moderazione, XIII. modestia, LIV. mollezza, LXX XIII. motteggiare, CCXXXI. mutare, far mutare parere, CLXXXI. narrare, CGXX VI. nascondere, CCXIV. necessità morale, CXLIII. nefandità, CXLVIII. negativo (giudizio), CLXX XIII. negligenza, CXIV. nobiltà d'elocuzione, CCXL VII. nobiltà di spirito, V. nobiltà morale, CXLVI. noia, XLIII. nome (chiamare per), CCX XIV. nome (dare), CCX XIV. nominare, CCX XIV. nominare (eleggere), CX XX III. norma, IV. obbedienza, CXXXIX. occuparsi di..., CIX. odio, XC. offesa, LXXII. oltraggio, LXXIII. onore, LXIX. opinione, CLX XXI. opinione cattiva (avere), » opposizione, XCI. ordinamento, CXXXII. ordine (dire per), CCXL. ordine nell'esporre, » orgoglio, LVI. ornamento d’elocuzione, COXLVI. oscurità intellettuale, CLX XIX. osservare, CLXVIII. ostinazione, CX VI. ottusità di spirito, GLXII. pagani, LXXI. palesare, CCVI. palliare, CCX VI. parabola, CCXLV. paragonare, CLXXII. parere (opinione), CLXXXI. parlare, CCXIX. particolareggiare (esponendo), CCXXX VII. passatempo, XL. passione, LXXXIV. patto, CXXII. paura, L. pazienza, CX VIII. peccato, CXLVIII. pena, CLIV. pensare (opinare), CLXXXI. pensiero, CLXIII. pentimento, CLI. percepire, CLXXVI. perdere il filo del discorso, COXXXIV. perdono, CLV. permettere, CX XX V. perspicacia, CLIX. persuadere, CX XIX. perturbazione, XXIV. pervertimento, CLII, piacere, XXXVII. piaggiare, CCX VIII. pietà, LXXIX. pietà (difetto di), LXXXI. pigrizia, CXIV. poema eroico, CCOXXXII. poemi (complesso di), CCXXXV. poesia, COX XXII. poeta, » pompa, LVII. predicare, CCXX VI. predizione, CCX. preferenza, CH. preghiera, LXX XIX. premio, CLIII. presagio, CLXVIII. prescrizione (ordine), CX XXIV. presentimento, CLX VIII. presidenza, CXXXI. pretesto, C. prevenire un'obbiezione, CCI. previsione, CLX VIII. prineipio fondamentale, CLXXX. . probabilità, CXCV. problema, CLXVII. processo, CXLIL profano, LXXI. profondità di spirito, IX. proibire, GXXX VI. prolissità nell'esporre, CCXXX VII. promettere, CXXI. promuovere, VII. prontezza di spirito, CLIX. 20 | |] | | | j ll f pe 154 propensione, LXXXVIII. proponimento, XCIX. proporre, CXIX. proposizioni (relazioni fra), CCXL. proprietà d'espressione, CCXLV. prosaico (discorso), COXLVII. protezione, LXX VII. prova, CXGVI. proverbio, COXLV. provocare, CXLII. provocazione, LXXIII. prudenza, CLVI. pubblicare, CGVI. pudore, LI. purificazione, CLI. purità d'animo, CXLVI. quiete di spirito, XXV. raccontare, CCX XVI. rammentare, CCII. rapacità, XCVI. rappresento una parte dramm., CCIX. rattenere, CX XX. regola IV. reputare, CLXXXI. resistenza, CX VIII. restio (fare il), CXXXVII. restrizione, CV. retorica (esposizione), CCXXXVII. rettitudine di giudizio, CLVI. ribellione, CXL. rieapitolazione, CCXXXIX. ricerca, CLXVII. ricercatezza d'elocuzione, COXLVI. ricerche (aridità di), CLXVII. ricompensa onorevole, CLIII. riconciliazione, CXXIV. rieordare, CCII. riereazione, XL. ricusare, CXXXVII. riguardi, LI. rilassatezza, LX XXIII. rimproverare, CCXII. rinunziare a, CXII. riprendere, CCXJI. riprovazione (manifestare), CCXII. risolutezza, XLVIII. rispetto, LX VII. rispondere, CCXX VIII. ritrarsi da, CXII. DOMENICO PEZZI ritrattazione, CCVI2. rozzezza, LXV. sacro, LXXI. saggezza, CLVI. sapere (cultura), CLXXIV. sapere (giungere a), CLXIV. scaltrezza, CLX. scandalo, GLII. scapestratezza, LIII. scelta, CII. scherno, LXXII. scherzare parlando, COXXXI, , CCXLII. schiettezza, CCXIII. schivare disdegnando, XCIII. sconvenienza, IV. scopo, XCIX. Scrittori approvati (indice di), COXXXV. scrivere, » seduzione, CLII. segnalarsi, VII. segreto, CCXIV. seguace, XVII. semplicità d'elocuzione, COXLVI. semplicità di spirito, CLXI. senso (significato), CCXXI. sentimento, XXXI, XXXIILIV, serenità di spirito, XXXVI. serietà, IX, X. serietà di forma, CCXLII. serietà nel parlare, COXXXI. severità, IX, LXXXII. sfavorevole (giudizio), CLXXXIX. sfrenatezza, LIII. sgridare, COXII. sincerità, CCXIII. smemorataggine, CCIII. socievolezza, LX. soggetto d'uno seritto, CCXXX VI. sollecitudine (affanno), XXXV. soluzione, CLXVII. sopportare, XLIV. sospetto, LXXV. sottigliezze intellettuali, CLXXVII. sottigliezza nel parlare, CCXLIV. speranza, XLVI. spiare, CLX VIII. spiegare, CCVIIL spilorceria, XCV. spirito, I. Stato d'animo, III. stile, CCXLI. stima, LXVI. stoltezza, CLVII. subornazione, CLII. suffragio, CIII. superare, VII. superbia, LVI. superficialitä d'esposizione, CCXXXIX. superficialità psichica, X. supposizione, CXCIV. svelare, CCVI. sventatezza, CLVII. svogliatezza, VIII. tacere, COX XII. tardezza, VIII. temerità, XLVIII. tendenza psichica, LX XX VIII. tensione di spirito, XX. tentazione, CLII. tenuità d’elocuzione, CGXLVI. testimone, -ianza, CGVII. timore, L. torto, CXCI. tracotanza, LVI. tradimento, CXX VI. tragedia, COX XXIII. tragico (intreccio, nodo), » trasgressione, CXLVIII. tristezza, XLII. umiliazione, LV. usi, XXVII. validità, CIV. vanità, LVII. vanteria, » veemenza, VII. vegliare, CLXVIII. vendetta, CLIV. venerazione, LXX. veracità, COXIII. vergogna, LI. verisimiglianza, CXCV. verità, CXC. versi (mettere in), CCXXXII. violazione di legge, CXLVIII. virtü, CXLVI. vivacità, VII. volgarità, VI. volontà, XCVIII. voto, CIII. zelo, CXIII, CXIV. zeugma, CCXLV. CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III 155 CONSIDERAZIONI FINALI Quanto si legge nella Prefazione ai tre Saggi e nella nota premessa al terzo di essi, che qui ha termine, intorno agl'intendimenti ed al metodo con cui venne composto pare affatto sufficiente a rendere manifeste le ragioni di questo lavoro. Sarebbe inutile il ripetere qui che la locuzione “ sensi psicologici , venne usata in un significato insolitamente esteso, per mancanza d'altra egualmente breve e migliore. Nè occorre ricordare che non s'è voluto punto fare un lessico in cui alle parole italiane corrispondano tutte le greche equivalenti, o quelle che più si vedono ado- perate o dagli scrittori di tipo più classico e perciò più comunemente citati. - Propo- sito dell’autore non è stato, nè doveva essere, altro che richiamare alla mente del lettore le voci per i loro sensi metaforici notate, coi più necessari ragguagli, nei due primi Saggi, disponendole per ordine di concetti psicologici, accogliendo così anche parole d'uso rarissimo ed affatto estranee all’età della più squisita eleganza letteraria, escludendone altre che, qualsiasi pregio possano vantare, non appartengono agli esempî della trasformazione semasiologica di cui qui si tenta di promuovere lo studio. Di tali esempî sono assai varie le quantità somministrate dalle varie classi in cui vennero qui divisi i sensi psicologici di cui è stata indicata l’espressione meta- forica. La classe più estesa è quella ch'è argomento del Capitolo quinto: Vita di mente e sue manifestazioni (CLVI-CCXLVIIT). La prima parte di essa (Vita di mente in sè e nelle sue relazioni colla verità, CLVI-CCV) supera di poco la seconda (CCVI- CCXLVII): nella prima sono soprattutto notevoli per numero le locuzioni significanti Atti dell'intelligenza sinteticamente ed analiticamente considerati (CLXII-COT) ; nella seconda merita per simile causa particolare menzione La parola com’espressione del pensiero (CCXIX-CCXLVIII), assai più che l Espressione del pensiero in genere (COVI- CCXVIII) Dopo la quinta classe viene, giusta l'ordine qui seguíto, ma con assai minor copia d'esempi, la quarta, Vita di volontà (XCVIII-OLV): quelli che concer- nono La volontà considerata in sè stessa (XCVIII-OXLII) sono di gran lunga più numerosi degli altri che si riferiscono a La volontà considerata in relazione colla vita morale (CKLITI-LV). Alla classe quarta è quasi eguale in ampiezza la seconda, Vita di sentimento (XXXI-LXXXIIT), classe che consta, presso che interamente, delle espres- sioni dei Sentimenti vari (XXXV-LXXXIII). Di essa è poco più che la metà la classe prima, Lo spirito umano in genere (I-XXX): parte principalissima n’® quella delle Idee di varie qualità psichiche (V-XVIII). Ultima qui hassi a ricordare la classe terza, Vita di desiderio (LXXXIV-XCVII), ossia Il desiderio in genere (in senso positivo ed în senso negativo) (LXXXIV-XCIII) con pochissime aggiunte. Se di inn $ ke i i rana AR e — 156 DOMENICO PEZZI — CONCETTI PSICOLOGICI NELLA LINGUA GRECA ANTICA, III Colle precedenti considerazioni si chiude questa serie d’Indici semasiologici. Se l’imperfezione, in gran parte difficilmente evitabile, di questi primi tre Saggi non sarà troppo grave ostacolo a conseguire lo scopo ad essi proposto; se, come pare conveniente, più che a minute particolarità, di cui qui non può essere grande il valore, si porrà mente ai risultati generali del lungo e non facile lavoro, chi l’offre ai compagni di studi crede di poter esprimere di nuovo la sua fiducia ch’esso non sarà opera inefficace come impulso a quelle nuove indagini con cui nella storia di parole si cerca la storia d’idee (1). (1) L'autore di questi Saggi non pub, per più ragioni, dar qui un errata-corrige completo: egli porge per altro al lettore una breve serie di correzioni e d’aggiunte che gli paiono particolarmente degne d’attenzione. In fine dell'ultima nota della Prefazione leggasi: * l'asterisco denota grande rarità d'uso quand'è posto dopo il nome d’un autore: se precede una parola, indica, come suole negli scritti glottologici, ch'essa non trovasi in documenti ed è fra quelle che vengono ricostruite per ragioni di studio cof- parativo e storico e giusta il metodo a cui esso ora s’attiene ,. Nel Saggio primo manca in più luoghi l’indicazione del genere medio nell’uso di verbi in certi sensi, Di tali luoghi s’indieano qui i seguenti, coi quali alcuni altri dovrebbero forse venir notati, ove occorre aggiungere " med., ,; n° 7, diapiouéw, avanti a “ distinguo ,; n° 10, dvaperpéw, av. a “ rimemoro ,; n° 136, dvarionu, av. a “ cangio opinione ,; n° 157, Umokpovw, av. ad “ indico, opino „i n° 170, diatetvw, av. ad “ affermo con forza ,; n° 184, émbwéw, av. a " volgo nell'animo ,. Così al n° 134, èElotnu, av. a “ rinunzio a , agg. " med. ed att. intrans., ,; al n° 939, xpivw, av. a “ lotto „ agg. " med., pass., „; al n° 182, cvotpépw, le parole “ pass., m’unisco, congiuro (Plut.) , siano poste dopo " (Dem. Fal.) ,; al n° 233, cuumAéku, av. a “ vengo a disputa con , agg. “ pass., ,. — Al n° 108, dywyn, dopo " metodo , si sopprimano le parole “in senso scientifico , ecc.: così al n° 134, &&tornu, tolgasi ^ affascino (Eur.) , e “ mi vergogno d’alcunchè ,. Al n° 156, napakóntw, a “ fo delirare , agg. “ (và ppévas, Tòv voûv) ,; al n° 170, &xteivw, a “ distendo , agg. “ Tas yeîpac »; al n° 229, ka6dmru, dopo “ parlo ad alcuno , agg. “ (con (FJemécoot o senza) ,. Al n° 159, mAnKTIOuöc, dopo * amore 1. * (?, cf. mAnkriZouo,, A. P.*) ,. Nel Saggio secondo, n° 344, óbpóc, dopo “ alto , 1. “ (di pensieri, in antitesi a vomevóc) (D. A.); copioso, pieno (di locuzioni, come contrapposto ad loxvóc, okAnpôc) (v. Thes., ad v.) ,. Al n° 465 invece di * derivati, l. “ composti ,; al n° 490, ékomoiéw, in luogo d'" Esch*, 1. “ Eschine* ,. — Nel- l’Elenco alfabetico dopo * Aauupög , agg. “ AavOávw, 198? N. „. Nel Saggio terzo, n° IV, in fine, agg. * D idea di sconvenienza, inopportunità ecc. idea di spazio in genere, con d- (üromoc, 35) ,. Al n° VII, av. ad “ aceresco potere , agg. “ idea di segnalarsi: idea di portare, con da- (btapépw, 133) ,. Al n° X, in fine, agg. “ Per l'idea di fare, dire con leggerezza, senza l'occorrente preparazione, improvvisamente, v. oxedid£w (idea di quiete, 249) ,. Al n° XXXIII agg. “ XXXII, Idea d'inettitudine al sentire, stupidità: idee di minerali (Aios, 324; odnpeoc, 327) Ra FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PHEDAGOGICA MEMORIA GIUSEPPE ALLIEVO Approvata nel? Adunanza del 29 Marzo 1896. Nella storia dei pensatori del nostro secolo tiene un posto luminoso Giovanni Federico Herbart come educatore privato e pedagogista, come pubblico insegnante e filosofo. Egli sorti i natali a Oldenbourg nel 1776, fece i suoi primi studi in fami- glia sotto le vigili ed assennate cure paterne e li proseguì nel ginnasio del suo nativo paese, dove la sua mente si nutrì di una coltura classica seria e robusta. Dal ginnasio natale passò nel 1794 all’ Università di Jena, dove si inscrisse alle lezioni di Amedeo Fichte, il quale governava allora tutto il movimento filosofico della Germania e raccoglieva intorno la sua cattedra il fiore di tutta la gioventù studiosa. Fichte ne apprezzò il promettente ingegno e lo accolse nella sua privata società letteraria; ma il giovane pensatore, pur ammirando nel suo. grande maestro la sublimità dell’ingegno, non abdicò punto alla sua libertà di pensiero, che anzi in quel suo primo addentrarsi nellimmenso dominio della speculazione metafisica sentì sve- gliarsi in sd la coscienza della sua personalità filosofica portata a combattere l'idea- lismo allora dominante in tutta la dotta Germania. Compiuti nel 1797 i suoi studi universitarii a Jena, fu chiamato a Berna da Steiger podestà di Interlaken, che gli affidò l'educazione de suoi tre figli, il maggiore ` de’ quali toccava i quattordici anni di età. Talvolta gli eventi ordinarii dell'esistenza destano (non dico creano) nelle elette nature attitudini singolari, che sarebbero rimaste per sempre sopite e latenti, se loro non si fosse schiuso un campo propizio al loro sviluppo, sicchè un vincolo misterioso collega le vicende della vita privata cogli splen- didi lavori della vita pubblica. Così incontrò a Giovanni Herbart. Egli accettò l'of- Pu Mie. % 1 4 1 158 GIUSEPPE ALLIEVO 2 fertogli incarico colla coscienza di adempiere una santa missione e si senti educatore; e l'educatore conscienzioso ed assennato svolse in lui il grande pedagogista. Egli adempieva il suo delicatissimo còmpito operando e pensando ad un tempo: mentre il fatto educativo si svolgeva sotto i suoi occhi ed in presenza de suoi giovani alunni, il suo pensiero s’innalzava, sorretto dall’esperienza, alla intuizione di que’ principii universali, che governano la scienza e l'arte dell'educare. I suoi studi presero un indirizzo affatto speciale e tutto rivolto al culto della pedagogia, ed i primi lavori speculativi della sua mente furono consacrati a questa disciplina. Nel 1802 si addottoro in filosofia nell'Università di Göttingen, dove insegnò da prima come libero docente, poi come professore straordinario sino al 1808, ed avendo esordito eon un corso di lezioni sulla pedagogia, consacrd tutto questo primo periodo del suo insegnamento universitario alla pubblicazione di lavori pedagogici, fra i quali primeggiano: Le prime lezioni di pedagogia, 1802; L’Idea di un abbict dell'intuizione, di Pestalozzi, 1802-1804; la sua grand'opera La Pedagogia generale derivata dallo scopo dell'educazione, 1806. Nel 1808 passo dall'Università di Góttingen a quella di Königsberg, dove oceupd la cattedra già per tanti anni gloriosamente retta da Kant, vi fondd un seminario pedagogico e vi professd filosofia sino al 1833. In tutto questo secondo periodo della sua vita speculativa egli consacrd i suoi studi ed il suo ingegno al culto della filo- sofia e segnatamente della psicologia, che tentd di ristaurare e ricostrurre dalle fondamenta. Le opere principali da lui pubblicate in questo periodo di tempo sono: La filosofia pratica generale, 1808; La mia opposizione alla filosofia del giorno, 1814; Dialoghi sul male, 1817; Della necessità di applicare le matematiche alla psicologia, 1822; La psicologia come scienza, 1824-1825; Metafisica generale, 1828-1829; Compendio enciclopedico della filosofia sotto l'aspetto pratico, 1891. Perd non mancò di coltivare in parte anche la pedagogia, come ne fanno fede questi suoi lavori pubblicati in quel medesimo periodo di tempo: Dell’educazione fatta col concorso de pubblici poteri, 1810; La parte oscura della pedagogia, 1811; Annotazioni a un componimento di pedagogia, 1814; Il rapporto della scuola colla vita, 1818; Parere pedagogico sopra la partizione in classi di una. scuola, e la loro trasformazione secondo Videa del consigliere Graff, 1818; L'insegnamento della filosofia nei ginnasii, 1821; Rimedii ai difetti dei ginnasii e delle scuole reali, 1823; Programma di matematica per le scuole reali, 1824; Lettere sull'ap- plicazione della psicologia. alla pedagogia, 1831 ; Rapporto dell'idealismo colla pedagogia, 1831-1832; Esame critico della pedagogia di Schwartz; 1832. Questa lunga e svaria- tissima serie di lavori, mentre attesta lar fecondità e la vigoria del suo ingegno, mostra ad un tempo com'egli abbia saputo comporre in bella e forte armonia gli studi filosofici coi pedagogici; e veramente soltanto chi ha saputo addentrarsi nelle intime profondità della scienza filosofica, può camminare con passo sicuro nel campo della scienza pedagogica e lasciarvi notevoli impronte. Nel 1833 abbandonava l’Università di Königsberg ‘e ritornava all'antica sua cattedra di Kottinga, proseguendo le. sue lezioni di filosofia e di pedagogia sino all'anno 1841, in.eui venne colpito da ‘subita morte. In questo ultimo e breve periodo della sua. vita scientifica er si ‘adoperò a svolgere in forma più ampià e più rigo- rosa i suoi pensieri già esposti ne'suoi precedenti lavori e pubblico on 4850450 di lezioni pedagogiche, 18355 il Manuale di psicologia, 3* edizione; Y Esame analitico del 3 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 159 diritto naturale e della morale, 1836; le Lettere sulla libertà, 1836; le Ricerche psico- logiche, 1839-1840. L’ Abbozzo di lezioni pedagogiche fu da lui pubblicato coll’intendi- mento di dissipare le profonde oscurità, che avvolgevano la sua prima grand'opera La. pedagogia generale, la quale, sebbene pubblicata sino dal 1806, era rimasta infino allora pressochè inavvertita e negletta. Tale è in iscorcio la vita di questo potente pensatore tedesco. Il suo pensiero si svolse in due ordini di idee armonici e concordi, filosofico e pedagogico ; eppero ragion vuole, che l’esposizione critica della sua dottrina pedagogica venga preceduta da un rapido e sommario accenno delle sue idee filosofiche fondamentali, le. quali hanno piü stretta attinenza colla sua dottrina pedagogica. Cenni intorno le idee filosofiche di Herbart. Il primo carattere, che presenta la dottrina filosofica di Herbart, è lo spirito critico e polemico. Egli sorse coll’intendimento di combattere l'idealismo dominante. Secondo questo sistema la verità si trasforma di continuo e progredisce senza mai riposare in una forma stabile e definitiva; nessuna proposizione è vera assoluta- mente, ma solo in parte, e quindi deve cedere il campo ad un'altra proposizione. Secondo Herbart invece la verità è immutabile e sempre la medesima sia nella sostanza, sia nella forma, sicchè su ogni oggetto pensabile non si dà che una sola proposizione, la quale sia assolutamente vera: certo è, che l'umano sapere è fecondo di un aumento indefinito, ma ogni proposizione, dimostrata vera, deve serbarsi immu- tabile, e valere per tutti i luoghi, per tutti i tempi, per tutte le intelligenze. Inoltre l'idealismo pone in cima a tutto l'essere ed a tutto il sapere un unico ed identico principio assoluto, e da esso solo fa rampollare tutta quanta la filosofia, tutte quante le scienze. Per lo contrario Herbart ammette tanti principii particolari e distinti, quante sono le singole scienze, sicchè ciascuna ha natura sua propria e leggi speciali, per cui rimane indipendente dalle altre; però questi molteplici principii, sebbene non derivino da un medesimo e comune principio supremo, hanno fra di loro vicendevoli attinenze, per cui costituiscono una unità coordinata. La filosofia, secondo il nostro autore, esordisce dal dubbio intorno le verità date dall’esperienza quotidiana e dai convincimenti del senso comune; ma vi sono idee incrollabili e superiori ad ogni dubbio, ed esse sono le idee morali. Quindi egli ri- guarda la filosofia pratica o morale siccome una scienza siffattamente indipendente, che fra tutte primeggia e può tener suo luogo da per tutto. La pedagogia appar- tiene al dominio della morale generale, e giova rilevarne il modo. Gli elementi della vita morale risiedono in rapporti della volontà, i quali piacciono o dispiacciono. La volontà può trovarsi in perfetto accordo colla ragione, e questo rapporto costi- tuisce un'idea morale, un principio di moralità, cioè la libertà interna. Quando diverse determinazioni di una medesima volontà sono fra di loro paragonate giusta la loro intensità ed estensione, ossia sotto il riguardo della grandezza, abbiamo una seconda — geg iris an À 160 GIUSEPPE ALLIEVO 4 idea od elemento morale, cioè la perfezione. La nostra volontà pud trovarsi colle volontà altrui in tale rapporto da avere per oggetto il satisfacimento delle mede- sime: di qui l'idea di benevolenza, altro principio di moralità. Quando due o più per- sone contendono tra di loro per il possesso del medesimo oggetto, a scansare e regolare tale conflitto, interviene il diritto, quarta idea morale. Infine ogni atto vo- lontario, se buono, ha un necessario rapporto colla rimunerazione o ricompensa; se dannoso, colla pena o colla riparazione: di qui l'equità, altra idea morale. Di questi cinque principii distinti nessuno sovrasta agli altri per dignità ed importanza; tutti hanno eguale valore e sono necessarii ad un modo a costituire la moralità. Cid posto, la pedagogia fondasi appunto sull’idea di perfezione, epperò è una delle branche della morale generale. L'autore, come già ho avvertito, intese ad una radicale ristaurazione della psi- ecologia, fondandola sull'applicazione della matematica. Dal prospetto generale del suo Manuale di psicologia pubblicato nel 1834 apparisce il disegno, che egli si era formato in mente, di questa scienza. Il Manuale è diviso in tre parti, che s’intito- lano successivamente: 1° Teoria fondamentale; 2° Psicologia sperimentale; 3° Psi- ecologia razionale. La parte prima riepiloga la parte sintetica dell’altra opera La psicologia come scienza, e discorre delle rappresentazioni considerate come forze, e quindi del loro stato di equilibrio e di movimento e dei loro raggruppamenti, e si chiude con alcune osservazioni preliminari intorno i rapporti dell'anima e del corpo. La seconda parte, che è la psicologia sperimentale, chiama ad ordinata rassegna le facoltà dello spirito, distinguendo le inferiori dalle superiori e divisando il loro con- corso e sviluppo, poi passa ad esporre la variabilità degli stati dell’anima e le este- riori influenze. La terza parte, ossia la psicologia razionale, si bipartisce in due sezioni: la prima discute le questioni metafisiche dell'anima e del corpo, dello spirito e della materia, delle forze vitali, dell unione dell'anima e del corpo; la seconda ha per oggetto la spiegazione dei fenomeni e ricerca la formazione delle nozioni, il libero processo del meccanismo psichico, esamina l'impero di sd e parti- colarmente il dovere come fenomeno psichico e chiude con alcune considerazioni psicologiche sul destino dell’uomo. La sua psicologia ha una intima attinenza colla metafisica. Giova rilevare i concetti dominanti della dottrina psicologica dell'autore. È un pronunciato della metafisica generale, che ogni fenomeno importa una sostanza, in cui avvenga, ogni apparenza suppone una realtà, che apparisca. Per conseguente l’anima è la prima sostanza, che la scienza ci porta ad affermare senza esitanza, essendochè tutte le nostre rappresentazioni interne le consideriamo come nostre, ossia come appartenenti ad un essere unico e semplice, epperò altresì immortale, perchè tutto ciò, che è semplice e reale, è indipendente dal tempo. L'anima adunque è una sostanza semplice e reale, ossia una monade, come la chiamava Leibnitz. Questa monade, che è l’anima umana, ha per sua costitutiva essenza la funzione rappresentativa, ossia il potere di rappresentare a se stessa e percepire le cose; ma questo potere non si attua e non si manifesta se non a condizione che la realtà esterna faccia impressione sopra di essa: l’anima oppone una resistenza od una rea- zione all'impressione venutale dal di fuori ed il risultato di siffatta reazione costi- tuisce appunto la rappresentazione, la quale altro non è che uno stato od un modo 5 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 161 x di essere di una sostanza semplice. Le rappresentazioni semplici ossia le sensazióni | sono il germe della vita dell'anima, e raggruppandosi poi insieme originano tutte le | cosi dette facoltà o potenze dell’anima. | Le rappresentazioni e le idee sono dall'autore considerate come altrettante forze, le quali agiscono e reagiscono le une sulle altre, epperd possono essere determinate ed espresse con formole algebriche e calcoli matematici; e qui sta il punto originale della psicologia dell'autore. Quando due o piü rappresentazioni sono presenti all'anima nel medesimo tempo, esse o sono concordi fra di loro, ed allora costituiscono una forza unica, e l'anima opera | per istinto, per abitudine, per credenza; oppure sono contrarie ed opposte, ed allora evvi sospensione, la quale dura, sinchè una forza ‘contraria pigli il sopravvento; ed in questo caso l’anima opera come volontà: Dacchè le idee sono vere forze, le quali o si riuniscono insieme od entrano in conflitto, ora avvicinandosi, ora allontanandosi, ora equilibrandosi, ne viene che si può determinare mediante il calcolo il vario grado di esse forze ed esprimere con formole algebriche le leggi generali de’ fenomeni A psicologici. Quindi è che la psicologia deve contenere una statica ed una meccanica 1} dello spirito: la statica ricerca a quali condizioni le rappresentazioni sono fra di | | | loro in equilibrio, la meccanica esamina le condizioni del loro movimento. Affinchè | | si abbia coscienza di una rappresentazione, occorre che essa sovverchi per forza tutte le altre, e diventi effettiva, dominante, ossia sensazione reale; quando invece vi é sospensione ed equilibrio, rimangono inavvertite e fuori della coscienza. La ) coscienza accompagna soltanto que’ desiderii, que’ sentimenti, quegli affetti dell'anima, i che preponderano sugli altri. | Un altro punto, in cui la dottrina psicologica dell'autore si discosta da ogni A altra, & quello, che riguarda la teoria delle potenze. Per lui, nell'anima non vi sono che idee di rappresentazioni, e non già potenze e facoltà speciali. Quelle, che uni- 1 versalmente vengono appellate potenze, non sono che finzioni ipotetiche, ossia cate- gorie o classi inventate per esprimere i diversi gruppi od ordini di fatti interni. Ad esempio, la ragione non è una potenza ingenita, fondamentale ed originaria della | natura umana, bensì è il risultato di una lunga ‘coltura. Le generazioni umane si trasmettono le une ‘alle altre i loro pensieri, le scoperte, le invenzioni loro, sicchè È | un'idea una volta acquistata non muore più, ma resta nell'organismo, e con esso passa di generazione in generazione. Quindi è che l'educazione sta tutta nel trasmet- | tere che fa alla generazione novella l'esperienza delle generazioni, che vissero nel j passato. Similmente la potenza della libera volontà non la portiamo con noi dalla nascita; ma si acquista col tempo del pari che la ragione: essa consiste in questo, che un gruppo di rappresentazioni più efficaci possa diventare la sede di un volere caratteristico, il quale si solleva sopra gli eccitamenti e gli indirizzi particolari del meccanismo psichico. La riforma della psicologia tentata dall'autore mediante l'applicazione della matematica non parmi che ‘possa reggere alla critica. Egli parla di idee, che si attraggono e si respingono, si avvicinano e si allontanano, si equilibrano e si sospen- dono; ma gli è evidente che tutti questi vocaboli trasportati dalla fisica, che li ado- pera in senso proprio parlando delle forze de’corpi, vanno qui intesi in senso traslato e metafisico, essendochè le forze proprie dell'anima non sono per certo identiche Serie II. Tom. XLVI. 21 | | 162 GIUSEPPE ALLIEVO 6 colle forze fisiche. Adunque quest'applicazione della matematica e della fisica non ha buona ragione di essere. Inoltre questa intrusione della matematica nell'orga- nismo della psicologia pone l'autore in contraddizione con se medesimo, poiché egli assegna a ciascuna scienza un'indipendenza, una natura propria e leggi sue speciali e sostiene che la psicologia non va subordinata alla fisica, nè questa a quella, perchè lo spirito umano non va considerato siccome una manifestazione della vita dell'uni- verso corporeo, né il mondo corporeo esteriore siccome una fantasmagoria del nostro pensiero. La teoria delle potenze proposta dall'autore soggiace anch'essa a gravissime difficoltà. Egli s'immagina che le potenze umane, universalmente ammesse dai psi- cologi, siano per cosi dire altrettante realtà personali, mentre sono virtualità e ma- nifestazioni diverse di un medesimo Io sussistente. Il potere rappresentativo, in cui egli ripone l’essenza costitutiva della monade umana, che altro è mai se non una potenza nel senso psicologico del vocabolo, la facoltà cioè che ha l'anima di perce- pire le cose in conseguenza delle impressioni ricevute dalla realtà esterna? Vieppiù manchevole si chiarisce la sua teoria, se si ha riguardo alle potenze della ragione e della libera volontà, che sono le più eccellenti e supreme fra quelle, di cui va for- uita l'anima umana. In sua sentenza, io non posseggo la ragione per la mia stessa natura d'uomo, bensì la debbo alle generazioni passate, da cui ho ereditata quella coltura mentale, che mi rende ragionevole; ma in tal caso le prime generazioni sarebbero rimaste senza coltura, epperò senza ragione, ed allora donde sarebbe spun- tata fuori la ragione attuale? Siccome non si può supporre che sia uscita dal caso, uopo è ammettere che esistesse in germe e virtualmente nell’umanità primitiva, il che val quanto dire che essa fa parte essenziale della natura umana. Venendo poi alla potenza della libera volontà, l'opinione dell'autore non solo non la spiega, ma la compromette, riducendola ad un puro meccanismo dello spirito. Infatti egli sostiene che la libertà risiede nel carattere, ossia in una volontà ferma ed energica, la quale non ceda alle eccitazioni del momento, e questo carattere, questa volontà ferma ha luogo, alloraquando lo spirito si trova in presenza di un gruppo di idee talmente forti e predominanti da sovverchiare tutte le altre; epperd ai fanciulli ed ai pazzi fallisce la libertà, perché in quelli non evvi ancora masse di idee recisamente pre- dominanti che costituiscono il carattere; in questi, perchè avvi alcunchè, che impe- disce alle idee di raggrupparsi in masse. Ma come potrà dirsi libero di sè lo spirito, il quale è trascinato ad operare in un dato modo da un ammasso di idee, le quali non vennero raggruppate insieme da lui medesimo, bensì da un fortuito e meccanico movimento delle idee stesse? Che le idee esercitino una certa quale influenza sulla volontà, è cosa da non potersi revocare in dubbio; ma non vi è più libertà, se si nega che la volontà può alla sua volta ed entro a certi limiti dirigere il corso delle idee e subordinare le piacevoli sollecitazioni del momento e le idee dell’utile e del- l'interesse soggettivo agli eterni ed universali principii del giusto e dell'onesto. Questa teoria dell'autore intorno la ragione e la libertà, applicata alla pedagogia, genera rovinose conseguenze. " FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 163 Dottrina pedagogica di Herbart. L’educazione à un fatto della vita pratica ed un'idea della mente: l'educatore si adopera intorno a quel fatto, il pedagogista svolge quell'idea in forma scientifica. Herbart fu ad un tempo istitutore e pensatore siffattamente che in lui l'educatore rivela e rispecchia il pedagogista. Egli non fu educatore dozzinale ed empirista, ma fornito di squisito tatto pedagogico: non fu pedagogista meramente trascendentale, che medita intorno ad un educando, il quale è un'astratta generalità estranea alla vita; ma gli eletti alunni, a cui egli consacrava l'opera e l'ingegno, erano persone vive, che egli amava di nobile amore. Egli educava provando e riprovando, secondochè gli dettava una illuminata esperienza, e lo inspirava il cuore; poi pensava e ripen- sava l'opera sua meditando intorno l'ideale, a cui andava conformata, intorno i mezzi più rispondenti al fine. Di tal modo venne elaborando una dottrina seguendo la duplice scorta dell'esperienza e della speculazione, e concepi la pedagogia siccome scienza inseparabile dall’arte educatrice. I primi frutti della sua esperienza e de'suoi Studi vennero da lui esposti nelle sue Lettere e rapporti indirizzati segnatamente al padre de'suoi alunni fra il 1798 ed il 1800. Nel 1808 pubblico la sua Pedagogia generale, avvertendo che prima di rendere di pubblica ragione i suoi tentativi ci aveva meditato sopra per ben otto anni e confessando che doveva in certa misura la sua Pedagogia a Carlo, il prediletto de'suoi tre alunni. Quale è lo scopo dell'educazione? Come vuol essere condotta l'opera educativa? Ecco i due massimi problemi, che devono essersi presentati alla mente dell'autore, come apparisce dal titolo stesso della sua opera. L'educazione è certamente un lavoro, e come tale ha uno scopo, a cui è ordinata, ha i suoi mezzi e le sue difficoltà. Lo scopo è sempre un ideale, e finchè stiamo, meditando intorno ad esso, noi ci troviamo nel campo dell'idealità; per contro mentre andiamo ricercando i mezzi ed avvisando agli ostacoli, ci troviamo nel dominio della comune realtà. A risolvere queste due inchieste la pedagogia ricorre al sussidio della filosofia, che la illumini, e propria- mente alla filosofia pratica o morale generale ed alla psicologia. La filosofia pratica addita lo scopo dell'educazione, la psicologia ne indica i mezzi e gli ostacoli. Onde consegue che la pedagogia deve ilsuo carattere di scienza alla filosofia, val quanto dire che à una scienza filosofica, essendo ufficio della filosofia il ricercare la desti- nazione e la natura dell'uomo. La necessità di un ideale finale, a cui sia rivolta l'educazione, venne riconosciuta e sentita dai pedagogisti di tutti i secoli e di tutti i luoghi. Un nobile e grande ideale inspira all'educatore lo spirito del sacrificio, lo inclina a farsi piccolo coi pic- coli fanciulli, lo conforta contro il dubbio desolante, che malgrado la nostra laboriosa ed ardua opera educativa la povera umanità rimarrà su per giù sempre la stessa. Ciò posto, qual è lo scopo o l’ideale dell'educazione? È la moralità, risponde l'autore, ossia la perfezione della volontà, accompagnata da tutte le altre idee o principii morali. L’idea della perfezione considerata in se stessa richiede, che l’educatore miri alla sanità del corpo e dello spirito dell’ alunno coltivandoli in armonico accordo. VEN NE EEE | | | 164 * GIUSEPPE ALLIEVO 8 Venendo poi alle altre idee morali, a cui quella della perfezione va continuamente applicata, l'educatore deve rivolgere la sua mira a questi scopi particolari: 1° riguardo all'idea della libertà interna, coltivare nell’alunno la volontà ed il discernimento, sì che abbiano un rapporto di armonico accordo; 2° riguardo all'idea della benevolenza, preservare il fanciullo dalle eccitazioni al mal fare ed ingenerargli la stima del bene; 3° riguardo all'idea del diritto indurre il fanciullo a rinunciare alla lotta e riflettere intorno alla medesima, perchè si fortifichi in lui l’idea del diritto; 4° riguardo alla idea dell'equità, osservare nel castigo una giusta misura, la quale sia, riconosciuta come tale dal fanciullo punito. L'educazione. adunque debb'essere essenzialmente morale nel suo scopo, ma l’autore aggiunge che l'educazione. morale va accompagnata, dall’educazione reli- giosa, e questa da quella. In sua sentenza, la fede in Dio è naturale alf uomo e riposa sul fatto della sapienza, che si ammira nell’ universo. La religione è senti- mento, più che sapere scientifico, ed ogni filosofia seria può gettar qualche luce sul- l’idea di Dio. La scienza della pedagogia e l'arte. dell’educare. È nota la distinzione, che si suol fare tra la scienza pedagogica e l’arte edu- cativa; e prima di esporre le idee dell’ autore su questo punto, reputo opportuno premettere alcune considerazioni ed accennare ad una questione, che spunta da questo argomento. Scienza ed arte son due concetti distinti, ma corrispondenti fra di loro. Scienza, è un sistema di cognizioni dimostrate vere, riguardanti il medesimo oggetto e dipendenti le une dalle altre in guisa che fluiscano tutte da un unico principio supremo. Arte è un sistema di operazioni governate da norme prestabilite e preco- nosciute e tutte rivolte ad un comune e medesimo; scopo. Ecco la distinzione. Le norme direttive delle operazioni, che costituiscono l’arte, ed il fine unico, a cui vanno ordinate, sono dettate dalla scienza: ecco il vincolo, di corrispondenza tra la scienza e l’arte. Applicando queste idee alla scienza pedagogica ed all'arte educativa, già si fa per, sè manifesto, in che si distinguano. l'una dall’altra e come si, corrispondano. Ma di qui io veggo spuntare una questione. La scienza della pedagogia è una pura teoria, la quale mentre mi dà de’ principii universali, generalissimi ed assoluti; fa astrazione dai casi innumerevoli, che mi. si presentano nel campo del mio operare, e nè anco mi insegna come debbo, applicarli a ciascnno di essi. Quando adunque: sto educando, di fatto il tale, o tal altro alunno, nel tal tempo e luogo, nella tal contin- genza, la scienza pedagogica mi abbandona, essendochè non mi insegna come io debba adoperare qui e là, in questo momento e luogo. À me sembra che a risolvere la questione. occorra anzi tutto far distinzione non-solo tra la scienza pedagogica, e l’arte, ma, altresì, fra la conoscenza e, la pratica dell'educare. Prima ancora, che. si costruisca o si possegga la scienza pedagogica, già si ha una, certa quali conoscenza più o men chiara e riflessa dell’ educazione, giacchè sarebbe solenne stranezza, il dire; 9 FEDERICO HERBART.E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 165 che quanti fin qui attesero ed attendono all'opera dell'educare, abbiano proceduto alla cieca. Similmente prima che si possegga l'arte pedagogica, già si segue la pratica educativa. Ora tra la conoscenza e la pratica dell'educare ci corre una corrispon- denza assai più intima e profonda, che non tra la scienza e l’arte pedagogica, essen- dochè ogni singolo atto, che si fa nel campo della pratica, è illuminato da una cogni- zione corrispondente; si opera, si educa ne’ singoli casi secondochè e per quel tanto, che si conosce, mentre nel campo dell’arte i principii teorici della scienza sono tal- mente universali, che mal si veggono corrispondere al fatto particolare. Certo è, che la conoscenza più o men chiara, che l'universale degli uomini puo avere dell'edu- cazione, è assai da meno della scienza. pedagogica, come pure che la mera pratica sottostà all'arte; ma ‘è. pur vero, che per salire alle sublimi altezze della scienza bisogna pigliar le mosse dalla modesta cerchia dell'esperienza pratica, la quale .ci ammannisce i primi e sicuri materiali, le prime e-rudimentali notizie, onde si costruisce il sapere. Una seconda considerazione mi sembra necessaria a risolvere la proposta que- stione. A superare la grande distanza, che divide l'universalità astratta de' principii della scienza dalla singolarità concreta degli innumerevoli casi particolari, avvi se- condo me un termine medio: efficacissimo, ed è la vocazione speciale dell’educatore. Chi si sente da natura chiamato al nobilissimo ufficio del magistero educativo, avrà altresi sortito dalla stessa natura un certo quale intuito e spontaneo accorgimento, per eui saprà applicare con senno ed opportunità i principii teorici alle speciali contingenze, in cui versa il suo alunno. Per lo contrario; chi non è fornito di quella singolare attitudine, che la vocazione essa sola può dare, possedesse pure la più ampia scienza pedagogica, vagherà incerto nei campi della teoria senza saperla applicare a tempo e luogo, e fallirà alla prova compromettendo l’opera propria e l'avvenire del suo alunno. L'autore distingue anch’egli la scienza della pedagogia, dall'arte dell'educazione, e divisando i rapporti tra l'una e l’altra, afferma che la teoria in virtù del suo carattere indeterminato spazia nell'astratta generalità senza tener conto dei parti- colari, sicchè alla scuola della scienza sempre s'impara ad un tempo troppo e troppo poco per la pratica, ma che alla sua volta la sola pratica conduce al mestierume e ad una esperienza limitatissima e malsicura, sicchè senza un principio « priori non ci solleverà mai al concetto di una perfezione assoluta. Tra la teoria e la pratica poi egli interpone qual termine medio il tatto, pedagogico, che è certa qual rapida facoltà di giudicare de casi particolari e discernere quando occorra abbandonare l'alunno al suo lento andamento, e quando egli debba camminare più celere. Prima di porre mano al lavoro, l'educatore deve preparare non tanto i suoi atti futuri nei singoli casi particolari, ma se. medesimo, la sua anima, la sua intelligenza, il suo cuore; sicchè gli venga fatto di concepire, sentire, apprezzare come conviensi i fatti e le contingenze; che lo attendono. Egli. è anzitutto, mediante la pratica, che si forma questo tatto pedagogico, come gli è mercè dell’azione che si impara l'arte da chi già è fornito della scienza. pedagogica. Ma a mio avviso questo: tatto mal si acquista e mal provvede alle particolari esigenze, quando: manchi la vocazione al magistero educativo. EE LI ` f i A H "i 166 GIUSEPPE ALLIEVO 10 Disegno della pedagogia generale. L'autore ritrae il disegno della pedagogia generale dallo scopo finale dell'edu- cazione, che è la virtù o moralità, e propriamente dall'idea della perfezione, che della moralità è soltanto un elemento. A dire il vero, mi si presenta qui un po’ confuso il pensiero dell'autore, il quale abbandona il compiuto concetto della moralità per ristringersi ad uno soltanto de'suoi elementi, poi ristringe la perfezione stessa al suo aspetto esclusivamente morale, mentre essa si estende a tutto quanto l'essere umano, anche fisico ed intellettuale. La perfezione è l'immenso e sublime ideale, che a sè attrae tutti gli spiriti umani, tutte le genti, il centro di tutte le nostre aspi- razioni, l'oggetto di tutte le nostre speranze, la inspiratrice di ogni nostro entusiasmo; ma l’autore, sempre guidato dal pregiudizio di applicare la matematica alla filosofia, concepisce la perfezione come una forza, in cui distingue l’intensità, la concentra- zione e l'estensione, e vuole che il fanciullo sia da prima giudicato conforme a que- st'idea della perfezione. Cid posto, egli avverte che l'intensità della forza della vo- lontà nel fanciullo è pressochè un dono esclusivo della natura, la concentrazione Sopra un oggetto principale va riservata ad una età più avanzata, sicchè soltanto l'estensione della forza, applicata ad una quantità indeterminata di oggetti, vale a dire la direzione molteplice, pud essa sola essere tenuta in conto ed entrare nel problema, che si ha da risolvere. Ora estendere la forza della volontà dell'alunno importa presentargli una moltiplicità di oggetti, che lo interessino e lo muovano ad operare, ed a questo intento non si riesce senza l'opera dell'insegnamento, ossia listruzione. Questa parte della pedagogia viene dall'autore appellata Didattica, e da essa deve pigliare le mosse la dottrina de' rapporti tra leducatore e l'alunno. Cosi nel disegno della pedagogia generale già avremmo segnato due grandi parti, cioó ledueazione o coltura morale, che sta nella formazione del carattere, e l'istruzione ossia la didattica. Se non che la coltura morale propriamente mira al futuro, cioè si adopera a che il fanciullo diventi un giorno uomo giusto e virtuoso; ma nel pre- sente l'educatore deve dirigere