,s% /- % Z'K r v ^ v r 7/Ì &% N r^N ' :' citi \ir/in r< r*: c2\ '■ •T '*> . { r ' r r~ %$mm r<7' s ? 7 < c% Uj fa» ■*%} tlmh /fa 1 "t-iì //n\ VI A \\ 'jn* /%x m& tTv' ^ ^•'K >• '; ,^y .*?&} Jfflì J*$ ■ iISrìi^B-^ NUOVI SAGGI DELLA IMPERIALE REGIA ACCADEMIA Di SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA VOLUME TERZO , Ti '■'■■:■ V • - ■ PADOVA DALLA TIPOGRAFIA DELLA MINERVA MDCCCXXXI STATUTO DELL'IMPERIALE REGIA ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA Articolo I. Delle diverse Classi dei Membri componenti V Accademia. I. Li i %■ I. I A Accademia è composta di Socii Attivi, Onorarli, Nazionali, Esteri, Corrispondenti ed Alunni. §. II. La nomina di queste differenti Classi viene fatta dal Corpo dell'Acca- demia dietro proposizione del suo Consiglio. Articolo II. Dei Socii Attivi. §. I. I Socii dell'Accademia, che hanno volo deliberativo, debbono essere la- nuti a tutte le funzioni accademiche : sono trentasei , tutti indistinta- mente col nome di Socii Attivi dell'Accademia. §. II. Questi debbono soggiornare in Padova, e passando ad abitare in altro paese , acquistano il titolo di Emeriti ; come lo acquistano quelli che , dopo aver prestato lungo servigio all'Accademia, chiedono per l'età ono- revole riposo. §. III. I Socii Attivi sono divisi in quattro Classi: la prima di Scienze Fi- siche, la seconda di Scienze Mediche, la terza di Matematiche, la quarta di Filosofia e Belle Lettere. Ogni Classe è composta di nove Membri . 5> IV. L'elezione si fa per 'concorso e successiva ballottazione dei Socii At- tivi (a); il concorso viene pubblicato dal Presidente, inteso il Consi- glio Accademico, e resta aperto per quindici giorni (b). Sono ammessi IV a questo concorso esclusivamente i Socii Nazionali che soggiornano in Padova, e che hanuo antecedentemente prodotto all'Accademia o fatto di puhhlica ragione delle Memorie relative alla Classe alla quale è aper- to il concorso (e). Il Presidente raccoglie le petizioni coi rispettivi ti- toli, indi col mezzo del Direttore della Classe, a cui appartiene il po- sto vacante, vengono eletti fra i Socii Attivi due Censori, destinati se- gretamente ad esaminare le Opere e gli scritti accademici dei concor- renti ; dopo di che entro un mese verrà letto dal Direttore della Classe il giudizio dei Censori, tenendone celato il nome; e la Classe mede- sima, dal Presidente riunita, dichiarerà l'ammissibilità degli individui al Corpo Accademico per mezzo di ballottazione segreta a pluralità di voti, in cui ha parte anco il Presidente, nel caso che gl'individui vo- tanti sieno pari. Appartenendo il Presidente alla Classe votante , l'uffi- zio di lui è sostenuto dal Vice-Presidente (d). Il Presidente, raccolto che avrà in iscritto dal Direttore il voto della Classe, e comunicato al Consiglio , porterà al Corpo Accademico le petizioni degli aspiranti ri- tenuti dalla Classe, e verranno questi sottoposti alla ballottazione segre- ta dell'Accademia (e) . Tali ballottazioni devono avere i due terzi dei voti per essere favorevoli. Se però accadesse che nelle ballottazioni non po- tessero ottenersi i due terzi, fatti tre esperimenti consecutivi, si pren- dono i due più prossimi fra quelli che passano la metà nell'ultima bal- lottazione; e fatta una quarta ballottazione, il superiore di voti s'intende eletto: che se poi il numero dei voti risulterà allora eguale, la ballotta- zione verrà rimessa ad un'altra Seduta. Articolo III. Dei Socii Onorarii. §. I. I Socii Onorarii sono scelti fra le persone più distinte per gradi emi- nenti, per coltura, e per favore che accordano alle Scienze, alle Let- tere, alle Arti. §. II. Il Socio Onorario presente alle Sedute gode di tutte le prerogative di Socio Attivo. Articolo IV. Dei Socii Nazionali. §. 1. 1 Socii Nazionali sono presi tra i sudditi del Regno Lombardo -Veneto più distinti per Opere pubblicate , e per rinomanza nelle Scienze , nelle Lettere e nelle Arti. §. IL I Socii Nazionali cbe soggiornano in Padova saranno ripartiti secon- do l'indole dei loro studii, e la loro dichiarazione all'una od all'altra delle quattro Classi dell'Accademia. §. III. I Direttori delle rispettive Classi potranno cbiamarli nelle convocazioni delle Classi , ed impiegare l' opera loro nei lavori accademici relativi alla Classe cui appartengono. §. IV. Il loro numero è indeterminato: la proposizione per la loro nomina appartiene esclusivamente ai Socii Attivi. Due di essi, per lo meno, fuori della banca ne fanno in iscritto o riservatamente la proposizione motivata al Presidente, il quale la comunica al Consiglio, che, prese le necessarie informazioni, giudica dell'ammissibilità. Il Presidente, fatta estendere l'informazione sui meriti del proposto, la comunica coli' or- gano dei Segretarii al raccolto Corpo Accademico, e poscia lo propone alla ballottazione. Nel caso di giudicata inammissibilità, la decisione del Consiglio viene comunicata ai proponenti col mezzo dei Segretarii. Articolo V. Dei Socii Esteri. §. I. I Socii Esteri sono presi fra i soggetti più distinti per fama , e accre- ditati per dottrina, fuori del Regno Lombardo-Veneto. §. IL Si procede alla loro nomina coi metodi indicati pei Nazionali. Trasfe- rendosi essi a soggiornare nel Regno Lombardo -Veneto, diventano di diritto Nazionali, fatta che ne abbiano all'Accademia formale dichiara- zione. Essi non oltrepasseranno il numero di ventiquattro. VI Articolo VI. Dei Sodi Corrispondenti. §. 1. Quelli che si metteranno in comunicazione coli' Accademia, mandando le loro Opere pubblicate o i proprii scritti da leggersi all'Accademia stessa , potranno essere nominati Socii Corrispondenti sopra proposizio- ne del Consiglio Accademico, appoggiata all'informazione di quel Di- rettore di Classe cui si riferiscono i lavori trasmessi. Articolo VII. Degli Alunni. %. I. Gli Alunni sono presi fra i giovani che in Padova si applicano con di- stinta diligenza a qualche ramo di scienza o di letteratura , ed hanno dato delle prove di buona condotta e singolari talenti. §. II. Ognuna delle quattro Classi dell'Accademia avrà quattro Alunni , i quali saranno proposti dalla Classe, e ballottati dal Corpo Accademico. § III. Ogni Alunno dipenderà per gli oggetti accademici dal Direttore della Classe a cui appartiene. §. IV. Quelli che si saranno procacciato dei meriti per l'attività ed assiduità loro , e per progressi nella carriera scientifica o letteraria , dopo tre anni potranno essere proposti dalla Classe al Corpo Accademico per la pro- mozione a Corrispondenti, mediante ballottazione di tutto il Corpo Ac- cademico; e trattandosi di Alunni appartenenti all'Università, la loro proposizione non potrà aver luogo se non quando abbiano compiuto il corso regolare dei loro studii. §. V. Spetta al Direttore l'impiegare utilmente per l'Accademia gli Alunni della propria Classe. §• A I. Quando l'Alunno nel corso dell'anno accademico manca tre volte, senza giustiGcazione approvata dalla Classe, alle ordinarie Sedute, e non si presta alle incombenze impostegli dal Direttore della Classe , questi ne partecipa all'Accademia la decadenza, ed invila la Classe ad una nuova proposizione. VII Articolo Vili. Della Presidenza e del Consiglio, §. I. Il Consiglio dell'Accademia è composto di un Presidente, di un Vice- Presidente, di un Direttore di ciascheduna delle quattro Classi dei So- di Attivi, di due Segretarii, uno per le Scienze e l'altro per le Let- tere, d'un Cassiere, e di un Archivista Bibliotecario. §. II. Al Presidente è raccomandato il governo e la direzione generale del- l'Accademia. A nome di esso si convoca il Consiglio e l'Accademia tutta, a norma dell'emergenza. Appartiene ad esso esclusivamente il fir- mare tutti gli Atti dell'Accademia, e il rappresentarla in ogni occasione. §. HI. Il Vice-Presidente supplisce alle funzioni del Presidente in mancanza di questo, ed a lui apparterrà l'invigilare all'esatta esecuzione delle Leg- gi Accademiche, come loro speciale conservatore. §. IV. I Direttori della Classe hanno ispezione particolare sulla loro Classe. Possono convocarla quando credono necessario, e sono il mezzo di cui si serve il Presidente o il Consiglio per comunicare in ispezialità colla Classe medesima. §. V. Il Presidente in ogni Sessione, prima di sciogliere l'Adunanza, pub- blicherà il nome del Sociq Attivo , a cui spetta la lettura nella Seduta seguente. §. VI. E dovere dei Segretarii il tenere regolare Processo Verbale delle Se- dute tanto del Consiglio quanto dell'Accademia. All'aprirsi d'ogni Ses- sione il Presidente invita il Segretario, che estese il Processo Verbale della precedente, a farne lettura. In esso si riferisce tutto ciò che nelle Sedute ha luogo, e spezialmente la fedele menzione delle Memorie che saranno state lette: ivi verranno inoltre ricordate le Opere a stampa o gli scritti che a mano a mano pervengono all'Accademia. I Segretarii non sono obbligati alle letture ordinarie prescritte ai Socii Attivi. Ad essi incombe il sostenere il carteggio accademico, che viene pure sot- toscritto da uno dei Segretarii dopo la firma del Presidente. §. VII. Al terminare della Seduta il Segretario, che ne estende il Processo Verbale, nomina i presenti, e fa menzione delle scus£ che i mancanti avranno fatte pervenire al Presidente. Vili §. Vili. H Cassiere amministra i fondi attualmente posseduti dall'Accademia, e che potessero alla medesima pervenire. Sono a lui riveduti i conti ogni anno entro il mese di Luglio dal Consiglio, cui spetta l'appro- varli di anno in anno in apposita Seduta. Egli non può, far pagamenti senza l'ordine in iscritto del Presidente. §. IX. L'Archivista Bibliotecario ha la custodia di tutte le carte spettanti all'Accademia, la sopravveglianza alla stampa degli Atti, e alla vendita dei volumi stampati; e finalmente la cura della Biblioteca dell'Accade- mia. Egli raccoglie ed ordina al terminare dell'anno tutti gli Atti Ac- cademici e i Processi Verbali delle Sedute, che debbono essergli con- segnati dai Segrelarii per depositarli nell'Archivio. §. X. Alla fine di Giugno il Consiglio Accademico riconosce lo stato delle vendite fatte dal Bibliotecario, e delle somme da lui versate in cassa. §. XI. Il Presidente è nominato per ischede ed eletto per ballottazione, in- cominciando da quello ch'ebbe nella nomina più schede. Egli dura in carica due anni, e viene preso per turno dalle Classi coli' ordine con cui queste sono nominate nello Statuto. §. XII. Il Presidente che cessa, diventa Vice - Presidente ; ed in sua man- canza supplisce l'ultimo uscito dalla Presidenza. §. XIII. I Direttori delle Classi vengono eletti per ischede e successiva bal- lottazione dal Corpo Accademico : durano due anni , e non possono es- sere rieletti se non dopo un biennio. §. XIV. I Segretarii, il Cassiere, l'Archivista Bibliotecario sono perpetui. Articolo IX. Del modo di trattare gli affari accademici. §. I. Per deliberare sugli affari accademici l'Adunanza deve essere composta di uno più della metà dei Socii Aitivi. §. II. Il Consiglio Accademico non può deliberare, se non sono presenti al- meno sette de' suoi individui. Ciascuno manifesta il proprio parere a voce sulle proposizioni che vengono fatte. Il Presidente espone i mo- tivi della proposizione che viene da lui portata alla ballottazione della Accademia. IX §. III. Tutte le ballottazioni debbono avere i due terzi de' voti dei Socii pre- senti per essere favorevoli ; e trattandosi di Adunanze di Classe , percbè sieno i voti legali, se ne esigono almeno sei. In caso di parità, il Pre- sidente ha due voti. §. IV. Il Consiglio, nelle cose che risguardano gli uffizii a lui destinati, sta- bilisce da sé i metodi d'interna amministrazione. Ma trattandosi di re- golamenti che tendono ad obbligare tutto il Corpo, il Consiglio deve assoggettarli ai voli del Corpo Accademico. Articolo X. Delle Sedute e Letture Accademiche. §. I. L'Accademia incominciando entro la prima metà di Novembre , si ra- duna due volte ciascun mese nel giorno di Martedì nelle ore pome- ridiane per le sue ordinarie Sedute, a riserva dei mesi di Luglio, Ago- sto, Settembre ed Ottobre. Finito il corso delle Sedute ordinarie, ne ha luogo una pubblica , che viene aperta dal Presidente con breve Al- locuzione allusiva alla circostanza, e nella quale uno dei Segretarii al- ternativamente fa la Relazione delle Letture dell'anno accademico. §. II. Dopo la Seduta pubblica , riveduti ed approvati dal Consiglio i conti del Cassiere, si eleggeranno in una Seduta straordinaria le Cariche ac- cademiche per l'anno successivo. 5. III. Nella prima Seduta di ogni anno accademico si estraggono per turno dalle quattro Classi i nomi degli Accademici che dovranno leggere nell'anno prossimo; e prima della successiva Seduta il Presidente ne fa consegnare l'elenco a stampa a tutti gli xlccademici. §-. IV. Le Sedute non dureranno più di due ore : ciascheduna iucomincierà colla lettura fatta da un Socio Attivo coli' ordine prestabilito. Il Presi- dente», coll'intelligenza dei Direttori di Classe, disporrà per le oppor- tune successive Letture di ogni Seduta. §. \. Il Socio Attivo, fatta la sua Lettura di obbligo, consegna immediata- mente al Segretario, che tiene il Processo Verbale della Seduta, l'estrat- to della sua Memoria, onde ne faccia regolare ed esatta relazione. En- tro un mese dalla seguita Lettura, al più tardi, dovrà inoltre essere dallo stesso Socio Attivo depositato in mano del Presidente il suo ma- X noscritto, ritirandone ricevuta. Per tutti gli altri Accademici basterà che sia esibito l'estratto della Lettura al Segretario, onde poterne fare menzione nel Processo Verbale. §. VI. Il Presidente consegnerà il manoscritto al Direttore della Classe cui appartiene l'argomento trattato, tenendone annotazione nei proprii regi- stri. Il Direttore nominerà segretamente due Censori, per avere in iscritto da ciascuno di essi a parte una relazione motivata da sottomettersi al giudizio della Classe per determinare se quel manoscritto sia degno della stampa fra gli Atti dell'Accademia. Questo giudizio si emette dalla Classe a pluralità di voti segreti. Lo stesso metodo ha luogo per le Me- morie o lette o spedite da Socii Nazionali e Corrispondenti. §. VII. I Socii Attivi, che mancassero per tre Sedute consecutive senza giu- stificazione approvata dal Consiglio, perderanno il loro posto. §. Vili. Ogni Socio Attivo è obbligato a leggere una Memoria ogni due anni nel giorno destinatogli dalla sorte. Mancandovi senza giustificazio- ne approvata dal Consiglio , potrà per la prima volta impegnarsi a leg- gerne due nel susseguente biennio; e mancandovi nuovamente, perderà il posto. §. IX. Ogni biennio viene pubblicato un Volume degli Atti Accademici: trascorso questo periodo di tempo senza che sia intrapresa la stampa, gli Autori potranno disporre a talento delle loro Memorie, purché ne rendano avvertito il Presidente con apposita dichiarazione in iscritto. CATALOGO DEI MEMBRI COMPONENTI L' I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA CONSIGLIO ACCADEMICO. Precìdente. Signor Montesanto Dott. Giuseppe, Prof. Pensionato dell' I. R. Università. Vice - Presidente. Signor Melandri Dott. Girolamo, Prof. Orci, di Chimica Generale Animale e Farmaceutica nell'I. R. Università. Direttore della Classe Matematica. Signor Santini Dott. Giovanni, Prof. Ord. di Astronomia Teorica e Pratica nell'I. E. Università. Direttore della Classe di Fisica Sperimentale. Signor Da-ì\io Conte Niccolò, Direttore della Facoltà Filosofico -Matematica nell'I. Pi. Università. Direttore della Classe Medica. Signor Zecclnnelli Dott. Giovanni Maria, Regio Ispettore Generale, Medico Sanitario delle Terme Euganee, Direttore della Casa degli Esposti. Direttore della Classe di Belle Lettere. Signor Ab. Svegliato Dott. Giovanni Balt., Prof, di Filologia e di Lettera- tura Classica Latina nel Seminario Vescovile di Padova. XII Segretario perpetuo per le Scienze. Signor Ab. Franceschinis Conte Cav. Cons. Dott. Francesco Maria, Prof, di Matematica Applicata, e Continuazione della Meccanica Sublime dei Fluidi, Idraulica Pratica e Stradale, Geodesia e Idrometria nell'I. R. Università. Segretario perpetuo per le Lettere. Signor Ab. Menin Dott. Lodovico, Prof. Ord. di Storia Universale e Scienze Ausiliarie nell' I. R. Università. Archivista e Bibliotecario. Signor Ab. Bonfadini Dott. Giacomo, Prof. Ord. di Filosofia Teorica e Pratica nell' I. R. Università. Cassiere. Signor Ab. Bernardi Giuseppe, Prefetto dell'I. R. Ginnasio. SOCJ ONORARI S. A. I. R. l'Arciduca RAINERI, Vice-Rè del Regno Lombardo-Veneto. S. A. I. R. l'Arciduca GIOVANNI BATTISTA d'Austria. S. A. il Principe Clemente Venceslao Lotario di Metternich-Winneburg di Ochsenbausen, Duca di Portella ec. ec, Cancelliere della Casa Impe- riale, della Corte e dello Stato, Ministro di Stato, delle Conferenze, e degli Affari Esteri. S. E. il sig. Conte di Saurau , Barone di Ligist e Wolkenstein , Gran Ma- resciallo Ereditario della Stiria. S. E. il sig. Conte Pietro di Gòes, Barone di Carlsberg e Mosburg, ec. ec. S. E. il sig. Conte d'Inzagbi, Consigliere Intimo di S. M. I. R. A., e Go- vernatore della Moravia. S. E. il sig. Conte Cav. G.io. Battista di Spaur, Governatore delle Provincie Venete, Ciambellano di S. M. I. R. A., Consigliere Intimo effettivo, Mem- bro Onorario dell'Ateneo e Socio Onorario dell'Imperiale Regia Acca- demia di Belle Arti di Venezia, nonché della Imperiale Regia Società Agraria della Carniola. xrn S. E. Monsignor Rev. Jacopo Monico, Primate della Dalmazia, Metropolita dell'Istria e delle Diocesi ec. ec, Consigliere Intimo, Gran Dignitario e Cappellano della Corona del Regno Lombardo- Veneto. Nobile sig. Barone Galvagna , Presidente del Magistrato Camerale in Ve- nezia. S. E. il sig. Conte Giacomo Mellerio, Consigliere Intimo attuale di Stato di S. M. I. R. A., ec. ec. S. E. il sig. Barone Giuseppe di Stifft, Consigliere di Stato e delle Confe- renze , Archiatra e Protomedico, Direttore degli Studii Medici, e Pre- sidente della Facoltà Medica in Vienna. S. E. Monsig. Rev. Ladislao Pyrker, Patriarca, Arcivescovo di Erlau. S. E. il sig. Giuseppe Luigi Jùstel , Consigliere di Stato e delle Conferenze, Preposto Mitrato di Buuzlau, Assessore presso la Commissione Aulica di Legislazione Giudiziaria. Signor Francesco Innocenzo Lang, Consigliere Aulico, Canonico di Gross- Wardein , Membro della Commissione Aulica degli Studii. Signor Giovanni Debrois , Nobile di Brugek, Consigliere Aulico. Signor Barone Luigi Tùrkheim , Consigliere Aulico, e Relatore per gli Af- fari di Sanità, Primo Vice -Direttore dello Studio Medico- Chirurgico, Membro della Commissione Aulica degli Studii. Signor Giuseppe Mayer di Gravenegg, Consigliere Aulico attuale. Signor Leopoldo Wetzl di Wellenheim , Consigliere Aulico attuale. S. Emin. Placido Zurla, Cardinale, Vicario Generale di Sua Santità il Som- mo Pontefice Gregorio XVI. Signor Federico Wiebecking , Consigliere Intimo di S. M. il Re di Ba- viera, ec. Monsig. Rev. Modesto Farina, Vescovo di Padova, Cavaliere, Consigliere di Governo. Signor Marchese Luigi Rangoni, Presidente della Società Italiana. Signor De-Pauli, Nobile di Frenheira , Regio Delegato della Provincia di Padova. Monsig. Rev. Gio. Batt. Canova, Vescovo di Mindo. Signor Conte Gio. Batt. Strafico Cavaliere, Regio Delegato della Provincia del Friuli. Nob. sig. Carlo Isidoro Roner d' Ehrenwerth, Vice -Delegato della Provincia di Padova. XIV Signor Barone Giuseppe Francesco di Jacquin, Consigliere di Governo della Bassa Austria, Professore di Botanica nella I. B. Università di Vienna. Signor Cav. Gaudenzio Caccia, in Novara. Signor Francesco Dott. Aglietti, Consigliere di Governo e Proto-Medico Pensionato, Membro dell'I. B. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti in Venezia. Signor Conte e Cav. Girolamo Polcastro, in Padova. Monsig. Ab. Angelo May, Prefetto della Vaticana. Signor Giuseppe Venturoli, Direttore Generale delle Acque e Strade, Prof. di Matematica in Boma. Signor Adriano M. Le Geudre, dell'Istituto di Francia. Signor Cav. De Graefe, Consigliere Privato di S. M. il Be di Prussia, Me- dico Ispettore Generale delle sue x^rmate, Direttore dell'Accademia di Medicina di Berlino. Signor Agostino San Martino, Prof, di Matematica in Catania. Signor Cav. Luigi Angeli, Archiatra Onorario Pontificio, e Professore in Imola. Signor Coute Cav. Prospero Balbo, Ministro di Stato di S. M. il Be di Sar- degna , Decurione della Città di Torino . Signor Cav. Antonio Pezzoni, Consigliere di Stato di S. M. l'Imperatore di tutte le Bussie , e Medico addetto al Dipartimento Sanitario dell' Im- pero Busso. Signor Strekfuss, Consigliere Aulico in Prussia.. Signor Wismayr Giuseppe, Supremo Consigliere Ecclesiastico di S. M. il Be di Baviera. Signor Barone De Zach , Astronomo. SOCJ ATTIVI ED EMEBITI. Della Classe Matematica . Li Signori Bernardi Ab. Giuseppe, suddetto. Bontadini Ab. Giacomo, suddetto. Conti Dott. Carlo, 1. B. Aggiunto alla Specula in Padova. De La Casa Dott. Vittorio, Prof. Ord. nell'I. B. Università. XV Dal Negro Ab. Salvatore, Prof. Ord. di Fisica Teoretica e Sperimentale Del- l'I. R. Università. Franceschinis Dott. Ab. Francesco Maria, suddetto. Francesconi Dott. Ab. Daniele, I. R. Bibliotecario. Santini Dott. Giovanni, suddetto. N. N. (vacante) SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Li Signori Cataneo Dott. Francesco, Ingegnere. Magarono Ab. Francesco , Prof. Ord. di Matematiche Pure nel R. Liceo di Vicenza. Zendrini Ab. Dott. Angelo, Membro e Segretario dell'I. R. Istituto, Prof. Pensionato della I. R. Università. SOCJ ATTIVI. Della Classe di Fisica Speiimentale . Li Signori Catullo Dott. Tommaso Antonio, Prof, di Storia Naturale nell'I. R. Liceo di Vicenza, Supplente alla stessa Cattedra nell'I. R. Università di Pa- dova. Configliacbi Dott. Ab. Luigi , Prof, di Agraria nell' I. R. Università. Da-Rio Conte Niccolò, suddetto. Gallini Dott. Stefano, Prof. Ord. di Anatomia Sublime e Fisiologia nell' I. R. Università. Jappelli Giuseppe, Ingegnere. Melandri Dott. Girolamo, suddetto. Menin Ab. Dott. Lodovico, suddetto. Romano Ab. Dott. Girolamo. Molin D.r Gir., P. O. di Veterinaria e Rettore Magnifico dell'I. R. Università. XVI SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Il Signor Arduini Dolt. Luigi, Prof. Emerito dell'I. R. Università. SOCJ ATTIVI. Della Classe di Medicina. Li Signori Brera Dott. Valeriano Luigi , I. R. Consigliere di Governo e Membro 0 no- rario dell'I. R. Istituto, Prof. Ord. di Clinica Medica e Terapia Spe- ciale delle malattie interne nell'I. R. Università. Dalle Ore Dott. Maria Antonio, Prof. Pensionato dell'I. R. Università. Fanzago Dott. Francesco, Prof. Emerito dell'I. R. Università, Direttore della Facoltà Medica della stessa, e Direttore dello Spedale di Padova. Fedrigo Dott. Gaspare, Prof. Ord. di Clinica Medica pei Chirurghi , e Sup- plente alla Clinica Medica e Terapia Speciale delle malattie interne nel- l'I. R. Università. Malacarne Dott. Vincenzo Gaetano, Prof. Pensionato della I. R. Università. Mandruzzato Dott. Salvatore, Prof. Emerito dell' I. R. Università. Montesanto Dolt. Giuseppe, suddetto. Zecchinelli Dott. Giovanni Maria, suddetto. N. N. (vacante) SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Li Signori Bonato Dolt. Giuseppe, Prof. Ord. di Botanica ìiell' I. R. Università. Caldani Dolt. Floriano, Prof. Ord. di Anatomia umana nell'I. R. Università. xvir SOCJ ATTIVI. Della Classe di Belle Lettere. Li Signori Furlanetto Ab. Giuseppe. Mabil Cav. Dott. Luigi, Prof. Emerito dell'I. R. Università. Meneglielli Ab. Dott. Antonio, Prof. Ord. di Diritto Mercantile Marittimo e di Navigazione nell'I. R. Università. Nodari Mons. Antonio, Canonico della Cattedrale, Prof. Emerito dell'I. R. Università. Quaini Ab. Dott. Gregorio. Scarabello Mons. Dott. Niccolò, Canonico della Cattedrale, Prefetto degli Studii nel Seminario Vescovile di Padova. Svegliato Ab. Gio. Battista, suddetto. Zaudonella Ab. Dott. Giambattista, Prof. Ord. della Storia Ecclesiastica, Pa- trologia, e Storia Letteraria Teologica nell'I. R. Università. SOCJ EMERITI. Classe suddetta. Li Signori Barbieri Ab. Dott. Giuseppe, Prof. Emerito dell'I. R. Università. Giuliani Ab. Dott. Jacopo, Prof. Ord. delle Scienze e Leggi Politiche nella I. R. Università. Lanfrancbi Dott. Luigi, Prof, e Bibliotecario nell' I. R. Università di Pavia Pieri Dott. Maria, Prof. Pensionato dell'I. R. Università. SOCJ NAZIONALI. Li Signori Aprilis D. Bartolommeo, Prof, di Fisica nell'I. R. Liceo di Udine. Bettio Ab. Pietro, I. R. Bibliotecario della Marciana in Venezia. XVIII Bordoni Antonio, Prof, di Matematica nell'I. R. Università di Pavia. Bossi Co. Luigi, Membro Pensionato dell'I. B. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti del Begno in Milano. Comparetti Pietro, Dott. di Legge in Pordenone. Corniani Co. Marco, in Venezia. De-Lazzara Giovanni, Cav. Gerosolimitano. De Min Giuseppe, Prof, di Pittura. Dianin Ab. Dott. Felice, Prof. Ord. d'Istruzioni Beligiose nell'I. R. Univer- sità di Padova. Diedo Antonio, P. U. Segr. dell' Imp. R. Accademia di Belle Arti in Venezia. Fappani Dott. Agostino, Membro della Congregazione Centrale di Venezia. Franceschi Nob. sig. Luigi, Ingegnere in Istria. Frari Dott. Angelo, Consigliere di Governo, e Presidente del Magistrato di Sanità Marittima di Venezia. Fusinieri Dott. Ambrogio, Fisico in Vicenza. Ghirlanda Dott. Gaspare, R. Medico di Delegazione in Treviso. Gianelli Dott. Giuseppe, Prof. Ord. di Polizia Medica nella I. R. Università. Labus Dott. Giovanni, in Milano. Manzoni Alessandro. Marabelli Francesco, Prof. Ord. di Chimica nell'I. R. Università di Pavia. Marsand Ab. Dott. Antonio, Prof. Emerito dell'I. R. Università. Marzari-Pencati Kob. sig. Giuseppe, Consigliere per le Miniere nelle Pro- vincie Venete. Melan Mons. Dott. Sebastiano, Canonico della Cattedrale di Padova, e Di- rettore della Facoltà Teologica dell'I. R. Università. Miliara, Prof, di Pittura in Milano. Orsi Tranquillo , Prof, di Disegno nell' I. R. Accademia di Belle Arti in Venezia. Pagani- Cesa Conte Giuseppe Urbano, in Belluno. Papafava Marsilio. Bacchetti Alessandro, Prof. Ord. nell'I. B. Università. Saggini Andrea, Podestà di Padova. Sanfermo Nob. sig. Marco Cavaliere, Ingegnere. Scarpa Dott. Antonio, Prof. Emerito della I. R. Università di Pavia, Diret- tore della Facoltà Medica della stessa, Membro Pensionato dell' I. R. Istituto. XIX Scopoli Conte Giovanni Commendatore, in Verona. Scolari Dott. Filippo, I. R. Segretario dell'Intendenza di Vicenza. Thiene Dott. Domenico, Medico in Vicenza. > Traversa Dott. Francesco. Trivellato Ab. Giuseppe, Prof, nel Seminario Vescovile di Padova. Venanzio Dott. Girolamo, in Porto -Gruaro. Villabruna Mons. Conte Guido, Canonico della Cattedrale di Feltre. Zannini Dott. Paolo, Medico Primario dell'Ospedale di Venezia. SOCJ ESTERI. Li Signori Ànguissola Conte Giovanni Battista, in Piacenza. Berni Dott. Giuseppe, Prof. Ord. di Medicina Legale, e di Polizia Medica nell'I. R. Università di Vienna. Berzelius Giovanni Giacomo, Prof, di Chimica e Segretario dell'Accademia delle Scienze di Stokolm. Corsin Vittorio, Prof, di Filosofìa nella Facoltà delle Lettere a Parigi. Farini Ab. Pellegrino, Prof, di Belle Lettere in Ravenna. Fischer G. L., Fisico in Pietroburgo. Fuss Cav. Nicola, Consigliere di Stato di S. M. l'Imperatore di tutte le Russie. Gargano Tommaso, Cav. Gerosolimitano. Gay-Lussac, Prof, di Chimica e di Fisica, Membro dell'Accademia delle Scienze di Parigi. Ghiliossi Conte di Lemie Giuseppe Ignazio, in Torino. Harles C. G. Consigliere, Prof, di Medicina Pratica nella Regia Università di Roma. Humboldt Federico Enrico Alessandro Barone, Membro della Società Reale di Londra, e dell'Accademia delle Scienze di Francia. Khuostof Conte De, Senatore di Russia. Lindenau Barone De, Direttore Generale del Censo in Prussia. Maffei Ab. Cav., Prof, di Letteratura e di Lingua Italiana nella R. Paggeria di Monaco. Monchini Domenico, Prof, di Chimica nella Sapienza di Roma. XX Oersted H. C, Prof, dì Fisica a Copenaghen. Paoli Domenico Conte De, in Pesaro. Pezzana Angelo, Bibliotecario in Parma. Portai Antonio, dell'Accademia R. di Francia, Officiale della Legion d'Onore, Tesctoenberg Dott. J. J. Alberto di Copenaghen, ora a Napoli. Thomson, Prof, di Chimica nella Università di Edimburgo. SOCJ CORRISPONDENTI. Li Signori Baldasserini Marchese Francesco, Segr. dell'Accademia Agraria di Pesaro. Ballardini, Medico di Delegazione in Sondrio. Basso Luigi, Dott. di Legge in Padova. Bellingeri Dott. Francesco, Medico della R. Corte in Torino. Bellini Gio. Battista, Chirurgo in Lugo. Benvenisti Dott. Donato, Medico in Padova. Bettoni Niccolò, Tipografo. Bianchi Dott. Giovanni, Prof, di Fisiologia in Modena. Bianchi Dott. Giuseppe, Astronomo in Modena. Biego Dott. Alessandro, R. Medico di Delegazione in Rovigo. Biscaccia Niccolò, in Rovigo. Bonefas Matteo, Direttore dell'Orto Agrario in Torino. Boni Gio. Antonio, Ispettore Aggiunto alla Direzione Generale d'Acque e Slrade in Venezia. Brognoni Francesco, R. Medico di Delegazione in Padova. Bruni Dott. Carlo, Medico in Conegliano. Brusoni Dott. Giacomo, Avvocato in Padova. Calegari Ab. Dott. Antonio. Calegari Dott. Pietro, Medico Primario dell'Ospitale in Padova. Calogeropulo Dott. Niccolò, Medico in Corfù. Campilanzi Emilio, Ingegnere in Venezia. Carrer Luigi, in Padova. Casoni Marchese, in Seravalle. Ceresa Carlo, Dott. di Medicina in Vienna. Cittadella Conte Giovanni, in Padova. XXI Cittadella Conte Andrea, in Padova. Coltellini Cav. Agostino, in Cortona. Cristofori Andrea, Medico in Mantova. Duchelard Michele, Prof, di Oculistica. Fabeni Dott. Vincenzo, Prof. Ord. di Chirurgia Teorica, e Direttore dell'Ar- mamentario Chirurgico nell' I. R. Università . Fabris Dott. Girolamo, Proto -Fisico in Fiume. Facchini Dott. Francesco, Avvocato in Montagnana. Faccio Domenico, Impiegato presso l'I. R. Biblioteca in Padova. Formentini Ab. Antonio, in Padova. Holler Emerico Tommaso, in Vienna. James, Medico Inglese. Lenguazza Leone, Dott. in Medicina. Losanna Matteo. Liberali Sebastiani, Dott. in Medicina, e Direttore dell'Ospedale di Treviso. Macoppe Dott. Marino, Maestro di Matematica nella Scuola Elementare Mag- giore in Padova. Malagò Dott. Pietro Paolo, Prof, di Medicina e Chirurgia in Ferrara. Malfatto Luigi, Ingegnere in Padova. Manzoni Dott. Luigi, Chirurgo in Verona. Marchesi Pompeo, Prof, di Scoltura in Milano. Marcolini Dott. Francesco, Direttore dell'Ospedale in Udine. Mazzoni Dott., Prof, di Chirurgia in Firenze. Meli Dott. Domenico, Chirurgo in Ravenna. Meneghini Dott. Andrea. Mocenigo Conte Pietro. Morelli Dott. Luigi, Prof, di Medicina Pratica nell'Università di Pisa. Naccari Dott. Fortunato Luigi, Vice-Console del Regno delle due Sicilie in Chioggia. Nocca Ab. Domenico, Prof. Emerito nell'I. R. Università di Pavia. Nodari Pietro, Dott. in Medicina. Olmi Dott. Agostino, Primo Medico nell'Ospedale di Santa Maria Nuova in Firenze . Orli Gio. Girolamo. Pasetti Dott. Floriano, Ingegnere in Capo nelle Provincie di Rovigo. Pasini Ab. Pietro, Prof, del Ginnasio di Padova. XXII Paslrovich Ab. Giovanni. Penolazzi Dott. Ignazio, Primo Medico in Montagnana. Petreltini Spiridione, in Corfù. Piovani Cav. Francesco, in Ostiano. Poletli Geminiano, Prof, di Matematica Applicata nell'Università di Pisa. Playfayr Dott., Prof, di Fisica nell'Università di Edimburgo. Puccinotti Dott. Francesco, Prof, di Medicina in Macerata. Quadri Dott. Giovanni Battista, Prof, di Oculistica nella R. Università di Napoli. Ravagnau Ab. Girolamo, Professore di FilosoGa nel Seminario Vescovile di Cbioggia. Rorida Cesare, Prof, di Matematica Pura nel R. Liceo di Porta-Nuova in Milano. Ruggieri Dott. Gaetano, Proto -Medico della Sanità Marittima in Venezia. Salomoni Filippo, Avvocato. Salvatori Francesco, in Bagnacavallo. Schiappati Dott. Stefano, Impiegato presso il Tribunale d'Appello in Ve- nezia. Schizzi Conte Folchino, in Cremona. Selvatico Pietro, Marchese Estense. Serafini Giuseppe, Dott. in Medicina. Serristori Cav. Luigi, in Firenze. Sicuro Dott. Marino, di Zante. Smania Michel Angelo, di Verona. Soli- Muratori Dott. Fortunato, Legale in Modena. Spongia Dott. Filippo, Medico Direttore Supplente dello Spedale di Padova. Speranza Dott. Carlo, Prof, di Medicina Legale nell'Università di Parma. Stanameli Ab. Pietro, Canonico di Barbana in Istria. Tadini Mons. Placido, Vescovo in Biella. Tantini Dottor Francesco , Professore Onorario di Medicina neh' Università di Pisa. Tecchio Sebastiano, Dottore in Legge. Todeschini Dott. Giuseppe, Prof. Emerito dell'I. R. Università. Tonelli Dott. Giuseppe, Medico in Paliano presso Roma. Trevisan Dott. Francesco, Medico in Castelfranco. Tuzzi Vincenzo Antonio, Ingegnere. xxiii Vatmann, Prof, di Clinica Chirurgica nell'I. R. Università di Vienna. Vedova Giuseppe. Venturi Doti. Luigi, Medico Primario della città di Sanseverino. Viero Dolt. Giovanni Antonio. Visiani De Roberto, Medico in Sebenico. Zacco Conte Teodoro. Zerbinati Francesco, Dottore in Medicina. Zola Dott. Francesco, Ingegnere. CENNI BIOGRAFICI DEGLI ACCADEMICI DI PADOVA MANCATI A' VIVI DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL PRIMO VOLUME DEI NVOV1 SAGGI MDCCCXVII DEL SOCIO ATTIVO ANTONIO MENEGHELLI I la nostra Accademia, seguendo le orme dì quella di Francia, e dì altre non meno famigerate , sino dalla sua istituzione si fece un dovere di rendere un breve tributo di laude a que' Socii che nella successione dei tempi man- carono a' vivi. Sino all'anno 1794 satisfece al tenero e triste ufficio il Cesa- rotti con quella grazia e semplicità che richiama alla memoria gli Elogi Acca- demici del Fontenelle. Politiche vicende sospesero la stampa degli Atti, e fu soltanto nel 1809 che comparvero le Memorie Accademiche ; ma non si fece verun cenno dei Membri passati fra i più nel periodo di quasi tre lustri. Il Prof. Caldani fu incaricato di lavare la macchia di un'omissione increscevole, e parlò acconciamente dei molti che dal declinare del secolo scorso sino al 1 8 1 7 aveano chiuso gli occhi alla luce. Quel suo lavoro sta in fronte al primo vo- lume, il cui titolo: Nuovi Saggi dell'Accademia j ec. Convien dire che il pentirsi e il fallire di bel nuovo sia retaggio dell'umana fralezza anche negli affari che alla letteratura appartengono, giacche l'Accademia nel 1825 pub- blicò il secondo tomo dei Nuovi Saggi ec.^ e motto veruno non fece dei chiari ingegni che dormirono il sonno di morte. Che grave le torni questa nuova obblivione ne fa guarentigia il fermo volere, che le Memorie del pre- sente volume sieno precedute da uu' accurata Biografia dei Membri che un dì l'onorarono coi loro scritti, o colle loro virtù. E giacché perfetta, e non man- chevole, deve essere l'ingiunta riparazione, non lascieremo di avvertire, che negli ultimi cenni biografici si desidera il nome di Giuseppe Grealli. Da lui adunque prenderemo le mosse. Il Creati! ebbe a patria Pasiano , picciolo villaggio del Friuli, e vide la luce il 3 Gennajo del 1758. Nella tenera età di circa due lustri venne af- fidato alle cure de' Barnabiti di Udine. Rapidi e lusinghieri furono i suoi pro- gressi nella letteratura, e specialmente nella poesia. Passò da poi al Semina- rio di quella città , dove diede opera alla filosofia e alle scienze sacre , neces- sarie a chi volea iniziarsi nel sacerdozio. Brama di estendere le sue cogni- zioni, di conversare coi dotti, lo determinò a recarsi a Padova. Studiò a tutta possa, e volle conseguire la laurea; ambì la grazia e l'amicizia dei più ripu- tati, né andarono falliti i suoi voti. Era caro al Cesarotti, all'Avanzini, al- l'Olivi: il primo, con un cuore nato fatto per amare, solea chiamarlo il suo primogenito. La poesia era in cima de' suoi pensieri, e dettava a quando a quando dei versi che l'additavano non illegittimo figlio di Apollo. E celebre la sua Lettera di Abelardo ad Eloisa , che però non vide la luce ; e non sono men commendevoli X Epìstola a T emira , il Passeggio di Vanzo , al- quanti Sonetti in lode del Petrarca, produzioni già rese di pubblico diritto, omesse le molte che andava scrivendo per servire alla consueta importunità di chi volea un' oda , una canzone , un sonettino per festeggiare un imeneo , una monachella, una laurea. Soggiornò qualche mese a Venezia per dare l'ultima mano agli studii di un giovane di largo censo; ma presto presto prese commiato, e ritornò fra le mura di Antenore. Desideroso di appartenere alla nostra Accademia, ottenne un posto di Socio Urbano, e nella Seduta del 27 Gennajo 1791 lesse la Dissertazione, il cui titolo: Esame critico della Vita di Cicerone scritta da Plutarco. E una specie di continuazione della Me- moria letta da Pellegrino Gaudenzi sopra lo stesso argomento. Quel valente Forlivese erasi accinto a purgare il buon Cicerone dalla triplice accusa di debolezza, di mordacità, di vanagloria, datagli dal biografo di Cheronea. Lo scolpò dalla prima, noi potè dalle altre, perchè morte noi consentì. Il Greatti si prefisse di supplire, e ridusse all'evidenza che Cicerone non era altrimenti mordace; con animo di mostrare da poi, che anche la vanagloria gli era stata straniera. Ma il lavoro rimase sospeso: taluno è forse di avviso che avrebbe durata non poca fatica a liberar la sua fede. Quell'ottimo repubblicano era forse tormentato un po' troppo dalla sete di rinomanza ; e quanto disse il Middle- ton per iscolparlo, addita un biografo più ingegnoso che veritiero. Il Greatti fu annoverato fra i Membri Onorarli , né andò guari che venne eletto a Pub- blico Bibliotecario. Per poco gustò le dolcezze di una vita agiata e tranquilla. Una fantasia troppo fervida non gli permise di essere semplice spettatore di certi avvenimenti ; assunse le parli di attore , e fu gran ventura per lui di poter can- giar cielo senza incontrare il naufragio. Si riparò a Milano, ov'ebbe il posto di Bibliotecario in Brera, che assai presto dovette abbandonare, perchè là pure non ebbe il buon destro di tacere e di lasciar fare. Andò errando fra inospi- tali regioni, finche gli fu dato di ritornarsene incolume in seno della fami- glia, presso cui se ne stette sino al i8o5. Nuove vicissitudini l'invitarono a nuove cure; ma ammaestrato dall'esperienza vi si adoperò con più di calma. Tornò utile a tutti, fuorché a sé stesso, e s'ebbe la povertà a indivisa com- pagna anche quando conferiva cariche e impieghi. Finalmente, convinto che l'uomo di lettere dee vivere alle lettere, si restituì al suo Pasiano, da cui non si sarebbe più allontanato, se i molti che lo pregiavano non l' avessero astretto ad assumere l'incarico di Rettore nel Collegio di S. Vito. Si arrese all'inchiesta, e nel Novembre del 1811 lo veggiam tutto inteso a disporre le cose .pel migliore andamento della più utile e insieme difficile impresa. E già ne avea la maggiore attitudine, che molto addentro vedeva nell'argomento della educazione , come ce ne assicura una lettera inedita che abbiam sotto gli oc- chi , un tempo diretta a ragguardevole personaggio , nella quale , avvertiti i mali dei vecchi sistemi, additati gli opportuni rimedii , mostra cbe non si po- trà ottenere lo scopo, se in gran parte non si ometta di fare il già fatto, e non si faccia quello che non si è mai avvertito di fare. Seguendo le traccie da lui stesso segnate , avrebbe richiamato quel Collegio a nuova vita ; ma non potè cogliere il frutto desiderato, perchè morte lo colpì in sugli esordii di quella destinazione, cioè nel dì 27 Febbrajo del 181 2. Di assai diverso dal Greatti per vicende, per indole, pel tenore degli stu- di! fu Angelo Maria Bignami , che quasi meteora appartenne a cotesta Uni- versità, all'Accademia, tanto fu breve il tempo del suo magistero nell'una, cosi poco intervenne alle Sessioni dell'altra. Nacque il Bignami a Codogno l'ot- tavo giorno di Ottobre del 1754. Fu là che, varcati gli anni della puerizia, studiò umane lettere e filosofia; e con tale profitto da offrire un pubblico sag- gio, da cui ne trasse gran lode. Nell'Università di Pavia attese agli studii teologici, e vi ottenne la laurea. Nell'anno seguente, cioè nel 1777, fu pro- mosso al sacerdozio. Volle vedere la più bella parte d'Italia; e sopra tutto abbracciare lo zio paterno, che a Napoli occupava il posto di Segretario nella Segreteria di Stato. Chiesto di rimanersene, sulle prime aderì; e raffermò l'adesione quel vedersi occupato nella Segreteria dello zio col titolo un po' se- 4 ducente di Uffiziale onorario. Ma poco soddisfo di quel tenore di vita, scorr» tento di un clima alla sua salute nocevole, nel 1781 rimpatriò. Il Seminario di Codogno tenne in conto di lietissimo avvenimento quel suo ritorno , e si affrettò a nominarlo Rettore e Maestro di Rettorica. Nel 1787 fu invitato a leggere Filosofia-, e così corrispose alla espettazione de' suoi , tanto crebbe la fama anche al di fuori, che dopo il volgere di pochi anni 'venne promosso alla Cattedra dell'analisi delle idee nell'Università di Bologna. Il Decreto è del 25 Dicembre 1802. Sostenne con molto valore il nuovo magistero, e il Discorso che lesse nell'anno seguente, Sullo studio preparatorio alle scien- ze j suggellò in certa guisa la concepita opinione. Conseguenza dell'acquistata celebrità furono gli onori e le distinzioni , che forse gli resero più dolce la vita. Fu Rettore Magnifico, Elettore nel Collegio dei Dotti, Cavaliere della Corona di Ferro, e due volte fece le parti di Presidente nel Collegio Elet- torale dell'alto Po. Nel 18 Gennajo del 1809 fu destinato a Professore di Economia Pubblica e di Commercio in cotesta Università, ma non salì la Cattedra che nell'Aprile seguente. Piacquero le sue lezioni; ma l'Elogio di Cesare Beccaria, riguardato come economista, diede a conoscere l'altezza e l'estensione delle sue cognizioni. Niuno avrebbe creduto che la recitazione di quel Discorso, seguita nel Maggio del 1810, dovesse precedere di pochi mesi la quiete da lui implorata e ottenuta. Ma la morte del fratello , la ne- cessità di provvedere agl'interessi dei nipoti l'astrinse all'inchiesta, e inclinò il Governo alla grazia. Milano divenne il suo soggiorno. Non si ristette per altro dalla consueta operosità, e seppe rendersi utile al pubblico, benché molto occupato delle bisogne domestiche. Nel 1818 fu eletto Reggente del Liceo di S. Alessandro, e accettò. Quale riescisse in quel ministero ce lo dice il giorno de' suoi funerali, che fu il 7 Gennajo del 1821. Cadeva dirottissima pioggia; ma l'accompagnamento era di oltre mille persone, la maggior parte giovani studenti, sulle cui faccie stava dipinto il più vivo dolore. Né potea avvenire altramente; che le doti del Bignami aveano allacciati tutti gli animi, precipuamente quelli dei giovanetti ; tanto era l' illibatezza de' suoi costumi , la fecondità dell'ingegno, la bontà del cuore, la soavità delle maniere. Morì di tabe senile, benché non ancora compiuto l'anno sessagesimosettimo. Antonio Collabo nacque con quelle felioi disposizioni che doveano ren- derlo celebre nelle Matematiche pure, applicale, nella Fisica, ec. Venezia sua patria fu spettatrice di una tale attitudine, e lieta misurava, per così dire, coi giorni i prodigiosi progressi. Il Seminario patriarcale ebbe il merito della prima instituzione ; il celebre fisico e matematico Ab. Miotti convertì eli elementi in una decisa scienza profonda. L'educazione, che per altri è meta, per lui fu indirizzo onde proseguire il cammino. Non avea per anco toccato l'anno trentesimo, ed era autore di due Opere che l'additavano assai bene innoltrato nella provincia che formava le sue delizie. Offriva l'una un Metodo analitico per conoscere la jallacia di alcune dimostrazioni ; con- teneva l'altra alcuni discorsi sul metodo di studiare le Matematiche. Ne in minor conto si tennero le Annotazioni matematiche alla Fisica del Poli, e la Traduzione e l' illustrazione di alcune parti delle Transazioni [doso- fiche di Londra. Fu prezzo di questi lavori la sua elezione a Maestro di Matematica e Fisica nelle Pubbliche Scuole di Venezia, avvenuta nel 1795, alla quale ben presto successe l'altro incarico di Esaminatore in quelle del- l' Arsenale e Marina . Straordinarie vicende e destinazioni di molto diverse lo tolsero all'insegnamento, alla cattedra, finché lascialo il patrio suolo visitò le Fiandre , l' Olanda , e gran parte della Francia. Se nel viaggiare tutto vide , tutto osservò, nel suo non breve soggiorno di Parigi trasse non lieve profitto dalla società degli uomini più. celebri nelle scienze sacre a Matesi. E ben lo diede a vedere quando, rivarcate le Alpi e fissato il suo domicilio a Milano, pubblicò l'Opera intitolata Identità del calcolo differenziale con quello delle serie , ec. Ben presto lo si volle restituito a quella pubblica educazione in cui tanto si era distinto a Venezia. Sembrava nato per l'istruzione dei giovani. Altro è sapere, ed altro saper insegnare; il Collalto a molta scienza anno- dava molta desterità, molta chiarezza. Così attemperavasi all'intelligenza dei suoi alunni, che i meno pronti poteano tener dietro a' suoi passi, i più sve- gliati sempre gli stavano al fianco. Nel iSo3 fu promosso alla Scuola del Poligono e degli Uffiziali di artiglieria, e nel i8o5 ottenne l'altra Catte- dra di Matematica applicata nella scuola militare. Sempre iuteso al mag- giore profitto degli allievi alle sue cure affidati, pubblicò due Opere che ac- crebbero la sua riputazione: tali la Geometria analitica a due coordinale , e l'altra Dell'istruzione teorico- pratica degV Ingegneri j entrambe stampate a Pavia, dove sosteneva il magistero affidatogli. Ma il Collalto, malgrado un posto così onorevole, non era contento; la nostalgia , propria di qualche popolo , era la malattia del suo cuore. Anelava al patrio cielo, desiderava di rivedere, di abbracciate gli amici, di dividere con. essi l'aura della vita primiera. Tanto fece, che nel 1806 venne invitato a professare l' Introduzione al calcolo sublime in questa nostra Università. Nell'anno seguente furono aggiunte alquante lezioni teorico -pratiche di Geo- desia. Sempre eguale a se stesso nell'attività, nel fervore, stampò due Opere che gli diedero nuovi diritti alla estimazione dei dotti. E intitolata la prima: Nuove Lezioni di Geometria analitica a due e a tre coordinate , ec; sta in fronte della seconda: Nuovo saggio di Poliodrimetria analitica. Ne tutto questo impedivagli di eseguire colla maggiore sollecitudine qualche pubblica commissione. Fra le altre nel 1808 si ebbe quella di esaminare col Prof. Avanzini certa macchina dei fratelli Galvani di Pordenone, di calcolarne gli effetti, e di additare dove si potesse erigerne una in Padova per assicurarsi degli assenti risultamene, e per trarne i vantaggi desiderati. A quell'epoca già era stato ascritto al Collegio dei Dotti , sedeva fra i Membri Onorarli dell'Istituto. Fu da poi uno dei XL. della Società Italiana, e appartenne alle più illustri Accademie. Cessarono le occupazioni della Cattedra, ma non ces- sarono le pubbliche commissioni , né gli venne meno quel caldo amore di studio che avea palesato nel fiore degli anni. Quanto alle commissioni, pri- meggia quella del 18 19 di esaminare e di scegliere il luogo più adatto per l'erezione di un ampio Stabilimento per la generale macinazione ad acqua delle foglie de' tabacchi, di por tutto a calcolo, di farne un distinto e ragio- nato rapporto, accompagnato da esatti disegni, che il tutto ponessero in pie- nissima luce. Riguardo agli studii, lavorava a tutta possa per compiere un'Opera di lunga lena, già cominciata da molto tempo, il cui titolo: Descrizione, ma- neggio ed uso dei principali strumenti di Matematica , applicabili alle Scienze ed alle Arti , ec. Dovea essere di sei grossi volumi in 4-°? ed ogni volume illustrato e arricchito di trenta e più intagli. È facile l'immaginarsi quanto prezioso sarebbe riescilo quel dotto e paziente lavoro agi' Ingegneri , ai costruttori, agli artisti, quanto utile alle Matematiche teorico -pratiche , se l'ottimo Autore avesse potuto condurlo al fine desiderato. Ma rea morte lo tolse alla famiglia, agli amici, alle scienze il dì 16 Luglio del 1820 nell'età fresca di cinquantaquattr'anni non ancora compiuti. Le produzioni accennate non sono le sole uscite dalla sua penna ; ve n' ha alcime fra le Memorie della Società Italiana, del R. Istituto, e della nostra Accademia. Non è raro il caso che alcuni studii sieno una specie di eredità nelle fa- miglie. I Riccati il provarono colle Matematiche, gli Assemani colle scienze sacre e colle lingue orientali. Simene Assemani, di cui prendiamo a parlar 7 brevemente, non volle essere da meno de' suoi zii, saliti in altissima fama per Opere applaudite in ogni maniera di argomenti sacri e di orientale filolo- gia. Originario di Tripoli di Soria, nacque in Roma nel Febbrajo del 1752. Là ebbe la sua educazione, e nella Sapienza ottenne il grado di Dottore teologo. Fu promosso al sacerdozio secondo il rito de' Maroniti; ma per ispe- ziale privilegio potè uniformarsi al nostro, e perciò si scriveva Sacerdote Ma- ronita di rito latino. Volle visitare la casa avita e la patria, e vi andò mu- nito di amplissimo Breve Pontificio , mercè cui gli era dato di accorrere ai bisogni spirituali di quelle genti. Le cose che narrava di quel viaggio e di quella missione erano veramente orientali. Ritornato a Roma, per poco vi si trattenne. Visitò la Germania, e fece non breve soggiorno nella Capitale del- l'Austria. Viaggiò di bel nuovo, e dopo svariati andirivieni giunse a Venezia con animo di condurre una vita tranquilla. Trovò grazia presso il Cav. Jacopo Nani, che ben presto lo invitò a porre in ordine, ad illustrare i codici orien- tali e le medaglie Cufiche, di cui era fornito a dovizia. In pochi anni con- dusse l'opera al termine desiderato, e la pubblicò col titolo di Catalogo dei Codici manoscritti orientali della Biblioteca TSaniana, e di alcune monete Cufiche , voi. 3 in 4-° H Mecenate studiò come potesse ricambiare i ser- vigi dell' Assemani , e vi riesci adoperandosi perchè fosse destinato a insegnare lingue orientali in questo Seminario. Veramente il caso era nuovo, perchè a que' soli era accordato di sedere a maestri , che fatte vi aveano le parti di allievi ; ma un ottimate che pregava non dovea dubitare della vagheggiata ec- cezione. Esercitò il suo magistero sino al 1807, cioè sino alla sua elezione a Professore delle stesse lingue orientali in cotesta Università; e vi stette go- dendo dell'affetto degli uomini dotti che onoravano quel celebre Palladio dei buoni studii. Né incresceva anche quando era più sollecito della propria che dell'altrui lode, e scherzando lo si paragonava a quegli eroi di Omero, che senza riserva diceano le mille cose del loro valore. L'insegnamento non era per l' Assemani che una frazione delle occupazioni. Il solo carteggio col fiore dei letterati d'Europa era affare da porre alle prove la costanza dei più ope- rosi. Il Professore Driuzzo gentilmente ci trasmise il catalogo dei molti con cui avea commercio di lettere, e ci parve che le spedite all' Assemani pos- sano ascendere a parecchie centinaja (0. Copioso è pure il catalogo delle sue (1) Avevamo già estesi questi brevi cenni intorno all' Assemani, quando ci venne di rilevare che l'indicato carteggio fu acquietato dal nostro dottissimo Collega Abate Prof. Francesconi. 8 Opere. Quattordici sono le pubblicate, altrettante le inedite, quasi tutte intese a svolgere argomenti relativi alle lingue e alla letteratura orientale. Giova spe- rare ebe l'ottimo Driuzzo porrà in piena luce quanto a quell'Orientalista ap- partiene, giacebè sappiamo ch'egli ba in animo di tesserne un elogio storico al- quanto accurato. Fu Membro onorario dell Istituto, e Socio di varie Accade- mie. Morì di febbre tifico -perniciosa nel di 7 Aprile del 182 1. Il Prof. Zabeo lodò i talenti ed il cuore dell' Assemani con assennata e affettuosa Orazione. Infausto giorno per l'Università e per l'Accademia fu il 26 del 1822, giacebè mancato a' vivi Giovanni Farini, l'una perdette un abile Professore, l'altra un Socio per ogni titolo ragguardevole. Nacque in Russi, picciola terra del Ravennate, il io Aprile del 1778. Nel Seminario di Faenza, quindi nel Collegio di Ravenna attese alla prima sua educazione, cioè alle umane lettere. Volea incontanente consecrarsi alle Matematicbe, ma le guerresebe vicende non lo permisero. Ritornata la calma, volò tosto a Pisa, cbiamato dalla celebrità del Prof. Pietro Paoli. Non è a dirsi con quanto fervore te- nesse dietro all'insegnamento di quell'uomo dottissimo, e quanto ne profit- tasse nel primo anno del suo tirocinio. Troppo lungbe gli sembravano le va- canze, tanta era in lui la premura di compiere quel corso biennale. Rivide il Paoli ; ma tosto dovette accomiatarsi , scorato dalle voci sparse die nella vicina Livorno sviluppata si fosse la febbre gialla. Non senza qualcbe stento, attese le discipline sanitarie adottate per evitare il minaccioso flagello, potè ripararsi a Bologna. Vi stette tre anni, studiò a tutto uomo, e ottenne la laurea ben meritata d'Iugegnere. Altri da meno del Farini avrebbero riposta la somma del sapere nei cimenti che gli aveano procurato l'alloro: ma egli non così la pensava, e prima delle sue cure fu il recarsi a Pavia, pendere dal labbro dei molti che insegnavano con tanto plauso , in ispezieltà le Ma- tematiche. Vi avea fra questi il Brunacci, e fu con lui che strinse i più saldi legami di osservanza e di amicizia. Quanto giovamento traesse da quel nodo, da quel conversare incessante, lo mostrò colla bellissima analisi di un nuovo sostegno immaginato dal signor Betencourt, che piacque e venne inserita nel terzo volume degli Atti d'Incoraggiamento di Milano. Frutto di quel dotto lavoro fu la promozione d'Ingegnere sotto gli ordini del signor Lessan ali" Arsenale di Venezia ; ma non gli andava molto a san- gue un impiego che, oltre toglierlo a' suoi cari studii, il teneva impacciato in quelle brighe penose di guardarsi dalle insidie dei progettisti scaltriti, e di 9 astringere i meno onesti all' adempimento dei patti in tutto ciò che teneva alla costruzione dei navigli. Non andò guari che ritornò sulle orme primiere, e vi ritornò nel 1807, venendo eletto a Professore di Fisica generale nella nostra Università. Coprì come Supplente anche la Cattedra d'Introduzione al Calcolo suhlime, e finalmente con Decreto Cesareo s'ebbe quella di Ma- tematica pura, elementare. In tutti e tre questi rami d'insegnamento si mo- strò non solo profondo, ma nato precisamente per ammaestrare la gioventù. Era così chiaro, così preciso, che rendea in certa guisa palpabili e popolari le idee più astratte e sublimi. Niente diremo del suo caldo affetto pei gio- vani di liete speranze , della sua pazienza instancabile nel sorreggere i deboli , della sua premura paterna per richiamare i traviati; gran lezione per chi isti- tuisce la gioventù , se le anime vili e mercenarie sono però suscettive di no- bili eccitamenti. Benché tutto inteso all'adempimento dei doveri di Professo- re, non intralasciava quei*di Accademico. Interveniva con assiduità alle Ses- sioni, e leggeva a quando a quando una qualche Memoria sempre degna di lui. Ve n'ha due inserite negli Atti; sta la prima nel voi. I. dei Nuovi Saggi, e porta il titolo: Sopra una nuova macchina dell' Ingegnere Bor- gonso premiala dal C. R. Istituto; esiste l'altra nel seguente, ed ha in fronte: Nola al tomo IV. del Calcolo integrale di Eulero. Eccellente al di fuori, non ismentì sé stesso fra le pareti domestiche. Fu ottimo marito, ottimo padre. Morì per lunga e molesta malattia polmonare nell'età fiorente di quarantaquattr'anni. II Prof. Santini onorò la memoria del suo carissimo amico e collega con un'Orazione quanto lontana da ogni artifizio oratorio, al- trettanto dotta e commovente. Quantunque l'Ab. Giovanni Braus abbia pagato alla natura l'inevitabil tributo soltanto nell'Agosto del i8a3, pure l'Accademia provò il dispiacere di non poterlo più annoverare fra suoi Membri attivi sino dall'Ottobre del 181 5. Speziale inspirazione di appartenere alla rinascente Compagnia di Gesù lo determinò a lasciare il Seminario, l'Accademia, gli amici. Il Braus dischiuse gli occhi alla luce nel giorno 26 Febbrajo 1774. Tiene fu la sua patria, e in Tiene attese ai primi studii con molto profitto. Compiti gli anni sedici entrò nel Seminario di Padova, e appena entrato diede a conoscere che sa- rebbe riescilo superiore a molti, a niuno secondo. Riscosse applausi colti- vando le lettere, seppe meritarli conversando colle scienze, precipuamente colle sacre, giacché si era iniziato nella carriera ecclesiastica. Convinti i su- IO periori che sarebbe riescilo eccellente maestro chi era stato valentissimo allie- vo, il vollero a parte di quell'insegnamento. A tenore di una costumanza in- veterata salì per gradi nel magistero. Insegnò Grammatica, da poi Umanità, finalmente Rettorica, dando sempre non equivoci segni di un ingegno sveglia- to, e, ciò che più vale, del maggiore interesse pel profitto de' suoi allievi. Era più il loro padre che il precettore; e temperando la severità della disci- plina colla dolcezza delle forme, era l'arbitro dei loro cuori. Il Seminario non lasciò senza premio il suo Braus, e lo elesse a maestro dell'Accademia, posto il più lusinghiero nella carriera di quella educazione letteraria. Mostrò quanto potesse in ogni guisa di poesia greca , latina , italiana ; e fra le molte Accademie che fece tenere a' suoi alunni, vive pur anco scolpita nella me- moria di molti quella che avea per tema l'eccidio di Gerusalemme. Coltivò altresì l' eloquenza con qualche plauso , e ne fan prova le Orazioni funebri che recitò per onorare la memoria di alcuni uomini illustri per pietà o per sapere. Tali furono quella detta in morte del P. Ab. Trevisan di S. Giusti- na, l'altra nei funerali di Gio. Battista Ferrari, la terza in lode di Alvise Bo- telli Parroco in S. Bartolommeo. Fu questo il suo tenore di vita sino al i8i5, epoca in cui, come si è detto, passò a Roma per indossare l'abito del Lo- jola. Visse da circa ott'anni diviso fra la piccola Reggio e la Capitale del mondo cattolico, sempre caro a' suoi confratelli, sempre stimato dagli altri. La cattedra , il pulpito, ed ogni foggia di ecclesiastico ministero formarono le sue occupazioni , finche un' ostruzione ostinata decise de' suoi giorni nell' età fresca di quarantanove anni. Poche e di breve estensione sono le Opere che ci rimangono; le note si riducono alle seguenti. Elegia Gualphardo Rodolphio Ariminens. Episcopat. ineunti. Veronae 1808 in 4.0 Amor conjugalis ad sepulcrum Lucretiae Obiciae . Hexametri. Patavii 1808 in 8.° Quattro Anacreontiche in occasione di nozze. Padova 1809 in 12.0 De Patavino Canovae Monumento. In 4-° Voto della povertà di Abano offerto alla Vice -Regina d'Italia. Pado- va 181 2 in 8.° Traduzione in Ode Alcaica latina della Jerogamia di Vincenzo Monti. Cre- mona 1 8 1 o in 8.° Oratio de lectione pravorum librorum. Regii 1822 in 8.° Hierosolimae excidium. Carmen. Patavii 1824 in 8.° 1 1 Vero Nestore della nostra Accademia fu 1' A.b. Giovanni Coi, perchè vi appartenne sino dalla sua instituzione coli' onorevole incarico di Vice- Segre- tario per le scienze. Villanova, terra del Padovano, gli diede i natali nel giorno ii Novembre del 1737. Di onesta e agiata condizione, ebbe tutti i mezzi per crescere alla probità ed al sapere. L'esempio de' suoi era la più. efGcace lezione per formare il cuore a virtù ; le cure che si diedero per edu- care l'intelletto furono le più opportune. Si arroge, che avea sortita un'in- dole esimia, non comune l'ingegno. Non ci volea di più per ottenere i de- siderati risultamenti. Tenerello entrò nel Collegio di Castelfranco, e vi fece le parti di alunno sino all'anno quindicesimo. L'ottima madre, che tutte aveasi le brighe domestiche , perchè il padre era mancato a' vivi , volle che il Se- minario di Padova proseguisse l'incominciata educazione. Fu gran ventura pel giovanetto di entrarci quando quell'Istituto toccava l'apice della celebrità, tanti erano gli uomini sommi, cui stavano affidati a quell'epoca i varii rami dell'insegnamento letterario e scientifico. Nella letteratura ebbe a maestri il Faccioli e il Cesarotti; nella Filosofia il Cognolato. Di tempera gracile dovè abbandonare quel caro asilo ; ma non così, che cessasse di appartenervi an- che come studente; che anzi diede opera alla Teologia sotto il magistero del Trivellato. La laurea teologica e l'aggregazione al Collegio sacro non furono pel Coi che conseguenze del merito; per altri poteano essere, od erano, frutto di una troppo esuberante indulgenza. Giunto al Sacerdozio, si fece un dovere non solo di continuare lo Studio, ma di prestarsi per la gioventù, calcolando che lo studiare per sé la è cosa buona, ottima lo studiare per rendersi utile agli altri. Ebbe scelta corona di allievi; scelta per la nobiltà della lor condizione, scelta per felice attitudine. A qual prò sudare per ani- me ottuse od inerti? A quell'epoca scrisse e pubblicò un Ragionamento in- torno ai fiumi del Veronese, del Polesine e Padovano , opportuni rimedii additando contro i mali di cui quelle acque erano pur troppo feconde. Ma gl'Idraulici, accostumati e troppo gelosi del mistico linguaggio dell'Algebra, non fecero buon viso a un lavoro che con una chiarezza e semplicità po- polare diceva cose attemperate all'intelligenza di tutti. E però vero che quei censori non isdegnarono di trarre qualche partito dalle osservazioni del Coi. Più fortunata fu l'Orazione gratulatoria per l'esaltamento di Monsignor Giu- stiniani alla Cattedra vescovile di Padova, che scrisse, recitò e rese di pub- blica ragione per ordine del Collegio sacro. Diciamo più fortunata, perchè piacque a tutti, e da tutti venne applaudita. Quel Prelato sagace vide che il 12 Coi sarebbe riescito eccellente nel reggimento del Seminario. Lo elesse quindi a Rettore; ne s'ingannò nella scelta, cbè in breve quell'Istituto respirò la vita primiera , anzi salì a maggiore celebrità ; tanto è vero che ci venivano no- bili alunni dalla Francia, dalla Spagna, dalla Polonia, dalle più lontane re- gioni. Fu per opera sua che crebbe l'insegnamento, e vi ebbero Cattedre di lingue orientali, di architettura, lezioni di lingua francese. Alle cure del Se- minario associava quelle della tipografia. Così era geloso dell'onore di quel- l'arte e del luogo, che mai consentì che si stampassero Opere inutili od equi- voche. Bensì fu ardente promotore di onorevoli imprese, se però talvolta non erano un po' troppo ardimentose. Ottimo fu per se stesso il pensiero di ri- «tampare l'Enciclopedia metodica, purgandola da molti articoli licenziosi in fatto di religione, di morale e di politica; ma forse non ottimo per conto dei risultati economici. In mezzo a tante occupazioni trovava delle briciole- di tempo o per dettare ciò che credea non inutile alla istruzione, o per in- trattenersi colle Muse quando l'urbanità, l'amicizia, il dovere invitavanlo a celebrare un imeneo, a lodare un pubblico magistrato. Fra i suoi scritti me- rita speziale ricordanza il Discorso che nel 1787 lesse alla nostra Accade- mia, riguardato dal Gennari qual nobilissimo e dottissimo panegirico delle tre lingue greca, latina e italiana. Giunto l'anno 1807, sentì un bisogno di provvedere alla sua quiete; chiese perciò di ristarsi dall'uffizio di Rettore, e venne esaudito. Fu all' incirca a quell'epoca che anche tra noi passò alla classe dei Socii Onorarli, classe che, nulla togliendo agli antichi diritti, di- spensa dai consueti doveri. Al Coi sgombro di ogni occupazione restò quella che fu sempre in cima de' suoi pensieri , la beneficenza. Oh come era largo coi poverelli! A dir breve, benché signore di un patrimonio non lieve, per essere benefico visse sempre una vita misera e disagiata . Giunse a tale , che alienò dei beni, altri ne ipotecò per alleviare i miseri , spezialmente nei duri tempi di carestia. Ne contento di questo, divideva con essi il suo breve pran- zo. La stessa limosina della messa era in sull'istante l'elemosina degl'infelici che all'uscire di chiesa attendeanlo. Morì nel giorno 12 del 1824. Il Prof. Svegliato con eloquente Orazione lodò il Coi; ma la maggiore delle lodi sta- va nelle lagrime degl' indigenti , che deploravano la perdita del più generoso benefattore. Se le scienze e le lettere potessero sempre annoverare fra' suoi degli uo- mini eguali ad Angelo Dalla Decima , i loro annali sarebbero quelli della più ampia dottrina e della più specchiata bontà. È problema qual delle due pri- meggiasse; così erano in amico nodo congiunte, tanta era la nobile gara. Cefalonia fu la patria, Costantino e Stella Crasian i genitori, il 12 Febbrajo del 1752 l'epoca de' suoi natali. Giovanetto varcò il mare, entrò nel Col- legio dei Somaschi di Padova, dove venne educato alle lettere amene. Quanto alle discipline filosofiche sorti a direttore il celebre Stelliai ; i progressi fu- rono sommi, perchè sommo l'ingegno dell'allievo, sommo il sapere del pre- cettore. Si decise per la Medicina; ma faceva camminare di pari passo la scienza d' Ippocrate e quella di Archimede : e non a torto , che tanto meglio si congettura, quanto più si ragiona a dovere; e le Matematiche sono mae- stre in grado eminente di quel raffrontare severamente le idee, che guida alla verità, o non ci permette di patteggiar coli' errore. Nel 1775 gli venne conferita la laurea medica. Poca contento di quanto sapeva, volle far tesoro di nuove cognizioni: a tal uopo visitò Roma, Firenze, Pavia, tutto osservando con maturità e accuratezza. Strinse amicizia cogli uomini più illustri, spe- cialmente coi matematici: tali un Boscovich, i due fratelli Fontana, Grego- rio e Felice. Ritornato a Venezia, diede non equivoci saggi della estensione del suo sa- pere, e li diede rendendo di pubblico diritto due opuscoli, accolti con assai di favore. Trattava l'uno del modo di determinare la linea che un corpo per- corre, mentre è attratto nel tempo stesso, giusta le leggi del Newton , da al- tri due corpi; l'altro era inteso a determinare la forza di alcuni veleni con- frontati con quello della vipera. Il Senato Veneto, che avea per norma delle sue elezioni la non equivoca rinomanza degli uomini , ben presto fiso gli oc- chi sopra il Dalla Decima, e nel 1786 lo destinò alla Cattedra dei Semplici in questa Università, che poi assunse il titolo di Materia medica. Mirando alla costumanza più inveterata, il nuovo Professore era una specie di eccezio- ne alla regola, mentre contava poco più di sei lustri; ma la si riguardò come dovuta a chi molto spazio avea in poco tempo percorso. Come e quanto si adoperasse a prò dei giovani che dovea instituire, ce 1 dicono le due tradu- zioni, corredate d'importantissime aggiunte, del Linneo e del Cullen intorno alla Materia medica, che ben presto diede alle stampe. Fece anche di più; vale a dire, implorò e ottenne dalla sovrana munificenza V istituzione di un Gabinetto, perchè i giovani avessero sotto gli occhi le sostanze minerali, ve- getabili ec. che debbono entrare nei farmachi. Resa vacante la Cattedra di Geologia, e chiamato a farla da supplente, aderì, e vi si prestò come solea. «4 Mancava un testo opportuno, e tosto si fece ad estenderlo, tosto lo pubblicò, mostrando che fra i geologi potea pure occupare un posto di onore. Nel 1817, richiamata l'Università a un nuovo ordine di cose, toccò al Dalla Decima, oltre la Materia medica, l'insegnamento della Patologia. E anche allora, mi- rando al maggiore profitto de' suoi alunni, estese un Trattato accuratissimo, in cui raccolte si trovano le svariale opinioni degli antichi e dei moderni in- torno alle cause, alle differenze, ai sintomi delle malattie. La pubblica istru- zione, le Opere che andava dettando non erano le sole occupazioni di quel- l'uomo oltre ogni dire operoso. Tutto cuore pel profitto dei giovani, amava d'intrattenersi con essi anche fra le pareti domestiche, e precipuamente ab- bondava di sollecitudini per quelli della sua patria e di tutte le Isole Jonie. Né si accontentava di arricchire il loro intelletto, che dava mano ai soccorsi anche senza esserne chiesto; nel che sta la più sublime beneficenza. Sono molti quelli che senza di lui non avrebbero potuto proseguire gli studii, con- seguire la laurea. Questa virtù, a dir vero di pochi, era di lui così propria, che quanti infelici gli chiedeano un conforto, tutti partivano da lui consolati. E ritornando alla sua instancabile attività, noteremo che, a fronte delle cure accennate, tanto gli restava di lena e di tempo da esaurire parecchie pubbli- che commissioni , da satisfare ai doveri relativi alle molte Accademie di cui era Membro. A fronte di tutto questo, godeva della più ferma salute. E quando cominciò ad alterarsi per mala affezione della vescica, così se ne mo- strò superiore, che gli altri lo seppero soltanto qualora divenuto il male gi- gante, troncò quasi direm sul momento il filo de' suoi giorni preziosi; il che avvenne nel 14 F ebbra jo del 1825. Increbbe a tutti i ceti la morte del Dalla Decima, e increbbe perchè ai sommi talenti, alle più chiare virtù associava quelle forme care e gentili che legano gli animi , com' ebbe a notarlo il Prof. Caldani nell'Orazione recitata nel giorno delle esequie solenni. Gli uomini d'alto ingegno dotati hanno diritto alla comune estimazione; ma non l'hanno all'affetto, ove un aureo cuore non abbiano sortito dalla na- tura. Giuseppe Avanzini provò le dolcezze della stima e dell'amicizia di quanti il conobbero, perchè a sommi talenti un animo eccellente congiunse; Ebbe a culla Gaino, piccola terra del Sdlodiano. Trasse i natali da Michele e da Orsola Fantini, poveri ma onesti genitori, e il primo giorno del viver suo fu il i3 Dicembre del i-jH'i. Il Parroco del suolo natio ebbe il merito dei primi passi nella coltura dello spirito. Attese da poi alle lettere nel Collegio i5 di Salò, e presso i Gesuiti di Brescia s'iniziò nei misteri della Filosofia. In quel torno cadde il colosso Ignaziano; ma i magistrati di quella città, sem- pre teneri della migliore educazione dei giovanetti, agli espulsi figli d' Igna- zio sostituirono dei precettori non meno idonei, anzi resero più ricca l'istru- zione colla giunta di una Cattedra di Matematiche pure e applicate. Fu scel- to a Professore quel Coccoli, il cui nome vale un elogio. L'Avanzini, nato per battere con assai di valore le vie di Matesi, vi si applicò col fervore più intenso, ne andò guari che divenne l'idolo del suo maestro. Compito il cor- so , fece bella prova de' suoi progressi sostenendo pubblicamente molte e molte proposizioni, che il più bel fiore delle scienze fisico-matematiche offri- vano. Larghi furon di lodi gli astanti, somma la gloria del giovarle alunno, che appena toccava l'anno vigesimoterzo. Giunto all' età canonica , venne or- dinato Sacerdote. La fama vantaggiosa dell'Avanzini determinò il Conte Car- lo Bettoni, vero mecenate delle scienze e dei loro cultori, a invitarlo a di- videre con lui i piaceri dello studio, a gustar quelli di un'amicizia ospitale. Il Bettoni vedea molto addentro nelle Matematiche applicate, e sopra tutto nell'Idraulica. Frutto di quella dolcissima unione fu l'Opera che il Bettoni pubblicò nel 1802, intitolata: Pensieri sul governo dei fiumi j assai bene ac- colta dai dotti. L'Avanzini vi ebbe non poca parte, mentre sappiamo con cer- tezza che sono di lui le sperienze ed i calcoli. Ma il Bettoni da lì a poco cessò di vivere, e l'Avanzini si trovò nella necessità di pensare a un'onesta esistenza. Cangiò cielo, e venne a Padova colla speranza di trarre qualche partito dalle sue cognizioni: speranza che non gli fallì; ne fallire doveagli, che rado è il caso di una fortuna del tutto avversa a chi sa davvero, a chi davvero è probo ed onesto. Non andò guari che venne eletto a Maestro di Fisica e Matematica nel fiorente Collegio Garganego di Noventa; alla quale destinazione presto l' altra successe di Lettore di Geometria e di Fisica nel Collegio di S, Marco per Decreto dei Riformatori. L'Avanzini meritava per altro assai più; e questo più l'ottenne nel 1797 colla nomina di Professore di Geometria ed Algebra in cotesta Università. Vi stette, confortato dall'amo- re e dall'applauso de' suoi alunni, fino al 1801, anno in cui abbandonò la Cattedra per assecondare i voti de' suoi Bresciani , che il voleano Rettore e Segretario della loro Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. Vi si trat- tenne sino al i8o3, epoca in cui passò a Bologna, perchè creato Membro Onorario e Vice- Segretario dell' Istituto: nell'anno seguente conseguì il po- Mo di Membro Pensionarlo. Ma giacche gli eventi non comportavano che i6 vivesse in seno della sua Brescia , anelava al soggiorno di quella Padova , clie gli si era mostrata tanto propizia. Non prevedute combinazioni arrisero a' suoi desiderii, e nel 1806 ottenne la Cattedra di Fisica generale e di Matematiche applicate. Se l'Avanzini, malgrado le alternate destinazioni, un quasi continuo cangiare di cielo, mai si ristette da uno studio indefesso, è facile l' immaginarsi come e quanto assecondasse quel suo fervore vivendo una vita tranquilla, e solo occupata delle giornaliere lezioni della sua Catte- dra. Dal dì die proluse sino al 18 14 non altro si potrebbe dire di lui, se non che studiò, e senza posa, se una quistione che s'ebbe col Brunacci non avesse resi quegli anni troppo celebri per la storia delle baratterie letterarie, troppo molesti ad un uomo, ch'essendo intimamente convinto di avere l'evi- denza a compagna, a tutrice, sdegnava che le sole armi di un violento po- tere e di un favore di partito avessero a decidere della sua sconfitta e del- l'altrui vittoria. E molto più soffriva a malincuore che la viltà di chi più gli era da presso immolasse sull'altare di un'adulazione servile i sacri diritti del- la verità e della giustizia. Ma la prepotenza era circoscritta a breve suolo, ma la viltà allignava in que' pochi che, molto adulando, molto poteano spe- rare; e l'Avanzini s'ebbe il conforto, che il fiore dei Matematici a lui, non al potente avversario, dessero la palma della vittoria, dopo di avere esamina- ta la quistione come doveasi , cioè con senno e senza passione. A raddolcire le passate amarezze concorsero l'onorevole elezione a Membro della Società Italiana, e il non meno onorevole Decreto di Sua Maestà, che nel 1816 lo sostituì al celebre Cossali come Professore di Calcolo sublime. Così restituito alla calma primiera, continuò a coltivare le sue Matematiche; ma radi erano i giorni che alla severità del calcolo non facesse succedere gli ameni studii, che non era no l'uomo da un libro solo, e molto gustava checché alla lette- ratura, alle arti TÌfel bello appartiene. Ma quel calcolare continuo, ma le sof- ferte amarezze alternarono a grado a grado la sua salute; nel i8a5 comin- ciò a sentire molesti insulti di nervi, e per un intero biennio menò una vita precaria e penosa. Colpito nel giorno 18 Giugno del 1827 da nuovo terri- bile assalto, perde la favella, ben presto i sensi, indi la vita. 11 Prof. De la Casa nel giorno dei solenni funerali lodò l'illustre collega coll'accento di un animo preso dal più fitto dolore; e n' avea ben donde, che i dotti pari al- l'Avanzini son pochi. E inutile il dire quali e quante fossero le Accademie che, oltre le accennate, si gloriarono di averlo a Membro; come è inutile tessere il catalogo delle sue Opere. Le prime non accrescono la fama di un uomo già celebre , e le seconde stanno registrate nell' Orazione del suo en- comiatore, già resa pubblica colle stampe. Se molto sapere a molta modestia congiunto, se un'anima costante fra i sinistri di maligna fortuna danno titoli all'altrui estimazione , sommi gli ebbe da vero il Prof. Angelo Ridolfi, mancato a' vivi da un lustro. Verona fu la sua patria, illustre il suo lignaggio. L'avito nome, e quello della madre Eli- sabetta Giusti dal Giardino , fanno pienissima prova di una nobile origine . Vide la luce nel dì 25 Maggio 1752. Trascorsi gli anni della puerizia, an- dò a Monte Oliveto Maggiore in Toscana, dove venne istituito nelle lettere umane e nella filosofia. Si distinse in quelle ed in questa, e l'Università di Siena lo insignì della laurea filosofica. Indossò l'abito de' suoi institutori, e re- catosi a Roma per attendere alle scienze teologiche , si mostrò sempre eguale a sé stesso per intensa applicazione e per non comune profitto. Pavia era a quella stagione doviziosa di uomini sommi in ogni tempra di studii , e pre- cipuamente nei sacri. Il Ridolfi volle far tesoro delle lezioni che la filosofia e la legislazione aveano per iscopo, e ne colse il frutto desiderato. Tanto fer- vore alle più amabili maniere congiunto lo tenne raccomandato per guisa , che in breve fu eletto a Ripetitore di Logica e Metafisica . A questo uffizio suc- cessero gli altri di Reggente e Maestro di Storia generale e Geografia nelle scuole minori, poscia di Vice-Direttore, Bibliotecario e Ripetitore per la Cat- tedra di Diritto naturale nel Collegio Ghisilieri. Fra tante mansioni trovava dei ritagli di tempo per alcune geniali occupazioni, e lo provò colla tradu- zione Dell'umano intelletto di Flègel , arricchita di opportunissime aggiunte, e colla versione pure italiana del Saggio di Sulzer sul miglior modo di leg- gere le Opere classiche degli antichi. Divenuta Bologna parte del Regno d'Italia, il Ridolfi venne chiamato a professare Diritto pubblico e delle gen- ti in quella dotta Università. Non ismentì la fama che l'avea preceduto, e frutto di non equivoca estimazione fu l'aggiunto incarico della diplomazia e della storia. Quasi che i nuovi pesi Iena a lena aggiungessero , diede alla pub- blica luce un Trattato di Diritto sociale _, che se a tutti non piacque, la col- pa fu meno dell'autore che dell'argomento, troppo seminato di scogli, per- chè senza rompere si possa aggiungere il porto. Stette però la sua fama, e continuò a godere dell'affetto comune, frutto dell'auree doti che l'adornava- no. E avrebbe sempre gustato il nettare dell'amicizia e della estimazione di quella dotta città, se un Decreto Pontificio, comune a tutti gli stranieri che 3 «3 vi teneano magistero, nel i 8 1 4 non l'avesse astretto a lasciarla. Fu allora die diede prove di non comune fermezza sostenendo da forte un tanto sinistro , e sperando giorni migliori nell'avvenire. Nobili avea sortiti i natali, come si è detto , ma breve era il censo ; tutto doveva quindi a se stesso , e la per- dita della Cattedra in età di molto avanzata, la difficoltà di pronta e oppor- tuna sostituzione dovea scoraggiare i meno timidi. Si recò a Padova, e nel- 1' amicizia di un antico alunno trovò quell' appoggio che quasi tavola lo scher- mì dal naufragio. Ottenne la Cattedra di lingua e letteratura tedesca, alla quale da poi venne unito l'insegnamento della pedagogia; con che gli fu dato di assicurarsi una sussistenza onorata e decente finché giunse l'estremo giorno del viver suo, che fu il 20 Febbrajo del i825. Il Professore Configliacchi rese il dovuto encomio al collega. Oltre le Opere accennate, abbiamo del Bidolfi alcuni Pensieri intorno al Principe del Machiavelli, un Elogio di Pompeo Me- ri, una Descrizione del giardino della Viola, un Prospetto della letteratura ale- manna. Fra i suoi scritti deve esistere una Vita di Fra Giocondo, che si de- sidera veder fatta di pubblica ragione. Di cara e onorata memoria sarà sempre l'Ab. Francesco Dott. Bertirossi - Busata per quel fervore instancabile che lo distinse nell'adempimento dei doveri di Socio. I ciliari nomi non bastano alle Accademie; è mestieri che ai ta- lenti e alla fama aggiungano l' operosità , la frequenza , mentre sono fiorenti e sussistono a prezzo dell' intervento dei Membri , e la mercè delle lor pro- duzioni. Il Busata assisteva fedele alle Sessioni, e quasi non vi ebbe anno in cui non leggesse, quantunque il dovere fosse circoscritto ad ogni biennio. E lesse Memorie di qualche pregio ; alcune meritarono di essere inserite nei volumi dei Saggi Accademici. Nacque nel castello di Marostica il dì 3 Ago- sto 1765 da Andrea e da Caterina Cumano. Studiò in patria le belle lettere e gli elementi della Matematica . Fatto uomo di Chiesa , passò a questa Uni- versità, dove attese alla Filosofia con vera lode, conseguendo l'alloro desiderato. Tenero degli studii astronomici, viveasi indiviso dal Prof. Chiminello, con cui avea comune la patria ; e profittando di quella società così cara, divenne alquanto ricco nella scienza del cielo. Un'aurea condotta, un ingegno felice nel i8o5 gli meritarono il posto di Alunno nell'Accademia, e nel 1807 quello di Socio Attivo. Dovette pure a suoi talenti, alla sua probità la no- mina di Allievo aggiunto a questo Osservatorio col Decreto del cessato Go- verno Italiano dell'Aprile 1807. Il Chiminello fu astretto a intralasciare i suoi studii per fiero colpo di apoplessia, e quindi sospendere la pubblicazio- ne del Giornale Astro -Meteorologico. Vi si prestò il B usata, continuandolo fino agli estremi del viver suo. Ritornate le Provincie Venete sotto l'austria- ca dominazione, con Sovrano Decreto del 6 Novembre 1817 fu creato Astro- nomo Aggiunto pel calcolo presso lo slesso Osservatorio. Visse da circa otto anni dopo quella destinazione, ma non tutti con quella salute prospera e fer- ma die ognuno dovea sperare, attesa una complessione alquanto robusta. Sino dal 18 16 giacque lungamente per grave febbre biliosa. Si riebbe, ma sin d'allora contrasse una mala affezione di fegato. Gli assalti nel 1824 furono molto forti, finche nel Novembre dell'anno seguente dormì il sonno di morte. Increbbe quella perdita, e increbbe perchè rapito nel fiore della virilità, per- chè alla più morigerata condotta annodava l'urbanità, la lealtà, doti tanto più pregevoli, quanto meno comuni. L'amicizia del Socio nazionale Dott. Tra- versa richiamò alla memoria degli Accademici i pregi dell'egregio Busata. V ha degli uomini , la cui fama al di là non si estende del patrio suo- lo; e ve n'ha di quelli che sono più pregiati e più conti agli stranieri, che a* suoi. Ai secondi appartiene Jacopo Penada , nato in Padova il giorno ir Dicembre del 1748. La sua prima educazione fu nel Seminario di Padova, vale a dir la migliore; e fra i precettori contò l'Ab. Costa, cioè il più clas- sico di quella stagione in ogni foggia di letteratura greca e latina. Dai fiori colti conversando coi poeti passò alle spine della severa Sofia, e da questa alla Medicina, avendo a maestri i Dalla Bona, i Morgagni, i cui nomi vi- vranno finché avran vita le scienze che professarono con tanto onore. Conse- guita la laurea, attese alla Medicina pratica nello Spedale, alla sezione dei cadaveri nella Università, profittando dell'auree lezioni di Leopoldo Caldani , succeduto al principe degli Anatomici. Tanto crebbe nella Clinica medica, e tanta desterilà acquistò nel maneggiare il coltello anatomico, die passati fra 1 più il Fiorati primo incisore, e il Trevisan protomedico, fu riputato degno di succedere a entrambi. Fra le prime sue produzioni v'ha un Saggio di os- servazioni medico-pratiche meteorologiche , che comparve nel 1796. Le con- tinuò pel corso di otto anni; ma le pubblicale abbracciano il solo periodo di sei. Come venissero accolte chiaramente ce '1 dice il celebre Roenier di Zu- rigo, che intitolando al Penada la sua Opera Dissertationum Medicorum Ita- licorum etc. non esita di porlo a fianco dei Fontana, dei Cirilli, dei Fortis, degli Spallanzani, degli Olivi, dei Comparetti. Se il confronto è forse un po' 20 troppo indulgente, varrà per lo meno a provarci che il Penada godeva fra gli stranieri non mediocre riputazione. L'altra Opera che ottenne gli elogi del Roemer è un primo Saggio di osservazioni patologiche ed anatomiche, stam- pato sino dal 1792, al quale successero altri due volumi dello stesso tenore. Che se in quelle osservazioni non sempre colse nel segno, e giudicò come frutto di sue scoperte ciò che assai prima avea detto il Vesalio, e diede per certi dei fatti smentiti dalla Scuola anatomica di Ferrara a prezzo di più accurate sperienze, non per questo scemò la sua riputazione, che l'uomo, comunque dotto, non è altrimenti infallibile. Ma vi ebbero delle Memorie che piacquero, che riscossero pienissima lode. Lo Scarpa, a cagione di esem- pio, encomiò il Saggio sulla nuova anatomica descrizione delle fibre com- ponenti il così detto seno quadrato del cuore, e la Società Italiana dei XL. onorò dell'accessit la Dissertazione sopra la tosse convulsiva, e l'inserì ne' suoi Atti. Ne meno estimatrice fu la nostra Accademia, che altre Memorie del Penada riputò degne della pubblica luce. Già fino dal 1806 ci apparten- ne come Alunno, passando assai presto nel novero dei Socii Attivi. E giac- che parliamo di ascrizioni onorevoli, diremo che fu Professore Onorario del- l' Imperiale Università di Vilna in Lituania. Lesse più volte come Corrispon- dente nelle Sedute del Cesareo Istituto, e lesse confortato dalla più gentile accoglienza. Se il Penada a molto sapere avesse associata una lingua più col- ta, una più felice disposizione delle materie, e quel dire quanto precisamente eonviene all'argomento, di gran lunga maggiori sarebbero stati i suoi titoli alla celebrità. Ma volea dir troppo, dire senza quel lucidus ordo tanto rac- comandato da Orazio, largheggiare di passi presi qua e là dai poeti, incasto- narli a violenza, e dire senza por mente a quella gran verità, che il pregio dei nostri concetti è nella ragione diretta della precisione dei segni , delle forme aggraziate, di cui ci serviamo per dar loro vita e dipingerli. Molti altri scritti abbiamo di lui . Tra questi v' han tre Memorie che doveano piacere quando il Saros del Toaldo era di moda. Persuaso il Penada che il ritorno di quegl' identici aspetti lunari potesse anzi dovesse influire non solo nell'aria, ma anche nel corpo umano, così fu di avviso che dopo il Ciclo di 228 lu- nazioni avessero a ricomparire le malattie che diciotto anni prima aveano af- flitta l'umanità. Ma oggi si terrebbe poco conto di questi calcoli di analogia, come non sono valutati gran fatto quelli del Toaldo riguardo al ritorno de- gli stessi fenomeni dell'atmosfera. Se però meno piaceva qualche sua produ- zione, il Penada non era meno tranquillo. Forse dovette a quella specie di 21 stoicismo una vita longeva. Il Fontenelle visse molto, perchè non volle saper- ne di quistioni, di brighe letterarie. Di fatto il nostro Socio toccò l'anno ot- tantesimo; la sua morte segui il a3 Febbrajo del 1828. Nella Biografia Uni- versale v' ha un articolo che parla del Penada con onore , e mette querele perchè i suoi non abbiano onorata la memoria di lui almeno di un sasso che ne ripeta ai posteri il nome. Per lenire in qualche guisa l'amarezza di quell'affettuoso biografo, diremo che vivrà sempre ne' suoi scritti, sempre nel- la memoria di quest' Accademia . E come no , se non v' ebbe chi lo superas- se nell'assiduità dell' intervento, nella copia delle Dissertazioni lette pel perio- do di oltre vent'anni? Se l'Accademia avea mestieri di chi riempisse il vóto improvviso di qualche Sessione, rivolgeasi al Penada, e il Penada avea sem- pre di che intrattenere gli astanti. Stefano Andrea Renier è pur troppo fra i molti di cui deploriamo la perdita. Nacque da nobile famiglia in Chioggia l'anno 1759. Verificati gli studii della puerizia in patria , venne affidato al Seminario di Padova , dove stette finché s' iniziò nella carriera medica . Conseguita la laurea , passò a Bo- logna, quindi a Firenze, e fu in que' rinomati Spedali, che associando alle dottrine acquistate la diurna osservazione, venne a capo di esercitare con qualche gloria l'arte d' Ippocrate. Ma la Medicina non era il primo de' suoi pensieri; bensì lo era la Storia Naturale, per cui avea spiegata la più viva inclinazione sino dalla più verde stagione. E già non era senza qualche pa- trimonio d'idee sull'argomento, ma slegate, confuse, tali che non poteano costituire una scienza. Pensò dunque all'opportuna coordinazione e chiarez- za, e invocò l'assistenza del valente Ittiologo Bartolommeo Bottari suo con- cittadino, che senza più gli pose in mano il Linneo. Il Renier studiò a tutto uomo quel sommo fra i Naturalisti , e in breve fu in istato di determinare come conviene le produzioni marine. I Molluschi dell'Adriatico, tanto nudi che muniti di guscio, formarono il primo oggetto delle sue instancabili osser- vazioni. Non fu scarso il frutto che ne colse, poiché nel 1804 diede al pub- blico un accurato Catalogo. Ma alquanto prima si era dato a conoscere, ren- dendo nota negli Opuscoli scelti di Milano una produzione del tutto nuova e peregrina , spettante al genere dei Botrilli , che dal celebre Lamarck fu chiamata Botrillo Renieri. Il suo nome passò alle straniere nazioni, ed è fama che fosse invitato a professare altrove la scienza che formava le sue dolcezze ; ma la fama stessa ebbe a dire che il nostro Ittiologo non consentì 22 di abbandonare il suolo patrio e le sue predilette osservazioni. Non è per al- tro l'ama cbe nel 1806 venis«e promosso alla Cattedra di Storia Naturale in cotesta Università. Sgombro delle cure mediche, ebbe l'agio desiderato di riordinare i materiali raccolti nel periodo di alquanti lustri , per quindi ren- dere di pubblico diritto la sua Zoologia Adriatica, opera pregevolissima e per le tante specie non per anco osservate o poco note, e pel metodo sem- plice e nuovo della disposizione. Questo lavoro in gran parte eseguito, ma sventuratamente imperfetto, meritò gli elogi del Brocchi in quella sua Con- chiologia fossile subalpina; e un elogio del Brocchi, a dir vero, è cosa di assai lusinghevole. Il Governo Italiano, che sapea quanto il Renier fosse ric- co delle specie marine, l'invitò a formare ventiquattro collezioni, con inten- dimento che ogni Liceo ne fosse provveduto. A tal cenno il nostro Natura- lista visitò di bel nuovo le venete lagune , e le visitò per procacciarsi qualche specie -di cui potea abbisognare, trattandosi di un numero così esteso di serie, e altresì ad oggetto di ripetere le osservazioni, onde vieppiù assicurarsi della verità ed esattezza delle già fatte. In breve tutto pose in ordine, e servì otti- mamente alla pubblica cosa. Sempre inteso a' sUoi Molluschi, giunse a com- pierne la collezione. Si avvisò di farne un omaggio all'Augusto Monarca dell' Istro. Si recò a Vienna, venne accolto con clemenza, e fu ricambiato con una splendidezza veramente Cesarea. Benché le Opere che divisava di pubblicare, le collezioni cui tenea dietro non poco tempo esigessero, non per- ciò veniva meno ai doveri della sua Cattedra. Alieno da qualunque distrazio- ne sociale, circoscritto a' suoi studii, alla sua famigliuola, avea quel tempo che necessariamente manca a coloro che molto vivono agli altri , poco a sé stessi. Prova delle sue sollecitudini sono gli Elementi di Mineralogia, che cominciò a pubblicare , e non potè proseguire perchè morte lo colse . Non abbiamo che la prima parte, cioè la introduzione a quello studio; mancano le descrizioni specifiche. Contemporanea alla pubblicazione di quel volume fu la stampa di nuove Tavole zoologiche. In tutti e due gì' indicati lavori si vede l' uomo non solo informato delle vicissitudini , delle innovazioni alle 'quali soggiacquero la Mineralogia e la Zoologia , ma quanto occorre sagace per seguire o declinare dalle orme segnate dagli altri , secondo che gli sembrava- no sicure od incerte. Passò fra i più nel Gennajo del i83o. Il Professore Caldani con assennata Orazione encomiò l'amico e il collega. Il Renier ap- partenne al Cesareo Istituto, e fu Socio di varie Accademie. Era buono, urbano , prudente ; taluno il desiderò più misurato nel suo domestico reg- 23 gimento, meno animoso nelle sue imprese, né a torto. Un troppo famigerato filosofo ebbe a dire scherzando, che il gran segreto di viver bene sta nello scegliere il tempo dei nostri natali: il Renier invece sbagliò la famiglia; no- bile, onesta, non povera, ma non doviziosa. Credevamo il triste uffizio compito , e questi pochi cenni già stavano per essere mandati alla stampa , quando ria morte ci privò di un altro ragguar- devole Socio nella persona di Anton -Claudio de Galateo, I. R. Colonnello pensionato del Genio, Cav. del R. Ordine della Corona di Ferro, Membro di parecchie insigni Accademie, mancato dopo lunga e penosa malattia d'idro- pe generale nel dì 16 Febbrajo dell'anno corrente 1 83 1. Se la carriera del- l'armi non consentì che fosse tra' nostri che a tarda stagione, cioè quando la sovrana clemenza gli accordò quella quiete che gli anni accresciuti e le sostenute fatiche chiedeano , colla moltiplichi e importanza delle Memorie , coll'assiduo intervento alle Sessioni adeguò, se non vinse, l'operosità ed i servigi dei più veterani. Nel volume degli Atti Accademici pubblicato l'an- no 1825 vi hanno posto onorato due Saggi: l'uno sull'arte di costruire le grandi latrine ad uso comune per caserme, case di ricovero e di jorza , prigioni, spedali; l'altro su quella di costruire le piccole per pubblici e privati edifizii. Abbiamo fidanza che altri lavori non meno pregevoli vedran- no la luce, ben certi che onoreranno ad un tempo l'Accademia e l'Autore. Anton -Claudio de Galateo nacque in Spalatro l'undici Febbrajo del 1765: ebbe a padre il Capitano Francesco, originario del Friuli. Seguì l'orme pa- terne, e venne instituito nel celebre Collegio militare di Verona. Superò di gran lunga tutti i suoi colleghi, e nel 1785, nominato Alfiere degl'Ingegneri, fu spedito all'Isole Jonie, dove fece conoscere quanta fosse la sua perizia nell'arte di riattare le piazze: Parga, l'infelice Parga, non fu l'ultima delle sue cure. Non andò guari che, resa giustizia al suo merito, venne promosso al grado di Tenente. Migliorata la sua condizione economica, pensò ai nodi dimene, e nella nobile Virginia Malagagini trovò un'affettuosa compagna, che il rese padre di ventisei figli: sette soli rimasero, cioè due femmine e cinque maschi, quattro dei quali già militano sotto le auguste insegne di Cesare. Nel 1793 tornò in Italia, e sempre eguale a sé stesso prestò al suo Governo un eccellente servigio nei ripari della Piave e nella riatlazione di Brondolo. Al sapere seppe congiungere un invitto coraggio, e lo mostrò nella giornata del 12 Maggio 1797 contro la veneta plebe, che, mentendo 24 amore dì patria, mirava al più crudele saccheggio di quella città; e molto più nell'Ottobre del 1798, affrontando il primo il terribile incendio del Lido, suscitato dalla esplosione di quella polveriera. Tanto ardimento gli meritò il posto di Capitano del Genio, grado con cui passò al servigio della Repub- blica Cisalpina, la quale, posti alle prove i suoi talenti con un esame severo di sette giorni, Io elesse a Capobattaglione. La guerra di que' giorni rese on^ deggiante la sorte di lui ; ma ritornata la pace , e fondato il cosi detto Re- gno d'Italia, sali al grado superiore di Colonnello: ciò avvenne nel 1804. Da quell'epoca sino al 1814 ebbe sempre onorevoli e diffìcili destinazioni. Fu per opera sua che Rocca d'Anfo divenne una fortezza inespugnabile, che le fortificazioni di Milano, di Bologna, di Cremona, di Mantova miglio- rarono di molto. Ed era appunto inteso a quelle di Mantova quando l'armi Austriache occuparono quella piazza ; fu il Galateo che la consegnò agli Uffi- ziali del Genio Austriaco, eorrendo gli esordii del i8i5. Continuò a servire nei reggimenti di S. M. l'Imperatore, finché in sul declinare del 1816 im- plorò e ottenne, come si è detto, il bramato riposo. Da prima fissò il suo soggiorno a Este ; ma presto vi sostituì quello di Padova , città di molto at- temprata agli uomini che amano la quiete e Io studio. Sciolto dal pubblico servigio, visse tutto alle sue Matematiche, e fu in quell'ozio beato che stese e lesse alla nostra Accademia molte Memorie. Ne si circoscrisse alle nude teoriche , che a quando a quando gli piacque di ridurle all' utile pratica . E celebre la ricostruzione del campanile di Ponzo dalle fondamenta sino a 36 piedi sopra il terreno , sostenendo con un artifizio veramente maraviglioso la parte superiore, ch'era di altri 72 piedi; celebre il ponte di filo dì ferro che si vede nella riviera di S. Benedetto, il primo costruito in Italia, e am- mirato per un certo insieme di solidità e leggierezza gratissimo all'occhio: e se non sono celebri le facciate di alcune case da lui ornate, attesa la mode- sta architettura, mostrano però come sapesse conciliare l'economia colla ele- ganza. Pari all'ingegno furono la bontà del cuore, l'urbanità delle maniere, il nobile disinteresse. Fra le pareti domestiche fu eccellente marito, ottimo padre; al di fuori amico costante, schietto, leale. Benché di carattere ardente e focoso, giammai venne meno a moderazione, a gentilezza. Potè più volte trarre non lieve partito dagl'incarichi sostenuti; ma sempre fu sordo alle lu- singhe dell'interesse, anteponendo all'agiatezza la fama e la coscienza di uomo ìntegro e onesto. DELLA GENERAZIONE DELLE LINEE NELLO SPAZIO E DELLE SUPERFICIE. MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XXIII GIUGNO MDCCCXXV DAL SOCIO ATTIVO CARLO CONTI 3-Jofo aver esposto alcuni esercizii di Geometria analitica intorno alla ge- nerazione delle linee in un piano, prendo ora a considerare la generazione delle linee nello spazio e delle superficie, soddisfacendo così in parte a quan- to mi sono proposto in altra occasione. L'argomento offre vasto campo; io però, dovendo limitarmi a qualche cen- no, lascio ad altri l' occuparsene con maggiore successo. Ho creduto bene distinguere in due partì questa Memoria, ritenendo nel- la prima gli esercizii generali, nella seconda ì particolari. Mi si potrebbe opporre d' aver dedotto da formule generali la soluzione di problemi che si possono trattare direttamente con tutta semplicità: si osser- vi però, che mio scopo si è di far vedere come si debbano risolvere i pro- blemi generali riducendo tutto alla eliminazione, e che i particolari problemi «ono semplicemente esempi di applicazione. Mi sembra che lo stabilire tutte l' equazioni , e quindi procedere alla eli- minazione, sia il mezzo più generale ed opportuno, separando così le due parti, quella cioè di tradurre il problema in equazioni, l'altra di ottenere d queste le equazioni delle linee o superficie ricercala. Per tal modo proceden do , si rende più palese lo spirito della soluzione. i a 26 PARTE PRIMA ESERCIZII GENERALI. $. I. Sistema generante invariabile. Dei punti nello spazio. 1. Problema I. Dati più punti nello spazio, e le relazioni che aver deb- bono col punto generato , ritrovare quest' ultimo. Sieno n i dati punti M,; M2, M\... Mn_, dei quali le rispettive coor- dinate sieno ai, b,, Ci-, a2, 6,, c2;... an, bn, cn; ed xxj-_, z sieno le coor- dinate del punto M generalo. Generalmente la posizione di questo punto sarà data dalle tre equazioni x = A>y = Éj z = C. Dovendo poi la posizione di questo punto dipendere per note relazioni dalla posizione degli n punti dati , saranno A, B, C funzioni note delle loro coor- dinate; onde avremo ■* =fu 7 =A z =fi, essendo fi, f2, /3 funzioni di &i, 6>, Ci; ... 2. Generalmente l'equazioni del punto M saranno 9i = o, 92 = o, p3 = o, essendo Qt, p2) 93 funzioni delle coordinate dei dati punti e del generato. Si vede poi che queste, equazioni rappresentano le superficie , dalla intersezione delle quali ha origine il punto generato. Le coordinate dei dati punti ne sono i parametri. 3. L'equazioni generali delle superficie generatrici si possono rappresentare per *, e per- ciò avremo n — i equazioni di relazione. La posizione del punto M sarà data dalle equazioni Pi = o, fi = O, ?3 = O. Avremo così in-\-n — 1 + 3 = 3» + 2 equazioni, per mezzo delle quali eliminando le coordinate degli n punti generatori, avremo due equazioni F = o, 7 = o fra le Xj yt Zj che saranno alla ricercata linea. Delle superficie. 8. Problema IV. Data la superficie generante, e la relazione dei punti ge- neratore e generato, determinare la superficie generata. Sia jPi \ Xj jTj Zj\= o l'equazione della superficie generatrice, sia Mi il punto generatore, ed M il generato, cui corrispondano le coordinate Xj yj z. La posizione di questo sarà data dall'equazioni ti — o, ?2 = o, W = o; ed eliminando per mezzo di queste e della proposta le coordinate xIt yit Zi, avremo un'equazione fra le coordinate Xj y _, z > che rappresenteremo per F [x,y, z) = o, e sarà questa l'equazione della superficie generata. g. Problema V. Date n superficie generatrici, e date le relazioni che i punti generatori debbono avere fra di loro e col punto generato, determinare la su- perficie generata. Sieno F, =o, jF2 = o . . . Fn = o l'equazioni delle superficie gene- ratrici, ed M sia il punto generato. Dovendo gli n punti generatori essere legati fra di loro per determinate relazioni , avremo 2 n — 2 equazioni di re- lazione fra le loro coordinate. La posizione del punto M sarà poi data dalle equazioni 9, = o, p2 = o, P3 = O. Con queste 3 n + i equazioni eliminando le coordinate dei punti ge- neratori, avremo un'equazione F {Xjjj Zj) = O, che sarà alla superficie generata. 29 $. IL Sistema generante di famiglie. Delle linee nello spazio. io. Problema VI. Data una famiglia generatrice, e la relazione che il pun- to generatore di una linea generatrice aver deve col punto generato, deter- minare la linea generata. Sieno l'equazioni della famiglia Fi \xi,yx,zi,pi ....pi f = o, ?i j xlyjn,zi,pi ■ ■ ■ ■ pn) =0, contenenti n parametri variabili. Dovendo il punto generatore ritrovarsi sopra una determinata generatrice, avremo n equazioni che legano fra loro i para- metri e le coordinate di esso. La posizione del punto generato sarà poi data da tre altre equazioni. Per tal modo avremo n -f- +1 equazioni, dalle quali eliminando gli n parametri, e le coordinate Xit yìy zt, avremo due equazioni che saranno alla linea generata. 11. Non avendosi le n equazioni che legano i parametri colle coordinate del punto generatore, in luogo di avere per generata un'unica linea, si avran- no delle linee ad uno o più parametri variabili. 12. Problema VII. Date più famiglie, e le relazioni che i punti genera- tori delle linee generatrici aver debbono fra di loro e col punto generato, de- terminare la linea generata. Suppongasi che le famiglie sieno n, e che contengano rispettivamente Pj q, ....t parametri variabili. Dovendo ogni punto generatore essere determi- nato sopra la rispettiva generatrice, avremo p + tj + • • t equazioni di relazio- ne fra i parametri e le coordinate dei punti generatori e generato. A queste poi aggiungendo le 2 » equazioni delle date famiglie, e le tre equazioni che determinano la posizione del punto generato rapporto ai generatori , e final- mente le « — 1 che legano fra di loro i punti generatori in un solo sistema, avremo l'equazioni necessarie e sufficienti onde eliminare tutti i parametri e 1& coordinate dei punti generatori. L' equazioni risultanti saranno fra le coor- dinate del punto generato, e rappresenteranno la linea generata. Delle superficie. i3. Quanto alla superficie si potrebbero partitamente risolvere i due pro- blemi delle generazioni, e quando unica è la famiglia generatrice, e quando So le famiglie generatrici sono il maggior numero; ma dopo quello che abbiamo esposto trattando delle linee nello spazio, la risoluzione di tali questioni non può ammettere alcuna difficoltà. §. III. Sistema generante variabile. i4- Lasciando per ora di esporre esercizii più estesi intorno al moto delle linee nello spazio e della superficie, prenderemo a risolvere il seguente pro- blema generale , del quale faremo alcune applicazioni negli esercizii particolari. Problema Vili. Dati più punti che si muovono nello spazio con data legge, e data la relazione che aver debbono con un altro punto, determinare la linea da questo descritta. Sieno Mlf Mi . .. Mn i dati punti, de' quali sieno le rispettive coordi- nate Xit ji, Zi;x2,j2, Z2; xn,yn,Zn ed M sia il punto descrittore, al qua- le corrispondano le coordinate Xj y, z. Dovendo la posizione del punto M di- pendere da quella dei punti MIy... Mn, avremo le tre equazioni li — o, ?2 = o, ?3 = o, e ?i, ?2, $3 saranno funzioni delle coordinate dei punti dati e del generato. Essendo poi data la legge colla quale ciaschedun punto si muove, e la rela- zione dei movimenti di tutti questi punti , si vede che per ogni punto avre- mo due equazioni che legano fra di loro le coordinate, ed altre n — 1 equa- zioni che legano tutti questi punii fra di loro. Avendo così 3 n — 1 +3 equazioni , eliminando le 3 ti coordinate dei punti in movimento , arriveremo alle equazioni della linea descritta dal punto M. i5. Si può facilmente vedere che questo problema è analogo a quello nel quale si ricerca una linea dipendente da n linee date. Se la legge di movi- mento di ogni punto è data parzialmente, questi problemi sono identici, poi- ché le due equazioni che esprimono questa legge rappresentano nello stesso tempo la linea descritta dal punto corrispondente , e questa dovrà riguardarsi come una delle n generatrici. Le n — 1 equazioni di relazione fra i movi- menti divengono in tal caso le n — 1 equazioni che legano fra di loro gli n punti generatori in un solo sistema. Generalmente però le n linee generatrici saranno date, per così dire, im- plicitamente, e quindi tale problema devesi considerare più generale dell'altro. 3i PARTE SECONDA ESERCIZII PARTICOLARI. 16. Problema I. Muovendosi un punto nello spazio con data legge intor- no ad un altro che descrive linea di data natura , data la relazione dei mo- vimenti, determinare l'equazioni della linea descritta dal primo pel movimen- to risultante. Prima di procedere alla soluzione stabiliremo di chiamare punto descrit- tore il primo, direttore il secondo. Sieno adesso a} b, e le coordinate del secondo; x, r, z le coordinate generiche del punto descrittore. Sia r la di- stanza di questi punti; /3, >. gli angoli che le projezioni xz, yz della retta che unisce i due punti formano cogli assi delle x e delle y. Avremo fra que- ste quantità le seguenti relazioni: f* — a)* + (/ - b)> + {z - e)2 = r\ z — e tang. p = tang. >■ = x — a z — e x — b Dovendo poi essere date le equazioni della linea descritta dal punto direttore, avremo Ft (a, bj e) = o, ■ji (a, b, e) =■ o. Finalmente essendo data la legge colla quale il punto descrittore muovesi in- torno al punto direttore, avremo * =/> <«).* =/» («). r =/3 (a). Eliminando per mezzo di queste equazioni le quantità dj b} e, /3, \, r, avremo» due equazioni: F {x^y, z) = o, ? (*, y, z) = o, che saranno alla linea generata. 17. Generalmente in luogo delle tre ultime equazioni si avranno l'equazioni $1 == o, $2 = 0,05 = o, essendo $i, <£2, $5 funzioni delle quantità a > bj e £ , \, r, ed anche delle stesse coordinate x,y,z. 18. Risolvendo generalmente il problema, le tre ultime equazioni involge- ranno come costanti le quantità relative al principio dei movimenti, che rap- 32 presenteremo colle stesse lettere, applicandovi un apice. Queste però saranno legate fra loro per mezzo delle prime cinque equazioni tradotte all'origine dei movimenti. Quindi l'equazioni finali conterranno quattro parametri. Potremo scegliere per questi le quattro quantità xh jrti zt> au io. Se le quantità costanti delle tre ultime equazioni sono determinate in- dipendentemente dalle quantità relative all' origine dei movimenti, potremo de- terminare per mezzo delle equazioni generali tradotte all'origine dei movimenti le posizioni primitive dei punti. > 20. Eliminando dalle due ultime equazioni ì'xt, avremo un'equazione che apparterrà ad una superficie generata dal complesso delle linee descritte dai punti della retta dell'equazioni Y = Ji,X = xt. Similmente si può ragio- nare se si elimini la yl} o la Zj. 21. Considerando le quantità xlt yIt zt legate per mezzo dell'equazione [A) Fi (x,lj[)Zi ) = o, la linea non sarà più a quattro parametri variabili, ma a tre soltanto, e l'equazioni comprenderanno la famiglia delle linee de- scritte dai punti della superficie dell'equazione (A). 22. Considerando le quantità xtj Yi, Zi legate per mezzo dell'equazioni (B) F> (xj,jrltz< ) = o, w* (*iìJi,«. ) = °, eliminando per mezzo di queste e delle ritrovate equazioni le coordinate jt) Xi Zi avremo l'equazione della superficie, complesso delle linee descritte dai punti della linea dell'equazione (B). Se poi con l'equazioni (B) si eliminano dalle equazioni ritrovate due parametri, queste comprenderanno la famiglia del- le linee descritte dai punti della lìnea dell'equazioni (B). 23. Se nell'equazioni (B) si comprendono dei parametri di grandezza, e questi si legano coi parametri di movimento, la generazione diviene molto più generale. 24. Esempio. Il punto direttore si muova uniformemente lungo l'asse del- le Xj il descrittore si muova uniformemente intorno ad esso in un circolo, il cui piano sia normale all'asse della x; determinare l'equazione dell'elice de- scritta per questo movimento composto. Sia ?' il raggio del circolo, e l'equazioni generali diverranno (x — a)' + y3 + Z* = rV^tang. \ <== — , x — a = o, a = A >. + g; ed eliminando a, \, avremo l'equazioni z jf" + za = r"j x = k. Are. tang. — + g. 33 Onde determinare le costanti kjg debba essere z = r, x = o,y = o quando a = o b = — r,x—Ojy=o a=isrJ ed avremo k = — _, g = — — , e l'equazioni finali saranno ir r r2 + z2 = r'j x + — = — Are. tane. — . 2 2 J" 25. Problema II. Muovendosi un punto con data legge intorno ad un al- tro che muovesi pure con data legge , e data la legge colla quale un terzo punto cangia di posizione rapporto a questi , determinare la linea descritta da quest'ultimo pel movimento risultante. Sieno Mh M2, Mz i dati punti, dei quali le rispettive coordinate sie- no cij b, e; x,y, z; X, Y_, Z. Quanto ai parametri di movimento del pun- to M2 rapporto ad Mtj riteniamo le posizioni del problema precedente; per tal modo quelle stesse equazioni determineranno il moto di M2 rispetto ad M[. Quanto ad M3 supponiamo che dìt d2 sieno le distanze di questo dagli altri due punti, onde avremo l'equazioni x-aY + (Y-b)* + (z— cy^d^ix-xy + (r-rf + (z-zy=d2\ Sia poi a V angolo che la projezione xy della retta congiungente i due punti MhM3 forma coll'asse della x, ed avremo X — x tang. a - T—-. Queste tre equazioni determinano la posizione del punto M$ rapporto ad Mi, Mi, essendo a, dIt di determinate costanti. Se le distanze dh d2 ed a va- riano con data legge, sarà dt =/, (x, a), d2 =/2 [x, a), a = fi [x,a); ed in generale dipenderanno dagli elementi di posizione di MifM2. Con que- ste sei equazioni, e con le altre del problema precedente, si potrà risolvere completamente il proposto problema. 26. Con questo sistema di equazioni si potrà determinare la linea descritta nello spazio dal vertice di un triangolo che con data legge si muove intorno al lato opposto, mentre un estremo di questo descrive linea di data natura, e l'altro si muove intorno ad esso con determinata legge. I lati poi del trian- golo possono considerarsi variabili. 27. Omettendo l'equazione tang. a = ~ X , l'unica equazione finale sarà alla superficie generata da un circolo, il di cui piano è normale alla retta che unisce i due punti Mt M7, e il di cui raggio è dipendente dalle distan- ze dh d2. 34 28. Essendo quattro i punti, si può risolvere, rispetto al vertice di una pi- ramide , un problema analogo a quello che abbiamo enunciato rispetto al tri- angolo. 29. Problema III. Muovendosi nello spazio una superficie con data legge, determinare l'equazioni della famiglia di linee descritte dai varii punti di essa. Sia .Fi (xI}^i, zty= 0 l'equazione della data superficie, riferita a coor- dinate ortogonali. Si riferisca questa superficie ad un nuovo sistema di coor- dinate ortogonali. Chiamando x, y, z le coordinate novelle, «^ b_, e le' coor- dinate della novella origine, ed esprimendo col solito algoritmo gli angoli for- mati dagli assi novelli coi primitivi , avremo le tre equazioni (A) xt = a + x cos. x, x + y cos. yl x + z cos. z, x3 y, = b -f x cos. x, y + y cos. jt y + z cos. z, y, ■Si = C + X COS. Xi z + y cos. y, z + z cos. z, z . A queste però conviene aggiugnere le sei equazioni di relazione fra gli an- goli degli assi. Ora considerando le coordinate x, y, z riferite ancora agli assi primiti- vi, è chiaro che i movimenti attribuiti ai piani coordinati saranno dovuti alla superficie in senso contrario, e che x}y,z saranno le coordinate di quel punto della superficie cui corrispondevano le x^y^ zl; cioè x_, y> z saranno le coordinate del punto nella novella posizione. Si osservi poi, che le quantità «_, b_, e si riferiscono al movimento di traslazione della superficie, gli angoli .r, Xj Xi y al moto rotatorio. Quindi dodici saranno gli elementi del moto della superficie; ma siccome si hanno sei equazioni fra gli angoli, così sei soltanto saranno gli elementi arbitrarli, tre dovuti al moto progressivo, e tre al rotatorio. Suppongasi che questi sei elementi variino con data legge , essendo le- gati per mezzo di cinque equazioni; è chiaro che il movimento della super- ficie nello spazio sarà determinato, e che i valori successivi delle coordinate Xj y, z saranno i valori delle coordinale dei punti di quella linea che de- scrive il punto della superficie cui corrispondevano le coordinate primitive xit Quindi eliminando dalle equazioni [A) e dalle altre undici i dodici pa- rametri di movimento, l'equazioni risultanti F (x3 y, s) = 0j ì (Xj 7, z) = o saranno 1 equazioni della famiglia delle linee descriite dai punti della superfi- cie che muovesi con data legge. Queste equazioni contengono come parametri 35 le coordinate primitive a?i,/i,»i, le quali sono legate per l'equazione alla su- perficie Ft = o. Quindi l' equazioni alla famiglia di linee descritte saranno a due parame- tri variabili. 3o. Si osservi che di questo problema abbiamo fatto cenno al numero ai.; ma era necessario prenderlo sotto questo aspetto generale, dovendosi conside- rare questo metodo come il principio della teoria del moto dei punti , linee e superficie nello spazio. 3i. Essendo XtrYi,zl} costanti si hanno l'equazioni della linea descritta da un punto che ruota con data legge intorno ad un altro che descrive linea di data natura. 32. Se alla equazione F, = o se ne aggiugne un'altra fl = o, l'equazioni finali saranno ad un solo parametro variabile , e rappresenteranno la famiglia delle linee descritte dai punti della linea dell'equazioni Ft = o, fi = o. 33. Finalmente se per mezzo delle equazioni finali ad un solo parametro si ottiene un'equazione mancante di esso, questa rappresenterà la superficie generata dalla linea dell'equazioni Ft = o, Hi = o. 34- Veniamo a delle applicazioni. Suppongasi che la data superficie ruoti intorno ad una parallela all' asse della z; e V equazioni generali diverranno Xi = a + x cos. xt x -f- y cos. jrt x, ji = b + x cos. Xi y + y cos. yx y , Z\ = e -f- z; e chiamando V. l'angolo di rotazione intorno all'asse delle z, avremo xt = a + x cos. X — y sen. X, yt = b + x sen. \ + y cos. X, z, = e + z. Il punto a cui corrispondono le coordinale a, bj e sarà il punto direttore, e quello a cui corrispondono le coordinate x, r> z, il descrittore. 35. Essendo Ft = o, Hi = O l'equazioni che legano fra loro le quantità Xi, Ji, Si ; fi (a, b, e) = o./2 (a, b_,c) = o l'equazioni della linea descritta dal punto direttore; x = p (a) l'equazione di relazione dei movimenti pro- gressivo e rotatorio , eliminando da queste otto equazioni le quantità Xjt ytt zi,a> bj CjX, l'equazione risultante sarà alla superficie generata dalla linea dell'equazioni Ft = o, y, = o. 36. A questa generazione appartiene quella della superficie di rivoluzione. Ponendo a = b — e = 0, la rotazione si farà intorno l'asse della z> e l'equa- 36 zioni saranno xt = x cos. >. — y sen. X, yt = x sen. \ ■+- y cos. X, Zi = 2. Quindi se Y equazioni della linea ruotante saranno F: { xI,y,,z[ ) =. o, 71 (xl,ylyzl ) = o, si avrà l'equazione della superficie di rivoluzione eliminando 'X dalle due equa- zioni F, (x cos. \ — y sen. >., x sen. X + y cos. 7l, s) =■ o, •ji (x cos. >. — y sen. >., x sen. "*• -\- y cos. >, s) = o. 37. Essendo i*\ = / [zlìxl ) = o, ?i =^ = o, l'equazione alla su- perficie di rivoluzione sarà f ( z, * x* + y1 ) = o. 33. Ponendosi soltanto a = { = o, e e = $ (\ ), l'equazioni si riferi- ranno alla generazione delle superficie elicoidiche. 3g. Esempio. Sia Fi =yi = 0, li = zx = O, e = /w >., la superficie elicoidica sarà data dall' equazione y z = m Are. tane. -^— . a; 4o. Problema IV. Muovendosi una linea nello spazio con data legge men- tre un suo punto muovesi sopra di essa, data la relazione dei movimenti, de- terminare la linea descritta da questo punto pel movimento risultante. Sieno l'equazioni della data linea Fi = o, fi = o, s Y arco contato da un punto fisso, e sarà s = fax, y/ < 1 +( - — J + [ j — ) [• Sieno x,.y, z le coordinate generiche della linea in moto; a, b_, e; Xi Xj y-i y i parametri di movimento, ed avremo fra queste quantità quat- tordici equazioni. Considerando poi, che deve essere data la relazione dei movimenti della linea nello spazio e del punto sopra di essa , avremo un' altra equazione di relazione fra i parametri di movimento e l'arco s. Eliminando da queste di- ciotto equazioni i parametri di movimento, l'arco s e le coordinate x^y,, z,, avremo due equazioni fra x, y} z> che saranno alla linea ricercata. Le costanti poi introdotte dalla integrazione si riferiranno all'origine dei movimenti. 4i. A questi metodi generali si possono sostituire dei metodi più semplici in alcuni casi particolari; noi ci limiteremo ai due seguenti. I. Muovendosi nello spazio con data legge un piano, e sopra di esso muo- vendosi una linea od un punto, date le relazioni di movimento, determinare la superficie 0 linea generata. 3? II. Muovendosi nello spazio una sfera, e sopra di essa muovendosi con data legge un punto, date le relazioni di movimento, determinare la linea da esso punto descritta. 42. Veniamo al primo. Si premetta la seguente trasformazione di coordinate dovuta all'Eulero. Sia l'equazione di un piano x — cot. /3. y — cot. X z — e = o, e per il punto d'intersezione di questo piano coli' asse della x sia condotta in esso piano una normale alla traccia xj. Si consideri adesso la traccia xy come asse delle ascisse X, e quella retta come asse della Y di punti esistenti sopra questo piano. Ciò posto, indicando per Xjj, z le coordinate dello spa- zio del punto al "quale nel piano corrispondono le coordinate X, Y; ed espri- mendo con i l' inclinazione del piano con quello delle xy} avremo z = Y sen. ìj x = e + X cos. /5 + Y cos. i cos. /3 , y = X sen. /3 — Y cos. i sen. £ , cot. >. cos. >. V 1 + cot. j3a + cot. :\ V* 1 + sen. X1 cot. |S ■ 43. Sia ora in questo piano una linea la quale si muova con data legge, e determiniamo la superficie generata da questa linea.' L' equazioni che determinano il movimento di una linea in un piano sono [A) Fi ( Xi, 7i)=ao equazione delle linee , e le seguenti : Xi = a + X cos. y — P sen. y, Yx = b + X sen. 7 -f- P cos. y, f(aj b) = o, y =* (a), ove a, b sono le coordinate del punto direttore, e 7 l'angolo di rotazione (1). Dovendosi poi il piano muovere con data legge , e dovendo essere data la relazione dei movimenti , avremo tre altre equazioni : $' = o, O" = o, $"' = o. Eliminando per mezzo di queste dodici equazioni i parametri di moto e le coordinate X, Y3 X ' , Y' , X equazione risultante sarà alla ricercata superficie . 44- Se si eccettui l'equazione (A), e dalle altre si eliminino i parametri di movimento e le coordinale Xj Y_, avremo due equazioni fra le x } y, z, che saranno alla linea descritta dal punto di coordinate primitive Xtì Yt. Le quantità Xx, Y, saranno i parametri di questa linea; quindi se si considerino (1) Vedi la mia Memoria sulla generazione delle linee in un piano, inserita nel tomo VII. degli Alli dell'Accademia di Padova. 38 legati per mezzo della equazione [A) , i due parametri si ridurranno ad un solo , e le due equazioni finali rappresenteranno la famiglia delle linee descritte dai punti della linea data. 45. Per discendere a qualche applicazione supponiamo che il piano sia sem- pre normale al perimetro di una data linea tracciata nel piano delle xy. Es- sendo Fl ( x^fi ) = O l'equazione di questa linea, avremo y = A V dxi 2+ dfi ■ A questa particolare applicazione appartiene la generazione dei canali a direttrice piana ed a generatrice piana qualunque, e quindi caso particolare si è la generazione dei canali circolari a direttrice qualunque. 46. Per esempio supponiamo descritto nel piano della xy un circolo, del quale il centro sia all'origine delle coordinate, e nel piano mobile sia de- scritto un circolo avente il centro nel punto d' intersezione del piano mobile col perimetro dell' altro circolo . Sieno poi r_, R i rispettivi raggi variabili con data legge , avremo ( V x- + y- _ rf + z* = R\ tang. /3 =A$' (rtR, fi) = o,*"(r, fi, /3) = o. Eliminando da queste j3_, r, fi, l'equazione risultante sarà alla superficie anu- lare ricercata. 47. Sieno r, R costanti, l'equazione sarà y x"1 + y1 — r)1 + z" = R*- Sia r costante, ed R = |3, avremo ( V x1 + y1 — r Y + z1 = Are. tang. — 48. Supponiamo adesso che l'equazione del circolo sul piano mobile sia X* + y* — 2fl (X + Y) =. i?a; essendo /{ costante, ed u<=k$, l'equazione della superficie generata sarà x-> + y> + -» _ o A- Are. tang. -2- j s + V x' + y* j — /ì2. 4g. Queste ricerche sopra la generazione delle superficie anulari si possono estendere al caso generale delle direttrici a doppia curvatura. 5o. Termineremo questo cenno con una applicazione al movimento di un punto, risolvendo la seguente questione. Mentre il piano mobile normale al piano coordinato xy ruota intorno all'origine, un punto situato in esso si 39 muova con data legge sopra una linea data; si domanda l'equazione della li- nea da questo descritta. Le equazioni generali si riducono alle seguenti : z = Y, x — X cos. /3 , y = X sen. /3 , f(XJY) = o, X= fW- Essendo Y= mX, X== k /3, l'equazioni della linea generata saranno j ^ x-1 -+- y* = m if x1 + j2, — i = sen z k 5i. Prendiamo a risolvere il secondo problema. « Muovendosi il centro di » una sfera nello spazio con data legge , e sopra di essa muovendosi un pun- ii to od una linea, date le relazioni dei movimenti, determinare l'equazioni «della linea o superficie generata, n Preso sopra la sfera un punto come polo, e determinato un circolo mas- simo, un punto qualunque della sfera sarà determinato di posizione, quando fatto passare per il polo e per questo punto un circolo massimo, si conosce la distanza di esso dal polo, e l'inclinazione di questo circolo al primitivo. Data pertanto la posizione del centro della sfera, del circolo massimo fisso, del polo, e date le coordinate sferico — polari di un punto, potremo deter- minare le coordinate rettangole nello spazio. A quest'oggetto preso il piano del circolo fisso parallelo a quello delle xz; a, b, e rappresentino le coordinate del centro; r il raggio della sfera; A B C le coordinate del polo; é l'inclinazione dell'asse al piano delle x3 y ; \ la distanza del punto dal polo; 3 l'inclinazione dei due circoli massimi; Xj y, z le coordinate rettangole del dato punto ; ed avremo A = a -)- r cos. £ , B => bj C = e + /• sen. e , jr = b + r sen. 7. sen. 3 , z = e + r sen. >. cos. 3 cos. e + r cos. >. sen. e , x = a ■+■ r cos. >. cos. e — r sen. \ cos. S sen. s . Ciò posto, sieno Ft (a^ bj e) = o, ?, (a, 6, e) = o l'equazioni della linea descritta dal centro della sfera, "$", (a, b_, c_, \, 3 ) =■ o, ""t^ (a > bj e, \, 3) = o l' equazioni di relazione dei movimenti. Eliminando da queste equazioni le coordinale del centro della sfera, e le coordinate sferico— polari del punto in movimento , avremo due equazioni : F (xJ yJ z) === o, "H {xJ y, z) = o, che saranno alla linea descritta dal dato punto pel movimento risultante. 4° 52. Essendo ■*" (S, X ) = O l'equazione della linea descritta sulla sfera, so- stituita all'equazioni "f", = o, ^2 = o, si paragoni colle altre, e si eliminino le stesse quantità; otterremo un'equazione F (Xj fj z) = o, che sarà alla superficie descritta da questa linea col determinato movimento. 53. Introducendo nell'equazione "¥ = o dei parametri di posizione, e le- gandoli con gli altri parametri di movimento, potremo far muovere eziandio la linea sopra la stessa sfera in moto. ■ 54- Si può considerare variabile la inclinazione e , e funzione determinata dei parametri di movimento. 55. Questa maniera di determinare l'equazioni delle linee o superficie ge- nerate dal movimento di un punto o di una linea sopra di una sfera in moto, si può estendere facilmente alle linee descritte sopra di una superficie di ri- voluzione qualunque, prendendo per polo lo stesso polo di rivoluzione. 56. Veniamo ad un esempio. Suppongasi la terra sferica, e che il suo cen- tro descriva intorno al sole un cerchio: determinare l'equazione della fami- glia delle linee descritte dai suoi punti. Sia il raggio della terra r, R il raggio dell'orbita. Sia l'asse della y la linea degli equinozii, xy il piano dell'ecclitica. Supponiamo inoltre che >. sia il complemento della latitudine geografica, e 3' la longitudine del punto della sfera che descrive la ricercata linea, riferita al meridiano perpendicolare all'ec- clitica all'istante del solstizio jemale, e l'obbliquità dell'ecclitica, T la durata dell'anno tropico espressa in giorni. L'origine poi de' movimenti sia all'istante del solstizio d'inverno. Posto tutto questo, l'equazioni che risolvono il pro- blema saranno: y s= b + r sen. X sen. S, z ■= r sen. >. cos. S cos. e -f- r cos. \ sen. e, x = a + r cos. X cos. e — /• sen. > cos. 3 sen. e , a* -f Z»a = R\ 3 — S = T Are. cos. i , ti e l'equazioni finali saranno: y — V | ìR* — (x + z tang r cos. X A"' I COS. £ re. sen. ! . r sen. >. r cos. >. x + z tang. e — r« cos. e , „. Are. cos. + 3. R x + 2 tang. e — 4? r cos. V r cos. * sen. e /n a __ „„„ cos. £ 7" Are. cos. . — + Are. cos. r sen_ ^ C0S- e R 57. Posto * =r o, 1' equazioni generali divengono y = bj z ps r sen. e, ;r = a + /' cos. s, «a + b* <= i?\ dalle quali si ricava z = r sen. s, (.r — r cos. a )2 + j* <=• if, come deve essere. 58. L'equazione della superGcie descritta da un parallelo sarà r* sen. V1 cos. * = ] j cos. e — • (K* cos. sa — (x cos. e + 2 sen. e — »' cos. V)a ) > + (z — r cos. >. sen. s)\ 5g. Posto X = O, l'equazione precedente si risolve nelle due z = r sen. e, y cos- « = R cos. e — (x cos. e + 2 sen. e — r)*, cioè nelle due 2 =9 7- sen. £, ( x — r cos. e )l + ^2 = if8, come sopra. 60. Problema V. Muovendosi una data linea, radendo due linee date con data legge, determinare l'equazione della superficie generata. Sieno l'equazioni delle due direttrici Clt C2; (A) Fi ( a:,,/,, 2, ) = o, ?, ( Xl,yu zt ) = o F2 ( xi, j2, 22 ) = o, 3a ( ^2,72, 22 ) = o l'equazioni delle linee in moto sieno (B) /» (x* T> z> a* b> c-> d) = o, /, {x, y, z3 a, bJ e, d) = o, e l'equazione di relazione fra i punti direttori sia * ( xh7', zhx2 ) == o. Si traducano l'equazioni (B) rispettivamente alle coordinate Xi,jrlt Zi ; xi, J~2, S2, e si ottengano l'equazioni (B) f, \xl} yl} zi, a, b, e, d\ = o , /, j^i./i, Zi, a3b,c, d | = o f\ \xi, yi, Za, b^bjCj d\ = o , fA x2,ji, z2, a,b,c>d\ = o. Eliminando da tutte queste equazioni le coordinate dei punti direttori ed i quattro parametri di movimento, l'equazione risultante F [x,y, 2) = 0 sarà alla superficie generata. 61. Supponendo che l'equazioni alla linea in moto contengano un mag- gior numero di parametri, legandoli con gli altri potremo rendere il proble- ma molto più generale. G 42 62. Veniamo ad alcune applicazioni. Le direttrici sieno due linee piane, l'una disegnata sopra il piano del- le xy} l'altra esistente in un piano a questo parallelo, e si ricerchi la linea generata da una linea retta, la quale essendo sempre perpendicolare alla pri- ma, le rada ambedue. In questo caso all'equazione di relazione fra i due punti direttori dovremo sostituire l'equazione che esprime la condizione, che la linea in moto sia normale alla prima. L'equazioni pertanto che risolvono il proble- ma sono : Fi ( X,, J, ) = O, Z, = O, F2 ( X2, Ji ) = O. Z2 = m z = a x + b, y = e x -f- d, z, = axx + d, yt = cr, + d , d Yi z2 = ax2 + b , y2 = e x2 + d, i + e —^ — = o, dxi che si riducono alle altre : Fi ( *,, yt ) = O, F2 (Xjjj) = 0, z x — Xi dxi dx\ . = , r — Ji = j— (x — Xj ),r— fi <== j (x — x2). z — m x — x2 J. J dji ^ ' J J dyi ' ' 63. Per farne un esempio particolare supponiamo che una delle direttrici sia lo stesso asse delle x, l'altra una retta dell'equazioni y2 = x2 tang. a, z2 = m. Si osservi che in questo caso la linea in moto non può rappresentarsi colle due projezioni xy, x Zj esistendo in un piano parallelo a quello del- le zy; però modificando convenevolmente le equazioni superiori, e facendo le necessarie eliminazioni, l'equazione alla ricercata superficie sarà 171 x tang. a J 64. Se la seconda direttrice ruota intorno all'asse della ze sia a = kxj 1 equazione alla superficie generala sarà m y Z = ; . . taDg. kx x 65. Prendiamo a risolvere quest'altro problema. Mentre un circolo di rag- gio variabile si muove col suo centro lungo una data linea, conservando il suo piano parallelo a quello delle yz rada una linea data, si domanda l'equazione della superficie generata. Sieno l'equazioni delle due linee direttrici Fi (x,ji,z, ) = o, ?, (xhy,tZi ) = o, F^ (^2,j2, z2 ) = o, 7, (x2,y2,z2 ), 43 e sia r il raggio del circolo ; avremo (z — zx )'+ (y —ftf =r\ x w.*,, ( s2 — si )a + (j2 — Ji )a = p'j ■* = .r2i Eliminando da queste le coordinate dei punti direttori ed r, avremo un'equa- zione F (Xj,jj z) = o, che sarà alla ricercata superficie. 66. L' equazioni delle due linee sieno j, = o, Zi = o; jr2 = x-i tang. a, za = m, e l'equazione alla generata sarà z1 + y* = m + x tang- a • 67. Supponiamo adesso che, date due linee, si consideri un circolo, il di cui piano conservandosi parallelo a quello delle y z, ed il raggio essendo variabile, con data legge si muova radendolo; si domanda l'equazione della superficie generata, e della linea descritta dal centro. Sieno l'equazioni delle due linee direttrici Fx = o, 7i = o; Fi = o, Hi = o, e le coordinate del centro del circolo sieno a, b, il raggio r. L'equa- zioni che risolvono il problema saranno : Fi {x1,jritz,) = o, -Hi {xi,yi>z,) = o,F2(x2iyi1z2) = o, ?2 (x2,j2)z2)=o \A) (Zl - ay + (fi - by = r\ (z, - ay + (/2 - by _ t* x = Xj, x = Xi, r = $ (,r) (*) (5-fl)a + (/-A)2 = ^ Eliminando da queste le coordinate dei punti direttori, le coordinate del centro ed il raggio del circolo, l'equazione risultante F (x^jjZ) = o sarà alla superficie generata; eliminando poi dalle equazioni (A) le coordinate dei punti direttori ed rj e ponendo x=Cj avremo due equazioni F (a, b, e) = 0, 7 (a, bj e) <= o che rappresenteranno la linea descritta dal centro. 68. Esempio. L'equazioni delle due direttrici sieno fi = o, Zi = o, ji = o, Zi = 2 m ed r = x -f- 2 >». L' equazione alla superficie sarà ( z3 — 2 m z + y ) = 4ja ( J? + /» ) (x + 3/w). La linea descritta dal centro è una iperbole dell'equazioni a ■=■ m} V = ( e + 2 m )J — ma. 6g. Problema VI. Muovendosi nello spazio una superficie ed una linea, data la relazione dei movimenti, determinare l'equazione della linea delle suc- cessive intersezioni. 44 Per semplicità supponiamo che la superficie e la linea si muovano ruo- tando intorno ad un asse parallelo a quello delle z, e nello stesso tempo ab- biano un moto determinato di traslazione. Sia l'equazione della superficie Ft (xItyhZi ) = o, e l'equazioni del- la data linea sieno Fi ( x2, y3, z2 ) = o, fo {x2tjr2, z2 ) == o. Sieno poi Xj y, z le coordinate della linea generata ; a, b, e le coordinate del punto direttore, e ì. l'angolo di rotazione rapporto alla superficie; A, fi, C le coor- dinate del punto direttore, e p l'angolo di rotazione rapporto alla linea; avre- mo le seguenti equazioni : x, = a + x cos. X — y sen. ì. , x? = A -f- x cos. p — y sen.

. + y cos. >. , y-x = B -f- x sen.

(^ fi; C) = o, e l'equazioni che determinano le relazioni dei moti progressivi e rotatorii sieno O, (\ , a) = o, 02 (Pj ^) = o; finalmente l'equazione di relazione dei movimenti sia * (>., f^fl, ^) = o. Eliminando da queste equazioni le coordinate dei punti direttori, i due angoli di rotazione, e le coordinate della linea e superficie, avremo due equazioni F [x,y, z) = o, ? (xj y> z) = o che saranno alla linea delle intersezioni. 70. Si osservi che questo problema è caso particolare dell'altro: date tre superficie che si muovono ruotando intorno ad un asse parallelo a~ quello del- le z, e sono dotate di moti progressivi determinati, trovare la linea delle co- muni intersezioni. 71. Quanto alla soluzione del problema precedente, reso eziandio generale il movimento, non vi ha difficoltà veruna dopo quello che si è detto al num. 29. 72. Cosi pure potremo risolvere l'altro problema analogo: « Muovendosi nel- » lo spazio due superficie , data la relazione dei movimenti, determinare la su- "» perfide delle successive intersezioni.» 73. Problema VII. Date due superficie, determinare quella superficie, da qualunque punto della quale condotte due normali alle date, le loro lunghezze sieno dipendenti per data legge. 45 Sieno F, ( x,tyt,Zi ) == o, F2 ( X2.,y2,z2 ) = 0 l'equazioni delle due superficie ; x, y, z le coordinate dei punti della superficie generata; N, N' le normali condotte da un punto generato sopra le superficie date, e ¥ (iVJiV')=>o l'equazione di relazione fra la lunghezza di queste normali; l'equazioni che risolvono il problema saranno le seguenti : F, ( J7,,j,,2ri ) = o, F2 (x2,J2, z2 ) = o jr = (x-x^ + {f— yyy + {z-Zl)\N^^{x-x2f + (y-y2y + {z-z2) 0= x-x> + (y-y,) ^-^-),(^-^)(-^-) + ^-^=^ * (ìv.ìV')^ o. Eliminando infatti da queste equazioni le coordinate dei punti delle superficie date N_, iV', avremo un'equazione F {x> y, z) = o, che sarà alla ricercata superficie. 74- Suppongasi sopra una delle due superficie disegnata una linea; è chia- ro che il sistema di normali a queste superficie che hanno il loro piede so- pra di queste linee, corrisponderà sopra la superficie generata una determinata linea, ed un'altra linea pure determinata sopra l'altra superficie: si tratta però di ritrovare l'equazioni di queste due, data la prima. Sia l'equazione q ( xity,tZi ) = O quella che, aggiunta alla data Fi = o, determina la linea in questione. Eliminando per mezzo di questa equazione e delle antecedenti le stesse quantità, avremo due equazioni F [x.y, z) = o, 7 (Xjjj z) = o, che saranno alla ricercata linea disegnata sopra la superficie generata. Che se dall' equazioni superiori, sostituendo alla F2 = 0 la 7i = o, si eliminino le coordinate xltyr, zt; x,ysz ed Nj N'j l'equazione risultante q2(x2jy2y z7) — o, insieme alla F2 = o, determinerà la linea seconda ricercata. 75. Prendiamo adesso a risolvere il seguente problema. Sieno nello spazio due linee piane, ciascheduna delle quali racchiuda un'area determinata; si do- manda quella superficie, ciaschedun punto della quale considerato come ver- tice di due superfìcie coniche, aventi per base quelle date aree, le solidità da loro comprese sieno dipendenti per data relazione. Quando la generatrice è una retta, e la base costante, le solidità di cia- schedun cono saranno proporzionali alle altezze, e però tale questione si riduce ad un caso particolare del problema ora risoluto, vale a dire a determinare 46 quella superficie, da qualunque punto della quale condotte due normali a due dati piani, stieno queste in un determinato rapporto. Sieno l' equazioni dei due piani Ai xx + Bljl + C, z, -|- Dt =o,Ai x* + BQj2 + C2 Zi + Z>2 = o, e 1' equazione alla superficie generata sarà \ Di -f- Ai x + Bty + Ci z Di + Ai x + Bi y + Ci z I */ V 4i* + Bt* -f- C.» ' V Ai* + BS + CV \ °' Se le solidità debbono stare fra loro in un rapporto costante di in: i , l'equa- zione alla superficie ricercata sarà Dt +Jlx+Blj + Clz = m\ Di + AiX + B2f + Cizi V ^+%£+cl' vale a dire sarà un piano. 76. Essendo una delle due linee disegnata sopra il piano delle xy, l'equa- zione finale sarà Di + Ai x + Bi y + Ci z V (Af + Bf + C22) ' 77. Problema Vili. Per un dato punto s'intenda condotta una retta ad un punto di una linea data, e per altro punto sia condotta una retta che inter- sechi altra linea data , ed incontri in altro punto la prima retta; essendo que- sto punto alla generata, se ne domanda l'equazione. Facciamo le seguenti po- sizioni : Coordinate del primo punto Pi; a,b, e. Equazioni della prima linea L Fi (•*•., fi. Zi ) = o, Hi {Xi,flt z, ) =0. Coordinate del secondo punto P2; A jBjC, Equazioni della seconda linea Lt Fi ( a?a, fi, za )= O,, g-2 ( Xi, fi, z2 ) = O. L'equazioni della prima retta saranno Zl — c 1 v 7 Jl — * / V z — e = ix — a), Y — 0 = [x — a , xi — a J x\ — a ' e quelle della seconda z— C== Z2 ~C (x — J),y- B = J7~B (x — A). x2 — J x " J xi — A X ' Eliminando da tutte queste equazioni le coordinate dei punti delle due linee, l'equazioni risultanti F [Xjfj z) = o, y [Xjf, z) = o saranno alla linea ricercata. 78. Il problema proposto si potrebbe rendere molto più generale, facendo variare con data legge la posizione dei due punti, e facendo muovere nello spazio con data legge le due linee date. 47 79- Essendo le due linee disegnate sopra una stessa superficie, avremo Ft = F?t ritenendo che F, = o sia l'equazione della superficie suddetta. 80. Determinata una delle due linee, si può determinar l'altra dietro alcu- ne relazioni che debba avere colla prima. Supponiamo, p. e., che il punto Pt esista sopra della data superficie , e che preso sopra la linea un punto il/, si faccia passare pei punti Mtj P2, Pi un piano intersecante la data su- perficie in una linea, e che dal punto Pt si prenda sopra di questa un arco, determinata funzione delle coordinate di M , e Y estremità di questo sia punto alla seconda linea Lx. In questa ipotesi si vede che la linea generata sarà una linea secatrice degli archi della linea esistente nel piano M P, P2, inter- cetti fra i punti M} Pt. Vediamo però come si debba cangiare l'equazione ?2 [x2.,j2,Zi ) = o, cioè quale equazione debba a questa sostituirsi. Prendiamo per l'equazione del piano MPt P2 l'equazione X + M V + N Z + Q = o, e per determinare le costanti M3 JVj Q tradurremo quest'equazione alle coor- dinate di tre punti pei quali deve passare. Avremo poi Fj [X} Y„ Z)=o, e Cd X \/\ 1 + j ) + [ 1 Y ) [ esteso da X = a sino ad X = .r, , e quindi da X = a sino ad X=x2 ci somministrerà l'espressione di due ar- chi che chiameremo Si, s2ì e supporremo dipendenti per l'equazione O [s,t s2) = o. Quindi essendo s, = t ( ^ x, ) , s2 = "Ì!" ( a, x2 ), l'equazione da so- stituirsi alla -Hi [x2ty2,z2) =0 sarà l'altra "$") * (a, Xi), * («, x2) [ = o. 81. Omettendo l'equazione y, = o, se elimineremo le quantità àr, v^Zij xi, y-i, z2 dall'ultimo sistema di equazioni, si avrà quella superficie che risulta dal complesso di tutte le linee secatrici particolari, e che potremo chiamare superficie secatrice. 82. Si osservi che se i punti PtìP2 stanno sopra l'asse di una superficie di rivoluzione ; la superficie secatrice è la superficie di rivoluzione della linea secatrice della linea generatrice della superficie data , ed ha per asse di rivo- luzione lo stesso asse di rivoluzione della superficie data. Essendo la superfi- cie data una sfera della equazione x^ -f- y* -+- zt* = r2, ed essendo a = o, b = 0, e = r; j4 = B=*C<=o,e volendo che s, = m s2l la superficie secatrice sarà data dall'equazione Are. tang ' y ^J = m Are. tang. J—- 48 83. Problema IX. Dati tre punti, per questi si conducano tre rette che, intersecando una superficie, concorrano poi in uno stesso punto. Essendo le coordinate dei punti d'intersezione di queste rette colla superficie dipendenti per data relazione, ed essendo il punto di concorso delle rette alla superficie generata, se ne domanda l'equazione. Sieno PttP2,P3 i tre punti de' quali le coordinate rispettive sieno «,,£,, e,; «2, &2, C2.; az, bz,cz; e l'equazione della data superficie sia Fi (xllyiìZi)==0-y e le coordinate dei punti alla generata sieno x,y, z: finalmente esprimendo per Xi,Vi,Z1; Xi,Yi%Zi\ Xz,Yz,Zz\s coordinate dei punti d'intersezio- ne delle tre rette colla superficie data, sia ^ (Xi . . .) =0. Ciò posto, l'equa- zioni che risolvono il problema saranno le seguenti: ( x — a, ), y — bt — — — ( x — e, = Zi — CI Xi — ai Ci = Zi — ci Xi — ai zz — c3 Yi b, xt ai n — hi x2 — ai YZ — bZ (x — ai ) , y — bi => — ( x — a2 ) , Xz — ai 1 \ 1 rs — bò Fi ( Xi, Vi, Zi ) = 0, Fi ( Xi, ¥*, Zi ) = 0, Fs( Xz, F3, Z3 ) = o * (xI,r:....)=o. Eliminando da queste equazioni le coordinate dei punti d'intersezione, l'equa- zione risultante F {x,y, z) = o sarà alla linea generata. 84 Suppongasi che la superficie data sia il piano delle xy; X equazioni generali si cangiano nelle seguenti ci v , Yi — bi - Ci == — {x — a, , y — bi =— (x — a, ), Ai — ai (x — ai), y — bi = — (x — a2 ), 2L.2 — di *(Xi, Yì ...) = o. Z-C3==-^^ (*-*). y-bz= g^g (x-az). 85. Collo stesso metodo si potrebbe sciorre il problema preso più general- mente, cioè considerando che n fossero i punti pei quali si conducono le rette, che intersecando la data superficie concorrono in uno stesso punto. 86. Problema X. Sopra una linea particolare di data famiglia, intersecante una superficie data, si prenda un arco partendo dal punto d'intersezione, e l'estremo di quest'arco sia alla superficie generata; data la legge colla quale deve variare la lunghezza di quest'arco, determinare la superficie generata. ai ci Xi ai c3 Xi 49 L'equazione della tlata superficie sia Fl ('dfi.JTi, Zi ) = o, e l'equa- zioni della data linea sieno F2 (xi,fi,z%a,b) =>o, tv (.r2)/2, z2l a, i)=o. Sieno poi />., y> -). f (•*•../, z) ] = 0, le superficie generatrici avranno l'equazioni della forma Fi ( r*, le due equazioni F, (x*+fJr* — z\a)=o, F2 \?? + f, r»— =2 b) =0 saranno l'equazioni generali delle famiglie generatrici per sezioni. Basti per ora aver fatto questo cenno. COMUNICAZIONI DI TRE FATTI FISICI RELATIVI ALLE TERME PADOVANE. MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XII GENNAJO MDCCCXXVI DAL SOCIO ATTIVO GIO. MARIA ZECCHINELLI l\.vro 1 onore ih questa Adunanza di depositare nel seno vostro, o illustri Accademici, tre fisici fatti relativi alle Terme Euganee; fatti che furono nei tempi passati da qualche autore accennati, e che vennero poi contrastati e ne- gati da altri, ma che recentemente sono stati da particolari mie osservazioni convalidati, e posti fuor d'ogni dubbio. Io non sono in caso di trarre conse- guenze da questi fatti; ne lo vorrei, se prima due di essi non fossero cor- redati da analisi chimiche determinate, ed il terzo non fosse di nuovo e ri- petutamente veduto e studiato. I fatti di cui io avrò l'onore di parlarvi sono i seguenti: i.° Esistenza dello zolfo nelle Terme di Abano, e modo di ottenerlo con l'arte. 1° Esistenza di un sale ferruginoso presso le sorgenti termali di S. Ele- na alla Battaglia. 3.° Esistenza di un'erba viva e vegetante nel fango termale di Monte- grotto ad altissima temperatura. Col nominare queste tre diverse Terme di Abano, di S. Elena e di Montegrotto, non voglio io già intendere di significare che a ciascheduna di esse sia limitata l'esistenza della sostanza minerale e della vegetabile che le attribuisco, e che questa sostanza non si trovi nelle altre due Terme, e non nelle altre Tenne Euganee , da me non nominate , di Monte Ortone , di S. Pietro Montagnone e della Valle Calaona , presso le quali sono eretti Stabilimenti da Bagni; e neppure nelle altre numerose sorgenti termali della Provincia di Padova, cui non è annesso Stabilimento veruno, e nonper- tanto sono caldissime ed abbondantissime. Zolfo, ferro ed erbe vive si tro- veranno per avventura in tutte le nominate Terme ; ma io non ebbi a tro- vare lo zolfo cbe nelle Terme di Abano, presso quelle di S. Elena un sale ferruginoso, e nel fango di Montegrotto una pianterella vivente, cbe dirò poi quale essa fosse : e mi farò un dovere di non parlarvi , o Signori , cbe di ciò che ho veduto io stesso, per poterlo depositare nel seno vostro come cosa certissima. I. Esistenza dello zolfo nelle Terme di Abano, e modo di ottenerlo con farle. Vi sono già note le diverse opinioni che da quattro secoli in poi furo- no tenute sulla esistenza o non esistenza dello zolfo nelle Terme padovane. Questa divisione di opinioni fu comune sì agli autori che trattarono ex pro- fesso, o parlarono brevemente delle Terme suddette , e si a quelli che non ne scrissero parola ; e tanto a quelli che fondarono il loro giudizio sulle sole qualità sensibili, come agli altri che, a queste qualità poco o nulla badando, ricorsero alle analisi della chimica. La mancanza di osservazione delle tran- quille operazioni della natura fu l'unica cagione delle controversie, e quindi una sicura osservazione di esse operazioni era la sola che poteva farle affatto cessare. Il caso, come spesse volte succede, fece la strada a tale osservazione; ed io non aspiro che al picciolo merito di avere creduto a tutti ed a nessu- no di quelli che parlarono intorno allo zolfo delle Terme di Abano, e di es- sermi posto ad osservare pazientemente il cammino lento, spontaneo ed immu- tabile della natura. Per quanto io so, gli antichi che parlarono delle Terme padovane, cioè Strabone, Plinio, Lucrezio, Marziale, Claudiano ec, non parlarono dello zolfo; cioè non s' internarono a trattare della natura e dei componenti di quelle acque. Solamente Cassiodoro posteriormente a quelli ha scritto («), che la loro forza medicamentosa deriva dallo zolfo e dalla salsedine. Dopo il risorgimento (i) Variar. Lect. Lib. 2. Epist. 3g. 53 delle scienze gli autori che trattarono di esse Terme agitarono subito la que- stione della esistenza dello zolfo, e questa questione durò viva ed acerba pre- cisamente dall'anno r388 fino al giorno 18 del mese di Settembre dell'an- no 1 8 1 7, nel quale si è realmente trovato non poco zolfo cristallizzato presso le Terme di Abano. A tre classi si possono ridurre le opinioni che per più di quattro secoli fu- rono tenute sullo zolfo delle Terme di Abano : la prima ne esclude la esi- stenza ; la seconda vuole che vi esista in quantità bastante per poterle chia- mare solfuree; la terza esclude la esistenza dello zolfo in natura o sostanza, ma ammette l'esistenza di uno spirito o alilo solfureo, così chiamato. Gio- vanni Dondi , che fu il primo a scrivere medicamente sulle Terme Euganee verso l'anno i388, disse (1) che non si trovò traccia di zolfo nelle acque di Abano. Cinquant' anni dopo di lui il Montagnana sostenne (2) che quelle Terme sono in massima parte solfuree; ed il contemporaneo Savonarola as- serì per contrario (3), che «072 vi si forma } né vi si può formar zolfo. Di quelli che scrissero sulle Terme padovane un secolo dopo del Montagnana e del Savonarola (e nello spazio frammezzo nessuno, ch'io sappia, ne scrisse), chi fu del parere del primo, e chi del secondo ; chi si astenne dal proferire la propria opinione, e chi non parlò dello zolfo. Il Pasini chiamò i bagni di Aba- no miniera solfurea (4). Mengo Blanchello seguì l'opinione del Savonarola (5). 11 Viotti da Clivolo lasciò il giudicarne ai lettori, pensando però che quelle acque contengano zolfo (6). Il Frigimelica, Ugolino da Montecatino, il Mo- relli, Gentile de Fulgineo nulla opinarono sullo zolfo, od almeno non l'ho rimarcato. Finalmente il Falloppio insegnò (7) che nelle acque di Abano vi è qualche traccia di zolfo, non però la sostanza solida del medesimo, ma soltanto lo spirito e gli aliti solfurei, i quali disse che talvolta nell'inverno si con- densano in vero zolfo negli acquedotti. Ed il Falloppio insegnò anche un'al- tra cosa importantissima, della quale non si è mai fatto caso veruno da nes- suno di quelli che trattarono questo argomento , ma che spiega la cagione della diversità delle opinioni, anco dei chimici, sulla esistenza o mancanza (1) De Fontib. calici, agr. Patav. Cap. I. (6) Nella raccolta: De Balneis omnia qua- (2) De Balneis Patav. Cap. I. extanl , 1 554, apud Juntas, nella quale si (3) De Balneis et Thermis. ec. trovano anche le opere sopraccitate dal num. 2. (4) Jhid. in poi. (5) WS. (7) De Thermalibus Aqttis. Cap. XVII. 54 dello zolfo nelle Terme di Abano; ed è, che quegli aliti sol/urei stanno uniti all'acqua fino a che essa mantiene il suo calore naturale, ma che si dilegua- no quando l'acqua raffreddasi. Il Bacci pensc/ (i) che le acque di Abano siano tanto solfuree, quanto salse; ma che però non contengano che Valilo dello zolfo , non la stessa sostanza : ed imitò in ciò il Falloppio. Il Graziani nel 1700 non dubitava dell'esistenza dello zolfo nelle Terme di Abano; ma intendeva per zolfo una certa da lui detta pinguedine infiammabile, asseren- do però che in esse acque non si trova zolfo (2). Per contrario il Portinari fece menzione di zolfo trovato sotterra (3). Il Vandelli asserì di averne egli stesso trovato più di una libbra sublimato in un acquedotto coperto (4); e la stessa cosa asserì il Bertossi (5). Lo stesso Vandelli, parlando nuovamente in al- tra opera (6) dello zolfo delle Terme di Abano, disse: che se si soprappongano pietre e tegole agli acquedotti coperti ed alle cavità in modo da impedire che svaniscano tutti i vapori solferei, una parte si condenserà in vero zolfo. Ma il Mandruzzato , venuto dopo di tutti questi, scrisse (7): « che restarono deluse le » sue molte, lunghe e ripetute ricerche per trovare nelle Termali di Abano, o » sopra le pietre che ricoprono alcuni rivoli dove esse scorrono, qualche con- » erezione di zolfo. » Pel eorso di 28 anni, durante i quali egli è stato Professo- re delle Terme, cioè dal 1789 al 18 di Settembre 181 7, stette fermo nell'esclu- dere lo zolfo dalle Terme di Abano; e posto in dubbio ciò che aveva scritto il Vandelli, e perfino quello che gli aveva mostrato il Marchese Dondi Oro- logio, cioè alcuni pezzetti di zolfo cristallizzato da lui stesso trovati nel Mon- tinone di Abano, sostenne contro il Vandelli, che « è del tutto falso che » zolfo cristallizzato ottenere si possa coprendo, come quegli disse, i fori che » mandano vapori; » e protestò nel 1789, 0 che dalla scomposizione del fluido » gasoso, che dà a quelle acque quel qualunque odore epatico, egli non ot- » tenne punto di zolfo, e nemmeno indizio veruno di sua presenza (8). » Sot- toposto poi da lui a migliore esame il gas delle Terme, 26 anni dopo che avea pronunciato l' anzidetta opinione escluse dalla composizione di esso gas l' idrogeno solforato, ed altro gas solforato (9). (1) De Thermis. Lib. IV. (5) Delle Terme Padovane. Cap. II. (2) Therm. Patav. Exam. Cap. IV. (6) De Thermis Agr. Patav. Cap. III. (3) Della felicità di Padova. Lib. II. (7) Dei Bagni di Abano. Voi. I. Sez. II. Cap. IV. pag. yy. 78., e Voi. II. pag. 128. (4) flk tres de Apon. Thermis. Diss. I. (8) Loc. cit. Sez. III. §. Vi. e XIX. Cap. II. (9) Loc. cit. Voi. III. Sez. VI. 55 Se non che stanca natura di tante controversie, le troncò affatto, alzando un lembo del velo sotto il quale ama per l'ordinario di starsi nascosta, e nella notte del dì 17 Settembre dell'anno 1817 diede luogo ad un avvenimento, per cui poi nel giorno seguente si palesò la reale esistenza dello zolfo nelle Terme di Abano. Rottasi in quella notte un'arginatura artefatta, che chiu- deva una fossa con sorgenti sul colle Montirone verso il Nord, dall'impeto dell' acqua termale , la quale si aveva formato un ostacolo al proprio corso libero per la via solita , con l' aver prodotto nei tempi addietro grandi masse di incrostazioni; per levare queste incrostazioni, e per deviare l'acqua termale dalla strada comunale per dove scorreva, si tagliò il fianco del colle all'Est, ed ivi tra sassi e sassi si scoprirono il giorno seguente 1 8 Settembre alcune piccole cavità, che avevano irregolarmente sparse le pareli di minutissime cristal- lizzazioni di zolfo. Vi accorse il Mandruzzato medesimo, allora proprietario delle Terme di Abano, ed osservò « che in quelle cavità vi erano delle fessure, dalle «quali usciva un caldo vapore, e per le quali il trapelare della termale aveva » prodotto quei vuoti, e dato luogo all'introduzione del gas ed alla formazio- » ne dello zolfo »... e di tali cristallizzazioni egli stesso ne ha raccolto oltre a sei libbre mediche. Da lui avvisalo, come Ispettore delle Terme, mi portai tosto sul luogo, e vidi chiaramente lo zolfo cristallizzato. Posta fuori di dubbio F esistenza dello zolfo nelle Terme di Abano , lo stesso Mandruzzato con op- portuna dissertazione narrò al pubblico l'accaduto ritrovamento, e provò con chimici esperimenti, « che del gas termale di Abano è un ingrediente anche «l'idrogeno solforato, benché in minima porzione» (1). Assicurato io pure della formazione dello zolfo nelle Terme di Abano, mi posi ad osservare come si conducesse natura in questa operazione. Chiusi nel- l'anno 1818 con sassi l'apertura della principale cavità in cui erasi trovato lo zolfo cristallizzato sul declivio Est del Montirone, al fondo della quale cavità scorreva perenne un rivoletto d'acqua termale, e collocai li sassi in modo che non toccassero l'acqua. Dopo due o tre settimane cominciai a vedere sopra i sassi qualche punto lucido , che faceva sperare futuro cristalletto di zolfo. Se non che quel sito essendo accessibile a tutti, e nuova essendo la cosa, e comune la curiosità di vedere dove erasi scoperto lo zolfo , sempre era da tutti posta mano in quella cavità , e guastato l' apparato dei sassi , e quindi la (1) Sulla improvvisa sboccatura di un copioso getto di acqua termale, ec. An. i8a8 In 4- formazione dello zolfo non compariva. Frattanto ancora in qualche altro sito, e specialmente al Sud-Est del colle, coprendo con sassi qualche foro del sasso del colle, per dove scaturiva acqua caldissima , osservai che si copriva di piccio- lissimi punti lucidi e gialli. Per due anni di seguito nulla di più potei ottene- re, ma finalmente con pazienza mi è riuscito l'intento. Nel 1820 aspettai che corressero i primi giorni del Novembre, quando cioè nessuno più bada alle Ter- me, e sono terminate le preparazioni delle conserve del fango anco sul Montiro- ne, e collocai molto addentro nell'apertura della piccola cavità sunnominata due grossi sassi, chiusi gli interslizii da essi lasciati con sassi minori e con terra, e coprii il tutto con terra ed erba in modo , che quel sito fosse sottratto al pericolo di essere rimarcato e guasto. Fortunatamente nessuno vi ha posto mano per tutto il verno seguente , sicché lo trovai intatto nei primi giorni del Maggio 182 1. Aprii allora il nascondiglio, e trovai li sassi coperti di zolfo cristallizzalo. Uno dei due sassi maggiori l'ho dato il dì 27 Agosto 1821 al Nob. sig. Barone Consigliere Reviczky di Revisnye, allora Consigliere di Go- verno in Venezia, ora Vice-Presidente nel Regno di Gallizia, che ho trovato ai Bagni" della Battaglia, perchè ne facesse omaggio al Museo privato di S, A. I. R. il Vice-Re nostro, come esempio di zolfo nativo d 'Abano, e come tale non anco- ra posseduto dai Musei di Storia Naturale. L'altro sasso è quello che vedete [*). La cristallizzazione dello zolfo che sta sopra 1 sasso , è dunque il lavoro della natura per sei mesi continui; ed io conobbi in due anni di osservazioni e di prove, che alla formazione dello zolfo naturale cristallizzato nelle Terme di Abano sono necessarie le condizioni seguenti, senza delle quali, per quanto ho potuto conoscere, non più si forma lo zolfo. E sono: i.° Che un rivoletto d'acqua minerale sempre d'alta temperatura, alme- no al di sopra di ^o. gr. R., scorra sotterraneamente. 2.0 Che scorrendo formi nella terra col proprio vapore una qualche pic- cola cavità, o passi per una simile cavità già fatta, vale a dire per un canaletto. 3.° Che l'acqua scorra perennemente, e così somministri sempre nuovo vapore alle piccole concavità sotterranee. 4.° Che scorra lentamente, e solo in tanta quantità, quanta basti a ba- gnare il fondo delle cavità, e non mai le pareti e la volta di esse. 5.° Che queste piccole concavità siano affatto chiuse, o quasi affatto, al- l'aria esterna. (*) L' autore mostrò all'Accademia un sasso coperto di cristallizzazioni di zolfo. $7 6.° Che non accada cambiamento alcuno a queste cavità almeno per un mese, per esempio che non si apra o rompa spesso il terreno per vedere nel- l'interno, lasciandovi così entrare di frequente aria atmosferica; che non vi sia qualche pertugio o buco da cui esali continuamente dall'interno il vapore del- l'acqua, e v'entri dell'aria; che non si sospenda lo scorrere dell'acqua termale a segno che ristagni, e si alzi a bagnare le pareti e la volta delle cavità, e diminuisca di temperatura. Sotto queste condizioni le pareti dei canaletti, o acquedotti, e delle cavità, e le pareti dei sassi in esse collocati si coprono di cristalli di zolfo. Ma questa operazione si fa lentissimamente, a tal segno che solamente dopo venti e più giorni è visibile qualche minutissimo punto lucido, primo atomo dello zolfo che va formandosi in minuti cristalli ; e solamente dopo varii mesi si ottiene che sia coperto di cristalletti di zolfo un qualche sasso nel modo leggierissimo che Voi vedete chiaramente sul sasso che vi pre- sento; sicché per formare quella minima porzione di zolfo sono slati neces- sari! sei interi mesi . E dunque da credere che minima sia nelle Terme la quantità dello zolfo , se tanto tempo JS necessario , e sempre novello vapore delle acque Termali, perchè si formino soltanto alcuni minimi cristalletti. E quindi io penso che una minima porzione soltanto di gas solforato qualunque eutri nella composizione dell'abbondante gas che sprigionasi perennemente dalle Terme di Abano, e che insieme a questo entri nei pori dell'acqua, e svani- sca poi col vapore di lei quando essa raffreddasi, come aveva detto il Fallop- pio. E che per questa ragione l'esame chimico delle acque non abbia presen- tato indizii di esistenza dello .zolfo né al Vandelli , né al Mandruzzato, perchè forse non eseguito sul luogo: giacché è un fatto, che tentate quelle acque ed il loro gas nelle stesse sorgenti con qualche reattivo, p. e. col nitrato d'ar- gento , danno col loro annerimento indizii di probabile esistenza dello zolfo ; mentre poi quando si levano e le acque ed il gas dalle sorgenti, subito non danno più indizio di questa esistenza. Ma io mi sono proposto, o Signori, di astenermi dal trarre conseguenze da quanto sono per esporvi, e di narrarvi sol- tanto dei fatti. Il perchè passerò a narrarvi alcuna cosa sul secondo fatto che vi ho citato. 58 II. Esistenza di un sale ferruginoso presso le sorgenti Termali di S. Elena alla Battaglia. Gli stessi contrasti che per l'esistenza dello zolfo, si fecero per quella del ferro nelle acque Termali Euganee. Se non che di questo si è parlato molto meno che di quello dagli autori che trattarono delle dette Terme. 11 Graziarli disse 120 anni sono, che quasi tutti gli scrittori delle Ter- me padovane stahilirono che non vi entra ferro di sorta , e che con nessuno sperimento ha potuto trovare che contenessero del ferro (■). Ma il Vandelli per contrario asserì di avere osservato in un acquedotto delle Terme di Abano del ferro purissimo aderente alla pietra , il quale subito veniva attratto dalla calamita, e che le acque Aponensi depongono un sedimento in cui entra del ferro. Affermò che il ferro è il maggiore agente delle Terme di S. Pietro Mon- tagnone e di S. Elena, e che entra alcun poco nelle Terme di Montegrotto. Asserì finalmente, che tutte le Terme Euganee lasciano nel sedimento una terra giallastra simile all'ocra., ma specialmente le acque Termali di S. Pietro Montagnone e di S. Elena (»). Il Marchese Dondi Orologio però scriveva al Mandruzzato (3), che « il Vandelli aveva sognato l'ocra marziale in tutta » quella sostanza gialla che vedesi nei rivoli e nelle lagune delle acque Ter- » mali , mentre quella sostanza gialla sono piante del genere delle Ulve. » Ed in vero il Falloppio già aveva detto che nell'acqua di S. Pietro continetur materia itta* quae assimilatur ochrae, ochra tamen non est. Il Dondi però confessa ohe. in un luogo speciale delle Tenne di S. Pietro Montagnone dietro l'osteria, ora anco Stabilimento da Bagni, ritrovasi un tratto di ocra trasportato dall'acqua dai luoghi superiori. Il Mandruzzato scrisse (4) che non ha potuto osservare alle Terme di Abano né ferro , ne terra ferruginosa , né ocra marziale; « osservazione, soggiunge egli, della quale ci fece dono il Van- »delli, l'unico a cui toccasse di vedere le abbondanti sublimazioni di pretto » zolfo e di ferro cristallizzati sulle pietre che coprono i rivoli di Abano.» Il Mandruzzato medesimo però narra (5) d'essersi assicurato con esperimenti, (i) Loc. cit. Cap. VI. (4) L. e. §. XXII. e XXIII., e nota j. (2) Diss. tres etc. Diss. I. , e De Thermis (5) Memoria sulla improvvisa sboccatura Agr. Palav. Cap. III. di un copioso getto di acqua termale , ec. (3) Mandntzz. 1. e. voi. I. Sez. II. e nota 7. Pag. 18. » che l'acqua del fonte di S. Pietro Montagnone trasporta veramente seco e » depone nei canaletti, che la contengono, una terra argillosa mista ad un'ocra » gialla di ferro. » Io non ho per anco potuto trovare alcun indizio di esistenza di ferro nelle Terme di Abano e di S. Pietro; ma confesso ancora di non avere gran fatto cercato. Trovai bensì un sale ferruginoso alle Terme di S. Elena, ed è quello che vi presento (*) e separato ed attaccato al sasso sul quale io lo trovai. E fu nell'anno 1821, nei primi giorni del mese di Agosto, che osservai sopra il sasso nudo del colle di S. Elena alla Battaglia quella fioritura particolare, la quale al solo sapore astringente si conosce essere ferruginosa, probabilmente un solfato di ferro. Il sito dove la trovai è al Sud-Est del colle, e vi era stato di fresco tagliato il sasso perpendicolarmente , per mettere allo scoperto una sorgente di aequa Termale che trapelava In quel sito, la quale tuttora vi si vede, ed è della temperatura di gr. 5i. R. Nel 181 7, appiè dello stesso colle tagliando nelle radici il sig. Ingegnere Giuseppe Jappelli, ha trovato alcuni tratti di quei massi coperti di una crosta piritosa di ferro. L'analisi chimica, che sta per fare il nostro peritissimo Socio sig. Profes- sore Melandri, delle Terme Euganee farà vedere se il ferro entra nelle acque di S. Elena, o solamente nel sasso del colle da cui scaturiscono. III. Il terzo fatto, di cui debbo parlarvi, è l'esistenza di un'erba pipa e vegetante nel fango termale dì Monte grotto. Anche sopra questo argomento, come sugli altri di cui vi parlai, diverse fu- rono le opinioni manifestate dagli autori, alcuni asserendo che nelle Terme di altissima temperatura nascono e vivono delle erbe, altri negando la cosa, e tenendola per impossibile. E queste diverse opinioni regnarono niente meno che da Strabone fino al Mandruzzato. Se non che quasi tutti gli autori parla- rono in generale, senza nominare la specie delle erbe, né il grado del calore dell'acqua. E chi nominò le piante ebe nelle acque termali si trovano, non citò che tali specie , le quali forse non sono vegetabili organizzati , ma sostan- te vegetabili miste ad animali, disciolte nell'acqua Termale, e da questa de- poste nel raffreddarsi, sotto certe circostanze particolari. Plinio il naturalista ha {*) L'autore mostrò all'Accademia questa sostanza Co scritto (0: Patavinorum aquis calidis herbae virentes innascanlur; e non più scrisse di ciò. Prima di lui, secondo il Bacci (2), Strabone aveva detto la stessa cosa. In seguito Claudiano cantò (3), clie in Abano audace- Vegeta l' er- ba, disprezzati i fuochi; ma non disse se vegeti nell'acqua Termale, o ad essa vicino. Gassiodoro narrò (4), clie dove dall'ardente acqua si ge?iera il sale, si nutrisce anco la verdura; ma egli parlava a nome di un conquistatore, e il suo dire, più oratorio che storico, spesso oltrepassava la verità, e prometteva più di quello eli' essa comporta. Otto secoli dopo Gassiodoro (e in quel tempo, co- me Voi ben sapete, le tenebre dell' ignoranza regnavano sulla terra ) Giovanni de' Dondi scriveva di non avere osservato nelle Terme padovane che un sedimento erbaceo (5). E dopo del Dondi per altri due secoli, sino al Falloppio ed al Bacci, nessuno autore, eli' io sappia, parlò dell'erbe che nascono in esse Terme. Il Falloppio pertanto scrisse chiaramente (6) di avere veduto delle piante nell'acqua caldissima di Abano, e di averne egli stesso talvolta estratte di verdeggianti e nutrite, con fiori e con semi: extraxi aliquando plantas ex ìllis rivulis virentes ac pingues, cum, floribus et seminibus. 11 Bacci (7) parlò di piante viventi sui margini delle fonti di Abano, e dove qualche vena di acqua tepida si meschia alla calda; ma tale vegetazione sopra quei margini è cosa comunissima, e da tutti veduta. Ed è un fatto, che sul colle Termale di Abano, vicinissimamente all'acqua della temperatura di 60 a 67 gr. R. , sca- turisce acqua di soli 36 gradi di calore; sicché potrebbe essere opposto al Falloppio, che l'acqua dalla quale egli ha estratto V erbe vive e fiorite non sarà stata la più calda; ch'egli non disse il grado del calore, e non lo po- teva; e che se la chiamò ferventissima, ha parlato collettivamente delle varie sorgenti di Abano, le quali vanno distinte fra loro in quanto al grado della temperatura. Se però potessimo badare a un poeta in fisico argomento, avremmo da un effetto fisico, da un poeta narrato, il grado dell'acqua in cui si tro- varono erbe vive. Carlo Dottori nel poema dell'Asino cantò di Abano (8): Erba giace nell'acque, e non si lessa, Benché bollano sempre a ricorsojo ; Sicché V oste vicin pela con essa I polli , e non farebbe più un rasojo. (1) Nat. Bist. Lib. II. Cap. 106. (5) Loc. cit. (2) Loc. cit. (6) Loc. cit. Cap. XVII. (3) De Apono Epigr. vers. 18. (7) Loc. cit. Lib. IV. (4) Loc. cit. (8) Canto VI. fri L' acqua nella quale anche presentemente si spennano i polli , e si spe- lano perfino i porci, ha la temperatura di gradi 60. a 67. R. — Però anco il Dottori , come il Falloppio , può non avere o saputo o distinto che vici- nissimamente a sorgenti dei citati gradi di calore ne scaturiscono di meno calde d'assai. Il Vallisnieri insorse contro queste asserzioni, e sostenne essere falso ciò che narrano Plinio, Claudia.no, Cassiodoro e il Pignoria, dell'esistenza cioè di erbe vive nelle acque calde di Abano; « conciossiachè, egli dice, nei dintorni delle » ripe di alcuni rivoli in qualche luogo, dove l'acqua ha perduto quell'ar- ti dente calore j vi si veggono certamente alcune erbe acquajuole ed ignobili, » ma non già dove bolle , e dove mantiene gradi di un calore più che ordi- ti nar io; che sarebbe un miracolo » (*). Tutti questi autori parlarono veramente di erbe e d'acque calde in gene- rale, senza determinare la specie dell'erba e la temperatura dell'acqua. Il Vandelli, che fu il primo a trattare di proposito dell'erbe delle Ter- me padovane , asserì (2) che tanto in quelle di Abano , come in quelle di S. Pietro Monlagnone e di Montegrotto , nascono erbe nella stessa acqua calda. Se non che il Vandelli non parla, per verità,, che di erbe crittogame, e mette in dubbio il narrato dal Falloppio, che vi nascano erbe con fiori. Il Vandelli insegnò che nelle acque di Abano nascono due specie di piante, da lui denominate Conferva aponitana e Conferva alba , ma ne' rivoli nei quali l'acqua non ha che 38 gr. di calore; che in S. Pietro Montagnone nasce nell'acqua a 5o gr. la Conferva ramosa alba, così da lui denominata; e che nell'acqua di Montegrotto, dove ha 34 gr. di calore > nasce la Con- ferva capillacea simplex e la Conferva capillacea ramosa; e dove ha gra- di 49-1) come anco in qualche sito di Abano, nasce YUlva thermalis valvu- losa, dal Linneo poi diramata Ulva labyrinthiformis ; e finalmente che nelle cavità del Montirone di Abano nasce la Tre/nella glutinosa; e in qualche rivolo il Byssus hemisphaericus thermalis A ed il Byssus coriaceus ther- malis niger. Ma tutte queste così denominate piante dal Vandelli sono, come dissi, crittogame. Il Mandruzzato scrisse (3) che vegetano e crescono alcune piante dentro quelle acque di Abano, che non. oltrepassano il gr. 4.0- di ca- li) Opere fsico-med. T. II. pag. 433'. (3) Dei Bagni ec. Voi. I. §. IT. nota f\. (2) Diss. tres etc. Diss. 1. Gap. III., e De e 5., e voi. III. §. X. Thermìs etc. Cap. II. (,2 lore, al di là del quale periscono; e quindi, secondo lo stesso, «fu troppo » generale il passo di Plinio sopraccitato , ed è stata una poetica esagerazione » quella di Claudiano , con cui descrive il vegetar delle piante in mezzo al- ni'ardore E fu un errore di tutti quelli che tennero per sicura la pro- » duzione di piante nelle fonti più calde di Abano, perciocché è del tutto >< falso che pianta qualunque vegeti dentro a quelle acqife dal 4°- fino al 60. » grado di calore. » Così il Mandruzzato. Però anco le piante tutte, di cui parla il Mandruzzato, sono crittogame, del pari che quelle di cui parla il Van- delli, ed anzi le stesse Conferve } Ulve,, Tremelle, Bissi; piante ch'egli prudentemente confessa « che non furono ancora opportunamente raccolte , «osservate e determinate.» E dico prudentemente, perchè s'io volessi se- condare il pensiero che mi desta la vista di quelle pretese piante crittogame ogni volta che vedo come esse si formano nelle diverse Terme Euganee, e che osservo le svariate apparenze che prendono nei varii sili delle Terme , nei varii modi di loro formazione in essi siti nelle diverse temperature del- l'acqua e nelle diverse stagioni dell'anno, nelle varie loro età ec, sarei incli- nato a dire non solamente che da queste diverse circostanze e modi di for- mazione derivano le varie specie inventate dal Vandelli , dal Mandruzzato e da altri, le quali poi probabilmente possono ridursi ad una specie sola; ma direi di più, che questa stessa specie non sìa altrimenti una pianta, ma sì una sostanza mista di vegetabile e d' animale decomposti , tenuta in dissoluzione dalle acque caldissime , le quali poi la depongono ; e che essa sostanza vada formandosi per deposizione e per raffreddamento, e vada crescendo per soprap- posizione, e non per vegetazione; e che il vario colore delle varie pretese Cor ferve termali, delle Ulve ec. , il bianchissimo, il verde vivissimo, il cine- reo, il carneo, il giallo-rossiccio ec. non sia che una modificazione della stessa sostanza sotto la varia influenza che esercitano sulla sua formazione le varie circostanze accennate. Quella pianta però, di cui è mio intendimento parlarvi, non è una tuttora oscura e controversa sostanza o pianta termale, non un vegetabile che faccia le nozze ira segreto , ma un'erba che le fa pubblicamente in gentilissimi fio- rellini. Nei primi giorni del mese di Maggio dell'anno 1820 io ho trovato nella conserva del fango termale di Montegrotto una picciola pianta in fre- sca vegetazione, non però fiorita, perchè non era per anco il tempo in cui quell'erba suole fiorire. Essa aveva le radici nel fango termale. Il fango ave- va la temperatura di gr. 54, e l'acqua che sempre lo copre per mezzo piede G3 aveva la temperatura di 58. Io feci estrarre quell'erba col fango attaccato, ed era presente il Dottor Antonio Mingoni proprietario di quelle Terme , e la riconobbi pel Sainulus Valerandi L. La pianlerella è quella stessa che vi presento (*), e la desidererei meglio conservata. Il Samulus Valerandi L. è assai frequente nei dintorni delle Terme spar- se per la campagna di S. Pietro , e si trova benissimo fiorito nei mesi di Giugno e di Luglio fino sugli orli dei rivoli per cui scorre acqua termale della temperatura da 5o a 62 gr. Ma, a dir vero, dentro al fango o nell'ac- qua termale a queste alte temperature non mi è più accaduto di trovare vi- vente quella graziosa pianterella, per quanto io abbia sempre osservato pas- sando per quelle termali località. Non è però cosa meno vera, cbe quella pianta, cbe vi presento, fosse viva ed in fresca vegetazione nell'acqua a 58 gr. E da sapere cbe quel fango non è la belletta di laghi termali, come quello di S. Elena; ma si leva dai fossi della campagna, pei quali però scorre perennemente l'acqua termale, cbe talvolta è mista alla dolce o di piog- gia o di fosso, specialmente allontanandosi dalla sorgente della superba antichis- sima vasca. E bensì vero, cbe si leva da que' fossi nei mesi di Ottobre e di Novembre, onde porlo nelle conserve dove trovansi sorgenti di acqua ad al- tissima temperatura; sicché il fango, nel quale era nato e cresciuto il Sainu- lus Valerandi L., giaceva in quella conserva da più di sei mesi. E dun- que da credere che nell'autunno insieme al fango siansi trasportati nella con- serva caldissima i semi del S amul us j i quali siensi accostumati al calore di 58 gr. , a segno di svilupparsi, germogliare e crescere nel Maggio seguente. Ciò è quanto io aveva a dirvi , o Signori , e non mi resta che a ringra- ziarvi della tolleranza per me dimostrata. C) L' autore fece vedere la pianterella attaccata a fango termale. CONSIDERAZIONI SULL'UTILITÀ DEL METODO ANALITICO PER CONOSCERE LE CAUSE E LE LEGGI DELLE AZIONI MORALI DELL' UOMO. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XV GIUGNO MDCCCXXVI DAL SOCIO ATTIVO STEFANO GALLINI C3ino dal primo momento, che io mi sono dedicato allo studio della fisi- ca del corpo umano per servire di guida all'istruzione de' giovani medici, mi sono proposto di considerare e far considerare questo corpo quale già l'ana- tomia ce lo può ad ogni istante far conoscere. Ma fu mia principale cura di esaminare comparativamente tanto la posizione, la conformazione, l'intima tes- situra, ed i legami delle diverse parti di esso corpo, quanto le proprietà o forze che le diverse parti manifestano nelle diverse circostanze della vita, per dedurre se, quanto e come queste sole osservazioni e comparazioni potevano palesare le cause delle diverse azioni dell'uomo vivente. Io non ho però pre- teso di dare per mie e per originali le proposizioni tutte, e tutte le deduzio- ni che ho raccolte con qualche ordine nel Saggio d" osservazioni concernenti i nuovi progressi della fisica del corpo umano, pubblicato nell'anno 1792, per formare di esse un corpo di dottrina atto a rendere ragione delle opera- zioni dell'uomo, e delle funzioni con cui i differenti suoi organi concorrono ad esse operazioni. Ho soltanto tutta la fiducia di aver fatto sin d'allora un qualche nuovo passo coli' esaminare comparativamente tutte le proprietà ine- renti nei diversi tessuti più semplici costituenti gli organi diversi, le quali si manifestano in determinate circostanze. Ho potuto diffatti mostrare che esse proprietà tutte, pure quelle inerenti durante soltanto la vita, derivano da un grado diverso di mutua affinità degli elementi componenti le molecole primi- tive animali, e da un conseguente grado diverso di coerenza mutua delle mo- lecole stesse. Un secondo nuovo passo parrai aver fatto colf osservare che tutti i vasi del corpo umano formano una sola cavità continuata, o un solo sistema di cui il centro dalle cavità del cuore è costituito; e che tutti i ner- vi formano un altro insieme o un altro sistema col riunirsi tutti, o diretta- mente o dopo aver formati dei ganglii, nel cervello; quando non sia più esatto il dire, col riunirsi nel sito di unione delle due midolle allungala e spi- nale, ove è cosiituito il centro massimo del sistema nervoso, del qual centro il cervello ed il cervelletto ne sono la continuazione. Io non riporterò qui tutti i fondamenti sui quali ho appoggiate le pro- posizioni fisiologiche ; né risponderò alle pretese di alcuni che attribuirono il merito di esse ad altri valenti soggetti, i quali le appoggiarono ad apposite esperienze, ed a dissezioni anatomiche più ragguagliate ; né finalmente mostre- rò che i tentativi praticati da altri per dare un migliore aspetto alle medesi- me non ahbiano condotto a idee più fondate, più chiare e più precise. Io porto speranza ili avere esposto tutto questo con abbastanza d'ordine e di chiarezza nell'operetta latina pubblicata nel 1824 col titolo: Summa observationum ana- tomicarum, ac physico-chymicarumj quae usque ab anno 1792 ex-positae> praecurrerunt nova dementa physicae corporis fiumani. Ricorderò soltanto, che l'utilità dell'esposizione dei due sistemi generali vascolare e nervoso non sembra essere stata bene intesa da quelli che giudicarono miglior consiglio il moltiplicare il numero dei sistemi, o, come alcuni di essi li chiamarono, de- gli apparati di parti concorrenti a diverse determinate funzioni od operazio- ni animali, e di esaminare separatamente l'uno dall'altro quei sistemi moltipli- cati. Non si danno organi, nervi e muscoli inservienti alle funzioni soltanto concorrenti all'una o all'altra classe generale di operazioni animali, come tra gli altri il Bichat aveva preteso. Tutti gli organi, dei corpi animali, e soprattut- to del corpo umano, per avere vasi che tutti formano una cavità continuata, o un solo sistema di cui le cavità del cuore costituiscono il centro, concor- rono alle operazioni vegetative, che risguardano la conservazione dell'individuo e di tutti i suoi organi. Tutti parimente gli organi, per avere nervi che tutti formano un insieme continuato o un solo sistema, di cui il cervello è il cen- tro o almeno la continuazione del centro, concorrono alle operazioni propria- mente animali , che risguardano la formazione di successive serie di sensazioni, 9 6(3 d'idee e di determinazioni susseguite sempre da corrispondenti moti animali, i quali le manifestano o le eseguiscono. Considerando sotto questo aspetto generale le funzioni tutte che concor- rono all'una od all'altra classe di operazioni animali, mi sembrò sempre risul- tare chiaramente come esse tutte sieno prodotte in grazia della particolare di- stribuzione e conformazione nel primo caso dei vasi e cavità che costituisco- no essenzialmente il sistema vascolare, e nel secondo caso dei nervi e dei tes- suti essenzialmente costituenti il sistema nervoso; unitamente sempre al grado di vitalità particolare inerente o nei pareti dei vasi e cavità, o nei nervi e nei tessuti componenti il sistema nervoso. Conviene soltanto osservare, che nel centro massimo del sistema nervoso e nel cervello, e piuttosto nella massa che nell'uomo soprattutto riempie la cavità del cranio, risiede una facoltà, o l'ani- ma a cui essa facoltà appartiene, la quale distinguendo le impressioni prepon- deranti di forza , sia quando sono fatte contemporaneamente negli organi dei sensi e trasmesse contemporaneamente al centro massimo, sia quando in esso centro esse si compongono, decompongono, e in nuovo ordine si compongono, fa avere all'uomo corrispondenti sensazioni , o fa formare ad esso le corrispon- denti idee e determinazioni che i moti susseguenti manifestano. Con questo metodo di ravvisare l' insieme delle funzioni dell' uno o del- l'altro sistema è reso certamente facile l'intendere la reciproca influenza del- le operazioni vegetative o puramente fisiche con quelle che diconsi intellet- tuali o morali; ed in altri termini con questo metodo si manifesta la recipro- ca influenza dell'anima col corpo. Posso aggiungere, che sino dall'anno 1792 e nello stesso citato Saggio d' osservazioni ho dimostrato che i polmoni col- la loro funzione, cioè colla respirazione, siano un nuovo mezzo di reciproca influenza tra le operazioni animali vegetative 0 fisiche, e le intellettuali o mo- rali. Sino d'allora ho parimente dimostrato che i moti animali involontarii di- pendano dall'essere prodotti in ragione delle impressioni preponderanti diretta- mente fatte nelle superficie interne delle cavità e vasi, e direttamente comu- nicate ai pareti di esse cavità e vasi, piuttosto che in ragione di quelle im- pressioni contemporaneamente trasmesse ai medesimi pareti col mezzo dei ner- vi; mentre i volontari sono quei moti prodotti all'occasione, ed in ragione di impressioni preponderanti trasmesse agli organi, che li producono col mezzo sol- tanto dei nervi. Finalmente ho sin d'allora mostrato che tra i moti volontarii ve ne sono d'istintivi, i quali sono prodotti in grazia delle impressioni che sono fatte in determinati organi del senso, e che dai nervi, che in questi 67 organi le ricevono, devono essere trasmesse al centro massimo in un sito in cui più direttamente sono comunicate ai nervi che da quel sito vanno ai de- terminati organi del moto, i quali conseguentemente sono messi in azione. Ma non è mio oggetto in questo discorso di far pompa di quanto ho cer- cato dimostrare sino dall'anno 1792, e di quanto in seguito ho potuto espor- re con maggiore precisione, convalidando pure le mie deduzioni con le ulte- riori indagini fatte da tanti illustri soggetti. Quello che m'indusse a ricorda- re queste poche cose, fu l'avere letto in un articolo della Bibliotlièque Uni- verselle di Ginevra, ed è nel primo articolo del fascicolo di Gennajo 1826, che per conoscere l'uomo e le sue operazioni tutte non basta studiare l'or- ganizzazione sua materiale, perchè l'uomo non è quel corpo che i fisiologi esa- minano e fanno cadere in pezzi sotto lo scalpello; e l'avere, inoltre letto in esso articolo, che per conoscere l'uomo e le sue operazioni non si deve se- guire il metodo analitico, osservato con tanto vantaggio in tutte le altre inda- gini puramente fisiche, ma si deve usare esclusivamente il metodo sintetico. Quindi l'autore dell'opera, su cui quell'articolo versa, vuole che non si possa per via analitica arrivare alle vere cause dei fenomeni e delle operazioni del- l' uomo , ma che si debba dedurre la produzione di essi fenomeni ed opera- zioni da una facoltà attiva dell' uomo , la quale ha una spontaneità , una vo- lontà , una libertà di operare a norma della sua coscienza o del suo innato sentimento, discernente il giusto dall'ingiusto, l'onesto dal disonesto. Io non mi arresterò a difendere i fisiologi dalla taccia di essere contenti di cono- scere il corpo umano quale l'anatomico glielo pone solt' occhio nelle singole parti in cui col suo coltello divide i cadaveri . I fisiologi hanno sempre con- siderato che quelle parti, durante la vita dell'individuo, hanno inerenti alcune forze o proprietà, delle quali era necessario conoscere la natura e le leggi e le circostanze con cui o in cui operano; ed hanno determinato tutto ciò col- l' osservare attentamente gli effetti allorché esse proprietà in fatto operano, e col confrontare gli effetti che si manifestano prodotti dall'azione delle diver- se proprietà o dalle diverse circostanze in cui sono eccitate all'azione. Io in- sisterò soltanto a provare che collo stesso metodo analitico , seguito con tan- to vantaggio nelle scienze puramente fisiche, si arrivò a scoprire esservi una facoltà particolare, residente nel centro massimo del sistema nervoso e nel cer- vello che n'è la continuazione, la quale facoltà distingue le impressioni che ad esso centro e cervello sono contemporaneamente trasmesse col mezzo dei nervi dagli organi che le ricevono, e la quale distingue pure le impressioni 68 risultanti nel centro massimo e nel cervello dalla composizione, decomposizio- ne e nuova composizione delle trasmesse; e la quale, distinguendole, fa avere all'uomo corrispondenti sensazioni diverse, o gli fa avere corrispondenti idee e determinazioni, che i moti susseguenti sempre manifestano od eseguiscono. Io insisterò parimente nel provare che collo stesso metodo analitico si arrivò a determinare le circostanze stesse in cui essa facoltà può far discernere il giu- sto dall'ingiusto, e l'onesto dal disonesto, ed in cui distinguendoli concorre a far susseguitare i moti adattati a seguire il giusto e l'onesto, ed a fuggire i contrarli. Finalmente insisterò nel provare che collo stesso metodo analitico si arrivò a conoscere come l'uomo, a differenza di tutti gli animali, può ren- dersi conscio e rendere conscii i suoi simili della rettitudine de' suoi giudizii e delle sue determinazioni , i primi essendo manifestati e le seconde eseguite da alcuni moti animali che susseguitane; e mostrerò che l'uomo solo poten- do far conoscere gli uni e le altre con quei moti che modulano corrispon- dentemente la voce nei suoni articolati, e designati colle lettere dell'alfabeto, da cui risultano le parole, l'uomo supera con questo tutti gli animali, e deve essere responsabile delle sue azioni . Ma prima di tutto esporrò quanto viene proposto nell'articolo già citato della Biblioteca Universale di Ginevra. Il Jorombert, autore dell'opera di cui si tratta in quell'articolo, volle darne una che risguarda i principii del diritto politico. Ma siccome gli autori degli articoli della Biblioteca non vogliono en- trare in questi argomenti , così nell'articolo in questione non viene riferito se non quanto sta esposto nella introduzione, la quale versa sui principii che devono servire, secondo l'autore dell'opera, di base non solo alla scienza politica , ma ancora a tutta la morale . Sotto quest' ultimo aspetto l' introdu- zione può essere considerata un'opera a parte, la quale, secondo l'autore del- l'articolo, ha molto merito e molto interesse. Il Jorombert volendo condurci alla ricerca del vero principio o della cau- sa delle azioni morali dell'uomo, premette che convenga distinguere il mon- do fisico dal mondo morale , e che il primo , diretto dalla potenza universa- le che lo creò, sia sottomesso a principii determinati, invariabili, rivestiti del carattere della necessità , mentre il mondo morale è bensì diretto anch' esso da principii eterni e fissi, ma poiché l'uomo tiene all'ordine universale per la sua coscienza, ch'è il senso discernente il giusto dall'ingiusto, l'onesto dal disonesto, le azioni dell'uomo non ne derivano invariabilmente. L'uomo è do- tato , dice il Jorombert , della facoltà di deliberare , di scegliere , di determi- narsi, ed in fine esso ha una volontà, ed è libero. Per convalidare la sua proposizione sul differente metodo da seguirsi nel cercar di render ragione dei fatti del mondo fisico e del inondo morale, egli si appoggia nel dire che nel- l'ordine fisico i fatti siano sempre ciò che devono essere, e non ingannano mai. Quindi basta osservarli attentamente per arrivare alla conoscenza delle cause che li producono , e f analisi è il solo metodo che possa condurre alla verità. Ma non è lo stesso, aggiunge il Jorombert , delle azioni dell'uomo. La coscienza non fa sempre produrre azioni analoghe a quel raggio di luce divina di cui l'uomo fu dotato, mentre la sua libera volontà lo conduce spesso ad azioni immorali. Quindi, continua egli, quando si volesse rimontare dalle azioni al principio della morale, e seguire il metodo analitico per arri- vare a determinarlo, si farebbe dipendere dal solo fatto la giustizia e il diritto, come regole della condotta morale, e si caderebbe in una confusione d'idee. Dai fatti , die' egli , e dalle sperienze si deve raccogliere in generale, che quel- lo il quale cerca soltanto il suo interesse, di rado manca di prosperare; che il favorito di un Sultano gode più che un cittadino di Atene o di Roma ; che un Re neghittoso muore nel suo letto tranquillamente, mentre un En- rico IV. muore per la mano d'uno scellerato ; che la schiavitù offre più ri- poso che la libertà ; che la virtù di rado è premiata , e che il vizio trionfa spessissimo . Ma , esclama subito il Jorombert , chi non preferirebbe la sorte di Catone a quella di Cesare, la vita di un cittadino d'Atene alle voluttà d'un Sibarita, la sorte di Enrico IV. a quella di Luigi XI.? Questi nobili senti- menti provengono , secondo il Jorombert , dalla coscienza , dalla forza mora- le, dalla libertà. Puossi negare, seguita egli, avere l'uomo un sentimento di simpatia che lo attira verso il suo simile? Possonsi negare gli slancii del suo cuore, che lo strascinano col pericolo della sua vita verso la voce che chiama soccorso? Puossi negare l'affezione sùbita, profonda, irresistibile di compassione e di dolore, che s'impadronisce della sua anima all'aspetto d'un grande infortunio ; la indignazione e la collera che s'impadroniscono della sua anima alla vista d'una ingiustizia fatta ad un altro? Puossi finalmente negare il trasporto d'ammirazione ch'eccitano nell'anima una bella azione, un atto di virtù, ed il solo racconto ancora di un tratto eroico? Tutto questo deve convincerci, oonchiu.de il Jorombert, che la sola sintesi possa servire di filo conduttore, e che si debba cominciare dall' ammettere un primo motore innato, un principio innato d'ogni morale, cioè la coscienza, eh' è un senso morale anteriore ad ogni azione, e che non si deduce da ciò che vien fatto, ma che 7° produce eie che Jeve essere. E per darci l'ultima prova del suo assunto il Jorombert aggiunge, esservi pure una vita negli animali, ed un apparato com- pleto di organi del senso e del moto, ed in una parola esservi tutto ciò clie costituisce le proprietà dell'organismo: ma trovarsi nell'uomo solo quella spon- taneità morale che appartiene a un altro dominio , che segue altre leggi , che forma altri mondi; e la coscienza non è il prodotto delle fisiche impressioni e delle corrispondenti sensazioni, dalle quali dipendono le azioni di tutti gli animali. Prima di esaminare ciò che Jorombert ha detto , tanto per provare que- st' ultima proposizione, quanto per mostrare gli errori ai quali conduce il non partire per via di sintesi dalla spontaneità, volontà e libertà dell'uomo, e dal senso innato della sua coscienza quando si voglia render ragione delle opera- zioni morali del medesimo, mi sia permesso far precedere una osservazione. Il Jorombert vuole che si parta dall'ammettere nell'uomo una spontaneità al- l'azione, la quale manca non solo in tutti gli esseri inorganici e nei vegeta- bili, ma negli animali stessi, e vuole che questa spontaneità sia volontaria e libera. Ma quando questa volontà e libertà non sono sempre dirette dalla co- scienza , com'egli stesso confessa, e quando conducono il più spesso o il più degli uomini a trascurare quello che la coscienza, la quale, secondo lui, è il senso innato discernente il giusto dall'ingiusto, l'onesto dal disonesto, gli deve suggerire ; come si può trovare coerente che la Bontà infinita, la quale donò all' uomo un raggio di luce divina , abbia nello stesso tempo data al- l'uomo una volontà e una libertà che per lo più o nella maggior parte degli uomini non sono dirette da quella luce? Come conciliare le proposizioni emes- se in seguito dal Jorombert, cioè che il sentimento morale riposa in fondo dell'anima, vi regna con tutta la potenza di un principio innato e indipen- dente dalle sensazioni, rivela il giusto e l'ingiusto, inspira i sentimenti di amore, di benevolenza e di pietà, sovente opposti all'interesse personale, al nostro ben essere, al nostro piacere, sentimento morale a cui l'anima si ab- bandona, a cui attribuisce un'origine sacra, ed a cui si sagrifica per un moto della sua volontà libera e della sua moralità; come conciliare, diceva, queste proposizioni col fatto, che la libertà e la volontà strascinano il più degli uo- mini a tutt' altro, che a quello a cui l'innato sentimento morale dovrebbe condurli ? Ma si vorrà forse sostenere che basta agli uomini di evitare quelle im- pressioni che possono dar occasione a sensazioni forti ed impetuose, acciocché 71 l'intimo innato senso della loro coscienza preponderi, e li diriga a ciò che è giusto ed onesto, e loro faccia evitare l'ingiusto e il disonesto? E non po- trebbe essere piuttosto, che con lo stesso mezzo delle impressioni fisiche, alle quali corrispondono quelle sensazioni che regolano molte azioni, e dirigono queste alla conservazione ed al ben essere dell'individuo, come dirigono le azioni tutte degli animali, ma che strascinano anche spesso l'uomo a tutt' al- tro, che alle azioni derivanti dal supposto innato senso, o dalla coscienza, con lo stesso mezzo sia pure prodotto in lui questo senso intimo, che il Jorom- bert vuole innato e non acquistato? Non si potrebbe forse dire, come sempre io ho cercato di provare, che l'uomo, a differenza degli animali, possa appli- care più o meno intensamente, più o meno estesamente l'attenzione della sua anima, a cui appartiene la facoltà residente nel centro massimo del suo sistema nervoso o nel cervello ; e che esso solo possa con questa sua diversa , ma spontanea e libera attenzione acquistare il senso morale stesso, e far acqui- stare ad esso senso la preponderanza sulle sensazioni puramente fisiche, comuni a tutti gli animali? A questo proposito però il Jorombert si crede forte per provare che gli antichi, volendo sottomettere il mondo fisico al metodo sintetico, furono con- dotti a sistemi assurdi ; e che i moderni, volendo arrivare col metodo analitico al principio morale, hanno dato questo nome all'interesse personale; modifi- cando in seguito questa espressione coll'aggiungere interesse personale bene in- tesOj e col sostituire le parole di utilità generale, di ragione di stato, di sa- lute pubblica. Applicando, dice il Jorombert, allo studio morale dell'uomo il metodo analitico, si deve far dipendere l'intelletto stesso e le sue operazioni dalle sole sensazioni o impressioni fisiche, si deve ammettere la fatalità delle nostre azioni, si deve erigere l'interesse personale in principio morale, e non si deve conoscere altra legge sociale, che quella della convenzione. All'incon- tro, seguita egli, partendo col metodo sintetico dalla spontaneità, dalla libertà morale, dalla nozione innata del giusto, la giustizia diviene il principio delle nostre azioni, il fondamento delle società umane, ed allora vi sono leggi eter- ne anco pel mondo morale. Ma domando io, perchè l'innato sentimento di giustizia , che dovrebbe dirigere da se le azioni morali , abbisogna che si usi la forza per sottomettere il più degli uomini a seguire, rapporto i suoi simili, le regole dell'interesse personale bene inteso, le regole dell'utilità generale, quelle della ragione di stato, della salute pubblica, e le leggi stesse con- venzionali ? 72 Senza entrare nella provincia dei metafisici e dei teologi, come mi sono astenuto sempre di entrare, mi sia permesso di fare una rapida esposizione delle serie di proposizioni a cui sono stato condotto coli' esaminare le opera- zioni conosciute sotto il nome generale d'intellettuali, nelle quali più mani- festamente concorrono i nervi con la loro proprietà inerente e col loro in- treccio nel centro massimo e nel cervello, unitamente alla facoltà ivi residen- te. Dai soli fatti attentamente osservati e paragonati fra loro ho sempre de- dotto che l'anima, a cui quella facoltà appartiene, possa spontaneamente e liberamente applicare più o meno intensamente, più o meno estesamente la sua attenzione alle impressioni, le quali contemporaneamente o con una im- mediata successione arrivano al centro massimo ed al cervello; e possa pari- mente applicarla a quelle impressioni che in questo centro e cervello si com- pongono, decompongono, e in nuovo ordine si compongono. Ma ho sempre mostrato ancora col mezzo di essi fatti, che a misura che l'anima presta mag- giormente la sua attenzione per distinguerle, l'uomo prova sensazioni diverse più esattamente corrispondenti, e più esattamente manifestate ed eseguite dai corrispondenti moti animali che immediatamente susseguitano. Per prevenire però qualche maligna interpretazione a ciò che dirò , è op- portuno di ricordare quanto ho sempre ripetuto ne' miei scritti tutti . Dal cambiamento di mutua positura e di proporzione negli elementi costituenti le molecole primitive animali, nel che consiste l'impressione, al senso o all'idea che vi corrisponde, vi è certamente un gran passo. Ma tutte le più diligenti indagini ed analisi dei fatti assiemano: i.° che il senso qualunque si prova o che l'idea si forma quando soltanto una impressione è fatta in qualche or- gano esposto a riceverla dai corpi esterni o circostanti, o introdotti e circo- lanti per le interne cavità, e quando pure è trasmessa per mezzo dei nervi sani al centro massimo del sistema nervoso ed al cervello; 2.0 ch'esso senso o essa idea corrisponde al numero, alla direzione, alla forza, e ad una certa proporzione di forza, nelle impressioni che arrivano contemporaneamente al cen- tro massimo ed al cervello ; 6." ch'esso senso ed essa idea sono riferite sem- pre al sito ove le impressioni fatte sono più forti, o almeno più numerose. Per quale ragione si senta o si formi un'idea; per quale ragione non si di- stingua che una sensazione o una idea alla volta ; per quale ragione questa distinzione sia più perfetta nell'uomo, e faccia corrispondere una idea e non una sensazione allorquando la facoltà residente nel cervello distingue le im- pressioni fatte nei sensorii esterni, o quelle che nel cervello stesso risultano 73 dalla composizione, decomposizione, e nuova composizione delle trasmesse dai sensorii estorni , non potrà forse essere mai del tutto o, per così dire, mate- maticamente definito, e non lo è al presente. Ma costanti sono le leggi con cui le impressioni sono distinte, e costanti le circostanze in cui lo sono; e tutte le osservazioni ben considerate e paragonate lo attestano. Tutto questo fu da me esposto alle face. 164 e i65 del secondo volume dei Nuovi elementi della fisica del corpo umano, prima edizione, pubblicata nel 1808; e tutto questo non è ebe la ripetizione di ciò die bo detto nella prima lezione recitata in questa ora I. R. Università di Padova nel 1786, e poco dopo pubblicata ; dissi cioè : Haec igitur sentientibus nobis in nobis contingunt ; hic scilicet instrumentorurn hujusce corporis status; isti demum incursus , mutatìones istae, atque motus vel simul omnes , vel alius alium in- sequentesj animimi impellunt. Qua vero ratione mentis ideis alligenlur, et ex eorum permixtione varia notiones multiplices ut ex multis quasi coagmen- tatae prodeant ; quo tandem modo eminenlioris cujusdam nalurae imperio veluti expergefacti impressa vestigia renovare soleant, haec, inquam , et hujusmodi celerà, altiora cogitantibus omnino relinquimus. Secretioribus hisce adytis prohibentur medicorum fdii. Sua illi jura sunto Quae solium in molli fixit Regina Cerebro. Ma si passi al principale oggetto di questa Memoria , cioè a dimostrare la utilità del metodo analitico per iscoprire la esistenza di una singolare facoltà nel centro massimo dei nervi e nel cervello, la quale, soprattutto nell'uomo, coli' applicazione più 0 meno intensa, più o meno estesa di sua attenzione alle impressioni ebe sono fatte dai corpi esterni sul corpo umano, e die tras- messe al sito di sua residenza si compongono, si decompongono, e in nuovo ordine si compongono, può non solo far avere all'uomo tante sensazioni di- verse, o fargli formare tante idee e determinazioni diverse, susseguile sempre da corrispondenti moti animali ebe le manifestano od eseguiscono ; e può non solo concorrere alla formazione e riproduzione di coerenti serie di quelle e di questi tra loro esattamente corrispondenti ; ma concorre ancora alla formazio- ne dei sentimenti morali, e di quel senso stesso discernente il giusto dall'in- giusto, l'onesto dal disonesto, che il Jorombert vuole innato, e non acquisito. Furono osservati con molla attenzione gli effetti manifestantisi nel corpo animale, e nello stesso corpo umano vivente, allorché i corpi esterni o circo- stanti, o introdotti e circolanti per le interne cavità e vasi, fanno un'impres- sione di certa forza nelle parli esposte a riceverle, le quali si chiamano in 74 generale organi del senso. Furono con particolare attenzione paragonati gli effetti osservati allorché i nervi erano sani cogli effetti osservati allorché i nervi non lo erano. S'intende già per sani i nervi che siano intatti ed illesi da ogni compressione e vessazione. Fu trovato costantemente quando i nervi erano sani, che nello stesso istante in cui un'impressione di certa forza è fatta in qualche organo del senso, l'animale e l'uomo non solo se ne risen- te, od ha ciò che dicesi sensazione, e l'uomo soprattutto la riferisce al sito ove l'impressione viene fatta; ma corrispondentemente a quella impressione e sensazione susseguitane alcuni moti animali in diverse parti, le quali per es- sere atte a produrre quei moti sono chiamate in generale organi del moto. Questi moti susseguenti, attentamente considerati, manifestano concorrere a con- servare o rinnovare lo stato del corpo e la circostanza in cui viene viene fatta la impressione a cui corrisponde una sensazione grata; ovvero manifestano con- correre a mutare lo stato del corpo, ed a cercare quello in cui non sia più fatta l'impressione alla quale corrisponde una sensazione molesta, o in cui que- sta sia fatta colla minor forza possibile. Ma allorché i nervi, che dal sito in cui l'impressione è fatta si dirigono, o immediatamente o dopo aver formati de' ganglii, al centro massimo ed al cervello, non sono sani, fu trovato costan- temente che né l'impressione, pure di maggior forza, è risentita, né i moti corrispondenti susseguitano ; ed allorché sono sani i soli nervi che dal sito ove l'impressione è fatta si dirigono al centro massimo ed al cervello, ma non sono egualmente sani quelli che dal centro massimo o dal cervello, o im- mediatamente o dopo aver formati dei ganglii, si dirigono agli organi del moto, che corrispondentemente possono produrre i moti susseguenti, l'animale e l'uo- mo stesso distingue l'impressione, ha una sensazione, e la riferisce al sito ove l'impressione è fatta , ma non fa susseguitare i moti corrispondenti in quelle parti in cui terminano i nervi non sani. Da questi fatti moltiplicatamente ripetuti e variati , e ben considerati e paragonati tra loro, fu chiaramente dedotto che i nervi abbiano la capacità di trasmettere in un istante la impressione , che ricevono , da una loro estremità all' altra ; e che essendovi nervi i quali dagli organi del senso vanno al cen- tro massimo ed al cervello, e nervi i quali dal centro massimo e dal cervello vanno agli organi del moto, le impressioni fatte negli organi del senso devo- no essere trasmesse nello stesso istante da questi organi al centro massimo ed al cervello, devono ivi nello stesso istante esser comunicate ai nervi che dal centro massimo e dal cervello vanno agli organi del moto , e devono quindi essere trasmesse nello stesso istante a questi organi, acciocché ne susseguitine! i moti corrispondenti. Da tutti questi fatti dunque è chiaramente provato che un'impressione qualunque fatta in un organo del senso debba essere trasmessa ed arrivare al centro massimo ed al cervello, tanto perchè l'uomo abbia una corrispondente sensazione, e la riferisca al sito ove quella è fatta, quanto per- chè ne susseguitino i moti corrispondenti alla sensazione. A proposito di questi moti è stato osservato ch'essi bensì susseguitano ne- gli organi del moto , e sono corrispondenti alla sensazione quando sono pro- dotti all'occasione soltanto delle impressioni trasmesse ad essi col mezzo dei proprii nervi dal centro massimo e dal cervello ; ma eh' essi moti sono sem- pre prodotti dalla gradazione della vitalità inerente in essi organi medesimi del moto, ossia dalla irritabilità, o dalla contrattilità, o dalla turgescenza vitale dei tessuti di questi organi diversi. Quindi i fisiologi distinsero la capacità dei nervi, che consiste soltanto nel trasmettere istantaneamente le impressioni da una estremità all'altra, dalla capacità inerente negli organi del moto , per cui all'occasione d'impressioni trasmesse col mezzo dei nervi essi organi produco- no moti animali corrispondenti, come . ne producono all'occasione d'impres- sioni direttamente fatte. Ma io sono stato sempre di avviso che si debba de- durre ancora esistere nel centro massimo dei nervi e nel cervello una facoltà distinta dalla capacità o sensibilità dei nervi, la qual facoltà sia atta a distin- guere le impressioni che sono trasmesse dagli organi del stnso al sito di sua sede, ed atta a distinguerle nelle varie mutazioni a cui ivi devono soggiacere nello stesso istante che sono già comunicate, o quali arrivano o quali risulta- no modificate nel cervello, ai nervi che da esso cervello, o dal centro massi- mo di cui il cervello è* una continuazione, le trasmettono agli organi del moto, onde dar occasione ai moti susseguenti. Il celebre Wilson-pbilip in un'opera pubblicata nel 181B cercando di de- durre le leggi delle funzioni vitali con un'analisi dei fatti migliore di quella esposta da alcuni dotti Francesi, e poco prima dal Legallois, disse anch'esso doversi considerare tre poteri vitali , cioè il poter nervoso , il poter muscolare ed il poter sensorio. Esso conviene cogli altri fisiologi circa i due poteri vi- tali nervoso e muscolare, l'uno inerente nei nervi, l'altro negli organi del moto. Ma esso dice espressamente che il poter sensorio risiede nel centro massimo del sistema nervoso e nel cervello , e che questo potere riceve le im- pressioni col mezzo del poter nervoso per comunicarle nello stesso istante allo stesso potere nervoso. Mei riceverle col mezzo dei nervi che dagli organi del 76 senso le trasmettono al centro massimo ed al cervello, l'uomo ha sensazioni o forma idee, affezioni e determinazioni corrispondenti; e nel comunicarle ai nervi che da quel centro o dal cervello le trasmettono agli organi del moto, que- sti organi producono i moli corrispondenti, manifestanti le sensazioni, le idee, le affezioni e le determinazioni conseguenti. Ma il Wilson-philip, contento di aver provata l'esistenza di questo terzo potere diverso dal nervoso e dal muscolare, cercò soltanto di determinare le leggi con cui esso potere sensorio influisce nei moti dei varii organi, che si distinguono in organi del moto involontario ed in organi del moto volontario. Egli non seguì però la opinione di quelli che vogliono, essere gli organi del moto involontario messi in azione all' occasione d' impressioni loro trasmesse col mezzo de' nervi i quali hanno la loro origine e ricevono il loro potere dai ganglii o dalla midolla spinale , mentre gli organi del moto volontario sono messi in azione all' occasione d' impressioni che sono loro trasmesse col mezzo de' nervi i quali hanno la loro origine e ricevono il loro potere esclu- sivamente dal cervello. Egli in vece dimostra che gli uni e gli altri organi ricevono costantemente un eccitamento all'azione all'occasione d'impressioni trasmesse loro col mezzo dei nervi ai quali il poter sensorio, residente nel cervello, comunica le impressioni stesse. Ma aggiunse, che gli organi del moto involontario non manifestano muoversi in ragione delle impressioni trasmesse loro col mezzo dei nervi se non quando queste sono d' un certo grado di forza da non lasciare preponderanti ad esse quelle che gli stessi organi rice- vono contemporaneamente e direttamente dai corpi applicati all'interna super- ficie delle cavità e vasi costituenti essi organi , mentre gli organi del moto volontario sono esclusivamente eccitati all' azione dalle impressioni loro tras- messe soltanto col mezzo dei nervi, e non producono però moti manifesti se non quando ricevono impressioni più valide del solito collo stesso mezzo dei loro nervi. Ma quanto il Wilson-philip con le sue nuove osservazioni ed esperienze siasi avvicinato alle mie proposizioni circa la distinzione e le leggi dei moti involontarii , volontarii ed istintivi, io l'ho esposto a lungo nella Memoria letta all'Accademia e pubblicata nell'ultimo tomo de' suoi Atti. I fisiologi però non sembrano aver voluto indagare e determinare le leggi con cui le impressioni fatte dai corpi esterni o circostanti, o introdotti e circolanti per le interne ca- vità e vasi, siano distinte dalla facoltà residente nel centro massimo e nel cer- vello, a cui già sono esse impressioni immediatamente trasmesse. Si dirà forse 77 che eoa questo modo di procedere si arriverà a conoscere le leggi con cui quella facoltà residente nel centro massimo e nel cervello possa influire a pro- durre alcuni effetti, nello stesso modo che i fisici sono arrivati a determinare le leggi del moto prodotto dalle impulsioni ed attrazioni reciproche dei corpi inorganici e dei loro elementi; ma si terminerà col dire, ch'essa facoltà sia una proprietà della materia organizzata , come sono proprietà della materia l' attrazione e l' inerzia , che sono le cause delle varietà de' moli dei corpi tutti e degli elementi loro? A tutto questo io posso opporre quanto nella Memoria Sull'indipendenza della fisiologia dalle questioni metafisiche , fisiche e chi- michej pubblicata in una raccolta di opuscoli in Venezia nel ib' r5, ho detto contro una conclusione del celebre Sprengel, esposta nella Sezione XV. della isua Storia prammatica della Medicina. In quest' opera Sprengel ha paragonalo il materialismo di alcuni metafi- sici con quello di alcuni chimico-medici; e dopo aver parlato di Hobbes, di Hume , di Lamettrie, di Priestley, e di quelli che dalla costituzione partico- lare dei tessuti semplici animali e da una particolare modificazione nella re- ciproca gravitazione degli elementi di essi tessuti derivarono le stesse forze ■vitali, conchiuse: « In questa maniera furono stabiliti i tentativi di alcuni mo- li derni fisiologi per condurre a termine l'unione del dinamismo col materia- li lismo. » Io scrissi in quella Memoria: «■ E Hobbes ed Hume, per non dire u di Lamettrie, la cui stravagante maniera di opinare lo feee giudicare pazzo ed » ubbriaco da Woltaire, non appoggiarono essi la loro opinione a semplici » congetture, ebe ben esaminate manifestano la incertezza della deduzione ? «Accorderò ad Hobbes che l'attrazione reciproca dei corpi e dei loro ele- » menti possa far sospettare che la materia stessa senta le impressioni esterne, » e si muova in conseguenza; ma non è diversa questa capacità di sentire la » prossimità de' corpi o degli elementi dalla capacità di avere una serie sem- » pre più complicata d^idee, d'immagini, di giudizii, di raziocinii e di deter- «minazioni? Che se l'anima, a cui quest'ultima capacità appartiene, è du- » rante la vita unita al corpo per un reciproco commercio , non deve ella a mostrarsi più o meno attiva a misura che gli organi, di cui ella si serve » per manifestare le sue operazioni, sono più o meno sviluppati, più o meno » pronti all'azione, senza che si possa per questo conchiudere con Hume, che » debba essa cessar di esistere e di operare quando gli organi non conservano più »la loro tessitura e le loro facoltà particolari? E che dirò (continuai io in » quella Memoria) di Priestley, che, riunendo in qualche modo i ragionamenti 78 » di Hobbes e di Hume, volle sostenere che siccome la materia deriva le sue h proprietà non dall'inerzia di cui la spoglia, ma dalle forze di repulsione e » di attrazione; così il cervello, in grazia della sua organizzazione, abbia la fa » colta di percepire , e di produrre le operazioni mentali ? Ma quando ripe- » tutamente egli stesso confessa di non concepire come il cervello abbia que- » sta facoltà, e quando aggiunge che la rivelazione assicura sopravvivere al resto » del corpo quella facoltà che anima l'uomo in particolare, perchè disse poi » non esservi ragione sufficiente di ammettere due sostanze distinte ? Io mi » sono trovato in Londra in quegli anni nei quali si discorreva molto delle » sue opere in questo argomento poco prima pubblicate , ed ho avuto occa- » sione di conoscerle, e di parlarne pure con lui stesso. Non ricorderò aver- » mi egli confessato francamente che quelle discussioni metafìsiche non erano » la sua maggiore occupazione , e che anzi le considerava un argomento con » cui, in luogo della caccia, del giuoco, del teatro, si distraeva dai lavori fisi- » co-chimici che tanto meritamente lo distinguono. Ma dirò bensì di avere » giudicato che un orgoglio un poco spinto per la indipendenza e libertà di «pensare Io avesse portato a quella singolare opinione, che la dottrina del » materialismo non sia punto in contraddizione con quella degli antichi filosofi, » de' santi Padri, e con la rivelazione medesima. » Io non potei nella Memoria ora citata negare a Sprengel d' aver tentato di derivare le stesse forze vitali dalle forze generali della materia. Alla pa- gina undecima del Discorso ai lettori, posto in fronte al più volte citato Sag- gio di osservazioni pubblicato nel 1792, io aveva scritto: « le forze dunque » inerenti alle parti solide dei corpi animali e del corpo umano medesimo » sono modificazioni particolari ed abbastanza note delle forze più generali ti della materia.» Ma dopo poche linee ho aggiunto: «l'influenza dell'anima » nel corpo consiste nella maggiore o minore attenzione ch'ella presta alle azioni » delle parti solide, e soprattutto alle azioni delle fibre del cervello, e con » questa sua attenzione maggiore o minore rende variamente pronte e valide » ad operare le parti medesime al momento che sono di nuovo eccitate al- » l'azione. » Io mi lusingo di avere sempre più chiaramente dimostrato, se- guendo le traccie date in quel Saggio stesso, e sempre coli analisi e colla comparazione di alcuni fatti, che l'uomo potendo spontaneamente e liberamente applicare più o meno intensamente, e più o meno estesamente, l'attenzione della facoltà residente nel cervello, cioè dell'anima, a cui essa facoltà appartie- ne, debba col mezzo di questa influire non solo nella vivezza, nella pronta 79 successione e nella complicazione delle sue idee, e nella più esatta corrispon- denza de' moti susseguenti, ma ancora nel formarsi i sentimenti morali, e quello stesso intimo senso discernente il giusto dall'ingiusto, l'onesto dal dis- onesto. Ma convien continuare nella proposta rapida esposizione delle pro- posizioni che coll'analisi dei fatti si possono raccogliere, anzi furono raccolte. E certo che l'uomo, come tutti gli animali, è esposto a ricevere contem- poraneamente impressioni dai corpi esterni non solo nei cinque sensorii ester- ni, ma negli organi del senso tutti, cioè nelle superficie pure delle interne cavità e vasi. E certo che tutte le impressioni contemporaneamente fatte, sono pure contemporaneamente trasmesse dagli organi del senso al centro massimo ed al cervello, e da questo centro e cervello agli organi del moto. E certo ch'esse impressioni, riunite contemporaneamente in diverso numero, ma con data forza, danno occasione a corrispondenti sensazioni, or grate or moleste, e che trasmesse allora agli organi del moto, danno occasione ai susseguenti moti pur corrispondenti. Dall'effetto dunque, dissi sino dal 1792, che ognu- no può in sé stesso conoscere di provare allorché le impressioni contempora- neamente fatte negli organi del senso, e contemporaneamente trasmesse al centro massimo ed al cervello, sono o tutte egualmente, o alcune soltanto di esse, di una certa forza, si deve stabilire che al loro insieme ed alla loro for- za corrisponda una sensazione o grata o molesta, or riferita al centro del petto, cioè ad un sito attorno il cuore, ora a siti diversi. Dall'osservare poi in noi medesimi, che ogni qual volta si prova una sensazione grata o molesta di certa forza, i moti alternativi della respirazione e gli alternativi moti dei pareti delle cavità del cuore sono sempre più validi del solito, ma nel caso della sensa- zione grata sono moderatamente più validi e sempre regolari nella loro alter- nazione, e nel caso d'una sensazione molesta sono molto più validi ed alme- no sempre irregolari nella loro alternazione; io dissi fin d'allora, che la sen- sazione grata o molesta» a forze eguali nelle impressioni tutte contemporanea- mente trasmesse, debbasi riferire al centro del petto o ad un sito attorno al cuore, perchè quelle impressioni, le quali più costantemente sono trasmesse al centro massimo, e da esso ai nervi che vanno ai muscoli della respirazio- ne, sono più moltiplici nella superficie interna dei polmoni e delle cavità del cuore, ossia nel centro del petto attorno il cuore. Quindi allora quando le sensazioni grate o moleste si riferiscono a parti diverse, conviene clie in queste parti siano fatte impressioni più valide in confronto di quelle fatte pure moltiplicatamente nelle cavità dei polmoni 0 del cuore, e riunite pure 8o in una nel centro massimo. Che poi le sensazioni grate corrispondano sem- pre ad una certa regolarità e proporzione di forza tra le impressioni contem- poraneamente fatte e trasmesse al centro massimo, io lo dedussi sino dal 1792 coll'osservare che costantemente hanno una gran parte nella composizione dell'impressione, a cui corrisponde la sensazione o grata o molesta, le im- pressioni prodotte dal sangue che circola liberamente e regolarmente nel pri- mo caso, e eh' è nel caso di sensazione molesta impedito o irregolare nel suo circolo pei vasi polmonari. Molto più mi confermai in questa deduzione col- l'osservare che alla regolarità od irregolarità dei moti della respirazione, dai quali dipende molto la regolarità od irregolarità della circolazione del san- gue, corrisponda sempre una sensazione grata nel primo caso, e molesta nel secondo. Quindi alla pagina 208 della Introduzione all-a fisica del corpo uma- no sano ed ammalato j pubblicata nel 1802, scrissi: « Con questi principii non » sembrerà strano che un dotto, il quale abbia scoperta una verità dopo molta «fatica; che un generale, il quale abbia vinta una battaglia per le sue dire- «zioni, e per le disposizioni date alle forze affidategli; che un amante, il • quale si riconcilii colla sua bella; e che un maldicente, il quale abbia avuto » occasione di malignare anco i più onesti, provino un eguale piacere. Questo «è prodotto dalla circolazione, che tenuta prima oppressa, si restituisce alla » sua libertà, e che nei primi momenti che riacquista la sua libertà, è più ac- » celerata e più viva del solito. 11 piacere che in tutti questi casi si prova, e » si riferisce al cuore o ne' suoi contorni, è certamente accompagnato da una «libera ed eguale alternazione dei moti della respirazione, la quale prima era «oppressa ed al possibile impedita, e la quale influisce nell' accelerare o rì- » tardare la circolazione stessa del sangue, e nel mantenerla regolare od ir- » regolare. » Ma nel citato Saggio di osservazioni ec, reso pubblico nel 1792,110 scrit- to inoltre, poter ciascuno, in se stesso riflettendo, conoscere bensì che quando tutta l'attenzione della facoltà residente nel cervello sia come assorbita da una sensazione grata o molesta di certa forza, l'uomo stesso è diretto da quella fisica sensazione, come ogni animale, e quindi i moti susseguenti o sono di- retti a conservare e rinnovare quello stato del corpo in cui può ricevere e ri- novare le impressioni alle quali corrisponde una sensazione grata, o sono di- retti a cercare quello stato del corpo in cui non siano fatte le impressioni alle quali corrisponde una sensazione molesta, e in cui almeno esse sono fatte colla minor forza possibile . Ho però scritto inoltre nel medesimo Saggio di 0. osservazioni j che allora quando le impressioni contemporaneamente fatte, ne tutte , né alcune di esse siano di tal forza da far corrispondere una sensa- zione grata o molesta che occupi, per così dire, tutta l'attenzione della fa- coltà residente nel cervello, ognuno può conoscere in sé stesso che con la più intensa o più estesa attenzione di essa facoltà egli può distinguere le im- pressioni fatte nei sensorii esterni subito che sono trasmesse al centro massi- mo ed al cervello, e può distinguere ancora quelle che nel cervello stesso devono prodursi per la composizione, decomposizione, e nuova composizione delle trasmesse dai sensorii esterni. Mostrai quindi che l'uomo sopra tutti gli animali può allora formare le idee in luogo di avere sensazioni, perchè quella im- pressioni trasmesse dai sensorii esterni sono distinte non solo per essere rife- rite al sensorio esterno in cui sono fatte, ma per esser riferite alla causa ester- na, od alla circostanza in cui la causa esterna fa impressione in quel senso- rio. L'uomo poi, a differenza di ogni animale, -(aggiunsi fin d'allora) può di- stinguere tanto le impressioni trasmesse dai sensorii, quanto quelle risultanti nel centro massimo e nel cervello dalla composizione, decomposizione, e nuova composizione delle impressioni trasmesse dai sensorii, perchè col mezzo dei moti susseguenti che corrispondono, e particolarmente con quelli che modulano la voce nei varii suoni designati con le lettere alfabetiche , esso solo può as- segnare loro un segno esterno diverso, o almeno una parola diversa corrispon- dente. Senza l'ajuto delle parole, che danno un segno distintivo alle impres- sioni preponderanti , le idee non sensitive , e corrispondenti alle impressioni composte, decomposte, e in nuovo ordine -composte nel cervello, non sarebbero distinte bene, cioè esse idee non sarebbero formale, giacché la formazione delle idee consiste nella distinzione delle impressioni a cui corrispondono. E sic- come queste idee non sensitive, o le impressioni loro corrispondenti, concate- nano le impressioni a cui corrispondono le klee tutte e tra loro e coi moti susseguenti; così dissi fin d'allora, che l'uomo solo può rendersi conscio e rendere conscii gli altri della concatenazione e rettitudine de' suoi giudizii e delle sue determinazioni col distinguere e comunicare gli uni e le altre con quei movimenti che concorrono a formare le parole. Sarebbe fuori di proposito il ripetere qui quanto più chiaramente e diffu- samente ho potuto esporre in seguito queste proposizioni dietro le nuove in- dagini anatomiche di Gali e di altri circa la composizione del cervello nei diversi vertebrati, in cui esso è sempre una continuazion-e del centro massi- mo; e dietro le indagini sull'anatomia comparata del nervo intercostale , che 82 il Weber mostrò trovarsi nei soli vertebrati. Weber inoltre ha trovato die nei vertebrati i filamenti nervosi, che ricevono le impressioni fatte nelle su- perficie delle interne cavità e vasi, si riuniscono tutti nel sito ove gli anato- mici pongono l'origine del nervo vago, ch'essi filamenti costituiscono. Basta ora ricordare che dai fatti moltiplici, ben esaminati ed analizzati, risulta che le operazioni conosciute sotto il nome generale d'intellettuali corrispondono: i.°alla varia forza o al vario modo con cui i corpi circostanti diversi possono fare impressione nei diversi sensorii esterni; 2.° alla varia direzione ed al vario numero con cui quelle impressioni sono trasmesse contemporaneamente col mezzo dei nervi al centro massimo ed al cervello, ed ivi sono composte, de- composte, e in nuovo ordine composte; 3.° alla continuazione o contiguità dei nervi diversi, pei quali le impressioni aggregate e prodotte in quel centro e nel cervello possono essere trasmesse con più prontezza o con più forza agli uni piuttosto che agli altri organi del moto; 4-° al'a varia associazione che le impressioni formano tra loro per riprodursi come da sé medesime a misura che più spesso furono o contemporaneamente o con un'immediata successio- ne trasmesse a quel centro e da quel centro; ed a misura, notisi bene, che furono dall'anima distinte con più intensità d'attenzione ogni volta che furo- no trasmesse o successivamente prodotte nel cervello. Tale, dissi sino dal 1792, è la corrispondenza tra la distinzione che fa l'anima dell'impressione trasmessa dai sensorii esterni, o prodotta successivamente nel cervello con la causa ester- na di essa impressione, che quando la stessa impressione viene riprodotta nel cervello 0 per l'acquistata associazione e capacità , direi quasi , naturale di ri- produrla, o per qualche causa meccanica operante nel cervello stesso, l'uomo giudica esistere 1' oggetto esterno , operare esso nello stesso sito del suo corpo, e riproduce le stesse serie di giudizii e di determinazioni. Questa riproduzio- ne dicesi fantasìa, s'è dentro certi limiti; o chiamasi delirio, quando li oltre- passa. Io ho insistito sempre a dire, che coli' attenzione più o meno intensa, e più o meno estesamente applicata ora alle impressioni che sono trasmesse dai sensorii esterni al cervello, ed ivi subito prodotte, ora a quelle che si riproducono per la già acquistata associazione, ora finalmente a quelle che progrediscono pei nervi che vanno da esso centro o cervello agli organi del moto per dar occasione ai moti che manifestano le sue idee, i suoi giudizi! e le sue determinazioni, l'uomo opera nel primo caso coli' intelletto, nel se- condo caso coli' immaginazione, e nel terzo colla volizione. Quindi nella Me- moria SuW educazione delle facoltà intellettuali suggerita dalla costituzione 03 fisica del cervello, pubblicata tra quelle dell'Accademia di Padova nel i8og, ho conchiuso ed ho confermato colla storia dei progressi delle società nascenti, e dei fanciulli, che per l'educazione basta eccitare l'attenzione sulle impressioni prodotte dai diversi oggetti circostanti , ed arrivate o mutate nel cervello ; e tutto al più conviene disporre gli oggetti, perchè operino con una certa forza e con un certo ordine. Indicai quindi lo sbaglio che alcuni istitutori della gioventù prendono nel vantarsi de' loro allievi quando ripetono soltanto le proposizioni , o quando operano soltanto secondo gli esempii che loro hanno indicati. I fanciulli in allora non hanno da sé giudicato, o formato le loro idee, ed in conseguenza non hanno formato con queste la loro concatenazio- ne, acciocché opportunamente e da per loro si riproducano; e quindi ad ogni menoma varietà nelle impressioni non sanno giustamente giudicare, ragionare e determinarsi, Io ho però sempre conosciuto e confessato che le mie proposizioni, pel prodigioso numero dei fatti che convien raccogliere, confrontare ed analizzare, e per la prodigiosa rapidità con cui le impressioni si succedono e variano , spaventano l'immaginazione di alcuni, stancano la pazienza di altri, e vengono da molti dotti medesimi relegate tra le inutili e sterili produzioni dell'antica metafisica. Ma quando tutti i fatti, che le appoggiano, cadono frequentemen- te, e direi quasi spontaneamente, sotto la nostra osservazione; e quando essi fatti, bene osservati ed analizzati, additano chiaramente l'ordine con cui suc- cedono, e spesso le loro cause; perchè si esclama essere inutile il tentativo di penetrare sotto quel velo, da cui si credono misteriosamente avvolte le ope- razioni spirituali, ed essere necessario appoggiarsi soltanto a ciò che la Prov- videnza divina ha voluto rivelare a fine che nessuno possa scusarsi per la mancanza di attenzione, che sola può condurlo alla rettitudine dei giudizii e delle determinazioni, e sola può renderlo conscio ed atto a rendere conscii i suoi simili della rettitudine medesima? Ma, per non estendermi oltre al do- vere, terminerò col ricordare quanto ho detto per mostrare coli' analisi di al- cuni fatti, che l'uomo possa formarsi i sentimenti morali che si vogliono in- nati, e quel senso stesso discernente il giusto dall'ingiusto, l'onesto dal dis- onesto, che il Jorombert dice riposare in fondo dell'anima, regnare con tutta la potenza di un principio innato, ed a cui l'anima si abbandona, conoscendone sacra l' origine sua . Convien dunque aver sempre presente che le impressioni fatte nei sen- sori! esterni sono distinte al momento soltanto che né tutte le conteropora- H neamente trasmesse al centro massimo, né alcune di esse sono cosi prepon- deranti di forza , che diano occasione ad una sensazione grata o molesta , la quale occupi tutta l' attenzione dell' anima , e la quale sia susseguitala pronta- mente dai moti diretti ad accrescere o conservare possibilmente la prima, od a togliere e moderare almeno la sensazione molesta. E poi provato dalle in- dagini anatomiche, che le impressioni fatte nei sensorii esterni possano allora essere distinte, a differenza di quelle fatte nei moltiplici organi del latto, for- mati dalle superficie interne delle cavità e dei vasi, perchè i sensorii esterni, ed il sensorio stesso esterno del tatto, sono così costituiti, che il medesimo corpo nell'atto di far impressione produce la stessa moltiplicatamente, e la comunica a moltiplici estremità nervose, di cui i filamenti riunendosi sempre più strettamente in un cordone a misura che progrediscono verso il centro del sistema nervoso, devono riunire come in una quelle moltiplici impressioni, e fare ch'essa abbia facilmente una preponderanza di forza sopra tutte le al- tre venienti contemporaneamente a quel centro per altre direzioni. Deve poi essere preponderante ancora a quella risultante dalle impressioni trasmesse con- temporaneamente per mezzo dei varii filamenti del nervo vago al centro del sistema nervoso, ove quei filamenti terminano, e dove gli anatomici pongono l'origine di esso nervo. Quando non è preponderante pure a questa, deve corrispondere in grazia di questa una sensazione grata o molesta, che quando tutta occupa l'attenzione dell'anima, impedisce la distinzione delle impressioni fatte e trasmesse dai sensorii esterni. Quindi la distinzione di queste impres- sioni deve essere indipendente dalla forza, a cui corrisponde una sensazione soltanto o grata o molesta. Diffalti le impressioni trasmesse dai sensorii esterni si distinguono non dalla sensazione grata o molesta, ma perchè vengono ri- ferite ai sito ove sono fatte , e perchè sono riferite alla causa esterna che le produce , se parlasi delle idee sensitive ; ovvero sono riferite ai moti diversi che le susseguitano , e particolarmente a quelli che formano le parole, se parlasi delle idee semplici, astratte o generali. I soli suoni poi delle parole pronunciate da un uomo, quando arrivano a fare impressioni nell'organo dell'udito di un altro, e quando' da esso organo le impressioni siano trasmesse al centro del suo sistema nervoso, i soli suoni fanno riprodurre nel cervello di questo le slesse impressioni, e quindi le stesse idee e le loro associate, purché il linguaggio sia comune e noto ad ambidue. Si rifletti soltanto , che appunto perchè la stessa impressione viene fatta moltiplicatamente nei sensorii esterni, e perchè tutte le moltiplici sono trasmesse 85 contemporaneamente al centro massimo per mezzo di filamenti moltiplici ner- vosi, clie tutti si riuniscono sempre più strettamente in un cordone, la pro- porzione o non proporzione di forza di esse impressioni moltiplici o contem- poranee, o die immediatamente, per così dire, si succedono, deve dare occa- sione a qualche grado di senso grato o molesto, nello stesso tempo clie l'uo- mo distingue quelle impressioni, ed ha le idee corrispondenti. Indipendente- mente dunque dalla sensazione, considerata come puramente fisica, comune a tutti gli animali, e corrispondente alla proporzione o non proporzione che hanno tra loro le impressioni contemporaneamente trasmesse al centro massi- mo o tutte o alcune più preponderanti di forza , un qualche grado di senso or grato or molesto corrisponde alle impressioni venienti dai soli sensorii ester- ni, e si accoppia alle idee, e si riferisce in conseguenza agli oggetti producenti quelle impressioni nei sensorii esterni. Questo grado di senso grato o mole- sto produce quella propensione od avversione a quegli oggetti medesimi , le quali si manifestano coi moti susseguenti , e le quali acquistano i varii nomi di amore e di odio, di affezione e di ripugnanza, di simpatia ed antipatia j di appetito e di nausea ec. ec. , secondo l' oggetto a cui vengono riferite . Non parlo del senso grato o molesto riferito alle cause delle impressioni fatte nei sensorii del gusto e dell'odorato, ed a molte pure delle impressioni fatte nel sensorio esterno del tatto, perchè le impressioni prontamente tras- messe possono influire ad accrescere la forza di quelle fatte nelle superficie interne delle cavità e vasi, e possono in conseguenza accoppiarsi alla sensa- zione puramente fisica, corrispondente all'insieme di queste ultime impressioni. Parlo di quel senso grato soprattutto, a cui danno occasione le impressioni fatte nell'organo dell'udito o in quello della visione, nel primo dai raggi so- nori che ahhiano una certa proporzione od armonia tra loro , e nel secondo da certe proporzioni nel colorito, e nella distribuzione delle parti, per cui da- gli oggetti della natura e dell'arte i raggi lucidi sono diretti all'occhio con certa, dirò così, armonia e proporzione tra loro. Ma oltre a questo senso del bello, di cui ho parlato a lungo in una Memoria letta nel 1825 all'Ateneo di Venezia sotto il titolo di Considerazioni fisiologiche sul senso del bello, e sul modo di renderlo più sicuro e più pronto, io aveva indicato sino dal 1792 nel più volte citato Saggio di osservazioni, che da qualche grado di senso grato o molesto, provato contemporaneamente alla distinzione delle impressioni fatte dai corpi esterni sui sensorii esterni, ed alla distinzione di quelle riprodotte in grazia dell'associazione che le impressioni trasmesse al 8G cervello dai sensorii esterni, e nel cervello composte, decomposte, e in nuovo ordine composte, acquistano tra loro, si formano le affezioni stesse di propen- sione o di avversione verse i nostri simili, indi le passioni, le abitudini tutte, e tutte le simpatìe ed antipatìe ora giudicate ragionevoli, ora chiamate strava- ganti ed irragionevoli . Sarebbe certamente inutile il ripetere ora quanto nella citata Memoria e nelle varie edizioni dei Nuovi elementi delia fisica del corpo umano ho esposto a questo proposito , confermando sempre più le mie deduzioni con le osservazioni di molti metafisici , e soprattutto con quelle esposte dal cele- bre Adamo Smith nella insigne sua opera The theorj of morals sentimentSj cioè Teoria dei sentimenti morali. Dirò soltanto cT avere sempre insistito a mostrare che »per la buona educazione dei fanciulli il mezzo più necessario, utile e sicuro sia quello di abituarli a una sempre maggiore attenzione alle successive impressioni, con la cui distinzione essi stessi sanno già formarsi le idee non solo sensitive, ina le altre ancora che servono a concatenarle ed as- sociarle, e possono rendere più esattamente corrispondenti le impressioni alle idee, e queste ai moti susseguenti che le manifestano; nel ebe consistono le operazioni attribuite all'intelletto. Ma io ho cercato inoltre di mostrare la uti- lità e necessità di lasciar pure libera la loro immaginazione, la quale alle im- pressioni nuovamente fatte nei sensorii esterni , e trasmesse subito con prepon- deranza di forza al centro massimo, ed alle impressioni conseguentemente al- lora composte, decomposte, o in nuovo ordine composte nel cervello, fa sem- pre succedere, riprodursi e combinarsi quelle impressioni e quindi quelle idee che altre volte furono contemporanee, o immediatamente successive. Ho mo- strala parimente la necessità e l'utilità di lasciar libera la loro volizione, da cui essi sono determinati a produrre i moti conseguenti e corrispondenti alle idee o formate dall'intelletto, o riprodotte dalla immaginazione. È certo che i fanciulli abituati a prestare un'attenzione sempre più intensa alle impressioni successive non solo giudicano e si determinano rettamente, ma arrivano a di- stinguere le impressioni a cui corrispondono le idee generali ed astratte, che sono quelle le quali formano la concatenazione dei retti giudizii e delle adat- tate determinazioni. Ma è in grazia della immaginazione, dissi nelle stesse opere, regolata sem- pre da un determinato grado di attenzione, che alla vista di un altro, le cui circostanze abbiano eccitato in lui una qualche emozione, affezione e deter- minazione, sono prodotte e riprodotte nell'osservatore stesso quelle impres- «7 sioni, per cui prova una simile simpatica emozione, affezione e determina- zione; ed è in grazia della immaginazione e della volizione contemporanea- mente agenti, che ad ogni nuova impressione o idea distinta viene di nuovo riprodotto e percepito ciò che di simile più vivamente e piacevolmente è stato altre volte distinto e percepito, sia negli oggetti naturali che ci circondano , sia nelle produzioni dell'arte, sia nelle stesse azioni morali degli uomini, nello stesso tempo che viene eccitato un conato ad esprimere, e che si esprime tutto ciò in parole, in produzioni simili, in azioni simili, e dando finalmente agli oggetti che ne sono suscettibili la forma eh' è più vicina a quella che ci ha colpiti, come la giornaliera esperienza ci assicura. Aggiunsi ancora, che quando alla vista delle circostanze di quelli che manifestano di godere o di soffrire venga impedito alla immaginazione il riprodurre quelle impressioni che mettono Y osservatore nelle circostanze e nella situazione di quelli , questo non solo è privato dei sentimenti simpatici, che sono il più spesso reciproca- mente piacevoli , ma è privato ancora delle utili conseguenze di essi senti- menti. E in grazia di esse simpatie, regolate però dalla differenza che vi deve essere tra il sentimento eccitato in quelli sui quali gli oggetti esterni operano direttamente, ed il sentimento di quelli nei quali l'immaginazione produce simili impressioni, che viene formato quel senso o quell'abitudine di ben giudicare sulla proprietà ed improprietà delle azioni, sul merito e de- merito delle stesse, e viene conosciuta necessaria una deferenza e un riguardo alla opinione degli altri intorno la propria condotta ed il proprio carattere ; viene acquistata la disposizione ad esercitare le azioni benefiche e ad evitare le malefiche, e nasce in fine l'abitudine di usure le virtù sociali, l'impero sopra se slessi, e di preferire spesso l'altrui bene al proprio. Di questo potere, che l'uomo col mezzo della immaginazione ha di con- siderarsi affetto dagli stessi oggetti, e posto nelle stesse circostanze di un altro che gode o soffre, sono conseguenze quelle stesse disposizioni ch'esso acqui- sta al volere il giusto e l'onesto, e all'evitare l'ingiusto e l'inonesto. Que- ste disposizioni in ultimo risultato consistono nel desiderare e fare agli altri quello che, fatto dagli altri a noi, eccita una sensazione grata; ovvero consi- stono nell* impedire che sia fatto e nel non fare ad altri quello che, fatto a noi, ecciterebbe una sensazione molesta. Per questo sforzo, a cui siamo spinti per liberarci da quelle impressioni, le quali, siano direttamente fatte e tras- messe, o siano prodotte e riprodotte dalla immaginazione, eccitano sensazioni moleste, derivano quei moti stessi che ci strascinano, sino col pericolo della 88 nostra vita, verso la voce che chiama al soccorso; nasce all'aspetto di un grande infortunio quell' affetto pronto , profondo ed irresistibile di compas- sione e di dolore; eccita la collera e l'indignazione alla vista di una ingiu- stizia fatta a qualcuno, trasporta all'ammirazione la vista di una bella azione o di un atto di virtù , e lo stesso racconto d' un tratto eroico. Tutti questi sentimenti provengono sempre dalle stesse cause , e si formano nello stesso modo col quale sono formate le sensazioni puramente fisiche, grate o moleste, che non si giudicano certo innate, ma bensì acquisite, e corrispondenti alle im- pressioni diverse che sono distinte. Convengo benissimo , che nello stesso modo le affezioni stravaganti e le simpatie irragionevoli siano pure formate. Ma queste, come tutte le affezioni viziose, sono formate perchè la facoltà residente nel cervello non presta il dovuto grado di attenzione, e non distingue sempre quelle impressioni , dalla cui preponderanza particolare venga eccitata l'idea congiunta con qualche grado di senso grato o molesto. Io dissi già alla pagina 25 1 del Saggio di osservazioni pubblicato nel 1792, essere noto che essendo abituati ad alcune serie d'idee e di moti, esse si succedono così rapidamente, che l'anima non percepisce ciascuna di quelle, né è conscia della sua determinazione per cia- scuno di questi. Ma, s'ella fa attenzione ad alcune idee e ad alcuni moti, può rendere le impressioni corrispondenti così pronte a riprodursi, eh' esse si succedono, per così dire, senza che ella possa aver tempo di distinguere tutte le intermedie, ma solo la prima trasmessa e l'ultima prodotta. Il pia- cere, (dissi allora) per esempio, di raccogliere denaro, dipende dalle idee clie si riproducono dei piaceri e comodi che con questo mezzo si possono avere ; e però quando l'anima vede il denaro, quella idea risveglia le idee delle cose che possono essere procurate col suo mezzo; e queste idee, o le impressioni corrispondenti, mettono il cervello in quello stato per cui viene eccitata una sensazione grata. Quando dunque all'impressione del denaro il cervello passa rapidamente a questo stato, e l'anima non fa grande attenzione se non a que- sto, è facile che l'uomo si abitui a connettere la sensazione grata all'idea del denaro, e trovi realmente piacevole la sola possessione di quello. Per la stessa ragione, dissi altrove, reca piacere ad un amante il ricevere una lettera dalla sua bella, non perchè la carta per se produca una sensazione grata, ma per la riproduzione di tutte quelle impressioni e grate sensazioni corrispondenti ch'egli ebbe e provò nel conversare frequentemente con lei. Per questa ra- gione pure nacque, dicesi, al Cartesio che le donne, le quali guardavano «9 di traverso , eccitassero in lui una propensione od affezione grata ; non per- chè una donna tale piaccia generalmente per questa circostanza, ina perché la prima donna di cui fu innamorato, e dalla cui conversazione provò molto piacere, guardava di traverso. Ma pur troppo per questa mancanza di alte» zione, per cui non si distinguono bene le impressioni a cui corrispondono alcune idee da quelle impressioni a cui contemporaneamente corrisponde una sensazione grata o molesta, nascono tutte le viziose ed immorali abitudini e passioni. Io porto fidanza che il sin qui detto basti per provare che l'analisi delle operazioni stesse dell'uomo, nelle quali ha molta parte quella facoltà partico- lare residente nel centro massimo del sistema nervoso e nel cervello, conduca l' uomo a conoscere le cause tanto delle sensazioni , per così dire , fisiche , quanto dei sentimenti stessi morali da cui tutte le sue determinazioni ed azioni sono regolate, senza che né le une né gli altri siano innati. L'uomo dunque, a differenza degli animali, ha una spontaneità e libertà di prestare un'attenzione più o meno intensa, più o meno estesa alle impressioni ebe riceve, e può con essa attenzione fare più esattamente corrispondere a quelle le varie sensazioni, le varie idee, le varie affezioni, e può parimente far corrispondere a queste i moti susseguenti. Ma l'uomo non si determina senza l'ajulo o la dire- zione delle impressioni preponderanti e dei corrispondenti sensi fisici e morali, che non sono innati, ma ch'esso acquista e si forma con la sua attenzione più o meno intensamente applicata, e dai quali è diretto alle azioni morali od alle immorali. Dalla sola costituzione fisica, di cui si deve ammirare la somma causa d'ogni cosa, e per cui gli animali tutti sono portati a conservare pos- sibilmente ed a cercare le impressioni alle quali corrisponde un senso piace- vole , ovvero a liberarsi e ad evitare possibilmente le impressioni alle quali corrisponde un senso molesto, derivano tutte le azioni ed operazioni del- l'uomo medesimo. Ma l'uomo, a differenza degli animali, con la spontanea e libera attenzione più o meno intensa della facoltà residente nel eentro mas- simo del sistema nervoso e nel cervello può nella prodigiosa moltiplice serie d'impressioni trasmesse al cervello, o prodotte e riprodotte nel medesimo, di- stinguere quelle a cui corrisponde un qualche grado di senso grato o mole- sto , e può e deve accoppiare essi sensi alle impressioni alle quali corrispon- dono pure nello slesso tempo alcune idee per formarsi rettamente i senti- menti morali e per evitare di formarsene o di lasciarsi strascinare dagl'im- morali . 12 SOPRA. ALCUNE QUESTIONI DI MATEMATICA PURA MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XII DICEMBRE MDCCCXXVI DAI. SOCIO ATTIVO CARLO CONTI È cosa degna di particolare osservazione come alcune interessanti teori- che nelle Matematiche vennero esposte in epoche molto lontane, quando per la loro relazione e dipendenza dagli stessi principii doveano essere contempo- ranee. Così la teorica delle soluzioni particolari successe dopo lungo tempo a quella degli integrali completi, mentre doveasi esporre unitamente a questa, essendo necessario di sapere se l'equazioni ottenute dall'integrazione soddis- facciano di per sé sole ad una equazione differenziale, o se ve ne siano dell'al- tre ; e questa necessaria ricerca conduce naturalmente dagli integrali alle so- luzioni particolari. Il calcolo delle variazioni venne esposto dopo che si trat- tarono le questioni de' massimi e minimi ordinarii, mentre la ricerca della re- lazione che debbono avere le variabili di una funzione, ond'ella sia suscettibile di massimo o minimo, a quelle appartiene, o sia questa data, o dipenda da integrazione. La teorica delle equazioni che non soddisfanno ai criterii d' integrabilità venne data quando il calcolo integrale aveva fatto molti progressi , mentre il ricercare in qual modo debbausi prendere e considerare tali equazioni è ar- gomento analogo alla ricerca degli integrali delle differenziali esatte. Avvenne egualmente dei principii generali della Poligonometria , interes- sante e bella applicazione del calcolo delle differenze finite del sig. Professore Magistrini. Quando si ritrovarono i metodi per rappresentare la posizione di c/v/ 1 ■ ja^. x - Ita l2 9l an punlo e di una linea , perchè non si ricercò di rappresentare le posizioni di un sistema di punti succedentisi con data legge? Ecco il germe della Po- ligonometria. Da questo pertanto apparisce chiaramente di quanta necessità sia l'esporre i principii di un ramo qualunque di Matematica sotto l'aspetto più generale, e di procedere all'esame di tutte le questioni che vi possono appartenere. Che se la condizione delle menti umane è tale, che il più delle volte proce- da alle scoperte interessanti per vie indirette, quando alcuna teorica si presenti che ad un ramo si riferisca delle Matematiche , fa d'uopo rinnovare i princi- pii onde questa insieme alle altre si possa da quelli dedurre, e studiarne la connessione , ricercando se altre teoriche vi sieno che ripetere si possano da que' principii generalizzati . E questo, a dir vero, se prendiamo ad esaminare la storia delle Matema- tiche, vedremo posto in dimenticanza; si progredisce successivamente senza aver riguardo ai principii, onde lo studioso va passando d'una in altra dottrina, quasi fosse ciascuna isolata ed indipendente. Nei Corsi di calcolo suhlime si vedrà che sino alla teorica esposizione delle soluzioni particolari non se ne fa alcun cenno, onde ne sorge sorpresa nel conoscere altre equazioni che soddisfanno all'equazioni differenziali, quando riteneasi che la piena soluzione fosse compresa nell'integrale completo. Così fra le successive dottrine non ritrovando quel legame che le scienze richiede, solo dopo averle tutte percorse si può formarsi di questa un'idea meno incompleta. Queste cose considerando, credetti utile l'esporre il meglio che per me si potesse i principii della Geometria analitica, onde far sì che la Poligouo- raetria e Poliedrimetria analitica non siano disgiunte dalla scienza delle linee e superficie. Fatto conoscere come si possa determinare la posizione di un punto re- lativamente ad un altro, situati entrambi sopra una linea indefinita o rientran- te, procederò al metodo di determinare la posizione di un punto in un piano e nello spazio, e quindi di un sistema di punti, ed al modo di rappresentare le linee e le superficie . Ho creduto bene di fare alcun cenno sopra gli usi di differenti sistemi di coordinate, sulla rappresentazione dei sistemi di linee e superficie, e sul modo di rappresentare le posizioni di punti relativamente ad altri, senza aver riguardo alle distanze. 9a Di non minore importanza si è per lo sviluppo e perfezionamento della scienza il migliorare le dimostrazioni delle proposizioni o rispetto alla esattezza od alla semplicità. Per la qual cosa esporrò una teorica delle permutazioni or- dinarie, semplice, per quanto io credo, e generale, deducendo da pochi e ge- nerali principii la soluzione di tutti i problemi che si riferiscono al caso in cui tutte le cose sieno fra loro differenti , ed a quello nel quale si suppone esservene d'identiche. Alla teorica delle permutazioni segue quella delle funzioni simmetriche, di- mostrata, per quanto a me sembra, in modo pur generale, deducendo dalle formule stabilite la dimostrazione del teorema di Newton sulle somme delle potenze delle radici. I. Dei principii della geometria analitica. Dei punti considerati sopra una linea. i. Sia la linea indefinita XX' (Fig. i.); la posizione di un punto qualun- que M rapporto al punto A si potrà determinare quando si conosca da qual parte cade del punto A ed a quale distanza. Suppongasi dalla parte di X, ed indichiamo in generale con x le di- stanze prese da A verso X. Essendo A M — a, l'equazione x — a servirà a determinare la posizione di M. i. Viceversa data l'equazione x~b, si saprà determinare il punto cui cor- risponde. Sia adesso x = a — b; per determinare la posizione del punto cor- rispondente a questa equazione, presa AN = a (Fig. 2.), dal punto N pro- cedendo verso A, prendasi N M <=bj e sarà M il punto richiesto. 3. Se b < a, il punto M cade fra N ed A; ed essendo b—a + e, il punto M cadrà dalla parte di X' in modo che A M = c. Ma in tale ipo- tesi è x = a — {a + e) = — e; dunque l'equazione x = — e corrisponde al punto M situato ad una distanza e dal punto A, presa dalla parte opposta a quella , secondo la quale si prendono i valori positivi di x. 4- Quindi avendo riguardo alla grandezza ed al segno di a, l'equazione x = a servirà a determinare la posizione di un punto qualunque della XX relativamente al punto A. 5. Essendo la linea rientrante ABC (Fig. 3.) , dimostreremo egualmente che, prendendo positive le distanze dal punto A nel senso di AB, saranno 93 negative da A verso L. Supponendo pertanto AM = a, le due equazioni x — i a, x — A B M si riferiranno allo stesso punto M; ed essendo l' in- tero perimetro della curva p, sarà ABM= p — a; onde le due equazioni x = — a, x*= p — a appartengono allo stesso punto. Si vede però, che trat- tandosi di una curva rientrante, se al secondo membro dell'equazione del pun- to si aggiugne un intero perimetro, questa equazione continuerà ad apparte- nere allo stesso. 6. Perciò si possono considerare soltanto i valori positivi delle x , cioè le distanze da prendersi sempre nello stesso senso. n. Come abbiamo dimostrato che l'equazione continua a riferirsi allo stesso punto, se al secondo membro si aggiugne un intero perimetro, si può dimo- strare eziandio ciò esser vero, se al secondo membro si aggiunga un multiplo dell'intero perimetro. 8. Sopra la linea XX' (Fig. 4) sieno i punti Mt,M7,M3 ..., e sieno si- tuati per modo, che essendo A M, = f (i), sia A M2 =

