. ; //S7,j9..^ NUOVI SAGGI DELLA. CESAREO-REGIA ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA VOLUME SECONDO IN PADOVA DALLA TIPOGRAFIA DELLA MINERVA M. DCCC XXV. CATALOGO DEI MEMBRI COMPONENTI L'I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA CONSIGLIO ACCADEMICO Presidente. Oignor Zecchinelli Dott. Giovanni Maria, R. Ispettore Generale, Me- dico-Sanitario delle Terme Euganee. Vice-Presidente . Signor Ab. Bonfadini Dott. Giacomo Prof. Or. di Filosofia Teoretica e Pratica nella I. R. Università. Direttore della Classe Sperimentale. Signor Da-Rio Conte Niccolò R. Direttore della Facoltà Filosofico-Ma- tematica nella I. R. Università. Direttore della Classe Matematica. Signor Cattaneo Dott. Francesco Ingegnere. Direttore della Classe di Filosofia Speculativa,, e Belle Lettere. Signor AR Zandonella Dott. Giambattista Prof. Or. della Storia Eccle- siastica, Patrologia e Storia Letteraria Teologica nella I. R. Uni- versità. Segretario per le Scienze. Signor Ab. Franceschinis Cav. Co. Dott. Francesco Maria Prof, di Ma- tematica applicata, e continuazione della Meccanica sublime dei Fluidi, Idraulica Pratica e Stradale, Geodesìa e Idrometria nella I. R. Università. IV Segretario per le Lettere . Signor Ab. Menin Dott. Lodovico Profess. Or. di Storia Universale, e Scienze Ausiliarie nella I. R. Università. archivista e Bibliotecario. Signor Ab. Bonfadini suddetto. Cassiere. Signor Montesanto Dott. Giuseppe. SOCJ ONORARI. S. A. I. R. l'Arciduca GIOVANNI BATTISTA d'Austria. S. A. il Principe Clemente Venceslao Lotario di Metternich-Winne- burg d' Ochsenhausen, Duca di Portella ec. ec. Cancelliere della Casa Imperiale, della Corte e dello Stato, Ministro di Stato, delle Conferenze e degli affari esteri ec. ec. ec. S. E- il sig. Conte Francesco di Saurau, Barone di Ligist e Wolken- stein, Gran Maresciallo ereditario della Stiria ec. ec. Ministro di Stalo, delle Conferenze e dell'interno, e Supremo Cancelliere del- l'I. R. Cancelleria Aulica ec. ec. ec. S. E. il sig. Conte Pietro di Goess, Barone di Carlsberg e Mosburg ec. ec. Gran Maggiordomo di S. A. I. R. l'Arcid. Francesco Carlo ec. ec. S. E. il sig. Conte Giuseppe di Dietrichstein, Barone di Hollenburg, Finkenstein e Ghalberg ce. ec. Gran cacciatore ereditario del Du- cato di Stiria, Gran Coppiere ereditario del Ducato di Carinlia ec. ec. Consigliere intimo attuale di Stato di S. M. I. R. A. ec. ec. S. E. il sig. Conte d'Inzaghi, Consigliere intimo di R. M. I.R. A., e Go- vernatore delle Provincie Venete ec. ec. S. E. il sig. Marchese e Conte Carlo del Mayno, Consigliere intimo di S. M. I. R. A., Vice-Presidente delle Provincie Venete ec. ec. S. E. il sig. Conte Giacomo Mellerio, Consigliere intimo attuale di Sta- to di S. M. I. R. A. ec. ec. Signor Baione Andrea Giuseppe di Stifft ec. ec. Consigliere di Stato e delle Conferenze, Archiatra e Protomedico, Direttore degli studj medici, e Presidente della facoltà medica di Vienna. Signor Giuseppe Luigi Jùslel, Consigliere Aulico, Preposto mitrato di Bunzlau ec. Assessore presso la Commissione Aulica di Legisla- zione giudiziaria. Signor Francesco Innocenzo Lang, Consigliere Aulico, Canonico di Gross-Wardein ec. Membro della Commissione Aulica degli studj. Signor Giovanni Debrois, Nobile di Brugek ec. Consigliere Aulico, Membro della Commissione Aulica degli studj. Signor Barone Luigi Tùrkheim , Consigliere Aulico e Relatore per gli affari di sanità, primo Vice-Direttore dello studio Medico-Chirur- gico ec. Membro della Commissione Aulica degli studj. Signor Leopoldo Wetzl di Wellenheim, Consigliere Aulico attuale ec. Signor Giuseppe Mayer di Gravenegg, Consigliere Aulico attuale ec. Signor Conte Francesco Mengotti, Consigliere Aulico, Vice-Presidente dell'I. B. Giunta del Censimento del Regno Lombardo- Veneto , Membro Pensionato dell'I. R. Istituto di Scienze Lettere ed Arti del Regno. S. Emin. Placido Zurla, Cardinale della santa Romana Chiesa, Arci» Tescovo e Vicario Generale di Sua Santità il sommo Pontefice Leone XII. ec. ec. S. E. il sig. Marchese Federico Manfredini, Generale e Consigliere in- timo di Stato di S. A. I. R. l'Arcid. Gran Duca di Toscana ec. ec. S. E. il sig. Conte Giovanni Capodistria, Segretario di Stato di S. M. l'Imperatore di tutte le Russie per gli affari esteri ec. ec. Signor Federico Wiebecking, Consigliere intimo di S. M. il Re di Ba- viera ec. Monsig, Modesto Farina Vescovo di Padova, Consigliere di Governo ec. Signor Conte Giovanni Battista Stratico, B. Delegato della Provincia del Friuli ec. Nobile Carlo Isidoro Roner d'Ehrenwerth, Vice-Delegato della Provin- cia di Padova ec. Signor Barone Giuseppe Francesco di Jacquin, Consigliere di Governo della Bassa Austria, Professore di Botanica nell' I. R. Università di Vienna. VI Signor Barone Girolamo Trevisan, Vice-Presidente pensionato del Tri- bunale di Appello di Venezia. Signor Cavaliere Gaudenzio Caccia in Novara. Signor Conte e Cavaliere Giuseppe Luosi, Membro pensionato dell'I. R. Istituto di Scienze Lettere ed Arti, in Milano. Signor Conte e Cavaliere Giovanni Paradisi , Membro pensionato del- l'I. R. Istituto di Scienze Lettere ed Arti, in Reggio di Modena. Signor Francesco Dott. Aglietti, Consigliere di Governo e Protomedico pensionato, Membro pensionato dell'I. R. Istituto di Scienze Let- tere ed Arti, in Venezia. Signor Conte e Cavaliere Girolamo Polcastro, in Padova. Signor Stefano Mainoni, Nobile d'Intignano, Consigliere in Milano. SOCJ ATTIVI ED EMERITI. Classe di Filosofìa Sperimentale. Li Signori Brera Dott. Valeriano Luigi, Imp. Reg. Consigliere di Governo e Mem- bro Onorario dell'I. R. Istituto, Prof. Or. di Clinica Medica e Te- rapìa Speciale delle malattie interne nell'I. B. Università. Configliacchi Dott. Ab. Luigi Prof. Or. di Storia Naturale Universale e Tecnologia nell'I. R. Università. Dalle Ore Doti. Marc' Antonio Decano della Facoltà Medica nell'I. R. Università. Da-Bio Co. Niccolò suddetto. Fanzago Dott. Francesco, Prof. Or. di Medicina Legale e di Polizia Me- dica nell'Imp. B. Università ed Imp. Beg. Direttore dell'Ospitale di Padova. Federigo Dott. Gaspare, Prof. Or. di Clinica Medica per li Cbirurgbi nell'I. B. Università. Galateo Cavaliere Antonio Claudio, antico Colonnello del Genio, pen- sionato. Gallini Dott. Stefano, Prof. Or. di Anatomia Sublime e Fisiologia nel- 1' 1. B. Università. Malacarne Dott. Vincenzo Gaetana VII Mandruzzato Dott. Salvatore, Prof. Emerito di Chimica Farmaceuti- ca nell'I. R. Università. Melandri Dott. Girolamo , Prof. Or. di Chimica Generale , Animale e Farmaceutica nell'I. R. Università. Menin Ab. Dott. Lodovico suddetto. Molin Dott. Girolamo, Prof. Or. di Veterinaria nell'I. R. Università. Montesanto Dott. Giuseppe suddetto. Penada Doti. Giacopo Medico. Renier Dott. Stefano, Direttore della Sezione centrale di Padova dell'I. Reg. Istituto, Prof. Or. di Mineralogia, Geognosia e Zoologia nel- l'I. R. Università. Zecchinelli Dott. Giovanni Maria suddetto. N. N. ( vacante. ) SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Li Signori Arduini Dott. Luigi, Prof. Or. di Agraria nell'I. R. Università. Bonato Dott. Giuseppe, Prof. Or. di Botanica nell'I. R. Università. Caldani Dott. Floriano, Prof. Or. di Anatomia Umana nell'I. R. Uni- versità. SOCJ ATTIVI Della Classe Matematica. Li Signori Bernardi Ah. Giuseppe, Direttore degli Studj nel Reg. Ginnasio di Pa- dova. Bertirossi Busata Ab. Francesco, Calcolatore aggiunto all'Osservatorio Astronomico di Padova. Bonfadini Ab. Dott. Giacomo suddetto. Cattaneo Dott. Francesco suddetto. Dal Negro Dott. Ab. Salvatore , Prof. Or. di Fisica Teoretica e Speri- mentale nell'I. R. Università. Vili Franceschinis Dott. Ah. Francesco Maria suddetto. Francescotii Dott. Ab. Daniele, Imp. Reg. Bibliotecario. Santini Dott. Giovanni , Prof. Or. di Astronomia Teoretica e Pratica nell'I. R. Università. N. N. (vacante.) SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Li Signori Avanzini Ab. Dott. Giuseppe, Membro dell' Imp. Reg. Istituto, Prof. Or. di Calcolo Sublime nell'I. R. Università. Magarotto Ab. Francesco, Prof. Or. di Matematica pura nel Reg. Liceo di Vicenza. Zendrini Ab. Dott. Angelo, Membro e Segretario dell' Imp. R. Istituto, Prof, pensionato dell' I. R. Università. SOCJ ATTIVI Classe di Filosofia Speculativa e Belle Lettere. Li Signori Furlanetto Ab. Giuseppe. Giuliani Ab. Dolr. Giacopo, Prof. Or. delle Scienze e Leggi Politiche nell'I. R. Università. Mabil Cav. Dott. Luigi, Prof, pensionato nell'I. R. Università. Meneghelli Ah. Dott. Antonio, Prof. Or. di Diritto Mercantile, Marit- timo e di Navigazione nell'I. R. Università. Nodari Ab. Antonio, Prof. Or. della Storia della Filosofia nell' Imp. R. Università. Quaini Ab. Gregorio. ScarabelJo Ab. Dott. Niccolò, Prefetto degli Studj nel Seminario Ve- scovile di Padova. Zandonella Ab. Dott. Giambattista suddetto. N. N. (vacante.) l.X SOCJ EMERITI Classe suddetta. Li Signori Barbieri Ab. ])olt. Giusejipe. Lanfranchi Doti. Luigi, Prof. Or. nell'I. R. Università di Pavia. Pieri Doti. Mario, Prof, pensionato dell'I. R. Università. SOCJ NAZIONALI. Li Signori Artico Angelo, Ispettore Generale d'acque e strade, pensionato in Ve- nezia. Betlio Ab. Pietro, I. R. Bibliotecario della Marciana in Venezia. Bossi Conte Luigi, Membro pensionalo dell'I. R. Istituto di Scienze Lettere ed Arti del Regno, in Milano. Brocchi Giovanni Batt, Membro pensionato dell'I.R. Istituto, in Egitto. Comparetti Pietro, Dottore di Legge, in Pordencne. Corniani Conte Marco, in Venezia. Dei-Bene Benedetto, Membro pensionato dell'I. R. Istituto in Verona. Dianin Ab. Dott. Felice, Prof. Or. d'Istruzioni Religiose nell'Imp. R. Università di Padova. Fappani Dott. Agostino, Membro della Congregazione centrale in Ve- nezia. Filiasi Nob. sig. Giacomo, I. R. Direttore dei Ginnasi delle Provincie Venete. Franceschi Nob. sig. Luigi, Ingegnere in Istria. Frari Dott. Angelo, R. Medico di Delegazione in Verona, Referente Sa- nitario presso il Governo di Venezia. Ghirlanda Dott. Gaspare, R. Medico di Delegazione in Treviso. Giardini Ab. Elia, Professore emerito e Bibliotecario in Pavia. De Lazzara Giovanni, Cavaliere Gerosolimitano, in Padova. Marsand Ab. Dott. Antonio, Professore emerito dell'I. R. Università di Padova. 1, Marzari Giovanni Battista, Professore e Medico in Treviso. Marzari-Pencati Nobile sig. Giuseppe, Consigliere per le miniere a disposizione dell'I. R. Governo Generale delle Provincie Venete. Melari Monsignor Doli. Sebastiano, Canonico della Cattedrale di Pa- dova, e Direttore della facoltà Teologica dell' I. R. Università. Monti Cav. Vincenzo, Professore emerito dell' I. R. Università di Pa- via, e Membro pensionato dell'I. R. Istituto in Milano. Pagani-Cesa Co. Giuseppe Urbano, in Belluno. Pindemonte Cav. Ippolito, Membro pensionalo dell'I. R. Istituto in Ve- rona. Romano Ab. Girolamo, in Padova. Ruggieri Dott. Cesare, Professore Or. di Clinica chirurgica nell'Imp. R. Università di Padova. Saggini Andrea, Podestà di Padova. Sanfermo Nob. sig. Marco, in Padova. Scarpa Dott. Antonio, Professore emerito dell'I. R. Università di Pa- via-, Direttore della facoltà Medica dell'Università di Pavia, Mem- bro pensionato dell'I. R. Istituto. Scopoli Conte Commendatore Giovanni in Verona. Sette Dott. Vincenzo, Segretario aulico, Medico particolare di S. A. I. R. l'Arciduca Ranieri Vice-Re del Regno Lombardo-Veneto. Thiene Dolt. Domenico, Medico in Vicenza. Venanzio Dott. Girolamo, Relatore della Congregazione Provinciale di Treviso. Villabruna Monsignor Conte Guido, Canonico della Cattedrale diFeltre. Volta Don Alessandro, Professore emerito dell'I. R. Università di Pa- via, Direttore della facoltà Filosofico-Matematica e Membro pen- sionalo dell' I. R. Istituto. Zabeo Ab. Dott. Giovanni Prosdocimo, Professore Or. di Teologia Pa- storale nell'I. R. Università di Padova. SOCJ ESTERI Li Signori Angeli Dott. Cav. Luigi, Archiatro onorario ponliiicio e Professore in Imola. Anguissola Conte Giovanni Battista, in Piacenza. Balbo Co. Cavaliere Prospero, Ministro di Stalo di S. M. il Be di Sar- degna, Decurione della città di Torino ec. Barbacovi Conte Francesco Vigilio, Giureconsulto in Trento. Bernt Dott. Giuseppe, Professore Ord. di Medicina Legale e di Polizia Medica nell' I. B. Università di Vienna. Farini Ab. Pellegrino, Professore di Belle Lettere e Bettore del Colle- gio di Bavenna. Fischer G. L., Fisico in Pietroburgo. Fuss Cav. Nicola', Consigliere di Stalo di S. M. l' Imperatore di tutte le Bussie ec. Gliiliossi Conte di Lemie Giuseppe Ignazio, in Torino. Harles C.G., Consigliere e Professore di Medicina pratica nella B. Uni- versità di Bona. De Khuostof Conte, Senatore in Bussia. De Lindenau Barone, Direttore generale del Censo in Bussia. Maffei Ab. Cav., Professore di Letteratura e di lingua italiana nella B. Paggeria di Monaco. De-Paoli Conte Domenico, in Pesaro. Pezzoni Cav. Antonio, Consigliere di Stato di S. M. l'Imperatore di tutte le Bussie , e Medico addetto al Dipartimento sanitario del- l'Impero Busso. San-Martino Agostino, Professore di Matematica sublime nella B. Uni- versità di Catania. 5)ej5cboenberg Dott. J. J. Alberto di Copenaghen, ora a Napoli. \ aleriani Luigi, Professore di Economia nella pontificia Università di Bologna. Wismayr Giuseppe, Supremo Consigliere Ecclesiastico di S. M. il Be di Baviera. De Zach, Barone, Astronomo in Gotha, ora in Genova. SOCJ COBBISPONDENTI Li Signori Aprii is Dott. Barlolommeo, Professore di Fisica nell'I. B. Liceo di Udine. Basso Luigi, Dottore in Legge in Padova. MI Bell ingerì Dott. Francesco, Medico della R. Corte in Torino. Bellini G. B. Chirurgo in Rovigo. Benvenisti Dott. Donalo, Medico in Padova. Betloni Nicolò, Tipografo in Milano. Bianchi Dott. Giovanni, Professore di Fisiologia in Modena. Bianchi Dott. Giuseppe, Matematico in Modena. Biego Dott. Alessandro, Medico di Delegazione in Rovigo. Bologna Ab. Carlo, Professore nel Liceo di Vicenza e Prefetto agli studj nel seminario Vescovile. Boni Gio. Antonio, Ispeltore aggiunto alla Direzione generale d'acque e strade in Venezia. Bruni Dott. Carlo, Medico in Conegliano. Brusoni Doti. Giacomo, Avvocato in Padova. Calegari Ab. Dott. Antonio, Vice-Direttore dell' I.R. Ginnasio in Padova Calogeropulo Dott. Nicolò, Medico in Corfù. Campilanzi Emilio, Ingegnere in Venezia. Coltellini Cav. Agostino in Cortona. Cristofori Andrea, Medico in Mantova. Conti Carlo, Ingegnere in Legnago. Fabris Dott. Girolamo, Medico-Chirurgo in Padova. Facchini Dott. Francesco, Avvocato in Monlagnana. Farnese Dott. Tommaso, Medico-Chirurgo in Milano. Formentini Ab. Antonio in Padova. Gianelli Dott. Giuseppe, Medico-Chirurgo di Padova, Allievo dell'Isti- tuto di perfezionamento chirurgico in Vienna. f, C Japelli Giuseppe, Ingegnere in Padova. Labus Dott. Giovanni Auteslogo in Milano. Losanna Matteo. Macoppe Dott. Marino, Maestro di Matematica nella scuola Elementa- re maggiore in Padova. Magrini Luigi in Padova. Malagò Dott. Pietro Paolo, Professore di Medicina e Chirurgia in Fer- rara. Malfatto Dott. Luigi, Ingegnere. Manfredini Dott. Giovanni Battista, Medico-Chirurgo della Real Corte di Modena. xni Manzoni Dott. Luigi, Chirurgo in Verona. Marabelli Francesco, Professore Or. di Chimica nell'I. R. Università di Paria. Marcolini Dott. Francesco, Medico in Udine. Mazzoni Dott. Medico Chirurgo di Cesenatico, Professore di Chirur- gia in Firenze. Meli Dott. Domenico, Chirurgo in Ravenna. Metaxà Andrizzi Conte Cavai. Marino in Cefalonia. Morelli Dott. Luigi, Professore di Medicina Pratica nell'Università di Pisa. Naccari Dott. Fortunato Luigi, Vice-Console del Regno delle due Sici- lie in Chioggia. Nocca Ab. Domenico, Professore Or. di Botanica nell'T. R. Università di Pavia. Olmi Dott. Agostino, primo Medico all' Ospedale di Santa Maria Nuova in Firenze. Paselti Dott. Floriano, Ingegnere presso l'Imp. R. Governo di Venezia Penolazzi Dott. Ignazio, primo Medico in Montagnana. Petrettini Spiridione in Corfù. Playfayr Dott. Professore di Fisica nell'Università di Edinhurgo. Quadri Dott. Giovanni Battista, Professore di oculistica nella R. Uni- versità di Napoli. Ravagnan Ab. Girolamo, Professore di Filosofia nel Seminario Vesco- vile di Chioggia. De Reichenbach Barone, Capitano di Monaco, in Vienna. Romano Luigi, Ingegnere in Dalmazia. Rovida Cesare , Professore di Matematica pura nel R. Liceo di Porla Nuova in Milano. Ruggieri Dott. Gaetano, Medico in Venezia. Salomoni Filippo, Dottore di legge in Verona. Salvatori Francesco, Farmacista in Bagnacavallo. Schiappati Doti. Stefano, Impiegato presso il Tribunale d'Appello in Venezia. Scolari Dott. Filippo Impiegato presso l'Intendenza di Finanza in Ve- rona. Serristori Cav. Luigi in Firenze. XIV Sicuro Dott. Marino di Zante. Smania Michel Angelo di Verona. Soli-Muratori Dott. Fortunato, Legale in Modena. Stancovich Ab. Pietro, Canonico di Barbana in Istria. Svegliato Ab. Gio. Battista, Professore di Bettorica nel Seminario Ve- scovile di Padova. Tadini Ab. Placido, in Alessandria. Tantini Dott. Francesco, Professore onorario di Medicina nell'Univer- sità di Pisa. Tonelli Dott. Giuseppe, Medico in Paliano presso Roma. Traversa Dott. Francesco, in Padova. Trevisan Dott. Francesco, Medico in Castelfranco. Trinchinetti Dott. Giuseppe, Medico in Monza. Vedova Giuseppe, Dottore di Legge in Padova. Venturi Dott. Luigi, Medico primario della città di Sanseverino. Zannini Dott. Paolo, Medico in Venezia Zola Dott. Francesco, Ingegnere. XV NB. Se qualche Individuo già eletto Socio in qualche classe , non trovasse in essa registralo il suo nome lo attribuisca alla sven- tura d' essersi smaniti alcuni fascicoli di carte nell' archivio del- l'Accademia, ed abbia la bontà d'indicarlo all'Accademia stessa, la quale si farà tosto un dovere di supplire all'involontaria mancanza pubblicando li nomi ommessi in un'apposita Appendice. DISCORSO ACCADEMICO DIRETTO A SOSTENERE IL DECORO DI DUE ILLUSTRI ITALIANI DI FRANCESCO LUIGI FANZAGO P. O. NELL' IMPERIALE I\EG1A UNIVERSITÀ DI PADOVA u, n nome illustre, di cui può a buon diritto insuperbire l' Ita- lia, egli è al certo quello di Paolo Zacchia, autore di un ben grosso volume contenente un doviziosissimo numero di quistioni e consul- tazioni medico-forensi, le quali per lungo tempo di lume servirono, di guida, e di autorevole appoggio ai giudi zj de' tribunali ecclesiastici, civili , e criminali. Quest'uomo dottissimo, che a' suoi giorni chiamavasi l'Ermete Italiano, e che ebbe 1' onore di essere decorato del titolo di Archia- tro Pontificio, seguendo le orme segnale dal suo maestro Fortunato Fedele, nostro anch' egli Italiano, fu uno dei più benemeriti risto- ratori della medicina legale; e quantunque la sua opera sia stata pubblicata nel 1621, pure manlennesi in gran credito fino a' dì nostri. Infatti l'Haller, sempre giusto ne' suoi giudizj, scrisse di lui: « Pau- »lus Zacchias totum ambitum hujus artis prudenter, ingenue, cum »judicii et eruditionis laude complexus est, ut princeps etiam nostro » aevo opus sit, eliamsi anatome nunc passim aliqua correxerit. » An- che Belloc, recentissimo scrittore di medicina forense, l'onora di- cendo: «Paul Zacchia est sans contredit celui qui a donne sur la omédecine legale le traile le plus complet, qui est ancor paru. » Non è quindi meraviglia, se lutti gli scrittori di medicina legale, italiani, tedeschi e francesi, lo citarono e lo citano tuttavia, tenendo in gran conto le dolliine e le decisioni di lui. Pieno anch'io di alta slima e di dovuta venerazione per un tanto maestro di quella scienza, di cui la Sovrana Clemenza mi affidò l'in- segnamento in questa illustre Università, provai molto disgusto e rammarico, ritrovando in un autore moderno di medicina legale un'ac- cusa acerbissima contro di lui. Nel suo trattato di medicina legale e d'Igiene pubblica, il sig. Fodere, avvegnaché parli di Zacchia con vantaggio, senza però mollo prodigalizzarne le lodi, pure quando nel tomo IV. tratta del feticidio, e dei così detti abortivi locali e meccanici, cioè delle cadute e dei colpi ricevuti dalle gravide o sul ventre, o nella regione dei reni, dà francamente la taccia a Zacchia di un giudizio parziale pronunciato in un caso di aborto succeduto in seguilo di ricevute percosse. E per corroborare la sua amara cen- sura riferisce Io scrittore francese il caso di Zacchia , cioè « di una » donna gravida di 35 anni, la quale fu percossa ai reni da un cine- urico con un bastone. Soffrì ella vivi dolori per tre mesi, alla fine » dei quali sopravvenne un'emorragìa nasale, che terminò coli' aborto ;idi un infante morto, e colla morte della madre sette giorni dopo. »I1 chierico fu messo in prigione, come colpevole di questi due omi- » cidj ; e Zacchia, incaricato del rapporto, non negò la gravità del- » l'offesa; accordò che gli si dovessero attribuire i dolori costanti, » cui questa donna avea sofferti nella regione dei reni; accordò pure « che la collera, che gli avea suscitata il cattivo trattamento, era » una causa efficiente di aborto; ma finì col discolpare l'accusato, «dicendo che potrebbesi riguardarlo colpevole di queste due morti, » se fossero seguite immediatamente dopo il cattivo trattamento; ma oche essendo succedute tre mesi dopo, non poteasi più riguardarlo )) come causa, non avendo potuto fare in quell'epoca ciò che non era «stato capace di fare sul momento stesso; e che doveasi per conse- a.guenza attribuire piuttosto le due morti all'emorragìa nasale, la «quale nulla avea di comune coi colpi ricevuti. » Dopo aver esposto il caso in questi precisi termini, il sig. Fodere bruscamente conchiu- dè: «Àvis aux médecins, qui ont de la pudeur de ne pas faire ser- «vir leur esprit et leur auclorité à protéger l'iniquité;» ch'è quan- to dire che Zacchia abusò senza pudore del suo ingegno e della sua autorità per proteggere un iniquo. Qui dunque è accusato Zacchia non solo di un erroneo giudizio, ma di una parzialità biasimevole. 'Wrebb'egli voluto che Zacchia decidesse come Devcaux, celebre pel suoi rapporti in chirurgia, il quale nel caso della moglie di un sarte, gravida di sei mesi, che essendo stata iteratamente percossa nel bas- so ventre, ed avendo perciò fatta una gran perdita di sangue, onde la necessità derivonne dell'estrazione forzata dell'infante, non esitò punto di attribuire gl'insorti accidenti ai colpi ricevuti. Parendomi strano che il nostro Zacchia meritar potesse cosi ama- ro e ignominioso rimprovero, volli esaminare il fatto nella sua fonte, ed ebbi la compiacenza di scoprire : prima , che il sig. Fodere non espose il caso colle precise circostanze con cui nel testo è riferito; secondariamente, che il giudizio di Zacchia fu appunto quello che doveasi pronunciare, secondo le regole più esatte di medicina legale. Dice l'A. francese, die alla donna, dopo ch'ebbe sofferti vivi dolori per tre mesi, sopravvenne un'emorragìa nasale, che terminò coli' aborto di un infante morto, e colla morte della madre sette giorni dopo. Nel testo leggesi: « inde mulier renum dolore per ite- li ratas vices prehensa , post tres menses decursos a mense quo va- li pulaverat, narium haemorrhagia tam copiosa et impetuosa appre- » hensa est, ut cohiberi non potuerit, ex quo illa abortivi!;, et se- nptima interiit. » Qui non è detto che i dolori fossero vivi, e nem- meno costanti, ma ad intervalli, per iteratas vices; e poi nell' indi- care l'emorragìa sopravvenuta aggiunge Zacchia la notabile circostan- za, che fu tanto copiosa ed impetuosa, che non potè in alcun mo- do fermarsi, donde nacque l'aborto. Il sig. Fodere si contenta di dir solamente un'emorragìa nasale, senza far cenno né della copia, né dell'impeto con cui era uscito il sangue dalle narici. Per qual ragione ommettere una circostanza così importante? Perchè essere così infedele nell'esposizione del fatto? L'alterar le parole di un autor morto, che citasi, è assai peggio, dice il Voltaire, che il dar falsa- mente mentila ad un vivo e presente, dappoiché questi può tosto rivendicare il suo onore, ed a quello non è più dato di aprir bocca e difendersi. Accorda, egli è vero, Zacchia che le percosse nei reni o nel basso ventre di una gravida possono produrre l'aborto; conce- de eziandio, cbe le violenti passioni di animo, massime lo spavento o l'ira, che nelle donne non suol essere ne passeggiera , né lieve, possono del pari provocare l'aborto, osservandosi ciò addivenir di 4 frequente; ma di proposilo considera che tali effetti devono special- mente nascere poco dopo che ha agito la causa, e che nascono essi tanto più difficilmente, quanto più è rimota l'azione della potenza nociva. Avvenuta essendo la sconciatura nel proposto caso tre mesi appresso, henchè non si volesse obhliare la causa delle percosse, pure conveniva aver riguardo segnatamente all'emorragìa nasale copiosa ed impetuosa, durante la quale, non avendo potuto essere in alcun modo trattenuta, nacque l' aborto. Dice qui acconciamente Zacchia: n ubi causam alicujus effectus habemus proximam et evidenlem, fru- ii stra magis remotam, et minus evidentem quaerimus; » il che è ben consentaneo alle più giuste massime della medicina forense, cioè che nei giudizj fa di mestieri che i medici e i chirurghi sempre atten- dano più alle cause certe ed evidenti, che alle dubbiose e non abba- stanza manifeste. Di fatti le percosse nelle reni, passati già tre mesi, diventano una causa incerta in confronto di una profusissima emor- ragìa nasale che non potè essere arrestata , e che cagionò quindi l'aborto. I dolori che avea sofferti la donna ai reni, non erano co- stanti, ma ritornavano ad intervalli; ed ognun sa che le gravide ne vanno spesso soggette, indipendentemente da alcuna causa violenta. Avrebbe voluto Fodere , come ho detto di sopra , che Zacchia decidesse come Deveaux; ma qual differenza non si riscontra tra il caso di Zacchia e quello su di cui Deveaux pronunciò il suo giu- dizio? Piacemi di farne qui l'esposizione, promettendo di non imi- tar Fodere, giacché lo riferirò esattissimamente tal quale è registrato nella sua opera intitolata Y Art de /aire les rapports en chirurgie. Pa- rigi 1746, pag. 444. •«Io sottoscritto, oggi 3 febbrajo 1664, verso le dieci ore del .1 mattino sono stato mandato nella strada dei Rosaj , all'insegna del 'i Cigno, al terzo appartamento, ove trovai Maria Loriot, moglie di «Giovanni Guignard sarte, gravida in sei mesi, molto indebolita per » una perdita di sangue, che le continuava dalle quattro della mal- li tina, e che le era stata cagionata da molte percosse ricevute nel «basso ventre jeri verso le cinque della sera, ed ho veduto le con- » fusioni e le ammaccature tanto sopra che sotto, ed ai lati del bel- 1 lieo. Vedendo che l'infelice era in pericolo di vita per l'emorragìa, 9 e non avendo ella doglie che promovessero il parlo, credei di as- n soluta necessità il fare l'estrazione del feto; quindi dopo averlo bal- li tczzalo sotto condizione, estrassi con molto travaglio il feto morto » e la placenta ; malgrado ciò , credo che la suddetta Loriot sia in » grandissimo pericolo di perdere la vita a cagione della febbre, del- » l'infiammazione e della putrefazione, a cui può andare incontro «l'utero maltrattato tanto dalle percosse, quanto dal parto prema- li turo, ed anche dalle diverse passioni da cui è agitato l'animo suo.» Qui Deveaux giudicò benissimo che le percosse furono la cagione del parto immaturo e forzato, non che delle sue conseguenze; ma la donna fu maltrattata il giorno avanti, e nacque poco dopo la per- dita di sangue; laddove nel caso di Zacchia fuvvi una distanza di tre mesi tra le percosse e l' aborto ; oltreché nel caso di Deveaux non v'ebbe alcun' altra causa manifesta, come fu l'emorragìa nasale nel caso di Zacchia. Per la diversità dunque delle circostanze que- sti due casi sono essenzialmente diversi , e diversi quindi esser do- veano i giudizj. In un fatto di questo genere diede saggiamente Belloc un giu- dizio dubbioso, come ci riferisce nel suo Corso di medicina legale, pag. 82. Si trattava di una donna, la quale in una rissa avea ripor- tate delle offese, ed avea poi abortito un feto morto, di quattro mesi circa. Informatosi Belloc delle circostanze che aveano preceduto l'abor- to, anche dopo la rissa, potè raccogliere che la donna, invece di ri- correre ai soccorsi dell'arte e di andarsene a letto, o almeno di starsi quieta, avea fatto una camminata di quasi una lega per andare a cercar legna, avendone portato a casa un gran fascio; che il giorno appresso , ad onta di aver sofferto dolori molestissimi ai reni , era nuovamente andata per un buon quarto di lega lontana dalla sua casa a mietere; che ritornata fu costretta di mettersi a letto, e che avea sentite le doglie forti del parto alla metà della notte preceden- te. Egli è probabilissimo, dice Belloc, che se questa donna avesse avuta qualche assistenza, e fosse slata in quiete, avrebbe potuto schivare l'aborto, tanto più che nella rissa erale stato dato solamente un urto, onde cadde stramazzone in sulla strada. Quindi conchiuse, sembrargli dubbioso che l'aborto sia stato prodotto dalle offese che avea ricevute. Giudicò infatti da saggio, perchè non poteasi assoluta- mente ripetere la sconciatura da causa violenta, essendovi state in concorso altre cause capaci di provocarla. Molto meno dunque dovea pronunciare Zacchia un giudizio assoluto contro il chierico dopo tre mesi, essendovi stata un'altra causa manifesta ed immediata. Certo tutti gli scrittori di ostetricia fra le cagioni dell' aborto annoverano le gravi perdite sanguigne, e non solo dalla matrice, ma anche da altre parti. Se il sig. Fodere avesse letto l'opera classica del de la Motte (Traité compiei des accouchements) , vi avrebbe trovato due osservazioni , cioè la 342. e la 343. , nelle quali sono registrati due casi di aborto, derivati appunto da emorragìa nasale. Si tratta nella prima della moglie di un fornajo, la quale era gravida e pros- sima al parto. Fu còlta da una perdita di sangue dal naso delle più violenti. Potè vederne de la Motte in un vaso di terra raccolte circa quattro libbre. Si fermò l'emorragìa da sé stessa, e fu di sorpresa al celebre ostetrico il vedere che, malgrado tanta perdita di sangue, non fosse la donna caduta in deliquio; era bensì pallida come una moribonda. Diceva ella di sentire i movimenti del feto; ma aven- dola egli esaminata, non si accorse di alcun movimento. Infatti, so- pravvenuti i dolori del parto, dopo due o tre doglie assai leggiere partorì un bambino morto. Uscì facilmente la placenta senza veruna perdila di sangue. Malgrado la somma debolezza, dopo tre settima- ne potè la donna alzarsi dal letto. Nella seconda osservazione si rac- conta il caso di una donna gravida di sette mesi e pochi giorni, la quale soggiacque ad una grave perdita di sangue dal naso. Era in uno stato di sommo affievolimento, talché non potea nemmeno al- zare la testa. Sentì de la Motte che il feto era vivo. Sopravvennero le doglie del parlo, e si sgravò di un bambino, che visse solo tre giorni, essendo già stalo estratto pei piedi. La donna, fuori di se per l'estrema debolezza cagionata dalla perdila sanguigna, non s'accorse di aver partorito se non due giorni dopo. Nondimeno potè in seguito riaversi, e passarsela sufficientemente. Fa non a torto le meraviglie la Motte che questo bambino, nato innanzi il termine e contro natura, sia venuto alla luce vivo, mentre l'altro giunto a termine è nato morto, avvegnaché dovess' essere na- turalmente più forte. Non dubita poi di asserire che l' aborto e la morte dei due feti sia derivata dalia grave emorragìa nasale, dicendo che per la perdita del sangue deve necessariamente perdere la vita il 7 feto, poiché la circolazione ci dimostra che il sangue della testa non serve meno al nutrimento del feto nel seno materno , di quello del petto e del ventre inferiore. Per le quali cose chi non riconoscerà ingiustissima e dannabilissi- ma l'accusa di Fodere data al nostro Zacchia? Come poteva egli trat- tarlo da uomo senza pudore, da uomo prevenuto, che abusò del suo ingegno e della sua autorità per favoreggiare un malvagio? Io per me sono d'avviso che senta anzi dell'impudente lo scrittore francese, che senza riflettere si permise una censura tanto ingiusta ed inurbana. E giacché mi sono finora occupato di un argomento spettante a rivendicare 1' offeso decoro di un nostro valoroso Italiano, non voglio ora tralasciare d'intrattenermi alcun poco sopra altro soggetto, che mira egualmente allo scopo di sostenere l'onor nazionale. Ho detto nel principio del mio Discorso, che a Zacchia riuscì di scrivere un'opera classica di medicina legale , seguendo specialmente le orme del suo maestro Fortunato Fedele. Di questo benemerito Italiano egli è ve- ro che vien fatta menzione dagli scrittori di medicina legale ; ma lo nominano solo per incidenza. A me pare che non sia stata resa a Fedele quella giustizia che ben meritava, essendo egli slato fuor di dubbio il primo, il quale abbia non solo di medicina legale, ma an- che di polizia medica metodicamente trattato. Egli è ben ragionevole di credere che l'origine prima o almen più rimola della medicina forense stata sia a un di presso con- temporanea colle leggi e colla medicina. In tutte le nazioni, ove cominciarono a formarsi ed esistere società più o meno incivilite , ed in cui ebbe principio qualche maniera di giustizia, dovettero ne- cessariamente presentarsi circostanze, occasioni ed accidenti di vario genere, ne' quali gli zelanti ministri di essa, o per fissare fondata- mente alcune leggi utili al ben essere dei cittadini, o per ben ap- poggiare le loro decisioni e giudizj, furono astretti di ricorrere ai mi- nistri dell'arte salutare, e di considerarli quai compagni e fratelli, affinchè di tali leggi o giudizj garantissero la solidità e la sicurez- za. Nulladimeno egli è certo che gran tempo passò prima che si conoscessero e si seguissero norme e regole metodicamente stabilite, e che fosservi principj ben definiti, dai quali ne risultasse un siste- matico complesso di dottrine medico-legali. 3 E vero che gl'imperatori Severo, Antonino, Adriano e Marco Au- relio comandarono che le decisioni e i giudizj fossero fondali sulle dottrine d Ippocrate e di Aristotele; e che Carlo Magno in molti suoi Capitolari, e Carlo Quinto nel suo Codice criminale promosse- ro grandemente i progressi della medicina forense; ma a conforto ed a guida sicura specialmente dei medici non era ancora comparsa un'opera, in cui fossero regolarmente trattati i molti argomenti, cui l'unione e la fratellanza delle leggi colla medicina richiedono. L' epoca del vero stabilimento della medicina legale deve fissarsi verso la fine del secolo sedicesimo ed al rmncipio del diciassettesimo. Prima di questo tempo non trovatisi opere a questa scienza apposi- tamente consacrate. Pare che la gloria dei primi lavori metodica- mente diffusi deKba dividersi fra gì' Italiani e i Francesi. Riconosco- no questi come autore nazionale più antico di medicina forense Am- brogio Pareo, e noi dobbiamo accordare il primato a Fortunato Fe- dele. Furono questi benemeriti uomini quasi contemporanei. Pareo , eh' ebbe il grande onore di servire, come primo chirurgo , quattro Monarchi della Francia, dopo aver pubblicato nel i56i la sua grand'opera chirurgica, ne fece una seconda edizione nel i5yy, in cui aggiunse il libro, eh' è il ventottesimo, intitolato Des Rapports et da moyen d' embaumev les corps morts ; e questo è appunto il primo saggio che offrono i Francesi della medicina legale ridotta a qualche metodo . Il libro di Fortunato Fedele fiorentino , intitolato De Relationi- bits Medicorunij fu dato alla luce in Palermo l'anno 1602, di cui si fecero poscia diverse edizioni, specialmente in Germania. Senza perdermi nel minutamente discutere qual de' due sia stato anteriore, e volendo anche di buon grado concedere in parte la pre- lazione a Pareo, uomo già insigne per altri titoli e benemerenze, segnatamente nella chirurgia, in cui fu valentissimo maestro, dirò solamente, che il libro di Pareo, breve assai, di pochi argomenti si occupa, e solo presenta alcuni esemplari di rapporti fatti in casi di ferite, e pochi altri sopra materie di non molta importanza, a lume specialmente dei chirurghi: non è che una picciola raccolta di perizie estese nel corso della sua pratica. Per lo contrario l'opera del nostro Fedele versa sopra quasi tutti gli argomenti che spettano 9 non solo alla medicina e chirurgia legale, ma eziandio alla polizia medica, e li tratta scientificamente in guisa, che ne risulta un do- vizioso ed erudito corredo di dottrine ordinatamente disposte. Il suo lavoro è in quattro libri partito. Prendendo di mira nel primo argo- menti spettanti all'igiene pubblica, ossia alla preservazione della sa- lute dei cittadini, parla de locorum salubritate , de locorum mutatio- ne j de pestilenti constitutione , de vitiis eduliorum praecavendis . Nel secondo, rivolgendo particolarmente le sue considerazioni agli oggetti di medicina forense, tratta de cicatricum natura et judiciOj de simu- latione morborum , de tormentis sustinendis , de laesionibus musculo- runij de artuum laesionibus, de mutilatione_, de membriSj de laesioni- bus quae post vulnera remuneriti de erroribus eorum qui medicinam faciunt. Presi poi in esame nel terzo libro gli argomenti che riguar- dano il sesso femminino, il matrimonio e le conseguenze di esso, per ciò che la medicina legale concerne , scrive de virginitate , de potentia generandi , de morbis haereditariiSj de cognoscenda ingravi- datione, de molae generatione , de animatione foetus ejusque forma- tionej de tempore partus _, de monstris Finalmente avendo conside- rato nei tre primi libri l'uomo in vita, nel quarto lo considera estin- to, o da imminente morte minaccialo. Parla quindi in esso de mor- tuorum indiciisj de vulnerimi laetalitate_, de veneno, de interfectisj de suffocatis j de vexatis 3 et de ictis a fulmine. Da questo prospetto delle materie trattate da Fedele ogni intel- ligente di polizia medica e di medicina legale può ad evidenza co- noscere che l'esteso suo lavoro non è da mettersi in confronto col tenue e brevissimo libro di Pareo, a pochi oggetti limitalo; ond' è , . che quand' anche vogliasi accordare un' anteriorità di pochi anni al- l'autore francese, pure il nostro italiano è all' altro da preferirsi, se si riguarda il modo, l'ordine e l'estensione, con cui egli ha erudita- mente e solidamente maneggiate le materie spettanti alla medica giurisprudenza. Non potrà però alcuno tacciare il nostro Fedele di iattanza o d'ingiusta pretensione, se con franchezza e nobile orgoglio scrisse nella prefazione della sua opera: « scitote novum hoc esse argumenli «genus, ac sine exemplo mihi susceptum , ut non tam turpe sii » omisisse aliqua, quam pulchrum haec ipsa invenisse;» soggiun- 10 gendo: «nec me vana spe detineri conjicio; nani ut alia taceam, id » ejusdem profiteri possum, similis argumenti opus nusquam antea , » cpuod sciam, in lucem venisse. » Né qui mi si Yorrà opporre, che avanti Fedele, o in quel torno , altri v' ebbero scrittori benemeriti di medicina legale. Egli è vero che Guillemeau pubblicò un libretto a que' tempi cantre les abus qui se commettervi sur les procedures de f impuissancej in cui combattè il pessimo costume della prova del Congresso adottata allora in Francia per giudicare dell'impoten- za, dimostrando a ragione che l'uomo il più sano e robusto può perdere ogni vigore allato d'una donna odiata; egli è vero che Gio- vanni Wiero nel 1 564 scrisse de praestigiis daemonum, impugnando le follìe e le superstizioni di quel secolo, e contentandosi di far ve- dere essere rarissime le streghe, per non affrontare a faccia aperta la comune inveterata credenza; con che ottenne di diminuire il nu- mero delle cataste ardenti, innalzate dall'abusiva severità dei tri- bunali d'Inquisizione; e che Benedetto Sylvatico trattò nel i5g5 1' argomento de iis qui morbum simularti deprekendendiSj soggetto già prima illustrato da Galeno nel libro , quomodo morbum simuìantes sint deprehendendi; ma questi, ed altri somiglianti, sono trattatelli particolari, i quali nulla infievoliscono il nostro giudizio intorno alla preminenza dovuta all'opera sistematica di Fedele. Che se, trattandosi di un autor nazionale, l'opinion mia sem- brar potesse sospetta, può togliere ogni dubbio il giudizio imparzia- le di Paolo Ammanno, celebre autore tedesco di varie opere medi- che e botaniche. Nel 1674 fece egli ristampare l'opera di Fedele in Lipsia, corredandola di una prefazione, in cui, profondendo elogi al nostro Italiano, concbiude : « Hinc quoque optiino jure gloria prae » caeteris eidem attribuitur, quod scilicet fuerit primus, qui de Re- «lationibus medicorum quicquam intra tot saeculorum decursum po- li steritati scriptum reliquit. Eteniin similis argumenti opus nusquam » antea , quod sciam, lucem vidit publicam. » Ed in prova del me- rito di Fedele, e del conto in cui teneasi l'opera di lui a que' tempi, servesi Ammanilo specialmente della gravissima autorità di Zacchia : « videre hoc est (egli dice) in Paulo Zacchia, qui in quaestionibus » medico-legalibus pariler atque decisionibus Rolae Romanae Forlu- « natum Fidelem fìdeliter ulique fere citavit , allegavit, commenda- 1 1 »vit.» Anzi, non persuaso che il nome di Zacchia quello oscurato avesse di Fedele, aggiunge: « el quamvis sustinere quidam velini, » Zacchiam esse perfectiorem in hoc genere scribendi, dubium ta- » men adhuc est, prolixiorem potius eundem , et ob id cariorem , » crediderim. » Se dunque gli stranieri ebbero ne' tempi andati in grandissimo pregio l'opera di Fedele, e se lo risguardarouo come il primo au- tore classico di medicina forense, perchè lo si vorrà ora lasciare in un'ingiusta obblivione? E non dovrem noi Italiani querelarci alta- mente se i Francesi, accordar volendo tutta la preminenza al loro Pareo, si dimenticarono affatto del nostro Fedele? Perchè infatti il sig. Eloy nel suo Dizionario storico della Medicina non fa nemmen cenno di lui, mentre ricorda con lode tanti nomi di poco rilievo, men chiari d'assai di quello di Fortunato? Perchè fu del tutto ob- blialo nella parte medica dell'Enciclopedia Metodica? Spiacemi di dovere aggiungere, che anche l'eruditissimo Sprengel, il quale si mostra ingenuamente partigiano ed amico degl'Italiani, e non lascia mai di essere giusto ne' suoi giudizj, se lo è scordato nella sua Sto- ria Prammatica della Medicina. Se non che questi torti avrebbero potuto essere da noi riparati, giacché nelle soprannomate opere, che furono o ristampate o tradotte in Italia, gli editori o i traduttori doveano rimediare a tali ommissioni. Forse ne sarà stata cagione la rarità del libro, che trovasi fra le mani di pochi, e fors' anche la qualità del libro stesso, il quale, dopo tanti progressi fatti dalla medicina legale, non può adesso leg- gersi con quella compiacenza e soddisfazione che provasi leggendo le opere moderne; il perchè non a torto affermò l'Hallero: « tolus » autem liber non quidem ex satis propriis experimentis natus est, » neque nostro saeculo sufficit. » Certo che non è desso sufficiente a' tempi nostri, né porre lo si può a confronto con tante opere lu- minose che or possediamo. E che perciò? Basta forse a' di nostri Ip- pocrate per la medicina, Aristotele per la fìsica, Plinio per la storia naturale? Eppure quest'uomini benemeritissimi ebbersi e si avranno sempre istitutori e primi maestri di siffatte scienze, le quali al certo non sarebbero state a sì alto segno condotte, se eglino seguate nou avessero le prime tracce. La principale e più malagevole impresa è il cominciare, dice Quintiliano (Kb. X. e. II.); né avremmo Ennio e Virgilio, se non fossero siali preceduti da Livio Andronico; né tanti eccellenti storici, se a bel principio i Pontefici non avessero rozzamente registrati i loro annali. Del pari dobbiamo saper grado a Fedele, come a prototipo della medicina legale. E siccome ne' so- praccitati antichi maestri avviene che si riscontrino e molte e grandi imperfezioni, cosi parecchi difetti eziandio ha l'opera di Fedele, il quale » Si foret hoc nostrum fato dilatus in aevum , » Delereret sihi multa, reciderei omne, quod ultra » Perfeclum traheretur Horat. Sérmon. Lib. I. Sat. X. E di vero non poteva egli colle sue dottrine e co' suoi principi medico-legali oltrepassare i termini delle cognizioni scientifiche che aveansi a quel tempo in che scrisse. Forse eh è scevra d'imperfe- zioni e di difetti l'opera applaudilissima di Zacchia , avvegnaché abbia egli avuto la sorte di trattare le stesse materie dopo Fedele in tempi migliori? Chi vuol giudicare del merito di Fedele con- vien die risalga al suo secolo , e riconosca in quale stato erano al- lora la notomin, la fisiologia, la storia naturale, la chimica ec. Quan- do si conosce la misera condizione, in cui si trovavano queste scien- ze , or son due secoli, comprendesi agevolmente che molle del- le più gravi materie della medicina legale, come per esempio l'in- fanticidio ed il veneficio , non potevano essere convenientemente discusse e trattate, come può farsi oggidì. La medicina legale è una pianta parassita, la quale si appoggia alle scienze che le sono ausi- liarie , e di esse si pasce e alimentasi. Non polea però far celeri e costanti progressi, se non col successivo perfezionamento delle scien- ze suddette. Or che sono giunte al maggior apice, anche la medicina legale è appoggiata a più solide basi, e le sue decisioni sopra prove più cerle e più veritiere si fondano. Aggiungasi a tutto ciò, che la medicina legale al tempo di Fedele non era punto coltivata, anzi negletta ; sicché tulto quello eh' ei fece, dovè farlo da sé colle pro- prie forze, senza soccorsi. Quando poi le opere dei nostri italiani Fedele e Zacchia L'utilità fecer conoscere e l'importanza di questa i3 scienza, si scossero e risvegliarono le allre nazioni, e ad essa rivol- sero e seriamente applicarono i loro slutlj ; ne fu allora difficile che i lavori riuniti di molti al suo vero ingrandimento contribuissero. La nazione alemanna si distinse egregiamente in fra le altre. Ne fanno ampia ed onorevole testimonianza le moltissime opere di som- mo pregio in Germania pubblicate, e le tante Dissertazioni sopra varj argomenti di medicina legale. Anche i Francesi lo zelo e l' ar- dore imitarono dei Tedeschi. Ed anzi duolmi di dover confessare, che questa pianta, nata e cresciuta in Italia, abbia avuto bisogno di essere trasportata in terre straniere per vegetare prosperamente, e per passare allo stato di forza e di perfetta maturità. Ciò nacque principalmente, perchè gì' illuminali Governi delle allre nazioni co- nobbero la necessità d'istituirne un particolare insegnamento da ag- giungersi agli altri rami della medicina nelle scuole e nelle Univer- sità. In Italia per lo contrario, essendosene affatto trascurata l'istru- zione, dovè rimanere fra i suoi stretti confini, né potè fare grandi progressi. Fa anzi meraviglia come, malgrado tanta trascuranza, due celebri uomini, Bononi e Tortosa, se ne sieno occupali di proposito e con lode: il Ferrarese illustrando assai bene l'argomento medico- legale delle ferite ; il Vicentino pubblicando le sue Istituzioni di medicina forense, opera applaudita, che non decade punto al para- gone con quelle degli stranieri, e che, per mio avviso, è più utile ai medici di alcune più recenti. Se non che rallegriamoci che la medicina legale può oggimai anche nel nostro suolo felicemen- te fiorire. Dopo che pei consigli del celebre Tissot , e molto più per gli autorevoli eccitamenti del chiarissimo Pietro Frank si co- minciò ad insegnarla nell'Università di Pavia; dopo che nell'an- no 1806, sotto il cessalo Governo italiano, ebbe anche tra noi prin- cipio questa maniera d'insegnamento, accoppiato però e come ac- cessorio della Patologia; e dopo che finalmente per la novella or- ganizzazione della nostra I. R. Università ottenne un posto più di- gnitoso, dovendo un Professore esclusivamente dedicarsi alla me- dicina forense e alla polizia medica , per bastantemente esaurire i gravi e gelosi argomenti spettanti a queste due scienze, le quali, congiunte fra loro con istrettissimi vincoli , costituiscono propriamen- te la medicina dello Stato ; dopo tutlo questo apparecchio di cose *4 potremo lusingarci, che in avvenire non avrem più ad invidiare le altre nazioni. Ma qualunque sia l'esito dei nostri voti e delle nostre speranze, rimarrà sempre vero, come parmi di avere ad evidenza dimostrato, che la medicina forense e la polizia medica ehher sua culla e primo nutrimento in Italia, e che però dobbiam sempre ricordare a nostra somma gloria, con vivo sentimento di gratitudine e di venerazione, i nomi preclari di Fortunato Fedele e di Paolo Zacchia. DELLA PERLITE EUGANEA MEMORIA ORITTOLOGICA DEL CONTE NICOLÒ DA RIO. §. I. Introduzione. Intorno la Petroselce periata de' monti Euganei, ch'io nominerò Perlite, stampò nel 1810 una Memoria il Conte Marco Corniani, e da questa Memoria sappiamo non solo molte cose spettanti alla storia naturale di questa roccia, ma altresì la sua applicazione all'arte vitra- ria e i suoi costituenti principj, avendo il detto Corniani chiamato a compagno del suo lavoro il Prof. Melandri, che ne fece l'analisi. Pare però che, relativamente alla sinonimia di questa roccia, alla sua giacitura , alle rocce composte cui serve di hase , all' epoca di sua formazione, alla sua origine, se vulcanica o nettuniana, qualche cosavi sia ancora da dire; e siccome facile est inventis addere, così, credendomi permesso di novellamente trattare quest'argomento, non sarà guari diffìcile che qualche cosa io venga qui esponendo di nuovo, frutto non meno del lavoro del sig. Corniani, che mi appianò la via, che delle osservazioni e considerazioni posteriori da me fatte sul medesi- mo soggetto. s n. Descrizione e caratteri della Perlite Euganea. Per ben trattare di una roccia conviene darne una descrizione , onde fissare le idee sul soggetto di cui si ragiona. Mi si conceda adunque di premettere una descrizione della Perlite Euganea secondo il metodo Werneriano, e di esporre tutti que' caratteri che valgono a distinguerla con sicurezza. i6 Nella Perlite Euganea adunque si distinguono i seguenti caratteri: i.° Colore: bianco verdognolo pallido, ovvero giallo pallido, gial- lo bruno , e giallo bruno volgente al bruno epatico. 2.° Forma esteriore: irregolare ed indeterminata, ossia, come di- cesi in linguaggio mineralogico, amorfa o in massa. (Derb.) 3.° Superficie esterna: ineguale. 4-° Lucentezza esteriore: risplendente. 5.° Specie di lucentezza: naccherina, ossia madre-perlacea, che s'accosta talvolta alla lucentezza vitrea, e talvolta degrada alla lu- centezza cerea. 6.° Lucentezza interiore: idem. 7.0 Frattura: compatta, imperfettamente concoide, che passa alla frattura angolosa. 8.° Forma dei frammenti: irregolari, indeterminati, cogli spigoli non molto acuti. 9.0 Forma dei pezzi separati: granellosa a grani angolari. io.0 Trasparenza: opaca, e appena tralucente ai margini. ii.° Raschiatura: sempre bigia. 12.0 Traccia: non inquinante. i3.° Durezza: semidura. i4-° Coerenza: fragile. i5.° Flessibilità: nessuna. 16.8 Aderenza alla lingua: nessuna. 17.0 Sensazione sul tatto: magra, e mediocremente fredda. 18. ° Gravità: mediocre, e precisamente 2,3go a 2,354- 19.0 Odore: coli' alilamento leggiermente argilloso. 20.0 Sapore: veruno. 21.0 Cogli acidi non fa effervescenza. 22.0 Al cannello si gonfia quasi come il borace, poi si fonde in vetro bollicoso. 23.° Coli' acciarino non ila scintille. 24.° Mene attaccata dall' acciajo temperalo. 25.° Ordinariamente non viene attaccata dal rame. 26.0 Segna la calce carbonata. 27.0 Non segna la picea, ma viene segnala da questa. §. III. Stato in cui si trova ordinariamente la Perlite Euganea. I caratteri che abbiamo indicato spettano alla Perlite pura , a quella cioè che forma il prototipo della spezie. Ben di rado però si trova tale, e piuttosto che un fossile semplice, spettante alla serie orittognostica , essa si presenta per ordinario unita ad altri fossili, e forma con essi una roccia composta, appartenente alla serie geo- gnostica. Le sostanze che più frequentemente l'accompagnano, sono la mica e il felspato , e la roccia prende allora l'aspetto porfiritico; ma per ordinatamente procedere consideriamola prima nel suo stato di roc- cia semplice, che poi la considereremo nel suo stato di composizione porfiritica. §■ IV. Determinazione e sinonimia di questa roccia. Sterile certamente nello studio della Storia naturale è la cogni- zione del nome delle sostanze che ne formano il soggetto, quando d' altre cognizioni non sia accompagnata : è nondimeno la prima che si richiede , e sopra ogni altra necessaria , poiché vano è il sapere le qualità degli esseri, quando gli esseri stessi non si conoscano; e assai spesso un nome bene appropriato è, si può dire, un'esposizione compendiosa delle qualità del soggetto^ Fissiamo dunque la nomen- clatura e la sinonimia di questa roccia. Già abbiamo veduto che il Corniani dà a questa roccia il nome di Petroselce periata: tal nome desta ben tosto l'idea che a partecipar abbia delle qualità della Petroselce e della Perlite, ossia del Perl- stein de' Tedeschi; e giacche l'analisi fattane dal valente nostro Pro- fessore di Chimica sig. Melandri ci mette in grado di conoscerne i costituenti principj, paragoniamoli con quelli della Petroselce, della Perlite, ed anche della Picea, o Pechstein de' Tedeschi, giacché vedre- mo che molto non se ne discosta ('). (i) Veggasi la Tabella in calce di quesla Memoria. . . i8 Confrontando queste analisi si Tede grandissima somiglianza tra la Perlite Euganea e la Perlite di Ungheria, che molto le si accosta nei costituenti princìpj e nella proporzione dei medesimi, mancan- dovi soltanto il Manganese, che anche nella nostra Perlite entra nella minima dose di 0,0024, e può riguardarsi come accidentale e non essenziale; e la Soda, che nella Perlite d'Ungheria viene compensata da una maggior quantità di Potassa. Tuttavia siccome nò la Perlite Euganea, nò quella d'Ungheria mai non si presentano cristallizzale, e non formano quindi una vera specie mineralogica, secondo Hauy, così non sarehbe improbabile che i principj costituenti queste Per- liti non vi serbassero già una proporzione costante, dietro i Berzelia- ni principi e la teoria delle proporzioni fisse, ma vi si trovassero, almeno alcuni, in istato di semplice mescuglio. In tal caso non po- tendosi far con sicurezza della Perlite un silicato d'Allumina, qual- unque fosse la proporzione di Silice che si volesse ammettere, com- binata coll'Allumina, si vede bene che l'analisi chimica non offrireb- be una guida abbastanza sicura per la determinazione della mede- sima ; e conviene quindi cercare se più sicure norme ci presenti il confronto dei caratteri esterni, giacche finalmente l'analisi chimica nei corpi minerali non cristallizzati , e che non serbano proporzioni fisse, ci fa bensì conoscere i principj di cui sono composti, ma non sempre il modo di loro aggregazione, che può essere mollo diverso, in quella guisa che dal conoscere alcune cifre numeriche, separa- tamente prese, non si conosce il valore del numero, che può risul- tare assai diverso, secondo la diversità della reciproca lor posizione. §• v. Confronto dei caratteri esterni della Perlite Euganea con quelli delle altre rocce ad essa affini. Molti caratteri esterni della nostra roccia convengono, per vero dire, con quelli della Perlite. Essa ne ha il colore, la lucentezza e la frattura, la fragilità, il grado di durezza e l'odore; non è molto diversa ne' fenomeni che presenta, trattata al cannello, perchè, come si è notato, prima di fondersi in vetro bollicoso si gonfia assai; •9 il che pure si osserva accadere nella Perlite: confrontata, all'incon- tro, con la Picea, o s'intenda sotto questo nome il Quarzo resinile comune di Hauy, Tratte tom. II., o si vogliano intendere i Semio- pali de' Tedeschi, è certo che queste sostanze, oltre all'avere un aspet- to molto più siliceo e vetroso della nostra Perlite, sono anche presso che infusibili al cannello, e certamente molto difficili a fondersi; nel che molto diversificano dalla Perlite Euganea. È vero che la Pi- cea di Misnia si comporta al cannello presso a poco come la nostra Perlite; ma appunto il Pechstein di Misnia, come nota Brongniart, è piuttosto un'Ossidiana, un Perlstein, di quello die una Picea, ossia un Pechstein, o Quarzo resinile di Hauy. Pare adunque che per la somma degli esterni caratteri e pel modo di comportarsi al cannello debhasi la nostra roccia annoverare tra le Perliti; non si deve dissimulare però, che ne disconviene al- quanto nella cosi detta forma dei pezzi separati [Abgesonderte stiicke), i quali nel Perlstein, secondo la descrizione che ne fa Reusz, sono testacei, cioè composti di lamine concave e concentriche, a guisa, diremo così , delle tuniche delle cipolle , con un granello di Ossi- diana o Marecanite nel mezzo , intorno a cui si sono quelle tuniche modellate e disposte; la qual forma non mai si osserva nella pietra nostra; e se il nome di Perlstein, o di Perlite, fu imposto a quella roccia, perchè nella forma delle sue parti separate ha una certa ras- somiglianza colle perle , pare che non possa convenire alla nostra , che non ne ha veruna. Questa differenza però non mi toglie dal. tenerla per una vera Perlite, giacché, ne possedè tutti gli altri inter- ni ed esterni caratteri, come vedemmo , e perfino i caratteri geogno- stici, qual è quello di trovarsi nello stato porfiritico ; e solo mi fa giudicare che la descrizione di Reusz sia troppo parlicolarizzata: di- fetto in cui cadono talvolta gli autori tedeschi, henchè certo grandi maestri in Mineralogia , e che tale descrizione convenga più alla Perlite di Telhebanya e di Tokai, di quello che alla Perlite in ge- nerale. Per me dunque è ormai fuori di dubbio che la nostra roccia Euganea sia una vera Perlite, ossia il Perlstein di Reusz e degli altri autori tedeschi; e tanto più me ne chiamo sicuro, quanto che veggo che anche il celebre Leonhard nel recentissimo ed utilissimo suo Ma- nuale di Oritlognosìa (Heidelberg 1821) determina per Perlstein quella 20 de' monti Euganei, che da me ha ricevuto, indicandone precisamente il luogo di provenienza, cioè Monte-Menone e Breccalone, pag. 142. S vi. Scrittori che ne fecero parola . Il capo XXII. dei Viaggi dello Spallanzani alle due Sicilie è in- tieramente consagrato alle produzioni fossili de' nostri monti Euganei. Quell'illustre autore parla in tal luogo della nostra Perlite, e nomi- natamente di quella che si trova sul monte SieTa e suoi contorni: egli descrive henissinio questa pietra, e le varietà ch'essa presenta; e se Picea piuttosto che Perlite la nomina, non deve ciò far mera- yiglia, si perchè abitiamo veduto quanto queste due sostanze sieno affini pei loro costituenti principi , si perchè anche negli autori di sistemi mineralogici, posteriori allo Spallanzani, si trovano talvolta queste due rocce confuse ; sì finalmente perchè, riguardando egli le da lui descritte rocce come altrettante Lave, ha adottato per le medesime la denominazione di Dolomieu, che appunto Lave picee le appella, rimarcando però lo Spallanzani una distintiva proprietà fra le picee vulcaniche e quelle che tali non sono, consistente nella somma facilità di fondersi che si osserva nelle prime, e nella infusibilità delle secon- de (0. Questa differenza, che realmente sussiste, l'ho io pure testé notata come un carattere distintivo fra la Perlite e la Picea (§. V.) ; se ciò sia poi effetto di vulcaneità, io non entro per ora in discussione. Il Padre Terzi, abate Cassinense, che mentre vivea raccolse una copiosissima e bella collezione delle produzioni Euganee , che poi passò nel gabinetto Corniani, indica questa roccia nelle sue lettere col nome di Vetro oscuro (2) ; lo Spallanzani nel luogo sopraccita- to, ed il Marchese Orologio nella lettera in risposta al Padre Ter- zi gli contrastarono la convenienza di questa denominazione, e la dicono Lava picea il primo, e Lava semivetrosa il secondo. Brongniart è incerto se debba annoverarla fra l'Ossidiana mareckanite, o l'Ossi- diana periata; e se quel dotto mineralogo, il di cui valore in questa (1) Spali. Viaggi alle due Sicilie. Loc cit. (2) Terzi, Lettere. 21 scienza gli valse l'essere eletto per successore all'Hauy, l'avesse avuta sott' occhio quando scrisse il suo trattato, l'avrebbe certamente ri- posta fra l'Ossidiana periata, giacché la sua Ossidiana periata corri- sponde al Perlstein de' Tedeschi: finalmente il Corniani la nomina Petroselce periata, come dicemmo fino dalle prime di questa Memoria. §■ VII. Posizione della Perlite Euganeaj e stato in cui essa si trova. Ora che abbiamo determinato essere questa roccia una vera Per- lite, ed abbiamo veduto sotto quai nomi venne indicata dagli autori che ne parlarono, passiamo a vedere quale sia la sua giacitura sui nostri monti; e siccome la montagna di Sieva con le sue diramazioni è quella che ci offre le più belle varietà di Perlite, così mi sia per- messo il darne in brevissimi cenni la topografia. Giace la montagna di Sieva allato orientale de' monti Euganei, e manda due rami prin- cipali, uno de' quali va a terminare al Catajo, e l'altro al monte delle Croci: chiudono questi rami ui:a valle, e in mezzo a questa scendono dalla stessa montagna due piccoli dorsi, uno detto Monte- M enone j e l'altro Montenuovo. Alla parte del Nord, Sieva s'unisce a Mont' altOj il quale va a terminare verso le praterie di S. Pietro Montagnone col mezzo del Monte del Donati; una falda di Mont'alto al Nord-Ovest del medesimo porta il nome di Crivellare,, o Brecca- lone. Sono questi i luoghi che più di frequente mi verrà fatto di no- minare, e de' quali ho creduto bene far conoscere la rispettiva po- sizione, per non dover poi coli' indicazione de' luoghi interrompere il filo del mio ragionamento. (Veggasi la carta topografica.) Fra le accennale località due sono quelle che ci offrono la Per- lite. La prima di queste località è Breccalone, porzione di Mont'alto al N. O. dello stesso. In questa falda di monte si trova la più bella Perlite Euganea che si dia, il vero prototipo della spezie, e in islato di roccia semplice; l'altra situazione è nelle falde di Montenuovo, o Monte-Menone, che sono ambedue derivazioni del monte Sieva: la Perlite vi è un po' meno pura, perchè qualche laminetta di Mica contiene , e qualche raro granellino di Felspato assai parcamente 22 disseminato; ma pure, facendo astrazione da questi corpi estranei, si può riguardare come semplice anche la Perlite di Montenuovo. La Perl ite di Montenuovo ne occupa la falda esposta a scilocco: entran- do nelle campagne del Serenissimo Duca di Modena al Calajo, o sia che si attraversino le valli di tal nome , o sia che, innalzandosi un poco, si costeggi il monte, radendo il muro del parco, dopo, aver lasciato indietro un Porfido petroseliceo, di grana fina e di tes- situra molto dura e compatta, arrivati al palazzo Morosini, si trova la Perlite, che non vi forma già né grandi masse distinte da irrego- lari fenditure, né mollo meno veruna sorta di stratificazione, ma si distende sulla falda del monte, seguendone il pendio. Innalzandosi alquanto, cessa la Perlite di mostrarsi pura; ma si presenta in istato di composizione porfiritica , e forma due varietà di Porfidi bene di- stinti: il primo è un Porfido, in cui la Perlite, che ne forma la base, è di color giallo-bruno, volgente al bruno rossiccio, e molto nel co- lore si avvicina a quello della Colofonia ; la Mica vi è raramente disseminata , ma frequentissimi sono i granelli di Felspato bianco : nel secondo, che si trova alquanto più in su verso la vetta del monte, la Perlite, che ne forma la base, è nera, e sembra una pasta di Ossidiana; i Felspati poi vi sono come nel primo Porfido teste ac- cennato. Non è però che per tale diversità di colore debbansi ritenere le basi di questi Porfidi come cosa sostanzialmente diversa dalla Per- lite bigia, perchè identici sono tutti gli altri caratteri esteriori, ed eguale pur anco la maniera di comportarsi al cannello ; per conse- guenza non è già il primo, a parer mio, il Pechstein porfir, ossia il Porfido piceo de' Tedeschi, benché il di lui cemento abbia il color della pece; ne l'altro, V Obsldian porfir, ossia Porfido ossidianico, benché la base, che involge i Felspati, un poco all'Ossidiana nel colore e nella lucentezza si ravvicini; ma l'uno e l'altro io tengo per Porfidi a base di Perlite , ossia Perlstein porfwt distinguendo il primo col nome di Porfido perlitico giallo-bruno, ed il secondo con quello di Porfido perlitico nero; e se si ritrovasse in qualche luogo il cemento di quest'ultimo in istato di semplicità, e non unito ai Felspati in istato di aggregazione porfiritica , si avrebbe allora una nuova varietà di Perlite, che sarebbe la Perlite nera, che finora non si conosce pura, e che forse io sono il primo a far conoscere 23 in istato di composizione porfiritica. Finalmente osserveremo essere carattere geognostico della Perlite il presentarsi spesso in istato por- firitico , sicché anche per questo carattere geognoslico conviene la roccia di Montenuovo e di Monte-Menone derivazioni, come dissi, di Sieva, e quella di Breccalone dipendenza di Moni' alto, col Perlstein di Tokai, col quale ha moltissima rassomiglianza. Superali in altezza i due terzi all' incirca di Sieva, ed accostan- dosi alla sua cima, cessano intieramente la Perlite e i Porfidi che ne derivano; ma la cima di questa montagna, la di cui elevazione è di tese no, 8, ossia metri 2i5,8334, è composta d'una roccia tanto più porosa, quanto più si accosta alla cima. Questa roccia viene ris- guardata per Lava dai Naturalisti italiani, e segnatamente dallo Spal- lanzani, Orologio, Marzari; e a vero dire ne ha tutto l'aspetto: e se veramente lo sia, formerà hen tosto il soggetto di non lunga discus- sione. Questo è l'ordine della giacitura della Perlite di Sieva, che, riepigolato in poche parole , è il seguente : i. Porfido petrosiliceo compatto di grana fina. 2. Perlite bigia. 3. Porfido a base di Perlite giallo-bruna. 4- Porfido a base di Perlite nera. 5. Lava. Simile è presso a poco la disposizione della Perlite in Breccalone ; se non che invece del Porfido petrosiliceo, che si trova prima d' ar- rivare alla Perlite di Montenuovo e Monte-Menon, per giungere in Breccalone, si rinviene una roccia trappica che s'avvicina al Basalte, alla quale succede la Perlite bigia purissima e il vero prototipo della spezie, indi la Perlite giallognola presso che pura, poi il Porfido a base di Perlite giallo-bruna, e poi l'altro a base di Perlite nera, e final- mente sulla cima di Mont'alto, non già la roccia porosa come sulla cima di Sieva, ma quel Porfido che presso noi è volgarmente cono- sciuto col nome di Masegna^ sul quale ho stampato una Memoria fino dall'anno 1810, inserita nel tom. XV. delle Memorie della So- cietà Italiana delle scienze, che ora è riconosciuto per una vera Trachite, e che costituisce ordinariamente le cime de' monti Euganei, come ne forma la base. 24 La seguente tabella dimostra l'ordine con cui sono disposte le rocce tanto sul Monte -Menone che in Breccalone. In Monte-Menone. In Breccalone. i. Porfido petrosiliceo compatto, i. Roccia trappica compatta, che di grana fina. s'accosta al Basalte. 2. Perlite bigia, quasi in istato 2. Perlite bigia pura, prototipo di roccia semplice . della spezie . 3. Porfido a base di Perlite gial- 3. Perlite giallognola. Io-bruna. 4- Porfido a base di Perlite gial- 4- Detto a base di Perlite nera. lo -bruna. 5. Roccia trappica porosa. Som- 5. Detto a base di Perlite nera. mità di Sieya. 6. Porfido masegna, ossia Trachi- te. Sommità di Mont'alto. §. Vili. Formazione cui spetta la Perlite Euganea. Credono alcuni spingersi troppo oltre dai Tedeschi, che pur sono certamente gran maestri in Mineralogia, la ripartizione delle forma- zioni , e che tante divisioni e subdivisioni di formazioni , e membri di formazioni, ch'essi annoverano, non sieno veramente fondate in natura, ma figlie soltanto di un adottato sistema, e di troppo partico- lari osservazioni. Che che ne sia di questa dottrina, sulla quale non mi permetto l'entrare in esame, mi sembra però che tutte le forma- zioni, o terreni se vogliam dire con più moderno e generale vocabolo, quant'esse sono, e quante si voglia ch'esse sieno, si possano ridurre in due gran classi principali, che non permettono reciproca confu- sione; cioè formazioni precedenti la creazione degli esseri organizza- ti, e formazioni posteriori alla creazione degli esseri organizzati. Ognuno mi preverrà nel dire, che nella prima classe entrano le cosi dette jormazioni primitive o primordiali, e che spettano alla se- conda le così dette formazioni di passaggio, cioè le secondarie, ossia que' terreni che or diconsi di sedimento, perchè contenenti resti di corpi organizzati animali 0 vegetabili. Fin qui non ci sarà certo opposizione, ne si moveranno difficoltà al mio dire; ma bensì potranno muoversi difficoltà nel determinare quali rocce spettino indubbiamente ed esclusivamente alle forma- zioni primitive, precedenti la comparsa degli esseri organizzati. Non sono molti anni che, dietro il celebre Werner, (il di cui nome non dev' essere ripetuto da qualunque Mineralogo se non con ri- conoscenza e rispetto pei grandi servigi eh' esso rese alla Minera- logia ) teneasi che il granito fosse la più antica di tutte le rocce, e che a tutte servisse di base; e tutte le altre, a quello poste- riori d'origine, sovra il medesimo incombessero. In progresso di tempo lo stesso Werner riconobbe l'esistenza di granili di diffe- renti età relative, distinguendone di quattro epoche differenti; e fino sei ne distinse ne' contorni di Freiberga il Bonard nel suo eccellente Saggio geognostico sopra l'Erzgebig; ma finalmente tutti questi gra- niti, benché di differente età, si consideravano far parte del terreno primitivo, e tutti aver preesistito alle rocce di transizione, e molto più alle secondarie; ma dopo le osservazioni di Brochant (ved. Du- buisson), e dopo ciò che de Buch fece in Norvegia e in Lapponia , e dopo le importanti scoperte fatte nel Tirolo italiano dal Consigliere Conte Marzari, che ben a torto vennero talvolta confuse con quel- le di de Buch, il quale Marzari ci ha dimostralo 1' esistenza del granito terziario, giacche indubitatamente giace sopra terreni secon- dar), e che non è punto dovuto alla ricomparsa, direni cosi, della forza d'affinità e di cristallizzazione, cui de Buch attribuisce l'ori- gine di quello di Cristiania, il sistema della primevità assoluta e generale di tutto il granito ha ricevuto tale scossa da non poter più reggere nell' opinione de. Geologi , ed è divenuto ormai pres- so i medesimi un insostenibile sistema. Quando dunque io avessi dimostrato che la Perlite Euganea spelta ad un terreno granitico o porfiritico , non perciò avrei dimostrato che si debba considerare qual roccia primitiva la Perlite, ne primitivo il terreno in cui si ritrova . Nella mia Memoria sopra la Masegna Euganea ho preteso di di- mostrare la primevità di quella roccia: alcune osservazioni in con- trario addusse il Cons. Marzari ; osservazioni che furono per la prima volta fatte conoscere dal cel. Breislak, il quale, autorizzatone dal Mar- 4 2G zarij le riportò nella sua prima Inlroduzione alla Geologia. I pro- gressi della Mineralogìa, fatti dopo l'epoca in cui fu stampata quella mia Memoria, fecero che si debba presentemente risguardare la Ma- segua, ch'io considerava allora come un Porfido a base di natura indeterminata, come una vera Trachite porfiritica, come più sopra accennai; e siccome generalmente si ritiene per vulcanica la Tra- chite, cosi dovrebbesi ritenere per tale anche la Perlite, che spelta al medesimo terreno; ma non perchè la Trachite, generalmente par- lando, si consideri come vulcanica, perciò non ne viene di stretta conseguenza che ogni Trachite lo sia; come che dall' esservi de' gra- niti primitivi non ne viene che sia primitivo ogni granito; ne, vice- versa, dall' esservi de' graniti posteriori alla Calcarea di transizione, ed anche secondaria , e alla formazione della Creta , non ne viene che tutto il granito esser debba di cosi recente data. Io potrò dun- que a buon diritto risguardare come primitiva non già la Trachite in generale, ma si bene la Trachite Euganea, volgarmente Masegna, ( almeno dirò anch' io col vocabolo di moda provvisoriamente) finché non si dimostri il contrario, giacche finalmente ha bensì il Cons. Marzari messo in campo tre osservazioni locali , contrarie a que- sta opinione, una delle quali specialmente a me pure sembra di molto peso, qual è quella della soprapposizione della Masegna alla Calca- rea di Schivano) a ; ma o non ha egli creduto che valesse la pena, o forse per amichevole riguardo si è trattenuto dal ribattere gli ar- gomenti da me esposti a favore della primevilà della Masegna Euga- nea, e dal risolvere verun dei dubbj proposti contro la sua vulca- neità. Siccome per altro la presente Memoria ha per oggetto la Per- lite, e non la Masegna_, o Trachite poriìritica, su cui si trova, così non è qui il luogo di questionare sulla primevità o vulcaneità della medesima, bastandomi ora indicare che sopra la roccia trachitica, che forma la base generale e il nucleo de' nostri Euganei, si trovano a quando a quando dei depositi di natura diversa, fra i quali ancbe quello della Perlite di Monte-Menone e di Breccalone. Ciò basta a farla riguardare come posteriore alquanto alla Trachite poriìritica su cui giace, e come un membro della formazione porfiritica antica; e di fatto anche tutti i Geologi tedeschi convengono nel considerare il Perlstein come un membro della formazione porfiritica. 27 Il fin qui detlo ci fa conoscere la formazione cui spetta la Per- lite, e la sua età relativa; ma non ci rischiara guari sull'origine della medesima, se vulcanica o nettuniana; poiché, ammesso ancora che vulcanica fosse la Trachite Euganea, potrebbe essere e non essere vulcanica la Perlite che le sovrasta; e siccome noi Italiani siamo abitatori di un paese, in cui frequenti sono le vestigia impresse dai vulcani spenti, e quelle che vi fanno i vulcani ardenti tuttora, e che tale questione è intimamente congiunta con quella della vulca- neità degli Euganei, cosi non sarà inutile il fermarvisi alquanto per isvolgerla e rischiararla. *&* §. IX «Se la Perlite Euganea sia una produzione vulcanica. Qualora ammettere si volesse che la Perlite di Sieva sia una pro- duzione vulcanica, poiché è dimostralo che spetta alla formazione porfiritica, e che la formazione porfirilica spetta alle formazioni pri- mitive, ne verrebbe di conseguenza che fossero vulcaniche alcune rocce che comunemente tengonsi per primitive; il che già a' giorni nostri non ha più l'aspetto di paradosso. Pure s'io volessi qui sulle prime, e senz' altro esame , decidere contro la vulcaneità della Per- lite, ne troverei argomento sui principj stessi ammessi da chi tutt' al- tro si mostra, che seguace del Nettuniano sistema, ed anzi i nostri monti, e la Masegna di che sono composti, come Lava riguarda. Il sig. Breyslak nella sua Introduzione alla Geologia , rintracciando le cause dei vulcani, osserva che l'antichità, la moltiplicità, l'inten- sità e l'intermittenza delle accensioni escludono l'idea che possano quelli dipendere dall'infiammazione delle Piriti e del Carbon fossile. Concepisce egli sotto il Vesuvio delle grandi caverne, ed immagina che in queste a poco a poco si raduni il Petrolio che stilla dagli Appennini; che al Petrolio s'unisca Fosforo, ed acqua impregnata di Muriato di soda; che il Petrolio, diffuso, egli dice, in somma abbon- danza nel regno fossile, sia la generale cagione dei vulcani; e mostra quanto questa sostanza abbondi nel globo, come le lave talvolta ne sieno, dirò cosi , unte , e come spesso i densi vapori dell'eruzioni ve- suviane mandino deciso odore di Petrolio: crede che la intermittenza 28 delle eruzioni derivi dall' accumulamento e successivo esaurimento del Petrolio; e porta opinione, che se molli vulcani sono in vicinanza del mare, ciò sia perchè le sostanze bituminose fluide, circolando per gl'interni meati della terra, vanno a raccogliersi ne' siti più bassi, cioè verso il mare (Breyslak, Introduz. alla Geologia,, tom. II. p. 3i6 e seg.) La stessa teorica, convalidata dalle medesime prove, egli espone anche nelle sue Institutions géologiquesj tom. III. cap. XCVII. pag. a5. Io potrei dunque argomentare cosi : I vulcani non esistono che in conseguenza de' bitumi; i bitumi de- vono la loro origine alla decomposizione de' corpi organizzati marini. Questi non esistevano all'epoca delle formazioni primitive. Dunque a quell'epoca non potevano esistere vulcani, e per con- seguenza la Perlile che spelta alle formazioni primitive , non può essere d'origine vulcanica. Ma so bene che, quantunque per avere i bitumi gli stessi costi- tuenti principj degli olj e de' grassi animali, cioè l'idrogeno, il car- bonico e l'azoto, e perchè fra gli strati bituminosi trovatisi non di rado reliquie di corpi organizzati marini e di vegetabili terrestri, si risguardino comunemente dai Naturalisti come il prodotto della de- composizione de'corpi organizzati, specialmente marini, tuttavia vi sono de' fenomeni geologici, che sembrano affatto contrarj a questa ipotesi: i.° perchè, come osserva Patrin all' arlic. Bitumes nel Diziona- rio d'Istoria naturale, le stratificazioni bituminose che presentano ve- stigia di corpi marini , sono assai rare in confronto di quelle che ne sono prive; 2.0 perchè nulla è più frequente in natura delle stratifi- cazioni , che sono piene zeppe di reliquie marine, anzi interamente composte delle medesime , senza che perciò tengano il più piccolo indizio di bitume. Per qual ragione dunque, dice egli, i corpi marini si saranno in un luogo cangiati in bitume, mentre in mille e mille altri luoghi non si sono che semplicemente petrificati? Ed in quanto all'identità de' costituenti principj non se ne può trarre forte argomento per l'origine animale dei bitumi, dacché si sa che tali principj non sono esclusivamente proprj di verun regno. Oltre di che mi è nota l'osservazione fatta da Humboldt ne' suoi viaggi intorno al Petrolio che scaturisce da una roccia primitiva nella penisola d' Arava; la quale osservazione è tanto più importante, quanto 29 che ivi lo stesso terreno primitivo racchiude de' fuochi sotterranei, che agli orli cioè de' crateri accesi di quando in quando si sente l'odore di Petrolio, e che la maggior parte delle sorgenti calde d'America escono, per sua asserzione, dal Gneis e dallo Scisto micaceo. Qualora si voglia accordar peso alle osservazioni di Patrin ed al fatto narrato da Humboldt, al quale, per quanto strano e particolare esso sia, non perciò vorrassi negar credenza, attesa la deferenza che si merita l' illustre viaggiatore, si deve dedurre che la Perlite può essere vulcanica, benché giaccia in terreno primitivo. Sia dunque così; sia che il pabulo de' fuochi vulcanici possa trovarsi in terreni primitivi , e precedenti l' esistenza della natura organizzata vivente sul globo; (il che, per vero dire, è un po' dif- ficile ad ammettersi) e sia per conseguenza che sostanze veramente vulcaniche si possano ritrovare anche nei terreni primitivi; ma che per ciò? e quale ne sarà la conseguenza? Questa e non altra, se non m'inganno: che la Perlite Euganea , benché si trovi in terreno primitivo, può essere una produzione vulcanica; ma non perchè può esserlo ne viene di conseguenza ancora che sia: per decidersi affer- mativamente o negativamente bisogna convincersi della presenza o della mancanza dei caratteri della vulcaneità; esame che brevemente adesso noi intraprendiamo a fare in sul finire di questa Memoria. §. X. Caratteri della Vulcaneità. Il fuoco vulcanico è un fuoco che si può dire enigmatico e mi- sterioso; tanto sono strani, mirabili, e dirò pure contraddilorj e in- concepibili i suoi effetti. Al dire de'Vulcanisti, questo fuoco fonde e vetrifica le rocce, e non ne altera la natura; squarcia il seno dei monti, riempie di lave e ceneri le valli, e non fonde un Felspato , un Trappo, un' Omiblenda ; mantiene per anni ed anni nelle ma- terie eruttate una semifluidità pastosa , e vi si trovano inalterate le conchiglie rapprese. Che fuoco adunque è mai questo, che riscalda e non brucia, arde e non consuma, vetrifica e non disnatura? Che che ne sia, è certo dunque che il fuoco vulcanico non imprime in 3o una roccia caratteri di tal natura, per cui, presa isolatamente e senza il concorso di tutte le altre circostanze geognostiche, si possa rico- noscere se sia una lava o no; e la confessione su questo punto di due grandi e celebri vulcanisti , Dolomieu e Spallanzani ('), dispensa sicuramente da qualunque ulteriore esame. Né dall'aspetto vetroso o dal nericcio colore di una pietra vorrassi trar prova irrefragabile di sua origine vulcanica , perchè e la infiltrazione della Silice può dare l'aspetto vetroso, e molte rocce sono nere, che non sono d'ori- gine ignea; e viceversa. I Vulcanisti annoverano, fra le produzioni vulcaniche, molte sostanze che non sono nere; né il color nero è per le lave più essenziale del bianco o del bigio (3). « Ove però una i) montagna sia conica , ed abbia un imbuto rovesciato alla cima , o "caratterizzati contrassegni di esso; ed ove da quell'imbuto, come da «punto centrale, divergano verso le parti inferiori più suoli lapidosi » coli' andamento a guisa di onde, ovvero con disuguaglianze, non pos- » siam rivocare in dubbio la presenza delle lave.» (5). E dove una materia si presenti tutta ripiena di bollicelle, e queste di figura or- bicolare e lunghetta, piuttosto che angolare, e nell'interno della so- stanza medesima, piuttosto che nell'esterna superficie, cosicché escluso affatto ne resti ogni sospetto che derivar possano da decomposizione di altri corpi scomparsi, quella pUre si dovrà senza esitanza veruna considerare una lava, perchè la cellulosità non dipendente da decom- posizione non può essere effetto che della espansione cagionata dal calorico, e quindi un deciso carattere della vulcaneità di quella pietra in cui si osserva. S xi. Esistenza di questi caratteri nella Perlite Euganea. Ora applicando al particolare quanto abbiamo finora generalmente esposto, pare veramente che non si possa non riconoscere per vulca- nica la sommità di Sieva. La roccia che la costituisce è tutta bulbosa (1) Dolomieu, Mémoire sur les Isles Ponces. (2) Dolomieu, loc. cit. pag. 9. Avant-propos, pag. 7. — Spallanzani, Viag- (3) Spali, loc. cit. pag. 25i. gialle due Sicilie. Tom. II. Cap.XX. pag. 577. non solo nella sua esteriore superficie, e dove per l'azione delle meteore potrebbe avere avuto luogo la decomposizione delle parti , ina nel più intimo della sua sostanza, e nei pezzi staccati dall'in- terno del monte; e questi vóti sono tali e tanti, clic e per la loro forma, e per la loro moltiplicità, e per non trovarvisi mai vestigia di globetti spatosi o simili, che con la loro decomposizione potessero averli prodotti, non si possono a vermi' altra causa meglio attribuire, che allo sviluppo di qualche gas permanentemente elastico, o meglio ancora alla somma rarefazione e momentanea gasificazione , direni così, che per l'attività de' fuochi vulcanici prendono le rocce mede- sime, su le quali essi esercitano la loro azione, come con belli e sagaci esperimenti ha provato lo Spallanzani nel tomo III. de' suoi Viaggi alle due Sicilie. Il primo carattere adunque comprovante la vulcaneità d'una roccia, cioè l'osservarla ripiena di vacui e bollicelle, e queste dipendenti da interna rarefazione, e non da decomposizione di corpi estranei, che prima vi fossero avviluppati e racchiusi, si trova nella roccia della sommità di Sieva. Vi si rimarca pure l'altro carattere di vederla disposta in corrente, seguendo le leggi idrosta- tiche , perchè anche 1' occhio il meno avvezzo a litologiche osserva- zioni discopre che la Lava di Sieva , poiché io non avrò più diffi- coltà di chiamarla con tal nome, sorte dalla sommità di Sieva, e giù calando se ne viene per la china del monte , fino a ritrovare i Porfidi periati, alquanto sollevata rimanendo sul piano, pel quale discorre , come appunto accader doveva in una materia dotata sola- mente d'una semifluidità pastosa, e come il sig. Brocchi ha co'proprj occhi veduto verificarsi nella lava che il Vesuvio eruttò nel 1812, e che « tanto la fronte, quanto le laterali sponde della corrente, an- » zichè terminare con un dolce declivio, come sembra che avrebbe » dovuto addivenire in un torrente di materia fluida, che non è so- li stenuto da argini, offerivano in cambio un pendìo pochissimo in- » chinato , ed in alcuni siti erano quasi verticali, talché detto si «avrebbe che la lava, mentre scorreva, fosse così rimasta sospesa (').» Che se finalmente qualche peso a favore della vulcaneità della roccia di Sieva può dare la somiglianza di questa con altre prove- (1 ) Brocchi, Lettera al sig. Cav. Monticelli, inserita nel toni. VI. della Biblioteca Italiana, segretario dell' Accademia Reale di Napoli, Fase, del mese di Maggio 1817, pag. 285. 32 nienti da luoghi decisamente riconosciuti per -vulcanici, tale argo- mento non manca sicuramente, perchè la roccia di Sieva è somi- gliantissima alla lava di Radicofani ed alle lave di Andernach sulle sponde del Reno ; e per tali vennero riconosciute dai Mineralogisti tedeschi, che certamente, alcuni anni sono, non erano grandi fautori del sistema vulcanico. Io porto dunque opinione che al di sotto dei Porfidi di Sieva e Mont'allo, o framezzo alla formazione trappica che in parte li ri- copre, abhia sbucato un vulcano, del di cui carattere più non sus- siste vestigio , ma che doveva essere presso a poco dove presente- mente esiste la cima di Sieva, e da dove sgorgò la lava, di cui anche al giorno d'oggi si può seguitar la corrente; e sospetto che la Perlile sia una roccia primitiva, posteriormente alterata e semifusa dal fuoco vulcanico : la ragionevolezza del qual sospetto è ciò che mi resta da dimostrare nelle ultime linee di questo lavoro . §. xii. Prove ulteriori della vulcaneità della cima di Sieva, e che la Perlite Euganea sia una roccia primitiva alterata da quel vulcano. Nella soluzione de' problemi algebraici si procede ordinariamente colla eliminazione delle incognite: qui mi conviene procedere per opposta via, separando cioè il noto dall'ignoto, onde concentrare soltanto su quest'ultimo i nostri riflessi e i nostri ragionamenti. Da quanto venni finora esponendo parmi bastantemente provato che sia una Lava la roccia della sommità di Sieva , e che sia una Perlite la roccia che vi si trova sui fianchi; a giudicar poi che il fuoco del vulcano superiore di Sieva abbia agito sull' inferiore Per- lite, mi muovono le seguenti ragioni: i.° Il ritrovarsi la medesima in vicinanza d'una roccia decisamente vulcanica, e al di sotto d'una corrente di lava. Ciò veramente non fa una prova convincente , ma dà un carattere di probabilità alla mia congettura; e questa congettura tanto meno straniera ed impro- babile deve riuscire adesso, che tanta forza di modificazione si attri- buisce alle rocce piriche sulle calcaree, con cui si trovano in contatto. 33 2." La sua apparenza semivetrosa o di smalto. E vero che, come più sopra ho notato, per confessione medesima dei Vulcanisti l'ap- parenza vetrosa non è carattere sufficiente per determinare con si- curezza la vulcaneità d'una roccia; non si può negare però che, ove questo carattere concorra con altri più decisivi, non acquistino tutti dal reciproco concorso forza maggiore ; quindi è di qualche peso, per dimostrare l'azione del fuoco sulla nostra Perlite, quell'aspetto semi- vetroso o di smalto ch'essa presenta, per cui avvenne ch'io non l'ho mai fatta vedere a chi non ha la più piccola nozione litologica, che non 1' abbia a colpo d' occhio presa per materia di fornace, terra bruciata, materia fusa, materia in fine ch'abbia provato l'azione del fuoco. L'uniformità del giudizio degl' indotti, che vuol dire dei non prevenuti, su questo punto mi pare eh' esser debba di qualche peso anche presso i scienziati. 3.° La Perlite Euganea forma, come abbiamo veduto, la base di due Porfidi (§. VII.): il Porfido giallo-bruno e il Porfido nero. Questi Porfidi non giacciono in posizione originaria orizzontale, ma in posi- zione verticale, e sono tutti screpolati ed incoerenti, incapaci perciò di ricevere pulimento. Se si ammette lo sforzo d'un vulcano che ab- bia agito nelle viscere del Sieva dal di sotto all' insù, ben facilmente si comprende la causa del loro raddrizzamento, e le screpolature da cui sono offesi; in caso diverso la cosa non è di sì facile spiegazione. Questi sono i motivi che mi fanno abbracciar l'opinione della vulcaneità di questa roccia. §. XIII. Conclusione. Da tutto quello adunque eh' io venni fin qui ordinatamente espo- nendo sembrami poter conchiudere : i.° Che la roccia di Monte-Menone e Breccalon è una vera Per- lite, ossia il Perlstein de' Mineralogisti tedeschi. 2.° Che questa Perlite giace in una formazione porfiritica primi- tiva, di cui fa parte, e eh' è di origine alquanto posteriore al Porfido su cui si trova distesa. 5 34 3." Che si trova nel doppio stato di roccia semplice e di aggre- gazione porfiritica. 4-° Ch' essa è una sostanza , sulla quale il fuoco vulcanico ha esercitata la sua azione. 5.° Finalmente, che il vulcano che agì sulla Perlite di Monte- Menone e Breccalone, ebbe il suo focolare nel monte di Sieva, dalla di cui cima sgorgò in antichissimi tempi, forse anteriori ad ogni monumento storico , e forse coevi al tempo in cui apparati arida,, una lava la quale formò una corrente, che anche al giorno d'oggi sussiste e visibilmente si riconosce. Aggiungerò qui solamente, che la Perlite si ritrova non solo in M. Menone e Breccalone, benché sieno quelle le principali località, ma ancora in molti altri luoghi de'rnonli Euganei, come per esempio a Pendice, dove forma elevati dirupi, dai quali appunto quel monte prese il suo nome. Così ho esposto quanto di più probabile mi parve poter dire in- torno la sinonimia di questa roccia, la sua giacitura, le rocce com- poste cui serve di base, l'epoca di sua formazione, e la sua origine, se vulcanica o nettuniana; e della sua vulcaneità, già prima presunta, ho dato, per quanto mi pare, una chiara dimostrazione; ciò appunto eh' io mi era proposto di fare fin dal principio di questo mio ragio- namento. ] co fO UT> ha a a. .S M in o in er> o in o in *cj* o 1o O n o o o o o o O in o tn 3 i— i ^ Per LAP in « O M o »sr o *3" co o • *J t^ H o o o o o o o o p ì4 t-H in" one osta. O m ir o o o fi o Ragi comp ai lo ir a r^ m c o M iri . cv »* {53 «1 E- Ph O o en ir > 1 o wT H CO o e ' o 3 A 1 W W H o a v? tò OS ' — " bó o> tn o — - Ph "3 K 2 o n c^ « e 1 o 9 aj <£ s Ph ^ a r— 1 to' __• to « Ci a Ph ■s w o in e o 0 o in ir- in o £ H o o e o M o t-^ ci o 3 »* « o ir m o ^ t- o e in « in CT> t^ o H3 o Ju È C^ es M o o M •<■ o t>. ■- e O o o O o o ° o &* > — ■ ui 0> 0} "£ tSJ "O ^ 5 o 3 s - ^ oselce ELANE g -3 • Cu 'Oto US? Ph "a _3 o o r 2 '""* — 'fi a -^1 •3 n3 E « * fi~ .2 < a a e cn OD O O e V a «i C o o Ph CO *c Ph •—■ 37 CONSIDERAZIONI SOPRA L'ESPERIENZE CON CUI LEGALLOIS E WILSON - PHILIP GIUDICARONO POTER DETERMINARE LA SEDE E LE LEGGI DELLA FORZA VITALE DEL CUORE E QUINDI L'ORIGINE DI ALCUNI DISORDINI NELL' ECONOMIA ANIMALE MEMORIA DI STEFANO GALLINI I ia maggior parte del fisiologi, giudicando doversi attribuire i prodigiosi fenomeni della vita animale ai soli nervi, anzi ad un flui- do, di cui i soli nervi siano, durante la vita, pregni o conduttori, si trovano spesso imbarazzati nel render ragione di alcuni moti ani- mali che ora sembrano indipendenti dall'influenza dei nervi, ora si manifestano prodotti col concorso almeno dell' influenza nervosa. L' azione del cuore, che sopra tanti altri organi sembra il più delle volle indipendente da quell'influenza per seguire ne' suoi moti la ra- gione soltanto delle impressioni del sangue , che alternativamente entra ed esce dalle sue cavità, l'azione, diceva, del cuore fu parti- colarmente esaminata in confronto di quella dei muscoli i più co- stantemente soggetti alla volontà. E non potendo ora più negare che in alcune circostanze l'influenza nervosa concorra nella produzione dei moti del cuore, alcuni credettero togliere ogni mistero fissando due centri diversi, in cui risieda o da cui parta la potenza, con la quale alcuni nervi possono influire nei moti involontarj del cuore e di altri organi, e con cui altri nervi influiscono costantemente nei muscoli soggetti alla volontà. In una Memoria pubblicata nel i3ao tra quelle della Società Italiana delle soienze, -volume XVIII., Lo più diffusamente di prima esaminato = Se e quanto il fluido elet- trico o galvanico influisca nei fenomeni della vita, soprattutto nei corpi animali. = Da quanto ho esposto panni essere sempre più confermata l'opinione già da me altre volte emessa, cioè che la po- tenza nervosa, anzi la vitalità di ciascun tessuto solido animale sia una forza diversa o una gradazione almeno diversa d' una sola forza generale che in ciascun tessuto esiste da se, benché non possa essere messa in azione senza che un agente esterno, chiamato stimolo^ tenti di rompere l' equilihrio tra le mutue azioni degli elementi com- ponenti le molecole di ciascun tessuto; nel qual equilibrio esse forze o esse gradazioni d'una sola forza consistono, a mio giudizio. Ma da quanto pure ho raccolto in essa Memoria risulta ancora: i.