l'alunno in guisa, che cresca disciplinato, sollecito de suoi doveri scolastici, amorevole verso i suoi compagni, riguardoso verso tutti. Di qui una terza parte della pedagogia, il governo del fanciullo. Adunque coltura morale, istruzione e governo sono i tre grandi principii, su cui si disegna ed in cui si divide la pedagogia generale tutta quanta, come pure costituiscono le tre condizioni dell'educabilità del fanciullo. L'educabilità è il principio fondamentale della pedagogia; essa però non è illimitata, ma circoscritta entro certi limiti, i quali vengono segnati sia dall'individualità propria dell'alunno, sia dalle diverse contingenze di tempo e di luogo, a cui soggiace l’opera educativa. Questo disegno della pedagogia generale ideato dall'autore non mi pare nè fon- dato sopra un giusto concetto fondamentale, nè armonico e concorde nelle sue parti. Il disegno di una scienza qualsiasi va, a mio avviso, attinto dall'oggetto complessivo, 11 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 167 di cui essa tratta, e non già da un punto speciale di esso; e nel nostro caso l'og- getto à leducazione umana, tutta quanta presa nella sua integrità, mentre l'autore la riguarda soltanto sotto l'esclusivo aspetto del suo scopo finale. Quindi ne viene, che le tre parti fondamentali, che costituiscono il suo disegno, non bene armonizzano fra di loro. Poichè la coltura morale, da cui si vorrebbe derivare l'intiero disegno della pedagogia, diventa una delle sue parti, ed il governo dei fanciulli, ossia la disciplina, che è un elemento essenziale dell’educazione morale e ne fa parte inte- grale, viene considerata come una parte distinta, e solo richiesta dalla necessità del momento. Secondo lui, il governo de’ fanciulli provvede. alle esigenze del presente, l'educazione morale mira alla loro coltura avvenire; ma egli non avverte, che il pre- sente è esso stesso, che infuturandosi diventa avvenire. La disciplina non sempre, io credo, fu intesa nel suo giusto concetto, ed apprezzata nella sua somma impor- tanza. Essa non dimora punto in un contegno corretto meramente esteriore e mec- canico, bensì in un vivo ed operoso sentimento dell’ordine, il quale dall’interiorità dello spirito, dove ha la sua vera sorgente; si porta ad informare tutti gli atti del- l'alunno, tanto ne’ suoi doveri scolastici, quanto nella sua convivenza coi compagni, coll’educatore, colla famiglia, colle persone autorevoli. Fanciullo indisciplinato è fan- ciullo slanciato giù per la china del disordine, superbo di sè, sprezzante degli altri, ribelle al dovere. L'autore riguarda l'educazione o coltura morale e l'istruzione o didattica sic- come due termini, che non devono andare disgiunti mai. Non si dà educazione senza istruzione; non istruzione, che non sia educativa. Infatti educare moralmente vale quanto formare il carattere, ed il carattere importa che l’alunno sia in possesso di idee salde, forti, ben raggruppate fra di loro, le quali lo portino ad un operare co- stante e sicuro, giacchè sono le idee, che generano i sentimenti, e con essi i prin- cipii direttivi dell’azione; sono le idee, che diventano una forza interiore contro le malvagie passioni nostre, contro le malefiche influenze esterne. Ora gli è appunto in virtù dell'istruzione, che si giunge a far penetrare nell'anima del fanciullo un grande insieme di idee, le quali, essendo strettamente legate fra di loro, si rinforzano mu- tuamente, e diventano sede di una volontà energica e ben sostenuta. L'educazione mediante l’istruzione importa che l'educatore possegga scienza e forza di pensiero, e la prima scienza, di cui debb'essere fornito, è una psicologia, la quale gli ponga sott'occhio tutti i possibili movimenti dell'anima umana nei loro particolari. L'unità della scienza pedagogica ed il fine dell'educazione. ` L'autore ha ideato il compiuto disegno della pedagogia generale sguardando allo scopo finale dell'educazione, la moralità; ma poi avvertendo come l'educazione costituisca un tutto infinitamente molteplice nelle sue parti formanti un grande insieme, muove dimanda, se la scienza pedagogica possa posare sopra un principio unico e supremo, da cui si svolga a filo di logica il pieno concetto dell'educazione me Vos nc er 168 GIUSEPPE ALLIRVO 12 tutta quanta. A tal uopo egli avverte, che la moralità è bensì il punto dell’educa- zione più elevato ed essenziale, ma non ne è l'unico punto e non abbraccia da sè sola l'educazione tutta quanta. Con questa avvertenza non si accorse che il suo disegno della pedagogia generale non regge più, essendochè se la moralità, su cui esso si fonda, non abbraccia l'educazione in tutta la sua ampiezza, non può per ciò stesso disegnare tutto l'ambito della pedagogia, ma solo una parte, sia pure la più notevole e la più elevata. La pedagogia, secondo l’autore, non può raccogliersi tutta quanta in uno scopo "unico, perchè, essendo molteplici le aspirazioni dell'uomo, molteplici ‘altresì vogliono essere le preoccupazioni dell’educazione. “ L'educatore rappresenta l'uomo futuro nel fanciullo; epperò a'suoi presenti sforzi deve assegnare quegli scopi medesimi, che il fanciullo si proporrà, quando sarà adulto, preparando anticipatamente le cose in guisa che questi scopi si possano agevolmente raggiungere in se stessi (Pedagog. general., lib. 1, cap. 2, $ 1-38) ,. Ora tutti questi molteplici scopi si riducono a due grandi classi, gli uni meramente possibili, cioè tali, che il fanciullo potrà forse proporsi di suo grado fra quanti gli si presentino alla mente, gli altri necessarii, cioè tali, che non può ragionevolmente lasciare da banda. Epperò l'educazione deve proporsi due scopi distinti, dei quali l'uno dipende dalla libera scelta, che farà l'alunno quando sarà uom fatto, l’altro è necessariamente determinato dalla moralità. A formolare in altri termini il pensiero dell’autore, diremo che l’educazione deve intendere a questo duplice scopo: 1° preparare l’alunno a quel genere di vita, a quella profes- sione speciale, a cui si appiglierà col tempo; 2° informare il suo animo alla moralità. La conclusione dell'autore esprime una verità, ma parmi che il ragionamento, da cui egli la venne inferendo, sia alquanto tortuoso e poco rigoroso. Se nel delineare il disegno della pedagogia generale avesse esordito dalla perfezione non in senso ristretto ed esclusivamente morale, ma nel suo concetto più ampio e comprensivo, avrebbe raggiunto più dirittamente il suo intento. Poichè la perfezione, ‘che è la destinazione generale dell’umanità, dimora non soltanto nel possesso della moralità o della virtù, che è un dovere per tutti, ma bensì nel tradurre in atto e condurre a compimento quelle attitudini affatto speciali e caratteristiche, le quali sono l'espres- sione dell’individualità propria di ciascuno, e che segnano perciò a ciascuno di noi un genere di vita ed una professione corrispondente. Che anzi egli avrebbe allora rilevati, che questi due scopi da lui distinti in possibile e necessario, sono entrambi necessarii, se si ha riguardo alla individualità dell'alunno. Con quali mezzi potrà l’educatore anticipatamente fare suoi gli scopi futuri semplicemente possibili del fanciullo, e con quali altri gli verrà fatto di conseguire lo scopo di lui necessario ? Ecco il duplice problema, che logicamente si presenta alla mente dell'autore. Quanto alla prima di queste due inchieste, egli ricisamente afferma che all'educatore non deve importare nó punto né poco di sapere quali arti e quali talenti un giovane possa procacciarsi in ordine alla futura carriera della sua vita; egli non ha da coltivare nel suo alunno quelle attitudini personali ed affatto caratteristiche, che: determinano la sua individualità ed annunziano la sua vocazione, ma deve svolgere in lui e coltivare l'attività generale dello spirito in tutti i sensi, sviluppare in lui la maggior quantità possibile di: forza mentale. Il talento speciale per un’arte o professione determinata & affare, che dipende dalla bes" 13 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 169 libera scelta del giovane; quindi il còmpito dell’educazione si ristringe a dirigere in sensi molteplici la sua recettività intellettuale. In breve, la coltura molteplice | ed ugualmente distribuita, ossia lo sviluppo armonico di tutte le facoltà dell'anima, ecco il mezzo, con cui l’educatore riuscirà a far suoi gli scopi possibili dell'alunno. ] Venendo allo scopo necessario dell’educazione, l'autore rigetta quella morale il piacevole ed a buon mercato, che segue il bene a seconda delle circostanze, ma ripone lo scopo dell'educazione morale in ciò, che le idee del giusto e del bene | prese in tutta la loro purezza diventino i veri e proprii oggetti della volontà; al quale nobilissimo scopo si perviene coltivando nell'animo del fanciullo da prima la 2 facoltà del discernimento sì che egli si formi una giusta e profonda idea del giusto e del bene, poi la volontà per modo che essa conformi il suo operare al discerni- mento stesso ossia alla retta ragione. Volere con risoluta fermezza il giusto ed il buono, qui sta il carattere. L'opinione dell'autore intorno a questi due scopi particolari da lui assegnati all’educazione ci porta ad aleune considerazioni non senza qualche importanza. Lo | Scopo possibile dell'educazione dipende dalla libera scelta dell'alunno e riguarda la | vocazione del proprio stato. Ora e sentenza dell'autore su questo punto, che l'edu- catore non deve darsi pensiéro della vocazione dell'alunno, epperd non ha da colti- vare in lui quelle attitudini individuali, che lo preparino a quel genere di vita, cui $ natura il chiama, ma soltanto procacciargli quella molteplice coltura comune a tutti, che può avviarlo a qualsiasi professione, ad ogni forma di vita sociale. Questo con- cetto pedagogico non mi pare conforme a verità. La natura mentre ha largito a S tutti le facoltà generalissime della specie umana, le ha poi distribuite a ciascuno | di noi in diverso grado ed in diversa misura, stampando cosi in ciascun uomo Singolare una impronta caratteristica, che lo distingue da ogni altro e segnando | cosi ad ognuno la sua via ed il posto suo proprio nel gran mondo sociale. In questa | individualità c’è tutto il nostro essere vivo e reale, tutto il nostro Io personale; ci sono le nostre sorti, i nostri destini, le nostre aspirazioni; e più ancora c’è la specie umana configurata da uno stampo caratteristico; epperd debb'essere cosa sacra per Veducatore, come è sacra per noi la nostra vocazione. Perciò è sacrosanto ufficio dell'educazione quello di svolgere e coltivare quelle attitudini caratteristiche, che j costituiscono l'individualità dell’alunno. Mal provvede a questo gravissimo intento | la coltura molteplice proposta dall'autore, la quale appunto perché si estende allo stesso modo a tutte le potenze comuni ad ogni uomo, non prepara l’alunno ad un genere particolare di vita, che gli sia proprio; coltiva cioè non già le persone vive, quali sono gli individui, bensì l’uomo in genere, che è una mera astrazione, non una vera realtà. L'autore riconosce anch'egli l'individualità dell'alunno, e vuole pur anco che sia lasciata intatta per quanto è possibile; e quindi si trova di fronte a questo duplice problema: in che modo l’individualità è compatibile sia colla coltura molteplice, che riguarda gli scopi possibili dell’educazione, sia col carattere morale, che riguarda lo scopo necessario e più ancora come si concilia la coltura molteplice col carattere morale ? Con siffatto problema egli mirava a riunire insieme questi due scopi distinti | per dare cos unità alla scienza pedagogica riconducendola ad un unico punto di 1 vista. A tal uopo egli raffronta l'individualità dell'alunno sia colla coltura molteplice 22 Serie II. Tow. XLVI. 2 — er Pamiers È 3 170 GIUSEPPE ALLIEVO 14 ossia colla universalitä, sia col carattere. Sotto il primo riguardo egli avvisa che l’individualità dell’alunno deve fondarsi nella coltura molteplice, come una parte nel tutto, con tale misura che il carattere morale possa svilupparsi e trionfare; sotto il secondo riguardo, sostiene che il carattere trovasi pressochè inevitabilmente in lotta coll’individualità avendo qualità opposte. Ma ognun vede che di tal modo il problema non è risolto, la conciliazione dei due scopi non è raggiunta. L'autore è partito dalla moralità, siccome scopo finale dell’educazione; poi vi aggiunse l’altro scopo semplicemente possibile, dipendente dalla libera scelta dell’alunno come indi- viduo, senza dimostrare razionalmente quest’aggiunta; onde egli si trova in faccia ad un dualismo di scopi inconciliabile. Occorre per contrario pigliare le mosse dal concetto dell’alunno e della perfezione, cui tende. L'alunno è ad un tempo uomo ed individuo: è uomo, perchè possiede le potenze comuni a tutti i suoi simili, che for- mano la specie umana, è individuo, perchè queste potenze mostrano in lui una im- pronta singolare ed incomunicabile. Ora come uomo, tende a quella perfezione, che è comune a tutti, e che non è esclusivamente morale, ma. altresi fisica, intellettuale ed estetica; come individuo, tende a quella perfezione speciale, che è richiesta dalla sua vocazione. Egli vuol essere educato e come uomo e come individuo; e siccome è ad un tempo l’uno e l’altro, rimangono così conciliati nell’unità di lui i due scopi dell'educazione. Passando allo scopo necessario dell'educazione, l'autore ne addita come mezzo la coltura del discernimento e della volontà conforme alle idee del giusto e del bene oggettivo. Qui adunque egli riconosce l'esistenza del discernimento e della volontà siccome vere facoltà nel senso psicologico ordinario del vocabolo, e le distingue dalle idee, che ne sono l'oggetto; e questa distinzione contraddice alla sua dottrina psicologica, che nega l’esistenza delle potenze umane (1) riducendole a meri simboli significanti i diversi gruppi di idee. Inoltre qui egli reputa necessario alla forma- zione del carattere morale il possesso delle sole idee del giusto e del bene oggettivo senza più, mentre altrove richiede l’istruzione in genere, estensiva a’ diversi gruppi di idee. Del governo dei fanciulli. 4 La Pedagogia generale di Herbart esordisce colla trattazione del governo dei fanciulli; ma questa prima parte raffrontata colle altre è da lui tenuta tanto da meno, che egli stesso fin dalle prime pagine muove questione, se questo argomento appartenga alla scienza pedagogica, o non piuttosto alla filosofia pratica, la quale trattando del governo in generale, ed in particolare del governo della famiglia e dello stato, può altresì estendere le sue considerazioni al governo dei fanciulli. Egli (1) * L'anima è semplice, non solo non ha parti, ma neanco qualità molteplici; non ha del pari nè l'attitudine, nè la facoltà di ricevere o produrre alcunchè , (Psicol.). 15 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 171 avvisa che in teoria e rigorosamente parlando l'educazione ed il governo si distin- guono in cid, che quella riguarda la coltura interiore dello spirito, questo si ferma al mantenimento dell'ordine esteriore, ma che in pratica si confondono insieme. A ragion d'esempio se l'istitutore non tiene la scolaresca sotto il freno della disciplina, gli riesce impossibile stare un'ora in classe. Il fanciullo nei primordii della sua vita non possiede ancora una volontà ferma e ragionevole, che lo tenga nei limiti del retto e dell'onesto, ma mostra una fogosa petulanza, che lo trascina qua e là fuor di modo e misura, ed è un germe di disor- dine. A domare questa petulanza intervengono da prima i genitori, poi gli educatori, i quali sottomettono colla forza alla loro volontà il fanciullo, insino a che sia giunto a formarsi anch'egli una volontà sua propria e retta, che rattenga nell'ordine mo- rale il suo operare esterno. Di qui la necessità del governo dei fanciulli, il quale mira appunto sia a prevenire il male, che ad essi ed alla società ridonderebbe dalla intemperanza dei loro desiderii, sia ad impedire lo stato di conflitto e di collisione nei rapporti sociali. Veramente l'autore si mostra un po' troppo duro e pressochè ingiusto verso i poveri bimbi, nei quali altro non vede che una impetuosa petulanza. Sicuro, essi non hanno ancora lume di intelletto e forza di volontà per camminare per la diritta via della moralità; ma pure nei loro cuoricini già portano i germi di elette virtü, la docilità, la obbedienza, la sincerità, la credenza alla parola altrui; già mostrano di volere un po’ di bene alle persone, che vegliano sulla loro vita, e nella inconsapevole, ma pur viva innocenza della loro anima infantile stanno nascosti preziosi tesori di santo affetto, che invano cercheremmo nelle stesse anime adulte. Come procedere nel governo dei fanciulli? Ci si presenta per primo mezzo la minaccia ossia l'avvertimento accompagnato dalla sorveglianza, la quale deve rimet- tere della sua intensità e misura col progredire dell'età, e mai non ha da mostrarsi insistente, pedantesca, oppressiva tanto da impedire lo svolgersi di quella volontà personale e propria, che prepara la formazione del carattere. I fanciulli son tutto moto, e vanno percid occupati. Al loro irresistibile bisogno di movimento meglio assai e piü agevolmente si provvede colla vita all'aperta campagna, che non coi collegi convitti delle: città, dove l'angustia dello spazio ed il riguardo dovuto al vicinato impaccia non poco il libero e spontaneo movimento del corpo. Però le occu- pazioni de' fanciulli non vanno abbandonate al loro arbitrio, bensi governate da una sorveglianza, la quale sia organata sopra un saggio e ben praticato sistema di eomandi e divieti, di punizioni corporali, di privazioni momentanee della libertà personale, e nei casi veramente gravi ed eccezionali, della espulsione dalla famiglia e dalla scuola. Altri mezzi di ben altra natura nel governo dei fanciulli sono l'autorità e l'amore, siccome quelli che toccano l’interiorità dello spirito. L'autorità non è una qualità comune ed ordinaria: essa si aquista mediante la manifesta superiorità dello spirito, congiunta al sapere non meno che a certe qualità esteriori e fisiche. L'amore poi riposa sull'aecordo dei sentimenti rinforzati dall’abitudine. In famiglia l'autorità è naturalmente personificata nel padre, l’amore nella madre; per conseguente il governo dei fanciulli non potrebb'essere meglio. collocato che nelle mani de’ genitori, mentre l'istruzione della mente va riservata segnatamente al senno di coloro, che hanno lo spirito colto e formato al magistero educativo. Però leducatore deve attingere in —— ei 172 GIUSEPPE ALLIEVO 16 gran parte dallo spirito della famiglia quell'autorità e quell’amore, che anche a lui occorrono per il felice governo degli alunni. La minaccia e la sorveglianza, l'autorità e l'amore sono i quattro precipui mezzi richiesti al governo dei fanciulli, ma da sè soli non valgono ad ottenere da essi una obbedienza spontanea e volontaria, una docilità pieghevole e conscia di sé. Occorre che l'educazione morale venga in sussidio del governo disciplinare ed esteriore; occorre cioè che l'educatore stringa in intimo e perfetto accordo l'animo suo con quello dell'alunno e senta insieme con lui, mantenendosi sempre costante e conse- guente a sè, usando energia senza durezza, scansando sia ogni familiarità troppo indulgente e bassa, sia ogni contegno altezzoso, ogni gravità studiata e pedantesca. L'autore ha discorso con molta brevità questa prima parte della sua opera, che riguarda il governo dei fanciulli. Le sue considerazioni sono assennate, elevate ed in massima parte fondate in verità; ma vi sono dei punti, su cui egli ha sorvolato troppo rapidamente, e che meritavano più ampio sviluppo, altri, che furono passati affatto sotto silenzio. Le occupazioni degli alunni ed i giuochi infantili formano un argomento, che richiama & sà lo studio speciale del pedagogista. Similmente la disciplina va contemplata non solo in sè ed in rapporto coll’educazione morale, ma altresì nelle sue attinenze coll'educazione intellettuale e col felice successo degli studi, e colla stessa educazione fisica, che l'autore ha lasciato in disparte. Anche l'efficacia dell'esempio e dell'imitazione vuol essere tenuta nel debito conto in riguardo al reggimento degli alunni. Quando i fanciulli abbiano sott'occhio il vivo esempio di un educatore, che sa governare se stesso e mostrarsi ordinato, corretto, diseipli- nato in ogni suo atto, si sentiranno invogliati ad imitarlo ed apprenderanno a cor- reggere i proprii difetti ed informare il loro contegno al rispetto dell'ordine, all'os- sequio del dovere, all'obbedienza della legge. Dell’istruzione. Discorrendo quest’argomento, intorno al quale si travaglia una delle piü impor- tanti ed essenziali parti della scienza pedagogica, il nostro autore si diparte di tutto punto dall'universale dei pedagogisti. Nella teoria dell'educazione intellettuale à generalmente riconosciuta la distinzione tra la coltura materiale della mente, o pro- priamente istruzione, che riguarda l'aequisto delle conoscenze, ela coltura formale, che ha per oggetto la formazione ed il rinvigorimento del pensiero. Fornire l'intel- ligenza di un conveniente corredo di cognizioni ed addestrarla al retto e vigoroso esercizio delle sue funzioni, ecco il duplice ufficio, intorno al quale si adopera l'edu- cazione dell'intelligenza, la quale & ad un tempo facoltà di pensare e di conoscere; e muovendo da questi due punti la scienza pedagogica da un lato chiama a rassegna le molteplici e diverse funzioni intellettuali, quali sono la percezione, il giudizio, il ragionamento, la memoria, l'astrazione, la riflessione, l'associazione delle idee, e v& discorrendo, e detta il come ciascuna abbia ad essere disvolta e coltivata, dall'altro divisa i diversi oggetti di studio ed i diversi ordini di cognizioni, corrispondenti all'indole delle funzioni intellettuali. EH. FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 178 Herbart segue tutt'altra via e tiene un procedimento affatto nuovo e tutto suo proprio. Nella sua teoria l’istruzione propriamente detta, ossia la coltura materiale dell'intelligenza, tiene il campo e soverchia la coltura formale. Costituire nella mente del fanciullo molteplici e differenti gruppi di idee ed estendere la cerchia del suo sapere, qui sta tutto il còmpito dell’ educazione intellettuale. Quindi la teoria del- l'istruzione non va ideata e distesa sulle facoltà dell'anima, che non esistono punto, nè sulle scienze, le quali sono semplici materiali bisognevoli di essere trasformati in insegnamento, bensì sulle diverse guise di interessi, che si vogliono svegliare nell'alunno ammaestrandolo, e dalla distinzione tra le diverse specie di interessi essa deve derivare la divisione delle sue parti. Questo concetto dell'interesse psichico è il solo, che possa servire all'educatore di sicuro criterio sia nel determinare la mi- sura, in cui ciascuna scienza va applicata, sia nel disegnare un piano d’insegnamento per le scuole ginnasiali e superiori, sia nello scegliere le materie di studio più rispondenti allo stato mentale degli alunni. L’istruzione deve interessare l’alunno: in questo concetto si raccoglie tutta la teoria dell'autore. Ma in che dimora questo interesse e quali ne sono le diverse specie? “ Il vocabolo interesse significa in generale la sorta di attività intellettuale, che l'istruzione deve provocare, poichè non sapremmo attenerci al semplice sapere , (1). Un sapere indifferente, che va e viene senzachè produca nell’anima verun cangia- mento, è nullo per noi, mentre il sapere, che conserviamo in noi, e che cerchiamo di svolgere ed ampliare, quello solo ci interessa. Adunque l’interesse risiede nell’at- tività personale, nella forza od energia intellettuale provocata dall'istruzione. Ora quest'attività personale, si dispiega e si svolge in sensi diversi, e quindi l'interesse si mostra sotto diversi aspetti; ma non tutte queste manifestazioni dell'attività per- sonale sono buone e commendevoli, bensì quelle soltanto, che non trascendono la giusta misura. L'istruzione è dessa appunto, che intende a moderare e dirigere a bene i pensieri e gli sforzi del fanciullo, mediante un sapere interessante ed una coltura molteplice, che diriga in varii sensi e tutti ordinati ad uno scopo morale l’attività personale. Adunque l'istruzione suscita mediante l'interesse l’attività intel- lettuale, e siccome questa attività è varia, siccome gli interessi sono molteplici, così è necessaria una coltura molteplice, e non già ristretta ed esclusiva, ossia la dire- zione molteplice dell’interesse. Ora poniamo mente alle basi, da cui muove l'istruzione, ed allo scopo, a cui intende, e vedremo scaturirne le diverse specie di interessi. Il fanciullo, ancora prima di essere ammaestrato, possiede nozioni primitive attinte dall'esperienza della natura sensibile e dalla convivenza co’ proprii simili. L'istruzione muove da queste due classi di nozioni primitive, ed ha per suo còmpito di perfezionarle e recarle a com- pimento, riconoscendo la Provvidenza siccome vincolo supremo che unisce insieme la natura e l'umanità. Essa avrà raggiunto lo scopo pedagogico, allorquando avrà esteso le nozioni dell’esperienza sino alla conoscenza ragionata della natura, avrà elevato le nozioni somministrate dalla convivenza cogli uomini, sino alla assimila- zione degli interessi generali dell'umanità, ed avrà riunite entrambe queste cose (1) Abbozzo di lezioni pedagogiche, $ 62. / 174 GIUSEPPE ALLIEVO 18 nella religione. Ricomponiamo insieme in un sol tutto l’esperienza, la convivenza umana, listruzione, ed in questi tre termini riuniti avremo il gran quadro del mondo. Cid posto, l'esperienza genera l'interesse empirico, la convivenza co’ nostri simili l'interesse simpatico. Alla loro volta l'interesse empirico, quando sia perfezionato mediante la progressiva meditazione degli oggetti di esperienza, si trasforma in inte- resse speculativo, e l'interesse simpatico quando sia perfezionato mediante la medi- tazione de'fatti della vita umana importanti, si sviluppa in interesse sociale. A queste quattro specie d'interesse voglionsi aggiungerne due altre, cioè l’estetico, che nasce dai giudizi fondati sul criterio del bello e del buono, ed il religioso, che sorge dal eontemplare Dio siccome principio supremo della natura e dell'umanità. Ciascuna di queste sei specie di interesse pud diventare esclusiva, ma l'istruzione deve impe- dire e correggere queste tendenze esclusive, e mirare a conciliare insieme nel piü perfetto equilibrio possibile in ciascun individuo, tutte le diverse guise di interesse, mediante una coltura molteplice ed egualmente ripartita. Condizioni dell'interesse sono l'attenzione e gli esercizi di memoria (1). I due punti di mossa, che costituiscono la base fondamentale. dell'istruzione, ci portano a dividerla in due grandi parti corrispondenti: dall'esperienza si diramano le scienze naturali, dalla convivenza coi nostri simili rampollano le scienze storiche. La prima divisione abbraccia insieme con le scienze fisiche anche le discipline ma- tematiche, la seconda comprende non solo la storia, ma altresi la filosofia presa in tutta la sua ampiezza. Questa divisione si riscontra negli istituti ginnasiali, dove gli alunni si portano segnatamente gli uni verso gli studi naturali e matematici, gli altri verso gli studi storici e letterarii, mostrando cosi i primi un interesse natu- ralistico, gli altri un interesse storico. Negata l’esistenza delle potenze umane, Herbart ripone il supremo principio direttivo dell'istruzione nell'interesse didattico: qui sta la nota originale della sua teoria, ma la sua dottrina su questo punto troppo si risente degli sforzi, che mostra la potenza del suo ingegno per edificare una teoria sopra un concetto,.che non regge. Che l'istruzione voglia essere tale da interessare l'alunno eccitando la sua attività intellettuale, nessuno vi ha che ne dubiti; ma questa non è nè la sola, né la suprema dote dell'istruzione, e nemmeno un pregio esclusivo tutto suo proprio, essendochè il fanciullo ancora prima ed all'infuori di ogni ammaestramento a lui diretto, si inte- ressa alla conoscenza di fatti e di oggetti, che mettono in moto la sua attività pen- sante. Egli aveva sentenziato in modo riciso ed assoluto, che l'anima non ha né attitudine, nà facoltà di ricevere e produrre alcunchè. Ma l'attività intellettuale, che egli vuole eccitata dall’istruzione sotto forma di interesse, non è forse quella potenza, che i psicologi appellano intelligenza? Riconosce inoltre, che quest'attività intellet- tuale è varia, sviluppandosi in varii sensi; ma che altro mai sono queste diverse guise di svolgimento se non le funzioni molteplici, con cui si esercità l'intelligenza stessa? Che piu? L'autore parla di attenzione, di concentrazione mentale, di rifles- sione, di analisi e di sintesi, siccome necessarie a promuovere l'interesse educativo; ed anche queste sono vere facoltà e funzioni intellettuali. In conclusione, egli aveva (1) Vedi Abbozzo di lezioni pedagogiche, $ 83-94. | | | | | 19 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 175 fondato la sua teoria dell'istruzione sulla negazione delle potenze dell'anima e sul concetto degli interessi o stati dell'anima stessa; ma venendo all'atto, le potenze ricompaiono e pigliano il posto dell'interesse, il quale si chiarisce impotente a som- ministrare un saldo fondamento alla teoria dell'istruzione. L'autore ristringe a due sole classi tutte le nozioni primitive, da cui deve pigliare le mosse listruzione; le une si devono all'esperienza e riguardano il mondo sensibile della natura, le altre alla convivenza co’ nostri simili, ed hanno per oggetto il mondo umano. Qui apparisce una gravissima lacuna: manca quella classe importan- lissima di cognizioni, che il fanciullo deve non all'esperienza sensibile esterna, non alla convivenza umana, bensi alla sua coscienza interiore e riguarda la sua perso- nale esistenza. Il fanciullo non vive soltanto colla natura esterna e co' proprii simili, ma altresì con sè, e di sé: egli ha la coscienza di questa sua vita individuale e tutta propria di lui, ed in questa conoscenza di s® vanno a raccogliersi, come in loro centro di unità, anche le notizie.del mondo esterno. Questa coscienza di sè è il primo fattore della sua educazione, giacchè à una continua rivelazione delle sue tendenze, delle sue aspirazioni, della sua vocazione, della sua destinazione sociale, del suo avvenire; è il primo libro di lettura, che egli può sempre avere sott'occhio sino all'ultimo giorno della sua vita, è l’abbicì della sua istruzione. Partendo dalle due grandi classi di notizie primitive, che hanno la loro origine le une dalla esperienza, le altre dalla convivenza umana, l'autore ne trae una duplice divisione corrispondente dell'istruzione in scienze naturali e scienze storiche; e nella cerchia delle prime comprende insieme colle scienze fisiche anche le matematiche. Ma ognun vede con quanto poca ragione le matematiche vengano riferite alla branca delle discipline naturali, mentre quelle hanno un’indole astratta e trascendentale di tutto punto opposta all'indole delle discipline relative alla natura sensibile e materiale. La classificazione delle varie specie di interessi mostra la stessa lacuna, che testè ho notato in riguardo alla duplice base fondamentale dell’istruzione. Essi ven- nero ridotti a due supremi generi, che sono l’interesse empirico ed il simpatico: vi manca l’interesse personale, quello cioè, che trae l’origine da quelle notizie, che riguardano l’esistenza personale dell’alunno. Che cosa io posso, che cosa debbo sapere in riguardo alla mia vita, alle mie sorti, alla mia destinazione? Ecco un problema, che interessa in sommo grado l’alunno, e che per la sua gravità singolare eccita la sua attività intellettuale. Anche l'interesse religioso in quella classificazione non si irova a suo posto. L’intuizione ed il sentimento di Dio già vi si trovano riposti per mano di natura nello spirito del fanciullo, prima ancora dell'istruzione propria- mente detta, e lo riconosce l'attore medesimo là dove scrive: “ Come le più selvaggie nazioni non esistono senza divinità, cosi si scopre nelle anime infantili un presen- timento di una potenza sovranaturale, che potrebbe intervenire in tale o tal'altra guisa nella cerchia dei loro desiderii , (Pedag. gen., lib. 2, cap. IV, 8 17-30). Perciò linteresse religioso non va riguardato come uno sviluppo od una conseguenza dei primi due generi d'interesse, l'empirico ed il simpatico, ma deve tenere accanto ad essi un posto suo proprio. Considerata l’istruzione in generale, l'autore passa a contemplarla ne’ suoi par- ticolari, esaminando l'insegnamento nella sua materia od oggetti di studio, nel suo processo metodico, nel suo ordinamento scolastico, nel suo risultato finale; ma la sua 176 GIUSEPPE ALLIEVO 20 esposizione lascia molto da desiderare riguardo all'ordine ed alla chiarezza, egli ritorna qua e là su punti già discorsi, e le sue idee sparpagliate in sensi disparati mancano di un filo direttivo e continuato. Egli esordisce distinguendo gli oggetti d'insegnamento rispetto al diverso modo, con cui essi boccano più o meno direttamente il nostro interesse, e sotto questo | riguardo li divide in tre categorie, le cose, le forme, i segni. Le cose sono realtà concrete e sussistenti, sono oggetti o della natura o dell’arte, forniti di un insieme complessivo di qualità e caratteri, sono gli uomini, le famiglie, le nazioni; ed esse interessano direttamente, per se stessi, in virtù della loro natura medesima. Le | forme sono qualità staccate dalle cose e considerate in se stesse, sono entità astratte, come le figure geometriche, i concetti metafisici, i rapporti tra le cose: esse inte- ressano non solo direttamente e per sè, ma per le importanti applicazioni, di cui sono feconde. I segni sono i vocaboli, e quindi le lingue, ed interessano solo come mezzi per rappresentare le cose o le idee, che essi esprimono. L'insegnamento dei segni è un pesante fardello, che l'autore vuole sia alleggerito mediante la forza dell'interesse, e rigetta lo studio di qualsiasi lingua, che non sia interessante. Ma qui occorre una distinzione, che egli avrebbe potuto fare: l’insegnamento di una | lingua potrebbe riuscire sgradevole all'alunno e punto attraente, e tuttavia eccitare | la sua attività intellettuale, esercitare e rinvigorire a guisa di ginnastica il suo pen- siero. In quale di questi due sensi vuolsi interessante l’insegnamento della lingua? ! Considerando gli oggetti d’insegnamento riguardo alle diverse difficoltà, che presentano, sonvi materie più agevoli e più sicure ad essere trattate ed apprese, altre invece, che costano fatica e qualche volta fatica sprecata. Quelle materie, che T hanno per oggetto il mondo della realtà, quali la storia naturale, la geografia, la | storia civile, sono assai più che tutte le altre, accessibili all’apprensiva del fanciullo, MEUSE pr nina FE mx m te attri eem t apt n een d e rientrano spontanee nella cerchia delle sue idee, e mostrano una utilità diretta { | ed incontestabile. Le matematiche già porgono qualche difficoltà ad essere apprese ? ed abbisognano di strumenti materiali e di sussidii sensibili, quali sono le figure Aal di legno o di carta, i fili di metallo flessibili, il compasso, la squadra, l'archipenzolo {i ed altrettali. Più arduo è lo studio delle lingue straniere, ed esige tempo e fatica prima che possa lentamente assumere il suo naturale andamento; e se i suoi frutti Sono tardivi, non riescono perció meno sicuri. Le moltepliei materie d'insegnamento vanno sistemate mediante un ordinato | piano di studi, la cui efficacia emerge dal concorso armonico delle forze individuali Dy dell’educatore e dell’alunno. Un piano di studi deve preparare le occasioni più pro- i pizie all insegnamento delle varie materie e farne tesoro; ma quali che siano le D modificazioni, a cui può soggiacere, sempre deve intendere, come a suo scopo supremo [| e generale, all'interesse molteplice, variato ed egualmente ripartito dell'alunno (1). (1) “I vanissimi tra i piani di studi sono forse i programmi scolastici compilati per tutto un | paese o tutta una provincia, e sopratutto quelli, che furono deliberati da un consiglio scolastico Ta plenario, senzachè il direttore degli insegnanti abbia da prima intesi i desiderii degli uni e degli | altri.... Un programma siffatto, concepito senza aver riguardo alle differenti persone incaricate di applicarlo in diverse località, avrà verisimilmente dati tutti i risultati, che pud, se scansa solamente i gravi falli contro il concatenamento degli studi e lo spirito attuale degli abitanti. Io mi sento WS EE 21 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 177 L'interesse empirico, più che ogni altro, mostrasi da per tutto con la massima spontaneità e naturalezza, siccome quello, che risponde alla tenera età dell'alunno. L'interesse simpatico attinge vigore ed alimento dall'interesse religioso accoppiato con quello storico e filologico. L'interesse estetico si coltiva da prima mediante le lezioni di lingua tedesca, più tardi collo studio degli antichi scrittori e trova buon rinforzo nell’insegnamento del canto, che riesce ad un tempo salutare al corpo. Infine linteresse speculativo viene promosso e svolto sia coll’insegnamento grammaticale, sia con quello matematico, e più tardi con l'insegnamento storico ragionato. Perchè risponda al suo fine, un piano di studi ha da abbracciare l'insieme essenziale degli studi senza appoggiarsi sulle letture accessorie, far economia del tempo riposta in metodi perfezionati, nella pratica dell'esposizione verbale, nell'abilità a dirigere gli esercizi di ripetizione; conservare alla gioventü studiosa la sua naturale gaiezza mediante l'ampiezza delle aule scolastiche, uno spazio libero per le ricreazioni, una saggia alternativa delle ore di studio e di riposo, una parsimonia nell'assegnare i compiti scolastici, i quali non tolgano agli alunni il tempo richiesto allo svago. Tali sono le idee dell’autore intorno i piani di studio, idee assennate e giuste in generale, ma al veder mio incompiute. Io avviso che a comporre un piano di studi logico e conveniente debbasi aver riguardo da un lato alle scienze umane in esso comprese, dall'altro alle diverse condizioni degli alunni, in cui servigio è ordinato. Sotto il primo aspetto esso deve ritrarre l’immagine dell’enciclopedia umana, la quale va via via progredendo ed ampliandosi attraverso i secoli, sotto il secondo deve acconciarsi alle differenti esigenze dei discepoli. Esso impertanto vorrebb' essere concepito sic- come l’espressione dello scibile enciclopedico in quella forma, in quella misura, con quell’ordine, che sono determinati dalla diversa indole degli istituti scolastici, dalla diversa età ed apprensiva degli alunni, dalle norme direttive dell'insegnamento. Quindi si scorge, che esso si differenzia in tante guise, quanti sono gli istituti sco- lastici dalle scuole elementari alle tecniche, ginnasiali, liceali sino agli studi superiori ed universitari, e che l'enciclopedia umana non va riversata nella scuola in tutta la sua ampiezza, ma in diversa forma ed in diversa misura. Nelle nozioni rudimentali proprie delle scuole elementari evvi in germe tutta l'enciclopedia, quanta può essere insegnata all'Università. A questo proposito gioverebbe pur anco far distinzione tra un piano di studi, qual si conviene ad un’intiera scolaresca, che frequenta un deter- minato istituto, e quello, che è tutto proprio di un alunno privato, il quale viene ammaestrato in famiglia da un istitutore speciale con un singolare intendimento. La storia ricorda a questo riguardo Bossuet, Fénelon, Gerdil ed altri istitutori di principi, che disegnarono un ordinamento di studi in servizio esclusivo dei loro reali alunni. Quest'argomento si connette con quello, che riguarda il processo metodico del- linsegnamento, il quale, secondo l'autore, dipende ad un.tempo dal maestro, dal- da vero ben poco soddisfatto quando veggo governi occuparsi delle cóse di educazione come se s’immaginassero di sapere da se stessi, mediante la loro direzione e vigilanza, conseguire cid, che possiamo attenderci soltanto dai talenti, dall'abnegazione, dal lavoro, dal genio, dalla virtuosità dei privati... Il governo ristringa il suo compito a rimuovere gli ostacoli, spianare le vie, preparare le occasioni, distribuire incoraggiamenti , (Pedag. gener., lib. 2, cap. V, $ 57). 