Q(z) potremo rap- presentare le posizioni di que' punti, ritenendo che a z si attribuiscano i va- lori 1,2,3 .... il, e che i valori corrispondenti delle x, y sieno le ascisse ed ordinate di que' punti. 19. Viceversa due qualunque equazioni y— F (x) , x= = a, r = — b, vi sostituiremo que- st'altre v = n-|- a, r = bj e si riferiranno allo stesso punto. 96 23. Il punto preso sopra la superficie, pel quale passano tutti i piani, di- eesi polo ; la retta condotta per questo dicesi asse; il piano primitivo si po- trebbe chiamare piano coordinato; gli angoli d'inclinazione di differenti piani a questo, anomalie; le distanze r, raggi vettori. 24. Se la superficie è un piano, basta 1' asse ed il polo, ed i punti si po- tranno determinare per le lunghezze delle rette condotte da questi al polo, e per l'angolo che formano con l'asse. 25. Si possono determinare le posizioni de' punti sopra le superficie anche nel seguente modo. Per un punto preso sopra la superficie condotta una retta ed un piano, si considerino fatte delle sezioni con piani normali a quella retta. La posizio- ne di un punto sarà data quando si conosca a quale distanza dal punto si trovi la sezione che Io contiene, e a qual punto corrisponda di questa sezione. La posizione della sezione viene adunque a determinarsi per le distanze va- lutate sull'asse dall'origine o polo. La posizione del punto sopra la sezione si può determinare o per la distanza presa partendo dal punto che sta sopra il piano coordinato, o per l'angolo che forma la retta condotta pel punto col piano coordinato. 26. Questo modo di rappresentare le posizioni dei punti sopra la superficie può essere utile riguardo alla superficie di rivoluzione, prendendo per polo il loro vertice, e per asse l'asse stesso di rivoluzione. In tal caso le sezioni nor- mali all'asse sono circoli. 27. Detto come si possa determinare la posizione di un punto situato so- pra una superficie in queste diverse maniere, si può conoscere come per mez- zo di due equazioni si possa rappresentare la posizione di più punti succeden- tisi con data legge. Dei punti situati nello spazio. 28. Sieno nello spazio tre piani intersecantisi rispettivamente nelle tre ret- te XX', Y Y ', Z Z' (Fig. 7.), e debbasi fissare la posizione di un punto M rispetto a questi piani. La posizione di questo punto M sarà determinata quan- do si sappia: i.° a quale delle otto regioni formate dai tre piani si ritrovi; 2.° a quali distanze dai tre piani X A Y, X A Z, Y A Z, prese sopra rette parallele ad A Z, A X, A Y. Infatti essendo il punto nella regione XYAZ, e le tre distanze rispettive essendo a, b, e, prendendo A p = c, e pel punto 97 p conducendo la p m parallela ad A Y ed uguale a t;e pel punto m innal- zando la p M parallela ad AZ, e prendendo mM=a, sarà M P il punto a cui corrispondono que' dati di posizione. 29. Le distanze prese sopra A X si rappresentino per x , quelle che si prendono sopra parallele ad A Y, partendo dal punto in cui incontrano VA X, si rappresentino per y, e finalmente per z quelle che si prendono sopra pa- rallele ad AZ, partendo dal punto nel quale incontrano il piano X A Y. Le equazioni x=^a, y = b, s = c determineranno la posizione del punto M, e però si diranno le equazioni di questo punto. 30. Le tre rette XX', YY', ZZ diconsi i tre assi coordinati, A ['ori- gine, ed i tre piani piani coordinati; le tre rette P p, pm, mM, che ser- vono a determinare la posizione del punto M , diconsi le sue coordinate; dei tre assi XXX dicesi delle x, YYY' delle y, ed il ZZ' delle z/.cosi dei tre piani il piano X A Y dicesi delle xy, il piano X A Z delle xz, ed il piano Y' AZ delle y z. 3i. Avendo pertanto riguardo ai segni ed alla grandezza di x , y, z, po- tremo rappresentare colle tre antecedenti equazioni un qualunque punto nello spazio. Dimostreremo infatti, come abbiamo fatto precedentemente , che se il valore di s positivo si riferisce ad un punto situato sopra il piano X A Y, il valore negativo appartiene ad un punto collocato al di sotto di questo piano. 32. Sieno adesso nello spazio i punti MIt Mn, M3 . . . situati in modo, che essendo x', y, z ; x' , y", z'' ec. le rispettive coordinate, abbiasi y'=F' {x%z'^F" [x');y"=F' (*"),*"=*"' (*") ec, cioè le due coordinate di un punto qualunque sietio simili funzioni della terza coordinata; potremo rappresentare la posizione di questo sistema di punti colle equazioni y=z F' (x), z= F" (x), ritenendo che ad x debbansi sostituire successivamente i valori x ', x'' e che i valori corrispondenti di y, z sieno quelli delle due altre coordinate de' rispettivi punti. 33. Se sia x' = ? (1), x" =

b, MP = c, l'equazioni >.=«.,,-{- =&, u = c rappresenteranno la posizione del punto M. 4o. Sia adesso un punto M situato nel piano XX' M (Fig. io.) normale all'asse AZ. La posizione del punto M sarà data se si conosce la posizione del punto M relativamente alla retta X X , intersezione di questo piano col primitivo ed al punto A dell'asse, e la posizione del piano stesso relativamente 99 al punto A, ossia la sua distanza Jal punto A. Quindi se si conosce la di- stanza AB,\& M BjQ l'angolo M B X, sarà determinato di posizione il pun- to M. Sieno t u v le rispettive coordinate di un punto M qualunque, cioè t distanza del piano dal punto A, u distanza del punto dal punto dell'asse si- tuato sopra lo stesso piano, v l'angolo che le rette condotte sul punto al cor- rispondente dell'asse forma colle rette d'intersezione del piano corrispondente il punto col piano primitivo o coordinato. Essendo per un punto M AB=>a, MB = b, MBX—c, l'equazioni t = dj m = bj v = c determineranno la posizione di quel punto. 4-i. Quando l'angolo v si faccia variare da o° a 36o°, si potrà assumere u sempre positivo. 42. Sieno nello spazio condotte tre rette intersecantesi nel punto A (¥\g. 11.), e sieno XX'j Y Y' , ZZI. Il punto M sarà determinato quando si conosca- no i tre angoli che la retta condotta per esso al punto A forma coi tre assi coordinati , e le distanze del punto M dal punto A. Infatti per mezzo di tre angoli sarà determinata di posizione la retta che comprende il punto, e la distanza farà conoscere la sua posizione sopra di questa retta. Si avverta che due di questi angoli possono comunque variare, purché la loro somma sia maggiore dell'angolo formato dagli assi corrispondenti; ma il terzo è da questi dipendente in modo, che serve a far conoscere sopra quale di due rette si ritrovi il punto. 43. Facilmente si vede che quello che abbiamo detto rispetto al primo si- stema di coordinate si può ripetere per questi sistemi, quando si voglia rap- presentare un sistema di punti succedentisi con data legge. Della rappresentazione delle linee e delle superficie. 44- Sieno nel piano XY A i due assi coordinati X X ' , Y Y' (Fig. 12.), ed una linea BC tale, che essendo M P, A P le coordinate di M3 31' P', A P' quelle di un altro punto M' ec, ed essendo MP^j'j AP = x; M' P'=r", AP' = x"; ec. abbiasi /= F (x),j"=F (x'^ec; potremo rappresentare la posizione di tutti i punti della linea B C colla equa- zione y = F{x), considerando che x, suscettibile di tutti i valori, rappresenti 100 le successive ascisse, ed i valori dell/ corrispondenti le rispettive ordinate dei punti della linea. 45. L'equazione pertanto y = a rappresenterà una retta parallela all'asse delle ascisse, e l'equazione x = b una retta parallela a quello delle ordinate. 46. Quello che abbiamo detto rispetto ad una linea disegnata in un piano si può ripetere per una linea disegnata sopra una qualunque superficie. 47. Essendo adesso la linea BC (Fig. i3.), e riferiti i punti M'JAl''JM"'... a coordinate polari, avendosi M' A—r , MA X= v ; M" A = r"j M"AX=v"; M^A^r", M'"AX=v'" ec, abbiasi poi z-'= F («/), r"=* F (9"), ;•'"= F [v'") ec, potremo rappresentare questa linea colla equazione r== F (e), considerando r, v assolute variabili. 48. L' equazione /' = a rappresenta un circolo che ba per raggio a, e per centro il polo. L'equazione poi v — b rappresenta una retta inclinata dell'an- golo b all' asse. 49. Quando una linea è tale, che le coordinate di un punto qualunque soddisfanno ad una equazione fra le variabili y_, x, ovvero r, t'j la linea di- cesi continua. 50. Viceversa un' equazione qualunque F [xjj) = 0 fra le variabili x^y, può rappresentare una linea, considerando che x, suscettibile di tutti i valori, si riferisca alle ascisse , ed i valori corrispondenti di y rappresentino le coor- dinate dei punti situati sopra una data superficie. 5i. Venendo ai punti situati nello spazio si vede che l'equazione x = dj rispetto al primo sistema di coordinate, rappresenta un piano parallelo a quello delle y Zj y = bj e un piano parallelo a quello delle z xs z = c un piano pa- rallelo a quello delle y x. 52. L'equazione poi F (.r, y) — o rappresenta una superficie generata da una retta , la quale si muove parallela all'asse della z , e rade la linea dise- gnata sopra il piano delle x y, e rappresentata dall'equazione antecedente. Tale superficie dicesi cilindrica. Così l'equazione F [xj z) = o rappresenta una superficie cilindrica, della quale la linea che rade la retta parallela all'asse della y è disegnata sopra il piano della x z_, ed è rappresentata dall'equazio- ne F [xj z) = o. Lo stesso dicasi dell'equazione F(zj y) = o relativamente al piano delle zy. j3. Che se prendiamo a considerare il sistema di coordinate polari, l'equa- zione l = a rappresenta un piano normale al piano coordinato , e tale che 101 l'intersezione con questo forma un angolo a coli' asse; l'equazione ■>. = b, due superficie coniche opposte che hanno per asse la retta normale al piano coor- dinato che passa pel polo, l'angolo che la retta generatrice forma coli' asse, essendo go° — b. 54- L' equazione poi r =■ e, considerata isolatamente, rappresenta una sfera del raggio e, che ha per centro il polo. 55. L'equazioni l = a, \ = b rappresentano una retta che passando pel polo è inclinata dall'angolo b al piano primitivo, e la di cui projezione sopra di (Juesto forma un angolo a coli' asse. 56. L'equazioni l = a, r=-c rappresentano un circolo, intersezione della sfera dell'equazione r = Cj e del piano dell'equazione l = a. 5y. L'equazioni poi >. = b, r== e rappresenteranno un circolo, il di cui centro è sulla retta , che passando pel polo insiste normalmente al piano coordinato, ed è distante da questo delle quantità e sen. bj ed ha per rag- gio e cos. b. 58. Se nell'equazione F (/., X) = o si considerano /., \ variabili qualunque, questa rappresenterà una superficie generata da una retta, che passando pel punto A ruota con data legge intorno alla retta che passa per A ., ed è normale al piano coordinato. 59. Così l'equazione F (X, r) =0 si riferisce ad una superficie di rivo- luzione generata dalla linea che ha per equazione l'antecedente, e l'asse di rivoluzione è la retta, che passando pel punto A insiste normale al piano primitivo. 60. Finalmente i*1 (Zj r) = o rappresenta una superficie generata da un cir- colo di raggio variabile con data legge , il di cui centro è nel polo, il piano è normale al piano coordinato, e ruota intorno alla retta che passa per A, ed è perpendicolare al piano primitivo. 61. Una simile analisi si può fare per gli altri sistemi di coordinate. Così nel sistema di coordinate del numero 3g. l'equazione F [t} u) — o rappre- senta una superficie di rivoluzione generata dalla linea disegnata nel piano YA Xj che ha per equazione l'antecedente, ed ha per asse di rivoluzione la A Y. Nel sistema di coordinate del numero ^o. l'equazione F(tj y) := o rap- presenta una superficie generata da una retta, che essendo sempre normale all'asse A Z, ruota intorno ad esso con data legge. 62. Sia adesso nello spazio una linea, e tale che le coordinate dei punti 102 M'j M"j M'" ... essendo x , y, z; x" , y" , s"; x" , y" , z'"; ec. , abbiasi n i i i fi n i II r' Hi f^ / l'I 'ff "'\ F (x,;, 3) =0, F [x ,y ,z ) =o, F [x }y\z ) = o ec., 3r(xJj„2)=o, 7(^J/J2)=0 7(x j ., z ) = O ec. ; questa linea si potrà rappresentare per l'equazioni F (x,y, z) =o, 1 (xJyJ z) = o, ritenendo che x, suscettibile di tutti i valori, rappresenti una coordinata, ed i valori di r, z corrispondenti le altre due coordinate dei rispettivi punti. 63. Sia adesso nello spazio finalmente una superficie, e tale che le coor- dinate dei punti M' 3 M'~ '_, M'"... essendo rispettivamente x'jjr', z; x"jjr'j z" ; x'"j y'"j z"; ec. , abbiasi F (x , y, z ) = o, F (x J y , z ) = o, F (x , y , z )=oec; potremo rappresentare questa superfìcie colla equazione F [x, y, z) = o. 64- Si vede però che l'equazioni di una linea nello spazio non sono che l'equazioni di due superficie che s'intersecano in quella. 65. Quello che abbiamo detto rispetto ad un sistema di coordinate si può ripetere relativamente agli altri sistemi. 66. Una linea ed una superficie che possono rappresentarsi per equazioni si dicono continue. Della posizione dei punti 3 e della rappresentazione delle linee e superficie rispetto a sistemi di coordinale variabili. 67. Abbiamo indicato come si determini la posizione di uno o più punti dati sopra una linea relativamente ad un punto fisso preso sopra la stessa, la posizione di uno o più punti situali sopra una superficie rispetto a linee fisse esistenti sopra di essa, la posizione di uno o più punti considerati nello Spazio rispetto a piani fissi; passiamo a vedere brevemente come si possano rappresentare queste posizioni rispetto a punti, linee e piani variabili di po- sizione con data legge. Siano nel piano VXXY1 gli assi XX ,YY (Fig. 14.), ed un punto M si riferisca all'asse A X e ad un asse delle ordinate, che passando per A sia inclinato al piano di un angolo eguale a nota funzione della ascissa AP. Chia- mato a quesl' angolo, 1' equazioni x = a, y = b, a =f(x) esprimeranno la po- sizione di un pillilo qualunque situato sopra questo piano. io3 68. Considerando variabile anche l'asse delle ascisse, e costante l'origine, potremo rappresentare la posizione di un punto colle equazioni x — aJj = b, <*==/ (x), $=f (x), essendo a, /3 gli angoli d'inclinazione degli assi novelli ad una retta condotta per l'origine e fissa di posizione. 69. L'equazione di una linea continua si rappresenterà in questo caso con tre equazioni: F {x,y) =0, a=J'(x), fi=j' (x). 70. L'equazioni y = bj a=^J"(x) rappresentano in questa ipotesi una li- nea, ed essendo f {x) =• Are. tang. — , la linea rappresentata sarà la con- coide ordinaria. 71. Essendo F il polo, F X l'asse (Fig. i5.), i differenti punti situati nel piano che contiene l'asse si possono riferire allo stesso asse, considerando il polo variabile di posizione, e l'asse ed il polo variabili insieme. Così l'equa- zioni r — a, v = bj d=f[r), *—f (r) rappresenteranno un punto, espri- mendo con d le distanze dal polo variabile al primitivo preso sopra la linea B Cj ed a l'angolo d'inclinazione del nuovo asse al primitivo. Quindi per determinare la posizione del punto M si prenderà FF'=dj si condurrà la F' X' inclinata ad F X dell'angolo », ed al polo F ed all'asse F X si ri- feriranno l'equazioni r = a} v — b. 72. In generale all'equazioni che determinano la posizione di punti o li- nee, considerando il sistema di coordinate fisso di posizione, converrà aggiu- gnere l'equazioni che stabiliscono la posizione del nuovo sistema relativamente al primitivo. Della rappresentazione dei poligoni e dei poliedri. 73. Per mezzo dell'equazione x= <$ (z) abbiamo veduto potersi determi- nare la posizione dei punti Al' , Al" '_, Al" situati sopra una linea, e suc- cedentisi con data legge. Considerando i punti consecutivi congiunti con del- le rette, ne risulterà il poligono AI' Al ' Al"' ; e siccome, dati che sieno i punti At'j Al' , M'"... , ne risulta determinato il poligono, così potremo dire che l'equazione x=

), z ** f { m ) • Supponendo i punti consecutivi congiunti con delle rette, ne risulterà un po- ligono a semplice o doppia inflessione, secondo che tutti i punti esistono nello stesso tempo od in piani diversi. Per mezzo delle antecedenti equazioni potremo determinare in quantità e direzione un lato qualunque del poligono, e però quelle equazioni si potran- no risguardare come rappresentanti il poligono. IOJ 82. Che se pei punti consecutivi, presi a tre a Ire, ovvero, quando sia possi- bile, a quattro a quattro ec, si faccia passare un piano, ne risulterà un polie- dro , e per mezzo delle antecedenti equazioni potrassi determinare in quan- tità e direzione una faccia qualunque ; onde in tal caso potremo risguardare le antecedenti come rappresentanti quel poliedro. 83. Quanto abbiamo detto rispetto ad un sistema di coordinate si può estendere agli altri sistemi di coordinate, sieno fisse o variabili di posizione. Dell' uso dei differenti sistemi di coordinate. 84- Secondo i problemi differenti giova far uso di uno piuttosto che d'al- tro sistema di coordinate. Trattandosi di determinare la relazione che deve aver luogo fra il perimetro di un poligono rettilineo e l'arco della linea cui è inscritto , quando sia data la relazione fra un arco qualunque della li- nea e la sottesa corrispondente, si farà uso del sistema più semplice di coor- dinate, vale a dire si esprimerà la posizione dei punti situati sopra la linea riferiti ad un suo punto. 85. Così essendo P il perimetro del poligono inscritto nel cerchio di rag- gio 7\, sino al lato z — isimo) e clie na per equazione x=p (z) , avremo P=.2rS.sen. ^>-^-'>. r 86. Rispetto alle linee si possono determinare le loro equazioni riferite ad un sistema di coordinate, e quindi per le formule delle trasformazioni pas- sare ad un altro. Dalle equazioni polari semplicissime v = a; r = c della retta e del cerchio colle formule delle trasformazioni si passa alle equazioni della retta e del cerchio fra coordinate rettangole od obbliquangole con tutta sem- plicità. 87. Nella generazione delle spirali, cioè di quelle linee che sono generate da un punto che si muove sopra una retta, mentre questa ruota intorno ad un suo punto con data legge, giova far uso di coordinate polari, perchè fa- cilmente la legge di generazione si traduce in equazione rappresentante la li- nea generata. 88. Lo stesso dicasi più generalmente delle linee che si generano sopra una superficie di rivoluzione da un punto che si muove sopra la generatrice, men- tre questa ruota intorno all'asse con data legge. «4 io6 89. Quello che abbiamo detto delle linee spirali si può ripetere per la ge- nerazione dei poligoni spirali, cioè di que' poligoni nei quali le rette che da un punto fisso vanno ai vertici, variano con data legge rapporto alle loro in- clinazioni scambievoli. 90. Debbasi, per esempio, determinare l'equazioni del poligono nel quale le rette consecutive, condotte ai vertici da un punto fisso, formano angoli suc- cedentisi con data legge, ed i lati sono inclinati a queste con data legge. Sia rz+t il raggio vettore corrispondente al vertice [z + i)s'rao, e pren- diamo per polo il punto dal quale debbono condursi le rette ai vertici. Sia Vz+i l'anomalia corrispondente. Avremo pertanto a. »>. = pz> essendo fiz l'an- golo cbe formano fra loro i due raggi vettori rz+l, rz. Quindi avremo /■- + I = rz , essendo az l'angolo che il lato zs'mo deve formare col sen. az raggio vettore rs-(-i. L'equazioni pertanto del poligono sono: S log. — — sen. az Vz = § &, rz ==> e. 91. L'espressione dell'area del triangolo, che ha per lati i raggi vettori raj.i, rz, ed il lato ssirao, è = 1 rz+i rz sen. jSz. Perciò esprimendo per Pz+i l'area compresa dai raggi vettori r,, rz^.i, e dal corrispondente pe- rimetro del poligono, si avrà Pz = \ S rz+i rz sen. fe. 92. Fatto pz =\ costante, ed az — 900, si avranno l'equazioni del poli- gono spirale di Du-Fay. Queste equazioni saranno: %>. = \ z + Cj rz = C sen. \* ; e dovendo essere t^ = o, r, = as avremo vz = >.(z — 1), rz = sen. 'X2—1. ^ . ,. ^ a1 °" sen. >.2S , _ - n' seri. >.as Quindi sarà Pz — • ^ sen. \2- = _ \- D = D — 1— — -. * 2 2 sen. \ — 1 2 cos- * Dovendo essere Pi = 0, ricaveremo Pz = *- tang. >. j 1 —sen. V* — a e quindi Pn+i = •— tang. >i J 1 — sen. *a*I. 93. I sistemi di coordinate variabili rendono facile la soluzione generale del problema delle generazioni delle curve, avvegnaché scelto quel sistema di coordinate, per cui si può esprimere agevolmente la legge di generazione, tutto riducesi ad una trasformazione di coordinate, passando da un sistema di varia- bili ad uno di coordinate fisse. 107 c)4- Debbasi, per esempio, determinare l'equazione della concoide ordina- ria, generata dalla retta che ruota intorno al punto B, prendendosi, partendo dal punto d'intersezione coli' asse delle ascisse, porzioni eguali ad a. Preso per asse delle ascisse Y XX _, e per asse delle ordinate variabili la ZZ' che ruota intorno ad ^(Fig. 16.), indicando con x „ y le coordinate di un punto M rapporto al sistema variabile, ed x}y le coordinate dello stesso rapporto al sistema fisso, ed a l'angolo che l'asse ZZ' per un punto M for- ma con XX'j avremo l'equazioni della concoide jr' = a, tang. a= «-^essen- do A B = b. Ora si ha y = {x — x') tang. a, y"2 = j1 -j- (x — x')'1. Eli- minando le coordinate x' '_, y \ ricaveremo l'equazione della concoide «' = /*-*- [*—J^-h)\ ^sia [a>-f) (j+S)»--Vjr», g5. Rispetto alle coordinate nello spazio i differenti sistemi prestano facili mezzi di risolvere i problemi. Nei problemi della composizione e decomposi- zione delle forze si fa uso del sistema del numero 42., essendo date le dire- zioni delle forze immediatamente per gli angoli che formano coi tre assi. Così nei problemi sulla generazione delle spirali a doppia curvatura i si- stemi di coordinate polari prestano facile soluzione. 96. Il sistema di coordinate, per esempio, del numero 3g. ci presenta fa- cile risoluzione del problema sulla generazione della superficie di rivoluzione. Sieno Xj y, z le coordinate rettangole di un punto qualunque della superficie, t,u,\ le coordinate del sistema; si avranno le relazioni t = z., y = u sen. \, x = u cos. \ . Quindi rappresentando F (tJu)=o una superficie di rivoluzione (61), l'equa- zione fra le coordinate rettangole è F (z, V oc1 -\- Y*) =0. 97. Quello che si è detto delle linee, e relativamente ad alcuni sistemi di coordinate , si può ripetere pei poligoni e per gli altri sistemi di coordinate. 98. Per mezzo della trasformazione delle coordinate si possono risolvere con eleganza e facilità alcuni problemi che si riferiscono al moto delle linee e dei punti. Dovendosi determinare l'equazioni della linea descritta nello spazio da un punto che si muove sopra una sfera, mentre questa col suo centro descrive una linea di data natura , riferiremo il punto in moto a coordinate sferico - polari, e per mezzo di queste esprimeremo le leggi di movimento; il centro poi si riferirà a coordinate rettangole. Le formule che servono a passare da que- IOt sto sistema composto di coordinate ad un sistema semplice di coordinate rettan- gole, ci forniranno l'equazioni della linea descritta. Cosi ho ottenuto agevolmen- te l'equazioni delle linee descritte dai punti della terra (i). 99. Lo stesso dicasi se si ricerchi la superficie di una linea piana che nel- lo spazio si muove con data legge. Il molo si riduce a due: l'uno della linea in un piano, l'altro del piano nello spazio. Quindi espressa la legge di movi- mento, si ritroverà con le formule delle trasformazioni delle coordinate l'equa- zione finale ricercata. Con questo modo si ritrovano facilmente l'equazioni dei canali generati da una linea piana a direttrice qualunque, col solo calcolo ele- mentare (2). ioo. Facilmente si vede come si possa rendere molto più generale questo metodo, e qual mezzo facile presenti nella soluzione dei problemi la conside- razione dei sistemi di coordinate fisse e variabili, e dei sistemi di coordinate semplici e composte. Della rappresentazione dei sistemi di linee e superficie. 101. Abbiamo veduto come si rappresenti un sistema di rette che formano un poligono, un sistema di figure piane nello spazio che costituiscono un po- liedro; passiamo adesso a vedere come si possa rappresentare un sistema di linee e superficie. Sieno sopra una linea dei punti, de' quali le posizioni sieno -date dalla equazione x = p (z), e si consideri ciascun punto centro di un circolo, e la successione dei raggi sia determinata dalla equazione r = $(z), rappresentare un sistema di figure. 102. Cosi in un piano l'equazioni x = f(z), y= p' (z) rappresentano un sistema di punti, e supponendo questi altrettanti centri di cercini di raggi suc- cedentisi con data legge espressa dalla equazione r=p"(s), le Ire equazioni x = p (z), y=<$ (2)1 r=* vz. 106. Quello che abbiamo detto delle figure piane, può dirsi delle figure descritte sopra date superficie, ed estendersi alle superficie e linee considerate nello spazio. 107. Che se rappresentiamo delle figure piane nello spazio, e supponiamo per due consecutive condursi una retta che ne rada con data legge il peri- metro, ne risulterà una superficie che si potrà dire rappresentata da quelle equazioni stesse. 108. Essendo adesso una superficie, della quale le sezioni fatte colla stessa legge sieno tali che con data legge si succedano, potranno rappresentarsi con quel sistema di equazioni colle quali si rappresentano un sistema di figure a distanze determinate, solo che si consideri come variabile assoluta quella quan- tità che nell'altro caso si considera variare di quantità finita. iog. Così colle equazioni x=$[x). Della rappresentazione delle posizioni relative dei punti j senza aver riguardo alle loro distanze. no. Quando i punti situati sopra una linea, od in un piano o nello spa- zio, si riferiscono ad un sistema di coordinate, si può procedere alla determi- nazione successiva di questi per mezzo delle distanze dalle rette o superficie I IO alle quali si riferiscono, e quindi si possono dedurre le loro relative distanze. Supponiamo adesso che siano i punti M i, M?t M$ .... situati sopra la linea XX (Fig. 4-) > e si voglia esprimere essere il punto M$ il terzo della serie, od il punto M$ il quinto, ec. Esprimiamo con x in generale il numero degli intervalli fra un punto qualunque ed il punto A; l'equazione x = 3 deter- minerà la posizione relativa del punto M$, ed x = 5 quella di M5. Avendo riguardo alla grandezza e «egno di x, potremo esprimere la po- sizione di un punto qualunque situato sopra la linea XX relativamente agli altri. ni. Sieno adesso i punti MitM?tM$ (Fig. 17.) M\,M\,M'z.... M"I,M'\,M"3.... e e. nel piano XYX'Y' situati rispettivamente nelle intersezioni delle A' X \ A" X ' . . . . , parallela alla A Xj e delle B C, B C j B' e' ec. parallele ad YT. Volendo fissare la posizione del punto M'2ì per esempio, relativamente agli altri, diremo che esiste nella regione Y AX, ed è sulla intersezione della seconda linea B' C colla prima A' B'. Se pertanto con x rappresentiamo in generale gl'intervalli valutati sulla A Xj e con y gl'intervalli valutati sopra le parallele alle YY'j l'equazioni x = 2,y= 1 saranno l'equazioni del pun- to M'2. Avendo riguardo alla grandezza ed al segno di Xj y, potremo rappre- sentare la posizione di un punto qualunque situato nel piano XYY'X' re- lativamente agli altri. 112. Di qui si vede come dehbasi procedere onde determinare le posizioni relative dei punti situati sopra della superficie nello spazio. 11 3. Se le posizioni relative dei punti si succedono con data legge od in un piano o nello spazio, si potranno rappresentare le loro posizioni o con una equazione o con due. In generale più serie di punti nello spazio succe- dentisi con data legge si possono rappresentare con una sola equazione. 11 4- Così si può procedere alla rappresentazione di più gruppi di punti succedentisi con data legge. 1 1 1 II. Teorica delle permutazioni ordinarie. i. I cangiamenti di sito che si possono fare di date cose in dati posti, di- consi permutazioni. 2. Il problema generale che si può proporre intorno le permutazioni è il seguente : « Dato il numero delle cose ed il numero dei posti, e data la leg- » gè di permutazione , cioè il modo col quale le date cose debbonsi collocare » nei dati posti successivamente, determinare il numero totale delle permuta - » zioni. » 3. Prenderemo pertanto a supporre che, dato un numero di cose e di po- sti, o tutte le cose si debbano impiegare, od occupare tutti i posti; ritenen- do in primo luogo, che ciascheduna cosa possa collocarsi in ciaschedun posto; in secondo luogo, che alcune cose debbano collocarsi in un posto determinato soltanto. Nel primo caso le cose date possono essere fra loro differenti, o fra que- ste esservene d'identiche: nell'uno e nell'altro di questi casi il numero to- tale delle cose può essere maggiore, eguale o minore del numero dei posti. Finalmente quando il numero delle cose è maggiore del numero dei posti, e fra queste ve ne sieno d'identiche, conviene considerare il caso speciale, che il numero di ogni aggregato sia maggiore od eguale al numero dei posti. 4- Istituita questa analisi sopra i differenti casi, risolveremo le enunciate questioni, premettendo a tale oggetto i seguenti Lemmi. Lemma I. Essendo il numero delle cose ed il numero dei posti eguale ad nij se queste si separino in due aggregati, l'uno di m — q, l'altro di q, e sia P il numero totale delle permutazioni, R quello delle permutazioni di m — q cose negli m posti, e Q quelle delle altre q cose in q posti, sarà P = RQ. Infatti sieno le m cose disposte negli m posti; ritenendo ferme le m — q nei loro posti, e permutando comunque le q rimanenti nei loro q posti, avre- mo Q permutazioni. Attribuendo alle m — q cose una novella collocazione, si operi similmente rapporto alle q> e si avranno Q novelle permutazioni. Operando per simil guisa fino a che le m — q cose abbiano subito tutte le possibili permutazioni negli m posti, si saranno esaurite tutte le possibili per- mutazioni delle m cose negli m posti, nessuna potendo essere omessa, e nes- suna ripetuta. Avremo però P — RQ. I 12 5. Corollario. Essendo le q cose identiche, sarà Q= i, e P' = Rj rappre- sentando per P' il numero delle permutazioni in questo caso. Dunque se da ni cose se ne tolgano q d'identiche, il numero delle permutazioni non cangia. P Avremo pure P = P' Qj ossia P'= — , cioè il numero delle permu- tazioni di ni cose, considerandone q tutte identiche, si ottiene dividendo il numero totale delle permutazioni delle ni cose pel numero delle permutazio- ni delle q cose in q posti. 6. Lemma II. Sieuo m cose differenti da permutarsi in in posti, e di que- sti posti se ne prendano di mira q, e sia Q il numero delle permutazioni di q cose in questi posti, R il numero delle permutazioni delle m cose nei rimanenti , P il numero totale delle permutazioni ; avremo P = RQ. Infatti si distribuiscano le m cose negli ni posti, e ritenendo ferme ne- gli ni — q posti le rispettive cose, si permutino le q nei q posti, e si avran- no Q permutazioni. Attribuendo alle ni — q cose una novella permutazione, si operi per simil guisa , e cosi successivamente fino a che le ni cose abbiano subito tutte le permutazioni negli ni — q posti ; il numero delle permutazioni sarà R Q. Siccome poi, così procedendo, si saranno esaurite tutte le possibili differenti permutazioni delle m cose negli m posti, nessuna potendo essere esclusa o ripetuta, avremo P = RQ. 7. Corollario. Se nei q posti non si fa permutazione, e sia P' il numero delle permutazioni corrispondenti a tale ipotesi, sarà Q= 1, e P' = R. Dun- que il permutare m cose in m posti, fra questi essendovene q, nei quali non si fanno permutazioni, è lo stesso che permutare le m cose in m—q posti. P Si ricava poi />' = — —; cioè il numero delle permutazioni, che si ottengono in tale supposizione , è uguale al numero delle permutazioni delle ni cose negli ni posti, diviso pel numero delle permutazioni di q cose in q posti. 8. Premessi questi due Lemmi , supponiamo che sieno date ni cose diffe- renti da permutare in un dato numero n di posti, e si domandi il numero delle permutazioni. Essendo ni = iij rappresentiamo il numero delle permutazioni per Pm . Sia qr=.m — 1 (Lem. 1.), sarà ni — q — 1, Q= Pm_,J R = nij e però P,„= mPm—L n3 Quindi avremo Pm = m (ire — i) (ira — 2) 3. ai*,, ma P,=i; dunque Pm == m (ire — 1) (ire — 2) 3. 2. 1. 9. Essendo ire < rc, rappresentiamo con Pm,n il numero delle permutazioni. Se ira = r — r, aggiungansi alle m cose 7' identiche, onde ne risulti un nu- mero re. Fatto ej = r, sarà P = P„, P' == P/«, n, @ => P^ Pn n (n — 1) (n — 2) .... (n — /re-f- 1) (re — m) (re — ra — 1) 3. 2. 1 e Pn, re = -p— = p Jrr rn — ire = re (re — 1) (re — 2) (re — ire -\- 1). io. Essendo ire > n, rappresentiamo pure con Pm> n il numero delle per- mutazioni. Se ih e=s re + r, si aggiungano agli re r posti, in essi non fa- cendosi permutazione. Fatto q =■= r, sarà Q = Pr, R — Pm,n,P = Pm, Pm, re = '-£— ■"" -E-^ = TC ('»— r) (w — 2) •• •• (w — "+ >)• re r» — re 11. Supponiamo adesso clie fra le ire cose vi sieno gli aggregati di bjCjd... cose identiche, e sia ire = re., od ire •< re. /» Nel «rimo caso il numero delle permutazioni sarà — — - — , essendo Pb- Pc- Pd'-- P il numero delle permutazioni delle ira cose, considerate tutte fra loro dif- ferenti (5), e però sarà P= Pm; onde il numero delle differenti permuta- zioni sarà Pm PbPcPd-- Nel secondo caso sia ire = re — r, e si aggiungano alle /re cose r d' iden* tiche e differenti da tutte le altre; il numero delle permutazioni sarà Pn Pn Pn,m , . PrPbPcPd ■■■ ^ Pn-m- Pb- Pc- Pd" ~ Pb- Pc- Pd- (9' ' Quindi o sia ira = re, od 1» ■< n, per determinare il numero delle permutazio- ni differenti essendovi gli aggregati di bjCjd cose identiche, si determi- nerà il numero delle permutazioni, come se le ire cose fossero tutte differenti, e si dividerà pel prodotto dei numeri delle permutazioni di b,Cjd cose differenti in b,c,d .. .. posti. 12. Sia 1» > iij e suppongasi che ciaschedun aggregato contenga un nu- mero di cose od eguale o maggiore del numero dei posti , e sieno p aggregati. Si osservi in primo luogo che il numero delle permutazioni non cangia, se gli aggregati che ne contengono più di re si riducono a contenerne re sol- tanto. Infatti il massimo numero delle cose di un aggregato che possa im- piegarsi è = re. i5 «4 Ciò posto, sia il numero delle permutazioni rappresentato da Qp> „. Col- locando nel primo posto una cosa del primo aggregalo, rimarranno p aggre- gati da permutarsi in n — i posti; onde avremo Qp> „ t permutazioni. Col- locando nel primo posto una cosa del secondo aggregalo, e permutando le ri- manenti cose nei rimanenti posti, avremo altre Qp,n i permutazioni. Cosi operando per ciaschedun aggregato, avremo p Qp,n i permutazioni. Per tal modo si saranno esaurite tutte le possibili differenti permutazioni delle m cose negli n posti, nessuna potendo essere esclusa o ripetuta; dunque Qp," = PQp, »-i, e però Qp, „ = p^ Qp, „_, = p3 Qp> „_3 = pn— > Qp> l; ma Qp! i = p sarà adunque Qp> n = pn- i3. Finalmente se un qualche aggregato contiene un numero di cose mi- nore del numero dei posti , si determinerà il numero delle permutazioni nel modo seguente. Quegli aggregati, che contengono un numero di cose maggiore del numero dei posti, si riducano a contenerne tante quanti i posti. Sieno poi Ax,Ai,-d?> •••• questi aggregati. Si prenda di mira il primo, e si osservi che di questo o non s'impiega alcuna cosa, od una, o due, o tre ec, o tulle. Per ciascheduno di questi casi si dovrà ripetere simile analisi con gli aggregati, e così ci ridurremo ai casi di già contemplati. Determinate tutte le differenti unioni delle m cose ad ri ad n, per ciascheduna si determinerà il numero delle differenti permutazioni, e la loro somma determinerà il numero totale delle differenti permutazioni delle m cose negli n posti. i4- Prendiamo adesso a risolvere l'altro problema. Dati p posti e gli aggre- gati di alta2, ..-(tp cose, e nel primo posto non potendosi collocare che una cosa qualunque del primo aggregato, nel secondo una cosa qualunque del se- condo ec. , si domanda il numero totale delle differenti permutazioni. Sia questo numero rappresentato da Pu\, a^- a.n. Si collochi nel primo posto una cosa fra le a} e le rimanenti si permutino nei rimanenti posti; avre- mo Pa?....aq permutazioni. Collocando nel primo posto un'altra cosa fra le a, avremo altre Pai... aq permutazioni. Così procedendo fino a che nel primo posto si sieno successivamente collocate tutte le cose del primo aggregalo, avre- mo un numero di permutazioni rappresentato da at. Pa9_- atf. Quindi sarà Pai,ai....aq = «i- Pai.... aq, e pelò Sarà P n = p"_, come sopra. n5 III. Delle funzioni simmetriche. i. Quelle funzioni che rimangono le stesse, comunque si permutino le quan- tità che le compongono, tliconsi funzioni invariahili o simmetriche di quelle quantità. 2. Fra tutte le infinite funzioni simmetriche che si possono immaginare, prenderemo di mira una specie particolare, esponendo la generazione, l'algo- ritmo e le proprietà. 3. Venendo in primo luogo alla generazione, date le k quantità cijbjC . . . t, la funzione ar + br + cr . . . . V sarà simmetrica , e la rappresenteremo per Sir). Combinandosi le k quantità a due a due per prodotto, ed alle due quan- tità ch'entrano in ciaschedun termine imponendo gli esponenti m, tij e per- mutandosi sopra di esse, la somma di tutti i termini che vengono per tal modo a prodursi, sarà una funzione simmetrica delle k quantità, e si rappresenterà per Si'"' "). Combinando le k quantità a tre a tre per prodotto, ed imponendo sopra le quantità ch'entrano in ciaschedun prodotto gli esponenti m, tt, p3 e per- mutandoli sopra di esse in tulli i modi possibili, la somma dei termini che ne risultano sarà una funzione simmetrica delle k quantità che si rappresen- terà per S\m> "> P). 4- La funzione Si1') dicesi ad indice semplice, ed S[m>n), sim'n'P) diconsi rispettivamente ad indice doppio e triplo. Quindi si vede come si formi e rappresenti una funzione ad indice quadruplo o quintuplo, ec. 5. Se alcuni indici sono identici, si farà uso di altri simboli. Cosi in luogo della funzione Si1'1! ) simmetrica d'indici p} essendo ciascheduno eguale alla unità, si sostituirà Sipì; e scriveremo generalmente S{p>R>r •••■) in luogo di si1' «*■■•• 7> r-- )' essendovi l'unità un numero p di volte. Quando poi sono identici più indici letterali, stabiliremo di scrivere quell'indice una sola volta, ponendo a sinistra ed in alto il numero delle volte che si dovrebbe scrivere di seguito. Così S'^'"'0"' si sostituirà ad Sim>m> "> "> "\ C. rlapprcsenteremo poi per §• . Si'>l>n>P> ") h = S ('" 4" >'• n) +• Si"', « + A), n6 7. Si osservi che se nelle funzioni simmetriche gì' indici divengono iden- tici , alcuni termini riescono pure identici ; e volendo tener conto di tutti i termini, rappresenteremo la funzione simmetrica col solito simbolo: volendo poi ritenere soltanto i termini differenti , applicheremo all'i* un apice al di sotto. Quindi avremo per la teorica delle permutazioni S(hm,Sn....) S ^m,Sn,....) ^ — • "^ Ph.Pg...' 8. Ciò premesso, dimostreremo il seguente Teorema . Le funzioni simme- triche ad indice multiplo si ponno far dipendere da funzioni simmetriche ad indice semplice. Per dimostrare questa verità faremo vedere che una funzione simmetrica ad r + 1 indici si può far dipendere da funzioni simmetriche ad r indici e ad indice semplice. A tale oggetto osserveremo: i.° che la funzione simme- trica S">i' "a- ■■"»•) si cangia nella S[ni + ?'"*■■"'■)> sostituendo ad n,, nx + p> cioè moltiplicando per (F i termini contenenti Va »' V il £"' > ee.; a.0 la funzione simmetrica S(n,tn2 •■■■ nr) si cangia nella S{nlt*i •■■■ nr,P), moltiplicando i termini non contenenti Va per aP , il è . . . . bP , e e. Ciò posto, si moltiplichi la funzione S{n',"* •'"■ V per SW> cioè Per aP + bP + cP . . . . tP, ed avremo (*» "a - nr) W ni+P "a+P "3+P "r+P P S . S =a + a + a + a + a .... ni+P ni+P "3+P "r+P P b .... + b .... + b + b .... + b .... «,+/» n2+P "5+P nr+P P t .... + t .... + t + t .... + t ..., »,+/» t . . . n p ritenendo chea ... tenga luogo del prodotto de' termini contenenti la pera , n2+P «2 p a .., a •••a , ec. , "7 ed a lenga luogo del prodotto de' termini non contenenti la per a , e lo stesso debbasi ripetere rapporto a b , .... t nelle file inferiori. Si vede pertanto che la somma dei termini della prima fila verticale è (ni+p,n2....nr) uguale ad S della seconda S ec. f",»a */•/>; dell'ultima S onde sarà cioè fl ' ' =5 ' ' fl -g.i ' g. Si osservi che , supponendo A' t= r, si avrà io. Dalla formula generale si ricavano le seguenti: 5K») = 5W fl(«) — fl(™+"), S(m,n,p) = 5(m, n). Stp) — S(»> + P,") — S{»>t"+P). li. Così supponendo n, = n2 ....=; wr= i p=q_, avremo S^.9) = flM. fl(?) — 2 . flF) -7 = flM. fl(?) — r fl(^> <7+>), ed fl,!'1.?). P,.= fl,W. Pr. S(l) — r Pr-i St{r-i,9+i)-} ma JP,. = r iV_,; dunque S,(m) = fl.lrt. Sii) — iSV— M+ >), ed S^'—' >7+ 0— &W. 5(7) - fl,^?)^). Essendo poi A = r, si avrà aSV''). fl(rt = fl,l'-— "j 7+0 [B). 12. Ora si ha S(p) = Sip—1). fl(') — fl(I>/'— »), e facendo successivamen- te nell'equazione (^/) r = 2, r= 3 . . . , e sempre -i) _ sM sip-*) + sM sìp-v =*= ^i^-1'1) , usando del segno — o +, secondo che p è pari od impari. Siccome poi è S&—*> >) = p SM, così avremo S(PÌ = fl(0. flÙ»-«) — fl,(rt. fl(/>-2) . + flJS). fl(/>-3) + p SM Essendo p = A: -(- /_, avremo £(/>) = fl(i). fl(p-0 — fl.wT S(p—>) + SM SÌP-3) ....+ S1(^ìJl+ >) ; II» ma dalla equazione [B), posto r = kj q — lj si ha onde sarà sìp) = si'), .so»-») — $M s(p-z) + Sii?). 5ù»-3) + sM sin. Fatto l=o siccome S{°) = kj ricaveremo SU) = SW. 5(*-0 — SM £(*-*) + .S,(3j. 5(^-3) =F A- ,SW . i3. Essendo data l'equazione xm — At x"1—1 + A2 x'"—'5 ± Ar xm—r ;fc Am =• o, abbiamo^, =£('), A* =Sl W,As =>S&....Ar = ^....-^«^H; quindi si ricavano le tre formule conosciute sotto il nome di Teorema di Newton : S(r) = Ax SI''-') — At. S{r—2) + A$ S(r~ 3) =F r ^r J £(m+/) ,_, A, ,£>+'-') — .-/2 5>+<-') + Am SCI S(m) = Ai Si»'—') — Ài 6V»— 2) + m Am. MEMORIA PER SERVIRE ALLA STORIA DELLA SILICE CONSIDERATA COME UN ACIDO LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI VI MARZO MDCCCXXVII DAL SOCIO ÀTIIVO GIROLAMO MELANDRI - CONTESSI INTRODUZIONE _L ino da quando gli stutlii mineralogici e chimici presero un carattere scien- tifico, e che si pensò dai coltivatori dell'una e dell'altra facoltà a ricercare ed a conoscere le cause de' fenomeni naturali del regno inorganico , uno dei pri- mi soggetti che tormentò, dirò così, la curiosità e la fantasia de' Naturalisti e de' Cliimici fu la terra silicea, unica materia del cristallo di monte, ed essenziale componente delle sabbie e di un numero grandissimo di pietre du- re. L'universalità di una tale sostanza, la durezza de' suoi composti, l'infusibi- lità e l'insolubilità nell'acqua di cui si mostra fornita, le forme cristalline geometriche ch'essa veste allo stato di purità ed in quello di composto, la silificazione in fine o pietrificazione parziale e totale de' corpi organici ve- getabili ed animali, fecero in tutti i tempi ricercare, e sempre inutilmente, qual mai possa essere o sia stato il dissolvente che La servito a porla in uno stato fluido, idoneo a farle prendere le diverse sembianze, e più di tutto le forme cristalline regolari, secondo le consuete leggi de' corpi cristallizzabili. Quindi per ispiegare fenomeni sì fatti alcuni supposero che la fluidità della silice sia stata ignea, ed altri acquea; e vi fu cbi immaginò persino l'esistenza ora perduta d'un fluido caotico, che quale alchaes/j o dissolvente universale, abbia, in uno con altre insolubili sostanze del regno minerale, tenuto in solu- zione pur questa, d'onde distruggendosi esso fluido, a poco a poco ne sia ac- caduta la lentissima precipitazione della materia silicea, e quitidi la di lei eri- 120 stallizzazione. Ma questa ed altre speculazioni, che interessar potevano moltis- simo i Geognosti, ed alle quali per avventura vi si abbandonò qualcuno, furo- no poscia a poco a poco dimenticate, o almeno non vennero assoggettate ad un serio e continuato esame, capace di corredarle di certa probabilità, oppure di confutarle siccome opinioni del tutto inutili ed improbabili. Avvenne però die gli sperimentatori, applicandosi ad esaminare per la via secca e per la via umida le proprietà appartenenti a questa singolare sostanza, s'incontrarono di quando in quando in certi fenomeni che li condussero alla idea ipotetica di una misteriosa trasmutazione di lei ora in argilla, ora in terra calcarea, e vi- ceversa ; teoria che Geofroy, Pott, Beaumè, e varii altri Chimici, ebbero in co- mune con molti Naturalisti del passato secolo, i quali credettero di spiegare oosì le silificazioni de' corpi organici ed inorganici che spesso s'incontrano nel regno minerale. Bergman e Scheele, ai quali dobbiamo le prime esatte conoscenze sulle proprietà della silice pura, distrussero l'errore de' menzionati Chimici, ma non distrussero l'opinione de' Naturalisti intorno alla supposta trasmutazione della silice in calce. Anzi non è gran tempo che un celebre Chimico, il sig. Vau- quelin, a cui l'analisi deve i più grandi e luminosi progressi, aveva ad esso loro esibito, dirò così, un nuovo argomento per avvalorarla, mediante l'osser- vazione fatta sulla digestione dei gallinacei nell'atto che stanno facendo le ova. Perocché egli osservò la scomparsa di una sebben piccola quantità di silice ed un aumento considerevole della terra calcarea nell'atto della digestione di una data quantità di avena, già prima analizzata, somministrata a questi vo- latili nel tempo dell' ovificazione (i). Ma un tal fatto singolarissimo si può spiegare senza ammettere la supposizione della trasmutazione della silice in calce , perocché dove gli alimenti non somministrano la calce sufficiente alla formazione del guscio, le parti solide (ossa e piume) possono somministrare il rimanente, sostituita venendo colesta sostanza, la calce, dalla silice digerita, disciolta, e trasportata agli organi suddetti, in cui l'analisi la rinvenne, siccome è noto (2). Finalmente poi i Naturalisti, ma molto più i Chimici, non potreb- (ì)Annalcs de Chimìe. Paris. Voi. XXIX. zione de' volatili chiusi, ed obbligati a vivere pag. 3 e seguenti. di alimenti che non abbiano bastante quan- ta) Osserverò poi a questo proposito, che la tità della detta terra. Accaderebbe in tal caso terra calcarea variando in quantità nelle ossa un processo analogo a quello che ha luogo degli animali giovani a fronte de' vecchi, può ne' rachitici, e sarebbe superflua la soslilu- pur variare e diminuire nel caso doll'ovitìca- zione supposta della silice. 121 bevo ulteriormente persistere, senza grave errore, nella congetturata modifica- zione della silice, dopo che l'analisi ha dimostralo il particolar radicale di questa sostanza, diverso affatto dal radicale di ogni altro corpo metalloideo e metallico. I Chimici della scuola Lavoisieriana avevano conservato alla silice il rango assegnatogli da Bergman e da Scheele , considerandola cioè siccome una terra pura, e quindi una base salificabile. Ma siccome è troppo patente la debolis- sima sua facoltà neutralizzante gli acidi, o fors'anehe essa è impercettibile, e solamente nello stato di estrema divisione comparisce in questi corpi dissolu- bile (sebbene ora si conosca che si scioglie piuttosto nell'acqua, che negli acidi medesimi), cosi dai Chimici stessi venne collocala nell'ultimo poslo della serie delle basi salificabili terrose. In questi ultimi tempi Smitson in Inghilterra, considerando allo stato in cui la silice esiste in natura, ai composti vetrosi artificiali ch'essa forma cogli alcali fissi , colle terre e cogli ossidi metallici , ai composti naturali cri- stallizzati aventi una composizione costante di silice e di terre , alcali ed os- sidi salificabili , concepì la felice idea che il rango suo nel regno minerale sia quello di principio salificante, anzi che di base salificabile, e questa idea venne ben presto confermata e provata all'evidenza dall'illustre Berzelius. Perciò la silice fu denominata da quest'ultimo Chimico ossido silicicOj forse perchè non riconobbe in essa bastanti caratteri per chiamarla acido. Le idee dei sullodati due Chimici sono oramai adottate da tutti i Chimici e Natura- listi più celebri , e corredate ben anche di novelle prove mercè le analisi di nuovi composti che contengono la silice. E di fatto, subito che la silice si trova sempre nei composti cristallizzati in certe proporzioni definite, e che il rap- porto che segue colle basi salificabili, cui è unita, è conforme alla quantità d'ossigeno che la costituisce, ed a quello che entra a formare le basi, in modo che esso risulta sempre un multiplo o un submultiplo dell'ossigeno di queste , si trova la silice nella condizione essenziale ad un acido , e tale e non altrimenti devesi considerare, a fronte delle basi salificabili. Questa teoria, ap- pena venne annunziata, trovò presso di me la più glande disposizione ad ammet- terla e per l'aggiustatezza della veduta da cui era dedotta, ed atteso anche un'osservazione che mi era occorso di fare già da quindici e più anni sulla silice gelatinosa, ch'io aveva trovato essere molto bene solubile per mezzo dell'ammo- nìaca liquida. Mi sembrò ben tosto allora di potere spiegare la ragione della solubilità della silice in quest'alcali col mezzo dell'antagonismo dell'acidità 16 122 coli alcalinità , e che la soluzione dovesse sussistete finche rimanesse presente l'alcali, e nulla più; la fjual cosa poi nel progresso delle mie ricerche non si verificò punto. Questa mia Memoria ha per oggetto di dare una maggiore estensione ed una più grande evidenza all'idea di risguardare la silice siccome un vero aci- do. Dimostrerò quindi ch'essa ne ha tutti i caratteri, dimodoché si dovrà chiamare acido silicico, e non ossido silicico; la qual ultima denomina- zione condurrebbe a pensare che questa sostanza potesse in alcuni casi fare anche le veci di base, ciocché non è in fatto. Nell'atto stesso che io cer- cherò di dimostrare il mio assunto, esporrò la serie degli esperimenti insti- tuiti relativamente a quest'acido, e così aggiungerò ai fatti noti sulle proprietà della silice alcune nuove osservazioni che serviranno ad accrescere e ad illu- strare la storia chimica di questa sostanza. Terminerò poi coli' indicare quali sperienze restino a farsi per compiere la storia dell' acido silicico , e quali nuovi risultati si può sperare di ottenere. Io non esibisco questo mio lavoro come cosa completa ; le osservazioni che richiedono l'elemento del tempo formeranno la materia di una qualche altra successiva Memoria: ma intanto non ho voluto ritardare di più a render noti alcuni fatti che possono interessare la scienza, non che la mineralogia speculativa e le arti. PREPARAZIONE DELL'ACIDO SILICICO. Sue Proprietà. Qualunque pietra silicea, compresa la sabbia de' fiumi o quella di mare, potevami servire per la preparazione di quest'acido puro. Io però ho voluto adoperare il quarzo jalino, siccome sostanza che consiste di sola silice, e che si può avere facilmente. Ho preso due onde e mezzo di quarzo finissima- mente polverizzato, ed il quadruplo peso di liscivio caustico di potassa concen- trato, e ne ho fatta ebollizione in vaso d'argento finissimo, riducendo la mate- ria a siccità, e fondendola di fusione ignea. Dopo di che ho lisciviato e fel- trato il liscivio. Diluito poscia in modo che la sostanza solida trovavasi sciolta circa in 4° Part» d'acqua, ho versato la soluzioue siliceo-alcalina in un gran vaso pieno d'acido idroclorico allungato, avente la densità di io8 all' incirca. La soluzione rimanendo tuttavia acida, poca materia si precipitò; ed io feltrai 12.> per carta l'acida soluzione. Quindi la feci evaporare a bagno di sabbia in capsula di porcellana sino a gelatina, stemprai poscia il gelo in acqua stillata, e lo l'accolsi su di un feltro di fina tela costanza. Lavai il gelo più e più fiate, e per ottenere una perfetta edulcorazione lo tolsi più volte dal feltro, stemprandolo in catino con acqua distillata bollente. La lavanda fu portata al punto die l'acqua feltrata non intorbidava più il nitrato d'argento. Egli è per poter avere questo segnale, eli' è il più sicuro die desiderare si possa, che per la saturazione dell'alcali del liquore di selci mi sono servilo, siccome sem- pre mi servo, dell'acido idroclorico, piuttosto che dell'acido nitrico. Avrei po- tuto adoperare anche l'acido solforico, ed allora il reattivo per riconoscere la perfetta edulcorazione del gelo silicico sarebbe stato il nitrato o l' idroclorato di barile. Il gelo silicico così lavato somiglia alla colla d'amido, che s'usa per in- collare la biancheria, allorquando è fredda e gelatinosa. Bollito esso nell'acqua distillata, si scioglie un poco, ne saprei dire ora la proporzione in cui sta la solubilità sua. La soluzione filtrata messa all'evaporazione, si riduce a somma concentrazione; ma dal residuo, sebbene ancora liquido, che tal acqua pro- duce, io giudico che direttamente poco si scioglie il gelo silicico nell'acqua al calore dell'ebollizione. Kirvan ammise la solubilità della silice in 1000 parti di acqua : niente di più io ritengo che il gelo silicico si disciolga in questo li- quido bollente. Questo gelo si scioglie subito nei liscivii caustici di potassa e di soda. Questa cosa è nolissima. Ma che esso fosse eziandio molto bene solu- bile anche nell'alcali volatile, siccome io ho osservato, questo fatto non era noto finora ai Chimici, per quanto io sappia. Io l'osservai, sono già quindici e più anni, mentre che ripeteva un'analisi d'una pietra silicea. Allorquando si fa la saturazione dell'alcali silicato entro lo stesso vaso d'argento, dove siasi prati- cala la fusione ignea, si vede sempre a formarsi del cloruro d'argento che rimane nella silice gelatinosa. Quando l'evaporazione e la raccolta della silice è fatta in modo che questa non è più in gelo, ma secca, lavandola coli' am- moniaca si arriva a separare esso cloruro senza toccare sensibilmente la silice ; quest'è il metodo del quale io faceva uso in casi simili: ma avendo una volta lavato colf ammoniaca il gelo sul feltro avanti di seccarlo, vidi un'enorme dimi- nuzione del suo volume; ed evaporata la soluzione ammoniacale, ottenni molta silice di residuo. Questa fu la circostanza che mi fece scoprire la solubilità della silice nell'ammoniaca, e fino da quell'epoca preparai e mostrai nelle pubbli- che lezioni sotto il nome di liquor di selci ammoniacale la soluzione de! gelo silicico nell'ammoniaca fluore. 124 Il gelo silicico stemperato coli' ammoniaca della solita densità di o,qo non si scioglie subito, ma aggiungendovi quattro o cinque volumi d'acqua distillata, e tenendo in digestione in vaso chiuso, tutto si scioglie. Con un volume di gelo, uno simile d'ammoniaca nuore, e cinque d'acqua, si ottiene la soluzione totale, che passando per feltro è bianca quasi chiara, ossia è di un bianco opalizzante. La soluzione ammoniacale fatta con purissima ammoniaca, affatto priva di carbonato, precipita le acque di barite e calce abbondantissi- mamente, e nel liquore non resta più ne barite, né calce. Questa stessa so- luzione silicico ammoniacale , la quale è un vero silicato d' ammoniaca con eccesso d'alcali, precipita tutti i sali neutri solubili a base di barite, calce stronziana, e mollo più quelli di magnesia, delle terre pure, e degli ossidi metallici. Quindi è, che il primo indizio che si ha intorno alla nata soluzio- ne della silice gelatinosa nell'ammoniaca pura, è la precipitazione de' sali neu- tri di barite e calce, che non vengono precipitati dall'ammoniaca pura, sicco- me è noto. Accade perciò che i sali suddetti vengono decomposti dal silicato d'ammoniaca per affinità doppia, necessaria per servirmi del termine usato dal Fourcroy; ed è questo il vero caso di poterlo usare, perocché, come diremo in seguito, similmente l'acido silicico puro non precipita le terre alcaline ba- rite e calce dai loro sali neutri. Il suddetto silicato d'ammoniaca con molto eccesso d'alcali sottoposto alla distillazione , perde non solo l'ammoniaca eccedente alla saturazione, ma quella ancora che si deve supporre neutralizzare l'acido silicico, e finisce collo svolgere del solo acqueo vapore, che non ha il più piccolo odore d'ammoniaca, e che non altera punto i colori vegetabili sensibili agli alcali. Ho distillato più volte una soluzione di questa fatta, e ne ho sempre ottenuto un uguale risultato. A tal punto ridotta la soluzione, essa conserva la sua chiarezza di prima, cioè non ha che quel leggier occhio opalino sovraccennato che più o meno con- serva in feltrandola. Per assicurarmi che tal soluzione fosse o no priva d'am- moniaca feci su d'essa diverse ricerche, che vado ad esporre. Estratta dalla storta, la posi a bollire in adattato matraccio di vetro, e quando vidi che intorno alle pareti del matraccio ed al pelo della soluzione cominciava a formare un velo sottilissimo, ma ben percettibile, cessai dall'eva- porarla. Raffreddata poi e feltrata di nuovo, sebbene non ne avesse di bisogno, la trattai col nitrato di barite e coli' idroclorato di calce, e questi sali non vennero cangiati. Una goccia d'ammoniaca versatavi sopra, subito produsse co- piosa la precipitazione delle terre in silicati . Questa mi sembrò la rea- 125 zione decisiva, comprovante che la soluzione era priva d'ammoniaca, perocché qualunque piccola porzione di quest'alcali sarebbe bastala per far nascere la decomposizione dei sali di dette terre per affinità doppia. Esperimentai ancora la medesima soluzione coi sali neutri di ferro e di rame, e non nacque nes- suno intorbidamento. Una tal soluzione era dunque il puro acido silicico sciolto nell'acqua. La densità di questa 'soluzione, determinata ai io.0 R. col mezzo della bottiglia di Homberg, risultò = i, 0265, superiore cioè alla densità della saturata soluzione d'acido borico. Den. 4i 3i4 della stessa soluzione fatta eva- porare in capsula di platino, lasciò un residuo secco e roventato pesante o, 199, ed era silice pura; consisteva dunque cotesta soluzione di g5, 4 di acqua, e 4, 6 di acido silicico, o più prossimamente 100 parti d'acqua tenevano in soluzione 4» 836 di un tal acido. Una così grande solubilità nell' acqua della materia silicea , per cui una parte resta sciolta incirca 20,6 d'acqua, e forse meno, è certamente un fatto straordinario, e non ancora osservato dai Cbimici, il quale meritava un qual- che minuto esame. Egli è vero che ultimamente il sig. Berzelius ottenne colla decomposizione del solfuro di silicio la silice ossigenata sciolta in poca acqua ; ma non è ancora ben conosciuta l' indole di sì fatta soluzione (1). Volli in primo luogo ripetere la determinazione della gr. sp. di questa soluzione, ch'io aveva per tre o quattro giorni abbandonato a se in vaso aperto, ed essa mi risultò = 1,0272 ai gradi 6 di R. Tal soluzione fredda, e molto più calda, altera il colore della carta di tornasole, sensibilmente facendola volgere dal- l'azzurro al pavonazzo, e tanto più , quanto più si moltiplicano le bagnature e i disseccamenti; metodo che si deve usare per non tenere a lungo im- mersa in abbondante liquido la carta colorata, la quale abbandonerebbe all'ac- qua porzione di materia colorante. L'arrossamento della tintura di tornasole (1) Nei primi tempi, in cui aveva ottenu- ta col metodo indicato la soluzione della si- lice nell'acqua, il rapporto di solubilità da me osservato era che una parte restava sciol- ta in 98 di acqua. Io credeva che questo fosse il massimo, perchè rilevato su di una soluzione che aveva cominciato a dare mol- to gelo. Nella soluzione infatti che osservai avere la densità di 1,0272, lasciala all'aria tanto, che nel fondo del vaso si vedevano varii centri formati da materia gelatinosa , non ebbe più che una densità == 1,01 53, sebbene in apparenza sembrava più densa, perchè oleiformeequasi siropposa. Con que- sta soluzione cosi ridotta potei fare delle bol- le a guisa delle saponacee, le quali riescono limpidissime, ma presto si rompevano. Esse non presentarono il fenomeno della rifrazio- ne, come le bolle saponacee. 126 si può ancora osservarlo nella soluzione. Si preparino due tubi dello stesso vetro e diametro, se ne empisca uno di acqua tinta colla tintura di tornasole, e poscia se ne versi la metà nell'altro; si empisca l'un tubo colla soluzione d'acido silicico, e l'altro d'acqua pura: vedrassi tosto la differenza sensibi- lissima dei coloriti. L'indicata soluzione, poco dopo che fu posta all'evapo- razione, e molto più quando fu evaporata alla metà, mostrò dei pezzetti qua- drilunghi di materia trasparente gelatinosa attorno alle pareti della capsula e nel mezzo del liquore. Una moltitudine di bolle d'aria fino dal principio comparirono aderenti al fondo della capsula di platino , talché pareva un' ac- qua gazosa che si evaporasse. Esse si mantennero, e divennero anche più grosse quando si andò formando il gelo (i). Ridotta a siccità la materia, si colorì in gialletto arancio, ed in fine un poco in bruno. La calcinazione a rosso-oscuro rischiarò il suo colore, ma non la lasciò bianca affatto; per» arroventata al cannello nella stessa capsula, divenne bianchissima, e restò tras- parente come quarzo limpido in frantumi. Nessun odore potei mai rimarcare nell'atto di questa calcinazione. Le carte umide reattive, appressate sopra la capsula durante l'evaporazione, non si cambiarono punto. Il colore preso dalla silice nel primo disseccamento, poi scomparso coli' arroventamene al contatto dell'aria, è un fenomeno il quale mostra che esisteva qualche atomo di so- stanza organica introdottasi nel liquore silicico forse per mezzo della carta del feltro su cui agi l'ammoniaca. Tal minima quantità di materia non poteva recare differenze sensibili, né fenomeni proprii dell'acido silicico; ed io non ebbi difficoltà di usarla talvolta per alcune reazioni. Altre soluzioni che era- no senza colore, o ne avevano uno assai più debole, diedero silice bianca fino da principio, e fenomeni simili nelle reazioni . I seguenti esperimenti furono fatti colla soluzione d'acido silicico, che aveva un po' di colore, la densi- tà 1,01 53, non che la proprietà di alterare il colore della carta di tornasole in rosso violaceo. i.° L'alcool assoluto (a 4-0-° B.) non intorbidò la soluzione né quando si adoperò in piccola quantità, né quando in gran dose si versò su di essa. Questo risultato mi fece alquanto meravigliare, e fui tosto indotto a conget- turare che il gelo silicico, ossia l'acido silicico gelntiniforme, sarebbe solubile (i) Merita di essere ripetuta l'osserva- gior densità di una sì fatta soluzione è al- zione da me fatta sul proposito della den- lorquando essa non ha cominciato a depor- sità delle soluzioni d'acido silicico. La mag- re gelo. (Ved. la Nota prscedente) I27 anche nello spirito di vino allungato; la qual cosa si verificò di fatto, perchè digerito il gelo in questo liquido, e poscia evaporato, lasciò una macchia sen- sibile di silice nel fondo dello svaporatorio. 2.° Il latte vaccino fresco non fu coagulato dalla soluzione d'acido sili- cico a freddo e sul momento, ma dopo riscaldato il miscuglio all'ebollizione, ed anche dopo ventiquattro ore lasciato in riposo, si formò un sedimento come di coagulo, non però caseiforme. 3.° La soluzione alcoolica di sapone non venne cangiata a freddo, ma dopo ventiquattro ore mostrossi un qualche sedimento biancastro , ed alla su- perficie un velo come di materia untuosa. 4-° Alcune goccie d'acido silicico della densità 1,026 furono collocate sopra lastre pulitissime di rame, di ferro, di cristallo, e lasciate all'aria in un comune ambiente, anzi vicinissime le une alle altre. La temperatura era di 6 gr. R. Dopo due giorni la soluzione in tutte le lastre era disseccata, e con- vertita in tanti dischi di materia trasparente o semitrasparente variamente di- visa. Sulla lastra di vetro la divisione era in raggi che partivano dal centro del disco e terminavano alla circonferenza; la materia era trasparente e sen- za colore. Sulla lastra di ferro appariva qualcbe divisione radiata , ma poi vi si osservava anche un'irregolare suddivisione dei raggi per traverso; la materia era semitrasparente e giallognola: la lamina non restò macchiata sensibilmente. Sulla lastra di rame in fine videsi formato un disco tutto irregolarmente di- viso, distaccato dalla lamina, e curvato in modo da formare una specie di lente convesso-concava , colla concavità verso la lamina. La materia era di un color verde d'acqua marina, precisamente come il silicato di rame, e la lamina re- stò macchiata di colore oscuro, come se fosse stata toccata da un solfuro idro- genato diluito. 5.° L'acqua di barite saturata a freddo e l'acqua di calce vennero pre- cipitate intieramente dalla soluzione d'acido silicico, e nell'acqua non restò più terra elle fosse sensibile ai reattivi. 6.° Le soluzioni concentrate d' idroclorato di barite, di calce, di magne- sia, ed il miscuglio delle ultime due soluzioni non vennero mutate sul fatto; ma dopo ventiquattro ore di abbandono all'aria di questi miscugli, lutti furono convertiti in un gelo. Le soluzioni stesse allungate non diedero gelo dopo varii giorni. Talché apparì evidentemente essere stato un tal fenomeno l'effetto della concentrazione delle soluzioni, cioè la perdita dell'acqua di soluzione fatta dal- l'acido silicico per opera delle soluzioni concentrate, ed avide di sohente. 128 j.° L' idroclorato d'allumina non venne parimente mutato dall'acido silicico. 8.° Il prodotto della reazione dell'acido silicico coli' idroclorato di calce essendo stato abbandonato a sé al libero contatto dell'aria, si asciugò e re- strinse tanto, clie formò un disco della forma del fondo del bicchiere in cui era riposto, ma di un diametro di un terzo minore di prima, ed era poi se- mitrasparente e molle in modo, che si poteva impastare. Posi questa sostanza in una piccola storta di vetro, e ne feci distillazione. A principio usci del- l'acqua, poscia l'acqua arrossò la carta di tornasole, in fine l'acidità del li- quido era molto forte ed allegava i denti; e ciò nacque al principio dell' ar- roventamento. 9.0 Alcuni grani di nitrato di potassa furono posti in un tubo di vetro fatto a storta, e sopra vi versai la soluzione concentrata d'acido silicico, indi scaldai la materia. Accadde la soluzione del nitrato, e simultaneamente nacque la coagulazione della soluzione silicica, che tutta si convertì in gelo. Fattane distillazione, uscì acqua pura da principio; ed in fine, quando la materia era secca, si sviluppò un'acqua acida; e quando la temperatura fu giunta all'ar- roventamento sviluppossi vapor nitroso effettivo. Il residuo della distillazione arroventato era una materia bianca porosa, che al tubo ferruminatorio si fuse in vetro candidissimo. Le esposte reazioni dimostrano che la soluzione acquosa e concentrata dell'acido silicico si comporta bensì come un acido, ma che non agisce per la via umida che come un acido debole, talché non decompone i sali neutri terrosi ad acido minerale di barite, calce, magnesia ed allumina, sebbene colle terre suddette abbia tale affinità, che col concorso della forza secondaria di coe- sione era a credersi potesse prevalere sulle affinità degli acidi minerali, ed ope- rare la decomposizione dei sali, e la precipitazione delle terre in silicati. Risulta ancora: i.° che preparato nel modo accennato, è una pura soluzione d'acido silicico senza veruna traccia d'ammoniaca; 2.0 che agisce sui metalli ossida- bili, quali sono rame e ferro, come un vero acido, determinando la loro ossi- dazione mediante l'ossigeno dell'aria, e comhinandosi agli ossidi in silicati metallici; 3.° in fine risulta che a secco quest'acido agisce con più forza sulle basi, combinandosi ad esse, e discacciando gli acidi minerali volatili, siccome sono il nitrico e l' idroclorico. Per conoscere se la forza dell'acido silicico per la via umida fosse o no superiore all'affinila di altri acidi più deboli dei minerali sopra nominati , ho fatte le seguenti ulteriori reazioni con alcuni ace- tati, e poscia anche con alcuni carbonati. I29 io.0 L'acetato di barite, l'acetato di calce e l'acetato di litina , trattati colla soluzione d'acido silicico, non vennero punto cambiati; una goccia d'am- moniaca produsse tosto in tutti un abbondante coagulo. ii.° L'acetato di cobalto puro non fu parimente cambiato a freddo; una goccia d'alcali produsse un precipitato roseo. i2.° L'acetato neutro di piombo diede un precipitato bianco discreto, ed un'aggiunta abbondante di soluzione silicica non produsse ulteriore precipita- zione; frattanto la soluzione evaporata all'aria cristallizzò in erborizzazioni di biacetato di piombo. i3.° L'acetato di rame diede un precipitato clie, raccolto e lavato, mostros- si d'aspetto mucoso, e di color verde d'acqua marina. Disseccato a bagno-maria divenne color d'oliva, essendo in massa aggregata; ma polverizzato aveva color bianco verdognolo, di verde d'accpja marina cbiaro. La soluzione proveniente dalla feltrazione e separazione del suddetto precipitato aveva eccesso d'acido silicico, e tuttavia era assai colorita in turcbino. Aggiuntavi nuova soluzione d'acetato di rame, diede nuovo precipitato dello slesso colore. Dalle riferite sei reazioni dell'acido silicico cogli acelati di barite, calce, litina, cobalto, piombo e rame si rileva chiaramente che l'acido silicico ha per la via umida un'affinità minore colle basi suddette di quello che abbia l' acido acetico negli acetati di basi forti , e che non è che con quelle che possono formare dei biacetati, dei sottoacetati, e degli acetati neutri, ch'esso acido mostri un predominio d'affinità, il quale però si limita al punto in cui l'acetato è ridotto a biacetato. L'effetto prodotto dall'acido silicico sull'acetato di piombo, p. e., non è maggiore di quello che produce lo stesso acido carbo- nico, acido cotanto debole, siccome è noto. Coli' ossido di rame però l'acido silicico si mostra più distintamente affine; ma anche rispetto a questo appari- sce manifestamente ch'esso non decompone il suo acetato che in parte, ri- ducendolo a biacetato di rame. Per vedere se a caldo l'acido silicico aveva la facoltà di decompone gli acetati in grazia della volatilità dell'acido acetico, feci il seguente esperimento. Presi 0,800 di denaro di acelalo di potassa fuso di fusione ignea, e lo posi in una piccola storta di vetro, versandovi sopra de- nari 8,417 millesimi di soluzione d acido silicico che conteneva 0,387,2 di acido secco; quantità sufficiente per saturare la potassa di 0,800 d'acetato, la quale è di o,383,36, e per formare un trisilicato di questa base, compo- sto, secondo Berzelius, di due proporzioni d'acido ed una di base. A freddo è successa la soluzione dell'acetato senza sensibile mutazione; ma appena fu '7 i.3o scalcialo il misto liquore , manifestossi un abbondante coagulo gelatiniforme . Fatto bollire e distillato il liquido acquoso, sul principio l'acqua raccolta appe- na diede segno d'acidità alla carta di tornasole, ma in seguito crebbe l'aci- dità di essa a tale, che si fece palese al gusto. Tuttavia restò molto acetato in- decomposto, che solo si decompose alla temperatura prossima all'arroventamento, ove poi accadde anche carbonizzazione. La materia nera estratta dalla storta attirò l'umido dell'aria, ed al cannello diede un vetro trasparente a caldo, opaco a freddo. Da questo esperimento mi parve risultare che l'acido silicico non alteri a freddo l'acetato di potassa, e che a caldo esso acido venga per la più gran parte precipitato allo stato d'idrato dall'acetato, il quale poi a caldo è decomposto in biacetato, che dà il suo acido di bisaturazione col mez- zo del calorico. Se l'acido acetico fosse un acido indecomponibile dal calorico, esso verrebbe svolto ad un'alta temperatura, come abbiamo osservato avvenire all'acido nitrico del nitrato di potassa, sebbene sia esso un acido assai più forte dell'acetico. Anche a caldo dunque l'acido silicico si comporta per la via umida come un acido debole più dell'acetico. Finalmente per misurare approssimativamente per la via umida la forza d'affinità dell'acido silicico a fronte dei varii acidi, volli paragonarlo al car- bonico, come al più debole di tutti gli acidi, e feci i seguenti esperimenti. Preparai il bicarbonato di calce ed il bicarbonato di magnesia in soluzione col far attraversare una corrente di gas acido carbonico pel carbonato di ma- gnesia e per la calce sospesi nell'acqua. Le soluzioni essendo limpidissime, arrossando la carta di tornasole , e dando abbondante precipitato coll'ammo- niaca pura, le trattai con buona quantità di soluzione di acido silicico senza colore, e della densità 1,0170, e queste soluzioni restarono limpide come pri- ma; dal che risulta evidentemente, che per la via umida l'acido silicico è meno forte del carbonico, nella proporzione che costituisce i bicarbonati, e ciò a malgrado della coesione propria dei silicati di calce e di magnesia , che si poteva presumere fosse una circostanza opportunissima per far prevalere la forza dell'acido silicico su quella del carbonico. Le mescolanze però, abbando- nate all' aria per 24 ore, diedero dei sedimenti fioccosi di silicati, e dei cristal- letti di carbonati terrosi. Dalla qual cosa si può arguire che colla esposizione all'aria l'acido carbonico di bisaturazione si volatilizza, ed una parte del car- bonato semplice attrae l'acido carbonico d'un' altra porzione, mentre l'acido silicico si unisce alla base di questa, formando un silicato terroso ; fenomeno riferibile ad una decomposizione per affinità doppia, in cui concorre a prò- durla l'eccesso di uno dei principii costituenti, precisamente come avviene nella decomposizione del solfato di potassa per mezzo dell'acido nitrico. Emerge poi come corollario dei riferiti ultimi fatti, che qualora in una soluzione di varii sali, compresi i carbonati aciduli, si trovi esistere la silice, o acido silicico, si dovrà più presumibilmente credere che questo vi esista allo stato libero o di semplice soluzione acquosa , per essere più debole di tutti gli altri acidi , compreso il carbonico. Quindi tra le maniere varie di risguardare la compo- sizione immediata dell'acqua minerale della Valle di Staro, che io supposi nel testo e nelle note della Relazione su quell'acqua presentata due anni fa circa all'Eccelso Governo, e dal medesimo fatta stampare l'estate passalo (i), si do- vrà prescegliere quella riferita nella nota decima, in cui suppongo l'esistenza dei bicarbonati e della silice libera; ed in quanto alla maniera di decomporsi o spontaneamente, o col ministero del fuoco, si dovrà ritenere quanto già dissi relativamente alla formazione dei silicati insolubili , con questo che il primo a formarsi credo sia sempre il persilicato di ferro, di cui la base, siccome mi sono assicurato, non è affine all'acido carbonico quanto lo è al silicico. Io darò fine alla presente Memoria recapitolando le principali osservazioni fatte relativamente all' argomento che mi proposi a soggetto. i.° La silice, unica materia del cristallo di rocca e del quarzo in gene- rale, e principio componente essenziale delle pietre dure e delle sabbie, che presso gli antichi si volle modificabile o in argilla o in calce, e dai Chimici del secolo decimotlavo si considerò qual terra e qual base salificabile , è veramente una sostanza che fa le funzioni di principio salificante, siccome i Chimici del secolo decimonono hanno osservato e scoperto. 2.° Ridotta allo stato d' idrato gelatiniforme, è perfettamente solubile ncl- l' ammoniaca pura, siccome io scopersi il primo. 3.° La soluzione ammoniacale della silice idrata si riconosce subito me- diante la precipitazione dell'acqua di calce o di barite. 4-° Col mezzo dell'evaporazione la soluzione dell'idrato di silice nell'am- moniaca perde tutto il solvente alcalino, e rimane sciolta nell'acqua pura la sola silice. 5.° Può essa formare una soluzione della densità 1,027, e contiene ^ circa di silice secca. (1) Relazione sopra le acque minerali torchi di Giuseppe Gattei Tipografo del della Valle di Staro. Venezia 1826. Dai l'I. R. Governo. i3a 6.° La soluzione acquosa concentrata e pura della silice altera in rosso la tintura e carta di tornasole come uà acido debole. 7.0 Quando è in soluzione nell'acqua, ed è pura, non altera i sali neu- tri alcalino-terrosi, terrosi e metallici per la via umida. 8.° L'intervento di una base anche debole fa nascere la decomposizione dei sali neutri alcalino-terrosi e metallici , le quali succedono con precipitazio- ni abbondanti. 9.0 A fronte di tutti gli acidi minerali, compreso il carbonico, l'acido si- licico si mostra il più debole per la via umida. io.0 Per la via secca, essendo fisso al fuoco, predomina sui più forti, e decompone i sali alcalino-terrosi e metallici formati da acidi volatili. ii.° Sebbene per la via umida si mostri la silice un acido debole, ne ha però tutti quanti i caratteri, dimodoché collocare si deve tra gli acidi senza veruna riserva, ed eliminarla affatto dal novero degli ossidi. 12.0 Dimostrata essendo la perfetta solubilità nell'acqua dell'acido silici- co, e l' inazione sua sui sali neutri e sui bicarbonati stessi , si dovrà consi- derarla allo stato di soluzione semplice in tutte le acque minerali ove fu sco- perta e dove si scoprirà in seguito. 1 3.° Per la via umida i silicati si producono solamente 0 quando le basi sono libere da combinazioni con altri acidi, ed in combinazioni deboli, quali sono gl'idrati e le soluzioni semplici, o per mezzo della decomposizione per affinità doppia. i4-° Questi composti sono vere combinazioni saline, perchè la base è perfettamente neutralizzata : prova ne sieno i due silicati di rame e di cobalto, il primo tinto di color verde chiaro d'acqua marina in istato d'idrato, e ver- de oliva in istato secco; ed il secondo tinto di color roseo, come gli altri sali di cobalto. Se fossero essi unioni d'altra fatta, apparirebbero i colori delle ba- si, il turchino chiaro rispetto a quello di rame, il blu relativamente a quello di cobalto. i5.° Col mezzo della soluzione acquosa dell'acido silicico puro, la quale col metodo da me seguito si ottiene così facilmente, si potrà d'ora in avanti imitare perfettamente quelle acque minerali che contengono la silice in co- pia. E finalmente coli' acquosa soluzione dell'acido silicico si potrà tentare di ottenere la cristallizzazione di esso, e la silificazione o pietrificazione de' cor- pi ; su di che mi propongo di formare l'argomento di nuove ricerche chimi- che in continuazione di quelle che ho riferito sinora. Per queste ultime de- i33 licatissime sperienzc è certo che bisogna necessariamente bandire l'economia del tempo. Le molecole dei corpi, troppo affini tra loro, non possono, abban- donando i solventi, unirsi in aggregati simmetrici, se non se accostandosi len- tissimamente; altrimenti formano innumerevoli centri d' attrazione, che produ- cono dei precipitati in luogo di cristalli, come osserviamo in tutte le cristalliz- zazioni saline de' sali poco solubili , i cui cristalli sono duri e tenaci ; tanto più ciò deve avvenire rispetto alla materia silicea. Non fu che dopo otto anni di tempo che Tromsdorf ottenne per accidente dei cristalli silicei da un li- quor silicum abbandonato in bottiglia mal chiusa. Niuno verificò mai più una tale osservazione. Io spero che la mia pazienza non sarà messa a prova sì lunga , e che col variare modi e circostanze la natura stanca , dirò così , di conservare con ' gelosia il suo segreto, cederà finalmente alla importunità con cui sarà stata interrogata. Che se alcun altro coltivatore della scienza avrà l'occasione e la fortuna di essere prescelto in questi scoprimenti, io sarò tut- tavia pago di avergliene aperta la via , e godrò dei novelli acquisti fatti dalla scienza, al conseguimento de' quali potrò dire d'avere io pure contribuito. SOPRA IL MODO DI COMPORRE LE VITE MORALI, POLITICHE, LETTERARIE. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXIV APRILE MDCCCXXVH DAL SOCIO ATTIVO GIO. BATTISTA ZANDONELLA JLia repubblica letteraria è inondata da Vite d'uomini illustri, ed in mezzo a tanta dovizia la società ba il diritto di cbiederne di più utili, e adattate ai moltiplici bisogni. Quantunque volta mi feci a meditare sopra un argomento di sì alta importanza, mi parve cbe gli scrittori avendo presente il fine di sì fatti componimenti, e le leggi dettate da una ponderata esperienza, si por- rebbero all'opera con maggior corredo di cognizioni, e sceglierebbero soggetti più conformi al tenor vario delle vicende. Ardue difficoltà debbonsi superare nello scriver le Vite, poicb' è mestieri penetrare bene addentro nell'umana na- tura, onde non trascorrere al di là del vero; devesi conoscere l'andamento delle passioni, la forza, le cause del loro sviluppo e dei progressi; come esse si associno, si combinino e si vincano a vicenda per aggiugnere alla prefissa meta. Con occbio sagace e tranquillo si scorga nel subbietto scelto ad ar- gomento quali furono le doti dell'animo concessegli dalla natura, come fu- rono educate per lungo studio, quali le dominanti a segno da porlo sulla via della invenzione. L'estensore di Vite conosca i melodi diversi di educare, il loro relativo potere, e come la natura e l'ingegno trionfino dei fallaci me- todi d'instituzione ; sia altresì familiarizzato con la scienza dell'etica, del di- ritto di natura e delle genti, del commercio e della politica, onde non tra- viare ne' giudizi! sulle azioni dei personaggi scelti a tema de' suoi lavori. Con sì fatta suppellettile di scienza vede profondamente nei casi umani, e pren- i35 denilo a guida il solo vero, senza studio di parte mostra l'uomo nella sua sem- plicità, segna i vizii e i difetti, non si lascia sfuggire veruna azione credula a prima giunta di lieve momento, ma attissima a far conoscere l'uomo si privato che pubblico. Nell'elogio si trascurano come basse e triviali le minute azioni, si sta sul grande, e si presenta l'uomo sotto l'aspetto il più lusinghiero, onde egli comparisca degno de' nostri encomii; per tal modo la verità è alterata, e non possono riescire ad alcun utile le lezioni offerte dalla eloquenza, intesa di sovente ad abbagliare ed a sedurre. Dovere dello scrittore di Vite si è di esporre con felice industria ed ordine i fatti e le cagioni, e deve usare di una dicitura pianamente scorrevole; in tal guisa otterrà la confidenza e l'ami- cizia del lettore. Dalla lettura delle Vite scritte da celebri autori dedussi le leggi che debbono guidare le penne de* biografi, e tali norme formeranno l'argomento della mia Memoria. La dividerò in tre parti: nella prima dirò delle Vite morali, nella seconda di quelle di Stato, nella terza degli uomini di lettere e di arti belle. Nell'analisi delle Vite non assumerò la persona arrogante di giudice, ma di semplice osservatore. PARTE PRIMA. Vite Morali. La società, la famiglia, la religione vogliono l'uomo virtuoso in tutti gli istanti dell'esser suo, e non si fidano delle azioni prodotte di quando a quando dal solo passeggiero entusiasmo di virtù. L'immaginazione scossa vi- vamente poco influisce nel regolare il corso delle umane vicende secondo il virtuoso dettame. Quanto poco giovarono le lezioni della Poesia per rendere l'uomo migliore! Quale vantaggio dagli archetipi di Platone nella sua Repub- blica, quale dal Ciro di Senofonte? Questi modelli sono recati a si elevata perfezione, che gli uomini proposti a norma ci sembrano di una natura tanto sublime da non potersi imitare ; quindi ci arrestiamo ad una sterile ammira- zione, e corriamo dietro a vani simulacri. Si tolga dunque dalla facoltà im- maginativa la morale istruzione, e se l'affidi con saggio avvedimento allo scrittore di Vite. Questi assecondi qualche volta la fantasia dei lettori amanti del meraviglioso morale; ma si ricordi di ritornare in seno della società, a fine di avvolgersi fra le consuete maniere del viver comune. E di là ch'egli i36 potrà offrire il quadro delle circostanze in cui siamo posti, ed allora non avrà bisogno di accattare gli esempi distanti da noi per costumi o per reli- gione, e perciò inefficaci ad indurci alla pronta imitazione , e a dissipare i prestigli. Gli esempi hanno molta possanza per muovere il nostro animo a crescere ad ogni maniera di virtù, quando essi ci vengano presentati in azio- ne coi nativi colori dell'ingenua verità. In presenza di sì evidenti principii lo scrittore ponga mano all'opera. La nostra religione apre un vastissimo campo non imbrattato dalla pagana credenza, la quale innalzava alla venera- zione l'inumanità, l'amor di patria a costo del diritto di natura e delle genti, la crudeltà nelle guerre, la dissolutezza e la prostituzione. Tutte le virtù guidate dalla divina religione sono coltivate anche dalle abbiette classi della società; in esse si ammirano il rispetto ai genitori, la tenerezza pei po- veri ed oppressi, il perdono delle ingiurie, la tranquilla e ferma sofferenza nelle calamità. Si prendano di frequente gli esempi dalle situazioni che of- frono più ostacoli, e meno soccorsi. La povertà presenta i veri modelli di eroismo, il di cui spettacolo ricompensa al centuplo quelli che amorosi le si avvicinano per soccorrerla. E perchè non tessere le Vite dei Fate-Bene-Fra- telli, descrivendo le loro instituzioni sì caritatevoli, gli assidui modi nei più schifosi morbi, e come menano vita quasi in povertà? quante pene, e quanto religiosamente patite! Qual tema di Vite non è l'operosa pietà delle Suore di Francia! Quanto non c'invoglierebbero al religioso vivere le Vite saggia- mente tessute di Francesco di Sales, di Paola, di Giovanni di Dio, santi in mezzo alla società; santità attiva e diuturna, che si concilia con la carità ed i patimenti la somma benevolenza dei cittadini! E perchè non istabilire lar- ghi premii per gli scrittoli di Vite, in cui si rianimino le virtù e la religio- ne in mezzo -ad un guasto secolo, tutto volto all'oro ed al vivere voluttuoso? Tutti gli sforzi dei pubblici reggitori dovrebbero in questa stagione dirigersi a corroborare le virtù con gli esempi, a proteggere la religione, che tanta parte tiene di pubblica felicità, perchè eccita nei petti e mantiene possen- temente l'amore alla virtuosa vita. Tal era l'ardente volo dell'immortale Leib- nizio. Il Ciel volesse che 1' ordine del Monarca prussiano di raccogliere le azioni eroiche de' suoi sudditi, e di farle di pubblica ragione, concedendo ad essi solenni premii, fosse esleso a tutti gli Stati d' Europa ! In capo di un se- colo quante azioni degne di essere consegnate agli scrittori di Vite ! I libri di storia per lo più eccitano una sterile curiosità, ed è dimostralo che le fa- vole benché decenli , e facili a lasciare sfuggire l'istruzione, poco influiscono i37 sulla morale. Per rispondere a sì sublime oggetto bisogna vedere l'uomo in azione posta in chiara luce nelle vite degli uomini virtuosi. Incisi profonda- mente nell'animo de' giovani i tratti di beneficenza e di umanità dagli esten- sori di Vite, allora da una generosa emulazione verranno sospinti ad imitare gli offerti modelli, ed il santo amore pel retto e per l'onesto si conserverà intatto e puro. Tutto poi deve essere legato nelle Vite ; quindi gli avvenimenti primi deb- bono prepararci ai seguenti. Notinsi con accuratezza le buone o prave dispo- sizioni della natura, come incomincino a sorgere i mali semi ed i pravi ap- petiti, come sieno alimentati da una insana educazione, e quanto le circo- stanze domestiche e politiche abbiano di potenza sul morale. E di mestieri esaminare la condotta degli uomini, e richiamarla alle invariabili leggi della virtù, onde dimostrare delle azioni l'inonestà o la giustizia, e come non le passioni infrenate menino orribile guasto. Questa critica severa domando l'in- sultante orgoglio , disporrà il giovine ad un procedere temperato dalla virtù; al- lora non fonderà la sua gloria in sulla forza, ma sulla benevolenza de' suoi con- cittadini. Le riflessioni non sieno dettate da un apparato scientifico, ed involte in termini inintelligibili; esse debbono fluire spontanee dalle stesse azioni. Le Vite morali debbono marciare senza ostentazione ornate da un' amabile sem- plicità e dalla decenza. Lungi dunque le bassezze ed i vituperii, che tanto deturpano le opere di Voltaire. Il buon gusto ed il giudizio scelgano quei memorabili detti , che racchiudono , per così dire , 1' essenza della morale , cammini la narrazione con rapidità, e si vegga ad evidenza la catena delle cause e degli effetti . Il tuono delle Vite dev' essere più o meno elevato, a tenor degli oggetti, e lo scrittore usi una lingua intesa dalla comune dei let- tori. Dunque lungi gli arcaismi, i modi di un solo dialetto, benché venerato da alcuni eruditi; debbonsi evitare i lenti turni, lo stile scucito, tanto in Tu- cidide ed in Tacito dannato dai maestri del bello scrivere. Qui torna in acconcio di parlare delle Vite di Plutarco, uno dei primi coltivatori indefessi dell'etica scienza. Le sue Vite possono considerarsi sotto duplice aspetto, morale cioè e politico; qui l'ammirerò come ristoratore della morale. Egli nelle Vite emerge sommo autore nel dipingere con colori tizia- neschi il cuore umano. Una circostanza ben colta, un detto ben riportato, un gesto, un motto, vi pongono sott'occhio l'uomo. Negligentemente amabile, ha l'arte sì difficile di rendersi amico il lettore senza annojarlo. Gli esempi vivi ed animati v'inspirano l'amor della virtù, e v'inducono non solo a com- 18 i38 miserare i casi infelici, ma vi rende sollecito per operosa pietà. Pieno il petto della socratica filosofia, egli pesa con aggiustatezza le azioni , ricercando pro- fondamente i particolari delle persone e degli affetti. Egli nota i precisi con- fini della virtù e del vizio, né mai cerca di dare a questo le divise di quello, o sa mettere il vizio in tutto il vitupero; la virtù oppressa trova in Plu- tarco una consolazione, nel mentre il vizio in apparenza è sovente divorato dai rimorsi, ed agitato dai timori. Da lui si apprende a temperar l'ira, a si- curare la temenza, e ad avere una costanza equabile ed invitta. « Giammai » Plutarco j dice Rousseau, non presenta degli uomini fantastici come questi » eroi malaccorti , che crederebbero di degradarsi se permettessero a sé » slessi qualche volta di essere uomini. » Vorrei però che gli uomini proposti ad imitazione non uscissero dai no- stri ranghi, onde poter più agevolmente applicare i loro motivi, e seguirli nella morale carriera. Lo scrittore scelga dunque ad argomento di Vite que- gli uomini che furono in situazione più analoga alla nostra, e ci offra una esperienza più famigliare e più contigua . L' esempio deve esser compiuto , cioè circondato dalle cause e dagli effetti, e ci deve insegnare non solo ci» che conviene farsi, ma il come si può eseguire. Dobbiamo conoscere quali ostacoli sieno da vincersi, per quali mezzi si trionfi, e con quale prepara- zione progressiva l'uomo si ponga in istato di riuscirvi. Niuna maraviglia se le tragedie di greco o di romano subbietto non eccitano se non un' am- mirazione, non facendo quasi mai far senno, e se le commedie cittadinesche tanto hanno di potere sulla morale. Niuna tragedia infrenò il vizio , né por- se validi mezzi per dirigersi nel labirinto delle passioni , perchè esempi di tal sorta sono troppo lontani dalle nostre domestiche e pubbliche affezioni. Si cerchino esempli più modesti e più alla nostra portata, e che sieno, per così dire, l'itinerario del viaggio da intraprendersi. In questo modo non saran- no gli uomini invasati da pensieri estremi, ed al lume di una morale ineso- rabile agli errori ed ai vizii si formeranno ad un proceder grave e tem- perato. Sì utile fine non puossi conseguire da una scelta di memorabili det- ti raccolti da un anonimo francese degno di molta commendazione per aver- li uniti a que' fatti che possono formarci alla virtù. Egli versa sugli og- getti di fedeltà, di continenza, di generosità ed amicizia, e sempre mossa la sua morale dallo spirito di amore e di pace, tenta di tener desto nei gio- vani l'amore dei genitori, dei fratelli, degli amici, della patria, e così cre- scerli ad ogni maniera di private e pubbliche virtù. Reca in mezzo degli i3g esempi atti a fienaie le passioni del giuoco e della libidine; per essi tenta d'indurii a deporre gli sdegni, ad usar bene delle occasioni, a temporeggiar cogli accidenti, e ad esser fermi nel proposito. Giudiziosa si è la scelta del- le proposte azioni; ma gli esempi non producono tutto il bene, perchè non risultano dalla vita stessa degli uomini levati in estimazione per le loro virtù. Gli esempli isolati fluttuano, per così dire, nella memoria, e non possono gettare ferme radici. Quale utilità dai memorabili detti raccolti da Plutarco e da Paolo Manuzio ? Nelle sole Vite si riducono gli esempi a quella unità quasi scientifica, da cui deriva tanto giovamento per formare gli uomini ad un sistema di vita sempre sorretto da luminosi principii, che non permettono di rimetter mai dalla dovuta costanza. PARTE II. Vite degli Uomini di Stato. E massima luminosa, dettata dall'esperienza, essere le virtù private basi delle pubbliche. Giammai non esisterà il perfetto uomo pubblico senza essere con lungo tirocinio preparato dalle domestiche virtù. I celebri Dialoghi di Focione, pubblicati dall' Ab. de Mably, pongono questa verità in tutta l'evidenza di una rigorosa dimostrazione. Lo scrittore delle Vite degli uomini che indussero mera- viglia nel mondo prenda dunque le mosse dalla dimestica educazione, sottilmen- te esamini, e tenga dietro alla nascita e sviluppo del carattere e dei talenti, noti il potere della cultura delle belle lettere, e precipuamente della filosofia e delle legali discipline. Deve gettare un occhio perspicace sui progressi della fortuna, dei costumi e della politica dell'uomo di Slato. Analizzate le circostanze in cui fu posto l'uomo prima di essere elevato al regime de' popoli, fa d'uopo esaminare in quale stato giaceva la società nel momento in cui cominciò la sua politica carriera; quali erano i pregiudizii, quali le dominanti passioni, la barbarie e la coltura sì nelle lettere come nelle scienze, e quanti mali mo- rali e fisici si opponevano all'avviamento verso il vivere felice. L'attività del- l'uomo pubblico non si confina all'impero cui presiede, ma estende lo sguar- do al governo, alle forze, alla politica delle estere nazioni, onde formare durevoli alleanze , trattati di commercio , e modificare le leggi relative alle estere nazioni a seconda degli imperiosi bisogni. Osservi l'uomo pubblico in casa, in foro, ne' gabinetti, ne' campi, tra gli amici, in mezzo ai disastri, e i4o nei felici successi. Deve dimostrare qual fu l'impulso dato dall'uomo politico alla società per recarla alla perfezione, come mise la sapienza in onore, e come lo Stato migliorò mercè i religiosi costumi e gli urbani modi. Osser- vi le improvide leggi, che ritardarono l'avviamento al bene, o immersero lo Stato nella infelicità. Si colga tutto il sistema delle idee del politico co- minciando dalla dominante, e dimostri il concatenamento degli avvenimenti, in qual guisa modificò i suoi piani, e quali furono i risultamenti. Mi è di giovamento il ricliiamare in iscena Plutarco ne' paralleli instituiti tra' Greci e' Romani. Egli maestrevolmente insegnò a delineare i costumi, le politiche e militari gesta, ed a presentare con semplici colori quanto que' grandi opra- rono in prò della patria con la spada, con l'eloquenza e con le leggi. Nei paralleli si ammira la giustizia in Aristide, il valore e la perspicacia in Te- mistocle, la potenza e magnanimità in Pericle, l'eloquenza trionfatrice in De- mostene e Cicerone, e si scorge in che questi oratori si vincano , ed in che restino vinti. « Agesilao (dice Rousseau) a cavallo sopra un bastone mi » fa ammirare il vincitore di un Re. Cesare traversando un povero villaggio, » e discorrendo co' suoi amici , manifesta senza pensarvi il furbo, che diceva i) non voler essere se non l'eguale di Pompeo. Filopomene col suo mantello » a terra taglia delle legna nella cucina col suo ospite : ecco la vera arte di » dipingere. La fisonomia non si mostra ne' grandi tratti, ne il carattere nelle » grandi azioni ; gli uomini si discuoprono nelle bagattelle. Le cose pubbliche » o sono troppo comuni, o troppo apparecchiate; eppure a queste sole la di- » gnità moderna permette ai nostri autori di arrestarvisi. » Le Vite di Plutarco mi richiamano al pensiero quelle di Cornelio Nepote, mancanti dei particolari essenziali alla profonda cognizione degli uomini. Le notizie in apparenza le più minute acquistano un prezzo influito agli occhi degli attenti lettori, quando servono a porre in mostra i capricci e le bizzarrie della natura, che rendono gli uomini grandi e piccioli per differenti riguardi, associando delle qualità e passioni opposte. Se fu sì parco Nepote, Svetonio largheggiò nelle Vite dei Cesari da Giulio fino a Domiziano. Descrive tritamente le virtù ed i vizii degli Imperatori, espone le azioni le più secrete, e spesso laide, con prolissità, ed in modo languido e freddo. Fra tante e sì curiose notizie, atte a sod- disfare anche le donnicciuole, invano io vo cercando una compiuta idea della storia dell'Impero, e per qual gradazione lo stato repubblicano si avviò al re- gime monarcbico. Svetonio non si cura di mostrare qual fu l'influenza di Augusto sulla sorte del romano Impero, per quali mezzi vinse tanti pericoli, i4? e come crebbe in sì grande potenza. Perchè non seguire Tiberio nella mi- steriosa e crudele politica d'invilire il Senato aprendo un largo campo alle accuse dei delitti di leso potere? Doveva dipingere i progressi delle passioni e dei vizii di Nerone, e come vincendo le prime abitudini, formate dalle dottrine di Seneca, giunse agli infami ed orribili delitti. Omraise di far ve- dere quale possanza ebbero i vizii degli Imperatori sui costumi de' Komani, e come un governo fievole e crudele sfasciò a segno l'Impero da divenire facile preda delle barbare nazioni. Tacito con la Vita di Agricola sollevi l'animo attristato da Svelonio. Nulla egli tralascia di ciò die è più importante per far conoscere il carattere del suo eroe. Nota l'educazione ricevuta in Marsiglia, dov'era unita la gentilezza greca con la frugalità di provincia. Aspira alla gloria con più fervore che prudenza; ma la ragione e l'età mitigano l'impetuoso ardore. Egli si esercita nella milizia per imparare le leggi, e si prepara con assidue cure a sostenere il malagevole uffizio di capitano. Non corrotto nella Questura dell'Asia, lungi dal lusso, egli è liberale, e si addestra a congiugnere gli utili consigli cogli onesti. Con la saggezza nell' ubbidire , e con la modestia nel ragionare delle sue imprese, sfugge l'invidia, si diporta nel governo con ispcditezza, con giu- stizia ed umanità. Tacito pennelleggia con brevi tocchi la Brettagna-, i co- stumi, il valore di que' capitani, le maniere del guerreggiare, le varie sorla di armi; descrive i modi usati da Agricola nel militare comando, la celerità nelle pugne, la modestia nelle vittorie, e come tiene ferma la sua dignità. Agricola leva le cagioni delle guerre con lo scegliere i più onorati nelle spe- dizioni; tutto sa, ma tutto non castiga, severo ne' grandi delitti, mite ne' pic- cioli mancamenti ; così dà riputazione alla pace , e con sì eminenti qualità tiene l'Inghilterra in dovere ed ammirazione. Niun capitano sa scegliere i siti meglio di lui, non si attribuisce la gloria degli altri, è affabile co' buoni, aspro coi cattivi, ma dopo il castigo in lui non resta collera. Il maggior tor- mento per Agricola era di veder Domiziano e l'esser da lui veduto, perchè quel mostro teneva registro perfino dei sospiri. Il lavoro di Tacito è il più perfetto modello delle Vite; nulla d'importante è ommesso, nulla vi ha di su- perfluo; l'uomo è conosciuto in tutte le posizioni della vita, il carattere do- mina per ogni dove, e sempre consentaneo a sé stesso; là vi si scorge come Agricola signoreggia gli avvenimenti, dirizzandoli al meditato segno; vi si scorge come debba condursi un capitano in guerra ed in pace, e quali effetti risul- tino da un operare fermo e vigoroso. i4a Imitatore di Tacito, Machiavelli intese ad offrire in Castruccio l'archetipo del militare e politico eroe. Svolge l'educazione giovanile di Castruccio nel- l'armi, ne' torneamenti, ne' giuochi; il segue ne' progressi, ce lo mostra ec- cellente cavaliere, modesto cogli eguali, piacevole cogli inferiori. Fino dalle prime mosse guerresche contro Uguccione fa vedere arte somma nel disporre le armi, e nel dirigere la battaglia. Eletto a capitano, tutto pone in opera per divenir signore di Lucca, ed in tutto il corso della vita militare verifica la turpe massima del Machiavelli, che gli uomini di picciola fortuna non ven- gono a grandezza senza accoppiar la forza alla fraude. Quale sciagura per l'umanità, quale obbrobrio per le lettere non è un sì nero insegnamento! È questo un eroe da proporsi ad imitazione? Qui usa clemenza per non dannare a morte Stefano dal Poggio ed i rivoltosi ; là sacrifica quelli che teme non esser fedeli; lusinga, tradisce i due contrarli partiti per rendersi padrone di Pistoja ; uccide a tradimento Manfredi signor di Serravalle ; ir- rita, insulta i Fiorentini per muover guerra ad essi, e farsi il loro domina- tore; alle fraudi ed alle arti odiose e crudeli sa congiungere l'astuzia ed il valore. Di tal fatta sono i consigli ch'egli dà a Pagolo Luinigi. La Vita di Agricola eccita l'ammirazione e l'amore, quella di Castruccio l'indignazione e l'odio. Si proscrivano le Vite capaci di fomentare l'immoralità, si premiino largamente quelle che inspirano il sapto amor della giustizia, della beneficenza e della moderazione. Se Castruccio è un modello dell'inganno unito al valore, Sully nelle memo- rie da lui estese, immagini fedeli delle sue azioni, sveglia e nutre tutte le virtù. Appoggiato a massime sì luminose e feconde, un giudizioso scrittore potrebbe tessere la Vita di Sully. Quale vastissima provincia da essere perlustrata! Sieno argomento del suo lavoro la rigida educazione di Sully, i militari ta- lenti, l'animo grande ed impavido nei pericoli, l'eroica fedeltà ad Enrico, la franca e leale amicizia, non mai alterata dalla calunnia e dalla invidia. De- scriva lo stato della Francia avanti il ministero di Sully, come percorre le provincie per rilevare gli abusi, per esaminare il clima, le differenti terre e colture, i pesi, le entrate, la natura delle imposizioni. Egli verifica i conti, li riavvicina, onde vedere i raggiri e le fraudi. Dai ripetuti esami ri- sultarono le cagioni dell'industria soffocata , della circolazione interrotta, delle terre neglette, e della incredibile ruina. Fermo Sully in sua sentenza, essere l'agricoltura base della potenza, tutto si adopera per migliorarla d'assai e porla in onore; vince gli ostacoli, vigoroso sostiene la libertà del commercio i43 e delle derrate all'estero, toglie i vincoli interni, e vede gli effetti della tanto combattuta riforma. Egli fu padre egualmente a tutti, schietto amatore del pubblico bene, non zelatore di novità, e gran maestro nel saper accomodare i consigli ai tempi. Egli stette contento al mediocre, non venne agli estremi, e non tradì mai l'altissimo uffizio affidatogli dall'amico Enrico. In tal guisa dovrebbesi scrivere la Vita di Colbert, e penetrando ne' suoi principii instituire un confronto con Sully, e dimostrare in quali punti con- vennero, ed in quali furono divergenti. II paralello dovrebbe essere appog- giato ai soli fatti; su questi soltanto puossi giudicar rettamente gli uomini, lodarli o biasimarli, lungi dall'entusiasmo, e dalla amarezza della satira. Si estendano le Vite del Ximenes, del Richelieu, del Mazzarini, di Pilt, notando i tempi in cui vissero, gli effetti procedenti dai loro sistemi, e gli inutili sforzi per vincere le prepotenti passioni e la crassa ignoranza. Non si lasci d'indicare il principio delle riforme, i mezzi usati, e come, riprese quelle dai seguenti ministri ed accomodate ai tempi , poterono condurre un sommo bene. Ad esempio di Tacito estendansi le Vite de' sommi capitani, si dimostri qual era lo stato della tattica quando assunsero il comando, i cangiamenti introdotti negli accampamenti e nel modo di guerreggiare. Si noti a qual perfezione con- dussero l'architettura militare i Michaeli ed i Vauban. Ma a canto dell'eroe vi stia l'uomo circondato dai vizii , e massimamente dalle sue piccolezze. « Ramsai (dice Rousseau) non avrebbe nella Vita di Turenna posto il fallo » del servo che batte Turenna sul di dietro, credendo ch'egli fosse il ser- » vo : e quand' anche fosse stato Giorgio, disse Turenna , non bisognava » percuotere sì forte. Ecco ciò che non osate dire miserabili; siate dunque » senza viscere. Temprate , indurite i vostri cuori di ferro nella vostra vile «indecenza; rendetevi dispregevoli a forza di dignità. Ma tu, o buon giovi- » ne , che leggi questo fatto, e che senti tutta la dolcezza di un'anima che » si mostra anche nel primo movimento, leggi altresì le picciolezze di que- » sto grand'uomo, dacché si tratta della sua nascita e del suo nome. Pen- » sa che è lo stesso Turenna, che affettava di cedere il passo al suo nipo- »te, affinchè ben si vedesse che questo fanciullo era il capo di una casa «sovrana. Ravvicina questi contrasti, ama la natura, disprezza le opinioni, » e conosci l'uomo. » Emulatore del Turenna fu Federico il Grande. Denina presenta la Vita di Federico nelle varie epoche della sua esistenza, e lo spirito filosofico det- tatore delle Rivoluzioni d'Italia lo diresse in questo lavoro. Egli esamina le ' «44 cause per cui Federico fu si caldo zelatore della letteratura francese ; non poteva andare a versi del suo spirito vivace e della pronta immaginazione la let- teratura alemanna, zeppa a que' tempi di citazioni, e non animata dallo spi- rito scintillante degli scrittori che in quella stagione formavano la letteraria società della sua Corte. Ricorda le opere di Federico, ma se ne amereb- be una critica analisi. Rileva il genio dell' eroe nell' ottenere tante vitto- rie a fronte di un'armata numerosa; ma non ardisce chiamare a sindaca- to le ragioni delle guerre al severo tribunale del diritto delle genti ; e qui il Denina si mostra vile cortigiano, e non il filosofo mosso dall'amore del vero e del giusto. Termina la Vita con un quadro delle qualità di corpo e di spirilo di Federico, e lungi dalla satira e dall'entusiasmo, chiama a severo esame il sistema di governo, l'amministrazione di giustizia, le finanze, il commercio, l'economia rurale, la polizia, la religione, la tolleranza, la tattica. Merita il Denina severa censura per aver palliati certi difetti e giustificate inumane misure, come di aver sottoposto le risorse dello Stato al ferreo mili- tare sistema. Sia lode però al biografo di Federico d'aver liberamente detto essere stata l'indifferenza di Federico in argomento di religione la causa della corruzione de' costumi. Il Re (disse Denina) si è certamente ingannato nel pensare che la religione non sia necessaria alla morale ed alla politica, e s'ingannò quando credè che la dissolutezza, a cui lasciava un libero corso, potesse aumentare la popolazione. Può chiamarsi Grande Federico per un sistema di leggi fondamentali date alla Prussia a guisa di Licurgo e di So- lone? Fu grande per aver data una ferma base ai costumi, per aver formata la nazione ad un pensare elevato e giusto, e sviluppati sentimenti degni del- l'umana natura? Sarei reo di silenzio, se qui non ricordassi la Vita del Magno Trivulzio, scritta dal celebre Rosmini, biografo dei più diligenti ed assennati. Incomin- cia dalla prima educazione militare del Trivulzio, e gli tien dietro in tutte le guerresche intraprese, descrivendo i rovesci ed i successi in tutto il corso di ventiquattro anni fino all'estremo de' suoi giorni. Mette in iscena quanto fu detto in lode od in biasimo, e dal solo esame dei fatti risultano i massimi difetti e le virtù del Trivulzio, e le difese dalle calunnie e dalla invidia; sono pure posti in luce i suoi costumi, le sentenze, e le liberalità accordate alle scienze ed alle lettere. « Ringraziamo Rosmini (dice Giordani) che nella sua » modesta e schietta maniera si allontana da quelle gonfiezze, da quegli stre- » piti fastidiosi, da quelle stolide confusioni, che per molti sono divenute eie- i/,5 » ganze e sublimità, e lodate e ripetute sino all'insania. Il Rosmini fa pro- li fessione manifesta di uno scriver chiaro e semplice (quanto l'età nostra il cora- li porta) italiano. » PARTE III. Vite dei Filosofi, degli Uomini di Belle Lettere ed Arti, Le Vite scientifiche e letterarie a' nostri giorni sono per lo più rigurgi- tanti dì sterili relazioni, di curiosi fatti, e mancano di quanto è necessario per conoscere lo stato delle lettere e delle scienze, ed i metodi usati per av- vantaggiarle. Sarei di avviso che l'autore con occhio sagace penetrasse nelle case e ne' collegi, e là cogliesse la natura fino dai primordii della carriera letteraria. E di grandissimo momento l'osservare le forti e veementi inclina- zioni degli alunni a fronte dei poco assennati comandi degli educatori, e de- gli ostacoli opposti dalla tirannia dei falsi metodi. Si noti come l'uomo di lettere e scienze giovossi della ricevuta educazione, benché manca e viziosa, e per quali vie con reiterati sforzi venne a capo di scancellare le false idee e le fantastiche illusioni. E uffizio dello scrittore l'osservarlo quando rico- struisce l'edifìzio del sapere inscuotibile dalle vicissitudini delle opinioni e del tempo ; segua il filosofo nella ricerca della verità per istrappargli il se- creto delle scoperte. Dimostri quanto per esse le scienze si elevarono a per- fezione, e quanto traviarono le genti coi loro falsi sistemi; analizzi Io stile e le imitazioni, ed esamini i nuovi generi introdotti, a fine di vedere se essi gio- varono alle lettere, o se le condussero a perdizione con giganteschi concet- ti, e con lingua straniera ed affettata. Nello scrivere le Vite debbonsi inve- stigare le cause della grandezza e decadenza delle lettere e delle scienze ; esse si troveranno nel favore e carattere del governo, nella virtù ed energia di certe anime grandi, che con opere immortali hanno stabiliti i più illustri fasti letterarii. Non sieno temi se non le Vite di quegli uomini che esercita- rono una possente influenza sui progressi dello spirito umano, e che lo chia- marono a grandi destini. Se le indicate leggi fossero poste ad effetto, a quale ristretto spazio non sarehbero ridotti gl'immensi volumi delle Biografie? Rigido osservatore di queste norme mi sembra Fabroni nella Vita di Galileo. Nell'età di ventiquattro anni egli rovescia l'aristotelico regno, e Fabroni segna d'anno in anno le scoperte le più feconde nella Fisica e nell'Astronomia, e zela- '9 i46 tore dell'italico nome rivendica dalla, straniera invidia la gloria delle scoperte del Galileo. Questi, usando del telescopio, scuopre quattro Lune che si girano intorno a Giove, e fu il primo a dedurre dalle stelle Medicee una regola di calcolare le latitudini ; da lui il sistema di Copernico vien sottoposto alle ri- gide leggi della dimostrazione. Fabroni, dopo di aver poste in tutta la luce le scoperte del Galileo, non oinmette di far vedere le influenze su quelle dei successori, e per quali mezzi furono condotte a perfezione. A diritto si querela Fabroni dei filosofi oltramontani, i quali levando a cielo Bacone, Cartesio, Gassendi e Newton, passano in vergognoso silenzio Galileo. Fabro- ni crede che la modestia di lui ne sia stala la cagione, perchè non' volle formare una setta, né introdurre sistemi; «ma distruggere errori, trovare e «spiegare le leggi della natura. Verularaio insegnò il modo di filosofare e di «innalzar l'animo a maggiori cose, e già Galileo lo aveva mostrato con le sco- li perte e con le leggi; Cartesio scrisse de' poemi sulla natura, Galileo la sto- lida; quegli coi vortici involse di nuovo la filosofia nella oscurità, e porse » moltiplici occasioni di errare ; Galileo scandagliò cosa fu la natura , piutto- iistochè le cause con cui agisce, il che fu proprio della filosofia di Newton. 11 Di Galileo si può dire, e non di Cartesio, che fu il primo a distruggere la «filosofia scolastica, ed a segnare il vero cammino delle scoperte. Gassendi at- ti terrò Aristotile per innalzare Epicuro; Galileo rigettò ogni autorità in filoso- »fia. Di quanto non è superiore Galileo al Leibnizio nel fisico regno e nella u Astronomia! La Vita del Galileo scritta dal Fabroni è degna di essere proposta »a modello, né con tanta maestria e conveniente stile l'avrebbero tessuta un i> Fontanelle e un d'Alembert. » Nella Vita del Sibiliato Fabroni parla di volo della Dissertazione premiata dall' Accademia di Mantova sopra l'argomento : Quanto la Poesia influisca sul bene dello Stato. Perchè non intrattenerci con preciso estratto sul merito della Dissertazione Dello spirilo filosofico nelle belle lettere , opera che si meritò tanto applauso da questa Accademia e dall'illustre Merian? Su quanto scrisse il Sibiliato della eloquenza estemporanea, e sopra i mezzi di acquistarla, non al- tro il Fabroni disse, che espose copiosamente ed eruditamente. Da semplice no- menclatore compose le Vite di alcuni uomini distinti un biografo de' nostri giorni, da nominarsi però con onore per lo stile nitido, e per la lingua del secolo d'Augusto. Mi è sempre presente la Vita di Cornelio dell'illustre Fontanelle, Vita de- gna dei maggiori encomii pel modo con cui è stata composta, e per le rifles- '47 sioni saggiamente sparse. Presenta Io stato del Teatro francese prima di Cor- nelio, onde aprirsi la via a rilevarne i meriti. Cornelio solleva il coturno da basso luogo, fa sentire uria nuova lingua, conosce le regole degli antichi, le usa con discrezione, prende il volo nella Medea, monta al tragico sublime nel Cidj e da questo ascende gradatamente al Cina, al Politile; ultimo confine della tragica grandezza. Invecchiando non perde l'inimitabile nobiltà del suo genio; ma vi meschia della durezza, e spinge i grandi sentimenti al di là dei veri confini. Nella sua decadenza sfavilla ancora il genio nel Serlorio, e nell'Ottone vi sono le pennellate di Tacito. Fontanelle oppone la maschia e grandiosa eloquenza di Cornelio al secolo pendente al molle ed effeminato di Racine, ed in prova reca in mezzo la scena dove Attila delibera se egli si debba unire all'Impero che cade, o alla Francia che s'innalza. Nel ritrat- to morale di Cornelio si vede quanto la sua anima indipendente e fiera era formata a dipingere le virtù de' Romani. Voi ben vedete, colti Accademici, che il solo gusto filosofico, ornato di grazie dal celebre Segretario dell'Acca- demia di Francia, poteva darci una Vita degna del gran Cornelio. A canto di Cornelio vi sta il fiero Alfieri, pittore di sé stesso nella sua Vita estesa con amabile schiettezza e sublime semplicità. Fino nella sua puerizia si scorge l'Alfieri della virile età, poiché nell'adolescenza e gioventù sente fino all'ec- cesso, l'emulazione il tormenta, sdegna qualunque legame, volubile si annoja di tutto, la fierezza e l'amor della indipendenza gli stanno sempre a canto. Il più potente agitator del suo cuore e dell'intelletto si era il teatro, e la voce di contralto e di donna gli destavano varii e terribili affetti. Sentiva il sommo bisogno di avere il cuore occupato da un degno amore, e la metile da un qualche nobile lavoro. Si dà alla filosofia, e le Vite di Plutarco lo misero in trasporto di pianto e di furore: ecco l'analogia delle anime. Quella di Alfieri era sì fattamente temprata da porre degnamente sulle scene le ani- me grandi. Sentì alla fine di essere dalla natura destinato al coturno. Quel- l'anima indomita e bollente di ventisette anni si pone allo studio della gramma- tica italiana; tanto può in generoso petto l'amor della gloria! Tenta e ritenta ogni maniera di versi , e trovando languide e triviali le tragedie italiane e francesi, si pone nello studio de' classici greci, e reca sul teatro una lingua degna del coturno. Non si stanca di correggere lo stile, e porge docile l'orec- chio ai colti amici. Poteva l'Alfieri ommettere nella Vita molte stravaganze e i disonesti amori, passare in silenzio i replicati viaggi, estendendosi più a nostro ammaestramento nel racconto delle letterarie fatiche. Si amerebbe di i£8 vedere come cada negli errori, come si rialzi nella condotta delle tragedie, nei sentimenti e nello stile ; vorrebbesi sapere quali effetti produssero le sue tragedie , quali applausi riscossero , e quali lasciarono freddo lo spettatore . Dall'amore del vero, da cui era animato Alfieri, e da' suoi sommi talenti do- vevasi attendere un'arte poetica del teatro. Dalle tragedie dell'Astigiano ben seppe trarre le leggi l'illustre scrittore ab. Prof. Meneglielli Preside di questa Accademia. Dalla Vita dell'Alfieri ne rileva il carattere, che tanto di possan- za ebbe sul fiero e sublime delle sue tragedie ; ed in piena cognizione del teatro greco e francese , guidato dallo spirito filosofico animatore de' suoi la- vori, pose in eloquente evidenza il sommo pregio della condotta dello stile, del dialogo e dei caratteri, e con ponderata logica seppe vendicare l'Alfieri dalle ingiuste ed invide critiche. Questo è un durevole monumento eretto alla gloria, e l'Alfieri esulterebbe nel vedersi encomiato non dal solito pomposo stile , voto di cose e splendido di parole , ma dalla filosofia perfezionatrice del gusto , e da una eloquenza dotta e placida , adorna di que' soli abbiglia- menti che l'alto subbietto domanda, e che imperiosamente in questi tempi esige il sapere della colta Italia. Si piange tuttora la perdita dell'illustre Ro- smini scrittore di Vite, il quale alla somma accuratezza seppe unire lo spi- rito filosofico, che analizza e pesa con equa lance le letterarie produzioni, rilevandone i pregi ed i difetti. Nella Vita di Vittorino da Feltre vi si scorge nel suo metodo di educare la celebre distinzione di Locke, l'educazione cioè del corpo, dell'intelletto e del cuore. Nella Vita del Guarini svolge il meto- do da lui usato nella instituzione dei giovani nelle amene lettere. In quella di Ovidio, dettata da una severa critica, pone in evidenza il suo carattere mo- rale ed i meriti letterarii. Nella Vita di Seneca il Rosmini chiama al tribu- nale della sua imparziale critica tutti i contrarli pareri sul merito letterario e sulla morale di questo filosofo, gli eccessi nella lode e nel vituperio, e proferisce un giudizio sì retto, da meritarsi gli applausi di tutti i dotti ama- tori del retto e del bello. Quale diligenza, quale estesa erudizione, quale sen- satezza in tutti i lavori del Rosmini ! Sono alle amene lettere in amica concordia unite l'arti belle: esse mansue- fanno la nativa austerità dell'uomo, ed adornano la vita incresciosa e trista quindi giusto si è il desiderio di voler tramandare alla posterità la memoria degli illustri pittori, scultori ed architetti. Il Cellini merita di essere noverato fra gli scrittori di Vite ; egli franco, disinvolto espone i suoi capricci e le avven- ture, e ricorda le sue opere, che tanto poterono sul perfezionamento delle *49 arti belle. Le Vite del Vasari formeranno, a fronte delle tante inesattezze e parzialità pe'suoi Toscani, la gloria dell'italiana letteratura. Boltari, giusto esti- matore di queste Vite, disse : « le azioni de' Professori sono estese con tanta » leggiadria e naturalezza, che col suo stile e maniera incanta i lettori. Ha "ripiena questi l'opera di utilissimi precetti sull'arte, di osservazioni sopra » gli edifizii più illustri, e sopra le statue e le pitture dell'Italia. Rintraccia » le cause dell'innalzamento e decadenza delle varie Scuole d'Italia, e rende » ragione di tutte le vicissitudini dell'arte. Vi sono dipinti i caratteri degli » uomini grandi nell'arte, senza tacere i loro vizii e stravaganze. Aggradevole » al sommo si è la lettura per la varietà e la ricchezza de' concetti, non me- nno che per lo spirito e il decoro dello stile.» Ammaestrato dalla lettura del Vasari, e dalle raoltiplici e sensate critiche, Quatremer de Quincy diede ai cultori delle belle arti la Vita di Raffaello. Il perfetto gusto, la profonda cognizione delle arti belle, l'eleganza dello stile, conveniente a sì ameno subbietto, sono qualità a meraviglia unite nella Vita dell'Urbinate. Questa, oso dirlo, è il vero archetipo delle Vite, né l'Italia può vantare l'eguale. Sottomise alla cronologia le tele di Raffaello, onde mostrare la via percorsa, e la marcia progressiva del suo pennello. Alla scuola del Pe- rugino non ha ne espressione né movimento, ma è semplice negli atteggia- menti. Per opera del Vinci e del Buonarrolti le belle arti passarono tosto dall'adolescenza alla virilità. Raffaello vede le loro tele, cambia maniera, ma non abbandona del tutto l'antica, ed incomincia ad apparire ne' suoi dipinti l'espressione incognita al Perugino. Ecco i primi passi; e già si manifestano i tratti che caratterizzano la seconda maniera, cioè bella fisouomia , belle at- titudini, vestiti variati, passando nella storia a novità di composizioni. Buonar- rotti dall'antico prese la forza, la grandezza, la scienza; Raffaello, la purità, la nobiltà, la grazia ingenua, conforme alla sua natura ed educazione. Il car- tone di Micbelangelo l'induce a studiare il nudo; ma preferisce la grazia alla forza ed alla scienza anatomica, dà più sviluppo alle forme del suo di- segno, più libertà ed ampiezza al suo stile; ma non cambia carattere, né cessa di seguire la linea tracciala dal suo genio. Quatremer segue Raffaello in Roma, eterno domicilio delle arti belle. Osserva Raffaello nella maturità è nei progressi, neh' immaginare, nella espressione, nel colorito; sottopone all'analisi le Scuole del Sacramento e di Atene, il Parnasso, la Jurisprudenza. Dal dottissimo parallelo tra Raffaello e Buonarrolti risulta che lo stile di que- sto per nulla influì alla perfezione di quello. Attinse Raffaello dagli antichi i5o lo -stile puro , che non è secco ; la grazia, che non è affettazione ; la nobiltà senza pompa, ed una ricchezza d'invenzione inesauribile. Buonarroti è gran- de pel disegno; Raffaello per tutte le qualità che formano il massimo dei pittori. Trionfa su Buonarroti nella Farnesina per la maniera nobile, pura e graziosa; il che costituisce lo stile della ideale bellezza degli antichi. Con la stessa filosofia delle arti l'Urbinate dipinse l'Attila, le loggie, i cartoni per gli arazzi, e per ogni dove si scorge il perfetto ed il sommo della pittura. Quanto dottamente non ragiona sulla composizione , sul disegno e sulla espressione di Raffaello ! Voi ben vedete da questo breve saggio della Vita di Raffaello det- tata da Quatremer, com'egli abbia tocca la perfezione nello scriver le Vite. Non il Condivi, non Botlari, non Lanzi giunsero tant' oltre, e gli cedono di molto nel tracciare il lento avviarsi di Raffaello al sommo stile, nel distinguere le varie età, e nell' assegnare ad esse il vero carattere. Non congetture, non autorità, ma un'accurata e lunga osservazione lo guidarono ne' suoi giudizi]. Non è degna di ricordo la Prefazione in forma di Vita premessa alla Storia del Disegno del Winckelmann. Non instituisce un esame sul merito e sui difetti di quella Storia , ne fa vedere quale influenza esercitò sullo studio dell'antichità e sui progressi delle Arti Belle. Il dottissimo e severo censore Mi- lizia prende le mosse dagli architetti antichi, e discende fino a' tempi nostri; fa soggetto di esame gli studii, lo stile del fabbricare d'ogni secolo, e dei più celebri architetti; nota gli errori consacrati dall'autorità, tutto si ado- pera per richiamar l'arte divina ai veri principii , e da lui non mancò se ancora non fu restituita al nobile destino. In poche linee nella Vita del Pal- ladio rileva il di lui carattere semplice e maestoso , e da queste due emi- nenti qualità fa derivare le regole seguite nelle fabbriche , delizia e meravi- glia dei cultori della prima fra l'Arti Belle. Egli studiò (dice il Milizia) più ad imitar l'antico, di quello che d'esaminare se l'antico era esente da vizii ; nulladimeno egli è il Raffaello dell'Architettura. Se avessi in dono il pennello dell' Urbinate, vorrei ritrarre le tante virtù e i talenti degli uomini clie a dovizia onorarono quest'Accademia e questa celebre Università. Fui ardito a segno di proporre delle leggi per tessere le Vite ; ma mi è forza il dire che mi cadrebbero le mani se osassi porle ad ef- fetto. STORIA DI EPILESSIA PRODOTTA DAL TENIA. MEMORIA letta all'accademia di Padova li xxix maggio mdcccxxvii DAL SOCIO ATTIVO GIUSEPPE MONTESANTO VjJ nell'uomo che nel deserto affronta il leone e lo incatena, che fra i ghiacci del polo assale la halena e seco la trascina fatta sua preda, che af- ferma in mezzo alle selve la serpe e ne sfida quasi per giuoco il dente mor- tifero; quell'uomo istesso giace poi non di rado oppresso dal potere di alcuni tenuissimi esseri viventi, i quali appiattandosi nelle sue viscere, ivi si alimentano, si propagano, e di là gli muovono talvolta aspra pertinacissima guerra. Tra questi esseri infesti si annovera il tenia; verme intestinale proprio del- l'umana specie, e di varie altre famiglie di animali; verme tra gli altri tutti atto a suscitare in noi singolari accidenti, e le forme di molte malattie tanto ribelli per l'indole, quanto oscure per l'origine. Il perchè, sebbene le Opere di Medici riputatissimi abbiano di già a noi tramandate le storie di que' mul- tiformi malori che dal tenia tal fiata trassero principio ed incremento, non credo tuttavia inutile fatica l'andar raccogliendo sempre nuovi fatti relativi a questo grave argomento; ed è perciò che io imprendo qui ad esporre la Storia ragionata di epilessia prodotta dal tenia , siccome quella che ci offre il mezzo di conoscere confermate alcune pratiche verità importanti per chiunque proceder voglia con tranquillo e fermo passo nella osservazione e nella cura de' morbi dal tenia sviluppati. II caso di cui intendo ragionare si è quello da me veduto in Lorenzo To- hn padovano, il quale abita a S. Massimo, e lavora di forme da scarpe. Quest'uomo di circa Irent' anni, ben formato della persona, piuttosto pin- gue, di sano e robusto aspetto, se si eccettui il pallido color della faccia, padre i5a • di numerosa e nella famiglia, giunse al vigesimosesto anno dell'età sua libero da malattie, quando fu d'improvviso colto da gravissima epilessia. Riavutosi il Tolin dal fiero parossismo, non sapeva indicare cosa avesse mai potuto cagionargli sì inaspettato e minaccioso assalto. Se non che sapen- dosi aver egli in addietro abusato di liquori spiritosi, e riflettendosi cbe aveva da ultimo condotta in moglie giovane donna, presto si concluse che ad alcuni eccessi nella vita attribuire in lui si dovea l'insorto malore, poiché, a dir vero, accade troppo spesso cbe i poveri infermi ricevano da noi qual primo conforto ai loro mali il rimprovero, che è manifesto averne essi medesimi tutta la colpa. Furono allora praticati tre salassi, si amministrarono de' gagliardi purganti, e per due interi anni non si rinnovò l' epilessia. Ma scorso quel riflessibile periodo di tempo, eccoli di nuovo in campo lo stesso male con forza mag- giore: gli accessi questa volta, in onta ai salassi ed alle copiose dosi d'olio di ricino, si riprodussero colla distanza prima di un mese, poscia di quindici giorni, ed in fine si fecero così frequenti da ricomparire persino sette fiate nel corso di sole ventiquattro ore , talché si disperava già della vita di questo infelice , a cui si prestarono gli estremi ajuli della religione. Ciò accadde nella state del i825: calmatasi in seguito la violenza del male, si applicarono delle mi- gnatte alle emorroidi, e si piantò alla nuca un setone ad oggetto di riparare agli effetti sinistri che sul sistema cerebrale suppouevansi nati dallo sparire di una impetigine arida e squamosa, la quale occupava poco prima la parte ca- priata della testa. Tutto questo però non impedì punto che assai frequenti ricorressero gli accidenti epilettici, ed anzi parve di poter dedurre dal confronto delle prece- denti epoche, che codesti mezzi, ed il setone singolarmente, lungi dal vin- cere, o scemare almeno, le ricorrenze de' parossismi, le rendessero invece più spesse, se non più gravi. 11 Tolin, trascinando così una vita assai meschina e reso del tutto inetto a' suoi lavori ordinarii, trovossi costretto nel Marzo dell'anno scorso di pre- sentarsi alla Commissione di Pubblica Beneficenza per ottenere un giornaliero soccorso, col quale riparare ai più urgenti bisogni della sua famiglinola. Si fu in quella occasione che io vidi per la prima volta codesto uomo, e sentii il racconto della sua malattia. Da alcuni cenni sfuggiti all'infermo men- tre io andava interrogandolo intorno ai varii fenomeni del suo male, e dallo slesso suo aspetto mi parve esservi luogo a sospettare che la malattia ricono- scesse in lui per cagione un disordine estraneo al capo, e proprio invece delle i53 vie intestinali; e sperai quindi che, battendo una strada diversa da quella già praticata infruttuosamente nel medicarlo, fosse per risultarne un più fortunato effetto. Proposi perciò ai benemeriti miei colleghi di quella Commissione che fosse conceduto un sussidio temporario al Tolin, e mi riserbai di trovarmi col suo Medico per avere più sicuri lumi sulla storia del male, e per comunicargli altresì su di ciò le mie idee. Nella conferenza seco lui tenuta alla presenza del malato il mio sospetto sulla causa probabile dell'epilessia acquistò sempre maggiore fondamento mercè l'ispezione di alcuni frammenti organici che erano stati in quello stesso giorno evacuati dal Tolin, al quale io aveva già dato l'av- vertimento di gelosamente raccogliere, di lavare e conservare nell'acqua mista ad un po' di alcool tutti i pezzetti di pelle bianca, com' egli li chiamava, che avevami fatto comprendere essere da lui a quando a quahdo scacciati colle feccie. Erano questi pezzetti altrettanti anelli del tenia, ma così alterati e guasti da non poter essere riconosciuti per tali se non a grande stento anche da chi aveva qualcbe pratica in siffatte cose. Presi da ciò coraggio di raccomandare l' olio etereo di terebintina alla dose di tre dramme con un' oncia d' olio di ricino; a questo rimedio tenne prontamente dietro l'eliminazione di una parte di tenia lunga ben tre braccia, e proseguendo le stesse dosi coli' intervallo di qualche giorno , proseguì pure ad accadere la separazione di piccioli nodi dello stesso animale con immediata e somma diminuzione nella gagliardia e nella frequenza degli attacchi epilettici, poco prima così forti e ripetuti. Si passò in progresso all'uso dell'ossido di stagno misto a qualche dose di gommagotta con sempre maggiore profitto, talché gl'insulti avendo a mano a mano perduta ogni loro caratteristica forma, eransi ridotti ad assumere quella di una lieve fugacissima estasi. Perseverando nell'amministrazione degl' indicali rimedii, ma colle debite misure, si ottenne poi che nel giorno 12 Giugno dell'anno decorso, cioè tre mesi circa dopo l'intrapresa nuova medicatura, il malato evacuasse ad un tratto un'altra porzione di tenia, alla quale andava unito l'esilissimo collo, ed a que- sto appesa la testa dell'animale, come appunto scorgesi disegnata nelle tanto accurate figure dateci dal cel. Bremser (0. (1) Dott. Bremser ùber lehende fVùrmer questa parie dell'animale, e la sottopose al- im lebcnde Menschen. Wien 1819, in 4.° la osservazione degli Accademici nell'atto di TafelIV. Fig. I. — L'Autore conserva tutta comunicar loro la presente storia. 20 iS4 Ciò avvenuto, il Tolin sentissi tosto quell'universale ben essere, e quel pronto rinascere delle forze, che è sempre il più sicuro testimonio della gua- rigione ottenuta; e il poveruomo tornò così vigoroso e contento al suo pri- miero travaglio, sciolto da ogni benché menoma minaccia nervosa, e liberato persino da quelle interne molestie ch'ei soffriva da più anni senza saper ben dire in che propriamente consistessero. Sarebbe stato d'uopo che i marziali, le acque di Recoaro specialmente, e sopra tutto la costanza di una cauta dieta, avessero dato il tempo ed il mezzo di ridonare stabilmente alle pareti intestinali del Tolin ed a tutto il suo siste- ma digerente quella vigoria che la perseveranza e l'indole della causa morbosa, e l'uso stesso delle medicine praticate non potevano non avere grandemente scemata ; ma le ristrettezze domestiche di Lorenzo resero affatto vani questi voti dei Medici, i quali non hanno sempre a combattere contro la sola ma- lattia, opponendosi pur troppo tal fiata ai loro sforzi qui il rigore della mise- ria, là invece il soverchio dell'agiatezza, e più spesso le importune querimonie di un mal consigliato amore, o i delirii del capriccio. Erano scorsi quattro mesi senza molestia alcuna, e senza che nelle feccie ricomparissero anelli di tenia, quando sulla fine del Settembre successe un nuovo attacco epilettico : il Tolin aveva in que' dì bevuto a larga mano del vino nuovo in istato di fermentazione, e si attribuì da' suoi parenti a questo errore commesso quell'attacco; è da sapersi ancora, che poco dopo fu eliminato da lui per l' alvo un grossissimo lombrico. Si ricominciò per mio consiglio l'uso delle polveri coli' ossido di stagno, e delle replicate dosi d'olio di ricino; il che peraltro si fece raramente e con imperfetto metodo, perchè il Tolin sentivasi a star bene, e poco temeva ornai il suo male. Passò egli di nuovo tre mesi in piena calma , quando ai 3 Di- cembre cadde un'altra volta epilettico, e così pure ai 2 Gennajo di quest'anno, giorno in cui nel breve giro di nove ore rinnovossi per ben tre volte il pa- rossismo, non già però colla forza dell'anno precedente. Codesto sì forte riprodursi del male costrinse il nominato uomo a ritor- nare con qualche frequenza alle consuete medicine, dalle quali si ottenne una sollecita mitigazione dei fenomeni. L'epilessia fu presto bensì domata, ma di quando in quando insorgeva rapidamente nelle ore mattutine certa ingrata sen- sazione al cardias, dalla quale l'infermo veniva reso accorto che perderebbe subito i sensi e caderebbe, per cui chiamava tosto soccorso, e talvolta adagia- vasi da se slesso in modo da non pericolare. i55 Tutto questo accadeva tra il Gennajo passato ed il principio del corrente mese; a lunghi intervalli però, e senza che si fosse manifestata nelle escre- zioni del ventre veruna traccia di tenia. Volli, tre settimane or sono, sperimentare il decotto della corteccia di ra- dice di pomo granato, di cui i Giornali medici d'Inghilterra, di Francia e d'Italia hanno recentemente parlato, e valse questo a scacciare, miste alle fec- cie , parecchie esili porzioncelle di tenia, riconosciute dallo stesso malato come simili allo incirca a quelle che si vMpt. quando ehh<» luogo il primo consulto a suo prò. Tale è ancora lo stato del Tolin , a cui se non arride per anco un' in- tera salute, come nella state dello scorso anno, dopo l'espulsione del tenia avvenuta nel Giugno , non gli è però adesso negato -di attendere a' suoi la- vori, e di portare speranza che, continuando nella pratica degli opportuni mezzi, perverrà a sottrarsi del tutto dalla influenza di un nimico già noto (i). A questa semplice ed ingenua esposizione dei fatti da me stesso veduti siami ora concesso di aggiugnere alcune poche cose: altre che risguardano il verme stesso espulso dal suddetto infermo ora compie un anno; altre poi re- lative agli effetti da esso prodotti, non che al ritorno dopo quell'epoca del- l'epilessia per la cagione medesima. E primamente dirò, essere il verme di cui ragiono il tenia, detto da Lin- neo e dal Rudolph taenia solium , da altri chiamato tenia armata umana, distinto dal Cuvier nel suo Règne animai col nome di taenia à longs an- neaux, verme tra noi conosciuto anche sotto il nome di cucurbitino, e vol- garmente di verme solitario. Egli è questo quel verme intestinale dell'ordine Cestoidea, del genere Tae- nia, e della specie armatae, di cui il cel. Rudolph col linguaggio della sua scienza diede la seguente accuratissima descrizione. Taenia capite subhemi- sphaerico, discreto, l'ostello ottuso, collo antrorsum increscente, arliculisque anterioribus brevissimis, insequentibus subquadratis, reliquis oblongis, omni- bus obtusiusculis, foraminibus marginalibus vage alternis (2). (1) Corre adesso (Aprile i83o) ornai un solfato di magnesia, rimedio che, pel suo lustro da che quest'uomo fu liberato dalla poco costo ed i buoni effetti che gli produ- violenta epilessia ond' era afflitto ; ed ora , ce, preferisce a tutti. tranne qualche raro e passeggiero turbamen- (2) Entozoorum Synopsis. Berolini 1819, to nervoso, è sano mercè, io credo, il soccor- in 8.° fig., pag. 162. So di spesse purgagioni, cui si procura col i36 Questo verme pone sua sede negl'intestini tenui dell'uomo, ed è comune a tutti gli abitatori delle varie contrade della nostra Europa, tranne però la Polonia, la Russia, la Svizzera, e qualche parte della Francia, ove incontrasi invece un'altra specie di tenia, cioè la taenia lata Linn., taenia grisea } ov- vero tenia inerme umana di altri, la quale nei più recenti sistemi di Elmin- tologia non appartiene però più al genere Taenia j ma bensì al genere Bo- thriocephalus. PSOn 6 ClUCOto il ltlOgo di rtpofor© o»i r*\i «» »iollo Onaro l'InoMtiatlSSime (Il Bremser (i) e di Rudolph (2) viene sì diligentemente esposto intorno alle es- senziali differenze esistenti fra codesti due esseri, i quali furono sino agli ul- timi tempi creduti appartenere allo stesso genere, e talvolta persino confusi fra loro nella specie , attesa la decisa rassomiglianza delle loro forme più ap- pariscenti. Ma ciò piuttosto, su di che io amo riflettere, si è il vedersi nell'esemplare da me conservato, uscito dal corpo del nominato uomo, non solo un lunghis- simo tratto di sempre decrescenti articolazioni che terminano nel minutissimo collo dell'animale, ma altresì l'essere aderente ad esso la sua testa in forma di piccolo tubercoletto emisferico, cosa che rarissimamente avviene di osservare, sendochè le tenie sogliono uscir tronche dal corpo dell'uomo, e quindi tro- vansi quasi sempre acefale. Venne da ciò che lo stesso sommo Linneo giudicasse essere questi ani- mali manchevoli del capo, siccome i polipi, e dicesse: Credibile est latos no- stros vermes (cioè le tenie) vel capita non habere, vel etiam neminem ea invenire posse circa extremitatem scilicet majorem prout reliqua comma- niter habent ammalia (3). Dalle quali parole si fa manifesto che ai giorni di Linneo erano ancora molto imperfette le notizie che si possedevano circa la conformazione delle parti di simili vermini , ignorandosi persino allora che in essi la testa, lungi dall'essere collocata al lato maggiore del loro corpo, era invece appesa ad una serie assai lunga decrescente, e quasi sfuggevole, di nodi simulanti piuttosto una esilissima coda. A comprovare poi vie più la difficoltà somma di poter avere il tenia for- nito della sua testa ricorderò che 1' accuratissimo Bremser nella sua Opera dice (1) Op. cit., pag. 169 e segg. Ecrits de Linné par Richard Pulteney. Tra- (2) Op. cit., pag. 468. duction de l'Jnglais par L. A. Millin de (3) Amoenitates Academicae. Voi. II. pa- Grandmaison , à Londres 1789. Voi. I. pa- gina 85. Vedi inoltre Bévile generale des giiia 336. i57 a pag. 107, « che tra parecchie centinaja d'individui molestati dal tenia, e da » lui curati, non ve n'ebbe un solo, il quale ne vedesse uscire dal proprio corpo » la testa. » In codesta Opera, di cui parlarono con lode i più accreditati Gior- nali di Europa, e cbe fu con grande cura tradotta in francese dal Dott. Grund- ler, e pubblicata in Parigi nel 1824 M per consiglio del celebre Humboldt, pos- sonsi, da chi '1 bramasse, vedere esposte le dilicate ricerche istituite dal Bremser per rilevare la struttura, l'uso e le mutazioni successive delle varie parti spet- tanti alla testa del tenia. Venendo ora a ragionare intorno a quei fatti onde si compone la storia da me tessuta , credo innanzi tutto dover qui proporre questa importante do- manda : Come avvenne egli che Lorenzo Tolin , vissuto sano sanissimo sino ai 26 anni, fosse poi a quell'età d'improvviso assalito da epilessia a cagione del tenia, se un tal animale non potendo essersi sviluppato che con lento pro- gresso, avrebbe dovuto prima, a quel che sembra, cagionargli in proporzione al suo aumento alcuni molesti effetti, quasi precursori del fiero morbo cui slava più tardi preparandogli? Al che peraltro è facile rispondere, facendo riflettere essere resa manifesta in alcuni dalle separazioni del ventre l'esistenza del te- ria , e più spesso ancora di altri più comuni generi di vermini intestinali , senza però che la salute di quegl' individui ne senta detrimento alcuno, quando al contrario essi medesimi sotto diverse circostanze, ovvero individui da quelli diversi, ne soffrono grandemente. Il che ci conduce naturalmente a concludere, che non dalla sola esistenza comunque dei vermini nel tubo degli alimenti na- scono per necessaria conseguenza i loro tristi effetti, ma che a ciò concorrer deggiono altri elementi, tra i quali sembra doversi ammettere precipuamente la posizione cui lungo quella cavità prendono simili animali, che ne sono talvolta ad un tratto abitatori e nimici fatali. Con che verrebbe presto ad intendersi per qual modo nel Tolin potesse il tenia rimanere lunga pezza senza nuocere, e poscia tutto ad un tratto dive- nisse in lui sorgente di gravissimi fenomeni ; poiché ben vedesi come un es- sere, quale si è il tenia, atto a spingere le sue membra nelle più riposte parti delle tonache intestinali, può rapidamente, traendosi da un luogo meno irri- tabile ed importante di esse, alcuna invaderne e punzecchiarne tra le più sen- ti) Traile zoologique et physiologique Grundler, révu et augmenté de notes par sur les vers inteslinaux de Thomme par M. JU.de Blainrilh. Avec un Atlas. Paris i8a4, Bremser, traduit de V Allemand par M. in 8.° i53 sibili, ed influenti sull'universale economia. Parmi che, ricorrendo a questo prin- cipio, intender si possa donde arrivi che eieno anche così mutabili e strani quegli accidenti che i vermini in generale producono, e come non siavi ma- lattia, quasi dissi, ch'essi simulare non possano, irritando i dilicati e copiosi nervi sparsi sugl'intestini, e giugnendo così per opera dei consensi loro a pro- durre ora un semplice titillamento alle narici, ed ora persino a suscitare i più terribili insulti convulsivi. Il perchè la slessa epilessia verminosa, della quale io reco un esempio so- lenne, fu veduta altre volte e riferita dagli osservatori 5 e lo stesso Bremser parla di un giovanetto di nove anni preso da frequentissimi e violenti accessi di tal malattia, il quale andava separando a brani il tenia, e non ne fu guarito che dopo avere espulso sotto la medicatura di lui l'intero verme, avendolo ve- duto da poi il citato Bremser nove anni dopo del tutto sano. E qui trovo opportuno di riflettere su quest' ultima circostanza , notata da così esperimentato uomo, che il caso da me narrato prova essere appunto ne- cessario di non pronunciar troppo presto e con asseveranza siccome radicale e costante la guarigione di un morbo prodotto dal tenia, perchè dal inalato fu eliminata la testa di tal verme. Ciò, a dir vero, è comunemente creduto ed insegnato anche da maestri riputati dell'arte, i quali scrissero: «si è dai Pra- » liei concluso che gli" accennati sintomi si mantengono fino a tanto che l'am- » malato non evacua la testa delle tenie (1). » Ma il mio malato, come dissi, scacciò nel Giugno quel tenia, cui si os- servò essere appesa la testa; eppure nel successivo Settembre ricadde nell'epi- lessia, a cui pili tardi susseguito nuova evacuazione di porzioni del tenia. Dal che è forza inferire, o che il Tolin racchiudesse sin da principio entro di sé più di un individuo di questa specie di verme, il che ancora è stato veduto accadere, o che le uova deposte dal primo abbiano preparata la successiva ri- produzione di altro simile animale. Siccome poi non vi ha quasi mai certezza che sia stata eliminata la testa del tenia , venendo essa di leggieri a distaccarsi dal rimanente del corpo cui appartiene , ed andando a confondersi inosservata tra le materie fecali ; così io credo che, perdutasi questa parte, siasi in molti casi preteso a torto ch'essa non era uscita solo perchè presto o tardi eransi riprodotti i soliti accidenti (i) Brera V alenano Luigi. Lezioni medi- pò umano. Crema 1802, in 4-° l'g- Lez. III. co-praticlie sui principali vermini del cor- pag. 8g. morbosi, quando piuttosto venivano questi a nascere per un secondo verme su- perstite o successivo al primo. E parimente deesi considerare erronea l'opinione comune a molti, essere il tenia un verme che non tollera la presenza simultanea di altri vermini, né della sua specie né di altre , onde gli venne applicata la denominazione , starei per dire più romantica che medica, di verme solitario. Posso assicurare di avere io stesso raccolto ad un tempo da un medesimo individuo più brac- cia di tenia e due tricocefali, genere di verme dell'ordine Nematoidea, som- mamente picciolo, col capo sottilissimo, e ravvolto a spirale quasi come un ca- pello arricciato. Che più? 11 nostro Lorenzo nel Settembre decorso, all'epoca della riprodottasi epilessia , mandò fuori un grossissimo lombrico comune , ed incominciò pure poco dopo ad avere nuove separazioni di tenia per certo coe- sistente col lombrico. Sino a che però sarà per noi affatto arcana, com'è al presente, la via per la quale entrano neh' uomo i primi germi delle varie specie di vermi intesti- nali a lui proprii; sino a che ignoreremo le leggi che presiedono al loro svi- luppo, alla loro riproduzione, ed alle vicende cui subir debbono nel chiuso ospizio che loro assegnò natura; sino a che vedremo, senza potere spiegare il come , i Russi e gli Svizzeri , popoli posti a tanta distanza di luoghi , e sì di- versi fra loro di abitudioi, soggetti esclusivamente ad avere il botriocefalo, come dai più si tiene per fermo, mentre in Italia ed in altri luoghi d'Europa è in- vece comune soltanto il vero tenia ; noi non potremo neppur lusingarci di pos- sedere nozioni positive e sicure intorno ai successivi probabili loro effetti dopo una qualche tregua ottenuta mercè la evacuazione di alcuno di questi esseri. Dalla quale considerazione il Clinico trar dee l' importante corollario , che ad assicurare la salute di chi soffriva molestie più o meno gravi dal tenia non basta l'avere ottenuta la eliminazione di tutto quanto quell'animale, ma che torna altresì necessario l'insistere non solo nell'uso dei rimedii che dapprima giovarono, ma il proporsi inoltre con ogni mezzo, e colla dieta sopra tutto, di cangiare quelle condizioni del sistema , e quella temperatura particolare , per esprimermi così, del tubo gastro-enterico, sotto la quale prosperava il tenia, o che fu da esso ingenerata a danno di quell' organo. Intorno alla qual cosa la giornaliera sperienza mi convince che non si pos- sono stabilire norme costanti, poiché in taluno suscita i vermini una sorta di cibi che in altri li combatte e li fuga. E poiché i fatti dimostrano che co- desti esseri più allignano, come avvertì Bloch, ove le forze digerenti sono meno i6o * valide, e più abbonda la mucosità lungo le pareti intestinali, havvi così tutto il fondamento per credere, che per far bene debbasi studiare di conoscere quali sieno per ciascun individuo molestato da verminazione quelle sostanze alimentari che meglio e più presto ei digerisce, senza pretendere di fissare a priori il conveniente regime di dieta. Avea quindi ben ragione Francesco Redi, così cauto e sperimentato medico, quanto insigne naturalista e sommo letterato, quando nel ragionare dei mezzi migliori da adoperarsi contro i vermini scrisse : a io potrei dimandare quali evidenti, sicure, confermate e visibili esperienze » abbiano i libri de' Medici per mostrare che un tal qual si sia medicamento «uccida e cacci fuori del corpo umano i vermini; ovvero qual cibo, o qual «dolce manicaretto, o qual bevanda vi sia, che si possa dir con certezza che «ella gli generi, o per lo meno che ne fomenti la generazione e la nascita » e la conservazione? Si cammina per lo più anco ne' libri de' Medici al bar- » lume delle conjetture e delle apparenti probabilità, il che non è poco; e » fuor de' medicamenti evacuanti , e fuor delle piene e delle inondazioni mos- » se da' clisteri e da' vomitatorii acquosi, non si può affermar in questa ma- lteria de' vermini cosa veruna di certo: ed anco questo certo, appresso i Me- li dici più prudenti, ha le sue limitazioni, e forse, anzi senza forse, le sue in- » certezze e le sue eccezioni (i). » Laonde è cosa certissima in pratica non doversi affidare il Medico nella cura dei mali verminosi, e di que' in particolare che dal tenia dipendono, ad un metodo universale , aspettando da esso in tutti i casi gli stessi fortunati eventi. A lui fa d'uopo invece spiare con assidua attenzione gli effetti di ciò che amministra, colla ferma intenzione di modificare, o cangiare ove occorra, il metodo proposto ed usalo felicemente in altre occasioni. Quando si ponga mente a simile verità, comprenderassi bene per qual motivo sia presso alcuni salito in fama un rimedio che poi fallì del tutto nelle mani di altri. Rammento esservi taluno , nel quale io vidi riuscire 1' uso copioso del pretto latte meglio di ogni altra cosa per sedare i tumulti che dal tenia venivangli cagionati, e per determinarne sollecite e copiose separazioni; il che dee essere stato veduto da altri, avendo io letto non ha molto ne' Giornali, che il latte di asinella fu trovato efficacissimo contro il tenia. Ella è questa una prova di ciò che io poco fa proferiva sulla necessità di piegarsi con saggezza nella cura di questo, come di molti altri mali princi- (i) Opere. Tom. I. Osservazioni intorno agli animali viventi ec. Pag. 75. i6i pattuente cronici, alle individuali e talora singolarissime disposizioni dei malati. Consiste anzi qui il segreto di molti felici casi , i quali onorano tultogiorno l'arte medica, e si aggira su questo dogma uno dei cardini principali della dottrina dei medicamenti. Né io so in conseguenza comprendere come Samuele Hahnemann getti per base del suo metodo di medicare, detto da lui metodo omiopaticOj che una malattia dee essere combattuta con quei rimedii stessi che nell'uomo sano sarebbero capaci di produrre que' fenomeni di cui essa presenta il complesso ; poiché si viene così a supporre che una sostanza qualunque me- dicamentosa debba sempre ed in tutti produrre i medesimi effetti, non sola- mente quanto all'universale, ma altresì sui diversi organi in particolare. Ma ciò che più ancora osta in me contro una simile teoria si è quel tras- curare che per essa si fa ogni ricerca diretta a conoscere le cagioni dei mali, volendo che si ponga solamente attenzione ai loro effetti sensibili , che è quanto dire ai sintomi, col fine di scegliere per combatterli quelle cose stesse che li produrrebbero se non esistessero. Attenendosi a questa massima fondamentale della dottrina omiopatica non si avrebbe dovuto, nel caso di cui qui ragionai, arrestarsi a scrutinare se l' epilessia traesse la sua origine da questa o quella cagione , ma si avrebbe invece senza più dato di piglio a que' rimedii , i quali attaccando fortemente il sistema nervoso, ed il suo centro massimo in principalità, racchiudono il po- tere di produrre per sé stessi o tutti o in parte i fenomeni proprii dell'epi- lessia che si voleva curare. Ma quanto avesse potuto riuscire a bene nel Tolin un simile procedere, il dicano gli uomini più periti dell'arte, lo dichiari la sperienza dei più avveduti maestri ! (i) (i) Molto tempo dopo che io aveva scrit- » te età ? Che se si trovassero Medici cosi iu- ta questa Memoria, e l'aveva pur anco con- «considerati od audaci da cercare con tanto l'i- segnata all'Archivio dell'Accademia, il cel. ischio nelle pericolose malattie fatti contrarli Prof. Tommasini mi ha inviato in dono il » a quelli che furono per tanti secoli e da lutti suo bellissimo Discorso sul viaggio fatto a i> ì Pratici riguardati come certi sin qui, sa- Kapoli nel 1826, letto a' suoi discepoli al »rehbe pur d'uopo, per bilanciare il peso delle cominciainento deiranno scolastico 1826-27 )) osservazioni precedenti, che un corso d'etù (Bologna 1827), nel quale ragionando del- » egualmente lungo li confermasse. Nella qua- l'omiopatismo conclude così: u E chi osereb- » le supposizione la convinzion de' vantaggi del »be sottoporre alle asserzioni di un Hahne- v.simiha sinnlibus,ode\]a medicina omiopa- » mann i precetti d' Ippocrale, le osservazioni » tica nelle acute malattie sarebbe riserbata ai » conformi di tante Scuole, l'esperienza di tan- «Medici del quarantesimo secolo.» 21 lt)2 Tali sono le poche cose che mi parvero poter essere dette nel riferire la storia di un caso che, conducendo necessariamente la nostra attenzione sulla ri- cerca di alcuni fatti spettanti all' Entomologia , non può a meno di richiamarci al pensiero che l'immortale nostro Francesco Redi colle sue celebri Osserva- zioni negli animali viventi che si ritrovano negli animali viventi scuoprì pei Naturalisti e pei Medici un nuovo mondo, e procacciò così all'Italia anche que- sta volta l'onore di aver poste le fondamenta di uno di que' tanti edificii scien- tifici, cui gli stranieri poscia con indefessa opera crebbero a più ampie e splen- dide moli. SULLA 4 STOVIGLIA SOMMAMENTE ECONOMICA CHE SI FABBRICA IN PONTE DI BRENTA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXII APRILE MDCCCXXVIH DAL SOCIO ATTIVO CONTE NICCOLÒ DA RIO _T in da quando l'illustre Brocchi si trovava fra noi, e prima che forte bramosia di sapere e di fama lo conducesse nelle regioni africane incontro a que' pericoli che pur troppo il colsero, io mi sovvengo che, avendolo un giorno meco a mensa compagno, e discorrendo tra noi, com'è naturale, su cose a' nostri studii comuni, mi diss'egli che avevamo qui alle porte di Pa- dova tale fabbrica di stoviglie, che nella facilità della manifattura e nella bas- sezza del prezzo altre uguali non eranvi in verun luogo, e meritava per ciò d'essere fatta nota, e descritta. Io non dubito, che s'egli avesse potuto ritor- nare in patria, e qui venire, non avesse egli ciò eseguito, e steso su tale ar- gomento uno di quegli articoli che di lui tratto tratto vedevamo inseriti nel riputato Giornale della Biblioteca Italiana. Ora giacche non si può più da esso lui sperarlo, mi venne il pensiero di parlare di questa manifattura, benché certamente non sappia lusingarmi di trat- tare quest'argomento con quella estensione di viste e copia di erudizione con cui sapeva il Brocchi condire e far grandeggiare ogni più picciola cosa. §. I. Stoviglie di due sorta che si fabbricano in Ponte di Brenta. Fa d'uopo sin dalle prime avvertire che due sorta di stoviglia si fabbri- cano a Ponte di Brenta: una resistente al fuoco, ad uso di vasi da cucina, i64 ole, pentole, ec; l'altra non resistente al fuoco, ad uso di vasi per piante da giardino. E della prima che intendeva parlare il Brocchi; e di quella in- tendo io pure di qui parlare singolarmente, perchè per la facilità della manifat- tura e pel prezzo bassissimo da ogni altra si distingue. §. II. Luogo dove si rinviene la terra. La terra che serve ad alimentare questo picciolo ramo d'industria nazio- nale deriva dai monti Euganei, e si trova particolarmente in una valle a' pie- di del monte detto della Zucca, non molto distante dalla casa Turi. Colà scavasi la terra colio zappone, e se ne fanno delle palle di quattro decimetri all' incirca di diametro, che coi carri si trasportano al vicino cana- le di Mezzavia, dove s'imbarcano, e vengono poi per via d'acqua trasportate al Ponte di Brenta. La condotta sino al Ponte di Mezzavia sta a carico de- gli scavatori: i fabbricatori di pentole pagano agli scavatori 18 centesimi per ogni palla di terra condotta all'indicato Ponte di Mezzavia. 4 §. III. Manifattura. Sbarcata la terra a Ponte di Brenta, e bagnata a sufficienza, si lavora hen bene co' piedi per un'ora e mezzo, e se ne tolgono i così detti scoranti, piccole concrezioni semi-pietrose, che più o meno abbondanti si trovano assai frequen- temente sotto la superficie de' nostri terreni coltivabili , con molto disgusto degli agricoli, perchè steriliscono il fondo , e molto nocumento portereb- bero all'umile manifattura, se non se ne purgasse ben bene l'argilla, perchè abbondando in questi scaranti la terra calcarea, questa colla cottura delle pi- gnatte si converte in calce, che poi assorbendo l'umidità e l'acido carbonico si gonfia , si converte in polvere , e finisce col lasciar de' buchi nel vasella- me, che diventa inetto agli usi. Così preparata la terra , vi si mescola un terzo circa del suo volume di arena di fiume, con che è già ridotta atta al lavoro, e si passa al tornio; pochi colpi di piede e pochi giri di ruota bastano a formare una pentola, un caldano, o cosa simile ; ma pure non in una sola volta si compie il lavoro, che anzi tre volte una pentola va su la ruota prima di ricevervi il suo perfezionamento: nella prima le si dà la forma, poi si mette al sole, e si lascia alquanto asciu- i65 gare ; si melte sul tornio la seconda volta , e vi s' attaccano le orecchie ; si riporta al sole, e si asciuga ancora alquanto di più: vi si ripone la terza volta, ma rovescia, e sopra un pane fatto della stessa argilla, perchè le orec- chie e gli orli non tocchino la superficie del disco; si ripulisce con un cen- cio inumidito, e vi si attaccano i piedi; dopo di che le pignatte già ridotte alla loro perfezione, e stabilite, come suol dirsi con vocabolo tecnico, si la- sciano perfettamente seccare, e si passano alla cottura. §. IV. Cottura e prezzo. L appunto il modo di cuocere questa stoviglia, che più d'ogni altra cosa contribuisce al buon mercato della medesima: non fuoco prolungato per molte ore, non apposita fornace, ma un'ora o poco più di fuoco aperto sulla pub- blica via, dinanzi all'umile tugurio dell' industre fabbricatore, basta al contem- plato oggetto. Sopra alquanto vasellame rotto, che serve di sostegno, stendesi la legna a poca paglia frammista ; su questa si fa un letto di tre o quattro massi di pentole, mettendo le più grosse al di sotto, e al di sopra le più pic- cole, frametlendovi della paglia, che per maggiore economia è paglia di ri- fiuto, e che prima ha già servito per fare quelle sorta di corde con cui si legano i manipoli al tempo della messe, e perciò essendo tutta stritolata, non sarebbe buona nemmeno per fare il letto agli animali : si copre il tutto con istrame e cocci, e si dà fuoco che dura un'ora, ma non si tolgono i pigoatti dalla rosta, se non sono interamente raffreddati. Poca legna, poca paglia, e tre ore di tempo bastano per la cottura, pel raffreddamento, e per rendere la mercanzia atta allo smercio. Veramente nulla di più semplice, ne di meno costoso. Se ne fanno ordinariamente di sette grandezze : le più piccole , per cuo- cervi la pappa pei bambini, di circa metri 0,11 di larghezza, ed altrettanto di profondità; le mezzane alte 0,20, e larghe o,3o; le grandi alte 0,20, lar- ghe 0,32. Se ne fanno altre con la bocca stretta, e servono pel brodo, cioè or- dinariamente per cucinarvi i fagiuoli ; altre di bocca un po' più larga , e ser- vono per farvi la polenta, che si versa, quand'è cotta, più facilmente. Si fanno parimente e caldani, e testole, ossia bragiere, e musine, ossia sal- vadanari, e vasi ordinari! da fiori, che con voce perfettamente di greca origi- ne, come il nostro dotto Furlanetto m'istrusse, noi diciamo Pitali , voce che i66 per mancanza di corrispondente nella Crusca meriterebbe d'esservi introdotta, con buona pace de' Fiorentini. §. V. Numero dei lavoratori e smercio. Dicìotto famiglie sono occupate a Ponte di Brenta , e traggono il loro so- stentamento da questa manifattura : un lavoratore discretamente diligente ed assiduo compie da circa 3o pignatte in una giornata d'inverno, e circa il dop- pio in una giornata d'estate. L'altro vasellame si compie più sollecitamente, perchè sono veramente le pentole quelle che si lavorano con maggior dili- genza, e che costituiscono il nerbo e il capo d'opera di quella manifattura. La vendita si fa non solamente in Padova e in tutta la provincia, ma ancora in Venezia, in Chioggia, in Verona, in Mantova, in Zara, e altrove: alcuni terrazzani di Ponte di Brenta si trapiantarono in Malo, Provincia di Vicenza, ed in Treviso, ma non vi prosperarono per la troppa spesa nel tras- porto della terra. Il costo di dette pignatte alla fabbrica è di lire dieci venete al ioo; ma il centinajo è un numero fittizio, risultante da un maggiore o minor numero di pignatte, secondo che sono quelle più grandi o più picciole; cosi che il centinajo delle piccole è composto di 180 pignatte, di 60 quello delle mez- zane, e di sole 4° quello delle maggiori, e per conseguenza si pagano alla fabbrica : lire io venete per i5o pignatte picciole, » io » per 60 mezzane, e » io » per 4° delle più grandi ; e così in proporzione per quelle delle intermedie grandezze. Un'altra famiglia poi, della quale è capo certo Antonio Massarotto, più de- stra nel lavoro di questa terra, oltre le usate pentole, delle quali ho parlato finora, fabbrica altresì vasi ad uso di chimiche operazioni, vale a dire reci- pienti per bagni d'arena, fornelli di riverbero, mufole, cupole, tubi, o simili utensili, i quali, benché non del tutto refrattarii , pure lungamente resistono al calore rovente, ed essendo di picciolissimo costo e di grandissimo uso, rie- scono di mollo comodo nei laboratorii e nelle officine; per che il suddetto fab- bricatore Massarotto ebbe la compiacenza d'inviarne insino a Genova pel ser- vizio di quella Zecca. 167 In quanto poi all'altra manifattura di vasi grandi ad uso di piante da giardino, ch'io ho accennato sin dal principio di questo discorso fabbricarsi a Ponte di Brenta, io non farò qui molte parole, perchè la cottura di questi vasi si pratica in fornace coi metodi soliti, e nulla presentano di particolare ne per conto della maniera di costruirli o di cuocerli, né per conto di eco- nomia. L'argilla poi, che serve di materiale, non proviene dai monti Euganei, ma si scava nelle vicine campagne; e siccome molto abbonda di protossido di ferro, così prendono i vasi un bel colore rosso colla cottura. I più grandi di questi vasi, ornati di mascheroni e di festoni, costano anche sei talleri, e più. La fabbrica di vasi così grandi da piante non è comune, anzi non so se altrove, che a Ponte di Brenta, se ne fabbrichino; ed è questa la ragione, per- la quale assai spesso vedesi altrove nei giardini che brutte casse di legno, dal tempo annerite, tengono luogo di quegli elegantissimi vasi che veggonsi presso di noi. §. VI. Osservazioni geologiche. Ora che si è detto della manifattura e del commercio delle pentole di Ponte di Brenta, passiamo a dire qualche cosa dell' argilla che serve di base a questo picciolo ramo d'industria nazionale, geologicamente considerata. Già è noto a questi miei dotti Colleghi che il terreno de' monti Euganei spetta ai terreni trachitici; e che la trachite formi la massa principale ed il nucleo de' nostri monti, io ho avuto occasione di farlo presente nella Intro- duzione all'Orittologia euganea che nell'anno scorso avete avuto la sofferenza di udire da questo medesimo luogo. Che una delle principali e più frequenti formazioni dei terreni trachitici sia il trappo, e che questa formazione si trovi in molti luoghi de' monti Eu- ganei, e particolarmente in quella giogaja di monti che separano le valli del Catajo da una parte dalle belle praterie di S. Pietro Montagnone dall'altra, sono cose che ho esposte in una mia Memoria che nello scorso Gennajo ho avuto l'onore di leggere all'Ateneo di Venezia; lo che per brevità io vi prego qui di supporre, e che ogni naturalista può da sé facilmente riconoscere e verificare con una facile giterella agi' indicati colli. Ora, senza quiNripetere quant'ho esposto in quella Memoria, basterà il ri- cordare che la formazione trappica è composta di rocce di tal natura , che de- componendosi si risolvono in argilla, come alcuni basalti, le vaccine, ed altre rocce anfiboliche e pirosseniche ; anzi talune di esse non sono, a dir così, clie argille indurate: per lo che ottennero presso alcuni geologi il nome d'Ar- gilloliti, ed in argilla si risolvono tosto che manchi in esse lo stato di aggre- gazione. Quindi è ben facile a comprendersi che dalla lenta e successiva de- composizione di quelle rocce argillose derivi l'argilla che ricopre il fondo della adiacente valle, e quind'io non posso nobilitarla coli' attribuirle una limola epoca geologica, ma è giuocoforza il riconoscerla non solo di recentissima, ma di giornaliera formazione, né mai confondibile, in quanto all'origine, col- l' altra argilla plastica propria di meno recenti terreni, la quale non so che sui nostii monti si trovi. Pochi cenni sulle differenze geologiche di queste due ar- gille porranno in chiara luce la cosa anche ai meno versati nella Geologia. Io non reputo qui necessario il premettere la definizione del terreno, né determinare l'idea che il geologo associa a questo nome; solo mi permetterò d'indicare, che siccome Werner fu il primo a sentire la necessità di ammet- tere fra i terreni primitivi di grana cristallina, in massa, (effetto di affinità ed attrazione chimica) ed i terreni secondarli di tessitura compatta , stratificati, (effetto di deposizione ed aggregazione meccanica) una serie di terreni in- termediar», partecipanti della natura dei primi e de' secondi, distinti perciò col nome di terreni intermediarii , o di passaggio, o di transizione, che tanto significano queste espressioni ; così Brongniart è stato il primo a far sentire e ad ammettere una suddivisione nei terreni secondarii o di sedimento, distin- guendoli in terreni di sedimento inferiore, medio e superiore. Dissi che Werner fu il primo ad ammettere la distinzione delle formazioni di passaggio, perdi' egli fu il primo che stabilisse e propagasse per tutta Eu- ropa questa dottrina: non voglio però con questo portare nocumento alla glo- ria del nostro Arduini, celebratissimo e valentissimo geologo italiano, il quale prima dell'alemanno geologo conobbe l'esistenza dei terreni intermediarii, benché con questo nome non li abbia distinti; su di che si può consultare l'erudita nota del Prof. Catullo alla pag. 234 *lel suo Saggio di Zoologia fos- sile. Ma ritorniamo alle indicate suddivisioni dei terreni di sedimento, stabilite dal Brongniart. I terreni di sedimento inferiore incominciano dove terminano le rocce di transizione, ed arrivano sino a quella formazione di calcarla ch'esso distingue col nome di Calcaria grifitica inclusivamente, e comprendono il terreno elean- tracico, ossia del carbone fossile, Houille de' Francesi, la calcaria alpina, ec. I terreni di sedimento intermedio si estendono dalla calcaria grifitica, ul- timo membro del precedente terreno, sino alla formazione della creta, e com- prendono la calcarla jurense, così delta perchè nella catena del Jura si è principalmente spiegata con tutti i suoi caratteri, e la creta. Finalmente i terreni di sedimento superiore, detti anche terziarii, che si estendono dalla creta, ultimo memhro dei terreni di sedimento intermedio, sino agli ultimi depositi dell'antico mare, e comprendono le argille plastiche, le ligniti, ec. Al di sopra , e interposta fra questi e talvolta persino fra i più antichi terreni primitivi, si trova un'altra serie di terreni, detta d'alluvione o di tras- porto . Bonard si occupò moltissimo di questi terreni nell'articolo Terrain ch'egli somministrò al nuovo Dizionario di Storia Naturale stampato in Parigi nell'an- no 1 8 ig. Egli divide le alluvioni primieramente in antiche e moderne; poi suddi- vide sì quelle che queste in alluvioni delle montagne ed alluvioni delle pianu- re. Forse alcuni membri della formazione dei terreni d'alluvione del Bonard pos- sono compenetrarsi con quelli dei terreni di sedimento del Brongniart; ma non è qui il caso di entrare in tale disquisizione. Ammettiamo le cinque sorta di terreni, tutti posteriori all'epoca dei terreni intermedii o di transizione; cioè i.° terreni di sedimento inferiore, 2.° terreni di sedimento intermedio, 3.° terreni di sedimento superiore del Brongniart, 4-.° terreni d'alluvioni antiche, e 5.° terreni d'alluvioni moderne del Bonard. Queste alluvioni antiche ed alluvioni moderne del Bonard corrispondono a un di presso a ciò che oggi suole indicarsi col nome di diluvioni ed alluvioni. Vediamo a quale di questi cinque terreni possa appartenere la nostra ar- gilla figulina. Per accorciare il cammino escludo i primi quattro, poiché se quel depo- sito è più recente di ogni antica alluvione, tanto più recente sarà di ognuno dei tre terreni di sedimento, che tutti precedono l'epoca dei terreni di allu- vione. Provo poi che la nostra argilla figulina non può spettare al guasto ter- reno delle alluvioni antiche, osservando che queste depositarono i loro mate- riali in epoche rimotissime, e prima della comparsa dei terreni intermedii; ma nei monti Euganei non si conoscono rocce spettanti al periodo intermedio, ossia rocce di transizione: dunque tanto meno quel deposito di argilla può ap- partenere all'epoca delle antiche alluvioni, che precedette quella dei terreni di transizione. 12 170 Vediamo se possa aver luogo tra le alluvioni moderne. I terreni di allu- vioni moderne non si chiamano così, e non sono tali se non relativamente a quelli prodotti da alluvioni più antiche ; che del resto anche questi colla loro posizione, colla loro estensione, colla natura e grossezza delle loro parti mo- strano che sono l'effetto di cause geologiche affatto differenti dalle cause che agiscono ancora al giorno d'oggi, ossia , come osservano rettamente Cuvier e Brongniart, che non possono essere stati depositati dai fiumi nel loro slato at- tuale, incapaci, come ho dimostrato in altro mio lavoro, a produrre e a di- stendere tutto quell'immenso ciottolame che ricuopre sì vasti tratti d'estesissi- me pianure : ma il deposito della nostra argilla figulina è manifesta risultanza della giornaliera decomposizione delle argilloliti, che costituiscono i monti del circondario della Battaglia; dunque non solo non fa parte delle alluvioni anti- che , ossia diluvioni , ma neppure delle moderne, in senso geologico , ma sola- mente delle alluvioni giornaliere : e siccome la stoviglia di Ponte di Brenta è a tutte inferiore nel costo, (nel che consiste il suo pregio) ed umile si con- tenta di poter offerire a vilissimo prezzo qualche pentola alle misere famigliuole dei nostri villici; così fa d'uopo che anche l'origine di questo deposito ri- nunzii all'onore di appartenere all'epoche geologiche, e si contenti che il consideriamo come, una semplice lavatura delle adiacenti colline , spettante alle ultime giornaliere formazioni di quel periodo che X illustre Prof, di Pa- rigi Brongniart nella sua recentissima opera sui terreni con mitologico nome appella Periodo Gioviale (1). (1) Brongniart. Tableau cks Terrains. Paris 1829. SOPRA ALCUNI PASSI D IPPOCRATE RELATIVI ALLE MALATTIE DEL CUORE IN SEGUITO ALL'ALTRA MEMORIA COMENTO AD ALCUNI PASSI D'IPPOCRATE SIAMPilA NEL PRECEDENTE VOLUME MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI II. DICEMBRE MDCCCXXVIII DAL SOCIO ATTIVO GIO. MARIA DOTT. ZECCHINELLI N. ell'Aprile del 1824 ho liberato il mio dovere accadèmico col farvi par- tecipi, o dottissimi Colleglli, di ciò ch'io pensava intorno ad alcuni passi del Li- bro I. de morbis d'Ippocrate. Ho cercalo con alcuni commenti a que' passi di convincere voi , come io era persuaso, che quel primo maestro dei medici aveva in essi esposto tali dottrine , dalle quali si può argomentare eh' egli abbia veduto in pratica gli aneurismi interni del torace, cosa che gli viene comunemente negata dagli autori. Quel mio lavoro ottenne dalla vostra cen- sura l'onore della stampa, e fu inserito nel volume ultimo dei vostri Atti. Il pubblico mostrò di approvare quanto io scriveva, e la Memoria fu stampata per intiero nei riputati Annali Universali di Medicina del chiarissimo e be- nemerito Omodei. In conseguenza di questi ottenuti suffragiì mi è sorto il pensiero , che a voi ed al pubblico non sarebbe per avventura discaro se cercassi di convali- dare quanto in quella Memoria aveva detto per sostenere la mia opinione in- torno alla conoscenza che avesse avuto Ippocrate degli aneurismi interni del torace , e nello stesso tempo indagassi se e come abbia egli osservato e de- 172 sci-ilio sintomi e forme morbose relative a quei canali sanguiferi , nei quali forraaronsi gli aneurismi , ed al loro centro il cuore . Voi già subito vi avvisate die le medesime indagini mi faranno aggiun- gnere l'uno e l'altro scopo; vale a dire, che nell' esporvi quanto sparsa- mente raccolsi da varii trattati d'Ippocrate, risguardanli le malattie del cuore e dei vasi maggiori sanguiferi, verrò a dare maggior forza all'opinione già manifestata della di lui conoscenza degli aneurismi interni; perchè non v'ha dubbio che si crederà più facilmente conoscersi una specie di malattie di un organo da quel medico il quale abbia mostrato di conoscere altre specie di malattie dell'organo stesso. Adunque io dirò, che nelle diverse opere d'Ippocrate s'incontra fatta menzione chiarissima e di sintomi morbosi isolati, e di forme intiere di morbi, che , con le cognizioni le più accertate dei tempi nostri , ad altra classe non possono riferirsi, che alle malattie del cuore , e dei grossi vasi che in questo organo importantissimo hanno principio, o che in esso hanno fine. Io vi parlerò primamente dei sintomi, de' quali Ippocrate scrisse partita- mente, cioè di un solo alla volta; in secondo luogo di quelli eh' e' unisce insieme a due a due, e più, formandone un modo di malattia, ossia una forma morbosa, come ora dicono nelle scuole. Mi servirò della edizione greco-latina del Foesio , come praticai nell'altra Memoria. Si sa che fra i sintomi più evidenti e più frequenti ad un tempo dei morbi cardiaci ed arteriosi, specialmente nel loro principio, si annoverano i dolori più forti a qualche parte del torace, di sovente allo sterno, alle volte con maggiori o minori corrispondenze alla spalla sinistra ed alle braccia , principalmente al sinistro. Ma a queste parti sogliono destarsi dolori in malat- tie fra sé diverse. E quindi necessario il saper distinguere l'indole e la ca- gione di questi dolori. Ippocrate conosceva questa necessità, ed ha insegnato nel Libro VI. de morbis vulgaribus ( Sect. VII. num. i5.) «che nel dolori » dei lati , del petto , e di altre parti , si osservi bene se differiscano riguardo » ai tempi , cioè quando si alleggeriscano , e quando di nuovo inaspriscansi , » in ciò niuna cosa lasciando. » E le slesse avvertenze ha ripetuto nel libro degli Aforismi ( Sect. VI. Aph. 5. ) . Questa accuratezza di Ippocrate rende più valide e più importanti le dottrine che intorno ai dolori del petto qua e là espone nelle sue opere . Ed in fatto quando egli parla «li tali dolori non lascia mai di aggiungere qualche altro carattere, oltre alla località, che li se- pari e li distingua. Vi ho fatto osservare nella citata Memoria, che nei passi ,73 del Libro primo de morbis da me commentati, Ippocrate nell' esporre la for- mazione di quei tumori ch'egli chiama varici delle vene , e ch'io ho cre- duto che si debbano intendere per tumori delle arterie, cioè per aneurismi, narra che si desta dolore acuto, il quale passa alle volte all'omero, pro- ducendo peso, stupore e torpore alla mano; ed alle volte sta fisso nel sito, o passa all'omero ed al dorso, o si dilegua ad un tratto; caratteri questi e vicende, come allora vi ho detto e come sapete, dei dolori derivanti dalla formazione degli aneurismi. A queste considerazioni appoggiato, io inclinerei a credere che fosse stato aneurisma dell'arteria splenica quel morbus lienis, di cui parla Tppocrate nel Libro de internis affectionibus, perchè ai dolori unisce tali circostanze che difficilmente ad altro morbo possono riferirsi ; cioè « che il detto morbo di- » pende dal sangue , e che il sangue sgorga nel ventre quando n' è piena la » milza, e che in essa destatisi dolori acuti, che lanciansi alla mammella, al ujugulo, all'omero, e sotto la scapola. » Questi sintomi, e lo spargimento del sangue nel ventre, potrebbero anco essere derivati da una rottura di milza. Ma il caso di rottura di questo spugnoso e cedevole viscere è molto più raro che i casi di aneurisma dell'arteria splenica, o di quel tratto dell'aorta ventrale dond' esce la splenica. Non tacerò però di avere io veduto una rottura della milza, sane essendo le arterie, nel cui momento si destarono acutissimi dolori alla milza; ma la morte fu così rapida, e tanto forte il do- lore, che la donna che vi soggiacque non potè certamente accusare quelle estensioni alla mammella ed ali omero, di cui parla Ippocrate. Ho bensì veduto più volte in casi d' ingrandimenti di milza o di flogosi croniche di questo vi- scere destarsi in esso dei dolori, ai quali di quando in quando si associavano altri dolori al torace sinistro, alla spalla ed al braccio corrispondenti; e ne ho citato due osservazioni nella mia opera siili' angina del petto. Più chiaramente a cognizioni cardiache si riferisce quella funesta sentenza d'Ippocrate, data nelle Coache prenozioni ( Sect. IL num. 246.). E dico fune- sta, anzi ferale, perchè pur troppo si osserva in pratica; e non solamente nei più vecchi, che unicamente cita Ippocrate, ma sì anco nella verde vecchiaja, e tal fiata nell'età che la precede, ed in essa si estingue. Cordis dolor (egli dice) seniori crebro advenicns, repentinam morlem denunciai. La traduzio- ne del Foesio, che ho adottata, come dissi, porta oris ventricidi in vece di cordis, mentre l'Hollcrio ed il Duieto tradussero cordis. Il testo greco ha KapSiri;, e Galeno aveva avvertito nei commenti ai Pronostici d'Ippocra- r74 te (i), (lo che già al suo tempo era da tutti confessato) che gli antichi chiama- vano KapSiav tanto il cuore, quanto la hocca dello stomaco, e che ciò fu per- chè i dolori a quest'ultimo luogo, pel di lui squisitissimo senso, tosto si comunicano al cuore, e lo traggono in simpatia. Ma veramente quale dei due visceri ha inteso di indicare l'autore delle Coache prenozioni, e quale è più giusta interpretazione delle due sopraccitate? Le cognizioni mediche, acquistate posteriormente dalla pratica medica e dalla anatomia patologica, dehhono ser- virci di guida per decidere la questione. Queste ci insegnano che il dolore alla hocca superiore dello stomaco, o la cardialgia, non trae a morte repen- tina, ma lenta, quando non accada rottura del viscere, il che è caso rarissimo; ed allora il dolore è più o meno continuo, termina sempre con la morte, e non può aver luogo il crebro d'Ippocrate. La diversa traduzione dei citati au- tori dee essere derivata dall'avere essi avuto, o no, casi pratici che li illuminas- sero. 11 perchè è da desiderarsi che le interpretazioni delle opere degli anti- chissimi medici (ossero intraprese ed eseguite da chi vede molti malati, ed apre cadaveri. L'Hollerio ha veduto un caso, ch'ei narra (2); la quale occa- sione sarà mancala al Foesio: vide morire improvvisamente un settuagenario, che cominciava a soffrire frequentemente un dolore al cuore con tale angustia nella respirazione, che spesso correva pericolo di soffocarsi, e che d'altronde per la sua età godeva di buona salute. Il Foesio, privo di esperienza propria, avrà forse badato alla circostanza, che prima e dopo del citato aforismo si parla nelle Coache prenozioni di mali degli ipocondrii e dello stomaco, e ne avrà inferito che Ippocrate avesse inteso di parlare della hocca dello stomaco. E ciò potrebbe anco darsi, per le considerazioni che qui subito vi sottopongo, senza che resti meno vero che quel tale frequente dolore dei seniori, che gli spinge a morte repentina, notato da Ippocrate, sia dolore del cuore, anzi- ché dello stomaco. E le considerazioni sono queste: che gli stessi malati pos- sono avere accusato ad Ippocrate , come sogliono anco presentemente, lo stoma- co come silo di un dolore che può essere stato nei precordii . E non è a dirsi quante ripetute e diligenti interrogazioni sono spesse volte necessarie, special- mente con la gente rozza , per assicurarsi della sede del dolore ; ed è cosa incredibile, se non fosse vera, quella che abbiavi qualche creatura rozza co- tanto, da non sapere neppur distinguere dalle proprie sensazioni la località del proprio cuore. La hocca dello stomaco è vicinissima sotto la cartilagine (1) Com. III. pag. 161. H. 46. 1. (a) (. 'om. in Coac. /H«-rc. Lib. III. Sect. II N. 17. i75 mucronata al centro del diaframma, all'aorta, alla vena-cava ed al pericardio; il che fa che quel sito di unione sia della massima sensibilità, e di molta in- fluenza reciproca sieno le parti che vi concorrono , e fa si che possano es- sere riferiti ad un sito i dolori che esistono in un sito vicino. Il Senac ha inse- gnato (0 come si possano sentire allo stomaco le pulsazioni, ed altre sensazioni, nei mali del cuore e dell'aorta. Ed opportunamente il Morgagni ci ammae- stra in più luoghi (2), che molti del popolo sogliono intendere per stomaco i precordii, ed accusare di sentir male allo stomaco in vece che ai precordii; e così fu di una decrepita donna, che non lagnavasi che de stomachoj nel ca- davere della quale si è trovato che questo viscere era sano , ma che 1 aorta era sparsa di squamette ossee e di bianche macchie, ed aveva dure, ossee e contratte le valvule. Ed in vero udiamo spesso che i rozzi ed incolti ma- Iati chiamano dolori dello stomaco anco quelli che occupano la parte anteriore e media del petto; e si chiama perfino nel nostro dialetto stomeghino la pezza da stomaco che per ripararsi dal freddo suolsi da molti portare sopra la parte anteriore del petto. Io dunque credo o che Ippocrate abbia inteso di dire col vocabolo KapSójj bocca dello stomaco nell'uso comune, cioè prendendo stomaco per petto; o che veramente abbia inteso di significare cuore e precordii. L'osservazione dell' Hol- lerio, e la denotazione di seniori data da Ippocrate a quelli che ha veduto morire improvvisamente dopo avere crebro sofferti i nominati dolori, mi per- suadono che tali dolori sieno stati del cuore. E non solamente l'osservazione dell' Hollerio mi determina a questa persuasione, ma, per tacere di altre, una osservazione del Lancisi (3), il quale narra di avere veduto morire repentina- mente un uomo di cui tace l'età, a cui, cedente jam podagra , atrox dolor cordis identidem recurrebat; e soprattutto molti casi narrati da quell' incre- dibile sapere del Morgagni, e molti di angina pectoris già narrati nella mia opera sopra questa malattia, e qualche caso proprio che narrerò a suo tempo. Amo poi di fare osservare la denotazione di seniori usata da Ippocrate , an- che perchè dolori violenti e recurrenti di cuore si osservano nei giovani al pari che nei vecchi, e principalmente nelle donne giovani, isteriche, ed alte- rate nei mensili tributi; quantunque poi questi dolori nelle età giovani quasi inai non finiscano con la morte improvvisa, ma spessissimo dileguinsi senza morbosità o da per se, o per mezzo di qualche sottrazione di sangue. Tanto (1) Du cosur. Lil). IV. Cap. IX. N. 7. (3) De subitaneis moitibus. Lib. I. Ca- la) F.pist. Anat. Med, XXIII. 1 1. pò XIX. §. VII. I76 nei vecclii che nei giovani questi dolori possono essere effetto di organica alterazione del cuore e dell'aorta toracica; ma spesso anche dipendono unica- mente da abbondanza di sangue, e da momentaneo suo ingorgamento nel cuo- re: con la differenza grandissima, che nei giovani di aorta molle, e quindi cedevole, il cuore, che sempre prontamente reagisce, non provando verun ostacolo dall'aorta, presto si libera della pienezza che lo molesta; mentre nei vecchi, e più nei decrepiti, può esso trovare un ostacolo nella sola rigidezza senile delle tonache dell'aorta toracica e delle valvule ventricolo-aortiche, che in alcune circostanze della vita sia di tal fatta, da non potersi superare dalla sola sua forza senza pronti soccorsi. 11 cuore allora resta pieno di sangue, il ven- tricolo sinistro rigonfio e come paralizzato, ed il vecchio istantaneamente soccombe. Il salasso giova in ambedue le età, con la solenne differenza, che qualora non havvi struttura alterata, i giovani col tempo guariscono; ma i se- niori una volta o l'altra perdono ad un tratto la vita. Il quale tristissimo evento non può che essere effetto di cessata reazione del cuore soffocato dal sangue ; cosa questa e veduta e spiegata dai moderni autori dopo il Lancisi e il Morgagni, ma insegnata duemila anni addietro anche da Galeno in di- verse opere che gioverà rammentare brevemente, e nei comenti ad un Afo- rismo d' Ippocrale che in breve riporteremo , e nel Libro II. Capo XIV. dei presagii dai polsi , e nel Capo VI. dei decreti d' Ippocrate e di Platone, e nel Libro V. Capo I. delle affezioni locali. Galeno dice nella prima ope- ra, che la morte repentina rapisce anche molti sani, potissimum in senectu- te, e che dipende da morbo che occupat vel corpus cordis, vel spiritimi et sanguinem quem continent ejus sinus. Dice nella seconda opera , che al- cuni che sono malati di cuore, ma che agl'imperiti commode videntur ha- bere, muojono o nel sonno, ut non amplius expergiscantur, ed anco al- cuni inter loquendum. Dice nella terza opera, che la morte repeutina deriva quasi unicamente dal cuore, e non dal cervello. E nell'ultima opera citata in- segna, che molti vivono parecchi giorni, sebbene abbiano perduto il moto ed il senso, quod cor manserit illaesum at vero si cor respiratone pri- vetur, homine illieo perire necesse est. Ritornando ad Ippocrate, la stessa interpretazione di cuore, e non di bocca dello stomaco, bisogna dare al vocabolo KapSó); da lui usato in un passo del Libro I. delle predizioni j num. 72.; nella quale interpretazione d'altronde vanno d'accordo tutti i traduttori, il che convalida quanto si è detto di sopra. Il passo è questo: Cordis dolor cum praecordiorum contentionej atque capilis i77 dolor malignimi quidpiam et suspiriosam quamdam ajffectionem indicai. In his certe animadvertendum est mini de repente moriantur. Questo dolore del cuore con ispasmo dei precordi!, che indica, secondo Ippocrate, un certo che di maligno ed una certa affezione sospirosa, è forma morbosa che ora da molti chiamerehhesi angina del petto , affezione cardiaca; tanto più che Ip- pocrate avverte del pericolo di morire improvvisamente , appunto troppo so- lito ad accadere neWangina pectoris. Sintoma straniero alla forma anginosa di petto sarebbe il dolore di testa. Si ebbe però ad osservarlo in qualche caso di morte repentina con apparenze apopletiche, ma per malattia cardiaca; come fu quello del celebre Gio. Hunler, nel cui cadavere si trovò che il morbo era nel cuore e nell'aorta toracica. Se alle due esposte sentenze d' Ippocrate una terza si unisca, contenuta nel libro degli aforismi (Sect. II. num. 41-)» si avi"à maggiore argomento a favore della conoscenza eh' egli avesse avuto dei morbi cardiaci anche nel sin- toma del deliquio, e del morire improvviso che in alcune occasioni ne con- segue. Qui crebro et vehementer citra causam manifestam animo linquuntur '_, repente moriuntur. Nella quale sentenza si notino le tre circostanze annesse al deliquio, necessarie, secondo Ippocrate, perchè abbia luogo l'avvenimento fu- nesto del morire improvvisamente; che il deliquio, cioè, accada crebro > velie- menter et citra causam mani/'estam. Ed è Galeno, nei commenti a questa sen- tenza, che invita a questa osservazione, facendo riflettere che non tutti quelli che vanno soggetti a deliquii muojono repentinamente, ma sì quelli nei quali concorrono le dette tre circostanze. E soggiunge, che muojono improvvisamente, non diversamente da quelli che muojono di sincope : non aliter quam illis, qui acutissimis cordis affectibus, quam sincopas vocanl, arripiuntur. Forse che Ippocrate avrebbe usato il vocabolo sincope invece di deliquio; ma al suo tempo non v'era nella lingua questo vocabolo, né quindi trovasi in nessuna delle sue opere, ed egli adoperò sempre i vocaboli lipotliimia } lipop sichia , asfissia. 11 vocabolo sincope, al dire di Sennerto, è stato inventato dopo di Ippocrate, poco prima di Galeno. Ora, unendo in una le tre esposte sentenze d' Ippocrate, si compone fa- cilmente una descrizione di tal forma, che non può riferirsi che a malattia di cuore e dei grossi suoi vasi. Di fatto, se si narrasse che un uomo assai vecchio, apparentemente sano, soffre di quando in quando un dolore nel petto che sembra al cuore , con ispasmo dei precordii e sospirosa respirazione, e che spesse volte, senza manifesta cagione, cade in grandi deliquii o sincopi, qual- 23 r78 unque medico temerebbe subilo di malattia cardiaca, e farebbe il tristo pro- nostico di una probabile morte improvvisa . Se non che le malattìe del cuore e dei precordii hanno molte permuta- zioni di apparenze , molti adombramenti e trasmutamenti di vicissitudini , e quindi troppo frequentemente per l'onore della Medicina si presentano sotto aspetti differenti, e si coprono e mascherano delle altrui forme, e facilmente confondonsi con altri morbi. Tuttavia si va imparando a discoprirle e a pa- lesarne le somiglianze dopo le grandi opere dei Lancisi e dei Morgagni, per tacere di altri, e dopo quelle dei Senac, dei Testa, dei Kreyssig, ec. ec. Con l'ajuto degl'insegnamenti di questi autori, delle aperture dei cadaveri e della pratica medica, si vanno intendendo e confermando insegnamenti antichissimi; e vieppiù si conosce che al miglioramento della Medicina pratica voglionsi tre elementi: le osservazioni sincere dei primi maestri separate dalle loro false e strane teoriche ; quelle fra le osservazioni dei loro successori , che le confer- mano , le illustrano o le combattono , scevre dal predominio di una opinio- ne o di un sistema qualsiasi, ma guidate dai soli fatti chiari ed interi; ed il confronto continuo di questi due elementi con le osservazioni dei moderni, de- corate e confermate dall Anatomia patologica, e sanzionate poi anche dai casi che occorrono nella pratica. Assai poco le opere mediche , semplicemente teo- riche, che non sono fondate sopra queste basi, giovarono e gioveranno al me- dicare ed al guarire, scopo in fine di ogni medico studio. Brillano apparen- temente sotto la loro disciplina le scuole, gli scritti, gl'ingegni; illudonsi a gara i maestri, i discepoli, i giovani medici, credendo di sapere più di quello che sanno: ma la Medicina pratica si aggira frattanto e travolve nei vortici delle diverse opinioni, e, come diceva Bacone, si esercita potius in circulOj quam in progressu. Laddove, quando tu leggi nelle opere dei primi maestri, i quali presero dalia sola natura le prime idee, e le più semplici, chiare, e al vero adeguate, un medico fatto, una narrazione di un caso, di un evento, l'espo- sizione di sintomi morbosi o isolati od uniti, e che poi nel cadavere trovi al- terazioni conformi ; ed impari che identiche o almeno analoghe osservazioni sono state fatte da qualche saggio medico in ogni età, e che l'Anatomia pa- tologica ne abbia svelato l'indole e le cagioni; e quando in fine vedi tu stes- so nella tua pratica le cose medesime, puoi tenere in gran conto questi fatti ed osservazioni, e formartene un capitale, e servirtene di saggio, o come a dire di reattivo, per esaminare le teorie, nude di fatti, di qualsiasi acuto in- gegno, per iscoprirne i componenti, separarli, distinguerli, e giudicarne il *79 valore e l' utilità pe' tuoi maiali. E mi accingo a dare un esempio di ciò; vengo anzi ad una dimostrazione. Leggo, p. e., nel Libro II. delle predizioni d'Ippocrate una particolare for- ma morbosa, ch'egli osservò essere propria degli uomini dell'età dagli anni ^o fino ai 60, e che chiama veemcnlissimo morbo, a Narra che questi uomini » soffrono dolori agli omeri , i quali si estendono alle mani con torpori e dolori » di queste; ed alle volle perdurano negli omeri, e si estendono al dorso. Nar- » ra che alle volte la l'espirazione è facile, alle volte è difficile, e che in que- » sto ultimo caso comparisce sulla faccia un colore non veduto prima; ed av- » verte che bisogna osservare se si gonfiano i piedi. » E vero che in questa de- scrizione frammette Ippocrate le sue teorie dell'atrabile, ed altre della patologia umorale del suo tempo; ma io lascio da parte queste teorie, e tengo presenti quei fatti, quantunque non sappia subilo chiaramente a quale malattia riferirli. Leggo nel Libro II. de morbis un'altra forma morbosa, che in sulle pri- me intendo ancora meno, e che il gran vecchio chiama cura, gravis morbus, cioè passione, sollecitudine, malattia grave. E perchè la intendo meno dell'al- tra, la consegno alla memoria con le stesse parole dell'autore, che sono que- ste: Cura, gravis morbus. Viscera velut spinarum aculeis pungi videntur, anxietudo ipsum invada, lucem et homines refugit, tenebras amai, metus corripit, septum transversum exleriore parte intumescit, ad contactum do- lete expavescit in somnis, terriculamenta et far nudando, cerna, quandocjue et mortuos. Morbus hic interdum plurimos vere prehendit ncque exercitiis utatur , ncque deambulet. Haec si fecerit, a morbo liberabitur; si vero neglexerit, commorietur . In queste due forme morbose, dopo le opere del Morgagni e dopo quelle sulle malattie del cuore, comincio a ravvisare forme di morbi cardiaci. Nella prima forse un ingrandimento, od altra organica alterazione, la quale cagioni difficile circolazione centrale, per cui il sangue si trattenga nei polmoni, d'onde talvolta la difficile respirazione; e nella faccia, d'onde il colore rossa- stro e negro non veduto prima; ed accadano spandimenti sierosi nel petto, d'onde la gonfiezza dei piedi. E comincio a ravvisare nell'altra una delle varietà 0 meglio delle larve dell' ipocondriasi , il taedium vitae dei cardiaci , così bene descritto dal Testa. Osservo allora meglio i casi analoghi cbe in- contro nella pratica, e mi sorge la speranza di poter arrivare in avvenire a vedere qualche cosa con minore incertezza nell'oscurità somma delle malattie organiche del cuore e dei precordii. i8o Seguitiamo. Leggo nel Libro VII. de morbis vulgaribus la storia seguen- te. « Ad Alcmano, convalescente da dolori ai reni, a cui si era anche tratto » sangue inferiormente, il dolore si trasportò di sopra al fegato, et ad cor do- ti lor ingens aderat, prosarne dolore spìritus detìnebatur. » Tengo a mente questo caso di trasporti di dolori dai reni al cuore con istrettura di 'respiro, e lo confronto poi col caso sopra narrato dal Lancisi di quell'uomo il quale, essendo già guarito della podagra, era di tratto in tratto assalito da atroce dolore di cuore: sento che questo è morto repentinamente, e temo lo stesso evento nei casi di trasporto di dolori dai reni al cuore. Molti altri casi simili leggo di poi nel Morgagni e negli autori che trattarono delle malattie del cuore e delle arterie, e taluno ne incontro nella pratica medica. Con questi esempii in mente leggo un Aforismo d' Ippocrate, il 3i. della Sez. III., e scorgo ch'egli unisce in esso tutti questi diversi sintomi di dolori dei reni e delle articolazioni, di difficoltà di l'espiro e di difficoltà di orina, e che li fa proprii dei vecchi. Allora entro nella ragionevole credenza, che tutti questi sintomi possano derivare da una comune cagione; e bene esamina- te le teorie che tentano spiegarli co' sempre oscuri consensi dei nervi , o con una immaginata materia morbosa ec. , mi pare che siano tutte non altro che semplici parole ; e lasciate quelle teorie a chi le vuole , arrivo ad avere dall'anatomia patologica un lume più chiaro, un più deciso soccorso per ri- conoscere la derivazione dei detti sintomi e forme morbose da processi che si formano ora presto, ora tardamente qua e colà nelle tonache delle grosse arterie, segnatamente nell'aorta toracica e nel cuore. E conosco che in for- za di questi processi si destano evidenti sintomi morbosi ora ad una estremità, ora ad un'altra del sistema arterioso, cioè ora alla pelle ed alle articolazioni, ora ai reni, ora al petto ed al cuore; i quali sintomi ora alternano alle volte fra loro ed ora intermettono, ora cessano affatto, ora diventano impensatamente e repentinamente mortali, secondo il sito dove il processo morboso si stabilisce, secondo il grado cui ghigne, e secondo i prodotti che dà di induramenti, ossificazioni, ristringimenti, ingrossamenti, dilatazioni, ec. ec. E così, nello stes- so tempo che mi rendo meno imperito nella diagnosi e nel pronostico di oscure malattie, anche con l'autorità d' Ippocrate, vengo a provare il giusto pratico vedere di questo grande maestro anche nelle malattie del cuore e dei vasi maggiori, e negli esiti delle stesse. E qui mi accade avere non lieve compiacenza di aver trovato un appoggio nell'autorità delle ultimamente esposte sentenze d' Ippocrate a quanto ho pen- salo sullo slesso argomento e scritto nella mia opera sull'angina del petto Nel Capo XI. del Voi. I. ho discorso alla lunga e con qualche diligenza, e parmi anche chiarezza, sull'analogia che passa fra le affezioni dei reni, e le anginose di petto e le asmatiche ; fra quelle e queste , e le artritiche e podagrose; sui rapporti tra le vie orinarle, le articolazioni, e gli organi cen- trali della circolazione del sangue: ne ho narrato esempii distinti e tre lu- minosissime storie, prese l'una da Vincenzo Malacarne, e le altre due dal Mor- gagni ; ed ho fatto osservare che a questi rapporti morbosi non era stata po- sta attenzione dagli scrittori che trattarono dell'angina pectoris. Confesso di avere ora riletto con qualche piacere quanto allora io aveva scritto, di aver- mi doluto d'essere tuttavia l'autore di un solo primo volume, dopo tanti an- ni; e forse m'invoglierò di riprendere dopo si lungo intervallo un lavoro gra- dito, sospeso non per mia colpa, ina del destino, e della necessità in cui mi sono trovato di dover convertire gran parte dello studio al tavolino nello studio al letto dell'ammalato, in vero più certo, più soddisfacente e più utile. Ma tornando ad Ippocrate, ho ancora da rammentarvi, o dotti Accademi- ci, un suo importantissimo insegnamento, anch'esso, a ciò che mi sembra, spettante ai morbi cardiaci ed arteriosi. E tralascio di parlarvi, per brevità, e del morbus Ih'idtis , che Ippocrate descrive nel Lib. II. de morbiSj che ad alcuni è sembrato essere la malattia bleu , o morbo ceruleo , o cianosi, come adesso la chiamano (i); ma che a me non sembra tale, perchè congiunto a feb- bre, la quale manca nella cianosi. Tralascio parimente di narrarvi una storia, che Ippocrate narra nel Lib. V. de morbis vulgaribuSj di certo Androfano, il quale, oltre ad altri mali, soffriva talvolta il dolore di cuore, che veniva tolto col salasso, finché una volta impazzi, perdette la voce, e presto anche la vita; le di cui sofferenze somigliano in parte a quelle di Giovanni Hunter, morto improvvisamente per malattia del cuore e dell' aorta , come dissi ad- dietro. L'insegnamento d'Ippocrate, di cui intendo parlarvi, è la descrizione di una malattia, della quale non trovo fatta menzione in nessuno scrittore moderno, ma che fu però contemporaneamente descritta da tre Medici del secolo XVI., uno Italiano, l'altro Francese, e il terzo Spagnuolo, Pietro Salio Diverso, Carlo le Pois, Lodovico Mercado, forse prendendola tutti e tre da Ippocrate; ma- lattia, o forma di morbo, che io credo di aver veduto due volte. (i) Annali di Medicina dell'Omodci, 1827. Voi. XLIII. pag. 44o- l82 Ippocrate nel Libro de rictus ratione in morbis acutis descrive una par- ticolare maniera di male, che chiama venarum interceptioneSj nel quale non sarà difficilissima cosa il ravvisare una malattia delle arterie del petto, o al- meno delle arterie e delle vene, nella quale accadono convulsioni e spasmi delle loro tonache, effetto dei quali sia un arresto di sangue nella testa e nel cuore, e quindi apoplessie e sincopi, o minaccie di questi ferali sintomi od esiti . Ippocrate pertanto osservò , « che alcuni , che pur godevano di buona » salute , senza occasione manifesta , od altra valida causa , perdevano ad un «tratto la favella. Giudicò che ciò derivasse dall'essere intercetto il corso del » sangue e degli spiriti per le vene , e che fosse necessario estrarre sangue dal » braccio. Vide che moltissimi nell'attacco presentavano i seguenti fenomeni: » rossore della faccia, immobilità degli occhi, convulsione delle mani, stridore » dei denti, pulsazioni, strignimento delle mascelle, perfrigerazione delle estre- m mità , et spirituum in venis interceptiones » ( cioè interruzione del corso del sangue nei vasi arteriosi e venosi). Osservò «che v'erano dolori nelle » parti interne , e pensò che le dolenti vene ( cioè i vasi sanguiferi ) , divenute «molto aride, si facessero convulse e s'infiammassero, e che da ciò derivasse » che, guastato il sangue e non potendo più gli spiriti passare per quelle stra- » de che in esso hanno naturalmente (cioè rallentandosi il corso del sangue pei » vasi ) , si provassero dal malato perfrigerazioni delle estremità, vertigini, per- » dita della favella, gravezza della lesta e convulsioni, qualora il male giun- » geva al cuore, o al fegato, o alla vena (cioè a qualche grosso vaso sangui- » gno, forse del petto).» Così Ippocrate. Questa forma morbosa non è apoplessia , perchè Ippocrate parla di questa in troppi luoghi e troppo distintamente per non confonderla con la forma morbosa di cui parliamo. Non è epilessia, perchè v'ha rossore in vece che pallore della faccia, ed una particolare immobilità degli occhi, e sciogliesi col salasso. E ve- ramente io credo, fondato sui due casi ch'io ho veduto, che possa darsi uno spasmo sì forte dei grossi vasi del petto, tanto degli arteriosi come dei venosi, in forza del quale o spingasi da quelli rapidamente il sangue alla testa, o da questi in essa trattengasi, e che nell'uno e nell'altro caso il sangue ingorgato entro la testa e nella faccia renda rossissima questa, e comprimendo in quella il cervello, produca i fenomeni d'immobilità degli occhi, di perdita della fa- vella, di convulsioni ec, il tutto senza arrivare al grado di cagionare paralisi, od altri effetti cerebrali, e prontamente sciogliendosi col salasso. È particolare specialmente la faccia dei colpiti da questo morbo. Immaginatevi decisamente i83 uno strangolato, tanto è rossa tutta, non escluso lo stesso bianco dell' occhio, che diventa tutto injettato, come se fosse preso da fortissima infiammazione; e resta rosso non solamente cessato il rossore della faccia, ma per qualche giorno dopo l'accesso. Uno dei casi da me veduti fu in un certo Carlo Chia- rini di Perugia, ma da molti anni stabilito in Padova, il quale morì di polmonia, durante la quale essendo io un giorno al suo letto, vidi un tale attacco, che non avea più veduto l'eguale. L'altro caso fu in un Sacerdote, valentissimo botanico, da molli di voi conosciuto, e ancora vivente (0, il quale dopo molti attacchi violenti migliorò, ma non a segno di tranquillarsi; di cui vi narrerei la sto- ria non comune, se non mi accorgessi di avere abbastanza abusato della vo- stra cortese indulgenza. Non finirò per altro senza farvi riflettere sopra un'importantissima cosa che convalida la mia opinione, che a malattie del cuore e dei vasi sanguiferi si riferi- sca quanto io ho esposto d' Ippocrate e nell'altra ed in questa Memoria; ed è, che in tutti i passi citati, dove egli parla del metodo di medicare, prescrive, a preferenza d'ogni altra cosa, che si cavi sangue; come si fa presentemente nelle malattie del cuore e dei vasi sanguiferi, che sono contrassegnate dai sin- tomi di cui abbiamo discorso; e ciò indipendentemente dalle teorie degli emo- fili, ma fondati sulla esperienza di tutte le età. (i)Morì poi improvvisamente, ed eral'Ab. Vigodarzere nella bellissima di lui villa di Pietro Melo, Botanico del Nobile signor Car. Saonara. PER QUAL RAGIONE LA FORMULA CARDANICA CONDUCA AD ESPRESSIONI IMMAGINARIE QUANDO TUTTE E TRE LE RADICI SONO REALI. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXVIII APRILE MDCCCXXIX DAL SOCIO ATTIVO- GIUSEPPE BERNARDI i.° Al celebre Paoli ne' suoi Elementi di Algebra entra nella stessa ri- cerca, e propostasi l'equazione generale del 3.° grado x^> — nix — n = o, mancante del secondo termine , trova che nel caso irreducibile è sempre ± x < 2 \S m . Dimostra poi , die questo valore delle radici così circoscritto 3 rende appunto assurda la supposizione di x =p + q3 in cui p e q sono le due arbitrarie nelle quali si spezzò già la x stessa; perciò conchiude, che naturalmente si doveva incorrere nello scoglio delle espressioni immaginarie ogni qual volta si partiva dalla equazione condizionale x=p + q. Ma in ogni maniera di soluzione si parte sempre da questa equazione? Cosa è che la rende assurda ? Perchè p e q non possono essere due valori tali , che la loro somma, posta in luogo della incognita, la soddisfacciano? Ecco a cosa tende questa Memoria . 2.° Le tre radici reali e disuguali della proposta equazione s' indichino per x'j x'., x ; sia anche x la maggiore; sarà x' + x" -f- x'"=o, ovvero ' / 1' i ufi i >1 , r ni li ut i M~ . i il t il ff'i x = — [x +x );m = xx + x x +x x = — (x + x + x x j; n == — x'x x" = — [x'^x + x" x'"3). Per qualunque di questi valori x'j x j x j che venisse sostituito nella data, preceduto dal suo segno com- i83 petente, l'equazione sussisterà sempre; ma se i valori, qualunque sia la for- ma che loro dare si voglia , non saranno identici agi' indicati , cesserà la proposta di essere eguale a zero. Si ricorse quindi al semplice artifizio di sostituire alla x due arbitrarie, la cui somma eguagli l'ignota, per cui, se era diversa la forma , identico ne fosse il valore ; sempre per altro ritenendo che la somma p + q di quelle due arbitrarie eguagliar dovesse una qualunque delle tre radici, altrimenti l'equazione proposta avrebbe cessato di più sus- sistere. È facile rilevare in che possa differire, in che combinare la frase p + q, e l'altra x" + x"\ perchè è nota la definizione di ambedue queste espressioni. Fatto quindi x=p-\-q, si ottenne una trasformata che, presen- tandosi sotto diverse espressioni, si credeva fosse per conservare sotto qualun- que rapporto l'identità colla primitiva. Da questa supposizione la trasformata che ne risulta si è, com'è ben noto, p5 + q5 — n + (3pq — m) (p + q)=o, in cui m è preceduta sempre da un segno contrario a quello di 3pq. Si determinò p in modo che sia 3 p q — m = o. A ciò sembrava che nulla si opponesse, mentre p essendo un'arbitraria, ad essa si poteva attribuire il va- lore di — — , ed essere quindi p^-^-q3 — « = o,e perciò q° — n q* -) = o; anzi fatto q$ =Vj si ottenne la trasformala p2 — nv -\ ==0; equazion di secondo grado, ed oggetto della ricerca. ' 3.° Così si è sempre progredito per rendere ragionevoli le successive ope- razioni che conducono alla soluzione del problema. Ma non cadde mai in dubbio di esaminare se p o q effettivamente assumer potessero il valore in- dicato, e se la prima relazione di eguaglianza posta tra la x e le arbitrarie, cioè posta tra questa ed una qualunque delle tre radici, contrasti punto alla seconda relazione stabilita di 3pq=m. Essendo/) e q dunque prese in som- ma eguali ad x, egli è certo che ne l'ima uè l'altra possono eccedere i li- miti di x e zero, e tra questi limiti il loro rispettivo valore deve compen- sarsi in guisa, che quanto più una cresce, l'altra scemi. Se questa considera- zione è giusta, come lo è realmente stando all'ipotesi, ya non potrà mai giun- gere al valore di - — , ovvero q al valore di ^ — ; quindi è assurda l'equazione 3p q — 7w = o, equazione che solo potrà aver luogo quando sia p = q, non mai in altra circostanza. Eccone una facile dimostrazione. 24 i86 4-° Se un tutto dividasi in due parli eguali, in questo caso il prodotto delle due parti è un massimo, e diventa poi tanto minore, quanto cresce la differenza tra loro. Supponiamo che sia a=bj sarà a b un massimo; cioè se a = r_, b = r, in tal caso è ab = r'1: ma se a > b„ si ha allora a = r + *> e quindi b = r — s; perciò ab = 7,a — s1, vale a dire il prodotto fra a e b sempre minore, quanto è maggiore la differenza fra i due fattori: ma nel caso 1 • '/ , a + h 2 /« + & V • 1 che sia ab—r j per esser r = , ossia r == [ 1 , si ha pure in questa circostanza a b = ( ) uguale al quadrato della semi-somma , e per- ciò se a > b, o viceversa, sarà anche a b < ( I . Ora essendo oc una delle radici della proposta, e nel caso nostro quella che eguaglia le altre due, cioè la massima, sarà anche x" + x" =p + q; mentre la somma di p + q essendosi sostituita nell'equazione, essa pure non poteva essere che un valore identico di una delle tre radici. Ritenendo che sia m = — [x '2 -f- x *-\-x x'"), è facile dimostrare ciò che fu proposto, cioè essere impossibile l'eguaglianza fra il triplo prodotto di p q, ed il coefficiente del terzo termine ni . Diffatti _m_ /x"*+x'"*4-x"x'"\ _ n(i-"+x"')1—bx"x'")\ /3 (*"+*'")» + (*" — a;"')» \ \ fx'+x"'\ i(x"—x'"-V>[ sostituendo ad x" -\-x" il suo valore corrispondente di p~\-q, si ha dunque — - eguaglia il quadrato della semi-somma ( 1 , più un terzo del quadrato della semi-differenza tra le radici; ma pq quando è un massimo, abbiamo dimostrato che è uguale a [ ) ; perciò è impossibile che esso sia eguale ad-^-, perchè altrimenti avrebbe un valor maggiore di ogni mas- simo possibile, ossia dovrebbe essere simultaneamente eguale a due valori di- versi. Dal che si conchiude, che la trasformata v1 — nv + — =0 è assur- 27 da, ovvero che non si può abbassar di un grado la proposta per mezzo di quella relazione stabilita fra i coefficienti e le radici, senza introdurvi risul- tati contradditorii . i«7 5.° Ma l'esposta dimostrazione parte dal principio, che tanto p che q sieno due arbitrarie bensì, ma di tal valore che ciascheduna non ecceda i limiti di x e zero: alla qual condizione si è aggiunta l'altra, che x' sia la radice mas- sima della data equazione. Per giustificare questa seconda supposizione basta prenderla in esame indipendentemente dall'altra, ed allora facilmente restere- mo convinti che una tale ipotesi non iscema punto il rigore della dimostra- zione ; poiché se si assuma in luogo della massima x una delle radici mi- nori x"j ovvero x"\ e ad essa si faccia eguale p + q, questo valore decre- scerà tanto più, quanto è minore la radice assunta, e perciò diminuirassi an- che il valore rispettivo di ciascuna arbitraria, e quindi diminuirà il prodotto pq; perciò tanto meno eguaglierà esso il terzo di m, il qual m resta pur l' identico sì nella supposizione di x = p + q, che nell' altra di x' '_, ossia x" = p -f- q. Abbiamo dunque basato il calcolo sopra i dati più generali. Ri- guardo poi all'altra condizione, che né p ne q sia maggiore di x, né minore di zero, possono occorrere tre casi; e dietro l'equazione di condizione x' = P "f" (h 1uest' tre cas' s' esprimeranno nel modo seguente: i.° x =p + q, quando p e q sono tra i limiti di x' e zero; 2.° x' =p -(- o, quando una qualunque delle arbitrarie sarà eguale alla radice, per cui l'altra sarà eguale a zero; 3.° x =p — q, quando o l'una o l'altra delle arbitrarie sarà mag- giore della radice massima. Così non cadrà dubbio che la x' spezzata nelle sue quantità arbitrarie non venga considerata nel modo più esteso e generale. Il primo di questi tre casi l'abbiamo ora appunto dimostrato impossibile; è inutile di prender in esame il secondo, come quello che non introduce al- cuna modificazione nelle trasformate, né in forma nò in valore, non sostituen- dovi funzione alcuna diversa dalla prima ; resta perciò ad analizzare il terzo caso. Siccome la dimostrazione seguente inelude sì '1 caso primo che il terzo, così non lascierò d'indicarli ambidue, per cui resterà anche per una secon- da via nuovamente dimostrata la vera ragione, per cui la formula cardanica tragga agli immaginarli. 6.° Nella data equazione x* — nix — rc = o, in luogo di x si ponga pri- ma p + q, ed avremo la nota trasformata, da cui si ricava l'equazione parziale 3 p q = m, ossia p q = -^-, ovvero l^p q =■ — ; ed essendo x 2 = [x" + x ")' = (p-\-qJ)ì, avremo (p + qY — 4 p q =>X'* + x"'3 + 2 x" x'" — ^ 3x"* + 3x'">-\-6x,,x'"— 4*"a— 4*'"2 — 4*"*"' - J ; quindi p — q = (x" — x") |^— * eguale ad una quantità necessariamente immaginaria. Si ponga ora p — q in luogo di Xj valore appunto dato ad essa nel terzo caso; questa seconda sostitu- zione ci dà la trasformata seguente:/}3 — q^ — n — (3 p q +■ m) (p — q) = o, in cui 3pq è dello stesso segno di /Wj quindi pq — — -~— , ossia t\ p q F= 5-; ma per essere/» — q = x sarà (p — q)'essx , e perciò somman- do queste due equazioni avremo (p — q)* + ^pq = x'ì »- , dalla quale si ricava p -\-q = (x" — x'") i/UTT cioè uguale ad una quantità imma- 3 ' ginaria, ed alla stessa a cui abbiamo trovato uguale p — q. Dunque sì la somma die la differenza di queste due quantità arbitrarie riesce immaginaria ; ed inoltre alla fine del calcolo, com'era naturale, risultano fra loro eguali. Si può quindi conchiudere, che niuna delle radici della data equazione si può eguagliare ne in funzione di somma, né in funzione di differenza a quelle due quantità, che poi in prodotto si vogliono eguali al terzo di m; ed è per questo che è impossibile, seguendo l'indicato artifizio, di trasformare un'equa- zione del terzo grado in altra del secondo, senza introdurre delle condizioni assurde e delle eguaglianze erronee. 7.0 Peraltro il chiarissimo Ruffini, partendo da più generali principi], anzi con una dimostrazione, detta da lui stesso dimostrazione a priori j pervenne a trasformare l'equazione di terzo grado in altra di secondo, ed ottenne cioè la soluzione del problema senza pericolo d'incorrere in particolari errori, od in falsi supposti. E ben vero che questa trasformata del secondo grado essen- do identica con quella ottenuta per la via poc'anzi analizzata, fa nascere una ragionevole suspizione, che o non sieno sì generali i suoi principii , o ve ne abbia introdotto d'illusorii, di quelli cioè che nominati furono da un inge- gnoso Matematico algebriche fantasmagorie. Comunque siasi la cosa, si tenterà di qui indicare, e brevemente, le idee precipue dell'autore, per poter poi sog- giungere quella dimostrazione, la quale confermi che anche in questo meto- do, senza ricorrere ad assurde relazioni, non si giunge alla formula cardanica. Parte egli, per maggiore semplicità, da un'equazione mancante del secondo termine, e poi assume la funzione più semplice, che esprima in generale le i8g radici di qualunque trasformata, e trova, com'era di ragione, che quella, ge- neralmente parlando, è determinabile da un'equazione del sesto grado, di cui le radici sono della forma seguente : ,../(*') (x") (*'"); 2.a/(.r'") (,r) (*"); 3.a f(x") (x") [po'); frf(x') (*'") (x"); 5.a/(*") (x) (*'"); 6.*/«) [x") (x'). Conosce poi indispensabile, perchè giugner si possa alla soluzione del pro- blema, che questa novella equazione abbia alcune delle sue. radici fra loro eguali, ma che tal eguaglianza nasca dalla forma, non dal valore particolare delle radici della proposta; altrimenti non si otterrebbe che una soluzione ap- punto particolare ad alcuni casi. Ma siccome la trasformata, a cui si tende, esser deve al più del grado secondo, mentre qualunque altra di grado supe- riore riuscirebbe inutile , presentando le stesse difficoltà , od un maggior nu- mero di quelle che offre la data ; così conchiude , che le sei radici della trasformata in funzione della primitiva esser dovranno eguali fra loro a tre a tre, per cui due soltanto allora divenendo i valori diversi, l'equazione si ridurrà appunto del grado voluto. Afferma che infinite sono le funzioni le quali godono di questa prerogativa; e lo deduce dall'analisi che accurata in- traprende sulle sei funzioni delle radici sopra esposte, le quali riduce a due soltanto, e per artifizi] veramente ammirabili, e dietro profonde considerazioni, due forme generali stabilisce alle sei indicate radici, espresse da certe algebri- che frasi opportune all'intento; intorno alle quali conclude, che qualunque esse sieno, qualunque forma loro si dia, e qualunque permutazione si faccia tra le radici della proposta , non possono mai acquistare che due valori diversi. La prima di queste funzioni chiamata V, e V" l'altra, l'equazione da cui fa dipendere il loro valore è appunto della seguente forma: V* + SV -\- T=o. b\° 11 problema è ora ridotto alla sola difficoltà di determinare i coeffi- cienti S e T in funzione dei coefficienti della data. Siccome poi è cosa fa- cile il convincersi che anche nell'equazione v1 — nv = o si parte dal supporre il coefficiente n eguale alla somma di due cubi, ed eguale al 2 7 loro prodotto, così facilmente si dimostrerebbe che tutte le lunghe ed astratte considerazioni del signor Ruffini poggiano su di quella stessa ipotesi, e che in fine alla x si sostituì la somma di quelle due arbitrarie per giungere alla trasformata. Ma, volendo correre questa via, si darebbe in analisi troppo lun- ghe ed in confronti tediosi, mentre sarebbe necessario fermarsi a considerare I|)0 ciascuna delle astratte proposizioni dell'autore, le quali essendo molte ed ar- due, condurrebbero a lunghi calcoli: meglio è dunque attenersi ad un me- todo quanto breve, altrettanto pure decisivo, come a quello il quale, condu- cendo in ambidue i casi ad identità di risultati, fa conoscere che nel calcolo si sono introdotti i medesimi falsi supposti. S dunque non potendo essere che la somma o la differenza di quelle quantità le quali in prodotto danno l'ul- timo termine T (qualunque altra relazione renderebbe assurdo sì il valore di V\ come quello di V" , e nulli quindi tutti i premessi ragionamenti) ; così appunto egli ci dà S eguale alla somma di due cubi, e T uguale al loro pro- dotto, cioè S = p"J + q'5 ; T = p'5 q$. Dimostrale p q funzioni delle ra- dici della primitiva, trova il chiarissimo autore, dietro i principii da lui pre- messi, p = x + a x" -+- a' x" , e q' = X -f- a x'" + a* x"j intendendosi già per a e per «2 le radici cubiche immaginarie dell'unità. q.° Rapidamente così accennate le astratte proposizioni del celebre Mate- matico, ci siamo condotti a quel punto in cui è facile di dimostrare che il valore di p' e q è un valore identico con quello trovato per p e q. Nell'al- tra soluzione, ottenuta per semplici artifizi! di sostituzione, abbiamo veduto che 3pq non può essere eguale di m , finche sussista l'equazione x=p + q. Ma si può anche dimostrare che m non si potrà mai sciogliere in due fat- tori p e q, i quali sieno funzioni delle radici , senza introdurvi quantità im- maginarie. Diamo ad m una forma generale in funzione delle radici. Chia- mata x la maggiore, sia una delle minori p -f- n, e l'altra sarà quindi p — n, cioè facciasi x" = p + rc, x = p — ir; per cui x = 2 p e p = , mentre risulta poi ir = . Queste forme non alterano punto il valo- 2 re, ma ci presentano, come è facile convincersene, il coefficiente m sotto la forma 3 ?'1-\--.'ì, tale cioè che è impossibile di scioglierlo in due fattori reali. Resta ora da dimostrare che i valori ottenuti per p e q , partendo dall' ana- lisi del signor Ruffini, sono identici a quelli ili p e q ottenuti per la via or- dinaria, cioè di dimostrare che p e q' non sono che i fattori di m moltipli- cati per una costante, per cui la trasformata V1 + S V -f T=o, a cui per- m venne quell'autore, è identica non solo della superiore^ — 7M'+ = 0, ma che vi ci si giunse introducendovi le stesse relazioni immaginarie. i9» Infatti nell'equazione p' = x ■+■ a x" -\- a* x"' si ha x' ^= — [x" + x") , _i-l/"ZT3 . -j + ^^T ;■' ..... a = ; a = ; quindi per via di semplici sostituzio- ni e semplicissime riduzioni la forma del valore p si cambia successivamente e seguenti : p = — x — x -f- a x -\- a x = [a — i)x + (« — i)x ., ovvero p = l 1 } x -f j — i 1 x a I \x -H — I x , ovvero p = — Voi J x quindi /}' = — m (f 1/3 — J— tt ^ — i): ma siccome egli dà poi a q il va- lore di x' + a x" -f- cfx'; così, fatte in questo pure le necessarie sostituzioni -, ,^T j f*"+x'"\\/ì (oc"-x'"\ ,/ ( e riduzioni ,, si avrà q = — y 6 II I vi — j 1 V — i > = — • sH? K3~« VZT7), ed il prodotto p' q = 3 (p ^3^+ « K^i) (P 1/3^1" VIT7)==3 (3 ?2 + ■?•): ma per essere anche 3pq = 3 pa + t? = (? ^3-r-71 1/ — i) (9 VZ — » 1/ — i), s; retrocederebbe quindi con tutta semplicità fiuo ad ottenere per p e q i valori medesimi dati ape q ' , che solo differiscono d'un semplice fattore costante. Ecco quanto doveasi dimo- strare. Dunque alla formula cardanica non si perviene né seguendo la via co- mune, né quella immaginata dal signor Raffini, senza partire da assurdi rap- porti, o senza introdurvene ; anzi, se verrà data un'equazione vera, una rela- zione reale fra le radici ed i coefficienti, non condurrà questa alla formula di soluzione, senza che vi si introducano esplicitamente quantità immaginarie. Eccone un esempio. io.0 Sieno, come sopra, x'_, x" , x'" le tre radici reali disuguali, la dif- ferenza fra le minori x" — x" sia indicata per d_, e l'equazione resti sempre la propasta x^ — m x — rc— o. È facile dimostrare queste due proposizioni: il quadrato della massima radice è uguale alla terza parte della differenza che passa fra il quadruplo del coefficiente m del terzo termine ed il quadrato della differenza delle radici minori, cioè di dimostrare che è x"1 = ; mentre essendo ni — x"2 + x""* -+- x" x'"_, sarà 4 ni — d1 = 4 x"1 + 4 x'"2 + / " tH tf-x "'2 ■ " "* 1 / II • ll>\t I 75 l^x x — x% — x -+- 2 x x , ovvero 3 (x +x )=4m — <*> IQ2 cioè x = V 7m — . Così pure l'altra proposizione, che il prodotto delle radici minori x" x'" è eguale alla terza parte della differenza fra il coeffi- ciente m ed il quadrato dell'indicata quantità d_, cioè x" x" = — — — ; poi- ché essendo m=x"2 + x'"3 + x" x'"_, ed essendo d = x" — x'"j sarà pure m — cP csa 3 x" x'"j cioè x" x" = — - — . Se sostituiremo questi valori nella formula cardanica, che pur sono reali, ne otterremo una espressione immagi- rv e ... 1 'i 4"* — d2 n ni m — d* . - "i — d1* nana. Di fatto essendo x 3 = , e x x s= , sarà n3=: ■3 3 3 ^ 3 , e n1 = /y (4 m= — 9 m3 d3 + 6 m ) * — i. E se vorremo poi col terzo di questi valori stessi ascen- dere a quella formula, ci sarà necessario d'introdurre delle quantità immagi- narie. Riprendiamo l'equazione x = ]/^Am—d»=i \Zkm — d? , , [Sfa— g j 3 3 3 al cui radicale aggiunta e tolta contemporaneamente l'espressione immaginaria d V^-ì, si avrà^ = l \/ k<*—& -4- 1 [/V» — g + àVZI\—d 1/ITf 3 3 3 X = I ^ (►'top* + ^J + , ^ (^^_ , ,7-,^ ma sviluppando I \/ [\/ b™-* + rf ^— }V Un, — J^ \vr^^i-^^i^=È.)i/-^_^y si ottiene 4w — negli uomini. » (1) Frankenan. L. e. (2) Discorsi. Pai't. II. pag. u8. (3) Fisiologia. Voi. I. pag. 119. (4) Leggasi la seguente curiosissima notizia asiatica, comunicata dall'abate D. Valerio No- guero con lettera di Roma 9 Aprile 1794, inserita nel Tomo XIII. del Giornale inti- tolato // Genio Letterario d'Europa, Vene- zia 1794. « Nell'anno 1762 il sig. Noguero am- 11 ministrava la Parrocchia di Baughalion nel- » l'isola di Samar, provincia di Catlialogan. » All'epoca fissata gli si presentò una donna » con due bambini, cui allattava, cliieden- » dogli che la segnasse come esente dal tri- » buio, dovendo nodrire due creature. Riscon- » trato il nome di lei nel cadastro, eritrova- »tala scritta fra le femmine nubili, era na- 11 turale la ricerca che doveva farsi, come na- » luralissima V idea che pascer dovea nel!' ani- 11 mo. — E di chi sono figlie queste due crea- li ture ? — Signore, queste sono figlie della 11 tale, mia sorella maritata, che assieme col i) marito di lei perì nell'ultima epidemia, co- li me attesta tutta la vicinanza. — Effettiva- 11 mente la febbre gialla, che ora cotanto infie- 11 lisce nelle colonie americane, a quell'epoca 11 aveva distrutto un buon terzo dei popoli del- i> l' isole Filippine. — Ma come potete allatta- li re, essendo donna libera? — Per carità, si- li gnore, per amore di famiglia ; per non veder » perire due miei nipoti, che necessariamente » dovevano morire d' inedia di latte, io stessa 11 guingatasar aco: io stessa mi sono proca- 11 rato il latte, e gli allievo. — Ognuno può 11 immaginarsi la sorpresa che questa risposta » doveva destare in un parroco, altronde con- » sapevole del general buon costume della po- li polazione, e particolarmente della morigera- li lezza della fanciulla con cui trattava. — Eb- »99 Mirabile provvedimento a far si che in mezzo a disperati eventi non manchi una qualche fonte di vita capace d'impedire l'estinzione di una intera specie col preservare uno solo de' suoi individui! « A tutti quegli animali (dice a questo «proposito il citato Presciani (0) che diconsi poppanti ha la natura dato un » numero di mammelle corrispondente a quello dei figli che sogliono dar alla » luce: due a quelli che un solo figlio o due partoriscono; due perciò allumati » genere, all'elefante, al cavallo, alla balena, ec. ; agli altri animali più fecondi «quattro, sei, otto e dieci mammelle ha concesse. E singoiar cosa l'osservare » che i maschi di qualunque ordine di poppanti sono provveduti di mammelle » di egual numero, ed ugualmente distribuite come nelle femmine, eccettuato » che in essi sono meno piene e meno rilevate. Poiché dalla natura (ei prosegue) » niente d'inutile è stato formato, perciò ancor le mammelle dei masclii in casi » estremi possono talvolta alla prole abbandonala somministrar tanto di nulri- » mento che basti per assicurarne la vita. » Dalle quali osservazioni , comprovanti la proprietà degli organi destinati a secernere il latte, di farsene cioè turgidi anche sotto insolite combinazioni per forza di uno stimolo semplicemente locale ed esterno, parmi venga appoggiata l'opinione di que' fisiologi, e tra questi piacemi per nostro onore ricordare il Prof. Gallini, i quali ammettono essere il latte prodotto dalla stessa linfa che » Lene , sarai dunque madre ; avrai avuto » de' figli. ■ — • IJJio me ne scampi! Io sono «Baiagli (vergine): non ho avuto mai mari- « to. — Come adunque hai procurato il latte? « — Perconfusione dell'altiera fisica europea, « dice l' autore, s'ascolti la risposta genuina e « sincera di codesta rozza e semiselvaggia don- » na. — Cominciai, secondo 1' antico uso del « paese, a bevere una decozione delle foglie e «germogli del Malungay, che ha la virtù spe- « rimentata di fare e d'accrescere illatte.»(Co- desto albero è indigeno d'una gran parte del- l'Asia : nell' Hortus Malaharicus , tom. VI. Tav. II. , viene chiamato Moringiu. Fra gli Spagnuoli è conosciuto col nome di Piscilo Moluco; nella Flora del P.Giovanni Ferrari si trova elegantemente inciso e descritto.) «Con- « temporaneamente (continuò la donna) niicon- «fricava il petto, e l'applicava alla bocca dei » bambini. Per accelerare la formazione del « latte m' applicava dei panni caldi ai lombi, « e mi avvicinava di continuo al fuoco, finché » il calore mi mortificava le spalle. Dopo que- « sti tentativi sopraggiunse il latte, il quale col « succhiare delle creature ha sempre conlinua- » to, anche accrescendosi. Se qualche acciden- « te dell'aria rinfresca l'atmosfera, io replico » qualcuna delle accennate diligenze, o tutte, « e il flusso latteo si rinnovella. » » Testimoni! presenti al discorso della don- « na, e degni di tutta fede, assicurarono il sig. « Nauguro che tra quelle Indiane era in uso « questo mezzo di farsi il latte, e citarono va- li rie donne viventi e della parrocchia stessa che « lo avevano eseguito incircostanzeanaloghe.» (i) Loc. cit. 200 si va perfezionando nei vasi linfatici prima che penetri nei vasi sanguigni (i)> ed essere quindi il lalte in fatto, come già per sé stesso apparisce, un liquido molto analogo al cliilo, di cui ha non solo la bianchezza, l'odor soave e il sapore zuccherino, ma la proprietà altresì di essere, come il chilo, un liquido animale ancor poco elaborato , e che conserva molte delle qualità sensibili degli ali- menti che ha presi la nutrice (a). Il perchè veggiamo sì spesso trasfondersi al bambino l'azione, p. e., pur- gativa di un rimedio amministrato alla donna da cui egli succhia il latte (3); e da ciò pure forse dipende in gran parte, se mal non veggo, che quell'umore così innocente, così benigno, sino a che percorre le vie che gli sono destinate, cagiona poi danni gravissimi in quelle donne, nelle quali succedendo che devii, reca seco in parti non sue, lontane, irritabilissime, dei materiali ancor troppo poco assimilati per non riescire ivi molesti e intollerabili. A dimostrare poi vie più quanta analogia passi tra la sostanza chilosa e l'umor latteo, ed in qual modo una eccedente quantità dei priucipii da cui ri- sulta il primo, possa far sì che l'altro quasi si componga, ed esca per vie straor- dinarie, potrei rammentare il fenomeno dell' urina lattea^ intorno al quale par- lerò altrove di proposito (4). Ne si creda che venga così a sovvertirsi l'ordine fisiologico delle secre- zioni a segno di produrre necessariamente una malattia, poiché giova osser- vare che rimane per tal guisa piuttosto provveduto, mercè alcuni compensi, al- l'equilibrio di quelle funzioni dalle quali, non che la salute, la vita dipende degli animali, e principalmente dell'uomo. Iu prova della qual cosa rifletterò qui coi celebri Gallini e Cuvier, che esiste molta rassomiglianza tra l'urina e la traspirazione cutanea, che l'una supplisce all'altra, e che altrettanto fa la traspirazione polmonare, quantunque grande differenza ci risulti esistere tra la struttura dei reni, della pelle e dei polmoni (5). Ma quale differenza, soggiugnerò io, esiste poi nelle parti destinate a sepa- rare il lalte nelle femmine degli animali divenute già madri, e in quelle che mai noi furono? Nessuna certamente, quanto all'organizzazione; donde s'intende come una esterna irritazione possa bastare a far ciò che, durante la gravidanza (i) Nuovi Elementi della fisica del corpo (4) Vedi l'aggiaDta in fine Jella presente umano. Voi. II. pag. 238. Memoria. (2) Riclieiand. Op. cit. (5) Gallini. Op. cit. Tom. I. pag. 275. (3) Ibid. 201 e maggiormente dopo il parto, si promuove in esse spontaneamente per interne cagioni. Rammentate e ben considerate tutte queste cose, non vi sarà dunque chi non deplori que' tempi da noi non ancor molto lontani, in cui vi ebbero ra- gionatori sì meschini, giureconsulti cosi affascinati da fallaci autorità, e medici persino sì ignoranti a pregiudicati da conchiudere nei loro giudizii contro qualche donna caduta in sospetto di occultata gravidanza e di commesso infan- ticidio , avente latte nelle poppe: Lac ìiabet; ergo peperit, ani saìlem cum viro rem habuìt {i) \ ponendo così qua! massima fondamentale della punitiva giustizia un principio contraddetto da tanti fatti, e del tutto insussistente. Allorché questo principio, tanto erroneo in se stesso quanto crudele nella sua applicazione, teneva luogo di legge presso alcuni popoli, solevasi nella Sca- nia, come racconta Horlemann , per iscuoprire la rea di un infanticidio avve- nuto, convocare le fanciulle puberi dei luoghi circonvicini, e si esaminavano loro le poppe ; prova che paragonar si potrebbe in qualche modo alle tremende prove del ferro e del fuoco. II. nostro famoso Cardano asserisce ne' suoi com- menti ad Ippocrate, che attenendosi a simile fallacissimo indizio venne con- dannala al supplizio, contro il voto dei medici, una sciagurata donna, per ciò solo creduta l'infanticida di cui si andava in traccia, perchè aveva turgido di latte il suo petto (2). Tommaso Bartolino, uno dei più celebri medici del secolo XVII. ed uno dei più illustri alunni dell'Università nostra, in quell'epoca sì luminosa per essa, ci ha conservato la memoria di un caso che vale per tutti a provare la verità di quanto Horlemann dice della Scania, provincia, come ognun sa, spettante a quel tempo alla Danimarca, patria dello stesso Bartolino. Nuperis annis (adopero per maggiore autorità le stesse sue parole, ed av- verto ch'egli scrisse circa l'anno i65/j) nuperis annis in Blekingia, Scaniae provincia, puella quaedam nubilis stupri accusabatur , expositique infanlis maler traducebatur. Videbatitr suspicionem conceptam lac augere , quo mùmmie sororiantes diffluebant. Illa vero ad causae aequilatem et inno- centiam provocatimi , unico argumento judkum sentenliam suspendit. Na- turaìcm enim sibi laclis esse provenlum praetendebat, et a primis incuna- bulis seinper familiarem. Pueìlae fidem firmavit fraler iUius minorennis, (i) Martini. Schurigii Parthenologia.'Pà- (2) Haller. Phjsiol. L. e. gina 290. 26 202 qui pari liberiate turgidas lacte papillas produxit. Magistratus jussu res ad medicos Hajhienses devoluta estj qui et exemplis et rationibus indu- ctij virginibus nonnullis incorruptis lac asserueruntj adeoque pueUam inten- tato crimine liberandam uno ore censuerunt (i). Ecco come una dovizia precoce di natura bastava allora nella Scania, e così dicasi di altre regioni rammentando il fatto di Cardano, a porre in grave pericolo l'onore e la vita di qualche meschina fanciulla; ed ecco come l'igno- ranza e il pregiudizio render possono le leggi più fatali ancora dei delitti che vorrebbero punire! Noi felici, che viviamo in luoghi ed in tempi in cui la Medicina Forense, elevata di già al grado di scienza, non istruisce soltanto dalla cattedra gli alunni d'Ippocrate, ma pronuncia ben anco i suoi oracoli, si- cura di non farlo indarno, in tutti quei giudizii nei quali è necessario, per non errare, che la cognizione delle fisiche leggi serva di guida al depositario ed al vindice delle leggi penali! Il che mentre conforta grandemente l'animo di ogni uomo filantropo, in noi Italiani desta inoltre a buon dritto un nobile sentimento di gloria na- zionale, giacche i nomi illustri del fiorentino Fortunato Fedele e del romano Paolo Zacchia sono ancora venerati come quelli dei veri fondatori e dei primi maestri della scienza medico-legale. Ben vi rammenta, o Signori, con quanto sapere e con quanta evidenza di ragioni da questo luogo stesso parlasse in onore di que' due Italiani il chiarissimo nostro Socio e Direttore Fanzago, il quale se rimproverò giustamente allora ad alcuni stranieri il loro silenzio in- torno a Fortunato Fedele (0, non potrà adesso che più acerbamente dolersi pensando che lo stesso ingiustissimo silenzio abbiano serbato non solo gli edi- tori della Biografia Universale di Parigi, ma quelli pure della sua traduzione in \enezia, versione alla quale l'Italia (colpa di tali ostacoli che l'opera di al- cuni pochi, benché zelanti del patrio onore, non vale a superare) va scar- samente debitrice di nuovi allori raccolti, o di corone ritessute fra noi, ed of- ferte ad uomini degni di venirne più nobilmente fregiati. (ì)Barth. Thora. Hist. Anat. Cent. I. et (i) Suovi Saggi. Voi. I. pag. i. II. pag. 43- 20J STORIA ED ANALISI CHIMICA DI URINA LATTEA SEPARATA DA UN UOMO u, n fatto, di cui alcuni tra gli studiosi delle mediche discipline furono qui , anni sono, ben a ragione attenti osservatori e indagatori curiosi , si fu la urina lattea copiosamente separata da quel Giovanni Battista dall'Armi tri- vigiano, di cui ragionò il sig. Bartolommeo Bizio nel Giornale dei Professori Configliachi e Brugnalelli (i), e di cui riferisco qui la breve storia coi risul- tamenti delle elamiche indagini eseguite dall'illustre nostro Prof. Melandri, il quale me li comunicò gentilmente col testo del biglietto seguente inviato- gli dal sig. Prof. Fedrigo neh' accompagnargli il dall'Armi durante la state dell'anno 1822. « Un caso assai strano e particolare si presenta alla mia osservazione. Fui » consultato dal sig. Dott. Zanatta, medico Irivigiano, per vedere un soggetto » di anni 4-0, sano, robusto, non mai attaccato da veruna malattia, il quale dal xperiodo di dieci mesi orina costantemente, cominciando dalle ore della di- » gestione fino alla mattina seguente, una materia biancbissima, odorosa, simile » al latte. Non osservasi alcun sintomo di alterata nutrizione, o delle forze vi- » tali; non evvi sete, ne inappetenza. Ho definito la malattia per una chi- li luria, dipendente da un disordine di assorbimento e secrezione del chilo. » Furono pronunciati diversi giudizii sull' indole di questo curioso fenomeno. » Io amerei ch'ella si compiacesse di fare l'analisi della materia orinata dal » predetto signore. » Il Prof. Melandri intraprese ben tosto colla perizia a lui propria il ri- chiesto esame chimico dell'urina lallea_, intorno al quale egli stesso estese la seguente relazione. « Mi fu recato, accompagnato da una lettera del Prof. Fedrigo, un fia- li schelto di un liquido bianco opaco, orinato da un individuo sano e ben » nudrito, acciò su di esso instituissi un qualche chimico esame, siccome (0 Decade II. Voi. VI. pa5. ut. 204 » feci immediatamente. Poscia altre due bottiglie mi vennero mandate dal «medesimo, il quale insieme col Dott. Zanatta, medico alla cura del sog- » getto citato, si portò da me, e mi disse che una bottiglia era stata evacua- » ta il dopo pranzo verso sera del dì precedente, e l'altra alla notte. Quella » evacuata il dopo pranzo era più densa apparentemente. La sua gravità spe- li cifica risultò = 1,0148 ai gr. 22 R. Esposta ad un debole riscaldamento » di 3o in 35 gr. R. , diede l'odore che dà il latte riscaldato. Ma quando i> il calore giunse verso ai gr. 65, cominciò a far sentire un odore urinoso, il «quale crebbe nella successiva evaporazione del liquore, e si mantenne seni- li pre sino alla fine. » Alcune oncie del liquido intatto furono destinate alle seguenti reazioni: » i.° Arrossò lentamente la carta azzurra di tornasole, dimostrando cosi » la presenza di debole acidità. » 2.0 Coli' acido acetico non si mutò punto. » 3.° Col carbonaio di potassa non diede precipitato. » 4-° Coli alcool assoluto fece una leggiera separazione di fiocchi mini- li mi che rimanevano in sospensione, e si produssero due strati distinti, il su- » periore dei quali era meno torbido. II giorno appresso era nata una separa- li zione di un coagulo bianco da un liquido gialletto superiore. Il coagulo rac- 11 colto ed asciugato si comportò sul fuoco come una materia caseosa. » 5.° Trattatane una porzione coll'infuso di galla, si formò una separa- li zione fioccosa gialla, che restò a lungo in sospensione. 11 6.° Altra porzione trattata colf acido nitrico fece effervescenza, diede 11 odore di pomata ossigenata, ingiallì, separò alla superficie una materia gialla » pinguedinosa. » » 7.0 Sottopostane una porzione maggiore, cioè circa due oncie, alla ebul- » lizioue di breve durata, formò un coagulo in bianchi fiocchi, che fu rac- » colto su di un feltro; e gettato sul carboni ardenti, a questa prova tramandò » l'odore che fa sentire il formaggio fresco gettato sul fuoco. Trattato il coa- » gulo, di già lavato, con alcool bollente, restò una materia insolubile che sui » carboni sparse odore di corno bruciato. L'alcool evaporato lasciò una materia 5i concreta pingue, fusibile, che stearina venne giudicata. » 8.° Il liquido spogliato dalla materia coagulata fu condensato colla eva- » porazione fino a consistenza di lungo sciroppo, ed allora trattato coll'acido » nitrico concentrato produsse abbondante coagulazione cristallina scagliosa di 11 vero nitrato d'ureo. so5 "Urgenti circostanze m'impedirono allora di continuare l'analisi di quel- » la urina lattea, dimodoché due altre bottiglie, che mi erano state fornite, se » ne restarono in abbandono per lunghissimo tempo. Vidi però una cosa ri- » marchevole in questo liquido escrementizio singolare; ed è, che mantenuto » in bottiglia piena si conservò sempre latteo per più di 1 5 giorni , ed appena » sentiva di liquido urinoso dopo un tal periodo di tempo. Un mese circa vi » si richiese, perchè esso desse segno di decomposizione spontanea. Si separò » una materia bianca abbondantissima che cadde al fondo, ed un liquido gial- » lastro che aveva anche alla superficie altra materia biancastra e come pingue. » Il sedimento si conservò così ( mantenuta sempre chiusa la bottiglia ) per » qualche anno, e videsi in questa occasione come un liquido salso amraonia- » cale poteva conservare una sostanza putrescibile, quale era il sedimento men- »zionato; e quando venne poi estratto, e sottoposto ad esame, si trovò compo- » sto di materia caseosa e di vera effettiva stearina. Questa venne estratta col- » l'alcool bollente, dal quale si separò in globuli, come fa la stearina. Alla «fusione, alla solubilità nell'alcool e nell'etere, alla decomposizione al fuoco, » in tutte queste reazioni apparì perfettamente identica ad un tal principio » organico idrogenato. Nel liquore poi, da cui erasi separato il coagulo di ma- il teria caseosa e stearina, si trovò la presenza di abbondante quantità di sali » muriatici e di fosfati, unitamente a molto carbonato d'ammoniaca. » Dalle retroscritte osservazioni ed esperienze risulta adunque che la ricor- » data urina lattea aveva in se: i.° i soliti principii componenti l'urina umana, «cioè ureo, sali fosforici, e sali muriatici; 2.Q- una sostanza caseosa analoga »a quella che dà il latte; 3.° una sostanza pingue esistente parimente nel » latte, ossia propriamente la stearina, quale esiste negli olii vegetabili e nei » grassi animali. » La sostanza caseosa venne assoggettata alle prove degli acidi e degli alcali, » e si comportò come il caseum del latte; si stemperò cioè cogli alcali, e ri- » cusò di sciogliersi negli acidi diluiti. Coll'acido nitrico fece effervescenza, si » cangiò in materia gialla, e poi in acido ossalico. » P. S. La seconda bottiglia, ch'era chea del peso di 6o denari metrici » di liquido, e della orina della notte, diede meno sedimenlo caseoso della » prima, il peso della cui materia non era che di un terzo della delta quantità. » Nella spontanea decomposizione il liquido separatosi dal sedimento fu più » colorito. Era bruno, assai fetido ammoniacale, ed aveva tulli i caratteri di » un' orina della digestione putrefatta. 206 Noi dobbiamo così al Melandri la conoscenza dell'indole vera dell'indi- cata urina lattea, su di cui il signor Bizio non aveva potuto fare cbe un im- perfetto lavoro, com'egli stesso ingenuamente dice, attesa la poca quantità cbe gliene era stata trasmessa, e l'avvertita mutabilità nella proporzione dei prin- cipe componenti quell'umore, a seconda dei tempi ne' quali veniva emesso, dopo il pranzo cioè, o di notte; motivo per cui Dell'indicata sua lettera pub- blicò: « non aver nella detta urina rinvenuta veruna parte caseosa, ma soltanto » dello schietto burro, e che la materia coagulata dal calorico non era altri- » menti il principio cacioso, ma un'alterazione del muco della vescica. » Gh parve quindi poter inferire che « l'orina del dall'Armi fosse diversa da quella » separata dalla giovane di 26 anni, osservata non ha molto dall'Alibert, e sot- toposta da Caballe all'analisi, da cui quel chimico francese trasse vera so- » stanza caseosa,» quando invece trovandosi tale sostanza realmente in entrambe codeste orine, non può dirsi che in ciò l'una differisse dall'altra. A questi due recenti esempi uno ne aggiugnerò consimile di assai vec- chia data, ed è la mictio laclea sine incommodo diu durans sofferta dal ce- lebre medico alemanno Felice Platero, e da lui medesimo riportata nel terzo libro delle sue Osservazioni (1) con tanta semplicità e nitidezza da non poter far meglio che ripeterla colle sue stesse parole . Contigit miìii, dum adhuc puer essem, ut frequenter ardor inter ine- jendum me infèstaret, quod tamen ob pudore nemini patefacere ausus eram. Postea aduldor factus , cum in Gallia versarer, varius ea molestia divexabar. In virili aetate, in matrimonio viventi, aliud accessit : sub vesperam cum urina reddebam, erat ea, quae primum prodibat, valde turbida, et veluti lactea, quae quiescens non nihil, materiata albani lactis crassioris instar, injundo cochlearis unius vel duorum mensura deponebat, quae cum urina agitata, confusa, eam turbidain reddebat, accedente interdum ardore et stranguria quadam inter mingendum : quod accidens plus quam per viginti annos, citra alium renimi aut vesicae affectum, duravit, magisque jrìgoris tempore me afficiebat. Dubius qualis haec esset materia, ea quandoque exiccavi, tumque sai quoddam rappresentabat pellucidum, in fibras scis- simi, et gustili salsuin erat. Metuens ego ne calculi essent praeludia, cum in comiliis Imperli Spirae essem anno 1570, cum primario Imperatori Maximiliani tane temporis medico C r alone , ea de re contuli, qui calcu- li) Plalcri Felicis Arch. el Prof. Badi. Obs. Lib. III. pag. 784. Basii. 161 4- 207 lum renimi subsecuturum judicabat_, mihique sano et alacri i, atque ad mid- tos principes praxeos causa vocato, terrorem incussa. Vcrum, Dei gra- tili , ni/al inde mali secutunij sed jam pene quadraginta ab eo tempore annos neque hoc accidenti àliisque renum aut vesicae morbi infestor. Dai quali fatti, se ben si considera, palesemente risulta clie in questi in- dividui somma esser doveva, come si disse nel corso della precedente Memo- ria, la quantità dei principii, e somma l'attività degli organi che alla secre- zione del chilo proveggono; ed essi dimostrano la facilità con cui que' prin- cipii medesimi invece del chilo possono produrre il latteo umore: poiché non basta solamente che ciò succeda fuori al tutto delle consuete circostanze, suc- chiando lungamente le poppe, ma a ciò pure possono avvicinarsi di mollo entro quel sistema, cui non altro appartiene che di secernere l'urina. CONSIDERAZIONI AI DIFFERENTI METODI DI ESPOSIZIONE DEL CALCOLO DIFFERENZIALE TEOREMA GENERALE PER LA DETERMINAZIONE DEI DIFFERENZIALI DELLE FUNZIONI CONTINUE. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI V GENNAJO MDCCCXXX. DAL SOCIO ATTIVO DOTT. CARLO CONTI JL er soddisfare all'obbligo dell'odierna lettura aveva stimato opportuno di esporre a voi, dotti Accademici, alcuni miei pensamenti sopra il modo mi- gliore da seguirsi nella primitiva istituzione scientifica della gioventù, ed in- torno alla formazione dei Corsi elementari. Siccome però non mi venne ancor dato di ridurre quel lavoro quale io desidero, riserbandolo ad altro tempo, presi a trattare di un soggetto, intorno al quale a Voi altre volte parlando, ebbi ad esperimentare quella indulgenza cbe in questa occasione nuovamente imploro. Occupandomi dei principii del calcolo sublime , e seguendo un pensiero die fino dai primi anni dello studio delle Matematicbe elevate venivami alla mente, ho pubblicato un semplice Saggio nel 1826, quindi uno sviluppo maggiore in una Memoria data alla luce nel 1827. Lusingato dai risultati ottenuti, continuando a meditare sopra un tale argomento, mi consolava il ve- dermi sempre più assicurato ne' miei pensamenti. Le successive considerazioni, che in progresso ebbi a fare, mi porsero materia di questo discorso. Istituirò un confronto del metodo da me proposto con gli altri, facendo conoscere quali sieno i punti principali nei quali differisce, ed i particolari vantaggi; e aog quindi mi farò ad esporre un generale teorema intorno alla determinazione dei differenziali delle funzioni continue; teorema che abbrevia quei calcoli stessi che trovassi nella mia Memoria , già brevissimi in confronto di quelli che debbonsi istituire seguendo i metodi di d'Alembert e di Lagrange nella soluzione di que' problemi . Se ad altri, che a Voi zelanti cultori delle scienze, io parlassi, e se in altro luogo, che in questa Accademia la quale in altro tempo propose questo argomento per tema di pubblico concorso, e premiò i tentativi del Brunacci, sarebbemi necessario di far vedere eh' esso è tanto interessante quanto la scienza stessa, e che ognuno il quale voglia procedere con rigore nella scienza del calcolo, ne deve formare particolar soggetto delle sue meditazioni. Conoscendo quanta influenza abbiano le ciliare idee dei principii di una scienza, meco stesso ho stabilito di ammettere soltanto ciò che in me induce convinzione ; di applicarmi sovente a rischiarare quei punti che si riconoscono oscuri , avvegnaché solo per questo mezzo si può sperare una volta di per- venire ad importanti conseguenze ; di far uso bensì di melodi e di principii non abbastanza evidenti , quando dal fatto n'è comprovato il loro felice suc- cesso, ma di ritenerli sempre quali sono, cioè ahhisognevoli di dimostrazione. Nelle scienze matematiche le difficoltà debbono provenire dalle incom- plete definizioni o nel dedurre fallaci conseguenze,© neh' estendere di trop- po i teoremi, cioè a casi nei quali cessano di aver luogo le condizioni neces- sarie, o nell'abuso dell'algoritmo; ed un attento esame deve far conoscere ove stia l'errore, ne mai si deve perdere la speranza di ricondurle alla loro perfezione. Non e' incresca di ritornare ripetutamente sopra gli stessi principii: troveremo sempre onde occuparci , e potremo conoscere che il più grande pia- cere intellettuale si è quello di vedere nettamente la successione della verità, che grave rischio si corre nel violentare la ragione, e che il maggior dolore di una mente pensante si è quello di lottare nella oscurità. Dobbiamo essere cauti e guardinghi prima di dubitare della verità delle proposizioni che ci vennero dettate da sommi ingegni, ma la loro autorità non deve mai tener luogo di dimostrazione. I grandi uomini debbono essere venerati per le verità che. discoprirono, non mai debbonsi stimare le proposi- zioni perchè ad essi sono dovute; queste debbono portar seco l'impronta della verità , ed il loro pregio e valore . 27 210 Venendo a parlare dei differenti metodi di calcolo incomincierò da quello degli infinitesimi. Nella mia Memoria distinsi questo metodo in due: l'uno rigoroso, 1 altro inesatto, secondo che tutto si deriva da alcuni principi] am- messi, o si procede ad arbitrio. Questa distinzione mi valse a conoscere che il più delle volte si attribuisce al metodo quella semplicità di calcolo che solo al metodo inesatto di procedere appartiene. In quello scritto non volli entrare a discutere intorno alla metafisica dei principi! di varii metodi, ritenendo che quello sia da preferirsi, il quale combini una facilità di calcolo colla esattezza dei principii. Ora però riprendendo questo argomento, e volendo procedere a no- vello confronto del mio metodo cogli altri, prenderò a dire alcuna cosa sulle idee fondamentali di quei metodi. Cosa sono gl'infinitesimi? Secondo alcuni, sono quantità indefinitamente picciole, così che possono assumersi comunque picciole; quindi sarebbero sem- plicemente quantità indeterminate. Secondo altri, sono quantità minori di qual- unque quantità assignabile, ed in tal caso mi sembra che non possano differire dallo zero. Lascierò di qui ripetere le tante cose che si sono dette sulla natura degl'infinitesimi, onde in qualche modo acquetare la mente; bastami ora riportare l'opinione del Volfio, il quale disse che per rappresentarci l'infi- nitesimo dobbiamo figurarci un granello di sabbia in confronto dell' intero globo terrestre . Nuove difficoltà poi insorgono quando si vuole far passaggio agl'infinitesi- mi degli ordini superiori, per cui il Rolle ed il Nieuwentit ammettendo l'in- finitesimo di primo ordine, non volevano riconoscere l'esistenza degli altri. Si è detto, che ammessi i primi di necessità, debbono aver luogo i secondi, avvegnaché se il seno è infinitesimo di primo ordine, il senoverso lo è di se- condo. Io osserverò pertanto, che quando per uno infinitesimo si considera il minore di tutti i seni assignabili, non può essere che il seno nullo, e che però non può aver luogo la costruzione che si fa pei seni finiti. Che se gli infinitesimi si ammettono quali quantità picciolissime , e le loro successive po- tenze costituiscono gli infinitesimi degli ordini superiori, sorgerà la giustissi- ma ricerca del perchè si possono trascurare. Fu detto che Leibnizio doveva avere chiare idee degli infinitesimi : noi però non possiamo giudicare che da' suoi scritti; ed in uno di questi si legge che le equazioni differenziali non sono verae , ma tollera/iter verae. Dicesi poi continuamente potersi far uso del calcolo infinitesimale, per- chè siamo assicurati d'altra parte dell'esattezza dei risultali: sono adunque ne- 21 I cessarli due metodi, onde vedere che alcuni risultati ottenuti col calcolo leib- niziano sono giusti ; si dovrà poi inoltre ritenere un tal metodo come pra- tico, cioè a dire non rigorosamente dimostrato. Non può non destar meraviglia il vedere come nei principii della Ma- tematica si riconosca necessario di dimostrare la legge dei coefficienti del bi- nomio newtoniano dedotta per analogia, e poco o nulla si curi il rigore nei principii del calcolo sublime. In un metodo esatto ogni parte deve avere con sé la propria dimostrazio- ne. Ora, senza entrare nelle lunghe dispute di parole, domanderò solo che mi si renda ragione del perchè dall! equazione j = x* si passa all'altra dj = axdXj trascurando il termine dx*. Credo poi che siavi un altro svantaggio nello studio del calcolo infinitesi- male, quando non si voglia risguardarlo come semplice metodo pratico per la soluzione di problemi , secondo il Lagrange ; ma pel contrario qual metodo che seco porta l'evidenza e la dimostrazione. In tal caso la mente nostra tenterà di persuadersi in un qualche modo , e si abituerà a ritenere per di- mostrazione; parole non ben definite, di vago ed indeterminato senso: il che quanto sia nocivo, ognuno facilmente può conoscerlo. Dette queste cose sopra il calcolo leibniziano, passerò a quello dei limiti ; e siccome i trattati secondo questo metodo sono quelli del Cousin e di Paoli, riporterò il passo di quest'ultimo, ove ne espone i primi fondamenti. Perve- nuto all'equazione r— = A -+■ B &x -f- C A.r2 -f- ec. , cosi prosegue: « è A X » chiaro, che diminuendo continuamente il valore di A x, quello di -r^ va seni- li pre accostandosi ad A, senza mai giugnervi ; dunque A è il limite al quale A^ A. » va sempre approssimandosi il valore di -r— Se per denotare questo limite d y » ci serviamo del segno ^ — , sostituendo la caratteristica d all'altra A, ed usan- d y » do la medesima maniera di scrivere, avremo v~ — A. La ricerca di questo «limite è l'oggetto del calcolo differenziale; i termini dx,dy della frazio- dr . » ne jp- si chiamano differenziali o differenze infinitamente picciole del pri- 212 » rao ordine ; differenziare significa trovare il valore della frazione -j- , cioè d y "quella quantità A tale chey-=y/. » Se adunque, io osserverò, j^ è un segno, per cui si avrebbe potuto far uso, p. e., di un'Z.., per qual motivo si è poi convertito quel segno in fra- zione, e si considerano dy,dx quali quantità? a che poi l'aggiunta di quan- tità infinitamente picciole? Ma se questo passaggio da segno a frazione è ar- bitrario, se non si può legittimarlo, domanderò quale idea si possa avere di differenziale nel calcolo de' limiti. Considerare dx, d y quantità, sarebbe lo stesso che risguardare F' fattore in F' (x), simbolo destinato dal Lagrange a rappresentare la derivata prima di una funzione F(x). Intorno alle difficoltà che s' incontrano con questo metodo nelle differen- ziali delle funzioni a più variabili e nei differenziali degli ordini superiori, ho detto già abbastanza nella mia Memoria. L'idea di limite nel rapporto di due quantità variabili, che non hanno fra loro alcuna dipendenza e legame, non può a meno di non essere oscura. Ho fatto poi vedere nello slesso opu- scolo come sia necessario nelle applicazioni ricorrere al principio delle tre serie di Lagrange, se vogliasi procedere con esattezza anche secondo gli am- messi principii; ed osserverò finalmente, che le soluzioni dei problemi richie- dono necessariamente lunghi calcoli. Quanto al calcolo lagrangiano è necessario distinguerlo in quello delle funzioni analitiche ed in calcolo differenziale, come venne esposto dal Bru- nacci e dal La-Croix. Allo stesso calcolo poi si riporta eziandio il metodo da me proposto, differendo soltanto in alcuni punii dal precedente, come avre- mo luogo di osservare. Ad ognuno il quale siasi applicato allo studio delle Matematiche sublimi deve esser nota la genesi delle derivate. Confrontando le derivate coi diffe- renziali, trovasi che facilmente si può fare il passaggio dai differenziali primi alle derivale corrispondenti, e si può vedere che la derivata prima altro non è che il limite dell'Alembert. Non così direttamente si può fare passaggio dalla derivata seconda ai differenziali secondi, quando il dx è variabile. In latti nella derivala prima non essendovi alcuna traccia della variazione attribuita alla variabile , la derivata seconda contiene una sola variabile, mentre nel dif- ferenziale primo avvi la variabile ed il suo differenziale, quindi due quantità 2l3 suscettibili di variazione. Onde vi fosse una corrispondenza fra le derivate ed i differenziali, si suppose la variabile x di una funzione dipendente da al- tra variabile tt per cui la derivata prima contiene due fattori: l'uno la deri- vata, come se la x fosse semplice variabile; l'altro dipendente dalla supposta relazione fra x e t. Dietro questa ipotesi la derivata seconda contiene due ter- mini, e può agevolmente paragonarsi col differenziale secondo. Supponendo t semplice variabile, si può paragonare la derivata terza col differenziale terzo, essendo il d'x costante, non già quando si supponga va- riabile; per cui in tal caso è necessario considerare la t funzione di altra va- riabile Sj e così via discorrendo. Si vede però che in qualche maniera il cal- colo differenziale è più generale di quello delle funzioni analitiche, poiché ogni differenziazione introduce novelle variabili, che si potranno quindi sup- porre fra loro legate nel modo migliore che lo stato della quislione richiede. Per questo la teorica della trasformazione dei differenziali riesce più chiara e semplice in questo calcolo. Un altro vantaggio ha il calcolo differenziale , quello cioè che i differen- ziali sono della stessa natura delle funzioni che si vogliono determinare: così nella quadratura delle curve il differenziale è un'area, nello spianamento della superficie il differenziale è una superficie ec. , mentre nel calcolo delle deri- vate la prima dell'area di una curva è l'ordinata, cioè una linea, e la deri- vata seconda della superficie è un numero astratto. Si può dire che le deri- vale sono funzioni ausiliarie che ci conducono alla conoscenza delle ricercate primitive, e quindi poco ci deve interessare che sieno della stessa natura, od altrimenti. Onde conoscere però che l'accennato vantaggio è reale, mi è neces- sario dire prima alcuna cosa intorno al calcolo delle approssimazioni. Le Matematiche si potrebbero distinguere in rigorose ed in approssima- te : le prime occupansi delle proprietà assolute delle quantità, le seconde della determinazione delle quantità entro certi limiti. 11 grande problema, intorno al quale versano quest'ultime , si è di determinare quali quantità possano so- stituirsi ad altre, onde la quantità che ne dipende differisca al più dal giusto valore di quantità data. Questa parte delle Matematiche dovrebbesi separare dall'altra, istituire un suo proprio linguaggio ed algoritmo, e si troverebbero interessanti teoremi per le Matematiche applicate, ove è inutile l'assoluta esat- tezza matematica. Grande, a mio credere, sarebbe l'utile derivante da questa divisione delle Matematiche, mentre non si verrebbero a confondere i rapporti assoluti delle 2I/( quantità cogli approssimati, e lo studioso non avrebbe alcuna difficoltà di tras- curare delle quantità, quando siasi stabilito entro quali limiti si voglia cono- scere la quantità da determinarsi, e che entro quelli le ommesse quantità non possano avere alcuna influenza. Egli è certo die non può a meno di produrre una qualche incertezza il vedere che, ritrovata una equazione differenziale, prima d' integrarla se ne trascurano alcuni termini, o quantità variabili si suppongono costanti; ma se alcuni teoremi precedenti insegnassero che il risultato, al quale si perviene, dif- ferisce dal ricercato in quantità che si vogliono trascurare, svanirebbero tutte quelle difficoltà. Credo che chiunque siasi occupato delle Matematiche applicate debba aver conosciuto eh' è inutile l'assoluta esaltezza matematica, che perciò basta isti- tuire dei calcoli di approssimazione, ma che nello stesso tempo non si hanno principii generali, onde in quelle regolarsi. Convinto della importanza di questo argomento, mi sono alcune volte oc- cupato nella risoluzione di alcune particolari questioni che vi si riferiscono, e spero in altro tempo potervene offrire un saggio. Quanto ora dissi tende sol- tanto a far conoscere il vantaggio che il calcolo differenziale ha sopra quello delle funzioni analitiche. Nelle Matematiche approssimate occorre di determinare la variazione che subisce una quantità quando si attribuiscono delle picciole variazioni alle quan- tità dalle quali dipende; in una parola, è necessario di determinare la varia- zione di una funzione per mezzo delle variazioni date alle variabili. Ora l'as- soluta variazione viene data palesemente dalla differenza; ma se questa si con- sideri sviluppata in serie, secondo le potenze di quelle variazioni, può accadere che la somma di tutti i termini degli ordini superiori al primo possano tras- curarsi , e quindi la ricercata variazione entro i detcrminati limiti sia data dal differenziale. Si vede però come i differenziali si possano prestare alla scienza delle approssimazioni; mentre, adottando il calcolo delle funzioni, sareb- be poi necessario ottenere i differenziali nelle Matematiche approssimate. Questo vantaggio mi sembra tale da non esitar punto sulla preferenza da darsi al calcolo differenziale. A tutto questo devesi aggiugnere, che il calcolo differenziale ha delle in- teressanti relazioni con quello delle differenze, relazioni che si verrebbero ad oscurare paragonando questo col calcolo delle funzioni. Sono già noti gli eleganti teoremi dovuti al Lagrange ed al La-Place sul legame fra le dille- 2l5 renze e i differenziali, e fra le somme e gl'integrali, e l'influenza (li quelli nella teorica dell'interpolazione delle serie. Cosi lo stesso calcolo misto, parte ancora imperfetta delle Matematiche sublimi, male si adatterebbe al calcolo delle funzioni analitiche. Dopo aver fatto conoscere, nel modo più chiaro che per me si potesse, che i metodi degli infinitesimi e dei limiti involgono delle difficoltà nella loro metafisica, che il calcolo differenziale lagrangiano devesi anteporre a quello delle funzioni analitiche, mi porrò adesso a far vedere come il metodo ch'io propongo debbasi per molti motivi agli altri preferire. E qui in sulle prime gio- vami far conoscere in che differisca il mio metodo da quello del Brunacci , poiché riputandosi del tutto a quello estraneo, potrcbbesi tosto sfavorevolmente giudicarne. A tre possono ridursi le variazioni principali che ho introdotto: i.° il lin- guaggio; 2.° la definizione generale del differenziale; 3.° il modo di applicare il principio di Lagrange delle tre serie alla determinazione dei differenziali delle funzioni incognite. Se nella mia Memoria v'hanno alcune considerazioni sulla necessità dei criterii d'integrazione completa, sulla distinzione di differenziali dipendenti dagli indipendenti, la dimostrazione generale di qualche teorema; tutto questo non è esclusivo al mio metodo, ma riportasi alla natura del calcolo stesso, e però necessario si rende, qualunque siasi il metodo che si vuole adottare. Il linguaggio da me introdotto consiste nel chiamare quantità dell'ordine m + n +/>••• . rapporto ad a, |3, y — il termine M am fi" yP essendo M indipendente da a, /3, y — Credo perciò che questo linguaggio non abbia veruna difficoltà, e comodo sarebbe per abbreviare quello dell'ordinario calcolo dif- ferenziale. Così si direbbe, p. e., che il differenziale di F (x) è il termine di primo ordine rapporto a dx dello sviluppo di F [x -j-dx). Si osservi poi che questo linguaggio combina con quello degli infinitesimi, colla sola dif- ferenza che qui si omrnette la parola infinitesimo. Si noti di più, che il linguaggio delle quantità dei varii ordini si usa con- tinuamente nel calcolo delle approssimazioni. Se infatti consideriamo il decimo come quantità di primo ordine, il centesimo sarà di secondo, il millesimo di terzo, ec. A tutto questo devesi aggiugnere, che il signor Cauchy, alla cui operosità e scienza siamo debitori di un Giornale di Matematica, volle ultimamente esten- dere la serie delle quantità infinitesime, considerando quelle di ordine fratto e irrazionale, facendone un'applicazione alla teorica dei contatti, e che quanto 2lG egli espone si può ridurre agevolmente al mio metodo, secondo il linguaggio adottato. Ed anzi, leggendo quanto il Cauchy scrisse, mi sono convinto die tutto lo spirito consiste nel distinguere le differenti potenze delle quantità. Se v'hanno delle difficoltà ad ammettere gli infinitesimi degli ordini interi, si vede facilmente che maggiori ve ne saranno nel considerare quelli degli ordini fratti ed irrazionali. Sembrami adunque che sia ragionevole l'ammettere quel linguaggio, perchè abbraccia l'enunciato delle operazioni, perchè adattato alle Matematiche approssi- mate, e perchè rende il calcolo differenziale più analogo a quello degli infinitesimi. Veniamo alla definizione dei differenziali. Il Brunacci comincia a definire il differenziale di F (x) , quindi i differenziali degli ordini superiori, nell'ipo- tesi di dx costante; si fa quindi passaggio alle funzioni a più variabili, e poi alle funzioni implicite. Dopo tutto questo egli fa vedere che se F (xJy) = o è una trasformata di p (xJy) = o, il valore di dy, dedotto dall'una, coincide con quello dedotto dall'altra- Tale metodo combina con quello del La-Croix. lo ho adottato una sola definizione generale, che comprende tutti i casi; né può avere alcuna metafisica difficoltà perchè si appoggia soltanto a serie di operazioni algebriche. Dalla definizione si vede tosto che il differenziale, al quale pervengo, è identico col leibniziano, perchè suppone le stesse operazioni, e facilmente si dimostra coincidente con quello di Brunacci. La differenza che passa fra la mia definizione e quella di Leibnizio sta in ciò, che io chiamo differenziale ciò che si ottiene facendo quelle operazioni, mentre in quella non essendo introdotta la condizione del trascurare alcuni termini , è neces- sario ricorrere ai principii degli infinitesimi. Faccio poi vedere, e con sempli- cità, che il valore di dy ricavato da F [y,x,u,v...) =o, combina con quello che si ricaverebbe dalla y =y'(j?J u, v ), equazione dedotta dalla risoluzione della precedente. Osserverò poi, che la mia definizione si presta alla dimostra- zione dei fondamentali teoremi della differenziazione, come si può vedere nella mia Memoria. Poche parole poi mi bastano per dare la definizione dei diffe- renziali degli ordini superiori. La differenza adunque fra il mio metodo e quello del Brunacci sta in ciò, che in quello si danno le definizioni parziali, e quindi si paragonano fra loro, facendo vedere che i risultati presi sotto dif- ferenti punti di vista coincidono; nel mio dalla generale definizione si dedu- cono tutti i casi particolari. Quindi è, che nella sola definizione io comprendo la derivazione di tutti i differenziali. Si aggiunga, che l'intelligenza della mia definizione non è punto più difficile di una qualunque parziale del Brunacci. 217 Ritengo poi, che la breve introduzione sul calcolo delle derivazioni, ed il modo col quale ho presentato il calcolo differenziale, ne porgano un'idea chiara e generale; mentre gli altri autori, seguendo il metodo delle definizioni parti- colari, dovettero confessare sino dal principio non essere possibile di definire, cioè dire in che consiste il calcolo differenziale. Dietro la mia definizione si vede che il calcolo ordinario differenziale è un caso ancora speciale, poiché si potrebbero cangiare le assunte ipotesi sulle variabili principali, e sulle successive variazioni che loro si attribuiscono. Aggiungasi finalmente, che tale definizione si presta alle applicazioni del calcolo differenziale alle Matematiche approssimate. Restami adesso a dire delle modificazioni introdotte nel principio di La- grange. Noterò qui intanto, che nella mia Memoria ho già dimostrato che il principio delle tre serie è necessario in tutti i metodi, quando si voglia seguire gli ammessi principii. Ora, affinchè le due serie comprendenti abbiano i loro primi termini identici, basta assicurarsi che nella loro differenza spariscono; e siccome di quelle serie non occorrono che i soli primi termini, anzi quello di una soltanto, così è inutile calcolare la differenza delle due serie, ma basta conoscerne l'ordine. La determinazione poi di quell'ordine rendesi semplicis- sima, dietro alcuni teoremi sulla quantità dei varii ordini. Queste sono le modificazioni da me proposte. Si potrebbe in primo luo- go domandare se dietro questo metodo le dimostrazioni sieno dotate dello stesso rigore, e se il calcolo divenga semplice e facile nelle applicazioni. Io credo che non tolgasi punto l'esattezza col dire, p. e., quantità di secondo ordine quel monomio che contiene per fattore il dx1 , e che in luogo di determi- nare con lunghi calcoli quei termini che debbonsi ommettere, ci assicuriamo che sono effettivamente degli ordini trascurabili. Rispetto poi alla semplifica- zione introdotta , osserverò che il calcolo puro differenziale è lo stesso del leibniziano nel processo di calcolo; quanto alle applicazioni basta confron- tare le soluzioni di molti problemi, che ho dato, con quelli che trovansi nei trattati del Paoli, del Rrunacci e del La-Croix. Poche linee mi furono suf- ficienti a ritrovare le formule per la rettificazione delle curve e lo spiana- mento delle superficie ; formule che richiedono lunghi e penosi calcoli , se- guendo il Paoli ed il Brunacci: che anzi quest'ultimo nella Memoria pre- miata da questa Accademia è obbligato a confessare, che mentre il calcolo lagrangiano non involge alcuna difficoltà nei principii, è più complicalo nei calcoli. 2.8 Un altro vantaggio die questo metoilo presenta egli è, che se nelle di- mostrazioni alla parola ordine si aggiugne infinite simOj si hanno le dimostra- zioni secondo il calcolo leihniziano ; e quando nelle dimostrazioni rigorose leihniziane si sopprime la parola infinitesimo, si hanno quelle che corrispon- dono al mio metodo. Dietro il mio metodo si vede immediatamente come nasca il compenso degli errori nel calcolo leibniziano ; ed a far veder questo mi sono già occu- palo nel mio opuscolo. Osserverò finalmente, che d'ordinario s'insegnano i principii del calcolo sublime o dietro il metodo dei limiti o delle funzioni analitiche, o dietro il calcolo differenziale lagrangiano, e quindi si fa uso del leibniziano nelle ap- plicazioni. Ora se i principii si vogliono insegnare con un metodo il quale abbia rigore, è ragionevole quello doversi adottare che ha una maggiore prossi- mità ed analogia con quello degli infinitesimi quanto al processo del calcolo j quindi, per le cose dette, il metodo da me proposto sembrami anche sotto questo punto di vista doversi agli altri preferire. Esposto brevemente il confronto dei varii metodi, debbo adesso dimostrare il generale teorema che ho enunciato al cominciamento di questo discorso. L'applicazione del principio delle tre serie alla determinazione dei differen- ziali delle funzioni continue esige la conoscenza di due quantità, fra le quali la differenza della funzione da determinarsi sia compresa, e tali che i loro pri- mi termini sieno identici. Il problema dello spianamento della superficie pre- senta in alcuni casi delle difficoltà insuperabili. Così trattandosi delle superficie elicoidiche, cioè di quelle generate da una retta che scorre lungo un altra conservandosi ad essa perpendicolare, e ruotando con data legge, non si pos- sono ritrovare superficie piane comprendenti. Dopo alcuni inutili tentativi so- spettai che la difficoltà si stesse nella natura della cosa, cioè nell'idea che dobbiamo formarci dello spianamento delle superficie. Per lo che, tenendo ami- chevole corrispondenza col Dott. Bellavilis di Bassano, gli ho chiesto quale idea si formava dell'area di una superficie non isviluppabile. Occupatosi di questo argomento, non che di quello del calcolo sublime, scrisse una nota nel Fascicolo III. del Giornale della Italiana Letteratura per l'anno 1828, e seguì un metodo in qualche maniera analogo a quello tenuto dal sig. Piola nella bella Memoria sopra i principii della Meccanica, premiata dall'Italiano Istituto. Ad una data superficie suppongasi inscritto un poliedro di faccie triango- lari; accrescendosi il numero delle faccie, ne diminuirà di ciascheduna la gran- zig dezza, la superficie del poliedro si andrà sempre accostando ad una certa area; e questa, che ne viene ad essere il limite, è ciò che si definisce dal sig. Bel- lavitis per area della superficie curva. Simile definizione ha luogo per la ret- tificazione delle curve, per la loro quadratura, come pure per la cubatura dei volumi. Quanto alla rettificazione delle curve si potrebbe dire che per la lunghezza di un arco intendesi quella retta, nella quale si suppone potersi distendere; e simile cosa si potrebbe dire delle superficie sviluppabili: la necessità però di dare una esatta definizione dello spianamento delle superficie è di per ss stessa palese. Qualunque però sia l'idea che ci vogliamo formare della rettificazione, dello spianamento ec, quando la differenza della quantità da determinarsi si possa racchiudere fra due quantità coincidenti nei loro primi termini, vi si può applicare il principio delle tre serie, come ho fatto nella mia Memoria. Rispetto poi ai casi nei quali non può verificarsi quella condizione, è neces- sario direttamente calcolare il limite. Questo metodo è quello che il signor Piola segue generalmente nella citata Memoria. I calcoli però, ai quali egli è condotto, sono soverchiamente lunghi: per la qual cosa studiando di poter ritrovare una semplificazione, mi sembra finalmente d'esservi giunto mercè il teorema che mi farò ad esporre. Prima però mi è necessario di far osservare, secondo quanto giustamente avvertì il sig. Piola , che dobbiamo separar bene nella mente le idee di limite e delle quantità approssimanti. La lunghezza dell'arco di una curva non è l'ultimo dei poligoni , come fu detto da alcuni, ma è quella lunghezza alla quale continuamente si accostano i perimetri dei poligoni inscritti. L'idea di poligono non può escludere quella di altro che più si approssimi alla curva, il carattere del limite cioè la sua proprietà determinante sta appunto in ciò che i poligoni continuamente vi si accostano. Premesse queste cose , prendiamo a considerare una funzione delle due variabili x,y, poiché quanto diremo rapporto alle funzioni di due variabili si potrà estendere agevolmente a qualunque altra. Supponiamo adunque che i valori totali di x,y, ai quali devesi estendere quella funzione, sieno divisi in un numero h, k di valori particolari, onde il valore totale della funzione venga diviso in li k valori parziali. Fingasi adesso che per ognuno di questi valori sia determinata una certa quantità. Accrescendo il numero dei valori parziali della funzione, crescerà il numero di queste quantità. Suppongasi che questo •220 numero si possa crescere indefinitamente, e che la somma abbia un limite, e questo costituisca appunto il valore di quella funzione ; e proponiamoci di determinarla. A questo oggetto basterà determinare di quelle funzioni incognite il differenziale parziale di secondo ordine rapporto ad x,y, poiché mediante il calcolo integrale passeremo alla conoscenza di quella. Onde però fissare le idee, la quantità che si determina fra i valori della funzione da ni ad ni + n rapporto ad x, e da p a p + q rispetto ad y, si denominerà quantità appros- simante fra que' limiti. Si vede quindi che da una approssimante si passerà facilmente ad un' altra . Ciò posto, volendo determinare il differenziale secondo parziale dell'inco- gnita funzione basterà poter conoscere il termine di secondo ordine rispetto a dx e dy della differenza finita parziale. Sieno pertanto dx,dy divise in a, b parti ri dx, r2 dx .... ra d x ; S\ dy, Si dy s\, dy, e sarà Ti + rz + fa = i) come pure Si + s? + + si, = i. Avremo così ab approssimanti della differenza finita parziale, e fet loro somma conterrà le quantità x,y, dx, dy, più i varii coefficienti numerici delle parti aliquote delle variazioni dx, dy variabili. Se di ogni approssimante si suppone il va- lore ordinato secondo le potenze di dx, dy, preso il limite della somma, si avrà la ricercata differenza finita della funzione; e siccome se ne ricerca il differenziale , così basterà di ogni approssimante tener conto del termine con- tenente i due fattori dx, dy, e della somma di questi prenderne il limite. Ora supponiamo che l'approssimante della differenza finita abbia per pri- mo termine Hdxdy, essendo // funzione di x,y; onde avere l'appros- simante parziale, corrispondente ad ri dx, s„ dy, si sostituirà ad x, y ; x -f (/■, + r2 — rt—,) dx, X + {si + s2 — sv— ,) dy, ed a dx, dy; rt dy, sv dy. Quindi il termine di secondo ordine di questa approssimante sarà Hdxdy. rt sv. Sommando i termini di secondo ordine di tutti gli ap- prossimanti parziali, avremo il termine Hdxdy (ri + r2 + ra ) (sL + s? Sb ) = H dx dy. Siccome adunque questo termine è indipendente dal numero degli ap- prossimanti parziali, sarà anche il termine di secondo ordine del limite, e però il differenziale ricercato. Questo poi è anche il termine di secondo or- dine dell'approssimante relativa alla differenza finita. Il ragionamento che ab- biamo istituito si può estendere agevolmente ad una fuuzione di un qualun- que numero di variabili, e però si può stabilire il seguente teorema: « il dil- li ferenziale parziale dell'ordine nsimo> rispetto ad x,y,z... di una funzione 221 «delle variabili x, y, z , è il termine dell'ordine nf'mo , rapporto a ndXj dy, dz... dell'approssimante della corrispondente differenza parziale di » quella funzione. » Prima di dedurre alcune conseguenze da questo teorema osserviamo che potrebbesi sospettare o che il limite dei termini degli ordini superiori fosse infinito, o che secondo la differente successione degli approssimanti si avessero diffe- renti limiti. Quanto alla prima difficoltà le circostanze particolari del problema faranno conoscere se la somma delle quantità approssimanti possa crescere in- definitamente, o no; nel qual secondo caso non potranno i termini degli ordini superiori avere per limiti l'infinito. Rispetto alla seconda difficoltà si noti che se vi avessero differenti limiti, dovrebbero tutti avere lo stesso differenziale, per- chè indipendente dalla successione degli approssimanti; quindi non potrebbero differire che nelle funzioni completanti l'integrale. Siccome però queste fun- zioni vengono determinate quando sieno stabiliti i limiti dell'integrale, cosi non vi potrà essere che un solo limite. Queste due osservazioni sono di tutta l'impor- tanza, come notò il sig. Bellavitis nel luogo citato, e dietro il modo col quale ho dimostrato il teorema credo sia tolto ogni dubbio sull'esistenza d'un solo limite. Si noti ancora, che il teorema enunciato ha pur luogo quando non si as- sume il limite per definizione della funzione incognita, ma si sappia che gli deve esser eguale. Così se nella rettificazione delle linee curve si risguardi per lunghezza dell'arco quella retta nella quale si può stendere, sarà definita in- dipendentemente dai poligoni inscritti, ma si dimostrerà facilmente che il loro limite deve coincidere con quella lunghezza. Quindi vi si potrà applicare il teorema enunciato superiormente. Venendo adesso ad indicare alcuna fra le moltiplici conseguenze di quel teorema, consideriamo in primo luogo la rettificazione delle curve. L'approssi- mante di un arco è la corda; quindi il differenziale dell'arco è il termine di primo ordine della corda. Se una curva si riferisce a coordinate rettilinee, l'approssimante dell'area è il trapezio contenuto dalle ordinate estreme, dall'asse fra loro compreso e dalla corda; quindi il differenziale dell'area sarà il termine di primo ordine del tra- pezio rettilineo corrispondente alla differenza. Che se la curva si riferisce a coordinate polari, l'approssimante è il triangolo contenuto dai raggi vettori cor- rispondenti all'estremità dell'arco e della corda; quindi il differenziale dell'area sarà il termine di primo ordine del triangolo rettilineo corrispondente alla dif- ferenza finita dell'area. 222 Combinando poi questo teorema con quelli che si riferiscono alle quantità dei varii ordini, si ottengono con somma facilità dei risultati che altrimenti ri- chiedono dei lunghi calcoli. Sia una superficie curva riferita a coordinate or- togonali; l'approssimante è la somma di due triangoli inscritti in essa: quindi il differenziale parziale di secondo ordine sarà il termine di secondo ordine dei triangoli corrispondenti alla superficie, che ha per projezione dx dy. Ora le aree di questi due triangoli, per quello che ho dimostrato nella mia Memo- ria, differiscono dalla porzione corrispondente del piano tangente in quantità di ordine superiore al secondo: dunque il ricercato differenziale sarà eguale al termine di secondo ordine di quella porzione del piano tangente, cioè eguale a dXdyVy-r^-)% + (£)" Il problema dello spianamento delle elicoidiche ammette quindi una facile soluzione, avvegnaché la formula antecedente può eziandio a questa superficie applicarsi. Del resto si può ritrovare una formula più comoda, avendo riguardo alla loro generazione. La genesi di questa superficie può esprimersi comoda- mente con una equazione fra le due quantità, luna delle quali esprime il moto progressivo lungo l'asse, l'altra il rotatorio. Indicando con z ,v queste due quan- tità, l'equazione v — F (z.) rappresenterà tutte le superficie elicoidiche ad asse rettilineo e a retta generante. Volendo passare a coordinate ortogonali, basta prendere per asse delle elicoidiche quello dello z, e l'angolo di rotazione v riportarlo all'asse delle x. In tal caso si avrà tang. v = — , e 1 equazione ge- y nerale delle elicoidiche sarà: Are. tang. — = F (z). x IN ella ricerca della formula per lo spianamento si potranno risguardare come variabili l'angolo di rotazione, e la lunghezza della retta generante valutata dall'asse. Si farà prima variare l'angolo v di dv, quindi la lunghezza r della retta ruotante di dr, e tenendo conto del termine di secondo ordine dei due triangoli approssimanti si otterrà facilmente pel ricercato differenziale dell'area dr j/ [d e2 + r2 dv3), nella qual formula si potrà sostituire al dz una fun- zione differenziale in v per mezzo dell'equazioni della superficie. Questa for- mula è la stessa di quella ottenuta dal sig. Bellavitis, e ch'egli osservò po- tersi integrare immediatamente rapporto ad r. Dietro le cose precedenti si potrà determinare agevolmente la formula per lo spianamento delle elicoidiche ad asse curvilineo e a linea generante qualunque. 223 Per vedere l'utilità dell'esposto teorema prendiamo a risolvere i! proble- ma dell'interesse continuo. Dicesi generalmente che l'interesse continuo lia luogo quando il denaro si suppone fruttare ad ogni istante infinitesimo. Fa- cile però è a vedersi che questa definizione non è ben chiara , includendo l'idea di infinitesimo. Per darne una giusta definizione si consideri che, di- minuendosi gl'intervalli ai quali si suppone fruttare il denaro, la somma fina- le va aumentando, e va accostandosi ad un limite; e questa si dirà la somma dovuta all' interesse continuo. Sia però e il capitale primitivo, e t il tempo decorso, .? la somma, ed a il frutto d'una lira all'anno. L' approssimante di Aj è l'aumento della somma s all'interesse semplice pel tempo dtj cioè = sadtj e però s w dt sarà anche il differenziale di s; onde avremo ds = s a dt. Da questa equazione si ottiene ■ — ==v me quello, per avere il quale non fa di bisogno uscire dalla nozione del sog- li getto. » Questa distinzione di giudizii sintetici ed analitici è giusta, e può essere molto utile per determinare la diversa indole delle umane cognizioni . Qui solamente osserviamo che in ogni caso ò sempre necessario procedere prima per giudizii sintetici, e poscia per analitici; poiché fa sempre d'uopo prima comporre la nozione del soggetto : la qual composizione in diversa maniera procede, secondo che si tratta o di esseri ch'effettivamente esistono, come sono, p. e., i corpi; oppure di esseri che non hanno altra esistenza che nel no- stro intelletto, come sono, p. e., le figure geometriche in quella guisa che si concepiscono dai matematici. Nel primo caso le nozioni dei soggetti rispetto a noi sono sempre incomplete, e quindi possono pochi giudizii analitici sopra di esse istituirsi ; nel secondo caso tali nozioni essendo complete in maggior numero, e forse in numero indeterminato, riescono i giudizii analitici che in- torno ad esse possono instituirsi; come avviene per l'appunto nei concetti geometrici. E questo io dico perchè sembra che il nostro autore voglia in seguito restringere il significato del giudizio analitico, ad onta della sua defi- nizione, a quelli soltanto che, per così dire, immediatamente si deducono dalle nozioni dei soggetti ; rendendo in questa maniera dipendente dalla mag- giore o minore intelligenza dell'uomo l'indole e la natura del giudizio stesso. E forse appunto, per avere troppo ristretto il significato del giudizio analitico, l'autore in altro luogo è caduto in una qualche proposizione tenuta a giusto diritto per erronea, come, p. e., sarebbe questa: non si può dimostrare che la sostanza pensante sia semplice. Di fatto, secondo la dottrina dell'autore, non può concedersi l'attributo di semplice alla sostanza pensante, usando del giudizio sintetico empirico, poiché il semplice non può essere oggetto di spe- rienza; non può concedersi per via di giudizii analitici, poiché a tanto non si estendono per dedurre dalla nozione del soggetto l'attributo della semplicità. Secondo la mente del nostro autore vi ha un'altra specie

