2 Mo NARO, pa A 2° Vi 15) LA \ A î AA I° Sw Ao 4 { i \ Ù ALY 3‘ 7 SUA» SSAAATAL''AAA PP ISIS RA i AR Abita, 35, Ax SRRANFAT è, BEDA NI PARI ASS “= = \ A FALSO; \ VA f i pe 4 (di; b ni 5 # AVA 1 25 IRA RARRARAZA A A NARRA i i) ) \ \ ì / ni x o | 257 Pv he dl SD vista pra Le _s26 = > ) E | ARESE a ANT ® nu; DL và Y9Ò TURN 7 _/ | U > pr PD lai af È. AA; A NA ali My NI i ALZN NANA Pal AR xÉ 2 Ta MS SE Di ia ASS no LS Ai ; (GIA n 4 d) AA ERA / n 4% DÌ da IAA Nas & A te a Al ‘è kÀ ARENA AAAAAAAANLA ADEADIIENINA NARAADANO al fi _ È a; ARR R PA | \ \ | SERRA AN RA \ Na inroerONa À af: N ban AG 772 utt MENTO pb gr AAA NÒ \ a6: Mi) ft MIA CÒ De navi HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOÒLOGY. {3 ty ai UA a. RESA. i Suo i d I; RA dei sa it + i a) 93 IA PALAEONTOGRAPHIA ITALICA MEMORIE DI PALEONTOLOGIA PUBBLICATE PER CURA BPIROETIME :ETONCA NEAVER3I Museo GroLoGIco DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA === VoLume XVI 1910. a TIPOGRAFIA SUCCESSORI FRATELLI NISTRI eat 4 VA 1° 3 INDICE DEL VOLUME XVI. BarBoLanI Di Monrtauto G. — L’Histiophorus Herschelii (Gray) nel terziario superiore (Tav. I, II (1, 11) Corunui-IreLLi S. i!) . . — Fauna malacologica mariana. Parte quarta. Scaplòpoda: Dentaliidae — Gastropoda: Stenogyridae, Gadintidae, Actaconidae, Tornatinidae, Scaphandridae, Bullidae, Ringiculidae, Philinidae, Umbrellidae, Co- nidae, Pleurotomidae (Tav. III-VI [XXXIV-XXXVII]) Canavari I. . . . . .—- La fauna det calcari marnosi da cemento delle vicinanze di Fabriano (Tav. VILXIII [I-VII] e Fig. 1,2 intere.) Misurr A... .... .— Sopra un nuovo Chelonio del calcare miocenico di Lecce (Euclastes Melii Misuri) (Tav. XIV, XV [I, II] e Fig. 1, 2 interc.) Lovisaro Di . . . . .-— Unaparolasul Clypeaster Lovisatoi Cotteau e specie nuove di Cly- 5 peaster ed Echinolampas (Tav. XVI-XVII [I-III]) . Der Campana D. . . .— 1 Tapiri del terziario italiano (Tav. XIX-XXI [I-III}) . Ravagui M. . . . . .—- Monmuliti e Orbitoidi coceniche dei dintorni di Firenze (Tav. XXXII, XXIII [I, II) pag. » » » 71 1) La numerazione entro parentesi di questa memoria deve essere da [231] a [278] anzichè da [215] a [262] come per errore fu stampato. G. BARBOLANI DI MONTAUTO . L HISTIOPHORUS HERSCHELII (GRAY) NEL TERZIARIO SUPERIORE (av IT) INTRODUZIONE Avendo avuto occasione di visitare ed ammirare la bella collezione paleontologica riunita nella villa di Montecchio, presso Pontedera, dal compianto proprietario cav. R. LawLEY, credei conveniente di illustrare alcuni di quei fossili, continuando in tal modo, per quanto era in me, l’opera di utilità scientifica che il LawLEY aveva con tanta competenza incominciata, e che avrebbe forse condotta a termine se non lo avesse colto prematuramente la morte. Sopratutto fui colpito dalla grande quantità di frammenti ben conservati, trovati nel pliocene toscano, ed ascritti alcuni al Brachyrhyncus teretrirostris Van Brn., altri al Brachyrhyncus Van-Benedensis LawLEY ®. Giudicando che la conoscenza di questi fossili non dovesse riuscire sgradita agli studiosi, cercai di illustrarli nel modo più completo possibile e devo fin d’ora ringraziare l’amico carissimo CARLO LAWLEY per la gentilezza colla quale esso volle comunicarmi il materiale che mi ha servito per questo lavoro. Non agevole fu per me lo studio di questi avanzi per i difficili confronti che se ne possono eseguire, non soltanto con altre specie affini fossili, ma ancora con quelle viventi, i rappresentanti delle quali sono poco noti e raramente si trovano conservati nella maggior parte dei nostri Musei. Fam. Riphidae. Gen. Histiophorus Lac. La diversità di pareri che esiste fra gli autori riguardo ai due generi Histiophorus Lac. e Tetra- pturus RAr., m’induce a dire come essi sieno stati istituiti, quali caratteri li distinguano ed a spiegare le ragioni per le quali ho preferito all’altro il genere MHistiophorus Lac. Il termine Histiophorus venne adottato dal LacépèpE ° nel 1799 per alcuni pesci che avevano la pinna dorsale foggiata a vela (isti0y). Riporto qui la descrizione che questo autore fa del nuovo genere da lui fondato. i) R. LawLey. Nuovi studi sopra î pesci ed altri vertebrati fossili delle colline toscane, pag. 69. Firenze, 1876. 2) LachpeDE. Histoire Naturelle des Poissons, tome troisième, pag. 374. Paris, l’an X de la République. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 1 [no] G. BARBOLANI DI MONTAUTO [2] “ Point de rayons articulés et libres auprès des nageoires pectorales, ni de plaques osseuses au- “ dessous du corps; la première nageoire du dos arrondie,-très longue, et d’une hauteur supérieure è “ celle du corps; deux rayons à chaque thoracine. , Nel 1810 il Rarinesque ”, avendo occasione di studiare alcuni pesci della Sicilia, istituì fra questi il genere Tetrapturus che riunì insieme al genere Histiophorus Lac. sotto un nuovo ordine particolare da lui nominato Istioforidi. Esso era caratterizzato “ dalla forma delle mascelle ed ali toraciche e nu- “ mero delle ali dorsali ed anali. Il Zetrapturus differisce dall’ Histiophorus dalla forma delle sue ali e “ sua coda, oltrechè le sue ali toraciche hanno un solo raggio invece di due. , Altri caratteri poi del genere Tetrapturus Rar. sarebbero i seguenti: “ Corpo quasi cilindrico, ma- “ scelle prolungate e provviste di denti, membrana branchiale visibile esternamente con sei raggi; ano “ in mezzo al corpo, un’ ala dorsale falcata, lunghissima, un’ ala anale falcata brevissima, ali toraciche “ lineari e con un solo raggio, due ali adipose opposte vicino alla coda e quattro alette alla sua base due “da ogni Jato. , Il parere del Rarinesque circa le differenze che corrono tra gli Istiofori e i Tetrapturi, fu seguito pure da Cuvier ? il quale dice che i primi differiscono dai secondi solo per la grande altezza della loro pinna dorsale. Circa un mezzo secolo dopo il LuTKEN ® studiando 1’ Histiophorus oriîentalis ripetè le stesse osserva- zioni. Egli però aggiunse in proposito: “ Si le bec peut aussi servir de caractère distinctif, e’ est ce que “ je ne saurais décider, mais autant que mon expérience, il est vrai très-limitée, me permet d’en juger, “ le genre Tetrapturus a un bec plus déprimé et une armature dentaire plus faible et plus fine, qui ne se prolonge pas sur la partie supérieure du bec, mais est limitée par une ligne nettement tranchée correspondante à ses bords latéraux, tandis que, chez les Histiophores, le bec est complétement arrondi, et l’armature dentaire relativement assez grossière, se prolonge tout en haut sur les còtés, et, dans “ la partie terminale du bec en couvre toute la surface supérieure. ,, Senza dire qui se sia giusto il concetto di Rarinesque di tener separati cioè i Tetrapturi dagli Istiofori, noterò intanto che i fossili da me studiati mi sono sembrati appartenenti al genere di La- céPÈDE anzichè a quello di Rarinesque. Già quanto ho riportato del LurkEN giustifica in buona parte la mia opinione; io del resto mi sono confermato sempre più in essa notando la somiglianza perfetta che esiste fra i fossili poc'anzi nominati ed il rostro di un Histiophorus descritto dal VALENCIENNES ® sotto la denominazione specifica di indicus. Vengo ora a dire qualche cosa circa il valore del genere Histiophorus Lac. e del genere Tetrapturus Rar., i quali differiscono in special modo per la conformazione delle loro pinne. Sfortunatamente i fossili che ho preso in osservazione consistono soltanto in frammenti di mascelle più o meno grandi ed io quindi non posso avere nessuna idea circa la forma delle pinne negli individui ai quali dette mascelle appar- tenevano. Debbo dunque per classificarle basarmi in modo speciale sui caratteri del rostro e della man- dibola. Credo però opportuno far notare che il GuntHER ®, nel descrivere gli Istiofori viventi che esistono i) RAFINESQUE. Caratteri di alcuni nuovi generi e nuove specie di animali e piante della Sicilia con varie osser- vazioni sopra î medesimi, pag. 54. Palermo, 1810. 2) CuviER et VALENCIENNES. Histoire naturelle des Poissons. Tome huitième, pag. 293. Paris, 1831. 3 LurtKEN. Sur les Histiophores à bec arrondi, en particulier V Histiophorus orientalis. Journ. de Zoologie, t. V, n. 1, pag. 62. Paris, 1876. 4 CuvieR et VALENCIENNES. Op. cît., pag. 295. 9) GinTHER. Catalogue on the Acanthopterygian fishes. Collection of the British Museum, vol. II, pag. 511, 1860. BI G. BARBOLANI DI MONTAUTO 3 nel Museo di Londra, abolisce il genere Tetrapturus Rar., mantenendo soltanto quello di Histiophorus Lac. L’autore non dice per quali ragioni abbia creduto di far ciò; ma con probabilità penso che egli forse abbia ritenuto i Zetrapturus come forme giovanili degli Histiophorus. Del resto il separare, come fece il RAFINESQUE, questi due generi per la diversità delle pinne non può, mi sembra, sfuggire del tutto alla critica, per il fatto che anche nel genere XipWzas i giovani individui subiscono notevoli metamorfosi prima di divenire adulti, e queste metamorfosi si notano tanto nelle mascelle che nelle pinne. Attenendomi dunque a quanto si verifica negli Xiphias, e appoggiandomi all’opinione del GUNTHER, ritengo io pure che molto facilmente il genere Zetrapturus RAF. dovrà essere soppresso e le forme che ad esso fino ad oggi sono state ascritte dovranno essere riunite al genere MHistiophorus Lac. Histiophorus Herschelii (Gray). Forme viventi. 1838. Tetrapturus Herscheliù Grax. On a New Specie of Tetrapturus. Annals of natural history, vol. I, pag. 313. 1860. Histiophorus Herschelii GiintaER. Catalogue of the Acanthopterygian fishes. Collection of the British Mu- seum, vol. II, pag. 511. 1872. Tetrapturus Lessonae CanestrInI. Puuna d’ Italia, parte III. Pesci, pag. 112. 1876. Tetrapturus Herschelii Lunxen. Sur les Histiophores à bec arrondi, en particulier V Histiophorus orientalis. Journal de Zoologie, tome V, n.° 1, pag. 61, 62. Forme fossili. 1857. Encheixiphius teretrirostris Rinnnver. Ueber Encheiziphius, ein newes Celaceen-Genus. Verhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft in Basel. Erster Theil, 1-4 Heft, pag. 561. 1871. Brachyrhyncus teretrirostris Van BreneDEN. Recherches sur quelques poissons fossiles de Belgique. Bulletin de l’Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux arts de Belgique, 39.° année, 2.° série, tome XXXI, pag. 495, tav. I; tav. II, fig. 1, 2. 21871. Brachyrhyncus solidus Van BeneDEN. Ibidem, pag. 498, tav. II, fig. 5, 7. 1876. Brachyrhyneus teretrirostris LawLav. Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati fossili delle colline to- scane, pag. 69. I876. Brachyrhyncus Van Benedensis Lawrev. Ibidem, pag. 76. 1878. Brachyrhyncus teretrirostris CareLuINI. Della Pietra Leccese e di alcuni suoi fossili. Memorie dell’ Acca- demia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie III, tomo IX, fascicolo 2, pag. 253, tav. III, io O 310, 1879. Brachyrhyncus teretrirostris G. Secuenza. Formazioni terziarie nella provincia di Reggio, pag. 72. 1880. Erchewiphius teretrirostris GervaIs et Van BeweDEN. Ostéographie des Ottacés vivants et fossiles, pag. 413. 1901. Brachyrhyncus teretrirostris IL. SeGuenza. Bollettino della Società geologica italiana, vol. XX, fasc. 2 (2,0 trimestre), pag. 262. RI Nell’accingermi a dare la descrizione dei fossili che hanno fornito materia al mio studio è necessario che io cominci dal far sapere la ragione per cui li ho riuniti alla specie dello Mistiophorus Herschelii 4 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [4] (GRAY) P e venga quindi a parlare delle altre forme, sì paci che fossili, che ho creduto opportuno di porre in sinonimia. La specie Herschelti fu fondata dal Gray sopra un’ esemplare di Histiophorus pescato nella Baia della Tavola presso il Capo di Buona Speranza. Il Gray nel darci i caratteri morfologici del suo esemplare poco o nulla si trattiene a descriverne il rostro di cui dice soltanto che è allungato. Più interessante invece è per noi ciò che ne scrive il GunrRER ?, il quale osservò che nella specie in parola il rostro si presenta piuttosto depresso superiormente, ed inferiormente arrotondato. Tali notizie, quantunque non prive di importanza, sarebbero state per me poco sufficienti per venire ad una buona classificazione se non avessi avuto la fortuna di trovare nella collezione italiana del nostro Museo Zoologico la testa assai ben conservata di un individuo tipico dello Histiophorus Herschelii (GRAY). In questo ho potuto, grazie alla squisita gentilezza del compianto prof. GIGLIOLI, eseguire numerosi raffronti i quali mi hanno convinto che negli avanzi fossili da me studiati si aveva proprio a che fare colla specie del Gray. Questa opinione, che potrebbe sembrare qui alquanto arrischiata, verrà, lo-spero, riconosciuta giusta quando avrò dato la descrizione dei rostri fossili avuti in esame, e di quello dell'individuo tipico. Innanzi però di far questo, credo opportuno, come dissi già, di aggiungere qualche altra notizia intorno ad alcune delle forme riunite in sinonimia, tralasciando per brevità di ricordare quelle di cui gli autori non hanno dato che cenni fugaci e poco interessanti. Primo a far menzione di rostri fossili simili a quelli di cui sono per occuparmi, fu il RùTIMEYER di Basilea il quale ne ebbe dal Lane un frammento abbastanza grande proveniente dalle sabbie plioceniche di Montpellier e che si trova nel Museo di Storia Naturale di Solothurn ®. Questo fossile fu studiato dal suddetto professore, che ne formò oggetto di una memoria da lui presentata nel 3 giugno 1857 alla Società dei Naturalisti di Basilea. In questa memoria il RùTIMEYER diede un’ amplia descrizione del rostro che essendo stato rinvenuto in località, dove già il GeRVvAIS aveva scoperto una grande quantità di ossa di cetacei, fu attribuito ad un individuo di quest’ ordine e ritenuto per una mascella superiore. Non avendovi riscontrato nessuna traccia di denti, il RùrImEYER suppose dapprima che il frammento potesse avere la funzione del rostro intermascellare dei Monodonti, anche perchè la massa ossea da cui è formato si mostrava eccessivamente pesante e di struttura molto compatta. Essendo inoltre la punta lateralmente compressa, il RùrIMEYER credè di trovare in tal carattere un’ul- tima traccia del fortissimo schiacciamento che si nota nella parte anteriore del cranio dei Delfini. Il rostro fu paragonato in seguito alle mascelle degli Eterodonti, dall’ Hyperodon fino al Choneziphius ed a quelle dei Mesodiodonti, dal Mesodiodon fino al Dioplodon. - Questi paragoni avevano per scopo di trovare, tra le modificazioni che subivano le mascelle di am- bedue le serie, quali altri cambiamenti avessero condotto ad un tipo di rostro così differente qual’ era quello studiato. Non essendo però sufficienti le modificazioni riscontrate e non potendo per la mancanza della mandibola riuscire nell’intento, il RùrIMEYER assegnò a questa nuova forma il nome di ZEncheizi- phius teretrirostris. Secondo il suddetto professore, questo rostro si presenta diritto, appuntato e con sezione quasi sfe- rica perchè leggermente schiacciata dallo alto in basso. La sua lunghezza è di m. 0, 53 ed alla base che ) GRav. Op. cit., pag. 313. x 2) GUNTHER. Op. cit., pag. 511. i) RUrIMEYER. Op. cit., pag. 561. [5] ; G. BARBOLANI DI MONTAUTO 5 misura m. 0, 058 XX 0,15 è scheggiato e si divide in due rami divergenti all’indietro, i quali ne modi- ficano però ben poco la forma conica. Il RùrImeYER nell’esaminare il fossile, potè anche osservare in esso un solco che lo percorreva dalla base fino a metà della lunghezza, e da un tal carattere dedusse che la faccia sulla quale si trovava il solco era la inferiore o palatina. Al lato opposto o superiore notò che la superficie si mostrava molto liscia, mentre dalla parte palatina la superficie appare alquanto ruvida. Ai lati poi del rostro riscontrò l’esistenza di due solchi ben visibili, i quali ritenne potessero essere attacchi di muscoli. Continuando nella descrizione del suo fossile, l’autore più volte ricordato osserva che il solco del vomere è assolutamente chiuso e che i due rami vomerali, superiormente adiacenti, sono riuniti nella loro linea mediana e ricoperti alla base dagli intermascellari. Questi ultimi, che sono saldati in- sieme per una sutura lineare, vanno facendosi sempre più piccoli a misura che si avvicinano alla punta e lasciano libero tra loro il vomere col quale si saldano verso l’ apice, mentre in basso si appoggiano strettamente ai mascellari. Il RùrIMEYER inoltre, da una rottura alla base constata la struttura fibro-cavernosa degli intermascel- lari, ed osserva che il vomere si presenta nel mezzo del rostro come una foglia ripiegata, cominciando a mostrarsi a 41 cm. dalla punta. Data la grande diversità di conformazione del rostro rinvenuto a Montpellier, rispetto a quelli di tutti i Cetacei confrontati, non potendo avvicinarlo perciò con esattezza a quello di nessuno dei generi conosciuti, il RùTIMEYER credè opportuno di fondare su di esso un genere nuovo. Nel 1871 un modello del rostro di questo Encheiziphius veniva inviato dal RùrimevER al Van Be- NEDEN il quale aveva inoltre ricevuto un disegno dello stesso esemplare dal B. pu Bus ”. Il Van BENEDEN, contrariamente alle affermazioni del RùTIMEYER, riconobbe essere questo rostro ap- partenente ad un pesce scomberoide simile ai pesci Spada, e lo riunì con altri due frammenti di rostro, trovati uno nel crag di Anversa, l’altro nel terreno eocenico Bruxelliano, sotto un genere nuovo da lui chiamato Brachyrhyncus. In questo genere i rostri che erano stati rinvenuti a Montpellier e ad Anversa furono classificati come Brachyrhyncus teretrirostris Rùt., 1’ altro di Bruxelles come £Brachyrkyneus so- lidus Van BEN. Il Van BenEDEN parlando del rostro di Montpellier dice che la sua lunghezza è di 52 cm. e la sua base ha 55 mm. di larghezza e che è terminato in punta aguzza e solida. La sezione è rotonda dalla metà fino alla punta e solo verso la base si fa leggermente ovale au- mentando di poco il diametro trasverso rispetto a quello verticale. Osserva quindi che la struttura degli ossi è fibrosa, mentre negli Xiphioidi si presenta compatta, e che il rostro dei pesci Spada è formato alla base dall’ etmoide, lateralmente dagli intermascellari e nella linea mediana dal vomere. Non prolungandosi molto l’etmoide, il rostro viene così ad essere per la mag- gior parte composto dagli intermascellari e dal vomere, che seguitano a rimanere fra di loro nella po- sizione sopradetta. Un altro carattere, pel quale il Van BenEDEN allontana dai veri Ziphius il frammento di Enchei- ziphius RùT., è la mancanza in questo ultimo dei mascellari e della traccia del canale mediano. Lo stesso autore nota pure la presenza, nella faccia superiore del rostro, di due solchi laterali i quali segnano le linee di unione degli intermascellari col vomere e scompaiono verso il terzo anteriore, essendo il rostro costituito in questa parte dai soli intermascellari. Nella faccia inferiore riscontra un solco unico lungo la linea mediana. 1) VAN BENEDEN. Op. cit., pag. 495, tav. 1. 6 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [6] Questo autore, avendo osservato che la lunghezza del rostro nei pesci Spada è di 4/, circa della loro lunghezza totale, ne deduce che anche il BrachyrRyncus da cui era provenuto il rostro di Montpellier doveva misurare una lunghezza di più di due metri. Non poteva però certamente essere un cetaceo giacchè la punta del rostro si mostrava troppo acuta, e d’altra parte la natura fibrosa delle ossa e la mancanza della cavità vomerale non potevano lasciare nessun dubbio sopra l'individuo al quale aveva appartenuto. Il secondo rostro ritrovato nel crag di Anversa ” insieme a molti resti di Zifioidi, fu comunicato dal B. pu Bus al Van BeNnEDEN che lo descrive come molto più piccolo, non avendo esso che soli 20 cm. di lunghezza, 35 mm. nel diametro trasverso, 25 in quello verticale. Questo esemplare è presso a poco eguale al precedente, giacchè la struttura ossea presenta in esso il medesimo aspetto fibroso e la punta, benchè leggermente mutilata, appare ivi pure molto aguzza. In questo rostro, oltre ai due solchi indicanti l'unione degli intermascellari col vomere nella parte superiore, a detta del Van BENEDEN sì nota fra i due vomerali un solco mediano il quale però si fa meno visibile accostandosi alla punta e finisce poi collo sparire del tutto. Verso il centro della sezione del rostro si constata la presenza di due canali cilindrici che sono un po’ ravvicinati alla faccia superiore e che lo percorrono per gran parte della sua lunghezza. Nella superficie palatina che è più rigonfia di quella superiore, si scorge lungo la linea mediana un solco poco marcato; e la sezione di questo rostro si presenta come un ovale regolare presso a poco simmetrico. Il rostro designato da Van BENEDEN come spettante al Brachyrhyneus solidus® gli fu inviato dal BeRNARDIN, Direttore del Museo appartenente all'Abbazia di S. Giuseppe a Melle vicino a Gand. Secondo la descrizione del VAn BENEDEN il rostro presenta, come quello di Anversa, fra il vomere e gli intermascellari, due solchi molto marcati. Al punto, di riunione dei vomeri e degli intermascellari si trova da ciascuna parte un solco che si estende nella lunghezza del rostro e che segue il condotto nutritizio. Questo rostro, più robusto di quello di Anversa, è anche leggermente depresso, di maniera che il suo diametro trasversale è più del doppio di quello verticale. Il VAN BENEDEN dice pure di aver visto un altro bel rostro del Brachyrkyncus in questione presso il prof. Donny che lo aveva raccolto nella montagna di S.* Pierre a Gand. Nel 1876 il LawLey menziona alcuni bellissimi rostri da lui rinvenuti nel pliocene delle colline Pi- sane ®. E facendo notare la somiglianza che presentano colle mascelle superiori d’Histiophorus manifesta per primo il dubbio che essi possano ravvicinarsi a quelli di qualche specie vivente. Ciò nondimeno, li lascia sotto la determinazione di Brachyrhyncus teretrirostris VAN BEN., riservandosi però di fare su di essi studì e confronti più serî. Fra questi rostri ” ve n’è uno il quale avendo, a differenza degli altri, asperità, o denticoli, più eretti, sezione più schiacciata, canali nutritizi più allungati e finalmente dimen- sioni molto minori, come appunto dice il LawLEY fu posto da lui stesso sotto la nuova specie di Bra- chyrhyncus Van Benedensis ® LawLEY. Nel 1878 il CapeLLINI ® descrisse e figurò alcune ossa di Xiphioide avute dal cav. Botti e prove- nienti dal miocene della pietra di Lecce. Questi avanzi consistevano in frammenti di rostro in parte ancora guarniti di piccoli denti e vennero ritenuti come appartenenti al genere brackyrRyneus Van BEN. Una delle figure date dal CapPELLINI rappresenta appunto la sezione ingrandita di uno dei rostri nella quale si vede, come egli dice, la parte che prendono i mascellari (premascellari) e il vomere alla i‘) Van BENEDEN. Op. cîit., pag. 479, tav. II, fig. 1,2. 2) VAN BENEDEN. Op. cit., pag. 498, tav. II, fig. 5, 7. “ 3) LawLEy. Op. cit., pag. 68. 4) LawLey. Op. cit., pag. 70. 5) LawLEy. Op. cit., pag. 70. 6) CAPELLINI. Op. cit., pag. 253, fig. 9, 10. [7] G. BARBOLANI DI MONTAUTO 7 ’ formazione del rostro e l'andamento delle loro suture. L’ autore ora citato osserva inoltre che verso l’ estremità anteriore il vomere è quasi involto dal mascellare (premascellare) e si mostra guarnito tutto all’intorno dai piccoli denti poc'anzi ricordati. Si deve al CAPELLINI un primo esame di questi denti dal quale resulta che essi sono impiantati in alveoli abbastanza profondi ” ed appaiono robusti, uncinati, e colla punta diretta in avanti. Basan- dosi su quest’ultimo carattere il CapeLLINI ne deduce che il rostro doveva costituire un’ arma di difesa che dava modo al Brachyrhyncus di produrre delle ferite molto laceranti. Da tali ferite, per la disposi- zione dei denti poc'anzi veduta, era facile all’animale di potere ritrarre il rostro per vibrare nuovi colpi. Finalmente nel 1879 un nuovo frammento di rostro veniva inviato dal SecueNza al CAPELLINI ?. Era stato trovato nei dintorni di Reggio Calabria; misura 5 cm. di lunghezza e- malgrado il cattivo stato di conservazione venne ritenuto simile a quelli già ricordati del miocene di Lecce. Di questo medesimo frammento parlava più tardi, cioè nel 1901, il SeGuENZA figlio ? il quale ne diede le misure ed osservò in pari tempo che aveva sezione ellittica ed era traversato per tutta la sua lunghezza dai due canalicoli delle narici (canali nutritizi). Da quanto dunque è stato detto intorno ai rostri fossili si possono rilevare le somiglianze e diffe- renze che questi medesimi presentano fra di loro. Comincio quindi per ordine a fare il confronto fra il rostro di Montpellier e quello di Anversa. Il rostro d’Anversa, a differenza dell’altro, ha i due solchi laterali della superficie superiore più mar- cati, e lascia vedere il solco mediano .fra gli ossi vomerali. Nella sezione trasversale dello stesso rostro i canali nutritizi si presentano rotondi e ravvicinati alla superficie superiore, mentre che in quello di Montpellier sono irregolari ed evidentemente più vicini alla superficie palatina. Per ultimo la sezione del rostro di Montpellier è più rotonda di quelle dell’altro di Anversa nelle quali il diametro verticale ap- pare più corto rispetto al trasversale. Tutte queste differenze, se non m’inganno, possono per la maggior parte dipendere dal migliore 0 peggiore stato di conservazione dei rostri e forse anche dall’età degli individui cui appartengono. Non credo quindi di avere ragioni tali da potere asserire che i rostri debbano attribuirsi a specie differenti, e penso che giustamente il Van BeNEDEN, li abbia tenuti riuniti. Il rostro del Brackyrhyncus solidus VAN BEN., presenta invece delle diversità più notevoli, perchè oltre all’avere i solchi laterali molto più marcati per tutta la lunghezza ha anche una forma diversa. Infatti la sua sezione si mostra come un ovale molto schiacciato secondo il diametro verticale. I canali nutri- tizi inoltre si trovano assai allontanati fra di loro e come spostati rispettivamente verso le superfici laterali, rimanendo pur tuttavia lungo il diametro trasversale della sezione. ]l rostro che sta a rappresentare il BrackyrRyncus solidus Van BEN., consiste in un frammento assai piccolo e mal conservato, giacchè non vi si riscontra nessuna traccia di denti nè di alveoli, essendone stata certamente asportata la parte superficiale. Non sono quindi ben sicuro che il BrachyrRyneus solidus del Van BENEDEN sia una specie buona ed anzi dubito molto che la principale diversità riscontrata in esso rispetto agli altri possa essere stata prodotta da uno schiacciamento dovuto alla fossilizzazione. Sarebbe stato mio desiderio di approfondire maggiormente una tal questione; ma non ho potuto farlo perchè mi è man- cato il mezzo di procurarmi almeno un modello di questo rostro, e d’altra parte le figure e la descrizione che di esso ha date il Van BENEDEN non mi sembrano sufficienti per venire ad una conclusione qualsiasi. 1) CAPELLINI. Op. cit., tav. III, fig. 9. © CAPELLINI. Op. cit., pag. 255. 3) SeGuENnZzA L. Op. cit., pag. 262. 8 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [8] I frammenti ricordati dal CapELLINI, benchè assai piccoli, pure come già ebbi luogo di dire si mo- strano assai bene conservati, ed io non ho riscontrato in essi nessuna differenza notevole del rostro di Montpellier descritto da Van BeNEDEN. Anche l'esemplare di cui diede alcuni brevi cenni il SEGUENZA doveva provenire da un individuo simile a quelli :cui appartenevano tutti gli altri rostri ricordati di Brachyrhyneus teretrirostris VAN BEN. 82. Gli avanzi sui quali si sono basate le mie ricerche sono i seguenti: Rostro N.° 1 rinvenuto ad Orciano. » »” 2 » »” » È 09 ; a Siena (S. Giovanni a Collanza). Frammento di rostro N.° 4 rinvenuto ad Orciano. » ” ” » 5) » » » » DO 2 0 s ‘a Siena (S. Giovanni a Collanza). ” ni 09 s 7 rinvenuto ad Orciano. Frammento di mandibola N.° 1 rinvenuta ad Orciano. n ” ” n 2 » » » » ” 5 La $ a Siena (S. Giovanni a Collanza). 4 ” ”» »” bi) $ 3. è Rostro N. 1. Il primo rostro (Tav. I [I], fig. 1, 2), che il LawLEY tenne specificamente distinto dagli altri sotto il nome di Brackyrhyncus Van Benedensis, proviene dalle argille plioceniche d’Orciano e si presenta assai ben conservato, quantunque sia mancante di parte della base. Questo esemplare ha la forma di un cono molto allungato ed è leggermente ricurvo in basso; ter- mina in una punta molto aguzza e resistente ed appare un poco più convesso nella superficie superiore che non nella inferiore la quale è assai più piana. Superiormente nella parte mediana è liscio, mentre nella superficie inferiore ed ai lati è ricoperto da denticoli molto numerosi. In vicinanza però della punta questi si estendono gradatamente dai lati alla superficie superiore fino a ricoprirne del tutto l’ estremità per uno spazio di circa 30 mm. Come sappiamo negli Xiphioidi il rostro resulta sempre composto superiormente dall’ etmoide e dal vomere, inferiormente dai mascellari che sono cortissimi e dai premascellari. Esaminando la superficie superiore del rostro, si vedono lateralmente due solchi ben spiccati i quali stanno ad indicarci la linea di unione dei premascellari coi vomerali e nello stesso tempo il limite di distribuzione dei denticoli, impiantati solo nei premascellari. A misura che dalla base ci si avvicina alla punta, questi due solchi divengono sempre più piccoli e meno visibili finchè scompaiono del tutto. Questo può far supporre o che i premascellari ricoprano in- teramente i vomerali, come fino ad oggi è stato creduto, o che i detti vomerali si arrestino appunto là: dove scompaiono i solchi. Questo non possiamo appurarlo nell’esemplare che stiamo esaminando giacchè esso non si presta a tale osservazione. I vomerali sono verso la base grandemente sviluppati e lasciano fra di loro un solco che nell’ esemplare in questione è poco visibile per deficienza di conservazione. Essi si dividono ben presto in due rami di- vergenti in avanti che vanno gradatamente diminuendo in larghezza. [9] . G. BARBOLANI DI MONTAUTO 9 insieme ai vomerali si divide pure il solco onde prima erano separati, e ciascuna delle sue bifor- cazioni, andando a riunirsi coi solchi laterali già visti, forma una specie di M molto allungata nel cui mezzo, cioè fra i solchi vomerali, sono incastrati a guisa di cuneo i premascellari, divisi l’uno dall’altro da un solco mediano. . Nella superficie inferiore o palatina del rostro, che è formata esclusivamente dai premascellari, si vede che questi ultimi, sempre separati da un leggiero solco, in prossimità della base divaricano all'indietro l’uno dall'altro, formando un angolo di 8°, senza che perciò ne venga alterata la forma conica del rostro. Contro lo spazio lasciato libero dai premascellari veniva ad applicarsi la mandibola. Da quanto abbiamo veduto i premascellari concorrono dunque in modo grandissimo alla formazione del rostro sia nella parte inferiore e laterale, come nella parte mediana superiore. Dovrei ora dire qualche cosa dei mascellari e della loro unione coi premascellari ma il cattivo stato di conservazione in cui si trova il rostro mi impedisce di farlo; e non posso nemmeno dare notizia al- cuna dell’etmoide e delle altre ossa che avevano relazione in un modo o nell’altro colla base del rostro. Le misure che su questo rostro N.° 1 ho potuto prendere sono le seguenti: Lunghezza . È . : ò . . o o e . . cm. 31,4 Sezione alla base x . o o È è o ” 5 . mm. 20X 25 Angolo apicale approssimativo da 8° a 10°. Nel quadro che segue sono riportate le lunghezze dei diametri a diverse distanze dalla punta, e la differenza fra il trasversale ed il verticale. Distanza Diametro Diametro Differenza . dalla punta trasversale verticale dei diametri in em. in mm. in mm. in mm. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 10 G. BARBOLANI DI MONTAUTO È [10] Mi sembra che da queste misure si possa dedurre come il rostro, a partire dalla sua base, presenti una sezione leggermente ovale, la quale, a misura che ci si avvicina alla parte mediana, si accentua sempre più, col massimo diametro in direzione trasversa. Oltrepassata però la regione mediana, la sezione per successive modificazioni diviene circolare in prossimità della punta e finalmente, continuando ancora verso l’apice, torniamo ad avere di nuovo la sezione ovale, questa volta però col diametro maggiore nel senso verticale. . Verrò a dire qualche cosa dei denticoli che ricoprono come si è visto gran parte della superficie del rostro. Essi sono impiantati soltanto sui premascellari ed a seconda della posizione che occupano sul rostro, assumono diverse dimensioni. Così mentre all’apice e lungo la regione mediana della superficie inferiore appaiono più numerosi e più minuti, lateralmente invece sono più radi e più ingrossati. Alveoli rotondi, interessanti solo il fragile strato corticale del rostro, servono a tenervi impiantati i denticoli e misurano una profondità che può giungere fino a mm. 0, 8. Come tutti i denti dei Teleostei, anche questi di cui ora ci occupiamo risultano composti della co- rona e della radice. Quest’ ultima, che ha forma cilindrica, non essendo ricoperta di smalto, è di natura molto fragile, onde riesce difficile isolare dal rostro un dente completo. La corona ha una base alquanto più sporgente della radice e si presenta di forma conica ed uncinata. Esaminando al microscopio uno di questi denticoli (Tav. II [II], fig. 27, 31, 32), si vede che esso ha l’apice circondato da un solco circolare assai profondo, il cui piano è perpendicolare alla direzione del dente in quel punto. La struttura del denticolo risulta composta nella fadice di sola dentina, e nella corona di dentina ricoperta da un leggiero strato di smalto, finchè nella punta, oltrepassato cioè il canalicolo poc'anzi descritto, sembra che la dentina manchi del tutto e che il denticolo sia ivi composto di solo smalto. La radice si trova alla base forata (Tav. II [II], fig. 25) longitudinalmente da un canale a fondo cieco il quale si prolunga fino a poca distanza dal solco circolare apicale e si mostra molto trasparente. La sezione di questo canale non è eguale in tutto il suo percorso, poichè esso, dopo essersi mantenuto per un certo tratto cilindrico, a partire dalla base si allarga leggermente nella: regione mediana e finalmente si ristringe di nuovo per andare a terminare nel punto già visto. È questo canale che nell’ individuo vivente dà ricetto al prolungamento della papilla dentaria. Mercè un più forte ingrandimento microscopico si osserva che i denticoli (Tav. II [II], fig. 32) verso l'estremità della corona presentano delle striature le quali partendosi dalla linea mediana irradiano verso la periferia. Queste striature, mentre sono leggermente curve dalla parte della convessità del denticolo, sono molto più arcuate dalla parte opposta e riunendosi le une colle altre lungo la linea mediana, for- mano dapprima un angolo assai acuto. i Coll’avvicinarsi alla punta quest’angolo diviene ottuso e presso la punta stessa si converte in un arco colla convessità rivolta verse l’ apice del denticolo. Tali striature sembrano dovute all’accrescimento suc- cessivo dello smalto. A differenza di quest’ ultimo la dentina è caratterizzata da sottili fibre disposte nel senso longitu- dinale quasi parallele fra di loro ma che convergono leggermente in alto verso la periferia. Peraltro più che un semplice esame superficiale giova a riscontrare l’intima struttura di questi den- ticoli lo studio di una sezione longitudinale (Tav. II [II], fig. 26, 28, 33) che dopo molti inutili tentativi sono riuscito a procurarmi. Si vede pertanto da questa sezione come la dentina, anzichè costituire una massa compatta nell’interno del denticolo, si è divisa in tante piccole lamine di forma prismatica, le quali osservate al polariscopio danno una leggerissima refrazione e che sono disposte fra loro senza alcun ordine apparente. [11] G. BARBOLANI DI MONTAUTO ili Un altro carattere che si può apprezzare nell'esame della sezione (Tav. II [II], fig. 33) in parola, è la presenza di numerosissimi e sottilissimi canalicoli i quali si partono dal canale centrale già esaminato per dirigersi verso la periferia anastomosandosi frequentemente lungo il loro percorso. Le misure che ho potuto prendere su alcuni di questi denticoli, sono le seguenti: Lunghezza . . mm, 1,164 Larghezza alla base . . mm. 0,080 » ò 5 » 0,166 » » ; o » 0,077 » : ò » 0,182 » » . . » 0,091 8 4. Rostro N. 2. Molto meglio conservato è un secondo rostro (Tav. I [I], fig. 3-5) raccolto dal LawLer nel 1875, anche questo nelle argille plioceniche di Orciano e classificato sotto il nome di Brackyrhyncus teretri- rostris VAN BEN. A differenza del primo che è piegato in basso, questo rostro presenta la forma di un cono diritto terminante esso pure in un apice acuto e molto robusto. La superficie superiore è liscia nella parte me- diana fino a poca distanza dalla punta e si presenta leggermente convessa. Nella superficie inferiore la convessità è molto aumentata senza che per questo carattere il rostro cessi di essere simmetrico rispetto ad un piano mediano verticale. La disposizione dei denticoli sul rostro è eguale a quella vista nel caso precedente. Una sola diffe- renza può notarsì riguardo alla quantità e al grado di usura. Questi denticoli infatti mentre nel primo rostro sono piuttosto radi e poco consumati, in questo al contrario si presentano più numerosi e colla punta più smussata. Anche questo rostro, che è naturalmente formato dalle solite ossa, presenta nella superficie superiore molto marcati i due solchi laterali che segnano l’unione dei premascellari coi vomerali. Questi solchi che cominciano a mostrarsi fino dalla base, vanno facendosi sempre meno visibili a mi- sura che se ne allontanano, finchè scompaiono del tutto oltrepassata di poco la regione mediana. La disposizione ad M che i solchi vomerali assumono incontrandosi coi laterali e che già abbiamo avuto campo di osservare, si ripete qui in modo assai più chiaro, sicchè più facile riesce il vedere la parte che le ossa premascellari e le vomerali assumono rispettivamente nella formazione del rostro. Per ciò che si riferisce alla superficie inferiore, credo inutile dilungarmi a descriverla perchè essa presenta gli stessi caratteri notati nel caso precedente, ad eccezione che l'angolo formato dai prema- scellari è di 10° ed il solco che divide i due premascellari si presenta un po’ più marcato che nel primo esemplare. Dirò invece che avendo il rostro in questione subìto diverse rotture in tutta la sua lunghezza, mi è stato agevole osservare, prima di restaurarlo, i canali nutritizi nella loro forma e posizione. Ho altresì potuto conoscere il modo con cui le varie ossa che lo compongono si saldano insieme e come per il va- riare del loro spessore varino anche le suture nelle diverse sezioni del rostro. Da queste sezioni (Tav. II [II], fig. 4, 5) si vede pertanto come i premascellari sieno uniti fra loro nel senso verticale da una sutura minutamente dentellata e come in ciascuno di essi un eguale sutura a forma di V tenga incastrati rispettivamente i due rami del vomere. Da questa disposizione resulta 12 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [12] chiaro, a quanto mi sembra, anche un altro particolare degno d° esser notato, che cioè alla formazione del rostro concorrono soltanto i premascellari e i vomerali. ‘ Prima di venire a parlare dei canali nutritizi sopra ricordati. debbo aggiungere, a maggiore illustra- zione del rostro in parola, che esaminandone l’interno della base si veggono saldate coi premascellari due ossa diverse, le quali non possono essere altro che l’ estremità dei mascellari. Prendiamo ora di nuovo a considerare le sezioni del rostro e vediamo quali siano la forma, la di- sposizione, la direzione dei canali nutritizi. - Essi si estendono restringendosi gradatamente dalla base fino all’apice e sono situati nella parte più centrale del rostro e leggermente avvicinati alla superficie inferiore. La sezione di questi canali si presenta irregolare per deficenza di conservazione, ritengo però che negli esemplari perfetti essi debbono avere sezione ovale. Ecco ora le misure di questo secondo rostro: Lunghezza . c c c . c 0 3 ò : cm. 52,7 Sezione alla base . o o 0 . . : o : mm. 56 X 38 Angolo apicale approssimativo dai 14° ai 16°. # ’ Dalla tavola seguente si vedono le misure dei diametri e la loro differenza nei diversi punti del rostro. Distanza Diametro Diametro dalla punta trasversale verticale Differenze in em. in mm. in mm. 5,7 8,4 10,0 12,0 13,0 15,0 16.0 5 17,7 16,5 1,2 10 24,4 20,0 4,4 15 98,5 23,0 5,5 20 31,7 26,0 5,7 30 35,5 29,5 6,0 40 45,5. 35,4 10,1 45 50, 5 29,0 11,5 50 56,4 41,0 i 15,4 [13] G. BARBOLANI DI MONTAUTO 13 Da tutte queste misure che ho potuto prendere in modo assai esatto, si vede come la sezione del rostro varia dalla base all'apice nello stesso modo che abbiamo visto per l’ esemplare precedente. Ab- biamo però in questo caso il vantaggio di poter osservar meglio i successivi passaggi della sezione dalla forma ovale schiacciata rispetto al diametro verticale, alla forma perfettamente circolare e finalmente alla ovale allungata rispetto sempre al diametro verticale. SADE Rostro N. 3. Vengo ora a parlare del 3° rostro (Tav. II [II], fig. 1-3) da me esaminato e riferito dal LawLEY come il precedente al Brachyrhyncus teretrirostris VAN BEN. Esso proviene dal pliocene di S. Giovanni a Collanza (Siena) ove fu trovato nel 1875; è il più grande di tutti e si trova in buono stato di conservazione. Lo schiacciamento nel senso verticale che abbiamo notato nel 2° rostro, si nota più accentuato in questo, che si distingue ancora per essere leggermente curvato in alto. Esaminandone la superficie supe- riore essa si presenta al solito molto liscia nella parte mediana e quasi pianeggiante per buon tratto della lunghezza, mentre in prossimità della base diviene più convessa. I solchi laterali sono poco visibili a motivo di una incrostazione ferruginosa che li ricopre, e lo stesso si dica per le suture che uniscono i premascellari coi vomerali le quali si distinguono appena verso la base. Una fenditura longitudinale, in corrispondenza della sutura dei premascellari, percorre il rostro in quasi tutta la sua lunghezza, sicchè resta impossibile di vedere il limite estremo al quale si spingono i prema- scellari inserendosi fra i due rami del vomero. Nessuna osservazione ho da fare qui circa la distribuzione dei denticoli perchè rimane invariata. Noto però che essi si mostrano più consumati che nel secondo rostro, sicchè la punta è surrogata da una superficie piana e circolare la quale risulta divisa in due zone concentriche, diversamente colorate, l’interna più chiara e l’esterna più scura. Esaminando la superficie palatina di questo esemplare si. possono vedere i premascellari divisi tra loro da una frattura la quale sta a rappresentare il solco mediano. In vicinanza della base i premascel- lari divergono all’indietro l’uno dall’ altro formando fra loro un angolo approssimativo di 16°. Osservando la base del rostro si può vedere assai bene la sutura interna dei premascellari coi vo- merali, come pure la struttura decisamente fibrosa di queste ossa. Come ho fatto per gli esemplari pre- cedenti, riporto ora le misure prese su questo rostro. . Lunghezza . ò . 0 ” o . 0 o , 3 A cem. 58,6 Angolo apicale approssimativo da 18° e 20°. 14 i G. BARBOLANI DI MONTAUTO [14] Le misure diametrali sono date dalla tavola seguente: Distanza Diametro Diametro Differenze dalla punta trasversale verticale fra i diametri in em. in mm. in mm. in mm. watle differenze dei diametri risulta dunque anche nel rostro ora esaminato che le sezioni, prese in diversi punti della lunghezza, cominciando dalla base e procedendo gradatamente fino all’apice, variano nel modo stesso che già conosciamo, sicchè la forma generale del rostro rimane la stessa. $ 6. Frammenti di Rostri. Nell’enumerare il materiale che è stato oggetto di questo mio studio ho citato anche alcuni piccoli frammenti di rostri, provenienti essi pure, insieme agli esemplari già descritti, dal pliocene delle colline toscane. ì È giusto dunque che di essi pure faccia menzione, giacchè anche questo potrà servire a illustrare sempre più i rostri in parola. | Il frammento N.° 4 proveniente dal pliocene di Orciano (Tav. I [I], fig. 9, 10), consiste nella parte apicale di un rostro. Esso misura una lunghezza di 43 mm. ed ha alla sua estremità posteriore una se- zione di mm. 12 X_9 ove la maggior lunghezza sta a rappresentare il diametro trasversale e l’altra il diametro verticale. Questo frammento ravvicinato al rostro N.° 1 gli si mostra molto simile, differendone soltanto a causa di un più forte schiacciamento nel senso verticale. L’apice è mancante e dalla rottura appariscono chiaramente i canali nutritizi a sezione quasi trian- golare che sono situati molto vicino alla superficie inferiore. [15] G. BARBOLANI DI MONTAUTO 15 I denticoli sono impiantati sulla superficie inferiore ed ai lati del rostro dove sono meglio conservati. Verso l'estremità apicale si nota che i denticoli si estendono gradatamente dai lati sulla superficie superiore fino a ricoprirla interamente anche in questo in prossimità dell’apice. La conformazione di questi denticoli non offre nulla di diverso da quella che si nota nel 1.° rostro descritto. Dei solchi late- rali non esiste in questo frammento traccia di sorta. Soltanto nella superficie superiore si vede legger- mente accennato il solco che divide i due premascellari. Credo utile di dare anche per questo frammento di rostro le varie dimensioni dei suoì diametri. Queste misure però non possono essere che approssimative per la mancanza della punta la quale dovrebbe trovarsi quasi a un centimetro dalla frattura anteriore ed io quindi computerò nelle successive distanze anche questa lunghezza. Distanza Diametro Diametro Differenza dalla punta trasversale verticale dei diametri in cm. in mm. in mm. in mm. 7,3 8,2 9,4 Un altro frammento di rostro (N.° 5), raccolto anch’esso ad Orciano (Tav. II [II], fig. 7-10) da me esaminato presenta il carattere singolare di essere stato mutilato, mentre l'individuo era ancora vivente. Raggiunge una lunghezza di 37 mm. ed ha una sezione di mm. 22 X 17, dove il primo valore sta a rappresentarci la lunghezza del diametro trasversale e il secondo del verticale. Questo frammento rassomiglia molto da vicino al rostro N.° 2; considerandone le fratture sembra che esse si fossero in parte cicatrizzate perchè appaiono rivestite da numerosissime e minutissime asperità, le quali sembrerebbe avessero avuto in certo modo l’ufficio di sostituire anteriormente la mancanza dei denticoli e nella superficie superiore la mancanza assoluta della parte corticale. I denticoli in questo frammento si trovano assai bene conservati; posteriormente si veggono i canali nutritizi aventi sezione ovale situati in vicinanza della superficie palatina. Anteriormente, a causa dell’esostosi formatasi in seguito alla frattura, questi canali sono obliterati e quindi invisibili. Un altro frammento (N.° 6) (S. Giovanni a Collanza, Siena) appartiene ad un rostro abbastanza grosso dal quale ho tratto una delle sezioni (Tav. II [II], fig. 6) che illustrano il presente lavoro: si as- somiglia molto al terzo rostro descritto. Posteriormente ha una sezione ovale di mm. 38 ed anteriormente di mm. 37 X 29. La lunghezza è di mm. 25. La struttura punto compatta delle ossa componenti questo frammento mi ha impedito di 16 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [16] potermene procurare una sezione microscopica trasversale dalla quale forse non sarebbe stato difficile riscontrare qualche altro particolare sull’ intima compagine delle ossa. Nella superficie superiore sono visibili abbastanza bene i solchi laterali ed i due rami del vomere molto ridotti. Quest'ultimo carattere però può apprezzarsi ancora meglio osservando il frammento dalla parte della sezione. I canali nutritizi non offrono circa la loro posizione nessuna diversità degna di nota. Si mostrano però con sezione che inferiormente è ovale e superiormente cuneiforme. Insieme al frammento di cui ho parlato ora, debbo ricordarne due altri provenienti dal pliocene di Or- ciano, molto piccoli e staccati probabilmente l’uno dalla parte apicale di un rostro, l’altro dalla parte anteriore. Nè l’uno nè l’altro offrono particolarità degne di nota. Finalmente un ultimo avanzo di rostro presenta i denticoli ben conservati e si ravvicina per questo carattere a quanto si è visto nel rostro N.° 1. 87. Ci siamo fin qui trattenuti ad esaminare i caratteri presentati dai rostri di istiophorus: veniamo ora a parlare di altri resti fossili appartenenti allo stesso genere e non meno interessanti dei primi. Intendo dire di alcuni frammenti di mascelle ifferiori. Per quanto diversi autori si sieno occupati degli Istiofori fossili, niuno di essi però ha mai parlato, per quanto io sappia, dei caratteri della loro mandibola; merita dunque conto che io descriva i miei frammenti i quali sono forse gli unici ritrovati sino ad oggi allo stato fossile. Il primo di quelli (N.° 1) (Tav. II [II], fig. 18-20) esaminati da me rappresenta l’apice o la sinfisi di una mandibola ed è stato rinvenuto nel pliocene di Orciano. Ha l’aspetto di un triangolo isoscele in cui i due lati eguali sieno, relativamente alla base, molto allungati; circostanza questa la quale fa sì che l'apice della mandibola, sebbene abbia subìto una lieve frattura, sia nondimeno assai appuntato. Il frammento ha l’estremità rivolta verso l’alto e presenta la superficie superiore quasi piana e ru- vida per la presenza di alcune asperità dovute alla struttura delle ossa. Per la mancanza assoluta dello strato corticale nulla si può dire riguardo ai denticoli di cui la man- dibola doveva essere armata superiormente; avremo però occasione di riscontrarli in altri frammenti meglio conservati. All’opposto di quanto abbiamo ora veduto, nella superficie inferiore la mandibola si mostra liscia ed arrotondata. Osservando il frammento dalla parte posteriore o basale si può rendersi conto delle ossa che lo costituiscono. Sono queste le ossa mascellari inferiori o dentali unite tra di loro per una sutura mediana longitudinale. Lungo il percorso di tale sutura, in prossimità delle due superfici superiore ed inferiore, si trovano due canali che percorrono il frammento in tutta la sua lunghezza, come si può benissimo ve- dere osservando l'apice fratturato della mandibola di cui parliamo. Questi canali, come facilmente si può immaginare, non sono altro che i canali nutritizi. Do qui alcune misure prese sul frammento in questione: Lunghezza . 7 c . E 5 3 6 . 3 mm. 21 Sezione alla base o ° Angolo apicale approssimativo 30°. [17] G. BARBOLANI DI MONTAUTO LX Il secondo frammento di mandibola (N.° 2) (Tav. II [II], fig. 14-17) proviene dalla medesima località del precedente, di cui ha presso a poco la forma e ne rappresenta esso pure la sinfisi. È però di di- mensioni molto più grandi ed è in migliore stato di conservazione trovandosi presente in questo lo strato corticale. La punta, assai aguzza e robusta, non è rivolta verso il rostro, ma si trova in direzione orizzontale. Nella superficie superiore i denticoli sono quasi del tutto scomparsi e solo vi si notano numerosi gli alveoli nei quali erano impiantati. A giudicare da questo frammento i denticoli dovevano essere al- l'apice disposti piuttosto diversamente da quanto abbiamo visto nei rostri. Infatti dalla parte interna o superiore si mostrano robusti e solidamente infissi nei loro alveoli, mentre nella parte inferiore, pur man- tenendosi sempre numerosi, dovevano all’opposto essere di dimensioni più minute. Quest'ultimo particolare non è certo troppo ben visibile, ma lo si può desumere oltrechè dalla gran quantità di piccoli alveoli anche da alcuni pochi denticoli che ancora appariscono visibili osservando con una lente di ingrandimento. Non starò qui a descrivere i caratteri dei denticoli, perchè come si puo vedere dalle tavole illustra- tive (Tav. I [I], fig. 11; Tav. II [II], fig. 29, 30, 33), essi sono perfettamente identici a quelli dei rostri sia per la loro forma sia per la loro struttura. La sutura delle ossa dentali si vede nel frammento in questione solo nella frattura basale insieme ai canali nutritizi i quali presentano gli stessi caratteri visti precedentemente. Le misure di questo frammento sono le seguenti: Lunghezza È o 5 c o o o mm. 37 Sezione alla base . e c » 2IX15 Angolo apicale approssimativo 34°. Il terzo frammento (N.° 3) (Tav. II [II], fig. 21-24) che io ho potuto esaminare, consiste anche questo nella parte apicale o sinfisi di una mandibola e proviene da S. Giovanni a Collanza presso Siena. La punta appare anche in questo caso piuttosto ottusa e diretta leggermente verso il basso per lo smussamento della parte superiore. Nella superficie interna pianeggiante manca in gran parte lo strato corticale, e le ossa si mostrano granulose come nel primo frammento da noi esaminato; è anche visibile in buona parte il percorso della sutura che salda insieme i due dentali. In questa sutura si aprivano la strada i due canali nutritizi. All’apice della mandibola e sulla superficie inferiore arrotondata, lo strato corticale si trova ancora in parte conservato, sicchè riesce facile di riscontrarvi i caratteri e la disposiziono dei denticoli i quali non offrono nessuna particolarità degna di nota. Le dimensioni del frammento in parola sono: Lunghezza È - c o o o . mm. 48 Sezione approssimativa basale È . c POPE Angolo apicale approssimativo 42°. Molto più grande di quelli fin qui esaminati è un ultimo frammento (N.° 4) (Tav. TI [10]; fig. 11-13) proveniente anch'esso da S. Giovanni a Collanza presso Siena, e consistente al solito nell’estremità an teriore della mandibola. Dalle dimensioni che presenta si deduce facilmente che doveva appartenere ad un individuo di grossa mole. La punta apparisce consumata dall’ uso e quindi molto più ottusa che negli altri esemplari; sem- brerebbe altresì che essa avesse una direzione orizzontale, ma difficilmente si può accertarsi se ciò sia Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 3 18 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [18] vero perchè il frammento in questione è troppo piccolo rispetto alle grandi dimensioni che aveva senza dubbio l’intera mandibola. La superficie superiore apparisce perfettamente piana e ricoperta dai soliti denticoli di cui alcuni si trovano ben conservati e si mostrano del tutto identici a quelli dei rostri. La superficie inferiore è al solito molto convessa. Anche di questo frammento do qui alcune misure le quali, sebbene approssimate, pure serviranno a dimostrare sempre meglio la grandezza della mandibola da cui deriva: Lunghezza È . . c . 0 o mm. 45 Sezione basale approssimativa . c ; x » 38 X 26 Angolo apicale approssimativo 64°. (700) (0 0) Dopo la descrizione delle mandibole data nel paragrafo precedente, non rimarrebbe altro che para- gonare i fossili da me esaminati con quelli illustrati dagli altri autori. Siccome però ho creduto giusto di riunire i miei frammenti allo Histiophorus Herscheliù Gr., vivente del Mediterraneo, sarà utile per ese- guire confronti più numerosi ed esatti, che io dia altresì la descrizione del rostro e della mandibola del- l'individuo tipico appartenente a questa specie che si trova nel nostro Museo zoologico. Il rostro ha la stessa forma conica di quelli già visti, ma è leggermente curvato in basso, e termina con una punta assai robusta e piuttosto aguzza. Nella superficie superiore pianeggiante, si notano assai bene i solchi laterali che dividono i premascellari dal vomere. I due rami di cui quest’ultimo è formato sono saldati per breve tratto insieme, ma ben presto si allontanano da ciascuna parte l’ uno dall’ altro collegandosi posteriormente coll’ etmoide, coi frontali e coi mascellari, e anteriormente coi premascellari. Da quest’ultimo carattere apparisce chiaro come le ossa che compongono il rostro nell’individuo : vivente, sieno assestate fra loro nello stesso modo che negli individui fossili. Infatti osservando la su- perficie superiore del primo, si vede benissimo che nello spazio lasciato libero dai due rami anteriori del vomere, stanno incastrati a cuneo i premascellari divisi rispettivamente tra loro e dai due vomerali, da tre suture. Tra queste, le due che dividono i vomeri dagli intermascellari incontrandosi colle suture laterali, danno luogo alla solita disposizione ad M allungata che già conosciamo. Essendo il rostro co- perto dall’epidermide, i solchi formati dalle suture non si presentano molto marcati come negli esem- plari fossili, e si fanno sempre meno accentuati a misura che si avanzano verso la punta, finchè a una distanza di circa 23 cm. da questa, non sono più visibili. Passando ora ad esaminare la superficie inferiore, si vede che essa si mostra piuttosto convessa, e nella parte mediana percorsa dal solco che separa i due premascellari. Questo solco si estende per quasi tutta la sua lunghezza e anteriormente scompare a una distanza di 20 cm. dall’ apice. Posteriormente invece, giunto a 44 cm. dall’ estremità del rostro, si allarga ad un tratto perchè i premascellari si al- lontanano fra di loro, formando un angolo di 22°. Questa divergenza dando luogo nei premascellari ad una diminuzione di spessore, altera ben poco la forma conica del rostro. A somiglianza di ciò che abbiamo notato nei rostri fossili, anche in questo di Histiophorus vivente, sì notano benissimo i denticoli disposti di preferenza sulla superficie inferiore ed ai lati del rostro e ricoprenti altresì tutta la punta. Questi denticoli, che sono meno appariscenti per la presenza dell’epi- [19] G, BARBOLANI DI MONTAUTO 19 dermide, non offrono nessun diversivo da quelli che già conosciamo, sia che se ne consideri la forma e la struttura interna, sia che si osservi il modo con cui sono impiantati negli alveoli e distribuiti nei pre- mascellari secondo le loro diverse dimensioni. Terminerò l’esame del rostro vivente col riportarne qui alcune misure come ho fatto pei rostri fossili. Lunghezza dalla punta alla divergenza dei premascellari c 5 5 em. 44 Angolo apicale approssimativo 24°. Distanza Diametro Diametro Differenza dalla punta trasversale verticale dei diametri in em. in mm. in mm. inmm. Dall'esame delle differenze dei diametri si vede pertanto come le sezioni del rostro vivente variano nello stesso modo che nei fossili, sicchè una nuova affinità viene a stabilirsi fra gli uni e l’altro. Osservati in tal modo i caratteri del rostro nell’ Histiophorus vivente, vediamo quali sono quelli della mandibola. Essa si trova situata di contro allo spazio lasciato libero, come abbiamo visto, dalla diver- genza dei premascellari, e misura una lunghezza che è eguale ad un terzo di quella del rostro. Nella sua parte apicale si presenta simile al secondo frammentino di mandibola da noi esaminata. Infatti oltre ad aver la punta acuminata e disposta orizzontalmente, è ricoperta nelia superficie superiore da numerosi denticoli che ai lati sono alquanto più robusti. Nella superficie superiore questi denticoli sono scomparsi e rimangono solo visibili gli alveoli che li contenevano. . Avendo io questa volta in esame una mandibola abbastanza completa, non mi è stato difficile il vedere quale forma ella presentasse nel suo insieme, sebbene, non essendo la mandibola da me presa in esame isolata dal cranio, non possa osservarla in tutti i suoi particolari. Purnondimeno si può vedere come la mandibola ad una distanza di 11 cm. dalla punta presenti un solco continuo il quale la percorre da un lato all’altro attraversando la superficie inferiore ove forma una linea curva colla convessità rivolta in avanti. Questo solco è caratteristico in tutti gli Istiofori. Oltrepassata la strozzatura, la mandibola aumenta di grossezza ed i due dentali non tardano a di- vidersi per andare a saldarsi cogli articolari e cogli angolari. La mandibola presenta un angolo approssimativo, alla punta, di 40° ed una lunghezza dall’apice al divaricamento dei dentali di cm. 12. 20 G. BARBOLANI DI MONTAUTO [20] $ 9. Terminate le descrizioni delle mascelle dell’ Histiophorus vivente mi conviene ora di prendere di nuovo in considerazione i rostri e le mandibole fossili di cui ho già parlato e per mezzo di confronti _ dimostrare le ragioni per cui gli ho ascritti alla specie dell’ Histiophorus Herschelii (GR.). Vari di questi confronti ho avuto occasione di farli nel corso del presente lavoro; ben poco quindi vi sarà da aggiun- gere per giustificare la classificazione da me adottata. Comincio subito col paragonare fra loro i rostri fossili della collezione di Montecchio. Il rostro N.° 1 (Tav. I [I], fig. 1, 2) differisce sensibilmente dagli altri per la piccolezza delle sue dimensioni e per essere come sappiamo leggermente piegato in basso, a differenza degli altri di cui il N.° 2 (Tav. I [I], fig. 3-5) si presenta perfettamente orizzontale ed il N.° 3 (Tav. Il [II], fig. 1-3) piegato in alto. È inoltre da notare che nel rostro N.° 1 i denticoli appaiono molto più appuntati e più lunghi che negli altri e specialmente nel terzo il quale li presenta marcatamente logorati. Non parlerò della costituzione anatomica nè delle forme di tutti questi rostri perchè si è visto che sotto tale riguardo si mostrano perfettamente eguali. Riflettendo del resto alle differenze sopra notate, mi sembra che la piegatura del rostro sia carat- tere di poca entità qualora si osservi che i nostri esemplari per essere così fragili più volte hanno su- bìto delle gravi avarie le quali possono benissimo averne alterato la forma primitiva. Quanto a spiegare la presenza dei caratteri differenziali che il primo rostro indubitatamente pre- senta riguardo alla forma dei denticoli ed alle dimensioni, questi devomo ritenersi non come indizi di specie diversa, ma attribuirsi, se non m’inganno, al fatto che l’individuo da cui deriva il primo rostro, era assai più giovane di quelli ai quali appartenevano gli altri due. Le stesse riflessioni possono farsi rispetto a questi ultimi; i quali sebbene appartenenti senza dubbio ad individui adulti, pur nondimeno mostrano assai chiaro coi loro caratteri la differenza di età che pas- sava dall’uno all’altro. E qui credo opportuno di rilevare come anche tutti gli altri frammenti di rostri da me illustrati non presentino diversità notevoli da quelli ora ricordati, e che le piccole differenze che vi si osservano dipendano o da cattivo stato di conservazione o da differenza di età; in modo che anch’essi insieme ai tre esemplari più volte citati debbano considerarsi come provenuti da individui appartenenti ad un’unica specie, ma giunti sli uni dagli altri ad un diverso stadio di sviluppo. Vediamo ora le relazioni che passano fra i miei esemplari e quelli descritti da RùrIMEYER e da VAN BENEDEN come Brackhyrhyncus teretrirostris. Anche in questo caso le differenze sono ben lievi. Il rostro proveniente da Montpellier» è perfettamente simile ai viventi anche rispetto alla posizione dei canali nutritizi. Quello del crag di Anversa offrirebbe invece una piccola differenza perchè ha questi canali spostati leggermente in alto, cioè verso la superficie superiore, e con sezione rotonda. Riguardo a quest’ultimo carattere credo non debba tenersene troppo conto, perchè anche dall’esame dei rostri del pliocene toscano si è visto come la sezione del canale nutritizio possa subire notevoli mo- dificazioni dovute probabilmente ad un diverso stato di conservazione. Del resto il rostro di Anversa, per quanto risulta dalle descrizioni e dalle figure datene dal Van BENEDEN, non presenta neppure nella parte mediana della superficie superiore i premascellari inseriti tra i due rami del vomere, talchò non si può osservare la ben nota disposizione dei solchi. Ora siccome sarebbe assurdo il supporre che questo rostro avesse una conformazione anatomica diversa dagli altri, ne deriva che questo fatto è certamente dovuto al processo di fossilizzazione in forza del quale le suture sono del tutto scomparse. v T21] G. BARBOLANI DI MONTAUTO 21 Per quello che si riferisce alle sezioni del rostro d’Anversa, esse corrispondono nella forma a quelle da me descritte. Anche i frammenti studiati dal CAPELLINI e ricordati dal SEGUENZA, per quanto siano stati rinvenuti in terreni miocenici e quindi sieno più antichi dei miei, non offrono con questi ultimi differenza la quale dia ragione per ritenerli appartenenti a specie diversa. Non ho parlato di quella forma che il Van BENEDEN ascrisse al Brachyrhyneus solidus perchè, come già feci notare, la conosco troppo imperfettamente per poter con sicurezza riunirla od escluderla. Resterebbe ora a vedersi in quali relazioni tutti gli esemplari fin qui ricordati si trovano coll’ Hi- stiophorus Herscheliù (GR.) perchè il mio compito sia esaurito. Ma la somiglianza tra le mascelle di que- st ultimo e quelle degli Istiofori del pliocene toscano è stata già da me provata quando ebbi occasione di descrivere il rostro e la mandibola della specie vivente. D'altra parte gli esemplari appartenenti alla specie zeretrirostris RùT. sono perfettamente simili ai miei; resta quindi dimostrato a parer mio che anch’ essi appartengono all’ Histiophorus Herscheliù (GRAY). Con ciò resta anche convalidata l'opinione che il Bassani ” emise sui pesci del pliocene toscano appartenenti alla collezione LawLEY: che cioè si trattava di forme quali in parte erano viventi ancora nei nostri mari. 1) Bassani. Sw alcuni avanzi di pesci del pliocene toscano. Estratto dal Monitore Zoologico italiano, anno XII, n.° 7, 1901. 22 G. BARBOLANI DI MONTAUTO 122] OPERE CONSULTATE LAcéPÈDE. — Histoire naturelle des poissons, t. III. Paris, l’an X de la République. RAFINESQUE. — Caratteri di alcuni nuovi generi e nuove specie di animali e piante della Sicilia con varie osserva- zioni sopra i medesimi. Palermo, 1810. Cuvier et VALENCIENNES. — Histoire naturelle des poissons, t. VIII. Paris, 1831. SpeBoLD. — Fauna Japonica, 1833. Gray. — On a New Species of Tetrapturus. 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Bentalifidae Roeusr, 1836 (emend). Gen. Dentalium (Arprov., 1615), L., 1740. Dentalium Michelottii Horn. — Tav. IM [XXXIV], fig. 1,2. (1856. — HORNES. oss. Moll. tert. Beck. v. Wien, vol. I, pag. 654, tav. 50, fig. 33). Di questa interessante specie posseggo tre esemplari, che ho trovato in collezione confusi con altri di D. rubescens, cui per la lucentezza del tubo perfettamente s’assomiglia. Serve a distinguerla la pre- senza di esili, filiformi costicine, le quali si rendono sempre più evidenti nell’avvicinarsi all’ estremità posteriore, e a questa danno l’aspetto esagonale. Fra le sei costicine principali, e in taluni solo fra le tre del lato ventrale, ne sono intercalate una o due altre in ogni interspazio, ancora più sottili e più filiformi, costicine intermedie le quali si obliterano anche prima delle altre verso l’apertura. Questa è quasi cilindrica, non vi è che un assai oscuro accenno di angolosità, dato dalle tre costicine ventrali che si prolungano, ma appena evidenti, fin quasi sull’apertura. Per la sezione esagonale dell’apice, il D. Michelottiù si avvicina al D. serangulum e al D. variabile f.° sexcostulata, ma riesce assai facile distinguerlo da entrambi, anche se in frammenti, sia per la sotti- gliezza delle costicine che per la lucentezza della conchiglia. È questa una specie nuova per il M. Mario, ma limitata, per quanto finora a me consta, alle sabbie gialle della Valle dell’Inferno, dalle quali un magnifico esemplare adulto è stato estratto dal sig. Grassi. In Italia si conosce dal miocene al pliocene ed è abbastanza diffusa. M. Mario: Valle dell’ Inferno. 1) Perla PARTE TERZA v. Palaeontographia italica, vol. XV, pag. 125-213 [141-229], tav. XIIL-XXIII [NXIIE-XXXIII]. S. CERULLI-IRELLI [216] Dentalium (Antale) vulgare Da Cosra. — Tav. III [XXXIV], fig. 3, 4. (1778. — DA Costa. Brit. Conch., pag. 24. tav. II, fig. 10). (1886. — B. D. D. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 558, tav. LXVI, fig. 1). 1864. Dentaliwm maultistriatum Desa. Conti. Op. cit., 1.à ed., pag. 36. 1871. _ _ — — Op. cit., 2. ed., pag. 41. I pochi esemplari di M. Mario non hanno il tubo completo dall’estremità dell’apertura, ma la loro sottilissima costolatura, il raffronto fattone con esemplari viventi mi permettono di citare a M. Mario anche questa specie, che non vi era finora conosciuta. Qualcuno degli esemplari a costicille un po’ più rile- vate potrebbe forse riferirsi alla var. perstriolata Sacco. Ma anche fra gli individui viventi varia sensi- bilmente la evidenza o meno della minuta costolatura longitudinale. Gli esemplari studiati provengono tutti dalla Farnesina, dove sono stati raccolti dal sig. Grassi. M. Mario: Farnesina (s. gr.). Dentalium (Antale) fossile Scuròr. — Tav. III [XXXIV], fig. 5. (1784. — Scaròrer. Finleit. in Verstein., vol. IV, tav. III, fig. 7). (1825. — Despayes. Monogr. d. genre Dentale, pag. 35, tav. III, fig. 12). 1888. Dentalium fossile L. CLerIcI. Loc. cit., pag. 109. Non esiste di questo elegante Dentalium nella nostra collezione che un unico esemplare, e neanche completo. Ma la speciale costulazione della conchiglia, fatta di costicine numerose, tutte eguali e netta- tamente rilevate, e il confronto fattone con altri individui del pliocene piemontese non mi lasciano dubbio sul suo riferimento specifico. Il frammento è della collezione RigaccI, ma non porta indicazione precisa della località da cui pro- viene: è facile tuttavia sia stata raccolto fra le sabbie di Acquatraversa, di dove la specie è citata anche dal CLERICI. È specie assai comune in tutto il pliocene, e non si conosce vivente. M. Mario (s. g.); Acquatraversa (fide CLERICI). Dentalium (Antale) variabile Des. — Tav, III [XXXIV], fig. 6-36. (1825. — DesHAyESs. Monogr. d. genre Dentale, pag. 32, tav. IV, fig. 21-22). 1854. Dentalium elephantinum Broc. De Rav., V. n. H., Ponzi. Cat.cît., pag. 13. 1854. — octogonum sp. n. _ — — lbid., pag. 13, e pag. 19 (AA). 1858. — elephantinum Broc. Ponzi. Nota cit., pag. 559. 1864. - serangulum L. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 36 1864. — novemcostatum Desa. Conti. Ibid., pag. 36. 1864. — octogonum Ravn. Conti. Ibid., pag. 36. 1868. — elephantinum Br. Mantovani Op. cit, pag. 16. 1863. —- octogonum Rav. _ Ibid., pag. 16. 1868. —_ serangulum L. _ Ibid., pag. 16. 1871. _ _ — Conn. Op. ctt,, 2. ed., pag. 41. 1871. — novemcostatum Desn. Conti. Ibid., pag. 41. 1871. _ octogonum Ravn. Conti. lbid., pag. 41. 1874. —_ elephantinum Broc. Mantovani. Op. cit., pag. 42. 1874. — octogonum - —_ Ibid., pag. 42. [217] S. CERULLI-IRELLI 25 1875. Dentalium eragonuni Broc. Ponzi. Op. cit., pag. 21. 1875. _ ‘clephantinum Broc. Ponzi. Ibid., pag. 26. 1875. —_ octocostatum sp. n. — Ibid., pag. 20. 1870. = serangulum Broc. — lbid., pag. 27. 1881. —_ octogonum De Rav. Meri. Loc. cit., pag. 451. 1882. -- — — Zuccari. Cat. cit., pag. 14. 1882. — septemcostatum Ria. —— Ibid., pag. 14. 1882. _ secangulum L. — lbid., pag. 14. 1888. — sp. plur. Cuerici. Loc. cit., pag. 110. « Testa tereti, subarcuata, albida, luteolave; quinque ad novem costata; stris eriguis interpositis» (DESHAYES). È una specie la cui identificazione mi è stata tutt'altro che agevole, per le affinità che essa mostra con altre specie, più comunemente conosciute. È caratterizzata da una conchiglia piuttosto sottile, non molto arcuata, sub-cilindrica nella metà anteriore, ornata di coste sottili, in numero variabile di 6 a 9, le quali acute, ben evidenti all’estremità posteriore talora si attenuano verso l’apertura, ma non scompaiono mai; talaltra pure essendo meno elevate che all’estremità posteriore permangono ben evidenti anche sull’estremità opposta, ed allora, quando il tubo è ben conservato, l'apertura ha spesso l’aspetto festonato, le estremità delle costicine sporsendo più degli spazi intermedi. Negli individui ad otto e nove coste, queste non sempre sono se- parate da spazii eguali, chè quelle della faccia concava sono più distanti fra loro che non quelle della faccia convessa. Alle costicine principali se ne intercalano, a distanza variabile dall’apice, altre più sottili, in numero di una, o due, o anche più: e, come fece già notare il DesHayEs, il numero di tali costicine intermedie è maggiore negli individui, che hanno minor numero di coste. All’estremità posteriore si nota assai frequentemente un piccolo tubetto interno, sporgente. Questa specie, assai comune fra le nostre sabbie, è andata distinta con nomi diversi, come si osserva dalla sinonimia surriportata, a seconda del numero delle coste che ne ornano la conchiglia. Ma la identità della curvatura del tubo, subcilindrico presso l’apertura, la sottigliezza della conchi- glia, la natura delle costicine, che pur variando di numero, si presentano sempre esili ed acute, la pre- senza di costicille intermedie sottilissime, e del tubicino interno all’estremità posteriore, mi sembrano buoni caratteri comuni per giustificare una riunione specifica delle varie forme. Gli stessi caratteri riscontro nella specie vivente descritta dal DesHayESs, e sono perciò indotto a riferire ad essa gli individui fossili di M. Mario. Unica differenza sta nel grado di sviluppo: chè gli individui fossili raggiungono un’altezza quasi doppia di quella di mm. 30 indicata come massima dal DesHayes per la specie vivente. Se tale maggiore sviluppo della specie fossile rispetto la vivente. fosse considerato sufficiente carattere distintivo fra esse, allora il Dentalium di M. Mario potrebbe riguardarsi varietà del varzabile, per la quale proporrei l’appellativo var. mariana. Dal D. serangulum la f.* sexcostulata (Tav. III [XXXIV], flg. 6-13) si differenzia per la sottigliezza del tubo, per le costicine assai più esili, e che si attenuano quasi sempre verso l’apertura, per le costicille intermedie esilissime; per il piccolo tubo interno che fuoresce dall’estremità posteriore, e che manca invece nel D. serangulum. Altra differenza, sebbene di assai minore valore, sono le dimensioni molto più limitate. La f.è septemcostulata (Tav, III [XXXIV], fig. 14-19) si distingue dalla precedente esclusivamente per la presenza di 7 coste. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 4 26 S. CERULLI-IRELLI [218] La f.* octocostulata (Tav. III [XXXIV], fig. 20-26) paragonata col D. octogonum Lx. vivente nei mari cinesi mostra le coste assai più sottili, meno robuste ed elevate presso l’apertura: nel D. octogonum inoltre la rastremazione del tubo è assai più accentuata, e l’apertura più dilatata. Meno netta è forse la separazione della f.à novemeostulata (Tav. INI [XXXIV], fig. 27-36) dal D. no- vemcostatum Lx.: ma in quella le costicine sono più esili, con una o più costicille intermedie, le quali insieme alle prime si continuano fin sull’apertura: l’assottigliamento del tubo dall’estremità posteriore è meno pronunziato, e il tubo, come già si è detto, è nella sua metà anteriore sub-cilindrico. V’ha tuttavia qualche individuo che, considerato isolatamente, può far rimanere incerti sul suo ri- ferimento specifico. Ma mentre da una parte l’esame comparativo attento cogli altri, la maggiore acutezza delle coste rispetto al novemcostatum, permettono riunire anche questi esemplari al D. variabile, dall’altra tale fatto dimostra come fra queste specie affini di Dentalium non v’abbia una distinzione veramente netta: il che giustifica e giustificherà la possibile confusione fra le varie forme, se un esame comparativo fra specie fossili e viventi, insieme allo studio anatomico di queste, non condurrà ad un raggruppamento di forme affini. Del D. variabile non conosco citazioni allo stato fossile, nè della forma vivente è nota la dimora: il DESHAYES suppone che‘essa possa trovarsi nei mari indiani, in quanto gli esemplari che gli servirono di studio furono da lui acquistati insieme ad altre piccole conchiglie dell’ India. Anche gli esemplari dal DesHAyEs stesso inviati al RIGACCI, e dei quali ho creduto opportuno dare figura, sono senza indicazione di località. M. Mario: Farnesina, Valle dell’Inferno; Acquatraversa. Dentalium (Antale) novemcostatum Lx. — Tav. III [XXXIV], fig. 37-41. (1818. — LAMARCK. Mist. nat. Anim. s. vert., vol. V, pag. 344). 1864. Dentalium elephantinum Broc. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 36 (partim). 1871. — — - — Op. cit., 2.* ed., pag. 41 (partim). Sono piuttosto rari gli individui, che, a mio avviso, possono riferirsi alla presente specie. Essi pre- sentano un numero variabile di coste da 9 a 13, fra cui negli individui da 9 a 10 coste se ne intercala una più sottile presso l'apertura. Le costicine sono ben evidenti su tutta la lunghezza del tubo, e perciò i nostri esemplari meglio che al tipo spettano al D. mutabile Dop., che il SAcco considera varietà del D. novemcostatum. La separazione di questa specie dalla f.* novemcostulata del D. variabile non è assai netta, come già ho fatto notare. Tuttavia dagli esemplari da me osservati sembrami poter dire che nel D. novemcostatum le costicine sono più nettamente e più fortemente rilevate, non depresse. Il tubo sembrerebbe anche più rapidamente assottigliato verso l’ estremità posteriore, non spiccatamente subcilindrico nella sua metà an- teriore come nel varzabdile. Ma per questo secondo carattere, se osserviamo tutta la serie degli individui da 6 a 9 coste di D. va- riabile, vediamo come in essi la rastremazione del tubo sia soggetta a discreta variabilità, e perciò a tale carattere non può darsi un grande valore distintivo, tanto più che una stessa variabilità mi par di notare nel D. novemcostatum, a giudicarne dall’ osservazione di pochi esemplari viventi, ed anche delle figure di 153; ID ID In sostanza abbiamo nel D. variabile e nel D. novemcostatum due specie assai vicine, con passaggi dall’una all'altra che ne rendono la distinzione assai poco sicura. |219] S. CERULLI-IRELLI 97 Forma intermedia fra le due è il D. inaequicostatum Daurz. (= D. alternans B. D. D.). E nel mentre l'esame comparativo delle figure di B. D. D. e degli esemplari viventi di D. variabile f.% novemcostulata mi indurrebbe a ritenere specificamente identiche le due forme, mi impedisce di giungere senz'altro a tale conclusione il fatto che la colorazione della forma mediterranea è diversa da quella della specie pro- babilmente indiana. Invero il D. inaequicostatum è di color bianco rosato, coll’apice più del resto ‘inten- samente rosato, e affine per ciò al D. novemcostatum, mentre il D. variabile è bianco latteo. M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno. Dentalium (Fissidentalium) rectum Gue. — Tav. III [XXXTV], fig. 42-44. : (1789. — Linneo in GmELIN. Syst. Nat., ed. XIII, pag. 37-38). (1877. — Monrerosato. Catal. Conch. foss. M. Pellegrino e Picar., Boll. Com. geol. pag. 15. — D. Delessertianum [ex tipo Mus. Parisiensis]). 1895. Dentalium Delesserti Cuenu. Mani. Nota cit. Boll. Soc. geol. ital., vol. XIV, pag. 95. 1895. — Delessertianum Curnu. Meri. Nota cit. Ibid., pag. 137. x È una specie assai rara, di cui l’unico esemplare da me osservato è stato raccolto alla Farnesina dal dott. FRENGUELLI. L’esemplare studiato ha la superficie del tubo ornata di 12 coste principali, e di altre 12 costicine intermedie, con le prime regolarmente alterne e che si originano a distanza diversa dall’apice, o estremità posteriore della conchiglia, quelle sul dorso assai lontano, le altre, sulla faccia concava, molto più vicino all'apice. La superficie sì delle coste, che degli spazi intermedi, osservata con la lente, appare elegan- temente zigrinata per una minuta e fitta striatura longitudinale e trasversale. Gli autori che hanno citata la specie in esame, non sono d’accordo sul nome che ad essa spetti, e sulla sua interpretazione. Essa fu dal Lamarcx su esemplari del pliocene senese indicata col nome di D. striatum: ma pree- sisteva altro D. striatum Sow., e il nome del LamaRcK cadde in sinonimia. In seguito, alla specie con- servata nelle collezioni del Museo di Parigi lo CaENU diede il nome di D. Delessertianum, nome che nel suo manuale di conchiologia fu corretto in D. Delesserti. Tuttavia il nome non fu adottato, se non quando il MonteRosato nel 1877 lo rese pubblico, identificandovi il D. striatum PrIL. (non Lx.), il D. sulcatum ScaccHI, e il D. Philippiù Mrrs. dal MontERosATO pubblicato nel primo catalogo dei fossili di M. Pel- legrino e Ficarazzi nel 1872. Senonchè nello studio sui fossili di Galatina il De FrancHIs” ritiene che il D. Delessertianun CHENU (=D. striatum Lx.) sia diverso dal D. Philippiù Mtrs., e il primo una forma pliocenica, il secondo post- pliocenico. La distinzione, per lo meno specifica, a me non sembra possibile. Ho da Ficarazzi una serie di diversi individui, i quali dimostrano come la costolatura sia grandemente variabile, e a lato di individui a costolatura assai fitta con le costicine secondarie originantesi presso l’apice e che rappresenterebbero il D. Philippii, ve ne hanno altri che meglio debbono riferirsi al Delessertianum, mentre altri rappresen- tano forme intermedie. L’esemplare di M. Mario concorda con la forma D. Delessertianum. Ma il Sacco riunisce queste varie forme sotto il nome più antico di D. rectum, con cui il GMELIN indicò la forma vivente. Ho avuta la fortuna di poter osservare due individui di questa specie vivente, ed avendoli confron- tati sia coll’esemplare di M. Mario, come con quelli più copiosi di Ficarazzi, debbo convenire pienamente i) De FrancHIS. Descr. compar. Molluschi post-pliocenici di Galatina. Boll. Soc. mal. it., vol. XIX, pag. 202. — D. Philippii. 28 S. CERULLI-TRELLI [220] col Sacco sull’identità specifica della forma fossile colla vivente. Unica differenza coll’individuo di M. Mario sta nel maggior numero delle coste nei viventi, da 14 a 15: ma in uno degli esemplari che ha la medesima curvatura dell’individuo di M. Mario le coste maggiori sono, come in questo, regolarmente alterne con altre minori, le quali si originano pure a distanza diversa dall’apice. Corrispondenza perfetta, anche per il numero delle coste, si ha con esemplari di Ficarazzi. Dei due individui viventi dell'Oceano settentrionale, dei quali credo utile dare figura, uno è perfet- tamente diritto, l’altro è leggermente incurvato all’estremità posteriore. Il confronto fattone con gli esemplari di Ficarazzi mi fa pensare che fra questi sia forse possibile una distinzione di varietà, cui è bene conservare il nome di. D. Philippii, varietà distinta da costicine secondarie più numerose. Ma distinzione specifica non può farsi, chè fra l’una e l’altra forma, e nello stesso gia- cimento, v’hanno tutte le gradazioni intermedie. M. Mario: Farnesina — (Coll. FrExcuELLI), Valle dell'Inferno (fide MELI). Dentalium (Pseudantalis) rubescens Dersu. — Tav. III [XXXIV], fig. 45, 46. (1825. — DESHAYES. Monogr. d. genre Dentale, pag. 43, tav. II, fig. 23-25). 1854. Dentalium laevigatum sp. n. DE Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 13 e 19 (BB). 1864. — subulatum Desa. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 36. 1864. _ rubescens — — — lbid., pag. 36. 21868. — . laevigatum — Mavmovani. Op. cit., pag. 16. 1871. —_ rubescens — Conm. Op. cit., 2.* ed., pag. 41. 1871. _ subulatum — — lbd., pag. 41. 21874. -_ pellucidum Mant. Mantovani. Op. cit., pag. 42. 1875. - lacvigatum Dr Rav. Ponzi. Op. cît., pag. 26. 1875. _ fessura Lx. Ponzi. Ibid., pag. 26. 1881. _ laevigatum De Rav. Meri. Loc. cit., pag. 451. 1882. — rubescens Desa. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. 1888. _ — — CuerIci. Loc. ce., pag. 109. Non è molto raro, ma quasi sempre in frammenti. Nei frammenti coll’estremità apicale, questa appare generalmente fissurata sul dorso, e la fessura sempre stretta, è più o meno lunga: altri hanno l’estremità integra, e qualcuno pure non fissurato, mo- stra il solco dorsale interno di cui parla il DesHAaves. Ma nessuna altra differenza si nota fra i vari individui. La presenza o meno della fessura dorsale si è constatata anche negli individui attualmente viventi nel Mediterraneo, ed il MontEROSATO ritiene tale carattere di nessun valore distintivo. Il D. subulatum della collezione Conti è rappresentato da giovani individui del rubescens, mentre il subulatum del catalogo di ZuccaRI va in massima parte riferito al StphRonodentalium bifissum, cui si riferisce anche il D. laevigatum citato da Conti. M. Mario: Farnesina; Acquatraversa. Gen. Siphonodentalium M. Sars, 1859. Siphonodentalium (Dischides) bifissum S. Woop sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 47, 48. (1848. — S. Woop. Crag Moll., vol. I, pag. 190, tav. XX, fig.3.— Dentalium). 1864. Dentalium laevigatum Ravn. Comm. Op. cît., 1.8 ed., pag. 36. 1871. — -- — — Op. cit., 2. ed., pag. 41.7 [221] S. CERULLI-IRELLI 29 1882. Dentalium subulatum Desa. Zuccari. Cat. cit., pag. 14 (partim). 1882. Dischides bifissus Woop. Zuccari. Ibid., pag. 14. 1888. — — — Cuerici. Loc. còt., pag. 110. Di questa minutissima specie esistono in collezione copiosi esemplari, di cui i maggiori hanno appena una lunghezza di 10 mill. È in quasi tutti assai ben evidente la doppia fessura apicale, che insieme al taglio obliquo dell’apertura serve a far facilmente distinguere questa forma da esemplari giovanissimi di Ditrupa incurca. Esemplari privi dell’intaglio apicale mostrano pure grandissima affinità col Cadulus Oliviù ScAccHI, var. minor Loc. ! A questa specie va riferito il Dentalium subulatum del catalogo di Zuccari, per lo meno in parte, in quanto sotto lo stesso nome sono confusi esemplari di Dischides bifissus, ad apice incompleto, ed esem- plari giovanissimi di Ditrupa incurva. Il D. subulatum del ContI è invece, come s’è detto, rappresentato da giovani esemplari di D. rubescens, mentre la forma in esame fu dal Conti creduta il D. laevigatum Ray? Il SS. difissum, citato la prima volta fossile nel Crag inglese dal Woop, fu in seguito ritrovato vivente nel Mediterraneo e nell’ Oceano Atlantico. M. Mario: Farnesina; Acquatraversa. Classe Gastropoda CUVIER, 1817. Ord. Pulmonata (CuvieR) M. EbwARDS, 1848. Fam. Stenogyridae Fiscer, 1885. Gen. Caecilianella Ffrussac, 1817 (em.). Caecilianella acicula Min. sp. — Tav, III [XXXIV], fig. 49. (1773. — MULLER. Vermium terr. et Testaceorum hist., parte II, pag. 150. — Buccinum]. (1863. — FoRBES a. HANLEY. Brit. Moll., vol. IV, pag. 130, tav. CXXVIII, fig. 4. — Achatina). 1854. Achatina aciculata: MiiLer. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. _ _ — Conti. Op. cît., 1.3 ed., pag. 28). 1871. — _ —_ — Op. cit., 2.3 ed., pag. 353). 1875. = — — Ponzi. Op. cit., pag. 25. È una specie assai rara al M. Mario: in collezione ne possediamo un solo esemplare: altri pochis- simi ne ho visti nella collezione ContI. - L’individuo da me studiato s’identifica perfettamente con la forma vivente, di cui ottime descrizioni e figure ci danno ForBrs ed HANLEY, e JEFFREYS. ) LocarD. Expeditions scient. du Travailleur et Talisman. Mollusques testacés, vol. II, pag. 134, tav. VII, fig. 10. 2) Il Conti nel catalogo del 1871 nomina anche un’altra specie nuova di Dentalium, il D. unicostatum, ma esso insieme al D. coarctatum va riferito alla Ditrupa incurva. 3) Dell’Ordine dei: Pulmonata nei cataloghi di ConTI troviamo, oltre l’ Achatina acicula, altre due specie descritte .come nuove: la Parmacella lucidissima, e la Testacella sinuata. Ma la prima è rappresentata da opercoli, assai facil- mente di Rissoa, la seconda da apici di conchiglie di Natica rotte. 30 S. CERULLI-1RELLI [222] Altezza o c 5 . c a mm. 4,4 Larghezza . : : ; - ; » 1,4 La ©. acicula è citata fossile anche nel Piemonte dal Sacco. M. Mario: Farnesina (s. g.). Fam. Gadiniidae Gru, 1810. Gen. Gadinia Gray, 1824. Gadinia Garnoti Pavr. sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 50. (1826. — PavraupeaU. Cat. Moll. d. Corse, pag. 94, tav. V, fig. 3,4. — Pileopsis). Il gen. Gadinia è assai raramente conosciuto fossile. Due specie ne sono state segnalate nel ter- ziario, la G. sulcata Borson nel miocene, e la G. Garnoti PavR. nel pliocene: ma entrambe, almeno per quanto finora se ne sa, sembrano aver avuto una diffusione limitatissima. È perciò interessante poter annoverare questo genere anche nella fauna di M. Mario”. L’esemplare unico di M. Mario, che ho avuto la fortuna di rinvenire confuso fra individui di Acmaea virginea, sebbene non in perfetto stato di conservazione, si identifica facilmente e con sicurezza colla G. Garnoti, di cui oltre la figura del PayRaupEAU, abbiamo quella più recente di BucQquoy, DAUTZENBERG e DoLrrus, che ne fa apprezzare con evidenza sia i caratteri esterni che interni. L'individuo di M. Mario per la sua forma depressa risponde bene al tipo della specie vivente: la scultura esterna è fatta di costicine sottili e numerose, intagliate e rese lievemente granulose da linee di accrescimento: l’apice è situato più presso all’estremità posteriore ed inclinato verso questa: il mar- gine della conchiglia è leggermente dentellato. L'impressione muscolare a ferro di cavallo è nel nostro individuo più breve che non nella figura di B.D.D., chè essa si arresta poco oltre la metà della conchiglia. Ben evidente è altresì il solco, che dal centro si dirige verso il margine destro anteriore della conchiglia. Anteriormente ‘all’estremità sinistra dell’impressione muscolare (destra se si guarda la conchiglia dall’interno) sembrami osservare il piccolo lobo o impronta muscolare di cui parla PHILIPPI ®, senza che, per altro, esso si mostri separato dall’estremità dell’adduttore, ma solo demarcato da una maggiore impressione e lucentezza, e tale esso appare anche nella figura di PriLipri. Tale lobo secondo il Cossmanyw ® rende- rebbe meno sicura la distinzione delle Gadinia dalle Siphonaria, le quali tuttavia lo presentano più nettamente separato. La G. Garnoti segnalata fossile dal Principi in Sicilia, è stata in seguito citata nell’astiano di Ca- labria da SecueNzA: in Piemonte se ne conosce una varietà a forma più convessa, ed apice più eccentrico. Vivente è conosciuta del Mediterraneo ed Adriatico. M. Mario: (S. g.). 1) A _M. Mario fu citata dal MeLI un’altra specie di Gadinia, la @. latero-compressa De Rav. (= Patella latero- compressa De Rav.). La posizione generica di detta specie è assai discussa e discutibile: ma qui m’ importa sem- plicemente far notare, che essa, a mio parere, non può riferirsi al gen. Gadinia. Se ne allontana per la superficie esterna liscia, non costulata o striata: per impronta muscolare diversa, senza il piccolo lobo anteriore a destra: per mancanza del solco obliquo interno, con corrispondente rilievo esterno 3) Phiuppi. Enum. Moll. Sic., vol. I, pag. 111. — Patella. 3) Cossmann. Ess. Paléoconch. comparee, fasc. 1.°, pag. 145 [223] S. CERULLI-IRELLI 31 Ord. Opisthobranchiata M. EpwARDS, 1848. Fam. Acetaeonidae p'Orziony, 1842. Gen. Actaeon Montrort, 1810. Actaeon tornatilis L. sp. — Tav. IMI [XXXIV], fig. 51-56. (1766. — Linneo. .Syst. Nat., ed. XII, pag. 1187. — Voluta). 1854. Tornatella tornatilis L. Dr Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 10. 1864. — —_ — Conti. Op. ciò., 1.* ed., pag. 30. 1868. — _ — Mannovani. Op. cit., pag. 16. 1871. —_ —_ — Conni. Op. cit., 2.* ed., pag. 36. 1875. — — — Ponzi. Op. cît., pag. 20 e 25. 1882. Actaeon —_ — Zuccari. Cat. cit., pag. 15. 1888. — — — Cuerici. Loc. cit., pag. 107. DS __ E specie non molto rara per il M. Mario, ma in quasi tutti piccoli individui; rarissimi sono gli esem- .plari adulti, i quali raggiungono press’a poco le dimensioni della specie attualmente vivente, cui perfetta- mente corrispondono, mostrandone taluni anche tracce della naturale colorazione rosata con bande bianche. Tuttavia varia abbastanza sensibilmente la forma della conchiglia a M. Mario, la spira mostrandosi più o meno elevata, e l’ultimo anfratto più o meno globoso. Sono più comuni gli individui a spira poco elevata, coll’ultimo anfratto grande, globoso, cilindro-ovale, i quali, per la forma, ricordano assai da vicino lA. inflatus Bors.: corrispondono alla var. frigida del MonreRosato. In altri pure a spira poco elevata, la conchiglia si presenta più fusiforme, l’ ultimo anfratto essendo meno globoso: si identificano assai bene con la forma vivente figurata da HipaLeo!”. In altri infine la spira è più elevata, e la conchiglia è, in proporzione, più allungata, e meno larga della prima forma più comune. Ma dall’una all’altra vi ha così graduale passaggio, che non è il caso di fare neanche distinzione di varietà. Tale variabilità, che si riscontra del resto anche nella specie vivente, come ci informa il WEINKAUFF, mi fa supporre che possa comprendersi nell’A. fornatilis anche lA. semistriatus FER. A M. Mario vi sono alcuni assai giovani esemplari, i quali per la spira più elevata potrebbero rife- rirsi alla specie del Férussac. Ma manca in essi qualsiasi traccia di striatura nella parte posteriore degli anfratti presso la sutura, e perciò mi sembra essi vadano ‘meglio riguardati come forma giovanile di A. tornatilis. M. Mario: Farnesina, Valle dell Inferno; Acquatraversa. Actaeon Bovetensis Sec. — Tav. IMI [XXXIV], fig. 57. (1879. — SEGUENZA. Ze form. terz. prov. Reggio Calabria, pag. 351, tav. XVII, fig. 40). “ Questa specie di forma ovato-oblonga, colle suture profondate, distinguesi pei forti solchi spirali della regione anteriore, pel difetto di essi nella regione posteriore degli avvolgimenti, per la spirale prominente; l’apertura è allungata, angolosa, pressochè romboidale. Molto piccola, essa è più allungata e a spira più prominente della precedente specie , (SEGUENZA). i) HipaLGo. Moluscos mar. de Espana, tav. 20€, fig. 1, la. 32 S. CERULLI-IRELLI [224f Alla figura del SecuenzA ed alla precedente descrizione corrisponde benissimo un piccolo Actacon della Farnesina. Esso si distingue nettamente dal fornatilis per la spira più sporgente, gli anfratti più gonfi presso la sutura, l’ultimo subangolato, la conchiglia liscia, lucente, più sottile, ornata di solchi pro- fondi solo nel terzo anteriore dell’ultimo anfratto. Altezza . ; 5 . : c mm. 5 Larghezza , È c 3 c » 2,4 L’A. Bovetensis è stato raccolto dal Secuenza nel Sahariano di Calabria. L’esemplare di M. Mario fu raccolto alla Farnesina dal sig. Grassi. M. Mario: Farnesina (s. g.). Fam. Tornatimidae Fiscuer, 1883. Gen. Tornatina A. Apams, 1850. Ritengo che il gen. Tornatina vada inteso nei limiti che gli furono assegnati dal FiscHER, e quindi debbano considerarsene sottogenere le Retusa, che da altri autori vengono riguardate come genere a sè. In effetti il passaggio dalle forme a spira sporgente a quelle a spira troncata ed incavata è così graduale attraverso la 7. obtusa e la mammillata alla truncatula, che distinzione generica non mi sembra possibile. La 7. mammillata costituirebbe in ogni caso, con le sue forme a spira leggermente sporgente, un termine intermedio di dubbia posizione generica. Anche il Cosswann ritiene le Refusa sottogenere di Tornatina. Tornatina spirata Br. sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 58-62. (1814. — Broccui. Conch. foss. subapp. vol. II, pag. 644. tav. XV, fig. 12. — Voluta). 1864. Tornatella spirata Broc. Cowni. Op. cit., 1.2 ed., pag. 30. 1868. — — —: Manrovani. Op. cit., pag. 16. 1871. — ce — Conur. ‘Op. cet., 2 ed, pag. 36. Negli esemplari di M. Mario che riferisco a questa graziosa specie l’ultimo anfratto è talora più allungato e meno largo di quanto non mostra la figura del BroccHI: si avvicinano perciò in parte meglio alla forma descritta assai bene dal FonranwEs come 7. hemipleura !. Il BroccHI nella descrizione di questa specie non parla dei piccoli e brevi solchetti obliqui che co- ronano la carena nella parte anteriore degli anfratti. Ma nella maggior parte degli individui da me 0s- servati questi solchetti sono assai ben evidenti, particolarmente avanti la carena dell’ultimo anfratto, obliterandosi dopo breve tratto, in modo che il resto della superficie dell’ultimo anfratto è subliscia, e non presenta che minute e fitte pieghe di accrescimento. Tuttavia questi solchetti in alcuni esemplari tendono ad obliterarsi, e scompaiono del tutto se la super- ficie della conchiglia è leggermente erosa. È assai probabile che uno di tali esemplari abbia avuto presente il Broccni nel dar descrizione della sua specie, e nel dirne la conchiglia liscia. Uno stesso fatto, della presenza 0 meno dei menzionati solchetti coronali della carena, si verifica nella specie del pliocene piemontese, come cortesemente mi ha informato il prof. Sacco: e parimenti in esemplari del pliocene di Toscana da me osservati. i) FONTANNES. Moll. Plioc. d. vall. d. Rhòne et Rouss., vol. I, pag. 237, tav. XII, fig. 14. [225] S. CERULLI-IRELLI 33 Ritengo in conseguenza che la 7. hemipleura Font. debba considerarsi sinonima della 7. spirata BR., cui corrisponde per tutti gli altri caratteri. Le dimensioni massime degli individui di M. Mario da me osservati sono le seguenti: Altezza . c o . : È mm. 4,5 Larghezza . . o ò : DES2NI La 7. spirata non si conosce vivente. M. Mario: Farnesina. Tornatina obtusa Mre. sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 63-65. (1803. — MontaGU. Zest. Brit., pag. 223, tav. VII, fig. 3. — Bulla). 1882. Cylchna mammillata Pun. Zuccari. Cat. cit., pag. 14 (partim). I pochi e piccolissimi esemplari che riferisco alla specie presente erano in collezione confusi con altri di 7. mammillata e di 7. spirata. Dalla prima, con cui mostrano maggiore affinità, si distinguono tuttavia facilmente, perchè la spira è ben evidente, l’ultimo anfratto non involve come in quella gli altri, e l’estremità posteriore del labbro non sporge oltre la sommità dell'ultimo anfratto. Per questi caratteri mi sembra che la 7. obtusa spetti alla stessa sezione generica della 7. spirata, e si differenzi dalle Aetusa. M. Mario: Farnesina (s. g.). — Coll. Rreacct. Tornatina (Retusa) mammillata Prun. sp. — Tav. INI [XXXIV], fig. 66-68. (1836.— Parcippi. Enum. Moll. Sic., vol. I, pag. 122, tav. VII, fig. 20. — Bua). 1864. Bulla mammillata Pan. Conti. Op. cit., n a ed., pag. 28. 1871. — — — — Op. cit., 2.* ed., pag. 34. 1882. Cylichna — — Zuccari. Cat. cit. pag. 14. 1888. — -_ — Crerici. Loc. cit., pag. 104. Di questa minuta specie posseggo pochi esemplari, assai ben conservati. Essi corrispondono perfet- tamente alla specie vivente, e come in questa la spira è più o meno incavata e coperta dall'ultimo an- fratto, e mentre nella maggior parte, guardando di profilo la conchiglia, non si vede sporgere, oltre la sommità dell’ultimo anfratto, che il tubercolo formato dal primo giro, in qualche raro esemplare si scorge anche l’inizio del 2.° anfratto, come appunto nella figura di B. D. D. ! Altezza . c o o o È mm. 3,2 Larghezza ò ò c È 5 » 1,6 La 7. mammillata in Italia sembra conosciuta fossile con certezza solo di Sicilia. Anche per il piacen- tino ne fa menzione il Cocconi, ma dal momento che egli cita come illustrazione della specie le figure di Hornes per la Tornatina Lajonkaireana, è chiaro che ha fraintesa la specie del PaicipPI, e invero il Sacco 1) Bucquoy, DaurzENBERG, DoLLeuUs. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 531, tav. LXIV, fig. 18-20. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 5 34 S. CERULLI-IRELLI [226] riferisce alla 7. spirata Br. la mammillata di Cocconi. È stata citata pure nel pliocene delle alpi marit- time, e nel post-pliocene di Norvegia. M. Mario: Farnesina (s. g.). — Coll. RIgaccI. Tornatina (Retusa) truncatula Bruc. sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 69-72. (1790. — BRUGUIERE. Eneycl. méthod., pag. 377. — Bulla). 1854. Bulla truncatula Bruo. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. — —_ — Conm. Op. cit., 1.* ed., pag. 27. 1871. — Op. cit., 2.% ed., pag. 34. 1875. — _ — Ponzi. Op. cil., pag. 25. 1875. — uncata Apays. Ponzi. lbid., pag. 25. 1882. Cylichna truncatula Monn. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. Non è molto rara fra le nostre sabbie, e gli esemplari maggiori hanno le dimensioni seguenti: , Altezza . 5 , È ò ° mm. 2,8 Larghezza o o ò o : di dal Essa generalmente viene descritta come longitudinalmente (o assialmente) striata, a strie abbastanza profonde, le quali si arrestano a metà circa dell’ultimo giro. Dall'esame degli esemplari di M. Mario ho osservato che tale carattere di ornamentazione deve considerarsi come assai variabile. V’ hanno bensì esemplari, e sono rarissimi, che presentano la striatura principalmente manifesta nella parte inferiore dell'ultimo anfratto, ma nella maggioranza la striatura è estesa a tutto l’anfratto, e solo un poco più marcata nella metà inferiore di esso: altri esemplari invece presentano la superficie quasi liscia, solo con lievi tracce di striatura. È perciò che le figure che rappresentano questa specie in generale ne mostrano solo uno degli aspetti. Nei nostri esemplari, oltre la scultura, varia leggermente altresì la forma per la depressione centrale dell'ultimo anfratto più o meno accentuata, ma essi in generale sono sub-cilindrici. È questa una specie largamente conosciuta fossile, dal miocene al post-pliocene, e vivente oggidì nel Mediterraneo e nell’Atlantico. M. Mario: Farnesina. — (Coll. Rigacci); Malagrotta. — (Coll. CLERICI). T. truncatula var. clavata Box. sp. — Tav. II [XXXIV], fig. 73. (1526. — BoNELLI. Cut. ms. Musco zool. Torino, n.2873. — Bulla clavata). Si distingue dal tipo per il suo aspetto claviforme, forma cioè più alta, depressa al centro, e più rigonfia alla base, che ricorda quella della 7. (Retusa) semisulcata Pri. Quest'ultima tuttavia è ancora più allungata e più stretta e a pieghe assiali più pronunziate. Altezza . 6 o o ” D mm. 2,6 1,5) Larghezza 0 o ò 6 0 Danilo M. Mario: Farnesina (s. g.). Tornatina (Retusa) perstriata n. sp. — Tav. II [XXXIV], fig. 74. Si distingue dalla fruncatula per l’ultimo anfratto non depresso al centro, ma convesso, e per la sua scultura: esso è spiralmente striato da strie sottili ma chiaramente impresse, le quali intagliano le strie [227] S. CERULLI-IRELLI 35 o pieghe assiali: queste sono più superficiali, assai meno evidenti che nella #runcatula, ed uniformemente ma- nifeste su tutto l’anfratto. Altezza . o 0 c o o mm. 2,6 Larghezza D c Ò . 0 515) x Spiralmente striata è anche la 7. (Retusa) decussata Bon.: ma essa si distingue facilmente dalla specie di M. Mario oltre che per il suo aspetto claviforme, assai più affine a quello della #runcatula, anche per le forti pieghe assiali che si scorgono sull’estremità posteriore dell’ultimo anfratto. M. Mario: Farnesina (s. g.). Gen. Volvula Apawms, 1850. Volvula acuminata Bruce. sp. — Tav. III [XXXIV], fig. 75-78. (1792. — BRUGUIERE. Eneyel. méth., vol. I, pag.376, n.9. — Bulla). 1854. Bulla acuminata Brue. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cnt. cit., pag. 9. 1864. — — — Conmi. Op. cèt., 1.* ed., pag. 28. 1868. — _ — Manzovani. Op. cît., pag. 16. 1871. — — — Conti. Op. cîit., 2.8 ed., pag. 34. 1875. — _ — Ponzi. Op. còt., pag. 20 e 25. 1882. Volvula — — Zuccari. Cat. còt., pag. 14. Questa ben distinta specie è discretamente frequente alla Farnesina, senza presentarvi variazioni notevoli, e corrisponde alla forma attualmente vivente nel Mediterraneo, nell’Oceano Atlantico e nei mari del Nord. Altezza . o c E ; 6 mm. 4,9 Larghezza . ° o 0 7 Db ; (o, M. Mario: Farnesina (s. g. e s. gr.). Fam. Scaphandridae Fiscarr, 1883. Gen. Scaphander Monxrrorr, 1810. Scaphander lignarius L. sp. -- Tav. IV [XXXV], fig. 1-7. (1760. — LINnnEo. Syst. Nat., ed. XII, pag. 1184. — Bulla). I 1854. Bulla lignaria L. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. — — —_— Conn. Op. cit., la ed., pag. 27. 1868. — — — Manmovani. Op. cit., pag. 16. - 1871. — — + Conm. Op. ciut., 2. ed.,, pag. 34. 1874. — — — Manrovani. Op. cit., pag. 42. 1875. — — — Ponzi. Op. cit., pag. 20 e 25. 1882. Scaphander lignarius L. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. 1888. — — — CrerIcI. Loc. cit., pag. 107. Si raccoglie frequentemente nelle sabbie del M. Mario, e spesso in esemplari, che dimostrano avervi la specie raggiunto un notevole grado di sviluppo. 36 S. CERULLI-IRELLI [228] Altezza . 5 v c a 3 mm. 70 Larghezza o ; c Rina » 40 Varia nei nostri esemplari limitatamente la forma, per rapporto diverso dell’altezza alla larghezza, e per questo mentre taluni individui corrispondono al tipo della specie, altri si identificano colla var. targionia Risso, del tipo meno espansa. Ma in tutti i nostri esemplari le strie spirali sono numerose, assai vicine fra loro, e molto sottili e superficiali, mentre, a giudicarne dalle figure di HipALco, di B. D. D., di SowerBy, ForBEs ed HANLEY, JEFFREYS, nella specie vivente e adulta le strie sembrerebbero più distanti e più impresse. Ho osservato per altro individui viventi del Mediterraneo che ai nostri fossili corrispondono perfet- tamente. Oltre le forme già note ritengo interessante far particolare menzione di due, le quali si differenziano dal tipo più sensibilmente delle altre. Var. conuloides. — Tav. IV [XXXV], fig. 6. — Ha forma a cono tronco, ristretta all'estremità posteriore, Ò OLA . «ge » . dilatata all’estremità opposta, a profilo laterale sub-rettilineo, assai poco convesso, e colla zona di mag- giore larghezza, anzichè circa al centro della conchiglia, spostata verso l’estremità anteriore. Altezza . . c . c c mm. 59 Larghezza . 3 ò o Ò » 33,5 Var. ovoides. — Tav. IV [XXXV], fig. 7. — È distinta per la sua forma raccorciata, espansa, ovoidale. Altezza ; È È b 3 mm. 47 Larghezza . ò A o i » 30 La forma fossile del Crag inglese figurata da Woop! è assai vicina a questa. M. Mario: Farnesina, Valle dell'Inferno; Acquatraversa. Gen. Roxania Lreick, 1847. Roxania utriculus Br. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 8,9. (1814. — BroccHi. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 276, tav. I, fig. 6 [Bulla striata BrUG.], e pag. 633. — Bulla utriculus). 1854. Bulla utriculus Broc. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. — — — Contri. Op. cit., l.* ed., pag. 27. 1871. — —_ — — Op. cit., 2.* ed., pag. 34. 1875. — — — Ponzi. Op. cùt., pag. 25. 1882. — — — Zuccari. Cat. còt., pag. 14. E abbastanza rara fra le nostre sabbie, e in quasi tutti piccolissimi individui: i più adulti misurano mm. 9,5 di altezza e mm. 5,75 di larghezza. M. Mario: Farnesina (s. g. e s. gr.), Valle dell’ Inferno. i) Woop. Crag Mollusca, vol. I, tav. XXI, fig. 8. — Bulla lignaria. [229] S. CERULLI-IRELLI 37 Fam. Bullidae Lavarck, 1822. Gen. Bulla L., 1759. Bulla (Haminea) hydatis L. — Tav. IV [XXXV], fig. 10. (1766. — Linneo. Syst. Nat., ed. XIII, pag. 1183). 1882. Bulla hydatis L. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. Non ostante la grande fragilità della conchiglia di questa specie, le pazienti e fortunate ricerche dei fratelli RieAccI riuscirono ad esumarne dalle sabbie gialle del M. Mario due belli esemplari, in discreto stato di conservazione, i quali corrispondono perfettamente ad individui viventi nel Mediterraneo. Altezza . 5 ò i ò È mm. 26 Larghezza 0 . o 0 0 DIO E discusso se la 5. (Haminea) hydatis sia o pur no distinta dalla B. (Haminea) navicula Da Costa (=D. cornea Lk.). L'esame di piuttosto copiosi esemplari viventi conservati nella collezione del Museo zoologico di Roma, mi indurrebbe a riunire le due forme, che invece gli autori francesi B. D. D. nel loro interessante lavoro sui MoMusques du Roussillon considerarono specificamente distinte. In vero la distinzione delle due forme secondo detti autori sarebbe basata sulle dimensioni minori della Aydatis rispetto alla ravicula, sulla striatara in quella meno apparente che in questa, sulla colu- mella diritta nella Aydatis, fortemente arcuata nella navicula. Ora questi caratteri differenziali a me sembrano piuttosto in relazione al grado di sviluppo degli individui, anzichè caratteri di valore specifico. In vero ho osservato che mentre negli individui assai giovani di B. Zydatis la columella è chiara- mente quasi diritta, in individui alquanto più adulti, ma pur sempre piccoli, la columella in taluni diritta — per altro non così manifestamente come nei giovanissimi — in altri mostra una spiccata tendenza a divenire arcuata, ed arcuata deve dirsi più che diritta. In: individui adulti invece, i quali rappresentereb- bero la 5. navicula, la columella è arcuata e fortemente arcuata, ma non mancano esemplari in cui si nota la persistenza del carattere giovanile. È questa constatazione precisamente quella che mi induce a riunire le due forme, in quanto che nessuna differenza ho potuto riscontrare nella striatura spirale, se non che questa — com’è naturale — è negli adulti più evidente che nei giovani, ma le strie hanno l’identico andamento ondulato, e nei gio- vanissimi sono coll’aiuto della lente pure chiaramente visibili. La B. navicula può quindi, a mio parere, considerarsi semplicemente f.* adulta, major, della hydatis, come la ritenne il WEINKAUFF. I nostri due esemplari fossili rappresentano questa forma adulta. M. Mario: (s. g.). — Coll. Rieacct. Gen. Bullinella Newrovn, 1891. Bullinella cylindracea Penwr. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 11-13. (1777. — PENNANT. Brit. Zool., vol. IV, pag. 117, tav. LXX, fig. 85. — Bulla). 1854. Bulla cylindracea Pen. De Rav., V. p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 28. 1868. — _ — Manrovani. Op. cit., pag. 16. 358 S. CERULLI-IRELLI [230] 1871. Bulla cylindracea Pen. Conti. Op. cit., 2.* ed., pag. 34. 1874. — _ — Manrovani. Op. ci., pag. 42. 1875. — — — Ponzi. Op. cit., pag. 20. 1875. — convoluta Bro. — Ibid., pag. 25. 1882. Cylichna cylindracea Pen. Zuccari. Cat. cil., pag. 14. 1888. — — — Cuerici. Loc. cit., pag. 107. Fra le Bullidae è una delle specie più comuni, ed anche notevolmente costante nella forma. Non varia che assai leggermente il rapporto fra l’altezza e la larghezza della conchiglia: la striatura esterna è più o meno evidente, ma pur sempre sottilissima, tanto che occorre una buona lente per di- stinguerla. È specie largamente diffusa dal miocene al post-pliocene e vivente nel Mediterraneo ed Oceano Atlantico. M. Mario: Farnesina; Acquatraversa. LA Bullinella (Cylichnina) umbilicata Mr. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 14-16. (1803. — MontaGu. Zest. Brit., vol. I, pag. 222, tav. VII, fig. 4. — Bulla). 1864. Bulla ovulata Lx. Conn. Op. cit., 1.2 ed., pag. 28. 1868. — _ — Manrovani. Op. cit., pag. 16. 1871. — _ — Coni. Op. cît., 2. ed., pag. 34. 1874. — — BroccHi. Mantovani. Op. cit., pag. 42. 1882. Cylichna umbilicata Mont. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. 1888. —_ - — Cuerici. Loc. cit., pag. 107. Anche questa minutissima specie non è rara. fra le sabbie del M. Mario. Negli individui avuti in esame varia la evidenza dei segni d’accrescimento, in taluni affatto indistinti, in altri chiaramente accennati su tutta la superficie dell’ultimo anfratto: ma per forma essi corrispondono bene al tipo attualmente vivente nel Mediterraneo, qual’ è figurato da B. D. D. 1) Altezza . . ” c c o mm. 3,4 Larghezza o 0 o . . » 1,8 L'esame dei non pochi esemplari spettanti alla umbilicata, e alle forme che enumero quali sue spiccate varietà, mi ha dato modo di osservare come sia facile il passaggio dal tipo della specie a quello delle varietà, e come non esista fra esse una netta separazione. Sono perciò portato a considerare la 2. wm- bilicata come specie a limiti abbastanza estesi, e a comprendervi in conseguenza forme che separata- mente prese sembrerebbero potersi ritenere specie distinte. M. Mario: Farnesina, Valle dell’Inferno; Acquatraversa (fide CLERICI). B. umbilicata var. conuloidea n. var. — Tav. IV [XXXV], fig. 17. Si distingue dal tipo per le sue maggiori dimensioni, per la sezione sub-conica, ristretta all’apice, dilatata alla base, con leggera depressione verso il centro dell’ ultimo anfratto. i) Bucquoy, DAUTZENBERG, DoLLFUS. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, tav. 64, fig. 6-8. {231] S. CERULLI-IRELLI i 39 no Gli individui di M. Mario mostrano qualche a ffinità colla 2. conulus Woop (non DesH.) del Crag in- glese, forma che s'incontra altresì vivente nel Mediterraneo e nei mari inglesi. Tuttavia, a giudicarne dalle figure di Woop e di ForBes ed HanLeyY, sia la forma vivente che quella fossile nel Crag hanno una sezione più decisamente conica. Non posso perciò senz'altro identificare con esse la forma di M. Mario. In ogni caso per altro l’assi- milazione colla specie dell’eocene parigino, come già ebbe a far notare lo stesso DEsHAYES, non è possibile, chè la B. conulus DESE. eocenica è ad estremità posteriore più ristretta; riterrei perciò sempre opportuno cambiare l’aggettivo distintivo della varietà, ad evitare ogni confusione od ambiguità di significato. La B. conulus fu citata dal Cocconi per il piacentino, ma il Sacco riferisce detta citazione alla £. elongata Ercnw. Questa per l’estremità posteriore ancora più ristretta si differenzia anche più della conulus Desa. dalla forma di M. Mario come da quella del Crag inglese. M. Mario: Farnesina. B. umbilicata var. primordia Mrrs. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 18. La forma sub-cilindrica, l'estremità posteriore meno chiaramente troncata, il foro ombelicale pure più ristretto, separano questa varietà dal tipo della wmbilicata. Per la sua forma, che si può dire intermedia fra la umbilicata e la cylindracea, essa potrebbe andar confusa con la 2. nitidula Loven. Ma l'esame comparativo di esemplari dell’una e dell’altra ne rende ben manifesti i caratteri distintivi: la B. nifidula ha l’estremità posteriore decisamente e distintamente atte- nuata, assai più ristretta che nella varietà in discorso, e con un foro ombelicale piccolissimo, talora quasi impercettibile, ricoperto completamente o parzialmente dal ripiegarsi del labbro interno dell’apertura. Il MontEROosATO considera la var. primordia specie a parte: ma la sua evidente affinità col tipo della umbilicata, e l'osservazione di forme intermedie di passaggio mi inducono a riguardarla piuttosto varietà della umbilicata. M. Mario: Farnesina. B. umbilicata var. crebrisculpta Mrrs. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 19-21. (1884. — MonrEROSATO. MNomenel. gen. e spec. Conch. medit., pag. 143. — Cylichnina crebrisculpta). Si distingue dalla um%ilicata per la evidenza delle strie spirali, le quali incrociandosi con altre strie assiali, di quelle talora più, talora meno evidenti, danno alla conchiglia una “ ruvida apparenza , come si esprime il MonTEROSATO. La forma è normalmente meno ovale, più conica che nella umbilicata tipica, e per questo vicina a quella della var. conuloîdea,-ma non mancano individui che pur mostrando la scultura della crebrisculpta hanno forma ovale perfettamente corrispondente alla umbilicata. Il solo carattere della scultura serve perciò a differenziare la forma in discorso. Ma non sembrami carattere sufficiente per giustificare una separazione specifica. In vero, se normalmente la 2. umbilicata è a superficie liscia, pure vista con ingrandimento, essa non di rado appare striata spiralmente, benchè. a strie sottili e superficiali, ed ornata di strie assiali di accrescimento arcuate. Queste strie assiali diventano assai più manifeste quando la superficie della conchiglia è leggermente corrosa. : Nella crebrisculpta invece le strie spirali sono soltanto sempre e meglio evidenti, e le strie d’acere- scimento più marcate, più regolari. 40 S. CERULLI-IRELLI [232] La B. strigella Loven mi sembra altra forma assai vicina, nella quale mentre le strie spirali sono ben impresse ed evidenti, poco manifeste invece appaiono Je strie assiali. La var. crebrisculpta, è discretamente frequente fra le nostre sabbie, ed alla forma vivente nel Me- diterraneo perfettamente corrispondente. M. Mario: Farnesina. B. umbilicata var. Robagliana Fiscw. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 22. (1867. — FiscHER. Les fonds de la mer, vol. I, pag. 150, tav. XXIII, fig. 2. — Bulla Robagliana). Sebbene la particolare scultura dell'ultimo anfratto, assialmente subcostulato-solcato, a costole lamel- liformi, regolari, forti, vicine fra loro, direi quasi imbricate, intagliate da una striatura spirale più sottile, che ne rende frangiati i margini esterni, faccia sembrare questa forma nettamente distinta dalla umbili- cata, pure la varietà precedente serve come termine intermedio fra le due, e le collega. Penso perciò che anche la B. Robagliana possa, come la crebrisculpta, considerarsi varietà della wmbilicata. È essa rappresentata a, M. Mario da un unico esemplare, il quale alla descrizione e figura del Fi- scHER mi sembra corrispondere assai bene, per quanto francamente sull'identità di queste piccole forme non si può esser sicuri senza il raffronto diretto degli esemplari. M. Mario: Farnesina (s. g.). Bullinella (Cylichnina) Crossei B. D. D. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 23, 24. (1886. — B. D. D. Moll. mar, d. Rouss., vol. I, pag. 526, tav. LXIV, fig. 9-11. — Cylichna). Gli autori francesi dei Mollusques du Roussillon distinguono questa forma dalla umbilicata, per le sue dimensioni minori, per il contorno più regolarmente ovale, per l'apertura più uniformemente larga, col labbro posteriormente meno elevato. Tali caratteri riscontro nei pochi esemplari di M. Mario, che credo poter riferire alla specie di B. D. D., e noto che per la loro forma più corta, più ovale essi facilmente si separano dagli altri di B. umbilicata con cui erano in collezione confusi. Tuttavia la stretta affinità della Crossei e della umbilicata potrebbe ben giustificare una riunione specifica delle due forme. M. Mario: Farnesina. Bullinella (Cylichnina) gigantulina n. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 25. Conchiglia a forma conica, ristretta e subtroncata al vertice che è profondamente ombilicato, dilatata alla base, depressa al centro; molto solida: superficie spiralmente ed assialmente striata, benchè in modo poco evidente per erosione dello strato superficiale della conchiglia: apertura assai ristretta all'infuori che alla base, dov è alquanto dilatata e piriforme: labbro esterno ispessito, specialmente alla base; labbro interno pure evidente, incrassato, aderente: columella corta, ispessita e provvista di una piega ben ma- nifesta. “Altezza . o ò 5 0 È mm. 11,5 Larghezza . ò c o . » 6 Se non fossero le dimensioni assai maggiori, e il notevole ispessimento della conchiglia, questa specie potrebbe, per la forma, riguardarsi anche varietà della B. umbilicata. Ma a M. Mario la umbilicata e sue varietà sono rappresentate costantemente da piccolissimi esemplari, che non superano i 3 mm. di altezza; [233] S. CERULLI-IRELLI 41 nè altrove detta specie sembra raggiungere mai dimensioni di molto superiori. È percio che, non ostante l’affinità di forma dell’esemplare studiato con la var. conuloîdea di B. umbilicata, debbo ritenerlo speci- ficamente distinto. Tuttavia rispetto alla var. conuloidea la B. gigantulina ha forma conica più allungata, più pronun- ziata la depressione centrale dal lato dell’apertura, più ristretta anche l’apertura stessa, ed assai meno dilatata alla base, dove è più regolarmente piriforme, il labbro esterno essendo meno espanso. Presenta qualche affinità con esemplari adulti di B. Brocchi Mricat., ma questi hanno forma più ovoidale, meno conica, con la maggior larghezza della conchiglia assai più verso il centro, che non presso alla base. L'unico esemplare che posseggo di questa specie, fu raccolto dal dott. FrencuELLI fra le sabbie gialle della Farnesina, Bullinella (Cylichnina) mariana n. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 26. Conchiglia a forma subcilindrica allungata, depressa al centro, dilatata alla base, attenuata all’estremità opposta, ma non troncata: discretamente solida: superficie spiralmente ed assialmente striata: strie spi- rali sottili, filiformi, visibili con l’aiuto della lente, vicine fra loro: strie assiali ancora più sottili e più superficiali, evidenti solo sotto particolari incidenze di luce. Strie spirali ed assiali, intrecciandosi, rendono Ja superficie minutamente reticolata: mancano tuttavia presso al vertice, cosicchè l’ultimo anfratto è nella sua estremità posteriore liscio. Apertura allungata, stretta, piriforme alla base, col labbro esterno ripiegato alla sommità verso il foro ombelicale, che copre in parte. Altezza . . 3 i 5 5 mm. 6 Larghezza c : c 0 5 » 2,5 Dopo la precedente è la specie più grande del gen. BuMlinella che io conosca di M. Mario, ed è pur essa rappresentata da un sol esemplare. Si distingue facilmente dalla «mbilicata e varietà, oltre che per le dimensioni maggiori, per la forma cilindracea alta e stretta, per la depressione centrale dell’ultimo anfratto, particolarmente accentuata dal lato dell'apertura, per l’apertura stessa più stretta, col labbro esterno piegato alla sommità verso l’in- terno, sì da coprire in parte il foro ombelicale; per l’estremità posteriore assai più attenuata. M. Mario: Farnesina (s. gr.). Fam. Ringiculîdae Fiscarr, 1883. Gen. Ringicula DesHayes, 1838. Le Ringicole a causa della facilità e frequenza con cui si incontrano sia viventi che fossili, sono State oggetto di belle ed interessanti monografie, le quali per altro risentono il difetto assai comune in molti studii monografici, la moltiplicazione cioè delle specie, la di cui identificazione rimane in conseguenza assai incerta, per non dire talora impossibile. Di questo difetto risentono le due importanti monografie del MorLet e del SEGUENZA, quella per specie viventi e fossili, questa solo per le specie fossili ed italiane. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. - 6 42 S. CERULLI-IRELLI [234] x Ad un criterio completamente opposto si è attenuto il Sacco nella classificazione delle Ringicule del terziario piemontese e ligure, perchè spingendo la variabilità di alcune forme a limiti fin troppo estesi, ne ha raggruppate parecchie sotto un'unica determinazione specifica, facendo per altro attorno alla specie una distinzione assai numerosa di varietà, le quali in mancanza di figure per la maggior parte riescono egual- mente di difficile identificazione. Restringendo il mio esame alle poche forme che s'incontrano a M. Mario, mi sembra, che se il cri- terio del MorLET e del SecueNzA non sia da adottarsi, perchè condurrebbe ad una distinzione specifica di forme fra loro strettamente collegate da insensibili sfumature, dall’altra neanche può seguirsi il criterio opposto del Sacco, in quanto delle diverse forme dal Sacco raggruppate sotto la denominazione di A. auriculata alcune sono effettivamente caratterizzate da differenze costanti e notevoli, e meritano perciò, a mio parere, di esser tenute specificamente distinte. Citerò a M. Mario due specie la £. auriculata MEN., e la È. ventricosa Sow., con alcune varietà per entrambe, limitandomi ad accennare alle più importanti. Entrambe queste specie sono tuttavia a M. Mario, a differenza che in altri depositi, rappresentate da esemplari copiosi sì, ma tutti in limitato grado di sviluppo. Ringicula (Ringiculella) auriculata Méx., sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 27-29. (1S11. — MÉNARD DE LA Grove. Note s. un petit Coqu. d. la Mèdit. Ann. d. Mus. XVII, pag. 331. — Marginella). 1854. Iingicula auriculata Mgx. De Ray., V.p. H., Ponzi. Cut. cit., pag. 13. 1858. i = — Ponzi. Nola cît., pag. 559. 1864. — —_ — Conti. Op. ett., 1.8 ed., pag. 35. 1868. _ _ — Manrovani. Op. cît., pag. 16. 1871. Coni. Op. cit., 2.* ed., pag. 40. 1874. - marginata Desa. Mantovani. Op. cit., pag. 41. 1875. e auriculata Men. Ponzi. Op. cit., pag. 21, 26. 1881. _ _ — Mereu. Loe. cit., pag 451. 1882. — _ — Zuccari. Cat. cit., pag. 15. 1888. - — — ©CzerIci. Loc. còt., pag. 10%. La mancanza di una buona figura per questa specie, e il fatto che essa fu generalmente fraintesa, come ha dimostrato il Sacco, ne rendono alquanto incerta la interpretazione. Il Sacco crede dover rite- nere a tipo la figura data da Dusors pe MoxrPEREUX !” su esemplari fossili, ma essa, a dir il vero, è così poco felice, che non può darci una chiara idea della specie. D'altronde il DuBors fra i sinonimi cita la £. buccinea BR. Tuttavia dietro esame di esemplari viventi del Mediterraneo, che ai caratteri principali indicati dal MenaRD bene corrispondono, mi sembra che la . auriculata vada interpretata come specie a superficie liscia, a callosità columellare poco ispessita, aderente, labbro interno abbastanza sottile, senza sensibile ispessimento al centro: tre pieghe columellari, acute, quasi equidistanti. Questa forma, così intesa, è rappresentata a M. Mario da individui non molto copiosi, i quali pre- sentano costantemente i caratteri accennati. Al poco ispessimento del labbro esterno, alla limitata cal- i) Dusors pe MoxrPEREUX. Conchiol. foss. d. plateau Wolhyni-Podolien, (1831), pag. 24, tav. I, fig. 15, 16. — (Marginella auriculata). [235] S. CERULLI-IRELLI 43 losità columellare, all’acutezza ed esilità delle pieghe columellari fa riscontro parimenti una conchiglia assai meno spessa che nella var. duecinea. Le dimensioni degli esemplari più adulti di M. Mario non superano quelle della specie attualmente vivente. Altezza ò È , È i mm. 6 Larghezza . È 0 o Silio CUI Fra gli esemplari che riferisco alla auriculata varia leggermente l’altezza della spira, e in relazione la globosità dell’ultimo anfratto. Nessun valore distintivo credo dover assegnare alle costicine assiali che in alcuni esemplari si mostrano oscuramente accennate sui primi anfratti e talora anche sull’ultimo. È un carattere soggetto a grande variabilità: cosicchè in alcuni esemplari si ha indizio di questi rilievi, od ondulazioni costiformi, solo nella faccia inferiore dell’ultimo anfratto, in altri sono più estese sull’anfratto Stesso, spesso in esemplari meglio conservati apparendo come fascioline di color biancastro sul fondo grigio o rossastro: in altri infine mentre l’ultimo anfratto ne è assolutamente privo, le costicine si mo- strano sui primi giri, e viceversa. Il Sacco in rapporto alla varietà seguente ha dato un grande valore distintivo alle pieghe columellari, insistendo sulla presenza di 4 pieghe nella duecinea e 3 nella auriculata. Ora a me sembra, che il ca- rattere delle pieghe, come riconobbe già il SEGUENZA, sia di secondaria importanza, ed anche in dipendenza del grado di sviluppo della conchiglià. Fra numerosi individui di . buccinea di Toscana ho notato che mentre di solito negli adulti la 4.* piega, situata assai più internamente delle altre, è ben evidente, ma non in tutti, nei giovani invece in alcuni è appena appena riconoscibile in un lievissimo rigonfiamento della callosità columellare, e in altri addirittura assente, pur rimanendo assolutamente costanti tutti gli altri caratteri. Non sembrami perciò carattere questo su cui possa fondarsi la distinzione delle due forme. E per le osservazioni sul materiale di M. Mario debbo dire egualmente che, pur non potendosi par- lare di vera piega, un accenno ad una rugosità anteriore alla 3.2 piega columellare si riscontra talora tanto su individui che per l'insieme degli altri caratteri vanno attribuiti alla duccinea, quanto su individui che ritengo dover riferire alla auriculata. M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno; Acquatraversa. R. auriculata var. buccinea Br. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 30-32. (1814. — Broccanr. — Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 319, tav. IV, fig. 9. — Voluta buccinea). Conchiglia a spessezza variabile, ma per. lo più discretamente solida, più o meno globosa, a superficie liscia: anfratti in numero da 5 a 6 come l’auriculata: apertura posteriormente ristretta e terminata in un canale lungo, anteriormente più o meno ristretta: labbro esterno inerassato, particolarmente al centro, e poco arcuato: callosità columellare ampia, spessa, sporgente più o meno in corrispondenza della piega posteriore: pieghe columellari tre, le due anteriori più ravvicinate e più sporgenti della posteriore, che è per altro resa ben manifesta dalla sporgenza su di essa della callosità columellare: vicino a quest’ ul- tima piega, è situata più profondamente nell'interno dell’apertura, una quarta piega, più o meno appa- rente e talora assente. Descrizione e figura del BroccHI, come la nuova illustrazione che del tipo di BroccHI ha dato il Sacco, inducono ad assegnare ad esso i caratteri sopra accennati. A questa forma così intesa spettano la maggior parte delle Ringicole che si raccolgono a M. Mario, nelle quali l’ispessimento del labbro esterno e della callosità columellare varia abbastanza notevolmente, e in 44 S. CERULLI-IRELLI [236] relazione variano l’ampiezza dell’apertura e la profondità del canale con cui questa si termina posterior- mente: varia anche l’altezza della spira. Ma in complesso là duccinea si differenzia abbastanza sensibil- mente dalla auriculata, cui tuttavia è collegata da assai graduali passaggi. Ne sono caratteri distintivi la maggiore solidità della conchiglia: il labbro esterno assai più ispessito e più diritto, spesso lamelloso all’esterno: la maggior ampiezza, e maggior spessore della callosità colu- mellare, con la sua sporgenza in corrispondenza della piega columellare posteriore; la maggior robustezza delle pieghe columellari, la minore ampiezza dall’apertura, e il lungo e spesso profondo e ben delimitato canale con cui essa si termina posteriormente. Nessun valore distintivo, come ho già detto, è invece, a mio parere, da assegnarsi alla presenza o meno della quarta piega columellare. Anche la var. duccinea, come tutte le altre Ringicole a M. Mario, pur essendo assai frequente, è ben lontana dal raggiungere lo sviluppo, che presenta in altri depositi, e i nostri maggiori esemplari non superano i 6,5 mill. di altezza. M. Mario: nelle varie località fossilifere. Ringicula (Ringiculella) ventricosa Sow. sp. — Tav. IV [XXX.V], 38, 34. (1823. — SowerBr. Min. Conch., vol. V. pag. 49. tav. CCCCLXV, fig. 1,2.— Auricula). (1848. — S. Woop. Crag Moll., vol. I, pag. 22, tav. IV, fig.1a-b). 1854. Ringicula striata Parr. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 13. 1864. — - — Coni. Op. cit., 1.* ed., pag. 35. 1868. _ _ — Mantovani. Op. cit., pag. 16. 1871. — — — Conti. Op. cit., 2.% ed., pag. 40. 1875. _ — — Ponzi. Op. còt., pag. 26. 1882. — —_ — Zuccari. Cat. cit., pag. 15. Sebbene mi sia mancata la possibilità di osservare la figura originale di SoweRBY, pure l’esame della figura di Woop, e il confronto di due esemplari fossili del Crag inglese, di dove la . ventricosa è stata originariamente descritta, mi fanno convenire pienamente col Sacco nel considerare la R. Brocchi SEG., assai bene figurata dal MorLET, sinonima della vertricosa Sow., nel mentre così il SEGUENZA, come il Morret le ritennero specificamente distinte. Caratterizzano questa specie la sua forma ovata più o meno breve e globosa, la sottile ma ben evidente e regolare striatura spirale; la callosità columellare spessa, ma poco estesa, specialmente sulla parte anteriore dell’apertura, in corrispondenza delle due pieghe anteriori. Delle tre pieghe columellari la posteriore è più esile e più lontana dalla piega intermedia, che non questa dall’altra anteriore. Altezza . o Ò ; ò È 6 mm. 5,5 Larghezza c o ” 5 S " » 4 Pur rimanendo costanti i principali caratteri accennati, variano negli esemplari abbastanza copiosi di M. Mario l’altezza della spira e l’ispessimento del labbro esterno, che tuttavia è sempre di quasi uguale spessore per tutta la sua lunghezza, senza apprezzabile ingrossamento al centro. A mio parere la /. ventricosa va considerata specie a sè e non varietà della R. auriculata, in quanto che essa ne è distinta per caratteri costanti, quali la scultura, la forma della callosità columellare, la piega superiore più lontana dalle altre due. {237] S. CERULLI-TRELLI 45 Nè la striatura può ritenersi un carattere giovanile, chè a M. Mario tanto le forme spettanti alla R. auriculata quanto quelle riferite alla R. ventricosa e varietà presentano lo stesso grado di sviluppo, e si mantengono egualmente distinte così nei più piccoli individui come nei più adulti. M. Mario: nelle varie località fossilifere. R. ventricosa var. Paulucciae MorLer sp. — Tav. IV [XXV], fig. 35, 36. (1878. — MorLETt. Monogr. d. genre Ringicula, pag. 35, tav. VI, pag. 6; tav. VIII, fig. 9. — I. Paulucciae n. Sp.). -La forma allungata e la spira più elevata, distinguono questa varietà dal tipo, cui per altro è stretta- mente collegata da forme intermedie, e col quale ha in comune i più importanti caratteri. Altezza . 6 . o 5 ò i mm. 5,5 Larghezza o o ; o ù 0 » 3,9 M. Mario: Farnesina. R. ventricosa var. globulina n. var. — Tav. IV [XXXV], fig. 37. E una ben distinta varietà per l’ultimo anfratto assai globoso, la spira breve, l'apertura ampia. Altezza . ò 0 Ò 0 0 : mm. 3,5 Larghezza o 0 c o . . DINE RITA È forma a questa assai affine la R. nana Mort. ! eocenica, ma essa ha il labbro esterno meno ar- cuato, meno ampia l’apertura, e fors’ anche striatura meno evidente, tanto che nella figura non ve n'è traccia. M. Mario: Farnesina (s. gr.). R. ventricosa var. Gaudryana Morx. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 38. (1878. — MorLET. Monogr. d. genre Ringicula, pag. 53, tav. VII, fig. 12). Si distingue dal tipo quasi unicamente per il labbro esterno che è obliquo, sub-rettilineo, non arcuato. Ma tale differenza non è così importante che possa servire per una separazione specifica delle due forme, chè negli esemplari di £. ventricosa esaminati la curva del labbro esterno offre molte sfumature. M. Mario: Farnesina. R. ventricosa var. placentina Sec. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 39. (1881. — SEGUENZA. Le Ringicole ital., pag.32, tav. II, fig. 2). Può considerarsi una forma intermedia fra la ventricosa tipo, e la varietà seguente. Ha spira breve, l’ultimo anfratto assai grande, globoso, l’apertura dilatata anteriormente, col labbro esterno pochissimo arcuato, leggermente obliquo infuori, incrassato, ma meno che nella varietà seguente, con una lieve sporgenza mediana all’interno: callosità columellare molto spessa, ma meno che nella var. incrassata. M. Mario: Farnesina. 1) MorLET. Monographie d. genre Ringicula, pag. 25, tav. VI, fig. 5. 46 S. CERULLI-IRELLI [238] R. ventricosa var. incrassata Sec. — Tav. IV [XXX], fig. 40, 41. (1881. — Secuenza. Le Ringicole ital., pag. 32, tav. I, fig.9. — I. auriculata var. incrassata). Il forte ispessimento del labbro esterno, particolarmente al centro, dove mostra una prominenza ro- tondata, sporgente nell'interno dell’apertura: la callosità columellare pure assai più spessa che nella ventricosa, ed alla base più ampia, con le pieghe più robuste: l’apertura più stretta, il labbro meno arcuato, oltrechè la forma più globosa e la spira meno elevata, differenziano la var. incrassata dalla ventricosa. Ma non mancano forme intermedie di passaggio. In sostanza la var. incrassata rappresenta rispetto alla ver- tricosa una variazione press’a poco corrispondente a quella della var. buccinea rispetto alla auriculata. Il Secuenza come il MorLer la riguardarono varietà della auriculata, in quanto entrambi ritenevano la R. auriculata a superficie striata, non liscia. M. Mario. Fam. Philimidae Fiscaer, 1883. . Gen. Philine Ascanius, 1772. Philine aperta L. sp. (1766. — Linneo. ,Syst. Nat., ed. XII, pag. 1183. — Bulla). Un unico esemplare di questa specie è stato raccolto dal CreRIcI fra le sabbie gialle di Malagrotta. Esso corrisponde perfettamente alla forma vivente del Mediterraneo e dell’Adriatico. Non sembra che di questa PWiline vi siano altre citazioni allo stato fossile. Malagrotta. — Coll. CLERICI. Philine (Hermania) scabra Mir. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 42-44. (1766. — MiiLLer. Zool. Dan. Prodr., vol. II, pag. 41, tav. 71, fig. 10-12. — Bulla). (1853. — ForBES a. HanLEY. Brit. Moll., vol. III, pag. 543, tav. CXIVe, fig. 4,5). 1854. Bullaea scabra Mir. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 9. 