23 Serre II. Tow. XLVI. 178 GIUSEPPE ALLIEVO 22 l'alunno e dall’oggetto studiato. Se l'oggetto di studio è tale, che non interessi nè punto né poco l'alunno e non gli riesca simpatico, il maestro invano si affaticherà per vincere la ripugnanza e l'indolenza del discepolo. Il più efficace procedimento di un buon insegnamento dimora nel concentrarsi nell'oggetto studiato mediante la meditazione, la lettura, gli esercizi scritti: del che il maestro deve porgere giusto esempio, il discepolo imitarlo. TI processo dell'insegnamento si distingue in sintetico ed analitico secondochè il maestro determina egli stesso direttamente l'insieme degli elementi della sua lezione, oppure l’alunno esprime sin da principio i suoi pensieri, e questi sono poi spiegati, rettificati e compiuti sotto la direzione del maestro. Ognun vede quanto questa nozione dell’insegnamento analitico e sintetico si scosti dal comune pensiero e rimanga avvolta nell’indeterminato e nel vago. L'autore ha discorso quest'argomento nella sua Pedagogia generale, poi lo ha ripreso e discusso sotto altra forma nel suo Abbozzo di lezioni pedagogiche pubblicato trent'anni dopo. Ma forza è riconoscere, che il suo ragionamento non procede filato e diritto per la sua via, ma muta bene spesso indirizzo, tantochè non si sa bene se avanzi o retro- ceda; il suo pensiero si intrica in un labirinto di idee, sì che non si riesce ad affer- rarlo e si smarrisce tal fiata in considerazioni tanto generali e remote dall’argo- mento, che nasce il dubbio, se veramente esse riguardino la materia, che l’autore imprese a trattare. La ragione, per cui il.processo dell’insegnamento si distingue in analitico e sintetico, si fonda sulla distinzione tra le due contrarie operazioni della mente, l’analisi e la sintesi; epperò a costrurre una giusta teoria del processo didat- tico occorre avere ben fermo in mente il vero concetto dell analisi e della sintesi, divisare nettamente quando è che torna necessaria l'una e quando l'altra di queste due operazioni, come voglia essere condotta e l’una e l’altra, e come esse per quan- pen rie t po OA tunque di indole diversa, pur tuttavia non si escludano, ma si intreccino insieme e si alternino sorreggendosi a vicenda. Ma l'autore tenne ben altra via, essendosi for- mato di queste due operazioni della mente un concetto suo proprio, che mal si comprende. : | | | A f \ | Egli pone l'insegnamento descrittivo siccome introduzione ed avviamento alle altre due specie di insegnamento, l'analitico ed il sintetico. Siccome l'esperienza del- E l'alunno costituisce la base dell’istruzione, così il maestro esordirà descrivendo oggetti dh e narrando fatti, che possano essere dal fanciullo veduti ed intesi ed adoperando un linguaggio talmente espressivo ed animato, che al discepolo paia di intendere e vedere come presente, ció che gli si descrive e racconta. Quando queste descrizioni siano saggiamente condotte, estendono la cerchia dell'esperienza del fanciullo, ma a | renderla più istruttiva occorre l'analisi ossia l'insegnamento analitico, il quale ha fi per ufficio di elevare. mediante il linguaggio le cose fornite dall'esperienza a quel | | grado di chiarezza di cui difettano. we. | L'insegnamento analitico, qual si conviene alla prima età, deve primamente | consistere in esercizi d’intelligenza condotti nell'ordine seguente. Si eserciti il fan- ciullo a scomporre l’insieme degli oggetti circostanti in oggetti isolati, poi ciascun | oggetto nelle sue parti ed elementi, e gli elementi nelle loro qualità e caratteri. fl Assoggettati così all’astrazione, questi oggetti isolati, questi elementi, queste qualità i conducono il pensiero a nozioni generali. Dopo questi primi esercizi d’intelligenza, d l'insegnamento analitico si innalza ad una forma più elevata, che risiede nella ripe- d 1 23 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 179 tizione delle cose spiegate e nella correzione de’ compiti scritti. Le idee ripetute si imprimono più salde nella mente rinforzandosi a vicenda, si associano insieme più facilmente che non quando venivano concepite la prima volta ed avviano il pensiero a riepilogare intiere parti di una materia sotto forma di classificazioni di storia naturale, di prospetti storici, di quadri geografici, di tavole grammaticali e filolo- Siche, La correzione de’ compiti scritti entra anch'essa, come la ripetizione, nell'in- segnamento analitico. I lavori devono porgere all'alunno l'occasione di tentare cio, che può fare colle proprie forze senza l'aiuto del maestro; siano perciò brevi pei fanciulli di debole intendimento, ma in ogni caso non mai troppo facili. Gli ? nel- l'adolescenza che questo genere di analisi mostra la sua importanza; ma occorre che il discente scrivendo esprima francamente la sua opinione, lasciando a tal uopo a lui solo la libera scelta dell'argomento. Viene l'insegnamento sintetico, e qui il pensiero dell'autore si mostra più nebuloso ed intraleiato che mai. Quest'insegnamento, egli dice, deve presentare assai cose nuove e straniere, oggetti, che possano offrire un interesse durevole ed esteso. Esso abbraccia nella sua cerchia tutte le matematiche con le nozioni, che le precedono e le seguono, tutto il cammino passo passo percorso dall'umanità nella sua coltura, dai tempi più remoti sino ai moderni, la tavola di moltiplicazione, il vocabolario e la grammatica; ed ha un doppio ufficio da compiere, dare gli elementi e prepararne la sintesi. Egli distingue poi due specie di sintesi, la combinativa e la speculativa : la prima è generalissima, si stende da per tutto, e contribuisce a sviluppare la destrezza dello spirito in tutte cose, la seconda si fonda sui rapporti e deve prepa- rare lo spirito dell'alunno alla ricerca della verità ed allo studio dei problemi, che sono gli elementi della speculazione, problemi, che riguardano la matematica, la fisica, la chimica, la libertà, la morale e la religione, la felicità, la giustizia, lo stato. Questo concetto dell'autore allarga la cerchia dell’insegnamento sintetico tant'oltre che non si scorge più dove cominci, dove finisca. Nessuno può sostenere da senno che le matematiche tutte, la storia della coltura dell'umanità, il vocabolario, la grammatica siano di esclusiva spettanza dell’insegnamento sintetico. La distinzione della sintesi in combinativa e speculativa è affatto arbitraria e mena alla confusione. L'errore più grave sta, a parer mio, in ciò, che tra l’insegna- mento analitico ed il sintetico non corre una linea ricisa di separazione, come sup- pone l’autore, quasi che il primo costituisse uno studio da sè, dove domina sola l’analisi, ed il secondo costituisse uno studio successivo, dove la sintesi impera asso- luta e raccoglie ad una potente e suprema unità tutti i particolari forniti dall’analisi precedente. Così opinando l’autore, si capisce il perchè siasi formato dell’insegna- mento sintetico un concetto sconfinato e non conforme alla sua natura. Per lo con- trario il vero si è, che in ogni materia di insegnamento, in ogni periodo di età dell’alunno, in ogni oggetto di studio l’analisi e la sintesi si alternano di continuo, abbisognano l’una dell’altra, si sviluppano e si perfezionano insieme. Se volessimo qui innalzarci ad una considerazione filosofica, diremmo che l’analisi e la sintesi non sono soltanto due solenni funzioni dell’intelligenza, la quale procede mai sempre scomponendo e componendo idee, due supreme funzioni della matematica, la quale tutta si risolve nello scomporre e ricomporre quantità, ma entrano altresì nella vita della natura e dell'umanità. La natura forma i viventi componendo insieme in un 180 GIUSEPPE ALLIEVO 24 tutto organico una pluralità di molecole elementari sotto l'impero della forza vitale, e la morte non è che un’analisi dissolvente, una scomposizione dell'organismo. La storia dell'umanità non è che un lavorìo continuo di analisi e di sintesi, ossia uno scomporsi e ricomporsi di opinioni e di credenze, di idiomi, di istituzioni politiche, civili e religiose, di associazioni particolari e va, discorrendo. La storia delle nazioni presenta epoche critiche, in cui il dubbio dissolvente decompone e sfascia tutto l'in- sieme delle credenze e de’ principii universali, in cui posa l’edificio sociale, ed epoche organiche, in cui una nazione ricompone ad unità la dispersa sua vita. Entrando nei penetrali della nostra coscienza, dapprima componiamo con un atto sintetico tutte le nostre particolari aspirazioni e desiderii nell’unità di un ideale supremo, poi questo ideale lo vediamo scomporsi in atti molteplici e sfumare talvolta al soffio dello scetticismo. Il processo analitico e sintetico fin qui esposto si estende ad un modo ad ogni guisa di insegnamento; ed ora dobbiamo discendere coll’autore alle singole materie speciali di studio esaminandone il diverso valore ed il particolare andamento. Io mi raffiguro la scuola quale un sontuoso convito intellettuale, dove stanno imbandite in bell'ordine le più svariate vivande. Sonvene alcune, che hanno sapore di forte agrume e di ostico al palato dei giovani convitati, che siedono intorno alla mensa, altre inveco, che riescono gradevoli al gusto ed appetitose. Similmente vi sono sto- machi delicati od ancora poto avanzati nel loro sviluppo, i quali non comportano che un nutrimento assai moderato ed eletto, ed altri robusti e dotati di molta forza digestiva, ai quali conviene un cibo copioso e vario. È opera del saggio e valente maestro il somministrare ai suoi discepoli le diverse materie di studio in quella misura ed in quell'ordine, che meglio rispondono alla loro indole intellettiva, all'età, allo sviluppo mentale, alle condizioni speciali. Il nostro autore enumera ad una ad una le diverse materie speciali d’insegna- mento (1) e le discorre alla spartita senza averle ordinate in una classificazione razionale, e raccolte tutte quante intorno ad un centro di unità; e questo punto si trova discusso nel suo Abbozzo di lezioni pedagogiche, $ 232-293. In capo a tutte egli pone l'insegnamento religioso, ed esordisce avvertendo che il determinarne la materia appartiene ai teologi ed alla Chiesa, spetta invece alla pedagogia il consi- derarlo sotto l'aspetto razionale e segnarne il punto di mossa e di arrivo. L'insegnamento religioso non crea, ma presuppone già esistente nell'anima infan- tile il concetto ed il sentimento religioso, il quale sin dai più teneri anni è legato colla semplice idea della Provvidenza. Il bimbo intuisce nella madre, che lo nutre del suo latte, la Provvidenza che veglia sopra di lui e tiene in ordine la casa, e quindi prova per lei sentimenti di sommessione, di dipendenza, di gratitudine e di affetto. Più tardi, fatto un po’ grandicello, spinge lo sguardo fuori del recinto della propria casa, e scorge nel piccolo mondo esterno sottoposto a’ suoi sensi un ordine più ampio e più svariato, e sale col pensiero al concetto di una Provvidenza supe- riore, che veglia su tutti e si sente sommesso e dipendente da essa. Così è nato (1) Ho creduto bene di collocare qui quest'argomento, sebbene appartenga alla Pedagogia spe- ciale dell’autore. 25 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 181 nella sua anima il concetto ed il sentimento di Dio, da cui deve prendere le mosse linsegnamento religioso. Già prima dell'Herbart il Pestalozzi aveva ricercato la genesi del sentimento religioso nella famiglia, dove il fanciullo scorge simboleggiato lordine del mondo e la Provvidenza suprema; e questo concetto fu sviluppato e messo in bellissima lüce da uno de’ più illustri discepoli del Pestalozzi, il barone Roger de Guimps nella sua opera La philosophie et la pratique de l'éducation. Dacchè la religione origina dal sentimento della dipendenza, in cui si trovano tutti gli uomini di fronte alla natura e ad un essere supremo, consegue che ogni insegnamento reli- gioso fallirà al suo scopo senza questo sentimento di umiltà, che è l'impronta ori- ginale di ogni pietà. L'insegnamento religioso deve fin da' suoi primordii mirare allo scopo di prepa- rare il fanciullo all'ammessione alla santa comunione, a questo rito solenne, che à una profonda aspirazione alla moralità e stringe in fraterna unione tutti i credenti nel Cristianesimo. Esso va dato a tempo opportuno, per accenni generali senza per- dersi in minuti particolari, accompagnato dall’insegnamento storico, segnatamente biblico, perché non laseii fredde le anime. Anche l'insegnamento classico, se assai per tempo si è cominciato lo studio del greco, può intervenire a rinforzare le im- pressioni della dottrina cristiana mediante i dialoghi di Platone relativi alla morte di Socrate. Ma in tutta la sua esposizione l’autore non ha fatto la distinzione tra l'insegnamento religioso e l'educazione religiosa, due cose, che non vanno nè confuse, nè separate, giacchò quello ha per oggetto la mera e pura conoscenza delle verità, che riguardano i nostri rapporti con Dio, questa risiede nella attuazione pratica delle medesime, l'uno riguarda l'intelligenza, l’altra il cuore e la volontà. La peda- gogia deve dettare le norme direttive di amendue. Ai giorni nostri basta toccare l'argomento dell’ insegnamento religioso, che tosto ci troviamo di fronte alla questione pregiudiziale dell'istruzione religiosa, pre- giudiciale, dico, perchè si discute da prima se la religione abbiasi ad insegnare, e non già il modo, con cui tale insegnamento va amministrato. Siffatta questione, che oggidi ferve e si agita e discute in sensi diversi ed opposti, ai tempi dell'autore non era per anco spuntata. I razionalisti la risolvono in senso negativo e rigettano listruzione religiosa siccome inconciliabile col culto della scienza, perché la religione si fonda sulla fede, e quindi sull'autorità ed insegna dogmi incomprensibili, mentre la scienza si fonda sulla ragione e quindi sulla libertà del pensiero, ed insegna sol- tanto verità accessibili alla ragione medesima. Il nostro autore non ebbe a discutere siffatta questione, ma toccò del rapporto tra la filosofia e l'insegnamento religioso esponendo idee sue, che non vanno passate in silenzio. * La filosofia (egli scrive) deve testimoniare, ché nessun sapere può dare all’a- nima tanta sicurezza, quanto la fede religiosa (Abbozzo, ecc., $ 238) ,. È questa una sentenza, che a me pare profondamente vera, essendochè la fede in Dio è uni sapere, che di sua natura esclude il dubbio e si rispecchia nell’evidenza dell'ordine provvidenziale dell'universo, mentre la scienza filosofica è sempre agitata e sconvolta dalle discussioni speculative, come lo provano le continue lotte tra i diversi sistemi ed i profondi dissidii tra i pensatori. ^ L'insegnamento religioso non debb'essere dog- matico a segno da suscitare il dubbio, ma gioverà comporlo con le nozioni di scienze naturali (Aforismi, $ 139) ,. Accorgimento giustissimo anche questo, il quale accenna 182 GIUSEPPE ALLIEVO 26 all’armonia tra la scienza e la fede. Non vi può essere dogma tanto misterioso, il quale non abbia qualche punto di contatto colla ragione; se fosse incomprensibile sotto ogni riguardo ed affatto tenebroso, il dubbio e lo scetticismo religioso torne- rebbero inevitabili. La natura universa ci apparisce quale un tempio della Divinità, e ci parla di una sapienza infinita, che la muove e la governa; epperd lo studio delle cose naturali è potente sussidio all'apprendimento della fede. “ Scopo dell'in- segnamento religioso quello sarà di rinviare al di là dei limiti del sapere, non però di insegnare al di là di questi limiti, il che sarebbe contraddittorio, essendochè in tal caso parrebbe che si possa insegnare per appunto quel che non si sa (Ibid.) ,. Nulla di più vero che questo concetto dell’autore. Come al di là dello spazio celeste, che chiude il nostro orizzonte, si stendono altri spazii e poi altri ancora inaccessi- bili al nostro sguardo, così la realtà conoscibile si stende infinita, e la nostra intel- ligenza, finita qual’è, non può comprenderla in tutta la sua immensità, ed una certa qual ombra di mistero vela la natura tutta, anche quella, che soggiace al nostro pensiero. La scienza adunque ha i suoi limiti invalicabili; ed ogni limite importa un al di là. Ora che evvi mai al di là dei limiti della scienza? Non, certo, il nulla assoluto, perchè allora ne verrebbe per conseguente, che non esiste altra realtà se non quella, che si conosce, val quanto dire che non vi sono confini imposti all’in- telligenza umana. Vi esiste dunque alcunchè al di là dei limiti della scienza. Ma che cosa mai? Non lo sappiamo: ci troviamo di fronte all'ignoto, all'incomprensibile, al mistero. Ora il mistero non essendo comprensibile, non è oggetto proprio della ragione, non è accessibile all'intelligenza, bensì (osservo io) è oggetto della fede, del sentimento religioso, giacchè il mistero à l'ombra della Divinità. Quindi a ragione lautore poté affermare, che l'insegnamento religioso deve terminare al di là dei limiti del sapere, non perd insegnare il mistero come se fosse una verità razionale propria della scienza. Anche lo Spencer ammise l'ignoto, l'inconoscibile siccome ultimo termine, dove vanno a finire insieme la scienza e la religione; ma poi mal si appose affermando, che l'Assoluto, oggetto della religione, è affatto inescogitabile ed inco- noscibile sotto ogni riguardo. “ Le basi dell’interesse religioso devono essere gettate di buon'ora e talmente profonde, che più tardi l'anima riposi lieta ed intatta. nella sua religione, mentre la speculazione segue il suo cammino per suo proprio conto. La filosofia, come tale, non è nè ortodossa, nè eterodossa, similmente la fede non è, nè può essere con ragione, la filosofia (Ibid.) ,. Qui l’autore consiglia che il fan- ciullo venga educato in guisa che col tempo la sua fede religiosa mai non abbia a soffrire il menomo scrollo dalla sua ragione speculativa, e che il suo pensiero filo- sofico si svolga libero di sè senza subire violenza di sorta dalle credenze religiose. Per certo quest'armonia debb'essere l’ideale di una saggia e retta educazione, la quale fallirebbe al suo scopo, se non fosse mai sempre intenta a comporre l’alunno a quell’armonia psicologica, che è voluta dalla stessa natura. Con ciò l’autore distingue il campo riservato alla fede da quello proprio della scienza; però questa distinzione non va intesa così che scienza e fede abbiano a procedere estranei ed isolati l’una dall’altra. La scienza entra nella fede e ne chiarisce alcuni punti, ne dimostra la ragionevolezza, come la fede non contraddice alla ragione, ma la presuppone; tant'è, che la scienza ha i suoi misteri, come la fede ha i suoi splendori. La filosofia riguar- data nella sua natura, avendo un oggetto tutto suo proprio, che non è quello della 27 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 183 religione, non è nè ortodossa, nè eterodossa; perd, io avverto, può diventarlo, allorchè propugna principii e teorie, che portano a conseguenze, le quali riescono poi ad avvalorare o ripudiare le credenze religiose, quali ad esempio, il naturalismo, il materialismo, lo scetticismo da un lato, il teismo e lo spiritualismo dall'altro. Maestra dell'umanità è la storia, ed a questo concetto risponderà il suo inse- gnamento, quando alla perfine sarà riuscito a provocare l'esame ragionato de’ fatti ed eccitarne negli alunni la curiosità. Però in sulle prime occorre procedere con somma cautela e parsimonia nell'elevare a considerazioni generali ed astratte intel- ligenze ancora immature, e scansare il difetto dei giovani professori di storia, i quali lasciandosi trascinare qua e là dal tessuto complicato degli avvenimenti, incorrono in una prolissità incomportevole e fastidiosa. Il saggio maestro tenendo ben fermo in mano il filo direttivo degli avvenimenti saprà quando deve proseguire la succes- sione dei fatti e quando interrompere il racconto per intercalare opportune rifles- sioni, per riandare la materia spiegata e raccoglierla in riepiloghi e quadri compren- sivi. La forma narrativa debb'essere improntata a quella schietta semplicità, che si ammira negli scrittori classici dell'antichità, e vengono opportuni ad essere letti ed imparati a memoria i racconti di Erodoto voltati in una buona tradizione, e seguiti più tardi da quelli di Tito Livio e di Arriano. La storia antica, siccome assai meno complicata della moderna, va insegnata per prima, ed in essa deve campeggiare la greca e la romana pigliando le mosse dalla mitologia di Omero, essendochè la storia è inseparabile dalle credenze popolari. Intorno alla storia greco-romana vuol essere raccolta quella degli Assiri, degli Egizi e dei Persiani, mentre i racconti biblici dell'Antico Testamento devono comporre un tutto da sè. L'autore chiude tutte queste considerazioni avvertendo che per gli alunni, i quali non continuano i loro studi sino all'Università, l'insegnamento storico vorrebb'essere coronato da un assennato compendio della storia delle arti e delle scienze; avvertenza, che a me pare assai giusta, essendochè nelle arti e nelle scienze fiorisce lo Spirito, che informa lo svi- luppo dell'umanità attraverso i secoli. Della storia nazionale egli tocca alla sfuggita e mostra di non avere compreso tutta l'importanza del suo insegnamento, il quale costituisce una parte essenzialissima dell'educazione nazionale, dacchè ciascun popolo è chiamato ad adempiere nella storia dell'umanità un compito speciale tutto suo proprio. Secondo la mente dell'autore, l'insegnamento della geografia non solo importa assai a quello della storia, ma è vincolo, che congiunge tutti gli altri studi e li tiene stretti insieme. Poiché la geografia fisica addita le sorgenti dei prodotti naturali, la matematica getta le basi dell'astronomia popolare, la politica espone il rapporto tra la vita dei popoli e le regioni, che abitano, ricorda l'antico aspetto delle città e dei paesi, e mostra i luoghi, che furono il teatro degli avvenimenti storici. Anzichè esordire dal globo terrestre egli consiglia di muovere dalla località, dove risiede la scuola, siccome metodo piu conforme alla didattica, ed intende che questo pro- cesso analitico sia mantenuto in tutto il corso di questo insegnamento, segnando qua e là, siccome fermi punti di appoggio, pochi ma notevoli luoghi di città, di fiumi, di monti, poi collegandoli insieme in quadri geografici sempre più comprensivi. Altro è parlare, altro comprendere: questa distinzione l'Autore richiama alla mente di chi intende insegnare le lingue. La lingua materna è dai fanciulli diver- 184 GIUSEPPE ALLIEVO 28 samente appresa ed intesa secondo l'individualità propria di ciascuno e secondo il bisogno più o meno grande di esprimersi. Sembra a tutta prima che non occorrano lezioni speciali per la lingua materna; pure essendo fatta per essere letta e scritta, vuol essere perció continuamente studiata, e per alunni adunati in una numerosa scolaresca presenta difficoltà diverse e più o meno gravi, le quali possono essere superate o scemate associando il suo insegnamento con quello di altre materie. Nell'età dell’adolescenza gioverà far tesoro delle lezioni della lingua materna, sia presentando agli alunni scelti modelli, in cui imparino i diversi generi di poesia e di arte oratoria, sia assegnando loro lavori per iscritto; nel che vuolsi avere riguardo di non imporre mai ad essi un gusto contrario alle loro naturali tendenze, né di violentarli a scrivere contrariamente a quello, che sentono o pensano nell'animo loro. Fervido ed intelligente cultore del classicismo, Herbart assegnò alle lingue greca e latina un cospicuo posto nella cerchia dell'insegnamento. Sono lingue morte, che perciò non vanno studiate per imparare a parlarle e scriverle, bensì per comprendere gli scrittori classici antichi, senza la cui intelligenza non ci è dato di orientarci nel campo della coltura. Pur ammirando nei capolavori classici dell’antichità gli esem- plari dello stile puro, bello ed elegante, egli non pretende che il loro studio torni necessario a tutti i giovani avviati alle professioni liberali, ma soltanto a quei pochi eletti, che si consacrano al culto dell’arte letteraria; e mentre riconosce che noi possiamo fare di più e di meglio, avverte che quegli antichi modelli saranno pur sempre per noi il filo direttivo, che ci tornerà sul retto sentiero, quando l’avremo smarrito. Lo studio delle lingue greca e latina deve incominciare assai per tempo, sin dalla fanciullezza, in cui la memoria spicca per vivacità e prontezza, ed avere il suo punto di appoggio nella storia antica: il rimandarlo dopo quello delle lingue moderne gli è un mettere il carro davanti ai buoi. Apprese le nozioni elementari delle declinazioni e delle conjugazioni, si fa passo alla lettura de'classiei più facili, e quando si volesse cominciare dallo studio del latino, si presenterebbero primi Cor- nelio Nepote ed Eutropio, se la loro aridità non ce ne sconsigliasse. Ai primi anni di studio del classicismo conviene più che ogni altra opera l Odissea di Omero, le cui leggende preparano ad un tempo anche allo studio della storia antica ed alla coltura del gusto. Dopo Omero vengono Virgilio ed Erodoto, Sofocle ed Orazio, Pla- tone, Cesare e Cicerone. Nell’ Eneide si impara in parte il vocabolario latino, come il vocabolario greco nell Odissea. Orazio fornisce eccellenti sentenze pedagogiche. Cesare nel De Bello gallico porge esempio dello stile, che possa desiderare il giovane. In Platone sarà bene scegliere per oggetti di studio alcuni libri della Repubblica, segna- tamente il I, II, IV, VIII. In Cicerone si mostrerà da prima lo splendido oratore, poi il saggio filosofo. Quanto agli esercizi di lingua e di stile, assai meglio dei compo- nimenti latini propriamente detti, giova fare degli estratti dei passi di autori già spiegati, da prima col sussidio del libro, poi lavorando da sé. In conclusione, l'inse- gnamento délle lingue, che non siano la materna, deve esordire dal greco, continuare col latino e terminare con le lingue moderne. Questi pensieri dell'autore intorno lo studio dellelingue greca e latina è bene siano ricordati e convenientemente apprez- zati a’ giorni nostri in cui si agitano le sorti del classicismo e si vorrebbe bandirlo dalle scuole sacrificandolo alle esigenze del mondo moderno. L'insegnamento matematico, in mente di Herbart, è diretto a provocare l'attività 29 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 185 personale dell'alunno mediante l'esposizione teorica congiunta con esercizi pratici, per guisa che dalle applicazioni di questa disciplina egli ne intraveda l’importanza e se ne interessi. Le rappresentazioni sensibili debbono essere il punto di mossa di quest'insegnamento, guidando il fanciullo a formarsi le nozioni di quantità, di gran- dezza, di distanza coll’osservare oggetti, e secondochè si presenta l'occasione, contarli, misurarli, posarli. Giova esercitar l'occhio a misurar la distanza ed accoppiar questi esercizi con calcoli elementarissimi. Esercizi siffatti mirano a svegliare l'immagina- zione geometrica insieme con la riflessione aritmetica; e riescono un’acconcia prepa- razione alle matematiche. L'autore tocca di aleune difficoltà relative a tale inse- gnamento ricercandone le cagioni, ed avvisa ai mezzi più acconci per agevolare lapprendimento dei logaritmi e del calcolo differenziale. Intorno a questo punto il nostro Romagnosi pubblicò un pregevolissimo opuscolo inscritto Insegnamento primi- tivo delle matematiche, dove ricercando la genesi de primitivi concetti matematici, svela l’origine di parecchi errori dominanti intorno siffatta materia e mette in luce la necessità di emendare in molti punti l'insegnamento di questa disciplina. E va pure ricordato l'opuscolo pubblicato nel 1868 da Sebastiano Pungotti professore all'Università di Perugia col titolo Euclide e la logica naturale, dove egli pone in rilievo alcuni erronei concetti, che ancora oggidì giacciono infiltrati nell’insegnamento della geometria, come pure gli altri due intitolati l’uno “ I segreti dell’arte di comu- nicare le idee negli elementi delle scienze esatte ,, l’altro “ Intorno alle moderne difese degli antichi errori nell'nsegnamento delle matematiche ,. Coll'apprendimento delle matematiche si conserta quello delle scienze naturali; ed anche qui l’autore consiglia di esordire dall’osservazione del mondo sensibile, occupando di zoologia i fanciulli con libri di immagini, di botanica coll’analisi di piante da essi raccolte, di mineralogia coll’osservazione dei caratteri esteriori dei minerali. Questi primi esercizi apriranno la via alle conoscenze tecnologiche, le quali si consertano da un lato coi concepimenti della natura, dall’altro coi fini umani. Le nozioni più elementari di statica e dinamica raccolte dall’osservazione della natura prepareranno allo studio della fisica associato coi primi rudimenti della chimica, mentre l'osservazione dei corpi celesti porgerà la base dell'astronomia popolare. In questo quadro delle molteplici materie d'insegnamento non apparisce una disciplina, la quale su tutte le altre primeggia e per il suo sommo valore educativo e per l’elevatezza della sua indole, che intorno a sè, siccome centro supremo, rac- coglie tutti i rami di studio, voglio dire la filosofia. Questa lacuna tanto più stupisce, in quanto che Herbart fu potente e glorioso cultore delle discipline filosofiche. L'insegnamento deve riempiere l’anima: con queste parole l'autore designa il punto finale, a cui esso deve mettere capo in ogni suo processo. Questa sua sentenza mi ricorda quell'altra di Montaigne, che la vera educazione intellettuale deve darci non già teste ripiene, ma teste ben fatte. Il pedagogista tedesco ci parla di anima ripiena, il francese di testa ben fatta. Chi dei due dice il vero? L'anima è qualche cosa di più, assai di più che la testa, e nessun insegnamento, per quantunque impartito col più perfetto magistero, varrà a riempierla mai. Colla testa si pensa; essa è la sede delle idee e delle conoscenze e niente più. Coll'anima non solo si pensa e si conosce, ma si sente e si vuole, si gode e si soffre, si ama e si odia: in essa c’è la nostra vita tutta quanta. Ne’ suoi penetrali vi sono abissi profondi, che nessun raggio di Serie II Tom. XLVI. 24 186 GIUSEPPE ALLIEVO 30 luce può illuminare, affetti umili e modesti, che non comportano di essere analizzati dalla riflessione, sentimenti generosi, che la speculazione può bensì inaridire, ma creare non mai. Quel martire di patrio eroismo, che fu Pietro Micca, non sapeva tampoco scrivere il proprio nome; ma l'anima sua generosa consumava un sacrificio, a cui la gelida e faticosa scienza si sente impotente. La coltwra morale. L'istruzione è mezzo, che ha per fine la coltura morale: ecco il vincolo, che stringe insieme in armonico accordo queste due grandi parti della Pedagogia gene- rale del nostro autore. Le idee attinte dall’ istruzione e coordinate insieme in forte unità sono desse, che determinano l'anima ad operare con quella risolutezza di volere, che costituisce il carattere. Il valore dell’uomo si misura non dal suo sapere, ma dalla sua volontà; perd questa facoltà non si muove di per sè a tradurre in atto i suoi desiderii, ma ha la sua forza motrice nel dominio delle idee acquistate. Laonde l'educazione morale non vale di per sè a formare il carattere, ma abbisogna del sus- sidio dell’istruzione, e di tal modo si consertano insieme ed entrambe concorrono a preparare l'avvenire dell'alunno. L'educazione o coltura morale ha per còmpito di formare il carattere del fan- ciullo mediante l’istruzione, preservandolo dalla prepotenza delle passioni, dirigendone a bene i desiderii, illuminandolo intorno le vere e giuste esigenze della sua vita sociale; ed avrà raggiunto il suo scopo, quando avrà procacciato all'alunno l'energia del earattere morale. L'autore definisce egli stesso la coltura morale riponendola nell’ “ azione immediata esercitata sull'anima del fanciullo collo scopo di formarla (Ped. gen., lib. 3, cap. V, 8 6) ,. Questa definizione non sembra di tutto punto con- forme a verità. Anzi tutto l'operare immediato dell'educatore sull'anima dell'alunno, preso in modo assoluto e senza restrizione, come viene espresso dalla definizione, porta a credere, che questi abbia a rimanersene Îì passivo a ricevere in sè l'azione educatrice, mentre la formazione del carattere morale deve primamente posare sul- l’attività personale dell'educando. Inoltre la coltura morale è definita in modo tanto generale ed esteso, che viene a confondersi coll'educazione umana tutta quanta, poichè vi si dice che trattasi della formazione dell'anima, mentre l'educazione mo- rale ristringe il suo compito alla coltura propria della sola volontà. A questo punto occorre chiarire per bene che cosa abbiasi ad intendere per questa espressione for- mare Vanima del fanciullo. Intenderemo noi forse, che essa anteriormente ad ogni coltura morale giaccia affatto informe per guisa, che nulla ancora pensi di partico- lare, nulla voglia o senta, e che l'opera educativa intervenga poi ad imprimerle questa o quell'altra forma, a farla pensare, sentire, volere in tale o tal altro modo? Inter- pretando e chiarendo il pensiero dell'autore, l'anima del fanciullo si forma liberan- dola dalle sue forme instabili e passeggiere, quali sono i sentimenti capricciosi ed i desiderii arbitrarii, ed imprimendo alla sua volontà una forma stabile, ferma e fissa, ossia quella risolutezza ed energia nell'operare, che costituisce il carattere. Quando 31 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 187 l’anima ha fermamente deciso di volere una cosa e non volere il suo opposto, la volontà allora ha preso una forma determinata e ricisa, si mostra il carattere. Laonde l'anima non si forma operando semplicemente sui sentimenti, sempre mobili ed in- consistenti di loro natura: occorre fissare la volontà, creando un desiderio fermo e ben radicato, che si fondi sulla forza delle idee acquistate e serva di base all’azione. Ma in che dimora più propriamente la natura propria del carattere? In qual modo esso si forma? Come si deve procedere nella coltura morale? Ecco i tre punti, che l’autore si propose di trattare. Il carattere ha sede nella volontà, e può definirsi: “ ciò, che l’uomo vuole, para- gonato con ciò, che non vuole ,. Esso è adunque la forma della volontà e si rivela nell'opposizione tra ciò, che si decide, e ciò, che si rigetta. Ciò posto, l'uomo ancora prima che si raccolga in sè ed esamini se medesimo, rimane bensì assorbito dagli oggetti esterni, ma tuttavia ha già una volontà determinata dal temperamento, dalle tendenze individuali, dalle abitudini, dai desiderii, dalle passioni, ed essa costituisce la parte oggettiva del carattere. Viene poi un momento, in cui osserva e contempla se medesimo, ed allora sorge in lui una nuova volontà, la quale costituisce del ca- rattere la parte soggettiva. Gli è evidente, che queste due guise di volontà possono armonizzare, od entrare in conflitto fra di loro; ed in questo secondo caso rimane a vedere da qual parte si rinvenga il carattere. Spetta quindi all’educatore un du- plice còmpito: osservare e dirigere dall’un lato e dall'altro la parte del carattere oggettiva ela soggettiva. Proseguendo quest’analisi del carattere, noi vi ritroviamo la memoria della volontà, cioè una certa disposizione alla fermezza del carattere, che si rivela assai per tempo; la scelta, che determina le gradazioni del volere e risiede nel preferire e nel rigettare; i principii, i quali emergono dal contemplare che l'uomo fa se medesimo; la lotta, che sorge dal disaccordo tra i principii e la propria individualità personale. L'autore, determinato il concetto del carattere, passa allo studio della sua for- mazione naturale, e riguarda questo capo siccome il punto culminante della sua Pe- dagogia. Egli distingue anzi tutto tra la natura, che forma a poco a poco il carattere, e la coltura morale, che lo educa, e muove a se stesso la dimanda: Come nasce il carat- tere? Siccome esso ha la sua sede nella volontà, e sta propriamente nella risoluzione della volontà stessa, così la proposta dimanda si risolve in quest'altra: in che modo essa diventa risoluzione. Prima che si risolva, la volontà, se pure già merita questo nome, è niente più che un semplice desiderio, una vaga aspirazione verso un oggetto. Viene l’azione, ed essa trasforma il desiderio in volontà, la quale esprime la sua risoluzione in un Jo voglio! L'azione adunque è il principio originario del carattere, ma va necessariamente accompagnata dalle attitudini o disposizioni naturali e dalle occasioni o dagli ostacoli, che vengono dal di fuori. Però l’azione va distinta in due specie: vi è un'attività interiore, che cioè si esercita dentro di noi, e consiste nel dirigere i nostri pensieri verso un dato scopo, nel maturare i nostri propositi, e formare disegni, nel mettere a prova e misurare le nostre forze; e v'ha un'attività esteriore, per cui i nostri desiderii vengono tradotti in atto nel mondo esterno. Sulla formazione e sul diverso genere del carattere esercitano influenza diversa le idee acquistate, le disposizioni naturali, il genere di vita. L'insieme delle idee acquistate costituisce tutta la nostra attività interiore, e fornisce allo spirito la sicurezza di ji À 188 GIUSEPPE ALLIEVO 32 se, l'energia, il coraggio, la prudenza dell'operare, epperciò la coltura delle idee forma la parte essenziale dell'educazione. Le disposizioni naturali insieme colle occasioni esterne, che le accompagnano, variano di energia nelle differenti età della vita, ra- gione per cui il carattere si mostra incerto e fluttuante nella infanzia, spiccato e deciso nella virilità: differiscono ancora dall'uno all'altro individuo a seconda del vario grado di mobilità dell'anima di ciascuno. Gli spiriti leggieri, che si muovono qua e là secondo i loro capricci e mutano pensiero ad ogni ora, appariscono sforniti di carattere, il quale invece fa mostra di sè negli individui, che rimangono fermi a quanto conoscono, e procedono assai circospetti nell’accogliere il nuovo, che loro si presenta. Però e gli uni e gli altri abbisognano sotto diverso riguardo dell’opera educativa, i primi per acquistare fermezza di volere, i secondi per essere spronati all’azione e preservati dalla immobilità. Infine per quel, che riguarda il genere di vita, certo è che una vita dissipata esercita un sinistro influsso sul carattere, e che perciò bene adoperano i parenti vegliando sui loro fanciulli con una esatta regola- rità della vita quotidiana, ma siffatta regolarità non debb'essere uniforme e restrit- tiva tanto da impacciare il libero esercizio dell’attività volontaria. Un genere di vita rigido e duro giova certamente alla sanità corporale, ma a raffermare il carat- tere della gioventù importa assai più un vivere tale, che le consenta di esercitare liberamente e rettamente un'attività seria e grave a'suoi proprii occhi. À questo scopo potrebbe contribuire sino ad un certo segno la vita menata in pubblico, se non fosse che generalmente parlando, chi vive in società, non opera per impulso suo proprio, epperò il suo non è un atto qual si richiede a formar il carattere, ossia non è un’azione, mercè di cui il desiderio interiore si decide come volontà. * La natura dà i talenti, l'educazione dà il carattere (Aforis. 174) ,. Adoprare in guisa, che il fanciullo trovi se stesso scegliendo il bene e rigettando il male, in questo risiede l'educazione del carattere. Affinchè la coltura morale sortisca il suo pieno effetto, occorre che il fanciullo fruisca di una sanità perfetta. Soltanto le na- ture fisicamente robuste hanno arditezza di volere, mentre le malaticcie sentono la propria dipendenza e mal rispondono alle cure educative. Se l'uomo generalmente sopravanza la donna nella vigoria del carattere, lo deve alla sua maggior forza corporea. Riguardata nel suo processo, la coltura morale deve affermare mai sempre la sua superiorità sul fanciullo, per guisa che egli senta una forza educatrice, la quale lo vivifica anche quando lo opprime e lo faccia accorto, che la sua azione sopra di lui è talmente illimitata, che nessuna manifestazione della sua attività può sfuggire al suo dominio. Quindi tutta la saggezza e l’accorgimento dell'educatore consistono nell'aecordare all’alunno solo quel tanto di libertà, che conviensi, affinchè egli bene adoperandola acquisti quella sicurezza di volontà, per cui il desiderio maturando diventa risoluzione. La coltura morale allora avrà assunto il suo regolare andamento, quando il fanciullo eccitato da un’approvazione meritata ed interiormente sentita avrà guadagnato la stima di se medesimo, elevandosi a'suoi proprii occhi. I proce- dimenti diversi della coltura morale vogliono essere rivolti a questi punti: 1° rasso- dare la volontà individuale dell’alunno contro la leggerezza avvezzandolo a ricordarsi di ciò, che ha voluto; 2° guidarlo a determinarsi da sè mediante la scelta ed a conoscere in parte i beni ed i mali mercè della propria esperienza; 3° stabilire le il | | | | 33 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 189 norme direttive delloperare mediante il ragionamento e la riflessione interiore; 4° mantenere nell'anima la serenità ed il riposo, preservandola dai desiderii persi- stenti e dalla effervescenza delle passioni e conformandola alle idee pratiche; 5° muo- vere l'anima mediante l'approvazione ed il biasimo; 6° infine esortare, ammonire e correggere il male a tempo opportuno. Il procedimento della coltura nella formazione del carattere morale abbisogna di alcune condizioni, senza le quali non saprebbe riuscire a buon fine. E primamente occorre che l'uomo più assai che di se stesso si occupi de’ rapporti sociali per guisa da dimenticar se medesimo in faecia al grande enigma, che deve offrirgli la società; chè altramente, anziché giudicar le cose per quel, che realmente valgono in se stesse, tutte le riferirebbe a se medesimo come ad unico centro, e legoismo tornerebbe inevitabile. Secondamente necessita innalzarci al di sopra della nuda ed empirica realtà del mondo e contemplarlo nella sua idealità, e ad un tempo tenere per fermo, che l'ordine superiore di cose, a cui ci solleviamo, possiede una realtà ancora più salda e verace, che non quella delle cose, che ne circondano. In terzo luogo l’uomo deve sentire i rapporti estetici delle volontà umane, e ad un tempo sentire la pro- pria libertà; su questo principio ha da posare il rapporto tra l’educatore e l'alunno. Infine il quadro tratteggiato de’ rapporti estetici vuol essere grandioso, nè l’educa- tore deve mai colla sua esclusiva ristrettezza arrestare lo slancio dell’alunno verso un ordine più elevato di idee. Quando la coltura morale abbia seguito un procedimento rispondente al suo scopo finale, essa riesce a conseguenze benefiche e salutari sia per l'alunno individuo, sia per la società. Quanto all’alunno, essa anzi tutto previene le sue passioni, perchè lo tiene occupato, lo abitua all'ordine, lo obbliga a meditare e rendersi ragione di quel, che fa, lo scampa dalle occasioni degli ardenti desiderii. Nè soltanto previene le passioni, ma opera sulle medesime coll’impedire gli atti violenti e coll'abituare l'alunno a dominare se stesso. Infine lo rende circospetto e riguardoso, limitandone i tentativi arditi, avvezzandolo a credersi osservato, prevenendo i danni. Non meno considerevoli sono gli effetti della coltura morale sulla società, essendochè essa con- tribuisce a stabilire una certa conformità nella condotta de’ differenti individui, ad agevolare i rapporti sociali assai meglio che colle discordie e le querele, ad impe- dire lo sviluppo di certe tendenze particolari senza poter soffocare ad un tempo le energie veramente importanti. La teoria dell'autore intorno la coltura morale in mezzo a'moltissimi e cospicui suoi pregi è viziata da difetti cotanto gravi, che le tolgono ogni saldo fondamento. Egli rivolse le sue indagini esclusivamente al carattere morale, mentre l’uomo di carattere non si mostra soltanto in quella sfera di azioni, che riguardano la moralità e l'onestà del costume, ma altresì nell’arte, nella politica, nell'industria, nell'ammini- strazione della cosa pubblica, nelle scienze, insomma in ogni ordine di cose, che ri- guardi la vita operativa e sociale. Egli ripone il carattere morale nella volontà, che si risolve tra due cose opposte, scegliendo l’una, l’altra rigettando. Che il carattere abbia la sua sede nella volontà, è cosa da non dubitarne; ma a costituire l’uom di carattere, forsechè basta una risoluzione della volontà qualunque essa siasi, fatta D per li e senza condizioni di sorta? Certamente che no. Prima ed essenzialissima condizione è questa, che la libertà presieda alle risoluzioni della volontà. Non è 190 GIUSEPPE ALLIEVO 34 uom di carattere chi non è libero di sè, chi è schiavo delle proprie passioni, chi si vende ai voleri altrui, chi insomma non opera per virtù sua propria, ma per forza di necessità insuperabile. Perd questa libertà del volere, questo dominio di sé vuol essere accompagnato dalla coscienza di sé: se non si è interiormente consapevoli di quel, che si vuole, e del perché si vuole, non si opera con vera libertà, bensì per cieca necessità. In terzo luogo l'uom di carattere sente la dignità della natura umana, la santità del dovere, l’infinità di Dio, e così come sente dentro di sè, opera fuori di sè; ma per riuscire a tanto occorre una forza, una energia di volontà, la quale resista alle seduzioni, combatta per il trionfo del suo ideale, sia pronta ad ogni sa- crificio. Inoltre, la risoluzione della volontà non debb'essere intermittente e momen- tanea, ma costante e ferma. Non è uom di carattere chi oggi compie un atto onorato e degno di encomio, domani piega alle circostanze fino a mentire ai proprii convin- cimenti, bensi chi è fermo ne'suoi propositi, costante nella via del dovere, non rin- nega mai se stesso, è sempre lui. Adunque il carattere morale importa, che la riso- luzione della volontà sia fatta con libertà, con coscienza di sé, con forza ed energia, con costanza e fermezza. Ecco il come si ha da volere. Ma che cosa si ha da volere? Poniamo il caso di chi compie un'azione disonesta e la compia con libertà di volere, con coscienza di sé, con energia e costanza; nessuno attribuirà a costui un carat- tere morale. Esso adunque importa altresì che si voglia il giusto e l'onesto, val quanto dire l'adempimento del dovere. Io voglio il giusto e l'onesto, ed adempio il dover mio con libertà, con consapevolezza, con forza, con costanza di volere; ecco la formola espressiva del carattere morale. Nella teoria dell'autore fanno difetto tutte le enumerate qualità, di cui va in- signita la risoluzione della volontà, perché costituisca il carattere morale. Dacchè egli ha posto per principio psicologico, che l'anima non ha né attitudine, nè facoltà di ricevere o produrre alcunchè, più non puó logicamente ammettere la volontà sic- come facoltà attiva, per cui l'anima si risolve scegliendo una cosa e rigettando la sua opposta. Quanto alla libertà della volontà, egli non ne fa tampoco parola di sorta, ed a dire il vero, essa non sa trovar luogo nel suo sistema. Poichè l'essenza della libera volontà dimora in ciò, che essa possiede una forza