  • ., cos. a (<2 + ° )3- c°s. «• sen.2 a l — A. = (a + è ^ . v T ' cos. /3 6 Quanto al termine di terzo ordine, osserveremo che ha il suo massimo va- lore, quando oc— 54-° 44' circa; ed essendo d-\-h = 33', si troverà che nel suo massimo valore questo termine è = o", 0 12 circa, cioè trascurabile. Quindi senza errore sensibile si avrà ' cos. p e pero K=\ — P = l — P — = 1 1 r cos. p v ' Con simili ragionamenti dalla seconda equazione si otterrà senza errore sensibile 18' = b-V- (d + K) sen. oc, e quindi /3 = &' — p = b — p •+■ [d-\-l>) sen. « {2) §. 7.0 Passiamo ora ad esprimere le paratassi in longitudine, in latitudine, ed il semidiametro apparente 5' della Luna per la paratasse orizzontale e per la longitudine del Sole ; e per non cadere in formule troppo complicate, as- sumiamo la ipotesi ordinaria, che le terze potenze delle quantità dipendenti dalle paratassi e dai semidiametri sieno trascurabili. Dietro il §. i^5. de' miei Elementi d'Astronomia (voi. I.) riducendo al caso presente quelle denomina- zioni, avremo P = X'-K= *«»■*■'"'■•(*-*) («) cos. /3 «= B' — 16 = — t cos. $>'. sen. h -f- r sen. # cos. h. cos. (X' — g) 7:' leg. p" cos. ^h. sen. *(V — g) ... H ^n [Pìi 265 e poiché negli ecclissi dì Sole le latitudini sono dell' lordine delle paratassi, trascurando le terze potenze, sarà più semplicemente P= T cos. li. sen. (\' — g) p*=> — 8" sen. h -f- ir /3 . cos. li. cos. (X' — g). Sostituendo ora in queste due equazioni i valori di h', ff dati nel §. prece- dente, avremo (trascurando le quantità di terzo ordine) P=» T cos. re. sen. il — g — (f/+ 8') cos. a. ( p =— Tsen. re-f-T (fZ + 8') sen. « cos. Il — g — (rf.+ 5') cos. oe [ cos. A/ ovvero, sviluppando convenientemente, P= t cos. A sen. (Z — g) — ir (d-\-h ) cos. li. cos. (Z — g\. cos. « yO= — T sen. h-\-T ( J-f-8' ) cos. A. cos. (Z — g-). sen. oc. Si osservi ora che il termine ir d. cos. re. cos. (Z — g) è l'incremento del diametro solare , se in una longitudine Z ed in una latitudine = o fosse sottoposto alla paratasse orizzontale r (Elementi di Astronomia, §. i/f-S.); ed il termine t5 cos. re. cos. (Z — g) (trascurando sempre le quantità di terzo ordine) è l'incremento del diametro lunare. Ponendo pertanto il primo = a ., il secondo = k, di modo che sia 5' = S + Aj ed inoltre facendo n = t cos. ré. sen. (Z — g) (3) — 2 TQ. cos. (oc + y), pa 4- J2 ,5» la quale darà cos. ( x -f- y ) = — — . - . p+5+T . , , . De si pone = Z, , si potrà la precedente traslormare nella se- guente, più comoda al calcolo logaritmico : sen. a-±l = ^[^Ql^JZD (8). 2 y QT x ' Ottenuto oc + y, si avrà oc= (jc-(-y) — y, e per ultimo le equazioni (A), [B) daranno la longitudine e latitudine della Luna nel principio dell' ecclisse. §. 9.0 Apparisce ora da tutto ciò che precede, che la soluzione precedente conduce alle stesse formule del signor Conti, senza che altra modificazione vi 267 sia stata fatta, tranne quella di avere trascurato i divisori cos. $, cos. £', i quali non influiscono che sui termini del terzo ordine ; che se questi si fossero conservati, avrebbero condotto alle stesse sue formule, ad eccezione della leg- giera correzione indotta nella paralasse orizzontale, la quale non viene esatta- mente a rappresentare i termini trascurati, e perciò ho stimato inutile rite- nerla . In fatto, se sviluppare si volessero le formule delle paralassi e del semi- diametro apparente della Luna fino alle terze potestà inclusivamente , si tro- verebbero con facilità le seguenti espressioni (ponendo per semplicità .... II = t cos. h. sen. (I — g) ) : P = n — T (rf-hS) cos. h. cos. (l—g). cos. oc -f- - (/32 — (d + 5)2 cos.3 x)ì — T% S. cos.2 h. cos.2 (I — g). cos. a. \ ' ' />= — Tsen.A+T(«?-r-5)cos./*.cos.(J— g-).sen.«-fT(^+S)'.cos./i.sen.(Z— g)sen.«.cos.ot -t-T2 (d-\- %). cos.2 A. sen.2 (l — g). seri, oc 2 . «(''). cos. x — p. cos. x, & = b —

    + 2 p. sen. \ (x -t-x). cos. \ (x — x) , dalle quali si ottiene tang. , a' _|-. a n -f-

    °> quale ha luogo nel mezzo dell' ecclisse, e il moto della Luna in longitudine ed in latitudine per la durata del fenomeno, che si ottengono facilmente dal moto orario. Si tro- verà pertanto m — 1.° 27'. 24", 9 »=*+*7. 5a' , 7; «1=5' 49 '» *• In seguito si avrà d — 16'. i5", 1 ; 8=1 16'. 44 '>° 5 «*-r-5= 32* 59'', 1. Si ritiene dagli astronomi che nel calcolo degli ecclissi solari il semi- diametro solare debba essere diminuito di circa 3", 5 per l'effetto di una ir- radiazione che ce lo fa comparire nelle misure maggiore del vero. Discutendo molte osservazioni dell' ecclisse anulare accaduto ai 7 Settembre del 1820, trovai che la semisomma dei semidiametri del Sole e della Luna, presi dalle stesse tavole, doveva diminuirsi di 3", 9 [Atti della Società Italiana, voi. XTX). Adottando pel caso presente questa correzione, avremo d-h§ — 32 . 55", 2. Assumendo la frazione ^ per la misura dello scbiacciamento terrestre, si avrà per la latitudine di Padova l'angolo della verticale = io' 26 ", ed il logaritmo del raggio terrestre — 9. 9gg33. Quindi la paratasse orizzontale della Luna risulterà = 61 . ib", 75 , e la differenza fra le paratassi orizzontali del Sole e della Luna = T = 61'. 9', g3. Si assuma l'obbliquilà dell' ecclitlica = 23°. 27 6. Si avrà in seguito pel Principio Fine L = ^5.c i3' ,6 5 = 23o. 5, 6 = 264.° 36', 1 8 = 2o5- '4. 3 = 259. 35, 3 li = 60. 2, 0 = 68. 29, 5 l = 246. 42, 8 = 246. 48, .a s = + 4*- 28, 5 =-12. 46,7 l Calcolo di n, ', a Log. . . . x= 3,56466-+- Log. — t=3. 56466— Log. sen. * = 8.25o23 + Log. cos. h' =9.56424+ Log.sen. ^'=9.96866+ Log. cos. K = 9.56424 + L.sen.(/'— g') = g.34474— Log.' = — 56. 54", 5; a' = 6", 2 Calcolo di a, x secondo i precetti del §. io. a' + a a„ or a' — a <> r = o , 35; |0= = — o , io. 2 d + 5 = 32. 55, 2 rf+ 5 — r = 32.48,85; 2 (J + 5-r)= 65*. 37" 7. In seguito si avrà m = i°. 27'. 24", 9 ! m — W + TI — 11 = 56'. 24"5 * tk'= 5. 49> I n'— n = — 25. 11, 7 n = + 7 . 52 , 7 \ , 4- 273 Calcolo dell'istante del novilunio e della posizione della Luna. in novilunio. Si trovò \ = 245.0 53'. 11", 7 l = 246. 42* 57, 6 quindi . . I — A- = 49'- 45"» 9 Dividendo per 60 i movimenti orari! della Luna e del Sole, si ottiene il moto per un minuto della Luna in longitudine — 38", ioi5 del Sole = 2, 536o della Luna in latitudine =-f-3, 4^4°- Pertanto il moto della Luna relativo intorno al Sole sarà = 35'', 5655 in un minuto, ed il tempo da aggiungersi al principio espresso in minuti per giungere al novilunio, si otterrà dalla proporzione 35", 5655: 1':: 49'. 45", 9 : x = ir.* 23'. 40", 43. Principio dell'ecclisse = 22.49- 2I> ^8 Istante del novilunio = 0.h i3'. 1", 81 del 29 Not. Le longitudini della Luna e del Sole dall'equinozio vero saranno = 246.0 Ifi . r9'» 8 La latitudine della Luna == ~f- 1. 12. 25, 2 Risultati esattamente uguali ai precedenti si troveranno calcolando l'in- stante del novilunio e la posizione della Luna dal fine dell'ecclisse; il che forma la riprova delle operazioni numeriche. §. i3.° Questo ecclisse fu completamente osservato in Napoli dal eh. astro- nomo signor Brioschi. Dietro le osservazioni da esso trasmessemi si ottiene: Principio dell'ecclisse i5.h 35'. 44") 5 ) TyK -e- r \ Tempo siderale in Napoli. rine 17. 52. ai. O J l Ovvero: Principio .... 23. 4- 42> 4 ) e>: ec r I Tempo medio. fine 1. 20. 56, 5 S l Nell'ipotesi pertanto dello schiacciamento = ^, assumendo la latitudine del nuovo Osservatorio di Napoli = 46.0 5i'. 46", si ottengono i risultati se- guenti : Principio Fine 9= 233°. 56', j 268". 5', 4 #= 214. 8, 5 266. 40, 7 h= 57, 21, 7 64. 7, 7 l =2^6. 43. 2, 2 246°.48'.47",7. 35 =74 Si formerà in seguito m = 36'. 3o", 76; /«'== 5'. 45", 49; n = f^'\ 83 n=+i7'.45, 7; n'=— 9*. 4", ,5 (p = — 5i. 3o", 3; tp' = — 55. 2", 1 a = 7", 89; a = 7", 12 m — pi+IT — n= 53'. 55", 42 j r— — 7 "» 5o n -\- p — « = + 4. J6' ', o3 1 * = =0, 38 12 — cp + A-) = 2.40766-}- • ■ = 4°-3i', o Log. {m— i»'+n'— n— /e') = 3. 50993+ a * - =34. 26,5 L- tang. =8.89763+ « =29. 55,5 Log. (d+5 — a) = 3. 29387 =3.29387 L. cos. a r= g. g3^85 L. seri, a = g. 6g7g8 = 3,23i72 a. ggi85 275 ;=246°.43'. 2", 2 b —

    4 Log. 35,5657 = 1. 55io3 x — 77', 903 = 1. 17. 54, 2 a. Log. x = 1. 89156 Novilunio =-)-o. 22. 36", 6 Longitudine della Luna nel principio =245. 56'. 5 1 , 5 Movimento per i.h 17'. 54 ', 2 49- 28» a Longitudine vera della Luna . . =246.46. 19, 7 Si trovò di sopra coli' ecclisse di Padova .... =246.46. 19, 8 Latitudine della Luna nel principio = i.° 7'. 5i", 7 Moto della Luna in latitudine -+- 4- 27> 5 Latitudine nel novilunio = 1. 12. 19. 2 / Di sopra si trovò invece « . . 1. 12. 25, 2 S Confrontando i tempi del novilunio, si ha Per Padova = o.h i3'. 1", 8 Per Napoli — o. 22. 36, 6 Differenza di longitudine fra Napoli e Padova = 9'. 34' , 8 Differenza di longitudine fra Padova e Parigi 38. 8, 3 Differenza di longitudine fra Parigi e Napoli = 47' '• 43", ij r. 44, o\ Il sig. Brioscia trovò coli' eccl. sol. dell'anno 1820 .... 47- §. i4-° Lo stesso ecclisse fu osservato in Milano dal eh. signor Carlini, il quale impedito dalle nuvole non potè vederne che il principio, notato coi se- guenti dati: Principio dell' ecclisse 22.'' 34'. 48", 37. Tempo medio i5. 5. 48, 83. Tempo siderale. Per poter dedurre da questa osservazione l'istante del novilunio e la longitudine della Luna conviene assumere come data la sua latitudine. Si 45,4 22'. 46" 2 52. i7, 6", 7 3 32. 48", i5. 35, 9 7 276 potrebbe in vero prendere quella che risulta dalle osservazioni di Padova 0 di Napoli , ovvero anche un medio di quelle due determinazioni ; ma una sin- gola osservazione nell'attuale perfezione delle tavole lunari non si può a que- ste anteporre ; quindi reputiamo partito migliore prendere quella che si ottiene dalle tavole del signor Burkardt, che pel notato tempo sarà — i.° 7'. 27", 2. Inoltre sarà dalle tavole solari la longitudine del Sole = 246.0 42'- "^l" ■> 9- Assumendo la latitudine diminuita dell'angolo della verticale =L = 45-° 17', 6, si troverà S = 226.0 27', 2 g = 200. 5i, 3 h = 5». n= + ° ,»_W'-+-P'_P=56. 45, 93 ;m-/>'— />=+ 3.58, 90 a — a = 4. o, 9 = 3o. 02, 25 *.= 26.o3i', 35 Quindi X = 245.° 53'. 11", 6 . . 8 = -+- 1.° f. 38", 3 sopra si trovò .... A. = 245. 53. 1 1, 7 . . . @ = ■+- 1. 7- 37, 9 Differenze o", 1 o", 4 OSSERVAZIONI DELLE COMETE FATTE NEGLI ANNI l825-lS26-l827-l828 NELL' I. R. SPECOLA DI PADOVA PRECEDUTE DA BREVI CENNI ISTORICI INTORNO ALLA LORO SCOPERTA ED ALLA LORO ORBITA. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XI MARZO MDCCCXIX DAI SOCIO ATTIVO PROF. GIOVANNI SANTINI N, essun anno nella storia dell'Astronomia è tanto interessante per la teoria delle comete quanto il 1825, nel corso ilei quale se ne poterono osservare cin- que distinte e diverse, mercè il perfezionamento degli stronfienti ottici, la vigi- lanza degli astronomi, e l'instancabile costanza dei calcolatori. Fra tutte le co- mete di quest'anno inerita il primato quella che già si attendeva dietro l'effe- meride dell' incomparabile calcolatore ed astronomo di Gotha sig. Enke , ora direttore dell' Osservatorio di Berlino, la quale per un giusto tributo dovuto al suo merito porta di comune consenso degli astronomi il nome di Cometa a breve periodo di Enke, della quale piacemi in brevi parole ritesservene la sto- ria, perchè interessantissima e sommamente onorevole per questo abile calco- latore . Il celebre Pons nella sera del 26 Novembre 18 18 scuopri all'Osservatorio di Marsiglia una cometa invisibile ad occhio nudo nel collo del Pegaso, pic- cola, mal terminala, e d'informe nebulosità, di cui fissò la posizione nelle due consecutive sere 27-28 Novembre, e col mezzo del sig. Barone di Zach, 36 il quale pubblicava allora in Genova un interessantissimo giornale sotto il titolo di Correspondence Astvonomicjue etc, ne comunicò la notizia agli astrono- mi. Pei cattivi tempi di quella stagione non fu possibile osservarla in Italia; lo stesso Pons non la potè rivedere in seguito : ma ciò cbe non si potè ot- tenere dagli osservatori d'Italia e di Francia, si ottenne da tre celebri astro- nomi della Germania; cioè dal sig. Nicolai in Mannbeim, cbe la osservò dal 22 al 25 Dicembre; dal sig. Harding in Gottinga, cbe la seguì dal 25 Di- cembre fino agli 8 del consecutivo Gennajo ; dal signor Enke a Seeberg, cbe la osservò dal i. sino al 12 Gennajo. Colla scorta di queste poche osserva- zioni si accinse quest'ultimo al calcolo dell'orbita, assumendo da principio la consueta ipotesi parabolica, nella quale riesce il più delle volte di rappresen- tare le osservazioni delle comete durante il breve periodo della loro appari- zione. Vani riuscirono i primi suoi tentativi, poicbè non potè giungere a rap- presentare plausibilmente tutte le osservazioni: abbandonata perciò l'ipotesi del moto parabolico, si rivolse al calcolo di un'orbita ellittica, e con sua grande sorpresa trovò di poter rappresentare dentro pocbi secondi tutte le osserva- zioni in un' ellisse di brevissimo periodo, cioè di circa i3io giorni. Ciò cbe di più ne accrebbe la meraviglia, e ne raddoppiò la costanza in proseguire ardentemente tali sue ricerche, fu la grande rassomiglianza ch'egli discopri fra gli elementi ellittici da esso ottenuti per la presente cometa, e l'orbita già da Bessel calcolata per la cometa del i8o5, le osservazioni della quale non si erano del pari potute lodevolmente rappresentare in un'orbita parabo- lica. Intraprese egli pertanto a discutere di nuovo le osservazioni fatte nel i8o5, e giunse, calcolando le une e le altre separatamente dietro un'orbita ellittica, al seguente sistema di elementi, cbe rappresentano tutte le osservazioni den- tro mezzo minuto ; dalla ispezione dei quali uno è tosto portato ad ammettere la identità delle due comete, e rigettare le piccole differenze sulle attrazioni planetarie da principio trascurate. i8o5. 18 18. Longitudine del perielio = i55°. 42'. 58" Longitudine del nodo ascendente . . = 335. 42- 49 Inclinazione all'ecclittica = i3. 46- 34 Eccentricità = o, 86o4474^ Log. semiasse maggiore = 0,3928129 i56°. 14'. 4" 334. 1 8. 8 ' i3. 42- 3o o, 8567776 o, 3697758 Dalla grandissima somiglianza di queste orbite ellittiche sempre più con- fortato nella ipotesi, che queste due comete ne formassero una sola, la quale 203 ravvolgenJosi nel periodo ili 3.1 intorno al Sole fosse slata casualmente osser- vata in queste due diverse epoche, intraprese il calcolo delle perturbazioni, ad oggetto di fare sparire le piccole differenze esistenti fra i due sistemi di ele- menti, estendendolo a tutte le rivoluzioni intermedie compiutesi negli anni 1808-1 i-15-rg. I risultati di questo immenso lavoro trovansi nel voi. II. della Corrispondenza di Zach sopra citata, pag. 49°\ ove dagli elementi su- periori coll'applicazione delle perturbazioni viene dedotto il seguente I. sistema di elementi ellittici, accanto ai quali scriviamo in II. eziandio quelli tratti im- mediatamente dalle osservazioni, affinchè più manifesta ne apparisca la identità. I. Sistema. II. Sistema. Passaggio al perielio . '. 1819 = 27, 28 Genn. T.'M. in Parigi. 18 19 =2 7,°275 Genn.T.M. in Seeberg. Longitudine del perielio. . . i56c. 59'. 3o ' 157.0 5. 5j' J Equinozio medio Longitudine del nodo. . . . 334- 31- 0 334. 43.37 \ del 1819. i3. 38.42 sen. 58°. 6'. 45", 5 Logar. distanza media . . = 0, 34520 0, 345oo g g 1202,54 Riconosciuta cosi e dimostrata da Enke l'identità delle comete osservate nel i8o5-i8i8, e rappresentatene le osservazioni con un'orbita, ed un periodo di 1202 giorni, Olbers il primo concepì il sospetto che la cometa scoperta da Miss Carolina Herschell ai 7 Novembre 1795, osservata a Berlino da M.r Cari ai io, a Parigi da M.r Bouvard ai 14 dello stesso mese, ed in seguito da Ol- bers, da Prosperino, da Zach, e da altri, potesse venire rappresentata dagli stessi elementi ellittici, quantunque le orbite paraboliche in quel tempo calcolate da diversi astronomi non avessero con la presente alcuna rassomiglianza. Olbers nel 18 14 era ritornato a discuterne di nuovo le osservazioni, ed aveva ricavato i due sistemi di elementi parabolici che qui riferiamo (Effemeridi di Bei-li- no 1814, Zach Cori: Astr. voi. II. pag. 5o5), i quali tuttavia non bene rap- presentano il complesso delle osservazioni. 1795. I. Sist. Dicembre 2 1 II. Sist. Dicembre 21 Passaggio al perielio. T.M. in Parigi 9\ 5a'. 26" 9. 2. 2 Longitudine del nudo. 35i°. i5'.56" 35i. 58. 4; Inclinazione all'ecclillica. 2i°. 45'. 11' ai. 56. 2 Longitudine del perielio. i6o°.2i\ i4" i5g. 53. 26 Dist. perielio O, 24521 O, 344°' 284 Quantunque queste orbite paraboliche molto si allontanino dall'ellisse di Enke, pure rimarcò" Olbers, che questa rappresentava con sufficiente esattezza le posizioni osservate , le quali non risultarono del tutto sicure per la incer- tezza delle stelle di confronto allora impiegate. Queste riflessioni di un astro- nomo sì rinomato impegnarono il valentissimo calcolatore Enke a rivedere le osservazioni originali conservateci dalla storia, a determinare con nuove osser- vazioni la posizione di alcune stelle di confronto; ed avendo così formalo un quadro ben discusso di osservazioni geocentriche (Corr. Astr. voi. II. pag. 6o3), tentò di rappresentarle in un' orbita parabolica , la quale risultò da quelle di Olbers non molto diversa. Ma siccome gli errori ascendevano tuttavia a quattro minuti, tentò il calcolo di un'orbita ellittica, e trovò che plausibilmente si potevano rappresentare tutte le osservazioni colla seguente, dalle superiori po- chissimo diversa : g Passaggio al perielio . . 1795 Dicembre 21, 4383 1 T. medio in Seeberg. Longitudine del perielio = i56°. 4p/- 32r I dall' Equinoz. med. Longitudine del nodo = 335. i3. 5 \ 18N0V. i795. Inclinazione all' ecclittica 1 3°. 45'. 33" Eccentricità = 0,84938906 = sen. 58°. 8'. 43" Log. semiasse maggiore = 0, 34499°7- Vide per ultimo, che la medesima orbita rappresentava eziandio le osser- vazioni della cometa scoperta nel Gennajo del 1786 dagli astronomi Me- diani e Messier, come lo stesso Olbers aveva già precedentemente riconosciuto. Dimostrata cosi l'identità delle comete apparse negli anni 1 786-1 795— i8o5-i8i8, si accinse a calcolarne la posizione pel prossimo ritorno al pe- rielio del 1822, ad oggetto di presentare agli astronomi un'effemeride per poterla ricercare e comodamente osservare; e per giungere a tutta l'esattezza faceva d' uopo calcolare le perturbazioni prodotte dai pianeti in tutto questo lungo intervallo, non escluso Mercurio, a cui grandemente si avvicina la cometa, e da cui ne sono in conseguenza grandemente alterati gli elementi ellittici. Si accinse egli a questo immenso lavoro con metodi, per quanto pare, suoi proprii, non per anco pubblicati, colla vista di determinare il moto me- dio con ogni esattezza, da cui soprattutto dipende il passaggio al perielio in ogni apparizione. Cominciò pertanto dal ricercare dalle peculiari osservazioni il passaggio al perielio in ogni apparizione, e trovò i seguenti risultati: 2S5 g 1786 Gennajo 3o, 873. Tempo medio in Parigi. 1795 Dicembre 21, 447- i8o5 Novembre 21, 5o6. 1819 Gennajo 27,2502. Appurandovi le perturbazioni che affettano il passaggio al perielio, trovò che pel 18 19 la rivoluzione periodica doveva risultare come segue: s dal 1786 al 1795 rivoluzione periodica pel 18 19 = 1204,7 dal 1795 al i8o5 =• 1204,2 dal i8o5 al 1819 = 1208,7 donde segue uua diminuzione progressiva e regolare nel tempo del periodo. Stabilì poi per gli altri elementi i seguenti, che mirabilmente concordano coi superiori : Longitudine del perielio = t = i56°. 5g'. 43' , 8 ) dall'Equinozio medio Longitudine del nodo ..= Ci = 334. 3i. i5, 5) del i8t9. Inclinazione = i = i3. 36. 4^, 1 Angolo dell' eccentricità =

    secondi sarebbero il- « lusorii) essa mi sembrò, per quanto fu possibile giudicarlo, corrispondere al 11 centro stesso della nebulosità, ove io non poteva distinguere precisamente il » nucleo tagliato (dalla stella), ma soltanto una più forte condensazione di lu- » ce, che si indebolì al punto di essere appena sensibile allorché la stella per- ii venne alla sua metà : questa non vi provò che una debole diminuzione nella 11 chiarezza, di modo che di -j.a gr. si ridusse al più all' 8." Non mi fu possibile » riconoscere alcuna deviazione nel cammino della luce attraverso la nebulo- » sita. A li'1. 52' sembrò giunta al bordo apparente (rapporto alla stella che » non lasciava distinguere il vero); a i2h. 7' era già fuori di ogni nebulo- » sita ec. » La cometa del 1770 passò in grandissima vicinanza di Giove, ed attra- versò il sistema de' suoi satelliti, senza che per questo accidente siasi potuto scoprire la più piccola alterazione nei loro movimenti (La Place Mec. cel. 291 voi. IV. pag. 282). Diverse comete sonosi grandemente avvicinate alla Terra, senza che la durata della sua rivoluzione periodica siasi sensibilmente alterata. Per le quali cose tutte siamo autorizzati a riguardarle ( siccome di sopra si è asserito) come corpi rarissimi, di molta estensione e di tenuissima mas- sa, sicché la più piccola resistenza di un etere anche sottilissimo possa indurre in loro una forza ritardatrice, tale da manifestare il suo effetto nei loro mo- vimenti intorno al Sole; e quantunque operi una sì fatta forza anche nei pia- neti, l'effetto per la sua piccolezza, e per la recente data delle buone osser- vazioni , non si è per anco manifestato. Per tutte queste ragioni il signor Enke si persuase ad ammettere la pre- senza di un etere sottilissimo, per la cui resistenza spiegò l'accelerazione del moto periodico : parti dalla supposizione, che questo fosse ovunque disseminato in comunicazione col Sole, diminuente in densità in ragione inversa dei qua- drati della distanza dal Sole, ed operante una resistenza proporzionale al qua- drato della velocità lineare della cometa. Assunte queste ipotesi nel calcolo, trascurando l'ineguaglianza periodica sulla longitudine del perielio, trovò che chiamando u l'accelerazione del moto medio diurno in fine di ogni rivolu- zione, l'eccentricità doveva diminuire di 35,236. u'. Ricavando pertanto la detta accelerazione u' dalle discussioni sull'abbreviamento osservato nel pe- riodo nelle precedenti rivoluzioni, trovò che tutto plausibilmente conciliavasi, ponendo u" = + o", "99; d

    avrebbe do- vuto essere la differenza nei luoghi geocentrici dipendentemente da questa causa. Tuttavia non potrà peranco riguardarsi che come una sufficiente spie- gazione empirica dei fenomeni osservali, e converrà attendere una lunga se- rie di rivoluzioni, e più ancora i prossimi ritorni al perielio della cometa di Biela, di cui fra poco parleremo, e di quella di Halley, per vedere se in essi pure manifestisi traccia dell'accennata resistenza, o se piuttosto convenga ri- correre ad una minuta revisione della teoria newtoniana dell'attrazione, sicco- me opina il chiarissimo Plana in una sua bella e profonda discussione sulle alterazioni prodotte dalla resistenza dell'etere, nel voi. XIII. della Corrispon- denza di Zach. Non vuoisi dimenticare, che altri fenomeni del sistema del mondo, come il molo dell' apogeo lunare, l'equazione secolare del moto me- dio lunare, le variazioni osservate nei moti medii di Giove e di Saturno, fu- rono da principio reputati contrarli alla semplicissima legge di Newton, e che in seguito per gli studii dei sommi geometri Clairaut e la Place ne forma- rono la più bella e la più luminosa riprova. 295 Notìzie intorno alle altre Comete del 1825. Dopo quanto abbiamo riferito sulla cometa di Enke , ragion vuole che diciamo eziandio qualche cosa intorno alle altre scoperte nel corso dell'anno 1825, nelle quali si abbatterono Pons ed altri diligentissimi osservatori, ri- cercando per Io più la cometa a breve periodo , che per le cose sopraddette veniva da tutti aspettata. I. Cometa del 1825. Fu questa scoperta a Marsiglia da M.r Gambard, degno successore dei Messier e dei Pons in quel bel cielo, reso celebre per le molte comete ivi scoperte dalla indefessa loro attività e vigilanza, ai 19 Maggio verso 3 ore della mattina, fra la testa di Cassiopea ed il braccio dritto di Andromeda, avendo 5° o' di AR_, lfi°. 22 di declinazione boreale. Occupato io in quell'anno nelle osservazioni dei segnali, non potei osservarla: il sig. Carlini in Milano la segui fino ai 26 di Giugno, e sulle proprie osservazioni determinò la se- guente orbita parabolica : g Passaggio al perielio .... 1825 Maggio 30,781 T. medio in Milano. Distanza perielia = 0, 88g45 Longitudine del perielio = 2730. 33'. 38" Longitudine del nodo — 20. o. 20 Inclinazione dell'orbita = 56. l±i, 20"; molo retrogrado. II. Cometa del 1825. La seconda cometa fu scoperta dal signor Pons mentre stava per partire da Lucca, e recarsi al nuovo campo delle sue glorie in Firenze, ivi invitato dall'ottimo Principe che regge i destini della Toscana. L'Osservatorio di Marlia essendo stato a quell'epoca smontato, non potè egli prenderne che alcune con- figurazioni con le stelle vicine, dalle quali venne in sospetto che fosse questa la tanto aspettata cometa di Enke. Fu solo dopo il suo arrivo in Firenze, che comunicata la scoperta al Padre Inghirami, astronomo delle scuole pie, potè questi regolarmente determinarne la posizione nella notte dei 29 ai 3o Luglio nel modo seguente: 29 Luglio i5h. 16'. 36" T. medio in Firenze AR = 63°. i3'. 52"; Deci. bor. = 23°. 53'. 6". Dietro questa osservazione fu facile comprendere non essere questa la co- eg6 meta attesa di Enke. Comunicatane agli altri astronomi la notizia, fu gene- ralmente osservata sotto il nome di Cometa del Toro del 1 828. Il primo ad assegnarne l'orbita fu il sig. Capocci, astronomo aggiunto al Regio Osservatorio di Napoli; indi il sig. Hansen , degno successore di Enke all'Osservatorio di Seeberg, ne calcolò pure l'orbita parabolica. Si potè agevolmente compren- dere da questi primi abbozzi, che sarebbesi in seguito veduta molto splen- dente ad occbio nudo; che per qualche tempo sarebbe scomparsa, passando nell'emisfero australe per ricomparire di nuovo fra non molto sul nostro oriz- zonte, finche allontanatasi da noi si sottraesse ai nostri sguardi per mostrarsi forse a più tarde generazioni. La serie delle osservazioni fatte in questa Specola comincia col 24 di Agosto: la cometa era allora piccola, informe, non bene distinguibile ad occhio nudo; indi ben presto aumentatasi di grandezza e di splendore, potè vedersi ad occhio nudo. In Ottobre formava già di sé comune spettacolo: nella sera del 6 Ot- tobre fu osservata con un buon acromatico di Frahunofer di quattro piedi; aveva una coda lunga circa 70, divisa in due rami un poco piegati e disuguali. Il nucleo veduto con l'ingrandimento 64 appariva splendente, circondato da forte nebulosità ; dove le code sembravano separarsi , appariva più rara la nebula . Coli' ingrandimento 126 il nucleo non compariva rotondo, e sembrava come agglomerato di tre corpicciuoli luminosi. La sera del 14 Ottobre, essendo già giunta ai 34° I di declinazione australe, molto illanguidita pei vapori pros- simi all'orizzonte, fu l'ultima in cui si potesse vedere innanzi la sua discesa sotto l'orizzonte. Ritornata dall' emisfero australe, non si potè osservare in gra- zia dei cattivi tempi avanti la sera del i.° di Maggio. Appariva allora come una larga nebulosa, di luce molto languida, vicinissima al posto assegnatole da un' effemeride calcolata sugli elementi di Hansen. Si continuò ad osservarla presso di noi fino al giorno 3i dello stesso mese. Il sig. Capocci corresse la prima sua orbita parabolica col concorso delle osservazioni posteriori; Hansen tentò il calcolo dell'orbita ellittica, che corresse in seguito sul complesso di tutte le buone osservazioni. Ecco i risultati di questi due valenti calcolatori : 297 Orbita parabolica di Capocci. Passaggio al perielio. 1825 Dicembre. 10,60100 T. medio di Napoli. Longitudine del perielio = 3i8°. 44-26" Longitudine del nodo. . = 21 5. 43- 5i Inclinazione dell'orbita . =: 33. 3o. 24 Log. distanza perielia . . = o,og3o643 Eccentricità Tempo della rivoluzione Moto retrogrado. I. Orbila ellittica di Hansen. 3i8°. n'.a",o 2i5. 37. 26, 4 33. 37. 46,2 — o. 092 180 0.9765025 382 An. Giul. II. Orbita ellittica di Hansen. Dicembre 11, 29767 T. medio di Seeberg. 3i8°. i5'. i3",9>Eq.Med. 2i5. 3g. 17, gideli.Selt. 33. 35. 9, 56 o. 0923926 o. 9817028 556 An. Giul. III. Cometa del 1825 nella costellazione del Cocchiere. Abbiamo veduto come il sig. Pons scoprisse la cometa del Toro, ricercando quella di Enke; annunziata e consegnata la sua scoperta al Padre Ingliirami, si diede di nuovo a ricercare la tanto aspettata vagabonda, e dopo due notti di minutissima perlustrazione scoprì una tenuissima nebulosità nella costellazione del Cocchiere, che tosto indicò allo stesso Ingliirami, affinchè con buone macchine ne determinasse la posizione, non dubitando che fosse la cometa di Enke ; tanto più, che alla sua debolezza gli sembrava riconoscervi la già nota fisionomia. Pochissime osservazioni si poterono fare di questa cometa molto difficile a vedersi. Non sono a mia notizia che quelle fatte dal Padre In- gliirami ad un buon micrometro circolare di Frahunofer, ed alcune del signor Harding di Gottinga, che per sua parte la scoprì ai 23 Agosto, e continuò ad osservarla fino al 26. Il sig. Clausen prese a discutere le osservazioni fiorenti- ne: determinando prima la posizione apparente delle stelle di confronto, ricavò le seguenti posizioni della cometa (Astron. Nach. voi. IV. pag. 326), le quali al- cun poco differiscono da quelle date da Ingliirami nella Corrispondenza di Zach, in grazia delle piccole variazioni indotte nei luoghi delle stelle di confronto. 1825. T. medio in Firenze. AR della cometa. Declinazione della cometa. Agosto . . . . IO i4'>.48'. 2" 83°. 2'. 12" + 39°.2i'.57":: 1 1 i3. 29. 35 83. 34. 45 38. 3. 4 — i3. 5o. 2 83. 34. 59 38. 2. 43 12 i3. 26. 3g 84. io. 4 36. 4o- 47 — i3. 57. 19 84. 11. 1 36. 3g. 2 20 i5. 42- 25 89. 25. 3 29. 5i. 37 :: 22 i5. 0. 12 90. 5o. 49 18.44. 4 23 i5. io. 56 91. 36. 29 16. 32. 5g :: — i5. 19. 21 91. 36. 35 16. 3o. 17 :: 24 14. 36. 37 92. 21. 2 i4- 16. 21 — i5. 6. 25 92. 22. 6 14. i3. 22 :: 25 i5. 34. 58 93. io. 7 11. 48. 55 — i5. 39. io g3. io. i5 u.47. 5 58 2g8 Dalle osservazioni dei giorni n, 20, 25 Agosto ricavò lo stesso Clausen la seguente orbita parabolica, la quale rappresenta lodevolmente si le osserva- zioni precedenti, come anco quelle pubblicate dal signor Harding: § Passaggio al perielio . . Agosto 18, 78867 del 1825 T. medio in Altona. Log. distanza perielia = 9,9461924 Longitudine del perielio = 1920. 56'. 9", 5) Equinoz. medio Longitudine del nodo = i5. 37. 54, ij oGen. 1825. Inclinazione = 89. ^1. 47 Moto diretto La quarta cometa, osservata in quest' anno, è quella a breve periodo , di cui abbiamo sopra diffusamente riferito la storia; traveduta forse da Pons la sera dei 1 5 Luglio avanti la sua partenza da Lucca , e senza esitazione ri- trovata da Harding ai 26 dello stesso mese, ed in seguito ai primi di Ago- sto generalmente osservata dagli altri astronomi, siccome si è indicato di sopra. V. Cometa dell'anno 1825 nella costellazione dell' Eridano. Quattro comete, vedute ed osservate con tanta assiduità negli ultimi mesi di quest'anno, sembravano già una messe sufficiente per quelli die erano assuefatti a non vederne se non di raro, o tutto al più una per anno, e po- chi avrebbero potuto attenderne una quinta. Ma così fu in fatto; giacebè nel tener dietro al corso di quelle delle quali abbiamo di sopra dato la relazio- ne, l'instancabile Pons nella notte del 6 al 7 Novembre, verso un'ora del mattino, ne ritrovò un'altra piccolissima, debolissima, difficile ad osservarsi, sulla costellazione dell' Eridano , la quale fu assiduamente seguita a Firenze ed a Napoli. I vapori di quella stagione e la debolezza della sua luce impedi- rono di poterla qui ritrovare dietro il suo primo annuncio. Frattanto il signor Clausen, sulle osservazioni die si potè procurare, ne calcolò un'orbita ellit- tica, che mi venne comunicata dal Padre Ingbirami, e colla sua scorta la ritro- vai '1 dì 25 Febbrajo 1826, debole sì, ma molto vicina al luogo calcolato, e continuai a vederla fino al giorno 6 del seguente Aprile. Le osservazioni di questa cometa sembrarono annunziare un'orbita ellittica, ed anco a taluni un'or- bita iperbolica; delle quali discrepanze devesi ripetere la cagione dalla sua grande distanza perielia, e dalla lentezza del moto eliocentrico da essa dipendente. Riu- scì finalmente al signor Nicolai, astronomo di Mannbeim, di rappresentare lode- volmente tutte le osservazioni nell'orbita parabolica che qui soggiungiamo: 299 s Passaggio al perielio . . . 1826 Aprile 21,94^2 T. medio in Marmlieiua. Log. distanza perielia ==■ 0,3027.426 Longitudine del perielio = 1 160. 59'. 27' , 5 Longitudine del nodo ascendente . . . — 197. 36. 33, 6 Inclinazione dell'orbita 4°- °- 25i 6; moto diretto. Comete scoperte nell'anno 1826. Quest'anno, al pari del precedente copioso per l'apparizione di nuove co- mete, è ugualmente osservabile per la singolarità del loro corso, e pel breve periodo attribuito ad una di esse, che forma appunto la prima della serie, scoperta nella costellazione della Balena. Il primo annunzio ne fu dato agli astronomi d' Italia e di Francia dal signor Gambard di Marsiglia, il quale la osservò per la prima volta la notte del 9 al io di Marzo, e continuò poscia la serie delle sue osservazioni sin verso il finire di Aprile con molta assiduità. Si seppe in seguilo, che un distinto ufficiale delle nostre armate, il sig. Ca- pitano Biela, lo aveva preceduto nella scoperta di questa cometuscola , aven- dola per sua parte ritrovata fino dal giorno 28 del precedente Febbrajo. Fu osservata anco in tutti gli Osservatori! d'Italia, a fronte della debolezza della sua luce. La serie delle mie osservazioni comincia col giorno 2 5 Marzo , e compiesi col giorno 2 Maggio, alla qual epoca era divenuta sommamente de- bole : forse sarebbesi ancora osservata; ma lo stalo torbido dell'atmosfera im- pedì nelle seguenti sere di più ricercarla ; ed anche molto incerta, per la stessa cagione, risultò l'osservazione del 2 Maggio. Non si poterono plausibilmente rappresentare le sue osservazioni nella con- sueta ipotesi parabolica; e gli stessi scuopritori Biela e Gambard vi osserva- rono una grandissima analogia con le orbite assegnate a due comete apparse nell'anno 1772 e alla fine del i8o5, a segno di sospettarne l'identità; ma devesi al signor Clausen l'onore di averne con molta felicità rappresentato le osservazioni in un'ellisse con un periodo di 2438 giorni. Gli elementi, ai quali pervenne, sono i seguenti: Passaggio pel perielio . . . 1826 Marzo 18,49297 T. medio in Altona. Log. semiasse maggiore = o, 5496086 Eccentricità . . . . = sen. (48°. 12'. 28'' 75) = 0,745569 Longitudine del perielio = 1090. 53'. 29' , 7 Longitudine del nodo. . = a5i. 27. 19, 7 Inclinazione = i3. 3a. 52, o; rivoluzione = 2438 giorni. Moto diretto. 3oo Resa per questi elementi evidente l'identità della cometa attuale con quella osservata nei mesi di Novembre e Dicembre del i8o5, il signor Gambard si ac- cinse a rappresentarne le osservazioni in una stessa ellisse. Dovendo in questo intervallo essere passata tre volte pel suo perielio, fissò la durata della rivolu- an zione a 6,787, ossia a 2461 giorni; con che per la terza legge di Keplero veniva a stabilirsi il semiasse maggiore = 3,5G7o5o. Cercò pertanto di sod- disfare separatamente alle osservazioni del i8o5 e del 1826 con un'orbita ellittica avente questo semiasse maggiore, e giunse ai seguenti risultati, cbe non lasciano alcun dubbio sulla identità delle due comete, mentre nello spa- zio di pochi secondi rappresentano tutte le buone osservazioni [Astron. Nadir. voi. V. pag. 126). Passaggio al perielio 1826 . . 77,97723 T. medio dalla mezzanotte in Marsiglia. Semigrand' asse 3, 567080 Eccentricità 0,7470093 Distanza perielia o, 902430 Longitudine del perielio. . i09°.5i.22 j dall' Eq. Longitudine del nodo. . . 25 1. 26. 9 j 9 Marzo. Inclinazione i3. 33. i5 Rivoluzione. *. 2461 giorni. Moto diretto. 1806, 2, 4807 T. medio dalla mezzanotte in Parigi. 3,567o5o ■ 0,745784 0,906801 . 1090. 32'. 23" . 25i. i5. i5 . i3. 38. 45 2461 giorni. Una cometa di si pronta rivoluzione è per l'Astronomia una scoperta di somma importanza, imperciocché può condurre a molte belle ed utili conse- guenze intorno alla resistenza dell' etere adottata dal sig. Enke per ispiegare l'accelerazione dell'altra cometa a breve periodo, di cui sopra abbiamo rife- rito l'istoria. Ciò ha impegnato il sig. Damoiseau ad intraprendere il calcolo delle perturbazioni planetarie, che hanno dovuto alterare gli elementi ellittici fra il 1806 ed il 1826, ed ha trovato {Connaissence des temps, an. i83o, pag. 54) che la rivoluzione media di 2460/1627, risultante dal confronto dei passaggi al perielio in questi due anni, era troppo piccola pel primo di 2,g473o, troppo grande nel secondo di 4/9°°5, di modo che nel calcolo delle osser- vazioni fatte nelle due indicate epoche devesi pel 1806 impiegare un'ellisse 2462,g636o, e pel 1826 di 2455/1762. Ad oggetto di poterne facilitare le osservazioni nella sua prossima reapparizione del 1882, ha lo stesso Damoi- seau calcolato le perturbazioni che soffrirà per parte di Giove, di Saturno e della Terra in questo periodo, ed ha trovato che tornerà al perielio dopo 2445,?5i2o, venendo fortemente da Giove in questa volta abbreviato il tempo 3o della rivoluzione periodica. Gli elementi ellittici trasportati al tempo del pros- simo passaggio al perielio saranno, giusta i suoi risultati, i seguenti : s Tempo del passaggio al perielio . . . i83a Novembre 27,4808 T. medio dalla mezzanotte in Parigi. Longitudine del perielio ioq°.56.45' Longitudine del nodo ascendente 248. 12. 24 Inclinazione i3. i3. i3 Eccentricità 0,751748! Semigrand' asse 3,53683. Su questi elementi il signor Gambard ha costruito un'effemeride per fa- cilitarne la ricerca, estendentesi dai primi giorni di Agosto sin verso la fine di Novembre . Quest' orbita rende possibile un grande avvicinamento della co- meta alla Terra nella serie indefinita delle rivoluzioni di questi due corpi . Ciò La sparso presso alcuni il timore, die nel suo prossimo ritorno al perie- lio potesse incontrarsi realmente colla Terra, ed urtandovi produrre un soqqua- dro universale : ma tale funesta circostanza non avrà luogo; imperciocché mentre la cometa si troverà nella maggiore vicinanza all'orbita inalterabilmente dalla Ter- ra descritta nell' ecclittica, questa ne sarà lontana per più di un mese, e la loro distanza scambievole rimarrà sempre superiore alla metà della distanza solare. Donde sorsero adunque i timori e le stravaganze che i nostri fogli giorna- lieri spacciarono con F aria del sarcasmo e della derisione nello scorso anno ? Da una mala interpretazione dei calcoli di Olbers e di Damoiseau , poiché con una leggierezza inconcepibile presero il grossolano equivoco, che la Terra e la cometa si trovassero contemporaneamente nel nodOj mentre non fu in- dicata altra circostanza, che se ivi contemporaneamente si trovassero, sareb- bero ad una grandissima vicinanza. Fu nel medesimo tempo avvertito, che ciò non avrebbe avuto luogo nella presente occasione, ed essere infinitamente piccola la probabilità di un tale avvenimento anche in una grandissima serie di rivoluzioni e di secoli. (Vedasi il N. 128. delle Notizie Astronomiche di Schumacher, voi. VI. pag. i55 e seg.) II. Cometa del 1826 nella costellazione di Orione. Il signor Flauguergues di Viviers, ricercando la cometa precedente, dietro l'avviso avutone da Gambard e da Biela, s'incontrò la sera del 29 Marzo in una piccola cometa nebulosa, che non poteva vedere se non con un buop acromatico di 40 pollici di fuoco, e credette di aver trovato l'astro annuncia- togli. Le sue osservazioni originali giungono fino al 6 Aprile; ridotte dal signor 3o2 Peters, la dimostrano una nuova cometa, la seconda scoperta in quest'anno. Non mi sono note che queste poche osservazioni, ed ignoro se alcuno abbia, per anco procurato di trarne da esse l'orbita. Vengono riferite nel quinto vo- lume delle più volte citate Notizie Astronomiche , pag. 4^7-466. III. Cometa del 1826 nella costellazione dell' E ridano. La sera del 7 Agosto il signor Pons scuoprì presso l'n.ma dell' Eridano una nuova piccolissima cometa, spoglia di nucleo, e rassomigliante ad una de- bolissima nebulosità. Me ne fu comunicata dal P. Inghirami la notizia eoa lettera del giorno 12, e qui fu ritrovata nella notte del 29 Agosto, cresciuta in luce e splendore; non però a segno da poter sostenere estranea luce. Se ne continuarono 'le osservazioni sino al 5 Dicembre, alla qual epoca era divenuta sommamente debole, visibile soltanto per intervalli. Sulle prime osservazioni ne determinai un'orbita parabolica, per potere più facilmente tener dietro al suo corso; la corressi quindi, prendendo a base le osservazioni del 3o x\gosto, 28 Settembre, 20 Ottobre, ed ottenni i risul- tati seguenti: Passaggio al perielio .... 1826 Ottobre f),23io T. medio in Padova. Log. distanza perielia = 9,98028 Longitudine del perielio = 570. 35',6 Longitudine del nodo = 4^- 9> •* Inclinazione = 25. 3o, 7 ; moto diretto. I signori Nicolai in Mannheim e Dei-Re in Napoli calcolarono pure sulle prime osservazioni delle orbite paraboliche prossimamente concordanti colla superiore, riferite nel quinto volume delle Notizie Astronomiche di Schumacher. Finalmente il signor Argelander, Direttore della Specola di Abo in Finlandia, dalle osservazioni 9 Agosto in Firenze, 3 Ottobre in Gottinga, 8 Novembre in Abo, le quali abbracciano quasi tutta la durata della sua apparizione, de- dusse la seguente orbita, che rappresenta dentro mezzo minuto le posizioni prese a base del calcolo : g Passaggio al perielio .... 182G Ottobre 8,97986 T. medio in Altona. Log. distanza perielia = g,93o852 Longitudine del perielio = 570. 48'. 24", 2 Longitudine del nodo = 44- 6. 27, 7 Inclinazione == 25. 57. 18, 3; moto diretto. Questi dati potranno servire a riconoscerla, se avvenga che ritorni nelle future età al suo perielio. 3o3 IV. Cometa del 1826 nella costellazione di Boote. Anche la scoperta di questa cometa devesi all'indefessa vigilanza del signor Pons, il quale perlustrando, com'è di suo costume, il cielo nelle notti serene, la ritrovò in Firenze ai 22 Ottobre 1826 nella costellazione di Boote. In assenza del Padre Ingbirami , il suo collega Tanzini ne fece le prime osserva- zioni dal 28 al 3o di Ottobre, che mi furono comunicate dal Padre Ingbirami con sua lettera di Livorno in data 2 Novembre , dietro le quali fu da me ricercata e ritrovata alla macchina equatoriale il giorno 6 di Novembre : era allora molto vicina all' orizzonte , e non se ne potè fare che una sola osser- vazione. Appariva splendente e rotonda, accompagnata da piccola traccia di coda ; pel cattivo tempo non si potè rivedere che ai 1 0 dello stesso mese . Intanto sulle osservazioni del 23 e 3o di Ottobre fatte dal Padre Tanzini, e sulla mia osservazione del giorno 6 Novembre, calcolai la seguente orbita pa- rabolica, che continuò a rappresentare nello spazio di pochi secondi le posi- zioni osservate in tutta la durata della sua apparizione. Passaggio al perielio .... 1826 Novembre 18, 4383 T. medio in Padova. Longitudine del perielio i54°. Sy'. 7' Longitudine del nodo 235. 14, 19' Inclinazione all' ecclittica go°. 34- 5o" Log. distanza perielia 8, 425 18 Apparisce da questi elementi , eh' essa appartiene alla classe di quelle ap- pellate retrograde, avendo un'inclinazione maggiore di 900. I costanti superiori sono apparecchiati per le regole del moto diretto, tenendo conto nelle funzio- ni trigonometriche dei segni algebraici. Essendo quasi perpendicolare all' ec- clittica, non è meraviglia se ad alcuni in una prima approssimazione sembrò doverla riporre fra le dirette. Nel passaggio al perielio si trovò in grandissima vicinanza al Sole, e ne dovette quindi contrarre un fortissimo calore. Era facile accorgersi che ben presto si sarebbe perduta nei raggi solari, ed in se- guito sarebbe stata di nuovo visibile dopo il suo passaggio pel perielio. Per agevolarne la ricerca calcolai una piccola effemeride coi superiori elementi, inserita nelle Notizie Astronomiche 3 voi. V. pag. 257, sino alla fine di Di- cembre, la quale nella reapparizione si trovò assai bene in accordo con le osservazioni. Giusta gli stessi elementi, la cometa il giorno 18 Novembre dovette passare sul disco del Sole. Il signor Gambard calcolò le circostanze di questo 3o4 fenomeno, nuovo nella storia dell'Astronomia, il quale avrebbe condotto a ri- sultati concludenti sulla diafaneità delle comete, ed avrebbe anco assegnalo direttamente la posizione della linea dei nodi. Ma a nessun osservatore riu- scì di poterla vedere sul disco solare, poicbè il tempo fu in quel giorno uni- versalmente nebbioso. Presso di noi non si sgombrarono le nuvole cbe verso 1 1 ore antimeridiane ; a Marsiglia verso 8\ 35', cioè all' incirca nel momento in cui terminava il passaggio. Un' altra osservazione curiosa, rimarcata in vero ancbe in altre simili cir- costanze, ci presentò questa cometa. All'epoca della sua scoperta, non avendo ancora passato il perielio, il suo nucleo era sensibilmente rotondo, e sufficien- temente ben terminato. Tale almeno mi apparve la sera del dì 6 Novembre, quando la vidi per la prima volta, e tale lessi nei pubblici fogli essersi pre- sentala al signor Pons nel discuoprirla. Dopo il suo passaggio pel perielio fu da me riveduta la sera del i.° Dicembre, essendo il cielo abbastanza puro; ma presentavasi sotto un aspetto molto differente. Aveva una coda ben mar- cata e visibile ; il suo nucleo non era , come prima , preciso e determinato , ma informe e nebuloso, quale d'ordinario si suole presentare nelle comete. La stessa cosa potei osservare nella sera del 5 Dicembre, sebbene fosse molto pallida pel crepuscolo e pel cbiaro della Luna. In seguito allontanandosi di- venne di più in più debole, ancbe in grazia del cattivo tempo, e delle neb- bie proprie della stagione. Se si può sopra questa osservazione stabilire una qualcbe congettura, sembra cbe, passando nel perielio in somma vicinanza del Sole, il suo nucleo siasi fortemente riscaldato, e la massa intera, posta quasi in uno stato di fusione, abbia subito una forte variazione, e dato origine alla riferita differenza di aspetto. Calcolarono l'orbita di questa cometa eziandio i signori Capocci, Clau- sen e Gambard; ma un lavoro diligente devesi al sig. Clùver, il quale sulla totalità delle buone osservazioni calcolò un'orbita parabolica, di cui mostrò la esattezza confrontandola colle osservazioni falle in tutto il corso della sua apparizione in varie specole (Asti: Nachr. voi. V. pag. 433-434). Ecco i suoi risultati : Passaggio al perielio .... 1826 Novembre 18, 43655 T. medio in Brema. Longitudine del perielio .... i54°- 4^'- 54">3 / Equinozio medio Longitudine del nodo 235. 7. 44, 3\ del 23 Ottobre. Inclinazione 90. 3y. 5o, 5 Log. distanza perielia 8,4296128. 3o5 V. Cometa del 1826 nella costellazione di Ercole. Quest'ultima cometa del 1826 fu pure scoperta da Pons in Firenze nella costellazione di Ercole alla mattina del 26 Dicembre, mentre dopo molti giorni di pioggia e di cattivo tempo erasi purgata l'atmosfera. Non poterono gli astro- nomi fiorentini osservarla che nei giorni 2y-28-3o-3i dello stesso mese; indi annuvolatosi il cielo, non fu più visibile in Italia. Fu però osservata in Gottinga, Brema e Kremsmunster dai 17 ai 26 Gennajo, dopo la qual epoca non se ne conoscono altre osservazioni. Le osservazioni risultarono in piccolo numero ed indecise ; il sig. Heiligstein , astronomo di Krems-Munster, le ha di- scusse e ridotte all'equatore; da quelle del 28 Dicembre 1826, 18 Gennajo, 26 Gennajo 1827 ha dedotto i seguenti elementi parabolici, i quali lasciano sussistere tuttavia dei forti errori, dipendenti dalla cattiva qualità delle osser- vazioni, che furono per lo più fondate sopra semplici stime (Astron. Nachr. voi. V. pag. 435). g . • Passaggio al perielio .... 1827 Febbrajo 4> 9^283 T. medio in Firenze. Longitudine del perielio 33°. 3o'. 16' Longitudine del nodo ascendente .... 1 84- 27. 49 Inclinazione 77. 35. 35 Log. distanza perielia 9,70460; moto retrogrado. La cometa era piccola , splendente , non accompagnata da sensibile nebu- losità ; distinguevasi dalle stelle per una luce più pallida, e pel disco mal con- tornato. Comete dell'anno 1827. Quest' anno ci presentò due comete : la prima fu scoperta da Pons a Fi- renze nella costellazione di Cassiopea ai 20 di Giugno, e dal sig. Gambard in Marsiglia ai primi di Luglio. Le osservazioni originali del primo, sebbene molto indeterminate per la difficoltà di assegnare le posizioni delle stelle di confronto, furono pubblicate nelle Notizie Astronomiche, voi. VI. pag. 164; non conosco quelle del secondo discuopritore, che forse apparvero nei pub- blici fogli francesi. Fu da Pons osservata fino al 21 Luglio, dopo la qual epoca non potè più ravvisarla : non si sa che da altri venisse osservata , per- chè facilmente confondevasi colle molte nebulose di quella regione. Queste poche osservazioni vennero discusse dai signori Walz di Nimes ed Heiligstein, i quali ne calcolarono separatamente l'orbita. Ecco i loro risultati: 59 3o6 Secondo Walz. g Passaggio al perielio 1 827 Giugno 8, 336 T. M. dalla mezzanotte in Parigi. Distanza perielia 0,8081 Longitudine del perielio . . 297°. 3/(.'. 18" Longitudine del nodo. . . . 3 18. i\. 48 Inclinazione 43. 37. 48 Moto retrogrado. Secondo Heiligstein. 1827 Giugno 7, 8724 T . medio dal mezzodì in Firenze. o, 8o8i5 2970.3i'.42" 3i8. io. 28 43. 38. 45 Moto retrogrado. La seconda cometa di quest'anno fu per la prima volta osservata da Pons al 3 Agosto verso 2h della mattina; indi nei giorni 4 e 5 fu dallo stesso con- frontata con un micrometro circolare alle circonvicine stelle, la posizione delle quali non è bene determinata, o almeno nella serie delle osservazioni fu ac- cidentalmente spostato il micrometro [Astr. Nadir, voi. VII. pag. 294 ). La serie delle buone osservazioni comincia col giorno 12: me ne giunse la no- tizia il giorno 24, e fu qui nella stessa notte osservata; ma perdendosi poscia nei raggi solari, non potei più osservarla. Clùver, Walz, Peter e Nicolai ne calcolarono l'orbita, nella quale fu notata una qualche rassomiglianza con la prima cometa del 1780. Clùver tentò, ad istanza di Olbers , il calcolo di un'orbita ellittica per quella cometa, la trovò vicinissima alla parabola, e mostrò che non si poteva ritenerla identica colla presente ( Astr. Nachr. pag. i47). Dagli elementi parabolici di questa seconda cometa si congetturò che dopo essersi perduta di vista nei raggi solari, sarebbe ricomparsa ai primi di Ottobre, e veduta per tutto questo mese; perlochè il sig. Nicolai ne calcolò una piccola effemeride, ma non mi è noto che alcuno l'abbia realmente os- servata. Gli elementi poi ottenuti dal lodato Nicolai sul complesso delle os- servazioni, sono i seguenti: g Passaggio al perielio . . 1827 Settembre 11,69837 T. medio in Mannheim. Log. distanza perielia = 9, i383oio Longitudine del perielio = 25o°. 58'. i3 ,4 Longitudine del nodo = i4g- 3g. 4> •* Inclinazione dell'orbita = 54- 3. 19, 2; moto retrogrado. Dopo di avervi brevemente esposto, illustri Accademici, la storia delle co- mete apparse nei decorsi anni, in quell'ordine che mi sembrò il più oppor- tuno per renderne nella loro moltiplicità chiare le osservazioni, per tributare anco il dovuto onore di lode ai benemeriti discuopritori , ed a quegli astro- 3c>7 nomi che con tanta costanza si occuparono della loro teoria, mi resta solo a porvi sott' occhio il quadro completo delle osservazioni da me fatte quando da altre occupazioni non mi fu impedito. Tutte le seguenti osservazioni furono fatte alla macchina paralattica per quest' Osservatorio costruita dal sig. Utzschneider di Monaco, munita di un ec- cellente e chiarissimo canocchiale acromatico. Generalmente la scarsa luce delle comete non sostenendo un' illuminazione del campo sufficiente a distin- guere i fili sottili del micrometro, si è sostituito al tubo oculare , inviato dal- l'artefice, un altro uguale tubo fatto a bella posta costruire, a cui si adattano le medesime lenti oculari; ma in luogo del micrometro filare, sono tese nel foco tre sottili lamiie di acciajo nel senso perpendicolare all'equatore, ed una ad esso paralella, le quali vedendosi senza bisogno di illuminazione, danno il modo facilissimo di osservare la posizione degli astri più deboli. Si è sempre avuto in mira di prendere le stelle di confronto dai cataloghi di Piazzi o di Bayly, l'esattezza dei quali è universalmente riconosciuta, tranne le poche os- servazioni della prima cometa del 1825, che fu confrontala con istelle del catalogo di Bode. I numeri arabici congiunti ai numeri romani servono ad indicare il posto e l'ora di una stella di confronto nel catalogo di Piazzi, edizione del i8i4; mentre i numeri arabici con la lettera B indicano il po- sto della stella nel catalogo recente di Bayly, inserito nel secondo volume de- gli Atti della Società Astronomica di Londra ; catalogo pregevolissimo per le tavole speciali dalle quali è accompagnato, pel calcolo delle aberrazioni e nu- tazioni. Per ultimo avvertirò di non riferire le osservazioni originali , poiché queste furono già in diverse epoche pubblicate nella Corrispondenza Astrono- mica di Zach, o nelle Notizie Astronomiche di Schumacher; e solo riferirò le posizioni da esse dedotte, tenendo conto eziandio della differenza di rifra- zione, quando questa era sensibile. Osservazioni della I. Cometa del 1825, scoperta da M.r Gambard ai 18 Maggio 1Ò2S. Anno, Mese, Giorno. Tempomedio in Padova. AR Appar. della cometa. Declin. boreale della cometa. Nomi delle stelle di confronto. i8a5. Giugno 3 11. 26. 7 1 1. 43. 12 io. 36. 3 12. ig. 17 11. 3o. 44 0 1 ti 42. 2. 0 42. 8. 49 53. 6. 48 io3. 55. 24 117. 37. 0 0 1 1; 77. 36. 58 77. 38. 8 79. 8. 6 79. 55. 27 78. 27. 27 3o del Rangif. Cat. di Bode. 4 7 8 36. Rangifero. (sera fosca) 122. Camelopardo. 187. Camelopardo. 3o8 Osservazioni della IT. Cometa del 1825 nel Toro. Anno, Mese, Giorno. i8a5. Agosto 24 25 26 Settembre 2 6 Ottobre 6 io ^4 Tempo medio in Padova h , 5. 28. 5. 28. 5. 48. 5. 22. 5. 43. 5. 27. 5. 46. 6. io. 1. 36. 2. o. 1. i5. 1. 45. O. 23. 0. 43. 1. 3. A H Appai-, della cometa. 1 io ? 63. 35. 1 3 63. 3o. 5o 63. 3o. 5o 63. 25. 3i 63. 25 62. 27 62. 26. 57 61. 32. 3i 34. i3. 8 34. io. [\-] 24. 48. 47 24. 45. 4» i3. 35. 5i i3. 33. 4 i3. 3o. 55 Declinaz. appar. della cometa. + 20. 20. 20. 20. 20. + 16. — 18. — 18. — 26. — 26. -34. -34. -34. 56. 41. 40. 24. 24. 27. 7- 498! 5o. 45. 47- 48. 5o 6 44 38 38 44? i4 23 45 4o .4 59 9 •9 56 Nomi delle stelle di confronto. 53. del Toro, idem. e Toro. a Toro. 75. Toro. 0 Balena. 0 Balena, t Eridano. 99. III. t Scultore. a App. dello Scultore, (sera fosca) Dopo il suo ritorno dall' emisfero australe. 1826. h , ,1 0 1 ii 0 1 II Maggio 1 1 1. 26. 42 228. 8. 3i — 33. 4. 58 5. >. Lupo. 2 io. 58. 58 226. 57. 36 32. 32. 22 5. ^ Lupo. — 11. 4-- 4° 226. 55. 21 32. 3l. 22 1 1 11. 26. 38 217. 20. 18 — 27. 20. 6 6. Libra. — 11. 45. IO 217. ig. 5i 27. 20. 28 i3 10. 55. 3 2i5. 3i. i4 26. 12. " 1 3 5. XIV. (sera fosca) 28 11. 45. 48 2o4- 6. 19 -18. IÌ44 276. XIII. (sera fosca, com. debole) =9 9. 55. 38 2o3. 38. 8 — 17. 56. 20 276. XIII. (cometa debole) 3i io. 36". 5 203. 4l. '0 — 17. 3. 5o — - io. 54- 29 203. 4o. 4i;h — 17. 2. 54-4- 8g. della Vergine. — 11. 5.45 2o3. 39. 38 — 17. 2. 18 Osservazioni della Cometa di Enke nel 1825. 1825. Agosto 12 16 21 23 24 25 26 Settembre 2 45,7 +3i. 33. i3, o i4,g +3i. 32. 2 h 1 /; j ° i i3. 45- 36,2 100. 5i. i4- 4°- 49>9;1oo. 56. ;5. 22. So^jtoS. 28. 5. 19. 47,o 118. 17. 5. 42- 45,4 118. 19. 5. 44- 1,0,122. 20. 5. 42- 17,° i24- 2i- ;5. 46. 33,5 124. 22. 16. o. 0,6 126. 24. 16. 3. 34,2! 128. 25 i6. 3. 37,8| i4a. 3g. i4,5 + 19. 49- 4g,o 42, 25,7 28,7 3a,2 33,3 i5,3 3i,o 55, + 3o. 33. 56,3 + 28. 34. 0,8 + 28. 33. 25,8 + 27. 29. 3o, 4 + 25. i5. 38,4 25. 35. 46, 6 3 16. VI. T Gemini. t Gemini. 3o7.VII. 37.VHI. t? Cancro. 80. VIII. 69. e 75. Cancro. 69. Cancro. 3o. e 4° Leone, (cometa bassa) 3og Osservazioni della V. Cometa del 1825, scoperta nell' E ridano. (La cometa era debolissima, e non sosteneva illuminazione) Anno, Mese, Tempomedio Ali Appar. Declinaz. appar. Nomi delle stelle Giorno in Padova. della cometa. della cometa. di confronto. 1826. li , „ 0 1 11 0 1 a Febbrajo 25 7. 4o- 1 58. 3g. 26 — 19. 11. i3 54. Eridano. a7 7. 3. io 59. 26. 26 — 18. 54. 26 54- e 58. Eridano. 7. 57. 19 7. 20. 28 59. 27. 7 5g. 5l. 6-»- — .8. 54. 16 — 18. 45. 35-4- 28 7. 46. 3o 7. 26. 3g 7. 12. 42 7. i5. 19 7. 22. 57 7. 37. 22 7. i5. 42 60. 47- 35-»- 61. 5. 47 61, 3o. 5g 62. 23. 9 62. 4g- 34 63. 44- 43 64. 11. i4 — 18. 27. 43 18. l8. 2 1 3 /] -.8. g.59 — 17. 5i. 35 — 17. 42- 26 — 17. 24. 6 — 17. 1 5. 0 6 7 9 IU 1 1 7. 19. 36 64. 3g. 20 — 17. 5. 3i 58. Eridano. 7. 49- 29 7. 37. 12 64. 39. 29 65. 7. 26 12 — 16. 55. 4 58. e 60. Elidano. i3 *7 7. 29. 2 7. 44- 33 65. 36. 1 67. 3 2. 36± -.6. 47- 4 — 16. 9. i4-+- 60 Erid. (cometa appena visibile 25 8. 6. 35 71. 4°- 22 — 14. 53. 1 li, 1 Lepre, pel chiarore lunare) 3i 8. 5. i5 74- 56. 45 — i3. 56. 16 A- Lepre. — 8. a5. 42 74- 57. 22 — i3. 55. 54 A\ X Lepre. Aprile 1 8. ...49 75. 3i. 6 — 13. 46. 3i X Lepre. 5 8. 16. 27 77. 47- 33? — i3. 9. 11 ? k Lepre. b 7. 59. 3o 78. 21. 28 — i3. 0. 32-+- 96.V. — 8. io. 29 78. 21. 58 — i3. o.38 Osservazioìii della I. Cometa dell'anno 1826. Cometa periodica scoperta nella costellazione della Balena. 1826. Marzo 2 5 Aprile 29 3i 1 1 i5 Maggio 1 2 b 1 a 7. 38. 27 7. 52. i4 8. io. 5o 7. 33. 33 47. i4 38. 35 54. 36 5i. 22 3 9- 9. 1. 20 8. 14. 8 8. 58. 54 7. 56. 1 8. 27. 4i 8. 44. 3 2 9. 26. 26 9. 16. 43 9. 36. 25 56. 52. 33 62. 5. 27 64- 42. 27 64. 43. 6 66. 3. o 66. 3. 4o 70. 7. 4i 74. 16. 4 j 74. ig. 20 75. 4o. 8 75. 4a. 47 79. 5i. 3 85. ài. 18 85. 32. 28 107. 5g. 35 iog. 21. 23 log. 22. 23 -(- io. 52. 43 IO. 52. 23 10. 4g- 53 io. 47- 22 io. 57. i4 io. 44- 39 io. 44. 5o io. 36. i5 io. 25. 12 io. 24. i4 io. ig. 27 io. ig. 23 io. 2. i3 9. 35. 16 9. 34. 4. 6. 54. i5 6. 4l 21 6. 4i- 38 X Toro. 88. Toro. 1,4 1. Toro. . Lepre. 1, u Lepre. 55. Orione. 9. Unicorno. 9. 45. Unicorno. g. Unicorno. 18. Unicorno. 3 18. VI. 54, 02. Cancro. 23o. IX. 9"' * 1 Osservazione I del Dott. Gabelli. 4, H di Berenice. H di Berenice. 2 53. XII. i4. XIII. i4- XIH. (cometa debolissima, visibile ad intervalli) IV. Cometa del 1826 nella costellazione di Boote. 1826. Il ; ;; 0 , // Novembre 6 6. 44- 6 226. 37. 54 IO 5. 54- 42 229. 24. 20 1 1 5. 44- 33 23o. 3. i3 12 5. 36. 9 23o. 4°- 3 Dicembre j 5. 5i. 38 24g. 17. 44 3 5. 4i- 45 25l. IO. 23 5 5. 32. 3o 252. 57. 43 5. 45. io 252. 58. 27 6 6. 6. 52 253. 5i. 32 9 5. 3o. 47 256. 23. 4o 22 6. io. 49 266. 17. 17 23 6. 6. 53 266. 58. 3g 25 5. 55. 48 268. 91. 38? — 6. 21. 3 268. 22. 12 ? •26 6. 1. 17 2 6g. 1. i5 + 17. 46. 7 6. 58. 26 3. 5g. 26 o. 52. 42 -t- 4. 18. 32 6. 3o. 54 8. 32. 53 8. 33. 5g g. 32. 48 12. i3. 4 21. 37. 58 22. i3. 54 23. 25. 37 ? 23. 25. 58? 24. 2. 5 Dedotta dirett. dalla macch. parali. a del Serpente. g3. 41 Serpente. u Serpente, (fra le nuvole) 2.7H. Ercole, (dopo la reappariz.) ig3. XVII. 270. XVI. (pali, pel chiaro diLun*) 27. K Ofiuco. a Oliuco. g5. Ercole, (cometa debolissima) g8. Ercole. io 5. Ercole, (osservaz. incerte) 3n Osservazioni della Cometa a breve periodo di Enke nel 1828. Anno, Tempo medio A II Appar. Giorno. in Padova. della cometa. 1828. fa , ,1 0 / H Ottobre 3i 10. 54- 42 346. 54- 1 5,o ISoverubre 1 9. 46. 48 345. 46. 43,5 3 8. 38. 18 343. 23. 18,0 — 9. i3. 9 343. 22. 24,0 — 9. 42- 16 343. ig. 36,0 4 7. 5a. i3 342. 19. 21,0 — 8. i4- 47 342. io. 58,5 — 8. 3g. 3o 342. 7. 22,5 5 7. 54. 2 34o. 5g. 33,o — 8. 52. 43 34o. 57. 27,0 28 6. 4i. 16 3i6. 37. 49,5 — 7. 33. 42 3i6. 35. 45,o Dicembre 2 7. 0. i4 3i2. 48. 22,5 — 8. 5. 36 3i2. 46- 36, 0 3 6. 23. 21 3n. 52. 48,o — 6. 48. 1 8 3i 1. 52. i, 5 5 6. 35. 53 309. 56. 22,5 — 6. 56. 17 3og. 55. 28,5 6 6. 54. 54 3o8. 56. 52,5 \ — 7. 3o. 35 3o8. 55. 0,0 7 6. 16. 45 307. 58. 33,o 6. 46. 9 307. 57. 22,5 IO 6. i3. 52 3o4- 53. 36,o — 6. 4g. 3 7 3o4. 4'- 3i,5 •«9 5. 58. 4 2g4. 16. 28,5 6. 9. 1 294. i4. 32, 5 Declinaz. appar. della cometa. + + 25. 20. 2 5. O. 24- i3. 24. i3. 24. i3. 23. 5o. 23. 4g- 23. 4g- 23. 24. 23. 23. ... 4 ... 3. 8. 4o. 8. 38. 8. 4- 8. 3. 6. 48. 6.47- 6. 9. 6. 8. 5. 3i. 5. 3o. 3.28. 3. 27. 3. 35. 3.36. 43,8 22,3 35,2 29,2 16, 1 52,6 28,6 18,6 20,6 8,6 22,1 i4,8 16,2 18,7 9.5 55,i 34,6 55, g 35,4 32,5 9>6 12,4 38,8 47.9 57,5 n,5 CONSIDERAZIONI INTORNO AL CALCOLO DELL'ORBITA ELLITTICA DI UNA COMETA APPLICATE ALLA COMETA SCOPERTA NELLA COSTELLAZIONE DELLA BALENA AI XXVIII FEBBRAJO MDCCCXXVI PER SERVIRE DI APPENDICE ALLA PRECEDENTE MEMORIA SULLE COMETE APPARSE DOPO IL MDCCCXXV. DI GIOVANNI SANTINI i.-Ac _ccade frequentemente nella teoria delle comete, che non si possano rappresentare plausibilmente in un' orbita parabolica tutte le buone osserva- zioni che ne vengono fatte, e che gli elementi appoggiati a tre osservazioni geocentriche vadansi di più in più allontanando dal vero; bene spesso anche la seconda osservazione non può essere rappresentata con l'ipotesi parabolica. Inoltre si è talvolta presentata la circostanza di una cometa improvvisamente apparsa nel cielo, e reputandola nuova si è tentato il calcolo della sua orbita, che poi si è riscontrata per sì fatto modo simile a quella di altre comete sco- perte ed osservate nei trascorsi tempi da non lasciar dubbio sulla loro identità. Ciò accadde per la prima volta al celebre Halley, il quale osservò una grande rassomiglianza fra le orbite delle comete apparse negli anni 1531-1607-1682; e giustamente riputandole identiche, nel 1705 con molta riserva si azzardò di annunziarne il ritorno per l'anno 1788, il quale non si verificò che nel successivo anno 1759. Fu appunto nel 1758 che Clairaut intraprese il calcolo delle perturbazioni, alle quali doveva andare soggetta per l'azione di Giove e di Saturno, e mostrò con inconcussi argomenti, da queste straniere azioni doversi ripetere la cagione del suo tardato ritorno, ed ebbe la soddisfazione di vedere pienamente avverata la congettura d' Halley, ed il risultato del suo lavoro. Quando pertanto con un'orbita parabolica non si possano rappresentare le osservazioni geocentriche di una cometa, si può ragionevolmente ritenere che essa piuttosto si aggiri intorno al Sole in un'ellisse, della quale molto importa, per l'avanzamento dell'Astronomia, determinarne i parametri. Molti celebri astronomi dopo Halley si sono occupati del calcolo dell'orbita ellittica delle comete, ed in particolar modo sono benemeriti di questo importantissimo ra- mo dell' Astronomia il nostro Asclepi, Lexell, Burkardt, Bessel, Gauss, Enke, Nicolai e Gambart. Contuttociò scarsi precelti, ed inetti a servire di scorta alla studiosa gioventù, si trovano intorno a questo argomento nei più riputati trattati di Astronomia fino ad ora pubblicati; e quelli die hanno calcolato di qualche cometa un'orbita ellittica, hanno il più delle volte prodotto i soli ri- sultati, o hanno prescritto metodi lunghi e laboriosi, che si rendono di diffi- cile applicazione ai casi speciali, i quali vengono di giorno in giorno dive- nendo più comuni. Non sarà pertanto, io credo, del tutto inutile una succinta esposizione dei metodi che mi sembrano i più comodi pel calcolo dell'orbita ellittica delle comete, nella quale seguirò quell'ordine stesso che ho propo- sto nella seconda edizione dei miei Elementi di Astronomia che si sta pub- blicando, e che illustrerò con appositi esempli numerici, i quali potranno ser- vire di supplemento a quanto in quell'opera io non poteva esporre senza darò a quel trattatello soverchia estensione. §. 2.0 Per procedere con ordine, ridurremo i casi che si possono presentare ai tre seguenti, ciascheduno dei quali richiede considerazioni speciali: i.° di una cometa avente un'orbita pochissimo diversa dalla parabola; 2.0 di una cometa avente un' orbita notabilmente diversa dalla parabola ; 3.° di una co- meta, la quale riconoscasi per identica ad una osservata nei tempi anteriori, ed in modo che il confronto delle osservazioni manifesti il tempo della rivo- luzione periodica. Allora per la terza legge di Keplero si conoscerà l'asse maggiore dell'ellisse da essa descritta, e si dovrà procurare solo di determinare gli altri parametri, e la posizione del piano in cui giace. I. Caso. Calcolo delle orbite ellittiche od iperboliche,, pochissimo dalla parabola differenti. Quando sia stata già con tre prime osservazioni determinata l'orbita di una cometa nell'ipotesi parabolica, e siasi tentato di correggerne gli elementi so- pra quattro o cinque buone osservazioni distribuite per tutta la durata della sua apparizione, se gli elementi così corretti si allontanino pochissimo dalle posizioni osservate, ed in modo che le differenze vadano variando con una certa regolarità, si dovrà conchiuderne che l'ipotesi del moto parabolico, quan- tunque prossima al vero, non è però valevole a rappresentare con ogni esat- tezza il moto della cometa ; ed in tale circostanza si dovrà ricorrere al cal- 40 3i4 colo di un orbita ellittica , od anche iperbolica . In tal caso i veri elementi differiranno pochissimo dai parabolici, e supponendo tali differenze sì piccole da poterne trascurare le potenze superiori alla prima, si potranno queste co- modamente determinare col mezzo di alcune equazioni lineari di condizione, da stabilirsi nel modo seguente. - Si scelgano quattro o cinque buone osservazioni, distribuite quanto è pos- sibile ad uguali intervalli per tutta la durata della sua apparizione; si correg- gano dall'aberrazione, nutazione e paratasse. Le longitudini così corrette ri- ducansi ad una posizione fissa dell'equinozio, alla quale pure riducami i luo- ghi del Sole calcolati dietro le migliori tavole. Siano gli elementi parabolici già ottenuti, e per ipotesi molto prossimi al vero, rappresentati dai seguenti simboli. Il tempo del passaggio al perielio, espresso in giorni valutati dal prin- cipio dell'anno, o da una data epoca fissa qualunque = r; la distanza pe- rielia = q ; la longitudine del perielio = T; la longitudine del nodo ascen- dente = co; l'inclinazione all'ecclittica = ij che fingeremo contata da o.° fino a 180.0 Supponiamo che i veri elementi siano rappresentati da T + dr; q + dq; 1C -\- dx ; co + die; i -\- di; ed inoltre l'eccentricità dell'orbita (la quale nella parabola è = i) sia=i — oc, dovendosi riguardare oc come una picciolissima frazione. Siano in una qualunque delle assunte osservazioni V , \ la longitudine e latitudine geocentrica, calcolate dietro gli elementi pa- rabolici T, q, T, co, ij mentre le stesse quantità date dall'osservazione siano a, j &'. Dovranno aver luogo le seguenti equazioni di condizione: x =-Z' + Jdr + Bdq + Cdir + Fdto + Odi + Hoc ... {i) |8' = X'+ adr + bdq + cdir + fdoo + cdi + hoc ... (2); nelle quali si dovranno diligentemente calcolare i coefficienti A} a, B_, b ec. Quanto ai primi cinque coefficienti, si calcoleranno comodamente con le tavole a cinque cifre, dietro i precetti dei §§. 335.-336. dell'opera citata, ove in- segnasi a determinare la variazione della longitudine e latitudine geocentrica per piccole alterazioni indotte negli elementi dell'orbita parabolica, e si po- trebbero, dietro le espressioni generali del primo volume, assegnare anco allo stesso modo i valori di H e h. Ma per le orbite molto eccentriche questi coefficienti si determineranno più comodamente col metodo seguente, che si potrà adoperare anco per gli altri, stimandolo conveniente. Si dia ad oc un pic- colo valore arbitrario, per es. o, 02 ; ritenendo gli altri elementi il loro primi- tivo valore, si verrà a cambiare l'orbita parabolica in una ellisse ad essa molto vicina, della stessa distanza perielia , nella quale pel dato tempo si calcolino >l'J la longitudine e latitudine geocentrica, che fingeremo rappresentate per l" ., h.". Sarà V = l' + H (0,02); \'' = k' + h (0, 02); donde si avrà: O. 02 O. 02 Ottenuti cosi per tutte le assunte osservazioni i coefficienti A, B, C ec. delle equazioni (1), (2), si tratteranno col metodo dei minimi quadrati, e le trovate correzioni aggiunte col loro segno agli elementi parabolici rispettivi, daranno i veri elementi dell' orbita della cometa , la quale sarà un' ellisse , se risulti x positivo; sarà un'iperbola, se a sia negativo. Detto poi a il semiasse maggiore dell'orbita, quando è ellittica; T il tempo della rivoluzione perio- j. . 1 o o q 7 <7 rp a* »•» , a* / $ \ »■» dica; sarà, pel *;, 52 3., a = = — ; 1 = —r.a — —, — . ( — I ' '.*••' 1— e « ' k k \ a J donde chiaramente apparisce che un piccolo errore in a. esercita una gran- dissima influenza nel tempo della rivoluzione periodica, e che perciò non si può sperare di ottenere con qualche sicurezza questo elemento dietro le os- servazioni di una sola apparizione. Questo metodo è stato frequentemente ado- perato per determinare gli elementi ellittici della cometa di Halley, e se ne può vedere un bell'esempio egregiamente ordinato nelle eccellenti ricerche di Bessel intorno alla cometa del 1807, pubblicate a Conisberga sotto il titolo: Untersuchungen icber die wahre t una scheinbare Baiai des grossen ini Jhar 1807 crschienen Comelen - Konigsberg 18 io. II. Caso. Calcolo dell' orbita ellittica di una cometa notabilmente diversa dalla parabola. §. 3.° Se non si possano con un'orbita parabolica rappresentare entro discreti limiti le osservazioni di una cometa, o se le differenze fra l'orbita parabolica, determinata con qualche primo tentativo, e le posizioni osservate vadano cre- scendo con qualche rapidità, si dovrà conchiudere che l'ipotesi, da cui si partì, si allontana notabilmente dal vero, ed in allora si ricorrerà al calcolo di una orbita ellittica. In questo caso appunto trovossi la cometa della Balena scoperta nel 1826, per rappresentare i movimenti della quale fu d'uopo abbandonare l'ipotesi parabolica. Il metodo generale dovuto al celebre Gauss, col quale egli ha determinato le orbite di tutti i nuovi pianeti, da noi riferito con sufficiente estensione nel secondo volume degli Elementi di Astronomia, si presta opportu- namente anche per le comete, come si può vedere nell'esempio numerico del §. 363., il quale è appunto relativo all'indicata cometa. Noi non riferiremo 3i6 qui le tracce dì questo esempio, potendosi vedere nel luogo citalo. Solo os- serveremo, che i primi risultati raramente riusciranno abbastanza prossimi al vero per la difficoltà somma di ottenere buone ed esatte osservazioni di una cometa, e per la grande influenza che esercitano sugli elementi gli errori delle osservazioni, soprattutto se l'inclinazione all'ecclittica risulti mediocre. Si rac- coglierà infatti dal citato esempio, che gli elementi ottenuti soddisfanno a me- raviglia alle osservazioni, sopra le quali vennero calcolati; tuttavia essi notabil- mente aberrano dal vero, come fra poco si renderà manifesto. In tale circo- stanza è necessario ricorrere ad un metodo di correzione; ed ecco quello che mi sembra più opportuno, e che illustrerò con un esempio numerico relativo alla cometa medesima. Si scelgano quattro osservazioni distribuite per tutta la durata dell'appa- rizione , e dalle loro ascensioni rette e declinazioni deducansi le longitudini e latitudini geocentriche, le quali corrette dall'aberrazione, nutazione e pa- ratasse si riducano ad una posizione fissa dell'equinozio, alla quale riducansi pure le longitudini del Sole calcolate colle migliori tavole. Delle quattro pre- scelte osservazioni basterà che due sieno complete, siensi cioè con cura in esse osservate le longitudini e latitudini geocentriche ; nelle altre due ba- steranno le sole longitudini: che se l'inclinazione sia considerabile, e le lati- tudini geocentriche variino con rapidità, allora si potrà, seguendo le tracce del metodo che siamo per esporre, correggere gli elementi dell' orbita con tre sole osservazioni complete: ma in generale accade nelle comete, che per la esten- sione del nucleo e per la debolezza della loro luce più accuratamente ven- gano osservate le AB., che le declinazioni; e quindi più fiducia meritino le longitudini che le latitudini, e perciò a quelle, piuttosto che a queste, dovrassi procurare di appoggiare la rettificazione degli elementi. Scelte pertanto e ridotte le osservazioni come ora si è indicato, suppo- niamo che le osservazioni complete sieno la prima' e la quarta, e si calcolino pei tempi ad esse corrispondenti le distanze accorciate della cometa dalla Terra colla scorta degli elementi ottenuti nella prima approssimazione, e vengano in- dicate da p'j p.'v Saranno queste soggette a piccole variazioni, dipendenti dagli errori degli elementi, che determineremo mediante due piccole variazioni ar- bitrarie Dj a in tre diverse ipotesi, distribuendo il calcolo come segue : i.a Ipotesi. Distanze supposte . . p' PW 2.a Ipotesi. 3.a Ipotesi. Distanze vere. P' + P P P +PX p'v-+-qy 3x7 In ciascheduna ipotesi si calcolino, dietro le date distanze accorciate, le longitudini e latitudini eliocentriche della cometa unitamente alla sua distanza dal Sole. Se in generale sia p la distanza accorciata; ot,, # la longitudine e latitudine geocentrica osservata; J, X, r la longitudine, latitudine eliocentrica, ed il raggio rettore; R la distanza del Sole dalla Terra; A la longitudine elio- centrica della Terra (che uguaglia sempre quella del Sole, aumentata di 180.0); si determineranno l„ \, /■ comodamente colle seguenti equazioni: r. cos. X sen. {I — a) = R. sen. (A — a) j r. cos. fc. cos. (I — a) =z B. cos. {A — a) + o ) (l) r. sen. V = f>. tang. |3 1 Siano Ì \, l'v ; K'j X'v; r3 r'v i valori di l_, X, r corrispondenti alla prima e quarta osservazione, dedotti numericamente dalle equazioni (i) in una qual- unque delle superiori tre ipotesi ; col loro mezzo si calcoleranno tre sistemi di elementi ellittici al modo seguente. Primieramente sia w la longitudine del nodo ascendente; i l'inclinazione all'ecclittica. Avremo (§. 36g. Astron.) per determinare i ed « le equazioni : fl' + t" \ sen. (Vv— V) , ntv „. ) «** ( -7- - » j - sen.(Vv+v; ^ Ì (r~2 ) tang. i = 'i^_ = ** VV (2) 6 • sen. (/'—») sen. (/'v_w) ) In seguito si calcolerà la distanza eliocentrica della cometa dal nodo, che indicheremo generalmente per P si nella prima che nella quarta osservazione, mediante le seguenti equazioni: COS. P ==S COS. V C09. (1 — ») 1 tang. Il — w)> (3) ovvero tang. P = 2 ! il v ' cos. i J Ponendo ora P'v — P' c= ij\ sarà if l'angolo compreso fra r } r'T; co- nosciuti r , r'v, zf coi precetti dei §§.343.-347-, si calcoleranno in ciasche- duna ipotesi i parametri tutti dell' orbita ellittica. Ottenuti cosi tre sistemi di elementi ellittici, si calcolino in ciascheduno di essi la longitudine geocentrica sì per la seconda come per la terza osservazione, e sieno: a"j a" -f- nij a" + n per la seconda ; a , a + nij a ■+• n per la terza.. Dietro ciò si formeranno le due equazioni di condizione (§. 372.) : ci' <=> a + nix + ny a. = a + m x + ìi j k dalle quali si ricaveranno i valori di x e di y, e quindi le correzioni px„ . qy delle assunte distanze p \ p.'v Trovate poi le distanze corrette, da esse si ricaveranno i veri elementi, procedendo come in una qualunque delle stabilite ipotesi. §. 4-° Se si avranno tutte le osservazioni complete, e le latitudini osservate meritino uguale fiducia delle longitudini, allora basteranno tre sole osservazioni, e la seconda delle equazioni (4) verrà rimpiazzata dal confronto fra la latitu- dine calcolata pel tempo della seconda osservazione nei tre diversi sistemi , e la latitudine osservata; che anzi, assunte anco quattro osservazioni complete, si potranno dal confronto delle latitudini ottenere altre due equazioni simili alle equazioni (4), le quali dovranno con esse accordarsi nel dare per x ed y gli stessi valori, o si potranno alle superiori riunire, per risolverle tutte col metodo dei minimi quadrati. Nel nostro esempio non fu possibile accordare convenientemente le longitudini coii le latitudini, e perciò abbiamo riputato partito migliore il rigettare queste ultime. Che se le ottenute correzioni pXj qy risultino considerabili, dovremo allora ritenere le distanze corrette, come più prossime al vero di quelle dalle quali partimmo, ed intraprendere col loro mezzo una nuova correzione degli elementi dell'orbita. Applicazione dì questo metodo alla Cometa periodica della Balena. §. 5.° Gli elementi ottenuti col metodo sopra citalo di Gauss, desunti dal secondo volume dell'Astronomia, sono i seguenti (pag. ìoo): Passaggio al perielio . . . 77,^29901 del 1826. Tempo medio in Padova. Log. semiasse maggiore = log. a = 0,4697873 Log. eccentricità = log. sen.

    g49°44 Long, del per. = 1 io0. 4.8'. 53",o p'+p =1, 95' 168. 140; .20' 38 V 0=0,920 .45", 3 3, 8 = - 5. 36. 27, 0 = -i3. i5. 8, 9 = 9- 0. 961371 043618 2 3 = 25o° .56' 36" .8 = i3. 2 2. 6, 4 = 204- 5g. 59, 5 = 277. 29. . ì>, 4 — 72. 0, 29. 5, 566322, 9 ì = 9- 070 6539 = 2. 700 ■1229 2 79> I 12° 45 1 45' 23 28" 7 III. Ipotesi. /j'=i,i2o;p-f-<7 = 0,94o = 96°.24'.36",o = 167. 43. 12, 2 = - 5. 34. 32, 6 = -i3. 24. 3i , 3 = 9-956,47° = o. 0479605 = 252°.20'.57",2 • = i3. 27. 56, 5 = 204. 3g. 3g, o = 275. i3. 26, 5 = 70. 33. 47> 5 = 0.4788661 = 9. 8466896 = 2.8317074 = 76,27992 = io8°.57'. 3."1 3ao Calcolando ora in ciascheduno dei tre trovati sistemi la longitudine geo- centrica per la seconda e per la terza osservazione, si avrà a" = 5j.° 3'. 28", 8 ; a' + 7)i = 56.° 46'. 12'', 2; a" + n = 57.0 i5'. 5", 3, essendo d' = 57. 6. 9, 7 ; quindi sarà x — a" = + 2'. 4° "i 95 m — -~ r7- ^"«G; re == -f- il'. 36", 5. a'" = 85.° ai'. 43", 0; al " + m' = 85.° 3'. 6", 4; a" + «'=85.o 36'. 29*, iv essendo a" = 85.° 28'. 18", 5; quindi ai" — a" = + 6'. 35'', 5; m' = — 18 . 36' , 6 ; 77.' = + 14'. 4^' > J- Dietro ciò si formeranno le due equa- zioni di condizione (4) : 160", 9 = — io 36", 6. x -f- 696", 5. y 3g5, 5= — n 16, 6. x -f? 886, 6. y Le quali risolute, daranno x = o,943g; y = i,6358; quindi p x = + 0,018878; qy = + o. 032716; e le distanze corrette saranno p + px= 1, 13878; p'v + q y = 0,952716. Intraprendendo ora con queste distanze corrette il calcolo degli elementi corretti, si troverà, dietro le superiori equazioni, V = g5.°34'. if',j; V =— 5°. 36'. 2i",o; Log. r' = 9.9610759 ^=167. 8. Si, 4 ; Vv = — i3. 3o. 17, o; Log. r'v = o. o5o753g la seguito si avrà . . . . u = 25i.° 24'. 38", 7 ; i = i3.° 34'. 12", 7 P' =ao4.° 36'. 9, 2; P'v e-, 275. 34- 39) 8; Fv — P'=2f=7o. 58. 3o, 6. Coi valori trovati di log. 7' , log. r'v, if, e col tempo intercetto fra la prima e la quarta osservazione, seguendo i precetti superiormente citali dei §§. 343.-347., si formeranno tutti gli altri elementi ellittici che qui riuniamo. g * Passaggio al perielio = t = 77,47984 del 1826. Tempo medio in Padova. Long, del perielio = T = i09°.45'.2o",i ) dall'Equinozio medio Longit. del nodo = w = 25i. 24. 38, 7 j del 9 Marzo. Inclinazione. . . . = i = i3. 34- 12, 7 Log. a = 0.5569047 ; Tempo della rivo!, sid. =25oo,g9 Log. e = log. sen.