° che il fluido, sia elettrico, sia galvanico, sia analogo a questi, che viene separato dai vasellini stessi di ciascun nervo e di ciascuna massa nervosa in maggiore quantità di quella che viene separata dai vasellini di altri tessuti, concorra cogli altri elementi tutti a quella maggior mobilità reciproca dei medesimi, ed a quel più pronto equi- librio che costituisce la vitalità propria dei nervi; e 2.0 che quella porzione di esso fluido, che dall'esterno s'introduce, o che all'ester- no è richiamata, possa soltanto servire di stimolo, e possa produrre un'alterazione nell'equilibrio delle mutue azioni degli altri elementi, e quindi manifestare la vitalità ridotta pure al minimo grado in qual- unque tessuto diverso, in cui risieda una sua gradazione particola- re, acciocch' essa prontamente operi e rimetta all'equilibrio quelle mutue azioni. I celebri Humboldt e Fourcroy hanno, come già io avea esposto in altre occasioni, confermato che la vitalità in tutti ' tessuti animali consista nell'equilibrio attivo tra le mutue azioni di tutti gli elementi componenti le fibrille o laminette, ch'io considerai essere le molecole primitive animali, dalla cui aggregazione diversa i diversi tessuti delle parti animali risultano . Humboldt particolar- mente fu condotto a dire che il fluido elettrico o galvanico concor- ra ai fenomeni della vita, come qualunque altro agente esterno che serve di stimolo per dare occasione all'azione della forza inerente nei nervi e nei muscoli. Tutto questo può benissimo farci intanto prescindere, e mi ha sempre indotto a prescindere dall' ammettere 39 l'esistenza d'un principio vitale, che solo sia la causa generale dei fenomeni della vita, e quindi ho insistito sempre a derivare la vita- lità dall'equilibrio attivo delle mutue azioni di tutti .gli elementi co- stituenti le molecole di alcuni tessuti semplici organici. Ma le moltiplici osservazioni che io aveva raccolte sino dal 1792 per formare come una storia dei progressi della fìsica del corpo uma- no, mi avevano condotto ancora a stabilire due leggi, che con mag- giore precisione ho esposte alla pag. 3i del volume terzo della pri- ma edizione de' Nuovi elementi della fisica del corpo umano, pubbli- cata nel 1309. Queste due leggi sono pure ripetute nella pag. 107 del volume secondo della seconda edizione de' medesimi elementi, pubblicata nel 1820. La prima di queste leggi è, che la circolazione e la rinnovazione della materia nutritiva in tutte le parti , e parti- colarmente nei nervi, devono essere continuamente eseguite, accioc- ché la vitalità di ciascun tessuto possa mantenere e rimettere pronta- mente le proprie molecole alla composizione naturale, e conservarsi essa medesima nella sua attività. Questo fatto, che, essendo costan- temente confermato, costituisce una inalterabile legge dell'economia animale, dimostra certamente che la potenza, per cui alcuni organi producono i moli animali, sia inerente negli stessi organi, e dipenda dalla particolare proporzione di moltiplici ma determinati elementi, come nei nervi è inerente e dipendente la loro. Io non ripeterò ora quanto dissi sino dal 1792 per provare che queste potenze inerenti nei nervi e nei diversi organi del molo animale, allorché sono esa- minale comparativamente, manifestano differire soltanto nel diverso grado di prontezza con cui gli elementi sono mutabili nella loro mu- tua positura, e con cui l'equilibrio attivo delle loro mutue azioni li rimette allo stalo di prima. In altri termini questa differenza consi- ste nel grado di prontezza con cui le molecole dei diversi tessuti ricevono le impressioni e si rimettono dalle medesime, comunicando però un'impressione simile alle molecole prossime. Questo grado di prontezza, sommo nei nervi, fa ch'essi istantaneamente trasmettano le impressioni da una loro estremità all'altra, senza che il loro vo- lume comparisca mai mutato nel tempo di loro azione. E per essere minore questa prontezza negli organi del moto animale, la vitalità di questi, messa in azione, si manifesta subito in alcuni con la con- 4o trazione del volume, In altri con la turgescenza, susseguite l'una e l'altra prontamente dalla restituzione al volume di prima. I nervi poi per la loro distribuzione devono considerarsi divisi in due classi. Alcuni certo hanno una loro estremità che dicesi sen- ziente, perchè è più esposta a ricevere le impressioni dai corpi esterni, siano circostanti, siano introdotti e circolanti per le interne cavità e vasi; altri hanno una loro estremità che chiamasi motrice , perchè è fusa nei tessuti irritabili contrattili e turgescenti degli organi del moto animale; e gli uni e gli altri hanno l'altra loro estremità fusa insieme ne'ganglj, o direttamente nel centro massimo dei nervi e nel cervello. I nervi quindi della prima classe trasmettono le im- pressioni fatte nelle parti che si chiamano organi dei sensi al centro massimo ed al cervello o direttamente, o dopo averle fatte passare pei gangli ; ed i nervi della seconda classe le trasmettono dal centro massimo e dal cervello agli organi tutti del moto animale o diret- tamente, o dopo averle portale ad alcuni ganglj. Ma da numerose osservazioni risulta l' altro fatto costante, eh' è la seconda legge del- l'economia animale da me esposta, cioè che — Una massa d'impres- sioni dev' essere continuamente trasmessa dall' estremità senzienti tutte al centro massimo dei nervi, acciocché nello stesso istante diffuse per mezzo di altri nervi che vanno a penetrare tutti gli or- gani del moto, servano a mantenere i tessuti di questi pronti e ca- paci d'un' azione manifesta allorché ricevono impressioni di più forza o pei proprj nervi, o dirette immediatamente sopra di essi. = Con- viene a questo proposito osservare, che alla superficie delle interne cavità e dei vasi i corpi esterni introdotti e gli stessi umori animali circolanti fanno impressioni, le quali non solo sono comunicate al- l'estremità nervose senzienti, ma lo sono pure immediatamente alle fibre irritabili contrattili e turgescenti dei pareti delle stesse cavità e vasi. Ma questi pareti nel corso ordinario della vita manifestano di mettersi in azione all'occasione ed in ragione soltanto di quelle impressioni direttamente comunicate , abbenchè col mezzo de' loro nervi ne ricevano pure continuamente dal centro massimo e dal cervello. I muscoli poi propriamente detti, e quelli soprattutto che costituiscono l' involucro intermedio tra la cute e gli ossi dello sche- letro, non possono ricevere impressioni se non col mezzo dei nervi. e in conseguenza dal centro massimo e dal cervello; ma essi mu- scoli non sono messi in un azione manifesta se non all' occasione , ed ih ragione che le impressioni loro trasmesse dai proprj nervi siano d' una certa forza o preponderanza . Da tutto ciò io ho giudicato sempre che quegli organi del molo animale che ricevono direttamente le impressioni dai corpi introdotti nelle interne cavità, o dagli umori circolanti, siano organi dei moti involontarj, e che tutti quelli che non ricevono impressioni se non col mezzo dei loro nervi siano organi dei moti volontarj. Che se tanto i primi che i secondi ricevono continuamente col mezzo dei loro nervi le impressioni che continuamente arrivano al centro mas- simo ed al cervello , queste impressioni producono soltanto quelle impercettibili alterne mutazioni e remissioni nella positura degli ele- menti, le quali conservano la vitalità delle molecole costituenti essi organi, pronta a manifestarsi allorché le impressioni che sono diret- tamente comunicate ai primi, o che sono trasmesse col mezzo dei nervi proprj ai secondi, abbiano una certa forza ed una preponderanza maggiore dell'ordinario. Ed appunto perchè tanto gli uni che gli altri ne ricevono continuamente col mezzo dei loro nervi, succede che gli organi dei moti involontarj, allorquando col mezzo dei nervi ne ricevono di più valide del solito, producono i loro moli in ragione manifestamente di esse pure, e compariscono volontarj. Ma allorquan- do le impressioni trasmesse dal centro massimo o dal cervello man- cano tanto agli organi dei moti involontarj che a quelli dei moli volontarj, la vitalità dei primi non è messa abbastanza in azione dalle sole impressioni direttamente comunicate ad essa, anzi a poco a poco cessa di produrre alcun moto ; e la vitalità dei secondi cessa su- bito di produrne, e a poco a poco cessa dal poterne produrre all'ap- plicazione pure immediata di alcuni slimoli validissimi. Da queste os- servazioni e deduzioni nelle opere già indicate, e soprattutto nella se- conda edizione de' nuovi elementi ho dimostralo abbastanza non solo come i moti involontarj possano comparire alle volte volontarj, ma come ancora questi ultimi sembrino alle volte spontaneamente pro- dotti, e come tra i volontarj alcuni siano istintivi. Sino però dal- l'anno 1792 io aveva indicato nel Saggio di osservazioni, alla pag. 212 e seguenti, che la causa della varietà dei moti animali tutti si potrà 6 te assegnare con sempre maggiore esaltezza a misura che l'anatomia farà conoscere l'andamento e la distribuzione dei diversi nervi che si uniscono insieme nel centro massimo e nel cervello, ed a misura ch'essa farà conoscere meglio l'origine e la distribuzione dei fila- menti costituenti il nervo intercostale. Quella mia proposizione fu confermata certamente dalle recenti scoperte di Gali sul cervello, e di Weber sul nervo intercostale o gran simpatico. Ma alcuni dotti giudicarono essere necessarie sperienze molli- plici a togliere ogni mistero sulla causa per cui i moti soprattutto del cuore ora manifestano di non essere punto regolati dall'influenza almeno del centro massimo e del cervello, ora di essere regolati da questa. Legallois francese nell'opera pubblicata nel 1812 col titolo- di = Experiences sur le principe de la vie, ossia Esperienze sul prin- cipio della vita, e principalmente su quello dei moti del cuore , e sulla sede di questo principio; = Wilson-Philip inglese nell'opera, di cui fece varie edizioni dal 1818 in poi, e di cui il titolo è = An experimental inquiry 011 the Jaws} ossia Ricerche sperimentali sulle leggi delle funzioni vitali, con alcune osservazioni sulla natura del- le malattie interne, e sul metodo di curarle; = sono quelli che più particolarmente si distinsero nel moltiplicare l'esperienze per questo oggetto. Da un esame comparativo dei loro lavori, che rapi- damente mi propongo di esporre, risulterà, mi lusingo, che le loro esperienze confermano soltanto le proposizioni che sino dal 1792 mi sembrarono potersi con sicurezza dedurre dalle numerose osserva- zioni sull'anatomia e sulle azioni dell'uomo e degli animali viventi, e risulterà soprattutto che Wilson-Philip, appoggiato ad esperienze più decisive di quelle di Legallois, abbia dedotte proposizioni più conformi alle mie. Legallois ha cercato con molle esperienze di provare che la po- tenza per cui il cuore alternativamente si muove, o alternativamente restringe e dilata le sue cavità, non parta dal cervello, ma dalla mi- dolla spinale. Negli animali decapitati, allorché ha potuto conservare almeno artifizialmente la respirazione, ha osservato che i moti del cuore continuano. Ma lacerando ora a poco a poco, ora più o meno estesamente la midolla spinale, ha veduto che la forza di esso cuore proporzionatamente si diminuiva, e perfino si estingueva del tutto. 43 Con queste osservazioni ha cercato di determinare le leggi con cui la midolla spinale influisce nei moti del cuore. Altre molliplici espe- rienze lo condussero a dedurre che il cervello può benissimo avere un'influenza in questi moti; ma che l'ha col mezzo dei nervi, i quali vanno ai muscoli inservienti alla respirazione, e soprattutto ai muscoli che servono a dilatare e restringere la glottide. Avendo os- servato in seguito che per la cooperazione di tutti questi muscoli non solo la respirazione è mantenuta costante e libera, ma la conse- guente ossigenazione del sangue è pure continuamente prodotta, Le- gallois ha giudicato che l'influenza del cervello nei moti del cuore derivi da questa ossigenazione, senza la quale il sangue non può con- correre a dare occasione con la dovuta forza all'azione delle fibre del cuore. Mi sia qui permesso di riflettere che le stesse osservazioni ed esperienze di Legallois conducono a dire che nei moti del cuore es- sendo costante e necessaria Ja influenza del sanjrue ossigenato, i nervi di questo organo possano alle volle ricevere o dalla midolla spinale, o dal cervello ancora, impressioni cosi valide, che trasmesse alle fibre di esso cuore siano preponderanti con la loro influenza alle impres- sioni del sangue ossigenato. Per questa ragione succede che alle volte i moti conseguenti del cuore manifestano chiaramente essere in ra- gione pure delle impressioni trasmesse alle fibre del medesimo col mezzo dei nervi. Ma esse osservazioni ed esperienze di Legallois la- sciano giudicare che nelle circostanze ordinarie, essendo preponde- ranti le impressioni direttamente fatte dal sangue ossigenato, le im- pressioni che i nervi continuamente trasmettono servano soltanto a mantenere la vitalità delle fibre del cuore nel dovuto grado di pron- tezza all'azione. Quindi viene dalle slesse osservazioni ed esperienze di Legallois confermato che la potenza, per cui il cuore alternativa- mente ristringe e dilata le sue cavità, risieda nelle sue fibre, e che le impressioni o direttamente fatte dal sangue ossigenato, o trasmesse col mezzo dei nervi, siano cause soltanto occasionali che manifestano la loro influenza sulla vitalità inerente nelle fibre del cuore, a mi- sura che le une o le altre preponderano in forza. Ma Legallois dalle sue esperienze si è creduto soltanto autoriz- zato a dire che il cuore soprattutto riceva col mezzo de' suoi nervi 41 dalla midolla spinale la potenza di produrre i moti; e gli parve per- altro difficile lo spiegare come, lacerando a poco a poco la midolla spinale, il cuore potesse far continuare con forza eguale la circola- zione, mentre lacerandone in una sol volta una considerabile por- zione, la circolazione cessava del tutto. In seguito gli parve di to- gliere questa difficoltà. Ha osservato che, legando alcuni tronchi di arterie a non grande distanza dal cuore, onde limitare l'estensione della circolazione , la forza del cuore , pure indebolita dalla lacera- zione di una gran porzione della midolla spinale , basta a promuovere quella nelle arterie libere dalla legatura. Da ciò ha giudicato poter dire che la porzione lacerata della midolla spinale influisca egual- mente nel cuore che nelle arterie a cui essa porzione si distribuisce ; ma che mentre la lacerazione di qualche porzione di midolla spi- nale soltanto indebolisce l'azione del cuore, essa faccia cessar total- mente quella delle arterie, e queste si trovino nel caso della lega- tura, per cui la forza del cuore, pure indebolita, basta a promuove- re la circolazione per le arterie che ricevono nervi da altra porzione della midolla spinale. Lacerando poi in una sol volta una porzione considerabile di essa midolla spinale, il conseguente indebolimento della forza del cuore è tale, che quantunque alcuni vasi potrebbero con egual forza promuovere la circolazione, la forza però del cuore non è subito sufficiente a spingere il sangue con bastante impeto sino ad esse arterie; e mancando la circolazione, cessa la vita. Che se, la- cerata una gran porzione di midolla spinale, rimane al cuore la sua forza, e stimolalo direttamente con agenti validissimi può promuovere e mantenere la circolazione , Legallois pretende che i moti di esso siano allora d'una natura diversa, ed analoghi a quelli che possono essere eccitati nei muscoli soggetti alla volontà per qualche tempo dopo la morte dell'individuo con la diretta applicazione di stimoli validi . Wilson -Philip, esaminando le esperienze e le deduzioni di Legal- lois, assicura che quando questo avesse lacerato il cervello a poco a poco come ha lacerata la midolla spinale, ed avesse separata questa dal corpo come ha separalo il cervello, e quando avesse applicati i medesimi reagenti all' uno e all'altra, avrebbe conosciuto che i nervi del cuore ricevono dalla midolla spinale, egualmente che dal cervello, 45 le impressioni che concorrono a mettere in azione la vitalità delle fibre del cuore. Avrebbe parimente conosciuto che nel corso ordi- nario della vita quelle impressioni servono soltanto a mantenere la vitalità delle fibre del cuore a quello stato in cui all'applicazione dello stimolo loro proprio, che è il sangue circolante, esse fibre si mettono in azione con la dovuta energìa e prontezza. Inoltre Wilson- Ph.il itì osserva che Legallois avendo trovato che la separazione del cervello, prodotta col taglio del nervo, nuoce alla funzione dei pol- moni e dello stomaco, i quali organi ricevono filamenti nervosi dallo slesso nervo vago, che ne somministra al cuore, non poteva mai negare che il cervello influisca nei moti del cuore. Legallois però non nega se non la diretta influenza del cervello nei moti del cuore, giacche, come accennai, assicura che il cervello potendo influire nella respi- razione, e quindi nell'ossigenazione del sangue, col mezzo di questa ossigenazione influisca pure nei moti del cuore. Ed è certamente ap- poggiata all' esperienze fatte dallo stesso Legallois la proposizione che i moti dei muscoli della inspirazione siano prodotti da una potenza che ha la sua sede nel cervello, o nella midolla allongata contigua, nel sito cioè che viene conosciuto dagli anatomici per quello ove ha origine il nervo vago, ottavo pajo di Willis. Dai tagli diffatti che Le- gallois fece ai filamenti del nervo vago, che dalla superficie interna de' polmoni vanno alla sua origine nel cervello, vide che l'animale né re- spira, né manifesta soffrire per non poter respirare; mentre dai tagli fatti ai soli filamenti dei nervi spinali, che dalla stessa origine del nervo vago vanno ai muscoli della respirazione, vide che l'animale egualmen- te non respira, ma che manifesta soffrire per non poterlo fare. Wilson- Philip però vuole che la inspirazione sia una funzione complicata, che dipende cioè da varie circostanze, e che cessa mancandone una sola. Wilson-Philip inoltre assicura che le osservazioni con cui Legal- lois ha cercato di provare che, lacerando a poco a poco la midolla spinale, i moti del cuore continuano con egual forza, perchè l'esten- sione della circolazione si diminuisce, siano bensì appoggiate ad espe- rienze; ma vuole che queste non conducano a determinare se la di- minuita estensione della circolazione dipenda dalla sola diminuita forza del cuore, o dalla totale cessazione del molo delle arterie, i cui filamenti nervosi, provenienti dalla slessa midolla, siano lacerati. E 46 quanto alla differente natura delle contrazioni, di cui il cuore può essere capace, staccato totalmente da' suoi nervi, purché gli sia im- mediatamente applicato qualche valido stimolo, Wilson -Philip pre- tende che Legallois poteva soltanto osservare che, lacerata la midolla spinale , V azione del cuore si manifesta suhito più debole ed irre- golare, e che a poco a poco ritorna come prima ; e che staccato il cuore dal corpo, ed eccitato a contraersi con l'applicazione diretta di validi stimoli, la sua azione, come quella di tutti i muscoli stac- cati, è sul principio energica, e a poco a poco s'indebolisce e cessa totalmente. Tutto questo, die' egli, non prova che la natura delle con- trazioni sia diversa, ma soltanto mostra che sia or più or meno energica. Checché ne sia di queste osservazioni che Wilson-Philip fece sui lavori di Legallois, quello certamente ha intrapreso ad esaminare la influenza del sistema nervoso sul sistema vascolare e su tutte le fun- zioni animali con maggiore precisione ed estensione. Ha cominciato subito dal dire, che il sistema vascolare deve essere consideralo com- posto dal cuore, dai vasi sanguigni arteriosi e venosi e dai vasi secer- nenli, e che deve essere determinato il principio che mette in azione ciascuna di queste parti, e determinata la relazione che il sistema ner- voso può avere con ciascuna di esse. Oltre a queste indagini, Wilson- Philip ha giudicalo doversi considerare quale sia il principio che met- te in azione i muscoli soggetti alla volontà ed il canale degli alimenti, e quale sia la relazione del sistema nervoso con quei muscoli e con questo canale. Di più egli ha giudicato doversi esaminare comparativa- mente gli effetti che uno stimolo applicato ora alla midolla spinale, ora al cervello, produce sul cuore e sui muscoli soggetti alla volontà. Aggiungendo a tutto questo alcune osservazioni sull'uso de' ganglj, sul- la causa della temperatura animale, sulla natura della potenza nervo- sa, sulla relazione che le differenti funzioni animali hanno tra loro, e sull'ordine con cui cessano all'avvicinarsi della morie dell'individuo, Wilson-Philip ha dedotte molte proposizioni che servono a farci me- glio conoscere la natura di alcune malattie interne, ed a suggerirci il metodo più adattato per curarle. Io non intendo d' esporre un estratto di tutle queste sue inge- gnose ricerche ; ma alcuni pochi cenni basteranno a farne conoscere l'importanza, ed a mostrare che le sue esperienze confermano la mia 47 proposizione, che i nervi ed il sistema nervoso influiscano nei feno- meni tutti della vita animale per la sola capacità che quelli hanno di trasmettere istantaneamente le impressioni che ricevono da una loro estremità all'altra. Per questa sola proprietà diffatti esse impres- sioni si devono, per così dire, condensare in una, ove i nervi della prima classe, che hanno una loro estremità esposta a riceverle dai corpi esterni, fanno centro con l'altra estremità; e dove esse impres- sioni fuse in una acquistano forza maggiore tanto per eccitare, so- prattutto nel centro massimo e nel cervello , sensazioni od idee cor- rispondenti, sempre più distinte dalla facoltà ivi residente, quanto per progredire col mezzo dei nervi della seconda classe dai varj centri nervosi, e soprattutto dal centro massimo e dal cervello, agli organi dei moti animali per dar occasione ai moti corrispondenti , o alle mutazioni almeno nei moti che alcuni organi producono nell' esserne pure eccitati da stimoli direttamente applicati. Io mi lusingo poter far vedere che la mia proposizione, appoggiata a moltiplici osserva- zioni anatomiche e fisico-chimiche, e molto più alle numerose os- servazioni intorno le circostanze diverse in cui 1' uomo ha differenti sensazioni ed idee , ed in corrispondenza a queste produce o modi- fica diversamente i moti animali susseguenti, possa non solo com- parire abbastanza provata indipendentemente da tante sperienze che però la confermano, ma possa ancora con la sua maggior semplicità e precisione render meglio ragione di tanti fatti, e servire meglio alla patologia ed alla clinica medica, a cui Wilson -Philip con molto in- gegno ne fece l'applicazione. Non è facile il dimostrare che l'azione del cuore mantenga la circolazione indipendentemente dall'azione dei vasi sanguigni arte- riosi e venosi. Ma l'esperienze fatte da Wilson-Philip, soprattutto nei conigli, mostrano ad evidenza, che quantunque il cuore ed i vasi sanguigni manifestino essere soggetti nelle loro azioni all' influenza del sistema nervoso, pure mostrano ancora avere inerente alle loro fibre il potere di contraere e dilatare alternativamente le loro cavità, e di promuovere in conseguenza la circolazione. Alcuni stimoli, ap- plicati al cervello ed alla midolla spinale o separatamente o con- giuntamente, hanno una influenza sull'azione del cuore e de' vasi sanguigni. Lacerando improvvisamente il cervello e la midolla spi- 48 naie, il cuore ed i vasi producono subito poche contrazioni celeri e deboli, poi rimangono per mezzo minuto quieti, indi ritornano a muoversi, sempre però mantenendo assai imperfettamente la circola- zione. Quando poi il cervello o la midolla spinale siano a poco a poco lacerati, ma non estesamente, il cuore ed i vasi sanguigni, che subito pure minorano la forza dei loro moti, possono riacquistare la medesima forza. Ma quando il cervello e la midolla spinale siano intieramente separati dal corpo, il cuore ed i vasi sanguigni mostrano bensì conservare per qualche tempo il potere di produrre i loro moti, ma soltanto all' occasione che sia prodotta e mantenuta in vi- gore l'applicazione dello slimolo naturale, eh' è il sangue circolante, o all'occasione che siano direttamente applicati altri stimoli. I muscoli soggetti alla volontà sono nello stesso caso. Manifestano egualmente risentirsi e mettersi in azione corrispondentemente agli stimoli applicati al cervello o alla midolla spinale; ed egualmente si risentono dalla lacerazione di esse parti, o fatta improvvisamente ed estesamente, o fatta limitatamente e a poco a poco. Ma slaccati anch' essi muscoli dai loro nervi, e però dal cervello e dalla midolla spinale, possono per qualche tempo essere messi in azione dalla di- retta applicazione di alcuni stimoli, e ciò più prontamente e per un maggior numero di volte di quello che lo possano essere quando si muovono soltanto per l'influenza nervosa, o quando contemporanea- mente la provano. Queste ultime esperienze mostrano chiaramente che tanto il cuore ed i vasi sanguigni, che i muscoli soggetti alla volontà, hanno inerente il potere di produrre i moti animali, indi- pendentemente dall'influenza dei nervi. Tutto ciò può essere confermato ancora dall' osservazione, che nell' apoplessia i muscoli soggetti alla volontà cessano dal mettersi in azione, mentre il cuore ed i vasi sanguigni continuano nella loro alternativa azione. In quella malattia non manca ai muscoli, come non manca al cuore, tutta la forza di mettersi in azione. Alcuni sti- moli direttamente applicati a quelli possono metterli in azione, come il cuore seguita costantemente a muoversi finche ha il suo naturale stimolo, che dà occasione all'alternativa sua azione. Ma mancando ai nervi la capacità loro propria, eh' io considero essere quella di trasmettere le impressioni, non solo queste non possono dar occa- 49 sione alle sensazioni od all' idee , ma non possono molto più dar oc- casione all' azione di quei muscoli, il cui stimolo naturale proviene dalle impressioni che i proprj nervi loro trasmettono con un dato grado di forza. Che se i muscoli soggetti alla volontà, staccati dal- l' influenza dei nervi, si mostrano più pronti a nuovamente mettersi in azione al ricevere direttamente l'impressione degli stimoli, di quello che quando sono messi in azione dalle impressioni ricevute col mezzo dei proprj nervi, Wilson-Philip giudica con ragione questo dipendere da ciò, che le impressioni trasmesse loro dai proprj nervi, pervenendo a tutte le più interne fibrille, devono dare occasione ad una più valida contrazione, e conseguentemente ad un maggiore esau- rimento delle fibre muscolari , di quello che far lo possano le im- pressioni direttamente fatte da alcuni agenti. L'esaurimento non può essere in quel caso, come in questo, prontamente risarcito; e la vi- talità nel primo caso non può essere, come nel secondo, pronta a mettersi di nuovo in azione. Il cuore all'incontro, eh' è costantemente messo in azione dallo stimolo direttamente applicato, più che dalle impressioni trasmessegli col mezzo de' nervi, può essere sempre pron- tissimo ad alternare la sua azione. Lo stesso dicasi dei vasi sanguigni. Wilson-Philip, applicando differenti stimoli al cervello ed alla midolla spinale, ed applicandoli or più or meno validi, or più or meno estesamente, ha trovato: i.° che gli agenti meccanici influiscono con più forza dei chimici nei muscoli soggetti alla volontà, e che i chi- mici più che i meccanici influiscono sui moti del cuore e dei vasi sang\iigni ; 2.0 che lo spirito di vino ha maggiore azione che la solu- zione acquosa di oppio o di tabacco, e che l'azione dell'oppio è maggiore di quella del tabacco; 3.° che il cervello influisce sull'azione del cuore pure direttamente, e non soltanto per mezzo della midolla spinale, perchè lo spirito di vino, distrutta la midolla spinale, ap- plicalo al cervello influisce nell'azione del cuore così prontamente e vivamente, come quando la midolla spinale è intera; 4-" che la midolla spinale influisce sull'azione del cuore, e in quella pure dei muscoli soggetti alla volontà, indipendentemente dal cervello, ma che le offese del cervello minorano sempre la forza dell' influenza che ha la midolla spinale; 5.° che gli agenti, siano meccanici siano chi- mici, applicati a differenti porzioni di cervello 0 di midolla spinale, 7 So non influiscono prontamente, regolarmente e costantemente nell'azio- ne dei muscoli soggetti alla volontà. Risulta anzi dalle sue esperienze, che in questi muscoli gli agenti influiscano maggiormente allorché sono applicati con molta forza a porzioni poco eslese del cervello o della midolla spinale ; e che applicati pure con minor forza, ma a porzioni più eslese o dell' uno o dell' altra, rendono costantemente più pronte, più forti e più continuate nella lor forza le alternativo azioni del cuore e dei vasi sanguigni. Wilson -Philip non senza molla ragione spiega quest'ultimo fallo nel seguente modo. I muscoli sog- getti alla volontà nello stato naturale della vita non possono essere messi in azione se non che da impressioni di certa forza loro tras- messe col mezzo dei proprj nervi , e questi non possono riceverle che da quel solo punto, in cui hanno 1' altra loro estremità, cioè dal cervello, o dalla midolla spinale. Quindi i muscoli soggetti alla vo- lontà non possono essere messi in azione se i loro nervi non ricevono impressioni forti in quel solo punto. Il cuore all' opposto, ricevendo filamenti nervosi dai cordoni del nervo intercostale o gran simpatico, che nascono da tutti i ganglj spinali, e che formano nuovi ganglj, come centrali, nelle cavità del petto e del hasso ventre coi filamenti del nervo vago, ottavo pajo di Willis, può e .deve ricevere con- temporaneamente 1' influenza degli stimoli applicati a qualunque parte e della midolla spinale e del cervello. Le impressioni di questi slimoli devono essere trasmesse o immediatamente, o mediante i gan- glj spinali, or all'uno or all'altro dei ganglj centrali, dai quali progre- discono al cuore. Quindi la forza di essi stimoli può essere minore, ed influire non ostante più prontamente e più validamente nei moli del cuore, purché essi stimoli siano applicati a un maggior numero di punti del cervello o della midolla spinale. Ma dalle esperienze di Wilson -Philip più generalmente e più al nostro proposito si può dedurre che l'influenza del cervello e della midolla spinale non sia assolutamente necessaria perchè il cuore ed i vasi sanguigni possano essere messi in azione, come è indispensabi- le pei muscoli soggetti alla volontà. In quegli organi, come in questi muscoli, è inerente il potere, eh' è la causa efficiente dei moti ani- mali; ma in quegli organi la causa pure occasionale costante e na- turale è il sangue circolante, mentre nei muscoli soggetti alla vo- JI lontà la causa che nello stalo naturale può dar occasione ai loro moti è l'impressione sola, trasmessa loro col mezzo dei nervi proprj. Non si può però per mezzo delle sue esperienze dire che l'influenza del cervello e della midolla spinale non sia assolutamente indispen- sahile, perchè siano messi in azione i vasi secernenti, siano esalanti semplicemente, o propriamente secernenti. La circolazione o il moto progressivo degli umori animali può in qualche grado continuare in questi stessi vasi, cessando la influenza del cervello e della midolla spinale; ma i fluidi delle secrezioni non ricevono senza quest'influenza quella particolare assimilazione e quelle proprietà per cui servono ai varj usi dell'economia animale. I tagli fatti ad uno o a tutti e due i cordoni del nervo vago, ottavo pajo di Willis, manifestano essere indispensabile l'influenza nervosa; e gli effetti più rimarchevoli del taglio di essi cordoni si osservano nei polmoni e nello stomaco. La respirazione in questi casi è oppressa , e la dispnea si mani- festa più sollecitamente quando il taglio sia fatto al di sopra , piut- tosto che al di sotto del nervo laringeo. I tentativi fatti per vomitare l'accelerano, e l'animale muore in conseguenza della medesima. Ma in seguito dei tagli suaccennati, e per causa d'essa dispnea, si osserva che nei bronchj , nelle vescichette polmonari, e nei vasellini stessi secernenti i fluidi non convenevolmente costituiti si accumulano. E quanto allo stomacò , i tagli del nervo vago fa che i cibi riman- gono indigesti del tutto, benché coperti di un umore semi-fluido, in apparenza simile a quello che li copre in istato di salute, e eh' è il succo gastrico , il quale in conseguenza non è della sua attività naturale . Per confermare che l'effetto del tàglio dei filamenti nervosi ap- partenenti allo stomaco sia l'inattività del succo gastrico, Wilson- Phi- lip ha fatte varie osservazioni sullo stato in cui gli alimenti si tro- vano in esso stomaco a diverse epoche. A stomaco sano ed a nervi intatti il nuovo alimento è nel centro del precedentemente entrato, il quale è già chimilicato da tutte le parti, fuorché dalla superiore, per cui è entrato il nuovo. Quando l'animale è stato qualche tempo senza prender nuovi alimenti, il succo gastrico, passando dai primi introdotti all'ultimo preso, toglie ogni linea di demarcazione tra quel- li e questo. Nella piccola curvatura dello stomaco il cibo è meno chimificato; esso è più chimificato nella gran curvatura, e mollo più nel mezzo eli essa. Nella porzione dello stomaco Ticina al piloro l'alimento è maggiormente convertito in chimo, di quello che lo si trovi nella porzione cardiaca. In grazia di questa maggiore azione del succo gastrico verso il piloro Wilson-Philip attribuisce la dissoluzione dello stomaco osservata da Giovanni Hunter. Ma dopo il taglio dei cordoni del nervo vago gli alimenti restano indigesti, e non sono punto convertiti in chimo. E siccome rimane il moto alternativo ai pa- reti dello stomaco, anzi i cibi eccitano perfino il vomito, così la indi- gestione degli alimenti si deve attribuire all'inattività del succo gastrico. Nella circostanza di questi tagli del nervo vago Wilson-Philip ha provato l'effetto del galvanismo, mettendo cioè in comunicazione col mezzo della pila voltiana la porzione sopra l' incisione con quella sotto l'incisione. Vide allora che la digestione progrediva come se i nervi fossero intatti, e che il galvanismo pareva supplire alla po- tenza nervosa. Ma con molta sensatezza aggiunge, che non per questo 6Ì possa dire che i nervi operino col mezzo d' un fluido elettrico o galvanico. Questo fluido o il galvanismo vi supplisce finché le parti animali conservano il loro potere vitale , senza del quale nemmeno col galvanismo si ottengono la contrazione muscolare, la circolazione del sangue, e la secrezione del succo gastrico. Il fluido elettrico o galvanico opera come tutti quei reagenti .che possono dar occasione alla vitalità delle parti animali di produrre le sue azioni. Noti è poi la sola influenza del cervello col mezzo del nervo vago indispensabile per la secrezione del succo gastrico hene assi- milato ed attivo; l'influenza pure della midolla spinale è necessaria per questo fine. Subito che una parte di questa midolla è distrutta, ha osservato Wilson-Philip che un animale obbligato prima al di- giuno per 12 o 14 ore, e lasciato in seguito in libertà di prendere alimenti, ne prende prontamente e in quantità senza vomitare; ma il cibo rimane indigesto. Il taglio del nervo vago mostra che il cer- vello ha maggiore influenza nell' impedire la digestione o la secre- zione del succo gastrico attivo. Da tutte queste esperienze si deve dedurre che gli organi delle secrezioni, egualmente che il cuore ed i vasi sanguigni, possono con tinuare a promuovere la circolazione degli umori , ed egualmente 53 che lo stomaco può agitare e mescolare sempre le materie in esso contenute senza pure la concorrenza del cervello e della midolla spinale; ma che senza questa concorrenza i primi organi non pos- sono far acquistare ai fluidi delle secrezioni la composizione ed at- tività loro. Conveniva però provare che la influenza del cervello e della midolla spinale sia necessaria in tutte le secrezioni, e conve- niva determinare se gli organi di queste la ricevono da certi punti del cervello e della midolla spinale, o da varj punti dell'uno e del- l'altra. L'influenza del cervello e della midolla spinale è assoluta- mente necessaria in tutti gli organi delle secrezioni, perchè la distru- zione di qualche parte dell'uno o dell'altra diminuisce sempre la temperatura animale. E quand'anche questa temperatura non provenga da una particolare secrezione di calorico, che alcuni attribuirono ai vasi secernenti proprj del tessuto nervoso, sempre essa dipende dal- l'evoluzione di calorico nell'atto che gli elementi del sangue, trape- lando fuori dei vasi sanguigni per entrare nei secernenti, passano a nuove combinazioni, costituiscono i fluidi delle secrezioni, e abban- donano il calorico che tenevano unito a loro. La temperatura ani- male dunque non può conservarsi quando l'influenza del cervello e della midolla spinale non concorra a dar occasione a quella più va- lida azione dei vasi secernenti, per cui non solo gli umori continuano nel loro moto progressivo, ma ricevono la particolar loro assimilazione. Per confermare questa generale influenza che il cervello e la mi- dolla spinale hanno nelle secrezioni tutte, e per mostrare nello stesso tempo ch'esse secrezioni la ricevono contemporaneamente da varie parti del cervello e della midolla spinale, Wilson-Philip fa osservare che le diramazioni dei vasi sanguigni, le quali appartengono agli or- gani secernenti, egualmente che gli organi tutti dei moti involontarj, ricevono i loro nervi per mezzo dei ganglj, nei quali da varie parli del cervello e della midolla spinale entrano filamenti nervosi. La di- ligenza degli anatomici in questi ultimi anni ha potuto far loro se- guitare l'andamento de' filamenti componenti il nervo intercostale, e di quelli pure del nervo vago, con maggiore esattezza di prima. È già noto che il nervo intercostale ha un'estremità de' suoi filamenti nell'uno o nell'altro de'ganglj spinali, in ognuno de' quali la midolla spinale manda alcuni filamenti dal cordone nervoso più prossimo. 1 54 filamenti del nervo intercostale, riunendosi in fascetti, si dirigono alle viscere diverse delle cavità del petto e del basso ventre; ma prima di arrivarvi con F altra loro estremità essi filamenti formano molli plessi e ganglj, ai quali il nervo vago manda moltiplici filamenti. Inoltre è noto che i filamenti del nervo vago, dopo avere fatte varie unioni con quelli del nervo intercostale, provenienti dai ganglj del collo e del petto, costituiscono un grosso cordone che va allo sto- maco. I filamenti di questo cordone, intrecciali in quest'organo con quelli dei nervi costituenti varj plessi dell'addome, terminano final- mente col formare unitamente ai rami splannici dell'intercostale il gran ganglio semilunnre, chiamato celiaco dalla sua situazione, e composto da molti ganglj di figura irregolare e di diversa grandezza. Da questi ganglj escono molti nervi, che formano dei plessi ai tron- chi di arterie da cui prendono il nome, e che uniti con altri rami dell'intercostale, provvedono di nervi tutte le viscere dell'addome. I filamenti poi del nervo intercostale formano nei lombi altri ganglj che mandano rami ai nervi sacri, e che comunicano unitamente a questo coi nervi dell' estremità inferiori. Superiormente già i fila- menti del nervo intercostale col mezzo del ganglio cervicale di mezzo comunicano coi nervi dell'estremità superiori, coi filamenti del se- condo ramo del quinto pajo, con quelli del sesto pajo, e finalmente con quelli del nervo facciale, o porzione dura del settimo pajo. Io mi sono attenuto alla distribuzione di questi nervi esposta da Wilson-Philip ; ma quand'anche questa sia con più esattezza co- nosciuta e descritta dai recenti anatomici, sempre si rileverà che nei ganglj spinali sono prossime o fuse insieme l'estremità dei filamenti nervosi della midolla spinale con quelli del nervo intercostale, e che questi, prima di distribuirsi agli organi del petto e del basso ventre, e a tutte le diramazioni de' vasi sanguigni e secernenti, si uniscono in plessi o in ganglj coi filamenti del nervo vago prove- niente dal cervello. È facile quindi il conoscere che tutti gli organi del moto involontario, rinchiusi nelle cavità del petto e del basso ventre, e tutte le diramazioni dei vasi sanguigni e secernenti possano e debbano ricevere continuamente la influenza del cervello e della midolla spinale , anzi riceverla contemporaneamente da varj punti. Le impressioni dei filamenti provenienti da varj punti di quello o di questa devono sempre riunirsi nei ganglj prima d'essere traspor- tate alle indicate diverse parti. Ma si domanderà certamente cosa abbiano i ganglj di particolare nella loro composizione, ed a che servano? I fisiologi, dietro l'opi- nione di Winslow, giudicarono essere i ganglj analoghi al cervello, ed essere depositi della potenza nervosa, per distribuirla allorché soprat- tutto è tolta ogni comunicazione col cervello, o dove questa manca. Ma quelli che insistono ancora in tale opinione , giudicano che la potenza nervosa derivi da un principio materiale, di cui il cervello e i ganglj ne siano gli organi secernenti, o almeno i depositari ; ac- ciocché, portato in maggior quantità del solito agli organi del moto, sia la causa efficiente dei moti susseguenti. Essi quindi attribuiscono a questo principio solo materiale non solo la capacità dei nervi, per cui trasmettono istantaneamente le impressioni ricevute da una loro estremità all'altra, ma la capacità stessa, per cui gli organi del moto producono le loro azioni, benché le producano indipendentemente pure dal cervello, dalla midolla spinale, e dai nervi stessi loro proprj. Altri fisiologi però avevano creduto impossibile che l'azione del cuore potesse essere occasionata dagli stimoli applicati o provenienti dal cervello, in grazia appunto dei ganglj che impediscono la progres- sione delle impressioni trasmesse da quello. Essi poterono essere con- dotti a ciò dall'avere osservato che l'elettricità diretta al cervello, o alla stessa midolla spinale, dà benissimo occasione ai moti dei mu- scoli, ma non influisce nei moti del cuore. Questi fisiologi non av- vertirono e non potevano avvertire che il cuore non manifesta seguire ne' suoi moti la ragione delle impressioni ricevute dal cervello o dalla midolla spinale col mezzo de' proprj nervi quando gli stimoli non , siano contemporaneamente applicali ad una porzione estesa dall'uno o dall'altra. Il Wurtzer nell'opera pubblicata Tanno 18 17 in Berlino sotto il titolo = De corporis humani gangUorum fabrica atque iisu mono- graphia = ha diviso i ganglj in tre classi: cioè "i.° in quelli di cui alcuni filamenti appartengono alla midolla allungata, e quindi al cer- vello; 2.0 in quelli di cui alcuni filamenti appartengono alla midolla spinale; e 3.° in quelli formati principalmente dai filamenti del nervo intercostale, che non appartengono né alla midolla allungata, né alla spinale, ma hanno una loro estremità nei ganglj delle altre due classi, e certo in tutti quelli della seconda, e l'altra estremità negli organi dei moti involontarj. Alle due prime classi diede o conservò il nome di cerebrali e spinali,, ed alla terza quello di vegetativa e questi sono i centrali alle cavità del petto e del basso ventre ; e i nervi che da loro vanno ai pareli irritabili, contrattili o turgescenti degli organi contenuti in esse cavità, servono soprattutto con le im- pressioni che loro trasmettono a dar occasione a quella maggiore azione della loro vitalità che produce il moto progressivo, e le successive assimilazioni degli alimenti e de' fluidi circolanti. Il Wurtzer trovò benissimo che i ganglj in generale siano corpi nodosi di figura irre- golarmente ovale, composti di filamenti nervosi che alle volte li tra- versano , ma che il più spesso sono fusi in una polpa albuminosa rosso -cinerea che vi è interposta, più copiosamente però nei ganglj vegetativi. Ma il Wurtzer non sembra aver fatto alcun caso dell'os- servazione che i filamenti, i quali dai ganglj stessi delle due prime classi vanno alle diverse parti del corpo, siano più numerosi di quelli che ad essi ganglj vengono dalle due midolle allongata e spinale, e che pochi filamenti siano continuali attraverso di essi. Da questa sola osservazione però mi sembrò sempre probabile che nei ganglj i filamenti nervosi, da qualunque parte provengano od a qualunque si portino, essendo fusi nella polpa albuminosa, ser- vino a comporre come in una le impressioni, acciocché esse acquistino forza, e più egualmente si diffondano per tutti i filamenti fusi in essi ganglj. Questa proposizione ci fa subito conoscere come i filamenti del nervo intercostale con la loro estremila fusa nei ganglj delle due prime classi possano ricevere le impressioni che il cervello, o piuttosto la midolla allongata e la midolla spinale trasmettono ad essi ganglj , e possano comunicarla ai tessuti irritabili conlraltili o turgescenti degli organi soprattutto assimilatori e distributori dei fluidi assimilati, in cui quei filamenti fondono l'altra estremità. A questo modo certamente s'intende come le impressioni che i fila- menti del nervo intercostale ricevono nei ganglj, e di là trasmettono agli organi in cui terminano,, possano ordinariamente servire soltanto a mantenere questi organi pronti ed energici a mettersi in azione proporzionatamente agli stimoli proprj e direttamente applicati ; e ■>7 possano ancora far ubbidire quei tessuti proporzionatamente ad esse allorché sono d'una forza preponderante a quelle direttamente fatte. Ma appunto perchè nei ganglj le impressioni trasmesse contempora- neamente per varj filamenti devono comporsi in una, per conseguen- za più valida, deve succedere che quelle trasmesse dal cervello o col mezzo della midolla allongata o col mezzo della spinale, non solo progrediranno con maggior forza per lutti quei filamenti nervosi che dai ganglj medesimi vanno alle diverse parti, ma retrocederan- no con la slessa maggior forza per gli stessi filamenti che le hanno prima trasmesse , e quindi renderanno più vivide e più distinte le stesse impressioni che vi corrispondono nel centro massimo e nel cervello. Io aveva in qualche modo esposta questa idea sino dal 1792 alla pag. ni del Saggio di osservazioni allora pubblicato. Dissi che il cervello era il corpo , il centro, o la parte principale del sistema senziente; che i filamenti nervosi, i quali ricevono le impressioni dai corpi esterni per trasmetterle ad esso, dovevano essere considerati le radici; e che gli altri filamenti nervosi, i quali trasmettono le impres- sioni da esso agli organi del moto, dovevano essere considerati le ra- mificazioni. Ma aggiunsi, che questi secondi filamenti servono molte volte di radici, riportando al cervello nuovamente le impressioni, e che forse i primi possono essere giudicati le ramificazioni, allorquando sono riprodotte le impressioni che altre volle sono state prodotte contemporaneamente ad alcune allora di nuovo fatte dai corpi esterni. Applicando ora tutto questo ai ganglj detti da Wurtzer vegetativi, e che sono quei centrali delle cavità del petto e del basso ventre, for- mati dall'unione de' filamenti del nervo intercostale e del nervo vago, si può dedurre facilmente come col mezzo di essi ganglj il cervello, o la midolla allongata, e la midolla spinale influiscano contempora- neamente nelle funzioni degli organi tutti assimilatola e distributori delle materie assimilate. Il nervo vago è per verità così costituito, che deve servire a ricevere le impressioni dei corpi introdotti e cir- colanti per le interne cavità, acciocché trasmesse al centro massimo ed al cervello, influiscano nelle corrispondenti sensazioni più o meno distinte. Il nervo intercostale per la sua costituzione deve servire a trasmettere le impressioni dai ganglj soprattutto spinali, e quindi dalla 8 midolla spinale, e per essa dal cervello agli organi o del moto involon- tario, o assimilatori e distributori delle materie assimilate. Ma il nervo vago e 1' intercostale, formando tra loro varj plessi e ganglj in cui le impressioni si fondono in una ed acquistano forza, influiscono reci- procamente e cospirano insieme tanto perchè le impressioni che pei filamenti del nervo vago progrediscono al cervello diano occasione a sensazioni più distinte, quanto perchè quelle che pei filamenti del nervo intercostale progrediscono agi' indicati organi del moto fac- ciano corrispondere azioni più pronte ed energiche, e portino soprat- tutto gli organi secernenti a quell' azione necessaria alla normale attività delle secrezioni. Tutto ciò che ho creduto poter aggiungere ora sulla tessitura e sull'uso de' ganglj concorre certo a confermare maggiormente le de- duzioni di Wilson. -Philip circa la influenza che il cervello e la mi- dolla spinale possono avere, anzi hanno, o unitamente o separatamente nelle diverse funzioni della vita dell' uomo , e circa l' influenza so- prattutto che unitamente hanno sulle funzioni del sistema vascolare, benché essa influeuza non sia tanto indispensabile per le funzioni del cuore e de' vasi sanguigni, quanto per quelle dei vasi secernenti, dalle quali gli umori acquistano la loro particolare assimilazione, at- tività ed uso nell' economia animale. Piecapitolando dunque le dedu- zioni che Wilson- Philip ha fatte dalle numerose sue esperienze, si dee raccogliere sempre che la potenza, per cui gli organi tanto del moto involontario che del moto volontario producono la loro parti- colare azione, sia inerente in essi, indipendentemente dall'influenza nervosa, e dipenda dalla costituzione o composizione stessa del tes- suto di essi organi. Si vede chiaramente che questi organi tutti pos- sono essere eccitati all' azione dall' influenza de' nervi loro proprj , benché per gli organi del moto volontario l'influenza nervosa sia la causa occasionale ordinaria e naturale, mentre per gli organi del molo involontario la causa occasionale più ordinaria sia l'azione di slimoli loro proprj e direttamente applicati, che superano la influenza ner- vosa. Dalle stesse esperienze di Wilson- Philip si deduce inoltre che ai muscoli soggetti alla volontà l'influenza nervosa proviene diretta- mente dal punto del cervello, in cui i loro nervi proprj hanno una estremità, e questa o col mezzo della midolla allongata, o col mezzo 29 pure della spinale; ma che agli altri organi del moto l'influenza ner- vosa, col mezzo soprattutto de'ganglj centrali delle cavità del petto o del basso ventre, proviene contemporaneamente e dal cervello e dai varj punti della midolla allongata e della spinale. Ma quello che di più singolare e di più utile rilevasi dalle esperienze di questo celebre fisiologo si è, che il cuore e tutto il sistema vascolare possono bensì mantenere la circolazione del sangue e la distribuzione di tutti i diversi fluidi animali, indipendentemente dall'influenza del cer- vello e dei nervi; ma senza questa influenza i varj umori delle se- crezioni non acquistano le qualità proprie, e non possono svolgere il calorico necessario a mantenere l'alta temperatura animale, che con- corre anch'essa alla buona assimilazione di quegli umori stessi. Wilson -Philip poi non determina punto in che consista il potere per cui gli organi del moto sono messi in azione all' occasione che alcuni stimoli loro siano direttamente applicati, o all' occasione che la potenza nervosa tenga luogo di slimolo . Molto meno egli deter- mina in che consista questa potenza dei nervi, per cui le impressioni , eh' essi ricevono dai corpi circostanti o introdotti, e circolanti per le interne cavità e vasi, danno occasione a sensazioni o ad idee cor- rispondenti, e per cui le stesse impressioni danno occasione ai sus- seguenti moti animali corrispondenti, ed almeno ad alcune mutazioni susseguenti nei moti involontarj. Egli vuole soltanto che al potere vitale degli organi del moto, che chiama poter muscolare^ e al pa- tere vitale dei nervi, che nomina poter nervoso,, si aggiunga, almeno per le classi superiori degli animali e soprattutto per 1' uomo , un potere che chiama sensorio. Egli è esatto nel dire che il poter mu- scolare sia la causa efficiente di tutti i moti animali, e ch'esso risieda nelle fibre degli organi stessi che producono questi moti; ma non è così preciso quando parla degli altri due poteri, e quando ne vuol designare la natura e la sede. Dice bene che il potere nervoso, oltre all'essere la causa occasionale dei moli animali, ed almeno di alcune loro modificazioni, serva ancora a dare ai fluidi delle secrezioni la particolare loro assimilazione ed attività, serva a condensare e svol- gere il calorico del sangue per mantenere l'alta temperatura animale, e finalmente serva a trasmettere le impressioni dagli organi dei sensi al centro massimo dei nervi o al sensorio interno, e da questo agli (.10 organi del moto. Aggiunge giustamente, che il ricevere le impressioni dal poter nervoso perchè ad esse corrispondino sensazioni ed idee , e il trasmetterle al medesimo potere perchè susseguitino moti cor- rispondenti o corrispondenti mutazioni ai moli involontarj, appartenga al terzo potere, eh' egli chiama sensorio; ed a epiesto modo è certa- mente giusto di dire che la sede di questo terzo potere abhia ad essere il centro massimo dei nervi ed il cervello, ove le impressioni devono essere trasmesse dagli organi dei sensi col mezzo dei nervi, affinchè se ne abbia una sensazione o idea distinta corrispondente, e da dove le impressioni devono essere trasmesse agli organi del moto, acciocché ne susseguitino corrispondenti moti animali, o mutazioni ai moti animali. È vero pure che questo potere sensorio cessa di operare prima degli altri; ed è molto più vero che, subito che cessa di operare, la vita dell'animale si estingue, benché rimanendo i poteri muscolare e nervoso , alcune parti possano produrre i moti animali in corrispondenza all' azione di alcuni stimoli direttamente applicati o agli organi del moto, o almeno ai nervi proprj di essi organi. Wilson -Philip vuole che il potere nervoso egualmente che il sen- sorio abbiano sede nel cervello e nella midolla spinale, e che forse il sensorio risieda principalmente nel primo, il nervoso nell'altra. Pare che, persuaso doversi attribuire 1' azione di questi poteri a un qualche fluido eminentemente mobile, sia necessario assegnare un organo da cui venga continuamente secreto, o in cui rimanga in depo- sito per operare e distribuirsi ove e quando occorre per la produzione dei prodigiosi fenomeni vitali. Ma io fui sempre e sono sempre più inclinato a pensare che tanto il poter nervoso che il poter muscola- re risiedano il primo nei nervi, l'altro negli organi del moto animale, indipendentemente da alcun fluido ed elemento particolare, e che tanto l'uno che l'altro dipenda dalla particolare costituzione o com- posizione ed attività dei tessuti che formano la parte essenziale sì dei nervi che degli organi del moto, e che l'uno e l'altro siano man- tenuti dalla particolare nutrizione di ciascuna parte. Io fui sempre inclinato ed inclino ancora a pensare che nei ganglj , nel sito di unione delle due midolle allongata e spinale, ove è collocato il centro massimo, e nei varj corpetti o eminenze costituenti il cervello ed il cervelletto, la concentrazione e piuttosto fusione dei nervi serva a fare che le impressioni provenienti da diversi organi del senso si fon- dano come in una, e ricevano quella modificazione, per cui prose- guono a diffondersi con maggiore energìa per tutti i nervi ivi fusi, onde far corrispondere sempre più distinto il senso or grato or mo- lesto die si manifesta con la varietà dei moli susseguenti, resi più energici. Con questi diffatti o si prolunga la durata del senso grato e si accresce possibilmente la sua forza, o si fa cessare il senso mo- lesto, e almeno si minora possibilmente la molestia. E siccome la di- stinzione di questi sensi dipende molto dalla concentrazione o fu- sione in una delle impressioni molliplici contemporaneamente fatte negli organi dei sensi, e contemporaneamente trasmesse col mezzo dei nervi, così il poter di distinguere il senso corrispondente, e far in conseguenza susseguitare moti corrispondenti più energici, deve risiedere particolarmente nel centro massimo dei nervi. Sino dal 1792, e molto più chiaramente nella prima edizione de' Nuovi elementi della fisica del corpo umano, pubblicata negli anni 1808-1809, io ho detto che allorquando alle impressioni con- temporaneamente arrivate al centro massimo dei nervi , 0 in grazia di alcune di esse molto preponderanti, non corrisponde un senso ne grato né molesto distinto, il poter risiedente nel cervello possa di- stinguere le impressioni che vengono fatte nei sensorj esterni pro- priamente detti, e che pervengono sempre al cervello con qualche grado di forza superiore alle altre contemporanee. Allora poi in luo- go di una sensazione grata o molesta corrisponde un' idea che dicesi sensitiva,, come corrispondente all' impressione fatta dai corpi esterni sui sensorj . Anzi aggiunsi, che alle mutazioni a cui queste impres- sioni soprattutto soggiacciono nel cervello, ed a cui può essere dato dall'uomo un segno distintivo coll'uso de' susseguenti suoni articolari della voce, o coll'uso delle parole, corrispondono le altre idee tutte che non sono sensitive. Ma, dietro le. indagini e le scoperte di Gali, lutto ciò meglio s'intende come ho cercato d'esporre nella seconda edizione degli Elementi. Nella classe de' vertebrati, ed a misura che dalle divisioni inferiori di questi si passa alle superiori ed all'uomo, alcuni fascelti nervosi , cioè i corpi piramidali , ed i così detti prò- cessus cerebelli ad medullam, si prolungano dal centro massimo, co- 62 stituilo nel tratto d'unione delle due midolle allongata e spinale, ed i filamenti di questi fascelti intrecciandosi tra loro e con altri nuovi filamenti, formano sempre più moltiplici i varj corpetti o emi- nenze, dalla cui unione risultano le masse del cervello e del cervel- letto. Da tutto ciò risulta certo che in questa classe di animali le im- pressioni che si diffondono dal centro massimo a quei nuovi centri nervosi, come subalterni al massimo, ricevono nuove modificazioni che possono essere distinte indipendentemente dal senso grato e mo- lesto, quando per altro nella precedente concentrazione di tutte al centro massimo non abbia corrisposto un senso grato o molesto con quella forza che tutta assorbi in certo modo l'attenzione del potere che deve distinguerle. Si può quindi conchiudere, che a misura della moltiplicità dei centri subalterni al massimo, costituenti il cervello ed il cervelletto, le impressioni in essi modificate possono essere in maggior numero e con maggiore esattezza distinte, e che a misura che sono distinte indipendentemente da ogni senso grato o molesto, costituiscono più numerose le idee , che sono i materiali che com- pongono i varj giudizj, ragionamenti, determinazioni, e tutte in som- ma le operazioni intellettuali. Quando poi la superiorità dell' uomo sopra gli stessi animali mammiferi non solo dipende dalla moltiplicità dei centri subalter- ni al massimo, costituenti il cervello ed il cervelletto; quando essa non solo consiste nella capacità che 1' uomo ha di fissare con 1' uso della parola alcuni segni a ciascuna di quelle modificazioni delle impressioni a cui corrispondono idee diverse ; ma risulla ancora da ciò, ch'esso solo può applicare più o meno intensamente la sua ca- pacità di distinguere le sensazioni e le idee, sarà facile il convincersi che nell'uomo il poter sensorio abbia qualche cosa di distinto, e possa, anzi debba appartenere ad un essere distinto dalla materia, e risiedente nel centro massimo dei nervi e nel cervello. Ma appar- tiene al metafisico ed al teologo l' esaminare la natura di questo essere o di questo potere. Basta al fisiologo l'avere indicala la ra- gionevolezza di ammetterne 1' esistenza, per assicurare che simili in- dagini sull' anatomia e sulle funzioni del sistema nervoso non con- ducono necessariamente al materialismo. Il fisiologo però può ardi- tamente aggiungere che, prescindendo dal potere risiedente nel centro 63 massimo dei nervi e nel cervello, che è una continuazione di quel centro, tutti gli altri poleri vitali, tanto dei nervi che dei muscoli, delle membrane e del tessuto celluioso, costituenti i varj organi del moto animale, lutti consistono nella mobilità mutua degli elementi componenti le molecole primitive animali di quei tessuti, regolata dall'equilibrio attivo delle mutue azioni di essi elementi medesimi. Per questi poteri, inerenti in quei tessuti, i nervi ricevono e trasmet- tono nello stesso istante le impressioni per tutto il loro sistema, e si rimettono dalle stesse senza manifestare alcun cambiamento nel volume di essi nervi; e gli organi del moto animale al riceverne o si contraggono o divengono più turgidi prima di rimettersi allo stato loro naturale, a cui però il più spesso prontamente ritornano. Questi poteri tutti sono materiali , senza essere però dipendenti da un ele- mento o fluido singolare. Essi sono conservati dall' umore nutricio che in ciascuna parte continuamente si rinnova, e che in ciascuna prontamente rimette quelle molecole o quegli elementi di esse che l'azione della vitalità può aver fatti separare or sotto forma di per- spirazioni gasose, or per essere assorbiti prontamente dai linfatici in- sieme all'umore nutricio sovrabbondante. Io ho sempre insistito ed insisto su questa teoria della vitalità, di cui il potere dei nervi e quelli dei diversi organi del moto ani- male sono gradazioni soltanto diverse, perchè mi è sempre sembrato e mi sembra ch'essa, meglio di tante ipotesi l'una all'altra sostituite in questi ultimi anni, renda ragione di molti fenomeni della vita tanto in istato di salute, quanto in quello di malattia. Essa certo ma- nifesta la causa di quella mutua relazione ch'esiste tra l'energia normale della vitalità in tutte le sue gradazioni, e l'assimilazione normale dell' umore nutricio adattato a ciascuna parte. Da questa mutua relazione, ora confermala dall'esperienze di Wilson-Philip, si deduce chiaramente come l'energia della vitalità e l'assimilazione del fluido nutricio vicendevolmente si conservino e si rimettano al loro stato normale, e come l'una e l'altra influiscano reciprocamente per allontanarsi da quello stato, e per dare origine ai fenomeni mor- bosi o sintomi, dal cui vario aggregato le diverse malattie risultano. Ma con la teoria della vitalità si conosce ancora facilmente perchè i primi effetti degli agenti insoliti sul corpo umano, e degli agenti 64 solili, ma or più or meno validi del solito, debbano essere fenomeni morbosi o sintomi attribuiti ai soli nervi. I nervi soli hanno la capacità d'istantaneamente trasmettere le impressioni a tutte le parti atte a produrre i moti animali, acciocché in tutte cpjeste la vitalità propria subito si risenti, e produca le sue azioni con una corrispondente varietà. I sintomi poi possono conservarsi nervosi, e costituire malat- tie che semplicemente nervose si possono chiamare, come in altra oc- casione ho dimostrato, finché però l'assimilazione del fluido nutricio adattato a ciascuna parte soggiace soltanto a piccole deviazioni dal suo stato normale. Con queste deviazioni la sola vitalità dei tessuti animali sempre più, ma a poco a poco, deve deviare dal suo grado d'energia normale, o conservarsi d'un' energia alterata or in più or in meno, senza che la circolazione degli umori per le cavità del cuore e dei vasi maggiori sia deviante notabilmente dalla sua naturale ce- lerità, e senza che sia pure deviante in modo notabile la conseguente conversione di umori animali diversi in sangue rosso- florido , e di questo sangue negli umori delle secrezioni ed escrezioni. Essa vita- lità può anzi arrivare ad un certo grado di energia or maggiore or mi- nore del solito in tutte le parti in cui è inerente con qualche sua gradazione, in modo che può produrre sintomi nervosi indipenden- temente dall'applicazione di stimoli insoliti o di stimoli soliti, ma di forza diversa dal loro solito. Le malattie diverse che risulteranno dal concorso di questi sintomi nervosi dovranno essere considerate sem- plicemente nervose, perchè per lo più non apparisce alcuna causa esterna materiale che continuamente occasioni quei sintomi, e perchè soprattutto questi sintomi non sono associati a quelle deviazioni no- tabili delle funzioni del sistema vascolare che producano nuovi sin- tomi corrispondenti. Che se i nervi da molto tempo ricevono im- pressioni da stimoli insoliti o da stimoli diversamente dal solito va- lidi, o se questi stimoli siano immediatamente applicati alla superfi- cie delle interne cavità e vasi, per cui il sangue e gli umori animali circolano, e dove essi umori sono la causa occasionale indispensabile dell'azione dei pareti del cuore e dei vasi, è certo che più lenta- mente nel primo caso, e più sollecitamente nel secondo le funzioni del sistema vascolare devono deviare dal normale loro andamento, e che da queste deviazioni nuovi sintomi sono prodotti. Ma dal con- 65 corso di questi una nuova malattia in certo modo comincia, la quale ha un periodo regolare or più or meno lungo, mentre deve accrescersi, poi mantenersi in un dato incremento, poi decrescere, e terminare con una crisi a misura che il sangue e gli umori animali o devia- no sempre più dal normale progresso di assimilazione, o si manten- gono nel dato deviamento, o si restituiscono sempre più al progresso normale; nel qual caso succede l'eliminazione di alcuni umori, le cui molecole non possono concorrere a nuove assimilazioni normali. Que- ste come nuove malattie, che sono le universali od interne di alcuni patologi, oltre che i loro sintomi più eminenti sono effetti delle fun- zioni del sistema vascolare, devianti dal loro stato normale; esse co- minciano soltanto allorché l'alterazione nella composizione ed assi- milazione de' fluidi circolanti è arrivata al grado che gli umori slessi danno occasione alla vitalità de' pareti delle cavità del cuore e dei Tasi tutti di produrre i sintomi nuovi. Ma questa deviazione degli umori dal loro stato di normale assimilazione arrivata a un tal punto, non può cessare senza che la malattia risultante dopo l'accesso ab- bia un corso regolare o un incremento, uno stato, un decremento ed una crisi. Dal momento dell'accesso esiste una causa materiale circolante nei vasi tutti, la quale diversifica nel grado di sua azione per occasionare corrispondenti azioni nei pareti delle cavità del cuore e dei vasi, e dare origine col vario concorso de' sintomi a malattie diverse. I sintomi manifestano sempre un' accresciuta celerità degli alterni moti di quei pareti; ma essi sintomi non manifestano sem- pre un'eguale intensità d'energia nella vitalità che li produce. La causa prima di esse malattie non è quella causa materiale circo- lante. Queste malattie, come tutte le malattie in generale, sono pro- dotte da due classi di cause. L'una di queste classi, che dicesi di cause esterne, comprende gli agenti esterni al corpo umano che siano insoliti, e se sono i soliti che producano impressioni di mag- giore o minor forza del solito. L'altra classe di cause che diconsi in- terne, consiste nel grado diverso di energia in cui trovasi la vita- lità di tutti i tessuti, allorché agisce qualche causa esterna che possa dar origine a sintomi ed a malattie. E qui convien notare che la vi- talità si può bensì considerare una ed indivisibile, in quanto che tutte le impressioni, col mezzo soprattutto dei nervi, devono diffondersi 9 66 istantaneamente a tutte le parli, per metterle tutte in una corrispon- dente azione diversa dal solito; ma essa non è una e indivisibile per dover essere in tutte le parti in egual proporzione di energia o maggiore o minore del grado normale. Le piccole cause che pos- sono far deviare a poco a poco l'assimilazione normale dell'umore nutricio di ciascuna parte, devono far egualmente deviare 1' energia della vitalità del tessuto a cui esso si applica immediatamente, senza che la vitalità in tutti i tessuti devii egualmente dal suo grado di energia. Quindi dal concorso di questi stati interni di ciascun tessuto, diversi nell'energia vitale, deve risultare che una causa stessa esterna produca malattie diverse, appunto perchè i sintomi che la costitui- scono devono essere diversi , ed esigere un diverso metodo di cura . Tutto questo fu da me esposto nel Saggio di proposizioni elementari patologiche, dedotte dalle fisiologiche, che forma appendice agli Ele- menti di fisiologia pubblicati nel 1817. Le malattie in conseguenza universali ed interne, le quali provengono benissimo dalle alterazioni più o meno celeramente prodotte nell'assimilazione degli umori cir- colanti, possono bensì avere un andamento analogo per essere i loro sintomi prodotti soprattutto da un' accresciuta celerità dei moti al- ternativi nei pareti delle cavità del cuore e dei vasi; ma non pos- sono considerarsi prodotte da una sola causa, 0 da cause di una sola natura, a cui opporre si debba un solo determinato metodo di cura. 67 SULLE ROTTURE DEL CUORE MEMORIA DI GIOVANNI MARIA ZECCHINELLI LETTA NEL GIORNO XXIX. NOVEMBRE MDCCCXXI. xJL pochi uomini non accade nel corso della vita di trovarsi esposti all' impeto di qualche veemente e repentino movimento dell'animo, o a qualche sforzo violento della persona ; e credo che pochi fra que- sti non sentano allora d'esserne scossi e colpiti direttamente nella se- de stessa delle passioni, nel cuore. L'effetto morale d'impeli così fatti è un perturbamento nelle sensazioni morali del cuore, talora si vivo e penoso , che chi n' è bersaglio suole esclamare , che il cuor gli si spezza. 11 fisico effetto è non di rado un grave disordine nelle fisi- che funzioni del viscere, ed il disordine fu qualche volta grave a tal segno, che il cuore realmente spezzossi , e l'uomo cadde morto sul suolo. Pensando io a questi ultimi funestissimi casi, venni a conoscere che non è cosa impossibile eh' essi succedano, quand' anche il cuore fosse sano nell'intiera sua tessitura, e che non possono fare affatto sicuri dall'evento tremendo la giusta proporzione delle forme, la robustezza della persona, e l'apparente salute di tutte le parli. E perchè si potrebbe non credere alla possibilità dell'avvenimento fe- rale da chi ricordasse quanto insegnò un recente celeberrimo scrit- tore italiano, il quale la mette in dubbio in cotale maniera, come se la negasse, sarà oggetto della mia lettura quello di dimostrare, che il dubbio di quel distintissimo ingegno in faccia all'esperienza perde di forza, e che la da lui non ammessa possibilità, che un 68 cuore sano si possa spezzare, pur troppo è una verità che l'osser- vazione medica ha posto in chiaro. Antonio Giuseppe Testa, la di cui perdita sarà per lunghi anni dolorosa a tutti i medici che amano il sapere congiunto all' inge- nuità, nell'insigne sua opera sulle malattie del cuore ha scritto le seguenti parole : « Non mancano certamente esempj di lacerti e fili » tendinosi lacerali nelle cavità del cuore per cagioni meccaniche » di colpi , o percosse , o forzamenti indebiti preceduti ; ma che il » cuore esternamente si apra per qualunque subita violenza fatta » contro le sue pareti interne dall'urto e dalla copia del sangue, «prima che il processo infiammatorio, guastando e corrompendo lo- » calmente le sue fibre , le ulceri sensibilmente e le consumi , il » caso almeno , quantunque forse vi sia , e da noi sia stato accen- » nato in altra parte, mi sembra non pertanto fra tutti gli altri ra- » rissimo , paragonato col numero di quelli, dove il manifesto ulce- ramento precede la sua rottura.» Chi conosce l'estrema cautela, colla quale procede il Testa nella citata sua opera nel pronunziare giudizio delle cose mediche, cau- tela derivante al certo dalle estesissime di lui cognizioni delle in- finite mediche probabilità nelle malattie del cuore , intenderà la di lui espressione , quantunque forse vi sia, come un semplice effet- to dell' enunciata cautela , e quindi sarà persuaso eh' egli non am- metteva che il cuore potesse spezzarsi senza essere previamente in qualche modo, se non chiaramente guasto da ulceramento, almeno assai infermato per infiammatorio processo. E tanto maggiore sarà la persuasione di ciò, quanto ch'egli impiega gran parte della sua eru- dizione, esperienza ed ingegno a provare la esposta opinione. Luminosi invero sono li casi narrati dall'illustre Testa di cuori spezzati, li quali erano previamente guasti da ulceramento in qual- che parte, o almeno avevano una condizione morbosa prossima al- l'ulceramento; casi presi dalla propria vastissima esperienza, e dalle opere dell'immortale Morgagni. Se non che si conoscono alcuni casi contrarj, egualmente luminosi, i quali non meritavano la dimenti- canza a cui li ha condannali l'espressione, quantunque forse vi sia, con cui ha voluto egli colpirli; espressione che, essendo di autore si dotto, potrebbe facilmente essere ricevuta per una sentenza. °9 Io non oserò certamente di mettere innanzi dubbio di sorta al- cuna sulle osservazioni fatte dal Testa nei cadaveri di alcuni indi- vidui troncati alla vita da rottura del cuore; anzi le vorrò affatto ammettere per vere ed esatte. Riconosco parimente per casi comprovanti la di lui opinione quattro osservazioni ch'egli prende dalla lettera XXVII. De sedibus et causis morborum ec. del Morgagni; quantunque una di queste, la narrata al N. 2° della lettera, possa lasciare grave incertezza se prima della rottura fossero offese le libre del cuore dall' ulceramento mani- festo voluto dal Testa, giacche veramente il Morgagni non lo dice, ma nota solamente che nel cuore di quella donna , che stava co- perto di moltissima pinguedine, s'era veduto nella parete posteriore del ventricolo sinistro, verso la punta, rotundum foramen lentis ma- gnitudine j quo ventricidi paries , ibi secundum naturati* tenuior jam factuSj pertundebatur. Che se riflettasi che quella donna aveva le valvole aortiche in parte ossificate, e l'arteria sparsa di molte squam- me ossee, si potrà intendere che la rottura del cuore siasi effet- tuata non per preesistente ulceramento, ma per li grandi ostacoli che alla sortita del sangue dal ventricolo sinistro avrà opposto la delta condizione morbosa delle valvule e dell'aorta; ai quali osta- coli non sembra avere pensato il Testa nella sua tesi, ma unica- mente all'urto ed alla copia del sangue. Le altre osservazioni, che in quella lettera cita il Morgagni, non sono tutte favorevoli all'opinione del Testa. L'osservazione dell' Arveo [de circolai, sanguinis) , citata la pri- ma , di rottura del ventricolo sinistro del cuore di un uomo , porta che la parete di quel ventricolo era abbastanza crassa e robusta. L' Arveo lo dice chiaramente : paries ventricidi sinistri satis crassus et robustus cernebatur; e non deduce la di lui spezzatura se non che ex impedito sanguinis transitu de sinistro cordis ventriculo in ar- teriaSj quantunque poi non dica quale sia stato quell'impedimento. Un'altra osservazione, ed è del Bolinio (de renunciatione vul- nerum), appartiene ad un uomo d'età consistente e d'abito atletico, il quale viveva con dieta accurata, ed a cui, in una parola, si avrebbe da lutti promesso una lunga vita. Questo uomo, senza aver mai sof- ferto verun sintonia morboso evidente, era morto repen linamente a 7° lato della sua moglie; e si trovò che si era rotto il ventricolo sini- stro del cuore vicino al foro aortico. E il Bohnio non dice che quel cuore avesse organico vizio; e il Morgagni si contenta di soggiungere: cujus ruptionis ultimam causarti tu facile suspicaberis. Finalmente il Morgagni cita ( N. 7.) un'osservazione del Morando, inserita nelle Memorie dell'Accademia delle scienze di Parigi per l'anno iy32, di un uomo che morì per rottura del ventricolo sini- stro del cuore, nel quale questo viscere era bensì assai lasso di fibra per modo, che uno specillo col solo suo peso lo potè trapas- sare; ma non però in verun luogo ulcerato, o comunque corroso. Ed anzi il Morgagni esclude l' idea di previo ulccramentOj e dedu- ce la rottura da languidezza delle fibre del cuore, riportando ed adottando gì' insegnamenti del Lancisi, ammessi anco dal Testa, che alle rotture del cuore vadano soggetti, fra gli altri,, que' corpi che fin da fanciulli hanno le fibre non solo più languide e non coerenti abbastanza, ma anco mancanti, specialmente in certo luogo del sinistro ventricolo, in cui il Lancisi osservò un forame, che ve- niva impedito dal lacerarsi totalmente soltanto da una membrana posta all'interno, e da un'altra posta all'esterno. Ed a questa sotti- gliezza di parli non panni dover essere sempre necessaria cosa l'ag- giungere un processo infiammatorio, che tanto più prontamente ab- bia consunti quei luoghi già relativamente più deboli. In luogo di ammettere questa supposizione è cosa migliore l'attenersi alla esem- plare riservatezza del Morgagni, il quale, sebbene opini che la rottura del cuore a quelli accada che lo hanno previamente gua- sto da qualche ulceramenlo , non considera però questa condizione del viscere per assoluta, ed escludente le altre. Ma agl'insegnamenti del Lancisi, che alle rotture del cuore vadano sottoposti que' corpi Inter caetera , che ne hanno languide le fibre, soggiunge: recte att- ieni scripsit inter caetera; nam et ulceribus iuternis obnoxia corporei, et quibus, ut dixit, languidiores fibrae cordis sunt, eidem mortiti sunt opportuna. Ed in prova dell'ammettere egli queste due cagioni di rottura del cuore o per ulceramento , o per lassezza di fibre, cita tosto due relative osservazioni, prese dallo stesso Morando: quella già da noi citata poc'anzi per lassezza di fibre ; e l'altra per ulcera- menlo, di una vecchia principessa di Brunswich, nella quale un'ul- cera cominciata nella parete esterna del ventricolo destro del cuore, era penetrata rodendo fino alla cavità, e così aveva aperto il varco al sangue e alla vita. Per le quali cose si scorge che il processo infiammatorio ed il manifesto ulceramento non sono condizioni sem- pre esclusivamente necessarie alla successiva rottura del cuore. E ciò s'impara non volendo dipartirsi dalle osservazioni citale dal Morga- gni, alle quali è ricorso il Testa. Se poi vogliamo vedere in altri autori li casi di rottura di cuore , ne troveremo di maggiormente istruttivi contro 1" opinione del Testa , e conosceremo che senza pre- vio ulceramento , né grande lassezza di fibre , o infiammatorio pro- cesso, il cuore talvolta ebbe a spezzarsi. E primieramente io vi richiamerò alla mente , o dotti Colleghi , due osservazioni dell'illustre Portai, le quali sono slate dimenticate così dal Testa come dal Corvisart nelle loro opere sulle malattie del cuore. Il Corvisart, a dir vero, non niega che un cuore possa rompersi, benché sia sano. Ma confessando egli di non aver avuto occasione di osservare nessuna delle due specie di rottura totale del cuore o in istato sano, od in istato malato, io credo di poter pre- scindere da quanto egli dice sulla rottura totale del cuore. Il Portai adunque in una Memoria sulla morte improvvisa per rottura del cuore; inserita nelle Memorie dell' Accademia Reale delle scienze di Parigi per l'anno 1784, ci narra tre osservazioni di tal morte per rottura del ventricolo sinistro, due delle quali io reputo importantissime da sapersi per l'argomento di cui ci occupiamo. Una certa Contessa di Nevron , apparentemente sanissima , ma di una enorme grassezza , soffriva da lungo tempo, quando movevasi più del solito, qualche difficoltà nella respirazione. Dopo un viag- gio da Nancy a Parigi , fatto senza fermarsi , sentì alla sera stessa più grave questa difficoltà, con dolori colici vivissimi. Il polso era pienissimo, e con irregolarità singolare. Alla mezza notte le si ac- crebbe la difficoltà del respiro , e in brevi momenti cessò di vivere. Il volume del corpo era enorme per l'estrema pinguedine. Ve n'era per quattro dita di grossezza sotto la pelle; l'omento tanta ne aveva, che occupava quasi tutta la cavità del basso ventre, e molta ve n'era tra le lamine del mesenterio e d'intorno ai reni. Tania poi se ne tro\ò tra le lamine del mediastino, che le teneva scostate fra loro 72 considerabilmente; ciò che diminuiva la capacità del torace, e ca- gionava la compressione dei visceri. Il cuore in fine n'era carico per due dita trasverse, e nuotava nel sangue, di cui era pieno il peri- cardio. 11 sangue era sortito da una rottura che si era fatta alla base del ventricolo sinistro verso l'aorta. L'orlo legamenloso, che lega 1' aorta al cuore , si era slaccato nella parte anteriore della sua circonferenza, e ne risultava un foro, per cui potevasi introdurre il dito mignolo. «Del resto (dice il Portai) la sostanza del cuore era "solida e compatta, come lo è ordinariamente. Li ventricoli, anche «quello che s'era lacerato, non erano più grandi del solito, e non » v'era indizio alcuno di erosione in nessun luogo della tessitura del «cuore. Li vasi che portano, o che ricevono il sangue dal viscere, » non erano alterati, di modo che non si poteva attribuire l'acci- » dente a nessuna viziatura degli stessi, né a veruna affezione con- » tro natura delle fihre muscolari del cuore.» Malgrado la grande quantità del sangue versato nel pericardio, ve n'era ancora molto nei vrasi arteriosi e venosi. E merita che si badi al sito della rottura, che non fu alla punta del cuore, luogo il più sottile del ventricolo sinistro, e dove spesso accadono le rotture, al dire del Senac e del Morgagni, ma sì nel luogo in cui sembra che il cuore sia più robusto in forza della struttura tendinosa eh' ivi possiede. Il ventricolo che si è lacerato, non era più dilatato del solito, ne di pareti floscie, come il Senac e il Morgagni lo hanno veduto nei cuori coperti di pinguedine che si erano rotti. Questi autori , al dire del Portai, hanno cercato di attribuire la rottura a qualche al- terazione della sostanza del cuore. Credevano che il grasso sover- chio avesse ammollito le fihre, le quali fossero poi state distese dal sangue nella dilatazione del cuore, e quindi si fossero spezzate, op- pure che un'ulcera avesse o assottigliate, o anche distrutte le fibre del viscere. «Queste cose accadono (dice il Portai); ma nel caso » della Contessa di Nevron il cuore non aveva ulcera o mollezza i)di fibre, anzi godeva di tutta la propria forza, e si è rotto più » per una resistenza che non ha potuto superare, di quello che per » una debolezza delle proprie pareti.» Un'altra osservazione del Portai è la seguente. Una donna di 65 anni, magra e d'estrema sensibilità, soggetta da molto tempo a pai- 73 pitazioni di cuore, faceva grande uso di bagni tiepidi. Una volta si mise a farli freddi, e dopo alcuni aggiunse all'acqua del diaccio, e di questo se ne applicò anco sulla testa, e continuò il tutto, seb- bene la stagione fosse divenuta freddissima. Un giorno, essendo nel bagno, cadde in sincope. Fu tosto levata dall'acqua, e fu in ogni maniera soccorsa; ma la sincope era stata la morte. Si era squar- ciato nella parte superiore e posteriore per la lunghezza di H linee il ventricolo sinistro del cuore, ch'era tuttavia pieno di sangue, sebbene tanto ne avesse versato nel pericardio , che questo sacco n'era pieno. L'imboccatura dell'aorta era ristrettissima, e le valvule erano dure e come cartilaginose, e rovesciate verso il cuore. Si erano spezzate due colonne carnose longitudinali, ed alcune delle loro estremità tendino.se erano aderenti ai margini della rottura ; li quali margini erano irregolari ed a frangia, come quelli di una tela lacerata dalle mani con forte estensione. Non v' era traccia di ulceramento , e le pareti del cuore avevano presso a poco la loro solidità naturale. E ciò eh' è più da rimarcarsi è , che auprès de cette ouverture contre nature il y avait une fos- sette bouchée par une membrane très-mince > qui n etait point per- cée . L'orecchietta sinistra, li vasi polmonari ed il ventricolo destro erano molto dilatati, e le pareti di questo erano estremamente as- sottigliate. Nel primo caso chiede il Portai , se la rottura debbasi attribuire all'eccesso del sangue, o all'enorme quantità della pinguedine. Sem- bra evidente che ambedue le circostanze siano concorse a cagio- nare un accidente, che separatamente non avrebbero prodotto sì fa- cilmente. Li vasi di quella Contessa essendo ridondanti di sangue, e non potendosi prestare ad una sufficiente dilatazione per essere ovunque dalle masse della pinguedine di continuo compressi, è av- venuto, primieramente che sotto l'esercizio della persona rimanessero sopraccaricati di sangue il cuore ed i polmoni, e quindi si destasse la difficoltà della respirazione; in seguito che si accelerasse straordi- nariamente la circolazione del sangue dal lungo viaggio fatto senza riposo, e vieppiù se ne sopraccaricasse il cuore; e finalmente, che per liberarsi da questo carico, che lo opprimeva, il cuore rinfor- zasse potentemente la propria azione , sotto la quale , non avendo :4 potuto superare gli ostacoli opposti dalla enorme grassezza alla ne- cessaria dilatazione dell'aorta e delle sue diramazioni, si fosse rotto ed aperto nel ventricolo a questa arteria corrispondente. Nello stesso modo è accaduta la rottura del ventricolo sinistro del cuore del- l'altra donna, benché per cagione diversa. Ristretto il sistema gene- rale dei vasi sanguigni dall'inopportuno bagno freddissimo in donna già palpitante e molto abituala ai bagni tiepidi, ed accresciuto con ciò immensamente 1' ostacolo, che già presentavano all' uscita del sangue la ristrettissima imboccatura dell'aorta e le indurate di lei valvule, il ventricolo sinistro non ha più avuto forza bastante per superarlo, e si è lacerato. E si noti, che non già si ruppe il cuore nel ventricolo destro o nell'orecchietta sinistra, ch'erano dilatati ed assottigliati, e non nella punta del ventricolo sinistro, dove .que- sto è più debole, ma in luogo robusto e sanissimo, e coli' apparenza di una tela resistente, che fosse stata lacerata con viva forza. Il caso di questa donna ricorda il pericolo corso da Alessandro il Macedone, di cui voi sapete essersi raccontato da Q. Curzio, che in un giorno , in cui , stanco dalle guerriere fatiche e bagnato di sudore , s' immerse nel freddissimo Cidno , per poco non spirò sul momento. Ed io penso, che se fosse morto, la cagione ne potrebbe anco essere stata una crepatura di cuore. Alle osservazioni del Portai, fatte prima dell'anno 1 7&4-> ne ag" giungerò tre fatte negli anni a noi vicini. La prima ci venne narrala dal dott. Olmi di Firenze in una Storia di morte repentina, stampata nel i8o3. Un uomo sessagenario, già malaticcio da molti anni, e soggetto a gravissimi patemi d'ani- mo, e specialmente a lipotimie, senza evidente cagione un giorno fu ad un tratto sorpreso da fortissimo dolore lungo lo sterno , che lo rese fortemente ansioso. Tn 20 ore ebbe quattro insulti minacciasti la morte, la quale realmente accadde nell'ultimo. Si trovò che v'era una fessura nella parte posteriore del ventricolo sinistro, vicino al septo medio, senza segni di infiammazione j nò di suppurazione, ma bensì di una lacerazione delle fibre. La seconda la prendo da una Dissertazione del Polii, De rnptura cordis, stampata in Lipsia nel 1808. Un uomo di 4-5 anni, bene con- formalo nella persona e godente di buone forze, dopo una serie 75 di malanni attribuiti ad ipocorulriasi, e che avevano cominciato ven- ti anni addietro, e dopo dolori colici di recente sofferti, dei quali si trovò la cagione nel cadavere in aderenze dell'omento all'inte- stino cieco ed al peritoneo, un giorno, disceso nel cortile, stramazzò a terra, e spirò. Eragli crepato il ventricolo sinistro del cuore circa nel mezzo fra la punta ed il seno quadrato , e la fessura era quasi lunga un dito, e nella parte interna era molto più larga che nel- l'esterna. La sostanza del cuore era bensì molle, specialmente in vi- cinanza alla rottura; ma nec alluni vestigium exulcerationisj nec alius inflammationis ejjectus praesejerebat. La terza osservazione io la riporterò colle parole dell' autore, il dott. Paolo Zannini, e trovasi in una fra le tutte belle annotazioni che egli fece alla elegantissima quanto fedele sua traduzione dell'Ana- tomia Patologica del Baillie. (Tom. I. annot. 