intrinseca tutta sua propria, per cui si muove da sé ad operare, mentre egli ripone questa forza motrice non già nella volontà, ma nei gruppi delle idee dominanti: son queste, che determi- nano l'anima ad operare in un modo piuttostoch® nell’altro. Qui sta uno de'piü gravi errori, che viziano la sua dottrina psicologica e pedagogica. Egli ha tolto alla volontà il posto, che le spetta, per collocarvi le idee, ed ha esagerata l'efficacia dell'istru- zione sulla educazione morale sino ad asserire, che “ l'educazione del carattere risiede sopratutto nella educazione delle idee (Lib. 3, cap. IV) ,. Le idee illuminano sibbene la libera volontà, ma a questa, e non a quelle appartiene la forza operativa; addi- tano alla libertà il retto cammino, che ha da percorrere, ma essa pud battere ben altra via da quella, che le viene segnata; che anzi, ben lontana dal muoversi a se- conda delle idee, & dessa, che le domina, raccogliendo la sua attenzione sopra le une, le altre rimuovendo da sè, componendole in gruppi o scomponendole. La coscienza di sè è uno dei capisaldi, su cui si regge la formazione del ca- rattere, epperd la sua coltura deve tenere un luogo cospicuo nell'educazione morale, essendochè l'alunno non diventerà uom di carattere, se non viene educato allo studio 35 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 191 interiore di se medesimo, se non acquista, e non tien viva la coscienza di quel, che sente, pensa e vuole, misurando le proprie forze e conservando la sua individualità personale. Or bene questo punto non ha nella teoria dell'autore un posto suo pro- prio, qual si conviene alla sua grande rilevanza; egli si sta pago di toccare qua e là dell’osservazione interiore e della considerazione di se stesso, ma non ne fa un argomento speciale di studio. L'autore accenna di volo alla lotta interiore tra i nostri interessi personali ed egoistici ed i supremi principii a cui va conformata la nostra vita; ma la lotta non si sostiene e non si vince senza la forza ed energia del volere, senza la costanza e fermezza nei propositi. Ora anche queste due qualità, di cui deve essere fornita la risoluzione della volontà per costituire il carattere, sono da lui passate sotto silenzio; einon si dà pensiero de'mezzi piü convenienti a rendere forte e costante la volontà dell'alunno. Carattere morale non si ha, se non si vuole l'adempimento del dovere, prefe- rendo l'onesto, il giusto, il divino al loro opposto. Ora nella definizione dell'autore non c'è tampoco una parola, che accenni a questo essenzialissimo elemento del ca- rattere. Egli riconosce bensì, che “ la moralità debbe esserci in fondo alla parte oggettiva ed alla soggettiva del carattere (480220, ecc., $ 147) ,; ma non va più in là di questa semplice asserzione. Cosa ben singolare! Mentre egli attribuisce alle idee una efficacia superlativa ed assoluta sulla formazione del carattere, lascia nel- l'oscurità l'idea veramente sovrana, in cui esso ha il suo fondamento oggettivo, e da cui attinge ogni sua bellezza ed eccellenza, l’idea del dovere, dell’onesto, del santo e del divino. Questa idea non apparisce nemmeno in mezzo a quelle, che egli appella idee pratiche, e che chiama a rapida rassegna senza svilupparle di proposito. Non pare adunque che il suo concetto del carattere risponda alla verità. Discorrendo delle condizioni richieste alla educazione del carattere, egli avvisa, che “ l’uomo deve essere occupato infinitamente più de’ rapporti sociali, che di se stesso (Aforismi, $ 157) ,. Che sia riprovevole cosa l’occuparsi di se medesimo a segno da porre in non cale i vincoli, che ci legano co’ nostri simili, è verità incon- trastabile; ma che ciascuno abbia da obbliare se stesso in faccia al grande enigma della società, come scrive l'autore, questa è tal sentenza, che porta alla distruzione del carattere morale, perchè spegne la coscienza di sè assorbendoci nel gran vortice sociale. L'uom di carattere sa che possiede una dignità personale, a cui non deve abdicare in faccia a nessuno, sa di essere arbitro de’ proprii destini, di avere inten- dimenti e voleri suoi, di cui deve rendere conto a Dio ed alla sua coscienza, sa che se è tenuto a rispettare la libertà e l'indipendenza altrui, ha pure il diritto di esi- gere, che gli altri rispettino la libertà propria di lui. Togliete questo sentimento della propria individualità, ed avrete distrutto il carattere. Dimenticare se stesso per la società è socialismo; sacrificare la società a se stesso, è egoismo: il carattere morale posa nel giusto punto di mezzo tra questi due estremi. Scrive l’autore, che “ le nature malaticcie si sentono dipendenti, e le robuste esse sole osano volere (Lib. 3, cap. IV) ,; e che “ per sopportare il pieno effetto di una compiuta coltura morale il fanciullo abbisogna di una sanità perfetta, sicchè non si può educare gran fatto, quando si lavora sopra uno stato malaticcio (ibid., cap. V) „. Che corrano dei rapporti tra l'organismo debole o robusto e l'educazione 192 GIUSEPPE ALLIEVO 36 morale, non è da porre in dubbio; ma che a formare un compiuto carattere morale occorra nel fanciullo una sanità perfetta, non oserei affermarlo in forma cosi rieisa ed assoluta, come fa l'autore. Le nature malaticcie possono sentire più vivo il bisogno del soccorso altrui, ma loro non manca la forza di fare il bene, il fermo proposito di adempiere il dovere: il loro carattere morale si rivela nella forza della rasse- gnazione. Si pud essere cagionevoli di salute, gracili di corpo, eppure fortissimi di anima: ce ne porse splendido esempio il nostro Silvio Pellico. Che anzi io inclino a credere, che un potente e robusto organismo non rassicuri gran fatto la formazione del carattere morale, perchè inspira una fiducia eccessiva nelle proprie forze, induce a credere di bastare a sè solo, allontana da quello spirito di sacrificio, in cui il carattere appare veramente sublime. E giacchè tocchiamo questo punto, non vuolsi passare sotto silenzio, che mentre l’autore attribuisce tanta efficacia alla sanità e vigoria del corpo sull educazione morale, ha bandito dalla sua Pedagogia generale tutta quella parte, che riguarda l’educazione fisica, dichiarandola estranea alla scienza pedagogica. Ed altra gravissima lacuna va segnalata, ed è che vi manca affatto la parte relativa alla coltura dei sentimenti, alla quale spetta un posto distinto e spe- cialissimo accanto alle altre due dell’istruzione e della coltura morale. Giacchè Pa- lunno non è soltanto un'intelligenza, che viene ammaestrata nella formazione delle idee, non è soltanto una volontà, che opera, ma altresì un cuore, che sente. I senti- menti si accendono nell’intimo fondo dell’anima, e di là si riversano sui nostri pen- sieri, sui nostri voleri, sulla nostra operosità esteriore, e formano la poesia della vita ; ma educarli bisogna all'amore del Vero, del Bello, del Buono, della natura, dell'uma- nità, di Dio. In un cuore o ricco o povero di santi affetti c'è tutta una vita o splen- dida o desolata. La pedagogia generale conformata alle differenti età. Nell’Abbozzo di lezioni pedagogiche Herbart compendiava la sua Pedagogia gene- rale conformandola alle differenti età dell'alunno, e la divise in quattro successivi periodi, il primo de’ quali comprende i primi tre anni, il secondo corre dal quarto anno all’ottavo, il terzo dall'ottavo anno all'adolescenza, il quarto abbraccia tutto il corso dell'adolescenza. L'antropologia ci apprende, che ciascuna delle successive età della vita umana è improntata da un’indole tutta sua propria, pur mentre si inanella con tutte le altre, epperd la pedagogia insegna, che l’educazione nel suo progressivo sviluppo deve conformarsi all’indole propria di ciascuna età. Sarebbe quindi stata cosa desiderabile, se l’autore, nel discorrere dell’educazione corrispondente alle diffe- renti età, avesse ad un tempo tratteggiato il carattere particolare di ciascuna in modo più particolareggiato. Ben poche sono le considerazioni, che egli consacra al primo periodo di età. Lasciando da parte siccome estraneo alla pedagogia l'argo- mento, che riguarda le cure fisiche dovute all’infanzia, egli contempla sovratutto la grande sensibilità ed eccitabilità, che prevale nel fanciullo della prima età, in rap- porto colla coltura morale e colle prime percezioni sensitive. Non affliggiamo il 37 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 193 bambino con le nostre impressioni sgradevoli o rivoltanti, nè facciamoci giuoco di lui; ma neanco lasciamoci governare da’suoi impetuosi trasporti. Facciamogli sen- tire la propria impotenza e la superiorità dell'adulto, e cosi imparerà la necessaria obbedienza. Alla forza si ricorra di rado e solo coll'intendimento di intimorire il fanciullo si, che senta all'uopo il peso di una minaccia e reprima lo spirito di rivolta. Passando dalla coltura morale alle prime percezioni sensitive, si presentino sponta- neamente a suoi sensi oggetti variati, scansando le impressioni forti ed i rapidi cangiamenti e coltivando segnatamente le appercezioni della vista e dell'udito. Gli si lascii tale libertà di movimento, che, mentre impara luso delle proprie membra, giunga a conoscere per ripetute prove gli oggetti ed i fenomeni, che cadono sotto la sua esperienza. Si ponga poi gran cura alla formazione del linguaggio. Sono saggi, ponderati questi pensieri dall'autore, ma, come già ho notato, son pochi, brevi troppo ed incompiuti avuto riguardo alla grande rilevanza e delicatezza dell'argomento. Penetrando più addentro in questo studio, egli avrebbe sicuramente rilevato, che l'educazione della prima infanzia rivela un carattere schiettamente ma- terno e va riguardata siccome una esordiente corrispondenza tra due anime fatte per intendersi ed amarsi, La madre col suo amore, il bimbo colla sua innocenza sono le due figure umane, che campeggiano in questo bozzetto dell'educazione umana. La madre desta nel suo bimbo quel primo sorriso di simpatia, che poi si trasfor- merà in amore verso tutta l’umana famiglia; gli suscita in cuore i primi moti, che formeranno l'orditura della sua vita interiore; gli insegna a muovere i primi passi, a camminare da sè, a dominare lo spazio col libero atteggiamento della sua per- sona; gli schiude il labbro alla formazione della parola, e la parola rivelerà il fan- ciullo a se medesimo, rivelerà al fanciullo la natura, l'umanità, Dio. Questi concetti racchiudono il germe di tutta l'educazione infantile, fecondo di un ampio sviluppo e di nuove, interessanti considerazioni. Entrando nel secondo periodo educativo il fanciullo esce dal suo stato di impo- tenza e comincia a mostrare una certa indipendenza nell'uso delle proprie membra e nel maneggio della lingua, sicchè già sa provvedere un cotal poco a’fatti suoi e meno abbisogna de'soccorsi esteriori; ma per ciö stesso che diventa alquanto indi- pendente, occorre governarlo con più di fermezza e severità che non nel primo pe- riodo. Quello, che essenzialmente importa a questa età, si è di impedire la forma- zione di cattive abitudini, e fra le idee della morale pratica devono essere prese in considerazione quelle del ben volere e della perfezione. Quanto alla prima di queste idee, il mal volere va prontamente ed energicamente represso non appena che faccia mostra di sè; ed allorchè il fanciullo manifesta qualche malvagia inclinazione, venga punito abbandonandolo solo a se medesimo. Coltivando così lo spirito di socievolezza, si corregge il mal volere e si sviluppa effettivamente la benevolenza. Però la seve- rità necessaria debbe avere per compagne la bontà e l’amorevolezza per non inari- dire nell'anima infantile i germi del ben volere. L'idea della perfezione già comincia a spuntare nella mente del fanciullo, dacchè si accorge che i suoi talenti e le sue facoltà vanno via via svolgendosi col crescere della sua persona e si compiace di questo suo progressivo sviluppo. Questo crescente perfezionamento varia di natura e di grado, epperò l'insegnamento vuol essere in parte analitico, in parte sintetico, sebbene non debba essere ancora una regolare ed Serre II. Tom. XLVI. 25 ve — 194 GIUSEPPE ALLIEVO 38 essenziale occupazione di questa età. L'insegnamento analitico, nori potendosi ancora dare con regolarità ed in ore determinate, consisterà da prima nelle risposte, che si dànno alle questioni mosse dai fanciulli, in passeggiate istruttive, nel frequentare altre persone, nelle diverse occupazioni e nelle loro conseguenze. Le questioni e di- mande, che ci muovono insistentemente i fanciulli spinti da irrefrenabile curiosità, sono di varia natura: ve ne ha di tali, a cui non si può, ed altre, a cui non si deve rispondere; ma stando in sui generali, vuolsi procedere in guisa, che non si soffochi il desiderio natural di sapere, nè la risposta nostra sia tanto intricata da superare l'apprensiva dell’alunno. Questo secondo periodo si chiude coi primi elementi del- l'insegnamento sintetico, quali sono la lettura, la scrittura, il calcolo, i più facili eser- cizi di combinazione mutando ordine e posto a più oggetti, e di intuizione adope- rando linee rette, perpendicolari, oblique tra di loro. Saggiamente consiglia l’autore e con lui l’universale dei pedagogisti, che non a tutte le domande, con cui continuamente c'incalzano i fanciulli, si può e si deve rispondere; e qui mi par bene di notare, che questo consiglio non vale soltanto per lammaestramento della puerizia, ma è altresì un salutare provvedimento per le successive e più progredite età della vita ed un efficace antidoto contro lo scetti- cismo. Poichè anche quando l'intelligenza nostra è pervenuta alla sua perfetta ma- turità ed ha raggiunto il sommo del suo sviluppo, anche quando si è innalzata sino alle più alte cime della scienza e tutta si raccoglie nel più fervido lavorìo delle sue speculazioni, s'incontra in problemi, che non sa districare, muove a se stessa delle interrogazioni, cui la ragione si confessa impotente a rispondere, cerca un perchè e trova un mistero; e se mal sapesse frenare la smania della sua curiosità, rovescie- rebbe nello scetticismo. : Giunto al terzo periodo, il fanciullo non prova piü, come nella prima infanzia, la mancanza ed il bisogno di chi lo assicuri nei momenti di solitudine, ma quando è lasciato in balia di sè, volentieri si distacca dall'adulto, già facendo assegnamento sulla propria esperienza e rivolgendo qua e là lontano il suo sguardo in tutti i sensi. Ma per ciò appunto esso non va abbandonato alla piena sicurezza di sè ed alla ecces- siva fiducia nelle proprie forze; bensi gli torna necessaria la presenza dell'adulto, che tenga a freno la sua immaginazione e ripartisca convenientemente il suo tempo. La coltura morale propria di questa età richiede che si coltivino segnatamente le due idee del diritto e dell'equità, le quali originano dalla riflessione applicata ai rapporti umani. Nella prima infanzia il fanciullo vive talmente ristretto nella cer- chia subordinata della famiglia, che non vede più in là, mentre l'adolescente, strin- gendo rapporti con altri suoi coetanei, s'innalza a concepire il diritto e l'equità, che reggono le relazioni della convivenza sociale. Peró queste due idee pratiche abbiso- gnano dell'educazione, che le chiarisca, e specialmente di un insegnamento, che addi- tando da lontano i fatti simili ne tragga considerazioni sincere e si appoggi sulla poesia e sulla storia. L'idea della benevolenza riceve un nuovo rinforzo dall'educa- zione religiosa, la quale riposa appunto sulle storie e principalmente sulle storie antiche. Venendo all'istruzione propria di questa età, essa va ancora connessa cogli og- getti sensibili, e siccome le individualità del sesso e le differenti attitudini dei fan- ciulli cominciano a disegnarsi, così importa osservare e scandagliare le loro vocazioni $ 39 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 195 d 4 per conformarvi la materia ed il metodo dell’insegnamento, mentre la famiglia pre- 1 tende di fissare la quantità d'istruzione necessaria a'suoi figli a seconda degli inte- ressi della propria situazione. Nella scelta delle materie d'insegnamento si abbia da | prima riguardo alla poesia, alle scienze naturali della zoologia e della botanica ele- 1 d | mentare, al calcolo, rimandando all'ultimo. posto le lingue straniere, ma la diversità li delle condizioni di classe e di fortuna, da cui dipende l'insieme dell'istruzione, non (d | | consente di precisare un sistema ordinato di studi. Importa-però che non si comprima con eccessiva applieatezza allo studio lo sviluppo fisico e l'attività produttiva dello | Spirito, e si lascii all'alunno molto tempo libero, che venga poi occupato secondo le | saggie prescrizioni de’ genitori. L'educazione della famiglia è chiamata ad intervenire, | reagendo contro ogni oppressione della natura, anche contro quella, che provenisse | da uno smodato insegnamento della scuola. | Viene l'età dell'adolescenza, quarto ed ultimo periodo educativo. Il giovane può 3 o proseguire da sè i suoi studi, oppure abbandonarli; ma in ogni caso l'istruzione | ricevuta avrà sopra di lui diversa efficacia secondo il diverso valore, che avrà a'suoi | occhi la conservazione e lo svolgimento del sapere acquistato. A questo punto im- porta delineare davanti alla sua mente lucido e netto, il meglio che si può, il con- 1 | cetto dei vincoli, che collegano insieme sia le molteplici e diverse parti della scienza, sia il sapere e l'azione. Non vi è più ragione di usare verso di lui l'indulgenza ri- 4 chiesta nelle età precedenti, giacch® egli deve fare assegnamento sul proprio valore nelle ardue prove della vita, che cominciano per lui, e nelle prossime lotte, a cui è chiamato per conquistare un posto nella società. Dacchè ha imparato a camminare 1 libero di sé senza esteriori impulsi e possiede se stesso, la sua educazione è compiuta, | ed a noi altro più non rimane che chiuderla con saggi suggerimenti e consigli, che 1 ricordati poi a tempo opportuno possano sorreggerlo nell'esperienza futura. Per contro i se egli già si è messo sulla via per raggiungere una meta determinata, potremo i prestargli l'opera nostra, che lo secondi in ordine a quella forma di vita, a cui aspira. Umiliato da falli commessi, si piegherà docile alla nostra parola, e noi piglieremo buon destro per adempiere le lacune rimaste. Dopo tutto è nostro dovere presen- targli le norme della morale nella loro schietta severità e purezza. [ A. questo punto l'autore chiude la sua pedagogia generale adattata alle diffe- renti età; ma ognun vede, che al periodo dell'adolescenza, a cui egli si è fermato, succede quello della gioventü studiosa, che passa alle università ed agli istituti su- periori di perfezionamento a compiere quegli studi, che la preparino all'esercizio di una professione liberale. È un periodo solenne questo,in cui il giovane sta per ab- bandonare quel piccolo mondo scolastico, in cui è finora vissuto, ed entrare nel gran mondo sociale, che lo attende; ed esso fornisce alla pedagogia un. argomento di È studio nuovo e rilevantissimo per la gravità e l’elevatezza delle questioni, che esso | comprende. Am e ET UK O M ee o mr qw wl Sir our _ 196 GIUSEPPE ALLIEVO 40 Lo Stato e la famiglia per rapporto all’educazione. Da assai tempo si agita la questione, se il compito educativo appartenga essen- zialmente allo Stato, od alla famiglia, o ad amendue entro limiti determinati. La gravità della questione si fa sentire più viva A dì nostri, in cui la statolatria domi- nante da per tutto riconosce il governo siecome esso solo il maestro supremo ed assoluto della nazione. Herbart ha esposto anche su questo punto il suo pensiero, che giova discutere. “ L'educazione (egli scrive nel paragrafo 197 degli Aforismi) è essenzialmente opera delle famiglie ,. Lo Stato abbisogna di soldati, di agricoltori, di industriali, di magistrati, di pubblici funzionarii: a questi provvede con una coltura speciale, in ser- vigio di essi tiene aperte le scuole, di essi soltanto si dà pensiero e lascia da banda tutta quella folla di gente, che non avrà nessuna importanza per lui, destinata a me- nare la sua vita in una cerchia privata e ristretta. Inoltre la famiglia coltiva linte- riorità dell'animo, protegge le qualità interiori e le ricompensa colla stima, penetra nell'intimo fondo dello spirito, lo scruta, lo educa a sopportare, a soffrire rassegnato, nel che dimora gran parte della virtù. Per contro lo Stato non pone mente, se quei che lo servono, soffrano senza resistenza e sopportano, bensì osserva quel, che essi fanno; non penetra l'uomo interiore, ma se ne sta alla sua esteriorità, alla super- ficie;, misura solo quel tanto di sapere esteriore, di cui gli alunni dànno prova nei pubblici esami, ma non può rivolgere la sua attenzione ed i suoi tentativi di miglio- ramento sull’interno degli individui. Stringendo in poco il pensiero dell'autore, alla famiglia spetta la coltura morale, allo Stato la coltura scientifica, a quella l’inte- riorità dell'anima, a questo l'esteriorità della persona; all'una la formazione della vita individuale privata, all'altro la formazione della vita pubblica sociale. L'autore con un taglio netto e riciso scinde l'educando in due pezzi e li consegna uno alla famiglia, l’altro allo Stato, immaginandosi che ciascuno possa sussistere da sè ed essere separatamente foggiato. Il vero si è, che l’interiorità e l'esteriorità dell'educando sono assolutamente indisgiungibili, essendo questa una manifestazione di quella, epperò la coltura dell'una si compenetra intimamente con quella dell'altra. La superficie della persona si rispecchia nell'intimo fondo dell'anima, l’uomo interiore e l’uomo esteriore non sono due entità distinte, ma un medesimo Io. Certo è, che lo Stato col suo insegnamento scolastico e co'suoi pubblici istitutori non deve penetrare nel santuario della coscienza dell'educando per opprimervi la libertà dello spirito; ma i maestri delle pubbliche scuole hanno pure il còmpito inde- clinabile di scandagliare le indoli, le attitudini, le qualità mentali latenti nell'anima dei loro alunni per conformarvi il loro insegnamento e guidarli con mano sicura al possesso del vero, hanno il debito di penetrare colla loro parola nell’intimità del pensiero dei discepoli, e nelle prove finali degli esami non rimanersene paghi di rile- vare quel tanto di sapere e non più, che viene a galla sospinto dalle mosse inter- rogazioni, ma assicurarsi se il discente è fornito di tale forza pensante da sapere | N H 41 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 197 : H | assai più di quanto mostra in quel momento di prova, e da progredire più in là nel \ cammino della scienza. Solennemente e ripetutamente l’autore ha sentenziato, che l'istruzione è mezzo, il quale ha per iscopo l'educazione, che cioè l'istruzione è essen- ki zialmente educativa; ma allora come mai si riesce a stralciare dall'istruzione, che | dà lo Stato, l'educazione per affidarla esclusivamente alla famiglia? 4 | Parimenti non regge l'altra separazione, che fa l'autore, tra i moltissimi, che | | ' dalla famiglia educati vivranno una vita individuale, privata, ristretta, ed i pochi, che dallo Stato ammaestrati vivranno una vita pubblica e sociale in mezzo al gran mondo | politico e civile. Poichè per quantunque vi corra certa distinzione tra la vita indi- di viduale e privata, e la vita sociale e pubblica, tuttavia il vivente è un solo ed il db medesimo nell'una e nell'altra: il magistrato, l'amministratore della cosa pubblica, ! il medico, pur mentre esercitano una funzione civile, appartengono ad una privata | famiglia ed hanno aspirazioni loro proprie e personali sicchè non ci viene fatto di tracciare una linea netta di separazione sentenziando che alla famiglia appartiene la formazione della vita individuale privata, allo Stato la formazione della vita pub- blica sociale. È intendimento dell'autore, che lo Stato abbandoni alla sua nullità la gran folla di gente, che non è chiamata ad adempiere una funzione sociale, lasciando È alla famiglia l’incarico di educarla. Ma se tutta questa gran turba di popolo riceve | dalla famiglia la sola educazione morale, l’istruzione da chi la attingerà? E poi le È vocazioni alle diverse funzioni sociali non si rivelano che assai tardi verso l'età | | R x E dell'adolescenza. Ora lo Stato indugierà fino allora ad ammaestrare i suoi pochi eletti? E questa coltura speciale ad essi impartita secondo le diverse professioni come puo essere logicamente ammessa dall’autore, il quale avéva proclamato che l’istruzione deve abbracciare una coltura molteplice ed estesa in tutti i sensi? Contemplando piü da presso la vita nelle famiglie l'autore riconosce che bene spesso & turbata da faccende, da cure, da disturbi, che rendono malagevole l'opera | educativa, ragione per cui esse si sentono portate a fare assegnamento sullo Stato j | più di quel che convenga. A questo punto egli tocca degli istituti educativi privati, i ed afferma che essi non avendo per se stessi nè i vantaggi dello Stato n? quelli d delle famiglie, mal possono reggere al peso della responsabilità, che loro incombe i di rappresentare da un lato le pubbliche scuole, dall'altro le famiglie. Egli è di av- ] viso, che l'insegnamento di questi istituti pud portare più presto i suoi frutti per 1 gli alunni di vigorosa natura, che non abbisognano della pubblica emulazione, e meglio di quelli delle scuole pubbliche si acconcia alle individualità (1), ed anche alla coltura morale pud provvedere in certi casi più di quel che possano le famiglie; perd non essendo loro dato di scegliere liberamente fra un gran numero di maestri d e di alunni, non riescono ad adempiere convenientemente alle esigenze pedagogiche. Per conseguente egli conchiude doversi quanto si può rendere l'educazione alle fa- { miglie, le quali in tal caso non possono far a meno di istitutori privati, ma a tal | uopo occorre, che nelle famiglie regnino i principi di una sana pedagogia. Peer (1) L'autore non ha avvertito, che gli istituti, di cui parla, si appellano privati per cid solo, che sono governati da privati cittadini, e non dallo Stato, ma rispetto agli alunni più o meno nu- merosi, che li frequentano, non differenziano dagli istituti pubblici, epperò non si può asserire, che assai meglio che in questi l'insegnamento si acconcii alle diverse individualità degli alunni. j 198 GIUSEPPE ALLIEVO 42 coll’autorità comunale, sia collo Stato, fornisce al nostro autore argomento di grave studio, intorno al quale egli consiglia che si consacrino alcune lezioni universitarie in servigio di quei giovani studiosi, i quali si avvieranno per la carriera del magi- | 7 stero scolastico. Egli tocca del prospetto di studi, dove stanno designate le molte- plici materie nel loro ordine logico e nei loro limiti, del modo di proporre agli | alunni le questioni e delle relative risposte, dei compiti scolastici e dei loro carat- | teri, dell'agglomeramento degli alunni in rapporto colla disciplina e col progresso | negli studi, del duplice processo sintetico ed analitico nelle sue attinenze sia col- | l’istruzione educativa, sia coll'insegnamento privato, sia coi maestri e coi ripetitori, | delle progressive materie di studio rispondenti alle successive età, dall'infanzia sino alla gioventù, che frequenta le università per avviarsi alle carriere sociali. Noi non | seguiremo le idee dell'autore su questi punti, piuttosto ci soffermeremo sovra aleuni | altri da lui discussi intorno il presente argomento. Avverte l’autore, che vi corrono notevoli differenze secondochè gli alunni del | ginnasio hanno in animo di progredire all'università, oppure non intendono di pro- | seguire i loro studi; secondochè la scuola primaria superiore ha un esame di licenza, che le segna uno scopo determinato, a cui deve preparare la coltura genérale, op- | | | | | j | La questione delle scuole vuoi private, vuoi pubbliche, e del loro rapporto sia | | || | | | | pure i suoi alunni vi entrano e ne escono ad arbitrio delle famiglie, secondochè la scuola primaria prepara ai ginnasi ed alle scuole superiori, oppure porge al futuro artigiano, durante tutta l'infanzia, una coltura appropriata al suo stato. Queste dif- ferenze da lui avvertite sono cosa di fatto, ma egli non è risalito alla ragione spie- gativa del fatto stesso, la quale va ricercata segnatamente in un viziato coordina- mento delle scuole. La scienza pedagogica prescrive, che ciascun istituto scolastico | | riguardato in se stesso risponda ad un fine suo speciale, da cui assume natura sua | | propria ed un carattere affatto peculiare, che lo impronta e lo distingue da ogni altro, ma che ad un tempo tutte le molteplici gradazioni di istituti, dalle scuole elementari sino alle università si addentellino insieme e formino un gran tutto or- ganico e concorde nelle sue parti. Per lo contrario poniamo che un istituto abbia un carattere ibrido ed indeciso, poniamo ad esempio che il ginnasio sia costituito i in guisa da smarrire la sua impronta classica e pressochè confondersi coll’istituto | tecnico, in tal caso s’intende da sè la sconveniente differenza di alunni, che lo fre- quentano, gli uni per un fine, gli altri per uno scopo diverso. E qui si presenta appunto alla nostra mente la grave questione che oggidi si dibatte in Italia intorno la riforma della scuola elementare. Giustamente l'autore accenna alla differenza della scuola primaria, secondochè prepara al ginnasio, o compie la coltura dell'umile ope- i raio, che non va più in là. È la stessa questione, che ora si va discutendo tra di | | | noi. I riformatori propugnano la trasformazione della seuola elementare in scuola 4 popolare, eppercid la vogliono ordinata in esclusivo servigio delle classi operaie, fine a se medesima, e non mezzo e preparazione agli istituti secondari. Altri invece la | ? vogliono ordinata ad amendue questi-scopi, facendo un disperato tentativo per con- | ciliarli, e spogliando cosi la scuola del suo proprio carattere di istituto elementare, come ho avvertito nella mia opera La scuola educativa a pag. 137 e seg. | L'autore aecenna ad un'altra differenza , quella delle intelligenze degli alunni, nella quale scorge un grande inciampo per l'educazione scolastica, ed avverte che 43 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 199 il precipuo difetto dei regolamenti scolastici sta appunto nel non tenerne verun conto, favorendo cosi il dispotismo dei maestri e loro porgendo occasione di lisciare tutto sul medesimo livello (Aforismi, $ 110). Veramente io non veggo che la diffe- renza delle intelligenze degli alunni, che frequentano la medesima scuola, frapponga un grave ostacolo al felice successo dell'insegnamento. Poiché anzitutto tale diffe- renza è voluta dalla natura, la quale non solo ha distribuito a ciascuno un diverso grado di forza intellettuale, ma altresi una diversa tendenza a questa o quell'altra materia di studio, epperd sarebbe solenne utopia il pretendere che gli alunni rac- colti nel medesimo istituto posseggano una intelligenza di tutto punto eguale. Anche qui vuolsi por mente agli estremi, quali sarebbero da un lato che fra gli alunni della medesima scuola nessuno capisca il maestro, che insegna, dall'altro che tutti comprendano la materia di studio con la chiarezza medesima del maestro, che la va spiegando. In questi due casi io capirei, che la differenza delle intelligenze possa compromettere le sorti dell'insegnamento, ma fra questi due estremi corrono diverse gradazioni di intelligenze: quale comprenderà più, quale meno; ebbene il poco, che si capisce, sarà sprone, eccitamento al pensiero per capire di più; il molto, che si intende, porgerà alla mente argomento per cogliere le attinenze e segnare i punti di contatto fra le diverse parti dell’insegnamento. Inoltre poniamo pure per ipotesi impossibile, che non vi fosse differenza di sorta fra le intelligenze; vi sarebbe pur sempre la differenza di sentire e di immaginare. Gli alunni ascoltano tutti la parola del medesimo maestro, ma ciascuno se ne interessa a suo modo, ciascuno la sente diversamente in cuor suo e ne prova differente impressione secondo le condizioni psicologiche, in cui versa, ed il proprio immaginare. Io vado più in là, e sono di avviso, che, fosse pur conseguibile questa parità di intelligenze, non sarebbe cosa desiderabile: la varietà di intelligenze, a cui il maestro rivolge la sua parola, deve riuscirgli assai più confortevole e grata che non lo spettacolo monotono di teste, che sommate insieme non hanno altro valore, che quella di una quantità matema- tica. Tralascio di notare, che non i discepoli soltanto, ma anche i maestri presen- tano differenza di intelligenze, sicchè l'argomento potrebbe essere contemplato anche sotto questo secondo aspetto, e conchiudo che i regolamenti scolastici su questo punto non vanno corretti nel senso, in cui intende l’autore, bensì dettati con tale larghezza, che lascino al maestro una ragionevole libertà di commisurare in quel modo, che reputano più conveniente, il loro insegnamento all’apprensiva dei discepoli. L'autore medesimo propugna la libertà dei maestri là dove censura l'uniformità di insegnamenti e di studi per tutto un paese (Aforismi, $ 254), osservando che i talenti pedagogici sono varii, e che a poterne fare tesoro occorre che loro si lasci libertà di azione secondo la virtù propria di ciascuno. Nè vale l'obbiettare, che ne conseguirebbe grande disparità di metodi, insufficienza e strettezza di coltura negli individui, essendochè ciascun insegnante innamorato della propria disciplina comu- nicherebbe la propria passione a’ suoi discepoli a detrimento delle altre discipline. Poichè s'incorrerebbe in uno sconcio assai più grave nel sistema dell’uniformità di metodi e di insegnamenti, il quale più non consentirebbe al maestro di parlare con piacere e con forza del suo prediletto ramo di studi, soffocando così in lui e nei suoi discepoli la libera espansione dello spirito inventivo. AT co D ae ERES OG e EEG RUE e e T ee GIUSEPPE ALLIEVO Conclusione. Volgendo indietro uno sguardo comprensivo su tutta la dottrina pedagogica di Herbart sommariamente esposta ed esaminata, si scorge come egli siasi argomen- tato di svolgere in tutta la sua ampiezza il concetto, che si era formato dell'edu- cazione umana incardinandola pressochè esclusivamente sull'istruzione, e disaminando altresì il diverso compito della famiglia e dello Stato rispetto alla medesima. Ora giova ricercare se nella teoria dell'autore il concetto dell'individualità personale del- lalunno tenga quel posto eminente che gli spetta nell'ambito della scienza pedago- gica. La persona dell’educando debb’essere il centro intorno al quale si raccoglie e si muove tutta l’opera educativa: esso è per così dire il protagonista del dramma pedagogico, ed in quella guisa, che nell'ordine politico non i cittadini sono fatti per il governo, bensì il governo per i cittadini, così nell'ordine pedagogico l’educatore è fatto in servigio dell’educando, e mai non deve comprimerne la libera attività come il fato inesorabile tiranneggiava il protagonista delle tragedie greche. La per- sona dell’educando è sacra per l’educatore, il quale è tenuto a rispettare la libertà propria della medesima. Ciò posto, questa libera attività personale dell’alunno è schiettamente affermata e riconosciuta dal nostro autore. Egli chiama libero il fanciullo “ che si sente por- tato sia dalle cure dell’arte, sia dalla natura e dal caso, a far prova di sé in molte cose, ma abbandona prestamente quel che scorge assurdo e compie con forza e fer- mezza quel che ha meditato; che ha lo spirito sveglio e pronto all'opera; che sente vivamente i procedimenti eccessivi ed agevolmente si lascia ammaestrare, dirigere, umiliare da giuste parole (1) ,. Altrove egli afferma con forza pari alla verità, che “ l'educazione sarebbe una tirannia, se non conducesse alla libertà (2) ,; e che * il fanciullo deve riguardare ogni cosa come opera sua, e possedere la volontà di dovere a se medesimo la propria coltura (3) ,, sentenza questa, che giustamente ri- conosce l’alunno siccome il primo e precipuo fattore della propria educazione. Tutti questi passi pongono fuori di dubbio che nella mente dell’autore non mancava il concetto della libertà personale dell’alunno, ma forza è riconoscere che questo suo concetto vi apparisce qua e là quasi alla ventura, scucito ed isolato, e non mostra certamente nè forma, nò valore di un principio supremo informatore di una intiera teoria. Che se ci facciamo a raffrontare questo concetto con altri punti sostanziali della pedagogia dell'autore, agevolmente scorgiamo, che non sono conciliabili logicamente (1) Della rappresentazione estetica del mondo ecc., 5. (2) Rapporti a Steiger, 1°, $ 24. (3) Aforismi, $ 89. Samba Eege Ee 45 FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PRDAGOGICA 201 Mr a fra di loro. Infatti giova anzitutto qui ricordare come egli abbia definita la coltura | morale “ l'azione immediata esercitata sull'anima del fanciullo collo scopo di for- i | marla ,; definizione questa, che riduce il fanciullo ad un soggetto meramente pas- + | sivo, spogliandolo della sua libera attività. Altrove poi egli fa “ gran differenza tra il lavoro di colui che impara un mestiere e di colui che riceve l'istruzione scola- E | stica. Questa rende l'uomo per assai tempo passivo a segno, che la prima questione, | che deve imporsi allo spirito è questa: qual reazione succederà nell'alunno a que- stazione costante del maestro? La vera questione pedagogica sta tutta qui (Afo- | rismi, § 105) ,. Ora gli è manifesto, che se in sentenza dell'autore il fanciullo nell'ac- i | cogliere ammaestramento è niente più che un soggetto passivo, e che la reazione verrà assai più tardi, la sua libera attività è apertamente disconosciuta. | Nella psicologia dell'autore avvi un punto sostanziale, che applicato alla pe- | dagogia conduce alla ricisa negazione della libertà personale dell’alunno qui da lui ) propugnata. Egli sostiene che lio non è una causa realmente sussistente, bensì un mero effetto, è cioè il punto di riunione, in cui s'incontrano le molteplici rappresen- tazioni, e che l’illusione di un io indipendente origina da che le leggi del composto non coincidono con le leggi delle forze componenti. Ora ognun vede, che lio è la schietta espressione della persona, la quale afferma la sua individualità e riconosce l’esistenza sua propria distinta da quella degli altri esseri, e sa di vivere in sè e È E * o , con sé. Togliete l'io umano e voi avrete tolto la persona, perché alla persona à essenziale la coscienza di sé. Cid posto, se l'io, con cui l'educando esprime la sua a rte personalità individua, non è una causa viva e reale, che produca effetti veramente d suoi, ma un mero risultato di molte rappresentazioni, che s’incontrano in un mede- 5 | simo punto, come i raggi del circolo coincidono tutti in un punto matematico astratto, dk | che è il centro, come mai potrà avere coscienza del suo essere e del suo operare ? | Come potrà più dire a se medesimo: io ho una sfera di attività dovuta alla mia i persona, e che tutti devono rispettare, ho un ideale da conseguire ed una volontà 49 mia per conquistarlo, ho sentimenti ed aspirazioni, che sorgono dall’intimo del mio | essere, posseggo conoscenze, che ho faticosamente conquistate colla meditazione del mio pensiero, so, che la coltura intellettuale e morale, a cui aspiro, non è tal cosa, | che possa travasarsi meccanicamente dall'educatore a me medesimo, ma deve sgor- Y gare dall'intimo della mia libera attività personale? Se l'io non è una causa libera 11 e viva, ma un effetto, anche l'educazione sarà un effetto esclusivo dell'educatore, 3 e l’educando un mero automa, in cui vanno ad incontrarsi come in loro punto di FE. coincidenza tutte le influenze dell’educatore medesimo. p Già abbiamo avvertito altrove, come l'autore nelle sue considerazioni generali sulla pedagogia riconoscesse la individualità dell'alumno e tentasse di conciliarla colla universalità. Anche questa conciliazione riesce impossibile stando ai principii della sua psicologia, mentre consegue logicamente dal concetto della persona. Infatti la persona è un soggetto sussistente e fornito di intelligenza e di libera volontà, come soggetto o sostanza, è fornita di una vita tutta sua propria e di una esistenza distinta, ecco l'individualità; come intelligente e libera, conosce l'ordine dell'universo ed ha doveri verso tutti gli esseri; ecco la sua universalità. La persona umana & intelligente, dunque ha diritto alla verità: à sensitiva, dunque ha diritto alla feli- cità: à attività volontaria, dunque ha diritto alla virtü. In questi diritti si fonda la Serre II. Tom. XLVI. 26 202 GIUSEPPE ALLIEVO — FEDERICO HERBART E LA SUA DOTTRINA PEDAGOGICA 46 libertà personale dell'educando, che l’educatore è tenuto di rispettare, e propugnando questa libertà personale, siccome fondamento dell'arte educativa, non si educa il fanciullo ad una sfrenata licenza, all'egoismo, sciogliendolo da ogni vincolo morale colla convivenza sociale e con Dio, poiché egli à consapevole, che intorno a lui e con lui vivono altre persone umane, le quali, appunto perché persone, hanno anche esse eguali diritti, cui egli è tenuto di rispettare. Federico Herbart mostro dellumana educazione un elevato e nobile sentimento pari alla profondità e grandezza del suo pensiero; e come in metafisica poderosa- mente combattè il dominante idealismo trascendentale smarrito nel vuoto senza punto ruinare nella bassa ed ignobile realtà, e tentó una trasformazione radicale della psicologia, così ei concepì il problema pedagogico sotto un aspetto affatto nuovo, e si argomento di ricomporre secondo un disegno originale la scienza della educazione. Perd non poche sono le parti anche sostanziali della sua teoria pedagogica, che mancano di un saldo sostegno; e quelle stesse, che paiono conformi a verità, mal si accordano coi prineipii filosofici dell'autore, giacchè il concetto etico, che pure la informa e la governa tutta quanta, crolla dalla base nella sua teoria dell'anima umana. Quindi s'intende ragione, per cui oggidi in Germania il sistema pedagogico di Herbart conti poderosi ingegni, che lo coltivano e lo propagano con grande amore e studio, mentre la sua dottrina filosofica giace pressochè abbandonata. —— — nl $ | ORIGINI | | DEL È | A i f i | | COMUNE DI BIELLA 4 " ai | | MEMORIA i | DEL DOTTOR E | LUIGI SCHIAPARELLI | 1 | T | Cna | | Approvata nell Adunanza del 2 Febbraio 1896. i | INTRODUZIONE T $ D Per questa trattazione ho attinto ai numerosi documenti, che si conservano | negli archivi civico e capitolare di Biella e di Vercelli. Pochissimi lavori furono stampati sulla storia biellese. Il più antico storico di Biella è CarLo Anronro Copa; il suo lavoro, Ristretto | e qualità della città di Biella, pubblicato in Biella nel 1657, ha poco valore. f Migliore e più diligente storico è Tommaso MuLLATERA; scrisse: Ricerche sul- | | l'origine e fondazione di Biella e suo distretto, Biella, 1776 (1), e: Memorie cronolo- $ giche e corografiche della città di Biella, Biella, 1778 (2). Questo secondo lavoro è j pregevole. L'autore ricorre spesso alle fonti genuine, riportandone brani; ma nei suoi giudizi è spinto da troppo zelo per la sua città natale. GrovawNi Masserano: Biella e à Dal Pozzo, Biella, 1867; sta sulle generali, e H il suo libro, benchè più recente, è assai inferiore a quello del Mullatera. 