    H798° 77, 27958 77. 59598 Rivoluz. periodica = T= 2Óoo,§9 2423,^0 25oi,g3 Angolo di eccentricità

    9 Long, calcolata nel III. sistema = a"+ n'= 5"]. 4- 47> r Quindi l'equazione di condizione 12", 2 = io'ò",^..x — 7o",4/ • • • (.*} Del pari per l'osservazione del giorno i5 Aprile si troverà: Longitudine osservata *'"...= 85». 28'. i8",5 [*'"— a'"= 3", Long, calcolata nel \. sistema . a'" . ... =3 85. 28. 21,8 Long, calcolata nel II. sistema . a'"-\-m'= 85. 3o. 11, 7 Long, calcolata nel III. sistema . a'"+ n' = 85. 26. 54, 5 Quindi l'equazione .... — 3", 3 = 109", g.x — 87",3.j- . . . . (2) Le equazioni (1), (2) risolute danno x = 0,99908;^ = 1,29551, e però le distanze corrette risulteranno come segue : Valori assunti p' = 1,1388780; p'v = 0,9527160 Correzioni px= — 0,0019982; cjj= — 0.0025910 Distanze corrette . . . p' = 1,1368798; p'v = o,g5oi25o Queste nuove distanze corrette daranno pel calcolo degli elementi dell'orbita i seguenti valori : V = 95<>.3o'.36",8; \' =— 5°.36'.9",93; log. r' =9,96o55o4 tv = 167. i5. 49, 3; \'v= — i3. 29. 7, 32; log. r" = 0,0501828 Da questi poi si otterranno i seguenti elementi ellittici corretti: g Passaggio al perielio t = 77,43012 del 1826. T. medio in Padova. Longitudine del perielio . . . t = 1090.47'. l6",6| Equinozio medio Longitudine del nodo w = 25 1. 29. 37, o\ 9 Marzo. Inclinazione i = i3. 33. 5, 4 Log. semiasse maggiore =log. a = 0.5479534 Log. e = log. sen. (48°. 7'. i2",2i)= 9. 87 189 1 1 Log. mot. diur. mei, sid. =log. £ = 2. 7280765 Rivoluzione siderale. . . . 2424 giorni; moto diretto. 3a3 Se ora in questi elementi si calcolano le posizioni geocentriche nelle os- servazioni che hanno servito di base, si troveranno le due estreme bene rap- presentate, mentre nelle due di mezzo rimangono ancora i seguenti errori, do- vuti alla irregolarità delle osservazioni che col metodo precedente non si potreb- bero ulteriormente attenuare: 25 Marzo ; long. oss. — long. cale. = — 2",g ; lat. oss. — lat. cale. = + 2 i",o i5 Aprile = — o, 1 ; ■ . . = — 55, 9. §.7.°"Védesi ora palesemente quanto sia grande l'influenza degli errori delle osservazioni nella durata della rivoluzione periodica; imperocché tentando di correggere una leggiera differenza di circa 12" nella osservazione del giorno 2 5 Marzo, siamo caduti in un periodo di circa 77 giorni minore del precedente: donde si può conchiudere, che questo elemento non si può ottenere con sicu- rezza dalle osservazioni fatte in una sola apparizione. Che se molte osservazioni di una sola apparizione si vorranno far concorrere alla determinazione degli ele- menti dell'orbita in modo che sia l'influenza degli errori attenuata nel risul- tato, panni la via più spedita di procurare tre o quattro luoghi fondamentali distribuiti a grandi distanze nella durata dell' apparizione medesima, confron- tando con un sistema di elementi già molto prossimo al vero tutte le buone osservazioni fatte nei due giorni precedenti, e seguenti l'epoche fissate; quindi correggere col medio degli errori ottenuti in ogni gruppo le posizioni date da- gli elementi, e riguardando i luoghi così ottenuti come realmente osservati , appoggiare ad essi la correzione degli elementi. In qualunque modo però si proceda, il tempo della rivoluzione periodica non riuscirà bene determinato se non quando fra le comete osservate negli scorsi tempi se ne riscontri una, i cui elementi tanto rassomiglino a quelli dedotti dalle attuali osservazioni da ren- derne molto probabile l'identità. Questo è appunto il caso della nostra cometa; imperciocché quella osservata in sul finire del i8o5 e nel principio del 1806, registrata nel Catalogo di De-Lambre al N. 108. [Astron. voi. III. pag. 4r4)> sebbene non si potesse esattamente rappresentare in orbite paraboliche, tuttavia le parabole in allora determinate nella posizione del piano e nella distanza perielia molto si assomigliano agli elementi ellittici ora determinati. I signori Clausen e Gambart fecero i primi questa importante scoperta; riuscì quest'ul- timo a rappresentare le osservazioni tanto del i8o5, come del 1826, con due ellissi aventi lo slesso asse maggiore, e però non si può rivocare in dubbio l'identità sospettata delle due comete. Giusta i risultali del signor Gambart, 0 2'f essa passò al perielio il 1,9807 di Ceunajo del 1806 (tempo medio conialo dalla mezzanotte sotto il meridiano di Parigi), clie equivale ai 2, 0072 di Gen- najo da mezzodì sotto il nostro meridiano. Pertanto il numero dei giorni tra- scorsi fra i passaggi al perielio nelle due indicate epoche del i8o5 e del 1826 sarà di giorni 7880, 4229? ne' 1lla^ te>npo, in virtu della prossima rivoluzione sopra determinata, ha compito tre esatte rivoluzioni. Detto pertanto T il tempo della rivoluzione, sarà T = 2460, si4; e quindi dietro i soliti precetti col mezzo della terza legge di Keplero si determinerà il semiasse maggiore, e si otterrà per questa via log. a = o, 5522409; ed a = 3, 566492. Come poi dehbansi determinare gli altri elementi, apparirà da quanto passiamo ad esporre nell'ar- ticolo seguente. III. Caso. Calcolo di uri orbita ellittica già presso a poco conosciuta j di cui sia dato l'asse maggiore. §. 8.° Se, come nel caso precedente, siasi già ottenuta un'orbita ellittica che molto prossimamente soddisfaccia alle osservazioni di un'apparizione, e che si possa con qualche precisione stabilire la lunghezza dell'asse maggiore dietro un passaggio al perielio osservato nei trascorsi tempi , si potranno allora col mezzo delle consuete equazioni di condizione, fra piccole variazioni arbitrarie date agli elementi prossimi, determinare tutti gli elementi dell'orbita della co- meta in modo che si adattino all'asse maggiore osservato. Primieramente è palese che la distanza perielia non dovrà subire una grandissima variazione , essendo per ipotesi le attuali osservazioni bene rappresentate ; quindi, per ca- dere in minori correzioni dell'eccentricità, sarà opportuno variare questo ele- mento in modo, che nella nuova ellisse la distanza perielia rimanga come nella precedente. Ora, detta q la distanza perielia della prima ellisse , a il se- miasse maggiore, 6;

    , di, dtp le loro correzioni, che supporremo piccole a segno da poterne trascurare le potenze superiori alla prima; a et, W semiasse maggiore ed il moto diurno invariabili e dati; l, "K, r la longitudine, la lati- tudine eliocentriche, ed il raggio vettore; V, A.' la longitudine e la latitudine geocentriche, calcolate dietro i dati elementi prossimi; di, d\, dr, di' j d\' le loro variazioni, dipendenti dalle supposte correzioni; d, #' la longitudine e lati- tudine geocentriche osservate ad un tempo dato ; p la distanza accorciata della cometa dalla Terra. Avremo primieramente : , , , ,, , ,, cos. >•• sen. (Z-Z') , . r cosAcos.(Z-Z') ,, rsenA. sen.(Z-Z') , 1 al =x — l s=s .dr-\ di d\ 9 9 9 1 \ j-,' 01 ■*# /sen. >•• cos.3 V sen. a > '• cos. >. ,, 7,.\ , (2) d\ = £ — \ = l cos. (l-l) 1 dr + — sen. 2V cos. V sen. {l-l'). dl-\- j - cos.^-cos.*V + — . sen. 2 X sen. V cos. [l-l') 1 dì I valori poi di dr, di, d\, che entrano in queste equazioni, saranno espressi per le correzioni degli elementi dell'orbita nel modo seguente: (3) dr = — at, sen. v. tang. '\9L, , *» ' or u u r * Z= CIO ,3 «, ., T„ ''P A= 2J ,1 a =o5. 20. io, 51 J ' /3 = — 13.48.27,0^ (:i)fZ/'= — o",o64.eZ»_ i4",3oi.Ji — 333",22.cZT + 27",965. — 66, 3ao.f2i'+ 98, 44. Jt — i3, 952. = -{- 1657, 760 +2675,4815. da — 953 1 , 703. di -(-4o5559, ì.rft — 40727, 73.^1:4-57269, 65. df r=: 4" 965oo, 55a — 290,1736.^(04- i5i5,35o2.rfi — 4°727i 73.dT-j- 418S, 129. Jn — 4°9?i°S2-^f = — 9126,563 — 180, 8962.^01 4/ 4737,8798. di-{- 37269, 65.d? — 4092, oS2.(Ì7r-{- 3i833, 644. rfp= — 4403,487 §. io.0 Apparecchiate così queste equazioni, la loro risoluzione dietro i pre- cetti ordinarli dell'Algebra non ha alcuna difficoltà. Noi soggiungeremo qui i risul- tati ottenuti colle successive divisioni e sottrazioni, per comodo di coloro che vo- lessero ripetere i calcoli : (1) da — 3,3 11 00. di-\- i4, 19*121. Jt — 1, 53957. rZir — 0,95978.^ = 4- 1,55572 (2) da — 16, i543g. (Zi-f- i5, 27392. c?t — 2,42825.Jtt — 7,5g2i4-^f = — 2,65645 — (3) da— 3, 56261. (Z7+ 1 5i, 58363. f/T—i 5, 22258.rfit+i3, 93007. dp=+ 36, o6848 (4) da 5,222 22. = + 5,33871 (2)'" . . dn — 38, 11708. d

    8 . • -+- o",4 Correzione delle latitud. . -f- 5, 4 • • — 25» 3 . . -+- 3g, 4 • • — 22",i- Comunque però sia di qualche piccola mutazione, di cui potessero abbi- sognare gli elementi superiori, essi assai bene convengono con quelli calcolati dal signor Gambart, e mostrano che si dovrà attendere il ritorno della presente 3a9 cometa nel Novembre e Dicembre ilei 1882. Se però calcolare si volesse una effemeride sul loro appoggio soltanto per quell'epoca, poca speranza si avrebbe di assegnarne con qualche precisione la posizione per quella sua reapparizione, giacche le attrazioni planetarie fanno variare sensibilmente da una rivoluzione all'altra gli elementi dell'orbita. Se dunque si voglia calcolarne la posizione per apparecchiare gli osservatori a rintracciarla in quel tempo, è forza ricor- rere al calcolo delle perturbazioni. Questo lavoro è stato intrapreso dal signor Damoiseau, il quale ha assegnato pel 1882 i seguenti elementi, involventi l'effetto delle forti attrazioni provenienti da Giove e da Saturno. [Comi, des Temps i83o, pag. 52.) g Passaggio al perielio i832 Novembre 27,4808 (dalla mezzanotte di Parigi) Eccentricità o, 75 1 7481 Perielio ioa,°.56'.45" Nodo 248. 12. 24 Inclinazione i3. i3. i3 Semiasse maggiore 3, 53683. Sopra di essi il signor Gambart ha costruito l'effemeride inserita nel citato luogo, la quale riuscirà in quei giorni sommamente vantaggiosa agli astronomi osservatori. 4* FORMULE E PRECETTI PER LA COSTRUZIONE DEGLI OCULARI A QUATTRO LENTI PEI CANOCCHIALI TERRESTRI TANTO PER INGRANDIMENTI DETERMINATI, COME PER INGRANDIMENTI VARIABILI. MEMORIA LETTA AI.L ACCADEMIA DI PADOVA LI YIII FEBBRAJO MDCCCXXXI DAL SOCIO ATTIVO PROF. GIOVANNI SANTINI P. oco tempo dopo l' invenzione dei canocchiali galileani , Keplero con fino accorgimento immaginò di sostituire un oculare convesso ad un oculare concavo , di cui fecero nso i primi inventori di questo meraviglioso sus- sidio alla nostra limitata vista , con che ottenne un campo più ampio e più netto, come facilmente dimostrasi dietro i primi principii fondamentali della Diottrica: ma tale utilissima invenzione di Keplero, comunemente adoperata da- gli astronomi, ha il leggiero inconveniente di presentare le immagini degli og- getti in una situazione inversa: lo che, se non apporta alcun imbarazzo a chi per lunga abitudine siasi di già assuefatto alle osservazioni con sì fatti stro- menti , riesce molesto e fastidioso per quelli che poche volte , o per diletto soltanto, ricorrono all'uso dei canocchiali. Lo stesso Keplero immaginò pel primo una distribuzione di lenti con- vesse, che raddrizzasse gli oggetti; ma il merito di averne tentato l'effetto sembra dovuto al P. Reità, che con tre lenti oculari fece il primo canoc- chiale terrestre, di cui faccia menzione la storia. Molto imperfetti riuscirono questi primi canocchiali per le grandi aber- razioni di rifrangibilità e di figura a cui erano sottoposti, e per la grande ri- strettezza del loro campo : perfezionatasi in seguilo la teoria, vennero succes- 32i sivamente progettati ed eseguiti sopra diversi principii degli oculari a tre, a quattro, e perfino a cinque lenti, tanto colla vista di ingrandire il campo, quan- to di togliere alle immagini il contorno colorato, ed attenuare le altre sorgenti di confusione dipendenti dalla diversa rifrangibilità dei colori e dalla sfericità dei vetri. Non è mia intenzione di qui rilessere la teoria completa degli ocu- lari, che trovasi esposta in molte opere, ed anche nel secondo volume della Teoria degli strumenti ottici, da me pubblicata nel 1828 (Padova, Tipografia del Seminario). In essa si troveranno riferiti i pregii ed i difetti di molti oculari terrestri a tre e quattro lenti, le formule generali che servono a de- terminarne le dimensioni, e gli effetti che se ne devono attendere, illustrate con molti esempii numerici, i quali serviranno di guida agli artefici nei di- versi casi particolari che si possono ad essi presentare. Fra le varie specie di oculari terrestri dalla teoria raccomandati innanzi la pubblicazione dell'opera ora citata, non trovavasi ( che io sappia ) compresa quella che comunemente vedesi adoperata dai più distinti ottici inglesi e fran- cesi, adottata anche dal celebre Fraunhofer, le cui produzioni vennero cotanto meritamente applaudile; e lo stesso sig. Praechtl, che in un'opera eccellente (Pracktische Dioptrik, Vienna presso Heubner 1828) raccolse i precetti per la costruzione tanto degli obiettivi acromatici, quanto degli oculari, non altra regola additò per gli oculari terrestri a quattro lenti , che quella di attenersi alle dimensioni degli oculari di Fraunhofer, dei quali presenta un'ampia ta- bella per le dimensioni e per gli ingrandimenti più usuali, ricavata dalla in- spezione dei molti canocchiali eh' ebbe occasione di consultare. Tentai di dedurre questa peculiare costruzione dalle formule fondamentali della Diottrica, ed intrapresi a dimostrare con varii esempii numerici: i.° in qual modo ad uq dato obiettivo si possa adattare un oculare che produca un ingrandimento determinato, ed abbia un campo dato; 2.0 come si debbano disporre quattro lenti di distanza focale determinata, perchè ne risulti un oculare terrestre, il quale, applicato ad un dato obiettivo, produca un ingrandimento determinato; e dalla soluzione di questo quesito risulta spontanea la costruzione degli ocu- lari pancratici o polialdi, introdotti in commercio per la prima volta dal ri- nomato ottico francese Cauchoix; 3.° per' ultimo tentai di assegnare le di- mensioni delle lenti e le loro distanze, per l'ingrandimento e per la distanza focale dell'obiettivo, sempre introducendo la condizione opportuna a distrug- gere i contorni colorati nelle immagini degli oggetti. Quest'ultima via è la più comoda, in quanto che, fissato l'ingrandimento che si vuol produrre con 332 un dato obiettivo, si hanno tosto, dietro il calcolo numerico di formule deter- minate, le distanze focali delle lenti, e le loro distanze scambievoli opportune a produrre l'intento. Un tale problema, per sua natura indeterminato, rigorosa- mente parlando, è suscettibile di infinite soluzioni ; ma una scelta conveniente delle quantità indeterminate, che non ristringa soverchiamente il campo, e renda positive al tempo stesso le distanze scambievoli e le distanze focali, senza al- lungare di soverchio il tubo oculare, riesce difficile ed imbarazzante. Nel §.2j/y. lio riferito una particolare determinazione delle quantità arbitrarie, che conduce ad una buona disposizione di oculari, e molto si avvicina a quella adoperata da Fraunhofer ne' suoi canocchiali: conviene tuttavia confessare, che le for- mule indi risultanti sono alquanto complicale pel calcolo numerico, e non si prestano ad un semplice enuncialo, quale d'ordinario desiderasi dai pratici in un argomento tanto interessante, e di un uso presso che giornaliero. Inoltre il campo è appena un terzo più grande di quello che si otterrebbe con una sola lente in un canocchiale astronomico dotato di pari ingrandimento , mentre con tanto numero di lenti si può desiderare di acquistare una maggiore esten- sione. Dopo quell'epoca tentando di aumentare il campo di visione con una diversa determinazione delle quantità arbitrarie del problema, sono caduto in due disposizioni molto semplici , delle quali la prima conduce ad un cam- po = f di quello di un comune oculare astronomico ad una sola lente, dotato di pari ingrandimento; la seconda ad un campo iu vero un poco minore, cioè = | di quello dello stesso canocchiale astronomico ; ma in cambio si appoggia a formule suscettibili di un enunciato semplice, che riesce a portata di tutti gli artefici pratici. Io spero che la benignità vostra, cortesi Accade- mici, vorrà condonare all'importanza dell'argomento questa breve appendice alla teorica degli oculari terrestri, riferita nella citata mia opera. I. Oculare acromatico a quattro lentij che abbraccia io "> un campo 2 0 = —^—. §. i.° Si ritengano le denominazioni tutte della Teorica degli stromenti ottici, riguardando il canocchiale terrestre come un sistema di cinque lenti disposte intorno ad un medesimo asse per la chiara visione, nella prima delle quali sarà supposto un obiettivo acromatico di una distanza focale <== p; le altre per ordine abbiano le distanze focali q,r,s>t. Le disianze di riunione siano rispettivamente a, a; &,|8; e, y; djZ; e=t (giacché fingesi, per la chiara 333 visione, che l'ultima immagine cada sul foco della lente prossima all'occhio. Sia

    ; w" = t'" = ai; inoltre Q = \; R= 6. • In questa supposizione l'equazione (i) darà Dietro questi valori avremo p 5 p 5 p p 5 "IT" = s(M— 1); V = M— i ' ~ = = "T77" = = 3 (M—j) ' ed il calcolo della totale disposizione del sistema risulterà come segue: i.° L'equazione P — -r- darà b = -— == — - , donde si formerà _ (5 M4-6) a 2.° L'equazione (2) darà b ~~ ( "*" *' « ~~ 12 (M— 1) ' . 6 12 (M— 1) ' dietro questi valori si avrà subito _ 7 _ 12 (M— 1) * — ,_« — "~ .3M+42 *»- t -, " • P 3 & 36JM-0 In seguito si avrà e = ^— == — 3 B = -+- "l3 m_j-42 ■ T* 24 (M— 1) , | e però ^g + c = -2^ +!Of+fr' * (c) 60 £> . ,, ovvero a — ,..,,- \CJ i3 iW + 42 3.Q L'equazione (3) darà -1— = — (P()-f-i) — . clle Per ,a ,.,.., r l*M — I26 sostituzione dei precedenti valori nducesi ad =• lo<*, — r» . '• 7M+108 di qui si dedurrà 1 — = - „ ■ — 1 e 18 {M— i) r 2 (11 Tli — 126) iriH — 126 , ... r = • .e = — . a = — « • • (") e i3 M+45 ' 12 [M— 1) ' ' y _r 7M + 108" 335 18 (3f — 1 7- fl 7M+io8 ., i5(M— 1) 5(nM— 126) ,, . d ~d+yr 7M+,0s-r== 4(7ì>ì+.o8) rf •• ■ (e>- 4-° Venendo alle dimensioni della terza lente, l'equazione (4) darà s 22M+18 , . _f_ 3i M+9 d 9 (M— 1) ' d 9 (M— 1) ' dalle quali tosto si otterrà 22 M-l-18 22M+18 ,,, . -, 3(7M+io8) 45 (M— 1) w' g 9tM-.) 22M+.8 /'1 ~~ 3iM+9 ' 5 (3 1 M+9) te;' 8 5 5.° Sarà per ultimo e = t = — — - = — 5; d'" = 5 + e = 3 £., i5 (M— 1) ... C10e ' = 3, M+9 S {h) 8(a3Jf+,8) i5 (3i M+9) * ' 1 r» Jl"L 3(M-.) ed 0= — = — — - — t (m) . tff 5 M v ' In queste formule «rappresenta la distanza focale dell'obiettivo, giacché nel caso speciale dei canocchiali destinati ad osservare oggetti lontanissimi, si può ritenere a = co , ed oc= p. §. 4-° Pertanto la disposizione completa del canocchiale si dovrà regolare dietro le seguenti dimensioni: T\- e I- i 1 n 1 (5 M-f-6) « Distanze locali del 1. oculare . . . . q — 7 aM(M — 1) del 2.0 oculare . . .. . r = — , ,, . , <7 i3M+42 ' del 3.° oculare . . . . s = — — — — r 3(7M+io8) 11/01 l5 (M~ ■) del 4- oculare . . . . t = -* — — -; . 5 T 3i M+9 Le distanze scambievoli delle lenti per tutto il sistema saranno: 1 in 1 • • 1 1 1 ^ (5M+6) « dell obiettivo dal primo oculare . . . . 1/ = = — ; ■ 1 5 M S36 del primo dal secondo oculare . . . . tf. == — „ — ■, . — del secondo dal terzo oculare . . . . d' = ., ,.-. 57- d 4(7M+ioo) A 1 » J 1 . 1 J"' 8(22ÌM+l8) , del terzo dal quarto oculare a = — — — — — — - a » i5(3iM+9) del quarto oculare dall' occhio . . . . O = 3(J*—i) ITai Il mezzo campo

    6- Affinchè possa ciascheduno a colpo d'occhio rilevare i vantaggi ed i discapiti di questa distribuzione in confronto di quella della teorica, riferiremo qui i risultati ottenuti da quelle formule 9=1, 840 D = 54, 800 r = 2, 36i d = 2, 825 5=2, 166 I 281/, f 2 (M— I ) itf - poi. Sia, come nel caso precedente, a, = 54; M = 60: si troverà, dietro le for- mule superiori, poi. poi. q = 1, 396 Z? s= 54, 900 r =3 2, 147 uon campo, che quantunque sia un poco più ristretto di quello del primo oculare, è tuttavia maggiore del consueto; in compenso però la lunghezza totale è di circa cinque pollici minore. Questo vantaggio, congiunto a quello della semplicità delle for- mule, che si prestano alluso spedito dell'aritmetica ordinaria anche senza ta- vole logaritmiche, la rende, a parer mio, sommamente commendevole. §. 7.0 Corollario. Sia M un numero grandissimo ; le formule precedenti in questo caso si cangiano nelle seguenti: 9 = Tlir; r==2<7>' s=aq; t=\s = q d' = 2q; d" = 2c/; d"' = aq; 0=\qJ) cioè le distanze focali delle due lenti estreme divengono uguali fra di loro; come pure uguali risultano quelle delle due lenti intermedie j e doppie di quelle delle estreme: le loro distanze scambievoli poi risulta- no tutte uguali alla distanza focale delle lenti intermedie. §. 8.° La semplicità di questa regola, ricavata dietro la condizione di un forte ingrandimento, c'impegna a ricercare quanto un oculare dietro di essa costruito per un mediocre ingrandimento si allontani dalle condizioni dell'acro- matismo. Suppongasi pertanto che in un oculare a quattro lenti le distanze focali sieno q = qJ) r = 1 q; s = 2 q; t = q; le distanze d\ d" della prima dalla seconda, e della seconda dalla terza lente sieno = 2 q. Affinchè sia di- strutto il contorno colorato, dovrà essere per l'equazione (f) (voi. IL pag. 68) d'" = avendo le quantità M'j N'j P', Q' i valori indicati alla stessa pagina dalle equa- zioni (e), le quali in questo caso danno: P'=20q5; £ = — 4<74; M<=ioq*; N' = — 8q5; donde si otterrà: p +■ ■ Q' D M + A"' («-.-É# «T = > ^-' =*?+ ,2' 8n ' 10D — 80 ,0 X 339 Se ora terrassi dietro al corso del raggio luminoso per tulio il sistema dis- posto alla chiara visione, si troverà: 3 a a a Mediante questi valori l'equazione precedente diverrà: d'" = 2(j + -5W~r^; dalla quale risulta, che posto d'" = iq, l'errore nell'acromatismo sarà insensi- bile; e con tanta maggiore fiducia si potrà trascurare, che il nostro occhio tol- lera agevolmente i piccoli errori di rifrangibilità, non essendo egli pure per- fettamente acromatico , come con ingegnosi esperimenti ha dimostrato pel primo il nostro Venturi (Società Italiana^ voi. III. pag. 272), e come in al- tro modo ha pure riconosciuto Fraunhofer, al quale sembra che fossero ignoti gli esperimenti del Fisico italiano. §. 9.0 Passiamo ora a ricercare qual sia in questo oculare l'angolo di aber- razione di rifrangibilità, ed il raggio della minima aberrazione di sfericità, per confrontarli con quelli che rimangono nei consueti oculari acromatici dei canocchiali astronomici. A tale oggetto si dovranno, dietro le equazioni fon- damentali della Diottrica, primieramente calcolare le distanze di riunione per tutto il sistema; al che si giungerà facilmente, partendo dall'ultima lente oculare, da dove i raggi per la .chiara visione sortono paralelli all'asse, e pro- cedendo verso l'obiettivo, ove li supporremo entrare in direzioni pure para- Ielle all'asse. Si troverà cosi: 1 r ^ a , 2 6 = -3"5 « = — 27; c = 4<7; y = 4<7 d = — 2 ■■ 2j\l xdm M — i (m — i)p ' quindi rendesi manifesto che la confusione risultante da questa cagione sarà molto al di sotto di quella del canocchiale di Huyghen, e perciò tollerabile all'occhio. §. io.° Per ciò che riguarda il minimo raggio dell'aberrazione di sfericità riprendiamone la sua generale espressione, la quale per l'attuale sistema è data dall'equazione (B) (voi. II. pag. 112). K = (ili' 4p3 A + +■ ■+- pr \ r 4-) y ì P d \ b" e* P« 7* Jt e* J* A'v Se in essa si sostituiscono per ò .,«,£,.... i loro valori superiori, fatte le con- venienti riduzioni, si avrà: K= Mx^ bp- ( A + 8Y+16 V'-f. V"-|-8 \'y 27 M In questa equazione, se l'obiettivo è acromatico, mancherà la parte dipen- dente da A; le quantità A'j \"j A"',, A'v sono le arbitrarie determinanti la figura delle lenti; queste non possono essere < 1, e quanto più si avvicinano a que- sto limite, tanto più piccolo è il raggio del circolo di confusione sferica. Si dimostrerà qui facilmente coi principii generali stabiliti nell'Ottica, che le figu- re piano-convessa ed isoscele molto si avvicinano a dare la minima aberra- zione, e si vedrà in pratica la convenienza della seguente disposizione. i.a Lente — piano-convessa, con la parte piana rivolta all'obiettivo; in que- sto caso si troverà: A' = i,356. 2.a Lente — isoscele; sarà: A' ;= 1,000. 3.a Lente — piano-convessa, con la parie piana rivolta all'occhio; si tro- verà : A"'= 2, 8g4- 4-a Lente — dovrà farsi isoscele per le ragioni addotte al §. 221., e perciò sarà: A'v= i,63o. f* Mx* 42, 772 Dietro ciò risulterà: K=; àp* 27 M y-x » t, 584. 34 1 In un oculare astronomico, formato da una sola lente isoscele, si avrebbe K— — - • i,63o; donde si può conchiudere che non vi sarà da temere per 4/>3 questa parte una confusione sensibile. §. n.° Dietro le precedenti discussioni, e dietro i precetti conosciuti intor- no alla chiarezza degli stromenti ottici, si possono prescrivere agli artefici le seguenti Regole pratiche per costruire un oculare a quattro lenti pei canocchiali terrestri. i.° Stabilite l'ingrandimento competente al dato obiettivo di distanza fo- cale =p. Se x è la sua semi-apertura espressa in pollici di Parigi, e vogliasi adottare la chiarezza normale stabilita da Eulero, la quale è conveniente per la maggior parte dei casi, l'ingrandimento che si dovrà procurare sarà = 5 o x. Se poi si desidera la chiarezza naturale, che è pure la massima a cui si può giungere negli stromenti ottici, sarà M=2.5x circa. a.0 Si moltiplichi la distanza focale dell'obiettivo espressa in poli, per \ , ed il prodotto dividasi per V ingrandimento a cui si aspira ; il quoziente sarà la distanza focale della prima lente, che porremo ==q. Questa lente dovrà avere la figura piano-convessa. 3.° Si darà alla seconda e terza lente una distanza focale doppia della precedente, 0100 = 2^ facendo la seconda lente isoscele; la terza si farà pia- no-convessa. Alla quarta lente, che dovrà essere isoscele, si darà una distanza focale uguale alla prima. 4-° Si fisseranno tutte le quattro lenti nell'ordine sopra enunziato in un tubo annerito internamente, a distanze uguali ciascheduna a i q, avendo cura che la parte piana della prima rivolgasi all' obiettivo , e la parte piana della terza verso l'occhio. Fra la prima e la seconda lente si stabilirà alla metà circa dell'intervallo un angusto diaframma (di circa i linee di diametro), per allon- tanare i raggi laterali riflessi dalle pareti del tubo, ed un maggiore diaframma si porrà fra la terza e la quarta lente, alla metà pure dell'intervallo, dove si formano le immagini, e dove debbonsi anche tendere i fili del micrometro, se di questo dovrà essere munito il canocchiale. 5.° Si stabilirà il luogo dell'occhio ad una distanza dalla quarta lente = | q. Siccome poi l' occhio non può rendersi esattamente aderente al coper- 342 chio ove praticasi il foro per dar passaggio alla luce, cosi questa distanza dovrà farsi di qualche linea minore di \tj. Esempio. Ad un obiettivo di 18 pollici si vuole applicare un oculare che ingrandisca 20 volte. Qui sarà 18. §=27; perciò la distanza focale della pri- ma lente sarà = §? = ip, 35. La seconda e la terza lente avranno per distanza focaie 2P, 70. La distanza focale della quarta sarà = ip, 35; le distanze delle lenti saranno = 2p, 70; la distanza dell'occhio dalla quarta lente sarà = |. 1, 35 — Op, 90. La lunghezza del tubo oculare sarà — gP, 00. La figura delle lenti e i diaframmi si disporranno come sopra si è prescritto. • Regole per la costruzione degli oculari pancratici, nei quali sia distrutto il contorno colorato. §. 12.0 Sembra che al sig. Cauchoix di Parigi sia dovuto l'onore di avere il primo posto in commercio questi oculari , e di avere resi avvertiti i fisici di una circostanza ben facile a conoscersi colla scorta della teoria, che cioè con quattro lenti disposte in un tubo a distanze variabili si può ottenere un ingran- dimento variabile, e formare i canocchiali da esso appellati Polialdij dei quali ho trattato nel secondo volume della Teoria degli stromenti ottici j dove ho mo- strato con varii esempli come si debbano disporre le lenti per procurare un in- grandimento sempre crescente, introducendo tuttavia la condizione, che sia tolto il contorno nelle immagini. Non mi è mai riuscito di avere un sì fatto oculare della costruzione di Cauchoix, ne in alcun luogo ho potuto incontrarne una det- tagliata descrizione. Ne fa menzione il sig. Biot nel suo Précis de Plijsiquej tom. II. pag. 353, ma non si rileva con esattezza se delle tre distanze delle lenii ne abbia reso variabile solo una, ovvero due. Nel reputato Giornale di Matematica e Fisica, pubblicato in Vienna dai signori Baumgartner ed Etlings-hausen sotto il titolo Zeitschriftfiir Phjsikj und Mathematik > "voi. IV. pag. 5oi, trovasi de- scritto un simile oculare , attribuito al sig. Dott. Kitchiner di Londra , e co- struito dal rinomato artefice Dollond, il quale componesi di quattro lenti piano- convesse, legate a distanze invariabili a due a due in due piccoli tubi, che, ac- colti in un terzo tubo, si possono l'uno dall'altro allontanare. Ora quanto più cresce la loro distanza, tanto più aumenta l'ingrandimento, e dentro certi limiti (in vero molto estesi) la visione si mantiene chiara e distinta. A quell'articolo trovasi unita una noia del sig. Prof. Ettingshausen, nella quale è dato un giu- sto tributo di lode al P. Pietro Grùber di Bolzano, dell'Ordine dei Cappuccini, che nel silenzio del chiostro da molti anni ha costruito degli oculari ad ingran- dimento variabile simili a quello descritto dal sig. Littrow, ed a cui in conse- guenza devesi l'onore di questa importante scoperta. Nessuno, per quanto è a me noto, aveva derivato dai principii della Diottrica la costruzione di questi ocu- lari, i quali nella forma descritta dal sig. Littrow, dietro quello sopra citato di Dollond, non possono, a parer mio, produrre il miglior effetto possibile, perchè debbonsi in essi necessariamente riprodurre le frange colorate. In fatto, se stabi- liscasi una distanza determinata ci' fra la prima e la seconda lente, ed assumasi a piacere una distanza d" fra la seconda e la terza lente, vi è una sola determi- nata distanza d'" fra la terza e la quarta lente, valevole a distruggere il contorno colorato delle immagini, la quale è data dall'equazione (/") (voi. II. pag. 63); donde si può inversamente conchiudere, che disposte a distanze fisse in due pic- coli tubi le lenti a due per due, non vi è che una sola posizione dei tubi stessi, la quale dia le immagini lihere dal contorno colorato. Tuttavia si potrà da que- sta costruzione, sommamente commendevole per la sua semplicità, ottenere un lodevole effetto, se abbiasi l'avvertenza di disporre le lenti per modo, che l'in- grandimento medio della scala sia assolutamente scevro da colori. Siccome però con facilità il contorno colorato può essere tolto in tutti gli ingrandimenti , così credo opportuno di indicare qui brevemente la via da tenersi per costruire uno di questi oculari con quattro lenti, le distanze focali delle quali siano q, i q, 2q, q, come nell'oculare comune sopra descritto, trascurando nella determina- zione di d'" i termini divisi per D> i quali per la loro piccolezza si rendono in- sensibili. §. i3.° Si riprenda a tale oggetto l'equazione (g) (voi. II. pag. 68) d'" = —rp — , dove, ritenute le superiori denominazioni, sia P' = \d'(d'+.!ir) — (2d' — q)(2d"—r) l(s + t)-ì-stUd'—{q-{-r) ( M'=q j id" — 2(7-4-5) j .+-r j {d' + d") — 2 si — d' J £d" — Ss j. Lasciando d1' indeterminato, pongasi d'=2q, r = 2q; s = 2q, t = q: si tro- verà P' = 20 <73; M' 'e= 8 q* + q d" , e perciò d'" = (A). Dando ora a cV un valore arbitrario, l'equazione {A) determina un valore di d ' _, che stabilisce la posizione della lente prossima all' occhio per vedere le 3/+4 immagini libere dal contorno colorato. Come poi dalle distanze d! '_, d '_, d'" dj-* penda l'ingrandimento, si rileverà dalla seguente tabella, nella quale si è fatto crescere d' di lq alla volta, e si sono calcolati per ogni valore di d i corri- spondenti valori di d' , ed i valori delle distanze di riunione dietro l'equazione fondamentale della Diottrica, supponendo che per la chiara visione sortano dal- l'ultima lente oculare i raggi in direzioni paralelle. 345 8le> 1 cr- O 6> cr- o Cr- Cr- « Cr- 1 te- CT* 1 ■ 1 CO CI t->. *sr co o i oì o | r^ CS Ci C^ CN. M™ CT IO *■ Ico c- CT ei 00 0 vf a 1 > O" Cr- Cr- Cr- Cr- Cr- er- 8 1 Cr- cr- cr- 1 1 . . r>. CI tO -h ei Ilo ci cs « io t^| « CN M «5 " co r^ 0- M CS co co" «1» e*- Cr- er- Br> Cr- Cr- Cr- cr- Cr- 8 cr- 1 CI o 1 co eo 1 t-^ eo 1 - oo ! M Ol! CT) «?rj cri H" e> lr^ ei CI LO Ci - t-^ VI- r^ r-% » i^ O M * eo o o LO LO o CT re «/ O Cr- o- cr- cr- t> / a o O 1 | o 1 Cr- Cr- 1 8 Cr- CO re Oh cì *cr lo co *ef t^ -» co H <* LO ei co Cr- r^ eo co co cj Eh CT 1 re tì te- 3 o c> o> c- er- o t> o e> 8 er- l o o o 1 co « t-^ Ci 1 LO CN Ilo -Ico »J3-| ai t->|co Cr- co CO oi- co CO O 1 xr cs CO 00 CN | CO co io CN 1 M * O o er- c- 8 Cr- si te- a- cr* ■ eo OT 'tO . CO co CO 05 1 ™ er- co >cr co a cs co Ci ' _ lo co LO co M CO io x M IH 00 .2 1 1 1 IH | 1 1 '5 t* 1 j u a 1 0 tri o o e* cr- Cr- Ct Q» Cr- cr- cr- 1 t> 8 | cr- 1 LO o | - ve co si °> ei 1 CTi - Ito co co Oil " Cr- eo co co «in n -ep CI CO 00 co cn CO CTI cn a% CO | CN ph CS co eo «3 re 1 M | « — 1 CO 1 •H 1 1 CN > ™ „ ' H . 3 a| 0 p- 0" Cr- Cr- Cr- 1 cr- o er- er- 8 f cr- 0 re o ei *^* ei « CO ei »er •- eo 1 Ci 0 LO > n M | a te- e» o Cr- 0J" er- o o cr- cr- 8 ] cr- 1 o 1 cr> CO |oo to I r-. o ! t^ lo |~=r ei e>. « I CT) t> eo CI 0 co co ci co e; ** " CO o co eo t-^ eo CO CO fc* - cs — O io 1 1 w 1 0) w 1 CN , IH 1 1 1 CS 1 H . m « 1 O- Cr- Cr* si» o CO Ico ci pel" Cr- eo (io CS li Cr- eo IO IO 1- Cr- ei 1 ^ Ci ** Cr- er- 8 co Cr- eo -o 1 cn 1 n» e | t- :> Cr- Cr- cr Cr- e> Cr- cr- cr- 8 1 cr- | o ] t->. CO | f» eo | es eO J cn eo j CT eo I « eo 1 t^ e> t^ eo 00 n n | ci 1 vr ih co rj O0 Ivo O IO CN 1 O CT "*!" H" ver co 0 lì II II II II II" Il II II II II ^ "a ^* *o 1 u i- 1 fio v £ 4 0 44 3/h6 §. i4-° E ora facile scorgere l'uso di questa tabella per costruire un oculare pancratico in ogni caso particolare, in cui sieno dati in pollici i valori di a e di q. Per mostrarlo con un esempio, pongasi la distanza focale dell'obiettivo «=25 poi.; q = ip; sarà — =25; a = 2P; dietro ciò si formerà colla scorta della tabella superiore la seguente, adattata a questo caso speciale, nella quale per maggiore facilità si sono convertiti i pollici in linee del piede di Parigi, e non si sono ritenute che le distanze delle lenti e l'ingrandimento, come i soli ele- menti necessarii per la costruzione dell'oculare, e per giudicarne l'effetto. 1 d! = 24 l d" — 6,00 l 1 d'''= 28,2$ d"+d' i '= 34,23 M= 27,0 = 12,00 = 26,66 = 38,66 = 29,8 = 18,00 = 2.5,26 = 43,26 = 33,4 = 24,00 = 24. 00 = 4^!°° - 37,5 = 3o,oo = 22,86 = 52,86 = 42»1 = 36,oo = 21,82 = 57,82 = 47, 2 = 42,00 = 20,87 = 62,87 = 52,6 = 48,00 = 20,00 = 68,00 = 58,3 = 54,00 = 19,20 = 73,20 = 64,4 = 60,00 = 18,46 = 78,46 = 7°, 7 = 72,00 = '7. '4 = 89,14 = 83,9 = 84,00 = 16,00 = 100. 00 = 102,1 Apparecchiati i numeri precedenti, si costruirà l'oculare nel modo se- guente: i.° Prendansi quattro buone lenti di Crown, aventi le distanze focali e figure seguenti: la i.a di un pollice, e sia piano-convessa; la 2.a di due pollici, e sia isoscele; la 3.a di due pollici, e sia piano-convessa; la 4-a final- mente di un pollice, e sia isoscele. Si uniscano le prime due in un tubo invariabile di ottone, in modo che la parte piana rimanga al di fuori, e stiano vicendevolmente alla distanza di linee 24. Si apparecchi un tubo maggiore di ottone, di circa 127 linee di lun- ghezza, tale cbe il precedente tubo di due pollici vi si possa introdurre, e guidare longitudinalmente, restando per lo sfregamento aderente in un luogo qualunque. A tale oggetto sarà opportuno di praticare fino alla distanza di un pollice dall'una e dall'altra estremità in detto tubo due opposte aperture longitudinali, lungo una delle quali si scriverà la scala secondo la regola che qui appresso daremo. In una delle estremità di questo tubo si fisserà la quarta 347 lente iscoscele di un pollice, nel foco della quale si porrà il solito diaframma che porta i fili del micrometro, se pure vi si vorranno questi applicare per gli usi geodesici ed astronomici. A questa estremità si aggiungerà il coperchio a vite col foro dell'occhio, in modo che questo rimanga distante dalla lente cin- que linee circa. 4-° Si legherà pure la terza lente in un piccolo anello cilindrico, tale che possa introdursi nel tuho maggiore, con la parie piana rivolta alla lente precedente, e quindi all'occhio. Tanto questo anello, quanto il tuho di 24 linee devono avere gl'incontri per due piccole viti a pomolino, che servano a trasportarli con facilità lungo l'apertura longitudinale del tuho maggiore. Supporremo inoltre, che per l'apertura stessa sporgano due sottili indici, che attestino la posizione del mezzo sì della seconda, come della terza lente: questi indici saranno due piccoli pezzi quadri di ottone con una linea sottile, che si possano fissare a vile agli interni tubi per l'apertura longitudinale, quando già le lenti sono introdotte nel tuho maggiore, in modo che le no- minate lineette corrispondano al piano che passa pel mezzo della seconda e terza lente. 5.° Così disposte le cose , introducasi 1 anello della terza lente nel tuho maggiore per l'estremità opposta all'occhio, e spingasi fino a due pollici circa di disianza dalla quarta lente ; dopo di che vi si applichino le vili a pomolino per guidarlo, e l'indice di cui ahhiamo fatto parola. Vi si intro- duca del pari il tubetto con le due lenii per modo, che quella di minor foco rimanga di fuori , e vi si applichino le due viti a pomoletto , non che l'indice, come nel precedente. 6.° Per ultimo , si dovrà scolpire la scala lungo una delle aperture longitudinali, per regolare la posizione delle lenti col mezzo dei sopra nomi- nati indici nel modo seguente. Con un buon compasso sopra una scala divisa in linee e decimi di linea, mediante le trasversali, si trasporteranno lungo l'apertura longitudinale a partire dal luogo occupato dalla quarta lente lutti i valori di d" presi nella tabella superiore , scrivendo o in faccia alla distanza 281, 23; 1 in faccia a 261, 66; e così di seguito: saranno questi i luoghi, ai quali nei successivi ingrandimenti deve corrispondere l'indice della terza lente: per non dare origine a veruna confusione si scriveranno i numeri di tre in tre, 0 di cinque in cinque soltanto. Del pari, a partire dalla stessa origine, si porteranno col compasso i valori superiori di d" + à" t scrivendo 0,1,2 ec, rispettivamente in faccia alle distanze 341, 23; 381, 66; 43l, 26 ec; 3.J8 non incidendo qui pure i numeri se non di tre in tre, o di cinque in cinque di- visioni, per minore confusione. Si otterranno cosi i numeri, ai quali deve succes- sivamente corrispondere l'indice della seconda lente. E ora palese, che se gl'in- dici si fisseranno in divisione di egual nome, si avrà sempre un sistema di lenti oculari acromatico, il quale, applicato ad un dato obiettivo acromatico, produrrà un ingrandimento tanto maggiore, quanto più si andranno allonta- nando le due lenti di mezzo. Così nel nostro esempio, posti gl'indici in zero, si avrà un ingrandimento = 27; si avrebbe l'ingrandimento 52, 6, ponendoli di fronte alle divisioni 6,6, e così di seguito. §. i3.° Quantunque i precelti superiori sieno abbastanza semplici per la costruzione degli oculari pancratici, e non convenga (a parer mio) ad essi rinunziare per adottare quella del sig. Kitcbiner, di cui si è fatto parola su- periormente, giacche non soddisfa da per tutto alle condizioni dell' acromati- smo; pure non sarà (io credo) fuor di proposito qui indicare il modo con cui si deve procedere alla loro costruzione, e mostrare come varii in questi la scala dell'ingrandimento: così dal loro confronto potremo trarre alcune utili conseguenze. Giusta una tale costruzione, essendo invariabili le distanze fra la prima e la seconda lente, come anche fra la terza e la quarta, si dovrà apparec- chiare un tubo maggiore , in una delle estremità del quale si fisseranno le ul- time due lenti col diaframma dei fili al suo posto; le prime due lenti verranno accolte in un tubo minore, che si farà scorrere con due viti a pomolino lungo due aperture longitudinali, per modo che la distanza fra la seconda e la terza lente varii continuamente. Quanto più questa si farà maggiore, tanto più cre- scerà l'ingrandimento; come risulta dalla seguente tabella, nella quale si è suppo- sto d'=2 q^ b e d e M = -^—t j( {d'-q) (d"—r) — d"r) (d'"-s-t) — s [j" -t) {d' -r— A [A) ovvero M = __!_) (d' — q-r)(d"'-s-t)d"-r{d'-q){d'"-s-t) — (d'"—t) [d'—r — q)s J. Di qui sì otterrà ,„__ q rstM r (d' — q) s(d'" — t\ ._. — a(d' — q—r)(d'"—s—t) ~*~ d' — q—r "**" d'" —s — t ' ' ' ' '" 35i La quale, presi ad arbitrio d , d"'j e dati d'altronde q} r„ Sj t_, darà la distanza d ' corrispondente ad ogni ingrandimento, e porgerà un metodo comodo per divi- dere la scala negli oculari pancratici: essa dimostra, che crescendo gì' ingran- dimenti in progressione aritmetica, crescono pure i valori di d' nella stessa pro- gressione. Nota intorno agli oculari a quattro lenti di Fraunliofer. §. 17.0 La celebrità, di cui giustamente godono gli oculari di questo ottico, e' impegna a ricercare la regola , alla quale pare che siasi adattato nella loro costruzione. Giusta la tavoletta delle dimensioni prese all' Instituto Politecnico di Vienna, riferita nel secondo volume della Teorica degli stromenti ottici ', pa- gina 83 , apparisce eh' egli ha ritenuto costantemente ( dentro i centesimi di pollice) d* = | {q + r); d" =r -f- s — \ q: introducendo ora questi valori nell'equazione (g) ( pag. 68 del citato volume), si trova che la distanza d" della terza dalla quarta lente, opportuna a togliere il contorno colorato, sarebbe data dall' equazione ■mi _ 3r(i+i)(4i-+9) + 3ii(9+f) /£> 7 (2T-T-3 s — 9)-J-3r(s+7r) la quale con somma facilità riducesi a calcolo nei diversi casi particolari. Cal- colando ora, dietro questa equazione, la distanza d' per tutti i casi contenuti in quella tavoletta, si ottengono dentro un decimo, od un decimo- e mezzo di pol- lice, le distanze adottate da Fraunliofer; che ad eccezione di un caso o due, nei quali si riscontra una perfetta coincidenza, sono costantemente minori den- tro gì' indicati limiti: donde si può conchiudere, che in quelli oculari soltanto prossimamente è distrutto il contorno colorato. Sembra quindi che quell' insi- gne ottico, dopo di avere col mezzo della equazione [C) determinato la distan- za d", opportuna a togliere il contorno colorato, e dopo di avere determinato l' ingrandimento corrispondente dietro 1' equazione [A) , la diminuisse poi di qualche piccola quantità, ad oggetto di avere un ingrandimento in numeri interi prossimo a quello dato dal perfetto acromatismo; lo che 9Ì può fare senza grave 352 pregiudizio della chiarezza, sapendosi che il nostro occhio tollera agevolmente i pìccoli difetti di rifrangibilità. Il valore poi di d" , dato per l'ingrandimento M , si avrà tosto dall'equazione [A) espresso nel modo seguente: d'"=S+t+ ^^'-r-q) + (d' — q)(d"—r)—d"r — (d' — r — q)s q r s t. M a[(d'—q){d"—r) — d"r—(d'—r—q)s] La quale (sostituendo per d' d" i valori assunti dall'autore, cioè d' = § (q-\-r), d' =7'-{-s — \ q) riducesi alla seguente semplicissima forma: 3aa (q + r) 9 q r s t M 9r" — 7(7+'") a [9 r2 — q{q + r)] cSL-2 xjfyùaD NUOVE ESPERIENZE ED OSSERVAZIONI ELETTRO-MAGNETICHE MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XXI GIUGNO E X LUGLIO MDCCCXXXI DAL SOCIO ATTIVO AB. SALVATOR DAL NEGRO ^ i è già noto, illustri Accademici, che da gran tempo i Fisici conoscono la proprietà che ha il fluido elettrico di magnetizzare il ferro e l'acciaro, e di cangiare i poli alla calamita. La scoperta di Oersted fece, non ha molto, cono- scere che una sola condizione è necessaria acciocché il fluido elettrico agisca sul magnetismo; hasta cioè che il detto fluido sia in movimento. Qualunque siasi dunque il metallo, sino a tanto che rimane investito da una corrente elettrica, esso agisce sopra l'ago magnetico e sopra il ferro come qualunque calamita. Si scoperse in seguito l'efficacia dei conduttori spirali per magnetizzare degli aghi, o delle piccole verghe di ferro o di acciaro tenute per alcuni momenti fra le circonvoluzioni delle spirali. Sturgeon nell'anno 182 5 immaginò di magnetiz- zare dei cilindri di ferro dolce, piegati a guisa di ferro da cavallo, avvolgendoli con delle spirali di filo di rame, le cui estremità ponevano in comunicazione i poli zinco e rame di un elettromotore. Il Professore Moli di Utrecht vide questo esperimento nel Gabinetto Fisico dell'Università di Londra, diretto dal signor Walkins , e ritornato a casa lo ripetè, ed ottenne dei curiosi risultati, che pubblicò nella Biblioteca Universale, tom. XLV, pag. ig. Questo nuovo metodo di comunicare al ferro una poderosa forza magne- tica, che nasce e sparisce come il lampo, mi ha scosso vivamente, e fece na- 45 354 scere in me il desiderio di ripeterlo , specialmente coli' oggetto di trarre , se fia possibile, un qualche profitto da una forza attrattiva, che a prima giunta sem- bra che sia in nostro potere il farla crescere senza limiti. Ho scelto di buon grado questo argomento, per soddisfare al dover mio come Socio attivo di questo rispettabile Corpo scientifico, per le seguenti ragioni. i.° Perchè un così fatto fenomeno merita di essere osservato e studiato in tutta la sua estensione, giacche trattandosi di una forza che si fa nascere con mezzi tanto semplici, potrebbe divenire interessante assai più che non si crede. 2.0 Perchè mi venne fatto di ottenere delle calamite temporarie, capaci di sostenere dei pesi assai considerevoli, con degli elettromotori di una estensione discreta molto più di quello che niuno potrebbe immaginarsi, dopo le sperienze che su tale proposito sono state pubblicate. 3.° Perchè io spero che in questo qualunque siasi mio lavoro trove- rete qualche cosa di nuovo tanto relativamente alla maniera di accrescere la forza magnetica ad una data massa di ferro con un dato elettromotore, quanto sul modo di ottenere dallo stesso elettromotore varie correnti parallele simulta- nee, aventi delle forze elettromotrici tanto eguali, quanto disuguali, ed agenti nella stessa od in contraria direzione, a fine di poter conoscere le loro azioni magnetiche e calorifiche in circostanze che, per quanto mi è noto, non sono state sinora osservate. 4-.° Finalmente perchè mi giova sperare di avere arricchito la Fisica di un nuovo motore, essendomi riuscito di porre in moto in più modi un bilanciere approfittando della forza delle calamite temporarie. PARTE PRIMA I. Feci costruire diversi cilindri di ferro dolce, piegati a guisa di ferro da cavallo, ed aventi pesi diversi; ed assoggettati all'esperienze secondo il me- todo di Sturgeon, la maggior parte non si magnetizzarono né punto ne poco. Mi accadde anco di osservare che, divisa una stessa verga in quattro parti eguali, e fatte costruire altrettante calamite della sopraccennata figura, una sola si magnetizzò fortemente, e le altre o poco o nulla. Dalle molte esperienze che ho fatte parmi potersi stabilire che la magnetizzazione possa essere un mezzo di assicurarsi se una data massa di ferro sia veramente dolce e raffinata, ed in qual grado. II. Tentai di magnetizzare dei parallelepipedi incurvati al solito , e non ottenni effetti calcolabili. Dunque, oltre la bontà del ferro, anche la figura ci- lindrica in dette calamite temporarie riesce indispensabile. Ho tentato anche di magnetizzare dei cilindri vóti, ma inutilmente. III. Siccome colla stessa massa di ferro si possono fare dei cilindri di varie dimensioni , così ho fatto degli esperimenti per esaminare se sia più utile la lunghezza o la grossezza in tal sorta di esperimenti, ed ho trovato che la lunghezza scema gli effetti. Per mancanza di materia non ho potuto eseguire il piano di esperimenti che mi sono proposto tanto in questo argo- mento, quanto in quello indicato nel numero antecedente; ma non lascierò di farli in seguito: tanto più, che in siffatti confronti la non buona qualità del ferro può indurre in errore. IV. E già noto che l'armatura, o porta-peso, rende le calamite ordina- rie più o meno efficaci, secondo che la massa dell'armatura aumenta o scema, e che conviene trovare a tentone il peso corrispondente al massimo effetto, e per- dere almeno un' armatura . Lo stesso accade anco nelle calamite temporarie , né occorre indicare il modo di determinare il peso dell'armatura che dà il massimo effetto, giacché è comunemente conosciuto. V. Oltre il peso, anche la figura delle armature ha una somma influenza sulla maggiore o minore attività delle calamite tanto ordinarie, ovvero perpetue, quanto temporarie. Di fatto Muschembroek ha trovato che le armature delle calamite naturali, che hanno i piedi smussati in guisa che il contatto riesce fra due superficie, luna piana e l'altra convessa, danno il massimo effetto. A questo proposito io debbo confessare che in sulle prime non avea pen- sato alla figura delle armature; e forse avrei continuato a valermi delle ordi- narie, se la seguente osservazione, che feci nel corso delle mie prime espe- rienze, non mi avesse fatto nascere l'idea di cangiarne la figura. VI. Osservai nella maggior parte delle mie esperienze, che allora quando il peso sostenuto dalla calamita era giunto prossimamente al maximum, suc- cedeva da principio un movimento orizzontale neh armatura , la cui super- ficie di contatto era piana e rettangolare; e quando uno dei lati maggiori di detta superficie trovavasi nel piano verticale, che passa pei centri di azione della calamita, l'altro lato si distaccava in guisa, che tutto il peso veniva so- stenuto da una sola linea o spigolo acuto dell'armatura. Ridotte le cose a questo punto, alcune volte si poteva sopraccaricare la calamita di varie libbre senza che si distaccasse; ma per lo più l'aggiunta di alcune oncie faceva pre- 356 cipitare il peso. Dietro questa osservazione ordinai al figlio del regio maechi- nista Tessarolo un'armatura della figura di un prisma triangolare, avente lo spigolo di contatto dolcemente smussato. Il giovane macchinista, essendosi servito di un vecchio porta-peso, ridusse convessa la superficie di contatto, giacche la massa del ferro non era sufficiente a darle la forma ch'io gli avea ordinalo; e così, senza volerlo ne saperlo, mi pose in mano l'armatura convessa, che riesce assai più utile della piana, come ri- sulta dalle molte esperienze che ho fatto su tale proposito. Si avverta, che l'ar- matura devesi presentare alla calamita in modo che sia parallela all'estremità dei piedi della medesima, affinchè il contatto riesca simultaneo in tutladue i poli. VII. Nelle prime mie esperienze mi venne dato di osservare, che quando il peso sostenuto dalla calamita cade, per essere giunto al maximum della sua forza , quella calamita suhilo dopo è incapace di ricevere non solo la prima forza, ma nemmeno quella atta a sostenere il solo porta-peso. Anche Moli dice di avere osservato questo fenomeno. Una tale osservazione mi aveva renduto di mal umore, giacché ritardava di molto i progressi di queste indagini, e ne risultava un grandissimo ostacolo per giugnere allo scopo principale che mi sono proposto allorché intrapresi cosiffatte esperienze. Fortunatamente ho tro- vato che, continuando a cimentare le stesse calamite, si possono fare varii suc- cessivi esperimenti, e far loro sostenere dei pesi considerevoli. Ma prima di compiere questo mio lavoro avrò motivo d' intertenervi una seconda volta su tale curioso fenomeno. Vili. E già nota la maniera di eseguire tali esperimenti: tuttavia non sarà inutile ch'io vi faccia conoscere, dotti e rispettabili Accademici, con quali mezzi gli abbia incominciati. La Figura I. indica l'apparecchio di cui mi sono servito. A è un elet- tromotore elementare, composto di una cassetta di rame contenente una foglia di zinco, tenuta discosta dal rame per mezzo di regoletti di legno al solito. ttj a sono due vasellini di vetro contenenti del mercurio, e portati dal soste- gno B. C è un cilindro di ferro dolce, piegato a guisa di ferro da cavallo, ed avvolto da una spirale di filo di rame, munita del relativo porta-peso. L'elet- tromotore comunica col mercurio contenuto nei due vasetti a, a mediante due fili di rame, in guisa che se, p. e., il filo che comunica col zinco pesca nel vaso dj quello del rame entra in a. Anche le due estremità delle spirali pescano nel mercurio dei due vasetti. Riempiuta la cassetta di acqua acidu- lata, e supposto che l'estremità delle spirali comunichino col mercurio dei 357 due vasetti, come scorgesi nella Figura, e che il filo zinco peschi nel relativo vasellino, al momento che il filo rame sarà posto in contatto col mercurio dell'altro vasetto, la calamita C acquisterà sull'istante una forza magnetica capace di sostenere un peso più o meno notabile a norma delle circostanze, come in seguito sarà dichiarato. Si può conoscere la forza della calamita temporaria sospendendo all'uncino dell'armatura un bacino P da caricarlo di pesi. Ma la forza della calamita si determina con maggiore facilità ed esat- tezza, ed in meno d'un minuto, adoperando una leva od un dinamometro. Per eseguire i più importanti esperimenti su tale proposito mi sono servito del dinamometro di Regnier. PARTE SECONDA Nuovi Esperimenti. I. Le prime mie esperienze le ho eseguite con tre diverse calamite A3 B3 C. A pesa kil. i. 5. B pesa kil. o. 35. C pesa kil. o. 292. Adottando il principio, che quando cioè siasi stabilita una sorgente elet- trica, un solo filo metallico non sia alto a scaricarla intieramente, ho voluto tentare di magnetizzare contemporaneamente le due calamite AjCj facendo che l'estremità delle spirali che le avvolgono pescassero nello stesso tempo nei vasellini di mercurio a3 «V, Fig. I. ; e rimasero tuttadue fortemente ma- gnetizzate. II. Ottenuto questo effetto, mi restava a sapere se la somma delle forze di dette due calamite fosse maggiore od eguale a quella che avrei ottenuto dalla sola calamita A caricata separatamente, cioè senza la presenza dell'altra. Di più mi nacque anco il desiderio di conoscere a quante calamite avrei po- tuto comunicare contemporaneamente una forza magnetica calcolabile collo stesso elettromotore. III. Ad oggetto di eseguire questi esperimenti mi sono trovato in ne- cessità di far passare le correnti elettriche per due serie di vasetti di vetro contenenti del mercurio, e disposti con direzioni parallele, come scorgesi nella Fig. IL, in cui A è l'elettromotore progettato sull'orizzonte a.jb,c; à,b ,c sono vasetti di yetro egualmente fra loro distanti, e collocati sopra due ta- volette rettangolari m iij q p. 358 Il polo rame comunica col vasetto «^ ed il polo zinco coli' altro a . Ora è chiaro che si possono sospendere tre o quattro calamite, in modo che la prima peschi coli' estremità della propria spirale in a ed in a; e facendo comunicare il mercurio del vaso a con quello del vaso b mediante un filo metallico a b, e quello dei vasi a ' , V con un filo a b _, si potrà magnetizzare una seconda calamita colla corrente che passa da b a b ; e nello stesso modo una terza colla corrente che da e si porla in e , e così di seguito. IV. Ma ben presto mi sono accorto che con questo mio apparecchio, nell' ipotesi che la forza direttrice delle correnti elettro-magnetiche sia propor- zionale alla forza magnetizzante, poteva facilmente conoscere quante calamite temporarie avrei potuto ottenere da un dato elettromotore. Di fatto, unendo con altrettanti fili metallici i vasi a a , b b' ', e e ec. , e collocando l'apparecchio in modo che i fili a a ., b b' ' , ce, d lì rimanessero paralleli al piano del meridiano magnetico, e sottoponendo a ciascun filo un ago magnetico mo- bilissimo intorno al centro di un cerchio diviso ne' suoi gradi, al momento che i fili rame e zinco si fanno comunicare col mercurio dei vasellini a,a , i detti aghi si muovono contemporaneamente, oscillando come è già noto, e si tranquillizzano in seguito facendo ciascuno un angolo tanto più grande col- l' equatore magnetico, quanto più è lontano dalla prima corrente, dalla quale si ottiene il massimo effetto, ed il corrispondente ago fa col suo asse il mini- mo angolo coli' equatore, ovvero il massimo col meridiano magnetico. Tutti i detti aghi magnetici, possihilmente eguali in forza ed in mohilìtà, sono collo- cati sopra una tavoletta orizzontale m n, che si può elevare ed abbassare ad oggetto di porli tutti egualmente distanti dai fili metallici per cui passano le simultanee correnti elettro-magnetiche, come scorgesi nelle Fig. III. e IV. La Fig. III. rappresenta la projezione di questo apparecchio fatta sopra un piano parallelo all'orizzonte, e la Fig. IV. rappresenta l'alzato dello stesso apparec- chio, veduto in prospettiva. E G e un tavolino che porla lutto l'apparecchio. F \ Fj Fj F sono i piedi che sostengono le tavolette su cui sono collocati i vasellini di vetro, e K è un piede che sostiene la tavoletta sopra cui stanno gli aghi magnetici, e che si può elevare più o meno mediante una sega ver- ticale, i cui denti vengono ingranati da un rocchetto, come chiaramente ap- parisce dalla Figura IV., in cui si riscontrano le slesse lettere della Fi- gura III. Quando il bisogno lo richiede, nell'intervallo fra l'elettromotore e le tavolette, portanti i vasellini di vetro, pongo l'ordigno di Amper , onde can- giare i poli. 359 Con questo mio apparecchio ho potuto osservare che il numero delle correnti attive è tanto maggiore, poste tutte le altre cose eguali, quanto più ampie sono le superficie metalliche componenti l'elettromotore. In conseguenza di che si può anticipatamente conoscere a un di presso non solo il numero delle calamite che si possono ottenere contemporaneamente da un dato elet- tromotore, ma hen anco l'efficacia delle medesime, prendendo per unità di misura la forza di quella che si ottiene dalla prima corrente. V. Ma piuttosto di occuparmi della magnetizzazione di più calamite nello stesso tempo, parendomi sin qui cosa di poca importanza (dico sin qui, po- tendo un giorno divenire cosa di sommo rilievo), ho voluto piuttosto tentare di rinvenire il modo di far acquistare ad una sola calamita una forza eguale alla risultante delle forze che acquistar potrehbero due o tre calamite nello stesso tempo da un dato elettromotore. Onde sciogliere questo problema mi venne in pensiero di far agire due correnti sulla slessa calamita ; ed ecco in qual guisa. Presi una calamita ch'io avea già esperimentata, cioè sapeva qual peso portava armata della solita spirale, e la copersi con della seta; di poi feci passare una seconda spirale di filo di rame, dirigendolo per lo spazio spirale lasciato vóto dalla prima. Così armata la calamita, l'assoggettai all'esperienza adoperando lo slesso elettromotore, e sostenne la prima volta un peso quasi il doppio. In seguito però osservai, che se la calamita con una sola spirale produce un effetto = i, con due spirali lo produce = i + §, e qualche volta = 1+3) come vedremo più sotto. VI. Incoraggiato da questo felice risultamento, armai la stessa calamita di una terza spirale; ma avendo ottenute delle forze ora maggiori ed ora minori di quelle ottenute da due sole spirali, sospesi l'uso della terza spirale, riservandomi di prendere in esame l'azioue della medesima, adoperando ca- lamite maggiori, ed elettromotori più efficaci. Ma è ormai tempo, illustri Ac- cademici, che vi faccia conoscere i risultamenti delle mie prime esperienze. VII. Adoperai le tre calamite A, B_, Cj i cui pesi ho di sopra indicati. Mi sono servito di due elettromotori di diversa grandezza. Il minore ha una foglia di zinco di | di piede quadrato di Parigi. Il maggiore ha una foglia di zinco di piedi quadrali 2. f. L'acqua acidulata contiene jg di acido solforico, ed Eg di acido nitrico. La prima tabella indica le forze delle calamite, espresse in kilogrammi, adoperando l'elettromotore minore. La seconda tabella dinoia le forze delle stesse calamite, ponendo in opera l'elettromotore maggiore. La prima colonna contiene le diverse calamite, la seconda il peso medio, e la 36o terza il peso massimo, sostenuti dalle rispettive calamite, aventi una sola spi- rale, e munite di un'armatura piana. La terza colonna contiene il peso medio, e la quarta il peso massimo, sostenuti dalle calamite con una sola spirale, ed aventi l'armatura convessa. La quinta e la sesta colonna contengono i pesi medii e massimi delle rispettive calamite munite di due spirali e coli' armatura piana. Finalmente nella settima e nell'ottava colonna contengonsi i pesi medii e mas- simi portati dalle calamite con due spirali e con l'armatura convessa. La ta- bella seconda fa conoscere gli effetti ottenuti dalle stesse calamite adoperando l'elettromotore maggiore. NOTA Dalle molte esperienze , che ho fatto , ho potuto osservare che non sempre si ottiene la massima forza delle calamite dalla prima magnetizzazione, ma che spesso la si ottiene dalla terza o dalla quarta successiva esperienza; ed anco mi accadde ottenerla dalla decima. Dietro questa osservazione, volendo prossimamente calco- lare la forza di una data calamita magnetizzata con un dato elettromotore, ho fatto varii successivi esperimenti, dai quali ho dedotto la forza media. Dico questo, per- chè si sappia su qual base ho calcolato la forza media delle calamite temporarie. 36i TAVOLA I. DIMOSTRANTE IL NUMERO DEI KILOGRAMMI CHE PORTATI FURONO DA CIASCUNA DELLE TRE CALAMITE NEI DIVERSI CASI ADOPERANDO l' ELETTROMOTORE MINORE u H o u H a AVVOLTE LE CALAMITE DA UNA SPIRALE ED APPLICANDOVI L'ARMATURA DA DNA SPIRALE ED APPLICANDOVI L'ARMATURA PIANA CONVESSA PIANA CONVESSA Peso medio Peso massimo Peso MEDIO Peso MASSIMO Peso MEDIO Peso massimo Peso MEDIO Peso massimo A. 7.80 I 1.00 i5.Go 18. 5o 9.60 l3.00 l6.80 22. 75 B. 3.80 5.00 5-79 6.80 7. 5o 9. 00 , 7.80 I I.70 C. 3.00 4.75 2.5o 3.83 4.62 4.75 8.33 io.5o 46 362 TAVOLA IL DIMOSTRANTE IL NUMERO DEI KILOGRAMMI PORTATI DA CIASCUNA DELLE TRE DIVERSE CALAMITE ADOPERANDO l' ELETTROMOTORE MAGGIORE ■ ■ — - NOME DELLE CALAMITE AVVOLTE LE CALAMITE DA DUE SPIRALI ED APPLICANDOVI L'ARMATURA PIANA CONVESSA Peso MEDIO Peso MASSIMO Peso MEDIO Peso massimo A. A . e. Uj.12 14.25 g.5o i9.75 16. 00 IO. 00 36.33 1 1. 5o 1 1. 5o 4-1. 00 12. 75 II. 5o 363 Da questi esperimenti risulta: i.° Che alcune volte l'armatura convessa, massime nelle calamite minori Bj C_, produce un effetto minore della piana. Ma queste sono anomalie dipen- denti in primo luogo dal modo di presentare la delta armatura alle calamite; se- condariamente dalla maggiore o minore difficoltà clie la stessa calamita prova a portare l'armatura nella posizione più favorevole. Ma nel seguente numero dimo- strerò colla sperienza alla mano, che l'armatura convessa è da preferirsi alla piana. 2.° Che il peso delle calamite ha una grande influenza nell'aumento della forza attrattiva, giacché il maggior elettromotore aumentò di poco la forza delle calamite minori B, Cj mentre che alla maggiore calamita A comu- nicò una forza quasi doppia. Vili. Feci venti successivi esperimenti, diretti a dimostrare la maggiore efficacia dell' armatura convessa in confronto della piana. In questi esperi- menti adoperai la sola calamita A munita di due spirali, ed il maggior elet- tromotore. In questi esperimenti feci uso alternativamente delle due armature, e trovai che il massimo effetto prodotto dalla calamita con l'armatura conves- sa fu di kil. 33. j5 , ed il medio di kil. 21.97; ed il massimo effetto col- l'armatura piana risultò di kil. 18, ed il medio di kil. 9. 19. Dopo questi esperimenti non può rimanere alcun duhhio sulla preferenza da accordarsi alle armature convesse in confronto delle piane. Su tale proposito non lascierò di fare una serie di esperimenti a fine di esaminare l'influenza della mag- giore o minore curvatura delle armature. IX. Gli esperimenti del numero antecedente durarono oltre un' ora e mezzo, cosicché l'efficacia dell'elettromotore erasi di molto indebolita. Ad ogni modo, trattandosi di esperimenti di confronto, non mi sono curato di rimetterlo in vigore, e subito dopo feci alcuni esperimenti per esaminare alternativamente l'effetto delle due spirali in confronto della sola spirale posta in contatto col ferro, ed eccone i risultati. Il massimo peso sostenuto dalle due spirali fu di kil. 16, il medio di 12.20; il massimo effetto della sola spirale fu di 11. 75, ed il medio di b\ io. X. Il giorno seguente rinovando l'acqua acidulata allo stesso maggiore elettromotore, e adoperando la calamitai coli' armatura convessa, feci di nuovo una serie di esperienze per confrontare l'effetto delle due spirali in confronto di quella in contatto col ferro, e trovai che il peso massimo sostenuto colle due spirali fu di kil. 33. 10, ed il medio di kil. 3o. 2-5. Il massimo effetto di una spirale fu di kil. 27, ed il medio di kil. 17.50. 364 Finalmente mi venne in pensiero di esaminare 1' efficacia della spirale in conlatto col ferro in confronto di quella avvolta sopra la seta , e trovai che il massimo effetto di quella in contatto col ferro fu di kil. i8, ed il medio di kil. 16. Il massimo effetto della spirale sopra la seta fu di kil. 26, ed il medio di kil. 2j. 16. Alla fine di queste sperienze, cioè allora quando l' elettromotore erasi indebolito di molto, volli esaminare la forza della cala- mita con tutte due le spirali, e la trovai di 3o kilogrammi. Chiusi con questa esperienza , perchè poteva nascere il dubbio che la maggiore efficacia della calamita dipendesse dalla spirale sopra la seta, anziché dalle due spirali agenti contemporaneamente. E però grande l'azione della spirale avvolta sopra la seta in confronto di quella in contatto col ferro. XI. Una così grande differenza fra l'azione della spirale in contatto col ferro e quella sopra la seta, mi ha indotto ad impedire il contatto immediato a tutte e due le spirali nel seguente modo. Copersi la calamita A con seta, e l'avvolsi colla prima spirale. Poscia la ricopersi nuovamente con seta, e vi applicai la seconda spirale.. Ciò fatto, eseguii i seguenti esperimenti colf elettromotore più grande. Magne- tizzata la calamita con tuttadue le spirali, il massimo peso riuscì di kil. 43, ed il medio di l^i. 25. Il massimo peso colla sola prima spirale fu di kil. 28, il me- dio di 26. 40. Il massimo peso sostenuto dalla sola seconda spirale, che riesce disposta sopra due strati di seta, fu di kil. 28, il medio di kil. 27. 27. Da que- sti esperimenti risulta che non e' è differenza calcolabile fra queste due spirali, mentre abbiamo veduto di sopra quanto più grande era l'efficacia della spirale sopra la seta in confronto di quella che trovavasi in conlatto col ferro. Di più si rileva il vantaggio che ne risulta dal vestire la calamita con seta, prima di munirla sì della prima che della seconda spirale. Il Prof. Moli avendo voluto esperimentare l'azione delle spirali di filo di ferro in confronto di quelle di filo di rame, ha creduto bene d'impedire il contatto tra ferro e ferro coprendo prima la calamita con seta, e investendola poscia colla spirale di filo di ferro. In questo caso trovò che la spirale di ferro produsse maggior effetto di quella di rame. Ma se il Prof. Moli avesse posto nelle stesse circostanze tanto la spi- rale di ferro, quanto quella di rame, si sarebbe accorto che si ha un notabile aumento di forza anche colla spirale di rame. Dunque dalle sperienze del testé citato Professore non si può conchiudere se sia più utile l'adoperare le spirali di ferro in confronto di quelle di rame, poste nelle stesse circostanze. In tutti i miei esperimenti non adoperai che spirali di filo di rame; ma in altra occa- sione non lascierò di fare dei confronti fra le spirali di rame e quelle di ferro. PARTE TERZA Dopo che ritrassi tutto il possibile profitto dalle spirali e dalla figura delle armature, era ben naturale che mi dessi ad investigare quale sia la forma da darsi all'elettromotore, acciocché producesse il massimo effetto possibile colla minima superficie di zinco, eh' è il metallo che si consuma con tanta facilità in tali esperimenti. Veramente dopo i lavori fatti sugli elettromotori tanto ele- mentari, quanto composti, da Wollaston, Accum, Novellucci, Offerkaus, Ma- rianini, e tanti altri Fisici, poco o nulla rimane a fare su tale proposito. L'elet- tromotore spirale sembrerebbe il più opportuno; ma siccome io bramerei che l'elemento Voltiano da adoperarsi in tali esperimenti combinasse due proprietà; cioè che, oltre di essere atto a somministrare il massimo effetto colla minima quantità di zinco, riuscisse anche il più comodo di tutti per rimetterlo al primiero stato di vigore, specialmente al momento che il metallo più ossidabile vuol essere cangiato ; così desidererei che si facessero dei nuovi esperimenti su tale proposito, tanto più che le recenti ed utilissime osservazioni fatte dal Prof. Marianini dimostrano che si può ottenere un effetto maggiore da una data lamina di zinco aumentando quella di rame sino ad un certo limite, e che il rapporto tra lo zinco ed il rame, che dà il più utile effetto, è quello di i : 3. Queste utilissime sperienze del nostro Marianini hanno dato mo- tivo a M.r Bigeon di farne delle altre sullo stesso proposito. Quest'ultimo ripetè l'esperienze del primo, tenendo conto delle distanze fra le due lamine componenti l'elettromotore; ed osservò che, trovandosi le lamine distanti 9 li- nee, si ottiene il massimo effetto quando il rapporto fra lo zinco ed il rame è :: 9: i5; e poste alla distanza di 4 linee, il massimo effetto risulta quando le lamine sono eguali tra loro. Con queste importanti esperienze Bigeon pose in mano ai Fisici delle norme più sicure per istabilire il rapporto fra le la- mine metalliche, onde ottenere il massimo effetto assoluto. Il testé lodato autore non ha poi avvertito che Marianini non intese già di ottenere il massimo effetto assoluto, ma il relativo; giacche, se male non mi appongo , volle egli con quelle sue esperienze indicarci il modo di ottenere il massimo effetto, ri- sparmiando possibilmente lo zinco. Trattandosi dunque d'impiegare la minore quantità possibile di zinco, risulta dalle stesse esperienze di Bigeon, che quando la distanza fra le lamine zinco e rame è = 4 linee, il rapporto di 1:2 è il più utile ed efficace; ma quando la distanza sia =■ 9 linee, il rapporto 366 di i : i.\ sarà quello da preferirsi. Dunque la minima disianza fra le lamine darà il massimo vantaggio, giacche in allora avremo il massimo effetto colla minore spesa possibile. Queste indagini mi stanno a cuore; ma sin ora non ho potuto fare che poche osservazioni su tale importante argomento, come ap- parirà dalle seguenti esperienze, nelle quali mi sono proposto di trovare il li- mite del potere magnetizzante della corrente elettro- magnetica somministrata dal solito mio elettromotore maggiore di due piedi ed un quinto. I. Era mia intenzione di esperimentare due calamite eguali del peso di kil. 2. 5; ma non ho potuto averle tali quali le desiderava, giacche una riuscì del peso di kil. 2. 4) e l'altra del peso di kil. 2. 6, che per maggior co- modo chiameremo P la prima, Q la seconda. La sola modificazione che feci all'elettromotore si fu di ravvicinare possibilmente Io zinco al rame. Armate le calamite colle solite spirali, e munite di un'armatura convessa del peso di un kilogramma, le magnetizzai col detto apparato, ed ottenni quanto segue. Il massimo peso sostenuto dalla calamita P fu di kil. 75. 5o ; il peso medio fu di kil. 61. II massimo peso sostenuto dalla calamita Q riuscì di kil. 86. 5o; il peso medio di kil. 76. Questi effetti sono, a dir vero, sorprendenti, e dimostrano quanto influi- sca sull'aumento della forza magnetica la massa del ferro che si vuole magne- tizzare. II. Io non poteva immaginarmi di ottenere con sì piccoli mezzi una forza di molto superiore a quella ottenuta dal Prof. Moli, che adoperò un apparato all' incirca quintuplo del mio. Ad ogni modo non posso essere pie- namente contento, se non trovo il limite dell'efficacia del mio elettromotore, se pure non l'ho raggiunto. Avendo osservato che l'elettromotore di piedi quadrati 2. 3, a mano a mano che andava aumentando il peso delle calamite, comunicava alle mede- sime una forza sempre maggiore, e desiderando di conoscere il limite, almeno prossimamente, del suo potere magnetizzante, feci costruire una calamita avente un peso eguale alla somma dei pesi delie calamite P , Qj che per conseguenza1 riuscì uguale a 5 kilogrammi. Questa calamita la chiameremo R. Assoggettai dunque la calamita R all'esperienza, magnetizzandola col solito maggiore elet- tromotore di piedi quadrati 2. |, e non giunse a sostenere che il peso massimo portato dalla calamita Q, con piccole differenze. Parvemi allora di poter con- chiudere di aver trovalo a un di presso il limite dell'efficacia del testé accen- 367 nato elettromotore, e che volendo ottenere degli effetti maggiori conveniva au- mentare le due superficie metalliche del medesimo. Per aumentare la superficie del detto elettromotore, lo posi in comuui- cazione con un altro precisamente eguale, in modo che la superficie di zinco riuscì di piedi quadrati 4- !• Magnetizzata con tale elettromotore la calamita i?, munita di un'armatura del peso di un kilogramma, il massimo peso che so- stenne fu di kil. 101, il peso medio di kil. 90. La stessa calamita coli' arma- tura di 2 kil. sostenne il peso massimo di kil. 117, il peso medio di kil. 108. III. Il giorno seguente, adoperando la stessa acqua acidulata, avente per conseguenza meno attività, ho voluto fare il seguente importantissimo confronto. Maguetizzai la calamita Q adoperando l'elettromotore di piedi quadrati 4-f» ed il peso massimo che sostenne fu di kil. 78, il medio di kil. 66. 60. La magnetizzai in seguito coll'ordinario elettromotore di piedi quadrati 2. |, ed il massimo peso sostenuto riusci di kil. 71, il medio di kil. 66. Questi ultimi esperimenti ci dimostrano evidentemente che una calamita temporaria non acquista che una forza magnetica proporzionata alla sua mas- sa, e che converrà col mezzo dell'esperienza trovare la minima estensione del- l'elettromotore capace di comunicarle tutta quella forza che può acquistare. Queste indagini si renderanno necessarie specialmente nel caso che ci venga dato di rinvenire una qualche utile applicazione della forza magnetica di cui si tratta. IV. E cosa curiosa, che in queste tre calamite PjQjR non mi venne fatto di osservare il fenomeno accennato nel numero VU. della prima Parie. Incline- rei a credere che ciò dipendesse dal maggiore o minor tempo che s'impiega a caricare le calamite del massimo peso che possono sostenere. A tale propo- sito dirò, che più di una volta mi accadde di osservare che, spogliando le calar mite delle rispettive spirali ad oggetto di cangiare o il numero delle spire o il diametro dei fili metallici, ricusarono per varii giorni di acquistare la più piccola forza magnetica. Attualmente ho in osservazione la calamita C, che avendola spogliata, e rivestita in seguito collo stesso filo metallico faciente un minor numero di spire, non ho più potuto comunicarle una forza magnetica calcolabile, ed ormai sono trascorsi più di quindici giorni. Staremo a vedere cosa succederà in seguito. V. Prima di compiere questa terza parte del mio lavoro mi faccio un dovere di avvertirvi, o miei illustri Colleghi, che in altra occasione vi farò conoscere l'esperienze che si riferiscono al mio apparecchio delle correnti 368 simultanee; e per ora Vi basti sapere, che con questo mio apparecchio si pos- sono dimostrare facilmente le proprietà delle correnti agenti nella stessa od in contraria direzione, scoperta da Amper. Di fatto si possono rendere mobi- lissimi i fili metallici che servono di guida alle correnti elettro-magnetiche, e disposto l'apparecchio come nella Fig. V., si ottengono delle correnti di forze eguali a due a due, cioè la corrente che va da b a b' sarà eguale a quella che scorre da d a d\ essendo tuttadue egualmente distanti dalla sorgente. Parimente riusciranno eguali le correnti e, e' ed e, é ' , ma di forze tanto più deboli, quanto più riusciranno discoste dall'origine, come è già noto. Non occorre poi che vi faccia conoscere che si può in varii modi far nascere in questo mio apparecchio delle correnti contrarie. Gioverà poi, per comprendere come le correnti agiscano sulle correnti, il poter osservare che gli aghi sotto- posti alle correnti, che vanno nello stesso senso, tendono tutti ad attraersi, e che quelli posti sotto alle correnti dirette in senso contrario tendono a re- spignersi. Collo stesso apparecchio si può esaminare tanto l'influenza del numero delle spire componenti le spirali da avvolgersi intorno alle calamite temporarie, quanto l'influenza del numero delle stesse spirali, che produce il massimo ef- fetto avvolgendole sopra dei fili mobili di ferro dolce. Questo effetto si può ottenere tanto dal reciproco conflitto di due fili congiuntivi mobili, conducenti le correnti nella stessa od in contraria direzione, quanto dal conflitto di una corrente, con un ago o verga magnetica. Potendosi ottenere con questo mio apparecchio molte correnti simulta- nee parallele, aventi delle forze magnetiche decrescenti con nota legge, si po- tranno fare degli utili confronti tra le forze direttrici e le calorifiche , esa- minando come decrescano le prime in confronto delle seconde; e soprattutto riuscirà facile l'osservare se ciascuna corrente secondaria abbia le stesse pro- prietà della primaria, comunque in grado minore. 369 PARTE QUARTA Nuovo motore elettro-magnetico. Essendomi riuscito di ottenere delle calamite temporarie capaci di soste- nere dei pesi considerevoli con degli elettromotori di una grandezza assai di- screta , e per conseguenza di piccolissima spesa ; mi sono dato a studiare il modo di approfittare di questa nuova forza per porre in moto una macchina qualunque; ed ora mi accingo, illustri Accademici, ad accennarvi brevemente i varii modi che ho immaginato di porre in molo un bilanciere. I. 11 primo bilanciere che posi in moto, consiste in una verga di acciaro magnetizzata, posta verticalmente fra 1' estremità di una calamita temporaria . La detta verga oscilla in grazia delle successive attrazioni e ripulsioni magne- tiche , che hanno luogo fra il polo S della verga , ed i poli S e N della ca- lamita temporaria, che vengono rovesciati continuamente dallo stesso bilancie- re. Col medesimo ingegno si può far oscillare il bilanciere in un piano oriz- zontale. ' II. 11 secondo modo consiste nel far muovere un bilanciere mediante un peso di ferro lasciato cadere sur una estremità del medesimo da una calamita temporaria (al momento che la forza magnetica passa per zero), e che poscia viene sollevato dalla medesima calamita. In due diverse maniere si può far agire questo secondo bilanciere. Si adopera il primo quando occorra un moto celere, ed il secondo sempre che importi comunicare all'estremità del bilan- ciere una forte percossa. Nel primo caso il peso non si allontana mai dalla afera di attività sen- sibile della calamita, cosicché appena il peso urta la leva, la calamita lo at- trae , per lasciarlo tosto ricadere ; ed in questo caso il peso cadente è assai piccolo in confronto di quello che la calamita potrebbe sostenere al contatto. Nel secondo caso s'impiega quasi tutto il peso che può essere sostenuto dalla calamita, e si approfitta della percossa per rimettere il peso al contatto della calamita; il che si può ottenere in piìi modi. Una così fatta maniera di ap- profittare della forza magnetica ci somministra un ariete elettro-magnetico ca- pace di produrre dei grandi effetti. 47 370 In seguito non mancherò, miei illustri Colleglli, di farvi conoscere gli effetti di questo nuovo motore; ed intanto porto fidanza che questi miei di- Versi modi di approfittare della forza delle calamite temporarie possano riuscire non affatto inutili, specialmente per quelli che si occupano dell'importante og- getto di porre in moto una macchina colla minore spesa possibile. 37t «■ o LO o o o a o o o E o t^ LO LO o LO LO o o O 53 vi ta* M w Ci LO LO IO i- C-» 63 < vl- — M oo t». co O M M HI ^3 ^ O OO O o o o o o o o <• 3 co so LO i-t LO O M Oì LO vi- o M o o o e co H oo m M co <£> !>. o o !» 5j E — . 11 diamet otori, *. auo.LOW *-^ (Vìi* mW ;Mtt mm M IO w]tn ci ho c3[m -ouxxa'ia naa fi O o o d CI CI vt- vf- aiDuuadng Ph r^ ci CI vt- ■* vi- vt- vr os oo 00 O oo co co co co H - o o o 0 o o o o a s J 5 B 2 * 5 _6 o 6 o 6 o 6 o 6 o 6 o o 6 6 G ** * " " " r. *• < O M OS W J OS t~- r^ t^ c^ CO vh vi- Nume DELL SPIRA o LO co LO LO LO so SO hJ » O vi- vi- o o o o o hJ cu. ts PS < o o co co o o o o o o o o o o tì lorarie, ire, le o co w 3 5 a s ' i o o M^ M M0 i- CI P3 - - o LO LO CO LO CI o vt- o so o o ite tem} delle sp J 5 M o O CI Cl CI LO -« CI oo oo vh le dimensi nate le spi ciascuna e a u g O 6 c 6 o 6 o 6 o 6 o 6 e ó CO O CI \o o t^. t^. 2 M co 6 CI ò CI 6 o 6 6 vh 6 LO 6 nenie e in o a ; s e ; ; s *> e « aiiwviy3 a-naa M Rq O fe; as Cy Btì 3 " " HWOM QJ SAGGIO DI ESPERIMENTI RELATIVI ALLA VELOCITA INIZIALE DEI PROJETTI dell' abaie DOTT. SALVATOR DAL NEGRO PROFESSORE DI FISICA NELl' I. R. UNIVERSITÀ DI PADOVA D LETTO ALLA CESAREA REGIA ACCADEMIA DI DETTA CITTA KELL'ANNO MDCCCXXV. D» 'ai primi esperimenti che ho potuto eseguire ad oggetto di esaminare se il nuovo mio metodo presentava difficoltà, e se riusciva iu pratica così facile come io me l'era immaginato, trovai che la velocità iniziale delle palle lanciate col mezzo di un fucile d' infanteria riesce un poco minore di quella già sta- hilita coi metodi anteriori. Ma se questi primi esperimenti mi resero da un lato pienamente sod- disfatto per ciò che riguarda la buona riuscita del mio metodo , mi riempie- rono da un altro canto di timore, avendomi essi dimostrato che l'uso del- l'arme da fuoco è quasi sempre accompagnato da pericoli che non si possono evitare, giacche sono tali da non potersi prevedere. E qui, se debbo confes- sarvi la verità, dirò che rimasi spaventato in modo, che decisi ipso facto di non impacciarmi più in tal sorta di esperimenti, e di lasciarne l'esecu- zione agli esperti artiglieri. E non crediate già ch'io sia rimasto spaventato senza una forte ragione , giacche a mia giustificazione basterà farvi sapere che un mio carissimo amico e collega , che occupa ad un tempo un posto distinto fra i cultori delle lettere e delle scienze naturali, non rimase vittima di quei primi esperimenti per vero miracolo della Provvidenza , che volle sal- varlo per accrescere il lustro di questa Università, e il decoro di questa no- stra Accademia in qualità di Secretano per le lettere. (*) Questo Saggio ili esperimenti serve di appendice alla Memoria pubblicata nel tom. II. dei Nuovi Saggi dell'Accademia suddetta. 373 Dopo alcuni anni fui eccilato ad eseguire dei nuovi esperimenti ; e sic- come in quell' intervallo di tempo ridussi il mio metodo ancora più semplice di prima, cosi, pieno di desiderio di porlo nuovamente alla prova, eseguii un sufficiente numero di esperienze, delle quali mi propongo adesso di farvi cono- scere i risultameli. Nelle mie esperienze adoperai un fucile d'infanteria, la cui lunghezza interna era di metri 1.4, e le palle pesavano grammi 23.5. Nella maggior parte delle sperienze tenni conto del tempo che il projetto impiegava a de- scrivere lo spazio di sei metri , cacciato con delle mezze cariche ; ma non mancai di adoperare delle cariche intere, e di far percorrere alle palle uno spazio di soli tre metri. Ora voi dovete sapere che la stabilita velocità delle palle lanciate dai fucili d'infanteria è di metri 42^; che quella ritrovata, pochi anni sono, dai Commissarii dell'Istituto di Parigi col nuovo metodo immaginato da M.r Gro- bert, fu di metri 390; e la velocità media determinata col mio nuovo metodo riusci di metri 420: cosicché la mia sta fra le prime e le seconde. Io non poteva confidarmi di ottenere un risultamento più decisivo per dimostrare la utilità del mio metodo. E siccome le sperienze colla metà della carica riescono più esatte , così i sopraccennati Commissarii eseguirono degli esperimenti colla metà della ca- rica, e trovarono che la velocità iniziale riesce in questo caso di 254 me" tri; ed io la trovai di metri 249-5, velocità maggiore della metà di quella che si ottiene dalla carica intera, per la ragione che l'accensione della pol- vere succede più completamente nel caso della mezza carica. Voi dunque vedete quanto le velocità determinate col mio metodo si av- vicinino a quelle determinate già con migliaja di esperimenti laboriosissimi, e con ispese esorbitanti. E perchè possiate formarvi un'idea della differenza che passa fra il mio metodo e quelli adoperati dagl'illustri Matematici che mi precedettero, gio- verà ch'io ripeta il breve cenno che feci su tale proposito nella Memoria letta in addietro, e che fu giudicata non affatto indegna dell'onore della stampa. A quell'occasione vi ho detto che l'apparecchio immaginato da Gro- bert, e presentato all'Accademia di Parigi per eseguire un piccolo saggio di esperimenti , importò 20,000 franchi; che volendolo eseguire in modo da in- stituire una lunga serie di esperimenti ad oggetto di stabilire una teorica più esalta e forse meno incerta di quella che si conosce, converrebbe incontrare 374 la spesa di 80,000; die Hutton per le sue importantissime esperienze su tale proposito sostenne delle spese molto maggiori; e che il mio apparecchio non costa che soli 3oo franchi, e somministra un modo facilissimo di eseguire da dieci in dodici esperimenti all'ora. Oltre tutto questo, ho eseguito una nuova serie di esperimenti carican- do il detto fucile con delle piccolissime quantità di polvere, a fine di acqui- stare dei nuovi lumi sopra gli effetti che producono le cariche crescenti con una data legge. Ho quindi .tenuto conto delle velocità comunicate allo stesso projetto dall'accensione di quantità di polvere corrispondenti ad £, §, Ki 3^! k del peso del projetto. Da questi esperimenti appresi che, trattan- dosi di cariche piccolissime, un doppio peso di polvere produce una doppia velocità; ma paragonando delle quantità maggiori di | del peso della palla, una massa doppia di polvere produce un effetto minore del doppio; e da que- sto saggio di esperimenti rilevai che sarà cosa non difficile, adoperando il mio metodo, scoprirne la legge : il che riuscirà di somma utilità alla Balistica. Di più rilevai con una serie di esperimenti affatto nuovi, che sino a tanto che l'ampiezza della trajettoria non supera 3o metri, il moto del pro- jetto mantiensi sensihilmente uniforme. E poi facile comprendere, che aumen- tando, come feci, la distanza del bersaglio dalla bocca dell'arma da fuoco di sei in sei metri, riuscirà non affatto malagevole con questo mio nuovo me- todo il determinare tanto la velocità finale del projetto, quanto la resistenza che soffre attraversando l'aria. Finalmente essendomi venuto in pensiero che potrebhesi con questo mio metodo misurare facilmente la forza delle varie specie di polveri, mi sono ri- volto alla Direzione della fabbrica delle polveri in Treviso, acciò si compia- cesse di farmi avere una piccola quantità di tutte le polveri che sortono dalla fabbrica. Ottenute le quali, ho scelto la giornata in cui l'atmosfera fosse sommamente secca, per evitare possibilmente le anomalie dipendenti dall'umi- dità; e caricando un fucile con pesi eguali di ciascuna specie di polvere, tenni conto del tempo impiegato dal projetto a percorrere lo stesso spazio , e trovai che il tempo impiegato dal projello cacciato dalla polvere fina fu di o. 3.'" 28.1v delta mezzana o. 3. 4°- detta da moschetto o. 3. Co- detta da mina o. 3. 54- detta da cannone o. 3. 59. 375 E dovendo l'efficacia di delle polveri seguire la ragione reciproca degli accen- nati tempuscoli, così rilevai che la polvere fina è la più efficace, quelle da cannone e da mina le più deboli, e che la mezzana da moschetto ha una forza media. Ottenuti questi risultatnenti, siccome io non sapeva quali di quelle pol- veri si tenesse dagli artiglieri e dai compositori delle medesime per la più forte, quale per la più debole, e quale si considerasse dotata di una forza media, così presi il partito di comunicare per lettera questi miei esperimenti alla sopra nominata Direzione della fabbrica delle polveri, la quale conoscendo i varii metodi immaginati per misurare la forza delle polveri, ed avendo essa stessa coi metodi, considerati fra i migliori, misurata la forza delle polveri che mi aveva graziosamente trasmesso, diveniva il giudice competente ed autorevole di questo mio ultimo saggio di nuovi esperimenti. Ebbi in seguito riscontro ehe i risullamenti delle mie esperienze corrisposero perfettamente a quelli ottenuti coi metodi già conosciuti e posti in pratica dalla stessa Direzione. Terminerò col farvi osservare, che quanto esposi non è die un piccolo saggio di esperimenti eseguiti a solo oggetto di scoprire le difficoltà cbe s'in- contrano nel mettere in pratica il mio nuovo metodo di misurare la velocità iniziale dei projetti. Voi già sapete che tutte le prime invenzioni riescono generalmente imperfette, e che col progresso del tempo e coli' esperienza si rettificano e si perfezionano. Di fatto così accadde del mio Oligocronometro, che al presente è ridotto assai più semplice di quello che pubblicai tanto nella prima quanto nella seconda edizione. Ho reso anche più semplice e più esatta la sua applicazione alla discesa dei gravi. L'apparalo poi che ho immaginato per applicare il mio Oligocronometro alla misura della velocità iniziale dei projetti ed alla determinazione della forza della polvere , sembrami tuttora così semplice, che nulla più. Ma siccome mi furono mosse delle difficoltà ragionevolissime sull'azione che potrebbero avere le vibrazioni dell'aria sopra i fili di ferro che servono a porre in libertà il pendolo e ad arrestarlo, così mi credo in dovere di far conoscere a' miei lettori, come facilmente si possa render nulla quella qualunque azione che l'aria potesse avere sopra i detti fili al momento che rimane istantaneamente scossa dalla esplosione della polvere. E prima di tutto giova che sappiate, che per soddisfare la curiosità di quelli che amano di conoscere questo mio me- todo di misurare la velocità dei projetti, soglio eseguire l'esperienze nell'augu- sto vestibolo della regia Sala di Fisica, coli' avvertenza di cacciare le palle con 376 un quarto di carica. Ma siccome quanto più il luogo è ristretto, tanto più così fatti esperimenti riescono pericolosi, e le vibrazioni dell'aria non libera possono cagionare di leggieri de' movimenti non solo nei fili, ma ben anche in tutto il sistema ; così, per eseguire tali esperimenti con un fucile ed a piccole distanze, occorrono due camere contigue: ed ecco in qual guisa convien disporre l'apparato. Nella prima camera si colloca tanto il bersaglio, quanto il sostegno pel fucile, e tutte due vicinissime alla parete che separa la stanza contigua. Nella detta parete si aprono due piccolissimi pertugi, l'uno presso la bocca del fucile, e l'altro vicino al bersaglio. Pei detti pertugi passano i fili, che servono, nel modo già noto, a muovere ed arrestare il pendulo, che trovasi cogli osservatori nell'altra stanza. In questa maniera è tolto ogni pericolo per coloro che vogliono vedere l'esperienza; e l'aria agitata nella prima stanza, in cui succede la scarica del fucile, non può agire sui fili tesi nella seconda stanza. Per eseguire poi questa esperienza all'aria libera ed a grandi distanze, basta che l' Oligocronometro coli' osservatore sieno chiusi ili uno stanzino od armadio a giorno, e che i fili sieno difesi dall'aria con delle canne di legno o di ve- tro fissate sopra degli stanti piantati sul suolo, e disposti con tutte quelle av- vertenze che ho già indicate nella descrizione dell'apparato di cui si tratta. FINE. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO OTTAVO VOLUME Statuto dell' Imperiale Regia Accademia Pag. iìt Catalogo dei Membri componenti la medesima » xt MEMORIE Cenni biografici degli Accademici di Padova mancati a' vivi dopo la pubblicazione del primo volume dei Nuovi Saggi mdcccxvu., Del Prof. Antonio Meneghelli » t Della generazione delle linee nello spazio e delle superficie. Del Dott. Carlo Conti » 2 5 Comunicazioni di tre fatti fisici relativi alle Terme padovane. Del Dolt. Gio. Maria Zecchinelli » 5i Considerazioni sull'utilità del metodo analitico per conoscere le cause e le leggi delle azioni morali dell'uomo. Del Prof. Stefano Gallini. » 64 Sopra alcune questioni di Matematica pura. Del Dott. Carlo Conti. . » 90 Memoria per servire alla storia della Silice \, considerata come un aci- do. Del Prof. Girolamo Melandri- Contessi » ug Sopra il modo di comporre le Vite morali, politiche > letterarie. Del Prof. Gio. Battista Zandonella » i34 Storia di epilessia prodotta dal Tenia. Del Dott. Giuseppe Montesanto. » i5i Sulla stoviglia sommamente economica che si fabbrica in Ponte di Brenta. Del Conte Niccolò Da- Rio » i63 Sopra alcuni passi d'Ippocrate relativi alle malattie, del cuore _, in se- guito all'altra Memoria Commento ad alcuni passi d'Ippocrate, stampata nel precedente volume. Del Dott. Gio. M. Zecchinelli . » 171 Per qual ragione la formula cardanica conduca ad espressioni im- maginarie, quando tutte e tre le radici sono reali. Dell'Ab. Giu- seppe Bernardi „ 184 '47 378 Dell allattamento di tre cagnolelte eseguito da una cagna vergine, & di qualche caso analogo avuto in donne vergini, con deduzioni me- dico-legali j e la Giunta della storia e dell' analisi chimica di urina lattea separata da un uomo . Del Dolt. Giuseppe Monte- santo Pag. iq5 Considerazioni intorno ai differenti metodi di esposizione del calcolo differenziale, e Teorema generale per la determinazione dei dif- ferenziali delle funzioni continue. Del Dott. Carlo Conti .... » 208 Della diffusione e studio del Latino in Europa da Carlo Magno in appresso, e conghietture del futuro suo stato. Del Prof. Gio. Batt. Svegliato » 226 Sulla Critica della Ragione pura di Kant. Del Prof. Jacopo Bonfa- dini » 242 Intorno al calcolo degli ecclissi solari, ed in particolare dell' ecclisse solare osservato ai 29 Novembre dell'almo 1826. Del Prof. Gio- vanni Santini » 259 Osservazioni delle comete fatte negli anni 1 825 -1 826-1 827-1 828 nel- l'I. R. Specola di Padova, precedute da brevi Cenni storici in- torno alla loro scoperta ed alla loro orbita. Dello stesso. . . . » 281 Considerazioni intorno al calcolo dell'orbita ellittica di una cometa, applicate alla cometa scoperta nella costellazione della Balena ai 28 Febbrajo 1826, per servire di appendice alla precedente Memoria sulle comete apparse dopo il 1825. Dello stesso . . . . » 3i2 Formule e precetti per la costruzione degli oculari a quattro lenti pei canocchiali terrestri tanto per ingrandimenti determinati, come per ingrandimenti variabili. Dello stesso » 33o Nuove esperienze ed osservazioni elettro -magnetiche. Del Prof. Sal- vator Dal Negro » 353 Saggio di esperimenti relativi alla velocità iniziale dei projelti . Dello btCSSO )) 3j2 DALLA SOCIETÀ TIPOGRAFICA DELLA MINERVA IN DITTA N. Z. BETTONI E COMP. NUOVI SAGGI DELLA IMPERIALE REGIA ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA VOLUME IV. PADOVA DALLA TIPOGRAFIA DELLA MINERVA MDCCGXXXVIII ALLA MAESTÀ IMPERIALE E REALE DI IMPERATORE D'AUSTRIA RE DI UNGHERIA, BOEMIA, LOMBARDIA VENEZIA, GALLIZIA, LODOMIRIA ED 1LLIRIA ARCIDUCA D'AUSTRIA EC. EC. EC. SACRA MAESTÀ In mezzo alla esultanza delle Italiane Popolazio- ni pel faustissimo avvenimento della recente incoro- nazione, Jra le grazie largite dalla Vostra tanto am- mirata clemenza, fra i beneficii sparsi dalla Vostra Cesarea larghezza, la I. R. Accademia di Scienze Lettere ed Arti in Padova ottenne essa pure un se- gnalato favore nella benigna concessione impartitale di poter intitolare a Vostra Maestà questo volume de suoi Atti. Così escono alla luce , fregiati dell Au- gusto Vostro Nome e accolti sotto gli altissimi Vo- stri auspicii i lavori di un corpo scientifico-lettera- rio non ignudo affatto di rinomanza , il quale im- plora con isperanzosa fiducia il munifico Vostro pa- trocinio. IL PRESIDENTE GIA.COMANDREA GIACOMUNI I ROFESSOBE DELL'I. B. VNIVEUSllÀ. L. MENIN vnor. della i. k. università Segretario perpetuo per le Scienze. ANDREA Co. CITTADELLA VIGODARZERE I, R. CIAMBELLANO Segretario perpetuo per le Lettere. STATUTO DELL'IMPERIALE REGIA ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA Articolo I. Delle diverse classi dei Membri componenti V Accademia. §, I. JLj Accademia si compone di Socii Ordinarii, Onorarli, Straordinarii, Corrispondenti e di Alunni. §. II. La nomina dei Socii di queste diverse classi e degli aluuui è fatta dal Corpo Accademico dietro proposizione del Consiglio. Articolo II. Dei Socii Ordinarli. §. I. I Socii dell'Accademia, clie hanno voto deliberativo coll'obbligo di lettu- ra, sono ventotlo, tutti iudistiutamente col nome di Socii Ordinarli del- l'Accademia. §. 11. Questi devono soggiornare in Padova, e quando si trasferissero ad abita- re altro paese, dopo sei mesi dalla loro partenza, sono tolti dal novero dei Socii Ordinarii e posti fra gli Straordinarii, col diritto di prelazione a rien- trare negli Ordinarii , quando fissassero nuovamente la loro dimora in Padova. I Socii Ordinarii che, dopo aver prestato lungo servigio al- l'Accademia, chiedono, per l'età, onorevole riposo, acquistano il titolo di Emeriti. §. III. I Socii Ordinarii sono partiti in quattro classi: Scienze Fisiche; Scien- ze Mediche; Matematiche; Filosofia e Lettere. Ogni classe è composta di sette Membri. §. IV. La elezione si fa per concorso e successivo scrutinio; il concorso vie- ne pubblicato dal Presidente in seguito a determinazione del Consiglio TI Accademico, e rimane aperto per quindici giorni. Sono ammessi a questo Concorso esclusivamente i Soci! Straordinarii, che soggiornano in Pado- va, e che hanno antecedentemente prodotte all'Accademia o fatte di pub- blica ragione memorie relative alla classe, nella quale è aperto il concor- so. Il Presidente raccoglie le petizioni coi rispettivi titoli; indi, col mezzo del Direttore della classe , cui appartiene il posto vacante , vengono eletti fra i Socii Ordinarii due Censori designati segretamente ad esaminare le produzioni dei concorrenti. Entro un mese il Direttore leggerà alla Clas- se il giudizio dei Censori tenendone celato il nome ; e la classe riunita dal Presidente deciderà a pluralità di voti sull'ammissibilità dei concor- renti al Corpo Accademico per mezzo di scrutinio segreto, in cui ha parte anche il Presidente qualora abbiasi a togliere la parità dei voti. Ap- partenendo il Presidente alla classe votante il Vice- Presidente lo sup- plisce. Il Presidente comunicherà al Consiglio il Processo Verbale della Unione di classe, e sottoporrà poi le petizioni degli aspiranti ammessi dal- la classe alla determinazione del Corpo Accademico, la quale si ottiene per iscruliuio segreto. Per l'ammissibilità di ciascheduno dei proposti Sono necessarii due terzi dei voti, e, fra più ammessi, il maggior numero dei voti sopra i due terzi determina 1' eletto. Se però accadesse che negli scrutini! non polessero ottenersi a favore di alcuno dei proposti i due terzi dei voti, si rinova tre volte lo sperimento. Tornando infruttuoso an- che il terzo, i nomi di que' due fra proposti, che ebbero un maggior nu- mero di voti sopra la metà, si assoggettano ad un quarto scrutinio. La ele- zione risulta dalla pluralità; e nel caso che i voli fossero pari, lo scruti- nio è rimesso ad altra seduta. Articolo III. Dei Socii Onorarti. §. I. A Socii Onorari! sono nominati uomini illustri per dignità, per prote- zione de' buoni studii, e per diffusa rinomanza d'ingegno. §. II. 11 Socio Onorario presente alle Sedute gode di tutte le prerogative di Socio Ordinario. VII Articolo IV. Dei Socii Straordinarii. §. I. I Socii Straordinarii, sono presi tra i sudditi del Regno Lombardo-Ve- neto conosciuti per opere pubblicate e per rinomanza nelle scienze, nel- le lettere, e nelle arti. §. II. I Socii Straordinarii, che soggiornano in Padova, secondo l'indole dei loro studii, e la loro dichiarazione saranno ripartiti nell'una o nell'altra delle quattro Classi dell'Accademia. §. III. I Direttori delle rispettive classi potranno impiegare l'opera loro nei lavori accademici relativi alla classe cui appartengono. §. IV. Il loro numero è indeterminato: la proposizione per la loro nomina appartiene esclusivamente ai Socii Ordinarli. Due di essi per Io meno ne fanno in iscritto o riservatamente la proposizione motivata al Presidente, il quale la comunica al Consiglio, che, prese le necessarie informazioni, giudica dell'ammissibilità. Il Presidente fatto stendere il ragguaglio dei meriti del proposto, lo partecipa coli' organo dei Segretarii al raccolto Corpo Accademico, e poscia fa seguire Io scrutinio. INel caso di giudi- cata inammissibilità la decisione del Consiglio è manifestata ai proponen^ ti col mezzo dei Segretarii. Articolo V. Dei Socii Corrispondenti. §. I. Quelli che si metteranno in comunicazione eoli' Accademia mandando le loro opere pubblicate o i proprii scritti da leggersi all'Accademia stessa, potranuo essere nominali a Socii Corrispondenti dietro proposizione del Consiglio appoggiata al giudizio favorevole della classe, cui si riferiscono i lavori trasmessi. In questo giudizio si terrà il metodo indicato dal §. VI. dell'Art. IX. Vili Articolo VI. Degli Alunni. §. I. Gli Alunni sono presi fra i giovani, die in Padova si applicano con lo- devole diligenza a qualche ramo di scienza o di letteratura , ed hanno date prove di huona condotta e di bell'ingegno. §. II. Gli Alunni sono dodici, partili secondo i varii loro studii nelle quattro classi dell'Accademia. Sono proposti dalla classe e scrutinati dal Corpo Accademico. §. III. Ogni Alunno dipenderà per gli oggetti Accademici dal Direttore della classe cui appartiene. §. IV. Gli Alunni hanno il carico di leggere alternativamente all'Accademia una compendiosa indicazione delle opere analoghe alla classe cui appar- tengono enunciate e prese in esame dai giornali scientifici e letterarii rac- colti nella pubblica Biblioteca e nel Gabinetto di Lettura. §. V. Quelli che avranno dimostra una speciale diligenza ed attività, ed avran- no letta all'Accademia alcuna loro propria produzione, potranno dopo tre a uni essere proposti dalla classe al Corpo Accademico per la promo- zione a Socii Corrispondenti; e lattandosi di Alunni appartenenti al- l'Università, la loro proposizione non potrà. aver luogo se non quando ab- biano compiuto il corso regolare de' loro studii. §. VI. Quando l'Alunno nel corso dell'anno accademico manca tre volte alle ordinarie tornate senza giustificazione, e .non adempie gli obblighi impo- stigli, il Direttore della classe ne partecipa all'Accademia la decadenza, ed invita la classe ad una nuova proposizione. ■ ÀKTICOLO VII. Della Presidenza e del Consiglio. §. I. Il Consiglio dell'Accademia è composto di un Presidente, di un A ice- Presidenle, di un Direttore per ciascuna delle quattro classi , di due Se- gretari, uno per le Scienze e l'altro per le Lettere, di un Cassiere e di un'Archivista Bibliotecario. IX §. II. Al Presidente è affidato il governo e la direzione generale dellAccade- mia. A nome di esso si convoca il Consiglio e l'Accademia tutta. Appar- tiene a lui esclusivamente il firmare tutti gli atti dell'Accademia, e il rappresentarla in ogui occasione. §. III. Il Vice-Presidente supplisce al Presidente in mancanza di questo, ed a lui appartiene lo invigilare all'esatta esecuzione delle leggi accademiche come loro speciale conservatore. §. IV. I Direttori delle classi hanno ispezione particolare sulla loro classe. Possono convocarla quando credono necessario, e sono il mezzo di cui si vale il Presidente o il Consiglio per comunicare in ispezialità colla clas- se medesima. §. V. Il Presidente in ogni sessione prima di sciogliere l'adunanza, annuncie- rà il giorno della seguente tornata, e il nome del Socio Ordinario che leg- gerà in quella. §. VI. I Segrelarii tengono regolare Processo Verhale delle Sedute, tanto del Consiglio, quanto dell'Accademia. All'aprirsi d'ogni sessione il Presi- dente invita il Segretario, che scrisse il Processo Verhale della preceden- te, a farne lettura. Il Processo Verhale contiene tuttociò di cui si è trat- tato nella Seduta, e specialmente la esatta menzione delle memorie che sono state lette, e i titoli delle opere a slampa e degli scritti, che mano a mano pervengono all'Accademia. I Segrelarii non sono obbligati alle let- ture prescritte ai Socii Ordinarii. Spella ad essi la corrispondenza acca- demica e il relativo carteggio. §. VII. Al terminare della Seduta il Segretario, che ne tenne il Processo Verbale, nomina i presenti, e fa menzione delle scuse che i mancanti avranno fatte pervenire al Presidente. §. VIII. Il Cassiere amministra gli averi dell'Accademia; assoggetta ogni anno entro il mese di Luglio i conti al Consiglio, cui spelta approvarli di an- no in anno in apposita seduta; egli non può far pagamenti senza l'ordine in iscritto del Presidente. §. IX. L'Archivista -Bibliotecario custodisce tutte le carte dell'Accademia, so- praintende alla stampa degli Atti e alla vendila dei volumi stampati; ha cura della Biblioteca Accademica; raccoglie e coordina al terminare d'ogni anno tutti gli Atti Accademici e i Processi Verbali delle sedute che debbono essergli conseguati dai Segrelarii, per depositarli nell'Ar- chivio. §. X. Alla fine di Ghigno il Consiglio Accademico riconosce lo Stato delle vendite fatte dal Bibliotecario, e delle somme da lui versate in cassa. §. XI. Il Presidente è proposto per ischede ed eletto per iscrulinio, inco- minciando da quello, che nella proposizione ebbe più schede. Dura in ca- rica due anni, e viene preso per turno dalle classi coli' ordine con cui queste sono scritte nello Statuto. §. XII. Il Presidente che cessa diventa Vice-Presidente; ed in mancanza del Vice- Presidente supplisce l'ultimo uscito dalla Presidenza. §. XIII. I Direttori delle classi si eleggono per ischede e successivo scrutinio dal Corpo Accademico: durano due anni, e non possono essere rieletti se non dopo un biennio. §. XIV. I Segretarii, il Cassiere e l' Archivista-Bibliotecario sono perpetui. 11 Cassiere e l'Archivista possono essere nominati a Presidenti, ma non già i Segretarii. Articolo Vili. Del modo di trattare gli affari accademici. §. I. Per deliberare sugli affari accademici l'adunanza dev'essere composta di uno più della metà dei Socii Ordinarli. §. II. 11 Consiglio Accademico non può deliberare se non siano presenti al- meno sette de' suoi individui. Ciascuno manifesta a voce il proprio parere sulle fatte proposizioni. Il Presidente poi raccolta l'Accademia espone il partito preso dal Consiglio, e lo assoggetta allo scrutinio adducendone i molivi. §. III. Tutti gli scrutinii debbono avere i due terzi de' voli dei Socii presenti per essere favorevoli. §. IV. Il Consiglio nelle cose che riguardano gli uffizi! a lui fidati stabilisce da se i metodi d'interna amministrazione. Ma trattandosi di regolamenti che tendono ad obbligare tutto il Corpo, il Consiglio deve assoggettarli ai voli dell'Accademia. §. V. Le adunanze di classe per essere legali devono comporsi da quattro So- cii Ordinarli almeno, e inoltre dal Presidente o Vice-Presidente e da uno dei Segretarii. Il Direttore della classe ha il diritto d'invitare ad un'adu- nanza di classe, in cui slimi opportuno un maggior numero di votanti, qualche Socio Ordinario delle classi affini. XI Articolo IX. Delle Sedute e Letture Accademiche, §. I. L'Accademia incominciando enlro la prima metà di Novembre si raduna due volte ciascun mese nel giorno di martedì nelle ore pomeridiane per le sue ordinarie Sedute, a riserva dei mesi di Luglio, Agosto, Settembre ed Ottobre. Finito il corso delle Sedute ordinarie, ne ba luogo una pub- blica, che viene aperta dal Presidente con breve Allocuzione allusiva alla circostanza; e nella quale uno dei Segretarii alternativamente fa la rela- zione delle letture dell'anno accademico. §. II. Dopo la Seduta pubblica, riveduti ed approvati dal Consiglio i conti del Cassiere, si eleggeranno in una Seduta straordinaria le cariche accademi- che per l'anno successivo. §. III. Nella prima Seduta di ogni anno accademico si estraggono a sorte, per turno dalle quattro classi, i nomi degli Accademici, che dovranno leggere nell'anno prossimo; e prima della successiva seduta il Presidente ne fa consegnare a stampa l'elenco a tutti gli Accademici. §. IV. Le sedute non dureranno più di due ore: ciascheduna incomincierà col- la lettura fatta da un Socio Ordinario nell'ordine, con che furono estrat- ti. Il Presidente d'intelligenza coi Direttori di classe disporrà per le op- portune successive letture di ogni seduta. §. V. Il Socio Ordinario, fatta la lettura di obbligo, consegna immediatamente al Segretario, che tiene il Processo Verbale della Seduta, l'estratto della sua memoria onde ne faccia regolare ed esatta relazione. Entro un mese dalla seguita lettura, al più tardi, dovrà inoltre depositare in mano del Presidente il suo manoscritto, ritirandone ricevuta. I Socii Ordinarii, che non consegnano entro questo termine le memorie lette come penso accade- mico; o quelli che le facciano stampare di per se, sottraendole così alla raccolta degli Alti, saranno trasferii nella classe dei Socii Straordinarii. Per tutti gli altri Accademici basterà che sia trasmesso al Segretario l'estratto della lettura. §. VI. Il Presidente trasmetterà il manoscritto consegnatogli al Direttore della classe, cui appartiene l'argomento trattato, tenendone nota nei proprii re- gistri. Il Direttore nominerà segretamente due Censori per avere in iscrit- XII to, eia ciascuno di essiseparalameule, una relazione motivata da sottomet- tersi al giudizio della classe, la quale deciderà se quel manoscritto sia de- gno della stampa fra gli Atti dell'Accademia. Questo giudizio si emette dalla classe a pluralità di voti secreti. Lo stesso metodo ha luogo per le memorie lette o spedile dai Socii Straordiuarii e Corrispondenti. Que' So- di Ordinarli che danno alle slampe memorie lette come penso accademi- co escluse dalla censura della classe rispettiva, apponendovi V Epigrafe = letta nell'Accademia di Padova = od altra simile, saranno cassati dal- l'Elenco degli Accademici. §. VII. 1 Socii Ordinarli, che mancassero per tre sedute consecutive senza giu- stificazione approvata dal Consiglio, perderanno il loro posto. §. Vili. Ogni Socio Ordinario è tenuto a leggere una memoria ogni due an- ni nel giorno fisso dalla sorte. Mancandovi senza giustificazione approvata dal Consiglio, potrà per la prima volta obbligarsi a leggerne due nel sus- seguente biennio; e mancando nuovamente, perderà il posto. §. IX. Ogni anno prima della fine del Dicembre si pubblicherà un volume degli Atti contenente memorie lette nell'anno acccademico percorso. Tra- scorso questo periodo di tempo senzachè ne sia intrapresa la stampa, gli autori potranno disporre a talento delle loro Memorie, purché ne diano avviso al Presidente con apposita dichiarazione in iscritto. CATALOGO DEI MEMBRI COMPONENTI LA I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA CONSIGLIO ACCADEMICO Jappelli Giuseppe, Presidente. Nodari Monsignor Antonio, Vice- Presidente. Catullo prof. Tommaso Antonio , Direttore per la classe di fisica speri- mentale. Zecchinelli dott. G. Maria, Direttore per la classe medica. Bernardi Ab. Giuseppe, Direttore per la classe matematica. Cittadella Co. Giovanni, Direttore per la classe filosofia e lettere. Menin prof. Lodovico, Segi-etario perpetuo per le scienze. Cittadella -Vigodarzere Co. Andrea, Segretario perpetuo per le lettere. Meneghini dott. Giuseppe, Archivista e bibliotecario. Montesanto prof. Giuseppe, Cassiere. MEMBRI ONORARIE S, A. E R. l'Arciduca RANIERI, Vice-Rè del Regno Lombardo-Veneto. S. A. I. R. l'Arciduca GIOVANNI d'Austria. S. A. S. il Principe de Melternich-Winneburg di Ochsenbausen, Ministro di Stato di S. M. I. R. S. Em. Rev. il Cardinale Monico, Patriarca di Venezia. S. Em. Rev. il Cardinale Mai. S. A. S. il Principe Ernesto di Arenberg. S. E. il Contedi Kolowrat-Liebsteinski, Ministro di Stato di S. M. I. R. Ap. S. E. il Conte A. Federico. Mittrowsky Supremo Cancelliere aulico di S. M. I. R. AP. S. E. il Conte Pietro di Goess, Gran Maresciallo di Corte di S. M. I. R. A. S. E. il Conte Carlo d'Inzaghi, Consigliere intimo di S. M. I. R. A. XIV S. E. Josia Luigi de Jtistel, Priore mitrato a Wiclielirad Consigliere intimo di S. M. I. R. A. S. E. il Conte G. B. di Spaur, Governatore delle Provincie Venete. S. E. Antonio Mazzetti, Presidente d'appello in Milano. S. E. il Conte Jacopo Mellerio, Consigliere intimo di S. M. I. R. A. S. E. Rev. il Patriarca Arcivescovo Ladislao Pyrker. Anguissola Conte G. Battista. Balbo di Vinai Co. Cav. Prospero. Berut prof. Giuseppe. Berzelius prof. Giangiacomo. Caccia Cav. Gaudenzio. Canova Monsignor Vescovo di Mindo. Cousin prof. Vittorio. Debrois de Brugeck Giovanni Consigl. Aulico. Dercliick Consigliere Giuseppe. Farina Monsignor Vescovo di Padova. Earini prof. Pellegrino. Fiscber prof. G. L. Fuss Cav. Nicola. Gargallo Cav. Tommaso. Gay-Lussac prof. N. Gbilossi Conte G. Ignazio. Graefe (de) Cav. Groèller (de) Cav. Antonio. Halascka Consigliere Cassiano. Harles prof. G. C. Hildenbrand (de) Cav. Francesco. Humboldt barone Fi E. Alessandro. Jacquin Cav. Giuseppe Francesco. Khnostof (de) Conte, Senatore di Russia. Kleiber (de) Leopoldo. Lang Francesco Innocenzo Consigliere Aulico. Liudenau (de) Barone. Maffei Ab. Cav. Prof, a Monaco. Mayer di Gravenegg Cav. Giuseppe. Mesbutar Monsignor Andrea. XV Monchini prof. Domenico. Nobile Consiglier Pietro. Oerstedt prof. II. C. Paoli (de) Conte Domenico. Pauli (de) Nob. di Treubeim Giuseppe. Pauli (de) Nob. di Treuheim Francesco. Pezzana Cav. Angelo. Pezzoni Cav. Antonio. Polcastro Co. Girolamo. Raimann Nob. G. Nepomuceno Cons. Aul. Primo Archiatro di S. M. I. R. A. Roner d' Ehrenwertli Consigliere Carlo Isidoro. San Martino prof. Agostino. Stratico Cav. Giambattista. Strekfuss Consigliere in Prussia. Tescboenberg doti. Alberto. Tùrkbeim Barone Luigi. Venturoli prof. Giuseppe. Vitt prof. Carlo. Wetzel di Wellenbeim Consigliere Leopoldo. Wiebecking (de) Cav. Federico. Wismayr Consigliere Giuseppe. MEMBRI ORDINARII. Classe di Fisica Sperimentale. Catullo prof. Tommaso. Da-Rio Cav. Nicolò. Jappelli Giuseppe. Magrini dott. Luigi. Menin prof. Lodovico. Molin prof. Girolamo. Scortegagna dott. Orazio. Visiani (de) prof. Roberto. XVI Federigo prof. Gaspare. Giacomini prof. G. Andrea. Meneghini dolt. Giuseppe. Montesanto prof. Giuseppe. Spongia dott. G. Filippo. Zeccbinelli dott. G. Maria. Classe Medica. Classe Matematica. Bernardi Ab. Giuseppe. Conti dott. Carlo. De La Casa prof. Don Vittorio. Minich prof. Serafino. Santini Cav. Giovanni. Tuzzi dott. Vincenzo. Classe di Filosofia e Lettere. Carrer dott. Luigi. Cittadella Conte Giovanni. Cittadella Vigodarzere Co. Andrea. Nodari Mons. Antonio. Selvatico nob. Pietro. Trivellato prof. Giuseppe. MEMBRI EMERITI. Barbieri prof. Giuseppe. Brera prof. Valeriano Luigi. Configliacbi prof. Luigi. Cataneo dott. Francesco. Dalle Ore prof. Marcantonio. Francescbinis Cav. Francesco. Furlanelto dott. Giuseppe. Gianelli Consigliere Giuseppe. XVII Giuliani prof. Jacopo.' Lanfranchi prof. Luigi. Magarotto prof. Francesco. Meneghelli prof. Antonio. Pieri prof. Mario. Romano dott. Girolamo. Zendrini prof. Angelo. MEMBRI STRAORDINARII. Li Signori Aprilis prof. Bartolommeo. Balbi Cav. Adriano. Bellavitis dott. Giusto. BetU'o Ab. Pietro. Bianchini Beroaldi Cav. Tenente Ma- resciallo. Bossi Co. Luigi. Comparetti dott. Pietro. Corniani Co. Marco. Dandolo Tullio. De Min prof. Giuseppe. Dianin prof. Felice, Diedo Nob. Antonio. Fappani Nob. dott. Agostino. Franceschi Nob. dott. Luigi. Frari dott. Angelo I. R. Consigliere di Governo. Fusinieri dott. Ambrogio. Guzzoni prof. Fidenzio. Labus dott. Giovanni. Manzoni Nob. Alessandro. Marianini prof. Stefano. Marsand prof. Antonio. Melan Mons. Sebastiano. Meneghini dott. Andrea. Orsi prof. Tranquillo. Pagani-Cesa Co. Giuseppe Urbano. Pappafava Co. Marsilio. Poli prof. Baldassare. Racchetti Consigliere Alessandro. Saggini Cav. Andrea. Sagredo Co. Agostino Gherardo. Saufermo Cav. Marco. Scopoli Co. Giovanni. I Scolari dott. Filippo. Signoroni prof. Bartolommeo. Stéer prof. Martino. Thiene dott. Domenico. Vacani Camillo Colonnello. Venanzio dott. Girolamo. Villabruria Mons. Guido. Zannini dott. Paolo. XVIII MEMBRI CORRISPONDENTI. Li Signori Agostini prof. Stefano. Apporti Ab. Ferrante. Argenti dott. Francesco. Balardini dott. Lodovico. Bassi dott. Agostino. Basso dott. Luigi. Beggiato dott. Francesco Secondo. Bellingeri dott. Carlo Francesco. Bellini dott. Gio. Batitsta. Berres prof. Giuseppe. Bettoni Niccolò. Bianchi prof. Giovanni. Bianchi dott. Giuseppe. Bizio dott. Bartolommeo. Bouafous Cav. Matteo. Bravi Ab. Giuseppe. Broglia da Persico dott. Lodovico. Bruni dott. Carlo. Brusoui dott. Giacomo. Bury prof. Adamo. Cacciatore prof. Niccolò. Calegari Ab. Antonio. Calegari dott. Pietro. Calogeropulo dott. Nicolò. Campilauzi dott. Emilio. Casoni Marchese Giovanni. Ceresa dott. Carlo. Coltellini Cav. Agostino. Crescimbeni dott. Giulio. Dalla Balla dott. Pietro. Dalla Torre prof. Lelio. Duchelard prof. Michele. Durer dott. Agostino. Fabeni prof. Vincenzo. Fabris dott. Girolamo. Facchini dott. Francesco. Facci Negrato Gaetano. Faccio Domenico. Fanzago dott. Luigi. Fava dott. Angelo. Fava dott. Gio. Battista. Ferrarlo dott. Giuseppe. Festler dott. Francesco Saverio. Formeulini Ab. Antonio. Fortis dolt. Leone. Cross prof. G. L. Heintl Cav. Carlo. Roller Enrico Tommaso. De Koerber Nob. Filippo. Lenguazza dolt. Leone. Liberali dott. Sebastiano. Lippich prof. Guglielmo. Liltrow dott. Carlo Luigi- Malfatto dott. Luigi. Manzoni dott. Luigi. Marchesi prof. Pompeo. Martini prof. Lorenzo. Martius Cav. C. Fr. F. Mazzaro dott. Sante. Mazzoni prof. Gaetano. XIX Meli dott. Domenico. Mocenigo Co. Pietro. Morelli prof. Luigi. De Mori Alfonso. Mugna dott. Gio. Battista. Naccari Cav. Fortunato Luigi. Namias dott. Giacinto. Nardo dolt. Domenico. Nodari dott. Pietro. Olmi dott. Agostino. Orsolato dott. Giuseppe. Orti Co. Girolamo. Pari dott. Anton Giuseppe. Pasetti dott. Floriano. Pasini Lodovico. Pasini prof. Pietro. Penolazzi dott. Ignazio. Petrettini Spiridione. Piovani Cav. Francesco. Podrecca dolt. Luigi. Poletli prof. Geminiano. Playfayr professore. Puccinolli prof. Francesco. Quadri prof. Gio. Battista. Quaranta prof. Bernardo. Bavagnan prof. Girolamo. Bovida prof. Cesare. Salomoni dott. Filippo. Salvatori Francesco. Sandri Giulio. Schieppati dolt. Stefano. Schizzi Co. Folchino. Schumacker professore. Serafini dott. Giuseppe. Serristori Cav. Luigi. Sicuro dott. Marino. Smania Michel Angelo. Soli Muratori dott. Fortunato. Speranza Cav. Carlo. Stancovich Pietro, Canonico. Tadiui Mons. Placido Arcivescovo di Genova. Tantini prof. Francesco. Tecchio dott. Sehastiano. Tessarolo Francesco. Todeschini Munari prof. Giuseppe. Tonelli dott. Giuseppe. Tonello Gaspare. Turazza prof. Domenico. Valentiuelli dott. Giuseppe. De Watmann prof. Giuseppe. Vedova dott. Giuseppe. Venturi dott. Luigi. Vering (de) Cav. Giuseppe. ^ iero dolt. Giovanni Antonio. Zacco Nob. Teodoro. Zanon dott. Bartolommeo. Zerbinati dott. Francesco. Zigno Nob. Achille. Zipser Cav. Carlo Antonio. Zola dolt. Francesco. MEMORIA GEOGNOSTICO -ZOOLOGICA SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI DEL CALCARE JURESE CHE SI ELEVA PRESSO IL LAGO DI SANTA CROCE NEL TERRITORIO DI BELLUNO LETTA ALLACCADEMIA DI PADOVA IL XV MAGGIO MDCCCXXXII DAL SOCIO ATTIVO TOMMASO ANTONIO CATULLO limono circa sessantanni che il genio per Io studio delle inonlagne fa sco- perte felicissime, e possiam dire che da quest'epoca in poi non esiste veruna pregevole opera di Geognosia, che non contenga prove dirette dell'antica e tran- quilla insidenza del mare sulla terra , e non metta questa verità al coperto di tutte le opposizioni dello scetticismo. Però il fenomeno che più d'ogni altro doveva solleticare la curiosità del geo- logo, e invitarlo a investigare le cause che possono averlo prodotto, si è il diva- rio notevolissimo che v'ha tra gli animali disseppelliti nei monti, e quelli che vivono presentemente nei mari e sui continenti; perciocché, confrontando gli uni cogli altri, si scorge hen presto che lo stato antico della vita era suhordinato a circo- stanze affatto diverse da quelle che presiedono alla conservazione delle specie attualmente esistenti. Io non mi fermerò a parlarvi, Accademici illustri, delle importanti osserva- zioni falle non ha guari intorno all'esistenza del fuoco centrale ammesso da Leibnitz e da Buffon, ch'è quanto dire intorno al mollo calorico che doveva dipartirsi dall'interno della terra dopo il consolidamento dei graniti fondamen- tali , e dopo la comparsa del mare primigenio , bastandomi solamente la fatta ri- cordazione di un avvenimento fisico, che si attiene con le cose che prendo a trattare, e del quale si valgono gli odierni naturalisti per discorrere fondata- mente delle cause che più influirono al deperimento delle specie. È ormai noto a tulli, che le più basse stratificazioni del terreno di sedimento inferiore, e propriamente quelle parti che il Brongniart comprende nella quinta sezione dei terreni eh' egli chiama abissici ('), occultano reliquie animali, di cui indarno si cercherebbono le analoghe nelle stratificazioni depositate dal mare durante l'ultimo periodo della sua stazione sui continenti; e ne abbiamo gli esempii in que' voluminosi Cornammoni che rinvengonsi nel calcare alpino, come gli abbiamo nei Productus di Sowerby , negli Encriniti , nei Trilobiti , ed in moltissimi altri generi di animali e di piante, che furono i primi a figurare nelle prische età del mondo , e che più non hanno chi loro somigli fra gli esseri vi- venti d'oggidì. Ne solamente alle schiatte dei primi animali fu impedito raggiungere le razze che vivono adesso , ma soggiacquero alla stessa sorte le generazioni che prospe- rarono dopo, e delle quali noi raccogliamo i residui nelle rocce di sedimento for- mate nella seconda grande epoca zoologica , cioè nel Keuper, nel calcare jure- se, e nei tramezzi argillacei che separano quest'ultimo calcare dalla creta. E appunto in uno dei membri riferibili al terreno del Jura che mi fu dato raccogliere nello scorso autunno gran copia di spoglie marine mutate nella so- stanza stessa della roccia che le racchiude , le quali , comechè proprie del cal- care jurese di varii paesi, scarseggiano tuttavia nel calcare medesimo che s'in- nalza nelle provincie nostre. 11 luogo dal quale ho tratte queste spoglie forma parte delle montagne alpa- ghesi che si elevano all'est di Belluno per diramarsi nel canale di S. Croce, e per formare colà quella giogaja che spalleggia l'alveo, entro cui passava anti- camente il fiume Piave . Questa giogaja, denominata il Pinè_, non si erige , a giudizio dell'occhio, che ad un'altezza di trecento metri sopra il livello del lago lasciato alle sue radici dal Piave allorquando abbandonò il primiero suo corso Terso il sud, ch'era il più breve e il più retto, per aprirsi la via che corre adesso dall'est verso l'ovest. La roccia che compone queste eminenze è un calcare di tinta bianco -lattea, di tessitura oscuramente cristallina, con entro pezzi ora conformati in ischeggie (i) Questo brano del terreno abissico di BroDgaiart è rappresentato dai membri seguenti: I. Calcare alpino. II. Calcare fetido (Stinkkalk). III. Dolomia alpina [Magnesian limeston degl'Inglesi). IV. Zechstein. V. Schisto bituminoso piatte, ora sotto sembianza di ciottoli alquanto compressi , ma che in realtà altro non sono che modelli di bivalvi tenacemente attaccati alla massa calcaria, e for- manti con essa una specie di Pudinga atta ad essere lavorata con lo scalpello. Io non conosco nella Veneta Lombardia nessun altro calcare jurese che sia tanto ferace di specie organiche fossili, quanto è quello del Pine; e questa cir- costanza conduce naturalmente a pensare che la struttura in apparenza sacca- roide di quel calcare sia dovuta non già all'azione di una qualche roccia vulca- nica accollatasi sopra , come taluno si avviserebbe di credere , ma sì bene ai frammenti di gusci, che per essere spatificati danno alla roccia l'aspetto cristal- lino. La sua stratificazione si palesa formata di grossi banchi, per la più parte logorati dalle acque piovane che discendono nel Iago, i quali prendono in alcuni luoghi una disposizione diversa dall'orizzontale, ch'è la più comune, serbando però sempre i caratteri che si vogliono peculiari del terreno medio -j massico di Brongniart. Questa roccia finisce inferiormente senza assumere la struttura ooli- tica , e sottovia le corre un calcare grigio compatto , pieno di gusci di bivalvi pettinate, che per essere ridotti in frantumi non lasciano se non a stento co- noscere il genere al quale appartengono. E da osservarsi che le spoglie organi- che, delle qnali ragiono, mancano nel calcare superiore, od almeno differiscono dalle specie congeneri che in quello vi esistono. Tutte spettano al genere delle Terebratole , fra cui avvene alcune che molto si assomigliano alla Terebratula acuta di Sowerby tanto nella configurazione e nella struttura delle coste, quanto nella proporzione delle dimensioni; se non che lo stato di mutilazione di alcune parti impedisce di unire questi avanzi alla specie predetta. Se confrontiamo fra Joro i due calcari del Pine , vi si scorge una notabile differenza anche rispetto ai caratteri che sono contemplati dalla Mineralogia; ma non saprei decidere se il calcare inferiore rappresenti l'ultimo membro del terreno pelagico di Bron- gniart, benché vi manchi l' oolite ferruginosa , oppure raffiguri la parte più re- cente del terreno abissico dello stesso Brongniart, quella cioè che vuoisi gene- ralmente distinguere col nome di Lias. Ho detto più sopra, che le conchiglie fossili del calcare superiore non si ripe- tono che in qualche raro luogo delle Venete Provincie, cioè nei dintorni di Ro- magnano nel Veronese, e nel monte Fenera non lungi dal paese di Asolo; lo che debbesi attribuire alla tendenza che hanno i testacei di vivere in società, e di preferire, a seconda delle loro affezioni, piuttosto un luogo che un altro pei istanziare (Zoologia fossile delle Provincie Venete, pag. 12 e 26). Questa tendenza è mantenuta anche fra le conchiglie che vivono nei mari attuali, e ne 4 abbiamo le prove nelle originali osservazioni falle Ja Vitaliano Donati sopra i fondi dell'Adriatico. Vide questo naturalista, che fra la struttura del fondo del mare e quella della superficie della terra non vi passa alcuna notabile differen- za , percbè vi trovò valli, caverne, pianure e monti in gran parte composti di strati sopra strati per lo più orizzontali e paralelli agli strati degli scogli, delle isole e del continente ; si assicurò dell' esistenza di varie eminenze formate di dura pietra, di ghiaja, e di terra più o meno pingue: dalla quale varietà di fondi deduce la cagione , per cui alcuni siti sono fertilissimi, e convenienti alla nutri- zione di molte e diverse specie di piante e di animali, alcuni altri di particolari determinate specie soltanto capaci, ed altri che di piante e di animali sono af- fatto privi (Donati, Storia Naturale dell'Adriatico, con figure. In 4- Ve- nezia (')). Coli' appoggio di queste importantissime osservazioni è facile il dar ragione percbè vi sieno de' monti nei quali niun vestigio di corpo marino ritrovisi , in altri se ne scorgano moltissimi, ed in altri o l'una o l'altra specie ben ordinata e propagata si vegga. I fossili del Pine , dei quali passo immantinente a discorrere, sono tutti muti- lati di una qualche parte , per la somma difficoltà che si oppone al desiderio di poterli schiantare intatti dalla roccia a cui tenacemente aderiscono; circostanza che debbo mettere sotto gli occhi, affinchè non crediate, illustri Accademici, cbe, a scanso di fatica o di tempo, io abbia omesso e diligenza ed arte nel rac- cogliere gli esemplari che assoggetto quest'oggi alla dotta vostra curiosità. Questi fossili appartengono per la più parte a quella famiglia oscura di ani- mali che Laraarck associò alla classe delle bivalvi sotto la denominazione di Ru- distej e della quale il signore Des Moulins propose ultimamente di fare una classe distinta da collocarsi tra quella dei cirripodi, e l'altra delle conchifere. A (i) Il Saggio del Donati usci al pubblico nel 17S0, e fu poi tradotto in francese e stam- palo in Haya l'anno 1758. Dopo gli elogi meritamente imparliti a questa pregevolissima Opera, che guadagnò al suo autore la Cattedra di Storia Naturale in Torino, nessuno vorrà credere giuste le censure con cui Ginnani cercò di oscurarla ; come nessuno starà contento ai giudizii che ne hanno dalo lJallas e Cuvier, il primo neW Elencus Zoophytorum, il se- condo nel quailo volume del suo Regno animale, impresso l'anno 181 7. 11 Pallas conchiuse in luono dogmatico, che il Saggio sull'Adriatico è offerta molto meschina fatta dal Donati alla scienza naturale (Donatimi, qui maris Adriatici, divitiis gratis, sordidulum in naluralis scientiae uerarium tributimi contulit) ; ed il Cuvier si contentò di qualificarlo un onvrage incomplet et superficie!. Si potrebbe dimostrativamente provare la falsità dftl giudizio emesso da questi sommi uomini, se l'Opera del Donali abbisognasse fra noi di apologie. questa nuova classe unisce Des Moulius gl'Ippuriti, ovvero quel geuere di aui- mali che Lamarck aveva riposto fra i cefalopodi, nella persuasione che il guscio di questi fosse internamente fornito di tramezze regolari analoghe a quelle che si ammirano nei Cornammoni, e nelle altre conchiglie politalamiche. Prima ancora di Des Moulins li sigg. Ferussac , Desayes e Orbigny si sono accorti della mancanza di vere tramezze negl'Ippurili, e si avvidero altresì del- l'errore in cui versavano i conchiologi circa l'ufficio del solco laterale iuterno, riguardato per l' innanzi come un sifone simile a quello che attraversa i talami de' Naulili e degli Ammoniti. Tutte queste induzioni sono state poscia corroborale dalle scoperte di Des Moulins, il quale conviene coi pensamenti dei citati autori, e solamente ri- cusa di credere che le foglie o tramezze , di cui sopra dicemmo , sieno state la- vorate dall' animale con gli organi stessi , de' quali si è servilo per fabbricare il guscio, come pensa Deshayes; imperocché, se così fosse, la struttura delle lamelle dovrebbe essere cellulosa com'è quella della conchiglia, ed invece appare solida e compatta. Inferisce da ciò Des Moulins, che le lamelle o false tramezze si deli- bano considerare come il prodotto di secrezioni particolari eseguite da organi molto diversi da quelli che trasudarono il materiale calcano del guscio. Gl'Ippuriti non mancano solamente di tramezze e del sifone per doverli di- staccare dai cefalopodi , ma sono inoltre muniti di una valva opercolare quasi piana, o meno rigonfiata di quella delle Sferuliti, di cui parlerò fra poco. La sco- perta di una seconda valva negP Ippuriti potrebbe sedurre un osservatore poco sperimentato, e forzarlo a collocare questi corpi fra le bivalvi o conchifere di Lamarck; ma un occhio avvezzo a distinguere i caratteri di primo valore si ac- corge ben tosto che la porosità (0 del guscio, la mancanza della cerniera, e delle impressioni lasciate dal muscolo di attacco, sono differenze che debbono allonta- nare gl'Ippuriti dalle conchifere, e ravvicinarli, più che ad altro, a quel genere di avanzi animali fossili, cui il Delametherie impose il nome di Sferuliti. Ciò è quanto ha fatto des Moulins nella plauditissima sua Opera inserita nel Bollettino di Storia Naturale di Bordeaux per l'anno 1827, e il suo esempio sarà certo imitato dai conchiologisti di tutte le nazioni. Fece anche di più: vide Des Moulins che la classificazione di Lamarck abbisognava di essere raddrizza- ta, rispetto a que' generi che furono creati a spese delle Rudiste, e con isquisita (i) Le Rudiste fossili finora raccolte nelle Provincie Venete non presentano nel loro tes- suto indizio alcuno di porosità , per essere interamente passate allo stato di pietra solida e dura. 6 critica tolse a dimostrare che i due generi Birostrite e Radiolile non sono che modelli interni del genere Sferulite, per cui tre generi in apparenza distinti non sono in sostanza che uno solo; come, per le plausibili ragioni ch'egli ad- duce nella citata Memoria , debbonsi del pari ragguagliare alle Sferuliti tutte le specie del genere Jadomia stabilito dal celebre Defrance. Fu dietro queste utilissime indicazioni che volli di bel nuovo rivedere le Ra- dioliti descritte e figurate nella mia Zoologia fossile j per compararle poscia con le Sferuliti che rinvengonsi intatte nel Pine; e dall'esame di confronto che ho fatto appresi che le prime non erano che Sferuliti mancanti del guscio. Questi confronti mi hanno altresì illuminato sulle cagioni che più influirono alla distruzione del guscio , di cui molte bivalvi sono senza ; ma troppo intorno a ciò mi occorrerebbe di dire, ed io mi studio di esser breve per iscemarvi pos- sibilmente la noja. Le forme diverse, sotto le quali si presentano le Sferuliti del calcare alpaghe- se, meritano più che mai di essere ricordate, non essendovi alcun' altra conchi- glia fossile, per quanto io sappia, che mentisca fattezze così disparate fra loro, co- me quelle che sono offerte dal solo genere Sferulite. Diffatli, se c'incontriamo nella sola valva maggiore , non altro si osserva che una bica di lamine cristal- line sovrapposte le une alle altre, formanti un corpo molto elevato, di figura circolare, e fornito di un ampio abbassamento o cavità centrale, dentro cui stava nicchiato il modello (Tav. I. Fig. i.b.). Se al contrario c'incontriamo nella valva superiore, non è facile a prima giunta persuaderci ch'essa appartenga allo stesso individuo, cui si riferisce la valva inferiore; giacché tanto nella forma, quanto nel volume le due valve ammettono fra di loro molte e notabili differenze (Ta- vola I. Fig. 2). Questa seconda valva è assai più piccola della prima; appare se- gnata esteriormente da solchi longitudinali piuttosto profondi, ed è poi così de- pressa, che a buon dritto si meritò il nome di valva opercolare. I solchi mancano negli esemplari della valva inferiore che ho sottoposti agli sguardi vostri, non già perchè di solchi o pieghe sia stala in origine destituta , ma perchè la parte cor- ticale del guscio, su cui erano impressi i solchi, restò aderente alla roccia, come ho potuto accertarmene esaminando il vano lasciato dalla conchiglia dopo di averla distaccata. Una terza forma, al tutto differente dalle due prime, ci porge la Sferulite quando è fornita del suo modello, ovvero quando contiene dentro di sé quel corpo pietroso, che in tutte le conchiglie fossili rappresenta la figura esteriore dell'animale deperito. 11 modello, quando è intatto, ha la forma di due coni 7 uniti pel verso delle basi, e piegatila maniera da formare un angolo più o meno ottuso. Le grandezze relative di questi coni stanno costantemente in rapporto con la profondità rispettiva delle due valve che abbiamo descritte ; e nel punto in cui queste valve si congiungono insieme avvi un rialto o cordone anulare quasi sempre carenato. Io conservo una Sferulite del Pine, il cui modello ade- risce per un solo verso ad una porzione della valva maggiore, e per l'altro si mostra denudato del guscio in maniera die si può agevolmente vedere tutta la sua lunghezza, e osservarne i caratteri. Questo individuo, benché appaja mutilato del cono superiore, e per conseguenza manchi eziandio della valva opercolare, si dà nullameno a conoscere diverso da tutti quelli che furono presi in esame dai naturalisti; imperocché non so che sieno state rinvenute Sferuliti con doppio guscio, e col solco laterale cosi profondo, com'è quello che si ammira nella no- stra Tav. I. Fig. i. s4jB.E nel vero, tutti i nocciuoli che ostruiscono il vano in- terno delle bivalvi sono di aspetto terroso , od almeno non presentano la lucen- tezza spatica e cristallina delle valve, la quale essendo di queste esclusiva, vuoisi additarla ai giovani che coltivano la Geognosia, onde avvezzarli per tempo a di- stinguere i modelli, e le impressioni d'ogni maniera, dai fossili che di conchiglia sono provveduti. La Sferulite che vi annunzio non è dunque munita di un solo guscio este- riore, come nelle altre generalmente si vede, ma di due gusci l'uno dall'altro di- stintamente dissimili: il primo consiste nella valva esterna, che per essere for- mata di lamine disposte in una direzione orizzontale , mostra di non avere al- cuna analogia di formazione col guscio interno; il secondo è invece composto di una esilissima lamina cristallina aderente al modello , situata in direzione verticale, senza essere flessuosa, e senza mostrarsi fornita di quei cordoni che a foggia di raggi d'un ventaglio partono dal margine interno della valva esteriore, per dirigersi verso la maggiore periferia. Dalla descrizione che ho succintamente adombrata dell' intero testaceo, e dal- la esposizione de' suoi principali caratteri è facile accorgersi che l'animale, dopo di aversi fabbricate le valve mediante l'umore pietroso che trasuda dal corpo di tutti i molluschi conchiligeni, ha potuto formarsi un secondo inviluppo, il quale differisce per più rispetti dal guscio esteriore , e principalmente per la disposi- zione verticale che fu data alla lamina di cui è composto. Si chiederà forse , se questo secondo inviluppo sia soltanto esclusivo delle Sferuliti del Pine, o se in origine esistesse in tutte le specie finora diesotterrate nelle montagne degli altri paesi? Senza arrogarmi d'indovinare il magistero tenuto dalla natura per di- struggere il guscio interno a preferenza dell'esterno, eh' è anche il meno pro- tetto dalle ingiurie degli elementi, io porto opinione che tutte le Sferuliti fos- sero provvedute di due gusci di differente struttura, e che la scomparsa di uno di essi si debba ascrivere a quelle stesse cause che incessantemente cooperarono alla decomposizione di tutti quei testacei, di cui non troviamo adesso che i mo- delli. Come poi il guscio esterno abbia potuto mantenersi illeso dalle forze che hanno distrutto il guscio interno, non è difficile a comprendersi, quando si sap- pia che i gusci sfogliosi d'ogni qualunque terreno si rinvengono pochissimo al- terati; laddove gli altri, che non hanno questa strutturaci sono in generale ram- molliti, o ridotti in fatiscenza, o distrutti interamente. Le prove che militano in favore di questa opinione si trovano registrate nel Tableau des corps organiés Jossilesj, messo in luce da Defrance l'anno 1824; come nello stesso Tableau avvi un'osservazione che sembra avvalorare vieppiù il concetto che mi sono creato circa i due gusci che in origine dovevano avere le Sferuliti d'ogni specie. Al- l'occasione di dare contezza delle Sferuliti che occorrono nel calcare della Nor- mandia credette il Defrance di fermare la sua attenzione sopra uno spazio vuoto che v'ha tra il guscio esteriore ed il modello; e, senza decidersi sulla qualità e sull'ufficio della sostanza che dapprima riempiva quello spazio, si contentò, con la solita sua sagacità, di concludere: cet espèce a dù necessairement e tre oc- cupò par un corps qui a disparii après la petrification du moule (ivi, pa- gina 16). Ora qual altro corpo doveva ostruire quel vano , se non il guscio in- terno che ancora sussiste nelle specie fossili del Pine , e che manca in tutte le altre rinvenute fin qui nella Francia, nella Germania e nell'Inghilterra? La quarta ed ultima forma, sotto la quale noi troviamo le Sferuliti del Pine, si è quella che ci presenta il modello disgiunto dal guscio. Quando è intero, esso ha l'aspetto, come dicemmo, di due coni incurvali, uniti base a base; e quando appare dimezzato, esso ha la sembianza di semplice cono, che, per essere quasi sempre un po' piegato, ha ricevuto dagli abitanti del luogo il nome di corno impietrito ( Catullo, Zoologia fossile, Tav. 3. Fig. F). E appunto la varia conformazione di questi modelli che trasse il sommo Lamarck nell'errore di crederli due generi l' un dall'altro distinti, chiamando Bìrostrite tutti gli esemplari muniti dei due coni piegati in arco, e spacciando gli altri come specie particolari del genere Radiolite. Le cose finora dette basteranno per mettere in guardia tutti coloro che, non bene ammaestrati nella Zoologia geognostica, assegnano alle Rudiste i nomi in- competenti di Ostraciti, vdi Ortoceratiti, di Camiti, secondo che accade loro di 9 trovarle sotto l'una o l'altra delle forme clic abbiamo rammemorale; lo ohe deve auebe persuaderli, clic senza il sussidio della Zoologia, da cui la determinazione di tali corpi dipenJe, uon potranno giammai convenevolmente progredire nello studio della Geognosia. Gli altri testacei, di cui è ferace la roccia del Pine, si adeguano al genere Ilippurites di Lamarck, del quale ho fatta menzione più avanti. Des Moulins e Keferstein parlano d' Ippuriti , i quali si distinguono particolarmente perchè oltrepassano un piede in lunghezza , ed hanno una grossezza proporzionata (Teutschland, 1828, pag. 5o3); ma, per quanto le mie osservazioni me l'hanno fatto conoscere, non si raccolgono nelle nostre montagne Ippuriti così volumi- nosi, non avendone trovato nessuno, la cui lunghezza ecceda i cinque pollici. Assai pochi se ne veggono però di questa mole, laddove frequentissimi e quasi direi innumerabili sono quelli che attingono la lunghezza di due pollici, o poco più. La singolarità che più ha potuto sorprendermi si è, che gì' Ippuriti di volume maggiore, messi al paragone dei più piccoli, manifestano differenze essenziali e costanti sì nella struttura del guscio, che nelle fattezze esteriori del modello, come mi studierò adesso di dimostrarlo. Può agevolmente ognuno assicurarsi che il modello degl' Ippuriti di maggior mole è tutto ricoperto di cordoni longitudinali molto rilevati, disgiunti tra loro per mezzo di solchi che ne determinano la grossezza, sopra i quali avvi talvolta le strie o pieghe trasversali indicanti il progressivo ingrandimento dell'animale. Il guscio che ricopre questi modelli è liscio esteriormente, ma nella superficie interna comparisce fornito di solchi, i quali stanno in perfettissimo accordo con la struttura del modello; cioè le parti prominenti dell'uno vanno esattamente a nicchiarsi nelle parti incavate dell'altro (Catullo, Zoologia fossile_, Tav. VII. Fig. A, C) . Tutta la massa che compone il modello è di calcaria bianca, molto so- lida, e pellucida ai margini; la sostanza del guscio è anch'essa calcaria, di tinta costantemente bruna, zonata spesse volte di bianco e di grigio. La permanenza del color bruno, che sembra essere stato il color naturale del guscio, è un attri- buto particolare degl' Ippuriti più grandi, poiché nei più esigui il guscio appare scolorato, o perfettamente bianco, come sono i modelli; lo che conduce a sospet- tare che la tinta dei primi sia dovuta ad una proprietà intrinseca della materia colorante, la quale ha potuto resistere alla decomposizione cui soggiacquero i co- lori di tutte le conchiglie fossili, tanto bivalvi che univalvi, racchiuse nella roccia alpaghese. Confrontando questi caratteri con quelli degl' Ippuriti di minor vo- lume, noi vediamo che il modello di questi ultimi manca di cordoni longiludi- 10 nali, e si mostra affatto liscio; laddove il guscio, in cambio di essere liscio, si palesa rigato per lungo da coste equabilmente distanti luna dall'altra: differenze, per quanto a me pare, molto notabili, percbè ci offrono una prova evidente della varia organizzazione degli animali cui appartenevano quelle spoglie, quantunque non sieno state finora indicate da verun naturalista. Allenissimo dal voler comparire innovatore, mi sono valso di queste differen- ze, non già per isminuzzare un genere conosciuto onde crearne de' nuovi, ma per dividere gì' Ippuriti in due sezioni , ritenendo per tutti il nome generico elle gli fu dato da Lamarck. Per tal modo raggiungo lo scopo che mi sono pro- posto, di esibire una divisione stabilita su differenze essenziali, senza ricorrere all'espediente di allungare la lista dei generi, siccome fanno alcuni pochi fra i moderni naturalisti, i quali col pretesto di contribuire vieppiù ai progressi della Zoologia, e senza avvedersi degli abusi ch'essi vanno introducendo nella nomenclatura, cangiano in una scienza di nomi ciò ch'essere dovrebbe una scienza di fatti. Fra le bivalvi che meritano di essere studiate con più di attenzione, perchè con meno frequenza delle altre si ravvisano nel calcare del Pine, ricorderò la Plagiostoma gìgantea di Sowerby , di cui il Gabinetto di Storia Naturale di Padova possiede per mia cura un bell'esemplare tratto dal Lias di Bristol nel- l'Inghilterra. Questa conchiglia suboibicolare è ricoperta di pieghe molto sensi- bili nelle parli più prossime al margine superiore, e riesce al tutto liscia verso il cardine, dove si mostra mancante di quella porzione di guscio che costituisce la cerniera. Nella forma generale si accosta agl'individui della Plagiostoma Mantelli j ch'io rinvenni nella scaglia dei Sette Comuni (Zoologia fossile j pa- gina 267); ma nella parte anteriore del margine laterale non si vede l'incavo profondo indicato con molta premura da Brougniart, per dimostrare la differenza che v'ha tra le nominato due specie (Environ de Paris ^ pag. 385, Tav. IV. Fi- gura 3. A} B). L'altra conchiglia che occorre di rado nel Pine spetta al genere Podopsis, ed appartiene senza dubbio veruno ad una specie non ancora descritta né figurata nelle Opere di Conchiologia. A prima giunta sembra avere qualche rapporto con la Podopsis truncata di Lamarck; ma la valva inferiore dell'individuo fossile che ho dinanzi, comparisce più turgida, se vuoisi paragonare con la figura data da Brongniart (Environ de Paris,, Tav.V. Fig. 2. JJB),h quale è anche munita di punte che mancano interamente nel nostro esemplare. Si allontana altresì dalla Podopsis striata di Defrance per non avere il margine superiore così dilatato, 1 1 com'è quello di quest'ultima, di cui il Brongniart ci porge il disegno (<). Deggio per altro avvertire di avere staccato dal calcare medesimo una bivalve che si potreb- be forse riferire alla Podopsis truncata^ bencbè abbia in tutta la lunghezza dei cordoni gli avanzi delle spine, e non solamente nelle parti più prossime al cardi- ne, come si vede nella figura che ho citata. Non è maraviglia rinvenire questa specie nel calcare del Pine, poiché in Francia si trova impastala nella glauconia inferiore alla creta, eh' è quanto dire in un terreno molto propinquo al calcare del Jura. L'ultima delle bivalvi che ho raccolte nel predetto calcare appartiene alla fami- glia delle Oslracee divisata da Lamarck, e al genere delle Grifee. Confrontata con due esemplari della Gryphea dilatata di Sowerby, discoperti nella creta di Lem- forde, non ci ho ravvisato altra differenza, se non che l'apice del cardine non appare come in quelli compresso, e le pieghe trasversali della valva maggiore sono meno flessuose, e più larghe; per lo che mi sono risolto di giudicarla una semplice varietà della specie descritta e disegnata da Sowerby. Insieme con le Sferuliti, con gl'Ippuriti, con le Plagiostome e con le Grifee, vi sono nel calcare medesimo inviluppate varie altre conchiglie univalvi, alcune delle quali vincono in quantità tutte le altre, sebbene per lo stato di detrimento, nel quale si trovano, non si possa che assai di rado riconoscere il genere a cui appartengono. Fra un centiuajo di esemplari che ho fatto scavare sotto i miei occhi medesimi rinvenni i modelli di due grosse univalvi, le quali spettano al genere Ovulo, di Lamarck, di cui straordinaria copia d'individui si vede spor- gere dal ciglione calcano che si erige in fianco all'osteria di Fadalto, poco sopra il villaggio di S. Croce. Rinvenni ancora una Natica, un Cassis, e parecchie Turritelle munite di guscio, ma inviluppate nella roccia in maniera da non po- tervi contemplare i caratteri dell'apertura. Fra queste ultime alcune ne trovai di lunghissime, mutilate in ambi i capi, le quali mi hanno presentato contrassegni abbastanza evidenti per crederle molto affini alla Turritella Borsonìi disegnata nella Tav. III. Fig. E della mia Zoologia fossile. Dall'esame fatto intorno alle univalvi di lunga spira mi pare di poter con più franchezza sostenere, che il mo- dello ch'io appellai Turritella Borsonìi sia, quale lo qualificai, una Turritella, e non una Nerinaj come sembra inclinato a sospettare il celebre Ferussac. Ag- li) (Ivi Fig. 3. A, E). La figura di Brongniart ha il margine superiore così esteso e roton- dato, che rappresenta un segmento di circolo, e la conchiglia riesce conseguentemente più larga che lunga. Gl'individui della Puilopsis striala, che si rinvengono nel Pine, sono per lo meno due volte più piccoli della figura. giungo di più: se il carattere che allontana le Nerine dalle Turritelle consiste solamente nell'andamento dei solchi che circoscrivono gli anfratti del modello, il primo dei nominali due generi deve rientrare nel secondo, imperocché le Tur- ritelle dell'Alpago, a cui ho staccato a bella posta porzione del guscio, hanno per nucleo una spirale similissima a quella delle Nerine. Ciascuno degli anfratti piani del guscio occulta sotto di se due giri convessi della spira che compone il modello, come ho cercato di esprimerlo nella figura. Sono queste, dotti Accademici, le osservazioni che ho fatte sulle falde die sorgono ai due lati della valle di S. Croce, dalle quali crollarono per accidentali eventi que' voluminosi massi di calcare che qua e là veggiamo iu ambi i lati della strada che ascendendo conduce a Fadalto, e che continuano a mostrarsi fino al villaggio detto la Secca. Forse taluno potrebbe chiedere: come il calcare dell'Alpago possa ammettere una quantità così prodigiosa 'di corpi marini, ebe non si avvera in nessun altro terreno secondario delle Provincie Venete; e come sia addivenuto che tali corpi più non figurano fra le specie che vivono tuttavia nei mari ? Io non allungherò il mio ragionamento per rispondere alla prima di queste inebieste , avendo già altrove ricordato che la tendenza che hanno le conchiglie dei mari odierni di prediligere certi fondi per abitare, si presta a rendere esatta ragione di tutte le circostanze che accompagnano la giacitura delle conchiglie fossili; e rispetto alla seconda , è cosa ormai notoria che le specie periscono come gì' individui , e che al destino delle conchiglie hanno soggiaciuto gli stessi quadrupedi che po- polavano il mondo d'una volta, e de' quali veggiamo le spoglie in un gran nu- mero di paesi. Di questo grande fenomeno rendono ragione i geologi suppo- nendo che le specie sieno perite in causa dei cambiamenti avvenuti nella tem- peratura; e questa opinione è anebe corroborata da falli che non sono senza valore. La distruzione delle razze si effettuò gradatamente, e coli' ordine stes- so col quale 1' altezza della crosta terrestre si andava successivamente ingros- sando in causa del raffreddamento prodotto dalla radiazione del calorico interno della terra verso gli spnzii planetarii, senza che nessun individuo abbia potuto protrarre la sua esistenza, onde mantenere la specie. Qualunque valore aver possa la causa che vuoisi assegnare a questo grande esterminio di creature, sarà sempre vero e incontrastabile, che la somiglianza degli animali fossili con le forme di specie ancora viventi si perde mano a mano che le rocce , nelle quali sono presi, diventano più remote nella serie generale della sovrapposizione. DESCRIZIONE DELLE SPECIE ORGANICHE FOSSILI CHE SI TROVANO NEL CALCARE JURESE DELl'aLPAGO. Spherulites duplovalyata, Nob. Tav. I. Fig. \. A3 B3 b. Testa inequivalvis? crassissima; valva infcvìor cjlindraceo-conica3 lamel- ìis magnis horizontaUter composita 3 sulcis transversim instvucta ; nucleus corniformis j injlexus , extera facie lamellis adpressis cinctus. Valva supe- rior plus minusve conica? aut complanata? Questo fossile non presenta che la parte inferiore Ji una Sferulite , la quale consiste nel cono più lungo, ricoperto per un solo verso dalla sua valva, come si scorge nella figura che ho allegata. Des Moulins giudicò che la struttura del guscio nelle Sferuliti sia cellulosa, e non fogliacea; ma valga il vero, tutte le valve che ho raccolte nel Pine sono composte di un aggregato di sfogli cristal- lini sovrapposti gli imi agli altri, e formanti sul margine esterno altrettante la- mine orizzontali più o meno regolari, e più o meno flessuose. Non tutti vorran- no persuadersi che la struttura di questi gusci fosse cellulare in origine, ed ab- bia ricevuto la compage lamellosa durante il processo della petrificazione, come pensa Des Moulins ; imperocché il lavoro della petrificazione sarà bensì vale- vole per ostruire i pori di un corpo qualunque, ma non già capace di sconvol- gere le sue molecole, e di dare a queste la forma di lamine addossate le une sulle altre a guisa de' fogli di un libro. Queste lamine strette così insieme dan- no alla valva la forma di un cilindro un po' conico, dal cui centro esce fuori il modello che raffigura l'animale. Lo stato di detrimento della conchiglia non per- mette di vedere in tutta la sua estensione il modello , il quale ha la figura di un cono lungo circa tre pollici, incurvato alquanto verso l'apice, e ricoperto da un secondo guscio formato di lamine verticali, cioè a dire disposte in una dire- zione al lutto diversa da quella delle lamine che compongono il guscio este- riore. Questo aderisce col lembo interno delle sue lamine al guscio che rico- pre il modello, e si distende orizzontalmente, incurvandosi nel mezzo della sua larghezza, per formare quella specie di doccia che si vede nel centro. La parte anteriore del cono è segnata per lungo da un solco che si prolunga anco nel cono superiore quando il modello è birostralo. Nel punto ove il guscio si mette a contatto del solco esso riceve una conveniente inflessione, e tale da potersi adagiare anche in quella parte del modello che appare segnata dal solco predetto. *4 La varia disposizione delle lamine componenti i due gusci, e la mancanza di varici e di solchi nel guscio interno, mi hanno fatto supporre nelle Sferuliti la coesistenza di due gusci fra loro indipendenti, l'uno formato di lamine trasver- sali o paralelle all'orizzonte, l'altro composto di esilissime larainelte cristalline, le quali a foggia di astuccio ricoprono quasi interamente il modello. Spheruliles umbellata, Noi). Tav. I. Fig. 2. Testa orbiculari , conico- depressa _, superne acuminala ; plicis longitudi- nalibus profunde sidcatis, transversim rugosis. Somiglia più che mai alla Spherulites Jouannetii di Des Moulins; ma questa ha l'apice globoso formato dal birostro, e mostra di appartenere alla valva inferio- re, mentre la nostra si riferisce alla valva superiore, il cui apice riesce acumi- nato, ed un poco eccentrico. Non vi si vede alcuna traccia del birostro, o model- lo interno, e tutta la cavità comparisce ostruita dalla pietra, sopra la quale appog- gia la conchiglia. La parte corticale del guscio è quasi terrosa, segnatamente in vicinanza del margine ; e la parte interna appare composta di lamine imbricate e cristalline. Questa valva, eli' è la sola che ho trovato, ha tre pollici e due linee di diametro. Un'altra valva consimile mi fu offerta in dono dall'egregio sig. Guer- uieri di Belluno, che la trasse dal calcare del Pine , la quale, sebbene alquanto detrita, si accosta nella forma generale alla nostra; ma non saprei assicurare che essa appartenga veramente alla" specie che ho figurata. Spherulites Da Rio, Nob. Tav. I. Fig. 3. Valva superior opercularis , lamellosa j extera marginerà striata , valva injerior horizontaliter posila; cono minore parvulo j sulco lateralis profon- dissime exarato , striis transversis inferne remotiSj superne approximatis ; cono ma j ore incognito. Nel pezzo di roccia die ho dinanzi non si vede il margine inferiore interno della valva più grande, dal cui centro si eleva il cono più piccolo del birostro, il quale è fornito in parte della valva superiore, ed in parte si mostra scoperto. 11 cono maggiore vi manca , od almeno non si scorge nella roccia alcun seguo che possa indicare la sua esistenza; e nel cono minore si riconoscono distinta- mente le strie circolari, più contigue tra loro verso l'apice, che verso la base. Un solco profondo sì diparte dal vertice del cono, e si distende su tutta la luu- iS ghezza , per progredire sul cono opposto. Des Moulins non potè decidere se questo solco esista in ambi i coni del birostro, e pare clie la Spherulites in- gens gli abbia presentato un solco in ciascuna delle facce laterali del cono più grande, e non un solco solo, come si verifica in tutti i modelli di Sferuliti sca- vati finora nel calcare alpagbese. Spherulites Da Rio? Nob. Tav. I. Fig. 4. Birostrites, Lam. Birostro jConis inaequalibus crassiSj postice sulco longitudinali profundis- si me exarato; cono majore praelongo } J'acie interna subjlexis; cono minore brevissimo subrecto. I coni di questo birostro si veggono separati sopra due pezzi di calcare alpa- gbese, cui aderiscono in maniera da poter facilmente misurare il diametro delle rispettive loro basi. Dagli esami, cbe vi bo fatti sopra, appresi cbe la base del cono inferiore corrisponde esattamente nell'ampiezza della sua periferia alla base del cono superiore, ed il solco impresso sulla faccia esterna del cono più grande corrisponde del pari al solco cbe si scorge sul cono più piccolo; laonde sono nell'opinione cbe i due coni, quantunque disgiunti fra loro, altro non sieno cbe il birostro d' una Sferulite munita del guscio interno. Per quanto spetta alla specie, io non oso affermare che questo modello si adegui alla Spherulites Da BiOj a cui l'ho con dubbio associato, perchè quella Sferulite, oltre di esser più piccola, non presenta alcun seguo dell'esistenza del cono infe- riore, ed ha sul cono più piccolo le strie circolari che mancano nel modello del quale si parla. SEZIONE I. Ippuriti col modello fornito di scannellature longitudinali, e col guscio esteriormente liscio. 1. Hippurites Fortiis, Nob. Zoologia fossile delle Provincie tenete. Pag. 171. Tav. VI. 2. Hippurites fitoideus, Nob. Ivi, pag. 178. Tav. VII. 3. Hippurites nanus, Nob. Tav. II. Fig. 2. Hipp. conicus, rectusj ventricosus ; apices obtusus ; extra sulcis longitu- dinalibus exaratus ; rugis transversis leviter inslructus. Questo modello cilindraceo-conico è rigato per lungo da solchi profondi, sui quali aderisce in qualche luogo un esilissimo straterello bianco, cristallino, ch'io riguardo come un avanzo della parie più interna del guscio. La sua lunghezza non eccede punto la larghezza della base, ch'è un poco ovale; e questa circostan- za dà al corpo una forma tozza e irregolare. Nell'apice vi manca quella specie d'incurvatura diesi vede negli altri Ippuriti, ed il cono appare trasversalmente fornito di lievi depressioni, che a foggia di anelli lo cingono tutt'all' intorno sen- za interruzione. Gli esemplari finora raccolti di questa specie mancano della valva superiore, e molti sono impiantati nella roccia in maniera da non potervi scorgere traccia alcuna della valva predetta. Fossile nel Pine. 4- Hippurites turriculatus, Nob. Hipp. conicusj, ìeviter arcuatus; sulcis longitudinaliter crassìs; inferne plano -truncatus. Zool. fossile, pag. 172. Fortis, Viaggio in Dalmazia. Tom. I. Tav. VII. Fig. 14. Fossile nel Pine. SEZIONE II. Ippuriti col modello liscio, e col guscio esteriormente rigato per lungo da solchi profondi. 5. Hippurites turricula, Nob. Tav. I. Fig. 5. Testa conica , abbreviata, leviter incurva; costis inaequalibus longitudi- naliter instructa. Valva superiore teda. A. questa specie ho staccato a bello studio una porzione della valva per mettere allo scoperto il modello interno, il quale, come lo dimostra la figura, è liscio, e liscia del pari mi riesci alloccliio la superficie interna della valva medesima, già cambiata in uno spato brillantissimo e cristallino. Altrove ho fatto osservare che tutti gli Ippuriti aventi il guscio esteriormente solcato hanno il modello levi- gato , laddove nelle specie che mancano di solchi esteriori si vede tutto il con- trario. Questo fossile esiste copioso nel Pine, e qualche esemplare ho potuto an- che vederlo nel calcare di Borsoi nell'Alpago. 6. Hippurites contortus, Nob. Tav. II. Fig. 3. Testa conica , elongata , sub re eia , aut plus minusve contorta; costis ca- rinatis jjlexuosis j, lateribus longitudinaliter sulcatis ; septis inlerioj-ibus de- terminabilibus nullis. Valva superiore teda. Questa specie, che rinviensi sempre provveduta del guscio, si distingue da tutte le altre congeneri in grazia della sua forma bacillare, la quale a prima giunta darebbe '7 motivo di classificarla fra le Baculiti di Lamarck; ma un allento esame de" suoi caratteri la fa ben tosto conoscere affine al genere Ippurito. Trovasi frequente- mente attaccala agli individui della sua specie, ed è spesso difficile incontrarsi in un pezzo di roccia che in se contenga un solo esemplare àeW Hippurites con- tortus. Lunghezza poli. 3, diametro dell'apertura linee io. 7. Hippurites dilatalus, Nob. Tav. II. Fig. 1. Testa conica.^ apice (testae basi) laevigata; costis longitudinalibus inac- qualibus instructa. L'apice del cono , rappresentante la base della valva inferiore, manca di strie, e il guscio in questa parte n' è affatto liscio, mentre il reato della conchiglia ap- pare fornito di coste longitudinali più 0 meno grosse ed ottuse. Non voglio già passare in silenzio , che molti sono gli Ippuriti i quali , benché dotali di cosle , hanno tuttavia la punta levigata, nella stessa maniera che l'ha l' Hippurites cornu-pastoris di Des Moulins (Essai sur les Sphéruì. Tab. X. Fig. 1.). Niente posso dire, lo ripeto, della valva superiore, perchè questa manca in tutti gli Ip- puriti che ho raccolti sin qui nelle dolomie e nel calcare jurassico delle Pro- vincie Venete. Lunghezza poli. 2, larghezza poli. 2. lin. 2. CONCHIFERE. 8. Venus alpaghina, Nob. Zoologia fossile , pag. i65. 9. Venericardia? crenata, Nob. Ivi, pag. i65. Gualtieri, Testaceo/*. Tab. LXXII. Fig. E. io. Plagiostoma gigantea, Sowerby. 11. Podopsis truncata? Lamarck. 12. Podopsis arcuata, Nob. Tav. II. Fig. 6. Testa longitudinali, cuneataj incurva j crassissima; striis longitudinalibus crebris; nate majore prominente; non injlexo. Non è la Podopsis truncata di Lamarck, perchè questa ha la valva inferiore più larga, meno turgida, e meno incurvata della nostra, la quale somiglierebbe piuttosto ad una Grifea. Si discosta però dalle Grifee per non avere il beccuccio cardinale della valva inferiore incurvato a spirale, e per essere longitudinalmente striata alla foggia dei pettini. La valva superiore, o più piccola, rimane nascosta nella roccia; e la inferiore comparisce segnata per lungo da strie molto sottili, 3 ma nondimeno elevate abbastanza per poterle senza stento numerare. 'Lunghezza poli. i. lin. 8, larghezza del margine superiore poli. i. lin. 3. i3. Griphea dilatata, Sowerby. UNIVALVI. i4- TurritellaBorsonii, Nob. Zool. fossile ..Jjag. 170. Tav. III. Fig. E, e Tav. IL Fig. 5. della presente Memoria. La figura di questa specie, già pubblicata nel volume IX. del Giornale scien- tifico di Pavia sotto le sembianze del suo modello, e poscia riprodotta nella Tavola terza della Zoologìa fossile, fu presa in considerazione dal signore de Ferussac, il quale fé anche buon viso a quel disegno, ma noii al tutto si mostrò persuaso ch'esso rappresenti una Turritella , come lo dà a divedere il seguente passo che leggesi nel plauditissimo Bollettino ch'egli dirige: Cette curieuse et jolie espèce est bìen figure sur un planche qui accompagne ce M emoire. Il se pourrait que ce ne fut pas une veritable Turritellc (Fevrier, 1828); il che avvenne, a parer mio, per questo singolarmente, che i solchi degli anfratti non sono fra loro contigui , o comunicanti fra loro cosi , che se intorno vi giri con la punta di una spilla, questa passa dal primo al .terzo solco senza punto toccare il secon- do, o dal terzo al quinto seuza girare sul quarto; e via discorrendo degli altri: dalla quale maniera di anfratti vuoisi riconoscere il genere Nerina di Defrance. In una mia Memoria accompagnata da figure, e inserita negli Annali di Storia Naturale che si stampavano a Bologna fi 828), ho messo in dubbio il valore attri- buito al carattere che distingue il genere Nerina j e dichiarai di restare con- tento alla probabilità che quel carattere possa eziandio competere alle Turritelle del terreno jurassico. Quel dubbio si è ora mutato in certezza, avendo scoperto che gli anfratti delle Turritelle del Pine sono conformati nella stessa guisa di quelli che servirono di scorta a Defrance per creare un nuovo genere. Gli esemplari che ho raccolti quest'anno (i83i) sono corredati del guscio, il cui principale carattere consiste negli anfratti piani, liscii, distinti l'uno dal- l'altro da una leggierissima linea che corre spiralmente, e va a formare le su- tUTe. Ho levato, non senza difficoltà, gran parte del guscio ad alcune di queste Turritelle, e trovai che ogni anfratto, circoscritto dalle due suture esteriori, rico- pre due giri della spira interna, i quali non sono già piani, ma convessi, e divisi fra loro da un solco spirale beu più profondo di quello che determina la lar- ghezza degli anfratti del p.scio. Dagli esami fattivi sopra vidi che la struttura '9 degli anfratti del modello era perfettamente identica a quella della Turritella Bor- sonii, e vidi ancora che a questa specie appartengono senza dubbio veruno al- quanti degli esemplari muniti di guscio che ho per le mani. Noto inoltre, che molte sono le specie di Turritelle che si possono trarre dal Pine , alcune delle quali, se debbesi giudicare dalla grossezza dei frammenti, attingevano alla lun- ghezza di un piede, ed anche più. Da quanto scorgo in questi frammenti pare cbe tutte le Turritelle del Pine sieno fornite di anfratti piani, liscii, e in gene- rale più larghi degli anfratti che presentano le specie congeneri cbe troviamo copiose nei terreni terziarii. i5. Amplexus flexuosus, Nob. Tav. II. Fig. 4. Testa elongato-cylindrica,fiexuosa} non spiralisj sulcis longitudinalibus exarata; extus rugisj, transversis crebrerrimis instructa; septa transversa concava omnino ordinata. Conchiglia multiloculare , di lunghezza indeterminata, molto somigliante ai fusti di un polipajo, e più particolarmente ai cilindri della Caryophyllia Jle- XUOMj con cui si può anche confondere quando gli individui si presentano ag- gruppati insieme pel verso della loro lunghezza. I solchi longitudinali appajono trasversalmente segnati da rughe equidistanti, talvolta impercettibili ad occhio nudo. La cavità tubulosa interna di queste conchiglie è divisa da setti o tra- mezze , il cui numero non è sempre costante , se vuoisi considerarlo in molti fusti ridotti ad una medesima lunghezza. I pezzi nei quali si annovera un mag- gior numero di talami , sono meno grossi degli altri ; e ove la grossezza dei fusti riesce uniforme, gli spazii circoscritti dalle tramezze sono tulli della me- desima larghezza, e solamente compariscono più lunghi quando i setti si mo- strano più rari. Le pareti delle cavità interne sono ovunque ingemmate di mi- nutissimi cristalli di calce carbonata , ed anche di piccole concrezioni spatiche , le quali tappezzano soltanto il vano di ogni celletta senza riempirlo interamente. Questo fossile si allontana dall' amplexus coralloides di Sowerby, perchè la sua superficie imita un finissimo lavoro a maglia mediante l'intreccio delle rughe longitudinali con le strie trasversali, e perchè ha il fusto molto sottile; caratteri che non si riscontrano nella figura esibita da Sowerby, già riprodotta fedelmente da Bronn [System der urweltlichen konchylieìij 1824, in fol. Tav. I. Fig. i3). Non posso dare la lunghezza assoluta di questa conchiglia , per non averla, trovata finora che sotto forma di frammenti inviluppali nella roccia calcaria del Pine, talvolta soli, talvolta associati ad altri frammenti della medesima specie. 20 Nomi delle specie figurate nelle Tavole. Tav. I. Fig. i. ABb. Spherulites duplovalvata, Cat. Fig. 2. Spherulites umbellata, Cat. Fig. 3. e 4- Spherulites Da Rio, Cat. Nella Fig. 4- i coni del bi- rostro sono fra loro separati. Fig. 5. Hippurites turricula, Cat. Tav_ II. Fig. i. Hippurites dUatatus, Cat. Fig. 2. Hippurites nanus, Cat. ...... Fig. 3. Hippurites contortus, Cat. Fig. 4- Amplexus flexuosus, Cat. Fig. 5. Turritella Borsonii, Cat. Fig. 6. Podopsis arcuata, Cat. M materiale dell'organismo. » Le molle osservazioni e le decisive sperienze di Brachet (2), di cui non mi è dato qui riferire i particolari, ma che ogni dotto Medico ora conosce, conten- gono appunto in loro slesse la spiegazione del come negl'intestini paralizzati del nostro malato, mercè gli atti dipendenti dal sistema ganglionare, siasi mante- nuto un modo di vita che bastò ad impedirne la disorganizzazione, l'atrofia, e l'incollamento delle interne pareti. Le cose fin qui dette circa il tubo intestinale crasso sono applicabili in gran parte alla vescica urinaria , poiché al pari del retto essa riceve nervi dai rami spinali alla regione del sacro, e dalla inferior parte del gran simpatico. Senonchè intanto si rende più difficile il ragionare sulle avvenute e narrate aberrazioni riguardo alle funzioni dell'apparato uropojetico, in quanto che molto rimane a scuoprirsi sulla mirabile economia degli organi che vi prendono parte. Se ciò non fosse, non sussisterebbero ancora le antiche quistioni circa le vie di comunicazione dirette fra lo stomaco e la vescica, sul modo onde succedono i vomiti urinosi, e così via via. Ciò accennato soggiugnerò, quanto al caso nostro, che la vescica urinaria al sommo ristretta, con pareti ingrossate e dure in conseguenza dell'aver essa par- tecipato agli effetti dei processi morbosi che indussero il descritto slato patolo- gico degl'intestini e di altre parli, e per la deficienza altresì di quell'azione nervosa che le deriva dai nervi spinali, non poteva accogliere che a slento le urine separate dai reni rinvenuti sani. Al contrario l'accresciula attività dello stomaco, la sua grande capacità, l'atto frequente del vomitare, solito a render sempre minore la quantità delle urine in tutù, e talvolta persino a sospenderne (1) L. e. pag. ■Gè. (2) Recherehcs expérimenlales sur Ics functions du système nerteux ganglionaire, p. 236. Bruxelles 1 834- 39 la secrezione per lunghi intervalli , tendeva ognora a scemare vie più il loro concorso verso la vescica. Parrebbe potersi dire che in questo caso si verificasse quello stato a cui al- ludeva il profondo Presciani dicendo: « Non può egli darsi che il copioso as- » sorbimento dei linfatici del ventricolo produca in alcuno dei linfatici dei reni, «con essi comunicante, un accrescimento tale di diametro, che le valvule non «più siano capaci di serrarlo perfettamente , e che restando aperto un piccolo )> spazio fra i loro margini, sia concesso alla materia assorbita il mezzo di retro- » cedere, e che i linfatici dei reni in vece di assorbir da essi, in essi anzi sca- nnellino ciò che da quei del ventricolo hanno assorbito (')?» Se grave ci diventa il piegare la mente a simili ragionamenti, non però man- cano alla storia medica i falli che provano prodursi niente meno eccezioni gra- vissime alle leggi fisiologiche, onde suole effettuarsi la secrezione e l'uscita del- le urine. Il Dott. Carlo Cavalli ha recentemente pubblicata la storia molto erudita di una donna che vive inferma da 28 anni, nella quale un copioso vomito urinoso, in mezzo a molti altri strani fenomeni , è succeduto più volte per essere stata ritardata la estrazione delle urine trattenute in vescica; vomito che era prece- duto da un gorgoliamento progressivo; che cominciando alla regione della vescica,, ascendeva gradatamente e portavasi allo stomaco; vomito, si aggiun- ga, che potevasi prevenire, giacche (come scrive il nominalo Medico) se la siringa introducevasi quando si operava il passaggio del liquido dalla vescica allo stomaco, vedevasi come una lotta repentina, per la quale tutti ì visceri del basso ventre sembravano in movimento. A questa susseguiva momentanea calma ; quindi ripigliavasi il gorgoliamento in senso inverso, ed in meno di un minuto (cosa mirabile a dirsi) sortiva per V istrumento a pieno getto la orina (2). La quale singolarità di fenomeno, secondo il Dott. Cavalli, proverebbe ad evi- denza esistere la cotanto controversa diretta via di comunicazione fra Io stomaco e la vescica. Quanto al caso di cui ragiono io , parmi che quadri meglio la maniera di spiegazione data colle parole del Presciani, la quale mi ha servito a compren- dere in qualche modo anche come abbia potuto vivere 20 interi anni senza eva- cuare urine la donna ricordala da Tommaso a Veiga,e di cui parlai nella Sto- (1) L. e. P. II. pag. 22. (a) Storia ragionala di straordinaria maialila, di Carlo Cavalli. Milano i834,p. 3o e 3i. 4o ria per me stampata (0; e come del pari molti più anni non orinando, abbia vi- vuto il paraplegiaco di cui l'illustre Olliever d'Anger ha fatto cenno alla Reale Accademia di Medicina di Parigi a' 2G di Febbrajo i833, riferendo apposita- mente sul caso da me pubblicato (2). E comunque poi vogliasi opinare circa il modo con cui si producono questi siugolari accidenti, si dovrà sempre vedere in essi in ultima analisi un effetto conservatore di quelle organiche leggi, le quali agendo tulle, per così dire, in solido al gran fine di allontanare la morte , sviluppano mezzi di risorse e di compensi in una parte, mentre nell'altra si turba e perisce il regolare anda- mento delle funzioni proprie di questo o quel viscere o sistema; sembrando pure esser legge «delle azioni nervee l'illanguidire tanto di più in alcuni or- li gani, quanto più in altri sono esorbitanti, » come riflette l'illustre Buffalini (3). I quali fatti , come io diceva sin dalle prime , possonsi esprimere colla giusta frase di poteri fisiologici superstiti,, usata dal Puccinolli. Fu per essi che Valetto ed altri con lui vissero a lungo in circostanze così diverse dal comune , e fu allora che Yaletlo si vide al contrario declinare in preda a tormentosi e sempre maggiori guai, quando illanguidendosi in lui que' poteri, la sua antica malattia giunse a produrre gli estremi suoi effetti. Avvertasi però, che la vescica urinaria per le ragioni accennate resa prece- dentemente così ristretta, e colle pareti tanto dure e dense come si videro nel cadavere, potè salvarsi dalle fatali conseguenze cui sogliono andare incontro i pa- raplegiaci. Quando cioè per la scemata attività dello stomaco, e per altre recon- dite mutazioni avvenute nell'interna condizione de' visceri, palesale dai feno- meni osservati negli ultimi tempi della malattia e riferiti nella Storia, gli organi secernenti l'urina ripresero il loro ufficio, la vescica lungi dal cedere ad una distensione capace di condurla allo sfacimento, come sì spesso avviene nei casi ordinarli, Irovossi anzi in istato di resistere, ed alla assai più che nel suo stato naturale a mantenere l'integrità delle sue membrane. Si avverta ancora, che a preservare questo viscere dai danni cui doveva es- sere esposto, può avere contribuito l'indole slessa dello scarso liquido che vi di- scendeva quasi affatto inodoro e privo d'alcalescenza, coni' ebbi più volte a ve- rificare visitando negli ultimi tempi il malato , e come pure osservò e scrisse (1) Storia ragionata di paraplegia antica, pag. i3. (2) Archives Générales ile Moderine eie. Fevrier i833, pag. 3o2. (3) Storia di un tetano reumatico ec, inserita nel Giornale per servire ai progressi della Patologia ec. Venezia. Fase. III. Dicembre i834, pag. 444- 4' l'attento sig. Dottor Menalo nella sua informazione inviala all' Autorità da cui egli dipende. E questa osservazione di allora mi fa pensare adesso alla possibi- lità, che in addietro sortendo quell'umore col vomito giornaliero copiosissimo per la molta acqua die l'infermo beveva poco prima di recere (i), misto ai cibi non digeriti ed all'acquavite tracannata a più riprese, non potesse essere av- vertito l'odore alcalescente suo proprio. Ma ben altramente procedettero le cose per ciò che spetta al tubo intestinale, soprattutto al crasso, rinvenuto, come si riferì, cotanto diverso dallo stato natu- rale nel cadavere. Le sue tonache rimaste pervie per la già notala influenza sulla vita organica del gran simpatico, avevano lasciato necessariamente disten- dersi dai materiali che mano mano depositavansi superiormente; né ciò avvenne senza violenti conati e sofferenze grandissime, descritte parlando oggi degli ul- timi tre anni del male, e registrate in parte nell'Appendice li. della Storia pubblicata nell'anno 1833. Dopo quell'epoca nessuna forza poteva far ritornare que' materiali come pri- ma per lo stomaco, poiché erano di già troppo discesi, né per l'inattività asso- luta del crasso intestino, e atteso gli ostacoli in esso esistenti, potevano poi que' materiali stessi essere eliminati per l'alvo. La paraplegia infine condusse così il processo disorganizzatore rinvenuto in quella parte degl'intestini che ne sentiva più immediatamente la fatale conse- guenza , e per essa il tubo intestinale si trovò ivi ridotto alla condizione di un tubo inerte e al tutto passivo. Esso lasciò per tal motivo passare dalla sua estremità inferiore un liquido misto a quelle materie istesse che contemporaneamente uscivano per vomito, e poco dopo avvenne la morte. Questa fu ritardata a lungo in Valelto ; la malattia non seguì in lui il suo corso sollecitamente, quale lo segnò Ippocrate sulla base di molte osservazioni confermate dalla successiva sperienza; non già perchè non dovesse un giorno compierlo e finire, come quel gran vecchio scrisse, ma perchè vi si opponeva eventualmente una serie di ragioni che il filosofo contempla ed analizza, mentre il volgare leggermente sorride, o balbetta incondite voci. Le quali ragioni tutte dipendono, se ben si riflette, da un generale principio patologico. Questo prin- cipio si confà tanto alla storia del caso per me discorso, che, nel por fine al mio qualunque ragionamento, concluderò esponendolo coli' autorevole appoggio (i) Storia ragionata ec. pag. 7 e 23. 42 del celebre Lallemand, il quale dice (»): « Non sono punto da confondersi gli ef- » felli lenii sulla midolla spinale di una successiva raccolta di sierosità, con quelli «della sua istantanea distruzione. E noto che ogni cangiamento rapido in una » funzione , ogni subita alterazione in un organo produce un disordine più o « meno grave nelle funzioni degli altri organi, quando invece quella medesima » alterazione, lentamente avvenuta, non cagiona il medesimo disordine nell'eco- nomia, u (i) Olsenations pathologiques propres à eclairer plusicurj points de Phjsiohgie. Par. 1825, PaS- 78- DEI SOCCORSI RECLAMATI DALLA SCIENZA E DALLA UMANITÀ A SALVAMENTO DEI SOMMERSI IN PADOVA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXIII GIUGNO MDCCCXXXV DAL SOCIO ATTIVO GIUSEPPE LUIGI GIANELLI Ì3e tutte le utili costumanze di oltramare potuto avessero trovar luogo e ri- promettersi accoglimento in questa bella Penisola, non dovrei oggi, illustri Ac- cademici, richiamarvi al pensiero casi tristissimi, e risvegliare in voi unitamente all'amore de' nostri il desiderio vivissimo di sovvenire alle loro calamità. Al rin- novellarsi di morti accidentali o deliberale per sommersione o per altra di quel- le cause, che prima conducono l'uomo allo stato di sola asfissia, anche fra noi sarebbero sorti personaggi distinti per ricchezze, per nascita, per ingegno, e chia- mati ad adunarsi pubblicamente gli amici tutti della umanità, dipingendo a vivi colori le lagrimevoli vicende degli infelici pericolati, mosso avrebbero i loro con- cittadini a concorrere con denaro, con opera, con consigli alla istituzione di be- nefica società (0 simile a quelle, di cui dopo Amsterdam e Londra tante città minori vanno superbe. La qual provvidenza ove avuto avesse suo compimento, ci saria dato ammirare la tumultuosa inerzia e la irresoluzione dei circostanti ad ogni evento funesto cangiate in attività salutare, acchetati gl'inutili lamenti dei propinqui, cessato lo sterile e sempre tardo universale compianto. Ne a que- sti giorni l'Autorità Municipale sapientemente sollecitala da chi ci governa, avria ad occuparsi dei mezzi ed apparecchi migliori a far sì, che nell'ambage (i) Sul moJo in cui si formano e mantengono le società e le istituzioni di beneficenza in Londra veggasi la Prefazione all' Opera Di varie società ed inslituzioni di beneficenza in Londra. Voi. II. Lugano 1828 e i83a. 44 dei nostri canali e nella libera irregolai'ità dei loro argini tante non siano an- nualmente le vittime per sommersione , e più oltre non ci funesti la idea di non aver tutto apprestato quanto varrebbe a diminuirle. Per lo che io, chiamato a cooperare in si utile impresa dagli obblighi dell'insegnamento affidatomi e da superiore graziosissimo invito , non saprei donde meglio prender le mosse , che dal rivolgermi a voi, dotti ed operosi Colleghi, ed invitarvi a cospirare colla voce vostra, colla vostra Autorità perchè si conosca universalmente fra noi a quali e quanti provvedimenti sia d'uopo ricorrere, onde diseccare una fonte pe- renne di miseria, di sciagura, di morte. Ed a cogliere l'intento desiderato divi- derò il mio discorso in tal guisa, che — prima apparisca il bisogno in cui versa questa città di apparecchiare opportuni mezzi di soccorso agli infelici che ca- dono asfitici e muojono nei canali e nelle cloache, — indi sia fatta manifesta la insufficienza di quanto sino ad ora a tale scopo si andò preparando, — in terzo luogo si additino le molteplici provvidenze a cui senza più giova passare, — e per ultimo si dipingano come in un quadro i luminosi fatti ed i felici ri- sultamenti che altrove si ottennero, ed i quali, dovuti, essendo singolarmente alla istituzione di umane e benefiche società, serviranno di sprone a seguire l'esem- pio di altre genti e cittadi,ad unirsi sotto un solo vessillo per correre concordi al salvamento dei miseri pericolali. Avvi dovunque maggiore o minore, sempre grande di troppo, un numero di persone, le quali con petto cinto da doppio usbergo, con mano pronta a ferire, a medicare non mai, con lingua bisulca, con cuore di ghiaccio, con mente perversa siedono tutto giorno spettatrici indifferenti delle sciagure altrui. Tu le vedi volgere appena bieco uno sguardo al bisognoso che le supplica di soc- corso, tu le odi accagionare i calunniati del loro disonore, i caduti per altrui malvagità in bassa fortuna del loro avvilimento, gli sventurati per caso delle disgrazie loro, tu le senti deridere chiunque pietoso ed umano cerca alleviare la trista sorte degli infelici, e tenta allontanare perigli e malori. E non con- tente della propria depravazione, quali piante selvagge, spargono all'intorno la funesta loro ombra, gettano semi venefici, e si circondano di pestifera atmo- sfera. Da questi nidi di barbarie e di crudeltà si alzarono le voci, che sul Ta- migi condannavano le proposte dei Cogan , degli Hawes, e si opponevano alla riunione della umana società di Londra: di là vengono i dileggiamenti e gli scherni onde vilmente si aggravano gli ordinati soccorsi ed i tentativi stessi di ravvivamento: ribolle da quegli antri il grido che dichiara cosa inutile e vana disporre moltiplici mezzi di ajuto e numerosi soccorritori dove per la minore 45 frequenza degli uomini e la scarsezza delle acque, rari essere devono i casi di sommersione fatale. La conservazione della vita di un sol cittadino non varreb- be uno sforzo, non un dispendio presso gente sì ria. Io non saprei sino a quanto gl'inumani principi! trovarono settatori presso di noi: ma certo vi ebbe clii li professò e li diffuse, ed annunziando la inuti- lità di appareccbiare soccorsi ai sommersi nelle nostre acque, insultava barbara- mente alla sventura di cbi per tal via incontrava ogni anno la morte. Di fatto se si consulti l'ultimo quadro decennale della nostra mortalità (0, vi si legge- ranno i nomi di uomini e di donne, di fanciulli e di giovani, di adulti e di vecchi, di poveri e ricebi, di nobili e plebei, di dotti ed indotti, che perirono miseramente affogali nelle acque. Non passa quasi mai Giugno, Luglio non passa senza casi di annegamento; a sette, ad otto ascesero in qualche anno le vittime, e queste ben di rado omicide di se, ma o cadute sdrucciolando nelle fosse e nei fiumi, o nuotami trasportale dall'onde, o a caso precipitale in pozzi mal custoditi. E perchè non mi è dato quivi ridire i lamenti di otto madri in- felici, che perdettero i figli loro fanciulli tutti dai sei agli undici anni di età? Perchè tacerò di voi, Nadalina Pietrobon , Giovanni Prai, Fioravante Casini, che in sul fiore di giovinezza trilustre veniste ad improvviso fine là dove cer- cavate refrigerio nel calore della stagione? Perchè non piangerò la tua sorte, Carlo Fiorini, rapito dal Brenta sotto gli occhi d'inconsolabile amico, il quale cercò invano ajutarti, e si lontano dai tuoi, che ti seppero estinto quando ti credevano al termine di tua studiosa carriera ? Oh la lunga serie di luttuosi casi, che mi si para dinanzi! Qua giovane donna impaurita da furioso cavallo sospinta a morire nell'acqua: là sposa novella mandante gemili ed ululati sulla bagnata salma del suo compagno: qua' pudiche donzelle piangenti la perdita degli amanti affogatisi alla vigilia delle lor nozze : colà coppia impura ingojata dall'onde quando meditava illeciti amori: e vecchi settuagenari falli pascolo ai pesci; e nobile uomo per cronica malattia disperato, e prode militare melan- colico per nostalgia tratti a finire colla sommersione i lor giorni; e tante fami- glie desolate per l'annegamento de' padri loro,etanli cadaveri putrefatti galleg- gianti sui nostri canali. Tutte cosi fatte sventure nou poteano a dir vero essere allontanate da forza umana: ma non merita nome d'uomo chi simile a duro scoglio in mare procel- (0 Affinchè non si creda più oratorio che fondato il quadro che qui se ne forma, lo si confronti con la Illustrazione prima Sopra i sommersi morti nella Città di Padova doli an- no 182 5 al i834 inclusivamente. 46 loso vede ai suoi piedi sommergersi tanti infelici e loro non tende la mano, chi non sente sorridere all'anima la idea di giugnere forse coll'opera sua a sottrarre alcuno dei molli alla morte. E nondimeno la dolce speranza deve sorgere in ogni petto gentile, e la sola memoria di un felice ravvivamento distruggere quella di mille inutili tentativi. Imperciocché se molte sono le cause per cui indarno si cerca di richiamare a nuova vita i sommersi , se talora ai danni della sommer- sione vanno uniti i mortali effetti di violenze ostili prima sofferte, o di prece- dente uhhriachezza , o di previe disposizioni morhose , o di contusioni palile sott'acqua, se tal altra si aggiugne la dannosa influenza di uno stomaco sover- chiamente ripieno di cibi, di una gravidanza avanzata, di un abito veramente apopletico, e più spesso del timore e dell'angoscia, o se invece il rapido corso del fiume, la sua fredda temperatura, il cadervi col capo all' ingiù rendono di gran lunga peggiore la sorte degl'infelici; in altre occasioni nulla si oppone al loro salvamento tranne la deficienza dei mezzi di soccorso e la mancanza od imperizia dei soccorritori. Della qual cosa lamento ancora maggiore è da muo- versi, perchè non di rado tornano sufficienti pochi ajuti opportunamente pre- stati da mano perita, e perchè di qualche ora possono differirsi senza perdere ogni speranza di esito fortunato. Né a conferma di ciò vorrò addurvi fatti peregrini o proposizioni dubbie ed incerte. Col solo riscaldamento e con sole fregagioni all'addome valse il Pado- vano Maggioni a ravvivare un fanciullo rimasto per mezz'ora sott'acqua. E questo fatto, tuttoché non recente, ricordavasi non è molto nell'Accademia di Parigi in prova della preferenza da darsi a facili e semplicissimi mezzi al para- gone dei più composti e di difficile apprestamento (>)• Di allro fanciullo rapito dall'onde, tratto a fatica dopo lunghe ricerche dal profondo del mare, e nondi- meno redivivo sotto muovimento rotante il suo corpo, parla per altrui autorità il grande Morgagni (2);eZacehia (3) riferendo il ravvivamento di giovane uomo stato per una intera ora sommerso, aggiunse non doversi tal fatto annoverare tra gli eventi miracolosi, e né manco tra quelli che degnissimi si reputano di somma ammirazione. Molte poi sono le avverate storie di risorgimenti sponta- nei anche dopo due giorni di morte apparente, per modo che il Man ni, ultimo italiano scrittore sulle asfissie, non dubilò ritenere, che possa fino dopo 4°" ore (i) Oaiodei, Annali, Voi. XLIV. Ottobre 1827. (2) Epist. Anat. Med. Voi. XIX. Art. 43. (3) Quacsi. med.-leg. Voi. III. Cons. 79. N.° 11. 47 rianimarsi un sommerso, e debba quindi venire assistilo e soccorso (i). La quale opinione, comechè più figlia di un sentimento di umanità, di quello sia dettata dalla conoscenza della natura umana e della diversità che passa tra le morti ap- parenti preparate dall'interno stato degli organi e quelle indotte improvviso da violente cagioni, non è a parer mio da ritenersi quale fermo ed indubitato principio. Bensì dovrebbe innalzarsi a legge universale l'avviso di Marc, dietro cui modellaronsi le istruzioni pubblicate in riva alla Senna (2), vale a dire, cbe quanti non restano per più di dodici ore sott'acqua, giammai non sono da ab- bandonarsi, ma pietosamente da assistere con ogni specie di ajuto. Di fatto leg- giamo pure in Morgagni (3) il caso di uomo, cbe giacque per metà circa di un giorno sott'acqua, e merce il solo irritamento delle narici con vapore ammoniaco venne in breve ricondotto a vita novella. Così stando adunque, o Signori, le cose, donde mai avvenne cbe un solo sommerso ravvivato felicemente ne' sette lustri di questo secolo non siasi con- tato fra noi? Forse più non valeva l'autorità di quei caldi zelatori della causa de' morti in apparenza Alessandro , Benedetto, Codronchj , Fabricio , Ildano, Foresto, Bartolino, Senerto (4)? Non erano qui giunte le voci dello Sguario (5) e del Vicentini (6) a bandire il risuscitamento possibile degli annegati? Luminosi esempi non ne aveva narrato da queste cattedre il grande Morgagni (7)? E non fu Padova, al dire di Frank (8), fra le prime Italiane città, cbe pubblicarono scritti e popolari istruzioni sul modo migliore di soccorrere a quegl' infelici? Sì lieti in vero furono gli auspìzi coi quali noi entrammo, in quegli anni, in cui Amburgo (9) e Venezia (io) sì erano fatte modello agli slati Europei nel (1) Manuale Pratico per la cura degli apparentemente morti. Firenze i834, pag. 5j. (2) Omodei, Voi. LI. Luglio i8ag. (3) Loc. cit. Art. 44- (4) Alberti. Prax. mei. exlemp. Cas. VII. pag. 994. (5) Dissertazione sopra il resuscitare gli annegati. Venezia 1763. (6) Memoria intorno al metodo di soccorrere i sommersi. Venezia 1768. (7) Loc. cit. Art. 43- e 44- (8) Medicinische Polizej. B. V. Tùbingen i8i3, pag. 3i. (9) Amburgo nel 1762 e nel 1765 divulgò un ben concertalo piano, e Stabilì premii pel trattamento, il ricovero, e la ricuperazione dei pericolali nell'acqua. (io) Nell'anno 1768 con Terminazione dei 4 Dicembre i Sopravvedilori ed i Provveditori alla Sanili di Venezia ordinarono, che si prestasse assistenza ai sommersi, che i soccorri- tori felici fossero premiali, e che venisse stampata e diffusa, perchè passi a lume universale la Dissertazione del Vicentini citata alla nota 6 di questa pagina. 48 dettare piani pel salvamento dei pericolati nell'acque, in cui questo era desi- derio comune, era mela a cui tendevano gli sforzi comuni (»). Ma mentre al- trove per si nobile scopo ra'dunavansi società, mentre echeggiavano all'intorno i nomi di Cogtfh ed Hawes, di Zarda, di Berthold, di Slruve, di Czartoryski, di Pia (a), mentre tuttogiorno si scoprivano e qua e colà apparecchiavansi nuovi mezzi di ajuto, nuovi stronfienti, presso di noi alle prime istituzioni nulla si ag- giunse, e queste anzi ne' tempi di turbolenza e di guerra caddero in lagrimevole dimenticanza. Quindi negli ultimi cinque lustri fu d'uopo richiamare di nuovo la universale attenzione sul necessario soccorrimento degli asfissi e sommersi, e ri- petutamente indicarne i più comuni e semplicissimi mezzi (3). Quindi con pubblici avvisi dannare più volte la fredda e stolta indolenza nel prestare ai caduti nel- (1) Che anche fra noi dopo la pubblicazione della citata Terminazione del Veneto Ma- gistrato di Sanila si avesse a cuore e 91 tentasse felicemente il ravvivamento dei sommersi lo provano gli Atti del Magistrato di Sanità di Padova conservali in questo Archivio Mu- nicipale , e da me consultati colla graziosa assistenza del benemerito riordinatore di esso Archivio l'Abate Arrigo Arrigoni socio della nostra Accademia. Da essi mi fu dato rac- cogliere : a) oltre il fatto già citato dal Prof. Maggioni avvenuto ai 3 Maggio 1769 a sal- vezza di certo Andrea Beffa e da quel Professore descritto in lettera diretta ai Provvedi- tori del Magistrato; l) come il Chirurgo di Piove sig. Giovanni Rana ai 2 Febbrajo 1770 giugnesse a ravvivare Santa figlia di Giovanni Menin di Vigo di Rovea sotto Piove caduta in un acquedotto e dopo notabile spazio di tempo tratta di colà ed assistila, e fosse perciò, giusta Terminazione dei 23 Novembre 1770, premialo con quattro zecchini d'oro; e) come la assidua ed operosa assistenza per dieci ore continuata dal Medico e Chirurgo sig. Dott. Antonio Gasparini valesse a richiamare in vita ai 12 Giugno 1776 certa Maria Girotta sommersasi a caso nel fiumicello di Lova , e rimastavi per qualche spazio di tempo; d) co- me ai 18 Ottobre 1777 certo Giacomo Volpe tintore caduto nel Brenta alle Alhere e dopo alcuni momenti tratto dalle acque ed abbandonato per morto venisse ricuperato da Ger- mano Teodorovich; e) come la infante di i3 mesi Maria Giacomin di Domenico abitante a Torre caduta al 1 Maggio 1778 in fosso pieno di acqua dovesse la seconda sua vita al Padovano Chirurgo Giovanni Fabris accorso ad assisterla due ore dopo la di lei estrazione dall' acqua ;f) e come il Dott. Paolo Pisani rappresentasse al Magistrato di Sanità il caso avvenuto ai 25 Luglio 1778 della sommersione e del ricuperamento dell'illustre sig. Conte Gaspare Gozzi, ed insieme le devote sue speranze a lode ed a premio. Esso in fatto otten- ne una medaglia d'oro, siccome ebbe a riferirmi il Socio Attivo di questa Accademia Pro- fessor Gaspare Fedrigo. (2) Frank, 1. e. pag. 27 e 35. (3) Ciò si fece cogli Avvisi 3o Dicembre 1808 della Deputazione Comunale di Sanità di Padova, e 5 Giugno 1822, N.° i/(63 della Congregazione Municipale di questa Regia Città. 49 l'acqua assistenza altiva e sollecita (0. Quindi allestire ed in due punti della Città collocare apprestamenti con soffietti, con pannilani, con medicine e con altri mezzi molliplici di soccorso (2). Tanto operavasi e sorgeva in noi la fiducia di aver tutto apprestato quanto bastasse a salvare gli sventurati, e la speranza pur ci arrideva di potere ravvivare in alcuno le nascoste scintille di vita. Folle fiducia ! fallita speranza! Rinnovellansi casi di sommersione fatale; i miseri si abbando- nano, od il loro salvamento tardi o malamente si tenta. Si discorrano in fatto le dolenti storie dei nostri sommersi, e le molte ca- gioni fian note cbe il loro ricuperamento impedirono. Affollarsi di gente cu- riosa ed inerte, inutili grida, inutili pianti, pochi che coraggiosi si gettino in ajuto dei pericolanti nelle acque, pochi che scendano solleciti in cerca degli smarriti , un attendere dannoso la giustizia sul luogo , un imperito agitare de' corpi degl'infelici, i sommersi traiti solo in parte dall'onde e non tocchi, o ca- povolti rozzamente, 0 rotolati, o dopo breve sommersione innanzi tempo cre- duti estinti ed abbandonati barbaramente, ecco i tristissimi effetti di viltà, di ignoranza, di timori, di pregiudizi, che si presentano alle rive dei fiumi. Cer- chi ricovero ai disgraziati? Molte porte ti si chiuderanno dinanzi. Domandi ajuto a trasportameli altrove? Appena trovi chi non rifugga dal toccare uomo che ha di cadavere le sembianze. Vuoi dar di mano agli opportuni soccorsi? Ignorante turba ti ondeggia d'intorno, lenta a recare gli apprestati mezzi e stromenti, Dell'usarli imperita, alla tua voce non obbediente, disordinata nel- l'agir suo, e in quella viziata atmosfera, in quella confusione, in quel tumulto nuovi ostacoli insorgono all'esito fortunato dei tuoi tentativi. Ne mancano altresì medici e chirurghi, i quali giacciono nella vituperosa ignoranza dei varii mezzi di ajuto, o tumultuariamente li impiegano, o male e poco avvedutamente com- piono le manuali operazioni congiunte al loro uso, i quali nella direzione dei soccorsi non conoscono unità, non conformità di piano, i quali 0 per difetto di pietosa umanità o per diffidenza imperita o per timore delle popolari derisioni, dopo brev'ora intermettono quei sussidi che con istancabile zelo e paziente per^ (1) Vi si riferiscono l'Avviso 3 Marzo 1808 pubblicato dalla Commissione di Sanità del Dipartimento della Brenta, e la Circolare 16 Luglio 181 6, N.° 1 543 ai RR. Parrochi della Regia Città e del Circondario Comunale di Padova diramata dalla Congregazione Municipale. (2) Veggasi il sopraccitato Avviso 3o Dicembre 1808 della Deputazione Comunale di Sa- nità, e l'Avviso della Congregazione Municipale della Regia Città di Padova colla data a Luglio 1825 e col N.° 4ao4- 7 5o severanza continuati tornano ì più idonei a risolvere le varie specie di morte apparente. Che poi dirò xli te, seguace degenere di Ippocrate, che freddo ed insensibile non accorri chiamalo al soccorso , che vedi il sommerso appena estratto dall'onde e lo fuggi, che puoi salvarlo coll'arte tua e lo perdi abbando- nandolo a mani straniere? Tu non hai l'anima temperala a virtù, a carità; tu sei indegno del grado che tieni, indegno dell'amore dei tuoi, iudeguo di que- sto cielo, di quest'aura stessa di vita. Tali e tanti, o Signori, sono i deplorabili fatti, che provano ad evidenza es- sere insufficienti le misure prese da noi per assicurare soccorso e salvamento ai sommersi, e che imperiosamente domandano più attive cure, provvidenze meno fallaci. E per verità se vi ha cosa che spingere ci debba ad incontrare dispendi, a sostenere fatiche, ad esporci a perigli, ella si è al certo il ricuperamene di uomo, il quale per improvvisa e violenta cagione a tale slato è condotto, in cui diviene impotente natura, e che l'arte sola vale a combattere. Abbiasi pure per fermo che nella massima parte dei casi riescono vani i multiformi tentativi; ma rimarrà sempre la tranquillante soddisfazione di non avere mancato al più sacro dovere di umanità. Se poi da fausto evento sono coronate le nostre cure, e la residua vitalità riparata agli organi più riposti viene ricondotta ad animare le sospese funzioni, noi ci avviciniamo a quella Divinità, che con soffio ani- matore dà vita a tutti gli esseri organizzati. Dio buono! questo è il più bel giorno della mia vila, esclamava colle lagrime agli occhi l'imperatore Alessan- dro, quando alle rive della Wilna colfajuto del Dott. Wehly dopo tre ore di inutili sforzi giugueva a ravvivare un sommerso (i). Ma per vedere rinnovellati fra noi somiglianti trionfi, molto giova apprestare, molto operare. Accrescere il numero dei nuotatori periti, segnare nei canali i punti più perigliosi al guado ed al nuoto, apparecchiare palischermi, reti ed ordigni a trarre i sommersi dal fondo dei fiumi, combattere i pregiudizi del volgo tardo e renitente al soccorso, a voce ed in iscritto, dalle cattedre e dagli altari diffon- dere piane islruzioni sul modo di prestare i primi ed ovvii sussidi, in molti punti della città disporre copiosa serie di mezzi e di stromenti idonei a riani- mare gli asfissi, preparare numerosa schiera di soccorritori pronti, esercitati ed istrutti, aprire luoghi opportuni al ricovero, minacciare pene, stabilire premii e ricompense, allettare con onori, tanto fa d'uopo perchè ogni ordine di per- sone accorra coraggioso e sollecito al ricuperamento dei pericolati nelle ac- (i) Il fatto accaduto nel 1806, venne riferito nel Giornale di Francfort, e può anche leg- gersi nella citata Opera del Manni alla pag. ig5. que, li raccolga pietoso, ed operoso e concorde li assista cou tutte specie di ajuli (i). Ne quivi, o Signori, vaglie proposte o misure vane ed inutili vado io noveran- do. Conobbe Amburgo, Strasburgo conobbe la verità del principio da univer- sale esperienza ornai confermato, clie i salvamenti cioè dei sommersi procedono in ragione diretta della celerità con cui si passa al loro soccorso; e la sollecita recuperazione dei miseri venne con si efficaci mezzi promossa, che nella prima città si traggono ogni anno vive dall'acqua più di quaranta persone (2), e gli abitanti di Strasburgo, tuttoché in numero eguale al nostro, videro in quindici anni raccogliersi cento e ventiquattro cittadini prima ancora che per la som- mersione vestite avessero le sembianze di morte (3). Lamentossi ovunque la ignoranza del popolo; dissiparla ovunque si volle; ma più energicamente lo vollero fra gli Italiani i rettori di Modena, di Vicenza, di Mantova, di Firenze, e di Pisa, e la comandata distribuzione degli scritti di Gardane (4), di Tortosa (5), di Cajola (6), di Barzellotli (7), vi preparava gli animi a più facile intelligenza, a più fedele osservanza delle divulgatesi leggi. Taccio i novantaquattro ricoveri (1) Dietro ì cenni qui fattine si eslesero le nozioni e proposte per un piano di appresta- mento e di amministrazione dei soccorsi ai sommersi in Padova, le quali formano la Il- lustrazione II. (2) Veggasi la nota 1 pag. 55. (3) Dictionnaire des sciences meclicales art. jS'ojès par fodere. (4) Il Duca di Modena nel 1776 fece non solo tradurre in lingua italiana e diffondere l'Operetta del Gardane sur les asphyxies, ma altresì preparare e distribuire le cassette in cui contenevansi gli stromenti descritti da quel medico siccome necessari al soccorso. Frank, I. e. pag. 3i. (5) Nel 1806 dietro voto di quell'Uffizio di Sanità il Prefetto del Dipartimento del Bacchigliene ordinò che a cura e spese di esso Uffizio si stampassero le Considerazioni sopra la morte apparente dei sommersi e degli asfilici e sopra i mezzi per ravvivarli, scrit- te dal Protomedico Ciuseppe Tortosa, e pubblicate in fatto in quell'anno a Vicenza. (6) Veggasi la Istruzione sulla morte apparente ec. con note del Dolt. Germano Cajola. Mantova 1809. (7) Il Professore Giacomo Barzellotli nel 1806 proponeva al Governo Toscano quel mezzi e quelle norme, di cui si parla nella sua Memoria per servire di avviso al popolo sul- le asfissie ec. pubblicala nel 1808 a Parma, e nel 181 8 poi venne dal Magistrato della città di Pisa onorato di analogo incarico , e fu allora che si pubblicò la di lui Operetta , Soccorsi più focili , pronti ed efficaci per ravvivare gli asfilici e liberare gli avvelenati. Pisa 1810. $2 aperti in Londra a tutte sorti di asfissi (0: taccio i cinquanta edifizi che sor- gono alle rive della Senna (2) ; taccio i trenta apparali con macchine, con sof- fietti distribuiti nella Capitale del nostro Impero (3). De' tuoi provvedimenti non parlo, 0 Marsiglia, con cui in due lustri raccoglievi cento e diciannove sommersi, e settantalre ne salvavi (4); ne de' tuoi, o Praga, che a buon diritto ti vanti di avere in diciolto anni ravvivato cento cinquantasette infelici (5) ; e di quelli pur anco non parlo, mercè di cui la città prima di Olanda nel labirinto de' suoi canali, nel movimento continuo di que' laboriosi abitanti, nelle fitte nebbie che ne ingombrano l'atmosfera, si eresse meritamente a modello del mondo intero (6). A noi sta seguire da lungi soltanto esempi sì luminosi; a noi convengono le glorie modeste de' Duchi, delle case di Sassonia e di Anbalt; a Weimar non è molto si ergeva ampio asilo a ricoverare ed assistere i morti apparenlemenle (7); pel soccorso di questi nove apprestamenti ponevansi fra gli abitanti di Anhalt- Bemburg (8). Né fia che manchino premii ai primi soccorritori, ai salvatori fe- lici, 0 ricompense a chiunque o rimane negli averi suoi danneggiato, 0 senza effetto bensì, ma colla voluta perseveranza continua gli opportuni tentativi di (1) Questa notizia risguarda il 1829; e probabilmente da questa epoca in poi si sarà accresciuto il numero dei ricoveri. Horn. Tieise durcìi Deutscland , Ungarn , Iloìland , Ila- lien, Fran/treich, Grossbritannien und Irland. Voi. III. Berlino i832, pag. 232. (2) Henke. Zeitscrift far die Staatsarzneikunde. X. Ergànzungshcft. Erlangen 1829, pag. 32 5. (3) Bernt. Vorlesungen ùler die liellungsmitlel hejm Sclieìnlode und in plotzlichen Le- hensgefahren. Wien 1819, pag. 17. Anche in Venezia si distribuirono per la città, non è molto, ventiquattro macchine per soccorrere i sommersi, siccome apparisce dall'Avviso pub- blicato da quella Congregazione Municipale in data i.° Febbrajo i83i col N.° 3i4 e 118; e si diramò un'Appendice alla Istruzione popolare sui soccorsi degli asfitici ed avvelenati pubblicata a quell'epoca dall' Eccelso I. R. Governo di Venezia. (4) Ciò fu dall'anno 1808 al 1818. Dictionn. des Sciences medie, art. Noyès. (5) Nel 26 Luglio 1810 anniversario della morte dell'Howard della Germania Conte Berchlold, la Società umana di Praga in una Adunanza annunziava fra gli altri questo suo vanto. Kopp. Jahrbuch der Staatsarzneikunde voi. IV. Frankf. am Mam 181 1, p. 287. (6) Bernt, Opera citala, pag. 11, e la nota 1 alla pag. 54- (7) Weimar città Capitale del Granducato di Sassonia -Weimar conta 10,000 abitanti: lo stabilimento vi fu aperto nel 1818 a cura della Granduchessa, e ne fu data la direzione suprema a quella riunione di Dame. Henke, Opera citata, VII. Erganzungsheft, pag. 265. (8) Ciò avvenne nel 1 821, e gli apprestamenti fabbricati a Berlino vennero distribuiti ai nove baliaggi del Ducato , la popolazione assoluta del quale ascende a 38, 000 abitanti. Henke, loc. cit. 53 ajuto. Quella Cosacca che in istato di gravidanza si lanciò coraggiosa nel fiume Don a trarne vivo un fanciullo, venne dal Monarca di Russia generosamente remunerata e con onori e privilegi distinta (') ; e meritevole di egual sorte si rese quella Maddalena Pellerano, che al fioco lamento, all'incerto agitarsi di infelice pericolato ohblia di esser madre, e, staccato dal seno l'allattante bam- bino, corre nel mare e Io salva (2). Copenaghen vide premiali in quattro anni ottanlacinque ricuperatori di sommersi, e somme ingenti a sì nobile scopo tuttogiorno rivolgonsi dalle Commissioni di Sanità di Parigi, di Marsiglia, di Boulogne e dalle riunioni benefiche di Vienna, di Praga, di Lipsia, di Mosca, di Amburgo, di Londra (3). Ma il desiderio di onori e di gloria potentemente in- fluendo sul cuore umano, varrà altresì ad animare i cittadini d'ogni condizione, di ogni stato, a quelle virtuose e magnanime azioni , che il salvamento assicu- rano degli annegali. Quindi se giova con una mano pesare sul capo di chi pone ostacoli al ricuperamento dei miseri, di chi nega loro asilo, di chi, dimentico de' suoi doveri, loro non presta soccorso, con l'altra si diffondano onorevoli te- stimonianze, si dividano allori, e sopra medaglie d'oro e d'argento i nomi dei ge- nerosi cittadini si tramandino alla più tarda posterità. Àdottaronsi ovunque isti- tuzioni sì belle, ovunque si videro per effetto di queste pubbliche lodi crescere le virtù, come crescono le piante alla rugiada del cielo. E potremo adunque, o Signori, disconoscere più oltre la necessità e la conve- nienza di quei provvedimenti, che nati fra noi furono a più sicura salvezza dei sommersi in altri paesi e dall'altre nazioni migliorati ed estesi? E vorremo tut- tavia appalesarci incerti e dubbiosi sui benefici effetti che da essi alla umanità ridondarono? E nella universale loro diffusione fra popoli inciviliti di Europa, d'Asia, d'America, non temeremo che su noi piombi la taccia di rozzezza, d'imi- ti) L'Imperadore Nicolò le rimise una medaglia d'oro uoitamente a mille rubli , ed inoltre decretò che se desse alla luce un maschio fosse allevato a spese della corona, e se femmina ricevesse dal tesoro una dote di mille rubli. Manni, Opera citata, pag. 196. (2) Di questo fatto avvenuto agli 11 Maggio del corrente anno i83S, nel Comune di S. Margherita presso Genova parlarono le pubbliche Gazzette di quei giorni. (3) I premii accennali si distribuirono a Copenaghen dal iSo3 al 1807. In Amburgo dal 1794 al 1807 si dispensarono in premii 6890 marche, iS medaglie d'oro e 29 di ar- gento; e nel 181 5 si stabili un premio di i5o marche per chi salva un asfitico. La società umana di Londra dalla sua riunione nel 1774 'ino al 1825 premiò 24,000 persone. In Sassonia nel solo anno 1807 si spesero 6,000 Tli. onde premiare i salvatori dei sommersi. Vedi i citali giornali di Kopp e di Henke , e la pure citata opera sulle società ed istitu- zioni di beneficenza in Londra. 54 mauità, di barbarie? Si freddo ed indifferente non appalesossi il popolo d'Am- sterdam, clie al vessillo della prima benefica società apertasi nel suo seno, seppe riparare colla pietosa sua attività ai danni dell'atmosfera e del suolo in cui vive. Cinque lustri erano appena trascorsi e mille pericolali eran salvi (i). Né alla nobile impresa mancava Parigi. Alla voce del magnanimo Pia tale uno stabili- mento sorgeva , e prosperava col pubblico e privato favore , cbe in sedici anni di novecento trentaqualtro sommersi ben ottocento e tredici si conservavano in vita (2). E quel valido impulso, quell'ardor generoso perdurano ancora in que' petti gentili, per modo che Marc poteva non ha guari annunziare alla Francia dubbiosa , cbe ottenevansi risultati non diversi da quelli dei giorni di Pia, e stella meno propizia non risplendeva sulla gran capitale (3). Lungbe guerre, lungbe calamità non valsero a sciogliere interamente quella privala riu- nione che nacque col secolo a Copenaghen , e fuvvi di tanto bene ministra : di sua restaurazione nei tempi di pace si rallegrò Danimarca, e cento dieci petti per essa ben presto redenti benedirono alla sua attiva pietà (4). E potessi io tutte ricordare le glorie di Amburgo ne' venti anni primi di questo secolo, e degnamente parlare dei mille salvi perchè prontamente assistiti, e degli altri (1) Nel 1767 parecchi giovani con alla lesta Claudio Noorlwyk dietro alcuni casi felici di ravvivamento determinarono i loro concittadini a fondare quella prima società privata pel soccorso dei sommersi ed asfitici. Bernt, Opera citala, pag. 11 e 12. (2) Il Magistrato di Parigi eresse lo stabilimento nel 1772, e al 1778 el>be quel nota- bile numero di sommersi salvali. Dici. des scienc. med. art. ISoyès. (3) Dal 1821 al 1826 si raccolsero in Parigi 18/19 sommersi. Di questi soltanto 376 non erano rimasti soli' acqua più di dodici ore, e quindi secondo il principio di Marc po- teano essere soccorsi. Dei 576 poi vennero restituiti in vita 43o, risultamento che di poco si allontana dagli avuti da Pia. V. Omodei, Annali, Voi. LI. pel Luglio 1829. Nelle allre città della Francia, quantunque siansi introdotti provvedimenti simili a quelli di Parigi, non si ottengono eguali effetti benefici. A Strasburgo dal 181 5 al 1818 di 3i4 sommersi appena se ne salvarono cinque. Nel 181 8 a Besanzone non venne assistito alcuno dei 19 sommersi, ed a Lione di sei sommersi se ne salvò uno. A Marsiglia all'incontro, ove me- glio si apparecchiano e si amministrano i soccorsi, dal 1808 al 1818 vennero ricuperati 73 individui asfitici fra 119. Art. Nqyès del Diction. des scienc. med. (4) La privata Società di Copenaghen cominciò ad attuarsi nel 1798; nel 1801 area già salvalo 43 persone ; era presso ad estinguersi negli anni successivi di guerra , ma un avviso pubblicato nelle Gazzette bastò perchè le venisse fatto il dono di 25oo Th. del Reno, parte in danaro, parte in vesti ed in istromenli, e cosi ristabilitasi servi a ricuperare nel i8i4 18 persone, nel i8i5 19, e dai 3 Dicembre 1821 al primo di Aprile 1823 al- tre 63 persone. Vedi i più volte citati giornali di Kopp e di Henke. 55 a più centiaaja chiamati a rivivere con opportuni soccorsi (0, e dei generosi preinii dati ai recuperatori, e delle medaglie in oro ed argento distribuite, e delle ingegnose macchine, e de' nuovi apparati, e dello zelo vivissimo di que' cittadi- ni, di que' medici, di que' Magistrati ! Ma sovra ogni altra meravigliosa mi si presenta la società umana di Londra da potente Monarca protetta, da mille doviziosi a gara arricchita, sostenuta dall'opera concorde di medici valenti, di cittadini pietosi, per le divulgate istruzioni, per ogni genere di apparecchiati soccorsi, per lesilo costantemente felice di sue intraprese riverita e ammirata , collegata coli' onore di quella metropoli, coli' onore dell'intera nazione (2). Per essa si diffuse il generoso entusiasmo in tutta gran Brettagna ed Irlanda, e il bello esempio ben presto seguirono Balli, Leicester, Norwich, Lancaster, Schrevv- bury, Chatam , Cardiff, Cork, Dublino con molte maggiori e minori città di que' Regni. All'alta di lei rinomanza devono le loro società Calcutta e Madras, le devono Quebec e l'isola della Jamaica, le devono Boston, Nevv-Jorcb ed altri degli Stati Uniti di America. Dietro le luminose sue norme Berlino, Gòrlitz, Danzica, Stralsund, Annover, Lipsia, Boulogne, Pietroburgo, Nassau si affretta- ci) Le notizie sparse nel detti Giornali di Kopp e di Henke possono raccogliersi nel se- guente Quadro dei sommersi ed altri asfìtici soccorsi in Amburgo. Tvr ■• . Mediante pronta Con mezzi T .., JNesrli anni. . . ■ .... Inutilmente. 0 assistenza. chirurgici. 1800 -5 277 86 47- 1806-7 a8 l3 5- 1807-8 62 32 i3. 1808-22 46o 326 82. 1822-24 25g 67 25. 1086. 424- 172. E da notarsi che negli anni i8i3 e i4 il blocco della città impedì le benefiche operazioni dello Stabilimento. Veggasi anche la nota 3 pag. 53. (2) La società umana di Londra dalla sua fondazione nel 1774 sino al 1825 salvò 7,000 persone. Ogni mezzo viene a si nobile scopo da essa impiegato; lunga serie d'istromenti per la ricuperazione e pel soccorso degl'infelici, numerosi luoghi di ricovero, distribuzioni gratuite di un manuale contenente le relative istruzioni sul modo di soccorrere, premii, ricompense, onori ec. Il suo manuale venne tradotto nelle lingue persiana, naghurese e da- nese e cosi diffuso ai possedimenti della compagnia delle Indie. Si consultino in proposito il Viaggio a Parigi e per una gran parte dell Inghilterra e della Scozia di Giuseppe Frank (tradotto dal Tedesco. Milano i8i3, Voi. II.) e le due citate Opere Delle società ec. di Londra, ed Ilorns llcise eie. 56 rono tutte a fondare analoghe benefiche istituzioni (0. Qual meraviglia pertanto se la gloria di lei sì alto suona d'intorno? Se Londra ne va superba, se ne esul- ta Inghilterra ? E perchè non poss' io trasportarmi colà coi più freddi ed in- dolenti fra noi, nel giorno glorioso, che annualmente ricorre, in cui a solenne banchetto la società tutta radunasi, le recenti sue gesta si celebrano, e la schiera numerosa dei rianimati per di lei cura in ordine lungo si aggira per quelle contrade, e lagrime di gioja spargendo, e fiori gettando all'intorno canta con lodi i fortunati suoi liberatori? A quella giusta esultanza, a quel pianto, a quel- le lodi, a quei canti, vedrei al certo sclnudersi i duri cuori, stendersi le destre commosse, e giurare, la causa dell' umanità fia per noi vendicata e redenta. (i) Non vuoisi tacere, essere alcuni di avviso, che troppo scarso sia il numero degli abi- tanti di Padova perchè convenga incontrare notabili spese e disporre molteplici mezzi di ajuto pei sommersi e per gli altri asfitici. Ad imporre silenzio a costoro potrei qui addurre il Quadro di quelle Città di Europa, di Asia e di America, le quali hanno riunioni pub- bliche o privale o notabili stabilimenti pel soccorso dei sommersi od altri asfitici colle ri- spettive loro popolazioni. Basterà tuttavia fare conoscere, che fra 80 città , isole e borgate , ì cui nomi mi si presentarono leggendo le opere citate superiormente , 5o hanno una po- polazione minore di quella di Padova, la quale d'altronde è da annoverarsi fra le città di terraferma le più circondate ed intersecale da canali e da fosse ricche di acqua. 57 ILLUSTRAZIONE I. Sommersi morti nella Regia Città di Padova dall'anno 182 5 al 1 834 inclush'amente. Dalle Tabelle dei morti nel decennio si raccolgono i seguenti nomi : 1. ^erravilla Francesco di anni 11, alle ore 9 antimeridiane de' 4 Giugno 1825 affogatosi accidentalmente nel canale detto di S. Giorgio. 2. Segato Pietro d'anni 7, ai i4 Luglio 1825 caduto dalle mura di Porciglia , ed annegatosi nel canale scorrentevi ai piedi di esse. 3. Villa Teresa d'anni 52, alle ore 5 antimeridiane dei io Agosto 1825 tratta morta dal canale detto delle Acquette. 4- Porta Giovanni d'anni 26, alle 7 antimeridiane del g Settembre rinvenuto an- negato nel canale del Portelletto al Ponte Altinate. 5. Giubileo Angelo celibe, d'anni 2 5, agli 8 Marzo 1826 affogatosi in un pozzo. 6. Bisello Girolamo d'anni 38, ammogliato, alle 4 pomeridiane del 9 Giugno 1826 sommersosi in un canale interno, e trovato alle 7 pomeridiane del i5 detto presso le Porle Contarine. 7. Facchinello Michele mugnajo , celibe, d'anni 38, alle ore 7 pomeridiane del za Giugno 1826 caduto nell'acque mentre pescava nel canale del Ponte dei mo- lini, e scoperto cadavere alle 5 pomeridiane del giorno appresso. 8. Castellari Gaetano d'anni 7, precipitato accidentalmente in un pozzo ai i3 Giu- gno 1826. 9. Pavan Andrea d'anni 26, ammogliato, alle 9 pomeridiane del 20 Luglio 1826, rinvenuto annegato nel canale di Ponte Corvo, io. B M Usciere d'anni 70 circa, alle 4 pomeridiane del 25 Novem- bre 1826 trovato sommerso nel canale delle Acquette. 11. Longa Rosa d'anni 27, alle 11 antimeridiane dei 28 Aprile 1827, mentre la- vava nel canale dirimpetto alla chiesa di S. Luca, e voleva salvarsi dalle of- fese d'indomito cavallo, caduta nell'acqua, e peritavi. 12. Canale Gio. Battista d'anni 32, alle 7 pomeridiane del 26 Aprile 1827 sdruc- ciolato giù per l'argine della Riviera di S. Benedetto nel fiume, e da questo tratto cadavere ai due del susseguente Maggio. j3. Zadra Giacomo d'anni 7, alle 3 antimeridiane dei i5 Giugno 1827 rinvenuto annegato presso la ruota dei Conciapelli ai Carmini. i4- Levorato Gio. Battista d'anni 19, muratore, ai 3 Luglio 1827 perito nella la- trina della casa al N.° 4o37 in Borgo Giudeo, mentre vi lavorava. i5. Prai Gio. Battista d'anni 16, annegatosi tre giorni innanzi, si trovò ai 5 Luglio 1827 nella steccaja presso le Porte Contatine. 8 58 16. N. N. , ai 2 Luglio 1827 ritrovato cadavere già in parte putrefatto presso la steccaja dei Conciapelli. 17. Meruzzo Luigi d'anni 11, alle 11 antimeridiane degli 8 Settembre 1827 caduto nel canale di S. Benedetto, e ripescato cadavere alle 6 pomeridiane del 12 detto presso il Molino al N.° 1261. 18. Giovanni C , nativo della Slesia, militare, alle 5 della mattina del 4 Novem- bre 1827 sommcrsosi presso il Ponte di S. Giovanni, e comparso a galla so- pra l'acqua alle 2 pomeridiane del 12 dello stesso mese presso il Molino al N.° 3956. 19. Fiorini Carlo d'anni 21, Studente Tirolese, ai 20 Giugno 1828 accidentalmente annegatosi mentre si lavava nella Brenta presso le mura vecchie di S. Pietro. 20. Ruzante Vincenzo d'anni 5o , ai 28 Maggio 1829 affogatosi nel canale delle Acquette. 21. Fagia Vincenzo villico, celibe, d'anni 20, ai 1 5 Luglio 1829 arrestatosi già ca- davere alle Porte Contarine. 22. Lana Michele d'anni 5i, sommerso da qualche giorno, e ripescato alle ore 10 della mattina del 6 Ottobre 1829 nella riviera di S. Matteo. 23. Domenica N di anni 5o, ai 7 Ottobre 1829 rinvenuta annegata al Ponte dei Molini. 24. Bordignon Francesco d'anni 3o, ai 20 Dicembre 1829 scoperto affogato nel fosso dietro la chiesa degli Ognissanti. 2b. Felice R d'anni 62 , ai i3 Ottobre i83o ritrovalo morto nel canale del Prato della Valle. 26. B Antonio d'anni 5o, alle 6 pomeridiane del 7 Novembre i83o annegatosi sotto la Parrocchia degli Eremitani. 27. Bossetta Angela d'anni 24, domestica, alle otto della mattina dei 28 Giugno 1 83 1 accidentalmente affogatasi nel pozzo di casa Leali. 28. L. Ignazio negoziante, d'anni 3o, alle io antimeridiane del 25 Dicembre i83i sommerso e trovato nel renajo presso 1' Orto dei Semplici. 29. Pietrobon Natalina d'anni 16, alla mattina del i4 Giugno i832 rinvenuta morta nel canale presso il Ponte dei Molini. 30. N N Nobile d'anni 5o, alle una dei 16 Settembre i832 ripescato cada- vere presso il Ponte dei Molini. 3i. Gambaran Tommaso muratore d'anni 72, alle ore 7 de' 28 Gennajo 1 833 sco- perto annegato presso il Ponte delle Torricelle. 32. Pulito Giovanni d'anni 34, alle 11 antimeridiane del 17 Maggio i833 ritrovato morto nell'acqua del fosso posto fra le steccaje di S. Massimo e la Porta del Portello. 33. Patrian Domenico di anni 3i, fabbro, caduto in un pozzo ad un'ora del 20 Maggio i833. 5g 34- Casini Fioravante d'anni 18, vetturale, alle 5 antimeridiane del 27 Giugno i833 annegatosi presso il Ponte della Punta. 35. Zagolin Vincenzo d'anni 38, facchino, ai 16 Luglio i833 sommersosi acciden- talmente e morto in un fosso sotto la Parrocchia di S. Maria del Carmine. 36. Candian Domenico d'anni II, falegname, ritrovato morto alle 3 pomeridiane del 20 Luglio i833 nel canale dirimpetto alla chiesa di S. Luca. 37. L Isacco commerciante, d'anni 34, smarritosi ai 3 Ottobre i833, e rinve- nuto agli 1 1 detto nel Brenta presso alla Punta. 38. T G sensale di cavalli, d'anni 28, e 39. C G d'anni 2 5, rinvenuti annegati presso le Porte Contarine alla mat- tina degli 11 Maggio i834- 40. De Rosa Teresa d'anni ir, alle 3 pomeridiane del i.° Giugno 1 834, mentre la- vava pannolini nel fiume presso il Ponte della Stua, sommersasi e morta, benché prontamente assistita. 4i- Campo Antonio d'anni 6, alle 4 pomeridiane del 3o Luglio i834 ritrovato nel fiume presso le Porte Contarine parecchi giorni dopo che mancava di casa sua. 42. T R B. mercatantessa ebrea, d'anni 55, agli 11 Agosto i834 scoperta affogata presso il Ponte dei molini. Quindi i sommersi morti furono Nel i825 N.o 4 26 27 28 29 3o 3i 3a 33 34 6 8 1 5 a a a 7 6 Totale N.o 4a ai 6 a S'i 1 1 anni di età. . N.o 8 16 » 21 » 6 24 » 28 » 7 3i )> 39 » 9 5o » 55 » 7 63 » 72 )) 3 di età ignota . . . » a Nei mesi di Gennajo. . N.o I Febbrajo. » - Marzo. . » I Aprile. . » 2 Maggio . » 5 Giugno . » 1 1 Luglio . » 8 Agosto . » 2 Settembre !) 3 Ottobre . )) 4 Novembre » 3 Dicembre » 2 Totale N.o 43 Di sesso maschile N.° 34 femminino .... » 8 Totale N.o 42 Totale N.o 4a 6o Si osservi che nel decennio non si rinnovarono quelle inondazioni sì frequenti per l' addietro entro le mura stesse della città, che fra i 42 sommersi non si com- prendono quelli, i cui cadaveri trasportati dalla corrente si perdono o vengono a galla sull'acqua fuori della città, siccome avvenne ad uno fra quattro sommersi avutisi ornai nella prima metà di quest'anno i835; e che apparecchiati una volta i soccorsi pei cittadini potrebbero tornare utili anche a quelli , che pericolassero in alcuno dei molti canali in vicinanza di Padova. 6i ILLUSTRAZIONE II. Nozioni e proposte per un Piano di apprestamento e di amministrazione dei soccorsi ai sommersi in Padova . v^uanclo io stava ordinando queste nozioni, che senza la comune approvazione pos- sono tornare vane ed inutili, non mi sfuggiva aver io dovuto prima indagare, se Pa- dova fosse disposta ad adottare provvedimento alcuno, affinchè alle intenzioni sue si uniformassero le mie proposizioni. Due cose però mi determinarono ad estendere un Progetto , che da taluni verrà forse risguardato come chimerico e sempre poi potrà assai difficilmente essere attuato in tutta la sua estensione; la necessità cioè che siano portati a cognizione di ognuno quei mezzi di soccorso che la scienza e l'arte possiedono, affinchè meglio si riconosca la convenienza di applicarli ai nostri hisogni e si deliberi sul loro appresto , e la speranza altresì che fra i miei concittadini vi abbiano dei Filantropi, i quali vogliano seguire il generoso esempio di Berchtold, di Durassow e di Melgunow, di cui il primo col dono di 2,000 fiorini cooperò alla fondazione degli analoghi stabilimenti in Vienna (Bernt, Opera cit. pag. 21) ed i se- condi contarono 12,000 rubli affinchè a Mosca si ponessero tosto e grandiosamente ad effetto quelle provvidenze , che al principio di questo secolo si andavano a poco a poco colà introducendo a salvezza di quei sommersi ed asfilici. (Frank, Opera cit. p. 3i.) Nella serie adunque non picciola dei provvedimenti che ora sono per indica- re, ravvisino gli indifferenti il voto della scienza e della umanità, e quelli di animo generoso e gentile veggano loro offerto un mezzo ad essere utili altrui , ad acqui- starsi nome di pietosi e benefici. Quadruplice è lo scopo a cui devono tendere in Padova , siccome in pressoché tutti gli altri luoghi, i provvedimenti di cui si parla; cioè i.° a prevenire le som- mersioni accidentali di gran lunga più frequenti delle deliberate; 2.0 a ricuperare al più presto possibile i sommersi; 3.° a soccorrerli tosto e convenientemente; 4-° a premiare ed a ricompensare chi coopera al ricuperamento e al soccorso. Quindi le proposizioni sarebbero le seguenti. Si alzino argini od altri parapetti alle rive più erte ed irregolari e tuttavia aperte (dal Ponte di S. Agostino sino a S. Leonardo a destra del Brenta, alle Porte Con- tarine ed al guado pegli animali che vi sta dappresso , al canale dirimpetto alla Chiesa di S. Luca, a quello delle Acquette dietro la Chiesa della B. V. del Torresino ec.) siccome ai ponti frequentati ed ancora male difesi (del Portelletto, dell'Isola del Prato della Valle). Sulla riviera di S. Giorgio dopo che venne in simile guisa cu- stodita non si hanno più quei casi di annegamento, che sì spesso deploravansi molti anni addietro. Si istituiscano una scuola del nuoto, ed uno stabilimento di bagni pubblici gra- tuiti ad acqua corrente sotto padiglioni galleggianti. Da queste misure, d'altronde 62 non molto dispendiose, si avrebbe il triplice vantaggio di poter violare e severamente punire la riprovevole costumanza di bagnarsi e nuotare in tutti i canali della città con si frequente pericolo e danno degli inesperti e con offesa della decenza, di eser- citarvi la più attiva sorveglianza a prevenire le sommersioni ed a soccorrere pron- tamente! pericolali, di diminuire di gran lunga il numero dei nuotatori imperili, ed accrescere all'incontro quello dei soccorritori coraggiosi e pronti. Si pongano palancbe con gli opportuni avvisi ne' punii pericolosi dei canali della città, e con simili palanche pure si limitino le località in cui gli animali sono da abbeverarsi e da condursi al guado. Si sorveglino i fanciulli ed i giovanetti perchè non si arrestino a trastullare sugli argini ed alle rive dei fiumi, e loro si vieti di recarsi soli sopra battelli alla pesca o a diporto. Si apparecchino mezzi sufficienti pel più sollecito ricuperamene dei pericolati. Al momento dell'accidente possono servire a) La fune a gettarsi di Miller (corde missive de Miller) la quale dalla riva si può lanciare a notabile distanza nel fiume affinchè vi si attacchi il sommerso tuttora muo- ventesi (si vede delineata negli Annalcs d' Ilygiene pubi. Voi. XIII. Piane. III. fig. 9.) I) La corda o cinghia di sicurezza pure di Miller (sangle à suretè de Miller) con cui si circonda il corpo di chi si getta nell'acqua in soccorso del sommerso. (Piane. III. fig. io. del citato volume degli Annales etc.) e) La macchina nuotatoria di Luedgendorf , che dalla I. R. Polizia di Vienna venne collocata in tutti i serbatoj de' mezzi di soccorso posti alle sponde del Danu- bio, e della quale si potrebbe fare arrivare un modello dalla capitale. d) La Rouanetle o macchina nuotatoria di Rouan, la quale è di lamiera di ferro, ha la figura di due coni allungati in forma di fuso, e strettamente uniti fra loro, si lega sotto le spalle, e fa che si possa stare senza pericolo al di sopra dell'acque, quand'anche si porti un carico (Reme F.ncjclop. Avril. 1823). Per ricercare e pescare il corpo del sommerso giovano e) Il battello di salvezza, che deve essere molto leggero, ed avere spazio bastante per due rematori a due o quattro remi ed un sedile pel sommerso disposto in guisa che esso vi possa giacere a gambe distese e col capo molto alto sopra una impannata coperta di tela fittissima e con due appoggi ai Iati, perchè il corpo non cada sotto i varii movimenti del battello medesimo. f) Un cercatore di ferro a quattro uncini bottonati e ricurvi ed adattabile ad una pertica la cui lunghezza corrisponda all'altezza dell'acqua. (PI. IL fig. 6. nei citati Annales etc.) g) La rete di Miller premiata con medaglia d'oro dalla Società delle arti di Lon- dra, e delineata alla fig. 7. ed 8. della PI. III. negli Annales d'Hjgiene etc. N. B. Non si parla del cercatore e della tanaglia di Biaasch che si adottarono dalla società di Amburgo perchè si trovò in fatto che non corrispondono, mentre G3 non si giunge col primo a riconoscere la posizione del corpo del sommerso, e colla seconda ad afferrarlo nel modo e nel luogo prescritlo per non nuocergli. Gli accennati stromenti ed ordigni non trovando ovunque egualmente opportuna applicazione, quelli segnati a Ti sarebbero a distribuirsi lungo i varii canali presso gli abitanti di case a non grande distanza tra loro , quelli sub e d g converrebbero nei canali per cui non passano barelle e battelli, siccome nei canali delle Acquette, del Prato della Valle, presso l'Orto dei Semplici ec.,e quelli sub ef si collochereb- bero presso i Molini, al Portello, alla porta Saracinesca ed in altri punti più frequen- tati dei canali navigabili, e dove vi hanno persone che sanno maneggiare il remo. Si rendano note le vigenti disposizioni sul pronto soccorso da prestarsi ai som- mersi ed altri asfitici , combattendo in pari tempo il pregiudizio popolare sulla ne- cessità di attendere l'arrivo della giustizia sul luogo, e sulla inutilità dei soccorsi prestati alquanto tempo dopo il triste accidente. Si stampino e si diffondano gratuitamente brevi e piane istruzioni sul modo mi- gliore e più ovvio di soccorrere ai pericolati anche prima che arrivi persona dell'arte. Si obblighino ad intervenire alle lezioni, che durante i mesi d'inverno nelle Do- meniche si danno nella I. R. Università sopra i mezzi di soccorso per gli asfilici, tutte quelle persone le quali per la loro professione, per le ordinarie loro occupazioni e doverose faccende possono essere a più presto e vicino contatto coi sommersi e cogli altri asfitici, siccome sono gli ispettori sanitarii, i nonzoli e becchini, il corpo dei pompieri, i barcajuoli, i mugnai ec. Si aprano in punti diversi e tra di loro lontani della città degli asili a ricove- rarvi ed assistervi i sommersi, dietro il principio ammesso da persone sperimentate, che cioè generalmente parlando torna cosa migliore il trasportare l'asfitico dal luogo dell'accidente a quello in cui si trova l'apparecchio dei soccorsi, di quello sia por- tar questo ove giace l'infelice, perchè minore è la perdita di tempo, non è facile cosa il rinvenire una opportuna località alla riva del fiume od in vicinanza, gli stro- menti col trasporto si perdono e si guastano , ed alcuni mezzi di soccorso non si possono trasportare. Il principale asilo potrebbe porsi in quel lato del Palazzo della Regia Delegazione, che guarda la riviera di S. Giorgio, ed altri cinque ne sarebbero a collocarsi presso gli Spedali civico e dei Fate bene fratelli, la Casa di Ricovero, e le locande all'insegna del Sole (posteriormente) e del Principe Carlo. Pel primo si richiederebbero quattro stanze, e la custodia di esso si darebbe alle I. R. Guardie di Polizia che vi risiedono sempre. Per gli altri sotto la sorveglianza dei Direttori dei Pii Stabilimenti e delle locande basterebbero due stanze perchè le cucine delle case potrebbero somministrare molli mezzi di somma necessità. Si preparino e si distribuiscano mezzi opportuni al trasporto, i quali servire po- trebbero altresì ai malati, ai feriti da portarsi negli Spedali. Tale sarebbe la barella (branchard) di Marc migliorata da Daujeon , che al duplice scopo venne adottata a Parigi dal Prefetto di Polizia e dalla Amministrazione di quegli Spedali, ed ha il 64 vantaggio che chiusa occupa piccolo spazio, e potrebbe appendersi nei magazzeni delle farmacie, nelle sagrestie ec. Essa vedesi alle fig. 1 8. e ig. della PI. VII. dei più volte ricordati Annaìes cVHjgiene etc. Si provveggano essi luoghi di ricovero degli utensili necessarii e degli stromcnti raccomandati pel soccorso degli asfitici. Sono questi: i. Un letto mobile sopra ruote, doppio, con quattro coperte di lana e più pan- nilani. 2. Una tavola fissa per collocarvi sopra pagliericcio o materasso l'asfitico e pra- ticargli le fregagioni. 3. Una stuffa portatile per riscaldare panni di lana e di lino. 4- La macchina di Arveo migliorata da Braasch per riscaldare il corpo tutto del sommerso (Tav. IV. fig i3. dell'Opera citata del Bernt). 5. Spazzole — guanti — pannilani per le fregagioni. 6. Spazzole per pulire le fauci — tanaglie di acciajo a varia curva per cstrarre corpi dall'esofago — bastoncini di balena con pezzetto di spugna ad una loro estre- mità per ispignere all' ingiù nel ventricolo i corpi arrestatisi profondamente nell'eso- fago stesso. 7. Lo stromento di Le Roy d'EliolIes per guidare una cannuccia sino all'aper- tura della glottide (Vedine la figura negli Annali di Omodei per l'Ottobre 1827) ed un tracheotomo ordinario, l'apertura della cui cannella però sia fatta in guisa che vi si possa strettamente adattare una cannuccia elastica da unirsi alle varie mac- chine per la insufflazione artifiziale. 8. II gastro-sotero od antlio-sciringa doppia del nobile sig. Marsilio Papafava di Padova da fabbricarsi sotto la direzione dell'inventore; ed in mancanza di essa il doppio soffietto di Hunler migliorato dal Prof. Configliacchi di Pavia o da Le Roy di Etiolles (Ved. il citato volume degli Annali di Omodei), unitamente alla sci- ringa di Ropp (Kopp, Jahrbiicher der Staatsarzneyhinde , Voi. III.) per operare la estrazione della spuma e di liquidi dalle vie aeree. 9. Due schizzato) uno pei clisterii ordinarli, l'allro per quelli di fumo di ta- bacco dietro il modello che si conserva presso questa I. R. Università. io. Cannuccie elastiche di vario diametro e di diversa lunghezza adattabili alla macchina del Papafava, al soffietto doppio, alla sciringa di Kopp, ed allo schizza- tolo pei clisteri di fumo di tabacco. 11. Lancette — bistouri — forbici rette e curve — aghi per l'acopuntura — aghi retti e curvi — un tourniquet — cucchiaj di varia grandezza, — fascio — compresse — tele — spugne — filo — barbe di penne od altri mezzi per vellicare le narici e le fauci. 12. Dieci ampolle chiuse a smeriglio e conlenenti sotto opportune indicazioni ammoniaca; aceto radicale, liquore anodino, etere solforico, tinture di castoreo e di cinnamomo, spirito canforato, pietra infernale, aceto semplice, olio — e dieci vasi 65 bene chiusi e contrassegnali con foglie di tabacco e di senna , fiori di camomilla e di sambuco, specie aromatiche, agarico, allume sì usto che crudo, farina di senape, impiastro di cantaridi, cerotto diachilon colle gomme disteso in tela e da distendersi. i3. Macchinetta per accendere il lume con candela e con ceralacca — fornello a spirito di vino con recipienti per riscaldare liquidi. i4- Pila Galvanica a truogolo, il Galvanodesmo di Struve , una Pila elemen- tare portatile (Vedi Manni, Opera cit. Tav. II. IV. e V.)- i5. Serbatoj con gas ossigeno, ed apparati opportuni per porli in comunica- zione colla macchina di Papafava e col soffietto doppio. Si dispongano altresì negli asili accennati ed in altri punti della Città, siccome al Palazzo Municipale, presso l'I. R. Commissariato di Polizia, alle Farmacie in Borgo S. Croce, al Ponte Altinate e di S. Maria in Vanzo , al Caffè fuori della Porta del Portello delle cassette portatili, ove si racchiudano in numero sufficiente e bene disposti gli stromcnti e mezzi indicati ai N, 5. 6. 7. 8. (meno la macchina del Papafava) 9. io. 11. 12. e i3., ed in ognuna di esse cassette, oltre la indicazione delle cose contenutevi, siavi descritto brevemente il modo ed il momento da usarle. Si obblighino gli abitanti tutti della Città, ed in ispeciale modo i fornaj per la stuffa si spesso opportuna, gli osti ed i locandieri, ad accogliere nelle loro case i pericolati, ed a somministrare quei comuni ed ovvii mezzi di soccorso che sono in loro potere, e si determinino le punizioni di chi si rifiuta dal farlo; ma in pari tempo si assicuri il pubblico che saranno risarciti i danni per ciò sofferti nella roba, nelle mobiglie ec, e si fissino all'uopo le misure di tale risarcimento. Si obblighino indistintamente tutti i medici e chirurghi della città ad accorrere al primo invito e solleciti in soccorso dei pericolati , e si stabiliscano punizioni ai mancanti. (Veggasi l'Avviso del Magistrato Centrale di Sanità dei 12 Aprile 180 5.) Si stabiliscano premii per chi salva un sommerso, un pericolato in una fogna ec, avendo in ciò per norma i Regolamenti in corso , cioè la Circolare ai Prefetti 26 Giugno 1809, N.° 15478 — le Circolari dell'Eccelso I. R. Governo di Venezia io Agosto 1824, N.o 28948-2370,30 Aprile 1826, N.o i5252-i 247, 21 Maggio detto, N.o 18169-1476, 12 Ottobre 1827, N.o 3771 5-3i43, ed il Decreto dello stesso Go- verno 22 Agosto 1828, N.o 3oo45-a6oo. Si fissino le misure di premio e di ricompensa per chi primo accorre sul luogo cogli apparecchi soccorritori , per chi prontamente e convenientemente trasporta i sommersi al più vicino ricovero, per chi presta lunga ancorché inutile assistenza ai sommersi ed altri asfitici onde richiamarli in vita. Sianvi diplomi onorifici, medaglie, od altri segni di distinzione da dispensarsi a chi si fa ammirare per lo zelo nell' assistere , e per la felicità dei suoi tentativi a vantaggio dei sommersi ed altri asfitici. Si promuova e si effettui la riunione di una società filantropica, la quale o da sé sola o separatamente si occupi di quanto rendesi necessario per la piena esecuzione 66 Jel piano che si fosse per adottare, o veramente cooperi in ciò colla Congregazione Municipale. Nel i.° caso si richiederebbe che la società avesse fondi bastanti per sup- plire alle spese da incontrarsi per la stampa delle Istruzioni, per l'apprestamento e mantenimento degli asili, degli utensili, stromenti ed altri mezzi di soccorso, pei premii e per le ricompense dei soccorritori e dei danneggiati. Nel a.0 caso essa sarebbe il braccio attivo della Congregazione Municipale, aftinché gli adottati provvedimenti ot- tenessero i migliori effetti possibili. In amendue i casi la vigilanza della società do- vrebbe far si, che regolarmente si stabiliscano e procedano le misure dirette a preve- nire le sommersioni accidentali, che siano universalmente noti i doveri dei cittadini pel reciproco soccorso, che gli obbligati intervengano alle popolari istruzioni, che le istruzioni a stampa siano diffuse ed affisse dove fa di bisogno, che i luoghi di ricovero e gli utensili e mezzi di soccorso apparecchiati si mantengano sempre in buono stato ed ordine, e siano i secondi accresciuti di quelli che in progresso si proponessero allo scopo che si contempla, che i soccorsi vengano prestati in qualsisia circostanza nel modo il più opportuno, e che non si lasci di punire i mancanti, di premiare i meri- tevoli, e di risarcire i danneggiati. Vuoisi altresì notare, come riunita una volta tale società, la Congregazione Municipale, dopo avere incontrate le prime e maggiori spese per porre in attività i proposti provvedimenti, potrebbe rimettere il tutto nelle mani di essa da dichiararsi garante pel successivo mantenimento e per gli ulteriori pro- eressi della benefica istituzione. OSSERVAZIONI DELLE COMETE APPARSE NEGLI ANNI I 83o-I 83 I -I 832 , FATTE ALL'l. R. SPECOLA DI PADOVA, PRECEDUTE DA BREVI CENNI STORICI SULLA LORO SCOPERTA E SULLA LORO ORBITA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA IL XXII GENNAJO r-IDCCCXXXIlI E CONSEGNATA NEL SUCCESSIVO MARZO DAL SOCIO ATTIVO GIOVANNI SANTINI D< 'opochè sul finire del 1828 scomparve la cometa periodica di Enke, della quale vi riferii la storia e le osservazioni, con tutti i particolari ad essa relativi, nella Memoria ch'ebbi altra volta l'onore di leggervi, dotti e cortesi Accade- mici, da voi gentilmente accolta nell'ultimo volume dei vostri Saggìj l'astro- nomo riposò dalle osservazioni delle comete; imperocché può valutarsi per rara circostanza nella moderna Astronomia il trascorrere un intero anno senza la comparsa di taluno di questi nuovi ospiti. Tale fu in fatti l'anno 1829: in tanta copia di osservatori diligentissimi disseminati per tutta la colta Europa, a nes- suno riuscì di scuoprire traccia di cometa. Sotto più lieti auspicii si presentò l'anno i83o. II signor Gambard, celebre osservatore e calcolatore dell'Osser- vatorio di Marsiglia, degno successore all'instancabile Pons, di cui avemmo non ha guari a compiangere la perdita, scuoprì nella notte dai 20 ai 21 Aprile una cometa brillante e splendente, con nucleo ben determinato, nella co- stellazione del Cavallino, e ne diramò la notizia agli astronomi con una lettera circolare del giorno 22. Ricevuta appena una tale notizia, in compagnia del- l'egregio mio collega signor Conti, nostro onorevole Presidente, ne feci la ri- cerca alla macchina paralattica la notte del 3o Aprile, e con somma facilità fu ritrovata verso 2h dopo mezzanotte in una AB. di 3i8.° 32 , ed in una decli- nazione boreale di i5°. 5i\ Era allora mollo luminosa; sosteneva l'illuminazio- ne dei fili nel canocchiale della macchina a segno di potersi osservare eziandio col micrometro a fili sottili; aveva una picciola coda, ed il suo nucleo era ab- bastanza bene terminato: sebbene non apparisse subito ad occhio Dudo, tuttavia 08 un occhio bene esercitato, e diretto al luogo da essa occupato, poteva a quel- l'epoca facilmente riconoscerla. Ben presto però s'indebolì a segno da non poter sostenere l'illuminazione dei fili, e fu necessario osservarla alle solite lamine metalliche destinate per gli astri più deboli. La serie delle nostre osservazioni termina col giorno 3o Giugno, alla qual epoca era divenuta in vero molto debole; tuttavia iu Firenze il Padre Ingbirami con un eccellente acromatico di Fraun- bofer continuò ad osservarla per lutto il seguente Luglio, e fino ai i 7 Agosto. 11 modo con cui si fecero le nostre osservazioni è quello stesso praticato per le anteriori comete, di cui qui per conseguenza non occorre far parola. Ram- menteremo solo, che ti ebbe sempre in mira di riferire la cometa a stelle ben conosciute e determinale, inserite nei cataloghi di Piazzi o di Bayly, affinchè non rimanessero nelle osservazioni altre incertezze, che quelle dipendenti dalla languida luce, ed irregolarità del nucleo della cometa. Le riduzioni poi delle osservazioni furono il più delle volte fatte dal signor Conti; nel che giova os- servare, che si è avuto eziandio riguardo alla differenza delle rifrazioni medie, quando questa era sensibile. Mediante le osservazioni 3o Aprile, 0 e 18 Maggio intrapresi il calcolo del- l'orbita parabolica, seguendo il metodo del celebre Olbers, dietro quelle modi- ficazioni che diffusamente ho esposto nelle mie Lezioni di Astronomia (Vo- lume IL, seconda edizione, i83o),e giunsi al seguente sistema, che dentro po- chissimi secondi rappresenta le osservazioni fondamentali. Passaggio al perielio i83o Aprile 9,63804 T. M. in Padova Longitudine del perielio -=212°. 23. 18', 8 del nodo = 20G. 22. 43, 1 Inclinazione = Si. 11. 8, 8 Log dist. perielia = 9,9650486; (list, perielia •= 0,922675; moto diretto. Di qui si traggono le seguenti equazioni pel calcolo delle coordinate eliocen- triche rapporto all'equatore. x = mr. sen [v -+- 3oo° 49'- 33") ; log m = 9.9943247 y = n r. sen (v -f- 210. 8'. o") ; log n = 9. 9988019 z <= p r. sen (e -+- 275. ^0. 52") ; log p = 9.2476682. 11 signor Conti intraprese egli pure il calcolo dell'orbita collo stesso metodo, ma prendendo a base le osservazioni di Marsiglia del 21 Aprile, e quelle qui fatte nelle sere 3o Aprile ed 8 Maggio, e giunse al seguente sistema, al supe- riore molto prossimo, e che rappresenta egualmente bene .le osservazioni fon- damentali. 69 Passaggio al perielio i83o Aprile 9, 32i55 T. M. in Padova Longitudine del perielio = 212°. 9'. 19", 8 del nodo - = 20G. 22. /+6, 2 Inclinazione ..-.........-...— 2i. 16. 40, 9 Log dist. periel. = 9. 9643 12 rj dist. perielia = 0,921111; moto diretto. Da questi elementi si può facilmente rilevare ch'essa è diversa da tutte quelle delle quali è riferita l'orbita nei cataloghi delle comete , e deve ritenersi per nuova: essa pertanto nella estensione del catalogo posto in fiue al primo volume de' miei Elementi di astronomia sopra citati, viene ad occupare il N.° i38, col quale anco la designeremo, attribuendo alle seguenti i numeri successivi in ordine alla loro apparizionet quando non siano riconosciute periodiche. Si potè anco facilmente riconoscere, che quando cominciò a vedersi in Europa, aveva oltrepassato il punto del suo massimo splendore; fu anzi congetturato elle nel- l'emisfero australe doveva essere slata veduta ad occhio nudo, molto splendente e con lunga coda; le quali congetture furono poi verificate dalle notizie perve- nuteci da quei remoti paesi, poiché non solamente fece di se pomposa mostra al Capo di Buona Speranza, alla Nuova Olanda, ed in altri luoghi, ma fu an- che osservata da distinti astronomi al Capo ed a Buenos-Ayres. Quasi tutti gli astronomi contemporanei hanno osservato e calcolato questa bella cometa; la fedeltà dell'istoria esige che tengasi conto dei risultati da cia- scuno ottenuti, come di testimonianza la più certa del zelo vivissimo in tutte le classi sociali pel costante incremento del ricco tesoro delle umane cognizioni. La brevità che devo impormi per non porre a troppo duro cimento la vostra gentile sofferenza, non mi permette d'entrare in minuti particolari sulle osser- vazioni di ciascheduno; mi limiterò pertanto a riferire i risultati di quelli che ne investigarono l'orbita, fra i quali vuoisi fare speciale ed onorala menzione dei signori Nicolay, Hedemkampf e Mayer, che col complesso di tutte le os- servazioni corressero i primi elementi, e mostrarono essere insensibile l'aberra- zione di quest'orbita da una parabola. La coincidenza che si osserva in questa tabella fra i risultali da diversi calcolatori ottenuti eziandio con prime osserva- zioni, è una luminosa prova tanto del perfezionamento degli slromenti, quanto dei metodi di calcolo adoperati per queste ricerche, le quali, non ha molto, erano riputate le più intricate e le più difficili che presentar potesse la pratica dell'Astronomia. 7o Calcolatori. Passaggio al perielio i8do Aprile. T. Medio Longilud. del Longilud. del Inclinazione. Disianza di ( perielio. 1 noao. perielia. Carlini. 9,3o573 Milano 2i3°.n'.38",i 2o6°.2i'.36",2 2I.°l6'.27",2 0,g2i434 Olbers. 9,355g8 Berlino 212. 13. 39 206. 21. 3i 21. i5. 55 0,92149 Scwerd. 9,o34455 Spira 212. 1. 13 206. 18. 1 4 21. 20. 44 0,92029 Nicolay. 9,3a533 Mannheim 212. 1 1.46, 9 206. 21. 43, g 21. l6. 29, 1 0,92i437 Walz. 9>376 Nirnes 212. i3. 3o 206. 22. 0 21. 16. O 0,92160 Mayer, Kotlinger. 8,77835 Vienna 211. ."> 1. 4> 3 206. 19.42 21' 26. 23, 7 °W)\7 ... Hedemkaropf-Mayer. 9^07119 Parigi 212. 1 i.44i>3 206. 2i.53,34]2i. 16.27,99 0,921 44^44 Cometa del i83i. N.° i3g. Ai primi giorni dell'anno erasi sparsa la voce fra il popolo, che dai vicini monti, nei luoghi soprastanti alle nehhie, dalle quali fummo in quell'anno do- minati, vedevasi una bella cometa ad occhio nudo. Il primo avviso certo, che ne ricevetti, fu da una lettera del signor Cav. Biela, osservatore diligentissimo e scuopritore di una celebre cometa periodica, il quale la osservò in Bolzano la mattina del 14 Gennajo in 255° di A Rj ed in — i^0 di declinazione. In seguito si seppe ch'era stata veduta in Perugia fino dal giorno 8, ed in più luoghi della Germania e dell'Inghilterra quasi contemporaneamente. Pel cattivo stato dell'atmosfera non potè qui vedersi che alla mattina del 22 di Gennajo, alla qual epoca cominciano le nostre osservazioni, che si compiono agli otto di Marzo. Nei primi giorni poteva ancora vedersi ad occhio nudo; ma ben tosto s'illanguidì a segno da non potersi osservare più che con l'ajuto di un cannocchiale. Da principio aveva una picciola coda, e presentavasi sotto l'aspetto di una larga nebulosità, nella quale a stento potevasi distinguere qual- che punto più denso; per la quale ragione incerte e male determinate riusci- vano le osservazioni. Il giorno 3 Marzo era già divenuta molto languida; agli d dello stesso mese si sospettava la sua esistenza fra due piccole stelle telescopi- che, ove appariva una piccola macchia bianca, che si osservò con molta incertezza. La prima approssimazione degli elementi dell'orbita riuscì più del solito lon- tana dal vero, perchè all'epoca della sua apparizione la direzione del suo moto molto si avvicinava ad essere compresa in un circolo massimo della sfera; la quale circostanza, com'è noto, rende indeterminato il rapporto delle distanze. Quindi avendo ricavato una prima nozione prossima degli elementi, scelsi tre osservazioni fra le più rimote e meglio determinate, cioè del 21 Gennajo, 1 1 Febbrajo, 4 Marzo; ed avendole ridotte all'equinozio medio, e corrette dalla paralasse ed aberrazione, ottenni le seguenti posizioni: (83i,T.M. in Padova. Longit. di coni. = «. „. . , , 21,74179 Giorni del- , 'J f-Z ., 42,73757 1 anno 24B".5'.37" 209. r. 11 i58.2.54 Lat. di coni. -r-i3°44'.2 2" + i5.53.a8 '-f- 8. 3.26 Longit. di Terra = L. Log R. i2i°.3o.'i3'' 142.47. 41 i63.32.46 9>993l4o3 9,9945662 9,9966272 63,36834 Da queste posizioni, col metodo da me allre volte praticato, e descritto negli Atti di questa stessa Accademia (Voi. III. Nuovi Saggi) , consistente nel dare delle piccole variazioni arbitrarie alle distanze accorciate della cometa dalla Terra nella prima e terza osservazione, per dedurne poi le vere col mezzo di equazioni lineari di condizione, ho dedotto la seguente orbita parabolica, la quale esatta- mente rappresentando la prima e la terza osservazione, si allontana di pochi secondi dalla seconda posizione, come dimostra il sottoposto confronto. Passaggio al perielio - - - - i83o Dicembre 27,69136 T. M. in Padova. Longitudine del perielio ------= 4°- 4^ ■ 43' 1 9 del nodo = 337. 53. 9, 5 I colle regole del Inclinazione -- == i35. i5. 27, 9 \ moto diretto. Log dist. perielia ---------• = 9, 1000484. L'inclinazione superando 900, la cometa appartiene alla classe di quelle ap- pellate retrograde; quindi se nel calcolo delle posizioni geocentriche vorrassi far uso dei consueti precetti pel moto retrogrado, converrà cangiare la longitu- dine del perielio e l'inclinazione nelle seguenti: Longitudine del perielio = 3 io0. 5g'. 35 , 1 Inclinazione - - = 44- 44- ^2, 1 Il confronto di questi elementi con le osservazioni fondamentali ha dato i risul- tati seguenti: Differenza in Longit. caleol. Longit. osserv. Lalit. caleol. Latit. osserv. Longit. | Lalit. 1. osserv. 2. osserv. 3. osserv. 248°.5'.37",i 209. 1. 8, 6 1 58. a. 53, 9 2480. 5.' 37", o 209. 1. 11, o 1 58. 2. 54, o i3°.44'.2i",8 i3. 53. 5o, 3 8. 3. a5, 9 l3°.44'.22",0 i5. 53. 28, o 8. 3. 26, o -o",i + 2, 4 -f-o, 1 + 0",2 — 22, 3 + O.I I sigg. Peters a Berlino, e Knorre astronomo di Nikolajew determinarono essi pure 1' orbita di questa cometa ; ma un lavoro molto diligente devesi al si- gnor Wolfers , il quale ha fatto concorrere nella ricerca de' suoi elementi le migliori osservazioni falle nelle principali Specole di Europa , confrontandole poi molto diligentemente co' suoi risultati. Soggiungeremo qui gli elementi otte- nuti da questi chiarissimi calcolatori, donde apparirà la coincidenza loro con quelli superiormente ritrovali. 7a i83o Pass, al perielio. T. medio in Bcrliao. Peters. Knorre. Woli'ers. Dicembre. 27, 70490 27, 72320 27,69760 Longil. del perielio. 3io0.59'. 59" 3i 1. 3. 5o 3 io. 54. 19,2 Longit. del nodo. Inclinazione. 337°. 54. 18" 337. 54. 35 337. 53. 7,2 44".48'.4i" 44- 49- 5a 44- 45. 3o, 1 Log dist. perielia. 9,0997368 9,0983600 9,0999822 Moto relrogr. Anche questa cometa appare del tutto nuova nell'istoria dell'Astronomia. Comete dell'anno 1882. L'anno i832 ora trascorso è rimarchevole nell'istoria delle comete, impe- rocché in esso altendevasi già il ritorno di due comete periodiche; di quella cioè a breve periodo di Enke , la quale compie il suo giro intorno al Sole in circa 3.i anni; e dell'altra di 6.| anni, scoperta da Biela. Quanto alla prima, la cui teoria è assai bene conosciuta per gl'immensi la- vori del signor Enke (dei quali abbiamo dato la storia nella precedente Memo- ria), ben si prevedeva che con somma difficoltà sarebbesi potuta osservare in Europa, e tutta la nostra speranza era riposta negli Osservatore dell'emisfero australe, fra i quali primeggiano quelli del Capo di Buona Speranza, di Buenos- Ayres, ove trovasi il nostro italiano Fabrizio Mossotli, e di Paramatta. Ignoro se in quest'ultimo luogo sia stata realmente osservata; ma ci giunsero già a que- st'ora le osservazioni del Capo e di Buenos-Ayres, le quali hanno pienamente confermato la teoria e l'effemeride del signor Enke. La seconda cometa di Biela ha una teoria meno limata; non si conobbe il suo periodo che dopo la sua ullima apparizione del 1826, nel qual tempo (siccome altra volta vi esposi) i signori Gambard e Clausen i primi si accorsero ch'era periodica, ed identica a quella osservala nel i8o5. Il signor Barone di Damoi- seau aveva intrapreso a calcolare le perturbazioni che in quest'ultima rivoluzio- ne doveva soffrire per l'azione dei pianeti del sistema solare , ed in particolare di Giove, di Saturno e della Terra, dopo di avere dalle osservazioni del i8o5- 1826 ricavato l'asse maggiore dell'orbila corretto dalle perturbazioni sofferte in questo lungo intervallo per l'epoca del passaggio al perielio nel 1826. Sui suoi elementi costruì una piccola effemeride per ricercarla nel 1 832, la quale riuscì disgraziatamente erronea per un qualche errore commesso forse nel trasportare le posizioni eliocentriche al centro della Terra. Sul principio dell'anno decorso essendomi accorto di un tale errore, volli correggere l'effemeride; ma prima volli tentare il calcolo delle perturbazioni nel periodo che doveva trascorrere fra il 1826 ed il i832. Eseguii questo calcolo, in vero, sopra basi alcun poco arbitrarie, e °iunsi a risultali da quelli del signor Damoiseau non molto diversi, 73 tranne il passaggio al perielio, clie risullò minore Ji più di due giorni in grazia di un errore commesso nella variazione dell'anomalia media, siccome più tardi venne da me riconosciuto . Avendo così sotto gli occhi due sistemi di ele- menti, calcolai una doppia effemeride per indicare l'estensione da darsi alle ri- cerche all'epoca della sua reapparizioue , la quale venne inserita negli ninnali del Regno Lombardo -Veneto -t accreditalo Giornale pubhlicato per opera del benemerito ed illustre nostro socio signor Avvocato Fusinieri. Quella doppia effemeride, disposta com'era, doveva prevenire i vani timori che tanto agitarono nello scorso autunno le menti del volgo. Imperciocché era stato detto, è vero, da un riputatissimo astronomo, potersi la presente cometa nel giro indefinito dei secoli trovare in tanta prossimità alla Terra da manifestare una sinistra influenza; ma nel tempo stesso era stata annunziata la minima probabilità di un tale evento. Tutti poi avevano asserito nei Giornali letterarii e politici, che in questa rivoluzione passava dalla Terra molto lontana : quelle effemeridi poi mostravano che nella sua maggiore vicinanza sarebbesi tenuta da noi lontana per circa la metà della distanza solare; lo che importa più di 4o milioni delle nostre miglia. Ciò nulla valse: che accorti venditori di frottole, a disdoro dei lumi del secolo, composero loro relazioni atte a spaventare il vol- go, e ad indurre il timore di un funesto incontro, che nessuno erasi sognato di prenunciare. Cometa di Gambard. N.° 140. s Mentre attendevasi dagli astronomi il mese di Settembre per ricercare, die- tro la scorta dei calcoli precedentemente indicati, la cometa in discorso, il dili- gentissimo signor Gambard scuopri la sera dei 19 Luglio una piccolissima co- meta senza coda e senza nucleo, e gentilmente me ne partecipò la notizia con lettera del giorno 20 da Marsiglia, aggiungendo ch'era difficilissima a vedersi. La lettera del signor Gambard mi pervenne soltanto ai 3o di Luglio, e la stessa sera la ricercammo lungamente ed inutilmente. Solo ci riuscì d'incon- trarla la sera seguente 3i Luglio in 233° di A R} ed n° di declinazione, nella costellazione del Serpente. Con questa sera comincia la serie delle nostre osser- vazioni, che compiesi col giorno 27 Agosto, alla qual epoca pel chiarore della Luna si perdette di vista. Quando la ritrovammo si presentava come una nebu- losa, splendente nel suo interno in forma variabile: si ricercò anche col can- nocchiale di Fraunhofer di 4 piedi; ma non vi si potè distinguere nucleo con- tornato. IO 74 Mediante le osservazioni del 19 Luglio di Marsiglia, del 1.0 e del i3 Agosto ne calcolammo un'orbita parabolica, la quale continuò a rappresentare le osser- vazioni per tutto il tempo della sua apparizione dentro pochi secondi. Essa deve riporsi fra le nuove comete, non mai osservate nei tempi addietro, e non lascia speranza di congetturarne il periodo, giacche la sua orbita non si allontana sen- sibilmente da una parabola. Qui soggiuugonsi le posizioni osservate, che hanno servito di base al calcolo dell'orbita, avvertendo che il tempo osservato in Mar- siglia è stato ridotto al nostro meridiano. Le longitudini sono contate dall'equi- nozio medio. iS32. T. medio in Padova. Luglio. i9,55o5i) Agosto. 1,39239 i3,38i8o Longit. osserv. di comela. 2470.36.'23",8 226. 17. 16, 2 217. 54. 4, 2 Longit. della Terra. 2970. l3'. 17", 7 309. 3o. 1, o 320. 5g. 54, 3 Latit. osserv. di cometa. Log dist. di Terra da Sole. +48°. 3'. i5",6 28. 4°- I7> 3 i4- 20. 56, 4 o. 0069066 o. 0062875 o. 0054172 Di qui risultarono i seguenti elementi (facendo uso di tavole a cinque cifre): Passaggio al perielio i832 Settembre 25,5873 T. M.in Padova. Log distanza perielia ---- == 0,07326 Longitudine del perielio = 2760. 58', 5 I secondo i pre- dei nodo = 72. 26, 5 \ cetlidel moto Inclinazione = i36. 4X> ! \ diretto. ovvero Longitud. del perielio = 2270. 54', 6 /secondo i prec. Inclinazione- -----= ^3. 18, 9 ) del moto relrogr. Questi elementi rappresentando esattamente la prima e la terza osservazione, si allontanano di o', 1 da quella di mezzo, come dimostra il seguente confronto. i.° Agosto. Longit. calcol. = 2260. 17', 4 5 kilt calcol. = -f- 28°.4° >2 osserv. = 226. 17', 3 osserv. = -+- 28. 4°, 3. Per ultimo, ad oggetto di facilitare il confronto fra le posizioni osservate e le calcolate, aggiungeremo anche le formule pel calcolo delle coordinate eliocen- triche rapporto all'equatore, come risultano dai precedenti elementi disposti per le regole del moto diretto. x = m r sen (v-\-22&0.2' ,i);f=-nr seri (i>-\-3230.o',']);z=p.r.sen (i'-T-23g<>. 32', 3) log m = 9.87878; log n = 9,99783; log p = 9.82062. Anche di questa cometa è stata calcolata l'orbita da molti astronomi contem- poranei sopra diverse osservazioni, i risultati dei quali vengono da noi riferiti nella seguente tabella. 75 Calcolatori. Bouvard Gambard Walz Heiligstein .... Olbers Peters Pelersen Selander Bernardi e Kreil. Kollinger moto Pns.alpericl. Seti. i85-j. T. M. in 2j,528o58 26,1 70 23,977 25,45i82 25,3i85 25,56427 26,570 26,5307 25,520,5 26,62858 retrogrado Parigi. Marsiglia, Nimes. Berlino. Berlino. Berlino. Altona. Upsala. Milano. Vienna. Longit. del perielio. 327°.55'.35",9 226. i4- io 47.30 1. 20 ij. 4g 229. 228. 228. 227. 226. 226. 227. 226. 54- 36, 37.19 40. 5 55. 5 Longit. de nodo. .26'.4'"9 6. 5o 9. o 25. 24 19.34 26.48,6 8 7^ 73. 72. 72. 72. 72. 72. 49. 72. 49- 9 72. 24. 54 73. 6. 1 Inclinazione. 43°.i8'. 3",i 43. 58. o 43. 38.12 43. 16. 6 43. io. 57 43. 18. 4i, o 43. 52.57 43. 52. 45 43. 16. 7 43. 57.22 Log ilist. perielia. 0,0732061 o.o643i O.07875 0,073582 0.074734 0.0731607 o,o683o 0,06847 0,07320 o.o6553 Il mediocre accordo che osservasi fra i risultati ottenuti dai diversi calcola- tori vuoisi attribuire alla circostanza di una forte distanza perielia, e di un con- seguente piccolo moto eliocentrico nei brevi intervalli che d'ordinario si assu- mono per una prima indagine degli elementi; onde poi ne risulta che gli er- rori delle osservazioni, sempre considerabili nelle comete, manifestano una pe- ricolosa influenza nel risultato. Conviene pertanto attenersi a quegli elementi che, come i nostri superiormente riferiti, si fondano sopra più remote osserva- zioni, o che sono stati ottenuti col concorso della totalità delle buone osserva- zioni, fra i quali meritano speciale menzione i risultati dei signori Eugenio Bouvard, nipote del celebre astronomo Bouvard, e Peters, che rappresentano dentro pochissimi secondi le buone osservazioni , siccome può vedersi nel vo- lume X. delle Notizie astronomiche del signor Schumacher. Ritorno delia cometa di Biela. N.* 75. Si stimava generalmente che questa cometa sarebbe stata visibile verso i primi giorni del mese di Ottobre , e si nutriva la speranza di poterla vedere eziandio in Settembre: per questa ragione lungamente la ricercammo in Set- tembre ed ai primi di Ottobre col cannocchiale della macchina paralettica, e colla scorta della effemeride. Il fatto mostrò che con deboli cannocchiali non potevasi vedere che sul finire di Ottobre; in Milano fu osservata ai 26 di questo mese; da noi ai 3i: e sarebbesi dovuta vedere qualche giorno più pre- sto, se la circostanza delle vacanze autunnali non avesse reso meno assidue le osservazioni. Generalmente fu osservata fra il 20 ed il 25 di Ottobre, e fu ritro- vata in gran vicinanza alle posizioni assegnatele dalle effemeridi, stando all' in- circa in mezzo fra i luoghi corrispondenti agli elementi di Damoiseau ed ai miei. Il solo Herschel in Inghilterra, munito di eccellenti telescopii a rifles- 76 sione, potò vederla circa un mese più presto nella notte del 23 al 24 di Settem- bre, e con somma gentilezza mi ha partecipato le osservazioni originali, di cui faremo uso qui appresso nella correzione degli elementi dell'orbila. Nell'inviar- mi queste sue osservazioni da Londra in data 23 Dicembre i032, si esprime cosi: La vostra effemeride mi ajutò a farne un'osservazione molto per tempo (to very early observalion), cioè del iZ al 24 Settembre _, al qual tem- po essa era così cospicua nel mio telescopio a riflessione di 20 piedi, che io reputo l'avrei veduta quindici giorni più presto , se l'avessi ritrovata od attentamente ricercata; ciò ch'io non feci. Nondimeno vi mando le mie os- servazionij ec. Allorquando cominciò a vedersi generalmente con cannocchiali acromatici di circa 3 piedi di distanza focale, era nella sua minima distanza dalla Terra, e 3a in 33 giorni lontana dal perielio; cessai di vederla ai 2G Dicembre, quando la sua distanza dalla Terra era === o, 9, ed altrettanto circa la sua distanza dal Sole. In questa sera l'atmosfera non era purissima, la cometa per la sua gran- de declinazione australe riusciva molto bassa, e piuttosto sospeltavasi la sua esistenza per intervalli nel campo del cannocchiale; sicché l'osservazione ne riuscì molto incerta: per questa ragione non vi si è avuto riguardo nella corre- zione degli elementi dell'orbita, essendosi preferito di far uso delle altre, in cui le circostanze erano più favorevoli per vederla. Generalmente in questa sua apparizione, parte pel cattivo stalo dell'atmosfera , parte per la debolezza della sua luce, poche e mal sicure osservazioni si poterono fare presso di noi; in ispecialilà poi risultarono incerte tutte quelle fatte in Dicembre, per lo stato torbido dell'atmosfera e per la sua fori e declinazione australe, in virtù della quale appena poteva sorgere fuori delle nebbie del Po, che frequentemente presso noi ingombrano quella parte del cielo. In fine si riferiranno le poche osserva- zioni fatte dal 3i di Ottobre fino al 26 di Dicembre; intanto esporremo la via tenuta per correggerne gli elementi ellittici. Comiucieremo dalla riduzione delle osservazioni adoperate per questa ricer- ca: furono esse quella del giorno 23 Settembre di Herschel, del giorno 20 Ot- tobre di Bessel a Konigsberg, del 25 Ottobre di Nicolay a Mannheim, e le fatte in Padova nei giorni 3i Ottobre, 4> 18, 19, 22 Novembre, 1 , 4, 5 Di- cembre; avvertendo che per quelle fatte in Padova ho preso il medio dei tempi e delle posizioni osservate in ogni singola sera, quando in essa cadevano più posizioni, giacché essendo sempre consecutive ed a piccola differenza di tempo, si può ritenere il moto geocentrico per proporzionale al tempo. 77 La osservazione di Herschel in Londra è descrilla nei seguenti termini. « O Settembre (23 al 24) 4h. 22'. 39" T. sid. di Slough, A R nel riflettore 5h. 45'. 44''; Declin. nel riflelt. -+- 36°. 16'. 52". «Queste posizioni sono ridotte al i.° Gennajo i83o, e souo solo approssimate; » ma molto esatte sono quelle risultanti dal confronto colla stella seguente. «Settembre (23 al 24) 41'-^1 • 36", 5 T. sider. a Slough. La cometa precedeva adi 38" una stella doppia, ed era 2' 12' più boreale di essa. Posizione della «stella doppia (dietro un confronto con S Auriga) A R = 5'1. 4°-' 54 '5 1 pel deci. = 4. 36°. 1 3'. 5 1'' j i83o. »Le stelle di questa stella doppia sono una di 8a, l'altra di 9° grandezza. » Per dedurre di qui la posizione della cometa conviene determinare quella della stella doppia. Essa trovasi nella zona 4<>4 di Bessel , e fu pure da me os- servata alla macchina paralattica nelle sere 22 Gennajo e 4 Marzo del 1 833. Quantunque chiarissimo ne sia il canuoccbiale , vi apparisce come una stella semplice di ga grandezza, e per tale è ancora riferita dal signor Bessel; donde può vedersi la eccellenza del telescopio di Herschel. La sua posizione media ridotta al i.° Gennajo i832, facendo uso delle Ta- bulile Regiomontanae reductionum eie. dello stesso signor Bessel, mi risultò come segue: Dalla zona 4o4 di Bessel ^/i?.med. =85°. 16'. 19". 5; deci. med. =-|- 36°. i4'-44")7 Dalla osservazione 23 Gennajo =85. 16. 25, 6- .... -36. i4- 5o, 1 4 Marzo =85.16.24,6 36. i5. 0,5 Posizione media pel i832 AR =85. 16. 23, 2; deci. = 36. i4- 5i, 8 Variaz. annua 60, 70 \- 1 , 67 Biducendo ora la posizione media della stella all'apparente per la sera 23 Settembre 1 832, trovo ^i?app.= 85°. 16'. 52", 2; deci. ap. = -i— 36°. 14. 44' > 2- Dietro questi elementi , dall' osservazione di Herschel si ottiene la seguente posizione della cometa: a3 Settembre i83a, tempo medio a Slough = i6h. 39'. 32', 5. AR. di cometa = 85°. 7'. 22". 2; declin. = -+- 36°. 16'. 56", 2. Le osservazioni di Bessel e di Nicolay sopra citate, comunicatemi dallo stesso signor Herschel, sono le seguenti: 20 Ottobre i832; tempo medio in Konigsberg = i2\58'. 1" AR app. di cometa = i3i°. 36. 22"; declin. = -4- 22°. i5'. 3" 25 Ottobre i832; tempo medio in Mannheim = 1 3h. 36'. i3 AR. app. di cometa = 1400. 5'. 55''; deci. = + 17. 11. 28. 70 Tant 3 a queste posizioni, come a qi ielle osservate in Padova, lio applicato le correzioni dipendenti dalla nutazione, dall' aberrazione e dalla paratasse, pren- dendo dall'effemeride la distanza della cometa dalla Terra; riducendo poi i tempi dei diversi meridiani al meridiano di Padova, e convertendoli in giorni e parti del giorno valutate dal principio dell'anno, si ottengono le seguenti po- sizioni: ■ T. medio in Padova. T. medio del pr. del- l'anno. A R app. di cometa. Corr. di par. ed aberr. Deci, osserv. di cometa. Corr. di par. aberr. A R di coro, corretta. Deci, di coni corretta. i83a. li 23 Se». I7.2C)'.26" 267,72877 85°. 7,.22",2 -}-2o",3 4-36°.i6'.56",2 +2",I 85°. 7'4a",5 +36°.i6'.58",3| 20 Oli. 12.23. 33 394,51 635 i3i.36. 22 + 9, 3 -(-22. i5. 3 +i, 4 i3i.36. 3i, 3 +22. i5. 4, 4 1 25 . . . 14.49- 47 299,57624 i4o. 5.55 + 7. • +17. 1 1. 28 0, 2 i4o. 6. 2, 1 +17. 1127, 81 3i . . . 16.52. 27 3o5,7o3o9 i49-36. 55, 3 + 9, 8 -f-10. 4a- 53, 5 2, 6 i49.37. 5, 1 -f-IO. 42- 5o, n 4Nov. 16.12. g,5 309,67.512 1 55. 18. 43, 6 + 8, 6 -r- 6. 33.43, 5 -2, 3 I 55.l8. 52, 2 -+- 6. 33.4l, 2 18. . . 16. 4-32,4 323,66983 1 72.46. 5o, 0 + 7- 1 — 6. 24. 5i, 5 _o",5 172.46. 57, 1 — 6. 24-52, 0 19 . . . i6.3g. 43,o 324,69425 173.55.32, 5 + 8, 1 — 7- '4- 1, 7 -0, 4 i73.55.4o, 6 — 7- i4- 2, , 22 . . . 16. 2.40,0 327,66852 177.10.33, 8 + 7. 3 — 9- 29- 3> 4 — 0, 3 177.10.41, 1 — 9- 29. 3, 7 1 Die. 17.18. 5o,2 336, 72141 186.24. 6, q +10, 3 — 15. 22. 5i, 4 _., 3 186.24. 17, 2 — 15. 22. 5a, 7 4-... 17.41. 18,1 339,73701 189.17. 28, 3 -4-n, 2 — 17. 4-22, I +0. 9 189.17.39, 5 — 17- 4-21, 2! 5 17.49.52,6 340,74297 190.14. 21, 3 +n, 2 — 17. 37. 16, 3 +o, 9 190.14.32, 5 —17. 37.15, 41 Riducendo ora le superiori posizioni corrette all'ecclittica, ed all'equinozio medio del o Gennajo 1 833, prendendo i luoghi del Sole dalle effemeridi di Berlino, e riferendoli allo stesso equinozio, si avranno i seguenti valori: Giorni. Longit. di cometa Lat. di cometa Longit. di Terra Log disi, di Terra da Sole = a r-== L ==logi? Settembre 20 85°.58'.5i".i -r-i2°. 53'. 27", 7 1°. 7'. 2 3", 5 o,ooio333 Ottobre 20 128. 2. 42, 5 ■+- 4. 7. 16, 8 27. 35. 59, 0 9,9977060 25 rSy. 9. 35, 1 + 1. 33. 25, 5 32. 38. 52, 3 g.997^91 3i 147. 5g. 46, 4 — 1. 33. 5o, 7 38. 46. 40, 2 9>996399° Novembre 4 154. 4- *4> 3 — 3. 27. 36, 2 42. 45. 38, 8 9>99595ba 18 175. 56. 3o, 2 - 8. 45. i3, 5 56. 5i. i4, 1 9,9946161 '9 177. 19. 42, 8 - 9. 2. 58, 3 57. 53. 21, 6 9-994^298 22 ibi. i3. 48, 7 — 9. 48. 58, 6 60. 53. 5i, 9 9,9942855 Dicembre 1 192. 2. 22, 8 — 11. 33. 57, 9 70. 4- 25, 2 9,9936i5o 4 ig5. 19. 45, 8 — 11. 5g. 47, 2 73. 8. 5, 0 9,9934259 5 196. 24. 7, 0 — 12. b. 8, 7 74. 9. 22, 6 9,9933677 79 Un confronto instituito levi calamo colla doppia effemeride più volle citata, mostra che le posizioni osservate cadono sempre fra le posizioni ivi riferite dei due sistemi ad un terzo circa di distanza da quelle corrispondenti agli ele- menti del signor Damoiseau; e siccome quei due sistemi di elementi ellittici non differiscono sensibilmente che nel passaggio al perielio, cosi si può preve- dere che la correzione più forte deve cadere sopra quest'importantissimo ele- mento: d'altronde l'asse maggiore dell'orbita di Damoiseau essendo ricavato dietro una profonda discussione delle perturbazioni sofferte fra il i8o5 ed il 1826, deve ritenersi per molto prossimo al vero. Pertanto, ad oggetto di stabi- lire le equazioni di condizione per la correzione degli elementi, ho confrontato le superiori osservazioni col sistema di elementi di Damoiseau, avendo solo di- minuito il passaggio al perielio di un terzo della differenza fra il suo ed il mio risultato; lo che ha somministrato la seguente orbita ellittica molto prossima al vero: Passaggio al perielio = r = i832 a giorni 33 1,09 T. medio in Padova Longitudine del perielio = T = 1 090. 56 . 45" del nodo = a> = 248. 12. 24 Inclinazione- ------ = j = i3. i3. i3 Semiasse maggiore ---==« = 3, 53683 ; log a = 0, 5486142 Eccentricità = e = sen