32. pag. 3i3.) Tre casi di rotture di cuore egli narra in quella annotazione, tutte accadute ad uomini, e tutte nel ventricolo sinistro. In due la rottura era stata preparata da processo morboso locale; ma nell'altro la rottu- , ra, della lunghezza di 4 d***, pareva che si fosse effettuata non per /faec lacerazione delle fibre carnose, ma per distaccamento laterale delle stesse, ossia per solo smagliamento ; ed era fatale ad un uomo distintis- simo per coltura di spirito , e per prontezza ed amenità dJ ingegno poe- tico , Francesco Gritti, che aveva allora raggiunta l'età di settant' anni. La crepatura cominciava verso V angolo formato dalla parete poste- riore del ventricolo sinistro col setto del viscere, e trascorreva in mo- do obbliquo e tortuoso per la crassizie della medesima, uscendo sulla faccia postica del cuore, alcun poco sotto il seno quadrato. Ed io so dalla voce dell'autore una cosa, non da lui pubblicata nella citata annotazione; ed è, che quel ventricolo sinistro portava altre due o tre lacerazioni, ma colla singolarità, che cominciate tutte nella pa- rete esterna, non arrivavano a penetrare nella cavità, ma si arresta- vano a mezzo la sostanza carnosa. Appoggiato alle esposte osservazioni, parmi che si possa modifi- care 1' opinione del Testa coli' ammettere, che la rottura del cuore a quelli bensì accade a preferenza, li quali hanno quel viscere pre- viamente ulcerato, o guasto comunque per gli effetti della cronica od acuta infiammazione in esso accesa; ma che può succedere a 7G quelli altresì, li quali hanno semplicemente un cuore lasso e molle senza che sia malato, od anche a quelli che lo hanno sano del tutto e rohusto. In tali casi, se non vuoisi riconoscere per causa determi- nante la rottura la sola violenza fatta contro le sue pareti interne dall' urto e dalla copia del sangue } di cui fa unicamente menzione il Testa, non pensando, come dissi, all'altra causa più potente as- sai, cioè gli ostacoli opposti allo scaricarsi dei ventricoli, si dee ri- flettere che gli effetti della detta violenza sono più che centuplicati dalle forze attive del cuore qualora esistano di questi forti osta- coli alla sortila del sangue dalle di lui cavità , formati da qualche organica alterazione generata nelle parli vicine, segnalamenle nei grossi vasi; ovvero, anche senza di tali alterazioni, qualora l' ostaco- lo prestamente si formi per isforzi repentini e violenti dei muscoli e della persona, e quando abbiano luogo nell'istante medesimo mo- vimenti dell'animo egualmente violenti e repentini, sospingenti nel cuore grosse e replicate onde di sangue. In tali circostanze il cuore può spezzarsi, senza essere molto lasso di fibra, ed anche essendo robusto; e queste circostanze importantissime, non so per- chè j furono oltrepassate dal Testa. Eppure fu talvolta per la ter- ribile lotta fra la forza impellente il Sangue nel cuore e la repel- lente dell'ostacolo, che il cuore violentissimamente agitato spezzossi negl'impetuosi accessi di collera, negl'insulti di epilessia (Johnston, Med. obs. and inq. Voi. II. pag. 119), nelle violenti convulsioni o spasmi, sotto eccessivi ed a lungo continuati sforzi della persona, dopo gravi percosse nel petto, e sotto il terror repentino. Fu così che ad un Re di Spagna si spezzò il cuore nell'ira per una perduta battaglia; e ad un altro d'Inghilterra negli sforzi di deporre il ven- tre; e ad un ribelle e facinoroso giovane nell'ira d'essere tratto al patibolo, e prima che la scure gli toccasse il collo; e ad un carce- rato nella violenza di una disputa (Portai 1. e); e ad un disperato nello sparar che fece il fucile contro il proprio petto per uccidersi (Hufeland presso Voigtel, Handb. der Path. Anat. pag. 4°6) > e fu cosa curiosa il vedere nel di lui cadavere che la palla non aveva trapas- sato lo slerno, ed aveva sì poco offeso le ossa del petto, che la rot- tura non era penetrata nell'interno, e quindi il pericardio era intat- to; ed a quella sgraziata femmina (Valer, Eph. N. C. Dee. III. an. cj. 77 e io. obs. 164), che fu percossa nel pelto, e morta da un carro che passava, nella quale fratturate erano le coste e la clavicola destra, ina non spinte all'indentro, e non era offeso il pericardio, eppure erasi rotto per più della lunghezza di un' unghia, non lontano dalla punta, il ventricolo destro del cuore; ed a quell'uomo onoralissimo, che per un'ingiuria sanguinosissima ricevuta ingiustamente da un po- lente, al quale non avea potuto neppure rispondere, fu preso da co- tanto dispetto, che il cuor gli crepò; dal che si ebbe a conoscere che non è veramente un' espressione soltanto metaforica il crepacuore dei poeti e dei romanzieri. Le addotte osservazioni provarono adunque che il cuore può spez- zarsi in qualche sua parte , anche essendo in istato sano. Ma lo prova anche il ragionamento fondato sopra alcune circostanze pro- prie delle rotture del cuore, le quali si trovano sparse in più autori, e sono narrate senza lo scopo a cui io le farò servire , qui racco- gliendole sotto un solo punto di vista, come altrettante proposizioni. E sono: i.° Le rotture del cuore accadono più spesso nel ventricolo sini- stro eh' è più robusto, che nel destro eh' è più debole, o nelle orec- chiette più deboli ancora. 2.0 Si sono vedute con grande preminenza di casi più negli uo- mini che nelle donne. 3.° Sembra che si facciano nell'atto della contrazione del visce- re, e non in quello della dilatazione. 4° Si fecero contemporaneamente in più luoghi dello stesso ven- tricolo, ed in più luoghi di ambedue. 5.° Si fecero talvolta nei siti più forti e robusti, mentre esiste- vano alcuni altri siti del cuore più indeboliti e maiali; e si fecero anche in vicinanza di questi, ma non in questi. 6.° Qualche rottura del cuore fu veduta più ampia nella parete interna che nell'esterna; indizio probabile che soglia cominciare in questa . 7.0 La fenditura cominciata nella parete esterna talvolta non arrivò a penetrare nella cavità, ma si arrestò a mezzo della sostanza carnosa. 8.° E mostrò talvolta l'apparenza di una semplice lacerazione, come quella fatta ad un pezzo di pannolino. ? 8 Di una parte di queste proposizioni, cioè delle quattro ultime, ne avete udito gli eseiupj nelle osservazioni che ho esposto. Delle due prime ne troverete le prove chiarissime nell'immortale opera del Morgagni, in quella del Baillie, e nel confronto di tutte le storie di rottura del cuore, che si possedono. Della quarta ne potete vedere solenni esempj, oltre a quello del Zannini di sopra narrato, nell'ipo- condriaco di cui parla il Morgagni (Episl. A. M. LXIV. i5), a cui si ruppe il ventricolo sinistro del cuore in tre siti; e nella Contessa di Chabannes, di cui parla il Portai nella Memoria da noi citata, nella quale in un accesso di collera il cuore si era spezzato in tre luoghi nel ventricolo sinistro , ed in uno nel destro. La terza proposizione, quella che le rotture del cuore accadano nella contrazione, e non nella dilatazione del viscere, risulta, mi pare, dalle altre, perchè dimostrando esse che nella rottura ha luogo uno stato di violenta reazione del viscere, questo dee trovarsi nel momento della propria contrazione. Tutta volta non vorrò contentarmi di questa prova da sola induzione, e vi parlerò un poco sopra questo argomento. Né il Corvisart ne il Testa pensarono a trattare la questione, se il cuo- re si rompa nella contrazione o nella dilatazione. Il Senac ed il Mor- gagni, per asserzione del Portai, opinarono che il cuore si rompa nella dilatazione. Se non che quello dicendo anche che la cavità si dilata nella contrazione del cuore ( L. 4- Ch. Vili. Tom. 2.); dal che si può .inferire che dilatazione delle cavità fosse per lui sinonimo di con- trazione delle pareti ; ed il Morgagni maravigliandosi quasi ( Epist. A. M. XXVII. io.) che il cuore si rompa nel ventricolo sinistro più robusto, a preferenza del destro più debole, e tentando di spiegare il fenomeno col desumerlo dalla naturale maggiore sottigliezza della punta di quel ventricolo in confronto del rimanente, nella qual punta accadde la rottura in due delle osservazioni da lui riportate, mentre poi e le rotture accaddero in maggior numero in altre parti di quel ventricolo, e la punta dello stesso, appunto per la maggiore sotti- gliezza, è stata considerata da alcuni come la più atta alle fortis- sime contrazioni, io ho bisogno di più diligente esame delle opere voluminose di que'due sommi uomini, prima di credere al Portai. E frattanto dirò, che non so se il Senac ed il Morgagni opinino che le rotture del cuore si facciano o nella dilatazione o nella contrazione. 70 Il Portai dice chiaramente che si fanno nella contrazione, e le pa- ragona alle rotture, alle quali soggiacciono li muscoli nelle violenti convulsioni e nelle eccessive contrazioni, delle quali molti memo- rabili esempj ne ha dato l'Hallero; ed alla rottura che si fa talvolta nel fondo dell'utero gravido per la forza di contrazione del viscere quando esista al di lui collo o al bacino un ostacolo forte che im- pedisca la sortita del feto. Ed io adotto l' opinione del Portai , tanto pei casi di rottura di cuore sano o semplicemente debole, quanto per gli altri, infinita- mente più numerosi, di cuori ulcerati o gravemente malati. Ed ognu- no, io penso, non avrà difficoltà di adottarla, pensando ai tanti casi di rottura di cuore nei siti più robusti della più robusta di lui parte, ed in siti sani vicinissimi ad altri che non lo erano; e pen- sando soprattutto che in tanti casi la rottura si effettuò nei violenti trasporti di collera, nei quali contraesi appunto il cuore fieramente, ed il sangue è da esso spinto con violenza alla superficie del corpo. Che se in questa violentissima azione il cuore incontra uu fortissi- mo ostacolo, con vie maggiore sforzo contraesi per superarlo, tinche talvolta si spezza. Che se non si spezza in lotta così tremenda, può accadere non pertanto la morte in due altre maniere , comprovanti anch'esse la estrema violentissima azione che soffre il cuore quando gli si presentano ostacoli insuperabili; o se ne resta esso pieno j or- bicolato ed immobile s e questa cosa ci è stata insegnata dal Lancisi : ovvero trasuda sangue per la propria tessitura, senza romperla, fino a riempierne la cavità del pericardio; e di questo ultimo straordina- rio avvenimento io ho presente alla memoria due casi, e già più altri ne conterrà l'Anatomia patologica: uno narrato dal Valer (Ephem. Nat. Cui: Dee. III. An. 9. e io. obs. i63), l'altro dal Thompson (Me- dicai observations and inquiv'ies, voi. XVIII. pag. 33o.) ; questo senza causa violenta, ma con violentissima quello, ed ambedue accaduti ad uomini. Il Thompson ha trovato nel pericardio di un uomo di 42 anni, morto dopo lunghi mali, tre pinle di sangue fluido, e molti grumi di sangue rappreso ; il cuore era flacido solamente , e non rotto in nessun luogo. Il Valer narra di un soldato danese di ferma salute, e da niun male prima molestato, il quale accolto una notte, dopo molto pregare, dalla sua amante, fra li reiterati amplessi ad fio un tratto con orribile clamore ed agitazione restò morto. Niente tro- vossi fuor di natura nel cadavere di quello sciagurato, se non che il pericardio pieno di sangue, senza rottura veruna manifesta ne del cuore, ne delle orecchiette; sicché il Vater argomentò che il san- gue fosse trasudato dalle boccucce dei vasi coronarj. Di queste tre maniere di morte, a cui può precipitare il cuore quando trovasi nelle descritte circostanze d'impeti violentissimi a tergo, e d'osta- coli insuperabili a fronte, o di restare pieno, rotondo ed immobile, o di crepare in qualche sua parte, o di sudar sangue, dirò così ; la prima dee essere più comune delle altre; la seconda è stata osser- vata con assai maggiore frequenza del trasudamento, il quale fu ve- duto rarissime volte, e da taluno non fu creduto, ma fu attribuito a qualche inavvertita rottura di vaso. (Morg. Epist. A. M. XXVI. 12.) Adunque col discorso fin qui tenuto io cercai di provare che non è sempre necessario, perchè accada una spezzatura in qualche parie del cuore, che queslo viscere sia guasto da previo ulceramen- to i come ha opinato 1' illustre Testa; ma che è possibile che il cuore dell'uomo, benché sia sano, si possa spezzare in qualche sua parte in forza di veementi e repentini impeti dell'animo e della persona, specialmente ove esista o ad un tratto si formi un forte ostacolo alla sortita del sangue dalle di lui cavità, e segnatamente dalla sinistra; e che la robustezza del sesso, dell'età e della fibra, non che allontanare il tremendo avvenimento, può per la maggiore, ma non bastante resistenza che oppone, e per la più potente rea- zione che ne consegue, qualche rara volta anco affrettarlo. DEGLI ANTICHI RITI ASCLEPIADEI RAGIONAMENTO ISTORICO LETTO ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI II. MAGGIO MDCCCXXII. DA GIUSEPPE MONTESANTO SOCIO ATTIVO J_ 1 el porre al paragone Ippocrate con Socrate , io dissi prima di ogni altra cosa , che la medicina dee all' uno ciò che la huona filosofia ottenne dall'altro (0, giacché Ippocrate, amico unicamente del vero come Socrate , fece sì che 1" arte curatrice dei mali depo- nesse alla fine quella pompa solenne, e quelle forme misteriose ab- bandonasse, con cui i Sacerdoti di Esculapio, denominali Asclepiadéi, pretendevano ridonar la salute ai creduli pazienti. Quanto dissi allora mi suggerì poscia il pensiero di andar nar- rando ciò che que' Sacerdoti medesimi solevano praticare a prò di quegl' infermi , i quali facevano ad essi ricorso. Ed affinchè il mio ragionamento storico non vada disgiunto da quel- la utilità che ciascuno propor si dee in ogni sua letteraria o scien- tifica produzione, ho divisato di aggiungere un cenno di confronto fra gli usi di quegli antichi seguaci di Esculapio, e le singolari fogge di trattare i inalati, proprie di alcuni medici de' giorni nostri. Se l'ufficio principale della storia esser dee quello, non v'ha dubbio , di presentare sotto gli occhi nostri , a profitto dell' età in cui viviamo, ciò che le scorse età, più o, meno da noi lontane, pos- sono insegnarci mercè i loro stessi errori, fa appunto mestieri che la (i) Paragone d' Ippocrate con Socrate. va il dì i3 Dicembre 1821. Padova 1822, dal- Discorso letto all' I. R. Accademia di Pado- la Tipografia della Minerva. 1 1 82 storia della medicina venga in nostro soccorso, ora che in alcune parti di Europa grandemente si parla di prodigiose guarigioni ottenute con mezzi tali, che sembrano essere stati appresi fra le antiche pareti del tempio del greco Esculapio, ed alla mistica scuola de' suoi ministri. Nel prender le mosse dai fasti della eletta Famiglia Asclepiadèa, io non retrocedo sino a que' remotissimi giorni, in cui la storia della medicina, come quella di tutte le altre scienze, si confonde colle allusioni della mitologia, o coi- delirj della favola. Quanto io sono compreso di ammirazione per quegli antichi po- poli dell' Oriente, i quali gittarono le basi delle grandi istituzioni civili, e che destarono nell'umana stirpe il nobile sentimento della propria possanza, innalzando eccelse moli, sfidando i pericoli di lon- tane peregrinazioni, e diffondendo fra barbare genti i germi preziosi del sapere, sono altrettanto convinto che anderei ben tosto a per- dermi nella più buja notte dei tempi, se imprender volessi a ragio- nare del modo onde praticavasi la medicina presso i Fenicj, gli As- sirj, i Babilonesi, gli Egizj, e presso i Greci medesimi anche durante la tanto famosa guerra di Troja. Omero ci rappresenta bensì Podalirio e Macaone, figli di Escu- lapio, accorrere in soccorso di coloro che cadevan feriti sul campo di battaglia; ma nulla poi da esso apprendiamo di ciò che quegli «roi medesimi facessero per fugare le interne malattie (0. Allora soltanto che Alessanore, figlio di Macaone (?), cinquantanni dopo la caduta di Troja eresse in Titane il primo tempio ad onore di Esculapio, suo avo paterno, annoverato di già fra gli Dei pel suo potere nel curare i morbi , il cullo di questo Nume si diffuse fra i Greci, e fu allora che, sorta con esso qualche norma di medicare, 1' uomo affetto da malattia incominciò a scorgere un asilo in cui rin- venire alleviamento e conforto. Nuovi tempj di poi si fabbricarono in più luoghi, ove innalzati dalla riconoscenza di alcuni, ove eretti dalla animatrice speranza, o (i) Podalirius et Machaon, bello Trojano auxilii ; sed vidneribus tantummodo ferro et ducevi Agamennonem seculi, non mediocrem medicamenlìs mederi solitos esse proposuil.. opem commilitonibus suis attulerunt, Quos A. C. Cclsi Medicinae lib. primus. Pracfatio. tamen Homerus, non in patilenlia, ncque (2) Sprengel, Storia della Medicina, voi. I. in variis gencribus mot borimi aliquid nllulissc pag. 206. 83 dall' incalzante bisogno di molti. Per tal guisa videsi la Grecia or- narsi de' numerosi suoi Asclepj , che così appellavansi que'lempj, e fra tutti quello di Triclie in Tessaglia, quello di Epidauro nel Pe- loponneso, e quello dell'Isola di Coo salirono in altissima fama e venerazione, accorrendovi da ogni lato moltitudine innumerabile di malati per riaver la salute. Quivi la salubrità del suolo, la vicinan- za delle terme, l'esercizio della persona, la regolarità della dieta; quivi il prestigio della musica, l'amenità de' passeggi, la distrazione dell'animo; tutto in fine negli Asclepj concorrer dovea a facilitare la guarigione de' morbi. Erano que' tempj consegnati alla vigile custodia de' Sacerdoti Asclepiadèi , i quali in sulle prime erano tutti discendenti legittimi di Esculapio, o tali almeno dovevano farsi credere al docile volgo. Allorché però il sempre crescente numero de' lempj fece si che bastar più non potessero al loro servigio i soli figli di questa pri- vilegiata famiglia , fu d' uopo ammettere al sacerdozio individui ad essa estranei; il che peraltro non si faceva senza premettere esa- mi e sperimenti tali , che assicurar potessero della ferma religione dell'adepto novello ('). Tosto poi che taluno presentavasi all'Asclepio, onde impetrar la salute, doveva, prima di ottenervi l'accesso, sottoporsi a lungo e ri- goroso digiuno, astenersi scrupolosamente dal vino, bagnarsi il corpo nell'acqua lustrale, ed offrir vittima accetta sull'altare della Divi- nità , di cui invocava il favore . Ciò fatto, egli entrava nel tempio: ivi doveva adagiarsi sopra la pelle dell'animale immolato nel luogo assegnatogli, e cheto cheto prender sonno, o fingere almeno di dormire (2). Venuta la notte e spenti i lumi, il Sacerdote, ricoperto della sacra veste Asclepiadèa e circondato da uno stuolo di elette donzelle, accostavasi all' infermo (3), intuonando allora cantici religiosi presso la di lui testa, o mormo- rando al suo orecchio arcane parole ; e praticando varj toccamenti (i) Caeterum res sacrae sacris hontini- (2) Pausania. Trad. da A. Nibby. Roma bus demonstrantur : profanìs idfas non est, 1817. voi. I. pag. 0,5. priustjuam scientiae OrgiLs initienlur. Hipp. (3) Schulzii Jo. Henrici, Hist. Medicìnae Ux. Period. I. Sect. II. Cap. IV. u ed atti diversi, ordinava l'applicazione di un esterno rimedio, o suggeriva che si apprestasse al paziente una salutifera pozione (0. Che se al cauto Ministro Asclepiadèo sembrava dubbioso il caso, e non gli si rendeva si tosto palese il soccorso da prestarsi, aspettava che il Nume, reso propizio da quelle pratiche religiose, inviasse allo stesso infermo un sogno, che, interpretato mercè la sacerdotale sa- pienza, rivelasse quale si fosse la più acconcia medicina per esso (2). Ove poi avvenisse che il malato, spinto da irreligiosa curiosità, o agi- tato comunque da smania profana, stato si fosse desto mentre trova- vasi a lui d'appresso il messaggiero di Esculapio, quell'empio sperava indarno di guarire (3). Che se invece o l'interna agitazione dell'animo, o la perse- veranza di un molesto sintonia impediva ad un infelice malato senza sua colpa ogni calma, sì che negato gli fosse affatto il vero sonno, doveva almeno con religiosa tolleranza far mostra di profon- damente dormire (4), intanto che il Sacerdote invaso dal Nume, po- stosi al suo fianco, potesse dormire e sognare invece di lui (5). Mercè questo sacro rito , che dicevasi incubazione j rito che i Lati- ni chiamarono poscia incubare Deo^ venivano quasi a confondersi fra loro il Nume, il Sacerdote e l'infermo, talché parlando l'uno per bocca dell'altro, ogni detto, durante l' incubazione , era parola celeste, promettitrice sicura di salute per l'uno, e di trionfo per gli altri. Solevano altresì i sacri Ministri nodrire nei tempj de' serpenti resi mansueti , i quali ivi facevan fede della tremenda presenza (i) / bagni erano costantemente accompa- (3) // mal esito della cura ascrivevasi a gnati da frizioni e da diverse manipolazioni, mancanza di fiducia e d'ubbidienza. L. e. che non potevano a meno di produrre effetti pag. 253. sorprendenti in persone cagionevoli ed attac- (4) Cumque nefas aut periculosum pula- cate da mali nervosi. Dopo i bagni si appli- retar, si quis etiam vigilaret, somnum non cavano utilmente degli unguenti, come chiaro simulare. Schulz, Op. cit. loc. cit. Aristoph. lo indica Aristilide. Sprengel, Op. cit. voi. I. Plutus. pag. 247- (5) -d ninno era concesso, salvochè a'Sa- (2) Gì' infermi si apparecchiavano colle cerdoli, di vedere il simulacro d' Igea in preci al sogno vxticinatore. Loc. cit. pag. 248. Egia {città dell' Acaja sulle sponde del mare L'interpretazione de'sogni era riservata ai di Erissa). Neppur poteva entrare alcuno Sacerdoti, e spesse fiate a tempieri reaxópoi) nell'antro Caronio presso a Nissa nell'Asia detti altrimenti intercessori Ixévat,. Loc. ci!. minore, ivi erano i Sacerdoti che sognavano p;ig. ?5J invece degl' infermi Spreug. 1. e. pag. 222. della Divinità : spesso anzi questi animali medesimi fra le mani del Sacerdote prendevano parte a ciò che andava egli praticando per operare la cura prodigiosa ('). Condizion necessaria per ottenere la guarigione era quella, che il malato ciecamente ubbidisse a tutto ciò che venivagli imposto nel tempio, e che una illimitata credenza da lui riposta nel Sa- cerdote , atto lo rendesse a sperimentare in se stesso tutta la pre- senza del Dio t1), né potevasi compiere il sacro rito se non erano prima espulsi dal tempio coloro che si palesavano per miscredenti (3). Ricche offerte venivano lasciale nel tempio, e si appendevano al- le sue pareti per ogni malato certe tavolette votive, spesso di prezio- si metalli formate, le quali chiamavansi a nate mata 3 su di cui gli Ascle- piadèi scrivevano il nome della malattia , quello del rimedio prati- cato, e l'effetto ottenutone (4). Non era però conceduto ad alcuno, che Asclepiadèo non fosse, di consultar queste tavolette; ed anzi reo facevasi di lesa Divinità chiunque, schiettamente parlando del proprio caso, rivelato avesse senza mistero cosa nel tempio accaduto gli fosse : tutto colà esser dovea ricoperto di misterioso velo , e tutto accennarsi come avve- nuto in mezzo ad un sonno profondo (5). (i) Ne' tempj di Escuìapio conservavansi chi male pensa intorno a queste solennità, sempre de' serpenti addomesticati ed istruiti. V occupazione principale de' Sacerdoti con- sisteva neW insegnar loro varj artifizj atti ad ingannare gV infermi superstiziosi. Questi rettili leccavano le carni agli ammalati , e pizzicavano loro anche le orecchie; come ri- levasi in Aristofane dal racconto di Cai-ione. Li. c. pag. o55. (a) Tutte tandem incubantibus varia se of- ferebant somnia , quod saltem sibi persua- debant et videbant , vel res ipsas sibi even- turas, vel earum tantum imaginem quondam et syntbolum, vel Deos ipsos, illis oracula per somitum edentes. Caroli Frid. Hundertmark li- ber singularis rie increnientis arlis medicae per expositioneni aegrotorum apud veteres in vias publicas et tempia. Lipsiae 1749- 4-° f-° ^3) Prima della cerimonia un banditore gri- dava : Se vi è qualche Ateo, o Epicureo, o esca tosto. Quelli che credono al Dio si fer- mino con buona fortuna . E poscia facevasi l'espulsione. Coray, Prolegomena . (4) Hieronymi Mercurialis de arte gymna- stica libri sex. Veneliis apud Juntas i5?3, lib. I. pag. 2. Pausania , descrivendo il Bosco sacro di Escuìapio in Epidauro , riferisce ciò ebe se- gue: Dentro il recinto stavano erette delle colonne, ne' tempj più antichi in maggior numero, ma a' miei di sei soltanto ne restano. Sopra di esse sono incisi i nomi degli uo- mini e delle femmine guarite da Escuìapio, ed inoltre la malattia onde ciascuno era in- fermo , e come fu sanato. L. e. pag. 197. (5) De eo quod vere viderat vel audiverat i/uisi/ue, non aliter apud alios perhibere li- cebat, quam de re per somnum viso et obla- to. Scbulz, 1. e. 86 A render chiara vieppiù ogni cosa si lasci che Aspasia slessa , la cosi celebre Aspasia, ce ne informi nel modo che segue ('). Aspasia a Pericle salute. Podalirio! Podalirio! o tu, cui VA more insegnò V arte di guarire , e che consacrasti quest' arte all' Amore j io ti ringrazio ! Atene mi ve- drà ancor bella; nulla io avrò perduto della mia avvenenza ; e Peri- cle ritroverà la sua Aspasia quale già egli V amava! Podalirio , ti rendo grazie! e tu, Pericle , ringrazialo parimente : io non volli scri- verti innanzi di aver ottenuta la desiderata guarigione (2). Ora adun- que ascolta il racconto del mio viaggio. Seguii esattamente il consiglio del saggio medico Nocrate: mi re- cai prima a M enfi , ove visitai senza profitto il tempio d' Iside. Vidi la Dea, vidi Oro, il figliuol suo, assisi su di un trono sostenuto da due leoni. Il verdeggiante sacro Sebesten (3) ornava V altare , su di cui nella mattina ardeva V incenso , la mirra fra 'l giorno, e nella notte spandeva deliziosi profumi il Cyphi (4). Appresi ivi che il gio- vanetto Alessandro erasi portato poco tempo innanzi a dormire in quel sacro luogo, onde ottenere in sogno la rivelazione di un medica- mento capace di guarire il suo amico Tolomeo , e che prontamente era stato esaudito. Mi posi io stessa quivi a dormire , ma non ottenni la grazia; e fu detto che la mia incredulità era cagiohe della mia sciagura. Par- tii di làj e giunsi a Patrasso : colà io vidi la Dea Igia , non quale ce la rappresenta Aristofane, agile, leggiadra, cinta il robusto fianco di breve sottilissima veste , avente in mano una coppa di musa, entro la quale si slancia un serpente; ma la vidi sotto la forma di un mi- sterioso pentagono. Mirai il sacro fonte , e mentre io deponeva appiedi della salutifera Dea la mia offerta, uno specchio nuotava sulla super- ficie dell'acque, e per cenno de' Sacerdoti io doveva in esso tener (1) JEliani Hist. Var. cum Comment. Jac. (4) È una composizione di profumo de- Pcrisonii. dicalo agli Dei, la quale abbondantemente (2) E fama che Aspasia avesse sofferto un usano i Sacerdoti d' Egitto. Dioscoride del Mat- tumore alla faccia. tioli, in Veuczia i55o. Lib. I. Cap. XXIV. (3) Fichi datteri volg. 87 fisso il mio sguardo. Colà pure nulla io ottenni. Passai oltre ; e ovun- que arrivassi) gli Dei sembravano tanto sordi, quanto la tua Aspasia , o Pericle, era triste Ma sento ad un tratto nomarmìsi Podalirio ! Chieggo di lui, e mi si dice che il suo tempio è a Licéra: mi vi reco ben tosto; e appena vi giungo , m'immergo nelV acqua del fiu- me. Dopo il bagno mi ungo coi balsami olezzanti che Sozimo, no- stro amico, mi aveva dati nel giorno istesso in cui partii da Atene : poco dopo incomincio le preci, a fine di meritarmi la risposta del Nume Al cadere del dì adagiatami sulla pelle di una capra, a canto alla colonna su cui ergevasi la sua statua, vengo assorta in un dolce sopore, e panni che un chiaror mite si diffonda a me d' intor- no. — Credimi, Pericle, sì credimi: il divino Esculapio in quel men- tre mi apparve colle due sue figlie, e circondato da una fulgidissima nube mi promise la salute. Dormii poscia profondamente sino all' alba vicina, e svegliatami mi trovai ancora collocata sul fianco istesso ove riposava la sera innanzi: e vidi Ciprigna; Ciprigna, la quale fu ognora amica di Podalirio, venne ella stessa, poiché io ben la riconobbi, quan- tunque preso avesse l'aspetto di una colomba; Ciprigna venne, e mi guarì. O voi, Podalirio, Esculapio e Ciprigna, riceverete sempre V in- censo dalle mani di Aspasia e da quelle di Pericle! Sappi inoltre, che in quel dì medesimo una infelice donna afflitta da un flemmone al seno, sognò ivi a me d' appresso di aver veduto il picchi Dio Arpocrate disteso sulle foglie di Loto, e fasciato da capo a piedi chiederle il latte delle sue poppe. Il sogno fu spiegato dal Sacerdote, e le fu quindi applicata una salutar medicina. Varj nomi si danno qui dai sacri Ministri ai sogni, a seconda die o viene in essi suggerito il rimedio da praticarsi, o v' è soltanto ac- cennato in allegorica foggia, in guisa che il Sacerdote unicamente può comprenderla, o la Divinità istessa appare al sognatore, e lo guarisce. Quanti sogni! tu dici, o saggio Pericle. Forse tu ridi' Ciò tut- tavia che non è sogno si è, che io sono risanata, e che ti amo. — Addio. Ora che furono rivelati, come meglio per me si poteva, i miste' rj degli antichi Asclepiadèi, siami concesso senza più di narrare in pochi cenni ciò che i moderni medici, seguaci del magnetismo ani- mule, vanno facendo per guarire i loro infermi, onde si scorga, se mal non mi appongo, che fra le pratiche degli uni e degli altri havv'f 88 tale analogia, che tutta può meritare l'attenzione di chi con filoso- fico sguardo percorre sulle diverse epoche della storia della medicina. Scelta primieramente all'uopo un'opportuna stanza taciturna, so- linga, da debil luce rischiarala, allontanati con prudente consiglio gl'increduli, i curiosi, e quegli esseri eterogenei inerti e freddi, ne' quali la squisita sensibilità di alcuni desta appena una stolta mara- viglia, od eccita invece un insultante disprezzo, e tolti così di mezzo dei forti ostacoli al felice riuscimento dell'opra, il medico magnetizza- tore, postosi in faccia al suo malato che comodamente riposa, gli porta dolcemente le mani sul volto e sul collo; di là discendendo con esse sempre nella stessa direzione allo scrobicolo del cuore, agli esterni lati dell'addome, ed agli arti inferiori sino a' piedi, e ritor- nando con certa" determinata legge da questi al capo, e più fiale ri- petendo la cosa stessa, si compiono quelle che diconsi manipolazioni magnetiche (■). Egli è per esse che l'esperio e valido magnetizzatore, perseve- rando ad agire, ottiene che il suo magnetizzato passi dal primo al secondo ed al terzo grado di azione magnetica, in cui avviene il vero sonno magnetico, al quale succede nel quarto grado il sonnam- bulismoj che appellasi anche crisi perfetta. Nel quinto grado poi il malato perviene a farsi chiaro-veggente^ capace cioè di conoscere lo stato delle interne parli del suo corpo, di scuoprire la cagione profonda del proprio male, di scorgere l'in- tima relazione che passa fra queste e le esterne cose, talché addita, (i) Aegro, in situm commodum, Inter de- describentibus , a pedibus ad caput redire, cumbentem plerumque et sedentem inferme- vel et vola manus utraque, sibi itwicem im- dium, collocato, medicus corani ilio sedens, posita et margine ulnari ad aegrum conver- operationem ea ratione absolvit , ut manus so, corani ipso aegro ad caput ascendere , parti corporis superiori et interiori impo- at/jue totam hanc operalionem eo usque re- sitas, super cutem ad partes exleriores et pelere, donec desideratus provocatus fuerit inferiores in eandem semper directionem, ut effeclus. Hartmann, Pharmacologia Dynami- plurimum per faciei et colli latera et entra na. Vindobonae 1816, voi. II. pag. 285. ad pedum usque digitos, ducat. Eadem autem La celebrità insieme e la filosofica impar- via manum reducere non licet, cuni ductas zialità di un tanto Autore mi consigliarono di prioribus opposìti effeclum jam productum attenermi a quanto egli dottamente espone in- tollunt ; sed oportet mediami manibus , ab torno alla pratica del magnetismo animale. aegro reversis, et arcum lateralem magnum »y sognando, il rimedio che più conviensi al suo caso, e ne prevede l'esito futuro. Né qui sta il tutto; poiché toccato che sia dall'infermo il sesto ed estremo grado dell'azione magnetica, eccoti in campo l'estasi, nel vigor della quale, superati gli angusti confini proprj dell'umana sfera, e raggiunta ornai quella meta, ove si acquista l'intuizione magne- tica, egli vede ciò che è altrui nascosto, rammenta il passato, e si slancia collo sguardo nell'avvenire, che gli si fa presente; vola in un subito colla mente acutissima da luogo a luogo, ed ogni cosa a lui più lontana gli sta dinanzi, come realmente gli stanno quelle che lo circondano; e chi è posto con esso in corrispondenza di azio- ne, sperimenta anche da lungi 1' influenza del di lui esaltamento magnetico (•>. Ma sperasi indarno di giugnere a tanto, se viva non è la fiducia dell'operatore nell'attività del mezzo che adopera, se robusta e vegeta fibra noi favorisce, se intensa e costante attenzione non accompagna il suo operare, sì che noi turbi il maligno influsso di forza nimica; se assoluta e piena non è del pari l'interna disposizion del magnetizza- to; se tutto, in una parola, non concorre magicamente a preparare ed a condurre all' intero loro sviluppo i prodigiosi effetti magnetici (2). Or bene dal rapido racconto che feci intorno agli Antichi Riti Asclepiadèi; e da ciò che aggiunsi circa il moderno trattamento magne- tico, non risulta forse esistere fra di loro una ben singolare analogia di (i) In sexto gradii summa mentis exalta- admittit, sed requlritur potius ea inler duos tio (extasis), qua. fit ut sphaeram jam huma- homines relatio , ut alter respecfa alterius nani transvolet, nec spatii, nec temporis am- positivus sit. Hinc operator magneticus esse plius arcealur limitibus. Hinc non praesentia non polest, nisi qui corpore robusto, sani- solum abscondita, sed et praeterita atque fu- tate vegeta, animo forti, et affectibus et pa- tura, propinqua aeque ac per maxima saepe thematibus libero, magna in magneticum fide intervalla remota eadem claritate perspicit, et fiducia, nec non voluntate in effectum coelesii quasi felicitale fruens. Hart. loc. cit. magneticum valide nitenle,praeditus est. Hart. Pag' 279- loc. cit. pag. 279-280. (2) Non omnes, operationi magneticae sub- Anche lo stato psichico ha un grande in- jecti, omnes hos gradus percurrunt , et ra- flusso, di maniera che solo coli' animo fermo riores sunt qui ad altiores extolluntur, ad e determinato, con piena fiducia e con certo quos nonnisi per inferiores transgressi ac- qual grave impero eccitare si possono gli ef- cedunt. — Ncque omnis homo hanc vini com- fetti magnetici. — Bibl. Germ. Padova i8i5.. inimicare valet, neque illius effectum omnis voi. IV. N. 7. pag. 11 5. ia 9° mezzi, di precauzioni e di norme, un manifesto accordo di effetti, e so- prattutto una rassomiglianza grandissima nel modo onde se ne raggiu- gne l'intento, mercè l'indotto validissimo commovimento dell'animo? È Aero che un tempo il Sacerdote Asclepiadèo, inspirato dal Nu- me, e divenuto, come già dissi, quasi un solo tutto col suo infermo, dormiva, occorrendo, e sognava per esso; locchè , ch'io mi sappia, fin qui non fecero i magnetizzatori pe'loro malati; ma è vero però che questi loro malati, divenuti che sieno chiaro-veggenti j arrivano a tanto di poter dire in sogno qual presidio si convenga non solo alla propria malattia, come gì' incubanti di una volta, ma a quella altresì di un altro infermo posto in relazione con essi, in quella guisa stes- sa che Aspasia ci raccontò avere il giovanetto Alessandro conosciuto in sogno il rimedio che riuscir dovea salutare per l'amico Tolomeo. Massima fondamentale della recente dottrina sul magnetismo ani- male si è la seguente : Il rapporto simpatico che vige fra il magne- tizzante ed il magnetizzato nasce dal contatto mutuo delle due sfera sensitive j per cui V una vicendevolmente penetra nell'altra. Il sistema nervoso del primo quasi si prolunga e finisce colla sua periferia in quello del secondoj che lo accoglie e col suo proprio lo amalgama, di maniera che da ambedue i sistemi risulta un solo grande sistema, dal quale il principio di azione ritrovasi nel magnetizzatore _, come l'azio- ne stessa si sviluppa nel magnetizzato («). Posta adunque tanta corrispondenza di mutuo influsso fra il ma- gnetizzatore ed il magnetizzato, che maggiore certamente esser non ve ne poteva neppure fra gì' incubanti dell'Asclepio e que' sacri mi- nistri, si ha hen diritto di credere che niuna cosa vi abhia di ciò che il Sacerdote un di faceva pel suo religioso paziente, cui ora ope- rar non potesse un valente magnetizzatore colla virtù propria sopra un infermo squisitamente ad essa sensibile. L'inesplicabile potere dei nervi s'invoca nella moderna scuola, come già nel tempio di Esculapio s'invocava l'arcana forza del Nu- me; e poscia si agisce, si maraviglia, e si grida al portento! Guardimi il Cielo di annoverarmi fra coloro, i quali incautamente pretendono che oggidì pure ai magnetizzanti benigno e possente \\ il) Bill. Germanica. N. I. pag. 186. 91 cieco Dio stenda tal fiata in mezzo all'opra spontanea inosservata la destra! Io tale certamente non sono da adoperar contro di loro quel- le armi stesse, con cui Aristofane mosse sul greco teatro la guerra fa- tale del ridicolo agli Asclepiadèi! Rispettoso anzi del tutto per la rinascente scuola del magnetis- mo animale, straniera sempre all'Italia, io volli soltanto far palese quello che intorno alla sua pratica mi conduceva a dire un confronto suggeritomi naturalmente da quel punto d'istoria medica che io ave- va preso a soggetto del mio dire; confronto d'altronde, se ben si ri- flette, onorevole per quella Scuola medesima, giacche è certo che fra i riti Asclepiadèi nacquero i primi germi della vera medicina. Dubito però grandemente, oso dirlo, che come dall' antica fami- glia Asclepiadèa surse il grande Ippocrate, fondatore primiero della medica scienza, dai moderni magnetizzatori aspettar non si possa del pari un altro uomo capace di estendere oltre gli attuali confini l'arte eli curare i mali, giacché i sogni dei magnetizzati^ per quanto sin oggi si scorge, offrir non potranno giammai semi cosi feraci di reale profitto all'egra umanità, siccome il sommo Vecchio di Coo seppe trarne a' suoi giorni dalle tavolette votive del tempio di Escu- lapio! INTORNO ALLA DERIVAZIONE DELLA PAROLA SIFILIDE MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI X. APRILE MDCCCXXIII, DA GIUSEPPE MONTESANTO vjhiunque troppo francamente s'inoltra nel folto gineprajo delle etimologìe, raro avviene che non inciampi, e che n'esca senza il diso- nore di qualche caduta. Un esempio di tal fatta ci offre appunto , se non erro , lo Swe- diaur, uno dei più illustri moderni scrittori sulle malattie veneree , quando si avvisa di fissare la derivazione della parola Sifilide, con la quale suolsi in oggi da' medici di ogni nazione denominare quella malattia che comunemente un tempo fra gl'Italiani chiaraavasi col- l' improprio nome di morbo gallico, e fra alcuni stran ieri di morbo napoletano. La voce Sifilide sembrami derivata ( dice Swediaur nella sua ope- ra sulle malattie sifilitiche) dalle parole sós porcus, e philia amor, come se si dicesse amor porcinus, amor porcino, amor sozzo, o ma- lattia proveniente da un coito impuro ('); e in altro luogo della stessa opera : la malattia sifilitica , ovvero la sifìlide, dalle voci sós porco , e philia amore, cioè amore sozzo o impuro (2). Ma siccome per rilevantissimi motivi si fa palese l'erroneità di simile sentenza, cosi io mi propongo di ragionare circa tale argo- mento, affinchè se la voce Sifilide nacque tre secoli or sono in Italia, (i) Traitè complet des maladics vènèrieu- (l) Op. cit. voi. II. pjg. I. ses. Paris 1809. Voi. I. pag. 3i, 93 qui pure si mostri di conoscerne ancora meglio che altrove la sua vera origine ed il suo primitivo "valore. Dissi che da rilevantissimi motivi risulta la fallacia dell'assegnata etimologìa, e volli con ciò sin dalle prime accennare che, posta da parte ogni grammaticale contesa, io intendo di conseguire la meta, scegliendo quel cammino che mi viene segnato dai fatti alla storia medica appartenenti. Volgeva, come è noto, al suo fine il XV. secolo quando si dif- fuse per le contrade di Europa quel malore che, tanto spaventevole ne' suoi effetti, quanto occulto da prima nelle sue cagioni, sembra- va minacciare all'umana stirpe l'estremo eccidio. I medici di ogni paese si applicarono tosto con ogni possa ad inda- garne l'indole, ad osservarne i progressi, ed a tentarne la guarigione. Gl'Italiani, che nelle opere dell'ingegno non furono mai fra i secondi, pubblicarono sul cadere di quel secolo medesimo dottissimi scritti intorno al nuovo morbo sterminatore; cosi fecero, per nomi- nare i più distinti, Marcello Cumano, Nicolò Leonicino, Michele Montesoro, Alessandro Benedetto, Bartolommeo Montagnana , Anto- nio Beniveni ; e poco dopo Giacomo Berengario da Carpi, sì celebre fra gli anatomici del suo tempo, acquistossi fama grandissima e som- me ricchezze mercè le prodigiose sue cure mercuriali. Frattanto l' immortale Fracastoro accingevasi a cantare in elegan- tissimi versi latini il funesto evento , di già reso comune a gran parte del mondo. Fu prima del i5ai che Fracastoro intraprese a comporre l'aureo suo poema De morbo gallico_, e poco dopo quest'epoca i dotti d'Ita- lia ne leggevano avidamente i due primi libri manoscritti, giacché messer Pietro Bembo , scrivendo di Padova al Fracastoro a' xxyi. di novembre i525 gli dice: Molto volentieri ho veduto il vostro poema,, datomi da messer Leoni co insieme con le vostre lettere; e molto di buona voglia e con sommo piacer mio l'ho veduto. E come che al- tra volta ( notisi bene ) un altro esempio di luij toltovi nascostamente _, mi venisse veduto due o tre anni soiWj pure con quella avidità che avrei jatto se mai veduto non l'avessi ec. ('). (1) Hieronymi Fracastorii, Adami Fuma- apud Communi. Voi. I. pag. 5g. ni Carminimi. Edit. II. Patavii 1700 in 4° 9i Ma fu solamente nell'agosto elei i53o che uscì per la prima volta colle stampe in Verona il poema medesimo, interamente compiuto e diviso in tre libri, col titolo: Hieronymi Fracastorii Sjphilis, sive Morbus Galli cus% ad Petrum Bembum. Ora si chiegga : può veramente il Fracastoro con questa voce Sj- philisj posta in fronte al suo celebratissimo poema, aver voluto al- ludere a ciò che lo Swediaur suppone racchiudersi nella ricordata etimologia? Fuwi alcuno che innanzi il Fracastoro facesse uso di quella pa- rola per denominare il morbo gallico, o qualunque altro malore? E donde il Fracastoro la trasse, s' egli ne fu V inventore ? Per rispondere a questi tre quesiti, ne' quali propriamente si ri- solve l'argomento che presi a trattare, avrò ricorso non solo a ciò che quel grande ingegno finse ne' suoi sublimi versi , ma a quello pure eh' egli insegnò nel suo famoso trattato De morbis contagio- sisj onde far sì che il medico venga, per così dire, a commenta- re ed illustrare, ove occorra, il poeta, la di cui vereconda Musa avrebbe per avventura potuto celare sotto mistico velo quelle noti- zie che altrove il filosofo doveva necessariamente esporre in tutta la loro luce. Tre, come accennai, sono i libri che compongono il poema La Sifilide. Ne' seguenti elegantissimi versi , co' quali incomincia il primo li- bro, espone l'autore ciò di die egli a cantare si accinga, e traccia. in essi l'ampia via, per la quale intende di spiegare il suo volo. Qui casus rerum varii, quae semina morbum Insuetum, nec longa ulti per secula vìsum Attuleriiit : nostra qui tempestate per omnem Europam, partimque Asiae, Libyaeque per urbes Saeviit: in Latium vero per tristia bella Gallorum irrupit, nomenque a gente recepit : Necnon et quae cura, et opis quid comperit usitSj Magnaque in angustis hominum solertia rebus. Et monstrata Deùm auxilia, et data mimerà caeli, Hinc canere, et longe secretas quaerere caussas 95 Aera per liquidunij et vasti per sìdera Olympi Incipiam: ('). Dopo una breve apostrofe al Bembo, dalla quale si rileva che il Fracastoro stava scrivendo innanzi la morte del gran Leon X. , suc- ceduta nel i52i, il Poeta, invocala la Dea Urania, così le dice: Die, Dea, quae caussae nobis post secula tanta Insolitam peperere luem? (2). e ripieno quindi delle idee astrologiche allora dominanti, viene po- scia accusando il maligno influsso delle stelle come cagione dell'in- sorta malattia. = Havvi al di là dei mari (egli dice) un popolo novellamente scoperto, ove questa lue fatale regna da lunga età , e la perdona a pochi; ma il suo reo seminìo non venne a noi di colà, né fu il com- mercio con quella gente lontana, che ci recò tanto flagello. Fra di noi si vide ( egli prosegue ) svilupparsi tal morbo più e più fiate spontaneamente, ed aggredire persone non prima tocche da contagione veruna. Ne avrebbe potuto (soggiugne) il pestifero germe percorrere, pel solo commercio degli uomini, in così breve tratto di tempo così ampie e fra di loro discoste regioni. Varia è la natura (continua Fracastoro) in tutte le sue pro- duzioni , e leggi diverse regolano lo sviluppo di que' semi donde nascon le cose. Alcune con spessa vicenda si rinnovano, ed altre giac- ciono occulte per molti e molti secoli prima di comparire sulla fac- (i) Ad ogni passo originale di Fracastoro riporterò i corrispondenti versi della versio- ne della Sifilide di Vincenzo Benini Colo- gnese, come il più felice fra i molti tradut- tori di quel poema. Vedi la citata edizione Cominiana. Quali varj accidenti e quali semi Abbian prodotto un insueto morbo, Né dopo lungo andar d'anni e di lustri Visto da alcun; ch'attempi nostri invase Europa tutta, e le cittadi in parte D'Asia e di Libia ; furibondo poi Il Lazio assalse per le acerbe guerre De' Galli, e prese dalla gente il nome; Qual cura insieme e quai trovò soccorsi L' esperienza e la solerzia umana, Maraviglìosa ne' diffidi casi; Gli ajuti dagli Dei mostrati, e i doni Dal del concessi or io cantare intendo, E l'occulte cagion nel li quid aere , E infra le stelle dell' immenso Olimpo Cercar da lungi ; (2) Dimmi, o Dea, quali a noi cagion portaro, Dopo sì lungo raggirar di lustri, Quest' insolita peste ? 96 eia della terra, o nell'aria, o in mezzo ai mari. E così avviene pure dei morbi , poiché taluno , dice il Poeta , Et faciles ortus habetj et primordio, praesto : Rarius emergunt olii, et post tempore longo Difficiles caussas et inextricabile fatuirij Et sero potuere altas superare tenébras (0. = Tale, a parere di lui, è appunto quella lue, di che egli canta i lacrimabili effettiva quale, siccome ei crede, avrà bensì esistito anche tra di noi in remotissime età, figlia di quelle lente cagioni stesse che più tardi la riprodussero ; ma il tempo ne cancellò persino la me- moria. quoniam longaeva vetustas^ Cuncta situ involvens, et res et nomina delet: Nec monumenta patruni seri videre nepotes (2). Indi spargendo dei più eletti fiori poetici i campi vastissimi delle astrologiche illusioni, e mescendovi qua e là con mirabile artificio alcune speculazioni degne di un medico filosofo , il Fracastoro con- clude, che dall'aria per forza fatale delle celesti costellazioni ven- ne tal peste. cujus caelestis origo est: Quae_, sicut desueta _, ita mira erupit in auras (3). Che se vogliasi adesso consultare quello che 1' autore medesimo ci lasciò scritto nel suo trattato dei morbi contagiosi „ ove ragiona sulle cagioni del morbo gallico, troveremo ivi pure confermate ap- pieno queste sue dottrine. = Sebbene (egli dice) nella maggior parte degl'individui la ma- lattia passasse per opera del contagio, si osservò tuttavia che innu- merevoli altri la contrassero senza che si potesse punto incolparne questa cagione. Sarebbe stato possibile d' altronde che in così breve spazio di tempo questo contagio, che per se è lento, e difficilmente (i) Peggiorisi di leggieri, e facilmente (2) perchè l'età vetusta Nascono, ed hanno i lor principi in pronto. Di ruggine ricuopre il tutto, e perde Ma taluno ve n'ha che rado emerge, Le cose e i nomi; né degli avi antichi Né, se non tardi, e dopo un lungo giro Videro le memorie i tardi figli. Di tempo e d'anni superare ei puole (3) che i suoi principi Le cagioni difficili e lontane, Trasse dal cielo; e nell'aeree piagge V inestricabil fato e i foschi orrori. Maraviglioso e inusitato apparse. 97 invade, si diffondesse per così ampie terre dopo essere stato prima recalo in Ispagna da una nave, poiché consta che contemporanea- mente, o con piccolo intervallo, questa infezione fu veduta sorgere e in Ispagna e in Francia e in Germania, e per tutta quasi la Scizia? = E poco dopo prosegue: = Fra i morbi nuovi, e che lentissima- mente riproduconsi, fa d'uopo annoverare il morbo gallico, poiché e le sue cause ed i suoi principj sono appunto di quelli che rara- mente hanno luogo. Deggiono inoltre essere di tal indole da affettare non solo molti individui ad un tempo, ma altresì da agire sopra molta estension di paese; locchè certamente non può essere proprio di verun' altra cagione, tranne la costituzione atmosferica. == In fine conchiude: == Superiormente poi si è mostrato che così grandi e singolari cose possono dagli astri essere tra noi prodotte allorché parecchi di essi si congiungono fra loro ; e simile unione delle tre maggiori stelle accadde per certo nell' età nostra, di Satur- no, cioè, di Giove e di Marte; la quale congiunzione di rado av- viene; e quando succede, produce sempre effetti grandissimi, e per- ché quelle stelle sono potentissime per loro stesse, e perchè inoltre questa unione dura a lungo, a cagione principalmente del lento molo di Saturno e di Giove ; per lo che gli astrologi predissero ognora, osservando tale unione, nuovi e gravissimi morbi. Ciò adun- que è quello che di più probabile vi ha a dire intorno l'origine di così fiera contagione. — ('). Né coli' opinare in lai guisa il Fracastoro allontanavasi punto da que' principj che allora dominavano nelle scuole di medicina; im- perciocché Saturno, il divoratore dei neonati, riguardavasi da molti come apportatore di tale pestilenza; altri ne accusavano la sua con- giunzione con Marte nel segno della Vergine o de' Gemelli; o quella di Giove e di Saturno nel segno dello Scorpione, avvenuta l'an- no i434; 0 l'opposizione loro nell'anno i494> ° ^a congiunzione di Saturno e di Marie nell'anno 1496 <2). Era allora, come ben si scorge, quel tempo avventuroso pei me- dici, in cui essi potevano chiamare gli astri in loro soccorso, e, di- (1) jiphrodisìacus, sive de lue venerea, in (2) Spreogel, Istoria della Medicina. Vo- duos tomos biparlilus. Lugd. Batav. 1728, in lume IV. pag. 45o-43i. fot Voi. I. pag. aoi e 202. i3 98 rei quasi, farli complici dei proprj errori, e proclamarli quai mali- gni artefici di que' morbi che l'arte tentava indarno di debellare. Ma seguendo così fedelmente, come faceva Fracastoro, i dettami della Scuola astrologica , e ripetendo dalle sfere celesti la cagione della nuova lue, ed insegnando che il solo generale influsso dell'aria poteva avere in tante parti prodotto contemporaneamente quel mor- bo, avrebbe poi egli voluto al morbo stesso imporre tal nome , che significasse essere la sua origine tutta terrestre, circoscritta e parziale? Ciò realmente non può dirsi senza supporre una manifesta con- traddizione, ed una strana incoerenza fra il suono delle parole usate dal Fracastoro ed i suoi insegnamenti. Fa d'uopo rammentarsi, a maggiore appoggio di quanto io espon- go, ch'egli scriveva in un'epoca, nella quale era ancora si comune la credenza, che il morbo gallico potesse coli' alito solo appiccarsi altrui; che il sommo istorico Hurue ci racconta essere nel i52o, stato il cardinale Wolsey, primo Ministro di Enrico Vili. , accusato innanzi la Camera alta d'Inghilterra di aver parlato all'orecchio del Re, sa- pendo di trovarsi infetto di quella malattia (0. Concluderò quindi, essere contraddetto dalla sana critica quanto lo Swediaur opina circa l'etimologia della parola Sifilide , ed oserò affermare, che non già per finzione poetica, ma bensì per vero spi- rito di scuola il Fracastoro in sul finire del primo libro, dopo avere con vivissimi colori descritti gli effetti luttuosi della ria pestilenza, tutti poi ricordando i disastri che per la guerra portata in Italia da Carlo VIII. re de' Francesi questa bella contrada ebbe a soffrire nel- l'epoca stessa, in cui comparve il nuovo morbo, prorompe in quei dolentissimi versi: Ergo liane per miseras terras Satumus agebat Pestem atroxj nec saeva minus crudelis et ipse Miscebat Mavors_, conjunctaque fata jerebat. Quippe lue hac nascente j putem simul omnia diras Eumenidas cecinisse fera et crudelia nobis. Tartareos etiam barathro dira omnia ab imo (i) Hume, Istoria cT Inghilterra , ioni. IV. pag. 45i 99 Excivisse laciiSj Stygiaque ab sede laborem, P estemque j horribilemque famenij bellumque, necemque. An stragem infandam memorem, sparsumque cruorem Gallorumque , Italilmque pari discrimine _, quum jam Sanguineurrij et defuncta virimi, defunctaque equorum Corpora volventem, cristasque atque arma trahentcm Eridanus pater acciperet rapido agmine Tarrum? Te quoque spumantem, et nostrorum caede tumentem, Abdua, non multo post tempore, te pater idem Eridanus gremio infelix suscepit, et altum Indoluit tecum, et fluvio solatus amico est. Ausonia infelix, en quo discordia priscam Virtutem, et mundi imperium perduxit avitum. Angulus amie tui est aliquis, qui barbara non sit Servitici! et praedas, et tristia funerei passus ? Dicite voSj nullos soliti sentire tumultus, Vitiferi colleSj qua flumine pulcher amoeno Erethenus fluit, et plenis lapsurus in aequor CornibuSj Euganeis properat se jungere lymphis ('). (i) Un tal contagio adunque il rio Saturno Per le terre infelici iva spargendo, Né men crude! destino il fiero Marte Traea con questo in un confuso e misto. Però cred' io che ali apparir di tale Contagion /' Eumenidi spietate Tutti insieme i crudeli e i tristi eventi N' abbian predetto ; e che d'Averno i laghi Forse racconterò V infonde stragi, Abbiano tratti dai profondi abissi E 'l sangue sparso con egual periglio Tutti gli amari suoi, tutti i suoi toschi, D' Itali e Galli, allor che al Po sen corse Peste, fame, disagi, e guerre, e morti. Sanguigno il Tarro, die volgea sossopra D' uomini e di cavalli estinti corpi, 100 Per ciò poi che appartiene al secondo quesito, diretto a conoscere chi abbiasi ad aTere per inventore della parola Sifilide, dirò solo che non havvi alcuno, anche il meno versato nella storia dell'arie medica , il quale ignori essere stato realmente il Fracastoro quegli che il primo usò di tale parola. Innanzi lui questa voce non aveva suonato sulle labbra di verun medico per indicare veruna malattia, e molto meno quella di cui io ragiono; ond'è che lo stesso Fracastoro, annoverando nel suo trat- tato De morbo gallico i nomi diversi ad esso imposti, ed accennando il motivo per cui erano stati adottati, dice semplicemente , alluden- do al suo poema : nos in nostris lusibus appellavimus Syphilidem ; ne punto si arresta a ragionare sul significato, o ad illustrare 1' ori- gine di tal voce, bastandogli, a quel che sembra, di avvertire eh' egli aveva dato un nome novello al morbo in discorso. A comprovare il che servirà pure, non v'ha dubbio, quanto re- stami a dire intorno all'ultimo quesito: donde, cioè, il Fracastoro traesse la parola Sifilide ? E qui emmi d'uopo richiamare di nuovo al pensiero le bellezze peregrine del suo poema. Non parlerò del secondo libro, ove si espone con maestria mira- bile la cura necessaria agl'infetti, e viene poscia celebrato il potere del mercurio; favoleggiando con virgiliani modi, che la ninfa Lipare, cui sono date in custodia le sotterranee vòlte de' monti della Stiria, ove quel metallo esiste, immergesse per tre fiate nel sacro fonte ar- genteo licèo, per tre fiate ne lavasse l'infermo corpo, e gli ridonasse la smarrita salute, insegnandogli cosi per qual via egli avrebbe po- tuto trarre anche gli altri da sicura morte. Quello che fa al proposito mio si è il terzo ed ultimo libro del poema. Esso è principalmente destinato a cantare le lodi del Legno E che seco Iraea con rapici' onde La discordia ove trasse.' Havvi in te forse Celate ed arme? E te spumante e gonfio Angolo alcun, che barbare sofferto Per la strage de* nostri, Adda, nel grembo Non abbia serviluli, e prede, e morti? Il medesimo Po misero accolse Ditelo, avvezzi a non sentir tumulti Tra brieve tempo, e si condolse teca Voi, vitiferi colli, ove trascorre forte, e te consolò con l'onde amiche. V Ereleno gentil con le beli' acque, Povera Italia! ecco il valore antico E d'unirsi all' Euganee onde s' affretta, E'I superbo del mondo avito Impero Per declinar con piene corna in mare 101 guajaco, nel quale lanto confìdavasi un tempo per la guarigione de- gl' infelli di morbo gallico. Finge quivi il Poeta che, giunti gli Europei in America, ove quella pianta cresce spontanea, e visti quai religiosi riti in un giorno solen- ne compiessero quegli abitanti in mezzo ai boschi di quell' arbore per essi sacra, chiedessero al Re americano, di cui già, convivendo insieme, avevano appreso la lingua, ragione di quella pompa singolare. Sifìlo (rispose il Re), pastore delle gregge di Alciloo sovrano del- l'Atlantide, lasso un giorno di sostenere la sferza de' cocenti raggi del sole, e deplorando che i numerosi armenti da lui custoditi man- cassero per 1' esliva arsura del necessario ristoro, ardì insultare con empj modi il Sole, negando di più sagrificare a lui, qual comun Pa- dre e Nume. Ad Alciloo suo re, Sifìlo invece innalzò altari ed arse, incensi , e lui imitarono pastori e villani ; dopo di che , prosegue il narratore americano, Vidèrat haeCj qui cuncta videt, qui singula lustrai. Sol pater, atque animo secum indignatus , iniquos Intorsit radioSj et lamine fulsit acerbo. Aspectu quo Terra parens, correptaque ponti Aequora, quo tactus viro subcanduit aer. Protinus illuvies terris ignota profanis Exoritur. Primus, regi qui sanguine fuso Instituit divina, sacrasque in montibus aras Sjphilus, ostendit turpes per corpus achores. Insomnes primus noctes, convulsaque membra Sensit, et a primo traxit cognomina morbus, Syphilidemque ab eo labem dixere coloni ('). (i) Tai cose vide il Sol, che vede il tutto, Iris ti tu iti i sacrifizi > e alzati E il tutto alluma; ed in suo cor sdegnoso Su i colli avéa gl'infami aitar, fu il primo yibrò nemici raggi, e lume sparse liei corpo a dimostrar l'ulcere immonde. Maligno. Al qual aspetto i campi ondosi Ei ju il primo a sbandir dalle sue notti Del mar, la terra e l'aria di veneno II sonno, ed a sentirsi i membri attratti; Si accese. Immantenente ignota apparve Onde il malor trasse dal primo il nome, Conlagion su la profana terra: E la peste Sifilide chiamaro E Sifilo, che al Re col sangue sparso Da lui gli abitatori 102 A che dunque cercare altrove l' origine della voce Sifilide, se Fracastoro istesso ce ne istruisce, e ci addita nello sciagurato Sifilo colui onde* la malattia ebbe principio e nome? Panni che la semplice lettura di quanto il Fracastoro ci lasciò scrilto nel suo poema La Sifilide, ed il brevissimo cenno che nel suo Trattato del morbo gallico ei fece sul nuovo nome da lui imposto- vi, provi abbastanza eh' egli non credeva che quella voce offrir po- tesse soggetto a commento veruno, e che non intendeva poi di dare con essa spiegazione alcuna sulla natura e sul modo di propagarsi del morbo, e molto meno ammetterne giammai una, la quale rac- chiudesse idee non punto conformi alle sue dottrine. E qui mi cade il destro di riflettere, che confrontando quello che contiensi nel tante volte citato poema, risulta del pari doversi du- bitare assai sopra quanto l'esimio Conte Cav. Luigi Bossi dice in- torno a quel poema medesimo in una di lui annotazione alla sua traduzione della Vita di Leon X. , composta da Guglielmo Roscoe. Non so bene (scrive il Bossi) se alcuno abbia esposto una rifles- sione che far si potrebbe sulla scelta del nome e sul disegno primor- diale del poema celebre di Fracastoro. Invece di scegliere qualche soggetto pia trito dell' antica mitologia, quel poeta è andato a cer- care un pastore dell' Atlantide, un Re dell'Atlantide, ed una vendetta dell' Apollo Atlantico. Non potrebb' egli dubitarsi che in questa pre- ferenza accordata ad una mitologia poco nota, o almeno poco co- mune, si ascondesse una segreta allusione dell' autore alla scoperta dell' America allora recentissima, ed alla malattia venerea che si pre- tende essere stata di là portata dai primi navigatori? Certo è che non si sarebbe meglio potuto indicare la provenienza di quella ma- lattia dal nuovo Continente, che colla introduzione di una mitologia atlantica (»). Lungi il Fracastoro dall' aver voluto nel suo poema alludere sem- plicemente alla scoperta dell'America, ivi piuttosto ne parla senza velo alcuno, e racconta ciò che gli Europei, giunti ai lidi del nuovo mondo, videro cogli occhi proprj, e ciò che appresero da quegli abi- (1) Vita e Pontificato di Leon X. di Cu- Conte Cav. Luigi Bossi. Milano 18 17, voi. VII glielmo Roscoe, tradotta e corredata di an- pag. i56. Ano. (a) del Traduttore. notazioni e di alcuni documenti inediti dal io3 tatori circa il morbo che da tanto tempo affliggeva quelle remote contrade, e circa i prodigiosi effetti del guajaco per ottenerne la guarigione. Non è per una felice allusione, ma per necessaria convenienza istorica , che Fracastoro al Re del popolo nuovamente scoperto fa raccontar casi, pronunciar nomi, e venerare divinità non comuni a verun popolo dell' antico mondo ; che altrimenti strana cosa certa- mente sarebbe stata quella di sentire un Re di genti poste al di là del mare atlantico, appena appena scoperte, parlare come fatto avreb- be o un Fenicio, o un Egizio, o un Greco. Se il Fracastoro non dovea far dire al Re americano ciò che que- sti dir non poteva, non però ne viene ch'egli volesse così indicare essere di là venuto in Europa il nuovo morbo, mentre abbiamo già veduto coni' egli fosse anzi di contrario avviso. Non tacerò per ultimo, che lo stesso nome del pastore di Alci- loo, che chiamavasi Sifdo, aver non si dee, per le già esposte ra- gioni, come suono di legittimo conio greco, mentre se tale fosse slato, sconveniva alle circostanze del luogo e della persona , su cui tutto si appoggia il macchinismo poetico del terzo libro, ove vengono nar- rati i tristi casi di quel pastore. L' insigne letterato e grecista profondo Lilio Gregorio Giraldi di Ferrara, scrivendo il suo primo dialogo Sui poeti dell'età sua, cioè di quella medesima età io cui vivea il Fracastoro , disse che da una voce barbara questi avea preso il nome de' suoi tre libri De morbo gallico : ipse a barbara voce Syphilida vocat. Dal che ne sorge per diritta conseguenza, essere non solo fallace l' etimologia dataci dallo Swetliaur, ma ogni altra pure, la quale sia fondata sulla supposta greca derivazione della voce Sifilo, come sa- rebbe quella di Sin et phylia, quasi concordiae et amicitiae vene- re ae par tum, seguita dal Falloppio, dal Sauvages e da altri; o quella di Syphalos, deformi*, a cagione de' guasti che sulla faccia soleva ne' suoi principj presto recare tale malattia; la quale ultima etimolo- gia, sebbene proposta da alcuni in passalo, e sebbene dichiarata per la più probabile dal Mélin (0, pecca tuttavia altresì in questo, che k [i)Magasin Encyclopedique. Jaovier i8o5, pag. 54- io4 attribuisce al pastore delle gregge di Alcitoo tal nome, che alla de- formità del suo corpo alludea anche prima ch'egli provato avesse gli effetti dell'ira celeste, e quando il bel fiore di gioventù e la na- tia robustezza rendevano per anco a lui cara la vita , e gradito al- trui il suo aspetto. Tali sono quelle notizie e quelle riflessioni che in proposito di una voce resa ornai sì comune fra i medici, e cosi spesso pur ripe- tuta a' di nostri anche da molti infermi , mi parvero non affatto in- degne di essere qui ricordate. io5 PARTO PER L ANO OSSERVATO NELL'ANNO MDCCCXXI. LEZIONE ACCADEMICA DI VINCENZO GAETANO MALACARNE LETTA NELLA SEDUTA DEL GIORNO XIII. GIUGNO MDCCCXXIU. „ . . . . Imperocché le tonache del nostro corpo non sono „ mica come il vetro o il metallo impenetrabili , ma rare e „ spugnose, inzuppansi ben elleno a poco a poco di que- „ gli umori che d'intorno vi allagano. Santorini Gio. Domenico. Istoria di unjelo estratto felicemente dalle parti deretane. Venezia 1727. Mi _i corre oggi l'obbligo, o valorosi Accademici, di soddisfare al mio peso, intrattenendovi con la lettura di qualche produzione, la quale per alcun modo aggiunga qualche frutto o fiore o fronda ad alcun ramo delle scienze, delle lettere o delle arti; e se ciò non si può, almeno rechi alcun diietto, o non venga a noja. Al primo intento io non aspiro; quanto al secondo, la professio- ne che esercito , e che da me esige tutto il mio tempo , mi scusa abbastanza, giacche non versa mai sopra oggetti ameni e dilettevoli; e d'altronde io spero di evitare l'ultimo scoglio, calcolando moltis- simo sulla cortesia vostra, dottissimi Accademici, e sulla brevità del mio ragionamento, che si potrà per avventura meritare qualche at- tenzione dai cultori delle cose naturali, perchè si aggira su di una rara aberrazione patologica di nobilissima e primaria funzione del corpo umano ; perchè si tratta di morbo gravissimo , che minacciò contemporaneamente la vita di due individui , e perchè entra que- sta malattia nel novero di quelle che Areteo e Celio Aureliano ci ioG insegnarono a collocare fra le croniche , sulle quali tanto sudarono poi Tralles, Morton, Portai e Dumas, per tacere di molti altri non meno insigni scrittori; malattie, la di cui recondita, proteiforme e refrattaria indole costituisce uno degli scogli più temuti nella pra- tica medica, contro cui vengono a miseramente naufragare i più no- bili tentativi , e le speranze le meglio fondate sulle più inconcusse teorie, sulla conosciuta efficacia de' medicamenti , e sulla possanza della mano chirurgica, armata di ferro salutare. Le difficoltà ed il tardo avanzamento nello studio di queste ma- lattie deriva forse dalla lunghezza stessa del morbo, e dalle poco percettibili mutazioni che offre da un giorno all'altro l'ammalato; forse da ciò che l'infermo suole annojarsi del medico che non lo gua- risce, e ne chiama un altro; dal che ne deriva per lo più, che se poco conosceva la intima essenza del male il primo , che non potè ve- derne gli ulteriori sviluppi, meno la conosce il secondo, che non ne esaminò i prirnordj; forse vi ha che fare il pregiudizio che regna pres- so alcuni e medici e ammalati quanto al pericolo di guarire certe malattie, pericolo che ormai ha ridotto il Raimond al suo giusto va- lore ; ma più di tutto io penso che vi abbia che fare la immutabile leetre che ci condanna tutti a morire di acuto o di cronico male. Per quanto però sia inevitabile cotesto nostro destino, tenta il me- dico di procrastinarne lìadempimento, per quanto in lui sta ; e sicco- me la osservazione è la base dell' arte medica, e quanto più rare e strane sono le malattie, tanto più gelosamente se ne debbono registra- re i fenomeni, perchè se ne possano spiegare gli eventi, e perchè ne' venturi casi, che vi avranno analogìa, posseda il codice terapeutico i rimedj da adoperarsi; perciò ho divisato di presentarvi, dottissimi Si- gnori, la descrizione de' fenomeni che accompagnarono nell'anno 1821 un parto che , non potendo effettuarsi per le consuete vie genitali della donna , venne per le sole forze della natura mandato a com- pimento pel podice, rimanendone la madre superstite e sana. Angela, moglie da tredici anni a questa parte di Paolo Cesaretti, della città di Acquapendente negli Stali Pontificj, dell'età circa di 29 anni, era di temperamento astenico, indebolito dalla privazione de' beni di fortuna, e dalla necessità di condurre una vita disagiata, dovendo prestarsi ai faticosi lavori della campagna in ajuto del suo marito, dal quale restò incinta pochi giorni dopo la celebrazione del matrimonio, perchè dove si tratta di riproduzione della specie man- da natura tal grido, che assorda le voci della miseria, del pericolo, della faine, del dolore, e copre con un verde manto di speranza tutto ciò eh' è estraneo alla grande opera della procreazione. La gravidanza progredì con l'ordine naturale, e senza alcuno straordinario accidente che meritasse osservazione; ed alla fine par- torì felicemente, dando alla luce una bambina che vive tuttgra, e gode perfetta salute. Tre anni dopo il primo parto restò nuovamente incinta; e nep- pure in questa seconda gravidanza vi fu punto di particolare men- zione meritevole quanto alle mediche o chirurgiche osservazioni; se non che giunta al settimo mese si sconciò (senza causa manifesta, oltre alle già mentovate, relative al metodo di vita inerente alla di lei condizione povera e laboriosa), si sconciò, io dico, di un'altra bambina, viva la quale, stante il racconto della madre, era tutta livida e nerastra, e dopo di avere poppato, rigettava dalla bocca il latte misto a sangue aggrumato , ed in tale stato visse per lo spazio di undici giorni. Passati allo incirca cinque mesi dopo la sconciatura or ora rife- rita, tornò ad ingravidare per la terza volta; e neppure in questa terza gravidanza vi fu alcun sintomo particolare fino al terzo mese ; alla quale epoca però le sopraggiunse una emorragìa uterina che durò per lo spazio di un mese, e terminò con l'aborto di un bam- bino che Tisse non ostante 24 ore. Tornò ad ingravidare per la quarta volta , e pei tre primi mesi si comportò abbastanza bene al solito; ma nel quarto si ruppero e sgorgarono le acque délYamnioSj e tosto comparve una mediocre emor- ragìa, che, senza essere molto imponente, era però accompagnata da doglie alle reni, che insistettero per oltre ad un altro mese, né ces- sarono sennonché coli' abortire due feti mascolini morti: ciò fu in sul terminare del mese di gennajo dell'anno 1 Si 5. Qualche tempo dopo ( non ricordandosi la donna il preciso ) tor- nò ad essere gravida per la quinta volta; e durante la gravidanza, nulla ebbe a patire di straordinario. Intorno al mese di marzo del seguente anno 18 16 comparvero leggiere doglie, alle quali tennero io8 dietro tre assai violenti senza alcun risultamento, ed indi disparvero del tutto, e cosi terminò l'affare nel giro di due ore. Questa vicen- da pose in agitazione i congiunti, i quali di concerto coli' allevatrice Lucia Bertuccini chiamarono in soccorso il chirurgo operatore sig. Vincenzo Grilli, per la di cui gentilezza venni, finch'egli viveva, con- sultato sulle circostanze che accompagnavano questo fatto patologico. Informò la mammana il chirurgo delle passate doglie, e della rot- tura ^elle acque prima del di lei arrivo ; del che era stata assicu- rata dalla inferma , la quale dichiarava di avere sentito un certo crepito, ed indi colare le acque, e che in fatti 1' aveva trovata tutta bagnata: soggiunse inoltre l'allevatrice, che erano comparsi alcuni segni sanguigni , i quali avevano contaminato l' ambiente di quella stanza con uno straordinario fetore; e quanto allo stato dell'utero, al- tro non sapeva ella dire, se non che era molto alto, sì che appena il poteva sentire ; che nondimeno aveva riconosciuto l'orifizio perfetta- mente chiuso. Stante le quali relazioni credette il sig. chirurgo ope- ratore non essere giunta ancora l'epoca giusta del partorire, tanto più che la inferma sosteneva di essere gravida in sesto mese soltan- to; ed egli perciò se ne andò pe' falli suoi. Le doglie mai più non comparvero, e la inferma non soffrì per allora altro incomodo , a riserva del latte che affluì alle mammelle pel giro di ventiquattro ore. Ma nel giorno seguente fu assalita da febbre gagliarda puerperale con sintomi nervosi, che intensi ber- sagliandola per due giorni, vennero invitati a conferenza medica, ol- tre il citato ostetrico, i signori professori Laurenti e Borgassi, amen- due medici di quella città ; ed avendo esaminato il ventre della don- na, rinvennero in quella regione che corrisponde all' utero un tumo- re duro e resistente, con direzione un po' verso il lato destro; il qual tumore, perchè appariva assolutamente immobile, a fronte delle più accurate osservazioni, indusse que' signori consulenti a pronosti- care trattarsi senza dubbio di un corpo estraneo, sul quale, attesa ap- punto quella costante immobilità, non si poteva con precisione deci- dere se fosse o no un vero feto. L'utero intanto conservava sempre la medesima situazione che ho accennato poc'anzi, e senza che al muso di tinca apparisse il menomo cambiamento. Soffriva intanto l'inferma un acuto ed insistente dolore nella regione laterale destra del ventre. iog Si deliberò, per unanime sentimento dei signori medici e chi- rurghi consulenti, quello che si suol deliberare in simili casi d'in- dole anomala e recondita dai più sinceri e prudenti, Tale a dire di rimetterne la decisione al tribunale del tempo, e di stare attenta- mente osservando di quali spedienti stia per valersi la medicatrice natura ove non si fa luogo a' medicamenti, né ad operazioni. Diffatti cessò del tutto la febbre ; ed il dolore nella parte late- rale destra del ventre si mitigò in maniera tale, che la donna potè riassumere i suoi consueti esercizj, ne più ebbe mestieri né di alle- vatrice , né di ostetrici, né di medicine, contentandosi essa di sen- tirsi il ventre un poco grosso e rilassato nella parte inferiore. Dopo quindici giorni circa si accorse che scaturiva dalle parti pudende uno scolo abbondante di sostanze viscose verdognole , tra- mandanti un puzzo nauseante come di muffa. Ciò appariva nel gior- no in abbondanza; e nella notte, stando in letto, rendeva una pic- cola quantità di sangue. Nello evacuar le orine venivano queste intor- bidate da filamenti membranacei, non senza qualche ardore molesto. Durò questo spurgo per lo spazio di tre mesi incirca, diminuendosi gradatamente di giorno in giorno; e nella proporzione con cui sce- mava la quantità di tali sostanze separate, scemava anco quel dolore, di che la donna si risentiva nella parte laterale destra del ventre ; dimodoché se ne trovò del tutto libera allorché cessarono affatto di scolare le ridette materie. Ritornò nella primitiva salute, e riacquistò le forze ; si che stimò ella di essere perfettamente ristabilita. Nel mese di giugno dell'anno 1819, senza alcuna causa ed al- l'improvviso, dopo i soliti espurghi mensuali , che mai l'abbando- narono dopo il matrimonio se non che nel tempo delle gravidanze, incominciò a rendere nuovamente per la vagina delle sostanze flui- de, fetidissime e giallognole da principio, poi nerastre, e con esse al- cun liquame di carne imputridita e corrotta. Ricomparve il solilo dolore al basso ventre, e persistette per lo spazio di oltre a tre mesi. Passato questo tempo, tutto cessò, vale a dire ritornò a godere buona salute; finché, passati sette mesi da quest'ultimo incomodo, si trovò novellamente gravida. Allora ricom- parve tosto il solito dolore al basso ventre; ed a misura che si avan- zava la gravidanza, aumentavasi anco in intensità il dolore, e coni- I IO prendeva maggiore estensione, fino ad invadere la coscia destra, per cui si rese mal fermo e claudicante il moto progressivo. Inoltre si aggiunse difficoltà ed ardore molesto nell' orinare, con senso nojoso e doloroso di peso nel basso ventre. Continuò in questo stato iufelice fino ai primi del mese di marzo dell'anno 1820, ossia durante i tre primi mesi compiuti dall'epoca presumibile del concepimento, e tosto aborti un feto masebio morto e putrefatto ; dopo della quale sventura ritornò nella primiera salu- te, e nuovamente scomparve il solito dolore del basso ventre. A datare dal principio del secondo scolo delle fetidissime mate- rie, accaduto nel mese di giugno del preceduto anno 18 19, non si fece più fino a questa epoca visitare da alcun professore, e soltanto venne assistita dalla mammana Elisabetta Pandolfi, che venne inter- pellata dopo le infruttuose doglie già narrate poc' anzi. Ne' primi giorni del mese di ottobre dell'anno 1820 incominciò a soffrire violenti dolori di ventre, i quali, avendo sembianza di colica, determinarono alla imposizione di un clistere la mattina del giorno 8. Neil' eliminarlo per l'alvo, usci contemporaneamente a poche fec- cie un pezzo di osso, che per essere stato smarrito non si potè esa- minare. Nel giorno i5 ne evacuò un altro, mediante l'assistenza chirurgica, attesa certa aderenza che aveva colle interne parti del- l'intestino retto. Nel giorno 22, dopo alcune gocce di sangue, ne rese un terzo; e tosto dopo questa separazione si accorse l'inferma di un quarto, che erasi arrestato in vicinanza dell'ano. Provò essa ad introdurre un dito nel podice ; lo sentì di figura rotonda ; ma non avendolo potuto afferrare, che le dita lo aveano anzi respinto indietro, ricorse all'assistenza del sig. chirurgo, il quale, esaminate le due ossa già uscite, le riconobbe appartenenti al cranio; ed in- franto l'uno, sembrava appartenere al parietale; intero l'altro, era l'osso temporale sinistro con l'apofisi petrosa. Si accinse tosto ad esplorare la donna; e ciò fu nel giorno 24, alla presenza della si- gnora Pandolfi. Il ventre dinotava al lato destro una durezza mo- bile, che incominciava due dita trasverse a sinistra dalla linea alba, e si estendeva, passando sotto di questa linea mediana perpendico- lare, ad occupare quasi tutto il fianco, od ipogastro destro. Maneg- giando e contropigiando in diverse direzioni questo tumore con ambe Ili le mani, sentivasi manifestamente un crepito o scrosciamento di ossa infrante. Esaminata la vagina e l'utero, nulla vi si potè rinvenire di morboso, mentre il tutto era nello stato naturale, a sola riserva d'una lieve obbliquità dell'utero, il di cui corpo trovavasi un poco incli- nato verso la parte sinistra. Fatte in fine le dovute indagini nell'ano, nulla vi si potè sentire di straordinario, né vi si trovò cosa alcuna meritevole di riflessione . Ritornò il mio amico e collega a visitar la donna nella mattina del giorno 26, e ritrovò cbe poco prima aveva scaricato parimente per l'ano un altro pezzo di osso, che dalla sua sottigliezza sembrava un altro frammento dell'osso parietale in vicinanza della fontanella. Nel giorno 28 la visitò di bel nuovo, e seco condusse i signori medici Santarelli e Borgassi, i quali, esplorando all'esterno quel tu- more, si accertarono e colle orecchie e colle mani di quel crepito che ivi producevano le scroscianti ossa contenute. Nel giorno 29 uscì pel podice spontaneamente un pezzo dell'osso occipitale. Nel giorno 3 novembre, essendo giunto in quella città il sig. me- dico Grottanelli di Pitigliano in Toscana, intervenne pur esso ad esaminare la nostra ammalata, che appunto in quella mattina aveva separato un altro piccolo frammento dell' apofisi mastoidea , e san- zionò pienamente quanto fino a quel punto erasi dai signori curanti fatto e giudicato. Nel giorno susseguente, era il 4 novembre, mandò fuori undici coste , un pezzo infranto delle ossa delle estremità , due frammenti di ossa informi, ed altri due pezzi minori. Nel 5 un pezzo del cranio; nel 6 due altri frammenti del cranio, una scapola, due coste, un femore, un frammento di ossa lunghe delle estremità, due pezzi di osso irregolari, e due minori frammenti; e nel giorno 8 uscì un pa- rietale intero. Nella mattina del giorno 14, esplorato il basso ventre, risconlra- vasi diminuito di molto quel tumore , tanto che non occupava che il solo ipogastrio destro, ma continuava a sentirsi il crepito delle ossa. 1 dolori, che la travagliavano segnatamente nella notte, allorché sta- va in letto, erano molto diminuiti, né d'altro lagnavasi che di qualche bruciore nel render le orine alla notte, e nell' evacuare l'intestino. 112 Continuò sempre nel medesimo sistema di salute fino alla metà circa di gennajo del i8ai, senza che si osservasse niente di parti- colare. Dopo un tal tempo le comparve uno scolo per la vagina , di color nerastro e di odor nauseante , il quale continuò fino alla metà di febbraio. Frattanto nel giorno primo di febbrajo si portò in Acquapendente l'ecceU.™0 sig. prof. Silvio Clementi, presidente del- la Pontificia Accademia ostetrica di Roma, specialmente deputato da quella Università per verificare questo caso , che trovò veridico in tutte le sue parti, e raccolse tutte le ossa che, come vi ho narrato, erano fino a quel punto uscite per l' ano. Il tumore in quest' intervallo di tempo scese molto in basso a segno che più non si poteva quella massa portare col palpeggiarla ad un lato ed all'altro, e piuttosto era ancora possibile di far smuo- vere que' frantumi colla direzione dall'alto al basso. Circa la fine di febbrajo , una mattina sul far del giorno com- parvero forti dolori nel lato destro ed al pube; si prescrisse un cli- stere ammolliente, cbe fu introdotto con qualche difficoltà , e non potè essere trattenuto; nel renderlo uscì molt'aria con forte rumore, e poi comparve fuor della vagina un abbondante scolo, segnatamente nella notte, di sostanze giallognole puzzolenti di sterco; dopo le quali separazioni si trovò la donna notabilmente alleggerita . Usci- rono il 7 marzo pel podice alcuni piccoli frammenti di ossa , non riconoscibili pel soverchio stritolamento che avevano subito. Le ori- ne, che s' instradavano da principio liberamente, a metà dell'orinare si soffermavano, e con grande stento sprizzavano con direzione irre- golare ora da una parte, ora dall'altra. Nel giorno i3 del mese medesimo l'utero erasi alquanto abbas- sato; e perchè nel 16 accusava la donna qualche puntura nell'in- testino retto, si esplorò metodicamente per l'ano, e si rinvenne al- l'altezza di circa tre dita trasverse dallo sfintere a destra dell'osso sacro una enfiagione non molto dolorifica, la quale, per asserzione della donna stessa, soleva discendere più al basso nell atto di rendere le feccie. Quelle materie puzzolenti di sterco, che sortivano dalla vagina, si soppressero nel 5 aprile; il tumore nell'intestino retto era stazio- nario, e non iscorgevasi, per quanta industria si usasse, veruna aper- n3 tura in esso di comunicazione con l'intestino. Avvenendo il bisogno di eliminare qualche flatulenza, ed anco durante i premiti per ren- dere le feccie, veniva tormentata da un forte dolore nell'inguine de- stro; ed appena sortita quell'aria, insorgeva un gorgoglìo nel ventre, ed immediatamente scappavane alcuna ventosità per le parti naturali muliebri. Le orine continuavano a vagare nella loro sortita; e vo- lendo la donna espellerle col corpo incurvato, provava il mentovato dolore nell'inguine destro, che la costringeva ad erigere il tronco, e votar così la vescica stando in piedi. Nel giorno 26 marzo con forti stimoli e premiti dolorosissimi rese per l'ano l'altra metà della mandibola inferiore, e nel 2 aprile con più facilità un pezzo della mandibola superiore. Stando in letto , e volendo la donna giacere sul lato opposto , veniva tosto còlta da dolori; motivo per cui lino al 20 aprile, gior- no in cui mandò fuori l'altro femore tutto corroso in ambe le sue estremità, doveva giacere continuamente sopra il fianco destro, per trovar riposo e sonno ristoratore. Varj giorni trascorsero senza che più verun osso uscisse ; e sol- tanto ai primi di giugno evacuò la metà dell'osso frontale con l'ar- co dell'orbita, e tutto l'intero margine della cavità orbitale sinistra; e in capo ad otto ore, una tibia tutta corrosa alle due estremità. A tal epoca riscontravasi una mediocre durezza nell' inguine destro , la quale estendevasi verso la regione del pube. I dolori che l' afflig- gevano molto nella notte, erano del tutto cessati; ma era ricomparso lo scolo di materie stercoracee per la vagina, preceduto dalle men- tovate ventosità. Nella notte del 25 giugno venne assalita da una forte cardialgìa con vomito, e nel giorno seguente si manifestò la febbre ; venne in- trodotto un clistere per l'ano, che poco dopo restituì ella in parte per lo stesso orifizio, ed in parte per la vagina. Cessò in 24 ore quella febbre e quella cardialgìa, con rimanenza di un colore giallognolo itterico per tutta la periferìa del corpo. Dileguatasi poi la itterizia (6 luglio), continuarono ad evacuarsi insensibilmente gli ulteriori frammenti, svanì a poco a poco il tu- more addominale, cessò il passaggio delle materie alvine per la va- gina, riacquistò la donna appetito, forze e nutrizione a misura che i5 "4 si riordinavano le di lei funzioni addominali, e gode attualmente piena e perfetta salute. Non è cosa nuova che donne affette da gravidanza estrauterina non abbiano potuto partorire per le vie naturali; che anzi reche- rebbe assai più meraviglia se ciò fosse avvenuto; e neppure caso as- sai raro deve dirsi quello, in cui il feto estrauterino morto e putre- fatto fu causa d' infiammazione e di ascesso che , scoppiando a tra- verso le pareti addominali, gli abbia aperto la via di uscire da quel carcere. Il classico libro De insoìitis partus viisj da Tommaso Bartolino pubblicato già è un secolo e mezzo, contiene numerose descrizioni di parti per la bocca, per l'ombilico, per gl'ipocondrj , e sino pel cranio, raccolte da Oribasio, Langio, Amato Lusitano, Rosseto, Tul- pio, Dodoneo, ed altri più o meno circospetti e veridici scrittori che lo precedettero. Fernelio nel sesto libro della sua Patologia descrive la infiam- mazione dell'utero che si ruppe con un'apostema nell'intestino retto, sì che per l'ano eliminaronsi con le marce i prodotti della corru- zione di quell'organo muliebre. Orazio Augenio da Montesanto nel suo secondo libro De partii liominìs racconta come certa signora Biscaccini nel ij4i ingravidò, e venuta l'epoca del parto, si manifestarono le doglie vere, ed in- sistettero senza che però potesse in fatto partorire. I medici di Fer- rara giudicarono trattarsi di mola, di scirro, o di altro tumore pre- ternaturale nell' utero. In capo a due mesi dopo il travaglio evacuò per l' ano due costole del feto ; nel giorno dopo altre due , e poi morì. Si trovò l'utero putrefatto là dove tocca l'intestino retto, cor- rotto anch'esso; ed in quel tratto ulceroso stava il feto infracidito, senza più vestigia delle membrane e della placenta. I casi da Gio. Langio e dal Rosseto riportati di uscita del feto putrefatto per la via dell'ano, appartenevano alle gravidanze tubali. Al principio del secolo passato certa Domenica Gritti di Tramonte ne' nostri Euganei, era in età di 4° anni quando, dopo una gravi- danza, da cui non potè sgravarsi, condusse per due anni una vita infe- lice, finche crudelmente travagliala da forti premiti nello sgravar l'in- testino, si avvide finalmente che in quegli atroci spasimi le uscivano r l -j per la via fecale le ossa del feto, delle quali ae andò di tratto in tratto separando per un intero anno , e poi risanò perfettamente. Nella storia dell'Accademia delle scienze di Parigi per l'anno 1746 è inserita la osservazione di una donna di trentun anni, gravida in cinque mesi, la quale, cadendo, incontrò minacele di aborto ; il ven tre più non crebbe, ne scemò. Otto mesi dopo la caduta le uscì dalla vagina sangue disciolto e fetido; alcuni giorni dopo, il feto uscì a pezzi per l'ano, e bastò la imposizione melodica di clisteri astersivi per risanare la donna. Giffard nelle Transazioni filosofiche, e Nourse nel Compendio che delle medesime compilò il Gibelin, citano succintamente altri parti per l'ano, ne' quali sembra che il feto concepito nelle ovaja trovasse la maniera di uscire per la stessa via. Kellin rassegnò alla Società medica di Londra, nel terzo volume di quegli xVtti, la narrazione della caduta di un feto dalla ovaja nella cavità addominale. Il di lui capo si sentiva per mezzo della esplorazione sia vaginale, sia intestinale, giacche erasi collocato pre- cisamente fra questo e quel canale, co' piedi in alto verso il dia- framma. Morì la donna, e si trovò la placeuta attaccata al perito- neo ed al legamento rotondo destro dell'utero materno. 11 Littre ha esposto nelle Memorie della Reale Accademia di Pa- rigi per l'anno 1702 il metodo chirurgico, con cui estrasse a brani per l'ano ad una donna un feto che non dimorò mai nell'utero, e neppure nella cavità addominale, ma bensì in un sacco apposito tu- bale od ovajale. Ma più di tutti gli enunziati casi ha grande analogia col pre- sente quello che venne con tanta esattezza descritto da Gio. Dome- nico Santorini e dal Patunà nell'anno 1727. Una donna di 3o anni ebbe varj figli, e poi un aborto nel 1724; ingravidò dopo un mese da questa sconciatura, che avvenne in ot- tobre. In marzo le sopraggiunse febbre con vomito , che la tormen- tarono fino al mese di maggio del susseguente anno 1725, epoca in cui provò le doglie le più minacciose di novello aborto : cessarono allora i movimenti del feto , subentrò la stitichezza con varj assalti convulsivi dolorifici, che, benché brevi, avevano sembianza epilet- tica. Alla metà di luglio comparvero nuove doglie, e più atroci, 1 1l senza che la esplorazione ostetricia vaginale annunciasse vero parto; e tult'al più stillava dall'utero un corso menstruo ordinario, che si convertì in flusso bianco nel mese di settembre , e allora comparve il latte alle poppe. I medici sospettavano di feto, di mola, di scir- ro; frattanto incalzava la febbre con veglie, stitichezza e dimagra- mento. Nondimeno al finir di quel mese potè sorgere dal letto, per- chè svanì il dolore, abbassatosi il ventre e calmala la febbre. Nel gennajo del susseguente anno 1726 ricomparvero le men- struazioni, con che la donna si ripristinò in salute, sussistendo per altro un tumore alquanto dolente alla regione ipogastrica. Sei mesi do- po cessarono i mestrui; e precisamente un anno dopo sofferti quegli atroci spasimi, si accorse la donna di essere gravida un'altra volta, né altro incomodo gli rimase, fuorché il tumore; e a misura che tornava per la novella gravidanza ad alzarsi il ventre, cessava il vo- mito, e sempre più agevole rendevasi lo scarico alvino. Nel giorno 12 gennajo dell'anno 1727 comparvero le doglie di par- to, con rottura delle acque, ed uscita nel giorno dopo di un feto set- tiinestre morto. Si destò la febbre puerperale , comparvero i lochj ed il latte, e in capo ad un mese di puerperio potè accingersi ad un viaggio in calesse, durante il quale ebbe la sventura che si ribaltò il legno, e quello scuotimento accese nuovamente la febbre con vo- mito, diarrea, dolor fisso alla regione inferiore del dorso, coliche atro- ci , concomitanti la escrezione dell' alvo , talché ne' primi giorni di aprile determinossi il Santorini ad interpellare il Patunà, che estras- se dall' ano un osso del cranio dell' antico feto, e poi altre ossa, fin- ché nel 20 di quel mese estrasse il rimanente del feto, e dopo una settimana anche la placenta per la medesima strada del podice ; con che guarì a suo tempo la donna. Le differenze che passano fra il nostro parto della Cesarelti e quello della puerpera Santoriuiana riduconsi in gran parte alla di- versità degl'intervalli trascorsi tra l'una e l'altra vicenda che avven- ne di notarvi. Mentre: i.° se la Cesaretti aveva condotte a buon termine quattro gravidanze, l'altra ne contava tre; 2.0 se nella Cesa- retti erano corsi otto mesi dall'ultimo parlo lodevole alla nuova gra- vidanza preternaturale, in quella del Santorini furono Ire soli. Per entrambe trascorsero cinque mesi tra l'epoca della nuova gravidanza II7 e le doglie di parto ; ma se per la Cesaretti occorsero quattro anni prima che accogliesse un nuovo feto, mentre alla Santoriniana bastò un anno, la prima lo portò tre soli mesi, e la seconda sette: questa si liberò dell'antico feto in cinque mesi, e quella non conseguì tale beneficio se non in capo a quattordici mesi. Nulladimeno se con- sidereremo la durata complessiva della gravidanza preternaturale, presenterà un solo divario di tre mesi , mentre ne durò ventitré nella Cesaretti, e venti soltanto nell'altra. Furono di mestieri nove intieri mesi alla Cesaretti per evacuare spontaneamente le ossa del suo feto; mentre il Patunà conseguì la estrazione di tutte le parti del feto in poco più di tre settimane. Quanto ai sintomi, regna una grande analogìa in entrambi i casi. Ma come andassero le bisogna propriamente nelle viscere di queste due donne, dove fosse stanziato il feto in tutte le epoche della sua vita parassitica , se veramente abbia percorso il consueto passaggio nelle trombe falloppiane, e come siasi presentato contro il retto intestino, questo non sappiamo, ne mi farò io lecito di schierarvi una serie di conghietlure , sfoggiando una intempestiva erudizione , di cui non può aver inopia chi ha percorse le fisiologìe antiche e moderne. Contentiamoci della semplice contemplazione della natura, tal quale ce la raccomandavano i Padri nostri, ed ascoltiamo il filo- sofico precetto del Cabanis, il quale insegnava, sono ora quattro lu- stri, che l'analisi islorica d'una malattia debb' essere sincera ed esatta, che conviene spogliar l'animo da ogni prevenzione, fuggir le ipotesi, ed allontanare qualunque idea che non appartenga direttamente al fat- to che si ha sott'occhio; che convien vedere quel eh' è in fatto, e non quel che sembra di vedere; e che questo fatto debb' essere descritto appunto come è stato osservato, senza introdurvi deduzioni, opinio- ni, riflessioni, quand'anche sembrassero acconcie al momento; che, in somma, l'ordine, l'intensità, la durata, e gli altri caratteri dei fenomeni debbono costituire esclusivamente il quadro , se si vuole che riesca armonico e fedele. Bensì ci sarà lecito il conchiudere da queste due narrazioni oste- triche, non essere indicata la operazione cesarea in donna vivente, per quanto difettose sieno le ossa del catino muliebre, giacche pote- rono le due mentovate donne isolare tra le loro viscere peritoneali n8 i cadaveri de' loro feti, incingersi di bel nuovo, e quasi condurre il parto a maturità ; e poscia fattasi un' apertura nell' intestino , elimi- narli per quella via spontaneamente l'una, e con innocenti ajuti di mano chirurgica l'altra. Conclusione, alla quale condussero già le osservazioni di feti rimasti per lungo corso d'anni e presso che li- tiaci nel ventre materno, ed altre che ora non è tempo ne luogo di rammentare. Ma come avviene egli che l'intestino si apre per ammettere il feto nella propria cavità, senza che le feccie intestinali si spandano nella cavità peritoneale, dove necessariamente cagionerebbero subito un' infiammazione gangrenosa mortale ? Quella salutare infiammazione adesiva, che presiede alla oblite- razione felice degli ani artificiali, delle fistole penetranti nella cavità del petto, allo abbarbicamento della placenta sul fegato, sull'omen- to e sul mesenterio nelle gravidanze estrauterine, ove l'uovicino fe- condato nell'ovaja non ritenne il germe, e neppure lo trasmise nella tromba falloppiana; quella infiammazione che ha tanta analogìa col processo nutritivo naturale delle parli tra le quali si forma , e che natura medicatrice sa destare con tanta maestrìa ovunque nella eco- nomia animale faccia di mestieri impedire l'accesso all'aria, trattener liquidi animali ora preziosi per la conservazione dell'individuo, ora nocivi per la loro acredine e setticità, e riprodurre talvolta interi organi distrutti, somministra, se male non mi appongo, i materiali per la plausibile soluzione del problema. Di fatti, presentandosi il feto o le sue parti a contatto dell' inte- stino, vi produce l'ordinario effetto di uno stimolo sopra una parte viva; il sistema capillare di questa parte, per l'aumentato potere vitale ne' nervi , ammette maggior copia di sangue e di linfa ; la in- cessante presenza dello stimolo perennemente attivo su varj punti di quella località, determina ne' linfatici un assorbimento maggiore ; la pressione falla dal feto , il movimento peristaltico del tubo in- testinale e l'accumulamento delle materie fecali fan sì che si smagli , si attenui, si ammollisca, e finalmente si apra l'intestino, con che entra il viluppo del feto in quella cavità , dalla quale non escono le materie fecali : i .