14 ticordo al fine Severino Pozzo, autore di un libro intitolato: Biella, memorie À storiche ed industriali, Biella, 1881. In tutti questi scrittori il periodo delle origini è affatto trascurato; dopo brevi e leggendarie notizie sulla fondazione della città, essi passano a descrivere i fatti successivi alla formazione del Comune, dilungandosi con compiacenza sui tempi moderni (3). (1) Si conserva il ms. nella Bibl. Naz. di Torino, xu-ıv. 12. L'opuscolo stampato consta di 60 pagine ed è piuttosto raro. (2) Il ms. si trova pure nolla Bibl. Naz. di Torino, unito al precedente. (3) Mentre questo mio lavoro era in stampa il prof. Gasorro pubblicò, nell’ Archivio storico italiano ,, serie V, XVII, fasc. 2°, uno studio intitolato: Biella e à vescovi *di Vercelli; & notevole an lesame che fa delle donazioni imperiali di Biella alla Chiesa vercellese. Eh he ee 204 LUIGI SCHIAPARELLI 2 Abbiamo fortunatamente anche una breve cronaca latina; ne è autore Gracomo Orsı di Candelo (1). E ben fatta, ma pur troppo accenna solo di sfuggita alla ori- gine della città e appena sorvola sulle vicende del costituirsi della società civile in Biella, per venire poi a descrivere particolareggiatamente la ribellione e prigionia del vescovo G. Fieschi (1377—78), e la lotta tra gli abitanti della città e gli An- dornesi (1469—1488). Su questo ultimo periodo verte la maggior parte della cro- naca, tanto che il Vayra dice, ed a ragione, che “ potrebbe benissimo convenire “ alla cronaca il titolo di storia della guerra di Andorno ,. Devo ancora ricordare: Memorie sulla origine e storia di Biella (2), e: Memorie sul Vercellese, Biellese, Canavese (3). Secondo che l’occasione mi si presenterà, farò cenno di quelle opere che, non vertenti direttamente la storia biellese, pur mi riuscirono utili. Devo tuttavia di- chiarare fin d’ora che il migliore aiuto mi venne dalle carte degli archivi di Biella e di Vercelli. Al Comm. Ing. Corradino Sella, che mi facilitò lesame delle carte dell'archivio civico, ai canonici Prof. Tarino e teologo Maja dell’archivio capitolare di Biella, nonchè al canonico Conti archivista e bibliotecario del capitolare di Ver- celli, esprimo la mia sincera riconoscenza per le squisite cortesie usatemi durante le mie presenti ricerche. Speciale ringraziamento ed attestato di riconoscenza devo al chiar. Prof. Conte Carlo Cipolla mio venerato maestro. Biella e il suo territorio facevano anticamente parte dell’ager Vercellensis, i cui confini erano: dalla parte di Settentrione, le Alpi; ad Occidente, la Dora; a Mez- zogiorno, il corso del Po fino alla foce della Sesia; ad Oriente il fiume Sesia. Delle antichissime immigrazioni nell’agro Vercellese, soltanto la Gallica o Celtica lasciò un'orma profonda, dando origine a nomi di molte località (4). Dalle parole di Plinio “ Vercellae Libicorum ex Sallicis ortae , (5) si è dedotto dagli storici vercél- lesi, che la città debba la sua fondazione ai Libici. Il nome di Vercelli, secondo il Flechia ed il Bruzza, è di origine celtica: Ver, secondo il Bruzza (Intr., p. Lxxv) è forse “ quella stessa particella intensiva che “ incontrasi in altri nomi locali celtici ed anche in quelle di persone e di popoli....., (1) Edita da P. Vavra, Biella, tip. G. Amosso, 1890. Di questa cronaca esistono tre esemplari mss.; uno sta nella Bibl. di S. M. in Torino, codice 837 apogr., a. 1597, fe 89 — copiato sull'originale membranaceo dal patrizio biellese Angelo Battiani, con aggiunte in italiano —, un altro pure nella Bibl. di S. M., Misc., xxxvr, 20 P apogr., fatto da G. Ludovico Pozzo nel 1557, il terzo nella Bibl. Naz. di Torino, F 1v-28, membr. 1, ur, 41. La stampa, che ne fece il ch. comm. Pietro Vavra, è ricavata dal codice della Nazionale, che, secondo lui, sarebbe l'esemplare stesso donato dall'autore a Giacomo Dal Pozzo, cui la cronaca fu dedicata. (2) Ms. Bibl. Archiv. Stor. Tor., H. 1v. 37 f: non è che una copia, con poche aggiunte, della cro- naca di P. Orsi. Nel margine vi è la traduzione letterale della citata cronaca latina. (3) Ms. Bibl. di S. M., 648 autogr. f». E del sec. XVII e di grande valore. (4) Riguardo alla dominazione celtica nel Vercellese, cfr. Bruzza, Iscrizioni antiche vercellesi, Roma, 1871, Introduzione. — Freonra, Di una iscrizione celtica nel Novarese, Torino, 1864; Di alcune forme di nomi locali, in * Atti Acc. Scienze di Torino ,, serie 2*, vol. 27. — FAsnzrTI, Glossarium italicum. — Pau, Altitalische Forschungen, Göttingen. 21), 123 Lipsiae, 1870. (5) Nat. hist., III, 17( 3 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 205 e la seconda cel si pub considerare come radicale del latino celo, donde secondo Varrone venne il nome di cella. In tale caso il nome di Vercellae significherebbe le grandi celle, ossia il luogo o vico principale dove il popolo, che aveva occupato queste terre e le coltivava, conduceva e custodiva i frutti che aveva raccolti dai campi ,. Anche il nome di Biella è considerato come d'origine celtica, e trova ri- scontro con quello di Vercelli. Il nome conservatoci negli antichi documenti è Bugella, che ci fa pensare ad una forma più antica Bucella: i due nomi Bucella e Vercella hanno comune l'ultimo suffisso. La differenza del prefisso, secondo il Bruzza, serve a distinguere due vocaboli simili fra loro, come nella lingua latina abbiamo maior e minor. I prefissi Bu e Ver, uniti al nome cella, esprimono un rap- porto puramente materiale: una città minore, Bucella, l’altra maggiore, Vercella. Non raccolgo le fantasie degli storici biellesi sull'origine della loro città. An- tonio Coda sa perfino in quale anno la città fu fondata, il Masserano ed il Pozzo ripetono, accettando, la data. Certo si à, che fra tutte le dominazioni storiche, che occuparono il Vercellese, la Celtica esercitò influenza maggiore, e ci lasciò testimonianze sufficienti per rite- nere che a quei tempi si debba far risalire l'origine di alcuni paesi del distretto. Anche Biella, fin d'allora dovette essere un centro di popolazione, che andd a grado a grado aumentando e costituendosi. Fu solo sotto la dominazione romana che si esplicò, ed acquistò importanza storica. Colla vittoria riportata sui Celti i Romani furono padroni del territorio al Nord del Po, ma non vi dominavano sicuri. Strabone parla di contese sorte tra i Salassi ed i popoli vicini, che si trovavano nelle regioni inferiori, a cagione delle acque che, adoperate per sceverare l'oro dalle sabbie, venivano disperse con danno dell'ir- rigazione delle terre. Ora i Romani temevano che da queste contese potessero de- rivare danni grandissimi, non essendo impossibile che i nemici di oltralpe, chiamati in aiuto, scendessero a portar guerra al popolo romano; e percid, ad impedire causa qualsiasi di ostilità futura, sottomisero i Salassi (612) confiseando loro le miniere. In seguito confiscarono anche quelle dei Libici, potendo pure costoro dar mo- tivo a contesa coi vicini Salassi. Augusto mandò contro i Salassi, che facevano continue scorrerie, Antistio Ve- tere, Messala Corvino e Varrone, il quale ultimo li vinse completamente. Infine le miniere furono chiuse. Nella metà del settimo secolo i Romani ebbero a lottare nel Vercellese contro i Cimbri, che da Mario furono sconfitti sui Campi Raudii (1). La rotta dei Cimbri segnd per i Transpadani un lungo periodo libero da invasioni, durante il quale ot- tennero il jus Latii, cioè il diritto di cittadinanza come le colonie latine (2). È leggenda letteraria il racconto della venuta di Decimo Bruto, che, fuggito da Modena, si sarebbe qui imbattuto in una masnada di Salassi; da lui il nome di (1) Cfr. Bruzza, Op. cit. CXXV. Fra i recenti ricordo soltanto: E. Pars, Dove e quando à Cimbri siano stati distrutti da Mario e da Catulo, abbiano valicate le Alpi per giungere in Italia, e dove essi pi per giung Torino-Palermo, 1891. (2) Mowwszx, Histoire Romaine, Paris, 1863, V, pag. 34 e segg. EP A MT NOS rna Stem e mna 206 LUIGI SCHIAPARELLI 4 Bruticella (cella di Bruto) abbreviato poi in Bucella (1). Ma di questi e di altri simili racconti non importa far discorso (2). Nè fa conto insistere sulle considerazioni etimologiche del Durandi (3). Il Durandi nota, che molti luoghi del Novarese e del Vercellese sono così de- nominati, che i loro nomi paiono derivati dal greco. Nessuna colonia greca venne a stabilirsi nella valle superiore del Po, e perciò, aggiunge l'illustre storico piemon- tese, quei luoghi che sembrano di origine greca “o non sono sempre antichi o ra- “ dicalmente sono celtici, e furono poscia disegnati o almeno i loro fondatori furono * Romani o Longobardi ,. I primi documenti storici della città di Biella risalgono al tempo della domi- nazione romana, e, benchè scarse, importanti per il nostro studio sono le iscrizioni (4). Tra queste, una (0. I. L., V, 2, n. 6775) ci attesta che in B. avevasi un collegio di Augustali. I Seviri ne erano i capi, e formavano un ordine intermedio tra il senato e la plebe: secondo il Borghesi (5) ed il Bruzza (6) furono appunto i capi dei col- legi degli artisti, che, allorquando venne introdotto questo nuovo culto, divennero Augustali. Il Bruzza aggiunge che questi onori erano ambiti, che i Seviri erano onorati dopo i Decurioni, e che si trovano indicati nelle iscrizioni col titolo: Ordo seviralis. Dalla presenza in Biella dei capi di questo collegio dobbiamo dedurre l’impor- tanza politica della città in allora, perchè sappiamo, come il Bruzza afferma (7), che tale sacerdozio formava un'istituzione più politica che religiosa, e serviva a divul- gare venerazione ed affetto agli imperatori. È pure importante la lapide scoperta nel 1791 nel battistero di Biella ed attualmente conservata nel palazzo della Cano- nica (C. I. L., V, 2, n. 6776). Parla di un certo Sesto Melio della tribù Pollia, tribù cui era ascritta la vicina Ivrea (8); gli abitanti del territorio di Biella erano però stati censiti nell’Aniense, la tribù dei Vercellesi. (1) Vedi Massrrawo, Op..cit., pag. 29 e segg.; Pozzo, pag. 2. ; (2) Il Murrarera espone e confuta queste leggende: Ricerche sull'origine e fondazione di B. e suo distretto, Biella, 1776. (3) Dunaxpr, Dell’antica condizione del vercellese, Torino, 1766, pag. 7. (4) Mommsen, C. I. L; V 2, nn. 6771, 6772, 6773, 6774, 6775, 6776, 6768 (il Mommsen la dice erro- neamente trovata in Santhià; cfr. Bruzza, Op. cit., n. 51). — E. Ferrero, Iscrizioni antiche vercellesi in aggiunta alla raccolta del P. L. Bruzza, in “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, tomo XLI, nn. I, XIII. — L. ScurapareLti, Tre iscrizioni antiche nel Biellese, Torino, Clausen, 1894, n. 1. (5) * Bullett. dell'Instituto ,, 1839, pag. 62. (6) Op. eit., pag. 76. (7) Op. cit., pag. cxxxvı. (8) Cfr. Bruzza, Op. cit., pag. 114. — Gazzera, Del Ponderario e delle antiche lapidi eporediesi, in “ Memorie Acc. Scienze di Torino ,, serie II, tomo 14, pag. 9 e segg. Queste iscrizioni ci attestano che nella nostra città vi erano usi e costumi Ro- i mani, provano che già vi erano i collegi delle arti. Allora dovette prosperare anche il commercio (cfr. Appendice “ Alcune questioni sui Vittimoli ,). co EE | 5 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 207 Per l'epoca barbarica, non altro documento abbiamo fuorchè alcuni nomi o suf- fissi di nomi (1). Per trovare il primo documento storico dobbiamo venire sino all’a. 826 (2). Da quell’anno in poi nulla più abbiamo prima dell'888 Il documento dell'S26 è un diploma di Lodovico il Pio e Lotario in favore del conte Bosone, pubblicato con lacune dal Muratori (3) e poi ripubblicato in fac-si- mile dal prof. Vayra (4). I due imperatori donano al conte Bosone “ ad proprium “ quasdam res proprietatis nostrae quae sunt in Langobardia in pago [ui]ctimolen[si] “ quod pertinet ad comitatum uercellensem, idest in uilla quae dicitur bugella , ; si determinano poi queste quasdam res proprietatis, cioè: " mansum dominicatum cum * casa, dominicata et aliis edificiis. Et cum mancipiis desuper comanentibus et coeteros * mansos cum mancipiis desuper comanentibus uel quantumcumque ad praedictam * curtem bugellam praesenti tempore pertinere dinoscitur cum domibus aedificiis emm LINH our LE Ts ra * mancipiis utriusque sexus terris vineis pratis siluis aquis aquarumue decursibus | * molendinis mobilibus et immobilibus exitibus et regressibus uel quantumeumque * sicut superius dictum est ad praedictam curtem bugellam pertinere videtur tam curtes quam loca uel alpes et siluas vel omnia quicquid sicut iam supradictum u ‘ est ad praedictam curtem bugellam aspicit ,. E questa donazione vien fatta con | cambio: “ praedicto fideli bosoni ad proprium per hane nostrae auctoritatis confir- d “ mationem concessimus ob hoc scilicet quia ille nobis tradidit de suis propriis rebus (d * per cartulam tradicionis in villa quae dicitur bechi mansos octo cum cappella iuxta 4 * fiscum nostrum qui dicitur niumaga cum domibus aedificiis mancipiis terris pratis ^ pascuis aquis aquarumue decursibus molendinis exitibus et regressibus quantum- * eumque in praedicta uilla est uel quae ad eam in quibuscumque locis aspicit ,, . Fiscum nostrum non significa altro che res publica, patrimonio del pubblico o del re, e ne abbiamo anche conferma nel iudex fiscalis che troviamo contrapposto al iudex privatus. Questo fiscum nostrum niumaga è certo il Niumaga palatium ben noto. Nel citato diploma si tratta di beni allodiali, non di giurisdizione comitale. È | Inoltre i beni di cui si fa cenno venivano per la prima volta in possesso di Bosone; | | se ne deduce, che il conte non aveva in tempi anteriori esercitato su tali luoghi (1) Bruzza, Op. cit., XCIII. (2) Münrsacnen, Reg., n. 805. (8) Ant. Ital., V, coll. 553-4. (4) Vavna, Diploma degli imperatori Ludovico Pio e Lotario, di donazione al conte Bosone, Torino, 1870. Il testo di questo diploma venne in parte ricostituito dal ch. prof. conte C. Crrorra. Vedi Diploma perduto di Carlo il Grosso, in * Atti Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXVI. 208 LUIGI SCHIAPARELLI 6 aleuna autorità. Il Mühlbacher (Reg. Karoling., n. 805) propende ad ammettere che qui si tratti di conferma di possessi, di quelli ceduti al figlio di Bosone, di cui ci è fatta parola nei Capitolari di Lodovico e Lotario (M. G. H., LL, 1, 256 (1); MÜHLBACHER, Regesta Karoling., n. 805, c. 7). Egli si basa sull'auctoritas confirma- che, dice egli, compare due volte nel diploma. Ma il diploma, parlando dei possessi ceduti a Bosone, adopera il verbo concessimus: “ Concessimus fideli nostro “ Bosoni comiti ad proprium..... , e più sotto chiaramente: “ praedicto... bosoni ad “ proprium per hanc nostrae auctoritatis confirmationem concessimus ,, e ancora, * Et ideo res superius praescriptas quas ei praesentialiter per hane nostrae aucto- * ritatis praeceptionem iure proprietario ad habendum concedimus ,. Una volta sola il nominativo auctoritas: * Et ut haec auctoritas confirmationis nostrae habeatur et * per futura tempora melius conseruetur Manibus propriis subter eam firmauimus ,. Pare evidente che in questi casi la parola confirmatio si usi come sinonimo di praeceptio. Il nome del conte Bosone ricorre anche in un famoso placito tenuto — sotto la presidenza di Ratperto conte di Torino e del conte Bosone messo imperiale — nella corte giudiziale di Torino, per una causa riflettente il cenobio della Novalesa, anno 827, maggio 8 (2). L'identità di questo Bosone “ comes uel misso domini im- peratoris , col “ Bosoni fideli nostro comiti , parmi manifesta (3). Ed il riscontro del Bosone che col diploma dell'826 ottenne come allodio aleuni mansi nel comitato vercellese, con quello che nell'827 si trova come messo imperiale nel comitato to- rinese, conferma quanto ci attestano parecchi documenti, e che lo Handloike (4) ha chiaramente determinato, che, cioè, si dava importanza al fatto che i messi abi- tassero in vicinanza ai beni in contesa, senza perd che questa vicinanza implicasse dipendenza. Chi è questo Bosone? Né il Muratori, nà il Balbo, nè Carlo Hegel, che com- mentano questi documenti, ci dànno notizie in riguardo, ed in nessun altro docu- mento, ch'io mi sappia, riflettente la storia italiana ricorre il nome di questo Bo- sone. Diverso à il Bosone, di cui parla, p. es., il Giulini (5) serivendo all'a. 863 che Engeltrude figlia del conte Malfrido e moglie del conte Bosone fuggi dall'Italia con un adultero: ricorse il marito al papa, che ordino si congregasse una sinodo in Mi- lano, dove si citasse la rea, e quando questa, entro un prefisso tempo, non compa- risse, si dichiarasse incorsa nelle censure ecclesiastiche. Tadone, arcivescovo di Mi- lano, radunò il consilio, e, non essendo intervenuta, la scomunicò. Questo Bosone è senza dubbio il fratello di Richilde, seconda moglie di Carlo imperatore, è quel Bosone che, dopo il matrimonio di sua sorella, ebbe tanta importanza nelle ultime lotte dei Carolingi e ricevette tanti onori, che prese talora il nome di Archiminister (1) A. 826, 7: “ De rebus quas marchio tradidit filio Bosonis vel aliis hominibus, volumus ut “his quibus traditae fuerint, vestituram suam accipiant, et insuper confirmationem ,. (2) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 34-6, n. 19. 3) Simson, pag. 282, nota 5. ( ( ( (4) Die lombardischen Städte unter der Herrschaft der Bischöfe, Berlin, 1886, pag. 6. 5) Memorie di Milano, Milano, 1760, I, pag. 288. Cfr. M. G. H. SS., 1, Annales Fuldensium, pars tertia: M. G. H. Epp., II; Düvmurer, Gesch. des ostfränch. Reiches, 2 Aufl. II, 16-17. | | | | | | | | | | | e di Duo (1), di Rex (2), che intervenne al convegno di Ludovico, Carlo e Lotario (860) nella basilica di S. Castore presso Confluente (3), che nell’ 876 prese parte con Suppone ed altri al sinodo Pontingonense (4), quel Boso tanto caro a papa Gio- vanni VIII (5) che lo adottò per proprio figlio: è il Bosone re di Provenza (6). Nell'atto di elezione di questo Bosone a re (7), 15 ottobre 889, viene compen- diata la sua vita politiea. Vien detto cioè che egli fu defensor et adiutor necessarius domni Caroli, ed ottenne favori da Lodovico II il Balbo. Nessun accenno a servizi resi ad imperatori antecedenti, nessun indizio .di cariche ottenute in addietro. Le parole defensor et adiutor necessarius domni Caroli si riferiscono certo alla carica avuta da Carlo II di * missus italiae atque sacri palatii archiminister ,, di cui & fatta menzione nei Capitularia Caroli II (8). Ora la mancanza di qualsiasi notizia a cariche sostenute, a servizi resi in tempi | 7 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 209 | | | anteriori al regno di Carlo II, concorre ad escludere ogni dubbio, che questo Bosone sia da identificarsi con quello dei documenti —26, —27. | Ma se non è il Bosone re di Provenza, quale potrà mai essere? | Il nome Bosone compare in carte antichissime e perdura fino a tempi relativa- mente assai recenti. Nell’ Historia francorum Gregorii episcopi Turonensis all'a. 585, | troviamo un Boso, ricordato in seguito altre volte, ma senza indicazioni di titoli e | di parentela (9). Nel liber IV Chronicarum quae dicuntur Fredegarii scholastici, è ci- tato, tra l'a. 626 e 627, un “ Boso filius Audoleni de loco Stampinse , (10): in altri | due passi ricorre un Boso dux (11). | Posteriormente incontriamo un altro Bosone, padre di Uberto e di Teuberga \ moglie di Lotario II (856), come si può ricavare da un passo di un'epistola di papa Benedetto III (12) e dalle lettere di Nicolò (13). Il Duchesne scrive: ^ Lothaire Roy | “ de Lorraine et de la Bourgougne transiurane frère et heritier en partie de Charles * Roy de Prouence et de Bourgougne. Cestuy-cy ayant espousé Thietberge fille | “ d’une Comte Bourguignon nommé Boson , (14). Nei Capitolari di Lodovico e di Lo- | tario, a. 826 (15), leggiamo: “ De rebus quas marchio tradidit filio Bosonis uel aliis | “ hominibus, volumus ut hi quibus traditae fuerint, vestituram suam accipiant et in- | | | | | | | (1) M. G. H., LL. I, ed. in f. Capitularia Caroli II, pp. 529, 582. (2) Ibidem, pp. 547, 548, 559. (8) M. G. H, LL. I, ed. in f. Hludovici Germ. Capitularia, pag. 484. (4) Ibidem, pag. 529. (5) Cfr. specialmente l'epistola di Giovanni VIII a Carlo III (Micene, ep. CXLII, pag. 786). Su Bosone, cfr. il recente lavoro di A. Lapôrre S. I., L'Europe et le Saint-Siège à l'époque carolingienne, Premiere partie, Le Pape Jean VIII, Paris, 1895, pag. 844 e segg. (6) Düvurer, Op. cit., III, 123-29; 145-47 ecc. (7) M. G. H., LL. I, pag. 547. (8) Ibidem, pag. 540. | (9) M. G. H., Script. Rer. Meroving., I pars 1, pp. 319, 3852, 3861. (10) Ibidem, II, pag. 148. | (11) Ibidem, II, pag. 124, 126. (12) S. R. G., VII, pag. 384. | (13) Ibidem, pag. 885, 386. (14) Histoire de Bourgougne, pag. 136; cfr. A. pe TerreBASSE, Histoire de Boson et de ses successeurs. | Vienne, 1875, pag. 14. | (15) M. G. H., LL. I, in-f, pag. 256 e 325; Münusacner, Reg., 802, c. 7. | | Serie II. Tow. XLVI. 210 LUIGI SOHIAPARELLI 8 * super confirmationem ,. Credo che questo figlio di Bosone sia il già ricordato Uberto: nè la cronologia vi si oppone. Ed il Bosone padre di Uberto è probabil- mente il Bosone conte del diploma 826, e il Bosone messo del placito 827. Non vi sono documenti che lo affermino in modo esplicito, ma, da quanto son venuto esponendo, parmi che questa conclusione acquisti valore; certo, la cronologia non contraddice (1). Avremmo inoltre prova della potenza ed autorità che fin d'allora godeva il Bosone, e della relazione sua con Lotario, che nell'856 sposò la di lui figlia Teutberga. : Questo Bosone à pure parente col Bosone re di Provenza: una sua figlia, di cui non è mai ricordato il nome, sposò Buino conte, dal quale matrimonio nacquero Boso — che sposa Irmengarda —, Richilde — moglie a Carlo il Calvo —, e Ric- cardo duca di Borgogna (2). Ora si presentano altri quesiti. Il citato diploma dell’ 826 dice la città di Biella situata nel Comitato Ver- cellese; in quali condizioni si trovava col Comitato, quali conti esercitavano la loro autorità, e come la esercitavano? Siamo in un periodo di storia assai confuso. Il comitato Vercellese, ricordato in parecchie carte, effettivamente non doveva eserci- tare una grande influenza: l'autorità maggiore era il vescovo (cfr. Usmeruı, Ital. sac. IV, Episcopi Vercellenses), che incontriamo di frequente nei documenti. Così in Milano, l'autorità dell'arcivescovo era grandissima e soffocava persino quella di Bo- sone Archiminister et dun Langobardiae: Attone era infatti, come sappiamo, il più attivo dei partigiani dei Carolingi d’Allemagna, e fece lotta contro Bosone. Il Giulini (3), dopo la partenza di Bosone per la Provenza, fa duca di Lombardia Suppone. Il prof. Cipolla, dice che “ rimane campo a supporre che presso a poco il “ marchesato di Suppone, da cui per certo dipendevano Torino ed Asti, compren- * desse quanto più tardi costituì il così detto Marchesato d'Ivrea con cui il vincitore * Guido beneficd il suo fedele Anscherio , (4). Dando al marchesato di Torino una tale estensione anche il comitato Vercel- lese verrebbe compreso in esso: in una parola non mancherebbe che il nome per avere già costituita in estensione la marca d'Ivrea (5). La figlia di Suppone, Bertilla, passa in moglie a Berengario I figlio del duca (1) Cfr. E. Dousen, Op. cit, II, pag. 5, n. 2*. E di questa opinione anche il Larôrre, che scrive: " Boson V Ancien, c'était établi dans ce pays (Italie) ,, loc. cit., pag. 292, nota 2. (2) * Carolus in villa Duriaco 7 Idus Octobris certo compariens, obisse Hirmentrudem uxorem * suam. 2 Non. Octobris in monasterio sancti Dionysii, ubi et sepulta est, exequente Bosone, filio * Buvini quondam Comitis, hoc missaticum apud matrem et materteram suam Teutbergam, Lotharii regis relictam, sororem ipsius Bosonis nomine Richildem mox sibi adduci fecit et in concubinam “ accepit ,. Annales Bertiniani, M. G. H SS., I, pag. 486. Cfr. LArórnz, Op. cit., pagg. 296, 311. (8) Op. cit., IT, pag. 21. (4) C. Grott, Di Audace vescovo d'Asti, in “ Miscellanea di Storia italiana ,, t. 27, pag. 124. (5) Il conte Irrorrro Maraguzzi, direttore dell’Archivio di Stato di Modena, in un suo recente pregevole lavoro (I Supponidi, Modena, 1894) chiama questa " pretesa marca subalpina „un “ ripiego escogitato dalla critica ,. La questione non può dirsi risolta. Sull’ufficio esercitato da Suppone in Lombardia, cfr. Laròmre, Op. cit., pag. 348. | | | | | | | | 9 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 03]. Everardo del Friuli e di Gisela figlia di Lodovico il Pio e sorella di Carlo il Calvo, il quale sposò in seconde nozze Richilde, nipote di quel Bosone che è ricordato nel diploma dell'S26 e nel placito dell'827. Siamo all'origine della marea d'Ivrea, che non è molto vetusta. Delle marche più note, come quelle del Friuli, di Spoleto e di Toscana, quella di Ivrea è la più recente. Le marche erano state stabilite per difesa dei confini dell’ impero, quindi non vi era ragione perché si costituisse una marca in Occidente durante la dominazione carolingia. * E soltanto dopo sfasciato questo impero colla deposizione di Carlo il Grosso, e sorti che ne furono altrettanti regni quante le nazioni, Italia, Provenza, Borgogna, Germania, soltanto allora nacque la necessità di difendere l'Italia da codeste parti , (1). Anscario è il primo marchese d'Ivrea. A lui succede Adalberto che sposa Gisla figlia del re Berengario, dal quale matrimonio nacque Berengario II. Adalberto passa in seconde nozze con Ermengarda ed ebbe il figlio Anscario II. Adalberto morì in- torno al 930. Anscario si recò tosto a Spoleto dove morì nel 940. In un placito del 902, presso il Tiraboschi (2), intervenne “ Adalbertus comes * et marchio ipsius civitatis (Vercellae) ,. E senza dubbio l'Adalberto padre di Be- rengario II e di Anscario IL N Egli si chiama, ed a ragione, marchese di Vercelli, perchè Vercelli era real- mente compresa nella sua marca: comprendendo la marca più comitati, il marchese veniva ad essere marchese dei singoli comitati. Il ch. De Simoni nota, che il mar- chese, tenendo placiti in alcune parti de’ suoi comitati, aggfungeva alla parola marchio il titolo speciale di conte di quel comitato dove esercitava giurisdizione (8). Le parole ricordate “ comes et marchio ipsius civitatis (Vercellae) , ne sono conferma. In data 21 aprile 902 (4) abbiamo un diploma col quale l’imperatore Lodo- vico III, a preghiera di Adalberto marchese, dona una corticella in Cusnengo nella contea di Vercelli a Idelgerio vassallo di Buddone visconte. “ Adalbertus marchio “ filius quondam Anscherii ,. Qui Adalberto si chiama semplicemente marchio, però il suo titolo ufficiale era: “ Ego Adalbertus gratia Dei humilis marchio hic in “ Italia , (5). Nel diploma di Ugo e Lotario del 13 agosto 945 (6), con cui si concede ai canonici di Vercelli l'alveo dei fiumi Cervo e Sesia entro determinati confini, leg- giamo: “ Quo circa noverit omnium sanctae Dei ecclesiae fidelium ac nostrorum prae- “ sentium scilicet atque futurorum devotio Berengarium nostri fidelem dilectum il- “ lustremque marchionem ,. Ma abbiamo anche accenno esplicito a Biella e al suo territorio. In un diploma di Ottone III, a. 999 (7), Biella colle sue pertinenze è ricordata come antico pos- (1) De Simoni, Sulle marche dell Alta Italia, Genova, 1869, pag. 82. (2) Trrasoscni, Storia di Nonantola, II, 85. (3) Op. cit., pag. 85. £ (4) E. Dëst en, Verzeichnis der Urkunden Kaiser Ludwigs II, n. 17 (in Gesta Berengarii impe- ratoris ecc. Halle, 1871, pag. 182). (5) Cfr. doc. a. 929, 28 febbr., Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 131-3, n. 79. (6) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 157-8, n. 95; Bömmer, Reg. n. 1420. (7) Sicxez, Dipl. Otto III, n. 323. rires 212 . LUIGI SCHIAPARELLI 10 sesso di Berengario II e di Adalberto re: * Confirmamus ... Buiellam cum omnibus * suis appendiciis ..... quia Berengarius et Albertus reges quorum proprietates < Enero. os Da questi documenti risulta come tutto il Vercellese fosse compreso nella marca d'Ivrea. Si noti che nei documenti ora citati, si fa parola di Adalberto e di Beren- gario II, non mai di Anscario. Da ciò si può dedurre, che Adalberto e Berengario II ebbero speciale cura del comitato Vercellese: ciò viene in conferma dell’ opinione del De Simoni, che Adalberto avesse assegnato ai due suoi figli, Anscario e Beren- gario II, il governo di qualche comitato facente parte della Marca; ed avvalora pure la conclusione a cui venne il prof. Cipolla, quando dice che Anscario “ il quale tra il 933—936 si dimostra tanto affacendato per le cose astigiane, abbia appunto avuto in cura speciale quel comitato: mentre Adalberto si preoccupava particolarmente degli affari di Torino , (1). Della storia successiva della marca d'Ivrea, non è debito mio far parola. Con- chiudo invece osservando, che il Bosone ricordato nel diploma dell'826 potrebbe es- sere il Bosone padre di Teuberga e di Uberto, che Biella faceva parte del comitato Vercellese e che la Marca d'Ivrea comprendeva certamente il comitato Vercellese, su cui esercitò una speciale autorità Berengario II. TL. À questo punto della mia trattazione credo necessario di determinare un'espres- sione geografica, che incontrasi per la prima volta in un diploma di Otone III del 999, ed à la frase totum buiellensem. L'importanza di tale ricerca à grande e di varia natura: oltre ad un valore che direi quasi intrinseco, relativo, cioè, alla trattazione, venendo a limitare i confini entro cui si originano e si svolgono i fatti che verrò man mano esponendo, tale ricerca acquista importanza speciale perchè ci offre campo di esaminare la parte settentrionale della contea di Vercelli — formata dal Biel- lese —, e di studiare le successive donazioni degli imperatori ai vescovi di Vercelli, dalle quali donazioni appunto trarrò argomento per la ricostituzione dell’antico totum buiellensem. Il più antico ricordo di Biella ci è dato, come notai, dal diploma di Ludovico il Pio e di Lotario. In esso vediamo per la prima volta Biella chiamata curtem, e, indeterminatamente, si accenna ad altre curtes et loca dipendenti. * Concessimus ..... * mansum domnicatum cum casa domnicata et aliis edificiis, et cum mancipiis de- * super commanentibus, uel quantumcumque ad praedictam curtem bugellam perti- “ nere videtur, tam curtes quam loca uel alpes et siluas, uel omnia quiequid sicut * jam supradictum est, ad praedictam curtem bugellam aspicit ,. Queste parole pro- vano che Biella aveva allora importanza non piccola ed un territorio abbastanza (1) Di Audace vescovo d'Asti, pag. 241. | | | | 11 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 218 esteso. La parola curtem va presa in senso assai largo, perchè alla curtem bugellam si contrappongono altre curtes et loca spettanti ad praedictam curtem bugellam. Notisi il significato che qui acquista il vocabolo corte, adoperato nel senso ristretto di vil- laggio e in significato ampio, tanto da avere dipendenti altre corti. Queste sarebbero come tante corticelle, e la corte maggiore una corte magna; vedremo infatti B. detta curtem magnam. E questo è importante per lo studio dei significati che assunse la parola corte: ristretta talvolta a denotare un semplice cortile — ancora oggidì nel dialetto biel- lese corte corrisponde a cortile —, può estendersi a comprendere un aggregato, un complesso di case, un vero villaggio, ed in senso maggiore ancora a denotare una civitas cum suis appendiciis. Lo stesso Muratori attesta l’importanza e l’antichità di Biella colle parole che si leggono nelle Antig. Ital. (V, p. 552) “ Occurrit et in monumentis veterum Pagus “ bugellensis, quo nomine ingens terrarum tractus designabatur. Verum Bugella ipsa “ vocabulo Curtis donata reperitur in antiquis chartis, Curtis etiam magna quandoque * appellata fuit ,. Che Biella sia stata un pagus risulta da un solo documento, da una bolla di Innocenzo II, 19 nov. 1140 (1), dove ricorre l’espressione, pagus bugel- lensis; pare che il Muratori abbia dato una falsa interpretazione al passo del diploma dell’826, dove si parla di Biella nel pago Vittimolo, e non viceversa. Al diploma di Lodovico il Pio o di Lotario segue cronologicamente quello di Carlo III dell'S82, datato in Pavia 16 marzo (2), dove Biella è detta curtem nostram magnam. Carlo fa una concezione a S. Eusebio e al vescovo di Vercelli Luttvardo di- cendo di elargire cose non antecedentemente donate e restituire “ aliqua suae ab * imperatoribus et regibus iam donata sunt et subtracta sunt ,. Tra le altre terre concede pure Biella: “ Dedimus etiam curtem nostram magnam quae dicitur Bugella * eum omnibus curtibus et villis alpibus et omnibus suis pertinentiis ,. Con questo diploma incomincia la serie delle donazioni di B. ai vescovi di Vercelli. Il verbo dedimus esclude il concetto di conferma. Biella è chiamata curtem magnam, si accenna alle sue pertinenze, ma indeterminatamente, senza motivarle; vedremo tosto come un altro diploma, largito da Otone III, determini queste dipendenze e ci porga ma- teria e lume per la ricostituzione del totum buiellensem. Bisogna innanzi tutto notare, che possediamo due diplomi di Ottone III portanti la data 7 maggio 999 (3). Questi diplomi sono ben diversi, e, come osserva il pro- fessore C. Cipolla (4), mentre il primo conferma numerosi possessi alla chiesa ver- cellese convalidando i diplomi elargiti precedentemente, nell’altro Ottone III fa una concessione nuova in ricompensa di quanto le aveva fatto soffrire Arduino. Le espressioni del diploma dichiarano di confermare quanto fu già prima confermato, * maxime que Karulus imperator Lituardo episcopo aut dedit aut reddidit ,. Si fa (1) Mon. hist. patriae, Chart. Il, 235; Jarrò, Reg. n. 8105. (2) Münreacuer, Reg. Kar., n. 1592; cfr. Darmsragprer, Das Reichsgut in der Lombardei und. Piemont 8-1250). Strassburg, 1896, pag. 222. (3) Sıcker, 323 e 324. (4) Di un diploma perduto di Carlo III, * Atti dell Acc. delle Se. di Torino ,, XXVI, p. 670 e segg. DI . LUIGI SCHIAPARELLI 12 cenno esplicito ad altri diplomi, a re Liutprando, a Lotario I, a Lodovico, a Beren- gario II e Adalberto, a Ottone II, a Carlo HT. Riguardo alla nostra città: “ Con- i D * firmamus .... Buiellam cum omnibus suis appendiciis Galianicum, Ponderanam, Mu- | * linariam, Andornum, Causades, Montem Cisidola, Pedroro, Blatini, Bedulium et f “ Clauaziam, Candele et Cliuoli, quia Berengarius et Albertus reges quorum pro- H * prietates fuerunt, ei dederunt, treuerem et districtum per totum Buiellensem ,. | t Le dipendenze sono chiaramente indicate, le località racchiuse, per così dire, tra | { Buiellam e il districtum per totum buiellensem sono appunto quelle che si debbono | y ascrivere al Biellese d'allora. | ij E qui è naturale la domanda: come mai in questo diploma Ottone riconoscendo | f il Biellese già anteriormente donato alla chiesa di Vercelli, — ne dà prova il verbo | | fi confirmamus —, e ricordando in modo determinato alcuni luoghi come già menzio- | D, nati in un precetto di Carlo III, — ricorda precisamente Odonicum, ecclesiam sancti i Salvatoris ultra Padum, abbaciam de Arona, abbaciam de Luceio ...., Romanianum, Au- | À cinianum — come mai, dico, di Biella non dichiara che ne facesse menzione Carlo III, À il quale, come sappiamo, col diploma dell’ 882 dedit — notisi il verbo — curtem i Bugellam al vescovo Luttvardo, mentre ricorda B. e sue dipendenze come facenti i parte dei possessi di Berengario e Adalberto, i quali ne fecero donazione alla chiesa id vercellese? Questo accresce valore all'opinione del prof. C. Cipolla, il quale crede che | t l'imperatore Ottone III colle parole * confirmamus ..... et maxime ea que Karulus impe- ü * rator Lituardo episcopo aut dedit aut reddidit , e poi * quia nos ipsi imperatoris IW “ Karuli precepta legimus, et Diere in ecclesia sancti Eusebii a tempore Karuli ’ “ super altare sancti Johannis Baptiste seripte testimonium donant et ad veritatem D * recognoscendam fidem legentibus faciunt , non si accenni ad un solo, ma a più H diplomi. Non si puo certo ammettere che si riferisca al diploma dell'882. Il fatto poi, che nel diploma del 999 Biella colle sue dipendenze è ricordata come proprietà dei re Berengario e Adalberto e da essi donata alla chiesa di Vercelli ci lascia dubi- tare che anche nel diploma perduto di Carlo III non fosse ricordata pérchè in tal caso non si saprebbe spiegare come mai Ottone, tra iluoghi che dice espressamente citati in un diploma di Carlo III (che sarebbe quello perduto), non abbia fatto espli- cita menzione della città di Biella. Il Sickel, nella recente pubblicazione dei diplomi di Ottone III, esamina breve- mente i due diplomi in questione dal lato diplomatico. Nota che mentre l'escatocollo i corrisponde agli usi cancellereschi, ciò non avviene per la redazione del testo. Le | D difficoltà sono per il diploma 323, tuttavia lo registra tra gli autentici, ma nota | che in ambedue i documenti le formule di corroborazione sono regolari, le altre par- | ticolarità della composizione dei testi non si sa bene se si debbano attribuire ad | una specialità di chi le scrisse, o ad un tardo rimaneggiamento (1). | Nell’altro diploma si dice solo genericamente: “ concessimus .... (a Leone) totam | i * civitatem Uercellensem in integrum cum omni publica potestate imperpetuum more j " i ; ; 2 : predecessorum nostrorum ,; ripete poi che * donavit totum comitatum cum om- (1) Anche il Darmsraeprer dubita di questo diploma; cfr. Op. cit., pag. 22, nota 1. 13 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 215 * nibus publicis pertinentiis ,. Non si fa esplicito ricordo di anteriori donazioni, e non troviamo aleun accenno di Biella e pertinenze; essa venne certamente compresa nel comitatum. Uercellensem di cui faceva parte. E notevole il passo: * Nostra igitur * imperiali maiestate praecipimus ut nullus dux nullus marchio nec etiam Yporiensis * marchio ..... audeat sanctam Uercellensem Ecclesiam aut praedictum Leonem epi- * scopum ..... inquietare, molestare, ete. ,. Colla frase nec etiam Yporiensis marchio, che spieca per la sua determinazione in mezzo a tanta indeterminatezza che pre- senta il diploma, si allude senza dubbio alla forza dimostrata e che poteva dimo- strare ad ogni evento l'autorità civile. Ma di questo avrò occasione di parlare in seguito. In un diploma di Ottone III datato in Roma 1 nov. 1000 tra le varie cessioni al vescovo di Vercelli si ricordano: * Andurnum, Mulinariam, Ponderanam montem * Cisidola Galianicum cum omnibus suis pertinentiis ,; ma nessun accenno che siano dipendenti da Biella (1). Nel diploma di Corrado II, Roma 7 aprile 1027 (2), ricompare Buiella cum suis appendiciis, e ricorrono le precise indicazioni già trovate nel diploma ottoniano (Sickel, 323). In altro diploma dello stesso imperatore (3) leggiamo: * Confirmamus * Rusebiarie ecclesie Bugellam insuper cum omni sua integritate idest uernade, cla- * uaza, bedolium, galianicum, ponderianam, mulinariam, andurnum, cisidolam curti- * cellam in montem ,, indi “ Carisianam cum omni sua integritate , ecc. Enrico III con diploma 17 settembre 1054 (4) conferma alla chiesa vercellese le donazioni degli imperatori precedenti, ma non ci dà notizie precise, determinate. Importante i| diploma, pure di Enrico IIT, pubblicato dal Muratori (5) e ripubblieato corretto dal Durandi nelle sue Ricerche sopra il diritto pubblico del Vercellese, compen- diate da Ferdinando Rondolino (6). Porta la data del 1070 e conferma al vescovo Gregorio gli antichi possessi, * Bugellam insuper cum omni sua integritate id est * Vernade, Clavazza, Bedolium, Galianieum, Ponderanum, Mulinariam, Andurnum, * Cisidulam, Curticellam in montem ,. Un diploma di Federico I del 17 settembre 1152 (7) ricorda nuovamente “ Bu- * gellam cum suis pertinentiis gallianigum, ponderanum, mulinariam, andurnum, D causate, montem beroardum, thisidolam, sedreium, blatinum, candelem, triuerum ,. Da questi accenni possiamo ricostruire il totus buiellensis. I nomi delle varie località componenti tali distretti, e che ricorrono nei singoli diplomi citati, sono quasi sempre i medesimi, non variando che la forma, spesso assai scorretta. Le località più ricordate e che devono considerarsi come le principali del di- stretto sono: “ Vernatum, Clavatiam, Bedulium, Gallianieum, Ponderanum, Pedrono, (1) Srcxer, 383. Con altro diploma della stessa data Ottone conferma alcune terre Biellesi al vescovo di Vercelli. Sıcker, 384. (2) Mon. hist. patriae. Chart. I, coll. 454-6, n. 267; Srumpr, n. 1935. (8) Ibid. coll. 523-4, n. 306; Sruwrr, n. 2126 (1028 apr.