    p = — 189, 9 20 OH. d V = -f- 1,9261.^» + 2, 1766.^/' — 54i, i3o. Jx^_38, 345. d*-}- 35, 89. d<( = — 237, 1 J\'s + 25,356o.(Z" + i8, iuo.r + 2o,i3o. = 248. i5. 36, 09 ! del 0 Genn. 1 833 Inclinazione ------ i = i3. i3. o, 92 Angolo di eccentricità

    99 5 -r- 3/+, 29 — 72> 00 -+■ 4*> 39 - 80, 75 Se ora si farà un leggiero confronto fra i due ottenuti sistemi di elementi, si troverà che pochissimo differiscono gli uni dagli altri, e che l'influenza degli errori eventuali delle osservazioni, ora positivi ed ora negativi, all' incirca spa- risce. Del resto, si dovrà preferire il secondo al primo sistema, giacche prenden- do la somma dei quadrati degli errori nelle osservazioni che gli hanno ser- vito rispettivamente di base, si troverà pel primo = io556,6; pel secondo = 1883,72. 83 Non sarà inutile ricercare fra quai limiti si possano presumere compresi gli elementi relativi al 2.0 sistema, al quale d'ora in poi ci atterremo, ed a tal fine risolvendo le equazioni ai minimi quadrati, ho lasciato nel secondo membro di ciascheduna un'indeterminata, e coi metodi ordinarli di eliminazione ne ho de- terminato i coefficienti, i quali, dietro gli elegantissimi teoremi da Gauss svilup- pati nella sua Theoria molus corporum coelesiium, ed in una sua interessan- tissima Memoria inserita nel V. volume dei Nuovi Atti di Gottinga, condu- cono immediatamente ai ricercati limili. Chiamando pertanto ni Xerrore probabile delle osservazioni secondo la de- finizione assunta da Gauss, ed indicando per Edu, Edi, Ed-:, Edn, Ed l8 m hàx = — K0, OOOOOg625 — ± 08,003l74 Edn = 60 m •0,00111215 — ± 20">47 Edf = 60 m ^0,000006718 = ± i",5g . Confrontando per ultimo col secondo sistema l'osservazione del 26 Dicem- bre, si avrà A R di com. osservata = 2o8°.4'. IO'\5; declin. osserv. = — 25°. 52'. 20", 7 Corr. per l'aberr. e parai. = -f- 12, 2 -f- 25 = 208. 4- 22, 7 = — 2.5. 52. 18, 2 A i{ calco!. = 208. 4. 57, o; deci. cale. = — 25. 52. 4, o errore = — 34, 3 — 14, 2 Seguono le osservazioni delle comete fatte nell'I. R. Specola di Padova. 84 I. Cometa del i83o. N.» i38. Mesi,Gior. Tempo medio in Padova. AR App. comela. Ji Deci. app. di cometa. Nomi delle stelle di confronto. Aprile 3o i3. 37.'36")9 3 18. 32'. 2 ',4 0 +i5.5i'.i9",4 (2564-258i Bayly), coi fili sottili i83o — i4- 7. 11, 0 3i8.3a. 4, 8 i5. 52. 3i, 6 del micrometro. Magg. i i4- i4 25, 7 3i8.38.i8, 2 16. 25. 48, 7 i4 4o.44, 5 3i8.38.ig, 8 16. 26.48, 0 3 i3. 9. 4, 8 3i8.5o. 8, 0 17. 27. 3 1, 6 — i3. 59.36, 8 3i8. 5o. 2 -+- 17.28.36, 6 5 i4 11.48, 2 3ig. 1.33. 6 18. 26. 52, 6 Questa e le seguenti con le lami- — i4 48.37, 3 3ig. 1.42, 0 18.27. 24, 6 ne metalliche. 8 i3. 5g. 3, 4 3ig. i4- 53 3 19.45. 36, 7 33g. XXI. Piazzi; 28 Pegaso. — i4- 23. 29, 6 3ig.i4-47 4 19.45. 5i, 4 IO i3. i5. 19, 1 3 ig. 22. 3g 5 20. 32. 34, 3 e Pegaso 33g XXI. P; 28 Pegaso. — l3. 24. 2g, 2 3ig. 22. 4o 2 20. 32. 36, 9 12 12. 58. 1 1, 2 3ig. 28. 32 2 31. 16. 44, 9 /Pegaso, ig5 XXI. P. 12 Pegaso. — i3. i4- 5g, 9 319.28.29 8 21.17. 3,2 18 i4- 22. 6, 9 3ig.35. ig 1 23. i3. i3, 1 f Pegaso (sera nebbiosa). — l4- 32. 19, 2 3ig.35.2g 1 23. i3. 37, 1 »9 12. 38. 3, 5 3ig. 34. 3o, 5 23. 29. 3i, 6 f Pegaso ; h Pegaso. i3. 4- 29, 3 3 19.34. 42 3 23. 29. 17, 6 20 i3. 12. 8, 9 3ig. 33. 3i 7 23.45.45, 4 2 I 12. 5o. 1, 2 3ig. 3i.45 7 24. i-4°! 3 — i3. i5.46, 3 3ig. 3i.4l 1 24. 1. 39, 3 22 12. 32. 16, 9 3ig.3g.36 8 24. 16. 7, 1 — 12. 59.54, 7 3ig.2g.44 0 24. 16. 21 , 1 23 12. 21.43, 0 3ig. 26. 57 6 24. 3o.47, 9 12. 5i. a5, 5 3ig. 26. 34 3 24-3o. 55, g 24 12. 33. 25, 5 3ig. 23. 19 , 6 24. 44' 42, 6 — i3. 0.26, 7 3ig 2.3. 2 , 5 3445.17,4 25 12. io. 3g, 2 3ig. 19 0 , 9 24.57. 56, 3 fé (3 del Pegaso. — 12. 45. 4', 1 3i9. 18.41 , 4 2458. 0, 3 26 12. 6. 2, 5 12. 42. 4o, 6 3ig. i4 g 3ig. i4.3g 1 1 25. 11. 0, 5 25. 11.57, 5 Sera fosca; com. appena visibile. 28 12. 7. 38, 5 12. 32.41, 5 3ig. 3. 16 1 3 r 0/ rtc e) Sera chiara; coni, splend., ma in- c nr e .' e ì debolita rapp. alle prime sere. 3 19. 2. 5o , 3 Sostiene una piccola ìlluminaz 29 12. 0. 37, 6 12. 29. 29, 2 3i8. 56. 29 3 18. 56. 33 4 4 25. 45. 58, 2 2 5. 46. 16, 2 k Pegaso; 35 Volpe. 3o 11. 57.i8, 3 3i8.4g 45 , 2 25.56.-6, 4 — 12. 27.46, 6 3i8.4g.37 , 6 25.56. 18, 4 Giugno 1 12. 18.41; 8 3i8.34 0 , 4 26. 16. 1,9 — 13. 49-37, I 3i8.33.3i , 3 26. 16. 14, 9 2 i3. 33. 18, 9 i3. 2. 5i, 1 3i8.2.5. 11 , 5 26. 24. 44, 1 — 318.24 49 3 26. 25. ig, 1 Incerta per lo splendore lunare. 3 12. 21. i4, 3 3i8.i5.52 8 26. 33. 17,2 2 544 Bayly; 35 Volpe. — 12. 34.33, 8 3i8. i5.4i , 5 26. 33. 20, 2 5 11. 44 55, 5 12. 2. 52, 8 3i7.56.32 3 17. 56.56 , 4 7 26.48.43, 7 +26.48.43, 7 Cometa debolissima. Continuazione delle osservazioni della cometa del i83o. N.° i38. Mesi,GIor. Tempo medio A R app. di Declin. app. Nomi delle stelle di confronto. in Padova. cometa. di cometa. Giugno 6 li 12. 33'.42f',o 3.7°44'.39",9 +26°.55'.42",9 3 Volpe (cometa incerta). i83o ii 11. 4-22) 2 3i6.42. i5, 6 27. 20. 24, 3 35 Volpe, p Cigno. 12 11. 35.47, ' 3i6. 27. 55, 4 27. 23. 59, 7 — 12. 11. 5g, 3 3 16. 27.43, 3 27.24.25, 7 i3 11. 54. 7,8 3i6. 12. 5g, 2 27. 27. 3, 3 •9 1 1. 35. 56, 9 3i4.35.45, 4 27. 32. 11,6 22 e 80 XXI. Piazzi. 11. 57. 7, 6 3 1 4- 35. 5i, 4 27.32. 34, 6 21 12. 12. 16, 8 3i3. 59. 4o, 3 27. 29.42, 6 — 12. 35. 27, 8 3 1 3. 5g. 23, 5 27. 29.40, 6 23 12. 7.11, 7 3i3. 22. 52, 7 27.24.44, 6 [ — 12. 3o. 29, 7 3i3. 22. 53, 5 27.24,55, M0ggtl.Con[. 24 1 1. 32. 52, g 3i3. 4- 24i 7 27. 21. 38, 6 — 12. 2. 43, 2 3 1 3. 3. 5o, 7 27. 21.49, ^ 25 1 1. 57.40, 8 3 12. 44- 44, 4 27. 18. 0, 5 453XX.,22XXI.P. Lacom. molto — 12. 17. 5l, 2 3 12. 44- 16, 2 27. 17.54, 5 indebolita conserva un nucleo splend. 26 1 1. 3o. 46, 7 3ia. 25. 19, 6 27. 12.41, 7 La 1.» declin. forse troppo piccola, — 1 1. 56. 12,6 3i2. 25. 7,0 27. i3. 8, 7 la 2.a troppo grande. 28 12. 5.47,4 3n.45. 34, 7 27. 2. 33, 7 — 12. 35. 3i, 0 3i 1.44. 56, 8 27. 2. 20, 2 39 12. 6. 2, 7 3n.2 6. 0,7 26. 56. 23, 5 12. 3i. 5o, 5 3i 1.25. 29, 5 26. 56. 22, 5 3o 1 1. 43- 0, 5 3i 1. 5. 53, 3 26. 4g- 5o, 5 — 1 2. 1 1. 0, 3 3 11. 5. 34, 2 -(-26. 4g 3a, 6 Osservazioni della cometa N.° i3(), scoperta in Gennajo i83i. Mesi,Gior. T. medio. A R App. di cometa. Deci. app. di cometa. Nomi delle stelle di confronto. Gemi. 2 1 fa I7. 39'.22",7 248°32'.47" — 8. 6'.2o",3 i902-ig2oig3i Bayly. i83i — 17. 57. 0, 4 248. 3i. 3o 8. 6 i4, 0 ig20-ig3i B. 26 17. 26. 5i, 2 242. 24- 3o 6.H.56 i853-i884 B. 27 18. 5. 2 5, 0 241. 4-3g 5.46. 18 i86g-i884 B. — 18. 24.34, 2 241. 3. 4g 5.45. 3g 1869. B. 39 16. 54.49, 2 17. 18. 36, 6 a38. 17. 5 238. i5. 20 4.51.48 - 4.S1. 5 i88g e 1869 B. Febhr. 7 17. 3o. io, 0 221. 54. 4 2 + o.37. 56 1 1 706 B. — 17. 47-25, 0 221. 52. 5o o.37.58 i6g5 e 1706 B. io 17. 9.35, 7 17. 52. 56, 3 21 5. 3. 53 214. 5g. 12 2. 55. i3, 6 | 2.56.28, 3 S i674-i6g6-i7o6 B. 86 Continuazione delle osservazioni della cometa N.° i3g, scoperta in Gennajo i83i. Mesi,Gior. T. medio. A R App. di cometa. Deci. app. di cometa. Nomi delle stelle di confronto. Febbr. 1 1 li i7.3i'. 3",2 0 212.35/27" 344'26",8 i636-i64o Bayly. i83i — 17.53. 8, 9 212. 32. 39 3.45. 2, 7 i6i4-i536 i64o B. 16 1 1.36. 42, 0 200. 12. 20 7. 38.24, 0 i5585. ~~~ 12. 1. 56, 7 12. 25. II, I 200. 9. 38 200. 7.47 7.39.29, 8 | 7.41.28, 8 i37. XIII. P. i558 B. 18 ii.38. 9, 8 194.47.54 9.13.29, 5 i5a2-i 529-1 54i B. ■9 11. 51.47, 2 12.2... II,g 192. 4-42 192. 1. 56 9. 58.49- 9 9.59.45, 9 I 1 499-1 5 16 B. Marzo 3 8. 22. 53, 7 i64-38.4o i5.45.i3, 4 i323-i349 ^- — 8.52.19, 3 164. 36. 46 1 5. 46. 34, 2 i323 B. — 9.10. 18, 9 164.34.45 15.45.34, 2 4 8.4o.55, 0 8.59. 55, 6 162. 5o. 5i 162. 4g- 5i 16. 0. 57, 0 16. o.43, 0 i3i8-i3a3 B. 8 1 1. 56. 20, 0 1 56. 28. 59 16.42. 4, 0 — 12.44- 29, 0 "1 56. 26. 27 +16.4424, 0 1279 B; osservaz. incerta. Osservazioni della cometa N.° 140, scoperta in Luglio i832. Mesi,Gior. Tempo medio in Padova. AB App. di cometa. Declin. app. di cometa. Stelle di confronto. Luglio ig li l3. ia'.5a",2 253.33'.39",i +a5°5i;.56",6 56 Ercole (osservaz. di Marsiglia rid. a Padova). i83a 3i 10.39. 33, 5 a33. 6.43, 6 1 1. 52. 57, 5 92 Serpente. Agosto 1 9.25. 3. 4 9.50.37, 0 a3i. 52. 58, 5 23i. 5i. 18, 5 10.48.57, 4 10.47. 56, 4 i54e 208 XV. P. 2 8.33.44, 8 11. 19. 29, 3 23o.4o-3g, 8 23o.3o. 2, 5 9. 45. 5, 7 g. 37.32, 2 \ 1775-1795 B. 3 9.24.46, 7 229.26.24, 6 + 8.38.55, 1 1 I 767-1 795 B. i3 9.26.48, 0 220. 8. 2, 4 — o.33.i4, 7 1696 B. i4 8.29. 8, 3 8.46.54, 2 2ig.25. 12,7 2ig. 25. 38, 4 1. 17.52, g 1. 18.19, 4 1 683-1 696 B. i5 8.58. 8, 0 218.43. 3, 7 2. 3. 42, 1 i64o-i683 B. — 9.12. 7, 7 21 8.44- 2, 1 2. 4. 8, 2? i683 B. 16 9. i.35, 1 218. 446' 8 2.47- 18, 8 i683 B; 239 e a4g XV. P. 18 8.a4- 12, 0 216. 5 1. 24, 7 4. g. 53, 5 i665 B. — 8.37.37, 5 216. 5 1. 2,4 4- 9.49, 5 21 8.33.26, 2 2l5. I 1. 4, 2 6. 6. 1 a, 9 i64i-i665 B. — 8. 55. 22, 7 2l5. IO. 2g, 8 6. 6.36, 5 i665 B. 27 8. 5.44, 0 212.23. 4g, 2 — 6. 29. 20, 2 161 5 B. 87 Osservazioni della cometa periodica di Biela N.° 7 5 nel suo ritorno al perielio nel i832. Mesi,Gior. Tempo medio A R App. di Declin. app. Stelle di confronto. in Padova. cometa. di cometa. Ottobre 3 1 li i6.34r.43",i i49°35'.42",7 + io?43'.4i"8 j 1237-1254 B. i832 — 17. io. io, 6 •49 38. 7, 9 10.42. 5, 3 Nov. 4 15.57. 17, 0 16.27. 2> ° i55.i8.i5, 4 1 55. ig. 11,8 -f-I.lÌÌf; ÌS I27 — 8oi?(Con,i). 18 1 5. 55. io, g 172.46.22, g — 6.24- 52, 6 ) oc , D 6.24.50;3il367-l377*- — 16. i3. 53, 9 172.47.17, 0 •9 16. 1 5. 5o, 0 17. 3.35, 8 173. 54- 19, 0 173.56.45, 9 7I\1,3' 7 i377-i4>3 B. 7.1449, 7 j " 22 15.42. 56, 3 16.22.23, 7 177. 9.46, 6 177. ii. 21, 0 9'29- l> l l i4i3 B; 69 XII. P; i338 B. Dicemb. 1 17. 18. 5o, 2 186.24. 6, 9 15.22. 5i, 4 j i437 B. (Conti) 4 5 17.41-18, 1 17.49.52, 6 189- 17. 28, 3 190. 14.21, 3 I7'i4'2«' \\ i5o2-i523 B. 17.37.16, 3 f — 25.52.20, 7 | i6o3 B. (osservai!, incertissima) 26 17.49. 0, 4 208. 4- 'o, 5 RICERCHE INTORNO ALLE PERTURBAZIONI PRODOTTE DALL'AZIONE DEI PIANETI NEI MOVIMENTI DELLA COMETA PERIODICA DETTA DI BIELA NELLA RIVOLUZIONE COMPIUTASI FRA IL 1826 ED IL l832, E CHE SI PRODURRANNO FINO AL SUO RITORNO NEL l83g, SEGUITE DA UNA EFFEMERIDE PER RICERCARLA IN QUELl' EPOCA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA IL IX DICEMBRE MDCCCXXXIV DAL SOCIO ATTIVO GIOVANNI SANTINI I. fi que questa, illustri Accademici, la terza volta, in cui oso porre a cimento la vostra sofferenza col parlarvi dei movimenti di una cometa sì interessante per la posizione della sua orbila rapporto a quella della Terra. Allorquando nel 1828 vi esposi la storia delle comete osservate in questa R. Specola negli anni precedenti, ebbi l'onore di riferirvi non solo la storia della scoperta sin- golare fatta presso che contemporaneamente da due illustri calcolatori, Clausen di Altona e Gambard di Marsiglia, del periodo di una delle comete osservate nel 1826, veduta per la prima volta dal signor Cav. Biela, ma ancora di espor- vi le mie prime ricerche intorno alla sua orbita ellittica, fondate sulle proprie osservazioni. Tn seguito, avvicinandosi l'epoca del suo ritorno al perielio nel i832, reputai di qualche interesse l'indagare i cambiamenti della sua orbita ellittica prodotti dall'azione di Giove, di Saturno e della Terra. Aveva già il signor Ba- rone di Damoiseau intrapreso la stessa ricerca; ed esposto i suoi risultati nella Conoscenza dei tempi e negli Atli dell' Accademia delle Scienze di Parigi; ci trovammo d'accordo in questi nojosi calcoli numerici, e solo vi fu una qual- che differenza nell'epoca del ritorno al perielio, che più tardi riconobbi doversi ripetere da un errore costante da me commesso; corretto il quale, sarei stalo anche in quest'importantissimo elemento d'accordo col calcolatore francese. Volge ora l'anno in cui vi esponeva le osservazioni da me fatte in quella sua reapparizione, ed i calcoli intrapresi per dedurre dalle medesime un'orbita el- littica, la quale dentro pochissimi secondi rappresenta il corso osservato. Il ri- »9 tomo al perielio del i032 è di sommo interesse, perchè ha verificato tutte le precedenti congetture intorno al suo periodo; la ripone nel numero di quei corpi celesti da noi conosciuti, che con inalterabili leggi seguono il loro corso per le ampie vie dello spazio, avvicinandosi ed allontanandosi da noi a vicenda, sicché ad ogni sei anni e mezzo circa sia possibile osservarla, limarne la teoria, assegnarne la posizione e l'epoca della sua visibilità; siccome con immensa fa- tica sono pervenuti gli astronomi, non solo pei maggiori pianeti, ma eziandio pei nuovi piccolissimi pianeti, Cerere, Giunone, Pallatle e Vesta, e per l'altra germana cometa di 3.j anui,resa celebre dai lavori dell'incomparabile Enke. A tanta esattezza però non è dato di giungere se non con ingrato e lungo lavoro numerico, che in vero è bene ricompensato dall'interesse dell'argomento; perchè questa specie di lavori, oltre l'interna compiacenza che apporta in chi se ne occupa col mostrare come con poche cifre si possa nello spazio dirigere ad un dato tempo una linea valevole ad additare in immense distanze dall'atomo di nostra dimora il luogo dove esiste un corpo che, non veduto dal nostro debole occhio, tranquillamente e con tanta regolarità ubbidisce alle leggi impostegli dalla eterna Mente, ordinatrice di tutte le cose; rendesi anco indispensabile per con- servare il tesoro delle scoperte celesti a noi tramandate dai nostri predecessori, e forma in pari tempo la maggiore testimonianza della riconoscenza che noi pos- siamo tributare alla loro memoria. Senza l'acutezza di Clairaut, che primo osò imbrigliare col calcolo delle perturbazioni i movimenti delle comete, la scoperta di Halley sul periodo di quella che nel finire del prossimo anno farà a noi ri- torno, sarebbe andata perduta, od almeno sottoposta a lunghe discussioni ed amare dubbiezze; senza i calcoli del nostro Oriani e del De-Lambre, la sco- perta fatta da Herschel nel 1781 sarebbe per noi perduta, o almeno quel pic- colo astro, se talvolta venisse osservato, sarebbe confuso con miriadi di altri simili, e sarebbe a noi rimasto incognito quel remotissimo ed ultimo mondo del nostro sistema solare; come senza i calcoli e la pertinace perseveranza di Gauss , di Enke , e di quasi tutti gli astronomi dell'età nostra , le scoperte dei nuovi pianeti e delle due comete a breve periodo, che fanno al nostro Sole ta- cito corteggio, sarebbero perdute, e di nessuna importanza. Queste riflessioni mi animarono a riprendere i calcoli intorno alla cometa del signor Biela da me osservata nelle due successive apparizioni del 1826 e del i832, limarne la teoria e gli elementi, per poterne assegnare le posizioni pel prossimo suo ritorno al perielio nel i83(), ad oggetto di preparare gli osser- vatori a ricercarla. Egli è con trepidazione, Accademici dottissimi, che a voi 12 9° espongo in questo giorno i risultamene delle mie ricerche, ben sapendo cpianto sia facile in un sì intralcialo bosco di operazioni numeriche commettere erro- ri, e smarrire la via. Il benigno vostro compatimento e l'amore del vero mi fanno superare la ripugnanza; giacche, se anche i miei risultati per mala ven- tura si trovassero in errore, è a credersi che nell'operosa età nostra altri pure si occuperanno dello stesso argomento,, ed il confronto dei risultati ottenuti da diversi calcolatori separatamente e con diversi metodi condurrà alla scoperta di quell'unico vero, a cui debbono mirare le indagini filosofiche. Qui debbo rendere un giusto tributo di lode e di gratitudine all'egregio mio amico e collega signor Dott. Carlo Conti, il quale a guarentire, per quanto è possibile, l'esattezza dei calcoli numerici si è meco unito in questo lavoro, ri- vedendo per la massima parte le minute dei calcoli, e sopra di se prendendo il calcolo delle perturbazioni dipendenti da Saturno, il quale fu a vicenda da me riveduto. Così giova sperare che il nostro comune lavoro sia per riuscire con- sentaneo al vero. II. Avendo già nelle precedenti mie ricerche stabilito quella posizione del piano e quella distanza perielia dietro una prima cognizione dell'asse maggio- re dell'orbita, che meglio soddisfanno alle osservazioni sì del 1826 come del i832, rendesi in primo luogo necessario determinare accuratamente l'asse mag- giore, e quindi il moto medio sì per luna che per l'altra epoca; la qual cosa è noto non potersi ottenere se non calcolando con la conveniente esattezza le perturbazioni apportate al moto medio ed all'anomalia media della cometa dal- l'azione dei pianeti per tutto il tempo della sua rivoluzione: al che non si può pervenire nello stato presente dell'analisi se non per la via delle quadrature meccaniche. In molte opere di meccanica e di astronomia trovansi sviluppate le formule generali conducenti a questo scopo; ho seguito quelle da me esposte nel 2.0 volume de' miei Elementi di Astronomia 3 che mi permetto di qui riferire tanto a comodo di quelli che non avessero sotto gli occhi quell'opera, quanto per correggere alcuni errori tipografici che ivi s' incontrano (0. Quantun- que la disposizione pel calcolo numerico rimanga sempre la stessa , sia che si adotti per variabile principale il tempo o l'anomalia media, come consigliava Eu- lero; sia che si adotti l'anomalia eccentrica, come praticarono Clairaut e Da- moiseau per la cometa di Halley; pure è palese che la scelta non è del tutto (1) L'errata-corrige per quell'opera venne pubblicata dopo cb'essa fu posta in commer- cio ; e quelli die tuttavia ne mancassero, potranno ritirarla dalla Tipografia del Seminario di questa città, per inserirla in fine del a.° volume. 9< iuJifferenle. A me sembrò sempre (almeno pei nuovi pianeti e per le comele a breve periodo) preferibile l'uso del tempo o dell'anomalia media, come praticai ncdle mie prime ricerche, allorquando calcolai l'effemeride pel ritorno al pe- rielio nel i83a. Ciò non pertanto, presentandosi ora l'opportunità di riprendere le ricerche da capo, scelsi l'anomalia eccentrica pel calcolo delle variazioni dee-li elementi fra il 1826 ed il i832. Il confronto dei due melodi facilmente o mi convinse, che conducendo l'uno e l'altro agli stessi risultamene, s'incontra maggiore regolarità facendo uso dell' anomaba media, piuttosto che dell'eccen- trica; perciò alla prima mi attenni nella continuazione del calcolo pel periodo compreso fra il i832 ed il 1839. III. Si scelga a piano fondamentale il piano dell'orbita della cometa per l'epo- ca da cui si fa incominciare il calcolo delle variazioni degli elementi, p. e. pel passaggio al perielio del 1826, ed in esso prendasi l'asse maggiore per asse delle x j che abbiano la loro origine nel centro del Sole, prendendole positive verso il perielio, negative verso l'afelio, ed a questo piano riferiscasi tanto la posizio- ne della cometa, quanto del pianeta perturbante. Ad un tempo t espresso in giorni, e conlato dal passaggio della cometa pel perielio, siano le sue coordinate x,y; r il raggio vettore, v l'anomalia vera; u l'anomalia eccentrica; £ l'anomalia media. Le quantità a, TI' — w = 4'- Ciò posto, per determinare 4> 4\ X, la trigonometria sferica porge le seguenti equazioni: - X. sen -(4' — 4)== ~ cos "" (i-J~0- sen "" i00' — w) cos 2 cos - X. cos - (4-' — 4)s== cos ~ (*' — 0" cos ~ (w' — w) sen - X. sen - (4 + 4'j^5 seu , (* + *')• sen o (w' — w) sen - X. cos - (4 + 4) = — sen ~ (* — *')■ cos ~ (w' — w)- Determinati 4>4'>^ co' mezzo di queste equazioni, si avrà n= 4-r-w; n=4'-r-w'. Per brevità pongasi . . . y = Il — t; m a x D. dì, cos

    = — m a H. «?£ -4- m a1 F. cosu. rf? (4)Jtt = m a j. . „ m' a? „ cot, dir, dn, dg per tutti i corrispondenti intervalli, i quali saranno espressi in secondi di grado, ponendovi per la massa ni la frazione che la rappresenta nel quadro del siste- ma solare, e facendo f/£, ovvero du = i° = 36oo . Si aggiungerà a queste variazioni parziali il valore di tdn per tutti gli stessi intervalli, t essendo dato in giorni dalla tavola prima. Per ultimo coi precetti ordinarli delle quadrature, dalle ottenute variazioni elementari si otterranno per tutta l'estensione dell'or- bita per ogni pianeta perturbante i valori di J 'dp, fdq, fdcp, /dir, f d n, ftd a, J dg; e la somma dei valori dei singoli integrali j ' dp, J dq ec, cor- rispondenti a lutti i pianeti perturbanti, darà i loro valori totali. VI. Ottenute le variazioni precedenti, dipendenti dall'azione riunita dei pia- neti, si trasporteranno facilmente gli elementi ellittici dal tempo del primo pas- saggio al perielio a quello relativo al passaggio consecutivo. Primieramente i va- lori dìjdp z=p,j dq = q condurranno alla posizione del piano dell'orbila variala rapporto al piano dell'orbila primitiva. In fatti, chiamando / l'inclina- zione della prima sulla seconda, ed fi la distanza del suo nodo ascendente dal perielio, saranno / ed fi determinati per le due equazioni p = /. sen £> q = I. cos fi, dalle quali si dovrà determinare fi in quel quadrante che rende / positivo. La longitudine del nodo ascendente dell'orbita variata sull'orbita primitiva, sarà 0-(-t; e la sua distanza dal nodo sull'ecclitlica primitiva sarà=0-|-T — w, che porremo = iV. Chiamando h~i la variazione dell'inclinazione rapporto al- l' eccliltica fissa per l'epoca del primo passaggio, e 5 X,—fdtfdn -*rfdg, e perciò la variazione del periodo 5 T= . Quindi la cometa tornerà al perielio dopo che saranno decorsi T-\- 5 T giorni dall'assunto ultimo passaggio. Variazioni degli elementi ellittici dipendenti da Giove,, da Saturno e dalla Terra j durante il periodo compreso fra il 1826 ed il i832. VII. Nelle prime ricerche da me instituite intorno all'orbila ellittica di que- sta cometa si determinò il semiasse maggiore col mezzo della rivoluzione pe- riodica di 2/J.60 giorni, dedotta dai passaggi al perielio osservati nel i8o5 e nel 1826, e partendo da questo semiasse si calcolò un sistema di elementi el- littici, che plausibilmente rappresentava le posizioni osservate nel 1826 (Nuo- vi Saggi, voi. III. pag. 328), e questi stessi elementi servirono dappoi di base ai primi calcoli delle perturbazioni fra il 1826 ed il i832. Il signor Damoiseau, dietro il calcolo delle perturbazioni nei tre periodi com- piutisi fra il i8o5 ed il 1826, trovò che il tempo della rivoluzione siderale nell' ellisse , in cui movevasi in quest' ultima apparizione , doveva essere di 2455,6 1762, in luogo di 2460. Riprendendo pertanto da capo tutti i calcoli, 90 lio ritenuto il semiasse maggiore corrispondente alla rivoluzione del signor Da- moiseau, ed agli elementi citati non lio fatto altra variazione, che quella oppor- tuna all' eccentricità, perchè la distanza perielia rimanesse inalterala, giacche essa rappresentava plausibilmente le osservazioni. In tal guisa, se dicasi q la data distanza perielia, a il semiasse maggiore,

    \fdcj; da Giove = -f- 2706", 705 correzione = — 23, 724 = -f- 2682, 981 = -f- 2726", 692 da Saturno = -+- i3, 549 ------ -t- i3, 549 dalla Terra = — o, 448 — o, 448 f dq = -+- 2696, 082 =-r- 2739"7g3 (1) Verso il Unire della scorsa estale avendo ricevuto dalla gentilezza del Professore Amici un eccellente cannocchiale acromatico con un micrometro a separazione d'immagini, di sua speciale costruzione , lo feci montare paralatticamente, e negli scorsi mesi di Gen- najo, Febbrajo, Marzo ed Aprile misurai le massime digressioni del quarto satellite, tanto occidentali che orientali. Le osservazioni originali saranno da me in altra occasione pub- blicate ; intanto è per me soddisfacente di annunziare, che il medio di a4 determinazioni fra loro bene concordanti dà , risultalo sommamente vicino a quello del sig. Airy. io5o, o5 99 , i i Massa di Giove m = — — — = 7-7— 1006,09 I04g 3°fd = — 3.» 12.' u",3 = — 3.°i5.'i6",3 8 ì = — o. ai. 32, 8 = — o. 21. 43, 7 5 I = + O. IO. 59, 21 = -f- O. I I. 4, IO 8

    Q òT = — — = — o?,o3oo3. 527,00 Da tutto ciò sembra potersi dedurre, cbe la resistenza dell'etere sia insuffi- ciente a rappresentare la differenza fra il passaggio al perielio osservato e quello calcolato, parendo poco probabile di dover tanto aumentare il valore di U. Più ragionevolmente si può far dipendere da una incertezza dell'asse mag- giore, Con cui si rappresentarono le osservazioni del 1826, e dalla difficoltà di ben determinare le variazioni dipendenti da Giove in questa rivoluzione, giac- ché Venere e Marie per la loro piccola massa hanno una minima influenza , come si mostrerà nell'articolo seguente. Calcolo delle variazioni prodotte da Venere e da Marte nella rivoluzione fra il 1826 ed il i832. XI. Prima di procedere al calcolo delle perturbazioni fra il i832 ed il 1 83f), ho stimato opportuno di far variare gli assi maggiori e le eccentricità per modo che sparisse la differenza fra il passaggio al perielio osservato e cal- colato nel i832; ed innanzi tutto ho stimato conveniente di aver riguardo alle azioni di Venere e di Marte, che ho calcolato nel modo seguente. Ordinai il calcolo pel tempo, preudendo le coordinate della cometa da una mia prima tavola manoscritta, che supponeva una rivoluzione di 2460S; per Venere calcolai le variazioni con le solile formule di 1 5 in 1 5 giorni da t = o fino a t== 2 ios, e da t = — 210 fino a t = o, cioè fino al passaggio al perielio nel i832; per Marte, di 3o in 3o giorni da t = o fino a t = 3oos, e da t = — 3ooS fino a( = o. Pei residui tronchi intermedii, nei quali la distanza della cometa da Venere o da Marte era già molto grande, mi sono servito delle formule finite per questo caso, date per la prima volta da La-Grange nella sua bella Memoria premiata dall'Accademia di Parigi per l'anno 1780, concisamente ed in bell'ordine presentate nel IV. Voi. della Meccanica celeste di La Place, e nell'opera elegantissima del signor Pontecoulant, intitolata Système du Mon- de, Voi. IL, e die qui brevemente riferirò, con quelle avvertenze cbe ho se- guito nell'applicarvi i numeri. Ritenendo le nostre superiori denominazioni , si riprendano dal Voi. IV. pag. 209 e seg. della Mec. ce/, i valori di £/»_,&/, 6nJJ'ò'ndt + Se — St; e qualora pongasi l'asse delle x lungo l'asse maggiore, dovrà porvisi h = o, l = e = sen

    ^ dt di il OC 1 1 V OC V ^h ce V ci V (2) Se = cos - i • i • t dx dy dx' dy' Ali. rumane ancora ad assegnare 1 valori di — , -p- , — , — pel nrin- d t d t d t d t l cipio e fine del tronco, che entrano nei secondi membri delle equazioni (i), (2), (3) e (4) del §. precedente. A tale oggetto si riprendano in primo luogo le equazioni x — a. cos u — a e; y = a cos -+- P H 5 «i . r j/a' dr' 5 i/à'. cos (";.+ ?)+ ' V* ' col mezzo delle quali equazioni facilmente si calcolano i coefficienti differen- ziali pel principio e pel fine del tronco. Qui vuoisi osservare, che avendo po- sto n a3:2i= ria 5:2 = 1 (mentre questa quantità esprime il costante k del sistema solare), si dovrebbero quei termini del 2.0 membro, che non riuscissero numeri astratti, moltiplicare per tal potenza di kj che fosse opportuna a ren- derli tali; ma è facile ad accorgersi, che coi precedenti valori divengono di di- io5 mensione nulla, e quindi non abbisognano di altra avvertenza nel calcolo, cbe della riduzione in secondi, se i valori delle variazioni si desiderano in secondi; lo cbe facilmente si otterrà adoperando la massa m ridotta a secondi in quei termini cbe non sono espressi naturalmente in secondi, per trovarsi moltiplicati per ìij S tp, 5j. Noi non abbiamo riferito le formule relative alla variazione della posizione dell'orbita, giaccbò Venere e Marte non esercitano una sensibile influenza in questi elementi. Esse possono con simili precetti facilmente ottenersi dai valori di 5 e j 5 e ' della pag. 212. XIII. Dopo di aver riferito la via tenuta pel calcolo delle variazioni pro- dotte da Venere e da Marte, non resta che indicare i risultali ottenuti nei sin- goli tronchi, nei quali dicemmo sopra di aver diviso l'orbila per ciascheduno di loro. Variazioni provenienti da Venere. 1. Tronco 5 ? = — o",3734; »*■= — o",35i3; Sn =+ o",ooa34i; *Z = + 6",42o 3. Tronco =-(-0, 25g6 -f" 2, 5goi ~r" o. 010069 -I- 1.916 2. "Tronco = + 0, 7922 ""*aj 3475 — o. o2i8o3 = — 12,417 S ? = + o, 6784 S n c=j _ o, 1087 S n = — o, oog3g3; 8 Z=z — 4, 081 Variazioni provenienti da Marte. i.°Tronco S '» = +o, 012683; S Z = -1-8, o64 Rendesi oca palese cbe l'azione di questi due pianeti è piccolissima, e si può trascurare; noi non terremo conto che delle variazioni del moto medio e dell'anomalia, cbe sono le più importanti, perebè da esse dipende la determina- zione dell'asse maggiore. Ritenendo pertanto le variazioni superiormente deter- minate corrispondenti alla massa di Giove = — — , avremo per l'azione io4g della Terra, Giove e Saturno 0" n = + 5", 772894; SZ = -(- i.°28'. 1 1",020 di Venere e Marte =-j-o. oo32C)o = -+-3, q83 quindi il valore totale di 5n = + 5, 776184; o"Z = -r- 1. 28. i5, oo3. XIV. Ottenuti i valori di 5^ 8.Z., sarà facile calcolare il semiasse maggiore dell'orbita tanto pel 1826, quanto pel i832 dietro i passaggi osservati in queste 14 io6 due epoche. Sia in falli T il numero dei giorni trascorsi fra i due passaggi al perielio osservati nei due indicati anni; n il moto diurno siderale medio pel 1826; ìi quello pel i832. Sarà primieramente ri = n -+- 5 n; in seguito le note teoriche del moto ellittico daranno i semiassi maggiori a3 a col mezzo delle seguenti equazioni: a = ■ : a = —rz — , essendo log R' K = 3, 55ooo66. Per ottenere zz., riprendasi l'equazione (12) [Eleni, di Astronomia, Voi. II. pag. 326, seconda ediz.), ed in essa ponendo Z = 0, 2 = 36o, £ = riavre- mo 36o° = n T-+- 5 Zi donde si trae . . n = . T I passaggi al perielio dedotti dalle osservazioni da me inslituite in questo Osservalorio, e riferiti pel 1826 nel III. Voi. di questi Alti, pag. 326, e pel i832 nel presente (pag. 82, 2.0 sistema di elementi), sono i seguenti: 1826 ------ 776, 45o463 / T. Medio dal principio dell'anno i832 33i, 153170 \ al Meridiano di Padova. Quindi sarà T = 2444°) 702707 36o° — IZ = 358°. 3i'. 44", 997 = 1290704", 997. Dietro ciò, colla divisione ordinaria si troverà n = 527 ,9599, e perciò ri = n -f- 5 ri = 533", 736084. Ottenuti così i valori di n e di ri_, si avrà con le tavole a 7 cifre: log a = o, 55i6o37 ------ pel 1826 log a'= o, 5484533 pel i832. XV. Ottenuto l'asse maggiore, sarà determinata eziandio l'eccentricità, assu- mendo la condizione, che la distanza perielia della cometa dehha rimanere iden- tica a quella colla quale si rappresentarono le osservazioni dei due citati anni. A vero dire, anche gli altri elementi ricevono una correzione per le variazioni apportate all'asse maggiore; ma quesla è così piccola, che il più delle volte si potrà trascurare, come verificheremo nel seguente paragrafo. Indicando per q la disianza perielia, l'angolo di eccentricità

    4 (3)/=-f- 5",5 (5)/=-r-io",9 (7)/=+ .8", , . — 5, 8 (4) =4-22, (6) =— 44, o (8) =4-23, 5. Risolvendo ora, dietro questi secondi membri, le indicate equazioni, seguendo le tracce ivi esposte, si ottengono le seguenti correzioni dei superiori elementi: 5w = — o', 02758 = ■ — ■ i",65 5 i = — o, 08027 b= — 4- 82 dr = — o, o53n =3 — os,oo53ii dir = — 0, i3755 = — 8", 25 s

    io- Le quali, applicate opportunamente, conducono al seguente sistema di elementi ellittici pel 1826. Passaggio al perielio = t 1826 77S, 44^i 52 T. M. in Padova. Longitud. del perielio ir = 1090. 45.' 59' ,53 I Eq. Medio 9 del nodo w - - - = a5i. 28. 3i, 69 \ Marzo. Inclinazione i = i3. 33. 5i, 09 Angolo di eccentricità

    7T97- Assumendo ora la rivoluzione T = 24288, 1662 sopraindicata, si avrà il ri- torno al perielio dopo il passaggio osservato nel i832 in T-f-5 T giorni, cioè dopo 25298,8859; il che, partendo dal i832 .... 33is, 1 53iy, conduce al giorno . . . 204,03907 dell'anno 1839. T. M. al Meridiano di Padova, che coincide col 23, 03907 di Luglio. XIX. Le riferite variazioni conducono ora facilmente agli elementi ellittici pel passaggio al perielio del i83g. Primieramente il moto diurno siderale sarà = n -+- 8 n = 71 ; quindi si troverà ti = 533'', 938407; in seguito, mediante la consueta formula, si otterrà log a = 0,5483436. I valori àifdpjfdq daranno, rapporto all'ecclillica ed all'equinozio del O Gennajo 1 833, 8 i = — 35", 69 8 oc = — 7 . 46", 65. Ili La variazione della longitudine del perielio, rapporto allo stesso equinozio, sarà = /"e?T -+- 2 Sto. sen2 \ i = — 7'', 87. Dopo di ciò, la formazione di tutti gli elementi, rapporto all'ecclittica mobile ed all'equinozio del 23 Luglio 1839, non avrà alcuna difficoltà. Si ottengono cosi i seguenti risultati: Passaggio al perielio i83g in 204^,03907 T. M. in Padova Longitudine del perielio ---------- t = 1 io0. 6'. 16", 33 del nodo w== 248. i3. 18, 5g Inclinazione all'ecclitlica -----/= i3. 12. 24, 49 Angolo di eccentricità - -