° perchè già si stabilì pel pregresso flogistico pro- cesso l'adesione delle parti circostanti; 2.0 perchè la massa delle vi- "9 scere addominali preme e gravita contro il viluppo fetale, anche con- correndovi la spasmodica contrazione de' muscoli addominali e del diaframma , occasionata dal dolore che non può andar disgiunto da tali vicende; e 3.° finalmente, perchè cedendo lo sfintere dell'ano, è più breve ed ampia la via di uscire a quanto è contenuto nel- l'intestino per quell'orifizio, che non sarebbe il penetrare nella sem- pre piena e già chiusa cavità peritoneale. Quanto al silo dove crebbero questi due feti, poco , siccome ho detto , si può dire di positivo. Della Cesaretti so bene che gode di una piena salute, e che nello scorso carnovale ( 1828) potè danzare a suo talento ne' festini ; ma non consta che abbia incontrata altra gravidanza. Cosi il Santorini nulla dice della sua donna quanto a questo dato, che porgerebbe forse qualche ulteriore lume su tale questione. Quel grande medico inclinava a credere che nel caso suo il feto non si annidasse nell'utero, e neppure nella tromba, e tanto meno nella ovaja, ma piuttosto nella cavità dell'addome, ove rico- nosceva molte opportunità relative alla capacità di sito, alla copia di alimento, alla facilità di uscita. Di fatti se consideriamo la grandezza di tali feti giusta e matu- ra, il poco remoto tempo di loro concezione, e l'epoca della loro morte al di là del settimo mese; se ci rammentiamo, quanto alle trombe, l'angustia del sito e la penuria di alimento, per cui il feto ivi non giunge mai a così notabile accrescimento di sua statura, che stia in relazione con l'epoca della sua esclusione dal calice ovajale, converremo di buon grado col ponderato parere del Santorini; tanto più che nella cavità addominale vi è la massima facilità di nutri- zione, e minori ostacoli oppongonsi all'uscita. Del resto, per la via dell' ano non si spostano , non si distendono né romponsi parti di tanta importanza ; non vi è tanto pericolo di micidiale emorragia , come ne' parti pel bellico, per l'inguine, dalla ovaja, dalle trom- be , ove serpeggiano vasi sanguigni di assai ampio calibro , se si confrontino colle capillari arteriuzze che scorgonsi appena fra le to- nache degl'intestini crassi, d'onde poche stille di sangue possono ap- pena scaturire. E saviamente osserva il professore torinese Scavini, che la flus- sione sanguigna, determinata a quelle località dal processo flogistico, 120 serve mirabilmente per nutrire il feto ivi annidato; mentre essendo essa associata all'aumento di tutti i poteri vitali della parte affetta, è d'indole moderatamente attiva: che se altramente fosse, quello ce- dere passivamente de' vasi, e lasciarsi inertemente gonfiare dal san- gue che vi giunge per entro a tergo_, darebbe assai più probabil- mente luogo ad un apparato piuttosto morbifico, ed alto a degene- rare in congestioni ed abbeveramenti, non più suscettibili ne di ri- tornare in circolo per la via dell'assorbimento, e tanto meno di pre- starsi efficacemente alla nutrizione del feto. Di fatti la infiammazio- ne astenica sembra piuttosto essere sorgente di morte , anziché di vita, se ne consideriamo gli effetti ne' tessuti diversi che invade; e d'altronde essendo essa piuttosto d'indole passiva, che attiva, come mai aspetteremo che dia cpiel che non ha? 121 SEPARAZIONE MORBOSA DI QUASI TUTTA LA MASCELLA OSSEA INFERIORE ACCAGIONATA IN UN UOMO DALL'AZIONE DI FORTE SUFFUMIGIO MERCURIALE CORROSIVO MEMORIA PATOLOGICO-PRATICA ANATOMICA DEL DOTTORE JACOPO PENADA LETTA NELLA SESSIONE DEL DÌ Vili. TIBBRAJO MDCCCXXI. Ne on pochi sono quei gravissimi e contagiosi malori sconosciuti, per quanto sembra ragionevole, ai nostri più remoti progenitori, ed a noi sfortunatamente recati dalle inospile remotissime regioni del nuovo mondo, e da altre parti ancora meno da noi lontane, i quali con la lunga loro dimora nelle felicissime nostre contrade e nei no- stri climi beati, si sono un tal poco ingentiliti, per cosi dire, o resi certamente meno formidabili nei loro tristissimi effetti. Tra questi il vajuolo naturale (>) e la lue gallica sembra che abbiano avuto un esito così fortunato. E per verità, parlando della vera sifìlide confirmata , ella è cosa di fatto che , tranne alcuni pochissimi casi , non si osservano a' no- stri giorni quelle orride stragi e quei terribili guasti che indur so- leva la lue celtica nei sifilitici, siccome succedeva nei passati tempi, e che si riscontrano descritti da gravissimi autori, i quali si occupa- rono a descriverne gli effetti morbosi crudelissimi cagionati dal ve- leno venereo penetralo nei corpi dei miseri sifilitici. (i) Pel vajuolo sembra che l' innesto vaccino abbia confluito a siffatto buonissimo effetto. 16 122 Il benemerito Astruc fino dalla metà del secolo passato di ciò s'avvide; quindi nella sua prefazione all'esteso suo trattato dei morbi venerei così si esprime : Nunc tandem videtur paullatim morbus mì- tescere , et quasi in senium in dies tendere. Mette orrore e raccapriccio il leggere appunto negli scritti dei medici osservatori le stragi grandiose e quasi incredibili che menava il rio veleno venereo confirmato, qualora singolarmente per le indi- viduali e particolari idiosincrasie degli umori si aumentava la natu- rale sua virulenza pestifera, attaccando ed offendendo non solo gli umori, ma distruggendo le parti molli, le carni, i muscoli, gli or- gani più delicati del corpo, e penetrando perfino nelle più remote parti, e nelle stesse ossa, le quali dal rio veleno sifilitico rimaneva- no miseramente guaste e corrotte. Quindi l' egregio nostro medico e poeta Fracastoro ci porge il quadro funesto di siffatti malori nei seguenti bellissimi versi: Protinus informes totum per corpus achores Rumpebantj faciemque horrendam, et pectora foede Turpabant : species morbi nova : pustula summae Glandis ad effigiem, et pituita marcida pingui: Tempore quae multo non post adaperta dehiscenSj Mucosa multum sanie , taboque jluebat. Quin edam erodens alte, et se junditus abdens Corpora pascebat misere : nam saepius ipsi Carne sua exutos artus, squallentiaque ossa Vidimus, et foedo rosa ora dehiscere hiatu. Ora, atque exiles reddentia guttura voces. Unde aliquis ver aetatis, pulchramque juventam SuspirariSj, et membra oculis deformia torvis Prospiciens_, joedosque artus, turgentiaque ora, Saepe Deos, saepe astra, miseri crudelia dixit 123 Inter e a dulces somnosj noctisque soporem Omnia per terras ammalia J essa trahebant: Illis nulla quies aderatj sopor omnis in auras Fugerat: iis oriens ingrata aurora rubebat: Iis inimica dies, inimicaque noctis imago. Nulla Ceres illoSj Bacchi non ulla juvabant Miniera: non dulces epulae, non copia rerum, Non urbis j non ruris opes, non ulla voluptas {'). Tali tristissimi effetti però non sempre si devono attribuire al- l'innata virulenza del veleno sifilitico, quanto alla malintesa manie- ra di applicare indistintamente ai particolari soggetti gli stessi più forti corrosivi mercuriali rimedj , per ottenere , siccome pur troppo erroneamente si crede, una più pronta e sicura guarigione delle ve- neree morbosità d'ogni maniera. E per verità, lo stesso Swediaur, grande fautore dei mercuriali rimedj, nei capi XVIII. XIX. e XX. dell' eocellente sua opera sulle (i) Credesi opportuno di riportare i cor- rispondenti versi della versione della Sifilide di Vincenzo Benini Colognese, il più felice veramente fra i non pochi traduttori di quel poema. Onde talun de' suoi verct 'anni il fiore Tosto pel corpo tutto ulcere informi E la sua bella giovanile eiade Vsciano, e orribilmente il viso e il petto Sospirando, e volgendo i torvi lumi Brutlavan: specie di malor novella. Alle membra deformi, al gonfio viso, La somma parte della dura ghianda Misero ! spesso i Dei chiamò crudeli, Imitavan le pustule, ripiene E crudeli chiamò spesso le stelle. Vi putrefatto e pingue umor; le quali Frattanto ogni animai che in terra alberga, Poscia tra brieve spazio aperte e scisse, In placida quiete e in dolce sonno, Molto versavan di corrotto sangue Stanco dal faticar, traea le notti. E di marcia mucosa. Anzi, rodendo Essi già non dormian ; ch'ogni riposo Insino al fondo e penetrando addentro, Ne portavano i venti: a loro ingrata Miseramente si pascean de' corpi ; Sorgeva in ciel la rosseggiante aurora; Che della carne sua spogliati i membri A lor nemico il giorno, a lor nemica Vid' io stesso talor, squallide l'ossa, Era la notte, né porgean ristoro E la corrosa bocca aprirsi in sozzi Lor di Cerere i don, né i don di Bacco; Modi; e render sottili e foche voci Non i dolci conviti, o delle cose E la bocca e la gola La copia, o quante altrui donan ricchezze • Cittadi e ville, non diletto alcuno. ,2/+ sifilitiche malattie ci pone egli stesso solt' occhio dei quadri troppo espressivi e veritieri delle funeste conseguenze derivate dall'uso in- discreto dei mercuriali rimedj alla misera umanità. Quindi nel li- bro II. capo VII. , parlando dei mali recati dalle forti mercuriali inunzioni , così si esprime : Aegrotantes nimia saepe hjdrargirosi ita oppressi fiieruntj ut re- medii violentili non pauci mortem obieruntj alii vero phtjalismo t diarrhoeaj ori ulceribus_, marasmo confecti, luridi , squalidij edentati , balbutientes, post diuturnas miserius lente deperierunt. L'Astruc e il Falloppio sono dello stesso parere; Celso Camera- rio e Beneger riportano casi terribili dei danni gravissimi cagionati dall'uso stesso degli esterni empiastri, dei cataplasmi, delle inunzio- ni e dei suffumigi mercuriali. Basta leggere quanto ha pubblicato nell'anno 1776 in Vienna il celebre medico sig. Kornbeck sui tri- stissimi effetti prodotti dall' uso del mercurio, e cosi pure quanto scrissero su tal proposito i rinomatissimi medici scrittori Wepfer, Wolff, Schenchio , Zucalo Lusitano, e tanti altri che per amore di brevità tralascio di annoverare. Ora essendomi caduto in acconcio di avere sott' occhio un caso per verità molto singolare, e forse unico nel suo genere, di un uo- mo nel quale si verificò la separazione e il distacco in un sol punto di quasi tutta la mandibola inferiore, il quale, per liberarsi da certe ulceri depascenti che aveva all'uvola ed al palato molle, d'indole sifilitica, fece uso veramente indiscreto di certi suffumigi mercuriali corrosivi , ricevuti per la bocca e tramandati alle parti affette , ho creduto cosa utile ed importante il tesserne la storia medica, ed esporla ai saggi riflessi di questa dotta accademica Adunanza, corre- data degli opportuni disegni e della dimostrazione dello stesso pezzo originale, onde giudicare si possa del merito della presente mia os- servazione. i2:. Esposizione del caso. Giuseppe Fracchia del fu Francesco, nalo in Belluno, poscia trasferitosi ad abitare nel villaggio detto di S. Ambrogio, volgarmente S. Bruson, vicino alla grossa Terra del Dolo, in età di anni 3o, nel- l'anno 1780 trovandosi malconcio da lue venerea, avente molte ul- ceri depascenti all'uvola, alle tonsille ed al velo palatino, le quali avevano resistilo a varj metodi di cura, fu consigliato da certo em- pirico di far uso di mercuriale suffumigio, combinato col sublimato corrosivo e con altre non ben note sostanze. Sotto l'uso però di così fatte profumazioni, determinate con ap- posito tubo alle parti esulcerate, nel settimo giorno di cura fu preso il nostro ammalalo da gagliardissima febbre; si rigonfiò enormemente lulta la tesla , e le labbra singolarmente in modo strano, onde il suo volto rassembrava un grugno di bestia bovina; si rigonfiarono del pari anco le interne parti della bocca, con vertigini e deliquj; poi fu preso da fortissima cardialgìa con terribili conati al vomito, e dopo tarili mali ed ambasce sofferte gli sopravvenne un profusissimo ptialisirio con bava a sangue frammischiata, ed esalante un fetido ed insoffribile odore. Posti però in opera i più validi soccorsi dell' arte da professori medici e chirurghi per sollevare l'infermo dal suo malore quasi di- sperato, giunsero a capo di domarlo in gran parte, e ridonare la vita a quel povero infelice. Biavuto a poco a poco, incominciò l'infermo a sentirsi vacillare quasi tutli i denti, di modo che egli stesso con pochissima forza se li andava estraendo; se non che una mattina risvegliatosi dal leggiero suo sonno e sentendosi vacillare un dente molare della mandibola inferiore, se lo prese colle dita per estirparlo alla foggia con cui se ne aveva estratto molti altri nelle antecedenti giornate. Ma quale fu la sua sorpresa, quando, dietro al dente che si voleva estrarre, s'av- vide che si avea levata la stessa ossea mascella inferiore tutta in un pezzo, fornita di molti altri denti ancora esistenti, ed incuneali nei loro alveoli! E qui si noti che l'estrazione fu fatta senza dolore «d incomodo sensibile dell'infermo: ciò che prova già seguila la ca- V2& rie dell' osso e lo spontaneo distacco dalla sua continuità , e che le gengive, rese semi-putride, permisero l'uscita al pezzo osseo mascel- lare tal quale si può vedere nel suo originale che qui vi presento, o Signori, e nei disegni che ho fatto eseguire a maggiore schiari- mento del caso presente. Fu spedito il pezzo originale al sig. Prof. Pietro Sografi, che lo custodì infino che visse; e seguita poi la sua mancanza a' vivi, passò in mano del suo Assistente sig. Carlo Nalialo, che mi affidò il pezzo stesso originale, e mi die' motivo così di tessere la presente Memo- ria sopra di un caso che meritava di essere tolto dall'obblìo nel quale era già caduto. Mi fu del pari consegnata la storia originale con carta autentica, estesa dal pubblico notajo Pietro Mioni, residente nel Vicariato di Oriago, e sottoscritta da molti testimonj che fanno giurata fede del caso successo. E qui cade in acconcio di osservare, come non essendo mai seguita la guarigione del suddetto infermo, che poi visse per parecchi anni in appresso, si potesse dallo stesso effettuare una qualunque masti- cazione dei cibi ancorché tenerissimi e dilicati. Ma ciò non deve recare meraviglia , poiché sappiamo che una qualunque masticazione viene fatta da tutti coloro, i quali o per età o per qualunque altro motivo hanno perduto i loro denti ; e ciò me- diante l'indurimento ed incallimento quasi osseo che acquistano le gengive, dal continuo attrito rese abbastanza solide e dure; il che, seb- bene forse più imperfettamente, può essere nel caso nostro avvenuto, 127 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Figura I. Questa prima figura esibisce nel suo slato naturale l'intiera man- dibula inferiore ossea con le sue apofisi. Le due lettere pertanto majuscole A A indicano le due apofisi dette condiloidep ; le due BB le apofisi così dette coronoitli ; le due CC dinotano gli angoli laterali della mascella; la D segna la parte an- teriore della stessa mandibula, la quale dagli anatomici viene chia- mala col nome di Geniunij o mento. Figura. II. La seconda figura rappresenta quel pezzo singolare di mascella ossea inferiore, che spontaneamente si separò dalla continuità del corpo intero della slessa. Le due lettere A A indicano i lembi superiori del pezzo che si Slaccò morbosamente dalla mandibula, il quale è formato da tutto il mento osseo, e si estende fino agli angoli laterali della stessa mascel- la ; le due B B indicano le parti laterali del mento , e la C la parie del mento anteriore. Figura III. Si esprime in questa figura quel pezzo di mascella che restò attac- cato superiormente agli angoli della mascella colle apofisi superstiti condiloide e coronoidi della stessa mascella. La lettera A dinota 1' apofisi coronoidea, la B la condiloidea, e la C l'angolo della mascella; e finalmente la D contrassegna il punto da dove si staccò il pezzo dell'ossea mascella inferiore nel caso presente. Dalle cose fino ad ora esposte ne viene di legittima conseguenza, che i saggi e prudenti medici si devono formare un gran pensiero nella scelta de' rimedj mercuriali che vogliono porre in pratica nella cura 128 delle più forti e caparbie malattie sifilitiche, onde non restino pregiu- dicati i loro ammalati più dai prestati rimedj, che dalla stessa malattia. Infiniti sono gli esempj tristissimi di galliche scabbie retrocesse per l'indiscreto uso delle idrargiorsi, dalla repulsione delle quali ne derivarono fatalissime conseguenze di cachessìe, idropi, tisi polmona- ri, piaghe uterine, e mali convulsivi d'ogni maniera. E quanto più luttuosi e fatali sono stati bene spesso i risultati mor- bosi delle cure mercuriali interne, eseguite coi più potenti e deleterj preparati mercuriali, col sublimato corrosivo, col mercurio precipitato bianco del \answieten, col liquore sifilitico dello slesso, colle pillole del Plumier, colla soluzione mercuriale del Fowler, composta di ar- senico e di alcali vegetabile, e tanti altri consimili rimedj venefici e corrosivi! Ma pur troppo l'uso, per mio avviso, perniciosissimo dei più mici- diali veleni viene adottato a' giorni nostri nella cura d'una gran parte de' morbi che infestano la misera umanità. Io però, guidato dalla sperienza di otto e più lustri, mi propongo in altra occasione, o Signori, di rendervi convinti che i mali sifilitici sopra tutto, e tanti altri creduti inguaribili senza l'uso dei sopracci- tati veleni e di tanti altri di simil fatta, si possono cautamente medi- care con altre medicamentose sostanze , purché sappia il saggio Cli- nico farne la scelta con buon criterio e pazienza, onde non si possa ripetere allo stesso ciò che saggiamente ci lasciò scritto il Sidonio là dove dice: Novi multo s Medicos, qui parimi dodi } satis nimiumque sollicitij, aegros officiosissime occidunt. Ho detto. m^ , Jé*'$m 120, SOPRA IL SANGUE DI DRAGO DEL COMMERCIO E SOPRA DI UNA NUOVA SOSTANZA CONTENUTA IN QUESTA DROGA GENUINA MEMORIA DEL SIGNORE DOTTOR GIROLAMO MELANDRI PROFESSORE DI CHIMICA NELL'l. R. UNIVERSITÀ LETTA NELLA SESSIONE DEL DÌ XXIII. GENNAIO HDCCCXXIII. XjJcune sostanze del regno vegetabile, che per una certa rasso- miglianza fisica e per alcuni caratteri chimici sembravano apparte- nere ad una o ad un'altra specie di principj immediati, furono poi levate dal posto che loro era stato assegnato, allorquando mercè un più profondo esame ed il perfezionamento dell'analisi vegetabile si scuoprirono in esse alcune proprietà particolari, non comuni alle specie cui si riferivano. Così la Sarcocolla, che si riputò, già tempo, una gomma resina, ora si risguarda per un principio immediato par- ticolare; il Guajaco, che era considerato come una resina, dopo le ricerche di Hatchet si riconobbe per un principio di suo genere; al- cuni acidi si riconobbero forniti di caratteri proprj , ed altri come semplici modificazioni di uno stesso acido: l' amito fu distinto dal- l'inulina ; ed in questi ultimi tempi si prese cognizione di un nuo- vo genere di sostanze organiche, dotate di proprietà alcaline. Sem- brami che debba subire la sorte medesima della Sarcocolla e del >7 i3o Guajaco quella sostanza chiamala in commercio e nelle spezierie col nome eli Sangue di drago j la quale Tiene comunemente risguartlata siccome appartenente alle resine, ma che un più profondo esame mi ha chiaramente dimostrato differire singolarmente da un tal principio immediato. Le ricerche da me inslituite su di questa droga furono promosse da un esame fisico-chimico comparativo di alcune resine rosse, esihite come succedanee al sangue di drago, e presentate al concorso dei premj nel giorno Onomastico di SUA MAESTÀ Im- periale e Reale l'anno 1821, nella quale occasione 1' Eccelso Go- verno mi onorò chiamandomi a Venezia per far parte della Sessione del Cesareo-Regio Istituto di Scienze, Lettere ed Arti; su del quale argomento essendomi occupato anche più di quello richiedesse il rap- porto, che in unione ai dotti miei colleglli signori Professori Renier e Brera presentammo alla Sessione Centrale del Cesareo Istituto, slimo opportuno il dare maggiore pubblicità ai fatti da me osservati in quell'occasione, e successivamente nella continuazione delle ri- cerche sul sangue di drago vero, formandone soggetto di questa lettu- ra accademica. Ed acciocché meglio apparisca quanto incerti e fallaci sieno le cognizioni finora possedule sull'istoria del sangue di drago, farò precedere in questa Memoria una succinta descrizione delle opinioni di varj autori su di una tal droga, e dei caratteri ad essa attribuiti, e poscia esporrò le proprietà da me osservate siccome ap- partenenti al vero sangue di drago, le quali serviranno a collocare questa sostanza "nel posto che più le conviene Ira i materiali imme- diati del regno vegetabile, e nel tempo stesso serviranno a distin- guere la droga vera dalla falsa. Terminerò finalmente col dimostrare che nel sangue di drago vero esiste una sostanza particolare, ossia che questa droga genuina consiste quasi tutta in una sostanza par- ticolare, diversa da tutte quelle che finora vennero scoperte nel re- gno vegetabile. In commercio circolano molte qualità di sangue di drago , che hanno caratteri e prezzi differenti. Se ne trova in polvere, in pane, in pallette ovali come le noci moscate, chiuse in foglie di una spe- cie di canna ed in pezzi cilindrici più o meno lunghi, chiusi in fo- glie, come le pallette ovali ; e quest' ultimo è molto raro, ed è legit- timo. A Venezia ho trovalo il sangue di drago in polvere più costoso eli quello in pallette ovali, e conteneva anche più sangue di drago vero. L'uso a cui si destina codesta droga, è principalmente per comporre le vernici tanto a spirito di vino, quanto ad essenza. Nel- l'arte tintoria è pochissimo adoperala. In medicina una volta era molto più usata di quello che sia presentemente, ove entra soltanto in qualche preparazione antica che gode poca riputazione. (Polvere costrittiva. — Polvere deu trinca. — Trocisci d'Alche- cheugi. — Unguento difensivo). Gli antichi medici e gli scrittori di materia medica e di droghe- ria gli attribuiscono facoltà astringente e stagnotica ; ma i medici mo- derni, e sopra tutti Cullen, misero in discredilo il sangue di drago, e lo riputarono un medicamento quasi o affatto inerte. Peraltro dal confronto delle descrizioni che essi danno di cotal droga, sembra evi- dente che quelli che la condannarono all'obblivione non conobbero il sangue di drago vero, e quindi sentenziarono, dirò cosi, questo me- dicamento naturale senza un regolare processo. Ecco quanto ne di- cono gli autori antichi sopra questa droga. Lemery lo definisce un sugo gommoso congelalo secco, facile a rompersi, di color rosso co- me il sangue, tratto per via d'incisione da un albero grande delle Indie, chiamato da.Clusio Drago-urbor ; descrive l'albero e le sue parti ec. Dice il migliore essere quello in lacrime trasparenti, che stilla il primo, ma non ne capitare in commercio ; quindi essere noi obbligati a servirci del secondo, che stilla dopo, il quale ci viene spe- dito in pezzi figurati ora come ulive, involti e legati in pezzi di fo- glie dell'albero, ora in piccole masse che non sono involte. In fine doversi scegliere il sangue di drago netto, puro, raggioso, secco, facile a rompersi, ed assai rosso. Dice poi esservi un altro sangue di drago che scaturisce da due sorta d'alberi delle Isole di S. Lorenzo e del Porto Santo nelle Canarie , col quale gli abitanti di quel paese ne fanno delle bacchettine intrise ed incrostate di questa sostanza , le quali sono dette Legno delle Pallile. Avverte il Lemery capitare al- tresì dall' Olanda del sangue di drago falso in piccoli pani piani, fra- gili, rilucenti, di color rosso-carico, composto con varie gomme, e colorito col sangue di drago vero e col legno del Brasile, e non do- versi usare questo in medicina. La facoltà medicinale che Lemery at- i3a tribuisce al sangue di drago è di essere astringente, glutinoso, dissec- cante, e di fermare i flussi di sangue e le diarree, di detergere e con- solidare le piaghe, di fortificare e rassodare le giunture smosse ec. , usandosi tanto internamente che esternamente. Quantunque sia im- perfetta la suddetta descrizione dei caratteri del sangue di drago ve- ro, poiché non comprende veruna proprietà chimica, e neppur dice se abbia sapore o no, ad ogni modo le proprietà descritte fanno co- noscere che Lemery parlò del sangue di drago legittimo, e che co- nosceva con fondamento la sua qualità astringente. Non così può dirsi di molti autori moderni, i quali, da quanto apparisce, parlano evi- dentemente del sangue di drago falso, condannano il vero pel falso, ed insegnano a comprare il falso pel legittimo. Cullen, per esempio, volendo che si tolga cotesta droga dalla lista de' medicamenti, dice espressamente che questo succo, essendo insolubile ne' menstrui ac- quosi, non potrebbe sciogliersi ne' fluidi animali; quindi ignorava Cul- len, ed insieme tutti gli altri, che il sangue di drago vero è benis- simo solubile nell'acqua bollente, e che quello che non si scioglie è falso. Alibert, descrivendo le proprietà del sangue di drago, dice che esso gode dei caratteri comuni a tutte le resine, che non ha odo- re né sapore, che contiene molto tannino, e che non si scioglie punto nell'acqua, non dovendosi sofisticare sulla solubilità di qual- che piccola porzione di esso nell' acqua per essere presumibilmen- te sostanza gommosa. Sangiorgio poi mette, dirò così, il sigillo alla suddetta opinione erronea , dicendo che allorquando il sangue di drago è puro non si scioglie nell'acqua, e che quando si scioglie nell'acqua bisogna rigettarlo come falso. Noi vedremo evidente- mente che Sangiorgio insegna a provvedere il sangue di drago adul- terato , e non la vera droga. Non sono niente più esatte le cogni- zioni sulle proprietà e sulla natura del sangue di drago che nei trattati di chimica si trovano descritte. In generale tutti i chimici pongono il sangue di drago tra le resine, o tra le resine balsamiche. Tompson, per scegliere uno dei più moderni ed eruditi chimici, col- loca il sangue di drago tra i balsami, e lo descrive una sostanza fra- gile senza sapore e senza odore, che non prova nessuna azione per parte dell'acqua, che si scioglie nella più gran parte nell'alcool, re- stando una sostanza rossa biancastra, sulla quale 1' acqua non agisce i33 che parzialmente. Dice poi che è reso solubile nell'acqua col mezzo della calce, e che l'acido idroclorico precipita una sostanza rossa re- sinosa, e non si manifestano che debolissimi indizj di acido benzoico. Del resto, non fa altro che inserire i caratteri che presenta quando Tiene decomposto dall'acido nitrico e dal solforico, e la produzione del concino artifiziale osservata da flalchet, che è l'unico fatto che può avere indotto l'Aliberl a scrivere nella sua Materia medica che il sangue tli drago contiene molto concino. Dalle sopra riferite notizie e descrizioni del sangue di drago ri- sulta : i.° che in commercio esistono diverse sostanze che portano la comune denominazione del sangue di drago ; 2." che il sangue di drago vero, il quale sembra somministrato principalmente dalla Dracena draco e dal Piero- carpus draco, non è slato ancora esa- minalo a dovere, e che trovasi confuso con sostanze resinose di- verse , siccome apparirà più chiaramente dalla seguente sposizione delle ricerche da me istituite sopra il vero sangue di drago e sopra il preteso sangue di drago. Io conosceva di già le proprietà principali di questa droga ge- nuina, da me esaminata lino dall'anno 1807, in un saggio di ottimo sangue di drago che esisteva allora nel gabinetto chimico, ed aveva pur fatto qualche saggio sul succo della Dracena draco\, coltivata nelle nostre stufe. Neil' occasione di voler confrontare le proprietà di questa droga colle resine presentate al concorso, cercai per tulle le drogherie di Venezia un saggio di vero sangue di drago, e non ne trovai se non presso il sig. Guadagnini farmacista un pezzetto che riconobbi iegiltimo. Tutte le altre qualità, cioè dieci o dodici sorta, erano tutte adulterale. Questa droga legittima è di un colore rosso sanguigno, e fatta in polvere ha color rosso di cinabro. Di rado si ha in lacrime semi-traspa- renti , ed il più delle volte è opaca ; semi -trasparente ai bordi era quella del gabinetto. Ha sempre spezzatura scabra. Sul fuoco manda odore tra quello del legno e del belzoino. E fornita di sapore amaretto un po' astringente, che si fa sentire masticandola. Si scioglie benissimo ed intieramente nell'alcool di 36.B.e', formando una soluzione di color rosso vivace, che l'acqua pura pre- cipita, e cangia in liquido rosso lallicinoso. Si scioglie tutta negli olj. i34 Non si scioglie in quantità apprezzabile nell'acqua fredda, ma nel- l'acqua bollente si scioglie, sebbene poco, e forma una soluzione di color rosso purpureo elegante. Questa soluzione bollente, feltrata elle sia, è chiarissima; ma raffreddandosi diventa latticinosa rossastra, co- me lavatura di carne. Nell'atto della bollitura si manifesta un forte odore di decotto astringente come di salice secco. Se la quantità del- l'acqua è poca, il sangue di drago si fonde, e resta in gran parte fuso sulle pareti del vaso, o in fondo ad esso; ma decantata la bollitura già satura, nuova acqua scioglie, bollendo sulla fusa materia, nuova dose non dissimile dalla prima di sangue di drago, e si colorisce di color rosso purpureo, come la prima soluzione ; dimodoché con repli- cate bolliture si ottengono ripetute soluzioni rosse sino alla fine, e tutto il sangue di drago si scioglie nell'acqua bollente. Invece le sostanze riferibili al sangue di drago falso, imitanti più o meno questa droga, o non danno veruna soluzione acquosa, o danno uno o due decotti poco coloriti, e poi rimangono sostanza insolubile nell'acqua bollente, e solubile invece più o meno completamente nel- l'alcool e negli olj alla maniera delle resine. Nessun sapore amaro ed astringente presentano quelle che non danno decozioni colorite col- l' acqua. I decotti di sangue di drago vero dal primo all'ultimo s'intorbida- no mediante il raffreddamento ; hanno essi sapore amaretto tin poco astringente. La soluzione di gelatina animale non mula la loro traspa- renza: prova che non esiste concino nel sangue di drago, e che il san- gue di drago non è per se stesso una modificazione del concino. Così pure il solfato di ferro dà con questa soluzione un precipitato rosso di lacca pallido, e nessun altro coloramento, e molto meno il color nero d' inchiostro : prova che non esiste neppur acido gallico nel san- gue di drago. La soluzione del sangue di drago nell'alcool, precipitalo coli' acqua, viene rischiarata subito da poche gocce di carbonato di potassa, e produce una soluzione trasparente di color rosso volgente al pavonazzo. L'acido nitrico precipita la soluzione, e forma un pre- cipitato giallo che non è sostanza decomposta, poiché l'alcali ridiscio- glie il sedimento, formando una soluzione rossa come prima. Tutti questi caratteri, mentre fanno conoscere la differenza tra il sangue di drago vero e 1' adulterato) dimostrano pure nel sangue i35 di drago legittimo l'esistenza di una sostanza particolare diversa dalle resine, che non hanno solubilità nell'acqua ancorché bollente, e diversa dalle gomme, che non sono solubili nell'alcool. Una tale so- stanza apparisce pur differente da qualche altro principio immediato scoperto in questi ultimi tempi, e soprattutto dall'ematina trovata nel Campeggio, e dalla materia colorante del sandalo rosso, sco- perta da Pelletier, alla quale rassomiglia più che a qualunque altra, come dimostrerò in seguito. Quindi volendo distinguere con un nome proprio siffatta sostanza particolare del sangue di drago, la chiamerò Dracina j ad imitazione di altre che vennero chiamate dalle materie in cui dapprima.. fli rinvennero. Ma non doveva supporre che il san- gue di drago , benché legittimo , consistesse tutto quanto di questa sostanza , tanto più che aveva osservato che la prima decozione del sangue di drago, dopo il raffreddamento e la precipitazione della dra- cma, lascia un'acqua che ha un fondo di color giallognolo; ciò che mostra l'esistenza di altri principj nel sangue di drago vero, benché in iscarsa quantità. Cosi pure è rarissimo di trovare campioni di sangue di drago genuino, il quale non abbia in sé sostanze straniere visibili anche ad occhio nudo; condizione alla quale sono pure la massima parte di resine, gomme, gomme resine, balsami ec. del commercio. Finalmente doveva assicurarmi sulla purezza della dra- cma , e giustificare con maggiori prove la particolare sua natura. Im- presi adunque ad estrarre e depurare la Dracina nel seguente modo. Ridotto in polvere un pezzo di sangue di drago d'un bellissimo cam- pione che ebbi dalla gentilezza del sig. Dottor Pietro De' Col, lo trattai coli' alcool di 41-0 B.e', in cui si sciolse facilmente anche a freddo, e diede la solita tintura rosso-carica. Questo sangue di drago lasciò o,oo56 di materie straniere, cioè frammenti di fibra legnosa e dell'invoglio del pezzo, ed un precipitato bruno che non mi cu- rai di esaminare ulteriormente. La soluzione alcoolica la concentrai coli' evaporazione finché una parte di sangue di drago si trovava sciolto in tre circa di alcool, e versai la tintura così calda nell'acqua fredda. L'acqua produsse tosto un forte intorbidamento, e la preci- pitazione della dracina anche in gran parte aggrumata in un sol pezzo, riuscito quindi tutto cavernoso. Feltrai e levai la dracina tanto aggrumata che in polvere con acqua fredda; quindi la assog- gettai a diversi tentativi, nel primo de' quali era stato indotto a so- spettare che potesse non essere pura una tale sostanza. La dracina così ottenuta, triturata coli' acqua fredda, aguzzata da un centesimo d'acido solforico, produsse una separazione di fiocchetti rossi, diversa dalla sospensione di rosse particelle in un liquido inerte , e troppo atta a manifestare un' azione chimica del reattivo sopra la nuova sostanza. Misi questo liquido al fuoco; ed appena ehbe un calore di 22.0 R. circa, li fiocchetti si unirono in grumi che si attaccarono al fondo del vaso, e nel tempo stesso si mostrò un liquido giallo puro molto acido. Decantai questo liquido, che non ebbe bisogno di filtrazione, attesa la sua molta chiarezza, e lavai il sedimento con acqua pura distillata fredda finche fu perfettamente edulcorato. Mi sembrava di scorgere nella dracina così preparata un principio im- mediato puro, e che l'acido solforico avesse separata una particolare sostanza , combinata prima colla dracina ; ma presto rinvenni dal mio errore, continuando a cimentare il residuo di questo trattamento con nuova acqua ed acido solforico. In somma, mi assicurai che l'acido solforico si combina colla dracina, e forma una combina- zione di un bel giallo puro, solubile più a caldo che a freddo nel- 1' acqua, ma solubile in questo menstruo anche a freddo. Continuai adunque le osservazioni sulla dracina preparata come sopra, suppo- nendola pura, e ne stabilii i suoi caratteri, che sono i seguenti: E una sostanza di bel color rosso, che varia nell'atto del colore, secondo la fisica disposizione delle parti sue. E rosso cremesi quando è fusa e solida . rosso di cinabro vermiglione quando è ridotta in polvere, e rosso-rosea quando è precipitata da un'acquosa soluzione col mezzo del raffreddamento e del riposo. Non ha odore, né sapore sensibile; masticandola s'impasta sotto i denti, dimodoché si può impastarla subito dopo colle dita. Ai gradi venti o ventuno del Terni, di Reaumur si unisce e si aggruma per un principio di fusione; ai gradi trenta e sotto si può tirarla a filo come la cera lacca; ed ai gradi cinquanlacinque è completamente fusa. Ai gradi cinque sopra il zero è fragilissima, e si riduce in polvere fina. L'alcool freddo scioglie perfettamente la dracina, formando una soluzione rossa di sangue. L'acqua fredda non attacca sensibilmente la dracina, ma 1' acqua bollente la scioglie, e forma una soluzione rosea carica, che i37 s' intorbida raffredclanclosi , e somministra col riposo un sedimento polveroso roseo come polvere di lacca, di verzino pallida . La solu- zione bollente rossa di dracma diventa subito gialla con una goccia a due d'acido solforico instillalo su d'essa. Dell' istesso giallo colore diviene pure cogli acidi nitrico, idroclorico ed anche acetico, instil- lati a una o due gocce, secondo la quantità del liquido rosso. Gli alcali e le terre alcaline restituiscono il color rosso alla soluzione , saturando l'acido. Mi sono accertato con ripetuti esperimenti che la dracina fa le funzioni di base salificabile, ma che la sua facoltà sa- turante gli acidi è minima. Se si voglia paragonare la dracina agli alcali organici, chinina, cinconina, morfina, stricnina ec. , scoperti in questi ultimi tempi, si può dire che la dracina ha quel rapporto cogli alcali suddetti che hanno le terre pure cogli alcali e colle terre alcaline. Qualunque esperimento io ni' abbia fatto per iscoprire alcalinità decisa nella dracina, non diede che risultati negativi; ma l'unione di essa con lutti gli acidi, e la formazione di composti gialli che gli alcali e le terre decompongono , la fanno risguardare come sostanza analoga alle basi salificabili. Questo carattere serve an- che a distinguere la dracina dalla sostanza colorante del sandalo rosso, alla quale, come dissi, rassomiglia più che alle altre tutte, perocché la materia colorante del sandalo rosso non forma combina- zioni gialle cogli acidi, ma ritiene il suo color rosso. E poi essa meno, fusibile e meno solubile nell' acqua bollente , né si separa in una polvere rossa di lacca come la dracina. Non potendo io qui co mpiere la storia delle proprietà partico- lari della dracina pura, perchè gli esperimenti su di essa instiluili non furono ancora condotti a termine, mi limiterò a riferire le due seguenti osservazioni, 1' una delle quali risguarda la purezza della dracina, e l'altra l'applicazione di cui è suscettibile ad uso di reat- tivo. i.° La dracina suddetta contiene un poco di acido benzoico; e quando ne è privata, ciò che si può ottenere col mezzo della ma- gnesia, il suo colore, nonché quello della sua soluzione alcoolica, è di un rosso volgente al pavonazzo. 2.0 La combinazione della dra- cina coli' acido solforico, ossia il solfalo di dracina, può servire di buon reattivo per le basi alcaline, e la preparazione del reagente è facilissima. Basta versare dell'acido solforico diluito coli' alcool so- 18 i38 pra la soluzione alcoolica di dracma , poi precipitare il tutto col- 1' acqua , e scaldare un poco il liquido latticinoso : allora si aggruma e si fonde il solfato di dracina, il quale, lavato con acqua distillala fredda finche non arrossa più la carta di tornasole , si scioglie poi in acqua bollente , e questa soluzione gialla bollente è il reattivo, che diventa subito rosso con una minima quantità di sostanza alcalina. Cosi la soluzione rossa di dracina pura diventa gialla al contatto di qualche acido. Si ha pertanto nella dracina un reattivo per l'acidità, e nel suo solfato un reattivo per l'alcalinità; e la sensibilità del sol- fato è tale, che per esso si arriva a scuoprire le basi dove non si sospetterebbero mai. E siccome l'acido carbonico non ha abbastanza affinità per la dracina , e certamente non forma combinazioni gial- lognole colla stessa, avviene che anche i carbonati, per esempio quello di calce, fanno cambiare il colore alla soluzione del solfato, e la stessa carta da filtro usuale, cbe contiene del detto carbonato, muta in rosso il colore giallo del solfalo di dracina. Quando avverrà che le occupazioni mie il permettano, cercherò di determinare la capacità di saturazione della dracina, e la composizione remota della stessa. Frattanto le osservazioni riferite varranno a dimostrare la na- tura particolare di una tale sostanza, ed a riconoscere che essendo essa il principio caratteristico e quasi unico del sangue di drago ge- nuino , si potrà d' ora in poi giudicare siccome droga artefatta qualun- que sostanza che non si mostri costituita quasi per intiero dalla dra- cina medesima , e similmente essere tanto più genuina e pura una tal droga, quanto più consiste in dracina immune da qualunque al- tra sostanza eterogenea, sia combinata, sia mescolata. i3g ANNOTATIONES ANATOMIGAE DE CANALICULO OSSEO CRAN1I HUMANI ET DE GANGLIFORMI CONNEXIONE TERTII AC SEXTI PARIS NERVORUM CEREBRI AUCTORE FLORIANO CALDANIO V. NONAS 1YU AN. MDCCCXXIII. Vjum de vita diìectissimi Patrui mei Leopoldi Caldanii coni- iiientariolum haud ita pridem conscripserim (0, illud in primis mei muneris esse existimavi, ut ea omnia ab ejus evulgatis operihus ex- promerem, quae mihi ad commemorandum necessaria viderentur; atque ita quid medica ars aut anatomica ejusdem studiis investiga - tionibusque profecerit, protinus elucesceret. Quoniam vero peculiare quoddam foramen, quod Caldanius primus, ut arbitrar, in cranio descripsit, leviter attigi (Q) de eo me alias ac fusius acturum animo reputans, rem haud inutilem fore duxi, si ea quae in commenta- riolo locum habere non poterant brevi nunc sermone compleclerer, ut accuratior sit foraminis illius historia, et inventori cumulus aliquis meritae laudis accedat. (i) Memorie intorno alla vita ed alle ope- re di Leopoldo M. A. Caldani, 1822. (2) Praeler l'orameli illud plura alia in ope- ribus Caldanii fuissent accuratius persequeu- da , et , quo ad aliatomeli , experimenta in pri- mis et observationes, quibus in veram ossium texturam iuquisivit. li porro qui expertissimo anglo cbirurgo Coopero taeuiam cellulosae naturae acceptam rel'eiunt aTrausversaabdo- minis musculo procedentem, el fascine trans- versalis nomine distinctam, in hernia crurali maxime altendendam, Patrui mei consulaut Anatomicas Inslitutiones, ubi ( §. 35i.) legi- tur : frequenlius hi duo musculi ( Rectus et Pyramidalis) in hac inferiori abdominis par- te celluioso textuì peritonaeum circumam- bienti accumbunt; etsi aliquando etiam te- nuior quaedam aponeurosis , a Transverso procedens, hisce musculis et peritonaeo in- tcrjiciatur. 1 *u Posteaquam igitur foramina omnia, quae cranii ossibus insculpla sunt, Caldanius in suis Analomicis InslitutioniLus enumeravit , ad- didit (0 supra ossa palatina , qua in sede nares interiore* super ius ac posterius limitante nempe supra horum ossiculorum apophjsin nasalem, ad luterà apophyseos ossis vomeris, forameli alter uni, idque constans , observarij quod tamen commune est tum huic nasali apophjsi, tum superincumbenti ossi sphenoideo . Sulco quodam plerumque indicatiti' basilari ossi insculpto, per quem seta, etiam crassiuscula, si trajiciatur, canaliculo quodam superato recta ducit anterius in nares ad interval- limi, seti potius hiatiun, quem os turbinatimi superius ea ratione in- tercipit, ut duo turbinata ossidila videantur , etsi unicum sit, posterius in duas inaequales portiones, neque tamen a summo ad inumi, prope- modum dispertitum. An hoc forameli illud est, per quod surculus ner- veus trajicitur, ex secundo ramo quinti paris profectus, qui, summo .dibino admonente (Espi. Tabul. Eustach. tali. XVIIT. pag. ioo. F), penetrai in posteriorem partem nasi per forameli quod fit ex osse pa- lati et multiformis basi, ad partem nasi posticam et eamdem supe- riorem lateralemque ? Haec profecto descriptio foramini in praesens indicato videtur apprime convenire . Adiis ergo clarissimis V-iris foramen illud innotuisse Caldanius pu- tavit; ideoque nullius appetens gloriae , et sibi ipsi diffidens , satis babuit se celeberrimorum A.natomicorum observationes confìrmavisse . remque oblivione obsoletam a silentio quodainmodo v'indicasse. Cutn vero ipsemet Albini opera consuluerim, et in essiccato sce- leto foramen et canaliculum , raox in recenti cadavere contentum nervum ad esamen revocaverim, affirmare nullo modo dubito, fora- men a Caldanio observatum atque descriptum, neque ab Albino fuisse indicatum, neque nervo inservire quem Eustachius tabulis suis re- praesentavit, quemque Albinus ipse ad nares properare arbitralus est. Et re quidem vera postquam Albinus anno transacti saeculi sesa- gesimo primo Eustacbianas tabulas suis aiiirnadversionibus ornatas publici juris fecit, opus alterum evulgavit de scelecto umano (•*), in quo ne verbum quidem invenies de foramiue a Caldanio descripto: quod enim in naribus utrinqne memorat foramen ex cornubus ossium (i) §. 177. (?) Leidae, 1762. i4i palati cum basi multijormis sub sinu ejus convenientibus (<), magnani appellai:, ovalum, atqxie in .palatino osse maxiniam parlem inscul- ptum, aut totum omnino(2), cornua sejungens ejusdem ossis palatini. Quam sane descriplioncm cum Àlbinus figurarum enuncialione con- firmet, quas ipse summa qua pollebat industria delineatas exhibuit in suis ossiuni tabulis splendidissimis, manifestum est, foramen ab Albino indicalum illud esse, quod a Caldanio incisura dicitur ossis palatini, quae forameli propemodam compiei (5). Unde necessario con- sequilur, ut si foramen, de quo quaestio est, tanti Viri diligentiam effugit, Caldanio concedas. Effugisse vero noscet unusquisque, qui iconem quam curavi cum Albinianis figuris velit comparare (4). Fo- r ara ini addilur continuus canaliculus lineas tres parisienses circiter aequans longitudine, qui initio nonnibil ampliore retro fessuram pte- rygo-palalinam ducto , sensim angustior fit, et sub canali Vidiano aliquantulum interius ab anlerioribus ad posteriora decurrit. An vero nervus a secundo ramo nervi quinti paris cerebri per foramen modo memoratum penetrat in posteriorem partem nasi, ut Caldanius ex Albini sententia conjectando proposuit? Annon potius nervus ab Eustachio repraesentatus ad nares minime perlinel? Nervus quidem F in Eustachiana figura a trunco procedit jam canalem in- gresso in inferiori orbitae pariete excavatum ; et me latet profecto quinam nervi ab eodein trunco intra canalem exorti nares percur- rant. Fridericus Meckelius, cui absolutissimum opus acceptum refe- rimus de quinto pare nervorum cerebri ramum pinxit, quem nervum subcutaneum malae appellavit, ab interiori latere trunci prodeuntem intra canalem infraorbitalem. An idem ille est, qui ab Eustachio delineatus naribus ab immortali Albino tribuitur? Verum cum Meckelius, Scarpa, caeterique clarissimi Viri, qui post Albini aetatem in ramis quinti paris nervorum extricandis dili- gentiorem operam navarunt, nullam canalic illius mentionem fecerint aut nervei ramuli eam viam seligentis, in nervum ipse inquisivi ca- naliculo, contentum de quo egit Caldanius, ut eum cura nervo com- pararem quem Eustachius indicavit, et viderem nura parti prospi- ceret narium posteriori. Rem autem toto caelo distare perspexi. Law (1) Ibid. pag. 240. (3) Instit. Analom. §. i4g- (2) Ibid. pag. 196 * (4) Vide adjpctam iconem nostrani in noia e. 142 niella siquidem palatini ossis diffracta, quae canaliculum inferius finit , tenue filum deprehendi , quod a radice , ut mihi quidem vi- suni fuit, palatini nervi postici prorumpens, in fovea pterygo-palatina statini ad posteriora vertitur, per canalem trajicitur de quo hacle- nus verba feci, et foraminulo egressum, ramulos in proximas partes diffundit , usque ad supremum et posticum pharyngis parietem. An nervus isliusinodi inter ramulos nasales supeviores posteriores adnumerandus est ex nervo canalem F'idianum ingresso ortoSj per- forantes membranam canalis Vidianij, et sub sinu sphenoideo in na- sum continuatoSj de quibus Meckelius paullo ante laudatus (0? An- non potius prò posteriori ramo habendus est e nervo Vidiano, quem celeberrimus Scarpa icone effinxit (2) , quique per peculiarem cana- liculum de canali Ridiano et osse sphenoideo egressus, continuo supra membranam fornicis faucium, atque eam qua Eustachianae tubae orifi- cium ad fauces obducitur se distribuii (3)? Si ergo in origine nervi illius. assignanda Caldanius Albini aucto- ritate deceptus fuit, si foramen et canaliculus illi conlinuus in omni- bus cadaveribus eademque in sede reperitur, quin ab Anatomicis aliis aut descriptus fuerit aut delineatus, non abs re esse putavi ad Patrui mei dilectissimi oliservationem illustrandam nonnulla addere, quae dum canaliculi officium demonstrant, arrepta occasione, Eusta- chianae figurae probabiliorem reddunt interpretalioiiem. Ad alterum nunc dissertatiunculae hujus argumentum transeo, et ea paucis complectar, quae circa sextum nervorum par ileratae mihi observationes suppeditarunt. Vulgata quidem inter Anatomicos sen- tentia jamdiu erat, quartum et sextum cerebri nervum ne minimum quidem surculum emittere, et illuni in trochlearem oculi musculum, hunc vero in abducentem solummodo distribuì, ramis tantum exce- ptis qui a sexto ad intercostalem nervum conferunt, vel , ut aliis arridet, ab intercostali adscendunt ad sextum. Etsi aliqua Winslowio inciderit suspicio, quartum nervorum par cum frontali ramo quinti paris connecti, Pelitus tamen, Zinnius, Hallerus aliique sommi Viri iiullam adesse quarti nervi cum aliis communicationeni scripserunt, (i) Loc. cit Explicat. figurae I. j. i. t. (3) Ibid. pag 71 (2) Anat. Annot. lib.II. Tab. Il.fig. II. nota io. • i43 quae tandem nostris hisce temporibus ab experientissimoSoeminerring detecta fuit ac demonslrata: invenit enim clarissimus Vir qnartum nervum accedente quinti filamento augeri (') . Restat igitur solum sextum nervum non antea ramulos producere, ut Morgagni verbis ular (2), quam cum musculum attingat, per cujus superficiem cum eos explicaverit et ipse finilur. Zinnius nervum illuni ramo inferiori tertii paris interius multa cellulosa adnecti scripsit (3) addiditque prae- ter radicem ad intercostalem in toto itinere ne minimum c/uidem sur- culum emittij nervea fda silentio praeteriens, quae carotidem arte- riam circumdant aut per illius membranas disseminantur, quaeque ante Zinnium illuslris Morgagnii diligentiam minime fefellerant (4), nunc aulem Soemmerringi sollertia descripta ac delineata (5). Cum sexti nervi decursum in pluribus cadaveribus attente consi- derassem, numquam autem illuni a tertii paris trunco sejunctum , quia immo arctissime semper cum ipso connexum vidissem, aliqua mihi fuit suspicio , sextum nervum a caeteris non ita differre , ut nullum ipsi sit cum aliis commercium, quemadmodum a clarissimis Viris hucusque accepimus. Et ea sane nervorum adhaesio in caussa fortasse fuit, cur ili. Bergen sextum nervum in orbita jungi docuit inaino interno nervi ophtbalmici constituendo plexum ophlhalmicumify , id quod anatomicorum nemo in posterum confirmavit. Nihilominus negari nequit memoratos nervos firmo nexu invicem colligari. Id , inquies, multae cellulosae deberi Zinnius observavit. Quid vero, si non multaniy sed brevissimam eam cellulosam esse affinilo, et si filamentis illis leni maceratione confectis atque consumptis , nervi tamen ab invicem non separantur? Gangliformem téxtum mihi in ea connexio- ne nervorum videre visus sum, quem ea fide cum nobilissimae hujus artis cultoribus communico, ut ante non velint abnegare quam ad trutinam revocent severiorem. Gangliformis textus ille, nerveisque filis implicitum rete tunc evidentius in oculos incurrit, cum nervos, de quibus senno est, insimul conjunctos, e propria sede ita remove- mus atque convertimus, ut superficies eorum inferior superior fiat , (i) Icori, ocuì. human, png. 3y. (5) Loc. cit. pag. ^o. (2) Epist. Anatom. XV. §. 4^- (6) Inter Dis/julationes Anatom. Halleri (3) Descriptio anatom. oculi bum., pag. 101. Tom. II. pag. 877 (4) Loc. cit. §. 49- i44 in qua fila ter quaterque conspexi ab uno in alterum nervum de- ducta. Hujus novi ganglii luculentissimum exemplum prostat in mu- seo anatomico celeberrimi Archigymnasii Patavini. At si quaeret quispiam , quid ganglion illud praestet , aut quae- nam utilitas in phaenomenorum explicatione ab indicata filorum ner- veorum communicatione sit expectanda , facile erit respondere, hu- iusmodi quaestionibus tunc nos satis esse facturos, cum ratio inno- tescet, qua tertium nervorum par cum quinti paris surculis ganglion opbtbalinicum constituit, et qua tenuissimo quarti paris trunco fila- menlum adcrescit a ramo frontali ejusdem quinti paris procedens. TABULAE EXPLICATIO HUMANl CR^MI INFERIOREM SUPERFICIEM REPRAESEKTAT. a. Os vomeris. b. b. Inferior facies ossis sphenoidei sub sinu. e. e. Apophyses nasales ossiuui palatinorum. e. e. Foramina a Leopoldo Calclanio descripta, per quae nerveum filainentum ad posteriora decurrit. i45 FONDAMENTI DELLE TAVOLE ASTRONOMICHE DELLA LUNA E DEL SOLE CALCOLATE PEL MERIDIANO DELL' OSSERVATORIO DI PADOVA dall' abate FRANCESCO BERTIROSSI-BUSATA MEMORIA LETTA ALLA CESAREO - REGIA ACCADEMIA LI IX GENNAJO MDCCCXXIII J.L mio disegno di dare delle Tavole della Luna e del Sole di picciola mole e di poco costo, ad uso specialmente degli Astronomi viaggiatori, e di molte altre colte persone che pur di Astronomia si dilettano, già altre volte manifestato a codesta Cesareo-Regia Acca- demia, è quasi giunto al suo termine. La prima parte, cioè le Ta- vole Lunari j han di già veduta la luce sin dall'anno scorso 1822 co' tipi del nostro Seminario; la seconda, cioè le Tavole del Sole> so- no belle e preparate, e le renderò di pubblico diritto (a Dio piacendo) nell'anno corrente i'òij. Della maniera di servirsi delle prime con facilità e speditezza, ne ho detto abbastanza nella prefazione an- nessa alle Tavole stesse. Mi resta solamente di far qualche cenno dei fondamenti delle medesime e delle formule da cui sono dedotte, non avendone fatta menzione nella prefazione suddetta per amore di brevità. Cominciando adunque dalle Tavole Lunari j stetti per al- cun poco indeciso di qual formula dovessi servirmi , giacché quanto è ottima la disposizione delle Tavole del sig. Burckhardt, altrettanto è lunga e difficile a potersi restringere in poche pagine. Quella di '9 i/+6 Burg (') è forse più breve; ma troppo prolissa nella formazione degli Argomenti e nella invenzione delle Equazioni. Mi appigliai dunque ad un partito alquanto differente da quello degli altri Astronomi. Partii dall' epoche di Burg col semplicemente ridurle al meridiano dell' Os- servatorio di Padova pel primo di gennajo di ciascun anno a mez- zodì medio, disponendo in seguito le Equazioni secolari in altra co- lonna, e poi i Moti medii pegli anni futuri in una terza, e cosi via via, colle formule necessarie; indi prendendo per mano la formula del sig. Burckhardt, l'ho trasformata nella seguente, che a me sem- bra meglio disposta alla più semplice e pronta formazione degli Ar- gomenti, lasciando intatti i coefficienti, ad eccezione del primo della latitudine , di cui ho fatto parola nella prefazione alle Tavole di già stampate. Eccole intanto come sono disposte e da me adoperate. Equazioni della Longitudine Lunare (a). / 1) — 65f)' ,3 sen. a (2) — 7, 1 sen. ia (3) -+- 109,4 sen. [A— a) (4) + 83,8 sen. {A— 2 3) (5) — 7t>,6 sen. (A-\-a) (6) — 0,7 sen. [A-k-2a) (7) — °»7 sen- (2(<— A) (8) — 0,8 sen. (a—zA) (9) — 0,3 sen. [zA-^-za) (io) — 7,4 sen. (2A—2S) (n) — 1,1 sen. (3 A— I^D) (12) — 23,5 sen. (D—A) (i3) — 2,3 sen. (D-\-A) (i4) -+- 2,3 sen. (D— a) (i5) -r- i3,7 sen. (D-\-a) (16) — 17,7 sen. (zD-t-a) (1) Vedi le Tavole Lunari di Burg, stam- raolivo nella prefazione, ed inoltre si faccia nate a Parigi l'anno 1806 in 4-° attenzione alla picciolezza dei coefficienti, e (2) Due Equazioni sono state omiuesse, cioè si vedrà che la loro ommissione niente nuoce '47 (17) -+- i47>3 sen* (2^ — a) (18) ■+■ 7,3 sen. (2D — la) (19) - 57,7 sen. (2/?-^) (20} — 4>3 sen- (2Z?+2^) (21) — ^7,9 sen. (2/? — iA) (22) — 0,9 sen. (2D — ZA) (23) -+- 59,2 sen. (2O-2J) (24) -f- 2,1 sen. (2/?+3) (') (25) — 10,0 sen. (2Z>-4~4) (26) -+- 190,3 sen. (2D — 5) (27) -+- 6,7 sen. (2D — 6) (28) — 0,9 sen. (2/2-1-7) (29) 4- 4,6 sen. (aZ>-j-8) (30) -f- 6,6 sen. (23 — A) (3i) — 18,4 sen. (16—^) (32) — 2,8 sen. (21 — A) (33) + 1,8 sen. (23— a) (34) — 7,0 seri. (supl. il) (2) Conviene finalmente avvertire che nella formula superiore a rappresenta l'Anomalia media del Sole, contata dal Perigeo. A l'Anomalia media della Luna similmente dal Perigeo. D la Longit. med. della C — Long. med. del ©. 3 la Long. med. della ([ -+- Suppl. del Ci. Chiamando in seguito N la somma dei Termini, o sia delle Equa- zioni precedenti della formula, dati in gradi, minuti secondi ec. di arco, questa aggiungerassi all'Evezione nel modo seguente: -+■ 4825", 5 sen. (2D-hN— A) + 35,5 sen. (4Z>+aiV— 2 A) che darà un' Equazione che, sommata con N_, chiameremo N'j con cui correggerassi Y Anomalia media, i di cui termini saranno: -)- 22692r',4 sen. [A-\-N') -+- 777)i sen. (2A-\-2N') -+• 37,2 sen. (3^-r-3iV') -f- i,8sen. (4^-KiV) (1) Le cifre arabe sotto i seui indicano gli (2) Veggasi la formula di Burckhardt nelle Argomenti superiormente trovati. sue Tav. Lunari stampate a Parigi (1812) 4-* i48 Da quest'Anomalia corretta otterrassi un'equazione che, sommata con N', si chiamerà N", mediante la quale si procederà alla corre- zione della Variazione coll'ajulo della serie seguente: — 122", 7 sen. [D-\-N") -+- 21 38,6 sen. (2P-H2ÌV") -r- 2,9 sen. (3D+3N") ■+- 9,1 sen. (4Z>-(-4iV") La somma dei termini di questa serie in gradi, minuti ec, unita a N" chiamerassi N'", che aggiunta alla Longitudine media della ([, darà la Longitudine vera della ([ nell'Orbita. Per poi ridurla all'Ecclittica mi servii dell'Equazione seguente: — 4l2"> 2 sen- (2 S-\-2N'") L'Equazione ottenuta da questa formula sommata con la quantità JV" si chiami N"", ed in seguito rappresentando per L la Longit. med. della <[, si avrà la Longitudine vera della Luna sulla Ecclitti- ca~L-\-N"", cui converrà aggiungere la Nutazione rinchiusa nel- l' Equazione seguente : -+- 18", o sen. [Suppl. Ci). Sono questi in pochi cenni gli elementi su cui calcolai le mie Tavole Lunari per la parte che riguarda la Longitudine vera; passo ora alle formule della Latitudine. La formula della Latitudine Lunare del sig. Burckhardt con po- chissimo artifizio si può collocare sotto il seguente aspetto ('). -i- i852o",8 sen. [S+JV'") — 5,7 sen. (3*— 32V'") -t- 526,2 sen. {■2D-\-N'"-S) — 8,0 sen. {(^vera) (2) -+- 14,7 sen. (3-\-N'"—J) — 25,9 sen- {3 + N'"—a} ■+- 23,9 sen- (S-hN'"-ha) -+- 22,4 sen. (17-Hir — 9) (3) — 10,1 sen. (i6-{-N'"-3) -+- 27,0 sen. {2j-\-N'" — 3) (i)Ve3i le citate Tavole del sig. Burckhardt. (3) I numeri in cifre arabe sotto i seui in- (2) ([ vera. Intendasi la Longitudine vera dicano gli Argomenti della Longitudine, della Luna di sopra trovala «49 gS - 5",i sen. (2x+N'"-S) -+- 2,5 sen. (i9+N'"-S) -+- i6,3 sen. {A— III) (0 N.B. Ho tralasciati nelle mie Tavole i Moti orarjj e ne accennai, il motivo nella prefazione. Formula della Parallasse Equatoriale. Il sopraccennato sig. Burckhardt non dà nelle sue Tavole for- mula alcuna per ottenere la Parallasse Equatoriale; l'ho quindi presa dalla formula del sig. Damoiseau, (ved. Connaissance des Temps i823) introducendovi poche modificazioni e riduzioni, che facilmente scor- gere si possono col confronto. Eccola tale e quale l'ho impiegata nelle mie Tavole. Parallasse Equatoriale. — o",3 cos. a "(*) -1- i86,3 cos. A -\- 10,2 COS. 2 A -+- 0,6 cos. 3A — i,o cos. D -+- 28,5 cos. 2D -h 0,2 cos. 4Z> (*) -+- 1,2 cos. (3) (2) — 0,7 cos. (4) — 0,9 cos. (5) ■+■ 0,1 cos. (i5) {*) (1) Il numero III in cifre romane significa di già videro la pubblica luce; e pel rimanente il terzo Argomento della Latitudine. da me ommesso, il benigno lettore potrà consul- ta) Le cifre arabe sotto ai coseni indicano an- tare la prefazione, le citazioni e gli esempj. Che che qui gli Argomenti della Longitudine Lunare. se a taluno sembrasse la formazione degli Argo- Perciò che riguarda il Semidiametro Oriz- nienti alquanto lunga e tediosa, faccia attenzio- iontaìe, siccome questo dipende dalla Parallas- ne alla disposizione della formula, e vedrà che se, si consulti la pag ai delle Tavole. si possono ottenere con agevolezza e senza gran Sono questi, come dissi, gli elementi su cui perdita di tempo. sono state costruite le mie Tavole Lunari, e che i5o — o'',3cos. (16) («) -+- 0,9 cos. (17) -+- 3, 1 cos. (19) ■+- 0,1 cos. (20) (*) — 0,4 cos. (21) (*) — 0,2 cos. (22) (*) 0,2 COS. (23) (*) -f- 1,4 cos. (26) — 0,1 cos. [l'i- A) (*) -I- 0,2 cos. (aZ>+3) (*) -~ 0,2 cos. \iD— 3) (*) -+- 34,4 cos. (2D—A) -+- 0,6 cos. (^D—A) ■+■ 0,4 cos. (4Z>— iA) (*) 2V.5. L'asterisco indica i termini che si possono trascurare, senza offendere di troppo l' esattezza . Ordine e formule di cui jeci uso per la costruzione delle Tavole del Sole. Per restringere in poche linee anche questa seconda parte , dirò prima di tutto di essermi servito, come il chiariss. sig. Carlini, delle epoche del sig. De Lamhre, ridotte al pari che quelle della Luna al giorno primo genaajo a mezzodì medio per l'Osservatorio di Pa- dova, e delle perturbazioni del celeberrimo sig. La Place (vedi lo stesso De Lambre nell'Introduzione alle Tavole Solari. Parigi 1806 in 40)- La disposizione però è un qualche poco diversa da quella comunemente seguita dagli Astronomi; se non che hanno queste qualche analogia con quelle del teste nominato sig. Carlini, special- mente nella invenzione dell' Equazione del Centro e del Raggio Vet- tore. Riguardo l'altre tutte, io credetti miglior consiglio il bandire tutte l'Equazioni a doppia entrata^ e contentarmi piuttosto di accre- scere il numero degli Argomenti e delle Tavole , per render più agevoli le parti proporzionali a chi calcola. i5i Gli Argomenti di Perturbazione che io chiamo elementari, sono gli stessi che quelli del De Lamhre , disposti in parti millesime della circonferenza, e ne' quali si assume: ^ = Long. med. della ([ — Long. med. del © — 22 parti. M = Anomalia media della ([ dal Perigeo. C = Longitud. elioc. di $ Z? = Longitud. elioc. di J1 E= Longitud. elioc. di 2J. F = Longiftid. elioc. di f, tutti distesi anno per anno, mese per mese ec. , a canto i due prin- cipali, che sono la Longitudine media del Sole, e l'argomento annuo di correzione dell'Equazione del centro e del Raggio lettore in tempo. Su di che vuoisi osservare, che siccome 1' Equazione del cen- tro ed il Raggio Vettore hanno per argomento l'Anomalia media del Sole, così per render più facile, e trovare quasi a colpo d'occhio queste due quantità , ho supposto che in ogni anno al primo gen- naio a mezzodì medio l'Anomalia media solare sia = o, e quindi ho disposte le due Equazioni per Giorni dell' anno , coli' introdurvi per compenso il sopraccennato Argomento , che chiamo di correzione , che fa le funzioni dell'Anomalia media in tempo, e che devesi sot- trarre od aggiungere a quel tempo per cui si calcola giusta il segnò che alle Tavole apposto si trova. Per via d'esempio, si supponga che abbiasi a calcolare l'Equa- zione del centro pel giorno 23 giugno 1823 a 3.h 40' di tempo medio per Padova. Si cerchi nella colonna dell' argomento annuo di cor- rezione l'anno citato, e troverassi-H io.1' 5'. 36", 1 che sommate col- le 3.h 4»'- o", si otterrà = 23 giugno i3.h 45'. 36", 1, o sia pel gior- no 174 dell'anno a i3.h 45'. 36", 1. Onde poi ottenerlo con tutta esat- tezza, vi sarà di mestieri di una picciola parte proporzionale, che si prende in una colonna a canto con somma prontezza e facilità. In ugual modo si proceda per l'invenzione del Raggio Vettore. Questa Equazione del centro pertanto, unita alla sua variazione secolare, è calcolata sulla formula seguente: -hi.0 55'. 26",352sen.a + i'. i2",67osen. 2a-t-i",o57 sen. 3a+o",oi8sen.4a l52 L" Equazione secolare — 17", 177 sen. a — o", 36 1 sen. ia — d',001 seri. Za dove a rappresenta l'Anomalia media del Sole, contata dal Perigeo. Tra l'Equazioni di perturbazione la prima che si offre è quella dipendente dall'azione lunare, cioè ^'=^4-2 2+3", 7 sen. (2j—M)+i-]",5 sen. M. Seguono poi le perturbazioni prodotte da Venere , rinchiuse nei termini seguenti: -h5",67sen.(C— B)— 6", 45 sen. 2 (C— 5)-o",8 sen. 3(C— B)-o",2^sen4(C-B) -Ho", i5 sen.(2C-3^)-t-2",78 cos. (2C—3B) 4-0", 37 sen. (3C— 4B);-f-i",87 cos. (3C-^B) — o',23 cos. (4C — SB) — i",i3 sen. (3C— 55)+o",44 cos. [3C-5B). Perturbazioni prodotte da Marte. — o",3i sen. (B—D) — z",53 sen. 2 {B—D) + o",i6 sen. 3{B—D) -i-i",5sen.(2D—B)+i",5cos.{2D—B)-ì-o",27sexi.2{2D—B)-ì-o",67cos.2{2D--B) _o",53 sen. (3B—^D) +o",35 cos. {ÌB—^D) + o"M cos. (5D-3B) Perturbazioni di Giove, -7",o6 sen. (B—E) ■+■ 2",67 sen. 2 (#-£) -t-o",i7 sen. 3 (5-£) -i-2",54 sen. E + o',19 cos. £ — o",84sen. (5— a£)+i",35 cos. (5— sE) -(-o",i7 cos. (2B — E) .4-0", 54 sen. (2B-6E). Perturbazioni prodotte da Saturno. + o",42 sen. (B—F)-\-o",ii sen. 2 (fl— -F) -ho", 32 cos. F -ho", 11 cos. (B—2F) [53 Formule pel calcolo del Raggio Vettore. Il Raggio Vettore, come la Longitudine vera, dipende dall'Ano- malia media, dalle Perturbazioni, e di più (trattandosi del Raggio Vettore) dà una costante, ch'è= i. 00014 io. (Vedi Delambre, Intro- duzione alle Tavole.) A questa costante ho sottratto o,oooio56, somma di tutte le Per- turbazioni, onde rendere l'Equazioni positive. Il Delambre ha tolto soltanto 0,0001000, perchè forse non si curò di tener conto di al- cuni termini molto piccioli. L'ineguaglianza principale pertanto dipendente dall'Anomalia me- dia, contata dal Perigeo, è la seguente: — 0,0167888 cos. a — 0,0001409 cos. la — 0,0000070 cos. 3a Quella dipendente dalla Variazione secolare è: + 0,0000416 cos. a + 0,0000007 C0S- 2a dove a rappresenta, come sopra, l'Anomalia media del Sole. La Perturbazione sul Raggio Vettore, prodotta da Venere.; è con- tenuta nella formula che segue: -0,0000064 cos- (^ — B) +0,0000184 cos. 2 [C — B) +0,0000029 cos. 3 (C — B) -0,0000010 cos. 4 (C — B) +0,0000004 cos. 5 (C—B) +0,0000002 cos. 6 IC — B) -0,0000025 sen. [iC — òB) +o,ooooo3g sen. (3C — ^B) — 0,0000004 sen. (^C—5B) Quella della Luna, che più considerabile t è contenuta nella formula + o,oooo364 cos. A La Perturbazione che induce Marte sul Raggio Vettore^, è compresa ne termini seguenti : +- 0,0000004 cos. (B — D) +o,ooooo58 cos. 2 (B — Z)) + o,oooooo5 cos. 3 (B — D) -o,oooooo5 cos. [iB — 3Z>)+o, 0000012 cos. (35 — 4-^)~r-°)0000008 sen. [-iB—^D) — 0,0000002 cos. (3BD)-\- 0,0000007 sen- ("^ — B) !54 Perturbazione di Giove sul Raggio Vettore. -4- 0,00001 59 cos. (B — E) — 0,0000091 cos. 2 [B — E) — 0,000000700». 3 (B — E) + 0,0000006 cos. E — 0,0000002 sen. E. — o,oooooo3 cos. (2B — E) -f- 0,0000004 sen> (2-^ — E) + 0,0000017 cos. [B — 2.E) -\- 0,0000028 sen. (B — 2E) — 0,0000018 cos. (2B — 3E) ■+- o,oooooo3 sen. (2B — 3E) Per ultimo la Perturbazione indotta da Saturno è stata calcolata sulla formula seguente: -l-o,oooooio cos. (B — F) — 0,0000004 cos. 2 {B — F) -+- 0,0000002 sen. (B — 2F). Sono questi gli elementi, sopra i quali, senza aver riguardo ad altre Tavole, ho nuovamente costruite e disposte le mie, riducendole al Meridiano dell'Osservatorio di Padova, ed lio fiducia che possano reggere al confronto delle osservazioni odierne, fatte col soccorso di moderni perfezionati stromenti. Per ciò che riguarda l'uso, o sia la parte pratica, e qualche al- tra cosa da me ommessa, potrà il discreto lettore consultare i pre- cetti annessi alle Tavole. TAVOLE DEL SOLE PEL MERIDIANO DELL'OSSERVATORIO DI PADOVA DEDOTTE DALLE FORMULE PRECEDENTI NOTA IMPORTANTE VTli Argomenti de' quali deve farsi un conto maggiore sono in primo luogo li I. II. III. IV. VI. Vili. IX. XI. XII. XV.; indi quelli die seguono, cioè li .... V. VII. X. XIV., che però si possono prendere anche grossola- namente a motivo della loro picciola variazione , e con minore scrupolo poi si potranno prendere gli Argomenti XIII. XVI. XVII. XVIII. XIX. a cagione che il valore delle Equazioni dipendenti da essi non è gran fatto considerevole. Anzi se vi fosse chi amasse di non far conto di qualcheduno, o di tutti insieme di questi ultimi, sottopongo il valore delle costanti ag- giunte a ciascheduno affinchè alla fine del calcolo possa aggiungerle o in parte , o in tutto alla Longitudine trovata onde l' errore non riesca sensihile , essendone già stata (come dicemmo) decimata di pari quantilà l'Equazione del centro. Costante dell'Equazione XIII. — o",^& XVI. = o, -3 XVII. = o, 24 XVIII. = o, 17 XIX. =0,11 In tutte . . . = 1'', 21 Non volendo dunque (come si disse) tener conto di alcuna di queste cin- que Equazioni converrà aggiungere, giusta il precetto superiore, alla Longi- tudine trovata la quantità, ossia la somma 1", 21. Di qui vedrà il calcola- tore come ahbia a regolarsi volendone trascurare un numero minore. Trat- tandosi poi di dover calcolare molte Longitudini solari di seguito, in allora le Equazioni V. VII. X. XIII. XIV. XVI. XVII. XVIII. XIX. si potranno calcolare semplicemente di io in io giorni, e quindi, mediante la differenza delle due somme, si darà la parte proporzionale che compete al tempo per cui si calcola. Vedetene degli eserapj nelle Tavole Solari del ehiariss. sig. Carlini, inserite nell'Effemeridi di Milano per l'anno 181 1 alle Pag- 96"99 (appendice). i5- 7 Tav li Riduzione delle ore , minuti e secondi in parti decimali di giorno. Giorni Giorni del mese del- '« •^ -3 *a 1 anno a % Giorni § Giorni e 0 0) co Giorni a 0 co Giorni £ V, u 5 o GeDuajo . 0 0 1 0.00069 3i 0.021 53 1 0.00001 3i o.ooo36 o Febbrajo . 3i 3i 2 0. 00139 32 0.02222 2 0.00002 32 0. 00037 o Marzo . . . 59 60 3 0.00208 33 0.02292 3 o.oooo3 33 o.ooo58 ■ o Aprile . . 9° 9' 4 0.00278 34 0.02361 4 o.oooo5 34 o.oooSg o Maggio . . 120 121 5 0. oo347 35 0. oa43i 5 0.00006 35 O. 000 j I o Giugno . . i5i i5aj 6 0.00417 36 O. 025oo 6 0.00007 36 0,00042 o Luglio. . . iSi .82 7 0.00486 37 0. o256g 7 0. 00008 37 0. 00043 o Agosto . . 212 2l3 8 0. oo556 38 0.02639 8 0.00009 38 0. 00044 o Settembre 245 244 9 0.00625 39 0.02708 9 0.00010 39 o,ooo45 o Ottobre . 27J 274 IO 0.00694 4o 0.02778 IO 0.00012 4o 0.00046 o Novembre 5o4 5o5 1 1 0.00764 4« 0.02847 11 0. 0001 5 4. 0. 00047 o Dicembre 334 335 12 o.oo835 42 0.02917 12 0. 00014 42 o.ooo4g i3 «4 0. 00905 0.00972 43 44 0.02986 0. o5o56 i3 •4 o.oooi5 0.00016 43 44 0. ooo5o o.ooo5i Ore Giorni i5 16 0.01042 O.OII I 1 45 46 0. o3i25 0. o3ig4 i5 16 0. 00017 0. 0001 g 45 46 0. ooo52 o.ooo53 i 0,04167 2 o,o8555 '7 0.01 181 47 o.o3264 •7 0.00020 47 o.ooo54 3 o,i25oo 18 O.OI25o 48 0. o3555 18 O. 0002 1 48 0. ooo56 4 0,16667 '9 o.oi3ig 49 0. o34o3 '9 0.00022 49 0.00057 5 o,2o835 20 o.oi58g 5o 0.03472 20 O. 00023 5o o.ooo58 6 o,25ooo 21 o.oi458 5i 0.03542 21 0.00024 5i o.ooo5g n 0,29167 22 o.oi528 52 o.o36i 1 22 0.00025 52 0. 00060 8 o,53333 23 0. 01 597 53 o.o368i 23 0.00027 55 0.00061 9 0,37500 24 0.01667 54 0.03750 24 0.00028 54 0.00062 io 0,41667 25 0.01756 55 0. o38ig 25 0.00029 55 0.00064 1 1 o,45833 26 0.01806 56 o.o588g 26 o.ooo3o 56 o.ooo65 12 o,5oooo 27 0.01875 57 o.o3g58 27 0. ooo5i 57 0.00066 i3 0,54167 28 0.01944 58 0.04028 28 0.00032 58 0. 00067 ■4 0,58333 29 0. 02014 59 0.04097 29 0. ooo34 59 0.00068 i5 o,625oo 3o O.02O83 60 0.04167 3o o.ooo55 60 0.00069 16 0,66667 '7 0,70833 18 0,75000 '9 0,79167 20 o,88335 21 0,87500 22 0,91667 23 o,95855 24 1,00000 (58 Tav. II. • Epoche pegìi Anni. Correzione Longitudine Correzione Longitudine Anni del media Anni del media Tempo proposto del Sole Tempo proposto del Sole 1820 B + 4- 49- 4"3 0 » a 279- 4g- 4',° 1861 h , ,, + '3. i5.49, 7 0 , „ 280. 3 1. 59, 0 1821 + 22.35. 3,6 279. 5o. 43, 0 1862 + 7- '49, > 280. 33. 1, 0 1822 + 16. 21. 2,9 279. 5i. 45, 0 i863 + 0.47.48,4 2S0. 34. 3, 0 1823 -f- io. 6. 59,8 279. 52. 47,0 1S64 B — 5. 26. 14,7 280. 35. 5, 0 1824 B + 3. 52. 5g, 2 279. 53. 49, 0 i865 + 12. 19.44.6 280. 36. 7, 0 1825 + 21.38.58,5 279. 54. 5i, 0 1866 + 6. 5.45,9 2S0. 37. 9, 0 1826 + i5. 25. 22,2 279. 55. 52, 0 1867 - — • 0. 8. 16,7 280. 38. 11,0 1827 + 9"- '9>° 279. 56. 54, 0 1863 B — 6. 22. 19, 8 280. 3g. i3, 0 1828 B + 2.57.18,4 279. 57. 56, 0 1869 + 1 1-23.39, 5 280. 40. i5, 0 1829 + 20.45. 17,7 279. 58. 58, 0 1870 + 5. 9.08,8 280. 41. 17, 0 i83o + i4-2g. 17,0 280. 0. 0, 0 1871 — 1. 3. 57, 5 280. 42. 18, 0 | i83i + 8. i5. i3, 9 280. 1. 2, 0 1872 B — 7.18. 0,6 280. 43. 20, 0 i832 B + i.4o.55,8 280. 2. 4, ° i873 + 10.27.58,7 280. 44- 22, 0 i833 + 19. 22. 5i,6 280. 3. 6, 0 1874 + 4. i3. 58,o 280. 45. 24, 0 i834 + i3. 33. 1 1,9 280. 4- 8, 0 1875 — 2. 0. 2,7 280. 46. 26, 0 i835 + 7>9- M 280. 5. io, 0 1876 B — 8. 14. 3,3 2S0. 47. 28, 0 i856 B + 1. 5. 8,1 280. 6. 12, 0 .S77 + 9.3i.53, 6 280. 48. 3o, 0 1837 + i8.5i.5i,8 280. 7. i3, 0 1878 + 3. 17. 52,9 280. 4g- 32, 0 i858 + 12. 37. 3i, 1 280. 8. i5, 0 1S79 — 2. 56. 7, 8 280. 5o. 34, 0 • 839 + 6.23.38,o 280. 9. 17, 0 1880 B — g. kj. 8,4 280. 5i. 36, 0 18.Ì0 B + 0. 12. 47, 0 280. io. 19, 0 18S1 + 8.35. 5o, 9 280. 52. 38, 0 i84i -f 17.55.26,7 280. 11.21,0 1882 + 2. 22. 12, 1 280. 53. 39, 0 1842 + 1 1. 4j. 26, 0 280. 12. 23, 0 i883 — 3.5i.48.6 280. 54. 4i, ° i843 + 5.27.22,9 280. i3. 2 5, 0 188} B — io. 5.49,2 280. 55. 43, 0 1844 B — • 0.46.37,8 280. i4- 27, 0 i885 + 7. 4o. IO, 1 280. 56. 45, 0 1845 + 16. 59. 21,6 280. i5. 29, 0 1886 + 1.26. 7,0 280. 57. 47, 0 1846 + io. 45. 20,9 280. 16. 3i, 0 1887 — 4.47.53,7 280. 58. 49, 0 •847 + 4.3i. 17,8 280. 17. 33, 0 1888 B — 11. i.54,3 280. 5g. 5i, 0 1848 B — 1.42.42,9 280. 18. 35, 0 1889 + 6.44- 5,o 281. 0. 55, 0 1849 + 16. 3. 16,4 280. 19. 37, 0 1890 + 0. 3o. 1,9 281. 1. 55, 0 i85o + 9.49.40, 1 280. 20. 38, 0 189. — 5.43 58,8 281. 2. 57, 0 i85i + 3.35.37,o 280. 21. 4o, 0 1892 B — 11.57.59,5 281. 3. 5g, 0 i852 B — 2. 38. 23, 7 280. 22. 42, 0 • 893 + 5. 48. 24, 2 281. 5. 1, 0 i853 + i5. 7.55,6 280. 23. 44, 0 1894 — o.5o.4S, 6 281. 6. 5, 0 ■ 854 + 8.53.35,o 280. 24. 46, 0 1893 6.59.39,6 281. 7. 5, 0 ■ 855 + 2. 39. 3i,9 280. 25. 48, 0 1896 B — 12. 53. 4o,3 281. 8. 7, 0 i856B — 3.34.28,8 280. 26. 5o, 0 '897 + 4,52. 19,1 281. g. g, 0 i857 + i4- n.5o,5 280. 27. 52, 0 1898 — • 1.21.44,0 281. 10. li, 0 1858 + 7-57-29,8 280. 28. 54, 0 l899 - 7-55.44,7 281. 11. 12, 0 i859 + 1.43.29,2 280. 2y. 56, 0 1900 C — 1J.49. 45,4 281. 12. 14, 0 1860 B — 4. 3o. 9,6 280. 3o. 57, 0 i5g Tav. HI. Epoche pei giorni dell'anno Giorni del- l'Anno Longitudine media del Sole Equazione del Centro Diffe- renza Variazione sec. Raggio Vettore Diffe- renza Equaz. sec. 1 1 12 i3 >4 i5 16 '7 18 •9 20 21 22 23 24 25 26 2? 28 29 3o 3i 32 33 34 35 36 37 38 39 4o 4i 42 0. O. O, 0 0.59. 8,3 i.58. 16,7 2.57. 25,0 3:56.33,3 4.55.4i,6 5. 54. 5o, o 6.53.58,3 7.53. 6,6 8.52. i5,o 9. 5i. 20,3 o. 5o. 3i, 6 1. 4g- 4°. ° 2.48.48,3 3.47. 56, 6 4- 47- 4>9 5.46. i3, 3 6. 45. 21,6 "• 44-^9. 9 8.43.38,3 9.42.46,6 20.41.54,9 21.41- 3,3 22.40. n,6 23. 39. 19,9 24.38.28,2 25.37.36,6 26.36.44,9 27.35. 53,2 28.35. 1,6 29.34. 9,9 3o. 33. 18,2 3i. 32. 26,6 32.3i.54,9 33. 3o. 43, 2 34- 29. 5i,5 35. 28. 59,9 36.28. 8,2 37. 27. i6,5 38.26.24,9 09. 25. 53. 2 4o. 24. 4 1> 5 359.58.56,9 o. o.58,6 0. 3. o,3 o. 5. 0. 7. o. 9. -9 3,3 4,6 5,8 6,7 7,3 7.6 7>6 7>2 6,4 5,o 5,i o. 11. o. i3. o. i5. o. 17. o. 19. 0,21. O. 23. O. 25. o. 27. o. 29. o, 9 o. 5o. 58, 3 o.32.54,8 0.34. 5o, 6 o. 56-45,6 o. 38. 4o, 2 o. 4o.33,9 o. 42. 27,0 0.44. 19,0 0.46. 10,6 0.48. 0,9 o. 49. 5o, 2 o. 5i.38,8 o. 53. 26, 3 o. 55. 12, 9 0.56.58,3 o. 58. 42, 7 . 0.25,9 . 2. 8, 1 . 3.48,9 . 5.28,6 ■ 7- 7-' . 8.44,2 . io. 20, o . ii.54,6 .i3. 28,0 ■ '4-59,7 2,-7 21,7 21,6 21,4 21,5 21,2 20,9 20,6 20,3 20,0 19.6 i9>2 18,6 18,1 17,8 '7.4 i6,5 i5,8 i5,o 14,6 13,7 .3,. 12,0 11,6 io,3 09,3 08,6 07,5 06,6 o5,4 °4>4 o3, 2 02,2 00,8 99.7 98,5 97.' g5,8 94,6 93,4 9', 7 0, 00 0. 9831064 0, 3i 0. 9831090 0, 6i 0. g83n68 0»9' 0.9831296 1,22 0. 9831476 i,54 0. 9831708 i,85 0.9831990 2, i5 0. 9832323 2,45 0.9832708 2,76 0.9833144 3,07 0. 983365o 3,36 0. 9834167 3,67 0. 9834754 3,98 0. g8353gi 4.'-7 0.9836078 4,57 0.9836815 4,86 0. 9837602 5, i5 0. g83S438 5,45 0.9839323 5,75 0.9840255 6,o3 0. 9841237 6,32 0. 9842267 6,60 0. 9843344 6,88 0.9844469 7, 17 0. 9845641 7.44 0.9846860 7-71 0.9848124 7> 99 0. 9849435 8,26 0.9850791 8,52 o.g852ig2 8,79 0. g853638 9, o5 0. g855i27 9>3i 0. g85666o 9.57 o.gS58236 9,82 0. g85g855 io, 07 0. 9861 5 16 IO, 32 0. 9860218 10, 56 0. 9864962 io, 80 0. 9866746 11, o3 0. 986856g 1 1, 26 0. 9870432 1 1, 5o 0. 9872334 026 078 128 180 232 282 333 355 436 486 537 587 637 687 757 787 836 885 g32 982 io3o 1077 1125 1 172 1219 1264 i5n i356 1401 ■446 1489 i533 i576 1619 1661 1702 1744 .784 1823 i863 1902 4i6 4i6 4.6 4i6 4i5 4i5 414 4i3 4l2 4>. 4io 408 407 4o5 4o3 401 399 397 395 3g2 3go 387 384 382 38o 377 373 370 366 363 35g 355 35i 347 343 33g 334 33o 325 321 3i6 100 Tav. IH. Epoche pei giorni dell'Anno. Giorui del- Longitudine inedia Equazione del Diffe- Variazione sec. Raggio Diffe- Equaz. sec. l'Anno del Sole Centro renza Vettore renza 43 4?. 23. 49, 8 0 / ti 1. 16. 3o, 0 90,3 89,1 87,2 86,0 1 1. 72 0. 9874274 i94o 3o6 44 45 42. 22. 58, 2 43.22. 6,5 1. 17.59,2 1. 19.26,4 n-94 12. 16 0. 9876251 0. 9S78264 1977 201 3 3oi 296 46 44- 21.14,8 1. 20. 52,4 84,4 82,7 81,6 12,37 0.9880314 2085 291 47 45. 20. 23, 2 1.22. 16,8 12,58 0.9882399 285 4s 46. i9.3i,5 I. 23.39,5 12,79 0. 9884520 2 1 55 280 49 47.i8.39,8 1.25 II 1. ij. I , I 79' 8 "2,99 0. 9886675 2188 274 5o 48.17 48,2 I. 26. 20, 9 78,. 76,5 74,7 73,3 7«> 4 69>7 68, 0 i3, 18 0. 9888S63 269 5. 49. .6.56,5 1.27.39,0 15,37 0. 9891084 2252 264 52 5o. 16. 4,8 i.2S.55,5 i5,57 0. 9Sg3336 2285 258 53 54 5i. i5. i3, 1 52. 14. ai, 5 1. 3o. 10,2 i.5i.23,5 i3,75 i5,93 0.9895621 0. 9897936 23i5 2546 2374 2402 243 1 2457 2484 252 246 55 56 53. 13.29,8 54. 12. 38, 1 1. 32. 34,9 1.33.44,6 ■4, io .4,28 0. 9900282 0. 9902656 24o 234 57 55.n.46,5 1.34.52,6 . 66, 1 •4,44 0. 9go5o58 228 58 56. 10.54,8 1.55.58,7 64,6 .4,60 0. 9907489 221 59 57. io. 5, 1 i.37. 3,3 62,5 •4,77 °- 99°9946 2l6 6o 58. 9.11,4 1.38. 5,8 60,8 i4, 91 0.9912450 209 6. 59. 8.19,8 i.3g. 6,6 58,8 i5,o6 °-99i4939 2534 203 62 60. 7. 28, 1 ..40. 5,4 57,2 55,2 i5, 20 0.9917473 2558 196 63 61. 6.36,4 1.41. 2,6 .5,34 0. 992003 1 258o 190 64 62. 5.44,8 i.4i.57,8 53,4 5i,6 49-5 47,6 45,7 43,7 4,, 8 39,8 37,8 35,9 35,8 '5,47 0. 992261 1 2604 2624 2645 2665 .84 65 66 63. 4.53,i 64. 4- '.4 1. 42. 5 1, 2 1.43. 42, 8 i5,6o 15,72 0.9925215 0.9927839 .78 .71 67 65. 3. 9,8 1. 44- 32, 3 .5,84 0. 9930484 .64 68 66. 2. 18, i i.45..5,9 15,96 0. 9953 149 2684 2702 .58 69 70 67. 1.26,4 68. 0.54,8 1.46. 5.6 ..46.49.3 16,07 .6,17 0.9935833 0. Qg38555 .5. ,44 7' 68. 59.43, 1 ..47-3.,. 16,27 0.9941254 2719 2737 2750 2768 2^82 l3J 72 69. 5«.5i,4 .. 48. 10,9 16,37 0-994399i i5o 73 70.57.59,7 1.48.48,7 16,46 o-994674i 123 74 71.57. 8,1 1.49.24,6 i6,54 o- 994g5o9 ..6 75 72. 56. 16,4 '■49-58,4 32, O 16,62 0-9952291 2794 28o5 109 76 73. 55. 24,7 1. 5o. 3o,4 29,8 27,8 25, 7 25,8 .6,69 0.9955085 102 77 7Ì- 54. 53, 1 i.5i. 0,2 .6,75 °- 9957890 2818 95 78 75. 53.4i,4 1. 5i. 28, 0 16,82 0. 9960708 2827 2?4o «7 79 76.52. 49, 7 i.5i. 53, 7 16,88 0. 9963535 80 80 77. 5i.58, i 1. 52. 17, 5 21,7 '9>7 • 7,5 .5,6 16,95 0. 9966375 2847 2855 73 81 78.51. 6,4 1. 52. 09, 2 .6,98 0. 9969222 66 82 79. 5o. 14,7 1.52.58,9 17,02 0. 9972077 2862 59 85 80. 49- 23,0 1.53. .6,4 17,06 °- 9P74939 2868 52 16 1 Tav. III. Epoche pei giorni dell' Anno. Giorni del- Longitudine I media equazione del Diffe- Variazione sec. Raggio Diffe- Equaz. sec. l'Anno del Sole Centro renza Vettore renza ± 84 Oli; e 8i.48.3i,4 1 53. 32,o i3,6 n,4 9,5 7,3 5,4 3,3 + 1,2 — 0,8 I7,09 0-9977807 2873 46 85 82. 47. 39, 7 1 .53.45,6 17,12 0. 9980680 39 86 83.46.48,0 1 . 53. 57,0 17, >5 0. 9983559 2879 2883 32 87 84. 45. 56, 4 1 .54. 6,5 17, 16 0. 9986442 24 88 85.45. 4,7 « .54. i3,8 '7> '7 0.9989327 2885 '7 «9 86.44.i3,o 1 .54. 19,2 17,18 0.9992214 2887 IO 9° 9' 87.43.21,4 1 88.42.29,7 1 . 54. 22,5 .54.23,7 17,18 17,18 0.9995102 o- 999799° 2888 2888 4- 3 — 3 92 89.41.38,0 1 .54.22,9 J7> '7 1. 0000879 2889 IT 93 90. 40. 4°\3 1 54. 20, 1 2,8 5, 2 6,9 17, 16 1. 0003765 2886 "9 94 91.39.54,7 I 54. 4,9 *7> x4 1. ooo665o 2885 26 95 92.59. 3,0 1 54. 8,0 17,11 1. 0009531 2881 33 96 93.38.n,3 1 53. 5g, 0 9>o '7>°9 1. 0012408 2877 4i 97 94-57-I9.7 « .53.48,i »o,9 i3, 1 i5, 1 17,05 i. 0015281 2873 48 98 g5. 56. 28, 0 1 53. 35, 0 17,01 1. 0018147 2866 54 99 96. 35. 56,3 1 53. 19,9 16,97 1. 002100S 2861 61 100 97.34.44,7 1 53. 2,8 17,' i6,93 1. oo2386i 2853 68 IOI 98. 33. 55, 0 1 52. 43, 7 >9, 1 16,87 1. 0026706 2845 76 102 99.33. i,3 1 52. 22, 7 21,0 23,3 25,o 16,82 1. 0029543 2837 83 io3 100.32. g,6 1 51.59,4 i6,75 1. oo32Ò68 2825 9° 1 ci 1 101. 3i. 18, 0 1 5i.34.4 16,68 i.oo35i84 2816 96 in 5 102. 3o. 26,3 1 5i. 7,4 27,0 16,61 1. 0037988 2804 io3 106 io3. 29.34,6 1 5o. 38,4 29,0 5o,g 33,o 34,8 36,7 38,7 4o,6 i6,53 1. 0040780 2792 no io; 104.28.43,0 1 5o. 7,5 i6,45 i. 0043559 2779 117 108 105.27.51,3 1 49.34,5 16, 36 1. 0046324 2765 124 109 106. 26. 59,6 1 48.59,7 16,27 1. 0049074 2750 i3o no II I 107.26. 8,0 1 io8.25.i6,3 1 48.23,o 47-44,3 16, 17 16,08 1. oo5i8io 1. 0054329 2736 2719 i37 .44 112 109.24.24,6 1 47- 3,7 i5,g8 1. 0057230 2701 i5o n3 "4 no. 23. 32,9 ' in. 22.4i,3 1 46.21,4 45.57,1 42,3 44,3 46,2 15,87 i5,75 1. 0059914 1. 0062580 2684 2666 i57 i63 n5 112.21.49,6 1 44- 59,9 i5,63 1. 0065226 2646 170 116 113.20.57,9 1 44- 2,9 48,o 49,7 5i,6 53,4 55,2 56,8 58,8 i5,5i 1. 0067852 2626 176 n7 114.20. 6,3 1 43. i3, 2 i5,37 1. 0070458 2606 i83 118 "9 120 n5. 19. 14,6 1 116. 18. 22,9 1 117. 17. 3i, 2 i 42.21,6 41.28,2 4o. 33,o 15,34 i5, io '4,97 1. 0073042 1. 0075604 i. 0078142 2584 2562 2538 189 193 202 121 122 118. 16. 59,6 1 "9- 15.47,9 1 39. 36, 2 58. 37. 4 14, 84 •4,69 1. 0080657 i.oo83i48 25i5 249' 208 214 123 120. 14. 56, 2 1 37. 37,0 60,4 14, 52 1. oo856i4 2466 220 .24 121. 14. 4,6 1 36.35,2 61,8 14,37 i.oo88o53 2439 226 125 122. i3. 12,9 1 35.3i,3 63,9 14,21 1. oogo466 24l3 23l Tav. III. Epoche pei giorni dell'anno. Giorni del- l'Anno 126 127 128 129 i3o l3l i3s i33 134 i35 .36 .37 i38 i3g i4o .4. 142 543 .44 145 i46 147 i48 *4g i5o i5i l52 i53 i54 i55 i56 .53 1S8 159 160 161 162 i63 ,64 i65 166 Longitudine media del Sole Equazione del Centro 23. 2. 21, 2 25.: 26. 27. 28. 29. 3o. 3i. 32. 35. 34. 35. 36. 37. 24.11.29,6 0.37,9 9. 46, 2 8. 54, 5 8. 2,9 7. 11,2 6.19,5 5.27,9 4-36,2 3.44,5 2. 52,9 2. 1, 2 1. 9,5 o. 17,8 37. 5g. 26, 2 58.58.34,5 5g. 57. 42, 8 4o. 56. 5 1,2 4i.55.5g,5 42. 55. 7, 8 43. 54. 16, 2 44- 53. 24, 5 45. 52.52,8 46.5i.4i> 1 47. 5o. 4g, 5 48.49.57,8 4g. 4g. 6, 1 5o. 48. i4,5 51.47.22,8 52. 46. 3i, 1 53.45.39,5 54.4447.8 55. 43. 56, 1 56.43. 4,4 57.42. 12,8 5S.-4i.ai,i 59.40.29,4 60. 39.37,8 61. 38.46,i 62.37.54,4 1.34.26,1 i.33. ig, i 1. 32. 10.4 i.3i. 0,2 1.29.48,3 1. 28.35, 2 1. 27. 20, 2 1.26. 3,8 1.24.45,9 1. 23. 26, 7 1.22. 5,9 1.20.43,7 1. 19. 20, 2 1. 17. 55, 2 1. 16.28,9 ...5. ,,4 1. 15. 32. 5 1. 12. 2,4 1. io. 5i, o 1. 8.58,5 1. 7.24,7 .. 5.49j8 1. 4. i5,7 1. 2.56,6 1. o.58,4 o. 5g. 19, 1 o. 57.58,9 o. 55. 57, 5 o. 54. i5,3 o. 52. 52, o o. 5o. 48, 1 0.49. 5,2 0.47. 17,4 8.45. 3i, 2 0.43.43,6 0.41.55,4 o. 40. 6, 5 o. 38. 17, 1 o. 56. 27,9 o. 54. 36, 3 0.32.44,8 Diffe- renza 65,2 67,0 68,7 70, 2 7'>9 73, , 75,0 76,4 77>9 79- 2 80,8 82,2 83,5 85, o 86,3 87,5 88,9 9°, » 9', 4 92,5 93,8 94,9 96>« 97' » 98,2 99>3 100, 2 101,4 102, 2 io3,3 io5,9 i«4,9 io5, 8 106, 2 107,6 108, 2 108,9 •09' 4 109,2 111,6 m,5 1 12, o Variazione sec. 4,o5 3,88 3,70 3,52 5,54 3, 6 2>97 2,79 2,60 2,4° 2,19 2,01 ',79 1,58 i,36 i,.4 °,9r 0,71 o,48 0,25 0,02 9,78 9,55 9>3' 9>°7 8,83 8,58 8,33 8,08 7,83 7,58 7,32 7,06 6,81 6,54 6,27 6,00 5,72 5,47 5,20 4,g3 Raggio Vettore I. 0092853 1. 0095211 1. 0097541 1.0099842 1. 0102112 1. oio4353 1. 0106 563 1.0108741 1. 0110887 1. 01 i3ooo 1. 01 15079 1. 0117125 1 . o 1 1 g 1 56 J- 0121 1 12 I. OI25o52 I. 01Q4956 I. 0126822 I. 0128652 i.oi3o445 1.0132197 i.oi33gi2 i.oi3558S 1. 0137225 I.OI58822 1. 0140377 1. oi4i8gi I. 014536$ 1.0144796 1.0146186 1. oi47534 i.oi48838 . oi5oo .oi5i3i 99 1. 01 52491 1. oi5362o 1. 0154704 1. oi55744 1. 0156740 1. 0157690 i.oi585g4 1. oi5y452 Diffe- renza 2387 2358 255o 23oi 2270 2241 2210 2178 2l46 21 l3 2079 2046 201 1 1976 ig4o igo4 1866 i83o "79" 1754 17.5 1676 i657 '597 • 555 i5i4 474 i45i 1090 i548 i5o4 1261 1218 1174 1 129 1084 io4o 996 g5o 9°4 858 812 Equaz. sec. 207 243 249 255 260 266 271 276 281 286 2gi 2g6 3oi 3o6 5n 3i5 320 325 329 333 337 34i 345 349 353 356 56o 363 366 370 374 376 379 382 384 387 38g 3g2 5g5 5g6 598 i63 Tav. III. Epoche pei giorni dell'Anno. Giorni del- l'Anno Longitudine media del Sole Equazione del Centro Diffe- renza Variazione sec. =F Raggio Vettore Diffe- renza Equaz. sec. 167 16Ì57. 2,8 0 1 ,1 0. 3o. 5a, 8 112,5 1 15, 1 n5, 5 n5, 8 "4,4 "4,7 "4,9 "5,4 n5, 7 "5,9 "5,9 n6,3 116,4 116,9 n6,3 116,7 116,7 116,7 116,6 116,6 116,4 n6,5 116, 1 116,0 "5,7 "5,4 n5,i "4,8 4,66 1. 0160264 4oo 168 i64-36. il, I 0. 29. o,3 4,38 1. oi6io3i 767 4o2 169 170 171 i65. 55. 19,4 166.54. 27,7 167. 35. 56, 1 0.27. 7,2 0. 25. i5, 7 0. 23. 19,9 4,io 3,83 3,56 1. 0161750 1. 0162424 1. oi63o5o 7'9 674 626 579 53 1 4°4 406 4°7 172 .73 168. 02. 44. 4 169.51.52,7 0. 21. 25, 5 0. 19. 3o, 8 3,28 2,99 1. oi6362g 1. 016414° 4°9 4io 174 170. 5i. 1, 1 0. 17.55,9 2,72 1. 0164645 485 437 3go 34i 4" .75 171.50. 9,4 0. i5. 40, 5 2,44 1. oi65o82 4l2 176 172.29. 17,7 0. i5. 44. 8 2, i5 1. 0165472 4.3 177 175. 28. 26, 0 0. 11.48,9 1,88 i.oi658i3 414 178 •79 174.27.54,4 175. 26.42, 7 0. 9. 55, 0 0. 8. 6,7 1,60 1,32 1. 016610S 1. oi66554 2g5 246 4.5 4i5 1S0 176. 25. 5 1,0 0. 6. 0, 5 i>°4 1. oi66552 198 4.5 181 181 183 177.24.59,4 178.24. 7,7 179.25. 16,0 0. 4. 5,4 0. 2. 7, 1 0. 0. 10,4 0,75 0,47 — 0,18 1. 0166702 1. oi668o5 1. 0166859 i5o io3 54 416 4i6 4i6 184 180. 22. 24,4 55g. 58. i5, 7 + 0. io 1.0166866 7 42 4i6 185 181. ài. 52, 7 35g. 56. 17,0 o,38 1. 0166824 4i6 186 182. 20. 41,0 359. 54- 20,4 0,^7 1. 0166734 9° 4i6 187 i85.i9.49,3 559. 52. 25,8 o,g5 1. oi665g6 i38 i85 234 416 188 184. 18.57,7 35g.5o.27,4 1,24 1, 016641 1 4>5 189 i85. 18. 6,0 559.48.3i, 1 1,52 1. 0166177 4i5 190 186. 17. 14, 3 559. 46. 35, 0 i,8r 1. oi658g6 281 33o 4.4 '9' 187. 16. 22,7 359.44.59,0 2,08 1. oi65566 4.4 192 188. i5.3i,o 559. 42. 43, 3 2,37 1. 0165189 377 4i3 i93 189. 14.09,5 559.40.47,9 2,65 i. 0164765 424 4"2 4l2 -94 190. 13.47,7 35g. 58. 52,8 2,92 1. 0164295 4io ,95 191. 12. 56, 0 35g. 56. 58, 0 3, 20 1. 0165775 520 4°9 196 192.12. 4,3 35g.55. 3,4 "4,6 n3,8 n3,6 n3, 1 3,48 i. 0165207 566 4o8 '97 ig3. 11. 12,6 559.55. 9,6 3,76 1. oi625g3 614 4o6 198 I94- IO. 21,0 559. 3i. 16, 0 4,o4 1. oi6ig32 661 4o5 '99 Ig5. 9.29,3 35g. 29. 22,9 4,32 1. 0161225 707 4o3 200 I96. 8.57,6 559. 27. 5o, 2 112,7 4.58 1.0160471 754 401 201 197. 7.46,0 35g. 25.58, 1 112, 1 iii,5 4,86 1. 0159671 800 399 202 198. 6.54,5 35g.25.46,6 5, i3 i.oi58825 846 397 203 199. 6. 2,6 35g. ai. 55,6 m,o 5,4o 1. 0i57g55 892 3g5 204 200. 5. 11,0 35g. 20. 5, 2 110,4 5,67 1. oi56gg5 93 8 9«4 393 205 201. 4' J9>3 559. 18. i5, 4 log, 8 5,94 1. oi56oi 1 3gi 206 202. 3.27,6 35g. 16. 26,6 108,8 6, 20 1. oi54g83 1028 388 207 2o3. 2. 56, 0 35g.i4. 38, 4 108,2 6,47 1. oi55gio 1073 385 208 204. 1-44)3 55g. ia_. 5o, 6 107,8 6,73 2. 0152792 1118 383 1 i64 Tav. III. Epoche pei giorni dell'anno. Giorni del- Longitudine media Equazione del Diffe- Variazione sec. Raggio Diffe- Equaz. sec. l'Anno del Sole Centro renza + Vettore renza 0 1 » 0 1 n 106,6 1 162 209 2o5. o.52,6 35g. 11. 4>° 105,9 io5,5 6.99 1. oi5i63o 1206 38o 210 206. 0. 1,0 559. 9.18,1 7,25 1. 0150424 I25l 377 21 1 206.59. 9>3 55g. 7.52,8 104, 3 7,5i 1.0149175 I2g4 i336 374 212 207. 58. 17,6 55g. 5.48,5 io3, 3 7.76 1. 0147879 57, 2l3 208. 57. 26,0 35g. 4. 5,2 102, 5 8,01 1. 0146545 i58o 567 2.4 209. 56. 54,3 35g. 2.22,7 ioi,5 8,26 1. oi45i65 1420 - «464 i5o4 i546 1587 1626 564 2l5 210. 55. 42,6 35g. 0.41,2 100, 6 8,52 1. 0145745 36o 216 217 211. 54- 5i,o 212. 53. 59,3 558. 5g. 0,6 558. 57. 20,9 99.7 98,5 97> 4 96.4 95,2 94.» 92>9 9J.7 90,2 89.4 88,0 8-77 9.01 1. 0142279 1. 0140775 357 553 218 2i3. 53. 7,6 558.55.42,6 9,25 1. 0159229 349 219 2l4- 52. 16, 0 558. 54. 5, 2 9,45 1. 0157642 345 220 2i5. Si. 24,3 558.52.28,8 9>73 1. o.56oi6 1666 1705 i744 i"85 342 221 216. 5o. 32,6 358. 5o. 55, 6 9.95 i.oi5455o 338 222 217. 49-41» ° 358.49.19,6 10.19 1. 0152645 334 223 218.48.49,3 358.47.46,7 10,42 1. oiSogoi 33o 224 219.47.57,6 358.46. i5,o 10,64 1. 0i2gn8 È. jl**M I S^O 326 225 220.47- 5,9 558.44.44,8 10,86 1. oi272g8 1857 I895 igSo 1967 2002 32. 226 221. 46. 14, 2 558.45. i5,4 11,09 1. oi2544i 5.6 227 222.45. 22,5 358.41.47,4 86,6 11, 3i I. 0125546 5.2 228 223. 44- 3o,g 358.4o.2o,8 85,2 I 1,52 1. 0121616 507 229 224. 43- ^9, 2 358.38.55,6 85,9 82,6 11,73 i.ong64g 502 23o 225.42- 47» 5 358.37.31,7 ".94 1. 01 17647 2o56 297 23l 226.41- 55,9 358. 56. 9, 1 81, 1 12, 14 1. oii56i 1 20^1 295 232 227.41- 4. 2 358.54.48,o U 1, 1 79.7 78,5 12,34 1. ou554o 2104 2157 288 233 228. 40. 12,5 558.53.28,3 12,54 1. 011 1456 283 234 229.09.20,9 558. D2. 10,0 76.7 75,3 73>7 72,2 7°. 7 69,0 67.4 65,8 12,74 •oi°9299 2169 2202 278 235 23o. 58. 29, 2 558.5o.53,3 12,92 1.0107.50 273 236 23i. 57.37,5 358. 29.58,0 i5, 11 1. 0104928 2252 267 257 232.56.45,8 558.28.24,3 i5,5o 1. 0102696 2265 26. 238 a33. 35. 54, 2 558. 27. 12, 1 i3,48 1. oioo455 2295 2323 256 239 234- 35. 2, 5 358.26. 1,4 i5,65 i. 0098140 25. 240 255.34- io, 8 358.24.52,4 i5,83 1. 0095817 235. 245 241 256. 53. 19, 2 358. 20.45, 0 i4,oi 1.0095466 2579 24o5 25g 242 237. 32. 27,6 358. 22.39,2 64,2 62,4 i4.i7 1. 0091087 255 243 238. Si. 55, 9 358. 2i.35, 0 i4.32 1.0088682 2453 227 244 259. 5o. 44, 2 358. 20.52, 6 60,8 .4,48 1. 0086249 2459 2434 2509 2532 22. 245 240. 29. 52, 5 558. 19.31,8 59,i 57,2 55,5 «4,64 1. 0085790 2l5 246 241.29. 0,8 358.18.32,7 ]4,79 1. oo8i5o6 209 247 242. 28. 9, i 358.17.35,5 i4,94 1.0078797 2o5 248 243.27. 17,4 558. 16. 4o, 0 54,1 52, 0 15,07 1. 0076265 2556 :97 249 244.26.25,8 558. i5.45,9 .5, 21 1. 0073709 2578 '91 i65 Tav. III. Epoche pei giorni dell' Anno. Giorni del- Longitudine media Equazione del Diffe- Variazione sec. Raggio Diffe- Equaz. sec. l'Anno del Sole Centro renza + Vettore renza =F 25o 0 • ,1 245. 25. 34, 1 358. 14.53,9 5o, 2 48,5 46,7 44,7 i5,34 1. 0071 i3i 2600 2621 2642 2660 2679 2697 2714 2731 184 25l 246. 24. 42, 5 358. 14. 3,7 .5,47 1. oo6853 1 ,78 252 247. 23. 5o, 8 358.i3. i5, 2 i5,6o 1. oo65gio 171 253 254 248. 22. 59, 1 249. 22. 7,4 358.12.28,5 35S. 11.43,8 i5,7< i5,83 1. oo6Ò238 1. 0060608 166 i5g 255 25o. ai, i5, 8 358. 11. 0,9 42,9 41,1 »5,94 1. 0057929 i5a 256 25i. 20. 24, 1 358. 10. 19,8 16, o5 1. oo55252 .46 257 258 252. 19. 02,4 253. 18.40,8 358. 9.40,8 358. 9. 3,5 3g, 0 37,3 16, i5 16,25 1. oo525i8 1.0049787 i3g l32 259 254. 17.49,1 358. 8.27,9 35,6 33,i 3i,5 i6,34 1. 0047040 2747 2761 2776 125 260 261 255. 16.57,4 256. 16. 5,8 358. 7.54,8 358. 7.23,3 i6,43 i6,5i 1.0044279 1. oo4i5o3 119 I 12 262 257. i5. i4, 1 358. 6.53,7 29,6 16, 5g 1. 0038715 2788 2801 28i3 2823 2833 2843 2852 2858 2866 io5 263 258. 14. 22,4 558. 6.26,3 27»4 16,66 1. oo55gi4 98 264 265 266 267 25g. 10. 3o, 7 260. 12. 3g, 1 261. 11.47,4 262. 10. 55, 7 358. 6. 0,7 358. 5.37,0 358. 5.i 5, 4 358. 5.55,7 25,6 23,7 21,6 >9<7 17,5 .6,73 16,79 16,86 16,91 1. oo55ioi 1. 0030278 1. 0027445 1. 0024602 91 85 78 7! 268 263. 10. 4> 1 358. 4.38,i .6,96 1. 0021750 64 269 264. 9. 12,4 358. 4.22,6 i5, 5 .3,7 17,00 1. ooi88g2 56 270 265. 8. 20, 7 338. 4- 8,9 17,04 0. 0016026 5o 271 266. 7. 29, 1 358'. 3.57,4 n,5 17,08 0. ooi3i55 2871 2876 2880 2884 2886 2888 2889 2888 2888 2886 2883 43 272 267. 6. 37, 4 358. 3.47,9 9>5 7»5 17, 1 1 0. 0010279 56 273 268. 5.45,7 358. 3.4o,4 17. >3 0. 0007399 28 a74 275 276 269. 4- 54, 0 270. 4. 2,4 271. 3. 10,7 358. 3.34,9 358. 3.3i,5 338. 3. 3o, 2 5,5 3,4 .,3 '7>"7 17,18 0. ooo45i5 0. 