1864. = — — Conn. Op. cit., 1.* ed., pag. 27. 1871. — — -_ — Op.cît., 2. ed., pag. 34. 1875. — _ — Ponzi. Op. cît., pag. 25. 1882. _ — — Zuccari. Cat. cît., pag. 14. Questa elegantissima specie è discretamente comune fra le mostre sabbie, particolarmente fra le sabbie gialle. i I maggiori esemplari hanno un’altezza di mm.7 e una larghezza massima di mm. 4. Mentre la bella ornamentazione annulata della superficie si conserva costante, varia nei nostri esem- plari lesgermente la forma, chè alcuni hanno l’ultimo anfratto più corto e in proporzione più largo che in altri, onde potrebbero riguardarsi var: curta della specie. Si mantengono tuttavia sempre nettamente di- stinti dalla PR. catena Me. La Ph. scabra vivente nel Mediterraneo, come nei mari del Nord, si conosce fossile del piacentino, di Vallebiaia, di Calabria, di Sicilia (Ficarazzi). Woop l’ha citata nel Crag inglese. M. Mario: Farnesina. [239] l S. CERULLI-IRELLI 47 Philine (Ossiania?) pruinosa CLark sp. — Tav. IV [XXXV]. fig. 45. (1827. — CLARK in Zool. Journ., vol. III, pag. 339. — Bullaea). (1853. — ForRBES a. HANnLEY. Brit. Moll., vol. III, pag. 549, tav. CXIV, fig. 1, 2. 1864. Bullaca angustata Bivona. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 27. 1871. — —_ — — Op. cît., 2.* ed., pag. 34. La peculiare scultura dell'ultimo anfratto, la minore espansione del labbro esterno, la assai maggiore solidità della conchiglia, rendono perfettamente distinto l’unico esemplare studiato, dalla PA. catena (= Bullaea angustata Biv. in PaILIPPI, partim), cui il Conti aveva creduto poterlo assimilare. E scultura e forma mi inducono invece a riferire l’individuo di M. Mario alla Pl. pruinosa, specie vivente, prevalentemente nordica. In effetti, come nella pruinosa, la scultura è fatta da numerose e irregolari strie assiali, e da strie spirali quasi eguali alle prime, ma regolarmente decorrenti, le quali incrociandosi rendono la superficie dell'ultimo anfratto zigrinata, ruvida, e fittamente ed elegantemente reticolata. Nelle altre specie invece le strie spirali non sono intagliate da strie assiali, e quindi si hanno semplicemente serie spirali di anelli, ‘o punti e non spirali ed assiali insieme come nella pruinosa. L’apertura è in proporzione più ristretta, il labbro esterno non così obliquamente espanso come nella catena e nella punctata, ma più regolarmente arcuato, ed alla base più rapidamente incurvato. La conchiglia è più solida che nelle altre specie congeneri, e anche più gonfia, ma meno regolar- mente, e l’ultimo anfratto è assai ottusamente angolato nel centro. Altezza . o o - 0 mm. 1,7 Larghezza o 0 . À » 1,6 La Ph. pruinosa, di cui troviamo figure in ForBes ed HanLEY, JEFFREYS, SoweRBY, SARS, è conosciuta solo vivente, particolarmente diffusa nei mari del Nord, ma conosciuta anche del Mediterraneo: è perciò interessante il suo rinvenimento fra le nostre sabbie. Rispetto alla specie vivente qual’è figurata dai sud- detti autori l'esemplare di M. Mario ha solo forma leggermente più allungata e il labbro esterno un po’ meno arcuato. i A Ficarazzi il MonrERosaTo cita oltre la Pl. scabra anche la Ph. quadrata, altra specie vivente così nei mari del Nord come nel Mediterraneo, che dalla pruinosa è pure perfettamente distinta così per scultura, come per forma. Specie pure affine è la PW. ventrosa Woop del Crag inglese, di cui una varietà cita anche il Sacco per il Piemonte: tuttavia la ventrosa, a giudicarne dalle figure di Woop, appare più fortemente e più rego- larmente convessa, e a scultura diversa, non reticolata, ma solo spiralmente punteggiata. Le Philine oggidì sono particolarmente abbondanti nei mari del Nord, e il Sars in Norvegia ne cita ben 16 specie. M. Mario: Farnesina (s. g.). Fam. Umbrellidae Ceno, 1860. Gen. Umbrella CuÙrwn. 1788. Umbrella mediterranea Lx. — Tav. IV [XXXV], fig. 46. (1819. — LAMARCK. MHist. nat. Anim. s. vert., vol. VI, pag. 343). 1564. Umbrella indica L. Conti. Op. cit., 1.* ed.. pag. 26. 1871. = — — — 0p.cst., 2.° ed., pag. 33. 48 S. CERULLI-IRELLI [240] 1875. Umbrella indica L. Ponzi. Op. cit., pag. 20. 1882. - mediterranea Lx. Zuccari. Cat. cit., pag. 14. 1895. — — — Mei. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 95. Di questa assai rara specie possediamo due soli esemplari, di cui quello più adulto, avente il dia- metro minore di mm. 42, è rotto a metà della sua lunghezza. Un magnifico esemplare se ne conserva nella collezione Conti, largo mm. 45, e lungo mm. 60. Gli esemplari di M. Mario corrispondono benissimo alla specie vivente. M. Mario: Farnesina. — Coll. RisACCI. Ord. Prosobranchiata M. EDwaARDS, 1848. Fam. Conidae Swanson, 1840. di Gen. Conus L., 1758. x ID genere Conus altrove tanto ricco di forme e di esemplari è a M. Mario assai scarsamente rap- presentato sia per numero di individui, limitatissimo, che per diversità di specie. Tuttavia il numero di queste nella revisione da me fattane, risulta accresciuto in confronto di quello assai più limitato dei cataloghi finora editi. FJ Nella grande difficoltà che questo genere offre per Ja suddivisione in specie, io mi trovo in conse- guenza, per la scarsezza delle forme avute in esame, nella fortunata condizione di poter superare senza troppe difficoltà uno scoglio assai pericoloso, e grandemente mi aiuta l’accurato studio del Sacco sulle numerosissime e copiose forme del Piemonte. Il sen. Conus così largamente diffuso nei mari attuali, e tanto frequente così nel miocene che nel plio- cene, è invece assai raramente citato in formazioni più recenti. Non si conosce di Vallebiaia, nè di M. Pellegrino e Ficarazzi: solo del C. mediterraneus BRuG. troviamo citazione per il post-pliocene Siciliano in Scania ®, e nel Sahariano di Calabria, dove il SewuUENZA menziona anche altre 3 specie di Conus, ma tutte nuove. Conus (Lithoconus) Mercatii Br. — Tav. IV [XXXV], fig. 47. (1814. — BroccuI. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 287, tav. II, fig. 6). Questa specie non figura in alcuno dei cataloghi del M. Mario, ma di essa vi ha nella collezione Ricaccr un buon esemplare, che per la spira alquanto depressa, ad anfratti canaliculati presso la sutura, si approssima alla var. canaliculato-depressa del SAcco ?, per quanto un riferimento a varietà sia poco sicuro senza comparazione diretta di esemplari. L’irfidividuo di M. Mario è individuo abbastanza giovane. Altezza . 5 5 + i i mm. 44 Larghezza : è SARI * » 24 La var. canaliculato-depressa è frequente nell’Astiano piemontese. M. Mario: (s. g.). — Coll. RreaccI. 1) ScALIA. Il post-plioc. di Cibali e Catira presso Catania, pag. 15. ® Sacco. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XIII, pag. 19, tav. II, fig. 13. [241] S. CERULLI-1RELLI 49 Conus (Chelyconus) pyrula Br. — Tav. IV [XXV], fig. 48. (1814. — BroccHI. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 288, tav. II, fig. 8). È specie anche questa rarissima, ma rappresentata da un ben conservato esemplare, il quale per la sua forma è assai prossimo al tipo. Altezza . o o : o 0 mm. 36 Larghezza . ò . ò è » 18,5 Il C. pyrula si conosce fossile nel Piemonte, nel Piacentino, nel Bolognese ecc., ed è dovunque fre- quente. M. Mario: Farnesina (s. gr.). Conus (Chelyconus) pelagicus Br. — Tav. IV [XXV], fig. 49. (1814. — Broccut. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 289, tav. II, fig. 9). Sebbene i due esemplari che riferisco a questa specie non siano in tale buono stato di conservazione da far scorgere le caratteristiche linee spirali, di cui resta solo qualche oscuro accenno in qualche punto, pure la configurazione della spira, e più ancora il confronto fattone con esemplari tipici di C. pelagicus pongono fuor di dubbio che detta specie sia rappresentata a M. Mario. I due individui tuttavia meglio che al tipo corrispondono uno alla subvar. astensiscalaris SAcco, distinta dagli anfratti sub-convessi e dalla spira sub-scalarata, e l’altra alla var. astensinflata, a spira più depressa. Potrebbe esserci dubbio sul riferimento dei due individui al C. pelagicus o all’affine C. mediterraneus : ma se la mancanza di lineole spirali non ci offre possibilità di distinzione, la forma dell’ultimo anfratto è sufficiente per stabilirla, chè nel pelagicus esso è nella regione della spira assai più ottusamente ango- lato e posteriormente meno largo, per il fatto che l’angolo è più avvicinato alla sutura. I due esemplari non portano indicazione precisa della località in cui sono stati raccolti, ma il loro stato di conservazione, e la sabbia gialla che ancora rimane ad essi attaccata, mi fanno pensare che essi possano provenire da Acquatraversa. M. Mario: (S. g.). Conus (Chelyconus) striatulus Br. — Tav. IV [XXV], fig. 50, 51. (1814. — BroccHI. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 294, tav. ILL, fig. 4). 1864. Conus mediterraneus Par. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 35. 1864. — minimumsp.n. Conti. Ibid., pag. 35 e 52 (36). 1871. — mediterraneus Pin. Conni. Op. cit.. 2.* ed., pag. 41. 1871. — mnimumsp.n. Conti. Ibid., pag. 41 e 58 (41). 1874. — mediterraneus Pa. Mantovani. Op. cit., pag. 43. 1875. — i — Ponzi. Op. cît., pag. 26. 1882. — striatulus Br. Zuccari. Cat. cit., pag. 17. Questo, sebbene raro, è il Conus più frequente a M. Mario e lo si raccoglie sia fra le sabbie grigie alla Farnesina, che in quelle gialle parimenti della Farnesina e della Valle dell’ Inferno. Varia alquanto l’altezza della spira e l’evidenza della striatura spirale, ma l’aspetto della conchiglia si conserva costante, onde facile si presenta l’identificazione della specie. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 7 50) S. CERULLI-IRELCI [242] Nei giovanissimi individui la spira è più alta, la forma più affusolata, e in questo stato essi furono creduti specie nuova dal Conti. : I nostri individui più adulti raggiungono 20 a 22 mm. di altezza, e 10 a 11 mm. di larghezza. Il C. striatulus fu citato con tal nome solo nel catalogo di Zuccari. Ne fece incidentalmente parola anche il Mei”, dicendolo l’unico Conus, di cui possedesse esemplari di M. Mario. L’esame degli esem- plari della collezione Cowrri e di altri esistenti in Museo mi induce a riferirvi le citazioni di 0. medi- terraneus. M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno. Conus (Chelyconus) mediterraneus Brue. — Tav. IV [XXV], fig. 52. (1789-92. — BRUGUIERE. Eneyel. méth., tav. CCCXXX, fig. 4.— Dict., vol. II, n. 87). Questa specie tanto polimorfa è rappresentata a M. Mario da pochissimi individui. Manca in essi qualsiasi traccia della colorazione che costituisce buon carattere distintivo nei viventi, ma l’identificazione loro colla forma attualmente tanto diffusa nel nostro mare mi è assicurata dal confronto con esemplari viventi, cui quelli fossili a M. Mario perfettamente corrispondono. I nostri pochi esemplari per la forma, per la depressione della spira, per gli anfratti subangolosi, stanno a rappresentare una forma intermedia fra il tipo della specie qual’è considerato da B. D. D. ®), e la var. carinata che detti autori istituiscono, e cui uno dei nostri esemplari mi sembra possa ben cor- rispondere. Qualche individuo assai giovane può anche identificarsi colla var. 1mînor MrRs., che è a forma allun- gata, ad anfratti manifestamente angolosi, a spira scalarata: ma nei giovanissimi individui, allo stato fossile, sembrami che la distinzione fra il mediterraneus e lo striatulus sia poco sicura. Mentre tutte le specie precedenti sono estinte, il C. mediterraneus è largamente diffuso nel Medi- terraneo. M. Mario: (s. g.). Fam. E?leurotomidae CÙeno, 1859. Gen. Drillia Gray, 1838. Drillia (Cymatosyrinx) sigmoidea Brx. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 53, 54. (1831. — BRONN. Ital. tert. Gebild., pag. 47. — Pleurotoma). (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 109 (637), tav. IV, fig. 29. — Raphitoma). (1877. — BELLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 144, tav. V, fig. 4). 1864. Pleurotoma crassa n. sp. Conti. Op. cit., i.* ed., pag. 33 e 51. Igloo a = incrassata BeLu. Conti. Op. cît., 2.* ed., pag. 39. 1895. Drillia sigmoidea Bronx. Meli. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 95. 1896. _ — _ — Notacit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. SI. E specie rarissima, di cui posseggo un solo esemplare: altri due ne sono nella collezione Conti. M. Mario: Farnesina (s. y. e s. gr.), Valle dell’ Inferno. 1) MeLI. Osser. ed agg. alla comun.: Sulle arg. plioc. d. sin. d. Tevere nell’ int. d. Roma di E. CLERICI. Boll. Soc. geol. it., vol. X, pag. 28 (in nota). 2 Bucquoy, DAUTZENBERG, DoLLFUS. Moll. mar. d. Roussillon, vol. I, pag. 79, tav. VIII, fig. 11. [243] S. CERULLI-IRELLI 5] Gen. Bela Gray, 1847. 2 Bela (Haedropleura) septangularis Mra. sp. — Tav. IV [XXXV], fig. 55-57. (1803. — MonTAGU. Test. Brit., pag. 268, tav. IX, fig. 5. — Murea). 1871. Pleurotoma planazoides n. sp. Consi. Op. cit., 1.* ed., pag. 39 e 58. 1882. Bela septangularis Monte. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. — _ — Mzxur. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 79. Anche questa è specie rarissima, sebbene in collezione fossero numerosi gli individui ad essa riferiti: ma essi per la massima parte spettano a specie e generi ben diversi. M. Mario: Farnesina. Bela (Haedropleura) bucciniformis Ber. — Tav. V [XXXVI], fig. 1. (1847. — BELLARDI. Monogr. Plewrot. foss. pag. 110 (638), tav. IV, fig. 22. — Raphitoma). (1877. — BeLLARDI. Z Moll. terr. terz. Piem. e Lig., parte II, pag. 149, tav. V, fig. 8). 1854. Pleurotoma Ponzi sp. n. De Rav., V. p. H., Ponzi., Cat. cit., pag. 12 e 19 (Y). 1864. — — Dr Rav. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33. 1871. — — —_ — Op. ctt., 2.2 ed., pag. 39. 1896. Bela bucciniformis BeLL. Meli. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol XV, pag. 80. Ho avuto la fortuna di rinvenire un individuo di questa bella specie che non era rappresentata nelle collezioni dell’Istituto. Essa si distingue facilmente dalla 5. septangularis per la striatura spirale, che ne copre gli anfratti, assai più pronunziata ed eguale così negli spazi intercostali che sulle coste, ed intagliata da minutissime linee di accrescimento, principalmente visibili sull'ultimo anfratto, ma ben ma- nifeste presso il labbro esterno. Le coste sono pure più uniformi, non, subnodulose, gli anfratti meno convessi, le suture più superficiali. L’esemplare da me osservato mostra anche delle linee spirali di colorazione rossastra: gli esemplari fossili invece di B. septangularis, che mostrano tracce di colorazione, non hanno che una sola fascia o linea rossastra la quale corona anteriormente le suture degli anfratti. Questa forma fu su esemplari di M. Mario descritta come nuova dal De RAYNEvAL nel 1854, e poi fisurata anche in alcune tavole illustrative dei fossili del M. Mario (Tav. II, fig. 14), fatte eseguire dallo stesso DE RAYyNEVAL nel 1856. Ma il BeLLARDI aveva pochi anni prima descritta con altro nome una stessa specie del pliocene piemontese, e perciò il nome di DE RayNEvAL cadde in sinonimia. Come rarissima a M. Mario, la 5. bucciniformis è parimenti rara nel Piemonte. M. Mario: Farnesina (s. g.). Gen. Mangilia Risso, 1826 (emend.). Mangilia Vauquelini Pavr. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 2. (1826. — PAYRAUDEAU. Cat. Ann. et Moll. d. Corse, pag. 145, tav. VIII, fig. 14, 15. — Pleurotoma). Ne ho trovato in collezione un unico esemplare leggermente incompleto all’estremità del canale, sotto la determinazione di Mangilia rugulosa PrIL., da cui tuttavia è nettamente distinto per forma e scultura. L’esemplare di M. Mario corrisponde benissimo alle figure di B. D. D.! per la specie vivente nel Mediterraneo, come altresì ad un individuo vivente con cui ho potuto farne confronto. Ma tanto l’esem- i) Bucquoy, DAUTZENBERG, DoLLFUS. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 103, tav. XV, fig. 1-3. 52 S. CERULLI-IRELLI [244] plare vivente quanto il nostro fossile hanno nell'ultimo anfratto alcune coste più grosse delle altre, variciformi (2 nel fossile, 3 nel vivente) oltre quella di bordo al labbro. Di tale carattere, che può ben essere accidentale, non trovo parola in alcuna delle descrizioni da me lette della IM. Vauquelini, mentre a giudicarne dalla figura di PayRaUDEAU, sembrerebbe che anche l’esem- plare illustrato da detto autore presentasse delle coste più ispessite nell'ultimo giro. La stessa osserva- zione si può fare sulla figura di BrainviLLe ®, per quanto essa per il resto non ritragga fedelmente la forma. La M. Vauquelini fu citata fossile in Calabria (PaIuIpPI), e in Sicilia (PaILIPPI e SeGueNzA). La citò anche HoòRrNEs nel bacino di Vienna, ma il tipo considerato da detto autore è assolutamente diverso dalla Vauquelini, assai più affine alla rugulosa PHIL. M. Mario: Farnesina (s. gr.). Mangilia indistincta Mrrs. — Tav. V [XXXVI], fig. 3. (1869. — APPELIUS. Ze conchiglie del Mar Tirreno. Boll. Mal. It., vol. II, pag. 137, tav. IV, fig. 1. — Mangelia coeruluns PHIL.). (1875. — MontERrOsaTO. Nuova Riv. d. Conch. Mediterr., pag. 43. — Pleurotoma). (1884. — MonteROSsATO. Nomenel. gen. e spec. di ale. Conch. Medit., pag. 129). Questa forma si differenzia dalla caerulans Pain. per l’ultimo anfratto meno convesso, con la de- pressione anteriore meno accentuata, e quindi coda meno distinta, labbro esterno fors’anche più ispessito. Il Monrerosato la ritiene specie a sè. L'individuo di M. Mario che vi riferisco, paragonato colla figura di AppeLius mostra forse soltanto leggermente più convessi gli ‘anfratti; tuttavia non mi sembra possa considerarsene distinto. Altezza . o o o o 0 mm. 10 Larghezza o c ò Ò o DO L’affinità fra questa specie e la precedente è notevole; serve tuttavia a distinguerle la forma più strettamente allungata nella indistineta, l’ultimo anfratto più breve in proporzione, la quasi nessuna an- golosità degli anfratti nella loro parte posteriore, la striatura spirale più evidente, il labbro esterno più ispessito per la varice esterna più grossa, la bocca più ristretta. M. Mario: Farnesina (?). Mangilia Bertrandi Piyr. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 4-6. (1826. — ParRauDEAU. Cat. d. Ann. et Moll. de Corse, pag. 144, tav. VII, fig. 14,15. — Pleurotoma). (1840. — KIENER. Zeonogr. Coquill. viv. — Genre Pleurotoma, pag. 75, tav. XXVI. fig. 1. — Pleurotoma). 21854. Pleurotona Payraudeavi Desa. De Rav., V. p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. — vulpecula Br. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33. IST71. — — — |. Op-cu., 222ed pag: 39° 21875. —_ Payraudeaui Desa. Ponzi. Op. cit., pag. 26. L’interpretazione di questa specie mi sembra tutt’altro che sicura, in quanto la figura di PAYRAUDEAU rappresenta un individuo a coste piuttosto fitte e grosse, ultimo anfratto alto, non molto convesso: onde la forma dal PavraupEAU illustrata è assai affine così alla IM. indistincta che alla IM. caerulars PRIL., dalle quali i) BLAINVILLE. Faune francaise, pag. 97, tav. IV, fig. 1. ]245] S. CERULLI-IRELLI 53 isì distinguerebbe per gli anfratti più regolarmente convessi, non oscuramente subangolati nella loro parte posteriore presso la sutura, e per la striatura spirale sottilissima, osservabile solo colla lente. Ma KIenER, nell’illustrare le collezioni del Museo di Parigi, ha dato a sua volta figura della Plew- rotoma Bertrandi PAyR., figura che ‘mostra la specie sotto un aspetto alquanto diverso, e che si può dire assai affine per forma e scultura a quello della Raphithoma attenuata Mra. Colla figura di KIENER con- corda essenzialmente l’altra più antica del BLAINvILLE !. Il WrINKAUFF ?) nel dire che questa specie è stata sovente male interpretata aggiunge che le ‘sue maggiori affinità sono colla IM. costata PENNT.: ciò mi sembra dimostrare chiaramente che detto autore in- terpreti la specie come è raffigurata da BLaAInviLLE e da KrenER. Altri autori più recenti come KoBELT, CaRUS, l’interpretano pure, a quanto posso giudicare dalle descrizioni, allo stesso modo. Intesa a questo modo, riferisco alla JM. Bertrandì piuttosto copiosi esemplari che ho trovato in col- lezione sotto le determinazioni di Pleurotoma septangularis e Pleurotoma Payraudeaui, dalla prima delle quali (= Bela septangularis) sono facilmente separabili per la diversa forma degli anfratti, più convessi ‘e a suture più profonde, senza parlare delle differenze generiche. La PI. Payraudeauiì è invece sinonima della Raphifoma attenuata, e già ho detto come l’aspetto esterno, se si astragga dai caratteri generici, renda affini le due specie. i Nella M. Bertrandì la conchiglia è allungata, composta di 7 ad 8 anfratti leggermente convessi, ornati di 7 ad 8 costicine assiali, strette, elevate, equidistanti, leggermente oblique, e separate da spazi intercostali assai più larghi, subpiani. La superficie sia delle coste, che degli spazi fra esse, apparente- mente liscia, con una buona lente lascia scorgere delle sottilissime strie spirali, le quali sono più evidenti negli spazi intercostali che sulle coste. L’apertura è piccola, stretta, allungata, terminata in un brevissimo e largo canale: il labbro esterno, ad orlo acuto, è ispessito, internamente marginato, con un ingrossamento tubercoliforme presso l’intaglio; questo è arrotondato ed abbastanza profondo. Altezza . ò o : à mm. 7,9 Larghezza . 0 0 o » 3 Questi i caratteri della specie che io, seguendo il KtEeNER, penso sia la I. Bertrandi PaxR. Essa a M. Mario non mostra altra variazione, se non l’allungamento maggiore o minore della con- chiglia, per il quale anzi alcuni individui meritano essere distinti al grado di varietà. M. Mario: Farnesina. M. Bertrandi var. elongatula n. var. — Tav. V [XXVI |, fig. 7-9. Si distingue per la sua forma notevolmente più allungata, ad ultimo anfratto in proporzione più breve, ed apertura pure meno alta. Altezza . 6 o 6 : mm. 11,5 Larghezza . o Ò 5 » 9 Ma per gli altri caratteri concorda benissimo col tipo della specie. M. Mario: Farnesina. 1) BLAINVILLO. Faune francaise, pag. 97, tav. IV, fig. 2. 2) WEMNKAUFF. Conchyl. d. Mittelm., vol. II, pag. 124. 54 CERULLI-IRELLI [246[ Mangilia costata Penwr. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 10. (1777. — PENNANT. Brit. Zool., vol. IV, pag. 125, tav. LXKXIX. fig.1. — Murer). (1849. — FORBES a. HANLEY. Brit. Moll., vol. III, pag.485, tav. CXIVa, fig. 4). (1859. — SowerBy. Il. Ind. of Brit. Shells,tav. XIX, fig. 21). 1882. Mangelia costata Pennt. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. _ _ — Men. Nota cit., Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. È assai rara a M. Mario. A giudicare dalle figure che della costata vivente ho avuto modo di confrontare, questa specie sembra molto variabile nella forma. La forma che viene considerata tipica è poco allungata, coll’ultimo anfratto eguale alla metà della spira. A questa spetta un unico esemplare della nostra collezione. E assai probabile che le citazioni dei cataloghi precedenti si riferiscano in gran parte alla IM. Bertrandi. M. Mario: Farnesina (s. g. ). M. costata var. amtiqua Sacco (= var. A Beun.). — Tav. V [XXXVI], fig. 11. (1904. — Sacco. Z Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXX, pag. 55, tav. XIV, fig. 21). Ha forma più strettamente allungata ed apertura più ristretta. L'aspetto di questa varietà è affine a quello della M. Bertrandi, ma assai più pronunziata è la de- pressione anteriore dell’ultimo anfratto, e in conseguenza più distinta la coda: gli anfratti sono anche più convessi: la costolatura assiale è più fitta, a costicine meno rilevate: la striatura spirale è all’opposto assai meglio manifesta, meno uniforme. M. Mario: Farnesina. M. costata var. coarctata Forses et Hanuev. — Tav. V [XXXVI], fig. 12. (1849. — ForBES a, HanLEy. Brit. Moll., vol. III, pag. 485, tav. CXIVa, fig. 5). È distinta dalla forma più turricolata, ad anfratti posteriormente subdepressi, e dalla striatura spirale più evidente. Essa rappresenta quasi un tratto di unione fra la costata e la rugulosa. Ma da questa si differenzia per anfratti più convessi, spira più elevata, più allungata, ultimo anfratto meno alto, depressione poste- riore degli anfratti assai meno accentuata, e quindi anfratti assai meno distintamente angolati: striatura spirale meno apparente. MoxreERosato ne ritiene sinonimo il Pleurotoma prismaticum BRUGNONE. Mentre Forpes ed HancEY descrissero questa forma come varietà della costata, asserendo di aver osservato fra l’una e l’altra una numerosa serie di passaggi, autori posteriori vollero considerarla specie a sè. Sebbene senza dubbio essa si allontani abbastanza sensibilmente dal tipo, pure la varietà precedente serve a ricollegarvela, e perciò preferisco seguire ForBES ed HANLEY. M. Mario: Farnesina. Mangilia mitreola Bow. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 13. (BonELLI. Cat. ms., n. 2657. — Pleurotoma). (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piem. e Lig., parte II, pag. 291). (1902. — Sacco. Z Moll. terr. terz. Piem. e Lig., parte XXX, tav. XIV, fig. 25, 26). Si distingue dalla specie seguente per la maggiore depressione anteriore dell’ultimo anfratto che inoltre è in proporzione anche leggermente meno alto e più largo. {247] S. CERULLI-IRELLI 55 È forma a questa affinissima la vivente I. taeniata Desa., la quale tuttavia è a superficie non spi- ralmente striata, e a spira un po’ più corta. A M. Mario è abbastanza rara. M. Mario: Farnesina. Mangilia rugulosa Pr. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 14-17. (1844. — PHAILIPPI. Ernum. Moll. Sic., vol. Il, pag. 169, tav. XXVI, fig. 8. — Pleurotoma rugulosum). 1854. Pleurotoma rugulosum Pur. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. — Payraudeawi Desa. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33. 1871. — — —_ — Op.cît., 2.* ed., pag. 39. 1875. _ rugulosum Pur. Ponzi. Op. cit., pag. 20. 1882. Mangelia rugulosa — Zuccari. Cat. còt., pag. 16. 1888. —_ — — CrerIcI. Loc. cit., pag. 107. 1896. — — — Mr. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. È assai frequente a M. Mario. Come nella specie attualmente vivente, varia nei nostri esemplari l'allungamento della spira, ma in tutti sì conserva costante l’ornamentazione degli anfratti e la loro de- pressione e sub-angolosità posteriore. i Gli autori dei Molusques du Roussillon descrivono questa specie quale varietà della M. albida DESH., dalla quale si differenzierebbe soltanto per striatura spirale assai più accentuata. Ma a giudicarne dalla figura di DesHayes ! sembra anche che nella M. al/bida gli anfratti siano meno angolosi nella loro parte posteriore. Ritengo in conseguenza che la rugulosa possa considerarsi specificamente distinta, come la riguardarono la maggior parte degli altri autori che ne fanno parola. M. Mario: Farnesina; Acquatraversa (fide CLERILI). Mangilia scabriuscula Bruen. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 18. (1862. — BrUGNONE. Mem. s. ale. Pleurot. foss. di Palermo, pag. 39, fig. 30.— Pleurotoma). Sebbene in collezione fossero diversi gli esemplari attribuiti alla presente specie, essa non è rappre- sentata che da un unico individuo, gli altri spettando tutti alla IM. rugulosa PHIL. Ma invero l’affinità fra queste due forme è così grande che occorre un’osservazione comparativa at-. tenta perchè le differenze che le caratterizzano possano venir apprezzate. : La M. scabriuscula si separa dalla rugulosa per la forma più allungata, chè l’ultimo anfratto è più breve, anteriormente più depresso, e quindi la coda è più distinta e più lunga: gli anfratti sono posterior- mente più depressi: la scultura, sostanzialmente la stessa, mostra nella scabriuscula linee spirali più elevate, di cui quella sul limite della regione posteriore degli anfratti, pure più elevata, rende questi come subcarenati, mentre nella rugulosa la demarcazione fra la parte posteriore ed anteriore degli anfratti è fatta da una linea spirale quasi obsoleta, e l’angolo è assai ottuso. Nella rugu/osa il labbro è fors’anche più incrassato, mentre -identico sembra l’intaglio suturale. M. Mario: Farnesina. 1) DEsHAYnSs. Zxped. scient. en Morée — Mollusques, pag. 176, tav. XIX, fig. 22-24. — Pleurotoma. 56 S. CERULLI-IRELLI [248] Mangilia (Clathromangilia) clathrata De SERR. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 19. (1829. — DE SERRES. Geogn. terr. tert., pag.113, tav. II, fig. 7,8. — Pleurotomu). (1877. — BEeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 292). (1902. — Sacco. I Mo. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXX, tav. XIV, fig. 31). 1864. Pleurotoma rude Pau. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 33. 1871. — — — — Op. cit., 2.* ed., pag. 39. Un unico esemplare di questa bella specie, dalle altre facilmente separabile per la sua scultura. Altri pochissimi esemplari se ne conservano nella collezione Conti. Anche questa, come tutte le altre specie di Mangilia citate, all'infuori della .M. mitreola, è specie conosciuta vivente. M. Mario: Farnesina (Ss. g.). Mangilia (Agathotoma) angusta Jan sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 20, 21. (1842. — JAN in SISMONDA. Synopsis ece., pag. 34. — Pleurotoma). (1847. — BeLLARDI. Monogr. Pleurot foss., pag. 103 (631), tav. IV, fig. 25. — Raphitoma). (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 295, tav. VIH, fig. 40). 1864. Pleurotoma Ceselli sp. n. Conti. Op. cit., 1. ed., pag. 59) © SIL 1871. _ _ —_ — Op. ctt., 2.à ed., pag. 39 e 57. 1896. Mangelia angusta Jan. Muri. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. È anche questa specie rarissima, di cui nella nostra collezione esistono due individui: altri pochissimi ne ho osservati nella collezione del Conti che li descrisse come specie nuova. La forma della conchiglia, ma più ancora la profondità dell’intaglio del labbro e la lunghezza del canale rendono questa specie assai nettamente distinta dalle altre. M. Mario: Farnesina. r Gen. Peratotoma Harr. e Burr., 1891. Peratotoma histrix Jan sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 22-24. (1832. — Jan. Catal. Conch. foss., pag. 10. — Pleurotoma). (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag.85 (613), tav. IV, fig. 14. — Raphitoma). 1864. Pleurotoma spinosus sp. n. Conti. Op. cit., 1.8 ed., pag. 33 e 52. 1868. _ — Mantovani. Op. cit., pag. 15. 1871. — spinulosus BeLL. Conti. Op. cit., 2.* ed., pag. 39. 1874. _ spinosus Conti. Mantovani. Op. cit., pag. 43. 1882. Homotoma histrix Jan. Zuccari. Cat. cit., pag. 15. 1895. _ — -- Metti. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 142. 1896. = _ — Meu. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. E specie piuttosto rara, ma spesso in belli esemplari, dei quali il più adulto è alto mm. 23, e largo mm. 8. M. Mario: Farnesina. [249] S. CERULLI-IRELLI 57 Peratotoma reticulata Ren. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 25-32. (1804. — RENIERI. Zav. alf. Conch. Adr., pag. 2. — Murex reticulatus). (1814. — BroccHI. Coneh. foss. subapp., vol. II, pag. 423 e 663, tav. VIII, fig. 3. — Murex echinatus). 1854. Pleurotoma reticulatum Ren. De Rav., V.p. H., Ponzi. CUat. cit., pag. 12. 1864. — —_ — Conn. Op. cit., 1.* ed., pag. 32 (partim). 1864. _ Philippii Bern. et Mica. Conti. Ibid., pag. 33. 1868. ai reticulatum Ren. Mantovani. Op. cit., pag. 15. 1871. _ — — Conn. Op. cit., 2.* ed., pag. 38 (partim). 1871. _ Philippii Beru. et Micn. Coni. Ibid., pag. 39. 1875. — reticulatum Rex. Powzi. Op. cit., pag. 21 e 26. 1882. Homotoma - — Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1895. —_ _ — Meti. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 142. 1896. — - — e var. B Brun. Meli. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Questa graziosa conchiglia è abbastanza frequente a M. Mario, benchè in quasi tutti assai piccoli individui, e vi si presenta come in altri depositi e come nei mari attuali discretamente variabile per forma e scultura. Non è facile dire quale sia il tipo della specie, ma come tale io penso debba prendersi quello pér la prima volta figurato da BroccHI che avverte della assoluta identità degli esemplari fossili coi viventi. Ora scegliendo questa forma come tipica, possiamo distinguere le seguenti principali variazioni. Var. A (= var. A BeLL.= var. pliocurta Sacco). — Tav. V [XXXVI], fig. 29. — Spira più breve che nel tipo, ultimo anfratto in proporzione assai più ventricoso, angolo fra la base dell’anfratto e la coda più acuto. Var. B (= Pleurotoma Cordieri Payr.) — Tav. V [XXXVI], fig. 30, 31.— Ha la spira più allungata, gli anfratti più convessi che nel tipo, l’ultimo più breve, più gonfio, si raccorda alla base con angolo più acuto con la coda. Appartengono a questa varietà gli esemplari più adulti che della specie reticulata ho trovato in collezione. Altezza . a 5 5 A mm. 13 Larghezza 7 , È 6 DIO Essi corrispondono per forma assai bene alle figure di B. D. D.!), per la specie vivente nel Mediter- raneo; solo forse nei fossili le costicine assiali sono più esili e talora più spinose. Affine è altresì la var. formosa JEFFR.®, ma in questa l'apertura sembra più ampia, più arcuato il labbro esterno, come più allungata la spira e più aguzze le sporgenze spinose sulle costicine assiali. Il MonreRosato considera la Cordierì specificamente distinta dalla reticulata: B. D. D., le identificano. Per altro bisogna riconoscere che la figura di ParR4upEAU è assai infelice, se ha voluto riprodurre il tipo che dagli autori posteriori è stato ritenuto per quello della Cordierì. Var. C (=var. B BeLL.=var. pliosubacostata Sacco). -— Tav. V [XXXVI], fig. 32. — A forma più raccorciata della precedente se ne distingue per minor numero di costicine assiali, e per le sporgenze su esse delle linee spirali non spinose, ma submutiche. M. Mario: Farnesina (Ss. gr. e s. g.). i) Bucquoy, DAUTZENBERG et DoLLFUS. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, tav. 14, fig. 10, 11. 2) JeFFREYS. Brit. Conch., vol. IV, pag. 371, vol. V, tav. LXXXIX, fig. 4. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. : 8 58 S. CERULLI-IRELLI [250] Peratotoma purpurea Mrc. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 33-36. (1803. — MonraGU. Test. Brit., pag. 260, tav. 9, fig.3. — Murex purpureus). (1853. — FoRBES a. HANLEY. Brit. Moll., vol. III, pag. 465, tav. CXIII, fig. 3,4. — Mangelia). 1864. Pleurotoma reticulatum Par. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 32 (partim). 1871. — _ — — Op. cit., 2. ed., pag. 38 (partim). Riferisco a questa elegante forma alcuni pochi esemplari assai ben conservati trovati in collezione confusi con altri di P. reticulata, da cui è facile distinguerli così per forma che per scultura. Altezza . ò . c . mm. 20,5 Larghezza . : c o DACI Gli individui di M. Mario sono conformi al tipo della specie quale vediamo figurato dagli autori inglesi, e precisamente alla forma allungata figurata da Fores ed HanLEY (Loc. cit., fig. 3), cui, a giudicarne dalle figure, sembra corrispondere il tipo figurato da B. D. D.”, vivente nel Mediterraneo. Ma il MontEROosATO ?) esclude dal Mediterraneo la P. purpurea Mre. Forma assai più raccorciata è invece quella dell’astigiano piemontese figurata dal Sacco. M. Mario: Farnesina. — Coll. RieACccI. P. purpurea var. bicolor Risso sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 37. (1826. — RIsso. Hist. Nat. Europe merid., vol. IV, pag. 214. — Pleurotoma). (1883. — B. D. D. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 92, tav. XIV, fig. 16,17. — Clathurella purpurea var. bicolor). È principalmente varietà di colore, quindi non di possibile distinzione fra individui fossili: ma a giu- dicarne dalle figure citate di B. D. D., sembra ad essa propria una forma più raccorciata che nel tipo della specie e nella varietà seguente, ed anche una scultura a costicine assiali e strie spirali in minor numero. Per questi caratteri vi identifico un piccolo individuo delle sabbie grigie. M. Mario: Farnesina (s. gr.). P. purpurea var. excontigua mut. nom. — Tav. V [XXXVI], fig. 38. (1883. — BucQuoy, DAUTZENBERG, DOLLFUS. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 91, tav. XIV, fig. 13,14. — Clath. purpurea var. Philberti MicH.). (1884. — MonTEROSATO. Nomenel. gener. e spec., pag. 133. — Philbertia contigua). Come per la varietà precedente, così anche per questa convengo pienamente cogli autori francesi B. D. D., nel considerarla varietà della P. purpurea, anzichè specie a sè, come la ritennero il BELLARDI e parecchi altri autori. In effetti essa non si distingue che per un angolo spirale leggermente più acuto, per anfratti un po’ meno convessi, con l’ultimo anteriormente meno depresso e raccordato con angolo più aperto con la coda: la scultura è inoltre fatta di costicine assiali più fitte, più forti. Differenze queste, che a mio parere sono troppo limitate per giustificare una separazione specifica. Questa varietà è quella che B. D. D. indicano quale var. Philberti MicH4uD. Ma per il MonTtEROSATO il tipo figurato da detti autori non rappresenterebbe la vera P. Philberti, ma un nuovo tipo che chiama Philbertia contigua fondando su esso la sezione generica Philbertia. Il vero tipo della Philberti invece per i) Bucquoy, DAUTZENBERG, DoLLFUS. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, tav. 14, fig. 6, 7. 3) MontEROSATO. Nomenel. gen. e spec., pag. 133. [251] S. CERULLI-IRELLI 59 il Monterosato sarebbe quello figurato da B. D. D., quale var. dicolor Risso. È vero per altro che B. D. D. non credono poter separare la PhWberti dalla dicolor, e considerano quest’ultima soltanto varietà di colore. Da parte mia non ho la possibilità di osservare la figura originale di MicHauD, ma giudicando dalle de- scrizioni che della Philberti danno ForBES ed HaAnLEY, e JEFFREYS, i quali dicono la PWilberti forma a minor numero di coste, più piccola, più breve, mi sembra che l’interpretazione del MoxtEROSATO sia da seguirsi. Ma l’aggettivo contigua fu già usato dal BroccHI per una Pleurotoma: ad evitare quindi ambiguità chiamerò questa forma excontigua. M. Mario: Farnesina (s. gr.). Peratotoma (Cirillia) linearis Mre. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 39-45. (1803. — MontaGU. Zest. Brit., pag. 261, tav. IX, fig. 4. — Murea). 1864. Pleurotoma rugulosum Pam. Conti. Op. cit., 1.8 ed., pag. 33. 1871. —_ — — — Op. ctt., 2.* ed., pag. 39. 1882. Homotoma elegans Donov. Zuccari. Cut. cit., pag. 16.‘ 1895. —_ _ — e var. B Brun. Meli. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 142. 1896. _ linearis Mre. Muti. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Fra i non numerosi individui di. M. Mario possiamo distinguere due tipi, l’uno a spira più breve, che corrisponde alla forma tipica, l’altro a spira più allungata, ad ultimo anfratto anteriormente un po’ meno depresso, che si può identificare colla var A BeLL. (=var. pliolongiuscula SAcco). M. Mario: Farnesina. Peratotoma (Leufroyia) Leufroyi Miczaup sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 46. (1828. — MicHAUD. Bull. Soc. Lin. Bordeaux, vol. II, pag. 121, tav. I, fig. 5,6. — Pleurotoma). (1883. — B.D. D. Moll. mar. d. Rouss., vol. I, pag. 95, tav. XIV, fig. 3,4. — Clathurella). E questa, come la seguente, una specie nuova per il M. Mario, di cui l’unico esemplare studiato è stato raccolto fra le sabbie grigie della Farnesina dal sig. Grassi. x Esso è perfettamente conforme alla fisura di B. D. D., per la specie vivente nel Mediterraneo. Altezza . c 3 È 0 mm. 12 Larghezza . . 5 c » 5,5 Il MontEROSATO prese questa specie a-tipu del nuovo genere Leufroyia, distinto da “ anfratti rigonfi, costati: bocca ingrossata internamente, levigata, senza denti nè solchi !,. Il Cossmann nei suoi Essais de Paléoconchologie ritenne il genere di MontEROSATO identico al gen. Clathurella. SAcco lo cita come sotto- genere di Peratotoma. A me sembra una sezione generica intermedia fra le Daphnella, vicina alle Bellar- diella, e le Peratotoma. La forma degli anfratti, tuttavia, la forma dell’intaglio suturale, l’ispessimento del labbro ne sono caratteri di affinità colle Peratotoma, da cui le distingue la mancanza dei solchi interni nel labbro, e la scultura esterna fatta di coste assiali assai più forti delle linee spirali, caratteri questi per cui si avvicina alle Bellardiella. M. Mario: Farnesina (s. gr.). i) MontERrosaTo. Nomencl. gen. e spec., pag. 134. 60 S. CERULLI-IRELLI [252] Peratotoma (Leufroyia) concinna Scaccni sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 47. (1836. — ScaccHI. Catal. Conch. Regni Neap., pag. 12, fig. 18. — Pleurotoma). (1877. — MoxtEROSATO. Vote sur quelg. Coquilles prov. d. ctes d’ Algérie. Journ. Conch., vol. XXV, pag. 43, tav. II, fig. 1. — Pleurotoma). (1883. — B. D. D. Moll. mar. d. Roussill., vol. I, pag. 98, tav. XIV, fig. 5. — Qlathurella). Un solo esemplare. Altezza . 2 7 , c mm. 12,5 Larghezza . È . : dn La sua forma meno slanciata, ad anfratti più convessi, con costolatura assiale anche meno forte; l'apertura in proporzione più ampia, la columella non diritta, ma angolata, distinguono sufficientemente la concinna dalla Leufroyi, perchè essa possa tenersene specificamente separata. Per forma si approssima alla Peratotoma linearis, di cui diversi autori la ritennero semplice var. major; ma l’ornamentazione esterna a strie spirali assai più sottili delle costicine assiali, poco elevate ed assai fitte, il labbro esterno non solcato internamente, l’apertura più ampia, gli anfratti più convessi, la separano nettamente, insieme alle sue dimensioni assai maggiori. In confronto della figura di B. D. D., l'esemplare di M. Mario mostra le costicine assiali un po’ più fitte e meno elevate: il labbro esterno fors’anche meno ispessito. Maggior numero di costicine mostra anche in paragone della figura del MonrERosaTo, e per questo carattere l’esemplare di M. Mario potrebbe ri- guardarsi var. pluricostata della specie di ScaccHI. Pur tuttavia è perfettamente conforme ad individui viventi nel Mediterraneo. M. Mario: Valle dell’ Inferno. Gen. Daphnella Hinps, 1844. Daphnella Romanii Lisassi sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 48, 49. (1859. — LIBassi. Conch. foss. Palermo, pag. 30, tav. I, fig. 30. — Pleurotoma). (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 283, tav. VIII, fig. 81). ? 1854. Pleurotoma ancillarioides sp. n. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cut. cit.. pag. 12 e 19. 1864. - — De Ray. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33. 1871. — _ —_ — ‘Op. ctît., 2-* ed., pag. 39. 1875. _ — — Ponzi. Op. cit., pag. 26. 1882. Daphnella Romani Li. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. -- — — Meu. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. Specie elegantissima, assai rara alla Farnesina. Tuttavia in collezione ne esistono tre esemplari in perfetto stato di conservazione, di cui il più adulto ha le seguenti dimensioni. Altezza . Ò ; à 6 5 mm. 15 Larghezza . . o . ò » 5,5 Per ragione di priorità questa specie forse dovrebbe essere chiamata Daplnella ancillarivides DE Ray., in quanto la forma che con tal nome, anteriore di 5 anni a quello del Lisassi, è andata distinta nelle collezioni di M. Mario, è perfettamente corrispondente alla D. Romanzi. Ma descrizione e figura di Dr RaynevaL per la Pleurotoma ancillarioides lasciano assai dubbiosi sull’identità della sua specie con quella del Lrassi. In effetti mentre il De RavnevaL parla delle strie spirali (fransverses) molto sottili, nessun accenno fa delle strie assiali — pure esse, e specialmente negli individui meno adulti, ben mani- {253] S. CERULLI-IRELLI 61 feste — le quali incontrandosi colle strie spirali rendono la superficie della conchiglia clatrata. L'autore parla solo della presenza di strie d’accrescimento sull’ ultimo anfratto, le quali di tanto in tanto simulano delle coste, ciò che non si verifica affatto nei tre esemplari da me esaminati. Tali particolarità d’ornamenta- zione sono esattamente riprodotte nella figura 13 della tav. II fatta disegnare in Francia dal DE Ray- NEVAL nel 1856. È perciò che, pur non potendo escludere in modo assoluto che la P7. ancillaricides DE Rav. corrisponda alla Daph. Romanii Lis., una volta che la specie citata sotto quel nome nei cataloghi di M. Mario po- steriori a quello di DE RAyNEVAL è precisamente conforme alla Romanzi, nel dubbio bisogna a questa conservare il nome del Lipassi. M. Mario: Farnesina (s. g.). — Coll. RigAcci e Zuccari. Daphnella (Bellardiella) gracilis Mra. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 50-53. (1803. — MontaGU. est. Brit., pag. 267, tav. XV, fig. 5. — Murea). 1854. Pleurotoma gracilis Mont. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cut. eit., pag. 12. 1864. —_ suturale Bronn. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 33. 1871. — _ — — Op. cit., 2. ed., pag. 39. 1882. Clathurella emarginata Doxov. Zuccari. Cat. eit., pag. 16. 1896. —_ — — Mrn. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. È specie discretamente comune, i di cui esemplari più adulti misurano fino a 21 mm. di altezza. Ma fra gli individui osservati è facile distinguere due tipi: l’uno ad ultimo anfratto, in proporzione che nell’altro, meno alto, più convesso, a costolatura più forte, e costole separate anche da spazi più ampii, apertura più dilatata al centro: l’altro a spira più allungata, con costole assiali sugli anfratti più avvicinate fra loro, e meno elevate. Il primo mi sembra corrispondere meglio dell’altro alla forma vivente nei mari inglesi: il secondo può rappresentare una f.* elongata. Negli individui più adulti: oltre la varice labiale se ne osserva un’altra pure sull’ultimo anfratto a cirea un quarto del suo avvolgimento. Le costicine assiali in taluni rari esemplari divengono quasi obsolete sull’ ultimo anfratto, come nella var. A BeLL. (= var. obsoletecostata SACCO). M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno. Daphnella (Bellardiella) stria Canc. sp. — Tav. V [XXXVI], fig. 54-57. (1839. — CALcARA. Zicerche malac., pag. 11, fig. 5. Pleurotoma. (1844. — PaILIPPI. Enum. Moll. Sie., vol. 1I, pag. 174, tav. XXVI, fig. 18. — Pleurotoma semiplicatum Box). (1845. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 90 (618). — Raphitoma). 1864. Pleurotoma semiplicata Bon. Conti. Op. cit., 1.8 ed., pag. 33 (param). 1871. — - Op. cit., 2.* ed., pag. 39 (partim). 1882. — — Micat. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. Homotoma stria CaLcara. Meri. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Rappresentano questa specie a M. Mario assai scarsi esemplari, di cui quello più adulto, e quasi perfettamente conservato, ha le seguenti dimensioni: 62 S. CERULLI-IRELLI [254] Altezza . o . . . ; mm. 27,5 Larghezza . - . da 3 GIL! Alcuni dei pochissimi esemplari osservati hanno, come appunto nel tipo considerato da PritipPi, le coste assiali sull'ultimo anfratto quasi del tutto obsolete, ad eccezione di quelle presso l’estremità del- l’anfratto stesso, vicino il labbro esterno, le quali, benchè poco elevate, sono ben manifeste. Altri esemplari ‘ più giovani hanno invece le coste ben manifeste anche su tutto l’ultimo anfratto. Ma a questo riguardo l’Ab. ReueNoNE ! fa osservare, che “ non di rado l’ultimo giro è adorno di coste o pieghe, e talvolta per ogni dove sino al labbro ,. Aggiunge Brucnone che le pieghe in generale sono irregolari; e tali esse sono anche sui nostri esemplari. i Oltre le accennate differenze di scultura negli individui di M. Mario osservo anche limitate variazioni di forma: e mentre uno di essi per la convessità degli anfratti, e l’avvolgimento loro decisamente obliquo ricorda assai bene la forma flgurata dal Pricippi, la quale sembrami essenzialmente corrispondente alla var. A Bell. (= var. asfensis Sacco), gli altri hanno gli anfratti meno regolarmente convessi, posterior- mente subdepressi, e si avvicinano per questo megzio alla figura di BRUGNONE. È specie vivente nel Mediterraneo. M:'Mario: Farnesina, Valle dell’ mferno. Daphnella (Bellardiella) volutella Vareno. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 1-4. (1840. — KIENER. Zeonogr. Coquill. viv. — Genre Pleurotoma, pag. 67, tav. XXV, fig. 1.— Pleurotoma). 1864. Pleurotoma semiplicata Bon. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 33 (partim). 1871. — —_ — — Op.ctt., 2.* ed., pag. 39 (partim). Si distingue nettamente dalla D. stria principalmente per la scultura degli anfratti: le costicine as- siali in numero di 13 a 16 sono assai regolarmente disposte, oblique e subarcuate, sottili, elevate, spor- genti, separate da interspazi più ampi di esse; egualmente manifeste su tutti gli anfratti, esse si estendono fin presso la sutura posteriore, mentre nella stria si arrestano, o per lo meno diventano quasi obsolete sulla regione subpiana posteriore degli anfratti: le strie spirali, pure assai più fitte e più numerose che nella D. stria, sono vicinissime l’una all’altra e pressochè tutte eguali, non alternate alcune più elevate con altre più sottili interposte. La striatura spirale è intagliata e resa minutamente granulosa da altra più sottile striatura assiale. Gli anfratti sono inoltre più gonfi a suture più profonde che nella D. stria. Il labbro esterno è più o meno ispessito, ed in quasi tutti gli esemplari mostra il margine interno assai sottilmente e superficialmente crenellato-solcato. Leggermente crenellato è parimenti il margine la- biale interno nella D. stria. A questa forma riferisco pochi esemplari di M. Mario, di cui tre trovati in collezione ed attribuiti o alla D. stria o alla P. Leufroyi, gli altri comunicatimi dal dott. FRENGUELLI e dal sig. Grassi, e da loro raccolti a Valle dell’ Inferno. Gli individui di M. Mario si identificano, mi sembra, perfettamente colla figura citata di KIENER. Tuttavia fra essi possiamo distinguere, oltre la forma che essendo più vicina a detta figura dobbiamo considerar come tipica, le due variazioni seguenti. Var. ventricosiuscula. — Tav. VI[XXXVII], fig. 4 — Rappresentata da un individuo giovane, essa è ca- ratterizzata dalla spira più breve, ultimo anfratto più gonfio. i) BruenonE. Alec. Pleurot. foss., pag. 29. [255] S. CERULLI-IRELLI 63 Var. longiuscula. — Tav. VI[XXXVII], fig. 2,3. — Rappresenta una variazione di forma opposta alla ‘precedente, a spira più allungata che nel tipo, ultimo anfratto meno globoso. Ma l’aspetto della conchiglia e la sua scultura, rimangono perfettamente identici. Il MontEROSATO citò questa specie fossile a M. Pellegrino e Ficarazzi in entrambi i cataloghi del 1872 e del 1878. Invece negli elenchi delle specie viventi del Mediterraneo, la specie del VALENCIENNES venne prima considerata varietà di Pleurotoma Leufroyi, e in seguito di PI. inflata, e infine nella Nomencla- tura generica e specifica la forma vivente nel Mediterraneo, e fin allora conosciuta sotto il nome di PH. volutella, venne indicata come specie a sè (Leufroyia erronea MtRS.). Io non ho potuto paragonare la forma di M. Mario con quella vivente nel Mediterraneo; posso solo «dire che essa si identifica bene colla specie descritta e figurata da KIENER, ed è altrettanto distinta dalla D. stria che dalla Leufroyì e dalla inflata, così per forma che per scultura. Credo invece che alla volutella possa essenzialmente corrispondere la virgata Biv., in quanto il mag- gior numero dì coste (16 invece di 13), la maggiore obliquità loro, il labbro internamente marginato, non sono caratteri sufficienti di distinzione, chè negli esemplari di M. Mario ne ho potuto osservare la facile variabilità. ; M. Mario: Valle dell’ Inferno. Daphnella (Bellardiella) inflata Jan sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 5. (1832. — Jan. Catal. Conch. foss., pag. 9. — Pleurotoma). (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 90 (618). — Raphitoma). (1901. — Sacco. Z Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXX, pag. 53, tav. XIII, fig. 53). 1864. Pleurotoma semiplicata Bon. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33 (partim). 1871. — — _ — Op. ctt., 2.* ed., pag. 39 (partim). 1896. Homotoma inflata Jan. MeLI. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. È assai rara a M. Mario. Per la forma più breve, ad ultimo anfratto più globoso, si distingue facilmente dalla D. stria; la forma come altresì la scultura la separano parimenti dalla volutella: nè è possibile considerarla varietà di 2. Leufroyi come alcuni autori la ritennero; se ne allontana per la forma, per l’apertura più ampia, a labbro esterno assai meno ispessito. i M. Mario: Farnesina. Daphnella (Teres) anceps Ercuw. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 6-10. (1830. — ErcawaALD. Naturh. Skizz von Lith. Wolh., pag. 225. — Pleurotoma). (1849. — FoRBES a. HANLEY. Brit. Moll., vol. IV, pag. 462, tav. CXIII, fig. 1,2. — Mangelia teres FORBES). 1854. Pleurotoma Renieri Scac. De Ray., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. — —_ — Conti. Op. cîit., 1.° ed., pag. 33. 1871. —_ —_ —_ — Op. cît., 2.2 ed., pag. 39. 1875. —_ —_ — Ponzi. Op. cît., pag. 21 e 26. 1882. Homotoma anceps Ercuw. Zuccari. Cat.'cit., pag. 16. 1896. — — Met. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Di questa bella ed interessante forma si raccolgono frequenti individui fra le sabbie di M. Mario, i quali non mostrano alcuna differenza con la specie attualmente vivente. M. Mario: Farnesina, Valle dell’Inferno. 64 S. CERULLI-IRELLI [256] D. anceps var. turritelloides Ber. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 11,12. (1847. — BeLLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 71 (599), tav. IV, fig. 5 — Pleurotoma). (1877.— BeLLARDI. I Moll. ter». terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 281, tav. VIII, fig. 29. — Homotoma). Si distingue dal tipo per la forma più breve, ad ultimo anfratto in proporzione più largo, ma prin- cipalmente per la sporgenza di uno dei cordoncini spirali sulla metà circa degli anfratti, in modo da renderli subcarenati. Il BeLLARDI per tali caratteri ritenne la turritelloîdes specificamente diversa dalla -anceps. Dall'esame degli individui piuttosto abbondanti di M. Mario, nell’osservazione dei quali appare evidente come fra l’uno e l’altro tipo vi siano tutte le sfumature intermedie, a me sembra che la turrifelloîdes possa semplicemente mantenersi distinta al grado di varietà. M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno. Gen. Raphitoma BELLARDI, (1847) 1877. Raphitoma hispidula Jan sp. — Tav. VI [XXXVII]. fig. 13. (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 92 (620), tav. IV, fig. 17). (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte Il, pag. 304, tav. IX, fig. 18). ? 1854. Pleurotoma obtusangulum Br. De Ray., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 2 1875. — — — Poxzi. Op. cit., pag. 26. 21882. Raphitoma lispidula Jan. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. —_ - — Meu. Nota eît. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Non posseggo che un solo giovane esemplare che possa identificarsi con questa specie, la quale per forma e scultura è affine alla £. vulpecula, ma da cui tuttavia è perfettamente distinta, sia per la mag- giore depressione posteriore degli anfratti, che per le linee spirali meno numerose e più rilevate. La R. hispidula era già stata citata a M. Mario da Zuccari e da Metri. In quanto alla prima cita- zione debbo tuttavia far notare che gli esemplari trovati in collezione con detta determinazione non spettano alla specie suddetta, bensì in gran parte alla £. vulpecula e in parte alla È. submarginata. L'individuo da me studiato era invece confuso con altri di Mangilia rugulosa. Penso che alla A. Rispidula possano riferirsi anche le citazioni di Pleurotoma obtusangulum dei cata- loghi di De RaynEvar e Ponzi, in quanto a M. Mario la Drillia obtusangula non sembra sia stata rinve- muta, e la figura di BroccaI, non dando una ben chiara idea della forma della conchiglia, può aver facilmente indotto ad attribuire alla obtusarngula esemplari di &. hispidula. La Pleurotoma obtusangula di Conti invece si riferisce in massima parte alla &. vulpecula e in parte alla È. submarginata. M. Mario: Farnesina (Ss. g.). R. hispidula var. pliocostatissima Sacco (= var. A Ben.). — Tav. VI [XXXVII], fig. 14. (1877. — BELLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liyuria, parte II, pag. 305, tav. IX, fig. 17). (1904. — Sacco. Z Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXX, pag. 55). E distinta dal tipo per la spira più allungata, più acuta, per le costicine assiali più numerose. E rappresentata in collezione pure da un solo esemplare. M. Mario: Farnesina (s. gr.). [257] S. CERULLI-IRELLI 65 Raphitoma plicatella Jan sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 15. (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 92 (620), tav. IV, fig. 18). (1877. — BELLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, part. Il, pag. 307, tav. IX, fig. 19). 21882. Raphitoma plicatella Jan. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. L'unico esemplare, trovato in collezione confuso fra altri di 7. vulpecula, è conforme alle figure del BeL- LARDI e rimane nettamente distinto dagli individui assai più frequenti che rappresentano la specie seguente. Gli anfratti sono più regolarmente convessi, con la depressione posteriore assai meno pronunziata, onde l’angolo che divide la parte anteriore da quella posteriore degli anfratti, ben evidente nella vulpecula, nella plicatella non è che assai ottuso. Le costicine assiali sono più esili e flessuose, mentre nella vulpecula esse sono subdiritte e subparal- lele all’asse della conchiglia: le strie spirali sono fors’'anche più acute, più uniformi, e manca la stria leggermente più elevata che delimita e rende più manifesto l’angolo fra la parte posteriore ed anteriore degli anfratti. Nelle collezioni di M. Mario la specie era stata erroneamente interpretata e vi erano stati riferiti in massima parte esemplari di R. vulpecula: è perciò che riporto con dubbio in sinonimia la citazione del catalogo di Zuccari. M. Mario: Farnesina (Ss. g.). Raphitoma vulpecula Br. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 16, 17. (1814. — BroccuHI. Conch. foss. subapp., vol. II, pag. 420, tav. VIII, fig. 10. — Murer.) (1877. — BELLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 308, tav. IX, fig. 20) 1854. Pleurotoma vulpecula Broc. Dr Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. — obtusangulum Broc. Conti. Op. cit., 1.% ed., pag. 33 (partim). 1868. = vulpecula — Manrovani. Op. ezt., pag. 15. 1871. — obtusangulum Broc. Conti. Op. cit., 2.* ed., pag. 39 (partim). 1874. _ vulpecula Broc. Mantovani. Op. cit., pag. 43. 1875. — _ — Ponzi. Op. cit., pag. 21 e 26. 1882. Raphitoma _ — Zuccari. Cat. ett., pag. 16. x Al contrario della precedente è piuttosto comune fra le sabbie del M. Mario. Fra i vari esemplari esaminati non si riscontrano differenze veramente notevoli, chè esse sono limitate ad una maggiore o minore lunghezza della spira, e ad una scultura a costicine assiali più o meno sottili e strie spirali più o meno elevate. i Come la A. plicatella anche questa è conosciuta di molti giacimenti pliocenici italiani, ma come quella non è segnalata vivente. M. Mario: Farnesina (s. g. e s. gr.). Raphitoma submarginata Bow. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 18-24. (BonELLI. Cat. ms. coll. Museo, n. 2651. — Pleurotoma). (1847. — BELLARDI. Monogr. Pleurot. foss., pag. 95 (623), tav. IV, fig. 20). (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 309, tav. IX, fig. 21). 1864. Pleurotoma obtusangulum Broc. Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33 (partim). 1871. — —- —_ — Op. cit., 2.° ed., pag. 39 (partim). 1882. Drillia crebricosta BeLL. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. Raphitoma submarginata Bon. Meli. Nota eit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 9 66 S. CERULLI-IRELLI [258] Gli individui di M. Mario, che possono riferirsi alla presente specie, si allontanano in generale più o meno dal tipo descritto e figurato dal BELLARDI. i Tuttavia rimanendo costanti i caratteri di ornamentazione, avvolgimento e forma degli anfratti, forma dell'apertura, credo che i diversi tipi riscontrati fra gli esemplari di M. Mario possano tutti raggrupparsi attorno alla £. submarginata riguardandoli semplicemente come variazioni di essa. Il tipo del BeLLARDI è ad ultimo anfratto discretamente sviluppato, rappresentante con la coda più dei due quinti dell’intera lunghezza della conchiglia, coll’apertura stretta ed allungata. A questa forma, che dobbiamo considerar tipica corrispondono pochissimi degli esemplari di M. Mario. Altezza . ; o : 5 5 mm. 11,5 Larghezza . c d : : » 4 Forma A (ezrilis). — È la forma più frequente a M. Mario. Essa si distingue da quella tipica per la spira più allungata, ultimo anfratto meno sviluppato, meno alto, apertura meno allungata. Altezza . | n = AR mm. 13 Larghezza .. 0 5 5 o » (4,5 A questa forma spettano gli individui più adulti che raggiungono fin oltre i 17 mill. di lunghezza. Forma B (globosa). — In questa, mentre il rapporto fra la lunghezza dell’ultimo anfratto e il resto della spira resta press’a poco lo stesso che nel tipo, è sensibilmente maggiore la convessità degli anfratti, particolarmente dell’ ultimo, in modo che la conchiglia è per rapporto alla sua lunghezza più larga. Altezza . 0 , 5 : : mm. 12 Larghezza o ò o 0 o » 5 Forma € (junior). — Gli anfratti sono ancora più convessi che nella forma precedente, e l’ultimo è meno alto, con la depressione basale, dal lato opposto all’apertura, più pronunziata. Altezza . d à È 0 ò mm. 9,4 Larghezza ò È 0 6 o » 3,8 È rappresentata da quasi tutti giovani individui, e può quindi trattarsi anche di una forma giova- nile, in relazione al grado di sviluppo, con persistenza nei pochi più adulti di detti caratteri giovanili. Anche la R. submarginata non è conosciuta vivente. M. Mario: Farnesina (s. g. e s. gr.). Raphitoma turgida Fors. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 25-29. (1843. — FoRBES. Rep. Aegean Invert., pag. 139. — Pleurotoma). (1877. — BEeLLARDI. Z Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 312, tav. IX, fig. 25). 1854. Pleurotoma nanum Scac. De Rav., V. pn. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. _ —_ — Conti. Op. cit., 1.* ed., pag. 33. 1871. — _ e. EE ci, E SL ? 1874. _ striatum Lx. Mantovani. Op. cit., pag. 43. 1875. —_ nanum Scac. Ponzi. Op. cît., pag. 26. 1882. Raphitoma turgida Forrs. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. _ nana Scac. Met. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. [259] ; S. CRRULLI-IRELLI 67 Nelle collezioni del Museo non sono copiosi gli individui che rappresentano questa specie. Fra essi, più che quelli i quali possono riferirsi al tipo — se come tale consideriamo quello figurato da ScaccHI e più tardi dal PrILIPPI, col nome di Pleurotoma nana Sc., a forma raccorciata — abbondano altri a spira più allungata, che possono raggrupparsi attorno alla var. A BeLL. (=var. pliospirulata Sacco !). Nello stato assai giovanile della specie la depressione anteriore dell’ ultimo anfratto è assai più pronunziata che negli adulti, e gli anfratti più gonfi. Questa specie è stata generalmente citata col nome datole da ScAccHI nel 1836. Ma pochi anni prima DesHAYES ? aveva descritto e figurato pure col nome di Pleurotoma nana altra specie, spettante al gen. Mangilia. Perciò il nome di ScaccHI fu sostituito dall'altro di Fores sulla fede di WeInkaUuFF che assi- curava la PI. turgida Fores esser sinonima della PI. nana ScAccHI. M. Mario: Farnesina. Raphitoma Appeliusi Ber. — Tav. VI [XXXVII], fig. 30. (1877. — BeLLARDI. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte II, pag. 314, tav. IX, fig. 28). Per quanto l’identificazione di queste piccole forme di Pleurotomidae colle figure, particolarmente se da disegno e non assolutamente ottime, lasci sempre ragione di dubbio, pure sembrami poter riferire alla R. Appeliusì Bel. alcuni pochissimi esemplari trovati confusi colla £. turgida. Da questa si distinguono facilmente per gli anfratti più convessi e posteriormente depressi, subca- renati, la superficie subliscia, chè la striatura spirale minutissima si rende solo manifesta coll’aiuto di una buona lente. Forse rispetto alla fisura del BeLLARDI i nostri esemplari hanno la spira più breve e l’ultimo an- fratto in proporzione più largo, ma viceversa le dimensioni relative corrispondono a quelle indicate dal BELLARDI, si ha cioè lo stesso rapporto fra l’altezza e la larghezza della conchiglia. Altezza . 5 S 7 ; È mm. 4 Larghezza 6 5 5 . 7 do IU M. Mario: Farnesina. Raphitoma exstriolata mut. nom. — Tav. VI [XXXVII], fig. 31-34. (1840. — KrenER. Zeonogr. Coquill. viv. — Genre Pleurotoma, pag. 78, tav. XXV, fig.2. — Pleurotoma costulata R18s0). I pochissimi esemplari di M. Mario che riferisco a questa specie sono pressochè corrispondenti alla fisura citata di KreneR, come ad individui viventi nel Mediterraneo, con cui ho avuto modo di confron- tarli. Solo rispetto alla figura citata e a due degli individui viventi più adulti, cui detta figura è per- fettamente conforme, gli esemplari di M, Mario hanno forma più turriculata. Ma penso tale differenza possa dipendere anche dal grado di sviluppo, chè altro esemplare vivente più giovane è in tutto identico ai fossili, e con essi, meglio che alla figura di KrenER, si avvicina a quella del BLAINvILLE ®), per quanto questa sia poco felice, ed erroneamente riferita alla Pleurotoma costata (non Mra.). A parte queste differenze, che, come ripeto, io credo in rapporto al grado di sviluppo, possiamo fra gli stessi individui di M. Mario distinguere due tipi; l’uno per la spira allungata meglio rispondente alla 1) Sacco. I Moll. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXX, pag. 56, tav. XIV, fig. 41, 42. 2) DesHavEs. Exped. scient. en Morée — Mollusques, pag. 179, tav. XXIV, fig. 20-22. 3) BLAINVILLE. Faune frangaise, pag. 100, tav. IV, fig. 6, 6a. Pleurotoma costata (cotelee). 68 S. CERULLI-IRELLI . [260] costulata figurata da KIENER e BLAINVILLE; l’altra a spira più breve, ed ultimo anfratto in proporzione più alto, apertura egualmente più allungata, il quale è assai più vicino alla striolata (Sc.) degli autori inglesi. Ma all'infuori di questa lieve differenza di forma, nessun altro carattere differenziale esiste fra i due tipi. Fra gli autori che hanno citato questa specie, alcuni la chiamano striolata Scaccu, altri costulata BraInvILLE. La figura della striolata. Scaccni in Pritipei, che è di essa la prima illustrazione, sembra possa corrispondere alla costulata in KTENER, sebbene dimostri una forma più fortemente assottigliata, ad anfratti meno convessi, ed ultimo più alto, ma l’aggettivo striolata fu in precedenza adoperato dal Risso ad indicare altra specie, la quale a giudicarne dalla figura datane dal Risso, sembra £. attenuata, e perciò non può servire a distinguere la specie in questione. Ma neanche l’aggettivo costulata può essere usato, in quanto esiste una Margelia costulata Risso (= Raphitomna nebula Me. fide JEFFREYS). Penso perciò, che, ad evitare ulteriori ambiguità di significato, sia necessario cambiar nome a questa specie, e, siccome dalla maggioranza degli autori essa venne indicata come £. striolata, propongo chia- marla eastriolata. M. Mario: Farnesina. Raphitoma brachystoma Puin. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 35-43. (1844. — PHILIPPI. Enum. Moll. Sic., vol. II, pag. 169, tav. XXVI, fig. 10. — Pleurotoma). 1854. Pleurotorma brachystomum Pri. De Ray., V.p. H., Ponzi. Cat. cit., pag. 12. 1864. - _ -— Conti. Op. cit., 1.2 ed., pag. 33. 1871. — - — — Op.cît., 2.» ed., pag. 39. 1875. — _ — Ponzi. Op. cit., pag. 26. 