    6 0. 2oSg4 g.84oi4 g. S5844 g. 60 1 20 9- 64g5o 16 107, q2 2. o55io 47.59,2 0. 24Ì90 9-.S709S g. 82562 g. 62608 9.58072 >8 >2I,4l 2.08426 5[.5i,6 0. 27760 9. 89670 9- 79269 g. 61810 9. 5i5o9 20 l54,po 2. i3ooi 55. 27,9 0. 30742 9. gi58i g. 75552 9.60859 9. 44610 22 i48,3g 2. 17140 58. 5o, 5 0.55462 g. g5232_f- 9.71587+ 9- 59770+ 9.07926+ 24 1 6 1 , 8 8 2. 20920 62. 1,0 0. 55g0o g. g^Ooo 9.67137 g. 5s64o 9-3ii77 26 175,37 2. 2Ì3g6 65. 1,4 0. 5S270 g. 90755 9.62607 9. 57466 g. 24287 58 | 188,86 2. 27614 67.53, 1 0. 4o|o6 g. g6682 g. 57573 g. 56276 9.17167 5o ! 202, 35 2. 3o6i 1 70. 56, 5 0. 4258o 9- 97Ì64 9. 521 17 g. 55oS4 9. 09767 32 2i5,S4 2. 554i3 73. i3, 1 0. 4422-4 g. g8i m + 9. 46o4g+ g. 55ss6+ 9.01825+ 34 229, 53 2. 36o46 75- 44.9 0. 45g64 g.g864ò g. 3gi25 9- 52679 8.96161 36 242, 82 2.3S529 78. 7,8 0. 47554 9-99°61 g. 3i322 9. 5 1607 - 8. 83768 3S 256, 5 1 2 4087^ 80. 27,3 0. 49068 9-99395 9. 2ig65 9. 50627 8-72897 4o 269, So 2. 43io!J 82.42, 1 0. 5o igo 9' 99^47 9. io3g2 9.49167 S. 5ggo5 44 296, 78 2.47243 86. 5g,5 0. 53og8 9-9994o-f- 8. 72000-J- | 9.46842+ 8. i8go2+ 48 523, 76 2. 5 1020 91. 2,0 0. 55458 9- 99993 8. 26026 — 9. 44555 7. 705SS— 52 55o, 74 2-54499 g',. 53,6 0. 575|6 9- 99s4 T 8.g3og5 9. 42296 8. 35549 56 377>72 2.57717 98. 34, 2 0. 5g456 9-995^ 9- '7324 9, 40057 8.57868 Co 4°4, 70 2. 60715 102, 5,7 0. 0 1 1 96 g. 99025 g. 32125 9. 37S29 8-70929 64 45i,68 2. 055 16 io5. 29, 5 0.627S8 g. 9S0944- | 9.42657 — | g. 556o64- 1 8- 79869- 68 458,60 2. 66i4q 108.45,8 0. 64246 9-97629 1 g.5o74o 9. 35383 8. 864p4 72 485,63 2.68G5Ì mi. 56, 0 0.65588 9-9tì737 9. 57232 g.3ii4q 8. 91644 76 5i2,6i 2- 70979 n5. 0, S 0. 66S2S g. 95720 g. 62617 g. 288q5 8.96789 So 55g, 5g 2. 75206 118. o,5 0. 67972 9- 94590 9.67170 9. 266ÌS S.gg?.oi 84 566,67 2. 75326 120. 55,7 0. 6go28 1 9-93oog-f- 1 9-7'°94— | 9. 245 M + g. 02066 — 88 593,55 2. 77046 ■ 23.46,9 0. 70006 9-9'969 I 9-745io 1 9- 2ig05 9. o45o4 O'2 G2o,53 2- 7927^ 126.54,4 0. 70914 9-9°47°' 9.7754 1 9- '9502 | 9. 06600 96 647, 5i 2. Si 125 129. iS,6 0. 71756 9. 8S85g 9. 80175 9. 17105 9- 08419 100 674,49 2.S2SQ7 i5i.5g,7 0. 72S36 g. 871 1 1 9. 82647 9. 14575 9. 1001 1 104 701,47 2.84601 i34. 38, 1 0. 75256 9. 85224-f 9. S4O70— 9. 1 ig6S4- 9-'i4;4— 108 728,45 2. S624O i37. 13,9 0. 73924 9. 83 189 9.86576 9. 09265 g. 12602 112 755, 45 2.87820 139.47.5 0. 74542 9. Sogg4 9- 88292 9. 06462 q. 13760 116 782,41 2.89344 142. iq,o 0. 75 1 12 9. 7S625 g. 89840 9. o35i3 g 14-2S 120 809, 59 2. 90Sl5 .44-4S-6 0. 75638 9. 76064 g. gi255 9. 0042G 9. 16097 124 836,57 2. 92240 147. 16,3 0. 76120 9. 70292+ g.g24g2— 8-97i72-t- 9. 16372 — 128 863,55 2.950I8 149.42,7 0. 76562 g. 70274 9- 93626 8.9.5712 9. 17064 l32 Sgo,55 2. o4g55 142. 7,6 0. 76966 g. 00g8o 9. fl4644 8. qooi \ g. 1767S i36 9'".3i 2. 96252 154. 3i, 2 0. 77S34 g. 63567 9- 95556 8.86o35 g. 18222 140 944.29 2. 97510 i56. 53, 7 0. 77664 9. 59676 9. g6368 8.81711 9. 18704 144 971,27 2.98734 i5g. i5, 1 0. 77956 9. 54g33+ 9. 970S8— 8- 76977+ g. 19102— :48 998,25 2- 99924 161.35,7 0. 78222 9.49931 9-97720 8.71709 9- J9498 lf>2 1025,25 5. 01082 i63. 55,3 0. 78450 9.44240 9.98267 8.65790 9. 19S17 i56 Io52, 21 5.02210 i66.i4,4 0.78646 9.37631 9.98756 8.58986 g. 2oogo 160 1079, l8 3. o53io 168.52,9 0. 78S10 9. 29785 9-9912" s. 50975 9. 2o5i 7 .64 1 106, 16 3. o4382 170. 5o,q 0. 789^6 9. 2oi53+ 9-99444 — 8 41207 + 9. 20498 — 168 ii35, 14 3. o545o 173. 8,5 0. 7go52 9.07703 9. gg68S 8.28661 9. 2o636 »T» 1 160, 12 3. 06450 175.25,8 0. 79126 8.90134 g. 99862 8. 11008 9. 20736 176 "87,10 5.074^9 177.43,0 0. 79168 8. G0049 9- 999G6 7.80881 9- 20798 180 I2l4,0S 3. 08424 180. 0,0 '0.79184 -co 0. 00000 — | — ce i5 g. 20S16 — 1 14 Tavola I. delle funzioni ellitliclie Argom. anoma] relative all'orbita della ia media della cometa cometa. Parte seconda. = Z. An. tned. = Z * y 1 Logx Log y Log- ° T LogI 1 LogP LogQ 1 ™ L. cos v — L. sen v -o» +0,8790 +0, 0000 9.94400+ OD 0, 00000-}- — co 8-97'64+ -co i 0. S449 0. 0254 9.92681 9- 50977+ | 9. 97o3i : 9. 55527+ 8.99664 9. 16207+ 4 0. 7501 0. 6241 1 9. S7513 g. 79525 g. 88577 g. 8o58g 9. 06236 9. 46oo3 6 o.Gi 18 0. S898 9-78658 9- 949q8 g- 75024 9-9l594 q. l5oÒ2 g. 63iG3 8 0.4470 1. 1 176 i 9. 65o32 0. o483i g. 56980 9-96779 9. 24468 g. 75071 IO 0.2678 I. 5l 12 1 9.42781 0. 11 767 g. 00127 9- 99" 3 g. 33672 g. 84o88 12 +0. 0825 --t-1.4752 j 8.916024- 0. i6884-(- 8. 74688 + 9 99932+ g. 4226S + 9.91260+ »4 — 0. 1 o43 1. 6j io | 9. oi833 — 0. 2Ò8o3 S.8og5g_ 9- 999°9 9. 5oi52 9.97155 iG 0. 2902 1.7334 1 9. 46266 0. 23Sgo g.21776 9- 994°o 9. 57344 0. 021 18 ìS 0. 4?3o 1. S35o j 9-67483 0. 26363 9. 3g723 9. g86o3 9.60884 0. 06064 20 0. 652Ó 1.9222 ] 9.8i445 0. 28575 ■9.50705 9. 97633 9.69848 0. ioo45 22 — 0. S270 + 1.9963 9.91752— 0. 3oo23+ g. 582go — 9.96061 + 9.75288 + 0. 13264-J- H °-9975 2. 0600 | 9-99889 o.3i386 g. 63g2g 9 95426 9. 802S4 0. 16109 26 1. 1637 2. Ii48 0. o6584 0. 32526 g.685i4 9-94256 9. 849o4 0. i865q 23 1.5255 2. 1614 0. I223g 0. 35473 g. 7i853 9-93"67 9. 89176 0. 20900 3o 1.4826 2. 2O05 0. 17103 0. 342O2 g. 74723 g. gì 872 9.93124 0. 22g25 32 — 1,6007 + 2 20Ò6 0. 2 1371 — - 0. 04900+ 9- 77' 47— 9. 90676 4- g.g68i2 4- 0.247434- u 1.7860 2.2613 0. 25ig4 0.35455 9 7923o 9- 89Ì7« 0. 002g2 0. 26404 36 1.9293 2. 28ÒI 0. 2854l 0. 35852 9.80987 98S298 0.03472 0. 27S65 38 2.0704 2. 3007 0. 3i6o5 0.06187 9. S2537 9.87119 0. o65oo 0. 29206 4o 2. 2076 2.3l4l 0. 34591 0. 36438 g. 83goi 9- 85948 0. og344 0. 3o4l2 44 — 2.471 1 + 2. 5297 0. 39288 — 0.367304- g. 86190 — 9. 856Ó2+ 0. ;456o+ 0. 02482+ 4s 2. 7210 2.3328 0. 45473 0. 36787 9. SSo35 g. 8i34g 0. ig24o 0. 34i58 5 a 2- y583 2.5246 j 0.47104 0.56655 g. 8g558 9- 79oS9 0. 23456 0. 354g3 56 5. i835 2.3o70 1 0. 50290 0. 563o5 9.90834 9- 76849 0. 27276 0. 3652g 60 3.3970 2. 28l6 | 0. 53 1 1 1 0. 55825 9-9'9'5 9- 74629 0. 30706 o.372g7 64 — 3. 600S + 2. 24«5 , 0. 5564o — o,55i854- g.g28Ó2— 9.723974- 0. 35g4o-(- 0. 57S30+ G8 5- 7037 2. 2089 0. 57907 0.34418 9-g366i 9. 70172 0.36856 0. 58i4o 72 3-977° 1 2. 1642 0. 59g56 0. 3552g 9. 9406S 9.67941 0. 39540 0.38245 76 4 i5i6 2. 1 l4l 0. 61822 o.325i3 9- 94994 9. 65685 0. 42020 o.58i5g 80 4.3i7i 2. 0597 0. 635 19 0. 3 1 3 8 1 9-95547 9. 63409 0 443o8 0.57889 S4 — 4- 4737 | +2. 0012 0. 65067 — 0. 5oi2g4- 9. 96009— q. 61 101 + 0. 46420-I- o- 3744o+ 88 4. 6222 i.gSoa 0.66485 0. 28763 1 9- 9tì4?9 l9-58757 0. 43576 0.368 16 92 4. 7652 1.8707 0.67790 0. 27269 [ 9. 96876 1 9. 56355 0. 5oig2 0. 36o2o 96 1 4.8967 i.So4s o.68ggo 0.25644 9-97254 9. 538SS 0. 51S76 0. 35o5i 100 5. 0224 1 i-7539 0. 70091 0. 23go3 9. 97555 g.5i367 0. 53456 0. 35go6 .04 — 5 1.406 + 1.6604 0. 71 101 — 0 220204- 9- 978*5- 9.48764+ 0.54876+ 0. 52579-[- 108 5. 2522 1. 583g 0. 72004 °- '9977 q. 981 io 9. 46o53 0. 56212 o.5io64 1 12 [ 5. 3563 i.5o6i 0.72891 0. 17784 9- 98348 9. 40242 0.57448 0. 2g353 116 5.4545 1.4262 0. 70676 0. i54ig 9. g8564 9. 40007 0. 5S5S8 0. 27430 120 5- 546o r-3444 0. 74398 0. I2S54 9 98760 9.57216 0. 5g64o 0. 2S284 124 | —5. 6008 | -f-i. 2614 0. 76087 — 0. ioo85+ 1 9-98937— | 9. 53g65+ 0. 6o6o44- 0. 228924- 12S 1 5. 7094 | 1.1768 0. 7565g 0. 07071 1 9-99°97 | 9. 5o5og 0.61488 0. 20223 l32 1 5.78.9 ! I.O907 0. 76207 0. 03772 1 9 99'4« | g. 26806 0. 62296 0. 17249 i36 5. 8484 I. Oo36 0. 76704 0. 001 54 1 9-99570 1 g. 22820 0. 63o32 0. iog28 .40 1 5. 9087 o.gi5't 0. 77149 9. 96162 1 9-99Ì-35 1 9- 18498 0. 636g2 0. ioig8 144 1 — 5 9626 | +0.8266 0. 77543 — 1 9-9>724+ 1 9-99587— | g. 10768 + 0.64276-I- 0. o5gS8+ 1.43 6. 011 5 0. 7367 °-77899 9. 86729 1 9-99677 | g. 08507 0.64808 0. 01 199 102 j 6 o54o 0 64 18 0. 78204 9. 8io4i i 9- 99754 g. 025qi O.G5264 9.95689 i56 6. 0907 | 0. 555o 0. 78467 9. 74430 1 9-99821 1 »• 975'84 0. 65656 g. 89236 160 | 6 1 2 1 6 | 0. 463i 0. 7S686 9. 66572 I 9 99876 S. 87762 0. 65g84 g. 81 521 .64 —6. 147 1 ] +0.071 1 0. 78867— g.56g52-(- 1 9- 9992 1 — | 8. 7800H+ 0. 66256+ 9-7'998+ q. 5q633 " 1 <7 168 6. 1671 0.2786 0. 79008 9-44499 1 9- 99956 | 8. 65447 0. 66468 172 6. 1811 j 0. 1860 0. 79107 9 26946 1 9-99981 8.47820 0. 66616 9.42I2J q. 12072-p 176 6 1891 j 0. 0929 0. 79163 8g6SoS 9- 99995 8. 17640 0. 66700 1S0 —6. 192 1 ] +0. 0000 t °-79l84— 1 - = 0. 00000 — -co + 0. 66752+ | * — CS Per brevità si è posto P f>Q + cos 09379 322 2171,87 3. 33683 18S 1268,04 3. io3i3 324 2i85,36 3. 33952 192 1295,02 3. 1122S 326 2198,85 3. 04220 196 1322, OO 3. 12123 02S 2212, 34 3. 34485 200 i348,g8 3. i3ooo 33o 2225, 82 3. 54749 20^ l375, 96 3. i5s6i 332 223g, 5i 3. 35ou 208 1402,94 3. 14704 3. i5532 354 2252, 80 3. 35272 212 i429»92 556 2266, 29 3. 55552 2l6 i456, 90 3. i6343 338 2279, 78 3. 55789 220 i483, 88 3. 17140 34o 229S, 27 5. 56o45 224 i5io, 06 3. 17922 542 2S06, 76 3. 363oo 22S 1537,84 3. 18691 344 2320, 25 3. 3655+ 232 i564, 82 3. i9446 346 2553, 74 3.56786 a36 i5gi, 80 3. 201S9 348 2347, 23 3. 37055 240 1618, 78 3. 20919 35o 236o, 72 5. 57304 244 i645>76 3. 21637 352 2374,21 3. 57552 248 1672,74 3. 22343 354 2087,70 5. 377S0 252 1699, 72 3. a3o38 356 2401, 19 3. 3So42 256 1726, 70 3. 23722 358 24i4,6s 3.38286 260 1753,68 5. 24S95 36o 2428, 17 3. 38523 264 1780,66 3. 25o58 268 1807,64 3. 25712 272 1834,62 3. 26355 2,6 1861,60 3. 26989 280 1888, 58 3.27613 2S4 1915, 56 3. 28229 288 1942, 54 3.28837 292 1969, 52 3. 29406 296 1996, 5o 5. 30027 5oo 2025, 48 3. 3o6io 3o4 2o5o, 46 3. 3n85 3o8 2077, 44 5. 31755 3l2 2104, 42 3. 523 1 3 3i6 2l3l, 4o 3. 52866 320 2i58, 38 5. 354i 3 Effemeride della cometa pel suo ritorno al perielio Dell'anno i83g. A I211 di tempc medio in Padova Tempo vero IS09 Anom. vera Log. dist. AR. Gè oc. Dediti. Geoc. Log. di dist. Nasce. Tra- Mesi G. di cometa. dal Sole. di cometa. di cometa. dalla Terra. monta. Mag. 20 — 75.°45',2 0. 11 358 4 1. °53,'7 -j-20.°33',2 0, 35337 h i5.27r li 6.33 24 72. 47,2 0. 09985 45. 39, 4 21. 11. 7 0, 54555 io. 24 6.34 28 69. 34,2 0. 08590 49. 5i,4 21. 47.9 0, 53726 i5. 18 : 6.35 Giug 1 66. io, 1 0. 07190 53. 24, 6 22. iS, 7 0, 32948 i5. 17 6.57 5 62. Ó2, 8 0.05788 57. 47. 2 22. 44,5 0,52194 i5. i5 6.43 9 —58. 4i,3 0. o4388 62! 9, 1 4-23. 3, 4 o,5i475 i5. i3 6.45 i3 54. 33,6 0. o3ooo 66. 4i,5 23. 16,0 0,30790 i5. i4 6.48 ■7 So. 9, 7 0. 01 638 71. 22,5 23. 20, 7 0, 3oi5o i5. 16 6. 5o 21 45. 28,7 0. 00324 76. ii, 1 23. 16,4 0, 2g565 i5. 19 6.53 25 4°' 3i, 7 9- 99o84 81. 5,g 23. 5,4 0, 29043 i5. 22 6.54 29 — 55. iti, 8 9- 9793° 86. 7,4 -t-22. 41, 1 0, 2855g l5. ■JS 6. 56 Lugl 3 29. .jti, 2 9. 96896 91. 12,9 22. 7, 2 0, 28187 1 5. 56 6.56 7 24. 0, 4 9. 96002 96. 20, 7 2 1. 24, I 0,27874 i5.43 6.57 1 1 iS. i,5 9 9^9° 101. 3o, 1 20. 3l, I 0, 27645 i5.5i 6. 57 :5 11. 52, 6 9- 94796 106. 38,2 19. 28.6 0,27489 16. 0 6.56 '9 — 5. 56, 1 9. 94456 in. 44,8 + 18. 17,4 0, 27416 16. n 6.55 2§ + 0. 43, 7 9.94368 1 16. 4". 6 I 16. 58, 1 0. 27434 16. 22 6.5a 2 7 J- 3'° IO. 18, 0 9. g45o6 121. 45, 7 i5. 3i,6 0, 27553 16.52 6. 5o 3i 9.94868 126. 38, 0 14. 0, 0 0,27707 i6.43 6.47 Ag. 4 19. 25,3 9- 9544° i3i. 24, 5 12. 24,0 0, 27962 i6.53 6.43 s -\- ' 5. 21,1 9.96198 i56. 2,5 -fio-44. 2 0. 283o6 •7- 4 6.38 12 3i. 3,6 9. 97122 i4o. 33, 5 9. 5, 1 0. 28708 i7*i4 6. 54 16 20 36. 3o, 7 4,. 4., 3 9.98184 9. 99560 144. 56, 8 i4'> 11, 8 7. 20,5 5. 07,9 0.29179 0. 29708 17. 24 17. 53 6. 3o 6.25 24 46. 34, 8 0. 00622 i53. 18,9 5. 56,5 0. 3o2g5 17.42 6. 20 28 — f— 5 1 . n,5 55. 3i, 6 0. 01946 157. 18, 5 -f» 2. 16, 5 0. 3og28 17. 5o 6. i4 Seti. 1 0. o33i4 161. io, 5 -j- 0. 5g, 0 0. 3i6o3 17. 58 6. 8 5 59. 35, 2 0. 04706 164. 54,6 — 0. 56, 1 O. 32322 18. 4 6. 2 9 i3 63. 24,4 0. 061 12 l68. 32, 2 2. 28, 0 0. 53o42 18. II 5. 55 66. 58,6 0. 07516 172. 2,3 5. 56,6 0. 33792 18. 16 5. 5o '7 21 +70. 19,8 73. 28,0 0. 0S912 175. 26,6 '_ 5. 21,8 0. 54557 18.22 5.42 0. 10292 178. 44,5 6. 45, 2 0. 35523 18.26 5.56 5. 29 25 76. 25,4 79- ")4 0. 1 1652 181. 56,6 8. i,5 0. 36095 18.29 2q 0. i2gSo 285. 5,0 9. i5,o 0. 36857 18. 52 5. 22 5. i5 Ou. 3 81. 47>4 0. 14278 188. 4,2 IO. 25,4 0.37618 18. 35 DI UN POLIPAJO NON DESCRITTO RITROVATO NELLA CALCARIA DEI CONTORNI DI TEOLO NEGLI EUGANEI. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI VII APRILE MDCCCXXXV DAL SOCIO ATTIVO NICCOLO DA RIO Jjernardino Saint-Pière ne' suoi Studii della Natura; opera a mio parere assai bella, non tanto per le idee che contiene, le quali forse non tutte saranno vere o giuste, ma per quelle ch'essa è atta a produrre nelle menti altrui ; opera ch'io lessi con trasporto ne'verd'anni di mia gioventù; parlando nel primo studio dell'immensità della natura, sostiene che a tessere una compiuta storia naturale della fragola non basterebbe l'intera vita d'un uomo che intorno a quella tutto tutto esclusivamente s'occupasse, perchè, dic'egli, bisognerebbe co- noscere tutto il prodigioso numero d'animaluzzi che abitano nelle sue parti di- verse, e nelle differenti ore del giorno e stagioni dell'anno, le relazioni della fragola con quegli esseri, l'infinita disparità d'oggetti, e le mutue relazioni che vi scoprirebbero i nostri microscopici osservatori , che giungono a discernere gli organi riproduttori degl'Infusorii ; le relazioni della pianta col suolo dove cresce, col sole che la riscalda, coll'acqua che la nutre, colla luce, coli' elettri- co, colle meteore ec; e poi conoscere la sua organizzazione, e i modi di sua conservazione, di sua riproduzione, e mille altre cose che non finirebbero mai. Conosco bene, che chi divisasse di scrivere in simil guisa la storia d'una pianta, farebbe press' a poco come il Passeroni, che propostosi di dar la vita di Cicerone nel suo graziosissimo poema, lo lasciò ancora poppante alla fine del primo tomo. n8 «Tullio a mangiar non era ancor avvezzo, » E non sapeva masticare ancora ; » Avea già circum circa un anno e mezzo, »E i denti ancor non apparivan fuora, "Anzi a metterli tutti ei stette un pezzo; » E cliiaro si vedea fino d' allora , «Che saria slato parco e continente; » Cosa eh' è rara assai tra certa gente. Canto XVI. Stanza 85. Andando di tal passo, un niigliajo di Canti non avrebbero bastato a condurlo alla lettica, in cui egli ebbe il capo mozzo dai sicarii di Marc'Antonio. Ma comunque vi piaccia , o Signori , di prender queste mie ciancie o in ischerzo o sul serio, è però di fatto che non si finisce mai di bene osservare una cosa, per picciola che sia. Quantunque quel campo che a preferenza pro- posi alle mie geologiche escursioni ed indagini, gli Euganei, sia un ristrettissi- mo campo; pure ben di rado m'è avvenuto di rivedere un monte, benché altre volte da me prima e con tutta diligenza ricercato, che qualche cosa non v'ab- bia ritrovato sfuggila alle prime indagini. Giudicate or voi del peso che si può dare alle osservazioni fatte una sola volta e di volo, per quanto sia l'osservatore fornito d'occhio perspicace e di sve- gliato iugegno. Ma senza fermarci a riveder le bucce altrui, ch'è cosa mai sempre disaggra- devole, talvolta pericolosa, veniamo al caso nostro. In una delle replicate gite ch'io feci al monte detto delle Vignale , presso Villa di Teolo, m'abbattei in un pezzo di calcarla marcata d'una macchia per- fettamente rotonda, che a prima vista sospettai poter essere un qualche corpo organico, e forse appartenere alle Discoliti o tumuliti, come più piace di chia- marle; ma siccome, più attentamente esaminandola, m'accorsi che non era che superficiale, senza veruna solidità, e che nessuna traccia d'interne concamera- zioni non vi appariva ; cosi non potei più ritenerla per tale , e rimasi affatto dubbioso sulla sua natura, ne seppi per allora decidere se veramente fosse corpo organico, ovvero nulla più che semplice macchia accidentale; desiderando che qualche altro esemplare mi si presentasse più caratterizzato, il quale potesse ri- schiarare i miei dubbii. La cortese amicizia del Conte Corniani venne a mio soccorso: avea egli fra le cose euganee del suo Gabinetto un fossile che a prima vista, e senza aver "9 fatto i necessarii confronti , io opinava potesse avere qualche relazione col mio, benché fosse molto più grande e caratterizzato; onde chiaramente appa- riva esser esso slato originariamente un corpo organico passalo allo slato di pe- trificazione. Il Conte Corniani è stato cosi grazioso, che se ne privò per arric- chire la mia collezione euganea; di che gli sono gratissimo, ed è sua mercè ch'io posso mettervelo innanzi gli occhi, dottissimi Colleghi. Se però questo bell'esemplare serve a rimuovere ogni dubbio circa l'origina- ria sua derivazione dal regno animale, non per questo vale a rischiararci intorno la natura delle macchie rotonde accennate , perchè messo al confronto con quelle, tanto ne diversifica per grandezza, per forma, per solidità, che non se ne può instituire veruna relazione, e perciò sono esse ancora cosa indetermi- nala, a meno che non si volessero quasi a forza considerare come leggierissime impronte di numismali. Ma forse che il fossile euganeo donatomi dal Corniani si può con maggior esattezza e certezza determinare? e si può forse con plausibile probabilità an- noverarlo non dirò tra qualche spezie cognita , che ciò è troppo diffidi cosa, ma almeno riferirlo ad alcuno dei generi conosciuti? Vediamolo. Osservando che il fossile che vi presento non ha valve, né concamerazioni comunicanti, è giuocoforza escluderlo dalle conchiglie, e riporlo fra i polipai; e questo e' informerà che appartiene alla seconda classe degli animali inverte- brati del Lamarck, Polipi (Tom. II. pag. i). L'Ordine III. di questa Classe comprende i Polipi vaginalìj cioè quelli che sono fissali in un polipajo inorganico, e assai spesso petroso, che gì' inviluppa (pag. 66): non v'ha dubbio che in quest'Ordine non abbiasi a ricercare il po- lipajo di cui si ragiona. Quest'Ordine, perchè numerosissimo di generi e di specie, viene dal La- marck diviso in più Sezioni; e siccome la Sezione IV. di quest'Ordine (pa- gina igo) contiene i polipai pietrosi solidi, interiormente compalli, e le di cui cellule sono perforate o tubulose, come ad esempio nella Millepora, nella Tu- bipora, a differenza de'polipai petrosi della Sezione V. (pag. 209), che sono lamellari, come lo sono nella Meandrina, nella Madrepora ec; e siccome nel nostro esemplare- la più picciola traccia di lamelle non si discerne, così con- viene ristringerci alla Sezione IV. dell'Ordine III. degli animali invertebrati del Lamarck. Poco più io temo che si possa progredire senza inoltrarsi in lerra inco- gnita. 120 I generi compresi iu questa Sezione sono pochi, e si ristringono agli olio seguenti: Ovulite, timidità Orbulite^ Disticopora > Millepora, Favosite, Caienìpora e Tubipora. Non avendo fallo studio particolare dei petrefatti, e perciò non avendo dei medesimi collezione abbastanza copiosa, quantunque molli ed anche di belli assai e non comuni io ne possegga, non posso presentarvi gli esemplari di tulti gli otto generi annoverati. Vi porrò sotto gli occhi i tre che possedo, la Mille- poraj la Famsite e la Tubipora_, e questi sì in istato di natura che lapide- fatti ; e la sola ispezione, senza che v'annoi con parole, basterà a convincervi che a nessuno di questi il fossile euganeo non appartiene. Resta da inslituire l'esame cogli altri cinque generi, cioè YOi'ulitej la Lu- nulite, YOrbulite, la Disticopora e la Catenìpora. Non può essere l'Ovulite, perchè le Ovuliti sono corpi ovoidei più o meno allungati e talvolta cilindrici, vuoti nel mezzo e spesso aperti all'eslremità , pic- ciolissimi, non avendo che da due a sei millimetri di lunghezza: il nostro fos- sile è conico, nella troncatura superiore ha tre centimetri di diametro, e cinque nell'inferiore; l'asse è lungo centimetri 2 e millimetri 8; e chi sa quanto di più lo sarebbe se fosse intero, perchè non si sa ne quanto si estendesse di più verso la base, né se andasse a terminare in punta verso l'altra estremità. Dun- que non appartiene al genere Orbulite. Non può essere una Lunulite, perchè la Lunulite è bensì orbiculare, ma appianata, 0 vogliam dire schiacciata, concava da una parte, e convessa dal- l'altra: nel fossile euganeo nou si potrebbe considerare come orbiculare tutto il corpo del medesimo, ma solamente le sue separate sezioni; e queste poi sono racchiuse fra piani paralleli , che non sono concavi da una parte, e convessi dall'altra: di più, la superficie convessa della Lunulite è fornita di strie disposte a raggi, con pori fra le strie; e la convessa è fornita di rughe o solchi diver- genti : delle quali cose nessuna si osserva nel nostro esemplare. Non può essere la Disticopora, perchè questo è un polipajo ramoso. Non può essere la Calenipora , la quale è composta di tubetti posti vicini gli uni agli altri, in guisa che le loro pareti costituiscono delle lamelle, le quali, o perpendicolari o variamente inflesse, formano delle cellule irregolari e varia- mente ordinate; di modo 'die la superficie rappresenta una catena di pori fra di loro connessi; la quale disposizione, assai diversa da quella diesi trova nelle Millepore, diede motivo al Lamarck di separar le Catenipore dalle Millepore, e farne un genere a parte. 121 Questo polipajo fu descritlo e figurato dal Linneo nella sua Memoria Coral- ità Baltica [Amoenitales Jcademicae„Tom. I. Tab. IV. Fig. 20.); e quando anche mancasse la descrizione, la sola ispezione basta a convincere che il no- stro fossile non è la Catenipora. Ed ecco che degli otto generi spettanti a questa Sezione se ne sono già eli- minati sette: dunque non resta da prendere in esame che il genere Orbulite, per vedere, se a questo si potesse riferire il fossile di Teolo. Siccome le Orbulili sono un polipajo pietroso, libero, e fornito di giri con- centrici, caratteri che si riscontrano anche nel nostro fossile; cosi ciò deve a prima vista invitare ad annoverarlo tra le Orbulili : ma un esame alquanto più attento vieta che si possa portare tale giudizio. Ed ecco il perchè. I caratteri assegnati da Lamarck alle Orbulili nella descrizione ch'egli fa del genere, sono i seguenti: i.° Sono polipai piccioli; 2.° petrosi; 3.° liberi, cioè isolati, e non tra di loro aggregati ed aderenti; 4.0 orbiculari; 5.° appianati; 6.° talvolta concavi da una parte, e convessi dall'altra; 7.0 porosi o in ambedue le superficie, o sola- mente negli orli; 8.° somiglianti alle Numismali o Discoliti, dalle quali si di- stinguono, perchè le cavità delle Orbulili non sono disposte aspira, come quelle delle Numulili. Ora di questi caratteri il primo, cioè la picciolezza , pare non molto con- venga al nostro fossile, che veramente non si può dir picciolo; e tanto meno v'ha ragion di così chiamarlo, quanto che le Numuliti, cui le Orbuliti vengono rassomigliate, sono assai picciole, e molte quasi microscopiche. II secondo ed il terzo, cioè l'esser petroso e libero, gli conviene perfetta- mente; intorno al quarto e al quinto, cioè d'essere orbiculare e di aver la figura d'una moneta, conviene fare importante distinzione. Questi caratteri convengono sufficientemente, se si tratta d'una sezione tras- versale, e normale all'asse del cono; ma non già se si riferisce al corpo inte- ro, il quale ha, come io dissi e come voi vedete, la figura d'un cono. Di fatto, la fascia che forma il contorno di quel pezzo staccato , che non male rappre- senta una moneta, non è parallela all'asse, e normale ai due piani costituenti la superficie superiore ed inferiore; ma è obbliqua relativamente all'asse, così che immaginandola inferiormente prolungata , anderebbe ad incontrare quei circoli che si veggono al di sotto della pietra contenente il nostro fossile. L'inclinazione della fascia determina la situazione presunta del vertice; ma la distanza della base dal vertice resta indeterminala, e perciò anche la sua ampiezza. 16 122 Ora mi pare ad evidenza provato che il nostro fossile La la forma di un cono superiormente troncato, e fors' anche al di sotto; che perciò non può ri- ferirsi nemmeno alle Orbuliti, che sono o corpi cilindrici di picciola altezza relativamente alla base, o, se sono convesse, risultano da due segmenti di sfera che producono" una forma lenticolare, tna non mai quella di un cono. Quindi il nostro fossile resta escluso anche dalle Orbuliti , e per conseguenza non ap- partiene a veruno degli otto generi compresi nella IV. Sezione dell'Ordine III. degli animali iuVerlebrati del Lainarck. Ciò posto, sembrami che si debba risguardar questo fossile come un genere nuovo, e separarlo dagli altri generi, se per avventura posteriori indagini non facessero conoscere che sotto altra denominazione trovavasi confuso con qualche genere già noto. Nondimeno, prima d'abbandonare quest'argomento, piacemi di confrontarlo ancora con altri due generi di Lamarck, Cyclolites e Turbino- lia, che sono i soli coi quali ha qualche carattere comune. Il carattere ch'esso ha comune colle Cicloliti si è quello d'essere fornito di giri concentrici, come quelle lo sono, e dalla presenza de' quali è loro derivato il nome; ma tutta la somiglianza delle Cicloliti col nostro fossile consiste ap- punto in ciò solo, e nulla più: perchè le Cicloliti appartengono a' polipai la- mellari, cui il fossile euganeo non appartiene ; e perchè le Cicloliti , che mol- tissimo si ravvicinano alle Fongie, sono fornite d'una grande stella conica la- mellare che ne occupa la superficie superiore , e che manca interamente nel nostro esemplare. La rassomiglianza poi colla Turbiuolia consiste nella forma, perchè anche la Turbinolia è un polipajo pietroso turbinato o cuneiforme; ma esso è longi- tudinalmente striato al di fuori: invece nelle sezioni del nostro fossile, che sono staccate e libere dalla roccia, non esistono strie di sorta; la Turbinolia ha per carattere generico l'essere terminala da una cellula, che si potrebbe dire infos- samento lamellare colle lamelle disposte a stella talvolta oblunga , come si vede nelle Figure 2. 3. e 7. della Tav. IV. della citata Memoria del Linneo, Coral- lia Baltica [Amoenitates Academicae, Tom. I.), alle quali Figure si riporta anche il Lamarck. Nel nostro fossile non sono né infossamenti, né lamelle, ne stella: dunque non è una Turbinolia; e già la sola ispezione delle citate Figure di ciò convince appieno. Queste medesime ragioni mi muovono a giudicare che il nostro fossile non si possa nemmeno riferire al Cyathophyllum elianthoides del Goldfus, eh è pro- prio della calcarla di transizione, benché con quello abbia qualche rassomi- 123 gliauza,la quale poi consiste poco più che nella figura conica, ma se ne distin- gue pel grande infossamento ciatiforme, per le lamelle interiori disposte a raggio, come lo stesso nome generico e specifico lo spiega , e perchè nel con- torno mostra una linea spirale continuata dall'alto al basso, e non è formato di diselli decrescenti e sovrapposti uno all'altro a guisa di pila, come si osserva nel nostro soggetto. Ora avendo dimostrato die il nostro fossile non può appartenere a nessuno degli otto generi ammessi dal Lamarck nella IV. Sezione del suo III. Genere degli animali invertebrati, nella quale sezione soltanto può trovare il suo posto; e che se anche posteriori indagini facessero conoscere eh' esso fosse stalo con- fuso tra qualcuna delle spezie appartenenti a detti generi, esso vi sarebbe mal collocato, e bisognerebbe toglierlo, perchè ha caratteri generici differenti da ciascheduno di quelli; e avendo anche per un di più dimostralo, che non si può confonderlo cogli altri due generi affini, Cjclolites e Turbinolia, e nem- meno col Cyathophyllum elianthoides del Goldfus; io sono d'avviso, non mai per darmi l'aria di facitor di nuovi generi, ma indottovi quasi a forza dall'esa- me comparativo inslituilo sopra i caratteri essenziali e differenziali di tutti i generi affini, che si debba risguardare come un genere nawo non descritto; e come tale lo propongo, ad aggetto, se non altro, di richiamare l'attenzione dei naturalisti sopra questo soggetto. Se il fossile rinvenuto nelle stratificazioni della calcaria delle Vignóle presso la villa di Teolo è, come credo, un genere nuovo e non descrilto, convien pure anche con nuovo nome distinguerlo; e perciò propongo il nome di Cycloco- nus Catulli, traendo il nome generico dalla sua conformazione, e dai giri che si rimarcano nelle trasversali sezioni, e compiacendomi di dare col nome spe- cifico un contrassegno di stima a quel Professore, di cui pregio il carattere e le cognizioni, e che in qualsiasi incontro mi fu largo d'ogni letteraria e scienti- fica cortesia. Sarà dunque il fossile euganeo caratterizzato colla seguente frase: CYCLOCONUS Character genericus. Polyparìum lapidei/m libertini _, conicum ; sectionibus transversalibus orbicuìatiSj, superficie plana, gyris concentricis distincta. Species unica. Cycloconus Catulli nobis. Habitat in stratis calcareis montis tignole prope Teolo in Euganeis. 124 Il suo posto nel Sistema del Lamarck mi pare che dovrebb' essere dopo le Orbuliti, e prima delle Disticopore, e così la IV. Sezione di quell'autore con- terrebbe nove Generi, invece degli otto che vi si contano presentemente. Alcuni altri frammenti di Ciclocono, recentemente trovati dal valente nostro alunno signor Zigno, mostrano essi pure coli' inclinazione delle fascie circon- danti il disco, che sono tronchi di cono, e quindi confermano sempre più che la forma conica non è accidentale dell'individuo, ma caratteristica del genere. Ed ecco, dottissimi Colleghi, arricchita, se non prendo abbaglio, la Zoologia fossile d'un nuovo genere; accresciuto il catalogo, altronde non numeroso, delle petrificazioni euganee con un polipajo non prima determinato, ne descritto ; e soddisfatto, come meglio per me si potè, al debito che in quest'anno mi correva verso l'Accademia di leggervi qualche cosa possibilmente nuova. y%t<.nt r Ségye aédiz £Zct>aeéc»u*z ai- J/aa&va. J >/^ m SULLA ARCHITETTURA PADOVANA MÌL SECOLO DECIMOQUARTO MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXVI GIUGNO MDCCCXXXU DAL SOCIO ATTIVO PIETRO ESTENSE SELVATICO Ali quest'operoso secolo, vollo ogni giorno a discoprire nuovi veri ed a fare più ricca la suppellettile dell'umano sapere, gli eruditi e gli artisti non credono invilire l' ingegno loro recando la face della dottrina fra la notte delle mezzane età, per seguire passo passo la via segnata allora dall'architettura, e trovare le fila riposte che rannodano quest'arte sovrana colla romana grandezza e colla moderna eleganza. Ben è vero che in quei sanguinosi tempi, in quelle alterne veci di dominazioni, in cui un delitto parea rampollare sull'altro, languida e moriente vita viveva l'arte della sesta, ed appena presentava fra rozze ed informi volte e male accozzati ruderi lontane ricordanze dell'antico splendore. Ma tut- toché ahhattuta e squallida, tuttoché non più allellatrice dell'intelletto e dello sguardo, ella ti parla ancora da quelle irte muraglie un'alta lingua monumen- tale; t'imprime una religiosa riverenza dinanzi alle basiliche, di cui il Cristiane- simo solo inventò le forme, in cui il Cristianesimo solo alzò fino a Dio inni di riconoscenza e di pace; ti guida a mirare le reliquie delle torri e delle castel- la, quando propugnacolo della patria, quando bersaglio al riottare delle fazioni; t'invita a memore sospiro sul tumulo dei valorosi che afforzarono, abbellirono le città che abitiamo; ella infine li ricorda lietamente le sale, le loggie, i palazzi, ove il cittadino librava sulle bilancie della giustizia i diritti del cittadino. Ma se in tutti i secoli di mezzo l'architettura presenta al filosofo ed all'arti- sta argomento di profondo meditare , in niuuo però va più superba di storielle 126 rimembranze e di colossali costruzioni , quanto nel secolo quarlodecimo, secolo di transizione, secolo fecondo di ogni germe di civiltà. Lo scrittore che ha de- bito scorrere l'epoche di mezzo, s'arresta in questa come lo stanco Romeo al- l'ombra dell'Oasi ospitale, che sorge fra le sabbie del deserto. Ed io ve lo con- fesso , illustri Colleghi : quando per lo addietro dovere di storico mi forzava ad additarvi l'incerto cammino della padovana architettura fra mezzo ad età vitu- perate da tanta ferocia di colpe, a quelle età in cui nordiche orde piombarono sugli sfasciumi dell'immenso impero, e sulle rovine dei barbari troni sedettero barbari re, e scesero gli Ottoni a sperdere le larve degl'italici monarchi, e di mille guise vennero poste a saccomanno le belle nostre pianure; quand'io vi mostrai raccapricciando le cittadine pareti insanguinate dalla tirannide di Ecce- lino, tardavami l'animo, ed in pari tempo trepidava pel subbietto difficile a svol- gere , di giugnere a que' tempi in cui il, governo della padovana repubblica fu affidato alla famiglia da Carrara; a quell'avventuroso secolo, nuova luce e nuova gloria d'Italia, dopo novecento anni di tenebre e di sciagure. È desso il secolo in cui questa soavissima tra le favelle, annobilita e monda dal lezzo de' tiivii, potè farsi ministra leggiadra di originali concetti; è desso il secolo in cui l'Alighieri cantava, e quel canto ripetevano i mille echi dell'Alpe e dell'Appennino, l'armonioso sermone di Firenze sonava dolcissimo sulle lab- bra del Certaldese, l'ignudo e licenzioso amore degli antichi vestiva candido velo dinanzi al Cigno di Valchiusa; è desso il secolo in cui prosa e poesia, pari alla Minerva della favola, nacquero e furono. E l'arti del bello, che sono pur tanta parte della civiltà morale dei popoli, e madri di raggentiliti costumi, segnarono anch'esse migliore sentiero. La pittura, abbandonato l'incerto stile di Cimabue e dei bisautini maestri, per opera di Giotto e della numerosa sua scuola si die con timida sì, ma con diligente mano a ricopiare sul vero il nudo e le pieghe. La scultura, specialmente in Firenze ed in Pisa, ardì meditare sugli antichi basso-rilievi, e ne raggiunse una qualche bellezza imitandoli. Ma in tanto progredire d'arti e di lettere, in tanto rivol- gersi verso il bello ed il grande degli antichi, chi ne dirà perchè l'architet- tura, in luogo di darsi tutta ad imitare i monumenti greci e romani, nel Norie dell'Italia seguitasse ancora lo stile gotico-tedesco, e nelle città poste in riva del mare tirreno ed adriatico proseguisse a mescolarlo coli' orientale? Chi ne addi- terà le cause per cui quest'arte, fra tutte le liberali sempre la prima a volgersi a mutamento, siccome quella che più delle altre è legata ai bisogni dell'uomo; l'architettura, nodo e catena delle sorelle, si ristesse ancora impigliata fra le sirti 127 del goticismo, e tutla anzi si ponesse a far più ardito, più elevato, più sorpren- dente quello siile che già da un secolo la padroneggiava? Dovrassi dunque af- fermare che, per uno straordinario travolgimento nell'ordine morale dell'umano ingeguo , questa signora delle arti si rimanesse irrugginita e barhara ancora , quando le altre moveano verso il loro Olimpo? Io no '1 credo. Parmi piuttosto che questo fatto, prima di persuaderci ad apporre l' insultante marchio di bar- barie e di scadimento all'architettura di questo secolo, dovrebbe condurci a rintracciare le cause per cui furono spinti i popoli a dare ad essa il maggior grado di perfezione, ne loro permisero ancor per un secolo di volgersi alla imi- tazione degli antichi monumenti. Nell'alta Italia molti principi e feudatarii traevano la origine da famiglie settentrionali, e tanti legami tuttavia serbavano colla natale contrada, da tome spesso di là quegli artisti, e quelle foggie di ar- chitettare fra le genti del Norte slanciate a sì ammirati ardimenti. I popoli ve- deano sorgere improntate di sì fatto carattere le reggie dei loro dominatori , ed ammirando imitavano. D'altra parte, le città poste sul mare proseguendo a ve- leggiare nell'Oriente, e coll'Oriente continuando proficui commercii, sia che a Bisanzio approdassero, sia che le coste di Spagna toccassero, vedeano la civiltà di quelle nazioni assai più francata dalla barbarie che non fra i domestici fo- colari, e la vedeano crescere in mezzo ad edifizii, i quali ancora serbavano i tipi del secolo precedente. Quindi tutte seguendo le costumanze dell'Oriente, anche la maniera d'architettare continuarono ad imitare. Sorgevano, è vero, qua e colà nelle varie regioni d'Italia alcune reliquie di romane moli; ma ne prin- cipi né città animavano gli artisti a misurarle, ed a meditarne le bellezze. Voleavi una causa forte, prepotente, perchè finalmente l'arte della sesta si desse tutta allo studio dell'antico. La scoperta dei manoscritti di Vitruvio bastò sola per ispronare a ciò gli architetti; e fino a che quei manoscritti non uscirono dalle tenebre dei secoli, in cui gli aveano giltati barbarie ed ignoranza, non era dato sicuramente agli artisti di ravvisare il bello fra mucchii d'infrante colonne. Però il secolo che avea veduto giganteggiar l'Alighieri; il secolo in cui tutte le lin- gue d'Europa, uscite finalmente dal confuso tramestio dell'imbarbarito sermone latino colle nordiche favelle, s'erano foggiate a regolari sistemi; quel secolo, dico, che ad ogni passo sì colossali orme lasciava di se, non potea più od indietreg- giare, o ristarsi nemmeno nelle arti liberali: era forza seguisse anche in archi- tettura quel movimento progressivo che impresso gli aveano gl'ingegni e le cir- costanze. Impedito per ciò d'imitare le architetture dei Romani, di cui non potea conoscere il bello, diessi a perfezionare e a dar forma e regole a quello stile gotico 128 in cui ravvisava originali bellezze, e potea quindi dar vita ad un'arle die parlava all'anima una sublime parola, potea proporsi una mela, e maestramente arrivarla. Fatta così ragione del merito di quel gagliardo secolo per eccellenza ori- ginale, e veduta quell'arte gotica sotto questo punto di vista, parmi sia ben lunge dal meritare gli appellativi di scaduta e di barbava. E di vero, qual cuore vi sa- rebbe sì freddo, che andasse oso di chiamare barbara e scaduta l'arte che sol- levò le cattedrali di Ulma, di Strasburgo, di Milano? Barbara e scaduta, se male io non veggo, dovrassi chiamare quell'architettura, la quale confonde, tra- visa le basi su cui è fondata, e passo passo perde di vista gli archetipi suoi; bar- bara e scaduta quella che, cresciuta fra le lagrime e l' avvilimento dei popoli, povera di ardimenti e di mezzi , incerta nello stile delle proprie decorazioni , mesce gl'infranti ruderi antichi colle più sregolate licenze della fantasia, e ne accozza edifizii a cui manca carattere ed espressione; barbara e scaduta final- mente quella ch'ebbe vita nell'epoche dei re langobardi e carlovingi. Ma l'arte che sente l'alta ed eloquente lingua di un tipo, siccom'era quella del se- colo quartodecimo, che quel tipo ingegnosamente sommette a regole ed a prin- cipii, ed in esso vede una limpida sorgente di elevatissime idee, non altrimenti dirassi avviata a barbarie , ma proclamerassi degna almeno di una parte della estimazione che consacrasi a quelle dei secoli di Pericle e di Augusto; perchè com'esse serva e signora ad un tempo dei bisogni della società, com'esse imme- diatamente collegata collo spirito dei tempi in cui s'ebbe origine e progressione. Quest'arte gotica, sulla quale ora tenni forse troppo lunghe parole, dimostrai altra volta come in Padova pendesse verso lo stile bisantino; e ciò per la propin- quità di Venezia, la quale avea ragioni commerciali che la sospingevano ad ac- carezzare di preferenza le bisantine maniere d'architettare. Ma non era questa bastevole causa per mantenere quel sistema cotanto in fiore tra noi; alcune se- condarie circostanze parmi possano avervi in qualche modo contribuito. La ri- nomanza di Nicola Pisano, che qui avea dato opera a dignitoso edifizio, e quel suo stile leggiadramente commisto di gotico e bisantino, invitar dovea i nostri artisti ad imitarne le massime, e quindi a trasfondere nelle architetture loro la vaga mescolanza di entrambi quei sistemi. E forse a porre in maggior voga quella maniera di architettare fra noi ci avranno avuta una qualche parte an- che Giotto ed i molti suoi seguaci, i quali in quel secolo ornavano d'ingenue grazie e di timida verità le pareti dei tempii e dei padovani palagi. Essi, venerati com'erano per tutta l'Italia siccome i rigeneratori delle arti, educati in mezzo agli edifizii di stile bisantino che in riva all'Arno allora sorgevano , e quelli ri- I29 copiando di continuo nelle arcliitelture dei loro dipinti, doveano mantenere vieppiù acceso nei nostri artisti l'amore per lo stile orientale. Le architetture padovane di questo secolo, nelle quali sembrami meglio in- travvedere l'innesto dei due stili accennati, sono i sarcofaghi die in buon nu- mero sorgono nei tempii di questa città. Ora, che io deggio di essi tenere pa- rola, mi si perdonino alcune generali riflessioni sulle varie vicende dell'archi- tettura sepolcrale, le quali forse potranno tornare acconcie all'argomento, e far ragione del carattere e dello stile dei nostri sepolcri nel medio evo. Quando l'uomo non era ancor dirozzato dalla barbarie, una pietra, una zolla copriva la fossa dei cari, e su quella pietra non menzognero monumento di su- perstite affetto, su quella povera ma lagrimata zolla, pregava l'ultimo vale al figlio, alla compagna, al fratello. Ma quando la civiltà addusse le arti fra gli uomini, anche l'architettura dei sarcofaghi vestì il carattere delle nazioni fra cui quelli sorgevano, e più accomodossi al vario avvicendarsi delle religiose idee, le quali sempre si fecero custodi all'ultima dimora del mortale. Gli Egiziani, popolo potente e gigantesco, a cui erano sì care le salme dei trapassati, e tante cure spendevano perchè il tempo, struggitore di tutte cose, non consumasse tuttavia l'ultime reliquie dell'uomo, voleano che la posterità ravvisasse nei colossali monumenti eretti alla memoria degli estinti monarchi una immagine della grandezza dei loro troni. 1 Greci, che ogni gloria ponevano nelle azioni magnanime e nelle cittadine virtù, poco curavano di dar fama colla ma- gnificenza dei monumenti a quei grandi che aveano onorato la patria o colla niente o colla spada. Sulla via del Pireo umili avelli chiudevano l'ossa di Mil- ziade e di Temistocle; ma su quei disadorni sepolcri stava scritto il nome dei sommi, e quel nome solo era ai posteri eccitamento a gagliarde imprese. Una rozza pietra all'ingresso delle Termopili era tomba e trofeo ai trecento gene- rosi che incontrarono invidiala morte a far salva la patria ; e su quella pietra leggeasi (alla e sublime semplicità): filatore > racconta a Sparla che qui tutti morimmo per obbedire alle sante sue leggi. I Romani , odiando il privalo lusso, la pubblica magnificenza idolatrando, vollero trasfonderla anche nei loro sepolcri, fregiandoli di ogni più ricco orna- mento; quando poi, inorgogliti perchè dominatori di quasi tutto il cognito mon- do, osarono sollevare i potenti fino all'altezza dei numi, e fecero degni d'apo- teosi anche i regnanti che avevano insozzato la porpora di vergognose colpe, vollero che i sarcofaghi, anziché portare impresso soltanto i simboli della morte, presentassero scolpile le gesta illustri del trapassato (ne suonasse veritiera o '7 i3o mentitrice la fama), e lo mostrassero già fatto divino in grembo alle celesti de- lizie. Presso quel prodigioso popolo mima lugubre e desolante idea andava unita all'ultimo sospiro del mortale. Si incertamente le arti aveano personificata la morte, che ancora oggidì siamo dubbiosi sull'emblema che la rappresentava. Perchè poi anche le funebri idee , che destar doveano i sepolcri , fossero con- teinperate da qualche pensiero di vita e di gloria , quando voleasi effigiare sull'arche scolpita la persona dell'estinto, piultostochè figurarla già vinta da morte, preferivasi porla in atto d'uomo che favella o medita seduto sur un letto. Ma quando a quella teatrale e licenziosa religione , che divinizzava tutte quant'erano, generose ed abbiette, le passioni dell'uomo, un'altra ne succedette mite, rimessa, che tutti chiamava fratelli, a tutti consigliava la concordia, la pace, lutti volea umili dinanzi a Dio, e mostrava il nulla che circonda gli avelli iu tutta la loro spaventosa profondità, insegnava Dio solo esser grande, l'uomo non più che polve innanzi al suo fattore, lutto eguagliarsi nella tomba, le gemme dei troni e i cenci dell'abituro, dovere in una parola tener sempre il mortale fiso lo sguardo in quell'ora suprema, perchè in quell'ora Dio premia e punisce, Dio calpesta od esalta; l'architettura dei sarcofaghi dovette mutare a poco a poco le antiche forme e i tipi, ed anziché rappresentare di continuo nei tumuli le im- mortali e pompose gesta degli estinti, anziché ricordare, come nei tempi di Roma , le glorie terrene fra le stesse pareti del sepolcro , diessi a rammentare persino ne' suoi slessi ornamenti le idee della morte, onde secondare ciò che re- ligione proclamava ogni dì dall'altare ai credenti. Questa mutazione non potè però operarsi d'improvviso, perchè gli usi e le costumanze civili, uguali essendo nell'uno e nell'altro culto, gli artisti anche ornando sepolcri cristiani, di poco s'allontanavano dalla imitazione dei sepolcri pagani. Finché stette il romano impero, serbaronsi anche nelle cripte dei pro- scritti e perseguitati fedeli in gran parte quegli stessi culumbarii , quelle stesse capricciose dipinture, che fregiavano le camere sepolcrali dei loro persecutori. Ma quando l'impero sfasciossi, ed innumerevoli torme di straniere nazioni ro- vesciandosi sull'Italia, tutte ne mutarono le costumanze, la religione uscita al- lora dalle cripte, venerata dai Ironi della terra, moderatrice della sorte dei po- poli, non serbò pei sepolcri se non quei simboli che meglio colla mite e mistica sua indole potevano affarsi. Perchè poi il pensiero della morte non mai si scom- pagnasse da quello dei premii e delle pene di una vita avvenire, volle che i soli tempii andassero ornati di sarcofaghi e mausolei, volle che i sacri recinti fossero pavimentali da pietre sepolcrali. Così le chiese divennero vasti e magnifici ci- milerii; così il Cristiano, quando innalzava fino a Dio la preghiera, senlia rim- bombare sotto il piede le tombe, senlia più che altrove le ceneri dei fratelli destargli al cuore un fremito di religiosa pietà e di terrore , e rammentargli unite indissolubilmente morte ed eternila. Allora il carattere della religione, che pur volea in tutte guise ogni di più mostrare all'uomo quanto sia fuggevole quaggiù sua giornata, e forse anche l'uso, che dall'indole della stessa religione pigliava la sorgente, di non più ab- bruciare i cadaveri , ed anzi di esporli per più giorni vestiti di ricchi abiti alle preci ed alla venerazione del pubblico, suggerì agli artisti di effigiare stesa sull'arca morluale la salma del trapassato; concetto veramente da commendarsi, perchè ravvicinando esso negli animi due prepotenti e fatali idee , il sorriso della fortuna e le pompe della vita dissipate dalla mano inesorabile della morte, diede ai sepolcri un carattere sì lugubre e funerale , che infonde nel cuore quella religiosa espressione, la quale indarno tentarono forse arrivare nei lor corretti monumenti gli architetti dei secoli migliori. Padova, che una fra le città d'Italia più ricca di depositi sepolcrali del me- dio evo, ne conta molli di epoche e di stile disgiuntissimi. Due fra questi, i quali portano scolpiti i principali fra i simboli delle cripte, per le ragioni che andrò dicendo potrebbonsi reputare molto anteriori al decimoquarto secolo. Stanno essi affissi alla parete meridionale della basilica di sant'Antonio, né portano iscrizione alcuna, che attesti a quale famiglia appartenessero, ne in qual tempo fossero alzati. Nel primo d'essi veggonsi scolpiti assai rozzamente alcuni archi, in mezzo ai quali pendono grappoli d'uva, emblema forse della mistica vigna, posta allora assai di sovente a fregio dei tempii e dei sepolcri per denotare la Cristianità (0. Nell'altro più vicino alla porta d'ingresso ravvisansi più nu- merosi e più chiari i simboli. Nel centro sta scolpito l'agnello cinto di aureola, emblema, secondo l'Arringhi, del Salvatore; in alto sono collocate due colombe, intese a figurare le anime dei fedeli già salile a godere le celesli felicità. In mezzo a due archi sorretti da spirali colonnette veggonsi due agnelli senza au- reola, sormontati dalla croce; e sono essi i fedeli che, non deposta ancora la spo- glia mortale, adorano il Salvatore. Negli ultimi due archi sollevatisi due palme ; simbolo, a dir vero, il quale sarebbe di meno agevole spiegazione degli accennali, se il Ciampini e particolarmente l'Arringhi non Io avessero di una qualche luce (i) Vedi l'Opera dei dottissimi Sacchi intorno l'architettura simbolica civile ec. usata in Italia nei secoli VI. VII. e Vili., pag. i65. i3a rischiarato colle dotte loro osservazioni («). Avvisò quest'ultimo scrittore, che la palma fosse presso i Romani un simbolo della Giudea, ciò potendosi argomen- tare da alcune medaglie di Vespasiano e di Tito, in cui vedesi una donna pian- gente seduta sotto una palma coli' epigrafe: Judaea capta. La Giudea era fecon- dissima di palme; e quindi crede il citato autore, che dai primi proseliti del- la Fede, ad imitazione dei Gentili, si rappresentasse nelle cripte quest'albero, a denotare quella regione in cui ebbe i natali il Salvatore (2). Il Ciampini nel dare spiegazione di molti fra i simboli teste accennati , ri- porta alcuui sarcofaghi dei primi Cristiani, in cui essi particolarmente stanno (1) Arrin'hius Boni. lnst. Tom. II. lab. VI. Cap. XXXIII., e Ciampini Veler. Man. (2) Non a fine di mover dubbiezze sulle dotte interpretazioni dei simboli cristiani dateci dall' Arringhi e dal Ciampini, i quali di tanta luce rischiararono la simbolica dei primi secoli della Chiesa , ma solamente per esporre un incontrastabile fatto piacemi di avanzare la seguente osservazione. Le colombe, che i due citali scrittori ne dicono simboli dell'anime dei fedeli, rinven<*onsi anche su gran parte dei sepolcri degli antichi. Sono fra questi l'urna di Tito Flavio Jerace, i sarcofaghi di Calpurnia, di C. Clodio, quello celebre di Claudia Elice, ec. In tutti questi, ed in molti altri che possono vedersi riportati dal Monfaucon, le colombe sono collocate nella stessa guisa che nei sepolcri cristiani. Né questa è la sola figura emblematica che trovisi perfettamente uguale nelle tombe di entrambe le religioni. La le- pre, il cane, il cervo, il cavallo sono simboli che veggonsi del pari nei sarcofaghi pagani e cristiani. È questa dunque pura opera del caso, o piuttosto dovrassi credere che i Cristiani ricopiassero servilmente questi emblemi dai Pagani? Ciò che forse potrebbe aggiungere probabilità alla seconda fra queste opinioni si è ciò che dissi altra volta in questo mio di- scorso, che i primi Cristiani cioè, eccettuatane la religione, aveano nel vivere civile le co- stumanze stesse dei Gentili, e quindi forse anche nella simbolica poteano intieramente se- guirli. Ma come mai conciliare, che in tanta e si essenziale differenza che aveavi fra le due religioni, i proseliti di entrambe volessero cogli stessi emblemi simboleggiare idee fra loro dìsparalissime ? Come mai conciliare , che essendosi mutate intieramente le costumanze, essendo estinta ogni influenza di culto pagano , pure la religione che dominava siccome sovrana su»li animi si piacesse ancora di riprodurre i simboli che aveano servito pei se- polcri dei Padani ? Per quelli che veggono una sola radice nella simbolica di tutte le nazioni e di lutti i tempi, la cosa non torna gran fatto difficile a spiegarsi ; ma per quelli che non tendono a si fatto sistema , questo è gineprajo troppo imprunato, ad uscire dal quale vor- rebbevi vastissima erudizione, rischiarata dalla fiaccola della filosofia ; vorrebbonvi lunghi studii sulla simbolica degli antichi e dei mezzani tempi. Se la sorte avesse ancora conser- valo all' Italia i preziosi giorni di Gio. Domenico Romagnosi , e quel colossale ingegno avesse potuto dare in luce 1' opera eh' egli avea promesso sulla simbolica , oh allora non avremmo più d' uopo di stillarci a goccia a goccia il cervello per trovare il capo a questa nodo gordiano. i33 scolpiti. Uno fra gli altri è in molte parti ugualissimo a quello ora descritto, e dal citato scrittore vien considerato siccome opera del terzo o quarto secolo del- l'era. Per le osservazioni di quest'erudito, sembrami si possa forse congetturare che dal terzo fino al decimo secolo venissero sui sarcofaghi scolpili i simboli di cui sin qui favellai, e che nei secoli posteriori si mirasse ad altro tipo. Ciò con- durrebbeci a collocare i nostri sepolcri fra quelli alzati non dopo il decimo se- colo. Questa opinione parmi si faccia più forte quando se ne pongano a disa- mina le rozze sculture, le quali palesano uno stile infinitamente più pesante e goffo di quello che ornava l'architettura dei secoli dopo il mille. E però da rimarcarsi, che la cornice la quale cinge l'arca, e le mensole che la sopportano, sono senza dubbio posteriori di alcuni secoli all'arca stessa. Onde uscire da tanto bujo sembrami non ci sia che una via, quella cioè di congetturare che la fronte ed i fianchi dei nostri monumenti fossero avanzi d'un antico sarcofago, dai quali si volle trar profitto nel secolo terzodecimo o decimoquarto , aggiungen- dovi la cornice e le mensole. Questa congettura, a dir vero, sembrerebbe non gran fatto appoggiata, quando si volesse portare lo sguardo sul sepolcro della famiglia Alvarotti, che sia in una delle cappelle della stessa basilica di sant'Antonio. Esso è quasi perfettamente uguale a quello finora da me descritto; e l'iscrizione, che vi è sovrapposta, porta l'anno 1378. Ciò basterebbe a provare che anco nel secolo quartodecimo so- leansi alzare sepolcri simili all'accennato, se l'iscrizione fosse col monumento congiunta; ma essa invece è sovrapposta al monumento in una pietra separata, e quiutli potrebbe a quello essere di qualche secolo posteriore. Il mezzo meno incerto per avere qualche probabile conghiettura sull'epoca in cui fu alzato, si è di raffrontare lo stile delle sculture con quello d'altri monumenti. Posto dunque a confronto con molti fra i numerosi sepolcri del secolo decimoquarto, che con- servaci in Padova, parmi sì pel carattere degli ornamenti, si per le forme co- tanto ne vada lontano, ed invece sì fattamente s'avvicini a quelli i quali pos- sono tenersi come opera del decimo, ch'io forse mi rendo men timido ad opi- nare esser quello, di cui ora favello, od una capricciosa imitazione dell'altro dei chiostri, o, com'esso, un sarcofago scolpito intorno al 1000, e tornato a por- re in uso assai posteriormente. Né questa costumanza dee poi recarci molta sorpresa, ne dobbiamo tenerla siccome poco frequente nei secoli di mezzo. Si giunse persino ne' primi tempi della Chiesa a valersi dei sepolcri de' Gentili (mutatine alcuni simboli), onde consacrarli ad accogliere ossa cristiane. Il per- chè non è maraviglia se molto tempo dopo si adoperarono gli abbandonati sar- i34 cofaglii cristiani a rinserrare di nuovo le ceneri che appartenevano ai proseliti della Fede. È ormai tempo ch'io tenga discorso di quelli fra i nostri sepolcri, i quali senza alcun dubbio furono opera del secolo decimoquarto. Primo per epoca , e fors'auco per merito architettonico, è quello che Gualpertino Mussato, abate di santa Giustina, fece alzare nella basilica di questo nome nel i3i6 per porvi la sacra spoglia di san Luca evangelista. Quattro colonnette spirali, fregiate di capi- tello e di base, sorreggono un'arca; e quasi quelle fossero credute troppo debole sostegno al sovrapposto peso, vi si collocarono nel centro, a foggia di cariatidi, tre figurette insieme aggruppate, nelle quali, se non erro, si vollero rappresentati tre angeli. Nell'anteriore parete dell'arca, in tre scompartimenti, veggonsi tre basso- rilievi in marmo: nei due primi stanno scolpiti due angeli, forse i banditori della divina parola; nel terzo v'è il bove alato, emblema dell'evangelista Luca. Anche a' tempi in cui fu eretto questo monumento, tennesi come opera for- nita di molteplici pregi, e come un passo dell'arte verso migliore cammino. Di molti versi onorolla l'illustre poeta e storico Albertino Mussato, diretti all'Abate fratello (i), e con larghezza di eucomii ne favellarono i contemporanei cronisti; e bene a ragione, perchè se questo sepolcro si confronti con le opere da cui va preceduto, e con molte anche di quelle che lo susseguitarono, troverassi e per diligenza di esecuzione, e per accordo di parli, e per meno rozzi profili di gran lunga superiore. Questo progressivo miglioramento dell'arte ravvisasi anche nel grandioso mau- soleo posto dietro l'aliare dell'Annunziata nell'Arena. Enrico Scrovegno, che di quel luogo era siguore nel 1 320, era morto in Venezia, ove vivea da molli anni in sicuro dall'odio concittadino. I superstiti di sua illustre famiglia non lasciarono però inonorate e lontane dalla terra natale le ceneri di lui; poiché consacrarono loro nel i3ai gigan- tesco sepolcro, che sta nella chiesa medesima da Enrico molti anni prima falla innalzare. Sopra due mensole sollevasi un'arca di varii marmi incrostata, su cui giace stesa la figura del tumulato, colle braccia incrociate sul petto, in quella stessa positura in cui soglionsi deporre nel feretro i cadaveri. Nella parte superiore del monumento ( Tav. I. ) sta scolpila una drapperia vagamente sostenuta da due angioletti di marmo. LTna tal foggia di mausolei, ora ampliata, ora abbellita dall'arte, venne quasi costantemente seguila in que- (i) Possono leggersi questi versi nel Salomonio. Inscrip. Urbis Patac, pag. 43o. i35 sto secolo e nel seguente per tutta la penisola, ed anche oltramonti. Un così fatto concetto pare che gli artisti pigliassero dai catafalchi e dai letti funerarii su cui soleansi collocare gl'illustri defunti, ornandoli a que' tempi di sfarzosi bal- dacchini e di ricchissimi panneggiamenti. Fu detto ingegnosamente, che i roghi e le pire , su cui gli antichi abbruciavano i cadaveri, servirono ad essi di ar- chetipo per alzare i colossali loro mausolei. Non è quindi improbabile che le forme con cui nel medio evo soleansi decorare le esequiali pompe, dessero agli artisti il pensiero dei monumenti ornati in sì fatta guisa. E però da avvertire, che quelli i quali nel nostro sarcofago reggono la cortina, non si rinvengono di frequente che nei sepolcri della Toscana, ovvero alzati da toscani maestri; per la qual cosa mi faccio a sospettare avesse avuto i natali o l'insegnamento in quell'attica italiana l'artista che immaginollo. Molti sepolcri Padova conta, in cui l'accennato tipo venne imitato. Sono da porsi fra i primi quelli dei Carraresi, che ora stanno agli Eremitani, quivi tras- portati dalla chiesa di sant'Agostino, ove prima si eressero. Allorché nel 1 345 Ubertino da Carrara, terzo signore di Padova, trapassò, la città innalzandogli marmoreo sepolcro, volle onorare la memoria del principe, il quale coi beneCzii prodigali negli ultimi anni del torbido suo governo , avea confidato far dimenticare i turpi delitti che ne bruttarono i primi. Due gran- di mensole, diligentemente scolpite, reggono l'arca ornata di scelti marmi. Nel centro di essa schiudesi una nicchia, ove posa modestamente una statua della Madre di Dio. Negli angoli stanno quattro angeli di tutto rilievo, che sem- brano quasi i tutelari custodi del sepolcro. Sul coperchio vedesi giacente la figura di Ubertino, vestita a foggia principesca. Un grande arco a sesto acuto, ricco per molti ornamenti, compie il dignitoso sepolcro. Vi sta dirimpetto, quasi interamente uguale pel carattere e per le decorazioni, quello di Jacopo, quinto signore di Padova. Esso però vanta, ben più dell altro ora descritto, ricchezza e sfarzo negli ornamenti, e certamente maggiore cele- brità, perchè argomento di lagrime al Cigno di Valchiusa, che su quest'arca impresse mestissimi versi. A vero dire, recar dovrebbe sorpresa che in tanta disuguaglianza di fortune nei trapassati, in tanta differenza di artefici che i sepolcri architettavano o scol- pivano, venissero quasi invariabilmente serbate le stesse forme nei sarcofaghi, se non fosse noto a chiunque è versato nella storia dell'arte, che quando nel medio evo, o per la osservanza della religione, o pel potere delle costumanze, un tipo adotlavasi, raro era che mai si mutasse. Sulla foggia dei Carraresi sono i36 condotti i sepolcri dei Dotti e dei Sanguinacci, che veggonsi ora agli Eremitani, e quello del giureconsulto Rainiero Livia nel maggior chiostro della basilica di sant'Antonio. Né gran fatto se ne scostano, sebbene più semplici assai e meno ricchi, quelli che pur ivi si osservano dei Capodivacca , del da Vigonza , del Donato , e molti altri che ora per brevità tralascio , poiché ninna circostanza presentano che sia meritevole di nota, e possa tornar vantaggiosa alla storia dell'arie (i). Non si creda però che soltanto in Padova una siffatta maniera di sepolcri fosse in uso; essa era praticata anche in molte altre città d'Italia: ciò che vie maggiormente prova quello che testé osservai, non volersi cioè a que giorni va- riar mai con essenziali differenze i tipi scelti pei sepolcri. Fra i molti ricorderò quello che vedesi in Carpi, ove stanno le ossa di Pio signore di quella città; e l'arca che accoglie le ceneri di Giovanni Scaligero in Verona ; e più ancora quello di Barnaba de' Marani fiscale degli Scaligeri in san Fermo della stessa città, ec. Quando la feudalità conculcò la indipendenza del popolo, e l'orgoglio dei potenti credette riposta ogui gloria nelle sbarre degli stemmi gentilizii, divenuti fin dalle romanzesche spedizioni di Terra santa il delirio di tutte le menti, la cura ed il pensiero di moda, non vi fu artista che tralasciasse di scolpire sui se- polcri le insegne di nobiltà del trapassato, e non ponesse l'ingegno a foggiarle in guise diverse. Non bastò figurare sull'arche i blasonici scudi; si volle che gli animali, i quali aveano parte a formare lo stemma, fossero rappresentati sic- come sostegni di tutto il sepolcro. Il quale concetto tuttoché dall'adulazione pi- gliasse principio, vuoisi però non mediocremente lodato, perchè diede ai sepol- cri un ingegnoso indizio per distinguere gli uni dagli altri, e per fissare a quale magnatizia famiglia appartenessero. Padova non manca neppure di tal sorta di sarcofaghi ; fra i quali deesi prima collocare quello in cui sono riposti quattro individui della famiglia Rossi, uu tempo signori di Parma, fra cui annoverasi quel celebre Pietro, a cui Marsilio da Carrara dovette la ricuperazione di Pa- dova. Quella famiglia avea per arme il leone; e quando fu onorata di dignitoso sepolcro, vennero scolpili due leoni, che l'uffizio compiendo di mensole, reg- gono l'arca mortuale. Né da siffatto pensiero volle dipartirsi chi diresse l'altro sepolcro, il quale vedesi in questa stessa cappella alzato alla memoria di Boni- fazio de' Lupi, marchese di Soragna. Portavano i Lupi nello stemma l'animale (i) Chi desiderasse conoscere le iscrizioni di tutti questi sepolcri, e l'anno preciso in cui furono alzati, scorra il citato Salomonio. ,3? di questo nome; e quindi l'artista scolpì sopra le mensole due lupi in allo di tutto sorreggere il sarcofago. I due sepolcri, sui quali ora tenni parola, negli al- tri particolari si avvicinano assai a quelli di cui più sopra parlai; ad eccezione di quella specie di coperchio che sovrasta all'arca, l'uniforme maniera dello scol- pire permette di congetturare ch'entramhi sieno opera di un solo artefice. In varii altri fra i nostri monumenti vedesi fatto uso degli animali per soste- gno delle arche, fra i quali piacemi ricordare quello di Marsilio secondo fra i principi Carraresi, posto nella chiesa dell'Àhbazia di Carrara. E ricco di varii marmi, e va ornato da leggiadrissimi fogliami nelle cornici, e da altre scolture le quali, riguardando ai tempi, meritano molla considerazione. Sulle belle men- sole riposano accovacciati due leoni di marmo greco, ch'io credo collocali qui dall'artista non per ricordare gli stemmi dell'illustre trapassato (0, ma per allu- dere alle guerriere virtù di lui. Di non minor pregio dell'ora descritto è il sepolcro della famiglia Volpe, al- zato intorno al i3go nei chiostri del convento di sant'Antonio. Questo anzi parmi si debba considerare di maggiore importanza degli altri tutti nella sto- ria dell'arte, perchè sembrami più degli altri palesare leggiadro l'innesto dello stile bisantino col settentrionale. Sulle maniere orientali è condotta interamente l'arca con quegli archetti di pieno centro, e quelle nicchiette ornale di statue. Sentono del carattere settentrionale i due pinacoli slanciati, arditi, ornatissimi, che lo fiancheggiano, e che per inusitata stranezza portano sulla cima gli slem- mi della famiglia. E tiene pure del sistema settentrionale l'arcone sovrapposto, foggiato diagonale, e sormontato da un pinacolo acuminato. Vediamo frequentis- simo 1' uso di questi arconi sui più cospicui sepolcri del medio evo. Ignorasi però da quale tipo ne venisse preso il pensiero, o quale causa forzasse gli ar- chitetti ad adoperarli. Osservai più sopra, che quasi tutte le forme e gli emblemi dei sarcofaghi delle mezzane età furono tolti dalle cripte; ed io forse sarei in- clinato a credere anche siffatti archi di là si traessero. L'ammirazione inspirata dal virile coraggio di quelli che a prezzo del loro sangue confessarono la Eede, invitò i primi Cristiani superstiti ad onorarne la tomba con emblematiche allu- sioni. D'ordinario questi sepolcri constavano d'un' arca quadrilunga, collocata sotto uno sfondo arcuato, sul quale vedeansi egualmente scolpiti simboli della re- ligione. Non è dunque improbabile che nei secoli posteriori al iooo la Chiesa, (i) Lo stemma della famiglia da Carrara fu sempre il carro; però la linea tuttavìa esì- stente dei Carraresi, che adottò il cognome di Pappafava , inquarta lo scudo con due carri rossi e due leoni rampanti azzurri. iS i38 la quale tutta adoperavasi a riprodurre ciò che nelle cripte fu soggetto di culto, (a quella guisa che consigliava di rappresentare sui sarcofaghi i simboli che fre- giavano i sepolcri dei primi martiri) domandasse ancora s'imitassero gli archi sovrapposti a quei venerati sepolcri. Un solo monumento in questa nostra città non solamente non serba la forma degli accennati, ma non fa mostra nemmeno di un eguale carattere nelle de- corazioni. È questo il deposito sepolcrale che sta chiuso in un cortiletto dappresso alla basilica di sant'Antonio, in cui riposano le ceneri di quel famigerato Rolando da Piazzola, il quale da un chiarissimo ingegno (0 che onorò l'Italia, questa Università, quest'Accademia, fu chiamato emulo di Albertino Mussato nella eloquenza e nella politica , e campione della libertà patria contro Arri- go VII. Un tabernacolo retto da colonne, su cui s'involtano archi di sesto acuto, copre un'arca di marmo appoggiata sopra piccoli pilastri. Negli angoli di quella stanno scolpiti rozzamente due genietti, posti in piccoli archi rotondi, i quali sembrano, alla maniera antica, piangere la perdita dell'illustre trapassato. Nei fianchi sono figurati encarpii e maschere, come sui romani sarcofaghi. In qualunque parte l'ora descritto sepolcro si disamini, vi si scorge un tale ravvi- cinamento alle forme dei sepolcri romani, che di leggieri si piglierebb'esso per un monumento del terzo o quarto secolo, dei tempi cioè in cui l'arte, sebbene decaduta, serbavasi tuttavia romana, se l'iscrizione che vi sta sopra non ne desse certezza essere stato eretto verso la metà del quartodecimo. Ma chi fu mai l'artista che in una età cresciuto, in cui o avidamente seguivasi il bizzarro stile del Settentrione, o s'imitava il più molle e forse più bizzarro dell'Oriente, si sentisse animalo dal desiderio d'imitare l'antico? Il suo nome andò perduto nel bujo di que' secoli; ed a noi quindi non rimarrebbe che una sterile sorpresa, se a scemare questa non soccorresse d'assai la opinione di alcuni illustri scrittori, i quali con ingegnosi ragionamenti sull'architettura del medio evo avvisarono, le colossali rovine delle fabbriche romane nei secoli mezzani an- cora surgenti non aver mai permesso che interamente si spegnesse negl'Italiani di que' tristi tempi il desiderio d' imitare le auguste moli dei loro progenitori. Quell' erudito ingegno del cav. Corderò nel suo dotto libro, ove sì acutamente discorre l'architettura durante la dominazione langoharda, più d'ogni altro scese in campo armato di vigorose ragioni a darne certezza di questo vero, non mai cioè essersi annullate del tutto nella penisola le traccie della romana architettura. (i) Cesarotti Lettera al Denina, pag. 46. i3g Ora che forse Iroppo diffusamente ho tocchi i particolari dei padovani sepol- cri nel decimoquarto e nei precedenti secoli , non incresca di accompagnarmi nell' esame degli edifizii civili ed ecclesiastici che i principi carraresi alzarono al decoro e alla salute di questa patria. Le città d'Italia, ossia che avessero governo repuhhlicano, o rette fossero dallo scettro di un solo, chiudeano nel decimoquarto secolo magnatizie fami- glie, per oro e per potere grandissime; che le repuhbliche, governate com'erano in forma aristocratica, permetteano che le arche dei pochi loro reggitori riboc- cassero d'immense dovizie. Nei principati poi le ricchezze conceutravansi nel principe, ed in que' proceri ch'erano sostegno al trono. Ove più le fortune sono accumulate su pochi, tanto vie maggiore si fa in quelli la superbia di signoreg- giare ; e a degnamente far pompa di lusso, e gli occhi abbagliar dei minori, è mestieri principalmente innalzare sontuosi edifizii, e tutta sorla di opere pubbli- che ornare di ogni magnificenza. Non è quindi a sorprendersi se in Firenze, in \enezia, in Genova i nobili, che il reggimento teueano di quelle repubbliche, tanti edifizii murarono, dal tempo ancora e dalla storia rispettati; e se d'altra parte Bologna, Ravenna, Rimini, l'opulenta Milano, e poco men che io non dissi tutte le città di questo sacro paese che il Cielo benigno ci diede a patria, tutta sfoggiarono la pompa della feudale grandezza, sollevando superbe moli sotto la protezione dei loro principi. E Padova nostra fu del bel numero una; la quale, confidato avendo il gonfalone della sua repubblica alla famiglia da Carrara , fu da quasi lutti i principi di quella ornata ed abbellita di decorosi edifizii. Fra questi fu primo Jacopo , il quale caro alla patria per cittadine e guerre- sche virtù, venne onorato col nome di Grande. Egli solamente occupato a re- primere i minacciati morsi del veronese Mastino, non altre opere volle innalzate, se non quelle che alla difesa della patria provvedevano. Prosegui le mura che fino dal 1285 erano rimaste interrotte, e dalla porta del Prato, di già costrutta da fra Giovanni degli Eremitani, le condusse fino alla chiesa di sant'Antonio; e proseguite le avrebbe, se morte non lo avesse troppo presto rapito alla patria salute, ed all'amore dei concittadini. Succedette a lui Marsilio, giovane d'astuzia e di valore fornito, il quale però avendo dovuto cedere ai tempi calamitosi ed all'armi del feroce Scaligero, non potè ne' suoi primi anni di regno ornare la patria di splendide e durevoli opere. Allorquando poi la sempre mutabile fortuna volse le spalle a Cane, e forzollo ad abbandonare ildominio di Padova a quegli stessi Carraresi di cui poco prima decretava invano la morte , Marsilio fatto assoluto signore della città, volle per sempre preservarla da impeto straniero , od almeno diminuirne il perico- lo, tutta cingendola di un altro giro di muraglie, che le prime dovea rinser- rare. Sebbene qualche tratto ancora di queste rimanga, pure la più gran parte cede il luogo a quelle nel i5og fatte alzare dal veneto Governo. Fece Marsi- lio costruire quel tratto che dalla Porta Savonarola metteva fino a quella di Codalunga, e l'altro che da Ponte Corno proseguiva fino a S. Croce, e di là alla Porla Saracinesca. Oltre a ciò risarcì, anzi quasi dalle fondamenta rifabbricò le Porle di S. Giovanni e di Savonarola, già cominciate a costruire dalla pado- vana repubblica nel ia63. Fu a Marsilio troppo breve la vita per condurre a buon termine siffatte opere, o per intraprenderne altre al paro di queste utili alla sua città. A Marsilio succedette il fratello Ubertino, nel di cui cuore vanità ed ambi- zione non erano ultimi affetti. A lui dobbiamo quel maestoso palazzo nel quale avea stanza la famiglia da Carrara, ed a cui tanti encomii tributano gli scrittori delle patrie memorie. La pomposa descrizione (i) che Bernardino Scardeone ed il Vergerlo ci lasciarono di quell'edifizio, ne fa ancor più dolenti di averlo per- duto. Non v' è parola di lode che quegli scrittori risparmino, per descriverci i ricchi e magnifici appartamenti che lo componeano, gli atrii, i vestiboli, gli ampii cortili alla equitazione e ad altri giuochi ginnastici destinati. E inevitabile legge , che gli usi e le maniere di vivere a quando a quando mutaudosi fra gli uomini, le abitazioni cangino di frequente l'aspetto, e dieno quindi luogo a novelle usanze e a disposizioni novelle. Per la qual cosa è age- vole il rinvenire negli antichi e nei mezzani tempi gli avanzi delle curie, dei teatri, dei tempii; difficilissimo il rintracciare persino le vestigia delle domesti- che abitazioni. Ne da sì fatale destino andò illeso neppure il carrarese palazzo; che quando i Veneti tolsero Padova ai Principi da Carrara, parte di quell'edifi- zio in odio degli antichi signori fu atterrato , parte rivolto ad uso dei loro rap- presentanti. Né l'odio dei Veneti, ne le cangiate usanze valsero però a tutto distruggere questo monumento della carrarese grandezza; poiché fino a' dì nostri couservarousi ancora due cortili, circondati da colonne e da portici, la cui co- struzione potea darci una qualche idea di quanta e quale magnificenza si or- nasse quell'edifizio. Ora di quei cortili non rimangono che pochi intercolonnii nel piano superiore. Lunghissime colonne di broccatello reggono un architrave di legno, sul quale aggetta una immane cornice pure di legno, ornata di doppli (i) Scardeone. Lib. I. pag. li. i4i modiglioni. In tutte le fabbriche padovane dei secoli di mezzo finora disami- nate l'arco, rotondo od acuto che sia, riposa sempre sul capitello della co- lonna. Questa è la prima costruzione padovana in cui veggasi adoperato l'archi- trave in luogo dell'arco. Nemmeno in Venezia sono numerosi gli esempii di questo sistema. Fu soltanto nella Toscana che gli artisti incominciarono anche nel corso di questo secolo a surrogare i cornicioni agli archi involtati sopra le colonne ('). In Firenze veggonsi alcuni palazzi eretti nel secolo decimoquarto o nel sorgere del susseguente, ove i cornicioni sono, a guisa del nostro, agget- tati assai. Questa osservazione mi guida a credere che forse l' edifizio nostro fosse opera di toscani architetti. I principi Carraresi, per molt' anni stretti in alleanza colla repubblica fiorentina, godeano a quando a quando d'invitare di là quegli artisti, i quali allora levavano fama d'essere fra i migliori d'Italia, onde Padova ornassero di belle opere. Non è quindi improbabile che ancora l'innalzamento di si grandioso palazzo affidassero ad artisti venuti da quell'Ate- ne italiana. Un altro argomento potrebbe forse rincalzare questa mia conghiet- tura. I Gallali nominano intorno a questo tempo siccome ingegnere di Uber- tino da Cari-ara cerio maestro Domenico da Firenze (2), ma non accennano mai veruna fra le opere da lui architettate. In quel secolo è raro trovare che più d'un architetto venisse contemporaneamente tenuto ai soldi d'un principe. Non è quindi improbabile fosse egli l'autore di questo celebre edifizio, e fors'anco di quelle molte costruzioni d'architettura sì civile, sì idraulica, che la munifi- cenza di Ubertino eresse per la città e pel territorio. Colla perdila del carrarese palazzo andò per Padova smarrita ogni traccia del modo con cui erano architettate le abitazioni nei secoli mezzani. Ma se delle (1) Sono da porsi in questo novero in Firenze un palazzo \icino a quello Borghese , un altro rirapetto alla chiesa di san Nicolò, ed il palazzo Guadagni sulla piazza di S. Spirito. Ma per quale causa soltanto nelle case fiorentine s'adoperavano si giganteschi sporti ? Bene- detto Varchi ci narra che ciò faceasi onde preservarsi dai venti e dalla sottilità dell'aria. L'osservatore fiorentino invece, per cavarsi d'impaccio, dice essere quest'uso fruito del ca- priccio degli architetti. Pochi certamente se ne staranno contenti a si povere ragioni. Ma quale poi sarà la vera? Io ardisco avventurare una conghiettura. Avendo osservato che costan- temente siffatti aggetti vengono usati ove trovansi quelle logge che in Firenze per antica costu- manza poneansi nell'ultimo piano delle case ragguardevoli, porto opinione si sporgenti cornici servissero all' uopo di difendere l' interno dalle piogge furiosamente cacciale dai venti. (2) Da un Domenico fiorentino, che prohabilmenle è lo slesso qui ricordato, fu pure ar- chiìettato il celebre ponte fatto costruire dal Visconti nel i3g5sul Mincio presso Valeggio, di cui ammiransi ancora grandiosi avanzi. J42 interne distribuzioni presentate dalle case dei maggiori più non rimane me- moria, qualche vestigio delle esterne pur resta, di cui '1 più cospicuo si osserva poco lunge dall' accennata reggia in una casa posta rimpetto al vecchio Monte di Pietà. Nulla però di questa ci raccontano le patrie memorie, e fu gran ven- tura che il tempo ci preservasse questo scabro avanzo. Del prospetto accennato non rimane d'intatto che il corpo di centro, il quale consta di cinque alte fine- stre, separate luna dall'altra da colonnette sulle quali si slanciano archi di sesto acuto bizzarramente decorati. Nella stessa guisa è pure foggiata una facciata di casa posta dappresso al Ponte di san Lorenzo. Senonchè in questa mi sembrano meglio assai che nell'altra trascelti i profili, e più diligentemente eseguiti gli ornamenti. In questo edilizio è pur degna di qualche considerazione la gotica cornice che lo corona, la quale ci offre un'idea del modo con cui i nostri arti- sti di que' giorni valevansi con peregrina invenzione dell'arco si rotondo che acuto, onde dall' intrecciamento d'entrambi ne derivassero leggiadre e svariale modanature. Non è particolare a Padova questa maniera di decorare i centri delle abitazioni, e neppur è nuova la forma di quegli archi, i quali prima di unirsi nelle intersecazioni delle due porzioni di circolo si prolungano in punta acuta. In Treviso, in Vicenza, e più di frequente in Venezia, rinvengonsi abita- zióni del secolo XIV. nell'accennata guisa architettate, e decorate da questi ag- graziati archetti, nei quali, se mal non avviso, parmi discernere una valida prova dell'influenza che lo stile arabo avea sugli edifizii di queste provincie (i). Questa forma d'arco trovasi unicamente in alcune fabbriche erette al Cairo ed in Terra santa dai Califfi arabi, o dai loro successori i Soldani dellEgitlo, ed ugualmente rinvieusi in alcuni monumenti dell'India; né avviene se non di rado vederla nelle ardite e slanciate moli d'Inghilterra, di Francia, di Germania. Pare dunque che dagli Arabi soli fosse adottata; ed il celebre d'Agincourt (2) ne volle anche addurre la ragione. Congetturò egli che questo popolo errante avesse trovato un tipo di tale costruzione nel piegare delle tende sotto le quali si ac- campava, e nella foggia delle barche di cui si valse quando la passione delle conquiste lo condusse ad attraversare i mari. Senza movere discussione sulla probabilità di siffatte congetture osserverò so- lamente, che questa forma d'arco, sia perchè sembrasse leggiadra e commende- vole, sia perchè avesse posta fra noi troppo salda radice, fu più tarda d'ogni (1) Parecchi sono in Padova i prospetti di abitazioni a questa stessa guisa foggiati : io però tralasciai di descriverli uno ad uno, perchè tutti presentano gli stessi accennati particolari. (2) D'Agincourt Storia dell'arte provata coi monumenti. Tom. II. Parte II. i43 altra maniera gotica ad iscomparire dalle architetture sul cominciare del risor- gimento dell'arte, come del pari fu abbandonata a mala pena la distribuzione dei centri delle facciale foggiati nella maniera da me non ha guari descritta. Un siffatto sistema di decorazione fu quasi servilmente imitato dagli archi- tetti del secolo susseguente, che intesero al risorgimento dell'architettura. In quasi tutti i palazzi alzati dai Lombardi, dal Brunelleschi, da Bramante, la parte di mezzo delle facciate è foggiata alla maniera gotica, eccetto gli ornamenti che da ruderi romani sono il più delle volte ricopiati. Gli architetti allora traevano da que' ruderi, avventuratamente rispettati dal tempo, l'eleganza, il carattere e l'espressioni degli ordini. Non erano ancora intieramente distrutte le reliquie dei fori, delle terme, dei tempii, dei circhi; ma l'architetto vi cercava indarno gli avanzi della privata abitazione di Lucullo e di Scauro. Le arti al loro nascere sono come fanciulletto che move timido i primi passi: nulla osano da sole, ed hanno mestieri che un precedente esempio si faccia loro guida. L' esempio delle case romane mancava totalmente , e quindi gli archi- tetti che sorsero sul cominciare del decimoquinto secolo, non osando inventare, imitarono in gran parte le distribuzioni delle gotiche costruzioni che aveano sott' occhio. Si aggiunga a tutto questo, ch'essendo l'architettura quella fra le arti belle, la quale più collegasi colle costumanze dei popoli, non può peculiar- mente nelle private abitazioni variare l'essenziale scompartimento sì delle parli esterne che delle interne, se non quando differente ruota d'usi e di costumi siasi ordinata a reggere la nazione. Ora i costumi di Venezia e delle provincie a quella città soggette od affini, non essendosi nel secolo decimoquinto mutati da quelli ch'erano in vigore nel decimoquarto, serbar doveasi nelle case la stessa distribuzione di appartamenti, e quindi dei prospetti a quelli rispondenti. L'operoso Ubertino non s'arrestò soltanto ad ornare la sua reggia, ma pose mano ad opere ancor più utili alla città. Dopo aver con sommi dispendii accre- sciuto di porte e di fortificazioni le patrie mura, non ben compiute sotto il re- gno di Marsilio , volle farle comunicare col suo stesso palazzo. A tal uopo fece egli condurre sopra dieci grandi archi di pietra un corridojo che dal palazzo accennato riusciva sugli spaldi delle mura poste dappresso il Ponte dei Tadi. Neppure sì grandiosa mole, che parea fatta per isfidare più secoli , potè preser- varsi dall'intiero disfacimento. Se delle opere pregevoli che or più non sono vuoisi reputare sincera testimonianza l'encomio dei contemporanei, egli è certo che le lodi dagli storici di quei dì profuse a questa fanno argomentare ch'essa pochi confronti temesse. i44 E. fama che la torre la quale domina la piazza dei Signori si fosse fatta co- struire da Ubertino all'uopo di collocarvi la celebre fatica di Jacopo Dondi, quell'orologio planetario che, al dire di un bell'ingegno, perpetuò la gloria del- l'autore nel nome della famiglia. Francheggiati da validi argomenti, negarono questo fatto il Ferrari nel suo manoscritto, ed il Rossetti nella Guida di Padova, e tentarono provarci l'ora citato orologio opera del 1428. Io non mi avvolgerò in una questione che non torna al mio scopo: solo però mi è forza notare, ch'io credo i sovrannominati scrittori vadano errati quando risguardano tutta quella torre come opera del i44°- Di questo tempo sarà forse la parte di centro, che rinserra l'orologio; ma la superiore è senza dubbio precedente, e porta tutti i caratteri delle costruzioni del secolo quartodecimo. Tristi memorie richiamano i tre principi che ad Ubertino succedettero nel dominio di Padova. Marsilietto, d'animo incerto e debole, fu vittima di codarda ambizione. Al parricida Jacopo non valse l'adulatrice penna del Petrarca a far si che la posterità dimenticasse un delitto pur dopo lungo intervallo orribile a ricordare. Jacopino mutò il breve e timido regno con lunghissima ed orrida prigionia, e fra ceppi, ne maledetta ne pianta, compì sua giornata. In tempi co- tanto torbidi non è a maravigliare se niun edifizio d'importanza fosse eretto in Padova. Solo nel i353, anno in cui ancora regnava Jacopino, ci vien nar- rato che Vittore Dolce di Feltre facesse murare coi proprii denari il tempio di san Francesco. Di quella grandiosa costruzione più non rimane che il portico, celebre un giorno per le dipinture dello Squarcione, e l'esteriori muraglie del- la chiesa e della sacrestia; l'interno fu intieramente rifabbricato quasi un se- colo dopo. Francesco da Carrara, soprannominato il Vecchio, avvolto com'era negl'im- prunati raggiri dell'ambizione, accortamente avvisò che a far mute o cieche le moltitudini sui delitti de' Grandi è mestieri o divagarle 0 sorprenderle. Ed egli si tenne a quest'ultimo partito, profondendo molt'oro ad innalzar decorosamente utili costruzioni . A lui Padova è debitrice di quel braccio di muraglie che cominciando dalla Porta di Codalunga e proseguendo per la via di Porcilia fino al Ponte di S. Sofia, concedeva l'onor di città a molti negletti sobborghi che stavano allora fuori dell'antico recinto delle mura. Per le cure di lui furono alzati dalle fondamenta i castelli di Porto Nuovo e di Castel Carro sull'Adige, vigorosi baluardi contro le insidie dei Veneziani, distrutti poi dall'odio loro. A lui devesi quella torre esagona che surgeva dappresso alla Porta di S. Croce, e fu sì celebre in Padova; torre che tuttavia conservata ammiravasi ai tempi del i4S Portenarl. Il castello di Sau Tommaso, dapprima ricetto all'ecceliuiane nequizie, fu da lui convertito in ben munita fortezza, in cui non si desideravano né i saldi ridotti, uè i comodi alloggiamenti per le milizie. Ci raccontano i Gattari (i), die quest'opera fu architettata da certo maestro Nicolò dalla Ballanda, il quale era allora da Francesco da Carrara adoperalo siccome ingegnere in molti lavori. Quindi giudiziosamente avvisò il Gennari (a), eli' egli esser potesse l'autore dei celebri colmelloni di Limena, da Francesco falli costruire nel 1870. Nelle grandi fiumane minacciava di traboccare la Brentella, e con grosso fiotto faceva impeto sopra Padova. Volle il principe, onde impedir tanto danno, si munisse quel ca- nale alla bocca di Limena con una steccaja di travi incassale nei pilastri, con cui divider si potesse il fiume in due rami, il destro de' quali scorresse per la Brentella a Padova, il sinistro a Yigodarzere ed a Strà, ove dovea congiungersi col fiume che vien da Padova. Opera di grandissimo giovamento fu questa per la città e pel territorio, e ben a ragione se ne conservò la memoria nell'iscri- zione die al tempo piacque ancora di preservarci. Se non per diretto consiglio di questo principe, certamente per la cura e per la carità della compagna de' suoi giorui, la pia donna Fina Buzzaccariui, fu al- zata la chiesa nonché il convento dei Padri Servili. Era quivi un tempo il pa- lazzo di Nicolò da Carrara ; ma allorch' esso fu dichiarato nemico della patria e lordo di fraudolenti macchinazioni, venne quell'edilìzio atterrato, e fu la pre- sente chiesa costrutta. La sua forma, le sue proporzioni in niun modo richia- mano le osservazioni dell'architetto. E però degna di nota la ricca porla laterale che ad essa chiesa introduce. I leggiadri e svelti ornamenti, un certo accordo di parli che in quella parmi scorgere , servono ad imprimerci una favorevole idea della maniera che tenevano i nostri artisti del medio evo nel profilare le modanature. Nel corso dì questo secolo ci fu dato osservare, che sebbene le architetture si stessero fedeli ai tipi, per gran trailo lontani dalla corretta antichità, pure le antiche moli non del lutto distrutte, i romani ruderi talvolta costretti a servire di negletta macerie nelle castella dei feudatarii, talvolta innalzati a mal compo- sto ornamento di un gotico tempio, ai rozzi artefici di que' giorni infondevano ad ora ad ora il desiderio d'imitarli. E di questo fallo una seconda prova ce l'of- fre Padova in quelle otto secche e lunghe colonne faccettale, poste a folcire l'am- pio portico che sta dinanzi alla chiesa testé accennata. I capitelli, di cui vanno (1) Gattari Cronache di Padova, colonna 211. E inserita nella gran Raccolta Miiratoriana. (2) Gennari Dell'antico corso dei fiumi in Padova, pag. 85. >9 i46 sormoatate , presentano una goffa imitazione de' bei corintii dell'antichità; e sebbene non sieno in essi ben distribuite le foglie , ne con grande eleganza in- tagliati i caulicoli e le volute, pure vi si ravvisano in qualche modo seguite le antiche massime. Queste colonne si credono anteriori al tempio a cui servono di portico, e da alcuni vengono tenute siccome parte un tempo della reggia carrarese, da taluni come antico ornamento della cappella di sant'Antonio, da altri siccome appartenenti all'atterrato palazzo di Nicolò. Ma tutte queste sono tradizioni, che niuna base avendo nella storiarono tutte del pari seminate nel- l'arena, e non ci permettono nemmeno l'aereo farneticare delle conghietture. Anche opulenti privati sotto il dominio di Francesco intesero a belle opere. Bonifazio de' Lupi, marchese di Soragna, fece costruire nel i38o quella ricca cappella che nella basilica del Taumaturgo a san Felice è intitolata, di cui do disegnato il prospetto alla Tav. II. Le proporzioni si generali che parziali sen- tono d'una qualcbe eleganza, e, se non erro, parmi non gran fatto ricordino lo stile orientale, e più che in ogni altro monumento padovano finora osservato si avvicinino a quello del Settentrione. Ciò meglio può rilevarsi disaminandone gli ornamenti, che sono svelti e leggieri assai, e lasciano campo ad una osservazio- ne, la quale può forse servire a provare in quali parti fosse nel medio evo se- guito fra noi l'uno e l'altro sistema, ed a quali caratteri debba porsi attenzione, onde conoscere quale di essi prevalga in un edilìzio. L'architettura degli estuarii italiani nei secoli vicini al mille, togliendo i tipi dall' Oriente, ne aveva imitato anche gli ornamenti delle modanature; quindi e fregi e capitelli di quelle fabbriche vedeausi, al paro delle orientali, sopraccari- chi di fogliame grosso di acanto, di palmizii, ec. Ma quando nel decimoterzo e nel susseguente secolo l'architettura del Settentrione scese a modificar l'orien- tale, non giunse, è vero, a surrogarvi intieramente i suoi archetipi; ma ne mutò la primiera decorazione, una sostituendone la quale non ammetteva ne' suoi più capricciosi ornati che piante nostrali. Quindi, alla foggia delle cattedrali di York, di Wincesler, di Chartres ec., vedesi nei nostri edifizii del secolo decimoquarto le cornici, i capitelli, i modani tutti decorati di foglie di prezzemolo, di fra- gole, di trifoglio, e soprattutto di cappuccio, pianta a cui allora sapeasi dare ele- gantissime forme. Tanto sfoggio di piante nostrali negli ornamenti architettonici fece osservare al chiarissimo Magnin, che l'architettura di questo secolo affetta nelle parti secondarie un sentimento rustico e popolare^ che ritrae dalla gleba j ed attesta ch'ebbe per padre e primo generatore il povero serva Franco e Germano emancipato. '47 La cappellina, di cui ora è parola, presenta anch'essa ne' suoi ornamenti piante del nostro secolo con molta leggiadria e diligenza scolpite. Anche negli edifizii che ad essa cappella furono contemporanei, o di poco posteriori, veggo usate le piante medesime; locchè, a dir vero, non iscorgesi negli anteriori, nei quali o mai od assai di rado quelle vi sono adoperate, e vien fatto uso soltanto delle piante orientali. Ciò m'induce a credere che solamente verso la metà del secolo XIV. venisse a noi quest'uso dal Settentrione, in cui erasi allora soltanto ridotto a perfezione ed a regola quell'armonico accoppiamento delle forme geometriche colle forme vegetali, che meglio si addicevano alla decorazione del sistema gotico. Uno stile medesimo semhrami palesar l'altare che nella stessa basilica adorna la cappella detta della Madonna Mora (Tav. III.). Fino dal i3g2, come viene attestato da una iscrizione che ancora si legge, la confraternita di sant'Antonio coi denari di Domenico Lanio onorò il culto di nostra Signora, quivi, collo- cando quella statua di greca maniera, che gli amici delle bell'arti vorrebbero meno ricca degli ornamenti da troppo devola pietà tributati. E verosimile che essendosi essa quivi collocata con ogni possibile onoranza, l'aliare fosse allora espressamente costrutto per contenerla. E tanto più una tale congettura si avva- lora, allorché si osservi che le piccole statuette racchiuse nelle nicchielte unite al pinacolo, riferisconsi ad azioni della Vergine. Taluno però potrebbe farmi obbiezione, che quella statua poteva essere sovrapposta ad un altare il quale già da molto tempo prima sorgeva. E ad accrescer peso a questa opinione ag- giungerebbe, che quello di cui ora m'intrattengo, molto somiglia il celebre al- tare d'oro di sant'Ambrogio in Milano, costrutto alcuni secoli prima del deci- moquarto. Ma questa opinione resta, a mio avviso, intieramente abbattuta, allor- ché si voglia confrontare col nostro monumento il tabernacolo della basilica di san Paolo in Roma, opera del secolo decimoquarto, e meglio ancora l'altare di san Giovanni Laterano, fatto alzare dal pontefice Urbano V. verso il i 3g5. In questi due monumenti, tuttoché eretti nella città eterna, ove mai potò metter profonda radice il sistema settentrionale, tuttoché lavori di epoche fra loro dis- giunte, scorgesi quasi intieramente i caratteri del nostro altare; la qual cosa ben prova che fin da quando nei primi secoli della Chiesa si considerò siccome inviolabile rito il ricoprire gli altari con una specie di cupola, detta dapprima ciborio j indi baldacchino , si adottò una invariabile forma di altari, la quale non si volle che assai parcamente modificata per tutto il volgere dei secoli medii. E a fine di meglio persuaderci che l'altare accennato è opera non anteriore al decimoquarto secolo, piaccia di porne a disamina le parti ornamentali e lo siile "•9 i^8 della scultura, il quale ti mostra uuo scalpello più rammorbidito e più corrette di quelli clie adoperavansi nei secoli precedenti. Oltre a ciò, e l'arco acuto, e l'alto ed ardito pinacolo , e le svelle nicchiette che lo adornano disvelano più presto il sistema dell'architettura settentrionale, anziché della hisantina. Da presso il tempio di sant'Antonio sussiste ancora un'altra cappella, fatta innalzare nel i3y6 da Raimondo da Soragna, parente al nominato Bonifazio. Eccettochè una bella e ben costrutta volta a crociera , altro di pregevole essa non presenta in fatto di architettura. Se il tempo struggesse meno l'opere del- l'uomo, o meglio l'uomo fosse men colpevole di negligenza verso i monumenti de' padri suoi, forse potremmo tuttavia ammirare il magnifico sarcofago, or lutto mozzo ed infranto, che sorgeva isolato in mezzo di questa chiesetta ad accoglier le ceneri di chi la fece edificare. Francesco Novello fu l'ottavo ed ultimo principe carrarese. Ben poche opere a lui deve l'architettura, non perchè l'animo non volgesse a nobilissimi fini, ma perchè sempre agitato da lagrimevoli guerre , dovette piuttosto porre ogni suo studio a ritardare la rovina che dovea un giorno piombargli sul capo, anziché dar opera all'abbellimento della sua città. Nessun' opera d'importanza egli fece innalzare, tranne il pubblico macello, edifizio che or più non è. Non deesi però toccare del regno di questo infelice principe , senza dire alcun che di un'opera, la quale se da lui non fu eretta dalle fondamenta, per lui s'ebbe decoro ed ingrandimento. 11 castello di San Martino , di cui ora intendo favellare , fu costrutto verso il cadere del secolo decimoterzo dalla repubblica padovana, e da essa poi dato in dono a Nicolò da Carrara qual guiderdone dei servigli da lui prestati alla patria. Dopo vario volgere di vicende poco importanti da ricordare, quel castello s'ebbe a signore Francesco Novello da Carrara, il quale tenendo in gran conto quel sito perchè collocato sulla riva del Bacchigliene, fiume che troppo importava di ben difendere, e perchè a vista di Montegalda, allora te- muta fortezza degli Scaligeri , munillo per guisa di forti opere militari , che chiusa in esso piccola mano di soldati, derise le minacele dei Milanesi, e vide indietreggiare da quelle mura fortissime Pandolfo Malatesta e Facino Cane , tenuti allora fulmini di guerra. Ciò che ancora rimane di conservato è la mag- gior torre; tutto il resto è rovina: da questi avanzi però puossi ancora dedurre l'antica forma di questo piccolo castello. Constava esso di un grande quadrato, tutto cinto d'alte muraglie; ne' suoi angoli si alzavano quattro piccole torri; nel centro, dal lato che riguarda il Bacchigliene, sollevavasi la maggiore, ben fortificata e solidamente costrutta. *49 La sete di dominio sospinse la repubblica veneziana a spegnere i principi da Carrara. Col cadere di questa illustre famiglia nasceva il secolo decimoquinto , secolo male avventuroso nella storia politica, prosperosissimo per quella delle arti italiane. Le città di questa beata penisola intesero allora a togliersi d'attorno la maniera e le forme del medio evo. Venezia fra queste , fatta potente dal traf- fico e dalle vittorie sul mare, orgogliosa di aver finalmente distesa l'ugna sulla da tanto tempo agognata terraferma, davasi ad incoraggiare l'arti belle, e nello arcbitettare avea di già interamente mutato stile. Si felice cangiamento ella do- vea a quegl'ingeguosi Lombardi, i quali la severità della sesta accoppiando alle grazie di gentile e diligente scalpello, seppero negli edifizii, che alzarono nume- rosi in quella ricca metropoli, imitare i più castigali profili delle rovine di Roma, ed i più leggiadri ornamenti delle antiche moli. Nelle esterne distribuzioni però, e nei rapporti delle parti col tutto, mostravano quegli architetti di non avere peranco dimenticato le maniere di edificare dei secoli precedenti. E que- gli archi immediatamente sovrapposti alle colonne, e quelle finestre alla maniera bisantina, composte cioè di due archi e bipartite da una colonnetta, ricordano, sebbene da lunge, le massime delle età di mezzo. Sì fatto assembramento di stili non andò peraltro tutto a scapito delle arti, perocché valse a trasfondere su quelle lombarde fabbriche certa casta timidezza e veneri cosi candide, da meri- tare i suffragii anche dei più severi puristi. L'ammirato esempio di quella illustre famiglia dei Lombardi invitò di leg- gieri alla imitazione le città che in quel tempo erano fatte suddite a Venezia. Ma questa imitazione non fu ne tanto celere, ne tanto pronta, perchè non iscor- ressero ancora molti anni, prima che interamente si seguitassero l'orme dei ve- neti maestri, e più non sorgesse alcun edilizio improntato delle slanciate ma- niere del medio evo. Bene spesso nelle venete città, tra le fabbriche di questa epoca che lo stile ricordano dei veneti architettori, se ne frammette alcuna che rammenta il sistema dei secoli medii. E per parlare soltanto di Padova, è da porsi in tal novero il sarcofago che nel i427 fu alzato nella cattedrale di questa città al cardinale Francesco Za- barella , che fu vescovo di Firenze, e tale colonna del Concilio di Costanza, che se morte non Io avesse rapito in mezzo a' suoi allori, avrebbe meritato l'onore della tiara. In questo sepolcro si scorgono tutti i caratteri del gotico stile, e cosi nelle massime come negli ornamenti si avvicina d'assai a quelli dei Carraresi, che stanno agli Eremitani. Parea che il caso nella somiglianza di quelle tombe volesse richiamare ai posteri la memoria di quest'ultimo amico della Casa da Carrara, unita a quella de' suoi illustri proteggilori. Lui più onoralo, ed a noi di più cara ricordanza, se quella fede che avea giuralo a Francesco Novello nella prospera, serbato gli avesse nell'avversa fortuna. Conservano ancora un carattere che sente di gotico i due sepolcri di Erasmo da Narni detto Gattame- lata, e di Giovanni figlio di lui, alzati verso la metà del secolo quintodecimo nella basilica di sant'Antonio. Ne questa è l'ultima avchitettura che ricordi quello stile in Padova. Il tem- pio di san Giovanni di Verdara , sebbene edificato nel i45o, molte massime ne ritiene. Nell'interno evvi un grande vestibolo, che precede le tre grandi navi da cui questo tempio è composto. Non possono dirsi né pilastri uè colonne quei sostegni che dividono fra loro le navi. Questi, che io chiamerei volentieri pie- dritti rotondi !, vanno sormontati da capitelli d'uno stile che si avvicina al setten- trionale. La volta maggiore è a crociera, alla foggia di quella dei gotici edifizii. Potrebbe dirsi dell'architettura di questo tempio, che sebbene lasci vedere il sen- tiero seguilo nel precedente secolo, pure dimostra che altri tipi predominavano di già sull'arte. Ma dov'essa mi par già fatta più adulta, e movere con franco passo verso il risorgimento, è una porla di gotica maniera, che vedesi nella contrada dettaci Folli. La leggiadria de' suoi profili, la sceltezza di quei fogliami permetterebbero forse di affermare essere questa porla l'anello che lega in Padova lo stile gotico allora declinante, con quello leggiadrissimo dei Lombardi che avea nascimento. Or qui finalmente hanno fine l'epoche tutte dell'architettura del medio evo. La civiltà, siccome sole già fatto signore dell'orizzonte, dissipa gli ultimi vapori che ancora annebbiavano lettere ed arti. Gli avventurosi giorni di ogni liberale disciplina ritornano finalmente, a conforto di questo ridente giardino della natu- ra. Le strane leggende dell'antica cavalleria, i castelli e le torri incantate mu- tansi in robusti e caldi poemi; la timida mano del Perugino si fa guida alla divina mente del Sanzio; le ingenue grazie dei Bellini invitano a tignere nella scelta verità i pennelli di Giorgione e di Tiziano; in una parola, gli ardimenti e le opere de' suoi figli meritano all'Italia l'onore, invidiato sì, rapito non mai, d essere per la seconda volta salutata madre dei più negl'ingegni dell'universo. Fra 1 arpe dei poeti, fra l'avvivarsi dei marmi, fra il prodigioso incarnar dei pen- nelli, benché meno animosa delle arti sorelle, solleva il capo l'italiana architet- tura ; sulle rovine dell'eterna città studia indefessa le regole del bello, ed in mezzo a que' ruderi discopre i libri dell'immortale Pollione, eli consacra a pre- cetto di ogni architettonico insegnamento. ■^p\*F^\W,WJr#\WSìh<''.h\J'l:fiì'*N. vW ■V^^'^V XFT& ■-. w tf&mm % - imwmm *^3- *$>rq .^r?^r$.>r-j y^.-.-^g^'yp /j& *f?. .-fìsrt'-gt'j^ m 1 I Q/ca/a ( ' tf,fi„. p/Lu^. O'fÙGic, 'ifL ^ )è^ é a/ag* o zJatzJZF. ■^53S^^3^SS3hs:^^^^^^^^^^^k5:^.^^T?ì~^^^^^!I. jTJntiuiT'-rr 3 J * # StJU 97l«U.,« &yieàè^& &Aic*& 4 c5/^££< OSSERVAZIONI INTORNO ALLA EPIGRAFIA ITALIANA SEPOLCRALE MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI Vili MARZO MDCCCXXXI DAt SOCIO ATTIVO GIOVANNI CONTE CITTADELLA J_ 1 el discorrere che io feci qualche anno addietro le meridionali regioni di questa bella nostra penisola , mossi a visitare i più famosi asili ove riposano le ceneri dei trapassati , ed ove la domestica e municipale carità o negli emblemi delle dipinte muraglie, o nella tetra maestà di archi capaci, o nel silenzio di scolpiti sarcofaghi, di rilevate urue, di vasi marmorei, di colonne, di cippi, i generosi ed amorevoli monumenti additavanmi dall'affetto e dalla riconoscenza innalzati alla memoria e all'onore di chi più non è. In mezzo alle quali lugubri testimonianze dell'orbala amicizia, del tronco parentaggio, il cuore sommamente toccavami quella foggia di requie e di compianto da non molto inslituita, la vi- sta cioè delle sovrapposte lapide scolpite di epigrafi italiane, per cui tolta ogni apparenza di compra lamentazione e di osservanza fastosa , sembravami vedere il padre stesso con linguaggio non simulato pregar pace da se all'estinto figliuo- lo, e il figlio invocare benedizione allo spirito della madre, e sullo sposo la sposa, e sul fratello la sorella imprimere parole di amore, di gratitudine, di re- ligione. Nondimeno se cara compiacenza io sentia dentro da me all'aspetto di questi leali domestici tributi del sentimento, se m'era dolce il mirare la patria nostra favella, vestita anch'essa a gramaglia, disciorre le lamentose sue voci alla mestizia ed all'espressione del cuore, forza mi è confessare che parvemi vederla arrogarsi l'ufficio altrui, e mettersi per sentiero non suo, qualora non solamente come indice dell'affetto e del duolo, ma bensì pure come laudalrice dell' inge- i5a gno e del genio la scorsi passeggiare signora sugli avelli dei trapassati, e gelosa del nuovo suo ministero tenerne Iunge severa chi prima ne adempiva nobilmente le parti, degli uomini sommi celebrando da sé sola le glorie ed il vanto. A co- noscere il quale arbitrio della lingua italiana, e i confini sin dove può essa estendere l'incarico suo nella ragione delle funeree epigrafi, egli è mestieri, a mio avviso, di partir queste in doppio ordine, e di mostrare come nell'uno sia pur dato all'italiana favella di dettare epigrafiche laudazioni; e come nell'altro esser debba questo il peculiare retaggio della lingua del Lazio. Dietro a che, voi già, riveriti Accademici, prevenite la doppia mia distinzio- ne, e ben vi accorgete a qual mira essa intenda. Tutte le inscrizioni destinate a ricordare la memoria degli estinti , sì per la diversità del soggetto cui trattano , come per la dissomiglianza del fine a cui tendono, possono, a mio parere, facil- mente ridursi a due ordini. Alcune di esse nuli' altro propongonsi, se non che piangere quei cari che, da inesorabile morte rapiti, ci erano congiunti o per le- game di amichevole cognazione, o per istrettezza di sangue; mentre al contra- rio tali altre si occupano soltanto nel prestare onorato omaggio di encomii a quei fra gli spenti che, percorrendo lo stadio della loro vita, seppero tracciare luminose orme di gloria, e meritarsi anche dopo la suprema dipartita il comune apprezzamento. La qual divisione se non comprende il caso peculiare in cui alla lode della mente e del valore si accoppii insieme l'affetto (come potrebbe avvenire qualora una moglie amorosa volesse decorare di epigrafe la tomba del proprio marito, fatto celebre al mondo per qualche distinta virtù), non perciò la si deve incolpare quasi manchevole ; perchè allora il lodatore o verrà tratto dall'affetto a rimembrare l'estinto, e al rfovero delle prime si ascriverà l'inscri- zione ; o sarà condotto dai pregi del trapassalo ad onorarne la ricordanza , e l'epigrafe apparterrà alla seconda delle due specie accennate: che se poi pari sarà il grado d'ambidue i cosiffatti sentimenti, ed in questo scontro dovrà ce- dere al maggiore il minore, e l'encomio del merito starà sopra al rammarico del cuore. Scopo è dunque alle prime inscrizioni la conservazione dell'affetto; ed in esse trovano gli afflitti quasi un pascolo a tenere rimembranze , uno sfogo al dolore, che mostra allora di punger meno, pel raccostarsi di quelle anime le di cui spoglie ci favellano dai muti avelli, e pel soavissimo inganno di mirare tuttavia in quelle cifre le note forme, di ravvivare i comuni piaceri, di con- giungere in fatti per tal modo colla vita la morte. Dritto è bene perciò che sì nobile stromento di pure affezioni abbia ad essere fra le mani di quanti serrano i53 in petlo un cuore squisito, e possa la donna insieme e il fanciullo, e coli' ar- tiere il colono usare della loro lingua siccome immagine del cuore, segnar sulle tombe dei congiunti le parole suggerite dall'amore; ed ove ritornino per pregar pace agli estinti , ravvisare in quei ferali caratteri la manifestazione del proprio sentimento , svegliando quegli affetti che sanno sospingersi oltre il confine del tempo. A tale effetto non è a dire quanto vantaggi l'italiana favella: essa dolce di indole, maneggevole nella meccanica costituzione delle voci, nell' esprimere di- licata, melauconiosa quando si voglia e lugubre, mirabilmente risponde alla tri- stezza degli sconsolati. Del che abbiatene chiaro esempio nelle tre inscrizioni che sole per brevità amo di riportare, dettata l'una dal valente epigrafe Luigi Muzzi pratese, la seconda dal Manuzzi, dal Giordani la terza. QVI RIPOSA GIANNETTO DI ROSA E NICOLÒ FILOBALDI IL PIV DOLCE SEMBIANTE IL PIV CARO SENNINO NON SI VIDE MAI 0 VAGHE PVPILLE PAROLINE TVTTE VEZZO ED AMORE PERCHÈ PERCHÈ SOLI TRE ANNI E NON PIV E l'altra : OHIMÈ COME TARDI TI EBBI E COME TOSTO TI PERDEI FIGLIVOLO MIO VNIGEN1TO ORLANDO SERRA DESIDERATO DIECI ANNI, STATO MIO SOLI /(o DÌ FINO AI 27 DI GENNAJO i83o 1 Jif E l'ultima: OVI DORME NUNZIATA DI LVIGI FOSSATI FANCELLINA DOLCISSIMA SOAVISSIMA CHIVSE I BEGLI OCCHI ALL'ALBA DEL XX. AGOSTO 1821 VISSE X. ANNI, PENÒ V. DÌ CARA ANGIOLETTA IL TVO ZIO PATERNO ANDREA T' INVIDIA L'ESSERE PRESTO E INNOCENTE FVGGITA DAL REO MONDO MA NON SARÀ LIETO MAI PIV PRIVO PER SEMPRE DEL TVO SORRISO CONSOLATORE Quale dilicatezza di tocchi, qual flebile armonia di candidi affetti! Nessuno certamente saravvi, che adorno l'anima di un dolce appassionato sentire, a te- nera commozione non si pieghi in udendo la facile soavità dell'italico idioma; ed io il primo confesso di gustarla tutta dentro nel cuore. Ma evvi taluno che più oltre si spinge, e che, fattosi a sostener l'onore del patrio nostro linguaggio, reputa siccom'esso non solo, ove sia da esperta mano condotto, valga a lumeg- giare ammorbiditi colori, ma possa pure levarsi sublime; e le tinte assortendo dalla tavolozza dei Tiziani, forti avvivare le immagini, robusti rilevare i concetti, e ardite geste dipingere, e adombrare generose virtù; e quindi bastare a se stesso anche nel dar lustro alle tombe che racchiudono 1' ossa dei più famosi. Il qual vanto di robustezza io non contendo alla nostra lingua, sicure avendone e in- dubitate le pruove, semprechè la vegga o grandeggiare coi Danti, o invigorire coi Davanzali, o volar coi Chiabrera; ma e' mi pare che in parlandosi d'inscri- zioni sacre alla celebrazione del merito, e remotamente lontane dall'occhio del volgo, ceda di lunga mano l'energia e il fuoco dell'italiana favella, ove la si metta a paraggio colla lingua del Lazio , la quale più si conforma alla natura di siffatte inscrizioni. E in vero, qual altro è il loro ufficio, se non di rappresentare colla maggior brevità, colla forza maggiore i pregi del lodato, e siffattamente, che abbiasi ad avere negli angusti confini del sovrapposto marmo la descrizione epigrammatica 1 JJ de' principali suoi fatti? a che altro tendono, se non a promulgare fra le civili nazioni i pregi e l'esempio di qualche illustre? qual più vantaggiosa mira pos- sono avere, che serbare commendala anche fra gli avvenire la fama di chi si vale eterna ricordazione? Vediamo se a questo triplice scopo delle epigrafi meglio si addica la lingua del Lazio. E in quanto alla brevità, sebbene la maggiore consonanza della lingua latina a petto dell'italiana nel toccare questa meta chiaro risulti dall'origine sua e dalla sua nobiltà, siccome quella che dalla grandezza del romano imperio, ove nacque, ritraeva maniere di esprimersi elevate e grandiose, proporzionate ai con- cetti di una gente che dava e toglieva lo scettro ai monarchi , quasi a sudditi suoi ; sebbene più convenga alla precisione epigrafica quella foggia del romano idioma, per cui, considerati i peculiari attributi d'ogni essere e fattane separa- zione del soggetto, ne viene a formare una filosofica e susìanziale astrazione, che spogliata d'ogui stucchevole prolissità, l'espressiva essenza delle cose dinota; sebbene sia tale la succosa significazione di tante voci latine, da non poter es- sere tratte a render pari nell'italiana favella il racchiuso concetto se non per lungo giro di parole , e pili vibrata riesca la collocazione delle voci dietro le norme della costruzione latina, e più grave risponda il meccanico suono della latina cadenza: pure ancora più chiarita se ne può inferire l'evidenza ove, pas- sando olire la scorza, si voglia l'intimo grammaticale midollo delle due lingue osservare, e compararle insieme ambedue. Imperciocché, per quantunque l'epi- grafico scrittore italiano voglia usare di nerbo alle voci, di stringato nel fraseg- giare, di strettezza nella disposizione coslruttiva, sarà pure mestieri che, obbe- dendo alle necessarie leggi della lingua cui scrive, supplisca all'uniformila di desinenza nei casi, aggiungendo loro quasi a propria divisa la distinzione del- l' articolo e del segno; discerna gli addiettivi di grado con apposita particella, inutile spesso nella lingua latina, in cui la dissimile terminazione dell'aggiunto ti dà la differenza del grado ; specifichi nei verbi col presidio degli ausiliarii il mutare sì dei tempi come dei modi, e la diversità dell'azione ora praticata, ora sofferta; o colla scorta dei pronomi indichi la personale varietà dell'essere attivo o paziente (sussidii tutti, di cui fa quasi senza il latino); compensi con lunga circuizione di vocaboli la vibrata espressione dei parlicipii futuri, il succinto dei supini, l'imperiosa brevità dei gerundii; in somma, riduca alle inalterabili norme della lingua italiana quella energia d'idee, quella elevatezza di pensamento, che altrimenti più dignitosa e più adatta veste ritroverebbero nella maestà, nella concisione, nella forza della romana favella. Ne mi si opponga, come vassi da taluno dicendo, che se finora torna meno acconcia la lingua italiana alla con- venienza dell'epigrafi, ciò dall'abbandono dipenda in cui la si lasciò a cotal uso; e che in avvenire, ove sorga un qualche animoso che dalla floridezza dei poe- tici giardini e dall' ubertà dei campi oratorii la guidi sotterra fra mute stanze, in mezzo ad arche accoglitrici d'illustri ossa, ed al cospetto di reverendi simu- lacri, possa ella, deposto ogni inutile abbigliamento ed ogni sfarzo soverchio, at- teggiarsi severa alla dignità dei luoghi per cui aggirasi, e con misurate sentenze, con modi compendiosi additare gl'illustri abitatori delle tombe, e riferirne in pochi anni le glorie. Che la natura grammaticale della lingua, siane qualsivo- glia lo scrittore, rimarrà sempre la stessa, ne mai potrassi cangiarne l'essenza, che col cangiare insieme la lingua. E quantunque l'età nostra ci offra valenti autori, i quali italiane inscrizioni mirabilmente dettarono, nuli' altro se ne può dedurre, che quanto essi mostraronsi dell'idioma nostro espertissimi conoscitori e maestri, quanto studiarono di accoppiare la robustezza dello stile a quella dei loro pensieri, altrettanto maggiormente avrebbero di questi adeguata la nobiltà e la forza, se sotto forma latina gli avessero rappresentati. Io per me vorrei che, tolta una delle anzidette italiane epigrafi perfettissima nel genere suo, la si desse ad un qualche pratico della lingua romana, acciò nudatala d'ogni gusto italiano, la riducesse a foggia latina; ed allora istituendo d'ambedue l'opportuno con- fronto, ben si vedrebbe come questa, oltreché nella gagliardia dell'espressione, quella soverchii di gran lunga anche nel numero minore delle voci, e cosi la prima dote consegua delle iuscrizioni, voglio dire la brevità. Ora, per procedere innanzi, esaminiamo se la lingua latina meglio risponda anche all'altro fine di promulgare fra le nazioni i ineriti di qualche illustre, promovendone l'esempio e limitazione. Intente siccome sono l'epigrafi a diffondere fra i dotti la memoria dei sommi, vogliono che, la mercè loro, il mortale soffer- mato alla soglia dell'Eliso, viva anche sotterra; e per tal modo protetto dall' insauo piede del volgo, si estenda nella ricordanza dell'illuminata società, e con essa conversi, porgendole nel tempo stesso un modello a cui conformarsi. Perciò col coronare ch'esse fanno di giusto premio l'opere di quelli che forniti d'ingegno seppero usarlo a vantaggio degli uomiui, si fanno interpreti ai voleri della so- cietà, la quale offre cosi un ricambio ai beueficii ricevuti da quei Grandi; men- tre con occhio di fredda indifferenza guata ella gli avelli di que' tanti, che, seb- bene dotati di acuta mente e favoriti dal riso di amica fortuna, pure torpenti ad ogni eccitamento di emulazione, amarono meglio impigrire nell'ozio, e ere- T$7 scere inutili altrui, nojosi a se stessi. Questa orrevole epigrafica decorazione ac- cordata dalla società al merito dei virtuosi, vale sommamente ad animare i gio- vani all'operosità ed allo studio; i quali, ove si avvolgano fra tali commendale urne e sopra vi leggano le scritte pietre, si sentono accesi da gagliardo fuoco, che a belle imprese gì' infiamma, e vi trovano scuola, modello e segno d'ogni generosa virtù. E bene un tanto fremito erompe a chi entri una volta nel fio- rentino tempio, ove laute nobili inscrizioni le ceneri additando dei sommi nostri maestri, desiano allo spettatore un animoso sentimento di laude, e nelle epigra- fiche effigie dei Nardini , dei Lanzi, dei Filicaja, dei Michelagnoli, degli Al- fieri, dei Danti, dei Galilei, dei Machiavelli mostrano quanto moltiplici sieno le penne su cui può librarsi l'umano ingegno, e quanto alti i voli diversi che ci è dato trattare. Perchè a ragione quel greco genio di Ugo ne' suoi Sepolcri chiamò beata Firenze per l'accogliere ch'ella fa in un solo tempio tante itale glorie, alla cui presenza tutto inspiravasi l'austero Vittorio, od egli medesimo il Foscolo vivamente s'infiammava. Laonde quanto a questo fine di propagare i meriti dei virtuosi, e di destarne l'emulazione, meglio dell' ilaliana confacciasi la lingua del Lazio, ben chiaramente si vede qualora si osservi, che comune essa ai dotti d'ogni colta nazione, stabilita dall'autorità della scientifica e letteraria re- pubblica, non conosce confini, non è ristretta a termine alcuno, franca cammina per ogni civile popolo dell'universo, viene accolta liberalmente per tutto, ed è quindi la sola che per tutto possa disseminare la fama dei chiari ingegni, e con ardito impulso di bella gara accendere gli studiosi a porre l'animo nell'attendi- mento sempre maggiore delle scienze e delle arti. Il quale ministero male po- trebbe adempiere la lingua italiana; e ciò perchè, guardandosi fra di loro le lin- gue viventi con occhio d invida emulazione, e per impero non cedendola l'una all'altra, ne viene che dalle coetanee sia essa ristretta quasi ai termini del pro- prio paese, e scarsamente le si conceda di estendere altrove il suo coltivamento; che anzi, anche al paraggio delle altre, tiene l'italiana piuttosto le parti da se- conda , siccome quella che non può ritrarre dalle politiche sue dipendenze la impronta di vigore che l'altre lingue ricevono dalle loro. Onde ne segue che, passate appena l'Alpi, se pur non totalmente senti ammutire la bella lingua del sìj se pure alcuni ritrovi fra gli stranieri che a sé la chiamino dall'Apennino , così alla sfuggita ne gustano il dolce, che ne acquistano soltanto una superfi- ciale cognizione, non alta a penetrarne l'intimo senso, e a comprendere la forza di quelle voci precipuamente, che all'oggetto coufannosi delle inscrizioni. E però ove poi vengono a visitare questa terra beata , che fu pur sempre classica r58 terra, e sarà sempre feconda madre d'ogni vero e d'ogni Lello, inesperti come sono della nostra favella, premerebbono inosservate le tombe dei grandi nostri maestri, ed inutili rimarrebbonsi e mute quello cifre, cbe deggiono narrare le virtù degli estinti, ed infondere emulazione all'osservatore straniero. Finalmente, come dicemmo, ollrecbè a diffondere presso tutte le nazioni il merito dei famosi, mirano anche l'epigrafi a guardarne la celebrità ed il nome nella memoria dei più tardi nepoli. Al che se venga più acconcia la lingua la- tina in confronto dell'italiana, è facile riscontrarlo dalla necessità che avranno mai sempre le nazioni di coltivare e conoscere un'idioma, nel cui seno, quasi ricco tesoro, stanno depositate non solo le bellezze tutte poetiche ed oratorie della sublime letteratura, ma fors'anco le gemme tutte più preziose delle filo- sofiche cognizioni. Non saravvi mai popolo, presso cui brilli un raggio di civile ammaestramento, il quale ommetta lo studio di quella lingua, cbe a noi di- scesa dalla vetustà dei remoti secoli, impressa dall'autorevole suggello di lutti i dotti, passò di generazione in generazione, e con siffatta norma trasmettesi nelle venture, cbe immune ornai d'ogni vicenda e mutazione, manterrassi mai sempre uguale a sé stessa, verrà sempre intesa quale da tutti ora s'intende, e divenuta quasi dissi impassib'Ie, porgerà sempre quelle idee e quei concetti che furono un tempo annessi alle sue voci; mentre tanti altri linguaggi, ed il nostro pre- cipuamente, suscettivi di mille trasformazioni, vanno per guisa di tempo in tem- po cangiando forma e natura, da non poter più essere ravvisati dai posteri, e da non poter quindi tramandare ai venturi le virtuose azioni e i meriti degl'illustri. Poiché dunque la lingua latina più dell'italiana si conforma al triplice in- tendimento delle inscrizioni, tocchiamo di volo due obbiezioni che dai parteg- giatiti dell'italiana epigrafia soglionsi addurre in mezzo a scapito della latina, lasciandone alcune altre che, di minore momento, cadono di per se slesse senza volersi confutazione. La prima è riposta nell'esempio delle antiche nazioni, le quali costumarono sempre adoperare il proprio linguaggio senza accattare l'altrui, non esseudoci noto (come dice un Giornalista) che i Greci si servissero dell ebraico o dell'egi- ziano, uè i Romani del greco, uè gli Arabi del latino per simili bisogni . Ma non avverti lo scrittore la differenza che corre fra la lingua romana e quelle da lui recate a pruova: la prima, come sopra dicemmo, è ormai comune a tutto l'universo letterario, mentre l'altre non uscivano dalla cerchia che loro aveva segnata la condizione politica degli Stati ove usavansi ; o se pure ne uscivano, ciò che avvenne alla greca, non trovavano ricetto se non presso pochi, e quindi i5g non potevano adempiere, perchè non intese comunemente, lo scopo conseguito ora dall'epigrafi latine nel propagare i pregi dell'encomiato a tutta la repubbli- ca letteraria. Più ancora: stimano alcuni non poter soddisfare la lingua Ialina alla piena espressione delle inscrizioni ora che, non più usata dalla viva voce del popolo, non può più rendere i nuovi nostri concetti, e tante nuove cose apparite al mondo per ciò che spetta all'arti, alle scienze, ai traffichi ed ai governi. Ma primamente è a riflettersi quanto il quotidiano scoprimento di monumenti prima sotterra nascosti, profittevoli alla significazione delle idee più recenti e nostrali, ed alla dovizia delle frasi, porga di agevolezza ai modi della romana favella; e poi vero è che le lingue traggono vita e vigore dall'uso continuo che se ne fa, il quale stabilisce loro la convenienza delle voci da adoperarsi, e quelle distingue che, poste in obblivione, non deggiono più cadere sotto la penna degli scrittori; ma conviene osservare, altro essere l'uso di parlare una lingua, altro quello di scri- verla: limitata è l'autorità che può venirle dal primo, non essendo solamente il trivio popolare o il conversare domestico quello che dà sanzione alle voci d'una lingua illustre e comune, ma bensì il senno ed il gusto dei dotti, e l'uso fattone dagli scrittori nelle opere loro; come per l'italiana adoperò l'Alighieri nella sua divina Commedia, distruggendo i tanti dialetti che partivano l'Italia, e da tutti il fiore cogliendo, con che venne a stabilire una lingua comune a tutti, e non peculiare d'alcuno. Ora siffatto uso appunto degli scrittori fa pure il caso della lingua latina, che sebbene dopo il decadimento della romana dominazione non più siasi parlata dalla viva voce del popolo, fu pure trattata in processo di tempo da valenti autori, i quali adattandola al procedere delle nuove idee, e dei nuovi concetti somministrati loro dall' avanzare dei lumi, la resero acconcia a vestire latinamente con quel carattere di lingua propria dell'aureo secolo di Augusto qualunque espressione figlia delle nuove scoperte, e lontana dalle consuetudini dei Romani. La quale idoneità della lingua latina se fu nei tempi addietro , ora maggior- mente risplende ; e più in questa nostra città, ove un sollecito coltivatore del gregoriano (0 giardino con filologica diligenza di larga copia arricchì il censo delle voci latine, e più atta ne rese la bella lingua a somministrare termini na- turali e proprii , acconci ad eccitare nella mente del leggitore quella idea che conviene, e non altra. Se non che poniamo pure che ad esprimere l'elogio di qualche celebre trapassato uopo fosse coniare qualche nuovo termine: certo è, che meno disdirebbe la condonazione di cosiffatta licenza, anziché si dovesse (i) Alludesi al eh. ab. Furlanello, onore del Seminario padovano. iCo contravvenire allo scopo delle inscrizioni, dettandole in una lingua peculiare, e non opportuna a render noti a tutte le colle nazioni presenti e future i pregi dell'encomiato, e ad animare gli studiosi all'emulazione ed alla pratica del vero, dell'onesto e del bello; valendo anche in tal caso l'oraziano precetto che accenna: Si forte necesse est Indiciis ministrare recentibus abilita rerum Fingere cinctutis non exaudita Cethegis Continget, dabiturque Ucentia sumpta pudenter. Sebbene io già per me estimo che rivolte, siccome sono, le inscrizioni a suonar le laudi o letterarie o scientifiche o belligere o cittadine di un qualcheduno , da poche voci in fuori che figlie esser possono di recente scoperta, valgono an- che adesso le stesse parole ed il fraseggiare medesimo usato dagli antichi; uguale essendo anche adesso il brio delle lettere, la gravità delle scienze, l'ardore delle arti guerresche, il merito d'ogni qualunque virtù. Più presto è da porsi somma cura nel modo del misurare le inscrizioni, senza che dieno o nel prolisso, e quindi nello stucchevole; o nel troppo breve, e quindi nell'oscuro: su di che torna inutile che a voi, Accademici dottissimi, e d'ogni bello scrivere esperti, io riporti norme che note vi sono, e delle quali luminosi dettami già scrisse 1 illustre moderno epigrafo il Morcelli , che vasto e sicuro codice promulgò di tutte l'epigrafiche leggi. Dopo le quali cose, bene avvertendo siccome nelle inscrizioni destinate alla commendazione di qualche illustre personaggio , meglio alla tempera ed allo scopo loro risponda la natura della Ialina, anziché dell'italiana favella, sembrami doversi alla prima senza veruna dubitazione si nobile magistero concedere; e ciò tanto più, ch'essa ora dal pubblico fulgore di tutte scientifiche palestre all'om- bra di poche cattedre riparata, quasi bandita dai torchii , ristretta pure nelle scuole della prima letteraria instituzione, e postasi in obblianza, quasi che morta, a buon diritto si vale di avere ricetto e soglio fra il regno almeno dei morti, e colà, rivestilo il suo prisco splendore, assidersi fra i taciti avelli, e lampi vi- brando di luce onorala, rompere il denso tenebrore del sacro asilo coll'eternare la memoria di que' Grandi, che ricongiunti alla prima Cagione, vi lasciarono de- poste le spoglie loro mortali. Mentre inlanto dall'altro lato del sepolcrale ostello la dolce lingua dell'Arno lugubri voci accordando di affettuosa mestizia sulle tombe dei più cari estinti, somministra all'afflizione e al dolore uno sfogo, e dal marmo funereo al cielo innalza i sentimenti più puri e più fervidi della rico- noscenza e dell'amicizia. SOPRA LE ACQUE TERMALI DEL TERRITORIO PADOVANO MEMORIA GEOLOGICA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XV MARZO MDCCCXXXVI DAL SOCIO ATTIVO TOMMASO ANTONIO CATULLO Delle Terme euganee. JL/alla natura del lavoro che in genere sto facendo sulle acque minerali del Regno veneto sono stato naturalmente condotto a parlare delle Terme euga- nee, benché dopo le Opere ben conosciute che intorno alle medesime si sono pubblicate possa a taluno sembrare superflua ogni ulteriore disamina ('). Però (i) Fra le molte acque minerali che si trovano negli Slati veneti non ve n'ha alcuna che tanto abbia meritata 1' attenzione dei medici e dei naturalisti , quanto quelle del territorio padovano ; e ben lungo riuscirebbe il catalogo, se si volesse qui registrare tutte le Opere che versano sulle Terme aponesi e sui monti ad esse adiacenti , già stampate nei passati e nel presente secolo. Lasciando di far menzione delle antiche, ricorderò qui soltanto le Opere che si acquistarono maggior numero di estimatori, e che possono meglio mostrare le vie che furono battute dai loro autori per giungere alla vera conoscenza delle qualità chimico-me- diche delle Terme in discorso. i. Pasini Ludovici Tractatus de Thermis patavinis, ac quihusdam aliis llalìae Balneis. 2. Falopii Gaiìrieus. De aquis thermalibus. In Tom. I. Opera genuina eie. Venetiis 1606, in fol. 3. Bacci Andreae. De Thermis. Romae 1623, in fol. 4. Gratianls Johannes. Thcrmarum patavinarum Examen. Palavii 1701, in 8.° Apud Ma afre. 5. Vallisnieri Antonio. Breve relazione di quanto ha osservato nelle Terme padovane , tratta da una Pistola nel Tom. 11. delle Opere fisico-mediche. Venezia 1 j33 , in fol. 21 162 egli è da poco tempo che si cominciò ad investigare le relazioni die hanno fra di loro i fenomeni geologici di un paese con quelli di un altro; e per 6. Vandelli Dominici Dissertationes ires. I. De Aponi Thermis eie. Patavii 1758, in 8.° 7. Bertossi Giuseppe. Delle Terme padovane ec. Trattato. Venezia 17^9, in 4-° 8. Vincenti Domenico. Raccolta di Opuscoli inediti ec. Opusc. 1. Delle Terme e dei Bagni padovani. Tolta dal SiJonio, Lib. V. Lettera I. \enezia 1760, in 8.° g. Vandelli Dominici De Thermis agri patavini Tractatus. Patavii 1761, in 4-° io. Vandelli Girolamo. Succinta descrizione delle Tenne di Padova. Padova 1775, in 4-° 11. Mingoni Josepiii /Ustoria medica Thcrmarum patavinarum. Patavii 1775, in 4-° 12. Vernizi Luigi. Della origine, natura, attività ed effetti delle acque termali. Padova 1777, in 8.° i3. Koesilin Carolo Henrico. Fasciculus animadversionum plijsiologici alque mineralo- gico - cliemici argumenti. Slullgard 1780, in 4-°, di pag. 44- — L'autore giudicò che le rocce euganee debbano essere cancellate dal catalogo delle produzioni vulca- niche. Ecco le sue parole : Pro producto autem igni hoc saxi genus (la masegna) non agnoscere potui; nulla enan vera producta ignis circa illos montes ohservavi. La sen- tenza dell' autore non valse però a disvulcanizzare una serie di monti riconosciuti per vulcanici da due secoli e mezzo indietro, poiché Andrea Baccio ben li conobbe per tali, e furono poscia confermati nel loro titolo da Strange, da Arduino, da For- tis, da Dondi Orologio, e dal vivente chiarissimo geognosla il Conte da Rio. i4- Dondi Orologio March. Antonio. Prodromo dell' Istoria naturale dei monti euganei. Padova 1780, in 8.° 1 5. Dondi Orologio. Saggio di osservazioni fisiche fatte alle Terme dei monti euganei. Padova 1 782. — Chiunque ama la Storia naturale troverà in quesl' Operetta una lettura utile e piacevole. 16. Dondi Orologio. Dello sprofondamento d' una costa di monte negli Euganei. Lettera allah. Fortis. Padova 1787, in 8.° 17. Saetta Luigi. Saggio istruttivo delle proprietà delle acque termali di Abano. Padova 1788, in 8.° 18. Dondi Orologio March. Antonio. Saggio di Litologia euganea. — Sta inserito nel secondo volume degli Atti dell'Accademia di Padova per l'anno 1789. Parla dei sali o terrosi 0 alcalini che si formano ai margini delle termali. ig. Mandruzzato Salvatore. Trattato dei Bagni di Abano. Tomi 3 in 4-°, 1789, >7g3 e i8o4, con tavole in rame. — Quest'Opera, piena d'interessanti cose, doveva per ogni titolo meritarsi quel distinto accoglimento che le si fece al suo primo compa- rire, e che gli si fa tuttavia da coloro che si occupano della Storia naturale del suolo padovano. 20. Terzi. Memoria intorno alle produzioni fossili dei monti euganei. Padova 179'. — Questo scritto del padre Basilio Terzi ha dato motivo ad un gran numero di opu- scoli polemici, di cui ommelto farne qui ricordanza. iG3 conseguenza le spiegazioni clie negli anni addietro si sono applicale ai feno- meni isolatamente considerali, potrebbero non essere spalleggiate da quella con- catenazione di falli ebe ora si richiede per crederle o probabili o giusle. Le difficoltà ebe il più delle volle in siffatti studii sono inerenti al soggetto che prendesi a tratiare, erano in passato più grandi per l'incertezza ed il pic- colo numero delle osservazioni proprie a dilucidarlo, e dirò anebe per lo stato d'infanzia nel quale si trovavano la Chimica e la Geognosia. Molti dotti del trascorso secolo si lasciarono di leggieri sedurre dalle prime apparenze , e con aria franca e dogmatica intrapresero a spiegare i più intricati fenomeni della natura. SI. Bellati Ab. Pietro. Discorso storico -medico dei Bagni di Montartene. Padova I79g, in 8.° 23. Salmon. Sur la nature des monts enganés , et la thèorie des laves compactes. Verone 1801, in 4.° 23. Mandruzzato Salvatore. Prolusione pel suo ingresso alla Cattedra di P.P. alle Terme di Abano. Padova 1801, in 4'° 24. Fortis. Observations orjclographiques sur quelques localilés des montagnes eugances. Inserite nel primo volume delle Mémoires pour servir à V Histoire nalurelle de V Ita- lie, dello stesso autore. Paris 1803, in 8." Due volumi. 25. Mandruzzato Salvatore. Del clima e dell aria dei Bagni di Abano. Padova 1802, in 4.° 26. Menegazzi Giuseppe. Della efficacia delle acque termali di S. Elena, ec. Padova i8o4, in 8.° 27. Da Rio Conte Nicolò. Memoria sopra la masegna dei monti padovani. Inserita nel to- mo XV. della Società Italiana, 1810, in 4-° 28. Corniani Conte Marco. Memoria sul vetro, coli 'applicazione all'arte vetraria della pe- troselce periata dei Colli cuganei. Venezia 1810, in 4.° 29. Pollini Ciro. Memoria epistolare sulle alghe viventi nelle Terme euganee , con un In- dice delle piante rinvenute sui Colli euganei , accompagnata da una tavola. Biblio- teca Italiana per l'anno 1817, tom. VII. pag. 4'4> 30. Mandruzzato Salvatore. Memoria sulla imprevista sboccatura d'un copioso getto di acqua termale dalla collinetta di Montiron , e sullo zolfo cristallizzato e polveroso ritrovato d' intorno a quelle sorgenti termali. Venezia 1818, in 4-° 3i. Zecciiinelli Ciò. Maria. Notizie intorno all'acqua solforosa Baineriana euganea che scaturisce alla Costa di Arquà. Padova i83o, in 8.° — Quest'acqua, fortemente epatica , contiene pochi principii salini , ed è fredda come le molte della stessa in- dole, che vi sono nel Cadore e nel Friuli. 32. Andpejewskiy Erasto Steeanide. De Thermis aponensibus Commentalio physiographica. Beroliui i83i, in 4-° — Viene Iodato questo libro, non già per le cose attinenti i64 Di fatto, se domandiamo al Vernizi, uno degli scrittori clie versarono sulle Terme di Abano, in qual foggia egli concepisca che siensi formate quelle fonti, risponderà, ch'elleno sono acque piovane ivi raccolte , le quali, in virtù delle alla geognosia dei monti euganei , che peccano del gran difetto d' essere scritte troppo all' infretta , ma perchè contiene la seguente accurata analisi delle Terme di Abano. E da osservare che l'Andrejewskiv non trovò il carbonato di calce, già rin- venuto da tulli gli altri chimici che in precedenza analizzarono quelle acque. Nalrii chlorali 23, 0723 Calcii chlorati 0,9000 Magnesii chlorati o, 7700 Ferri chlorati o, i563 Jodatum brornatumque cale, sive magnes. . vestigia Calcariae sulphuricae 4, 794 l Magnesiae o, 7334 Alluminae o, 5ooo Ferri oxydulati o, 1000 Siliceae o, i23o Principii estradivi cum azoto 0,6100 Alius subslanliae organicae 0,3270 Perdilum 0,0127 33, 1000 33. Zecchimeli! Gio. Maria. Nuovi Saggi dell'Accademia di Padova. Tomo III. i83i, in 4-° Tre fatti fisici relativi alle Terme padovane. I falli, dei quali parla il dotto autore, sono i seguenti: I. Esistenza dello zolfo nelle Terme di Aliano, e modo di ottenerlo coll'arte. II. Esistenza di un sale ferruginoso presso le sorgenti termali di S. Elena alla Battaglia. III. Esistenza di un'erba viva e vegetante nel fango termale di Montegrotto ad altissima temperatura. 34- Da Rio. Sulla stoviglia sommamente economica che si fabbrica in Ponte di Brenta. Nuovi Saggi dell'Accademia di Padova. Tomo III. pag. i63. 35. Beccuto Francesco Secondo. Belle Terme euganee. Padova i833, in 8.°, con quat- tro tavole. • — In questa Memoria si descrivono le alghe viventi nelle Terme, e si dì l'analisi indeterminala di quelle acque. 36. Zigno Achille. Plantae cryptogamae in Provincia patavina observatae, eie. i833, in 8.° 37. Zecchinelli Gio. Maria. Saggio sull'uso medico delle Terme padovane. Padova i835, in 8.° — Opera intieramente medica, e di un merito molto elevalo. 38. Da Rio. Quelques observations sur le gissement des trachjtes en general, et du trachyle des morts eugané-ens en particulier. Memoria inserita negli Alti dell'Accademia delle Scienze di Torino. Tomo XXXVI. pag. 207, in 4° i65 molte particelle ignee che ardono sotterra , si riscaldano fortemente , e di- ventano termali. Pure il Vernizi, che scriveva il suo libro verso il declinare del secolo passato, poteva almeno accorgersi che le acque piovane quando si raccolgono dalla casualità in istagni , presentano caratteri ben diversi da quelli che distinguono le sorgenti, e che i rigagni delle piovane situati alle radici dei Colli euganei sono freddi, dolci, e soggetti a variare sì nel volume che nelle fisiche loro qualità ; laddove le termali mantengonsi in generale immutabili nella qualità, nel calore e nella limpidezza, come mantengono perennemente un'eguale quantità di principii tanto fissi che volatili, sia qual si voglia la va- riazione delle stagioni e del tempo ( Mandruzzato. Terme di Abano. Tomo I. Sezione III. pag. 126). Ma noi non dobbiamo maravigliarci della stravagante opinione del Vernizi , perciocché non era peranco il tempo in cui il geologo avesse giusta bilancia per pesare i fenomeni, non ancora era bastevolmente sparso il gusto per la Chimica, ne ancora era sorto fra noi, come non lo era fra gli stranieri, lo spirito di meditare seriamente sui fatti che formano il patri- monio della Geognosia. Cinque anni dopo il Vernizi, uno dei buoni naturalisti dell'età nostra, cioè il marchese Dondi Orologio, die alla luce il Saggio di osservazioni fisiche sulle Terme dei monti euganei } in cui prende in esame il Tractalus de Thermis 3g. Da Rio. Oritlologia euganea , accompagnata da un Catalogo ragionato delle rocce e delle altre produzioni minerali dei monti euganei. Voi. 1 in 4-° con tavole. Pa- dova i836. 4o. Regazzini Dolt. Francesco, Supplente alla Cattedra di Chimica nell'I. R. Università di Padova. Analisi chimica delle Termali di Aliano. — Quest'analisi, non ancora pubblicata, ci porge argomento di anticipare all'egregio suo autore le nostre congra- tulazioni per la scoperta della nafta o petrolio, che mediante il consolidamento dei gas termali seppe egli isolare completamente, e in quantità bastante per rilevarne i ca- ratteri e le proprietà. Mi è noto che la nafta va unita allo zolfo nelle miniere della Perticara nel Cesenate, ma ignoro che altri l'abbiano trovala nelle Terme come sol- vente dell'idrogeno solforato. Il sospetto che a questo gas vi fosse congiunto il bi- tume, si risvegliò nella mente del prof. Mandruzzato molti anni sono, all'occasione degli sperimenti da esso fatti sopra le minerali dei contorni di Ceneda , nel territo- rio trivigiano. L'acqua di quelle fonti spande forte odore di uova fracide ; ma agi- tata che sia fortemente in vase aperto, perde la sua graveolenza , e solo conserva un odore che ha del bituminoso , poco dissimile da quello che fanno sentire le fonti aponesi (Mandruzzato, Analisi delle fonti minerali di Ceneda, pag. 37). Questi fatti tornano in acconcio per dimostrare sempre più i rapporti che hanno tra loro i fe- nomeni prodotti dai vulcani coi fenomeni che si ammirano nei circondarii termali. i66 del Vandelli, ne rileva gli errori che in fatto di Chimica erasi lasciato sfuggire quel Professore, e ci somministra alcune interessanti notizie sopra le piante e i testacei che allignano in quelle Terme; ma così in questa come in altre sue Opere ommise il marchese Orologio di fermarsi intorno le cause che verosimil- mente possono cooperare alla produzione del calore termale. Il Saetta forni in seguito qualche schiarimento sulle principali proprietà delle Terme nostre; ma nessuno fra i libri che hanno per assunto d'illustrare la Sto- ria naturale di quelle acque può essere contrapposto all'egregia Opera del eh. prof. Mandruzzato, la quale per la moltiplicità degli argomenti che si discutono, per l'originalità delle viste, e per l'esattezza con cui sono condotte le operazioni chimiche, si è meritata dal pubblico quelle giuste lodi che noi pure ci crediamo in dovere di qui tributarle. Il Mandruzzato, ove parla delle qualità fisiche delle fonti di Abano, non si dichiara per nessuna delle opinioni allora in vigore intorno all'origine delle ter- mali; ma si contenta di esporle, lasciando libero ognuno di appigliarsi a quella che più gli sembrasse ragionevole. La prima conduce a supporre che la caldezza di tali acque abbia per cagione l'elettrico; la seconda consiglia risguardare il fenomeno come un effetto della decomposizione delle piriti prodotta dall'acqua; e la terza stabilisce per causa l'azione dei vulcani [Trattato dei Bagni di Aba- no. Parte I. Sezione II. pag. 67). Non entra nel mio piano l'esaminare su quali principi! sia fondata quest'ultima opinione; ma panni chiaro che se i vul- cani fossero la causa del calore termale , non dovrebbero esistere termali dove mancano i vulcani attivi, ed invece noi osserviamo il contrario. Con questa osservazione non si vuol già negare che la causa dei fenomeni termali non possa eziandio influire alla produzione dei vulcani ; ma solamente vuoisi notare, che quelli i quali accordano alle eruzioni vulcaniche la facoltà di produrre le termali, hanno preso l'effetto per la causa, ed hanno per conseguenza moltiplicate le dif- ficoltà, e reso più oscuro il fenomeno. Richiamiamoci alla memoria la saggia eco- nomia che mette in uso la natura in tutte le sue operazioni, e vedremo ch'ella corre sempre la via più semplice, e che prende da se stessa i mezzi più facili per produrre i più grandi effetti. Se nei molti fenomeni geologici che cerchia- mo spiegare non si trova questo carattere di semplicità, possiamo andar sicuri di non esser giunti ad indovinare il suo secreto. In conseguenza di questo principio io trovo nei vulcani, nei terremoti e nelle termali una corrispondenza di azioni da poter credere che una sola sia la ca- gione di questi grandiosi fenomeni. Io non posso né debbo qui entrare nei del- tagli necessari! per dare un'idea esalta di questa corrispondenza; ma quanto ai due primi fenomeni non si può dubitare che le succussioni terrestri non sieno connesse con le eruzioni vulcaniche, e che non derivino entrambi da una iden- tica causa ; e quanto al terzo , purché si voglia compararlo agli altri due , vi si troverà un'analogia di azioni e di prodotti, cui sarà molto difficile di contrad- dire. 1 gas dei vulcani sono perfettamente identici ai gas delle termali; e lo zolfo cristallizzato ed il muriato di soda sono produzioni che si veggono tanto negli uni, come nelle altre. Per istendere ancora più oltre i confronti diremo qui di passaggio che il petrolio , tanto frequente negli antichi e nei moderni vulcani (i), è stato ultimamente scoperto dal dottore Regazzini nelle termali di Abano; con che parmi sempre più comprovalo il principio, che un solo ed unico agente abbia influito alla formazione di tali sostanze (2). La proposizione, che i terremoti ed il calore termale sieno fenomeni prodotti da una causa comune, sembra vie più confermata dalle osservazioni riferite dal signor Brongniart nel volume decimoquarto del Dizionario di scienze naturali all'articolo Acqua, dalle quali si apprende che i terremoti hanno esercitato in tempi diversi un'influenza reale nella maniera di esistere delle acque termali, avendole alle volte fatte intieramente sparire, ovvero d'acque calde mutate in acque fredde. Sovente queste alterazioni non sono state che momentanee, ed. in capo ad alcune settimane le sorgenti sono ricomparse, riacquistando la con- sueta loro temperatura. Una delle fonti di Carlsbad in Boemia ha perduto da circa vent'anni il suo calore per un terremoto; altre sorgenti al contrario hau- no acquistato per la medesima causa un aumento di temperatura, com'è avve- nuto alla sorgente di Bagneres ne' Pirenei. Simili cangiamenti si sono ripetuti non solo nelle termali di Buda in Ungheria, ma ancora nelle principali sor- genti di Toeplitz in Boemia all'epoca del terremoto che rovesciò la capitale del Portogallo. La sorgente di Pisciarelli non lungi da Pozzuolo più non esiste, ed in sua vece si veggono le fumarole, le quali non sono che vapori acquei aventi (1) Sorgenti di petrolio spicciano dai terreni vulcanici del dipartimento di Herault nella Francia (Journal des mines, N.° i40, e manifesti indizi! di questo bitume ebbe a ricono- scere Dolomieu nelle scorie del Vesuvio. I signori Gay-Lussac, de Buch e Humboldt si sono nel miglior modo possibile assicurati della presenza del petrolio nel Vesuvio : salirono essi il monte mentre il vulcano si mostrava attivo , e furono inviluppati da vapori molto densi, il cui odore era precisamente quello del bitume in discorso (Bibliollwque Britanniaue. Tom. XXX. pag. 25i). (a) Veggasi la nota alla pagina 1 65. i68 la stessa composizione e le stesse proprietà della polla scomparsa. Il calore delle termali di Bigorre ne' Pirenei fu nel terremoto del 1660 momentaneamente sospeso; e la stessa osservazione fu fatta nel 1755 sulle acque di Aix in Savoja all'epoca di quello di Lisbona. Da tutto ciò il dotto Brongniart non deduce già che vi sia un rapporto tra il fenomeno delle succussioni telluriche e quello delle termali; ma dice soltanto, che siffatte alterazioni conducono a supporre nelle cause loro un equilibrio indicante un predominio dello stato di ri- poso m cui si trova la terra. La ragione difficilmente si accomoda all'idea di non vedere nei terremoti che lo stato di riposo del pianeta nostro, mentre vor- rebbe invece che considerare si dovessero come un debole avanzo di quelle forze che in epoche geologiche hanno prodotto gli sconvolgimenti che si osser- vano sulla terra. Non è certo possibile immaginare operazioni più grandiose di quelle che presentano i vulcani, le quali, nel corso ordinario delle cause che agiscono oggidì, non si ripetono con egual forza in nessuna parte del globo. Lo stesso si può dire delle succussioni terrestri congenite ai vulcani; nessuno oserebbe di accordare tanta energia ed attività a quelle che si fanno attualmente sentire, quanta ne avevano le antiche. Quella forza dunque che impiegò la natura in tempi molto remoti, e con la quale produsse quegli enormi sovvertimenti che più volte ed in diverse parti hanno cambiata e rinnovata la superficie della terra, quella forza, dico, scemò a poco a poco d'intensità, finche si ridusse a quel grado d'infiacchimento in cui è presentemente. Io mi dilungherei troppo se volessi con esempii dimostrare che gli effetti della causa di cui si ragiona si succedettero giusta Y ordine dei tempi con una forza sempre decrescente; e basta richiamarci alla memoria quanto piccolo sia il numero dei vulcani attualmente ardenti , rispetto a quello dei vulcani anti- chi, onde rimanere convinti di ciò che esponiamo. Ma quale sarà questa causa che col volgere dei secoli più diminuisce la sua energia, lasciando ovunque gl'indizi! del suo progressivo indebolimento? Que- sto dotto Consesso mi ha già prevenuto, e chiaramente comprende che i feno- meni più sopra ricordati hanno per causa il calor centrale, la cui sfera di atti- vità va scemando progressivamente in causa del graduato raffreddamento cui soggiace la massa terrestre. Noi ci faremo fra poco a scrutinare se con la certezza che può convenire agli argomenti fisici si debba riconoscere nell'incandescenza centrale del globo la cagione dei fenomeni che offerti ci vengono dalle acque termali. i6g Posizione e natura delle Terme euganee. Cinque miglia all'ovest di Padova, nella pianura che si estende appiè dei monti euganei, scaturiscono molte sorgenti calde che mai non seccano, e poco o nulla diminuiscono nelle siccità. Esse vanno a raccogliersi in ricettacoli o bacini imbutiformi di varie dimensioni, da cui partono alcuni rivoli od acque- dotti destinati a condurre l'acqua negli alloggiamenti per bagni. Ad eccezione delle sorgenti di Abano, di Regazzon, e di una di quelle di S. Elena, che sono alcuni metri più alte del suolo, tutte le altre si trovano nella pianura, la quale è composta di terriccio vegetale, di torba e di argilla palustre (*). L'estensione del fondo occupato dalle Terme viene dal prof. Mandruzzato stabilita a tre miglia di lunghezza , sopra una larghezza non ancor bene deter- minata. Debbo però avvertire, che indizii di acque termali si manifestano ezian- dio alle falde dei monti di Barbarano nel "Vicentino, paese che dista quindici miglia da Abano. Il suolo termale euganeo può essere diviso in undici circondarli , che comu- nemente si chiamano Bagni di Abano, quantunque il villaggio di questo nome non ne formi che uno solo (2). Gli altri dieci sono: Monte Orione., S. Pietro Montagnone, Montegrotto, Casa Nuova, S. Elena,, S. Bartolommeo, Ter- racoli, Monte Canale, Calaona, e Fontana fredda. Gli ultimi quattro sono stati indicati dal conte Marzari col nome di Circondarii inediti, perchè di essi non si fa menzione nelle Opere che hanno per oggetto la descrizione delle Terme nostre, e neppure se ne parla in un curioso manoscritto che conserva presso di sé il dottore siguor Zannini di Lozzo, già consultato dal suddetto conte Marzari (3). (1) Osservazioni sopra i terreni -postdiluviani delle Provincie austro -venete. Pag. 47-78. Padova i834, io 8.° (2) Crede il marchese Orologio che Abano fosse anticamente più vasto e più popolato di quello ch'è al presente, e che si abbia voluto col termine di Therrnae aponenses abbracciare lutti gli altri villaggi ove sonovi Terme, i quali venissero considerali come subalterni o di- pendenti dalla giurisdizione di Abano (Prodromo della Storia naturale dei monti euganei, pag. 33). (3) Ho tratta questa notizia dal catalogo manoscritto che accompagna la collezione delle rocce euganee formata dal sopraddetto conte Marzari l'anno 1808, e da esso depositala nel Gabinetto di Storia naturale annesso all'Imp. Regia Università di Padova. 22 170 Non si deve qui tacere che, oltre le Terme comprese nei detti circondarii, vi La nel suolo euganeo qualche altra sorgente minerale , fra cui giova ricordare le polle che a spiccii separati e intermittenti caccia fuori il fondo del lago di Arquà, senza produrre quel vapore che a vista d'occhio s'innalza dalla superfi- cie delle termali. Quantunque non si possa infallibilmente contare sulla man- canza del vapore acqueo per credere che le polle non sono calde, pure v'ha una circostanza molto atta a persuadere che sieno fredde e solforose; ed è que- sta la prossimità del lago alle molte polle perenni ed abbondanti che formano la sorgente solforosa di Arquà, giustamente celebrata per le mediche sue virtù, la quale datt'^ugusto suo scopritore porta il nome di Raineriana. Tornando ai circondarii termali euganei, dirò che ciascuno comprende più fonti di disuguale temperatura , uscenti da enormi profondità sotto volumi dif- ferenti. Lo sgorgo di esse è accompagnato dallo sviluppo di un gas che si vede ascendere fra mezzo la massa dell'acqua in forma di bolle gorgoglianti, che poi si dissipano per l'aria, seco recando i fumacchi dell'acqua in vapore. Questo gas, giusta le osservazioni de] prof. Mnndriizzatn, è composto di acido idrosol- forico e di acido carbonico, i quali finche circolano pei meati interni della terra, sono combinati all'acqua in una proporzione cosi gagliarda, che eccede di assai quella di cui l'acqua è capace sotto l'ordinario peso dell'atmosfera. E nel vero, se i due acidi gasosi vengono in gran parte abbandonati dall'acqua quando ascende nei bacini , convien dire che la termale li tenesse dapprima disciolti sotto una forte pressione, ed abbia avuto accesso per cuniculi sotterranei chiusi cosi bene da impedirne la dispersione. E appunto dall'acido carbonico che noi dobbiamo ripetere la derivazione del carbonato di calce contenuto nelle termali; sembrando molto probabile che questo acido nel suo lungo tragitto attraverso la roccia calcarla abbia potuto disciogliere, mediante il veicolo dell'acqua, tutto il sale calcarlo che seco portano le Terme, e che viene poscia dalle medesime abbandonato e disperso, quando si mettono al contatto dell'atmosfera. Medesi- mamente il solfato di calce, contenuto in buona dose nelle Terme, risveglia il sospetto che ai due gas fosse congiunto l'acido solforico, tanto frequente nei terreni vulcanici, il quale, attraversando anch'esso il calcare, ha potuto combi- narsi alla calce, scacciando l'acido carbonico. Io non veggo nessuna difficoltà ad ammettere che nelle interne e profonde cavità, ove si compone l'acido idrosol- forico , possa del pari generarsi l'acido solforico mediante la decomposizione dell'acqua, che fornisce allo zolfo il suo ossigeno; giacche questa supposizione, olire di soddisfare al fenomeno, si accorda con le osservazioni dei geognosti, e I7I con le leggi stabilite dalla Chimica. L'esistenza pertanto dei due sali a base di calce (') indica, a mio parere, che la termale ha circolato, com'è detto, per ca- nali calcarei, prima di giungere a livello del suolo; e questa opinione riceve molto peso, quando si rifletta al posto occupato dal calcare della creta, il quale, osservato che sia in ogni qualunque punto, si dà a conoscere per la più antica delle rocce che costituiscono i monti padovani. Restringendomi alla sola derivazione dei sali contenuti nelle Terme euga- nee , noi troviamo che il muriato di soda prevale in quantità a tutti gli altri composti salini; ne ciò deve recar maraviglia, perciocché tutte le acque calde dei terreni primordiali racchiudono costantemente il sai comune, od almeno sono a dovizia fornite di sali a base di soda. Se poi il terreno dal quale scatu- riscono tali acque sarà accompagnato da rocce calcane , e se queste rocce ver- ranno dalle medesime lambite, egli è evidente che i sali alcalini termali deb- bono essere associati ai sali calcarei; e se per l'opposto le sorgenti non fossero state al contatto di nessuna roccia o calcarla o gessosa, e solo attraversato aves- sero le rocce granitiche, esse appariranno soltanto mineralizzate dei sali che sono proprii del terreno da cui hanno ricevuto l'origine. Cosi l'acqua salata di Creustznach, che sbuca da montagne intieramente primitive, manca di sali a base di calce; la termale di Varmbrunn e quella di Landeck nella Slesia sono per la stessa ragione prive di composti salini a base di calce, mentre compa- riscono doviziosamente fornite di natron e di solfato di soda. Se ancor più si volesse estendere i confronti, si troverebbe che le Terme dei terreni granitico - calcarei sono al contrario provvedute dei sali che abbiamo veduto mancare nelle Terme dei terreni sopra euunziati; e ciò dimostra che la presenza o mancanza di certi sali non è un argomento di poca forza: ed io ardisco asserire, ch'esso va intieramente d'accordo coli' indole geoguostica del suolo d'onde fluisce la termale. (i) Ho esposto in altro mio scritto il motivo pel quale il solfato di calce, tuttoché meno solubile, rimanga disciolto nell'acqua in quantità mollo maggiore del carbonato; e qui giova ripetere, che quest'ultimo apparirebbe più copioso del primo, se il cessare della pressione ed il movimento della termale non ne favorissero la precipitazione. 172 Origine del calore termale , e profondità da cui verisimilmente hanno uscita le Terme eusanee. o E cosa molto osservabile che le Terme euganee, già conosciute fino dai tempi di Giulio Cesare (0, abbiano sempre conservata la stessa composizione e lo stesso sviluppo di gas, come pure il medesimo odore e la temperatura medesima; lo che conduce alla supposizione che la costanza di tali qualità sia mantenuta da cause sempre uguali nella loro energia, e sempre capaci di produrre in ogni tempo gli stessi fenomeni. Noi ignoriamo la fonte dalla quale derivano queste cause, ad onta delle molte ricerche fatte dai fisici per iscoprirla, e ad onta dei tenta- tivi fatti dai geologisti per ispiegare donde provenga il calore di cui sono dotate le termali. Quelli che hanno creduto di assegnare per causa del calore termale la decomposizione delle piriti, accreditarono la loro opinione supponendo che nelle viscere della terra esistano immensi depositi di ferro solforato, il quale per mezzo dell' ac;jua fornisca il calore ed i gas proprii delle termali. Ma la circostanza della temperatura , che per tanti secoli si mantiene sempre uguale, non trovò in siffatta ipotesi una plausibile spiegazione, e si dovette ricorrere ad una causa, la quale fosse più generale e più costante ne' suoi effetti, ed è que- sta l'elettrico. Partendo dal principio, che i corpi eterogenei messi a mutuo contallo fra di loro possono diversamente elettrizzarsi, a norma dei rapporti che essi hanno coli' elettrico, si è supposto che gli strati della terra facciano le veci di una grande pila voltiana, dalla quale per lo squilibrio dell'elettricità si svolga gran copia di calorico. Questa ipotesi fu vigorosamente sostenuta da qualche naturalista, ed il signore Delaméthérie sviluppò a lungo le ragioni che lo in- dussero a supporla fuori di controversia; ma le molte eccezioni a cui essa sog- giace, obbligarono i geologi ad appigliarsi piuttosto al sistema di Buffon per ot- tenere spiegazioni meno forzate, e per evitare nel tempo stesso quelle difficoltà, alle quali conduce l'opinione di Delaméthérie. La teoria del color centrale, ch'era una semplice e vaga congettura ai tempi di Buffon, è ora divenuta molto probabile per le belle sperieuze ed osserva- ti) Che i fumacchi o acqua in vapore mista ai gas termali fossero conosciuti molto tempo avanti la nascita di Gesù Cristo, ed avessero fin d'allora molla celebrità, noi lo sappiamo dall'autore della Farsaglia , il quale assicura che un Augure patavino erasi portato sul pic- ciolo colle di Abano , cui dà il titolo di fumoso , per vaticinare la vittoria di Cesare sopra Pompeo. (Lucanus, Lib. VII.) i73 zioni falle dai moderni fisici intorno la fluidità ed incandescenza centrale della terra; talché il fenomeno delle acque termali, quello delle ejezioni vulcaniche e dei terremoti trovano in essa una plausibile spiegazione (»). Sappiamo adesso, che partendo dalla superGcie della terra, e penetrando verso il suo interno, si ha un accrescimento di temperatura, il quale seguita la legge di un grado del termometro centigrado per ogni venticinque metri di profondità. Sappiamo al- tresì, che confrontale le osservazioni fatte su questo argomento in varie contrade, la differenza che ne risulta deriva solamente dalla imperfezione delle sperienze, dalla irregolare distribuzione del calore sotterraneo da un paese all'altro, e dalla varia natura delle rocce, ora più ora meno conduttrici del calorico. Dal vedere che i fatti surriferiti non si possono in verun modo conciliare col sistema newtoniano, si dedusse che nella terra esista un calore sotterraneo che cresce rapidamente colla profondità, e con leggi più o meno costanti. Ammesso questo calorico , ed ammesse le verità dei calcoli e delle deduzioni che si sono fatte intorno al medesimo, si può dire pertanto che il fenomeno delle acque termali non è più un problema, come si è creduto in addietro; giac- che sembra probabile che la causa , da cui dipeude , sia il calorico che inces- santemente viene emanato dalla massa fluida del centro, per diffondersi negli strali della crosta terrestre (2). S'è vero che il calore si aumenti di un grado del (1) Dall'ipotesi del calor centrale Cordier ricava molte conseguenze. Crede che la mate- ria incandescente sottomessa all'azione del raffreddamento e alla pressione della crosta con- solidata, somministri delle parti solide e delle sostanze gasose. Per questa via sì avrebbe na- turalmente trovata P origine della materia prima dei terremoti e dei vulcani. La massa fluida interna è sottoposta ad una pressione crescente, generata da due potenti forze ; poiché- per una parte la crosta solida si restringe di mano in mano che scema la temperatura, e per l'al- tra questa medesima crosta si comprime ai poli , allontanandosi dalla sua figura sferica per l'aumento insensibile della velocità di rotazione, per lo che viene a scemare la sua interna capacità. Da questa doppia compressione le materie fluide che sono al di dentro vengono cacciate fuori sotto forma di lave. Viene poscia il Cordier accennando come con questa ipotesi si renda ragione dell' identità delle circostanze che accompagnano le operazioni dei vulcani in tutte le parti del globo e in tempi differenti, della successiva loro estinzione, e della diminuzione delle materie da essi ejeltate. Aggiunge ancora: potersi assegnare la dire- zione ordinaria dei terremoti, e la posizione dei centri vulcanici; spiegare facilmente l'ori- gine delle acque termali, la permanenza delle loro sorgenti, e la temperatura quasi invaria- bile. (Bibliothéque Universelle, 1828.) (2) Secondo i calcoli si stabilisce che l'altezza media della crosta consolidata del globo non oltrepassi le venti leghe, che corrispondono ad i/B3 del raggio medio terrestre, e i/4oo della lunghezza del meridiano. Essendo poi i differenti strati primordiali di questa crosta '74 termometro centigrado per ogni venticinque metri di profondità, egli è chiaro die la temperatura delle termali dovrebbe rappresentare quella degli strati , nei quali esse lianno soggiornato prima di giungere alla superficie; e siccome l'au- mento del calore sotterraneo sta in ragione diretta della profondità , così è an- che facile riconoscere a quale distanza dai nostri piedi sono collocate le rocce che impartirono all'acqua una così alta temperatura. Il termometro centigrado immerso nella sorgente di Montiron segna gradi 86,56, che corrispondono a gradi 68 circa di Reaumur. Da questo numero convien detrarre gradi 17 (14 circa di Reaumur), i quali rappresentando la temperatura media dei nostri climi, non si debbono computare fra i gradi di calore che l'acqua portò seco dall'in- terno, d' ond' è venuta; quindi rimangono gradi 6g,56 di calorico, il quale vuoisi attribuire non già al sole, ma alla terra, come i calcoli del Fourier lo di- mostrano con tutta certezza. (Annàles de Chiniinue et de Physique. To- mo XIII.) Ora per trovare la profondità dalla quale sono surte le acque apo- nesi convien mettere a calcolo i 6g,56 gradi di calorico che alle medesime fu comunicato dalla terra, e calcolandoli dietro le norme già stabilite di un grado per ogni venticinque metri di profondità, si trova che gli strati dai quali esse hanno assunto il calorico sono 1740 metri più bassi del suolo di Abano. Qual roccia poi crederemo noi essere quella che compone gli strati di cui parliamo:' Quantunque il fatto che qui si tenta di scoprire appartenga a circo- stanze che, per essere estranee a tutti i nostri mezzi di osservazione, sono da noi ignorate; pure, senza ricorrere a veruna ipotesi, e col solo sussidio dei con- fronti e delle analogie, si può stabilire che il nocciuolo su cui sono adagiate le formazioni euganee sia composto di una roccia granitoide, molto affine al gra- nito. Da questa roccia, messa in islato di fusione dal fuoco vulcanico, derivarono le trachiti tanto copiose negli Euganei, le quali, spinte dal profondo all' insù, si sono aperte una via fra mezzo i terreni marini, scompaginando, nel modo che ora si osserva, la prima disposizione che dato aveva la natura agli strati calcarei. E vero che un motivo ben fondato per credere le trachiti derivate dai graniti quello sarebbe di vedere tra gl'ingredienti di esse i cristalli di quarzo; ma oltre disposti secondo 1' ordine della fusibilità , si può congetturare che la terra fosse in origine fluida, e che siasi indurata, partendo dalla superficie e andando verso il centro, pel raffred- damento prodotto dalla radiazione del calore interno verso gli spazii planetaria Da ciò ne viene, che fra i terreni primordiali quelli sieno i più recenti, i quali sono più profondi; e che continuando questo pianeta a raffreddarsi per la perdita del calore, la sua crosta vada di mano in mano crescendo per la giunta di nuovi strati che si appigliano verso il suo centro. i75 che questi cristalli si danno qualche volta a conoscere nella masegna, abbiamo poi delle ragioni per supporre che , ove il quarzo manchi o scarseggi , si debba ciò attribuire alle circostanze che accompaguarono la fusione della massa gra- nitica, per cui il quarzo, reso libero, ha dovuto mescolarsi e confondersi con le altre materie terrose ch'entrano nella composizione delle trachili, e rendersi così irreconoscibile all'occhio, mentre le molecole del feldspato, che pur soggiac- quero alla stessa fusione, banno potuto nel periodo del raffreddamento riunirsi, e formare i piccoli cristalli di aspetto più o meno vetroso, che osserviamo disse- minati nella pasta petroselciosa delle trachili dell' Ungberia e del Padovano (0. Che poi nelle trachiti esista realmente tanta silice, quanta ne può contenere un granito, noi Io sappiamo dalle analisi del eh. fu prof. Melandri, secondo le quali la trachite perlaria dei monti euganei contiene sopra ioo parti 7'i di silice, 12,10 di allumina, 1 di calce, 1,80 d'ossido di ferro e d'ossido di manganese, 2,90 di soda, 0,^2 di potassa, 4>7^ d'acqua, 3,y3 di perdila; dal che si raccoglie che la quantità della silice rispetto a quella dell'allumina è troppo eccedente per supporre che la prima di queste terre provenga soltanto dal feldspato, e non piuttosto dal complesso degl'ingredienti del granito, e princi- palmente dal quarzo, che di essa terra è intieramente costituito (2). A quanto si è detto circa la natura della roccia che negli Euganei soggiace a tutte le altre, e dalla quale vuoisi ripetere la derivazione delle trachiti, sog- giungerò che l'indole stessa delle acque aponesi può servire al geologo di ot- tima scoria per decidere della qualità del suolo dal quale scaturiscono. Negli anni addietro le connessioni reali di un'acqua minerale col terreno da cui sembra partire, si sono poco studiate; e quantunque si possieda gran nu- mero di trattati sopra le acque medicinali, ciò non ostante si può dire che più si è osservata la loro influenza sopra la salute e la loro composizione chimica , di quello che considerata si abbia la natura del terreno d'onde hanno avuto (1) Se il quarzo non ha potuto esso pure ricevere la forma crislallina, ciò vuol dire che la polarità cristallifica delle sue molecole è meno forte di quella che tende a ravvicinare le mo- lecole del feldspato, le quali formando nel granito l'ingrediente principale, dehbono anche per questo titolo essere le prime a cristallizzare. Applicando questi principii ai caratteri che preserjta il granito, li troveremo in perfetto accordo con le osservazioni. Nelle masse com- patte di granito vediamo che il feldspato ha sempre una figura che più si avvicina alla rego- lare, mentre la mica ed il quarzo sono più di sovente in frammenti di figura indeterminata. (2) Corniani Memoria sopra la petroselce periata dei Colli euganei, ov'è inserita l'Ana- lisi di Melandri. Venezia 1810, in 4-° i76 principio; per lo che non è a maravigliarsi se ancora non possediamo osserva- zioni relative ad un argomento così interessante, qual è quello che presente- mente ci occupa. Malgrado a ciò, sembra nulladimeno indubitato che molte acque minerali partano da terreni lontanissimi da quelli che danno ad esse l'uscita; ed è questo il caso di tutte le acque impregnate di sali o di acidi che sono estranei al suolo sul quale noi le vediamo raccolte. Fissando per ora la nostra attenzione sulle termali di Abano, cerchiamo di corroborare vieppiù il concetto che abbiamo esternato circa la natura della roc- cia da cui prendono la loro origine. Se il calorico che rende molto alta la temperatura dell'acqua aponese ci ha servito di guida per giudicare della profondità da cui essa parte, sembrami che la presenza delle trachiti possa egualmente palesare l'indole del suolo da cui l'acqua ha avuta la sua origine; perciocché le trachiti, come abbiamo già detto, vogiionsi universalmente considerare rocce di trabocco, uscite dalla parte infe- riore dei granili in virtù di una potente forza vulcanica. Un fatto che mette fuori d'ogni contestazione la provenienza delle trachiti euganee è quello di ve- dere inviluppati nella masegna, con cui furono lastricate le strade di Padova, grossi pezzi di granito bianco che ha molta conformità col granito delle alpi tirolesi. Questo fenomeno, oltre di raffermarci nella opinione che noi abbiamo concepita sulla origine delle trachiti, ci chiarisce eziandio che non tutte queste rocce si sono generate sotto la influenza d'un egual grado di calorico, e che la intensità del fuoco, che produsse la masegna, non potè essere ugualmente attiva su tutti i punti dell'enorme massa del granito, giacché alcune parti di essa sono state sottratte alla comune fusione, e conservarono intatti i loro pri- mitivi caratteri. Quanto alla opinione che le Terme euganee si formino nei granili diremo finalmente, che tutti i geologi convengono fra loro nell'assegnare alle acque calde di diverse contrade una tale provenienza. Di fatto dalla pluralità delle ricerche instituite da Palassau,da Charpentier, e da altri naturalisti, per iscoprire il ter- reno dal quale spicciano le termali de' Pirenei, apprendiamo che tutte nascono dal granito, e tutte contengono sali alcalini ed idrogeno solforato. Le acque calde di Wildbad nel Salisburghese , quelle di Carlsbad nella Boemia , e di Wisbaden presso Magonza , come pure le altre di Landeck nella Slesia , han- no, per le attestazioni di de Buch, la medesima derivazione. (Dictio7inaire des Sciences naturelle . Artide Eau. Tomo decimoquarto.) Lo stesso dire si può delle Terme portoghesi illustrate da Link , le quali scorrendo attraverso terreni J77 grauitico-calcarei , contengono gli slessi ingredienti che si sono trovati nelle acque di Abano. Da questi confronti baslevolmente si comprende che le acque aponesi deb- bono prendere principio da una roccia che negli Euganei non si vede all'ester- no, ma che nulladimeuo si dà a conoscere per granito; giacché se la masegna contiene pezzi di questa roccia, e se dal granito o dal gneiss hanno uscita tutte le termali di Europa, sarà sempre ben dedotto il giudizio, che quelle ancora del Padovano abbiano la medesima origine. Ciò eh' è noto, dice il sommo Breislak, deve servire di norma per indagare ciò eh è ignoto, e molte verità geognosliche si sono conosciute per mezzo dell'analogia. [Institulions géologiques, §. 2y3.) Tali sono le riflessioni a cui ha dato motivo la curiosità di sapere da quale profondità e da quale roccia provengano le termali di Abano. Qualunque esse sieuo, o Signori, io le abbandono al vostro saggio e sperimentato giudizio. Io non bramo che di fare un passo verso la verità: se invece di avvicinarmivi mi fossi allontanato, sarò pieno di riconoscenza verso chi vorrà prendersi la cura di ricondurmi sul retto sentiero. OSSERVAZIONI Le termali aponesi attinte alla fonte hanno un sapore salato, nauseante, ama- rognolo. Chiuse esattamente in vasi di vetro, conservano a lungo l'odore e il sapore; ma se mal custodite, perdono l'odore epatico ed una parte dell'amaro, benché oltre la separazione dei gas, niun'allra apparente scomposizione succeda degli altri priucipii. Il calore è vario, secondo le varie sorgenti, e secondo la diversa loro profondità. Il eh. prof. Mandruzzato lo trovò dai 24 gradi fino agli 80 del termometro reaumuriauo, e si avvide che alla superfìcie è sempre qualche grado minore di quel che sia al fondo. Il peso specifico di alcune delle sorgenti non supera punto quello dell'acqua distillata, malgrado i sali che in esse vi sono disciolti (1). Gli spruzzi d'acqua torbida che friggendo escono dal fondo dei ricettacoli, portano fuori quella melma o brodiglia , che appena alzata di pochi pollici dal Ietto, ricade sulla stessa linea della sua elevazione, e va a formare il fango ter- (1) Le analisi chimiche instituite dal eh. prof. Mandruzzato sopra venti lihbre d'acqua presa in cinque diversi circondarli termali , fanno sapere che quattro sono gì ingredienti fissi che le compongono, con quella varietà di misura che descrive la tavola seguente : 25 r78 male (i). Questo risultò al eh. prof. Mandruzzato composto dei principi! stessi die si riscontrano nelle acque, astrazione facendo delle sostanze che sono il prodotto del successivo disfacimento di corpi organizzati che dalle sponde umi- fere della fonte cadono nell'acqua e si affondano. 11 limo termale è di tinta ci- nereo-oscura, dolce al tatto, misto talvolta a ciottolini ora calcarei ora selciosi, i quali per la loro piccolezza vengono messi in movimento dai gas e dalle polle stesse che passano attraverso la massa limosa del letto termale. I fanghi che più contengono frammenti di roccie o calcarle o selciose, sono quelli di Calaona nel Comune di Este. Questi fanghi conformati in polle, e poscia fatti essiccare all'aria, ricevono l'aspetto di una pudinga a piccoli elementi. Nel fondo delle Terme più ferventi non vi alligna pianta alcuna, ne vi al- berga verun animale; vegetano però le alghe in quelle Terme che in generale non oltrepassano il ^0° gr. di calore, e vivono le paludiue in quasi tutti i rivoli ove il termometro non segna una temperatura maggiore di 35 gradi di Reau- mur. Alcune delle alghe viventi nelle Terme euganee si danno altresì a vedere nelle acque fredde , avendo il eh. prof. Pollini osservato che la Conferva qui- nina di Mùller e la Conjugata anguìata di Vaucher, per lui vedute nelle Terme di S. Elena, si ripetono nei fossati e nelle paludi del Veronese [Biblio- teca Italiana. Tom. VII. pag. 4T7)- Lo stesso dobbiamo dire dei molluschi finora osservati nelle Terme euganee, benché ad uno di essi Linneo abbia dato il nome di Turbo thermalis. Non v'ha più dubbio che la paludina muriatica (Turbo thermalis) e la paludina impura non sieno chiocciole cui è dato di vivere tanto nelle acque calde di Abano , come nelle fredde. Io vidi la prima nell'acqua del Brenta resa salmastra per la sua vicinanza alle lagune, e la vidi Murialo Murialo Solfalo Carbonato di soda di calce di calce di calce Acqua di S. Pietro Montagnone gr. 187 24 45 '7 della Casa Nuova .... » 298 54 i36 32 » 246 44 io4 24 di S. F.lena « 166 12 34 t2 di S. Bartolommeo . . . » I 52 IO 3o 13 (1) Questo fango naturale vuoisi distinguere dal fango arliGciale che serve agli usi medici, il quale si cava dai fossati circonvicini per trasportarlo in fosse scavate nel suolo bagnato da una o più sorgenti. (Mandruzzato) 1 79 presso Moranzano, ove ricopre i sassi delle sponde; e ravvisai la seconda in uà gran numero di acque palustri delle Provincie venete (i). Nel novero dei prodotti termali dev'essere registratolo zolfo, che trovasi sotto forma di cristalli aciculari in certe cavità che vi sono ai margini di quelle ac- que, e che danno accesso ai gas da esse ahhandonati. Per quello che spelta al- l'origine dello zolfo eugaueo, pare che non si generi a secco, ma sia stato dap- prima combinato all'idrogeno, e formasse con questo gas l'acido idrosolforico. Faloppio scrisse che lo zolfo si trova in più luoghi delle Terme padovane, massime nella fredda stagione, in cui i vapori sulfurei possono condensarsi e somministrare lo zolfo; e questa sentenza del Faloppio fu poi ripetuta dal Van- delli, dal marchese Orologio, e da altri naturalisti. Il prof. Mandruzzato nou seppe sulle prime accomodarsi all'opinione di questi autori, e mise in duhbio l'esistenza dello zolfo nelle termali, non avendo egli stesso potuto verificarla iu veruna di quelle sorgenti. Ma ecco ciò che avvenne: in un taglio fatto ai mar- gini della fonte di Montiron per dare un più basso e diverso sfogo all'uscita dell'acqua, si scoprì dei vani irregolarmente intonacati di minutissime cristal- lizzazioni di zolfo ; e allora fu che il nominato eh. Professore pubblicò la sua Memoria sulla presenza di questo combustibile nelle Terme di Abano. (i) Meritano di essere lette le belle osservazioni fatte dal marchese Orologio sopra la paludina muriatica che vive copiosa nelle termali aponesi. Si avvide questo dotto che la tinta bruno-fosca non è propria del guscio , ma dell'animale che dentro vi alberga ; percioc- ché tutte le volle che separò il mollusco dal guscio, quest'ultimo gli apparì bianco-perlaceo, e dotato di molla trasparenza. Inslituì molti sperimenti per riconoscere se questi animali potevano resistere ad un calore maggiore dei 35 gradi, ove godono particolarmente di sog- giornare; e osservò che, portala la temperatura ai gradi 45, essi divenivano letargici; e che, accresciuta ai gradi 43, perivano. Ciò fatto, volle parimente riconoscere quanto fossero sof- ferenti al freddo. Valendosi di apparali molto acconci , giunse a scoprire che al grado 6 sotto lo zero gli animaletti si mantennero in vita vigorosa, e che il gi-ado io era per essi fatale, giacché tutti perirono. Ha fissalo quindi il massimo freddo da essi insopportabile fra questi due punti, e stabilì che il grado 8 sotto lo zero non sìa sufficiente per farli morire. Da tali sperimenti si apprende che gl'individui della paludina muriatica, nati e cresciuti nell'acqua a 35 gradi di calore, sono sofferenti del freddo più che del caldo. Di fallo, par- tendo dal grado 35 e discendendo fino al grado 8 sotto lo zero,ch'è il punto ch'essi possono sopportare, contiamo 43 gradi di differenza; laddove non ne abbiamo che 1 3 di aumento dal loro slato naturale al grado 48, eh' è ad essi fatale per eccesso di caldo. Ecco una diffe- renza di 43 a i3 nella forza di resistenza al freddo in confronto del caldo, cioè a dire come tre e quattro tredicesimi ad uno. i8o Non si può dire altrettanto della soda solfala e della magnesia solfata, giacche non havvi nessuna fonte negli Euganei che abbia fama di contenere questi due sali, uè io seppi mai rinvenirne le tracce. Assai più valida della mia è l'autorità del prof. Mandruzzato, il quale afferma la medesima cosa. Sopra quali osserva- zioni è dunque appoggiato il concetto, che questi sali abbondino nelle Terme aponesi? Io non ne conosco nessuna. E vero che, ove sonovi piriti, ove le rocce maguesiane non mancano, ed ove le lave mostrano di contenere la soda, si può anche trovare i sali che dalla scomposizione di siffatte rocce derivano ; ma il fatto sta, che finora nessuno dei viventi naturalisti ebbe la ventura di vedere ne in quelle Terme , uè in altre parti del Padovano, i due sali in discorso. Reca quindi maraviglia che il fu prof. Bimbiolo asserisca di avere ricavato dalle ter- mali di Abano gran copia di sale amaro e di sale di GlauberOj col fine di metterli in commercio a vantaggio della Medicina. [Giornale di Griselini. Tom. V. pag. 16, per l'anno 1768.) Giacché sono in materia aggiungerò alcune poche righe intorno al clima dei monti euganei, il quale sembra non essere lo stesso che altrove, ma più dolce. Il sospetto che la temperatura media sia nel verno più alta presso i Colli che non in Padova , si fece in me più grande tutte le volte che da questa città mi sono recato ai Colli medesimi per fare delle osservazioni, 0 per altre mie incom- benze. Non arrischierei ritrarre alcuna sicura conseguenza da ciò che ho pro- vato io stesso circa la differenza che v'ha Ira il clima di questi due luoghi; im- perocché, per aggiungere valore al sospetto che mi sono creato, converrebbe iu- slituire quelle osservazioni termometriche di confronto ch'io non ho uè il tempo, né 1 opportunità di fare . Ma poiché senza volerlo mi souo impacciato in que- sto argomento , cercherò addurre alcuni fatti che fanno fede della dolce tem- perie del clima euganeo, in confronto di quello degli altri paesi veneti. Nel giorno 2 Eebbrajo del corrente anno (i836) il signor Tommaso Pa- drecca, taxidermista dell' Imp. Regia Università di Padova, prese due ramali [Lacerta viridis Liun.) ch'ei vide solitarii lungo gli argini del Bacchigliene presso la Battaglia, e li recò vivi al Gabinetto di Storia naturale. È soggetto di maraviglia il vedere in quella stagione un rettile che negli altri paesi dello Sta- to veneto vive abitualmente assiderato tutto l'inverno e gran parte della prima- vera; e tanto pur ciò dee riuscire di sorpresa, in quanto che il freddo piuttosto gagliardo del Geunajo 1 836 continuò a farsi sentire in Padova per varii giorni anche nel F ebbra jo successivo. Se questa circostanza non fosse sufficiente per dar peso al nostro assunto, altre ne possiamo addurre per appoggiarlo mag- Ibi giormente, o per dimostrare che nei Colli padovani l'inverno viene sostituito da una tepida primavera, od almeno da un clima più clemente di quello dei paesi circonvicini; e sono queste: le piante calide che ivi allignano ad un'al- tezza di duecento e più tese sopra il livello del mare (0. Per quanto spelta alle piante, noi sappiamo che gli alberi delle vette euganee, quando fluisce l'autunno, indugiano oltre l'usato a spogliarsi delle foglie, mentre all'avvicinarsi della pri- mavera si affrettano a far pompa dei fiori alquanti giorni prima che le piante legnose degli orti di Padova diano segni di frondescenza e di fioritura. (i) Fra le piante che il eh. abate Romano incontrò fiorite sui Colli euganei , e che sol- tanto sogliono crescere in paesi più meridionali, ci contenteremo registrare qui le seguenti : Salvia viscosa. sclarea. Valeriana rubra. Polypogon monspeliense. Briza maxima. Stipa Aristella. Asperula odorata. Cynoglossum pictum. Onosma echioides Smith. Convolvulus Cantabrica. (Cresce sulle cime del monte Venda , che ha 296 tese di elevazione sopra il livello del mare.) Bupleurum ©dontites. Juncus acutus. Erica arborea. Laurus nobilis. Punica ceranatum. Cercis siliquastrum. Arbutus Unedo. Silene armeria. Caparis spinosa. Delphinium peregrinum. Lycopus exaltatus. Melitis Melissophyllum. Vites Agnus caslus. Hesperis matronalis. Xeranthemum inapertum. Aster Tripolium. Helleborine Lingua. Celtis auslralis. Diospyros Lotus. Cistus laurifolius. salvifolius. Pistacia Terebinthus ('). (') Romano. Stelle piante Jancrogume cutanee. Padoia l83l, in S.° '2.Ó INTORNO A CAJO VALERIO FLACCO PADOVANO AUTORE DEL POEMA INTITOLATO L 'JRGONAUTICA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XIII FEEBRAJO MDCCCXXVII DiL SOCIO ATTIVO ABATE ANTONIO NODARI VJirolamo Tirabosclii, nome caro e glorioso all'italiana letteratura, mi offre opportunità di trattenervi in questa Tornata, o dotti Accademici, sopra una sua opinione, dalla quale io dissento con quella riverenza che ben si deve a tanto uomo , e col solo avviso di assoggettare le mie opposte ragioni alla saviezza del vostro imparziale giudizio. Pertanto io vi trascrivo tosto quanto egli pensò del- l'Argonautìca di Cajo Valerio Fiacco. « Intorno a Cajo Valerio Fiacco vi è w contesa tra que' di Sezze che il vogliono lor cittadino appoggiati al cognome » di Setino che a lui vedesi attribuito, e i Padovani che il vogliono loro fon- » dati sull'autorità di Marziale, che speranza ed alunno della città di Ante- ri nore lo appella. Noi lasceremo, secondo il nostro costume, ch'essi contendano » tra loro, rimettendo chi sia vago di saperne più oltre alla prefazione premessa » da Pietro Burmanno alla magnifica edizione ch'egli ci ha data di questo poeta » l'anno 1724 in Leyden, ove riferisce ed esamina le ragioni cbe da amendue » le parti si arrecano. Assai poche sono le notizie che di lui ci son pervenute. » Sembra ch'ei fosse povero, poiché Marziale nell'accennato epigramma lo esorta « a lasciar da parte l'inutile poesia, e a volgersi al Foro, molto più vantaggioso. » Quintiliano ne parla in modo, che pare molta stima ne avesse, o a meglio » dire molta espettazione, dicendo: Molto abbiamo di fresco perduto in Va- i83 » lercio Fiacco. Colle quali parole sembra accennare che, se fosse più lunga- 11 mente vissuto, sarebbe ei pur divenuto un valoroso poeta; e insieme ce ne ad- ii dita a un dipresso il tempo della morte, cioè l'impero di Domiziano, in cui » Quintiliano scriveva = Di lui abbiamo un poema intorno alla celebre spedi- li zione degli Argonauti, ma non intero o percbè il poeta non potesse condurlo » a fine, o percbè ne sia perita l'estrema parte. Al qual difetto cercò di supplire » Giambattista Pio bolognese compiendo il Libro ottavo, e aggiungendone due » altri. In questo poema prese Valerio Fiacco ad imitare in parte e in parte a » trasportare dal greco in latino il poema che sull'argomento medesimo avea già » scritto Apollonio da Rodi. = Se volessimo seguire il parere di Gasparo Bar- » tio, dovremmo avere Valerio Fiacco in conto di uno dei migliori poeti dell'an- iiticbità, si grandi sono le lodi ch'egli ne dice. Ma questo autore, quanto si «mostra diligente ricercatore dei tempi e dei costumi antichi, altrettanto poco » felice giudice si dà a vedere comunemente del merito degli antichi scrittori. « E certo a chiunque dalla lettura di Virgilio passa a quella di Valerio Fiacco, ii sembra di passare da un colto ed ameno giardino a uno sterile ed arenoso » deserto. Né io penso che questo poeta debba aver luogo tra quelli che per » volersi spingere tropp'oltre abusarono del proprio ingegno, come Lucano; ma ii sì tra quelli che a dispetto della natura vollero esser poeti. E a me par di ve- li dere in Valerio Fiacco un uccello che , avendo tarpate le ali , è costretto ad » andarsene terra terra ^ e se talvolta osa levarsi in alto, non può reggersi sulle «penne, e cade. E forse nel sopraccitato epigramma, che Marziale gli scrisse, » non solo volle distoglierlo dal poetare, come da mestiere di poco frutto, ma ii ancora come da arte a cui dalla natura non era fatto. Il che pare eh' egli in- cendesse singolarmente con quelle parole: Quid libi cum Cjrrrha? quid curri Permessidos linda?» Così il Tiraboschi dà fine (') al suo parere intorno a Cajo Valerio Fiacco, cioè con una conghiettura tanto vaga e contraria al vero, che a me sembra propria- mente non abbia egli usato della sua solita matura attenzione nel leggere tutto intero questo epigramma. Io ve lo recherò come sta scritto, e perchè mi giova da questa ultima accusa incominciar la difesa, e perchè mi apre assai facile l'adito all'altro suo dubbio intorno al giudizio di Fiacco dato da Quintiliano, e poi a quello che spelta alla patria del nostro poeta. L'epigramma è il settante- simosetlimo del primo Libro. (i) Tiraboschi Storia della letteratura italiana. In Venezia MDCCXCV. Tom'. II. pa- gine 72-73. i84 O mihi curarwn pretìum non vile mearum} Flaccej Antenorei spes et alumne Loris ^ Pierios dijfer cantusque chorosque Sororunij Aes dabit ex istis nulla puella tibi. Quid petis a Phoebo? nummos habet arca Minervae: Haec sapitj haec omnes foenerat una Deos. Quid possent hederae Bacchi dare? Palladis arbor Inclinat varias pondero nigra comas. Praeler aquas Helicorij et serta Ijrasque Dearum Nil habet_, et magnum sed permane Sophos. Quid tibi cum Cjrrha? quid cum Permessidos linda? Romanum propius divitiusque Forum est. Ilìic aera sonant; at circuin pulpita nostra Et steriles calhcdras basia sola crepant. Chiuuque per poco consideri un tal epigramma, certamente avverte che Marziale ebbe per fine primario di provvedere allo stato povero di Valerio Fiacco, il quale cosi era appunto perchè alla poesia piuttosto che all'arte fo- rense applicava il suo ingegno. Egli descrive il costume de' suoi tempi ai poeti in ogni età quasi comune , cioè quello di profondere loro applausi e lodi in luogo di utili compensi. Che poi sia fallace la interpretazione del verso Quid tibi cum Cjrrha? etc.j ben lo s'intende dall'altro verso con tutta chiarezza espresso: Pierios differ cantusque chorosque Sororum; in cui Marziale, co- noscitore della poetica vena di Fiacco, lo eccita non già ad abbandonare la poe- sia, come s'immagina il Tiraboschi, ma si bene a differire alquanto il geniale suo studio, perchè prima pensasse alle necessarie cose famigliari ed ai convene- voli agi della vita. E più evidentemente ancora si scorge nei versi susseguenti; che quel Quid tibi cimi Cjrrha? etc. non ha il significato datogli dal nostro Cavaliere, cioè: Che hai tu a fare con Cirra? ma sì veramente: Che utile tu traggi da Cirra? Quid tibi cum Cjrrha? quid cum Permessidos linda? Romanum propius divitiusque Forum est. Illic aera sonant; at circum pulpita nostra Et steriles calhedras basia sola crepant. Né maggior forza aver può l'altro dubbio intorno alla sentenza di Quintilia- no, ch'egli vuol dettata più per espettazioue, che per valore di merito. Nuper i&5 in Valerio Fiacco multum amisimus (0. Bisogna disconoscere l'ingenuo e pesalo stile di quel dotto maestro, per interpretare di questo modo un giudizio che da se apertamente si spiega, senza uopo di alcun commento. Quando Fabio afferma che Roma perdette molto in Valerio Fiacco, vuol dire che il nostro poeta avea dati saggi cosi luminosi del suo inspirato ingegno da farne sentire tutta l'acerbità della morte di lui, che tanto meritò sin dagli anni più verdi, e vivendo potea assai più meritare dell'arte poetica. E poi come può il Tiraboschi aggiungere che l'assennato Quintiliano con queste parole accennò, che se Fiacco fosse più lungamente vissuto, sarebbe ei pur divenuto un valoroso poeta; quando per suo peusiere Fiacco nelYArgonautica volle essere un poeta a dispetto della natura, ec. ec? Egli è certo che un tal uomo non riuscirà giammai valente in poesia. Adunque fa mestieri inferire: che o Quintiliano fu d'assai grosso ingegno nell'elogio quanto più breve altrettanto più pieno onde onorò Valerio Fiacco; o che, siccome par cosa più acconcia, ripugna la inter- pretazione aggiunta alle sue parole dal celebre storico dell' italiana letteratura. In quanto appartiene alla patria del nostro poeta osservo, che come prudente fu il consiglio del Tiraboschi nel rimettere i curiosi al Burmanno, così a lui era facile ed anco dicevole il decidersi per Padova , invece di dubitare che possa essere slata la picciola Sezze nella Campania. Io non mi dilungherò in su tal punto; perocché Marziale, contemporaneo ed amico di Valerio Fiacco, è da anteporsi a qualsiasi altro testimonio o critico posteriore. Nel sovraccitato epigramma così scrive : Flacce j Antenorei spes et alumne Laris. Nel sessan- tesimosecondo dello stesso Libro, che il Tiraboschi trascura di ricordare, per guisa determina la patria di Fiacco, che a dinegarla sarebbe d'uopo contraddire che Padova o la sua provincia non sia stata patria di Tito Livio e di Lucio Aruncio Stella; anzi converrebbe professare tal pirronismo, da non credere più patria di Catullo Verona, di Virgilio Mantova, con tutte le altre città e luoghi nominati in questo epigramma , che sono la patria ben nota di que' celebri let- terati e filosofi. Compiacetevi di udire a parola riportato un tale componimento,, indìritto al suo amico e concittadino Liciniano. Verona dodi sjllabas amat Vatis; Marone felix Mantua est. Censetur Aporia Livio suo tellus, Stelldque nec Fiacco minus. (i) Inslitutìon. Lib. X. Cap. E. a4 i8G Apollodoro plaudit imbrifer Nilus ; Nasone Peligni sonant; Duosque SenecaSj unicumque Lucanum Facunda loquitur Corduba. Gaudent jocosae Canio suo Gades; Emerita Deciano meo. Te, Liciniane, gloriabilur nostra, Nec me tacebit Bilbilis. A parer mio è da riputarsi questo epigramma più una storica memoria della patria dei sovrallodati uomini illustri, che un poetico lavoro. Pertanto io ferma- mente tengo padovano di patria l'epico Valerio Fiacco. Che se ciò è, cosi mi ajuti la patria carità com'io bramo di provare che il Bartio , benché straniero, ebbe assai miglior senno nel suo giudizio sopra Valerio Fiacco, di chi nazionale gli tolse o cercò di oscurare la molta sua gloria in una maniera affatto ingiuriosa. Imperocché vera ingiuria è l'affermare che il poema di Valerio Fiacco sia uno sterile ed arenoso deserto; ch'egli è un poeta a dispetto della natura; e che si mostra simile ad un uccello, che colle ali tarpale o deve andarsene terra terra, o levandosi in alto cadere. So che l'autorità d'un Tiraboschi è contro me un'avversaria assai potente; ma so ancora, che presso Voi ha maggior forza la ragione. Da questa guidato, mi fo a dimostrarvi che il nostro Fiacco fu per immaginazione, per sentimento e per istile un epico poeta informato dalla natura e perfezionato dall'arte cosi, che più d'ogni altro epico latino ac- costa il sommo Virgilio. E siccome nelle cose primamente, e poi nella esposizione la essenza e le forme consistono d'ogni genere di poesia; però a dinotarvi che Valerio Fiacco fu davvero un eroico poeta, io comincierò da breve, ma quanto più per me si potrà completa analisi di tutto il poema che di lui ci resta; e quindi vi recherò alcuni saggi in diverso stile esposti e lavorati. Dalla nuda e semplice narrazione dei poetici avvenimenti da esso inventali, o d'assai migliorati, potrà ciascun di Voi vedere se d'epico ingegno vada egli fornito. Laonde ho in animo di abboz- zarvi le primarie tinte di questa eroica tela con altri colori, cioè coi nostri e comuni, affinchè la essenza poetica, anche spoglia delle sue forme, ingenua e bella risplenda. Tanta è la mia fiducia che si avveri anche nel caso nostro quanto di Ennio pronunciò un giorno Orazio allorché disse, che non già nella Versificazione, ma si nel concetto sta posta la vera poesia; di modo che se pur quella si sciolga, rimane in questo la natura poetica. 187 . ... Ut si solvasi postquam discordia tetra Bellis ferratos postes, portasque refregit: lnvenias edam ciisjecti membra poetae (>)• Dichiaro alla fine, che oltre la necessità di questa precipua prova contro il Tiraboschi, anche la mancanza di siffatta analisi in tutti i commentatori da me trascorsi m'impegnò viemaggiormente a vincerne la molta fatica colla dolce speranza ch'essa tornar debba utile a meglio intendere e a parte a parte gu- stare l'intero poema. ANALISI BELL' ARQONAUTICJ DI CAJO VALERIO FLACCO PADOVANO LIBRO PRIMO. Colla semplice chiarezza prescritta da Orazio, e avanti di lui praticata da Omero, il nostro Fiacco propone l'argomento del suo poema, cioè gli stretti di mare primamente fatti accessibili agli Argonauti, e la fatidica nave, che trapas- sando le mobili e fino allora impenetrabili rupi cianee , osò di entrare nello scitico fiume Fasi, ed alla fine venne aggiunta nuova costellazione all'Olimpo. Segue la invocazione di Febo, eh' è tutta particolare al poeta, ed un'apostrofe assai insinuaulesi a Vespasiano. Quinci espone brevemente la causa dell' argo- nautica spedizione. Pelia, gravoso e lungo spavento ai popoli della Tessaglia e della Macedonia, zio del valoroso giovine Giasone, atterrito dagli aruspicii e dai vaticinii, vuol perdere un tal nipote; ma con finissimo accorgimento, eh' è quello di additargli un nuovo e lontano campo di gloria, in cui dovesse neces- sariamente soccombere. Adunque lo chiama a sé, e colla simulazione di volto cortese e di lusinghiere parole l'eccita a vendicare la morte de' suoi congiunti Frisso -ed Elle, veleggiando alla volta della Colchide a fine di riavere il tessalo \ elio d'oro, futura ricchezza e felicità della patria. Giasone, ancorché di verde età, s'accorge della frode e dubita fra se, fino a tanto che la gloria e la religione lo esortano e l'infiammano alla generosa conquista. Supplice invoca l'ajuto di Giunone e di Pallade, giacche nel favore di queste Dive sa che tutta può con- sistere la sua forza e il suo consiglio. Accolti i voti, Pallade discende iu Tespia città della Beozia, ed ordina ad Argo la nave. Giunone sparge per le città della (1) Horatius Lib. I. Sat. IV. v. 6o-63. i88 Tessaglia e della Macedonia il grido della gloriosa spedizione. Un comune disio di fama e d'onore convoca insieme il più bel fiore e nerbo dei greci eroi. Tra questi v'accorre il primo Ercole; ne può impedirnelo la implacabile matrigna, perchè la primaria gioventù greca insieme unita e la nescienza del comando a lui dato da Euristeo per questa impresa la rattengono dall' adunargli contro i venti e le procelle. Però volge altrove il guardo, e propriamente là dove si fab- bricava la nave, a cui Pallade metteva in sulle antenne le vele. Intanto ad Argo già costrutta e finita si aggiungono varie pitture, tutte opportune e maestrevol- mente adombrale. Ma Giasone non si vede ancora sicuro; che anzi tenero de' suoi genitori, vuole almeno aver seco Acasto figliuolo di Pelia. Un'aquila con lièto augurio gli accerta questo disiato conforto. Nel mentre ch'entra la reggia del tiranno, per caso s'incontra in Acasto, a cui ingegnosamente persuade di seguirlo in così nuovo e meraviglioso cimento. Questi gli dà promessa di farlo anche senza la saputa del padre. Allora Giasone iuvita i raccolti compagni a trasferire la nave nel mare. Lo che felicemente eseguito fra gli applausi dei lieti eroi e la dolce armonia della celerà di Orfeo, s'innalzano altari e si scan- nano vittime ai principali Numi dell'onde. Divota e fervida suona la preghiera del duce al sommo Nettuno. Senonchè il vate Mopso terribile in viso spaventa con sinistre predizioni quell'animoso drappello. Ma il placido augure Idmone lo riconforta, e si passa a lieto banchetto. Chirone allora conduce al padre Pe- leo il fanciullino Achille , dalla cui fronte traspira e brilla il futuro valore. Giunge la notte, ed Orfeo acconciamente canta agli Argonauti l'infelice fine di Elle e di Erisso, e gli accende vieppiù alla vendetta, ed alla riconquista del Vello d'oro. Poi tutti si danno al riposo. Il solo Giasone veglia, che grave cura l'opprime nell' abbandonare i vecchi genitori in balia del crudele suo zio. La quercia dodonea, posta da Minerva a tutela della nave, si presenta a lui appena preso da leggier sonno, e lo sollecita a sciogliere le vele, promettendogli l'ajuto dei Numi maggiori ed il suo. Spunta l'aurora, e gli eroi si congedano dai pro- prii parenti. Il distacco di Giasone da' suoi genitori è dei più teneri e vivi. Poi segue il novero degli Argonauti ch'entrano nella nave, e danno di piglio al remo, od attendono ad altri convenevoli uffizii. Sono tutti variamente descritti dietro i particolari loro caratteri, o natali o virtù. Si sciolgono le funi, e le ma- dri e le mogli ed i parenti coli' affollato popolo riguardano tra i sospiri e l'am- mirazione la nave fino a che dai loro occhi non mai sazii si dilegua. Giove dal cielo applaude a tanto ardimento, e gl'Iddii tutti, nonché particolarmente le Parche. Il solo Febo se ne mostra dolente, perchè gli sta a cuore Eeta suo i89 figliuolo, re della Colcliide, e per lui prega Giove. Questi risponde che al Fato non si può resistere, e eli' era ornai giuuto il tempo nel quale i Greci doveauo penetrar quelle terre, e via portare la figliuola di Eeta insieme al vello d'oro. Però non si attristasse, poiché avvenuto pur sarehhe che un pastore d'Ida avria rapita un'altra douna greca, sterminio del trojauo impero, e in seguilo succederebbero altri avvenimenti or favorevoli a questa nazione ed or a quella: che tal era il volere dell'immutabile Destino. Ciò detto, abbassa le folgoranti pupille sui generosi Argonauti, e giù manda dal cielo una fiaccola, che coi di- vini suoi raggi gli accende e rincora. Il freddo Borea sdegnato contro la fortu- nata nave ricorre ad Eolo, ed ottiene che questi sprigioni i Venti , i quali agli estremi pericoli traggono gli Argonauti, e solamente da Nettuno possono essere placati, e risospinti alla lor carcere. Teti e Nereo ristorano lo squassato legno, e Giasone pietoso offre una libazione al gran padre dell'onde, e fa volo d'in- nalzargli sculta la sua immagine in tutte le città dell'Emonia. Ogni cosa è tran- quilla. Quando all'animo del lessalo duce si affaccia il terribile sospetto che Pelia irritato per la occulta partenza di Acasto infierisca contro gl'innocenti suoi genitori. Ne s'ingannò quel sentimento filiale; perciocché il tiranno, mon- tato in furore, medita la più cruda e presta morte a quei miseri parenti. Frat- tanto Alcimeda seguita da Esone offeriva al tartareo Nume edalle Ombre dello Stige.un sagrifizio, ed invocava alcuno dei consanguinei antenati a significar loro che n'era di Giasone. Creteo padre di Esone apparisce, e li conforta ri- spetto al figliuolo, il quale naviga sicuro, e ne tornerebbe trionfante. Ma gli atterrisce rivelando la pronta e fiera vendetta contro di essi già preparata dal- l'inesorabile tiranno. Indi gli esorta a discendere volonterosi tra le anime pie dell'Eliso. Esone è in dubbio che far deggia ; ma animato dalla voce e dalla preghiera della stessa moglie, s'accinge ad immolare il nero toro; e coltolo per le corna, prima di scannarlo invoca le anime benedette dei pii, perchè li rice- vano nel bealo giardino; e poi chiama Astrea, perchè li vendichi delle ingiuste crudeltà e dei danni sofferti dall'empio fratello; e poi impreca a costui l'ultima maledizione, e le pene più barbare e lunghe: alla fine immola il toro. Egli il primo avvicina alla bocca il veleno, che a lui ed alla moglie appresta la mas- sima tra le Furie, e muojono insieme. Entrati i ministri del despoto, li trovano estinti; e ad essi pure aggiungono acerba vittima l'imberbe figliuolino, che spa- ventato ed attonito sfavasi sul limitare. Crudele invero e tragico avvenimento, che il poeta però allevia dipingendo tosto la quieta e gioconda amenità dell'Eliso, dove Creteo conduce il figliuolo IfJO € la nuora, mostrando pur loro a sinistra la porta dell'Averi»), per cui Pelia discenderà dannato al più duro ed eterno supplizio. LIBRO SECONDO. Giunone si adopera con ogni maniera di previdenza perchè non giunga la fama di tanta sciagura a Giasone, il quale navica felice verso Lenno. La varietà poetica, congiunta colla geografica esaltezza, diletta insieme ed addottrina il lettore, che dalla Tessaglia a Lenno vuol conoscere l'isole e i principali luoghi intermedii , e le memorande avventure in essi accadute. Gli Argonauti avean già trascorsa Pallene, orrenda rupe degli affogati Giganti, allorché buja notte loro nasconde ogni cosa, e vi sparge alto spavento. Pur si tranquillano dopo una dotta parlata dell'astronomo Tifi; e rinfrancate le forze col cibo e col vino, s' accostano a Lenno. E qui con molto avvedimento il poeta descrive Vulcano giù precipitato dal cielo, e soccorso da questi isolani; il culto che più solenne gli si offerse quando nuovamente fu accolto nell'Olimpo; e l'abbandono dell'ara di Venere dopo l'onta sofferta delle catene con Marte. Egli è però che la sde- gnala Diva anela alla vendetta, e ne coglie il destro appunto allora che quei di Lenno aveano sconfitti i Traci, e via conduceano le lor donne quali schiave. Ella si tramuta in Furia, e va in cerca della Fama, e la manda ad invasare il petto di Eurinome moglie di Codro sotto le mentite spoglie della sua amica iNeera, e poscia col mezzo di questa fa sedurre tutte le altre, divulgando ovun- que che le tratte donne dalla Tracia non saranno già schiave , ma si bene pa- drone di quelle di Lenno. Odesi in prima dubbioso bisbiglio, poi romoreggia femminile trambusto, finalmente infuria gelosa mania. Venere sotto la forma di Driope si fa loro innanzi, già tutte uscite dalle stanze maritali e paterne, e fie- ramente le inaspra e dementa per guisa da trarle nella ferma risoluzione di un generale ammazzamento di tutti i maschi. L'accordo è giurato. All'arrivo degli uomini a Lenno si finge allegrezza e tripudio, si banchetta a notte avanzala , e quindi nel primo sonno si comincia l'orrenda strage. Ciprigna ne dà prima 1 esempio, e tutte le altre alla foggia di tigri uccidono e sbranano padri , mariti e figliuoli. La sola Tssifile risparmia la vita al genitore Toante, e Io salva con fuga industriosa. Ella poi sa di maniera coprire la pietosa azione, che merita d'essere trascella a regina. Appena siedeva in soglio, che arrivano gli Argo- nauti, i quali, mercè di Venere placata da Vulcano, e degli avvisi dati alle donne di Lenno dalla profetessa Polisso , vengono invitati da Ifinoe ambascia- trice a discendere dalla nave, e sono ospitalmente accolti dalla femminile signo- ria di quell'isola. Ma no '1 fosse stato mai; perocché gli Argonauti divennero d'un tratto effemminati per troppa mollezza e lusso. Alla prima mensa regal- mente imbandita Issifìle arde d'inusitata fiamma per Giasone, che la ricambia con altrettanta. Le Plejadi colle lunghe lor pioggie e burrasche prolungano la dimora. Venere e Giove medesimo ne sono la cagione. Ercole, che slette per ben quattro mesi mai sempre fermo nella nave, risveglia il primo valore, ed acremente punge il lessalo capitano, e lo sprona alla più pronta partenza. Ne segue il pianto e la costernazione delle donne di Lenno. Or quanto tenero, allretlanto nobile si presenta il distacco d' Issifìle dall'eroe Minio; che questa con miglior senno di Didone resta in vita, e con maggiore speranza e più leale fortezza a lui fra gli altri doni offre una spada ', che in vece sua gli sia compa- gna nella pugna, e gli augura il presto ritoglimenlo del Vello, e benedice al suo ritorno per l'infante Giasone, che a lei già madre lasciava dolcissimo pegno del suo fedele amore. Continua la geografica descrizione sino a Samo, dove gli Ar- gonauti sono iniziali ai treicii misteri. Indi oltrepassate altre citlà e l'isola Em- bro , vanno a fermarsi nel porto Sigeo. Qui Ercole scostatosi alquanto dalla naye con Telamone, vede il miserando spettacolo della esposta Esione alle fauci ingorde della Pristi marina. Ei vuol saperne il perchè, e chi ella sia. La pudi- bonda e dolente verginella lo mette a parte di tutto colle più affezionate ed eloquenti parole. Già il mostro giganteggia sull'acqua, ed Alcide con un valor tutto suo dopo lunga inutile battaglia finalmente l'opprime con uno smisurato sasso, e poi colla nodosa clava raddoppia di guisa i colpi, che lo esanima e spegne. Tutti n'esultano, e danno nuovi applausi al nuovo eroe. Laomedonle re di Troja, e padre della salvata vittima, non volle attenere in fatto la pro- messa del dono, ch'erano i cavalli da divino seme generati; anzi medita di uc- cidere Ercole a tradimento. Ma questi non accetta l'invito di entrare nella reg- gia, e contento di ricevere il presente al suo ritorno, risale la nave coi compa- gni. Vanno all'Ellesponto; ed Elle medesima, già fatta diva marina, si affaccia a Giasone, e gli narra il suo tramutamento, e lo eccita a praticare funebri espiazioni al sepolcro del fratello Erisso, e svanisce nelle onde. Giasone la prega di sua protezione; e correndo oltre i gioghi di Percote e Patio e Pitia e Lam- psaco , approda al regno di Cizico^ tra l'Ellesponto e l'Eusino. Questi accoglie con ogni liberalità gli eroi, e precipuamente Giasone. Dà loro contezza dei truci Pelasghi, i quali non cessano mai di tribolarlo colle scorrerie e colle rapine. 11 tessalo duce lo conforta, e valoroso brama che in quella stessa notte vengano '92 pure codesti barbari alle prove, perete possano essi dimostrare a fatti la propria gratitudine, ben dovuta alla di lui generosa ospitalità. LIBRO TERZO. Dopo tre giorni gli Argonauti si congedano da Cizico nel modo più tenero ed amico. Ora con grande senno il poeta invoca Clio, perebè gli disveli la ca- gione onde Giove ed Erinni abbiano eccitata cosi sleale e sanguinosa battaglia tra questi ospiti ingannati ed infelici. Propizia gli fa intendere la Musa, ebe ciò avvenne mercè di Cibele , la quale volle prendere mortale vendetta di Ci- zico , die aveale ucciso un leone , e ne sospese le giubbe alle imposte della porta. La Dea infonde il sonno nel petto di Tifi e degli eroi , e la nave rivol- gesi indietro, e ritorna al porto di Cizico. I placidi abitatori della città credono d' essere assaliti dai solili Pelasgbi , ed allo squillo della tromba accorrono alle armi. Pane, mandato da Cibele e da Bellona, suscita ovunque il trambusto ed il furore di guerra. Le tenebre impediscono lo scambievole riconoscimento. Si accende la zuffa, nella quale va distinto il valore dei primi Argonauti. Giasone trafigge di propria mano lo sconosciuto suo ospite ed amico Cizico. Giove mette tregua alla pugna. Al primo albeggiare del giorno apparisce l'inganno. Giasone prega e scongiura i fuggitivi a soffermarsi. Una disperata confusione agita gli animi dei Minii, ed in particolare del loro duce,cbe sé riscontra l'uccisore del benefico re , e prorompe nelle querele più flebili e forti , ebe mai ascoltar si possano in tal caso da un amico e da un eroe. Altronde si odono i lamenti e gli ululati di Clile fresca moglie a Cizico, dal quale non avea ancora ottenuto un figliuolino, ad immagine e ricordanza dell'amato suo sposo. Una scena co- tanto luttuosa ba fine colla descrizione della solenne sepoltura data al compianto monarca. Gli Argonauti per la mestizia non sanno risolversi di dar le vele al vento, e Giasone n'è il più dolente. Però chiama il vate Mopso, e lo invita a spiegargli la causa di questo involontario misfatto, e a dirgli il come si potrebbe farne espiazione. Mopso dottamente dichiara il futuro stato delle anime dopo morte, ed insegna il modo con cui placare si doveva lo Stige, ed astergere sé medesimi da tanta colpa. Ciò praticato, si mettono al mare ed appressano ai vicini lidi della Misia. Ercole seguito da Ila discende a terra, e penetra il bosco per provvedersi d'uu nuovo remo, giacché avea poc'anzi rotto il suo. Giunone prende tale opportunità per condurre a disperazione l'odiato Alcide. Pertanto con ingegnoso trovato persuade a Pallade di recarsi nella Colchide ad Eeta, i93 per avvertirlo del presto arrivo ili suo fratello Perseo , che con grossa e forte armata moveva contro (li lui. Tolto cosi ad Ercole il soccorso di Pallade , in- fiamma la ninfa Driope di subitaneo amore per Ila. Poi porge occasione a que- sto leggiadro giovinetto d'inseguire per lunghi e tortuosi viali un cervo, il quale lui stanca col celere corso, e si soltragge alle sue brame passando a nuoto la corrente d'una fonte. Ila già sfinito si getta supino sulla sponda. Driope in tale atteggiamento lo sorprende, lo piglia, e facilmente via seco lo tragge, mentre indarno chiama Ercole, che lo crede già tornato alla nave. Quando poi Alcide non trovò ivi più Ila , rivola tosto in cerca di lui , e furioso erra e corre qua e là per tulli quei luoghi. I Minii sono in grande pensiero per la costernazione di Ercole, e più degli altri Giasone , che lo riguarda a buon dritto come il più ardimentoso e valente. Giunone manda Zefiro ad agevolare la partenza. Tifi anima il capitano ed i compagni a cogliere il favore del vento. Giasone è co- stretto di convocare a consiglio gli Argonauti, perchè decidano se meglio giovi il partire, o l'aspettar Ercole. Telamone è di parere che si aspetti. Meleagro gli si oppone con veemente parlata. Quegli sostiene con energica forza di ragioni la sua opinione. Alla fine il volo dei più è di andarsene. Intanto Ercole più non rinviene né Ila ne i compagni, ed assomiglia ad un leone, che fieramente corruccioso per la prole rapita si sta ritto in sulla strada , lungo terrore ai chiusi e veglianti castellani: il dolore gli rilira entro la fronte i torvi suoi oc- chi; e domo da miserabile lutto, si lascia giù cadere abbandonata e sordida pel dorso la giubba. LIBRO QUARTO. Chi poteva prestare un qualche sollievo ad Ercole cosi acerbamente trattato da Giunone? Il solo Giove. E quindi ch'egli, impietosito di lui, fa cera brusca alla moglie, e forte ne la rampogna. Poi con rugiadoso nettare addormenta Alcide, che ognora avea in bocca il suo Ila, e ne assorda le selve. In questa dormizione ei vede presente lo stesso Ila, il quale con brevi ma affezionatissime parole lo risto- ra e rinfranca a sostenere l'irreparabile distacco. Egli si sveglia, e lameuloso vol- ge i passi verso Troja. Intanto Giove, pregato da Latona, da Diana e da Apollo in cielo, e stancato pur dalla voce di Japeto , che manda alti preghi fin dal- l'Acheronte, sebben l'Erinni gl'impedisca il pregare, invia Iride ad Ercole per- chè lo indirizzi al Caucaso, a fine di liberare Prometeo dall'aquila o dall' avol- tojo che gli divorava le viscere. Dopo questo episodio assai ingegnoso naturai- »94 menle il poeta torna agli Argonauti, che quantunque lontani da Ercole, pure non possono dimenticarlo qual primo loro nerbo e sostegno. Al sorgere del sole toccano la Bitinia,ove signoreggiava il re Amico senza mura e senza leggi. Barbara costumanza e dispotica violenza esigeva che immantinente fossero uc- cisi tulli i forestieri di brutte forme e di forze inferme. Che se poi avessero bella e robusta corporatura, erano sfidati alla lotta, né poteva alcuno sfuggire dalle mani del prepotente tiranno. Nettuno suo padre ne prevede la morte, se ne querela ; ma gli conviene cedere al Destino. Giasone fa spiare quei luoghi. L'esploratore Echione si abbatte ad un giovine estremamente addolorato, che seco conduce al Capitano, il quale lo stringe con varie interrogazioni a confes- sargli il vero. 11 giovine lo esorta e prega a tosto discostarsi da quelle spiagge, per la inusitata forza e crudeltà del re Amico. Gli Argonauti non se ne lascia- no persuadere. S'inoltrano in terra, e li conturba alquanto una spelonca, per- chè dagli esterni suoi dirupi pendono a cento a cento i teschii, le braccia e le ossa scarnate degli ospiti pesti e trucidati. Polluce se ne mostra fra gli altri im- perturbato, ed incoraggia di maniera i compagni, che tutti a gara disiano di venire alle mani con quel mostro. Si avanza costui fra tutti gigante, e minac- cia agli eroi la morte. Polluce previene ogni altro; e coll'ignudo petto si azzuffa da generoso col nemico, che al vederlo giovinetto se ne prende beffe. Dopo lungo e valoroso combattimento, con moltissima arte e calore pennelleggiato, alfine Polluce atterra ed uGcide quel despoto. Vien dietro un allegro banchetto fra le grida e gli onori tributati al vincitore; e in sul far del giorno si ridanno alla navigazione. Toccano il Bosforo, ed Orfeo canta loro la favola d'Io cangiata in giovenca, e malmenata da Argo per comando di Giunone; e finalmente ag- giunta ai Celesti da Giove, e divenuta protettrice degli Egiziani col soprannome di Bosforo al mare, dove fu ella trasformata in Diva. Quinci approdano ai lidi di Fineo sozzamente infestato dalle schifose Arpie. Questi benevolo e lieto gli accetta, perchè qual vate sapeva che al loro arrivo dovea esser liberato da quei mostri insaziabili. Prima in modo profetico parla a Giasone, e poi gì' imbandi- sce la mensa. Giù calan le Arpie ad insozzare i cibi ed a rapirli. Gli Argonauti le combattono, e primamente i congiunti di Fineo Calai e Zete si le perseguono e fugano, che son costrette ad interporre l'autorità di Tifone lor padre, perchè i due eroi cessino dall' infierire contro di esse. Questi fatti sicuri della promessa data da Tifone, che le Arpie più non tornerebbero ad inquietare Fineo, rico- verano ai compagni. Si allestisce nuovo convito, in cui dopo tanti anni di notte e di digiuno ha potuto Fineo assaporare le vivande ed i vini. Finito il ban- i95 chetto, Giasone prega quel vate a predirgli i futuri avvenimenti. Fineo volen- tieri l'asseconda, e partitamene gli rivela le future vicende. Poi prendono ami- chevole commiato, e dirigonsi alle coste cianee, nuovo e mass.mo ostacolo alla loro spedizione. Gli Argonauti qua giunti devono far prova d'uno straorzano ed invitto coraggio per superare gli ultimi pericoli loro frapposti da due alt»- i . .V.o mollili nra soo^«n« insieme, ed or SI 01- sime rupi non mai oltrepassate, che ^^issimi .^^ ^ ^^ ^^ staccano, nejasgijirifjjgppjjj. l'eroiclle. Pertanto è necessario l'ajuto di Giunoue e di Pallade, perchè in un attimo le possano trapassare. Vinto cotanto cimento, entrano nelle spiaggie di Mariandiuo lunghesso l' Eusino, dove sono accolti e liberalmente trattati da Lieo re di questo paese, che loro si mostra in singolare maniera benefico e largo , perchè lo aveano vendicato di Amico tiranno della Bebricia, e suo terribile nemico. LIBRO QUINTO. Il soggiorno di questo paese è funestato dalla morte dell'augure Idruone, e poi da quella di Tifi reggitor della nave. Giasone n'è assai commosso, e con tenero lamento ordina che tutti e due vengano sotterrati nel medesimo sito colle maggiori funebri esequie. Ergino succede a Tifi. Intanto la Fama discende alle Ombre degli estinti eroi , ed annuncia il primo passaggio delle rupi cianee praticato dagli Argonauti. Queste ne invidiano la gloria, e mandano Stendo a riconoscerli; che appena li vide, tosto vien risospinto nel Caos. Mopso vuol che si sparga vino sul sepolcro di Stenelo, ed Orfeo canta versi di pace alle Ombre. La nave segue il suo corso, ed arriva a Sinope. Là i Minii s'incon- trano a tre compagni di Ercole, che accolgono in nave; e nel viaggio accostan- dosi alla terra delle Amazoni, che in grande fretta trascorrono dietro il consi- glio di Fineo , ama Giasone di sapere dai tre seguaci di Alcide la incredibile vittoria che sopra queste feroci donne riportò quell'eroe. Si descrivono le isole ed i paesi frapposti fino al Caucaso con una proprietà poetica eh' è veramente particolare al nostro autore. Su quest'ardua montagna o scoglio ammirano l'im- presa d'Ercole, che avea già liberato Prometeo dai morsi dell'aquila o dell'avol- tojo. Finalmente, scortali da Giunone e da Pallade, penetrano nel fiume Fasi, e veggono il sepolcro di Frisso e la statua di Elle. Giasone liba una tazza di vino all'Ombra consanguinea, e prega lui e la sorella già Diva del mare ad ai- tarlo per quelle spiagge e paludi, e soprattutto al felice passaggio del Fasi, ed i96 alla conquista del Vello d'oro. Frisso gli comparisce in sogno, e lo accerta della vittoria e del Vello. Quinci il poeta lasciando gli Argonauti si rivolge alla Musa, e la prega a cantargli quanto accadde di tristo nella Colcliide; e le terribili av- venture di Eeta dopo la morte di Frisso; e la spaventosa apparizione di questo a quell'ingiusto re; e la discesa dell'angue minaccioso dal Caucaso; e la volontà del SOmmr» conn-l-- . ' ' T ^ 1 1 _ „, - ,, f0sse rimandato il Vello nella Tessaglia ; '.Tg^'if™0 fratell° P-seo, perchè tueiia mussagli da Perseo; e l'alte succedute stragi sotto le mura stes'se al Coleo. Nel punto in cui si fece breve tregua fra Eela e Perseo per bruciare i cadaveri, Giasone discende a terra poco lontano da Coleo. Giunone e Pallade consultano insieme qual dei due fratelli debba essere sostenuto dagli eroi tes- sali, e si decidono per Eeta. Il duce degli Argonauti pensa al modo di presen- tarsi al re della Colcliide, ed anima i compagni al coraggio ed alla costanza. Aveva il re Eeta giovine figliuola, in cui gareggiava l'ingegno coll'avvenenza, di nome Medea. Fu essa nella notte conturbata da fosco sogno, che le adom- brava tetramente i suoi orrendi avvenimenti. Di buon mattino si leva dal letto, e colla nudrice e con altre compagne s'indirizza al fiume Fasi per una divota espiazione. Scorge da lungi gli Argonauti, e rivolgesi trepidante alla balia, che . la conforta dicendole essere questi di nazione greca , perchè vestivano alla ma- niera di Frisso. Giasone si presenta a Medea , e colle più riverenti parole le si raccomanda a volergli insegnare il mezzo di ossequiare il re. Ella cortesemente gli risponde, e per via d'una sua ancella lo fa condurre al tempio di Febo. Giunone ricopre con una nube il tessalo capitano, perchè non sia osservato da alcuno. Giunto al tempio, finché attende Eeta mira da Vulcano scolpiti quinci Atlante, quinci le Plejadi; e qua l'origine di Coleo -avuta da Sesostri, ed il cambiamento delle vesti egiziane nelle sarmatiche; e là Faside che insegue Ea, la coglie, e la stringe entro le sue onde. Poi vi sono le sorelle di Fetonte, che lo piangono estinto; e finalmente vede ivi pure effigiata la nave di Argo, il Vello d'oro ritolto ad Eeta dai Greci, e Medea che fugge, e le altre atroci azioni commesse da questa infelice donna, che quantunque ancora non fossero ben comprese da quei di Coleo, erano però comunemente abborrite ed odiate. Frat- tanto Eeta col figliuolo Absirto e coi senatori entra nel tempio. Si dilegua la nube, ed apparisce Giasone. Quei di Coleo danno segni palesi di perturba- mento. Fermato ogni mormorio, il tessalo Capo dichiara la causa di sua venuta, ed in modo ospitale ugualmente che grave domanda dal re il Vello, promettendo di ricambiamelo con altri generosi presenti. Eeta freme, e brama istantanea x97 vendetta. Ma lo atterrisce il voler del Destino, e la guerra contro lui portala fin presso le mura della città dal fratello. Usa però della più scaltra simulazio- ne, e chiede prima soccorso dal giovine eroe contra di Perseo. Giasone manda a chiamare i compagni, che pronti volano al tempio. S'apparecchia squisito banchetto, nel quale Giasone narra brevemente i corsi pericoli, e desidera d'es- sere instrutto del nome e del valore dei capitani che circondano Eeta. Questi v lo etmxiuVe con molto artifizio. In quel mentre Marte tornando da^li antri sime lamentanze, precipuamente per l'ajuto dato a Giasone da Giunóne e da Pallade. Quest'ultima gli risponde alteramente; e Giove cerca di tranquillar Marte; e lo consiglia a rispettare il Destino. Poi imbandisce lauta mensa al- l'intera corte degl'Iddìi e delle Dive, nella quale opportunamente le Muse ed Apollo cantano la pugna di Flegra. LIBRO SESTO. Marte non può acchetarsi, anzi rivola nella Scizia , ed alza dappertutto il terribil segno di guerra. Svegliansi i Capi collegati con Perseo. La fama loro annunzia l'arrivo dei Tessali, ed il pattuito congiungimento con Eeta. Perseo avvisa di mandare ambasciatori agli Argonauti, perchè gli ammoniscano del preso inganno. Ma ciò è impedito da Marte, che comincia la più aspra ed osti- nata battaglia. E qui leggesi una quanto varia altrettanto corta, vivace ed eru- dita descrizione di tutti gli eroi che stavano sotto i vessilli di Perseo. Marte e Tisifone sono i primarii difensori di questo. Absirto , e Stiro promesso sposo a Medea, sono i duci di Eeta. Giasone coi Greci e con Pallade assistono alla pugna, ma da principio non ne sono che semplici spettatori. Segue il combat- timento con tanta energia, calore e dissomiglianza descritto, che non la cede, a mia opinione, ad alcuno di quelli d'Omero. I Minii s'intromettono nella bat- taglia, e danno pruove meravigliose d'eroica intrepidezza. Pallade li giova par- ticolarmente nel tremendo pericolo dei falcati carri di Ariasmeno. Giunone tutta s'affaccenda perchè Medea, possente fabbra di magici veleni, non si op- ponga all'uccisione dei tori fiammiferi e degl'idri cadmei , ma invece ammiri il valor singolare del tessalo duce, e se ne innamori. Laonde fa gentil visita a Ve- nere, ed ottiene facilmente da lei le forme ed il cinto, perchè ancora Paride non avea pronunciato il suo giudizio. Di subito si presenta a Medea sotto l'aspetto di Calciope sua sorella, e la sollecita a seco veder dalle mura l'inco- i98 minciata battaglia. Ecate indarno si duole dell'inganno di Medea, e ne pro- mette vendetta. Questa è già salita in alto delle mura, e di là cupidamente os- serva le meraviglie di bravura e di fortezza straordinaria operate da Giasone. La simulata Calciope vieppiù l'accende di amore pel giovine eroe. Sicché la tenera verginella già piagata in lui solo affisa il suo guardo, e solamente palpita del pericolo di lui. Pallade salva Perseo col trasportamelo altrove, perchè paventa l'ira di Giove. Sopraggiunge la notte, che a mala pena divide i combattenti, e «r™.™ 1\T„.1 J -LI.--J • 1— « — : — "- — ■ — **= — LIBRO SETTIMO. Tutto è pace , fuorché Medea , che prova in se nuova e inusitata guerra . Si corica per dormire, ma invano. Vorrebbe disconoscere la causa di tanta veglia ; ma no '1 può, e seco fortemente si lagna. Nel dì vegnente Giasone torna dal re, che, deposta ogni simulazione dopo la disfatta di Perseo, lo rampogna della te- meraria sua domanda, e gl'intima o di partir tosto senza il Vello, o di accin- gersi ad aggiogare due tori di lor natura indomabili, e ad arare un antico campo di Marte fatto pieno e gravido del serpentino seme di Cadmo. CU lascia una sola notte a risolversi. Medea presente abbrivida ai detti paterni. Giasone con fermo proposto gli dichiara in prima la mancata fede, e poi con impertur- babile coraggio gli promette d'esser pronto al funesto cimento; a patto però, che restando egli ucciso , mandi a Pelia la notizia del suo arrivo nella Colchi- de, e dell'eroica sua impresa. E veramente passionata, e degna di qualunque aureo classico poeta, la dipintura di Medea nell'alto che parte Giasone; e nel resto delle sue maniere usate colla sorella, colle compagne, ed in particolare coi proprii genitori, cui accarezza più teneramente dell'usato per conciliare, se può , la benevolenza loro al suo diletto. Quanto non è patetico il soliloquio che innamorata tiene seco stessa , nel quale vorrebbe vittorioso il tessalo eroe , ma senza alcun danno del suo genitore! quanto immaginoso il sogno, in cui le si presentano da una parte quei di Coleo ed il padre, e dall'altra gli Argonauti e l'amante! Cosi ella dubbiosa ondeggiava, quando Giunone nuovamente prega Venere a volere in persona infiammar d'affetto ancor più acceso e inestinguibile il cuor di Medea. Tra loro convengono che Ciprigna avrebbe condotto Me- dea al tempio di Diana, mentre Iride menerebbe a quello slesso luogo Gia- sone. Venere entra nelle stanze di Medea sotto le forme di Circe. Meravi- gliata la vergine dell'improvviso arrivo della zia, le chiede la causa onde si !99 tarda ella tornava a' suoi ed alla patria. Questa destramente risponde che vien« per lei sola ; e che in quanto alla patria , ella teneva per patria il mondo in- tero, beatissima essendo ammogliala a Pico re dell'Ausonia. Di questo modo accortissimo si agevola ella la via d'insinuarsi nell'animo di Medea, a fine di persuaderla alle nozze col tessalo condotliere. La vergine resiste con forza più che femminile ai consigli lusinghieri e dolci della credula zia , e vi oppone la filiale pietà. Nullameno confessa di non intendere la cagione dell'affannato suo cuore, e la prega e scongiura a ridonarle l'antica pace. Al contrario Venere con baci velenosi e con vezzi tutti suoi le infonde sino alle midolle più vivo e caldo l'amore, e vi mescola insieme l'odio mortale. Poi le fa varii discorsi, e con maggior forza e seduzione le narra come appena discesa nella Colcliide vide nel Fasi la nave degli Argonauti, e si abbattè in Giasone tutto sparuto, che avvisandola qual compagna di Medea, la supplicava che volesse impetrargli la compassione di questa bennata vergine, e lei cosi potente nell'arte magica inducesse ad ajutarlo contro i tori ed i serpi che doveva domare ed estinguere. Quando ciò non gli avvenisse, esser pronto ad uccidersi di propria mano. A questi delti arde la misera , si dibatte , si dispera ; e , qual Penteo , va , viene , torna: né sa ancora decidersi; che quinci trattienla paterna pietà, quinci la in- vola a se medesima il preso amor di Giasone. Alla fin fine è vinta da amore, e da una voce che la chiama, e soprattutto dal Nume di Venere. Appronta le velenose saette, ed esce di casa in compagnia dell'infinta Circe, che la tragge pel mezzo delle tenebre al tempio di Diana. Tosto Venere ed Iride si dileguano nell'aria. Medea s'incontra occhio con occhio in Giasone, ed ambidue restano senza favella. Ella brama di udir lui primo a parlare, e questi in nobile ed affettuosa maniera a lei volge brevi e rispettose parole. Succede poscia una parlata di Medea, che quasi stupisce nel porgere tali ajuti a Giasone, e lo invita a non usarne che nel solo bisogno , perchè possa ella tornare innocente al padre. Poi gli presenta i veleni, e gli raccomanda la memoria di sé. Questi giura di non riveder la Tessaglia senza di lei. Ella gli parla dell' altra impresa del drago custode del Vello; né può a fatti dimostrargli un maggiore e più fer- vido affetto. Dirò corto: tutta questa descrizione e maneggio di passione amo- rosa sono certamente proprii del virgiliano sentire. Intanto Medea, che avea già appreso il modo a Giasone di aggiogare i tori e di sterminare il giganteggiante seme degl'idri, torna alle mura paterne. Nel giorno avvenire il giovine eroe entra da prode l'arena già destinata al cimento, e colla universale ammirazione e più collo stordimento di Eeta aggioga i tori , ed ara nel determinalo tempo 200 iJ Novale, e disperge e strugge .i guerrieri clie immaui nascono dalle zolle semi- nate dei denti serpentini di Cadmo. Indi esce vincitore fra le acclamazioni e gli applausi dei trionfanti Argonauti. LIBRO OTTAVO. Medea trepidante, e dalle paterne minacele inseguita, è ferma dì fuggire e darsi a Giasone. Prima escusa il suo delitto qual amoroso traviamento; poi giura di nudrir per suo padre tutto il liliale affetto, e gli augura l'altra sua prole mi- gliore di sé. Armala dei veleni, tra le ombre notturne corre al bosco, ov' erano ricoverati i Greci. Con istraordinaria allegrezza degli Argonauti e con partico- lare sentimento viene accolta da Giasone, che da lei domanda l'ultimo favore, cioè l'ajuto di ritogliere il Vello d'oro, pel quale primamente avea superati i nuovi stretti e vinti tanti pericoli. Medea teneramente si raccomanda alla fede del suo amante. Una fiamma alto risplende. L'eroe cbiede che cosa significhi. La bella maga risponde: sfavillar quella luce dagli occhi del drago custode del \ello; ed interroga Giasone, s'egli ami rapir quella spoglia ad esso vivo e veg- gente, o piuttosto allo stesso sommerso nel sonno. Giason tace; ed ella amorosa di quell'angue, cui pasceva colle proprie mani, invoca il Sonno, e placidamente lo addormenta. Poi ricorda con soavi espressioni le cure da essa usate pel nu- drimento e prosperità di quel drago; ed insegna al suo caro come doveva ascen- dere pel dorso di questo , a fine di distaccare più agevolmente dalla cima del- l'orno l'aureo Vello. Esulta Giasone, che dietro l'avviso di Medea con tutta fa- cilità discioglie e trasporta la disiata spoglia alla nave. Tantosto cogli esultanti compagni e colla pavida Medea commette le vele ai venti. Salparono appena, quando i genitori della fuggitiva e i parenti e quei tutti di Coleo corrono fret- tolosi alle spiaggie per vendicarsi e riprendere Medea. Ma tutto senza effetto. Allora la madre della fuggente vergine disfoga la sua iudegnazione ed il suo amore in maniera affeltuosissima , e degna d'una ingannata e mal cauta geni- trice. Frattanto Ergino avverte gli Argonauti di un'altra via che giovava battere in luogo della prima, ed era di penetrare la foce dell' Istro. II suo consiglio viene accettato con pieno accordo, e si avanzano verso il Da"nubio. Medea slas- seue mai sempre afflitta e taciturna, finche approdano all'isola di Peuce. Gia- sone vuol tosto con solenni riti celebrare le nozze. Gli augurii sono infausti, e Mopso ne predice la discordia, e compiange Medea. Appena finite le cerimonie nuziali , Absirto fratello della nuova sposa con una poderosa flotta è sul punto 201 di raggiungere e di assalire gli Argonauti. Giunone solleva un procelloso nembo contro di Absirto, e particolarmente contro di Stiro promesso marito a Medea. Mentre questi tenta ad ogni costo di racquistare la sposa, è dalla tempesta così colto e malconcio, cbe rotta e sfondata la nave, appena appena si salva a nuoto. Absirto è costretto a ripararsi nell'opposta isola dell' Islro. I Minii temono la su- prema rovina, e consigliano Giasone a restituire Medea, poiché altrimenti né es- si andrebbero salvi, ne sicuro il ritolto Vello. Giasone contro tutta sua voglia è per cedere al destino, ed alla volontà de' suoi compagni. Medea se ne accorge, e con passionato ed energico discorso lo dissuade dal barbaro ed ingiusto pen- siero.... Ora mentre il disioso lettore anela di udir la risposta dell'amante e nuovo marito, gli è forza frenare sì cara brama, perocché o la immatura morte di Fiacco, com'io avviso, o lo smarrimento del resto, come altri credono, lo priva suo malgrado di vedere il seguito e la fine di questa eroica spedizione. Eccovi, dotti Colleglli, disciolto d'ogni suo numero e forma il poema di Va- lerio Fiacco. Sta ora a Voi il giudicare se anco in queste stesse membra slegate si scorga il tenero e forte sentimento, l'anima si elevi, e la essenza si riscontri d'un epico poeta. Di certo inventiva fantasia o perfezionala imitazione colora ed avviva i pensieri, e maturo senno gli ordina, annoda e congegna con natu- rale intreccio e con intero sviluppo. E da prima riguardo alla scelta del soggetto dico generalmente, che fu questo grande, interessante, meraviglioso, e deguo di eroica tromba. Chiarirò meglio un po' sotto questo mio parere contro quelli che la pensano altramente (i). La proposizione di questo poema con precisa chiarezza espone l'intero soggetto da cantarsi, che a gradi si accresce fino al punto in cui cessò di scrivere l'autore. La invocazione di Febo è ingenua, e propria del nostro poeta, ch'era Quindecimviro destinato alla custodia dei libri sibillini. Parimente dee piacere come opportuna l'apostrofe all'imperadore Ve- spasiano, bene congiunta colle lodi attribuite a Tito e Domiziano suoi figliuoli. Poi si narra accortamente la causa primaria di tanta spedizione, come anche si soggiunge il novero degli eroi che da tutta Tessaglia e Macedonia spontanei si offersero a così nuova ed ammirabile impresa. Lo che, secondo il piano della epopea, ne costituisce l'apparato. Rispetto al piano intero, è questo da sé e nella varietà dei fatti e degli accidenti ognora semplice ed uno, e tendente al (i) Vedi Prefazione del cavaliere Ippolito Pindemonte al volgarizzamento in verso di questa Argonaulica , fatto dal marchese Marcantonio Pindemonte, pag. xxi , ediz. di Vero- na 1776, e YUistoire abrcgce de la littérature romaine par F. Schoell etc. Tome XII. , à Paris 181 5, pag. 296. 26 20: principale scopo del ritoglimento del Vello d'oro. Il poeta con ingegno tulio suo se non inventò ciò che inventar non potea, perchè narrato da tutti; pure, a co- mune interesse, piacere e meraviglia, accrebbe ed abbellì i più grandi avveni- menti che successero a quei tempi nel lungo viaggio dei Minii verso la Col- c-hide , e che accender doveano le anime sensibili ed il nuovo eroismo di quei prodi e divini navigatori. Ovunque vedi e senti calore, forza, interesse, disso- miglianza di racconti, di descrizioni, d'intrecci, di scene e di caratteri. Il solo episodio dell'amore di Ercole per Ila rapito da Driope innamorata mercè di Giunone , basta a dimostrare che poeta sia e per natura e per arte il nostro Fiacco. La macchina viene da maestra mano condotta. Il Fato è reggitore e sovrano d'ogni cosa; Giove suo primo interprete e ministro; Nettuno, Giu- none, Pallade e Venere in ogni occasione giovano gli Argonauti, li sottraggono a' pericoli, e li guidano al bramato lor fine. D'altra parte si sostiene convene- volmente la causa di Eeta da Febo, da Marte, da Tisifone , da Bellona, da Borea, da Pane, che quali Dei inferiori opporre si doveano agli audaci naviga- tori , e difender lui che restar dovea abbandonato e vinto. Anco i caratteri sì degl'Iddii che dei primarii personaggi si conservano tali sino alla fine, quali si dimostrano da principio. Il Fato sta sempre immutabile; Giove al par di esso fermo, ma alquanto più mite e pietoso; Nettuno giusto e prudente; Giunone ognora superba, che tutto imprende, purché vendicare si possa, o riuscire nelle orgogliose sue brame; Pallade savia ed attiva; Venere vaga e seduttrice; Marte baldo e crudele; Febo nobile e moderato; Bellona madre di discordie; Tisifone ardente di sangue; Borea sollevatore dei venti e delle procelle; Pane seguace di chi gli reca vantaggio. Il supremo Capo di questa meravigliosa spedizione è pio, coraggioso, avveduto, alcune fiale geniale ed amante perchè giovine, ma di guisa da non abbandonare giammai l'intrapreso sentiere della gloria. Né io fa- cilmente credo Giasone un eroe romanzesco, come sembrò al veronese Ippolito Pindemonte (0. Né a me tampoco par vero che Giasone, qual duce, sia minore di Ercole che libera la innocente verginella Esione dal mostro marino, e Pro- meteo dall'aquila o dall' avoltojo ; e minor pure di Polluce che uccide Amico invittissimo lottatore, e di Calai e di Zete che scacciano le sozze Arpie dalle infestate mense del re Fineo (2). Di vero è sempre Giasone che, siccome con- veniasi al Capo, dirige tutte le mosse degli altri eroi , gli anima nei pericoli , li conforta nelle sventure, e a tutto provvede con sommo accorgimento. Egli poi, (1) Vedi la citata prefazione, pag. xxv. (a) Vedi la slessa prefazione, pag. xxvi. 20J com'era dovere del duce, non arrischia mai la sua persona, se no '1 richiegga necessità. Ora nel caso di cieca nolte e di ultimo eccidio affronta egli stesso il maggiore tra i creduti nemici, ed uccide di propria mano un eroe, qual fu l'in- felice re Cizico. Che se l'aggiogare dei tori, e la strage del crescente esercito, ed il Vello d'oro si conseguirono per arte magica e col soccorso di Medea, ne fu prima cagione il suo incredibile valore sperimentato nel campo di battaglia contro di Perseo, onde seppe svegliare ed accendere l'animo di quella vergine spettatrice, ed a se più che agli altri eroi rivolgere il suo guardo, e cattivarsi più presto l'ammirazione che l'affetto. Adunque fu gagliarda virtù, e non ga- lanteria romanzesca, che indusse Medea ad aitarlo nella vittoria di quei mo- stri, che altronde non si poteano superare da braccio umano, ma solamente erano da debellarsi con magiche incantazioni. Egli è però provato, se mal non m'appongo, che Valerio Fiacco descrisse in Giasone un valoroso eroe, e non già un romanzesco. E per dire qualche cosa degli altri caratteri, dirò che Pelia vi offre il vivo carattere del despoto sospettoso e crudele; Eeta quello del prin- cipe dissimulatore ed ingiusto; Ercole quello della più virile continenza presso di Lenno, e di una pressoché divina fortezza nelle accadute terribili imprese; ma parimente d'una debolezza meno che umana nel suo amore per Ila. Tifi, Ergino, Mopso, Idmone, Orfeo, Telamone, Meleagro, Castore, Polluce, Calai, Zete, cogli altri che per brevità tralascio, si distinguono tutti o per l'astrono- mica e nautica scienza, o per l'inspirato prevedimento dell'avvenire, o pel nuovo e tenero canto, e pel suono della celerà, o pel coraggio e per la costanza nelle più ardue o bellicose avventure. Issilile può riguardarsi quale specchio di verace ed industriosa pietà verso il padre, e quale impareggiabile eroina nel suo amoroso distacco da Giasone. La sfortunata donzella Esione intenerisce e sforza a piangere quando della propria innocenza e del barbaro suo destino informa Alcide. Laomedonte si mostra il più tristo esempio d'un padre ingrato, ladro, traditore di chi gli salvò un' immolata figliuola. Cizico è la ingenua immagine della generosa ospitalità. Amico è il più odioso e cruento mostro di barbarie selvaggia. Fineo è maestro a' savii della necessaria prudenza nel tacere glineffa- bili arcani, e nel disvelare ai prossimi le utili cose a ben provvedere all'avveni- re. Lieo re di Marandino rappresenta la idea stessa della gratitudine a chi ci li- berò da grande disgrazia. II sacerdote di Coleo sostiene il grave e religioso suo ministero con verità e forza degna della somma sua autorità; e Perseo si di- chiara il difensore coraggioso e fermo della giustizia anco a petto di un re e d'un fratello violatore dei diritti. Qual quadro più toccante d'una madre affan- 204 nata per la violenta partenza del figliuol suo, quanto quello di Alcimeda geni- trice a Giasone? Qual ritratto più eroico d'un padre già vecchio che si distac- ca virilmente dal figlio, e ne invidia la nuova e gloriosa sua sorte, quanto quello di Esione genitore al tessalo capitano? La morte d'amhidue conferma il vero ca- rattere del più fido e degno conjugio. E la giovine sposa di Cizico , per inno- cente inganno trucidato, non è il sincero esemplare delle mogli affezionate e ca- ste ? E la parlata della madre di Medea allorché s'accorge della sua fuga, e la insegue fino al mare , non esprime coi più vivi e forti colori il sentimento di una genitrice sdegnata insieme ed amante? Senonchè a tutti questi caratteri va di gran lunga superiore quello di Medea. Ella infalti apparisce tosto innocente, pietosa, e divota ai voleri de' suoi genitori. Trascinata dalle insidie e dalle se- duzioni di Giunone e di Venere, e vinta pure dal singoiar valore di Giasone, necessariamente si accende di fervido affetto per lui. Ma sa lungamente resi- stere; e ancora quando ella cede, ben si conosce che cede al destino ed all'eroi- smo, non mai ad una cieca passione o al delitto. La paterna carità trionfa nella stessa amorosa sua fuga. Ne mi si ricanti che il pregio di tante bellezze fu poi tutto tolto da Apollonio da Rodi; giacche francamente io rispondo, che Valerio Fiacco è inventore nella massima parte dell'intreccio e delle descrizioni; e dove anche tolse alcuni pensieri, no '1 fece già con furto vile e riprovevole, sì bene con grande e lodevole destrezza , a fine di rendere le imitate idee più vaghe e perfette. Fece suo l'altrui suolo, per meglio coltivarlo ed arricchirlo di nuovi semi e di nuove piante. Quegli solamente può riscontrare siffatta verità, che legga di proposito amendue questi poeti, in luogo d'imitare quei molti che prestano la oziosa e cieca lor fede all'autorità di critici o inetti, o mal prevenuti. Su di che amerò in altra mia Memoria di recarvi prove e paragoni, perchè vediate e dove inventò e dove perfezionò Valerio Fiacco il greco autore ; anche in que- sto assomigliando Virgilio, il quale non solo sfiorò il giardino di Apollonio, ma quello pure di Omero, di Pisandro, di Ennio, di Catullo, e di altri Greci e Latini, per emularne le bellezze, non già per appropriarsi servilmente l'altrui. Che se per unanime sentimento di quei che sanno viene approvato il precetto di Orazio dato ai Pisoni (0: Difficile est proprie communio, dicere ; tuque Rectìiis iliacum Carmen deducis in actus, Quam si proferres ignota indictaque primus. Publica materies privati juris eritj si (i) Epistola ad Pisones, v. 128. 205 Nec circa vilem patulumquc moraberis orbem, Nec verbum verbo curabis recidere Jidus InterpreSj nec desilies imitator in arctum, Unde pedem prof erre pudor vetetj aut operis lex ; si concederà pure al nostro poeta il privato diritto che seppe acquistare sulla pubblica materia di Apollonio, anzi di molti altri prima di lui, siccome egli medesimo accenna nel principio del suo poema (•). Ho di sopra avvertito che alcuni accusano l'argonautico soggetto come manchevole di comune interesse, o certamente di particolare ai Romani di quella età. A siffatti censori soggiun- go, che o non ha comune interesse la particolare ira d'Achille e prudenza di Ulisse , oppure lo ha eguale ed anco maggiore la spedizione degli Argonauti , per vetustà di tempo, per novità d'impresa, per dissomiglianza ed ardimento di generosi fatti, per copia di magni eroi, e per effetto di straordinaria meraviglia assai di quelle più famigerata ed illustre. Riguardo ai Romani di quella età, bi- sogna persuadersi che piacesse loro la trattazione di questo argomento , poiché alcuni altri vi si accinsero, e specialmente Atacino Varrone, del quale cosi Properzio (a): Haec quoque perfecto ludebat Jasone Trarrò. E poi, chi è tanto digiuno ed ignaro degli antichi monumenti di Roma, il quale non sappia che si frequentava allora tra' primi quel portico hello e spa- zioso, vicino al tempio di Nettuno, ed i magnifici recinti, ov' erano maestrevol- mente pitturati gli Argonauti? Certamente Marziale ne fa in due epigrammi memoria, additando nel tempo stesso che il bel mondo di Roma si recava tutto là dove primeggiavano le argonautiche dipinture. Si nil Europe fecit, tum Septa petuntur Si quid Phillirides praestet et Aesonides (3). Ed altrove: An spada carpit Argonautarum (4)? Oltreché oserò di esporvi una mia conghiettura, appoggiata dai contemporanei o non molto più vecchi di Fiacco, e in particolare da Papinio Stazio; ed è, che gli epici di quei giorni a bella posta scegliessero le azioni più tetre e tiranniche dell'antica mitologia per descrivere arcanamente le scelleraggini e le sevizie dei (i) Lib. I. v. 18. (2) Lib. II. Eleg. XXXIV. v. 85. (3) Lib. II. Epigr. XIV. (4) Lib. III. Lpigr. XX. 206 Tiberii, dei Cnligoli, dei Neroui , e degli altri già famosi nella storia . Lo che Lene intendendo i più avveduti Romani, ne dovean sentire grande interesse, il quale a poco a poco si dovea anco diffondere negli animi popolari, da tanta intollerabile servitù inviliti ed oppressi. Né sulla fine ammetterò giammai la opinione del chiarissimo cavaliere Ippolito, il quale giudica un tale argomento come troppo favoloso j se d'allegorìa privo riguardasi; e dove con alle- goria si consideri^ troppo egli sembra vile ed abbietto («). Infatti niente esser vi può di troppo favoloso nella vetusta mitologia, quando rammentare si voglia la immaginosa credenza di quei tempi, ed il particolare ge- nio e gusto dei Greci e dei Romani, che in ciò vinceano d'assai le fate, le stre- ghe, gl'incantesimi ec. ec. del nostro medio evo. Sicché anche quando di allegoria privo riguardasi un tal poema , nulla contraddice alle credenze e costumanze delle due soprannominate nazioni, perchè chiamar si possa di troppo favoloso. Il male sta, che si vuole da molti tra' più svegliati ingegni dei nostri di ragio- nare piuttosto colla presente civiltà di priucipii e di usanze, che colla fan- tasia e credulità degli antichi. Il che torna lo stesso ch'esigere i palili greci e le toghe romane cambiate in ferrajuoli e giubboni moderni. Parimente non deve sembrar vile ed abbietto sotto l'allegoria; imperocché la conquista dei massimi eroi quantunque sia stala per lo più una usurpazione, pure non fu mai gene- ralmente riputata vile ed abbietta, sì bene dai savii ingiusta e funesta. Il solo famigerato corsale fermamente dichiarò al macedone conquistatore , altra diffe- renza non esservi tra loro due, che quella d'una picciola e particolare ruberia in confronto d'una grande ed universale rapina. Nel rimanente ogni celebre conquista ottenne sempre plauso ed ammirazione dai più, perchè armata di pos- sente violenza giunse ad impor silenzio a giustizia; e baldanzosa di meravigliose vittorie, fece dimenticare le prede e le stragi. Quantunque egli è poi falso che Valerio Fiacco giudicasse una ingiusta conquista il Vello d'oro. Infatti dal suo poema si scorge che Giasone fu mandato a Coleo dal Destino e da Giove, ac- ceso dalla religione e dalla gloria, e favorito da lutti i Numi maggiori. Egli è obbediente a Pelia suo re. Giusta vendetta del suo trafitto parente Frisso lo in- fiamma; e l'aureo Vello è di quello stesso montone che venne a Giove sagrifi- cato dal medesimo Frisso, e quinci dato in custodia al drago. Finalmente dal sommo sacerdote, e da Perseo fratello del re Eeta, e dal pieno senato, dietro i segni celesti e la discesa dell'angue dal Caucaso, fu riconosciuto tal Vello come proprio dei Tessali, ai quali si volea spontaneamente rimesso. Se a tutte queste (i) Vedi la citata Prefazione, pag. xxiv. 207 circostanze riguardato avesse il Pindemonte , che quando scrivea la sua prefa- zione era ancor giovine, e poi divenne uno dei più assennati d'Italia, non gli sarebbe più sembrato Giasone un ladro; e non già ladro di qualche donna , come fu Paride, ciò che pur sarebbe gentile e nobile ladroneccio, ma dell'oro di quel paese, che poscia il bel nome acquistò di vello dorato (•). Resta però a conchiudere, che questa spedizione è, fuor di allegoria, convenevole ai tempi mitologici; e nell'allegoria non solamente nobile ed eroica, ma ben anche giu- sta e gloriosa. Ma è ornai tempo che si confermi pure col fatto la forma e lo stile poetico che quasi da per tutto si gusta e si ammira dai maturi intenditori di questo poema. Prima però ch'io passi alla scelta di alcuni brevi tratti, a prova generale del secondo mio assunto, debbo pregarvi a non credermi cosi ligio dell'epico padovano da non vedere in lui che sola luce. Mai no. Egli pure ha le sue mac- chie, che attribuir si devono in parte ai tempi ne' quali scriveva, e in parte, ch'è la maggiore, alla oscurità ed inesattezza dei codici a noi pervenuti. Per- tanto gli si può alcune volte calzar bene il detto oraziano: brevis esse laborOj ob scur us fio (2); ma non di maniera, siccome alcuni vorrebbero, eh egli si renda del tutto inintelligibile. Chiunque brama d'intendere ed assaporare ap- pieno i veri e molti pregi di questo poeta, deve in prima erudirsi della mitolo- gia di que' tempi e di quegli eroi, e bene addottrinarsi della religione, dei riti e dei costumi si de' Greci, come degli abitatori delle oltrepassate regioni, e massimamente della Colchide. Poi gli è mestieri di apprendere l'antica geogra- fia di tutte l'isole, di tutti i monti, ed altri luoghi posti nei trascorsi mari e stretti. Gli è d'uopo finalmente d'una fantasia atta a sollevarsi ai pensieri del nostro epico, e d'un cuore fatto per sentire gli svariati affetti. E questo sia detto per le cose. Chi non vuole trovare ostacoli rispetto allo stile , gli bisogna sodamente considerare che Fiacco, studiosissimo dei Greci, amò di adoperare alcune maniere in grande moda a quei di, piuttosto proprie della greca lingua, che della romana. Vero è che ne usò pure Virgilio e gli altri aurei classici; ma è pur vero che ne abusò di frequente il nostro autore. Aggiungo, che in alcuni luoghi sembra ambiguo nelle parole , e troppo conciso nelle frasi ; che in altri tralascia il verbo, senza che sia facile il sottintenderlo; che qua trasloca le par- ticelle, o le pretermette; che là grecamente fa uso del pronome relativo, il quale o mal suona, o non s'intende che dopo qualche fatica. Ciò premesso, mi (i) Vedi la citata Prefazione, pag. xxty. (l) Episi, ad Pisones. 208 affretto a ben volentieri soddisfare alla data promessa , recando alcuni passi tali quali si leggono in questa per me aurea Argonautica. Udite a bel principio la precisa e viva pittura di Pelia , che temendo il va- lore dell'intrepido nipote Giasone, gli macchina la morte sotto il pretesto del- l'eroica spedizione alla Colchide. Haemoniam primis Pclias fraenabat ab annis Jam gravis et longus populis mettis: illius amnes Jonium quicumque pettint; Me Othrin et Haemum, Atque unum felix versabat vomere Olympum. Sed non itila quies animo , fratrisque paventi Progenienij divumque minas ; hunc nam fore regi Exitio vatesque canunt, pecudumque per aras Terrifici monitus iteranti super ipsius ingens Inslat fama virij virtusque haud laeta tj ranno («). Noi vedemmo come al primo convito degli Argonauti fu condotto da Chi- rone il fanciullo Achille a Peleo suo padre. Ebbene, non v' incresca ora ascol- tarne la poetica descrizione. Jamque aderat summo decurrens vertice Chiron, Clamantemque patri procul ostentabat Achillcm. Ut puer ad notas erectum Pelea voces Vidit, et ingenti tendentem brachia passu Adsiluitj caraque diu cervice pependit. Illum nec valido spumantia pocula Baccho Sollicitantj veteri nec conspicienda metallo Signa tenenti stupet in ducibus, magnwnque sonantes Hauritj et Herculeo fert comminus ora leoni. Laetus at impliciti Peleus rapit oscula nati_, Suspiciensque polum; placito si currere fluctu Pelea vultisj ait_, ventosque optare ferentes _, HoCj Superij servate caput. Tu caetera, Chirortj Da mila. Te parvus lituos et bella loquentem Miretur ; sub te puerilia tela magistro Venator feratj et nostrani festinet ad liastam (a). (i) Argonaut. Lib. I. e. a3. (a) Id. Lib. I. e. a 5 5. 2og Né Ira le descrizioni brevi, vivaci, e piene di svariato movimento, tralasciar mi conviene quella di Alcide, che per liberare l'esposta innocente Esione con forza e con istento più ch'erculeo colpisce ed uccide la smisurata Priste marina. Occupat Alcides arcum, totaque pharetrae Nube premit. Non Ma magia quam sede movevi Magnus Eryx, deferre volunt quem vallibus imbres. Jam breviSj et telo volucri non utilìs aer. Tur» vero fremitus, vanique insania coeptij Et tacitus pudor ; et rursus palle scere virgo. Projicit arma manu_, scopulos vicinaque saxa Respicitj et quantum ventis adjuta vetustas Impulerifj pontique fragor^ tantum abscidit imi Concutiens a sede movisi jamque agmine tolo Pistris adest_, miseraeque inhiat jam proxima praedae. Stat mediis elatus aquis, recipilque ruentem Alcides , saxoque prior surgenti a colla Obruit: lune vastos nodosi roboris ictus Congeminat ; jluclus defertur bellua in imoSj Jam lotis resoluta vadis. Idaeaque Mater, Et chorus et summis ulularunt collibus amnes ('). Vi risovvenga, egregii Colleghi, di Virgilio quando descrive l'accender del fuoco per opera di Acate, e l'apparecchio del necessario cibo; come pure quan- do ci presenta l'altro regale banchetto presso Didone ; e poi abbiatevi dal no- stro poeta le due descrizioncelle che seguono. Tkessala Dardaniis fune primum puppis arenis Adpulitj et fatis Sigaeo in litore sedit. Desìliunt; pars hinc levibus candentia velis Castra legunt; tracto pars frangit adorea saxo Farra; citum strictis alius de cautibus ignem Ostendit foliiSj et sulfure pascit amico (2). Sic memorat (cioè il re Cizico), laetosque rapit; simili ìiospila pandi Teda jubetj templique sacros largitur honores. Stani gemmis auroque ihorij mensaeque paratu RegifwOj centumque pares primaeva Ministri (1) Ar«onaul. Lib. II. e. 521. (2) Id. Lib. II. v. 445. 27 2 IO Corpora; pars epulas manibus, pars aurea gestant Poetila, beìlorum casus expressa recentum (i). Né vi sia pur discaro l'udire come il padovano poeta atteggi la Fama, cui non solo Ovidio, ma ancora per mia opinione il forbito Virgilio assai prolissa- mente descrivono. Quum Dea (cioè Venere) se piceo per sudum turbida nimbo Praecipilatj Famamquc vagam vestigat in umbra; Quam Pater omnipotens digna atque indigna canentem Spargentemque metus, placidis regionibus arcet Aetheris. Illa fremens habitat sub nubibus imis. Non Èrebi , non diva poli: terrasque fatigat, Quas datur. Audentem primi spernuntque fugantque , Mox omnes agitj et motis quatit oppida pennis (2). Rispetto alle similitudini tanto usate e pregiate nella epopea , ve ne recherò a saggio sole quattro. La prima somiglia gli Argonauti di subito circondati da folte tenebre ed atterriti, alla paura d'un notturno passeggero. Ac velut ignota captus regione viarum Noctivagum qui carpii iter, non aure quiescit. Non oculis ; noctisque metus nìger auget utrimque Campus, et occurrens umbris majoribus arbori Haud aliter trepidare viri (3). La seconda paragona Mirace giovine eroe, allevato tra le più finite cure, e da imprevvista asta ferito e morto, ad un olivo ebe nel suo primo frondeggiare vieue da istantanea procella sterpato. Qualem si quis aquis et fertili s ubere terrae Educai j ac ventis oleam Jelicibus implet; Nec labor adsiduus, nec spes sua fallit alentem; Jamque videt primam tenero de vertice frondem : Quum subito immissis praeceps aquilonia idmbis Venit hyemSj nigraque evulsam extendit arena (4). (1) Argonaut. Lib. II. e. 64g. (2) Id. Lib. II. v. 1 1 5. (3) Id. Lib. II. v. 43. (4) Id. Lib. VI. e. 711. La terza agguaglia Medea consolata dal primo raggio dell'aurora alle spighe ristorate da pioggia leggera , ed agli slancia remigatori alleviati dallo spirare dell'aura. Nec mimis insomnem lux orla refecit amantem, Quam quiim languentes levls erigit imber aristas, Grataque jam fessis descendunt Jlamina remis (i). La quarta confronta Medea innamorata con una cagnoletta presa da peste. Tum comitum visu fruititi- miseranda suarum, (cioè Medea) Implerique nequitj subitoque parentibus baerei Blandior, et patriae circumjert oscula dextrae. Sic adsueta toris et mensae dulcis Iterili AZgra nova jam peste canis rabieque futura. Ante fugam totos lustrai queribunda pcnates (2). Ora non v'attendete ch'io riporti in copia gli animati e toccanti quadri dei va- ri! affetti dal nostro poeta con virgiliano pennello dipinti. Se ciò far volessi, non la finirei così presto. Però mi accontento di trascrivervi tre sole e brevi parlale. La prima è del vecchio Esone quando si congeda dal figliuol suo, divenuto già duce dell'eroica spedizione. sed fortior Aeson Attollens dictis animos: O si mihi sanguiSj Quantus erat, quum signifero cratere minanlem Non leviore Pltolum manus Itaec compescuit auro! Primus in aeratis posuissem puppibus arma, Concussoque ralem gauderem tollere remo. Sed patriae valuere preceSj auditaque magnis Vota Deis. T'ideo en nostro tot in aequore reges, Teque ducem: tales tales ego ducere suetus, Atque sequi: mine ille dies (det Juppiter oro] Ille super, quo te Scjthici regisque marisque Victorem, atque humeros ardentem veliere rapto Accipiant, cedantque tuae mea facta juventae. Sic alt : ille suo conlapsam pectore matrem Sustinuitj magnaque senem cervice recepit (3). (1) Argonaut. Lib. VII. v. 24. (2) Id. Lib. VII. v. 121. (3) Id. Lib. I. v. 335. ÌI2 L'altra è di Clite die lamenta e piange il trafitto Cizico suo sposo diletto. Parte alia Clyte laceras super ora mariti Fusa comas, misera in planctum vocat ognuna matrum Fatur et haec: Primis conjux ereptus in annìs Cuncta trahis: nec cium soboles, nec gaudia de te Ulla mihi; queis moesta tuos mine, optiate, casus Perpelerer, tenui luctum sólamine fallens. Mygdonis arma patrem, funestaque praelia nuper Natales rapuere domos; Trìviaeque potentis Occidit arcana genitrix absumpta sagìtta. Tu mihi qui conjux pariter fraterque parensque SohiSj et a prima fueras spes una juventa, Deseris heul totamque Deus simili impulit urbem! Ast ego non media te saltem, Cyzice, vidi Tendentem mihi morte manus ; aut itila monentis Verha tuli. Qiiin et thalamis modo questa moravi Heu talem, tantique metus secura recepì! Ulani vìx gemino moerens cum Castore Pollux Erigit haerentem, compressaque colla Irahentem (0. L'ultima è di Medea allorché stassi per abbandonare la casa paterna, e fug- girsene a Giasone. Ultima virgineis lune Jlens dedit oscula vittis , Quosque fugit complexa thoros, crinemque gcnasque Ante, per antiqui carpsit vestigia somni ; Atque haec impresso gemuit miseranda cubili: O mihi si projugae, genitor mine Me, supremos AmplexuSj Aeeta, dares, Jletusque videres Ecce meos! ne crede, pater, non cariar Me est Quem sequimur: tumidis utinam simul obruar undis! Tu, precor, haec longa placidus mox sceptra senecta Tuta geras, meliorque tibi sit caetera proles (2). E qui finisco, assicurandovi che i difetti già da me sovraccennali, e da Voi tosto qua e là conosciuti anche in questi brevi saggi , o sono eguali , o non ac- crescono notabilmente nell'intero poema. Del resto spira ovunque l'aurea inge- (1) Argonaut. Lib. III. e. 3i4- (2) Id. Lib. Vili. e. 6. 2l3 tiuità dell'incomparabile Virgilio. Laonde io non dubito punto di liberamente esporre quanto sento e penso: cioè che chiunque non iscorge nel poema di Valerio Fiacco la slessa quasi toccante forza di sentimento, lo stesso elegante ed armonioso maneggio di verseggiare, la stessa inees""" —'° J; «rr*-°r"«"c gii cuiii-Li «me còse e ui acconciarne la giacitura, Io stesso uso di fraseggiare non mai gonfio ne superfluo, in uua parola lo stesso candido pensiero e bello stile del sommo Marone, egli è da giudicarsi assai mezzano gustatore del primo epico latino. Pertanto io tengo per fermo, che tra gli epici di quella età, quali furono Lucano, Silio Italico e Papinio Stazio, quegli che per natura d'idee e per proprietà di esposizione si avvicina più presso al mantovano Virgilio, sia il padovano Valerio Fiacco. Nella quale opinione, oltre le prove già recate, viep- più mi conferma quell'Egidio Forcellini, il quale, siccome dal suo classico Di- zionario latino apparisce, deve o anteporsi o di certo agguagliarsi al giudizio di ■ qualunque altro assaggiatore delle romane squisitezze. Egli però così pensa alla voce VALERIUS. Cajus Valerius Flaccus poeta nobilis, et uno fortasse Virgilio minor. I laboriosi ed eruditi Alemanni , tra i quali si distingue Pietro Burmanno , con ispese e con viaggi si procacciarono dall'Italia e da altre parti i possibili codici per mettere in chiaro alcuni passi assai oscuri più forse a colpa dei co- piatori, che dell'autore. Anche in questi ultimi tempi il celebre Augusto Wei- cher impiegò l'utile sua fatica nel togliere alcune lagune tra le varie che pur troppo ancora si trovano in questo aureo poema. Ma tutti i sovrallodati com- mentatori più tendono a correggere le varianti, che a giovare alla piena intelli- genza ed al sodo discernimento e gusto di quanto v'è a pregiarsi e ad emularsi in questo poeta. Da ciò ne avvenne, che in poco conto dalla massima parte dei letterati s'ebbe fino ad ora il nostro Fiacco, e che nelle primarie collezioni dei Classici latini da ultimo pubblicate in Inghilterra, in Francia, e dirò pure in Italia, fu egli quasi ignobile pretermesso ed obbliato. Io però sono di parere, che quando quel dotto di Torino, il quale dimostra piena finezza di giudizio nell' estimare i Classici latini, ed aurea delicatezza di gusto nel dettare le sue latine prefazioni, si darà alla meditata e colta lettura di questa Argonautica per la nuova Raccolta promessa da quel benemerito editore degli autori trala- sciati nella prima come non aurei o primarii , troverà forse che non del tutto s'ingannò chi disse essere Valerio Fiacco più vicino a Marone, che agli altri minori poeti. Così mi venga concesso tempo e lena, come io bramo, di conti- nuare la incominciata mia opera nel commento analitico di questo virgiliano *27 2l4 poela. Che se mai il mio lavoro, finito che sia, verrà approvato da quelli che di ciò veramente s'intendono, e ai quali prima mi farò dovere di sottometterlo, vedrà esso pure in seguito la pubblica luce. Il precipuo mio fine si è quello di rènne uu« »»oo„oo».:~ -*;i;i;, ai|a presente gioventù, che o di troppo neglige o in massima parte disconosce quel semplice ed ingenuo .bello uei pi-imam Glas- sici antichi; e di attestare a quest'antenorea città, da me riguardata quale altra mia patria, la somma estimazione in cui tengo un tanto suo cittadino, e la più verace ed affezionata gratitudine verso di essa, che mi educò fin dalla prima puerizia, e mi largì tutti quei doni che nel caro suo seno anche al presente posseggo e godo. OSSERVAZIONI DELLA COMETA PERIODICA DI HALLEY FATTE NELL'IMPERIALE REGIO OSSERVATORIO DI PADOVA NELL'ANNO MDCCCXXXV NELLE VICINANZE DEL PERIELIO, SEGUITE DA ALLw.^ *..-. ~~~ , - - DA BREVI NOTIZIE ISTORICHE INTORNO ALLA SUA TEORIA MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA NEL MARZO MDCCCXXXVI DAL SOCIO ATTIVO GIOVANNI SANTINI I. Brevi notìzie isteriche intorno alla sua teoria. i. JLJopocliè Neuton dimostrò che le comete dovevano riguardarsi come altrettanti corpi celesti formanti parte del sistema solare, e sottoposte nei loro movimenti a quelle medesime leggi colle quali aveva si felicemente spiegato i moti planetarii, il celebre suo contemporaneo e connazionale Edmundo Halley si accinse a calcolare, dietro le traccie da quel sublime fdosofo additate con pertinace costanza , le orbite di tutte quelle delle quali la storia delle età tras- corse aveva tramandato dati sufficienti per poterne dedurre gli elementi nella ipotesi parabolica eh' egli assumeva , e che suolsi assumere tuttavia quando trattasi di una nuova cometa per facilitare i calcoli numerici, i quali senza di ciò divengono penosi, e spesso indeterminati. Avendo per tal modo dedotti gli elementi parabolici di molte delle più cospicue e più celebri nelle storie e nelle cronache, fu in singoiar modo colpito da meraviglia nell' osservare la grande somiglianza e quasi perfetta coincidenza fra le orbite dedotte dalle os- servazioni per quelle corrispondenti agli anni i53i (passaggio al perielio 26 Agosto), 1607 (passaggio al perielio 26 Ottobre), 1G82 (passaggio al perielio i4 Settembre); sicch'egli facilmente s'indusse a sospettare che queste tre co- mete ne formassero una sola che si avvolgesse intorno al Sole nell'intervallo di 75 in 76 anni; e ciò tanto più volentieri, in quanto che dietro la teoria 21 (. neutoniana le comete potevano riguardarsi come corpi descriventi ellissi molto allungate ia tempi periodici considerevoli, le quali allontanandosi grandemente dal Sole e dalla Terra nelle parti superiori di queste loro orbite, non potevano per la debolezza della loro luce essere visibili che nel breve intervallo da esse impiegato a descrivere quell'arco situato in vicinanza del perielio. La sola cir- costanza che tenesse l'Halley perplesso nel pronunziare l'ident'*^ '1! J ... .a — D — r- .".u uvoiuzioni periodiche; im- perciocché si numeravano circa 27810 giorni fra i due passaggi al perielio del 1 53 1 e del 1607, mentre sarebbero stali circa 2y35i, fra quelli del 1607 e del 1G82. Ritornando più volte su questo suo favorito argomento, correggen- do gli elementi, e ponderando le circostanze che potevansi presentare per via a turbare la regolarità dei movimenti della cometa dipendenti dall' azione principale del Sole , vide che le attrazioni di Giove e di Saturno potevano es- sere la sorgente delle ineguaglianze nel periodo eh' ei rimarcava; ma al suo tempo l'analisi e la meccanica erano troppo imperfette per potere esattamente ridurre a calcolo le alterazioni prodotte da queste estranee azioni, e dovette quindi contentarsi di esporre le sue congetture, e di annunziare al pubblico con molta e modesta riserva il suo ritorno verso l'anno 1758. 2. Morto l'Halley in molto avanzata età nell'anno 1742 (era nato in Lon- dra nel i656), e le dottrine neutoniane essendo già penetrate in pressoché tutte le scuole e le accademie europee, gli animi di tutti erano intenti all'esito della sua predizione all'avvicinarsi del 1 758, avvegnaché divise erano le opinioni dei dotti di quella età, siccome suole accadere in tutte le letterarie e scientifi- che discussioni. L'analisi e la meccanica avevano già fatto passi sorprendenti; e quello che llalley non aveva potuto eseguire verso il 1700, osò pel primo in- traprenderlo l'acutissimo e celebre geometra Clairaut nel 1758. In una sua Memoria, letta all'Accademia delle scienze di Parigi il 14 Novembre di quel- lo stesso anno, ei rese conto delle sue profonde ricerche intorno alla teoria dei movimenti di questa cometa, le quali furono pubblicate nell' applaudita sua opera Theorie du mouvement des cometes _, in cui espone tutta la serie delle operazioni ch'egli era stato obbligato di eseguire per calcolare col mez- zo delle quadrature le perturbazioni dalla cometa in questione sofferte per l'azione di Giove e di Saturno nei tempi delle rivoluzioni già compiutesi fra gli anni i53i -1607-1682; e dopo avere mostrato un plausibile accordo fra i periodi osservati e quelli calcolati, si accinse pure al calcolo delle variazioni che dovevano dalle stesse sorgenti derivare nella durata del periodo prossimo a ai7 compiersi iu quei giorni per togliere l'incertezza rimasta nella predizione del- l'Halley,e quella anche maggiore proveniente dalle vaghe stime del tempo della rivoluzione periodica attribuitagli da altri astronomi di quella età. Possiamo ora facilmente comprendere che il risultato delle laboriose ricerche di Clai- raut non poteva che ristringere i limiti dell'incertezza , perchè le masse di Giove e di Saturno al suo tempo non erano bene determinate; non si cono- sceva per anco l'ultimo pianeta Urano, che pure ha una leggiera influenza nei movimenti della cometa; non tenne conto dell'azione della Terra. Ciò nondi- meno il suo calcolo si avvicinò mollo al vero, avendo annunziato che verosi- milmente sarebbe passata al perielio verso il 4 od il 5 di Aprile (0, mentre, dietro le osservazioni fatte nel principio del 17%, vi passò effettivamente ai 12 di Marzo intorno alla mezzanotte. Le congetture di Halley ed i calcoli del Clairaut furono pienamente verificati dal fatto ; imperciocché sul finire del- l'anno stesso la tanto aspettata cometa fu scoperta presso Dresda, e nel succes- sivo Gennaio del i75q venne generalmente da tutti osservata. Non è nostra intenzione di ritessere la storia dei calcoli e delle osservazioni copiose che fu- rono fatte in quella circostanza nell'uno e nell'altro emisfero in conferma della teoria neutoniana, la quale per questa luminosa riprova acquistò l'approvazione universale. Da quell'epoca non rimase più dubbio alcuno sulla identità delle comete apparse negli anni i53i, 1607, 1682, iy5g,e nessuno di sana mente poneva dubbio che non dovesse ritornare di nuovo fra gli anni i834"i836, le perturbazioni planetarie lasciando sempre una lata incertezza sulla durata del periodo, se prima non vengano con molta cura ridotte a calcolo. 3. L'Accademia reale delle scienze di Torino, per invitare i dotti dell'età no- stra ad occuparsi seriamente sul calcolo del ritorno della cometa di Halley al perielio (giacché quest'argomento acquistava di giorno in giorno maggiore in- teresse coll'avvicinarsi all'epoca nella quale dovevasi attendere), propose a sog- getto di premio per l'anno 18 12 il calcolo delle perturbazioni dalla stessa sof- ferte, ed accordollo al signor Barone di Damoiseau, che le trasmise una lunga e circonstanziata Memoria, che trovasi inserita nel voi. XXIV. de' suoi Atti. In questo suo lavoro interessantissimo l'autore svolge da bel principio con me- todo semplice e chiaro le formule che rappresentano le variazioni degli ele- menti dell'orbita dietro le equazioni fondamentali della meccanica, ed indi le applica alla cometa di Halley, tenendo conto delle azioni di Giove, di Saturno e di Urano. («) Vedasi la nota in fine della prefazione alla citata opera, pag. xiv. 28 2l8 Per stabilire il semiasse maggiore della sua orbita dietro i passaggi al perie- lio osservati nel 1682 e nel 1 75g, era necessario conoscere la somma delle perturbazioni dipeudenti dai nominati pianeti per tutto questo lungo periodo tauto nell'anomalia media, quanto nd moto medio; quindi da queste egli in- comincia l'opera sua. Facendo uso della massa di Giove assegnò pel 1066, o5 ° r 1759 i seguenti elementi (pei precetti del moto retrogrado): n — 4G", 14.142; a = i8,o833; t = i2%6 di Marzo 1759. T. M. in Parigi w = 3o3°. 14'; o) = 53°.48'; i = i7°.4o'; e = 0.967705; 7 == o,584 indicando (come faremo sempre d'ora in poi) n il moto diurno medio sidera- le; a il semiasse maggiore; t tempo del passaggio al perielio; TC la longitudine del perielio; w la longitudine del nodo ascendente; i l'inclinazione all'ecclittica; e l'eccentricità dell'orbita; a la distanza perielia. Partendo in seguito da questi elementi, calcola le perturbazioni dipendenti dall'azione dei tre pianeti superiormente indicati, e per maggiore esattezza ei li corregge di 3o in 3o gradi di anomalia eccentrica, fincbè ritorni al prossimo passaggio sul perielio; alla qual epoca egli stabilisce gli elementi seguenti: 7i = 46",49go5; «=17,99045; t=i6°,66 di Nov. i835. T. M. in Parigi. w= 3o4°-34'.27"; w = 55°.7'.6"; j'=i7°4G'-5i"; e=o. 967453; ^ = 0,58552 moto retrogrado. 4- Il sig. Damoiseau appoggiò la sua teoria della cometa ai risultati dedotti da- gli astronomi del secolo trascorso dalle osservazioni fatte negli anni 1682 e 1759. Essendosi in questi ultimi tempi mollo perfezionati i metodi di ridurre a cal- colo le osservazioni, coli' introdurvi tutte le correzioni dipeudenti dalle rifrazio- ni, dalla paralasse, dall aberrazione e dalla nutazione; ed essendo ora le posi- zioni delle stelle determinate con molto maggior cura; diveniva indispensabile una revisione esatta delle osservazioni originali tramandateci dalla storia, ad og- getto di determinare con maggior precisione gli elementi ellittici da esse risul- tanti nelle due citale epocbe. Primo ad intraprendere un lavoro si faticoso ed interessante fu il signor Burkardt [Comi, des tempSj 1819, pag. 374), cbe si rese tanto benemerito colle sue indefesse ricerche sulla teoria delle comete. Egli appoggiò le sue indagini nel 1682 alle sole osservazioni di Flamsteed, le quali, dietro i consigli di Neuton, appariscono fatte con maggior cura; e quelle del 1759 alle osservazioni di Messier, generalmente apprezzate per la conosciuta diligenza di questo astronomo. Ei non porge nel citalo commentario 1 partico- lari uè delle osservazioni da esso impiegate, ne delle riduzioni praticatevi; solo 2ig avvisa di avere scrupolosamente tenuto conto di tutte le correzioni nella loro riduzione; ed inoltre, siccome la cometa nel 1759 passò in gran vicinanza della Terra, così egli fu obbligato di ridurre a calcolo le variazioni prodotte dalla sua azione nel moto medio e nel semiasse maggiore, le quali facevano cambiare il tempo della rivoluzione periodica di circa 16 giorni. Ecco pertanto gli elementi da esso ottenuti: pel 1682 . . . log. a = 1. 25572i3; T=i4g,74002 Sett. T. M. in Parigi (7 = 0,582.428; log. q = 9.7652424; T = 3 020. 3'. 45"; sua var. diur. = -r-o",2 2 te) = 5i°.i7'.io"; i = i7°.48'.o''; log. e = 9.9857301. Pel 1759 a = 18,01861; dopo l'azione ) a = 18,01 160 e = 0,967557 della Terra ) e = 0.96754386 t=i 2^58976 Marzo; T. M. in Parigi. T = 3o3°.io'.i";sua var. diur.=+o", 22 w = 53°.5o'.n"; i = i7°.37".i2. Le ricerche del signor Burkardt rammentarono ai calcolatori , che intende- vansi occupare della teorica dei movimenti di questa cometa, non potersi tras- curare l'azione della Terra, la quale diveniva oltremodo sensibile nelle vicinan- ze del perielio nel 1759: da esse forse trasse occasione il sopra Iodato signor Damoiseau per riprendere la serie de' suoi calcoli, ad oggetto di includervela. Porge i risultati di questo suo nuovo lavoro colle tracce del metodo da esso se- guito nell'Appendice alla Connaissence des temps pel i832, ov'egli assegnò i seguenti elementi: n = 46", 51942; v = 4g,32 di Novembre 1 835. T. M. in Parigi; e= o,96-3o55; q = 0,588017; gli altri elementi t, 00, i rimanendo sensi- bilmente, come prima gli aveva determinati, e come sono riferiti al numero precedente. 5. Un altro illustre calcolatore (il sig. di Pontécoulant, resosi celebre soprat- tutto pel suo bel Trattato di meccanica celeste,, pubblicato sotto il titolo Théorie analytique du système du mond) entrò a questi ultimi tempi nel laborioso arringo dei calcoli relativi alla cometa di Halley, ed a più riprese fece noti al pubblico i suoi risultati. Non giunsero tuttavia a mia notizia le sue Memorie originali, che devono essere inserite negli ultimi volumi delle Memorie dell'Ac- cademia reale di Parigi, non per anco pervenuti a questa Biblioteca; ma se ne leggono dei circostanziali estratti nella Conoscenza dei tempi per gli anni 1 833- 1837. Cominciò egli pure dal calcolare le perturbazioni fra il 1682 ed il 1759, ad oggetto di determinare il moto medio a quest'ultima epoca; ed ia seguito le estese per la rivoluzione seguente, adoperando la massa di Giove determinata 220 da Bouvard ( j. Quando però fu dimostrato, per le ricerche di Nicolay, Gauss ed Enke sulle ineguaglianze prodolte nei nuovi pianeti dall'azione di Giove, e per le nuove osservazioni di Airy e mie proprie, che la massa di questo pianeta deve nolabilmenle aumentarsi, e stabilirsi = mollo pros- io5o r simaraente, riprese a correggere i suoi risaltati, tenendo a calcolo eziandio l'azione della Terra, e giunse (Conn. des temps, i83y, pag. 104) ai seguenti ri- sultati, che servirono di base ali effemeride delle posizioni geocentriche ivi pure riferita, e calcolata dal signor Bouvard per guidare gli astronomi alla sua ri- cerca nelle vicinanze del suo ritorno al perielio. a = 17,99755; t = I2S,6 Novembre i835. T. M. in Parigi. e = 0.9675212; t == 3o4°-3i'.43"; co = 55°. 3o'; i = 17°.^^'. 2^" mot.retr. Leggesi nel numero 127 del riputato Giornale intitolato VInstitUtj che al- lorquando la cometa si rese visibile nello scorso autunno pel suo avvicina- mento al Sole ed alla Terra, abbia lo stesso autore riveduto da capo tutta la se- rie de' suoi calcoli nei due precedenti periodi, e sia giunto ai seguenti risultati, nei quali, a grande onore della teoria, il passaggio al perielio appena differisce di un giorno da quello che fu realmente osservato. a = 17,99829; t =s i4s,74 Novembre i835. T. M. in Parigi. e = 0.967513; t = 3o4°.2i'.35"; w = 54°.59'.io"; ì = 1 7°.44'-3" n = 46 ,4687067; moto retrogrado. In questa nuova revisione apparisce che il signor Ponteculant siasi servito delle formule comode e spedite date da La-Grange nella sua Memoria premiata dall'Accademia delle scienze di Parigi nell'anno 1780, inserita nel tomo X. delle Memorie des savants étrangerSj le quali di gran lunga abbreviano il calcolo nella parte superiore dell'orbila, allorché la distanza della cometa dal Sole è divenuta considerabilmenle grande. 6. Ci resta per ultimo a fare onorata menzione dei lavori intrapresi dal sig. Rosenberger, professore di astronomia nell'Università di Halla. Affinchè nulla rimanesse a desiderare su tale argomento, questo indefesso calcolatore ha intra- preso una nuova revisione delle osservazioni fatte dai più riputati astronomi nelle due apparizioni del 1682 e del 1759, riducendole coi dati recentissimi all'equinozio medio ed al cenlro della Terra. Per procedere con l'ordine del tempo in cui il signor Rosenberger ha pub- blicato queste sue ricerche, faremo da principio parola di quelle intorno alla 221 apparizione del 17S9. Partendo dall'asse maggiore stabilito dal sig. Damoiseau per quest'epoca, dalla numerosa serie delle osservazioni del signor Messier, de- dusse un sistema di elementi riferito all'equinozio medio del 0 Gennajo 1 75g, che qui riferiremo perchè meglio ne appariscano le piccole differenze con quelli del signor Burkardt, determinali dietro le medesime osservazioni. a= i8,o33275; 6 = 0.96768269; T= 12&, 56261 Marzo. T. M. in Parigi. ir = 3o3 io'.48',6i; o>== 1 io°.37'.8",23; i= i7°.38'.8 ',65; moto retrogrado; ovvero: T = 164. 25. 5, 07; w= 1 io. 37. 8, 23; i = 162.21. 5i, 35; moto diretto. Prendendo ora a base questi elementi già molto prossimi al vero, l'autore calcolò con minuta estensione le loro variazioni, dipendenti dall'azione di tutti i sette principali pianeti del sistema solare, e formò così un'ellisse lentamente variabile col tempo, dalla quale dedusse un'effemeride accuratissima per tutto il tempo dell'apparizione della cometa, che porgeva ad ogni giorno la sua AB.. calcolata, e la sua declinazione con le loro rispettive variazioni orarie. A que- sta effemeride egli confrontò le copiose serie delle osservazioni lasciateci da Messier, da Muraldi, da Cassini de Thury, da Bradley, da Hell, da Darquier, da la Calile, da Lulof, da le Seur e Jacquier, determinando l'errore medio di ciascheduna serie, ed i loro rispettivi gradi di fiducia. Per ultimo ei forma le equazioni di condizione da tutte queste serie di osservazioni, dalle quali dipen- de la ricerca delle correzioni degli elementi fondamentali, ch'egli poscia risolve col metodo dei minimi quadrati. Questo immenso lavoro è inserito nel num. 180 delle Notizie astronomiche del sig. Schumacher; ed eccone i risultati finali, riferiti all'equinozio medio pel o Gennajo 1759, e disposti per le regole del moto diretto. Semiasse maggiore . . . a = 18,083275 -+- (Aa) Eccentricità e = 0.96767572 -f- (Aa). 0.0017766 Passaggio al perielio . . t = 126,57093 -f- (Aa), 0,04281 di Marzo. T.M. di Longit. del nodo ascend. w = 53°.47-46">88 — (Aa). 44">29 Parigi. Longitudine del perielio 3"«== 164.25. 16, 4^ -+- (&a)- 1 g3, 32 Inclinazione dell'orbita . 1= 162.21.43, 70 — (&u). 41) 9° dove (A a) esprime la correzione di cui ancor potrebbe abbisognare il semias- se maggiore di Damoiseau, ed i termini per esso moltiplicati ne rappresentano l'influenza negli altri elementi. Terminata questa discussione, ne intraprese una del tutto simile per determinare gli elementi definitivi pel passaggio al perielio del 1682, che trovasi inserita nel num. 196 del citalo Giornale, ove assegna, 222 come risultanti dalle osservazioni di Flamstedio, di Picard, di Hevelio e di La- Hire, i seguenti elementi: a = 18,17819 + Aa; e = 0,96794362 -f- Aa. 0,0017685 t = Settembre 14,81418 — Aa. 0,02562. T. M. in Parigi. ir e= 160°. 4'.55",38 — Aa. 42",3i , , ,- , _ _ _ _ _ / per le regole del moto w = 5o. 57. 00, 02 -+- Aa. 72, o5 > ,. a e q A or c diretto. 1 = 102. io. io, 17 — Aa. 35, io ' 7. Dopo di avere stabiliti in questa guisa gli elementi ellittici che nel modo più plausibile rappresentano le osservazioni delle due precedenti apparizioni , si rivolse al calcolo delle perturbazioni prodotte da tulti i pianeti del nostro si- stema nella rivoluzione compiutasi fra il 1682 ed il 1759, ad oggetto di deter- minare con tutta la possibile esattezza il moto medio della cometa per l'epoca dei passaggi al perielio negli stessi anni, da cui dipende eziandio l'asse mag- giore dell'orbita, e da cui pure dipende la continuazione del calcolo per rica- vare dalla teoria lo in allora atteso ritorno nel Novembre i835. Di questo suo immenso lavoro rende conto in una circostanziata Memoria , inserita nelle citate Notizie astronomiche del professore Schumacher , nu- mero 25o. Comincia egli dall'esporre i metodi da esso seguiti in tale laboriosa ricerca; e qui subito presentasi una modificazione alle consuete formule, la quale merita una particolare attenzione. Partendo egli in falli dalle consuete variazioni degli elementi ellittici, ordinate per l'elemento del tempo, si propone di scegliere a variabile principale l'anomalia eccentrica , e quindi da esse eli- mina l'elemento del tempo, differenziando la conosciuta relazione fra l'anomalia eccentrica e l'anomalia media, ch'egli scrive sotto la forma seguente: t> (T -\- t) = t — e. sen e, dove v rappresenta 1 incremento giornaliero dell'anomalia media, — T il pas- saggio al perielio, t il giorno dato, £ l'anomalia eccentrica , e l'eccentricità del- l'orbita. Nel differenziare questa equazione egli fa variare eziandio le costanti rapporto al tempo; e sostituendo i valori dei loro differenziali dati pel tempo, facilmente formasi la seguente: — = 1 — 1 { 1 -f- . — ■ (2 e — cos e — e9 cos e) A' -f- ■— ■ VT^e? sen e (2 — e cos 1) B'[ dove A' B' dipendono dalle forze perturbatrici. Di qui si ottiene per dt una r de espressione della seguente forma ... d t = — . -, della quale si serve a v 1 -}-/ fautore per trasportare le formule rappresentanti le cercate variazioni dal tempo 223 all'anomalia eccentrica. Apparisce dal fin qui detto, che questo valore di dt differisce da quello comunemente impiegato per la quantità introdottavi^ la quale per essere del primo ordine rapporto alle forze perturbatrici, introduce nelle variazioni degli elementi dei termini di secondo ordine, rapporto alle forze stesse. La sua influenza pertanto è insensibile, siccome lo stesso autore osserva, finche la cometa mantiensi molto distante dal pianeta perturbatore; ma quando ad esso molto avvicinasi, può divenire sensibile: e lo dimostra con un esempio numerico. Potrebbe sembrare a prima vista che questa maniera di ricavare il valore di dt fosse contraria allo spirito del metodo della variazione delle costanti ar- bitrarie, giusla il quale ogni equazione differenziale del primo ordine fra le coordinate del moto ellittico deve rimanere la stessa, tanto supponendo le co- stanti invariabili, quanto sottoponendole alle variazioni richieste dalla natura delle forze perturbatrici; e (pare a me) la introdotta correzione dovrebbe omet- tersi, se si spingesse avanti l'operazione per minimi intervalli dell'anomalia ec- centrica, ed al principio di ciascun intervallo si applicassero agli elementi tutti del moto ellittico le correzioni ottenute nell'intervallo precedente; con che si avrebbe sempre una nuova epoca ed una nuova anomalia media, da cui dipen- derebbe poi il valore dell'anomalia eccentrica, da adoperarsi nell'intervallo se- guente. Siccome però nel calcolo delle perturbazioni per quadratura procedesi sempre per intervalli finiti più o meno grandi; così la modificazione del signor Rosenberger riesce un metodo ingegnoso e sommamente comodo, per aver ri- guardo alla continua variazione delle epoche e delle longitudini medie, la quale (sebbene introduca nel calcolo dei termini del secondo ordine delle masse) non si può trascurare allorquando per un soverchio avvicinamento della cometa al pianeta perturbatore gli elementi del moto ellittico variano con molta rapidità. 8. Allorché uno si propone il calcolo delle perturbazioni per una cometa di un periodo così lungo, come quella dell'Halle^, è forza adottare dei metodi spediti per la parte superiore dell'orbita, ove le perturbazioni sono piccolissi- me, soverchiamente lunghi e molesti riuscendo i metodi ordinarli indispensa- bili alle mediocri distanze, massime se vogliasi avere riguardo all'azione di tutti i pianeti. La-Grange nella Memoria superiormente citata (§. 5.) trattò questo importante argomento con tutta la desiderabile estensione, e con quelle lumi- nose tracce che convenivano al sublime suo genio. In questi ultimi tempi il si- gnor Argelander in un commentario intorno all'orbita della cometa del 1811 (che non giunse a mia cognizione nel suo originale) propose un sistema di 224 formule, che non apparisce molto differente (quanto all'intrinseco spirito) dal metodo seguito da La-Grange, ed al quale si appiglia il siguor Rosenberger nelle sue ricerche attuali, dopo di averlo riferito per intero a maggiore diffu- sione fra i dotti. Sarebbe stato desiderabile che il eh. autore ne avesse fatto il confronto con quello del signor La-Grange, per mostrare ad evidenza quale dei due sistemi meriti in pratica la preferenza. Riserbandomi forse ad altro momento a fare un tale ravvicinamento di questi due sistemi , dirò che il me- todo del signor Argelander consiste nel determinare il movimento della cometa, non intorno al centro del Sole, ma intorno al centro di gravità d' un sistema composto del Sole e dei pianeti perturbatori; e calcolata l'orbita intorno a que- sto centro fittizio, facile ne riesce la riduzione al centro del Sole. Con questo ingegnoso artificio le forze perturbatrici risultano di gran lunga più piccole, meno variabili, ed il calcolo nelle parti superiori dell'orbita rendesi di gran lunga più semplice, giacche si possono adoperare grandi intervalli di tempo anche pei minori pianeti, le coordinate dei quali variano con molta rapidità. Con questo mezzo il signor Rosenberger ha calcolato le perturbazioni prodotte da Mercurio, da Venere, dalla Terra e da Marte nei movimenti della pre- sente cometa. Esposte cosi succintamente le tracce generali seguite dal signor Resenberger, la brevità che ci siamo imposti non permette d'inoltrarci nel riferire i parti- colari di tutto il suo lavoro; aggiungeremo solo, che da bel principio egli con- dusse a fine il calcolo nel periodo compreso fra il 1672 ed il i75g, come so- pra abbiamo indicato; indi nel num. 276 dello stesso Giornale, corretti prima alcuni piccoli errori da esso scoperti ne' suoi calcoli precedenti, annunzia di avere collo stesso metodo spinta avanti l'operazione nel periodo fra il 1 75g ed il 1835, fino al grado 2gG di anomalia eccentrica; e mancandogli il tempo per condurla a fine (sovrastando già il momento di ricercarla, e di porre in opera alla ricerca della medesima gli elementi finali), ei la compiè provvisoriamente, prendendo il resto dal calcolo del signor Damoiseau , per intero riferito nel voi. XXIV. degli Atti di Torino, e riducendone i numeri alle masse da esso adottale fin da principio, che sono quelle date dal signor Bouvard nelle sue Tavole astronomiche. Siccome era incerto se un etere disseminato nello spa- zio si opponesse al moto della cometa, e diminuendo il semiasse maggiore ne accelerasse il ritorno; così, perchè dalle osservazioni acquistar si potessero dati sufficienti a decidere siffatta quistione, intraprese per ultimo il calcolo delle perturbazioni dipendenti da una tale resistenza, adottando le ipotesi ed i valori numerici del signor Enke. Ecco i risultati finali di questo suo immenso lavo- ro: i tempi sono riferiti al meridiano di Parigi, contati dal mezzodì in tempo medio; le longitudini nelle tre apparizioni sono per ordine riferite all'equinozio medio del i5 Settembre 1682, i3 Marzo ^jScj, e 7 Novembre i835. /. Sistema di clementi, non avendo riguardo alla resistenza dell'etere. 1682 moto medio n = 45", 810976 e = 0,96792019 t= i4S)8oi55 Sett. i = i62°.i5'.i4".65 0= 5i. 1 1. 18, 12 Sg, i5 i759 i835 45'', 124027 = 46",5o88 0,96768436 »* 0.967391 i2?,55827 Marzo. = 1 1 ,576 Nov. i62°.23'. 8", 00 = i62°.i6'.35",5 53. 5o. 26, 87 = 55. 1 1. 21, 4 164. 3o. 25, 54 = i65. 5r. 44' * //. Sistema, avendo riguardo alla resistenza dell'etere. n = 45",8o4578 e = 0.96792315 t = i4g,8oi5o Sett. i = i62°.i5'.i4",65 « = 5i. 11. 18, i5 t = 160. 26.58, 74 == 46",i3o425 === 0.96768139 = i2f,558i9 Marzo. = i62°.23'. 8",o4 = 53. 5o. 26, 90 = 164. 3o.25, i3 = 46",5a8o = 0.967382 = 3,844 Nov. = i62",i6'.35",5 = 55. 1 1. 21, 4 = i65. 5i. 43, 7 valendo dappertutto le regole del moto diretto. Avendo pertanto le osservazioni del 1 835 mostrato che la cometa passò al perielio verso il 1 6 di Novembre, dobbiamo concludere dal confronto dei precedenti due sistemi, che l'apparizio- ne dell'anno scorso si pronuncia poco favorevolmente per l'ipotesi d'una resi- stenza eterea. g. Porremo fine a questa breve relazione sui lavori teoretici dei contempo- ranei con far parola delle ricerche del signor dott. Lehmann di Potsdam, i ri- sultamene dei quali si leggono nel num. 287 delle già citate Notizie astrono- miche del prof . Schumacher. Questo egregio calcolatore, invitato dall'importan- za dell'argomento, conoscendo perfettamente gli altrui lavori, si accinse all'ardua impresa del calcolo delle perturbazioni, prendendo a base gli elementi più plau- sibili dati dalle osservazioni nelle diverse apparizioni della cometa; e con la vista d'indagare separatamente l'effetto della resistenza eterea, abbracciò i pe- riodi compresi fra il 1637, il 1682 ed il 1759. Determinati poi gli elementi per quest'ultima apparizione, continuò il calcolo delle perturbazioni fino al ri- 29 226 torno al perielio nel 1 835. Ordinò il suo calcolo per intervalli di tempo, ch'egli assunse più o meno estesi, secondo il bisogno manifestatosi dai diversi gradi di avvicinamento della cometa dai pianeti perturbatori. Le masse dei pianeti da esso adoperale sono quelle che risultano dalle più recenti discussioni ; cosi per Giove impiegò la massa — ■ determinata da Nicolay: i loro luoehi furono io53,g24 calcolati dietro le migliori Tavole, o con la scorta delle più accreditate Effeme- ridi. Fece concorrere in quest'ardua ricerca anche i minori pianeti, Mercu- rio, Venere, la Terra e Marte, calcolandone direttamente le variazioni da essi prodotte negli elementi finché erano sensibili, e stimandole poscia nelle mag- giori distanze col supporli concentrati nel Sole, e fare un cambiamento nel- l'asse maggiore corrispondente all'aumentata massa solare. Pose iu opera ogni mezzo di riscontro, e non trascurò alcuna diligenza per assicurarsi dell'esattezza delle operazioni numeriche. A fronte di tante cure, ebbe il rispettabile autore lo sconforto di giungere a risultamenti notabilmente diversi da quelli del signor Rosenberger, e dagli altri di Damoiseau e Pontecoulaut che lo avevano preceduto in questo nobile arringo, poiché fissa il tempo del ritorno al perielio nel 1 835 verso il 26 di Novembre , come apparirà dal quadro qui sotto riferito. A vero dire, pare a me che si debba riguardare come tollerabile la differenza dei risultati, qualora si ponga mente alla diversità delle masse adoperate, degli elementi del calcolo da cui sono parliti questi calcolatori nelle varie epoche, alla lentezza del moto medio della cometa, e soprattutto alla incertezza delle osservazioni del 1G07, che l'autore ha fatto concorrere per determinare empiricamente l'effetto della resistenza dell'etere. Crede invece il signor Leumann di dover ripetere la dif- ferenza dei risultati dalla diversità della variabile principale, per la quale egli scelse il tempo, mentre il signor Rosenberger adoperò l'anomalia eccentrica, l'uso della quale egli riguarda come meno sicuro. In vero sembra che la diffe- renza dei due sistemi, fondati sopra gli stessi priucipii , possa bensì procurare ima maggiore o minore facilità nelle operazioni numeriche, non però pro- durre dilferenza nei risultati; e piuttosto si può credere che non abbia il signor Lehmauu abbastanza ristretto gl'intervalli, e corretto competentemente a mano a mano gli elementi colle antecedenti variazioni iu quei puuti ne' quali per un soverchio avvicinamento della cometa a Giove od agli altri pianeti pertur- banti la loro azione variava con grande rapidità; intorno a che meritano d'es- ser lette le giudiziose osservazioni fatte dallo stesso signor Rosenberger sopra i68a J759 i335 x = i48,8i42 7 Se». T & I2p,57I24 T Si 26^,27 NoT. e ti 0,967931 5o a S 18,1 74732 ws 5i °.io'.29", 9 jr t 160. 25. 24, 4 e e 0,96769237 a e 18,092089 »S 53°.47'44",9 *es 164. 25. 6. 8 9 s= o,f.86784 a& 17,86452 B'ta 55°. g'.43" ir ti 3o4°.3o'.i 1" 1 s= 162. i3. 56, 16 1 ti 162. 22. 7, 0 i ss 17. 44. 1 6 diretto 1 diretto retrogrado. questo lavoro nel num. 288 delle Astr. Nadir. j contentandoci noi di riferire i risultati originali olienti» dall'autore. 1G07 T = 27^,0148 Ott. <; = o,584i85 a ss 17,94943 „b 48°.. 4'- 9" ■k SS 3oo. 46. 5g" ts- 1 7. 6. 17,1 moto retrogrado Dove dappertutto il tempo è valutalo dal mezzodì medio del meridiano di Pa- rigi, e le longitudini sono riferite in ciascheduna epoca all'equinozio medio corrispondente al giorno del passaggio pel perielio. Se per confrontare i pre- cedenti risultati pel 1 835 con quelli del signor Rosenberger si convertiranno i precelti del moto retrogrado in quelli del moto diretto, si troveranno invece i due costanti ir, i espressi nel modo seguente: t = i65». 49 • ■ x' ; * = 1G20. i5'. 14' . II. Osservazioni astronomiche fatte nella Specola di Padova. io. Dietro tutti i lavori precedentemente riferiti, chiaro apparisce che pole- vasi assegnare la posizione geocentrica della cometa per dirigere le ricerche degli astronomi, quando potevasi sperare d'incominciare ad osservarla col mez- zo di buoni canocchiali; e di fatto in tutte le migliori Effemeridi e nei Gior- nali scientifici più riputati vennero a tale effetto inserite con maggiore o mi- nore estensione le sue A /?_, le sue declinazioni geocentriche. Il celebre do». Olbers , tanto benemerito della teoria delle comete, confrontando la distanza della cometa attuale dalla Terra verso il principio dell'anno scorso con quella della grande cometa del 1 8 1 1 , allorché fu per l'ultima volta osservala dal signor Wisnievvsky, stimò che potesse rendersi visibile al principio dell'anno nei mesi di Febbrajo o Marzo, mentre generalmente altendevasi per l'autunno , e con una effemeride (Astr. Nach. num. 268) fondata sugli elementi del signor Pontecoulant invitò gli astronomi a ricercarla diligentemente. Si ricercò in- fatti anche in questa regia Specola minutamente più volte in sere chiare, e favo- revoli alle osservazioni di tal genere; ma non si riusci a scuoprirne la più pic- cola traccia; uè mi è noto che a quell'epoca sia stata in alcun luogo osservata. Gli astronomi del Collegio romano furono i primi ad osservarla, giacche riu- scirono a vederla con un eccellente canocchiale acromatico di Cauchoix (il cui 228 obiettivo ha sette piedi parigini di distanza focale con sei pollici di apertura) uelle mattine 5, 6 e 7 di Agosto. Disgraziatamente però il cielo sparso di nu- vole ed il crepuscolo crescente non gli permisero di farne osservazioni rego- lari e poterono solo rilevarne a stima la posizione, riportandola a stelle circon- vicine per assicurare l'autorità della scoperta. Le osservazioni degli astronomi romani riescono di sommo interesse per indicare la forza e la chiarezza del ca- nocchiale, opportuna a rendere cospicua la cometa nella sua prima apparizione, quando ritornando dalle parti superiori della sua orbita non ha ancora acqui- stato quel grado di luce e calore che sembra conservare in una stessa distanza dopo il passaggio pel perielio. In fatti per una fortunata combinazione anche qui l'atmosfera era abbastanza pura, e nelle mattine 5 e 6 di Agosto il signor dott. Conti, mio collega, ed io la ricercammo diligentemente alla macchina pa- ratattica, perlustrando quella regione in cui a Roma videsi senza stento e quasi a primo aspetto col canocchiale di Cauchoix, né ci riuscì di sospettarne la più piccola traccia. Ora il canocchiale di questa macchina è opera egregia del de- funto Fraunhofer, dotato di rara chiarezza, ma ha soltanto le seguenti dimen- sioni ed i seguenti ingrandimenti. Lunghezza focale dell'obbiettivo poli. 3o Apertura lin. 29 E munito di tre oculari a due lenti, secondo la costruzione di Ramsden , che ingrandiscono come segue : 11 i.° oculare con micrometro circolare ingrandisce 3o volte 2.0 senza micrometro circolare 4° 3.° pure senza micrometro 60 Si adoperarono alternativamente gli oculari primo e secondo. 11. Generalmente poi nei diversi Osservatorii d'Europa fu veduta dal 21 di Agosto al primo di Settembre; qui l'atmosfera fu costantemente ingombra di vapori e spesso affatto coperta, e le nostre ricerche riuscirono infruttuose fino al primo di Settembre, in cui essendo il cielo sufficientemente puro s'incontrò senza ostacolo, non molto allontanandosi dalle Effemeridi del signor Bouvard, calcolate sugli elementi di Pontecoulant. Aveva l' aspetto d'una debole e larga luminosa di un minuto e più di diametro, un poco più splendente nel centro. Nei giorni seguenti 2, 3 e 4 Settembre, essendo l'atmosfera carica di vapori, distinguevasi a stento; e forse non sarebbesi riconosciuta, se non fosse stata os- servata il giorno primo. In seguito dovetti abbandonare l'Osservatorio , essendo stato richiamato a Venezia per commissione dell'Eccelso Governo, ed il signor 22g Conti con molta assiduità e diligenza la osservò in tutte quelle sere che lo permisero le circostanze atmosferiche di quell'autunno straordinariamente pio- voso e coperto di nuvole fino al giorno 17 Novembre, in cui si perdette nei raggi solari. La sua luce andò di giorno in giorno crescendo , sicché verso la fine di Settembre cominciossi a vedere ad occhio nudo, ed ai primi di Ottobre faceva già di sé bella mostra, brillando come una stella di prima grandezza, ac- compagnata da una coda di lunghezza alquanto variabile da una sera all'altra; verso il giorno 12 dello stesso mese acquistò il massimo splendore fra le stelle dell'Orsa maggiore con una coda lunga circa io gradi. In seguito il suo splen- dore rapidamente diminuì, con un moto molto celere si rivolse verso l'Equato- re, ed alla Cue di Ottobre non più vedevasi ad occhio nudo, per lo meno a primo aspetto. Nel canocchiale appariva un disco confuso e come involto in un'atmosfera luminosa, nel cui centro distinguevasi un jmuto più splendente, a cui costantemente si collimò nelle osservazioni. Passata poi la cometa nell'emisfero australe e perdutasi nei raggi solari (sic- come accennammo) la sera dei 17 Novembre, non ne sortì che verso il finire di Dicembre. La tornammo ad osservare per la prima volta il 3i di Dicembre (mattina del i.° Gennajo, poco avanti il levar del Sole). Era allora molto bassa sul nostro orizzonte, debolissima, ed appariva come una larga ed estesa nube- cola, del diametro di 7 in 8 minuti, senza che si potesse scorgere alcun punto più splendente nel centro. Pochissime e mal sicure osservazioni si sono poL'Le fare sino alla mattina del 27 Gennajo; dopo la qual epoca, ora pel chiarore della Luna, ora pel cattivo tempo, ora per le nebbie che quasi costantemente solle- vandosi dalle foci del Pò ingombrano qui gli strati inferiori dell'atmosfera fra il Levante ed il Mezzodì, non si potè più vedere. 12. Premesse queste generali notizie, passiamo ad esporne le osservazioni. Queste furono fatte alla consueta macchina paratattica, notando la sortita del centro del nucleo più splendente da tre lamine metalliche paralelle al circolo di declinazione, e portando in contatto della lamina equatoriale il centro stesso subito dopo la sortita dalla terza lamina. Senza mai alterare la posizione del circolo di declinazione, attendevasi che una o più stelle bene determinate, e re- gistrate nei Cataloghi della Società astronomica o di Piazzi, attraversassero lo stesso circolo orario; la differenza dei passaggi alla lamina media dava la diffe- renza apparente delle AK, mentre la differenza delle declinazioni osservavasi dalle divisioni del circolo di declinazione, e questa assumevasi sempre piccola, perchè gli errori residui nella posizione della macchina non avessero una sen- 200 sibile influenza. In quelle sere, nelle quali il moto della cometa era rapidissi- mo, si notò eziandio il tempo trascorso fra il passaggio della lamina media , ed il momento in cui fu osservata la declinazione; e questo nella seguente Tavola viene riferito in una colonna apposita, per poter ridurre le declinazioni osser- vate allo stesso istante, per cui riescono determinate le AB.; nelle altre sere tal correzione è piccolissima , e se si vorrà tenerne conto si potrà far uso della distanza delle lamine, la quale all'Equatore è di 23", 8. Le osservazioni sono state per la massima parte diligentemente ridotte dal signor Conti, die ha cal- colato la posizione apparente delle stelle di confronto prendendo le loro posi- zioni medie dagli indicati Cataloghi , e le correzioni dovute all'aberrazione e nutazione dalle tabelle inserite nelle Effemeridi del signor Enke; inoltre le se- guenti posizioni osservate sono già state corrette eziandio dalla influenza delle rifrazioni astronomiche, dimodoché devonsi soltanto correggere dall'effetto della paralasse, dell'aberrazione della luce; e quanto alle declinazioni devonsi inoltre ridurre all'istante del passaggio alla lamina media. i833. Mesi, Giur. Tempo Medio in Padova. A li app. della cometa. 1 Deci. app. della cometa. Tempo per la rid.decl. ISum. delle sielle di confronto. Osser- vatori. Se», i h i3. io/.39",6 li 5.5i'.i2>9 +a4.°5c/,34",7 Santini — i3. 52. 4o, 7 5. 5 1. 11, 5i 25. 0. 22, 0 (766. 784 di Bavly Conti — i4- 19. 4'. 4 5.5i. i3, 87 25. 0. 46, 7 =H Santini 2 i2.44.58, 6 5. 52. 3, 81 25. IO. 24, 4 — i3. 2C. 4, 8 5. 5a. 5, 4i 2 5. 9. 24, 7 ( 766. Bayly 3 l4- 19- 34, 2 5. 53. 5, 32 2 5. ig. 33, 3 25. 19. 3g, 4 ~~ j 766- 784- B- , — 1 4.45.37, . 5. 53. 7, i4 4 i4- 11. 39, 0 5.53.57,44 25. 3o. 22, 7 766.784. 7?. Conti '9 n.36.23, 8 12. 12. 25, 3 12. 48. 59, 1 6. io. 57, 80 6. io. 5g, 26 6. 11. 2, 60 29. 37. 28, 6 29.37.45, 1 29. 37. 48, 1 ~~ ) 800. 8.7 / 1 825. 832 {"■ 20 1 1. 52. 55, 9 6. 12. 34, 36 3o. 4- 34, g 1 800. 81 7.j j 825.832 Su- — 12. 23. 49) 4 6. 12. 35, g5 3o. 5. 24, 0 21 i3. 5. 29, 6 6. i4- 18, 90 3o. 35. 5g, 4 — il°°'l\7[B. J 82.1. 8Ì2 ) i3. 36. 3o, 5 6. 1 4- 21, 54 3o. 36. 36, 6 22 12.40. 4g, 4 6. 16. 6, 49 3 1. 7. 55, 4 — , 817.835» . ( 832. 846 r- — . — — i3. 14. 58, 2 6. 16. 8, 75 3i. 8.38,o 23 12. 18. 3i, 4 6. 18. 3. 44 3i. 4^. 4s, 6 1 817.825/ 846. \ B- 12. 5o. 47, 4 6. 18. 3, 87 3i. 43. 4o, 2 24 12. 18. 38, 4 6. 20. 12, 26 32. ai. 3o, 8 8,7. 825 ( 832. 846(y' 12.48. 27, 7 6. 20. i4, 23 32. 22. 3o, 8 28 12. 10. 45, 0 6. 3i. 26, o5 35.45. 4, 0 — _ 846. B. 12. 28. 57, 3 6. 3 1. 29, 12 35.45.57,4 1 r '/ 1 0 .5g ■ 12. 45. 0, 8 6. 3 1 . 3 1 , 02 35.46. 18, 8 1. 8 ( 832. 846 B. — | i3. o.34, 8 6. 3 1 . 3 3 , 11 +35.46.4g, 7 0. 56 ( 201 i835. Tempo Medio A lì app. Deci. app. Tempo Nura. delle stelle Osser- Mesi, Gior. in Padova. della cometa. della cometa. per la rid.decl. di confronto. vatori. Seti. 29 12. 47'. 2",0 i3. 18. 56, 8 li 6. 35'.22",76 6.35. 27, 63 +36. 54'. 3", 5 36. 55. 54, 3 <•' 7" I. 2 846.88o.fi. Conti Olt. 7 1 1. 27. 1, 8 8. 5. 20, g5 54. 38. 21,9 fi 1.27 \ ,092- ,099- B- — 12. 25. 11,7 8. 6.34,97 54. 46. 52, 0 8 i3. 12. i4, 0 i3. 5i. 26, 0 8. 46. 6, 43 8. 47- 23, io 58.4i.3i, 9 58. 47.44,0 [Il j 1118. n46/?. 1 1 12. 52. 1, 6 12.43.34,48 61. 37. 43, 6 1. ig /i534.i 537. B. — i3. 43. 4o, 4 i2.46.53, 38 61. 29. 9, 1 1.48 1i526.i534.i537B. 1 2 g. 3. 21, 3 i3. 54.20, 48 56. 4i- 4o, 6 1. i3 I1607. B. i3 7. 46. io, 1 i4.4g.48, 88 48. 57. 11, 5 1 » 1. i4 ( '7'4'749-Z?. — 8. 20. i3, 7 i4- 5o. 58, 26 48.44- 5i, 1 — 8. 53. 2, 3 i4- 52. 5, 36 48. 32.22, 3 '■ 9 j — g. 3. 2g, 0 l4- 52. 26, 12 48. 28. 56, 3 ;; l h7'45ft — 9. i3. 34, 8 i4- 52. 45, gg 48. 24. 58, 3 — 9. s3. 37, 5 i4- 53. 6, 22 48.21. 18, 3 .. 4 ' i4 8. i4- 22, 5 8- 47- 48, 7 i5. 3o. i3, 82 i5. 3o. 57, 12 3g. 55. 28, 2 3g. 43. 36, 3 °-59 | i8i3. i83qB. 1. 1 1 3 18 6.32. 5, 5 l6.37.39, 12 -H4-26. 3, 1 0. 33 |25io.2534.258i5. Santini 26 6. 25. 47, 1 17. io.4o, 19 — 4- 2. 4o, 7 1 igy8.2o5i.2o6iZ>. 29 6.35. i3, 8 17. 1 4- 21, 22 7- 4- 8,3 jl6l.202.XVIIdi Conti 7. 2. 7, 8 17. 14.21, 44 7. 5. 22, 8 — ' Piazzi . 3o 5-46. 16, 6 17. i5. 3, 3g 7. 5i. 16, 5 1 161. XVII. P. Nov. 2 6. 2 r. 49, 2 17. 16. 16, 07 9. 54 4g, 5 [i6i.202xvii.p. i 1985. 2028 B. — __ 5 6. 46- '9, 1 5. 17.48, 0 17. 16. 16, 25 17. 16. 8, 46 g. 55. 3o, 1 ii.3o.25, g — 5. 4g- 18,0 17. 16. 8, 64 11. 3i. g, 4 — — 7 5. 29. 5, 5 5. 58. 24, 1 17. i5. 2g, 25 17. 1 5. 28, 22 12. 25. 33, 3 12. 26. 22, g 1 1 5.32. 8, 7 17. i3. 3, 01 i3. 5g. 14, 1 ) 2019. 2028 B. . — 5. 55. 3i, 7 17. i3. 2, 80 1 3.5g.49,4 12 5. 21.10, 8 17. 12. i5, g2 i4- 20. i3, 7 i — 5. 5i. 43, 0 17. 12. i5, 02 i4- 20. 36, 1 J — 17 5. 3i. 4o, 0 17. 7. 25, 16 i5. 53. 25, 3 / ^_ _ __ 5. 42- 26, 5 17. 7. 25, 80 i5. 53. 29, 6 ì ig85. 20 ig B. Die. 3i 18. i3. 49, 1 18. 21. 2g, 5 16. 18. 25, 5i 16. 18. 23, I I 24. 46. 1,6 24.46. 14, 1 ~~ | 1888. /;. Santini i836 Genn. ig 18. 14. 5, 6 i5. 53. 28, 29 28. 4- 27, 6 I i84g. B. 26 17.57. 1,8 1 5. 4o. 24, 02 29. 20. 58, 3 1 1816 B Santini — 18. i3. 29, 4 i5. 4o. 18, 48 29. 20.49, 3 — 18. 24. 21,5 i5. 4o. 21, io 29. 21. 4, 7 i — 18. 36, 18, 9 i5. 4o. 17, 76 29. 1 6. 4 1 , 5 Conti -7 •7- 4g. 9, 1 i5. 38. 16, 16 29.26. 5o, 7 ) Santini 18. 2. 22, 3 i5. 38. 12, 96 29. 26. 35, 6 / 1816. B. , — 18. 16. 3, 0 i5. 38. io, 70 29- 26. 20, 7 Conti — 18. 3i. i5, 5 i5. 38. 6, 55 —29. 26. 38, 1 232 annotazioni particolari. i.° Setlembre. Sera chiara. La cometa appariva simile ad una debile nebu- losa di circa i' di diametro, ad intervalli splendente nel centro. 2, 3 e 4 detto. Sere torbide. Cometa appena distinguibile. Osservaz. incerte. 7 Ottobre. Cielo vaporoso, con chiaro di Luna. Cometa poco visibile. 12 detto. Cielo nuvoloso. Si potè fare una sola osservazione. i3 detto. Si fé nuvolo sul priueipiare della notte. Si osservò la cometa fra le nuvole, che appariva molto estesa, senza poter distinguere il nucleo. Nou si possono osservare stelle di confronto che dopo 4-* circa. Osservazione incerta. 26 detto. Sera chiara e lucida con Luna splendente. Vedevasi la cometa ad occhio nudo, con leggerissima traccia di coda. Nel canocchiale della macchina paralattica appariva un disco splendente, confuso in diametro simile a Giove, con coda luminosa apprezzata di circa 4°- 12 Novembre. Cometa appena visibile pel chiaro del crepuscolo. 1 7 detto. Cometa prossima all'orizzonte, e debole pel crepuscolo. 3i Dicembre. Cometa bassa e molto debole, perchè immersa nei vapori. 19 Gennajo. Cielo velato e nebbioso. Cometa visibile ad intervalli. 26 detto. Cielo sereno. La cometa si presentava come una larga nebulosa, con un punto splendente eccentrico, a cui io collimai : forse era una stella te- lescopica. Il diametro della nebulosità si stimò di 7 in 8 minuti. III. Correzione degli elementi dell'orbita dietro le osservazioni fatte avanti la congiunzione col Sole. i3. Il signor Roseuberger, che si rese pe'suoi lavori superiormente riferiti tanto benemerito della teoria di questa cometa, fu anche fra i primi a correggere, dietro le osservazioni fatte sino dai primi giorni del suo ritorno, l'epoca del pas- saggio al perielio, e ad accorgersi che doveva questo accadere intorno al 16 di Novembre, mentre le sue ricerche colla teoria delle perturbazioni l'avrebbero stabilito verso il giorno ri. In seguito con tre osservazioni fatte dal sig. Bessel ad un eccellente eliometro nei giorni 27 Agosto, 17 e 23 di Settembre, deter- minò il seguente sistema di elementi disposto per le regole del moto diretto, il quale è molto vicino al vero, ed ha rappresentato molto prossimamente tutto il corso osservato della cometa durante la sua apparizione. 233 Pass, al perielio, in giorni dal pr. del 1 835 = T = 320,?o535i T. M. in Berlino Longitudine del perielio = x= i65°.55'.2o",82 1 dall'Eq. M. del nodo =w= 55. n. Ai j 4° j J6 Nov. Inclinazione all' ecclittica = i = 162. g. 48, 53 Eccentricità e = 0,9674433.6 Quindi l'angolo di eccentricità