0001629 °-999874i 21 ■4 277 272. 2. 19,0 358. 3. 3o, 7 0,5 .7,-8 o.ggg5S52 + '1 278 273. 1.27,4 358. 3.33,5 2, 8 4,9 6,8 17,18 °- 9992964 8 279 280 274. 0.35,7 274. 5g. 44, 0 358. 3.38,4 358. 3.45,2 17,18 •7,^6 °- 9990076 0-9987190 i5 22 281 275.58. 52,4 358. 3.54,2 9,0 •7- '5 0. 9984307 3o 282 276.58. 0,7 358. 4. 5,o 10,8 17,13 0.9981428 2879 2876 2869 2864 2857 38 283 277.57. 9,0 358. 4. 18,0 i3, 0 i5, 1 17,10 0,9978552 44 284 278.56. 17,3 358. 4. 33, 1 17,07 0. 9975683 5i 285 286 279.55.25,7 280. 54. 34,o 358. 4. 5o, 1 358. 5. 9, 3 17,0 19,2 17,04 16,99 0. gg728ig 0. 9969962 58 66 287 288 289 281. 53.42,4 282. 52. 5o, 7 28J. 5i. 5g, 0 558. 5. 3o, 5 358. 5.53,7 358. 6.18,9 ai, 2 23,2 25,2 27,3 .6,95 16, go 16, 84 o. 9967113 o- 9964272 0.9961442 2849 2841 aS3o 2821 75 79 86 290 284. 5i. 7,5 358. 6. 46, 2 16,78 0. gg5862i 94 291 285. 5o. 15,7 358. 7.15,6 29>4 ' 16,71 0. gg558i2 2809 101 i66 Tav. III. Epoche pei giorni deli Anno. Giorni del- Longitudine media Equazione del Diffe- Variazione sec. Raggio Diffe- Equaz. sec. l'Anno del Sole Centro renza + Vettore renza + 0 » a 0 . a 5i, 5 2796 2785 2770 2756 2740 2724 2706 2689 2670 2g2 286. 49 24,0 558. 7.46,9 33,4 35,3 i6,63 0. gg53oi6 108 2g3 287.48.52,5 558. 8.20,3 i6,55 0.9950201 n5 29+ 288.47.40,6 558. 8.55,6 37,3 39,3 4i,3 43,2 45,2 47.2 48,9 5 1 , 0 •6,47 o- 994746» 122 595 2S9. 46. 49, 0 358. 9.32,9 16, 5g o- 99447°5 129 296 290.45. 57,5 358. 10. 12,2 16, 5o o-994'965 i35 297 291.45. 5,6 55S. io. 55, 5 16, 20 o- 993924 ■ 142 29S 292. 44- '4>° 358. 1 1.36,7 r_i6, io 0. 9936555 '49 299 293.43. 22,3 358. 12. 21, g »5,99 0. gg55846 i56 3oo 294.42. 3o,6 358. i5. g, 1 i5,8S 0. gg3n 76 265 1 162 3oi 295.41.39,0 558. i5. 58, 0 .5,76 0. 9928525 2629 2609 2587 2565 169 3o2 296. 40. 47 > 3 558. i4- 49,° 53, 0 i5,65 0. 9925896 i75 5o3 297. 5g. 55, 6 558. 15.42,0 54,6 i5,5i 0. 9923287 182 3o4 298.59. 4,0 358. 16. 36, 6 56, S .5,37 0. 9920700 188 3o5 299.58. 12,4 338. 17.33,4 58,4 ■ 5,24 0. 9918 i5y 2540 .95 3o6 500.57. 20,6 358. i8.3i,8 6o,5 i5, io °-99l5597 25i6 200 007 3oi. 56. 29, 0 558. 19. 52, 1 62, 1 i4,95 0. 9gi5o8i 2490 2465 206 3o8 3o2. 55. 57,3 558. 20. 54, 2 64,o 14,81 0. ggio5gi 2l3 3og 5o5. 54.45,6 358.21.28,2 65,7 67,5 69,2 71.1 72.7 74,3 t6, 1 .4,65 0. 9908 1 26 2458 2410 258 1 219 3io 5i 1 5o4- 35. 54, 0 5o5. 55. 2, 5 358. 22. 43,9 358.23. 5i, 4 i4, 48 4,52 0. 9905688 0. 9905278 226 232 3l2 5o6. 52. 10,6 558.25. 0,6 .4,i5 0. ggoo8g7 2555 238 3i3 507. 5i. 19,0 358.26. 11,7 i5,98 0. 9898544 2525 244 3i4 5o8. 5o. 27,3 558. 27.24,4 i5, 80 0. 9896221 2293 2262 25o 3i5 3og. 29. 55,6 558.28.58,7 i5,6i 0. 9895928 256 3i6 3i7 3i3 5io. 28. 4°>° 5n. 27. 52,5 512.27. °i 7 558.29.54,8 558. Si. 12, 5 558. 52. 5i, 8 77.7 79.3 81, 1 .5,45 .3,24 i3,o4 0.9891666 0.9889407 0. 9887240 2229 2197 2 165 262 268 274 5ig 3i3. 26. 8,9 558.55.52,9 82,4 85,9 85,7 87,1 88,6 12,82 0. 9885077 2l5o 279 320 5i4- 25. 17,2 358.35. i5,3 I2,6{ "• 9882947 2og4 2o5g 2024 284 321 3i5. 24. 25,5 558.56.39,2 12,43 o.g88o853 289 322 5 16. 25. 55,9 558.58. 4,9 12, 21 °- 987s794 2g5 523 517. 22.42, 2 558. 5g. 22,0 ">99 0.9876770 ■ 1986 3oo 324 325 5i8.2i. 5o,5 3ig. 20. 58,9 358.4i. 0,6 558.42. 00, 5 89.9 9'. 5 92.7 94,3 95,5 96>9 98,1 99,4 100,6 ",77 11,55 0.9874784 0.9872834 ig5o 1912 3o5 5io 026 327 520. 20. 7, 2 52i. 19. i5,5 358.44. 2,0 558. 45. 54, 7 11,52 11, og 0. 9870922 0. 9869049 1875 i855 3i5 3ig 328 522. 18. 25,9 558.47- 9>° 10,86 0. 9867214 ■794 ,754 I7l5 l672 324 329 Ó25. 17.32, 2 558.48.44,5 io, 65 0. 9865420 328 53 0 524. i6.4o,5 558. 5o. 21,4 io, 58 0. 9860666 553 35 1 525. i5. 48, 8 558. 5i.5g,5 io, 14 0. 9861950 357 352 526. i4- 57,2 358.55.58,9 9,88 0. 9860281 i63o 342 i67 Tav. III. Epoche pei giorni dell "Anno. Giorni del- l'Anno Longitudine inedia del Sole Equazione del Centro Diffe- renza Variazione sec. + Raggio Vettore Diffe- renza Equaz. sec. + 334 335 336 337 338 339 34o 34i 5.(2 343 344 345 346 347 348 349 35o 35i 35a 353 354 355 356 557 358 359 36o 36i 362 363 364 365 366 027. 14. 5,5 328. i3. i3, 8 32g. 12. 22, 2 33o. 1 1. 3o, 5 35i. io.38,8 332. 9.47,2 333. 8.55,5 334. 8. 5, 8 335. 7. 12, 1 336. 6. 20, 5 337. 5.28,8 338. 4- ^7, 1 339. 5.45,5 340. 2. 53, 8 34i. 2. 2,2 342. 1. io,5 343. o. 1 8, 8 543. 5g. 27, 1 344.58.35,4 345.57.43,8 346. 56. 52, 1 347.56. 0,4 348.55. 8,8 349. 54. 17, 1 35o.53. 25,4 35i.52.33,8 552. 5i. 42, 1 355. 5o. 5o, 4 354.49.58,7 555. 49. 7, 1 356.48. i5,4 357.47.23,7 358.46.32,1 35g. 45. 4°> 4 358. 55. 19,5 358.57. i,3 358.58.44,2 35g. 359. 559. 35g. 359. 359. 35g. 359. 359.: 28,3 i3, 5 59,6 46,9 55,3 24,5 -4,7 5,7 57,5 359. 16.40,4 559. 18. 43, 9 35g. 20. 38,5 359. 22.33,3 35g. 24. 29, o 35g. 26. 25,4 35g. 28. 22,3 35g. 3o. ig, 8 55g. 3'2. 55g. 34 359. 56 55g.38, 35g. 4o. 35g. 42. 55g.44. i5,8 35g. 46. 16, 7 35g. 48. 17,8 35g. 5o. 19, o 35g. 52. 20,3 35g. 54. 21, g 35g. 56. 23,6 35g. 58. 25,3 >7>9 i6,5 i5,6 .5,2 i5, o i5, 2 101,8 102,9 104,1 io5, 2 106, 1 107,3 108,4 109,2 110,2 m,o m,8 112,9 n3,5 "4,4 1 15, 0 ,.5,7 116,4 116,9 117,5 11S, 1 118,6 ng,6 119,8 120, 2 120,6 120,9 121, 1 121,2 121,3 121,6 121,7 121,7 9,64 g,38 9, '3 8,86 8,5g 8,32 8,06 7,78 7,52 7>24 6,g6 6,68 6,39 6,10 5,82 5,52 5,23 4,g3 4,64 4,35 4,o5 3,75 3,45 3, .4 2,84 2,54 2,23 ',92 1,62 i,3o 1,00 o, 70 o,3g o, 08 o. g85865i o. 9857065 0. g8555ig 0.9854018 o. 9852561 o. g85n48 o. g84g78o 0.9848457 o. 9847 . 81 0. 9845950 o. 9844765 o. g845628 o. g842538 0. g84i4g6 o. g84o5oi o.g83g555 o. 9838658 o. 9837810 o. 983701 1 o. 9806262 o. g835565 o.g834gi3 o. 98343 13 o. g833764 o. 9853265 0.9832818 o.g8324ig o. g852o73 o. g83i778 o. g83i534 o. g83i54i o. g83i2oo o. g83i iog o. g83io7i i588 .544 i5oi i457 i4i3 i368 i323 1276 I23l nS5 1 137 iogo 1042 995 946 897 848 799 749 699 65o 600 549 499 447 399 346 2g5 244 ig3 >4- 9' 38 346 35o 354 358 36 1 365 368 37, 375 378 38 1 384 387 3go 3g2 3g5 397 399 401 4o3 4o5 407 4o8 410 4.1 4 12 4.3 4.4 4i5 4i5 4.6 4.6 4i6 4.6 Continuazione della Tav. III. O R Ore 3 4 5 6 7 8 9 io 1 1 12 i3 i4 i5 16 •7 18 '9 20 21 22 23 24 Longit. media del Sole M. S. 2.27,8 4.55,7 7.23,5 9.5i,4 12. 19,2 1447, 1 »7- '4,9 19.42,8 22. io, 6 24.38,5 27. 6,3 29.34,2 32. 2,0 34.29,9 36. 57, 7 3g.25,6 4i.53, 4 44- 2 1 , 2 46.49,1 4g. 16,9 5 1.44, 8 54.12,6 56. 4o, 5 59. 8,3 M I N U I I AI. Longit. media del Sole M. S. 3 4 5 6 7 8 9 io 1 1 12 i3 .4 i5 16 '7 18 !9 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 3o o. 2, 5 o. 4,9 o- 7 A o- 9,9 o. 12, 3 o. i4,8 o. 17,2 °- '9,7 0.22, 2 o. 24, 6 0.27,1 o. 29, 6 o. 32, o o. 34, 5 o. 37, o 0.39,4 o. 4i,9 o. 44, 4 o. 46, 8 o. 49, 3 o. 5i,7 o. 54, 2 o. 56, 7 0. 59, 1 1. 1,6 1. 4,. 1. 6, 5 1. 9,0 1. n,5 i.i3,9 M. Longit. media del Sole M. S. 3i 32 33 34 35 36 37 38 36 4o 4i 42 43 44 45 46 47 48 49 5o 5i 52 53 54 55 56 57 58 59 60 1.16,4 1.18,8 1.21,3 i.23,8 1. 26, 2 1.28,7 1. 3i, 2 i.33,6 i.36,i i.38,6 i.4i,o i.43,5 1. 46, o i.48,4 1. 5o, 9 i.53,3 i.55,8 i.58,3 2. 0,7 2. 3, 2 2. 5,7 2. 8,1 2. io, 6 2. i3, 1 2. i5, 5 2. 18,0 2. 20, 5 2.22,9 2. 25, 4 2.27,8 Secondi 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 1 12 i3 i4 i5 16 l7 18 '9 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 3o Longit. media del Sole s. 0,0 o, 1 0,1 0, 2 O, 2 0, 2 0,3 o,3 0,4 o,4 o,5 o, 5 o, 5 o, 6 o, 6 °>7 °>7 0,7 0,8 0,8 °,9 0,9 0,9 1,0 1,0 ',» i,1 1,2 1,2 3i 3s 33 34 35 36 37 38 39 4o 4i 42 43 44 45 46 47 48 49 5o 5i 52 53 54 55 56 57 58 59 60 Longit. media del Sole ,3 ,3 ',4 ',4 ■,4 ,5 ,5 t,6 ,6 ,6 .7 .7 ,8 ,8 t,8 .9 ,9 2,0 2,0 2, o 2,1 2,1 2, 2 2,2 2,3 2,3 2,3 2,4 2,4 2, 5 % Tav. IV. Epoche per gli argomenti. Anni A n lj V IVI £. 1> 1 1 5 < B E > > t— 1 > > > X X M x )— 1 t— X t X > X t— 1 > X > X > X X X 1820 B 4°s 4g6 633 9®S 622 ; 345 99; 283 711 563 9'4 449'8i2 255 022 982 2.55 56g 64c 233 1821 666 866 25g 241 5oo 223 464 34g 579 279 99$ 281 '55g 221 o56 o36 759 234 556 i65 1822 922 235 885 493 078 101 955 4.1 ;:.j '94 o83 II I 3o5 .98 090 ogo 263 88g 47' og8 1823 ■77 604 5io 743 253 976 401 475 327 no 167 943 o55 i53 124 145 763 549 387 029 1824 B 424 964 i35 993 128 85i 870 557 2o3 025 252 773 798 "9 i58 '97 263 204 302 g6' 1825 68g 34i 761 244 oo5 727 538 602 524 942 336 606 548 086 192 25l 766 866 240 894 1826 946 711 38; 497 884 607 806 665 977 857 420 457 294 o5i 226 3o4 217 524 .54 825 1827 200 °79 012 747 759 482 274 729 819 772 505I267 o5g 017 260 358 77' .84 °49 757 1828 B 456 448 637 996 633 355 744 79° 698 689 5S9' 100 789 984 ->:'i 4>2 .270 856 967 ,6go 1829 712 816 263 248 5n 233 211 856 566 6o5 673 g52 537 95o 52S 466 =74 5oi 883622 i83o 969 186 88g 5oi 3go n3 679 8'9 43g 5'9 758J86i 38o gi5 362Ì5ig 279 959 796 555 i83i 224 555 5i5 755 268 99 ' '47 985 3n 455 842i5g5 028 8S1 3g6 573 783 8'9 712 485 i832 B 479 925 140 002 ,42 864 6.7 042 190 352 926 426 77s 848 43 0 627 282 467 65o 4i8 i833 757 295 767 256 025 745 084 1 1 1 o58 267 01 1 256 523 8i4 464 681 79o i58 545 35o i834 99" 660 3gi 5o5 896 619 552 ,75 93 ' 182 og5 °97 279 779 498 734 2S7 794 459 281 i835 24 j o3o 016 754 770 493 022 234 810 °99 '79 920 oig 746 532 788 786 446 577 214 i836 B 5o3 399 642 906 548 270 498 298 706 014 264 75o 764 712 55(1 842 190 098 2g2 i56 i837 760 767 267 256 520 245 957 564 55o 93o 348 582 5l2 678 600 895 79° 771J208J078 i838 o,5 i53 8g3 5o8 4<>i 123 426 426 426 846 432 4.4 260 644 634 949 294 426 J 1241 010 i839 271 5o6 5ig 760 * 279 001 895 488 5o2 76, 5i7 244 oo5 610 668 oo5 808 081 o59g42 1840 B 526 874 •44 010 .54 876 363 552 '7Ì 677 601 076 753 576 702 o56 298 74' 935,874 i84i 784 243 770 262 o32 754 83 1 616 046 593 685 908 5oi 542 736 1 10 802 401,871 806 • 842 o38 611 3g6 5.4 910 632 299 680 918 5o8 770 758 246 5o8 770 164 3o6 061 786I738 1843 294 981 021 744 765 487 768 742 794 424 854 570 994 474 804 218 786 71617021670 1844 B 549 348 646 014 660 082 237 804 670 54o g38 402 742 440 838 272 5o6 371 6is 602 i845 807 7.8 272 266 538 260 7°4 870 538 255 025 252 487 406 872 325 810 o36 555 5g6 1846 06. 086 Sgtì 5:3 4°g i3o .73 934 4'3 172 107 o65 «7 375 906 379 5o5 695 45 1 467 1847 3'7 455 523 768 agi oi3 64 1 99$ 286 087 '9' 896 985 558 94° 433 814 549 55 1 398 i848 B 573 825 '49 020 i6g 891 161 o58 3i5 002 276 726 72S 5o4 974 487 5i8 g55 2S0 35o 1849 83o ig3 774 270 044 766 578 122 o34 918 56o 558 576 270 008 54o 818 666 og6 262 i85o o85 562 399 5.9 918 659 o48 184 9°3 855 444 5gi 226 258 041 594 3.7 320 "4 '97 i85i 34o g3o 025 772 797 5,9 5i6 293 786. 649 529 120 769 2o5 075 648 822 074 827 128 1832 B 596 5oi 652 026 678 4oo 984 5io 658 655 6i5 042 697 .69 109 701 55o 656 g25 060 i853 854, 670 276 274 55o 272 45 1 376 526. 58 1 697 884 465 i55 143 755 826 5oi JS5g 992 i854 ro8 o38 801 325 124 845 921 438 4o5, 497 782 7i5 212 102 '77 809 925 955 776 925 i855 364 4o8 526 775 a99 020 3go 499 281 4.3 siili 547 960 068 311 863 825 5o8 6g2 857 i856 B S20 777 ,54 029 i83 9° 4 858 563 i53 329 95o 579 708 o54 245 3'6 357 268 308 789 1857 877 i45 778 277 o55 776 326 627 025; 244 d55 2og 455 000 '79 97° 355 328 h3 721 i858 i33 5:4 4°4 529 )33 754 794 6gi 897 160 "9 041 201 566 5i5 324 557 388,459 553 • 859 387 882 028 777 8o5 526 263 753 773 376 20J 875 949 332 547 378 335 243. 555 585 1860 B S42 25l 655 o3i 686 4°7 732 8i5 s49j ?9' 288 705 394 398 58 1 i3i 54i 398 !70 5.7 1861 901 54' 280 280 56o 1 280 200 880 52o' ì 308 372 556 Ì44 365 4i5 .85 1 1 34o 260 88 {5o i7o Tav. IV. Epoche per gli argomenti. Anni ARGOMENTI s < c s > > > > ì> X * X > X > X > X > X 1862 i56 989 go6 533 439 254 667 945 389 820 456 367 190 85o 499 239 345 223 102 38i i863 4.. 358 53o 780 3io 5oo i37 006 268 739 54i 198 937 797 483 292 84o 875 0'9 3i4 1864 B 666 726 i56 032 188 752 606 068 •44 655 625 o3o 685 763 5.7 346 344 53o 935 246 i865 924 096^782 284 066 oo4 070 1 54 012 57. 7°9 862 433 729 55 1 4oo 848 '95 85i 178 1866 180 465 4o8 537 945 258 54. ■97 855 485 794 691 176 694 585 453 455 853 764 109 1867 434 833 o33 786 8.9 5o6 010 260 760 402 S78 524 926 66 1 6ig 507 85? 5io 682 042 1868 B 689 201 658 o36 694 756 479 322|636 3i8 962 356 674 627 653 56 1 352 i65 5g8 964 1869 94? 57. 284 288 572 008 946 388 5o4 253 047 186 4'9 593 687 6i5 856 83o 5i3 906 1870 2o3 94o 910 54i 45i 262 4>4 45 1 377 i48 i3i 017 i65 558 721 668 36 1 488 427 837 1871 457 3o8 535 79° 325 5io 883 5i4 252 o65 2l5 85o 9.5 525 755 722 860 • 45 345 770 1872 B 7i5 677 160 94» 100 660 35a 576 128 980 3oo 680 660 491 789 776 260 800 260 702 i873 97 ! o47 786 292 078 012 8.9 642 996 896 384 5l2 4o8 457 823 83o 864 465 .76 634 1874 226 4i5 4.1 542 953 262 288 7°4 872 812 468 344 i56 423 857 883 364 120 092 566 1875 48 1 784 o38 794 832 5i4 756 768 744 727 553 '74 901 38g 8gi 937 870 780 007 U98 1876 B 736 l52 662 044 706 764 225 83o 620 643 637 006 649 355 9a5 99' 368 435 923,430 .877 994 521 288 296 584 016 692 896 488 55q 721 838 497 321 959 045 872 100 85g 062 1S78 260 891 9'3 545 458 264 162 957 367 475 806 669 144)288 993 °99 37, 752 752 285 •879 5o4 258 54o 800 34o 520 63o 020 240 3go 890 5oo 890 255 027 l52 880 410 670 226 1880 B 760 628 i65 o5o 2l5 770 098 084 1 12 3o6 974 332 638 ; 2 1 9 061 206 38o 070 586 i58 1S81 017 996 79' 3o2 093 022 565 i5o 980 221 o5g 162 383 ig5 o95 259 884 735 5oi 100 1882 273 366 4i6 55 ■ 967 270 o55 21 1 859 i38 ■ 43 995 i33 l52 129 3i3 383 387 4'9 023 i883 526 733 042 804 846 524 5o3 274 732 o53 227 826 879 117 i63 366 888 o45 233 g54 1884 B 783 io3 668 o56 724 776 97" 338 5o4 968 5l2 656 624 o85 '97 420 392 7o5 258 886 i885 041 472 293 5o6 599 026 43g 402 476 884 396 488 372j°49 23 I 474 892 365 164 818 1886 297 842 918 555 470 274 908 465 35 1 801 48o 321 522 016 265 528 3gi 022 082 75. 1887 552 210 543 8o5 348 524 376 529 223 716 565 i5i 867 982 299 582 891 682 997 683 1888 B 807 5So 170 060 23o 780 844 5g2 O96 63 1 649 982 6i3 947 3331636 4oo 34o 9" 614 •889 064 948 796 3l2 108 o32 3l2 656 968 547 733 814 36 1 91 5 367 689 906 000 827 546 1890 320 3i8 420 5% 979 278 78. 7'9 843 463 818 645 108 880 4oi 743 399 657 742 479 1891 575 686 o45 809 854 528 25o 78, 7'9 379 902 477 856 846 435 797 899 3l2 660 4" 1892 B 83o o55 671 062 733 782 718 844 592 =94 986 3o8 fio 2 811 469 85o 404 97° 574 342 i893 088 424 297 3i3 610 052 186 9°9 463 210 071 i3g 349 778 5o5jgo4 9°7 632 49' 275 .894 343 795 922 563 485 282 655 97' 339 126 i55 97' °97 744 537 958 407 287 407 207 «895 599 162 548 8i5 363 534 123 o35 211 0^2 239 703 745 710 57, 012 9" 947 323 i3g 1896 B 853 53o *73 o65 238 784 592 °97 087 957 324 633 5go 676 6o5 o65 4" 602 238 071 «897 1 11 899 799 3,7 116 o36 o5g i63 955 873 4o8 465 338 642 639 "9 9'5 265 154 oo3 1898 365 267 424 567 99' 286 528 225 83 1 789 492 297 086 607 674 170 4i5 932 070 933 '899 622 657 o5o 8.9 869 538 998 285 711 7°4 577 127 83i 5741 707 226 919 572 985 867 1900 C 877 006 675 068 743 786 466 35o 582 621 661 960 58 1 541 74' 280 4i8 234 go3 800 i7i Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell'Anno. Giorni del- l'Anno ARGOMENTI s < w E > > > " 1— 1 > X ►— 1 X X R E X > X > X * > X > X X X , o 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 a 0 2 36 34 1 0 0 997 2 0 5 3 0 3 6 3 0 0 0 996 6 3 3 73 68 4 5 7 002 2 01 3 5 0 5 IO 5 0 0. 11 000 IO 5 4 109 101 5 2 n è 999 4 00 8 7 1 6 i3 8 0 0 12 996 i5 8 5 45 i35 7 3 IO 999 5 01 9 IO 1 9 '9 11 0 '7 997 21 1 1 6 181 169 8 2 IO 996 7 00 ■4 i5 1 12 25 '4 0 18 993 27 ■4 7 218 203 11 6 '7 OOJ 7 02 12 i5 1 '4 29 i5 28 997 3i ■4 8 254 236 12 5 ■7 99* 9 01 •7 ■7 2 i5 32 18 29 993 36 ■7 9 290 270 4 6 20 998 IO 02 18 20 2 18 38 21 34 994 42 20 io 327 3o4 £5 5 20 995 12 01 23 23 2 21 44 24 35 990 48 23 il 363 338 '7 7 24 997 12 o3 21 25 2 20 48 26 4' 994 5a 25 12 399 37. »9 8 27 997 ■4 02 26 28 2 26 54 29 2 46 990 58 28 i3 435 4o5 20 7 27 994 16 01 3i 3o 3 27 57 32 2 47 986 63 3i "4 472 439 22 8 3o 994 '7 02 32 33 3 3o 63 35 2 Sa 987 69 34 • 5 5o8 473 24 io 34 996 18 02 34 35 3 32 67 36 2 2 58 986 73 34 16 544 5o6 26 •4 37 997 ■9 o3 35 38 3 55 73 '39 2 2 64 987 79 37 '7 58 1 54o 27 i5 37 993 21 02 4° 4o 4 36 76 42 2 1 64 983 84 4o 18 617 574 29 «4 4o 994 22 o3 4< 43 4 3© 82 45 2 1 70 984 9° 43 ■9 655 608 3i i3 44 995 23 o5 43 45 4 4. 86 47 2 3 75 983 94 45 20 690 64 1 33 4 47 995 24 o4 44 48 4 44 92 5o 2 3 80 984 100 48 21 726 675 34 i3 47 992 26 o3 49 5o 5 45 95 53 2 3 81 980 io5 5i 22 762 7°9 35 12 47 989 27 04 5o 53 5 48 101 56 2 3 82 98. 11 1 54 23 798 743 38 16 54 994 28 04 52 55 5 5o io5 58 2 3 92 980 1 15 56 24 835 777 39 i5 54 99i 3o o3 57 58 5 55 1 1 1 61 2 3 93 976 121 59 25 87, 810 4i 16 57 99 ■ 3i 04 58 61 6 56 117 64 2 4 98J977 128 62 26 9°7 844 43 18 61 993 32 04 60 62 6 56 118 66 2 4 104 976 i3o 64 27 943 878 45 '9 64 993 33 o5 61 65 6 59 124 69 2 4 109 972 ■ 36 67 28 980 912 46 18 64 99° 55 04 66 68 6 62 i3o 72 2 4 no 973 142 7° 29 016 945 48 ■9 67 99° 36 o5 67 71 n 65 i36 74 3 4 n5 974 •49 71 3o i:Ó2 979 5o 21 7' 992 37 06 69 72 7 65 '37 76 3 4 121 975 i5i 73 3i 089 oi5 52 22 74 992 38 o5 69 75 7 68 i43 79 3 4 126 972 .57 76 32 125 047 53 21 74 989 4° 06 70 78 7 7' 4g 81 3 5 127 972 i63 78 33 161 081 54 20 74 986 4i 06 75 81 7 74 i55 85 3 5 128 971 ,69 82 34 198 1.4 57 24 81 99' 42 o5 76 82 8 74 i56 87 3 5 i38 968 172 84 35 23$ ■ 48 58 23 81 988 44 o5 78 85 8 77 162 90 3 5 i3gj966 .7S 87 36 270 182 60 24 84 988 45 06 83 88 8 80 168 93 3 5 144967 184 90 37 3o6 2l5 61 23 84 985 47 o5 84 9' 8 83 -74 96 3 5 .45|963 190 93 38 343 249 64 27 9> 99° 47 07 89 92 9 83 .75 98 3 5 1 55 967 193 95 39 379 283 65 26 9' 987 49 06 87 95 9 86 181 101 3 6 i56'963 ■99 9S 4o 4i5 3i7 67 27 94 987 5o 07 92 98 9 89 .87 io3 4 6 161 '964 205 99 4' 45a35i 68 26 94 984 52 06 93 101 9 92 ig3 106 4 6 162 960 21 1 102 42 488 384 70 28 98 986 52 1 08 98 io3 9 94 ■97 108 4 6 168 1 ?64| 2l5 104 *72 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell' Anno. Giorni del- l'Anno ARGOMENTI «ì » a > > £| £ l—H > 2 X * X X > 3 > X > X > X > X X X 43 524 4.8 72 29 101 986 54 007 96 io5 IO 95 200 in 4 6 .73 960 220 107 44 56 1 452 73 28 101 g83 55 008 102 108 IO 98 2 ut) i>4 4 6 '74 96. [226 I IO 45 597 486 76 52 108*988 56 8 104 . io IO 100 210 116 4 6 184 960 p3o 1 12 46 633 520 77 3i 108 985 58 7 iog n3 .0 io3 2l6 "9 4 7 (85 g56 236 n5 47 669 553 79 32 111 985 59 8 . .0 n5 1 1 104 2ig 122 4 7 igo 957 24i 11S 48 706 587 80 3i 1 1 1 982 61 7 ..5 118 1 1 107 225 123 4 7 ■9i g53 247 121 49 742 621 83 35 118 987 61 9 . .5 .20 1 1 ìog 229 127 4 7 201 937 25. 123 5o 778 655 84 34 .18984 65 8 ..8 123 1 1 . 12 255 i5o 4 7 202 953 257 126 Eri 8i5 688 86 35 12. 984 64 9 "9 .25 12 n3 238 l32 5 7 207 954 262 I27 52 85i 722 87 34 12. 98. 66 8 .24 .28 12 116 44 i35 5 7 208 g5o 268 i3o 53 887 706 89 36 .25^85 66 IO .22 i3o 12 118 248 i57 5 8 2,4 934 272 l32 54 923 79° 91 37 128 983 68 9 127 i33 12 121 254 i4o 5 8 2ig g5o 278 i35 55 960 824 9"> 36 128 980 69 IO 128 .36 12 .24 260 143 5 8 220 95 1 284 i38 56 996 858 94 3? .3. 980 7' 9 .33 i3g 12 127 266 46 5 8 225 947 290 4i 57 o32 892 9G, 39 .55 982 71 . 1 .3. >4o l5 127 267 48 5 8 23 1 g5i 295 i43 58 069 925 98 4° .38lg82 73 IO i36 .43 IJ .3o 270 i5i 5 8 236 947 299 46 59 io5 9^9 99 39 .38 979 75 9 .4. .46 i3 .55 279 i54 5 9 207 943 3o5 ■49 60 .4. 99$ 1 0 1 4° .4. 979 76 IO .42 .48 >4 .34 282 .57 5 9 242 944 3.o l52 61 t78 027 io3 42 .45 981 nn IO .44 i5o 4 .36 286 .58 6 9 248 943 34 l52 62 ■ii 4 061 104! 4i i45 978 78 II .45 .55 4 .39 292 161 6 9 24g 944 320 i55 63 25o og4 io6[ 42 .48 978 80 IO i5o i55 i5 \L\Q 295 .64 6 9 254 94° 325 i58 64 286 128 107 41 ■48 975 8. .1 .5. i58 .5 143 3oi 167 6 9 255 94 1 33. .6. 65 323 162 no 45 .55 980 82 1 1 .53 .60 i5 .45 5o5 169 6 IO 265 940 335 .65 66 35g 196 ni 44 .55 977 83 .2 .54 i63 i5 i48|5n 172 6 io 266 g4i 34. .66 67 395 200 n3i 45 .58 977 85 I I .5g .65 16 l4g|3i4 ■73 6 IO 27, 937 546 169 68 43. 263 .4 44 .58 974 87 IO ,6{ .68 16 l52 520 .78 6 IO 272 g35 352 .72 j 69 467 297 117 48 .65 979 87 12 162 .70 16 .54 324 .80 6 IO 282 937 356 •74 7° 5o4 53 1 n8 47 .65 976 89 II 167 i75 .6 .57 53o i83 6 IO 285 g33 362 '77 71 54o 365 120 48 .68 976 9° 12 .68 .75 ' i58 333 186 6 1 1 288 934 367 180 72 577 399 122 5o 172 978 91 12 .70 I rm ■7 160 337 •87 7 1 1 294 935 37. 180 73 6i5 435 123 49 172 975 92 l3 .7. 180 ■7 i63 543 igo 7 1 1 295 934 377 iS5 74 64g 467 125 5o .75 975 94 12 ■76 .83 ■7 166 349 ig3 J 1 1 5ou g3o 385 186 75 686 5oo 126 49 i75 97 2 95 i3 ■77 .86 •7 .6g 355 ig6 7 1 1 5oi g3 1 389 189 76 722 534 129 55 182 977 96 i3 ■79 .87 18 i6g 356 ■98 7 1 1 3. . g5o 5g2 '9' 77 758 568 i3o 52 182 974 97 i4 180 igo .8 172 562 201 7 II 3.2 g5i 39S "94 78 794 602 l32 53 .85 974 99 i3 iS5 I93 .8 .75 368 204 7 1 1 017 927 404 '97 79 83 1 636 i33 52 .85 97i .00 •4 186 ig6 .8 ■78 374 207 7 12 5i8 }98 iio 200 80 S67 670 i36 56 192 976 .01 i4 .88 '97 ■9 178 375 2og 7 .2 328 327 4*3 202 81 go5 703 • 37 55 192 973 io5 .3 i95 200 19 18. 58 1 212 7 .2 529 525 1 +19 2o5 82 94° 737 i38 54 iga 97° 104 4 ig4 205 ■9 184 587 2.4 8 .2 35o ?4 }25 206 83 976 77' 140 55 .95 97° .06 i3 ■99 206 '9 187 393| 217 8 12 555 520 }5. 2og 84 012 8o5 .42 5; ■99 972 106 i5 i '97 207 20 187 394 2I9 8 12 54. ?24 }54 211 •73 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell'Anno,. . ARGOMENTI del- l'Anno S < 5 > > > > > E M a P X x x XVI XVII > d X 85 4s S3c i44 58 202 97' tot •4 202 2I( 20 ■9< 1 4°o 22; 8 12 546 92C 44» 214 86 o85 873 i4£ 57 203 96£ I0£ .5 20Z 2lJ 20 '9' i 4o6 225 8 i3 347 92 446 217 87 121 9°; i4s 61 20C 974 ne i5 20f 2IÌ i 20 '9! > i 1 1 22; 8 i3 357 g2t 45o 219 88 .57 94c 4j 60 20C 97" 1 1 1 16 20t 2i; 21 igt 4k 23( > 8 i3 358 921 455 222 89 ■94 974 i5i 61 212 97' 11: i5 211 22C 21 ■9J 1 4'9 23; 8 i5 56; 91: 46 1 225 9° a3o 008 i5a 60 212 96S ut •4 2IÉ 222 21 20' 425l23f 8 i3 36/ 9'- 46; 228 9' 266 042 i55 64 2I£ 97' I li 16 2,4 22Ì 21 20/ 42£ 23f 8 io 374 738 482 176 70 246 964 l32 18 246 258 24 254 492 272 10 i5 422 9°4 54o 262 io5 774 5i6 178 71 249 964 i34 '7 25l 261 24 237 497 275 IO ■ 5 427 900 546 265 106 811 55o '79 70 249 96' i35 18 252 263 25 238 5oi 278 IO i5 428 901 55 1 268 107 847 584 182 74 256 966 i36 18 254 265 25 240 5o5 280 IO 16 438 900 555 270 108 S85 618 i83 73 256 963 >37 '9 255 268 25 243 5n 280 IO 16 439 901 56 1 273 109 9'9 652 i85 74 25g 965 1% 18 260 271 25 246 5i6 286 IO 16 444 897 567 276 I IO 956 686 .87 76 263 965 i5g 20 258 273 25 248 521 2SS IO 16 45o 901 57. 278 1 1 1 992 7'9 .89 77 266 965 .4i '9 260 275 26 249 524 291 IO 16 455 897 576 281 1 12 028 753 190 76 266 962 142 20 264 278 26 252 53o 294 IO 16 456 898 582 284 n3 o65 787 •9' 75 266 959 ■44 '9 269 281 26 255 536 297 IO 16 457 894 588 287 ..4 101 821 •94 79 275 964 •44 21 267 282 27 255 537 299 IO '7 467 898 5gi 28g n5 ,3,7! 855 i95 78 273 961 146 2.0 272 285 27 258 543 5oi 1 1 17 468 8g4 597 290 116 173 889 '97 79 276 961 i48 '9 277 288 27 261 549 3o4 1 1 17 473 890 5o3 2g3 "7 210 92.3 .98 78 276 958 .49 20 278 291 27 264 555 307 1 1 '7 «74 891 3og 296 118 246 j 957 201 82 285 963 i5o 20 280 293 27 266 58g 5o9 II '7 {84 890 5i5 298 "9 282' 39' 202 81 283 960 .5. 21 281 295 28 267 562 5l2 II 17 < 185 89. < 5i8 3oi 120 519I 025 204 82 286 960 i53| 20 286 298 28 270 568 5<5 1 1 18 1 Ì9° 887 ( 224 3o4 121 555! D5g 205 8i 286 357 154 21 287 5oi 28 273 574 5i8 1 1 18 t 9> 388 ( i3o 307 122 59'| 392 207 83 290 ^ .55 21 289 . >o3 29 275 578 . )20 1 1 iS 4 97 ! S87 634 5og 123 {28 ! 126 209 84 293 )59 i56 22 290 : 5o5 29 276 58 1 ; )2Ó 1 1 is ; >02 i S88 ( .3g 3l2 124 }64 160 210 83 295 j56 i58 21 295 : S08 29 '79 5s7: )26 li 18 t o3 i 84 t 45 3:5 125 5oo '94 212 84 296 < )56 59 22 296 : in 29 ' >82 ! >g3 ' 28 12 18 £ 08 ì 85 e 5i 3.6 126 536 228 214 86 5oo 958 60 22 ■ '98 ' 'i3 20 ; >84 ì >g7 53o 12 1 18 £ 4 * 84 e 55 3i8 174 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell'anno. Giorni del- l'Anno ARGO ai ENTI M M * X X H X 127 128 129 i3o i3i l32 i33 i34 i35 i36 i37 i38 ,5g <4o .4. 142 143 ,44 145 46 147 48 '49 i5o i5i l52 i53 i54 i55 i56 i57 i58 i5g 160 161 162 i63 164 i65 166 167 x68 570 6og 645 G82 718 754 79° 827 863 899 935 97 008 044 081 90 226 262 99 355 37, 4°7 444 480 5i6 553 58g 625 66 698 734 770 807 43 879 gi5 g52 988 024 262 296 33o 363 59? }5i 464 499 533 567 601 635 669 7o5 737 771 8o5 839 873 906 94° 974 008 042 076 1 io .78 212 246 280 3izj 548 582 4 16 45o 484 5i8 552 586 620 654 216 2.7 218 221 223 224 225 228 229 23 233 235 36 238 240 24 ■ 243 244 247 ■A 25o 25 a54 255 256 258 260 262 263 265 267 21 270 273 274 276 277 279 281 282 284 286 «7 S6 85 89 9° 89 88 92 9' 92 94 95 94 95 97 96 97 96 100 99 100 99 io3 IO) 1 1>4 io5 IO) io5 107 108 107 I IO I 12 Il3 112 n3 n5 5o5 3o3 3o3 3io 3i3 3i3 3i3 320 320 323 327 33o 33o 333 337 337 340 34o 347 347 35o 35o 357 357 35; 359 364 367 367 37o 374 377 377 384 584 387 387 39 394 397 401 958 g55 952 957 957 9H 95, 956 953 953 955 955 952 952 954 g5 1 g5i 948 953 g5o 95o 947 952 9Ì9 946 945 948 948 945 945 947 947 944 94g 946 946 943 945 945 942 942 22 21 23 22 23 22 24 23 74i 22 74| 24 761 23 77=4 g3 25 94 95 96 99 200 201 203 204 205 207 208 209 210 212 2l5 2l5 3o5 3o4 3o9 5o7 3l2 3i3 3i8 3i6 321 326 024 529 53o 555 533 558 339 344 342 347 348 355 555 556 56 1 362 364 365 3-o 37' 373 374 379 58 582 587 588 3go 5gi 596 39 595 3 16 3i9 521 525 526 529 55 1 333 356 557 54o 543 346 549 35i 353 356 35g 36 1 365 566 369 37i 574 5,6 379 58 1 584 586 589 591 394 3g6 398 4oi 404 4o6 4o8 4" 4.4 417 418 29 29 3o 3o 3o 3o 3i 3i 3i 3i 32 32 32 32 32 33 33 35 1526 33 328 6o3 355 6og 556 6i2j339 616 34i 622:344 628347 63ij35o 635,552 64i 555 643! 357 64SI359 654J562 66oJ565 666:568 670 570 52o 675J373 323 679 576 685 379 689 38 692 384 698,386 7o4!38g 708 5gi 7 '4 394 287 290 291 2g5 296 299 5oo 5o2 5o5 5o6 5o8 Sii 5i4 5i7 5ig 32g 552 555 557 54o 34i 344! 725 346 349 35o 555 355 358 35g 56 1 564 56j 368 570 575 576 379 379 727 755 756 742 746 752 755 759 765 771 774 778 784 79° 796 797 597 4oo 4o2 4o5 4o8 4«« 4i5 4i5 4.18 420 423 426 429 43 1 434 457 44° 442 5ig 52o 521 55 1 556 557 558 548 549 554 56o 565 566 57 1 577 578 585 584 594 595 600 601 611 612 6i3 617 624 629 63o 655 64 646 647 657 658 663 664 670 675 676 681 687 880 881 877 881 °77 S78 874 878 874 870 S74 870 87. 867 87. 867 868 864 868 864 865 87, 860 861 661 667 672 676 682 688 693 697 7o5 7o5 712 7.8 724 75o 734 7 39 745 75 755 760 766 77 776 782 857 787 858 7g5 857 797 860 8o3 S08 814 854 855 854 855 85i 85o 85i 847 848 847 848 844 | 866 8451872 849l875 824 829 855 85g 845 85o 854 321 3a4 327 329 552 335 338 34o 343 344 346 349 352 355 557 56o 363 566 368 37. 372 575 377 38o 383 386 388 3gi 394 397 399 4oo 4o3 4o5 4o8 4.1 4.4 416 4<9 422 425 i75 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell Anno. Giorni del- l'Anno ARGOMENTI W M M y. 169 170 171 177 >73 174 .75 .76 '77 178 '79 180 1S1 1S2 i83 184 ■ 85 186 .87 190 ■9' 192 ig3 >9Ì i95 196 '97 .98 '99 200 201 202 200 2o4 205 206 207 208 209 210 ,„,- .33 170 206 242 278 3i5 35i 387 424 46o {96 532 569 6o5 64 1 678 7'4 688 7 7 56 789 823 857 891 925 959 993 027 061 095 129 i63 '97 2Ò| 265 750 299 116 n5 116 118 "7 ri8 "7 121 29 295 294 296 29 3oo 3oi 3o3 3o4 307 3o8 3io 3i 1 3i3 3i5 3i8 319(129 120 124 123 124 123 125 126 129 4°4 4°4 407 4" 4.1 4.4 4.4 421 421 424 424 43 1 43 1 454 434 438 44' 787J533I320I128 823^67 322 129 85g'4oi 895 J 435 g"32 469 448 448 5i 323!i28l45i 326 327 968 5o2 328 l5o 004 556 o{i 1570 077 604 nò 638 672 •49 186 222 a58 295 |33i 567 4o3 44o 476 5l2 549 585 33o' i5i 332| i33 458 458 458 46. 465 334 .34! 468 335 133468195 944 94' 94' 943 94o 94° 937 942 939 9^9 936 94' 938 g38 935 937 937 94° 939 956 956 933 g38 935 932 g32 934 934 2.4 216 218 219 221 222 224 224 226 227 229 229 23. 233, 234 235 236 1 238, 239| 240 j 242, 706 74o 774 S08 342 876 910 941 978 012 0-|6 n8o 358 337 35g 34 342 345 346 347 % 35. 353 354 356 '■34 47' .36j475 l37(4y8 .36 '478 .-io }85 139 485 .38 485 i3g!488 141J492 495 93 1 243 32 244 245 247 248 24g 25o 252 253 930I2S4 I |2 .4. r42 '44 4g5 498 5o2 953 910 955 g32 929 929 93 . 93. 928 928 g3o 256 257 257 25g 260 262 265 264 266 267 268 3g6 401 406 408 4.3 4'4 4'9 4.7 422 423 428 426 43. 456 437 439 440 445 447 448; 453 454 456 457 462 463 465 466 47' 47 474 479 480 478 483 484 48g 49' 492 497 498 5oo 421 424 427 428 43. 434 437 43g 441 444 447 449 452 454 457 459 462 464 466 469 472 474 476 479 382 585 388 388 39. 394 397' 3g9| 858 4oo 84. 485 486 48g 492 495 496 499 5o2 5o4 5o6 5og 5l2 54 5.7I 5l9Ì 522 5241 4o3 4o6 4o8 4" 4.2 4x5 4'7 420 421 423 426 429 43o 432 435 44 J438 .44. 44' 8o3 444 809 448 S.5'450 8i6!452 822I455 828[458 834 |46i 463 466 847 853 857 865 866 S72 876 882 885 889 8g5 901 9°4 908 9'4 920 926 927 444 933 447)939 450,945 45o g46 453 | 952 456 'g58 458 g62 459 462 465 467 470 47' 474 476 965 97' 977 98, 987 99o 46g 472 473 476 479 482 484 487 49° 492' 495 49S 5oo 5o2 5o5 5o8 5.i 5.3 5i6 5ig 522 524 527 52g 53 534 537 54o 542 545 548 gg6|55. 000 553 25 25 25 25 25 25 26 26 26 26 26 26 26 27 27 27 27 27 27 27 28 28 28 28 28 28 29 29 29 29 29 29 29 3o 3o 3o 3o 3o 3o 3o Si 3i 692 6g3 698 7°4 705 710 7" 85o 846 842 84i 837 838 834 721 838 722(834 727J835 728 83 738 739 744 745 835 83. 827 828 75i '827 756)828 765 [824 767^823 768J824 773 820 774 784 785 786 79 797 802 8o3 808 8.4 S.g 820 83o 83. 852 837 845 848 84g|8o4 854!8o5 860 804 821 820 82 817 8.8 8,7 818 '4 i5 «4 810 11 i5 811 812 808 807 808 881 428 887 43 1 893 434 896 436 902 43g 908 442 9'4 445 9.8 447 923 45o 929 453 935 456 939 456 945 45g g5o 462 g56 465 g6o 467 964 470 97' 473 975 475 981 478 987 48i 99^ 482 996 484 002 487 008 4g° 0.4 493 023 02g o35 o58 044 o5o o54 o5 o65 07 075 081 086 og2 og6 49^ 498 5oi 5o4 5o6 5og 5io 5n 5.5 5i8 520 523 526 529 532 554 iZ6 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell'Anno Gioini del- l'Anno ARGOMENTI 3 < )-i 1— 1 > > > <— 4 > — > * M HH t— 1 a 1 > HH HH X 1 X > > > > •211 621 i~*4 36o ,45 5o5 g5o 269 37 5oi 527 48 479 006 556 «9 3i 865 So5 102 537 212 658 148 56i ■44 5o5 927 271 36 5o4 Sag 49 48o oog 558 20 3. 866 801 107 538 2l3 694 182 363 ,46 5op 9^9 27, 38 5o4 53, 49 482 o,5 56o 20 3. 872 8o5 11 1 54o 214 700 216 365 '47 5,2 929 273 37 5og 534 49 485 o,g 563 20 5i 877 801 . 17 543 2l5 766 25o 366 ,46 5,21926 274 38 5,o 537 49 488 025 566 20 3. 878 802 .23 546 216 8o3 284368 ,47 5i5jg26 276 37 5,5 55g 5o 4«9 028 569 20 ' 3q 883 798 128 549 217 83g 3i7 37o «49 519)928 277 37 5,7 54, 5o 49' o52 57. 20 1 32 889 797 .32 55 1 218 875 35ij372 ,5o 522 028 278 38 5,8 544 5o +9+ o3s 574 20 i 32 894 798 .38 554 219 912 385 373 ■49 522 925 280 37 523 547 5o 497 °44 577 20 32 895 794 .44 557 220 948 4'9 376 ,55 529 93° 280 3g 52i 54g 5o 499 o48 579 20 32 go5 798 .48 559 221 9«4 453 377 .52 529 927 282 58 52655, 5, 5oo o5i 582 20 32 go6 794 ,55 562 222 020 487 379 ,53 532 927 280 39 527,304 5: 5o3 057 584 21 : 32 9" 795 ,5g 563 223 o57 521 38o ,52 532 1 92 4 285 58 552 1 557 5i 5o6 o65 587 21 35 912 79' i65 566 224 093 555,381 i5i 55 2 92 iì 286 39 555 56o 5, 5og o6g 5go 21 33 9,5 792 171 56g 225 129 589'384 ,55 53g 926 287 59 535 56, 52 5og 070 592 2. 35 92J 79 l 174 571 226 166 6231385 ,54 53g g23 288 4o 556 564 52 5l2 076 5g5 21 1 35 924 792 180 574 227 202 657 387 ,55 542 g25 290 39 54i 567 52 5.7 084 5g8 21 35 929 788 186 577 228 2J8 691 388 ,54 542 920 292 38 546 57o 52 J5i8 088 60. 21 33 g5o 784 ,92 58o 229 x71 725 3gi ,58 549 925 292 4o 5441 571 55 |3i8 0S9 6o3 21 34 94° 788 .95 582 23o 3i 1 759 392 .57 549 922 294 39 549574 53 521 o95 606 21 34 94« 784 20. 585 23 I 347 794 394 ,58 552 922 295 4o 55o 577 55 |524jIoi 609 21 54 946 785 207 588 232 383 827 5g6 160 556 924 296 4o 5521579 53l526 io5 611 2. 34 g52 784 211 58g 233 420 861 399 i63 552 927 297 4' 555 1 582 53 1 5291111 6,5 22 34 961 785 217 59i 234 456 8g4 399 160 55g g2i 299 40 56o 584 54 53ol u4 616 22 54 958 78. 222 594 235 Ì92 928 4oi ,6, 562 g2i 3oo 4i 559 587 54 533! 120 6.9 22 34 g65 7S2 228 597 a36 529 962 4o3 ,63 566 g23 5oi 4i 56, 5Sg 54 536' 124 62. 22 35 969 781 252 599 237 565 996 4o5 ,64 56g 923 5o2 42 562 592 54 558Ji3o 624 22 35 974 782 258 602 a38 601 o3o 4o6 ,65 56g 920 3o4 4' 567 594 55 53g,i33 627 22 35 975 77S 243 6o5 239 637 o63 407 162 56g 9>7 3o6 40 572 597 55 542 .3g 63o 22 35 976 774 249 608 240 674 °97 410 166 576jg22 3 06 42 570 599 55 544 i45 652 22 35 9S6 778 253 610 2+1 710 i3i 4" ,65 57619,9 3o8 4' 575 602 55 547 «49 635 22 55 987 774 25g 6,3 242 746 i65 4.3 ,66Ì579|9,9 3og 42 576 6o5 55 55o .55 658 22 35 992'775 265 616 ,43 783 ■99 4.4 ,65 5799'6 3n 4' 58, 607 56 55, .5S 64. 22 35 993 77 « 270 619 244 819 253 4i6 ,67 583 918 3n 43 579 609 56 555 162 642 23 36 999 775 274 619 245 855 268 4iS 168 586 918 3,3 42 584 6,2 56 556 .68 645 23 36 994 77' 280 622 346 89. 3o2 4'9 ,67)586 g,5 3,4 43 585 6,5 56 559 ■74 648 23 56 oo5 772 286 625 247 928 336 42, i68ì58g 9,5 3,6 42 5go 6,7 57 56o .77 65. 23 36 0,0 768 291 62S 248 964 370 425 170J593 9'7 3,6 44 588 6,g 57 562 .81 653 23 36 016 772 295 63o 249 000 4o3 425 171 5g6 9'7 3,8 45 5g5 622 57 565 .87 656 23 36 02 , 768 3o, 633 a5o 037 437 426 ,70 596 9'4 320 42 598 625 57 568 .93 65g 20 37 022 764 507 636 25l 073 471 428 17, 599 9>4 321 43 599 627 58 56g .96 662 25 37 027 765 5,2 639 252 109 5o5 43o ,73 6o3 1 g,6 Ì322 1 43 60, 62g 58 57, 9.00 664 23 37 o33 764 5.6 6',. 177 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell 'Anno. Giorni ARGOMENTI del- l'Anno s < a s > > > £ >• X X H X X > X > X X 1 X > X X 253 .45 53g 432 ■74 606 9.6 525 44 602 652 58 574 206 667 23 37 o38 765 522 644 254 182 573 453 173 606 9.3 Ò25 45 607 635 58 577 212 670 25 37 009 761 J28 647 255 218 607 435 .75 6lO gi5 325 45 6o5 636 59 577 2.3 671 24 37 o45 765 33. 647 256 254 64 1 437 ,76 6.3 g.5 327 44 610 63g 59 5So 219 674 24 58 o5o 761 337 65o 25y 291 674 438 .75 6i5 9.2 328 45 6.1 642 59 5S3 225 677 24 38 o5i 762 345 655 258 327 708 44° ,76 616 912 33o 44 6.6 645 59 586 25 I 680 4 38 o56 758 349 656 25g 365 742 442 ,78 620 9'4 33o 46 614 646 60 586 252 682 24 58 06* 762 552 658 260 4oo 776 444 '79 623 9'4 553 45 622 649 60 589 238 685 24 38 067 767 358 661 261 456 810 445 .78 620 9" 354 44 624 652 60 5g2 244 688 24 58 068 754 364 664 262 472 844 447 '79 626 9" 555 45 625 655 60 5g5 25. 691 24 58 075 765 J70 667 263 5o8 87S 449 181 63o gi3 536 45 627 656 6. 595 252 6g3 24 39 °79 754 373 669 264 545 912 45o 180 65o 910 337 46 628 65g 6. 5g8 257 6g6 24 39 080 755 379 672 | 263 58 1 946 452 1S1 633 9.0 55g 45 653 662 6. 601 265 699 24 39 o85 75. 585 675 266 617 979 453 180 633 9°7 5io 46 634 665 6. 604 269 701 25 39 086 752 5g. 676 267 654 oi3 456 .84 640 912 54, 46 555 667 6. 606 273 705 25 39 096 75i 595 678 26S 690 "i; 457 i83 640 9°9 542 47 637 66g 62 607 276 706 25 39 0971752 4oo 68. 269 726 081 459 .84 643 9°9 334 46 642 672 62 6.o 282 7°9 25 39 .02 748 406 684 270 762 n5 46o i85 645 906 345 47 643 675 62 6.5 288 712 25 4o to5 749 4.2 687 271 799 '49 463 .87 65o 9" 3/t6 47 645 677 62 6.5 292 7.4 25 4o u3 74» 4.6 689 272 855 182 464 .86 65o 908 348 46 65o 680 62 6.8 2g8 717 25 4o "4 744 422 692 i75 871 216 466 .87 655 908 549 47 65. 682 63 619 5oi 720 25 4o "9 745 427 695 27i 908 25o 467 186 653 go5 35 1 46 656i685 63 622 307 723 25 4o .20 74' 453 698 275 944 284 469 .88 657 9°7 55. 4s ; 654 687 63 624 3.. 725 25 4° 126 745 457 700 276 980 5i8 471 ,89 660 9°7 353 47 (65Q 690 63 627 317 727 26 4o .3i 74' 445 70. 277 oi6:352 472 .8S 66 u 9»4 354 48 660 692 64 628 320 73o 26 4« .52 742 448 7°4 278 o53'586 474 189 663 9°4 556 47 665 6g5 64 63. 3a6 733 26 4' .37 73s 454 707 279 089 4201476 '91 667 906 356 49 663 697 64 653 33o!755 26 4« ,43 742 458 7°9 a8o ■ 25454 478 192 670 906 558 48 668 700 64 656 356j73s 26 4' .48 758 464 712 281 162488479 '9' 670 go3 55g 49 669 702 65 637|339,74, 26 4' '49 739 469 7.5 282 it)8j5-2 1 (82 195,677 908 56o 49 671 7°4 65 63g 343:743 26 4« ,5g 738 473 7'7 283 234'555j4S5 194,677 go5 562 48 676 7°7 65 642|349,746 26 4> 160 734 479 720 284 271 5s<; 48 j .95j677|9o2 563 49 677 7.0 65 645^55 7/,9 26 42 161 755 485 723 285 3oy 6a3|486 ig4 680:902 365 48 682 7'"1 65 648:56.l752 26 42 .66 73. 49' 726 286 543 657 488 i96J684 9»4 365 5o 680 7'4 66 648 362:754 26 42 172 755 494 728 287 579 691 49° ■97|687 9o4 567 49 685 7.7 66 65.;568 756 * 27 42 •77 73' 5oo 729 288 4i6 724 49' .96687 901 36S 5o 686 720 66 654 574 75g 27 42 178 732 5o6 752 289 452 758 493 197 690 901 370 49 6gi 723 66 657 5So 762 27 42 .83 728 5.2 735 290 488 792 495 '99 694 go5 370 5. 689I724 67 657)58. 764 27 42 .89 752 5.5 737 291 525 826 497 21)0 697 go3 372 5o 6g4 727 67 660:587 767 27 43 '94 728 521 74» 292 56 1 860 498 '99 697 900 373 5i 695 730 67 663 5g5 770 27 43 .95 729 527 743 -293 597 1 8g3 499 .98 697 897 575 5o 699 753 67 666! òggi 775 27 43 .96 725 555 746 «J* 653|g27 1 5o2 202 7°4 902 375 52 698 734 68 666|4oo 775 27 43 206 729 536 748 23 r78 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell' Anno. Giorni del- l'Anno ARGOMENTI S < H 1 ai > « 1 -1 1 > 1— 1 > > 1— 1 > X X X X ì—t X £3 X > X > X > X X X 2g5 670 961 5o3 201 7°4 899377 5i 7o3 737 68 669 4o6 778 27 43 207 725 542 7Sh 2g6 706 995 5o5,202 707 899 379 5o 708 740 68 672 4.2 78. 27 43 212 723 548 754 297 742 029 5o6 201 707 8g6ì38o 5i 709 743 68 675 4i8 784 27 44 2l3 722 554 757 298 779 o63;5o9 205 7-4 901 38i 5i 7" 745 68 677 422 785 28 44 220 721 55S 757 299 8.5 096 5io 2o4 714 898 382 52 712 747 69 678 425 788 28 44 224 722 563 760 5oo 85 1 i3o 5l2 2o5 717 898 384 5. 717 75o 69 681 43 1 79' 28 44 229 718 56g 763 3oi 887 164 5i3 204 717 895 385 52 7'8 753 69 684 437 794 28 44 23o 7'9 575 766 3o2 924 198 5i6 208 724 goo 586 52 720 755 69 686 441 796 28 44 240 718 579 768 3o3 960 232 5.7 207 724 «97 387 53 721 757 70 687 444 799 28 44 241 7'9 584 771 3o4 996 266 5i8 206 724 894 58g 52 726 759 70 690 448 802 28 44 242 7.5 588 774 3o5 o33 3oo 521 210 73' 899 38g 54 724 762 70 692 454 804 28 45 252 7'9 594 776 006 069 333 522 209 73 1 896 5gi 53 729 765 70 695 460 807 28 45 253 7.5 600 779 307 .o5 367 524 210 734 896 3g3 52 734 767 7' 696 463 810 28 45 258 7" 6o5 782 3o8 .42 401 525 209 734 8g3 394 53 735 770 7' 697 46g 812 29 45 259 712 611 783 3og ■ 78 435 528 2l3 74' 898 3g5 53 737 772 7' 701 473 814 29 45 269 7" 6.5 785 5io 214 468 529 212 74 [ 8g5 396 54 738 775 7' 7°4 479 817 29 45 270 712 621 788 3.1 25o 5o2 53 1 3i3 744 8g5 3gS 53 743 777 72 705 482 820 29 46 275 708 626 79' 012 287 536 532 212 744 892 $99 54 744 780 72 708 488 823 29 46 276 710 632 794 3i3 323 570 535 216 75. 897 4oo 54 746 782 72 710 492 825 29 46 286 708 636 796 3i4 359 604 536 2l5 75i 894 40. 55 747 785 72 7.3 498 828 29 46 287 7°9 642 799 3i5 396 638 507 2.4 75. 891 4o3 54 752 787 73 7'4 5oi 83 1 29 46 288 705 647 802 3i6 432 671 539 2l5 754 8gi 4o5 53 737 79° 7^ 717 507 854 29 46 293 701 653 8o5 3,7 468 705 54. 217 758 8g3 4o5 55 755 792 73 7'9 5n 856 29 46 299 7o5 657 807 3i8 5o4 739 543 2.8 761 8g3 407 54 760 795 73 722 5'7 83g 29 47 3o4 701 663 810 3rg 54i 773 544 217 761 890 4o8 55 761 797 74 72J 520 84i 3o 47 3o5'702 668 811 320 577 807 547 221 768 8g5 4°9 55 763 799 74 725 524 843 3o 47 3i5:7oi 673 8.5 321 6i3 84o 548 220 768 892 1 1 1» 56 764 802 74 728 53o 846 3o 47 3i6 702 678 8.6 322 65o 874 55o 22 1 771 8g2 4l2 55 769 8o5 74 73 1 536 849 3o 47 321 698 684 8ig 323 686 908 55i 220 77' 889 4i3 56 770 807 75 732 539 852 3o 47 322 699 6Sg 822 324 722 942 554 224 778 «94 4.4 56 772 809 75 734 543 854 3o 47 332 698 693 824 325 759 976 555 223 778 891 4'5 57 773 812 75 737 549 857 3o 48 333 699 699 827 326 795 009 556 222 77S 888 4'7 56 778 8i5 75 74o 555 860 3o 48 534 695 7o5 83o 327 83 1 043 558 223 78. 888 4i8 57 779 817 76 74' 558 865 5o 48 559 696 710 833 328 867 077 56o 225 785 890 4'9 57 78' 819 76 7P 562 865 3o 48 545 695 7'4 855 329 9°4 1 1 1 562 226 788 890 421 56 786 822 76 746 568 868 5o 48 35o 691 720 838 33o 94o ■44 563 225 7S8 887 422 57 787 825 76 749 574 870 3i 48 35i 692 726 85g 33 1 976 .78 565 226 79' S87 424 56 792 S28 76 752 58o 875 5i 49 356 688 732 842 332 oi3 212 567 228 793 887 (lÀ 58 790 829 77 752 58! 875 3i 49 36o 699 735 844 333 »49 246 569 229 798 889 426 57 795 832 77 755 587 878 3i 49 367 688 74' 847 334 o85 279 570 228 798 S8(i 428 56 Soo 835 77 758 593 881 3i 49 368 684 747 S5o 335 121 3i3 57, 227 798 883 42g 57 801 838 77 761 599 884 3i 49 56g ÌS5 753 855 336 i58 347 574 20 I 8o5 888 429 59 799 84o 77 763 6o3 886 3i 49 379 S89 757 855 [79 Continuazione della Tav. IV. Pei giorni dell' Anno. ARGOMENTI Giorni del- l'Anno 3 < " - j> > > > i> j*j X H « R > > t— 4 i—i > X 337 >9i 38 1 575 23o 8o5 885 43 1 58 8o4 842 78 764 606 8s9 3i 49 38o 685 762 858 338 230 4.5 577 23 1 808 885]433 57 809 845 78 767 612 892 3i 5o 385 681 768 861 339 267 448 578 23o 808 882 434 58 810 S48 78 770 618 895 3i 5o 386 682 774 864 34o 3o5 482 58 1 234 8i5 887 435 58 812 85o 78 772 622 896 32 5o 396 681 778 864 34i 339 5!5 582 2.35 8i5 884 456 59 812 852 79 773 625 899 32 5o 397 682 783 867 342 375 549 584 234 818 884 438 58 818 855 79 776 63 1 902 32 5o 402 678 789 870 343 4l2 583 585 233 818 881 439 59 819 858 79 778 637 9°5 32 5o 403,670, 795 873 344 448 6.7 588 "7 825 886 44o 59 82! 860 79 78. 64 1 9°7 32 5o 4i3678 799 875 345 484 65 1 589 236 825 883 44" 60 822 862 80 782 Hi 910 32 5i 4.4679 804 878 346 521 685 5gi 237 828 883 443 59 827 865 80 785 65o 9.3 32 5i 419 675 810 881 347 557 7J9 593 239 832 885 443 61 825 867 80 787 654 9i5 32 5i 425 679 814 883 348 593 753 594 238 832 882 445 60 83o 870 80 79° 660J918 32 5i 426 675 820 886 349 63o 787 595 237 83a 879 446 61 83i 872 81 792 663Jg2i 32 5r 427 676 825 889 | 35o 666 820 597 238 835 879 448 60 836 875 81 794 669 924 32 5t 432 672 83 1 892 35z 702 853 600 242 842 884 44g 60 838 877 8t 796 673 925 33 5i 44* 671 835 892 552 738 887 601 241 842 881 45o 61 839 880 81 799 679 928 33 52 443 672 84i 895 553 775 921 6o3 342 845 8S1 452 60 844 883 81 802 685 93 1 33 52 448 668 847 898 354 811 955 604 241 845 878 453 61 845 885 82 8o3 688 934 33 52 44g 669 852 goi 355 847 989 606 240 849 880 61 847 887 82 8o5 692 936 33 52 455 668 856 go5 356 884 020 608 244 852 880 455 62 848 890 82 808 698 939 33 52 460 669 862 906 357 920 o56 609 243 852 877 457 61 853 893 82 811 7°4 942 33 52 46i 665 868 9°9 358 956 090 611 244 855 877 458 62,854 895 83 812 707 945 33 52 466 666 873 gi2 359 992 124 6i3 246 859 879 459 62 856 897 83 814 711 947 33 53 472 665 877 9'4 36o 029 .57 6i5 247 862 879 46o 63 857 900 83 817 7'7 g5o 33 55 477 666 885 9'7 36t o65 •9' 616 246 862 876 462 62 862 9°3 83 820 723 953 55 53 478 662 889 g2o 062 101 225 617 245 862 875 463 63 865 906 83 823 729 955 34 53 479 663 895 g2i 363 i38 259 620 249 869 878 464 63 865 9°7 84 8 a3 73o 957 34 53 48g 662 898 g23 364 174 293 622 25o 872 878 466 62 870 910 84 826 736 960 34 53 492 658 9°4 926 365 210 526 623 '•49 872 875 467 63 871 gi5 84 829 742 963 34 54 4g5 65g| gio 929 366 246 36oj 624 248 872 872 469 62 876 916 84 832 748 966 34 54 4g6 655 916 g32 NOTA. Gli Argomenti di perturbazione qui sor» Longitudine, ha bisogno di due correz ioni, belli e fatti, e non basta che sommarli; tut- sempre per altro additive, e che ame ndue tavia gioverà consultare per tutto ciò che si trovano mediante la Tav. V. La p rima per amor di brevità qui tralasciamo, alcu- correzione dipende dal numero M, e le le ne altre avvertenze inserite nelle Tavole serve di Argomento ; e la seconda da' nu- Solari portatili pubblicate coi tipi del Se- mero ?A~M, preso pure come Argomi nto. miliario nell' anno 1823. Cosi nell'esempio posto in fine, agg unte Ma ciò che qui sopra ogni altra cosa in- queste due correzioni al numero A, si tro- teressa, è di osservare che il numero A, af- va A', ossia l'Argomento / della Lou gitu- finché diventi A', ossia l'Argomento / della dine solare = 967. [8o Seguito della Tavola IV. Per le orej minuti ec. Argomenti p e r le Ore Ore M. A. II. VI. VIII. IX. XI. XII. XIII.I XVI. XVIII. XIX. i i , 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 3 3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 3 4 4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 4 6 6 0 0 0 0 0 0 4 0 0 5 7 7 3 2 3 2 6 8 8 3 2 0 2 7 IO io 3 2 0 2 8 ii 1 1 3 2 0 2 9 i3 i3 3 2 0 3 IO i4 i4 3 2 3 2 1 1 16 16 3 2 3 2 12 1 7 •7 3 0 3 2 i3 18 18 3 2 2 2 2 i4 20 20 2 6 2 2 4 2 2 4 2 i5 21 21 2 6 2 2 4 2 2 4 2 16 23 23 2 6 2 2 4 2 2 4 2 •7 2/, 24 2 6 2 2 4 2 2 4 2 iS 25 25 2 6 2 2 4 2 2 4 2 '9 27 27 2 6 2 2 4 2 2 4 2 20 28 28 2 2 6 2 2 4 2 6 4 2 21 3o 3o 2 2 6 2 2 4 2 6 4 2 22 3i 3i 2 2 6 2 2 4 2 6 4 2 23 32 32 2 3 9 3 3 6 3 6 6 3 24 34 34 2 3 9 3 3 6 3 5 6 3 N. B. Pegli altri Argomenti basterà ( se si vuole) prendere gros solanan lente un a P irte proporzionale Ira giorno e giorno. 102 Tav. VI. Equazioni provenienti dalle Perturbazioni Planetarie sulla Longitudine. Diff. per IO o o to e* c* - **w « c» fi « (o ** m o d to o ci o n io ^t -^J" d o io *o c> i>in io o d ^ v^- to e o ~qóóqóóóqóóóóóóqqqóóq oo - tO co ■•* to IO O) O) fi - o o co »o r-. oo O -> CO MO Ci <- oo to « ci ci to r-* to d O tO LO CO CO LO 00 oo tO ~oó r^d i/i k5 - o o •- ^r oc ~ -^r to to io tO »- Ci co co Diff. per IO v*yj-vt IO tO Ci t - M tO ^* ^* vt tO IO d « - d tO oooooooooooooooooooo "ÓàQÒÒQÓÓÓÓÒÓÓÒQÓÒQQ 6 e- 1 > O) - « d LO - Ci OD CO »-4* CI W co o to lo ci Z 0 0 - r-s r-. co to r-. vd- to CO O i- to oo to to Ci d d d - ci - o o o o o © d ó d d d 5 u o rN-ootov*-*<»ir5vrin r^ ci o to d o c-.cn «co OOO'-M'-,00OOOQ — Q O -■ ■-■ d d ~ -QQQÒÓÒQQQÒàÓÒoéÒÓQQQ t> *& r* to -oo o ^=r r-. co n^- e» •<■ ~v-f Vij. vjf v^ to to *■* tO Ci CO v* UTÌ - CO t© Vtf- C Ci - - - co to to o o o to - o « - o o o o o r-. to d ^-3* CO ^T LO CO ^J- o - n to vf Diff. per IO ci o to to co d d to to o o lo to e d co io to o ci CiC*0«dtOdO^-tOtO-«OdtOd«Odd = òo6òòòe5ció6óóoòdò6o'6o £ ■- LO C-* O "^ *■* to - - o r- - ■* d - O O O Ci Ci d Ol tO - r-« co o - to to vt ^*- vj- « Ci to o o co o d vr io o - o o - to co d to r-» - --^- d O O tO ^ W HI vt fi Diff. per IO co r-. r-. to -* d h io in r» r- r-. r-* to -vj- d h io w r-. oooooooooooooooooooo = ddodóòó66o"66òóòò6óoó > io co - to w co tO CI Ol LO CI O fc w. « ò 6 ò ò O v* OinJ- ts o o ~ v^- r> o o o o o -^ - to -^t* *■«*• « to co - IO « « i- d d d CO tO CO LO vt tO d CI tO N CI fl| M H OtO t> O) M d — Ol CO vjt- O tO h Ol H C* M Ol t> v w co r-.r-.tO ci co eS co Ci O ci d *q o co d o o to Ci tO d O - -va- Ol tO d Ol oo tO co « co - to r» ~tO tO IO IO et d - f O o p o o o o - d d to to to a ** d r. « w r-. r-. * •- uà r-. ci to r-. d v^« o O d IO d o civytocotoo oi-^t-r-.to o-^ro r-toto d Citoto in io uri ■vi- to cs « - o o o d d & w ri Ito 4 4 ifl iri Dilf. per IO Ol LO IO tO CO Ol 00 Ol tO 00 O ^d" O CO Ol » tO IO uì ffl io h st r» » io « cito aio t> to -loco r- ^* ~ io ~ÒÒÒÓÒÓQÓQQ**ÓÓQÓOQÓOO >•* M tO Ol tO CO T" o to to to rNvr co = d i> (ò co ci co io to r-* io to C-. CO •"■ •-* to ci d ci io d _. d « - ~ - ci o « co d v* o ci co io — d d to LO co to lo to d Ci O d to oó - •* tó ó Diff. per IO CO CJtO — h, rs m tO dCOCO d tO "* C-s t-s ~ tO d tO «§• -3- to ci oodto-3-^-^-^to Ci o o f to >* vt -ÓQÓÓÓQÓÓQÓQÒQÒÓQÒÓQÓ <-i o et ■-• r-* to o io oo ci io to o ~ rs oS - to' *-3* io to r-. i- a o to io Ci co lo vt to' - di t^ co ci to r-s o - o sd" to o LO to » Q P ! r>. to ci co o to ^-s* o — to d ^ to to e'-. r, O O o o O iX O IO O IO - - fi M o o o o o o io o to o to to vf vr to o o o o © tO O IO O UT) la to to r>. C^ o o o o o o to o LO o CO 00 Ci Ci O" i»3 Continuazione della Tav. VI. >< CS « O t>- •** M CI « M H - M 00 io CS M o o o o o o - cs in 00 M 0 0 0 0 >- *^- r> 0 - cs - — cs cs cs " d ò d c3 ■ o d o o o o o 00000 OOOOO il HH > *-* to « t\ ^ t> n i-* to - o to totocscs-»-oooo ~QÓQÓQÓQÒ 0 O O -to r-.es r*. es r^. — to *■*■ 0 0 0 - -cs cstototo oooddddddd oo r>to co -• *** ^- vt vf to to cs : d d d © d d o. 17 0. IO 0. o5 0. 01 0. 00 - 10 0 r^. 'vt O O — — CN Ò Q Q Q Ó H « tO M» tO tO v# -^ v^. e d d 0 0 O O O O m CS O r-. cs io to tO tO vf vt s^ 00000 in cs i>* 0 to vi- vf IO tO CS 00000 to o> ■»*. -* a - 0 0 0 0 OOOOO Diff. per IO d O O M tO tO P* O O CS CS O O CS tO tO CS OOCN - o oo m - - m co o « « o oo m - - in « o 2 -i-oododd'-i--. -Hoddodd-rii o to to to « O 00 to oo cs io to - es n io to to « tO tO 'O 0 io « co to 00 tO tO CN CS - *^r vj- vj- co 0 cs c^ to 0 0 CO s^. n^J. v^. 0 O to l> ci x £ 8 => 0. 00 0. 01 0. 01 0. 02 O. 02 0. 02 0. 02 O- 01 0. 01 0. 00 O. 00 0. 01 0. 01 0. 02 O. 02 0. 02 0. 02 0. 01 0. 01 O. 00 *<** esco — c*j cs n to 'O cs o to © Wl w ^- to W - O o o "óóqqóqÌqóqóó cs to to cs cs 0 0 — cs to 6 6 6 ó 6 CS - CO CS v^f. vt- in in to to d d d 0 d Diff. per 13 -csescscs-ocstO**3-xd-tocso-cscscscs~ OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO 'OÒÓOOÓÓQQÒÒÓÓÓÓÒQÓÒÓ tD Ol h n w vt •^r to io cs - o = d d d d d e 0 cs « r^ to O 0 — cs *^r 6 à 6 6 6 LO - O CS CO tO co Ci Ci CO d 5 d 6 6 0 0 — to to co r- to in vg- 0 d 0 0 d Diff. per IO tOioeNuM-^csbotototoo^-w-ctON-, OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO ~QÓÓÒÓÓOQÒQÒÓÓÓQQQQQÒ 3 vh h ^ co io w in r*. oo o o o LO CO tO — ^f 0 ai 00 r-« m - 0 0 0 0 t>> ^ 0 tO O "O cs — 0 O OOOOO to 0 cs r-> -^f O - cs 10 io OOOOO S a3 o c^.co o to -« in a - v^. [■*•. co o o a oo uì cs - x-f 00-0--0000000--000000 oododddddddddodoo'ddd M to o CO Ci 00 »■ -O -v^-iotOtO CS » yf h ^ h 4>fl doddddddddóddddddodd « to "^ O Ci co o r>. ci cs to - o 0 r*. 0 co in |vj- 00 0 0 co O tO ClLOtO-COv^ClO cs - co 0 tO 0 r-. — in c-- d d d - cs Ito" to' -^f *«^" in 1 n vf ^tto ci o o o o o O in o m o to - - cs es t 0000000000 0 in 0 in 0 in 0 in 0 in O to vf vr io m to ^) e- r- e 0000® 0 in 0 in 2 0 co Ci Ci ° i84 § « -a a. s o <0 o LfS ^1- s 1-5 co CO o e J3 P- S o o E 3 CO co m cu P 3 o - CO cu r* s o o 3 O c o co o 3 5S "CO o 3 cu o CO e I §- Ej o E r± a — 2 2 E * O D a . o sa - o h 2 o 3 co SZ5 -e 5g < o « ^ cu co 'So a cu i S o U o O a - e a e o CO e Ph CU O V cu 01 - -3 b — Vi e ci ci © © CO CO 6 M ce d CI Q © lo o ^4" o*ì co co co *■* ^" r^ lo O O »-t co *>d" O ^© O LO CO — O 'óóóóóóóócóoo '.'.'..'.■.'.-.■■•■'• g • g «u © .2» ■ ■ .t \* ' •^co)-=_3 "£o.!-■ *d- f» 00 O) t> CO rO Ci co ci N v-t to (O (fi vt ■« oo-- — --- — -oooooooooo OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO > o co to o io O O fi O M o o o o o r^ n ci to to et r*» ■- co o - - Ci Ci to in co ci o e* i-i r-. o co Ci co to in r>> o. c^.'co >d" to — e o to to to to to io to to to to fcO ~ 53 o a =-" - O htD » 00 W !£) — - IO IO O 'O c> r-» in O — IO oooooooooooooooooooo OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO IH o o o oo r> - M M O C a to o co to *n to o o o o o o o o oooco ci r>."^f*-^v^-cocoio O O h (o vf o » oo o « oooooooo--- Diff per IO -d* Ci inOiCiocJ~cocicocicocso *** r-. v* co r> 00-*«CtClCiO-*i-.000'-iCNCICJC)~0 OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO - t>. co m oo m - O GO v.-r O ^- vr to to to r» •-• in to to *-r Ci to oo ^H- e\ « i-r o o v*| O -vj- to CI — O O ci CO o o o o o - O CO O» O» *^ - o. to a. to m M «i Ci Ci IO tO Diff. per IO ci m Ci m m r-. o - -i *vs- cJd-orNinciaimci ooo — — -c-cdoc-idcic:--..- ooo oooooooooooooooooooo ~ o in oo o o O O -H v^j. i>. o © o o o r-H o O) e* v^. o io ai in 3 ■-■ « « ci to vt O co Ci co I ~ co co OtOCO co ci o. o r~» ri m co - n n io vf v* w w co co co r-.r-.r-» Parti mill. della Circonf. o in o in o o a in r-» o in m in m co io o in o m ci io r> o cs co co co r> t^ o m o in o io r-> o d in r> c>« m co in o in o in o o« o d in o» o co Ci Ci Ci OS o - Perturbazioni del Raggio Vettore della Terra dovute ai Pianeti. 5 53 o a *•" ■" vt co so to vt pi « co Oitn co co cs co r*. *<*• ■« t-» « 0000000000-h--'--«««00 oooooooooooooooooooo > CO Ci CO Ci C*\ ** O CO CI CO o o -■ to ■*# ko r>. r*« r-« io tontototoliotototoio in to to Ci e to o co — r-» to to C Ci - o. m o to co cs co in ci o - o o o o Diff. per IO to .- io io c>. t> co co io to « - ci io oo co r>r-»o - oooooooooooooooooooo oooooooooooooooooooo i— t ifl co CO v)- « ~ O O Ci co m ** - o O v^ r-s ci co co co *«* to - o o o o o o o to . co - io to Ci to r^ to to o cs « PI - tO v* O - co Ci o o - o o o o to to to io .-lo.*- co io oo ■" ->T co fO Ci Od* O 'VS* CO o o o o - - f to m io vr Diff. per IO n in in et in rso •- ««<***- •* o i>. in e Ci m ci OOO*"" — «-CIcNCÌcìCIC1C«C1~.*mOOO oooooooooooooooooooo ~ 00 to o CO 00 « cn -* co in h h [N<0 co - 00 Ci co o n r-N ci r>» o CO IO IO ** ^* v* *«-J- Ci O) o co o in o in to IO Ci - - o» o o oo io o o« *d" - o « O O 0 o Parti mill. della Circonf. _ m o io 2 o ci in r>. 2 in o in o in cn in r>* o n -* « « o SS O IO o IO 0 in t-» o ci in ci « to to to io o in o in o* o n in i- 1 tO Vf v-. v-j* v^j. 34 i86 Continuazione della Tav. Vili. Perturbazioni del Raggio Vettore della Terra donde all'azione dei Pianeti. P. mill. V. VI. VII. Vili. IX. X. XI. XII. XIII. XIV. XV. XVI. XVII. di Circ. o 25 39 4 IO 24 08 06 i3 02 5o 00 20 2 25 Q9 45 3 IO 23 IO 07 i3 o3 54 01 20 2 5o 33 5i 3 IO 22 I I 08 12 o3 58 02 21 2 75 3? 56 2 09 21 12 "9 12 04 60 o3 21 3 100 4o 62 2 °9 20 i3 IO 1 1 o5 63 o5 21 3 125 43 67 1 °9 '9 14 1 1 10 o5 64 07 21 3 i5o 45 71 1 08 18 i5 12 °9 06 66 °9 21 3 >75 47 74 0 07 '7 i5 i3 08 07 66 12 20 4 200 49 76 0 07 16 16 ■4 07 08 65 i5 20 4 aa5 49 77 0 07 ■ 4 16 ■4 06 08 65 18 '9 4 25o 5o 78 0 06 12 16 i5 o5 09 61 21 "7 4 1 275 49 77 0 o5 IO 16 16 04 °9 58 24 i5 4 5oo 49 76 0 o4 08 16 16 o3 IO 55 27 >4 4 3^5 47 74 0 o3 07 i5 16 02 IO 5i 29 1 1 4 55o 45 71 1 02 o5 i5 i5 01 IO 46 3i 08 4 575 43 67 1 02 o3 >4 «4 01 IO 4' 55 07 3 4oo 40 62 2 01 02 i3 i4 01 °9 35 35 o5 3 425 37 56 2 01 01 12 i3 01 °9 3i 55 o3 3 45o 33 5i 3 01 01 1 1 12 00 °9 26 36 02 3 475 29 45 3 00 00 IO 1 1 00 08 21 36 01 2 5oo 25 39 4 00 00 08 io 00 08 16 36 00 2 525 21 33 4 00 00 07 °9 00 08 12 35 01 2 55o ■7 27 5 01 01 06 08 00 07 08 34 02 2 575 >4 22 5 01 01 04 07 01 06 06 33 o3 2 600 IO 16 6 01 02 o3 06 01 o5 o3 3i o5 1 625 07 12 6 02 o3 02 o5 01 o5 02 29 07 1 65o o5 07 7 02 o5 01 04 01 o4 00 27 08 1 6;5 o3 04 7 o3 07 01 o3 02 o5 00 24 11 0 700 01 02 8 04 08 00 02 o3 02 01 21 ■4 0 725 00 00 8 o5 IO 00 01 04 02 o3 18 ■ 5 0 75o 00 00 8 06 12 00 01 o5 01 o5 i5 1 J 0 775 00 00 8 07 ■4 00 00 06 00 08 12 *9 0 800 01 02 8 07 16 00 00 07 00 1 1 °9 20 0 825 o3 04 8 07 ■7 01 00 08 00 i5 07 20 1 85o o5 07 7 oS 18 01 01 °9 00 20 o5 21 1 875 07 12 7 °9 '9 02 01 10 OI 25 o3 21 1 900 10 16 6 °9 20 o3 02 1 1 01 5i 02 21 > 925 >4 22 6 °9 21 04 o3 12 01 35 01 21 2 95o I H J 27 5 10 22 06 o4 12 01 4o 00 21 2 975 21 33 5 io 23 07 o5 i3 02 45 00 20 2 1 1000 25 29 4 io M 08 06 i3 02 5o 00 20 2 [87 Continuazione della Tav. Vili. NOTA. A fine di render positive tutle le XVII. Equazioui di perturbazione , ho aggiunto le costanti seguenti ; cioè all' equazioni provenienti dalla Luna 364 oooo Venere 257. 0000 Marte gì. 0000 Giove 307. 0000 Saturno 16.0000 La somma è di io35. 0000 la quale si è tolta dalla costante del Raggio Vettore + 1. 000 i4og. 6000, unitamente ad altre costanti . che qui riferisco: Costante di Marte ==» — o, 0000000. 3466 di Giove = — 0,0000011. 58io di Saturno = — 0,0000000. 554o di Venere = + 0,0000016.6750 Somma .... 1= + o, oooooo4- ig34 Somma delle costanti superiori . . =3 — o, oooio35. 0000 Resto = — '0,0001030.8066 Costante del Raggio Vettore . . . =="-+■ 1, oooi4og. 6000 R. Vettore impiegato nelle Tavole = + 1,0000378. 7934 Tav. IX. Obbllquità media dell' E eclittica di dieci iti dieci anni colla diminuzione annua. Ohbliquità media Diminuzione annua 1810 1820 i83o i84o i85o 1860 1870 1880 1890 1900 23.27.51,79 23. 27. 46, 57 23. 27. 4>, 36 23. 27. 36, i4 23. 27. 3o, g2 23. 27. 25, 71 23. 27. 20, 49 23. 27. i5, 27 23. 27. io, o5 23.27. 45 83 1 Anno — 9 io 0. 52 1. o4 i.56 2.08 2. 60 3. i3 3.65 4- 17 4.69 Tav. X. Nutazione Lunare /. e/' VAscens. Retta ed Obbliquità dell' Ecclittica. ■ Arg. ZV. = Arg. XV. di Longitudine. N A9cension Retta Obbbquità N Ascension Retta Obbliquità o + 0,0 + 9> 5oo — 0, 0 — 9>6 20 2,1 9>6 520 2, 1 9,5 4o 4,. 9, 3 54o 4,i 9,3 60 6,i 9>° 56o 6,1 9>° 80 8,0 8,5 58o 8,0 8,5 100 9> 7 7,8 600 9,7 7.8 120 ii,3 7,° 620 n,3 7,o i4o 12,7 6,1 64o 12,7 6,. 160 i4,o 5, 2 660 i4, 0 5,2 180 i5, 0 4,i 680 i5,o 4,. 200 ,5,7 3,o 700 «5,7 3,o 220 i6,3 1,8 720 i6,3 1,8 240 i6,5 + 0,6 74o 16, 5 — 0,6 260 16, 5 — 0, 6 760 i6,5 + 0,6 280 i6,3 i,8 780 16,3 «,8 3oo i5,7 3,o 800 •5,7 3,o 320 i5, 0 4,i 820 1 5, 0 4,i 34o '4,o 5,2 84o i4,o 5,2 36o 12,7 6,1 860 12,7 6,1 38o ii,3 7,° 880 n,3 7.° 4oo 9,7 7,8 900 9-7 7,8 420 8,0 8,5 920 8,0 8,5 44o 6,i 9,° g4o 6,1 9,° 46o 4,i 9>3 960 4,i 9,3 48o 2,1 9,6 980 2,1 9>6 5oo + 0,0 — 9,6 1000 — 0, 0 + 9,6 '«9 Tav. XI. Nutazione Solare per F Obbliquità JeW Ecclittica . M 1 a e a a 4) O O Obbliquità 0 0 Obblkfuità u 0 0 Obbliquità V 0 O Obblifjuilà i — 0,4 5 +o"4 2 -o','4 3 + o','4 6 0,4 h3 io o,3 O 7 o,4 H 8 o,4 1 1 0,3 es iS 0,3 ri i3 o,3 a i4 o,3 < & 0 RS 16 o,3 7 0,8 0,9 1 2 3 4 5 6 7 8 9 io 20 3o 4o 5o 60 o. 07 o. i3 o. 20 o. 27 o.33 o.4o 0.47 o.53 o. 60 o. 67 i.33 2. 00 2. 67 3.33 4- 00 Riduzione in tempo. o, 01 0,02 o, o3 o, o3 o,o4 o, o5 o, o5 o, 06 0,07 N.B. Ho trascurata in queste Tavole la Latitudine Solare; chi volesse tenerne conto si serva delle Tavole del Sole pubblicate nell'anno 1823 dalla Tipografia del Seminario di Padova. Riduzione del Tempo in gradi. Ore Gradi Min. Gr. Min. Sec. Min. Sec. Fraz. di Sec. Sec. e Dee. li i5 1 0 , 0. i5 1 0. i5 0,1 1", 5 2 3o 2 0. 3o 2 0. 3o 0,2 1 3 45 3 0.45 3 0. 45 o,3 4,5 Il ! 6o 4 1. 00 4 1. 00 0,4 6, 0 1 0 75 5 1. i5 5 i.i5 0, 5 7,5 9>o io, 5 :" 6 9° | 7 ' ° 5 6 7 1. 3o i.45 6 7 1. 3o 1.45 0,6 °>7 8 120 8 2. 00 8 2. 00 0,8 12, 0 I 9 i35 9 2. i5 9 2.1 5 °>9 '3,5 ii i5o i65 ,0 1 1 2. 3o 2.45 IO 11 2. 3o 2.45 3. 00 3. ,5 — . 12 i3 180 i95 12 i3 3. 00 3. i5 12 i3 Centesime di Secondo Decina, di Secondo '4 i5 210 225 «4 i5 3. 3o 3.45 '4 i5 3. 3o 3.45 0, 01 16 24o 16 4- 00 16 4- 00 0, 02 0, 3o 1 1 '8 255 '7 4i 5 J7 4- i5 o,o3 o,45 270 18 4-3o 18 4-3o o,o4 ■9 20 21 285 3oo 3i5 '9 20 21 4-45 5. 00 5. ,5 •9 20 21 445 5. 00 5. i5 o,o5 0, 06 0,07 0, 08 0,09 0, IO 0, 75 0,90 1, o5 22 23 33o 345 22 23 5. 3o 5.45 22 23 5. 3o 5.45 1, 20 i,35 24 36o 24 6. 00 24 6. 00 1, 5o 25 6.1 5 25 6.i5 26 6. 3o 26 6. 3o 27 6.45 27 6.45 28 7. 00 28 7. 00 29 7. i5 29 y.,5 3o 7. 3o _ 3o 7. 3o 1 92 Continuazione della Tav. XIII. Riduzione del Tempo in gradi. Ore Gradi Min. Gr. Mia Sec. Min. Sec. Fraz. di Sec. Sec. e Dee. li i i5 3i 7-45 3i 7. 45 0,1 l'i 5 2 3o 32 8.00 32 8.00 0,2 3,o 3 45 33 8.1 5 33 8.1 5 0, 3 4,5 4 6o 34 8. 3o 34 8. 3o o,4 6,0 5 75 35 8.45 35 8.45 0, 5 7,5 6 9° 36 9.00 36 9.00 0,6 9,o 7 io5 37 9. i5 37 9. i5 °>7 io, 5 8 120 38 9. 3o 38 9. 3o 0,8 12,0 9 i35 39 9.45 39 9-45 °,9 i3,5 io ii i5o i65 4o 4i IO. 00 io. 1 5 4o 4i IO. 00 io. i5 Centesime Decira. 'a 180 h io. 3o 42 io. 3o ui di i3 i95 43 44 io.45 43 44 io. 45 Secondo Secondo '4 2IO i5 225 45 11. i5 45 11. .5 0, 01 0, 1 5 16 24o 46 1 1. 3o 46 1 1. 3o 0, 02 0, 3o '7 255 47 11.45 47 11.45 0, o3 o,45 18 27O 48 12. 00 48 12. 00 o,o4 0, 60 *9 285 49 12. 1 5 49 12. i5 0, o5 o,75 30 3oo 5o 12. 3o 5o 1 2. 3o 0, 06 0,90 21 3i5 5i 12. 45 5i 12. 45 0,07 1, o5 22 33o 52 i3. 00 52 i3. 00 0, 08 1, 20 23 345 53 i3. i5 53 • 3. i5 0,09 i,35 *4 36o 54 55 56 57 58 59 60 i3. 3o i3.45 i4- 00 «4 i5 14. 3o ii45 i5. 00 54 55 56 57 58 59 60 i3. 3o i3.45 i4- 00 14. i5 i4- 3o .445 i5. 00 0, IO 1, 5o »9 i Tav. XIV. Moto Orario del Sole in Longitudine. Long. vera del Sole Argomento Longitudine vera del Sole. os Is II3 II1S IV8 V3 o 0 2. 28, 77 2. 26, 22 2. 24, i3 2. 23, 06 2. 23, 28 2. 24, 74 IO 2-27,91 2. 25,44 2. 23, 64 2. 22, 98 2. 23, 64 2. 25,44 20 2. 27, o5 2. 24, 74 2. 23, 28 2. 23,06 2. 24, i3 2. 26, 22 3o 2. 26, 2 2 2. 24, i3 2. 23, 06 2. 23, 28 2. 24, 74 2. 27,o5 Long. vera del Sole Argomento Longitudine vera del Sole. VIS VII8 Vili3 IX3 Xs XI8 a o 2. 27, o5 2. 29, 61 2. 3 1,74 2. 32, 84 2. 32, 61 2. 3l, 12 IO 2.27,91 2. 3o, 4o 2. 32, 24 2.32,92 2. 32, 24 2. 3o,42 20 2. 28,77 2. 3i, 12 2. 3a, 62 2.32,84 2. 32, 74 2, 2g, 62 3o 2. 29. 61 2. 3i, 74 2.32,84 2. 32, 61 2. 3l. 12 2.28,77 Formazione degli Argomenti di Perturbazione pel Raggio Vettore. : I =3 I di Longlt. II = II Long. Ili = VI Long. X = Vili Long — (IX+X)Long. XI ==. (2VII + VI) Long. XII =3 X Long. IV = IX Long. XIII =1 XVIII Long. V = III Long. XIV = XI Long. VI = IV Long. XV == XII Long. VII =a XVI Long. XVI e= XIII Long. Vili == VI— VII Long. XVII = XIX Long. IX = Vili Long. NOTA. Se chiamisi R il Saggio Vettore trovato col mezzo delle Tavole superiori il Logaritmo del Semidiametro del Sole in secondi di Arco = 2.98289 — Log. R. Il Logaritmo della Parallasse Orizzontale = 0. 9J952 — Log. R. Il Logaritmo del Molo Orario in Longitudine = 2.1697S — 2 Log. R. , si avrà 25 ■94 Formazione delle Epoche pegli anni futuri . L'epoche pegli anni futuri si otterranno facilmente osservando la differenza che passa da i a 2 anni, da 1 a io, a 3o, 5o ec, avuto sempre il debito riguardo all'anno centesimo, che non è bisestile. Così (p. e.) all'anno 1901 non abbisogna attribuire la differenza che passa tra l'anuo bisestile ed il comune, ma bensì quella che passa tra un comune ed un altro comune, e così di seguito sino al quarto dopo, in cui detta differenza si rimette sul piede di prima. Correzioni secolari pegli anni futuri. Correzione comune a tutte le Longitudini .... Sole, Luna, Pia- neti , Perigei , Nodi ec. , ed a tutti i moti calcolati sulla supposizione di 5o" di Precessione annua. i8oo=-t-o. o,3 1900= o. 2,6 2000= o. 7,4 2100= 0.14,7 Correzione secolare dell'apogeo. 1800 =-f-o. 0,0 1900= o. 5,o 2000 == o. i3,o 2100 = 0.25,0 Correzione dell' Equazione del centro da moltiplicarsi pel sen. Anom. media. 1800 = — 0.0,0 19OO = 0.2,0 2000= 0-4>0 2100= 0.9,0 i95 Correzione dell' obbliquità dell' E eclittica. 1800= — o. 0,0 1900 = 5a, I 2000 = I-44»2 2100= 3.36,4 La correzione quindi della Longitudine media del Sole dal 1800 sino al 1900 sarà di-+-o",023 per anno, di cui si terrà conto al principio del calcolo di un Luogo di Sole. Così darassi la parte pro- porzionale alle altre, allorché si giudicherà sensibile. Delle Epoche. Le Epoche sono state diminuite od accresciute, secondo l'uopo, della quantità che imporla la colonna intitolata: Correzione del tem- po propostOj cioè diminuite quando la detta correzione era col se- gno -t-, ed all'opposto aumentate quando si trovava ad avere il se- gno — ; e ciò per la seguente ragione : poiché dovendosi colle pre- senti Tavole calcolare il Luogo del Sole, non pel tempo proposto, ma per un tempo fittizio, eh' è uguale al proposto ± la correzione, così si ebbe cura di aggiungere o di togliere all' Epoche suddette quelle quantità che competevano alla correzione introdotta , onde non turbar l'uguaglianza in seguito del calcolo, ed in questa guisa continuare direttamente l' operazione, come se dovessimo servirsi del tempo fittizio. Così dovendosi calcolare (p. e.) un Luogo di Sole pel giorno 22 Maggio dell'anno 1846 a ore 8.h io'. 2",o vi si aggiungerà l'argomento di correzione, che per quell' anno è di-t-io.h 45'- 20", 9, e così si calcolerà pel giorno 22 Maggio a ore i8.h 55.22", 9, essen- do già stato levato all'Epoche sunnominate le quantità che impor- tano le ore io.h 45'. 20", 9. Al contrario se si dovesse calcolare per lo stesso giorno ed ore, ma invece per l'anno 1860, si toglierà (come lo mostra la colonna) dal tempo proposto il tempo della correzio- i96 ne 4-h 3o'. 9", 6, e così si calcolerà per le ore 3.h 89'. 52", 4; giacche l'Epoche sono state compensate coli' addizione di quanto importava il tempo che si è sottratto. La stessa correzione si è parimente in- trodotta negli argomenti di Perturbazione. Avvertimento. Trattandosi di calcolare dei Luoghi di Sole pei Pianeti, Come- te ec, conviene partire dall' Equinozio Medio. Per ciò fare si om- metterà l'Equazione del Nodo, Argom. XV. e Tav. X., così pure le due dell'Aberrazione e Nutazione Solare, Tav. VII., e di più aggiun- gerannosi secondi 19", 3. Inoltre per avere la Longitudine Eliocen- trica della Terra si aggiungerà al luogo del Sole così calcola- to 65. o°. o'. 20", o (essendo la parte costante dell 'Aberrazione 20" stata tolta dall'Epoche). Delle Ascensioni inette medie, e dell' Obbliquità apparente dell' E 'eclittica. L' Ascensione retta media del Sole non è altro che la Longitu- dine media, più o meno una quantità dipendente dal Supplimento del Nodo, Argom. XV. e Tav. X., che ha per titolo Nutazione Lu- nare per VAR ed Obbliquità . Del pari collo stesso Argomento e nella Tavola stessa si troverà anche una parte della Correzione dell' Ob- bliquità dell' E eclittica, onde ridurla all' apparente, dipendente cioè dalla Nutazione Lunare. L'altra parte poi si otterrà dalla Tav. XI. , che ha per titolo: Nutazione Solare per V Obbliquità dell' E eclittica, disposta per mesi e giorni dell'anno. Equazione del Tempo. Essendo, come abbiamo detto, YAscension retta media eguale alla Longitudine media, più o meno una picciola quantità data dalla Ta- *97 Vola X., che ha per titolo: Nutazione Lunare per l'Ascensione retta ec., e per Argomento il suppl. N del Nodo, o sia il XV.mo di Longitu- dine; se questa Ascension retta media si riduca in tempo mediante la Tav. XII., avrassi l' Ascension retta media in ore, minuti ec; se- parimente, dopo di aver trovata la Longitudine vera del Sole pel dato tempo vero (supposto medio) coli' Obbliquità apparente dell' Ec» clittica , e colla formula Tang. Asc. retta vera = Tang. Long, vera X cos. Obbliq. app. Ecclitt. si deduca Y Ascension vera retta del Sole in gradi , minuti ec. , e che anche questa riducasi in tempo, col soccorso della Tavola accennata avremmo 1' Equazione del tempo = Asc. retta veraQ — Asc. retta media del © la quale non sarà per altro esattissima, se non replicando l'opera- zione col far uso dell'Equazione del tempo così trovata, come di- rassi in seguito nell'esempio. Conversione dei Tempi. Convertire il tempo solare vero in tempo solare medio, e viceversa. La differenza tra il Tempo vero e il Tempo medio è ciò che si chiama Equazione del tempo, eh' è sempre eguale alla differenza tra l'Ascension retta vera e l'Ascension retta media del Sole , ridotta in tempo in ragione di gr. i5°. per ora (Tav. XII.) Se l'Ascension retta vera è maggiore della media, questa differenza si aggiunge al Tempo vero per avere il medio, e si opera all'opposto quando la vera è più i98 picciola della media. Queste regole cangiano di segno qualora si tratti di applicare l'Equazione del Tempo al Tempo medio per ottenere il vero. Ma per liberarsi più facilmente d'ogni imbarazzo si tenga la regola seguente: sottraggasi in ogni caso l'Ascension retta media dalla vera, giusta i precetti algebraici, e la differenza o positiva o nega- tiva si aggiunga o si tolga dal tempo vero per avere il medio, ed al contrario si faccia, se dal medio si voglia passare al tempo vero. II. Dato il Tempo sidereo Sj trovare il Tempo medio M corrispondente. Sia ARM l'Ascension retta media del Sole in tempo a mezzodì del giorno per cui si cerca, si avrà il Tempo medio, cioè M = S — ARM— (9".8295. h ■+■ o".i638 m ■+■ o".oo273. s) Nella qual formula si noti esser S — ARM il tempo medio appros- simato, e nijk; s il numero delle ore, minuti e secondi contenuti in S — ARM j, vale a dire nel tempo medio approssimato. Allorché S sia minore di ARM, vi si aggiungano 24.'' IH. Dato il Tempo medio M, si domanda il Tempo sidereo S corrispondente. Questo si ottiene servendosi della seguente Equazione; S—M+ARM (O-r-9". 8565. h -J-o".i 642. m-\- o". 00273. sh (j) E qui ancora s' intende che YARM sia calcolata pel mezzodì. '99 ESEMPIO Calcolo di un Luogo di Sole pel giorno i dicembre dell'anno 1823 per l'Osservatorio di Milano a mezzodì. Differenza de' Meridiani tra Milano e Padova = io'. 45'; dunque pel i.mo Dicembre a o.h io'. 45", o Correzione del Tempo (Tav. I.) . . 1823 . . + io. 6. 5g, 8 Tempo fittizio . . . = io.1' 17'. 44", 8 ossia per giorni dell'anno 335,429. 2 00 X I c.to h B 5^ X CN LTj o CO co CO Cu ■S-a.-asp3 e -d c- ti "§ g P3 " W 5= Z S c^to « co .to "tb -^t? 6 «5 to vf o' - vd*co cs" t-» •vi- e vj- - ]on questa seconda correzione dell >o, e col mezzo del moto orar, in L ova ancora — 27'', 9 da sottrarre f ne approssimata, e+ 1 1 d'aggiung Vettore, come si vede fatto qui gitndine resta la stessa. Ci vj- e ^> .« o> ■*s 11 a _2 -"■ > X OHO VJ" ÌC LO CO V* to cs to co CO ~±to ^o"2 co"to" Il in Za- ^tin cs cs lo r-. 0*0 to Ci 00 II 0 co LO > to aito tO 'sO IO to CO to g 11 M r^to w 0 ^* " l ^0 co r-. cs to ai g a> ai Ci O ai a Il II - io o r~ l II llg e* t£ > — CZ "? co Ci CO > X to ai vrvr ai vf to tO^-f. cito IMI s ^ « H la il cu « o r; ^1 ^ ClOl CS CI 1 "Il <-> e « 2 > Ci cs 11 Q 1111 III 11 N 6 > X Vf « c« to LO IO 0 oi X to ■* " m co - QO co to o Vf s > a. S S zi 5 v 1—1 OT et Srt| - Ì3 ci « 9 ejrt s E -"H 0 g &D te biì tb bb bb ~s ,__, vd- vr J2 <^l .3 <""< .9 ■w tn — • CO—4 JJ J - - : - 1 3 X LO Ci o in io to ■|* io ci to 1 to - ! vi- r>. CO -vi- C-i CO CS r>.>n vj- r*. « co i^* 0 co co co vr to to- o ~ e» tO M vi- o X vr - ta to r-s - LO to C-LO vi- ^ ai r> c~» ce o ^ -L ai 6 Ci c5 LO IO co Ci ai ai o Ci LO CS o » io to CJ ° ai M •vi- CS 0 to vj- Ci ó C. to IO 0 ~J rN r^ V* co 4) "tb te « e? to .. & . o CIO *3 "- co cs^d- m "r^ to a o o' q' - CO to "■" v^ cs cs cs tò vj- a' to V* CS 0' CO vj- cs II II 00 - — cs II 0 S.IO to' ^ cs vr ^ cs O "5 II >— 1 1— 1 > r-* - to cs O tO co to ai ai mto t>.vj- ai !>■ •O co - ai cs ai [III 0 " cs to CS co V ci V O cs io Ci =0 ■vi- tO o" r>to « ci menti di P > vr tn LO to o "à3 V E ti) vr cs tO vr - c* ci *vT IO « cs ° Ci CI 51 II 11 II to io * v r_ cs to ° c^u2. co to "" -1 ^-d" to to 6 ÓS to m Ci co ■^d- lo e to H .i z .> " Cr" a) 6 M to co vj- cs bò C o h4 to Od- II ■ g 15 O ►Il n O u ed V ài". V cu > ■sa < tb °. so e « c -Ss II ù a a 0 0 I—i > « ai <- o cs VJ-vj- to co IO 0 ** sp . •: « ? "7! r- 11 -5'3 © to r»co ai a o ai co co ai bb . . *t tb '- O tua J o c- a bo bo bo o o o o SS a 0 tn to to tb bb tb M > H o J W H J h3 J -J JU hJ J J J J iJ J m ai cs t-< LO o vr > ce t>. 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Le due Equazioni secolari dell'Equazione del centro e del Raggio vettore sono per l'anno 1810, e cangiano di segno per gli anni anteriori. 201 DELLA VELOCITÀ INIZIALE DEI PROIETTI MEMORIA DELL ABATE SALVATOR DAL NEGRO LETTA NELLA SEDUTA DEL GIORNO XVIII. GIUGNO MDCCCXVI1I. ija misura della velocità iniziale dei projetti è un problèma dei più difficili della dinamica. La prima idea che si presentò a coloro, che incominciarono a porre in opera l'artiglieria, fu di conoscere gli effetti delle palle di vario calibro col mezzo della loro portata. Ma ben presto il fatto dimostrò che questo metodo conduce a delle assurdità ; ne fa meraviglia che così sia , se si consideri che le por- tate sono il risultamento della forza impressa dalla polvere alla palla, dell'angolo che fa coli' orizzonte la direzione del projetto, e delle diverse resistenze che deve vincere per continuare il suo molo: tutti elementi o non bene conosciuti, o difficilissimi da determinarsi. Un'al- tra causa delle variazioni nelle portate è la deviazione delle palle. Si doveva dunque abbandonare il metodo di misurare gli effetti delle armi da fuoco col mezzo delle portate, e cercarne uno più sicuro. E siccome, poste tutte le altre cose eguali, quella palla, che uscirà dal cannone colla maggiore velocità, avrà anche la maggior portata, e produrrà il maggiore effetto, giacche avrà una maggior quantità di moto; cosi i fisici hanno diretto i loro studj unicamente alla ricerca della velocità iniziale dei projetti. Ora per conoscere la forza della polvere , o la velocità eh' essa comunica ad una palla ch'esce da un'arma da fuoco, convien mi- surare il tempo che la palla impiega a percorrere un dato spazio; 26 aos ma la misura di sì minute frazioni del tempo presentò mai sempre delle difficoltà insormontabili. I varj metodi, che i fisici e i matema- tici in diversi tempi hanno immaginata per misurare la velocità ini- ziale dei projetti, dimostrano bastantemente la somma difficoltà del- l'impresa. Io ho immaginato un nuovo metodo di misurare la detta velocità, eh' è assai più semplice, di gran lunga meno dispendioso, e che sembrami anco meno incerto di quanti ne sono stati proposti. E quantunque noti vi sieno, dotti e rispettabili Accademici, i di- versi ingegnosi artifizj immaginati già dai fisici e matematici di varie nazioni, ciò nulla ostante ini lusingo che non vi dispiacerà ch'io vi dica brevemente in che consistano questi diversi metodi, acciocché più facilmente si possa giudicare se quello che propongo meriti o no di essere preferito. PARTE PRIMA Dei varj metodi immaginati per misurare la velocità iniziale elei projetti. I. Metodo di Robins. Beniamino Robins, ingegnere inglese, pubblicò il primo delle sperienze degne dell' attenzione dei fisici. Ha egli misurato la velo- cità dei projetti di piccolo calibro , dirigendo la palla contro un bersaglio costrutto a foggia di pendolo mobilissimo intorno al suo asse di sospensione, e tenendo conto dell'arco descritto dal mede- simo, in grazia della percossa, mediante un nastro attaccato all'estre- mità dello stesso pendolo. Guy d'Arcy nel 174° adoperò lo stesso metodo di Robins. Siccome poi il pendolo costrutto da Robins era tale, che non si potevano sperimentare che palle di piccolo calibro, così in seguito Hutton nel 1775 costrusse un pendolo lungo otto piedi e mezzo, e del peso di 5oo libbre , con cui potè eseguire degli sperimenti non già con piccole palle di un'oncia, come Robins, ma con palle venti e cinquanta volte più pesanti, e con cariche di due, quattro ed otto once di polvere. Hutton misurava l'arco descritto dal pendolo me- ÌOÓ diante un pennello attaccato allo stesso pendolo, che strisciava leg- giermente sopra una zona ricoperta di polveruzza. Queste nuove sperienze di Hulton risvegliarono l'attenzione dei teorici e degli artiglieri, da lungo tempo tormentati da uno stato di dubbiezza per le contraddizioni e pei commenti che le sperienze di Robins causarono, e che si riscontrano nelle dottissime note di Eu- lero e di Lombard. Questo metodo fu in seguito abbandonato, e tentarono i fisici di rinvenirne qualche altro che fosse meno specula- tivo, e più utile in pratica. II. Metodo del Mattei. Il sig. Mattei, regio macchinista ('), ha immaginato un nuovo artifizio, consistente specialmente in una gran ruota orizzontale che gira con un moto rapido uniforme intorno al suo asse verticale. Tutto all' intorno di detta ruota si attacca una zona di carta bianca, alta quattro pollici. Il fucile che si vuole sparare dev'essere strettamente legato su qualche sostegno immobile distante dieci o dodici piedi dalla zona di carta, e la sua direzione dev'esser tale, che la palla nel foracchiare la carta trascorra il diametro della ruota , e vada poscia ad urtare in un bersaglio distante dalla ruota due o tre piedi. Il bersaglio dev'essere di legno; ed il migliore, secondo de Antonii, è l'olmo, acciocché il buco riesca regolare. Per servirsi di questa macchina è necessario conoscere quando la ruota posta in giro è ridotta al suo moto equabile, e quale sia il tempo che la medesima impiega in ciascun giro; il che si può -ottenere in più modi, non però facilmente. Assicurati del tempo che la ruota impiega in ciascun giro, si spara il fucile; e fatto indi ces- sare il movimento della ruota, si scorgono i due buchi fatti nella zona di carta, uno nell'ingresso della palla, e l'altro nell'uscita, assai bene tra loro distinti da una specie di risalto che fa la carta dalla parte ove uscita la palla. Ciò fatto, si tira un filo dal centro della bocca del fucile al centro del buco fatto nel bersaglio; e, adat- tato il centro del buco d'ingresso nella direzione del filo suddetto, (i) Esame della polvere di Alessandro littorio Paparino de Antonii. Torino 1765, 2 0/|. si conosce quanto il buco dell' uscita sia distante dalla detta dire- zione. Questa distanza esprime lo spazio descritto da un punto della periferìa della ruota nel tempo che la palla ha percorso il diametro della ruota medesima. E siccome il tempo del primo spazio è noto, così lo sarà quello del secondo, e si potrà conoscere la velocità del projetto. III. Metodo di Debutet. Debutet ha immaginalo un altro metodo, che serve a misurare la velocità iniziale dei projetti di qualunque calibro. Anche il Debutet si serve di una ruota orizzontale che si muo- ve uniformemente e con molta velocità. A questa ruota adattò un ingegno che porta uno stilo verticale, e mobile dal su in giù, e dal basso in alto. Il detto stilo è tenuto discosto dalla ruota da un lilo che attraversa la bocca dell'arma da fuoco, affinchè all' uscire della palla il filo si rompa, e venga posta in libertà una molla che comprime lo stilo contro la ruota in movimento, nella quale descri- ve un arco sinché la palla uscita dall' arma , urtando in un bersa- glio mobile, situalo a pochi piedi di distanza, lo faccia retrocedere. Conoscendo la velocità della ruota, la distanza fra la bocca del fu- cile ed il bersaglio, e 1' arco descritto dallo stilo, si rileverà la ve- locità della palla. A fine di togliere ogni sfregamento si fa una sca- nalatura circolare nella ruota, e la si riempie di sego, in cui lo stili può lasciare una traccia senza notabile resistenza. IV. Metodo di Lombard. Lombard, per misurare il tempo che un projetlo impiega a descri- vere la sua traiettoria dal punto di partenza sino a quello di ca- duta , servissi di una mostra , di cui contava il numero delle vibra- zioni ch'ella faceva dall'istante dell'infiammazione della polvere sino all' istante della caduta della palla. Conosciuta la durata di ciascuna vibrazione della mostra, si rileverà dal loro numero il tempo che si cerca. Esso accenna anco il metodo di riconoscere il numero delle vibrazioni che il bilanciere fa in un secondo, ovvero il numero delle 205 battute che si odono avvicinando la mostra all' orecchio (>). Eccovi il metodo: Avvicinate l'orologio all' orecchio, e conlate le vibrazioni a quat- tro a quattro, dicendo: una, due, tre, quattro; una, due, tre, quattro ec. colla stessa velocità che le vibrazioni si fanno sentire. Ma per meglio assicurarsi del numero delle volte che sonosi contate quattro vibrazioni, in luogo di pronunciare quattro al cader di ogni quarta vibrazione, si pronunci successivamente invece uno, due, tre, quattro , cinque ec. , e dicasi una , due , tre , uno ; una , due , tre , due; una, due, tre, tre; una, due, tre, quattro; una, due, tre, cinque ec. Con tal mezzo l' ultimo numero pronunciato indicherà sempre quante volte avrete contato quattro vibrazioni; e questo nu- mero, moltiplicato per quattro, sarà il numero delle vibrazioni con- tate nel tempo dell'osservazione, e vi si aggiungerà i, a, o 3, se 1' osservazione si è terminata alla prima, o alla seconda, ovvero alla terza delle quattro ultime vibrazioni. Lo stesso Lombard però alla pag. 3g della sopraccitata sua opera non consiglia servirsi del metodo di una mostra che usando la più grande precauzione, ed in man- canza di altri metodi. V. Altro metodo di Lombard. 11 Lombard, assicuratosi coli' esperienza della somma difficoltà di mi- surare così piccole frazioni del tempo, suggerisce per l'artiglieria di servirsi della velocità con cui il suono si propaga. Ed ecco come: Un osservatore si pone dalla parte del bersaglio, ed in sito da poter iscorgere la palla che urta contro il medesimo nell'istante stesso che sentirà lo strepito dello sparo. Non sarà difficile, dice Lombard, di trovare questo punto , giacche se si vede giugnere la palla al ber- saglio prima che s' intenda lo strepito del cannone , è segno che l'osservatore è troppo lontano dalla batteria, e per conseguenza con- verrà avvicinarsi. Che se al contrario si ode lo strepito prima che la palla sia giunta al segno, sarà indizio che si è troppo davvicino al cannone, e converrà allontanarsi. Trovato questo punto, si misurerà (i) Lombard, Traile de inouvetneut (Ics projecliles. Dìjod, an. V ao6 la distanza che passa tra il cannone e I' osservatore , e si cercherà quanto tempo dovette impiegare il suono a trascorrere il detto spazio in ragione di 1040 piedi parigini per secondo: questo stesso tempo sarà quello che la palla avrà impiegato per andare dalla batteria al ber- saglio; ciò che dà la desiderata velocità. Convien riflettere, che la velocità accennata non è quella che la palla ha al momento che sorte dal cannone, nò quella che le rimane al momento che urta nel bersaglio, ma sì bene una velocità media fra queste due, colla quale essa palla percorrerebbe lo stesso spazio con un moto uniforme nel tempo trovato coli' esperienza. VI. Metodo di Gvobert. Il colonnello Grobert nell'anno 1804 ha immaginato un nuovo ar- tifizio, con cui misurare la velocità iniziale dei projetti. Questo ar- tifizio consiste in un asse di rotazione orizzontale lungo circa 34 de- cimetri, che porta in ciascuna delle sue estremità un disco di carto- ne perpendicolare allo stesso asse, ed il tutto legato e combinato in modo, che l'intero sistema possa girare rapidamente senza che le rispet- tive posizioni delle parti soffrano alterazione. Un semplice meccanismo serve a comunicare il moto di rotazione all'asse ed ai due dischi. Per intendere l'uso di questo apparato, se i due dischi sono im- mobili, e si supponga che una palla li attraversi con direzione pa- rallela all'asse 0 alla linea che unisce i loro centri, è chiaro che questo asse sarà nello slesso piano che passa pei buchi fatti nei di- schi; ma se i dischi girano intorno all'asse nel tempo che la palla va dall'uno all'altro, in questo caso il piano, che conterrà l'asse di rotazione ed il primo pertugio, non conlerrà il secondo; e se si faccia passare un secondo piano per l'altro buco e per l'asse, l'angolo forma- to da questi due piani sarà la misura dell'arco descritto da un punto qualunque dei dischi nel tempo che la palla percorre l'intervallo che li separa. Per misurare la velocità della palla converrà: i.° imprimere una velocità angolare uniforme e cognita al sistema, cioè all'asse ed ai due dischi; 2.0 misurare l'arco compreso fra i due piani che passano per l'asse, e per ciascun buco fatto dalla palla attraversando i due 207 dischi. I metodi praticati dall'autore per eseguire tutte e due que- ste operazioni sono facili ed ingegnosi. L'autore propose anche di modificare il suo apparato in modo, che si possa dirigere il tiro sotto qualunque angolo da o° a 45.° A. tale oggetto non fa più girare i dischi sopra un asse comune, ma ciascuno ha un asse particolare , ed il più. lontano dalla hocca del fucile si può elevare verticalmente. Per dir vero, riuscirà difficile il far girare i due dischi colla stessa velocità; ma in ogni caso non sarà diffìcile di correggere gli errori provenienti dal difetto di coin- cidenza nel molo dei dischi; e l'autore ne suggerisce il modo. Questo apparato è fondato sugli stessi principi di quello del Mat- tei; ma, facendone il confronto, è ben diverso per ciò che riguarda la disposizione delle parti che lo compongono , ed assai più utile e pregevole, perchè serve anco pei tiri inclinati all'orizzonte. La Commissione del Reale Istituto di Francia, composta dai ce- lebri matematici Monge, Bossut e Prony, giudicò questo apparato degno dell'approvazione della classe. Questo apparato per fare delle sperienze allo scoperto, cioè co- strutto in modo da potersi adoperare nella sola buona stagione, co- sta 20,000 franchi. Ma volendo, dice l'autore, stabilire un apparato slabile da potersi consultare in qual si voglia stagione, e che possa servire di studio per creare una teorica più esatta, e forse meno in- certa di quella che si conosce, converrà incontrare la spesa di 80,000 franchi. Hutton fece delle spese molto maggiori per eseguire le sue sperienze su tale proposito. Non fo parola sulle difficoltà che presentano i sopra indicati me- todi, giacché si manifestano da per loro stesse. E siccome ho già detto di sopra per quale oggetto mi sono accinto ad estendere brevemente questa storia, così, senza più, passo alla seconda parte di questo mio lavoro, in cui vi farò conoscere, dotti Accademici, in che consista l'artifizio che ho immaginato per eseguire così importanti sperimenti 208 PARTE SECONDA Nuovo metodo di misurare la velocità iniziale dei projetti. Approfittando del mio Oligocronometro, ho immaginato un nuovo e semplice metodo di misurare il tempo che una palla da fucile o da cannone impiega a descrivere la sua traiettoria con tutta quella precisione che si può ottenere da un fisico stromento. Consiste questo mio metodo nel legare, per così dire, il moto del mio cronometro a quello del projetto , in guisa che la palla . sortendo dalla bocca del fucile o del cannone, ponga in moto il pen- dolo, e lo arresti urtando nel bersaglio collocalo ad una data distanza. Dalla ispezione della figura, rappresentante il nuovo mio appara- to, ognuno può di leggieri comprendere come facilmente si possa misurare tanto il tempo che impiega la palla a descrivere la curva intiera, quanto quello che impiega a tracciare qualunque parte della trajet.toria, partendo dall'origine. E per dir tutto in breve, con que- sto mio artifizio, sparata l'arma da fuoco, voi arrestate la palla a quel punto del suo cammino che più vi aggrada, e misurate il tem- po in cui vi pervenne. Ora vi farò vedere con quanta semplicità si possono eseguire i testé accennati sperimenti. Descrizione dell' apparato. La fig. I. rappresenta la projezione di tutto l'apparato fatta sul piano orizzontale che lo sostiene, e la fig. II. la projezione dello stesso apparato sopra un piano verticale. A' A' è il mio Oligocrono- metro, che trovasi già descritto nel toni. VI. degli Atti dell'Acca- demia delle Scienze di Padova (0. (i) Si avverta che dopo la pubblicazione nel medesimo tempo in due punti, acciò non del mio Oligocronometro ho reso più seni- sorta dal piano verticale in cui oscilla ; il che plice l'ingegno con cui il pendolo si pone in riesce più sicuro e più esatto. La seconda le- moto e si arresta, sopprimendo le due leve va m tiene immediatamente sospeso il pen- angolari, e facendo che la lente si muova en- dolo fuori della verticale, e precisamente in tro un'ellisse di metallo, che, abbassandosi quel punto, in cui la punta estrema del pen- mediante la leva m', lo arresta, premendolo dolo, che serve d'indice, trovasi al principio 2o9 B ' B' è uno stante di ferro sostenuto da tre piedi muniti di vili che servono a porlo verticale, e di un peso di piombo X, che lo rende quasi irremovibile. Questo stante porta due girelle verticali Q'jR' (0 mediante due braccia di ferro ricurve g ti, g" h". Queste gi- relle possono essere collocate più o meno distanti fra loro mediante le staffe g'g"_, che scorrono su e giù per lo stante, e si fissano con viti. Di più, le dette girelle godono di un movimento verticale ed obbliquo mediante le snodature h'h", e si fermano nella desiderata posizione parimente con vili. V V è un parallelepipedo di legno scavato alla metà della sua lun- ghezza, che si fissa con viti sopra un solido sostegno. Sopra il detto parallelepipedo è piantalo, mediante una solida lamina di ottone ee V, l'artifizio che serve a sostenere ed elevare più o meno, mediante la vite /^'(fig. III.), la bocca di un fucile o di un cannone, ed a tenere un filo teso nella direzione del diametro orizzontale della detta bocca. Tutto questo artifizio si vede di prospetto nella fig. III., e più sotto dirò in che consista. ZZ,ZZ (fig. I.) sono due pesanti paral- lelepipedi di legno, legati tra loro con due traverse, e servono di base a due stanti piantali perpendicolarmente in H ed in G_, e pur essi sono legati con due traverse. Questa parte dell'apparato è indi- cata da Z'Z', H' H' (fig. II.), scorgesi di prospetto nella fig. IV., e serve a sostenere il bersaglio E" F" ', e l'artifizio che tiene leso oriz- zontalmente il filo che dev'essere reciso col mezzo del bersaglio mosso dal projetto nel modo che in seguito farò conoscere. Del modo di disporre un sottilissimo filo di seta, che la palla, sortendo dalla bocca del fucile, rompe, e pone in moto il pendolo. Prendasi un filo sottilissimo di ferro preventivamente teso con una forza maggiore della tensione che dovrà soffrire nella esperienza, del quadrante, che segua i mezzi minuti terzi. tica a comprendere in che consistano i testé Di più, ho tolto quell'artifizio che serviva ad accennati cangiamenti". elevare l'ellisse, e rimetterla tosto in istato di (,) Si noti che le stesse lettere majuscole poter essere abbassata; cosicché questo mio senza apici accennano le stesse parti dell'ap- cronometro è ridotto semplice oltre modo. parato nella fig. I. Chi conosce questo strumento non durerà fa- 210 e si allaccili all'uncino superiore dell' ingegno y (fig. II.) che comunica colla leva in mediarne l'uncino inferiore; indi si faccia passare per la gola della carrucola Q' , e, tenendolo sempre sufficientemente teso, si pieghi sopra la scanalatura della carrucola N (fig. I.), iV' (fig. III.).- Al di là di questa girella si annodi al filo di ferro un filo di seta, che passa per l'asse di un cilindretto di ottone, infilando la molla spirale di acciajo O', fissata nel detto cilindretto, e che indi passa per una fessura praticala in una lamina di ottone e" e', piantala stahilmente nel pezzo a'a'a', che sostiene la hocca del fucile. Questa lamina è incurTata, ed è precisamente un segmento di cilindro cavo, e col- locato in guisa che colla superficie concava guarda la spira, e colla convessa il fucile. Sortito il filo dalla detta fessura , si tiri colla mano, e si fissi con Aite al cilindretto che porta la molla, indi si continui a stirare finché la molla spirale, che preme contro le cavi- tà di c"c"j sia chiusa; si faccia passare lungo il diametro orizzontale della hocca del fucile, si ravvolga due o tre volte intorno al cilin- dretto verticale b, e poi si fermi colla vile di pressione P' . Le pic- cole differenze di tensione del sistema dei fili si regolano coli' inge- gno y (fig. II.). 1 fili dovranno essere tesi sino al punto che la leva m si distacca tanto dal suo puntello, che tra questo e quella passi una sottilissima lamina di ottone, che servirà di norma costante per tale operazione. Ciò fatto, si abbassi il puntello, giacché la leva è trat- tenuta dal filo, e con ciò è posto in pronto il sistema dei fili che devono lasciare in libertà il pendolo tenuto dalla leva fuori della verticale, ed al principio o zero della scala che segna i mezzi minuti terzi, e le frazioni di questi. Acciocché poi il filo di ferro non s'in- curvi pel proprio peso, si fa riposare sopra un'assicella L'M', soste- nuta dai puntelli l'i' parimente di legno. Finalmente, acciocché il filo metallico rimanga libero quanto è possibile, si fa che riposi sopra piccoli pezzi di canna di vetro x x x ec, i quali, infilati per l'asse con un poco di filo di ferro , si raccomandano all'assicella L' M'. Come si disponga il secondo filo che viene reciso nell' istante che il prò j etto urta nel bersaglio, e ferma il pendolo. Col mezzo dell'ingegno v' (fig. II.) si attacchi un secondo filo di ferro alla leva inferiore m'j e stirandolo si faccia passare prima per la gola 21 I della girella verticale R1, e poscia per quella dell'orizzontale S'. Ciò fatto, come nel primo caso, si annodi un filo di seta che passa per l'asse della molla spirale u ( fig. IV.), attraversa la fessura della lami- na q" , e, dopo tesa, si ravvolga due o tre volte intorno al cilindretto verticale t, e si fermi colla vile di pressione T. In seguito si termini di tendere il sistema dei fili coli' ingegno j {fig. II.) sinché la leva si distacca dal puntello come sopra; indi si abbassi il puntello, e la le- va rimarrà sostenuta dalla tensione del filo. La traversa inferiore H' G' porta tutto l'artifizio che serve a tagliare il filo nell'atto che il proget- to urta nel bersaglio E F' , E" F" (fig. IV.); ed ecco come: due stanti di ferro cos. hi sen.2 -\- (a — b) cos.-

fatta la decomposizione delle medesime nelle hm, Cm_, nr^ Cr> le due Cirij Cr sono eguali, e diametralmente opposte, e quindi scambievolmente si elidono: nulla adunque a cagione di essa sarebbe la spinta orizzon- tale ne' punti A_,B; il che è contro ciò che ci viene mostrato dal- l' osservazione. §. VI. In fine , se si collochi sopra la convessità della periferìa della ellisse, che ha per equazione (a— 6)2 y — i* b2 — x* ), un corpo del peso p uguale a quello della verga , e s' impedisca la sua discesa , trattenendolo con una forza che eserciti la sua azione a seconda della tangente, si trova, per l'espressione della spinta di questo corpo contro l'ellisse in direzione orizzontale, l'espressione p (a — b) b sen.