—1031 apr.). (4) Mon. hist. patriae. Chart. I, coll. 581-2, n. 342; Sruwrr, n. 2461. (5) Antiq. italic, VI, col. 319; Srumer, n. 2737. (6) “ Miscellanea di storia italiana ,, XXV, pp. 31-2. r (7) Murarori, Antiq. ital, VI, col. 321, Mon. hist. patriae, Chart. II, «coll. 277-9, n. 288; Srumrr, n. 3646. È i h H E | \ pu; PAIA TTI em mt ge? rer REGELN A — vera ri } È p H 131 ae — ——MÀ 216 LUIGI SCHIAPARELLI 14 * Blatini (1), Mulinariam, Andurnum, Cisidolam, Curticellam in montem, Candele, Cle- * uoli, Causades, Treuerem ,. ll totum buiellensem era dunque limitato al Nord dalle Alpi Pennine, dal torrente Elvo ad Occ., a Sud-Est da una linea immaginaria, che, partendo dall'Elvo, toccava Candelo e Cossato, e ad Oriente da un'altra linea che si spingeva fino a Trivero. À queste località si potrebbero aggiungere altre spesso citate nelle posteriori donazioni ai vescovi di Vercelli e in atti privati, e che occu- pano lo spazio determinato dai confini ora descritti. In una bolla di Urbano III del 1186 (2) si annoverano tra le pertinenze di B. “ Pelligonium, Surdivallium, Oclepum, * Mucianum, Graliam ,, dovrebbesi ancora aggiungere: * Vuglanum, Ualdinghum, * Cerretum, Moxum ,. Il cronista Orsi (3) fra i luoghi dipendenti da B. ricorda: “ Andurnum, Moxum, Bedulium, Ronchum, Zumalia, Clavaza, Mortilianum ultra Sarvum, citra vero Bena, Oclepum superius, Muzanum, Camburzanum, Sordevolum, Gralia, Pollonum et Ver- natum ,. Ed anche questi paesi stanno entro i limiti da noi descritti, e confer- mano l'estensione che attribuimmo al totum buiellensem. Lo storico Antonio Coda (4) gli assegna la stessa estensione, notando come posteriormente siasi allargato fino a Sostegno. Alla medesima conclusione ei conduce l'esame della bolla di Innocenzo III (1208) pubbl. da G. Avogadro (5), con cui si confermano alla chiesa di S.. Stefano di B. le altre chiese del distretto. Tutti i paesi ricordati in questa bolla entrano nei confini segnati, eccetto Donato, Sala, Zubiena e Mongrando, che si trovano ad Occ. del torrente Elvo, ai piedi della morena Serra. Ma si noti, che la bolla porta la data del 1208 e queste località dovevano solo da poco tempo essere dipendenti dalla chiesa di B.; ce ne dà conferma il fatto, che in un quinternetto antico (a. 1192) dei redditi della chiesa di S. Stefano (6), le chiese di Sala, Zubiena e Mongrando non sono punto ricordate. Questo prova come il totus buiellensis si fosse già alquanto esteso in sul principio del XIII secolo. D “ D Qui prevedo un'obbiezione. Come mai non entra nel totum buiellensem il castrum dei Vittimoli ricordato nel diploma dell'S26? A me non pare, come hanno creduto altri, tr& eui il Muratori (7) e il Bruzza (8), che le parole * concessimus fideli nostro “ bosoni comiti ad proprium quasdam res proprietatis nostrae Quae sunt in Lango- “ bardia in pago [ui]etimulen[si] quod pertinet ad comitatum uercellensem idest in * uilla quae dieitur bugella , indichino che il pago dei Vittimoli si trovasse nella villa di B., ma bensì il contrario, la villa di Biella nel pago dei Vittimoli. Se ricordiamo il significato proprio di villa (= vicus, luogo abitato) e di pagus (territorio) nel Medioevo, ed esaminiamo attentamente le espressioni del diploma, (1) Per il sito di Blatino ricordo una pergamena inedita, posseduta dal senatore Rosazza, che determina i eonfini tra Cerrione e Blatino (a. 1180, 14 marzo). (2) Duranpr, Op. cit. in * Miscellanea di Storia ital. ,, XXV. (3) Op. cit., pag. 9. (4) Op. cit., pag. 18-9. (5) Gusravo AvoaApno, Storia del Santuario di Nostra Signora di Oropa. Torino, 1846, doc. n. II, Porrmasr, Reg., n. 3392, (6) Ms. Torti, della Bibl. di S. M. di Torino. (7) Antiq. ital, V, pag. 552. (8) Op. cit, pag. 148. Cfr. Ronporino, Cronistoria di Cavaglià. Torino, 1882, pag. 39 e segg. — (A 15 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 217 questa interpretazione trova sicura conferma. Nelle parole del diploma vi è una vera gradazione: si incomincia a determinare la regione cui appartenevano i mansi donati dagli imperatori a Bosone — in langobardia —, poi si circoscrive il territorio di questa regione — in pago wictimulensi —, in ultimo si determinano, anzi si lo- calizzano queste singole proprietà — id est in uilla quae dicitur bugella. E nel corpo del diploma ogni qual volta si parla dei possessi donati al Bosone, dovendosi deter- minare con precisione il sito, non si parla piu del pagus, ma, ed era naturale, della corte di Biella. Questa precisa e graduata determinazione della regione, del terri- torio e della villa non deve sorprenderci; notisi, che il diploma è datato in Engi- linheim palacio regio, che la donazione era fatta al conte Bosone, come io credo, conte di Provenza, che per la prima volta veniva in possesso di quelle terre. Biella era allora in sugli albori della sua vita. Nel diploma dell’826 si accenna alla sua estensione di territorio, dicendosi espli- citamente che altre corti le erano dipendenti; nel diploma di Carlo III è già detta curtem magnam, e nel 999 compare il fotum buiellensem. Di questo territorio non abbiamo menzione prima del diploma ottoniano. Appare anzi da aleuni documenti, che, anteriormente al 999, terre vicinissime a Biella fu- rono date al conte Aimone. Con diploma del 963 Otone I (1) dona al conte Aimone “ corticulas duas iuris regni nostri in Vercellensi commitatu coniacentes que An- * durni et Molinaria nominantur ,. Ottone III (2) (a. 988) confermando al figlio del .conte Aimone, Manfredo, le donazioni serenissimi avi nostri Ottonis magni, nomina: * corticulas quasdam ..... in commitatu Vercellensi ..... videlicet Andurni, Molinaria, “ Gallanico, Mutiano, Ponderano, Cisidola, Canderio, Triuerio , ecc. Queste località si trovano tra quelle ricordate nei diplomi da noi esaminati, e concesse in un colla corte di B. ai vescovi di Vercelli. Il totus buiellensis non risale a grande antichità; andò costituendosi ed allar- gandosi man mano col successivo progredire della potenza e ricchezza della città (3). (1) Srexzr, n. 251. (2) Src n. 50; cfr. DanusrAEDTER, Op. cit., pag. 40 e 222. (3) Il prof. F. Gabotto, nel suo studio citato, ritiene come dubbi i diplomi di Carlo III, a. 888; di Enrico II, a. 1007, di Corrado II, 1028-31; di Enrico III, 17 nov. 1054; di Federico I, 17 ott. 1152, mentre non solleva alcuna difficoltà per il DO., III, 323. Base principale delle sue ricerche sono la notizia edita dal prof. Cipolla (in Di un diploma perduto di Carlo III, cfr. pag. 47, n. 5) ed il DO., III, 323; ma la notizia non è un documento ufficiale, uscito da una cancelleria ed ha perciò . valore storico-diplomatico relativo, ed il DO., III 323 è molto sospetto. TF Brocn nel suo recente lavoro: Beiträge zur Geschichte des Bischof Leo von Vercelli und seiner Zeit (* Neues Archiv ,, XXII, 1, 1896), dice il diploma di Carlo III (Münrsacuzm, n. 1592) falsificato da Leo sopra un diploma originale di Carlo III al vescovo Liutvardo (pag. 75). La notizia sarebbe pure falsa (pag. 76) e forse venne falsifieata dallo stesso Leo con interpolazione del testo del diploma genuino di Carlo III. Non parmi che il giudizio sia definitivo. Spero di ritornar più tardi e di proposito su tali interes- santi questioni. x Serre II. Tom. XLVI. 28 ERE E AT re | | DRE HN à 1 A 218 LUIGI SCHIAPARELLI 16 IV. C'incombe ora di studiare quali diritti godessero i vescovi di Vercelli su Biella, e come esercitassero la loro autorità. Il più antico diploma di donazione della città di Biella ai vescovi di Vercelli è quello più volte citato di Carlo III, 16 marzo 882. Con questo diploma si concedono alla chiesa di Vercelli molte terre, tra cui * curtem nostram magnam Buiellam ,. Dopo un cenno sulle singole donazioni, vi si legge: “ Haec omnia S. Uercel- lensis Ecclesia proprio iure in ueterum habeat cum omnibus publicis districtis “ “ mercatis teloneis piscationibus uenationibus partibus molendinis montibus et ual- * libus alpibus edificiis mancipiis utriusque sexus agris uineis cappellis pratis, pa- * scuis, ecc. ,. Come vedesi il vescovo veniva ad ottenere ampi diritti. Diritti giu- diziarii, indicati chiaramente dalla frase cum omnibus publicis districtis; diritti economici e finanziarii con mercatis et teloneis. Queste concessioni erano sì ampie, che davano al vescovo una vera autorità comitale. Fu specialmente sotto Berengario I — per bisogno di urgente difesa contro gli Ungheri — e sotto Berengario IT — per acquistar favori per la di lui elezione — che si distribuirono cariche e titoli, e si concedettero ai vescovi ampi diritti e privilegi. Dopo il diritto di mercato e di fortificazione i vescovi ottenevano la districtio. Lo Handloike (1), che ha studiato tale questione, nota: che si debba intendere per districtus o districtio le punizioni giudiziarie e le multe che ne provenivano si è in solo alla generale d'accordo, si è per altro dubitato se questa distrietio si riferis applicazione delle pene e alle multe in danaro che ne derivavano, ovvero se inclu- desse il pieno esercizio del diritto giudiziario. Egli accetta l'ultima ipotesi. Benchè il diploma di Carlo II, non contempli, per Biella, in modo particolare la districtio, tuttavia parmi che a ciò ivi si faccia allusione. Infatti la concessione dei diritti fatta alla chiesa vercellese si estende a tutte le terre collo stesso diploma ad essa confermate, quindi anche alla magnam curtem Bugellam. 299 Nel diploma ottoniano del 999 (Sickel, 323) si ha un esplicito accenno alla di- “uA strictio per l’intiero biellese. “ Confirmamus ..... Buiellam cum omnibus suis appendi- D Ge", AN et totum distrietum per totum Buiellensem ,. Il verbo confirmamus dimostra come questo privilegio non fosse che una conferma di un diritto antecedentemente concesso; la prima concessione deve ricercarsi nel diploma di Carlo IIl. Tali diritti sono assai ampi, e si può, senza timore d'inganno, affermare, che Sebbene i vescovi non fossero veri conti, tuttavia ne avevano l'autorità. Il Baudi di Vesme eil Fossati considerano questi privilegi come esenzioni concesse ai vescovi in favore delle città, che venivano cosi ad essere liberate dall'autorità comitale. A prova di ciò, e a conferma dell'opinione di Handloike, che, cioè, l' autorità episco- = ~i ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 219 pale sia stata il tramite per il quale passò l'autorità civile dall’ impero ai comuni» abbiamo un notevole passo del diploma di Ottone III, 7 maggio (SrokeL, n. 324): “ Precipimus ut nullus dux nullus marchio nec etiam Yporiensis marchio nullus comes, “ nullus vicecomes, nullus archiepiscopus, nullus episcopus, nullaque nostri imperii magna aut parva persona nullus Italicus nullusque Teutonicus audeat sanctam Uercellens Ecclesiam aut predictum leonem episcopum aut aliquem eius succes- sorem de comitatu Uercellensi et de comitatu sanete Agathae aut de aliqua eorum * pertinentia inquietare, molestare, disuestire aut ullum placitum ibi tenere aut ullum “ districtum ibi habere aut ullam publicam exactionem ullo ingenio ibi exigere dut mereatum aut teloneum ibi querere ,. Le espressioni sono chiarissime; nessuno molesti o danneggi gli uomini del comitato Vercellese; quindi libertà di comuni- cazioni, di commercio, nessuno tenga placiti, nessuna imposta si eserciti che non sia l'episcopale. k D D D Questo diploma mentre dimostra la diminuita potenza marchionale e l'autorità grande aequistata dal vescovo, fa pur vedere, come, malgrado gli sforzi dei vescovi per liberarsi completamente da qualsiasi dipendenza, i marchesi ed i conti esercitas- sero ancora aleuni diritti di supremazia, benché oramai molto diminuiti. La frase “ nullus marchio nec etiam Yporiensis marchio ,, e le ripetute conferme di privilegi, di esenzioni provano come in generale i vescovi ^ non valessero ancora a fare che i conti cedessero i loro diritti , (1). Perd la potenza dei vescovi andava sempre più aumentando. Gli Ottoni si appoggiarono ad essi per porre un freno ai feudatari laici. La quasi totale scomparsa dell'uso del vocabolo comitatus, e l'apparire frequente del nome episcopatus dimostrano pure la crescente potenza vescovile (2). Notisi che i vescovi ebbero anche i loro servi, e già fin dal diploma dell'882 ricorre la frase: “ mancipiis utriusque sexus ,. Nel diploma di Ottone III, 7 maggio 999 (Sickel 323), si parla di un certo Albano serui sancti Eusebii de plebe buiella, e in quello del 1° nov. 1000: * Dedimus et confirmamus sancto Eusebio cortem Firmi- * nianam in integrum et cortem Clevoli in integrum et cortem Montem in integrum * et cortem Candele in integrum cum servis ancillis , ecc. (Sickel, 384). Se la potenza dei vescovi aveva acquistato proporzioni assai estese, essa non aveva tuttavia dato occasione ai vescovi di tiranneggiare i loro sudditi; il po- polo non fu oppresso, anzi, come dimostrerd meglio in seguito, ebbe protezione e molte libertà. Vuolsi ancora osservare, che non tutto il territorio biellese, non tutta la pro- proprietà compresa nei limiti descritti determinando il totum buiellensem era assor- bita dal dominio vescovile. Nelle corti stesse donate ai vescovi troviamo poderi oc- cupati da altri, marchesi, conti o privati; il che prova, come le donazioni avessero (1) Vesue e Fossami, Vicende dell'antica proprietà in Italia, Torino, 1836, pag. 274. (2) Nel diploma di Ottone III, 1° nov. 1000 (Sıcker, 384), leggiamo: “ Dedimus et confirmavimus “ sancto Eusebio et Leoni nostro... in perpetuum totum aurdm quod invenitur et elaboratur infra * Vercellensem episcopatum et Vercellensem comitatum ,, ecc. L'episcopato e il comitato Vercellese Sono qui avvieinati, senza determinazione della giurisdizione loro; precede pero l'episcopato ed il vescovo ottiene un qualche diritto anche sul comitato. Non credo tuttavia che tra comitato vercel- lese ed-episcopato vercellese vi fosse effettiva distinzione. PEN SS 5 j D E H À i Ÿ 6 RIT EIRE DR m pores dne m er we dna en os 220 LUIGI SCHIAPARELLI 18 un valore assai limitato, come vi potessero essere vassalli indipendenti dalla giuris- dizione del vescovo. Il diploma più volte citato di Ottone HI (Sickel, 323) ci attesta appunto che nella diocesi di Vercelli molti beni esistenti nelle corti donate all'istessa chiesa, erano posseduti dai compagni di Arduino (1). Nellarchivio di Biella si con- serva una copia autentiea dei diplomi imperiali conferiti alla casa Bulgaro di Cossato. Filippo di Spagna conferma alla famiglia Bulgaro il privilegio concesso dal suo au- gusto genitore Carlo V ed i singoli privilegi concessi da Enrico V (1112), da Cor- rado III (1141), da Federico I (1153) ecc. (2). Ora da questi diplomi si vede: come lautorità imperiale, benché diminuita, non fosse spenta: essa, aveva proprii diritti, proprii privilegi che continuava ad impartire a’ suoi fideles, e lo stesso vescovo, quantunque esercitasse ne’ suoi possessi una vera autorità comitale, doveva ricono- scere l’imperatore come suo senior, era tenuto a certi doveri verso i feudatari laici. Gli imperatori concedettero ai vescovi di Vercelli, Biella colle sue pertinenze et districtum per totum Buiellensem, i vescovi assunsero la vera autorità del conte, ma furono pure tenuti a certi doveri cui erano tenuti i conti. Le prime tracce di una libertà comunale dobbiamo cercarle nelle stesse con- cessioni degli imperatori ai vescovi. Ottone III nel citato diploma 7 maggio 999 (Sickel, 324) ordina che nessun conte, nessun vescovo e nessuna persona ^ audeat * sanctam Uercellensem Ecclesiam aut predictum Leonem episcopum aut aliquem * ejus successorem de comitatu Vercellensi et de comitatu sancte Agathae aut de * aliqua eorum pertinentia inquietare, molestare, disvestire.... ,. Questo precetto benché come persone accenni solo il vescovo Leone e il suo successore, tuttavia dobbiamo estenderlo alle persone tutte del comitato vercellese e del comitato di Santa Agata (Santhià), perchè queste, come le cose, erano legate dal vincolo feudale. Ottone proibisce di tenere ullum placitum, e, quantunque non esplicitamente in- dicato, dobbiamo aggiungere, eccetto un placito tenuto dal vescovo di Vercelli. Ne veniva in conseguenza il divieto, indicato in carte di altre terre piemontesi, che nessuna persona dell'episcopato fosse tenuta a comparire ad un placito che non fosse l’episcopale. Ottone aggiunge ancora il precetto: “ aut ullam publicam exactionem ullo ingenio * ibi exigere aut mercatum aut teloneum ibi querere ,. Così si veniva evidentemente ad assicurare l'indipendenza del comitato dalle angherie di altri potenti, e si favo- riva il commercio. (1) Cfr. Duranpi, Op. cit. * Miscellanea di Storia italiana ,, XXV, pag. 15. (2) Esiste pure una copia o questi diplomi nell'archivio imperiale di Berlino, n. 86; a questa attinse lo Stumpf, che pubblico per esteso nel 3° volume del suo lavoro Reichskanzler i citati diplomi di privilegi alla casa Bulgaro (n. 86, 117, 123). Altre copie si trovano nell’archivio un tempo di casa Bulgaro ed ora Ricaldone. Cfr. Perosa, Bulgaro e il suo circondario, Vercelli, 1889, pag. 38. 19 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 221 Queste concessioni dovettero tornare utilissime alla società nuova che andava sviluppandosi, acquistando forza e ricchezza. Studiando la distribuzione e le varie sorta di possessi, potremo seguire la nuova società in alcuni momenti massimi del suo sviluppo. Non possiamo fare di più, attesa la deficienza delle fonti. Incominciamo dalla proprietà privata. La natura della proprietà privata è sicu- ramente allodiale; e durante l'antico Medioevo, come parecchi studiosi confermano, i beni allodiali si conservarono a lungo accanto ai beneficiarii. Nel Biellese la pro- prietà individuale è abbastanza sviluppata. Nel 996 Costantino detto Belizio, vercel- lese, vende ad Andrea una terra posta nel sito di Vernato (1). Del 998 possediamo un atto di vendita di beni posti in loco bugella, fatta da Rotofredo a favore del prete Fiorenzo (2). Dunque anche i preti possedevam come persone private; si accenna persino agli eredi. 1069, 8 agosto (3), testamento di prete Alessandro, che nomina erede dei suoi averi un certo Ubaldo. Tra i possessi novera: “ sediminas et omnibus rebus illis “ que fuerunt iuris mei et habere uisi fuerimus in loco et fundos bugella et in de- “ riado seu in ponderiano uel per eorum territoriis ,. Ma la proprietà esisteva anche in comune fra più persone, ed a questa specie appartenevano i possessi dei vicini e dei consortes. Si fa cenno dei primi solo in un documento del 1090 (4). Il fatto, che fin dal secolo XI i Biellesi costituissero un corpo con autorità di acquistare, è assai degno di nota, e non tralascia di indicarlo L. Cibrario, dicendo» che, “ la capacità di acquistare negli abitanti di una terra che non era tra le più * riguardevoli, prima dell’ istituzione dei consoli, è un fatto fecondo di importanti “ conseguenze per la storia del municipio italiano ,. Il doc. è datato da Biella 1090, 6 marzo, e tratta della vendita di una casa e cascina situate in Vernato, fatta da Ottone detto Risus e Benedetta sua moglie agli uomini di B. “ Accepimus .... a uobis * omnibus uicinis de Bugella ad honorem sancti Stephani in trabe ante crucem que * est sita ante populum ipsius ecclesie idest argentum denarios bonos... precium pro “ sedimine uno iuris nostri iugalibus quod habere uisi sumus in uernado... ,. Non deve farei meraviglia che cosi tardi si incontri cenno di questo possesso; la man- canza di documenti di maggiore antichità non sempre esclude che il fatto non po- tesse esistere in tempi anteriori, come riscontrasi per altri paesi, dove troviamo possessi dei vieini fin dal secolo X (5). I beni dei vicini come quelli dei consortes non dovevano essere di natura feudale, ma allodiale. L'origine della vicinia viene fatta derivare dal diritto germanico, se- condo il quale i beni erano posseduti in comune, e lindividualità si esplicava solo nella coltivazione di essi. Nota il prof. Cipolla (6), che accanto alla proprietà dei (1) Mon. hist. patriae, Chart. IL coll. 58-9, n. 89. (2) Ibidem, Chart. I, coll. 278-9, n. 164. (3) Ibidem, Chart. II, coll. 161-2, n. 125. (4) Ibidem, Chart. I, 689-91, n. 413. 1 (5) Cosi, ad esempio, un documento della storia astese del 7 luglio 960 nella descrizione dei confini di terre ricorda appunto il possesso dei vicini; cfr. CıpoLua, Di Brunengo vescovo d' Asti, in * Miscellanea di Storia ital. ,, serie II, XXIII, pag. 494. (6) Op. cit., pag. 496. à RN ETT S cn entem n op teo EE chat? LEE beer Sr teet 222 LUIGI SCHIAPARELLI 20 vieini sorge tosto la proprietà individuale, ma come proprietà familiare. Questa non distrugge perd il concetto di proprietà collettiva, non lo annienta, tutt’altro, non fa che trasformarlo, renderlo più libero, renderlo ereditario. La vicinia ha per noi importanza grandissima e la credo, come Dario Berto- lini (1), un elemento economico-politico del nuovo comune. Prova dell'esistenza di proprietà in comune tra varii membri di famiglia è l'atto del 1027, 14 luglio (2), col quale Garino e Giovanni, fratelli del fu Costanzo, cedono alla chiesa di S. Stefano prato e gerbido situati nel territorio di Chiavazza. * Nos * garinus et iohanis iermanis donamus etc. ,. 1031, 18 gennaio (3). * Iohannes filius quondam giselberti et brunae iugalibus abitatoris in loco bugella ete. , vendono a Tendaldo la terza parte di un sedime con ease e viti ed un chiostro con alberi, nel territorio di Vernato. 1082, 1 aprile (4). Vendita di vigna con area, fatta da Richezza di Rodolfo e da Rodolfo a Gundelmo figlio di Natale. [3 1089, 7 giugno (5). * Laurencius et iohannes germani filius quondam gusulfo... vendono una pezza di terra posta nel territorio di Biella. Oltre che ai vicini ed a singoli individui la proprietà apparteneva ancora ai consortes ed alla pars publica. Un documento del 1098, 27 febbraio (6), ricorda il pos- sesso dei consortes nella descrizione dei confini della terra di cui tratta. Leggiamo: [3 sd coeret ei da una parte tera consortis ,. Essendo questo l'unico esempio di tale possesso, non ci è dato di studiare a fondo la condizione delle terre soggette. Sui diritti territoriali e giuridici dei consortes sappiamo poco o nulla; certo i loro beni erano di natura allodiale come quelli dei vicini (7). Dei possessi della pars publica abbiamo ricordo in due atti, determinandosi i confini di aleune terre. Documento del 988, 9 novembre (8), * coherit ei da tribus “ partibus terra domnorum regum ,; in altro del 1010, 9 febbraio (9): * coerit ei ad super totum da una parte tera regalis ,. Questi due esempi ed i diplomi ci- D tati concessi alla famiglia Bulgaro provano come la parte regia avesse ancora pos- sessi di cui disponeva liberamente a suo talento, ma che in maggior parte furono trasmessi alla chiesa Vercellese. Alla pars publica dobbiamo pure ascrivere i diritti sulle acque, considerate appunto come proprietà del fiscus. Di questi diritti, spet- tanti alla pars regia, abbiamo notizia nei singoli diplomi già citati di donazione ai vescovi e alla chiesa di Vercelli; ci sono noti, cioè, quando cessano di essere regii, e passano in proprietà di altri. (1) Statuti della città di Concordia, “ Archivio storico it. » Serie 5°, I, pag. 158. (2) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 459-61, n. 270. (3) Ibidem, coll. 491-2, n. 282. (4) Pergamena, Archivio civico di Biella. (5) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 687-8, n. 411. (6) Ibidem, coll. 722-3, n. 435. (7) Cfr. Carisse, Documenti Amiatini, " Archivio della Società romana di storia patria ,, XVII, 1894. (8) Mon. hist, patriae, Chart. I, coll. 278-9, n. 164. (9) Ibidem, coll. 371-2, n. 217: cfr. Darmsraeprer, Op. cit., pag. 222. 21 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 223 | VI. Altro fatto importante e che serve a spiegarci l’origine del Comune, è la pro- prietà ecclesiastica, la quale cresce favorita dalle donazioni imperiali e dalle offer- sioni dei privati. i La sacra riverenza della religione e le franchigie concesse ai sacerdoti spinsero il popolo ad appoggiarsi al clero come sua guida ed aiuto. I vescovi, benchè rive- stiti di diritti feudali, divennero effettivamente i capi della popolazione e ne assun- sero il governo. A questo accrescersi della potenza vescovile si accompagna il sorgere di nuovi corpi religiosi nelle singole città, nei singoli centri feudali. La sua importanza, grande per lo svolgersi delle singole autonomie e delle libertà comunali, dovette certo es- sere maggiore e più efficace in quelle città, per posizione topografica, alquanto di- scoste dai centri di grandi agitazioni, poco visitate dagli stranieri e non sottoposte alla influenza dei nobiles. | Il più antico documento dell'epoca cristiana, che suol citarsi dagli storici biel- lesi, è un'iscrizione mortuaria trovata nel 1872 demolendo le fondamenta della cat- tedrale di S. Stefano. * [Hıo REQUIESCI]r IN somno PA[cIS BONE MEMo]RIE PRN ALBINUS QUI... RECESSIT SUB DIE... Inp. III , (1). D Bruzza ne parla cosi: “ Non poteva dubitarsi che molto prima del sec. nono, in cui col diploma del 882 dato da Carlo il Grosso a favore della chiesa di Vercelli comincia la serie dei documenti che la ricordano e nel quale già si appella curtem .magnam, non fosse ivi (Biella), una pieve cristiana e vi fossero sacerdoti assegnati per governarla, ma ora questa lapide viene ad affermarlo e a darcene testimonianza autorevole. Imperocchè cosi le lettere come il formulario epigrafico ci insegnano che l'iscrizione debba assegnarsi alla seconda metà del sesto secolo, e per essa ci si ri- vela che allora mori il prete Albino che dovette essere preposto al governo della chiesa di Biella, come sembrano dichiararlo le sigle PRN (^ presbiter noster ,), se pure essendo formula insolita in questa età, non e da leggersi con maggiore proba- | bilità * presbiter nomine Albinus ,. Il Mommsen accetta l'interpretazione del Bruzza; tuttavia a me pare che sia più ovvio spiegare la sigla PRN con “ pater noster ,. Feci ricerca di questa lapide, interrogai alcuni canonici della città, ma nessuna no- tizia: la credo smarrita. Per trovare altra notizia della chiesa Biellese dobbiamo scendere al secolo X. Nell’archivio civico di Biella conservasi una pergamena contenente una lista di È decime, canoni, ecc., dovuti ai canonici di S. Stefano da diverse persone; invano l'ho ì (1) Bruzza, Op. cit., pag. 345 e segg; Mommsen, C. I. L., V, 2, n. 6776 a. Tr, FEEL co nn ar — premere a = ee EEE EEE 224 LUIGI SCHIAPARELLI 22 rintracciata. Il ch. Vayra, che unitamente a Q. Sella, ordino l'archivio della città, nota nel catalogo, che la carta è senza data, ma probabilmente anteriore al mille. Si possedeva un'altra lista di eanoni per la luminaria di S. Stefano, pure senza data, ma, secondo il Vayra, di poco posteriore al mille: anche questa pergamena non la trovai a suo luogo: (1). In un documento del 9 novembre 988 (2), che contiene una vendita fatta da Rotofredo figlio del fu Adone a favore del prete Fiorenzo, leggesi: " .... predicta * pecia de campo iaced ad locus ubi dicitur fabiola coerit ei da una parte terra * sancti petri et de reliquis duabus partibus terra sancti cassiani... ,. Alle frasi terra sancti petri e terra sancti cassiani, si deve attribuire l’ identico significato che ebbero nel Medioevo le espressioni: corpus sanctum, possessionem sancti, indicano cioè i possessi delle:chiese di S. Pietro e di S. Cassiano. Queste, aventi una propria di- pendenza territoriale, erano poi dipendenti dalla chiesa maggiore di Biella, quella di S. Stefano, in cui risiedevano i canonici. Nella bolla di Innocenzo III, già ricordata, tra le chiese che si confermano al Capitolo di S. Stefano troviamo: ^ specialiter autem ecclesiam sancte Marie, eccle- “siam sancti Jacobi, ecclesiam sancti Johannis, ecclesiam sancti Michaelis, eccle- * siam sancti Pauli, ecclesiam Sancti Cassiani, ecclesiam sancti Petri .... de loco bu- * gelle ,. Ora il ricordo nell'atto del 988 delle due chiese minori di B., ci conduce ad ammettere che anche la chiesa biellese in genere fosse già solidamente costi- tuita, e la chiesa maggiore di S. Stefano esercitasse una supremazia; à lecito sup- porre, che fin d'allora vi fosse tra loro un legame, una vera dipendenza gerarchica. Mentre le singole chiese si mantennero, per cosi dire, fisse entro certi limiti, la maggiore, quella di S. Stefano, crebbe sempre più in potenza ed autorità, divenne la rappresentante dell'intera chiesa Biellese. L'importanza sua, l'influenza che eser- citò sullo sviluppo della società civile nella nostra città sono di grande valore, e non credo di esagerare affermando, che Biella nei primi secoli della sua storia, trovò nella chiesa la sua patrona, da cui ebbe protezioni, franchigie, libertà. Nel 1081 (8) & esplicitamente ricordata la ferra sancti stefani nella delimitazione dei confini di un sedime. Sec. XI (4) (senza data). Armaniger di B. lega alla chiesa di S. Stefano un molino posto sul Cervo ed una vigna mediante la celebrazione di tre anniversari al- l'anno, dando alla predetta chiesa 4 soldi imperiali di fitto all'anno. 1027 (5). Donazione del fu Costanzo a favore della chiesa e plebe di S. Stefano. 1159 (6). Prete Pietro di B. maggiore della chiesa di S. Stefano dona alla stessa chiesa un manso di terra. (1) U Vayra gentilmente mi comunicò, in data 4 agosto 1894, che la prima pergamena citata, Breve recordationis Canonicorum sancti Stephani, la ascrisse, come risulta dai suoi appunti, intorno al mille, se non prima; la seconda, Breve de luminaria sancti Stephani ad memoriam retinendam, dal 1100 al 1200. Lo ringrazio vivamente di queste preziose indicazioni. (2) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 278-9, n. 164. (3) Mem. hist. patriae, Chart. I, coll. 491-2, n. 282. (4) Vedi Appendice, doc. n. 1 (5) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 459-6, n. 270. (6) Pergamena, Archivio civico di Biella. 23 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 225 1172 (1). Ottone di B. e Sabinia sua moglie vendono ai canonici di S. Stefano un manso di terra. 1173 (2). Silvio e Giovanni dell'Arciprete a vece degli altri canonici di B. investono Armanera e Tanta sua moglie del molino comprato da Pietro di Novello alle condizioni del pagamento di un fictum. 1173 (3). Pietro di Novello di B., Tomoleo suo figlio ed Emilia sua moglie vendono ai canonici di B. un molino sul fiume Cervo. 1181 (4). Trancherio del giudice insieme con Gervasio suo nipote pel prezzo di L. 38 pavesi rinunzia alla sua parte delle decime in Biella in mano dell' arcidiacono della chiesa di Vercelli, il quale ne investe i canonici di Biella. 1184 (5). Giacomo di Tollegno e sua moglie vendono alla chiesa di S. Stefano la metà di un monte in detto luogo, campi ed altri beni. Posteriormente le donazioni alla chiesa di S. Stefano aumentarono a dismisura, e basta dare uno sguardo alle numerose carte dell’archivio capitolare per convin- cersi della erescente potenza temporale. Vigne, prati, boschi, molini, monti, ecc. for- mavano i suoi possessi: si aggiungano i diritti di decime, di succedere nei beni di quelli che morivano ab intestato (6), canoni, legati diversi, ecc. Perno della Chiesa Biellese era il Capitolo. Fu esso che colla propria unità ed autorità seppe concentrare, sotto la dipendenza della chiesa di S. Stefano, un esteso dominio temporale, ed assorbire ogni energia (7). A quale anno con precisione risalga l'istituzione del Capitolo non ei & dato sa- perlo. Di certo era già in fiore nel sec. X, perché a tale epoca risale la ricordata lista di decime, canoni.. dovuti ai canonici di S. Stefano. Nel documento del 1027, 14 luglio, contenente una donazione a favore della chiesa di S. Stefano, leggiamo: ^ et per presentem cartam offerxionis ibidem abendum * confirmo factiendum ex inde canonici illi qui nune et pro tempore in eadem ec- * eclesia ordinati fuerint ,. Non vi sono indicazioni determinate intorno al numero di questi canonici formanti il Capitolo, non è ricordato il nome loro, nè la loro ge- rarchia. Così pure nel documento nr. I (Appendice) troviamo frasi indeterminate: * Placuit deo et armaniger de buiella quod iudicauit ecclesie sancti Stephani... et * debetur habere communiter clerici prephate Ecclesie tam magni quam piccilli... „. Col doeumento del 1124 (8) abbiamo altro ricordo dei canonici di S. Stefano. Importante questo passo: * Hanc autem donationem predicte decime tantum facio * uobis qui iugiter in obsequio dei ac beati Stephani perseueratis non illis qui de (1) Mon. hist. patriae, Chart. II, coll. 1027-8, n. 1588. (2) Ibidem, col. 1040, n. 1547. (3) Ibidem, coll. 1041-2, n. 1548. (4) Ibidem, coll. 1086-7, n. 1584. (5) Ibidem, col. 1112, n. 1610. (6) Mon. hist. patriae, Chart. IT, 1187, n. 1689. (7) Per l'importanza delle carte capitolari e per le relazioni tra Capitolo e Comune cito la eru- dita introduzione al lavoro del prof. L. Zuzkaver: Studi sul documento privato italiano nei secoli X, XI e XII, Siena, Torini, 1890. (8) Mon. hist. patriae, Chart. II, coll. 209-10, n. 163. Serw II. Tow. XLVI. 29 226 LUIGI SCHIAPARELLI 24 * foris stant. Hoc etiam uolo et statuo ut si aliquando sub preposito aliqui ex uobis * deo inspirante in communi uita degere uoluerint illi tantum habeant predictam * meam elemosinam et non illi qui uiuere cum illis sub preposito contempnent ,. È la prima volta che nelle carte Biellesi appaia la carica di prepositus. Ío scorgo nelle parole del vescovo: * hoc etiam uolo et statuo ut si aliquando sub preposito... „ una promessa di concedere un capo col titolo di prepositus, ed un desiderio che questo sia accolto favorevolmente, ad esso si uniscano — deo inspirante — e trascorrano insieme la vita — in communi vita degere. Insomma queste parole del vescovo Anselmo di Vercelli, esprimono un desiderio ed una promessa di ordinare la Chiesa Biellese, dandole un capo; ciò che fu eseguito nel 1194, come risulta da un documento in data 17 ottobre citato nel manoscritto Torelli (1), e pubblicato nei Mon. hist. patriae, Chart. II. Con quest'ultimo atto il vescovo di Vercelli Alberto ordina che nella collegiata di S. Stefano, stata per lo addietro senza capo, vi sia un preposito nella persona di Giacomo: * ...quia uero “ per longissima retro tempora non fuit in ea prelatus qui iuxta morem aliarum “ ecclesiarum preterquam in ecclesiasticis officiis auctoritate presidentis uti ualeret. * unde cum maxima iactura spiritalium sine capite et quasi trunca iacebat, necesse * duximus ibi prepositum ordinare... , (2). Da tale documento, interpretato lette- ralmente, si dovrebbe dedurre, che prima del 1194 la collegiata di S. Stefano non avesse aleun capo. Ma questa ipotesi si presenta di primo sguardo come affatto im- probabile, se la si prende in senso assoluto. Nei doeumenti anteriori al 1194 troviamo infatti che colui il quale, à nome degli altri compagni, attendeva all'amministrazione, era chiamato col nome di major. Il Torelli cita una carta del 1147 (pag. 76) in cui ricorre appunto il prete Pietro nella carica di maggiore o mazzero della chiesa di S. Stefano, e che agisce a nome degli altri canonici. In data 1159 (3) il prete Pietro fa donazione di un manso, si- tuato nel territorio di Sandigliano, a favore della chiesa di B.: “ Ego presbiter * Petrus major iste Ecclesie sancti Stephani... ,. In due carte del 1175, in una del 1181 ed in altra del 1185, citate dal Torelli (pag. 81-83), è pure ricordato il presbiter Petrus quale major Ecclesie sancti Stephani. In un atto del 1191 pubblicato nei Mon. hist. patriae (4), ed in un altro riferito dal Torelli, del 1192 entra nella carica di major non più il prespiter Petrus, ma An- selmus. Col 1194 compare il prepositus, e non ricorre più il major. Una pergamena dell’archivio capitolare di Vercelli (vedi Appendice, doc. nr. III) ci offre qualche notizia in riguardo all'uffieio del major. Da essa infatti veniamo a sapere, che la carica di major costituiva una speciale istituzione religiosa detta ma- ioria: il major veniva eletto dai canonici della chiesa cui apparteneva, e l'investi- (1) Memorie sul Vercellese, Biellese e Canavese (sec. XVII). Ms. Bibl. S. M. in Torino, pag. 648, autogr. f". (2) Mon. hist. patriae, Chart. II, 1166-7, n. 1669. (8) Pergamena, Archivio civico di B. (4) Mon. hist. patriae, Chart. II, coll. 1147-8, n. 1650: * Anno dominice incarnationis... in loco * bugelle concordia e& pactum fuit inter canonicos bugellenses scilicet maiorem anselmus, presbi- * terum simonem, ac presbiterum guilielmum, presbiterum iacobum, petrum rubeum, etc... ,; cfr. Ibid., col. 1188, n. 1689. 25 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 227 tura era fatta non dal vescovo, ma dall’archipresbiter “ nam si ecclesia... uacaret ei “interim suum ufficium Maiorie exercere... , (1). La maioria era un'istituzione eccle- siastica di importanza secondaria, dipendente dall'archipresbiter. Si comprende come la Chiesa di Biella potesse dirsi senza capo, e presto siasi sentita dai vescovi di Vercelli la necessità di ordinarla sotto un'autorità ad essi di- rettamente soggetta. Il capo della chiesa biellese fu chiamato prepositus (2): ne occupò per il primo la carica il prete “ Jacobus ,. Dallo spoglio delle carte dell'archivio capitolare di Biella, risulta che questo prete “ Jacobus , nella carica di prepositus si riscontra senza interruzione dal 1194 al 1204 (3). Secondo una carta pubblicata nei Mon. hist. patriae (4), si trovava in Vercelli ancora nel 1212, 1° sett., mentre secondo il Fileppi si sarebbe recato già nel 1205 in Palestina. Nel manoscritto: Historia ecclesiae et urbis Vercellarum, di Francesco Innocenzo Fileppi — io esaminai la trascrizione fattane da Gio. Barberis e conservata nel- Farch. capit. di Vercelli — a pag. 532 sotto l'anno 1205, leggiamo: * Nonnullos ex * Canonicis Vercellensibus in Palestinam (Albertus) secum abduxit. Inter eos fuit ‘ Dominus Jacobus huius Ecclesiae Archipresbiter et prepositus Bugelle, diuini verbi eximius preco, qui multis in predicatione Evangelii, tam apud Christianos quam apud infedeles exantlatis laboribus tandem Damiate in paese quiescit die 20 Au- * gusti 1221 , (5). E notevole il fatto che la carica di prepositus fu affidata all'archipresbiter. Credo che il prepositus avesse la sua residenza a Vercelli, parecchi perd sono i documenti dai quali risulta che, per lo meno quando furono redatti, si trovava in Biella. (1) Cfr. Maxpzuu, I) Comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli, 1858, III, pag. 104. (2) La carica di preposto anche in Vercelli compare relativamente tardi; fu aggiunta alle tre antiche dignità di Arcidiacono, di Arciprete e di Mazzero nel 1144, cfr. Manpetti, IIT, pag. 108. (8) Cfr. Mon. hist. patriae, Chart. II; col. 1168, n. 1670, a.1195, 20 marzo; col. 1175, n. 1678, a. 1196, 28 dic; col. 1181, n. 1686, a. 1197, 27 nov; col. 1196, n. 1697, a. 1199, 21 aprile. (4) Ibid., II, col. 1267, n. 1744; non trovai l'originale nell'attuale archivio capitolare; cfr. Max- DELLI, Op. cit., III, pag. 109. (5) Il Ficeper riporta quanto si legge nel Neerologio: “ In Necrologio legitur: m Kal. Septembris “ wooxxi migravit in Civitate Damiatae Dominus Jacobus huius ecclesie Venerabilis Archipresbiter “ et Prepositus Bugelle, uir bonus, honestus, literatus et predicator egregius, qui non immemor ^ huius matris suae Ecclesiae in sua bona memoria ad remedium et salutem animae suae, eisdem de bonis suis a Deo collatis multa summa cum devotione reliquit. In primis ordinavit ut Domus, “ quae est inter Ecclesiam et domum Prepositurae quam suis sumptibus construxit, semper sit * adnexa Archipresbiteratui huius Ecclesiae, tali modo quod Archipresbiter qui pro tempore fuerit, teneatur dare in choro his qui interfuerint offieio in die Anniversarii sui sol. xx, simili modo ordinavit quod idem Archipresbiter daret sol. xx in die Exaltationis sanctae Crucis (est die obitus Alberti ut inf. videbimus) pro-recordatione venerabilium Patrum et Dominorum. Innocentii Papae, Alberti Jerosolymitani Patriarchae, Lotharij Archiepiscopi Pisani (fuit successor Alberti in sede Vercellensi, deinde translatus ad Archipresbiteratum Pisanum) et parentum suorum et omnium fidelium defunctorum. Item legavit predictae Ecclesiae S. Eusebii duo Ciminilia argentea, et * ealicem argenteum de auratum. Item legavit Decumanis S. Eusebio sex modios terrae, quam emit a Ricardo de Sala, iacentes in territorio Montanarii, tali modo, quod in predictis Anniversariis * et recordationibus Missam celebrent, praedictae terrae fructus percipientes. Item predicto capitulo * legavit librum sententiarum Petri Lombardi ,. E D D D ® == e uie TE teen ne ir nda 228 LUIGI SCHIAPARELLI 26 Il secondo prepositus ricordato nelle carte dell'arch. capit. di Biella è prete Ar- taldo; dal 1222 al 1247 (1). Dal 1247 al 1262 troviamo come prepositus un certo Pietro de Avellanis: dal 1262 al 1284 prete Nicola. E ciò quanto ho potuto raccogliere da un minuto esame di tutte le carte — dal sec. X al 1284 — che si conservano nell’archivio capito- lare di Biella. L'ufficiale maggiore della Chiesa Biellese era dunque il prepositus. Degli altri ufficiali abbiamo notizia in una carta del 1204, 13 ottobre, che io pubblico in ap- pendice (doc. nr. V). È un atto di divisione che Giacomo preposto e i canonici fanno di comune accordo delle vigne, dei fitti in danaro e del frumento. Si prevede il caso che alcuno — quod deus auertat — venga nel frattempo a morire — ex hac uita migrare —, ed allora “ liceat preposito si uoluerit sine con- “ traditione aliorum partem illius qui decesserit accipere et relinquere suam si autem * prepositus eam noluerit thesaurarius accipiat eam si uult si uero thesaurarius * noluerit primicherius sacerdotum et post eum alii secundum locum et ordinem * guum facto est... ,. Avremo quindi il prepositus, il thesaurarius, il primicherius sacerdotum. Si dovrebbe ancora aggiungere il sindacus del Capitolo, di cui è fatto ricordo in alcune carte: in una del 1217, 3 febbr. (2), si parla di un sindicus senza ricordarne il nome; in tre del 1229 occupa questa carica prete Facio, in una del 1235 prete Alberto (3). In due documenti portanti la data del 1212 due canonici hanno il titolo di ministri di S. Stefano. La carta del 1212, 24 gennaio, cita un certo Ambrogio canonico e ministro di S. Stefano, la seconda del 17 agosto, prete Marchisio ministro di S. Stefano (4). Il numero dei canonici — naturalmente entro i limiti compresi dal mio studio — era di dodiei. Nel citato documento del 1204, 13 ottobre, si dice che tutta la res S. Stephanis veniva divisa in tre parti, in modo che per ciascuna restassero quattro canonici. * Magister Jacobus prepositus... et fratres eius ipsius ecclesie ca- * nonici... comuni assensu et uoluntate diuiserunt uineas... in tres partes ita ut in * una quaque illarum trium partium quattuor debeant esse canonici qui sedimentum * ipsius partis inter se diuidant ,. Prima del 1194 erano in numero di 21, e fu il vescovo Alberto che col citato suo diploma 17 ottobre riparti le prebende e ridusse a 12 il numero dei canonicati. Tale era l'ordo della Chiesa Biellese. La chiesa di S. Stefano esercitava poi diritti su parecchie altre chiese comprese nel totum buiellensem. Dal quinternetto dei redditi di detta chiesa, ricordato nel ms. Torelli all'a. 1192 (pag. 88), risulta che 21 prebende dipendevano da essa, cioé: * Biella, Vernato, Sandigliano, Tollegno, Ronco, Vigliano, Chiavazza, Candelo, Pon- * (1) Cfr. Mon. hist. patriae, Chart. II, col. 1318, n. 1780, a. 1223, 11 nov.; col. 1842, n. 1799, a. 1227, 9 agosto; col. 1387, n. 1825, a. 1934. (2) Ibid., col. 1289, n. 1758. (3) Pergamene, archivio cap. di Biella, n. 118, 110, 111 e 149. (4) Ibid., n. 38, 39. | | 27 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 229 * drono, Colonino, Mulinario, Magnaneo, Vergnasco, Boriana, Mongrando, 9. Pan- “ crazio, Graglia, Muzzano, Occhiepi, Sordevolo, Pollone „. La citata bolla di Innocenzo III del 1208, conferma a favore della collegiata di S. Stefano il possesso di molte chiese, che sono così indicate: S. Michele, S. Paolo, S. Cassiano, S. Pietro, S. Eusebio, S. Maurizio nel luogo di Biella, poi la chiesa di Donato, di Netro, di Sala, di S. Lorenzo e S. Michele di Mongrando, di Graglia, di Muzzano, di Beatino, di Zubiena, di San Pancrazio, dei due Occhieppi, di Sordevolo, di Pollone, di Vernato, di Ponderano, di Boriana, di Sandigliano, di Candelo, di Ga- glianico, di Tollegno, le chiese di Andorno, quella di S. Bartolo, di S. Maria d'Oropa, di S. Martino di Campiglia, le chiese della valle del Cervo, di Chiavazza, di Vigliano, di Valdengo, di Ceretto, di Ronco, di Ternengo. Di questa bolla è pure fatto cenno nel ms. Torelli, e le regioni ivi ricordate corrispondono perfettamente a quelle della bolla pubblicata dall'Avogadro. Da quanto abbiamo detto, ben si comprende quanto fossero larghi i diritti ed estesi i possessi della Chiesa Biellese. Sappiamo anche qualche cosa di piu determinato, quale uso, cioè, e distribu- zione facessero di tutte queste sostanze i canonici, ai quali erano donate spesso con intenzione che l'offerta servisse a suffragio delle anime dei defunti. Il documento del 1204 ci fa sapere che la res S. Stefani era divisa fra i cano- nici. Tutto — e le vigne e i fitti in danaro e il frumento — veniva diviso in tre parti, in modo che per ciascuna restassero quattro canonici, che facevano altra di- visione tra loro: si stabilisce l'ordine di partecipazione ai detti redditi nei casi di assenza e nei modi specificati dal documento. Con un’altra pergamena, 1207, 12 di- cembre (appendice, doc. nr. VI) il vescovo Lotario di Vercelli ordina al preposto e ai canonici di dividere tra loro quanto hanno in comune, e specialmente il grano che resta ancora indiviso, comanda sia distribuito secondo la maggiore o minore frequenza ai divini uffici. Negli statuti concessi dal vescovo Ugone, si dice, che se alcun canonico rimarrà assente dalla chiesa per un mese — wel interpollatim uel continue — non lo si incolpi; ma se continuerà ad essere assente perda la porzione che gli spetta nel tempo di sua assenza, e questa si divida tra gli altri canonici. D Se poi, trovandosi in ferra e non impedito da malattia * uel manifesta alia causa * et non fuerit in ecclesia ad aliquid officium , non possa percepire quanto gli spet- terebbe in quel giorno (1). Questi statuti furono confermati da Martino e approvati da Bernardo vescovo Portuense e legato apostolico. In appendice (doc. nr. VII) si troverà il diploma del vescovo Bernardo che conferma questi statuti. I canonici davano poi aleuni beni a coltivare per un determinato tempo e a certe condizioni, ordinariamente alla metà del raccolto. La formola adoperata per questo contratto, che non è altro che la mezzadria, era: * canonici sancti stefani * de bugella dederunt ad benefaeiendum nomine laborerii , (2). Altri in affitto me- diante pagamenti in danaro o in prodotti del suolo. Imponevano decime anche sui mestieri esercitati, come ce ne dà prova un do- cumento del 1217, 17 gennaio (3). Con questo, Guido preposto di S. Agata delegato (1) Pergamena, Archivio capitolare di Biella, anno 1218, 13 ottobre. (2) Vedi p. es. n. 16 e n. 55, pergamene dell’archivio capitolare di Biella. (8) Pergamena, Archivio capitolare di Biella. 