    7 23.42.58, 1 a44,58o86 87.48. 7, 5 + 7. *~ 4, 3 87.48.10, 4 2 5. 0. 14, 5 + 5, 2+ 3, 3 25. 0.23, 0 a62,5 I 2C)9 92.44-58, 4 + 7' 4— 7, 7 g2.44.58, 1 29.37. 4o, 6 + 8, 6+ 5, 7 29.37.54, 9 371,52946 97.52.27, 4 4-i 1, 6 — 12, 8 97.52.26, 2 35.45. 5g, 7 + .3, 6+ 7,8 35.46. 31,1 28o,5oi54 121.29.29, 4 +53, 8— 37, 4 127. 29. 45, 8 54.43.24, 9 +21, 3 + i8, 5 54.43. 4, 7 284,5583o 191. 18. 29, 0 +go",8— 32, 0 i9I. 19.27, 8 61. 33.4i, 9 — 1 5 , 6+4o , 7 61.34. 7 , 0 286,36999 222.57. ^7> • +47, 7+46, 1 222. 5g. 3o, 9 +48.35.20, 7 — 34, 7+3o, 3 +48.35.16, 3 299,27214 257.40. 2, g + 4, 8+ 8, 6 257.40. 16, 3 4. 2.4o, 7 — 13, 9+1 1, 3 — 4- 2 43, 3 3o2, 28804 258.35. 0, 9 + 3, 3+ 7, 9 258.35. 1 2, 1 — 7. 4-44, 0 — 12, 6+ 9, 5 — 7. 4.47, 1 309, 23586 25g. 2. 8, 3 — 0, 9+ 5, 0 25g. 2. 1 2, 4 — 1 1.30.47, 0 -- 9: 7+ 7» 4 — ii.3o.4g, 3 3i5,243oi 258. i5.43, 5 - 4, 4+ 4, 7 258.i5.43, 8 — 13. 5g. 3i , 0 — 8, 6+ 6, 4 — 13. 59. 33, 2 32 i,2383o 3 56. 5 1. aa, 2 — 7, 4+ 4, 3 a56.5i. 19, 1 — 1 5. 53. 27, 0 — 8, 0+ 5, 1 — i 5. 53. 29, 9 Tavola II. Posizioni geocentriche osservale e calcolate della cometa e della Terra, ridotte al piano dell' ecclittica per l'equinozio medio 16 Novembre 1 835. .-a E "i2'.49",6 328». i4'. 2", 9 0. 0047848 85° . 5o'.20,6 +o.°i2\37",7 — d'. 6",5 + o'.ii",9 22 86. 2.11,5 0. i8.5o,8 329. 12. 26, 6 0. 004Ó920 86. 2. 14, 2 0. i 8. 45, 1 — 0. 2, 7 + 0. 7,7 Sett. 1 88. o.53,2 1. 33.54, 7 358. 5o. 5, 5 0. oo568o6 88. 1. 22, 5 1, 55. i5, 2 — 0. 29, 1 -|- 0. 21, 5 '9 92. 24. io, 3 6. 1 1. 34,3 356. 17. i3, 5 0. 0016452 q2. 24. 56, 1 6. 11. 35, 7 — 0.42,8 — o- 1,4 2S 96. 32. 34, 3 12. 29. 21,0 5. 7. 5i, 5 0. 0005267 06. 5i. 43, 2 12. 28.35, 8 + o.5i, 1 -j- 0.45, 2 Olt. 7 1 1 1. 14. 7. 2 33. 53. io, 1 i3. 58. 19, 6 9- 9995892 ili. 2. 26, 5 53. 20.25, 5 +11.40,7 -£. 9-53, 6 1 1 i5o. 29. 5, 2 57. 33. 14,4 17. 59. 4, 1 9. gq88885 i5o. 28.45, 5 57. 35. 14, 4 + 64.47,7 -+-12.27,7 u Iq3. 23. 4o, 8 60. 10. 5o, 4 19. 46-46, 6 9. 9986680 iq2. 3.54,2 60. 23. 33, 7 +79-46,0 i3. 0, o 26 256. 5g. 52, 5 18. 5i.4o, 1 52. 37. 18, 8 9- 997 "79 256. 5S. 28, 2 18. 5q.43, 3 -(-1.24,1 _ 8. 3, 2 29 258. l3.59, I i5. 54- 5g, 7 55. 58. 1 1, 0 9. 9967621 258. i3. 22, 7 16. 1. 22, q _i_ 0. 16, 4 — 6. 23, 2 Nov. 5 25q. 2. 27, 1 11. 3i.52, 7 42. 35.4S.6 9. 9959S25 25q. 3. 10, 8 11. 35. 53, 5 — 0.43, 7 _ 4. 0, 6 1 1 258. 28. 55, 1 9. 0. i,5 48. 58. 2, 1 9.9953715 258. 29. 4o, 0 9. 2.48,3 _ 1. 6, 9 _ 2.46, 8 '7 257. 16. 27, 2 +6. 59.26,6 54. 4°- 4°> -> 9.9948157 257. 17. II, 2 + 7. 1.20,5 — o..44> 0 - ..53,7 i5. S'indichino ora per dia, dij dir, dtp le correzioni cercate dei superiori elementi co, i} T, 9 + 102, 1 5o — 5, 184 — 81, 64o — 49, 20° + 34i,42 - 42,8 + 85, 19 — — 38, 700 —19, 576 — 118, 38o + 3i, 659 — 235,38 - .,4 58, 71 28 + 108, 75o — 9' 9°7 — 237, 84o — Si, 666 + 4u, 35 + 5i, 1 + «02, 29 — — 76, 537 — 37, 256 — 260, 270 + 54, 4a4 — 43 i , 12 + 45, 2 — I07, 21 Ott. 7 + 44, 191 — 22, 201 — 1256, 570 — 16, 4'6 -+• 3i 1, o4 + 1000, 7 + 76, 78 — — 28$, 4g° —70, 627 — 960, 010 + i65, 060 — i4oo, 56 -J- 593, 6 — 347, 42 1 1 — 660, 710 + 6, 881 —4776, i4o +336, 860 — 24o5, 06 +3887, 7 — 596> 97 — — 425, 64o —42, 295 — 65q, 46o +228, 000 — 21 35, 27 + 747, 6 — 528, 84 i3 — 1 137, 370 + 77, o63 — 4733, 220 +566, 000 — 47^2, 61 4-4786, 6 — 1 •97> 57 — — 97. "9 —49, o94 -f-io64, °4o + 60, 38o — 871, 34 — 783, 3 — 2l5, 18 26 — 33, oo3 +'9> '79 -f- 275, 680 + 14, 892 — 3g6, 02 + 84, 1 — 97' 5l — + 35, 298 — 59, 751 + 278, 990 — 11, 8o4 + ".ag — 483, 2 + 2, 88 29 9. 96° + i5, 856 + 296, 363 — 3» 799 — 291, 81 + 16,4 — 7', 77 — + 24, 443 — 5i, 258 + 206, 890 — 8, 3io — io, 81 — 383, 2 — 2, 58 Nov 5 + 1 7, 85o -\-i 1, 261 + 3ig, 820 - 9.487 — 178, 23 - 43, 7 — 43, 78 — + i3, o56 —37, 704 + 1 33, 170 — 5, 543 — 29. 84 — 240, 6 — 7, 3o 1 1 + 3o, oi4 + 8, 773 4- 33i, 834 — i5, 23o — 147, 3o — 66, 9 — 36, 18 — + 9. 274 —29, 54j + 109, 877 - 5,243 — 36, 54 — 166, 8 — 8,97 •7 + 37> 497 4- 6, 848 + 335, 890 — 18, 724 — 147, 23 - 44,o — 36, 16 — + 7, 620 — 22, 963 + 99,338 — 5, 537 — 43, 26 — "3, 7 — io, 55 Qui credo conveniente di avvertire, che ad oggetto di evitare gli errori numerici, sì facili ad insinuarsi in replicate operazioni, ho calcolato i coefficienti precedenti tanto colle citate formule differenziali , quanto direttamente calcolando i luoghi geocentrici della cometa cogli elementi variati ad uno ad uno, ed ho trovato sem- pre dentro i decimi di secondo i medesimi risultati, ad eccezione delle osservazioni dal 7 al 1 3 Ottohre, dove le piccole variazioni date agli elementi hanno un'influenza grandissima nelle posizioni geocentriche ; le maggiori differenze in quelle sere ca- dono nei coefficienti di d

    2) = 27480,4 (ac) = 4- 8963691, 5 (bd) = -f- 21712,1 (e3) = 50082118, 9 (ad) = — io485i6, 4 (be) = — 1.59002, 7 {cP) = 533907,98 (ae) = -f- 8599265, 5 (bn) = 4- 408570, 2 (e3) = 36825oi4, 5 (a n) =— 8439244, 7 (£«') = — 40186,1 (ari) = 4- 2i54492> ° (ed) = — 4532373, 8; (de) = — 438357i, 1; (eri) = — 3365o825, 1 (ce) =+ 35o86649, 6 (<:/«) =4- 4248075, 5 (««)=+ 9222118,9 (c?j) = — 44^2I^93, o (dri) = — 1098010, 9 Formati cosi questi coefficienti, le cinque seguenti equazioni daranno le cor- rezioni degli elementi cercate. («') dia •+- (ab) di-\-(ac)dr -r-(ad) dr + (ae) dp=> (an) -\-(ari) Aa-\-Q (ab) doo -+■ (b1) di -+- (bc) dr-+- (bd) dr -+■ (be) dp=(bn) -+■ (bri)Aa-r- I (e5) dr 4- (ed) dr-+- (ce) d

    ) dr 4- (de) dtp = (dn) 4- (dri) Aa 4- Ti (ce)dT-r-(de)dr + (e2)rf

    J-r-J'Aa-r- M.& 4- ec. di = B-\-B'Aa-r- N. I 4- ec. dr = C + C'A(i + P. T 4- ec. dir = D 4- D' A a 4- Q. n 4- ec. dtp = £ + £"Afl -f- jR. $ 4- ec. (a e) efa )-\-(cb)di (a J) ^w 4- (bd)di (ae) dai -r-(be)di 238 saranno A -f- A A «_, lì -f- B a a ec. i valori plausibili delle correzioni doo, dij ec; ed i limiti fra i quali si possono sperare compresi gli assegnati valori plausibili saranno rispettivamente determinati da ± m vM, ± in vN3 ec. Lo stesso cibarissimo autore dà un sistema di formule piano e simmelrico, clie conduce alla cognizione dei valori plausibili, dell'errore medio, ed anche dei coefficienti M , N , P ', Q> Rj i soli richiesti alla determinazione dei limiti dei valori plausibili. Tuttavia mi è sembrato che i metodi ordinarli di elimina- zione conducano con eguale sicurezza, e forse più speditamente, allo stesso scopo. Comunque però sia, avendo scelto questo metodo piano ed ovvio, mi li- miterò a riferirne i risultati , indicando le equazioni successive per le quali sono passato, a comodo di coloro che amassero ripetere i calcoli numerici. 17. Si suppongano da bel principio le quantità Q, I, T ec. = o, e divise le cinque precedenti equazioni pel coefficiente di dui, esse diverranno per or- dine le seguenti. (1) doo — 0,025498. di -|- 4,34o68i. dr — 0,507745. dir + 4iI^4207 ^

    = — 7',75g498 -+- o', 76321. Aa (3) doo — o.o36836. di -+- 5,587220. dr — o,5o5637- dir +• 3,914307.^ = — 4i94458o ■+- o'.g8oi 1. ^a (4) doo — 0.020707. di -+- 4,322655. dr — o.5og2o4- du>-\- 4,180738. dtp = — 4'0^1^12 ■+" i', 04721. Aa (5) doo — 0.018490. di + 4>°8oi9i. dr — 0,509761. dw-t- 4,282344- ^

    610146 — o, 03-42. Art dr = — o, 747651 — 0. ooi586. A« dr = — 6, o64334 — o, 16459. Art dtp = — 0, 5568g4 -+■ o', 24438. A« Per ultimo la ricerca dei coefficienti M, N , P ec. non avrà alcuna difficoltà, e riesce molto spedita^ se si riprendono le precedenti equazioni nell'istesso or- dine, e si abbandonano i termini costanti del secondo membro, che non hanno in essi alcuna influenza. Indicando per Eja, E dij Ej* ec. i valori probabili dei limiti delle ottenute correzioni, ed esprimendo in secondi gli archi rappre- sentati superiormente per minuti, ed in giorni il valore di E (;T, (di cui l'unità erasi assunta = os, 1), ho ottenuto a questo modo i seguenti valori. Edu = ± 60 m. v/0, 00046769178; Edi= ± 60 m 1/0.00010564796 E dz — :fc — V/o,ooooooo485i j -ws- — rh 60 ni i/o. 001 822797 E d

    5o6 Log. semiasse maggiore log a = 1, 2549807.3 dai quali si formerà: a = 17,98791; e = o, 967402334; log. q = 9.7681672. 1. Se sostituiscansi nelle equazioni di condizione i superiori valori delle corre- zioni, i risultati ottenuti in luogo dello zero daranno gli errori delle osserva- zioni, almeno in quanto si trascura la influenza nel calcolo delle posizioni geo- centriche delle seconde potenze delle correzioni stesse. Indicando et, t V gli er- rori nelle longitudini e nelle latitudini, presi in modo che aggiunti alle posi- zioni calcolate diano le osservate, si ottengono in tal modo i risultati della se- guente tabella. 24x Mesi. G orni. «/ e* «*' er Agosto 21 + 8" ,'3 4" 7", 22 66, 1 52, I 22 ■+■ i3, 2q + 3, 64 176, 6 i3, 3 Settembre i — 11, 86 + 23, »? 140, 7 569, 8 *9 — 36, 59 + 3, 81 i338, 8 14, 5 28 - 3, qo — 1, 23 i5, 2 1, 5 Ottobre 7 ■+■ 2, 82 — 1, 24 8, 0 1, 5 1 1 ■+■ 8, 00 -+- 11, 5o 64, 0 i32) 3 i3 — 9> 60 — 24, 64 92, 2 607, 1 26 -+- 22, 58 — 11, 06 509, 8 122, 3 2q -+- IO, 62 — 12, 35 112, 8 i52, 5 Novembre 5 -+- i3, 83 -+- 1, 94 191, 3 3, 9 1 1 -f- io, 90 -+- i3, 16 118, 8 173, 2 J7 -+- 35, 71 + 20, 1 1 1275, 2 404, 4 Somme 4109, 5 2248, 4 Di qui apparisce che le due longitudini del 19 Settembre e 17 Novembre si allontanano alcun poco dall'andamento generale delle altre, e sembrano in- dicare qualche piccolo errore introdottosi nelle ascensioni rette; tuttavia si riter- ranno, perchè le differenze sono compatibili colla natura delle osservazioni delle comete. Attribuendo pertanto un egual grado di fiducia alle osservazioni delle ascensioni rette e delle declinazioni, e quindi alle longitudini ed alle latitudini, si formerà la somma totale dei quadrati degli errori = 6357, 9, la quale divi- sa per 26, darà il quadrato medio m2 = 244, 54; quindi l'errore probabile m=> ± i5",64. Questo sostituito nei valori di Edu ec. dati al §. precedente, farà conoscere i limili, entro i quali si può ritenere che oscillino gli elementi ellittici superiori per l'influenza degli errori delle osservazioni che gli servirono di base. Si troverà così: Ej„ = ± 20", 29; Edi = ± 9'', 64; Edz = ± os, ooo3444 Ed* == -±. 4°">°6; Ejq ± i",4i. ig. Abbiamo supposto a « => 0 ; è poi abbastanza palese per sé, come le correzioni precedenti si possano adattare ad un altro asse maggiore pochissimo differente da quello di sopra adottato, dando a A a un valore determinato. Così se, a cagione di esempio, piacesse di adottare il semiasse maggiore stabilito dal signor di Pontecoulant negli ultimi elementi ai quali è stato condotto dalla sua 5i 242 teoria delle perturbazioni, citata di sopra al §. 5., si avrebbe A a nel modo se- guente: Semiasse assunto da Rosenberger a = 17, 98791 da Pontecoulant 9 4- 0.21, 8 '9 356. i6.53. 3 92. 24.53, 9 6. 1 1.33, 3 — 0.40, 6 4-0. 1,0 28 5. 7.3r,o 96. 31.42, 4 12. 28.28, 3 -1- o.5i, 9 4- o.52, 7 Ott. 7 i3. 57.59, 4 111. 2. i5, 3 33. 22.45, 1 -t-n.5i, 9 4-10.35, 0 1 1 17. 58.43, 8 149. 22. 7, 1 57. 19.39, 9 +66.58, 1 4-i3.34, 5 i3 19. 46.26, 3 192. 0.20, 5 60. 23. 20, 9 4-83.20, 3 — 12. 5o, 2 26 32. 36.58,4 256. 58. 1, 5 18. 59.5i, 3 -t- i.5o, 8 — 8. 1 1, 2 29 35. 37.5o, 6 258. i3. 0, 2 16. 1.28,4 4- o.38, 9 — 6.28, 7 Nov. 5 42. 35.28, 2 259. 2.53, 2 1 1. 35.55, 9 — 0.26, 1 — 4. 3, 2 1 1 48.37.41, 6 258. 29. 24, 7 9- 2-49> 7 — o.5i, 6 — 2.48, 2 *7 54. 4°-20> ° 257. 16.57, 3 7. 1.21, 1 — 0. 3o, 1 — i.54, 5 La colonna indicata per ra nella Tavola della pagina 236 dev'essere cam- biata, e rimpiazzata dai precedenti valori di di' , d\ , ridotti in secondi; dopo di che le somme dei prodotti contenenti la lettera ra riferiti alla pagina 23y ri- ceveranno valori alcun poco differenti. Eseguendo di nuovo questi prodotti, ho ottenuto i seguenti risultati. (ari) = — 8808922,6; (bn) = 4- 42ii49>2; (era) = — 46OI7°66,2 (dn) = 4- 4435372,9; (era) = — 352i256o,3. Ai prodotti di questa pagina si aggiunga il seguente, ch'era stato omesso . . . (era') = 4- 878544°) 95 inoltre a lin. 14 leggasi (era') in luogo di (era) Con questi nuovi prodotti intraprendendo la risoluzione delle equazioni ai minimi quadrati, si vedrà facilmente che cambia soltanto quella parte dei secondi membri, ch'è indipendente da A«. Seguendo lo stesso ordine nella loro riso- luzione, e riferendo soltanto i numeri che variano , troveremo le citate parti dei secondi membri nelle successive equazioni come segue. (1) = — 4'>265734; (1)' = 4- 7', 519390; (1)'' = — 0,650944 (2) = — 7, 998396 (2)' = 4» 5, 905740 (2)'' == — 0,650909 (3) = — 5, i337i7 (3)' = 4- 7, 5i852o (3)" = — o, 5o7353 (4) = - 4. 230144 (4)' = 4-7» 7M197 (5) == — 4, o94833 (1)'" = 4- 0,08075 (2)" = 4- 236,22917. Adoperando pertanto nei secondi membri delle citate equazioni i numeri precedenti, si otterranno le parti delle correzioni indipendenti da Art., come segue. 242c doc = — i',478332 = — i'.a8",7o di = -+- 4, 730489 = -+- 4'43, 83 d t = — o, 772682 = — 06,0772682 dw = — 6, 70i355 = — 6'.42' i°8 d

    16 Nov. Inclinazione all'ecclittica ... i = 162. 14. 32, 36 J i835. Angolo di eccentricità .... (5 = 75. 19.43, 80 Log. semiasse maggiore . log. a = 1. 2549807.3 Dai quali si formerà: a= 17,98791; 61=0.96739533; log. q — 9. 7682605. 5. Per ultimo, sostituendo le correzioni superiormente ottenute nelle equazioni di condizione, qualora s'impieghino pure i superiori valori di ìij si formeranno i valori di u , *V , e quindi l'errore probabile m} come nella seguente tabella, la quale pochissimo differisce da quella della pagina 241- Mesi. G iorni. *{ 3X sF2 — 2 ex Agosto Settembre 21 22 1 ■+- 8", 33 -+- 12, 90 — 11, 26 ■+■ 7">4o -f- 3, 68 -r- 23, 82 69-4 166,4 126,8 54,8 i3, 5 567, 4 J9 — 35, 23 + 3, 59 1241,1 "2, 9 Ottobre 28 7 — 2, 22 ■+■ 4. I2 — 1, 73 — 1, 91 4,9 16,9 3, 0 3,7 1 1 i3 + 6, 47 — 9' I2 -f- 11, 29 — 22, 94 41,9 83,2 127, 4 526, 2 Novembre 26 29 5 -r- 25, 84 ■+■ i3, 38 -f- i4i 3o — 12, 53 — 12, 96 -+- 0, 76 667,7 '79.0 204,5 157, 0 168, 0 0, 6 1 1 '7 -+- 9. 56 -+- 3°. 98 ■+■ 11, ..20 + 16, 88 9T>4 959»7 1 I27» 7 284,9 Somme 3852, 9 2047, ' Q.li2d Quindi la somma dei quadrati degli errori sarà = 5goo,o; il quadralo me- dio = 226,92; e perciò l'errore probabile m = i5",o6. I limiti poi, fra i quali si possono ritenere compresi i superiori elementi, saranno espressi come segue. Edo> = ± 19",5^', Edi =» ds 9">29; Ed? => ssfc os,ooo33i8 Ed* — ± 38", 5g; Edtp = ± i",36. i quali risultati differiscono pocbissimo da quelli precedentemente ottenuti a pag. 241. Porremo fine a questa breve Appendice col riferire gli ultimi elementi ellit- tici della cometa attuale ottenuti dal signore Rosenberger, e comunicati, insieme ad una estesa Effemeride per facilitarne i confronti colle osservazioni, agli Astro- nomi nel N.° 2g4- delle più volte citate Notizie astronomiche del signore Schu- macher; e quelli ottenuti in Inghilterra dal signore Stratford, pubblicati pure con un'ampia Effemeride per lo stesso oggetto calcolata dall'Ufficio dell'Alma- nacco Nautico; ai quali non faremo altro cambiamento , che di riportare il tempo del passaggio al perielio dal meridiano di Greewich a quello di Pa- rigi, e convertire le posizioni ivi assegnate per le regole del moto retrogrado a quelle del moto diretto, a fine di poterli più facilmente confrontare fra loro e coi nostri superiori risultati. elementi di Rosenberger dall'Equinozio Elementi di Stratford dall'Equinozio medio 16 Novembre. medio 1 5 Novembre. t = 3i9s,945424 w = i65o.47'.45",98 co = 55. 9. 47> 26 . . . = 3ig8,94i95T.M. in Parigi = i65°.44-'33",2 = 55. 8.21, 2 i = 162. i4- 43> 2 J = 162. 14. 3, 3 a= 17,98791 e = 0, 96738879 Di qui si deduce : = 18,0779386 = 0, 9675509