P (fig. II.) il peso del cor- po sulla ellittica convessa periferìa equilibrato; sarà p : eh : : i i sen. CGff=2 sen. CHG e quindi ch=.p sen. CHG ; inoltre p sen. CHG: Cm : : i : sen. C4m = cos. CHG, e quindi Cm :=: p sen. CHG. cos. CHG; (a— 4)2 ma essendo y2 *=: (42 — X2 ) e y = b* dy dx CHG=z— l> = _ (a—b) x e quindi sen. CHG =s Vb* —x2 (a—b) x b J/V -X2 l/( *2 ( i2_^2 ) _}_ ( a_6 Y x-, j cos. CHG =s &1/62 _;r2 1/^2 (62_ar2)-t-(rt_6)2a-2 e pero Cm = p (a — b) x b Vbi — x2 62(62_X2)_(_(a_6)2 xz Ma nel triangolo CBG si ha CB=a—b : CG — ./■ : : i : sen. CBG=a sen. a), p Vbi—xt T e quindi b sen. Q =j ]/bì x2 > e ne' triangolo ACO è CAz=b:CO=X:.l : cos. JCO = cos. -f-(a — 4)2cos.2 $ Cinz 2l8 §. VII. Si vede da quanto ho esposto circa la teorica del sig. De- langes , essere essa fondata sopra principi e raziocinj onninamente falsi. E dunque da aspettarsi, che chi alla medesima si affida, con- dotto venga a dei grandi assurdi; e cosi in fatti succede. Per darne un'idea sceglierò uno dei casi, in cui l'assurdo è dei più rilevanti. La posizione del centro di gravità deve influire sul valore della spinta; si provi se la formula del Delanges corrisponde a quanto su di ciò l'osservazione ci appalesa. Nella citata sua Memoria al Corol- lario I. pag. ig3 asserisce « che sotto un angolo dato facendo b = o, «ovvero a — 6 = 0, cioè supponendo che il centro di gravità cada o »sull'una o sull'altra estremità, si ha la spinta eguale a zero, e » che quindi v'ha un punto tra A e B sulla verga, ove cadendo »il centro di gravità, ottenere si dehha la spinta massima. » Noi fa- remo su di ciò osservare, che nel caso di a — b = o, cadendo il cen- tro di gravità nel punto B_, tutto il peso viene sostenuto dal piano orizzontale, ne dee aver luogo orizzontalmente veruna spinta: e per questo caso il risultato della teorica del Delanges è giusto; ma non così è quando sia b = o, ossia a — b—ctj giacche essendo in tale ipo- tesi il centro di gravità della verga nel punto ^/(fig. III.), chiunque, alquanto ne' fisici studj esercitato, può accorgersi che al peso AM si possono sostituire le due OA, AP, una a seconda della verga, l'al- tra al piano DTj perpendicolare nel punto A ; e che la AO potendosi considerare in B, si potrà essa pure decomporre in una normale al piano DB nel punto B, e l'altra della linea DB a seconda. Si avrà dunque anche in questo caso, contro il risultalo della teorica di Delanges, la spinta orizzontale e contro A e contro B; ma ciò che è peggio si è, che in tal caso, per quanto dalla posizione del centro di gravità dipende, hen lungi d'essere la spinta eguale a zero, è la massima, come in seguilo vedremo; ed è falso che il punto della verga, ove dee coincidere il centro di gravità per avere la massima spinta , debba trovarsi tra A e B. Bene considerando i principj che servono Ji fondamento alla teorica del Delanges, si vede la ragione, per cui deve aver luogo tale assurdo. Siccome il Delanges ha tacitamente confuso (§. VI.) la pressione della verga con quella di un corpo di peso al peso della medesima eguale, posto sulla periferia della ellisse descritta dal cen- tro di gravità della verga, ne viene che, fatto (fig. II. ) b=.CA = DF = o} l'ellisse si confonde con la DE, che iu tal caso diventa in lun- ghezza eguale alla BA : si troverebbe dunque il corpo sulla estremità della verticale DE = BA, cioè in una situazione, ove è impossibile che produca veruna spinta. Da quanto ho esposto parmi che si possa conchiudere, essere la teoria del Delanges del tutto erronea e ne' suoi principj e nelle sue conseguenze. §. Vili. Si passi ora all'esame della formula seconda, quella cioè voluta dai signori Krafft ed abate Frisi, la quale (§.11.) è: S = p sen. f cos.

2 2.; addietro al §. VII., cioè che sotto un dato angolo la spinta è tanto maggiore, quanto lo è a-b, e che è massima quando è=o o il centro C cade sull' estremità superiore della verga Ecco svolto ed esaminato, meglio che per me fu possibile, ciò che da prona proposi. L'importanza di questa materia pe'suoi usi ne'varj oggetti dl costruzione esigeva che fosse deciso quale delle formule della spinta della verga fosse la vera. S'io vi sia riuscito lo giudi- cherà, o chiarissimi Accademici, l'acutezza del vostro ingegno 224 SULLA PRESSIONE DELLE ACQUE CORRENTI DE' FIUMI MEMORIA DEL DOTTORE GIOVANNI CATTANEO LETTA KELLA SESSIONE DEL DÌ VII MARZO MDCCCXXII. ,L' §. I. I À onore che vi degnaste compartirmi, chiarissimi Accade- mici, neir eleggermi a rostro Socio, destando nel mio animo i più vivi sentimenti di riconoscenza , avrebbe in me potuto forse ecci- tar vanità , s' io pienamente non conoscessi a quanto poco si esten- dano le forze de' miei talenti e le mie cognizioni. Un tanto favore non può essere corrisposto che con scientifici lavori, i quali, se giun- ger non possono, si accostino almeno all' importanza e novità dei vo- stri. Ma siccome non sarà a me dato di compiere per tal mezzo questo dovere di Accademico , cosi mi è forza invocare dalla gene- rosità vostra un benigno compatimento. Educato in questa I. Pi. Università da' chiarissimi Professori, de' quali alcuni fan qui luminosa comparsa, ed avvezzo a trovare in esso loro un sostegno ed una guida ne' miei studj , nell' assumere i miei nuovi doveri mi anima la confortante fiducia, che voi pure non mi rifiuterete quell' indulgenza eh' essi non isdegnarono di accordarmi : ed in qual momento potrebbe essermi più necessaria, di quello in cui è d'uopo accingermi a percorrere le intricate vie della Matema- tica sì pura che mista? Qualunque parte di questa scienza presenta oggigiorno difficoltà sì gravi da atterrire il più perspicace ed il più laborioso ingegno: gli uomini sommi, che per lo innanzi in essa fiorirono, ne hanno ampliato cotanto i confini da rendere assai mal? agevole qualunque picciolo ulteriore avanzamento. Conoscitori del diffìcile cammino che vengo ad intraprendere, mi lusingo ottenere da voi, o chiarissimi Signori, quel favore che mai non negaste a chi co' suoi studj procura di servire in qualche modo alla pubblica utilità. Con questa mira appunto mi farò ad assoggettarvi alcune brevi ricerche sull'argomento importantissimo della pressione delle acque correnti dei fiumi. §. II. Per procedere in questa difficile indagine con la dovuta chia- rezza, e senza tema di errare, è d'uopo ricorrere alle primordiali equazioni delle leggi del moto di una massa fluida qualunque, che il sublime genio dell'Alembert mise pel primo alla luce, e che fu- rono poscia replicatamente pubblicate in quasi tutti i trattati d'Idrau- lica. Immaginiamoci dunque una massa fluida di costante densità ri- ferita a tre assi ortogonali, e che non sia animata in tutte le sue molecole che dalla sola forza di gravità. E noto che la pressione viene determinata dalla seguente generale equazione (*) Cìp-n- l(CU0 + (£>)-&) + * nella quale K è una costante portata da una integrazione già fatta , g è la gravità che supponesi agire a seconda della z3 e la <(• è una funzione delle coordinate Xjjj :_, e del tempo che deve determinarsi col mezzo della seguente equazione a differenziali parziali di secon- do ordine <*> i2) >*■ (S?) +cS) = ° §. III. Se questa equazione potesse compiutamente integrarsi in modo utile, e non come venne fatto dal sig. Parseval , sebbene con molto ingegno, si avrebbe nota in tal caso la %Vj avremo la formula generale della pres- sione rappresentata da /, è necessario premettere: 227 i.° Che dall'esame de' giornalieri registri che si tengono dell'al- tezza del livello de' fiumi, consta che in qualsivoglia stato d'acqua magra o media, qualunque fiume si mantiene per notabili durate di tempo ad un'altezza costante, o the per lo meno le variazioni sono pressoché affatto insensihili. 2.° Che una tale circostanza si ravvisa eziandio in tempo delle massime piene. Si osserva infatti che, pervenuto un fiume alla mas- sima sua altezza, vi rimane per- qualche tempo considerevole, senza alterazione di sorta: un tale stato passa presso gl'Idraulici pratici sotto il nome di Stanca della piena. In virtù di tali osservazioni si vede che in qualsivoglia stato di acqua potremo supporre nel fiume il moto permanente, senza tema di errore sensibile nelle pratiche applicazioni; anzi, per rapporto allo stato di piena, sarà necessario precisamente determinare la pres- sione nel frattempo di sua permanenza, a fine di conoscere la mas- sima, per poter determinare la qualità, forma e convenienti dimen- sioni dei ripari, onde prevenire con sicurezza le disgrazie ed i di- sastri delle rotte. Ma nel caso del moto permanente, tanto la velocità quanto la pressione non variano al variar del tempo, e conseguentemente non sono che funzioni unicamente delle tre coordinate; quindi rimon- tando con tale condizione all' equazioni primordiali del moto de' fluidi, si trova che il differenziale della ,1 244- 3.44,0 0 / u 244. 3.44,2 — 0, 2 0 1 a 43. G. 12,0 0 1 a 43. 6. 10, 2 + i',8 .... 18 206. 1. 8,0 206. 1. 8,8 — 0,8 66. 4o. 29,0 66. 4o.. 11,0 + 18,0 . . . . 3o 120.49- 4,o 120.49. 3,o -f* 1,0 57.3o.45, 5 57. 3o. 49,6 - 4,i Febbr. 17 99- 9-4b,i 99. 9.52,3 — .6,2 27 33. 28, 7 27. 32. 5o,2 + 38,5 Marzo . 5 97. 8.3o,5 97. 7.33.4 + 57,. 1 5.48.1 5, 8 i5. 49- 22,2 -66,4 23g Del metodo più spedilo per correggere i primi elementi dell' orbita parabolica di una cometa. I metodi più comunemente adoperati per correggere i primi ele- menti dell'orbita parabolica di una cometa riduconsi ai quattro se- guenti: i.° Si dà una piccola variazione arbitraria al tempo del passag- gio pel perielio, ed alla distanza perielia ; si formano così due equa- zioni di condizione, dalle quali deduconsi i veri valori di questi due elementi, donde con calcolo semplice e spedilo si ottengono gli al- tri. Questo metodo, proposto dal celebre la Place, è in vero prege- vole per la sua brevità, e pei molti costanti die entrano nel cal- colo, come può vedersi nell'applicazione cbe ne feci all'orbita della cometa del i8i5, inserita nel volume precedente degli Atti dell'Ac- cademia di Padova. Diviene poi lungo e prolisso, se circostanze par- ticolari obblighino a tener conto delle seconde differenze, come ac- cade quando in una delle tre osservazioni il raggio vettore sia quasi perpendicolare al raggio visuale condotto dalla terra alla cometa. 2.° Si dà una piccola ed arbitraria variazione alla longitudine del nodo ed alla inclinazione , e si formano due equazioni di con- dizione, dalle quali si ricavano i veri valori di questi due elementi, donde poi semplicemente si ottengono gli altri. Un tal metodo è pur molto spedito , ordinando il calcolo come viene prescritto nel voi. II. della mia Astronomia, e me ne sono vantaggiosamente ser- vito per le comete degli anni 1819-1822. Cessa di essere utile in pra- tica, se l' inclinazione sia piccola, o se la cometa in una delle osser- vazioni sia molto vicina ai nodi ed alla sua congiunzione col Sole. 3.° Si scelgono alquante buone osservazioni distribuite per tutta la durata dell' apparizione della cometa , e liberandole dalla aberra- zione e nutazione, si deducono le longitudini e latitudini rapporto all'equinozio medio. Quindi coi precetti del §. 338. (voi. II. Astron.) si formano per ogni osservazione due equazioni di condizione fra le cercale correzioni di tutti gli elementi dell'orbita. Tutte le equa- zioni cosi ottenute, e trattate col metodo dei minimi quadrali, dan- no le cercate correzioni degli elementi. Questo metodo, in se stesso pregevolissimo, è molesto per la lunghezza dei calcoli, ai quali è forza abbandonarsi; e se non si usa somma attenzione, ci espone al pericolo di commettere gravi er- rori. Se la durata dell'apparizione non sia molto lunga, e l'arco eliocentrico della cometa percorso non molto grande , le equazioni di condizione che ne risultano non sono troppo idonee a dare la desiderata correzione degli elementi. Io lo tentai nel caso attuale sopra le stesse osservazioni, alle quali si appoggiano i superiori ele- menti; e sebbene sia giunto ad un' orbita molto prossima alla sopra riferita, ciò non pertanto si allontana di alcuni minuti dalle osser- vazioni estreme. La cagione deve senza dubbio ripetersi dalla circo- stanza particolare, che due delle cinque equazioni finali, a cui si perviene col metodo dei minimi quadrati, molto si avvicinano ad essere identiche; ond'è che le correzioni stesse rimangono male de- terminate. Sembra adunque che non si debba aver ricorso a questo metodo , se non nel caso di una lunga apparizione, e di un grande arco dalla cometa descritto intorno al Sole. 4-° 11 metodo che, senza essere sottoposto ad una soverchia lun- ghezza di calcolo, è, per quanto a me sembra, esente dalle eccezioni che rendono i precedenti inesatti, è quello indicato al §. 337. del voi. II. sopra citato della mia Astronomia , dal celebre Olbers pure molto commendato nella sua dissertazione intorno al modo di de- terminare l'orbita delle comete (pag. 98.); e questo appunto è quel- lo di cui ho fatto uso per giungere ai sopra riferiti elementi. Sicco- me le formule ivi prescritte non sono le più semplici per l'appli- cazione numerica (scopo primario che dobbiamo in pratica avere in mira), così non sarà inutile di qui riunire le formule tutte che de- vono una dopo l'altra calcolarsi in numeri in ogni simile circostanza. Si ritengano (come nell'Astronomia citata) le seguenti denomi- nazioni : * Longitudine della terra per una osservazione qualunque . . . = A Distanza della terra dal Sole = iJ Longit. geocentrica osservata della Cometa = a ; sua latitudine = 0. Longitudine eliocentrica della Cometa . . = l; sua lat. elioc. = ^. Distanza della Cometa dal centro del Sole = ;■ Distanza accorciata della Cometa dal centro della terra . . = 5 24l Queste quantità variano da un'osservazione ad un'altra: se ad esse soprappongansi uno, due, tre ec. accenti, si intendano riferite aJla prima , alla seconda , alla terza ec. di quelle osservazioni alle quali si appoggia U calcolo dell'orbita. Quanto agli elementi costanti dell'orbita, la longitudine del nodo sia = *> L'inclinazione dell'orbila al piano dell' ecclittica sia = i La longitudine del perielio = w La distanza perielia = q Il tempo del passaggio pel perielio sia rappresentato da . . . . = T Ciò premesso, si scelgano tre buone osservazioni distanti in modo che abbraccino 1' orbita apparente dalla Cometa percorsa intorno alla terra, e riducansi all'equinozio medio; confrontandole cogli elementi ottenuti nella prima approssimazione , si calcolino per la prima e la terza i valori di «', 5'", ai quali si diano delle piccole variazioni arbitrarie p_, q} per esempio di 0,001, formando le seguenti ipotesi: I. Ipotesi II. Ipotesi III. Ipotesi Valori cercati Valori supposti (li {' s' 5" + P 5'" s' ?'"+7 «' + p» ?'" + qx Si calcoleranno in ciascheduna ipotesi tre sistemi di elementi parabolici, mediante i quali si formeranno fra x eà j due equazioni nel modo seguente : i.° Si calcoli in ciaschedun sistema il tempo fra la prima e la terza osservazione, che sia per ordine rappresentato da r. v-^-nij, T-l-ra: la prima equazione sarà (indicando t'" il tempo fra le mede- sime dato dall'osservazione) .... <'"=T)-f- mx-+- ny. i.° Si calcoli pel tempo della seconda osservazione in ciascuno dei tre sistemi o la longitudine geocentrica , o la latitudine della Cometa , prescegliendo quella che è più sottoposta a forti variazioni diurne ; fingiamo calcolata la longitudine geocentrica , e sia in essi per ordine rappresentata da a, a-}-/, a-\-s. Sarà la seconda equazio- ne .. . a"=a-\-l,r-hsr 3i 242 Ottenuti da queste equazioni i valori di x>y} si avranno, median- te una facile interpolazione, gli elementi corretti; imperciocché se uno qualunque di essi nelle tre ipotesi superiori risultò per ordine = /3, $-\-fj 0-r-g\> sarà il suo vero valore — 0 -\-fx + gy. Pel calcolo degli elementi parabolici in ognuna delle tre ipo- tesi si ricaveranno primieramente le posizioni eliocentriche della Cometa, corrispondenti alla prima e terza osservazione, dalle tre se- guenti equazioni : (1) r cos. X. sen. (I — a) = R. sen. (A — a) (2) 7' cos. X. cos. (I — a) = R. cos. (A — a.) -f- « (3) r sen. X. = 5. tang. 0 Ottenuti l'j, l'"j Xj %' r j r"' si passerà al calcolo della posizione del- l'orbita, e primieramente si avrà la longitudine del nodo a dal- l'equazione (4) t-g. (~±- — J = S^v^TT tang- l {l l ] L'inclinazione i sarà data da ,-. . tane. X' - . tang. X'" (5) . . . tang. 1 = — - — j, ovvero da tang. 1 - sen. (l'—o) sen. (/'"— a) Le quali dovranno l'una con l'altra accordarsi a dare lo stesso va- lore di ì. Indicando per P'j P'" la distanza della Cometa dal nodo nella prima e terza osservazione, saranno date queste quantità dal- l'equazione ,„, „ tane. (Z — a) .. „ ,, , (0) . . . tang. P ~ — - — — : — , ovvero da cos. P— cos. X. cos. (I — a) la coincidenza delle quali servirà di riscontro al calcolo. L'angolo eliocentrico percorso dalla Cometa nella sua orbita sa- rà = P'" — P'j che rappresenteremo per g. Rimane a determinare l'anomalia vera «' nella osservazione più vicina al perielio, e la distanza perielia q; al quale oggetto sono spedite e comode le due seguenti equazioni: (7) 77t- sen< 3 • = T7==f cos- 5 S — (8) ' . Ces.|*'= Vi ' , " 7 V? ottenuti q e v\ sarà »>'"= v' -{- g ; la longitudine del perielio sarà = P'+a_v\ 243 Dopo di avere calcolati colle formule precedenti gli elementi pa- rabolici nelle tre assunte ipotesi, si calcolino i tempi colla tavola dei moli parabolici impiegati dalla Cometa a trascorrere le anomalie vere v, *>"': la loro differenza darà per ordine i valori t_, x-\-m , f-i-iij donde tosto si formerà la prima equazione di condizione: t = t ■+- m x -+- nj. Se dal tempo della prima osservazione tolgasi il tempo opportuno per descrivere l'anomalia vera *>' (avendo la Cometa passato il pe- rielio), od al medesimo si aggiunga nel caso contrario, si avrà l'epo- ca del passaggio pel perielio. Così lutto sarà in ordine pel cal- colo del luogo geocentrico nella seconda osservazione, donde coi precetti sopra riferiti si formerà la seconda equazione di condizione. Osserveremo per ultimo, che dai valori di v t r'"_, g si dedurranno i valori t, t-I-Wj T + n colla formula (4) della pag. 114, o con la tavola di Burkardt, inserita nella Connaiss. des tempsj 1821, pag. 290. 244 APPENDICE CONTENENTE LE OSSERVAZIONI DELLA COMETA SCOPERTA NEL LUGLIO DELL' ANNO MDCCCXXIV. V^uesta Cometa fu per la prima volta scoperta dal sig. Pons la sera dei 24 luglio a Marlia , presso Lucca , e quasi contemporanea- mente veduta dal sig. Gambard all'Osservatorio di Marsiglia, il quale la ritrovò la sera del 27 dello stesso mese. Nella prima sua appa- rizione era sommamente debole, ed a stento osservare si poteva; indi il suo splendore aumentò alcun poco, giammai a segno di po- terla vedere ad occhio nudo. Essendomi stata gentilmente comuni- cata la notizia di tale scoperta dal sig. Barone di Zach, con sua lettera del primo di agosto, la ricercai inutilmente, perchè lo splen- dore della Luna ne rendeva impossibile l'osservazione, e solo ai 20 dello stesso mese, dietro le posizioni trasmessemi dal sig. Carlini , giunsi a riconoscerla col mezzo dell'Equatoriale di questo Osserva- torio. Dopo questo tempo continuai con frequenti interruzioni ad osservarla fino al giorno 17 di novembre, epoca in cui era divenuta sommamente debole , a segno da potersi appena distinguere. Ed a questo proposito giova osservare, che le tre osservazioni dei gior- ni i5, 16, 17 novembre sono alquanto dubbie per la difficoltà di poterla vedere quando sortiva dalle lamine, dietro le quali facevasi passare nel campo del cannocchiale. Il cattivo tempo che soprag- giunse ni' impedì di ricercarla fino agli 8 di dicembre ; nella qual sera, né in quelle posteriori dei 9 e io più non potei rinvenirla. Le ascensioni rette seguenti sono state dedotte osservando la sor- tita della Cometa e delle stelle di confronto dalle medesime tre la- mine metalliche adoperate per la Cometa precedente, e le declina- zioni del pari portando gli stessi astri in contatto della lamina pa- ralella all'equatore. In fine le posizioni apparenti delle stelle, alle quali fu essa riferita durante il tempo della sua apparizione , sono state prese dal Catalogo di Piazzi (seconda edizione). 24-5 1824 Agosto. . ao 23 26 27 29 3o 3i Settembre i 1 16 22 27 Ottobre . i4 18 Tempo medio 28 3o Novembre i5 16 ■7 9. 27. 36 IO. 52. 4 io. 34- i3 io. 3o. 3a io. o. 42 io. i4- 53 io. ai. 3i 7. 49- i5 8. i5. 3a 7. 55. i3 8. 29. 3 5 7. 18. 16 7- 17. 28 7- 44- 22 7- 9- 44 7- 4^- 5i 7. 22. 49 7. 5 9. 6 6. 3o. 2 7. 3. 28 6. 16. 26 6. 45. 44 7- i3. 26 7- 4o. 4o 6. 4o. 29 7- 4- 26 6. ig. i5 6. 35. 8 AR della Cometa osservata 245. 47. 26 243. 59. 35 242. 23. 5g a4i. 53. 12 240. 53. 22 a4o. 24. 7 23g. 55. 16 235. 12. 45 a35. 12. 7 233. 14. ,3 233. i3. 37 a3o. 57. 28 229. 2. 43 229. 2. 7 221. 58. 4g 221. 57. 3i 220. 2. 44 220. 1. 55 219. 33. 47 219. 32. 57 217. 5g. 3 217. 58. o 2l4- 20. 2 2 1 4 I g- IO 211. 57. 4o ig4- 12. 47 191. 58. 4o 190. o. i3 Declinazione boreale 36. 34. 25 38. 12. 30 32 a6 58 20 16 3g. 4o 4o. 8 4.. I 4i. 29 4i. 55. 46. 11. 52 46. 12. 14 47- 58. 4a 47. 5 9. o 5o. o. 46 5i. 39. 38 5i. 4o. o 57. 16. i5 57. 16. 47 58. 4i. 9 58. 4i. 37 59. 1. 54 5g. 2. i4 60. 8. 5 60. 8. 4g 6a. 33. 56 62. 34. 48 63. a4- 46 71. 3o. 38 72. 2. 37 72. 34- i4 24G Per calcolare l'orbita di questa Cometa ho impiegato le seguenti osservazioni : AR di Com. Declin. bor. 3 Agosto =i oh. 5 1'. 58") T. medio =2 58°. a'.ai" = 24°. 32.' 59") Osservaz. = n. 1 5. 49 j in Milano = 258. i. 49 = 24 34 39 j sig. Carlini Medio san. 3. 54 = 258. 5 = 24. 33. 49" so Agosto = io.'1 io'. 2" AR di Cora. Declin. bor. = 245. 46.24) =36°. 36'. 56" io. io. 2 \ = 245. 45- 43 ) = 36. 37. i5 9. 27. 36 1 in Padova = a45. 47- 26 j = 36. 34- 25 in Milano Carlini. Santini. Riducendo i tempi di Milano a quelli di Padova, e trasportando le posizioni osservate in Milano al tempo 9.1' 27.' 36.", corrispondente alla mia osservazione mediante il moto orario in AR = — g4"> ed in declinazione = -f- 85'', trovo i seguenti risultati: 1 AR della Cometa = 245°. 47'. 48" Declin. bor. = 36°. 35'. 40" 2 = 245. 47. 7 —36. 35. 5g 3 = 245. 47. 26 =36. 34. 25 Medio = 245. 47- 27 56. 35. 22 In fine per la terza osservazione ho scelto quelle del giorno 11 settembre sopra riferite, il medio delle quali dà 1 1 settemb. = 8.'' 2.' 24" AR di Com. = 235.° 12/26". Deci. bor.= 46. 12. 3" Calcolando quindi con tavole a cinque cifre decimali le longi- tudini e latitudini della Cometa, e prendendo i luoghi del Sole dalle effemeridi di Milano , dopo avervi applicalo le opportune correzioni per ridurre all'equinozio medio tanto le posizioni del Sole che della Cometa, ho ottenuto i seguenti risultati: 1824 Tempo medio Long, di Cometa = a Latitud. bor. = (3 Long, della terra = A Log. dist. del Sole = Log. R Agosto . . 3,46849 20,394i7 Settembre ii,335oo 253. 5o, o3 232. 5o, 19 210.38, 69 47.21,36 56.58,ii 62. 42,42 3i 1. 25, 1 2 327. 4o, 98 348.56,48 o, oo6i3 o, 00/(82 O,0025o 247 dai quali ho dedotto i seguenti elementi parabolici: Passaggio della Cometa pel perielio = 296, i5io di setlemb. 1824. Longitudine del perielio — 364°- 34', 70 Logaritmo della distanza perielia . . = o, 02096 Longitudine del nodo ascendente . — 279.14,26 Inclinazione all'ecclittica = 54- 33, 3o Per vedere come questi rappresentino le osservazioni fondamen- tali, ho calcolalo pei tempi' sopra riferiti le posizioni geocentriche della Cometa, donde risulta un accordo plausibile, come può ve- dersi dal seguente confronto: Longit. calcolata Longit. osservata Con-, degli elementi Latitud. calcolala 1 Latitud. osservala Corr. degli elementi 1. osserv. 2 3 0 1 253. 5o, 37 232.49,92 2 10. 39, o4 0 1 253. 5o, o3 232. 5o, 19 2 io. 38,69 — 0, 34 + °, 27 — 0, 35 0 , ! 4721,64 56.57,86 62. 4°,42 0 / 47. 2i,36 56.58,ii 62. 4o,42 — 0, 28 + 0, 25 + 0, 00 Per facilitare il calcolo delle posizioni geocentriche della Cometa dietro i superiori elementi, io qui riferirò le formule, colle quali si ottengono le sue coordinate rettangole rapporto al piano dell'equa- tore, quando l'origine si finge nel centro del Sole, donde poi con molta speditezza si ottengono le ascensioni rette e le declinazioni geocentriche, soprattutto se piaccia di prendere le coordinate solari dalle tavole del cel. Gauss, inserite nel voi. XXV. della Corrispon- denza Astronomica in tedesco del sig. Barone di Zach. ma. sen. (i>-4- 1010. o', 3q) , _ " ^Tv " log. m^r = a,795io nq. sen. (ti-f-34o°. 33', 33) . y= c^sTT^ loS- n1 = 9>99^ p?.sen. (t>+58°.43,78) z = — — c^7> ' log- p(J = 9' 96412 nelle quali formule v rappresenta l'anomalia vera della Cometa, cal- colata dietro le solite tavole del moto parabolico. Dietro queste formule ho calcolato alcune delle superiori osser- vazioni per vedere con qual progressione gli elementi parabolici so- pra riferiti si allontanano dalla verità; e qui ne unisco i risultati •4-8 ottenuti, riflettendo che in quelle sere, nelle quali si fecero due os- servazioni separate, ho preso il loro medio, e pel tempo ad esso corrispondente ho calcolato la posizione della Cometa, avendo inol- tre riguardo alle piccole correzioni dell' aberrazione e della nutazio- ne. In tal guisa ho ottenuto i seguenti risultainenti : JR App. calcolata AR osservata Corr. degli elementi Deci. app. calcolata Deci. osservata Corr. degli elementi Settembre 16 233. li 44 a33. 1 3. 55 — 49 47° 58.52 47. 58.5 1 •r — I 22 23o. 57. 48 a3o. 57. 28 — 20 5o. 0. 4o 5o. 0.46 + 6" 27 229. 2.26 22g. 2.25 — 1 5o. 3g. 1 5 5o.3g.49 + 34 Ottobre . • 4 221. 57. 38 22 1. 58. 49 -f* 1. 1 1 57.i6.35 57.i6.i5 — ao — 221. 56. 5i 221. 57. 3i + 0. 4o 57.i7. 5 57. 16. 47 — 18 22 217. 56. 38 217.58.32 + 1.54 60. 9. a8 60. 8.3g + 49 3o 212. 53. 53 212. 57.40 + 3.47 63. 25. 27 63.24-46 -+- 4i Novembre i5 194. o44 19412.47 + 2. 3 71.32. 34 71. 3o. 28 — 2'. 6" 16 192. 1. 5o 192. i3. 4o + 1 1. 5o 7i.59. 0 72. 2.37 + 3. 37 J7 1 8g. 52. 38 190. 0. i3 + 7.35 72. 34- 52 72. 34- 1 5 — 0. 38 11 chiarissimo Enke, astronomo di Seeherg presso Gotha, ha lo- devolmente rappresentato le osservazioni di questa Cometa mediante un' orbita iperbolica, la quale se fosse di fatto la vera orbita da essa percorsa, inutilmente i nostri nepoti ne attenderebbero il ritorno. Rarissime essendo le Comete descriventi un'iperbola, e forse questa dovendosi numerare per la prima , noi qui uniremo i risultati da esso ottenuti, estratti dalla interessantissima Corrispondenza del sig. Barone di Zach (Genova, voi. XI. pag. 388). Passaggio al perielio 1824 settembre 29,02259 Temp. med. a Seeberg. Log. della disl.perielia =0,021 7381 ; Eccentricità =1.006046 Longitudine del nodo =279°. i5'. 3i",6;long.delperielio = 4°-25'.57",2 Inclinaz. dell' orbila = 54- 4^- 7> 8- 249 NOTA AL TOMO IV. DEL CALCOLO INTEGRALE DI EULERO SU PPL. ir. SEZIONE II. MEMORIA POSTUMA DEL SOCIO PROF. FARINI .Li immortale Eulero, in uno scritto presentalo all'Accademia di Pietroburgo l'anno 1776, dichiarò pel primo, che (posto per bre- Vita A = 1 -4- a1 — 2 a cos. ?) 1 integrale della formula — — , este- so da rf a 9=0 sino a = i8oQ, uguaglia la quantità avvertendo però , che il secondo membro è sempre composto di un numero finito di termini, e che le espressioni fra le parentesi non sono frazioni , ma bensì coefficienti delle potenze del binomio , e tali, che in generale si deve riguardare (a \ a, a — 1 a, — 2 a — 3 a — £ -H 1 TJ = T-—r- ~ì 4— ■•• ~-f • Questo teorema, a cui il celebre Autore diede il nome di maxime memorabile j fu colla semplice induzione dimostrato in quel primo scritto. Poco dopo però s' accorse che quella dimostrazione non acquietava il suo spirilo ; e ne presentò quindi alla stessa Accade- mia un secondo, ove di nuovo, per dimostrare il medesimo teore- ma, dai casi più semplici salì mano a mano ai più composti. Ma sebbene egli battesse un'altra via, la nuova dimostrazione sentiva 32 250 ancora della prima eccezione , come apertamente si rileva dalle se- guenti sue parole : Interim tamen fatendum est hunc ordinem egre- gium per conjecturam se nobis obtulisse, cujus ergo demonstratio ri- gorosa adirne desideratili-. Donde ne venne, che dopo poche settimane presentò alla stessa Accademia un terzo scritto, che finalmente con- teneva la tanto desiderata dimostrazione. Studiando io il teorema maxime memorabile _, mi è sembrato di vederne una dimostrazione differente da quella di Eulero, assai più facile e piana. Ella è appunto questa che io sottopongo al giudizio dei dotti. La forza della mia dimostrazione consiste particolarmente in ciò, che supponendo verificata la premessa eguaglianza col mezzo delle effettive operazioni fino al numero n-\- i, dico che sarà vera ezian- dio pel numero n-\-i, cioè quando in quella scrivasi dappertut- to rc-t-i in luogo di n; e siccome pei primi valori i, 2, 3, dati ad Tij con tutta facilità si dimostra vera , così concludo essere vera per qualunque altro valore intero sostituito invece di 11. In fatti sia per supposizione verificata l'eguaglianza — / — (-') (g) «• + p._.1(i=±^)gg=i)-.«+-.;. Si trovino in questo ultimo sviluppo i coefficienti eli a°, a2, at,...a^, à pel coefficiente di a0 (sostituendo pei simboli ( — — ), ( : ) i noli valori n (2;.+ ,) fc=ÌJ fc£i) + (!■_»•) ("~^'j f"^~') Similmente cercando il coefficiente di aa, si troverà „,.+ l)(S=tL')(^). Ed in generale, chiamando P il coefficiente di a^, è chiaro che sarà P = /* (a n -+- i { f __) /_!_ + /__ (- : ( e si avrà' 253 Per ridurre poi anche questo coefficiente alla forma dei prece- denti, si ponga invece dei simboli che s'incontrano in tutta l'espres- sione, i noti prodotti , e si otterrà Un — i) (n — i—i) (n — /— a)... (n — i— * + ,) (n + i) (n+i— i)... jn — X-h i) ) ^«(aiH-i)) . ,a-3 •■■•* «...3. ..(."+*) f ! (n — ì){n — i—i).. ..(n — i — X + 2) (n + i) (n + i— i).... {n — X + 2) '•2.3 (*,_ I) Ì.2.3...{l+^— 1) J (n — t— 1) (n — i— 3) (« — ; — X) (n-H — 1) (ra+£— 3) (n— 1) '•2.3 X 1.2.3 (Ì+X) — H2) / a ^"~'V"1) t"~ »'— s)...{n— i— X+i) (n + i—i) (n + i—2)...{n—X+i) 1.2.3 (X— 1) i..a.3...(irf»— 1) (" — ''—') (n — '— 3)...(n~-i'— a+2) (n + /~ 1) (n + i — 2) ... (»— X + 2)\ 1.2.3 (X — 2) 1.2.3... (j- + ;i_2) Con un poco di attenzione si vede che questo valore di P può scriversi anche nel seguente modo : p_ (" — '+0 (" — Q (n — t— i)...(n — t — a-f-a) (nrj-t-j-i) (n+z) ... (n~- A + 2) '•2.3 / 1.2.3... (i + X) n(2n+i) (±=±±±1. "~X+t + » "'"+* 1 ^ n — j-f-i „4-j_^, „_,_f., n _{- i _f_ ! / ( (n — i—X+i) (n — i—X) (n — X+i){n — X) 4_(ia_na) ] (n — »'+i)n— i) ' (« + i-f- 1) (rc+0 i _o *(» — » — * + i) (t-t-Z)(n — a+i) ' • (»— i+l) (n — i)' (n + i+ 1) (n-\-ì) 1(1— I) (* + ì) (* + » — !) X l (i"_na) ovvero anche (n — i'+i) (fi — /) (n+l'+i) (n+i) n(2»+i) (li-i'-t+i) (n — X-t-i) b(2b + ,) a {i+X) M^W) (n+i)B— i" (ra+i )»_»» _ (n — 1 — X+i) (ra — 1 — X) (n — *, + i) (ti — A) , a ^ (fi — i— X+i) {i+X)(n—X+i) {n+if—i' __ x- (X— 1) (*' + *) (i + X— 1) (b+i)»-.*» ossia fi (sn + i) (r!_j_X+,) („_^+,) p= (7+T^r^- (— — ^-ì+7-; j -(»-._*+ ,) („__,-_ X) («_*+,) („. I I * — («— ,_A-t-,) („__,_/,) („_J,+I) („_JI,)V / +al(a-J-»+i) (j-+») (»_»+,,) \ a54 Se ora si fanno tutte le moltiplicazioni indicate tra la parentesi grande, e si fanno a dovere le riduzioni che si presentano, si tro- verà che la quantità tra la predelta parentesi è _ „<•_)- 3 w3-j- 3 7i3-f- zi — i2 7*2— t'2 n = n (n + i )3— i2 n (n-\- i ) Sarà perciò evidentemente Determinato in tal guisa il coefficiente di a2?', se si ritorna all'equa- zione (/), ed ivi si sostituisca, dopo di averla divisa per n(n-\-i) (i — a2), si ottiene An + 2 i^^l+^X^M^HWK- \ e questa è evidentemente la stessa di quella che proviene dall'equa- zione (a), ponendovi (n-hi) in luogo di re. Resta adunque dimo- strato , che se il Teorema maxime memorabile ha luogo fino al nu- mero b+i, avrà luogo ancora pel numero «4-2; e come pei primi numeri i, 2, 3 si avvera, sarà così dimostrato vero per tutti i nu- meri interi e positivi. a55 DELLA GENERAZIONE DELLE LINEE PIANE ESERCIZI DI GEOMETRIA ANALITICA DI CARLO CONTI MEBIOKIA LETTA NELLA SESSIONE DEL DI XXV GIUGNO MDCCCXXIII. ' J.n questa Memoria ho raccolto ed ordinalo alcuni di que' pro- blemi che successivamente ho risoluto nello studio della geometria analitica. Versano questi intorno alla generazione delle linee piane, e perciò al generale problema si riferiscono de' luoghi geometrici. Conoscendo quanto sia importante e necessario esercizio il parago- nare fra loro le teorie che si apprendono, generalizzare le questioni conosciute, esaminare i casi che può presentare un generale proble- ma, ho ricercato quale esser possa la via sicura per formare un pro- spetto delle moltiplici classi de' problemi risguardanti la generazione delle linee e superficie, ho data la soluzione di problemi generali, e dalle ritrovate formule ho dedotto, come casi particolari, teoremi co- nosciuti. Ho diviso questa Memoria in due parli, ponendo nella prima gli esercizj generali sulla generazione delle linee piane a sistema generan- te semplice, e nella seconda la soluzione de' problemi particolari, alcu- ni de' quali appartengono alle generazioni a sistema generante composto. Quanto alla generazione di linee dipendenti dal movimento di al- tre, non ho preso il problema sotto la vista più generale, ne ho di- scusso i moltiplici casi che offre questo argomento; ma il prospetto de' problemi delle generazioni, gli esercizj sulle generazioni a sistema generante composto, sulle generazioni delle curve a doppia curvatura e delle superficie, ed intorno al moto delle linee e delle superficie, formeranno soggetto di continuazione a questo mio tenue lavoro. 33 2.56 PARTE I. Esercizj generali. S. I. Cernii sulla generazione in generale de' punti, linee, superficie. i. La ricerca de' varj casi che si possono presentare nell'esame del- la dipendenza che può esistere fra punti, linee e superficie, e punti, linee e superficie, e la soluzione degli analoghi problemi, ne' quali si tratta di determinare punti, linee e superficie dipendenti per date re- lazioni da punti, linee e superficie date, ecco il soggetto della gene- rale questione della generazione de' punti j linee e superficie. 2. Chiameremo pertanto generanti i punti, le linee, le superficie date; generati i punti, le linee, le superficie che ne dipendono; rela- zioni di generazione le relazioni scambievoli; sistema generante il complesso de' punti, linee, superficie generanti. In generale, diremo sistema dì punti, o di linee, o di superficie un complesso di punti, o di linee, o di superficie dipendenti per relazioni determinate. 3. Volendo procedere alla ricerca de' casi generali, che presentare si possono nella generazione de' punti, linee e superficie, fa d'uopo cono- scere le generazioni elementari, dalla varia combinazione e modifica- zione delle quali molliplici generazioni ne sorgono più o meno com- plicate. Prendiamo perciò a considerare la generazione de' punti e delle linee in un piano. 4 II problema più semplice delle generazioni è il seguente: « Dati » più punti di posizione, e la relazione che aver debbono con un altro » punto, ritrovare quest'ultimo. » A questo problema si riducono lutti quelli della geometria piana elementare, che risguardano le proprietà dei poligoni. 5. Veniamo alle linee. Sia data una linea qualunque, e si finga che un suo punto abbia una determinata relazione con un punto fuori di essa, e che ad ogni suo punto corrisponda un punto estrinseco, dipen- dente perla stessa relazione: la serie infinita e continuata di questi punti produrrà una linea. La natura poi di questa dipenderà dalla na- tura della linea data, e dalla particolar relazione che un punto qual- unque della generatrice ha col corrispondente della generala. Chia- meremo rispettivamente punto generatore e generato i punti corri- spondenti delle due linee. 6. Se ben si considera la maniera, colla quale viene a prodursi la generata, si vede che hanno luogo due principali condizioni: che in- finiti sono i punti generatori, che questi punti sono continui, e che perciò infiniti e continui sono i punti generati. 7. Dietro questa osservazione vedremo che in due altre maniere può considerarsi generata una linea. Sia data una linea qualunque, e sopra di essa si prenda un punto, il quale abbia con un punto estrin- seco una determinata relazione. Si finga che questa linea cangi conti- nuamente di posizione con determinata legge, e che in qualunque po- sizione al punto scelto sopra di essa corrisponda un punto estrinseco, dipendente per la stessa relazione: avremo così una linea, che sarà la generata della proposta. La natura di questa linea dipenderà dalla natura della linea data, dalla posizione del punto generatore, e dalla legge colla quale la linea data cangia di posizione. 8. Abbiasi ora una famiglia di linee ad uno o più parametri varia- bili. Si prenda a considerare una linea particolare, e scelto sopra di essa un punto, abbia con un punto estrinseco una particolar relazio- ne. Suppongasi che un punto similmente posto in ogni linea partico- lare, abbia con un punto estrinseco la stessa relazione: avremo una serie infinita e continuata di punti, che produrranno una linea, la qua- le sarà la generata della data famiglia. La natura poi di questa linea dipenderà dalla natura della famiglia generatrice, dalla posizione del punto generatore sopra della linea particolare, e dalla relazione parti- colare esistente fra i punti generatore e generato. g. Quello che abbiamo detto rapporto alle linee piane, si può ripe- tere e per le curve a doppia curvatura, e per le superficie. io. E chiaro poi che queste tre generazioni sono le elementari, le fondamentali, e che qualunque generazione possibile deve risultare dalla combinazione e modificazione di queste. 11. Prendiamo a considerare problemi più generali. Sieno m linee, e sopra di ciascheduna si fissi un punto, e questi m punti sieno tal- 258 mente legati per determinate relazioni, che formino un solo sistema. Si supponga che questo sistema ahbia con un punto fuori delle date linee una determinata relazione, e che ad ogni simile sistema corri- sponda un punto dipendente per la stessa relazione: verrà a generarsi così una linea, la di cui natura dipenderà dalla natura e posizione delle linee date, dalle particolari relazioni ch'esistono fra gli m punti, appartenenti allo stesso sistema, e dalla particolar relazione che ogni sistema ha col corrispondente punto della generata. 12. Si considerino adesso m linee, e scelgasi sopra ciascheduna un punto, e questi m punti dipendano per tali relazioni, che compongano un solo sistema. Si tìnga che questo sistema abhia con un punto estrin- seco una determinata relazione, e che le m linee, cangiando continua- mente di posizione con leggi determinate, al sistema di punti genera- tori corrisponda sempre un punto estrinseco, dipendente per la stessa relazione: avremo così una linea, che sarà la generata delle m linee date. La natura di questa dipenderà dalla natura e posizione delle li- nee date, dalle particolari relazioni ch'esistono fra gli ni punti del si- stema, dalla relazione che questo sistema ha col corrispondente punto della generala, e finalmente dalle leggi particolari, colle quali le m li- nee cangiano di posizione. i3. Abbiansi ora m famiglie, ed in ogni famiglia, presa di mira una linea particolare, supponiamo che queste m linee formino un solo si- stema. Sopra ciascheduna si fissi un punto, e questi m punti sieno pure legati per relazioni particolari, onde formino un solo sistema. Fingasi che questo sistema ahbia con un punto estrinseco una deter- minala relazione, e che ad ogni simile sistema corrisponda un punto estrinseco, dipendente per la stessa relazione: ognuno vede che la serie infinita e continuata di questi punti produrrà una linea, che sarà la generata delle m famiglie date. La natura di questa dipenderà dalla natura delle famiglie date, dalle relazioni particolari che legano le m linee, dalle relazioni esistenti fra gli m punti generatori dello slesso sistema, e finalmente dalla relazione particolare esistente fra ogni si- stema de' punti generatori ed il corrispondente punto generato. 14. Chiameremo rispettivamente queste generazioni: Generazioni a sistema generante invariabile^ Generazioni a sistema generante varia- bile j Generazioni a sistema generante di famiglie. 25g i5. Vediamo come questi metodi di generazione possano rendersi ancora più generali. Sieno date m linee, si prendano ni punti sopra della prima, w2 sopra della seconda ec, ed i punti appartenenti ad una stessa linea formino un solo sistema, e gli m sistemi costituiscano un sistema più generale, e questo abbia con un punto estrinseco partico- lar relazione. Fatte le solite supposizioni, avremo una linea che di- penderà dalle ira date, e ne sarà la generata. 16. Così pure essendo date m linee, si prendano «i punti sopra della prima, tz2 sopra della seconda ec. , ed i punti appartenenti ad una stessa linea formino un solo sistema, e tutti poi un solo sistema gene- rale, il quale abbia con un punto estrinseco una particolar relazione. Queste linee si muovano con data legge, ed i punti presi sopra di esse si muovano con data legge sopra le linee, alle quali appartengono ec: avremo cosi una generata. 17. Rispetto alle famiglie si può risguardare la questione sotto aspet- to assai più generale. In ogni famiglia si prenda un sistema di genera- trici particolari, sopra ogni generatrice un sistema di punti, e questi sistemi formino un solo sistema generale, avente con un punto estrin- seco particolar relazione. Se ad ogni simile sistema corrisponde un punto estrinseco, avremo una linea generata da tutte queste famiglie. 18. Le famiglie slesse possono considerarsi soggette a movimento, onde nascono delle generazioni più composte. 19. Si osservi poi che tutto questo valendo per le curve a doppia curvatura e per le superficie, combinare si possono in un sistema ge- nerante e sistemi di punti isolati nello spazio, e sistemi di linee piane e di famiglie, e sistemi di curve a doppia curvatura, e di famiglie di queste curve, e sistemi di superficie e di famiglie di superficie, e que- sti sistemi variabili ed invariabili di posizione, onde ad infinite ed in- teressanti questioni più o meno complicate può darsi origine. Questo sistema generante si chiamerà composto. 20. Prima di por fine a questo brevissimo cenno generale si osservi di volo l'oggetto di alcune altre questioni, che naturalmente tengono dietro alla generazione de' punti, linee e superficie. 1.» Date le relazioni che aver debbono de' sistemi generanti, de' quali alcune linee o superficie aver debbono date relazioni con la ge- nerata, ritrovare quest'ultima. 2UO 2.a Date alcune delle generatrici e la generata, ritrovare le rima- nenti generatrici. A questo problema appartiene l'altro: ritrovare due famiglie di linee, dalla continua intersezione delle linee corrisponden- i delle quali abbia origine una linea di data natura. 3.a Eliminare od introdurre delle generatrici. Così, p. e., se sieno date m generatrici, si tratta di determinare le novelle relazioni di ge- nerazione che debbono aver luogo, onde la generata dipenda da sole fu — ; generatrici, ovvero da m-\-l generatrici, date essendo quest'ultime. 4-a Data la legge di generazione, per la quale si conosce come una generata qualunque dipenda dalle generate antecedenti e dal sistema generante primitivo, determinare la generata 7,siraa. A questo problema appartiene l'altro delle rigenerazioni, nel quale si tratta di determina- re le relazioni di generazione, onde la generata 7,siraa sia della stessa natura della generata primitiva, o d'alcuna delle antecedenti. Quanto a' movimenti, moltiplici questioni di questo genere si pos- sono proporre. Posto tutto questo, veniamo a' punti ed alle linee in un piano. Nola. Ho supposto che una serie infinita e slituire espressioni rigorosissime. In luogo di continuala di punti generi una linea, come, ricercare la liuea generata da una serie iufi- parlando delle superficie, accade di risguar- nita e continua di punti succedentisi con data darle generate da una serie infinita e continua legge, si ricerchi quella linea, nella quale stan- di linee o di punti, ed i solidi da una serie in- no tutti que' punti: lo stesso dicasi e per le finita e continua di superficie o di linee. Que- superficie e pe' solidi Prendendo la questione ste maniere di esprimersi vengono considera- sotto questo aspetto, e gli slessi calcoli si deb- te come inesatte da alcuni; ma non sono che nono istituire, e si ottengono identici risultati: modi compendiosi di proporre le questioni che onde potremo esprimersi in ambi i modi, sen- alla generazione delle linee e superficie e so- za offendere l'esattezza matematica, lidi si riferiscono, ed a questi si possono so- 261 s. IL Della generazione in generale dei punti e delle linee in un piano. De* punti. 21. Problema I. Dati n punti, e le relazioni che questi punti hanno con un altro, ritrovare quest' ultimo. Sieno Mi, M2, M3 Mn i punti generatori, ed M sia il gene- rato. Sieno xt, jtx: X2,j2-, x",jn le rispettive coordinate de' punti generatori, ed x} y quelle del punto generato. La posizione del punto M- sarà generalmente data dall'equazioni x = A, y== B„ ed in questo caso A, B saranno funzioni delle coordinate de' punti genera- tori. Avremo perciò x=/t (xì,-jTi,.- • ■ -)ìj^f^ (^2,^2, — ), equazioni che risolvono il problema. 22. Generalmente l'equazioni che determinano la posizione del punto M saranno 9>i = o, 9*2 == o, essendo 9*,, 9>2 funzioni delle coor- dinate de' punti generatore e generato. 23. Quindi l'equazioni 9\ = o, 9*2 ) = o, Fi (9*i, fi ) = o, tali che sieno soddisfatte quando 9*1, 9*2 divengono nulle: è chiaro che le equazioni Fi = o F2 = o saranno soddisfatte dalle coordinate che soddisfanno ad ambidue l'equazioni 9*1 = 0 2 = o. E chiaro che le intersezioni successive delle linee delle famiglie *i = o, *2 = 0 saranno quelle stesse linee che nascono dalla inter- sezione delle linee delle famiglie ?>, = o 2 = o coli' equazione Ft = o si può usare d'infiniti metodi, fra i quali è necessario di scegliere il più semplice. L'equazioni *. [tiita.-Fi ) = o flfc, (?>,, f^F, ) = 0 tali che si riducano a 0 = 0 quando C3 . . . . Cn. Sieno Mlt M2 . . . M„ i corrispondenti punti generatori, M il generato, del quale sieno x,y le coordinate. Le relazioni che debbono esistere fra i punti generatori dovendo essere tali, che la posizione di essi dipenda dalla posizione di un solo, se si prenda per punto primario V Mi, le ascisse od ordinate degli altri punti dovranno essere funzioni delle coordinate di Mi. Avre- mo perciò l'equazioni seguenti, che saranno in numero di re — 1; x* =fi ( *,; yt ) ; x5 = /3 ( xI,y1 ) xn =fn ( Xi, r> )• General- mente la posizione del punto M sarà data dall'equazioni x= JJy^=B; e dovendo il punto M dipendere dagli re punti generatori per determi- nate relazioni, saranno A>B funzioni determinate delle coordinate de' punti generatori, e si avrà x—

ovvero il solo a-py od il solo jp. Per mezzo di queste equazio- ni si ricavino i valori di a fì yp in funzione delle coordinate delle al-» tre generatrici e della generata, e questi valori si sostituiscano in tutte le rimanenti equazioni: avremo così 2« — 1 equazioni soltanto fra le coordinate delle n — 1 rimanenti generatrici e della generata. Simil- mente potremo eliminare altre generatrici , e potremo ridursi ad un'unica generatrice, e quindi giugnere all'equazione della generata. 44- Generalmente paragonando l'equazione Fp =. o coli' equazioni di relazione *2 = 0, *5 = o *„ — o, *, = o, *. = o, potre- mo eliminare Yxp ei'j'p, e ci ridurremo ad ri equazioni ; alle quali ag- giungendo l'equazioni n — 1 delle rimanenti generatrici, avremo le 2/2 — 1 equazioni che risolvono la questione. 266 45. Questo metodo ci fa strada alla soluzione del problema delle successive generazioni. Sia la generata C dipendente dalle generatri- ci Ci, Ci ... . Cn, ed una nuova linea C dipenda da queste e dalla C per relazioni determinate: si tratta di determinare C, senza conoscere C. Sieno x, y le coordinate del punto generato M' , appartenente alla C'. La posizione di M' sarà data dall'equazioni " — o, es- sendo ?', ?" funzioni delle coordinate de' punti generatori e generati. Si avranno così 2 ?i-\- 3 equazioni, per mezzo delle quali potremo elimi- nare 2ra-r-2 variabili appartenenti ai punti generatori ed alla genera- la Cj, ed avremo un'equazione F' [x , y') = o, che sarà l'equazione della C. 46. Generalmente sieno Ct, Ca, C5, . . . Cn le linee generatrici, e Cj Cj C" . . . C(m — ') le successive generate sino alla /na'raa : si tratta di determinare la generata 7«slma , senza conoscere le intermedie , data che sia la legge di generazione. I punti generati sieno Mj M'j M '. . . M(m — 0, la posizione de' quali sarà data dall'equazioni E = o, e = o; E'=o, e'=o; E{m—'>)=o, e(m— ') = o; ove Ej e ec. saranno fun- zioni determinate delle coordinato de' punti generatori e generati. Quest' equazioni aggiunte alle altre S» == o, *3 = o . . . *« = o , ed alle equazioni delle generatrici, ci somministrano 2.{m-\-n) — 1 equa- zioni, per mezzo delle quali potremo eliminare le coordinate delle ge- neratrici e delle generate, eccettuate quelle dell'ultima, e ghignere- mo così ad un'equazione F(m— 1) (ri™— 0, y{m— i)) = o, che sarà quel- la della ricercata generata. 47. Si osservi che generalmente 1' equazioni *i = o, *2 = o . . . . *„ = o saranno funzioni delle coordinate de' punti generatori e ge- nerati. 48. Se date sieno n generatrici, e sopra della prima si prendano n , punti, sopra la seconda ni ec, e si tratti di determinare la generata, conoscendo le relazioni particolari che questi punti debbono avere fra di loro e col punto generato, ben si vede che questo problema si ri- duce all'antecedente, osservando soltanto che alcune generatrici sono identiche. 267 Sistema generante di famiglie. 49. Problema IV. Data una famiglia di linee ad n parametri varia- bili, data la posizione del punto generatore, e data la relazione de' punti generatore e generalo, ritrovare la generata. Sia Ft (xi,yi,ai}a^taz . . an ) = o l'equazione della famiglia, ed Xjj le coordinate del punto generato M. La posizione di questo punto sarà data dall'equazioni f, = 0, f = o, essendo fi, fa funzioni determinate delle coordinate xlfyIt x yy> e degli n parametri, o di al- cuni soltanto. Si osservi poi, che il punto generatore dovendo esistere sopra una parlicolar generatrice, ed essere sopra di essa determinato, avremo n equazioni fra le sue coordinate ed i parametri variabili. Eli- minando per mezzo di queste 7j-f-3 equazioni le coordinate xIty, e gli n parametri, otterremo un'equazione F {xJy)=^oì che sarà quel- la della generata. 50. Generalmente le n equazioni, che' determinano la posizione del punto generatore, possono essere non solo fra le coordinate di que- sto punto ed i parametri variabili della famiglia, ma ancora fra que- ste quantità e le coordinate del punto generato. 5i. Eliminando le coordinate x1,yli avremo »-f-i equazioni che rappresenteranno altrettante famiglie generatrici della generata che si ricerca. 52. Se non si avranno n equazioni per determinare il punto ge- neratore, la generata non sarà un'unica linea, ma una famiglia di linee a più parametri; che anzi in questo caso si avranno più fami- glie generate. Infatti sieno m le equazioni di condizione: avremo al- lora m-\-3 equazioni, dalle quali eliminando le xi^yiì avremo wi-t-i equazioni che rappresenteranno m+i famiglie n a più parametri. Da questo potremo eliminare m parametri, ed avremo un'equazione fra x,y ed n — m parametri; e siccome si possono scegliere m para- metri in differenti maniere, così potremo determinare altrettante fa- miglie generale. 53. Problema V. Date n famiglie di linee a più parametri, date le posizioni de' punti generatori, date le relazioni scambievoli di que- sti punti generatori e col generato, determinare la linea generala. 268 Sieno Ft ( xt.ji, ah'aa, . . . ap ) = o, F? ( x2, j2, bt, b* . . . bq ) = o jf» (Xnjn, H-w-+-i equazioni, e colle n pri- mitive potremo eliminare ed i parametri e le 2 n coordinate de'punli generatori. Avremo così un'equazione F (x,j) = o, che sarà quella della generata. 54 In ciascheduna di queste equazioni potranno entrare e le coor- dinate de' punti generatori e generato , ed i parametri delle varie famiglie. 55. Non avendo tutte le p-\-q .... -t-t» equazioni che determi- nano la posizione de' punti generatori, in luogo della generata unica avremo delle famiglie a più parametri. 56. Rimangono due altri casi, che a prima giunta ponno sembrare più generali: i.° quando in ogni particolare famiglia si prendono più generatrici; 2.0 quando sopra di ogni particolar generatrice si prendo- no a considerare più punti generatori. Se bene poi si osservano que- sti due casi, sono compresi nel problema antecedente, quando cioè alcune famiglie generatrici divengono identiche, e quando divengono identiche alcune generatrici particolari. Sistema generante variabile. 57. Quando i punti generatori appartengono a linee, od a fami- glie di linee in moto, o questi punti sono fissi sopra le linee che si muovono, ovvero muovonsi essi pure sopra le linee, alle quali ap- 2G9 partengono, o si trasferiscono successivamente d'una in altra linea particolare delle famiglie in moto. Qualunque siasi la legge di mo- vimento, è chiaro che questi punti descriveranno delle linee, e che queste debbonsi considerare come mediate generatrici; ond'è che, de- terminando l'equazioni di queste, il problema generale è ricondotto ad uno degli antecedenti. 58. Riserbando ad altro momento esercizj più estesi sopra il moto delle linee, risolveremo alcuni problemi generali, che nella teoria del movimento delle linee ponno considerarsi come fondamentali. 5g. Problema VI. Dati due punti, l'uno de' quali descrive linea di data natura, mentre l'altro si muove intorno ad esso con data legge, ritrovare la linea da questo descritta pel movimento risultante. Chiameremo per semplicità l'uno punto direttore _, 1' altro de- scrittore. Sieno Xjjr le coordinate del punto descrittore; a^b le cor- rispondenti del punto direttore; d la loro distanza ; f l'angolo che la linea che li congiunge fa coli' asse delle ascisse; Ft (a, b) = o l'equa- zione della linea descritta dal punto direttore. E chiaro che avremo pertanto le due equazioni (x — a)3-(-(j — è)2 = d*, tang./= y _ . Siccome poi deve essere data la legge, colla qua- le il punto descrittore si muove intorno al punto direttore, così avremo d = t (f) ed/= *2 (a). Queste equazioni e la equazione Ft = o risolvono completamente il problema . Infatti, eliminando le quattro quantità a, bjfj d_, arriveremo alla equazione F [x^j) = o della linea ricercata. 60. Si osservi che d= *, (/) è l'equazione polare della linea che il punto descrittore deve descrivere intorno al punto direttore, co- me polo. 61. Generalmente l'equazioni d~ 2 (a) ponno essere della forma *, (d^ a, b, x,y) = o, *2 frf,/, a} bJ x,y) = o. 62. Chiameremo le quantità a, bjfj d parametri di movimento. 63. Risolvendo il problema generalmente, le costanti dell'equazio- ni d= *, (/), /= 2 (a), ovvero delle *, = o, *2 = o, saranno fun- zioni delle quantità che si riferiscono al principio del movimento, cioè ad una particolar posizione de' due punti, e che rappresente- remo per ai, bi,fi, dì} xhj,. Queste sei quantità saranno parametri 2yo della linea ricercata. Si osservi poi, che fra queste quantità debbono sussistere l'equazioni: F, {ai,b, ) = o ( x, — a, )a -f- (;-t - 61 )2 = d* , Yi — bi tang. /, = — , iX i ti i onde potremo eliminarne tre, e l'equazione risultante e finale della linea conterrà tre parametri. Quindi eliminando Yf,, dh 6,, i tre pa- rametri saranno: iE*,yi, «i. 64. Apparentemente cinque sono l'equazioni fra queste quantità; ma conviene osservare che l'equazioni *i := 0, *2 =r= o, generalmente parlando, riferite all'origine de' movimenti, divengono identiche. 65. Se poi l'equazioni *, =■ o *2 = o non contengono, come co- stanti arbitrarie, i parametri del movimento, l'equazione finale sarà ad una linea determinata, o ad una famiglia ad uno o a due para- metri. Se la generata è una linea sola, si potrà determinare per mez- zo delle superiori equazioni la posizione de' due punti all'origine de' movimenti. 66. Risoluto il problema generalmente, supponendo che il punto descrittore appartenga ad una linea di data natura, si potrà deter- minare la famiglia delle linee descritte dai punti di essa. Infatti es- sendo F' (xltji ) — o l'equazione della detta linea, pervenuti al- l'equazione finale, potremo eliminare Vjr*, o Vxtì e l'equazione, alla quale arriveremo, sarà la ricercata. 67. Se mentre il punto descrittore, appartenente a quella linea, si muove intorno al punto direttore, e si voglia che gli altri punii di questa linea ruotino intorno ad esso, e si domandi la famiglia delle linee descritte da questi punti, prenderemo per punto direttore il descrittore, ed un altro punto qualunque della linea come descrit- tore. Chiamando pertanto X, Y le coordinate generali di questo se- condo punto descrittore, 8 la distanza costante di esso dal punto di- rettore, ? l'angolo che la retta congiungente questi due punti fa col- 1' asse delle ascisse, all'equazioni superiori dovremo aggiungere le altre: (X-xf + ( Y-yY = <*2 (B) tang. ? = gf 271 L'equazione poi ? = *' (x) conterrà, come costatili arbitrarie, le quan- tità jtiJq^iJi,»!, relative all'origine del movimento. Eliminando poi da queste equazioni e dalle primitive le quantità cijb .f.djXjj,^ ar- riveremo ad una equazione F1' [X, Y) = o, che sarà la ricercata. 68. Quest'equazione, per mezzo delle superiori equazioni tradotte all'origine de' movimenti e dell'equazione F (x2)^2 ) = o, si potrà ridurre a' soli tre parametri x^xé, a,. 69. Non riesce meno facile la soluzione della seguente questione. Sieno n punti M,,M^t .... Mn, e mentre il primo descrive linea di data natura intorno ad Mi, si muova questo con data legge intorno ad M5, e così via via dicendo sino ad Mn, il quale descriva linea di data natura: si tratta di determinare la linea descritta dal punto Mn pel moto risultante. Cosi pure si può supporre che questi punti ap- partengano a date linee, e che ciascheduna ruoti intorno al punto corrispondente con data legge. 70. Le proposte questioni, risguardanti i punti, si possono rendere più generali, supponendo che la linea che un punto descrittore deve descrivere intorno al punto direttore, od intorno ad altro punto de- scrittore contenga de' parametri variabili dipendenti per conosciute relazioni dai parametri di movimento. In questa ipotesi il punto de- scrittore si trasferirebbe d'una in altra linea particolare. 71. Problema VII. Supponendo che un punto descriva linea di data natura, ed una data linea ruoti con data legge intorno ad esso, determinare la posizione della linea, data la posizione di esso punto. Sia F [x-jjr) == o l'equazione della data linea; a, b le coordi- nate del punto direttore ; / ( a, b ) = o l'equazione della linea che descrive ; X, Y le coordinate dei punti della data linea nella corri- spondente posizione; % l'angolo di rotazione. Fra queste quantità avremo l'equazioni: •r= a, -+- (X — a) cos. * — (Y — b) sen. * y— 6, -+- (Y—b) cos. * -+- (X — a) sen. I essendo a,; bi le coordinate della primitiva posizione del punto di- rettore. Siccome poi la data linea deve ruotare con data legge in- torno al punto direttore, così sarà * ~ f (a). Ciò posto, l'equazioni che risolvono il problema saranno: 35 2 72 Fìa, -jr{X— ajcos.*— (Y— b)sè'u.X, b, 4-(Y— b\cos.x-h(X— a) sena] == o 72. Se invece di una linea fosse una famiglia in moto, si potreb- be determinare per ogni posizione del punto direttore la particolar generatrice, e la posizione di essa, osservando che i parametri della famiglia debbono essere funzioni delle coordinate del punto direttore. 73. Se la linea ha soltanto moto progressivo, basterà porre ^ — o, e la equazione generale ottenuta si ridurrà a F ( at -+- X — «J, -+- X — b) = o, come deve essere, 74. Problema Vili. Mentre una data linea si muove con data leg- ge, un suo punto si muova con data legge sopra di essa, si doman- da la linea da questo descritta pel movimento risultante. Riferendo il movimento di questa linea ad un punto direttore, e ritenendo le denominazioni del mira. 71., l'equazione generale della linea in moto sarà data dalle equazioni: F=o,f[aJb) = o, 1= *(«). Sia poi f l'angolo che la retta congiungente il punto descrittore col punto direttore fa coll'asse delle ascisse; avremo: tang. p=-^-. Fi- nalmente dovendo essere data la relazione de' movimenti, avremo un'altra equazione: * ^>?) = o. Eliminando per mezzo di queste cin- que equazioni le quantità a, i, ?> ^, arriveremo ad un'equazione fra le coordinate X, F, che sarà quella della linea ricercata. 75. A queste equazioni si può sostituire quest'altro sistema, in al- cuni casi più semplice. Sia F (p}q) — o l'equazione della data linea nella primitiva posizione; 1,7 sieno le coordinate della famiglia descritta dai punti della data. Ciò posto, l'equazioni che servono a sciorre il problema saranno : F Ip.tf) = 0 (A'-«r-t-(r-òr= (/>—«! r+ (?-*' )* X _{q-bi)(X-a)-(p-a)(Y-b) tang' - {X-a) (p~a) + (r-b)(q-b^ f(aJb) = 0 27. tang. ?)■ = dalle quali dovremo eliminare p^ q, V, Mj è. 76. Se nell'equazione F=o si contengono de' parametri variabili, legando questi co' parametri di movimento , il punto si trasferirà d'una in altra linea particolare. 77. A questo problema appartiene la generazione generale delle spirali piane. 78. Termineremo questi cenni generali sul moto delle linee colla soluzione generale del seguente problema. 79. Problema IX. Date due linee muoventisi con data legge , e data la relazione de' movimenti, determinare la linea generata dalla loro successiva intersezione. Sieno le due linee Ci, C2 date dall'equazioni F,t (p^ q{ ) — o, Fi (pi, qi ) — o. La prima ruoti intorno ad un punto Mi, cbe de- scrive linea di data natura, e la seconda intorno ad un punto Mi, che descrive altra linea determinata. Sieno «j b le coordinate generali del punto Mi; c, d del punto Mi-, ai, bt, Ci, di le coordinate dei punti Mi, Mi all'origine de' movimenti. Sieno *i, *a gli angoli di rotazione. Finalmente sieno Xi, Yx le novelle coordinate di Cs;Xi,Yi quelle di Ci, fi (=f" [e)i fi(cJd) = o. Chiamando adesso x,y le coordinate della generata, ed essendo * \ *i, *2 )-= o l'equazione di relazione fra i movimenti, alle supe- riori dovremo aggiugnere l'equazioni: 274 xt = Xi = x, Ti = Yi = j * ( \ a2 ) = o. Per mezzo di queste equazioni potremo eliminare le quantità a., bt, *i, Xi, X, e le quantità corrispondenti a2, 62, ^2, Xi, F2, ed arrivere- mo ad una equazione F (xjj) = o, che sarà della linea generala. 80. Contenendo l'equazioni F, = o, Fi = o de' parametri varia- bili, e legandoli co' parametri di movimento, il problema riuscirà molto più generale. 81. Il problema si risolve generalmente con eguale facilità, se i punti Mi, Mi si muovano intorno ad altri. 82. Quanto alle quantità relative all'origine de' movimenti, si po- trebbero fare delle osservazioni analoghe a quelle che abbiamo fatto in altro luogo. 83. I punti, ne' quali s'intersecano le due linee C,, Ci in una par- ticolar posizione, possono risguardarsi come l'intersezioni delle linee particolari che questi punti descrivono, mentre si muovono le linee alle quali appartengono. Questa maniera di considerare prodotta la linea delle intersezioni, conduce a formule generalmente più sem- plici. Sieno ?,, a-cI)'-+- (?,-*,) yt — b r2 — d tali?. Ci = — . tang. «, ^ _ a icing. 92 — ^ _ c ft = /(«) - ?2 =/' (C) /» K b) = 0 fi (Cjd) = 0 *( *r, - 84. Si vede poi facilmente che queste equazioni coincidono colle superiori. Sia / ciò che diviene ?, quando a diventa at, e g ciò che diviene pa quando e diventa ct. Avremo tang. f= ?L=J|l f=f ( a, ) tang. § = qf^- *=/"<<•) Pi — • eI 275 Ricavando dall'equaz.^, — a)a+(F, —by=[px — a, )2+(qt — bt )a Yl-b tang. ?, = tang- / «= Jf, — a />i — a, i valori di pi, gì, ed osservando che /" — 9 = *If e sostituiti questi nella .Fi = o, otterremo l'equazione del num. 79. Similmente operando rapporto all'equazioni che risguardano la C?, otterremo l'equazione F? = o del citato numero. Le altre equa- zioni poi diverranno: *,=/(•«, )-/(«) X,=f'(Cj)-J"(c) fi (a_, b) = o fu [cs d) — o *[/(«■ ) — *-,/' (CO- *aj = 0 che debbono coincidere colle superiori, determinate convenevolmen- te le funzioni /',/', "&, le quali non debbono essere identiche col- le/',/',-^ superiori, come ben si vede chiaramente. 85. Per discendere ad un caso particolare, supponiamo che men- tre una data linea ruota intorno all'origine, un'altra linea data si muova parallelamente all'asse delle ascisse. L'equazioni generali si riducono alle seguenti: Fi ( x cos. * — y sen. *, x sen. * •+- y cos. * ) = o Fi (x-+- e—ct,j) == o, * (*j e) = o. 86. Sia la linea dell'equazione F2 = o una retta perpendicolare all' asse delle ascisse , onde abbia per equazione x = a; avremo x-\- e — c.,^0» ovvero x=. c-\-P > essendo 0 una costante dipendente dalla primitiva posizione. La linea ruotante sia una retta dell'equazione 7 = 0; avremo le equazioni x sen. * -hj" cos. * = o x = e -f- 0 * (*,a) = 0 e l'equazione della generata sarà "*" ( — Are. tang. -, x — 0) = o. 87. Supponendo ^(^c) = * — Kc — A., cioè le linee muovendosi uniformemente, la generata avrà per equazione: y — Are. tang. - = Kx + gv, od 7 = — x tang. (^Tx-t-g-), 276 essendo g una costante arbitraria. Dovendo essere * == 180°= * quan- do x — r, & ——, quando x — o l'equazione finale sarà: r tang. — 8 2 1' nx 2 1 equazione alla quadratrice di Dinostrato. 88. L'equazione generale però della quadratrice si otterrà suppo- nendo che la linea ruotante sia data dall'equazione q=ap; onde avrassi; Chiamando poi 2/ il valore primitivo di ^> quando x — r} !■" il valore di * corrispondente ad x — o, quest'equazione si cangia nell'altra: x tane, a'— Y ( *' — a" , , = tang. x -+- a x-t-laog. a'/' Ponendo *'="> a"= — si ricade nell'equazione ordinaria. ni PARTE IL Esercizj particolari . 89. Problema I. Trovare una linea, da qualunque punto M della quale condotte quattro rette a' quattro punti dati A_, M2, Ms, il/4, estremi rispettivi di due date linee AM?t Mz, ÌV4, le aree de' trian- goli MAMi, MMzt A/4 stieno nel rapporto di i=m. La posizione de' quattro punti sia determinata dall'equazioni «1=0,74=0; x2=^JJf2 = o; X3 = «3, J3 = — bs-, ^4 =«4, 74 — — 64, e sia Mz Mi = B. Sarà E* = ( «3 — «4 )2 -+- ( &3 — £4 )2. Chiamando poi x_,j le coordinate del punto M \, l'equazione che risolve il problema sarà: b% — b„ £„ a3 — h a« . ,. , ,. r = — — - — x -\ ; , equazione di due li- •±^ m A — (a3 — a, ) ■+: mA — (a3 — 'a4 ) x nee rette. 90. Prendendo il segno superiore, la retta avrà per equazione: h3 — b„ b„ aò — J3 a„ r = ; X -\ : m A — (a3 — aA ) m A — (n3 — a,, ) e questa si costruisce nella seguente maniera. Si prolunghi la M3 il/„ in P_, e si prenda Pn = Am_, Pr — B; e congiunti i punti r, n pel p. . punto P, si riconduca la R S parallela alla rn, e sarà questa la li- nea ricercata. La verità di questa soluzione è già dimostrala sinte- ticamente. 91. Prendendo il segno inferiore, la retta avrà per equazione: £3 — b« «3 il — ^3 an y ' — < ; r x ~i ~a ; r» — m A — ( a3 — a<, ) — m A — ( a3 — a, ) e si costruisce così. Prolungala la M$ /F4 in Pj si prenda Pq = JmJ Pr = Bj e congiunti i punti q^Vj, si conduca la RS parallela alla qr; e questa sarà la ricercata retta. 92. Posto £3 = £4 = o, avremo 7 = 0, come deve essere. Se Am = a4 — as, una generatrice diviene perpendicolare all'as- se delle ascisse. 278 Se b$ = £4, le generate avranno per equazione: *3 (a3 «*4 ) 7= =~< — in ' *t- Am -f- a/, — u3 e quindi saranno parallele all'asse delle ascisse. Si possono quindi facilmente costruire , osservando i due casi di A m < 05 — 04, e di Am > a 3 — 04. g3. Se i»=i, le aree dovranno essere eguali, e le costruzioni rie- scono più semplici. 94. Sia Ms M4 normale alla AMt, avremo «3 = 04, e l'equazione generale si cangierà nell'altra: - SA "3 (&« — &3 ) 7 = m J -4- m A Se inoltre queste linee si dividono reciprocamente per metà, sarà: , B , B A 04 = — , — 05 = —, «3 = —, ■• ■ ■ a 2 2 . B B ed / = — x -+- ; ~f. m A 4* aia e posto m = 1 , sarà y = ^— a: -+- — — . Finalmente se B = AS avremo j = ± .r :p -. g5. Problema II. Sia #, C, una data linea generatrice, ed F un punto fisso ; e condotta la FM x ad un punto generatore , il punto generato M sia sopra la MMt> che fa un dato angolo con la FMjt e sia distante da Mi di una quantità data: trovare l'equazione della * *'" generata. Sia Fi (x,,y, ) == o l'equazione della linea Bt C, a_, b le coordinate del punto F; l'angolo FMI M = », ed MtM =/, essen- do / eguale ad una data funzione delle coordinate dei punti genera- tore e generato. Soluzione I. L'equazione della retta FMt è/, — 6 = 7», (x, — a), e l'equazione della MM, è jr, — y = m ( x, — x ). Abbiamo poi: m, — m (j1 — b) (ar, — x) — (j, — j) (*, — «) tang. a = =; — ■ ; 5 i-r-mm, (ar, — a) (a;, — a:) + (/i — °) Iji — j) Ricavando da queste due ultime equazioni i valori di x, — x>yx —y, avremo: (l) Xj — X =zf (2) fi—r=f- 279 cos. a ( x, — a ) •+- seri: «, (j, — J ) 1/7"*, _ a )»+(/, — J)* cos. * (j-! — &) — sen. a, (.Tj — a) !/(>, — a)2+ (J, — &)3 Eliminando per mezzo di queste e della proposta le coordinate ■xt, )\ , avremo l'equazione della generata. Soluzione II. Prolungata la Mt F in E> ed abbassate le ordina- te Mi Pi, MP e la normale F£>, si conducano le FG, MVH pa- rallele all'asse AX. Pongasi quindi l'angolo DEF—e; sarà HMl M — <* — *j Ti — 6 - ^i — « sen. e = — = — r > cos v | (*, — a)2-f-(j. — &)»! ' 1/ I (*. — ")a+Cri — è)2S Ora PPi=. MMi cos. (» — ■*) ed MH=MM% sen. (<* — ?), cioè (a?, — a) cos. a + (j*i — b) sen. a JCl X :=/. V \{*i — *)*+(ji — b)*\ r (y, — b) cos a — {xt — a) sen. a. " ~ J =/ •>(*,-«)'+ tri -*)M ' come sopra- 96. Prima di passare ad alcuni casi particolari fa d'uopo sempli- ficare l'equazioni delle famiglie generali. Sommati i quadrati di am- bedue l'equazioni, avremo (A) (xt — x )5 -+- (yt — j^^y2, come si ottenne sino da principio. Questa equazione ci rappresenta una fa- miglia di circoli a due parametri variabili, quando f sia costante. Si moltiplichi la prima equazione per sen. °» e la seconda per cos. <*» e si sommino; quindi dalla prima moltiplicata per cos. a si sottragga la seconda moltiplicata per sen. a. Le due equazioni così ottenute si dividano l' una per l'altra, ed avremo l'equazione ri- sultante: sen. a ( x, — x ) + cos. a (yt — y ) yt — b (B) cos. a (ar, — x) — sen. a. {yt — y) equazione di una famiglia di rette, delle quali ciascheduna passa pel centro del circolo corrispondente dell'equazione (A). 97. Posto a = o°, cioè la MMi ricadendo sopra la FMlt e posto « = 6=0, cioè F coincidendo coli' origine, l'equazioni (A) (B) si cangiano nelle seguenti: 36 2»0 98. La generata sarà predotta adunque dalla continua intersezione di un circolo, il di cui centro coincide successivamente co' punti della generatrice, e mantiene costante il raggio, o varia con data legge, e di una retta che passa per l'origine e pel centro di esso cerchio. 99. A queste equazioni si potea giugnere più facilmente, ricor- rendo alle equazioni delle famiglie generali. Nell'ipotesi fatta, esse si riducono alle due: Xl — x = f. X\ , y, — y =/. mx) Facendone i quadrati e sommandoli, si avrà l'equazione prima; di- videndo l'una ner l'altra, e riducendo, si ottiene la seconda. 100. L'equazione della generatrice sia yt = wx, + n; avremo per equazione della generata: a? (n — y-\-mxy-ì- ì (y — n) (y — nix) — mnx [2 =f- (/- Posto 7w = o, la generata avrà per equazione: [x'l-\-y>) (y — n)a = /^ ja. Sostituendo ad y^y + n, avremo xy = V~f* — J* (j -f-«), equazione ordinaria della concoide. E inutile poi l'osservare che si prende / costante. 101. Ponendo n = o, avremo: y" — 2mxy*-\-(niìx*-ì-x'ì — /2)j2+ 2/bx(/j — x^y -+- m1x'ì{x'1 — f*) — o. Ora è facile vedere che la generata deve coincidere colla generatri- ce, perchè i punti generati cadono sopra di essa. L'equazione dovrà essere adunque soddisfatta da y^mx, e quindi divisibile per y — mx. Si osservi poi, che questa equazione deve contenere due volte il fat- tore y — mx_, poiché ad ogni punto Ms corrisponder debbono due punti Mj egualmente distanti dall'una e dall'altra parte. In fatti l'equa- zione si riduce alla seguente: {y — mxY {f-\-£% — /a)=o. La gene- rata, che deve risguardarsi come illegittima , è un circolo del rag- gio/ Si vede poi che queste tre linee sono limiti della curva espres- sa dalla generale equazione. Riprendiamo l'equazione della concoide, ed esaminiamo più da vicino le varie famiglie generatrici. 102. Se yY == m, le famiglie generatrici particolari sono: (xi — x)a "+" (j — ")a=/2>J= — x. Queste equazioni ci suggeriscono il noto metodo di descrivere la concoide. 28l io3. Eliminando la y per mezzo delle due ritrovate equazioni, perveniremo all'equazione: x~xt J i -\ — - — ' (; ovvero all'altra: (xf+ri') (xt — x)''=fx'. L'equazione perciò (xl — xf-^-{y — n)1=f2t e l'ultima, sono di due famiglie generatrici particolari. Se si elimini la Xi, otterremo l'equazione della generata. Si osservi però, che in questo caso la generata è implicata con un'altra curva. Dividendo l'equazione risultante di 8.° grado per l'altra: y* — 2«j3-r-(lr1 + ri1 — f%) y* — inx^y -\- w2.r3 = o, ritroveremo l'equazione della generata illegittima. 104. Onde ritrovare più facilmente l'equazioni delle due linee, si moltiplichi la prima equazione per x*, ed avremo : xl'(xl _a:)?-t- ^ty-B},=jf x*. La seconda dà l'altra: x* (xl — x)*-+- raa (xl — xf =. f* x*, e sot- traendola dalla prima, si avrà: x*(y — n)* — ri1 (xt — x)*z=o, cioè ìx, (y—Ji) -irti (x! — x) | ! X! (y — n) —ti (.r, — x) j =o, e quindi xt = — , ed xt = . Questi due valori si possono eziandio ottenere sciogliendo direttamente l'ultima equazione, rap- porto ad xt. Sostituendo il primo valore nella prima equazione, si ha: (x*+y) (y — n)'i=f,yi; equazione della vera generata. Sosti- tuendo il secondo valore, avremo: equazione della generata illegittima. Questa curva è un'altra con- coide, e differisce dalla prima nella posizione. In fatti, sostituendo y-\-in ad y, ricaderemo nell'equazione superiore. io5. L'equazioni y= — x_, (x'+n?) (xt — x)* = f x* ci soni- ci ministrano due nuove famiglie particolari. Eliminando X x} si ottiene subito la generata. 106. Eliminando Vx dalle equazioni primitive, avremo: Paragonando quest'equazione con ciascheduna delle altre, si ottiene 282 una coppia di novelle famiglie generatrici. Paragonata colla equazio- ne (xi — xf-\- {y — n)'i=^fxì ed eliminando l'x,, arriveremo ad una equazione dell'ottavo grado, come al §. 98. Onde ritrovare le due curve, si moltiplichi l'equazione ultima per «3, e si sottragga dall'equazione x* (y — ?i)3-f-rc2(j — nf—f* n*. Troveremo così per x, gli stessi valori del §. 99. 107. Finalmente paragonando l'equazioni x=Xi \i-\ \, ' t V xS + n1 ) y= n \ H |» avremo un sistema novello di famiglie ge- ( y xf + n* ì neratrici. Passiamo ad altri casi. 108. Supponiamo la MM, parallela all'asse delle ascisse: sarà al- lora a = FMlGJ e quindi avrassi xl — x—J^jt — y = o ; le quali equazioni si deducono eziandio dalla sola ispezione della figura. 109. Sia f eguale al raggio vettore FMly cioèy= ]/ )(x, — a)2 "+" (J1 — b)* (. Fatta questa sostituzione, le due equazioni ritrovate si cangiano nelle seguenti: x'1 — 2xxl=à1 — 2axl-\-(yI — tf,/, — y=o, che rappresentano due famiglie di rette parallele agli assi coordinati. Se nella prima si sostituisce / ad ytì avremo le due equazioni: ji — y — o, {x — xt )2= {a — x, )3-+- (7 — bf; delle quali l'ultima rappresenta una famiglia di iperbole equilatere, no. Sia la generatrice una parabola dell'equazione /j2= pxt, e 7 1. • i 1, 1 P (*2 — <**) si ponga 0 = 0; 1 equazione della generata sarà: 7 = — ^p • Si vede pertanto che questa curva è simmetrica intorno l'asse delle t> -ì ° y v ■* p 11 ascisse. Posto x = o, si ha y = ± - — ; e perciò se a > — , 1 or- y^ p — 2 a dinate all'origine saranno reali; se a <—, immaginarie; se a =— , l'ordinale saranno infinite, e perciò l'asse delle ordinate sarà un assintoto. Posto y=o, abbiamo x= ±a, e però la curva taglia l'asse delle ascisse in due punti egualmente distanti dall'origine della quan- tità a. Questa curva ha quattro rami infiniti, ed i due che si esten- dono dalla parte delle ascisse positive, sono sempre compresi entro i r#mi della parabola generatrice. a83 Riguardo ai due rami infiniti, che si estendono dalla parte delle ascisse negative, si osservi che una linea, la di cui equazione sia x=a , ne è un assintoto, e che vi ha un punto di regresso cor- rispondente all'ascissa x = — a. Se bene si osserva , si vedrà che questi rami sono compresi fra P le due rette dell' equazioni x = a — j , x = ■ P Pongasi a = -. , e si risolva la ritrovata equazione rapporto ad x ; avremo P 2 V dalla quale si ricava : x = P 4 , x P + P 4 r" i p- p* ^ 2 J ^ 16 che riducesi ad r2 = - ? x ~-\. 2 j M Dunque la generata in questo caso si riduce a due linee: l'una delle quali è la direttrice della parabola generatrice; l'altra è una para- bola, della quale il vertice coincide col fuoco della generatrice , ed ha per parametro la metà del parametro della parabola generatrice. ii2. Essendo a differente da^-, la linea sarà sempre di 3.° ordi- ne, e potremo descriverla facilmente col mezzo della parabola ge- neratrice. ii 3. Sia la generatrice un circolo dato dall'equazione j,a=r7 — x?\ ritenendo b = o , ed j eguale al raggio vettore FMi, V equazione della generata sarà: 7,H-2ja(3 a*-\-x'ì— l^ax) ■+- st?—*x* (a3-H 2r») +Qrkax -ha-— 4r2 à*===0. Questa curva non ha rami infiniti. Posto a — o, la generata si ridu- ce a due circoli eguali al cerchio generatore. ii 4- Se si vuole che la MM, insista perpendicolare all'asse delle ascisse, basterà porre a =: 1 8o° — FMlGJ e dall'equazioni generali avremo le due x, — x ■== o, yi — y = — f. n5. Sia ji -\-f eguale al raggio vettore; avremo le due equazioni: xl-x = o,I=^\(xi-ay-h(Jl -*)*j. a84 Queste equazioni servono per isciorre il seguente semplicissimo pro- blema. « Data una linea qualunque ed un punto fisso, elevando ad » ogni ascissa un'ordinata eguale al corrispondente raggio vettore, u determinare la linea generata. » Giova osservare, che se la genera- trice è descrivibile facilmente per punti, per mezzo di essa potre- mo descrivere la generata, e viceversa. La stessa generazione ce ne indica il metodo. Se il punto F sta sopra l'asse delle ascisse, la ge- neratrice tocca in un punto la generata, e questo punto è determi- nato dalla ordinata corrispondente al punto F. 116. Sia la generatrice una parabola dell' equazione y? = pxt; la generata avrà per equazione y1 = ( x — a )* -f- p x_, cioè sarà una iper- bola. Posto a—~-, avremo y — ± { x -+- ~ ) , equazione di due li- nee rette. 117. Di qui si deduce uno de' noti metodi di descrivere la para- bola per punti. 118. Riprendendo l'equazione yi= (x — a)--\-pXj si vede che questa rappresenta un' iperbola ed equilatera ; dunque per mezzo della parabola si può descrivere per punti V iperbola equilatera, e viceversa. 119. Suppongasi f-hji eguale alla tangente del punto Mi, l'equa- zioni di relazione in questa ipotesi divengono: 120. Così l'equazioni: JCl-X=oijr=^jr;xl-x=o,y= —; xt-x = o,jr=y,V j'-r-j^ servono a risolvere analoghi problemi. tai. Questi problemi si possono rendere più generali. Supponiamo, p. e., che l'ascissa della generata debba essere eguale alla sottotan- gente della generatrice, e l'ordinata eguale alla sottonormale. Le equazioni che servono a sciorre il problema sono : — y*dxv — Ji dji 285 Se la generatrice è un circolo dell'equazione j,a= r1 — x*, l'equa- zione della generata è y*-\rxy = r5, che appartiene alla iperbola. Si vede facilmente che l'asse delle ascisse è uno degli assintoti. 122. Supponendo BC la generatrice, e Bt C, la generata, per ri- trovare l'equazioni di relazione basterà cangiare xt in Xj ed yt in r. Se la MMl deve essere parallela all'asse delle ascisse, l'equazioni superiori si riducono alle seguenti: x — Xi = ft y — yt = o. 123. Suppongasi fx eguale al raggio vettore della generata, cioè sia/= y (x — af-j- (y — è)2, a = b = o, e la generatrice sia il cir- colo dell'equazione y'= r* — x*; l'equazione alla generata sarà: y*—f> (/'2-H x*)— ;kV3-+- ~ = o. 124. Esaminiamo l'andamento di questa curva. Posto x = o, si ha r= -» , r = ± , cioè all'ascissa .r — o ed all'ordinate 4- corrisponde un punto doppio. Posto y = o, si ha x = ±— ; e po- sto / = ± r, abbiamo x= ec; e se y > /•_, si hanno de' risultati im- maginar). Dunque la curva ha per assintoti le due tangenti al cir- colo generatore parallele all'asse delle ascisse, ed è tutta compresa entro questi due assintoti. i25. Finalmente si osservi che se x > — , abbiamo per y due va- lori reali soltanto ; e se x < — , abbiamo per y quattro valori reali . Due radici reali sussistono, qualunque valore si dia ad x, o positivo o negativo. Dopo questo esame sarà facile conoscere l'andamento di questa curva. 126. Dalla stessa generazione si vede che se da un punto di que- sta curva si conduce una parallela all'asse delle ascisse, che incon- tri in un punto il semicircolo opposto, questa retta è sempre uguale alla distanza di quel punto dal centro del circolo generatore. 127. Problema III. Sia BCM una linea particolare di una data p- jjj famiglia, ECD una linea determinata, ed il punto C sia punto d'intersezione di queste due linee. Sopra la linea BC si prenda -86 l'arco CM eguale ad una determinala funzione delle coordinate del punto C. Considerando una slmile costruzione, fatta per tutte le linee particolari della data famiglia, determinare la linea che passa per l'estremità di quegli archi. Sia Fl(xI,yl,a) =o l'equazione della data famiglia, .F2 (,r2,j2) = o quella della linea E C D ; sieno p, q le coordinate del punto C ; Xj y le coordinate del punto M della generata, e finalmente sia CM =

xy = x; ond'è che sarà una funzione delle quantità p,Xj,a, e perciò sarà (i) * (p, x3 a) = * {p>q). Pel punto Cj comune alle due linee lìICBj DCE_, si ha: (2) F, (p.q.a) =0, (3) F2 [p,q) = o; e pel punto M l'altra equazione (4) Fi (xjjjd) = o. Eliminando da queste equazioni il pa- rametro variabile a , e le coordinate p_, q^ V equazione risultante F {xjj-) =0 sarà quella della linea generata. 128. Se la E D fosse una linea particolare di una famiglia, cioè se l'equazione F^ = o involgesse un parametro dipendente da a, il problema non riesce meno facile. Alle quattro equazioni si dovreb- be aggiugnere l'equazione di relazione de' due parametri. 129. L'equazione delle linee B C M sia y% — axr, l'equazioni che risolvono il problema saranno: (1) (x-p) lA-r-a2= ? (p.q), (2) q-ap^o, (3) F2 {p,q) =0 (4) 7=0=0. i3o. L'equazione delle linee i?C^/sia/, — q = -3 — (xt — p). dp Prendendo

AC stieno in un determinato rap- ii porto. » i36. Sia, per esempio, la linea DE un circolo dell'equazione j2a=2rx2 — x*, ed il punto B sia all'estremità del diametro, il punto A all'origine. La generata sarà un circolo dell'equazione y*= 2i'cx — a*. L'intersezione di questo cerchio colla retta BE de- terminerà la posizione della linea AC. i3j. Là soluzione di questo problema riesce eziandio semplice, ri- ferendo la linea DE a coordinate polari, e prendendo A per polo. 37 i38. Problema IV. Sia B" M una linea particolare di una data famiglia, la quale intersechi le date linee BC} B'C'j B" C'" ne' Fig. V. punti QJPJM; e preso l'arco MN eguale ad una determinala fun- zione dell'intercetto PQ_, sia N punto della generata: si tratta di trovarne l'equazione. Sia jPi (jci,ji,a) =o l'equazione della B"' M Fi ( x2, /2 ) = o B C Fs (*3,J3 ) =o B'C n(^4,J4) =o B"'C" e sieno p}q; pi,qt} pa, q*; Xjjr le rispettive coordinate de' punti QsPjMjN. Sarà l'arco P Q = **{/>„•£, a), e l'arco MN=t -* (;r,/j2,a); onde ponendo MN= ^(PQ)t l'equazioni che risolvono il proble- ma saranno le seguenti: (i) * (x,p2,a) = *j •*■ {plìPjà} J; (2) F, (/i^a-) =0 (3) Fl [pi,q1,a) = 0; (4) F, (pi,qv,a)=o- (5) F , (xjfja)=o [6)F^(pJq) = oi (7) F3(pI,qì)=o; (8) FA ( p>, q2 ) = o. Eliminando per mezzo di queste equazioni le coordinate ile' punti d'intersezione, ed il parametro a, la risultante F (x, y) =0 sarà l'equazione della generata. i3g. La B" AI può essere una linea determinata, e non apparte- nente ad una famiglia; ma una qualunque fra le altre dovrà essere in tal caso linea particolare di una famiglia. Ingenerale potremo supporre che l'equazioni ^=0,^3 = 0,^=0 contengano tre parametri dipendenti dal parametro a. j/,.0. Veniamo ad un esempio. Sia l'equazione della B'" M,yx - 11 a + 2Tj della B Cj j2 = 2 r, e sia B' C' un circolo dell' equazione j?32= 2rj3 — jr*t e finalmente l'equazione della B" C" sia ^=0, ed MN—PQ. L'equazione della generata sarà x'1jr=(2r — j)3, equa- zione alla cissoide di Diocle, come facilmente vedesi dover essere. i4'i- Problema V. Sia BD una linea data, ECj FC due linee parti- colari di due famiglie date, le quali s'intersechino nel punto C3 ta- gliando la BD ne' punti E3FJ e sia l'arco BD una funzione nota de' due BF, DE, essendo BD un arco di origine e lunghezza deter- 289 minata. Ciò posto, suppongasi C punto della generala: se ne do- manda l'equazione. Facciamo le seguenti posizioni: Equazione della BD, Fl (xlf yr+.) = o; EC, F2 (x2,y2, a) =o; FC, F5 (i*3,>3, b) =o; coordinate del punto Bj,p}q; del punto D, pi,(Ji-, del punto Ejp2,q2; del punto F, pò, qò, e finalmente del punto C, x,y. Sia poi BD = L, BD = ^(BF^DE). Dall'equazione della BD avremo: BD=a) = o {9)L=*(pjPl ) (2) Fi (Pi, (jt3,73, a,b) =o M x, y. MN' F4 (^4,^4, Cj d) =o. L'arco MN sia = * {MN'). Avremo MN = ■*", {p, x), MN' = *a {p,, x), e l'equazioni che risolvono il problema saranno le seguenti: (i) Ft {p, q) =o, (3) F3 {p,q,a_,b) =o, (5) F4 {ph qt, Cjd) = o (2) Fu (pi,^r) = o, (4) i^3 \astfjUjb) =o, (6) F4 ( a?,/.,c,e?) =o (7)g=-w' ^É=-^T' (9) * <*** = • j ** <">> !" J/j S'Pl Si osservi che le caratteristiche d_,dj S, $' indicano i differenziali presi dalle rispettive equazioni (1) (2) (3) (5). Eliminando da queste equazioni le coordinate de' due punti N., N'j ed i quattro parametri, avremo una equazione F {xjj) = o, che sarà alla generata. 148. Esempio. Le linee MNj MN' sieno due rette dell'equazioni f 1 - Sel S'q, j5 — axs -+- bj 74 = cxì -\~ d: sarà k- = tfj Y, — = e, *p °pi *, (pjX) = (x — p) Vi+a\ *2 {Pì,x) = (x—Pl) Vi + c\ e l'equazioni generali si cangiano nelle seguenti (1) Fi (pj q) = o {ì) q — ap — b = o (5) 7l) =o (5) F2 (£,,?,, a) =o (8) F5 f^j,*) =o (3) Ft (p2,q2) =o (6) F2 {XjJja) =o (9) * (pJp,) = * J* fap,)\ Eliminando da queste equazioni le coordinale de' punti B,D ,C, ed i parametri a> b, avremo un'equazione F (x_,jr) =o, che sarà quella della generata. i5o. Esempio. Sia BDC un circolo dell'equazione^^ 2 r-r, — xf, e la BEC appartenga ad una famiglia di rette dell'equazione f2 = a. x2, e DE sia una retta dell'equazione ^3= b} e pongasi BD = m.DC. Osservando poi che p = o,q^=o, l'equazioni generali si cangiano nelle seguenti q1*=2rp, ~ />,*, <7> = api, q% = h _7°)=o, che si risolve nelle due equazioni: j" -+- off* — z-1 xa t= o, f— r% + x*= a. La prima delle quali appartiene alla vera generata, e la seconda rappresenta un circolo che devesi risguardare come generata ille- gittima. agi i5i. Esempio. Sia la curva BD C un circolo dell' equaz. j^^r5 — x,a; la linea BEC appartenga ad una famiglia di rette dell'equazione Fig. X. jr2 = ax2 -(-?•; la DE ad una famiglia di rette dell' equazione yì^=- a ,r3, sia poi B C — m. B D. Osservando che costantemente si ha p — o, l'equazioni che ri- solvono il problema saranno rr, y = bx Are. sen. — — = m. Are. sen. — . r r Quindi si otterrà colla eliminazione 2 (r — y) x . x Are. sen. - , , — — = ir. Are. sen. — ==== . a*+(»—- /)' l/^+j.» Da questa poi si ottiene l'altra 2 f r — — V ^ ^£ iC Are. tang. — = m. Are. tang. — ; e questa sarà l'equazione generale della linea secatrice. Essendo m razionale, la secatrice è algebraica. i52. Per discendere a particolari applicazioni supponiamo m = 2; avremo per equazione della generala cioè un circolo che ha per raggio — , ed il cui centro ha per coor- dinate o, — . 2 Supponiamo m = 3, ed avremo per equazione della generata x"—x2 (r1 — 2/2-t-4rj) -r-j"— 4r73-+-3?-y=o, la quale perciò sarà la ricercata trisecatrice. Ponendo in luogo di y, y — r, si cangia nell'equazione x< — x1 ( 3ra— 2j') ■+■ f — 3ir? y1 ■+■ 2r3y == o. i53. Problema Vili. Sieno BCjB'C due linee particolari di due Fig. XI famiglie, ed MJV una linea particolare d'altra famiglia normale alle prime ne' punti M_, M'; e preso M1S eguale ad una determinata fun- zione dell'arco MM'_, sia IV punto della generata: se ne domanda l'equazione. '^94 Facciamo le seguenti posizioni. Equaz. della linea BC ... Fi (x,,jI)«) = o; Coordinate del punto M. . p^q^ B'G F2(x,,j,,b)=o; M' pt.qti MM' F5 (xz,j3,c) = o. N x,y. Finalmente sia MN — * (MM). Avremo MN—* (p*x), MM'= ■*• (p,pt ), e l'equazioni che risolvono il problema saranno le seguenti: («) £=-Tr« w-w=-jr> (3)^(^^-) = o, SP Sp' (4) F* (p1,yl,b) = o, (5) F3 (pJqJc) = o, (6) Fz (pt,q,,c) =o, (7) F3(xjfjc)=o, (8)v(pjX)==\*(pjPl)\. La caratteristica d si riferisce all'equazioni (3), (4); la 3 all'equazio- ni (5) (6). Eliminando da queste equazioni le quattro coordinate de' punti M , M'j ed i tre parametri variabili, arriveremo ad una equa- zione F (Xjj) — o, che sarà alla generata. i54- Esempio. Le tre famiglie sieno di rette rappresentate dal- l'equazioni ji == axi -+- a, j2 = bx2 4- ft/3 == ex, +■ :*, e sia MM' = 2 M N- L' equazione della generala sarà •*2-r-(/-*r=J^--*ì (/-*). cioè sarà un circolo. Posto a = r, 0 = o, * = r_, avremo *?+{f-r)*=-S- (r-r). J 7"i = - fi- Fi». XII. i55. Problema IX. Sia 2? C una linea particolare di una data fa- miglia, DE un'altra linea particolare di altra famiglia, determinata in modo, che abbia colla prima nel punto M un contatto di un or- dine determinato : fatta una simile costruzione per tutte le linee della prima famiglia, si domanda l'equazione della linea che passa per tutti i punti di contatto. L'equazione della famiglia prima sia Fi [xuji, a) = o, e l'equa- zione della seconda sia F^ (x2tjit bj e, d . . . g) = o, ove b3Cjd.yg rappresentano n parametri variabili. L'equazione generale della DE ago contenga n-\-i costanti, per la teoria de' contatti si sa ch'ella potrà avere colla B C un contatto dell'ordine 7isira° ad un punto qualunque di essa ; che se di queste costanti ve ne siano n sole di arbitrarie, il punto del contatto dell'ordine «simo sarà determinato. Ciò posto, rap- presentiamo per Xjj le coordinate di questo punto ; V equazioni che risolvono il problema saranno le seguenti Fi [x}y,a] = o, F, (x^jbjC, d . .. g) —o dy 8y y An y 8y dx ~ ' 8x ' Tri1 8x* dx" ' ' TaF' Le caratteristiche d, 3 si riferiscono rispettivamente alle equazio- ni Fi = o, Fi = o. Eliminando per mezzo di queste equazioni gli n 4- 1 parametri variabili, avremo un'equazione F\Xjjr) =o che sarà alla generata. i56. Esempio. Sia la famiglia data una famiglia di circoli dell'equa- zione y? -+- (xl — a)2 = rJ, la seconda famiglia sia di rette; e siccome l'equazione di una retta involge due parametri variabili, obblighere- mo queste rette a passare per l'origine; onde la loro equazione sarà y3 = bx2. L'equazione della generata sarà y" -+- x1 y* = r* x1. Dalla stessa generazione si vede poi facilmente quale sia l'andamento della ritrovata curva. Si può osservare che questa è la stessa curva del §. i5o. 157. Ritenuta la costruzione precedente, e preso l'arco ME eguale ad una determinata funzione delle coordinate del punto Mj sia E pun- to della generata, e se ne domandi l'equazione. Le coordinate del punto M sieno x^y, e quelle del punto E sie- no X, Y. Sarà ME = * ( x, X ), e posto M E = 4> ( x, y) , le due equazioni (A) ¥ (x.X) = y, l'equazione risultante F [X, Y) =. o sarà alla generata. i58. Prendiamo a risolvere quest'altro problema, analoga al pre- cedente. Sia BC una linea determinata, e sopra la DE, che ha un contatto di un ordine determinato colla prima linea BC nel punto M, si prenda ME eguale ad una funzione determinala delle coordi- nate del punto M , ed E sia punto della generata. Se ne domanda l'equazione. 38 2()6 L'equazione della BC sia Ft {xt, j,,) = o, e della DE sia Fi ( x?, fi, Uj, bj e . . . . g) ==j o, contenente /«-t-i parametri variabili. Sieno x,y le coordinate del punto M; X, Y quelle ^del punto E, e sia ME == *= d Y oc — a ( , x — a X — a = r \ Are. sen. ■ Are. sen. dx y — b e preso $ eguale ad una funzione dell'arco MB} essendo B punto determinato, questo sistema di equazioni serve a risolvere il se- guente problema. « Determinare la linea descritta da un punto di » un circolo, il quale ruota sopra una data linea, o si mantenga fisso » sopra il circolo in moto, o si muova sopra di esso con data legge. >' Sia l'equazione della B C_, yL= o , e si prenda ? == x; avremo b = r, a=Xj e l'equazione risultante sarà y V 2,- Y }> X = v 2/- Y— Y*-\-r Are. sen. -_ , r cioè la generata sarà una cicloide. 162. L'enunciato problema si può sciogliere eziandio nel seguente modo. Ruotando il circolo sopra la data linea, il centro descrive una linea parallela alla data, e quindi determinando l'equazione di que- sta, chiamando a^b le rispettive coordinate, l'equazioni che risolvo- no il problema saranno (x — 0 )*+(/ — Z>)2=r2, tang. a = J~ , a = * (a, b). Essendo Fx (p,q) = o l'equazione della linea sopra la quale ruota il circolo, l'equazioni che servono a determinare l'equazione della linea descritta dal centro saranno le seguenti Ft (p^)=o, b-.q=--~(a-p), [p-a)* + {q-bY=t\ dp i63. Nel caso della cicloide, essendo 9=^0 l'equazione della retta sopra la quale ruota il circolo, l'equazione della retta descritta dal centro è b = r_,Q dall'equazioni superiori si ha sen. a = — , .r= a-\-V 2r e rJ—J 3»r , jt posto a = K a -\-hj e a ^ quando a = 0 , a = quando . ■ -■— . J/ 2 /" V — V^ a = 2 n r, si avrà x = V i r y — r2 -+• r Are. sen. - — — > come r sopra. XIII. 164. Problema X. Sieno BC,B ' C due linee determinate, edTlf iVuna linea particolare di una famiglia, determinala in modo che abbia colle BC_, B'C contatti di ordine determinato ai punti MjN; e P sia un punto, la di cui posizione dipenda da quella dei punti M3N~. Se s'in- tende per tutti i punti M_,Nj corrispondenti delle due linee, co- strutta similmente una linea , la serie de' successivi punti P costi- tuirà una linea: se ne domanda l'equazione. Sieno Fi (.r,,j,) — - o, F2 (x2,j2) = o l'equazioni delle due linee BCjB'C; F3 (xì,j:iaJbJc...g) =0 l'equazione della MN, ed xy le coordinate del punto P. Finalmente sieno pj, q le coordi- nate del punto M ; pi,qi quelle del punto JV, e sieno p, = o, ?2= o l'equazioni di relazione fra le coordinate M}NjP. Ciò posto, supponiamo che i parametri variabili dell'equazione F5 = o sieno 2«-+-i, e si determinino in modo che l'ordine del contatto in M„ più l'ordine del contatto in N sia eguale a 271: è chiaro che il punto N sarà determinato completamente, quando lo sia il punto M. Stabilite le in equazioni di condizione pei contatti, si sostituisca ad xt, yt; x2, y2 le coordinate p, q; pt, ql, ed alle coor- dinate x3, y3 le coordinate p, q, ovvero le ps, qtt secondo che si pa- ragona la MN colla B C> o con la B'C'. A queste si aggiungano le altre F, {p,q) =0, F2 [p„ qt) — o, F~3 (p, q, a ..g)= o, Ps {pi, q„a'..g)=o, la forma particolare F3 (xJyJaJb...g) =0,?= / dx ' 1 estendendo questo integrale fra i limiti p> x, ovvero fra i limiti pn x, ed essendo ? nota funzione delle coordinate dei punti 3Ij N. 299 dy r i 4- -^—.^sten- dendo questo integrale fra i limiti A,y, essendo A una costante, e