1882. Laphitoma _ — Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. = —_ — Men. Noa cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. È una specie comune fra le sabbie del M. Mario, ed alquanto variabile per l’allungamento della spira, in modo che, prendendo per tipo quello più comune, potremmo distinguervi una var. longespirata, e una var. ventricosiuscula, rappresentata in generale da individui giovani. Ma la forma degli anfratti, l’ornamen- tazione loro, e gli altri caratteri tutti rimangono perfettamente costanti. Assai migliori della figura del PHILIPPI, che non può dare un’idea esatta della specie, sono le illustra- zioni degli autori inglesi (Forpes ed HanLey, JEFFREYS, SowERBY) pure per la forma vivente. M. Mario: Farnesina. Raphitoma nebula Mre. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 44-46. (1803. — MonTAGU. Test. Brit., pag. 267, tav. 15, fig. 6.— Murex). 1854. Pleurotoma ginnanianum Scac. De Rav., V.p. H., Ponzi. Cat. cît., pag. 12. 1864. = = — Conti. Op. cît., 1.° ed., pag. 33. 1871. _ —. - — ©p.cît., 2.» ed., pag. 39. 1875. = _ — Ponzi. Op. cît., pag. 26. 1852. Raphitoma nebula Mont. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1896. _ — — Mrenr. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 81. [261] S. CERULLI-IRELLI 69 Gli esemplari che attribuisco a questa specie tutt'ora vivente sono tutti assai piccoli, non raggiungendo i maggiori che mill. 8,5 di altezza e mill. 3,5 di larghezza. Varia in essi la forma, più o meno allungata, e la evidenza, maggiore o minore, delle strie spirali, differenze queste per le quali la specie si presenta sotto aspetti notevolmente diversi. Ma evidenti affinità collegano le varie forme e i malacologi più moderni sono d’accordo nel raggruppare attorno alla £. nebula variazioni così di forma che di scultura, le quali da autori più antichi vennero in parte considerate spe- cificamente distinte. Gli individui di M. Mario si identificano bene colla forma vivente nel Mediterraneo, che il Monre- RosaTo vorrebbe tenere specificamente distinta, col nome di £. (Ginnaria) fuscata PrIL., dal tipo vivente nei mari del Nord. Gli esemplari di M. Mario tuttavia mostrano pure perfetta corrispondenza colle buone figure di ForBes ed HanLeY per la specie vivente in Inghilterra. M. Mario: Farnesina. R. nebula var. abbreviata Jerrr. — Tav. VI [XXXVII], fig. 47. 1867. — JerrREYS. Brit. Coneh., vol. IV, pag. 385). 13 La spira assai più breve, gli anfratti più gonfii, le coste assiali più robuste separano questa varietà dal tipo. M. Mario: Farnesina. R. nebula var. elongata Jerrr. — Tav. VI [XXXVII], fig. 48. (1867. — JEFFREYS. Brit. Conch., vol. IV, pag.385; vol. V, tav. XCI, fig. 2). Ha spira molto più allungata, anfratti meno convessi: dimensioni maggiori: striatura spirale più sottile, coste, sull’ultimo anfratto particolarmente, meno elevate. Altezza . A 5 5 x 7 mm. ll Larghezza . ò c è 7 DO Potrebbe anche considerarsi specificamente distinta. La lunghezza della spira la avvicina assai alla E. columella Sc., ma questa ha gli anfratti più convessi, le coste più sottili e più numerose, e la sutura non sembra sub-marginata come nella nostra conchiglia. î M. Mario: Farnesina (s. gr.). R. nebula var. laevigata Prur. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 49-51. (1536. — PHILIPPI, Enum. Moll. Sic., vol. I, pag. 199, tav. XI fig. 17. — Pleurotoma laevigatum). Gli autori francesi B. D. D., considerano anche questa forma varietà della nebula. A me essa sembre- rebbe specificamente distinta per caratteri di scultura; chè invero la striatura spirale è assai più sottile, osservabile solo coll’aiuto di una buona lente, ma principalmente essa è fatta di strie assai più uniformi, più numerose, non alternate, alcune più sporgenti con altre intermedie più sottili, come nella nebula. Ma per la forma degli anfratti e la loro costolatura assiale che è identica, può esser giustificato ritenere la È. laevigata varietà della nedula, come ritenne anche il WEINKAUFF. M. Mario: Farnesina. 70 S. CERULLI-IRELLI [262] Raphitoma attenuata Mrc. sp. — Tav. VI [XXXVII], fig. 52-58. (1803. — MonTtAGU. Test. Brit., pag. 266, tav. IX, fig. 6. — Murex). 1864. Pleurotoma gracile Pri. Conti. Op. cit., 1. ed., pag. 33. 1868. _ _ — Mantovani. Op. cît., pag. 15. 1871. —_ _ — Conn. Op. cit., 2.* ed., pag. 39. 1874. - — — Mantovani. Op. cit., pag. 43. 1875. — — Scac. Ponzi. Op. cît., pag. 21 e 26. 1882. Raphitoma attenuata Mont. Zuccari. Cat. cit., pag. 16. 1888. —_ — — Cuerici. Loc. cit., pag. 107. 1896. _ — — Mereu. Nota cit. Boll. Soc. geol. it., vol. XV, pag. 80. È specie nettamente distinta dalla precedente per la sua forma più allungata, più affusolata, per gli anfratti meno convessi, e l’ultimo più grande, le coste più esili e flessuose, la coda più lunga. Ma se si osservano le diverse figure che per la specie vivente ci sono date da vari autori è facile accorgersi come sia variabile in essa la forma. Una stessa osservazione ho potuto fare sugli esemplari fossili di M. Mario da me presi in esame, ‘e credo utile farne notare le principali variazioni. La figura di MontaGu non è a dir vero assai felice, ma è evidente che il MontaGu ha voluto rap- presentare un individuo a forma allungata, assai affusolata. È questa perciò la forma che dobbiamo riguar- dare come tipica, e cui mi sembra bene corrispondano due degli individui di M. Mario da me studiati. La forma fisurata da PHiInIpPI ne rappresenta una lieve modificazione, distinta dall’ultimo anfratto leggermente più convesso, più gonfio, con depressione anteriore più accentuata. Potremmo chiamarla . forma gracilis Pair. — Tav. VI [XXXVII], fig. 54. Forma A (intermedia). — Tav. VI [XXXVII], fig. 55-57. — Una variazione più importante, senza tener conto di passaggi intermedi, è rappresentata da altri e più numerosi esemplari, i quali rispetto al tipo hanno forma meno affusolata, l’ultimo anfratto più convesso e meno alto, con la depressione basale più forte. Corrispondono essi alla forma vivente forse più comune, in quanto in tale aspetto la specie è figurata da Forses ed Hancey, da JEFFREYS, da B. D. D. Forma B (=tenwvicosta Brusn.) — Tav. VI [XXXVII], fig. 58. — L’ultimo anfratto è in questa ancora più globoso rispetto alla precedente, più alto, la forma è più raccorciata, le coste più flessuose. Questa è forse la forma più comune in cui la specie si raccoglie a M. Mario. Si nota poi che fra i più giovani esemplari la forma è in generale meno allungata, l’ ultimo anfratto più globoso, più sviluppato rispetto al resto della spira, di quanto non si osservi negli individui più adulti. Perfettamente corrispondente mi sembra la è. fenvicosta Bruen. qual'è fisurata dal BELLARDI, e che il BELLARDI considera specie a sè. Ma l’affinità colle altre forme di . attenuata e il graduale passaggio fra esse non mi sembra possano consigliare una separazione specifica a giudicarne almeno dagli individui di M. Mario. Anche MonteRosato la considera varietà di . attenuata. M. Mario: Farnesina, Valle dell’ Inferno; Acquatraversa. Finito di stampare il 2 luglio 1910 . IGINO CANAVARI LA FAUNA DEI CALCARI MARNOSI DA CEMENTO DELLE VICINANZE DI FABRIANO (Tav. VII-XIII [I-VII] e Fig. 1, 2 intere.) INTRODUZIONE La fauna descritta in questo lavoro proviene dai calcari marnosi che dal 1882 vengono cavati nei dintorni di Fabriano per fare calci e cementi idraulici. In massima parte i fossili sono stati diligente- mente raccolti durante i lavori di estrazione della pietra, dai proprietari BeLLOccHI e PECORELLI, nella cava che trovasi sulla destra del Giano, non lungi dalla stazione ferroviaria. Solo alcuni di essi furono trovati nella cava della Ditta MannUccI, fratelli LoLLi e CERBELLI, situata ad Ovest non lungi dalla pre- cedente e propriamente sulla destra del fosso Pulido presso alla confluenza di questo con il Torrente Bono. Questi calcari marnosi, di età, come vedremo, miocenica, affiorano lungo la profonda incisione del fiume Giano e de’ suoi affluenti, sotto la forma di scogli più o meno irregolari. Le irregolarità furono in seguito colmate dall’alluvione quaternaria che direttamente livella il suddetto calcare costituendo la pia- nura che circonda la città di Fabriano, come si vede nelle Fig. 1, 2 intercalate nelle due pagine seguenti. Mancano, dunque, in questa valle interna dell'Appennino, del pari che in quella limitrofa del camerinese, i terreni pliocenici i quali non compariscono che al di là dei Monti della Rossa. La roccia in discussione è di colore grigio azzurrastro, con indistinti piani di stratificazione e con variabili spessori di strati. Nella cava BeLLOccHI e PECORELLI (Fig. 1) si manifestano anche evidenti e nu- merose fratture con una prevalente tendenza verso la perpendicolare alla superficie degli strati suddetti. Nella cava ManNUCCI ece. (Fig. 2) si presentano intercalati banchi più argillosi e scagliosi e con le superficie di frattura laminate e contorte e ricoperte da patina lucente. La frattura di essa roccia è concoide od anche spesso scagliosa. Talvolta sul fondo grigio spiccano per una colorazione più chiara numerose se- zioni circolari, o cilindriche e ramificate, più o meno regolari, come se la roccia stessa fosse stata per- forata in ogni direzione e poi tali perforazioni fossero state riempite da materiale litoide tendente al biancastro. Queste perforazioni, se si vedono nella forma cilindrica allungata e ramificata, somigliano alle fucoidi. La grana della roccia appare assai minuta ed uniforme quando si guardi ad occhio nudo. Con una lente d’ingrandimento (10 diametri) si vedono sparsi nella massa numerosi globulini spatici molto piccoli, alcuni decisamente sferici, altri più o meno irregolarmente globulari, altri invece discoidali, con maggiore ‘© minore depressione. Non raramente si osservano masserelle sferoidali o piccoli cristalli di pirite di ferro prevalentemente della specie marcassite. Triturando la roccia ho ottenuto un pulviscolo nel quale ho po- tuto isolare alcuni di quei minuti elementi spatici superiormente ricordati, ed ho poi constatato che essi 72 I. CANAVARI [2] appartengono a residui di foraminifere con prevalenza dei generi Orbulina, Globigerina, Anomalina, Truncatulina, Pulvinulina ecc. Tale resultato mi indusse a chiedere all’egregio prof. Augusto Zoneni di Fabriano, per mezzo del quale io potei avere la collezione che forma oggetto di questo lavoro, circa un chilogrammo di pulviscolo raccolto in vicinanza della cava BeLLocòHI e PecoRELLI, dal quale sono state isolate le specie di fora- minifere descritte. Nel pulviscolo si osservano anche minutissimi frammenti di calcite spatica laminari, e frammenti di marcassite. Trattata con acido cloridrico diluito, la roccia dà luogo ad una rapida effervescenza, rima- nendo insoluta una sostanza argillosa assai tenue che al microscopio appare come sottilisima polvere gri- Fis. 1. Cava BeLLoccHi e PECORELLI. giastra colorata da pigmento ferruginoso. Nessun indizio, in questa polvere, di frammenti organici, di spicule di spongiali per esempio, nè di altre produzioni silicee zoogeniche. Ho voluto esaminare al microscopio anche la polvere di cemento ed ho constatato che le minute foraminifere spesso persistono alla cottura e da tale polvere ho isolato alcuni esemplari di Orbulina e di Zruncatulina. i In sezioni sottili e trasparenti, guardata al microscopio, la roccia appare come un fango con G/obi- gerina (Tav. X [IV], fig. 1-3). Predomina, infatti, cotesto genere di foraminifera, e tutti gli altri preceden- temente enumerati, vi sono del tutto subordinati. In generale queste globigerine sono piccolissime, rag- giungendo appena qualche decimo di millimetro in grandezza; giova però avvertire che frequentemente esse appaiono frantumate, come se la deposizione loro fosse avvenuta in acque non perfettamente calme. Alcune di queste foraminifere hanno le loggie piritizzate o limonitizzate (Tav. X [IV], fig. 3), altre invece [3] I. CANAVARI 73 ripiene di calcite spatica. Sono bene evidenti in esse le minute perforazioni del guscio che appaiono a guisa di reticolato quando la sezione cade tangenzialmente al guscio medesimo (Tav. X [IV], fig. 1, 2). Nella formazione calcareo-marnosa in esame sono stati trovati inclusi alcuni ciottoli di varia natura litologica e grandezza, dei quali ho già avuto occasione di occuparmi in una mia precedente nota !). Ricorderò qui che, oltre un frammento di lignite, furono raccolti ciottoli di una roccia silicea, di un’arenaria a cemento micaceo forse scistosa, ed un grosso pezzo di micascisto a distene e granato; di un insieme di roccie, cioè, del tutto differenti da quelle comunemente presenti nell'Appennino centrale. Questo importante fatto d’inclusioni di roccie erratiche, nella serie terziaria dell’ Appennino, come si sa, non è certo una novità. Il PasserI nel 1775, il Procaccini nel 1828, il conte GrusePPE MANCIANI Fic. 2. Cava MannUCCI, fratelli LOLLI e CERBELLI, nel 1835, e il suo contemporeneo Domenico Paott, lo Spapa e l’OrsInI nel 1855 ed infine il CARDINALI nel 1880, ricordano ciottoli di granito, gneiss, micascisto, quarziti, sieniti, dioriti, diabasi ecc., raccolti specialmente sulle colline di Tomba presso Pesaro in terreni riferiti alla parte superiore del pliocene ?). Il menzionato prof. CARDINALI ®, nel 1886, fece poi noto il rinvenimento, nelle argille plioceniche dei 1) CANAVARI I. J ciottoli erratici nel calcare marnoso da cemento di Fabriano. Ricerche petrografiche. Atti Soc. tosc. di Sc. nat. Proc. verb., vol. XIX, adunanza del 3 luglio 1910. Pisa. 1910. % Si veda in proposito e per ulteriori notizie: CARDINALI F. Cenni geologici sui dintorni di Pesaro. Strati a Congerie e piccoli Cardi. Conglomerato poligenico. Pesaro, tip. A. Nobili, 1880; — Ip. La geologia del Monte S. Bar- tolo. Pesaro, tip. Federici, 1881. 3) CARDINALI F. Sopra un masso di gneiss rinvenuto nelle argille plioceniche dei dintorni di Appignano. Boll. Soc. geol. ital., vol. V, pag. 316. Roma, 1886. i Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 10 74 I. CANAVARI [4] dintorni di Appignano in quel di Macerata, di un masso di gneiss del peso forse di oltre un quintale e di forma quasi sferica. Come si vede però, i ciottoli suddetti, intorno alla cui origine ancor si discute, sono stati trovati in terreni non più antichi del pliocene. Quelli che io ho osservati provengono invece da terreni miocenici e furono notati anche nei dintorni di Fabriano e nella stessa formazione, dal MoRENA !. Il calcare marnoso da cemento di Fabriano, come già è stato detto, è del tutto simile ai fanghi con Globigerina che si depositano nei mari attuali e principalmente, secondo i naturalisti dello “ Challenger , nelle regioni dove la superficie dell'Oceano è solcata da correnti calde. Tale somiglianza si nota anche nella composizione chimica. Il tenore in Ca CO, dei fanghi con globigerina attuali, dedotto da 118 esem- plari dragati a profondità varie tra 400-2925 braccia marine ?), oscilla dal 30,15 al 98,80 %- Il carbo- nato di calcio della nostra roccia arriva al 59,12% ?, avvicinandosi alla quantità contenuta nei fanghi raccolti alla profondità di 2000 a 2500 braccia marine *). Questo calcare marnoso quindi per la sua costituzione chimica e paleontologica non si è certo depo- sitato nelle vicinanze immediate della costa. Cosicchè i ciottoli vari di forma e di dimensione e di natura litolosica non possono essere attribuiti a deiezioni fluviatili nel senso più stretto della parola. Uno di quei ciottoli, a forma di piastrella, può forse darci indizio di una qualche azione di movimenti ondosi del mare; non così però gli altri e quello relativamente assai voluminoso e irregolarmente angoloso di micascisto del peso di chilogrammi 6,200. L’origine di consimili inclusioni, nelle condizioni attuali delle nostre conoscenze, non possono essere interpretate che in due modi, o per trasporto sui ghiacci galleggianti, di cui l’esempio più cospicuo lo abbiamo oggi nel banco di Terranuova, oppure mercè le piante che ven- gono sradicate dalle piene dei grandi fiumi e nelle cui radici restano impigliati frammenti di roccia, e poi il tutto trasportato al mare ed anche talvolta lungi dalle spiaggie, come accade per i grandi fiumi che l’America scarica nell’ Oceano Atlantico. Nel periodo geologico che ci riguarda, il mare ricopriva buona parte d’Italia, e solo qua e là emer- gevano le creste dell’Appennino centrale e la catena alpina piegata e già sollevata. Gli studi ultericri che si faranno sull'Appennino che dal Mugello si estende fino al gruppo della Sibilla, dimostreranno forse che nel miocene questa plaga era tutta o quasi tutta sommersa, e che perciò in quel tempo, nell’anzidetta regione, gli attuali mari Adriatico e Tirreno erano certo in comunicazione diretta. Non trovandosi micascisti nella serie geologica dell’Appenino, ed essendo questo in gran parte sommerso, non poteva certo da esso provenire il ciottolo trovato presso Fabriano. La corrispondenza con i micascisti alpini farebbe credere che di là provenisse, per una di quelle due cause accennate, se non si voglia ricorrere all’ipotesi della esistenza di una terra antica, ora del tutto scomparsa, nell’ attuale bacino del mare Adriatico, oppure all’ altra ipotesi della terra pure antica che da alcuni si vuole esistesse nel Tirreno e di cui la Sardegna, per esempio, sarebbe un frammento tuttora esistente. Certo se quei ciottoli furono fluitati con le radici di piante, e la presenza in alcuni di essi di resti di Zeredo avvalorerebbe tale supposizione, bisogna sempre ammettere la presenza nor lontana di una terra di notevoli proporzioni perchè avesse avuti fiumi di corsi e di portata non indifferenti. 1) MorENA T. Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centrale. Boll. della Soc. geol. ital., vol. XVIII, pag. 477. Roma, 1899. 2 Un braccio marino corrisponde a m. 1, 8287. 3) CANAVARI I. Analisi chimica dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. Atti Soc. tosc. Sc. nat. Proc. verb., vol. XIX, adunanza del 3 luglio 1910. Pisa, 1910. 4 Si veda in proposito: JoHn MURRAY et A. F. ReNnARD. Notice expl. de la carte des sédiments de mer profonde. Bull. Soc. belge de géol., de paléont. et d’ hydrol., année 1893, vol. VII, pag. 118 e seg. Bruxelles, 1893-1894. . [5] I. CANAVARI '(5 Nell’Appennino, tra Napoli e Foggia, il SALmosraGHI ascrisse al miocene aleune puddinghe contenenti ciottoli erratici di granito che, secondo lui, proverrebbero da un’ area granitica o gneissica situata verso Ovest, che avrebbe dato pure il materiale per la formazione arenacea di quel tratto montuoso !. Il SALMOJRAGHI stesso, in un successivo lavoro sul calcare miocenico di S. Marino, arriva alla con- clusione che i minerali di roccie cristalline inclusi nelle formazioni calcaree mioceniche del versante orientale dell'Appennino, possono, per la loro associazione, discordante dalla litologia delle Alpi, rife- rirsi ad un massiccio scomparso ”). Ulteriori studi ed una più larga messe di osservazioni potranno concorrere a dilucidare l’ importante problema che con i nuovi dati da me raccolti torna a richiamare l’attenzione dei competenti geologi. Come ho detto già non si vede presso le cave del calcare marnoso da cemento di Fabriano il ter- reno sottogiacente. Se però si volesse istituire qualche confronto, allargando il campo di ricerca, sì po- trebbe ricordare che una formazione completamente identica e con i medesimi fossili di quelli delle cave suddette si manifesta quasi senza interruzione lungo le pendici orientali di tutto l'Appennino centrale. Alle Caselle presso Camerino, e al Ponte dei Canti sulla sinistra del fiume Potenza presso S. Severino-Marche, le due località che io ho avuto occasione di meglio visitare, appaiono marne grigie litologicamente e faunisticamente identiche a quelle di Fabriano, e come in queste cavate per fare cementi e calci idrau- liche. In ambedue queste località tali marne grigie, costituite prevalentemente di foraminifere, passano gradatamente, mercè una scaglia grigia e talvolta aciculare, alla Scaglia rossa, che molti hanno creduto di età senoniana, e ciò senza nessuna apparente interruzione stratigrafica. Uscirei dal campo limitato che mi sono proposto se dovessi entrare nella discussione relativa alla probabile età della parte superiore, almeno, dell’anzidetta Scaglia. Basterà solo qui ricordare che se la fauna che io descrivo è, come credo, effettivamente non più antica del miocene, è probabilissimo, se non certo, che debba essere ringiovanita assai l’età della Scaglia rossa, come del resto aveva già fatto no- tare M. CANAVARI °). i Pertanto, quantunque nella piccola zona del Fabrianese, dove sono le cave del calcare marnoso da cemento non si vegga la roccia sottogiacente, che affiora per altro un poco più lontano, certamente dob- biamo ritenere che essa debba essere del tutto simile se non identica a quella del Camerinese e del Sanseverinate. Intorno alla età più probabile della fauna raccolta, io parlerò da ultimo, dopo di averla descritta, limitandomi ora a richiamare quanto ‘in proposito scrissero il Simonetti ‘ il De AnGELIS D'Ossar ® e il Luzi ed il Sacco 9. i i) Sarmosragni F. Alcuni appunti geologici sull'Appennino fra Napoli e Foggia. Boll. Com. geol., vol. XII, pag. 216. Roma, 1881. ® SaLmoJRAGHI F. Osservazioni mineralogiche sul calcare miocenico di S. Marino (M. Titano) con riferimento all'ipotesi dell’Adria, alla provenienza delle sabbie adriatiche. Rendiconti del R. Ist. lomb. di Sc. e Lett., serie II, vol. XXXVI, pag. 737. Milano, 1903. — In. Un’ aggiunta alla composizione mineralogica del calcare di S. Marino e della Verna. Atti Soc. ital. Se. nat., vol. XLVIII, pag. 312. Pavia, 1910. 3 CanavarI M. I Terreni del terziario inferiore e quelli della Creta sup. nell'Appennino centrale. Atti Soc. tosc. Sc. nat. Proc. verb., vol. VII, pag. 158. Pisa, 1892; — In. Ancora su l’eocenicità della parte superiore della Scaglia nell’ App. centr. Ibid., vol. IX, pag. 43. Pisa, 1894. 4 SimoneLni V. Sopra la fauna del così detto « Schlier » nel bolognese e nell’ anconitano. Atti Soc. tose. Se. nat. Memorie, vol. XII, pag. 37-46. Pisa, 1893. 5) De AnGrLIS D'Ossar G. e Luzi G. V. I fossili dello « Schlier » di Sanseverino (Marche). Boll. Soc. geol. ital., vol. XVI, pag. 61. Roma, 1897. 8) Sacco F. La questione eo-miocenica dell’ Appennino. Boll. Soc. geol. ital., vol. XXV, pag. 65. Roma, 1906. 76 I. CANAVARI [6] Giova solo avvertire che questa fauna, a mio parere, merita un’ ampia descrizione ed illustrazione, in quanto che sono ben pochi gli autori che di essa si sono occupati. Alcuni si limitarono a semplici cataloghi illustrativi, altri non figurarono che singole specie. Siccome potranno certo sorgere discussioni intorno al valore cronologico della fauna anzidetta che in una regione notevolissima dell'Appennino si manifesta sempre con caratteri costanti, mi è sembrato lavoro non inutile quello che mi sono proposto. Prima di chiudere questa breve introduzione, io ho il dovere di ringraziare vivamente il prof. Au6usTO ZoxeHI di Fabriano, la ditta BeLLoccHI e PecORELLI, ed il sig. MANNUCCI, mercè la cui cooperazione ebbi la ricca fauna, oggetto di questo lavoro, ed i professori Fucini e UgoLINI, Aiuti nel gabinetto di Geo- logia dell’ Università pisana, ai quali spesso ricorsi per aver lumi e consigli, sempre necessari per chi è all’inizio della sua modesta carriera scientifica. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Organismi problematici. Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldii Sacco. — Tav. VII [I], fig. 1,2; Tav. VIII [II], fig. 1,2; Tav. IX [HI], fig. 1,2. 1866. cfr. Zoophycos sp. GastanpI B. Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana. Mem. R. Ace. È d. Sc. di Torino, ser. II, t. XXIV, pag. 40, tav. VI, fig. 8. 1886. cfr. Zoophycos Gastaldi Sacco. Intorno ad aleune impronte organiche dei terreni terziari del Piemonte. Atti R. Acc. d. Sc. di Torino, vol. XXI, pag. 19 dell’estratto. 1888. cfr. _ _ — Note di Paleoicnologia italiana. Atti Soc. ital. di Sc. nat., vol. XXXI, pag. 185, tav. I, fig. 12. To credo opportuno di descrivere separatamente i sei esemplari di Zoophycos trovati nelle marne da cemento di Fabriano. Fs. n.° 1 (Tav. VII [I], fi. 1a, 6). — Il bell’esemplare figurato quasi in grandezza naturale, a giudicare da quanto è conservato, doveva avere un diametro di circa cm. 50. La lamina spirale, fortemente pedun- colata e spiccatamente imbutiforme, è divisa radialmente mercè coste che si seguono a gradino come se la lamina stessa si fosse svolta in elementi uno sovrapposto all’altro, a guisa delle stecche di un ventaglio. La parte conservata ha dieci coste; un giro completo della spira ne doveva avere forse una ventina. La superficie è qua e là macchiata in giallo da idrossido di ferro il quale penetra anche dentro la massa della lamina stessa. Verso la periferia gli ampi spazi intercostali raggiungono la larghezza di circa 4 cm.; la loro superficie è ornata da rughe più o meno irregolari con andamento in generale convesso, ma sempre più inclinato a mano a mano che la lamina si accresceva. La lamina stessa, presso il peduncolo, che è distante dal margine esterno e nella direzione della perpendicolare di quasi cm. 12, ha uno spessore di circa cm. 1; si assottiglia poi gradatamente verso la periferia, dove scende ad appena cm. 0,5. Se il peduncolo era in origine rivolto in basso, come si ritiene da molti, la parte visibile rappresenterebbe la pagina inferiore della lamina, la quale, dalla parte destra di chi guarda l’esemplare, è stata in parte asportata cosicchè si vedono nella roccia le impressioni della tira] I. CANAVARI 17 superficie superiore imbutiforme con tracce di ornamenti simili a quelli descritti, ma naturalmente rap- presentati in senso inverso. Da un frammeto di lamina staccato presso il peduncolo è stata eseguita una sezione sottile, condotta nella direzione tangenziale. Osservata al microscopio, quantunque un poco meno frequenti, si osservano gli stessi residui di foraminifere che appaiono nelle sezioni della roccia. La figura 1% della Tav. VII [I] è la microfotografia della sezione in discussione. Nessuna traccia essa presenta di struttura speciale e par- rebbe quindi che si trattasse di vuoti riempiti dagli elementi stessi che costituiscono la massa involgente. La sezione della lamina alla periferia, come si vede nella rottura, sembra costituita di un tessuto vesci- colare o spugnoso; quando si osservi però con una lente d’ingrandimento si constata che i piccoli vuoti sono dovuti agli spazi lasciati dalle piccole foraminifere cadute; mentre poi altre evidenti sono rimaste in posto. } Es. n.° 2 (Tav. IX [III], fig. 1). — Questo esemplare, che è figurato in grandezza naturale, rappresenta una porzione della lamina appartenente forse ai giri inferiori, in quanto che il suo spessore, là dove dovrebbe esser maggiore, arriva appena a mm. 4. La lamina si vede dalla pagina superiore, ha forma ad imbuto, ed è simile a quella del primo esemplare; diversifica solo un poco per un maggior numero di rilievi costali. Es. n.° 3 (Tav. VII [I], fig. 2). — È un frammento di giro, conservato in impronta, senza la spiccata forma ad imbuto. Sono evidenti quattro solchi radiali, corrispondenti alle coste, e le ornamentazioni della superficie appaiono un poco più diritte di quelle osservate sul primo esemplare. Es. n.° 4 (Tav. IX [III], fig. 2). — In questo frammento, del pari figurato, si vede una parte su- perficiale di lamina e la sezione dello spessore spicca dalla roccia per una colorazione più chiara. In tale sezione si vedono degli andamenti in curva, individuati da diversa colorazione della roccia. La conves- sità è rivolta verso l'interno. ; Ho fatta eseguire una sezione sottile secondo lo spessore della lamina. Ad occhio nudo esso spessore si riconosce subito per una colorazione più chiara; la massa rocciosa laterale è grigio giallognola. La stessa divisione di colore appare al microscopio; ma la lamina e la roccia limitrofa risultano costituite dalla solita congerie di piccole foraminifere, con prevalenza di globigerine, come è dimostrato dalla mi- crofotografia di tale esemplare rappresentato dalla fig. 20 della Tav. IX [III]. Anche qui, perciò, non si osserva nessuna struttura speciale, nessuna traccia carboniosa, e lo spessore della lamina risulta di un riem- pimento degli stessi elementi componenti la roccia. Es. n.° 5 (Tav. VIN [II], fig. 1). — Questo frammento, figurato in grandezza naturale, ha, come il pre- cedente del n.° 3, poco manifesta la forma ad imbuto. Manca la lamina e si ha solo l’impronta della su- perficie; quindi le costole radiali sono rappresentate in solchi. Tali coste appaiono così numerose come quelle dell'esemplare del ricordato n.° 3. Es. n.° 6 (Tav. VIII [II], fig. 2). — Questo grande frammento è figurato in grandezza naturale. Rap- presenta l’impronta di un pezzo di lamina spirale che sembra quasi piana. Si vedono quattro solchi radiali incompletamente conservati; verso la periferia pare che la lamina tenda a digitarsi. Gli ornamenti superficiali sono molto variabili. Mentre in una porzione compresa fra due solchi si hanno rughe gros- solane, convesse, con la convessità rivolta verso la periferia, nell'altra porzione limitrofa le rughe sono più indecise e molto più inclinate, come quelle del primo esemplare. Ho voluto diffondermi un poco nella descrizione di questi esemplari, perchè essi si riferiscono ad un soggetto che è sempre campo di discussioni e di dubbi. 78 I. CANAVARI |8I Alcuni eminenti scienziati, come il NArHoRsT ed il Fucgs, ritengono che tali forme ed altre consi- mili che con poche variazioni esterne dal siluriano inferiore si continuano fino al pliocene, non sono altro che gallerie scavate da animali nelle grandi profondità marine, successivamente poi riempite da deposi- zioni varie; oppure tracce dovute a movimenti delle acque. Altri invece, come il MassaLonco, lo ScHimPER, lo SquinABOL, l’ARCANGELI, credono che si tratti di residui effettivamente organici, appartenenti al regno vegetale, e più propriamente alle Alghe. Chi volesse avere ampie notizie bibliografiche in proposito, potrebbe con profitto ricorrere alla pre- gevole pubblicazione del dott. LeoPorpo BARSANTI !. To mi limito ad avvertire che la lamina svolgentesi a spira di tali alghe, se così debbono effetti- vamente ritenersi, pur essendo assai spessa e di natura direi coriacea, avrebbe dovuto mantenersi nella sua posizione originaria per un tempo forse lunghissimo e in modo da non subire alcuna alterazione. La natura della roccia, infatti, che racchiude i miei fossili, è, come si è detto, quella di un fango con globi- gerine, e noi sappiamo che nell’Oceano attuale tali fanghi non si accumulano che con straordinaria lentezza. Ricordo poi che nessuna tessitura speciale si osserva nello spessore delle lamine che sono costituite degli stessi elementi della roccia. Detto ciò, io non ho nè competenza, nè dati sufficienti per poter esprimere un'opinione personale. Gli esemplari dei n.ì 1,2, 3, per il loro carattere imbutiforme e per le coste radiali, ricordano la specie miocenica raccolta dal GasraLpi nelle marne superiori del miocene medio della Collina di Torino ? e da lui descritta e figurata senza nome. Il GastALDI notava pure che in tali ZoopRycos non vi era che “ un’im- pronta dello stesso colore della roccia, cioè a dire cinereo ,. La stessa specie fu poi chiamata dal Sacco ® Zoophycos Gastaldii. La nostra specie diversificherebbe solo per un minor numero di costole e nervature radiali. L’esemplare, però, della fig. 1 (Tav. IX [III]), che rappresenta una porzione centrale imbuti- forme di una delle fronde inferiori, ha un numero di coste radiali che si avvicina a quello della specie descritta dal GASTALDI. Il frammento del n.° 4, quantunque non abbia evidente il carattere della forma ad imbuto, credo che sia specificamente identico ai precedenti ricordati. Anche il frammento del n.° 5 sembra appiattito, e se non fosse tale carattere, esso sarebbe quello che maggiormente si avvicina allo Z. Gastaldiî Sacco. Trattandosi di fossili molto variabili, io credo che gli esemplari descritti sieno tutti da riunirsi in una sola specie che molto probabilmente corrisponde a quella descritta per la prima volta dal GasTALDI. La diversità degli ornamenti avvertita nell’esemplare n.° 6, si osserva anche nel primo esemplare meglio conservato. L’apparenza appiattita, e non a imbuto, del ricordato esemplare n.° 6, si deve forse a deformazione; fenomeno questo assai frequente nella fauna esaminata. Si noti infine che la specie indicata dal suo scopritore propria del miocene medio, fu trovata poi dal Sacco più precisamente nel langhiano passante ad aquitaniano. Zoophycos (?) ultimus Saporrta. — Tav. IX [III], fig. 3. Frammento isolato di ramoscello cilindroide, della lunghezza di cm.7, e figurato in grandezza natu- rale. La superficie è ornata di costicine ondulose longitudinali, simili a quelle che ‘si osservano nei corpi conici successivamente descritti con il nome di Sporgeliomorpha (2). 1) BAR-ANTI. Considerazioni sopra il gen. Zoophycos. Atti Soc. tose. Se. nat. Memorie, vol. XVIII, pag. 68. Pisa, 1901. ? GastaLpI B. Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana. Memorie della R. Acc. d. Se. di Torino, ser. II, t. XXIV, pag. 40, tav. VI, fig. 8. Torino, 1866. 3) Op. cit. in sinonimia. [9] I. CANAVARI 79 Consimili corpi, raccolti nel miocene superiore di Aleoy, furono descritti da SaPortA! riferendoli al genere Zaonurus; secondo FucHs? sarebbero veri e propri RWizocorallium. Spongeliomorpha ? — Tav. VIII [II], fig. 3. Tra i corpi problematici che si tr'ovano nella fauna esaminata, oltre agli ZoopRycos precedentemente descritti, meritano speciale ricordo quelli che presentano una forma irregolarmente conico-depressa, a guisa di frammenti di corna di cervi, con la superficie coperta da costicine sinuose, talvolta riunite e anastomizzate, disposte generalmente nella direzione longitudinale. Tali corpi ricordano quelli trovati dal ViLaNovA, precisamente presso Aleoy nella provincia di Alicante, e descritti dal SaPorta sotto il nome di Sporgeliomorpha iberica, ed avvicinati pertanto a Fibrospongiari, della categoria delle Halicondriee *). L’esemplare figurato in grandezza naturale ha le seguenti misure: Lunghezza . 6 5 7 0 6 mm. 100 Diametro massimo alla base . ò A 5 3 ; » 25 » minimo » ò 6 È 5 G É »Ù 16 Cylindrites? — Tav. IX [II], fig. 4. Corpi cilindrici, semplici o dicotomi, molto allungati, del diametro anche di cm. 5, con superficie liscia o scabrosa e con rare costicine longitudinali ed irregolari, o con rughe concentriche simili a quelle dei ramoscelli degli Spirophyton. È Ricordano per la forma quei corpi dragati nel mediterraneo orientale alla profondità di 805-3310 metri, nella regione dei fanghi con globigerine e con pteropodi ®. L’esemplare, figurato in grandezza naturale, è dicotomo ed appare liscio alla superficie. Corpi simili a Fucoidi. Notiamo da ultimo alcune forme cilindriche sottili, con un lume di mm. 1-2 che attraversano talvolta la roccia, in special modo nella cava MaANNUCCI ecc., in tutte le direzioni, e che spiccano dalla roccia medesima per una colorazione più chiara. Quando la frattura corrisponde alla direzione dei cilindretti, questi appaiono anastomizzati e del tutto simili a forme descritte come ucoidì. Tutti i corpi descritti appartengono a quegli organismi problematici degli antichi mari, sui quali ancora si discute, chi opinando trattarsi di vegetali, chi di impronte fisiologiche di animali. 1) SaporTA. Nouveaux documents relatifs aux organismes problématiques des anciennes mers. Bull. Soc. géol. de France, 3.° sér., vol. XV, pag. 298. Paris, 1887. 2 FucHs. Studien tiber Fucoiden und Hyeroglyphen. Denkschr. math.-naturw. CI. der k. Ak. d. Wiss., pag. 417 [49]. Wien, 1895. 3) SAPORTA. Op. cit., pag. 298. 4 FucHs. Weber einige von der vsterr. Tiefsee. Exp. S. M. Schiffes « Pola» in bedeut. tiefen gedr. Cylintrites- “ahnl. Kérpers ece. Denkschr. d. math.-naturw. Cl. d. k. Ak. d. Wiss. Wien, 1894; — Inrm. Studien ber Fucoiden und Hyeroglyphen. L. cit. Wien, 1895. . 80 I. CANAVARI [10] Foraminifera. I residui di questi organismi sono, come abbiamo veduto, frequentissimi. Le microfotografie rappre- sentate con le fig. 1-3 della Tav. X [IV], dimostrano la nostra asserzione. Riducendo in sottilissima polvere alcuni pezzettini di roccia ed una parte del pulviscolo raccolto presso la cava BeLLoccHi e PecorELLI ho isolato parecchie forme di piccolissime dimensioni. La conservazione degli esemplari non è certo molto buona, e perciò, per il fatto della loro piccolezza, ne risulta difficilis- simo lo studio. Veduti al. microscopio con luce riflessa o con luce trasparente indecisi apparivano i ca- ratteri interni. Immergendo gli esemplari stessi nel xilolo presentavano, in moltissimi casi, evidenti il guscio e le lamine interne. In tal modo sono riuscito a poter determinare alcuni generi, e le mie deter- minazioni sono state benevolmente esaminate dall’eminente cultore di consimili studi, dott. CARLO FORNASINI. Certo con ulteriori e più minuziose ricerche, si potrà forse isolare una microfauna più ricca di quella da me studiata. Il saggio che io oggi presento, ha solo lo scopo di richiamare su di essa Il’ attenzione degli specialisti. - Gen. Nodosaria Laimarck, 1816. Nodosaria sp. aff. N. ovicula p’ Or. — Tav. X [IV], fig. 4. Nella microfauna fabrianese il genere Nodosaria è rappresentato da pochi ed incompleti esemplari. Quello figurato è leggermente curvato; la sua lunghezza massima raggiunge mm. 0,910 e la sua massima larghezza mm. 0,098. Si hanno otto loggie allungate, lisce, delle quali l’ ultima è rotta; della prima e di un frammento della seguente è rimasta solo l'impressione nella roccia. È forma intermedia, sebbene di dimensioni più piccole, tra la Nod. ovicula D’ORB. e la Nod. far- cimen Soup. Dalla prima si distingue per le logge meno allungate, e dalla seconda per le logge un poco più allungate e per la conchiglia più eretta. Le stesse differenze si notano per la forma delle logge e per la piccolezza dell’ esemplare con quell’individuo di Nodosaria farcimen Sotp., descritto e figurato come tale da Rurus M. BaGG e proveniente dalle marne mioceniche di Monterey in California ®. La nostra specie somiglia anche, per l’insieme dei caratteri esterni, alla Dentalina Reitzì Hawk. ?) Nodosaria sp. aff. N. ambigua Nrurs. — Tav. X [IV], fig. 5. Un’ altra specie di Nodosaria si distingue benissimo dalla precedente per la forma delle logge assai più arrotondate. L’esemplare figurato, su di una larghezza di circa mm. 2, risulta di tre logge disposte in una linea leggermente curvata. Esse sono liscie e piuttosto tozze; l’ultima poi è alquanto rimpicciolita alla sommità ove, in una specie di depressione circolare apicale, si vede una piccolissima apertura. La specie è grandemente affine alla Nod. ambigua NEUGEBOREN (= Nod. subaequalis Costa) così come fu fisurata dal FoRNASINI 5). i Bag Rurus MATHER jr. Miocene Foraminifera from the Monterey Shale of California. United St. geol. Survey. Bull. n.° 268, pag. 30, tav. V, fig. 6. Washington, 1905. ? HAnmKEN. Die Fauna der Clavulina Szabdi-Schichten. Mittheil. Jahrb. d. k. ung. geol. Anst., vol. IV, pag. 33, tav. XIII, fig. 6. Budapest, 1875. 3) FORNASINI. Contributo alla conoscenza della microfauna terziaria italiana. Mem. d. R. Acc, di Sc. dell’ Ist. di Bologna, ser. V, t. IV, tav. I, fig. 2. Bologna, 1894. [11] I. CANAVARI 81 x Questa forma è pure vicina alla Nodosaria communis D'ORrB. sp. del miocene di California !). In riguardo alla sinonimia di questa specie, si veda quanto scrisse il SiuvestRrI nel capitolo Nod. ra- dicula L. var. subaequalis Costa ?). Gen. Vaginulina p’OrkIGNY, 1826. Vaginulina legumen Linneo sp. — Tav. X [IV], fig. 6. 1758. Nautilus legumen Linneo. Syst. Nat., 10.% ediz., pag. 711, n.° 248. 1091. —_ (Orthoceras) leguminiformis Barsca. Conchyl. des Seelandes, n.° 8, tav. III, fig. Sa. 1826. Vaginulina legumen D’ OrBIenv. Ann. Sc. nat., vol. VII, pag. 257, n.° 2. 1884. _ — Brapy. Report Foram. Challenger ecc., pag. 530, tav. LXVI, fig. 13-15. 1886. _ —_ FornasinI. Il Nautilus legumen di Linneo e la Vaginulina elegans di D’ORBIGNY. Boll. Soc. geol. ital., vol. V, pag. 25, tav. I, fig. 1-11. 1892. —_ — Maracopi. Foraminiferi plioc. di Paullo nell’ Appennino modenese. Atti Soc. dei Natur. di Modena, ser. III, vol. X, anno XXVI, pag. 87. 1902. — — Fornasmni. Sinossi metodica dei foraminiferi sin qui rinvenuti nella sabbia del lido di Rimini. Mem. R. Acc. d. Sc. dell'Istituto di Bologna, ser. V, t. X, pag. 38 (cum syn.). L’unico esemplare assai ben conservato che riferisco a questa specie, misura la lunghezza di mm. 3,5 e la larghezza massima nell’ultima loggia, di mm. 0, 4. La piccola conchiglia è compressa, leggermente carenata. Si contano sulla superficie 11 costicine in- clinate verso la parte carenata, ove gradatamente svaniscono. Esaminata immersa nel xilolo, o per riflessione o per trasparenza, si vedono manifesti i setti interni, che appaiono bianchi in corrispondenza delle costicine. La Vaginulina legumen è specie cosmopolita che, secondo il Brapy, persistè dal Trias fino all’attualità. Gen. Cristellaria LAMARCK, 1816. Cristellaria sp. — Tav. X [IV], fig. 7. Piccola Cristellaria gibbosa con l’ultimo giro ricoprente i precedenti; massimo diametro mm. 0, 336, spessore mm. 0, 180. Si vedono da ambedue le faccie e per trasparenza, sette setti radiali. Veduta nell’aspetto marginale, appare evidente la sua gibbosità; nulla però si vede dell’apertura. Senza poterla determinare specificamente, dirò solo ch’essa è del tipo della Cr. rotulata LmE., da cui diversifica per il minor numero delle logge e per una maggiore rotondità nell'aspetto marginale, e si avvicina anche per il numero dei setti alla forma americana (California) della Cr. sassis FIcHT. et; MoLL sp. 3) i) Bag Rurus M. jr. Miocene Foraminifera ecc. I. icit., pag. 29, tav. Vi, fig. 2. 2 SiuvestrI A. Foraminiferi pliocenici della prov. di Siena. Mem. della pontif. Acc. d. Nuovi Lincei, vol. XII, pag. 130, tav. III, fig. 14. Roma, 1896. 3) BaG@ Rurus M. jr. Miocene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 35, tav. VI, fig. 2. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. pui 82 I. CANAVARI [12] Gen. Polymorphina D’OrBIGNY, 1826. Polymorphina sp. — Tav. X [IV], fig. 8. La piccola foraminifera riferita a questo genere ha le seguenti misure: Lunghezza . o \ c " : mm. 547 Spessore . , 0 È 4 A » 251 La conchiglia è di forma ovoide allungata, con la superficie liscia. Si vedono anche per trasparenza i setti interni che la dividono in 5 loggie alternanti. Non saprei trovare altra somiglianza che con la Polymorphina ovata ’ OrB., da cui però diversifica per la forma molto più allungata. Non si vedono nè le perforazioni, nè alcun indizio dell’ apertura. Gen. Globigerina D’ORBIGNY, 1826. Globigerina bulloides n’ Or8. — Tav. X [IV], fig. 9. 1826. Globigerina bulloides D° OrBIGNY. Ann. Sc. nat., vol. VII, pag. 277, n.° 1. 1884. —_ —_ Brapy. Report Foram. Challenger ecc. pag. 593, tav. LXXVII, LXXTX, fig. 3-7 (cum syn.). 1892. — — Corti. Moraminiferi e diatomee fossili del plioc. di Castenedolo. Rendic, R. Ist. Tomb., ser. II, vol. XXV, pag. 13. 1897. —_ — De AnerLis D’Ossat e Luzi. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche). Boll. Soc. geol. ital., vol. XVI, pag. 67. i 1899. _ —_ FornasinI. Globigerine adriatiche. Mem. dell’ Acc. d. Sc. d. Ist. di Bologna, vol. VII, pag. 7 (cum syn.). 1899. — - Siuvestri. Foramviniferi plioc. d. prov. di Siena, parte II. Mem. d. pontif. Acc. d. Nuovi Lincei, vol. XV, pag. 245. 1905. — — Bace. Miocene Foraminifera from the Monterey Shale of California. Unit. St. Geol. Survey. Bull. n.° 268, pag. 41, tav. VII, fig. 7. Questa specie è certamente una delle più frequenti del calcare marnoso del Fabrianese. La roccia è principalmente costituita di Globigerine tra le quali predomina questa specie, come si vede dalle microfotografie riprodotte nella Tav. X [IV], con le fig. 1-3. Generalmente i nostri esemplari sono piccolissimi e solo di qualche decimillimetro di diametro. Dò la figura di uno degli esemplari esaminati, veduto da una sola parte e che sembra essere alquanto deformato. L'ampiezza massima di questo esemplare è di mm. 0, 280. Sulla superficie delle loggie sono qua e là evidentissime le minute perforazioni pseudopoidali. ‘Tra le molte Globigerine che si vedono nelle sezioni microscopiche della roccia forse alcune appar- tengono alla specie triloba REUSS, ma ciò non può asserirsi perchè mancano i caratteri relativi ai due orifici nell’ultima camera, propri di questa specie. Come è noto, la Globigerina bulloides è una specie cosmopolita che cominciò a apparire nel periodo cretaceo. [13] I. CANAVARI 83 Gen. Orbulina D’ORBIGnY, 1839. Orbulina universa n’ Ore. — Tav. X |IV], fig. 10-13. 1839. Orbulina universa D’ OrBIenY. Foram. Cuba, pag. 3, tav. I, fig. 1. 1884. _ —_ Brapy. Report Foram. Challenger ecc., pag. 608, tav. LXXVIII; tav. LXXXI, fig. 8-26; tav. LXXXII, fig. 1-3. 1897. — _ De AngeLIs D'Ossar e Luzy. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 67. 1899. - — Fornasini. G/obigerine adriatiche. L. cit., pag. 12, fig. 7-12 (cum syn.). 1899. _ — Siuvestri. Foram. plioc. d. prov. di Stena, parte II. L. cit., pag. 266, tav. 10, fig. 11-16, 19-22; tav. 11, fig. 1. 1905. — —_ Bac. Miocene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 43, tav. VIII, fig. 3. Ho isolato parecchi esemplari di questa specie appartenenti alle varie forme descritte dagli Autori. La forma tubercolata è la più comune e di questa dò una figura rilevata con la camera chiara (Tav. X [IV], fig. 10). Essa misura il diametro di mm. 3, 350. Gli altri esemplari di questa forma, di poco sorpassano questa misura. La forma biloculare è meno frequente. Di questa dò le figure, rilevate con lo stesso sistema, di due esemplari, uno dei quali presenta la lunghezza massima di mm. 0, 364 e l’altro di mm. 0, 560, che ri- cordano le forme consimili adriatiche figurate dal dott. FoRNASINI, nell’opera citata in sinonimia. L’esemplare della fig. 11 (Tav. X [IV ]) corrisponde alla Globigerina bilobata D’ORB. del miocene della California ”. Nell’esemplare maggiore, in alcune parti della superficie della loggia più grande, si vedono anche le perforazioni del guscio. L’esemplare della fig. 13 (Tav. X [IV]), che dubbiosamente si riferisce alla stessa specie e che ha il massimo diametro di mm. 0, 448, appartiene alla forma triloculare. Su queste differenti forme di Ordulina si vegga quanto scrissero il CARPENTER, il FoRNASINI ed il BRADY. L’Orbulina universa, come asserisce BBADY, è una delle più comuni specie pelagiche di foraminifere; essa comparve già sino dai tempi liassici. Gen. Pullenia ParkER et Jones, 1865. Pullenia sphaeroides p’ Or. sp. — Tav. X [IV], fig. 14. 1826. Norionina sphaeroides D° OrBIGnv. Ann. Sc. nat., vol. VII, pag. 293, n.° 1, Mod. n.° 43, 1884. Pullenia sphaeroides D’ OrB. sp. Brapyv. Report Foram. Challenger ecc., pag. 615, tav. LXXXIV, fig. 12, 13 (cum syn.). 1894. — — — — Fornasimi. Foram. collex. SoLpANI, pag. 17, n.° LXVII. 1899. = = — — Smvesrri. Foram. plioc. d. prov. di Siena, parte II. L. cit., pag. 275. 1905. _ —_ — — Bacca. Miocene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 44, tav. VIII, fig. 4. 1) BaGG Rurus M. jr. Miocene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 42, tav. VII, fig. 8. 84 I. CANAVARI [14] Riferisco a questa specie il piccolo esemplare della fig. 14 (Tav. X|IV]), che misura nel diametro mm. 0,244 e nello spessore mm. 0, 194. Esso ha una forma globulare leggermente compressa, completamente liscia; si vede soltanto l’ultima convoluzione, senza però indizio dei quattro segmenti che dovettero nor- malmente trovarsi in essa. Con l’immersione nel xilolo, appare indistintamente l’apertura boccale, di forma semilunare. Anche questa specie, come è noto, è quasi cosmopolita e la sua distribuzione batimetrica è compresa fra la zona delle laminarie e 2750 braccia marine; ma è rara alle profondità minori alle 300 braccia. La Pullenia sphacroides comparve nel Cretaceo e si trova abbastanza frequente in tutta la serie dei terreni successivi. Gen. Sphaeroidina D’OrBIenY, 1826. Sphaeroidina bulloides n’ Org. — Tav. X [IV], fig. 15. 1826. Sphaeroidina bulloides p° OrBiGnv. Ann. Sc: nat., vol. VII, pag. 277, n.9 1, Mod. n.° 65. 1884. —_ —_ Brapy. Report Foram. Challenger ecc., pag. 620, tav. LXX.XIV, fig. 1-7 (cum syn.). 1894. _ _ Fornasini. Foram. collex. SoLDANI, pag. 17, n.° 67. 1899. - — SiuvestrI. FPoram. mlioc. d. prov. di Siena, parte II. L. cit., pag. 268. L’esemplare figurato misura nel diametro massimo mm. 0, 420. È di forma globulare e simile a quella rappresentata dalla fig. 1 della tav. LXXXIV. della grande opera del Brapy. La superficie appare liscia e le minutissime perforazioni pseudopoidali proprie di questa specie, non si vedono neppure con l’im- mersione nel xilolo. La Sphaeroidina bulloides D’ ORB. è stata citata fossile in vari piani del terziario. Essa vive attual- mente su di una grande area geografica, con una distribuzione batimetrica molto ampia. Gen. Truncatulina D’OrBIGNY, 1826. Truncatulina sp. — Tav. X[IV]. fig.16, 17. Due esemplari di Zruncatulina, appartenenti alla stessa specie, sono quelli delle fig. 16, 17, Tav.X [IV]. Il minore di questi esemplari ha il diametro di mm. 0, 532; di esso non è data la figura dell’aspetto marginale che risulta completamente identico a quello dell’esemplare maggiore. Questo misura un dia- metro di mm. 0, 686 ed uno spessore di mm. 0, 324. Ambedue sono biconvessi, l’aspetto superiore però è più gibboso e meno arrotondato di quello inferiore. I giri che si svolgono nell’aspetto spirale da si- nistra a destra si rendono visibili col solito processo dell’immersione nel xilolo; essi si accrescono len- tamente; quelli interni però non sono ben visibili. Le pareti settali appaiono nell’ultimo giro e qua e là indistintamente nei giri precedenti. Nell’aspetto inferiore i setti sono arcuati e convergenti verso il centro. Nessun indizio dell’apertura è manifesto, nè si vedono le perforazioni pseudopoidali della conchiglia. La piccolezza degli esemplari e l’insufficiente conservazione, non permettono una determinazione sicura. Tuttavia osservo che per la forma generale essi sono vicinissimi alla rune. spirata, specie citata nel miocene di Calabria e di Sicilia, e nel pliocene di Calabria e del bolognese ”. Una qualche somiglianza 1) SEGUENZA G. Le formaz. terziarie nella prov. di Reggio-Calabria. Atti R. Ace. d. Lincei, serie III. Mem. d. C1. di Sc. fis. mat. e nat., vol. VI, pag. 91, 149, 228, 309, tav. XIV, fig. 4. Roma, 1880.; — FornasINI C. Indice ragionato delle Rotaline fossili d’ Italia. Mem. d. R. Ace. d. Se. d. Ist. di Bologna, ser. V, t. VII, pag. 279. Bo- logna, 1898. {15] I. CANAVARI 85 presentano ancora con la Zrunc. propînqua Reuss sp., figurata dal HANTKEN; ma da questa diversifica certamente per la configurazione dell’aspetto marginale ”. Sembra invece assai più vicina, tanto per l’aspetto spirale, quanto per quello ombelicale, all’esemplare della specie reussiana, raccolta nelle sabbie di Cassel ?). Truncatulina sp. cfr. Tr. vortex Sec. — Tav. X [IV], fig. 18. cfr. 1880. Truncatulina vortex Secuenza. Le formax. terziarie nella prov. di Reggio Calabria. Atti R. Acc. d. Lincei. Memorie, ser. III, vol. VI, pag. 91, tav. IX, fig. 8. Piccola conchigliuola del diametro di mm. 0,308 e dello spessore di 0,077. Si vedono benissimo con l’immersione nel xilolo i setti convessi anteriormente e in numero di 10 nell'ultimo giro della parte inferiore o gibbosa. Dalla parte superiore, pochissimo convessa, si manifestano 3 giri ad accrescimento piuttosto lento. Per la forma esteriore, per l'andamento dei setti e per il margine assottigliato ed acuto, la specie fabrianese si avvicina molto alla Zrune. vortex SEG., trovata nel miocene di Calabria e di Sicilia e nel pliocene di Calabria e del bolognese ®. Diversifica però per la minore convessità dell’aspetto inferiore. Dalla rune. Dutemplei D’OrB. si distingue poi per il diverso svolgimento della spira, e per lo stesso carattere diversifica dalla Zrunc. pygmaca HANtK. 4) Truncatulina sp. — Tav. X [IV], fig. 19. Piccola conchiglia discoidale del diametro di circa mm. 0, 600 e dello spessore di mm. 0, 28; assai più convessa dalla parte inferiore (Tav. X [IV], fig. 19 6) che non dalla superiore, come risulta anche dalla figura dell’aspetto periferico. I setti sono visibili per trasparenza e con l'immersione nel xilolo. In cor- rispondenza di essi si presentano manifesti strozzamenti. La superficie della conchigliuola è liscia. Nessuna traccia è evidente dell’ apertura. Lo svolgimento della spira è sinistrorso, come quello della Zrunc. budensis HantK., con la quale ha qualche lontana somiglianza. La nostra specie è del tipo della Zrunc. lobatula WALKER et JAacos® che è una delle Rotaline più diffuse dal miocene all’attualità. Gen. Anomalina D'ORBIGNY, 1826. Anomalina sp. cfr. A. ammonoides Reuss sp. — Tav. X [IV], fig. 20. 1845. Rotalina ammonoides Reuss. Versi. bohm. Kreide, p.I, pag. 36, tav. XIII, fig. 66; tav. VIII, fig. 53. 1884. Anomalina ammonoides Reuss sp. Brapy. Report Foram. Challenger ecc., pag. 672, tav. XCIV, fig. 2, 3. 4) HanTKEN M. Die Fauna d. Clavulina Szabdi-Schichten. L. cit., pag. 71, tav. VIII, fig. 9. ? Reuss A. Beitrige zur Charakteristik der Tertiàrschichten des nòrdl. und mittleren Deutschlands. Sitzb. d. k. Ak. d. Wiss., Bd. XVIII, pag. 47, tav. IV, fig. 53. Jahrg. 1855. 3) FoRNASINI C. Indice ragionato delle Rotaline fossili d’ Italia ecc. L. cit., pag. 287 [51]. Bologna, 1898. 4) HANTKEN. Die fauna der Clavulina Szabdi-Schichten. L. cit., pag. 78, tav. X, fig. 8; — BaGG Rurus M. jr. Mio- cene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 45, tav. VIII, fig. 6. °) Brapy. Report Foram. Challenger pag. 660, tav. XCII, fig. 10, tav. XCIII, fig. 1, 4, 5; tav. CXV, fig. 4, 5; — Bac Rurus M. jr. Miocene Foram. ecc. L. cit., pag. 46, tav. IX, fig. 1. 86 I. CANAVARI [16] 1898. Anomalina ammonoides Reuss. FornasINI. Indice ragionato delle Rotaline foss. d’ Italia. Mem. R. Acc. d. Se. di Bologna, ser. V, vol. VII (cum syn.). 1899. _ _ — Sivvesnri. Foram. plioc. d. prov. di Siena, parte II. L. cit., pag. 301. 1905. _ = — Bacca. Miocene Foraminifera ecc. L. cit., pag. 47, tav. IX, fig. 4. Riferisco con dubbio a questa specie un bellissimo esemplare discoidale del diametro massimo di mm. 0,504 e dello spessore di mm. 0,160. La conchigliuola è quasi egualmente convessa, e veduta con luce riflessa appare liscia, nè si distinguono gli andamenti dei giri; si vedono solo indistintamente gli anda- menti dei setti. Immersa nel xilolo si rendono visibili per trasparenza tutti i setti ed anche lo spessore della lamina esterna. Le figure date sono state eseguite con la camera chiara tenendo precisamente immersa la conchigliuola nel xilolo. La parte superiore presenta alcuni piccoli frammenti di roccia ancora aderenti presso la regione om- belicale, la quale pertanto non è visibile. Tal cosa non permette assicurare che si tratti proprio della specie reussiana. In ogni modo però, confrontando le nostre figure con quelle date per questa specie dal Brapy, si rileva la grande somiglianza che passa fra di esse. L’Anomalina ammonoides è diffusa oggi principalmente nel Pacifico meridionale alla profondità di circa 1350 braccia marine; fossile è conosciuta fino dai tempi cretacei. Anomalina sp. — Tav. X [IV], fig. 21. Conchigliuola simmetricamente biconvessa, involuta, del diametro di mm. 0,490 e dello spessore di mm. 0, 196. Si vedono con l'immersione nel xilolo circa 9 setti piuttosto spessi, leggermente convessi anteriormente. Nella superficie liscia appaiono qua e là evidenti perforazioni. Una lontana somiglianza presenta questa bella specie, con 1’ Ar. granosa HANTK. sp. ! da cui diver- sifica particolarmente per l’andamento dei setti. Ricorda anche l’ An. grosserugosa GùmB. sp. che dall’eocene arriva sino all’attualità con un’ampia distribuzione batimetrica (da 420 a 2050 braccia marine) e geo- grafica (Atlantico meridionale, Pacifico settentrionale e meridionale). y Gen. Pulvinulina Parker et Jones, 1862. Pulvinulina sp. — Tav. X [IV], fig. 22, 23. Figuro due esemplari di una stessa specie di Pwlvinulina di cui il maggiore misura mm. 0, 616 di diametro e mm. 0,308 di spessore massimo, e il minore mm. 0, 518 di diametro. La conchiglia è assai più gibbosa nell’ aspetto inferiore che non nel superiore, ove i giri si accrescono lentamente. Nell’esemplare maggiore sono anche un poco involuti. La superficie è liscia, e con l’immer- sione nel xilolo, o per trasparenza, si vedono i setti poco numerosi e leggermente arcuati in avanti. Nessuna traccia è manifesta dell’ apertura. Pulvinulina sp. — Tav. X [IV], fig. 24. Un'altra specie mal conservata, biconvessa, appartiene forse allo stesso genere. La conchigliuola misura mm. 0,462 di diametro e mm. 0,294 di spessore. i) HAnTKEN. Die Fauna der Clavulina Szabdi-Schichten. L. cit., pag. 74, tav. X, fig. 2. [17] I. CANAVARI 87 Si vedono con l'immersione nel xilolo 5 setti i quali appaiono anche a luce riflessa, come è indicato nella fig. 24, Tav. X [IV]. Come la precedente non saprei a quale specie nota poterla avvicinare. Gen. Rotalina. Rotalina sp. — Tav. X [IV], fig. 25. Figuro, infine, semplicemente dalla parte superiore, un piccolo esemplare del diametro di mm. 0,224, appartenente certo ad una otalina a lento accrescimento e con 9 setti visibili nell'ultimo giro. Lo stato non buono della conservazione, non permette una più precisa determinazione. Gen. Nonionina D’'OrBIeny, 1826. Nonionina sp. — Tav. X [IV], fig. 26. L’eminente conoscitore di foraminifere dott. CARLO FoRNASINI che esaminò le due figure di questa piccolissima specie (aspetto superiore e inferiore) rimase in dubbio se si trattasse di MNonionina o di Cri- stellaria. Mi avvertiva che la posizione dell’apertura avrebbe risolta la questione. Ho ripreso allo studio l'esemplare e, con qualche difficoltà, sono riuscito a disegnarne alla camera chiara l'aspetto marginale, quale appare dalla fig. 266, Tav. X [IV]. Data la piccolezza però di esso, e lo stato della conservazione, non si vede nulla dell’apertura. Immerso nel xilolo, e guardato per trasparenza, si manifestano tenuissimi i setti interni di calcite bianca i quali, nell’ ultimo giro, sono in numero di sei. Presso l’involuzione del giro, in corrispondenza cioè della posizione dell'apertura nel genere Norionina, gli ultimi setti sembrano cessare ad un tratto; per tale particolarità riferisco con dubbio la specie a tal genere, piuttosto che al genere Cristellaria, col quale pure ha qualche apparente somiglianza. La superficie è liscia e solo in qualche piccola porzione di guscio si vedono indistinte e minutissime perforazioni. L’esemplare esaminato ha il diametro massimo di mm. 0,280, e lo spessore di mm. 0,100. Tra le molte specie di Nonionina citate nel terziario d’Italia non saprei davvero a quale avvicinare l'esemplare fabrianese. Dirò solo che essa trova un lontano confronto con la Nonionina umbilicata Mont. 1) da cui diversifica per una maggiore compressione della conchiglia e un minor numero di camere. Qualche somiglianza presenta anche con la Nonionina boubeana D’ORB.? CI. Anthozoa. Gen. Trochocyathus M. Epw. et Haime. Trochocyathus sp. cfr. Tr. affinis Reuss. — Tav. XI [V], fig. 1. Un piccolo polipaio di forma conica molto breve, curvato inferiormente, avente la superficie tappezzata di cristalli minutissimi di pirite. i) Brapy. Report Foram. Challenger ecc., tav. CIX, fig. 8,9. 2 Bag Rurus M. jr. Miocene Foraminifera ece. L. cit., pag. 53, tav. XI, fig, 1. 88 I. CANAVARI [18] Le coste principali, in numero di 12 e ben distinte sino presso alla base, sono più sporgenti verso il margine calicinale che non verso la parte opposta, di forma angolosa e cristiformi. L'unico esemplare posseduto essendo in stato di conservazione oltremodo incompleto, niente può dirsi sopra i caratteri interni del calice. Ed è per questa ragione specialmente che ho confrontato 1’ esemplare stesso al 7. affimnis Reuss, senza potervelo decisamente riferire. Circa le affinità e le differenze che la specie in esame presenta con il 7. crenulatus Ponzi, veggasi quanto in proposito fu detto dal Simonetti! e dalla Osasco ?). Gen. Flabellum Lesson. Flabellum vaticani Powzr. — Tav. XI [V], fig. 2. 1876. Flabellum vaticani Ponzi. I foss. d. Monte Vaticano. Atti R. Ace. d. Lincei, ser. 2, tomo III, pag. 28, tav. III, fig. 16, d. 1891. _ ausonium (Canavari dn sch. Mus. Pis.) SimoneLti. Fauna del cosidetto « Schlier » nel bolo- gnese e nell’anconitano. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Memorie, vol. XII, pag. 32. 1893. —_ vaticani De Ancenis D’ Ossat. Zoantari fossili dei dintorni di Roma. Boll. Soc. geol. it.. vol. XIT, pag. 10 e 27. 1894. _ — _ Corallari dei terr. terx. dell’ Italia, pag. 104. 1895. _ — Smonrtni. Gli antozoi plioc. del Ponticello di Savena presso Bologna. Palaeont. ita- lica, vol. I, pag. 152 (2), tav. VII (D) fig. 3-5. 1897. _ — De Ancenis D’Ossar e Luzi. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 66. DIMENSIONI Diametro 5 1 ù ; È o mm. 82 Altezza . L 3 s ; E 3 » 40 Di questa bellissima specie posseggo un esemplare completamente isolato. Esso è di forma flabellare, alquanto deformato lateralmente, come deformati sono quasi tutti gli altri fossili del giacimento. Nella parte superiore ed ai lati, è limitato da un margine irregolarmente ellittico a causa dell’avvertita deformazione; inferiormente poi presenta un’ apertura quasi triangolare di circa 90° con il vertice situato in corrispondenza del pedicello, verso la quale scende la parete del polipaio. Il pe- dicello era in parte nascosto dalla roccia, da cui è stato poi liberato. Dall’estremità di esso irraggiano circa 25 coste principali non ben definite dalla parte piano-convessa; quelle della parte mediana si conservano quasi perfettamente dirette sino alla periferia, quelle collaterali invece descrivono una curva tanto più sentita, quanto più si avvicinano ai due lobi estremi del poliperite stesso. Consimili coste, in numero non determi- nabile a causa della conservazione non buona dell’esemplare, irradiano dal pedicello verso la parte concava. In tutta la superficie ricordata, fra le coste principali, notansi delle altre coste secondarie e meno prospicienti, le quali seguono lo stesso andamento delle prime; è da notarsi infine anche un terzo ordine di costicine ancora più sottili, le quali si alternano con le principali e con quelle secondarie. 1) SIMONELLI V. Gli antozoi pliocenici del Ponticello di Savena presso Bologna. Palaeont. italica, vol. I, pag. 157; — Ip. Antozoi neogenici del Museo parmense. Palaeont. italica, vol. II, pag. 193. ® Osasco E. Di alcuni corallari plioc. del Piemonte e della Liguria. Atti R. Ace. d. Se. di Torino, vol. XXXI. [19] I. CANAVARI 89 Tutte indistintamente le coste e le costicine di secondo e terzo ordine, mostransi inoltre distintamente bipartite da un solco longitudinale molto sottile. Altre strie sottilissime dirette radialmente, solcano gli spazi intercostali. Tanto le coste quanto i solchi sono attraversati da rughe concentriche, ondulate, più sviluppate alla periferia che verso il centro, le quali incontrandosi con le coste e con le costicine radiali rendono queste più o meno decussate e tubercolose. A cagione della forte insenatura di una parte del polipaio, la regione centrale di esso ha il calice molto ristretto nel mezzo e poi inflettentesi lateralmente a guisa di due ali. Avendo rotto un pezzo del polipaio lateralmente proprio in corrispondenza di un setto, si è resa visibile la superficie del setto medesimo, così come è rappresentata dalle fig. 2 d-g (Tav. XI [V]). In tale superficie settale appaiono rughe concentriche, solchi irregolari radiali, e numerose e minute perforazioni. Appartiene forse alla stessa specie un altro esemplare assai più piccolo, nel quale l’insenatura della parete è solo appena indicata, e molto meno sviluppate sono le due ali laterali. Forse le caratteristiche della specie si accentuano con l'accrescimento. Per i confronti e per le discussioni di questa interessantissima specie, si veda quanto scrissero il SIMONELLI e il Dr ANGELIS nelle opere citate in sinonimia. Farò semplicemente notare che la specie è stata trovata anche in Patagonia come gentilmente ha voluto comunicarmi il prof. De ANGELIS il quale mi inviò anche una fotografia dell'esemplare americano che, salvo per le minori dimensioni, corrisponde molto bene a quello descritto. Flabellum sp. ind. — Tav. XI [V], fig. 3. L’esemplare figurato ha il calice di forma allungata depressa lateralmente, coi lati ricurvi in basso a guisa di ventaglio. Le pareti sono tappezzate di minutissimi cristalli di pirite, ed ornate di coste che dal margine calicinale convergono verso il pedicello. Esse sono però così mal conservate che difficile cosa è il volerne determinare il numero esatto. La parte interna del calice è totalmente mascherata dalla roccia. Per questa ragione è impossibile di stabilire a quale specie l'esemplare stesso possa con sicurezza venir confrontato. Avvertirò soltanto che presenta molte analogie con la specie descritta e figurata dal Ponzr”, come Flabellum sp. CI. Echinoidea. Gen. Toxopatagus PomeL, 1883. Toxopatagus italicus Mawz. et Mazz. sp. — Tav. XI [V], fig. 4, 5. 1878. Henmpneustes italicus Manzoni e Mazzemmi. Echinodermi nuovi della molassa miocenica di Montese. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Memorie, vol. III, tav. 19, fig. 1. 1878. — — Maxzoni. Gl echinod. foss. dello « Schlier » delle colline di Bologna. Denkschr. d. k. Ak. d. Wiss., XXXIX Bd., pag. 156 (8), tav. I, fig. 3; tav. II, fig. 16, 17; tav. IV, fig. 31-32. 1885. —_ — Mazzenm e Panranenti. Cenno monograf. intorno alla fauna foss. di Montese. Parte I, pag. 30. Atti Soc. dei Natur. di Modena, ser. 3, vol. IV. i Ponzi. I foss. del M. Vaticano. L.cit., tav. III, fig. 15. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 12 90 I. CANAVARI [20] 1897. Hemaipneustes italicus De AnceLIS D’Ossar e Luzi. Moss. dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 66. 1899. - — — Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. 