    punto. » §. 18. Un esempio renderà più chiaro il modo di adoperare le precedenti leggi speciali della derivazione di reciprocità. Si prenda per figura primitiva un triangolo qualunque, su' cui lati A' B' C' (Fig. 2.) sieno abbassate dai ver- tici opposti le perpendicolari a b' c'j, le quali, com'è noto, s'incontrano in un unico punto II'; poscia scello ad arbitrio il centro di reciprocità /, s'immagini 25l descritta la figura reciproca della proposta: essa sarà formata da un triangolo coi vertici ABC reciproci delle rette A' B C\ sui lati del quale si trove- rauno i punti a b e reciproci delle rette a b' e (poiché, ad esempio, la retta BC sarà (i3.)Ia reciproca del punto di concorso delle rette B' C ; e siccome la a passa per questo punto, così il punto a si troverà (i3.) sulla BC),e que- sti punti a b e saranno situati (i3.) sopra la retta H reciproca del punto H ' ; inoltre pel §. 16. saranno retti gli angoli Ala BIb CIc. — Supponiamo ora, in ordine inverso, che sia dato un qualunque quadrilatero A Bab coi lati op- posti prolungati fino ai loro punti di concorso C e, la qual figura dicesi qua- drilatero completo j e prendiamo per centro di reciprocità il punto /, tale che sieno retti gli angoli Ala BIb: colla derivazione di reciprocità saremo ri- condotti al triangolo A'B'C' ed alle perpendicolari a' b ' ; ma in questo la retta e condotta pel punto H '_, e per l' intersezione delle A' B' , è perpendicolare alla C: dunque nell'altra figura sarà retto anche l'angolo CIc, e così sarà di- mostrato che « in ogni quadrilatero completo i circoli che hanno per diametri » le tre diagonali Aa Bb Ce s'incontrano tutti e tre in un punto I.n §. 19. Derivazione potar e-parabolica. Questo è un altro caso particolare della derivazione polare; esso ha luogo quando i fasci polari OAB..., OMN... (12) sono tagliati da due piani tra loro perpendicolari (A) (P).Le intersezioni di questi piani col piano ad ambedue perpendicolare condotto pel centro di projezione O si diranno assi di derivazione. Noi supporremo inoltre che i due piani (X) (P) sieno egualmente lontani dal centro Oj, e che le due figure sieno trasportate in un particolar modo sopra un unico piano, gli assi di deri- vazione cadendo l'uno sull'altro : ammesse tali supposizioni, potremo derivare una figura dall'altra col mezzo della seguente facile costruzione. — Sia KL (Fig. 3.) l'asse di derivazione comune alle due figure; ad esso si tiri la paral- lela ma.; per ogni punto A della figura AB... si abbassi la perpendicolare Ama sull'asse, e sulla parallela a questo si prenda la lunghezza ma. eguale alla di- stanza Aa: la retta aa. sarà la derivata -polare -parabolica del punto A. Si- milmente per una retta AB della figura primitiva, se essa incontri l'asse in p} e la sua parallela in q, tirata la perpendicolare pr, e presa su di essa la por- zione pP' eguale a qr} sarà P' il punto derivato-polare della AB. Si osservi che il verso in cui si prende questa distanza pP è opposto, relativamente al verso di rq, a quello in cui da prima si prese aA rispetto ad ma.. §. 20. Risulta dalla precedente costruzione, che le figure derivale-polari-pa- raboliche, oltre avere la generale proprietà data al §. i3., hanno eziandio la seguente mutua dipendenza. «Due punti posti ad eguale distanza, e dalla me- li desima parte dell'asse di derivazione, sono derivati-polari di due rette paral- lele.»— «Due rette perpendicolari sono sempre derivate-polari di due punti nA B, situati a parli opposte dall'asse KL; ed a tali distanze, che il loro pro- li dotto Aa.Bb è = a m • §. 21. La retta, che, come dicemmo al §. io., può supporsi contenere tutti i punti posti a distanza infinita, ha per derivato-polare un unico punto; il che può dimostrarsi con un ragionamento analogo a quello del §. io., ed applicato al §. 12.: e così si scorge pure, che nel caso del §. i5. tal punto derivato-po- lare della retta all'infinito è il centro di reciprocità; e che nel caso del §. 19. esso è l'estremità dell'asse di derivazione indefinitamente prolungato, ossia il punto all' infinito di questo asse. §. 22. Comechè la derivazione polare-paraholica sia di poco uso, noi l'ab- hiamo accennata per render palese con un maggior numero di esempii lo spi- nto dei metodi di derivazione; per Io stesso motivo ne indicheremo ora una semplicissima applicazione. Vogliasi dimostrare il teorema, di cui ci siamo pre- cedentemente serviti (18.), che in ogni triangolo ABC (Fig. 4-) le perpendico- lari AP BQ CR s'incontrano in un solo punto; io prendo il lato AB pel- asse di derivazione, e tirate perpendicolarmente all'asse le BQ' = C R*:AR, AP'=*CÉ :BR, le rette BQ AP, perpendicolari ai lati AC BC, avranno (19. 20.) per derivati i punti Q' P' . Ora i valori delle parallele AP' B Q' mo- strano che la P Q' incontra l'asse nel punto R; dunque il punto R! , derivato (19.) della perpendicolare, è in linea retta coi due P' Q' , e perciò (i3.) le rette AP BQ CR passano per uno stesso punto, ch'è il derivato della retta P'R'Q'. Derivazioni delle figure a tre dimensioni. §. 23. L'oggetto principale di questa Memoria essendo la considerazione delle figure piane, noi ci limiteremo, in riguardo alle figure a tre dimensioni, a pochi cenni. Della projezione di queste figure abbiamo parlato ai §§. 3. e 4- In quanto alla derivazione polare ne indicheremo soltanto un caso particolare, che, analogamente al §. 1 5., denomineremo recipi-ocilà. — Da un punto preso per centro di reciprocità si abbassino tutte le perpendicolari sui piani e sulle rette di una figura; sulla prolungazione di queste perpendicolari si prendano, partendo dal centro, altrettante lunghezze inversamente proporzionali alle per- pendicolari medesime; e le estremità di queste lunghezze o daranno i punti reciproci dei piani, o per esse passeranno le rette reciproche delle rette. 253 ognuna delle quali dev'essere inoltre perpendicolare al piano che passa per la sua reciproca e pel centro di reciprocità. §.24. Merita d'esser considerata anche la dipendenza tra una figura piana ed un fascio (12.) di raggi e di piani, i quali passano rispettivamente pei punii e per le rette di quella figura. Noi diremo collo Steiner, che i predetti piano e fascio sono tra loro prospettivi^ e chiameremo piano il complesso di tutti i punti e di tutte le linee compresi nella figura piana. S'intende facilmente, che alcune proprietà del piano (e tra queste tutte le proprietà grafiche) potranno trasportarsi al fascio, e viceversa. — Vedremo hen presto che da un doppio uso della predelta dipendenza fra un piano ed un fascio nasce la derivazione tra una figura piana ed una sua projezione, ed anche tra due figure piane deri- vate-polari; giacché, rispetto a due fasci polari (12.), è noto che l'angolo for- mato da due raggi di un fascio è uguale o supplemento del diedro compreso fra i due piani corrispondenti del fascio polare, ec. §. 25. Prima di passare a maggiori sviluppi delle derivazioni fin qui Breve- mente ahhozzate, facciamo parola di un altro principio molto frequentemente adoperato nella Geometria derivata: esso è la legge di continuità; per la quale i teoremi di Geometria ricevono estensione e generalità maggiori di quelle che avrebbero se si ponesse mente soltanto al modo con cui si sono dimostrali. La legge di continuità arreca alla Geometria vantaggi analoghi a quelli che si hanno nell'Algebra dalla considerazione delle quantità infinite e delle immagi- narie: così, per esempio, due rette poste in un piano sono considerate come aventi un punto comune; e se le rette sono parallele, quel punto è a disianza infinita; due circoli hanno una corda comune anche quando non si tagliano, cioè quando sono immaginarie le loro intersezioni. Questo argomento sarà me- glio spiegato quando considereremo le proprietà delle curve. II. Proprietà projettive metriche. §. 26. Noi cercheremo ora di rendere famigliari le applicazioni dei metodi di derivazione, e dei principii secondarli che ne risultano. In quanto ai teo- remi particolari, essi non possono entrare nel compendioso quadro che ci siamo proposto di tracciare, e molti di essi sono così immediati ed evidenti corollarii di quei principii che appena meritano di essere notati. §. 27. Vediamo da prima quali sieno le proprietà metriche projettive (2). E un problema non ancora compiutamente risoluto (Poncelet, §. 8.) la determi- 254 nazione di tulle le proprietà mefriche, le quali si mantengono le stesse in tutte le projezioni di uua figura, dipendentemente dalla sussistenza di alcune proprietà grafiche stabilite ; ma nella Geometria derivala basta considerare una classe di queste proprietà metriche, la quale, sebbene particolare, è feconda di este- sissime applicazioni, ed ha il grande vantaggio di essere facilissima a ricono- scersi. Le proprietà di questa classe sussistono anche nel caso della projezione ira rilievo (3.), purché tutte le rette che fanno parte di una figura abbiano ret- tilinee le loro projezioni nell'altra figura. — Sia O (Fig. 5.) il centro di pro- iezione, rispetto a cui le figure, piane o no, ABC DE A'B'C'D'E' sono pro- iezioni luna dell'altra; e supponiamo data una relazione metrica fra le distan- ze AB, BCj A E, ec. E chiaro, che se sostituendo in questa relazione una qualche espressione di tali distanze, essa si riducesse a contenere i soli angoli AOB, BOC, ec. (cioè esprimesse una proprietà del fascio OAB...), noi saremmo certi che la medesima relazione ha luogo anche rispetto alla figura AB..., poiché gli angoli predetti sono gli stessi angoli A'OB', BOC', ec. Ora chiamando p, q,... le distanze del centro O dalle rette AB, BC,... è nolo che A B = 2±21 &eQ A OB,BC=^^.sen BOC, A E = ^-2£ p q p sen AOE, ec. Da ciò facilmente risulta, che ridotta la data relazione ad una equazione, di cui ciascun termine sia un prodotto di rette diviso per un pro- dotto di altrettante rette, dopo fatte le sostituzioni spariranno tutte le O A, OB,..., p, q,... se nel numeratore e nel denominatore di ciaschedun termine vi sieno le stesse lettere, ed inoltre le stesse direzioni di rette : in questo caso 1 equazione sussisterà in ogni projezione A'B'C. .., perchè ciascun suo termine riducendosi funzione dei seni di AOB, BOC, ec, conserverà un valor co- stante. Gli esempii ci renderanno famigliare il significato della precedente pro- posizione, la cui facilità permette di scorgerne a colpo d'occhio le applicazioni. §. 28. Quando da una projezione all'altra non solo tutte le rette si man- tengono rette, ma eziandio tutti i piani sono projezioni di altri piani, si pos- sono riferire le proprietà projettive metriche anche alle aree, ed ai seni degli angoli. Ecco la formula pel secondo caso, dalla quale può facilmente ricavarsi quella pel primo: sen ABC= sen 16, à è la distanza del centro O dal 111 d. OB piano ABC, e £ è il diedro formato dai due piani OBA OBC.La formula è projettiva, quando fatte le sostituzioni di questo §. e del precedente, sparisco- no tutte le OA, OB, p, q, d, ec. Si vede che anche in questo caso ogni proprietà projettiva della figura ABC... conduce ad una proprietà del fascio O ABC ... prospettivo (24.) con quella figura. §. 29. Per un'applicazione del canone stabilito al §. 27. consideriamo ^, v 7 r. • 1 • i- Ab.aB Aa.lB . (rie. 6.) quattro punti in linea retta A b a B; 1 valori di — - — -, — — — - si ' ° ' * r AB. ab AB. ab mantengono gli slessi in ogni projezione A'b'a'B'j perchè tanto i numeratori quanto i denominatori contengono le quattro lettere A B a b, e due volte la direzione della stessa unica retta. Per vedere se vi sia qualche relazione fra que' due valori ricorriamo ad un caso più semplice ; e , per esempio , a quello in cui la retta A ' V sia parallela al raggio projettante SBB' , sicché il punto B' sia il punto all'infinito della retta A' b'a : allora i rapporti a'B':A'B' ' , b'B : A'B' diventano eguali all' unità , e rimangono perciò i valori ■^— —q-, , A'h' A' a! i quali hanno d'altronde la relazione — f- 1 =— — r: perciò anche nella figu- b a' b a ra primitiva sarà sempre vero, che per quattro punti in linea retta si ha Ab.aB Aa.Bb . » . , .. , r — 1 = . Oui si dee avvertire, che ho mutato il seguo nel can- AB.ab AB. ab x ° giare ba in ab, perchè suppongo che le distanze sieno prese partendo dalla prima lettera, e terminando alla seconda; e considero come negative quelle che sono rivolte in verso opposto a quelle riguardate come positive. Tale osserva- zione dee sempre aversi presente al pensiero, onde evitare parecchi sbagli. §. 3o. Nel caso particolare, che Ab.aB = — AB.abjì quattro punti A b a B si dicono armonici; e b B si chiamano conjugati armonici rispetto alla retta Aaj cui essi tagliano armonicamente. In questo caso il teorema prece- dente dà A a.bB = 2.A b.aB. — Quando uno dei quattro punti armonici, per esempio Bj è all'infinito, il suo conjugato b divide per metà la retta A a. Cosi l'eguaglianza Ab — baj la quale non è una proprietà projettiva, si riduce suscettibile della derivazione projettiva, quando la si considera come un caso particolare della proprietà dei punti armonici. §. 3i. Nella precedente figura il punto b dicesi anche il centro armonico dei due punii A a rispetto all'origine B. La teoria dei centri armonici può estendersi anche ad un maggior numero di punti Pj At Bj Cj... posti sopra una sola retta; e, per esempio, il centro armonico Q dei tre punti ABC, rispetto al punto di origine P, è determinato col mezzo della equazione 1 i 1 3 , , , , QA QB QC T PÌ + PB + PCl=aPR>h*aàìe dà «oche— + —-}-— =0. La me- 256 desima teoria può ulteriormente generalizzarsi, attribuendo ai punii coefficienti differenti: così per due punti A B si può supporre 1 = , ossia r r r ir pj 'ps pq ' QA QB . m — — -+- n — — = o: noi prendendo ad imprestito una denominazione dalla Meccanica, diremo che Q è, rispetto all'origine P_, il centro armonico delle masse m n, situate nei punti A B. §. 32. Collo stesso ragionamento usato nel §. 29. si vede che per sei punti in liuea retta il valore di A c.B a.Cb:A b.Ca.Bc è costante in ogni projezione ; ed anzi, per la costanza di questo rapporto, basta che sieno in linea retta i tre punti A e B, cosi pure i tre B a C, ed i tre C b A; cioè che ABC sieno i vertici di un triangolo, su' cui lati opposti si trovino i punti a b e. — Quando il predetto valor costante sia l'unità positiva, noi diremo che i sei punti for- mano l' involuzione positiva A cBaCb; e quando esso sia = — 1, diremo che questa involuzione è negativa. §. 33. Teorema. «Se i lati di un triangolo ABC sono tagliati da una retta «qualunque aCjle loro intersezioni alternate fra i vertici formano una involu- Dzione positiva.» In fatti, se projettiamo l'intera figura sopra una sola retta A a B C (Fig. 7.), prendendo per centro di projezione un punto qualunque S della retta ab e, vediamo che nella figura derivata i tre punti a b' e coinci- dono in uno solo, e perciò A'c'.B'a.C'b':A'b'.C'a'.B'c'=i; ma il valore di A c.Ba.Cb:A b.Ca.Bc è costante: dunque, ec. §.34. Se la predetta figura ABCabc, eh' è (18.) un quadrilatero completo, la projettiamo sur una retta, prendendo il centro di projezione in un punto qualunque del piano della figura, noi abbiamo sei punti in linea retta, formanti una involuzione positiva; e viceversa questi potranno sempre dare per proje- zione uu quadrilatero completo. Ora nel quadrilatero completo può conside- rarsi il triangolo Ab e tagliato dalla retta BCaj dal che risulta l'involuzione positiva ACbacB.ho stesso dicasi delle involuzioni B Cab e A CBacb A . Dunque per sei punti in linea retta se uno dei rapporti A c.Ba.Cb: Ab.Ca. B e, AC.ba.cB-.AB.ca.bC, BC.ab.cA-.BA.cb.aC, CB.ac.bAiC A.bc.aB e uguale all'unità positiva, lo sono pure lutti gli altri. §. 35. Ai §§. 29. 33. 34. abbiamo dati esempii di Ire differenti usi della derivazione projettiva. Nel §. 29. prendemmo per figura derivata una figura piìi semplice, in quanto che un punto ne passò a distanza infinita. Nel §. 33. un quadrilatero completo si ridusse ad una sola retta, facendone inoltre coinci- 2S7 dere insieme le projezioni di tre vertici. Nel §. 34- ci riusci vantaggioso di passare da una figura semplice ad una più complicata per iscoprire quelle re- lazioni che appariscono facilmente nel quadrilatero completo, ma che riman- gono confuse quando esso riducesi ad una sola retta. §. 36. Per corollario del §. 33. noteremo, che se si prende per centro di projezione il punto comune alle due diagonali Bb Ce (Fig. 7.), e si projetta l'intera figura sulla terza diagonale Aa3 le projezioni di B b coincidono insie- me in P^e quelle di C e in Qj e si ha perciò AQ.Pa.QP: AP.Qa.PQ=i, cioè AQ.aP.AP.aQ •= — 1: dunque (3o.) «Ogni diagonale di un quadrila- » tero completo è tagliata armonicamente dalle altre due diagonali.» Se A cC a fosse un trapezio coi lati A a Ce paralleli, la Bb dividerebbe essi lati per metà (3o.). §. 3y.Teor. « Se dai vertici di un triangolo si tirano tre rette che s'incon- » trano in un solo punto, esse tagliano i lati opposti in punti che, alternati coi » vertici, formano una involuzione negativa.» Prendendo il punto S (Fig. 8.) comune alle tre rette Aa Bb Ce per centro di projezione, e projetlando il triangolo sopra una sola retta, coincidono insieme le projezioni dei punii A a, nonché quelle di B bj,e quelle dei C e; perciò il valore di Ac.Ba.CbiAb.Ca.Bc è — 1, perchè tale esso è evidentemente nella figura derivata. §. 38. Estendendo la definizione data nel §. 32., diremo che i vertici del quadrilatero AB CD (Fig. 9.) formano una involuzione positiva coi punti L M N P deijati, quando sia A L.BM.C N.D P = A P.D JY.C3J.B L. Ciò si ve- rifica in primo luogo se i punti L M N P sono in linea retta. Questo teorema projettivo, che si estende ad ogni poligono, può dimostrarsi tanto col metodo del §. 33., quanto con un altro processo di derivazione, che consiste nel pren- dere per projezione una figura, nella quale la retta LMNP sia (io.) tutta po- sta a disianza infinita; in questa figura derivata sussiste la precedente equa- zione, perchè i rapporti AL.BL^ BM:CM> CN.DN, DP.AP sono eguali all'unità. — Questo non è per altro il solo caso, in cui abbia luogo l'involuzione positiva degli otto punti. Infatti, se colla projezione da un piano ad un altro facciamo andare all'infinito i due punti £ F (cioè se supponiamo che il piano della figura derivala sia parallelo al piano che passa per EF e pel centro di projezione), sicché la figura derivata sia un parallelogrammo A'B'C'D'_, è evi- dente che in questo è soddisfatta la predetta equazione, se la retta L N' è pa- rallela ai lati B'C A'D'jfì la P' ftl' lo è ai due A'B' CD'; perciò nella figura primitiva ha luogo l'involuzione anche se le rette LN M P passano rispetli- 35 258 vamente pei punii F Ej nei quali concorrono i lati opposti. — Finalmente per trovare il caso più generale, in cui La luogo l'involuzione positiva, supponiamo scelti ad arbitrio i due punti L M , e prendiamo per figura derivata un qua- drilatero, la cui diagonale A' C sia parallela alla retta L' M' (cioè sia passata all'infinito l'intersezione /): noi vediamo facilmente, che nella figura derivata non può sussistere l'equazione, se non sia anche P' N' parallela ad A' C. Dun- que finalmente nella figura primitiva « è condizione necessaria e sufficiente per ii l'involuzione positiva che le rette LM PJY s'incontrino in qualche punto » della diagonale AC. » §. 3g. In quest'ultimo caso generale dev'essere compreso il caso particolare precedentemente considerato; perciò se EPM FNL sono due rette, le LM AC PN deggiono concorrere in un medesimo punto /. — Il teorema grafico così ricavato suol enunciarsi in modi apparentemente differentissimi : così di- cesi che l'esagono EN P F ML, i cui vertici sono posti alternativamente sulle due rette E M FL, ha i punti di concorso CIA dei lati opposti situati in linea retta; oppure che l'esagono ALNCMPj di cui tre lati alternativi con- corrono in Z? e tre in F± ha le tre diagonali che s'incontrano in un unico punto I; ec. Analogamente al §. 6. ci pare che sarà più facile l'applicazione di questo teorema enunciandolo come segue: «saremo sempre sicuri che 9 punti » si trovano a 3 a 3 sopra 9 rette le quali s'incontrano a 3 a 3 nei detti pun- »ti, quantunque non ci sia noto che abbia luogo una delle condizioni di tre «punti in linea retta, o di tre rette concorrenti in un punto.» Anche questo teorema o qualche suo caso particolare si possono vedere nelle Opere succitate. Plùcker, §§. 70. 73. 76. 283. 424. 4G6.; Steiner, §. 23. III. III. Dualismo della projezione e delle proprietà projeltive. §. 4°- ka derivazione delle proprietà di una figura da quelle di una sua projezione prende, come vedemmo (2. 27. 24.), la sua origine dalla dipen- denza tra una figura AB... (Fig. 5.) posta in un solo od in più piani, ed un fascio di raggi che partono da un centro comuue O, e vanno ai punti di quella figura. Se in questa dipendenza noi cangiamo i punti in piani, e viceversa (ap- punto com'è indicato al §. 23.), noi siamo condotti a ricercare se abbia luogo una qualche analoga dipendenza tra un sistema di raggi che s'incontrano in un solo od in più punti, ed un piano che taglia quel raggio; dalla qual dipen- denza noi potremo dedurre una derivazione dalle proprietà di uno di tali si- aS9 sterni a quelle di un altro, purché sieno talmente disposti, che i loro raggi cor- rispondenti si taglino sempre in qualche punto di un piano fisso. Senza occu- parci di questo problema generale ci basterà considerarne un caso particolare. §. 4*. Supponendo che le figure, nonché il centro di projezione, sieno com- prese in un solo piano, le formule del §. 27. ci mostrano che le proprietà pro- iettive, cioè comuni a tutte le proiezioni, sono tali ch'esse danno analoghe proprietà degli angoli compresi fra i raggi projettauti condotti pel punto S (Fig. 6. 7. 8.). A questo sistema di raggi passanti per un punto e situali in un piano, noi daremo d'ora innanzi il nome di stella ( ebene Strahlbùschel, Stei- ner).— Le relazioni fra le distanze dei punti da noi precedentemente consi- derate possono adunque applicarsi ai seni degli angoli (27.) compresi fra i raggi di una stella ; così, per esempio, in ogni stella di quattro raggi noi avre- mo (29.) (Fig. 6.) sen ASb. sen aSB — sen ASB. sen aSb — sen A Sa. sen bSB; e la stella si dirà armonica (3o.), se sia sen ASb. sen aSB = — sen aSb. sen ASB; ec. §. 42. Se nella dipendenza accennata nel §. precedente noi cangiamo (11.) i punti in rette, e viceversa, siamo condotti a ricercare se abbia luogo una qualche analoga dipendenza tra una figura piana ABC... (Fig. 1.) ed i punti, in cui le sue rette sono tagliate da una trasversale TU; la qual dipendenza ci darà poi una derivazione di proprietà dall'una all'altra delle figure ABC..., ABC..., le cui rette corrispondenti s'incontrano nei punti della medesima trasversale. E facile ritrovare, che chiamata « la distanza del punto A dalla . mrr .. „ . _, seri VTA. sen VVA _,,. , .... trasversale 1 Uj si ha sen BAL = . 1 U; le relazioni si- oc mili a questa ci fanno conoscere, analogamente al §. 27., che se rispetto alla figura AB... si abbiano due prodotti di seni di angoli tali, che ciascun pro- dotto contenga in complesso gli stessi vertici di angoli e le stesse direzioni di rette, il rapporto di questi due prodotti avrà lo stesso valore in tutte le figure AB ..., AB..., le cui rette corrispondenti si tagliano nei varii punti di una retta fissa TU. — Ad un sistema di punti situati in linea retta noi daremo d'ora innanzi il nome di retta (Gerade, Steiner). §. 43. Passiamo a considerare la derivazione polare delle proprietà metri- che. In un piano sia tracciata una figura rettilinea (Af); da un centro di pro- jezione O, esterno a quel piano, sia condotto il fascio [F) di raggi e di piani, che vadano a tutti i punti e rette della figura (A"); dal medesimo centro O parta un fascio (f), il quale sia (12.) polare del fascio (F); e si tagli questo sGo fascio (f) con un secondo piano (p). — Per le formule dei §§. 27. 28. le proprietà projetlive, che si riferiscono alle lunghezze ed ai seni degli angoli della figura (A"), daranno analoghe proprietà relative ai seni degli angoli e dei diedri del fascio (F); d'altronde è cosa notissima (24.) che gli angoli e i die- dri del fascio (F) sono rispettivamente uguali ai diedri ed agli augoli del fa- scio polare (f): dunque avremo anche una proprietà relativa ai seni dei diedri e degli angoli del fascio (f), e questa ci darà (28. 27.) finalmente una pro- prietà relativa ai seni degli angoli ed alle lunghezze della figura piana (p) de- rivata-polare della (A). §. 44- Supponiamo ora che nel piano della figura (A') sia tracciata anche una stella Sj i cui raggi passino pei punti della figura (A) : per trovare la de- rivata-polare di questa stella condurremo pel centro di projezione la retta OSj nonché i piani che passano pei raggi della stella, ed otterremo così un fascio di piani, i quali avendo la comune intersezione O S_, prendono il nome di piani di una ruota (Ebenenbùschel, Steiner) ; il fascio polare di questa ruota è evi- dentemente una stella posta nel piano OtVj perpendicolare ad OS ; questa stella sarà poi tagliata dal piano (p) in una retta tv, i cui punti saranno posti sulle rette della figura (p), che sono derivate-polari dei punti della figura (A), pei quali passano i raggi della stella S. Ora se la proprietà projettiva della figura (A) si riferisce soltanto alle distanze de' suoi punti, si vede facilmente che la medesima proprietà ha luogo anche rispetto ai seni degli angoli della stella Sj ed anche rispetto ai seni degli angoli compresi fra le rette della figu- ra (p); e finalmente anche rispetto alle distanze dei punti, nei quali queste rette tagliano una qualunque trasversale rettilinea tv. §. 45. La distanza del punto A dalla retta BC si trova (27. 28.) eguale a — O A. sen «V, essendo q d le distanze del centro di projezione O dalla retta BC e dal piano ABC,, ed i l'inclinazione del raggio OA sul piauo OBC. Quindi se sia data una equazione binomia formata da alquanti prodotti di tali distanze di qualche punto A da qualche retta BCj in modo che ciascun ter- mine contenga in complesso i medesimi punti e le medesime rette, essa espri- merà una proprietà projettiva, e perciò se ne potrà dedurre un'analoga pro- prietà del fascio (F), una simile del fascio (f), e finalmente una della figura derivata-polare della proposta. §. 46. Due esempii renderanno più chiaro il modo di adoperare i principn ora stabiliti. Nel §. 33. vedemmo che i sei vertici di ogni quadrilatero com- pleto danno luogo a quattro involuzioni positive; la figura derivata-polare di un quadrilatero completo è (i3.) un sistema di 4 punti, pei quali passano 6 rette; sistema die noi diremo tetragono completo: dunque pel §.44- «i 6 lati di ogni » tetragono completo tagliano qualunque trasversale in 6 punti in involuzione po- » sitiva; » perciò si dirà che quei Iati formano una involuzione positiva. — Risulta dal §. 33., che se le rette LM PN AC (Fig. 9.) s'incontrano in un unico punto /, Io stesso avviene delle tre LP MN BDJ e gli 8 punti ALBMCN DP formano una involuzione positiva. Si conosce poi facilmente, clie unendo a questi 8 punti i punti / H_, si ha un sistema di io punti disposti nel modo indicalo al §. 6.; dunque per la derivazione polare (440 " se ne' medesimo sistema di »io rette (6.) si trascurano due rette le quali non s'incontrino in uno dei io «punti della figura, le altre 8 rette formano una involuzione positiva, e ta- wgliano in tal modo una qualunque retta trasversale.» IV. Figure collineari; affini, similij omologhe ed omotetiche. §. 47- Dato un sistema di punti , se si abbiano altrettanti punti corrispon- denti ai primi, talmente disposti che quando tre punti di una delle figure sono in linea retta, lo sieno pure i tre punti corrispondenti dell'altra figura; e se inoltre una tale proprietà sussista per tutti i punti, che possano determinarsi tanto in una figura che nell'altra col mezzo di qualsivoglia rete di linee rette, questi due sistemi di punti si diranno collineari (Mobius e Magnus). Nelle figure collineari le eette (42-) fra l°ro corrispondenti si dicono esse pure tra loro collineari E cosa palese, che due piani prospettivi (24.) ad un mede- simo fascio, cioè tali che uno sia projezioue dell'altro, sono tra loro collineari: in simil modo sono collineari due rette prospettive ad una medesima stella. — Anche due fasci prospettivi ad un medesimo piano sono tra loro collineari. Due stelle prospettive ad una medesima retta sono collineari, e lo sono pure due stelle prospettive ad una medesima ruota (440) Cl0e due stelle i cui raggi cor- rispondenti si trovano a due a due nei piani di una ruota. §. 48. In due figure piane collineari esistono sempre due rette corrispon- denti, tali ch'esse si possono sovrapporre in modo, che i punti corrispondenti coincidano insieme ; le direzioni di queste rette si dicono gli assi di colli- neazione. Esistono pure due stelle corrispondenti ed uguali, ed altre due stelle coiTispondenti, che divengono sovrapponibili quando se ne rovescia una; i cen- tri di queste stelle sono i centri di collineazione (Colliueationspuukte , Ma- gnus), — Noi non ci arresteremo a dimostrare tali cose, che abbiamo esposte 262 soltanto per dare una più compiuta idea della colliueazione; e senza nemmeno dimostrare che due figure collineari sono sempre projettive, passeremo ad esa- minare le figure piane collineari nella loro posizione di projezione. — Sieno (Fig. io.) TA TA' le sezioni dei piani delle due figure fatte da un piano a loro perpendicolare, e comprendente il cenlro di projezione O. È facile vedere che gli assi di collineazione delle due figure coincidono insieme nell'interse- zione T dei loro piani. Il raggio projettante SOS', egualmente inclinato sui due piani, determina i centri di collineazione SS'; in simil modo si hanno gli altri due centri di collineazione j d. I piani O E O E' ' , rispettivamente paral- leli ai piani TS T S' , determinano le rette E E' (Gegenachsen, Maguus), ognuna delle quali corrisponde alla retta all'infinito (io.) dell'altra figura. Si ha eviden- temente SE=Es = E'T, ET=S' E' = E' s'.lnohre EA.E'A' = ET.E'T; dunque le distanze dei punti corrispondenti A A' dalle rette E E' sono inver- samente proporzionali. Posto —— — m, si trova pure che per due, quali si vo- ,. . . . . . , TA TA' TA TA' guano, punti corrispondenti si ha r- ni === O, m = o. 1 r SA S'A' ' s A s'A' §. 4g. Due figure collineari possono situarsi sopra un medesimo piano in modo che coincidano insieme i loro assi, e due dei loro centri di collineazione : ciò si vede eseguilo nella figura 11., rispetto ai centri di collineazione S S' della figura io. In tal caso le figure si dicono omologhe (collineari e colli- nearmente poste, Magnus). Ne viene, che alle figure omologhe già considera- te (5.) competono le proprietà indicate nel §. precedente. Si dimostra eziandio, che — - -f- ni — — - = o, il coefficiente m avendo il valore determinato nel §. 48. , S A SA ed indipendente dalla posizione del punto A; dunque « i centri armonici (3i.) » delle masse costanti 1 ni, poste in due punti omologhi, si trovano tutti sul- l'asse di omologia quando si prende per origine (3i.) il centro di omologia.)) §. 5o. Merita speciale considerazione il caso, che nella figura io. il centro di projezione O sia egualmente distante dai due piani TA TA': allora se si sovrappongono i due centri S S' nella figura il., le rette E E coincidono in una sola egualmente distante dal centro e dall'asse di omologia. In questo caso si ha i»<= 1, e l'omologia dicesi armonica, perchè ogni retta che unisce due punii omologhi è tagliata armonicamente dal centro e dall'asse di omologia (3o.). §. 5i. Nel predetto caso di O (Fig. io.), egualmente distante dai piani TA TA' , gli altri due centri di collineazione s s coincidono insieme in un punto 2C3 dell'asse; quindi se le due figure si pongono In uno slesso piano in modo clie ne coincidano gli assi di colliueazione, e i centri S S' cadano da parti oppo- ste del medesimo, le due figure avranno il centro di omologia posto sull'asse di omologia. §. 52. La colliueazione ammette due importantissimi casi particolari: l'uno è quello della similitudine \, su cui noi non ci arresteremo, giacche tutti cono- scono le proprietà delle figure simili. Nella figura io. ha luogo la similitudine, se i piani TA TA' sono paralleli ; perciò gli assi di collineazione sono nel presente caso le rette all'infinito. Più non esistono centri di collineazione; ma se le due figure si descrivono sopra un medesimo piano in modo che tutte le rette corrispondenti sieno parallele, il punto in cui coincidono due punti cor- rispondenti assume tutte le proprietà del centro d'omologia, e si dice centro di similitudine ; le figure si chiamano omotetiche (simili e similmente poste , Poncelet; àhnlichen, Plùcker), ed omotetiche anche le loro parti corrispondenti. §. 53. Una relazione tra due figure più generale della similitudine, e meno generale della collineazione, è X affinità. — Nelle figure tra loro affini le aree conservano le stesse proporzioni ; iuoltre se due rette di una figura sono pa- rallele, tali sono pure le loro affini, e il rapporto delle prime è uguale al rap- porto delle ultime. Una figura è affine ad ogui sua projezione fatta col mezzo di raggi progettanti paralleli (cioè col centro di projezione a distanza infinita). §. 5/f. Considerando separatamente due figure affini, non si possono distin- guere assi di collineazione; ma se prendiamo ad arhilrio due rette corrispon- denti, e mutiamo la grandezza di una delle figure in modo che tali rette di- vengano eguali, noi le potremo situare l'una sull'altra, e dare alle due figure la posizione dell'omologia, quella retta essendone l'asse, e il centro d omologia essendo a distanza infinita. — L'asse di affinità taglia proporzionalmente tutti i raggi che uniscono due punti affini. §.55. Due rette, ossia due serie di punti in linea retta, sono simili quando le distanze fra i punti corrispondenti sono proporzionali. — L' affinità delle rette non è niente più generale della loro similitudine. — A due rette col- lineari sono comuni tutte le proprietà projettive; cosi, per esempio, il rapporto A B.C D: A D.BC ha lo stesso valore in amhedue le rette: ne viene, che date tre paja di punti corrispondenti, le due rette collineari sono interamente determinate, cioè ad ogni punto di una corrisponde un solo punto dell'altra. Se due rette sono situate in modo, che coincidano insieme due punti corri- spondenti A A '_, le due rette BB' CC s'incontrano in un puuto S„ eh' è il 264 centro della stella prospettiva a ciascheduna delle rette: queste in tal caso si dicono omologhe (perspectivisch liegende, Steiner). — Anche nelle rette col- lineari esistono i punti E E' rispettivamente omologhi dei punti all'infinito; e se M M' sono due punti corrispondenti, il prodotto EM.E'M' ha un va- lore costante. Che se A A' sono due punti corrispondenti fissi, le disianze A 31 A' M' dipendono tra loro col mezzo di una equazione della forma AM.A'M' ^a.AM-i-a'.A'M'j cioè le inverse \:AM, i: A M' dipendono luna dall'altra col mezzo di una equazione del primo grado. §. 56. Se in due stelle gli angoli formati dai raggi corrispondenti sono egua- li, esse sono non solamente simili > ma anche uguali. — Le proprietà proiettive, che sono comuni alle stelle collineari, si riferiscono ai seni degli angoli formati dai loro raggi. Una stella collineare ad un'altra è interamente determinata, quando se ne conoscono tre raggi. Se due stelle collineari sono situate in modo che due raggi corrispondenti cadano l'uno sull'altro, esse sono omologlie, cioè le intersezioni di tutti i raggi corrispondenti appartengono ad una linea retta, ch'è l'asse di omologia. — Se « a sono due raggi corrispondenti e fissi di due stelle collineari, ed m vi' due raggi corrispondenti e variahili delle medesime, le cotangenti degli angoli compresi da a ed nij e da a' ed ni, dipendono fra loro col mezzo d'una equazione del primo grado. §. 57. Le figure a tre dimensioni hanno relazioni analoghe a quelle già in- dicate per le figure piane; così nelle figure collineari le rette, le stelle, le ruote, i piani ed i fasci corrispondenti sono tra loro collineari. In due figure collineari si distinguono due piani e due fasci tra loro rispettivamente uguali e corrispondenti; essi danno i piani ed i centri di collineazione; quando que- sti piani e centri sono sovrapposti, le figure si dicono omologhe: sono paral- leli al piano d'omologia i due piani omologhi dei piani all'infinito; se essi coin- cidono in uno solo, l'omologia dicesi armonica, ec. — Se il centro d'omologia è situato a distanza infinita, le due figure sono affini; allora i volumi corri- spondenti hanno un rapporto costante, ec. — — Se invece è posto a distanza in- finita il piano d'omologia, le figure sono omotetiche, cioè simili e similmente poste. a65 V. Proprietà prò jet live di una conica.; dedotte da quelle del circolo. — Teoria dei poli e delle polari. — Uso dell'affinità. * ■ §. 58. Col mezzo degli stabiliti principii ricerchiamo ora le proprietà di quelle curve, ch'essendo collineari del circolo, possono riguardarsi come sue projezioni. Un fascio di raggi passanti pei punti di un circolo forma un cono; perciò ogni projezione del circolo è una sezione conica: noi la diremo più brevemente una conica. §. 59. Se il fascio che serve a projettare un circolo forma un cono di rivo- luzione tale, è pure il suo fascio polare (12.), e perciò anche ogni sezione di questo è una conica; di qui risulta il teorema: «La curva derivata-polare (Po- »lar-Curve, Pliicker) di una conica è essa pure una conica; indire un punto » di una delle coniche e la corrispondente tangente hanno per derivati-polari » una tangente dell'altra conica e il suo punto di contatto.» §. Go. Le tre specie di coniche si definiscono dicendo, che l'ellisse non ha alcun punto a distanza infinita, l'iperbola ne ha due, e la parabola uno solo, al quale spetta una tangente eh' è tutta a distanza infinita : infatti la sezione del cono è parabolica quando il suo piano è parallelo ad uno dei piani che toccano il cono. §. 61. Partendo dalle note proprietà del circolo, ricerchiamo quelle delle coniche, le quali sono e projezioni (58.) e derivate -polari (5g.) di quello. In primo luogo derivano immediatamente dalle proprietà grafiche del circolo le seguenti : « Una linea retta ed una conica o non hanno alcun punto comune, »o si toccano in un solo punto, 0 si tagliano in due.» Si osservi che un'iper- bola è toccata da un suo assintoto in un solo punto, poiché le due opposte estre- mità dell'assintoto indefinitamente prolungato si considerano come formare un solo punto; che infatti esse dipendono da un solo raggio projettante. Ogni dia- metro della parabola, oltre tagliarla in un punto visibile, la taglia anche nel suo punto posto a distanza infinita, poiché tutte le estremità dei diametri infi- nitamente prolungati si deggiono considerare come appartenenti ad un solo punto Si ha pure il teorema derivato-polare del precedente: «Da un punto » di una conica si può ad essa tirare una sola tangente, e da ogni altro punto »o due, o nessuna. » Nel caso della parabola e di un punto posto a distanza in- finita una tangente è visibile; l'altra è la retta, posta tutta a distanza infinita. — Si notino le seguenti denominazioni: rispetto ad una conica, una retta secondo- 54 2G6 cliè la taglia o no prende il nome di secante reale o ideale: così pure un punto lo dirò apice reale , se da esso si possono condurre due tangenti alla co- nica; ed apice ideale^ se le due tangenti sono impossibili. §. 62. Se un circolo è tagliato da tutti i lati di un poligono qualunque ABC (Fig. 12.), ha luogo, com'è facile riconoscere, l'equazione AR.AR'.BP.BP'.CQ.CQ'^AQ.AQ'.CP.CP'.BR.BR'; ina essa esprime (27.) una proprietà projettiva: dunque essa appartiene ad ogni conica. §. 63. Il predetto teorema relativo al triangolo, ed al caso particolare che un vertice di questo sia a distanza infinita, dà immediatamente le più generali proprietà delle coniche, e tra le altre l'equazione fra l'ascissa e l'ordinata rela- tive a due diametri conjugati; ma noi non ci arresteremo su tali applicazioni, che possiamo supporre di già conosciute. Se AB è un diametro (Fig. i3.) della conica AMB, e parallelamente al suo diametro conjugato è condotta l'ordinata PM, è noto che PM =m.AP.PBj essendo m un numero co- stante per tutta l'estensione del diametro AB. Risulta da ciò, che le condizioni necessarie perchè due coniche abbiano i due punti comuni M N sono, che i diametri conjugati colla direzione della retta M N la incontrino in uno stesso punto P, e che inoltre sia m.A P.PB = m'.A' P. PB'. Ora queste due con- dizioni possono realizzarsi rispetto alla retta TU anche nella figura i4-> nella quale quei due prodotti essendo negativi, rendono immaginaria la ordinata PM; e ad onta di quest'ultima circostanza la retta TU conserverà nella figura i4- molte proprietà di cui essa godeva nella figura 1 3. : diviene perciò opportuno d'indicare tal retta con un nome che ricordi la sua origine puramente grafica apparente dalla figura i3. Con questo scopo il Poncelet chiamandola secante- comune nella figura i3., la disse poi secante-comune ideale nel caso della figura i/j-) indicando coll'epiteto ideale che sono immaginarli i punti M Nj nei quali la retta TU e supposta tagliare ambedue le coniche. §. 64. La suddetta denominazione di secante -comune (Chordale, Pliickerj Collineatiousachse, Magnus), propria tanto alla TU della figura i3., quanto a quella della figura 14., riesce vantaggiosa permettendo di comprendere in un solo enunciato quei teoremi analoghi che si riferiscono l'uno al caso della se- cante reale, l'altro a quello della secante ideale ; anzi nella Geometria derivata si ritiene che basti dimostrare un teorema per uno di questi casi, e che la leg- ge di continuità autorizzi ad estenderlo anche all'altro caso. Così, per esempio, se tre circoli presi a due a due hanno le secanti- comuni reali, si dimostra fa- 267 cilmente che queste secanti si tagliano in un unico punto: da ciò si conchiude, che anche nel caso che qualche secante- comune sia ideale, esse passeranno sempre tutte e Ire per un punto, che dicesi il centro radicale (Chordal-Punct, Plùcher) dei tre circoli. §. 65. Se i piani di due sezioni fatte in uno stesso cono si tagliano dentro del cono, è evidente che la loro intersezione è una secante comune reale delle due coniche ; quindi per la legge di continuità se invece tale intersezione non incontra il cono, essa sarà una secante -comune ideale delle due coniche de- scritte nei due piani secanti : tal cosa può del resto verificarsi con metodo più rigoroso. §. 66. Se il cono OAB (Fig. i5.) ha la corda reale M IV, ogni sezione parallela al piano O M' IV' è un'iperhola con due diametri conjugati paralleli e proporzionali ad O P' P M' . Si dimostra eziandio, che se in vece M N sia una secante ideale del cono, ogni sezione parallela al piano OMN è una el- lisse ab con due diametri conjugati paralleli e proporzionali ad OP e PM, essendo P M \f~ir\ l'ordinata immaginaria che appartiene (63.) alla M N se- cante-comune ideale di tutte (65.) le sezioni AB fatte nel cono da piani pas- santi per la retta M N: in particolare la sezione ab sarà un circolo ogniqual- volta OP PM sieno tra loro eguali e perpendicolari. — Si osservi ora che, rispetto al centro di projezione O, il circolo ab e \a. projezione della conica AB, e che la projezione della M N è la retta posta a distanza infinita sul pia- no del circolo (poiché questo piano è parallelo ad OMN); sicché data una conica AB, ed una qualunque sua secante ideale MN, si potrà sempre consi- derare derivata-projettiva della proposta una figura in cui la conica sia dive- nuta un circolo, e la secante sia passata all'infinito. Si osservi eziandio, che due 0 più coniche aventi una medesima secante-comune ideale potranno can- giarsi colla projezione in altrettanti circoli, la loro secante-comuue essendo al- lora la retta posta a distanza infinita. §. 67. Applichiamo il trovato principio alla dimostrazione del celehre teore- ma del Pascal. Dato un esagono inscritto in una conica, se due paja di lati opposti concorrono rispettivamente nei punti G H (Fig. 16.), supponendo che la retta GH sia una secante ideale della conica, noi possiamo immaginare die col mezzo della projezione essa vada all'infinito nello stesso tempo che la co- nica diventa un circolo: in tal modo la figura derivata è un circolo con un esagono inscritto, del quale due paja di lati opposti sono paralleli ; e la Geo- metria elementare c'insegna che paralleli sono pure gli altri due lati opposti, aGfJ cioè essi concorrono in un punto della retta all'infinito, la quale è projezione della retta GH: dunque nella figura primitiva gli allri due lati opposti s'in- contreranno in un punto / della retta GH. Questo teorema unitamente al suo di I punti di concorso dei lati envato-polare possono esporsi cosi: « tre , oppo- Le diagonali che uniscono i vertici .. ». inscritto in . sono situati sopra una ,a retta usti di un esagono . . una conica ,. ; sol . » circoscritto ad s incontrano in un o punto Anche il teorema inferiore, eli' è dovuto al Brianclion , potrebbe dedursi dal caso dell'esagono circoscritto al circolo, che ha le diagonali passanti pel centro di questo ; poscia i due teoremi servirebbero a togliere ogni dubbio sulla na- tura della curva derivata-polare di una conica (5g.). Ma in questa Memo- ria non ci siamo proposti di dare rigorose dimostrazioni, bensì di presentare uno schizzo dei varii principii della Geometria derivata, e del modo di ado- perarli. §. 68. Il teorema di Pascal c'insegna che per cinque punti A B C D E, dei quali nessuni tre in linea retta, può sempre passare una ed una sola uni- ea, e ci offre anche un modo di descriverla per punti adoperando la sola riga: basta supporre che le rette AI EH GHI girino rispettivamente intorno ai punti A E G„ e che i punti H I si trovino sempre sulle rette BC CD; e l'intersezione delle due rette A I EH descriverà la conica. §. 69. Dimostriamo ora una importantissima proprietà delle coniche. Se da ciascun punto M (Fig. 17.) di un circolo tiriamo due rette a' suoi due punti fissi A Bj queste rette o raggi indefiniti formano intorno ai punti A B due stelle, le quali a motivo della costanza dell'angolo A MB sono tra loro eguali, e quindi sano anche tra loro collineari. Ora projeltando l' intera figura in modo che il circolo diventi una conica qualunque, le due stelle rimarranno tra loro collineari, giacche la colliueazione è una proprietà projettiva : in tal modo è facile riconoscere, che operando sopra una conica qualunque, come ab- biamo fatto pel circolo, otterremo sempre due stelle tra loro collineari. Dico inoltre, che viceversa due stelle collineari, ma non omologhe (5G.), A B gene- rano colla intersezione dei loro raggi corrispondenti una conica che passa pei punti A B. Infatti considerando tre coppie di raggi corrispondenti, si hanno tre punii M M' M"j i quali se non sono in linea retta, determinano insieme coi punti A B una conica (60.); e gli allri punti di questa conica daranno al- tri raggi corrispondenti delle due medesime stelle, perchè due stelle collineari sono sempre determinate (S6.) col mezzo di tre coppie di raggi. 2C9 §. 70. Il precedente teorema dà col mezzo della derivazione polare l'altro teorema: « Se su due tangenti di una conica si considerano come fra loro cor- n rispondenti i punti in cui esse sono tagliate da un'altra qualsivoglia tangente » della conica, si hanno due rette fra loro collineari; e viceversa tutti i raggi « che uniscono i punii corrispondenti di due rette collineari o si tagliano tri »un solo punto (il quale in tal caso è il centro d'omologia delle due rette), o » inviluppano una conica. » §. 71. Nel caso che la conica in tal modo generala sia una paranoia, sicco- me questa ha una tangente tutta a distanza infinita, così il punto all'infinito di una delle rette corrisponde al punto all'infinito dell'altra, e perciò le due rette sono simili I teoremi di questi tre paragrafi (gli ultimi dei quali sono implicitamente contenuti nei §§. 216. 224. dell'Opera del Poncelet) formano uno dei principali fondamenti della elegantissima teoria contenuta nel (omo I. dell'Opera dello Steiner. — Il §. 69., combinato coll'ultimo periodo del §. 56., dà un teorema esposto dall'egregio mio amico Prof. Mainardi nelle sue Me- morie pubblicate fin dal i83i. §. 72.I predetti teoremi, e la considerazione delle rette e delle stelle colli- neari riescono utili in moltissimi casi, come si può vedere ampiamente svilup- pato nell'Opera dello Steiner. Due esempii potranno dare qualche idea del metodo ivi impiegato. — Teorema. Se un poligono ABCDEF (Fig. 18.) si muova in modo che il vertice A scorra sulla retta ATj i due vertici B C sulla BTj e il vertice E sulla ET"; che il Iato AB tocchi una conica tan- gente alle due rette A T BT '■;. che il lato BC sia di lunghezza costante, e costante pur sia la grandezza dell'angolo D; e che finalmente i lati AF CD DE girino intorno ai loro punti £ S' S" _, ed il lato E F si mantenga paral- lelo ad una direzione costante; dico che il vertice F descriverà una conica, alla quale apparterrà il punto «9, nonché il punto S'" posto a distanza infinita sulla direzione del lato EF. — Infatti tutte le successive posizioni del lato EF formano intorno al punto S una stella, alla quale è prospettiva la retta ATj, formata da tutte le successive posizioni del punto A; a questa retta è colli- neare, pel §. 70., la retta formata da tutti i punti B, alla quale a motivo della costante lunghezza di BC è uguale la retta formata dalle successive posizioni del punto C; a quest'ultima retta è prospettiva la stella S' ^ a cui è uguale la stella S" (poiché i raggi corrispondenti formano tra loro l'angolo costante D), la quale è prospettiva alla retta dei punti E, ed a questa è prospettiva la stella formata dai raggi paralleli EF: dunque finalmente quest'ultima stella è colli- 270 aeare colla prima stella, che ha il centro in S; ed esse generano, in forza del §. 69., una conica. Si eccettui il caso, die le due predette stelle fossero omolo- ghe, cioè che si corrispondessero (56.) i due raggi insieme coincidenti sulla SS'"; poiché allora in vece di una conica si avrebbe una linea retta, che non passerebbe né per iSj, ne per S ' . §. 73. Problema. Descrivere un poligono ABCDEF, il quale, oltre sod- disfare a tutte le suespresse condizioni, abbia eziandio il vertice F situalo so- pra una data retta XX'. — Si potranno determinare, dipendentemente dalle prime condizioni, tre posizioni del vertice F, poscia trovare l'intersezione della data retta XX' colla conica, che passa per quei tre punti e per S ed .S"". — Oppure, preso ad arbitrio un punto X della retta XX ' j e colle condizioni date nel §. 72. descritto il poligono XS..., l'ultimo lato di questo taglierà la retta XX in un punto X'_, il quale se coincidesse con X darebbe una soluzione del problema ; altrimenti si ripeta la stessa operazione per altri due punti Y Z, e rimarrà da trovare nelle due rette collineari X YZ X'Y'Z'^ sovrapposte l'una all'altra, il punto F '_, che corrisponde a se medesimo. A tal effetto sia descritto un circolo od una conica qualunque s0sSj e da un punto s0 di essa si tirino i raggi s0X s„Y suZ di una stella prospettiva colla retta XYZ; prolungati questi raggi fino ad incontrare la conica in x y z, poscia da un altro punto 5 della conica tirati i raggi sx sy sz, si avrà una stella s collineare (69.) colla s0; in simil modo formeremo la stella s0X'YZ' prospettiva colla retta X'Y'Z'j e la stella s x'j'z' collineare colla s0X' Y' Z' , e perciò anche colla sxyz. Che se i punti s s' sieno stati presi rispettivamente in x' ed x, le due stelle s s' avendo il raggio ss' corrispondente a se medesimo, saranno (56.) omologhe; onde se il loro asse d'omologia tagli la conica in f, dall'essere corrispondenti i raggi sf s'f ne viene che il raggio $0f, considerato come appartenente alle due stelle s0XYZ s0X'Y'Z's sarà corrispondente di se medesimo, e perciò esso raggio taglierà la retta XX' nel punto ricercato F (»). (1) Questo metodo della tripla falsa posizione può servire a risolvere parecchi altri pro- blemi di secondo grado. Si voglia, esempigrazia, condurre per un dato punto S ;Fig. 8.) una retta, la quale insieme con due rette date AB AC formi un triangolo di area data : si possono costruire inliniti quadrilateri ABSC, i quali comprendano un'area eguale alla data, ed abbiano un vertice in 5; ed è palese che tutte le posizioni dei punti B formeranno una betta simile a quella formala dai punti C: perciò il problema è ridotto a ricercare nelle due stelle collineari SD..., SC... i raggi corrispondenti, che hanno una medesima direzione; il che si eseguisce con tutta facilità (73.) col mezzo di una conica qualunque, che passi pel punto 5. Gioverà considerare anche i sistemi di punii situali sulla periferia di una conica. Noi li chiameremo coniche; e due di tali sistemi posti sopra una medesima periferia li diremo 27* §. 74- La legge di derivazione projettiva tra le coniche ed il circolo, stabi- lita al §. 66., serve a trovare mollo facilmente la teoria dei poli e delle polari rispetto ad una conica. Una conica qualunque AB (Fig. 19.} ed una sua se- cante ideale TU possono considerarsi (66.) derivate-projettive di un circolo a b, e della retta all'infinito del piano di questo: ora il punto P della figura primi- tiva, che ha per projezione il centro p del circolo derivato, dicesi il polo della retta TU, e questa dicesi la polare del punto P. E poi noto che nel circolo ogui corda ab, che passa pel centro, è divisa per metà in pj — le tangenti alle sue estremità sono parallele, cioè concorrono in un punto della retta ali mu- nito, ec; — ed il circolo è omotetico (52.) di se medesimo rispetto al centro di similitudine p: perciò nella figura primitiva ogui corda AB che passa pel polo P, è tagliata armonicamente (3o.) da questo e dalla sua polare TU; — le tan- genti in A B concorrono in qualche punto della TU, ossia, in una parola, « la conica è omologa armonica (5o.) di se medesima rispetto a qualunque punto » ed alla sua polare, presi come centro ed asse d'omologia. » §. 75. Quantunque una conica non possa giammai divenire un circolo nello stesso tempo che va all'infinito una sua secante reale, nondimeno per la legge di continuità si potrebbe estendere il precedente teorema, e dire che eziandio ogni secante reale ha un punto dolalo delle suespresse proprietà. Ma si potrà ottenere una dimostrazione speciale a questo caso considerando nella figura precedente il punto Q e la secante reale AB, i quali hanno per projezioni il punto q posto a distanza infinita, ed il diametro ab. In questo modo si vede che quaudo la polare AB è una secante reale, il polo è l'apice reale (Gì.), in coniche collineari, se saranno collineari le stelle a loro prospettive che hanno i centri sulla stessa periferia. Se le retle xx',yy', zz' , ec. (Fig. 1 8.) concorrono in un solo punto, le due coniche xyz.., x'y'z'.. sono collineari, come si rende palese nel caso che la periferia xzx sia circolare, e che il predetto punto di concorso ne sia il centro. Si dimostra pure, che quando le coniche xyz.. x'y'z'.. sono collineari, le rette xx', yy', zz', od hanno un punto comune , od inviluppano una conica, la quale tocca in due punii la conica xzx ; ognuno di questi punii di conlatto (se è reale), considerato come appartenente alle due co- niche, corrisponde a sé medesimo. Problema. Inscrivere nell'ellisse xzx' un triangolo, di cui due lati passino rispettiva- mente pei punti P P' , ed il terzo tocchi una data ellisse omotetica e concentrica alla xzx. Preso ad arbitrio sulla periferia della prima ellisse il punto x, condurremo le corde x Pxi, xiP' X2, e la X2x' tangente alla seconda conica: se x' coincidesse con x, si avrebbe una soluzione del problema; nel caso opposto si opererà in modo simile rispetto ad altri due punti y z, poscia si osserverà che le coniche xyz...,xiyizi .:, xzy-izs.. sono colli- neari, e che lo sono pure le ijjan.., x'y'z'.., perchè due ellissi omotetiche e concen- triche hanno (86.) un doppio contatto immaginario : dunque saranno collineari anche le xyz.., x'y'z'.., ed il primo vertice / del cercato triangolo si otterrà (73.) tagliando 1 el- lisse colla retta che passa pei punti d'incontro delle dae rette xy' x'y, delle due xz x z, e delle Aneyz' y'z. 272 cui s' incontrano le tangenti corrispondenti alle intersezioni A B di essa se- cante colla conica. §. 76. Non è difficile riconoscere che le polari ed i poli presi rispetto ad un circolo sono identiche colle rette e coi punti reciproci considerati nel §. i5.; quindi la projezione c'insegna che le polari ed i poli presi rispetto ad una co- nica qualunque appartengono alla generale derivazione polare del §. 12.; per- ciò anche col mezzo di una conica ausiliaria si possono costruire le figure tra loro derivate polari, le quali hanno le proprietà date nei §§. i3. 43. 44- 4^- Usi della similitudine e dell'affinità. §. 77. Lo spirito del metodo di derivazione può rendersi palese anche ado- perando semplicissimi esempii, dipendenti da leggi di derivazione meno gene- rali di quella di projezione, ossia di collineazione (47.) • — Sembra che di nessun uso possa riuscire il passaggio da una figura ad una sua simile, giacche le figure simili hanno precisamente le medesime proprietà; nulladimeno la deri- vazione di similitudine potrà riuscir vantaggiosa nella soluzione di qualche pro- blema: se, per esempio, si debba inscrivere un quadrato in un dato triangolo, si potrà invece circoscrivere ad un quadrato un triangolo simile al dato, poscia passare dalla figura costruita alla ricercata. §. 78. Vediamo in qual modo l'affinila (53.) serva ad applicare all'ellisse (e per la legge di continuità anche altre coniche) alcune proprietà del circolo. È noto che nel circolo la retta condotta dal centro O (Fig. 20.) ad un qualun- que apice reale Q, divide per metà la corda M N polare di Q, cioè si ha •/l/.P = P2Vy e questa eguaglianza tra due rette della medesima direzione es- sendo di quelle considerate al §. 53., ne viene che il predetto teorema sussiste anche se il circolo diventa un'ellisse. — Nel circolo il prodotto OP.OQ ha un valor costante; anche questa proprietà scritta sotto l'aspetto OP.OA = OA-.OQ si mostra compresa in quelle indicate nel §. 53., e quindi appartiene ad ogni ellisse. — L'area del circolo ha il rapporto 2T:i con quella del triangolo OAB compreso tra i raggi OA OB, ognuno dei quali è la polare del punto posto a distanza infinita sulla prolungazione dell'altro: dunque Io stesso rap- porto (53.) esiste tra l'area di una ellisse ed uno dei triangoli formati da due semidiametri corrugati, e perciò questi triangoli sono tutti equivalenti. — Così pure è sempre (O A Mf -4- (O M ' Bf = (O A ' Bf '. $. 79. Nel circolo tutte le corde uguali alla AM inviluppano un circolo concentrico col primo. Per estendere questo teorema all'ellisse bisogna esporre 273 la prima condizione in un modo suscellihile della derivazione indicata al §. 53. A tal effetto si tiri il raggio OL parallelo alla corda AM, e sarà costante il rapporto di queste rette parallele OL AM: dunque nell'ellisse tutte le corde che hanno un rapporto costante coi diametri ad esse rispettivamente paralleli, inviluppano una ellisse omotetica e concentrica colla proposta. — Si vede che nel circolo, e per conseguenza (53.) anche nell'ellisse, è costante l'area del segmento AM Quest'ultimo teorema fu dato dal Nieuport, ed il dotto mio amico Prof. Minich dimostrò nel tomo VI. degli Annali ec. di Padova il teo- rema analogo relativo alle superficie di secondo grado. Se coi calcoli unica- mente fondali sul metodo delle coordinate di quest'ultimo geometra si con- frontino i raziocinii analoghi ai precedenti, quali risultano dalla condizione che gli ellissoidi omotetici sono affini alle sfere, si avrà occasione di notare la pre- ferenza che in tali questioni dee darsi alla Geometria derivata. VI. Omologia delle coniche,, loro secanti,, ed apici comuni. §. 80. Due coniche essendo due figure collineari, esse possono (48.) situarsi in un medesimo piano in modo che sieno tra loro omologhe. Ma qui vi è que- sto d'osservahile, che quando si riguardano le coniche in complesso, senza in- dividuarne i punti che dehhono tra loro corrispondersi, esse sono omologhe in infinite maniere; sicché due coniche, poste comunque in un piano, possono sem- pre considerarsi come omologhe. Noi non possiamo arrestarci a dimostrare ri- gorosamente l'esistenza delle varie relazioni di posizione di queste coniche; ci limiteremo perciò ad indicarle, rimandando pel resto all'Opera del Poncelet. §. 81. Se due coniche hanno una secante comune ideale, possiamo (G5.) colla projezione convertirle in due circoli nello stesso tempo che quella secante passa a distanza infinita. Ora due circoli (Fig. 21. 22. 23.) sono omotetici ri- spetto ad uno o all'altro dei due centri di similitudine (52.) S S' (Sjmetral- Puncte, Plùcher; Aehulichkeilspunkte, Magnus). Dunque due coniche, poste comunque sopra un piano, sono sempire omologhe; una loro secante-comune ideale, od anche, per la legge di continuità, reale, ne è l'asse d'omologia; ed il centro d'omologia si trova nell'uno o nell'altro dei due punti S S ji quali nei casi analoghi alla figura 21., ed alla figura 23. rispetto ad Sj sono apici- co- muni reali delle due curve ( chiamandosi apici-comuni (homologe Puncte , Plùcker) i punti di concorso delle tangenti comuni); e nei casi analoghi alla figura 22., ed alla figura 23. rispetto ad S', si diranno apici-comuni ideali. — 35 274 E un caso particolare di questo teorema, che due circoli (Fig. 21. 22. 23.), ol- tr' essere omotetici, sono anche omologhi rispetto all'asse d'omologia T 'T \ che la loro secante-comune reale (Fig. 23.), od ideale (Fig. 21. 22.), e rispetto al- l'uno od all'altro degli apici-comuni S S\ che sono nello slesso tempo centri di similitudine e centri d'omologia. — Risulta da questa duplice relazione di due circoli, che conducendo, esempigrazia, peri? una qualunque secante SABA'B, non solo le tangenti ai circoli nei punti omotetici (52.) A A' tono parallele, ma ancora le tangenti nei punti omologia A B s'incontrano iu qualche punto della secante-comune T T ; tirata una seconda secante SCD C'D'j le rette omotetiche AC AC saranno parallele, e le omologhe AC B'D s'in- coulreranno in un punto del suddetto asse T T ; ec. (Vegg. i §§. 5. 49- &*.) §. 82. Il caso più compiuto degli assi e dei centri d'omologia di due coniche è quello, ch'esse abbiano 4 punti reali e 4 tangenti comuni. Noi lo abbiamo rap- presentato nella figura 24., supponendo che il quadrilatero inscritto ABCD si riduca un parallelogrammo nello stesso tempo che una delle coniche diventa un circolo; sicché ABCD diviene un rettangolo, e l'altra conica è concen- trica al circolo. — Le due coniche hanno 6 secanti-comuni e 6 apici-comuni : le due secanti-comuni T T ., che insieme contengono tutti quattro i punti co- muni ABC Dj si diranno complementari (conjuguées, Poncelet; Chordal- System, Plùcker); se le prendiamo per assi d'omologia, corrispondono ad esse come centri d'omologia i due apici-comuni tra loro complementari (zusam- mengehòrige, zusammenordnender, Pliìcker) S S '; così l'omologia delle due coniche può prendersi in quattro differenti maniere, cioè rispetto ad S e Tj oppure ad S e Tj oppure ad S' e T, oppure ad S e T . Dicansi le slesse cose rispetto agli altri due sistemi Si Si Ti Ti, Si Si Ti Ti. In complesso si hanno adunque dodici maniere di prendere l'omologia delle due coniche. Io ricercai quali sieno i valori del coefficiente ni menzionalo nei §§. ^8. 49> relativi a queste omologie, e trovai: i.° che nelle omologie comprese in cia- schedun sistema tal coefficiente ha un egual valore; coll'avvertenza, che se gli si dà il segno ■+- nel caso dell'omologia fra S e T3 esso avrà il segno — nei due casi S T'j iS" Tj ed il segno -J- nel caso S' T; 2.0 che i tre coefficienti re- lativi ai ire sistemi (quando questi sussistano come nella figura 24.) hanno il prodotto eguale all'unità. §. 83. Il Poncelet al g. 35g. dice: Il est aisé de voir, que quand deux sèctions coniques ont qnatre points communs réels, elles ont nccessaire- vient aussi quatre tangente^ communes. Un circolo ed una iperbola conceu- 2 7 ^ Itici mostrano che ciò non è sempre vero: in questo caso (Fig. 25.) si hanno sei secanli-comuni, ma due sole (T T) di loro possono prendersi per assi di omologia, giacché sono immaginarli gli apici-comuni che dovrehhero corrispon- dere alle altre quattro. — Questo caso è derivato-polare di quello espresso dalla figura 21., nella quale si hanno quattro apici comuni Si S' i Si S 2, che per mancanza delle secanti-comuni corrispondenti non possono divenir centri di omologia. — Cinque sono adunque i casi differenti riguardo al numero degli apici e delle secanti-comuni sì reali che ideali; essi sono espressi nelle figure 24. 21. 25. 22. 23.: nella prima hanno luogo tre sistemi d'omologia, nelle altre uno solo. §. 84- Noi chiameremo punti cardinali (Mittelpuncte der Chordal-Sjsteme, ed anche homologe Puncte zvveiter ordnung, Plùcker) le intersezioni K K\ K2 dei tre sistemi di secanti-comuni complementari; e diremo rette cardinali (homologe gerade Linien , Plùcker) quelle che passano per due apici-comuni complementari. Tali punti e rette cardinali hanno le seguenti proprietà: i.° i suddetti punti e rette formano un unico triangolo cardinale KK1K2; 2." ogni lato di questo triangolo è tagliato armonicamente dai due apici-comuni situati sul medesimo; 3.° due rette cardinali, e le due secanti-comuni che passano per la loro intersezione, formano una stella armonica (4x0j 4-° °Snl vertice del triangolo cardinale è, rispetto a ciascheduna conica, il polo del Iato opposto. Per dimostrare questi teoremi basta osservare la figura 24., nella quale i due punti cardinali K Ki sono a distanza infinita. E facile scorgere, che i.° le rette cardinali SS' SiS'i s'incontrano nel punto cardinale K2, intersezione delle secanti T2 T'2; 2.0 essendo SKz=K2S\ e Ki a distanza infinita, i punti K\ S K2 S sono armonici (3o.); 3.° le due secanti T2 T2, eie due rette SiS'i SS , che ne dividono per metà gli angoli, formano una stella ar- monica; 4-° il centro K2 è, rispetto a ciascuna conica, il polo della retla al- l'infinito KKi. §. 85. Nel caso rappresentato dalla figura 23. esiste un solo punto cardi- nale K intersezione delle secanti-comuni: l'una T' reale; l'altra, a distanza infinita, ideale; ed una sola retta cardinale SS j eli' è la polare di K. — Nel caso della figura 22., quantunque esistano due sole secanti-comuni e due soli apici-comuni ideali, pure si hanno tutti e tre i punti cardinali, giacche esiste una retta K1K2, eh' è tagliala armonicamente tanto dagli apici S S'j quanto dalle secanti T T. I punti cardinali Ki K2 si diranno in tal caso ideali (Cordal-Puncte, Plùcker). 276 §. 8G. Innumerevoli sono le applicazioni degli stabiliti prineipii alla ricerca ed alla dimostrazione delle proprietà delle coniche. Se volessimo darne qual- che semplice ed elegante esempio, ne troveremmo ampia raccolta nel Traiti des propriétés projectives; ma preferiamo di raccomandare ai giovani lo studio di quest'Opera classica : qui soltanto ripeteremo i canoni fondamentali, che ser- vono alla derivazione dalle coniche ai circoli, e viceversa. — Una conica qual- unque può ridursi ad un circolo nello stesso tempo che si fa andare all'infinito una retta che sia secante ideale della conica; il polo, rispetto alla conica di questa retta, diventa il centro del circolo; un punto ed una polare, rispetto alla conica, sono projezioni di un punto; e della sua polare, rispetto al circolo. — Quante si vogliano coniche sono projezioni di altrettanti circoli, quando esse hanno una medesima secante-comune ideale, la quale passa a distanza infinita; in forza della legge di continuità le proprietà dimostrate per tali coniche si applicano anche ad un sistema di coniche che abbiano una medesima secante- comune reale. — Due coniche che si toccano in due punti, hanno evidente- mente due secanti-comuni complementari coincidenti nella corda dei due punti di contatto; ed inoltre hanno un apice -comune, esso pure doppio, il quale è, rispetto a ciascuna conica, il polo della secante-comune doppia: pel solito pas- saggio dal reale all'ideale le proprietà di tali coniche si deducono da quelle di due coniche aventi una doppia secante-comune ideale, le quali hanno per loro tipo due circoli concentrici, la cui secante-comune doppia è la retta all'infini- to, ed il centro n' è l' apice-comune doppio. — Le coniche omotetiche hanno una secante-comune posta a distanza infinita ; esse possono cangiarsi in circoli col mezzo della projezione con raggi paralleli; perciò un sistema di coniche omotetiche è affine ad un sistema di circoli. — Se si considera una conica come omologa di un circolo (80.), si vede che sono comuni alla conica le proprietà del circolo, che nascono dagli angoli fatti nel centro di omologia, poiché i raggi di questo centro sono omologhi di se medesimi. VII. Dei punti fittizii, e dei centri armonici rispetto ad un punto d'origine. §. 87. Abbiamo veduto al §. 63., che il valore dell'ordinata PM (Fig. i3.), dato dall'equazione PAI ^m.AP.PBj, risulta immaginario per ogni secante ideale TU (Fig. 14.); e si vede che la suddetta PM, divisa per j/— 1, è una lunghezza reale. Fu proposto di situarla sulla secante ideale TU da ambedue 277 le parti del punto P; ma si ottengono più utili applicazioni prendendola in Pm e Pn perpendicolarmente alla suddetta secante. I punti m n così costruiti io li dico punti fdtizii della conica AB, perchè essi rappresentano le sue in- tersezioni immaginarie colla retta TU. I medesimi punti fittizii in n apparten- gono anche ad ogni altra conica A'B'j che ha colla prima la secante -comune ideale TU. — I punti Cttizii delle curve hanno parecchie osservagli proprietà, molte delle quali sono un'estensione di quelle dei punti reali: quantunque tali proprietà non sieuo projettive, pure esse hanno non poche relazioni colle teo- rie della Geometria derivata; sicché spero che non dispiacerà al lettore di ve- derne accennata alcuna da me trovata o dimostrata col sussidio del metodo delle equipollenze; credo che le considerazioni sui punti fittizii sieno del lutto nuove; e forse, almeno per questo titolo, esse meritano l'attenzione dei geometri. §. 88. In primo luogo le equazioni alle ordinarie coordinate c'insegnano che il teorema del §. 62. sussiste anche se uno o più dei lati del poligono ABC (Fig. 12.) sieno secanti ideali, e se alle intersezioni reali si sostituiscano le fit- tizie. Ed in particolare (63.) se da un punto qualunque D (Fig. i4-) si tirano parallelamente a due date direzioni le rette D N' DT, le quali abbiano colla conica le intersezioni M' N' , m iij il rapporto DM .DJS'-.Dm.Dn avrà un medesimo valore costante anche se una od amhedue le coppie d'intersezioni sieno fittizie. §. 89. Nel caso del circolo il precedente rapporto è quello d'eguaglianza; perciò la distanza del punto D (Fig. 22.) da ciascuna delle intersezioni fittizie Ki Ki della retta DT col circolo AMB è ugnale alla tangente DM con- dotta dal punto D al circolo medesimo. Dunque ogui circolo che passa pei punti fittizii /vi Ka appartenenti al circolo AMB} è a questo ortogonale; quindi i punii fittizii Ki K2. sono quelli che dal Poncelet furono detti punti lìmiti Osservando che C Kx = CKi è media proporzionale fra CA e CBj si scorge che due punti fittizii di un circolo sono, rispetto ad esso, conjugati- armonìci (zugeordnete Pole, Plucker), cioè ognuno di essi è situato sulla po- lare dell'altro. Ne risulta eziandio, che le intersezioni fittizie di due circoli sono (Fig. 21. 22.), ciò che ahhiamo dello (85.), due punti cardinali ideali. Nella figura 23. due punti cardinali sono immaginarli; essi possono perciò rap- presentarsi col mezzo di due punti filtizii: quando si tratta di due circoli, le loro intersezioni ki A' 2 sono i due punti cardinali fittizii. §. 90. Lemma. Se due coniche sono omologhe ed omotetiche (81.), ed S (Fig. 21.) ne sia nello stesso tempo il centro di omologia ed il centro di simi- a-3 lituJine, dico clie la reità posta a disianza infinita, e considerata come apparte- nente alla conica A B'j è omologa della retta EE, ugualmente distante fra il punto S e la sua polare, rispetto alla conica AB. — La legge di continuità ci permette di dimostrare il solo caso che la retta all'infinito sia secante reale, cioè die le coniche sieno due iperbole omotetiche : in tal caso condotti per 6" due raggi paralleli agli assintoti, essi incontreranno la conica AB in due punii omologhi dei punii all'infinito della conica AB'; e se consideriamo la conica AB come omologa di se medesima {~l\.) rispetto al centro S ed alla sua po- lare,! medesimi punii saranno omologhi dei punti all'infinito della conica AB; d'altronde quest'ultima omologia essendo armonica (74.), la retla E E _, che passa pei predetti punti, è (5o.) equidistante fra S e la sua polare: dunque ec. §.91. Nel caso che le coniche omotetiche sieno due circoli, noi vediamo pel lemma precedente, che se vogliasi costruire un circolo omologo del circolo AB (Fig. ai.) in guisa che la retta E E secante ideale del circolo passi a di- stanza infinita, ci conviene prendere per centro d'omologia un punto S> tale ch'esso e la sua polare sieno equidistanti dalla retta E E: dunque pel §. 89. S dovrà essere una delle intersezioni fittizie del circolo e della retta E E. Ora colla predetta omologia non solo il circolo AB, ma anche (86.) ogni conica che abbia con esso la secante comune-ideale E E_, diventerà un circolo: dunque finalmente «data una conica qualunque AB, ed una sua secante ideale E E, )>se prendiamo per centro d'omologia una delle loro intersezioni fittizie ■£, e «facciamo andare all'infinito la retla EEj la conica AB avrà per omologo un » circolo.» — Questo teorema può considerarsi come un caso particolare del paragrafo 66. §. 93. Supponiamo che sulla retta EE sieno presi due punti P Q, conju- gati-armonici rispetto alla conica qualunque AB (Fig. 21.) (cioè tali che la polare di uno di essi passi per l'altro): riducendo, come nel §. precedente, la conica in un circolo A' B ad essa omologo, i punti P' Q'j omologhi dei P Qj saranno a distanza infinita; e dovendo inoltre essere conjugati-armonici rispetto al circolo A B'j essi saranno i punti all'infinito di due diametri tra loro per- pendicolari, e perciò anche l'angolo P'SQ' = PSQ sarà retto: dunque «se »per un punto qualunque P si tiri la secante ideale PQj la quale incontri »in Q la polare di P, le intersezioni fittizie della PQ e della conica saranno n situate sul circolo che ha il diametro P Q. » §. g3. Il precedente teorema può esprimersi dicendo che il centro armo- nico j rispetto all'origine P> dei due punti fillizii S n della conica è l'interse- 279 zione Q della polare di P colla retla PQj a cui spettano quei punti filtizii. Sotto questo aspetto il teorema è un'estensione ai punti fittizi! di quello che sussiste pei punti reali (49- 74-)- Ma prima bisogna definire che cosa debba in- tendersi per centro armonico rispetto ad un punto di origine, poiché il Pon- cclet ha bensì considerati (Journal f tir dies Matti. Tom. III.) i centri armo- nici dei punti posti comunque nello spazio, ma soltanto rispetto ad un piano di origine: la teoria che ora accenneremo non appartiene alle proprietà projet- tive, come avviene per quella del Poncelet; pure, atteso la sua grande analogia con quest'ultima, merita forse d'essere osservata. §. g4- Rispetto al punto di origine P (Figura 26.), il centro armonico delle masse m 11 poste nei punti A B è determinato dalla equipollenza m n m-\-n . , Q A QB T 1 =U= , la quale si traslorma nell altra in 1- n — £=0. JNon PA PB PQ 1 PA PB possiamo trattenerci a dettagliare il significato di queste equipollenze; ci ba- sterà indicare, che i.° Se si prendano sulle rette P A PB le lunghezze ad esse inversamente proporzionali P a Pbj poi si determini il centro di gravità (j delle masse m n poste nei punti a bj la Pq cade sulla direzione della PQj, ed è la sua inversa. 2.° Se dal centro armonico Q si abbassino sulle PA PB , a' A h'B . , . le perpendicolari Qa Qb'j si ha m — 1- n —— = o. Queste proprietà si estendono a qualunque numero di punti comunque posti nello spazio: nel caso di due soli punti A B, il centro armonico Q è situato sul circolo P AB, e si ha m.Q A. PB =m.P A. QB. Quando ìn — Tij il quadrilatero PAQB ha il prodotto di due lati opposti eguale al prodotto degli altri due; e si hanno altre proprietà analoghe a quelle dei punti in linea retta. §. g5. Quest'ultimo caso è quello che ha luogo, come dicemmo nel §. 93., tra le intersezioni fittizie a b (Fig. 23.) di una conica qualunque e di una se- cante ideale SQj e tra due punti S Q posti su questa secante, e conjugati- armonici rispetto alla conica; poiché ogni conica è (74-) omologa armonica di se medesima, rispetto ad un punto qualunque ed alla sua polare. — Se consi- deriamo più generalmente due coniche tra loro omologhe rispetto al centro S ed alla T ' t, e sieno a b à b' le loro intersezioni fittizie, con una retta che passi pel centro d'omologia S_, il centro armonico rispetto ad S dei punti omologhi a b\, oppure b a'j accompagnati dai relativi coefficienti (49-) > sarà iu tj nello stesso modo che se quei punti fossero reali, anziché fittizii: dunque i cir- coli S ab' Sba si taglieranno nel punto t, ec. 200 Vili. Origine e proprietà dei fochi coli' omologia o colla reciprocità, ed altri usi delle leggi particolari di derivazione polare. §. gG. Le proprietà dei focili delle coniche si deducono in modo facile ed elegante dalle proprietà del circolo, adoperando l'una o l'altra delle due leggi di derivazione, X omologia e la reciprocità. — Noi osserveremo preliminarmente, che dai §§. 74. 3o. 44- risulta che se si abbia* una conica (A), un punto M e la retta p> la quale sia la polare del punto M rispetto alla (si), e colla omo- logia si ottengano la conica (A'), il punto M' e la retta p '_, questa sarà la po- lare di M' rispetto alla [A'). Similmente se la conica (a), la retta m ed il punto P sieno rispettivamente derivati-polari o reciproci (12. i5.) dei prece- denti [A), M, pj sarà P il polo della m rispetto alla conica (a). §. 97. «Preso un foco di una conica per centro d'omologia, e fatta andare » all' infinito la polare di esso foco, la curva omologa della conica è un circolo »col centro nel suddetto foco. » — Nella figura 27. F e TU sono il centro e l'asse d'omologia del circolo JS m e della conica N Mj i quali hanno nel pun- to F quello il centro, e questa un foco; la DE„ polare rispetto alla conica del punto Fj è omologa della retta all'influito, poiché questa è la polare del centro del circolo, il quale essendo il centro d'omologia, è omologo di se medesimo. §. 98. « La figura reciproca di una conica è un circolo ogniqualvolta il «centro di reciprocità sia un foco della conica.» — Nella figura 28. il circolo col centro in e? è reciproco (rispetto al centro di reciprocità F) della conica che ha un foco in F; la retta DD polare, rispetto alla conica, di questo foco F è reciproca (96) del centro d del circolo; e la 00 polare di Fj rispetto al circolo, è la reciproca del centro O della conica; giacché (21.) la reciproca del centro di reciprocità è la retta all'infinito, ed i poli di questa sono rispettiva- mente i centri del circolo e della conica. §. 99. Per mostrare che ad uno stesso punto competono sempre ambedue le proprietà notate nei §§. 97. e 98., osserveremo che ciascuna di esse conduce alla seguente proprietà dei fochi: «Due rette fra loro perpendicolari, condotte »pel foco di una conica, sono rispetto a questa coujugate-armoniche, cioè una » passa pel polo dell'altra.» Nel caso del §. 97. le suddette rette essendo raggi di omologia, sono omologhe di sé medesime; ed essendo esse due diametri per- pendicolari del circolo, sono rispetto a questo conjugate-armoniche : dunque (96.) lo sono anche rispetto alla conica. — Nel caso del §. 98. (Fig. 28.) due 28l diametri perpendicolari del circolo sono reciproci di due punii della rella DD, i quali sono adunque (gG.) conjugali-armonici rispetto alla conica; e siccome F è il polo della retta" DB], cosi anche le rette che uniscono i suddetti punti con F sono conjugate-armoniche (76. i3.); d'altronde queste rette sono (16.) perpendicolari. §. 100. I principii slahiliti nei §§. 97. e 98. possono dare moltissime pro- prietà dei focili, derivandole da quelle del circolo. Si osservi che, in quanto alle proprietà projeltive di quest'ultimo, esse sono comuni a tutte le coniche, né quindi possono dare veruna proprietà particolare ai fochi: dobbiamo adun- que considerare soltanto la derivazione che risulta dalle leggi speciali della omologia, oppure della reciprocità. — Così le relazioni degli angoli che hanno il loro vertice nel foco della conica, possono desumersi dalle conosciute pro- prietà del circolo tanto col mezzo dell'omologia, perchè i raggi d'omologia e quindi anche gli angoli da essi formali sono comuni alle due curve, quanto col mezzo della reciprocità, servendosi dei teoremi fondamentali dati ai §§. 16. e 17. Per esempio, il teorema «In ogni conica una tangente mobile limitala » da due tangenti fisse è veduta dal foco sotto un angolo costante » dipenderà coll'omologia dallo stesso teorema relativo al circolo; e colla reciprocità (16.) dall'altro teorema, che un triangolo inscritto in un circolo, se ha due vertici fissi ed uno mobile, l'angolo di questo è costante. §. 101. La parabola La una tangente tutta situata all'infinito; dunque (21. 59.) la sua reciproca passerà pel centro di reciprocità: cosi nella figura 28. se la conica sia una parabola, il circolo passerà pel foco JF. Ora se mn sia un dia- metro del circolo, è noto che l'angolo mFn sarà retto. Sieno LM LN le tangenti della parabola reciproche dei punti m n del circolo ; esse si taglie- ranno (16.) ad angolo retto: e siccome mn passa pel centro d del circolo, così il punto L reciproco di mn sarà situato sulla retta DD; onde finalmente «l'apice di un angolo retto circoscritto alla parabola si trova sempre sulla po- llare del foco (direttrice).» — Nello slesso caso della parabola, se Fa è il diametro del circolo, ogni angolo Fma è retto, il punto reciproco della reità ma appartiene alla tangente della parabola nel vertice A; quindi pel §. 17. « i piedi delle perpendicolari abbassate dal foco su tutle le tangenti di una » parabola sono situati sulla tangente del vertice. » §. 102. Se nella figura 28. sia ff la secante ideale del circolo, che ha con esso la intersezione fittizia Fs vedremo pel §. 92. che ogni angolo retto col vertice in F taglia la ff in due punti conjugati-armonici rispello al circolo; 56 •202 questi due punti sono poi (16.) reciproci di due rette fra loro perpendicolari, e passanti pel punto F reciproco della ff; e queste due rette saranno (96.) conjugate- armoniche rispetto alla conica reciproca del circolo; perciò (99.) sarà F' un altro foco della conica. — La distanza del punto fittizio jF (di un circolo) dalla sua secante ideale ff è (89.) la metà della distanza di F dalla sua polare 00: dunque in forza della reciprocità F F' è doppia di F O. §. io3. Se una stessa retta incontra il circolo nei punti m n, e la secante idealeyy' in lj si ha (89) IF = lm.ln; perciò sono eguali gli angoli nFl ImF. Ora i punti m n del circolo, la loro retta Imn, ed il punto l sono re- ciproci delle tangenti ML NL, della loro intersezione L, e della retta F'L; e pei §§. 16. 17. nFl è supplemento di F'LNj ed ImF \o è di MLF: dunque «gli angoli F LN MLF sono tra loro eguali.» §. io4- Senza trattenerci intorno ad analoghe applicazioni, che copiosissime si trovano nelle Opere dei Poncelet, Chasles ec, noi mostreremo la relazione che ha luogo tra le proprietà dei fochi e quelle delle secanti ideali rispetto alle loro intersezioni fittizie. — Dovendo adoperare simultaneamente l'omologia e la reciprocità, noi distingueremo i due sistemi tra loro reciproci, chiamando uno di essi primitivo j e l'altro derivato. Notiamo da prima, che date due figure tra loro omologhe, se prendiamo il loro centro d'omologia / per centro di re- ciprocità, noi ahbiamo per sistema derivato due figure omotetiche, cioè omolo- ghe coll'asse d'omologia reciproco di lj situato a distanza infinita. — Ciò posto, si abbia per sistema primitivo una conica (a) con una secante ideale ^/"rispet- tivamente omologhe della conica (b) e della retta all'infinito. — Preso per cen- tro di reciprocità il centro d'omologia I delle due precedenti figure, il sistema derivato sarà composto della conica (A) e di un suo apice ideale F rispettiva- mente omotetici della conica (B) e del punto /. — Si supponga ora che / sia una delle intersezioni fittizie della conica (a) e della retta fj: vedremo pel §. 91. che la (b) sarà un circolo; poscia pel §. 98. la conica (B) reciproca del circolo (b) avrà un foco I , e quindi F omotetico di / sarà un foco della co- nica (A) omotetica della (B) : dunque «una conica (a) ed una sua secante » ideale ff sono rispettivamente reciproche di una conica (A) e di un suo fo- li co F , purché si prenda per centro di reciprocità una delle intersezioni fitti- » zie della (a) colla ff. » — Cogli stessi raziociuii, presi iu ordine opposto, si vede che siccome la conica (A) ha due fochi F F' ; cosi data una conica (a) ed un punto qualunque I, esistouo due rette ff ff, ognuna delle quali ha colla (ci) una intersezione fittizia /. 283 §. io5. Dalle proprietà dei focili si possono adunque dedurre altre proprietà delle suddette secanti ideali ff f'f. Per esempio, il teorema del §. io3. ci dà: « se una conica e le secanti ideali ff f f '_, che hanno con essa una mede- »sima intersezione fittizia !_, sono tagliate da una retta nei punti m n l Xt gli «angoli Uni l'In sono eguali.» — Questo teorema potrebbe dimostrarsi anche col mezzo dell'omologia; poiché dalla proprietà caratteristica (92.) delle inter- sezioni fittizie risulta, che se preudiamo il punto / per centro d'omologia, la figura omologa conterrà una conica con due secanti ideali, le quali avranno an- cora colla conica l'intersezione fittizia I; d'altronde (91.) se facciamo andare all'infinito una deWefff'f j la conica diventa un circolo. §. 10G. Prima di terminare questo Capitolo, destinalo ad accennare i van- taggi che possono trarsi da speciali leggi di derivazione, indicherò anche la de,- rivazione-polare-paraholica (19.), di cui si occupò il Chasles nel tomo V. della Corresp. Malli. elPhys. Da quanto ne riferisce il Bullct. Univ.; Janv. i83o, parmi ch'egli abbia applicata tale derivazione solamente a teoremi, cui bastava generalizzare col mezzo della projezione, per renderli poscia suscettibili della generale derivazione polare. Al contrario gli esempii seguenti mi sembrano ri- chiedere la derivazione polare-parabolica, cioè la derivazione polare presa (76.) rispetto ad una parabola ausiliaria. Non è difficile riconoscere che questa deri- vazione è soggetta alle leggi stabilite nei §§. ig. 20. 21. §. 107. Prendiamo per figura primitiva una parabola coi diametri paralleli all' asse di derivazione : la curva derivata-polare-parabolica ( curva reciproca del Monge) sarà un'altra parabola, perchè il punto all'infinito di una dà (21.) la tangente all'infinito dell'altra (60.). Ora in una parabola le tangenti fra loro perpendicolari s'incontrano (101.) nei punti di una retta perpendicolare ai dia- metri; dunque, passando alla figura derivata, «tutte le rette che uniscono le » coppie dei punti di una parabola, le cui distanze da un diametro determinato «hanno un prodotto costante (ig. 20.), s'incontrano in un punto di quel dia- » metro. » — Questo teorema fu già trovato dal Prof. Mainardi ( Giornale di Pavia, 1826). §. 108. Una parabola, ed una sua secante ideale parallela alla tangente nel punto a cui appartiene il diametro che serve d'asse di derivazione, possono sempre dare per figura derivata-polare-parabolica una parabola ed il suo foco: ora in questa figura derivala, se da qualunque punto della tangente nel vertice della parabola si tira una seconda tangente, ed una retta al foco, queste sono (101.) tra loro perpendicolari; perciò nella figura primitiva «se pel punto in 234 »cui la parabola è tagliata dall'asse di derivazione si tiri una retta qualunque, )> essa taglierà la parabola e la secanle in due punti, le cui disianze dall'asse di » derivazione avranno un prodotto costante. » §. 109. Se invece prendiamo l'asse di derivazione perpendicolare ai diame- tri della parabola primitiva, la conica derivata è un'iperbola, di cui un assintoto è l'asse di derivazione, l'altro è la retta derivata del vertice della parabola; ed operando come al §. precedente, vedremo cbe « se una retta si muove paral- » lelamenle ad un assintoto, le distanze dall'altro assintoto delle intersezioni col- ul'iperbola, e con una retta condotta pel centro, hanno un prodotto costante.» — Questo teorema dà la nota equazione dell' iperbola riferita agli assintoti. IX. Della derivazione di trasformazione. §. 110. Può dirsi in qualche maniera che le derivazioni precedentemente considerate non mutano la forma delle figure, poiché non mai le rette si can- giano in curve, ne queste in quelle. Ora accennerò un'altra derivazione, la quale muta le rette in coniche : io la chiamerò per tal motivo trasformazione. — La trasformazione da una figura ad un'altra fu presentata dai Geometri sotto varii aspetti, cui giova conoscere, se non fosse per altro, per convincersi della identità delle risultanze. Noi accenneremo qui brevemente quelle leggi di tras- formazione che s'appoggiano a sole considerazioni geometriche , riserbando ad un'apposita nota l'esame dei metodi algebraici. §. in. Nel piano, in cui è posta una data figura, sieno presi ad arbitrio tre punti I K L (Fig. 2g.),. e per ogni punto M della figura ne sia determinato un altro M V, facendo l'angolo I KM' eguale all'angolo MKLj e l'angolo 1LTST = MLK. Tutti i punti così determinati formeranno una seconda figu- ra, che si dirà trasformata della prima; così pure il punto M' si dirà il tras- formato di M (réciproque, Poncelet): e si vede cbe viceversa M è il punto trasformato di M' . Nelle precedenti ipotesi si trova (46.) cbe sono eguali anche gli angoli KIM' M IL. — I tre punti / K L io li dirò i punti cardinali della trasformazione (Gardinalpunkte, Ma-gnus); e dirò pure triangolo cardinale il triangolo da loro formato (Hauptdreieck, Steiner). §. 112. Tutte le rette o raggi analoghi a KM formano intorno al punto K una stella cb'ò evidentemente uguale alla stella formata dai raggi corrispon- denti KM' . Dicasi la stessa cosa delle due stelle formate in simil modo interno a ciascheduno degli altri due punti cardinali. Supponiamo adesso cbe il punto 203 31 si muova lungo una reità; i raggi KM LM formeranno due stelle colli- neari (56.), e saranno pure tra loro collineari le stelle formate dai raggi cor- rispondenti KM' LM': dunque (69.) il punto M descriverà una conica che passerà pei punti K L_, e per le slesse ragioni passerà anche per /. Risulta da ciò, che la trasformata di una retta è una conica che passa pei tre punti car- dinali.— Fanno eccezione i seguenti casi: i.° se la retta passa per uno dei punti cardinali, la sua trasformata è un'altra retta di quel medesimo punto car- dinale, ed i loro punii corrispondenti formano due rette collineari; 2.0 se la retta sia un lato del triangolo cardinale, tutti i suoi punti hanno per unico trasformato il punto cardinale opposto a quel lato. Per questo motivo la retta che passa per un punto cardinale ha per trasformata, oltre la retta accennata nel primo caso, anche la retta che unisce gli altri due punti cardinali, ed un lato del triangolo cardinale può supporsi avere per trasformato anche il sistema degli altri due lati. §. 11 3. Sono pure canoni della trasformazione i seguenti: la trasformata di ogni conica che passa per tre punti cardinali, — o per due soltanto, — o per uno, — o per nessuno, è una retta, — una conica che passa pei medesimi due punti cardinali, — una curva del 3.° ordine che ha in quel punto cardinale un punto doppio, — una curva di 4-° ordine che ha un punto doppio in cia- scuno dei punti cardinali. — Se due linee hanno un contatto dell'ordine n.esim0 in un punto non situato sui lati del triangolo cardinale, simile contatto ha luo- go tra le loro trasformate. §. n4- Nel modo di trasformazione descritto al §. ili. la retta posla a di- stanza infinita ha per trasformata il circolo circoscritto al triangolo cardinale ; ma possono immaginarsi altri modi, coi quali la trasformata della retta all' infi- nita non sia un circolo. Infatti i canoni dei §§. 112. 1 1 3. sussistono anche se la stella formata dai raggi KM non è uguale, ma soltanto collineare con quella formata dai raggi KM (purché però i raggi K L KI sieno tra loro corrispon- denti), e una simile relazione abhia luogo tra le due stelle LM ... KIj LM... IK, e tra le due IM...LK, LM... KL. §. 11 5. Supponiamo per un caso particolare^che i due angoli MK M' M LM' (Fig. 3o.) sieno costantemente retti: le due stelle KM... KM' ... saranno tra loro uguali, e cosi pure lo saranno le due LM... LM' ... Il terzo punto car- dinale / è a distanza infinita; la retta all'infinito è trasformata di se medesima; la trasformata di una retta qualunque è uu'iperhola con un assintoto parallelo ai lati KLj LL_, ed uno perpendicolare alla retta proposta; ec. 286 §. ii6. I due punti trasformati 31 31' (Fig. 3o.) sono diametralmente oppo- sti sopra un circolo (C) che passa pei punii fissi K L: ora sia descritto un circolo (D) , a cui appartengano i due punti fittizi! K L ; questo circolo sarà (3q.) tagliato ortogonalmente dal circolo (C) , il quale inoltre passerà per le in- tersezioni (che supponiamo fittizie) del diametro 31 31' col circolo (/?); per- ciò (92.) i punti 31 31 sono conjugali- armonici rispetto al circolo (D). Così adunque noi possiamo definire i punti trasformali 31 M '_, dicendoli coujugati- aimonici rispetto a ciascheduno dei circoli che hanno i due punti fitlizii A L. §. 117. Si osservi che la generale trasformazione definita al §. 11 4- si ap- poggia soltanto a proprietà projeltive, sicché essa è suscettihile di tutte le deri- vazioni considerate nei precedenti Capitoli. Ora nel §. 116. noi avevamo una serie di circoli ausiliarii (D), aventi tutti una secante-comune ideale; colla pro- jezioue noi possiamo mutarli in una serie di coniche aventi due secanti-comuni ideali, e per ogni punto ne esisterà un altro che sarà, rispetto a ciascuna conica, conjugato-armonico di quello , e che potremo considerare come il suo trasfor- mato. — Si noli che nel sistema di circoli ausiliarii, e quindi anche nel si- stema di coniche, i punti li I L sono quelli che ahhiamo già detti cardi- nali nel §. 84-, e che nelle figure 21... 25 ahhiamo disegnati colle lettere A A'i A' 2. §. 118. Per la legge di continuità possiamo supporre che tutte le coniche ausiliarie ahhiano due secanti-comuni, l'una reale, l'altra ideale ; ma allora due punti cardinali divengono fittizii (Fig. 23.), e perciò tutte le coniche trasfor- mate delle rette hanno un punto ed una secante ideale comuni. — Se invece supponiamo che ambedue le secanti-comuni delle coniche ausiliarie sieno reali (Fig. 24.), noi giungiamo al caso che due punti trasformati sieno conjugati-ar- monici rispetto a qualunque conica circoscritta al quadrilatero ABCD, e quindi anche rispetto ad ognuno dei tre sistemi di due linee rette KA KB, KsB K\C, K2A KiB. §. 119. La trasformazione fu esposta dallo Steiner in un altro modo, che per la sua eleganza merita esser conosciuto. Se da tutti i punti di una figura piana tiriamo altrettanti raggi ad un centro comune, questo fascio di raggi è taglialo da un altro piano in una figura eh' è una projezione (2.) della pri- ma; ma se i raggi invece di concorrere in un puuto taglino due rette poste in piani differenti, la seconda figura sarà una trasformata della prima. — Due punii cardinali di ciascuna figura sono le intersezioni del piano di questa colle due rette predette; il terzo è l'intersezione dei due piani, e della retta che 237 unisce i due primi puuti cardinali dell'altra figura. Cosi se l'KL I K L' sono due relte non poste iu un medesimo piano, e se ogui raggio M M' , clie unisce due puuti trasformali, incontra ambedue le rette KK' LL'j IKL I K L sa- ranno i triangoli cardinali delle due figure, i cui piani hanno la intersezione .77 . §. 120. Date in un piano due figure tra loro trasformate, si può col mezzo della derivazione polare dedurne due altre, le quali dipendano fra loro secondo una nuova legge, che potrà dirsi polotrasformazione . La poìotrasformata di una retla sarà un'altra retta, ed un punto avrà per poìotrasformata una conica toccante tre rette cardinali j ec. — Lo Steiuer ha sviluppato questo argomento, ed ha pure dettagliate le relazioni che hanno luogo tra due fasci prospettivi a due ligure trasformate, oppure pololrasformate, ec. ; ma credo inutile l'occu- parci di queste derivazioni composte, essendo più comodo adoperare successi- vamente le derivazioni semplici. Vediamone qualche esempio. §. 121. Si domanda quante parabole possano inscriversi in un dato quadri- latero.— La parabola è la conica che tocca la retta posta a distanza infinita; onde colla projezione potremo passare alla questione più generale: quante co- niche possono toccare cinque rette date? — Ora adoperando la derivazione po- lare, faremo dipendere la precedente questione dall' altra: quante coniche pos- sono passare per cinque punti dati IRLA B? — Finalmente colla trasfor- mazione, rispetto ai tre punti cardinali I K Lj saremo ridotti alla questione: quante rette possono passare per due punti A É ? — Quindi la risposta a tutte le questioni sarà: — Una. §. 122. Quanti coni di 2° grado possono esistere, i quali tocchino un piano, ed un altro cono di 2.0 grado col vertice su quel piano, e comprendano tre rette, due delle quali appartengano al couo dato, e la terza passi pel suo ver- tice? — Tagliando tutto il fascio con un piano, noi siamo condotti ali altra questioue: quante coniche toccano una retta ed una conica, e passano per tre punti I K Lj due dei quali situati in questa conica? — E per la trasforma- zione: quante rette toccano due coniche, l'una delle quali passa per tre punti I K L„ e l'altra per due soli? — Finalmente la derivazione polare riduce la questione alla seguente: quanti punti possono appartenere a due coniche? — Tutto al più quattro. §. 123. Quante coniche possono passare per tre punii, e avere in due di questi date tangenti? — Prendiamo pei punti cardinali R L due punti infini- tamente vicini (sicché essi determinino un punto delle coniche e la tangente nel medesimo); il terzo punto cardinale / sia quello pel quale non si conosce la tangente: cosi si cercheranno le coniche che passano pei tre punti cardinali, ed inoltre toccano una retta in un punto dato ; quindi colla trasformazione ci ridurremo alla ricerca: quante rette toccano una conica in un dato punto? — Una. §. 124. Si può supporre eziandio che i tre punti cardinali coincidano in- sieme; allora tutte le coniche trasformate delle rette si osculano nel punto car- dinale triplo. — Questo caso di trasformazione si potrà ottenere nel modo che indicherò nel §. 127., prendendo il punto cardinale / sulla conica ausiliaria. §. 125. La trasformazione potrebbe servire ad estendere alle coniche moltis- simi teoremi relativi alle rette ; ma per la complicazione dei nuovi teoremi è inutile farne parola, e piuttosto si adopererà la trasformazione per ridurre alle rette le ricerche che si presentassero relativamente alle coniche che passano per tre punti cardinali, o toccano tre rette cardinali. — Non dee peraltro tras- curarsi la ricerca delle speciali leggi di trasformazione, le quali possono con- durre a risultanze che inutilmente si ricercherebbero col mezzo della legge più generale, appunto come abbiamo v/eduto accadere riguardo alla derivazione polare. §. 126. Descritto un circolo ausiliario col centro /j per qualunque punto M del suo piano se ne determini un altro M in modo ch'essi taglino armonica- mente il diametro che passa pei medesimi : facilmente si riconosce che la figura formata da tutti i punti M è inversa di quella dei punti M, e che d'altronde (vedi la mia Memoria inserita negli Annali ec. Padova i836) le rette sono inverse dei circoli che passano pel centro d'inversione /. Questi circoli sono nel primo caso considerato nel §. 1x8., e perciò l'inversione è un caso partico- lare della trasformazione; Ih un punto cardinale, e gli altri due sono le interse- zioni immaginarie dei circoli colla loro secante-comune posta a distanza infinita. §. 127. La projezione e la legge di continuità ci autorizzano a generaliz- zare la trasformazione indicata nel §. precedente, mutando il circolo ausiliario in una conica, e prendendo ad arbitrio il punto /; gli altri due punti cardi- nali K L saranno le intersezioni della conica colla polare di /. Per qualunque punto M si condurrà la retta IM_,\n quale sarà tagliata dalla conica nei punti P Qj ed il punto M' armonico coi tre P. M Q sarà il punto trasformato di M. Si osservi che anche la figura trasformata ha i medesimi punti cardinali IKLjSa che il K di una figura corrisponde coli' L dell'altra, e viceversa; invece / corrisponde a se medesimo. \Jiq> . ?■ 30. / M DELL' IDEALISMO IN MEDICINA E DEI SEGNI TOLTI DALLA ISPEZIONE DELLA LINGUA PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE DEL CERVELLO, DEI POLMONI. DELLO STOMACO, E DEI VASI SANGUIGNI. MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI III MAGGIO MDCCCXXXVt DAL SOCIO ATTIVO GIACOMANDREA GIACOMINI PARTE PRIMA. Dell1 idealismo in medicina. Ne eli' udire a' nostri dì ragionar di sistemi in medicina, declamare con gravila contro a' sistemi, e caldamente ammonire perchè se ne fuggano come di serpe avvelenato le insidie, ei parrebbe che noi fossimo a un tratto respinti in quelle tenebrose epoche, ove elementi che non erano elementi, ove il pneuma, gli ato- mi, l'archeo, la degenerazione degli umori, lo spasmo formavano base teorico- scientifica del medico edilizio. Eppure i presenti cultori dell'arte salutare, mentre serbano gelosamente quell'eredità di vere cognizioni che ci hanno lasciata i no- stri maggiori, di que' fatti che perennemente si rinnovano e confermano sotto i nostri occhi abbandonarono per sempre i teoretici lor sogni. Nessuna forza varrà nemmeno a ricondurveli: poiché il variar continuo, l'avanzare, il retrocedere è proprio di ciò che riguarda le discipline del bello, e tocca i bisogni del gusto ; ma non è proprio di ciò che risguarda il vero, il quale, una volta che sia rag- giunto, immutabilmente sta, ed alla mente di colui che l'adocchiò più non si cela. Il qual vero se poi siasi raggiunto, e se v'abbia umana pupilla che in fatto di medicina lo ravvisi, è domanda che corre tosto al pensiero. Ed a questa doman- da risponderebbero sicuramente i censori de' sistemi, che l'inimutabil vero an- cora non s'è raggiunto in medicina; e ne addurrebbero forse come il più forte 37 29° argomento il non consentire tutti i medici in quello, e l'avervi anche oggidì disparate credenze in medicina, e pur tuttavia diversissimi sistemi. E cpji di bel nuovo alzano il grido contro a' sistemi dominanti oggidì e succeduti agli anti- chi, e ricordano il perpetuo loro avvicendarsi, il dar luogo ai nuovi, finché altri più nuovi e non men perituri occuperanno il campo. E fra le sette che tengono attualmente divisa la medica famiglia fra noi schierano innanzi i così detti polaristi, i particolaristi, i controstimolisti, i classicisti. Ma I presentì cultori della vera medicina non appartengono (s'io non erro) ad alcuna di queste sette. Non sono polaristi, conciossiachè veggono negli in- segnamenti di quella scuola un romanzo di fantastiche idee, che sembra voler confinare colla nebulosa astrologia degli antichi; e veggono quegli stessi Oltra- montani, che la professano, porsi i poli e le influenze cosmiche o telluriche die- tro alle spalle ogni qual volta s'affacciano a curare un malato. Non sono partico- laristi , perchè non hanno il malto intendimento di occuparsi del secreto im- percettibile magistero dell'impasto organico, e cercare quello che i maestri stessi del particolarismo cercaudo confessano e predicano essere impossibile di ritro- vare. I presenti cultori della buona medicina non riguardano il controstimolo che come una delle molte serie di fatti che costituiscono lo scibile medico; e conosciutolo in ciò che veramente egli è, e non in ciò che lo dipingono alcuni che mai no '1 conobbero, uè traggon profitto nei casi che la fida esperienza loro addita. Col troppo orrevole nome di classicisti sono chiamati que' medici che pescano il sapere nei polverosi volumi dell'aulica medicina, non accettando se non quello ch'ebbe sanzione dai celebrati autori, e dichiarandosi nemici ed op- ponenti a tutto ciò che non ha la ruggine del tempo. Di questa fatta classicisti non sono que' cultori della buona medicina che noi intendiamo , i quali non hanno dell'umano intelletto sì umiliante idea per approvare quel troppo cele- bre e troppo falso molto, che in fatto di scoperte nulla possa più esservi di nuo- vo sotto il sole. Non credono che la luce sia sempre da cercarsi fra le ombre ancorché venerande ; che i fulgentissimi avanzamenti nelle fisiche e naturali scienze, e gli efficaci mezzi di analisi e di esplorazione, e i metodi di induzione più certa e di logica più pura sian da porsi sotto a' piedi, per ascoltare come da oracoli il dettato di quegli uomini che erano bensì grandi e sapienti, ma in mezzo all'ignoranza e nell'inopia di filosofico lume. Non vogliono di un male che ponno avere sott' occhio , che ponno esplorare nella macchina stessa e vi- vente e dopo morte , scrutare negli elementi e distinguere nelle apparenze e gradazioni le più minute; non vogliono attignerne l'idea più giusta in ciò che 2 foggia di greco abito, che gì' involge il corpo ignudo, ti mostrano un Greco che sacrifica; e un berrettone di pelle, detto et- nee dai Greci, galero dai Romani, che pare l'abbiano tolto da loro, altro Greco e probabilmente un Lacedemone rappresenta nell'uomo adagiato in sul letto. Per fuggire prolissità e noja, io non fo che accennare questi due marmi erudita- mente illustrati dall'Alessi a pag. 44) l quali cospirano coi già descritti a di- chiarare Ateste greca città. Così però non la pensa il conte Jacopo Filiasi (Op. cit. T. I. p. 270), cui non fu ignota Y opera del nostro storico. Osserva egli: cbe i Greci al tempo del romano impero accorrevano da tutte parti in Italia a cercarvi sussistenza ed im- piego; che pel loro ingegno gentile e svegliato venivano accolti, a preferenza di altri, ed accarezzati nelle famiglie ; cbe nella terra ospitale ergevano essi pure monumenti e lapidi con iscrizioni ai loro cari. x\vvisa quindi, che i marmi e le lapidi greebe che si rinvennero pure in Este, appartenessero a Greci ivi dimo- ranti per caso, non già ai Greci indigeni abitatori. Io rispetto uno scrittore di quella celebrità, che fu il Filiasi, ma non adotto la sua opinione, perchè smen- tita dai fatti. Le cose romane costantemente si disseppellirono in Este a due o tutt'al più a tre piedi sotto la superficie del suolo; e le ultime scoperte lungo la nuova strada di Lozzo, e nello scavo delle fondamenta del nuovo teatro, si 4i 322 fecero a meno di due piedi, come mi fanno fede testimonii di vista; della quale modica profondila rende ragione la condizione del suolo, che declinando dalle falde dei monti alla pianura, non riceve dalle acque piovane colmate di terra clie va a sedere nei luoghi più hassi. Al contrario i due monumenti d'Arge- nida e di Filisla giacevano dieci piedi sotterra. La diversa profondità, alla quale si trovano gli oggetti antichi nel medesimo sito, accusa sempre diversità di epo- che; e per non recare inutili esempii accennerò la sola vicina Adria, dove le an- tichità romane si trovano alla profondità di cinque, sei, o tult'al più sette piedi, secondo la varia elevazione del suolo, che non è sempre allo stesso livello; mentre le cose greche, che adesso voglionsi dire etrusche , sono sepolte a quattordici ed anche sedici piedi : dopo di che apparisce la sahhia di mare. Ne meglio si appone, per mio avviso, il Micali asserendo che i nostri paesi non fossero mai abitati dai Greci. Chi poteva aver eretti que' monumenti, se non persone di greca origine che vi abitavano? Il fatto stesso parla cosi chiaro da non poter- visi muover dubbio. Ed io tengo per fermo, che se il Micali avesse conosciuta o l'opera dell' Alessi o i monumenti ateslini, uomo di retto giudicare com'è, avrebbe cangiato parere. Pochi, è vero, sono questi monumenti; ma forse che sarebbero rimasti soli, se non si fossero abbandonali miseramente gli altri alla distruzione? Alla profondità in cui giacevano i monumenti di Argenida e di Filista tutto doveva esser greco; e non è visione di fantasia, ma congettura ragionevolissima, che senza quella ignoranza che presiedeva allo scavo avremmo avuta maggior luce e maggiore dovizia di cognizioni. Altro argomento a pro- vare la dimora dei Greci in Este e nei monti adiacenti mi offrono i nomi di greco conio che portavano e portano tuttavia parecchi dei nostri colli e dei vil- laggi che li popolano. Oltre al nome & Euganei, ch'è greco, suonano greco parimente i nomi di Abano, di Rua, di Venda, di Zoon, di Revelone, di Bavone, Monte-or tane, Montagnone; ai quali si può aggiugnere Valle-an- ària, Cinto, monte celebre anche nella Grecia, Cero, Caìaone, ossia Eìicao- ne, come lo chiama Marziale ne' suoi Epigrammi (Lib. io. Ep. o,3). Che i Greci 3a3 abitatori dell'Italia meridionale, veduti da lungi i nostri colli o avutane notizia, cangiassero nome all'intera massa, per quella vanità nazionale, come dice il Micali, di trasformare tutto il mondo in greco, non è fuor di ragione. Ma co- me avrebbono potuto impor nuovi nomi a certi monti e a certi sili senza ve- derli da presso, anzi senz'averli famigliari, e senza abitare in mezzo di loro? Questa osservazione, unita alle addotte prove, mi sembra dimostrare abbastanza die i primi noti abitatori di queste nostre contrade fossero Greci, e ebe per conseguenza la nostra Ateste, in origine, fosse greca città. Ecco le poebe notizie che mi fu dato raccogliere sulle origini e sui primi abitatori della mia terra natale; dopo di che la storia di Este nulla ci offre di particolare e di proprio. Sarebbe lo stesso anche di Padova, se lo spartano Cleo- nimo provocandola all'armi non ne avesse palila tale sconfitta da segnare un'epo- ca luminosissima negli annali di questa ciltà. Ma di Ateste altro non sappia- mo, se non che fu compresa a' tempi posteriori nella Venezia; e ce lo attesta lo stesso Plinio (Ilist. nat. Lib. 3. i. 19.) dicendo: Brucia Cenomanorum agro; Venetorum vero Steste. Quindi le sue guerre e le sue vicende sono quelle, dei Veneti, indipendenti affatto sinché Roma non ebbe a lottare che co' suoi vicini; alleati dei Romani, quando questi cominciarono a dilatare l'impero; sog- getti a loro, quando le vittorie sui Cartaginesi diedero loro la padronanza su tutta l'Italia. Se la dedizione della Venezia a Roma spontanea fosse o forzata, se avvenisse prima o dopo la seconda guerra punica , quali immagini d' indi- pendenza abbiano conservato le venete città dopo la sommessione, è tutto in- certo. Questo solo è certo, che la Venezia assorbita nel gran vortice della ro- mana dominazione, a poco a poco perde tutto, sino al linguaggio, e non riten- ne che il nome, assai scarso conforto delle sue perdite immense. Ma tornando ad Ateste farò un'ultima osservazione. Se il tempio dei Castori, e i rimasugli d'altri edifizii magnifici, e i marmi preziosi, città ragguardevole la dichiarano prima che ricovrasse sotto le possenti ale di Roma ; l'Adige che la bagnava, e la grande via Emilia Alliuate che le passava per mezzo, città importante e ricca 324 la dichiarano anche sotto i Romani a cagione del commercio e della frequenza che doveva tenerla in movimento continuo, e alimentarne la pubblica e privata prosperità. Quest'epoca ancora intralciata ed oscura meriterebbe un' altra Me- moria, che toccasse la condizione di Àteste e di altre città della Venezia prima e dopo la loro sommissione alla romana repubblica; ne mi manca forse la vo- lontà di continuare il lavoro, come non mi manca gran parte de' materiali nell'eruditissima opera dell'Alessi. Ma di molti altri sussidii avrei mestieri, che non trovo nel mio storico, per dir cose non indegne di questo illustre Consesso a cui mi onoro di appartenere , e dirle senza disonore in tempo che gli studii delle cose antiche e romane vantano tanti coltivatori e tanti pro- gressi. Frattanto mi rallegro moltissimo che il mio dotto amico ed eruditissimo archeologo ab. Giuseppe Furlanetto in questi giorni medesimi, ch'io sto appa- recchiando per la stampa il mio scritto, abbia condotto a fine la promessa illu- strazione delle lapidi antiche raccolte in Este da quell'egregio Podestà nob. Vincenzo Fracanzani ; dalla quale illustrazione spero di ricevere tali lumi che possano, quando che sia, in qualche parte agevolare la mia fatica. CENNI SULLA ORGANOGRAFIA. E FISIOLOGIA DELLE ALGHE MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI TADOVA IL VI MARZO MDCCCXXXVIII DAL SOCIO ATTIVO DOTT. GIUSEPPE MENEGHINI M. ra tutte le classi di piante quelle, che più delle altre si presentano vaste e diffuse sono senza contrasto le due delle Alghe e dei Funghi. Segnano le Al- ghe le prime traccie della vegetazione: in esse gli elementi organici, collocati nelle condizioni più favorevoli alla evoluzione, conseguono l'intiero loro svi- luppo e vegetano isolati ed individuati, mentre nelle piante d'ordine superiore insieme si uniscono e contrastano a costituire più complicate organizzazioni. Per il botanico poeta esse rappresentano la tavolozza su cui natura compone sue magiche tinte a tutto dipingere il gran quadro del mondo vegetale. I Fun- ghi all'opposto segnano l'ultimo passo della vita vegetativa. In essi sono gli ele- menti già disciolti da organismi distrutti, che, abbandonati a sé stessi in mezzo ad opportune circostanze, sembrano nuovamente costretti a vegetare a guisa delle piante, benché per loro natura più adattati alla vita animale. Le nevi del Polo egualmente che le più calde sorgenti minerali, gli abissi del mare e la scarsa umidità deposta dall'atmosfera s'una parete ombrosa, i laghi vastissimi ed i fiu- mi ed i torrenti al pari delle fosse, dei rivoli, degli stagni e perfino delle pozzan- ghere offrono ricetto a innumerevoli miriadi di alghe. Esse costituiscono quasi per intero la Flora delle acque , come il restante dei vegetali quella della terra e , se non fosse l'uniformità dei mari e delle grandi masse di acqua, esse sover- chierebbero , nonché nella somma degli individui, anche in numero di specie quello complessivo di tutte le altre classi di piante, come la superficie delle ac- que soverchia quella del terreno asciutto. Ad onta però della uniformità delle condizioni, nelle quali esse vivono, pressoché infiniti sono gli aspetti che assu- mi 326 mono, come possiamo giudicarlo da quelle, che attualmente si conoscono e an- cor maggiormente dobbiamo arguirlo dal considerare, quanto ci resta a scoprire delle slesse alghe europee, e quanto di quelle che in immensa copia devono esi- stere nei grandi Oceani e nelle lontane regioni , alle quali i viaggiatori giam- mai non pervennero, o che almeno a questo oggetto non furono da alcuno per anco ricercate. Le alghe perciò, che vennero finora raccolte e studiale, non ci olirono che separate anella di quella catena, che tutte pure deve collegarle a certe leggi di organizzazione e di vita, catena, che allora pure sarebbe diffi- cile a seguire e comprendere, quand'anche le forme tutte ci fossero palesi di questi esseri svariatissimi. Ed, essendo invece la parte minore quella che ci è dato conoscere, siamo nell' impossibilità di giudicare quali e quanto vaste la- cune restino a riempiere, e per ora dobbiamo rinunciar alla speranza di farci uu'idea complessiva di tutta la Classe, dalla quale venga indicata la via a dis- coprir la serie dei naturali rapporti. È perciò che lungi restarono dal conseguir il loro scopo tutti i tentativi fatti finora per ottenerne una metodica distribu- zione. La Tassonomia delle alghe non è punto differente da quella delle altre piante, né tampoco da quella degli animali, imperocché la maniera di conside- rare gli esseri organici quanti essi sono sotto l'aspetto filosofico non è e non può essere che una sola. Si devono considerare tutti gli organi e di ciascun organo si devono studiare tutte le modificazioni. L'importanza del carattere che risulta da ciascuna di queste considerazioni dev'essere subordinata e al grado e alla natura della modificazione, e alla qualità dell'organo. Questi caratteri linai- mente devono essere subordinati alle condizioni individuali dell'essere che si esamina ed ai suoi molteplici rapporti con tutti quelli che lo circondano. A queste poche parole si riducono tutti i principii di Tassonomia. E per le alghe, converrebbe che la loro struttura perfettamente si conoscesse, e giustamente si potessero valutare i mutamenti, per cui gli organi della nutrizione si confor- mano in fruita, onde poter dedurre dati positivi di Classificazione, attenendo- si contemporaneamente ad ambedue quei cardini. Ben sentì questa verità il Duby, la professò più che non ne seguisse i dettami l'Agardh, ma troppo in- complete sono le nostre cognizioni perchè questi od altri autori vi riuscissero. Le divisioni quindi delle alghe in talassiofile (articolate e continue) e confer- vee (Lamouroux), in frondose e filamentose (Duby), in zoospermee e fucoidee (Agardh jun.), in iloidee, tricomati e scutoidi (Palisot de Beauv.), in diatomee, nostochiue, confervoidee , ulvacee, floridee e fucoidee (Ag'ardh), e tali altre tutte sono dirette da particolari vedute e quindi parziali ed incomplete. La- 327 sciando dunque ad un'epoca più matura il dettare una metodica e naturale di- stribuzione delle alghe, s'impieghi invece ogni sforzo a ben definire ed illu- strare i singoli gruppi, ai quali riferir si devono i varii generi, che si collegano intorno a certi tipi principali. I quali generi per le medesime cagioni molte volte sono vaghi e vacillanti, di modo che, tra il pericolo di mascherare le affi- nità suddividendo, e l'altro non meno pregiudizievole di confondere unendo, si deve tenere quella via moderata , che più si sente di quello che si possa in- segnare con parole. PARTE PRIMA Esame speciale delle singole Tribù. Si comprendono dagli autori nell'Ordine delle Nostochine le alghe più semplici, costituite o da sole cellule libere ed isolate, o da cellule insieme e da un muco comune, nel quale esse stanno immerse. Le prime devono formare una tribù a parte che si potrebbe intitolare delle Protococcoidee perchè ap- punto il genere Protococcus ne è il tipo. In questo genere però si ammettono attualmente soltanto le specie altrimenti colorate che in verde, e fra queste al- cune lasciano nell'animo non poca dubbiezza intorno alla vera loro natura. I primordii di alcuni funghi e di alcuni licheni, nonché le degenerazioni loro, dovute all'influenza degli esterni agenti, all'età e forse anche a deviazioni par- ticolari della loro vitalità paragonabili a vere malattie, offrono certamente delle forme analoghe e richiamano le più attente e scrupolose osservazioni. Ancora più ambiguo è il genere Cryptococcus, che appartiene a quelle sostanze , le quali, varie nella maniera di apparire, furono dagli autori diversamente deno- minate, come sarebbero la Phjcomater di Fries, il Chaos di Bory e l' Ulvina di Kùtzing. Queste sono certamente le prime forme, nelle quali si organizzano gli elementi vegetali ed è dalla storia di tali produzioni, per lo più inavvertite o sprezzate, che deve prender le mosse lo studio dell'organogenesi. Il genere Clorococcum di Greville comprende quelli fra i Protococchi di Agardh che si colorano in verde, ed i cui granelli si agglomerano in distinti acervuli. Questi pure offrono non poche difficoltà a chi voglia con sicurezza di- stinguerli da altri oggetti, che con essi hanno massima somiglianza. Le sporule dei muschi furono già prese per clorococchi, e quindi si disse ch'essi divengono 3a8 conferve e le conferve diventano muschi. Certamente se tutta la dottrina delle metamorfosi algologiche fosse basata su simili falli, la si dovrebbe riguardare come sogno anziché come espressione delle arcane produzioni della natura. Il genere Micraloa fondato da Biasoletto serve come di legame fra la tribù delle Protococcoidee e quella delle vere Nostochine. Il muco delle vere Nostochine ora è una spalmatura informe, ora invece costituisce una fronda definita, che assume forme costanti e giunge perfino a notabile solidità {Alcyonidium„ Nostoc pruni/orme etc.j.I corpicciuoli che vi son compresi variano nei diversi generi e per la loro organizzazione e per la distribuzione, uella quale vi si trovano collocati. Sono vescichette rotondeg- gianti o oblunghe e perfino cilindriche, costituite da una sola membranella o da due, come lo dimostra la ripiegatura dell'interna, che poco a poco ne se- para la cavità in due logge distinte {Palmella cylindro spora Bréb. ined.). La sostanza in esse contenuta è liquida e tutta omogenea, o granulare, o vesci- colare. Irregolarmente disposte il più delle volte nel muco che le contiene , si trovano invece collocate una a capo dell'altra a guisa di fili moniliformi nei Nostoc. Sembra che nel maggior numero delle Nostochine un sol modo di vegetazione e mantenga in vita gli individui e conservi le specie, quello cioè dell'evoluzione. È la sostanza contenuta in ciascuna di quelle cellule, la quale si conforma in globiciui, che, o restano in essa inclusi [MicrocjstiSj Haema- tococcus) come dentro ad una vescichetta, o con essa passano a formare una nuova fronda mucosa pari alla prima [AnacystiSj Nostoc), o finalmente av- viene che quelle cellule totalmente si disciolgono in muco e solo più tardi in mezzo a questo si formauo e si svolgono de' punti, i quali diverranno altret- tante cellule eguali a quelle che scomparirono [Pltytoconis). In alcuna però la riproduzione, oltreché per evoluzione, si compie pure per divisione di parti. Così certi granelli dapprima rotondeggianti s'allungano, si strozzano nel mezzo e si dividono in due (Chlorococcum) : cosi piccoli corpi cilindrici giunti che sieno a certe dimensioni si separano per metà, e ciascuno dei due continua iso- latamente ad allungarsi per quindi suddividersi nuovamente : ed alle volte co- mincia la suddivisione innanzi che le due prime mela si sieno fra loro slaccale, e così mano mano, sicché bassi l'apparenza d'un filo articolato ('). (i) Questo modo di propagazione si riscontra nella specie di Palmella superiormente annunciala col nome di P. cylindrospora Bréb. ined. , della quale mi furono gentilmente trasmessi esemplari dal sig. Lenormand, e che poco tempo prima io avevo osservato negli stillicidi! dell'acquedotto al pubblico Macello di Padova. Sembra, ch'essa debba formare il 32g Altri due gruppi ben distinti, benché finora non molto numerosi di generi e di specie, stanno di mezzo fra le Nostochine e le Batracospermee: quelli cioè delle ldruree e delle Bivulariee. Le Idivuree sono costituite da corpetti molto somiglianti a quelli delle Nostochiue. Invece però di essere sparsi in un muco uniforme, essi sono inclusi in tubi mucosi, i quali o restano liberi, o insieme uniti formano frondi più o meno suddivise in rami, all'apice dei quali i singoli fili nuovamente si sciolgono. Due soli generi entrano in questa tribù, Gìojo- ncma e HydruruSj ed è a quest'ultimo che appartiene quella specie, nella fronda della quale il carbonato calcare, copiosamente sciolto nell'acqua in cui alligna, si cristallizza in eleganti cubetti [H. crj stililo phorus), e che si credeva finora esclusiva del Wiirtemberghese , ma si trova pure nel nostro Brenta alla grotta di Oliero (•). Lo stesso fenomeno avviene pure in alcuna specie del ge- nere Chaetopliora j cbe entra nella serie delle Rivulariee (C. endiviaefolia var. crjrstallophora Ktz.). Anche nelle Bivulariee la sostanza della fronda è mucosa, ma gli organi che iu essa sono contenuti, presentano una composizione ben più complicata di quello che nelle tribù antecedenti. Sono fili radianti da un centro comune, costituiti da una membrana esterna e da sporangii occupanti l'interna loro ca- vità (2). Questi sporangi o hanno forma di dischi sovrapposti gli uni agli altri, o sono allungati in maniera da rappresentare gli articoli di un filo confervoi- deo. Questa seconda forma, che si riscontra specialmente in alcune Chetofere, le avvicina al genere Draparnaldia , cbe appartiene alle Batracospermee, e mostra perciò l'anello, cbe insieme unisce queste due tribù e i diversi or- dini quindi cui appartengono, se si volesse far conto delle sistematiche divi- sioni. Cosi invece i fili delle Bivulariee somigliano nella struttura a quelli degli Scitonemi , coi quali facilmente si confonderebbero se non fosse la sostanza mucosa che li avvolge, e tale somiglianza manifesta una qualche affinità fra le tipo d'un nuovo genere, che avrei volentieri chiamato Cjlinclrospora per conservare il nome appostole dal sig. Bréhisson, se già non esistesse con quel nome un genere di funghi. Lo si potrebbe invece nominare Cyhndrocyslis e la specie finora unica si chiamerebbe C. Bré- bissonii in onore di quel valente algologo. (1) N'ebbi esemplari per cura dell'amico G. Montini e del giovine Preclit. (2) Alcune specie annoverate fra le Rivulariee, in luogo che aver i fili radianti, li hanno tutti paralelli , eretti ed insieme talmente stipati da formar una fronda crostosa fortemente aderente alle pietre o ad altri corpi inondati 0 sommersi. Esaminata quella fronda nel senso orizzontale la si prenderebbe per una membrana cellulare. 42 33o Rivulariee e le Lingbiee. Nelle Rivulariee ciascuno sporangio può dividersi in due, ciascuno può vegetare isolatamente, e nello slesso tempo contiene de' gra- nuli, che si possono riguardare quali sporule, perchè, giunti a maturità e sor- titi dal loro carcere, riproducono la specie. Qui pure e più evidentemente che per lo innanzi riscontriamo evoluzione e divisione negli alti della vita vegeta- tiva e riproduttiva di queste pianticine. Molti rapporti uniscono le Batracospermee alle Idruree e molti alle Ri- vulariee, che anzi si potrebbe dire concorrere gli elementi organici proprii ad ambedue quelle tribù per originare quei più complicati, che in questa si riscon- trano. I fili insieme uniti per mezzo del muco che li circonda, costituiscono dei tronchi divisi e suddivisi in copiosissimi rami, sui quali regolarmente si di- spongono le estremità di quei fili o in forma di verticilli (Batrachospermum), o in quella di pennelli (Draparnaldia), o in quella di serie paralelle (Tho- rea),o uniformemente su tutta la superficie (Mesogloja). Tali condizioni con- tribuiscono a vicenda nell' ornar di vaghezza le alghe di questa tribù, che te- nuissime quali sono, quando si disecchino ben distese sulla carta, si prendereb- bero da ognuno per accuratissime dipinture. La riproduzione di questi esseri è tuttora avvolta in molte tenebre. Le sporule contenute nelle cellule, che, poste una a capo dell'altra, costituiscono i fili elementari delle loro frondi, sembrano certamente destinate a quell'ufficio, il quale però ad esse non è punto esclusivo. Nei Batracospermi ogni ramo al suo nascere rappresenta una gemma solida e compatta, che poco a poco va svolgendosi: e quella gemma, se a caso venga a staccarsi , costituisce per sé un nuovo cespo, che rapidamente perviene alle di- mensioni di quello cui originariamente apparteneva. Quest'organo, che nei Ba- tracospermi altro evidentemente non è se non che una gemma, consegue nelle Mesogloje tale modificazione, per cui il suo ulteriore sviluppo fintantoché resta attaccato alla pianta madre è intieramente sospeso: solo se venga a liberarsene emette le sporule, che nel suo interno si organizzarono e la specie per esse si propaga. Lo stretto vincolo delle Mesogloje ai Batracospermi si manifesta nella struttura loro: le condizioni d'altronde della fruttificazione nelle prime le rav- vicina alle Ceramiee. La natura poi del loro frutto, paragonata a quella dell'or- gano che lo rappresenta nei Batracospermi, palesa la sua significazione (i). Sono (l) È questa una delle tante espressioni, le quali, quantunque meno che eleganti non solo , ma bandite fors' anche dal pretto stile dei cruscanti , pure sono necessarie a rappre- sentare con esattezza e concisione le idee, che attualmente si hanno nelle scienze: ed egli è naturale, che se per lo addietro tali idee non si aveano,non si avessero né manco frasi ad 33i le Mesogloje ai Balracospermi ciò clie sono i Collema ai Nosloc , i quali pure sono eguali fra di loro nell'organizzazione della fronda, e solo differiscono per la presenza degli apolecii nei primi e la loro mancanza nei secondi, per cui es- seri tanto somiglianti vanno collocati in due Classi affatto distinte (»). Quanto mai sono imperfette le nostre Classificazioni! Quanti rapporti naturali vanno mascherati, e con quanta cura si cerca di porli in dimenticanza per la smania di conservare lineari ed isolate le serie sistematiche degli esseri, che Natura collegò fra loro di rapporti molteplici ed incrocicchiati! Se seguir si volesse la traccia che ci porge il legame delle Batracospermee alle Ceramiee converrehhe ommettere di parlare di alcuni altri gruppi più imperfetti ma non meno im- portanti, che spettano ai limiti inferiori della Classe. E prime ci si presentano le Leptomitee. Sono fili tenuissimi, microscopici anzi per la maggior parte parassiti su alghe maggiori o su altre piante acqua- juole, privi affatto di muco, ma ammassati per lo più in copia a forma di fiocco o di pennello. I generi Hjgrocrocis e Lcptomilus figurano quali principali in questa tribù, ma ne vanno escluse però tutte quelle specie, che vivono nelle acque distillate e negli altri preparati chimici impuri, come, per esempio, la muffa dell'inchiostro, le quali tutte, insieme forse all'intiera tribù delle fungine di Agardh, spettano ai funghi anziché alle alghe, come lo dimostrarono i lavori di Desmazier e di Duby. In quanto però alle stesse specie, che ritener si de- vono di quei due generi, proprie alle acque dolci, marine e termali, pochissimo sappiamo della loro struttura ed ancor meno della loro propagazione. Sono sem- plici tubi affissi per una loro estremità, ed indefiniti nell'opposta, racchiudenti de' sporangi spesso collocati a regolari e costanti distanze fra loro, ma che troppo son tenui perchè si possa decidere se abbiano forma di dischi o di anelli. Hanno rapporti di organizzazione colle Lingbiee, ma molto se ne allon- tanano per altre condizioni. Ed in tenebre ancor più fitte sono immersi tuttora gli altri generi Sleveonemcij ^lysphaeridj Cochljotrix che sembrano doversi riferire a questa tribù. Tre generi {Oscillarla, Anabalna, Microcoleus) primeggiano nella tribù delle Oscillariee, e fra questi quello, che ad essa dà il nome, non solo è il esprimerle. A chi è a giorno dei progressi nella dottrina dell'organogenesi si animale che vegetale, non è certamente ignoto cosa s'intenda per significazione d'un organo. (i) Wallrolh trovò le fruttificazioni proprie ai Collema anche nel JXostoc comune, del quale, unitamente a molle specie di Collema degli autori, costituì il nuovo suo genere Trom- bium fra i Licheni, lasciando perù le altre specie di Nostoc fra le alghe. 332 più vasto, ma offre ancora maggior interesse per la complicazione della strut- tura e la singolarità dei fenomeni vitali. I fili di tutte le Oscillane constano di un tubo esterno diafano ed incoloro, tutto continuo, il quale nel suo interno è suddiviso in ispazietti eguali da altrettante armille, esse pure diafane e stret- tamente adese all'interna parete di quel tubo medesimo. Dentro ad esso è in- cluso un cilindro, il quale è conformato in disebi, che a seconda delle specie ora corrispondono in ispessezza agli spazietli interarmillari , ora sono maggiori ed ora minori. In quei disebi è contenuta la sostanza verde, la quale o si man- tiene uniforme e tutta continua, o dà origine ad uno o più globuli. Se il filo si spezza allora in corrispondenza ai disebi, quei globuli ne sortono, s'aggirano alcun poco nell'acqua ambiente, poi si fissano ad alcun corpo sommerso, dal quale si staccano tosto che cominciano ad allungarsi. Si convertono così in fili da prima sottilissimi, che mano a mano s'ingrossano fino a che eguaglino quelli che li hanno originati. Se invece si spezzino i fili prima che si formino quei globuli, ogni frammento di filo continua individualmente ad accrescersi, e ciò quand' anche fosse ridotto ad un solo disco. Lo spezzarsi però nel primo caso avviene spontaneamente, e tosto che ne sia giunto l'istante si vede il filo sot- toposto all'osservazione frangersi successivamente in più pezzi, che restano ade- renti per il lembo della membrana esterna ad angoli irregolarmente alterni: nel secondo invece la rottura accade sempre accidentalmente. Per evoluzione dun- que egualmente che per estensione avviene e l'accrescimento e la propagazione delle Oscillane. In esse oltre a ciò sono da ammirare de' singolari movimenti, i quali sembrarono ad alcuni accennare ad una natura animale anziché vege- tale. Lungi però dal presentare spontaneità alcuna , manifestano anzi quei mo- vimenti una necessità figlia di leggi invariabili, il movente delle quali, se a noi è tuttora ignoto, non acquista perciò maggiore rischiarimento a supporlo riposto nell'astratta idea dell'animalità, che anzi con essa è onninamente incompatibile. Ciascun filo s'aggira sul proprio asse e contemporaneamente s'avanza, come farebbe in una parola una vite nel 6UO incasso, e quei due movimenti sono sempre proporzionati fra loro e colla lunghezza del filo, che quanto è maggiore tanto più rapidi li consente. La direzione di quel movimento progressivo è co- stantemente determinata dalla luce, ma l'aggirarsi da deslra a sinistra o a ro- vescio non sembra essere minimamente costante per alcuna specie. Altrettanto singolare è l'azione, che l'uno sull'altro esercitano que' fili quando sieno giunti a piccola distanza fra loro. Manifestano essi allora un'evidente attrazione reci- proca in tutta la loro estensione, per cui l'uno sull'altro cadono e si fanno contigui quando s'incontrino ad angolo aculo , ma s'incrocicchiano e restano in bilico se ad angolo retto. Da questa azione ne La origine il distribuirsi in istelle, eh' è la parie più sorprendente del fenomeno. La rapidità con cui av- viene quella distribuzione, e la sua eleganza offrono un vero spetlacolo [i). Fi- nalmente dalla combinazione del doppio movimento di ciascun filo, colla reci- proca azione ch'essi esercitano l'uno sull'altro ne ha origine l' attortigliamento di due fili, o delle due metà di un solo in forma di cordone. Ciò poi che mag- giormente sorprende è di vedere que' due fili, quando vengano a liberarsi, con- servare quella slessa inflessione spirale ed in essa continuare a vegetare. Egli è veramente ammirabile vedere in una goccia d'acqua sotloposla al microscopio migliaja di fili, che spesso hanno appena un milionesimo di metro di diametro, attortigliati a guisa di cordoni, o flessi come cavaslracci, muoversi rapidamente ed agitarsi in tulli i sensi con tulla la slranezza dei movimenli che dalle loro azioni, dalla loro elasticità ch'è ragguardevole, e dal loro affastellamento neces- sariamente provengono (a). Le Anabaine non hanno un'organizzazione così complicata come le Oscil- larle. Si prenderebbero a prima giunta per fili di Nostoc, se non che ciascuna serie moniliforme di cellule è inclusa in un tubo continuo. La divisione delle cellule, che per metà si partiscono in due distinte è ancora più evidente nelle Anabaine che nelle Oscillane, e il restante della loro vita somiglia affatto a ciò che in quelle ha luogo. Solo i movimenti ne sono diversi, di gran lunga meno decisi ed evidenti, anzi molte volte dubbiosi. 1 Microcolei si distinguono per tubi membranosi, che invaginano un gran numero di fili somiglianti assai a quelli delle Oscillane, ma pur diversi e per- chè sembrano in essi mancare le armille e perchè i dischi ne sono sempre più lunghi del diametro. I loro movimenti sono mollo vivaci, ma sembrano piutto- (1) La causa che determina tali movimenti è intieramente fisica: essa appartiene alla serie dei fenomeni capillari , e segue le leggi invariabili che regolano le azioni reciproche dei fluidi e delle superficie dei corpi solidi , che vi sono a contatto qualunque sia la loro natura. (2) La teoria di questi movimenli, come pure molte altre particolarità relative alla strut- tura e alla vita delle Oscillane e delle altre alghe d'acqua dolce, saranno sviluppate nel la- voro sulle alghe Euganee, che spero di poter fra poco dar alla luce, alcun saggio del quale comunicai già all'Accademia nella tornata del io Gennajo 1837, e presentai poscia alla rianione dei naturalisti Alemanni, ch'ebbe luogo nell'anno stesso in Praga, sotto il titolo di Conspeclus Algologiae Euganeae. 334 sto dovuti all'elasticità di quello che ad un'azione loro propria, non manife- standosi se noti die nell'istante, in cui, rotta la vagina, i fili sortono impetuo- samente all'esterno. Si vuole che ciascun filo si cambi più tardi in una vagina gravida di nuovi fili , ma tale condizione non è ancora abbastanza dimostrata. Lo scarso numero delle specie di questo genere è aumentato da una che si rin- viene serpeggiante fra i muschi nei nostri Colli, e da quella abitante delle ac- que termali Euganee, già denominata dal Pollini Meryzomiria aponina. All'esterna apparenza molto somigliano le Likgbiee alle Oscillariee, ma mentre in queste i fili sono essenzialmente liberi e forniti quindi di definite estremità, in quelle invece sono afGssi e decisamente confervoidei. Sono singo- lari gli anelli, nei quali è conformata l'interna loro sostanza, ciascuno de' quali può estendersi e suddividersi formando un nuovo filo, ovvero dar esito alle spo- rule che contiene. Oltre a questi due modi di propagazione però, i quali altro non sono se non che gli ordinarli processi della vegetazione, comincia in al- cuna delle alghe di questo gruppo ad effettuarsene un terzo, che si può riguar- dare come distinto dagli atti propri! a quella. Gli anelli cioè subiscono in date circostanze tali modificazioni, per cui più non possono servire alla nutrizione dell'individuo, nel quale si formarono, ma da esso invece tendono a liberarsi, e, sortili che ne sieno, propagano la specie. Ciò avviene negli Scitonemi, e lo si può solamente sospettare nelle Callotrici, Lingbie e Stigonemi. La stessa vita vegetativa nel genere Scytonema offre campo ad importanti riflessioni. Al- cune specie vivono sul suolo inondato, e la loro vegetazione, in luogo che pro- gredire continua ed uniforme, è di tratto in tratto interrotta e ripigliata a se- conda della scarsezza o della copia dell'acqua, che in quel sito si sofferma. E perchè la vita di queste pianticine a lungo si protrae, il tubo esterno dei fili va successivamente ingrossandosi, e da ogni nuovo periodo di vegetazione forma un nuovo strato esteriormente ai già preesistenti, che si manifestano come al- trettante zone concentriche nella sezione trasversale. 11 nostro Scytonema ther- male var. intextunij che copre gran parte del Montiron di Abano, oflre que- sto fatto in tutta la sua evidenza. Intermedio alle Linghiee e alle Confervee sta un piccolo gruppo non an- cora indicato dagli autori e scarso nel numero dei generi come in quello delle specie. Lo costituiscono i tre generi Sphaeroplea, Cadmus e Ulothrìx. Il pri- mo comprende la sola Conferva annidino, di Rotb, il secondo è fondato da Bory e deve comprendere alcuna specie dell'altro suo genere TiresiaSj come pure la Conferva punctalis di Dillwyn ; il terzo finalmente fu eretto da Kùt- 335 zing, ma ne vanno escluse molte delle specie da esso riferitevi, perchè non in- dicò il vero carattere che lo distingue delle conferve e Io fa in pari tempo ap- partenere a questa tribù. Questo carattere sta nella forma anullare dei sporan- gii che occupano gli articoli dei fili, del resto affatto somiglianti a quelli delle Conferve. Quegli anelli si convertono poscia in sfericine (Sphaeroplea e Cad- mus) o in zone (Ulothrix) che sortono con apparenza di moto spontaneo e ri- producono la specie. Il nome più adattato per indicare questa tribù sarebbe quello di Annulline , ma perchè si potrebbe allora confondere con quella delle Lingbiee , torna meglio intitolarla delle Gadmee. Nelle Confervee si verificano i tre modi di propagazione già avvertiti nelle Lingbiee, ma mentre i due primi a tutte le specie sono comuni, il terzo invece si riscontra solamente in alcune. Quando ciò avvenga però è sempre la sola sostanza interna dei fili che si conforma in un semiuulo, senza che l'ester- no tubo ne consegua altra modificazione che quella meccanica di distendimento e conseguente accorciamento, che in alcuni casi vi è di necessità collegata. Im- porta osservare questo seminulo nell'alto del suo germinare. Alle volle esso si estende perdendo la forma rotondeggiante per assumer quella di cilindro, che allungandosi poco a poco, passa a costituire un nuovo filo; altre volte invece se ne lacerano le pareti dando uscita a numerose sporule, ciascuna delle quali germina separatamente. Sono dunque comuni anche al seminulo, come a qua- lunque altra parte dell'individuo che lo generò, i due modi di accrescimento per evoluzione e per estensione. Il genere Conferva benché ristretto, a para- gone di ciò che anticamente egli era, è pur tuttora vastissimo, né riuscirono i ripetuti tentativi degli algologia a smembrarlo: imperocché i tipi distinti in esso compresi sono insieme collegali da forme intermedie tanto graduate, che incerti restano i limiti dei varii generi che si vorrebbero con essi erigere. Oltre il genere Conferva vanno compresi nella stessa tribù gli altri due: Nodularia ancora molto oscuro, e Protonema3 nel quale furono erroneamente annoverate alcune specie, che non solo non appartengono a questo luogo, ma né anco alla Classe delle Alghe. Le sporule dei Muschi e, al pari delle sporule, qualunque cellula di qualunque lor parte, quando isolatamente dalle compagne si estenda e si sdoppi, costituisce un filo confervoideo, e tali fili, allungandosi indefinita- mente e ramificandosi irregolarmente, simulano distinte specie di quel genere. 1 lavori di J. F. Nees de Esembek, di Hornschuk, di Agardh, di Brébisson e del nostro Socio A. Ziguo mostrarono quali ne siano le specie, che riconosco- no quest'origine paradossa e quali si debbano ritenere come vere alghe. 336 L'evoluzione delle interne parti è rimarchevole in due generi abitanti delle acque dolci, che per mancanza di analogie con altri finora conosciuti costitui- scono due tribù distinle , nelle quali essi figurano soli: tali sono le Lemanie e gli Idrodittii. Si presentano le Lemaniee sotto l'aspetto di lunghi e grossi fili di colori oscuri ed opachi, interrotti da grossi nodi, ognuno de' quali è turgido per grandissima copia di minimi cordoncini moniliformi in esso contenuti: il nodo si spezza giunto che sia ad un determinato sviluppo, ed i piccoli monili che ne hanno uscita crescendo rapidamente costituiscono in breve altrettanti fili simili ai primi. Né meno singolare è la propagazione delle Idrodittiee. Sono esse con- formate in lunga borsa a larghe maglie per lo più pentagone di sorprendente regolarità. Ognuno dei lati di quei pentagoni costituisce un articolo contenente la materia verde che lo colora. Questa materia dapprima tutta continua si di- spone dappoi in minime sporule anulari, le quali, luna contro l'altra stipan- dosi lungo l'interna parete dell'articolo medesimo, prendono forma angolare e finiscono per costituire un sacco cieco, che in minime dimensioni rappresenta quel primo, e, lacerato l'involucro, sorte e cresce gradatamente finche lo eguagli. L'apparato della futlificazione invece rendesi distinto nella tribù delle Ce- eamiee, tribù vastissima, propria per la maggior parte delle acque marine e racchiudente forme molto svariate, le quali più si collegano per l'analogia della fruttificazione medesima, di quello che per la somiglianza di struttura. Tale analogia però è ben lungi dall'essere completa, che anzi ne variano i modi non solo di genere in genere e fra le specie attinenti ad un solo di essi , ma perfino in una medesima pianta. I più comuni sono i tre distinti dagli autori coi nomi di Slichidii, Favelle e Capsule. Indicano col primo le agglomera- zioni di grossi globuli colorati nelle estremità gonfiate dei piccoli rami, col se- condo alcune specie di clave pedicellate visibili anche ad occhio nudo, col terzo Gnalmente alcuni concettaceli piccolissimi, sferici, che contengono entro ad una membrana trasparente da uno a tre gongili fortemente colorati. Gli slichidii non sono che modificazioni dell'interna sostanza, mentre le favelle e le capsule sono modificazioni di quell'intera porzione di fronda che ne è inte- ressata. Con tutto ciò J. G. Agardh vide chiaramente germinare i granelli con- tenuti negli slichidii e non altrimenti quelli delle altre due specie di frutti. Quella germinazione è tutta estensiva poiché i granelli perdendo la forma ro- tondeggiante si allungano dapprima in una o in ambedue le estremità produ- 337 cendo fili primordiali, che fanno funzione di radice e quindi s'allungano dal Iato opposto, e l'interna loro cavità si divide e suddivide fino a cLe formi uu filo di vera ceramica. La frouda è pressoché in tutte filiforme e cilindrica, solo nelle Ritiflee è compressa; rosea nella maggior parte, rosso-oscura e pressoché nera in alcune. La contestura di questi fili, più o meno ramosi o semplici che sieno, offre a primo aspetto grande diversità, presentandosi in alcune costi- tuita da un solo ordine di cellule poste a capo una dell'altra (Ectocarpus sp-, Callilhamnìunij Chcmtransia etc), in altre da ordini molteplici di esse, di- stribuite però in maniera simmetrica onde l'apparenza di articolazioni è con- servata. Fra quegli ordini di cellule ora le centrali sono più ampie delle peri- feriche [Cìiampia, Naccaria etc), ora una serie sola posta nell'asse tutte le altre soverchia , sicché sembra uu filo articolato rivestito di una membrana cellulosa (Ceramium rubrum): ora quella serie centrale s'accresce preponde- rantemente nel progresso della vegetazione, sicché occupa tutto lo spessore del filo negli articoli, e solo nelle articolazioni si riscontrano le periferiche, che dapprima e nei rami giovani si trovano tuttora uniformemente distribuite [Ce- ramium diaphanum) : ora finalmente tutti quegli ordini di cellule sono fra loro uniformi, ma perchè tutte di eguale lunghezza, il filo ne consegue appa- renza di articolazioni. In questo ultimo caso come sarebbe, per esempio, nelle Polisifonie, nelle Baillouviane, nelle Sfacelarie, nel Dasiclado, nei Gladostefi e nelle Digenee si direbbe che i tronchi principali risultano da un fascio di fili articolati, strettamente fra loro uniti dalla membranella esterna, che li ri- veste, e dalla quale si liberano o all'estremità dei rami, o lungo il loro decorso in forma di penicilli. E quivi si scorge chiaramente il legame superiormente indicato fra le Batracospermee e le Ceramiee costituto dal genere Mesogloja, che a quelle si ascrive, anziché a queste, solo per la natura evidentemente mu- cosa della sua fronda. Né perciò si possono separare dalle vere Ceramiee quelle poc'anzi annoverate, poiché quelle modificazioni di struttura avvengono succes- sivamente nelle medesime frondi , e solo resta ad istudiare come nascano nel progresso della vegetazione mutamenti di tanto rilievo. Così pure riguardo alla tribù delle Ectocarpee già distinta dall'Agardli sembra doversi seguire piuttosto il Duby che le uni alle Ceramiee, e ciò tanto più che i generi in essa com- presi [Ectocarpus j Sphacelaria j Cladosteplius 3 Mjrionema , Dacycladus), si riscontrano allontanati fra loro per le considerazioni antecedenti, nonché per la natura delle fruttificazioni. Analoga alla struttura delle Ceramiee è quella pure delle Coralliìieej e 45 338 molto somigliante ri è del pari la fruttificazione: solo die l'una e l'altra sono mascherate da un deposito calcare, il quale costantemente si forma sulla loro superficie e consolidandosi, quando sieno estratte dall'acqua, dà loro l'appa- renza di piccoli Polipaj. Per tali di fatti esse furono prese, e per tali pure tut- tora si hanno da molti: ma basta liberarle da quell'intonaco mediante un qual- che acido, non tanto attivo però da scomporne la delicata organizzazione; ed è forza concluderne, che se alghe sono i Cerami! , alghe sono pure le Coral- line, le Janie, le Galaxaure, le Cimopolie, le Amfiroe. Solo che in esse non sempre si riscontra chiaramente distinta alcuna delle distribuzioni cellulari su- periormente descritte, ma sembrano invece insieme accoppiare ambedue que' modi. Così nelle Galaxaure l'interna sostanza dei fili è formata di serie para- lelle, di cellule allungate come lo sarebbe una Polisifonia o una Digenea , e all'esterno la ricopre uno strato di cellule simili a quelle dei Ceramii. Questa condizione ravvicina le Corallinee alle Alimede le quali d'altronde per altri e più importanti rapporti vanno riferite alle Sifonee insieme alle Acetabularie, alle Polifise ed altre, che somigliano alle Corallinee soltanto per l'incrostazione calcare di cui al pari di esse sono fornite. II molteplice incrocicchiamento dei rapporti dei vari! gruppi fra loro ci obbliga nuovamente ad abbandonare la serie delle affinità, a cui conduce l'esa- me delle Ceramiee, per occuparci invece di una tribù, che a quella delle Con- fervee molto si avvicina per la struttura e per la fruttificazione, la tribù delle Zigiìemee. Sono le Zignemee costituite da fili costantemente semplici, formati di una membrana esterna anista, racchiudente utricoli o sporangii che si vo- gliano dire, nei quali sta in forme determinate distribuita la sostanza globuli- nare. Quella sostanza non è tutta uniforme, che presenta alcuni globuli mag- giori, la cui collocazione è varia nelle differenti specie, ma costante per cia- scuna di essi. Giunta che sia l'epoca della fruttificazione quei fili si avvicinano fra loro a due a due, e allora o si piegano a cubito, e negli apici degli angoli si connettono (Mojigeolia) o producono, ciascuno dal suo lato, dei tubi tra- sversali che s'imboccano. Sia nell'uu modo o nell'altro l'interna cavità dei loro articoli entra in diretta comunicazione, e la sostanza verde, che vi stava distribuita o in elegantissime spire (Spirogjra), o in istelle (Zygnema), o in fascie (Mongcotia), o in linee paralelle [Zygnema linearis Suhr), passa da questo in quel filo, o da quello in questo nei differenti articoli, ed in ciascuno di essi si raccoglie in un unico ma grosso seminulo restando vuoto il compa- gno dell'opposto filo. Quel seminulo vegeta a seconda delle circostanze, o per 33g estensione o per evoluzione , ne finora si potè precisare quali determinino l'uno piuttosto clie l'altro processo. Solo in alcune Desmidiee e particolarmente nei Closlerii si ripete quel fenomeno ed è perciò cbe questa tribù segue nell'ordine delle affinità quella delle Zignemee, mentre per i caratteri della struttura essa avvicina i gruppi antecedenti alle Ulvee. Sono meraviglie, di cui non si può godere che colluso del microscopio, onde vieppiù sorprendenti esse riescono. La costanza delle loro forme, non chela regolarità e la simmetria di tutte le loro parti tanto rendono differenti questi esseri dagli altri vegetali tutti, che naturalisti di gran peso cre- dettero doverli annoverare fra gli animali, perchè in questi la simmetria slessa è più palese ed universale. Sono cellule, per lo più di forme angolose o cilin- driche o fusiformi o piegate a mezza luna, le quali o stanno isolate, costituen- do altrettanti individui distinti (il che le avvicina alla Protococcoidee),o si uni- scono in certo ordine rappresentando in minime dimensioni ed in forme defi- nite, ciò che in grande e con incertezza di limiti avviene' nelle Ulvee. Formano serie lineari nei Scenedesmi, fili prismatici o cilindrici nei Desmidii, globuli echinati negli Staurastri, stelle elegantissime nei Cosmarii e nelle Micrasterie, corpi sferici divisi e suddivisi in segmenti nei Pleurococchi. L'unione loro av- viene per mezzo di una membranella anista, cbe spesso sfugge allo sguardo e rappresenta o una lamina piana, o un tubo, o una vescichetta chiusa da lutti ì lati. Ciascuna di quelle cellule si sdoppia ed ogni sua parte dà origine ad un nuovo individuo: la sostanza in esse contenuta, se maggiormente si sviluppi e ne sorta in forma di propaguli, le riproduce, ed essa stessa finalmente soggiace, per l'accoppiamento di due individui, a tali modificazioni, che si conforma in veri seminuli simili a quelli delle Zignemee. Ancor più strettamente s'avvicina alle Ulvee la tribù delle Sifonee. Sono tali piante proprie in parte del mare ed in parte delle acque dolci. Risultano formate di tubi continui racchiudenti la sostanza verde, che ora è liquida [Bryopsis) , ora è granulare ( J^aucheria) , ma sempre è scarsa a paragone della cavità che la comprende e lascia quindi vuota porzione di quei tubi. Alcune sono rimarchevoli per la vivezza del verde metallico che le adorna [Bryopsis), benché le pareti stesse dei tubi sieno sempre diafane ed incolore; non che per la regolare distribuzione delle loro ramosità , che sono più volte pennate. In quelle d'acqua dolce [Vaucheria), i tubi restano semplici, oppure si ramificano a lunghi ed incostanti intervalli per ripetute dicotomie. In altre, tutte però marine, quei fili si uniscono e si affastellano insieme formando delle 34o frondi a guisa di ventaglio (Fiabe-Ilaria, Udotea_,j4nadyomene), di borsa (Co- dium Bursa), di fungo (Acètabularia), di fico d'India (Haljmeda), di pennel- lo (Polyphysa, Nesea),o finalmente di grossi cilindri che regolarmente rami- ficandosi si estendono a notabile lunghezza, donde ne venne il nome dato ad essi dai pescatori napolitani di maccheroni di mare (Codium lomenlosum). An- che in alcune Sifonee abbiamo dunque molti fili stretti insieme in forma di fusto, come nelle Idruree, nelle Batracospermee e forse nel gruppo superior- mente indicato di Ceramiee: ma, a differenza di quelle, i fili, in luogo di es- sere articolati, sono o semplicemente tubolosi o solo strozzati di quando a quan- do, regolarmente in alcune specie (AnadyomemejAcelabularia etc), con som- ma irregolarità in altre. E, perchè la membrana costituente quei tubi è diafana, incolora e anista, se ne induce da alcuno appartenere queste alghe ad uno degli ordini più imperfetti. Ciascun filo di fatti altro non presenta, che una sola cel- lula eminentemente sviluppata, mentre i fili articolali risultano di una o più serie di cellule distinte. La reale differenza però in ciò solo consiste, che cia- scuna cellula, anziché sdoppiarsi in un. numero indefinito di secondarie, conti- nuò a svilupparsi equabilmente in tutta la sua estensione. Diedero motivo a di- scorso di animalità le Vaucherie per i movimenti apparentemente spontanei dei grossi seminuli, ch'esse portano o sessili o sopra peduncoli più o meno compo- sti e terminati d'ordinario all'apice in uncino ritorto spiralmente. Si credeva tale fruttificazione esclusiva delle Vaucherie, ma io la trovai anche nelle Valo- nie e nelle Briopsidi per cui più stretta si manifesta l'affinila di quei tre generi. Solo vi si rifiuta una specie annoverata dagli autori fra le Valonie col nome di V. intricata, e i cui frutti differiscono intieramente da quelli non solo delle congeneri, ma pur anco di tutte le altre alghe, come fece vedere il Consigliere Martens nella sua Memoria su tale argomento. Se non che il Professor Costa di Napoli, in compaguia del quale raccolsi esemplari di quell'essere singolare, mi fece osservare, col microscopio, i movimenti di quei pretesi frutti, che al- lungando le loro braccia si manifestavano per veri polipi, e sotto ai miei occhi ne fece elegantissimo disegno. Besta però singolare l'analogia del tubo, che li sostiene, con quello delle Valonie, analogia non soltanto di apparenza ma ben anche di organizzazione e di fisiche proprietà, come avvertì il sullodato signor Consigliere Martens (')• Indipendentemente però dai Seminuli in quelle fra le Sifonee che ne sono fornite, al pari che nelle altre tutte, i granelli dell'interna (i) A questo insigne algologo io vo debitore di benevola assistenza, di consigli, d'istru- zione e di doni preziosi. 34i sostanza sortono dal tubo che li conteneva, e fanno l'ufficio di vere sporu- le riproducendo le specie cui appartengono. La loro uscita dal tubo avviene come nelle Conferve per un foro che spontaneamente si effettua nella parete, e che in queste ultime ha sempre una posizione costante, trovandosi invariabil- mente presso ad una delle estremità delle cellule matricali. Anche quelle fra le Sifonee , cbe in istato di diseccatone si trovano incrostate di deposito cal- care, si ebbero e si bauno da molti per esseri di natura animale. Sembra però che la perfezione a cui si recarono ormai i microscopii , non permetta di sup- porre cellule polipifere ove non si vedono, e perciò non resterebbe altro rifu- gio ai sostenitori dell'animalità se non che il movimento dei globuli, nei quali si agglomera la sostanza verde contenuta nei tubi delle Alimede e delle Ace- tabularie, nel qual caso non queste sole, ma tutte le Alghe o la maggior parte almeno di esse riguardar si dovrebbero come doliate di natura animale. Maggior varietà di forme e di tinte si riscontrano nelle vere Ui.vee, sem- pre conformate in membrana decisamente cellulare, ma ora avvolta a guisa di tubo semplice o ramoso, apparentemente articolato o prolifero, ora invece estesa in lamina piana o increspata di forme non mai precisamente definite, ma alle volte allungate a guisa di nastro o lanceolate, altre volte invece dilatale- per ogni lato finche trovano ostacoli esterni al loro accrescimento: ora finalmente rappresentano una vescica più o meno sferica, ed è ancora ad avvertire che queste forme successivamente l'uua nell'altra si commutano. Sono abitanti delle acque dolci, delle termali e delle marine, e perfino del nudo terreno e dei tetti di paglia dei poveri abituri. Ora si vestono del verde più intenso e più brillan- te, ora di roseo o di rosso vinato [Porphjra). Le cellule che costituiscono la membrana delle Ulvee , sono tutte fra loro uniformi e di pareti alle volte coti tenui e diafane, che difficilmente si possono scorgere anche coi più acuti mi- croscopii, per cui soltanto si discernono le sporule, cbe dentro ad esse sono collocate ed affettano per lo più forme e disposizioni regolari. Sono d'ordinario due a due nelle Porfirie, quattro a quattro nelle Tetraspore e in areole regola- rissime divise da varii ordini di ambulacri, prima più augusti e poi mano mano sempre maggiori nelle Prasiole. Quelle sporule sortite che sieno dalle cellule matricali, e alle volte anche prima di escirne [Tetvaspora) , godono di certa trepidazione e movimenti vorticosi molto somiglianti a quelli di alcuni infusori!. E coU'intermedio delle Caulerpee che si avvicinano le Ulvee alle Gastro- carpee, e quindi alle Eloridee. Versatilità pressoché iufinita di forme si riscon- tra in esse, benché tutte comprese finora in un sol genere. Esse simulano fuu- 34a giù (C. pettata), muschi (C. JijpnoideSj Jlexilis eie), licopodi! [C. Selago), felci (C. prolìfera), gramigne (C. paspaloides e phleoides), e piante crasse [C. sedoideSj cactoides eie), ed eriche (C. eiicifolia) , e cipressi (C. cupres- soides), per tacer di tante altre. E fra esse che si annovera quella specie che Humholdt trovò presso le isole Canarie, a trentadue braccia di profondità, ove certamente non poteva risentire l'influenza della luce, e pure va fornita di vi- vissimo color verde [C. vili/olia). E d'un verde lucente sono pure ornate per la maggior parte anche le altre specie nella porzione della fronda, che si erige dal surcolo a tulle comune, che serpeggia per la sabbia mandando produzioni radiciformi perpendicolari. Del loro frutto nulla ancora fu scoperto, benché se ne conoscano ben ventitré specie, che d'altronde si uniscono in un genere na- turale per l'abito e per i caratteri desunti dagli organi della nutrizione. Le sole due specie che finora si hanno del genere Thaumasia tanto sono singolari nella loro struttura, e tanto poco sono conosciute per la loro rarità che si dovette, per necessità e quasi in modo provvisionale, instituire l'ordine delle Taumasiee , i rapporti del quale non potrebbero essere appalesati che da ulteriori scoperte. Le Gastrocarpee andavano per lo innanzi confuse alle Floridee, dalle quali ben si distinguono per la maniera di loro fruttificazione. In esse nessuna porzione di fronda si converte in tal organo che chiamar, si possa frutto, ma solo nella sostanza della fronda medesima si determinano alcuni punti ove le sporule conseguono uno sviluppo preponderante e insieme si agglomerano in acervuli più o meno estesi , che il più delle volte non producono alcun rilievo alla superficie, solo la colorano in tinta più o meno carica ed oscura, se tenue e diafana sia la fronda; che se essa è più densa ed opaca bisogna guardarla a luce trasmessa per discernerli. Il genere Irldea stabilito da Bory si compone di Alimenie e di Sferococchi di Agardb, e a vero dire molto poco differisce da quello costituito dal restante delle Alimenie, che hanno fronda piana e mem- branosa più o meno regolarmente dicotoma o pennata, mentre nelle Iridee è reniforme, prolifera o palmata. Più distinto è il genere Dumontia in cui la fronda è cava e porta sull'interna parete le fruttificazioni, simili del resto a quelle dei generi antecedenti. Finalmente è rimarchevole per l'abito suo parti- colare il genere Catenella la cui fruttificazione è tuttora ignota. L'eleganza delle forme in nessun' altra tribù si spiega così, come in quella delle Floridee, ch'è di tutte anche la più ricca in numero dei generi. Baste- rebbe per tutte citare la Glaudea di Lamouroux, qualora la si potesse con parole 3/f3 esattamente descrivere. S'immagini una fronda cornea e trasparente, intagliata in numerosi segmenti a forma di piuma, tutti traforali e paragonabili ad altret- tanti merletti, montati lateralmente s'un filo solido e ricurvo: numerosi concet- taceli membranosi allungali in forma di fuso, rossi come corallo, sono posti tra- sversalmente l'un dopo l'altro ed attaccali per le estremità alle nervature para- Ielle dei segmenti. Una tal alga si merita bene il nome di elegante [Clandea elegans), e perebè realmente essa è cosa elegantissima, e perebè in eleganza porta il vanto sopra tutte le altre algbe. Gareggia con essa il genere Delesse- ria, cbè se quella ti simula una piuma tu trovi nelle varie specie di questa si- mulate le forme delle foglie più vaglie. Il genere Plocamiunij ebe a ragione si divide da quello bencbè scarso in ispecie, presenta nella principale di esse tante varietà di forme, ebe il più esperio algologo potrebbe, a prima giunta, averle per ispecie distinte, se non ebe le forme intermedie mostrano manifestamente il passaggio dall'una all'altra: tanto è necessario in algologia estendere l'esame a grandissimo numero di esemplari e tutte studiarne le modificazioni. I generi Sphaerococcus e Chondria erano slati dall'Agardh formati sopra molti altri già anteriormente disliuti, e ebe i recenti ristabilirono. Fra questi le Laurencie ed i Condri meritano certamente particolare menzione. Le loro forme tanto sono svariate ed eleganti, ebe solo la cedono a quelle dei generi poc anzi no- minati. Se ne distinguono per più solida tessitura; e per le loro tinte pure si giudieberebbero dapprima molto a quelli inferiori , se non ebe la vagbezza se ne appalesa colla luce trasmessa, meglio ebe colla diretta, guardandole cioè in trasparenza. Fra gli altri generi di questa tribù si distinguono per numero e per bellezza di specie i Nitofilli,le Rodomenie, le Condrie e per più solida tes- situra, noncbè per tinte più cariebe le Amansie,le Dictiomenie e le Rodomele. Alla maggior parte delle Floridee è comune il color rosso con tutte le grada- zioni ebe lo distinguono dal roseo all'arancio; solo nell' invecchiare inverdiscono e più tardi imbiancano. Doppia si riscontra la loro fruttificazione, capsule cioè distinte sessili o pedicellate ebe sieno, nude e contornate di appendici, e glo- meruli di sporule immerse nella fronda. Questo secondo modo è quello ebe si riscontra pure, ma solo, nelle Gastrocarpee , onde, riebiamando alla memoria ciò ebe anteriormente si rimarcò sulla significazione degli organi rappresentanti il frutto, si potrebbe dire che le Floridee altro non sono se non che Gastrocar- pee maggiormente sviluppate. Un solo genere costituisce la tribù delle Spongiocarpee , uno solo quella delle Furcellariee, e ambedue contengono una sola specie ben determinata. 344 Si aggiunga, ;che queste due alghe si somigliano non poco nell'esterno aspetto, ma totalmente differiscono riguardo alla fruttificazione. Nelle Furcellarie le estremità stesse dei rami si cangiano in coucettacoli; nelle Pollidi invece le fruttificazioni sono laterali ed immerse in una sostanza spugnosa (onde è de- sunto il nome della tribù) percorsa poi orizzontalmente da fibre, che sono in continuazione colle serie trasversali di cellule, che costituiscono la fronda. Anche le Cordariee e le Sporochnoidee si sogliono dagli autori annove- rare in posto così elevato nella serie delle affinità. Il mio amico dottor G. Za- nardini invece pensava che si dovessero avvicinare alle Batracospermee , e al gruppo superiormente menzionato di Ceramiee cui si riunirebbero le Idruree da un lato e le Sifonee dall'altro, perchè anche in alcune di esse i fusti si po- trebbero considerare come altrettanti fasci di quei semplici fili, che si mostrano liberi ed isolati nelle ultime ramificazioni, ovvero nei pennicilli laterali o ter- mali, o finalmente nella pelurie, che uniformemente ne riveste la superficie. E per lo stesso motivo che Duby annovera fra le Ceramiee il suo genere Ar- iìirocladicij che altro non è se non che lo S porochnus villosus di Agardh. Le varie specie di Cordarla, il genere Chorda ed il Nemalion di Targioni, che costituiscono la tribù delle Cordariee _, hanno una forma filiforme cartilaginea, semplice, dicotoma o elegantemente pennata, la quale presenta una superficie densamente ricoperta da fili clavati, articolati. Questa superficie è l'esterna nelle Cordane o nel Nemalion , che sono solidi, l'interna invece nelle Corde che sono tubolose. Il genere Chorda differisce quindi da quello di Chordaria co- me le Dumoozie dalle Alimenie (i). Singolare poi è la contestura di quelle frondi tubulose, che sembrano originariamente formate da una fettuccia spiral- mente contorta, che si può tutta sviluppare staccandone i margini col mezzo della macerazione. Quei fili clavati ed articolati che vedemmo proprii a tutte le Cordariee, sembrano rappresentarne le fruttificazioni, perchè nulla si ha oltre ad essi che far ne possa le veci. Fra i tre generi [De smare stia,, Dicldoria, S porochnus) compresi nella tribù delle Sporocnoidee , solo quello che le dà il nome porta frutti, se pur tali si possono chiamare, mentre altro non sono, se non che fili clavati ed arti- colati, i quali invece di trovarsi uniformemente collocali su tutta la superficie, come nelle Cordariee si riscontrano solo, o in glomeruli laterali, o radianti in (i) Mi sembra perciò, che separar non si possa il genere Chorda dalla tribù delle Cor- dane, tanto più che nessuna affinità lo lega alle Dictiotee, alle quali si vorrebbe dagli au- tori ascrivere. 3/h5 rigonfiamenti ovali corouati da altrettanti fascetti di eleganti pennelli. Le De- smarestie presentano nella prima loro età quei pennelli, che più tardi cadono e si dileguauo lasciando in luogo di ognuno di essi una piccola spina, ma non hanno né i glomeruli laterali, ne i rigonfiamenti ovali: e l'unica Dicloria, die finora si conosca manca anche dei pennelli, onde è solo per l'abito esterno e perchè a nessun altro ordine la si può riferire, che la si ascrive a quello delle Sporocnoidee. Insieme alle Laminariee e alle tribù or ora annoverate riempiono le Dit- tiotee la grande distanza che separa le Floridee dalle Fucee. Le Zonarie di Agardh costituiscono di per se sole la maggior parte di essa tribù, ma vi figu- rano smembrate in più generi distinti, come lo erano prima di quella riunione. Ammirabili sono fra gli altri i due Dictjota e Padina, il primo per le ele- ganti incisioni delle frondi, il secondo per le belle forme di ventaglio spesso variopinte di strani colori e tutte svariate e tutte bellissime. Gli Asperococcbi, le Stilofore, le Punctarie, la Striarla, il Diltiosifone, la Cutleria e le Haìyse- rìs al pari dei due generi poc'anzi nominati, tutte in una parola le Dittiotee analoga hanno la struttura della fronda, struttura, che offre per carattere co- stante e comune quello di risultare di cellule quadrangolari più o meno allun- gate in forma di paralellogrami. Solo ne varia la disposizione; che ora è in se- rie rette e paralelle, ora invece in zone concentriche, ed ora finalmente pre- senta un tale aspetto da ricodare in minime dimensioni ciò che in grande si vede nella struttura delle Musacee, offrendosi al microscopio sotto forma di grandi areole rettangolari, ciascuna delle quali è suddivisa in un gran numero di mi- nori (Dictjota). In quanto alla fruttificazione somigliano le Dittiotee alle Cor- dariee , imperocché in esse pure si riscontrano de' glomeruli di piccole clave, che negli Asperococcbi sono sostenute da pedicelli articolali: ma queste clave contengono sporule o semiuuli più solidi e più fortemente colorati, sicché co- stituiscono maccbiuzze di tinte oscure che si vedono anche ad occhio nudo. E perchè tutta regolare è la tessitura della fronda, è ben naturale che regolari pure risultino le collocazioni di que' sori, che affettano o zone o fascie o quin- cunce o linee longitudinali e paralelle. Meravigliose sono le Laminarie e le Macrocistidi, che insieme alle Durvil- lee e agli Agari primeggiano nella tribù delle Laminariee. Tale meraviglia però si deve non tanto all'eleganza, quanto alla stranezza e alla taglia gigante- sca delle forme. Si pretende che giunga fino a mille e cinquecento piedi la lunghezza della Macrocjstis pyrifera, individui della quale di due a tre cento 44 346 piedi sono ricordati dalla maggior parie de' viaggiatori col nome di Fucus gi- ganteus ; e lo stesso Guaudichaud, benché non ne abbia misurato che di qua- rantacinque a cinquanta piedi , fu obbligato ad assentire trovarsene esemplari di centocinquanta piedi e più. Si vuole esagerato il computo degli autori, i quali dopo aver misurato l'estensione della porzione nuotante, vi aggiungono quella approssimativa, calcolata sulla presunzione cbe il piede della pianta sorga sempre dal fondo del mare, mentre sembra più probabile cbe fatta libera dal suo attacco e tutta in eguali condizioni rispetto al peso specifico, per un qual- che tratto peschi verticalmente, come farebbe il capo d'una lunga corda galeg- giante. Sono tronchi cilindrici che raramente oltrepassano la grossezza d'una ordinaria penna da scrivere e si suddividono per replicate dicotomie, portando ampie vesciche piriformi o rotonde, che servono come di peziolo a produzioni fogliacee anguste od estese a seconda delle specie, che arrivano a quattro e più piedi di lunghezza, tutte percorse per lo lungo da vene anastomizzanti, dovute solo all'increspamento della lamina, non già a particolare modificazione della sua struttura. Le vere Macrocistidi, quali sono la pjrifera e la pomìfeva non- ché le altre : latifronSj angustifrons e integrifrons di Bory, che da alcuni si hanno per varietà, della prima, ci sono ancora intieramente ignote dal lato della fruttificazione: mentre invece nella comosa esso è costituito da tubercoli sfe- rici immersi nelle frondi, comunicanti all'esterno per un poro, e racchiudenti molti seminuli insieme a granelli oblunghi, de' quali non si conosce né la si- gniGcazione, né l'ufficio. E probabile che la M. Menziesii, la quale per tutti gli altri caratteri somiglia assai alla carnosa, porti anch'essa simili frutti, ben- ché finora non si sieno trovati, ed è perciò che gli autori propendono a sepa- rare queste due specie in un genere a parte distinto dalle Macrocistidi , alle quali frattanto vengono dubitativamente riferite. Che se non giungono a dimensioni tanto esagerate, pure sono rimarchevoli per molti altri rapporti le Durvillee e le Laminarie non che i generi Ecklonia, Lessonictj Agarum, Alarla, Costarla, che, moltiplicando forse troppo le di- visioni , separarono i recenti dalle Laminarie (i). E da ammirarsi la particolare consistenza delle loro frondi, le quali diseccate che sieno sembrano grosse e consistenti lamine di sostanza cornea o cartilaginea. Ed è appunto questa con- sistenza che secche, le accomoda ad una folla di usi domestici, e fresche le co- ti) Tanto in questa rapida esposizione, quanto nel Cospetto dei generi che segue, Lo adottato la maggior parte degli smembramenti proposti dagli autori francesi ed inglesi, al solo oggetto di non imbrogliarne maggiormente la sinonimia. 347 stiluisce un grato e nutriente cibo nei mari vicini alla zona polare dell'uno e dell'altro emisfero, nei quali del pari esse abbondano. Ivi esse crescono social- mente, ed erigendosi verticali dal suolo colle loro frondi digitate, che, larghe più o meno a seconda delle specie, giungono in alcune a venticinque in trenta piedi di lunghezza, rappresentano all'occhio incantato dello spettatore l'imma- gine di quelle selve di palme che formano il più stupendo ornamento delle re- gioni tropicali. Hanno tutte uno stipile fissato al suolo col mezzo di molte fibre radicali, il cui ammasso forma alle volte un rigonfiamento a guisa di bulbo [L. bulbosa), e da quello stipite si espande una lamina prima tutta intiera, che più tardi comincia a fendersi longitudinalmente od orizzontalmente, terminando per conseguire forma palmata o pennata. Essa lamina è costituita di due la- melle, che nelle parli sterili sono fra di loro unite soltanto da un lasso tessuto intermedio, onde staccandosi con facilità, nella lamina non solo ma ben anche nello stipite, che ha la medesima struttura benché più compatta, danno luogo a cavità che simulano sifoni e bicchieri. La fruttificazione loro si riscontra ap- punto fra quelle due lamelle ed è costituita da corpuscoli piriformi perpendicola- ri alla superficie ed immersi in uno straterello mucoso. 11 colore delle Lamina- riee è olivaceo verde nella maggior parte, rosso intenso ed opaco solo in alcune. Le due uniche specie del genere Licliìna3 che attualmente si conoscono, costituiscono di per loro la tribù delle Lichinee. E una meraviglia veder ripe- tersi nelle minutissime dimensioni di questi esseri l'organizzazione dei giganti, che si riscontrano nelle tribù vicine. La loro fronda è cartilaginea, elegante- mente dicotoma, olivaceo-oscura finche son vive, nera come le più decise fucee quando son secche: essa non supera una linea nella confinis, non un mezzo pollice nella pjgmaea. La loro fruttificazione è costituita da capsule terminali provvedute d' un poro alla sommità , e ripiene di seminuli disposti in linee ra- dianti dentro ad una sostanza mucosa ed omogenea. Sono le Fucee fra tutte le alghe quelle di più complicata organizzazione. In alcune di esse si riscontrano non già i soli assi, ma ben anche organi o ap- pendici laterali [Sargassum e Cjstoseira). Simulano questi vere foglie, e se non fosse che risultano di solo tessuto cellulare tutto uniforme, si potrebbero realmente prendere per tali. I tronchi delle fucee sono solidi, fibrosi e quasi legnosi: e perché sono perennanti risultano di più zone concentriche, che si- mulano quelle della corteccia e del legno; onde alcuni ne vollero dedurre qual- che analogia coi tronchi delle dicotiledoni. Ma ora che ci è noto andar forniti di strati regolari anche quelli delle monocotiledoni, quando differenti periodi 348 di vegetazione V uno all' altro si succedano , e che vedemmo vestirsi di nuovi strati anche i fili delle alghe inferiori, quando prolunghino la vita attraverso una serie di vicendevoli sospensioni e ricominciamenti del processo vegetativo, sappiamo a che attribuire quella apparente analogia, ne più ci sorprende un così strano ravvicinamento. La base di quei tronchi è fornita di fibrille, o di una specie di tallo , o di uno scudo , o di callosità , per mezzo delle quali sta attaccata agli scogli profondamente sommersi. D'ivi s'innalzano fino alla super- ficie dell'onde colle loro ramosità, che estendendosi indefinitamente provengono a sorprendenti dimensioni. In varie loro parli si sviluppano alcune vesciche alle volte anche abbastanza voluminose, benché non quanto quelle delle Ma- crocistidi, ma al pari di esse sono paragonabili alle lacune delle altre piante acquajuole, perchè contenendo dell'aria rendono meno pesante tutta la fronda e le consentono di sostenersi a galla. Quelle vesciche sono , il più delle volte , modificazioni delle appendici laterali, che dicemmo somigliar a vere foglie, e nelle quali sempre si riscontrano le due lamine che nell' allontanarsi lacerano il tessuto intermedio. Come rimansugli di quel tessuto si possono riguardare alcuni fili confervoidei e fra loro anastomizzati, che costantemente si riscon- trano nella cavità delle vesciche. E modificazioni pure delle stesse appendici laterali sembrano in alcune Fucee gli apparati della fruttificazione , per cui le frondi sterili molto differiscono dalle fruttifere (Cjstoseira). In altre solo gli apici delle frondi si modificano in organi riproduttori (Fucus), in altre final- mente essi si presentano tanto complicati da far sospettare che più organi la- terali vi sieno interessati, come nelle piante d'ordine superiore (Sargassum). Sono grossi tubercoli formati dall'unione di molti concettaceli, ciascuno de' quali comprende più elittri o sporidii, che racchiudono in mezzo ad un muco particolare ed a peli articolati, simili alle parafisi dei muschi, le sporule o seminuli. Si pretese, che quel muco operasse una decisa fecondazione e non vale alcun argomento ne a comprovare né ad abbattere quella opinione: men- tre affatto insussistente era quella di altri, che volevano trovar rappresentanza dei fiori maschili nelle vescichette superiormente descritte, o in alcuni fasci di peli, che solamente in poche specie si riscontrano. 349 CONSPEGTUS GENERUM. PROTOCOCCOIDEAE. CRYPTOCOCCUS Kùtzing — Chaos sp. Bory S.1 Vincent non Linn. PROTOCOCCUS Meneghini — Protococci sp. Endlicher — Protococ- cus "ì cinereo -sulphureus, nebulosus, byssoidesj coeruleus, ru- beriSj suìphureiiSj lacteus Klz., nivalis Agardh et Ktz. non Gre- ville nec Corda — Coccophysium ?Link — ? Aerophyton Me- yen — Zoogalaclina Sette — Coccochloris nivalis Sprengel (ex parte) — Globulina sulphurea, rubenSj coerulea et lactea Tur- pin — Leprariae j Pulverariae, Lichenisj Leprae et Lecideae sp. Acharius, Floerke, Hoffmann, Elirhart CHLOROCOCCUM Grev. — Chlorococci sp. Endl. — Protosphaeria Turp. — Sphaerella Soramerfelt — Olivia Gray non Bertoloni — Micraloa olivacea Ktz. — Globulina botryoides Turp. excl. syn. — Lepraria ìnjusìonum Schrank — Protococcus rnpeslris Corda, — monas et glomeratus Ag., viridis Ag. et Ktz. MICRALOA Biasoletto — Micraloae sp. Ktz. — Palmella Ictyolabe Kuu- ze — Protococci sp. Ag. — Chlorococci sp. Endl. NOSTOGHINEAE. PPHYCOMATER Fries — Chaos sp. Bry. HAEMATOCOCCUS Ag. Icon. — Palmella ? sanguinea Ag. Syst., niva- lis Hooker — Protococcus nivalis Grev. et Corda non Ag., vio- laceus Corda • — Coccochloris nivalis Spr. (ex parte) — Uredo nivalis Bauer — Microcystis Nollii, Grevilliij, sanguinea^ uni- brina j violacea Ktz. MICBOCYSTIS Mengh. — Microcystis angulosa, alrovirensj, rupestri*, atra Ktz. — Protococcus angulosus et atrovirens Corda — Coccochloris rupestris Spr. — Bichatia vesìculinosa et Globu- lina atra Turp. — Palmella rupestris. Lyngbye et Ag. , bullo- sa Ktz. — Palmellae sp. Auct. ANACtSTIS Mengh. — Palmella botryoides Ag. Icon. et Grev. — No- stoc botryoides Ag. Syn. — Monilia viridis Spr. Fior. Hai. non Pollini — Coccochloris radicata Spr. Syst. (ex parte) — Tre- 35o niella botryoides Scbreber > — Byssus botryoìdes L. et Auct. ex parte — Leprae, Leprariae, Lichenis sp. Auct. PHYTOCONIS: Frons mucosa, lenuissima, colorala, globulis byalinis farta, in mucosam subslantiam serius omnino conversisi puncta in ejus- dem frondis muco primum vix conspicua novos globulos tandem constituentia. — Phytoconis purpurea et Chaos sp. Bry. — Coc- cochloris cruenta et alpicola Spr., sanguinea et aurantia Wall- roth — Coccodea sanguinea Palisot de Beauvois — Globulina cruenta et sanguinea Turp. — Tremella cruenta Engl. Bolan. — Telepliora sanguinea Persoon non Swartz — Bjssus pur- purea Lamarck — Ulva montana Lighlfoot non Swartz — Pai- mellae sp. aurantiae et rubrae Ktz. — Protococci sp. Endl. ONCOBYRSA Ag. — Stereococcus Ktz. SCLEBOTHRIX Ktz. PHYDROCOCCUS Ktz. non Lk. COCCOCHLOBIS Ktz. — Coccochloridis sp. Spr. — Hydrocaljmena Targioni Tozzetti Msc. et Herb. — Ulva protuberans E. B. — Palmellae sp. Lyngb. et Ag. ALCYONIDIUM Ag. — ■ Alcyonidii sp. Lamouroux — Alcyonii sp. I.., Baster et Ellis — Ulvae sp. Auct. NOSTOC Vaucber — Undina Fr. — Muda Adanson — Hydrococcus Lk. Handb. non Ktz. — Nostoclùum Lk. olim. — Conferva Pisum Fior. Danic. (ex parte) — Ulvae et Tremellae sp. L. et Auct. — Linckiae sp. Botb et Auct. CYLINDROCYST1S: Corpuscula cilindrica, serius dimidiata, substantia granulari, in qua sporulae evolvuntur farta, in muco indefinito nidulata. — Palmella cylindrospora Brébisson inedit. HYDRUREAE. GLOIONEMA Ag. Syst. — Gloeonema Ktz. — Bangia paradoxa Lyngb. IIYDBUBUS Ag. Syst. — Cluzella Bry. et Duby — Corradorus Gry. — Gloionema Joetidum Ag. Syn. — Palmella Myosurus Lyugb. — Coccochloris Myosurus Spr. — Conferva Myurus Broussonet, foetida Dilhvyn — Tremella Myosurus FI. D. — Ulvafoetida Vaucb. , intestinalis Girod-Cbautrans non L. — Pùvularia con- fervoides Bth. — Pdvulariae sp. De Candolle, Mougeot et Ne- stler — ■ Batrachospermi sp. DC. et Ducluzeau * RIVULAR1EAE. CORYNEPIIORA Ag. Syst. — Leathesia Gry. — Clavalella Rry. — Chaetophora marina Lyngb. — Rivularia tuberiformis E. B. — JSostoc marinum Ag. Syn., meseiitevìcum Dub. non Ag. — Tremella dijformis L. RIVULARIA Ag. non Bonnemaison • — Rivulariae sp. Rtb. — Gaillardo- tella Bry. — Stylobasis Schwabe — Stypnion Rafìnesque — Radielìa Nees von Esenbeck — Linkia Bonnem. — Linckiae sp. Spr. et Lyngb. ■ — Tremella hemisphaerica L., natans Hedwig, utriculata Hudson — Batrachospermum hemisphaericum DC. — Ulva prunijormis E. B. non L., nec Gunner LINCKIA Lenormand in Iitleris — Linckia punctiformis et ballata Lyngb. — Rindaria punctiformis Steudel — Mjrionema punctiforme Harv. Engl. FI. — Nostoc bullatum Dub. — Ulva ballata DC. — Alcyonidium bullatum Lamx. — Clavatella vividissima Bry. PLISTIA Meyn. — (An Rivularia quaedam Oscillariae filis immixta?) CHAETOPHORA Ag., Lyngb. et Bry. non Hornscbuch — Myriodadjlon Desvaux — Rivularia Bonnem. non alior. — Rivulariae sp. Rtb., E. B. et FI. D. — Ulva incrassata Huds. — Riccia Jluitans FI. D. non L. — Batrachospermi sp. Vauch. et DC. — Tremellae sp. L. et Auct. — Confervae sp. Auct. HYDROCORYNE Scbwb. et Spr. PSCYTHYMENIA Ag. — Ulva rupestris E. B. BATRACHOSPERMAE. PMYXONEMA Er. Plaut. Homon. — Nematrix Fr. Msc. — Myxotrix Fr. Slirp. fems. — ? Conferva ornata Ag. DRAPARNALDIA Bry. et Ag. — Drapania Desv. — Ulva lubrica Molir non Rlh. — Batrachospermi sp. Vaucb. — Charospermi sp. Lk. — Charae sp. Rth. non alior. — Confervae sp. Auct. BATRACHOSPERMUM Rtb. — Draparnaldina, Mondina, Thorina , Lemanina j Batracliospermae et Lemaneae sp. Bry. — Gelali- naria Roussel — Torularia Bonnem. — ? Aegira Fr. — Apo- na Adans. — Chordaria vaga Wallr. — Chantransiae sp. DC. — Charospermi sp. Lk. — Charae sp. Weis et Rtb. non ali or. — Confervae sp. Auct. 352 THOREA Bry. — Polycoma Pai. d. B. — Chordaria Thoreana Wall. — Batrachospermi sp. DC. et Wall. — Confervae sp. Auct. MESOGL01A Crouan — Mesogloiae sp. Ag. et Lyngb. — Helminthora Fr. — Chordaria multifida Lyngb. et Wallr. — Batrachosper- mae sp. Bry. — Alcyonidii et Dumontiae sp. Lamx. — Chae- tophora multifula Hook. — Dudresnayae sp. Bonnem. — Rivu- lariae sp. Blh. et E. B. DUDRESNAYA Crouan — Dudresnaya coccinea Bonnem. — Meso- gloia coccinea Ag. Syst. — Batrachospermum verticillatum Ag. Syn. — Batrachosperma rivularioides Bry. — Rivularia verti- cillata E. B. — Ulva coccinea Poiret secundum Ag. non Huds. nec Dict. Botan. LEPTOMITEAE. HYGROCROCIS Mengh. — Hygrocrocidis sp.Ag. Flora 1827. non Syst. nec Biasol. — Conferva alba Vandelli — Oscillatoria alba Ag. Syst. prò parte excl. synon. non Vauch. — B/Ieégwe Longcbamp (ex parte) — Sulfvraiue Fontan LEPTOMITUS Mengh. . — Leptomiti sp. (a. vegetabilibus exortae non b. animalibus exortae) Ag. non Biasol. — Confervae sp. Auct. ?BYSSOGLADIUM Ag. Syst. — Byssocladium Jenestrale Lk. — Sporo- trichum Ditmar et Sturm non Lk. — Dematium olivaceum Schumacher — Confervae sp. Ag. Syn. et Auct. PALYSPHAER1A Ktz. ?COCHLYOTIIBIX Corda PSTEREONEMA Klz. et Mengh. OSCILLARIEAE. OSGILLARIA Bosc — Oscillarla Endl. (ex parte) — Oscillatoria Vauch. — Trichophorus Pai. d. B. et Desv. — Trichophora Bonnem. — Spìrogp'a N. v. Es. et Lk. Diar. Botan. Schrad. 1809. non Eutw. e. pbys. Pflz. Syst. 1824-, nec aliorum — Spirulina Turp. et Ktz. — Loten Adans. (ex parte) — Vaucheria infusionum DC. — Chaetophora lobata et Lepra infusionum Schrank — Scy- tonema Bangii FI. D. et Lyngb. non Ag. — Coccodea viridis Pai. d. B. — Anabaina thermalis, Phytoconidis et Chaos sp. Bry. — Confervae; Ulvae, Tremellae, etc. sp. Auct. MICROGOLEUS Desmaziéres — Faginaria Bonnem. Bry. et Klz. — Me- 353 rizomyria Pollin. Bibliot.Tlal. — Conferva aponìna Pollin. Fior. Veron. non Ktz. — Scytonema Clithonoplastes et P'aucheria aponiiia Spr. — Oscillatoria Chtlwnoplastes Hofmann =Bang et Lyngb. non FI. D. — Oscillatoriae sp. Vauch. et Ag. — Rhi- zomorphae sp. DC. ANABAINA Bry. (exclus. Anabaina thermali) — Sphaerozyga Ag. Flo- ra 1827. et Icori. — Conferva Randelli Beggiato, mucoroides Ag. Act. Holm. 18 14. — Syncollesia mucoroides N. v. Es. et Ag. Sjst. ■ — Synaphia mucoroides N. v. Es. — Oscillatoria flexuosa Ag. Sjst. — Chaetophora unicocca Wallr. — Moni- Via viridis Pollin. non Spr. — Byssusflos-atjuaeL. — Nosloc Jlos-aquae Lyngb. — Oscillaria et Anabaina Endl. (ex parte) ? ANHALTIA Schvvb. — Chaetophora Endl. (ex parte) — (Differì ab Ana- baina filis ramosis). i'PINODERMA Ktz. — (Secundum aucloris descriptionem bue spectal, sed ex siccorum speciminum inspectione Diatomeis et Oscillariaej Anabainae atque Vaucheriae filis videtur constare). LYNGBYEAE. LYNGBYA Ag. Syst. — Cyclosperma Bonnem. — Dilhvynella Bry. — Numida Gry. — Byssus velutina Gir.-Cbantr. non L. nec Bry. — Oscillatoriae sp. Ag. Syn. — Oscillatoriae et Confervae sp. Auct. CALOTHRIX Ag. Syst. (exclus. Cai. confervicola) — Elisa Gry. — Cera- mium pulvinalum Jiirgens — Leplomitus investiens et Desma- restellae sp. Bry. — Oscillatoriae sp. Ag. Syn. — Tricophori sp. Desv. — Hempeliae sp. Meyn. — Oscillatojiae et Confer- vae sp. Auct. SCYTONEMA Ag. — Mastigonema Scbwb. — Dichonema ?N. v. Es. — ? Percur saria Bonnem. — Gaillonellae sp. Bry. — Conferva intexta Pollin., muscosa Begg. — Bangio aeruginosa ?Spr. — Byssus coriaceus et hemisphaericus thermalis Vand. — Oscil- latoria byssoidea Andrejewskiy, subulata Corda — Collematis,, Parmeliae, Lichcnis, Corniculariae sp. Acbar. et Wablenberg — Confervae, Byssi et Oscillatoriae sp. Auct. STIGONEMA Ag. Syst. — Scytonema atrovirens Ag. Syn. — Bangia mamillosa et atrovirens Lyngb. — Lemanea pluvialis Bry. — 45 354 Conferva atvovivens Dillw. — Comicularia pitbescens Acbar. — Lichenis sp. L. et Auct. CADMEAE. SPHAEROPLEA: Fila tenuissima, articulata, sporangiis pluribus annulari- bus ia quoque articulo, tandem, in sporulas numerosas sphaericas collapsis. — Sphaeroplea annulìna Ag. — Sphaeropletìda Dub. — Sphaerogona Lk. — Conferva annulìna IUh. — Bangla annullila Spr. CADMUS: Fila tenuissima, articulata, sporangio in quoque articulo annu- lari, tandem in sporulam spbaericam unicam vel duplicem collapso. — Cadmi et Tlreslas sp. Bry. — Sphaeroplea sericea Ag. — Conferva punctalls Dillw. non aliorum — Confervae sp. Auct. ULOTHRIX: Fila tenuissima articulata, sporangio in quoque articulo an- nulari, tandem in fascias collapso. — Ulothrlcis sp. Ktz. — Chan- translae sp. Bry. — Confervae sp. Auct. CONFERVAE. ?NODULARIA Mertens — Nodularia spunpigena Lyngb. — Gongycla- dum nodulosum Lk. — Chantransla spumigena Steud. CONFERVA Ag. — Confervae sp. L. et Auct. — Chloronltum Gaillon — Oedogonlum Lk. Hor. Pbys. — Prolifera^ Annulìna et Au- tarcltes Leon Le Clerc — Merasperma et Oxjtrema Rafiu. — Enarthrum Necker — Lamourouxella, Chantranslae , Tlreslas, Ceramii, Monillnae sp., Bry. — Vaucherla Bry. non DC. — Prolifera et Polysperma glomerata Vaucb. — Batrachosper- mum iriflalum Wallr. ? — Hempeliae sp. Meyn. — Trichogonì sp. Pai. d. B. — Ulothrlcis sp. Klz. — Chantranslae et Ceramii sp. DC. — Ceramii sp. Btb. — Annullnae et Agari sp. Lk. olim — Godal sp. Adans. — Bjssi sp. Auct. PROTONEMA Ag. (exclus. Muscorum primordiis Protonemata referenti- bus) — Confervae sp. Auct. LEMANIEAE. LEM A NI A Ag. — Lemaneae sp. Bry. — Fertebraria Bouss. — Nodu- larlafuvlatllis Lyngb. — Polysperma fluviatills Vaucb. — Gon- gycladl sp. Lk. — Trichogonì sp. Pai. d. B. — Chantransiae sp. DC. — Aponae sp. Adans. — Confervae sp. L. et Auct. 335 HYDRODICTYEAE. HYDRODICTYON Rth. — Reticulina Bry. — IDictylema RaGn.— Go- dal sp. Adans. — Covfervae sp. L. et Auct. ?DIGTIONEMA Kunth et Ag. — Hydrodictyon excentricum Spr. CERAMIEAE. LEIBLEINIA Endl. — Desmarestella confervicola Bry. et Dub. — Oscilla- toria confervicola Ag. Syn. — Calothrix confervicola Ag. Syst. — Linkia ceramicola Lyngb. — Conferva confervicola Dilhv. BULBO CIIAETE Ag. — Conferva setigera Rth., vivipara DMw. CHANTRANSIA Fr. Desv., Moug. et Nestl. non DC. nec Bry. — Audui- nella Dub. — Genicularia Bouss. — Trentepohlia pulchella Ag. Syst. — Lemanea pulchella Wallr. — Audouinella chalybaea Bry. — Ectocarpus chalybaeus Lyngb. — Ceramium pulchel- lum et chalybaeum Ag. Disp. — Conferva chalybaea et Her- manni Bth., corymbifera E. B., nana E. B. non Dillw. ELAGHISTEA Dub. et E adi. — Conferva scutulata E. K.~—Sphacelaria ? scululata Ag. Syst. CALLITHAMNION Ag. Spec. — Callithamnii sp. Lyngb. — Lamourou- xia Bonnem. Msc. non Ag. nec Humbolt, Bonpland et Kunth — Mertensia tripinnata Grateloup — Ceramii sp. Ag. Syst., Bonnem. Ess. Journ. Phys. et Dub. — Confervae sp. Auct. CERAMIUM Ag. Spec. (exclus. Ceram. filamentoso) non Blume — Cera- mii sp. Rth. et DC. — Boryna Gratel., Gaill. et Bry. — ■ Ame- sperma et E misperma Bafin. — Catenaria Bouss. — ÌGaillionia Rudolphi — Dictiderma et Gaillonae sp. Bonnem. — Godal sp. Adans. — Confervae sp. Auct. GRIFFITSIA Ag. Spec. — Dillwynia Gralel. — Plumaria Lk. Hor. Phys. — Polychroma Bonnem. — Callilhamnium corallinum Lyngb. — Agarum corallinum Lk. ohm. — Cladostephus au- stralis Ag. Syst. — Ceramii sp. DC. et Dub. — Confervae sp. Auct. WRANGELIA Ag. Spec. — Griffitsia penicillata Ag. Syst. — Dasya spi- nella Dub. (ex parte), excl. synou. non Ag. BAILLOUVIANA Griselini, Adans. et Nardo — Ellisius Gry. (secund. Endl.) — Ellidium Gry. (secund. Ag.) — Asperocaulon Grev. — Rliodonema Martens — Stichocarpus Ag. Flora 1827. — 356 Grateloupia Bonnem. Journ. Pbys. non Ag. — Dasya Ag. Syst. et Spec. Voi. II. Pars. I. — Hutchinsia ocellata Ag. Syst., coc- cinea Ag. Syn. et Hook. — Sphaerococcus pedicellatus Ag. Spec. Voi. I. Pars. II. — Callithamninm coccinewn Lyngb. — Chondria pedicellata Spr. — Fucus coccineus Poir. non Huds. ■ — Fucus Baillouviana Gmel. et Steud. (exclus. syn.) — Gaillonae sp. Bonnem. Meni. Mus. — Ceramii et Conferme sp. Auct. CH AMPIA Lamx., Desv. et Ag. — Mertensia lumbricalis Bth. exclus. syn. — Ulva rugosa Thunberg non L. NACCARIA Endl. — Chaetospora Ag. non Robert Brown — Cladosle- phus TFigghii Spr. — Hypnea Wigglùi Lamx. et Dub. — Chor- daria PFigghii Wallr. — Fucus IVigghii Turner GRAMMITA Lenorm. in litter. — Grammita rigida Bonnem. — Po- lysiphonia rigida Grev. — Hutchinsia rigida Ag. POLYSIPHONIA — Polysiphoniae sp. Grev., Dub. et Spr. — Hutchintia Bry. Voyag. Duperrey — Hutchinsia} Dicarpelluj Brongniartella et Grateloupella Bry. Dict. Glass. — Corradoria Marlius — Vertebrata Gry. — Broussonetia Gratel. non Ventenat nec Or- tega — Grammita Desmaz. — Hutchinsiae sp. Ag. — Lamoit- rouxiae et Grammitae sp. Bonnem. — Gongycladi sp. Lk. — Borynae sp. Gratel. — Ceramii sp. Btb. et Auct. — Lophyros sp. Targ. — Fuci et Confervae sp. Auct. SPIRYDIA Harw. Engl. fl. et Suhr in litt. — Hutchinsia filamentosa Ag. Syst. exclus. nonnul. syu. — Sphaerococcus friabilis Ag. Disp. 1 — • Ceramium fdamentosum Dub. et Ag. Spec. , vagabundum Rtb. — Polysiphonia filamentosa Spr. Syst. — Conferva fibrosa Spr. Beri. Magaz,, pallescens Bry., Griffitsiana E. B. — Fucus friabilis Clemente, filamentosus Wulf. DIGENEA Ag. — Conferva simplex Wulf. et Rtb. — Fucus lycopodioi- des Wulf. non L. RYTIPHLOEA Ag. — Moestingia Scbousb. — Sphaerococcus Maximi- lianì Martius — Conferva plana Forskabl — Ectocarpus pur- pureus et complanatus Spr. — Lophyros sp. Targ. — Fuci sp. Auct. ECTOCARPUS Ag. Sp. — Ectocarpi sp. Lyngb. et Spr. — Oposper- mum et CalospermuinRabn. — Macrocarpus Bonnem. — Capsi- 357 carpello., Pilayella et Audouinella funìformis Bry. — Sphacel- ìaria Mertehsù Ag. Syst. — Lyngbyae sp. Galli. — Cercanti sp. Rth., FI. D. et Ag. Syn. — Conferme sp. L., E. B., Ligtbf. , Dillvv., Rth. et Lyugb. SPHACELLARIA Lyugb. et Ag. Sp. — Delisella et Lyngbyella Bry. — Fucus rutlis Esper — Ceramii sp. Rth., FI. D.,DC., Gratel. et Hook. — Conferme sp. L. et Auct. MYRIONEMA Grev. nou Harw. DASYCLADUS Ag. Spec. — Botrjdion sp. Targ. — Myrsidium clava- tum Rafia. — Cladostephus clavaeformis Lyngb., Dub., Ag. Syst. et Spr. Syst. — Conferva clavaeformis Rth. et Spr. Beri. Ma- gaz. 1809. — Fucus vermicularis Bertol. — Spongia vermicula- ris Scopoli CLADOSTEPHUS Ag. Spec. — Cladostephl sp. Lyngb. — Dasytricha Lamx. — Dasytrichia Bonnem. — Pericomos Targ. ^- Cera- mii sp. DG. — Fuci et Conferme sp. Auct. CORALLINEAE. GALAXAURA Lamx. — Coràllinae sp. L., Solander et EIIìs — Tubula- riae sp. Gmelin et Esper — Dichotomariae sp. Lamk. — Aly- sium Perrini Spr. JANIA Lamx. — Coràllinae sp. Auct. CORALLINA Lamx. — Coràllinae sp. L. et Auct. — Nodolara Imperalo secuud. Nardo — Titanephlium Nardo PCYMOPOLIA Lamx. — Coràllinae sp. Auct. ?AMPHIROA Lamx. — Coràllinae sp. Auct. ZYGNEMEAE. SPIROGYRA Lk. Éntw.e. phys. PQz.Syst. 1824. non Diar. Botan. Schrad. 1809. nec N. v. Es. — Choaspis Gry. — Sahnacis Bry. — Con- jugatae Sect. I. Vauch. — Zygnematis sp. (/3. spiris nolatae) Ag. — Zygnematis Sect. e. (Spirogyra) Endl. — Confervae sp. Auct. ZYGNEMA — Zygnematis sp. (oc. bipunctatae) Ag. — Zygnematis Sect. b. (Stelluliaa) Endl. — Stellulina Lk. Handb. — Globulina Lk. Hor. Phys. non Turp. — Lucernario. Rouss. — Agardhia Gry. non Ca- brerà nec nob. — Diadena Pai. d. B. — Tendaridea et Ledae sp. Bry. — Conjugatae Sect. II. Vauch. — Confervae sp. Auct. 358 MOUGEOTIA Ag. Syst. et Brébiss. — Serpentinaria Gry. — Gcnuflexa Lk. Handb. — Conjugata Lk. Hor. Pbys. — Ledae sp. el Zjg- nema Bry. non Ag. — Zjgnema gemiflexum et compressimi Lyngb. — Conjugata genujlexa Ag. Disp. — Conjugatae Sect. III. Vauch. — Hempeliae sp. Meyn. — Zjgnematis Sect. a (Ser- penlinaria) Endl. — Confervae sp. Auct. DESMIDIEAE. TROCHISCIA Ktz. — Tessarthronia et Heterocarpellae sp. Turp. CLOSTERIUM Nitzsch — Lunulina et Naviculae sp. Bry. — Vibrlonis sp. Muller COSMARIUM — Cosmarium et Colpopelta Corda — Heterocarpeìla et Pandurellae sp. Ktz. — Ursinellae et Heterocarpellae sp. Turp. — Cymbellae sp. Ag. STAURASTRUM Meyn. — Binatella Brébiss. — Micrasterias sp. Ktz. SPHAERASTRUM Meyn. — Gomphosphaeria et Micrasterias sp. Ktz. MICRASTERIAS Ag. Elora 1827. — Pediastrum Meyn. et Corda — Helierella Bry. — Potarcus Rafin. — Crucigenia Morren — Selenaea Ntzscb. — Heliactis Ktz. — Euastrum et Stauridium Corda — Echinellae sp. Lyngb. et Ag. Consp. non Achar. nec Dub. SCENEDESMUS Meyn., Ktz. et Brébiss. — Jchnanthis sp. Bry. et Turp. BIDDULPH1A Gry. — Diatomatis et Istlimiae sp. Ag. — Conferva Bid- dulphiana E. B. SPHAERODESMUS Corda (exclus. S. spirillo qui videtur Anabainae spec.). PLEUROCOCCUS Mengb. DESMIDIUM Ag. Syst., Ktz. et Brébiss. — Diatoma Swarlzii Lyngb. et Ag. Disp. et in Swensk Bolan. — Conferva dissiliens. E. B. non Dillw. ECHINELLA Acbar. Ktz. et Ag. Syst. (ex parte) non Lyngb. nec Ag. Consp. nec Dub. — Rivularia articulata E. B. GEMINELLA Turp. et Ktz. SIPHONEAE. BOTRYDIUM Wallr. — Rhizococcum Desmaz. — Hjdrogastrum Desv. et Dub. — Coccochloris radicata Spr. (ex parte) — Conferva multicapsularis Dillw. ? — Ulva granulata L., radicata Retz — Vaucheriae sp. Ag. et Lyngb. — Tremellae et Linckiae sp. Auct. 359 VAUGHERIA DC. (exclus. Vauch. infusionum), Lyugh. et Ag. non Bry. — Ectosperma Vauch. et Bry. — Ectosperma et Vaucheria N. v. Es. — Byssus volutimi Bry. non L. nec Gir.-Chantr. — Riccia arachnoidea FI. D. — Ceramii sp. Bth. — Goclal sp. Adans. — Confervae sp. Auct. BRYOPSIS Lamx. et Ag. — Ulva piumosa L. et Huds. — Fucus arbu- scula DC. et Poir. — Conferva tenax Rth. ALYSIUM Ag. — Ulva Holtingii Mert. PCOCCODEBMA Kunze VALONIA Ag. — Gastridium ovale Lyngb. non Grev. — Ulva cellulosa Mert., intricata Clement. ? — Physidrum aggregalum Delle Chia- je — Confervae sp. Wulf. et Bth. CODIUM Stackhouse Praefat. — Codii sp. Ag., Spr. et Endl Lamarckia Olivi (exc. simpliciuscula\ et Stackh. Ner. Brilan. Edit. 2.a non Moench — Spongodium Lamx. , Lenorm. et Dub. — Vermi- lara Imper. — Alcyonium Bursa L. — A gardhiae sp. Cabre- rà — Mjrsidii sp. Bafin. — Fuci et Ulvae sp. Auct. FLABELLABIA Lamx., Gaill. et Dub. non Lamk. nec Cavanilles — Fla- bellariae sp. Delle Ch. ~- Codii sp. Ag., Spr. et EndL — Agar- dhiae sp. Cabrer. — Ulvae,, Fuci et Confervae sp. Auct. ANADYOMENE Lamx. et Ag. — Ulva stellata Wulf. _ Flabellata ana- dyomena Delle Ch. ACETABULARIA Lamx. — Acetabulum Tournefort, Michelli et Lamk. — Olivia Bertol. non Gry. — Androsace Mathioli et Donati — Androsaces Lob., Park, et Camer. — Callopilos Targ. — Co- rallinae sp. Pallas — Tubulariae sp. Gmelin et Esper PPOLYPHYSA Lamx. et Ag. Syst. — Caulerpa peniculus Ag. Disp. — Fucus peniculus Turn. UDOTEA Lamx. — Flabellariae sp. Lamk. — Corallinae sp. Auct. IIALIMEDA Lamx. — Serlolara Imper. et Nardo — Hormisus Targ. — Opuntia Park., Ginanni et Naccari non Tournef. nec Miller. — Opunlioides Mieli. — Codium Opuntia Schousb. et Spr. — Fla- bellariae sp. Lamk. et Delle Ch. — Corallinae^ Ulvae et Fuci sp. Auct. ?NESEA Lamx. et Blainville — Penicillus Lamk. et Schweigger — Coral- linae sp. Auct. 36o CAULERPEAE. CAULERPA Lamx. et Ag. Syst. — Caulerpa et Chauvinia Bry. — Co- dìum simpìicusculum Ag. Disp. — Lamarckia simpliciiiscula Olivi — Fuci et Ulvae sp. Auet. ULVEAE. ULVA Lamx. — Ulvae sp. L. et Auct. _ Ulva Trib. II. Ag. Spec. — Cft- vae sp. (a. marinae et b. paludosae) Ag. Syst. — BamulariaTìouss. — Plìjllonaj Tvepposa et Zonariae sp. Lk. — Halitrìdax Targ. — Ulvastri sp. DC. — Pliascon et Splachon sp. Adans. PORPHYRA Ag. Syst. — Phyllona purpurea Wiggers — Ulvastri sp. DC. — Ulvae Trib. I. (Porpbyra) Ag. Spec. — Ulvae sp. Auct. ILEA Fr. et Gaill. — Hydrosolen Martius «*» Tubularia Rouss. — Fistu- laria Grev. — Solenia Ag. Syst. (exclus. Sol. crinita) non Hoffm. — Ulva Trib. V. (Solenia) Ag. Sp. — Soleniae sp. Spr. — En- teromorphae sp. Lk. — Scytosiphonis sp. Lyngb. — Splachnon et Phascon sp. Adans. — Ulvae et Confervae sp. Auct. TETRA SPORA Lk. et Ag. Syst. — Tetraspora minima et gelatinosa Desv. — Pexisperma Rafin. — Gastridium cylindricum et tic- bricum Lyngb. ■ — Conferva lubrica Rlh. — Linckia Conferva Spr. Anleit. — Linckia turbinata., Solenia lubrica et cylindrica Spr. Syst. — Ulva bullosa Spr. et Ag. Syst. (ex parte) non Rtb. — Ulva turbinata Pollin. — Ulva gelatinosa et Ulvae Trib. III. (Tetraspora) Ag. Spec. ■ — Ulva gelatinosa et minima Vaucb. — Ulvae et Tremellae sp. Auct. PRASIOLA _ IPriestleya Meyn. — Tetraspora terrestris Desv. et DC. — Tremella crispa Sdirei). — Bangia callopliylla Carmicbael in Grev. Scot. — Ulva callophylla Spr. et Grev. Alg. Britan., crispa \Àg\\\(.,fuifuracea¥\.Y). aureola Ag. Icon., terrestris Rlh. — Ul- yaeTrib.IV. (Prasiola) Ag. Spec. — Ulvaesp. (c.terrestres) Ag.Syst. RANGIA Ag. Syst. — Bangiae sp. Lyngb. — Spermogonia Ronnem. — Byssus rubra DC. — Oscillatoria fuscopur purea et atropur- purea Ag. Synop. — Confervae sp. Auct. GASTROCARPEAE. IRIDEA Grev. non Stackb. — Irideae sp. Bry. — Hàlymeniae sp. Lamx. Gaill. et Dub. — Hàlymeniae et Sphaerococci sp. Ag. — Ul- vae et Fuci sp. Auct. 36i HALYME'NIÀ Grev. — Semata Bivona — Dawsonia Lamx. non R. Br. — Dumontiae sp. Lamx. — Cìiondria Usnea et Haìjmeniae sp. Ag. — Gqstridii sp. Lyngb. — Soleniae sp. Spr. — Ulvae et Fuci sp. Auct. DUMONTIA Grev. Alg. Britan. et Crouan — Dumontiae sp. Lamx. — So- lerzia fìiformis Spr. — Chortfàrìd filiformis Wallr. — Gastri- dium filiforme Lyngb. exclus. pleriscj. synon. — Conferiva fiìiformis et Ulva incrassata FI. D. — Ulva contorta DC, — rubra Huds. — Mesogloia Hudsoni Ag. — Haìjmeniae sp. Ag., Grev. Scot. et Eudl. — Fuci sp. Auct. CATENELLA Grev. — Halymenia ? Opuntia Ag. Spec. — Chondria Opuntia Ag. Syn. — Chordaria Opuntia Spr. — Gigartina Opuntia^ pygmaea et pilosa Lamx. Ess. excl. syn. secund. Dul>. — Kaliformia Opuntia Stackh. — Pdvularia Opuntia E. B. — Lomentaria Opuntia et pygmaea Gaill. et Dub. — Ulva articu- lata $. Huds. — Fucus Opuntia L., Turn. et Stackh., — repens Lightf. FLORIDEAE. CLAUDEA Lamx. — Lamaurouxia Ag. Syn. non Bonnem. nec Humb., Bonpl. et Kunth — Oneillia Ag. Spec Fucus Claudel Turn. AMANSIA Lamx. — Amansiae sp. Ag. Spec. — Rytiphlaea ? lineata Ag. Disp. — Thamnophorae sp. Ag. — Fuci sp. Auct. DELESSEBIA Grev. Alg. Britan. — Delesseriae sp. Lamx., Grev. Scot. et Ag Amansia fraxinifolia Ag. Spec Hypophyllae} Hy- menophyllae et Hydrophyllae sp. Stackh — JVormskioldiae sp. Spr. — Fuci sp. Auct. NITOPHYLLUM Grev. Alg. Britan. — Delesseriae sp. Lamx., Ag. et Grev. Scot. — TFomskioldiae sp. Spr. — Halymeniae sp. Lamx. et Dub. — Chondri sp. Lyngb. — Hymenophyllae sp. Stackh. — Daw- sonia Gmelini Lamx. — Fuci et Ulvae sp. Auct. HYMENEMA Grev. — Delesseria venosa Lamx. et Ag. Spec. — Sphae- rococcus venosus Ag. Disp. — JVormskioldia venosa Spr. — Fucus venosus L. et Turn. RHODOMENIA Grev. — Sphaerococci sp. , Halymenia ? sobolifera et palmata Ag. — Halymeniae sp. Lamx., Delle Ch., Dub. et Gaill. — Delesseriae sp. Lamx. — Gigartinae sp. Lyngb., Lamx. et 46 36- Dub. — Ivideae sp. Bry. — Sarcophyllae sp. Stackh. — Ma- stocarpi et Lomatii sp. Targ. — Plocamium cristallini Lamx. et Dub. — Ceramii sp. Rth. — Ulvae et Futi sp. Auct. BOTRYOCARPxV Grev. — Delesseria botryocarpa Lamx. et Ag. — fVorm- skioldia botryocarpa Spr. — Fucus botryocarpus Merts. et Turn., ovifrons Mobr THAMNOPHORA Grev. — Thamnophorae sp. et Spìiaerococcus cornu- tus Ag. — Futi sp. Auct. PLOCAMIUM Bry. — Pìocamìa Stackh. — Plocamium vulgare et ma- xillosum Lamx., coccineum Lyngb. — Plocas Targ. -=• Deles- seria Plocamium Ag. Spec., coccinea Ag. Syu. — Wormsfciol- dia Plocamium Spr. — Ceramium Plocamium Rlb. — Confer- va mollis Draparnauld — Fucus Plocamium Gmel., — cocci- neus Huds., — maxillosus Poir. MIGROCLADIA Grev. — Delesseria glandulosa Ag. — Wormsldoldia glandulosa Spr. ■=- Halymenia implexa Dub. — Gigartina glandulosa Lamx. — Fucus implexus DG., — glandulosusTum. ODONTHALIA Lyngb. — Atomuria Stackb. — Delesseria dentata Lamx. — Spìiaerococcus dentalus Ebrb. — Fucus pinnatifidus FI. D. non Huds., — dentatus L. et Auct. — Rliodomela dentata Ag. — BJiodomelae sp. Ludi. DICTYOMENIA Grev. — Euspiros Targ. — Volubilaria Lamx. Dici. Class, et Dub. — Dictyopteridis et Delesseriae sp. Lamx. Ess. — Rliodomelae sp. Ag. — Futi sp. Auct. RKODOMELA Grev. — Rhodomelae sp. Ag. Spec. — Scorpiura Stackh. — Lophyros sp. Targ Chondria amphibia Ag. Disp. — Ce- ramii sp. Rth. et DC. — Plocamium amphibium Lamx. — Gi- gartinae sp. Lyngb. et Lamx. — Futi sp. Auct. ALSIDIUM Ag. BONNEMAISONIA Ag. Syst. — Spìiaerococcus asparagoides Ag. Disp. — Capillaria asparagoides Stackh. — Delisea elegans Lamx. Dict. Class. — Plocamium asparagoides Lamx. Ess. — Ceramium asparagoides Rth. — Fucus asparagoides Woodward et Turn., pilularia Gmel. ex parte. LAURENCIA Lamx. et Grev. — Spìiaerococcus corymbiferus Ag.DIsp. — Gelidium pinnatifulum Lyngb. — Polymorpha corymbiferafiapil- 363 lariaffj DasyphyUae, Kaliformìae sp. et Pinnatifida Stackh. — PoljoduSj Lemniscij Lasii et Bolrydion sp. Targ. — Gigarli- nae sp. Lamx. et Dry. — Chondriae sp. Ag. — Fuci sp. Auct. CHONDRIA — Chondriae sp. Ag. — Gaslridium Grev. non Pai. d. B. — Gastrophycus Lk. — Lamentarla Lyngb. , Gaill. et Dub. (exclus. L. Opuntìa et pygmaea) — Gastridii sp. Lyngb. — Dasypìiylla articnlata Stackh. — Ceramii sp. Rlh. — Ulva ar- ticulata Huds. — Physidrum uvarium Delle Ch. — Gigartinae sp. Lamx. — Laurencia pyramidaìis Bry. secund. Dub. — Con- fervete et Fuci sp. Auct. COR ALLO PSIS Grev. — Gigarlina chondroides Bry. — Sphaerococcus Salicornia Ag. — Fucus Salicornia Merts. AGANTHOPHORA Lamx. — Chondriae sp. Ag. — Gastridii sp. Lyngb. — Fuci sp. Auct. GRACILARIA Grev. — Tubercularia et Verrucaria Stackh. non allor. — C eramianthemum Donati — Ceramion Adans Ceramium longissimum Rlh. non Schumach. — Chondriae et Sphaerococci sp. Ag. — Gigartinae sp. Bry., Lamx. et Dub. — Lasii et Ma- stocarpi sp. Targ. — Fuci sp. Auct. GHONDRUS Grev. — Nereidea, Poìymorphae et Chondri sp. Stackh. — Nereidedj Erinaceae, Delesseriae et Gelidii sp. Lamx. — Chondri sp. Lamx., Dub. et Gaill. — Lomatii sp. et Cypellon Targ. — Halymeniae sp. Lamx. et Dub. ■ — Ulvae et Sphaero- cocci sp. Lyngb. et Ag. — Ulvae et Fuci sp. Auct. PHYLLOPHORA Grev. — Lomatii, Cylichni sp. et Phyllogenes Targ. — Epiphyllae et Poìymorphae sp. Stackh. — Sphaerococci sp. Ag. — Chondri sp. Lyngb. — Delesseriae et Dausoniae sp. Lamx. — Halymeniae sp. Delle Ch. et Dub. — Fuci sp. Auct. SPHAEROCOCCUS Grev. — Sphaerococci sp Ag. — Sphaerococci sp. et Coronopi/olia Stackh — Desmia Hornemanni Lyngb. — Gelidii sp. Lamx. et Dub. — Cylichnos ramosa Targ. — Fuci sp. Auct. BOWIESIA Grev. — Erinaceae sp. Lamx. GEL1DIUM Grev. Alg. Britau. — Gelidii sp. Lamx. et Dub. — Kaliformia pusilla et Clavaria Slackb. non alior. — Sphaerococci sp. Ag. et Bonnem. — Desmiae sp. Lyngb. — Loncharii et Amphorisci sp. Targ. — Chondria pusilla Hook, et Grev. Se. — Fuci sp. Auct. 364 GIGARTINA Stackh. — Gigartìnìte sp. Lamx. — Scjlosiphon Hippuroi- des Lyngb. — Ceramium pìicatum Rth. — Sphaerococci sp. Ag. — Nodulariae et Mastocarpos sp. Targ. — Polyides sp. Gaill. et Dub. — Fuci sp. Auct. GRATELOUPIA Ag. Syst. non Bonnem. — Phoracis Rafin. — Palmaria rigida,, Delesseria filicina et erinacea Lamx. Ess. — Halymenia filicina Lamx. Dict. Class, et Dub. — Sphaerococcus erinaceus et filìcìnus Ag. Disp. — Fucus ornatus L. , erinaceus Turn., fdi- cinus Wulf. et Turn. HYPNEA Grev. — Hjpnea musciformiSj, spinulosa, charoides et hamulosa Lamx. — Chondria charoides Steud., — hamulosa et Sphaero- coccus musciformis Ag. — Lasii sp. Targ. — Fuci sp. Auct. PTILOTA Ag. — D eie sseria flaccida, Plocamium asplenioides et plumo- sum Lamx. — Ceramium plumosum Rtb. — Fuci sp. Auct. L1AGORA Lamx. et Ag. Spec. — Euscepes Targ. — Sphaerococcus visti- dus et distentus Ag. Disp. — Tubulariae sp. Gmel. et Esp. — Dichotomariae sp. Lamk. — Fuci sp. Auct. ? THAUMASIEAE. THAUMASIA Ag. Syst. — RJiodomela 1 flava Ag. Spec. — Fucus flavus L. non Glement., spongiosus Kònig SPONGIOCARPEAE. POLYIDES Ag. Spec. — Spongiocarpus Grev. — Chordaria rotonda Ag. Syn. — Gigartina rotunda Lamx. — Sphaerococcus rotun- dus Lk.. — Furcellaria rotunda Lyngb. — Fastigiaria rotun- daj radiata, angulata etfiliformis Slackh. — Futi sp. Auct. FURCELLARIEAE. FURCELLARIA Lamx. et Ag. — Fastigiaria lumbricalis Slackh. — Sphaerococcus fastigiatus Lk. — Fuci sp. Auct. CHORDARIEAE. CHORDA Stackh. Ner. Brit. Edit. i.% Lamx. et Lyngb. — Tendinarius Rouss. — Chordaria Filum Lk., Wallr. et Ag. Synop. — Fla- gellarla Filum et thrix Stackh. Ner. Brit. Edit. 2.a — Scytosi- phon filum Ag. Spec, — fistulosum Ag. Disp. et Lyngb. — Cera- mium filum et Conferva fstulosa Rth. — Fucus Filum L. non Esp., — Tendo Esp. non L. — Ulva filum Gouan, — lumbri- calis Lamk., — fistulosa Huds.et Dub., — sìmpllcissima Clemeut. 365 CHORDARIA Ag. Syst. (exclus. ChorJ. ? Nemalion) — Chordaria divari- cata jjlagelliformis et Chaetophora nodulosa Ag. Syn. — Chor- daria Jlagelìiformis et tuberculosa Lyngb. — Tliorea ramosissi- ma Spr. ex parte non Bry. — Flagellarla fiagelliformis Stackh. — GigarLina Jlagelliformis Lamx. et Dub. — Scjtosiphon to- mentosus FI. D et Lyngb. exclus. omnib. synon. — Ceramium tuberculosum et Conferva dichotoma FI. D. non L. — Fucus flagelliformis FI. D., Ag. Decad. et Stackb. Ner.Brit. Ed. 2.% — longissiimis Stackh. Ner. Brit. Ed. i.a non Gmel. NEMALION Targ. et Dub. — Chordaria ? Nemalion Ag. — Fucus Ne- malion Bertol. SPOROCHNOIDEAE. DESMARESTIA Lamx. (exclus. Desm. viridi) — Spinularia Fiouss. — Trinitaria Bry. — Hippurìna et Herbacea Stackb. — Pìijma- tium ?Lk. — Desmia aculeata, ligulata et Ectocarpus densus LyDgb. exclus. omnib. synon. — Sphaerococcus aculeatus Lk. — Laminaria herbacea et ligulata Ag. Syn. — Sporochnus me- diuSj herbaceuSj aculeatus, ligulaius Ag. Spec. — Fuci sp. Auct. DICHLORIA Grev. — Iridea Stackh. non Bry. — Sporochnus viridis Ag. Spec. — Chordaria viridis Ag. Syn. — Gigariina viridis Lyngb. — Desmareslia viridis Lamx. — Polymorplia viridis Stackh. — Fucus viridis FI. D. SPOROCHNUS Grev. — Sporoclmi et Chordariae sp. Ag.,Lyngb. et Wallr. — Arlhrocladia Dub. — Gigarlinae sp. Lamx. — Scrtosipho- nis sp. FI. D. — Fuci et Confervae sp. Auct. D1CTYOTEAE. ASPEROCOCGUS Lamx., Ag. Syn. et Grev. Alg. Britan. — Encoelium Spr. et Grev. Scot. — Encoelium echinalum et bullosum Ag. Sp. et Syst. — Gastridium Opuntia Lyngb. — Enteromorpha echinata Lk. — Conferva echinata Merts. — Ulva rugosa DC. exclus. synon. non L., — Turneri E. B. — Scjtosiphonis sp. Lyngb. et Ag. secundum Grev. STILOPHORA — Stilophora sinuosa et clathrata Ag. Flora 1827. — IHy- droclathrus Bry. Dict. Class, et Dub. — Encoelium sinuosum et clathratum Ag. Spec. et Syst. — Zonaria sinuosa Ag. Synop. — Ulva sinuosa Rth. et Spr. — Tremella rugosula et cerino. 366 Clement. — Fucus clathratus Bry. Msc, — tremelloides Ber- tol. — Alcyonidium 1 tremelloides Ag., — Nostoc Lamx. — Ul- va Nostoc Dict. Bot., — mesenterica Bonnem. — Nostoc me- sentericum Ag.et Delle Cb. — Rysso phjsalis Targ. — Striarla Endl. (ex parte). STRIARLI Grev. Alg. Britan. — Charmichaelia Grev. Scot. non R. Brow. — Stilophora crinita Ag. Flora 1827. — Solenia crinita Ag. Syst. exclus. synon. — Zonaria Naccariana Ag. Msc. secundum Naccari exclus. synon. — Striaria Endl. (ex parte). PUNCTARIA Grev. — Zonaria ? plantaginea et ? tenuissima Ag. — Ul- vae sp. Auct. DICTYOSIPHON Grev. — Scjtosiphon foeniculaceus Ag. Disp.,Fl.T)an. et Dub. — Halymenia joeniculacea Ag. Syn. — Fucus subtilis Turn. — Ceramium jìbrosum Rth. ? — Conferva Joeniculacea Huds. non Draparu. DICTYOTA Grev. ^- Dictyotae sp. Lamx. — Myxo des et Evjphes Targ. — Zonariae sp. Ag. — Fuci et Ulvae sp. L. et Auct. ? CUTLERIA Grev. — Zonaria multifida Ag. non Draparn. — Dictyota la- ciniata Lamx. et Dub., — penicillata Lamx.- — Sporochnus mul- tifidus Spr. — Ulva multifida E. B. et Turn., — cornea Poir. PADINA Adans. et Lamx. — Pterigospermum Don. — PJiipidion} Pteri- gospermum et Spyrìs Targ. — Flabellaria Squamarla Delle Ch. — Stijjtia Nardo — Corallina Pavonia Pali, et Eli. — Zo- nariae sp. Ag. — Fuci et Ulvae sp. Auct. HALISER1S Targ. et Ag. — Nevrocaipon Weber et Mohr — Diclyopteris Lamx. — Halydris membranacea Stackh. — Ulva polypodioides DG. — Zonaria Endl. (ex parte) — Ulvae et Fuci sp. Auct. AGARDHIA: Frondes indefiuitae, crassae, sinuosae, convolulae, incrusta- tae e cellulis elongatis in seriebus verticalibus paralelliter stipatis conslitutae, poribus pertusae, in quibus fructus degunt Agar- dhia nob. non Gry. nec Cabrerà — A gardhina Nardo — Nulli- para Lamx. et Bertol Millepora polymorpha et coriacea L. et Esp., — byssoides et informis Lamk., — agaricijormis Pali., — lichenoides EU., — Fucorum Esp., — calcarea Gmel. HILDENBRANTIA: Frondes orbiculares, adnatae, confluentes e cellulis elongatis in seriebus verticalibus paralelliter stipatis conslitutae, 36; poribus couspersae, in quibus fructus nidulantur — Hììdenbran- tia Nardo — Zonaria deusta Ag. — Padina ? deusta Grev. — Fucus fungiformi s Gunn., — fungularis FI. D. non Zaauich. LAMINARIEAE. DURVILLAEA Bry. et Subr. — Laminaria Endl. (ex parte). LESSONIA Bry. Laminaria Endl. (ex parte). MACROCYSTIS Ag Laminaria pyrifera et pomifera Lamx Fucus pyriferus L., — Humboldti Humb. et Bonpl., — giganteus Auct., — Menziesii et comosus Turn. et Ag. Syn., — orgyalis Poir. LAMINARIA Bry. et Grev — Laminastrum Dub Laminariae sp. Lamx. et Ag. — Palmaria Lk — Gigantea Stackb. Fasciata Gry Phasgonon Walk. — Fuci et Ulvae sp. Auct. AGARUM Grev. non Lk. — Agarum cribrosum Bry. — , Laminaria aga- rumel clathrus Ag. — Fucus agarum Turn., — clathrus Gmel. AL ARIA Grev Orgya Slackh. et Bry Agarum Delisii,esculentum,Py- laii Bry. — Laminaria esculenta Lamx. et Ag Fuci sp. Auct. COSTARIA Grev. -_ Laminaria costata Ag. Fucus costatus Turn. ECKLONIA Hornemann — Marginalia A. Rich. Laminaria buccinalis Lamx. et Ag — Fucus buccinatisi,, et Turn., — maximus Osbek LIGHINEAE. LI CHINA Ag. — Pygmaea Stackb — Chondrus ? pygmaeus Lamx. et Dub. — Gelidium pygmaeuni Lyngb. exclus. nonnul. syn. Lichen confinis FI. D Stereocaulon confine Acbar Fuci sp. Auct. FUCOIDEAE. SARGASSUM Grev. — Sargassi sp. Ag. — Sargassi Sect. e. (Baccalaria) Endl. Baccalaria Gry. — Acinaria Imper., Don. et Targ. (ex parte) Fuci sp. L. et Auct. TURBINARLI Lamx. et Bry. _ Sargassi Sect. b. (Turbinarla) Endl. _ Sargassum turbinatum Ag Fucus turbinatus L. et Turn., — conoides Forsk. CARPOPHYLLUM Grev. _ Sargassi Sect. a. (Carpopbyllum) Endl. _ Sargassum phyllanthum et maschalocarpum Ag Fucus phyl- lanthus et maschalocarpus Turn. CYSTOSEIRA Grev. — Cystoseirae sp. Ag. _ Cystoseirae Sect.g. (Acina- ria ) Endl Machaia Gry — Catenaria Rafìn Acinaria Targ. 3C3 non Imp. — Gongolara Imp. — Ficotoma et Onichia Don. _ Phryganella et Fistulariae sp. Stackh. Faci sp. Auct. HALIDR1S Lyngb. non Stackh. — Siliquaria Stackh. Cystoseira sili- quosa Ag. Spec Fucus siliquosus L., Ag. Synop. et Dub. Cystoseirae Secl.f. (Halidrys) Endl. GARPODESMIA Grev. — Cjstoseirae Sect. e. ( Carpodesmia! ) Endl. Cystoseira zoster oides Ag. Fucus zosteroides Tura. SEIROCOCCUS. Grev. — Cjstoseirae Sect. d. (Seirococcus) Endl Cy- stoseira axillaris Ag. Fucus axillaris Tura. SCYTOTHALIA Grev. — Stackhousia Lamx. Cystoseirae Sect. e. ( Scytothalia ) Endl. Cystoseira dorycarpa Ag. Fucus do- rycarpus Tura. COCCOPHORA Grev. _ Cystoseirae Sect. b. (Coccophora) Endl. _ Cy- stoseira Tilesii Ag. Spec- — Fucus Langsdorjii Tura., — Ti- lesii Ag. Decad. EUCUS Grev. _ Fuci sp. L., Ag. et Auct. Fucastrum DG. — Virsoon Adans Virsoides Don. _ Cervina Gry Carpoblepta et Fi- stulariae sp. Stackh. — Halidrys sp. Stackh. et Lyngb. HIMANTHALIA Lyugb. et Bry. _ Lorea Stackh. _ Fucus elongatus et loreus L. et Auct. — Ulva pruniformis Gunn. non L. — Tre- mella pruniformis Grael. et Huds. non Wigg. et Rth. HORMOSIRA_A/o7ii7i'a A.Rlch.nonPers. nec Hill. —MoìiiliformiaLamx. et Bry Cystoseirae Sect. a. (Hormosira) Endl. — Cystoseira Banksii Ag Fucus Banksii Tura.,— »207ìf7//Ò7-mwLabillardiere. SPLAGHNIDIUM Grev. _ Fucus rugosus Tura, et Ag. _ Ulva rugosa L. — Scytosiphon rugosus Spr. POLYPHACUM Ag. _ Osmundaria Lamx. _ Sargassum proliferuin Spr. SCABEIRA Grev. — Polyphacum ? verrucosum Grev. et Ag. Msc. DUB1A AUT MINVS NOTA ADENPHORA Pai. d. B. CHLED1POLA Rafin. COENOGONIUM Ehrenherg et Kunth _ Mougeotia Linckii Ag. Syst. — Conferva radians Ag. Msc. — Peziza controversa Spr. DAWSONIA Pai. d. B. LUMBR1GARIA Pai. d. B. 369 LUTARIA Pai. d. B. MERETTIA Gry. _ Palmellae sp. Endl. PENICILLUM Pai. d. B. PHYS1DRUM ovale Delle Ch. PHYSOTRIS Rafin. PUSILLINA Bry. TRENTEPOIILIA aerugiuosa Ag. CONSULTO OMITTUNTUR ACHLYA Nees v. Esenb. ANTHOPHYSIS Bry. _ Volyox vegetans Mùller AMPH1BOLIS Ag. — Ruppia antarctica Labili — Cauìinia antarctica R. Brw. Posìdonia anlavctica Spr. BADIAGA Schwb. et Spr. _ Spongia L. CHAMOENEMA Kiz. CHARAGEAE Rich. _ Chara et Nitella Ag. CHROOLEPUS Ag. DI ATOMEAE ( A. ) Diatomaceae Ktz. _ Ord. Diatomaceae Trib. Fnt- stulineae (exclus. Oncobyrsa) et Trib. Hydvolineae (exclus. Hy- druró) Endl. > — Bacillarieae Bry. HYDRONEMA Carus. HYGROGROGIS Ag. Syst. non Fior, 1827. et Biasolet. non Mengb. INO CONIA M.lle Liberi LEPTOMITUS (if.b.animalibus exortae) Ag. Syst. non Fior. 1827. et Biasolet. non Rtz. nec Mengh. MYCINEMA Ag. MYCODERMA Pers., Desmaz., Dub. et Vallot ?NEMATOCOCCUS Ktz. PALMELLA ROSEA Lyngb. — Microcystis rosea Ktz. _ Protococcus roseus Corda. — Haematococcus roseus Mengh. PHYTH1UM N. v. Es. SYNCOLLESIA ?N. v. Es. et Ag. (exclus. S. muc ovoide). SYNAPHIA N. v. Es. non R. Br. SAPROLEGNIA N. v. Es. TRENTEPOHLIA purpurea et aurea Ag. ULV1NA Ktz. 4? 370 PARTE II. Considerazioni generali. L'incertezza che tuttora regna sulla vera struttura di molte alglie e sulla natura delle modificazioni, cui essa struttura è soggetta nelle varie loro parti, fa sì, che sommamente imperfetta sia ancora questa parte di organografia vege- tale. Taluno potrebbe muovere la questione se nelle alghe esista vera fruttifi- cazione: imperocché non i soli corpetti, che sogliousi chiamar seminuli, ma qualunque porzione della fronda, qualunque sua cellula può dar origine ad un nuovo individuo. E quel seminulo stesso non vegeta già soltanto per evoluzio- ne , ma per evoluzione del pari e per estensione a seconda delle condizioni , nelle quali è collocato. Per evitare tale questione non resta, nello stato attuale della scienza, altro partito, che quello di riguardare nelle alghe come corri- spondenti al frutto delle altre piante quelle modificazioni dei comuni organi di vegetazione, le quali, rendendoli inetti all'ulteriore nutrizione dell'indivi- duo cui appartengono, li costituiscono invece capaci di separarsene e vegetare da per sé. Con tale scorta più facilmente si riconoscono essi frutti, e sì evitano fallaci confronti cogli organi più complicati delle piante d'ordine superiore. E appunto a questo scopo che nuovi nomi furono dati alle varie specie di frutti- ficazione propria alle alghe, come di nuovi ne furono inventati per le altre classi di Crittogame. Ma perchè queste parti e variano nella stessa pianta e si sot- traggono ai rapporti di somiglianza, nonché nei singoli gruppi e tribù, persino nelle specie appartenenti ad un medesimo genere d'altronde naturalissimo, va- go perciò risulta il valore delle proposte espressioni. Così le voci: tubercoli* concettacolij elittri_, sporidiij stichidiij favelle j caselle^ anteridiij seminali , propaguli ec, sono ben lontane dall'avere determinati ed invariabili significati. L'organografia dunque della fruttificazione nelle alghe, ad onta dei tentativi di tanti esimii osservatori, versa tuttora in gravissime dubbiezze. Che se si consideri fisiologicamente la riproduzione delle alghe si scorge a prima giunta quali importanti questioni si abbiano a trattare. La direzione della forza vitale, per cui si effettua la trasformazione degli organi nutritivi in riproduttori, ha essa analogia alcuna con ciò che avviene nelle piante d'ordine superiore e che si suol chiamare fecondazione? Molte fucee offrono buoni ar- gomenti a sostenerlo, e nulla potrebbe contraddirlo nel maggior numero delle alghe. L'accoppiameulo poi dei fili delle Conjugate (Zygnemeae) ne offre un 37i esempio così brillatile, che, nelle apparenze almeno del fenomeno, nulla lascia a desiderare. E questa trasformazione di organi è dessa essenziale, mentre ne- cessaria certamente non è a riprodur le specie, perchè qualunque lor parte può fungere egualmente un tal uffizio? E questa facilità di propagarsi e riprodursi non potrebbe indur nella men- te il sospetto che molte delle forme costanti di organizzazione, da noi ammes- se quali specie distinte di alghe, altro non fossero che determinate combinazio- ni di elementi organici, effettuatesi ovunque le condizioni degli esterni agenti le favoriscono ? Le due opposte teorie della Panspermia e della generazione spontanea in qual Classe di esseri possono mai trovare argomenti più speciosi a discuterle e sostenerle? Né meno importanti sono le questioni relative alla vegetazione. E prima d'ogni altra ci si presenta quella, tanto combattuta e tanto acremente sostenuta, della metamorfosi delle specie. Avemmo più volte occasione nell'esame delle singole tribù di rimarcare, che le alghe di un dato gruppo rappresentano in certo modo quelle di un altro ad esso vicino ma più avanzato nell'organizza- zione. Questi rapporti organografici non sono già esclusivi delle alghe, che sempre essi si riscontrano, qualunque sia la serie degli esseri animali o vegetali che s'imprenda ad esaminare; solo che nei più semplici quei passaggi riescono più manifesti e graduati. Alcune alghe si direbbero eguali a certe altre finché sono nella prima loro età, ma mentre quelle s'arrestano ad un determinalo grado di sviluppo e in quello si riproducono, queste invece crescendo acqui- stano sempre più complicata struttura, e solo dopo averla tale conseguita diven- gono atte alla riproduzione. Insorge però alle volte nuova circostanza a render più complicali quei rapporti. Queste alghe cioè, benché destinate a sviluppare più decise ed elevate le loro forme, pure anche in quelle inferiori possono ri- prodursi, né più ci resta allora il carattere per cui le distinguevamo dalle pri- me. Se non che quella riproduzione è ben diversa dall'altra, che solo più tardi si effettua: la prima non è che l'evoluzione o l'estensione di una delle parti inservienti alla vegetazione; la seconda invece è dovuta all'estensione o all'evo- luzione di una bensì delle parti medesime, ma che ha anteriormente conseguito tale organica modificazione, per cui né serve più alla vegetazione dell'indivi- duo cui appartiene, né gli è concesso ulteriore sviluppo finché resta dipendente da esso. Eurono dunque giuste ed assennale le osservazioni, che, primo fra tulli, l'italiano Carradori sul finire del passato secolo, e fin dal principiar del pre- sente tanti alemanni naturalisti fecero e fanno tuttodì sulle metamorfosi delle 372 forme inferiori di alghe in più complicate; ma non sempre ne furono ragione- voli le deduzioni. Le operazioni tutte della natura sono insieme collegate di nesso necessario ed indissolubile, che se il più delle volte non giungiamo a rav- visarlo, ella è colpa della nostra imperfezione e dell'elevatezza del velo, nel quale la natura stessa asconde i suoi misteri. Di essere in essere, dal meno complicato a quello che lo è maggiormente sempre progressiva è la marcia della natura, e ad ogni passo come timorosa s'arresta quella creatrice e quasi ad espe- rimento tenta di conservare e riprodurre il nuovo suo parto. Certamente que- gli esseri non differiscono fra loro, né in essenza, ne in natura, solo il grado di sviluppo l'uno dall'altro li distingue: in realtà non esistono che individui e tutte le divisioni e suddivisioni sistematiche sono creazioni dell'uomo e non di natura. Ma se ad esse si volesse rinunciare, rinunciare si dovrebbe in pari tem- po a più intenderci,, perchè tolto ci avremmo il linguaggio. Tulle le piante, quaute esse sono, si ridurrebbero per noi ad una vescichetta vegetale, e le va- rie fasi del di lei sviluppo tutte inghiottirebbero in poche espressioni le sessan- tamila specie annoverate dai botanici. Chiaro risulla perciò quanto sia necessa- rio adottare nello studio degli esseri naturali quella parte di sistematica arti- ficialità, ch'è fatale ma necessario sussidio alla limitazione della nostra mente, e tutti i nostri sforzi devono solo mirare a servirci di tale artifizio per avanzare quanto più possiamo il dominio delle nostre cognizioni, vigili sempre a non confondere il mezzo pericoloso, di cui siamo obbligati a servirci coli' espressio- ne vera e naturale dei fatti. Per ispecie dunque, in algologia al pari che in qualunque altra Classe di esseri viventi, nell'attuale stato della scienza, si deve ammettere qualunque forma è da per sé capace a riprodursi. Negli inferiori questa riproduzione avviene per mezzo d'uno dei comuni organi della vegeta- zione : nei superiori invece, oltreché in quel modo, essa si compie ancora per mezzo di un organo, che non può più servire alla vita dell'individuo, che lo generò, e che se ne è reso affatto indipendente. Ma sì negli uni che negli al- tri la riproduzione impronta il valore della specie. La questione potrà sussistere parziale e relativa ad un dalo essere, ma essa è intieramente distrutta rispetto al concetto generale, e quel caso stesso particolare potrà essere e sarà rischia- vato da ulteriori osservazioni. La nutrizione offre in paragone minori difficoltà, ma anche su questo ar- gomento siamo ben lungi dall'avere complete cognizioni. Semplice ed omoge- neo tessuto cellulare costituisce la tessitura di tutte le alghe. E a causa di que- sta omogeneità che si dà il nome di fronda a tutta la loro massa , e solo per evitare uaa circonlocuzione si parla, con linguaggio figuralo, di radici, di tronclii e di foglie. Tutte le parti della fronda sono dotate di eguali funzioni nutritive, di modo che qualora se ne immerga una porzione nell'acqua, restan- done l'altra emersa, la prima continua a vegetare, mentre la seconda si disecca e perisce, o, se la fronda era già diseccata anteriormente, la prima si gonfia ed inturgidisce, mentre non avviene alcun cangiamento nella seconda. Ciò può dipendere, o dalla niuna trasmissione di fluidi da una parte all'altra, o più ve- rosimilmente dalla insufficienza di essa a paragone della evaporazione, che ra- pida avviene nelle parti esposte all'aria. Molte alghe specialmente delle maggiori stanno attaccate a qualche corpo sommerso, o mercè uu impastamento della lor hase, o uno scudo paragonabile al talo dei Licheni (Fucus, Cjstoseira età), o mercè uncini particolari più o meno allungati , semplici o ramosi, le cui estremità fortemente s'abbarbicano (Laminaria), o mercè vere produzioni radiciformi (Caulerpa), o mercè fibre e fulcri particolari (Codiunij Dictjota etc), o finalmente mercè fili tubulosi continui ed incolori (Conferveae, Ceramieae etc). La loro base è conformata alle volte a guisa di emisfero o di cilindro cavo, ed attaccata per mezzo di mammeloni che ne guarniscono la estremità (Laminaria). Quelle di un genere soltanto immediatamente sopra gli uncini radiciformi sono provvedute di un disco che simula l'organo, chiamato cotiledone nelle felci (Flimanlhalia). Solo in alcune alghe marine si può distinguere una parte, che rappresenti in qualche maniera il tronco. Essa è formata dall' unione in fascio di cellule allungate, delle quali pure risultano le nervature, che alle volte percorrono le (rondi ramificandosi pennatamente o a forma di palma come nelle vere foglie. Quel tronco non è altro quindi che la porzione inferiore della fronda , le cui parti membranose laterali si sono obliterate tanto maggiormente quanto più pronunciate sono le biforcazioni. Il restante delle froudi medesime è formato da cellule più o meno rotondale, le quali o si dispongono s'un unico piano in forma di lamina, o si collocano a capo una dall'altra in fili, che si sogliono chiamare articolati. Quell'apparenza di articolazioni è prodotta, o dal contatto delle estremità di uu sol o/dine di cellule, o dalla coesistenza di più ordini di cellule tutte fra loro eguali, o dall'alternare di più lunghe ed altre più brevi. Due sono i modi di sviluppo successivo. Ciascuna cellula si allunga e si dilata e quindi si sdoppia; ovvero i granelli che costituiscono la sostanza ami- lacea contenuta in ciascuna cellula, crescono a poco a poco e divengono essi stessi altrettante cellule. Nel primo caso comincia dal manifestarsi uno strozza- 374 meato trasversale, per cui risulta nell'interna cavità un collare, che crescendo gradatamente verso il centro termina per costituire un vero diafragma [Confer- vae): ovvero tale partizione si fa replicatamante per lo lungo e la cellula pri- mitiva si converte in un fascio di cellule allungate paralelle ed eguali (Polysi- phonia eie). Nel secondo caso invece le nuove cellule formate in seno alla pri- mitiva o restano da essa comprese, o la lacerano facendosi strada all'esterno. La scoperta di questa maniera di sviluppo si deve originariamente a Turpin, e la sola obbiezione ebe contro essa si elevava nell'organogenesi vegetale, quella cioè di non trovarsi i resti della cellula primitiva, è pienamente abbattuta dal fatto di un gran numero di alghe [Microcysiis, Haematococcus eie). In altri casi all'epoca in cui appariscono le nuove cellule le pareti dell'antica, nel cui seno esse si svilupparono, più non si discernono, perchè intieramente convertite in muco simile a quello che le contorna, come osservò per il primo Morren nella Palmella alpicola (Phjtoconis). Estensione dunque ed evoluzione mol- tiplicano le cellule nelle froudi delle alghe, per estensione del pari che per evoluzione ne germinano le sporule. In questi atti vegetativi ciascuna cellula si nutre da per sé assorbendo l'ac- qua che la circonda, sia l'esterna se essa vi è a contatto, sia quella che vi è giunta per i meati intercellulari: essa la elabora e ne secerne particolari prin- cipii. Le verdi, sotto l'influenza dei raggi solari, decompongono il gas acido carbonico disciolto nell'acqua, e ne sviluppano l'ossigeno, ma conviene perchè ciò avvenga, che ogni cellula vi sia ad immediato contatto, e tali alghe sono perciò sempre costituite da fili o da sottili membrane. Il suolo, sul quale nascono, ha certamente uua qualche influenza sulla lo- ro nutrizione perchè, quantunque il maggior numero delle specie nasca indif- ferentemente su qualunque corpo sommerso, alcune però sono esclusive degli scogli calcarei, altre dei granitici o dei basaltici. Le Laminarie e le Corde pre- diligono i fondi sabbiosi al pari delle Gaulerpe. Alcune specie di Gallitamnii nascono unicamente sui scogli, altre souo esclusivamente parassite della Furcel- laria; come la Polysiphonia fasligiata non si riscontra altrove che sulle frondi del fuco nodoso. E fra le alghe stesse d'acqua dolce alcune amano i terreni ar- gillosi (Botiydium), altre i calcarei [Hydrurus), e molte sono parassite di al- tre specie determinate o almeno di certi generi. La natura delle acque e le loro coudizioni di calore, di moto, di quantità, di purità o di principii estranei in esse contenuti influiscono del pari molto evidentemente nel determinare l'abi- tazione delle specie non solo, ma per anco d'interi generi e tribù. Poche sol- 375 'auto sono Comuni al mare e alle acque dolci, poche alle acque fredde e ter- mali; ve n' ha per altro auche di comuni alle acque termali e marine. Ma quan- do avvenga che le stesse specie si trovino in condizioni diverse, esse presentano sempre nel loro aspetto un carattere affatto particolare. Cosi la differenza ri- marchevolissima tra la vegetazione marina delle coste della Norvegia e quella del Baltico è dovuta, secondo I. G. Agardh al differente grado di salsedine di quei due mari (0. Alcune solo nell'acqua stagnante si propagano, altre soltanto nelle correnti; ve n'ha di solamente inondate, e altre invece trovansi sempre a ragguardevole profondità sott'acqua. Cosi nello stesso mare alcune si riscon- trano solo presso alla superficie, altre invece ne ahitano costantemente gli ahissi, e sono appunto quelle che, meno risentendo l'influenza del clima e della re- gione geografica, sono comuni a pressoché tutti i mari. Il signor D'Orhigny iustitui sull'abitazione delle alghe del golfo di Gascona tanto esatte osservazioni, che giunse a distinguere ed indicare i differenti livelli, ai quali vegetano più o meno rigogliose le differenti specie. Egli vide, che quelle, le quali nascono verso la metà della regione loro propria, relativa alla profondità, riuniscono tutti gli elementi necessarii al loro sviluppo , e mostrano attivissima vegetazio- ne; mentre quelle che nascono verso i limili o fuori di quella regione, ad un livello cioè troppo elevato o troppo basso, sono languenti, fruttificano incom- pletamente, sono quasi sempre coperte di animali marini, che le distruggono, e non vivono che poco tempo in paragone alle congeneri convenevolmente col- locate. Cento piedi sotto alla superficie del mare raramente si riscontrano al- ghe viventi, solo ve n' ha di attaccate a massi accidentalmente staccati dagli sco- gli superiori, e le quali tosto periscono. Il numero delle specie diminuisce di- scendendo nelle profondità dei mari, come s'accresce invece quello dei polipaj. Oltre a quaranta piedi della superficie raramente si riscontrano delle Ulvee; oltrepassali i sessanta, non vi hanno più Ceramiee, oltre i cento non vi hanno più neppure Fucoidee, e l'impero vegetale cessa per lasciar più libero il campo all'animale che in quegli abissi sembra spiegarsi con ricchezza maggiore di for- me e di tinte. Anche relativamente alla posizione geografica, certe forme predominano in determinate zone tanto rapporto ai generi che alle specie, e gradatamente scom- paiono presso ai confini di quelle per cedere il luogo ad altre egualmente ca- (i) È fatto universalmente conosciuto dai chimici, che per lo stesso motivo le alghe del Baltico contengono una proporzione minore di jodio, io confronto a quelle dei mari dotali di salsedine maggiore. 376 ratteristiche. Alcune sono esclusive di certi mari, altre invece si potrebbero dire cosmopolite. Molte delle così dette, alghe articolate, le Ulvee e le Sifonee, fra le quali specialmente il genere Codium,si riscontrano in tutte le parti del mondo. 11 Codium tomentosum si trova nell'Atlantico, dalle coste d'Inghilter- ra e di Scozia fino al Capo-di-buona-speranza : nel Pacifico, dallo stretto di Nootka fino alla costa meridionale della Nuova Olanda: abbonda nel Mediter- raneo sulle spiaggie d'Italia, di Francia, di Spagna e su quelle dell'Africa: è comune nell'Adriatico: ma cresce sempre solitario e sparpaglialo. Strettamente sociali invece sono le Ulvee, perchè indipendentemente dalla zona e dal clima esse crescono rigogliose ovunque si combinino favorevoli condizioni locali. Esse sopportano le più alte temperature, ed egualmente si riscontrano agli ultimi confini, cui per anco si giungesse nell'Oceano artico. Le Dittiotee si aumentano progressivamente in quantità ed in numero di specie, di mano in mano che si avvicinano all'equatore. Le Fucoidee, prese in senso esleso, abbondano bensì nei mari settentrionali ma crescono nella varietà delle specie allontanandosi dalla zona polare. I Fucus lussureggiano fra il 55.° ed il 44-° di latitudine; ed assicura Lamouroux che raramente si vedono avvicinali all'equatore oltre il 36.° Le Cistoseire si trovano fra il 5o.° ed il 25.° di latitudine, crescendo di mano in mano che i Fucus diminuiscono. Predomina esclusivamente nella Nuova Olanda un distinto gruppo di circa venti specie di Cistoseire, appunlo tanto singolare quanto quello delle Acacie afilli. 11 genere Sai gassimi j il più esteso fra le fucee, perchè comprende circa settanta specie ben distinte, è li- mitato fra i due tropici e solo di rado oltrepassa il 42-° nell'emisfero più caldo. Le poche specie che se ne raccolgono nell Adriatico vi sono accidentalmente portate dalle onde in istato di deperimento.il mar Rosso allincoutro ne è pie- no, onde a ragione diceva Plinio « vefertus est syìvìs. » Le prodigiose ac- cumulazioni di Sargassi nell' Atlantico spaventarono i navigatori portoghesi che n'ebbero ritardato il corso dei loro vascelli. Colombo e Leiro le paragonavano a sterminale praterie. Queste accumulazioni avvengono presso all'equatore nel- l'Atlantico egualmente, nel Pacifico e nell'Oceano Indiano, ma quello che i Portoghesi chiamano particolarmente Mar do SargassOj si estende dal i8.° al 22.° paralello di latitudine settentrionale e dal 25.° al 4°-° meridiano di lougitudiue occidentale. Un gruppo distinto di sette specie di Sargassi [fulvel- lunij microceratium , macrocavpum , sisymbrioides, Horneri, pallidunij he- iniphylìum), è tutto particolare dei mari della China e del Giappone. Le Ma- crocislidi, che a ragione si dicono i giganti della flora marina, si trovano dal- 377 l'equatore fino al 45. ° di latitudine meridionale. Le Laminarie predominano fra il 4o.° ed il 65.° di latitudine. La vastissima tribù delle Floridee, a testi- monianza di Lamouroux, abbonda nelle zone temperate, ma appunto la sua va- stità implica molte eccezioni. Il genere Amansia è esclusivamente tropicale: gli altri Hjpnea e Acanthophora sono essi pure più frequenti nella zona tro- picale, che nelle vicine. Comparativamente poi la zona temperata meridionale è più ricca di Floridee di quello che la settentrionale. Sono le Floridee quelle fra le alghe marine che più risentono l'influenza del differente grado di sal- sedine delle acque. Così il loro numero sulle coste Svedesi non giunge a metà della cifra cui ascendono su quelle di Norvegia, né si riscontrano punto in doppia quantità sulle coste Inglesi, come lo sarebbero in quella proporzione se la differenza fosse solb dovuta alla zona ed al clima. In generale il numero delle specie è maggiore nelle Floridee, che nelle Fucee, cui seguono in ordine di ricchezza le Ulvee e a queste le Dittiotee per tacere delle tribù meno nu- merose. Secondo Lamouroux il numero presumibile di tutte le specie ascende a cinque o seimila, secondo Duby a diecimila, e ne conosciamo finora poco più di mille! Anche il mondo primitivo ebbe le sue alghe; ed oltreché è presumibile, che un gran numero ve ne avesse di quelle più tenui, delle quali non è più possibile trovar traccia, ve ne hanno molte le cui forme si conservarono per impressione nei terreni di transizione, ed esse imitano e superano alle volte per istranezza e dimensioni le specie attualmente viventi (v. Brongniart Hist. végét. foss. 1828. Fucoides fossiles Mém. de la S. d'Hist. N. I. 3oi.). L'analisi chimica rinvenue finora come materiali mediati delle alghe, car- bonati, solfati, fosfati, muriati ed idrojodali di calce, soda, potassa e magnesia, bromo, ammoniaca , silice, ferro e manganese. Ma pochi ed incompleti sono i lavori su questo argomento : e difficile tuttora riesce il decidere quali di tali sostanze entrino come elemento del tessuto, e quali vi sieno chimicamente de- poste nella cavità delle cellule o nei meati intercellulari o solo all'esterno delle frondi medesime. Per ciò che spetta ai principii immediati si annoverano dai Chimici: mucilagiue, gelatina, albumina, materia vegeto animale, fibra vege- tale, bassorina, olii empireumatici, fissi e grassi, resina, zucchero analogo a quello della manna, acido acetico e perfino prussico, sostanze estrattive e so- stanze coloranti. I quali principii perù variano a seconda dei processi usali per ottenerli; onde nasce il dubbio che non tutti fossero realmente contenuti nelle alghe sottoposte all'esame, ma alcuni si debbano piuttosto ai reagenti e alla chi- 373 mica operazione. Molto certamente resla a fare, come in tutte le altre parti della Chimica organica, così pure nell'algologica. Ed olire l'incertezza dei ri- sultamene, or ora sommariamente riferiti, ne fanno fede i tanti fenomeni, clie anche agli esterni sensi si appalesano, e dei quali tuttora si desidera la spiega- zione. Sono di tal novero, per esempio, le efllorescenze zuccherine, che già avvertite da WauqueUn, Gualther e Claubry nella Laminaria saccharìna e nella Halidrys siliquosa, e da JFhileliorne nella Rìiodomenia palmata } fu- rono dal dott. G. D. Nardo riscontrate in un gran numero di altre fucee e fiori- dee. Avvertì egli del pari altre efflorescenze diverse dalle zuccherine nelle Ulvee. E analoga a quelle efflorescenze è l'incrostazione delle Acelabularie, delle Po- lifise, delle Alimede e di altre a quelle affini, incrostazione che si forma al con- tatto dell'aria e sotto la sferza del sole, mentre molte volte non ne presentava- no alcuna traccia all'esterno fintantoché viveano nel seno delle acque. Anche Plinio sembra voler parlare di tale fenomeno relativo ad alghe del mare India- no vedute dai soldati di Alessandro quando dice: « Qui navigavere in Indos » Alexandri milites frondem marinarum arborum tradidere in aquam viri- ti demfuisse> exemptam sole prolinus in salem arescentem (L. XIV. e. XXV.). » Molte volte quell'incrostazione calcare si deposita in tanta copia alla superficie di frondi tenuissime, che ne maschera perfino la natura assomigliandole a veri polipaj [Corallineae età). Si crede da alcuni che la tessitura stessa della fron- da restì imbevuta della sostanza calcare, ma sono indotto a crederla solamente esterna dal fatto, che scioltala mercè un qualche acido, la fronda non solo si rinviene intatta, ma alle volte anche coperta di Diatomee parassite, che prima non si vedevano, perchè comprese esse pure dall'incrostazione medesima (così riscontrai in esemplari fruttiferi della Galaxaura rugosa Lamx. da me raccolti nel Golfo di Napoli). Appartiene alle proprietà fisiche del tessuto quella osservata dal Consiglier Martens nei tubi, per esempio, di Valonia, che posti nell'acqua dolce scoppiano con violenza, emettendo il fluido contenuto forse per l'impeto con cui se ne effettua l'esosmosi. E quella pure fattami avvertire dall'amico Zanardini nella Palmella crassa Nacc, la quale molle e gelatinosa, mentre sta nell'acqua ma- rina, se la sì ponga invece nell'acqua dolce divien tanto rigida e fragile che al più piccolo tocco tutta si rompe, e dopo pochi istanti spontaneamente si spezza in minimi frammenti. Così anche se sia diseccala, rinviene alle forme e alla consistenza primitiva, quando se la immerga nuovamente nell'acqua salsa, s in- turgidisce, ma solo per frangersi in cento pezzi se vien posta nell'acqua dolce. 379 E qui cade in acconcio di avverlire, come da molli si asserisca che anche dopo lunga diseccazione le alghe tutte ritornino a vita rimesse che siano a molle. Sostengono i più non essere già le f rondi che rivivano, ma solo le spo- rule, che conservano assai lungamente la facoltà germinativa, per cui poste in opportune condizioni vegetano tanto rapidamente da far apparir rediviva la fron- da che le portava. Sembra probabile die ciò avvenga realmente nella maggior parte dei casi; ma è d'altronde verissimo, cbe alcune, anche dopo molti anni di diseccatone, assolutamente rivivono, e tali sono, per esempio, molte specie di Oscillarle, le quali e riprendono i loro naturali movimenti e vegetano come prima di diseccarsi. Per quelli che ammettono come carattere di animalità l'im- possibilità di far rivivere un essere in cui le manifestazioni tutte della vita fu- rono per lungo tempo sospese, è questo un nuovo criterio a riconoscere la na- tura vegetale delle Oscillarle. Ma, e quella impossibilità relativamente agli ani- mali è tuttora ben lungi dall'essere dimostrata, e la natura delle Oscillarle per ben molti altri caratteri è bastantemente manifesta; solo desta maraviglia, che chi è sostenitore di quella sia fra i più acri oppugnatori di questa. E pure da ammirarsi, come fenomeno di chimica organica, la copia dei prin- cipii coloranti che le alghe contengono , la colorazione delle loro frondi nei varii loro slati di vita e di deperimento, nonché lo sviluppo di quei principii medesimi nel processo della decomposizione. Parlarono già gli antichi delle tinte rosse, purpuree e gialle che se ne possono ottenere o colla semplice ma- cerazione, o digerendole con orina e con muria. Sembra probabile che il Jodio sia l'elemento primo e più efficace della colorazione nelle alghe marine, ma quali sieuo i composti ch'esso formi, e come questi sieno subordinali alla natu- ra particolare delle singole specie, sono questioni delle quali non si può spera- re di trovar per ora la soluzione. 11 dolt. Nardo studiò lo sviluppo di quei prin- cipii coloranti, e lo chiamò stadio di pigmentazione. Distinse egli la pigmenla- zione purpurea propria alle Floridee, alcune Fucee, una sola Ulvea (Porphjra) ed una Nostochina {Palmella crassa): la giallo bruna ed olivastra propria alle Fucee e la verdognola alle Ulvee. Soventi volte accade che un'alga di colore oscuro mentre è viva, acquisii diseccandosi la splendida e vivissima tinta del Carmino {Delesseinaj Plocamiunij Nilopìiylluni eie.). Altre invece si scolo- rano colla diseccazione o acquistano tinte più cariclie ed opache [Poljsipho- nia, ChondniSj Laurencia), mentre le Fucee, per esempio, verdi finché sono viventi anneriscono tosto che muojano, quand'anche restino immerse nelle onde. La Porfiria , quand'anche secca, cangia sorprendentemente di colore restando 38o lungamente esposta all'aria e alla luce. Ed anche le alghe d'acqua dolce, e spe- cialmente quelle delle acque termali, sono interessanti sotto questo rapporto. Fa già osservato che le rosette di Oscillane galleggianti, quando invecchino si colorano colle più vive tinte dell'iride. Quei colori sono dovuti a specie paras- site di Oscillane o di generi affini, che si sviluppano sulle maggiori quando ne principia la decomposizione. Molte Oscillane termali, quando sieno diseccate e s'immergano nell'acqua tanto dolce che termale, la colorano dell'azzurro il più vivo. Altre specie d'acqua dolce nelle slesse condizioni la colorano in gial- lognolo, ed altre in roseo o in rosso (Oscillano. Pliaraonis etc). Anche l'odore varia nelle differenti specie. Così, p. e., rimarcò il dott. Nardo, odor di cocomero nella Dictyota dichotoma, di raffano rusticano nel Fucus spi- raliSj ed uno affatto particolare nell'Ulva lettissima. La Rhodomenia palmata? che dagli Scozzesi si conserva, dappoiché fu diseccata al sole, chiusa in sacchi per sette e più anni, spira odor soave di viole quando se la rammollisce nell'ac- qua. Fra le alghe d'acqua dolce è generalmente conosciuto il puzzo che man- dano tutte le Oscillane nel decomporsi, e molte anche nello stato di vita. Quello degli Hrdrurus è tanto rimarchevole che Vaucher chiamò Ulva foetida la specie da lui illustrata. Ed affatto particolare è l'odore di aglio che mandano nel di- seccarsi tutte in generale le Vaucherie, ma specialmente la dìchotoma. Tanta copia di priacipii e di chimiche proprietà non poteva a meno di ren- dere le alghe utili in una folla di applicazioni, e la pratica supplì in questo alla mancanza di perfette cognizioni analitiche. Molte alghe furono trovate comme- stibili. La Rhodomenia palmata è consumata in grande quantità col nome di Dulse o Dulesh in Iscozia, con quello di Dilesk o Delisk in Irlanda, e di fuco saccarino in Islanda. La L'idea edulis è mollo usata in Iscozia e nel Sud-Ovest dell'Inghilterra. La bellissima Ilaria esculenta forma parte del semplice nutri- mento delle classi povere in Irlanda, Scozia, Islanda, Danimarca e nelle isole di Faròer. La Poiphyra umbillicataj laciniata e vulgarisj condite con aceto e burro, sono portate sulle tavole inglesi come una ghiottoneria col nome di Laveria in mancanza di quelle si adopera l'Ulva latissima che forma il green Laver. Anche l'Ulva lactuca si conserva dagli Inglesi condita col sale , e si mangia poi bollita nell'acqua con oglio e succo di limone; e sulle coste occi- dentali della Scozia la si raccoglie in Marzo e, contusa e cotta, la si mangia a guisa d'insalata con pepe, sale ed aceto, o in forma di zuppa con cipolla ed aglio. Insieme ad altre Ulvee e alla Halyseris si macera nell'aceto anche dai pescatori toscani. Gridano per le strade di Edimburgo a chi vuole Pepper- 38i Dulse e Tangle, che altro non sono se non che Laurencìa pinnatifula la pri- ma, distinta per il suo sapore acre e piccante, e giovani froudi di Laminaria digitata la seconda. La Laminaria saecharinaj oltreché somministra Io zucche- ro di cui esclusivamente si fa uso in Islanda, ivi pure si mangia col butirro, o solamente aLhrustolila al fuoco o cotta nel latte. Gl'Inglesi stessi la mangia- no colta ad uso delle piante oleracee. Gli isolani di Timor e generalmente quelli di tutte le Molucche , che pur possedono la maggior parte dei vegetali nutritivi delle regioni equatoriali, ricercano per cibo molli fuchi. I feroci na- turali delle isole Rawak, Bony e Vaigion ne impiegano in grande quantità e fanno provvisione specialmente dei Sargassum vulgare, pyriforme e acanlhi- carpunij che Guaudichaud vide appesi in gran quantità nell'interno delle loro case. Gli abitanti delle isole Marianne e di quelle dell'Arcipelago delle Caro- line, fra le molte alghe che mangiano, hanno sopra tutte per più gradite la Vaucheria fastigiata e l'Ilea clathrata, che chiamano Laumontj e condisco- no con sale ed aceto. La Llea compressa è mangiata dagli isolani di Sandwich, ne a tutti, né sempre si accorda, eh' è riservato alle donne dei capi attaccali alla corte di Rihoriho , apparecchiarla unitamente allo Sphaerococcus concinnus ed ai Sargassi cuneifolium ed aquifolium, colla carne di echini tagliata e pesta, formandone un manicaretto che i viaggiatori assicurano saporitissimo. Su tulle le coste ove abbondano le Laminarie esse sono usate qual cibo, ed insieme ad altre alghe fucoidee, come, per esempio, la Durvillaea uliliSj formano un'im- portante risorsa per le povere popolazioni delle coste occidentali dell'America meridionale. L'uso della Laminaria saccìiarina fu dalle Indie recato anche in Francia. Così il Sargassum bulgare si mangia preparato con aceto nelle Indie del pari, che nei mari del Sud ed in varie parti della Spagna, e si assicura che il suo sapore emula quello del finocchio marino [Critlununi maritimum). Nella Chiua e Cochinchina si fa molto commercio di una specie di tavolette appa- recchiate colla Conferva Laureiro^ le quali mescolate allo zucchero riescono nutrienti e rinfrescanti. Alcune specie di Gelidium sono adoperale anche in Asia, ove certo non è scarsezza di altri condimenti, a render i cibi più acri e piccanti, e X Agarum Clathrus vi è mangiato a preferenza delle Rape dolci di cui ricorda il sapore. E pure di una specie di Gelidium, che sono fabbricali 1 tanto famosi nidi mangiabili di Rondine (i). Costituisce un cibo ricercato al (i) Tre sono le specie di Rondine che fabbricano di tali nidi, ma due, vivendo a qual- che distanza dal mare, non adoperano i fuchi che come cemento, mentre la terza ne cosli- jtuìsce per inlevo il suo nido, che perciò è il più ricercato. 382 Ceilan la Gracilaria UchenoiJes e Griffiths cercò ci' introdurre come cibo an- che in Inghilterra la Gracilaria compressa , che a quella è affine. Molte al- ghe finalmente diseccate e polverizzale si usano nei paesi settentrionali, unite alla farina per farne pane. E non sono da tacersi i tentativi del bravo dott. Nardo di render commestibili alcune delle alghe nostrali. Ne ottenne egli gra- devoli fritturette, salse e gelati. Propone poi di trarre utile partilo da alcune delle più comuni nei tempi di carestia. Anche gli animali domestici gradiscono come cibo molte alghe. La Rho- domenia palmata è tanto appetita dalle capre e pecore, che il Vescovo Gun- ner la chiamava Fucus ovinus. Nell'Islanda cavalli, bovi e pecore sono man- tenuti col Fucus vesiculosus nei mesi d'inverno, e nel Golhland Io si dà an- che ai porci. La Laminaria saccharina si dà nella Finmarchia ai giumenti ed ai bovi, che ne conseguono una carne pingue ma nauseosa. Il Fucus serratus e la Chorda Filum costituiscono un importante articolo di foraggio per le pe- core. Nella Nordlandia si mescolano molte specie di alghe marine crude o cotte alla farina, ed in molti altri paesi ai comuni foraggi per somministrarle ai be- stiami . E non solo a nutrimento, ma ad uso pur anche di Medicina furono con- vertite le alghe. Il Jodio non si trova che nelle alghe marine , e tutte più o meno sembrano contenerne, alcune però in quantità molto maggiore delle al- tre, ed è perciò decantata la Gigartina helminlhochorton o musco di Corsi- caj che nelle farmacie trovasi sempre impura di numerosissime altre specie e specialmente di Hypnea musciformis , che costituisce per intero la Corallina di Levante. Le alghe delle coste della Francia contengono secondo Davy mag- gior quantità di Jodio che quelle delle inglesi , e secondo Eklond la Lamina- ria buccinalis [Ecklonia) del Capo-di-buona-speranza ne contiene più di qualunque alga Europea. Nell'America meridionale è già in uso antichissimo una specie di Laminaria^ che si chiama nella lingua di quel paese Palo-colo^ eh' è quanto dire sciolgi-gozzo. Anche la Corallina officinalis si conserva nelle farmacie agli usi di dissolvente ed antielmintico, ma a causa dell'incrostazione calcare, che ne costituisce la parte maggiore, essa gode di minor efficacia in pa- ragone a pressoché tutte le altre alghe. Molte delle nostrali si usano con gran- dissimo vantaggio, non solo per i loro principii salini, ma ancora per la molta mucilaggine che contengono [Gracilaria confervoides),m sostituzione al Chon- druscrispus che col nome di fuco carageo o fuco periato si usa da gran tem- po in Inghilterra. In Iscozia si fa gran uso specialmente per cibo mattutino 383 della Rhodomenia palmata per combàttere lo scorbuto, l'elmintiasi ed in ge- nerale l'alito fetente, qualunque ne sia la cagione. Ivi pure si attribuisce virtù anodina all'Ulva lactuca clie si applica alla fronte e alle tempie nelle febbri e nei dolori di capo per conciliare il sonno. Neil' isola di Side si pretende ecci- tare il sudore e contemporaneamente purgare colla Laminaria saccharina bol- lita nell'acqua col butirro. Il Fucus vesiculosiiSj ossia la quercia marina delle farmacie, è già fin dall' antichità usalo in medicina sotto molte forme, e spe- cialmente carbonizzato (Etiope vegetale), owero ridotto intieramente a cenere. Furono pure attribuite alle algbe altre proprietà forse favolose, come quelle cbe formano nelle farmacopee l'apologia d'un gran numero di rimedii, e si vanta- rono come utili nelle malattie nefritiche e vescicali (i), e contro le febbri in- termittenti, e come diaforetiche, diuretiche, antiscorbutiche, e persino come atte a facilitare il parto. Così fu vantato il Nostoc contro i dolori prodotti dai cancri e dalle fìstole, e Nicaudro amministrava alcune alghe macerate nel vi- no contro il morso de' serpenti. E dalla proprietà di consolidare le ossa fran- te, ebbero il loro nome le Conferve [a conjerraminando), perchè Plinio asserì che nessun mezzo meglio consegue quello scopo. La loro virtù poi an- tipodagrosa, specialmente per uso esterno, quando sieno pestate con acquama- rina in forma di empiastro, non solo fu decantata dagli antichi, ma è anche riconosciuta dai recenti. Anche le arti posero a profitto i ricchi materiali contenuti nelle alghe. La Gracilaria tenax somministra ai Chiuesi un glutine ed una vernice. \ enti- settemila libbre di quest'alga sono in termine medio annualmente recate in commercio a Cauton. Numerosissime manifatture hanno il loro materiale in tale sostanza, che entra come principale ingrediente nella gomma chiamala Chin-chou e Haitsai o Hait-chai nella China e nel Giappone. Sulle coste me- ridionali e occidentali dell'Irlanda si fa un'eccellente colla col Cliondrus cri- spus, e la si adopera anche dai cuochi in sostituzione dell'ittiocolla nella co- struzione dei loro Blanc-mangèj che ne riescono più grati al palato. Servivano i fuchi agli antichi per colorire le vesti che perciò appunto diceausi fucate: Plinio ne fa testimonianza e troppo chiaramente è indicata la specie di cui egli intende parlare [Rìiodomela tinctoria), perchè la si possa confondere, come a'cuno vorrebbe, con un lichene (Rocella tinctoria), che in alcun modo non (i) La gente di mare conosce per antichissima tradizione questa proprietà di tutte in generale le alghe marine, ma specialmente delle varie specie di Sargasso, e ne forma il primo rimedio nelle malattie dulie vie orinane. 38/t si può dire fornito di foglie crespe. E altrove lo slesso Plinio asserisce adope- rarsi anche la quercia marina [Fucus vesiculosus) per tingere le lane, per ta- cere delle testimonianze di Orazio, di Luciano e di Tibullo. Di fuchi si servi- vano gli antichi per fabbricar belletto ad ornamento femminile, come ce ne fanno fede Giulio Polluce e Luciano, onde ne venne il detto fucum facere , per in- gannare. Le fanciulle di Kamtcbaika prepararono de' fuchi con grasso di pesce e ne fregano il volto per farlo rubicondo, e, senza ricorrere agli ultimi confini dell'Asia, anche sulle spiaggie del Mediterraneo conoscono le donne l'arte di macerar convenientemente più specie di fucili per tingerne le gote. Oltre che per uso di medicina, anche per vantaggio delle arti si estrae dai fuchi iodio e bromo. Ma l'articolo più importante per il commercio è la soda, che dalle alghe fucoidee si ottiene migliore ed in maggior copia di quello che da qualunque altra classe di piante. Solo nelle Orcadi vi sono impiegati più di 20,000 individui, e due fra gli imprenditori di tale speculazione nelle Ebridi emettono annualmente per 16,000 sterline, di soda. Si può asserire senza tema di punto esagerare, che questo ramo d'industria forma la risorsa d'intere po- polazioni, la cui condizione fu per esso intieramente mutata, specialmente dopo che appresero a coltivare le Fucoidee più adattate a quell'uso [Fucus vesi- culosuSj nodosus e serratuSj Laminaria digitata e bulbosa;, Himanthaìia Io- rea etc.),col semplice artifizio di collocar larghe pietre nelle baje sabbiose, che appunto perchè tali non poteano dar ricetto a quelle specie, che tutte abbiso- gnano di solido sostegno. L'agricoltura stessa trae gran vantaggio dalle alghe, macerandole unitamente ai frantumi di altri vegetali, che vi si trovano frammisti sulle spiaggie. Incene- rile esse costituiscono un ammendamento per i terreni , che riesce tanto più prezioso in quanto che si può abbondantemente ottenere ove mancano quelli di altra natura. Oltre a ciò l'industre agricoltore trova nelle alghe il mezzo di estendere le sue possessioni. Cosi gli abitanti delle Ebridi e delle Orcadi tras- sero profitto dal rapido accrescimento di alcune specie gigantesche di alghe, fa- vorendone la vegetazione per ridurre a terreno coltivabile i nudi scogli. Le alghe rigettate dal mare, secche che sieno, servono anche di combusti- bile ove si ha scarsezza di migliore. Finalmente anche le fisiche proprietà di molte specie le rendono giovevoli negli usi domestici. Laminarie e fuchi sono adoperali dagli Svedesi per coprire le povere lor case. La Chorda Filunij che perviene a quaranta piedi di lun- ghezza, rassomiglia ad un'immensa corda a violone, e perciò appunto dicesi 335 Sea-catgut dagli abitanti delle Orcadi che ne fanno reli per pescare (>). I Chi- nesi ne fanno ollime stuoje e robustissime corde. Vasi, comodissimi per bere e per attinger acqua, vengono somministrati agli abilanti della Nuova Olanda dalla Laminaria potatorum. I naviganti trovano presso al Capo di-buona spe- ranza comodi sifoni per estrar l'acqua dalle loro stive nella Ecklonia buccinaliSj che cbiamano appunto perciò trombetta di Nettuno. Molle alghe si prestano agli imballaggi di merci fragili, appunto come l'Aliga (Zosterae sp., Posidonia etc), alla quale vanno mescolate sulle spiaggie. E al pari di essa somministrano le Conferve un tomento per materassi, economico del pari ed utilissimo per la pro- prietà di allontanare gli insetti. E nelle frondi di BJiodomenia palmata che sono avvolti i pani di zucchero provenienti dall'Oceano meridionale, e molte altre merci si avvolgono in più paesi in sostituzione alla carta con quella o con altre alghe egualmente dotate di somma flessibilità ed elasticità. Apparecchiate dili- gentemente molte specie fra le più dilicate e gentili potrebbero formare oggetto di lusso e galanteria. Le eminenti loro proprietà igrometriche suggerirono a Thore di costruirne igrometri che riuscirono sensibilissimi: ed è a crederlo se Morren ci assicura che una fronda secca di Laminaria saccharina si allunga di sei pollici quando la si immerga nell'acqua (2). E forse meriterebbe esser ri- chiamata dall' obblivione, come già tentò Schaeffer, la scoperta di Strange che costruì ottima carta colla Conferva rivuìaris ed altre consimili. Riferisce Light- foot adoperarsi in Iscozia in luogo di ovate la di lui Conferva bullosa^ e aver- ne veduto fatta carta e tela ottenuta colla filatura. I quali usi dietetici, medici, agricoli ed industriali fanno presentire di quanta utilità possano divenire le alghe, quando meglio si conoscano, e quando si esten- dano le scoperte ai vastissimi campi che se ne hanno a mietere. E da quesle scoperte molto si attende tuttora la scienza. L'organografia e la fisiologia delle alghe non vagheranno sempre così incerte, che molte volte un solo fatto, per lo innanzi ignorato, basta ad illuminare la mente, facendole scorgere il legame fra quei tanti, che prima sembravano isolati ed indipendenti. La tassonomia ne sarà allora fondata su solide basi, ne più avrà ad invidiare alle altre Classi di piante quelle analogie e quei rapporti, che valgono al metodo di loro distribu- zione il nome di naturale. La storia dell'Algologia deve in ciò servire di utilissimo ammaestramento, poiché è sempre nel progresso delle cognizioni s' un dato ramo dell'umano sa- (1) Nella Zelanda chiamasi Lucky Minnys Lines, ed in Inghilterra Sea-ìace. (2) Egli ommise di avvertire qual fosse la lunghezza della fronda. 49 386 pere, che, rendendosi palesi e le veritiere scoperte e le ingannevoli supposi- zioni, resta a caratteri indelebili tracciata la via che conduce al vero e quella che mena all'errore. Certo non si deve accagionare Linneo di aver confuso es- seri disparatissimi nei quattro suoi generi FucuSj Conferva, Ulva, TremeUuj fra i quali comprese tutte le alghe acquatiche, se queste non giungeano a que' tempi, che circa a cento specie. Da quell'epoca però fino alle più recenti len- tissimi furono i progressi nella parte sistematica della scienza. Walker (Advers. 1771) divise le alghe in quattordici generi, Both (Catal. 1797) ne aumentò considerevolmente il numero, e molti ne aggiunse Stackhouse (Nereis br. 1 801 ). Ma questi non erano che parziali ed incompleti tentativi. Era riservato a La- mouroux il fondare i principii della tassonomia algologica (Essai sur les Tha- lass. Annales du Mus. XX.). Il suo lavoro però non comprendeva che uua porzione delle alghe marine, ed egli stesso non si dissimulò quanto di ar- tificiale ineriva alle proposte divisioni. Così pure ad una parte soltanto delle alghe d'acqua dolce fu limitato il classico lavoro di Vaucher (Conferves 1808), il quale merita nella scienza lo stesso rango che Lamouroux. Quegli però che tutte le comprese ed istudiò, costruendo con più eslesi materiali un edilìzio va- sto del pari e solido, fu certamente l'Agardh nelle varie sue opere, ma special- mente nel suo Sjstema algarum (i824)-l lavori sistematici a quello posteriori lo arricchirono bensì di nuove divisioni e di rettificazioni moltissime, ma punto non ne alterarono l'essenza: e basti per tutti nominar quello di Lyngbye (Tent. Hydrophyt. Dan. 1819), che, quantunque ricchissimo di preziose osservazioni e corredato di magnifiche tavole, non potè essere adottato nella parte sistema- tica, perchè intieramente artificiale. Mollo maggiormente servì ai progressi della scienza il Greville nelle due grandi sue opere (Scott, cryptog. Elor. j8a5 e Algae Britan. i83o), che intese ad illustrare molti generi più che per lo in- uauzi fatto non si avesse, onde ne risultarono anche distinte e ben circoscritte alcune tribù che prima insieme si confondevano. Per tacere poi di tanti altri, che sotto l'aspetto della Classificazione illustrarono qualche genere o qualche tribù, o solamente qualche paese con parziali algologie, diremo solo dei molti che somministrarono materiali a più estesi lavori con particolari osservazioni, che quasi innumerevoli essi furono, e fra essi meritano particolare menzione Gmelin (Hist.Fucor. 1768), Esper (Icon. Fuc. 1797), Hornemann (FI. Dan.), Smith e Sowerby (Engl. Bot.) e Turner (Hist. Fuc. 1807). Ma la parte più importante di questa Storia, quella che veramente giove- rebbe svelando i pericoli, nei quali incorre chi osserva, ed additando i lumi che 387 l'esperienza dei tempi andati e la filosofia dei presenti devono a gara recare sui nostri studii, è senza contrasto quella della organografia e fisiologia delle alghe. Queste indagini, benché intraprese soltanto pochi anni addietro, diedero mate- ria ad innumerevoli lavori, dei quali tutti importerebbe che tracciato venisse un critico esame da chi avesse egli stesso tutte ripetute le osservazioni, confermate le verità, svelate le apparenze, confutali gli errori. E perchè anche nelle Scienze ciò che riguarda la nostra Patria , deve più di ogni altra cosa interessarci, chiuderemo questi brevi cenni coli' indicare i nomi di quelli che illustrarono l'Algologia Italiana e furono molti: 1599. Ferrante Imperato (Dell'hist. nat. Nap.). 1729. P. A. Micheli (Nov. pi. gen. Fior.). 1750. V. Donati (Della St. nat. dell'Adr. Yen.). 1755. G. Ginnani (Op. post. Ven.). 1758. D. Vandelli (Diss. de Ap. therm. Pat.). 1 7 y4- E- Corti (Sulla Tremella. Lucca). 1775. Fontana (Sulla Tremella. Firenze). 1776. Spallanzani (Op. di Fisica. Mod.). 1785. Zannicheli (Istoria delle piante ec. Ven.). 1789. S. Mandruzzato (Dei Bagni di Ab. Pad.). 1797. Carradori (Sulla trasformaz. del Nostoc. Prato). 1808. Raddi (Crypt. FI. Firenze). 18 16. C. Pollini (Sulle alghe delle terme Eug.). 1818. Ruchinger (FI. dei lidi Ven. Ven.). 1819. A. Bertoloni (Opl. Scient. Bologna. T. 2.0 Amoenit. Ital. e Hist. Fue. maris. lig. Bon.). 1822. C. Pollini (FI. Veronese. Ver.). 1826. T. Targioui Tozzetti (Cat. Veg. mar. Fior.). F. Naccari (Fi. Ven. Ven.). 1827. (Notiz. sui Cerano. Pad.). 'Agardh (Flora o Allg. B. Z.). 1828. F. Naccari (Algol. Adr. Bologna). G. Martens (Reise nach Venedig). 1829. Delle Chiaje (llydrophylologiae Regni Neap. Icon. Neap.). G. Moris (Stirp. Sard. Taur.). 1 83 1. Andrejewsky (De therm. Ap. Berol.). i832. Biasoletto (Di alcune alghe micr. Trieste). 388 1 833. F. Comelli (Intorno alle alghe microscopiche del dott. B. Biaso- letto. Ud.). Amici (Di una Oscillaria. Fir.). Beggiato (Sulle terme Eug. Pad.). i834- Zanardini (Sopra un'alga. Ven.). Nardo (Isis Fase. VI. e VII. p. 671. 5g.). 1 835. •* (Delle Alghe e dei loro usi ec. \en.). F. Comelli (Intorno alle alghe di acqua dolce. Ud). iSSj. Meneghini (Conspectus Alg. Eug. Pai.). ■:■■:.:::''■,■ ■■■'■:;': -,::- ,„ :;;„-;:„; ^ «Ss *. N* * ^ 5» » V <\ b ^ «K ri «\ £ r s s Sa ^ Sa SOPRA. LE PROPRIETÀ DEI PERIMETRI DEI DUE METALLI COSTITUENTI GLI ELEMENTI VOLTIANI MEMORIA LETTA ALL ACCADEMIA DI PADOVA LI XXVI GIUGNO MDCCCXXXVIII DAL SOCIO ATTIVO AB. SALVATORE DAL NEGRO AI lavoro che presento ai saggi riflessi di questo illustre consesso, rimane di- viso in tre parti. La prima accenna brevemente le nuove proprietà dei perimetri, che ho re- so note al pubblico. La seconda comprende l'ultime sperienze che feci per confermare le pro- prietà dei medesimi. La terza fa conoscere per quali vie sia giunto a scoprire la vera ragione per cui la reciproca distanza dei perimetri dei due metalli abbia una così decisa, e costante influenza sull'efficacia delle correnti idro-elettriche. Chiuderò questa memoria col porvi sott'occhio un fatto in cui la natura stes- sa manifesta i risullamenti delle arcane sue operazioni col mezzo di simboli geo- metrici. Il fatto di cui si tratta è un lavoro elettrochimico eseguilo in diversi an- ni successivi da una corrente elettrica, e che conferma in un modo veramente solenne, e sorprendente tutte le mie congetture sulle proprietà dei perimetri. *49 39Q PARTE PRIMA. i. Correva l'anno 1 83 1 allorché mi venue in mente di porre a profitto le forze attraenti, e repellenti delle calamite temporarie, e fino da quell'epoca ho immaginato, e posto in esecuzione varii modi di applicare queste forze alla mec- canica (i), e nel mese di Marzo i 834- bolli di più descritti, e pubblicati (a). 2. Contento di aver arricchito tanto la fisica , quanto la meccanica di un nuovo motore, ho tosto pensato al modo di eccitare, e mantenere il moto colla minore possibile spesa. A tale oggetto ho instituito una serie di esperimenti, che mi condussero a scoprire, che il più piccolo elemento produce l'effetto più utile, cioè il massi- mo relativo. In conseguenza di che consigliai i fisici ad abbandonare gli elementi ad am- pie lamine, e sostituire ai medesimi più elementi a piccole lamine, ed in modi diversi a norma delle circostanze (3). 3. In seguito mosso dal vivo desiderio di scoprire la causa di un fatto così importante, ho costruito una famiglia di elettromotori elementari, in ciascuno dei quali, rimanendo il rame costante, le superficie delle lamine di zinco stava- no fra loro : : i: 2: 3: 4: 8: 12: 16, e tenendo conto, col mio Dinamo-magne- tometro dell'efficacia di ciascuno dei delti elettromotori, osservai non senza mia sorpresa, che in cinque diversi casi, in cui le piastre di zinco stavano fra loro : : 3: 4i gli effetti erano eguali. 4. Presi tosto in esame così fatti risultamenli, e dopo lunghe e replicale meditazioni, mi sono finalmente accorto, che nei cinque teslè accennati casi,, le lamine di zinco erano isoperimetre. In conseguenza di che non esitai stabili- re, che l'efficacia degli elellromotori è proporzionale ai perimetri, e non già al- le superfìcie. 5. Stabilito questo principio, l'ignota causa che cercava si manifestò da sé slessa. Difalti il più piccolo elemento produce l'effetto più utile per la ragione che la sua superficie, in confronto di quella degli altri elementi, è circoscritta dal massimo perimetro. 6. Collo stesso principio si spiega facilmente come la metà dì un elemento produca costantemente un effetto maggiore della metà di quello, che si ottiene (1) Annali delle scienze del Regno Lomlardo -Veneto l83i. — I. R. Accademia delle scienze di Padova Voi. III. dei Nuovi Saggi. (2) Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto. (3) Bibl. Univ. an. i833. T. 52 pag. 319. 3gi dall'elemento intero. Difatti prendete una piastra di zinco di qualunque figura, dividetela in due parli eguali, e troverete costantemente, che il perimetro che racchiude la metà della superficie è maggiore della metà di quello che rac- chiude la lamina intera. 7. Finalmente dalla stessa proprietà dei perimetri ne consegue , che colla stessa lamina di zinco si può ottenere un maggior effetto, cangiando la sua figu- ra in modo, die riesca circoscritta da un perimetro maggiore. 8. In conseguenza della somma prevalenza degli spigoli in confronto delle superficie, ho credulo di poter aumentare gli effetti coli' accrescere soltanto la lunghezza di un filo di zinco entro la solila cassetta di rame, ma ben presto mi avviddi che non si poteva aumentare il detto filo a piacere fra le superficie del rame, giacche rimanendo costante la distanza fra le superficie dei due metalli eterogenei, gli effelti variavano col variare della disianza fra il filo, ed il peri- metro del rame. Ho dunque stabilito l'ipotesi che oltre la lunghezza dei perimetri, influisca, sull'efficacia degli eletlromotori, anco la reciproca distanza dei perimetri dei due metalli, rimanendo tutte le altre cose eguali. Per verificare la mia ipolesi sono ricorso all'esperienza nel seguente modo. Ho costrutto un elemento voltiano con lamine disuguali, come scorgesi nella fig. I. in cui ABCD è una lamina rettangolare di rame, ed ab ed una simile di zinco collocata nel mezzo di quella, e tenuta da essa discosta e paralella mediante dei prismetti di legno. Queste due lamine sono munite delle solite appendici di filo di rame Ar} b z, che si fanno pescare in due vasellini di ve- tro contenenti del mercurio, col quale comunicano l'estremità del filo metalli- co, che passa sopra l'ago magnetico e con direzione paralella all'asse del mede- simo nella posizione di equilibrio. Con sì fatto elemento ho eseguito i tre se- gmenti esperimenti. 1. Posto l'elemento in una ciotola di vetro contenente dell'acqua acidufala con jj di acido zolforico, ed E*5 di acido nitrico, e poste le appendici in comu- nicazione col galvanometro , stando lo zinco nella posizione simmetrica indi- cata dalla fig. I.j la declinazione media di cinque esperimenti riusci = n", 10. 2. Movendo Io zinco in modo che il lato ad dello zinco cada nel mezzo sopra il lato AD del rame, e fattane esperienza, la declinazione media risultò = io0, 20. 3. Ponendo il lato ab dello zinco nel mezzo sopra il lalo AB del rame, La media declinazione, ad indice fisso, come nei due altri esperimenti, fu = 9°r3S. %2 Questi esperimenti ripetuti più volte (0, e con lamine di varie ampiezze, e di figure diverse ci assicurano: i.°Che la posizione simmetrica è la più utile. 2.° Che la reciproca distanza dei perimetri dei due metalli ha una decisa influenza sull'efficacia degli elettromotori. Di più dalle molte e svariate esperienze che ho pubblicato su tale propo- sito risulta, che dato un elemento a lamine disuguali siamo in grado di pre- dire in qual posizione, dopo la simmetrica, che dà il maximum, in qual posi- zione, dissi, si otterrà l'effetto medio, ed in quale altra il minimo. Di questa singolare proprietà dei perimetri affatto indipendente dalle chi- miche azioni, m'ingegnerò di rendere ragione nella terza parte di questa me- moria. Quanto lessi sin qui contiene la storia delle più importanti esperienze ed osservazioni, che ho già rese note al puhblico, sulle proprietà dei perimetri, e sono al termine della prima parte del mio accademico penso. PARTE SECONDA. I. Le nuove proprietà dei perimetri trassero seco l'attenzione e gli studii di tutti quei fisici, che si occupano particolarmente di questo importante ramo di fisica. Difatto essendo essi abituali a credere che gli effetti degli elettromotori fos- sero proporzionali alle superficie dei metalli, che li costituiscono, rimasero sor- presi allorché iutesero dai miei nuovi esperimenti, che i detti effetti sono in- vece proporzionali agli spigoli delle lamine metalliche. Il valente fisico Marianini si era accorto sino dall'anno 1825, che gli ef- fetti degli elettromotori non erano proporzionali alle superficie, specialmente confrontando un piccolo elemento con un grande; ma avendo congetturato (2) che la causa dipendesse dall' essere il filo congiuntivo insufficiente a tradurre tutta la corrente elettrica eccitata dalle grandi piastre, non si fermò su tali con- fronti, anco per la ragione che un suo esperimento descritto a pag. 17, 18 del suo saggio, non eseguito con la solita sua avvedutezza, sembrava confermasse la sua congettura. (1) Ved. Journal de la Socicté des Sciences physinues, chimiques, et arls agricoles et in- dustricls de Francc. 4e Année. Paris i836. — (2) Saggio di esperienze elettrometriche, p. 17- 393 Difalli se il Prof. Marianini avesse esaminata con un ago magnetico anco l'efficacia del fluido elettrico, che scorreva pel filo eccitatore, si sarebbe accor- to che quando promoveva la corrente col filo congiuntivo, scemava quella, che scorreva pel filo da esso chiamato eccitatore. Di più allorché pose in comuni- cazione le piastre col secondo filo eccitatore, la corrente del primo avrebbe sofferto un indebolimento ancor maggiore, giacché in pre diminuendo fino al centro della superficie , così se la proposizione del lo- dato fisico ginevrino non è assolutamente falsa, riesce certo equivoca per non. essere rigorosamente espressa, e potrebbe anco indurre in errore lutti, coloro che non conoscono i miei lavori sul proposito. PARTE TERZA. Nei primi esperimenti, che ho eseguito per convalidare le scoperte proprie- tà dei perimetri, mi sono servito di elettromotori foggiali alla Wollaston, e non senza ragione. Difalti siccome uua dato lamina di zinco combinata col rame secondo il metodo dell'accennato fisico inglese, o del nostro Novelluci, produce un effetto maggiore di quello che si ottiene costruendo gli elementi a lamine eguali, cosi (1) Recherches sur la cause de Telectricitè voltaique. Genève 1.836. 3f)5 era bea nalurale che volendo rinvenire l'ampiezza dello zinco, ebe mi desse l'effetto più utile, dovea esperimentarlo alla maniera di Wollaston. Quantunque così fatti esperimenti mi abbiano condotto a scoprire la com- binazione più utile dei metalli costituenti gli elettromotori a lamine disuguali, tuttavolta trovaimi nella necessità di continuare l'esperienze con maggior im- pegno di prima per la ragione, che il principio che ho già stabilito su tale pro- posito, e puhblicalo sino dall'anno i834, rende benissimo ragione della preva- lenza dei perimetri in confronto delle superficie, ed assegna la figura e la po- sizione della parte dello zinco che rimane poco o nulla attaccata, ma non rende ragione dell influenza della reciproca distanza dei perimetri dei due metalli, né della costante proprietà della simmetrica posizione, che sopra vi ho accennato. Prima però di dar mano a nuove indagini ho voluto tener conto degli ef- fetti di molti elettromotori di varie forme, e grandezze, tanto col galvanometro a indice fisso, quanto col mio dinamo-magnetometro (i) ed bolli trovati costan- temente di accordo nelle loro indicazioni, anco adoperando 1 acqua ora più, ed ora meno acidulata. Con sì fatti esperimenti ho potuto assicurarmi che il mio metodo di misu- rare gli effetti delle correnti elettro-magnetiche tanto allo shocco, quanto a cor- rente già stabilita, è da preferirsi a quello del galvanometro per la ragione ch'è assai più sollecito, meno incerto, e di un uso molto più esteso. Ed in vero le correnti allo sbocco non si possono misurare col galvanome- tro che per approssimazione, e con molta difficoltà, giacché l'escursioni essendo istantanee, è assai difficile di colpire nel segno in guisa da misurarne la preci- sa ampiezza. Per l'opposto col mio dinamo-magnetometro si misura colla stes- sa facilità tanto l'effetto allo sbocco, quanto quello a corrente già stabilita. Per accertarvi poi che il mio misuratore è più spedito dell'ago magnetico, basti il sapere che nel tempo che s'impiega a fare un'osservazione col galvano- metro, col mio strumento se ne fanno più di dieci, la quale speditezza è som- mamente pregievole giacché somministra al fisico il modo di moltiplicare facil- mente gli esperimenti e di ripeterli in brevissimo tempo tante volte da ottene- re dei risultamenti medii di tutta quella precisione che si può mai desiderare in così difficili esperimenti. (i) T. XXI. delle Memorie della società italiana delle scienze residente in Modena, an- no 1837. 396 Esperienze dirette a scoprire la ragione per cui la reciproca distanza dei perimetri irifluisca sulla efficacia delle correnti. i. Ho costrutto un elemento voltiano con due lamine quadrate eguali (fig. 2) l'una cioè di rame, e di zinco l'altra, ed avente ciascuna due pollici di lato. Esaminala l'efficacia della corrente prodotta da così fatto elemento col mio di- namo-magnetometro, la forza media acquistata dalla calamita temporaria riu- scì — KH. 4- 37. Questo effetto ci servirà di unità di misura. 2. Combinai un secondo elemento ritenendo costante lo zinco, e- ponendo- lo sopra una lamina di rame avente una superficie quattro volte maggiore , e sotto la figura di un rettangolo di due pollici di altezza, ed otto di base. La la- mina di zinco zz (Fig. 3) è collocata nel mezzo come posizione più utile, per le cose dette di sopra. Fattane esperienza, questo secondo elemento comunicò alla stessa calamita una forza di Kil. 7. a5. L'aumento dunque del solo rame produsse un effetto quasi doppio, rimanendo costanti tutte le altre cose- A tale proposilo dirò cbe prima della scoperta dei perimetri il Prof. Maria- nini avea fatto degli esperimenti di tale importanza sopra gli elettromotori, che lo resero benemerito di questo ramo di fisica più di ogni altro. Difatti fu il primo ad accorgersi che rimanendo costante lo zinco , basta aumentare la su- perficie del rame perchè l'elettromotore divenga più attivo. Avrei già fatto al detto Prof, la giustizia che meritava , sino dal momento che pubblicai la scoperta dei perimetri; ma siccome ho percorso una via affat- to diversa dalla sua, così all'occasione, che le mie nuove indagini mi condusse- ro al punto di rendere quadruplo il rame nell'elemento alla Wollaston, aven- do trovato che l'effetto anziché aumentare, diminuiva, ho preso il partito dita- cere piuttosto che impegnarmi in nuove indagini per scoprire la causa di tali differenze, il che mi avrebbe condotto fuori dell'intrapreso cammino. Ma torniamo al nostro secondo esperimento , in cui il maggior effetto che si ottiene aumentando il rame, dipende più dall'aumento del perimetro, che da quello della superficie, come risulta dalle sperienze che ho pubblicato. Per togliere poi ogni dubbio su tale proposito, basta costruire gli elementi del primo, e del secondo esperimento in guisa, che riducendo quadrupla la^ superficie del rame, l'aumento del perimetro riesca assai piccolo, ed in tal caso 397 si troverà che piccola in proporzione riuscirà la differenza fra gli effetti dei due teste accennati esperimenti. E qui conviene non iscordarsi clie questi esperimenti sono diretti a sco- prire per qual ragione cangiando lo zinco di posizione, varii anco l'azione della corrente elettromagnetica. A buon conto è indubitato che collocando lo zinco nel mezzo si ottiene il massimo effetto. Cbe se rimovo lo zinco in guisa che un terzo lato cada sopra l'uguale, e corrispondente del sottoposto rame, l'effetto diminuisce. Questa diminuzione non può dipendere che dall'avvicinamento dell'uno dei due lati, o dall'allontanamento dell'altro. Supponiamo che la causa dipenda dal- l'allontanamento, e verifichiamo questa ipotesi combinando le stesse superficie in guisa , che tutti quattro i lati dello zinco rimangano discosti dai corrispon- denti del rame, giacche se si perde allontanandone uno dei lati, allontanando- li tutti quattro la perdita sarà maggiore. Se ne faccia l'esperienza come segue. 3. Riducasi la lamina di rame ad un quadrato di quattro pollici di lato, e si ponga nel mezzo la stessa lamina di zinco come scorgesi nella Hg. 4- 1° que- sto caso le superficie sono le stesse, e solo il perimetro del rame è diminuito di quattro pollici, la qual diminuzione, per le cose dette, sarà cagione di perdila. Ora assoggettato alla sperienza questo elemento, l'effetto che ottenni fu di Ril. g. 45. Dunque l'allontanamento anziché dannoso è utile in modo che ci ha compensati anco della perdita dovuta alla diminuzione del perimetro del rame. Se dunque l'allontanamento è utile in guisa che per aver discostato solo quattro pollici del perimetro dello zinco si guadagnò una forza di Kil. 2. a5 all'incirca, se allontaneremo 16 pollici del perimetro dello stesso zinco, il gua- dagno sarà mollo più sensibile. Se ne faccia l'esperienza. 4. Per fare questo esperimento adoperai la stessa lamina di rame sotto la figura del secondo, e ridussi una lamina dello stesso zinco ad un rettangolo di otto pollici di base, e sei linee di altezza, e collocatolo nel mezzo della la- stra di rame, come scorgesi nella fig. 5, e fattane esperienza, l'effetto riuscì di Kil. 20, 90, cioè triplo del secondo esperimento, più che doppio dell'effetto del terzo, e più che quintuplo della nostra unità di misura, impiegando lo sles- so zinco. Non sempre però si ottengono differenze così imponenti, giacche le diver- se qualità dello zinco cagionano delle calcolabili differenze in parità di circo- stanze. 393 Si aggiunga che anco adoperando degli elementi presi dalle slesse lastre di zinco, e di rame, s'incontrano delle differenze per la ragione cli'è realmente impossibile di porre due volte un elemento in circostanze perfettamente ugua- li sotto tutti i rapporti. Concludiamo dunque essere cosa utile che i perimetri dei due metalli ri- mangano tra loro discosti. I limiti poi di tali distanze non sono di facile de- terminazione. Ma i miei lettori diranno, e per qual ragione la detta distanza influisce tanto sull'aumento dell'efficacia degli elettromotori, rimanendo tulle le altre cose eguali? Per rispondere a questa dimanda dirò che il fatto ci assicura che la cor- rente che circola in un elettromotore è sempre diretta in modo che dal me- tallo più ossidabile passa mediante un conduttore di secondo ordine al metal- lo meno ossidabile. Ora siccome l'elettrico scappa più facilmente per i corpi acuminati, che per quelli che sono smussati, così la corrente elettrica dee naturalmente sor- tire per gli spigoli dello zinco, e rientrare, attraversando l'acqua acidulata, per quelli del rame cosicché di tutto il fluido in gioco la massima parte sorte, ed entra per gli spigoli dei due metalli. Questa sola considerazione dovea , fino dalle prime esperienze sugli elet- tromotori, dovea dissi fermare l'attenzione dei fisici sulla prevalenza degli spi- goli in confronto delle superficie dei due metalli. Di più se l'elettrico che sorte pei perimetri dello zinco riesce più celere, e più abbondante di quello, che parte da un egual numero di punti presi fuo- ri del perimetro, è cerio che i punti angolari dello stesso zinco dovranno som- ministrare dei zampilli o fiocchi elettrici più abbondanti di qual si voglia altro punto del perimetro, dal che ne siegue la necessità che il rame presenti a que- sti angoli un perimetro lungo quanto è possibile per somministrare una via più facile all'elettrico che si presenta divergente verso lo stesso. Da ciò ne consegue: i.° Che gli elementi a lamine eguali sono i meno utili. 2.° Che negli elettromotori la piastra di zinco dee essere minore di quel- la di rame, e che lutto il perimetro di quello dee trovarsi discosto dal perime- tro di questo. Ora quantunque dal secondo corollario risulti che la posizione simmetri- ca dee essere necessariamente la più utile, tuttavolta è così singolare, ed im- °99 portante l'effetto di delta posizione, che merita se ne faccia conoscere la cau- sa in guisa che non rimanga dubhio sul proposito. II. Rappresenti la fig. 6. un elettromotore formato con due lamine quadrate disuguali, e sia ABCD la lamina di rame, ed ab ed la piastra di zinco mi- nore di quella di rame , e collocata colle solite avvertenze , nella simmetrica posizione, come scorgesi nell'accennata figura. Ora per fissare l'idee supponiamo che l'elemento sia in attività, e che il fluido elettrico che dallo zinco ritorna al rame sorta pel perimetro ab e ci sud- diviso in tanti raggi paralelli fra loro, e perpendicolari al perimetro ABCD del rame come scorgesi nella figura G. , in cui le linee paralelle punteggiate indicano l'emanazioni elettriche di tutti i punii del perimetro, meno quelli che sortono divergenti pei quattro punti angolari a3 b, Cj d. Ora è facile comprendere che 1' elettrico il quale sorte in gran copia dai detti punti si scarica sopra un gran numero di punti costituenti l'opposto pe- rimetro del rame. Per esempio il punto angolare a dello zinco, da cui scap- pano molti raggi divergenti di elettrico, si scaricano sulla parte opposta ni A n del perimetro di rame, la cui projezione è la retta nnij e lo stesso dicasi degli altri punti angolari, i quali tutti trovano una sufficiente serie di punti costi- tuenti il perimetro elettro negativo, sopra i quali possono facilmente scaricarsi, e superare la difficoltà che l'elettrico incontra nel passare dall'acqua al rame. Eccovi dunque la vera causa della prevalenza della posizione simmetrica, dalla quale ne consegue il perchè nell'altre due accennale posizioni l'effetto debba riuscir minore. Nello stabilire la teoria che pubblicai su tale proposito, congetturai che l'azion chimica cominciasse efficacissima da ciascun spigolo della lamina di zin- co, e che andasse diminuendo verso il centro della figura, cosicché iu allora supposi tacitamente, che tutti i punti del perimetro fossero egualmente attacca- ti, il che non è assolutamente vero, giacche i quattro punti angolari devono essere attaccati più efficacemente di tutti gli altri. Le ultime mie indagini, dirette- a scoprire la causa della prevalenza della simmetrica posizione, mi avvertirono di una cosi importante ommissione. Ora giacche il maggior attacco comincia dai punti angolari, le direttrici delle decrescenti azioni chimiche saranno le diagonali della lamina di zinco, e la superficie di zinco la meno attaccata, sarà inscritta nella superficie dell' La- 4«oo tera lamina, come scorgesi nella fig. 6, in cui il quadrilatero pqrs indica l'ac- cennata superficie, che è quasi interamente perduta in così fatte esperienze. Qui, Signori, terminava il mio penso accademico, trovandomi contento di aver scoperta la causa, per cui la reciproca distanza dei perimetri ha tanta influenza sull'accrescere o diminuire l'efficacia degli elettromotori, ch'era Io scopo principale di questo mio lavoro. Quando alla fine dello scorso mese mi nacque il pensiero di costruire una batteria eleltro-magnelica, impiegando elementi combinati a lamine disuguali, in quella proporzione che le replicate mie esperienze mi assicurano essere i più utili ad un tempo, ed i più efficaci. Per mandare ad effetto il mio divisamenlo il più presto che sia possibile, ed anco per economia prendo il partito di scomporre una batteria di 48 ele- menti combinati alla Wollaston per servirmi dello stesso apparato, e del rame, giacché avendola costrutta fino dall'anno 1826, e adoperata in varie occasioni (specialmente per far conoscere alla studiosa gioventù gli effetti della medesima pel corso di sette anni successivi) avea perduta in gran parte la sua vigoria, ed era posta fuori di uso. Si dà mano allo disfacimento di detta batteria, e nel separare una lamina di zinco da quelle di rame, osservo, con somma mia sorpresa, ed estraordina- ria compiacenza, che quella lamina era ossidata colla legge precisamente indi- cata dalle mie congetture. Ne prendo in mano delle altre, mi ajutano in questa operazione l'assisten- te e il macchinista, e le troviamo tutte più o meno ossidate nello stesso modo, cioè tutte soprassegnate dalla figura contenente la superficie dello zinco meno ossidata, ma con tale precisione che sembra tracciata colla riga e col compasso. Ma non vi ho ancora detto tutto, e la vostra meraviglia diverrà ancor più grande, quando saprete tutto quello che osservai in questa per me fortunatissi- ma occasione. All'epoca che slava costruendo la teste accennata batteria, ordinava a Mu- rano i vasi di vetro con date dimensioni, e con l'avvertenza che i fondi doves- sero riuscire piani. Questi vasi per negligenza furono costrutti coi fondi coni- ci, in conseguenza di che gli spigoli superiori delle lamine di zinco rimasero fuori dell'acqua acidulata. Da così fatta combinazione ne nacque una nuova, ed imponente conferma dell' efficacia dei perimetri. Difatti non potendo lo spigolo superiore essere attaccato dall'acqua acidu- lata, la lamina di zinco dal centro di figura alla superficie di livello, rimase 4oi pochissimo ossidala, e le metà corrispondenti delle superficie iscritte, che do- veauo essere l'effetto specialmente dei punti angolari superiori, mancano affatto in tulli gli elementi. Eccovi, dotti accademici, le lamine di zinco tali quali trovaile nel testé ac- cennato elettromotore composto. Esaminate le traccie rettilinee segnate dalla chimica azione sopra le metalliche superficie, e poi giudicale voi stessi se le mie congetture potevano ottenere una conferma più solenne e luminosa di quel- la che risulta dal fatto che vi presento. Descrizione delle lamine di zinco costituenti gli elementi dell'elettromotore composlOj che presentai all'Accademia. abcd(Fìg. 7.) è una lamina quadrata di zinco: AB e la linea di livello del- l'acqua acidula; obrh è la porzione dello zinco fuori dell'acqua; mnopq è la parte della superficie meno attaccata avente la figura prossimamente della me- tà di un paralellogrammo. Kdt_, uts sono gli angoli della delta lamina immersi nell'acqua più o meno distrutti dall'azion chimica. La lamina di cui si tratta è ridotta simile ad un cuneo il di cui tagliente è il perimetro inferiore, rimanen- do però più acuto verso i punti angolari da cui comincia il massimo attacco, e va scemando verso il centro nelle direzioni delle diagonali. Ma sopra le singolarità degli effetti prodotti dalle azioni elettro-chimiche sullo zinco, come pure della figura, del vario colore che scorgesi alla superfi- cie del medesimo, e del maggior o minor numero delle molecole distrutte, che vengono manifestate dalle sezioni eseguite perpendicolarmente alla lamina, e sotto varie direzioni, parlerò in altra occasione. 5i DELL' INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI FRA DUE VARIABILI MEMORIA letta All'accademia il giorno xviii aprile mdcccxxxvii DAL SOCIO ATTIVO SERAFINO RAFFAELE MINICH V^fltre l'integrazione delle equazioni differenziali lineari del i.° ordine do- vuta a Leibnilz (i), e quella delle equazioni lineari a differenze finite pur di primo ordine data da Lagrange (2); non sappiamo in generale esprimere, cioè ridurre alle quadrature, l'integrale finito delle equazioni lineari d'ordine più elevalo, che per due forme di equazioui differenziali, l'una a coefficienti co- stanti trattala dall'Eulero e dal D'Alembert (3), l'altra osservata dall'Eulero e da Lagrange (4), e del pari per due forme di equazioni a differenze finite, l'una a coefficienti costanti esibita da Lagrange (2), l'altra proposta da Lapla- ce (5). Di alcune altre forme speciali che possono attualmente integrarsi mi riservo di fare un cenno in separata Memoria. Vero è che mediante il Teorema Lagrangiano (C) esteso da Condorcel (7) e da Laplace (5) alle equazioui lineari a differenze finite, la forma generale delle equazioni lineari si rende più semplice collo spogliarla del termine che contiene la sola variabile indipendente: e quanto alle equazioni a differenze finite è a ricordarsi die il Brunacci ha offerto l'espressione dell'integrale del- 4o3 l'equazioni lineari a differenze finite di second' ordine per mezzo d'una fun- zione inesplicabile (8), e recentemente il Liliri La mostralo coll'uso delle fun- zioni discontinue (9) clie si ponno sempre assegnare le operazioni mercè le quali si integra in particolare uua data equazione lineare alle differenze, ben- ché non si sappia esprimerne l'integrale con una formola generale. La que- stione poi di ridurre l'integrazione delle equazioni, in cui la differenza della variabile indipendente è qualunque, all'ipotesi di questa differenza costante, è slata risolta dal Paoli (io). Ora ristringendoci alle equazioni lineari a coefficienti costanti, poiché l'al- tre due forme di cui sappiamo eseguire l'integrazione mercè le quadrature vi si riducono con facile trasformazione; è noto che l'integrazione loro dipende dalla risoluzione d'una equazione algebrica che ha gli stessi coefficienti della proposta e un grado eguale all' ordine della medesima , e che se questa equa- zione non ha tutte le radici diseguali l'espressione dell'integrale finito svilup- pata in integrali semplici riesce manchevole. Per sopperire a questo difetto propose il D'Alembert (11) di riguardare di mano in mano due delle radici che divengono eguali siccome differenti fra loro d'una quantità che si fa evanescente , dopo di avere eseguilo gli sviluppi rela- tivi e mutato le costanti arbitrarie. Ma questo metodo semplice e diretto non è abbastanza sicuro, potendo indurre in errore riguardo a' termini da soppri- mersi; ed infatti ne furono illusi gli stessi Eulero e Lagrange (12) e il primo più d'una volta come ei medesimo generosamente confessa. Cercarono perciò gli Analisti di arguire la legge secondo la quale si modifica l'integrale di cui si tratta nel caso ribelle delle radici eguali, ma i primi loro tentativi parve che tornassero vani, giacché il Lexell giunse a duhitare della possibilità di ottenere formole abbastanza semplici pel caso suddetto (i3). Se non che l'Eulero de- terminò per induzione le eleganti formole che servono all'uopo (i4)» e non ha guari il Plana ne ha dato una compiuta dimostrazione (i5). Intento alla ricerca non mai finora intrapresa delle formole corrispondenti per le equazioni alle differenze finite, io mi valgo a questo fine d'un ovvio pro- cedimento egualmente opportuno per le equazioni differenziali, e per quelle alle differenze. 11 metodo, con cui vengo a trattare la teorica delle equazioni lineari, è quello immaginalo dal D'Alembert per dimostrare il Teorema La- grangiano (16), metodo giustamente rimesso in onore dal Libri (17)1 poiché per eleganza e prontezza non inferiore a' più divulgati (i3), e di tutti il più analitico per iscuoprire le proprietà delle equazioni lineari. 4o4 SEZIONE PRIMA Equazioni differenziali lineari. I. Sia l'equazione lineare generale (A) j.yL+jll-JL-+ji,l-Z+ + jaJ = x. ' dxn dx"-* dx"-a J Si faccia y=ylxJ e poiché è noto essere (ig) (Jm y (Jm z d y, dm-' a m(m-i) d2 l'i dm-*a dm v, dx™ J dxm dx dxm-* 2 d x* d xm'» dxm ' si avrà la trasformata V dx»ml ' dxn-* J J dx V dx" J J dn « Rappreseli landò con B0,Bi ,....Bn i rispettivi coefficienti di — - , oc, e supponendo che^, sia un valore particolare di y soddisfacente alla (A) cjuan d a ~dx~ d a do X = 0, si avrà identicamente /?„=== 0, cosicché posto -r— = # donde si trae y =yl fp dx la trasformata diviene Se conosciamo del pari un valore (S, di £ che soddisfaccia a questa equazione quando AT=o, e assumiamo $ — (ilfydx si perverrà alla ridotta d'ordi- ne n — i C0 ^f-r- P, la -H . . . . + C-, y = X, Ja.n-2 dx"-3 nella quale Co^CiJCJ...C„.2 si deducono da B0,Bl,..,Bn.l, come questi coefficienti da J0jJl...J,cJ, mutando j, in £, ed ?» iu 71-1. Ma in luogo di delermiuare |8t soddisfacendo alla (B) nella supposizione di X=0, possiamo desumerlo da un altro integrale particolare J=/2 della (A) nella medesima ipotesi, poiché allora la relazione y =yxJ$ dx ci dà 61 = — -, — ■ • 4o5 Similmente denotando con y, un valore di y soddisfacente alla ridotta d'ordine n-Q, qualora I»o, e posto y<=yl/idxJ si passerà alla ridotta d'ordine n- 3 *OT^ft S3 + -.+A-»— * e come dianzi avremo y, = fa_. Ma se si conosca un nuovo valore r=j'3 da; si avrà pure £3 = jt e quindi y1= — d {— — /. Dunque , analoga- ~d!T dX dJ-l\ mente procedendo col mezzo di m valori particolari di y ci ridurremo ad una equazione lineare del (re — ra)esimo ordine ; cosicché si otterrà I* integrale finito completo della (A), se si conoscano re od anche re — i integrali partico- lari di essa nell'ipotesi di A' = o, ch'è appunto il Teorema di Lagrange. Col metodo esposto si può altresì determinare la ridotta d'ordine n-mt ed espri- mere l'integrale completo richiesto per mezzo degli re od re-i integrali parti- colari suddetti. Abbiamo a tal fine dalle stabilite posizioni il quadro seguente (G) y=^ylf$dx, $—&ljydx, y = y1fedx.„p=p1J J Jl [XX ove $,dx = d — yxdx = d \ ì r =>■-—■ = . 'jt ' ) d— \ ° ^o/i ^ l'i •••'« Questa forraola è stata esibita dal Libri (17), e da Laplace (5). Se si conoscono soltanto ti—i valori di y potremo determinare e, che con- tiene l'ignoto valore yn, col mezzo delle prime due colonne di equazioni fra j4Q,B0J>...Al,Bl} del Quadro (C), da cui abbiamo di mano in mano. ET dyt At Ct d§t nT dpx dyt At e infine Tx dot dpt , fZf, dJt A, T0 o,dx^ Fife* V >Ptdx^ f(Wói^Àn Moltiplicando per dx e integrando si ha ■Ir log. 3". p .'.... $Ln-lj\n-\-fj dx — O donde /— dx A„ A0 (E) ' j+Pj-'lf f,*' IL Giova riferire a questo luogo come all' incirca il Laplace (5) svolga imme- diatamente in integrali semplici la formola (D). Dividendo per^'i e differenziando, abbiamo J J'i cioè nel primo membro una funzione lineare in y del primo ordine, e per d — = 18 1 dxfyi dxf .frdx , fattore del secondo membro una simile funzione Bidx che si deduce dalla precedente mutando y in^-2. Dividendo di nuovo per Bidx e differenziando si ottiene !d-\ ) = yidxft, dx /".... frdx. dil\ J Qui il primo membro è funzione lineare in y del second' ordine, e dall'altra parte y, dx si deduce pure dal primo membro col mutarvi _?' in y$. Così pro- cedendo si avrà dopo n-i differenziazioni al primo membro una funzione li- neare in y dell'ordine ìi-i, e nel secondo per fattore ài frdx una simile funzione lineare in^nj cioè attesa l'omogeneità degli elementi llt't y d"-2 Y / d"~* v„ dn-*>Y~ \ a'L^L + ÌÌ-Ì + + sr=(a?T— - + b?j-^+...+syn)fTa& dx"-'- dx"-* V f** dx»-» J JJ essendo 0, £,...,£ funzioni à\yl}y^} ....ya-i e de' rispettivi coefficienti diffe- • i- AJ' '" Quest'equazione dell'ordine n-i essendo soddisfalla da una espressione di y con n costanti arbitrarie deve essere identica. In conseguenza si lia pure identicamente t =t eh' è quanto dire t è funzione simmetrica de' valori l'u y-i J'n-i. 4o8 Disponendo adesso i delti valori in modo che l' ultimo sia yn.t avremo analogamente alla prima equazione la."'1 ~hbld7^ + +Sljr dx"-1 dx"-* J e cosi via via, finché lasciando l'ultimo luogo ad yy si avrà CLn-l , „ , -H +^-l/ fi»-1)', ^ Tutte queste n equazioni che hanno al secondo memhro JrdxJ...J~Trl.idx s'intendano rispettivamente moltiplicate per j'nJ)'n-i ••••fi e sommate insie- me; avremo per risultato una funzione lineare in y d'ordine ra— _I eguale ad y\ fr„ . , dx -\- JiJTn - 2 dx -\- . . .. -\-ynfrdx . Nell'ipotesi di X = 0 la stessa funzione lineare eh' è indipendente da X diviene eguale a Ct jr1 -+- Czy2-\- -\-C„yn ossia eguale ad^j ed è que- sta una equazione identica poiché soddisfatta da una espressione di y con n costanti arbitrarie , mentre è dell'ordine n-ì. Dunque i coefficienti di f7"-i y dn"2y d y - j - , in detta funzione si annullano, e quello di r eguaglia dx«" dx"-* dx i J ° ° l'unità; cosicché rimane (F) y = ji f-Tn- 1 dx -+- j2/t„.2 dx + ..'.. +yn/Tdx. Tu :u — t„., deducendosi da t coli' alternare^-,, eoo yn-ij)'n-2j •■•■)\ • III. Se i coefficienti A01Al An dell'equazione (A) sono costanti , fatto ■> ==enx si arriva nell'ipotesi di Ar=o all'equazione algehrica (G) ^oa" + ^1a'!-1 + ^fl"-2-f....-|-^„ = 0, ossia per brevità A =0 di cui rappresentando le radici con aXj a2j — cinj abbiamo yx = e x ^y2 = c ix ....y" =è°n*. Pertanto se denotiamo con BÌ.,B2 ....Ci, Ci .... EuE2 .... nuo- ve costanti determinate che non è mestieri di conoscere, si avrà (C) 4°a étB*Ble[(,ra**J fc-^J?-^* ^3=^^-^". Cl (an-an.t)x o-1 = i> ' e Sostituite queste espressioni nella (D) risulta (H) r = eaiXfe^-ai)Xdxf......fe[an-an-x)Xdxfe"'nXXd\ do formola dovuta all'Eulero (20). Applicandovi la conclusione (F) del §. II., o seguendo il metodo della variazione delle costanti arbitrarie, 0 per qualsivo- glia altra via, si sviluppa il secondo membro della (H) in una serie di termini rappresentabile per p=i \darJ indicando [ - — ) ciò che si ottiene dal sostituire a„ ad a in [ r e il seeno \JapJ * \daj 2 l'ordinaria integrazione finita, nell'ipotesi di Ap=i fra i limili P = J 1, ra-f-i, che equivale alla somma de' varii termini dedotti dalla funzione ad integrarsi col sostituire api numeri 1, 2, 3 ....n, attesoché P = n + i xf'\[a*-a*XdxV>f"'e-aiXXdx"<=qznt+lBlJlXf'ìe-aiXXdxfl <7=i -+- 2 B2,q e J e 2 Xdx1 ,7=1 cioè per analogia p =r 3 q = np r\- 1 JP,1 I T^B^e^fe-^Xdx*. P=i <7= i Dividendo per e"3* , integrando «3 volte , e poscia moltiplicando per e si dedurrà lo sviluppo di 411 da quello di ina poicLè p assume i soli valori i, 2, e il supremo valore di q e np uè sorge oltre le due precedenti somme una terza serie di termini compresi nella stessa forma di prima qualora a p si attribuisca il valore 3. Sarà dunque il nuovo sviluppo 2 2 Bp,qe p Ji e p Xdx1. P=i 9=1 Così all'aggregazione d'ogni successiva radice 04, «5 .... si verrà ad attribuire a p il corrispondente valore 4)5 : per lo che infine svolgeremo la (I) nella seguente doppia serie di termini (L) Aayz= 2 2 BPtqer J'e F Xdx'. P711 q-i Resta ora che si determini il valore d'ogni coefficiente BPiq. Perciò si osservi, che assegnato questo valore per una data forma di X varrà per ogni altra, essendo indipendente dalla medesima. Di più siccome le espressioni (I) (L) sono identiche è palese, che i due gruppi rispettivi de' ter- mini affetti dalle costanti arbitrarie portate dall' integrazioni debbono fare equazione fra loro, e si separeranno dagli altri col supporre eguali a zero le dette costanti. Ciò premesso, si assuma X — eax3 essendo a una nuova co- stante che potrà avere un dato valore ad arhitrio, ed eseguiamo le integrazio- ni in ambedue le (I) (Ij) senza giunta di costanti arbitrarie, poiché nel con- fronto queste si mandano a zero. Avremo evidentemente dal secondo membro della (I) ux . a x e A0e (a -a,) (a-aa) ....{a-am) e dal secondo di (L) /7 = m-)-i <7=*ji-f-i B 2 2 ossia ax r-'i e psi «7=1 [a-ap)i 4is Dunque soppresso il fattor comune eax A0 P = m + " ?|»;>+« Bp,q ea* 4 f=I q=l (a-up)i j Per tal guisa il Problema è ridotto allo spezzamento della frazione -j nelle sue parziali; e poiché la presente equazione è identica, sussisterà con tut- te le sue differenziali per qualsiasi valore di a. Si concepisca cadaun mem- bro moltiplicalo per (a-aP) p ; la frazione parziale — ~- nel rango relativo r l. v ' {a-ar)q al valore particolare di p diverrà .Bp,q [a.-ap) p t e le frazioni di tutti gli altri ranglii avranno per fattore (a-ap) p. Prendasi la differenziale {np-q) rapporto ad a; il termine suddetto darà 1.2.3 {np-q) Bp,qdap t gli altri termini dello stesso rango che contenevano potenze inferiori di a-ap spariranno, e quelli affetti da potestà più elevate di a-ap conserveranno que- sto fattore, le frazioni poi di lutti gli altri ranghi avranno per fattore (a-ap)i. Facciasi infine a = apj e si avrà l'equazione \.i.Z....[np-q)BP)<ìdar = d . — purché dopo le differenziazioni si ponga a = ap. Siccome A ha per fatto- re (a-ap)"Pj si potrebbe sopprimere questo fattor comune, e scrivere allo- ra a,, iu luogo di a anche prima dì differenziare, ma sarà più comodo il" va- lutare i - = — secondo- la nota regola, che ci dà A o > fd^AV1 i. 2. 3.... np [■ 1 : ap al divisore serve a ricordare che ad a deesi sostituire ap. Quindi risulta (M) Bp,q = np{np-i) (np-2) ....(np-q-t-i) A0 da 4.3 Questa è la formola accennata dall'Eulero (i 5) e dimostrata dal Plana ed essa è pure l'espressione de' numeratori delle frazioni parziali in cui si spezza ^ come abbiamo dianzi avvertito. Ogni integrale poi come J'1 e p Xdx1 della (L) si svolgerà in inte- grali semplici mediante il noto sviluppo r=<7 + i . .q- fe-a'*XJX1= i M 1 /-lfj-re-°>*XJx. r = i 1.2. à... (r-i). i.2.3. ..\q-r) Per applicare le (L) (M) a qualcuno de' casi più semplici suppongasi A = A0 (a- a^j si avrà I-2-3-" [dar1) e pi -axx n = J e Xdx , poiché quando q = n il segno d° indica che non si ha ad eseguire differen- ziazione sopra — . Suppongasi in secondo luogo A = A0 (a - a,) (a - a2) sarà q-n j= 2 (n-i) [n-i).„(n-q) 7 = « da n-q-t /JA\-i a2x r-aax + h- e J e Xdx &P'"f° cioè B—tJ-l a2x ivi y „ _ (_I) a*Pn -aIx a e P _„ r (IN) A0y = 2 e J'e Xdx' H le Xdx. I \ n ~ 7 B - 1 7=1 (a,-a2) (a3-fli) 4i4 Se fosse In particolare n = 3, si avrebbe J0y= fé Xdx 4- 7 e Xax (ai-a2)2 «i-«2 + e** fe'^xL = P l-)ea*Xfe-aiXXdX di*' , Ojl fxe'^Xdx + _f fe'^Xdx. at-a2 (a2-ai)Q Consideriamo per ultimo il caso di X = o. Allora si ha // -avx~, , q <7-l 9—2 e r Xdx1 = dx -i-c3x -f- .... -f- cq.xx -\-cq . La moltiplicazione delle costanti arbitrarie CuC*.... per Bp,q produce altret- tante costanti, cosicché si ottiene p = m+i tj = np+t (0) r= 2 2 Cp,qea*xxei-1 P =■ « 9 = » essendo C^ rappresentatrice di ?z costanti arbitrarie. Questa noia espressione serve altresì a completare la (L) qualora le integrazioni ivi indicate si eseguis- sero senza aggiungere veruna costante. E inutile poi avvertire che la (L) vale per qualsivoglia caso di radici eguali o diseguali non solo reali ma altresì im- maginarie. * L'altra forma di equazioni lineari (4) di cui sappiamo esprimere l'inte- grale finito, si può rappresentare come segue Coia+buV -^--t-C^a-l-buy-* --^ -+-.... + Cn (a-\-buy-"j = U, dun dun~l essendo C0j Ci .... Cn quantità costanti. Se poniamo a ■+- b u = x e dividiamo per xr} indicando Cm bn~m con Am e con X il risultato della sostituzione di x ad a-\-bu in — , ? . la detta (a + b uf 4i5 equazione diviene J d"r At d"-ly A* d"^ r An Stabilendo .r = e8, donde dx = eldz_, e quindi avulo riguardo al cangia- mento della variabile indipendente dx~e di' dx* -~~ kd* d*r dx* dx =«-j=(S-3g+4h si viene a trasformare la (P) in una equazione lineare a coefficienti costanti. Ma per rendere l'integrazione della (P) indipendente dall' accennata tras- formazione,, cerchiamone l'integrale col metodo testé usato. Assunta y = xa nell'ipotesi diX=o la proposta riducesi all'equazione algebrica di grado n A0a (a-i) (a-2)... [a-n + i) -+-A', a (a-i}...(a-?i-\-n) + ~.-\-An.ìa+A„ = o cbe indicberemo per brevità con A = o. Rappresentando le sue radici con axi a2 .... an abbiamo _ "*- _ °* "» JT\ — x j y2 — >x .... yn — oc „,• e denotando con B1JB2....CiJCì....E1,Ez.„. quantità -costanti che non è d'uopo determinare, ricaviamo dal Quadro (C) &l==Blxa>-°*-\^=B.oca*-a*-\ &5 = B3xa*-ai-1 fl = ^^-'7'-, 171= òi X 4iG In conseguenza si ottiene per l'integrale richiesto A0y=XClfx">-ai-\lxfXa*-a*-XdXf...JX°»-Cn*-\lXfx-a»+n-*Xdx, e qualora l'equazione A = o abbia n, radici a^ na radici a2 ...... nm radici amj varrà l'espressione v^/^/..../^/^-°'-v./^/:..../^-^-,^/..../c-c"-+n-,AVxJ X X ' X in cui si incontrano nL segni di integrazione innanzi ad x a l 3 n2 segni tra x dx ed x dx ec. Decomponendo questo integrale replicato come quello della (I), mediante l'integrazione per parti eseguita sugli integrali clie immediatamente prece- ono x j x ec, oppure col processo che siamo per in- dicare al §. VI. di questa Sezione, avremo del pari ^r=T+'T'+'BP,,.'>f!ìf±f.....f!iU'>+°-'Xi«"i = 0, clx ricavandosi sempre un valore di ,- ga)jr) A" T, <=■ e sostituendo queste funzioni nella (F),. si otterrà quel medesimo risultamente che ci ha dato in particolare la (N) §. IV. Cbiuderemo coll'accennare in qual guisa lo sviluppo della (I) in integrali 4 >9 semplici poleasi formare, senza mestieri di ricorrere al dettaglio dell' inte- grazione per parti come al §. IV. OjX Dividendo la ( I ) per e j differenziando «, volte e dividendo per e j indi differenziando n^ volte e dividendo per e 3 " ec, sì arrive- rà ad una equazione il cui primo membro è una funzione lineare in j, a coefficienti costanti moltiplicata per A0 e j ed il secondo membro J m e m Xdx m. Se invece di concatenare le radici al,aì,....am nel modo ivi indicato, si fossero ordinate altrimenti, conservando però ultima la am si avrebbe avuto del pari una funzione lineare in y eguale allo stesso secondo membro di prima. Ne segue l'eguaglianza delle due funzioni lineari anzidette, e poiché questa equazione dell'ordine n — nm è soddisfatta da un integrale fini- to con n costanti arbitrarie (I), essa sarà identica; e perciò l'equazione ante- cedente sarà la stessa, in qualunque modo si succedano nella (I) le radici, purché a„, rimanga l'ultima. Fissando l'ultimo posto ad am.t, ad am.%, ec. si otterranno equazioni corrispondenti, fincbè attribuendo quel posto ad a,, si abbia una funzione lineare in j dell ordine n -n, moltiplicata per Aoe eguale ad J''x e'"* Xdx* . Si differenza ora la prima di queste in equazioni nm-i volte, la seconda wm.,-i volte ec, l'ultima Hi-i volte di seguito. Avremo m gruppi di equazioni lineari in numero di 7ìm-\-nm.i +...-r-«1 = «J d y d** y dn~J y . , . fra cui eliminando — . — - . .... - — — , si otterrà la cercata espressione di r. dx dx* dx*'*-' r Per eseguire questa eliminazione basta moltiplicare le n„, equazioni del primo gruppo per e m e per rispettive costanti da determinarsi B ,...Bm j ec, finalmente le n, equazioni del gruppo mesim0 per e * e per le indetermina- te rispettive B .... B . Mandando a zero le somme de' termini affetti r i,77, i,i d Y d"2 Y dn * * V i da — j da — — j da — , e uguagliando all'unità la somma de fattori dx dx"* dx"-1 di A0y, risulterà manifestamente la forinola (L) del §. IV. 42 0 Le n costanti rappresentate da BPy<] si ricavereLbero in tal guisa da altret- tante equazioni di primo grado, ma è facile mostrare che tutte quelle che han- no l'indice p comune si possono determinare separatamente mediante np equa- zioni. Cosi le B , Z? .... B si dedurranno da nl equazioni di prì- 1,11,2 l,T>l * • mo grado nel modo seguente, che vale per ogni altro gruppo. Prendasi a con- siderare fra le equazioni soprammenlovate quella il cui secondo membro è J *e * Xdx *j e si riduce quando X=o al polinomio Ci, i + Ci,2 .r -h -f-c x I_ con «i costanti arbitrarie. I, 77, L'equazione suddetta essendo un integrale jitesim0 della proposta sarà sod- disfatta dal medesimo integrale finito, il quale nell'ipotesi di X= o viene espresso dalla (0). Si ricade evidentemente in quell'integrale nleslm° per X=o eliminando fra la (0) e le sue differenziali i"_, a'«j [n-nl)ma le costanti rappresentate da C , tranne C C ... C che moltiplicano e * ; ir PjIJ> i,i 1,2 i,», * poiché in questa sola guisa si viene a conservare e ^ e ad escludere tutte le altre esponenziali e e .... e . .Pertanto si conosceranno le nx re- lazioni esistenti tra le e .e .... e e le C , C C col 1,1 1,2 I.jHj I,lJ 1,2 1,77, sostituire nel prefato integrale ni"'"10 in luogo di y (7,37 / ,, _, _ 77,— l\ ( ',' «.a 1,77, y e stabilire i confronti. Osservando poscia che nell'espressione di y si contiene /> e [e -+-c x+.„. + c x 1,77, ^ 1,1 1,2 1,77, J più le derivate di questo polinomio in x moltiplicate rispettivamente per B e , .... B e ' j e che questo cumulo di termini dee coincidere con come apparisce quando X=o; avremo da' nuovi confronti n, equazioni che serviranno a determinare i valori di B , B .... B . Basti aver addi- ',■ 1,2 1,77, 421 talo questo metodo utile forse soltanto per le equazioni lineari a coefficienti numerici, o pe' casi di poche radici eguali. SEZIONE SECONDA Equazioni lineari alle differenze. I. Le teorie stabilite nella Sezione I. per le equazioni differenziali valgono altresì per quelle a differenze finite. Pertanto senza ripetere gli stessi ragiona- menti verrò esponendo le furinole relative con que' soli sviluppi clie saranno richiesti dalla diversità de' due calcoli. Come nella precedente Sezione le ci- fre A0,AXJ A^ ... dinoteranno quantità diverse, e per indicare i successivi va- lori variati d'una medesima quantità y farò uso della notazione j-(l)j-(2)^-(5) .... Abbiasi l'equazione lineare alle differenze in generale /. ., j (n) j ("-') . (n-2) (AA) Aof'-t-A,/ +A*f > + ....+ Any = X in cui si considera Ax comunque variabile, supponendosi soddisfatte le con- dizioni d' integrabilità (7). Posta y=y1 2 /3 donde /(2)=/x(2)(2|3-r-(3 + ^) 7(3) = 7i(3) (2 g + g + gì) + ^(2)) e& se y =J'i è un' integrale particolare della proposta quando X = o si avrà la trasformata (BB) B0 (Z'n-l) + 7?, B'n~2) + J+B^ 0 = X. Sia £=#* un'integrale particolare di questa equazione nell'ipotesi di A'=0, avremo del pari posto /3 = & 2 y la ridotta c0 ^-«J + c, yc»--3) + .... + e-;.fl y = x. Ma per X=o, conoscendo un allro integrale particolare della (A A) y=jì, 422 abbiamo Ys=)"i 2#M donde $1 = A — . 3 e allo stesso modo conoscendo un y £» terzo valore 7=73 si avrebbe #2= A. — _, /1 = A _- ec. Dunque con n )'i pi valori di 7 ci riduciamo ad una equazione finita, e con n-\ valori ad una equazione lineare del primo ordine. Nell'uno e nell'altro caso otteniamo l'in- tegrale completo della proposta, e il Teorema Lagrangiano si estende alle equazioni a differenze finite. Questo integrale si dedurrà dal Quadro seguente (CC) y*=yx±b g = ^2y 7 = ft 2 t .... r = £ 2 t jB, = A.a & = A^3 fo=AJJ..J„.lC=AJ-: J-t J* J' 7* ^ = af :r = A; /3x ' fi «.■-A* T« 0-!== A — JoyW^Bo J0yl{n)+4iyl{n-l)=Bx .... C0 yp -*=E0 Co 7^ ~ 2) + C> y£n " 3> = Ex .... s0 r.M = r0 ^o */*> 4- s. in)B^-1):..p^^_n IL La formola (DD) è stata pure sviluppata in integrali semplici da La- place (8). Dividendo per ys e prendendo la differenza finita abbiamo A - =» A - 2 7i 2 *i 2 .- 2 t: Dividendo di nuovo per A — > e differenziando si ottiene A^l |a£3 = A AJ-1 AJ- 2 e, 2 .... 2 T. Così procedendo, si arriva dopo n - 1 differenziazioni ad una funzione lineare in y d'ordine re — i cioè e si proverà come al §. II. Sezione I. cbe questa equazione, e la funzione t rimane la stessa in qualunque serie sieno disposti i valori J"i,y2 —, purcbè r„ sia l'ultimo. Se poi attribuiamo l'ultimo luogo ad yn-i, la funzione t divie- ne t,, e così di mano in mano, tenendo per ultimo il valore yn-i, yn-a — • J% la t diverrà rispettivamente t2, r- „. Ta.IS e si avranno n equazioni, i cui pri- mi membri sono funzioni lineari in y d'ordine re -i, e i secondi membri 2t, 2 TtJ 2t2 ...., 2t„.,. Concepiamo moltiplicate queste equazioni rispettivamente- per ynjjrn-i.jyn--ì—J'i e sommate insieme: si avrà per primo membro della uuova equazione una fun- zione pur lineare in y dello stesso ordine re — I, e per secondo membro J„ 2 T-f-Ta-i 2 T, -f-JVi 2 T2 -f- .... -+- Vi. 2 T„.,. 424 Ora è palese che in quest'ultima funzione lineare tutti i fattori delle va- riate y{n~l \ J("-2^ ~JT ' debbono annullarsi, e quello di y essere l'unità. Imperocché questi fattori sono indipendenti da X e ponendo X = o trovia- mo, come è d'uopo, y = C„ yn -+- Cn-i fn-t -f- .... + C\ yt . Risulta dunque ( F F) y = /, 2 Tn -i -r- ja 2 t„ « -+- (-/« 2 T. Retrovariando le precedenti n equazioni n — i volte di seguito, cioè assu- mendo le equazioni di cui le suddette sono le variate i", 2" .... (re -i )"'""*., Laplace ricava altre n - 1 espressioni di vario aspetto, la cui coincidenza col- la (FF) dà luogo ad alcune relazioni di identità che reputo soverchio di ri- ferire . III. Data ad integrarsi l'equazione (A A) co' coefficienti costanti, ponen- do y = a"1 lj si trova nell'ipotesi di X = o (GG) JQan-i-Jla"-l-\-J.ìa'l-2-i-....~\-Jn = o, ossia J = o. Sieno aLJ az .... aa le n radici di questa equazione, si avrà yi—ac"- y% — «2" ' •••• yn — a,r l e rappresentando con Bl} B2J ... Cl} C2 ... Els E2 ... nuove costanti cbe non è d'uopo determinare, otterremo dal Quadro (CC) e-Msr *-M5r e>=B>tif'- 425 In conseguenza la (DD) ci somministra ,HH) r«fll='2fi)S,2fa)Sl2...2^)S,27iÌ^£-. v ' J \tij I \a*l \an-ij ADalai....c„ Se alcune delle radici di (GG) fossero uguali fra loro, cosicché ve ne aves- se un numero 72, di eguali ad ai ec, finalmente nm di eguali ad am; si avrebbe n, 77S 7?3 rcm 2 , 77, /o2 \2 1 n2 /<73 \2 1 n3 ^m .J,v (11) •//<,«! «a «3 •.»«,» /== «» S f— 1 2. I—J 2. ...£ am X, formola in cui le radici ax, a2 .... a,„ si ponno concatenare nell'ordine opposto, come in qualunque altra permutazione. IV. Venendo a sviluppare la (II) in integrali semplici osserviamo che dalla formola dell'integrazione per parti 2«Az = uz — 2iAm — 2A«Az risulta V0a/ «TL-ia \ct/ Proseguendo a svolgere gli integrali del secondo membro coll'integrazione per parti, e moltiplicando infine per a^1, si arriverà ad una doppia serie di termini rappresentabile, secondo la notazione adottata al §. IV. Sezione I., colla somma replicata 2 2 Bp>q ap 2 ap X. Quindi rilevasi come al citato §. IV. corrispondente che lo sviluppo del secondo membro della (II) ci condurrà alla psm + i <7 = 7?.-fi (LL) j40a, a2 .... am y= 2 2 &p,q a? 2 <*p "*■ pai p+i a - = — 2 2 ■up-i"p (a-a,) (a-a2) ...(a-am) P~^ ? = « (rt-tf,,)7 Dunque BPlp-2) ...(np-q+ i) Joa"* a"' ... afr" [ _£fg_ ( ■ j da^ ) Onde svolgere infine in integrali semplici 2 ap~"1 X 3 varranno le se- guenti forinole che si riferiscono a qualunque funzione T da integrarsi 2T=(2i-i)2r-5r2., 25r=(ifi2--?2I+i)sr_(2i_?)2r2i + J2rf;2) 2* T = ( \ 2~i 3 — fi 2 -f- y 2 i — i ) 2 T — f 1 fi i ' — 2 2 1 4- » ) 2 5T 2 i -HJ21 — ijsrfi'-ìsriV, ec. le quali si possono protrarre fino ad un ordine qualunque n, poicbè la forma loro è evidente, e quanto a' coefficienti numerici essi si determinano per 2" T col prendere la differenza finita e paragonarla identicamente coli' espressione di 2""1 T già ottenuta, avvertendo che 2i è indeterminato. 11 valore di 2 i dipende poi dall'ipotesi stabilita riguardo a A * j e sarebbe x se Ax=i. 4=7 Dalle (LL) (MM) ricaviamo, qualora tulte le radici della (GG) sieno diseguali, P=n + 1 UlA P siccome è noto. Se n-i radici sono eguali ad aL e la superstite eguale ad a2, si ottiene (NN) A0y = 2 -tlì a?l-Zqa--lX-ì a? ' 2 a2' 2 ' X. Se infine X = o, abbiamo 29ap-2,Z = 2J(«)==e2%?(p(p(1)(p(2)_i_(p(„-0K(^ si giunge alla trasformala ioK("1 + i1i/""'l + ^«(""l) + ....+i.« = VI. W V2) ... 2i*r -2 1 v (os-fi) Da (Oi-fla)a* -i—^-S^^Sr-^fi^-^^ar21^; come pur si ottiene dalla (N N) quando vi si faccia re = 3 , e in luogo di 22 aì~-2£ si sostituisca (2i-i)2«r2lX-2ar2t^T2i. Procedendo come si è indicato alla fine del §. VI. Sezione L, si avrebbe un altro modo del tutto analogo di ridurre l'integrale replicato della (HH) alla forma (LL), e di determinare gli re, coefficienti Bx,qj gli "a ec > gli nm coefficienti Bm>q di quest'ultima, mediante retJ re2j....rero equazioni di primo grado. 43o CITAZIONI (i) L' integrazione delle equazioni differenziali lineari del primo ordine si suole ascri- vere a Giovanni Bernoulli (Enciclopedia del secolo 1 8.°, Dizionario delle Matematiche, articolo Linéaire del Condorcel). Ma negli Alti di Lipsia, Marzo 1696, p. i47, le»«>o il passo seguente d' una Nota di Leibnitz. Problema de eo praestando circa aequationem dif- ferenlialem adyc:ypdx-|-b)n gdx solvere possum, et reduco ad aequationem cujus forma est dv4- . . . .vdz + .... dz = o, ubi per punctata intelliguntur quantitales uteum- que datae per z. Talis autem aequatio generaliler per me reducta est ad quadraturas , ro- ttone jamdudum amicis communicala, quam hic exponere necessarium non puto etc. (2) Veggasi una Memoria di Lagrange , sur l'integration d'une équation a différences finies, qui contient la théorie des suites recurrentes (Miscellanea Soc. Taurinensis T. 1. pag. 33). (3) L'Eulero (Miscellanea Berolinensia T. 7. p. io,3), avea trovato le proprietà princi- pali delle equazioni lineari col secondo membro nullo, e integrato le medesime co' coeffi- cienti costanti, per qualsivoglia caso di radici eguali dell'equazione algebrica ausiliaria. Po- scia (Novi Commentarli Academiae Petropolitanae. T. 3. p. i3), espose il metodo di inte- grare le equazioni suddette a coefficienti costanti, qualunque ne sia il secondo membro. Per- ciò Daniele Bernoulli in un brano di lettera all'Eulero (Commentarli Acad. Petrop. T. i3. p. g) ebbe a scrivere: nunc vero libi, vir eruditissime, hanc obsertationem debemus, quod ista aequatio piane ad quantitates finitas reduci possit. Ma dal suo canto anche il D'Alem- bert avea già insegnato ad integrare quest'equazione in più luoghi delle sue Opere. Veggasi il Trattato di Calcolo Integrale del Bougainville. Parigi 1756, Parte 2. Sez. 1. Cap. i5.; e Sez. 2. Cap. 6., 7., 8.; e la citata Memoria (2) di Lagrange alla pag. 36. (4) Euleri Instit. Calculi integralis, Edilio altera. Pelropoli 1792, Voi. 2. p. 3gg. Lagrange, Solulion de difl'érens problèmes de calcul integrai, p. 190 (Miscellanea Tau- rinensia. T. 3. p. 179). — Giovanni Bernoulli s'era occupato dell'integrazione di questa for- ma di equazioni col secondo membro nullo. (Commentarli Acad. Petrop. T. i3. p. 61.) (5) Si consulti una Memoria di Laplace (Miscellanea Taurinensia. T. 4- p- 273) ripro- dotta in parte nelle ricerche sull'integrazione delle equazioni a differenze finite di questo grande geometra, inserite nel T. 7. p. 37. delle Memorie di Matematica e Fisica presen- tale all'Accademia delle Scienze di Parigi, anno 1773. (6) Vedi la cit. Mem. (4) di Lagrange alla pag. i83. (7) Histoire de l'Acad. des Sciences de Paris, année 1770, p. 108. Sor les équations aux différences finies, p. i35. (8) Opuscolo analitico sull'integrazione delle equazioni lineari alle differenze, Livor- no 1792 ; ovvero il corso di Matemalica sublime. T. 1. pag. 84, 88. 43 1 Anche Laplace esprime in frazione contìnua l'Integrale d'una equazione lineare alle differenze del second'ordlne in due luoghi della Meccanica celeste. T. 2. Lib. 4- p. 197, e T. 4-L- io. p. s54. (9) Quest'importante conclusione deducesi da una Memoria del Libri letta il 28 Otto- bre i833 all'Accad. delle Scienze di Parigi, e inserita nel T. \I\. delle Mera, di della Ac- cad., come pure nella Raccolta delle Memorie di Matematica di quell'illustre Analista pub- blicata in Berlino, anno 1 83 5. (io) Elementi d'Algebra. Ediz. terza. T. 2. p. 267, e originalmente la Memoria sulle equa- zioni a differenze finite di questo insigne geometra, Nestore de' Matematici Italiani viventi, nel T. 4. degli Atti della Soc. Ital. p. 455. (n) Histoire de l'Acad. dea Sciences de Berlin année 1748. Suite des rechercbes sur le Calcul integrai, par M. d'Alembert, p. 284 e seg. Bougainville, Traile du Cale, int., 1756. Seconde Parlie, p. 199. — Di questo me- todo fece pur uso l'Eulero nella cil. Mem. (Novi Comra. Acad. Petrop. T. 3.) alla pag. 23. Esso viene altresì suggerito dall'osservare, che il gruppo degli integrali semplici relativi alle radici che divengono eguali, si riduce in tal caso a °. Vedi Lacroix Traile du Calcul différenliel et integrai. Seconde édilion. T. 2. p 334- (12) I luoghi del Calcolo integrale di Eulero (Ediz. seconda. T. 2. p. 354 e 366) in cui quel sommo Analista cade in errore, e riconosciutolo, dichiara di conservarlo nella stampa, per avviso al lettore, sono riportali nella stessa Memoria qui appresso citata (i5) dell'illu- stre Matematico ed Astronomo Cav. Plana. Ivi è pure avvertilo lo sbaglio commesso da Lagrange alla p. 198 della cit. Mem. (4): al qual proposito^osservo, che nel medesimo sba- glio era già incorso l'Eulero nella mentovala Memoria ;Novi Commenl. Acad. Petrop. T. 3.) alle pag. a4, 27, 32 ; e che forse Lagrange vi sarà stato indotto dalla fede che dovea porre nell'esattezza delle conclusioni stabilite dall'Eulero, sebbene questi trattasse l'equazione a coefficienti costami, e l'allro la forma (P) §. V. Sez. Prima. (i3) Lexell (Novi Commenlarii Acad. Petrop. T. i4- Pars prior) così scrive alla p. 232, §. 11. Casus in §. praeceJenti commemorati satis illustrare videntur , qualis forma sit tri- liuenda quantilati y, prò quacumque aequatione ilifferentiali, in qua valores ipsius m aequa- les non unius sunt generis; adeoque eo magis supervacaneum duco hisce diutius immorali , quod gencrales formulae prò illis casil>us non videntur tradì posse satis expeditae. (i4) Euleri, Inslilut. Calculi integr., Editio altera, 1792, Voi. 2. p. 432. (i5) Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. T. 3i. p. 377. (16) Miscellanea Taurinensia. T. 3. p. 38i. Extrait de différentes lellres de M. d'Alem- bert A M. de la Grange. (17) Mémoire .... sur l'integration des équations linéaires nel .Giornale di Matematiche pure ed applicale del Creile. T. io. p. 167, ovvero nella menzionala Raccolta (9). (18) Fra i tanli metodi immaginati per integrare le equazioni lineari, mi acconlenlerò di accennare i più notabili. Quello del moltiplicatore che si incontra nella maggior parte dei Trattali; il metodo di Lagrange fondato sulla variazione delle coslanli arbitrarie (Nouveaux Mem. de Berlin, année 1775, p. i83); l'allro del D'Alembert, per integrare il sistema di 43a più equazioni a più variabili, oggimai rendulo comune; quello di Laplace esposto nella cit. Mem. (5); le ricerche del Lorgna consegnale ne' Voi. I. e 2. degli Atti della Soc. Ila].; l' ingegnosa decomposizione ideala dall' Eulero, per le equazioni a coefficienti costanti , col secondo membro nullo o qualunque (Miscellanea Berolinensia, T. 7. p. 2o3; Calcolo in- tegrale, ediz. seconda, T. a. p. 36g) ; una nota del medesimo (Observatio singulaiis circa aequaliones differenliales lineares. Nova Acta Acad. Pelrop. T. i4- p. 5a) ; infine l'appli- cazione del calcolo de' residui fatta a queste equazioni dal Caucby in parecchi luoghi della sua Opera periodica Exercices de Mathématiques, eie. (ig) Questa formola si trova in una lettera del Lagrange al Fagnano. Torino 1754, eh' è il primo saggio scientifico di quel sommo Analista, e il solo opuscolo da lui pubblicato in italiano, secondo il Redattore dell'articolo Lagrange nella Biografia Universale di Parigi. Però Leibnitz avea già proposto la stessa formola in una Memoria intitolata, Symbolismus memorabilis calculi algebrici et infinilesimalis in comparatione potentiarura et differenlia- rum. Miscellanea Berolinensia. T. 1. p. 160. (Veggasi ancora il 6uo Commercio epistolare con Gio. Bernoulli. T. 1. pag. 46, 52, 65, 75, 99). Ma Lagrange seppe rincarare l'argomento, col mettere in piena luce l' analogia del- le potenze positive e negative co' differenziali ed integrali (Nouveaux Mém. de Ber- lin, 1772, p. i85); mediante le celebri sue formole dimostrale poi da Laplace (Mém. de Malh. et de Phys. presenlés a l'Acad. de Paris. T. 7. p. 534 ; Hist. de l'Acad. de Pa- r!s> '777>P- 99)- (20) Euleri Instit. Calculi integralis, Edit. altera, Voi. 2. p. 348. Non mi venne fallo di riscontrare la presente formola in verun'allra Opera anteriore alla prima edizione del Cal- colo integrale di Eulero. (21) Veggasene l'elegante descrizione data da Monge. Mém. de Malh. et de Phys. pre- senlés à l'Acad. de Paris. T. 9. p. 345. Sur les funclions arbitraires continues ou discon- tinues qui entrent dans les intégrales des équalions aux différences finies. (22) Così alla p. 180 d'una Memoria di questo celebre Analista, sur la pluralité des in- tégrales dans le calcili des différences (Journal de l' Ecole Polytechnique. Cahier XI. p. i73). CENNI ISTORICI SULLA INVENZIONE DELL'ARTE CAMBIARIA MEMORIA LETTA ALL'ACCADEMIA DI PADOVA LI XIU MARZO MDCCCXXXVHl DAL SOCIO ATTIVO CO. ANDREA CITTADELLA VIGODARZERE E- utile effetto certamente della odierna perfezionata civiltà che almeno in fatto di scienze, di lettere e d'arti gli uomini si risguardino adesso come membri di una vasta comune famiglia, affienando gli orgogli e quasi dissi gli egoismi nazionali. I monti, i fiumi ed i mari, segnano, ora soltanto, un confine agli Im- perii, ma la luce che diffonde l'astro fulgido del sapere è una proprietà uni- versale, e simiglia i raggi del sole benefico a tutti i viventi. Ma pur fu tempo in cui i dotti di alcuna nazione vaghi di accrescere i vanti, si diedero sfaccia- tamente a predare i fasti delle altre, e per gratificarsi alla patria non guarda- darono alla turpitudine del furto. Non è meraviglia che questa guisa di Pi- rateria si esercitasse a' danni d'Italia. Solo i poveri vanno sicuri dalle rapine; essa è ricca di molti beni, e vollero i fati che d'ogni sua dovizia mal suo grado agli altri popoli facesse copia. Contro i rubamenti scientifici e letterarii, con- tro la nazione che più arricchì per siffatte prede, e contro gl'Italiani stessi tor- pidi e fiacchi difensori d'ogni loro gloria, acuti strali avventava dalle catte- dre del Ticino il sommo cantor di Basville, e segnava in fronte con marchio d' infamia gli scoperti predoni (i). Non poche utili invenzioni sono già ricuperate all' Italia, ma pur altre mol- te ne rimangono a falso onore degli stranieri che le usurparono giovati dal- (i) Monti. Dell' ohbligo di onorare i primi scopritori del vero in fatto di scienze e di lettere. 55 434 l'oscurila de' tempi, non meno die Jal nostro inerte silenzio. Tra queste è Ja porsi per mio avviso l'arte del cambio; e imprendo a mostrarlo con parecchie concorrenti isloriche prove, le quali mi sembra couducano assai dappresso alla morale certezza. Non è mestieri die io mi faccia a sporre ì vantaggi, che derivano dalle cam- biali al commercio, ai commercianti e alle nazioni. Gin non vede che senza questo mezzo rappresentativo mal si potrebbe esteso commercio esterno stabi- lire, ne florido traffico interno mantenere? Quale che sia il commercio o tra stati e stati, o tra provincie e provincìe del medesimo stato, e si faccia o per via di permutazione o per compera, è giuocoforza che segua il conguaglio tra le cose date e le avute, tra la importazione e la esportazione la mercè del da- naro. Pericoli di terra e di mare, spese di trasporti, calcoli intricali di parag- gio per diversità di monete, per continue mutazioni di bontà, di valore, la con- segna effettiva della moneta sogliono bene spesso difficultare, impedire. Le cam- biali togliere di mezzo i pericoli, gli ostacoli, la variabilità dei valori nel con- tante, la malagevolezza indefinibile de' ragguagli. Di più chi non sa, lo incessante movimento e il pronto giro essere elemento- principalissimo. di florido commer- cio? E so-no appunto le lettere di cambio, che spianano il cammino a\ traffico, e gì' imprimono celere il movimento: esse rappresentano le mille volte i valori delle cose, fanno passaggio velocissimo per tante mani, percorrono immensi spazii, ravvicinano i popoli; moneta universale, sacro vincolo, fede delle na- zioni. E die non si dirà di quella artificiale ricchezza, che s'aggiugne per le cambiali alla ricchezza reale de' negozianti? Un solo giro di penna fa le veci di milioni e milioni, n'è garante la buona fede, la probità; e il commerciante d'incolpata fama ottiene cou piccoli capitali importanti risultamene. Dal che si conosce, essere il cambio motore possentissimo del traffico, fondamento delle relazioni commerciali. E se certo è, dal commercio, come da fonte più copiosa, la nazionale ricchezza scaturire, abbi a me per legittima illazione, il trovamento dell'arte cambiaria toccare assai dentro la prosperila degli stali, e andar con- numerato tra quelle eccellenti invenzioni che più onorano l'ingegno umano; anzi pur vantaggiarsi da molte e per la ulililà di cui è ministra, e perchè fu condotta all'ultima perfezione. Onore quindi, gratitudine, laude ai solerli ritro- vatori ! Ma a cui quest'onore, questa gratitudine, questa laude? Che le prische nazioni versassero nella ignoranza assoluta di questa ma- niera di operazioni commerciali i più autorevoli degli scrittori s'accordano nel- l' affermarlo, e le istorie lo comprovano col silenzio. Ristretti erano i commer- 455 cii delle vetuste genti, perchè imperfetti i navigli, bambina la nautica, sola guida sugli abissi del mare l'incerto lume degli astri, ignoti i mezzi più ac- conci a' lunghi viaggi. Perciò non intesero forse alla scoperta del cambio il quale nel suo uso essenziale suppone corrispondenze commerciali estese e lontane. La Storia di Roma non ci offre traccia alcuna del cambio. Ne meraviglia: sappiamo che i Romani non furono giammai commercianti, e die per l'agricol- tura e per l'armi cresciuti ad immane potenza, ogni altra arte dalle due in fuori reputavano servile, e men che degna del nome romano. Il perebè anda- rono errati coloro che avvisarono simiglianza tra le tesserae collybisticae dei Romani e le nostre cambiali. Quelle non erano altro che assegnazioni fatte dal debitore al creditore sopra una somma di danaro depositata tra le mani di un terzo, lo che fu dimostrato per 1' Eineccio delle romane cose eruditissimo. E invano faremmo di rintracciarne qualche sembianza nella romana giuri- sprudenza; conciossiachè, anche in quelle leggi che risguardano i Nummula- rii, gli Argentarli, i Trapeziti, i Collibisti, nulla menzione è fatta mai di simi- li lettere (•). La romana legislazione, nonché somministrare argomenti che ne provino la conoscenza, ci porge indubitate le prove contrarie. Leggiamo ne'Di- gesti al tit. de nautico faenovej i prestatori di danaro ai mercadanti di mare inviar loro schiavi nelle piazze ove trattavano la vendila delle merci, onde ri- cevere la restituzione del prestilo; del che certamente non sarebbe stato me- stieri, se si fosse conosciuto l'induslre artificio del cambio. Ma nel mentre che possiamo asserire sicuramente quest'arte essersi dagli antichi ignorata, e per via di ragione, e per testimonianza concorde dei più eruditi interpreti dell'antichità, siamo poi condotti a contrarie sentenze dal- l'autorità degli scrittori più noti, quando ci facciamo a ricercare l'epoca certa dell'importante ritrovato, e gl'ingegnosi ritrovatori. Gli autori della Enciclopedia portano opinione che debbasi attribuire agli Ebrei di Francia sbanditi per Dagoberto nel Ozjo; poi per Filippo Augusto nel 1 1 8 1 ; e finalmente per Filippo il Lungo nel i3i6; i quali rifuggiti in Lombardia lasciassero fondi nelle mani dei loro amici, e traessero sopra di (1) De nummulariis, argentariis, trapezitis: L. 9. ). II du Puy nel suo trat- tato delle lettere di cambio, rigetta le contrarie opinioni e tiene assolutamente italiana la invenzione (2). 11 tesoro de' negozianti porta la stessa origine delle cambiali (3). Narra il Merlin già citalo, il giro cambiario aver comincialo in Amsterdam pei Ghibellini di Firenze, ed appellarsi piazza dei Lombardi il luo- go dove convenivano i commercianti per le cambiarie negoziazioni. Riferisce il Galliani, strade de' Lombardi venire inscrille in Londra ed in Parigi fino dal secolo XIV. le vie abitate da cambisti, giacche, aggiunge, i Veneziani, i Ge- novesi ed i Fiorentini denolavansi dagli stranieri con tal nome. Mostra al- tresì che all'epoca della restaurazione del commercio dovuta all'Italia si spar- sero per lulla Europa Italiani, i quali esercitando le operazioni cambiarie col (1) Historia ch'itatis higdimensis. (a) Traclatus de arte lillerarum camhii. Cap. IT. 5. 1. 2. 3. e 4 ^3.) Tesoro, de' Negozianti. Ipsia. 44o titolo di banchieri, erano gli arbitri del traffico. Ed è appunto, dice l'Eco- nomista Broggia, il soverchio amore di sofisticare cotanto ne' cambii, ne' quali sono stati gl'Italiani a tutte genti maestri, che fece loro perdere la premi- nenza nel commercio. Le storie di Francia ci apprendono che nel secolo XIV. cominciò a spargersi in quel regno gran copia di fiorini, prora non dubbia del commercio di moneta che gl'Italiani vi esercitavano. Documento irrefragabile dell'uso delle cambiali fatto per gl'Italiani in quel tempo lo abbiamo in un frammento di copia lettere di mercadante di lana fiorentino che si trovò le- gato in un codice Gaddiauo, edecci somministrato dal Targioni 'Pozzetti nelle notizie di Leonardo Pisano. Altro documento portoci dal De-Passeri consiste in una legge veneta dell'epoca mentovata, che dà norme alle cambiali (0. Finalmente l'eruditissimo Eineccio ci fornisce acconcia prova etimologica, e sa ognuno quanto giovi l'etimologia ad ajutare la 6toria e a toglierne assai spesso di mezzo le oscurità e le dubbiezze. Osservò quest'oracolo delle antiche cose, aversi le lingue siccome uno dei caratteri distintivi dei popoli, e dal linguaggio nativo la nazionalità e le origini determinarsi ; il perchè anche le scienze e le arti doversi riguardare come figlie legittime di quel secolo, che dava loro la fa- vella; ora certo è, le voci di cui usa l'arte cambiaria presso tutte nazioni es- sere tutte da principio ed alcune tuttora italiane; dunque egli inferisce con si- carezza, l'Italia è madre legittima e vera del cambio. Di qual forza indestrul- tibile sia questa prova e di qual peso l'autorità dell' Eineccio non fa mestieri che mi soffermi a dimostrarlo. Né .soltanto gli argomenti tratti dall'autorità dell'etimologia, ma anche la ricerca della origine filosofica del cambio conferma agl'Italiani l'onore della invenzione. Infatti sogliono d'ordinario gli scoprimenti accompagnare i bisogni od esserne figli; e qualora nel silenzio della storia si prenda a rintracciare l'ori- gine di alcuno di essi non può immaginarsi anteriore al bisogno stesso cui fu quasi mezzo al fine, ed al quale trovasi come effetto a sua causa congiunto. Ora indubitata cosa è, il cambio servire precipuamente all'esterno commercio. E perciò il solerte trovato deve riferirsi al tempo ed al luogo in cui si manife- stava il relativo bisogno per la estensione del traffico. Porre quindi la scienza del cambio ne' secoli dei Dagoberti è lo stesso che effetto senza causa immagi- nare ed invertere l'ordine naturale. In que' secoli di barbarie e d'ignoranza le nazioni non sentivano ancora il desiderio di avvicinarsi, e vivevano Ira loro (*) Nicolai de Grasseribus. Tractatus novus de scriptum privata. Venetiis 1611, lib. 3. 44» disgiunte come enti di mondi diversi. Fu solo ne'tempi di mezzo che rischia- rato mano a mauo l'universale tenebrio dalla luce nascente delle scienze e spinte le arti a felice avviamento, gli uomini accrebbero il numero de' bisogni, cer- carono mezzi per soddisfarli , sentirono più acuto lo stimolo della perfettibi- lità, ne secondaron l'impulso, e crescea allora a grandi passi il commercio, for- mava intrecciali vincoli, affratellava gli uomini, faceva di tutto il mondo un paese, di tutti i viventi una famiglia. Quest'aurora felice, che tutta Europa inalbava, surgeva luminosa in Italia , e cominciavano viaggi e commerci!. I viaggiatori Italiani trionfarono primi de' mari. Marco Polo penetrava incognite regioni e percorrea tale un cammino che desta una quasi incredula meravi- glia. I Genovesi tentarono primi la via marittima delle Indie; e se ai soli Por- toghesi fu dato padroneggiare le terre de' Lusiadi , furono certo al grande imprendimene secondi. Ed io taccio di que' molti Italiani viaggiatori, che fer- marono relazioni coi popoli più lontani, e precedettero a Lui il quale colla forza del vasto ingegno pria scorse e contro le ripugnanti credenze provò; poi colla forza dell'animo vittorioso dei venti e degli uomini toccò primo la terra di un nuovo mondo. Frutto de' viaggi furono! commercii. Come fiorenti, in quell'epoca le no- stre marine, come ricche le nostre Repubbliche, come temuto e rispettato do- vunque il nome italiano!... Venezia, Genova, Pisa teneauo il Tridente, mille vele scioglievano da quelle prode a solcare mari lontani, l'Asia ne tributava sue preziose produzioni, tutte genti accorrevano in folla alle nostre piazze, Italia era porto universale, emporio d'ogni merce, fondaco d'Europa, centro ed ar- bitra del commercio di tutta la terra. Rinato a nuova vita il traffico , ampliate le relazioni commerciali facea pur mestieri di un mezzo, per cui senza l'effettivo trasporto del danaro, spesso difficile e pericoloso avvenisse il conguaglio tra creditori e debitori. Allora quindi e non prima, in Italia e non altrove si manifestava il bisogno del cam- bio; non prima, perchè ostava barbarie; e non altrove, perchè innanzi la Por- toghese scoperta della via alle Indie, ristrettissimi erano i commercii delle al- tre genti; ma sappiamo per documenti fededegni che il cambio preesisteva; dunque non poteva essere che in Italia, dov'era addomandato dal prosperoso ed esteso traffico, in Italia agevolato dai progressi delle scienze e delle arti, in Italia diretto dalle norme di quel Jus Universale per la maggior parte fruito prezioso dell'italiana sapienza ne' bei giorni di Roma, che tolto all'obblio se- gnava allora di nuovo i limili del giusto e dell'equo. 56 44a Fatto aperto che l'arte del cambia gli antichi non conoscevano; poste le contrarie opinioni sull'origine più vicina; dimostrata la improbabilità che gli Ebrei fossero fra i primi ritrovatori; ricercata per ultimo un'origine filosofica anzi che istorica, sembrami fra la uotte dei tempi e la caligine dell' obblìo, scorgersi abbastanza chiaro l' italico- vanto dell'utile travamento. FINE. INDICE DELLE MATERIE eONTENUTE IN QUESTO QUARTO VOLUME LJ tallito dell'Imperiale Regia accademia Pag. v Catalogo dei Membri componenti la medesima. . » xiu MEMORIE Sopra alcune conchiglie fossili del calcare jurese che si eleva presso* il lago di Santa Croce nel territorio di Belluno. Del Prof. Tom- maso Antonio Catullo » r Continuazione e fine di una storia ragionata di paraplegia antica t con fenomeni straordinarii. Del Prof. Giuseppe Montesanto. . » at Dei soccorsi reclamati dalla scienza e dalla umanità a salvamento dei sommersi in Padova. Del Prof. Giuseppe Luigi Gianelli .... » 43 Osservazioni delle comete apparse negli anni i83o^-i83i-i832,yà#e all'I. R. Specola di Padova, precedute da brevi cenni storici sul' la loro scoperta e sulle loro orbite-. Del Prof. Giovanni Santini. » 6j Ricerche intorno alle perturbazioni prodotte dall'azione dei pianeti nei movimenti della cometa periodica detta di Biela nella rivolw zione compiutasi fra U 1826 ed il i832, e che si produrranno fino al suo ritorno nel 1839, seguite da una effemeride per ri- cercarla in quell'epoca. Dello stesso ..-...» 88 Di un polipajo non descritto ritrovato nella calcarla dei contorni di. Teolo negli Euganei. Del Co. Dolt. Niccolò Da Rio » 117 Sulla architettura padovana nel secolo decimoquarto. Del March. Pie- tro Estense Selvatico ....... » 125 Osservazioni intorno alla, epigrafia italiana sepolcrale. Del Co. Gio- vanni Cittadella » i5» Sopra le acque termali del territorio padovano. Del Prof. Tommaso Antonio Catullo » 161 Intorno a Cajo Valerio Fiacco Padovano, autore del poema intito- lato TArgonautica. Dell' Ab. Antonio Mons. Nodari . . ... . . . «182: 444 Osservazioni della cometa periodica di H alle y fatte nell'I. R. Osser~ vatorio di Padova nelt anno i835 nelle vicinanze del Perielio, seguite da alcune ricerche sulla sua orbita, e precedute da brevi notizie isteriche intorno alla sua teoria. Del Prof. Giovanni Cav. Santini Pag. 2i5 Saggio di Geometria derivata. Del sig. Giusto Bellavitis di Bassano. » ufò Dell' idealismo in Medicinale dei segni tolti dalla ispezione della lin- gua per la diagnosi delle malattie del ceivello, dei polmoni, del- lo stomaco e dei vasi sanguigni. Del Prof. Giacomandrea Giaco- mini » 289 Cenni storici dell'antica Città di Este e de" suoi primi abitatori. Del- 1 Ab. Nicolò Mons. Scarabello u 3o5 Cenni sulla organografia e fisiologia delle Jlghe. Del Dott. Giuseppe Menegnini » 325 Sopra le proprietà dei perimetri dei due metalli costituenti gli ele- menti Voltiani. Dell'Ab. Prof. Salvatore Dal Negro » 38g Dell' integrazione delle equazioni lineari fra due variazioni a coeffi- cienti costanti. Del Prof. Serafino Raffaele Minich » 402 Cenni istorici della invenzione dell'arte cambiaria . Del Co. Andrea Cittadella Vigodarzere » 4^3 ' 7/ è 2ZS&. / <>r jr'/A'P, ■/ -*f/:-\ f ' - (y \ \ù^ ^mm' "■-,?'. y ^ ?■■■■ '&&?: m$ f/> ' - /''^ 1 > ì^l P '■■■ V-0 : -1? '- •■ , / « V#t- m : m ' /*,. Uè 'SS co XC *CC_ c< < , , . ccx ì ; eCS e", ci | " ;ró ^ e- : -. c c <- - S- ' . C_*. C C « £ ci C