rf pj Spi x = rrij y — n che si possono ridurre alle altre Fi {Pjq) =0, F2 [pi,qs) =0, (p — Xy-\- (7— j),= ra 168. Le due linee 2?C., 5' C sieno due rette dell'equazioni ji= « xt, j3= bx2, la generata avrà per equazione • i.4-i»4- 1/, 4. a3 e posto 1 - sen' "• "H sen- p" r / 1 » 1 rt= tang. a> 0= tane. 0, sarà r = x. ■ = 2 tang. \ a-h/S . 0 ° •> cos. a ■+ cos. p r 169. Esempio. La linea iJ/iV appartenga ad una famiglia di circoli co' tre parametri variabili, il punto P sia sopra la periferìa del cir- colo corrispondente, il quale abbia con ciascheduna delle linee BC, B' C' un contatto di i.° ordine. Le due linee poi BC, B' C sieno date dall'equazioni ys— a x1, j2= — ax2,esia r(kp-\-g)= r Are. sen. l'altra equazione che determina la posizione del punto P. L'equa- zioni generali divengono 3oo q—ap, qt = -ap,, {p — mf-^r (e/ — ")* = r*, (/>,— m^-r- (9l — »)»= ra ( x — ira )5 4- ( j — n )* = r2 li 3 kp-\-g = Are. seri. Ritroveremo facilmente » = o , m = p ( i -|- a1), r = a p V i e quindi saranno j.r — p ( i -+- a1) j'+j^ffi'/j'li+a1), y k p -f- g = Are. sen. le due equazioni, dalle quali eliminando /?_, si avrà l'equazione alla generata. 170. Problema XI. Determinare una linea che, movendosi con data legge, intersechi costantemente sotto uno stesso angolo una linea di data posizione. Si consideri la ricercata tagliante muoversi ed inter- secare la linea data in punto; è chiaro che l'angolo formato dalle tangenti rispettive al punto d'intersezione non cangerà, attribuendo ad ambedue le linee un moto comune, e che perciò, ricondotta la tagliante alla primitiva posizione, sarebbe lo stesso di ritenerla im- mobile, attribuendo un movimento in senso contrario alla tagliata. Da ciò ne risulta, che la tagliante deve intersecare sotto lo stesso angolo la tagliata che si muove con la data legge, ma in senso con- trario. Dunque, introducendo nell'equazione della tagliata i parame- tri di movimento corrispondenti, il dato problema è ridotto al pro- blema ordinario delle tragettorie. Sia perciò F, (pj q) =0 l'equa- zione della tagliata, e saranno Fi \ « 1 -+- [X — a ) cos. a — ( Y — b ) sen. a , Z>,-t- (A"— a) sen. a -f- [Y— b) cos. a j = o, / (ajb) e=o, a= * {a) l' equazioni della tagliata in movimento. Da queste equazioni si elimi- nino due parametri di movimento; l'equazione risultante esprimerà la famiglia delle tagliate. 171. Se la tagliante dovesse ruotare intorno ad un punto delle coordinate a, b, la famiglia delle tagliate sarebbe rappresentata dal- l'equazione F, \ a + {X ^ a ) cos. a — ( Y— b ) sen. a , b-\- (A— a) sen. a -f- (Y—b) cos. a j =0. 3oi 172. Esempio. Supponiamo che la tagliatile, muovendosi con data legge, debba tagliare ad angolo retto una linea retta. Si osservi che la sviluppante di una linea è tragettoria ortogonale della fa- miglia delle rette tangenti alla sviluppata, e che perciò, attribuendo alla retta linea quel determinato movimento, ritrovando la linea alla quale è sempre questa tangente nel suo movimento, la sviluppante sarebbe la ricercala tragettoria. Per determinare poi la linea, alla quale è sempre tangente la retta in movimento, si differenza, rapporto al parametro variabile di movimento, e lo si elimini per mezzo di que- sta equazione e della data; l'equazione risultante sarà alla ricercala linea. Ciò è manifesto dalla teorica delle evolute e delle soluzioni particolari. 173. Per discendere ad un caso particolare si supponga che'la ta- gliarne debba ruotare intorno ad un punto delle coordinate o, b_, e che la tagliata sia, l'asse delle ascisse. Avremo q=.o, cioè b -f- X x sen. a -+- ( Y — b) cos. a = o, e quindi X cos. a — (Y — b) sen. a = o, x ovvero tang. a = — . Eliminando a fra questa e l'equazione supe- riore, otterremo' X3 -+■ ( Y — by^b'2, equazione ad un circolo del raggio bj del quale le coordinate del centro sono o, b. Dunque la curva, che, ruotando intorno al punto delle coordinate o, b_, taglia sem- pre ad angolo retto l'asse delle ascisse, è la sviluppante del circolo che ha per centro il centro di rotazione, e per raggio la disianza di esso centro dalla retta tagliata. 174. Siccome la tragettoria determinata co' soliti melodi involge una costante arbitraria, così potrebbe sembrare che la data soluzione mancasse della generalità. Si osservi però, che arbitraria è l'origine della sviluppante, e che quindi abbiamo non una sola tragettoria , ma una intera famiglia. 175. Problema XII. Sieno BC, B' C due date linee, ed M N una % XIV. linea particolare di una famiglia a due parametri variabili, che le intersechi ne' punti M,Nj essendo l'arco MN nota funzione delle coordinate. Sia P il punto generato, del quale le coordinate sieno note funzioni delle coordinate di M> N. Si domanda l'equazione alla generata. 3o2 Sia Ft (#,,/,) = o l'equaz. della BC, Sieno p> q le coordinate di M} F, (x2,y2) =o B'C, pt,i N &3 (*3,f3, a,b) = o MN. oc,f P. Finalmente sia l'arco MN = i, e sieno ?I = o, ?2 = o le equazioni di relazione fra le coordinate de' punti M, N3 P. Sarà MN="^ (/?.,/?,), ed il seguente sistema d'equazioni risol- verà il problema. (ì)Fi(p1q)=o (3)F*(pI,é?l)=o (5)^ = 0(6)^ = 0 [2)F5{p,qJayb)=o (4)F3{pt,!f„*Jb).= e (7) * {p,Pl) =*. Eliminando da queste le coordinate di M_, N ed i parametri a, b, si arriverà ad una equazione F [Xj-y] = o, che sarà alla generata. 176. Se il punto P star deve sopra la linea MN> sarà l'arco NP nota funzione delle coordinate di M,N} ed alle equazioni ?I = o, *2=o si sostituiranno le due altre: F5 {xjJjajb) =0, * (/>„*•) =/ 177. Se le linee BC, B'C sono linee particolari di famiglie, le- gando i loro parametri coi due a, bj il problema si potrà rendere molto più generale. 178. Esempio. Sia la MN una retta, ? ed / costanti. Le due linee BCj B' C sieno due rette dell'equazioni xl = o, y2 = o. In tale ipo- tesi l'equazioni generali si riducono alle seguenti b= — apu [px — x] ^i +a2=/, pi •'i-l-a^», y= ax -\-b. Eliminando aJbJpl, e potendo f =f-+- g, avremo l'equazione f* x* •+- g* y* =f2 g'2, equazione alla elissi. 179. Problema XIII. Data l'equazione di una linea, ritrovare l'equa- zione delle famiglie generatrici. Si vt'de facilmente che il problema è indeterminato ; introdu- cendo però delle condizioni particolari, si potrà rendere determinato; che anzi, approfittando di questa indeterminazione, potremo scegliere quelle famiglie e quelle relazioni fra i parametri, che conducono a costruzioni grafiche le più semplici. Perciò stabiliremo in generale due famiglie, ciascuna delle quali contenga un parametro variabile, ed in seguito determineremo quale debba essere la relazione fra i parametri, onde queste famiglie sieno generatrici della data. 3o3 Sia adunque F (Xj y) = o l'equazione della linea data, F, (x^y^a) =o, F2 ( x2,y2 b ) = o l'equazioni delle famiglie generatrici. I punti d'intersezione delle corrispondenti linee delle due famiglie dovendo appartenere alla data, dovranno coesistere le tre equazioni F(xJy)—o, FI(xJyJa)=o, F3 [x,jJ b) = o. Eliminando da queste le x,y, avremo una risultante p (a, b) == o, che racchiuderà la necessaria relazione fra i parametri. 180. Essendosi determinata convenevolmente la natura delle fun- zioni F, = o, Fi = o, dall'equazione p= o ricaveremo il valore di bj e ne lo sostituiremo nell'equazione F2 = o: per tal modo sa- ranno determinate completamente le due famiglie generatrici per mezzo delle loro equazioni. 181. Considerando a, b come coordinate ad una linea

y, otterremo un'equazione ip{aJbJC)^^o, che esprimerà la ricercata relazione tra i parametri. 187. Le due famiglie generatrici sieno di linee rette dell'equazioni Jt = aj ja== bx2, e sia BMC" = B'MB". ci Y^ 2 oc d V L'equazione differenziale della generata sarà — - f- . — r— = r, CI OC j o oc e l'equazione finita sarà /* = aC.r + C1, equazione alla parabola, come deve essere. Veniamo agli esempi, 188. Esempio. Descrivere una parabola dell'equazione y* = px per mezzo di un circolo, il di cui centro stia in un punto determinato dell'asse delle ascisse, il raggio variabile, e di una retta che si muo- va parallelamente all'asse delle ascisse. L'equazione del circolo sia y'-h {'xs — a)^!'*, e della retta sia y2z=b. L'equazione a' parametri sarà p b -\- (b — «)*= r8. Pongasi per semplicità a =-7-» cioè il centro del circolo sia costantemente nel fuoco, ed avremo ;• — b -i — — , Queste equazioni suggeriscono una facile costruzione. 1 89. Esempio. Descrivere una parabola dell'equazione y1 = px con un circolo, il di cui centro sia sopra l'asse delle ascisse, l'origine al- l'estremità del diametro, e con una retta parallela all'asse delle or- dinate. L'equazione del circolo sarà y*= 2 a x, — xj*\ quella della ret- ta x2 = b. L'equazione a' parametri sarà a = . Sostituendo ad a il suo valore, l'equazioni delle famiglie generatrici divengono x=bj y= 2. — x — x di facilissima costruzione. 190. Esempio. Descrivere una parabola, dell'equazione j2= pXj con due circoli di raggio variabile, l'uno de' quali abbia il centro nel fuoco, il secondo abbia il suo centro sull'asse delle ascisse, e l'estremità del diametro coincida coli' origine delle coordinate. L'equazioni generali saranno j-,a=r2 — \xt — [■ /,'= 2 iì x2 - x*. L'equazione a' parametri sarà 2 R = r-\ ~. 4 191. Esempio. Descrivere una parabola, dell'equazione ya — pxs con due rette, l'una delle quali sia parallela all'asse delle ascisse, l'altra ruoti intorno ad un punto dello stesso asse. L'equazioni generali saranno yl — b_, y2 = a (x2 — m). L'equazione a' parametri sarà i2 — p — = pm. p Prendendo m = _, cioè la seconda retta ruotando intorno al 4 punto d'intersezione della direttrice coli' asse delle ascisse, si avrà 3o6 £ = JL.t e quindi si polrà procedere alla descrizione della parabola a ' per punti con semplice costruzione. hi 192. Esempio. Descrivere una elissi dell'equazione ja = — (d* — jr1) con due circoli, de' quali i centri sieno ne' fuochi. L'equazioni generali de' circoli generatori saranno 7l'*= ,•'- (.r,- V/^IT^)', j2^= R*- (ìaH- ^a*-T'}». Da queste, paragonate con l'equazione all' elissi, si ha ^^-i^jiJ + r) (R-r), R-r=-- - » cioè l'equazione a' parametri sarà iì+r= 2«. 3o7 COMENTO AD ALCUNI PASSI D'IPPOCRATE TENDENTE A PROVARE ch'egli ha veduto gli aneurismi interni del petto COSA COMUNEMENTE NEGATAGLI. MEMORIA DI GIOVANNI MARIA ZECCHINELLI LETTA NELL'ADUNANZA DEL GIÓRNO IX DI APRILE MDCCCXXIV. liei leggere fra le opere d'Ippocrate il libro primo de morbis mi sono incontrato in un luogo , nel quale mi è sembralo che siano de- scritti molti fra i sintomi e le condizioni morbose che a' giorni nostri vengono attribuiti agli aneurismi dei grossi tronchi sanguigni che sor- tono dal cuore, e segnatamente agli aneurismi dell'aorta toracica. Se non che mi tratteneva alquanto dal credere che quella descrizione fosse stata realmente desunta dalla cognizione che Ippocrate avesse avuto dell'esistenza degli aneurismi interni, l'opinione invalsa nei me- dici moderni, che questa specie di aneurismi non fosse nota agli anti- chi. E tanto più io esitava, quanto sapeva che una tale opinione, per ciò che spetta ad Ippocrate , era stata pur quella di tre gran medici che trattarono l'argomento degli aneurismi, il Lancisi, il Morgagni, e recentemente il Testa. Tuttavolta pensando io che qualche altro dotto medico, per esempio il Matani ('), ebbe a dire che forse Ippocrate aveva veduto gli aneurismi dei precordj, senza però dire dove ne par- li; e che viene anzi sospettato ch'egli ne abbia avuto nozione da uno de' suoi maestri, Erodico di Selimbria, o Prodico, come lo chiama Ga- leno, io reputai non inutile cosa il tentare d'illustrare i citati passi i) Da aneiirrsmalib. praecordioìt. §. IV. 3o& del libro primo de morbis , sottomettendo al giudizio vostro, o Sa- pienti, quanto mi pare di poter pensare sopra questo argomento. ,' Per aggingnere il prefisso scopo con meno pericolo di traviare, io debbo premettere le riflessioni seguenti. Se le scritture dei primi maestri delle mediche discipline, fedeli interpreti del linguaggio sincero della natura, fossero a noi pervenute come da essi furono concepite, più chiare dottrine vi scorgeremmo, e maggiore sarebbe l'istruzione che a noi deriverebbe da molti loro in- segnamenti, i quali sembratici imperfetti od oscuri, e tal fiata anco falsi o contraddicenlisi. Ma volle la nostra sventura che assai danni esse scritture soffrissero dai raccoglitori , dai copisti e dai traduttori. La quale dolorosa vicenda, se non da altro, viene evidentissimamente provata, a mio credere, dall'ineguaglianza che alle volte rimarcasi aver luogo fra i varj trattati al medesimo autore attribuiti, e fra le parli dello stesso trattato; o meglio dalla sapienza profonda ed estesis- sima che esiste in molti antichi insegnamenti, e li rende preziosi, con- frontala cogli errori e colle omissioni troppo manifeste dr molli al- tri, per cui rimangono inutili. Ed in vero, quando nelle opere d'Ippo- crale, di Galeno, di Areteo, e degli altri padri della medicina, io leggo maravigliose sentenze, che con note luminosissime ci svelano le pro- prietà, non dirò inanifeste soltanto e comuni, ma le più arcane e par- ticolari della natura umana sana e malata, non vorrò giammai persua- dermi che gli errori troppo evidenti, e le troppo importanti omissioni, e i pensamenti che sembrano fuor di proposito, relativi non alle teori- che, ma alle osservazioni, i quali trovansi a canto a quelle sentenze, sieno cose da incolparne quegli altissimi ingegni, ma vorrò sempre senza esitazione accagionarne il guastamenlo e lo sconvolgimento del lesto, la povertà delle mie cognizioni, e la somma debolezza del mio intelletlo. Per le quali riflessioni io tengo per fermo, non solamente che lo studio delle opere degli antichi debba essere fatto nei testi originali, e che questi abbiano in gran parte bisogno d'essere emendati, e ridotti a più sana lezione mediante nuove correzioni e nuove collazioni dei varj codici manoscritti; ma, oltre a ciò, che si debba applicare ai passi oscuri le cognizioni le più accertate che si acquistarono in seguito, e che con l'ajuto della loro luce si possa dare al testo quelle interpre- 3o9 tazioni, le quali o sono alle più recenti cognizioni le più conformi, o meno se ne allontanano, a preferenza delle altre che sono' ad esse op- poste, o ne sono lontanissime. E quest'ultima maniera di condursi io non la reputo un voler tutto trovare negli antichi quello che fu sco- perto od illustrato di poi, come a qualche moderno è stato rinfaccia- to, ma un prestare omaggio alle loro menti, le quali se talvolta erra- rono o non seppero, nei luoghi però delle loro opere, dove a noi sem- bra di rilevare errori o contraddizioni, è da supporre, come diceva, che sia accaduto un qualche disastro alla scrittura originale, ovvero è da temere che cortissimo sia il nostro vedere; e penso quindi che si possa dire d'Ippocrate, di Galeno e di altri gran medici antichi ciò che il maggiore fra i naturalisti moderni ebbe a dire del massimo fra gli anti- chi: che si conosce avere Plinio commesso tanto minori errori di quelli che gli furono attribuiti, quanto più si avanza nello studio e nelle sco- perte della storia naturale. Cou questa disposizione dell'animo io imprenderò l'esame di quei passi del lib. I. de morbiSj che ho scelto a tèma di questa lettura. E comincierò dal rimuovere la forte obbiezione posta alla mia opinione dall'opinione del Lancisi, del Morgagni e del Testa. Il Lancisi non cita passo alcuno d'Ippocrate, ma si limita a dire « ch'egli non fece menzione di alcun aneurisma delle arterie »(0. Il Testa crede (2) « che la varice delle vene, della quale si parla nel lib. I. »de morbiSj sia facilmente tutt' altra cosa dalle così chiamate dilata- zioni venose ma che sotto quella descrizione dovesse iulen- » dersi qualche malattia analoga ai cosi detti tubercoli del polmone; » quando a caso non dovesse interpretarsi per quell'abito varicoso pro- »prio del polmone di alcuni emoftoici, i quali frequentemente spu tan- ti do sangue, terminano in fine con una tisi ulcerosa, non col dilata- li mento di qualche insigne tronco venoso, ma bensì di molti piccoli «rami delle vene sparse nel polmone. » La quale esposizione, non es- sendo che imitazione di quanto aveva detto il Morgagni, non però dal Testa citato, e non riferendosi che ad una parte del lib. I. de morbis, e non partendo, come aveva fatto il Morgagni, dalla supposizione che (1) De aneurysm. pi accora, in genere. Prop. II. (2) Delle, malattie del cuore. Voi. I. Prefaz. §. IX. 3io in essa parte potesse essere descritto l'aneurisma interno del torace, io considererò l'opinione del Testa come un'adesione a quella del Mor- gagni, e mi ridurrò quindi all'esame di quanto pensò quest'autore, non senza quella trepidazione che dee essere inseparabile da qualun- que medico, il quale si attenti di opinare diversamente da sì grande uomo, od osi commentare di nuovo cosa già sottoposta alla impareg- giabile mente di lui. 11 Morgagni, nel principio della lettera XVII. dell'immortale sua opera de sedibus etc.j suppone fatta a sé stesso la seguente interroga- zione : « Da che derivi, che essendo assai frequenti gli aneurismi in- ii terni del torace, principalmente del cuore e dell'aorta, non pertanto «non se ne trovi fatta menzione veruna presso gli antichissimi medi- »ci? » E segue dicendo: « Che se taluno volesse che spettasse agli » aneurismi quello che si legge nel lib. I. de morbis_, dove si dice che » talvolta nel polmone la vena si fa come la varice, e voglia intendere »per vena anco l'arteria, come solevasi nei tempi antichi, questo tale, »se leggerà il tutto, conoscerà che le dilatazioni, che ivi s'indicano, e » si riferiscono alle vene, e sono di tale specie, che, alla lunga rotte, »non cagionano già morte sollecita col versare troppa quantità di san- »gue, ma lenta, col lasciare ulcerazione, e facendo purulento il pol- »mone. Ne in modo diverso la intesero il Marziano, e prima di lui il «Salio ("); che anzi leggendosi subito dopo in Ippocrate, che le vene » dei lati del torace si fanno anch'esse varicose , e internamente sJin- vnalzanoj il Salio avverte che Ippocrate le dislingue in questo modo: •nquae intus in superficie sitae suntj perchè non forse taluno quelle » intendesse, quae per intermedia costarum et alia spada interna per- nreptant; dove cioè è stato in progresso osservato che talvolta si for- « mano dilatazioni delle arterie intercostali : ed in vero fu detto da «quell'antichissimo medico, che dalla rottura di quelle vene fattesi «varicose, gli ammalati diventano suppurati. » Tutte queste cose dette dal Morgagni si riferiscono ad una parte del lib. I. de morbisj, dove realmente si parla dei suppurati per varie malattie dei polmoni e della superficie interna del torace, com'è facile il convincersene confrontando ciò ch'egli, dice col testo d' Ippocrate. (i)Martian. AAnotat. ad cil. toc. v.iig, — Salius, Comm.in lib. I. de morbi» (§3/ igetseq.) 3n Né io quindi mi oppongo alla interpretazione fattane da lui. Intendo solamente di sostenere, che quella sola parte del lib. I. de morbis_, cui si riferiscono le riflessioni del Morgagni, non può in verun modo ba- stare per condurre all'opinione, che in quel libro non sono insegnate cose da riferirsi agli aneurismi interni del petto; e che in altra parte dello stesso libro, da lui non presa in considerazione, si trovano ba- stanti insegnamenti, sui quali fondare un'opinione contraria. Se il rispetto pel gran vecchio di Coo non mi offusca la mente, mi pare di riconoscere più innanzi nello stesso lib. I. de morbis l'espo- sizione di una serie di fenomeni e di condizioni morbose assai vicine all' idea che si ha a' giorni nostri dell' aneurisma interno dei precor- dj, e lontana certamente da una qualche malattia propria delle pic- cole vene dei polmoni, e delle altre vene della superficie interna del torace. Per giudicare ciò che in tal luogo dice Ippocrate, seguendo il prin- cipio da prima stabilito, è mestieri partire dalle cognizioni in seguito acquistate sopra le varie malattie degli organi e delle parti tutte con- tenute nella cavità del torace, e vedere con esatto confronto a quale di esse possano riferirsi i di lui insegnamenti. Non riferendosi essi a malattie proprie del polmone, ma di parti ad esso esterne, non quindi a condizione varicosa od a tubercoli di quel viscere, come giudicò il Mor- gagni, e quindi il Testa, ma a dilatazioni ed a tumefazioni di vasi veno- si ed arteriosi, stranieri al polmone, è d'uopo cercare di commentarli mediante il soccorso delle cognizioni che attualmente si possedono relativamente alle cause, alla formazione, ai sintomi, all'andamento ed all'esito di tali morbose condizioni, e specialmente dell'aneurisma. Io ricordo pertanto, prima d'imprendere a commentare i passi d' Ippocrate, che gli sforzi violenti e le grandi fatiche della persona, le cadute, il corso, le percosse sul petto, e cose simili, esercitano tal- volta forte impressione nelle tonache delle arterie maggiori del petto, in conseguenza della quale si accende in esse tonache un processo morboso analogo alla flogosi; e che da questo processo viene poi tal fiata a prodursi un'alterazione morbosa della loro tessitura, in forza della quale il vaso sanguifero incontra una dilatazione o aggrandi- mento, o diremo vegetazione morbosa o di tutto il tubo ed estesa, o soltanto di una limitata porzione di lui; e che in quest'ultimo caso 4o 3l2 talvolta si forma una tumefazione in forma di sacco , che si chiama aneurisma. Ricordo parimente, che fra le moltiplici vicende della formazione, dell' andamento e dell'esito degli aneurismi interni toraciclli entrano le seguenti. L'arteria ammalata nella sua tessitura, e sollevata in qual- che sua parte in tumore circoscritto e pulsante, ora conserva intatte, e solamente ingrossate morbosamente tutte le proprie tonache anche nel tumore, ora ha già sofferto una crepatura nella tonaca media ed interna prima che il tumore si formi. In questo tumore, o sacco, entrato il san- gue, per solito vi si arresta e rapprende. A principio della formazione del tumore si desta nel sito malato e nei vicini dolore e pulsazione. Se il tumore dell'arteria è verso il polmone, può talvolta comprimerne la sostanza, e farla ammalare secondariamente. Allora o si generano congestioni, che in qualche caso passano ad infiammarsi ed a suppu- rare, o nascono ingorghi sanguigni e piccoli sputi di sangue, ed in line lente consunzioni e morte, con le forme della tisi polmonare, talvolta anche senza che siasi sospettato l'esistenza dell'aneurisma. Se l'aggran- dimento o il tumore dell'arteria non si è formato nella parte verso il polmone, non si osservano i fenomeni della tisi, ma sempre più o me- no si destano dolori nell'interno del petto, i quali ora restano fissi in una località, ora si estendono ad un braccio od all'altro, anche fino alla mano, la quale non di rado prova un senso di formicolìo e di tor- pore. In progresso del morbo il detto dolore passa qualche volta dal pet- to al dorso, o ad altro luogo, per modo che il malato crede che il male siasi trasportalo di sede. Ed alle volte accade che il dolore diminuisce, od anche dileguasi, quantunque vada aumentando e sempre più sta- bilendosi il rio morbo. Finalmente l'aneurisma interno trae a morte il malato in varie maniere: o repentinamente rompendosi, e lo può anche nella sostanza del polmone o dei bronchj, se è a contatto con essi, cagio- nando emottisi; o sollecitamente arrestando la circolazione centrale; o cronicamente inducendo malattie secondarie nel petto e nella testa, idro- toraci, dispnee, tisi polmonari, soffocazioni, sincopi, apoplessìe ec. Se con la scorta di queste nozioni si leggerà attentamente il hb. I. de morbiSj, s' incontreranno alcuni passi, dove sono accennati gli espo- sti sintomi e condizioni dei tumori arteriosi. Per lo che io inclino a cre- dere ,. che gl'insegnamenti dichiarati in quei passi siano stati desunti 3i3 ila lppocrate dall'avere osservato in pratica i sintomi, ed immaginato le condizioni di quelle malattie delle arterie del petto, cui è slato dato posteriormente il nome di aneurismi interni. Queste cose premesse, veniamo ad applicarle a quanto s'insegna nel lib. I. de morbis. Non dee a noi gran fatto importare se il lib. I. de morbis sia ve- ramente d' lppocrate magno, o di Tessalo, o di Polibo, o d'Ippocrate figlio di Tessalo, o dell'autore del trattato de morbis mulìerum^ o di un qualche antico medico Gnidio, come da varj scrittori è stato varia- mente opinato. Esso è certamente d'antichissimo autore, perchè ne fe- cero menzione non pochi fra i medici antichi, Eroziano, Celio Aurelia- no, Galeno, ed altri. Quello che importa è ciò che ha pensato il Foe- sio (0, che la scrittura e la dottrina dei libri de morbis siano molto viziate e corrotte, e che manchino in essi molte cose citate da antichi scrittori. Dirò però, che non mi sembra che alla parte del lib. I. de morbiSj che da noi sarà presa in esame, manchi la dottrina Ippocra- tica ed il lucido ordine_, di che incolpò il Gruner (2) i libri tutti de morbis j giudicandoli assai inferiori alle altre opere d'Ippocrate. Io in- clino piuttosto al parere del Marziano (3), il quale ha trovato in essi libri una sana dottrina, consona ai dogmi degli Asclepiadei ; ed io tro- vo nella sopraccitata parte del lib. I. un ordine di esposizione a po- che opere mediche inferiore. Quantunque però io rispetti quanto pen- sò, assai prima del Gruner, Pietro Salio Diverso, da lui non citato (4), « che sebbene nel lib. I. de morbis non si trovi la perfezione, ne lo » stile d'Ippocrate, non pertanto questo libro sia slato scritto da Ippo- » crale, forse mentre era giovine e non perfezionato nell'arte, e non » sia poi stalo da lui elocubrato e corretto, cosicché sia rimasto im- » perfetto. » Non ostante il quale giudizio, lo slesso Salio in altro luo- go sostenne (5), che il libro I. de morbis sia veramente d'Ippocrate, non già gli altri tre libri intitolati de morbis. Non sarei però del pa- rere di lui, quando, ad esempio di Galeno, disapprova il titolo de morbis _, adducendo che l'intenzione dell'autore fosse stata di trattare non delle malattie, ma dei quesiti universali spettanti alla medicina; (1) In lib. I. de morbis, Sect. V. i. (4) Comment. in Hippocr. de morbis in (2) Cens. libror. Hippocr. proemio libri I. (5) L. e. in priuc. (5) L. e. in proem. lib. II. Ji4 il perchè anzi egli vorrebbe che il libro fosse intitolato, non de morbis, ma de quaesitis universalibus ad medicinam spedanti bus ; e così in fatto intitolò i suoi commenti. E non sarei del parere di lui anco per- chè egli stesso fa osservare, che la trattazione de quibusdam morbis , annessa ai quesiti universali, forma la maggior parte del libro. Piace- rebbemi invece la redarguzione fattagli dal Marziano, il quale non reputò inconveniente che in un trattato delle malattie si premettano quelle cose generali, che sono da farsi dal medico mentre ne intra- prende la cura. Il lib. I. de morbis si può, per le materie che tratta, dividere in tre parti, come osservò il Salio. Nella prima sono esposte le cose gene- rali che deve sapere il medico che accingesi a curare le malattie , co- me sono il domandare, il rispondere e l' obbiettare alle risposte, se non fossero fatte a dovere. Nella seconda si dà la spiegazione e la di- chiarazione delle dette cose generali per mezzo di esempj semplici. Nella terza si descrivono alcune malattie particolari, e si tratta prin- cipalmente dei suppurati o purulenti. Quest'ultima parte quella è che dobbiamo prendere in esame. Io mi valgo della traduzione del Foesio, non senza qualche confronto con quella di Jano Cornaro e del Mercuriale. Ippocrate, o l'antichissimo autore del lib. 1. de morbis, non parla in essa parte soltanto dei suppurati nel polmone, ma superiore et in- jeriore ventre, cioè della suppurazione che si effettua per varie specie di malattie in varie località delle cavità del torace e del basso ventre. Sviluppate le cagioni e le maniere di queste varie suppurazioni, e dopo di avere parlato particolarmente di alcune: della peripneumo- nìa non giudicata ; della distillazione della pituita dalla testa al pol- mone (teorìa a lui particolare); della rottura di qualche venuzza, e del successivo versamento ed arresto del sangue nella sostanza del polmone; e dello sputo più o meno abbondante di sangue, segue a dire ('): At si vena quidam non omnino rupia fuerit, sed ea praeci- pue veluli varix distenditur, quod etiam confestim quidem ubi factum fuitj dolorem quidem tenuem et tussim siccam exhibet. Si vero diutius traxerit et neglecta fuerit, primum quidem paucum et subatrum san- (i) Hipp. opera graec. lai. cum Foesio. Gencvae i65;, ibi. pag. 45i, N.° 20 et seq. guinem transmittitj mox etiam copiosiorem et maxime sincerunij dein- de puSj et patitur quae in superioribus dieta sunt; cioè il malato di- venta suppurato nel polmone. E segue poco dopo: Ad hunc vero eun^ dem modum etiam venis in latere, quae intus in summo innatantj ac- cidit. Cum igitur ex labore variami modo intus elevatae fuerint 3 si- quidem ne glectae fuerint > haec perpetiuntur_, et sponte sanguis erum- pit ac expuitur j eumque interdum vomitione rejiciunt _, et suppurati fiunt. Si noti che queste espressioni di expuitur e vomitione rejiciunt potrebbero anco riferirsi al vario grado , con cui il sangue sorte dalla vena, dicendosi da Ippocrate, che le vene sputano sangue quando ne tramandano poco, e che vomitano sangue quando ne versano mollo. Àgli esposti due soli passi del lib. I. de morbis limitò le sue rifles- sioni il Morgagni, e sopra essi unicamente si fondò per negare che le cose dette dall'autore di quel libro possano attribuirsi agli aneuri- smi interni del torace. Ed io sono, come diceva, perfettamente del pa- rere di lui, e quindi di quello del Testa, che queste cose si debbano riferire a condizioni morbose del polmone e della superficie interna del petto. Ciò nonpertanto non tacerò che il sempre cautissimo , quanto d'immenso sapere, Morgagni, ad onta dell'evidenza dei detti passi, e quasi non fosse del tutto sicuro di quanto pensava, non lasciò di soggiungere: Quamquam etsi haec omnia quis velit ad aneurjsmata trahere nihilominus ; erit hoc tamen^ aliis dissidentibuSj non satis cer- tum. Che avrebbe egli opinato se avesse progredito nell'esame di quanto viene insegnato in seguito in quell'antichissimo libro? Se mo- strò qualche incertezza non forse in quei passi possa essere adom- brata l'esistenza degli aneurismi interni; i quali passi chiaramente di- notano malattie e suppurazioni dei polmoni per rotture e varicosità delle piccole vene di questi visceri, e delle altre che serpeggiano per l'interna superficie del torace; io penso che la di lui quasi incertezza si sarebbe cangiata in sicurezza, ove avesse portato attenzione ai passi di quel libro, che subito io sottometto al superiore giudizio dei dottis- simi miei Colleghi. Ippocrate, dette le cose che avete udito; continua così : At vero multis modis superiore ventre pus colìigunt. Ippocrate adunque in- tende di trattare anco di varie altre maniere, con cui generasi la mar- cia nella cavità del petto, anco juori dei polmoni. Ed in fatto inse- 3i6 gna , che si formano suppurazioni e dalla flussione nella cavità del petto della pituita distillante dalla testa ; e dal fissarsi di essa pituita alla pleura od ai lati interni del torace (teorie a lui proprie); e dal morbo laterale, cioè dall'infiammazione della pleura, quando è vee- mente; e da congestioni nella carne, per "cui diventa livida _, e poi passa a suppurazione. Descritti poi i modi della formazione di siffatte suppurazioni, l'andamento e l'esito, e descritto anco com'esse suppu- razioni si formino nella cavità del basso ventre , ritorna a parlare di alcune altre malattie del polmone; e parla primamente della risipola, e ne descrive il carattere, l'andamento e l'esito; poscia del tubercolo, parimente descrivendone le varietà, i sintomi e l'esito. Poi continua col dire, che nella cavità del petto si formano dei tubercoli anco fuori del polmone : in latere autem tubercolo, quidem oriùnturj non aliter quam in pillinone. E questa è la parte del lib. I. de morbis _, sulla quale invoco la vostra attenzione. Io riporterò primamente gl'insegnamenti d'Ippocrale come stanno nella traduzione del Foesio (pag. 4^4 > N.° 20); in seguilo passerò a commentarli partitamente. In latere autem tubercolo, quidem oriuntur, non aliter quam in pulmone. Ex laboribus quoque edam oriuntur, cum vena aliqua di- vulsa rupia fueritj neque tamen penitus rupta fueritj sed ita ut in ipsa coni'ulsio jacta sit. Si quidem igitur rupta fueritj conjestim sanguis ex vena effusus putrescit, et in pus vertitur. Quod si convulsio in vena facta sitj haec quidem per exordia dolorem excitat et pulsai j pro- gressi!, vero temporis sanguinerà ad carnem transmittit , qui in carne putrescens j in pus vertitur. E dello che le stesse vicende accadono nelle carni , continua : Quibusdam autem cum imbecilla in carnibus ac venis convulsa facta fuerint, non suppurante scd diuturni fiunt dolo- resj et ruptiones vocantur. Descritto poi a lungo come queste cose si facciano nelle carni, segue (pag. 4^5, N.° io): Quod autem attinet ad eaj quae in venis fiunt, ipsa quidem vena in quantum convellitur, loco manet; cum vero convulsa fuerit [quod contentione et vi accidit) -si- jnilis fìt varici. Ed esposto, secondo le proprie teorie, che la vena si riscalda, ed attrae l'umidità che deriva dalla bile e dalla pituila, e che il sangue e l'umidità si mischiano assieme, segue ancora: Incras- sescit sanguisj ipseque multis modisj qua parte venam convelli contili- 3i7 git, se ipso morbosior et longe stabilior evaditi cumque copiosior exti- teritj plenitudo quolibet transfertur, doloremque gravem adfert, ita ut quibusdam ruptum loco migrasse videatur. Quod si forte ad humerum transierit, gravitatali in manti, et stuporem ac torporem inducit. Et si in venam incubuerit , aut ad humerum. et dorsum tendati confestim plerumque dolor sedatur. E finalmente termina col dire: Fiunt etiam convulsiones ex laboribus, ex casibus, ex plaga, et si quis onus ma- jus tollat, et ex cursibus, ac Iurta, et omnibus id genus. Per intendere quanto viene insegnato da Ippocrate con le esposte sentenze, è mestieri prendere in particolare considerazione ciascun insegnamento, confrontarne le interpretazioni che se ne sono date, e specialmente cercare di stabilire il vero significato di alcuni vocaboli, che, detti in latino, non danno la perfetta idea della cosa, come detti in greco; il perchè la nuda lettura della traduzione lascia nella mente non poca oscurità ed incertezza sopra alcune frasi e vocaboli. Si cominci dall'osservare che nei passi citali dal Morgagni si parla di dolore tenue nel caso delle varici delle vene del polmone, e che delle varicosità delle vene della interna superficie del torace si dice soltanto che derivano dalla fatica, senza aggiungere la qualità ed il grado di essa. Nei passi da me riportati si parla non solamente di do- lore, ma di pulsazione ; si parla di dolori diuturni, di dolore grave, che qualche traduttore interpretò acuto; e di sensazione di passag- gio di esso dolore da un luogo all'altro, ed all'omero specialmente, recando allora stupore e torpore nella mano; e finalmente si nota che molte, e non la semplice fatica, sono le cagioni, sotto l'azione delle quali si destano i mali descritti, cioè le fatiche, le cadute, le percosse, il portar gravi pesi, il corso, la lotta, e cose simili. Queste cagioni di sforzi violenti della persona, e questi effetti di dolore forte e di pulsazione in qualche sito dell'interno del petto, con estensione ad uno od all'altro braccio, e successivo torpore della mano, sono ca- gioni ed effetti che sogliono osservarsi nella formazione dei tumori dei grossi vasi del petto, e degli arteriosi segnatamente, come abbia- mo di sopra già ricordato. Sono però cose generali, che, al dire di al- cuni, potrebbero essere applicate anco ad altre malattie del petto. La malattia intanto, a cui le applica Ippocrate, è una malattia delle ve- ne dell'interno del petto; non delle vene del polmone, ma fuori del 3iò polmone; e non delle vene che serpeggiano per la interna superficie del torace, in lettere quae intus in summo innatant, come tradusse il Foesio, o quae intus in superficie sita e sunt, come tradusse Jano Cor- nalo ( vene prese in considerazione nei passi citati dal Morgagni ) , ma delle rene dei lati, senza la distinzione del sito testé citata ; cioè delle vene che almeno sin qui non si dice da Ippocrate se siano le pic- cole che serpeggiano nelle interne pareli del torace, o le maggiori con- tenute nella cavità. Questa malattia delle vene del petto si chiama da Ippocrate tuber- colo. Ora cosa può essere un tubercolo delle vene? Non pare doversi già intendere che sia una malattia simile ai tubercoli dei polmoni, quali a' giorni nostri l'intendiamo. I traduttori sono quelli che inter- pretarono tubercola ; il testo dice cpvfiaTa, plurale di (pvfia, che in genere significa enfiagione, tumore che si forma in qualunque parte del corpo, translato da quei tumori che nascono nella terra, e si chia- mano d>vó{iej>a ('). Si parla adunque da Ippocrate di una enfiagione che si forma nelle vene del petto, fuori del polmone. E qui, prima di progredire, è necessario richiamare alla memoria che Ippocrate sotto il nome di vene comprese anche le arterie, come insegna Galeno in parecchi luoghi; e che non solamente Ippocrate, ma molti antichissi- mi scrittori greci e latini, medici e non medici, prosatori e poeti, chiamarono vene anche le arterie. Dal solo vocabolo (pTiefìiov, usato da Ippocrate, non polendo noi distinguere se l'enfiagione o tumore da lui preso in considerazione fosse nelle vene o nelle arterie, possiamo almeno per ora interpretare che avesse in vista ambedue le qualità di vasi sanguiferi. Che se poi badiamo ch'egli dice, che se la vena è presa da spasmo, subito desta dolore e pulsa, per exordia dolorem excitat et pulsat, dobbiamo intendere ch'egli avesse in vista l'arteria, sì perchè l'arteria è in fatto quella che pulsa, e non la vena; come perchè potrebbe anche avere inteso di dire palpitat invece di pulsat, giacché il vocabolo ohé8ag (venas micare) dicebant àpTYjpiag intelligebant* arteriarum enim micare seu palpitare inunas est. Non è poi da supporre che Ippocrale avesse in vista le vene (o ar- terie) piccole, piuttostochè le maggiori, privo essendo, come a'snoi tempi, del lume dell'anatomia umana; od almeno avendone lumi scarsissimi, presi rapidamente e furtivamente nell'atto dell'imbalsa- mazione dei cadaveri ( nella quale operazione non si permetteva allo- ra di contemplare con agio le parti interne), ovvero desunti per ana- logia dalla sola anatomia delle bestie. Che abbia avuto in vista i vasi maggiori, e non i minori, si viene anco a conoscere dal contesto. Dei minori, e delle varici di questi, avea già parlato nei passi citati dal Morgagni, mentre nei passi citati da me egli parla di tubercoli dei vasi simili alle varici* e ad essi assegna cagioni più forti, e più sen- sibili effetti. E questa distinzione, che fa Ippocrate fra l'una e l'altra grandezza di vasi, è già stata rimarcata benissimo dal Salio nei com- menti, dove dice, « che questi casi non combinano con quelli delle «vene dei polmoni o del torace, poiché in questi, e non in quelli, » si gonfiano le parti affette; e queste parti s'innalzano, e tendono » a farsi in punta aguzza, mentre quelle solamente sporgono, come «fanno le varici, e lo fanno per lungo, non già in acuto; e di più »v'è diversità fra le cause, le quali in questi casi sono descritte da » Ippocrate essere più valide, in quelli più deboli, d'onde accade che » in questi può generarsi nei vasi una enfiagione notabile, e in quelli » soltanto una prominenza. » Le quali osservazioni e confronti del Sa- lio sono della massima importanza, sì perchè l'autorità di lui è stata, come si è detto, invocata dal Morgagni a sostegno della propria opi- nione, che ciò che s'insegna nel lib. I. de morbisj non all'aneurisma interno, ma si riferisca a malattia delle vene dei polmoni e delle al- tre della superficie interna del torace; come perchè il Salio, quantun- que non potesse avere grande cognizione dell'aneurisma interno nel tempo in cui viveva, nel quale questa esistenza cominciava appena a conoscersi per mezzo di qualche osservazione fatta nei cadaveri da Niccolò Massa, dal Vesalio, da Carlo Stefano, dal Ballonio, da Andrea Laurenzio, dal Fernelio ec. ; pur tuttavia non poteva egli avvicinarsi all'idea di tale specie di aneurisma più di quello che fece colle di- stinzioni esposte nel testé citato commento. /.. •J20 Adunque si può ritenere che Ippocrale, nei passi da noi presi in esame, intenda di parlare di enfiagioni o tumori formatisi nelle grosse vene (od arterie) del petto, enfiagioni maggiori, e più rilevate, e sporte in fuori delle varici delle piccole vene dei polmoni e della superfi- cie interna del torace, delle quali aveva parlato poco addietro nei passi citali dal Morgagni. Vediamo adesso come Ippocrate descriva il modo con cui si for- mano queste enfiagioni o tumefazioni. Dice che nascono per le fatiche, cum vena aliqua divulsa rupia fuerit, neque tamen penitiis rupta fuerit, sed ita ut in ipsa convulsio facta sit. Qui è d'uopo confrontare fra loro le traduzioni, e queste confrontare col testo. La traduzione che vi ho letto, o Accademici, è del Foesio. Jano Cornaro, seguito dal van-der- Linden, in vece di divulsa tradusse tracia, ed invece di convulsio tra- dusse acutus tractus. E il Mercuriale, che pochissimo o nulla si è al- lontanato dalla traduzione del Cornaro, adottando il vocaholo tracta, tradusse poi lata qua edam contractio invece di convulsio, o di acutus tra- ctus. Ora il testo dice: aicdc^èv e orcàdav. Cosa qui significhi aitdSov, lo indicarono Eroziano nell' Onomastico, e Galeno nell' Exegcsi : quello scrivendo, che significa OTtaQplòv oó^iaTOQ, cioè convulsione e contra- zione di un corpo; questo, che significa crjvdgfia, spasmo. Se non che fa riflettere il Mercuriale ('), « che né l'una né l'altra esposizione può «convenire appuntino, se non si aggiunga che le tonache delle vene » allora si contraggono, quando, essendo troppo piene di sangue, quan- » to crescono in larghezza, tanto diminuiscono di lunghezza, e in » forza di ciò si contraggono, e diventano ad un tempo varicose. » 11 Mercuriale quindi tradusse: lata quaedam contractio. Il Foesio, appog- giato all'esposizione di Galeno, interpretò Gizàoav « convulsione o di- » vulsione della vena (o dell'arteria), senza rottura, quando si gon- » fia e sporge come una varice, distratte e divulse le fibre (2). » Per le quali interpretazioni in ogni luogo del testo, dove si tro- Ta il vocaholo aitàdov, s'intenderà spasmo t cioè distrazione , sti- r amento, divellimento di fibre, spesso doloroso , non semplicemente convulsio, o acutus tractus, o lata quaedam contractio. A convalidare (i) Aànot. 9. in lib. I. de morbis. (2) In lib. I. de morbis, N.° 55., e nell' Oeconom. 'S.ndSav 321 la quale interpretazione concorre un modo di spontanea esclamazio- ne, propria dei Greci anche a' di nostri, i quali, quando nell'atto di fare qualche sforzo con la persona provano una molestia o un do- lore repentino in qualche parte del corpo, sogliono sclamare è'gviaqe, portandovi tosto la mano. Dunque la tumefazione, simile alla varice, di qualche vaso grosso venoso (o arterioso) dell'interno del petto si effettua, secondo Ippo- crate, quando le tonache di esso vaso, per qualche violenza o grande fatica, incontrano divellimento e distraimento doloroso di fibre. Questa violenza sofferta dalle fibre di esse tonache, questo spasmo non dee però, al dire d' Ippocrate, essere al grado di cagionare rot- tura d-ella vena, poiché allora subito si versa sangue, che poi con- vertesi in marcia : Si quidem igitur rupta fuerit, confestim sanguìs ex vena effusus putrescit, et in pus vertitur. Ma se nella vena (od arteria) si faccia solamente Io spasmo, cioè se il vaso sanguifero non si rom- pa, ma incontri solamente un divellimento di fibre, allora si desta su- bilo dolore e pulsazione, e coli' andare del tempo si trasmette sangue alla carne, che in essa diventa marcia: Quod si convulsio ((fwdSar) in vena facta sit, haec quidem per exordia dolorem excitat, et pulsat, et progressu temporis sanguinem ad cameni transmittit, qui, in carne putrescensj in pus vertitur. E qui sembra che si cominci a descrivere i sintomi dell'aneurisma interno nel principio della sua formazione, quali sono il dolore e la pulsazione. E non fa grande obbiezione se Ippocrate dice, che in progresso del tempo si trasmette sangue alla carne, dove convertesi in marcia, poiché si sa che talvolta il sacco aneurismatico, comprimendo alcune parti carnose interne, e special- mente il polmone, vi genera congestioni, le quali poi s'infiammano e suppurano; e si sa parimente, che talvolta l'aneurisma trasudò san- gue nella sostanza del polmone , senza che ne accadesse morte im- mediata, ma succedendone suppurazione e tisi polmonare; ovvero si ruppe in essa sostanza, cagionando la morte con le apparenze della emottisi (0. In fine anche senza queste vicende accadono talvolta (i) Piace qui ricordare, in conferma di quan- narrataci da Pietro Marchetti ( Obs. med. 48. ) to si è detto, alcune solenni osservazioni di del padre Francesco Betoto, professore di ma- consunzioni e guasti polmonari, cagionali da tafisica nell'Università di Padova, di 56 an- aneurismi dell'aorta toracica. E sono: quella ui, uel cadavere del quale si trovò che da effusioni di sangue nella tonaca cellulare esterna dell'arteria, in essa penetrato dall'interno del sacco aneurismatico. E non vedo ragione d'interpretare, come fece il Salio (1. e. N. 75.), che l'affezione de- scritta da Ippocrate sia un' infiammazione notabile , che poi passi a suppurazione, primamente perchè aveva già Ippocrate parlato poco prima della peripneumonia e della pleuritide, ed a quell'occasione notato, che esiste la febbre ed altri sintomi dell'infiammazione; co- sa che a questo luogo non nota : e secondariamente perchè Ippocrate parla qui di un'affezione delle vene (o arterie) isolatamente consi- derate, distintamente cioè dalle carni circomposte, di cui parla subilo dopo. Alle quali vene (o arterie), o meglio alla quale tumefazione un aneurisma dell'aorta toracica era stato con- sa, e che morì con le apparenze dell'asma, suolato il polmone destro per modo, che non nel quale si trovò ch'era esistito il detto aneu- rimaneva che la sola membrana di esso a guisa di un sacco, nel quale si era rotta l'aor- ta, cagionando morte improvvisa ; e le altre lasciateci dal Morgagni (Ve sedibus etc. Ep. A. M. XVII. n.° s3. e 25., e XVIII. n.° a5.) risma, e ch'era pieno di coagulo eousistentis- simo, che aveva fatto cessare la pulsazione, ma che comprimeva per modo la trachea, che era diminuita di mezzo il volume; e di una giovane donna, parimente guarita collo stesso di un uomo di 5o anni, che soffriva dispnee metodo da un aneurisma all'arco dell'aorta. ed angustie dei precordj, morto per emottisi, in cui si trovarono i polmoni ingorgali di sangue, il cuore aggrandito, e l'aorta aneu- rismatica ; e di una donna, che da lungo tem- po soffriva tossi e dispnee con isputi abbon- danti, e negli ultimi giorni quasi purulenti, morta consunta, nella quale il cuore era il doppio del naturale, e l'aorta aveva uno smi- surato sacco aneurismatico, che comprimeva la trachea ed il polmone sinistro, ch'era con- che, oltre al pulsare all'esterno, aveva fatti li- vidi i tegumenti, quasi dovesse rompersi ad ogn' istante, la quale dopo un anno cominciò a soffrire di tosse continua con abbondanti sputi mucosi, ed era morta dopo alcune setti- mane, nel cadavere della quale si trovò che il sacco aneurismatico, obliterato dal sangue coagulato, comprimeva la trachea : casi questi maravigliosi, di spontanea guarigione di aneu- rismi interni, di cui si vanta primo narratore tratto e quasi infiammato; e di un tonsore di l'Hodgsou, ma ch'erano stati veduti prima lana di 5o anni, che andava soggetto a dispnea dal Valsalva, ch'egli non cita, e narrati dal con voce rauca e sputi crassi, e che morì in Morgagni fi. e. Ep. A. AI. XVII. n.° 3o). quattr'ore, nel quale si trovò che il polmone II Valsalva vide un uomo, da lui trattato per destro era compresso da aneurisma dell'arco un aneurisma interno col suo metodo disan- delPaorta alla base del cuore, e conteneva guante, metodo d'altronde suggerito da Ippo- marcia ; e le osservazioni dell' Hodgson ( On crate medesimo (nello stesso lib.I. de morbis), the diseases ofarteries e*c. CasesXX. e XXII.) quam exsanguissimus fiat, e che n'era gua- di un uomo di 47 anni, apparentemente gua- rito, e ch'era poi morto per altro male, nel rito col metodo del Valsalva da un aneurisma quale si trovò l'arteria, una volta aneurisma- dell'arco dell'aorta che pulsava all'esterno, ri- tica, contratta ad naturalem modum, sed quasi manendogli però grave dispnea, tosse violenta callosa eo loco. e costante, abbondante espettorazione muco- 323 delle vene (o arterie), non si può concepire che resti limitata un'in- fiammazione acuta, cpuale il Salio la giudica e la descrive; ma sola- mente si può concepirla cronica , quale si conosce a' tempi nostri accendersi nelle tonache delle arterie, e preparare e accompagnare la formazione degli aneurismi. Si osservi che la indicata distinzione, che ha fatto Ippocrate in que- sto passo e nel seguente, fra il tubercolo delle vene (o arterie) ed il tubercolo delle carni, distinzione che non ha fatto nei passi citati dal Morgagni, è un'altra prova che aveva in contemplazione vene (o ar- terie) di qualche grossezza, poiché tali affezioni in vene (od arterie) minute, o sono affezioni impercettihili e quasi inconcepihili, se sono limitate ad una sola vena (o arteria); o se sono estese a molte, non sono distinguibili dalle affezioni delle carni , colle quali debbono formare un tutto morboso, un'unica condizione di morbo. Dopo queste sentenze continua Ippocrate coli' insegnare, che non sempre dallo spasmo delle vene (o arterie) si trasmette sangue alle carni, che in esse convertasi in marcia; ma che quando lo spasmo è debole, invece che suppurazioni, nascono dolori diuturni ^ che si chia- mano rotture. Dunque l'affezione delle vene (o arterie), detta OTcdSar, può anche esistere, secondo Ippocrate, senza trasmissione di sangue nelle carni circomposte , e senza successive suppurazioni in esse car- ni. Quibusdam autem cum imbecilla in carnibus ac venis convulsa fa- Cta fuerintj (ovvero, come tradussero Jano Cornaro ed il Mercuriale: auum debile s f adi fuerint tractuSj sive vulsurae) non suppurantj sed diuturni fiunt dolores^ et vocantur ruptiones. Cosa sieno queste ruptiones non è facile l'intendere. Il Mercuriale ed il Marinelli nelle loro annotazioni dimenticarono il vocabolo ru- ptiones j e cosi saltarono a pie pari la difficoltà. Il Salio (1. e. N. 77.) se ne spiccia troppo facilmente, dicendo ch'era locuzione consueta ad Ippocrate quella di chiamare così la stessa affezione e disposizione producente dolore; e restiamo ignoranti come prima. Il Foesio non altro dice nell'annotazione corrispondente (N. 47- }, se non se, che nel libro de flatibus Ippocrate scrive come si fanno queste rotture; e non altro poi dice nell'annotazione (N-47-) al da lui citalo luogo del libro de JlatibuSj se non che nel libro I. de morbis Ippocrate espone quali siano queste rotture ; sicché questo è veramente un mandare da Erode 324 a Pilato. Confrontando però nel lesto i due luoghi citali dal Foesio, si viene a conoscere che, secondo Ippocrate, queste, così chiamate dai traduttori ruptiones, si fanno per ispasmo e scostamento (Siagragiv) delle fibre. Il vocabolo usato da Ippocrate, e interpretato ruptiones, è ÓYiriiaTa; e poco prima aveva usato il vocabolo payr\, che fu inter- pretato ruptlo. Il Foesio nell' O economia Hippocratis (Lì il significato di fessura, rima, scissura a payr), e di ruptura a pyjy^ia, singolare di priy tiara. A me però sembra che l' interpretare pYjy^iaTa per rotture non offra l'idea d' Ippocrate, il quale aveva detto, nei due passi testé citati, formarsi tali p^y^iaxa per solo spasmo e diastasi; e di più ave- va detto chiarissimamente in altri luoghi dei passi che commentiamo, che non intendeva già di parlare di una rottura totale, ma, a dir co- me, di una mezza rottura, di uno spasmo delle fibre che accada: cum vena aliqua divulsa rupia fuerit, neque tamen penitus (si noti) rupta fuerit. Si dee dunque interpretare priy^iata non per rotture, ma per una semplice fessura o crepatura effettuatasi soltanto in una o in due delle tonache delle vene (o arterie), ma non in tutte; un disordine quindi, il quale non produca versamento o trasudamento di sangue, ma possa bensì destare dolori diuturni per lo scostamento o divelli- mento delle fibre. E non è da lasciare di dire, che in fatto fra i signi- ficati di pyjyua quello entra di quelle crepature che si fanno nei corpi duri, ossa, legni, vetri ec, le quali, non essendo che di alcune fibre, lasciano ancora le parti unite. E queste fenditure o crepature nei vasi di vetro o di terraglia, che non sono che incominciate, e non ancora estese fino al segno di separare il vaso in due , perchè ri- mangono ancora in esso alcune fibre non rotte, che lo tengono uni- to, si chiamano anche nel greco moderno pdyyjgiiaTO^ Ippocrate adunque ha osservato in pratica una specie di dolori diuturni in qualche parte del petto, che ha derivato da divellimentb-Q. spasmo delle carni e delle vene (o arterie) maggiori, ora congiunto a tra- sudamento o passaggio qualunque di sangue nella carne circomposta, ora a crepatura o rottura imperfetta delle tonache interne di esse vene (o arterie), intatte rimanendo le esterne per modo, che non abbia luogo il detto trasudamento. Ha detto cioè presso a poco quello che disse a' giorni nostri sulla formazione degli aneurismi a sacco l'illu- stre Scarpa, sostenendo «che viene costituito l'aneurisma dalla corro- 325 » sione della interna e fibrosa membrana, e dall'effusione del sangue » arterioso sotto dell'involto cellulare, o di qualunque altra membra- » nosa copertura, da cui l'arteria affetta trovasi esternamente rive- li stita: » e di più ha detto quello che è pensato e sostenuto da altri moderni, e specialmente dallo Zannini (0, che il sacco aneurismatico si formi anco senza rottura veruna di tonache, ma per solo aggrandi- mentoe tumore di una parte del vaso; cioè sembra che abbia pensato alla esistenza ed alla condizione degli aneurisrniyàfoi e dei verij come adesso diversamente s'intendono dai varj autori. Ma Ippocrate non si contentò delle esposte generalità, e volle de- scrivere circostanziatamente come accadano questi spasmi, dolori e fenditure imperfette sì nelle carni come nelle vene (o arterie). E de- scritto prima a lungo come queste cose si facciano nelle carni, passa a descrivere come si facciano nelle vene (o arterie). E dice che si fanno in due modi: o la vena presa da spasmo, per cagione di fati- che o di sforzi violenti sostenuti, rimane nel sito che occupa; ovvero si fa simile alla varice _, cioè si dilata e sporge in fuori in tumore si- mile alla varice: quod autem attinet ad ea, quae in venis fiunt. Ipsa quidem vena in quantum convelliturj loco manet ; cum vero convulsa fuerit Cquod contenlione et vi acciditjj similis fit varici. Detto ciò, Ippocrate continua ad insegnarci cosa accada in queste vene (o arterie) tumefatte a guisa di varice, e quali altri sintomi mor- bosi si destino. E dice: che il sangue s'ingrossa, si condensa, ed in molte maniere nella parte, dove è spasmodica o morbosa la vena ( o arteria), diventa di sé stesso più malato, e di gran lunga più stabile: incrassescit sanguiSj ipseque multis modis , qua parte venam convelli contingitj se ipso morbosior et longe stabilior evadit. Si osservi pri- mamente, che qui Ippocrate distingue che il sangue subisce gì' indi- cati cambiamenti in una sola parte della vena ( o arteria), e non in tutte, in quella parte che fu presa da spasmo, e di poi innalzossi a guisa di varice. Dopo di che sembra potersi credere che a nessun al- tro fenomeno morboso a noi noto possa riferirsi questo condensarsi, di- ventare più malato e più stabile del sangue in essa parte, se non al sangue deposto e coagulato in un sacco aneurismatico. In vero l'acuto (i) Nelle sue annotazioni &\V Anat. palol. del Baillie, voi. I. pag. 289 e seg. 326 ingegno del Salio, ignaro delle nozioni posteriormente acquistate sul- l'aneurisma, e contenuto dalle teorie della patologia umorale, ne' suoi commenti a questi ed ai paragrafi seguenti andò aggirandosi fuori del retto cammino per ispiegare come il sangue si arresti in un dato luogo della vena, ed ivi si faccia morboso, e da di là passi poi in altri luoghi così morboso com'è diventato; laddove se s'interpretino le parole d' Ippocrate colla scorta delle dottrine attuali , e se si escluda il modo di esprimersi della patologia umorale, cioè se in- vece di dire che il sangue malato o passa da luogo a luogo, o resta fisso nella parte malata della vena, si dica che la sensazione mor- bosa, provata dal malato, o si limita nella citata parte della vena (o arteria), o si estende o si trasporta ad altre, o dileguasi e cessa, si potrà non difficilmente applicare ai sintomi conosciuti dell' aneu- risma interno del petto ciò che segue a dire Ippocrate : che quando il sangue si è accresciuto di quantità nel sito della vena (o arteria), dove era già diventato più morboso e più stabile, questa stessa sua pienezza (cioè la sensazione di pienezza diremo noi) cangia di sito, e si desta acuto dolore per modo, che ad alcuni sembra che la rot- tura ( prìvaaTa) (cioè il morbo locale) sia cangiata di sito: dunque. copiosior extiterit (il sangue), plenitudo [it'kripayLa) quoìibet transfer- tur j doloremque gravem adfert (acutum traduce Jano Cornaro , ed il testo in vero dice ò^eivjV , che significa acuto J; ita ut quibusdam ruptum loco migrasse videatur. E noi in fatto conosciamo dalla pra- tica, che nella formazione dell'aneurisma interno del torace, special- mente a sacco, si soffre dal malato acuti dolori, e che questi si esten- dono e si trasportano di luogo, come di sopra si è detto. E conoscia- mo parimente dalla pratica, che quando il dolore si estende all'una o all'altra spalla o braccio, talvolta diventa grave ed intorpidita la mano corrispondente; anzi riteniamo per uno fra i meno incerti segni della formazione dell'aneurisma la corrispondenza o l'estensione del dolore acuto dal petto al braccio ed alla mano. E così pure inse- gnò Ippocrate: Quod si forte ad humerum transierit (il sangue già coagulato nella vena, egli dice; noi interpreteremo il dolore), gra- vitatali in manu induciti et stuporem ac torporem. Finalmente osser- viamo in pratica, che ad un tratto dileguansi i dolori o quando è già formato l'aneurisma, o quando essi dolori si estendono all'omero 327 ed al dorso. E ciò fu parimente osservalo da Ippocrate : et si in ve- nam incubueritj aut ad humerum et dorsum tendati confestim plerum- que dolor sedatur. Alla perfine chiude Ippocrate il discorso col no- verare le cause delle malattie della vena (o arteria) che ha descritto; ed anco queste cause, come pure si è detto, sono quelle, sotto l'in- fluenza delle quali vediamo che si formano gli aneurismi interni; e sono le fatiche, le cadute, i colpi o ferite, l'alzar gravi pesi, il corso, la lotta, e cose simili : fiunt etiam coiwulsiones {(TTtói^fxaTa) ex labo- ribus, ex casibus, ex plaga {Tchriy^ , dice il testo, che significa an- che colpo ejerita), et si quis onus majus tollatj et ex cursibus ac lu- ctaj et omnibus id genus. Dalle cose dette, e da tutto il lib. I. de morbis si viene a cono- scere che Ippocrate, divisando trattare delle varie maniere delle sup- purazioni che si generano nei visceri e nelle altre parti contenute entro la cavità del petto, schierossene dinanzi alla vastissima menle tutte le possibili malattie, e dalla pratica medica e dall'analogia ne trasse la nozione e la descrizione. Che se fra essi morbi registrò le varicosità delle piccole vene interne, e la lividura delle interne carni, la nozione delle quali apparenze non poteva trarre che dall'analogia, non è da credere che potesse trascurare di prendere da essa anco la nozione delle morbose condizioni delle vene (o arterie) maggiori. Che se non parla di morti repentine, ne di rotture all'esterno, ne delle al- tre forme morbose succedanee all'aneurisma, idrotoraci, soffocazioni, sincopi, apoplessie ec; e se non fa il minimo cenno del cuore, sarà, io spero, permesso il riflettere: primamente, che in argomento di co- tanta oscurità anco a' di nostri, quale è l'aneurisma interno, siffatte omissioni non minorano l'importanza delle cose insegnate; in secon- do luogo, che Ippocrate aveva preso per tèma di trattare delle varie suppurazioni che si generano nella cavità del petto, e delle loro ca- gioni, e non di altri morbi; per terzo, che le morti repentine soventi volte non lasciano ricordare le malattie anteriori, e maggiormente ciò doveva accadere ai tempi d' Ippocrate , nei quali non era permesso anatomizzare i cadaveri umani; in quarto luogo, che le rotture al- l'esterno di un aneurisma interno sono assai più raramente incontrale dai malati, che i mali secondai) interni; da ultimo, che, quanto al cuore, l'autore dei libri de morbis j parlando di dolori, doveva non 32?» nominarlo, perchè portava l'erronea opinione, e l'aveva esposta negli stessi libri (nel lib. IV.), «che questo viscere non soffra dolori, per- » che è cosa solida e densa.» Adunque mi pare che si possa conchiudere, che Ippocrate, od al- tro antichissimo autore del lib. I. de morbisj abbia veduto in pratica, oltre a quelle specie di suppurazioni generate nella cavità del torace, le quali derivano da malattie delle vene piccole dei polmoni e del- l'interna superficie del petto, come opinò il Morgagni, le altre che derivano da enfiagioni o tumefazioni in modo di varici, cioè da dila- tazioni od aneurismi delle vene (o arterie) maggiori del petto ; e che abbia anco osservato i sintomi degli aneurismi interni del petto sì quando comprimono le parti solide circomposte, e vi generano con- gestioni e successive suppurazioni ; e si quando trasmettono ad esse parti per trasudamento, per crepatura imperfetta delle tonache , od in altra maniera, porzione di sangue che vi si fermi, e poi conver- tasi in marcia ; come anche quando non accade suppurazione veru- na, ed il sacco aneurismatico non tocca od ammala carni o polmone, ma resta morbo isolato, limitato al solo vaso sanguifero. Ed io continuerò ad essere di questa opinione fino a che non mi verranno opposte e chiaramente dimostrate due cose: la prima, che i passi del lib. I. de morbisj da me commentati, possano riferirsi ad al- tra malattia delle parti contenute entro la cavità del petto, fuori della sostanza de' polmoni, meglio che alle malattie delle arterie maggiori del petto, e segnatamente all'aneurisma a sacco dell'aorta toracica; la seconda, che ai tempi d' Ippocrate, o dell'autore di quel libro, l'uo- mo fosse di tale avventurata natura fornito, che non potesse, sotto l'azione delle veementi cagioni da lui noverate, incontrare partico- lari alterazioni morbose nelle tonache dei vasi maggiori arteriosi del petto, e fra queste l'aneurisma. 32t DESCRIZIONE ED USO DI UN GAZOMETRO A MERCURIO ATTO A DARE UNA Più ESATTA MISURA De' GAS. MEMORIA DEL PROFESSORE GIROLAMO MELANDRI letta all'accademia la sera del xiv aprile mdcccxxv. ^5i chiamò gazometro una macchina da principio ideata dall' im- mortale Lavoisier ad oggetto di adoperarla come mantice capace di somministrare continuamente ed uniformemente una corrente di gas ossigeno nelle famose di lui esperienze sulla fusione de' corpi refrattari, e poscia, mercè le molte aggiunte e correzioni fatte ad una tal mac- china in unione col sig. Meusnier, ridotta dal medesimo in istro- mento , per servirmi delle espressioni stesse di Lavoisier , per così dire universale, di cui (ei dice) sarà difficile di non valersi ogni volta che si vorranno fare sperienze esatte. Infatti il gazometro è un co- modissimo recipiente dei gas, che si presta più di qualunque altro slromento ai raccoglimenti, ai travasi ed alle applicazioni di questi fluidi aeriformi nelle diverse fisiche e chimiche ricerche , ed è uno stromento destinato poi più particolarmente alla misura dei gas; dal qual uso ricevette la denominazione di gazometro, impostogli dallo stesso Lavoisier. Una tal macchina però, che al dì d'oggi vediamo applicala in grande in tutti gli stabilimenti d'illuminazione a gas in- fiammabile, e che in tulli i chimici laboralorj di qualche rinomanza non manca certamente di aver luogo tra la suppellettile dei migliori utensili, non ricevette, per quanto so, quel perfezionamento che l'universalità del di lei uso, e specialmente il grado sommo di esal- 33o tezza che si pretende eli ottenere al dì d'oggi nelle chimiche e nelle fìsiche sperienze, sembravano addimandare. Perciocché, per quello che mi è noto, le modificazioni fatte al gazometro dopo la prima coslrut- tura, secondo i principj di Lavoisier e Meusnier, tendono bensì a far divenire la macchina meno costosa e di più facile esecuzione, ma non a migliorarla in una delle sue più importanti condizioni, in quella cioè, per la quale si denominò gazometro. Egli è vero tutta- via che di questa macchina accade come degli altri umani ingegni, intorno ai quali l'esperienza dimostra che la perfezione non è un attributo delle pratiche esecuzioni, come lo è o lo può essere de- gl'intellettuali concepimenti, attesa la natura slessa delle cose, e il giudizio de' sensi tante volte fallaci ma pure indispensabili nell'uso de' meccanismi, inventali appunto o per sussidiare i sensi medesimi, o per aumentare la forza naturale dell'uomo, o per servire alla di lui pigrizia , o per altre bisogne , tutte rivolte al conseguimento di maggior bene. Ma è altresì vero essere una vera conquista qualun- que avanzamento verso la perfezione, se anche sperare non sia dato all' uomo di toccarne perfettamente la meta , e che ognuno deve cooperare a simili avanzamenti. E parlando del gazometro, deve- si prima considerare questo prezioso strumento sotto due aspetti , cioè come macchina alta a contenere dei gas, a riceverli, ed a scari- carli uniformemente con una determinata velocità, e come strumento per misurare esattamente il volume loro. Solto il primo aspetto le condizioni della sua bontà sono: i.° che la macchina sia molto mo- bile; 2.° che la sua mobilità sia costante, omettendo di dire che in tutti i casi la macchina deve tenere perfettamente l' aria , di cui si riempie. Queste condizioni esistono certamente nel gazometro dei signori Lavoisier e Meusnier; e dalla descrizione che ce ne diede l'uomo immortale si comprende abbastanza che sarà molto difficile di ottenere tanta precisione, senza far uso degli artificj da esso loro adoperati. Ma la bontà di un gazometro destinato alla misurazione dei gas dipende da altri elementi, e può esistere senza tutte le con- dizioni, dalle quali dipende la prima. Non sembra che coi mezzi impiegati dai signori Lavoisier e Meusnier, e molto meno con quelli posti in opera dopo da tutti coloro che lo hanno semplificato per renderlo meno costoso, si possa ottenere una misura esatta del vo- 33i lume de' gas; e dico ciò pei seguenti motivi. Il gazometro di Lavoi- sier è graduato su di una porzione di cerchio di metallo, posto al- l'estremità del braccio di leva, che è suo raggio, e che costituisce la metà della grande e robusta bilancia, alle cui estremità sono so- spese la campana del gazometro da una parte, ed il piatto di bilan- cia che lo deve contrappesare dall'altra. La campana del gazometro si attacca al suo braccio di leva mercè una robusta staffa di ferro a tre rami, che porta sulla cervice ; alla quale staffa si attacca una forte catena di ferro, che si ravvolge sul dorso incavato della porzione di cerchio solido graduato. Sulla colonna slessa, che porta la grande stadera , è innalzato un indice fisso orizzontale , alla cui estremità ha un nonio per le frazioni di grado. Esso segna il passaggio del circolo quando il bilanciere si muove, e quindi l'alzamento e l'abbas- samento della campana del gazometro attaccata ad esso. Le corrispon- denze poi dei gradi del gazometro coi pollici cubici, o con qualun- que altra misura di capacità, sono dedotte col calcolo, dopo di avere scaricato il gazometro pieno d'aria sotto a campane o a bottiglie di nota capacità, e piene d' acqua, poste sul bagno idropneumatico. Per poco che si rifletta a questa maniera di costruttura , è facile il ve- dere essere in primo luogo necessario che la campana del gazometro sia ben cilindrica; altrimenti i rapporti della graduazione coi pollici cubici varierebbero nei diversi punti del cerchio gradualo, poscia sa- rebbe necessaria una correzione relativa all'allungamento ed accor- ciamento della staffa e della catena per l'influsso della temperatura; la quale correzione è non poco difficile da ottenersi, attesa la figura dei pezzi, e le correzioni di aggiunta, e altresì di sottrazione, richie- ste dall'allungamento dell'asta che porta l'indice fisso, e del cerchio metallico sul quale si avvolge la catena. E dopo che si fosse prov- veduto a queste importanti condizioni, resta ancora da riflettere che le piccole differenze notate dal nonio esprimono delle ugualmente piccole differenze nell'altezza della campana; le quali, riferite al- l'ampia area del cilindro, ossia della campana stessa, devono por- tare delle notabili differenze di pollici cubici per piccolissime diffe- renze di gradi, ossia d'altezze, per cui vassi a moltiplicare la vasta area. Finalmente l'esatta fabbricazione di una macchina siffatta rie- sce sommamente costosa, e per questo motivo si mutò nei gazarne? 33a tri la maniera della graduazione, notandola in uno de' due stanti verticali e paralelli, in mezzo ai quali la campana s'innalza. Sulla cervice della campana pertanto si collocò un indice fisso , che può avere il suo nonio, il quale striscia sulla faccia anteriore dello stante metallico, sul quale la graduazione è segnata. La graduazione è fatta o in pollici cubici o in centimetri coli' introdurre nella campana im- mersa delle porzioni d'aria discacciata da recipienti comunicanti col gazomelro mercè dati pesi d' acqua o di mercurio, corrispondenti al volume di dieci, o venti, o più pollici cubici, oppur centimetri; op- pure collo scaricare, alla maniera di Lavoisier, il gazometro pieno in bottiglie di nota capacità, e piene di acqua, poste sul bagno pneu- matochimico. In questa costruttura , certamente più semplice e di minore dispendio, si richiede parimente la perfetta cilindricità della campana, se usare si voglia del nonio, o se suddividere si voglia ogni grado nelle sue parti aliquote col compasso. Sarebbe ancor ne- cessaria una correzione relativa alla variabile lunghezza dello stante graduato, sebbene in questa costruttura sia o possa essere essa com- pensata dall' allungamento ed accorciamento delle pareti della cam- pana. Ma quello che non si può a meno di rimarcare sempre si è, che ne'gazometri di otto o dieci pollici di diametro non è assoluta- mente possibile di avere con sicurezza la decima parte del grado, se essi sieno segnati su venti e su dieci pollici cubici di gas. Che se parlar si voglia di gazometri a mercurio colle campane di vetro, quale sarà mai la maniera di ottenere una così minuta graduazione, capace di somministrare un millesimo soltanto della massa cubica dei gas? Coi gradi segnati sulle campane no certamente, eh' essi riescirebbero troppo minuti, e d'altronde la varia adesione del mercurio porte- rebbe delle aberrazioni, che renderebbero incerta e fallace la de- terminazione in sì minuta graduazione, e col metodo degli altri ga- zometri s'incontrerebbero le medesime difficoltà. Piiuettendo meco stesso a tutte le riferite cagioni, che si oppon- gono al divisamente di ottenere un istromento suscettibile di som- ministrare una sicura misurazione dei gas, rispetto anche alle più minute frazioni, pensai ad una costruttura di gazometro, in se sem- plicissima, che, siccome vedrassi, è capace di somministrare le mil- lesime e fors' anche le diecimillesime del volume de' gas, qualun- que sia la loro massa, o piccola o grande; risultato in vero che ren- de anche l'istromento di un qualche difficile uso: il che per altro è inerente al meccanismo di servirsene , non alla bontà della macchi- na. Il principio, da cui sono partito per immaginare questa costrut- tura , mi è stato suggerito dai risultati delle correzioni barometri- che, e dai rapporti che esistono tra le altezze dell'acqua e quelle del mercurio in tubi comunicanti, le quali stanno in ragione reci- proca delle gravità specifiche dei liquidi. Perciò ragionai così: se si avrà un volume iooo di gas chiuso in un gazometro alla pressione di 28 pollici di mercurio, corrispondenti a 4558,8 linee d'acqua, qual pressione eserciterà questo gas, aumentato di un millesimo? Il calcolo dà, che eserciterebbe una pressione uguale 4^63, 3588 linee d'acqua, cioè di 4 linee, e ,~85 più che la pressione primiera. Se dunque il gas comunichi con un livello a sifone ad acqua libero nell' atmosfera col suo esterno braccio , avrassi un' altezza di acqua di quattro linee e mezza circa , aumentando di un millesimo il gas chiuso nel gazometro. Questa somma differenza di livello, rilevala col calcolo, m'indicò che con un istromento siffatto si potrebbe ri- conoscere anche il diecimillesimo del volume di un gas. Infatti il calcolo dà , che per l' aumento di un diecimillesimo il livello a si- fone s'innalzerebbe all'esterno di o, j"d di linea; quantità abbastanza sensibile per essere rilevata facilmente dall'occhio il più vulgare. Prima di far eseguire il gazometro , di cui sono per dare la descri- zione, nell'uso di più piccoli gazometri a mercurio , eh' io aveva fatto costruire, sono già diciotto anni, pel pubblico Gabinetto, dove esi- stono , adoperava questa regola: cioè col mezzo dell'altezza del- l'acqua nel braccio esterno di un livello a sifone, portatovi coli' ab- bassare la campana sino ad un grado intiero , calcolava la frazione , oppure faceva entrare questa pressione nelle correzioni barometri- che; ma mi è sembrato che riuscir dovesse più esatto e più sensi- bile il risultato che ottenere si poteva aggiungendo al gazometro un piccolo gazometro laterale, comunicante col gran serbntojo, e nel- l' aggiunta di questo piccolo stromento , che chiamo microgazome- tro ; e, se si vuole, anche nella maniera di graduazione consiste propriamente la maggiore novità della mia macchina , la quale ora non è più una speculazione mentale, ma i suoi effetti sono sicuri, 33,', e -verificabili nei due gazometri a mercurio , capaci ognuno di con- tenere cinque litri d'aria, i quali forniscono al presente il nostro Gabinetto chimico della I. R. Università. Descrizione del Gazometro . La figura prima e seconda dell'unita tavola rappresentano il ga- zometro, visto in ispaccato verticale nella fig. I. ; e visto in pro- spero, tutto montato e in atto di servire agli usi, nella fig. II. B' fig. I. rappresenta il bagno del mercurio fatto di melo, e può es- sere di sorbo, pero, ciriegio, od altro legno duro e compatto. Esso è costruito di quattro pezzi, ben uniti con colla eviti di ferro, che attraversano da parte a parte la grossezza del legno. D' rappresenta il suo fondo, unito con una pelle e viti al corpo del bagno. E' è il contro-fondo, assicurato al fondo con viti semplici, g g sono viti comuni per livellare il bagno. G è la chiave di scarico, alla quale si uniscono poi i tubi degli apparecchi. F' è il microgazometro mes- so a zero, cioè colla campanella tutta immersa nel mercurio. XX sono due galleggianti per conoscere 1' altezza costante del mercurio nel bagno. Y è un livello a bolla ammovibile per livellare la mac- china. A' è la campana di cristallo mezzo fuori del bagno. K' K sono due stanti dì ferro verticali e paralelli, fissati colla loro base al bagno, in mezzo ai quali si alza la campana, e si abbassa quan- do si carica o si scarica di pesi il piatto di bilancia //'. Il gazometro è montato sopra di un tavolo coli' orlo rilevato, e con superficie inclinata un poco verso il centro, in cui v'ha un foro corrispondente al mezzo di un sottoposto cassetto atto a contenere tutto il mercurio del bagno (vedasi la fig. I.). Questo tavolo è di sif- fatta costruttura, per provvedere all'accidente di uno spandimento di mercurio. Se dovessi ancora far costruire de' gazometri a mercu- rio, farei fare i bagni a mercurio di marmo, ora principalmente che si ha l'arte facile di traforare il marmo precisamente sulla forma del bagno che descrivo. C fig. I. è un cilindro pieno, fatto dello stesso legno del bagno, e che è unito solidamente con viti al fondo D ., nel cui mezzo s'in- nalza perpendicolarmente. Questo cilindro ha la forma della cani- 335 pana A, in cui può capire comodamente, anzi vi entra, lasciando un intervallo circolarmente di due millimetri circa. Esso è fatto per riempiere la maggiore capacità del bagno, risparmiandosi cosi un'enor- me quantità di mercurio: idea ch'ebbi già, e che misi in pratica, di- ciotto anni sono, prima che conoscessi una simile coslruttura, ideata non so da chi per evitare l'uso di una grande massa di acqua nel- l' adoperare specialmente grandi gazometri. La campana A , che ri- ceve il cilindro C , h ricevuta dalla cavità cilindrica del bagno B con un intervallo circolare di due millimetri circa. In questa fig. I., rappresentante lo spaccato del gazometro , si vede l' intiero micro"a- zometro in posto, la testa della campana co' suoi pesi di piombo, i due stanti K K > la corda che sospende la campana , e che si volge sulle carrucole i nj montate sulla piastra v v, attaccandosi essa al piatto di bilancia H coli' opposta sua estremità, a a è un tubo di cristallo verticale che passa per l'asse del cilindro C, sporge con al- cuni centimetri fuori del cilindro , ed è immasticciato nel mezzo di un tubo metallico orizzontale a tre rami, di cui parleremo . La fig. III. mostra il fondo del bagno del gazometro, applicato sul controfondo, coi tre tubi metallici orizzontali soprammentovati , per altro veduti come se il fondo fosse trasparente , perocché i tubi so- no incassali nella faccia opposta del fondo, il quale s'unisce al con- trofondo. C" rappresenla l'area del cilindro, che s'innalza perpen- dicolarmente (vedi C fig. I.). D" è il fondo, E" il controfondo, che ha negli angoli le quattro viti per livellare la macchina. a è il tubo, cui si unisce la cliiave del microgazometro; a" è il tubo, cui si applica la chiave comune di scarico e carico ; a" è il terzo tubo, che fa angolo retto cogli altri due, posti nella medesima linea; al qual terzo tubo si applica ine' il livello a sifone rovescio. Questo livello vedesi distaccalo nella fig. VII., ed in posto nella fig. IL La fig. IV. mostra la campana a parte. A' campana di cristallo, che ha 166 millimetri di diametro, e 28 centimetri d'altezza, avendo il vetro una spessezza di due millimetri e mezzo, a" è un collo di ferro immasticciato sulla tubulatura cieca della campana (vedi lo spac-i cato fig. I. ); a questo collo è unita una scatola cilindrica di ottone b" ' , nella quale si pongono i pesi per rendere la campana tanto pe- sante, che possa profondarsi nel mercurio, e" e1' sono due spranghe 43 di ottone unite alla scatola, e terminate con una testa che porta due rotelle ed un cilindretto mobile attorno al suo asse. Questa estre- mità delle suddette spranghe è fatta per tenere sempre la campana nel mezzo dei due stanti, che hanno ciascuno una scannellatura nel mezzo della loro lunghezza, in cui il cilindretto s'insinua, e nel tempo stesso per togliere gli attriti che avrebbero luogo nell' alzarsi ed abbassarsi la testa metallica della campana. Perocché il cilindretto gira in mezzo alla scannellatura, e le rotelle girano sulle faccie la- terali , tra le quali la scannellatura esiste . Inoltre ciascuna estre- mità di queste due spranghe ha un'aletta o lamina di ferro, col lembo superiore rettissimo, poste nella medesima linea orizzontale; dell'uso delle quali alette si dirà poi. Alla scatola cilindrica b" si attaccano sull' orlo della sua bocca tre grossi fili di ottone e e e , inanellati in/'; al quale anello poi si attacca la funicella di seta che sospende la campana , si gira sulle due carrucole , e sospende dalla opposta parte un piatto di bilancia. La campana sospesa in aria si deve mantenere a perpendicolo, in modo che le due spranghe e" e" formino una linea perfettamente orizzontale . E sospesa questa cam- pana in mezzo al suo recipiente vóto, calandola giù dalla carru- cola interna, su cui si gira la fune, deve discendere senza toccare le pareti del cilindro interno della cavità cilindrica del recipiente , e l' estremità del tubo di cristallo e e e devesi introdurre nella tu- bulatura cieca , senza punto urtare . La fig. V. mostra il pozzetto o recipiente del microgazometro unito alla sua chiave. Esso è un cilindro o tubo di cristallo, im- masticciato su di un fondo di metallo, che con vite entrante si unisce alla chiave , e porta nel suo mezzo un sottile tubo di vetro , che fa l'uffizio del tubo a a a del gran gazometro, cioè conduce il gas, e perciò colla sua punta s'introduce nella sommità della campanella del microgazometro. La fig. VI. rappresenta la campanella del mi- crogazometro. Essa è immasticciata colla sua cervice in un anello di ferro munito di due gambe, nel cui mezzo, mercè un piccolo scu- do, porta l'estremità di una vite micrometrica, la cui femmina girando su di uno stante orizzontale, che si unisce al pozzo del gazometro, e per conseguenza è fisso, fa alzare ed abbassare la vite, e quindi la campanella attaccata ad essa. Nelle fig. I. e II. si vede il microgazo- metro in posto, colla campanella tutta immersa nel pozzetto ; nel quale stato il microgazometro è a zero. Nella fig. VI. poi la campa- nella si vede sollevata quasi per metà. allestimento e graduazione del Gazometro. Per montare il gazometro che ho descritto, si comincia coli' em- piere di mercurio tutto 1' intervallo tra il cilindro pieno e la cavità cilindrica che forma il bagno, in modo che il mercurio copra il ci- lindro fino al punto ove il tubo di cristallo comincia a sortire dal medesimo. Allora, aperta la chiave di scarico G', fig. II., s'immerge nel bagno la campana A\ e per mezzo dei pesi di piombo, di cui si carica in testa, dovrà essa immergersi tutta. Tuttavia si deve anche osservare che il mercurio per questa immersione s'innalzi sino al principio della tubulatura della campana, e perciò si aggiungerà mer- curio sino ad un tal limite. Allora si segnano i due galleggianti, e quello sarà il livello costante del mercurio a campana immersa. Si potrà parimente, sollevando totalmente la campana, fare un' altra se- gnatura nei galleggianti, la quale servirà di norma per empiere altre volte il bagno di mercurio. Il microgazometro si prepara aprendo la sua chiave, introducendo la campanella intieramente nel pozzetto col voltare la vite micrometrica, e, aperta la chiave del gazometro, po- nendo mercurio nel pozzetto fino a che arrivi alla sommità della cam- panella. Quel limite segnalo sulla campanella sarà lo zero del micro- gazometro. Il livello a sifone rovescio si monta introducendo nei due tubi comunicanti e paralelli alcuni pollici d'acqua, ed a chiavi aperte segnando in ognuno de' due bracci il livello o pelo del liquido. Tutte le indicate operazioni di allestimento della macchina si dovranno eseguire dopo di averla livellata esattamente col girare le viti g g'j fig. IL, servendosi sempre del livello js fig. slessa. Preparato e livel- lato perfettamente il gazometro, convien pensare alla graduazione tan- to del grande gazometro, come del microgazometro; operazione che trovai molto più difficile di quello che mi era immaginato da prin- cipio, spezialmente riguardo al grande gazometro. Indicherò come io abbia proceduto. 338 Il microgazometro, non ammettendo veruna difficoltà, esso fu gra- duato così. La campanella sua, voltata colla bocca in su, fu piantala perfettamente verticale: si pose alquanto mercurio in essa fino a che arrivasse a toccare lo zero già segnalo sulla campanella, e s'introdus- sero una per volta delle porzioni di mercurio, del peso ciascuna di denari i3, 5j5 ai io." R. , volume corrispondente ad un centimetro cubico, notando ogni volta il giusto pelo del mercurio. Si era in avanti preparata la superficie esterna della campanella con vernice di cera, e quindi i segni del livello del mercurio in ogni grado ven- nero fatti con punta metallica, incidente la cera fino al vetro. In fine coli' acido fluorico se ne fece l' incisione. Per avere poi le porzioni costanti del mercurio con più di prontezza si era preparato un tu- betto cilindrico di vetro, terminato in due coni alle, sue due estre- mità ; e , limate le punte de' coni , erasi fatto in modo , che questo tubo, preso tra il pollice e l'indice, come indica la fig. Vili., essendo stato riempito di mercurio purificato, contenesse il detto peso esatto. Il metodo e le diligenze esatte per graduare il microgazometro non sono diverse da quelle che si praticano per graduare i tubi stretti del- l'apparecchio idrargirio pneumatico, cioè di empiere bene il tubo mi- suratore col profondarlo verticalmente in un bagno di mercurio puro ed asciutto , di stringere sempre ugualmente le due estremità tra il pollice e l'indice, e di spazzolare via ogni globetlino mercuriale ester- no aderente alle dita, di procurare che attorno alle pareti della cam- panella non resti globetto veruno di mercurio, e finalmente che tra il mercurio ed il vetro non restino bolle d'aria impegnata. La capa- cità della campanella essendo di 20 centimetri crescenti, si fecero cosi 20 gradi, che risultarono di lunghezza circa 4 millimetri e f, escluso il primo, che riuscì più lungo. Questa misura di venti centi- metri si credette bastante, perchè servir potesse di elemento della graduazione del grande gazometro, poiché si sperimentò che i gradi sarebbero riusciti di una lunghezza lineare di jj di millimetro circa. Per procedere poi alla graduazione del grande gazometro si co- nobbe necessario di avere le seguenti avvertenze: i.° di collocarsi in un grande ambiente aperto, in giornata tranquilla; 2.0 di non permet- tere che fossero presenti se non se due individui, d'altronde indispen- sabili per eseguire l'operazione; 3.° si pose tra la campana e gli ope- 339 ratori un para-viso eli carta inargentata , per togliere l' irradiazione calorifica delle persone, influente sulla temperatura della campana. Quindi, costrutta una campanella di retro, terminata da lungo tubo aperto, la capacità della quale, immersa che fosse nel pozzetto del microgazometro , levala già la sua naturale campanella, era uguale a 20 centimetri cubici, e posto a zero il gazometro, cioè immersa tutta la gran campana nel suo bagno, e chiuse le chiavi, si apriva solo quella del microgazometro; e preso il tubo misuratore col dito pollice e medio della mano destra, toccando il solo tubetto ben chiu- so nell'estremità coli' indice della mano stessa (ved. la fig. IX.), s'im- mergeva totalmente il tubo nel bagno del microgazometro; per lo che l'aria, di cui esso tubo era pieno, entrava nel gazometro pel tubetto conduttore del microgazometro. L'altro operatore intanto sollevava un poco la campana, mettendo un piccolo peso sul piatto //'; ed aperta la chiave del livello, regolava poi il peso del piatto a norma del giu- sto livello dell' istromento. Allora dal primo operatore colla mano si- nistra si chiudeva la chiave del microgazometro, e si levava la cam- panella misuratrice, alzando prima il dito indice, che ne chiudeva il suo tubetto. Ciò fatto, e livellata bene la campana, si segnava con tuia punta d'acciajo nei due stanti K K' il grado primo; e, ripeten- do la stessa operazione, si segnava il secondo, e così via discorrendo, fino al termine della graduazione di tutta l'estensione portata dal to- tale sollevamento della campana: operazione, in verità, lunga ed as- sai tediosa, ma indispensabile per graduare uno strumento colla cam- pana non perfettamente cilindrica. Durante l' operazione si ebbe cura di osservare sempre che la temperatura non cambiasse , e perciò si lavorò per alcune ore soltanto, e si rimise ad altri giorni la continua- zione, rimettendo sempre all'ultimo segno giusto lo strumento avanti di ricominciare. La pressione barometrica poi restò sempre costante. Queste condizioni di temperatura e di pressione costante sono indi- spensabili per ottenere un'esatta graduazione. Ho osservato che quan- do il gazometro contiene tre litri d'aria, e eh' è fissato colle sue due morsette (ved. fig. X.), se per un quarto d'ora, o poco più, interven- gono alcuni individui nella stanza, in modo che la temperatura cre- sca di un mezzo grado, il livello a sifone s'innalza nel suo braccio esterno di alcune linee, e col microgazometro bisogna ricavare 7 cen 34o timetri di gas, per ricondurre il liquido del livello al suo giusto equi- librio. Questa osservazione basta per mostrare l'importanza delle pre- scritte avvertenze, nel tempo stesso che dà idea della delicatezza della macchina descritta. Verificazione e modo di usare il Gazometro. Facile si è l'uso di questa macchina, e sicure ne sono le di lei risultanze, quando è ben costruita ed esattamente graduata. Per uno stromento però di tanta delicatezza la prudenza insegna di sottoporla ancora a delle verificazioni. Io sono solito a verificare la graduazione del gazometro descritto, introducendo 5oo centimetri cubici d'aria per volta entro la campana, messa prima a zero; e ciò ottengo adat- tando alla sua chiave comune, chiuse le altre, un tubo lutato ermeti- camente al collo di una bottiglia di Woulf, e che abbia il suo doppio caricatore terminato in una chiave, cui si unisce un recipiente, o imbuto, che contiene sei libbre, sette once , otto grossi, e sette de- nari e mezzo di mercurio puro; il qual volume corrisponde all'in- dicato. Empisco prima il caricatore di mercurio e la chiave fino al principiare dell'imbuto smerigliato su di essa; e, postovi il peso di mercurio, apro la chiave , e faccio entrare nella bottiglia il mercu- rio tutto, fino a che arrivi al segno cui era, avanti d'introdurre il mercurio pesato. Colle solite cautele osservo poi il numero de' gradi, e calcolo il rapporto tra i centimetri cubici della scala con quelli della verificazione, e cosi continuo fino alla completa verificazione di tutta la scala. Quindi, allorquando si tratta di determinare il volume di un gas che siasi raccolto nel gazometro graduato sopraddescritto, si comincia coli' equilibrare col mezzo dei pesi la campana, in maniera che il liquido del livello a sifone sia ne' due bracci al segno nor- male. Si osserva allora sui due stanti qual grado segni, il quale assai di rado sarà una quantità intiera, cioè molto difficilmente accaderà che le due alette d d , fig. IV., corrispondino dall'una e dall'altra parie degli stanti, sui quali è segnata la graduazione, ad un segno giusto. Perciò allora si leveranno dei pesi dal piallo, acciocché la 34 1 campana si abbassi tanto, che le due alette (che furono le righe, dietro i cui lembi strisciò la punta d'acciajo che segnò in origine la graduazione) corrispondino al segno intero dell'una e dell'altra parte. Poi colle due morsetle, fig. X., si fermeranno esse alette sugli stanti, perchè la campana non si muoia; ed aperta la chiave del microga- zomelro, si comincierà a voltare la vite micrometrica, innalzando la sua campanella fino a tanto che il liquido del sifone sarà giunto al perfetto livello. Allora sugli stanti si conteranno i gradi intieri di 20 centimetri cubici l'uno, e sulla campanella del microgazometro si avrà la frazione sempre minore di 20 centimetri. A questo stromento poi anderà sempre unito un sensibilissimo termometro isolato tra i due stanti, che servirà a denotare la temperatura del gas della campana, ed il barometro si troverà sempre nella stessa località per avere la pressione atmosferica, colla quale, siccome con la rilevata tempera- tura, poter fare le necessarie correzioni barometriche e termometri- che al volume del gas misurato. Tale si è la costruttura e l'uso del nuovo gazomelro, il quale, come si potè rilevare, essendo suscettibile di essere fabbricato sotto qualunque dimensione, senza che il mercurio importi grandissimo dispendio , diverrà anche di sommo pregio per l' applicazione alle grandi e luminose sperienze , colle quali si dimostrano le più im- portanti verità della moderna chimica. Certamente se la famosa espe- rienza della sintesi dell'acqua, fatta dal gran Lavoisier, fosse stata eseguita con due grandi gazometri a mercurio, costruiti secondo la mia maniera, si avrebbe avuto fino d'allora l'esatta determinazio- ne delle proporzioni dei due elementi che compongono l'acqua, e nessuno avrebbe da principio dubitato che l'acqua fosse il prodotto della condensazione del gas acqueo disciolto nelle due arie; peroc- ché con gazometri a mercurio si possono ottenere i gas purissimi ed asciuttissimi, e con un'esatta graduazione de' gazometri, non meno che col microgazometro, si può ottenere l'esattissimo volume de' gas stessi. Ma il circolo de' chimici scuoprimenti vassi di già dilatando ogni dì più, e molle leggi o scoperte o che si travedono, rispetto alle chimiche combinazioni , mostrano già il bisogno di più esatte macchine, e domandano una semplificazione nell'uso loro, per ren- derle comuni a molti coltivatori della filosofia naturale ; ed io mi 34* lusingo di avere colla costruttura di questa, che ho descritta, reso un qualche servigio alla scienza sperimentale, ed ai coltivatori di essa , che , operando tanto in grande che in piccolo , potranno otte- nere con più sicurezza, senza ricorrere alle bene spesso fallaci me- die , dei risullamenti esatti entro i millesimi e diecimillesimi della quantità volume de' gas, cui al dì d'oggi si pretende di arrivare, e senza le quali d'altronde impossibile sarebbe lo stabilire delle leggi, od il verificarle con giusto fondamento. Ci— ii SL y. tn ir/ H 4 I. JL2 EH tT 2S" JO ? 1 5; -'-^-^ ' ~.-~d f# w rt-/,„, *', ,„, .tt.^.- 343 ILLUSTRAZIONE ED ANALISI DELLE FONTI MINERALI DI CENEDA. MEMORIA DEL PROF. SALVATOR MANDRUZZATO LETTA NELLA SESSIONE DEL DÌ XXVI GIUGNO M. DCCC. XXIII. PARTE PRIMA. INTRODUZIONE i.° A ra le materie che la natura offre sulla terra agli usi umani, non ve ne ha pur una che per la sua perennità e spontaneità pro- metta maggiore e più esteso interesse ad una popolazione, di quello che per molte vie ne conduca una fonte minerale, portata ad un grado elevato di medica riputazione. 2.0 Il veneto suolo in Italia, abbastanza fecondo di simili produ- zioni, non fu proporzionatamente fortunato nella mente de' suoi per farle tutte conoscere, o per conciliare alle conosciute quella fama, senza di cui, malgrado le loro virtù medicinali, parecchie di esse giacquero e giacciono oscure ed ingiuriate ; colpa ben anche la poca avvedutezza de' loro posseditori. 3.° Per altro a promuovere il credito, e col credito la pratica di una fonte minerale, non basta che delle sue acque se ne pubblichi un'accurata analisi, né basta che frammenti di antichità e di storia le assicurino un inveterato uso medico , e né tampoco il corredo di alcune osservazioni che annunzino per essa cure prodigiose , avendo un'infallibile sperienza dimostrato costantemente, che di una fonte medicata, benché riconosciuta da rimotissinie età, allora solo si sta- bilisca e si accresca l'uso e la rinomanza quando essa sia tolta dal- l'incoltura, e posta sotto diligente custodia e regolare distribuzione, 44 344 segnatamente se le di lei acque siano d'uso interno; e che se poi a bagno eziandio utili riescano , aggiugner convenga alla custodia e dispensa loro opportune abitazioni e vasche a bagnarsi, appresta- mento di scelti cibi, diligente assistenza alla cura, ed attento ser- vigio domestico. 4-° Egli è vero che qualche volta , in onta al buon volere di re- dimere dall'abbandono una sorgente medicinale di molta attività, essa rimanga con tutto ciò deserta e di breve uso medico, per avere sgraziatamente la sua sede in sito rupestre o palustre, che facciano ostacolo al concorso, quello per la difficoltà ed asprezza dell'acces- so, questo per timore d'insalubrità; ma se tali opposizioni si tolga- no, o si scemino tosto, si accresce la pratica di cotesta sorgente in proporzione alla disciplina ed ai comodi, di cui vien provveduta. Di cosiffatti cambiamenti a favore di qualche mal collocata fonte mi- nerale non ne mancano esempj tra l'Olona e l'Isonzo, siccome non ne mancano di contrarj per qualche altra, posta in situazione feli- cissima. Di fatti Ceneda, che di città porta l'antico nome e le costu- manze, avventurosamente piantata a riparti lungo le solcate e fer- tili estremità de' colli palladiani, favorita dalle benigne e salubri in- fluenze atmosferiche del levante e del mezzogiorno , difesa dai ri- gori della tramontana e dalle stemperature del ponente, avendo die- tro le spalle i monti del Feltrino e del Bellunese, e deliziata per fine dal prospetto di una spaziosa e ben coltivata campagna, accer- chiata da ripetute ed abitate dolci, verdi e pampinose colline; co- testa Ceneda possedè una fonte in vista del suo borgo, che da lei prese il nome di salsa,, la quale , quantunque da rimoto tempo co- nosciuta, e da qualche medico rinomato prescritta e celebrata anche con qualche scrittura a stampa, nulladimanco essa al paro di al- tre due polle minerali che da lei per avventura traggono parte dei loro componenti, ed entrambe di recente nominate e talora impiega- te a medicamento, sono tutte e tre ristrette ad un limitato ed oscuro uso farmaceutico, certamente perchè mai non furono, o malamente, difese dalle ingiurie del luogo, dell'atmosfera e degli uomini, onde separarle da tutto ciò che potesse concorrervi di straniero a tur- bare la loro originaria composizione, o a minorare la loro efficacia. 345 Ma se Ceneda conoscerà che sommi possono essere i vantaggi de- rivanti alla salute pubblica ed al commercio di un paese simile al suo dalla coltura e buona disciplina di una fonte medicata , certo egli è che, senza pregiudizio de' privati possessori, troverà ella age- voli i mezzi di porre in attività e decoro le sue , quelle che io ora imprendo ad illustrare ed analizzare, cominciando dalla salsa e sol- forata . Notizie storico-mediche intorno la Fonte salsa di S. Gottardo, e le altre acque minerali di Ceneda . i.° Le prime notizie storiche della Fonte salsa di Ceneda al colle di S. Gottardo, per quanto interessa il medico oggetto, si perdono nell'oscurità dei tempi, e soltanto verso la metà del secolo XVI. si trova fatta menzione della sua acqua, come di pregievole medica- mento , dal cavalier Benedetto Salvatico, primario professore di me- dicina nell'Università di Padova, e proprietario delle Terme di S. Elena alla Battaglia; e ciò fa prova che almeno dai medici del paese fosse molto prima riconosciuta e sperimentata. 2.0 Che quindi, benché oscuramente, e malgrado la trascuran- za osservata su di essa fonte, proseguisse nondimanco l'uso medici- nale di quell'acqua, lo viene a dimostrare Giovanni Stefani, citta- dino di Ceneda, esercente la medicina in Cividal di Belluno, e po- scia in Venezia, ove fu eletto Priore del Collegio medico l'anno 1645, con un breve ed elegante componimento metrico latino, che diede alla luce circa il i635, in cui poeticamente rappresentò l'origine di cotlesta fonte salata e solforata, dinotò a quali malattie convenga il bagno e la bevanda delle sue acque, e raccomandolla in fine poli- tamente al celebre protomedico di Venezia Michiel Angelo Tiota , perchè gli piacesse diffonderne l'uso, e coli' uso la fama. 3.