1908. Toxopatagus italicus Manz. et Mazz. sp. SteranIinI. Echinidi del Miocene dell’ Emilia. Palaeont. ital., vol. XIV, pag. 90, tav. XIV, fig. 1-3 (cum syn.). DIMENSIONI I II Diametro longitudinale . o . mm. 65=1 mm. 50=1 » trasversale ò o c PINCO SMOG » 56=1,12 Altezza massima Ù 5 c 5 »53=0,81 » 39=0,70 Tra le varie specie rinvenute nella formazione calcareo marnosa di Fabriano, una è rappresentata da numerosi individui. Essa appartiene ad un Echinide del gen. Hemipneustes Acass. e della specie H. ètalicus Manz. et Mazz. La maggior parte degli esemplari esaminati si mostra più o meno deformata per le com- pressioni subite. Ciò non pertanto due di questi meglio conservati, hanno permesso di rilevarne appros- simativamente le dimensioni che sono state riportate in principio. Questi ultimi esemplari sono di forma pressochè circolare ed hanno l’estremità dell’apice rivolta po- steriormente, cioè dalla parte opposta a quella dell’ambulacro anteriore impari, e più precisamente in corrispondenza del terzo posteriore del diametro longitudinale. La superficie actinale è pressochè pianes- giante, quella abactinale invece è molto convessa. In questa è distintamente escavato il solco anteriore che incomincia a manifestarsi in vicinanza del vertice apicale del guscio e che va gradatamente affondan- dosi a misura che si avvicina alla periferia del guscio medesimo. La forma di questo solco è distintamente lanceolata ed i confini che lo determinano coincidono perfettamente coi margini delle due zone interam- bulacrali che lo comprendono. La zona ambulacrale impari anteriore scorre dunque totalmente nel fondo del solco suddetto e porta due zone porifere le quali sono però appena visibili in prossimità dell’apice, mentre in tutto il resto del- l’ambulacro appaiono completamente obliterate. I due ambulacri pari anteriori sono sensibilmente ripiegati in avanti dall’estremità dell’apice sino alla periferia. Essi sono inoltre abbastanza ristretti nella porzione superiore e provvisti di due zone porifere evidentissime, essendo i pori che le compongono collegati da un solco sottile e profondo; ma nella porzione inferiore periferica vanno rapidamente allargandosi, mentre che le zone porifere vanno decisamente riducendosi a due serie semplici di pori non coniugati. Sempre a proposito dei due ambulacri pari anteriori, giova di avvertire che le due zone porifere di ciascuno di essi non sono uguali inquantochè la zona porifera rispettivamente anteriore di ogni ambula- cro è sempre molto più piccola di quella rispettivamente posteriore. Lo stesso caso si verifica altresì nei due ambulacri pari posteriori; questi però a differenza di quanto già abbiamo veduto verificarsi negli ambulacri pari anteriori invece di mostrarsi incurvati all’innanzi, dal- l’apice alla periferia, lo sono soltanto nella prima metà del loro decorso, giacchè nella seconda metà si ripiegano invece verso l’ estremità posteriore. Le zone interambulacrali notevolmente più ampie di quelle loro interposte risultano costituite da placchette molto grandi e simili a quelle che compongono le zone omologhe del tipico Zoxop. italicus. Essendo però gli esemplari da me posseduti tutti fortemente corrosi alla superficie, riesce difficile di riconoscere la presenza di quei piccoli tubercoli di cui le placchette interambulacrali della specie suddetta sono con particolare e regolare disposizione disseminati. La superficie actinale, o inferiore, mostrasi, come già dissi in principio, pressochè piana; solo nella regione posteriore di essa, e più precisamente zi due lati dell’apertura anale, si ergono due particolari [21] I. CANAVARI 91 sporgenze 0 tuberosità subanali, che sono nettamente divise da un solco che fa seguito immediatamente all’apertura anale suddetta. Altra sporgenza corrispondente all’actinosoma trovasi lungo il diametro longitudinale della superficie actinale stessa, situata a poca distanza dal margine anteriore, là dove termina la porzione riflessa del solco ambulacrale. Nel Towop. italicus le placchette componenti la faccia actinale sono pur esse fittamente disseminate di numerosi e minutissimi tubercoli. Negli esemplari da me posseduti, però, questi tubercoli non sono sempre facilmente riconoscibili a causa dello stato di alterazione subìto dalla superficie delle placchette actinali. Per le stesse ragioni poco mi è dato di poter dire dei radioli di questa specie. Tuttavia dall’ esame di alcuni radioli da me rinvenuti nella formazione marnosa che contiene gli esemplari ora descritti e che con molta probabilità appartengono alla specie in esame, posso dire che i radioli stessi sono notevolmente sottili e superficialmente lisci. Per la perfetta corrispondenza dei caratteri più sopra ricordati, con quelli del T'oxop. italicus tanto bene determinati dal Manzoni nella descrizione che egli ci ha dato di questa specie e nelle figure di essa riprodotte, non credo di andare errato affermando l’esattezza del riferimento dei numerosi miei esemplari con la specie suddetta. . Questa specie che lo stesso Manzoni ha citato per le sabbie serpentinose di Montese e per lo Schlier bolognese e anconitano, e lo STEFANINI per parecchie località emiliane, fu pure citata dal DE ANGELIS e dal Luzy tra i fossili dello SchZier di S. Severino Marche. In riguardo al suo riferimento al genere Zoxopatagus si veda quanto recentemente scrisse lo STEFANINI nell’opera citata in sinonimia. Devo solo avvertire che il mio esemplare della Tav. XI [V], fig. 5 sembre- rebbe a prima vista scostarsi dal genere Toropatagus per la forma apparentemente non depressa, ma tale forma gibbosa dipende certo dalla deformazione subìta per forte compressione antero-posteriore. CI. Pelecypoda GOLDF., 1821. Gen. Gryphaea Lwmx., 1801. Sottogen. Pycnodonta Fisc. pe WaLDE., 1835. Gryphaea (Pycnodonta) cochlear Poni sp. — Tav. XII [VI], fig. 1. 1795. Ostrea cochlear Poi. Testacea utriusque Siciliae, II, pag. 173, tav. 28, fig. 28 (ww.). 1813. Gryphites rugosus Scnroraeni. In Lronmarp’s Taschenb. fin Min., VII, pag. 93 (foss.). 1814. Ostrea navicularis Broccni. Conchil. foss. subapp., II, pag. 565 (foss.). 1819. Podopsis gryphoides Lawmarck. Hist. nat. an. sans. vert., VI, pag. 195 (pars). 1836. Gryphaea navicularis Nxst. Rech. sur les coq. foss. de Hoesselt ecc., pag. 17, n. 42 (pars). 1862. Ostrea cochlear Wrinkaurr. Cat. des. coq. recueillies sur les còtes de l° Algerie. Journ. de Conchyl., vol. X, pag. 331. 1866. — — Brusina. Contrib. alla fauna dei moll. della Dalmazia, pag. 47, 105 (vw.). 1867. — — Wenxraurr. Conchyl. Mittelmeeres, I, pag. 277. 1873. — — Cocconi. Erumerax. sistem. moll. mioc. e plioc. Parma e Piacenza. Mem. Acc. Sc. Ist. Bologna, vol. III, pag. 350. 1877. — PillaeSecuenza. Studi strat. sulle formaz. plioc. Italia merid. Boll. Comit. geol.it., VIII, pag. 296. 92 I. CANAVARI [22] 1883. Ostrea cochlear Sironenni. Il Monte della Verna ed i suoi fossili. Boll. Soc. geol. it., vol. II, pag. 271. 1887. — — Martani. Descr. terr. mioc. tra Scrivia e Staffora, pag. 27. 1889. — — et var. Sacco. Cat. paleont. bac. terx. Piemonte. Boll. Soc. geol. it., vol. VIII, pag. 329, n.° 1203. 1897. Pienodonta — Sacco. Imoll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXIII, pag. 22, tav. VIII, fig. 2-6. 1897. Ostrea (Gryphaea) cochlear De AnceLis D’ Ossat e Luzi. I fossili dello « Schlier» di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 63. 1899. — — — De Anceuis D’ Ossar e Luzi. Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. 1900. Ostrea cochlear Mariani M. Fossili miocenici del Camerinese. Rivista ital. di Pal., vol. VI, pag. 96. 1904. — — Moprrni. Osservax. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e Esino (Marche). L. cit., pag. 250. 1909. Ostrea (Pycnodonta) cochlear NerLi. Fossili miocenici del modenese. Boll. Soc. geol. it., vol. XXVIII, pag. 521. La Gryphaea cochlear PoLi sp. è una delle specie più frequenti; ma è quasi totalmente rappresentata dalla valva sinistra. Questa specie ha una notevolissima polimorfia, come è dimostrato dai lavori del ForEsTI ! e del Sacco, i quali anzi vi hanno distinte numerose varietà. La maggior parte de’ miei esemplari si riferisce alla alla varietà ravicularis, come l'esemplare figurato, però non mancano di quelli arrotondati ed alquanto più espansi lateralmente, corrispondenti sufficientemente alla forma tipica. Tutti gli esemplari presentano dimensioni mediocri; hanno superficie gibbosa, talvolta squamosa, lucente, strie d’accrescimento irregolari e distinte, e spesso i gusci sono macchiati di grigio-scuro. La Gryphaea cochlear Poi sp. si trova abbondantemente tanto nel miocene superiore quanto nel pliocene ed è comunissima nel cosidetto Schlier dell'Appennino centrale. Gen. Ostrea Linn., 1758. Ostrea langhiana Traz. 1895. Ostrea langhiana Trazucco. Il langhiano della prov. di Firenze. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 173, fig. 5. 1899. — cfr. — De AnerLIS D’Ossat e Luz. I fossili dello « Schlier» di Sanseverino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 64. : 1899. — — —- De Anernis D’Ossat e Luzi. Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. Si riferiscono a questa specie che il TRABUCcco giustamente ha detto essere stratigraficamente molto interessante, parecchie valve infisse nella roccia con il guscio conservato. Questa piccola specie è assai variabile. La conchiglia è generalmente sub-arrotondata, un poco obliqua, a contorno irregolare, poco rigonfia, a superficie irregolarmente ondulata e senza ornamenti, all’infuori d’irregolari e non molto distinte strie d’accrescimento. 1) ForEsTI L. Dell’ Ostrea cochlear (PoLI) e di alcuna sue varietà. Mem. Acc. Sc. Ist. di Bologna. Bologna, 1880; — In. Note sur deux nouvelles varieteés de 1’ Ostrea cochlear. Ann. Soc. r. malacolog. de Belgique, vol. XVII. Bruxelles, 1882. 123] I. CANAVARI 93 La specie si rinviene abbondantemente nelle formazioni del miocene medio dell’ Appennino toscano e marchigiano. Gen. Limea Bronn, 1831. Limea strigilata Broccni sp. — Tav. XII [VI], fig. 2-4. 1814. Ostrea strigilata Broconi. Conch. foss. subapp., II, pag. 571, tav. XIV, fig. 15. 1826. Limea obligua Lx. Derrance. Dict. Hist. Nat., vol. 26, pag. 445. 1826. — strigilata Br. Risso. Hist. Nat. Prodr. Europe mer., IV, pag. 306. 1862. Lima _ — DoòperLem. Giac. tera. mioc. sup. Italia centr. pag. 15. 1867. Limea — — Hoernes. Foss. Moll. Terliarbeck. Wien, pag. 392. 1873. Lima —_ — Cocconi. Enumerax. sistem. moll. plioc. e mioc. di Parma e Piacenza. L. cit., pag. 345. 1877. — _ — Issen. Moss. delle marne di Genova. Ann. Museo Civico di St. Nat. di Genova, pag. 48. 1889. — _ — Sacco. Cat. paleoni. bac. terz. Piemonte. L. cit., vol. VIII, pag. 331, n.° 1253. 1892. — —_ — PanraneLLi. Lamellibr. plioc. Boll. Soc. malac. it., vol. XVII, pag. 85. 1898. Limea — — Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXV, pag. 21, tav. VI, fig. 4-7. 1900. — — — Nei. Foss. mioc. dell’ Appenn. aquilano. L. cit., pag. 405. Si riferisce a questa piccola specie una valva destra conservata, la quale per metà mostra la con- chiglia e per metà l’impronta (Tav. XIl [VI], fig. 2). Nella parte conservata in impronta, la superficie è liscia e solo al margine si vedono delle crenulazioni non molto spiccate. Nella parte col guscio conservato si scorgono benissimo le caratteristiche ornamentazioni. Delle orecchiette è solamente ben conservata quella anteriore sulla quale si vedono solo le strie d’ accrescimento, e mancano gli ornamenti radiali che comin- ciano a mostrarsi ad una certa distanza da essa. Questa piccola specie non è rara in altre località calcareo-marnose dell’ Appennino centrale. Ne ho raccolti alcuni esemplari alle Caselle presso Camerino, dove, in prossimità della strada comunale, fu cavata molta roccia per dare cemento. Uno di questi è quello figurato ingrandito (Tav. XII [VI], fig. 3a); da esso è stato rilevato il maggior ingrandimento di una parte del guscio, presso il margine palleale (Tav. XII [VI], fig. 30) per far vedere la forma che ivi presentano gli ornamenti. Tra le costicine, cioè nel solco interposto, si ha un sottilissimo filetto che ben presto scompare. M. CanavarI raccolse la medesima specie nella formazione marnosa calcarea presso Ascoli Piceno, cronologicamente e litologicamente corrispondente a quella del Camerinese. Ho voluto dare la figura anche dell’ esemplare ascolano (Tav. XII [VI], fig. 4). La specie si trova frequentemente dall’elveziano a tutto il pliocene. Gen. Chlamys Botrren, 1798. Sottogen. Aequipecten FiscHER, 1886. Aequipecten Malvinae Dus. pe Monte. — Tav. XII [VI], fig. 5. 1831. Pecten Malvinae Dusors pe MoxrPÉREUX. Conch. foss. Wolhyn Podol., pag. 71, tav. VIII, fig. 2. 1883. — = FucHns. Beitr. x. Kennin. d. Mioc. Fauna Aegypt. und d. lyb.Wiiste. Palaeontogr., vol. XXX, parte I, pag. 59. dd I. CANAVARI [24] 1887. Pecten Malvinae Parona. App. per la pal. mioc. della Sardegna. Boll. Soc. geol. ital., vol. VI, pag. 310. 1897. — — De AngeLIS D’Ossar e Luzi. I foss. dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit.,, vol. XVI, pag. 64. A 1897. Aequipecten Malvinae var. acuticostulata. Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte XXIV, pag. 16, tav. III, fig. 36-40. 1900. _ _ NeLLI. Fossili mioc. dell’ Appenn. aquilano. L. cit., pag. 403. 1900. Peoten — MarIANI M. Mossili miocenici del Camerinese. L. cit., vol. VI, pag. 96. 1901. — _ TrentaNnove. Il mioc. medio nei Monti Livornesi. Boll. Soc. geol. it., vol. XX, pag. 526, tav. VIII, fig. 11. 1901. — — De ALessanpRrI. App. di geol. e di pal. sui dint. di Acqui. Atti Soc. ital. Se. nat., vol. XXXIX, pag. 105 dell’ estr. 1904. — _ NenLi. Il mioc. medio di Dulcigno ecc. Boll. Soc. geol. it. vol. XXIII, pag. 153. 1904. Pect. (Aequip.) — Vinassa pe Reenv. Moss. e impr. del Montenegro. Boll. Soc. geol. ital., vol, XXIII, pag. 310. à 1904. — -- —_ Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXX. Correa. e Aggiunte, pag. 143. 1909. Pecten — NeLLi. Fossili miocen. del Modenese. L. cit., vol. XXVIII, pag. 515. DIMENSIONI I II III Altezza delle valve , o o mm. 29= 31 30=1 Larghezza » o o » 31=1,03 39= 1 29—= 091 Angolo apicale da 95° a 110°. Conchiglia non molto grande, con guscio di spessore sottile, di forma biconvessa, suborbicolare, equi- valve, inequilaterale. Ambedue le valve sono superficialmente percorse da un numero di coste radiali abbastanza consi- derevole e variabile nei diversi esemplari da me posseduti; da 30 a 35 circa. Tali coste sono molto sottili, a sezione sub-triangolare, e separate da spazi intercostali che appaiono alquanto più larghi delle coste medesime. Tanto le une quanto gli altri sono ornati di fittissime costicine radiali le quali incontrandosi con le strie concentriche d’accrescimento che ricoprono tutta la superficie, e che sono leggermente lamellose, fanno apparire le coste principali sensibilmente squamose e decussate. Le orecchiette sono, in ambedue le valve, piccole e disuguali, essendo l'anteriore fortemente più sviluppata della posteriore, e fornite di un’ ampia insenatura bissale; ma tutte e due presentano la stessa ornamentazione radiale e concentrica che abbiamo detto trovarsi su tutto il resto della superficie delle valve. i Il margine cardinale è breve e diritto, e l’angolo apicale varia nei diversi esemplari dai 95° ai 110°. Come è noto, l’Aeg. Malvinae, per un grande numero di caratteri, somiglia notevolmente all’ Aeg. opercularis L. con il quale anzi fu più volte dagli autori scambiato. Sta il fatto però che l’ Aeg. opercularis tipico è specie provvista di un minor numero di coste, 15-20 circa, e mentre esso vive attualmente nei nostri mari sino dall'epoca pliocenica, Aeg. Malvinae invece è specie esclusivamente miocenica. Secondo il Sacco, anzi, la specie di DuBoIs costituirebbe uno dei vari casi di dimorfismo già osservati per altre specie, potendo rappresentare la forma multiforme dell’ Aeg. opercularis. [25] I. CANAVARI 95 Certamente l’Aeg. Malvinae può e deve, anzi, secondo me, considerarsi come la forma progenitrice del vivente Aeg. opercularis. Come lo attesta il numero notevole di esemplari da me posseduti, può dirsi l’ Aeg. Malrinae diffu- samente rappresentato nella formazione marnosa dei dintorni di Fabriano, nella quale fu da me raccolto. Esso è comune a quasi tutto il miocene; è però più specialmente caratteristico del piano elveziano. È citato da quasi tutti i descrittori di faune mioceniche. La var. acuticostulata Sacco è forse da. riunirsi alla forma tipica. L’Aequip. Malvinae è stato trovato anche nei limitrofi bacini miocenici del Camerinese e Sanseverinate. Sottog. Amussium RuwmPz., 1711, em. KLrIn, 1753. Amussium corneum Sow. var. denudata Rruss. — Tav. XII [VI], fig. 6. 1817. Pecten denudatus Russ. Foss. Fauna Steinz. v. Wieliczka. Sitzb. d. k. Ak. d. Wiss., vol. 55, pag. 139, tav. VII, fig. 1. 1842. —. pleuronectes Sismonpa. Syn. méth., 1.° éd., pag. 22 (pars). 1875. — denudatus Hòrnrs. Die Fauna des Schliers von Ottnang. Jahrb. k. k. geol. Reichsanst., vol. XXXV, pag. 383, tav. XIV, fig. 21, 22. 1884. — —_ MarianI. Descriz. terr. mioc. tra Scrivia e Staffora, pag. 30. 1889. — denudatus Sacco. Cat. paleont. bac. ‘tera. Piemonte. L. cit., vol. VIII, pag. 331, n.° 1266. 1889. — subpleuronectes Sacco. Ibid. Loc. cit., pag. 332, n. 1287. 1897. — (Amussium) denudatus De ALessanpRrI. La pietra da cantone di Rosignano e di Vignale. Mem. Soc. ital. Sc. nat., vol. VI, pag. 61. 1897. — corneum var. denudata Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte XXIV, pag. D1, tav. XIV, fig. 30-39. 1897. Amussium denudatum De Anernis D’Ossar e Luzi. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 64. 1899. — — De AnerLIs D’' Ossat e Luzi. Altro foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. 1900. Pecten denudatus NeLni. Mossili mioc. dell’ App. aquilano. L. cit., pag. 400. 1907. Amussium corneum var. denudata UcoLini. Monografia dei pettinidi neog. della Sardegna. Palaeont. ital., vol. XIII, pag. 234, tav. XXI, fig. 1. DIMENSIONI I II Altezza . o o 0 . 0 6 mm. 33 mm. 40 Larghezza ò 5 . 0 o c » 31 » 40 Fra i numerosi esemplari di Pectinidae sonvi alcune valve imperfettamente conservate, talora rap- presentate solamente dal modello interno della conchiglia, le quali presentano moltissime affinità con la specie suindicata. Difatti tanto gli esemplari di valva destra, quanto quelli di valva sinistra, facilmente riconoscibili dalla conformazione delle orecchiette che, come è noto, formano un margine cardinale diritto negli esemplari %li valva sinistra, ed un margine cardinale foggiato ad angolo negli esemplari di valva destra, hanno la loro conchiglia di forma suborbicolare, leggermente più alta che larga, sensibilmente trasversa, e con la superficie esterna priva affatto di coste. Notansi tuttavia evidentissime l’ornamenta- zione concentrica dovuta alle strie d’accrescimento, e, per trasparenza, le tracce di striatura radiale che negli esemplari ben conservati di questa specie, adorna la superficie interna delle valve. 96 I. CANAVARI [26] L’esemplare figurato (Tav. XI [V], fig. 6) appartiene ad una valva sinistra ed è quello che si pre- senta in migliori condizioni di conservazione. Per tutti i caratteri suesposti e che si ripetono esattamente nella specie tipica, e per i confronti che ho potuto istituire fra i miei esemplari e quelli figurati dall’ Hornes e dal Sacco (Opere cit. in sin.) credo di non errare affermando l’esattezza del riferimento degli esemplari qui descritti, alla specie del Reuss. Per le affinità notevoli che l’Am. denudatum presenta con Am. corneum Sow., e per la poca muta- bilità di quest’ultima specie, giustamente il SAcco crede opportuno di allargare alquanto i limiti asse- gnati fino ad ora all’Am. corneum, riunendovi non poche forme già dagli autori distinte con nomi speci- fici differenti. È a tale scopo che egli, descrivendo gli esemplari di Am. denudatum del Piemonte, ben li considera come appartenenti ad una var. denudata Reuss della specie sowerbyana. Amussium anconitanum For. — Tav. XII [VI], fig. 7. 1873. Pecten anconitanum Foresti. Contrib. alla conch. foss. ital. Mem. Acc. Sc. Ist. di Bologna, ser. III. vol. X, pag. 19, tav. I, fig. 10-12. 1880. — — Carici. Determ. cronol. del cale. a selce piromaca ecc. Boll. R. Com. geol., vol. XI, pag. 500. 1887. — — Mariani. La molassa mioc. di Varano. Atti Soc. ital. di Sc. nat., vol. XXX, pag. 7. 1893. — _ SimoneLLi. Pauna del cosidetto « Schlier » nel bolognese e nell’ anconitano. L. cit., pag. 21. 1897. Preamussium anconitanum Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXIV, pag. 50. 1899. Amussium —_ UcoLini. Monogr. dei Pett. mioc. Ialia centr. Boll. Soc. malac. ital., vol. XX, pag. 188. 1901. Preamussium —_ De ALEssanDRI. App. di geol. e di pal. sui dint. di Acqui. L. cit., pag. 101 dell’ estr. 1904. Pecten (Amussium) cfr. anconitanum MovernI. Osservax. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e Vl Esino (Marche). L. cit., pag. 250. DIMENSIONI I II IN Altezza della valva. 3 c 0 g mm. 25 mm. 28 mm. 33 Larghezza . ò o . o o » 24 » 30 » 31 Angolo apicale ò ò . : c 100° 100° 105° A questa specie tanto difficilmente conservabile per la straordinaria sottigliezza e fragilità della con- chiglia, credo doversi riferire numerosi esemplari di valve destre e sinistre, le quali però sono quasi tutte rappresentate dalle impronte interne per lo più inglobanti le costicine radiali della superficie interna distaccatasi dal guscio. Il migliore di essi conservato con parte della conchiglia (Tav. XII [VI], fig. 7), sembra sicuramente doversi riferire ad una valva sinistra. Ciò sarebbe specialmente dimostrato, oltrechè dall'andamento leggermente obliquo dell’ umbone, anche dalla forma perfettamente diritta del margine cardinale il quale, come è noto, è invece distintamente angoloso negli esemmplari di valva destra. La forma di questa valva è poco convessa, distintamente suborbiculare, un po’ più alta che larga, ed im- percettibilmente obliqua. [27] I. CANAVARI 97 Nell’esemplare figurato le coste che ornano radialmente la superficie interna della conchiglia che è în parte conservata, sono spiccatamente indicate nel suo modello da solchi profondi; si vede che esse, non raggiungono il margine palleale, ma si arrestano ad una distanza pressochè uguale ad un quarto circa del diametro umbo-ventrale. Nell’esemplare tipico del Foresti le coste interne si arrestano invece ad una distanza ancora mag- giore, ed equivalente ad un terzo circa del diametro suddetto. Si noti poi che negli esemplari fabrianesi le coste non si mantengono diritte per tutto il loro decorso, come nella specie tipica, ma tendono a ripiegarsi alquanto verso i lati anteriore e posteriore della valva, quanto più si allontanano dal centro. Per l'andamento sensibilmente ricurvo delle costicine radiali in- terne i miei esemplari si avvicinano a quello descritto dal SimonenLI esistente nel Museo di Pisa e rac- colto nel miocene di Pergola: a questi due sono intermedi i miei esemplari per la lunghezza di esse coste. . Nella maggior parte dei numerosi esemplari fabrianesi, si ripetono pressochè esattamente tutti i ca- ratteri testè enumerati; solo in alcuni si osserva che le costicine radiali interne, si prolungano sino quasi in prossimità del margine palleale. Gen. Pecchiolia Mcx., 1851. Pecchiolia argentea Mar. — Tav. XII [VI], fig. 8. 1797. Chama argentea Mariti. Odeporico, vol. I, pag. 324, gen. 311, n.° 15. 1814. — aretina Broccni. Conch. foss. subapp., II, pag. 668, tav. XVI, fig. 13. 1851. Pecchiolia argentea MenEGHINI. Consid. sulla geol. strat. della Toscana, pag. 486. 1852. Locardia arietina: ’ OrBIGNY. Prodr. pal. strat., INI, pag. 121. 1852. Pecchiolia argentea PeccnIoLI. Notice sur un nouv. genre des Biwalves. Rev. et Mag. de Zoologie, IV, pag. %, tav. XIII, fig. 1-4. 1855. Isocardia arietina Picrer. Traité de Paléont., II, pag. 482. 1860. Pecchiolia argentea Hoernes. oss. Moll. Tertiîirbeck. Wien, pag. 168, tav. XX, fig. 4. 1873. _ — Cocconi. Enum. sistem. moll. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza. L. cit., pag. 308. 1876. Verticordia (Pecchiolia) argentea Secuenza. Cenni intorno alle Verticordie foss. del plioe. ital. Rendic. R. Acc. Sc. fis. e mat. di Napoli, pag. 2. 1877. Verticordia (Pecchiolia) argentea Isser. Foss. delle marne di Genova. L. cit., pag. 250. 1883. Pecchiolia argentea SimoneLri. Il Monte della Verna ed i suoi fossili. L. cit., pag. 269. 1889. —_ —_ Sacco. Cat. pal. bac. tera. Piemonte. L. cit., vol. VIII, pag. 338, n.° 1479. 1890. = = DerrA Campana G. Cenni paleont. sul plioc. antico di Borxoli. Atti Soc. lig. di Sc. nat. e geogr., vol. I, pag. 35. 1883. Verticordia — PanraneLni. Lamellibranchi plioc. L. cit., pag. 280. 1995. — —_ Foresti. Enumerax. Brach. e Moll. plioc. dei dint. di Bologna. Boll. Soc. malacol. i ital., vol. XVIII, pag. 200. 1898. — — Namras. Collex. moll. plioc. Castellarquato. Atti Soc. Natur. di Modena, vol. III, pag. 198. 1901. Pecchiolia = — Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte XXIX, pag. 131, tav. XXIX, fig. 23-27. N Questa specie è rappresentata da un unico esemplare in modello, nel quale si vedono però benis- simo le ornamentazioni caratteristiche. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 13 98 I. CANAVARI [28] Per la forma corrisponde a quelli miocenici figurati dall’ HòRNES, e specialmente a quello che il Sacco distinse come var. miotaurina (Op. cit. in sin., pag. 131, tav. XXIX, fig. 28-30). Avendo confrontato l'esemplare di Fabriano con alcuni molto belli provenienti dal pliocene d’Or- ciano e conservati nel Museo di Pisa, ho potuto constatare che questi ultimi hanno l’apice assai più contorto, ornamenti alquanto più radi, grossolani e irregolari, e sono muniti di una depressione larga ma assai spiccata che si trova nella parte posteriore della conchiglia e che dall’umbone scende al mar- gine palleale, seguendo l’andamento semispirale delle coste. Credo interessante rilevare il fatto della sottigliezza della conchiglia nel mio esemplare in paragone alla grossezza presentata dagli esemplari pliocenici d’ Orciano, poichè essa mentre ci dimostra sempre più di essere in presenza di un deposito di mare profondo, ci fa anche avvertiti di una certa mutabilità della specie in relazione all’ambiente. La Pecchiolia argentea è citata da KoENEN nell’oligocene della Germania, è abbondante nel miocene e sopratutto nel pliocene, ove sembra estinguersi. i Come avverte il Sacco (Op. cit. in sin.), è forma di depositi fangosi tranquilli. Gen. Tellina Linxro, 1758. Tellina distorta? Poni. — Tav. XII [VI], fig. 9. 1795. Tellina distorta Porri. Testacea utriusquae Siciliae, II, pag. 39, tav. XV, fig. 11. 1873. — donacina L. Cocconi. Enumerax. sistem. moll. mioc. e plioc. Parma e Piacenza. L. cit., pag. 272 (pars). | 1876. — distorta Poni. Secuenza. Studi stratigr. form. plioc. Italia merid. Boll. R. Com. geol., vol. VII, pag. 272. 1884. — donacina var. distorta Porr. De GreGorIo. Studi su talune conch. medit. viv. e foss. Boll. Soc. malac. ital., vol. X, pag. 166. 1893. — distorta Poi. PantaneLLI. Lamellibr. plioc. L. cit., pag. 267. 1898. — —_ — Namras. Coll. moll. plioc. Castellarquato. L. cit., vol. IMI, pag. 192. Riferisco dubbiosamente a questa specie un unico esemplare conservato in modello, il quale ha una conchiglia minuta, subellittica, molto inequilaterale, allungata trasversalmente. L’umbone è piceolo e de- presso, ma un poco più rilevato di quello della forma figurata dal Sacco, alla quale io mi riferisco. Come avverte il Sacco, non potrebbe essere improbabile che la . distorta si riferisse a qualche forma rostrata della 7. donacina, ed io non potrei escludere assolutamente che il mio esemplare potesse appartenere anche alla Tellîina incarnata LiNnnEo. Gen. Poromya ForBrs, 1844. Sottogen. Mioporomya Sacco, 1901. Mioporomya bicarinata Rov. — Tav. XII [VI], fig. 10-13. 1901. Mioporomya bicarinata Rov. (in sch.) Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXIX, pag. 140, tav. XXIX, fig. 46. Questa specie, tra le più frequenti, è in generale deformata e contorta per modo che mal si riesce ad afferrarne la forma originale. La conchiglia è sottilissima e frequentemente appare erosa in maniera tale che si intravede la roccia che ne costituisce il modello. [29] I. CANAVARI 99 Gli esemplari meglio conservati e meno deformati, presentano la conchiglia inequilaterale, alta quanto larga, arrotondata, pentagonale, molto rigonfia, alquanto gibbosa nella regione mediana, con umbone ri- levato, robusto, e fortemente ricurvo e ripiegato in avanti. Il margine cardinale anteriore è escavato, quello posteriore invece piuttosto diritto e obliquo; il -margine anteriore è leggermente arcuato e troncato obliquamente; l’inferiore è breve ed arrotondato, il posteriore, alquanto arcuato, è troncato obliquamente come l’anteriore, ma in senso inverso. La superficie è oltremodo caratteristica per le sue ornamentazioni alquanto variabili, e talvolta in- certe e scannellate. Essa in generale si presenta ornata di sottilissime costicine radiali filiformi, serrate, le quali, insieme con le strie d’accrescimento, dànno alla superficie della conchiglia un aspetto legger- mente granuloso. Nella regione umbonale però, tali costicine sono un poco più spiccate e meno nume- rose. Oltre a tali sottili costicine, la superficie della conchiglia è ornata anche da alcune pieghe radiali che si osservano specialmente nella regione posteriore, ma talvolta si hanno anche nell’anteriore e raris- simamente nella mediana. Nulla si vede del cardine, essendo tutti gli esemplari impigliati nella roccia. To credo di avere ben riferita questa specie alla Mioporomya bicarinata Rov., figurata dal SAcco, per quanto le figure di questa, in confronto con la forma meglio conservata da me descritta, sembrino essere alquanto depresse e deformate. Debbo avvertire poi che alcuni esemplari fabrianesi, che nella parte posteriore presentano solchi radiali assai distinti, somigliano grandemente alla Miop. taurinensis Sacco 1). Non posso escludere che anche tale specie si trovi nella fauna miocenica da me osservata; ma non . posso neppure asserirlo per la cattiva conservazione degli esemplari e per la mancanza di materiale di confronto. La Miop. bicarinata è, secondo Sacco, frequente nell’elveziano, e si rinviene pure nel bartoniano. Fam. Pholadomydae Gray, 1840. Gen. Pholadomya G. B. Sow., 1823. Pholadomya Puschi GoLpr. var. virgula MicaeLomi. — Tav. XII [VI], fig. 14. 1842. Pholodomya Puschi GoLpruss. Petrefacta, vol. II, pag. 273, tav. 158, fig. 3. 1847. — arcuato AG. MricaeLortI. Descr. foss. mioc., pag. 23. 1847. —_ = —- Sismonpa. Sy. méth., 2° éd., pag. 23. 1886. — alpina Mata. Marrani. Deserix. terr. mioc. fra Scrivia e Staffora. Boll. Soc. geol. it., vol. VIII, pag. 310. 1889. —_ arcuata Lx. (Ph. Meriani May.) Sacco. Cat. paleont. bac. ter. Piemonte. L. cit., vol. VIII, pag. 345, n.° 1678. 1889. — cfr. Meriani May. Sacco. Ibid. L. cit., pag. 345, n.° 1682. 1897. _ sp. De Anernis p’Ossam e Luzy. I foss. dello « Schlier» di Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 65. 1898. —_ Puschi Rovereto. Nota prev. Pelecip. tongr. liguri. Atti Soc. lig. Sc. nat., parte III, pag. 67. 2 1899. — vaticani De Ancenis D’ Ossar e Luzi. Altri foss. dello « Schlier» delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. 4) Op. cit. in sinon., pag. 140, tav. XXIX, fig. 44, 45. 100 I. CANAVARI [30] 2 1900. Pholodomya vaticani MarianI M. Foss. mioc. del Camerinese. L. cit., pag. 96. 1900. —_ Puschi Rovereto. IMlustr. moll. foss. tongriani. Atti della R. Univ. di Genova, vol. XV, pag. 126. ; 1901. _ — var. virgula Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXIX, pag. 142, tav. 28, fig. 6-8. 4 1904. -_ — MopernI. Osservax. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e l’ Esino (Marche). L. cit., pag. 250. Riferisco a questa specie un solo esemplare in modello, avente ambedue le valve, ma alquanto de- formate. Esso è più alto che largo, subovale, allungato obliquamente, moltissimo inequilaterale. Il margine anteriore è cortissimo e nettamente troncato; il posteriore invece è lungo ed allungato obliquamente. L’ inferiore o palleale è leggermente arrotondato. Gli umboni sono molto alti, robusti, ricurvi, contigui. La superficie è ornata da grosse pieghe concentriche assai irregolari, sulle quali si ve- dono facilmente le sottili strie di accrescimento, ed è ornata anche da pieghe radiali, esse pure alquanto irregolari e non molto distinte, le quali si trovano nella parte mediana della conchiglia e mancano nella regione anteriore e in quella posteriore agli umboni. Nella fotografia di questo esemplare (Tav. XII [VI], fig. 14) le strie radiali caratteristiche della specie non si vedono molto bene. Questa forma è molto interessante, poichè costituisce un termine intermedio tra la Ph. vaticani Ponzi var. Fuchsi, e la Ph. Puschi GoLper., come ha giustamente fatto osservare il Sacco. Forse appartengono a questa specie gli esemplari di Ponte dei Canti presso S. Severino Marche e delle Caselle presso Camerino, riferiti dal De ANGELIS D’ Ossar e Luzi e dal MaRIANI M. alla Ph. va- ticani Ponzi. Sottog. Procardia Mrrxk, 1871. Procardia Canavarii Sim. — Tav. XII [VI], fig. 15. 1888. Procardia Canavarii SmoneLni. Sopra una nuova sp. del gen. Pholodomya. Boll. Soc. mal. it., vol. XIII, tav. I, fig. 1-7. 1892. Pecchiolia Gastaldi RovasenDA. I fossilì di Gassino. Boll. Soc. geol. ital., vol. XI, pag. 416. 1893. Pholadomya (Procardia) Canavarii Simonenni. Fauna del cosidetto « Schlier » nel bolognese e nell’ anco- nitano. L. cit., pag. 30. 1897. Phol. (Procardia) Canavariv Sim. De AneenIis D’Ossar e Luzi. Foss. dello « Schlier» di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 64. 1899. — _ —_ Morena. Le formax. eoc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nel- l App. centr. Boll. Soc. geol. ital., vol. XVIII, pag. 476. 899 — — Sn. De AnGELIS D’ Ossat e Luzi. Altri foss. dello « Schlier » delle Mar- che. L. cit., vol. XVIII, pag. 64. 1900. Pholadomya Canavarii. Mariani M. Fossili miocenici del Camerinese. L. cit., pag. 96. 1901. Procardia Canavarti, Sim. Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte XXIX, pag. 144, tav. XXVIII, fig. 16-20. 1901. = = var. cepporum Gast. Sacco. L. cit., tav. XXVIII, fig. 2. 1901. —_ —_ — paucicostulata Sacco. L. cit., pag. 145, tav. XXVIII, fig. 22, 23. Questa specie è rappresentata da tre esemplari benissimo caratterizzati. Per quanto essi, dal più al meno, siano alquanto deformati, sembrami che la lunghezza superi l’altezza. [31] I. CANAVARI 101 Ho paragonato i miei individui con quelli tipici provenienti da Pergola sopra i quali il SIMONELLI istituì la specie, e ne ho constatata la perfetta identità. In confronto però con le figure date dal SIMONELLI ‘stesso, essi mostrano alcune differenze che credo opportuno fare rilevare. Le coste radiali non sono tanto fisse nè tanto regolari come vengono mostrate da quelle figure, poichè nella regione posteriore della ‘conchiglia, esse interpongono spesso costicine minori e sono più numerose e più serrate che non nella parte anteriore, nella quale anzi mancano affatto presso il margine cardinale. Ciò del resto concorda con la descrizione del SIMONELLI. A me pare che le due varietà cepporum Gasr. e paucicostulata SAcco, siano state distinte dal Sacco per erronea interpretazione della forma tipica, in conseguenza della poca esattezza delle figure, e quindi che non siano da conservarsi. 5 Questa interessante e caratteristica specie è assai diffusa nel miocene del versante adriatico appen- ninico ed è stata trovata nelle vicinanze di Pergola, di S. Severino Marche, di Camerino e di Ascoli Piceno. Gen. Teredo Linnro, 1757. Teredo sp. cfr. T. norvegica Srenau. — Tav. XII [VI], fig. 16-18. 1893. Teredo norvegica Smonenni. Sopra la fauna del cosidetto « Schlier» nel bolognese e nell’ anconitano. L. cit., pag. 26. 1899. — _ Dr AnceLIS D'Ossat e Luzi. Ari foss. dello « Schlier» delle Marche. L. cit., vol. XVII, pag. 64. 1899. — _ Morena. Le formaz. eoc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centr. L. cit., pag. 476. 1900. — _ Mariani M. Fossili mioc. del Camerinese. L. cit., pag. 96. 1901. — cfr. — Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXIX, pag. 57, } tav. XIV, fig. 1-27 (cum syn.). 1906. — _ MopernI. Osservar. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e V° Esino (Marche). L. cit., pag. 250. Appartengono al gen. Zeredo numerosi tubi calcarei, cilindrici, di varia lunghezza, diritti o più o meno contorti e piegati, talora isolati, tal altra riuniti in gruppi numerosi a sezione circolare o più spesso ellittica, di un diametro variabile dai 5 ai 15 mm. circa. L’involucro esterno costituito di carbonato di calce, è piuttosto sottile, non superando mai negli esemplari da me posseduti, lo spessore di 1 millimetro. La cavità interna è generalmente ripiena del solito calcare marnoso; solo di rado occupata da calcite spatica. Internamente i tubi sembrano lisci e privi affatto di piegature o di setti. La conformazione esterna del tubo non è uniforme, ma presenta delle ondulazioni trasversali irre- golari ed inequidistanti, dovute ai rigonfiamenti ed alle strozzature di cui è provveduto. Alcuni esem- plari meglio conservati hanno un’ estremità chiusa da parete a forma di calotta. Non conoscendosi le valve della conchiglia degli esemplari in esame, non può dirsi con sicurezza se i tubi ora descritti debbano riferirsi alla vivente 7. rorvegica SPENGL. 0 piuttosto a una specie differente. Certo che confrontando i nostri tubi con quelli per esempio figurati dal Locarp ” e dal Sacco (Op. cit. in sin.) appunto sotto il nome di 7. rorvegica, le somiglianze sono grandissime. È un fatto però che quelli da me esaminati non presentano nell’interno le pieghe anulari sviluppate nei tubi della specie vivente. i) LocarD A. Descript. de la faune des terr. tertiaire moy. de la Corse, pag. 205, tav. VII, fig. 4. Paris, 1877. 102 i I. CANAVARI [32] Una qualche differenza si può notare anche nello spessore più considerevole dei tubi e nella struttura microscopica forse alquanto diversa. Esaminate infatti al microscopio alcune sezioni sottili’ dirette in parte trasversalmente ed in parte secondo l’asse longitudinale del tubo, si vede un fitto ed irregolarissimo reticolato a maglie, avente una leggerissima tendenza a disporsi nella direzione concentrica nel primo caso ed in quella longitudinale nel secondo (Tav. XII [VI], fig. 16-18). La sezione longitudinale del tubo di un esemplare vivente pre- senta numerosi setti, ed è poco trasparente al microscopio, perchè la calcite è come imbevuta da una sostanza nerastra; tuttavia qua e là si ha indizio di un reticolato più minuto. Nella panchina di Livorno esiste una specie di Zeredo determinata è schedis dal MeNEGHINI con il nome di 7. macrospatha n. sp., la quale mentre sembra somigliante alla specie in esame per l’ assenza delle pieghe anulari nella parte interna del tubo, si distingue tuttavia da essa per lo spessore minore della parete del tubo stesso e per la diversa struttura microscopica. Questa mostra infatti che i tubi sono costituiti da sottili strati concentrici, mancando quindi quel reticolato caratteristico degli esemplari fabrianesi. In ogni modo però la specie fabrianese, identica a quella del Camerinese, del Sanseverinate e dei din- torni di Pergola, per la forma e grandezza del tubo è vicina alla 7. morvegica SPENGL., ma ripetiamo col SIMoNELLI che ogni determinazione di consimili specie basata sopra questi tubi calcarei è del tutto empirica e non può quindi ritenersi altro che come provvisoria. La forma descritta è assai frequente nei calcari marnosi miocenici dell’Italia centrale. Alcuni esem- plari del fabrianese da me esaminati sono tuttora aderenti al blocco erratico di gneiss che era racchiuso nella stessa formazione. CI. Gastropoda CUVIER, 1798. Gen. Trochus Lixsro, 1758. Trochus sp. cfr. Tr. ottnangensis HorrNEs. 1875. Trochus ottnangensis Horrnes. Die Fauna d. Schliers von Ottnang. L. cit., pag. 360, tav. X, fig. 11, 19. Racchiuso nella roccia si ha l’ultimo anfratto di una specie conica, abbastanza depresso, di Zrochus. Questo anfratto è poco alto, piano lateralmente, o piuttosto concavo, ornato di fini strie longitudinali, e superiormente, in continuità della sutura, fornito di una serie di numerose granulosità minute, regolari, ma non molto appariscenti. Inferiormente lo stesso giro ha una carena molto sviluppata, in corrispondenza della quale si hanno delle coste longitudinali più distinte. La base è poco convessa ed è pure ornata da numerose coste longitudinali. Questi caratteri rendono la specie in esame grandemente vicina al Zrochus ottnangensis dello Schlier d’Ottnang, al quale però non ho creduto di doverlo riferire completamente, in causa del cattivo stato di conservazione. Gen. Xenophora FiscH. pe WarpH., 1807. Sottogen. Tugurium FiscHER, 1880. Tugurium postextensum Sacco. — Tav. XII [VI], fig. 19-21. 1896. Tugurium postextensum Sacco, I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XX, pag. 26, tata (8 Nr vB IVA o [33] I. CANAVARI 103 1897. Tugurium postextensum De AncrLIs p’Ossar e Luzr. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 63. 1899. _ — Morena. Le formax. coc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App- centr. L. cit., pag. 476. 1899. —_ _ Dr AnceLIS D’Ossam e Luzy. Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 63. 1904. Xenephora postertensa MopernI. Osservar. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e Esino (Marche). L. cit., pag. 250. 1909. — _ NeLLI. Moss. mioc. del Modenese. L. cit., vol. XXVIII, pag. 506. Questa è una delle specie più frequenti della nostra formazione; è rappresentata però da esemplari sempre poco bene conservati in modello, e quasi tutti più o meno deformati per subìte compressioni. Conchiglia conica, talvolta più o meno depressa, composta di circa sette anfratti leggermente convessi, divisi da suture poco profonde ma sufficientemente distinte, e fra loro contigui inquantochè un giro ri- copre solamente per la base quello precedente. La base dell’ultimo giro, separata dal fianco per una ‘carena netta e spiccata, si vede solamente in pochi esemplari dei più piccoli, nei quali apparisce poco convessa. i L'ombelico è sviluppato specialmente nei piccoli esemplari. La bocca che si presenta assai bene con- servata in due di questi, è obliqua, di forma subtrapezoidale (Tav. VII [VI], fig. 205, 21a). La superficie degli anfratti è ornata da pieghe trasversali oblique, molto irregolari, arcuate e poco distinte, e raramente su di essa si vedono impronte di corpi estranei agglutinati. Alla base, gli ornamenti sono più regolari e consistono in numerose strie arcuate nel senso della spira e delle quali alcune, specialmente in vicinanza della bocca, sono più distinte delle altre. Il Sacco, che pure ha avuto esemplari di cattiva conservazione, ha osservato che questa specie si ‘collega da un lato col Zug. Relvaceum PHIL., vivente, e dall’altro col Zug. extensum Sow., eocenico, del quale potrebbe essere anche una varietà. Egli ha fatto giustamente osservare che il ug. postextensum era una specie dei fondi fangosi, come infatti doveva essere in origine la nostra formazione. Il Sacco cita questa specie dall’Aquitaniano al Tortoniano, ove sarebbe rara; fu trovata anche nello Schlier di Sanseverino Marche e nel miocene di S. Maria Vigliana (Modenese). Gen. Scalaria Lwux., 1801. Scalaria (Sthenorytis) globosa pe Boury. — Tav. XII [VI], fig. 22, 23. 1821. Scalaria retusa Br. Borson. Sagg. oritt. Piemonte, pag. 93.(339) pars. 1847. — — — Micarton. Foss. mioc. Italie sept., pag. 160 (pars), tav. VI, fig. 8. 1852. — — — p’Orsiony. Prodr., III, pag. 31 (pars). . 1861. — — — Mricaztorm. Et. nuoce. inf., pag. 84 (pars). 1871. — — — Nus. Tabl. synopt. Scalaria, pag. 54 (pars). \ 1889. Sthenorytis globosa De Bourr. Rév. Scal. mioc. et plioc. de 1° Italie. Bull. Soc. malac. ital., vol. XIV, pag. 195. 1890. —_ — Sacco. Cat. paleont. bac. terx. Piemonte. L. cit., vol. IX, pag. 318, n.° 5178. 1891. _ —_ — I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte IX, pag. 39. Conchiglia turricolata, globosa, appena un poco più alta che larga, costituita da anfratti non molto numerosi, divisi da suture profonde, moltissimo rigonfi. La spira è breve, e l’ultimo giro sviluppatissimo 104 I. CANAVARI [34]. costituisce quasi da solo tutta la conchiglia. Gli ornamenti consistono in pieghe trasversali molto spiccate e rilevate, assai numerose, 15 o 16 nell'ultimo giro, le quali sono alquanto fogliacee superiormente, e separate da intervalli ugualmente larghi. La bocca è rotonda ed è fornita di un margine calloso svilup- patissimo, specialmente nel lato esterno. Questa specie istituita dal De Boury nel 1889, era stata per l’avanti da diversi autori confusa con la Scalaria retusa Br., la quale, non fosse altro, differisce per un numero assai minore di pieghe trasver- sali, e per avere queste subspinose in corrispondenza della metà degli anfratti. La Sc. globosa, secondo il Sacco, si estende dal tortoniano all’astiano. Ho trovato un esemplare della stessa specie, di cui credo opportuno dare la figura, (Tav. XII [VI], fig. 23) tra i fossili della Vignaccia nel Camerinese, insieme alla ricca fauna echinologica descritta dal Loriot ?. Le Sealarie, col guscio ben conservato, sono abbastanza frequenti nel miocene appenninico di facies calcareo marnosa. Il MoRrENA ? ricorda la Scaluria (Circostrema) Doderleini Pant. dei dintorni di Cantiano, e parecchie forme sono state raccolte alla Vignaccia presso Camerino. Gen. Cassidaria Lwx., 1812. Cassidaria echinophora Lixxgo sp. — Tav. XII [VII], fig. 1. 1766. Buccinum echinophorum Lmnro. Syst. Nut., éd. XII, pag. 1198. 1814. — — BroccHi. Conch. foss. subapp., II, pag. 326, n. 4. 1820. Dolium _ Borson. Sagg. oritt. Piemonte, pag. 225. . 1822. Cassidaria echinophora Laxark. Hist. nat. des an. sans vert., VII, pag. 215 1826. —_ | Risso. Hist. nat. des env. de Nixza et des Alpes marit., IV, pag. 183. 1826. — —_ PevranpraT. Cat. d. An. et des Moll. de Vîle de Corse, pag. 152. 1856. —_ — Horrnes. Foss. Moll. Tertiarbeck. Wien, I, pag. 183, tav. XVI, fig. 4-6. 1868. _ —_ Wenxaurr. Conch. Mittelmeer, pag. 47, 48. o 1873. _ —_ Cocconi. Erum. sist. moll. mioe. e plioc. di Parma e Piucenza. L. cit., pag. 111. 1883. — _ StmoneLLI. Il monte della Verna ed i suoi fossili. L. cit., pag. 259. È 1890. Galeodea _ (cum varietas) Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte VII, pag. 53, tav. IL fig. 1-10. 1891. Cassidaria (Galeodea) echinophora SironeLri. Fauna del cosidetto « Schlier » nel bolognese e nell’anco- nitano. L. cit., pag. 15. 1895. = echinophora De FrawcHIs. Deserix. compurat. dei moll. post-plioe. del bacino di Galatina. Boll. Soc. malacol. ital., vol. XIX, pag. 154. 1897. — (Galeodea) echinophora De AnGeLIS D’'Ossat e Luzi. Foss. dello « Schlier > di Sanseverino (Marche). L. cit., pag. 63. 1899. —_ _ = De AnceLIS D’Ossar e Luzi. Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., pag. 63. 1899. Galeodea echinophora Morena. La formax. coc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Cairia nell’ App. centr. L. cit., pag. 475. 1900. Cassidaria echinophora RoverEDo. Moll. foss. tongriani. L. cit., pag. 164. 1900. Galeodea —_ Neli. Fossili mioc. dell’ App. aquilano. L. cit., pag. 411. i) MORENA T. Le formaz. eoc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centrale. L. cit., vol. XVIII, pag. 475. Roma, 1899. FS 2? LorioL. Descript. des échin. de Camerino. Mem. Soc. Phys. Hist. Nat. de Genève, vol. XXIII. Genève, 1882. [85] I. CANAVARI 105 1902. Cassidaria echinophora Vinassa. Osserv. sulla variabilità della conchigua ner mowuschi. Mem. della pilo) R. Acc. delle Scienze dell’ Ist. di Bologna, serie V, vol. X, pag. 197. 1904. — —_ Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXX. Ag- giunte e correzioni, pag. 98, tav. XXI, fig. 2-10. 1904. Morio (Galeodea) echinophora. MopeRrNI. Osservax. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e l’Esino (Marche). L. cit., pag. 250. Questa specie, che presenta una grande variabilità e una grande persistenza, è rappresentata da due esemplari. Il più grande è quello che corrisponde meglio al tipo, avendo gli ornamenti bene sviluppati; però anzichè cinque cingoli nell’ ultimo giro, ne mostra solamente quattro. Per questi caratteri quindi si riferisce assai bene alla var. placentina DEFR., figurata dal SAcco. L'altro esemplare più piccolo ha un solo cingolo minutamente noduloso nella parte superiore degli anfratti e corrisponde alla var. pseudotyrrhena del Sacco ”. Gli autori non si sono ancora trovati d’accordo sulla separabilità della specie presente dalla Cass. thyrrena e molti riuniscono le due specie a cagione delle numerose forme intermedie. La Cass. echinophora si estende dal miocene fino all’attualità. Cassidaria tauropomum Sacco. — Tav. XIII [VII], fig. 2. 1890. Galcodea tauropomum Sacco. 1 moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte VII, pag. 67, tav. II, fig. 24 a, d. 1897. — - Dr AnGELIS D'Ossar e Luzi. Foss. dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 62. 1899. - _ Dr AncrLIs D’Ossar e Luzy. Altra foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 63. 1904. Cassidaria — Sacco. I moll. dei terr. ter. del Piemonte e della Liguria, parte XXX. Ag- giunte e correz., pag. 99. Questa; specie che potrebbe ritenersi come una varietà della Cass. #hyrrena CHENN. è una delle più comuni dello SchZier dei dintorni di Fabriano. I miei esemplari sono in modello, alcuni anche di notevoli dimensioni, tutti poi più o meno deformati e mancanti della parte caudale o sifonale come quelli tipici studiati dal Sacco. La Cass. (Galeodea) tauropomum è stata citata dal De AnceLIs nello SehZier di S. Severino Marche e di Camerino, ma si può ritenere che essa sia molto estesa e che sia stata citata col nome di Cassidaria echinophora o più frequentemente con quello di Cuss. thyrrena. Nel macigno di Porretta essa è abbastanza frequente, ed il NELLI ve l’ha citata infatti col nome di Cass. echinophora var. thyrrena. La Cassid. tauropomum è specie elveziana, ma il Sacco la cita anche dubbiosamente nel tongriano. Cassidaria tauropyrulata Sacco. — Tav. XII [VI], fig. 3. 1890. Galeodea tauropyrulata Sacco. I moll. dei terr. tera. del Piemonte e della Liguria, parte VII, pag. 66, tav. II, fig. 22. . i) Sacco. I moll. dei terr. terz. del Piemonte e della Liguria, parte VII, pag. 60, tav. II, fig. 10. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 14 106 I. CANAVARI [36] A questa forma che, secondo il Sacco sarebbe rarissima nell’ elveziano dei colli torinesi, riferisco alcuni esemplari, che, alla stessa maniera di quelli della specie precedente, sono in modello e più o meno deformati. : L’esemplare meglio conservato che io figuro (Tav. XIII [VII], fig. 3) ha la conchiglia globosa, composta di circa 7 od 8 anfratti, dei quali sono conservati solamente gli ultimi 5 formanti una spira mediocremente elevata. I primi giri visibili sono subangolari e presentano in corrispondenza dell’ angolosità dei piccoli nodi che ricordano quelli della Cassidaria eclhinophora var. pseudothyrrena. L'ultimo giro, molto grande e che quasi da solo costituisce tutta la conchiglia, presenta nella parte superiore una maggiore angolosità degli altri, prodotta da una costa più rilevata delle vicine. Sotto questa angolosità si trova una depressione longitudinale larga ma poco profonda. Sul margine boccale molto sviluppato ed aperto, svaniscono gli ornamenti della conchiglia o vi si attenuano grandemente; essi invece si conservano sufficientemente distinti nella parte caudale che è obli- qua ed allungata a guisa di rostro. Anche questa specie, insieme con la precedente e con altre affini istituite dal SAcco, potrebbe considerarsi quale varietà. della polimorfa Cass. yrrena CHENN. Gen. Halia Risso, 1826. Halia praecedens PanraneLui. — Tav. XIII [VII], fig. 4. 1886. Halia praecedens PantaneLLI. Specie nuove di Moll. del mioe. medio. Boll. Soc. malac. it., vol. XII, pag. 123. 1890. — Rrelicoides Sacco. Cat. pal. bac. terx. Piemonte. L. cit., vol. IX, pag. 190. 1893. — = SnroneLni. Sopra la fauna del cosidetto « Schlier >» nel bolognese e nell’anconitano. L. cit., pag. 12. 1893. — = Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XIV, pag. 32, tav. II, fig. 38. 1898. — praecedens Sanciorei. Fossili tortoniani dall’alta valle dell’Idice. Riv. Ital. di Paleont., vol. IV, pag. 77. 1903. — — NeLLI. Moss. mioc. del macigno di Porretta. Boll. Soc. geol. it., vol. XXII, pag. 231, tav. IX, fig. 3, 4. Questa specie è rappresentata da tre esemplari in modello, alquanto deformati, due de’ quali incompleti, Essi corrispondono perfettamente alla forma figurata dal Sacco che questo autore ha riconosciuto identica alla tipica di Pantano (Prov. di Reggio Emilia). L’esemplare figurato (Tav. XIII [VII], fig. 4) è quello più completo e in miglior stato di conservazione. Esso è costituito da cinque anfratti assai rigonfi, non angolosi, ma strettamente arrotondati nella parte superiore, separati da suture spiccatamente oblique, non molto profonde, però bene nette e distinte. La bocca arrotondata in basso e angolosa in alto, ovale ed allungata, è mancante della estremità caudale e probabilmente anche di una porzione del labbro destro. î Sulla superficie si scorgono alcune strie e costicine di accrescimento irregolari ed irregolarmente distribuite, visibili specialmente sulla parte superiore degli anfratti. L’esemplare del macigno di Porretta sembra differire alquanto dai miei esemplari e da quelli illustrati dal Sacco per la conchiglia meno globosa e per la spira un poco più alta e meno breve. [37] I. CANAVARI 107 Gen. Comnus Linwro, 1758. Conus (Conospirus) antediluvianus Br. var. turritospira Sacco. — Tav. XIII [VII], fig. 5. 1810. Conus antidiluvianus Brucurère. Encicl. méth. Vers, I, pag. 637, tav. 347, fig. 6. 1814. — 1873. — 1887. — 1877. — 1879. — 1884. — 1890. — appenninensis 1890. — antediluvianus 1890. — 1893. Conospirus BroccHi. Conch, foss. subappenn., vol. II, pag. 291, tav. II, fig. 11. Cocconi. Enumerax. sistem. moll. mvioc. e plioc. Parma e Piacenza. L. cit., pag. 154. Locarpn. Descrip. de la faune des terr. tertiaires moy. de la Corse, pag. 71. IsseL. Moss. delle marne di Genova. L. cit., pag. 23. Parona. Il Pliocene dell’ Oltrepò pavese. Atti Soc. ital. Sc. nat., vol, XXI, pag. 66 dell’ estr. De GrEGorIO. Studi su talune conch. mediterr. viv. e fossili. Boll. Soc. malac. ital., vol. XI, pag. 100. Sacco. Cat. paleont. bac. terx. Piemonte. L. cit., vol. IX, pag. 284, n.° 4372. Sacco. Ibid. L. cit., n. 4370. Derra Campana G. Cenni pal. sul plioc. antico di Borzoli. L. cit., pag. 27. Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XIII, pag. 39. Appartengono a questa specie due esemplari discretamente grandi, mancanti della metà inferiore dell'ultimo giro. Essi hanno la spira scalariforme, piuttosto elevata. I giri sono divisi da suture piuttosto spiccate ed hanno la porzione superiore alquanto incavata, e quella laterale piuttosto alta e verticale. La loro carena superiore è netta, acuta ed ornata di tubercoli assai minuti che però svaniscono nell’ultimo giro. Per questi caratteri i miei esemplari corrispondono perfettamente a quella forma che il Sacco ha distinto col nome di var. turritospîra la quale è però, anche a detta del Sacco stesso, molto vicina al tipo. Il C. antediluvianus si estende dal miocene medio a tutto il pliocene. La var. furrifospîra sarebbe, secondo SAcco, esclusivamente tortoniana. CI. Cephalopoda CUVIER. Gen. Aturia Broxnn, 1838. Aturia Aturi Basreror. — Tav. XIII [VII], fig. 6,7. 1947. Nautilus diluvii Sti. MicurLomi. Descr. des foss. des terr. mvioc. de PItal. sept., pag. 346, tav. XV, fig. 4. 1872. Aturia Aturi Bast. BerLarDI. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte I, pag. 23 1887. — —_ 1893. — _ 1895. — = 1898. — — 1899. — — (cum syn.). PanraneLLI e Mazzenti. Cenno monogr. intorno alla fauna foss. di Montese. Atti Soc. Natur. di Modena, ser. III, vol. VI, pag. 10 dell’estr. SimonennI. La fauna del cosidetto « Schlier> nel bolognese e nell’anconitano. L. cit., pag. 8. De StEFANI. Apergu géol. ecce., pag. 21. Parona. Cef. terx. del Piemonte. Palaeont. ital., vol. IV, pag. 161, tav. XII [I], fig. 2-6; tav. XIII [II], fig. 5,6 (cum syn.). De Anernis D’ Ossar e Luzi. Altri foss. dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XII, pag. 63. 108 I. CANAVARI [38] 1899. Aturia Aturi Morena. Le formaz. eoc. e mvioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centr. L. cit., pag. 475. 1903. — — Neu. Foss. mioc. di Porretta. Boll. Soc. geol. it., vol. XXII, pag. 238. 1904. — — Sacco. I moll. dei terr. terx. del Piemonte e della Liguria, parte XXX, tav. I, fig. 15-18; tav. II, fig. 1-3 (cum syn.). 1904. — — — Moperni. Osservax. geolog. fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e l Esino (Marche). IL. cit., pag. 250. 1909. Nautilus (Aturia) Aturi. NeLLi. Fossili mioc. del Modenese. Boll. Soc. geol. ital.. vol. XXVIII, pag. 522. A questa specie tipica e caratteristica, appartengono parecchi individui abbastanza ben conservati, sebbene siano in modello, e leggermente deformati da compressioni laterali. Gli esemplari sono più o meno completi e di dimensioni non molto grandi; il maggiore non arriva a mm. 80 di diametro; ma quasi tutti presentano conservata, almeno in parte, la camera di abitazione, e lasciano scorgere evidentemente l’andamento caratteristico delle suture. L’individuo rappresentato dalla fig. 6a, della Tav. XII[[VII], è concamerato sino alla metà dell’ultimo giro, e per conseguenza ha la camera di abitazione estesa per tutta la seconda metà dello stesso ultimo giro. Esso è molto interessante poichè sembra aver conservata da una parte la porzione inferiore del margine boccale (Tav. XIII [VII], fig. 60). Infatti la spira termina, nella metà inferiore del giro, con una espansione auricolare strettamente arrotondata, in corrispondenza del primo terzo interno dell’altezza del giro, la quale scende alla regione ombelicale con un lungo margine obliquo e quasi diritto. Una leggera depressione segue a piccola distanza tale contorno peristomatico. La parte superiore del peristoma non è affatto conservata. I miei esemplari corrispondono alle forme più tipiche, sia per i caratteri dei giri, sia per l'andamento delle suture. L’ Aturia Aturi Basr. è una specie molto frequente nei terreni terziari dell’Italia settentrionale e centrale, e si trova comunemente in quasi tutte le più tipiche formazioni del miocene. Il SAcco la indica nell’aquitaniano, nel langhiano e nell’elveziano. CI. Crustacea LATR., 1796. Sotto Cl. Cirripedia BURM., 13837. Gen. Lepas Lixneo, 1767. Lepas sp. cfr. L. Rovasendai De AL. — Tav. XII [VII], fig. 8. 1894. Lepas Rovasendai De AressanprI. Cirrip. foss. d’Italia. Boll. Soc. geol. it., vol. XII, pag. 256, tav. I, fig. 3. Riferisco con dubbio alla specie del De ALESSANDRI uno scudo ben conservato di Lepas che per i caratteri speciali concorda abbastanza bene con la placca omologa della specie suddetta. È infatti di forma triangolare con la superficie esterna percorsa da linee parallele d’ accrescimento ben visibili e dirette parallelamente al margine tergo-laterale. Verso questo margine si notano altresì alcune linee radiali, convergenti all’ umbone, mal visibili ad occhio nudo, ma evidentissime con la lente d’in- grandimento. {39] I. CANAVARI 109 Il margine occludente della placca in esame è leggermente ricurvo, colla convessità rivolta all’ infuori; quello tergo-laterale, è ricurvo e convesso esso pure ed ambedue si collegano mediante un angolo di circa 60°, a vertice assai acuto. Il margine tergo-laterale si collega a sua volta al margine basale, mediante un angolo molto arrotondato. Quest'ultimo è quasi totalmente diritto e solo in prossimità dell’umbone descrive una curva appena sensibile, concava in basso. L'angolo che serve a collegare il margine basale con quello occludente è pochissimo minore del retto, ed il vertice di esso è sensibilmente arrotondato. La superficie di questa placca è, anzichè piana, dolcemente scoscesa verso il margine tergo-laterale, e più rigonfia presso quello di chiusura. Anche in questa placca, come in quella omologa della specie presa a confronto, si nota in prossimità del margine di chiusura, una notevole inflessione delle linee di accresci- mento, verso l’umbone, ed i luoghi d’inflessione sono tutti allineati sopra una specie di carena la quale segue pressochè parallelamente al margine occludente. È forse da ascriversi alla stessa specie un’altra placca di Lepas che per lo stato incompleto di con- servazione in cui si trova, non saprei a qual parte doversi con sicurezza assegnare. Ord. Ostracoda. Gen. Pontocypris Sars, 1865. ? Pontocypris sp. — Tav. XII [VII], fig. 9. Anche l’Ordine degli Ostracoda è rappresentato nella fauna fabrianese. Riferisco con dubbio al gen. Pontocypris un piccolo esemplare che ha queste misure: Lunghezza massima . : 5 mm, 0,974 Spessore . a o : 6 A » 0,294 Le valve sono egualmente convesse, e il contorno alquanto acuminato verso l’ estremità posteriore. La superficie appare liscia. Il cattivo stato della conservazione non permette l’esatta determinazione ed il confronto con altre specie del genere. CI. Pisces. Ord. Elagiostomi Hue et Rocgen. Gen. Lamna Cuvier, 1817. ? Lamna sp. ind. Appartiene forse a questo genere un frammento di dente, avente la corona superiormente troncata e le due branche della radice completamente asportate. Non potendosi, per le ragioni suddette, stabilire con sicurezza, se trattasi del genere più sopra riportato,. tanto meno può dirsi della specie cui l'esemplare in esame dovette appartenere. Gen. Oxyrhina Acass., 1838. Oxyrhina hastalis Acass. — Tav. XIII [VII], fig. 10, 11. 1843. Oxyrhina hastalis Agassiz. Poiss. foss., III, pag. 277, tav. 34, fig. 3, 5, 13, 15, 17. 1881. —_ Agassizi Law1ey. Studi comp. sui pesci foss. e viv., pag. 93, tav. 5-9. 110 I. CANAVARI [40] 1891. Oxyrhina hastalis Bassani. Contrib. alla paleont. della Sardegna. Ittioliti mivcen. Atti R. Ace. Se. di Napoli, serie II, vol. IV, pag. 31, tav. I, fig. 3; tav. II, fig. 1-26. 1891. _ — Easrwann. Beitr. aur Kennin. der Gatt. Oxyrhina. Palaeontogr., vol. 41, pag. 178. 1897. = — Dr Aressanpri. Avanzi di Or. hastalis del miocene di Alba. Atti Soc. ital. Sc. nat., vol. XXXVI, con 1 tav. 1897. — — De AressanprI. La pietra da cantone di Rosignano e di Vignale. L. cit., pag. 34, tav. II, fig. 2, 1899. - — Vinassa. Pesci neog. del bolognese. Riv. Ital. di Pal., vol. V, pag. 81, tav. II, fig. 7,8. 1901. — — Dr AressanpRrI, App. di geol. e pal. sui dintorni di Acqui. L. cit., pag. 75 dell’estr. DIMENSIONI I II III (DV Ma Altezza della corona . - . c È . mm. 46 mm. 43 mm. 41 mm. 39 mm. 22 Larghezza di base di essa . c , - » 34 » — >» 8362) » 25 » 18 Altezza della radice . 6 o = et » — » — » — » — » 9 Questa specie è ben rappresentata nella collezione in esame, da denti di diversa grandezza, ma tutti più o meno incompletamente conservati. La parte di essi più risparmiata è la corona; la radice invece o manca, ciò che più spesso accade, o è solo conservata in parte, donde l'impossibilità in cui mi sono trovato di darne tutte le dimensioni. Nei diversi esemplari si possono notare quasi tutte le forme che i denti di questa specie presentano, a seconda del posto che loro si compete nell’ apparecchio dentario, e si capisce dalla mole diversa da essi raggiunta, che dovettero sicuramente appartenere a individui differenti e variamente sviluppati. » La forma della corona è distintamente triangolare, l’asse coronale variamente obliquo, lo spessore di essa poco notevole, breve la larghezza della base in confronto dell’altezza totale della corona stessa. Sensibilmente convessa e rigonfia sulla pagina interna, mostrasi invece quasi pianeggiante in quella esteriore. Quest’ ultima però è leggermente ricurva presso l’ esterno; sopratutto se osservata sotto speciali incidenze di luce mostrasi percorsa da due scanalature laterali che partendo dagli angoli basali, seguono parallelamente i margini acuti e taglienti della corona. Nello spazio interposto a queste due scanalature, ‘notansi poi due altre leggerissime impressioni longitudinali che, dalla base della corona donde si distaccano, si dirigono verso l’apice della corona stessa. Tanto queste che quelle non oltrepassano però mai i due terzi inferiori dell’altezza totale di essa. Nei pochissimi esemplari dove la radice è conservata, questa è di forma larga e rigonfia, con la superficie scabra e con le due branche divaricate, sporgenti, e poco diverse l'una dall’altra. I numerosi esemplari da me posseduti, che pei caratteri riferiti più sopra vanno ascritti alla Oz. ha- stalis AG., dimostrano come questa forma sia abbastanza diffusa nella formazione argilloso marnosa di Fabriano, quanto lo è in quasi tutti gli altri giacimenti neogenici italiani, sino ad oggi conosciuti, e compresi fra il miocene inferiore ed il pliocene. Oxyrhina sp. ind. Appartengono certamente a questo stesso genere due frammenti dentari di diversa grandezza i quali risultano costituiti della sola corona. Per questa ragione non ho creduto opportuno di avventurarmi in determinazioni specifiche le quali avrebbero potuto riuscire del tutto erronee. {41] I. CANAVARI 111 Ciò premesso, avverto che ambedue i frammenti, presentano le maggiori somiglianze con la Ox. ha- stalis AG. Gen. Carcharodon Mutter et HENLE, 1841. Carcharodon megalodon Acass. — Tav. XIII [VII], fig. 13. 1843. Carcharodon megalodon Acassiz. Poissons foss., III, pag. 247, tav. 29. 1889. _ — Woonwarp. Cut. foss. fishs in Brit. Mus., pag. 415. 1891. — — Bassani. Contrib. alla paleont. della Sardegna. Ittioliti nviocen. L. cit., pag. 14, tav. I, fig. 1,2. 1895. — = De Aressanpri, Contrib. allo studio dei pesci tera. del Piemonte e della Liguria. L. cit., pag. 267, tav. I, fig. 1. 1897. —_ — De ALessanprI. La pietra da cantone di Rosignano e di Vignale. L. cit., pag. 46. 1897. — _ Dr AnerLIs D’Ossar e Luzs. I foss. dello « Schlier » di S. Severino (Marche). L. cit., vol. XVI, pag. 62. 1899. —_ — Vinassa. Pesci neog. del bolognese. L. cit., pag. 80. 1899. —_ — Morena. Le formax. eoc. e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centr. L. cit., pag. 475. 1901. _ — De ALESssanDRI. App. di geol. e pal. sui dintorni di Acqui. L. cit., pag. 71 dell’ estr. 1910. = —_ Neli. Foss. miocen. del Modenese. L. cit., pag. 523. DIMENSIONI Altezza della corona all’ esterno o 0 0 o . mm. 65 » » » » interno o 5 o . 5 » 55 Larghezza massima della corona . è È 0 ' » 75 Spessore massimo » » o c o 0 c » 22 Di questa specie posseggo un solo dente. Questo è privo in gran parte della radice, ma la corona è discretamente conservata e mostra evidentissimi tutti i caratteri della specie. È di forma distintamente triangolare, diritto, non troppo alto in confronto della larghezza basale, e con margini leggermente sinuosi. La superficie esterna della corona stessa è pressochè pianeggiante, ma porta una leggera depressione di forma allungata, nella parte centrale, e due altre infossature sulciformi lungo i margini. Questi sono fortemente denticolati, e î denticoli sono di forma distintamente arrotondata. La superficie interna è rigonfia e convessa. Manca in questo esemplare qualunque traccia di quelle orecchiette laterali che si osservano invece in taluni altri della specie medesima. Stando alle citazioni numerosissime del C. megalodon che sono date dagli autori, questo pesce sembre- rebbe avere raggiunto una straordinaria diffusione dal principio dell’ epoca eocenica fino a tutto il pliocene. Secondo il resultato di studi più recenti e più accuratamente condotti, sembra però che si debbano invece assegnare alle specie in esame limiti cronologici alquanto più ristretti, e forse essa non comparve ‘cche al principio dell’ oligocene, e si estinse con la fine del miocene. Comunque sia, essa raggiunse il suo massimo di sviluppo in quest’ultima epoca, e fu citata in quasi tutti i giacimenti miocenici così del Piemonte e della Liguria, come in quelli dell’ Appennino centrale. 