230 LUIGI SCHIAPARELLI 28 dal vescovo di Vercelli nella causa vertente tra i canonici di S. Stefano di Biella e Martino de Vereperto di Biella, sulla pretesa del Capitolo di esigere dal detto Mar- tino la decima del guadagno fatto durante l'anno nella sua arte di calzolaio, e sulla contestazione di costui che sosteneva nulla essere dovuto secondo le consuetudini del luogo, ed inoltre aver fatto nessun guadagno e tutto essere stato assorbito dalle Spese — sentenzia condannando lo stesso Martino al pagamento della decima, de- dotte le spese fatte nell'arte, e non quelle della casa, persona e famiglia. Il vescovo esercitava una certa superiorità nell'amministrazione e nei possessi di aleune prebende. Per la conferma delle immunità e dei privilegi ricorrevasi direttamente al pon- tefice. Celestino III con sua bolla 1194, 26 novembre (1), che incomincia coll'indirizzo * Dilectis filio Jacobo preposito et fratribus, Bugellensibus salutem et apostolicam * beneditionen ,, conferma la concessione fatta da Rainerio alla chiesa biellese. Sappiamo che papa Martino IV con bolla del 1282, 15 marzo (2) commise al- l'areivescovo di Ivrea di richiamare alla proprietà della chiesa di S. Stefano i beni che riconoscesse distratti od alienati illegittimamente, minacciando i trasgressori della censura ecclesiastica. ` Questa bolla non dovette sortire alcun effetto, perchè in data 1288, 13 aprile (3) Nicolò V ripete, colle medesime parole, quanto disse e minacciò Martino IV. Que- st'ultima produsse migliore effetto, e da una pergamena del 1289, 23 gennaio (4) risulta, che Goffredo da Montestrutto arcidiacono d’Ivrea, delegato dal sommo pon- tefice cita Giovanni Mainfredo Gorino a comparirgli innanzi fra il termine di giorni otto, per rispondere alle domande di Pietro Cutella canonico di S. Stefano. Se la chiesa biellese ricorreva al pontefice per la conferma e restituzione dei suoi possessi, ciò dimostra implicitamente come la sua autorità e ricchezza, cresciute a dismisura, cominciassero a trovare ostacoli e a patire diminuzioni. Una nuova potenza, una nuova società, la laicale andava sviluppandosi di più in più: però tra queste due società non vi fu dapprima antagonismo, anzi dal co- mune accordo, dalla comune cooperazione fiorì la libertà comunale. VII. Siamo oramai all'alba del Comune. Nelle concessioni, nei privilegi e nelle franchigie date dal vescovo Uguccione agli abitanti di Biella si riscontrano le prime manifestazioni di una vera autonomia laicale, i principii, gli inizi della libertà comunale affermata piü tardi colla promul- gazione degli statuti. (1) Appendice, doc. n. II. (2) Bolla inedita, Appendice, doc. n. VI. (3) Ibidem, doc. n. IX. (4) Pergamena, Archivio capitolare di Biella. 29 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 231 Il vescovo Ugucione godette molto favore presso l'imperatore Federico I, che con diploma 17 ottobre 1152 (1) gli confermo i privilegi e le possessioni della chiesa Vercellese, mostrandosi ben disposto e accondiscente verso di lui. L'Ughelli nota pure questa accondiscendenza per Ugucione, “ quem , dice egli, .* cum Fridericus Aenobarbus in paucis diligeret in eiusdem gratiam Vercellensem * Ecclesiam hoc subiecto gratioso diplomate exornavit, quo omnia privilegia, atque immunitates, quascumque alii Caesares Vercellensi ecclesiae indulsissent, rata esse * jubebat , (2). Ora Ugucione, favorito da tale donazione imperiale, pensó di costruire nella parte più elevata di Biella detta piazzo un castello, che potesse all'occasione offrirgli sicuro asilo. Ma la parte della città fino allora abitata era quella detta piano, e difficilmente gli abitanti l'avrebbero abbandonata, essendo questa più favorevole al commercio e all’industria, onde, per indurre i Biellesi ad occupare la nuova loca- lità, volle loro accordare alcuni privilegi. L'importante documento fu pubblicato per la prima volta dal Mullatera (8) e poi ripubblicato nei Mon. hist. patriae (4). Suona così: “ Domnus hugucio episcopus inuestiuit homines bugelle nominatim de monte uno “ qui nominatur placium per feudo , esigendo che coloro i quali volessero abitarlo gli « giurassero fedeltà come vassalli al loro signore, con ampia libertà di vendere tra di loro, però non “ ad alium hominem qui non sit eiusdem loci abitator ,. Aggiunge: * remisit eis hominibus banna que erat usus habere in supradicto loco bugelle preter “ illa que hie subtus legitur ,, ossia quelli di furto, omicidio ed aleuni altri. L'Ughelli ricorda queste concessioni colle parole: *... e valle in montem, quem * vulgo Platium appellant dicitur transtulisse Bugellae oppidum anno 1160, quod | * pluribus attributis privilegiis illuc profecturis frequentandum curavit , (5). Il eronista Giacomo Orsi (6), che visse nel XV secolo, parla alquanto distesa- mente di Ugucione, e la sua narrazione torna di lode a questo vescovo, che si può ritenere come aver posto le basi del Comune. Accennando il cronista all'invito fatto da Ugucione ai Biellesi di abitare il Piazzo, aggiunge che il vescovo, vedendo gli animi diffidenti per le difficoltà di abitare detto monte, * satius iudicans amore et * studio, quam vi et metu homines in suam sentenciam adducere, consilium pro tempore capit. Cognoscit se frustra tantam provinciam suscepisse, nisi omnibus irritamentum aliquod proponeret, quo illos, fere mente deiectos, in spem amplam erigeret „ (7). Il vescovo allora * evocatis ad se principibus benigne narrat quidquid D D D (1) Mon. hist. patriae, Chart. IL, coll. 277-9, n. 233; Sruwrr, n. 3646. (2) Italia sacra, 2* ediz., IV, pag. 779. ( I, coll. 633-4, n. 859. ., IV, pag. 780. letteratura. ed arti, vol. II, pag. 171, dice che essa & “ un prezioso manoscritto ,. Il chiar. commen- datore Pierro Vavra, “ pregevole per molti rispetti , (Op. cit., pag. v). L'Onsr, Bugellae docens, scrisse la sua cronaca ^ Bugellensis senatus rogatu compulsus ,, come egli stesso dice mella prefazione. Non dovette certo mancargli la facilità di esaminare i documenti originali, (7) Op. cit., pag. 9. 1 i 232 LUIGI SCHIAPARELLI 30 * egerit „ che egli aveva mirato non tanto il suo quanto l'interesse generale. “ Deinde, * continua il cronista, docet nulli debere acerbum laborem videri, qui sibi et posteris * guis libertatem pararet ,. E concede agli abitanti del Piazzo tre privilegi: del mercato, del macello e della giurisdizione. In questo gli storici biellesi concordano perfettamente colle notizie di G. Orsi: * Ipsum Placium per notarios, litteris publicis, « * macello, mercato ac iurisditione condonat ,. Il cronista ha per questo vescovo ammirazione grande * Dénique nullo labore * fessus, nullis fastidiis fractus, nullo taedio affectus, quantum cura et viribus effi- * cere, quantum amore persuadere, quantum ingenio et industria assequi potuit, nun- * quam destitit , (1). Per completare il ritratto di questo vescovo, così caro ai Biellesi, dovrei ripor- tare ancora un brano del nostro cronista, in cui ne descrive la morte (2). Ha parole eloquenti. Ma il brano è troppo lungo, e mi limito a trascriverne poche parole, che possono supplire a quelle che ometto: “ O bugellam morte tanti viri merito lugubrem “ atque desolatam! Quid te iuvit tanto nos parente orbare? , (3). Nonostante che ormai il Comune fosse costituito, erasi tuttavia riservata al Vescovo una parte della giurisdizione civile e criminale; infatti nel citato documento di investitura agli uomini di Biella, si dice bensì, che “ remisit eis hominibus banna * que erat usus habere in suprascripto loco bugelle ,, ma, aggiunge tosto “ preter * illa que subtus legitur ,, ed erano “ periurium, homicidium sive plagam, pisca- * tiones et cacias et ea que pro comuni utilitate loci posuerint „. La forma di comune non escludeva che si rendesse obbedienza ad un principe o ad un vescovo; il governo comunale importava autonomia, non assoluta. libertà. Si noti, che fin d'allora i Biellesi erano esenti dal pagamento di fodro e di taglia al vescovo. “ Non solvunt fodrum nec aliquas taleas, domino Episcopo, nec “ipsi domino Episcopo pro communi ad radia aliqua sunt adstricti , (4). Le discordie insorte tra Alessandro III e Federico I favorirono grandemente lo sviluppo dei governi comunali. Vercelli e Novara erano comprese nella lega contro Federico ; Ivrea, il Marchese di Monferrato, i conti di Biandrate e Valperga favorivano l'imperatore. Biella, che temeva assai dal partito ghibellino, pensò subito a difendersi, e riuscì ad essere vincitrice contro i Valperga che la assalirono. Qui occorre aprire una parentesi per considerare un’ espressione che si trova spesso nei documenti medioevali. Si tratta dei boni homines. L’accenno più antico che ho rinvenuto risale al 1082, da un atto di investitura di un manso fatta da Richeza di Rodolfo di legge longobarda, e da Rodolfo di legge (1) Op. cit., pag. 13. (2) Op. cit., pag. 13. (8) A conferma ulteriore dei privilegi vescovili in favore del nascente comune, veggasi il docu- mento 1177 presso Masserano, Op. cit., pag. 101. (4) Cfr. Murzarera, Op. cit., pag. 34. | | 31 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 233 saliea a Gundelmo figlio di Natale (1). * Presencia bonorum hominum euius nomina “ subter leguntur richeza et rodulfus fecerunt inuestituram guntelmo filio natalis de uno manso que ipse tenet in loco moracii. & » Nel citato atto di investitura concesso da Ugucione (1160) agli uomini di Biella ricorre la medesima espressione, ma abbreviata in homines. “ Inuestiuit homines bu- * gelle , e in fine * signum manus... hominum bugelle ,. In un documento del 19 ottobre 1176 (2) leggiamo: * Presentia bonorum hominum * tam clericorum quamque laicorum quorum nomina subter leguntur ,. È un atto di investitura di un molino colla sua roggia concessa dal vescovo di Vercelli Guala ai canonici di B.; è dato in Vercelli. In altre carte riferentisi alla nostra città (3) ri- corre la medesima frase; benché si parli dei boni homines di Vercelli, nondimeno debbono essere ricordate, appartenendo esse pure alla nostra storia, e servendo a darci notizie maggiori di quelle che potremmo avere dalle carte in cui si parla dei boni homines di Biella. Cid che nei documenti biellesi à incerto, nelle carte Vercel- lesi, piü numerose, appare chiaro. Certe forme di amministrazione non si possono ben comprendere se si restringe l'esame ad un piccolo centro. Alla corporazione dei boni homines partecipavano tanto i laici quanto i sacer- doti, né si può però affermare che la prevalenza fosse piuttosto dei primi, che dei secondi. Dai documenti Vercellesi risulterebbero più numerosi i laici; ma un giudizio sicuro in proposito non può darsi. Sull’autorità civile di questi boni homines nel distretto biellese non possiamo affermare nulla, neppur di probabile, per la deficienza di documenti. Le attribuzioni loro sono varie e non ben conosciute. Li incontriamo ad assu- mere l'ufficio di giudici, e spesso alla sentenza del giudice segue un arbitrato dei boni homines. ll Davidsohn cita appunto un diploma nel quale la loro qualità di ar- bitri viene paragonata a quella dei giudici. Infatti, dice egli, l'azione dei giudici in alcuni casi trapassa in quella arbitrale dei boni homines, così quando dei cinque ho- mines et alii plures, che finiscono una lite, uno è giudice (4). L'appellativo di boni homines non comprendeva differenza di nazionalità: era dato tanto a quelli che vivevano secondo il diritto romano, quanto a quelli secondo il longobardo; ai laici come agli ecclesiastici, e non era neppure di impedimento l'esercizio di qualche mestiere. Nei documenti biellesi compaiono con una giurisdizione molto limitata, quella cioè, di arbitri, di testimoni nelle investiture (p. es. doc. del 1082): notisi che en- trano con tale autorità non solo negli atti laici ma anche in quelli vescovili, o meglio, di natura ecolesiastica (p. es. quello citato del 1176, 10 ottobre). L’importanza di questi boni homines appare ancor più manifesta da un esame dell'atto di investitura del monte Piazzo agli uomini di Biella, dove hanno la tutela . , (1) Pergamena, Archivio civico di Biella. (2) Mon. hist. patriae, Chart. II, coll. 1051-2, n. 1556. (3) Così p. es.: Mon. hist. patriae, Chart. JI, coll. 1086-7, n. 1584 e in Masseraxo, Op. cit., pag. 101. (4) Origine del consolato, “ Archivio stor. ital. ,, serie V, vol. IX, pag. 231. Serie II. Tom. XLVI. 30 234 LUIGI SCHIAPARELLI 32 dell'intiera cittadinanza. “ Dominus Uguccio inuestiuit homines bugelle de monte “uno qui nominatur placium... , e poi “ Signum manus domini Ugutionis et ho- * minum bugelle qui hoc breve fieri rogauerunt. Signum manus Petri Retrue et Gi- * sulfi qui pro communi honore et utilitate eius ville hoc breue acceperunt ,. Questi due homines bugelle Pietro Retrua et Gisulfo incaricati di accettare i patti, compiono un uffieio assai importante, rivelano che fu loro data un' autorità grande, che la città si regolava da sè ed aveva persone che ne tutelavano gli in- teressi. L'istituzione dei boni homines — i quali entrano arbitri in questioni di diritti, la cui decisione vien sostituita a quella del giudice — si collega certamente, come nota il Davidsohn, col concetto di plebs, che ha concetto civile in relazione coi pic- coli distretti giudiziarii. In un. diploma di Ottone III (1) e in documento del 1027 (2) è appunto ricordata, la ples bugelle nel primo, nel secondo la plebs sancti Stefani. Il Davidsohn collega i boni homines coi vicini, e ricorda che nelle formole del tempo dei Merovingi sono chiamati boni homines i vicini circa manentes seu et uni- versa parocia (3). Noi non possiamo spiegare questo collegamento, o, meglio, questa dipendenza. Cronologicamente incontriamo nei nostri documenti prima i doni homines e poi i vi- cini. Il seguire la trasformazione che dovette certo succedere, il notare il passaggio immediato dell'autorità riesce impossibile per la deficienza di documenti. È un filo spezzato di cui non restano che alcuni tratti. Abbiamo visto nel 1082 e nel 1160 i boni homines esercitare uffici che spetta- rono più tardi ai consoli, abbiamo trovato nel 1090 i vicini bugelle con diritto di acquistare possessi, abbiamo notato che questi sono i primi accenni di un corpo distinto di Biellesi con poteri e diritti proprii, che, sotto Ugucione, ottenne libertà e privilegi, e cosi, parmi, abbiamo assistito al beato sorgere del Comune. I consoli compaiono tardi, gli statuti sono promulgati tardi, ma l'autonomia risale assai più in addietro. (1) Sroxez, n. 323. (2) Mon. hist. patriae. Chart. I, coll. 458-9, n. 269. (8) Sui boni homines cfr. il lavoro di P. Sant, Studii sull'antica costituzione del Comune di Firenze, in * Arch. Stor. ital. ,, disp. 9*, 1895. Si seosta dall'opinione del Davisonn; secondo lui “ La pro- “ cedura arbitrale conservò in ogni tempo il suo spiccato carattere diverso ed opposto a quello * della contenziosa „, pa; Italien. Leipzig, 1896, p: g. 9 e segg.; cfr. anche: L. Heremans, Zur Entstehung der Stadtsverfassung in 33 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 235 VIII. Aggiungo notizie intorno alle varie professioni di legge. Nello spoglio ho tenuto conto solo delle professioni esplicitamente ricordate, escludendo senz'altro quelle che potevano dedursi mediante più o meno sode con- getture. Il Vesme ed il Fossati (1) hanno fatto lo spoglio delle professioni romana e longobarda per le città di Asti e di Novara, e trovarono, che dal 945 al 1000 in Asti sono nominate 79 persone viventi con legge romana e 32 con legge longobarda, in Novara 15 con legge romana e 9 con legge longobarda. Il prof. C. Cipolla fece una ricerca conforme per Asti sino al 948 (2). Il mio spoglio giunge sino al 1200 988, 9 novembre (3). — Rotofredo figlio di Adone, qui professo sum ex nacione sua lege uiuere salica. Onemondo, Costone, Pietro e Giovanni, wiuentes lege salica. 996, 8 ottobre (4). Onemondo e Gausone e Ingalberto, lege uiuentes allemannorum. 1010, 9 febbraio (5). — Restoldo, lege langobardorum. Costantino, legem wiuere allamannorum. 1010, 20 marzo (6). — Pietro, lege langobardorum. 1027, 14 luglio (7). — Benedetto, lege langobardorum. 1027, 14 luglio (8). — Garino e Giovanni fratelli, qui professi sumus lege uiuere lan- gobardorum. 1031, 18 gennaio (9). — Giovanni e Bruna, lege romana. Arnaldo e Guntardo e Beringerio, lege romana. 1069, 8 agosto (10). — Aldeprando prete, lege langobardorum. Obiro e ..., lege wiuentes romana. 1082, 1 aprile (11). — Richeza, lege langobardorum. Rodolfo, lege salica. 1085, 12 settembre (12). — Eremperto, lege romana. (1) Vic. della proprietà in Italia, pag. 198. (2) Audace vescovo d'Asti, pag. 149 e segg. (8) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 278-9, n. 164. (4) Ibidem, Chart. II, coll. 58-9, n. 39. (5) Pergamena, Archivio civico di Biella. (6) Ibidem. (7) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 458-9, n. 269. (8) Ibidem, coll. 459-61, n. 270. (9) Ibidem, coll. 491-2, n. 282. (10) Mon. hist. patriae, Chart. II, coll. 161-2, n. 125. (11) Pergamena, Archivio civico di Biella. (12) Ibidem. 236 LUIGI SCHIAPARELLI 34 1089, 7 giugno (1). — Lorenzo e Giovanni fratelli, legem uiuere romana. Alberto e Ricardo, legem wiuentes romana. 1090, 7 marzo (2). — Ottone e Benedetta, lege uiuere romana. 1101, 12 gennaio (3). — Andrea ed Alessandrea, lege wiwere romana. 1114, 6 giugno (4). — Uficia e Ottone, lege langobardorum. 1115, 1 aprile (5). — Sienfredo e Alberada, lege romana. 1141, (6). — Miala, lege salica. 1155, 3 novembre (7). — Pietro, lege langobardorum. 1159, (8). — Pietro, maggiore di S. Stefano, lege romana. 1167, 1 aprile (9). — Ardicione e Chilavola, lege salica. 1172, 18 gennaio (10). — Ottone e Sabinia, lege romana. 1173, 2 febbraio (11). — Pietro de Novello, Tolomeo ed Emilia, lege langobardorum. 1184, 10 febbraio (12). — Giacomo di Tollegno e sua moglie Agnese, lege lango- bardorum. 1197, 13 maggio (13). — Ottone e sua moglie, lege salica. Del secolo X abbiamo un documento che ci presenta cinque professioni di legge salica, ed un altro quattro professioni di legge alemanna. sec. XL — 7 di legge longobarda 15 $ romana 1 È salica sec. XII. — 8 di legge longobarda 7 $ romana 5 d salica. Risulta: legge salica 11 persone, legge longobarda 15, legge alemanna 4 e legge romana 22. Anche da questo piccolo spoglio possiamo farci un concetto dell’ etno- grafia locale: l'elemento romano & fortissimo e supera di molto il longobardo e il salico; segue per importanza l'elemento longobardo. Esaminando i pochi documenti che possediamo — già più volte citati — si pos- sono trovare tracce di parole in volgare, che vengono a confermare l'influenza del- l'elemento romano e della coltura romana. E sopratutto palese la terminazione ita- liana in O nei nomi proprii di persona e di località. (1) Mon. hist. patriae, Chart. L, coll. 687-8, n. 411. (2) Ibidem, coll. 689-91, n. 413. (8) Ibidem, Chart. II, coll. 189-90, n. 148. ) ) 8. ) Ibidem, coll. 1112-3, n. 1610. ) Pergamena, Archivio civico di Biella. 35 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 237 Della potenza dell’elemento longobardo nei secoli XI e XII abbiamo notevoli e incontestabili esempi. Debbo far notare, che l'illustre Troya, non solo sostenne la cessazione della * Romana cittadinanza sotto i Longobardi , ma volle persino vedere in Biella fin dal 1090 un comune longobardo. Cito l’intiero passo: “ Poche parole mi rimangono a dire sull'indole tutta Longobarda dell'undecimo secolo. Non solo in Mantova, ma eziandio nell'assai minore città di Biella noi troviamo nel 1090 il nuovissimo comune | Longobardo, avendo gli uomini di questa radunati nel pubblico mercato, fatto laequisto di una casa posta in Vernado, per quattro lire e cinque soldi milanesi, venduta da Ottone detto Risus e da sua moglie Benedetta, viventi a legge Romana. Questa capacità d acquistare posseduta dagli uomini di Biella era certamente più antica del 1090 , (1). Ma è possibile parlare di comune in Biella nel 1090 per il solo fatto che troviamo indicato il possesso dei vicini? Nè si dimentichi che questo è il primo ricordo dei vicini, e anteriormente abbiamo un solo accenno dei consortes; ora da queste due uniche testimonianze di possesso in comune si può dedurre l'esi- stenza del comune, e tanto più di un nuovissimo comune Longobardo ? | Dallo spoglio fatto precedentemente delle professioni di legge troviamo nel se- colo XI numero 7 di legge longobarda, e 15 di legge romana: l'evidente differenza ri- HN sponde in modo irrefutabile all'asserzione del ch. Troya. | Perd l’elemento longobardo ha avuto la sua importanza, e dell’ esistenza sua e | dell’autoritä esercitata si sono conservate tracce fino a tempi assai tardi. | Il signor Vincenzo Ferrero Ponziglione in una nota al documento del 25 luglio | 1195 (2) dalla parola mundualdo deduce la persistenza delle costumanze longobarde in . || | Biella. Il nostro spoglio delle professioni di legge conchiude anche più. | | Anche dal documento che unisco in Appendice (nr. IV) abbiamo chiara testimo- | nianza del mantenersi delle istituzioni longobarde; infatti è un contratto, nel quale entra come venditrice una donna, la quale ha bisogno della “ noticia propinquorum * suorum ,, cioè del padre e del fratello, i quali la interrogano “ secundum legem f »* (1) Della condizione dei Romani vinti dai Longobardi, pag. 331. (2) Mon. hist. patriae, Chart. I, coll. 1170-2, n. 1630. ES] LUIGI SCHIAPARELLI 36 NOTA AGGIUNTA I documenti qui riportati sono tutti in originale e ben conservati. Il documento nr. I, che va ascritto tra le carte pagensi, è un breve. Precede il titolo * Breue recordationis pro futuris temporibus ad memoriam retinendam ,, cui segue l’invocatio “ placuit deo ,. Nella narratio si espone come Armaniger leghi alla chiesa di S. Stefano un molino posto sul Sarvo, ecc.; manca affatto l'escatocollo. Questo documento deve annoverarsi tra le forme di notitiae o breves che servono a tener memoria di aleuni contratti. Esso presuppone la cartula, benché esplicitamente non indicata, e deve considerarsi come una notitia o brevis investiturae. Mancando l'escatocollo non possiamo neppure decidere a chi fosse destinato; ma è probabile al Capitolo di S. Stefano, cui veniva legato il molino, ed a cui tornava utile con- servar memoria dell'offerzione. Tutte le altre carte pagensi qui riferite mancano dell’ invocatio, incominciando subito colla formola cronologica: “ Anno dominice incarnationis ,. Non così avviene per tutti i documenti biellesi; solo i più antichi contengono esplicita l'invocazione. Presento qui uno spoglio delle formule d’ invocazione e delle formule cronologiche dei documenti dell'archivio Capitolare di Biella fino all’a. 1218, e tengo, per mag- giore uniformità e chiarezza, lo stesso procedimento usato dal prof. C. Cipolla nelle sue ricerche intorno all’invocazione dei documenti astesi (1). Indico, cioè, con A l’invocazione * In nomine Domini Dei et Salvatoris nostri Jesu Christi ,, con a la formula cronologica recante gli anni dei monarchi, con B la mancanza di qualsiasi invocazione, con B la formula cronologica * anno ab incarnatione domini nostri Jesu “ Christi ,. Quest'ultima si abbrevia in * anno dominice incarnationis », ed anche in * anno domini ,, e ció secondo il variare dei formulari dei notai: rappresento con 8' la prima, con 8" la seconda. A fianco registro il nome dei notai (2). 1 BB — anno 988, 9 novembre. . . . notarius Andrea (3) d Dass cu ung OE SOO PTO M nana e Adam (4) Aa — , 1004, 30 settembre. ... . A Olricus (5) 4 Àoa — , 1010, 9 febbraio | . . . 5 Johannes (6) DO I cT. dÜSTEZO us os x Johannes (7) 6 Aa — , 1027, 14 luglio $ Gezo (8) (1) Miscellanea di storia italiana, XXV, pag. 276-9. (2) I numeri progressivi sono quelli del catalogo delle carte dell'archivio capitolare di Biella; quelli ommessi indicano che le carte non servono per il nostro studio. (3) Mon. hist. patriae, Chart. I, col. 278, n. 164. (4) Ibidem, Chart. IL, col. 58, n. 39. (5) Ibidem, col. 282, n. 287. (6) Ibidem, col. 871, n. 217. (7) Ibidem, Chart. I, col. 375, n. 219. (8) Ibidem, col. 459, n. 270. 37 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 239 7 À a — anno 1031, 18 gennaio . . . . notarius Letbrandus (1) 8r Beda = 414451069, Eet =. entres 4 Johannes (2) 9BB —:5 1089, 26:maggio: à DS A Anselmus (3) 13B Bear 4 e EE sta $ Bonizo (4) ABB. o9, 120081 Aufebbralocs EE " Ulricus EE Er Sat Lage È id. 16 B p! — , 1901; 23% giugno 2 s ` id. 17 B£'-— , 1201, 3 agosto. T. lag. À id. EE Bron RE Be herr «rer f y Mandolus Grossus TOB Biei n 21909 24 Apri Mate » Ulricus 20.B.B. — 1202, 25 aprem eee mn e id. 91 Pelle EE EE i a ÿ id. 29 B B' —. 4909-18 rapxile raie: " id. 28 B B'.—.. „.1203, 18 aprile s di. -. È " id. PERSA 1209,59 OH au od UR r id. SREL TA fis 5 id. E 1008 ugo stette $ id. DB Re, 1904 18 masrzo-... xos m id. 28.D. Blue or 2044/22. aprile: is ed. on $ Teobaldus DORE TOUT RRE EE prs b Ulrieus SUB our 00 DORTODDEBIO- uini» $ id. SIDA emule DE v hos 3 Teobaldus SD a 0 IE : d - id. 34 BB — , 1210, 20 gennaio di TER. b Enricus EE Ek EE E wlan " Mainfredus 80 BP =, E Ee E EES " id. S BERE en DE een DEE » id. 9B.B.p'icc EE 3 Johannes SON RI SOA SA COSO RE Men) 5 Egidius E Tod a zo TRANS 5 Mainfredus 41 Bep e Tree f id. 49» Bl cT oT OAO VEDEA a s » id. ER ei BE SE d id. 45 TH TEE 5 SONT ee 0 s Johannes Ae i ee COAN T c cet 3 Mainfredus KEE EE a x Jacobus Ag Buge e TG E o id. 49. Bilan EE O quen F Mainfredus BO Bapa IG OAOA E cg $ Alexandrus 59 Up pere sr KEEN EE ^ Mainfredus ) Ibidem, col. 491, n. 282. ) Ibidem, Chart. II, col. 161, n. 125. ) Ibidem, Chart. I, col. 687, n. 411. ) Ibidem, col. 722, n. 435. 240 LUIGI SCHIAPARELLI 38 I due più antichi documenti presentano la formula B, poi vengono parecchi colla formula A o, in ultimo ricompare e si mantiene costante la B ß. Si vede come queste formule siano intimamente legate e ricorrano sempre unite. Nei documenti Astesi secondo lo studio del chiariss. prof. Cipolla, la formula doppia A o si trova fino al 980 circa, indi compare la B8 che si mantiene per un decennio, poi ritorna la A a fino al 1025 circa, quando domina sovrana la B, solo per breve tempo, verso il 1050, spodestata dalla A a. Le carte biellesi ci dànno nel sec. X la formula BB, nel sec. XI fino al 1069 la Aa, e da quest’epoca fino al 1218 — limite del mio spoglio — la formula B f. L'apparire di ß’ o di 9" è affatto dipendente dai singoli notai, che avevano un proprio frasario adoperato con scrupolosa uniformità. I diplomi vescovili qui citati, non presentano, sia nel protocollo, sia nell'ésca- tocollo, alcuna forma che possa avvicinarsi a quelle imperiali. Riguardo alle abbreviature noterò, che incontrasi un solo nesso corsivo, quello di et nel doc. I, frequenti le solite abbreviature per segni determinati, numerosissime e capricciose quelle per segni indeterminanti, abbastanza frequenti quelle per lettere minute, rare le abbreviature desinenziali col punto in fine. Nessuna sigla. Il carat- tere è il minuscolo chiuso e regolare. Le bolle sono da classificarsi tra quelle dette dal Gloria (1) intere, ossia munite del sigillo con la impronta da una faccia e dall’altra. La bolla di Nicolò IV non possiede più il sigillo, ma sono palesi le traccie del- lantica esistenza. Il sigillo delle altre due bolle à plumbeo, attaccato al margine inferiore della pergamena; quella di Celestino III da una cordicella serica gialla e rossa, quella di Martino IV da una rozza cordicella bianca. Le loro leggende sono rispettivamente: a) D CELE|STINVS |: PÒ- III — K S. PA S PE (teste degli apostoli Pietro e Paolo). b) D MAR|TINVS|-PP: III — K S PA S PE (teste degli Apostoli). (1) Compendio delle lezioni teorico-pratiche di paleografia e diplomatica, Padova, 1870, pag. 587. 39 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 241 DOCUMENTI SecoLo XI (senza data). Armaniger di Biella lega alla chiesa di S. Stefano un molino presso il torrente Cervo ed una vigna mediante la celebrazione di tre anniversari al anno," dando alla predetta chiesa 4 soldi imperiali di fitto all’anno. Xx Breve recordationis pro futuris temporibus ad memoriam retinendam. Placuit deo et arma- niger de buiella quod iudicauit ecclesiae sancti Stephani de prephato loco molendino uno edi- ficato in saruo et uinea que iacet clausetum. Ita ut ipse armaniger tenetur in se infrascriptum molendinum et uinea donec uixerit et uxor eius se et sui heredes si habuerit in dando ficto omni anno IMI solidos imperialium . et debetur habere communiter clerici prephate ecclesie tam magni quam piccilli suprascriptum fictum et godimentum et expendere in simul. et debetur facere per III uices in anno anniuersarium . et unusquisque presbiter debet canere unam missam ad festum saneti nicholai . in ramoliua in pentecostes et fictum quod redditum fuerit de infra- scripto molendino et uinea medietatem sancti martini et medietatem pasc (Pergamena conservata nell’Archivio capitolare di Biella, n. 11). II. (Roma, 26 Novembre 1194). Celestino III prende sotto la sua protezione la chiesa Biellese conforme alle concessioni di immunità fatte ad essa da Rainerio vescovo di Vercelli e confermate dai vescovi Sigifredo, Anselmo e Gisulfo. Celestinus episcopus seruus seruuorum dei. Dilectis filio Jacobo preposito et fratribus Bu- gellensibus . salutem et apostolicam beneditionem . Iustis petentium desideriis dignum est nos facilem prebere consensum et uota que a rationis tramite non discordant effectu prosequente complere. Eapropter dilecti in domino filii uestris iustis postulationibus grato concurrentes as- sensu? personas et ecclesiam uestram bugellensem cum omnibus bonis que impresentiarum rationabiliter possidetis aut in futurum iustis modis deo propitio poteritis adipisci? sub beati Petri et nostra protectione suscipimus. Specialiter autem concessionem super immunitatem uestrorum hominum per bone memorie Rainerium quondam uercellensem episcopum factam. et a Sigifrido Anselmo et Gisulfo suis successoribus confirmatam sieut prouide facta est. et hactenus obseruata. et in autentico ex inde confecto plenarie continetur. auctoritate apostolica confirmamus. et presentis scripti patrocinio communimus. Nulli ergo omnino hominum liceat hane paginam nostre protectionis et confirmationis infringere uel ei ausu temerario contra ire. Si quis uero hoe attemptare presumpserit. indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se nouerit incursurum. Datum Laterani VI. Kalendas Decembris. ‘Pontificatus nostri Anno Quarto. (Pergamena dell'Archivio eapitolare di Biella). Serre Il. Tow. XLVI. 31 242 LUIGI SCHIAPARELLI 40 Fu pubblicata per la prima volta da Gustavo Avogadro (op. cit., doc. I) in forma assai scorretta: per questo ho creduto opportuno di trascriverla fedelmente, tanto più che l'abate Avogadro non si fece scrupolo di aggiungervi una intiera linea. Il D passo da lui falsificato suona così: * ..... grato concurrentes assensu personas et | | | | | “ ecclesias sancti Bartholomei, sancte Marie de Valle Orope, et ecclesiam vestram * bugellensem cum omnibus bonis que.... ,. T. (Vercelli, 3 ottobre 1196). È Alberto vescovo di Vercelli conferma all’archipresbiter di S. Eusebio il diritto di investitura e di conferma del Maggiore di S. Maria eletto dai canonici di detta : chiesa. | Anno dominice incarnationis millesimo centesimo nonagesimo sexto Indicione XIV tertio die mensis octobris. Cum dominus Albertus dei gratia Uercellensis Episcopus inuestisset Do- minum Guilielmum capitaneum de Uerono et alios canonicos. qui electi fuerant in canonica ecclesie beate Marie de Maioria eiusdem ecclesie. in qua prefatus Dominus Guilielmus Major | electus fuerat ipsum non inuestiuit. Quia eiusdem Maioriae inuestitura ad Archipresbyterum | beati eusebii a parte et nomine ipsius Archipresbiteriae pertinet sicut in publico instrumento | inde facto per omnia continetur. Cuius tenor hic est. Confessus fuit dominus Gonellas Maior Ecclesie beate Marie Uercellensis coram domino predicto Alberto Uercellensi Episcopo, una cum fratribus suis Marco, Guidoneboso, Guale Uieecomite, quod debet recipere inuestituram sui offieii Maiorie ab Archipresbitero ecclesie beati Eusebii. Nam si ecclesia beati eusebii uacaret Archipresbitero tempore ipsius Gonelli Maioris liceat ei interim suum officium Maiorie exercere. | Il Incarnationis cuius instrumenti erat MCXCV primo die mensis Nouembris. Set postea modico | spacio temporis delapso in predicto die tercio mensis octubris. In Palacio ueteri Uercellensi, super bancum quod est iuxta murum, qui diuidit ipsum Palatium ueterum a Parlatorio nouo ipsius Domini Episcopi, quod est ante Capellam S. Ambrosii Dominus Mandolus dei gratia | Uercellensis Archipresbiter, inuestiuit prenominatum Dominum Guilielmum capitaneum de Ue- rono, electum in Maiorem ecclesie beate Marie Uercellensis. de Maioria ipsius eeclesie. qui a fratribus eiusdem eeclesie sanete Marie ipsi Domino Archipresbitero fuit ad confirmandum. re- presentatus presentibus ipsis fratribus ipsius Maioris et aliis uidelicet Domino Guala Archidia- cono. Domino Manfredo Preposito. Presbitero Jacobo cantore. Magistro Conrado de bugella. i Guilielmo aduocato. bonifaeio et tridino. Opizone de casali. Guilielmo de Guidolardis. Anrico | de frascarolio. Raimundo de Guiscardo Canonici sancti eusebii de ipsis canonicis sanete Marie. Magistro marcho. magistro Guibaso. Guala Uicecomite. Garino. Guidone de uolta. Anrico Uicecomite. presente etiam Guilielmo Preposito saneti Graciani et bono Johanne eius canonico et Alberto de Salugia. et Otone camice testibus. Ego Uercellinus notarius pretaxate inuestiture interfui. et iussu eiusdem Domini Mandoli Archipresbiteri. sicut supra legitur per omnia. et etiam tenorem autentici ipsius instrumenti in presenti charta scripsi. (Pergamena dell'Archivio capitolare di Vercelli). 41 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 243 IV. (4 febbraio 1200). Ottobono di Biella e Vermegla sua moglie vendono a Guglielmo de Maggiore, pure di Biella, un sedime con vigna ed alberi. Anno dominice incarnationis millesimo ducentesimo die quarto intrante Februario. Indi- cione tercia. Uendicionem et datum fecerunt ad proprium Ottobonus de Alexandro de bugella eiusque iugalis uermegla una cum noticia propinquorum suorum hii sunt petrus pater suus et trancherius eius frater a quibus secundum legem interrogata et inquisita fuit Vuilielmo de maiori de bugella nominatiue de quodam sedimine terre iuris sui simul cum area et hedifficiis cum vinea et arboribus et omnibus suis pertinentiis in integrum et iacet in loco bugelle coherit ei a duabus partibus uia a tercia terra rolandi Guialardi a quarta filiorum iohannis nepotis siue ibi alie sint coherencie et quodcumque infra istas coherencias inueniri potuerit in eadem per- maneat uendicione et dato eo modo quod de hine in antea uilielmus suique heredes et cui dederint de cetero habeant et teneant predictum sedimen cum area et hedifficiis eum uinea et arboribus ut supra cum superioribus et inferioribus seu cum finibus et accessionibus et omnibus rebus ipsi sedimini aliquo modo pertinentibus in integrum et faciant exinde proprietario nomine quiequid uoluerint sine omni contradicione infrascriptorum iugalium eorumque heredum insuper predieti iugales per se et per suos heredes defendere et vuarentare debent predictam uendicionem omnibus suis sumptibus infrascripto Uuilielmo suisque heredibus et eui dederint sub dupla restau- ratione et defenssione ab omni homine contradicente iure ef racione sicut pro tempore fuerit meliorata aut ualuerit et ita promisserunt per omnia adtendere et firmum tenere ut supra et pro sic obseruando per omnia ut supra obligauerunt ei per pignus (sic) omnia sua bona que habent et adquesierunt et de sic adtendendo per omnia ut supra extiterunt fideiussores ita ut quisque eorum in solidum conueniri possit Vlricus de Gualdenco petrus de henrico et fatius de bugella renuntiando omni exceptioni et omni constitutioni legis obligantes ei per pignus (sic) omnia sua bona insuper ipsa uermegla laudantibus et confirmantibus predictis parentibus suis remissit omne ius quod habebat in predicta üendicione et renuntiauit omnibus adiutoriis et defensionibus legum quibus se tueri possit et iuri ypothecarum et pro hac uendicione fuerunt confessi infrascripti iugales se aceepisse ab eodem Vuilielmo renuntiando exceptioni non numerate pecunie quadra- ginta et duas libras denariorum bonorum imperialium actum platio in porticu eiusdem Ottoboni predieti iugales hanc cartam fieri preceperunt. Interfuerunt testes magister Guido Ottobonus de silo Jacobus de Giorna Guido de Sapelo Gandulfus bouerius Gisulfus de retrua matheus de paui- gnano petrus de odo et Jacobus de Gregorio de bugella. [S. T.]. Ego Ulrieus sacri palatii Notarius interfui et scripsi. (Pergamena dell’Archivio capitolare di Biella, n. 14). V. (Biella, 19 ottobre 1204). I canonici del Capitolo di S. Stefano (di Biella) convengono di dividere i beni in tre parti in modo che per ciascuna vi siano quattro canonici. Anno Dominice Inearnationis Mill. Ducent. quarto XIV Kalendas nouembris Indictione VIII magister Jacobus prepossitus ecclesie bugellensis et fratres eius ipsius ecelesie cannonici scilicet presbiter Marchissus presbiter Wilielmus presbiter Jacobus Johannes de bama Wilielmus de 244 LUIGI SCHIAPARELLI 42 collecapra petrus rubeus ambroxius de archipresbitero Wilielmus fantonus magister Guido co- muni assensu et uoluntate diuisserunt uineas communes et ficta denariorum et frumenta eiusdem ecclesie usque ad decem annos in tres partes ita ut in una quaque illarum trium partium quatuor debeant esse canoniei qui sedimentum ipsius partis inter se diuidant si uero contin- geret quod aliquis uel aliqui de ipsis sociis extra locum bugelle habitarent sine causa studii siue alia occassione consortes qui domi fuerunt portionem ipsius qui extra mansserit sicut suam procurent et comunitati fratrum congrua estimatione capituli consignent preterea si con- tingeret quod deus auertat aliquem ipsorum fratrum infra predictum terminum ex hae uita migrare tunc liceat prepossito si uoluerit sine contraditione aliorum partem illius qui decesserit accipere ef relinquere suam si autem prepossitus eam noluerit thesaurarius accipiat eam si uult si uero thesaurarius noluerit primicherius sacerdotum et post eum alii secundum locum et ordinem suum facta est autem hec diuisio salua iurisdicione prepossiti cum consilio capi- tuli super omnibus predictis communibus et scilicet saluis inuestituris successionibus causis bannis fodris rogiis carrigiis et omnibus aliis que ad iurisdicione pertinent que omnia cum consilio capituli ad prepossitum debeant pertinere et ita promisserunt adtendere actum bugelle ad ecclesiam saneti Stephani. ; Interfuerünt testes maginfredus custos et maginfredus filius baue de bugella. [S. T.]. Ego Vlricus notarius interfui et scripssi. (Pergamena dellArchivio capitolare di Biella, n. 99). Mb (Vercelli, 12. dicembre 1207). Lotario vescovo di Vercelli ordina al preposto ed ai canonici di Biella di divi- dere tra loro quanto hanno in comune e specialmente il grano ancora indiviso. Lotarius dei gratia Vercellensis Episcopus Dilectis in Christo fratribus Jacobo preposito et canonicis bugellensibus, salutem in domino Preceptum quod de diuisione comunium ecclesie uestre facienda per quatuor anni tempora nos fecisse recolimus, sine diminutione qualibet uo- lumus et precipimus in ecclesia uestra de cetero inuiolabiliter obseruari. De grano autem quod adhue à uobis indiuisum seruatur quoniam quidam uestrum frequentius et magis'eontinue, alii uero rarius atque segnius diuinis officiis interesse noscuntur, uobis qui portatis pondus di[o- cesis| et estus harum auctoritate litterarum committimus, quatinus prout discretioni uestra uidebitur his qui eontinue minus ecclesie deseruiunt partem aliquam de ipso grano impendere debeatis, ita quod uobis qui magis in offitio desudatis pares uel equales minime fiant et qua forte aliquotiens ecclesie deseruiunt benefitio suo non omnino priuentur et hoc in similibus casibus uolumus de cetero et precipimus obseruari. Datum Anno millesimo ducentesimo septimo duodecimo die mensis Decembris. (Pergamena dell’Archivio capitolare di Biella, n. 32). VII. (Civitavecchia, 15 marzo 1282). Martino IV papa, dietro richiesta del Capitolo di S. Stefano, commette all'ar- cidiacono d’Ivrea di richiamare alla proprietà della stessa chiesa i beni alienati ille- gittimamente, minacciando delle censure ecclesiastiche i trasgressori. 43 ORIGINI DÉL COMUNE DI BIELLA 245 Martinus episcopus seruus seruuorum dei. Dilecto filio.. Archidiacono yporiensi salutem et apostolicam beneditionem. Dilectorum filiorum .. Prepositi et Capituli sancti Stephani Bugellensis Uercellensis diocesis precibus in- clinati presentium tibi auctoritate mandamus quatinus ea que de bonis ipsius eeclesie alienata inueneris illieite uel distracta ad ius et proprietatem eiusdem ecclesie legitime reuocare pro- cures. Contradietores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Testes autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore subtraxerint censura simili appellatione cessante compellas ueritati testimonium perhibentes. Datum apud urbem ueterem Idibus Martiis pontificatus nostri Anno secundo. (Pergamena dell’Archivio capitolare di Biella, n. 241). VII. (Bologna, 7 febbraio 1287). Bernardo vescovo Portuense e legato apostolico al Capitolo di S. Stefano ap- prova gli statuti di Ugone già stati confermati dal vescovo di Vercelli Martino. Bernardus miseratione diuina episcopus Portuensis Apostolice sedis legatus Dilectis nobis in Christo. Preposito et Capitulo ecclesie saneti Stephani de Bugella Vercellensis diocesis sa- lutem in domino. Cum a uobis petitur quod iustum est et honestum tam uigor equitatis quam ordo exigit ut id per sollicitudinem officii nostri ad debitum perducitur effectum. Sane peticio uestra nobis exibita continebat quod bone memorie Hugo uercellensis episcopus ad reforma- tionem seu salubrem statum ecclesie uestre pro ut ad eum spectabat intendens de consensu uestro auctoritate ordinaria statuit et eciam ordinauit quod si aliquis ex uobis per unum mensem interpolatim uel continue ab eadem ecclesia fuerit absens de fructibus prebende sue ipsius eeclesie illo anno occasione huiusmodi absencie nihil perdat sed si forte ultra huiusmodi mensem se ab eadem ecelesia absentabit nisi demum hoe ex permissione uestra seu ex impe- x recederet absens pro rata temporis sue ‘absencie de ipsius prebende prouentibus anni admittere debent dimento legitimo aut de ministerialis uel ufficialis uestri licencia de ecclesia pred porcionem, et huiusmodi portio sie subtracta cedere debeat concanonicis uestris qui intererunt horis canonicis et residentes fuerint in eadem. et quod nullus ex uobis de quibuscumque oblationibus pro uiuis aut defunctis in eadem ecclesia obuenientibus nisi in officiis diuinis que illarum contemplacione fierit presens fuerit dummodo uel huiusmodi permissio aut impedi- mentum siue licencia interuenerit aliquid percipere debeat uel habere sed huiusmodi portio dictarum oblationibus taliter subtrahenda predictis residentibus et illis maxime qui officiis ipsis intererint tota cedat. Item etiam episeopus statuit quod redditus et prouentus prebende primi anni cuiuslibet uestrum cedentis uel decedentis in utilitatem ecclesie uestre et specialiter in ornamenta ecclesiastica pro ut uobis uisum fuerit ex tunc in perpetuum integraliter conuer- tantur. Et quedam alia statuta edidit dietus episeopus salubria et honesta que ad laudem dei ad cultum diuini nominis et ipsius ecclesie comoda et necessarias utilitates pertinere noseuntur pro ut in instrumento publico inde confecto plenius dicitur contineri idque bone memorie Martinus successor dieti Hugonis episcopi primo et uenerabilis in Christo pater Aymo episcopi Uercellensis dicuntur postmodum confirmasse. Nos itaque uestris supplicationibus quod supra. Nos itaque supplicationibus inclinati quod super hoe prouide perpendentes etiam gratum et ratum habentes id auctoritate qua fungimur confirmamus et presentis scripti patrocinio communimus. In euius rei testimonium presentes litteras fieri fecimus et nostri sigilli munimine roborari. Datum Bononie VII Idis Febr. pontifieatus domini Martini episcopi TII Anno tertio. (Pergamena dell'Archivio civico di Biella). 