° Amico lo Stefani della sua patria, avvegnaché lontano, pure si studiò egli sempre di estendere la conoscenza ed il credito di quella minerale, non che di scuotere il sonno de' suoi concittadini sulla coltura della sorgente, cui si attingeva. Leggiamo pertanto di codesto medico anche una brevissima descrizione storico-medica della stessa fonte, pubblicata posteriormente a' suoi versi col titolo male 346 applicato: De Thermis Cenetensibus ad aedem divi Gothardi; dalla quale s'intende che allora, come al presente, quella minerale, uscen- te dagl'interstizj dei sassi, rimaneva stagnante; e, colpa l'incuria e l'ignoranza degli uomini, veniva alterata dalle pioggie , e conlami- nata dalle immondezze; ma che per altro vi aveva chi si era prestato a ripulirne la fonte, ed a trarne l'acqua chiara, e poi evaporarla, e separarne le sostanze in essa disciolte: colla quale operazione aven- do ottenuto una residua materia giallastra , e di sapore salata , non temette giudicarla composta di solfo e di sale. 4-° Per tale composizione, dedotta dai sensi, non pochi prima dello Stefani, e lo Stefani stesso, assicurano di avere usato dell'acqua di S. Gottardo in vece della Tettucciana; e, quel che più importa, ot- tenendo simili e migliori effetti di quella. E non era a quel tempo ristretta a Ceneda la preferenza dell'acqua della predetta fonte alla Tettucciana , poiché nella mentovata narrazione ahbiamo la testimo- nianza del probo sacerdote di Ceneda Pasquallino Tirindelli ad as- sicurarci che il farmacista di Padova all'insegna del cappello faceva frequente smercio della detta minerale sotto il nome di Tettucciana, e con esito superiore all'aspettazione de' medici. Si comprende che dalla speculazione del farmacista padovano veniva quella sostituzio- ne; ma, oltre che era protetta dalla sperienza, è poi anche vero che un chiaro medico di quell'età, il Piacentini, anteponeva la Cene- dese alla Tettucciana. In codesto suo tenue scritto fa pure menzio- ne lo Stefani de' cenni che diede ne'suoi versi sopra le virtù medi- che di quell' acqua ; ed uno poi ne aggiugne , indicante la cura pronta e felice di una cachessia prodotta da vizio dello stomaco , e prossima all'idrope, ottenuta per mezza di tre o quattro bevute della stessa acqua. E per ultimo disapprova la non mai estinta costuman- za di ricercare la bevanda salubre delle fonti lontane, trascurando le proprie; ed avverte, che l'uso di essa acqua può riuscire, più che ad altri, proficuo ad un Cenedese, purché l'attinga dalla fon- te, prima sgombra dal lezzo e da qualsiasi impurità. Cosiffatto ri- cordo appalesa che quanto era pure allora riconosciuto il bisogno di valersi delle acque minerali a medicamento presso le fonti, altret- tanto era non apprezzato l'esempio di metter questa sotto disciplina ed in grido di commercio, onde invitare i lontani ad avvicinarsele. Ji7 5.° Dopo lo Stefani, per quanto io sappia, trascorse il lungo pe- riodo di quasi un secolo senza che si facessero sentire voci o scritti di dotti che del fonte salso e solforato di Ceneda trattassero ; ciò non pertanto si ha fondamento a giudicare che incolto e negligen- tato al solito rimanesse , e che volgare e di pochi fosse l' impiego me- dicinale delle sue acque. Imperciocché, dopo tanto silenzio, sorgen- do nel 17^9 il lodevole progetto del collo e Benemerito farmacista di Venezia Domenico Vincenti, di raccorre cioè quanto avesse po- tuto rinvenire d'inedito 0 di raro intorno le fonti minerali dello Sta- to Veneto, si scosse il patrio affetto di un altro medico di Ceneda, il dottor Carlo Antonio Monari, a favore della detta fonte, per cui venne tosto a corrispondenza col Vincenti , invitandolo ad inserire nella sua collezione le di sopra menzionate Memorie dello Stefani, scrivendogli in queste parole: aggradirò molto il vedere inserita nello stesso libro questa nostra acqua di S. Gottardo , presa al presente sotto la mia protezione , per restituirla nella vista del mondo a pub- blico vantaggio, dopo il totale abbandono e mina in cui fu lasciata, non senza condannabile imprudenza , dai Professori di medicina pro- vetti ; tuttoché con Memorie antiche e con esperienze costantissime raccomandata al pubblico avvantaggio da varj autorevoli personaggi, e fra gli altri da Giovanni Stefani ec. 6.° Per quattro lettere del Monari scritte al Vincenti, e che fanno parte della motivata Raccolta di opuscoli inediti, stampata nel 1760, sappiamo che codesto medico nel 1759 fece chiudere a proprie spese in un pozzetto V acque salino-sol/uree di S. Gottardo, e che da ciò principiarono a prendere credito notabile; e che frequenti spedizioni ne faceva in Pordenone, ove essendo medico-condotto il di lui con- cittadino Valentino Marchetti, questi lo assicurava vedere di quel- l'acqua sempre prodigiosi effetti. Di più sappiamo, che comprendendo il Monari l'importanza di conoscere la composizione di quelle mine- rali, si occupò egli nel maggio 17G0 prima all'estrazione del sale da sei libhre di acqua Gol benefizio de' raggi solari, ed indi nello stesso me- se all'evaporazione di quattro libbre della stessa acqua, da cui ottenne otto scrupoli di sale; ed assoggettò poscia il primo edotto e porzione del secondo ai riflessi del Vincenti, proponendosi di fare ih seguito qualche diligente esame, colla speranza di giovare alla patria ed a^li 348 amici. E sappiamo per ultimo, che nel periodo di un anno il Monari stesso riportò molte favorevoli cure dall'uso di quelle acque', eh' egli si limita soltanto a dichiarare e specificare prodigiose in varie dissen- terìe. Ma della storia del fonte di S. Gottardo non può, a parer mio, far parte l'aneddoto narrato da cotesto medico nell'ultima delle sue lettere al Vincenti colle seguenti parole: Nel tempo che regnava ve- scovo in Ceneda monsignor Trevisan P. V. (che vale a dire dal 17 io al 1 725 ) era con amorevole patrocinio riguardata quest'acqua dal- l'illustrissimo ed eccellentissimo sig. Bernardo,, di lui fratello^ che si compiacque coltivarla con diligente studio , facendo anche chiudere la sorgente in un particolare recinto j con degno esempio e commenda- bile memoria; ma dopo lui mancarono i mecenati , e ritornò l'acqua nell' abbandono e nelle mine di prima; non può, ripeto, siffatto aned- doto meritar credenza, poiché non solamente mancano sul luogo resi- dui di fabbrica che attestino 1' antica esistenza di un recinto, ma non vi ha neppure la menoma alterazione nella tessitura del colle, che possa farne sospettare il disfacimento ; e qualora non si volesse dire poco onorevolmente, che quel celebre e nobile letterato facesse attor- niare quella fonte da una siepe , è forza conchiudere , eh' essa rice- vesse il primo onore di una custodia nel pozzetto che lo stesso Mo- nari vi fece costruire malavvedutamente nel settembre del 1759; pozzetto che tuttora sussiste, e che da pochi anni addietro era pure munito di un coperchio di legno, probabilmente distrutto dal frequen- te attingere di quell'acqua salata per aspergere il foraggio ai bestiami. 7.° A sinistra di codesta fonte, e distante pochi passi, sorge un' al» tra vena d'acqua, dolce al sapore, ed alquanto fetida all'odorato, che si cominciò ad osservare ed a tenere in conto di medicamento da parecchi anni in qua, e per avventura più di questa, che di quella, si fece da poi uso all'interno. Di questa sorgente, e non della prima, intese parlare il medico e nostro illustre consocio il dottor Anselmo Zava nella Memoria da lui stampata nel 1807, dando all'acqua il titolo di termale , abusalo dallo Stefani, come lo dimostra dall' un canto la descrizione della località, distante un piede da altra sorgen- te dolce e leggiera; e dall'altro la dichiarazione analitica, che qua- ranta libbre di acqua porgano col mezzo della distillazione una dram- ma di polvere bianco-oscura ; né da questa sorgente può aver tolto 349 il nome di salsa la vicina contrada . Ambedue cotali fonti , quali oggi si vedono, io le osservai per la prima volta già sono più di trent' anni. 8.° Per fine, da pochi anni, a destra della sorgente salsa, alla di- stanza di circa 600 metri, e lungo le radici dello stesso colle , si è presa in considerazione un' altra sorgente di acqua meno dolce del- l'altra, e più all'odore solforata, a quanto si può dedurre dai cenni datici sulla di lei composizione dal dotto ed erudito segretario del nostro Ateneo di Treviso il dottor Gaspare Ghirlanda, dal quale sia- mo assicurati altresì, che nel 181 1 fu eseguito uno scavo d'intorno alla stessa sorgente, onde erigervi una vasca. Ma se la vasca poscia costruita è quella che io ho di fresco veduta, essa è propriamente un mal concepito stagnetto, abbandonato all'uso delle lavandaje, da cui lentamente trabocca l' acqua ridondante. Ignoro qual uso medi- cinale siasi fatto di quest'ultima sorgente; e scorgo solamente che, ■posta alla medesima condizione dell'altre due, avrà pure con esse uguale la sorte, finche siano tolte da quel ributtante strapazzo che fin qui si è fatto, e sia lasciato libero il corso alle loro acque, e ne sia disciplinato il loro uso medico. 35o PARTE SECONDA. Sito e stato attuale delle sorgenti minerali di Ceneda. Proprietà fisiche della sorgente salsa, detta di S. Gottardo. i.° Al cominciar della -via che Ceneda da Serravalle divide, ed al- l'estrema inclinazione di quel colle, che forma parte del monte sub- alpino dello Pendolo, alla plaga di nord-est, si apre la fonte salsa, che porge l' acqua il più spesso detta di S. Gottardo per una chiesi- pola rusticana di questo nome, che sovrasta il lato sinistro del colle stesso. Lungi presso quaranta metri da codesta fonte , e nella stessa linea, un poco inferiormente a sinistra, scaturisce l'altra sorgente, detta dolce e solforata ; e la terza sorgente poi dolce e solforata flui- sce in sito alquanto più elevato, ed al nord dello stesso colle , a de- stra della salsa , ed in distanza di circa seicento metri al di sotto del castello. 2.° Il colle ove hanno sede codeste fonti, nel luogo e ne' dintorni di esse ove si discopra, apparisce un vasto, alto ed irregolare am- monticchianiento di ciottolame, di ghiaja e di pietrame a ridosso del monte. La maggior parte di quel materiale è un impasto calcario o arenario di varie tinte, non senza qualche pezzo di focaja talora in- tarsiata di spato cristallizzato, e di qualche gruppo di testacei lapide- fatti, tutto insieme confusamente framisto a terre argillosa e sabbio- sa. Avvi pure qua e là de' grossi massi di calcarla compatta cineric- cia, di spezzatura terrosa. La solida ossatura poi del monte, a qual- unque altezza, là dove a nudo si mostri, trovasi per lo più formata da estesi ammassi di breccia ghiajosa, legata da un cemento calcarlo brutto, di spezzatura arenosa, ma nondimanco consistente abbastanza per fornire pietre da fabbrica. Codesto colle è per la maggior parte vestito da una crosta di terra vegetabile, che ne' siti più ripidi offre de' prali spontanei da fieno e da pascolo, e ne manco declivi o piani de' campi fecondi e dei prosperi vigneti, ove il maro-gelso, il frassi- 35 1 ne, il carpene e l'oppio crescono felicemente. Sul dorso ed alle estre- mità del colle spiccia e scorre in più rivoletti dell'acqua limpida, fresca e dolce, che a luogo a luogo si vede per arte arrestata e rac- colta in fontane per gli usi domestici. 3.° La sorgente detta salsa racchiudesi entro il summentovato poz- zetto, che ha 6 decimetri di diametro, ed è profondo intorno a 16, costruito inferiormente di mattoni senza niun cemento, e termina- to superiormente da una cinta di calcaria di un solo pezzo, sovra- stante il terreno 6 decimetri; entro a codesta specie di deposito mi- nerale cresce all'altezza di 12 decimetri, ed al di fuori per le com- messure lentamente trapela e discende , mantenendo il terreno ba- gnato e molle. 4.0 Quinci a sinistra, come ho detto, in un angolo entrante nel colle osservasi una picciola pozza scavata tra i sassi e la terra, dal cui fon- do esce a riempierla una polla di acqua detta dolce e solforata, sic- come ho potuto osservare mettendola a secco. In quella pozza, e poco sopra al livello della sua acqua, si aprono l'uscita alcune piccole vene di acqua meramente dolce, la quale si rimescola colla minerale, e van- no poi insieme trascorrendo lentamente in un fosso. Al ristagno e me- scolamento di acque in essa sorgente si aggiugne per la sua posizione il soffermo del leccio che discende dal colle, ed il guastarsi di alcune spoglie di piante ch'entro vi cadono. 5.° La terza finalmente a destra, dolce e solforata all'assaggio de* sensi, giace in un picciolo scavo laterale al colle, e consiste in un rozzo bacino formato di pochi sassi e di terra, ove il raccoglimento dell'acqua spesso torbida, per l'uso che se ne fa, nasconde e rende incerta la sua provenienza, intanto che si vede essa blandemente sor- montare e disperdersi. 6.0 L'arresto dell'acqua in tutte e tre le mentovale località occulta la misura della minerale che aver si potrebbe da ciascuna fonte in un determinato spazio di tempo, e lascia altresì in dubbio, se, come in una, così nell'altre due concorra qualche filo di acqua dolce. 7.0 Non sul terreno bagnato dalla fonte salsa , ne all' intorno di essa mi è riuscito di osservare veruna produzione vegetabile critto- gama , o pianta alcuna che sia propria del suolo salso o submarino, ma solo le conferve fontinalis e rivularis di Linneo. 45 352 8.° L'acqua imprigionata di codesta fonte è chiara, ma di aspetto lievemente fosco: rende un moderato odore d'uova fracide, e manda dal suo fondo qualche rara gallozzoletta gazosa. g.° Il termometro immerso in essa fonte, mentre la temperatura atmosferica ascendeva al grado i3.° di Reaumur, discese al 9.0; ed in una seconda osservazione dal 7.0 grado discese al 5.°; e per fine in una terza dall' n.° e mezzo discese all' 3.° Di qua non si può con- chiudere che la temperatura della fonte sia variabile , poiché la di lei acqua non ha libero il corso. io.» Codesta minerale, assaporata sul momento che si trae dalla fonte, riesce moderatamente salsa e nauseosa. Posta in vasi di vetro in qualunque modo otturati, mantiene alla lunga la indicata sua chiarezza, ma presto perde quanto aveva di nauseante. 11.» Ignoro se la fonte posta alla condizione attuale sia soggetta a cambiamenti proprj, o derivali dalle vicende atmosferiche, intanto che qualcuno de' suoi vicini asserisca ch'essa cresca e decresca pe- riodicamente con un rapporto al flusso e riflusso del mare ; fenome- no che, quand' anche fosse avverato, proverebbe bensì che per delle successive comunicazioni esso va a manifestarsi, non mai che l'ac- qua marina entri a far parte di questa fonte. 12.» L'acqua di essa fonte pesa specificamente più dell'acqua stil- lata, come ioo5 a 1000, essendo l'aria a io gradi ■+■ del termome- tro predetto, e la pressione barometrica 27 pollici e dieci linee. 353 Esame ed aitatisi chimica della Fonte di S. Gottardo. i.o Molti sanno che le prime ricerche nell'analisi di una minerale, dopo l'esame de' suoi caratteri fisici, debbono portarci ad osservare quali mutazioni di composizione e quai fenomeni derivino dall'im- piego de' cosi detti reagenti chimici, come quelli che meglio e più sicuramente dirigono l'operatore alla separazione de' suoi componenti. 354 Oh O - CI *** "o 3 & a « e* a 3 .S 93 C ■* -s 2 1 53 P a « 53 •* Ci ZJ s s w 5^ O &H a ,3 S o — o -ci H 2 ^ ** 3 H c- n 3 2 — cT « V o £ ts g « rt u « 2 a £ s £ w *••= cu a ed «jj y u-i «) O 2 £ c2 c § il 8 ° 3 -_ 3 a ai *** o , (fi -r V « 3 cr 0 » « e 3 -- 3 U3 o 3 a- o ■ — w co N •- ~ cn j -« o » -2 "S •- nel8' O" cj « 5 _. ? o '3 E "73 .« o T3 « c . o o ~ v o « 2 « " -o c._ o g .1 -2 •" § § I £ £ £ r: _a o £8 2 «i p n.ju js » ■■ 3 | o _ .. o a— 2 .5.2™ Q n fe E 2 "3 _1 So -a z — -j 3 g g .« & 3 3 -2-3 QT3 GJO- — 1 Zi Oh E o -Q .2 S2 Sns 3 « 33 e OJ u u ■-' .- e co e Ifl R P4 O o 3 Q ■yj ir M CU BJ r. B -3 ai 3 3"S » 5 co o E 3 ■-a »' 0 'E 3 n -3 '5 2 S •= s » w 0 t>. co - a Cu ó *v ;*! o -a a. < a a e M — "5< Oh v 2.° Gli esposti sperimenti manifestano adunque la presenza di due acidi, del solforico cioè e del muriatico, e mettono in forse quella dell'acido carbonico; assicurano inoltre l'esistenza della calce, e fan- no sospettare quella della magnesia; e più poi, che i reattivi, usati senz'altro artifizio che il summentovato , accertano i sensi che la detta minerale sia investita da una sfuggevole e piccola dose di gas idrogeno solforato, e parimente che 1' acido muriatico sia per la mas- sima parte combinato alla soda. 3.° Poste quindi a lenta evaporazione, alla temperatura di 5o a 6o gradi di R., venti libbre di cotest' acqua in vase di vetro, allora solo che fu ridotta alla metà circa apparvero sulla superficie di essa dei minutissimi cristalli terrosi, che lentamente accrebbero e precipita- rono finche l'acqua si ridusse a meno di una sesta parte. Il raffred- damento ripetuto per intervalli non diede luogo a diverse o maggiori cristallizzazioni di quelle che presentate aveva la successiva evapo- razione. Ridotta la minerale a poco più del duodecimo del suo vo- lume, cominciarono a formarsi dei cristalli, ed in fine qualche mag- gior dose di sostanza terrosa. Tutto essendo ridotto ad uno stato concreto, ho proseguito a trattenere la materia sul bagno d'arena, e ad una più alta temperatura, finché i cristalli tutti furono ridotti di trasparenti opachi e polverizzabili. In questo stato la massa otte- nuta pesava ottocento e venti grani, ed era macchiata qua e là di color giallo nerastro, ed odorava leggiermente di caramella. Ridotta in polvere codesta massa salina, e versatevi sopra tre oncie di alcool a gr. 38 dell'areometro di Béaume, di costruzione Bellani, indi trattenuto per breve spazio di tempo ad una lieve calda temperatura, dopo una ripetuta agitazione ho versato col fluido la materia indisciolta su di un feltro, irrorandola a riprese con altret- tanto alcool. 4.° La soluzione alcoolica così ottenuta, posta a lenta distillazione, mentre si accostava alla densità di giulebbe offri alla sua superficie de' minuti cristalli cubici, che si accrebbero in seguito. Giunta presso il disseccamento, la ho ridisciolta con poco alcool, e ne ho sepa- rata la parte cristallizzata, ch'era muriato di soda del peso di gra- ni 40, portandola poscia a totale secchezza; nel quale stato pe- sava 120 grani. Versato su di essa dell'acido solforico diluito, svi- 356 luppò con forte effervescenza un vapore di acido muriatico, rima- nendo in parte confusamente cristallizzata, ed in parte disciolta. La cristallizzata si mostrò per solfato di calce; e la disciolla, ridondante di acido solforico, fu completamente decomposta dall' ossalato di am- moniaca a saturazione : e da ciò fu manifesto essere il sale delique- scente solo muriato di calce. Ho affuso la sostanza inalterata dell' alcool in alcune oncie di acqua stillata fredda, e di nuovo versato colla soluzione anche il residuo concreto attraverso di un feltro, sopravversando ad esso ri- petute picciole dosi d'acqua , ho assoggettata la soluzione a blan- dissima evaporazione a calor di lucerna, per cui ho ottenuto in bei cristalli regolari 640 grani di muriato di soda, e nessun' altra specie di sale. 5.° Il residuo sottratto dall'azione dell'acqua fredda, in peso di gr. 85., sottoposto a quella dell'aceto distillato, venne in parte di- sciolto, presentando il fenomeno di effervescenza. E la soluzione ace- tosa acidula quindi ottenuta, insensibile all' azione del gas ammonia- cale, precipitò intieramente per mezzo dell'ossalato di ammoniaca, a prova che il solo carbonato di calce entra nel composto della no- stra minerale. 6.0 Asciutta la rimanenza della or detta operazione, pesò gr. 60.; e posta questa a bollire in molta acqua stillata colla giunta di poco acido solforico, ribassò 54 grani. La soluzione feltrata ed evaporata diede soltanto del solfato di calce. 7.0 Per fine la materia non disciolta, e rimasta sul feltro, di color nero, e del peso di circa 6 grani, trattata coli' acido muriatico, re- stò inalterata, e si manifestò all'esame per una materia carbonosa. 8.0 Dalle esposte sperienze ne viene, che l'acqua della Fonte salsa di S. Gottardo in Ceneda sia composta per ciascuna libbra prossi- mamente: Di muriato di soda . gr. 34. di calce . gr. 6. Di solfato di calce . gr. 2. f Di carbonato di calce gr. 4- \ e di più sia essa imbrattata di una sostanza vegetabile mucoso- estrattiva. 357 Rivolgendo per ultimo le chimiche ricerche alla determina- zione della quantità della sostanza gazosa solforata che fa parte di quest'acqua minerale, ho tentato in vano di poterne ottenere me- diante l'azione del calorico, intanto che ne è certa l'esistenza. Non mi è neppure riuscito di ottenere l'oscuramento di una scrittura fat- ta coli' acetato acidulo di piombo, chiudendo con questa la ristretta apertura di alcuni vasi che contenevano circa quattro libbre medi- che di quell'acqua, assoggettandoli per qualche ora al bagno-maria. Da simile ed altro tale esperimento si poteva dedurre che la mini- ma quantità della sostanza gazosa era ritenuta con forza dalla massa dell'acqua e de' suoi componenti, e che lo svaporamento di lei se- guiva lentamente così , da occultarne l' azione sua sopra il reatti- vo. E di fatti, volendo pure conoscerne per approssimazione la dose che dà a quell'acqua lo sfuggevole odore d'uova guaste, ho con ri- petute sperienze di confronto trattato dell'acqua comune, unita a poco murialo di soda , mescolandola a minute variate dosi di acqua stillata satura di gas idrogeno solforato, mettendola poscia alla pro- va dell'acetato acido di piombo, per cui sono venuto a capo di ri- levare che mezza dramma dell'acqua solforata, unita a tre libbre di peso medico nostrale di acqua comune , presenta i fenomeni stessi dell'acqua minerale in esame. Su questo dato, ed avuto riguardo allo stato atmosferico nel momento delle sperienze , si può trarne la conseguenza, ch'essa in ogni libbra medica contenga prossimamente 0,006 di decimetro cubico di gas idrogeno solforato. Al presente conviene ricordare, che codesta antica e riputata fonte per la sua incoltura, pel suo salso sapore, e più di tutto pel suo inav- vertilo ristagnamento, che dà occasione al nascere ed al corrompersi de' minuti corpi organizzati, ha dovuto cedere il posto nell'uso di vol- gare medicamento alla di lei vicina fonte a sinistra, non salata di gu- sto, e di più sensibile odore di uova guaste. Così, superata quella dalla riputazione di questa, dispiegossi pur anche il patrio zelo a favorirla, ed ultimamente s' intraprese a disgombrarla ed a separarla da qual- che polla di dolce inodorosa che vi confluiva, e si sta tuttora innal- zando una ben intesa custodia , che la preservi da qualunque este- riore impurità, le dia libero il corso, e la ponga in istato di essere dispensata regolarmente. Anche di questa, come della terza, mi prò- 358 pongo di render conto nella seconda parte di questo scritto, in cui alla conoscenza chimica della loro composizione farò seguire la espo- sizione delle osservazioni fatte sul loro uso medico, e di quanto mi riuscirà di tentare per distinguere di ciascuna la misura del getto d'acqua. '% COSA DEGGIA CERCARE IL POLITICO NELLA STORIA DEI POPOLI. MEMORIA DEL PROF. GIACOMO GIULIANI LETTA NELLA SESSIONE DEL DI XVII. GENNAJO MDCCCXXir. JLia storia dei popoli e delle nazioni è una sorgente ricchissima di lumi, di esempj e di verità; è una scuola parlante di quanto si è fatto ed è accaduto nell' immenso cerchio dei secoli , e di ciò che si dee fare e che può accadere negli spazj indefinibili dell'avvenire, mentre questa, dice Ferrand nelle sue lettere sullo spirito della sto- ria, lega ed unisce mirabilmente il passato al presente, ed il pre- sente al futuro. Il quale sublime pensamento si trova nel divino scrittore dell'Ecclesiaste, dove si legge: Quid est quod fuit? Ipsum quod juturum est — quod factum est], ipsum permanet; quae futura suntjjam fueruntj et Deus instaurai quod abiit. Per lo che non fuvvi scrittore, non filosofo, che non abbia rav- visato nella storia un tesoro di utili cognizioni, il compendio del sa- pere, fondato sulla osservazione, la maestra della vita, il sostegno della prudenza. Però con sottile accorgimento scrisse Tullio: nescire quid antea quam natus sis accideritj id est semper esse piterum. De Oratore. Quindi venne mai sempre raccomandato lo studio della storia e come necessaria ad ampliare le proprie conoscenze, a rettificarle sco- prendo gli errori degli altri, e come utile a formare il cuore, ed al- l'acquisto della saviezza umana. Ma in modo singolare poi la si vuole necessaria, utile e ricca di vantaggi alla politica, alla legislazione, e però ai Principi ed agli uomini di Stato. Boeclero intitolò la storia la vera scuola dei Prin- 46 3Go cipi e dei Governi. Bosio nella sua introduzione alla politica, dove parla de comparartela prudentia civili _, la chiama guida e sostegno dei politici; il Barone di Bielfeld, Beausobre, Mably, Ferrand con altri veggono nella storia il più solido fondamento della scienza politica, non che dell'arte di governare. Nel qual pensamento sebbene tutti non sieno di parere concorde, facendo alcuni problema, se sieno maggiori i beni od i mali che può sentirne l'arte politica, associandola in troppo stretta alleanza alla storia delle nazioni quando la si voglia applicare agli Stati presenti, attese le ributtanti stravaganze che in essa s'incontrano, gli errori che vi si leggono, e considerata la distanza immensa dei tempi che divide i popoli antichi dai moderni; nullameno siamo nella persua- sione di accomodarci alla opinione dei molti e dei più , i quali in- segnano che la storia dei popoli torni di sommo vantaggio alle po- litiche discipline, non che agli uomini di Stato. Abbiasi pure ciò co- me una verità certa e luminosamente provata. Ma affinchè la storia sia nel fatto di giovamento alla politica, o la si consideri come scien- za o come arte, cosa deve cercare in essa il politico? Eccovi, illu- stri dottissimi Accademici, il soggetto di poche e brevi riflessioni. Sia che si scriva sopra materie di politica , sia che leggi ai po- poli si dettino, sia che si assista col consiglio e coli' opera ai reggi- tori delle nazioni, sia che si governi, chiunque si presti al disimpe- gno di sì nobili gelosissime funzioni, col nome di Politico lo si suole chiamare. Il quale politico, se ha di mestieri di consultare la storia delle passate generazioni, affinchè lo studio di questa gli torni di vero giovamento, e vantaggiosa ridondi alla scienza sua, cosa dovrà cercare in essa? Vi cercherà egli la nuda conoscenza dei fatti e delle molte vicende , a cui soggiacquero le diverse nazioni? Si acconten- terà egli di scorrere colla rapidità del pensiero sulla immensa catena degli avvenimenti che strepito menarono? I diversi Governi e loro for- me, le leggi, le istituzioni, le provvidenze dei legislatori formeran- no forse il soggetto di tutti i suoi studj ? Conoscere la origine degli imperj e delle repubbliebe, la genealogia dei Principi, lo spirito delle 36 1 Corti, il loro ceremoniale ; conoscere materialmente gli usi e le manie- re dei diversi popoli, lo stato della loro agricoltura, delle arti e del commercio, non che le risorse economiche, i mezzi di forza e di azione loro, sarà forse la occupazione del vero politico e dell'uomo di Stalo che legge la storia? Male certamente si avviserebbe chiunque portasse parere che a queste sole notizie dovesse arrestarsi il politico nella lezione delle storie per averne utilità nel governo dei popoli. Cognizioni tali o po- co o nulla gioverebbero per acquistare la civile prudenza, ossia l'arte di condurre le società politiche alla felicità, colla scorta degli esem- pj delle nazioni che ci precedettero. Di fatti se queste semplici no- tizie storico-politiche bastare potessero a si grand' uopo, siccome sa- rebbero a portata della corrente degli uomini capaci a leggere la sto- ria, perciò tutti con questa guida potrebbero divenire politici e le- gislatori, tutti contribuir potrebbero colle loro letture a perfezionare tanto la scienza, che l'arte di reggere gli Stati. Ma ciò essendo un vero paradosso, siamo nella ferma sentenza, che altre conoscenze più elevate deggiano impegnare l'attenzione del politico, occupato nella lezione della storia, se vuole egli utilmente applicarla al pra- tico reggimento dei popoli e degli Stati. II. Quello che pria dee cercarsi nella storia delle nazioni è di cono- scere lo spirito generale delle medesime. Il quale spirito si appale- sa, come la pensa Montesquieu, nell'insieme delle idee, dei princi- pi, dei sentimenti, degl'interessi, delle opinioni e del carattere di un popolo, non che nelle mire , vedute e massime del Governo a cui obbedisce. Più cose, scrive egli, governano gli uomini, il clima, la religione, le leggi, le massime, gli esempj del passato, le maniere ed i costumi; dal che si forma quello che dicesi spirito generale delle nazioni. Ora, mancando della conoscenza di questo spirito generalej tutte le altre notizie storiche sulla situazione politica di un dato po- polo sarebbero aride e sterili, riguardo al politico, per gli utili e pra- tici effetti che dovrebbe attenderne ; poiché siccome le diverse isti- tuzioni, leggi ed operazioni dei Governi, quando non sieno state figlie Ó02 del caso, o di una forza cieca ed imperante, vennero dettate dalla qualità degl'interessi delle civili società, suggerite furono dai parti- colari bisogni dei diversi Stati, attemperate furono al volubile can- giarsi delle opinioni e delle usanze dominanti, non che spesso eb- bero radice nelle vedute e fini politici dei legislatori; perciò di que- ste istituzioni , leggi ed operazioni non si potrebbe mai né dar ra- gione, ne valutarne la convenienza loro, ne calcolarne la efficacia, ne vederne i rapporti coli' ordine delle cose passate e presenti per la più utile applicazione, quando non si abbia conosciuto lo spirito ge- nerale di quelle nazioni, di cui si percorre la storia. Siccome, scrive Bentam, sarebbe un pessimo ragionamento in po- litica ed in legislazione quello che ci portasse a fare una cosa per Ja sola ragione che ciò venne ancora fatta , od a non farla perchè ciò fu fatto in altri tempi, in altri luoghi e da altri popoli; così sa- rebbe cosa imprudente il fare una cosa sull'esempio delle passate eta- di e nazioni, senza conoscere le ragioni e cause finali del fatto o non fatto, e senza porsi a giorno dei principj dominanti che possono aver guidati i legislatori a fare o non fare una cosa , in vista della posi- zione diversa delle nazioni stesse. Egli è certo che molti sono gli elementi che servono a darci conto di quello che nel corso dei se- coli fecero i Governi, o che inclinarono più o meno facilmente a fa- re o non fare i popoli; ma egli è ugualmente certo che ciascuna na- zione sente la forza prevalente piuttosto di un principio che di un altro; il quale principio prevalente modifica più o meno l'attitudine delle nazioni, dà loro una particolare fisonomia e carattere, in quanto a leggi, istituzioni ed energia. Così, osserva il gran Montesquieu, il clima e l'istinto prevalgo- no sui popoli selvaggi, o che non sono soggetti ad un potere poli- tico ; le maniere e le usanze sono il principio prevalente che opera sui Chinesi; le leggi influiscono potentemente, a preferenza di ogni altro principio, sui Giapponesi; un tempo i costumi dominavano, più che le leggi, sul cuore degli Spartani; le massime del governo ed i costumi erano il principio prevalente dei Romani. Il quale principio prevalente si confondeva colle idee, coi sentimenti, colle abitudini, e colla condotta di chi governava ed era governato; si appalesava nelle imprese, nei cimenti, nel nobile ardire dei difensori dello Stato; 363 formava anzi la vitalità politica di tutte le parti dei diversi corpi a società civili che ci hanno preceduti nel corso dei secoli. Dalle quali cose ne consegue una verità luminosa, ed è : che sen- za avere pria conosciuto lo spirito generale di una nazione, e quindi i diversi principj che la facevano agire, non che quali fossero quei che prevalevano , non si potrà ne vedere le ragioni delle sue leggi e delle sue istituzioni, ne dar conto di esse, né conoscere il rapporto di queste coli' oggetto per cui furon fatte, ne il loro legame col pas- sato, col presente e col futuro, attesoché esse sono il risultato dello spirito generale delle diverse nazioni^, Qual conto si darà di quelle leggi ateniesi che proibivano di te- stare; che vietavano alla stessa persona di succedere a due eredità; che proibivano di sposare una sorella uterina, e non la consangui- nea; che prescrivevano al padre, che avea più figliuoli, di sceglierne uno per succedere alla sua porzione, e consegnasse gli altri all'ado- zione di qualcheduno che prole non avesse? Perchè una legge di Li- curgo interdiceva severamente le doti? Perchè a Cuma la legge abi- litava, contro il senso di natura, gli stessi parenti all'odioso uffizio di accusatore? Perchè Zaleuco fece la strana legge, che le donne non potessero sortire nelle ore notturne dalla città, se non per fornicare; che non portassero oro, argento e ricami sulle loro vesti, se non erano dichiarate pubbliche meretrici; e che gli uomini portare non potes- sero frangie e galloni, se non per andare a visitare i postriboli? Per- chè ai tempi di Catone permettevano le leggi romane che venisse ad altri imprestata la propria moglie, come ci viene narrato che que- sti l'avesse imprestata ad Ortensio, per testimonianza di Plutarco? Perchè finalmente le leggi egiziane permettevano di sposare le pro- prie sorelle, e quelle degli Assirj e dei Persiani abilitavano al ma- trimonio tra figlio e madre? Come spiegherà il politico l'indole e lo scopo di queste leggi, quando non abbia conosciuto lo spirito dei tempi in cui nacquero, e delle nazioni che le venerarono? Quali conseguenze pratiche e quali regole legislative ne trarrà egli, appli- cabili ai tempi presenti, quando si limiti alla nuda storia di quei popoli, e non allo spirito generale dei medesimi? Quali utili confronti potrà egli fare tra leggi ed istituzioni di tanti popoli diversi che han- no corso il loro periodo politico, e tra le leggi ed istituzioni dei pò- poli e Stati esistenti? Nessun utile confronto, nessuna ragionevole ap- plicazione. Della quale Terità si mostrò evidentemente convinto Montesquieu, il quale , per conoscere e determinare col mezzo della storia ciò che in legislazione si dee pensare, fare ed operare, da ciò che si è fat- to un tempo, non si arrestò al solo quadro storico delle leggi di tanti popoli conosciuti, ma risalì egli ai principj che originarono queste leg- gi, ne esplorò i loro rapporti coli' ordine delle cose stabilito, ne in- dagò gli effetti, ne spiegò la loro convenienza politica, partendo dal- lo spirito generale delle nazioni. III. Che se conoscere lo spirito generale delle nazioni è la prima cosa che dee cercare il politico nella storia , onde gli torni di vero gio- vamento; il conoscere poi la influenza delle leggi dei diversi popoli sui loro costumi, dei costumi sulle loro leggi, e la influenza di que- ste e di quelli sulla felicità nazionale, è la seconda cosa ch'egli dee cercare nei fasti dei Governi e delle civili società. Senza della quale notizia, dice Ferrand, sparirebbe ogni vantaggio che il politico può avere dalla storia. Ora che ogni nazione, qualunque sia il suo stato politico, abbia dei costumi e delle usanze sue proprie, fondate que- ste sui primitivi bisogni, sulle opinioni, o vere o false, trasformate in abitudini sociali , è questo un fatto innegabile; che questi costu- mi ed usanze diversifichino nelle nazioni secondo il grado di loro ci- vilizzazione, la diversa forma di governo, i principj ed opinioni dif- ferenti, non che secondo la diversa attitudine fisica e morale degli abitanti, anche questo è un fatto che testificano gli annali politici; che questi costumi ed usanze nazionali poi influiscano sulle leggi dei diversi Stati, e queste sui costumi e sulle usanze dei medesimi, questa è una verità che sentirono gli antichi, e che i moderni scrit- tori di politica dimostrarono. La influenza dei costumi sulle leggi la si manifesta e nella forza ed efficacia che queste da quelli ricevono, e nella facilità con cui vengono queste osservate dove buoni sono i costumi, e nell'indebo- limento delle medesime , derivante dalla opposizione loro coi co- slumi e colle usanze. Qual forza non ha la legge, dove il costume inspira vergogna pel /lplittn, Jovo l'onore solleva l'anima ad azioni nobili e virtuose? Finche i costumi dominavano in Roma, il privare un cavaliere del suo anello e del suo cavallo, il chiudere l'ingresso del senato ad un senatore , il fare inscrivere un cittadino in una tribù meno onorata di quella a cui era ascritto, bastava a tenere lontani molli di quei delitti che in altri tempi meno felici la cor- ruzione avea moltiplicati tra i suoi cittadini. Quale prova della in- fluenza dei costumi sulle leggi! In tanta persuasione è venuto que- sto principio, che i politici della maggiore rinomanza nella decaden- za dei costumi videro la decadenza delle leggi, il loro disprezzo, e. totale indebolimento. Ciò posto nella piena luce, chi non compren- de che il politico non potrà mai ben valutare la legislazione dei po- poli, rilevarne lo spirito, bilanciarne gli effetti e la forza, quando non abbia egli studiato i costumi loro, e non sia a giorno della in- fluenza di questi sulle leggi dei medesimi? Parimente è certo che le le»gi a vicenda influiscono sui costumi e DO sulle usanze nazionali. Sebbene sia vero che quelli e queste non pos- sano soggiacere immediatamente all'impero della Autorità,, né si pos- sano formare coi soli precetti e col comando, coni' ebbe a sperimen- tare Pietro il Grande quando volle incivilire la sua nazione, e come insegnò Montesquieu; nullameno è fuori di questione, che le leggi esercitano un grado di forza e di azione sui costumi e sulle usanze. La quale verità venne conosciuta dallo Schimid, ed illustrata dal- l'autore dello Spirito delle leggi. È vero che i costumi e le usanze sono l'effetto del tempo, che seguono il lento sviluppo dei bisogni e dei gusti, che dipendono dalle diverse qualità fìsiche e morali de- gli abitanti, che derivano dalle opinioni che insensibilmente si ge- nerano nella nazione, in quanto queste si unificano cogli atti e colle abitudini, una cosa sola formando. Ma è altresì vero che le opinioni hanno radice nella educazione, sia questa o privata o pubblica, della natura o dell'arte. La quale educazione in un modo più o meno dispiegato sente il magistero delle leggi, riceve da esse impulso, vigore e vita; muove e dirige la mente, il cuore, le passioni a seconda dell'interesse pubblico per l'opera delle leggi; quindi dunque la loro influenza sui costumi e 366 sulle usanze non è dubbia, ne equivoca. Tanto meno può esserlo, allorché si consideri che le leggi p»Moni> lbniampntR correggere, mo- dificare e rettificare le opinioni, piegandole dolcemente allo scopo politico; possono molte formarne, quando si sappia prudentemente dirigere lo spirito pubblico. Anzi si osserva che spesse volte molle leggi sono la conseguenza dei costumi e delle usanze dominanti, e che a queste sono attemperate, con esse confuse ed immedesimate, e però spesso la legge si prende pel costume, e questo per la legge. Dalla quale combinazione ed armonia delle leggi coi costumi e colle usanze, dalla prudenza politica operata, ne risultano i più felici ef- fetti, e si appalesa la forza e somma efficacia delle leggi. Se lo scopo pertanto del politico nello studio della storia dei po- poli dee essere quello di scoprire e conoscere la bontà e convenien- za delle loro leggi, d'onde trassero la loro forza, quali salutari ef- fetti produssero, onde dal fatto argomentare, in parità di circostan- ze, ciò che far si debba e convenga; sarà fuori di dubbio che l'oc- chio spinger egli dovrà fino alla cognizione dei costumi e delle usan- ze non solo dei diversi popoli , ma della reciproca influenza di que- ste e di quelli sulle loro leggi, e della influenza di queste sui Joro costumi ed usanze. Il che tanto più dee stare a cuore del politico, quando si con- sideri che leggi e costumi ed usanze sono tre elementi che prodigio- samente influiscono sulla forza delle nazioni, sulla loro attitudine morale e fisica, sullo stato loro economico, sulla loro potenza e di- fesa, sulla loro elevazione, e quindi sulla loro sicurezza, ricchez- za, felicità e prosperità. Che se ciò è vero, com'è verissimo, qual giudizio potrà fare un politico sul grado di felicità degli Stati diversi , quando non risalga a quei principj che sono i mezzi operosi con cui la felicità nazionale si ottiene, e non calcoli la influenza dei medesimi su tutti gli oggetti che possono averla formata ? Quali utili e fondate deduzioni potrà egli fare, applicabili alla situazione presente degli Stati, ai loro veri bisogni ed interessi, quando gli manchino i dati positivi di un cal- colo ragionalo? E questi dati dove li rinverrà, se non nella cono- scenza dei costumi , delle usanze e delle leggi, e nella loro influenza sulla felicità delle nazioni passate? 367 IV Ma qui non può arrestarsi la prudente curiosità del politico, on- de coglier frutto dallo studio della storia, e farla scuola di utili ve- rità per l'arte di governare. Perciò, dopo d'aver egli conosciuto lo spirito generale delle diverse nazioni, e di avere calcolata l'influen- za dei loro costumi sulle leggi , la influenza di queste su quelli , e di queste e di quelli sul ben essere delle medesime, deve portare la sua attenzione sui grandi cambiamenti delle civili società, sieno o morali j o politici:, o religiosi . I quali cambiamenti non dee il po- litico storicamente soltanto conoscere, ma vederli nelle loro cause e nei loro effetti; cambiamenti, i quali possono essere stati o l'opera della necessità dei tempi, od il risultato di straordinarie imprevedute innocenti combinazioni , o fruito detestevole della iniquità e della in- quieta insubordinazione. Quale immenso campo di ricerche sublimi ed interessanti non si apre qui allo spirito il più vasto di un uomo di Stato! E qui (parlando dell'ultima specie di cambiamenti) dove egli dee ravvicinare tutti gli elementi di forza che possono avere agito, tutti i principj morali, tutti gl'interessi o palesi o coperti, tutte le vec- chie abitudini poste a cozzo colle nuove riforme ; è qui dove dee egli porsi dinanzi agli occhi le tante macchine messe in movimento da trame occulte, da iniqui progetti, da sottili intrighi, da passioni ardite, da vedute ambiziose, onde operare de' rei cambiamenti negli Stati; macchine queste più o meno attive, secondo l'indole dei po- poli, l'entusiasmo che dominavali, i lumi ch'erano sparsi, non che secondo le opinioni che signoreggiavanli, e la qualità dei Governi e delle leggi a cui obbedivano. Interessi pubblici e privali; interessi dei singoli, dei corpi e degli ordini diversi degli Stati; principj po- litici e religiosi di questi corpi e di questi ordini, loro forza, privi- legi, ricchezza, ed influenza sulla massa della nazione, sono notizie tutte che dee cercare il politico nella storia, se vuol egli dar conto di tante mutazioni che trasformarono gl'imperj e le repubbliche. Questa medesima strada fu battuta da Aristotele, il quale nel libro quinto della sua Politica^ parlando delle diverse mutazioni dei Go- 47 verni e degli Stati, anziché cercarne le origini e.le cagioni nelle con- getture, nelle ipolesi, ed in alcuni sottili ingegnosi ragionamenti, le cerca egli nella storia delle nazioni allora cognite, arrestando soprat- tutto lo sguardo sulle greche città e repubbliche. Siccome queste passarono attraverso alle più disastrose metamorfosi politiche, ope- rate dal fermento di menci agitate, di passioni ardenti, ed alimen- tate da straordinarie combinazioni, perciò mostrossi Aristotele tutto intento a discoprirne i principj e a descriverne le cause, appoggiato alle notizie di fatto, onde trarne regole pratiche di politica gover- nativa, applicabili queste alle diverse situazioni degli Stati ch'esiste- vano a' suoi tempi, e ch'esistere dovevano nel ravvolgimento dei se- coli e nel rapido corso delle umane generazioni. Per meglio poi scoprire le cagioni che operarono tali mutazioni o nella parte morale e politica _, o nella parte religiosa delle civili società, conviene ancora indagare ciò che dee attribuirsi alla pru- denza od all'azzardo, al coraggio od alla fortuna, al consiglio od alla sorpresa, alla opinione od alla forza, alle virtù patrie od a vili interessi, al valore od al tradimento, alle combinazioni od alla sa- pienza dei legislatori . Tutti questi diversi principj di azione più o meno vigorosi, influendo sui diversi passaggi che più o meno len- tamente fanno le nazioni, non possono essere indifferenti al politi- co, il quale, svolgendo la storia di queste, voglia dar ragione delle vicissitudini a cui soggiacquero. S'egli non mette a calcolo tutti questi diversi elementi di azio- ne e reazione; se non porta attento lo sguardo sopra gli svariati or- digni del meccanismo sociale, e sopra tutti gli accidenti e le com- binazioni, per cui nel corso dei secoli si operarono le tante meta- morfosi delle repubbliche e degli Stati ; di quale utilità pratica può essergli la storia dei popoli , onde averne massime di prudenza go- vernativa ? Che importa ch'egli sappia che tanti piccoli regni diven- nero vasti imperj ; che vasti imperj o tramontarono, o vita diedero a novelle rinascenti repubbliche; che repubbliche celebri o per va- lore o per virtù rovinarono, facendo sorgere sulle loro rovine robu- ste e potenti monarchie ? Che importa che il politico sappia che na- zioni barbare o semibarbare soggiogarono popoli colti ed inciviliti , e popoli altre volte civilizzati abbiano vinti e soggiogati popoli bar- 369 bari; che popoli rozzi e barbari sieusi elevali a coltura ed allo sta- to di civilizzazione, nel mentre che popoli inciviliti nella barbarie precipitarono? Che importa ch'egli segua col pensiero i differenti passaggi che fecero tanti regni, i quali dalla povertà salirono alla ricchezza, dalla semplicità al lusso più raffinato ed opulento, dalla schiavitù alla civile libertà, dalla dormigliosa inerzia al travaglio ope- roso, dalla ignoranza al sapere, dalla debolezza alla potenza? Che importa ch'egli conosca tutti questi avvenimenti, quando non vi tro- vi le cagioni o prossime o remote che li prepararono e li fecer na- scere; quando non vegga i principj di azione che li promossero, e le combinazioni che li precedettero, o li facilitarono? Se non si af- ferrano tutte le fila, tutti gli anelli che legano ed uniscono i fatti alle loro cause, quale utilità può trarre il politico dalla storia dei popoli ? Diverrebbe questa una sterile lettura , e forse dannosa al medesimo, in quanto o lo abbaglierà colla descrizione di cose stre- pitose, e facili ad esaltare la testa di chi legge; o lo sedurrà a fab- bricare progetti arditi ed imprudenti di riforme, di conquiste, d'in- grandimento; o lo trascinerà a meditare imprese temerarie e rovi- nose ; o lo porterà a dei calcoli falsi e pericolosi, a deduzioni equi- voche, a ragionamenti fallaci, ad applicazioni mal combinate ed in- concludenti. Quante non possono essere state le cause delle mutazioni a cui soggiacquero le repubbliche e gl'imperj! Altre di queste mutazioni operate furono dal tempo, altre dal corso naturale delle cose, e dalla imperiosa legge della perfettibilità umana: ve ne furono di quelle operate dall'uomo animalo dal solo interesse del bene sociale \, e gui- dato dalla virtù, dal consiglio, dalla prudenza, e dall'amore dell'or- dine; ve ne furono di quelle promosse ed operale dalla sapienza dei Governi, e queste o lentamente e per gradi, o celeramente e con so- verchia precipitazione. Altri di questi cambiamenti derivarono dalla smania irrequieta d'innovazione, e di riforme fomentate dal chime- rico sistema dell'ottimismo politico; altri procedettero dallo spirito torbido e malefico di partito, d'insubordinazione, riscaldato da false opinioni, da ardente fanatismo, da demagogiche dottrine; altri tras- sero origine da mere passioni, da vedute ambiziose, da bassi inte- ressi di turpe avidità , da folli speranze di fortunare sulle calamità dei popoli; ed altri ebbero origine da combinazioni accidentali né prevedute, ne meditate. I quali cambiamenti , che farsi od accadere sogliono negli Stati, o sono generali o parziali, in quanto che affettano tutta la nazio- ne , od alcuni oggetti e parti di essa ; o sono morali , in quanto modificano lo stato morale della nazione, rispetto ai lumi, alle dottri- ne, al costume, alle usanze ed alle maniere; o sono politici, in quan- to modificano le leggi organiche, le istituzioni, la legislazione, l'am- ministrazione degli Stati; o sono religiosi, in quanto si riferiscono a credenza, a culto, a dogmi e dottrine spettanti alla religione adottata. Fissando pertanto lo sguardo il politico su queste diverse specie di cambiamenti, e pel modo con cui furono nati, e per le Cause che li generarono, potrà facilmente dar conto degli effetti diversi che li accompagnarono, e dei beni e mali che per essi i popoli ne senti- rono . Vedrà egli allora perchè alcuni cambiamenti esposero fatal- mente le nazioni a guerre civili, a odj privati, a depredazioni, a saccheggi, ed alle più luttuose calamità; perchè alcuni altri abbia- no partorito il disordine , e con questo siensi manifestati i più de- testabili eccessi e i più neri delitti in seno all' anarchia. Troverà al contrario il politico, che frutto di molti altri .cam- biamenti furono i lumi, le arti, le scienze, l'attività, la coltura e le ricchezze; fruito di alcuni altri furono le nobili virtù, il corag- gio, il valore, l'impero delle leggi, e la solidità dei Governi; frutto di alcuni altri furono le più estese relazioni commerciali, i progressi della navigazione, il perfezionamento della nautica, della marina, del sistema militare, e di molte politiche istituzioni. Giudicherà quindi il politico con sicurezza, dalla storia istrutto, quali furono i cam- biamenti utili e salutari, e quali i funesti e perniciosi, perchè fu- rono utili o perniciosi, e come si possano promuovere quelli, e pre- venire ed allontanare questi; conoscerà egli per tal modo l'arcano meccanismo delle grandi masse dei Corpi politici, i loro urli ed at- triti, il loro muoversi ed agitarsi, le loro cadute e trasformazioni; ■conoscerà i principj di azione che li muovono, li agitano, li para- lizzano , penetrando nelle cause che tante volte cambiarono la fac- cia dell'orbe politico. Quali regole di prudenza civile, quali norme pratiche di sapienza politica non potrà egli trarre da si importanti avvenimenti, studiati nelle loro cagioni e nei loro effetti? E appunto questo il frutto cbe dee raccorre il politico dallo stu- dio della storia dei popoli e degl'imperj. In questa dee egli cercare le massime , i principi ed il sostegno delle misure e provvidenze che si rendono necessarie nella diversità dei casi a coloro che o co- mandano, od amministrano gl'interessi dello Stato. Tutto ciò che in questa s'incontra o di grande e di eroico, o di basso e di turpe, o di bene o di male, può tornare a somma utilità della scienza di go- vernare i popoli, qualunque volta si sappia tutto rapportare alle sue cagioni, a'suoi effetti, ed usando con accorgimento della legge di analogia, si discenda a quelle pratiche conclusioni che possono ren- dere applicabili molte verità del passato alla situazione dei presenti. VI. La storia dunque, che può tornare a giovamento del politico fin xh'egli scriva o che governi in fatto, non può essere una semplice congerie di fatti, una serie di avvenimenti, un nudo quadro di quan- to si fece e si operò o dal caso, o dall'uomo, o dalla fortuna, o dal sapere; ma dee essere la scienza di ciò che si fece ed operò, del modo con cui si fece ed operò , delle cagioni per cui si ha dovuto fare ed operare, degli effetti che ne seguirono dal fatto ed operalo. La storia pel politico dee essere la scienza delle civili società , considerate nel loro rapporto col tempo, coi fatti, colle passioni de- gli uomini, colle loro opinioni, usi ed abitudini; la scienza dee es- sere che lega e ravvicina il passato al presente ed al futuro, in quan- to il passato è l'annunzio dell'avvenire, ed il presente partecipa del passato che fugge, non che del futuro che nasce; passato, presente e futuro che dee il politico mettere co' suoi calcoli in armonia ed in alleanza perfetta, in quanto le istituzioni dei tempi e Governi tra- scorsi servano di base e di sostegno del presente , ed il sapere dei legislatori, che hanno finito di esistere, divenga norma a quei che esistono e saranno. 372 Ma norma non assoluta e cieca , ma eli analogia e comparazio- ne ; non generale e costante , ma pieghevole ai casi simili, applica- bile a quegli oggetti che sono a contatto del passato; norma perciò attemperata alle diverse situazioni degli Stati ora esistenti, e quindi compatibile con tutte quelle differenze che si appalesano tra i tem- pi e Governi passati, ed i tempi e Governi presenti. Le quali diffe- renze dividendo i tanti regni, imperj e repubbliche che hanno esi- stito, e non solo contraddistinguendole tra loro, ma dai regni, im- perj e repubbliche ora esistenti, dee però tutte conoscerle il poli- tico , onde vedere ciò che del passato sia applicabile al presente . Dee quindi conoscere egli e cercare finalmente la primitiva ori- gine dei diversi popoli che hanno esistito e che esistono, e per quali combinazioni passarono dallo stato d' indipendenza a quello di civile aggregazione; quali furono le prime loro istituzioni e leggi, e come nacquero, se dal bisogno o dal caso, se per la forza dell'uso e delle abitudini, o se pel magistero dell'opinione o del potere; dee egli conoscere il rapporto di queste leggi ed istituzioni coli' indole e ge- nio di codesti popoli, e la loro debolezza, e se procedente questa dalla reazione di quelle coi veri interessi del corpo sociale; i pas- saggi più o meno lenti delle nazioni, il grado diverso di loro civi- lizzazione, i principi morali politici e religiosi da cui furono gui- dale nelle loro imprese; ciò che o timide le rese od ardite, o de- boli o potenti, o grandi e formidabili, o disprezzate; per quali vie salirono a fama , a gloria ed a potere , e per quali a ricchezze per- vennero dee il politico conoscere; in una parola, cercherà egli nella storia tutto ciò che formò la forza, l'azione e la vita più o meno prospera, più o meno ridente e lunga degli Stati, e ciò che ha con- tribuito al loro indebolimento, decadenza e rovina. Le quali cose tutte dee aver presenti il politico, come dati sicuri e positivi, su cui fondare i suoi confronti, i suoi ragionamenti e deduzioni, onde bi- lanciare e conchiudere dal fatto ciò che fare si può, ciò che far non si dee, e ciò che al già fatto sostituire si dovrebbe, onde migliorare la sorte dei presenti colla face del passato, preparando in tal modo destini più felici per l'avvenire. 373 SAGGIO SULL'ARTE DI COSTRUIRE LE GRANDI LATRINE AD USO COMUNE PER CASERME, CASE DI RICOVERO E DI FORZA, PRIGIONI, SPEDALI, E CONSIMILI STABILIMENTI, DOVE NON POTENDOSI FAR ISCORRERE DI SOTTO UN CANALE DI ACQUA, NON ISPANDANO TUTTAVIA MAL ODORE. MEMORIA DEL CAV. ANTON-CLAUDIO GALATEO LETTA NELLA SESSIONE DEL DI XXVI GIUGNO MDCCCXXIII. ffil desperandum .... Hor. ^e oggetto nobile e grande fu mai sempre quello che tende al pubblico bene, non sarà certamente schifoso e vile l'argomento di una grande latrina comune, della cui sana costruzione tratta questa breve Memoria. L'esperienza, ognora costante, fa pur troppo sentire quanto que- sta parte di una grande fabbrica ad uso di comunità sia per sé me- desima interessantissima, e come a grave torto venga quasi intiera- mente negletta. Per convincersene basta entrare in qualcuno di questi stabilimenti, e penetrare sino ai loro luoghi-comodi. Non vi sarà chi non ne sia ributtato dal soffocante puzzo che ammorba l'aria d'intor- no, e dall'aspetto di fetide sozzure, delle quali sono imbrattati e guasti i muri, i pavimenti e i sedili. D'altronde se si rifletta che da questo principio soglionsi sviluppare bene spesso delle pericolose ma- lattie in quegl' infelici, ai quali tocca di respirare lungamente così pestilenziale miasma, fa in verità raccapriccio. Egli è però da sì commovente prospettiva che, scossa non ha guari umanità, ha impiegati alcuni abili architetti a praticare dei tentativi, onde rinvenire e fissare delle regole certe ed invariabili, secondo le quali potesse l' artista-muratore fabbricare delle latrine-coiuupi che, 374 essendo comode a coloro che usar ne devono, non rendessero poi al- cun inai odore nel vicino abitato. Ma disgraziatamente i risultati non hanno sino a qui corrisposto che assai di leggieri alle benefiche loro mire (0. Pertanto, sebbene io mi sappia qual sia la pochezza de' miei ta- lenti, e quale ginepraio spinosissimo di difficoltà mi si pari d' innanzi nelT intraprendere ad agitare questo soggetto; tuttavia, indotto da quella filantropìa che pur animar dovrebbe gli uomini tutti a van- taggio dei loro simili, di buon grado mi accingo all'opera, nella lu- singa che un cosi retto motivo varrà ad ottenermi grazia presso ai più severi censori sui molli difetti ch'eglino sapranno scorgere in que- sto mio semplice Saggio. PARTE I. Regole generali da osservarsi nella costruzione delle grandi latrine comuni, e colpo d' occhio sullo stato delle presenti. In architettura, che è Y arte di edificare con sicura scienza , tre sono le condizioni che aver deve una fabbrica , affinchè ella possa chiamarsi compita. Sono esse : bellezza, comodità, e solidità. Nella co- struzione dunque di qualsivoglia edifizio, spezialmente se sia pubbli- co, tutti questi requisiti hanno ad esservi rigorosamente osservati, se- condo la convenienza e l'uso a cui egli è destinato. Quindi in una ca- serma, in uno spedale, in una casa di ricovero ec. la bellezza vi com- parirà modesta e soda; la comodità dovrà trovarsi in ogni sua parte; e la solidità vi sarà con profusione impiegata, sia per la massa e qua- lità dei materiali che la compongono, sia per la esecuzione dotta ed accurata nel combinarli insieme. Le grandi latrine ad uso comune in questa sorta di stabilimenti essendo parti integranti dei medesimi, soggiacciono esse pure alle (i) Vedi Tenon, Mémoires sur les Uòpi- Paris, au paragraphe Lairines, p. 206 et sniv. taux de Paris. 4 me Méraoirc. — Déscription — Howard, Etat des prìsons eie. de la maison des malades de l' Hòtel-Dieu de 375 sunnominate condizioni. Tuttavia, come soglionsi occultare possibil- mente alla vista dell'osservatore, così non abbisognano di bellezza, se non se nello straordinario caso, che per la loro posizione debbano formare accordo coll'ornato della fabbrica ; nella qual circostanza sarà dell'avvedutezza ed abilità dell'architetto di mascherarle in guisa, che non iscoprano l'uso a cui devono effettivamente servire. Circa alla comodità, occorre che queste latrine sieno collocate da presso all'abitato, e che il loro disegno, progetto, 09sia piano, offra un concorso tale di parti, che corrisponda pienamente al fine propo- stosi, che è quello di mantenervi la nettezza, ed obbligare il puzzo a salire e dileguarsi fra gli strati superiori dell'aria, senza ch'egli abbia a penetrare e concentrarsi nelle sale ed ambienti dell' edifizio, come oggidì pur troppo accade, spezialmente dove le grandi-latrine- comuni non godono del benefizio di aver sotto se una corrente d'acqua eh» ne assorbisca le fetide esalazioni, e via ne porti le immondezze subito precipitatevi. Riguardo poi alla solidità, s ella è il requisito più essenziale di una fabbrica qualunque, vie maggiormente esserlo dovrà di una gran- de-latrina- comune , dove le orine e gli escrementi attentano senza posa alla sua distruzione , penetrando e dissolvendo il cemento che lega insieme le pietre, e corrodendo le pietre medesime, particolarmente se non sono di materia durissima e fortemente compatta. Ma perchè una tal latrina possa considerarsi veramente solida, ed esente per lun- ghissimo tempo dal pericolo di rovinare o di deteriorare, fa d' uopo : i.° Che la sua massa abbia nelle varie parti, che la costituiscono, una resistenza alquanto maggiore di quella che abbisognerebbe come fabbrica da se. 2.° Che i materiali, che la compongono, sieno di perfetta qualità, e posti insieme con giudizioso artifizio e diligenza. 3.° Che i muri e i pavimenti, ai quali tocca per necessità o per altrui inerzia di sofferire le lordure delle feccie e delle orine , sieno costrutti con pietre dure e di spaziosa mole , o almeno incrostate di queste, e congiunte fra di loro con leggierissimo strato di ottimo smal- to ad incastro, senza ferro di sorta. 4-° Che dette pietre presentino alle immondezze la minor superfi- cie possibile, e sieno d'altronde così ben levigate e disposte, che le 48 376 materie stesse non vi si appiccino sopra che assai difficilmente ; ed in questo caso, che ad ogni più piccolo urto via se ne vadino. 5.° Che, compiuto il lavoro di siffatta latrina , non se ne faccia uso se non allora quando sarei bene disseccata, e che ogni sua parte avrà presa consistenza e perfetta tenacità ; poiché senza di questa pre- cauzione i muri s' imbeverehbero velocemente del fluido fecale corro- sivo, che li porrebbe ben tosto in dissoluzione, nel mentre che un pe- stilenziale fetore farebbesi sentire ovunque d'intorno, senza che vi fosse più mezzo di ripararvi, se non se rifacendo tutte quelle parti che fossero state penetrate dal fluido fecale medesimo. Stabiliti pertanto questi principj, evidentemente incontrastabili , quali base di una eccellente grande -latrina-comune , diasi un'occhiata di volo allo stato generale delle grandi-latrine odierne. A fine di renderle comode a coloro che hanno bisogno di recar- visi, sogliono essere addossate ai muri delle sale, o così da vicino a queste , che l' umidità e le esalazioni fetide , che da quelle partono continuamente, penetrano nelle medesime; e tal difetto si fa tanto più scorgere, quanto che il disegno ed il lavoro delle latrine suddette suol essere ognora informe e trascurato. x\lcune altre latrine poi, on- de ovviare all' inconveniente del puzzo, trovatisi situate cosi lontane dalle sale stesse, che affaticano quelli che hanno d'uopo di rendervi- si, particolarmente nelle lunghe e fredde notti dell'inverno. Finalmente se si faccia riflesso alla forma e costruzione loro, si ravviserà niuna previdenza esservi stata impiegata, onde mantenervi la pulitezza, ed alienare il cattivo odore da se e dalle vicine abita- zioni. Si vedrà in esse la camera de' cessi per lo più bassa, angusta, e da piccolissime aperture tristamente rischiarata, e però priva di ven- tilazione. Il sao pavimento vedrassi sconnesso e rotto, e tra le feccie e le orine quasi sommerso. Essendo costrutto bene spesso di mattoni in piano, guasta e scomposta ne va la sottostante volta, ovvero solajo, quando le latrine non sieno a pian terreno. Queste latrine, non aven- do quasi mai sfiatatoj di sorta sopra alle loro fogne o cloache, tutte le pestifere esalazioni, che si alzano da esse, si concentrano nella ca- mera de' cessi, da dove si diffondono poi nel circonvicino abitato. E quelle latrine ancora, che pur fornite sono degli anzidetti sfiatatoj, non lasciano però di tramandare un rivoltante puzzo per gli aperti 377 fori dei sedili, collocati naturalmente perpendicolari alle fogne. Inol- tre i muri costituenti le canne delle latrine sogliono essere piantati così da presso fra di loro , che i fori de' cessi appen» ri capiscono tramezzo, per cui gli escrementi e le orine vi percuotono contro, e vi si attaccano fissamente; e ciò con tanto maggiore facilità, quanto la ruvidità de' muri medesimi, già lasciati rustici o per ignoranza o per mal intesa economia, contribuisce a ritenerveli ed ammucchiar- veli: dal che ne risulta che il liquido fecale, trapelando fra i muri stessi, ne li decompone, e ben presto li fa cadere in rovina, nel men- tre che un maligno miasma incessantemente ne emana, che diviene fatale per quei miserabili che souo forzati di respirarlo in luogo di aria pura e vitale. Ora che esposti si sono gl'inconvenienti che più o meno forti mani- festamente appajono in tutte le grandi-latrine-comuni-moderne > e det- te quali avvertenze praticar si dovrebbero in quelle da costruirsi di nuovo sotto agli articoli bellezza., comodità e solidità delle fabbriche, spieghisi finalmente l'immaginato progetto, che dà compita evasione al propostomi filantropico argomento della presente Memoria. PARTE II. Esposizione del piano di una grande -latrina -comune, sotto cui non potendosi far iscorrere un canale di acqua, non ispanda tuttavia alcun mal odore. Conseguentemente al già detto vedesi nella fig. I. la latrina AB C D separata dal vicino abitato V* col quale però comunica mediante la breve galleria JT, coperta e murata. Vi hanno in questa più recipienti E ad uso di serbaloj d'acqua (>), alquanto sospesi dal pavimento, onde sotto essi dar corso all' aria esterna che entrar deve nella galleria pei ventidolti F_, radenti il suolo (iìg. II. III.), ed aperti in ambe le pareli. (i) Colali serbatoj di acque piovane pò- nino a ventaglio, onde spargere con ciò tac- eranno anche essere collocati altrove, sempre qua su tutta la superficie del pisciatojo, che però convenientemente, facendo da essi scor- in questo caso avrà la pendeuza dall'ingresso rere l'acqua de' pisciato^ per tubi che termi- dell'acqua verso la latrina. 378 Detti serba toj sono chiusi a chiavistello con coperchj di larice, ovvero di quercia , iaverniciati ad olio per conservarvi le acque piovane che vi colano dai tetti, condottevi da tubi, le quali, riempiuto che abbia- no i recipienti medesimi, traboccano poscia nelle sottostanti conchet- te, ovver pisciatoj G3 per gli orli superiori interni, lasciati alquanto più bassi degli esterni a quest'oggetto, come le fig. II. e III. suindicate l'accennano alla lettera a; e ciò a fine di tenerle nette, e che non rendano mal odore, passando poi le acque e le orine nella latrina pei canaletti ce (fig. I.). Le conchette esser debbono di pietra dura ben le- vigata, e messe a sdrucciolo verso il mezzo della latrina , come sta espresso in G nella fig. II. I muri soprapposti a queste conchette sono rivestiti al loro piede per l'altezza di io a 12 decimetri da pietre dure e liscie, lavorate a denti gocciolato), cioè a risalti pendenti in giù, le quali servono a garantire i muri medesimi dal guasto delle orine che vi percuotono contro ; il che vedesi rappresentato nelle stesse fig. II. e III. alla lettera b. Nelle pareti della galleria vi hanno delle finestre H aperte sino al pavimento, le quali sono difese al basso da una ringhieretta di ferro sporgente in fuori così da poter gettare per essa le scopature tratte dalle abitazioni, le quali vanno a cadere in una fossa I, scavata al di sotto per riceverle. Con quest'artifizio rimane tolto il gran disor- dine, che le scopature suddette sieno versate nella latrina, e ne la ingombrino, come suol accadere ognora, particolarmente nelle caser- me, poiché la facilità di sbarazzarsene più tosto, ritiene chi n'è ca- rico di tradurle più oltre. II pavimento della galleria è costrutto a lastrico di pietre dure, congiunte insieme ad incastro, ossia a limbello, consolidate da un otti- mo cemento, eseguitovi colla più grande precisione. Egli è inclinato a destra ed a sinistra verso le conchette. Ha questo per oggetto di dar corso alle orine che vi potessero cader sopra, e d'impedire che ne lo penetrino, con guasto e rovina della sottostante volta , ovver solajo ; poiché il pretendere che tutti coloro, che useranno della latrina, ab- biano a pisciare, ove pur il dovrebbero, è un cercar l'impossibile. Fi- nalmente delle spaziose ed alte finestre K3 aperte in ambe le pareti la- terali, d'accordo coi sottoposti ventidotti F mantengono entro alla gal- leria una vivissima ventilazione, che via ne porta qualunque puzzura. 379 ABC Dj, come si è accennato, è la camera dei cessi, cioè la supe- riore nella fig. I. Il suo pavimento è eseguito in pari modo che quello della galleria, ed è dolcemente inclinato dalle pareti laterali AB, DC verso il di lui mezzo, dove inferiormente a lungo scorre un cana- letto d d, il quale sbocca nella latrina, entro a cui, per via di questo, vengono condotte le orine e le acque dei pisciatoj suddescritti, e quel- le che vanno sparse sui pavimenti. Al piede delle' pareti AB, DC sono praticati dei canaletti e e, che ricevendo a volontà le acque da altri serbatoj T, stabiliti d'intorno alla camera dei cessi, le emettono largamente stese su tutta la superficie del pavimento della medesima, lavandonelo e depurandolo dalle fetide sporcizie che possono trovarsi sopra. La forma di questi canaletti è rappresentata dalla fig. IV. ve- duta di prospetto, dalla fig. V. in profilo, e dalla VI. in pianta. Siffatto lavacro avrà poi luogo ogni qual volta che abbisogni. I sedili si addossano alla parete LL, eh' è tenuta alquanto di- scosta dal muro di perimetro B C, incominciando essa ad elevarsi sol- tanto dal piano dei sedili medesimi; e ciò a fine che le feerie non vi battano contra, e non vi si appiccino sopra, ma cadano anzi tutte nel fondo della latrina; inoltre perchè v'abbia tra questi due muri uno sfiatatoio L B C Lj a svaporamento delle mefitiche esalazioni che si al- zano dal basso della latrina suddetta, poiché la parete LL contermina e limita il tetto da quel lato. Cadente sullo sbocco O della latrina avvi la tromba Ms per la quale versansi le immondezze dei cessi mobili e degli altri recipien- ti, ossiano vasi. Termina essa sopra del letto ugualmente che lo sfia- tatoio LBCL. Le superficie dei muri che guardano entro alla latrina , devono avere un intonaco ben liscio, composto di calcina forte, e di polvere di tegole peste passata pel setaccio; e nella parte loro inferiore, cioè sino al di sopra del livello della massima piena della latrina , devon essere ricoperte da larghe e lunghe pietre da taglio, levigate, e per- fettamente congiunte con mastice e ad incastro. Il fondo NON della latrina è costruito a lastrico di pietre dure, lavorate a scalpello pulitamente, e messe insieme come sopra. Egli è condotto a piani variamente inclinati, cioè grado a grado vie più sino allo sbocco O della latrina, pel quale le materie fecali passano nella 38o grande cloaca R R ( fig. TU.). Questa forma di costruzione , che classi al fondo della latrina suddetta, ha per iscopo di facilitare il viaggio delle feccie sino alla loro sortita; poiché, accrescendosi la loro massa a seconda che vanno avvicinandosi allo sfogo, l'inclinazione gradua- tamente maggiore dei piani, sopra i quali esse scorrono, contribuisce a farvele sdrucciolare più agevolmente. Lo shocco è poi un imbuto scavato in un solo masso di marmo, a cui si unisce un canale pure di marmo, dove nella giunzione avvi un solido anulare di bronzo di figu- ra conico-tronca, entro al quale s'innesta un turaccio di forma ovale, foderato di un grosso strato di piombo, che si alza ed abbassa me- diante una leva a contrappeso, qualora vogliasi nettare la latrina ; il che far debbesi ciaschedun giorno, spezialmente nella state. Questo lavacro fassi poi da se stesso col sollevare il turaccio ; poiché le acque e le materie liquide, che sono penetrate già nella latrina, trasporte- ranno seco per lo sbocco medesimo nella cloaca RR ogni porcheria: dopo di che viene abbassato di nuovo il turaccio suddetto. Ugualmente che la galleria, le pareti della camera de' cessi sono fornite di finestre aperte sull'alto, e di ventidolti che ne radono il suolo. In questa guisa vi si fa un movimento perenne d'aria, che via ne scaccia e dilegua il puzzo che vi potesse essere penetrato. La cloaca è fabbricata a volte solidissime di mattoni eccellenti, sia per manifattura che per coltura. Sono esse sostenute da pilastri robu- stissimi di pietre da taglio, senza difetti, di spaziosa mole, e poggiate le une sulle altre, a seconda degli strati loro naturali di cava, perchè così resisteranno più lungamente alla corrosione ed al sopraccarico, senza fendersi. Le pareti fra i pilastri possono essere costrutte in mat- toni, ma grosse in guisa da far equilibrio preponderante alla spinta delle terre, contro alle quali stanno applicate; per cui piacerebbemi, a maggior resistenza, che tra pilastro e pilastro fossero costrutte ad arco, presentando così internamente una superficie concava cilindri- ca. Il fondo della cloaca è inclinato da' suoi lati verso lo sbocco della latrina, sotto cui avvi un pozzetto P, dal quale si eleva una canna in salda muratura , che va a soverchiare il culmine maggiore di quei tetti che gli sono da presso. È questo lo sfialatojo della cloaca. Nel muro del pozzetto, a livello del terreno esterno, avvi una porta chiusa dentro e fuori da doppj battenti, ossiano doppie imposte di larice ca1- 38i lafattate ed impeciate, da aprirsi solamente allorquando vuoisi sgom- brare la fogna dalle immondezze. Siccome poi la grande quantità di acqua, che viene introdotta nella cloaca, la riempirebbe forse ben tosto, e ne difficulterebbe l'espurgo, oltre alla considerabile spesa consecutiva per effettuarlo; così un po- chino al di sotto del livello dello sbocco O della latrina sta aperto un canale, o condotto Q, munito alla bocca di una graticola a ben ri- strette aperture verticali, lavorata in duro marmo, che serve ad im- pedire alle grosse materie fecali, quando la cloaca è zeppa, di uscir- ne, lasciando però libera la sorlila alle acquee, che vengono quindi tradotte altrove. Così la fogna resta riempiuta soltanto di deposizioni dense, e facili ad estrarsi. Come avvenga finalmente di raccogliere nella latrina cotanta co- pia di acqua, che basti a ben lavarla e mondarla, io vado qui a spie- gare passo a passo. Primieramenle tulle le acque piovane, che cadono sui tetti, sulle- corti e sulle strade che avvicinano il fabbricato , vengono condotte per via di tubi e canali in serbalo; che somministrano successivamen te da se medesimi l'acqua occorrente alla latrina. Fassi poi questa emissione naturale per via di bocche aperte nelle pareti dei detti ser- bato], che ne radono i fondi, le quali sono munite di cateratte verti- calmente mobili fra scanalature levigatissime di marmo. Le cateratte sono costruite di materia leggierissima, vale a dire di sovero coperto da assicciuole di larice, calafatiate ed impeciate, ovvero vote internamen- te. I due loro lati, che scorrono fra le scanalature, sono rivestiti ferma- mente da lamine di rame. Ciascuna di esse cateratte è compresa da dimensioni tali, che presenta un solido di profonda mole, che, rattenuto fra le dette scanalature, galleggia sull'acqua della latrina; per cui, quando l' acqua manca alla latrina, questa cateratta viene dal proprio peso abbassata, lasciando così smascherata sopra essa la bocca del serba- tojo, dalla quale sorte in conseguenza l'acqua che va a riempiere il pia- no, della latrina, dove giunta al livello fissalo, trovasi già la cateratta nuovamente alzata, e chiudente la bocca del serbatoio stesso (fig. Vili.). Oltre alle acque piovane, che sono ognora incerte, spezialmente nella state, in cui ve n'ha pertanto il maggior uopo, si sono procu- rate alla latrina delle acque perenni in quantità proporzionata al nu- 38a mero degl'individui che la lordano, forzando gl'individui medesimi contro voglia e senza loro accorgimento a somministrarcele, ed a tri- butare con ciò alla salute pubblica un lavacro necessario, e relativo alla maggiore o minore riunione delle fetide materie nella latrina stessa (0. Eccone il mezzo. Le acque che servono agli usi particolari della umana esistenza, attingonsi da fonti, da pozzi, e da cisterne. Le prime si rendono scor- revoli per acquidotti e fontane; le altre rimangono quiete nei loro ba- cini. Io non parlerò qui di quelle, poiché di ben chiara e facile riso- luzione al presente problema ; ma mi occuperò delle seconde, di più avviluppato artifizio. La fig. IX. rappresenta l'icnografia di un pozzo, e la fig. X. il suo profilo, secondo la linea P Q R. D'attorno alla di lui arniilla stanno dei recipienti A di marmo, bene politi, e bucati nei loro fondi. Inferiori e contigui a questi recipienti vi hanno delle vasche B di pietra dura ad uso di lavatoj, che per tubi di metallo, applicati ai fori dei recipienti medesimi, comunicano con questi. Al- lorquando occorra di alzar acqua dal pozzo, ella si eslrae con secchie di ferro stagnato, congiunte ai capi di una catena che si aggira d'in- torno ad una taglia mobile di bronzo stabilmente affissa, dalle quali si versa in qualsivoglia dei recipienti A surriferiti, da dove passa a riempiere il vase, che è stato già collocato pendente sotto alla bocca del tubo medesimo. Ma una certa quantità di quest'acqua va al ser- batoJQ della latrina per un tubo secondario, che mette in un acqui- doso sotterraneo, come chiaramente sta espresso nel profilo rappre- sentato dalla fig. X. Quindi ne viene, che le secchie hanno ad essere di una capacità un pochino maggiore dell'ordinaria. Il labbro dell'ar- milla del pozzo e gli orli dei recipienti vanno tondeggiate, onde to- gliere la possibilità di poggiarvi sopra il vase da riempirsi di acqua, e costringere con ciò di applicarlo pendente al tubo della vasca , oppur sotlo di esso. A questo fine ancora le cavità dei recipienti vi sono pro- fondissime. Ugualmente le acque dei lavatoj per tubi e canaletti sono con- dotte ai serbato} summentovati, non che quelle che si spandono d'in- (i) Le feccie più puzzolenti, precipitando fetida esalazione, che viene assorbita dall'acqua in un bacino di acqua fresca, vi perdono ogni medesima. torno al pozzo, dov'è costrutto un solido pavimento di pietre da ta- glio, alquanto inclinato in fuori, al cui limite avvi un canaluccio che siceve le acque sparse sopra il pavimento suddetto, e le traduce, co- me le altre, ai serbato; medesimi. Se al pozzo sia applicata una tromba idraulica in luogo delle sec- chie, riuscirà più facile assai e più misteriosa la distribuzione del- l'acqua fra gli usi particolari ed i comuni della latrina. Da tutto ciò che si è detto risulta : i.° Essere la latrina collocata da presso alle abitazioni, ma se- parata da esse. 2.0 Goder ella di una ventilazione vivissima, prodotta dal suo isolamento, dai ventidotli che ne radono i pavimenti , e da ampie finestre aperte nell'alto delle pareti tanto della galleria di comuni- cazione, che della camera dei cessi , non che dagli sliutatoj bucati nel loro coperto presso al comignolo. 3.° Che le sporcizie delle sale non sono più versate entro alla latrina, come con suo danno oggidì suol praticarsi, ma in apposite fosse, scavate appiedi della galleria di comunicazione, cioè tra le sale e la latrina. 4° Che i pisciatoj si offrono immediatamente fuori delle sale, cioè nella galleria, e che questi vengono lavati e politi dalle acque piovane, ed anche dalle acque tenute nei serbatoj pel loro giorna- liero lavacro, e per quello dei pavimenti tanto della galleria sud- detta, che della camera dei cessi. 5.° Essere la latrina costrutta in guisa, che le feccie vi cadono tutte al fondo, senza percuotere contro alle pareti, ed appicciatisi sopra. 6.° Che nel fondo della latrina avvi perennemente una certa quantità di acqua fresca, che assorbe le fetide esalazioni delle ma- terie fecali subito precipitatevi. 7-° Che per togliere qualsivoglia puzzo che innalzare si possa dal basso della latrina, e disperdersi nelle abitazioni, vi hanno degli sfiatatoj che sboccano al di sopra dei più alti tetti vicini, pei quali vien egli condotto a dileguarsi tra gli strati superiori dell'aria. 8.° Che nei serbatoj terreni vengono raccolte le acque piovane, sia delle corti che delle strade limitrofe, da dove si somministrano 49 384 alla latrina in conveniente e costante quantità, mediante un mecca- nismo idrostatico, che non ha d'uopo di sorveglianza e d'immediata estranea potenza che il faccia agire. Che le acque cadenti sui tetti lo sono per tubi e canaletti entro a vasche o bacini disposti nei varj piani che menano alla latrina, ond' essere impiegate nel lavacro dei pisciatoj e dei pavimenti, passando poi direttamente nella latrina medesima. Che, oltre alle dette acque, ciascun abitante del luogo contribuisce alla latrina, senza che il sappia, una tal quantità di ac- qua, sempre proporzionata a quella che attinge dai pozzi o dalle cisterne pei proprj bisogni. g.° Che ciaschedun giorno, una volta almeno, le acque insieme alle feccie esistenti nella latrina sono introdotte per un tubo a tu- raccio in un'ampia cloaca, chiusa ovunque d'intorno ermeticamente, la quale ha però uno sfiatatojo superiore ai tetti i più elevati che gli stanno da presso. Le ulteriori particolarità su questo interessante argomento sono ab- bastanza chiaramente spiegate in ambe le parti che costituiscono que- sta breve Memoria, e dalla ispezione delle figure. 385 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FIGURA I. Icnografia generale della Latrina. V. Abitazioni delio stabilimento. Y. Galleria di comunicazione tra le abitazioni e la latrina. H. Finestre sino al pavimento , guarnite di ringhierette sporgenti, dalle quqli gettansi al basso le spazzature delle abitazioni. G. Pisciato]. E. Recipienti d'acqua raccoltavi dalle pioggie che cadono sui tetti, e condottavi col mezzo di tubi. Quest'acqua serve al lavacro dei pisciatoj G sottoposti, ed a quello del pavimento della galleria, allorché venga imbrattato. e e. Canaletti coperti conduttori delle orine e delle acque nella latrina. I. Fosse sottostanti ai pie della galleria, che ricevono le spaz- zature delle abitazioni. AB CD. Camera dei cessi. f. f. Sedili dei cessi. T. Recipienti d'acque piovane pel lavacro del pavimento della camera. g. Canaletti che danno sfogo nella latrina alle acque piovane che traboccherebbero dai recipienti T. h. Tubi che emettono le acque dai recipienti nei sottoposti ca- naletti e e, dai quali sgorgano su tutta la superficie del pavimento per lavamelo. d. Canaletto sottoposto al pavimento che riceve le acque sparse su di esso, e le traduce nella latrina. L. Muro, al quale statino addossati i sedili, dal cui piano esso si eleva sino al tetto. 386 N. Sfiatato jo della latrina , compreso tra il muro he lo B C, il quale sormonta il culmine del coperto. M. Tromba , per la quale gettansi le sporcizie fluide nella latri- na, mediante la finestrella i , che viene chiusa da una ben costrutta imposta di larice verniciata ad olio. O. Sfogo, chiuso a turacelo, delle acque e delle Jeccle che tro- vansl nella latrina,, per ove vanno precipitate nella grande cloaca R. R. Grande cloaca sotterranea, rlcevitrice delle materie della la- trina. Q. Canale fornito alla bocca di una grata di marmOj per la quale passano le materie acquee , trattenendo le dense nella cloa- ca allorquando questa è giunta al suo riempimento. FIGURA II. Sciografia della Galleria, secondo la linea Z Z. Y. Piano superiore della galleria. Y'. Piano inferiore della galleria. L Porte che dalla galleria Introducono nelle camere del cessi. G. Pisciato). E. Serbatoj d'acqua piovana pel lavacro del pisciato) e del pavi- menti delle gallerie quando vengono lordati. In questi la lettera a presenta II due orli dei due serbatoj tenuti un po- chino più bassi degli orli rimanenti, affinchè le acque pio- vane, compiuto il riempimento del serbatoj medesimi, tra- rlpino per essi, e ne lavino le pareti b, tagliate al lungo a denti gocciolàìtij', versandosi nel sottoposti pisclatoj, che ne sono quindi lavati, da dove passano per canaletti nella la- trina . F. Ventldottl, ossia conduttori di aria esterna, radente II pavimento. K. Finestre aperte altissime, onde ottenere una corrente et aria dal pavimento sino al solajo. H. Finestre aperte sino al pavimento , difese da ringhler e di ferro alquanto sporgenti, per le quali vanno gittate le spazzature delle abitazioni nelle sottostanti fosse I. 387 I. Fosse praticate ai lati della galleriaj che ricevono le sporcizie delle abitazioni. z. z. Sfiatato) aperti presso al culmine del coperto. N M N. Sfiatatojo della latrina. P. Sfiatatojo della cloaca. T. Serbatoi esterni delle acque piovane per uso delle camere dei cessi in ambo i piani. Sono essi forniti di coperchi di quer- cia o di larice inverniciati , ovvero impeciati, per impedire che nel verno le acque non vi gelino entro. h. Tubi che danno ad arbitrio V acqua sul pavimento della camera dei cessi. g. Tubi che dai serbatoj T conducono nella latrina le acque tra- ripanti. FIGURA III. Sciografia della Latrina, secondo la linea WX. Y Y'. Gallerie di comunicazione. X X'. Camere dei cessi. H. aperture guernite di ringhiere sporgenti, pel basso delle quali gettansi le spazzature delle abitazioni nelle sottoposte fosse. F. Ventidotti. E. Recipienti d' acqua, nei quali a rappresenta delle fessure tutto al lungo , da dove esce l'acqua di sopraccolma dal reci- piente, versandosi nei sottostanti pisciatoj, e lavando le pa- reti dentellate b. e. Canaletti che spargono acqua sui pavimenti delle camere dei cessi, qualora abbisogni di nettarli. d. Canaletto che qonduce le orine e le acque immonde nella latrina. M. Tromba della latrina e sfiatatoio. N. Latrina. O. Sfogo della latrina, chiuso a turaccio mobile. S. Acquidotti, pei quali s'introducono a voglia acque fresche nel- la latrina. y. Tubo, pel quale l'acqua sovrabbondante della latrina passa a gettarsi nella grande cloaca R. 388 R. Grande cloaca. P. Pozzo e sfiatatoio della grande cloaca. Q. Bocca del canale di uscita^ munita di una grata di marmo_, per la quale le materie fluide fecali solvono 3 ritenendosi le den- se nella cloaca. Z. Porta chiusa a doppie imposte di larice verniciate \, per la qua- le vengono estratte le feccie dall-m. cloaca allorché riè zeppa. FIGURA IV. Prospetto del canaletto e, veduto dalla camera dei cessi. a. Lunghe fessure a ventaglio , radenti il fondo del canaletto^ per le quali spargesi l'acqua sul pavimento della camera dei cessij onde lavamelo. F. Ventidotti radenti il pavimento medesimo. FIGURA V. Sezione del canaletto e., e del corrispondente serbatojo T. e. Canaletto che sparge l'acqua sul pavimento della camera dei cessi. T. Serbatojo delle acque provenienti dai tetti. E questo staccato un pocolino dal muro A della fabbrica. g. Canaletto di sfogo_, che conduce le acque traripanti dal serba- tojo nella latrina. h. Tubo che a volontà somministra l'acqua nel canaletto e. FIGURA VI. Icnografia del canaletto e„ e del serbatojo T„ rappresentati nelle due precedenti figure. e. Canaletto che dà l'acqua sul pavimento della camera dei cessi, h. Merlone intermedio alle fessure. 389 a. Fessure radenti il fondo del canaletto , per le quali stendesi l'acqua sul pavimento delia camera dei cessi. A. Muro della fabbrica. t. Serbatojo d'acqua. h. Tubo che somministra ad arbitrio Ì acqua del serbatojo T al canaletto e. c. Spazio vóto fra il muro A ed il serbatojo T. FIGURA VII. Sezione del fondo della Latrina, presa longitudinalmente. NMN. Traccia del selciato del fondo, che è condotto a piani vie più inclinati; secondochè si avanzano verso lo sbocco O. O. Sfogatojo delle feccie, le quali dalla latrina passano nella grande cloaca, trasportatevi dall'acqua della latrina stessa. S. Acquidotti che menano nella latrina le acque esterne, quan- do né senza. a. Chiavichetta galleggiante, che si abbassa da sé quando l'ac- qua della latrina non è al livello stabilito, e ciò onde somministrarcela. y. Bocche dei tubi di sfogo per le acque sovrabbondanti della latrina. FIGURA Vili. Rappresentazione della chiavichetta q della figura antecedente. abcdef. Paratoja galleggiante, che si offre abbassata del tutto, sup- posto mancamento d'acqua nella latrina. hiklmg. Spazio occupato dalla detta paratoja allorché l'acqua l'ha intieramente sollevata. q. Acquidotto. 3qo FIGURA IX. Rappresentazione icnografica del pozzo in progetto colle sue adiacenze. Q. Pozzo con sua armilla tondeggiata. A. Recipìentij nei quali va versata l'acqua che si attinge dal pozzo. AB. Tubi che conducono l'acqua dai recipienti nei vasi appesi in B ai tubi medesimi. B. Vasche ad uso di lavatoj. C. Piano lastricato che attornia il pozzo. E inclinato verso la sua periferìa. i). Canaletto che l'accoglie le acque sparse sul piano C, traduceif dole nei grandi serbato/. FIGURA X. Spaccato del pozzo Q, secondo la linea PQR. Q. Pozzo. A. Recipiente. B. fiasca ad uso di lavatojo. i. Tubo, pel quale viene somministrata l'acqua ai varj usi dello stabilimento ed al sottoposto lavatojo. a. Tubi e canaletto che forniscono acqua dalla vaschetta A, dal lavatojo B, e dal canalino D ai grandi serbatoj della latrina. C. Selciato che contorna il pozzo. D. Canalino che rinserra il selciato medesimo. 5o e — -.^ = sen. 8. V xx -\- yy Fatte queste sostituzioni, le due equazioni trovate diventano P. cos. a — Q cos. /? — R cos. 3 ^0; P. sen. a -+- (cos. a sen. J — sen. a cos. e? il valore di 0 = -- -— , cos. p. sen. o -+- cos. situati un pochino sopra la direzione del centro di gravità della conca, per facilitarne il movimento. In questa conca ca- dono le feccie ; ma perchè non rendano mal odore, avvi in essa una costante quantità di acqua ZZ} che ne assorhe le fetide esalazioni. Sotto alla conca è costituito un imbuto piramidale LL, che termina ad un foro circolare Fj pel quale le materie fecali, riversateci dalla conca, passano nella cloaca per un canale conduttore Y. Si rinversa la conca mediante la funicella BM3 che scorre sulla girella M, e che vi è tirata dalla potenza Pj a ciò applicata. Onde impedire alle puz- zolenti esalazioni, che partono dalla cloaca, di penetrare nella latrina GH I Kj sta il foro F chiuso dalla palla di legno Nj coperta da uno strato di piombo. Questa palla è congiunta con una catenella al fondo esteriore della conca nella sua media parte. Allorché la conca viene rinversata dalla potenza Pj, come la figura IV. dimostra, la palla N è costretta di seguire il moto della conca, lasciando aperto il foro F. La potenza Pj mettendo poi in libertà la conca, questa si restituisce al suo stato orizzontale, e la palla N va quindi a chiudere il foro F. L'acqua si fornisce alla conca mediante la bilancia idrostatica Q S R, dove dall'una estremità pende il corpo TV, che galleggia nell'acqua della conca; e dall'altra estremità è unita la piccola cateratta Vt che tura il foro del tubo somministratore dell' acqua . Quando la palla T galleggia , la cateratta V sta chiusa ; ma quando pel rove- sciamento della conca la palla T è in azione, la sua gravità solleva la cateratta V. Riempiendosi la conca nuovamente di acqua, il corpo T n'è avviluppato, e la sua gravità diviene nulla; per cui il peso della cateratta V la fa discendere ad otturare il foro del tubo. Per togliere qualunque mal odore che esalar possa dalla latrina , sonosi praticati, subito sotto al suo sedile O, uno o due sfiatato) A X. Il sedile O dev'esser mobile, onde all'occorrenza poterne estrarre la conca. La cloaca sta entro la cella AA, fornita di porta e di sfiatatoj. E rappresentata nella figura V. da una bigoncia T impeciala, la quale riposa sul carrettino 0, a fine di estrarnela con prontezza e facilità quando n'è zeppa. Vi mette capo il canale II, conduttore delle materie, a cui si uniscono gli altri canali delle varie latrine contigue che sono nello stesso piano, e nei piani diversi dell'edifizio. La bigoncia nel- 52 4o8 l'alta sua estremità ha due graticole di metallo A, l'uria opposta al- l'altra, per le quali le materie fluide sortono allorché nella bigoncia giungono oltre il loro livello. Cosi di mano in mano le materie dense vi restano concentrate, e le fluide precipitano per due tubi mobili di metallo in un sottoposto acquidolto 2, che si congiunge a quello delle acque sudicie dell' edilìzio. Per dare il cambio alla bigoncia si alza il tubo di rame $, che è mobile, e si raccomanda al canale conduttore II. Alla bigoncia si so- vrappone tosto il coperchio; e tolti i tubi dalle graticole A, se ne chiudono gli sportellini. Si fa sortire dalla cella AA il carrettino 0, e con esso la bigoncia T. Vi si rimette altro carrettino con altra vota bigoncia; si fa scendere su questa il tubo $,• dopo di che si chiude la porta della cella, e l'operazione è compiuta. Ora, o Signori, che esposta xi ho l'architettura di questa mia par- ticolare latrina, da lunghi anni immagiuata, è di dovere che la metta in parallelo colle latrine moderne, dette inodorifere , delle quali nel mio Rapporto, lettovi il dì 24 dell'ultimo febbrajo, vi feci sentire nei miei dubbj l' insufficienza per lo scopo a cui tendono. E qui mi occorre di richiamare taluna delle cose dettevi in esso , onde tessere un insieme che non manchi di capo. Alquanto innanzi l'anno 18 19 il sig. Cazeneuve ha immaginato in Francia il primo apparecchio di latrine mobili inodorifere 3 il quale fondasi sopra le due massime: di separare nelle feccie la parte liquida dalla solida; di riceverle entrambe in vasi mobili, e di facile tra- sporto. Ma l'apparato del signor Cazeneuve, mancando di ventilatore, non poteva produrre l'effetto contemplato. Quindi il signor Merat nel- la sua Memoria al Giornale Complenientario al Dizionario delle scien- ze mediche nel gennajo del 1819 ne propone l'aggiunta. In Vienna siffatte latrine mobili inodorifere vennero introdotte da certo signor Ferdinando Levasseur, che ottenne nel dì 3 di agosto 1820 per lo spa- zio di anni quindici il supremo privilegio, ceduto poscia da esso ad una società di azionarj nel 20 giugno 1022. Io non esporrò qui la in- venzione prodotta dal signor Cazeneuve, dacché, essendo mancante di ventilatore, risulta difettosissima. Mi atterrò dunque a quella mi- gliorata del signor Levasseur , che pongo rimpelto a quella mia , che ampiamente vi ho descritta. 4°9 Sia l'apparato in una cantina, o in altro basso ricello. E costituito da due botti, luna sovrapposta all'altra in posizione di fianco. Isella botte superiore cadono le materie fecali, dove fassi la separazione fra le dense e le liquide, restando le prime ivi raccolte , e le fluide pas- sando per fdtrazione nella botte inferiore. La botte superiore s'innalza ritta, ed ha il fondo suo alto bucato, per introdurvi una canna ver- ticale, che le serve di sfiatalojo. Questa canna vicino al cesso si con- giunge ad altra canna che risulta inclinata, e che è veramente quella degli escrementi, perchè in essa cadono primitivamente. Accade la se- parazione delle materie miste per un piano foracchiato a guisa di va- glio, introdotto nella botte da presso al fondo suo inferiore. Per que sto piano passano le orine, e per un tubo di metallo vanno a deposi tarsi nella botte inferiore, che è sdrajata sopra due travicelli. Quando le botti sono ripiene, si dà loro il cambio. Malgrado pertanto l'approvazione accordata all'apparecchio della suesposta mobile latrina, proclamata inodorifera j parmi indubitala cosa dover essa soggiacere alle imperfezioni seguenti: i.° Le materie fecali, precipitando nella botte che sta ritta, si dispongono sotto la figura di un cono informe, per cui la botte non ne verrà mai zeppa, ostruendo piuttosto la canna che ve la traduce. 2.0 Stendendosi il cono escrementizio colla sua base ad occupare il piano del vaglio, per dove filtrano le orine, potrà avvenire che si addensi così sopra di esso la materia, che impedisca alle orine di passar oltre, soffermandosi quindi nella botte che non ci appartiene ; il che è contro la massima statutaria di questa latrina. 3.° Le feccie che cadono nella canna inclinata del cesso deb- bono per la loro viscosità appicciarsi alle sue pareti, spargendo nella stanza uno spiacevolissimo odore. 4-° Finalmente la puzza, che costantemente esala dalla botte, ascendendo per lo sfialatojo, non può a meno d' introdursi nella stanza suddetta pel canale del cesso che vi si unisce, non essendovi valvola o turacelo che il chiuda. Le suddichiarite viziosità, che sono quelle che più chiare appa- riscono nella mobile latrina inodorifera del signor Levasseur, onorata del supremo privilegio, che è uno fra gli animatori delle arti e me- stieri, ed introdotta in molti pubblici stabilimenti della Capitale della 4io Monarchia Austriaca, per difetto di cosa migliore, vengono tolte. del tutto, se ben mi appongo, mediante il metodo da me praticato nella mia piccola particolare latrina; per cui mi appello, o Signori, con tranquilla rassegnazione al saggio ed imparziale vostro giudizio, che impetro vogliate voi pronunciare. d 121 Sopra il sangue di drago del commercio , e sopra di una nuova sostanza contenuta in questa droga genuina. Del Prof. Girola- mo Melandri » 129 Annotationes anatomicae de canaliculo osseo cranii humani et de gangliformi connexione tertii ac se.xti paris nervorum cerebri. Del Prof. Floriano Caldani » i3g fondamenti delle tavole astronomiche della Luna e del Sole^ cal- colate pel meridiano dell' Osseivatorio di Padova. Dell'Ab. Dott. Francesco Bertirossi-Busata » i45 4à6 Della velocità iniziale dei projetti. Dell' Ab. Prof. Salvator dal Negro pag. 201 Nuove ricerche intorno alla spinta orizzontale di una verga ri- gida pesante appoggiata ad un piano verticale. Del Dott. Gio- vanni Cattaneo . . . . » 2i3 Sulla pressione delle acque correnti de' fiumi. Del Dott. Giovanni Cattaneo » 224 Osservazioni intorno alla Cometa apparsa agli ultimi di dicembre dell'anno 1 823 fatte nell' Imp. Regio Osservatorio di Padova. Del Prof. Giovanni Santini » 235 Nota al tomo IV. del calcolo integrale di Eulero j Suppl. IV. Sezione li. Del Prof. Giovanni Farini » 2^9 Della generazione delle linee piane, esercizj di geometria ana- litica. Del Dott. Carlo Conti » 255 Comento ad alcuni passi d' Ippocrate tendente a provare ch'egli ha veduto gli aneurismi interni del petto, cosa comunemente negatagli. Del Dott. Gio. Maria Zecchinelli » 307 Descrizione ed uso di un gazometro a mercurio atto a dare una più esatta misura de' gas. Del Prof. Ordinar. Girolamo Melandri. » 329 Illustrazione ed analisi delle fonti minerali di Ceneda. Del Prof. Salvator Mandruzzato » 343 Cosa deggia cercare il politico nella storia dei popoli. Del Prof. Giacomo Giuliani » 35g Saggio sull'arte di costruire le grandi latrine ad uso comune per caserme, case di ricovero e di forza, prigioni, spedali ec. Del Cav. Anton-Claudio Galateo » 3y3 Dei principi della statica. Del Prof, e Cav. Francesco Maria Fran- ceschinis » 391 Saggio sull'arte di costruire le piccole latrine particolari per pub- blici e privati edifizj ec. Del Cav. Anton- Claudio Galateo . » 401 Dell' opera da darsi dagl' italiani allo studio della prosa . Del Dott. Girolamo Venanzio - • » 411 1 A