12: I. CANAVARI [42] Species incertae sedis. — Tav. XIII [VII], fig. 14. Tra gli avanzi fossili provenienti dalla formazione marnoso argillosa dei dintorni di Fabriano, sî trovano quattro raggi spinosi incompletamente conservati ed alcune impronte di forma conico-depressa, di non facile determinazione (Tav. XIII [VII], fig. 14). o N I raggi spinosi suindicati, la cui lunghezza non supera i 3 em: circa, essendo distintamente frammentari, sono dotati di forma cilindrica, forati internamente e foggiati quindi a guisa di tubo. Il loro spessore è appena di 304 mm. e la loro superficie esterna mostrasi ornata fittamente da strie longitudinali minutissime. Questi raggi sono indeterminabili e neppure suscettibili di qualche confronto; ragione per cui niente altro di essi si può dire se non che debbono indiscutibilmente avere appartenuto alle pinne di qualche pesce dell'ordine degli Acantopterigi. Per ciò che riguarda poi le impronte suindicate, esse sono dovute ad epifisi vertebrali di qualche specie di pesce; rappresentano o modello esterno, e quindi a superficie conico-convessa, o modello interno e quindi a superficie conico-concava. Le prime presentano le tracce caratteristiche della striatura concentrica della superficie epifisiale, esterna. Le seconde invece mostrano evidentissime le vestigia della costulatura raggiata della fascia interna della epifisi stessa. Una di queste ultime presenta ancora aderente una frazione di osso epifisiale il cui spessore estre- mamente sottile è appena di mm.1 o poco più. Queste impronte sono di forma sensibilmente ellittica, e misurano un massimo diametro di cm. 6,5 ed un minimo di circa cm. 5. Circa il genere di pesce cui queste epifisi e le loro impronte possono avere appartenuto, mi è difficile di poterlo stabilire. Si può dire soltanto che esse debbono presumibilmente avere appartenuto a un individuo del gruppo dei Plagiostomi. CONCLUSIONI La fauna descritta è del tutto identica a quella che si trova in parecchie altre località delle Marche. La posizione stratigrafica di questi calcari marnosi, di colore grigio azzurognolo, quasi ovunque ado- perati per fare calci e cementi idraulici, è molto chiara. Sopra di essi si hanno roccie arenarie o argilloso arenacee e al di sotto la Scaglia rossa alla quale sembrano collegarsi litologicamente mercè graduali passaggi. Secondo parecchi autori la Scaglia rossa dovrebbe appartenere tutta al Senoniano; ma nell'Appennino centrale accade lo stesso fenomeno osservato già nelle Alpi orientali e nella Toscana, e cioè che la Scaglia appenninica e alpino orientale ed i creduti contemporanei scisti e scaglia rossi delle Alpi Apuane, con- tengono straterelli o lenti intercalati di calcare nummulitico. Queste Nummuliti, per quanto io ho potuto osservare, sembrerebbero più vicine a specie dell’eocene superiore che non a quelle dell’eocene inferiore. La pubblicazione paleontologica più antica e più importante relativa alla formazione calcareo marnosa in discussione è quella del Lorror sui dintorni di Camerino e nella quale è inserita una breve nota geo- logica di M. CANAVARI!). i) P. pe LorIoL. Descript. des Echinides des environs de Camerino précedée d’une notice stratigraphique par. M. CANAVARI. Mém. de le Soc. de phys. e d’hists. nat. de Genéve, vol. XXVIII, n. 3. Genéve, 1882. [43] I. CANAVARI 113 Le località note ed esplorate in quel tempo (1881) erano più specialmente quelle delle vicinanze immediate della città di Camerino, dove la formazione affiorava subito sotto allo scoglio arenaceo sul quale è fondata la città e quelle della Vignaccia e di Campobonomo nel territorio di Pievebovigliana. Gli echinidi provenivano, anzi, quasi tutti da queste due ultime località. M. CANAVARI riferiva sin d’allora al miocene superiore le arenarie e le argille sottostanti o spesso associate con esse, e al miocene medio la formazione calcareo marnosa ricca di Echinidi e di altri orga- nismi, avvertendo che i piani inferiori fino a tutto il sistema eocenico inclusivo, dovessero ricercarsi e delimitarsi nelle roccie sottostanti, del pari calcareo-marnose, e che con graduali passaggi di colorazione e di aumento nel tenore del carbonato di calcio si collegano alla Scaglia rossa. Molti anni dopo M. CanavaRrI, M. MARIANI ed io abbiamo esplorate altre località fossilifere dell’ im- portante bacino camerinese e cioè quelle del Torrone, delle vicinanze di Crispiero e di Cignano trovando, specialmente in quest’ultimo posto, un discreto materiale di Echinidi aumentato da quello ivi raccolto dal prof. Francesco Buccorini di Camerino. Do qui l’elenco delle specie da me esaminate del bacino camerinese che io credo dovrà esser con- siderato come il tipo per consimili formazioni : Echinoidea. Cidaris Canavarii Lor. — Caselle. Linopneustes Pareti Manz. (= Spatangus Canavarti Tristomanihus camerinensis Lor. sp. — Vignaccia. Lor.). — Cignano, Vignaccia. Echninolampas angulatum Mér. — Cignano, Vignaccia. Cleistechinus Canavarii Lor. — Cignano, Vignaccia. » Conti Lor.!) (=Echinanthus Contii Lor.) Brissopsis sp. Cignano, Vignaccia. Hemiaster (?) Canavarii Lor. — Cignano, Vignaccia. Toropatagus italicus Manz. et Mazz. sp. — Sotto le Pericosmus Capellini Lor. sp. (= Linthia Capellini Conce, Cignano, Vignaccia. Lor.). — Cignano, Vignaccia. Heterobrissus Montesi Manz. et Mazz. — Cignano, Vi- gnaccia. Brachiopoda. Terebratula (Lyothyrina) rovasendiana Sea.—Vignaccia. Terebratula (Lyothyrina) rovasendiana var. longostricta » » » var. rotundella Sacco. — Vignaccia. Sacco. — Vignaccia. Terebratula (Lyothyrina) rovasendiana var. subbartletti Sacco. — Vignaccia. Pelecypoda. Gryphaea cochlear Poi. — Cignano, Vignaccia. Pholadomya Puschi Gone. — Vignaccia. Ostrea langhiana Tra. — Caselle, Torrone. » vaticani Ponzi. — Vignaccia. Aequipecten Malvinae Dug.—Caselle, Torrone, Vignaccia. Procardia Canavarii Si. — Vignaccia. Amussium anconitanum For. — Vignaccia. Neaera cfr. elegantissima M. Horn ®. — Caselle. » "duodecimlamellatum Bronn. — Vignaccia. Teredo sp. cfr. T. norvegica SPENGL. — Caselle, Cignano, Limea strigilata Br. — Caselle. Vignaccia. Thracia convera Woopw. — Cignano, Vignaccia. 1) In STEFANINI (Eckh. del Mioc. medio dell'Emilia. Palaeont. ital., vol. XIV, pag. 85. Pisa, 1908) la specie è per errore attribuita al DESOR. ? L'unico esemplare trovato di questa specie è di una valva sinistra. Differisce dalla tipica N. elegantissima M. Horn. figurata e descritta da R. HòRrnES (Die Fauna des Schliers von Ottnang. Jahrb. d. k. k. geol. Reichsanst., vol. XXV, pag. 368, tav. XIII, fig. 8. Wien, 1875) per la mancanza delle strie radiali nella parte posteriore della conchiglia. Di questo esemplare ho voluto dare adesso la figura. (Si veda Tav. XII [VI], fig. 24). Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 114 I. CANAVARI [44] Pteropoda. Vaginella Calandrelliù Mica. — Caselle, Cignano, Vi- Balantium pedemontanum May. — Vignaccia. i gnaccia. 9 Gastropoda. Cirsotrema Doderleini Pant. — Cignano, Vignaccia. Cirsotrema crassicostatum DeszH. var. taurina Sacco. — » » » var. crassicostatoides Sacco. Cignano. Cignano, Vignaccia. Sthenorytis globosa De Boury. — Vignaccia. Cirsotrema Seguenzai Pant. — Vignaccia. Dolium fasciatum Bors. var. praecedens Sacco.—Caselle, » crassicostatum Desa. var. derto- Seguenzui Vignaccia. Sacco. — Cignano. Galeodea tauropomum Sacco. — Vignaccia. Pisces. Oxyrhina Desori AGass.!) — Caselle. Carcharodon megalodon Agass. — Cignano, Vignaccia. Mammalia (Cetacea). Squalodon sp. — Alcuni denti anteriori isolati presso Crispiero. A questa lista si dovrebbero aggiungere alcune altre specie citate da M. MARIANI” e cioè: Trochocyathus obesus Mica. — Colpolina di Fiastra. Cardium fragile Br. — Torrone, Vignaccia. Corbula revoluta Br. — Caselle. » oblongum Caenn. — Caselle, Torrone, Colpo- » gibba OL. — Vignaccia. lina, Vignaccia. Tellina planata Linn. — Caselle. Arca diluvii L. — Torrone. Venus multilamella Lam. — Caselle, Soprafonte. Ervilia podolica Br. — Vignaccia. Limopsis aurita Br. — Caselle. Scalpellum molinianum See. — Vignaccia. Per chi conosce bene le faune terziarie, appare che l’insieme delle specie che io ho direttamente vedute e di quelle notate da M. MARIANI, appartiene al miocene e ad una facies di mare profondo. Il Sacco ® ha recentemente emessa l’opinione che questi terreni del Camerinese ed altri faunistica- mente e stratigraficamente ad essi corrispondenti e che sono molto estesi nelle Marche, debbano ascri- versi all’ eocene. I nuovi ritrovamenti ed i nuovi studi confermano invece sempre più le antiche idee del Simonenni® e di M. CANAVARI®. ) Il piccolo dente delle Caselle appartenente all’Oxyrà. Desorì AG. ha la corona di forma triangolare allungata e sottile, ricurva all’ interno, di debole spessore ed avente l’osso coronale sensibilmente obliquo. Di questo esemplare è data la figura nel presente lavoro (Tav. XIII [VII], fig. 12). ? MARIO MARIANI. Fossili miocenici del Camerinese. Riv. ital. di Paleont., vol. VI, pag. 96. Bologna, 1900. — La Scalaria lamellosa Br. della Vignaccia citata in questo lavoro appartiene certamente ad una delle forme di Cirsotrema da me determinate; la Cassidaria echinophora L. deve essere il Dolium fasciatum Bors. che è frequentissimo alla Vignaccia e altrove, rappresentato sempre da piccoli esemplari. = ® Sacco F. La questione eo-miocenica dell’ Appennino. Boll. Soc. geol. ital,, vol. XXV, pag. 65 e seg. Roma,1906. 4 SimoneLLiI V. Sopra la fauna del così detto « Schlier » nel bolognese e nell’anconitano. Atti Soc. tosc. Sc. nat. Memorie, vol. XII. Pisa, 1903. 9) CanAVARI M. Notice stratigr. ecc., in P. pe Lorrot. L. cit. [45] I. CANAVARI 115 Giova poi ricordare che quando il LorioL descrisse gli Echinidi del Camerinese fece la seguente precisa premessa: “ Sept de ces espèces (in n.° di 10) sont nouvelles, ce qui est un fait extraordinaire, car bien que les Echinides des dépòts miocènes azent été jusqu'ici, relativement à d’autres, assez peu étu- diés, on en connait cependant déjà un bon nombre d’espèces ,, !. Le ulteriori conoscenze delle faune echinologiche mioceniche hanno dimostrato che non tutte le sette specie nuove del miocene camerinese sono peculiari di questa località. Lo SreranINI ® infatti osserva che Pericosmus Capellinii Lor. sp. è comune anche nel miocene medio dell’Emilia e che lo Spatangus Cana- variî Lor. corrisponde al Linopneustes Pareti Mav., specie questa del pari frequente nel miocene emiliano. Inoltre, dopo la pubblicazione del LorIoL, sono state rinvenute nei dintorni di Camerino altre due specie di echinidi, e cioè Toropatagus italicus Manz. et Mazz. Heterobrissus Montesi Manz. et Mazz. frequenti nel ricordato miocene medio dell’ Emilia. Le faune echinologiche eoceniche, anche ai tempi del LorioL, erano assai meglio note di quelle mio- ceniche e sarebbe davvero cosa da meravigliarsi se dovesse ritenersi eocenica quella camerinese che non contiene nessuna specie propria di tale sistema ! Ma oltre agli Echinidi, ai quali tutti attribuiscono grande valore cronologico, si deve oggi segnalare nella fauna in discussione, la presenza sicura di Squalodonti, famiglia di Odontoceti non più antica del ‘ miocene. In fine è pure da tener conto che alle Caselle e a Cignano si hanno talvolta straterelli pieni di Vaginella Calandrellii Mica. e che tutti i calcari marnosi che hanno dato la fauna citata non contengono mai Nummuliti. La seconda località fossilifera bene accertata è quella delle vicinanze di Pergola ®. Tra i fossili ivi raccolti, il SimonELLI ® riconobbe e descrisse le seguenti specie : Aturia Aturi Basr. Pholadomya (Procardia) Canavarii Su. Cassidaria (Galeodea) echinophora L. Flabellum ausonium Can. (in sch.) = f1. vati- Amussium anconitanum For. cani Ponzi. Anche il SimonELLI ritenne questa faunula miocenica e la paragonò con quella del cosidetto Schlier di Ottnang, sostenendo inoltre la pertinenza sua, insieme con lo Sehlier del Bolognese, al secondo piano mediterraneo. Una fauna ancora più ricca di questa di Pergola fu determinata da De AnGELIS D’Ossat e Luzi® e raccolta nei calcari marnosi da cemento delle località Ponte dei Canti e colle di Sassuglio, la prima sulla sinistra e la seconda sulla destra del fiume Potenza ed ambedue situate presso Sanseverino Marche. i) P.pE Lorrot. L. cit. 2) STEFANINI G. Echinidi del Miocene medio dell’ Emilia. Parte prima e sec. Pal. Ital., vol. XIV, vol. XV. Pisa, 1908-1909. 3) CanavarI M. Di alcuni fossili di recente trovati nei dintorni di Pergola in prov. di Ancona. Atti Soc. tose. Se. nat. Proc. verb., vol. V, pag. 53. Pisa, 1886. 4 SimoneLLI V. Sopra la fauna del così detto « Sehlier » nel bolognese e nell’anconitano. L. cit. 5) DE ANGELIS D’Ossar G. e Luzy G. F. I fossili dello « Schlier » di S. Severino (Marche) L. cit., vol. XVI, pag. 61, Roma, 1897; — In. In. Altri fossili dello « Schlier » delle Marche. L. cit., vol. XVIII, pag. 63. Roma, 1899. 116 I. CANAVARI La nota delle specie è la seguente: Carcharodon megalodon AGass. Aturia Aturi Basn. Galeodea tauropomum Sacco. Cassidaria (Galeodea) echinophora L. Tugurium postertensum Sacco. Turbo (Trochus) cîr. fimbriutus Bors. Limea strigilata BR. [46] Arca lactea Lx. Lucina sp. Vaginella Calandrelliù Micx. Terebratula rovasendiana SEG. Briozoi ind. Hemipneustes italicus Manz. et Mazz. Isis peloritana Ses. Ostrer (Gryphaca) cochlear Pont. Plabellum vaticani Ponzi. » cfr. langhiana Tras. Orbulina universa D’ORB. Amussium denudatum Reuss. Globigerina bulloides D’ORB. Pecten Malvinae DuB. î » » var. trilobata Reuss. Teredo norvegica SPENGL. Discorbina sp. Pholadomya (Procardia) Canavarii Su. Cristellaria sp. » vaticani Ponzi. Textularia sp. ecc. Anche il MoperNI! cita parecchie specie del Ponte dei Canti determinate dal DI SrEFANO, notando che quel giacimento appartiene ad una faczes di mare profondo del miocene medio, equivalente allo Seklier. Come nel Camerinese, il giacimento sanseverinate è sottostante ad arenarie, che il MopERNI stesso dubita stiano a rappresentare il miocene superiore. Gli stessi calcari marnosi e con la medesima fauna, attribuiti pure al miocene, furono segnalati dal MoreNA ? tra i terreni terziari fiancheggianti il gruppo del Catria. Le località fossilifere ricordate sono nei territori di Acqualagna e di Cantiano e le specie determinate le seguenti: Oarcharodon megalodon Agass. Teredo norvegica SPENGL. ‘Aturia Aturi Bast. Pholadomya (Procardia) Canavarii Su. Galeodea gruppo della G. echinophora L. ? cfr. margaritacea Sow. Cirsotrema Doderleini Pant. Nucula cfr. Mayeri HORN. Tugurium extensum Sacco. Tellina sp.? » postertensum Sacco. Maretia sp.? Pinna subpectinata Micu. Hemiaster sp.? Osservava giustamente il MoRENA che i giacimenti fossiliferi da lui trovati di Montedoro nel Can- tianese e di Corbascione presso Cagli, si ricollegano allo SeRlier di Pergola e di Sanseverino Marche e sono coevi dello Sehlier del Bolognese e di altre località italiane ®. Anche presso Ascoli Piceno si trova analoga formazione. MascaRINI A., Micr F. e CanavarI M. vi raccolsero alcuni fossili che ho veduti nelle collezioni del Museo geologico di Pisa, e cioè Ostrea langhiana TraB. Limea strigilata Br. Pholadomya (Procardia) Canavarii Su. i) MODERNI P. Osserv. geol. fatte alle falde dell'Appennino fra il Potenza e V Esino (Marche). Boll. R. Com. geol., vol. XXXV, pag. 250. Roma, 1904. ? Morena T. Le formazioni eoc.e mioc. fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ App. centr. Boll. Soc. geol. ital., vol. XVIII, pag. 471 e seg. Roma, 1899. 2) Morena T. Ibid. L. cit., pag. 177. [47] I. CANAVARI ili Un’ altra località fossilifera non ancora ben definita e che sembra essere in contrasto con le faune precedentemente notate, è quella delle vicinanze di Urbino. Ivi si presenta una roccia calcareo marnosa detta volgarmente Lisciaro, che nell’ aspetto è pressochè identica con i calcari marnosi del Camerinese, del Sanseverinate, del Fabrianese, dell’Ascolano ecc. contenenti fauna schiettamente miocenica. Parmi molto interessante il notare in proposito che il prof. F. Mici dell’ Università di Urbino, che pubblicò anche un pregevolissimo lavoro sui terreni dell’ Urbinate ”, inviò al MENEGHINI, molti anni or sono, alcuni campioni di rocce da lui raccolti nel Bisciaro di Urbino e coll’indicazione scritta di suo pugno “ con qualche rara Nummulite ,. Ma queste credute “rare Nummuliti , non sono altro che esemplari più o meno bene conservati dell’ Ostrea langhiana TRAB. Successivamente fu mandato poi a Pisa un altro pezzo di Bisciaro raccolto pure presso Urbino tutto pieno di LBalantium carinatum AUD., pteropodo anche questo proprio del miocene. Sarebbe quindi necessario controllare gli esemplari di credute Nummuliti urbinati determinate dallo StoPPANI, perchè nasce spontaneo il dubbio che non sieno altro che la solita piccola Ostrea langhiana TrAB. così frequente in tutta la formazione marchigiana presa in esame. È quindi tut- t'altro che accertata l’ eocenicità del Bisciaro urbinate, come asserisce il SAcco ?). 1 La fauna abbastanza ricca della formazione dei calcari marnosi da cemento di Fabriano che ho de- scritto in questo lavoro è così composta ”: Organismi problematici. Zoophycos cfr. Gastaldi Sacco. Cylindrites? » (2) wltimus Sar. Corpi simili a fucoidi. Spongeliomorpha? Foraminifera. Nodosaria sp. cfr. N. ovicula D'ORE. Truncatulina Sp. » » >» N ambigua Neva. » sp. cfr. Tr. vorter Sec. Vaginulina legumen Linn. » Sp. Cristellaria sp. Anomalima sp. cfr. An. ammonoides Reuss. Polymorphina sp. » Sp. Globigerina bulloides D’ORB. Pulvinulina sp. Orbulina universa D’ORB. » Sp. Pullenia sphaeroides D’ORB. Rotalina sp. Sphaeroidina bulloides D’ORB. Noniomina sp. Anthozoa. Trochocyathus sp. cfr. Tr. affinis Reuss. Flabellum sp. ind. Flabellum vaticani Poxzi. Echinoidea. Toropatagus italicus Manz. et Mazz. 1) Mrci F. 1 terreni dell’ Urbinate. Discorso per la solenne inaugurazione degli Studi della libera Università di Urbino li 16 nov. 1872. Urbino, tip. del Metauro, 1873. 2) Sacco F. La questione eo-mioc. dell’App. ecc. L. cit., pag. 113. i 3) Non dico fauna e flora, perchè è sempre dubbio il riferimento alle piante degli organismi problematici da me esaminati. 118 I. CANAVARI [48] Pelecypoda. Pecchiolia argentea Mar. Tellina distorta? Poni. ‘ Mioporomya bicarinata Rov. Pholadomya Puschi GoLpr. var. virgula Micx. Procardia Canavarii Sur. Teredo sp. cfr. T. norvegica SPENGL. Gryphaca (Pycnodonta) cochlear Porri sp. Ostrea langhiana TRAB. Limea strigilata BR. sp. Acequipecten Malvinae DuB. Amussium corneum Sow. var. denudata Reuss. » ancomitanum For. Gastropoda. Aturia Aturi Basr. Lepas sp. cfr. L. Rovasendai De An. ? Pontocypris Sp. 2Lamna sp. ind. Oryrhina hastalis AGass. » sp. ind. Carcharodon megalodon AGgass. Trochus sp. cfr. Tr. ottnangensis Horrx. Tugurium postertensum Sacco. Scalaria (Sthenorytis) globosa De Bourx. Cassidaria echinophora L. sp. î » tauropomum Sacco. » tauropyrulata Sacco. Halia praecedens Pant. Conus (Conospirus)antediluvianus Br. var. turri- tospira SAcco. È evidente che questa fauna corrisponde con quella dei dintorni di Camerino, di Pergola, di Sanse- verino Marche ecc., come ne corrisponde la natura del deposito, e che al pari di tutte quelle citate, deve essere attribuita, secondo il mio parere, al miocene e molto probabilmente al miocene medio, quale una facies di mare piuttosto profondo. Questa facies poi si collega quasi certamente con tutta la formazione calcareo marnosa arenacea dell’ Umbria e dell’Appennino tosco-emiliano e che qua e là contiene alcuni fossili corrispondenti a quelli da me citati nel miocene marchigiano. Se da una parte questo mio tenue lavoro ha lo scopo di far conoscere la fauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano, servirà pure a richiamare l’attenzione dei provetti geologi sopra una questione tanto dibattuta, quale è quella appunto dell'età di tutti i terreni terziari che si manifestano quasi senza interruzione nell’ Italia centrale. Finito di stampare il 15 luglio 1910. ALFREDO MISURI SOPRA UN NUOVO CHELONIO DEL CALCARE MIOCENICO DI LECCE (EUCLASTES MELII MisuRI) (Tav: XIV; DEV [GTI] e Fig: 1,2 intere.) Ord. Testudinata. Sottord. Cryptodira. Fam. Chelonidae, Gen. Euclastes Cope. Euclastes Melii n. sp. Il fossile in istudio, appartenente al Museo geologico della R. Scuola d’applicazione per gl’ Ingegneri di Roma, proviene dal calcare miocenico di Lecce. La squisita cortesia del prof. RomoLo MELI, permise che l’interessante avanzo potesse essere studiato nell’ Istituto di geologia e paleontologia dell’ Università di Napoli, accogliendo la preghiera del prof. BassAanI che desiderava giovarsene per istituire alcuni con- fronti con altri resti di cheloni dello stesso giacimento. Di esso sono conservati: 1.2 — Il teschio, con l’apice del muso fortemente danneggiato e con la base frantumata, mancante della mandibola destra, e con le orbite alquanto deformate per la depressione subìta; 2.°— L’omero di sinistra, assai incompleto nella sua parte distale, e ridotto, anche per quel che rimane, in uno stato di grande fragilità; 7 3.° — La metà anteriore del clipeo, abbastanza conservata, che ne permette la determinazione, e, in parte, la ricostruzione, quantunque percorso da rotture e privo di quasi tutte le piastre marginali. Pure considerando la depressione sofferta, si può ritenere che l’animale possedesse uno scudo non molto convesso, il quale, visto dal dorso, doveva ricordare la figura cordiforme che si riscontra nei clipei delle specie vi- venti del gen. Chelone: un poco rientrante nella parte nucale, ed appuntito verso la caudale. A quanto si può arguire dalle parti esistenti, la lunghezza dell’asse mediano, doveva essere di circa cm. 37-38 e la massima larghezza trasversale di cm. 34-35. L’esemplare non permette di stabilire l’altezza dorso- ventrale, intravedendosi solo qualche osso del piastrone, il quale, depresso fortemente, venne quasi ad accollarsi alla faccia inferiore dello scudo; nè sarebbe possibile isolarlo senza danneggiare le piastre costali vicine. D’altra parte, durante la fossilizzazione dell’animale, non solo alcune suture si divaricarono per 120 A. MISURI [2] modo che diverse piastre vennero schiacciate più delle altre; ma tale fu la pressione esercitata sulla superficie convessa dello scudo, che, specialmente a destra, le piastre costali furono spezzate con una linea di rottura che le attraversa a metà circa della loro superficie, decorrendo quasi parallelamente al margine esterno dello scudo. Malgrado tutte le avarie subìte, lo stato di conservazione del fossile è di gran lunga migliore di quello della maggioranza dei cheloni conosciuti. Teschio. Come già accennai, i premascellari sono stati rotti, respinti indietro e cementati dalla roccia con le altre ossa; ciò risulta evidentissimo pel destro, che si è fissato al prefrontale di destra, occludendo in parte l’orbita. Possiamo considerare che la lunghezza perduta in causa di questa rottura sia di un cen- timetro a un centimetro e mezzo; perciò la lunghezza totale del cranio, dal premascellare al sopraoccipitale, può calcolarsi di circa cm. 15. La massima larghezza, dalla metà dello squamoso di destra a quello di sinistra, corrisponde a cm. 9,5. Essendo visibile il cranio soltanto dalla parte superiore, ed essendo frantumati i premascellari, non si può dire con certezza se dall’esterno potesse scorgersi o no una linea di separazione tra questi ed i mascellari. Però a sinistra si vede, osservando con una certa attenzione, il limite tra il mascellare e l’osso adiacente (postfrontale) che è uguale alla metà circa del margine in- feriore della cavità orbitaria. Non avendo dati sufficienti per poter distinguere il premascellare dal ma- scellare, sotto quest’ultimo nome riunirò l’uno e l’altro, considerandoli come un solo osso, lungo, stretto ed appiattito, che dall’apice del muso giungeva alla metà inferiore dell’orbita; esso, insieme coi prefrontali, contribuisce a formare l’unica narice, segue per un lungo tratto il prefrontale, e insieme con questo, col frontale e col post-frontale, concorre a delimitare l’orbita. La massima lunghezza era presumibilmente di cm. 6; la massima larghezza (sull’orbita, nel punto d’incontro col prefrontale) di cm. 2: I prefrontali, un po’ meglio conservati nella parte prossimale, dopo aver formato col loro estremo anteriore l’orlo posteriore della narice, si ricongiungono per tutto il loro percorso, con una sutura che che segue l’asse maggiore del cranio, e che poi si divarica in forma di V per dare attacco ai frontali. Allontanatisi da questi, si dirigono verso il margine superiore dell’orbita, della quale formano la metà anteriore. Lunghezza massima, dalla narice al punto di separazione col frontale, cm. 3,2; larghezza massima, dalla sutura assiale al bordo superiore dell’orbita, cm. 1,3. Le ossa sin qui descritte sono percorse da finissimi solchi che si dirigono da ogni parte e presentano una certa regolarità lungo la sutura assiale. I due frontali son rimasti integri, ed hanno una forma così caratteristica, se si considerano insieme, che li fa rassomigliare ad una foglia d’edera. Anteriormente convergono a formare un angolo acuto, che s’intromette come un cuneo nello spazio a. V, lasciato libero dai prefrontali; poi ciascuno diverge, segue per ‘8 mm. l’estremità posteriore dei prefrontali e per 2 mm. l’orlo superiore dell’orbita, si ripiega in basso attaccandosi al post-frontale, e finalmente, ripiegando ancora ad angolo ottuso, dalla parte posteriore, con una sutura sinuosissima, si congiunge al parietale. Anche i frontali sono percorsi da strie e solchi, i quali però sembrano irradiare da un centro di figura, che è situato sulla sutura mediana. Un altro solco profondo segue i contorni delle due ossa a 3-4 mm. di distanza da essi, parallelamente. Lunghezza massima, dai prefrontali ai parietali, sulla linea me- diana, em. 2,5; larghezza massima, dalla linea mediana all’orlo superiore dell’orbita, cm. 1,7. I parietali, sviluppatissimi, sono visibili soltanto sino all’incontro col mastoide di destra e di sinistra, essendo danneggiati in tutta la loro porzione distale, come tutta la base del cranio. La parte di essi che si è conservata, forma, nell’insieme, la figura di un trapezio con un’altezza considerevole, quasi eguale alla [B] A. MISURI NO sua base maggiore. La sutura mediana, visibile in avanti, si oblitera a metà del suo percorso, per tornar poi ad essere visibilissima, anche perchè divaricata e cementata dalla roccia. La sutura anteriore (coi frontali) e le suture laterali (coi postfrontali) sono molto sinuose, ma pressochè impercettibili. Quasi nel mezzo delle due ossa riunite, un solco marcato segna il luogo dove s’impiantava lo scudo corneo sincipitale, e, nel mezzo di questo, esiste un centro di figura costituito da un punto un po’ in- fossato, dal quale irradiano vanti minutissimi solchi in tutte le direzioni. La superficie generale delle due ossa riunite è, nel suo insieme, abbastanza convessa, ma la convessità generale è suddivisa in diverse aree a lor volta convesse, separate dai solchi d’impianto degli scudi cornei, che descriverò in seguito. Il parietale di destra, rotto, si saldò di nuovo, irregolarmente, vicino al mastoide; la linea di rottura distale di ambedue è quasi al livello dell’impianto del sopraoccipitale. Considerando che i parietali dovevano per analogia con forme quasi identiche (cfr. il cranio della Chelone longiceps Ow.!), essere molto svi- luppati, la lunghezza massima, lungo la sutura mediana, doveva misurare cm. 8, la larghezza minima cm. 3, e la larghezza massima, cm. 7,4. Il sopraoccipitale si è potuto isolare soltanto a sinistra; esso doveva aver la figura di un robusto sprone che, inalzandosi con una sottile lamina, si riuniva solo faccia inferiore dei parietali, lungo la sutura mediana. Lunghezza cm. 3,5-4; larghezza alla base, cm. 1; l'estrema punta è rotta. Le ossa della base del cranio s’intravedono qua ‘e là, ma, essendo estremamente fragili, non per- mettono un ulteriore isolamento. Passando alle ossa laterali, oltre i mascellari già descritti, dobbiamo considerare i postfrontali, che da soli costituiscono quasi la metà dell’arco superiore dell’ orbita, posteriormente. Del postfrontale di destra rimane soltanto. la parte antero-superiore; il postfrontale di sinistra è quasi intero, mancando solo un piccolo tratto inferiormente; però, in vicinanza del mastoide, presenta diverse rotture con spo- stamento dei frantumi che successivamente si saldarono tra loro. Im contiguità col frontale, nella parte anteriore, decorre poi unendosi al parietale per due terzi circa della sua estensione; ripiega in basso at- taccandosi al mastoide, segue lo squamoso ed il malare, e termina sull’orlo posteriore dell’orbita. Superficie irregolare ed irregolarmente solcata. Massima lunghezza, dal frontale al mastoide, cm. 5,3. Massima lar- ghezza, dal parietale al malare, cm. 2,8. Dei due malari, rimane solo il sinistro quasi integro, dalla superficie pianeggiante, con solchi irre- golari; forma la metà della porzione inferiore dell’orlo dell’orbita, ed un terzo di quello della mascella; adiacente in avanti, al mascellare; indietro, allo squamoso; in sopra, al postfrontale. Massima. lunghezza, dal mascellare allo squamoso, cm. 3,4; massima larghezza, dal postfrontale al margine della mascella, cm. 2,3. f 3 Dello squamoso non resta che il frammento prossimale; nulla quindi si può dire della sua forma e dimensione. È rimasto soltanto, danneggiatissimo, il mastoide sinistro. Di esso si scorge solo la superficie che doveva occupare, e la sutura con la quale si salda al parietale ed al postfrontale. Massima lunghezza, dallo squamoso, alla base del cranio, cm. 3,2; massima larghezza, dal parietale al timpanico cm. 2,8. Del timpanico rimane solo l'impronta, a sinistra. È visibile un pezzo della mandibola sinistra (soprangolare, angolare e dentale), priva dell’estremità vicina alla sinfisi del mento; manca l’articolare. La mandibola è lunga, stretta e sottile. Lunghezza, dalla sinfisi del mento all’angolare, cm. 9 (?); altezza, dall’orlo superiore all’inferiore, mm. 9 a 10. 1) Owen a. BeLL. Monograph on the fossi Reptilia of the London Clay. Palaeontographical Society, 1849 pag. 1, tav. IlI, fig. 1-3. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 16 122 A. MISURI [4] Impronte degli scudi cornei cefalici. Il primo paio di scudi cornei (scudi fronto-nasali) partono dalla narice, seguono la sutura mediana, decorrono paralleli, in dentro, ai frontali, sì arrestano alla base di questi, seguono la sutura tra i pre- frontali ed i postfrontali, dalla quale una linea retta li ricongiunge alla narice. Lunghezza, dalla narice alla sutura tra il prefrontale e il postfrontale, cm. 3,5; larghezza, dalla sutura mediana al margine esterno, cm. 1,3. Lo scudo sopraorbitale, dall’incontro col fronto-nasale, piega in dentro, decorrendo parallelamente alla sutura parieto-postfrontale; quivi forma un angolo quasi retto, per dirigersi lateralmente in basso, sino all’angolo posteriore dell’orbita, e delimitando poi, superiormente, l’orbita stessa. Lunghezza, dal fronto-nasale all’angolo sulla parieto-postfrontale, cm. 3,1; larghezza, dall'angolo stesso, all'orbita, cm. 2,3. Lo scudo frontale, piccolo, impari, ha forma d’un triangolo isoscele, col vertice incuneato tra i due frontonasali, coi due cateti lungo i frontonasali stessi, e con la base contigua allo scudo seguente (sinci- pitale). Lunghezza, dal vertice al sincipitale, cm. 2,2; larghezza, dal frontonasale di destra a quello di sinistra, cm. 1,2. È Lo scudo sincipitale, a guisa di un ottagono irregolare, dalla base del frontale costeggia i due so- praorbitali, segue nella sua metà posteriore gli occipitali, e col lato impari posteriore, senza una netta divisione, passa a congiungersi coù l’interoccipitale. Attraversa lateralmente i parietali e con una linea retta, finchè accompagna i sopraorbitali, e con una linea spezzata, quando si è unito agli occipitali. Lunghezza massima, dal frontale all’interoccipitale, lungo la linea mediana, cm. 3,2; larghezza massima, tra i due punti d’incontro di quest’ ultimo col sopraorbitale e con l’occipitale, cm. 3,3. L’interoccipitale, come un allungatissimo trapezio, si attacca senza netta divisione, come ho già detto, al sincipitale cor la sua base minore. È possibile scorgerne soltanto un pezzo, il suo terzo anteriore circa, ma, siccome in forme affini a questa (Chelone longiceps Ow.) i parietali si prolungano sino a co- prire del tutto la lamina formata dai sopraoccipitali, e sopra i parietali si continua l’impressione dello scudo interoccipitale, possiamo dire che la sua lunghezza massima, dal sincipitale alla base del cranio, lungo la sutura mediana, sia stata di cm. 4,5-5, la larghezza della base minore di questo trapezio, di cm. 0,7, e quella della sua base maggiore di cm. 1,5 (?). Gli scudi occipitali, dall'angolo posteriore dell’orbita, risalgono costeggiando i sopraorbitali, il sinci- pitale, e l’interoccipitale, con una linea sinuosa, e giungono sino alla base del cranio, per risalire poi seguendo le suture mastoido-parietale e mastoido-postfrontale. Non si può fare di questo scudo un’esatta descrizione, essendo bipartito per un certo tratto, e perdendosi poi questa linea di bipartizione, sino all’incontro di un altro scudo senza contorni ben definiti, ma occupante press’a poco le dimensioni del mastoide, che è lo scudo occipito-laterale. Ma a questo livello le impressioni degli scudi cornei si affie- voliscono, sino a perdersi completamente in quei punti (nuca, gola) dove le scaglie cornee, fitte ed em- bricate non lasciarono traccia del loro impianto. Narice ed Orbite. La narice, impari, della quale si scorge la base, doveva aver forma di triangolo ad angoli smussati, ripetendo la linea dell’apice del muso. Lunghezza cm. 1,2 (2); larghezza cm. 1. Le orbite, grandi, allungate, basse, quasi ellittiche, le quali dovevano essere originariamente più alte, furono ridotte così per effetto della compressione subita. Meglio conservata è la sinistra, come tutto il resto del cranio. Lunghezza cm. 4; altezza cm. 2,1 (?). [5] A. MISURI 123 Vertebra cervicale. Immediatamente all’ innanzi del margine nucale del clipeo si scorge un frammento osseo apparte- nente ad una delle vertebre cervicali, ma, come osservai, lo stato di eccessiva fragilità del fossile non consente che venga isolato. Omero sinistro. È un robusto osso, appiattito verso la metà, ristretto e prossimalmente come distalmente terminato a paletta. La parte prossimale, coi margini lisci, rotondi, è completa in avanti per un tratto di cm. 1,5; nel resto, l'osso, leggiero, fragile, spugnoso, si è disgregato, e della sua configurazione esterna è rimasta poco più che l'impronta, alla quale si vede attaccata una sottile laminetta ossea, corrispondente alla faccia interna dell’omero stesso. Si può avere però un’idea quasi esatta delle dimensioni di quest’osso, la cui lunghezza è di cm. 7, la laîghezza dell’estremità distale di cm. 3,5, la larghezza dell’estremità prossi- male di cm. 3, la minima larghezza, a metà circa, di cm. 1,7. Clipeo. Piastre ossee. Piastra nucale. — La piastra nucale, che ha una notevole grandezza, è piuttosto ben conservata a destra; a sinistra invece subì notevoli danni, specialmente vicino alla prima piastra marginale. Proprio nel mezzo di essa, che è costituito da un sottile istmo, trovasi una rottura profonda e larga circa mm. 1, la quale potrebbe dar luogo ad un grave errore, nel caso s’interpretasse come una sutura divaricata; i suoi margini taglienti e quasi diritti non lasciano dubbio però riguardo alla sua vera natura. Questa piastra risulta formata da due rombi irregolari, ristretti nella parte distale e riuniti per un tratto lungo la linea mediana del dorso. Il suo margine anteriore, lievemente arrotondato ed ispessito, costituisce per un certo tratto il margine stesso dello scudo. A destra ed a sinistra della nucale prendono attacco le due prime piastre marginali. Su di essa hanno lasciato l’impronta la prima scaglia cornea dorsale e le due prime costali. In corrispondenza all’istmo, il quale si estende per mm. 11, si osserva una rientranza ad angolo acuto, nella quale s’ intromette la prima piastra neurale, che viene così ad esser circondata dalla nucale per tre quarti del suo perimetro. La sua superficie, partendo dalla metà del dorso, è un po’ convessa. Lungo il margine anteriore si nota una dolce, amplissima incisura (incisura nucale), appena sensibile. Piastre neurali. — La prima piastra neurale, perfettamente conservata, non è, come nelle altre specie congeneri, molto lontana ‘dal limite anteriore dello scudo, ma dista soltanto dal margine esterno, di mm. 11. D’ambo i lati, i suoi contorni seguono il primo paio di piastre costali per mm. 5; posterior- mente la seconda neurale soltanto ne determina la forma. Tal forma, addirittura caratteristica, è quella di un pentagono piuttosto stretto ed allungato, e, siccome gli spigoli, ad eccezione di quello che notammo diretto lungo l’asse mediano del clipeo, sono piuttosto smussati, nel suo insieme la piastra prende una figura cuoriforme spiccatissima, con l’apice rivolto verso la incisura nucale. Una carena abbastanza pro- nunciata la percorre longitudinalmente e ne divide la superficie in due faccie piuttosto inclinate; la carena suddetta costituisce il punto culminante di tutta la superficie dell’esoscheletro, sporgendo di mm. 5 sul livello delle altre adiacenti. La dimensione della piastra in lunghezza, dall’ istmo della nucale alla seconda neurale, è di cm. 2,9, e quella in larghezza, dal suo incontro con la neurale e con la prima costale di 124 A. MISURI [6] destra al punto simmetrico di sinistra, è di cm. 2,5. In qualche tratto le suture con Ja piastra nucale sono obliterate; molto ben visibile invece è quella con la seconda neurale, sebbene vi sia deposto un sot- tile strato di roccia. È in prevalenza, come si desume dalle misure, lo sviluppo longitudinale. La seconda piastra neurale è in forma d’un esagono quasi regolare, coi margini finemente frasta- gliati e rilevati un poco al di sopra delle piastre circostanti, per il divaricamento e la compressione di queste, le quali si cementarono di nuovo durante la fossilizzazione. Nel suo insieme è a superficie piut- tosto convessa, con un lieve accenno di carena smussata. Predomina la dimensione longitudinale. Nel suo terzo posteriore è l'impronta lasciatavi dalla seconda scaglia cornea dorsale. Il margine posteriore nella sutura con la terza neurale è un po’ curvilineo, e la sua convessità corrisponde ad una concavità del margine anteriore della piastra successiva. La terza neurale è pur essa esagonale, ma vi ha esagerate l'estensione in lunghezza e l’asimmetria rispetto ad un asse trasversale, tantochè nel quarto anteriore della piastra han posto i primi tre lati dell’esagono, come si riscontra in alcuni scudi araldici. Le suture sono nettamente distinte, quasi intere, diritte e rilevate, per la stessa ragione della rottura e saldatura successiva; manca del tutto la carena e si ha quindi una faccia pianeggiante uniforme. Margine anteriore concavo; margine posteriore appena convesso. Nella quarta neurale si accentua e diviene addirittura tipico il carattere della terza, cioè a dire la figura esagona con la massima dimensione in lunghezza; però è minore l’asimmetria in questa che nella precedente, giacchè i tre lati dell’esagono, posti nel terzo anteriore, sono eguali tra loro, e comprendono un’area trapezoidale, corrispondente ad un mezzo esagono regolare, qualora con una linea immaginaria si tracci a quello il lato maggiore. Superficie completamente piana, mostrante nel terzo posteriore il solco lasciatovi dalla seconda placca cornea dorsale. Margine anteriore concavo; margine posteriore alquanto più convesso che nella precedente. La quinta neurale è molto simile alla quarta, e non è da notare in essa che una minore estensione in lunghezza. La sua superficie è al livello delle piastre costali circostanti, ma ne è un poco lontana, per essersi queste divaricate. Nel suo terzo posteriore si delinea una rottura trasversale, diritta, che non può confondersi nè con una linea di sutura, nè con l'impressione di una placca cornea. Margine posteriore diritto. Della sesta neurale non si può dare una descrizione esatta, se non dividendo in due la sua super- ficie e considerandola come costituita da due esagoni accoppiati; l’anteriore quasi regolare e più grande del posteriore, che non è geometricamente perfetto. Due terzi della piastra sono costituiti dal primo esa- gono; il terzo rimanente dal secondo esagono. La superficie è piana, al livello delle circostanti, ed unita a queste da suture rettilinee a destra, libera a sinistra, perchè non conservate le costali vicine. Nel suo quarto posteriore trovasi l'impronta della terza placca cornea dorsale. La settima ripete la forma della sesta, eccezione fatta per la dimensione longitudinale, più breve. A destra è circondata dalle costali, frammentarie, mentre a sinistra sono andate perdute. Così in questa che nella precedente, nel punto d’incontro dei due esagoni che ne caratterizzano la configurazione, esi- stono due linee di rottura, irregolari ed appena percettibili, tanto son bene saldate. Della ottava rimane un frammento, dal quale si può rilevare soltanto che gli angoli formati dal- l’incontro dei lati esistenti e le caratteristiche delle suture sono identici a quelli della precedente; perciò è dato arguire che essa non fosse molto lontana dalla forma di questa. Da quanto si è detto risulta che delle piastre neurali sono ben conservate le prime sette; della ot- tava non si scorge che il terzo anteriore. In rapporto con la dimensione totale del corpo, con lo spazio [7] A. MISURI 125 che il solo scudo doveva occupare e con l’analogia evidente con le specie affini viventi (Chelone caouana) è presumibile che solo otto fossero le piastre neurali. Nella figura generale di queste piastre v’ è una certa uniformità (eccezione fatta per la 1.* e la 2.8), ma esistono delle differenze nei particolari, che non possono sfuggire ad un’attenta osservazione. La piastra accessoria e le pigali, che nelle Chelone viventi sono due, e così pure la sopracaudale, sono sconosciute. Tutte le piastre sino ad ora esaminate, sono variamente solcate e scolpite a meandri sottili, che formano un reticolato a maglie di mm. 2-4, in parte irregolare ed in parte con predominio della forma esagonale. Dimensioni delle piastre della serie neurale. Lunghezza Mass. larghezza dell’asse mediano trasversale Piastra nucale . ; x È 11 lat. 35 Piastre neurali 1.2 9,2 SE 4,0 » SEEM x » 33 25 » (E ò » 38 27 » TE : » 33 25 » DE o E » —_ 24 (2) Piastra accessoria 0 o » - 2: Piastre pigali 1.0. 0 » = LS » 2a 0 ò » —_ —_ Piastra sopracaudale . ò » = se Piastre costali. — Il primo paio è formato da piastre quadrilatere, coi due lati più lunghi un po’ convessi. Degli altri due lati, l'esterno è intiero, lievemente convesso e quasi parallelo alle margi- nali adiacenti; l’altro è formato da una linea spezzata, comprendente un piccolo tratto della prima neurale e della terza e tutta la seconda. Ciascuna piastra ha tre angoli smussi; lungo la linea mediana dorsale, in avanti in corrispondenza al lato più breve della prima neurale, indietro contro il lato più piccolo della terza neurale, distalmente in avanti a contatto della prima marginale. L’ angolo acuto è contiguo al- l’incontro della seconda costale con la terza marginale. Superficie curva. La prima e la seconda scaglia cornea dorsale vi hanno lasciato le loro impronte. Ambedue le piastre sono intiere; la destra però è percorsa da una larga fenditura, e la superficie della sinistra è danneggiata. In tutte le costali, sebbene un po’ più rado, si ripete il reticolato a maglie esagonali descritto per le neurali. Le piastre del secondo paio, pur conservando in lunghezza le dimensioni di quelle del primo, si svi- luppano maggiormente in larghezza, e sembrano esagoni esageratamente schiacciati nel senso di questa. Prossimalmente sono delimitate dalla terza e quarta neurale; distalmente dalla terza e quarta (2) margi- x nale. Il lato più lungo anteriore è concavo, dipendendo dalla convessità del lato posteriore della prima 126 A. MISURI [8] piastra. Superficie variamente curva. Vi sono le impronte della seconda placca cornea dorsale e della prima e seconda costale. Ben conservata la destra, se si toglie la rottura che attraversa a metà la prima piastra e si continua nelle altre; la sinistra, rotta e saldata in varî punti ed erosa per una terza parte lungo il suo margine distale. Di essa e delle due seguenti però rimangono le impronte della faccia inferiore e delle suture; per una piccola estensione, sulla roccia sottostante. Da ciò si rileva come, inferiormente, fossero liscie, quasi pianeggianti, e solo un poco rigonfie lungo il loro asse trasverso. Le piastre del terzo paio sono assai più regolari delle precedenti. Incompleta la sinistra, erosa per più di metà della sua estensione; intiera la destra, sebbene solcata dalla rottura mediana, alla quale accennai, e scheggiata verso il margine esterno. Due lati asimmetrici corrispondono alla quarta e quinta neurale; un terzo lato, verso il margine, quasi rettilineo al pari dei due lati maggiori. Vi si notano le impressioni della seconda e terza placca cornea dorsale. Del quarto paio resta un frammento della sinistra, medialmente divaricato ed affondato di mm. 3 nella roccia; la destra è intiera, simile all’antecedente, solcata dalla solita linea di rottura, che al ter- mine di questa piastra si arresta. V’ è l'impressione della terza placca cornea dorsale e della seconda- terza costale. Del quinto paio rimangono solo traccie della piastra sinistra e circa i due terzi della destra. Vi si notano i solchi d’impianto della terza e quarta placca cornea dorsale. La sesta manca completamente a sinistra; a destra ne rimane un quarto. Anche di queste, resta qualche impressione della faccia inferiore. Tanto le piastre del quinto che del sesto paio non dovevano esser dissimili da quelle del quarto, essendo il clipeo cordiforme. Quasi con sicurezza si può dire che, come nelle Chelone viventi, le piastre costali erano otto paia, tenuto conto anche del numero e della disposizione delle placche e delle piastre neurali, delle dimensioni di queste, delle dimensioni delle costali, e dei rapporti reciproci che esistono fra di loro. Le piastre costali ricoprono le costole e si fondono con esse, ma si arrestano a cm. 3-5 dalle piastre marginali, alle quali arrivano solo le costole, sotto l’aspetto di apofisi ensiformi delle piastre costali stesse. Di queste, si scorgono a sinistra, soltanto la prima e la quarta, le quali però sono straordinariamente erose e fragili, e sono rappresentate da minuti frammenti. Dimensioni delle piastre delle serie costali. Altezza Altezza Massima presso presso larghezza le neurali le marginali | trasversale Piastre costali 1.° paio di ITA, io, » Ù » » » 19] A. MISURI 127 Piastre marginali. — Le piastre marginali sono state danneggiate in tal modo da non permettere una ricostruzione neppure lontanamente approssimativa, se non sulla scorta dell’osservazione dei Cheloni attuali. Di esse, non sono rimaste, che la prima e la seconda, a sinistra, e la prima, a destra, ma tutte e tre hanno subìto gravi avarie. La prima marginale, alquanto sporgente, foggiata a losanga irregolare, tronca ove s° inserisce la se- conda marginale, accentua la sporgenza pari del clipeo che corrisponde all’incisura nucale; la sua faccia superiore è piana. La seconda marginale, sebbene incompleta, ha la figura di un rettangolo allungato ed incurvato in modo da seguire parallelamente i margini delle costali; ha una superficie un po’ rigonfia ed i margini arrotondati. Tanto Puna che l’altra piastra sono liscie, non presentando quel reticolato di solchi osser- vato nelle neurali e nelle costali. Le suture tra una marginale e 1’ altra sono finemente frastagliate ed unite tutte, tranne le due prime, al resto del clipeo esclusivamente per mezzo delle costole. Nelle Chelone viventi, sono 10-12 paia, più la sopracaudale, esagonoide (con una profonda incisura posteriore quasi costante), che potrebbe anche esser considerata insieme con la serie neurale. Osservando che la prima marginale è contigua per due terzi alla nucale, ed identicamente la seconda, alla prima costale, la cui costola doveva però attaccarsi alla terza marginale, e che, verosimilmente, dalla terza in poi, ad ogni marginale corrispondeva una costale, le piastre marginali dovevano essere almeno 10-10, più la sopracaudale. i Dimensioni delle piastre delle serie marginali. Altezza — Altezza antero-posteriore | antero-posteriore presso i margini presso dello scudo le costali Mass. larghezza trasversale al centro Piastra marginale 1.* mm. 43 45 PA 55 (2) 50 (?) 3.2 =; » 4.9 » — —_ = » 5.3 » = = = » 6.8 » — — — » a » — — —_ » 8.8 » — — = » 9g » -_ = = » 10.8 » = - = Suture e fontanelle. Poco marcate, ed in qualche punto obliterate addirittura, sono le suture della prima neurale con la nucale; più visibile quella con la seconda neurale. Nettissime quelle delle neurali tra loro, talvolta de- lineate con un solco profondo, un po’ curvilineo. Egualmente poco visibili quelle tra la nucale ed il primo paio di costali, talchè, ad un esame superficiale, la nucale, la prima neurale, ed il primo paio di costali sembrano formare un’ unica, colossale piastra ossea. Distintissimi i margini delle neurali, che sono assai rilevati sulle costali: tra una costale e l’altra la sutura decorre diritta e ben visibile. La prima margi- 128 A. MISURI [10] nale è fortemente saldata alla prima costale, in guisa da sembrare una sola cosa con essa, e ciò è do- vuto al fatto che le marginali seguenti godono d’indipendenza grandissima, perchè solo unite al clipeo dalle costole che vi si inseriscono. Naturalmente, tra una costola e l’altra esisteva uno spazio intercostale ed intermarginale; irregolare il primo, quasi rettangolari i seguenti spazi, che giravano tutt’ attorno al clipeo, e, nel vivente, erano ricoperti dalle placche cornee come appare evidente dalle figure di ricostru- zione qui unite. Come si sa, nello scudo dei Cheloni possono aversi accidentalmente degli ossicini fon- tanellari. Uno di tali ossicini, ellittico, di mm. 4-5 di massimo diametro, si scorge tra la quarta piastra neurale e la terza costale. Ricostruzione schematica dell’ Euclastes Melii n. sp. ad '/; della grandezza naturale. Fig.1.— Ricostruzione delle parti ossee. Fig. 2.— Ricostruzione delle parti cornee. Fic. 1. FIG. 2. Indicazioni delle parti cornee del Teschio — fn, scudo fronto-nasale; fr, seudo frontale; ord, scudo sopraorbitale; si, seudo sincipitale; pa, scudo parietale; oe, scudo occipitale; i0, scudo interoccipitale; 07, scudo occipito-laterale. Indicazioni delle parti cornee del Clipeo — nu, placca nucale; d;-d;, placche dorsali; sc, sopracaudale; e;-e;, costali; mm, marginali. Ossa del piastrone. Si vede un frammento del piastrone, danneggiatissimo, sotto la terza e la quarta costale di destra corrispondente all’ipopiastrone destro. [11] i A. MISURI 129 Impronte delle placche cornee. Serie dorsale. —La placca cornea nucale è compresa nell’area stessa occupata dall'omonima piastra ossea, salvochè, mentre i bordi d’ambedue coincidono anteriormente lungo l’incisura nucale ed ai lati, indietro si arresta ad una linea spezzata, che è quasi la diagonale della .doppia figura sub-rettangolare della piastra ossea. Così la placca è formata da due triangoli scaleni simmetrici, uniti con un istmo di 9mm., anzichè di 11, come quello osseo. La prima placca dorsale ha forma di un largo pentagono schiacciato. In esso con comprese: la prima piastra neurale, due terzi della seconda, le estremità prossimali posteriori della nudafe, e le estre- mità prossimali anteriori del primo paio di costali. Ha solchi netti, quasi rettilinei, ma molto meno evidenti al contatto con la nucale. La seconda dorsale, completamente conservata, inizia una serie di placche esagonali regolari; infatti i lati dell’esagono in contatto con la precedente e la seguente dorsale non sono che un poco più lunghi degli altri. Gli altri quattro lati sono un po’ concavi. Tale disposizione da alcuni autori viene molto pro- priamente chiamata a rosetta, a mattonella, ed è assai comune nelle forme viventi ed in quelle estinte, con lievi modificazioni. Essa comprende: un terzo posteriore della seconda piastra neurale, la terza neurale ed i tre quarti anteriori della quarta, l’ossicino fontanellare, le estremità prossimali posteriori del primo paio di costali, il secondo paio vicino all’inserzione e le estremità prossimali anteriori del terzo paio. Della terza rimane la metà destra e parte della sinistra. In tutto simile alla precedente, compren- deva il quarto posteriore dellà quarta piastra neurale, la quinta neurale e tre quarti della sesta, le estremità prossimali posteriori del terzo paio di costali, prossimalmente il quarto paio e le estremità prossimali anteriori del quinto. La quarta non è visibile che nel quarto anteriore destro, comprendente la quarta parte della sesta neurale, l’estremità prossimale posteriore della quinta costale, e parte della sesta costale destra, lungo la serie neurale. Dai due lati dell’esagono in parte rimasti, e dall’angolo che essi formano incontrandosi si può stabilire esser questa piastra simile alle antecedenti. Dato il numero delle neurali e delle costali, le placche cornee dorsali dovevano esser cinque; l’ul- tima però non doveva conservare nè la forma, nè le dimensioni delle precedenti. Dimensioni delle placche cornee della serie dorsale. Massima Massima Massima larghezza lunghezza dimensione trasversale antero-posteriore obliqua Nucale : 5 ; ; 130 Dorsale 1.2 Serie costali. — Le placche cornee costali sono meno uniformi di quelle della serie già descritta. La prima è in forma d’esagono irregolare e s’incunea nello spazio lasciato libero dalla prima e seconda Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 17 180 A. MISURI [12] dorsale; anteriormente, col lato più piccolo, si accolla alla nucale, costeggia la prima marginale, termina 'ibera negli spazi intercostali, e, col lato più lungo, si dispone parallelamente alla seconda costale. Com- prende una listerella posteriore della nucale, la prima costale ossea e due terzi della seconda. I margini delle piastre costali ossee trasversalmente sono paralleli a quelli delle placche cornee. La seconda, un po’ più regolare, incuneata tra la seconda e la terza dorsale, comprende un terzo della seconda costale ossea, tutta la terza ‘e due terzi della quarta. Così è pure della terza, frammentaria a destra, mancante del tutto a sinistra, ove manca pure gran parte della seconda. Nessuna traccia, nè a destra, nè a sinistra, della quarta, che pure esiste nei Cheloni viventi, ed è sempre un po’ più piccola della prima. Non v’ha dubbio, del resto, che, in correlazione con le altre, essa dovesse esistere. ì Dimensioni delle placche cornee dellé serie costali. Massima Massima larghezza lunghezza trasversale antero-posteriore Placche costali 1.° paio 9.0 Verso la parte distale tutte le costali sono erose, e solo con approssimazione di qualche mm. se ne possono dare le dimensioni. A queste bisognerebbe aggiungere le lunghezze degli spazi intercostali, co- perti senza dubbio dalle placche cornee costali, che andavano ad inserirsi su quelle marginali; ma, per far ciò, non abbiamo dati sufficienti. Serie marginale. — È possibile dire senza tema d’errare che ad ogni piastra ossea marginale ne corrispondeva una — cornea — formante con probabilità una sporgenza, in guisa che il clipeo del vivente doveva avere un margine alquanto seghettato. In tal modo esse sarebbero state 10-10, più la sopracau- dale; ma di esse non abbiamo traccia. Confronto con le specie affini. Le forme con le quali ha affinità 1’ Euclastes Melii sono numerose, perchè, com’è noto, il gen. Che- lone in cui erano prima raggruppate molte specie ora ascritte al gen. Euclastes, è ampiamente rappre- sentato sia nella fauna vivente che in quelle fossili; e le specie che gli appartengono presentano molte analogie di struttura, tanto che parecchi sistematici ritengono come sinonimi i vari gruppi nei quali a più riprese fu scisso. Istituirò pertanto un particolareggiato confronto tra la testuggine leccese e quattro serie d’avanzi di Cheloni, che verranno passati in rassegna in ordine di affinità. La prima serie è costituita da alcune specie eoceniche dell’argilla dell’isola di Sheppey (London Clay). [13] A. MISURI 131 La seconda si riferisce a numerosi resti di una unica specie, proveniente dalla Creta di Maestricht. La terza riguarda un Chelonio dell’Eocene inferiore, rinvenuto negli strati a fosfati della Tunisia. La quarta comprende gli avanzi di Cheloni rinvenuti nel Pliocene del Piemonte e della Toscana. Il confronto tra i Cheloni dell’isola di Sheppey ® e quello di Lecce rivela» non poche analogie. Inizierò il paragone dalle forme più vicine alla nostra, procedendo mano a mano verso quelle meno so- miglianti, nell’ordine seguente: Chelone longiceps Ow. Chelone convera Ow. » dreviceps Ow. S subcristata Ow. » tatiscutata Ow. » Subcarinata Ow. La Chelone longiceps, presenta fra tutte la maggiore affinità con l’ Euclastes Melii, specialmente nel cranio, visto dalla sua norma verticale. Le dimensioni sono in questo sensibilmente minori, quantunque entrambi gli esemplari possano considerarsi come individui giunti a completo sviluppo, essendo perfetta l’ossificazione 2. Noterò anzitutto come la configurazione esterna della testa differisca alquanto nei due campioni; la Ohelone longiceps ha infatti un cranio molto più affilato dell’altra, anzi è quasi cuneiforme. Dalla base esso va allargandosi sino a metà del postfrontale, ove si rigonfia, e con una dolce curva gradatamente si restringe sino al malare. Da quest’osso in poi, comincia la vera figura cuneiforme, in guisa che, tracciando una linea tra i due malari, si ottiene un triangolo isoscele, con la base di cm. 4,2 e l’altezza di cm. 4,8. Tenendo conto della rottura del muso nell’ Euelastes Melii, si può costruire un triangolo simile, partendo però molto più indietro, e cioè tracciando la base di questo ideale triangolo, da destra a sinistra, all’altezza della sutura tra il mastoide e lo squamoso, corrispondente a cm. 9,2. Aggiungendo anche le parti mancanti all’apice del muso, risulterebbe un’altezza di circa cm. 9,7, onde si deduce quanto più massiccia sia la forma del capo nell’Euclastes Meli. Forma e rapporti di ossa, supe- riormente, si corrispondono. Di lato, nella Chelone longiceps decorre rettilineo il profilo cranico sino al frontale, e da questo bruscamente discende per acuminarsi a guisa di becco sino al premascellare; le orbite son grandi, irregolarmente tondeggianti. Nell’ Euclastes Meli invece, piatto è il profilo e piatte le orbite. Dalla base del cranio si ottiene un profilo curvilineo, molto rigonfio nel Chelonio di Sheppey, schiacciato invece in quello di Lecce. L’Owen da varî frammenti potè, in parte, ricostruire lo scudo della Chelone longiceps, in cui si nota specialmente la -nucale inspessita in corrispondenza alla prima piastra neurale: l’ispessimento è dato da un piccolo trapezio, con la grande base verso l’incisura nucale, e la piccola base verso la prima neurale. Questa somiglia ad una neurale terza o quarta deli’ Euclastes Melii, rovesciata, coi lati lunghi dell’esagono verso la nucale, ed i lati corti verso la seguente. La se- conda neurale è rettangolare, però lateralmente convessa verso i margini dello scudo; le altre sono simili a quelle dell’ Ewclastes Melti. Simili in ambedue sono le costali. Le placche cornee dorsali sono in forma di esagoni coi lati concavi verso i margini dello scudo. x Eguale è il numero delle piastre nelle due specie. 1) OweN a. BELL. Monograph on the fossil Reptilia of the London Clay. Palaeontographical Society, pag. 1, 1849. 2) Cuvier (Ossements fossiles, t.V, part. 11, pag. 234) ha dato pure uua buona descrizione di alcuni resti di tartarughe dell’isola di Sheppey, che riporta alle Emydidae. — Grav. (Symopsis reptilium, pag. 33) ad una tartaruga di Sheppey descritta dal Cuvier diede più tardi il nome di Emys Parkinsoni. — WINKLER ( Tortue fossiles con- servées dans le Musée Teyler ecc.), illustrò una testuggine col nome di Emys Parkinsoni Gray, ritenendo esser que- sto sinonimo di Chelone longiceps Owen; ma il confronto delle figure non autorizza ad ammettere tale sinonimia, avendosi di quella troppo scarsi e mal conservati frammenti dello scudo e del piastrone. 132 A. MISURI [14] La Chelone brevicens ha pure notevoli analogie con l’esemplare di Lecce, quantunque in grado minore della precedente. Non può sfuggire la somiglianza delle varie ossa e delle impronte lasciate dalle placche cornee del cranio, come pure delle serie frontali-parietali-sopraoccipitali, che hanno un andamento quasi eguale nell’uno e nel’altro fossile. Nel suo insieme, però, il cranio dell’ Euclastes Melii è molto più grande di quello della Chelone breviceps, più depresso, più allungato ed affilato in avanti, e le orbite sono molto più schiacciate e lontane dall’apice. Il profilo trasversale della parte mediana dello scudo, è molto più rotondeggiante che nel chelonio leccese e rilevato assai lungo la mediana dorsale, sebbene incompleto, mostra la nucale massiccia, coi suoi orli interni quasi paralleli a quelli esterni, e la prima neurale che si avvicina molto alla forma-rettangolare. Poco differiscono le due testuggini per i caratteri delle altre neurali; le piastre costali, invece, nell’ Euclastes Melii sono larghe press’a poco come il triplo della lunghezza, mentre nell’altra misurano poco più del doppio. Le suture tra le costali, sono legger- mente concave in avanti sino al terzo paio, leggermente concave indietro dal sesto paio in poi. Simili le impronte delle placche cornee, sebbene nella Chelone breviceps lateralmente gli esagoni formati dalle dorsali abbiano i lati adiacenti alle costali un po’ curvilinei, in modo che. due a due, formano una con- cavità rivolta verso i margini dello scudo. La Chelone latiscutata ha un cranio affine nel suo insieme a quello dell’ Euclastes Meli, con le or- bite non molto diverse per forma e per posizione, e con la serie delle ossa pari frontali-parietali-sopraoc- cipitali di una grande somiglianza. La differenza notevole è verso la base del cranio, per una impronta semiellittica (con la concavità verso la base) comprendente le placche cornee sincipitale, parietali, occipi- tali, interoccipitale. Lo scudo è frammentario, mancante della nucale e della prima neurale; la seconda neurale è quasi rettangolare, con margini dentellati, e dalla terza alla sesta son tutte simili al tipo co- mune. Pure del tipo comune i frammenti di piastre costali. Gli esagoni delle placche cornee dorsali son molto schiacciati. Il profilo mediano trasversale dello scudo è piatto. Lo scudo della Chelone convera manca di nucale. La prima neurale, più che nelle altre specie, si avvicina per la sua forma a quella dell’Euclastes Melii e somiglia ad un ferro di lancia, mozzato nella sua porzione anteriore. La seconda è quasi rettangolare; le altre sono del tipo comune, ma la terza e la quarta sono un poco più tozze. Le suture tra l’una e l’altra seguente sono dentellate, ma seguono una linea quasi retta. Le suture tra le costali sono pressochè rettilinee, e soltanto quelle dal sesto paio in poi sono appena convesse in avanti. Le placche esagonali cornee della serie dorsale hanno i margini concavo-convessi, descrivendo ognuno una linea leggermente sigmoide verso i margini dello scudo. La Chelone convera è molto più piccola dell’Euclastes Melii; corrispondono in entrambe per numero le piastre neurali e costali. La nucale della Chelone suberistata è, come nella maggior parte delle forme, più espansa lungo l’asse del dorso, e la prima neurale, a somiglianza di quella della Chelone longiceps, sembra una piastra della serie neurale, un po’ irregolare, rovesciata, coi lati lunghi dell’esagono verso la nucale. La seconda neu- rale è contraddistinta da caratteri suoi propri, ma le altre sono del tipo comune, tutte fortemente carenate, lungo la linea mediana, donde il nome specifico. Le suture tra le costali son disposte come nella CheZone breviceps. Le impronte esagonali delle placche cornee dorsali sono irregolari, con la convessità verso i fianchi del clipeo. Una struttura molto interessante presenta la Chelone subcarinata, sesta ed ultima specie di Sheppey analoga alla nostra. La nucale ha contorni irregolari, frastagliati, ed è dilatata in contiguità con la prima neurale. Questa è esagonale, compressa nel senso della larghezza, e (carattere di grande importanza) ha la punta anteriore dell’esagono appena incuneata nella nucale. La seconda neurale non differisce dalle A. MISURI 133 [15] seguenti che sono del tipo comune, a margini finemente dentellati, riunite tra loro da suture concave in avanti. La serie delle placche cornee del dorso, esagonali con margini curvilinei rivolti verso i lati del corpo, sono nell'insieme allungate, e vanno diminuendo di dimensione dall’avanti all’indietro; l’ultimo è ristretto nella sua parte distale. Il profilo trasverso del clipeo è tondeggiante, con una carena molto ri- levata che segue la serie neurale . Passiamo ‘ora all’esame della seconda serie d’avanzi, appartenenti tutti ad individui della stessa specie, che hanno rapporti di semiglianza col nostro. Essi furono studiati dal WinkLER ?, che parla dif- i) Un interessante particolare messo in rilievo dal dott. Gruseppe Dn STEFANO (Ptychogaster miocenici della Francia conservati nel Museo di St. Nat. di Parigi. Palaeont. italica, vol. IX. Pisa, 1903) agevola molto il confronto tra una specie e l’altra. Trattasi del rapporto di contiguità che esiste tra le piastre ossee della serie neurale e quelle della doppia serie costale. Esprimendo con simboli tale rapporto, a colpo d’occhio potrà farsi un raffronto molto utile «sistematicamente. Indicherò dunque con: Nu la nucale N le neurali C. le costali P. la pigale, e disponendo tali simboli nell’ordine naturale delle piastre, ne risulterà la seguente tabella, dalla quale emergeranno ancor meglio le analogie e le differenze tra l’esemplare italiano e quelli inglesi: ; Huclastes Chelone Chelone Chelone Chelone Chelone Chelone Melii longiceps breviceps latiscutata convera subceristata subcarinata MISURI Ow, Ow. Ow. Ow. Ow. Ow Nu Nu Nu (?) Nu (?) (Pe ne) Nu N; Ci se Gi GC; Nj |C di N Ga (N Gi Ci Ni |Ci C, C, î 7 1 (CNR Ge N N) N; mo Sa Sn 5 N, 3 DE Dia N N O, (3: ) (05 OC; N, {Cb c N, c C,| Ns ]0, I di c:( È )o. È AS ai ") 2 : (x 2 N, ASRSON O O N; Ni CAVONEN Bac N Di ) (È a ela aa | RS |a ee T lo) 3 lo; 4 3 N, D N, lo. N, 3\N 3 N N 3 \w3)% i N N C | 3) CHIC ( a) C 5 lo 4) Cc N, Cc 4) C 4 N; 4 4\ N 4 N, 41\N Ù C, C; 4\N; 4 REN O, È ) Ci DE N; N; a O 3 N; N ci IC co le N 0; (N°) C (ale ox): c i 3 6 5 5 6 N (0; ( dic NUBE? Ra) E al)a| SS [aa E | ago [EOMa[ (e CA\ENE9/fino 6 6\N 6 SO e (E (O; È DA (RS) C; C ( C o, (RI c N, 7\ N] 7 C, N C, 8 IN S7 C7\n,} x V9. [e] [a.(ft)o ONION ci IR) C |; ( pt) c, 0) s\n,)8|Cln,) 9 9 ® 2 are @ Nu ©) | © No ®) 0 0G:(F)] 0) E D © 2) WiINKLER T. C. Des tortues fossiles conservées dans le Musée Teyler et dans quelques autres Musées. Harlem, 1869. 134 i A. MISURI [16] fusamente di una testuggine della Creta di Màestricht, sulla quale è controversia tra gli erpetologi. Egli sostiene trattarsi di Chelonia Hoffmanni Gray. Dai vari esemplari più o meno incompleti, esistenti in diversi musei, l’autore ha potuto eseguire una ricostruzione dello scudo di questo chelonio marino, che ha qualche somiglianza con quello del nostro. Lo scudo è costituito nelle due specie, dalle seguenti piastre ossee: Chelonia Euclastes Hoffmanni Melii Piastra nucale impari . ; 5 1 Piastre neurali . c . : 10 (?) Piastra sopracaudale . c 5 1 (2) Piastre costali a : 3 ‘ 8—8 8-8 Piastre marginali . ; . . 