246 LUIGI SCHIAPARELLI 44 IX. (Roma, 13 aprile 1288). Papa Nicola IV incarica l’arcidiacono d'Ivrea di far restituire al Capitolo di San Stefano di Biella quanto gli spetta. Nicolaus episcopus seruus seruuorum dei Dilecto filio .. Archidiacono Yporiensi salutem et apostolicam beneditionem. dilectorum filiorum . . prepositi et Capituli ecclesie saneti Stephani Bugellensis Uercellensis diocesis precibus inclinati presentium tibi auctoritate mandamus qua- tinus ea que de bonis ipsius eeclesie alienata inueneris illicite uel ad ius ot proprietatem eiusdem legitime reuocare procures. Contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Testes autem qui fuerint nominati si se gr a odio uel timore sub- ante compellas ueritati testimonium perhibentes. Datum Rome apud sanctum petrum Idus Aprilis pontificatus nostri Anno primo. traxerint censura simili appellatione ces (Pergamena dell'Archivio capitolare di Biella, n. 257). A 45 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 247 ALOUNE QUESTIONI SUI VITTIMOLI Le notizie che finora possediamo sugli antichi Vittimoli sono assai scarse ed incerte, nonostante gli studi di pareechi ricercatori. Né siamo ancora in chiaro sul posto sia dell’antica aurifodina, sia del * pagus ,, sia del * castrum Victimoli ,. Alcuni elementi per la ricerca ci sono, e furono anche studiati, ma non tutti almeno con sufficiente diligenza. Località dell’aurifodina dei Vittimoli. Il più antico scrittore che ci faccia ricordo della miniera dei Vittimoli è Stra- bone. Il passo suona testualmente così: Tà dè ueraMa vuvi uèv oùx Ónoíuc évrat0a Orovddlera did tò Aucırek&otepa Tou eivai tà èv Toig Ómepalnetoig KeXroig kai Tfj ’IBnpia, mpôtepov dè éomoubóZero, émel xoi èv OdepréAlois xpuowyetov fiv. Kwun © Zo minotov ’IxrovuovAwv, xai Taurng KWung, dupw è eigi gent TThaxevriav (MemerE, Lipsiae, 1866, vol. I, p. 299). Strabone ci dice adunque che nel Vercellese vi era una miniera d'oro, e vicino a questa la Kwun ’lkrouuoëÿ\wv; segue poi un genitivo rode xung affatto isolato, senza dipendenza aldina, indi il numerale &upw. Pare indubitabile, che ci troviamo davanti ad una lacuna: manca la determinazione della tavtng küunç, manca lindi- cazione dei due villaggi secondo l'autore situati presso Piacenza. La lacuna che pre- senta il passo ci vieta assolutamente di collegare taurng «unc con dupw è’ eioì nent TT\akevriav (1). Segue l'autorità di Plinio: * Extat lex censoria Ictumulorum aurifodinae, Ver- * cellensi agro, qua cavebatur, ne plus quinque millibus hominum in opere publi- * cani haberent , (H. N., XXXIII, 21, 12). Plinio concorda con Strabone nel collocare questa miniera nell’agro Vercellese, vale a dire nel paese dei Libici. (1) Il Dunax»: (Dell'antica condizione del Vercellese e dell’antico borgo di Santhià, Torino, 1766) esaminando questo passo di Strabone, cosi serive: " Egli-(Strabone) nomina poi un borgo vicino * agli Ictimuli, donde apparisce, che quel borgo non era collocato sul monte dove si scavavano le * miniere, perciocchè ancora a’ suoi tempi doveva quel monte ritenere il nome di Ictimulo, siccome * nei bassi tempi seguito a chiamarsi Vittimulo, e non si potrebbe dire un luogo collocato sul * monte Ictumulo vicino agli Ictumuli , ecc. (pag. 57). Il Dvranoı unicamente preoccupato di fissare ad ogni costo Santhià come centro dei Vittimoli dà all'avverbio mAnotov un significato che non ebbe punto: l'avverbio mAnolov corrisponde al nostro vicino, prossimo, e tale è il significato che ha presso gli scrittori greci. 248 LUIGI SCHIAPARELLI 46 Il diploma di Lodovico il Pio e di Lotario dell’anno 826 (cfr. sopra pag. 5) ci fa sapere che la città di Biella si trovava nel pago dei Vittimoli, appartenente al comitato Vercellese. Or bene, come è notorio, nella località detta Bessa, si hanno traccie evidenti di un’antica escavazione del terreno per la ricerca dell'oro. Quintino Sella così descrive questa regione: * Chi si reca da Biella alla Serra attraversa, fra Mongrando e Zubiena, una singolare regione, che porta il nome di Bessa. Immagi- nate una specie di pianura sulla quale sorgano non le piramidi d' Egitto, ma alti cumuli di ciottoli rotondati, che paiono tolti ieri dal letto di un fiume , (1). E passa poi a dimostrare come la Bessa sia stata un campo di lavatura di sabbie aurifere. Altri studiosi ed eruditi, già prima del Sella, emisero lo stesso giudizio. Il Ro- bilant (2) descrive con minuziosità quel luogo. Il Gastaldi (3) riconosceva pure la * un antico e vastissimo lavaggio che fa parte del cono di deiezione della Baltea ,, e nella seduta del 2 giugno 1851 della Società geologica di Francia dava comunicazione di questo antico deposito d'oro (4). Il dott. Federico Sacco scrive: * La caratteristica regione arida e ciottolosa della Bessa, come pure regioni consi- mili di fronte a Mazzè, presso il molino del Ghé in valle Olobbia, ecc..... non ci rappresentano altro che il diluvium, denudato dal solito velo di loess e rimaneggiato all'epoca romana.... ciò si fece specialmente per mezzo di cunicoli (di cui riman- gono tuttora le tracce) per estrarre le pagliuzze d'oro , (5). Non mi pare più possibile aleun dubbio. Strabone e Plinio concordano nel col- locare questa miniera nel Vercellese, il diploma dell’826 ci assicura che Biella fa- ceva parte del pagus dei Vittimoli, la regione Bessa (6), nel Biellese, fu indubi- Bessa come (1) Sulla costituzione geologica e sull'industria del Biellese, in “ Atti della riunione straordinaria della Soc. ital. di Sc. nat. ,, tenuta in Biella, sett. 1864. (2) Essai géographique suivi d'une topographie souterraine, minéralogique et d'une docimasie des états de S. M. en terre ferme, in * Mémoires de l'Académie royale des Sciences ,, Turin, 1786, pag. 217. (3) Sulla riescavazione dei bacini lacustri, in “ Memorie della Soc. ital. di Sc. nat. ,, vol. I, p. 25. (4) * Bulletin de la Société Géologique de France ,, t. VIII, serie 2°, pag. 482. (5) I terreni terziarii e quaternarii del Biellese. Torino, 1888, pag. 9-10. (6) Per il significato del nome Bessa vedi Bruzza, Op. cit., pag. 323. Gli storici biellesi (cfr. Murrarera, Ricerche sull'origine e fondazione di Biella e suo distretto, pag. 25 e segg.; MasserANO, Op. cit.), coll'intento di collegare l'origine e la prosperità di Biella coll’aurifodina, sono d'avviso che questa miniera debba collocarsi nei monti sovrastanti alla città. Ma, nessun documento può sostenere le loro opinioni, anzi, è certo che nei monti biellesi non si è mai escavato oro. Tl Duranpi (Op. cit., pag. 54) dice, che * le miniere d'oro che si scavavano nel loro distretto (dei ^ Vittimoli) non erano solamente collocate nel monte oggidì della Bessa, detto così da S. Besso “ martire della legione Tebea..... ma ve ne erano anche fuori di quel sito negli altri attigui, o vicini “ colli ,. Quest'asserzione non è precisa. È vero che anche dopochè la miniera dei Vittimoli fu chiusa si fa cenno dell’oro che veniva ancora scavato nel Vercellese (vedi pag. 17), e si parla pure di miniere d’argento e di rame nel Biellese, ma ciò non ha punto attinenza colla miniera dei Vittimoli. Dai Bissioni (Arch. civico di Vercelli, vol. II, pag. 78 e segg.): “ Anno dominice incarna- “ tionis millesimo ducentesimo tricesimo indicione tercia die lune duodecimo ante kalendas Junii. “In nomine Domini nostri Jesu Christi facto conscilio et quasi concione in ecclesia sancte trini- “ tatis multe magne quantitates hominum societatis sancti Stephani et ibidem mandato Domini “ Sanguinis agni alzati potestatis ipsius societatis et eius uoluntate conuocato ad quod Concilium “ multi alii homines huius ciuitatis Vercellarum tam milites quam pedites et qui non erant ex “ illa societate et ex maxima unimia uoluntate conuenerant. dominus Ubertus de bulgaro et Rainerius “ et Ghisulphus filii eius et dominus Jacobus de bulgaro et Ubertus et Uuilielmus fratres nepotes “ eiusdem domini Uberti. Et dominus Bertolinus de Saluzola et Ghisulfus de Saluzola nepos eiusdem 47 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 249 tatamente in tempi antichissimi un campo esteso di lavatura di sabbie aurifere; possiamo concludere, che appunto in questa determinata località si trovasse l'auri- fodina rieordata dagli scrittori. II. Il * pagus Uictimolensis ,. Col chiudersi della miniera venne a mancare ai Vittimoli la sorgente princi- pale del loro commercio: e gli accenni scarsi ed incerti che ancora rintracciamo in qualche documento medioevale non ci attestano la laboriosa attività e floridezza di un popolo dedito ai lavori della miniera. Dopo l'età classica la prima menzione dei Vittimoli trovasi nel citato diploma dell'826, dove si parla del loro pagus. Il nome pagus fu adoperato anche nel Me- dioevo nel significato di un territorio abbastanza esteso, corrispondente al nostro attuale mandamento o distretto. Numerose testimonianze si potrebbero allegare in conferma, ma la chiarezza delle espressioni del nostro passo non lasciano dubbio intorno all'estensione che, nel nostro caso, dobbiamo dare al vocabolo pagus (p. 14-15). Biella era adunque ascritta al pago dei Vittimoli. Il pagus dei Vittimoli s'incontra anche in un'iscrizione pubblicata dal Durandi (1); se fosse autentica, essa proverebbe che Santhià ricevette tale nome dalla regina Teodolinda, essendo prima chiamato Via longa, e che apparteneva al pagus Victimo- lensis. Il Bruzza (2) la dichiarò “ una impostura moderna ,; il Mommsen (3) la col- e " bertolini per se et fratres suos ibi absentes nomine pure et mere deuotionis fecerunt datum et “ cessionem predicto domino sanguini agni potestati et Domino petro bicherio et domino martino * bieherio et in eorum manibus recipientium uice et nomine Comunis Vercellensis, Nominatiue de “ omnibus eorum rationibus uiribus et actionibus que et quas uel habebant uel habere uidentur “ seu uissi sunt uel habere possent in illa argenteria siue uena argenti auri azurri et aliarum rerum “ que inuenta est uel inueniri possit de cetero in monte illo qui dicitur et uocatur mons asolate et in alpe ipsius montis et eius pertinenti ,, ecc. ecc. Seguono due atti di investitura di queste miniere (essendo potestà di Vercelli Guarnerus de Casteliono) a Imberto de patrico de briza ed altri: si determinano queste miniere del distretto Vercellese * et specialiter in monte Quadre, et de “ montacio et de assolata ,. Benchè nel Biellese, tali miniere non hanno alcuna relazione con quella dei Vittimuli, che fu definitivamente chiusa durante la sottomissione dei Salassi per opera di Varrone Murena. Antonio Rusconi (GÜIctimoli ed i Bessi nel Vercellese e nel Novarese, Novara, 1877) pone nella Bessa la miniera ricordata da Strabone e da Plinio (pag. 19), poi, basandosi su curiosa etimologia dei Vittimoli (= minatori), trova altre loro miniere sulle sponde del Ticino (pag. 43 e segg.). (1) Riporto l'iscrizione (Dunaxpr, loc. cit., pag. 84): " Oppidum nuper | Sanctae Aghatae | Jub. ^ Regina Theodolinda | Vicus antea viae | Longae ictumulo | Rum pago | Forum frequentissi | Mum ^ quod Romae | Olim viros consul | tres sibi patronos | cooptabat ,. Non risulta affatto che Santhià fosse il centro del pagus, come ne deduce il Durandi, e non & punto motivata la correzione che consigliava il Murrarera (loc. cit., pag. 50), pagus Ietimulorum. Il Donan la dice scoperta nel 1763. Lo stile della iscrizione non ha sapore d'antico, ma le inda- s gini su tale riguardo non sono ancora esaurienti. (2) Op. cit., pag. 351. (8) C. 1. L., V, pag. x. Serre IL. Tow. XLVI. oo Eë 250 LUIGI SCHIAPARELLI 48 locò tra le spurie. Il Durandi assegna al pagus i seguenti confini: * dalle prime eol- line superiori ai territori di Piverone, Masino e Moncrivello a ponente, a mezzodi tirando una linea, che poscia pieghi a levante e comprenda il territorio di Santhià, e di qui tirando un'altra linea a settentrione fin quasi al fiume Cervo, che termini però alquanto di qui da Biella: tutto il tratto compreso nelle predette linee appar- teneva agli Ictumuli , (1). Il Durandi ha proprio tralasciato di ricordare la regione che indubitatamente vi faceva parte, cioè Biella, come il diploma dell’ 826 ne dà indiscutibile testimonianza. Opino che il pagus dei Vittimoli occupasse un'estensione assai notevole, e precisamente comprendesse quanto più tardi costituiva il contado di Santa Agata (2) e il totum buiellensem (3). D diploma di Ludovico il Pio e di Lotario e l'iscrizione edita dal Durandi — dato che possa ritenersi come autentica — sono gli unici documenti che facciano menzione del pagus; più tardi incontreremo il castellum ed il montem. Victimuli. I due centri massimi del pagus, acquistata forza ed autorità propria, matura- rono i germi della propria autonomia, delle prime libertà comunali, e perciò inco- minciarono pure ad avere una storia propria. Compare nel 999 il totum buiellensem da una parte, dall'altra il comitatum. S. Agathe: il pagus uictimolensis così sfasciato più non esiste nè in potenza, nè in fatto; i ricordi dell’antico popolo ci sono ancora e solamente ricordati dal castellum e dal montem wictimuli; dopo il sec. XI si perde traccia anche del nome. TL Il “ castellum Victimuli ,. In due documenti del secolo X — un diploma di Ottone III, 999 (4), e una notizia che si trova nel ms. XV dell’ archivio Capitolare di Vercelli (5), ed in un diploma di Corrado II del 7 aprile 1027 (6), compare il castello dei Vittimoli; nei (1) Op. cit., pag. 69, 70. (2) Cfr. il lavoro citato del DunAxpr. (8) Vedi sopra pag. 10 e segg. (4) Srumer, I, n. 1190; Sıcker, n. 328. (5) Pubblicata, dopo l'edizione di MünrsAcuzn, ma con parecchie emendazioni, dal prof. C. Creorta in Di un diploma perduto di Carlo ITI, “ Atti della R. Accademia delle scienze di Torino ,, vol. XXVI; ripubblicata dal medesimo in facsimile: Sulla notizia Vercellese riguardante un diploma perduto di Carlo III, * Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, vol. XXX. Il prof. Cipolla ha con molto acume confrontato questa notizia col diploma conosciuto di Carlo III dell'882 e col diploma di Ottone III del 999; traendo profitto dalle sue ricerche possiamo notare, che il castello dei Vittimoli ricordato nella notizia, — la quale riferisce donazioni di Carlo III “ sanctissimo patri Eusebio , —, compare bensì nel diploma del 999, ma ivi non si dichiara che Carlo III ne facesse menzione (eppure il verbo confirmamus ...castellum Victimuli attesta una dona- zione anteriore) e non si trova punto accennato nel diploma che conosciamo di Carlo III. D'altra parte la nostra notizia usa l'espressione: ^ dedimus curtem..... et curtes duas in castello Uictimo- “ lensi ,, espressione che non ammette l'idea di conferma. Ne risulta evidentemente sempre più avvalorata l'ipotesi del Cipolla, che la notizia si riferisca ad un diploma perduto di Carlo III; in questo si troverebbe la prima donazione del castello vittimolense alla chiesa Vercellese. (6) Bowen, I, n. 1935. 49 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 251 diplomi di Enrico II, 15 aprile 1007 (1), di Corrado, 1028-1031 (2) e di Enrico III, 17 novembre 1054 (3), il monte dei Vittimoli. Le espressioni castello e monte si corrispon- dono (4). Dove era situato questo castello? L'importanza del quesito è massima, alla sua soluzione sono subordinate tutte le altre ricerche. È certo che il castello doveva trovarsi entro i confini del pagus, probabilmente in vicinanza della miniera; ma in quale determinata località? Gli storici vercellesi, eccetto il Durandi, non si sono di proposito occupati di tali ricerche, quantunque, quasi di sfuggita, ne abbiano toccato. Che il Durandi (5), il quale farebbe castello dei Vittimoli Santhià, che il Cor- bellini (6), il quale opina che sulle rovine di Vittimulo siasi fabbricato il villaggio di Salussola, siano in errore, basta ricordare che nel citato diploma di Ottone III e nella notizia del sec. X troviamo indicati separatamente il castello dei Vittimoli, Santa Agata, Santhià e Salussola. Il Bellini (7) lo colloca dove vi era l'abbazia della Bessa, il Ferrario (8) a Cerrione; ma queste opinioni non sono affatto appoggiate da documenti storici. Ricorre un'altra ipotesi, accettata da alcuni scrittori vercellesi, che, cioè, il castello dei Vittimoli debba collocarsi nella valle di S. Secondo in vicinanza di Sa- lussola (9). È questa congettura che prenderò in particolare esame, e, basandomi su un documento finora trascurato per questo studio, cercherd di avvalorarne l'impor- tanza storica. E una vita manoscritta di S. Pietro Levita conservata nell' Archivio Capitolare di Vercelli (10). L'anonimo biografo ci fa sapere che il corpo del santo fu sepolto nella (1) Srumer, I, n. 1445. (2) Mon. hist. patriae, Chart. I, col. 523. Srumer, n. 2126. (8) Srumer, n. 2462; cfr. Gasorro, Op. cit., pag. 283, nota 5. (4) Cfr. Du Caner, alla voce montes. (5) Op. eit., pag. 57 e seg. (6) Conszurziwr, Delle storie di Vercelli, ms. Bibl. civica di Vercelli, libro II, cap. 11. (7) Serie degli uomini e delle donne illustri della città di Vercelli, I, 82. (8) Catalogus sanctorum, ai 12 di marzo; cfr. De Gnxaonv, Istoria della Vercellese Letteratura ed arti. Torino, 1819, I, pag. 161; cfr. L. Grassi, Sul martirologio della chiesa di Ventimiglia in ms. del sec. X esistente nella biblioteca municipale, in * Atti della Società Ligure di storia patria ,, IV, 1866, Appendice, pag. 467. (9) Così il Cusani, Storia di Vercelli, ms. Bibl. civica, pag. 384-5; Innocenzo Fınerri, Storia di Vercelli, ms. Bibl. civica, pag. 22. Il Bruzza ricorda che “ la tradizione e gli scrittori collocarono * Vittimulo sui colli che stanno sopra la Bessa, e propriamente nella valle di S. Secondo non molto “lungi da Salussola , (Ferrero, Vita S. Eusebi, Vercelli, 1609, pag. 23), loc. cit., vm, (10) Esistono in detto Archivio due copie della vita di S. Pietro Levita (cod. zem, fol. 79 7-82v; cod. xxxiv, fol. 196 r-201v). Di contenuto del tutto eguale, non furono scritte dalla stessa mano e differenti sono i caratteri: mentre la prima ? in gotico puro, la seconda presenta forme rotondeg- gianti proprie del carattere romano. Tuttavia non possono essere state scritte a molta distanza di tempo l'una dall'altra, e, da quanto potei rilevare, parmi che la prima abbia servito di testo alla seconda, e che entrambe risalgano alla seconda metà del XIII secolo; certo, non può assegnarsi loro un’antichità maggiore del XIII e inferiore alla prima metà del XIV secolo. Il Merza (Della Chiesa di Vercelli) parla “ di una gotica relazione dell'a. 968 esistente nell'archivio capitolare sovra * Ja traslazione del corpo del Levita ,; nel giornale * Correspondance de Rome ,, anno 1865, n. 359, pag. 209, in un articolo del 1° giugno sul nostro santo, si fa ricordo della vita ms. esistente nel- l'archivio capitolare, e si scrive: * Un manoscritto del 1118 il quale conservasi negli archivi * di Vere... , ecc. Non mi risulta che l'archivio possegga altri mss. della vita del Santo: i due da me esaminati non possono certo riferirsi a tale antichità. E probabile che un soverchio ottimismo ed esagerato zelo abbiano indotto in errore i citati scrittori. 252 LUIGI SCHIAPARELLI 50 basilica di S. Pietro principe degli Apostoli, e che in seguito "a romana sede ad “ uictimul castrum antico uocabulo cesareanum dietum, clam adductum est ,. Ag- giunge: ^ Ed (sic) ideo usque modo romani sperant memoratum sanctissimum corpus | * incontaminatum reseruare, quod uictumulenses summa deuotione uenerantes cu- | “ stodiunt. Ceterum ex credibilis fame certa et antiqua relatione eiusdem loci natu- | “ ralis munitio, nequitia consentientium habitatorum prisco est destituta solatio post | * longam menium et ecclesiarum euersionem, omnipotentis clementia in sanctorum | * suorum exaltatione mirabilis. serui sui uenerabile corpus nulli penitus mortalium | “ ubi esset cognitum nobilibus salutiole reuelare disposuit per quandam matronam | “ eis genere propinquiorem ,. Veniamo così a sapere che il nostro castrum era detto | Cesareanum, benchè negli atti ufficiali si incontri sempre il nome di Vittumulo (1). | | I Salussolesi riescono, dietro l'indicazione della matrona, a rinvenire il corpo | del santo. “ Huius itaque inuentionis proceres nimis exultantes et omnipotenti deo | * gratias agentes. ad deferendum sanctissimum corporis onus deuoti subeunt, et iuxta * facultatis et scientie uotum munerum persoluentes? cum hymnis et canticis ad [ * castrum conuexerunt salutiole. 3 * Adueniens igitur ingo (2) uenerabilis uercellensis episcopus dedicauit eccle- * siam in beati petri nomine. et in ea miro celebritatis affectu gloriosi leuite corpus * eollocauit ,. Non una parola sulla distanza del castrum dei Vittimoli da quello di Salussola, , non accenno aleuno ad opposizione dei Vittimoli contro i Salussolesi, che traspor- tavano nel loro castro le ossa del santo: ció mi induce a credere che i proceres sa- lutiole fossero allora signori di Vittimulo. | Il biografo passa poi a narrare i miracoli che il santo operd nella nuova sede. * Qualia ibi miraculorum signa beati petri intercessionibus claruerint? silentio pre- * teriri minime debent. Inimica namque temptatio humane pacis inuidia turbatrix * non modice discordie semina iactauit inter prenotatos proceres et bulgarenses non 3 * inferiores sanguine? propter prediorum communium inequalitatem ? funebres bel- 4 * lorum concitauit insultus? cuius uiperei ueneni utraque pars imbuta? agros uasta- | (1) Il Cusani (l. c, pag. 382) riporta il seguente passo di Boninus Mombritius: * In loco uno | * miliare prope Castellum Cæsarianum qui ab Annibale nomen Uictumulii accepit eo quod quindecim * millia virorum ibidem fuere qui contra Annibalem aciem proposuerunt ,. Vedi CoRBELLINI , Op. cit., pag. 46. (2) Sull'anno della traslazione delle ossa del santo da Vittumulo a Salussola si sono sollevate difficoltà. Mons. Brizio crede che sia avvenuta sotto il vescovo Ugone, l'a.1220 (Progressi della Chiesa Occ. pag. 508), così pure Mons. Coen (Corona Reale, parte II, pag. 268). Il Ferrario (ai 12 marzo, pag. 148) la pone nel 1480. Negli. Acta SS. Bolland. (1668) mart. II, 211, e in MAzILLON, Acta SS. Bened. (1668), 1*, 497 si riferisce la data che si trova nel Catalogus sanctorum. Italiae ai 12 di marzo. L'età delle due copie mss. della vita del santo, conservate nell'arch. cap. di Vercelli, escludono senz'altro l'ultima data; inoltre si legge chiaramente Ingo (cfr. anche Gregory, Op. cit., p. 161). Il eod. xLvir ha Ingo... cui segue una piccola raschiatura dello spazio di due lettere: proba- bilmente leggevasi Ingo[ne]. Il cod. xxxiv, che, secondo le mie osservazioni dipenderebbe diretta- mente dal precedente, ci dà solo, e in modo distinto, Ingo. Il biografo parlando dei miracoli operati dal santo adopera questa frase: “ plurimi adhuc uiuentes narrando testantur, asserentes... p, frase che ci fa pensare ad un tempo piü antico che non il principio del XIII. Nulla si oppone ad am- mettere che veramente la traslazione sia avvenuta sotto il vescovo Ingone (secondo l'Uenznu, nell'a. 961; It. sacr., IV, 769); cfr. Gams, pag. 825. 51 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 253 * uerunt, uineas radicitus euellentes, habitationes rusticorum comburentes? omnem * spem uiuendi incolis abstulerunt ,. Si ferma a descrivere con minuti particolari la lotta tra partigiani dei Bulgari e dei Salussolesi (1): questi, in grazia dei miracoli del santo, riuscirono vincitori. L'autore non ci dice esplicitamente che le incendiate case dei Bulgari, si trovassero in dipendenza o in vicinanza del castrum dei Vittimoli, non dice neppure che esse costituissero un gruppo importante; non ne riferisce il nome. Come causa della lotta accenna solo: * propter prediorum communium inequalitatem'. funebres bellorum * concitauit insultus ,; ma è probabile che non fosse estranea la traslazione delle ossa, perché non dobbiamo dimenticare, che i Bulgari vantavano il santo come loro antenato, e ad essi si attribuisce la prima traslazione delle reliquie da Roma a Vit- timulo (cfr. De Gregory, op. cit.; Perosa, op. cit.). Quando avvenne la seconda traslazione, Vittimulo era probabilmente in mano dei Salussolesi, ma i Bulgari continuavano ad avere possessi nei dintorni; l'opposi- zione non doveva tardare a manifestarsi e non trascorse infatti molto tempo che i Bulgari si impadronirono di Salussola. Le case appartenenti ai Bulgari, di cui parla il nostro biografo, sono, in certo qual modo, in relazione col castrum, e probabilmente ne erano curtes dipendenti, dove si manteneva il nucleo dei partigiani dei Bulgari, dopochè il castro fu in po- tere dei Salussolesi. La espressione: “ Aut ubi hostes uiderunt sibi sinistre succedere , e la distru- zione delle vigne “ uineas radicitus euellentes , ci attestano che la lotta tra i Bul- gari ed i Salussolesi avvenne nella località sud-ovest dell’attuale Salussola-Monte, tra le frazioni Casazza e Chiapara, in direzione della vicinissima valle di S. Secondo. La lotta successe ^ propter prediorum communium inequalitatem ,; i partigiani dei Bulgari devastarono campi e vigne dei Salussolesi, coi quali confinavano, e come si videro sopraffatti al fianco sinistro — che formava il loro punto d’appoggio, nella * rubos cireum- * quoque notos yemali frigore siccatos. undique suecenderunt ,; ma giunge opportuno cui direzione si trovavano i loro possessi e le loro abitazioni — il miracolo: * nam ignis medietas heuri spiramine conuersa? inimicorum (cioè dei * partigiani dei Bulgari) tecta universa illine procul distantia in cineream redegit * substantiam ,. L'avverbio procul va preso in senso molto ristretto: l'autore lo usa per accrescere la grandiosità del miracolo. (1) Riporto il passo intiero, di non poca importanza per la storia locale: " Ergo cum nil aut * parum residui admunitiones opidorum remaneret, hinc inde rapine doli et insidie parantur. Tem- * poris namque oportunitate seruata quod salutiolense castrum nulla militari custodia seruaretur.' * hostium fraus occulta, rapinarum et spoliarum gaudia suis promittentes.' celerem et inopinatum * assaltum in portas fatientes castri additum conabantur inrumpere. At contra breuis rusticorum * turba diuino et beati petri animata suffragio. inermis omnis militari armatura uix firmatis por- * tarum ostaculis hostili uiolentie uiriliter restitit. Hine namque lapidum iactata copia super arma * crepitat, pauca que aderant tela uibrantur. et quiquid interiori manu est comprehensibile.' exte- * rioris spisitudini fit sensibile. At ubi hostes uiderunt sibi sinistre succedere.’ rubos circumquaque * notos yemali frigore siccatos, undique suecenderunt. Incendia itaque suberescentia cellariorum * culmina lambere ceperunt. Hostibus terga pro pauore uertentibus. claruit insigne miraculum. * Nam ignis medietas heuri spiramine conuersa. inimicorum tecta uniuersa illinc procul distantia * in eineream redegit substantiam. Reliqua uero pars flamme castrum et uenerabile templum trans- * uolans. habitata loca et agrestia fere ad unius miliarii terminum preteriit ,. 251 LUIGI SCHIAPARELLI 52 In generale, l'intera biografia ha, dallato storico, scarso valore, il meraviglioso sovrabbonda, ed è spesso goffamente narrato, tuttavia si può sceverare qualche passo degno di essere preso in esame. Cosi le espressioni citate, di carattere geografico, dimostrano nell'autore conoscenza della località, e l'episodio della lotta tra i parti- giani dei Bulgari e i Salussoli può accettarsi come vero. Da queste considerazioni e dall'esame della località parmi che le case dei Bul- gari fossero situate nel piano inferiore della valle di S. Secondo (forse nell'attuale frazione Chiapara?) E che nella valle di S. Secondo, in vicinanza dell' attuale vil- laggio di tal nome, potesse esservi un castrum, ch'io reputo quello dei Vittimoli, abbiamo convincenti testimonianze. In questo territorio, a pochi passi dall'abitato, e precisamente nella località detta Porte, fu trovata nel 1819 un'importante iscrizione, dalla quale veniamo a sa- pere che un certo Tito Sestio duumviro fondò a sue spese l'edifizio detto Ponderario. Il Gazzera (1) notò che questa è la terza iscrizione che ci parli di un tale edifizio, e che tutte e tre ci provengono da pagi. Nel Ponderario conservavansi i campioni dei pesi e delle misure, e dovevano servire contro le frodi dei venditori. La neces- sità di un ponderario era qui richiesta dalla vicinanza della miniera. Nello stesso territorio (di S. Secondo) fu pure rinvenuta l'iscrizione nr. 41 pubbl. dal Bruzza (op. cit., pag. 98), conservata a lungo nella villa detta Cè Bianca, ed ora nel Museo lapidario di Vercelli. Il campo dove fu trovata, nel 1843 * era ancora ripieno di fram- menti di varie specie di marmi che avevano servito per pavimenti ed ornati, e in una parte di esso giaceva ancora il coperchio di un grande sarcofago. In due frammenti di marmo leggevansi i nomi di Modesta e Liberata , (2). Il bassorilievo pubblicato dal Bruzza (3) (ora nel Museo lapidario di Vercelli), * scolpito probabilmente nel terzo secolo per conservare la memoria di un sacrifizio solenne ,, che * probabilmente appartiene ai magistri di qualche vico o pago del Vercellese , fu pure trovato in questa località. Ricorderd ancora un'ara di marmo rappresentante un sacrifizio, tutt'ora inedita e posseduta dal farmacista Scaravelli di Salussola. A queste notizie posso aggiungerne altre, raccolte da me in una visita fatta alla località in questione. Il villaggio di S. Secondo giace a destra della strada comunale che da Salus- sola conduce a Dorzano e continua per Cavaglià. Tra l'abitato e la strada si stende un piccolo piano artificiale limitato verso il villaggio da un muro — di divisione tra il piano inferiore e il campo superiore — alla cui estremità Nord un rudero dell'altezza di pochi metri ci attesta la scomparsa di un'antica abitazione. Questo avanzo di pareti e il muro ricordato, per la lunghezza di circa metri 30, è formato, particolarmente nella parte più bassa, di mattoni romani, che uniti al modo spe- ciale di costruzione ci presentano caratteri di una notevole antichità. Il ricordato piano tra la strada comunale e il muro è cosparso di avanzi di tegole e mattoni romani, di pezzi di mosaico. E chi si reca a visitare questa località in autunno o (1) Del Ponderario e delle antiche lapidi Eporediesi, in * Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, serie Ze, t. 14, Torino, 1852. Vedi anche Bruzza, Op. cit., pag. 55-9, n. xxix. (2) Bnuzza, Op. cit., pag. 56. (3) Bnuzza, Discorso su Vibio Crispo. Vercelli, 1848. 53 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 255 in principio della primavera quando il terreno privo di vegetazione mostra aperta- mente questi documenti della sua storia, ne riporta una viva impressione; all’ ef- fetto pittoresco di quei cocci rossi, biancastri, che spiccano su di un fondo oscuro, si associa forte il convincimento dell'antica floridezza del luogo. Il proprietario mi comunicò, che pochi anni or sono, scavando il terreno, trovò un pezzo di mosaico (andato poi distrutto) che rappresentava un suonatore col suo strumento. Da lui pure seppi che l'humus vi è poco spesso, sicchè talora l'aratro l’incontra in una superficie dura, su cui scivola. Egli crede trattarsi di uno strato in mosaico, del che fanno pure testimonianza alcuni cubetti sparsi sul suolo, dal- laratro messi di quando in quando alla luce. Quel signore mi diceva, che da esca- vazioni casuali eragli risultato, che quel terreno è intersecato da mura di molta solidità; anzi me ne tracciava la direzione. Questo spazio di terreno porta attualmente il nome di Murassi. Di fronte, ma dalla parte opposta della strada, si trova la località detta Mercato, e la gente del paese afferma che vi si teneva in antico il mercato, dove convenivano gli abitanti dei dintorni, e dove si vendeva l'oro estratto dalla Bessa. Confinante con questa, ma più a Mezzogiorno, in direzione di Dorzano, trovasi la località già ricordata, de- nominata Porte. Tutta questa regione è cosparsa di avanzi di mattoni e tegole ro- mane (1). L'iscrizione del ponderario e il bassorilievo di cui si parlò, attestano che quel sito faceva parte del centro di un pago. La località, che ci conserva ruderi di una antichità romano-medioevale, corrisponde a tutte le indicazioni che possediamo sul castrum dei Vittimoli, corrisponde alla direzione in cui si dovrebbero collocare le case dei partigiani dei Bulgari, con ogni probabilità in dipendenza di Vittimolo, di cui erano stati signori i Bulgari. Questi all’epoca della seconda traslazione delle ossa del Levita appaiono vinti dai proceres di Salussola, ma più tardi li troviamo signori di Salussola (vedi Perosa, op. cit.). Il ms. citato ci offre l'ultimo ricordo del castello di Vittimolo; non sappiamo se questo sia stato distrutto da nemici, oppure abbandonato per ragioni speciali. L'antico nome Castrum caesareanum passò al co- mune di Salussola, che oggidì ancora si legge sul suo stemma; questo ci lascia sup- porre, che i Bulgari nel trasferire la loro sede nel Castrum Salussolie abbiano vo- luto conservare il nome glorioso del castro dei loro antenati, e quindi non per devastazione, ma opportunità politica o strategica, o forse anche, come uno storico vercellese ricorda (2), per la insalubrità del luogo, il castro dei Vittimoli abbia ces- sato di esistere e in potenza e in nome. Il suo oscurarsi e perdersi favorisce il progresso del vicino paese di Salussola, onde, per un certo lato, può dirsi che Sa- lussola si sia fatto grande e prospero sulle rovine di Vittimolo, da cui ereditò il nome di Castrum Cesareanum, dai cui signori fu governato: i Bulgari. (1) Tutto il territorio del mandamento di Salussola possiede qua e colà documenti di pregevole antichità. Segnalo il colle Villa Vecchia (Magnano) a cavaliere della Bessa, dove si rinvenne un bassorilievo, forse dell'alto Medioevo, rappresentante Bacco circondato da pampini: vi sono avanzi di mura antiche; si rinvennero monete ed oggetti di metallo sfortunatamente andati perduti. La leggenda narra che su quel colle si fondesse l’oro estratto dalla Bessa. (2) Corsetti, loc. cit., libr. II, cap. 11. 256 LUIGI SCHIAPARELLI 54 IV. La città dei Vittimoli. Diodoro Siculo (1) ci descrive gli ultimi momenti della città con queste frasi scultorie : "Om oi xarà Tijv Ovıktöuekav nóXv ékroMopknôévres Guvépuyov eig TÙg idiag oiktag émi rékva Kai yuvalkas Tv éoydtn map aurWwv Anwönevor Tépuiv, ei dî) "le Zort répuic Toig GmoAuuévois el uù dakpua Kai TO TEXEUTAIOV Ev TW ZÂV TÜV OUYYEevWv domoacuóc. Taüra yàp Toig druyo0civ Exeıv Tivà dokeî kougicuóv: oi èv oùv mieîotor Ts oikiaç ÉUTPAOAVTES TIAVOIKi META TWV OUYYEVWV xorepAéy0ncav kai tòv God Tfjg idiag éocíag 1Óqov Eauroig Emeornoav, "ie dE eüwukorórug TOUG idlous mpoavelôvres éautodg èm- Katéopazav, aipetuwrepov TÔV aüTÓyeipà Odvatov ÜrolaBôvres Tods diù Tv TroAeuiwv > 9 He ÜBpewcs Ouvrelouuévou. Sfortunatamente il passo è breve, frammentario, e non ci permette di trarre indicazioni sul sito della città. L'anonimo Ravennate scrive: * Iuxta Eporeiam non longe ab Alpe est ciuitas quae dicitur Vietimula , (2). Egli, essendosi prefisso di descrivere le città che si trovavano ai piedi delle Alpi da Ivrea a Chiavenna, pone naturalmente subito dopo Eporedia, Victimula; ma non ne consegue, come vollero alcuni, che Vittimolo fosse nel paese dei Salassi. Diede luogo a disparate interpretazioni un passo di Livio, dove si parla di un D "ittimulo alla destra del Ticino (3) e di un emporio Victumvias presso Piacenza (4). Il Bruzza (5): “ La varietà però di lezione, che si osserva nei codici di Livio, nei quali il luogo medesimo è detto Vicomulis e Victumvias o da Diodoro Oùwriuuhov dà luogo a credere che questo nome ci sia pervenuto corrotto e che avendo una certa somiglianza di suono, od essendo anche omonimo, sia stato confuso con quello ch’era nel paese dei Libici, sebbene fossero due luoghi diversi ,. Il Rusconi, che vede Vittimoli nel Vercellese e sulle sponde del Ticino, colloca il Vittimolo di Livio presso “ Bettone oggi Bettola poco su da Piacenza, oppure “ Vettone oggi Bettone, che è nel territorio Perugino, quali nomi rispondono al “ Victumvia di cui discorre Livio , (6). Il Mommsen, che in un suo lavoro (Nordetrusk-Alphabete, in actis soc. Turic., vol. 7, pag. 251) ammetteva la miniera e la città dei Vittimoli nel Vercellese, nel (1) Excerpta Vaticana, libr. XXV-XXVI: * Diodori Bibliotheca historica ex recensione Ludovici “ Dindorfii ,. Vol, II, pars II. Lipsiae, 1829, pag. 64-5. (2) Partey et Pınver, pag. 251. (8) Lib. XXI, cap. 45, Wilh. Weissenborn, Lipsiae, 1887. (4) Lib. XX, cap. 57. 5) Op. cit., cxvir-vin. 6) Op. cit., pag. 38. ( ( 55 ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 257 Corpus inscr. lat. (1), ritornando a parlare di questa questione, muta avviso, e mentre acconsente a collocare la miniera nel Biellese, crede, dietro l'autorità di Livio, che la città dei Vittimoli fosse presso la foce del Ticino, e precisamente dove giace Carbonara. Esaminiamo le parole dello storico romano. Livio (XXI, 45) narra che i Romani gettarono un ponte sul Ticino, e che Annibale mandò Maharbale con un'ala di Nu- midi, a malmenare i campi degli alleati dei Romani. “ Galli parci quam maxime iubet * principumque animos ad defectionem sollicitari. ponte perfecto traductus Romanus * exercitus in agrum Insubrium quinque milia passuum a Victumulis consedit. Ibi Han- * nibal eastra habebat ,. Livio non è troppo preciso nella sua espressione: gli In- subri occupavano le due sponde del Ticino, massimamente la sinistra. Secondo Livio, l’esercito romano passò il Ticino, entrò nel territorio degli Insubri, e, naturalmente avanzandosi verso Occidente, si fermò a cinque mila passi da Vittimolo, dove An- nibale era acquartierato. Annibale esorta i soldati e promette loro premi “ Tum “ vero omnes velut diis auctoribus in spem suam quisque acceptis id morae, quod ‘ nondum pugnarent, ad potiendia sperata rati, proelio uno animo et voce una 1 pascunt ,. 46. * Apud Romanos haudquaquam tanta alacritas erat, super cetera recentibus etiam territos prodigiis... Quibus procuratis Scipio cum equitatu iaculatoribusque * expeditis profectus ad castra hostium ez propinquo copiasque, quantae et cuius ge- * peris essent, speculandas, obvius fit Hannibali et ipsi cum equitibus ad exploranda * circa loca progresso, neutri alteros primo cernebant, densior deinde incessu tot hominum equorum oriens pulvis signum propinquantium hostium fuit, consistit utrumque agmen et ad proelium sese expediebant, etc. ,. 47. “ Hoc primum eum Hannibale proelium fuit, quod facile apparuit equitatu * meliorem Poenum esse et ob id campos patentis, quales sunt inter Padum Alpesque, bello gerendo Romanis aptos non esse, itaque proxima nocte iussis militibus vasa silentio conligere castra ab Ticino mota, festinatumque ad Padum est... „. = La battaglia avvenne non lungi da Vittimolo, presso l’accampamento di Anni- bale. I Romani nella fuga si ritirarono nei loro accampamenti presso il Ticino (^ fuga * tamen effusa iaculatorum maxume fuit, quos primos Numidae invaserunt, alius * confertus equitatus consulem in medium acceptum non armis modo, sed etiam * corporibus suis protegens in castra nusquam trepide neque effüse cedendo re- * duxit ,), e nella prossima notte si affrettarono a raggiungere il Po. Nessun dubbio che Livio colloca Vittimolo tra il Ticino ed il Po, ma molto ad Occidente del primo. Al capitolo 57 dello stesso libro l'a. parla di un emporio presso Piacenza: * emporium prope Placentiam fuit et opere magno munitum et valido firmatum prae- * gidio eius castelli expugnandi spe cum equitibus ac levi armatura profectus Han- (1) €. I. L., V.2, pag. 715. Serre II. Tom. XLVI. go | 258 LUIGI SCHIAPARELLI — ORIGINI DEL COMUNE DI BIELLA 56 * nibal, cum plurimum in celando incepto ad effectum spei habuisset, nocte adortus non fefellit vigiles. Tantus repente clamor est sublatus, ut Placentiae quoque au- * diretur, itaque sub lucem cum equitatu consul aderat iussis quadrato agmine le- * gionibus sequi, equestre interim proelium commissum, in quo, quia saucius Han- * nibal pugna excessit, pavore hostibus iniecto defensum egregie praesidium est, ‘ paucorum inde dierum quiete sumpta et vixdum satis percurato vulnere ad Vic- * tumvias oppugnandas ire pergit. id emporium Romanis Gallico bello fuerat, etc. etc. „. Questo suecesse dopo la battaglia della Trebbia; Annibale era accampato alla destra del Po; emporio Victumvias si trovava certo ad Occidente di Piacenza, e sulla destra del Po. È evidente che questo emporio Victumvias non deve confondersi col Vi mulis del cap. 45 dove Annibale aveva l'accampamento, il primo situato presso Pia- cenza viene espugnato dal Cartaginese dopo la battaglia della Trebbia, il secondo, alla destra del Ticino, serviva di quartiere ad Annibale, e poco lungi successe il ctu- primo scontro con Scipione (1). Livio non discorda affatto dai ricordati scrittori che fanno menzione di Vitti- molo; non bisogna però credere che Victumulis e Victumvias si equivalgano. I Vittimoli erano nel paese dei Libici; la loro miniera era situata nell’attuale Bessa, la città probabilmente nel sito stesso del castellum nel Medioevo, e preci mente nella valle di $. Secondo in comune di Salussola. (1) Il Moses, C. I. L., V, pag. 715: * u. necesse est indicationibus Livianis, secundum quas * Victimulae aut in ipsa Padi ripa sinistra sitae fuerunt aut certe proxime a Pado prope ostia * Ticini, ibi fere ubi nune est Carbonara ,. Causa di queste inesattezze fu la non giusta interpre- tazione dei passi di Livio. L'emporio Victumvias non va neppure collocato tanto lontano da Piacenza. Ponendolo a Carbonara come si spiegherebbe il passo di Livio: * eius castelli expugnandi spe... * profectus Hannibal... nocte adortus non fefellit vigiles. tantus repente clamor est sublatus, ut * Placentiae quoque audiretur ,? Nora AGaruNTA — Vengo a conoscenza di un recentissimo lavoro di L. Rossi (Case Victumulae, Vigevano, postilla storico-glottologica, Imola, Galeati, 1896, pp. 21), in cui si sostiene che Vigevano è la trasformazione popolare di Oùytéuea, latino Victumulae, mentre letterariamente si ebbe un Victuvium; in questo vocabolo poi cessd l'evoluzione linguistica dotta. L'A. trova a Vigevano le aurifodine, e si riferisce (pag. 19, nota 2) ad una leggenda boriosa e letteraria che dà per verità storica. — Già il Wargeser mise in campo questa ipotesi, ma, come notò il Prororı (Roma e la Gallia Cisalpina, Torino, Loescher, 1893, pp. 24-6), senza dire quali motivi lo spingessero ad avere quest'opinione. Non credo sostenibile una tale ipotesi. ses Vo Si stampi: Gruseppe CARLE, Presidente. ANDREA NACCARI Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. ERMANNO FERRERO Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. ERRATA-CORRIGE A pag. 275 del vol. XLVI, serie II delle Memorie, dopo la riga 20 s'intenda scritto quanto segue in sostituzione a ciò che è ivi. (1) ovvero: (2) (3) | A [ (9, E A)69; — p: òp |= 0 | o (9. — A)d9 + pe (P: — Ad — 0, | A0 | Pı (Pı — A) dP: + 9(9; — A) dp, — 0 | (pi — A) dp: — 9,59, = 0 | ® (Qı us A)69, + De (9, — A)6 o, — 0. La coppia (2) corrisponde al caso di un obbiettivo acromatico, di cui qui non è il caso di discorrere. La coppia (3) dà (nel caso delle lenti formate della stessa sostanza) Pi + 9; — A — 0. Vale a dire che il sistema delle due lenti dev'essere telescopico. Questo risul- tamento è in contradizione con le (1) che suppongono qo; + P: — A diverso da zero. Se ne deduce quindi che l’oculare di Huvazws non è acromatico. Quello del Campani, per il quale p, = x e A=2g, è acromatico nel senso indicato dallo stesso Huygens. IATA DEIEDEDEDEN ICH ICH "f : 252 DETTES a ID DIT es saisis. ti D 3) VED, DCR Be LE AN a I, 7 KI «e PR RS JC H 2 = GOD ASCA Ha M ) en SE nera X Km men SEX SS Do Fr AEN 3 2044 093 290 666 NS N SS