11-11 (2) 10-10 (?) Differenze notevoli esistono nella mancanza dell”istmo della nucale, nella forma della prima neurale, che è quasi circolare, nelle altre neurali, dagli angoli molto smussi e dalle linee di sutura tra loro, in avanti convesse, anzichè concave, e nel minore sviluppo trasversale delle piastre costali. Tanto poco sono sviluppate le costali in confronto a quelle dell’ Exclastes Meli, ch’esse si arrestano a metà distanza tra le piastre neurali e le marginali. Rimangono dunque allo scoperto per la metà della loro lunghezza le costole, abbastanza esili, che vanno a congiungersi a ciascuna marginale, lasciando degli spazi inter- scostali grandi, in proporzione, quanto le piastre costali stesse. Si ha pertanto non uno scudo contornato da una corona di piccoli spazi intercostali, come doveva essere nell’ Euclastes Meli, ma tutto finestrato, in guisa che esclusivamante vicìno alla linea mediana del dorso l’animale era ricoperto di piastre ossee, e nel resto, soltanto da placche cornee. Non è dato rintracciare le impronte di queste nella figura del WinxLer. L’esemplare di Màestricht è molto più grande di quello del miocene di Lecce; le scarse e mal conservate ossa del cranio permettono semplicemente di rilevare come la forma di questo non differisse molto da quello dell’ Euclastes Melii. Ma più interessante tra tutti riesce il paragone del nostro Chelonio con quelli della terza serie, tra i quali si trova un importantissimo avanzo proveniente dall’Eocene inferiore dell’Affrica settentrionale proprio degli strati a fosfati. Il De SrerANO , che ebbe occasione di studiarlo nella Scuola superiore ‘ delle Miniere di Parigi, dov'è conservato, lo chiamò Euclastes Douvillei, il cui teschio, benchè danneg- giato, presenta indiscutibili somiglianze con quello del chelonio leccese. Le dimensioni deli’ Euclastes Douvillei superano di gran lunga lunga quelle del nostro. In esso non rimasero le impronte delle placche cornee, nè si può stabilire se furono tralasciate per semplicità nella figura, se vennero erose durante la fossilizzazione o se non siano :mai esistite. Passiamo da ultimo ad esaminare i resti di chelonî fossili italiani che permettono efficaci confronti col nostro. ; i) De SrEFANO G. Sui Cheloniani fossili conservati alla Scuola superiore delle miniere di Parigi. Nota prima. Reggio Calabria, 1902. [17] A. MISURI 135 La Chelone Gastaldii PortIs!, nota per il modello interno del cranio, proveniente dalle sabbie gialle plioceniche dell’Astigiano, doveva essere un grande esemplare, alquanto simile per i caratteri cranici alla vivente Chelone caouana. Rimasero di esso le impronte delle suture craniche, press’a poco della stessa forma di quelle dell’Ewclastes Meli, e identico è il rapporto di contiguità delle varie ossa omologhe. Predomina nel fossile piemontese la dimensione totale in lunghezza; corrisponde in tutt'e due l’appiat- timento della metà posteriore del cranio, dovuta però, secondo il PortIs, allo schiacciamento subìto. Della Chelone Sismondai Portis (loc. cit.), riscontrata nelle sabbie gialle plioceniche del Pino, presso Castelnuovo d’Asti, si hanno due modelli della superficie interna del clipeo. L'uno di essi, illustrato dal PortIs, presenta il numero delle ossa eguale a quello dell’ Euclastes Meli; le neurali son simili nella forma generale; più accentuata la convessità rivolta indietro delle su- ture tra una neurale e l’altra. Caratteristica la seconda, che termina anteriormente appuntita e s’insinua a cuneo entro la prima, posteriormente tagliata a coda di rondine. Questa seconda neurale ha figura d’un esagono irregolare. Le suture. tra le costali decorrono quasi identicamente; soltanto sono tutte convesse in avanti, e la convessità si accentua procedendo dall’innanzi all’indietro nella Chelone Sismondai. Nel- l’Euclastes Melii, invece, la prima e la seconda sono concave all’innanzi; la terza quasi diritta, le se- guenti sempre più diritte ®). L’altro modello, non figurato dal PortIs e riprodotto dal Fucini ®, tra altri particolari di minore importanza, mostra “ l’impronta della piastra nucale, con l'impressione della prominenza sulla quale si “ appoggiava l’apofisi dell’ultima vertebra cervicale ,, ma essa è così corrosa che non se ne possono istituire confronti con quella dell’ Euclastes Meliì. Il Fucini ha pure illustrato (loc. cit.) un chelonio del Pliocene di Orciano, che riferì alla Chelone Sismondai Portis, e, su alcuni frammenti di piastre ossee, ne ha tentato la ricostruzione. Dal confronto di quei frammenti poche deduzioni si possono trarre; ma dalle linee punteggiate in- dicanti parti disperse e ricostruite sulla scorta di esemplari fossili e viventi, si può desumere esser le caratteristiche generali alquanto simili al chelonio dell’Astigiano e di conseguenza, al nostro. Bisogna però eccettuare la sagoma del teschio e il disegno delle placche neurali ricostruite dall'autore in maniera che si discostano anche da quelle della Chelone illustrata dal PoRtIS. Dalla precedente rassegna di forme affini all’Euclastes Meliù emergono questi fatti interessanti: 1.°— che il cranio dell’Euclastes Melii è quasi eguale a quello della Chelone longiceps Ow. e, in grado sensibilmente minore, a quello dell’Euclastes Douvillei De STEF. 2.°— che il clipeo si avvicina alquanto a quello della Chelonia Hoffmanni GRAY e più ancora a quello della vivente Chelone caouana, fatta eccezione per la piastra nucale e per la prima neurale. Quanto alla determinazione generica della testuggine leccese, i suoi caratteri la ascrivono senza dubbio al gen. Chelone, preso nel senso largo che gli era attribuito prima del 1867, e più precisamente al gen. 1) PortIs A. Di alcuni fossili terziarî del Piemonte ecc. Mem. d. R. Accad. d. Scienze di Torino. Cl. Sc. Fis. Mat., serie II, vol. XXXII, 1880. 2) Il Sacco (I Cheloni astiani del Piemonte. Mem. Acc. d. Scienze, serie II, vol. XXIV. Torino, 1889) esprime il dubbio che le due specie plioceniche astigiane, essendo fondate sopra modelli, ed essendo questi ben proporzionati tra loro, od appena differenti per età o per sesso, e dello stesso orizzonte geologico, debbano considerarsi come un'unica specie. 3) Fucini A. Za Chelone Sismondai PortIs del Pliocene di Orciano in provincia di Pisa. Palaeontographia italica, vol. XV, pag. 101-124. Pisa, 1909. 136 A. MISURI ; |18] Euclastes, fondato in quell’anno dal Cope ®. Le particolarità ch’esso presenta non permettono peraltro di riferirla ad alcuna fra le specie note, soprattutto per l’istmo della nucale e per la presenza della N prima neurale cuoriforme. Questo carattere tipico è solamente accennato in altre forme ®, ma non rag- giunge l’evidenza di quello del nostro fossile. Stabilito così che si tratta di una specie nuova, la distinguo col nome del ch. prof. RomoLo MELI, dal quale l'interessante fossile fu messo gentilmente a mia disposizione. Licenziando alle stampe questo lavoro, sento il dovere di rendere pubbliche grazie al prof. FRANCESCO BassanI, direttore dell’Istituto di Geologia dell’ Università di Napoli, il quale amorevolmente mi guidò a tale studio e mi fu prodigo di consigli e di aiuti. Napoli, Istituto di geologia, gennaio 1910. i) Procedings Ac. Nat. Sec. Philadelphia, pag. 39. — Vedi anche DoLLo L. Sur le genre Euclastes, in Ann. Soc. géol. du Nord, t. XV, pag. 121-122. Lille, 1888. — La determinazione generica dell'esemplare del calcare mio- cenico di Lecce ha anche una speciale importanza cronologica, perchè, com’ è noto, tutte le specie del gen. Euclastes erano state fin qui riscontrate nell’ Eocene. i 2) In altri generi è accennato questo carattere speciale ed è alquanto evidente nel gen. Testudo; infatti la prima piastra neurale della Testudo hemispherica LeIpy è assai appuntita ed incuneata entro la nucale. (WINKLER. Op. cit.) Tra le Testuggini fossili americane illustrate da OLiver Perry Hay (The fossil Turtles of North America. Carnegie Institution of Washington, 1908), varie specie del gen. Echmatemys hanno la prima neurale che tende nel suo margine anteriore a finire in punta, e questo carattere è anche più spiccato nell’ Echmatemys uintensis. Ciò si osserva anche nella Testudo osborniana e nello Hadrianus corsoni, ma la prima neurale però, in nessuna specie, assume la ficura tipica cordiforme di quella dell’ Wuclastes Melii. Finito di stampare il 25 agosto 1910. DOMENICO LOVISATO UNA PAROLA SUL CLYPEASTER LOVISATOI CortEAU E SPECIE NUOVE DI CLYPEASTER ED ECHINOLAMPAS (Tav. XVI-XVII [I-II]). Nel 1902, pubblicando le specie fossili fino allora trovate nel calcare compatto di Bonaria e di San Bartolomeo al Capo Sant'Elia, dava la descrizione di otto specie nuove di C/ypeaster, ed era naturale che una delle più belle la dedicassi al CorrrAau, che tanto avea lavorato per la fauna echinodermica dell’isola bella. Se nonchè, prima il BatHER !, poi il LamBERT, per Jettera, giustamente mi facevano os- servare, che non potea essere mantenuto il mio ©. Cotteaui, essendovi già fin dal 1897-98 un C. Cotteauì, stabilito da Ecozcur e Cia per una specie fossile di Cuba. Lo stesso dicasi pel mio C. Zaramellii, esi- stendo già questa specie, dedicata tre anni prima dall’ArraGHI all’illustre geologo pavese. Proposi allora al LawseRT di cambiare le mie due specie nuove in C. Cotteauianus e C. Taramellianus, ma non pia- cendo queste denominazioni specifiche all’illustre echinologo, ed io fermamente volendo che quei due Clypeaster restassero a ricordare i due egregi uomini, pensai di approfittare del loro nome battesimale, facendone il 0. Gustavì ed il C. Torquati. Ma mentre il LamBERT accettava il secondo ?), da me descritto ®), ma non ancora figurato, non mi dava ascolto per l’altro O. Gustavi, ch'egli chiamava C. Lamarmorai È e che io non posso accettare, avendo stabilito da lunga pezza di unire il nome del venerato LAMARMORA a quello dello Spano, che fu certamente il più buon figlio che abbia avuto l’isola, per due specie di echinidi raccolti sopra un medesimo monticolo di Ploaghe, patria dello SPano, formando il 0. Lamarmorai e l Echinolampas Spanoì, che descriverò in seguito, osservando fin d’ora che il mio E. Spanoì è quello che il LamBert ha chiamato £. Lamarmorai 3. È vero che all’illustre uomo di Troyes aveva scritto in precedenza, che avrei quanto prima dedicato un bellissimo Clypeaster ed un Echinolampas, raccolti in una medesima forma litologica isolana presso Ploaghe, al Lamarmora ed allo Spano, nativo quest’ ultimo di quella borgata: ma appunto, perchè io vo- leva riunire sopra uno stesso dosso ploaghese il nome del grande piemontese con quello del buon sardo, il LamBERT avrebbe potuto stampare qualunque altro nome specifico all’infuori di quello del LamaRMORA 1) F. A. BarHeR. XIV. Echinoderma. Zoological Record, vol. XXXIX, 1902, december 1903, pag. 60. 2) J. LamBERT. Description des Échinides fossiles des terrains miocéniques de la Sardaigne. Mémoires de la Société paléontologique suisse, vol. XXXV (1908), 2.*© partie, pag. 131 et 135. Genève, 1909. 3 Lovisaro. Le specie fossili finora trovate nel calcare compatto di Bonaria e di S. Bartolomeo, pag. 18. Cagliari, 1902. 4) J. LamBerT. Ibid. L. cit., pag. 131. 5) J. LamBeRT. Ibid. L. cit., pag. 131. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 18 138 D. LOVISATO [2] pel Clypeaster, che io avevo dedicato al CorreAU e che voglio in quel qualunque modo, consentitomi dalla scienza, resti col nome di C. Gustavi a ricordare l'illustre uomo, che tanto ha lavorato per la paleon- tologia isolana, almeno quale piccolo tributo di riconoscenza verso il grande echinologo morto. Prima però d’accingermi alla descrizione dei C. Gustavi, C. Lamarmorai ed Echinolampas Spanoi sento il bisogno di risolvere il problema, che ha riguardo al C. Lovisatoi CortEAT. Posso affermare che questo bel Clypeaster è una delle specie più diffuse nell’isola, sia per numero d’individui, come anche pel numero di località di ritrovamento, quanto e forse più ancora del C. intermedius, diffusissimo in Sardegna e particolarmente nella provincia di Sassari. I primi individui di tale specie li ebbe in comunicazione il SeGuENZA, che li riferì al O. folium AG., credo però collo stesso dubbio col quale rapportava alla medesima specie i due soli, piccoli e mal con- servati esemplari, ch’egli avea trovato nel suo aquitaniano del territorio di Stilo, in provincia di Reggio !. Trovatine altri e più belli, li inviai sotto lo stesso nome specifico di ©. folèwn al Correau, che volle vedere in essi una specie nuova e ne formò il suo ©. Lovisatoî. In seguito avendo rinvenuto altri individui più piccoli per dimensioni, od anche di dimensioni alquanto maggiori, ma che mi pareva si differenziassero per alcuni caratteri dal C. Lovisatoi, sebbene questi ultimi dubitativamente, li mandavo ancora collo stesso nome specifico di C. folium al Correau, il quale, quasi seccato di quella mia perseverante fissa- zione di riferire la maggior parte degli individui del nuovo tipo al C. folèum AG., con sua lettera del 14 giugno 1893 mi scriveva per uno bellissimo fra essi: “ Le Clypeaster folium, auquel vous le rap- porte est une espèce très mal connue, représentée par un ecemplaire unique et incomplet, que j aì vu l’année dernière (dunque nel 1892) au Musée de Genève: il serait bien difficile de lui rapporter un type quelconque ,. Tutti possunv !eggere la descrizione dettagliata, che di questa nuova specie dà il CorrEAv >, raffrontandola non solo col C. folium AG., ma anche col C. subfolium Power, alla quale ultima specie il C. Lovisatoi più s’avvicina, se ben si legge anche la descrizione fattane dal PomeL 3), che disgraziata- mente non diede le figure, nè lasciò alcun esemplare. E questa descrizione e questi raffronti furono fatti dal CorteAU, dopo aver esaminato ben 65 (sessantacinque) individui, dei quali 25 provenienti da una sola località, come risulta dalle mie note d’invio, e tutti allora riferiti al suo C. Lovisatoî: ed in questo esame ebbe compagno costante il GAurHIER, che con immenso dolore ho appreso essere stato colpito da tremenda malattia che non perdona, e che pur troppo priverà la scienza del maggior valore che cer- tamente avesse l’Echinologia per lo studio dei Clypeaster. Del C. folium non è conosciuto che il modello in gesso ,S. 61, del quale il MicHeLIN ha dato la descrizione e le figure ‘), aggiungendo che l’originale di questo individuo di Palermo (Sicilia) si trova a Ginevra nella collezione DeLuc, sebbene il CorreAU m’avesse scritto d’averlo visto nel 1892 nel Museo di quella città, dove probabilmente non si trovava più nel 1895, se badiamo alla notazione ®, fatta dal Prron o dal BERGERON o forse anche dallo stesso GAUTHIER, il quale però nel suo lavoro sopra gli « Écki- nides fossiles de l’ Algérie, 10.° fascicolo, pag. 64, dà la descrizione d’un esemplare di €. fol2um, incom- pleto, ma ben riconoscibile, raccolto dal PeRoN nel miocene (langhiano) di Qued Sebt all’ovest di Tizi- Ouzou nella Cabilia. E, se il GauTHIER ha descritto l’esemplare africano del C. folèum ed ha in seguito 1) Spcuenza. Le formazioni terziarie della provincia di Reggio (Calabria). Roma, 1879, pag. 55. 2) CortEAU. Description des Échinides miocènes de la Sardaigne. Mémoires de la Société géologique de France, pag. 26-27. Paris, 1895. 3) PomeL. Paléontologie de l’ Algérie. Zoophytes. 2.° fascicule. Echinodermes. 2.° livraison, pag. 184-185. Alger, 1887. 4) MICHELIN. Monographie des Clypeasters fossiles, pag. 39, tav. XX, fig. 2a et 2d. 1861. 5) J. LAMBERT. Op. cit., prima parte, pag. 27. [B] D. LOVISATO 139 visti, esaminati e studiati tutti gli esemplari del piccolo Ciypeaster sardo, da me inviati in comunicazione al Correau — e ripeto che furono ben 65 — ed ha formato con lui la nuova specie, come fa il LamBERt! a proporre di incorporare questa specie al C. folèum, stampando: le 0. Lovisatoi CorteAU est tellement voisin du C. folium Acassiz, qu'il me paraît préférable de le réunir à l’espèce de Sicile plutòt que de lui donner un nom nouveau? Non mi sembra sano principio di riferire una serie di forme ben conosciute ad un tipo indistinto e quasi naufragato. È Rimarrebbe un po’ dubbiosa la questione sul fatto, se il nome dato dal CorrrAU a questo nuovo Clypeaster possa essere mantenuto, perchè fin dal 1877 esisteva già un 0. Lovisatì Secuenza. Conviene confessi che quando si trattò dopo il 1902 di cangiare i nomi scientifici dei C/ypeaster, che io aveva dedicato al CorreAU ed al TARAMELLI, sono stato io a rendere avvisato il LamBERT che esisteva già un C. Lovisati del SEGuENZA; ma di questa specie tien conto il SEGUENZA in una semplice nota con queste poche e testuali parole 2°: Bella specie, affine al O. altus, dal quale si distingue per essere grandissima, cogli ambulacri relativamente molto più brevi, col margine molto più largo e per la forma generale più de- pressa; è quali caratteri l’avvicinerebbero al C. pliocenicus, ma se ne distacca pel suo contorno decisamente quinquangolato. Mi sembrano troppo poche e troppo poco incisive queste parole per la descrizione di una specie nuova, della quale poi manca la figura, che non so, se potrà anche essere mai data, perchè l'individuo dedicato a me dal SEGUENZA, non solo non ritornò mai a me, suo proprietario, ma non ho potuto nep- pure mai sapere, dove esso si trovasse. Potrà darsi che un giorno tra le macerie dell’università di Messina fra i preziosissimi avanzi macroscopici calabri e siculi, raccolti con tanta cura dal povero SecuENZA e dal suo figlio, vittima quest’ultimo colla famiglia del disastroso terremoto del 28 dicembre 1908, vensa fuori anche quel Clypeaster ed allora potremo occuparcene nuovamente. Ed io bramo ardentemente che ciò possa avvenire e presto, unendomi alla voce del collesa TaramenLi, il quale in un suo recente lavoro 3), rammentando le preziose collezioni sepolte, s'augura che possan essere dissepolte, concludendo che la ricostituzione di quelle collezioni sarà il miglior monumento che si possa innalzare alla memoria di quei due compianti naturalisti. Notizie recentissime fanno sperare bene per quelle collezioni. Al LamBERT del resto potrei per questa specie del SegueNzA ripetere le parole ch’egli scrisse a me per le mié otto specie nuove di O/ypeaster, che descrissi, ma non potei figurare #, cioè che una specie nuova senza figura è come non esistesse. È vero che rigorosamente parlando nella scienza converrebbe un nome nuovo, ma, dopo tutto quello che ho detto, a me pare che assai buone ragioni militino in favore della conservazione del 0. Lovisatoi, creato dal CorteAU e confermato dal GauTEIER pel piccolo Clypeaster sardo, che ripeto è fra le specie più diffuse nell’isola, forse più ancora del C. intermediìus Des MouLIns, come ho già superiormente accennato. Se il LamBERT avesse saputo tutto ciò ed avesse avuto campo di esaminare i miei bei esemplari e non semplicemente le figure, credo non solo non avrebbe sollevato questa questione, lasciando in pace quella bella specie, ma si sarebbe ancora accorto che fra i numerusi esemplari, battezzati come C. Lo- visatoi dal CorteAU e dal GAuUTHIER, ve ne sono alcuni, che per la loro grande taglia o pel contorno in 1) J. LAMBERT. Op. cit., prima parte, pag. 48. 2) SEGUENZA. Op. cit., pag. 402. 3) TaraMELLI. Sull’origine dello stretto di Messina. Estratto dagli Atti della Società italiana per il progresso delle Scienze, pag. 27. Roma, 1910. 4) Lovisato. Op. cit., pag. 14-20. 140 D. LOVISATO [4] unione ad un insieme di caratteri specifici distinti, devono essere tolti da quella specie per formare forse due specie nuove, che mi riserbo di illustrare in seguito, volendo possedere altri individui di tali tipi nuovi, che mi tolgano ogni dubbio sulla loro identità nelle mie diagnosi, non volendo precipitare la questione. i Clypeaster Gustavi Lov. — Tav. XVI [I], fig. 10-d. È un tipo di taglia media, pentagonale, allargato anteriormente, ristretto posteriormente, misurando 143 mm. in lunghezza, 128 in larghezza e 65 in altezza, col margine sottile al periprocto, ingrossato ed attondato nei margini laterali ed anteriori, alquanto flessuosi. Cupula elevata a piramide troncata (Tav. XVI [I], fig. 1c): la faccia inferiore è invece quasi piana, scendente dolcemente all’infundibolo molto grande col peristoma pur grande, pentagonale, profondo ed a pareti convesse. Periprocto ben pronunziato, ro- tondo, distante dal margine un po’ più della lunghezza del suo diametro e col margine concavo, cioè rientrante verso il periprocto stesso (Tav. XVI [I], fig. 10). I petali ambulacrali sono ovali lanceolati, assai larghi e bene aperti all’ estremità inferiore ed un po’ fiessuosi (Tav. XVI [I], fig. 1a), mostrando una specie di concavità nel loro rigonfiamento. Le zone porifere (Tav. XVI [I], fig. 1d) sono depresse, larghe, ben marcate e munite di un numero da 6 ad 8 tubercoli grossi e distinti: gli interambulacrali molto ridotti si sollevano alquanto sui piani delle zone porifere e finiscono quasi in una costola alquanto rile- vata nella parte superiore. Il nostro Clypeaster fra tutti quelli descritti dal PomeL per l’Algeria potrebbe paragonarsi al ©. tu- midus PomeL, avendo in comune con esso vari caratteri, come la forma generale, il contorno, la figura dei petali, la loro apertura inferiore, l’apice piccolo, pentagonale, alquanto convesso in una depressione; ma ne differisce per le dimensioni, essendo il nostro più lungo e più largo, ma meno alto di quello del Power, pei petali più lunghi arrivando ai “, del raggio mentre nel C. tumidus non sono che i 3/, di esso, per le zone porifere, che portano su ciascuna costola da 6 ad 8 tubercoli distinti e grossetti, mentre nella specie del PomeL il numero massimo è di 7, e questi sembrano piccoli, come in generale tutti i tuber- coli della specie, come pure per essere ristretto posteriormente ed allargato assai di più nella zona dei petali anteriori, come ancora pel peristoma nettamente pentagonale e grande. Questa specie è piuttosto rara, avendo trovato di essa solo tre individui, il figurato, che deriva dal calcare compatto di S. Bartolomeo al Capo S. Elia e precisamente dalla cava sopra il bagno penale; il secondo proviene dal tramezzario di Is Mirrionis al di là della Piazza d’Armi di Cagliari, ma non mostra che la faccia superiore ed il contorno; trovai il terzo nel calcare compatto del Camposanto di Cagliari e per questo ho avuto dapprima qualche dubbio, ma incoraggiato dal GAUTHIER, che considerò questo individuo come un esemplare disforme, girato di traverso, in una parola un caso patologico del primo, l’ascrissi alla stessa specie, sebbene sia un po’ più raccorciato del figurato, un po’ meno alto, la cupola un tan- tino più allargata e le zone ambulacrali presentino nell’insieme un leggero sollevamento. L’esemplare figurato, appartenente insieme agli altri due al gruppo degli A/ticostati, al quale ap- partengono i più grandi Clypeaster, che si conoscono, involto ancora nella roccia, andò al SEGUENZA, che lo classificò come C. pyramidalis; il CortEAU, che l’ebbe posteriormente, me lo rinviava come indetermi- nabile, scrivendo sul cartellino: Espèce pewt-étre nouvelle, maîs indéterminable; ne me paraît pas le C. py- ramidalis. Fu forse il cartellino del SEGUENZA, unito al mio, che dicea Clypeaster sp. n., che ha tratto in errore il PARONA nell’attribuire a me la paternità di questo C. pyramidalis , che formò poi argomento di 1) PARONA. Appunti alla paleontologia miocenica della Sardegna. Boll. Soc. geol. it., vol. VI, fase. 3. pag. 19. Roma, 1887. {5] D. LOVISATO 141 osservazione per parte del LamBeRT !, il quale facendo un po’ di confusione, riunisce al C. pyramidalis, che ora è divenuto definitivamente il C. Gustavi, il C. petaliferus, per l’elveziano di S. Bartolomeo, mentre esso, l’autentico C. petaliferus, deriva sempre dal calcare elveziano a lithothamnium, ma del capo opposto ‘ dell’isola, avendolo raccolto a mezz’ora da Sassari sulla strada per Osilo. - Clypeaster Lamarmorai Lov. — Tav. XVII [II], fig. 1a-d. È specie di taglia media misurante 133 mm. in lunghezza, 126 in larghezza fra i due petali ante- riori e 26 in altezza, quindi molto basso, depresso (Tav. XVII [II], fig. 16); contorno pentagonale, allar- gato, a linee flessuose fra le due paia di petali anteriori e posteriori: petali (Tav. XVII [II], fig.1@) che arrivano ai ?/, del raggio, assai larghi, arrivando nella loro maggiore larghezza, che conservano per parecchio, ai 20 centimetri, alti e leggermente convessi, si rastremano di più verso l’apice, infossato in una cavità, che verso l’ambito. Le zone porifere (Tav. XVII [II], fig. 14) sono anche esse molto larghe, depresse e quindi meglio fanno risaltare i petali sollevati: portano da 7 a 9 tubercoli, pressochè egual- mente grossi, perchè qualcuno qua e là saltuariamente è più grande o più piccolo della media, ma senza una lesge fissa; formano quasi sempre linee rettilinee ed approssimativamente ad eguale distanza fra loro. Le parti estreme delle zone interporifere seguono l’abbassamento delle zone porifere, però verso il mezzo scendendo verso l’ambito presentano un lieve rigonfiamento, che scende dolcemente verso i margini generalmente grossi, però più in avanti che all'indietro. I 5 solchi inferiori sono marcatissimi (Tav. XVII [II], fig. 15), scendono con lieve inclinazione al grande peristoma pentagonale, ben incavato. Il periprocto, che manca nell’esemplare figurato e che si vede grande e subcircolare in altro individuo, è vicino al margine, lievemente convesso, carattere, che non presenta mai il C. intermedius, al quale fu identificato, e carattere, che manca ancora nei C. Pareto, C. mutellensis e ©. Delgadoì, specie dello stesso gruppo del C. infermedius, e che come questo mancano di molti dei caratteri della nostra specie. L’esemplare descritto e gli altri individui della stessa specie derivano tutti dai calcari brecciosi du- rissimi e dai grès calcari grossolani tenacissimi, contenenti abbondanti grani di quarzo, che li sopportano, nelle colline di Corona (d)e Coivu e Corona (d)e Columbas, separate fra loro da piccolo valloncello, nei pressi di Ploaghe in provincia di Sassari. Sei esemplari con 8 frammenti avea inviato fino dal 10 luglio 1890 sotto il n.° 19 al compianto CorreAu ad Auxerre. Per la maggior parte furono allora ascritti dal valente echinologo al C. intermedius. Alle mie osservazioni che per Ja loro poca altezza, pel generale allargamento, per la forma dei petali, €ecc., non si poteano ascrivere quegli individui al C. in/ermedius, rispondeva che poteano essere così bassi per pressione subìta, e che in ogni modo si avvicinavano più a quella specie che a qualunque altra delle conosciute fino allora. Aggiungo che uno degli individui ritornati (3 sopra 6) portava questo cartello au- tentico del Correav: Voisin du Clypeaster intermedius, indéterminable, un secondo quello d° indéterminable, il terzo ed i frammenti nulla. Si comprende che tale determinazione fu fatta in compagnia del GAUTHIER, il quale, come ebbi a dichiarare altra volta 2, non solo esaminava e studiava tutti i C/ypeaster, che inviava in comunicazione al ComrEAU, ma leggeva anche tutta la mia corrispondenza. i) J. LamBeRT. Description des Échinides fossiles des terrains miocéniques de la Sardaigne. Mémoires de la Société paléontologique suisse, vol. XXXV (1908), 2.% partie, pag. 123. Genève, 1909. 2 Lovisarto. Palaeont. ital., vol. XV, pag. 298. Pisa, 1909. 142 D. LOVISATO [6] Nella disgrazia d’aver perduto i più bei esemplari, essendo ritornati di Francia, come dissi, tre dei sei individui inviati, e non i migliori, avrei dovuto abbandonare questa bella specie nuova, non potendola de- scrivere appieno per mancanza di alcuni caratteri essenziali. Si noti che nessuno dei tre individui è intero: lo stesso esemplare figurato manca del periprocto, che si vede solo nel più piccolo dei tre riavuti colle dimensioni relative di 126, 112 e 24, ma anche in questo è rotto e fa appena vedere la lieve convessità del margine intorno al periprocto. Fu per questa ragione che due anni fa volli ritornare lassù per raccogliere qualche bell’individuo di que- sto Olypeaster. Ma non sono stato fortunato nella mia visita, perchè da quelle roccie compatte e dure, che formano come un sistema rigido coi fossili, che rinserrano, non potei levare che alcuni frammenti, i quali di ben poco giovamento hanno potuto essere per me, che mi convinsi per altro essere la specie piuttosto rara. Però in una vallecola sotto Serra Loriga, in immediata vicinanza di Corona (d)e Goivu e Corona (A)e Calumbas, ebbi la ventnra di trovare un individuo isolato, che pei caratteri generali riferisco alla stessa specie: esso sebbene tutto corroso, mostra il grande periprocto con accenno netto alla lieve linea convessa intorno ad esso. Così mercè questo esemplare e gli altri incompleti, mostranti un buon numero di caratteri ed i frammenti, che pur mettono in evidenza l’uno o l’altro dei caratteri essenziali, non osservati o male nei restanti individui, sono arrivato a leggerli completamente, sì da farne una determinazione esatta, sicura ed a dare la descrizione superiore per questa bella specie, che ho voluto dedicare alla cara e venerata memoria del Lamarmora. Il nome del grande piemontese avrei ricordato molto prima d’ora nella paleon- tologia dell’isola bella, che egli tanto amò, se non avessi prestabilito da lunga pezza di vederlo unito sullo stesso monticolo al nome dello Spino di Ploaghe e che fu certamente il miglior figlio, che abbia avuto la Sardegna, come già dissi. col mio: Echinolampas Spanoi Lov. — Tav. XVII [III], fig. 1a-c. Il guscio di questa bella specie è di grossa taglia, misurando il maggiore 135 mm. in lunghezza, 132 in larghezza e 30 in altezza: mostrasi quindi quasi circolare, un tantino subovoidale in avanti, perciò con arco circolare a raggio maggiore indietro. È assai schiacciato, discoidale, non conico, nè subconico (Tav. XVIII [III], fig. 1c), coll’apice eccentrico in avanti, mostrantesi solo in qualche individuo alquanto rilevato, ma mai tanto da rompere, come specialmente nell’ E. barcinensis LAMBERT, la curva convessa, che dolcemente e regolarmente scende ai margini spessi ed attondati, conginngendosi dolcemente colla curva uniformemente incavata, che senza accidentalità e senza alcuna irregolarità va al peristoma. I pe- tali ambulacrali sono assai lunghi (Tav. XVIII [III], fig. 1a) con lieve tendenza a chiudersi dopo i tre quarti di loro lunghezza dall’apice all’orlo: sono anche molto larghi, ad eccezione dell’impari che in tutti gli individui, che ho riferito a questa specie, è assai più ristretto; sono ineguali anche nella loro lun- ghezza, essendo l’impari più corto dei pari anteriori e più ancora dei pari posteriori, che spiccano per questa loro maggiore lunghezza. Le zone porifere sono larghe, piane, depresse, formanti quindi una sensibile cavità, che fa risaltare come rialzate lo zone interporifere nettamente, molto larghe, gibbose verso l’alto arrivando a 4 ed anche 5 volte la larghezza delle zone porifere: sensibilmente convesse sono anche le zone interambulacrali. Il peristoma (Tav. XVIII [III], fig. 15) è subpentagonale, infossato, allungato, ristretto, eccentrico in avanti e mostrante in tutti una eccentricità maggiore rispetto a quella dall’apice. Il periprocto grande, transversalmente e largamente ellittico e. non tanto marginale, perchè distante dall’orlo dai 4 ai 5 mm.: manca assolutamente di rostro. [7] D. LOVISATO 143 Alcuni degli individui, che riferisco alla mia nuova specie varcarono il mare molti anni fa ed andarono ‘al compianto CortEAU con mio cartellino speciale, sul quale vi avea scritto nettamente specie distinta, specie nuova, sebbene rassomigliassero, per avere molti caratteri in comune, all’. Remisphaericus. Ma i più ritornarono a me colla determinazione del CorreAU e quindi del GauTtHIER di . hemisphaericus. Per amor del vero devo confessare, che allora alcune delle parti di questi Echinolampas erano an- cora involte nel tenacissimo e durissimo grès grossolano, dal quale tutti derivano, e per conseguenza erano nascosti taluni dei caratteri, quei caratteri, che anche oggi negli individui incompleti si mostrano nettamente o nell’uno o nell’altro, completandosi a vicenda. Però la piccolissima altezza di tutti questi Echinolampas avrebbe dovuto imporsi ai due illustri echinologi, altezza che negli individui normali, che non hanno subìto alcuna compressione laterale, non supera i 25mm., arrivando solo in 2 ai 30 mm. A questa specie nuova avrei ascritto otto individui, dei quali nessuno completo, ma mancanti tutti di qualche parte, derivanti dalle stesse colline dei pressi di Ploaghe in provincia di Sassari, che m'hanno dato il 0. Lamarmorai, e 6 individui, più o meno frammentati di altre località, ma sempre della pro- vincia di Sassari. Fra quelli uno solo è intero, il più piccolo, ma è disgraziatamente compresso lateral- mente e deformato quindi nelle sue parti generali. | Esaminando però l’insieme degli esemplari noi vediamo che il complesso dei caratteri sopra enun- ciati ci autorizza a strapparli nettamente non solo dalla specie, alla quale erano stati riferiti dal CortEAU e dal GAuTHIER, ma ancora da formarne una specie nuova. Per essere più sicuro nella mia determinazione volli in questi ultimi tempi inviare 7 degli esemplari di Ploahge al LamBERT, il quale, riconoscendo giuste le mie osservazioni per quattro di essi, cioè rico- noscendo in quattro di essi la mia specie nuova volle attribuire il quinto al suo 7. barcinensis D, mo- strandosi incerto, se gli altri due individui si dovessero riferire all’ E. hemisphaericus o ad altra specie. Non so davvero come l'illustre uomo, che ha avuto per parecchio sotto gli occhi i 7 individui del mio E. Spano?, abbia potuto riferire uno di essi al suo E. darcinensis, dal quale i nostri differiscono nettamente per essere assai più depressi, per la loro forma chiaramente discoidale, niente affatto subconica, per l’apice parecchio eccentrico e pel peristoma ancora più eccentrico, ma particolarmente per le zone porifere molto depresse e per le zone interporifere nettamente gibbose verso l’alto e molto larghe. E perchè meglio si possano vedere tali differenze ho scelto per far figurare il mio E. Spanoè proprio l’in- dividuo riferito dal LamBeRrt all’ E. barcinensis, notando che non è il più grande, essendo maggiori di esso tre dei quattro ascritti da lui al mio £. Spanoì: ho segnato con una punteggiata (Tav. XVIII [III], fig. 1e) sopra il profilo del mio £. Sparoi, quello dell’E. darcinensis, copiato il più esattamente possibile da quello dato dal LamBERT®. Quanto poi all’appartenere gli altri due individui all’. hemisphaericus devo assolutamente escluderlo, non solo pei caratteri generali dati superiormente e che assolutamente mancano per quella specie, ma anche pei confronti col materiale copiosissimo di questa specie, tanto caratteristica, offertomi dall'isola. Certamente al LawBERT non inviai i tipici esemplari dell’ £. Remisphacricus, perchè questi erano già stati studiati e determinati dal Correau, mandai però a lui, insieme ai 7 individui del mio £. Spanoi, alcuni individui di quella specie e qualche esemplare dubbio pei confronti e per far spiccare all’occhio dell’illustre echinologo meglio i caratteri differenziali della mia specie nuova. Ricordo che fra gli E. hemi- ia - i) J. LamBeRT. Description des Échinides fossiles de la province de Barcelone. Mémoires de la Société géologique de France, tome XIV, fasc. 2-3, pag. 90-93. Paris, 1906. 2) Ip. L. cit., pag. 91. 144 D. LOVISATO 18} sphuericus, eravene uno del calcare elveziano del Camposanto di Cagliari, che il LAMBERT stesso chiamò typique et semblable aux individus des faluns du Bordelais ®, ed un altro di S. Caterina di Pittinuri. Lo specialista di Troyes a quella stessa pagina fissa la sua attenzione proprio sopra quest’ultimo grande individuo, già avuto in comunicazione dal CortEAU, che nettamente lo determinò come £. hemisphaericus, come l’afferma il cartello, scritto tutto di suo pugno. Non fu dunque il CortEAU, ma sono stato io a mettere in dubbio quella determinazione ed a credere che l’individuo di S. Caterina di Pittinuri, disgra- ziatamente mutilato nella parte posteriore, più ristretto dinanzi, ma non più depresso, come afferma il LAMBERT, possa appartenere ad una specie differente. Chi ha detto all’illustre specialista che il CortEAU non ha osato separare questo individuo dal tipico £. Remisphaericus, come scrive il LAMBERT alla stessa pagina, per farlo forse appartenere ad una specie nuova, sì da permettersi poi di concludere il suo dire sull’. hemisphaericus con queste parole ®: Je crois devoir imiter sa réserve et j'éstime comme lui qu'il y @ plus d’inconvénients que d’utilité à eréer, surtout dans ce groupe assez difficile, des espèces nouvelles sur des individus mutiles, dont on ne saurait correctement faire ressortir tous les caractères? Se il valente echinologo invece di restringersi alle osservazioni dei due soli Eckinolampas sopra accennati, avesse esaminati, anche grossolanamente, gli altri individui di tale genere, che a lui avea inviato pei confronti, specialmente coll’E. Sparoi, non sarebbe certamente venuto a quella giusta, sebbene inopportuna conclusione. Sono perfettamente d’accordo con lui, che allo stato attuale della paleontologia le determinazioni esatte, le sole che sieno utili, sono molto difficili, perchè molte volte delicate, ma mi sembra ch’egli non solo avrebbe dovuto confermare il mio dubbio, ma avvalorarlo ancora, guardando attentamente un Ecki- nolampas di taglia media, speronato, che sotto il n.° 5 avea a lui comunicato cogli E. Spanoî, proveniente dal tramezzario della Piazza d’Armi di Cagliari, località generalmente conosciuta sotto il nome di Zs Mirrionis: questo individuo, abbastanza bene conservato, mostra benissimo col peristoma e col periprocto tali caratteri da non potersi assolutamente ascrivere all’. hemisphaericus, alla quale specie col CortEAU l’ha riferito anch'egli, unendovi cartellino tutto di suo pugno, ma ben ad altra specie. E questi miei dubbi sugli Eckinolampas, e particolarmente su quello in questione glieli avea manifestati in una mia lettera del 5 settembre 1907, dicendogli chiaramente come io lo riguardassi quale specie assolutamente nuova, particolarmente per la forma depressa, non tanto però come quella del mio E. Sparoiî, depressione in ogni modo non dipendente da accidenti di fossilizzazione, e per avere il rostro maggiormente svilup- pato che nel tipico £. hemisphaericus. i E giacchè sono alla pagina 59 del bel lavoro del LAMBERT non posso far a meno di domandare a lui dove ha mai ricavato dalle pagine del Correau il Progonolampas pseudoangulatus CorteAU per la Sardegna, dove io non l’ho mai trovato e quindi non potea mandarglielo in comunicazione. S’egli avesse voluto parlare dell’'Eckinolampas pseudoangulatus CorteAU, gli direi che non è vero che manchino dati sul giacimento e sul livello stratigrafico di quest’echinide, perchè l’individuo descritto dal CortEAU deriva dal conglomerato di Ales, località Cannanì, che giace sopra quell’interessante stampiano. Non voglio chiudere queste pagine senza ritornare per un momento ai piccoli Clypeaster, di tipo più 0 meno somigliante al C. Lovisatoi CorTEAU, per ricordare due individui, che presentano curiosi casi di tera- tologia. IL primo (Tav. XVIII [III], fig. 2) di Coroneddu, non lungi da Bosa, molto bene conservato, più rotoudo che pentagonale e molto probabilmente non appartenente al C. Lovisatoî, presenta insieme al i‘) J. LamBeRrT. Description des Echinides fossiles des terrains miocéniques de la Sardaîigne, pag. 59. 2) Ip. L. cit., pag. 59. [9] D. LOVISATO 145 periprocto ordinario due cavità consimili, una fra i due ambulacri pari di sinistra, l’altra fra l’ambulacro anteriore ed il secondo di destra. Si potrebbe obiettare che questi falsi periprocti siano stati scavati post mortem da qualche parassita, ma, se si osservano attentamente colla lente, si veggono attorno alle due cavità dei tubercoli sempre più piccoli, che seguono la cavità periproctale nelle pareti interne, ciò che verrebbe a provare che le due escavazioni in forma di periprocti accessori esistevano già mentre l’animale viveva, senza però che resti provato che tali cavità sieno proprio due periprocti, che costitui- rebbero un’anomalia ben straordinaria, un caso ben singolare di teratologia. Mi piace aggiungere che l’illustre prof. H. L. Hawkins del British Museum avendo esaminato bene questo raro individuo mi facea osservare che un quarto foro periproctale era ben accennato nell’ambulacro posteriore destro, ed infatti nel margine eroso vedesi più della metà della sua cavità ed intorno ad essa si veggono tubercoli sempre più piccoli, seguenti la stessa cavità nelle pareti interne, come nelle altre due già descritte. Nell’altro (Tav. XVIII [III], fig. 3) pure di Coroneddu, appartenente al vero ©. Lovisatoî CortHAU, noi vediamo oltre il vero periprocto un’altra cavità dalla parte sinistra anteriore, ma osservando bene colla lente non si veggono come nell’altro tubercoli sempre più piccoli, che vadano seguendo tale cavità, e quindi v'è ragione da credere che quel foro sia stato scavato dopo la morte dell’individuo. Un terzo ed interessante caso di teratologia l’avrei osservato in un Opissaster Lovisatoi CorteAT (Tav. XVIII [III], fig. 4) dei grès della grande trincea bianca presso la cantoniera di Cadreas sopra Bonorva, mancante dell’area ambulacrale anteriore destra. Tanto l’Opissaster, quanto i due C?ypeaster, sono stati artisticamente fotografati dall’illustre signor ing. Alberto Bronzini, direttore dell’esercizio delle ferrovie reali sarde: all’egregio gentiluomo, cui sono debitore di altre superbe tavole fotografiche, che m’auguro presto possano essere riprodotte, vada intera la mia riconoscenza. A proposito dell’ Opissaster Lovisatoi, nuova e bella specie formata dal compianto CorteAU sopra numerosi esemplari, provenienti per la maggior parte dai grès langhiani della grande trincea bianca sopra la cantoniera di Cadreas, già ricordati, non posso a meno di rammentare che fra i numerosi in- dividui, generalmente di grande taglia, ve ne sono molti conservatissimi, perfetti, e non è vero quanto afferma il LAMBERT, che questa specie è frès rarement bien conservuée : egli non poteva e non doveva parlare di questa specie, della quale non ho mandato a lui i bellissimi esemplari, così bene studiati e determinati dal CorreAU e da lui stesso dichiarati superbi, e non glieli ho mandati per la semplicissima ra- gione che non me li ha mai chiesti. Mi sono limitato di comunicare a lui alcuni individui dubbiosi, e quindi non bene conservati, e fra questi il LamBeRT ha trovato il suo 0. Almeraiî, frequentissimo a Tre- snuraghes, della quale località il CorreAu non ebbe alcun esemplare, mentre ne ebbe alcuni, non ben conservati, dei grès della grande trincea bianca sopra la cantoniera di Cadreas. Vado però riconoscente all’illustre echinologo di Troyes per aver ripetuta ed ampliata la descrizione di questa nuova specie, così diffusa nell’isola bella. 1) J. Lamsert. Description des Échinides fossiles des terrains miocéniques de la Sardaigne, pag. 71. Finito di stampare il 10 settembre 1910. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 19 oh i ‘oitatzo Re rbppo “Rina (8a64 st sla Ue dilfrga Din vitata : sog: sor sl tod ch nero» qogsara andegtti gh into, Nana. 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DE STEFANI ne ritrovava altri studiando le ligniti del Bacino di Castelnuovo, nelle argille saponacee compatte presso il Ponte dei Sospiri, in prossimità delle fornaci di Castelnuovo. Gli avanzi consistevano in denti isolati e lo stesso prof. DE STEFANI trovò sopra di essi, ad un’ altezza di circa cm. 50 resti di Felis Issiodorensis Cr. et JoB. sui quali, a lor volta, a distanza di m. 1, si trova- rono dei resti di Cervus. Una mandibola di Tapiro fu pure trovata, insieme ad avanzi di Sus, alle fornacette del Bianchi, o di Pieve Fosciana sotto lo strato lignitifero, ed il prof. De StEFANI ritiene che gli strati in cui fu rinve- nuta fossero gli stessi di quelli del Ponte dei Sospiri ?). Questa mandibola non si trova nelle collezioni del Museo fiorentino, nè per quanto ne abbia fatto ricerche, ho potuto sapere ove sia depositata. Il Masor ne parla in un suo lavoro ne’ termini seguenti : “ Inoltre mi fu fatto vedere qualche tempo fa, un frammento di Mandibola di Tapiro che si trova in una collezione privata e che è stata rinvenuta nel tetto di una lignite presso Castelnuovo di Garfagnana (Toscana) , ?. ® i) MENEGHINI G. Resti di Tapiro e di Istrice nella lignite di Ghivizzano. Atti della Società toscana di Scienze na- turali. Processi verbali, adunanza del 4 luglio 1880, pag. 74. Pisa, 1880. 2. DE STEFANI C. Le ligniti del bacino di Castelnuovo di Garfagnana. Boll. R. Com. geol. d'Italia, n. 7-8 pag. 224, 225. Roma, 1887. 3) ForsyrH MaJor C. J. Considerazioni sulla fauna deù Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Memorie, vol. I, pag. 38. Pisa, 1875. Di 148 D. DEL CAMPANA [2] Tutti questi avanzi il prof. De StEFANI li citò in un suo lavoro sul lago pliocenico e le ligniti di Barga nella Valle del Serchio !). TEAGE Alle località ricordate va aggiunta la Cava delle Fornaci di Barga, ove fu rinvenuto un dente pre- molare sinistro superiore di Tapiro, che 1’ UgorIinIi descrisse ed illustrò sotto il nome di Zapirus ar- vernensis CR. et JoB. ? Il Tapiro del Valdarno fu citato per la prima volta (1833) dal De La BkcHE, che fino da allora ri- tenne essere il deposito fossilifero di quella località di epoca non diversa da quella dei depositi fossili- feri dell’Auvergne ?). Più tardi (1841), sull’autorità del geologo ricordato ora, il Tapiro viene citato nuovamente dal BLamx- VILLE nella sua Osteografia 4) In seguito, cioè nel 1857, troviamo ricordato ina nuovo il Tapiro del Valdarno in una memoria del FaLcoNER riguardante i Mammiferi fossili d’Italia 9. La stessa citazione si ha in una memoria dello STRozzi, comparsa nel 1858 e riguardante alcune filliti della Toscana. In questa memoria lo Strozzi, citando dietro le determinazioni del FALCONER i mam- miferi ritrovati nel bacino lacustre del Val d’Arno, nomina fra quelli il Tapiro, aggiungendo però che i resti di tal mammifero, insieme a quei di Cavallo, sono piuttosto rari %). Un anno dopo (1859) lo SrRozzi, in una sua nuova contribuzione alla Flora fossile italiana, aveva occasione di distinguere nel Valdarno tre diversi orizzonti ed al secondo di questi attribuiva la maggior parte dei mammiferi ritrovati, tra cui il Tapiro, proveniente, secondo lo Strozzi, dalle sabbie marnose spettanti al Pliocene subappennino ?. Il Tapiro del Valdarno fu poi nuovamente ricordato dal FaLconER nel 1868 in una memoria piena dante l’età geologica degli Elefanti fossili 9). Per ultimo troviamo citato (1873) il Tapiro del Valdarno dallo Stoppani ® che lo riportò insieme ad altri mammiferi dietro comunicazione avuta dal Mayor !%. Questi però nel 1875 scrivendo sui Mam- miferi fossili della Toscana, dice che egli citò il genere Zapîrus insieme ai generi Artilope e Lagomys come appartenenti alla fauna del Valdarno, dietro le osservazioni di FaLconER, sebbene non ne avesse trovato alcun esemplare nell’esaminare le varie collezioni paleontologiche. Più tardi però (1876), avendo avuto in esame dal prof. P. MARCHI diversi fossili provenienti dalle 1) De STEFANI C. Il lago pliocenico e le ligniti di Barga nella Valle del Serchio. Boll. R. Com. geol. d’Italia, n. 9-12, pag. 337, 339, 340. Roma, 1889. 2 UcoLInI R. Vertebrati fossili del Bacino lignitifero di Barga (Val di Serchio). Atti Soc. tose. Sc. nat., Proc. verb., vol. XIII, ad. del 23 marzo 1902, pag. 32. Pisa, 1902. 3) De La BbcHe H. T. Manuel géologique. Trad. frang., pag. 286. Paris, 1833. 4 BLAINVILLE H. Ostéographie. Gen. Elephas, pag. 141; Gen. Tapirus, pag. 49. Paris, 1841. 5) FALCONER H. On the species of Mastodon and Elephant occurring in the fossil state in Great Britain. Part I. Mastodon. Quarterly Journ. Geol. Soc., 1857; Paleontological Memoirs, vol. II, pag. 47. London, 1868. 5 GAUDIN CH. TH. et STROZZI Od Corno, Meémoire sur quelques gisements de feuilles fossiles de la Toscane, pag. 8, 9. Zurich, 1858. 7 GAUDIN CH. TH. et Strozzi march. CarLO. Contribution è la. Flore fossile italienne. Second Mémoire: I. Partie stratigraphique, pag. 13 e seg. Zurich, 1859. 3) FALCONER H. Geological Age of Fossil Elephants. Paleontological Memoirs and Notes, vol. II, pag. 189. 1868. 9 SroppanI A. Corso di Geologia, vol. II. Geologia stratigrafica, pag. 673. Milano, 1873. 10) ForsyrH Mayor C.J. Considerazioni sulla Fauna dei Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Meiaorie, vol. I, pag. 38. Pisa, 1875. [3] D. DEL CAMPANA 149 argille plioceniche del Valdarno, vi riconosceva il genere Zapîrus !; e su tale riconoscimento tornava di muovo in un suo più recente lavoro ?), correggendo un’ asserzione del WEITHOFER 5), il quale ricordando una mandibola ed un molare superiore, aveva negato che avanzi di Tapiro fossero stati fino allora riscon- trati nel Valdarno superiore. Questi avanzi, scriveva con ragione il MAJOR, “ non provengono, come il WrirHorER affermò, da Castelnuovo di Garfagnana, ma dalle argille formanti il tetto della lignite di Castelnuovo in Valdarno ,. Questi stessi resti sono appunto quelli che esistono nel Museo di paleontologia di Firenze il quale là ebbe in dono dal prof. MARCHI nell’anno 1877. Nelle “ Considerazioni sulla Fauna dei Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana , citate già sopra, il Mayor ricorda pure un frammento di mandibola di Tapiro ritrovato nella lignite di Garfa- gnana e che è certamente quello delle Fornaci del Bianchi già trovato dal DE STEFANI. Parlando del Tapiro di Valdarno, non possiano non ricordare anche un bacino ritrovato in Valdarno esistente nel Museo di Parigi. Il Cuvier, il quale lo raccolse appunto nella regione ora indicata, ne dava la seguente descrizione 4): “ Ce bassin, entièrement inconnu et différant beaucoup de ceux de chevaux, ‘de boeufs, des chameaux et des autres animaux, avec lesquels il a quelques rapports de grandeur, ne ressemble aussi que médiocrement à celui du Tapir bien qu’il s’en éloigne moins que d’aucun autre. La partie ischiale est très-large et très-concave en dessus, mais peu allongée. Le trou ovulaire est aussi long que large. Son plus grande diamètre est oblique d’avant en arrière et de dehors en dedans. Ce qui reste de la partie évasée de l’os des îles est fort concave en dehors. La fosse cotyloîde est plus large que haute. Son échancrure est profonde et large; mais se prolonge peu en arriere.... L’animal auquel ce bassin a appartenu devait surpasser encore considérablement notre Tapir des Indes, et demeurer de très-peu an dessous de la taille du boeuf ,. Questo stesso pezzo prendeva in esame molti anni dopo il BLAINVILLE e dopo aver riconosciute giuste le osservazioni del CuvieR, dimostrava che esso non offriva nessuna somiglianza col bacino del Tapiro ma che piuttosto poteva ravvicinarsi per alcuni suoi caratteri all’ osso innominato del Cinghiale o del Bove. Così pure esponeva il dubbio che il detto bacino del Valdarno potesse riferirsi ad un Lophiodon o ad un Palacotherium, ma propendeva a crederlo appartenuto piuttosto ad un Anzhracotherium o ad un Che- ropotamus °). Questa stessa osservazione venne ripetuta dal Mayor senza fare alcuna discussione in pro- posito 9. Non ostante ciò, volli pregare il prof. ALBERTO GauDRY di volermi dire il suo parere sul fossile in questione ed ecco la risposta ch’ egli gentilmente mi mandava da Parigi in data 16 marzo 1906. MERO, Le bassin du Valdarno n’est pas dans les vitrines de la galerie de Paléontologie du Museum. Mon ami, le professeur BouLE, a fait faire des recherches; et n’a pu verifier encore ou cet échantillon a été placé lors des déménagements des fossiles. A en juger par la figure de CuvieR, j'aurais supposé qu’ il provient d’un petit A7inoceros etruscus. Mais je ne peux pas donner un’opinion sur un échantillon que je n’ ai pas vu,. 1) ForsytH MAJOR C. J. Sul livello geologico del terreno in cui fu trovato il così detto cranio dell’ Olmo. Archivio per l’Antropologia e la Etnologia, vol. VI, pag. 344, nota 4. Firenze, 1877. 2) ForsyrH Mayor C. J. L’Ossario di Olivola in Val Magra (Prov. di Massa Carrara). Atti Soc. tosc. Sc. nat. Proc. verbali, vol. VII, pag. 70. 3) WxritHorprR K. A. Ueber d. tert. Landsciugethiere Italiens. Jahrbuch d. k. k. geolog. Reichsanstalt, 39 Band, I Heft, pag. 72. Wien, 1889, 4 Cuvier G. Recherches sur les Ossements fossiles ecc.,vol. II, 1.2 parte, pag. 220, tav. IX, fig. 3, 4. Paris, 1822. 5) BLAINVILLE H. Op. cit., Gen. Lophiodon, pag. 104. ) 6 MaJoR C.J. Op. cît., pag. 21. 150 D. DEL CAMPANA [4] Il BLAINvILLE nell’opera più volte citata, nell’indice, non altrove, indica il fossile di cui parliamo col nome di Lophiodon arnense ®; onde il DE STEFANI, ritenendo che si trattasse del Tapiro vero e pro- prio, nella sua monografia sui terreni del Terziario superiore del Bacino del Mediterraneo, dando l’elenco dei fossili del Valdarno, ricorda il Zapirus coll’improprio nome di Tapîrus arnensis Brainv, 2) I resti di Tapiro della lignite di Spoleto furono ritrovati insieme ad alcuni molari di Mastodon ar- vernensis Cr. et Jos. e di Mastodon Borsoni HAxs. Il PANTANELLI che li studiò nel 1886, li riferì, come vedremo meglio più avanti, al Zapirus arver- nensis Cr. et JoB. 9) Questi stessi resti furon pure citati dal CLERICI in una sua breve nota sopra alcuni denti di Castoro rinvenuti nella lignite-di Spoleto 4). Più tardi, cioè l’anno seguente, il CcERICI in una delle sedute estive della Società geologica italiana, dava notizia di nuovi resti di Tapiro trovati nella medesima località. Si tratta di due frammenti di ma- scella mal conservati, inclusi in un grosso campione di lignite, i quali non poterono essere isolati o con- solidati in alcuna parte 9). A completare le notizie bibliografiche date sin qui, aggiungo che i Tapiri delle tre ricordate località plioceniche furono pure citati dal prof. De SterANI e dal WEITHoFER in alcuni loro lavori sul Pliocene. Dal primo nelle memorie sui terreni miocenici e pliocenici della Toscana 9, sui molluschi continen- tali pliocenici d’Italia” e sui terreni terziari del Bacino Mediterraneo 8); dal secondo nella sua nota sui mammiferi terrestri terziari d’Italia ®. Prima di chiudere queste notizie sulle località di provenienza dei resti fossili di Tapiro che hanno fornito materia al presente studio, ricorderò che avanzi di Tapiro furono citati dal GasraLpI 1% e dal Siswonpa 1! come rinvenuti nelle argille plioceniche di Ferrere (Piemonte) insieme a resti di Mastodonte (Mastodon angustidens), Rinoceronte ed Ippopotamo. Per altro, da ricerche fatte gentilmente, in seguito a mia richiesta, dal prof. PARONA, è resultato che nel Museo geologico universitario. di Torino, il quale possiede le collezioni GASTALDI, non si trova alcun resto fossile di Tapiro, come non se ne ritrova nel 1) BLAINVILLE H. Op. cit., pag. 106. Per errore di stampa sta scritto Lophiodon arvense. 2) Do SrEFANI C. Les ferrains tertiaires supérieures du Bassin de la Meéditerranée, pag. 122. Ann. de la Soc. géol. de Belg., t. XVIII, 1893. 3) PANTANELLI D. Vertebrati fossili delle ligniti di Spoleto. Atti Soc. tose. Sc. nat., Memorie, vol. VII, pag. 96, tavola IX. Pisa, 1886. i CLprIcI E. Sul ritrovamento del Castoro melle ligniti di Spoleto. Boll. Soc. geol. ital., vol. XIII, pag. 202. Roma, 1894. 5) CLERICI E. Boll. Soc. geol. ital., vol. XIV, pag. 296. Roma, 1895. 5) De STEFANI C. Brevi appunti sui terreni pliocenici e miocenici della Toscana. Boll. d. R. Com. geol., vol, VIII, pag. 395. Roma, 1877. © De STEFANI O. Molluschi continentali fino ad ora notati in Italia nei terreni pliocenici. Atti Soc. tosc. Se. nat., Memorie, vol. III, pag. 277. Pisa, 1877. 8) De STEFANI C. Les ferrains tertiaires supérieures du Bassin de la Meéditerranée. L. cit. ° WrirHoroR K. A. Ueber die tertitiren Landscugethiere Italiens. Jahrbuch d. k. k. geol, Reichsanstalt, vol. XXXIX. Wien, 1889. 19) MarTINS CH. e GasraLDI B. Essai sur les terrains superficiels de la valléee du Pò, aux environs de Turin, comparés à ceux de la plaine suisse. Bull. de la Soc. géol. de France, vol. VII, 2.2 serie, adunanza del 20 maggio 1850, pag. 595. 11) SismonDa A. Osteografia di un Mastodonte angustidente. Reale Ace. d. Scienze di Torino, serie II, tomo XII, pag. 59. BI D. DEL CAMPANA si ; 151 Museo geologico del Valentino. Denti di Tapiro, però senza indicazione di provenienza si trovano nel Museo geologico universitario di Roma. Il PorrIs li ritenne “ inattribuibili fra le specie Zapirus indicus Cuv. e Tapirus arvernensis CR. et JoB.,, e suppose che questi denti potessero provenire dalla Val di Chiana ”. 1827 1828. 1839. 1846. 1859. 1859. 1875. 1880. 1885. 1885. 1886. 1886. 1887. 1889. 1889. 1891. 1893. 1902. Tapirus arvernensis Cr. et Jos. . Tapirus sp. Devèze I. S. et BovwinLer I. B. Essai géologique et mineralogique sur les environs d’ Issoire dep. du Puy de Dome, pag. 49, 77, tav. VI, fig. 1-3; tav. VII, fig. 5. arvernensis Crorzer et. Josnrt. Lecherches sur les ossements fossiles du département du Puy minor arvernensis minor Sp. Sp. arvernensis Sp. Sp. Sp. arvernensis de Dome, pag. 161 e seg., tav. II, fig. 3,5; tav. XII, fig. 4, 5, 6. MarceL DE Serres, DusrEuIL et Jean JEAN. Oss. humatiles de la Caverne de Lunel Vieil. Dr BLarnviLLE. Ostéographie. Gen. Tapirus, pag. 38, tav. V-VI. GervaIs P. Zoologie et Paléontologie frangaises. Nouvelles recherches sur les ani- maux vertebrés, pag. 103. Gervars P. Ibid., pag. 104, tav. V, fig. 4, 5, 5 Forsrra Mayor C. J. Considerazioni sulla fauna dei Mammiferi pliocenici e post- pliocenici della Toscana. Atti Soc. tosc. Se. nat., Memorie, vol. I, pag. 38. MeneGHINI G. Fest di Tapiro e d’ Istrice nella lignite di Ghivixzano. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Proc. verb., pag. 74. Drerérer Ca. Descripiton des vertébres fossiles du terrain pliocène du Roussillon, pag. 177, tav. II, fig. 1-2 (cum syn). Ann. d. Sciences geol., t. XVII, tav. 1-2. Forsyra Mayor C. J. On the Mammalian fauna of the Val d’ Arno. Quarterly Journal of the Geological Society. February. Lypekker in Catalogue of the Fossil Mammalia in the British Museum, P. II, pag. 2. PanraneLLI D. Vertebrati fossili delle ligniti di Spoleto. Atti Soc. tosc. d. Sc. nat., Memorie, vol. VII, pag. 96, tav. IX, fig. 1-2. De SreFAnI C. Le ligniti del bacino di Castelnuovo di Garfagnana. Boll. R. Com. geol., vol. XVIII, pag. 224, 228. De SteFANI C. Il lago pliocenico e le ligniti di Barga. Boll. R. Com. geol., vol. XX, pag. 337 e 339. Dx SteranI C. Le pieghe delle Alpi Apuane, pag. 48, 49. Pubblicazioni del R. Isti- tuto di studî superiori pratici e di perfezionamento in Firenze (sez. Sc. fis. e naturali). Depéret CH. Les Animaux pliocèénes du Roussillon. Mém. Soc. géol. de France, t.I, fasc. IV, pag. 73. - Dx Srerani C. Les terrains tertiaires superieures du Bassin de la Mediterranee. Loc. cit., pag. 318. UcoLIini R. Vertebrati fossili del bacino lignitifero di Barga (Val di Serchio). Atti Soc. tosc. Sc. nat., Proc. verb., vol. XIII, pag. 33. Fino dal 1827 Devkze e BovrLLer ricordano il Tapiro dando un elenco di fossili trovati nell’Auvergne e più precisamente sul Monte Boulade nello strato sabbioso alluvionale. Si tratta, secondo questi autori, 4) PoRTIS A. Contribuzioni alla storia fisica del Bacino di Roma, vol. 2°, parti IV e V, pag. 113-118. Torino, 1896. 152 È D. DEL CAMPANA [6] di un Tapiro di dimensioni molto minori a quelle comuni per gli altri congeneri fino allora descritti, ma le figure date di due frammenti di mascellari inferiori non sono tali da permettere osservazioni sicure. 3 Gli stessi frammenti di cui fanno menzione Devkze. e BouILLeT, insieme ad altri trovati nella stessa regione, furono nel 1828 classificati da Crorzet e da JoBERT sotto il nome di Tapirus arvernensis, per distinguerli da altre specie fossili. Questi resti che appartenevano, secondo gli autori ora citati, almeno a due individui diversi, sembrarono ad essi presentare molte affinità coi Tapiri viventi, e tra questi spe- cialmente col Tapiro dell'India più che coll’altro dell’America. Sotto il nome di Tapirus minor furono classificati da MARCEL DE SERRES nel 1839 alcuni resti di Tapiro trovati a Montpellier nelle sabbie marine fluviali del pliocene, ma già fino dal 1848-52 il Gex- vaIs ‘ebbe a riconoscere la spiccata affinità che legava questa specie al Tapirus arvernensis CR. et JoB., al quale ultimo, secondo lo stesso autore, andava con molta probabilità riunito anche il Tapirus elegans Pox. ritrovato fossile nei dintorni di Puy a Vialette, nel terreno pliocenico. Lo stesso parere venne più tardi seguito dal DePÉRET riguardo al Tapirus minor DE SERR. Quanto a me ho potuto anche meglio conoscere la giustezza di tali osservazioni confrontando in- sieme un modello assai buono del cranio di Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico, proveniente dal Museo di Parigi, e i resti del Tapiro pliocenico italiano, colle figure di Tapwus minor De SERR. date da GeR- VAIS il quale riproduce soltanto, senza darne nessuna descrizione, un molare superiore sinistroed una branca sinistra di mandibola quasi completa. La somiglianza è spiccatissima, sia per ciò che riguarda i molari superiori, quanto per ciò che riguarda i premolari ed i molari inferiori; e le leggerissime varianti che possono notarsi, sono tali che non permettono, secondo me, in modo alcuno di tener le due forme separate specificamente. Altre due specie sono riunite dal DePÉRET al Tapirus arvernensis Cr. et JoB., cioè il Tapirus Vialetti Aymarp ed il Tapirus intermedius JOURDAN. Queste due forme essendomi poco note e non avendo potuto procurarmene un modello, non ostante le ricerche fatte, non posso entrare in merito al ravvicinamento proposto dal DePéRET. Ricordo pertanto che la prima delle due specie sembra, secondo l’autore ora ricordato, abbia una statura più piccola, del Za- pirus arvernensis Cr. et JoB. tipico, mentre diversifica dall’altro del Roussillon per avere i molari un poco più piccoli, con forma più quadrata e meno slargata trasversalmente. Per ciò che riguarda il Zapirus intermedius JourD., DEPÉRET osserva solamente ch’esso può raggiun- gere la statura del Z'apirus arvernensis CR. et Jos. di Perpignan. I resti di Tapiro nel terreno terziario del Roussillon furono segnalati per la prima volta nel 1885 dal DEPERET, il quale illustrò e riferì al Tapirus arvernensis Cr. et Jos. una parte di cranio, appiattito e deformato specialmente nella sua metà sinistra, ma colla serie dei molari superiori della parte destra quasi intatta; una parte di callotta cranica di un secondo individuo corrispondente alla regione oc- cipitale e non atta a fornire nessun carattere sicuro; ed un ultimo molare destro inferiore ben con- servato. Nel 1891, in seguito a nuove ricerche fatte nella medesima località, e che avevano accresciuto di numerose specie di vertebrati la fauna sino allora conosciuta, il DEePÉRET in uno studio complessivo sui vertebrati pliocenici del Roussillon, tornò a descrivere i medesimi resti, e li figurò nuovamente dando così mezzo di convalidare il riferimento fatto da lui, il quale è di parere che. sotto la comune. desi- gnazione specifica di Zapirus arvernensis CR. et JoB. possano riunirsi le diverse forme di Tapiro riscon- trate nel Pliocene d’ Europa. [7] D. DEL CAMPANA 153 Mi resta ora a dare l’elenco del materiale fossile studiato. Nel far questo indicherò con numeri romani i diversi individui ai quali questi fossili sembrano essere appartenuti, riservandomi di dare opportune Spiegazioni tutte le volte che sia del caso e di adottare nelle diagnosi dei singoli pezzi studiati, per quanto mi sarà possibile, l’ordine anatomico. Resti fossili del Valdarno superiore. Terzo molare superiore destro. — Miniera di Lignite di Castelnuovo. — Museo di Firenze I. < Branca sinistra di mandibola. » » » » . ° ° . Frammento di molare inferiore destro. » » » » Questi resti sono stati scavati insieme nel 1877 e donati al Museo dal prof. Pietro MARCHI. Il modo di fossilizzazione è identico, il frammento di molare inferiore consistente nel lobo posteriore, presenta ugual conformazione ed ugual grado di usura a quanto si osserva nel lobo posteriore del M2 inferiore si- nistro nella mandibola. II. Secondo premolare superiore sinistro. — Località non precisata del Valdarno. — Museo di Montevarchi. III. Frammenti di premolari e molari inferiori di Castelnuovo. — Museo di Montevarchi. Si trovavano inclusi nella lignite e non si prestano ad osservazioni speciali. Parte anteriore del cranio di giovane individuo. — Gaville. — Museo di Firenze. Secondo molare superiore destro » » » » Mandibola » » » » Canini inferiori destro e sinistro » » » » Iv Frammenti di incisivi » » » » ‘ ) Frammenti di coste » » » » Femore sinistro » » » » Parte inferiore di femore destro » » » » Parte superiore di tibia sinistra » » » » » » » destra » » » » Questi resti furono acquistati dal prof. G. RisrorI nel 1895. Stavano inclusi nell’argila indurita che sî trova al di sopra dei banchi di lignite. Resti fossili della Valle del Serchio. V. Terzo premolare superiore sinistro. — Cava delle Fornaci. Barga. — Museo di Pisa. Fu raccolto circa il 1902 nelle argille di Barga dal dott. B. Crarpi insieme ad alcuni resti di Cervus. VI. Parte superiore di un radio destro. — Fornaci di Castiglione 1890. — Museo di Firenze. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 20 154 D. DEL CAMPANA [8] Frammento di mandibola destra col secondo e terzo premolare e parte del primo molare. — Fornaci di Pieve Fosciana 1890. — Museo di Firenze. Frammento di mandibola sinistra, con parte del primo premolare, e col secondo e terzo premolare. — Fornaci di Pieve Fosciana 1890. — Museo di Firenze. VAL Secondo e terzo molare inferiore destro. — Fornaci di Pieve Fosciana 1890. — Museo di Firenze. Secondo e terzo molare inferiore sinistro «toi » » » \ Frammenti di molari inferiori » » » 3 \ Regione media di tibia destra » » » 5 Questi resti, come vedremo dalla descrizione, hanno appartenuto ad un individuo di età avanzata. | Secondo premolare superiore sinistro. — Fornaci di Pieve Fosciana 1890. — Museo di Firenze. VIII. < Primo premolare inferiore destro » » » 5 | Terzo molare inferiore sinistro » » » > Trovati in epoche diverse dello stesso anno in cui furono raccolti i resti precedenti; appartengono ad ‘un individuo adulto ma ancor giovane come lo mostra il grado d’usura dei denti. Terzo incisivo superiore sinistro. — Fornaci di Pieve Fosciana 1897-98. — Museo di Firenze. IX Primo premolare superiore destro » » » » ‘ | Quarto premolare superiore sinistro » » » » Terzo incisivo inferiore destro » » » » Frammenti di molari superiori. — Fornaci di Pieve Fosciana 1897-98. — Museo di Firenze. ‘ ( Parte inferiore di omero sinistro » » » » Lo stato di usura maggiore riscontrato in questi denti, in confronto di quello che si riscontra al N.° IX, mostra che senza dubbio si tratta di due esemplari adulti diversi, dei quali questo secondo è molto più vecchio. Le stesse osservazioni vengono confermate dall'esame del relativo grado di usura dei denti in uno stesso individuo, fatto su esemplari viventi. Primo premolare inferiore sinistro. — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfagnana. — Museo di Firenze. Primo molare inferiore sinistro. — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfagnana. — Museo di Firenze. zo Frammenti di molari inferiori. — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfagnana. —- . Museo di Firenze. Parte sinfisaria di mandibola. — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfagnana. — \ Museo di Firenze. Raccolti dal prof. DE STEFANI. [9] D. DEL CAMPANA . 155 Alla descrizione del materiale indicato nell’elenco, faccio precedere le tabelle delle dimensioni riscon trate sui denti delle diverse specie prese in considerazione nella monografia. Lunghezza complessiva della serie dei molari e premolari. Tapirus Tapirus Tapirus helvetius indicus americanus Cr. et Job. Kaup Meyer Cuv. Linn. Tapirus arvernensis Tapirus priscus Perpignan Da Depéret gne éret del Museo di Firenze Tapirus Bairdi Gill. di Parigi Esemplare Da Meyer Da Meyer Da Meyer Esemplare del Museo Esemplare Esemplare d’Auver di d’ Italia Mod. d. Museo Da Depéret Da Depéret di Genova Da Depéret Es.del Musco di Firenze (») 5 (Ss) 2 5 EA Hu ® =] Es.d’Auvergne Da Dep Superiori mm. = 140 | 137 | 1398 | 155 | 157 ge —_ — | — |152| 163 | 138 | 130 | 136 | 132 (7) Inferiori » |130,1|182| — | — | — | — | 137 |133,5| 108 | 107| — |160,5| — |122|130 | 131 156 = D. DEL CAMPANA [10] Dimensioni dei È d . . Tapirus arvernensis Cr. et Job. 85 Tape DE = Ela, di Eppelsheim iS) Pisi nude EI È E] 2 È 2 5È di Esemplare 5 sE 2 o A BE SE 55/05 5 d’Auvergne. | 352 2 î oAe|o39|234/2 25/555 Modello sS5|s5|a7A 8 CERI ESTERE del Pia a le ENSRO, à PISA ENZIE AVS|5 CA | Museo di Parigi | 5TZ9 | vil > = ia 556256 |2 s0|2A4a au sEeElemd è Eilat ei fio A Fornara ta td us] = . 3A e) w SE Destro | Sinistro EÉ A d Primo Premolare superiore. Lunghezza massima 5 à . mm. - 17 _ —_ 18. 18 18 16,5 | 18 | 18,5| 20 Larghezza massima . ò 5 . » —_ 14 —_ - — 17,8 | 17,5 — | 19,5 | 15,5| 18 Altezza massima della corona . Ò » — 8,7 — _ — — _ — _ ni _ Secondo Premolare superiore. Lunghezza dal lato esterno . ; » — |. 20 19,6 20 10 | 05 | 10 — _ 21 Id. interno . : » — — 13 13 _ 13,5 | 13,5 —_ = = = Larghezza del lobo anteriore 5 » — _ 19,6 18 _ 19,9 20 _ _ — 23 Id. posteriore o » —_ — 22 21,4 —_ 24 24 — = = = S Tubercoli ( anteriore . » — = 9,5 10 — = — = = = = Ss . SZ esterni l posteriore ; » — _ 11 10 = —- = = _ -_ — Ss d & Tubercoli ( anteriore 0 » — = 10,5 9,5 —_ = — —_ — = = D) È ; se. interni | posteriore 5 » — _ 11,5 | 10,5 - _ — _ — - _ Terzo Premolare superiore. Lunghezza dal lato esterno . 6 » 20 > = _ 21 19,5 20 = = = = Id. interno . . » 18 = — —_ — 17,2 | 17,2 = —_ — —_ Larghezza del lobo anteriore . » 21,5 = i — —_ _ 23,3 _ - - - Id. posteriore 0 Ù 22 = = — -_ — 24,5 — — _ — 9 Tubercoli anteriore 0 » 11 - = — = = — — = = = s . N s esterni posteriore 5 » 10,5 — _ — = = — — - _ _ è © - IS Tubercoli ( anteriore ò » 13 —_ = — = = _ —_ — - _ ® i RE 3 \ interni | posteriore o , — — = —_ = = i — — — = Quarto Premolare superiore. Lunghezza dal lato esterno . 6 » Eri Dai 21,8 = 21 21,2 21 =. Id. interno . ò » — = 17,5 — 17 17,3 Larghezza del lobo anteriore o » — —_ 25,7 — _ 25,2 |. 25,8 = —_ —_ 26 Id. posteriore 3 » = = 23,6 — _ 25 24,6 ® Tubercoli anteriore i » = = 9,8 = 22. = DA = = a = gd . S 5 esterni posteriore x » = = 9,3 ne = = = = - = — Ka) (>) 2} & Tubercoli ( anteriore 0 » _ — 12,5 _ _ —_ _ —_ —_ — = D) 9 È ; ne) interni posteriore 1 » _ — 12 — _ — — — _ — — Premolari [11] superiori. D. DEL CAMPANA = ZIO SI Tapirus indicus Cuv. Tapirus americanus L, | Tapirus Bairdi n Le 3 d uni ve 3g|gis3/8 laigrizla. sr & È SERA Si = |. Tapirus sinensis Ow. Esemplare csi 2 2 (02) Ri © f a Esemplare Ù Esemplare si ® 2 n È ne a ta) i) del Se = tar he) z SOS E 5 del Museo 5 del Museo e z S [ISIS A Da creo Hi E di Genova E di Firenze Museo di Firenze È 33: 2 Ra F a e a E BRE a E A À À E È & E Destro | Sinistro Destro | Sinistro | Destro | Sinistro 13 — — 19 — — — 19,5 19,5 19,6 19,5 16 17,6 17,5 16,7 17 = _ _ 17,5 —_ — — 15,5 16 17,2 17 17 18 18 14,7 14,2 14 — — 21 29 21,5 — — 22 21,8 21,6 17 19,3 19,2 19,5 19,5 — — — — — — — — —_ 17 17 — 14,5 14 16,5 16 _ — —_ 29,5 25 25 = — 25 22 21,5 21 19,2 19 19,5 19 —_ — — — — — — — — 20 20,3 — 21,8 21,6 23 23 15,5 17,5 17,5 | 21,5 | 23,5 23 21,5 — 23 22,7 23 18 20 20 = = — _ 16,2 — — — — = = 20,5 20,5 = 15 15,3 = — 21 21,5 27,5 27,8 23,6 23,6 =" = — 24 27,5 28 28,5 — 27 22 — 23 27,7 27,5 24 24,2 = — 20 22,5 22,5 20,5 20,2 20 20 14,5 18 26 25 — — — 23,5 18,5 — 21,4 21,7 27 27 20,5 20 24,1 29 29 26 25,6 25,4 QQ — 23 30,5 s1 _ — — 24,5 22,5 20 26,5 26,8 25 25 24 23,5 D. DEL CAMPANA [12] Dimensioni dei Tapirus arvernensis Cr. et Job. È Tapirus 3 È priscus Kaup —_ n s DS Esemplare È = A E 5 e ° Fe 2» 5 £ s E | Z| Auvergne. È SÈ 24 È Di pe È o s È d È | Mod.d. Museo | &-2 È E 5 z Ma 3: È SIE Sa di Parigi SSR|SZA| a zA È = del REA Riso Bi G 3 Destro | Sinistro © È Primo Molare superiore. Lunghezza dal lato esterno o mm. —_ _ 19 19,8 20 20 —_ —_ _ 23 Id. interno » = = 15,5 — Larghezza del lobo anteriore » = = 24 24 —_ —_ _ —_ — 25 Id. posteriore » — - 22 — : ( anteriore » _ — = = = = = n cs bai; È Tubercoli \ SE esterni | posteriore » — - — _ _ _ = = = Rro. N Q o) >) RS ce anteriore. » —_ —_ —_ —_ —_ — _ — _ — (0) L=] aos \\ interni posteriore » _ — — _ - = = - = = Secondo Molare superiore. Lunghezza dal lato esterno » 21,5 = 22,5 | 22,5 22 21 23 22 — 25 Id. interno » 18 = 19 19 18 Larghezza del lobo anteriore » 24,8 = 26,4 | 26,7 —_ — 25 "i 2 9 9 7 a 25,5 98.5 ; 22 po Id. posteriore » 21,5 —_ 24 24 = — 21 — 1a99,5 s { a anteriore 2 10,4 = È = = == = = = Si Sa \ esterni | posteriore » 10,3 = = = = _ “a — = _ ShS < E | Tubercoli (. anteriore 2 15,9 si ni _ _ — _ — _ = (3) < n=) intenti \ interni ( posteriore » 15,5 = = = = _ — _ _ = Terzo Molare superiore. Lunghezza dal lato esterno » _ 22,6 22 22 18 21 — 19,5 _ 25 Id. interno » —_ 19 = 18,5 Larghezza del lobo anteriore » —_ 27 — 26,4 2 = = 23 — 28,5 Id. posteriore » — _ 21,3 | 21,6 < Ri anteriore » —_ 10,5 — — — — — _ — — iS esterni posteriore » - 8,3 = = = - - = = _ N 9° O 2 AUS Re anteriore » _ 15,5 — —_ —_ — —_ — = = © Td j - ; : interni posteriore » pe 14 da = = CS = = = —_ [ 13] Molari superiori. D. DEL CAMPANA A «PS a E s 5 S ° È n Tapirus [Sa = Z ® z| Tapirus indicus Cuv. Tapirus americanus Linn. e Is Bairdi Gill. 5 3 E z E z È Ss S > Tapirus sinensis Ow. Esemplare 5 Do Ag | LA 5 a) Esemplare 5) Esemplare ì E É È a È 5 & S (2) si = del Museo si a del Museo Figli reco z z A Ss STA A Dagcoken [ee s di Genova Pe) 3 di Firenze di Firenzo H [n dal A [SI S a SÌ a ‘E 2 Di S SI A À 3E A ©) "= TA È È È E Destro SERE Destro Rn Destro Sb 19 24 | 24,2 22 22 21 20, 8 _ 198 165, INGLT 21 — — — = 24 = Dal 15 18,4 | 18,4 TON RLoTR 9 19 23 25,5 | 25,5 20,4 | 25,3 | 25 24,3 — 23 — 22 25,5| — — _ — 25 — | 23,5 21 23 23 ZU | 28 | 2 29 25,5 22 26,2 | 26,8 24,5 | 24,5| 23 22,5 20,5) — 20 26 | 24,5| 24 29 24 | 25,5 21 21 19,5 19,2 21,8) 22 19 | 18,7 | 20,5 21 28 25 30 30 27 ZU || 23 27 24 — 24 eo | SI aa —_ 25 = 25 29 22 26,3 | 26 Zi 9 | 22 23 20 — | 24,5 22,3 | 22 |20,5| 20,8 —_ — = 20 24 —_ = —_ —_ = = 21 _ = 22 20 20 20 20 24,1 — | 29,4 25,5 | 25,3 | 26 26 —_ — —_ 23 29,5| — = — — 2 — | 23,5 20 — | 24,4 21,2 | 21,5) 23 23 160 D. DEL CAMPANA [14] Dimensioni dei Tapirus arvernensis Cr. et Job. Tapirus priscus Kaup È = E È di Eppelsheim EB gl EG eei e S È £ È È È 9 ° È E 5 E El ° Z El d’ Auvergne. 5 È È Co cot|legsf|&es| SHE |zFA£ | Mod.d.Museo| 3 3 fi ni sae|sas|sF35|Se8|FeÈ]) aiparigi 5 | de | SEE Fgs|goz|295 A Si È iS) x È e È £ Als 3% £ Z Ga Si ST RR E io Freeo Primo Premolare inferiore. Lunghezza o ‘ . È . mm. | 19,4-| 121,5 23 23 —_ 229,5.| 22,5 | 22 |22,5. || 22 = a 23,5 Larghezza . o € . o . » i 13 13,2 13 = 14 14,3| — —_ 13 _ Secondo Premolare inferiore. Lunghezza . . 0 o : » 19,8 | 20,7 = 19 19 20 20 20 21 21 | 24,5 Larghezza del lobo anteriore . o » 13,4 14 _ 13,7 — | 14,5 15 — —_ 17 17 Id. posteriore . ò » 15,2 | 15,4 — 9 14,8 | 14,4 | 16,8 | 16,8 anteriore ei CL CSS SR 6 0 E ee Tubercoli \ i 5 ; E esterni | A a posteriore . . » _ 10 — 9,6 8 = —_ — = — —_ N 3 DI >) ds ( anteriore . at slo 100 | ie io a 2 | Tubercoli \ ; interni ) ; \ posteriore . c » —_ 10 _ 8 8,4 = - _ —_ _ —_ Terzo Premolare inferiore. Lunghezza o ò c o 7 » 20,3 20 — 19,9 20 20 20 21 21 | 20,5 | 22 Larghezza del lobo anteriore . È » 15,1 15 —_ 16 15,5 | 16,2 | 16,5 —_ _ 19 15 Id. posteriore . 0 » 16 17 —_ 16,8 —_ 17,4| 17,5 anteri : 5 E —_ 11,8 _ 10 10 — i —_ —_ —_ _ Tubercoli \ Cr i [3] . si esterni e 2 È | posteriore . . » —_ 11,8 —_ 8,5 —_ — — _ — —_ —_ N © n SCO < s . | anteriore . . » _ 12 —_ 11 11,5 => = = = = = a Tubercoli \ interni | i 3 ' posteriore . : » - 10 —_ 9,8 | 10,3 _ — —_ _ —_ _ [15] D. DEL CAMPANA 161 Premolari inferiori. Tapirus TONE GR helvetius Tapirus indicus Cuv. Tapirus americanus Linn. Tapirus Bairdi Meyer Gill. par” Tapirus sinensis Ow. semolino FRE A 7 Esemplare n Esemplare È S S È È E s' del Museo a) I del Museo el É S E S De Loana S ws di Genova Hi S di Firenze Museo di Firenze 3&| Fs SAS & | & # ©) Destro | Sinistro Destro | Sinistro | Destro | Sinistro 16,5 17 24 22,5 = = 29,5 26 27,1 26,7 21 21 29,2 22,8 +23 23 = 10 . 15 13 = = 14 = 14,5 14 — 14 13,4 = 13 13 16 14 24 24 22,9 24 24 23,5 29,0 23,7 19 18,5 20 19,3 21 20,8 16,7 16,5 14 13,5 15 15 = 14 17 19 16 20 IX = — 16 17,9 17 16,4 16,3 17,5 17 16 17 30 = — _ 24 24 24 23,9 24 19 21 21 21,6 21,2 20 20 17 16,7 17,3 17,5 20 19,5 — = 18 18 Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 21 162 D. DEL CAMPANA [16] Dimensioni dei Tapirus arvenensis Cr. et Job. n E Tapirus | © < S I DÌ s i 3) SO Ss] Es| &2| Esemplare Ss | 8 E DIIROE ta È FCE 8 ESE d'Auvergne.| 28 | #$ | &£ | DeSer. | #& ass 56255255 £5| 22 | 9 i JESa CER | Be |HRs|zHe Mod.del M.| z© | z & | 5 = | Montpellier. - 2 ORE Bob | Lo |F90 i Parici | S & | SABA n SEP AS) 5g DIS di Parigi 56 3 = = È Da È 2 BIS Si [MESI lo ==="| £& Ùi 5 ‘z SS fel da] 28 see Depéret | &' Fi IE IC iS stro | stro |) Primo Molare inferiore. Lunghezza o . 0 . pi, IZ 20 —_ = — | 20 | 20 | 21 _ — |-|- Larghezza del lobo anteriore . o » 16,4|14,8| — —_ — |15,5|15,7 Id. posteriore . 6 » 15,9 | 14,8) — —_ — | 14 | 14 Tubercoli anteriore . Z » = dI] = LS e: er: Ss A: ne i SI È esterni da | posteriore . 5 » = 9 = = Sr i Te De: SA IAA N 9 ® © = CS) "or. 10.7 < Fi Tubercoli | anteriore . 3 Ri Ga | o = — — _ — = A ea Ge) ; ; IN VECI | posteriore . 3 » — 9,5) — = = =.|| = = = = = Secondo Molare inferiore. Lunghezza . ò 5 o 5 » 23,4 | 23,6|22,3|23,4| — |22,5]|22,2]| 22 2 —_ — |= Larghezza del lobo anteriore . î » io) || A 15 | 16,6|.— |16,5|16,8 Id. posteriore . 5 » 15,3 | 16,4||10,9| 15 — | 15 | 15 { Tubercoli | anteriore . D — [wall edgdaefl=l=f={[p={=||={= {= S È Sue \ esterni. fi posteriore CC è | ee S| s ZE ‘or 10 | 12 | 12 < c Tubereoli ( anteriore » = 9 9 2a UE SÌ, A Mi fai # interni | I interni | posteriore . {. > Ce uo ore eee a |=|= Terzo Molare inferiore. Lunghezza 0 . 5 6 ; » 925 | 24,9) 24 232] 2 AI 21 23) | 208 Larghezza del lobo anteriore . ò » SPAL LIT 16 — |15,5|17,5| 18 Ia. posteriore SI 1655) 11573] e 5 oo : Tiubercoli anteriore . a » — |11,9| 10 — |, Si | —_ - — 4 = DI Ss ; I È esterni posteriore .. Oui — eee e $ © d 2 teriore 10 | 12 12 ZA a/(( Ein : - » —_ —_ OR ae me _ — |]-|Jt|= = Tubercoli Pi interni : sa posteriore . ò » = 9,4] di = ue = | _ = |laeipa _ — rudi meno — > [17] . D. DEL CAMPANA 163 Molari inferiori. © . i È 5 5 aq Tapirus Tapirus priscus Tapirus S Tirano Ei È ce TO Kaup helvetius E ©) Tapirus indicus Cuv, Tapirus americanus Gill. n à ==) mtermedius | di Eppelsheim Meyer n n Bairdi 1 È ORE RARE Gill. > = eos fa E Le Ce n 3 Giu n © FUNana - Esemplare Esemplare | » | Esemplare Dale = (DI ® ® Edo) do pia bi) Si = (DI E È z È È SÈ Nani 3 È È GIS SE ° Ls 3 &5 E È del Museo E DI de: sinora $ del Muaeo Ei 359 È sà 3 = = Sia ‘E in =: = 2 à di Genova | = di Firenze à di Firenze Ba|aze 3) 9 5 S s |se E Ri S = s || É Ss |__| _/a|—--__ Ciig== = [498 noalesn isa Faroe e (Se Lei aa ee me = _ stro | stro Stro | stro stro | stro — — — 21210225. dii di 207 | 025 | 25 (2475) — 24 |23,6| 20 |20,5|21,3| 21 _ 21 21 a 22 15,D 18,4|18,6 — |17,3] — |17,3|17,4 = - = — | 16 |16,5| — 13 19 | 18 —_ — _ 17 15 sd 5 16 |15,8| — 16 16 = — 21915] |0247 270175) 9 22 30 | 26 — — |21,9|21,8) 20 22 2424 = 23, 123 a25 i 15,0 21,7|21,3 18,8) — = TB RI6, = = = — |18,5| 19 = 14 20 | 19 — —_ —_ 1° 15 19,6|19,6 Ta IS | | 19 22 20 26 26,9] — 20 19 22 — | — — 21 27 |26,8| 23 22 94 23,5] 23 29 |22,5 15,2 20,7 | 20,6 18,2|18,3| — 18 |18,3 _ —_ — — 19 — _ 15 — — — = —_ 17 14 18,4|18,2 16,8| 17 — 18 18 164 D. DEL CAMPANA [18] DESCRIZIONE DEI RESTI STUDIATI Terzo incisivo superiore sinistro (IX). — Fornaci dì Pieve Fosciana (Tav. XIX [I], fig. 2). — Questo dente ha al colletto sezione subtriangolare, compressa all’interno, all’esterno leggermente con- vessa. La corona, profondamente consunta, mostra che il dente apparteneva ad un individuo piuttosto vecchio. Il piano d’usura, obliquo verso, l’interno, rende il bordo esterno piuttosto tagliente ed è molto sviluppato. Il dente ha conservata inoltre buona parte della radice, molto robusta, leggermente ricurva e con sezione identica a-quella della corona. Primo premolare superiore destro (IX). — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XIX [I], fig.1). — Questo dente, come è noto, si differenzia dagli altri premolari e molari per la sua corona con superficie irregolare, a sezione triangolare avente l’apice rivolto verso l’avanti. Dal lato esterno i due tubercoli anteriore e posteriore sono appena accennati e si uniscono per mezzo di una collina molto spessa, la quale si inalza gradatamente dall’indietro in avanti, e giunta sulla parte anteriore del dente si abbassa rapidamente verso l’apice del triangolo. Dal lato interno si ha po- steriormente un tubercolo isolato, di forma conica, che è consumato dall’uso e quasi ridotto alla parte basale. Di cercine basale si nota un principio sulla parte posteriore esterna; sulla faccia interna il cercine comincia nella parte anteriore del dente con un ingrossamento tubercolare, gira attorno alla base del tu- bercolo interno ora esaminato e va a riunirsi, sulla faccia posteriore del dente, alla base del tubercolo posteriore esterno. ; Il piano d’usura sulla collina esterna è marcatamente inclinato verso l’interno; la superficie della corona presenta inoltre delle sottili rugosità più facilmente apprezzabili sulla faccia interna che sull’esterna. Si trovano pure conservate le radici; l'una, anteriore, ha forma quasi regolarmente conica e si pre- senta curvata leggermente circa la metà della lunghezza, colla convessità rivolta in avanti. Dal lato an- teriore è arrotondata, posteriormente è pianeggiante e solcata da una scanalatura che si parte dal punto d’origine della radice e la percorre sino all’estremità. La radice posteriore ha forma triangolare e raggiunge quasi la stessa profondità dell’altra, ma è più slargata alla base ed è schiacciata in senso antero-posteriore. Internamente si nota un solco della stessa natura, ma più profondo di quello osservato nella radice precedente; posteriormente il solco è appena accennato. ì Le due radici hanno le seguenti dimensioni: Radice anteriore — Lunghezza . 0 o ò . ” 6 . mm. 14,3 Larghezza basale massima . ò 6 6 . » 8 Radice posteriore — Lunghezza , ò » 13,6 Larghezza basale massima . o ò . ò » 12,1 Nel cranio tipico di Zapirus arvernensis CR. et JoB., il Pml è alquanto più consunto del dente ora de- scritto, ma ciò che resta ancora della corona non offre nessuna diversità notevole dal Pml di Pieve Fo- sciana. Secondo premolare superiore sinistro (VIII). — Fornaci dì Pieve Fosciana (Tav. XIX [I], fig. 12-15). — Ha sezione quadrangolare, più allungata dal lato esterno che dall’interno. Il lobo poste- riore è più largo che l’anteriore; nell’uno e nell’altro i tubercoli hanno quasi uguale altezza. Gli esterni [19] D. DEL CAMPANA 165 sono di forma più regolarmente conica degli interni che si mostrano compressi nel senso antero-posteriore. Due colline trasverse riuniscono in ciascun lobo il tubercolo esterno coll’interno; queste nel dente che stiamo esaminando, sono piuttosto consunte per l’uso, ma si può ancora vedere che esse, partendosi dal tubercolo interno, si dirigevano oblique in avanti, verso la faccia esterna del dente, per piegarsi poi ad angolo ed andare a riunirsi al tubercolo stesso. Il grado di usura del dente non permette di fare minute osservazioni sul punto di attacco delle colline coi tubercoli; sembra per altro che ciascuna collina si abbassasse notevolmente nel piegarsi verso il tubercolo e formasse coi fianchi di questo dal lato posteriore, una scanalatura non molto profonda. Dal lato esterno una breve collina riunisce i due tubercoli esterni, dando luogo su ciascuno di essi, nel punto di attacco, a una piccola doccia. La valle che separa il lobo anteriore dal posteriore è irrego- larmente profonda, e dal lato esterno è più slargata che dall'interno. Il cercine basale si trova sviluppato lungo tutta la faccia anteriore del dente ed a misura che si spinge verso l'esterno, va facendosi più alto; finchè giunto alla base del tubercolo anteriore esterno la risale per darvi luogo ad un piccolo tubercolo accessorio. Posteriormente il cercine si sviluppa alla base del tubercolo interno; dove ha uno spessore piuttosto sentito; poi si assottiglia ed oltrepassato il tubercolo, su i fianchi del quale produce un rilevamento a guisa di cresta, si spinge sulla faccia esterna in corrispondenza di tutto il lobo posteriore. Sulla faccia interna il cercine si nota soltanto dinanzi all’apertura della valle che separa i due lobi. La superficie della corona è liscia là dove è stata maggiormente soggetta all’attrito della masticazione; dove l’attrito è stato minore, come ad esempio sulla faccia esterna, la superficie è al solito leggermente increspata dall’alto al basso. L’attrito si nota specialmente sui tubercoli e sulle colline. I tubercoli interni ne sono rimasti logori regolarmente da ogni parte; le colline invece si trovano profondamente consunte là dove si piegano, come abbiam visto, ad angolo per riunirsi ai tubercoli esterni. Su questi ultimi si osservano ben marcati i piani di usura, uno inclinato verso l’interno, l’altro verso la faccia anteriore del dente. Quest'ultimo si continua altresì sulla collinetta che riunisce i tubercoli esterni. Per l’identificazione del dente ora descritto, ho fatto dei raffronti coi denti omologhi del Tapirus arvernensis CR. et JoB. tipico, coi denti del cranio fossile di Gaville, di cui parleremo più avanti, e con quelli di Z'apirus americanus Linn. e di Zapirus Bairdii GiLL. viventi. Il Pm2 del cranio di Tapirus arvernensis CR. et JoB., essendo più assai consunto dall’uso che non il nostro, non mi permise di confrontare i caratteri particolari della corona, potei però osservare che in' ambedue i premolari confrontati le dimensioni sono presso che identiche, come è identica la distribuzione del cercine basale sul lato esterno del dente, unico carattere che si può confrontare nel Pm2 del cranio tipico. V’ ha inoltre un altro carattere che, come distingue assai bene tra i premolari e i molari il Pm2, così riunisce insieme i due denti confrontati; tal carattere consiste nella minor larghezza che ha il lobo anteriore ri- spetto al posteriore. Questa differenza di dimensioni, che si nota assai spiccata nel Pm2, è nel Pm3 appena accennata, mentre nel Pm4. e nei tre molari, torna, come sappiamo, a mostrarsi, però invertita. Quanto agli altri denti omologhi, delle specie ricordate sopra, avendo potuto notarvi una conforma- zione generale della corona identica a quello da me preso in esame, ritenni con sempre maggior certezza che quest’ultimo dovesse essere un Pm2. Secondo premolare superiore sinistro (II). — Valdarno (Tav. XIX [I], fig. 21, 23). — Le osser- vazioni fatte a proposito del Pin2 raccolto a Pieve Fosciana si possono in massima parte ripetere riguardo a questo che stiamo esaminando. 166 D. DEL CAMPANA [20] Solo dobbiamo osservare che in questo il grado di usura è un poco più avanzato, come si vede del resto anche dalle dimensioni date per l’altezza della corona, che ha i tubercoli in generale leggermente più bassi di quelli del dente omologo di Pieve Fosciana. Il dente ha pure sezione più slargata, perchè il lobo posteriore, invece di ristringersi gradatamente, ha larghezza presso che uguale fin verso la base del tubercolo posteriore interno. Il lobo è anche in con- fronto del lobo anteriore, un po’ più sporgente che nel dente omologo di Pieve Fosciana. Noto per ultimo che sul lato posteriore del dente, dove il lobo incomincia a restringersi, sì trova un piccolo tubercolo, isolato dal resto della corona. Di questo, per l’usura subìta, non rimane ora che la base, la cui conformazione mostra che il tubercolo doveva essere inclinato verso l’interno. Questo carattere, come abbiamo visto, non si nota nell’omologo di Pieve Fosciana. Non credo tuttavia che la presenza o l’assenza di un tubercolo, possa nel caso nostro indurre una diversità specifica, per le spiccate rassomiglianze che riuniscono i due premolari tra di loro e coll’omo- logo del Tapirus arvernensis CR. et JoB. Terzo premolare superiore sinistro (V).— Cava delle Fornaci. Barga (Tav. XIX [I], fig. 8-11). — L’UGoLINnI, nella sua nota sui vertebrati fossili del bacino lignitifero di Barga (Val di Serchio) identificò già questo dente ed in parte lo descrisse, attribuendolo giustamente al Zapirus arvernensis CR. et JoB. “ Il dente non è completo e manca totalmente delle radici. Dall’aspetto generale della corona si riconosce subito il genere al quale è stato ascritto e si desume senza difficoltà dalla forma e dalle dimensioni di essa, che in origine il dente in esame doveva avere occupato il terzo posto fra i premo- lari La corona del dente ha sezione a un dipresso quadrangolare, con il lato esterno maggiore dell’interno; e i suoi tubercoli sono così poco consunti, da farci altresì presupporre che il dente stesso doveva avere appartenuto ad un individuo di età poco avanzata. Tutta la superficie dello smalto è inoltre fittamente ornata da sottilissime strie concentriche, dirette più o meno orizzontalmente rispetto all’asse longitudinale del dente; e queste sono massimamente evidenti sulla sommità lineare dei tubercoli e sulle faccie laterali della corona ,!. Le misure date dall’ UeoLiNI per il dente in questione sono state riportate nel quadro generale; qui dobbiamo aggiungere qualche altra notizia sui caratteri morfologici. Ravvicinato al Pm2 superiore sinistro di Pieve Fosciana, il dente delle Fornaci ne ricorda nella sua corona i caratteri generali. Però, i lobi hanno ambedue quasi uguale larghezza e le colline trasverse passano, senza subire interruzione, da un tubercolo all’altro, oblique in avanti e curvate bruscamente in prossi- mità dei tubercoli esterni. Il cercine è nei due denti ugualmente sviluppato, e così pure il tubercolo accessorio. La linea di separazione tra la corona dentaria e la base delle radici è egualmente tracciata nel Pm2 di Pieve Fosciana e nel Pm3 descritto dall’ UGoLINI. Se poi estendiamo il confronto al Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico, ad onta che nel modello di questa specie il Pm3 abbia la corona in buona parte consunta, si mostra tuttavia somigliantissimo nei suoi caratteri coll’omologo delle Fornaci di Barga e solo differisce leggermente per essere un poco più largo, pur avendo una lunghezza presso che identica. Questa differenza del resto è assai breve e non si oppone, secondo me, nè alla identificazione, nè alla classificazione fatta dall’ UGoLINI. Quarto premolare superiore sinistro (IX). —- Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XIX [I], fig. 16-20). — La corona ha sezione quadrangolare più larga che lunga e dal lato interno si presenta un poco più ristrettita che dall’esterno. Sul lobo anteriore, più largo del posteriore, si nota il tubercolo interno i) UGoLINI R. Op. cit. in sin. [21] D. DEL CAMPANA 167 più assai ingrossato dell’esterno. Ambedue sono riuniti tra di loro da una collina trasversale debolmente ricurva, colla convessità verso l'esterno e che nel punto d’attacco coi tubercoli dà luogo, dal lato poste- riore, ad una scanalatura. Questa, a causa della usura subìta dal dente, è appena accennata sul tu- bercolo interno, ma si nota assai bene sull’esterno. Due altre scanalature simili si osservano su questo stesso tubercolo ai due lati, nel punto di attacco della piccola collina che riunisce i due tubercoli esterni del dente. Nel lobo posteriore si nota il tubercolo interno più grande non solo dell’esterno, ma anche dell’in- terno anteriore. Il tubercolo esterno è molto ridotto, la collina posteriore offre gli stessi particolari della precedente, salvo ad essere più marcatamente ricurva e più breve per le minori dimensioni del lobo. Il cercine basale si origina anteriormente alla base del tubercolo interno, e giunto presso l’esterno, dà luogo ad un tubercolo accessorio ben distinto e con dimensioni di poco minori a quello. Posteriormente si origina alla base del tubercolo interno e si fonde dopo breve tratto colla base del .tubercolo; poi si sviluppa di nuovo e si spinge sulla faccia esterna del dente in corrispondenza del primo lobo. A differenza però di quanto si vede sulla faccia anteriore, il cercine ha in questo secondo tratto il bordo superiore irregolarmente frastagliato. Sulla faccia interna il cercine manca del tutto. La valle che separa i due lobi è larga e profonda; ma mentre dal lato esterno è più larga, dall’in- terno invece aumenta in profondità. La superficie della corona, per l’uso continuato del dente, è liscia. Il piano d’usura, inclinato verso l’avanti, si nota specialmente sviluppato, sull’estremità dei tubercoli e lungo le due colline trasverse. I due tubercoli interni hanno l’apice assai smussato; sul tubercolo accessorio il piano d’usura è obliquo verso l’indietro. Nel cranio tipico di Zapirus arvernensis CR. et JoB. il Pm4, benchè più usato, mostra uguale distri- buzione di cercine basale ed una stessa conformazione generale della corona. Soltanto la differenza di larghezza tra i due lobi nel dente da noi descritto è di poco più accentuata che nella forma tipica, par- ticolare questo da ritenersi, secondo me, come ‘una semplice variante individuale. Terzo molare superiore destro (1). — Castelnuovo di Valdarno (Tav. XIX [I], fig. 3-7). — La corona, con sezione irregolarmente quadrangolare, ha il lobo anteriore molto più grande del poste- riore. Nel primo i tubercoli sono riuniti tra loro per mezzo di una collina ricurva, colla convessità rivolta in avanti come nel Pm4 sopra descritto. Il tubercolo interno è più sviluppato e più robusto dell’altro, che è pure leggermente spostato verso l’indietro. Dal tubercolosanteriore esterno parte una collina, con direzione obliqua verso l’interno, la quale, dopo breve tratto, riunisce il lobo descritto al posteriore per mezzo del suo tubercolo esterno, sui fianchi del quale forma una doccia assai profonda. Anche nel lobo posteriore il tubercolo interno è più alto e robusto, e la collina che lo riunisce al- l’altro è un po’ meno ricurva della collina precedente, ma come questa convessa in avanti. Îl tubercolo interno è di poco spostato indietro rispettivamente all’ esterno. La valle che separa i due lobi è larga e aperta ampliamente dal lato interno, ove è anche più pro- fonda. Il cercine basale si osserva sulle due faccie anteriore e posteriore del dente. Anteriormente però è più sviluppato e si estende dalla base dell’un tubercolo a quella dell’altro, facendosi più alto verso il lato esterno e dando ivi luogo ad un tubercolo accessorio assai ingrossato. Posteriormente il cercine è assai meno esteso, ma anche qui risale dal lato esterno lungo i fianchi del tubercolo quasi a formarvi un tubercoletto accessorio rudimentale. 168 D. DEL CAMPANA [22 x Dal lato esterno la parte basale della corona è mancante; dall’interno si ha un principio di cercine alla base del tubercolo anteriore. Il grado di usura del dente è quasi nullo e la superficie della corona si presenta percorsa dal basso all’alto, specialmente sulle colline, da numerose strie irregolarmente scol- pite e distribuite. 7 Nell’esemplare tipico di Tapirus arvernensis CR. et JoB. il dente omologo a quello descritto, offre un grado d’usura molto inoltrato e non permette di fare dei confronti dettagliati; però i caratteri che esso presenta fanno facilmente apprezzare le somiglianze che l’ uniscono al dente ora descritto. Frammenti di molari superiori (X). — Fornaci di Pieve Fosciana. — Un frammento, che io ritengo per un Pm2 destro, è somigliantissimo all’omologo del Zupirus arvernensis CR. et JoB. tipico nei caratteri che ancora ne rimangono visibili. Il grado di usura è invero molto più avanzato nel nostro dente, la cui corona manca altresì dello smalto su buona parte della faccia posteriore. Ciò non ostante la sezione è identica a quella del Pm2 del Tapiro d’Auvergne e sono identici i caratteri nei due denti. Un secondo frammento, sebbene più ridotto del primo, si mostra facilmente per un Pm2 sinistro. Ha conservata la parte basale delle radici interne, le quali a differenza delle esterne, che sono separate, si fondono insieme e sono soltanto distinte da due profondi solchi. La radice anteriore è più ingrossata della posteriore. Questi particolari si vedono anche meglio ir un altro frammento di dente del quale sono comple- tamente conservate le due radici interne, mentre la corona manca quasi del tutto. Giudicando dalla posizione che la radice posteriore occupa di fronte all’ anteriore, più spostata verso l’interno, mi sembra non possa del tutto escludersi che il frammento appartenga ad un M1 sinistro. Esaminando nel cranio tipico di Zapirus arvernensis CR. et JoB. la parte che rimane visibile delle radici interne nei M1 e M2 si vede che in quest’ ultimo esse sono più ingrossate ed è più profondo il solco che le separa; le stesse differenze si possono notare mettendo a raffronto le radici del frammento di dente ora descritte, e del- l’altro attribuito ad un M2 sinistro. Un quarto frammento di dente mascellare sinistro, consiste nel solo lobo posteriore; ma non per- mette nessuna identificazione sicura. Forse, considerati i pochi caratteri morfologici ancora visibili, appar- teneva ad un M3. i Terzo incisivo inferiore destro (IX). — Pieve Fosciana. — È mal conservato e presenta un grado di usura assai avanzato. Nei viventi l’omologo ha il piano di usura obliquo e situato sulla faccia anteriore, perchè il I3 su- periore, nell’atto della masticazione, mentre frega col lato posteriore sul lato anteriore del canino inte- riore, col lato interno frega sul lato esterno del I3 inferiore e vi forma il piano d’ usura più sviluppato verso l’interno che verso l’esterno. Questi stessi particolari riscontrandosi sul dente fossile in parola, ne è stata facile l’identificazione. Le sue dimensioni poi molto piccole, sono secondo me una prova di più per ritenerlo un I3 inferiore, perchè avendo i molari superiori, coi quali fu trovato, dimensioni non molto diverse dai viventi, il dente in parola non poteva essere nè un Il o I2 superiore nè un Il o I2 inferiore. Branca siuistra di mandibola (1). — Castelnuovo di Valdarno (Tav. XX [II], fig. 1-3). — Come è noto dall'esame delle forme viventi, la mandibola del Tapiro offre per la sua conformazione una speciale affinità con quella del Rinoceronte. Infatti la branca ascendente, riunendosi con la branca oriz- zontale, forma un angolo retto reso anche più facilmente apprezzabile dalla regolarità del margine in- feriore della branca orizzontale. Nel caso nostro però, le osservazioni debbono limitarsi soltanto alla branca orizzontale, perchè il pezzo che stiamo esaminando mentre manca dalla parte anteriore della regione sinfisaria essendo tron- [23] D. DEL CAMPANA 169 cato in corrispondenza del Pml, posteriormente non lascia vedere l’angolo mascellare e nemmeno l’apofisi coronoide e i condili. A tutto ciò si devono aggiungere le deformazioni che la stessa branca orizzontale ha subìto in seno agli strati in cui si fossilizzò. Una profonda compressione alterò invero notevolmente la faccia interna, sicchè su buona parte di essa lo spessore non si ritrova più nella sua vera entità, e per giunta il mar- gine inferiore della mandibola si ripiegò verso l’interno, rendendo così impossibile qualunque misurazione anche approssimativa dell’altezza della branca. Ciònondimeno si può dire in generale che la branca oriz- zontale aveva, sino in corrispondenza del primo premolare, altezza pressochè uniforme, o per lo meno di poco variante tra la parte anteriore e la posteriore. Questo perchè il margine inferiore della branca descrive nei Tapiri una linea curva non molto accentuata, spesso anzi assai vicina alla linea retta. Il margine superiore descrive una linea retta parallela a quella formata dalla corona dei denti (tavola masticatoria). Giova inoltre notare che la superficie dell'osso era in origine pianeggiante o leggermente curvata. Lo spessore dell’osso doveva essere pressochè uniforme; una misura presa in corrispondenza dell’ ultimo molare, mi ha dato mm. 28, 4; e tenuto conto che in quel punto lo schiacciamento non è molto accen- tuato, si può ritenere che questa cifra rappresenti, diminuita di poco, lo spessore di tutta la branca orizzontale. I denti sono in numero di tre premolari e di tre molari, cioè a dire al completo, ed occupano nel loro insieme uno spazio di mm. 130, 1. Questo spazio per altro doveva probabilmente variare in origine, poichè la mandibola ha dovuto subire dei restauri, e per giunta il Pml si trova colla sua parte ante- riore spostato verso il basso. Quanto ai caratteri morfologici dei singoli denti la somiglianza loro con quelli del Zapirus arvernensis CR. et JoB. è manifesta; noi avremo modo di apprezzarla meglio esaminan- doli più particolarmente. Primo premolare. — È noto come questo dente mostri una conformazione profondamente diversa dagli altri due premolari. La corona di questo dente ha sezione rappresentata da un triangolo isoscele col vertice rivolto verso la parte anteriore della mandibola e vi si notano cinque tubercoli. I due posteriori hanno dimensioni ur poco diverse tra loro, essendo l’esterno più ingrossato dell’altro, il cui apice rimane un poco più basso dell’apice del tubercolo esterno. Sono riuniti tra loro da una collina trasversa, la quale, quando il dente è piuttosto usato, come nel caso nostro, si presenta leggerissima- mente curvata, colla convessità rivolta indietro. Questo medesimo carattere ho potuto riscontrarlo anche nei Tapiri viventi dell’America del Sud; in seguito all’uso la collina si riduce alla sua parte basale, e di curva che era, diviene quasi del tutto rettilinea. Riprendendo la descrizione del dente, osserviamo che, separati per una valle profonda dai due tu- bercoli posteriori, stanno i due tubercoli mediani. Essi si inalzano più dei precedenti ed hanno dimensioni presso che identiche. Sono riuniti ai primi due da una seconda collina la quale, partendo dal tubercolo posteriore esterno, si dirige verso il primo dei tubercoli mediani, che è situato dalla parte interna del dente. Molto vicino al tubercolo mediano interno, ma spostato sensibilmente in avanti e verso l’esterno, sta il secondo tubercolo mediano. Due piccole scanalature strette e poco profonde segnano da ambedue i lati la separazione dell’un tubercolo dall’altro. Il tubercolo mediano esterno presenta sui fianchi un piccolo tubercoletto, che qui non appare troppo visibile dato il grado di usura nel quale il dente si trova. Nei Tapiri viventi ho riscontrato questo carattere sul Pml del Tapirus Bairdì Gun. Riunito da una collina al tubercolo mediano esterno, si trova finalmente il tubercolo anteriore. È Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 22 170 D. DEL CAMPANA [24] spostato verso il lato interno ed è diviso dal precedente per una valle non molto profonda ma larga, sebbene la valle posteriore abbia profondità maggiore. Le dimensioni del tubercolo anteriore sono un poco minori a quelle dei tubercoli posteriori. i Nel Pml della mandibola del Valdarno il cercine basale si mostra soltanto dal lato esterno in corrispondenza della collina che riunisce il tubercolo anteriore al mediano esterno e si presenta piutto- sto alto e col bordo superiormente frastagliato. Dove il cercine non si estende, la corona ha un rigon- fiamento più accentuato. Mi La superficie della corona si mostra, nei punti ove l’attrito è stato minore, percorsa nel senso del- l'altezza da lievi rugosità irregolarmente disposte e più o meno marcate e visibili. Queste rugosità, che si possono osservare anche sui Tapiri viventi, spariscono coll’uso continuato del dente sulle parti più soggette all’attrito della masticazione, mentre si trovano conservate lungo la parte basale della corona anche quando il grado di usura è piuttosto avanzato come nel caso nostro. Finalmente dobbiamo esaminare il piano di usura che in seguito alla masticazione si forma sulla corona e che si trova, come è naturale, tanto più esteso quanto più l’individuo è vecchio. La parte esterna della corona è quella che si presenta maggiormente consunta; ora il piano di usura sta sopra questa parte inclinato verso l’esterno e si mostra non solo sui tubercoli che vengono così a smussare la loro punta, ma anche lungo le colline. Se però si osservano le sommità dei tubercoli, vi si nota un secondo piano d’usura, obliquo pur esso, ma con direzione antero-posteriore; lo stesso si osserva sulla collina che riunisce i due tubercoli posteriori. Un ultimo particolare è offerto dalla struttura del piano d’ usura che presenta numerose e sottilissime strie concentriche attorno all’apice dei tubercoli. Nella forma tipica di Zapirus arvernensis Cr. et JoB. il tubercolo anteriore del Pml è un poco meno spostato verso l’interno, ed è l’unica differenza che lo distingue dal dente descritto. Secondo premolare. — Ha la corona con sezione quadrangolare costituita da quattro tubercoli rego- larmente disposti ai quattro angoli e accoppiati tra loro da due colline trasversali ricurve, colla concavità rivolta in avanti. E poichè la larghezza è maggiore dal lato posteriore del dente che dall’anteriore, ne viene che i due tubercoli posteriori sono tra loro meno ravvicinati degli altri due. Una valle molto larga e profonda divide i due tubercoli anteriori dai posteriori e permette così di distinguere il dente in due lobi, anteriore e posteriore. Posti a confronto tra loro i quattro tubercoli, i due anteriori sembrano poco meno robusti dei po- steriori, mentre come già sappiamo il grado d’usura è maggiore sui tubercoli esterni che su gli interni. Inoltre i tubercoli esterni sono più ingrossati e hanno fianchi più rigonfi degli interni, i quali per il minore attrito cui vanno sottoposti, conservano più a lungo l’estremità appuntata. Dal tubercolo posteriore esterno, parte con direzione obliqua verso la faccia interna del dente, una collinetta, che scendendo rapidamente, attraversa la valle e va a risalire i fianchi della collina trasversa anteriore presso il tubercolo anteriore esterno, formando coi fianchi di questo, e sempre dalla faccia esterna del dente, una scanalatura non molto profonda. Una seconda collina parte pure dal tubercolo anteriore esterno, colla convessità rivolta in avanti, e dà origine sulla faccia anteriore del dente ad un cingolo che va assottigliandosi a misura che dall’esterno procede verso l’interno. Sotto a questo cingolo, sulla faccia esterna del dente, sì nota un principio di cercine basale, col bordo superiore smerlato come nel Pml. Sulla faccia posteriore del dente, situato alla base della corona, sta un tallone non troppo alto nè spesso, col bordo superiore irregolarmente frastagliato. [25] D. DEL CAMPANA siro I piani di usura, presentano le stesse particolarità riscontrate nel Pm1, sia per la loro inclinazione, che per la loro struttura. Lo stesso può dirsi relativamente alla superficie della corona. Nessuna differenza distingue il dente descritto dall’omologo della forma tipica di Tapirus arvernensis Cr. et Jos. i Terzo premolare. — Nei suoi caratteri generali è simile al Pm2, ma lo supera un po’ nelle dimensioni, le quali si avvicinano a quelle dei molari. Dal Pm2 si differenzia inoltre leggermente, per avere meno pronunziata la collina che riunisce i due tubercoli esterni. Questo particolare fa sì che anche la doccia osservata nel Pm2 sui fianchi del tuber- colo anteriore esterno, si mostri appena accennata. Un carattere poco distinguibile nel premolare precedente e che qui si osserva bene spiccato, è la presenza di una piccola scanalatura obliqua che sì trova sotto l’apice del tubercolo anteriore interno. Il cercine basale è nel Pm3 più ispessito ed occupa tutta la faccia anteriore del dente, diminuendo verso l’interno in spessore ed altezza. Sulla faccia posteriore si trova il tallone più esteso che nel Pm2. Il grado di usura è un poco più sviluppato che nel Pm2. Nel modello di ?'apìrus arvernensis CR. et JoB. tipico, il Pm3 inferiore destro non offre alcun diversivo dal dente ora esaminato; all'opposto il Pm3 inferiore sinistro ha i tubercoli interni riuniti pur essi da una collinetta trasversa. Questo carattere, che io ritengo come aberrante, non si ha nel fossile del Val- darno e nemmeno nelle altre specie fossili e viventi da me esaminate. Primo molare. — I caratteri morfologici riscontrati nel dente ora descritto, si ripetono quasi esat- tamente nel M1, che all’infuori delle dimensioni leggermente più piccole, non presenta notevoli diversità dal Pm3. Tuttavia possiamo notare in esso il grado di usura molto più inoltrato di tutti gli altri pre- molari e molari. Sulla faccia anteriore del dente il cingolo è un po’ più sviluppato che nel Pm3; così pure è più esteso il cercine basale, che sul lato esterno del dente si spinge sino verso metà della base del tubercolo anteriore. Il tallone appare un poco più corto, ma è più robusto, ed il suo bordo superiore presenta delle piccole tuberosità irregolari. La collinetta che riunisce i due tubercoli esterni è qui appena accennata ; al contrario si notano dal lato posteriore sui fianchi delle due colline trasverse, delle rugosità irregolari facilmente apprezzabili, che nel Pm2 e Pm3 si vedono appena accennate o mancanti del tutto, dove il grado di usura è più profondo. Nessuna differenza morfologica ho notato tra il dente descritto e l’omologo nella forma tipica di 7a- pirus arvernensis CR. et JoB. Secondo molare. — La conformazione generale è la stessa del precedente, però le dimensioni gene- rali sono maggiori; il grado di usura è molto minore che nel M1 e le due colline trasverse che finora si erano mantenute parallele tra loro, qui accennano a divergere dal lato interno, avendo la collina po- steriore direzione leggermente obliqua. Sulla faccia anteriore del dente, la collina che nei casi precedenti abbiamo visto partirsi dal tuber- colo anteriore esterno, è quasi completamente scomparsa, e soltanto rimane visibile il cingolo al quale essa dava origine. Sotto a questo, il cercine si origina dal lato esterno alla base del tubercolo anteriore estendendosi sulla faccia anteriore, per andare gradatamente a sparire alla base del tubercolo anteriore interno; quest’ultimo presenta, come i suoi omologhi del Pm3 e MI, in prossimità dell’apice la scanala- tura obliqua; essa però si mostra in questo caso più facilmente visibile. Nella valle che separa i due lobi del dente, la collinetta che riuniva i due tubercoli esterni è quasi 172 D. DEL CAMPANA [26] del tutto scomparsa, sebbene il grado di usura non sia profondo, ciò che sta a mostrare com’essa dovesse essere poco sviluppata. Sul lato posteriore, il tallone apparisce più robusto e col bordo superiore più regolare che nel dente descritto sopra. Gli stessi caratteri morfologici sopra descritti si ritrovano nella forma tipica della specie di CroIzeT e JoBERT, colla sola differenza che in questa la larghezza del lobo posteriore, in confronto alla larghezza dell’anteriore, è minore che nel fossile del Valdarno. Terzo molare. — Questo dente si differenzia dagli altri molari, per presentare traccie poco profonde di usura e perchè le sue dimensioni sono maggiori. Anche in esso il lobo anteriore è più slargato del posteriore; questo carattere però si nota più accentuato che nel M2, come è più accentuata la di- vergenza tra le due colline trasverse. Degli altri caratteri possiamo dire che sono gli stessi di quelli osservati nel dente innanzi descritto. Su] tubercolo anteriore interno la scanalatura terminale è pro- fondamente incavata. Così pure sono più marcate le rugosità sulla faccia posteriore delle colline tras- verse, e si mostrano più ingrossati il cingolo sulla faccia anteriore del dente e il tallone sulla faccia posteriore. Le stesse osservazioni fatte riguardo al M2, si possono ripetere pel dente descritto relativamente ai rapporti morfologici che l’uniscono all’omologo del Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico. Primo premolare inferiore sinistro (XI). — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Gar- fagnana (Tav. XXI [III], fig. 4-6). — Ha dimensioni di poco maggiori al Pml della mandibola di Val- darno già studiato e gli assomiglia nei suoi caratteri generali; avendo però un grado d’usura minore di quello, mostra delle particolarità che dobbiamo notare. Il tubercolo mediano esterno porta esternamente sui fianchi, a circa metà dell’altezza, un tubercoletto ed un secondo ne ha sulla faccia interna sebbene più piccolo. Difaccia a quest’ ultimo, alla base del tu- bercolo anteriore ne sta un’ altro molto più piccolo e che insieme ai due precedenti ritengo debba sparire assai per tempo in seguito all’uso. Infatti, tanto la faccia esterna che interna del dente che stiamo esa- minando, mostrano poche e lievi. traccie di attrito, ciò che non succedeva nel Pm1, già descritto. Il cercine basale si nota anche qui sulla faccia esterna, in corrispondenza della collina che riunisce i due tubercoli anteriore e mediano esterno. La collina trasversa posteriore appare di poco più ricurva che nel caso precedente. Si ha pure un inizio di tallone sulla faccia posteriore. Sul piano d’usura nulla di diverso si può osservare da quanto già si è visto, all’infuori ch’esso si estende, oltrechè dal lato esterno, anche sull’interno, lungo le colline che riuniscono il tubercolo poste- riore esterno al mediano interno ed il mediano esterno all’anteriore. Il piano in questo caso è natural- mente inclinato verso l'interno. Le stesse differenze che corrono tra questo Pml e l’altro omologo precedentemente descritto, cor- rono pure ove sì estenda il confronto alla forma tipica della specie più volte citata. Primo premolare inferiore destro (VIII) — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XXI [III], fig. 1-3). — Le dimensioni e la forma sono le stesse presso a poco dei precedenti, ma il grado di usura è quasi nullo, ciò che mi fa ritenere dovesse essere appartenuto ad un individuo ancor giovane. La collina che riunisce i due tubercoli posteriori si mostra qui chiaramente ricurva colla convessità rivolta verso la faccia posteriore; nel centro è dall’alto al basso leggermente più incavata che nei due primi premolari precedenti, perchè i tubercoli ch’essa riunisce hanno gli apici quasi intatti. Più spiccatamente curva si mostra la collina che riunisce il tubercolo esterno al mediano interno; ha la convessità rivolta verso la faccia esterna del dente e nella parte posteriore presenta lievi traccie di usura. [27] D. DEL CAMPANA 173 In ciascuno dei due tubercoli mediani si ha posteriormente, sui fianchi, un piccolo tubercoletto; quello del tubercolo mediano esterno è poco più ingrossato dell'altro. Il cercine basale si nota sulla faccia esterna anteriormente assai ben visibile, e va dalla base del tubercolo anteriore fin presso a quella del mediano esterno; ha il contorno finamente smerlato. Sulla faccia posteriore del dente si mostra il tallone come nel premolare precedentemente descritto, ma è meglio conservato per il minore attrito al quale è andato sottoposto il dente. Internamente si ha un principio di cercine alla base del tubercolo posteriore presso l’apertura della valle che separa i tubercoli posteriori dai mediani. Dato il diverso grado di usura tra questo Pml descritto e l’omologo della forma tipica di Z'apirus arvernensis Cr: et JoB., i confronti non possono farsi coll’esattezza che in altri casi è stata possibile; non di meno il dente di Castelnuovo sembra differire dal Pm1 tipico soltanto per l’inizio di cercine basale sul lato interno; carattere che può scomparire facilmente in seguito all’uso del dente. Secondo premolare inferiore sinistro (VII). — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XX [II], fig. 7,8). — È riunito insieme ad un frammento di Pm1 ed al Pm3 sopra un piccolo frammento di mandibola. La sua corona presenta un grado di usura molto più avanzato degli omologhi della mandibola di Valdarno e della forma tipica di Tapirus arvernensis CR. et JoB.; ciò che per altro ne rimane con- servato ancora, fa credere dovesse trattarsi di un dente con caratteri morfologici identici a quelli descritti. Il piano di usura estendendosi in questo caso non solo sugli apici dei tubercoli, ma anche lungo i loro fianchi, ne viene che, sulla faccia esterna del dente, è più approfondita la doccia formata sui fianchi del tubercolo anteriore esterno dalla collina che riuniva detto tubercolo col posteriore interno. Terzo premolare inferiore sinistro (VII). — Fornacì di Pieve Fosciana (Tav. XX [II], fig. 7,8). — Profondamente consunto come il Pm2 ora descritto. Ha conservato solo il lobo anteriore e la parte interna del posteriore e si mostra pur esso somigliante ai suoi omologhi della mandiboladi Valdarno e del Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico. Secondo premolare inferiore destro (VII). Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XX [II], fig. 4-6). — È riunito anche questo, insieme ai due denti che segnono, sopra un piccolo frammento di mandibola. Si mostra identico in tutti i suoi caratteri all’omologo sinistro ritrovato nella stessa località; soltanto nel lobo posteriore il grado di usura è maggiore lungo la collina trasversale posteriore e sul l’apice del tubercolo; ciò che non ho avuto mezzo di riscontrare in altri denti, poichè come ebbi a dire in principio, l’usura è maggiore sui tubercoli esterni che sugli interni. Terzo premolare inferiore destro (VII). — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XX [II], fig. 4-6). — Simile all’omologo descritto della stessa località. Primo molare inferiore destro (VII). — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XX [II], fig. 4-6).— Ne sono visibili soltanto i tubercoli interni; il grado di usura’ di questi, molto più avanzato che nel- l’attiguo Pm3, non lascia alcun dubbio sulla identificazione del dente. Secondo molare inferiore sinistro (VII). — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XXI [III], fig. 17-21). — Eccettuato il grado di usura che è un poco maggiore e che ha reso meno visibili alcuni caratteri della corona, non ho notato diversità speciali dagli omologhi della mandibola del Valdarno e del Tapirus arvernensis CR. et JoB. tipico. Terzo molare inferiore sinistro (VII). Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XXI [II], fig. 22-26). — Facilmente identificabile anche perchè il lobo posteriore non presenta, come negli altri denti, la superficie di attacco col dente attiguo. e Il M3 dei Tapiri è altresì riconoscibile perchè in esso il lobo posteriore è visibilmente più ridotto dell’anteriore e la collina trasversa di detto lobo diverge internamente dall’ anteriore. 174 D. DEL CAMPANA [28] Confrontato coll’omologo della mandibola di Valdarno, si differenzia per un principio di cercine ba- sale dalla parte esterna in corrispondenza del lobo anteriore. Il tallone, che nel M3 di Valdarno ha il bordo superiore ricurvo, in questo caso lo ha formato da due linee oblique in alto; e nel punto in cui si congiungono parte dal tallone una sottile espansione che risale lungo i fianchi della collina trasversa. Nella forma tipica di Tapirus arvernensis CR. et JoB., il M3 inferiore ha identici caratteri a quelli del dente in questione. Secondo molare inferiore destro (VII). — Fornaci dì Pieve Fosciana (Tav. XXI [III], fig. 7-11). — Presenta gli stessi caratteri dei precedenti; il grado di usura è però molto più profondo, sicchè i due tubercoli esterni sono in buona parte scomparsi. Terzo molare inferiore destro (VII) — Fornaci di Pieve Fosciana (Tav. XXI [III], fig. 12-16). — Le stesse osservazioni morfologiche fatte a proposito del M3 sinistro della stessa località si possono ripeter qui, perchè i due denti si somigliano esattamente tanto nei loro minimi particolari mor- fologici, quanto nel loro grado di usura. 3 La identità di fossilizzazione che questi due molari hanno non solo coi molari sinistri ora descritti, ma col Pm2 e Pm3 destro e sinistro di Pieve Fosciana, pocò sopra esaminati, mi convincono a ritenere che tutti questi appartengano ad un medesimo individuo, la cui età era certamente più avanzata di quello cui appartenne la mandibola del Valdarno. Avvalorerebbe tale supposizione, la circostanza che il grado di usura è uguale negli omologhi, e che tanto i premolari che i molari furono ritrovati nello stesso anno (1890) in una medesima località (For- naci di Pieve Fosciana). Primo (?) molare inferiore sinistro (XI). — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Gar- fagnana (Tav. XXI [III], fig. 27-28). — Le sue dimensioni mostrano ch’esso apparteneva ad un individuo di statura non grande; ed il lobo posteriore, più ristretto dell’anteriore, lo farebbe ritenere per un mo- lare vero, probabilmente il M1. I suoi caratteri ricordano i molari già descritti e non offrono particola- rità speciali degne di nota. È Frammenti di premolari e molari inferiori (III). — Castelnuovo di, Valdarno. — Eccettuato un solo frammento isolato, appartenente senza dubbio ad un molare sinistro, tutti gli altri appartenevano ad un unico individuo e la loro serie è completa. Sono inclusi in un pezzo di lignite e lo stato di conservazione in cui si trovano è molto deficiente. Le osservazioni quindi debbono limitarsi a riscontrare l’esistenza nelle ligniti di Castelnuovo di un altro individuo di dimensioni a quanto sembra poco minori a quelle degli altri, ai quali si uniformava però nei caratteri morfologici. I terzi molari, i soli che ancora possano prestarsi a qualche confronto, mostrano la loro affinità cogli omologhi del Tapirus arvernensis CR. et Jo. Frammenti di molari inferiori (VII e X1). — Fornaci dì Pieve Fosciana e Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfagnana. — Si tratta di pochi frammenti, costituiti dal lobo anteriore. o posteriore del dente, i cui caratteri corrispondono a quelli già conosciuti nel descrivere i molari ben conservati; l’identificazione però ne è impossibile, uno solo costituito dal lobo posteriore, che porta traccie d’usura lievissime e non presenta nessuna superficie di contatto, si può forse ritenere come appartenente ad un M3. Frammento di mandibola (XI). — Ponte dei Sospiri presso Castelnuovo di Garfa- gnana.— Consiste nella parte posteriore della regione sinfisaria. Anteriormente si notano su ambedue i lati traccie dell’alveolo che conteneva le radici dei canini; posteriormente, sul lato destro, si vede parte dell’alveolo della radice anteriore del Pml. Due piccole incavature, a guisa di doccia, situate rispettiva- 5 [29] D. DEL CAMPANA Her mente ai due lati, sono ciò che rimane del foro nutritizio, il quale si apre in tutti i Tapiri, in corri- spondenza del Pm1, verso il bordo inferiore della branca mandibolare. Il frammento in parola, con- frontato colla regione sinfisaria del Tapirus arvernensis Cr. et JoB. non offre differenze notevoli. Frammenti di ossa diverse. — Considerata la scarsezza dei resti fossili di scheletro dei Tapiri, non sembra del tutto inutile dare notizia dei pochi che ho potuto esaminare e dei quali ho tentato dare una diagnosi approssimativa servendomi di alcune ossa di Zapirus americanus Linn. colle quali gli ho paragonati. Un primo frammento (X), raccolto alle Fornaci di Pieve Fosciana, appartiene con probabilità alla regione inferiore di un omero sinistro. La cresta è assai meno accentuata che nel Tapirus americanus LINv.; sembra altresì che le proporzioni dell’osso fossero più piccole. In un secondo frammento ho creduto di ritrovare la parte medio-superiore di un radio destro. Esso proviene dalle Fornaci di Castiglione (VI). i Un altro frammento raccolto alle Fornaci di Pieve Fosciana sembra appartenere alla regione media di una tibia destra (VII). L’osso è più stretto che nel Tapiro vivente e presenta le creste meno accen- tuate; la faccia posteriore è pianeggiante. Anche in essa si notano proporzioni più piccole che nel Ta- piro vivente. Altri frammenti non permettono nessuna osservazione di sorta. Esemplare di Gaville (Valdarno superiore). Essendo questo l’esemplare più completo di Tapiro che finora sia stato rinvenuto, ho stimato ne- cessario descriverlo separatamente. Cranio (Tav. XIX [I], fig. 29). — Lo stato poco buono di conservazione in cui si trova, non ci permette di fare delle osservazioni che nel caso nostro sarebbero molto interessanti. È noto come il cranio dei Tapiri abbia molti caratteri che lo ravvicinano al tempo stesso a quello dei Rinoceronti e dei Cavalli; ai primi per ciò che riguarda la parte posteriore del cranio, ai secondi peri caratteri della parte ante- riore o faciale, e più specialmente per quelli della regione nasale. Il cranio di cui parlo appartiene ad un giovane individuo; infatti al disotto dei denti di latte, si vedono abbastanza bene i denti di rimpiazzo, tendenti a sollevare i primi, segnatamente sul mascellare destro. La deficienza di conservazione alla quale abbiamo accennato sopra, si manifesta sotto un duplice aspetto di torsione e di schiacciamento. Ciò potrebbe forse spiegarsi pensando che in seguito alla con- tinua decomposizione dei materiali costituenti lo strato di lignite in cui il cranio era rimasto sepolto, lo strato veniva naturalmente ad abbassarsi e dava così modo agli strati sovrastanti di aumentare la loro pressione, in forza della quale venne deformato il cranio. Attualmente esso è costituito solo dalla parte faciale, senza che per altro possano distinguersi le diverse ossa che concorrono a formarla, perchè in parte profondamente deformate, in parte assoluta- mente mancanti, o immedesimate colla sabbia. Cominceremo dal notare che il mascellare destro si trova spezzato in corrispondenza del M3. La pressione essendo stata sopra di esso lievissima, si vedono abbastanza bene conservati il primo e secondo molare decidui ed il lobo anteriore del terzo. Sotto di questi stanno i Pm2 e Pm3, ma poichè non lasciano visibile che il lato esterno della loro corona, riesce impossibile darne una descrizione accurata. Il mascellare sinistro rimane ancora quasi al completo, ma oltre ad essere notevolmente spostato 176 D. DEL CAMPANA [30] dall'alto al basso, ha subìto uno schiacciamento fortissimo; sicchè viene resa impossibile non soltanto la descrizione dell’osso, ma anche quella dei denti. Ad onta di tutto ciò, si può asseverare con certezza che il grado di usura nei denti è minore a seconda che si procede verso i molari posteriori. Anche qui sotto i denti decidui sporgono sulla faccia interna dell’osso le punte dei tubercoli dei denti di sostituzione. Lo schiacciamento e la torsione notati già sopra, si continuano pure sui premascellari. Questi, come lo mostra l’esame del cranio nei Tapiri viventi, si saldano ai mascellari per una sutura che d’ordinario si parte dal diastema in prossimità del canino e si dirige, obliqua in alto, verso la cavità nasale. Nel cranio che stiamo osservando essa è naturalmente del tutto scomparsa. ; Al contrario si può invece osservare abbastanza bene da ciascun lato la barra e, dal destro, anche il diastema. Dei denti incisivi e canini si vedono, sebbene deformati il canino e lo 13 destri. Il primo ha al solito dimensioni assai ridotte, mentre l’altro è molto più robusto e si presenta caniniforme. Dal lato sinistro del cranio, un frammento di osso che rimane ancora conservato, quantunque enor- memente spostato verso l’alto, è probabilmente ciò che rimane della branca montante della mascella, la quale concorre a formare il bordo superiore della cavità orbitale. Quest’ ultima non si osserva più nel nostro cranio, ma non sarà fuori di luogo notare che nei Tapiri l’orbita non è separata dalla fossa tem- porale, ed è questo uno dei caratteri pei quali il cranio del Tapiro si avvicina a quello del Rinoceronte anzichè al cranio del Cavallo. Altre ossa faciali risultano nel nostro cranio del tutto invisibili o mancanti. Primo molare superiore deciduo. Ha sezione subtriangolare piuttosto allungata in seguito allo schiacciamento subìto in direzione trasversale. Il grado di usura è assai avanzato, cosicchè rimane appena visibile la faccia esterna del dente. Sul lato posteriore è anche scomparsa ogni traccia del tubercolo interno ed al suo posto si trova una larga isola di dentina. La superficie esterna del dente è percorsa nel senso dell’altezza da numerose strie: il cercine basale sì nota dalla parte posteriore esterna e forse circondava la corona spingendosi fin sul lato interno, ma lo stato di conservazione del dente non permette di darne descrizione dettagliata. Secondo molare superiore deciduo. — Ha sezione quadrangolare, esternamente più larga che inter- namente. La corona, per l’uso continuato, è in buona parte scomparsa. Si notano però ancora traccie delle due colline trasverse che, partendo dal tubercolo interno di ciascun lobo, si dirigevano obliquamente verso il bordo anteriore del dente e giunte in prossimità del tubercolo esterno vi si ricongiungevano piegan- dosi bruscamente addietro. Del lobo posteriore, presso che uguale per dimensioni all’anteriore, è visibile il tubercolo esterno quasi completo; dell’interno rimane soltanto la parte interna. Alla base del primo si scorge ben visibile il cercine basale, piuttosto ingrossato, con bordo superiore regolare. Esso cominciava con probabilità sulla faccia posteriore del dente e davanti alla valle che separa i due lobi si arresta bruscamente. Il cer- cine manca sulla faccia interna del dente. Del lobo anteriore si ha conservato il tubercolo esterno, non molto maggiore per dimensioni all’esterno posteriore, al quale era riunito per una breve collina. Il tubercolo interno è del tutto scomparso e solo rimangono lievi traccie della collina che lo riuniva all’esterno. Il cercine si vede pure su tutta la faccia anteriore del dente e dà luogo alla base del tubercolo anteriore esterno ad un rilievo tubercolare, molto più piccolo però del tubercolo accessorio che si ha nei premolari e molari degli individui adulti. La su- perficie della corona all’interno era liscia; all’esterno era percorsa da sottili strie, come il primo molare precedentemente esaminato. i Accanto al secondo molare deciduo si vede il terzo molare. Di questo non rimane, come si è detto, [31] D. DEL CAMPANA Lara conservato che il lobo anteriore, il quale presenta li stessi caratteri riscontrati nel lobo anteriore del dente precedente. Sotto a questi molari, come sappiamo già, stanno il Pm2 e Pm3 di rimpiazzo. Del primo è visibile solo la faccia esterna, sulla quale si ritrovano gli stessi caratteri già riscontrati, nei denti omologhi del Valdarno, di Pieve Fosciana e del Tapirus arvernensis CR. et JoB. tipico. Del Pm3 invece sono scoperti i lati esterno e posteriore e vi si nota una rassomiglianza perfetta col Pm3 delle Fornaci di Barga, del quale già furono dati i caratteri. Secondo molare vero superiore destro (Tav. XIX [I], fi. 24-28). — Le stesso modo di fossilizza- zione riscontrato nel cranio sopra descritto e l’essere stato trovato nella stessa località, contemporanea- mente, non lascia dubitare che anche questo dente, benchè isolato, doveva appartenere a quel cranio. Se poi si considera la mancanza in quello di buona parte del mascellare destro, e la somiglianza che passa tra il dente in parola e i molari sinistri, quantunque mal conservati, del cranio di Gaville, si hanno nuovi argomenti per riferire i resti di Tapiro raccolti in quella località, ad un solo individuo giovane. Secondo i confronti da me fatti coi molari del cranio di Gaville, credo che il dente sia un M2. Noto però che la somiglianza si presenta anche col M3 superiore destro di Castelnuovo di Valdarno, già esaminato. Ma lo sviluppo maggiore che in questo dente assume il tubercolo accessorio esterno, non solo nel Tapiro pliocenico italiano, ma anche nel Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico, mi ha con- sigliato a ritenere il dente di Gaville per un M2. Si aggiunga a tutto ciò, che esso dente, come l’omo- logo nel cranio tipico esaminato, non presenta traccia di cercine dinanzi alla valle interlobale, mentre lo si nota nei terzi molari; e per. giunta la parte di cercine basale ancora conservata sulla faccia anteriore del M2 superiore sinistro del cranio di Gaville, ha gli stessi caratteri del dente tipico esaminato. È poi probabile che la somiglianza notata col M3 sia un carattere dei giovani individui nei quali il grado di usura dei denti è poco inoltrato, specie sui molari. Esaminando infatti un cranio di T'apîrus americanus Linn. giovane, ove la dentizione è quasi allo stesso grado di sviluppo che nell’individuo di Gaville, ho ritrovato che il M2 ha ivi pure molti caratteri del M3. Mandibola (Tav. XIX [I], fig. 30). — La circostanza d’essere stata trovata insieme al cranio descritto, lascia facilmente supporre che apparteneva a quello stesso giovane individuo. La cosa è ancor meglio provata dalla conformazione dei denti premolari e molari, dal loro numero ridotto a soli cinque e più special- ‘mente dalla presenza dei denti di rimpiazzo i quali sporgono in alcuni punti fuori dell’osso mandibolare. Sfortunatamente il pezzo non è completo e si trova, come il cranio, nello stesso cattivo stato di con- servazione, il che impedisce forzatamente di venire a dei confronti. Manca infatti a ciascuna delle branche il ramo ascendente e nella regione sinfisaria sono del tutto Scomparsi i canini e gli incisivi. Lo schiacciamento e la torsione, de’ quali già riscontrammo le cagioni nel descrivere il cranio, si esten- dono qui sulle due branche e sulla regione sinfisaria, ciò che impedisce di prendere qualunque misura alle prime, come di valutare gli angoli interno ed esterno della sinfisi. Si può tuttavia notare che la regione sinfisaria era molto strettita edi due rami si univano, come nelle altre specie di Tapiri, in una sinfisi molto lunga. È pure visibile la barra; del canino. destro si vede solo conservata la cavità alveolare le cui dimensioni mostrano com’esso fosse enormemente sviluppato. I molari sono in massima parte frantumati, sicchè non si prestano ad osservazioni di sorta. I pochi, meno peggio conservati, offrono una somiglianza molto marcata con quelli degli individui adulti. Osservando i premolari, si nota in essi un grado di usura molto avanzato, mentre sembra minore nel M1 ed è quasi nullo nel M2. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 23 178 D. DEL CAMPANA [32] Sui molari inoltre si vede assai spiccato un particolare che è leggermente accennato nei denti di adulti. Esso consiste in una scanalatura che percorre nel senso dell’altezza la faccia esterna del tubercolo esterno posteriore. Forse si tratta di un carattere peculiare dei giovani individui di Tapiro e che scompare nei denti molto usati, ma come ciascuno facilmente comprende è impossibile seguirlo, ove non si abbia a disposizione una serie di crani di Tapiro ben assortita e per ciò difficile ad ottenersi. Insieme al cranio ed alla mandibola sopra descritti, furono scavati alcuni frammenti di incisivi, che sembrano doversi riferire alla mascella superiore, ma che non si prestano a nessuna descrizione detta- gliata per lo stato di deficiente conservazione in cui sì trovano. i Canini inferiori destro e sinistro. -- Attribuisco a questa serie due denti de’ quali rimangono con- servate la corona e le radice. La forma è profondamente alterata in ambedue in seguito allo schiaccia- mento; non ostante mi è sembrato vi fossero caratteri bastanti per il riferimento da me fatto. Questi denti sono stati ritrovati insieme al cranio già preso in esame, e non sembra azzardato il supporre ch’essì ap- partenessero a quello stesso individuo. Frammenti di coste. — Furono essi pure raccolti insieme al cranio giovanile descritto. Lo stato di conservazione è così imperfetto che impedisce di fare qualunque osservazione sui caratteri di queste ossa, ridotte solo a frammenti più o meno lunghi. Sono ossa poco resistenti, e questo forse può spiegare il perchè i resti che ne rimangono allo stato fossile sono male conservati. La prima costa si distingue nei viventi dalle altre per essere appiattita e slargata, specialmente presso la sua estremità sternale. Qualcuno dei nostri frammenti presenta tali ca- ratteri, ma tutto lascia supporre che la loro conformazione anzichè essere naturale, sia piuttosto dovuta alle stesse cause che deformarono il cranio e la mandibola già esaminati. Così pure credo si debbano ascrivere alle stesse cause certe scanalature longitudinali presentate da alcuni pezzi, e le quali potreb- bero a prima vista essere ritenute come residui di quelle scanalature che si notano sui bordi delle coste nei Tapiri viventi. Femore sinistro e parte inferiore di femore destro. — Il femore sinistro non si trova in molto migliori condizioni di conservazione delle coste ora esaminate. La torsione e lo schiacciamento profondo ai quali è stato sottoposto durante il processo di fossilizzazione, hanno fatto sì che di esso resti visibile solo la faccia interna, i cui caratteri del resto sono deformati. La testa è mancante; forse non andremmo lungi dal vero dicendo che essa è stata spostata dalla. parte esterna in faccia al grande trocantere, anch’ esso mancante insieme al secondo. Del terzo troncantere rimane visibile soltanto la parte basale. Questo trocantere, che si nota pure sviluppato nel Cavallo e più ancora nel Rinoceronte, è nei Tapiri viventi slargato, concavo e più ricurvo verso l’esterno che nel Rinoceronte. I caratteri del corpo del femore mancano completamente. L’estremità inferiore mostra ancora visibili, in parte, i due condili ed una lieve traccia della fossetta intercondiloidea posteriore. Nell’estremità inferiore del femore destro raccolto insieme all’altro ora descritto nella stessa località, i due condili, quantunque fortemente compressi l’uno contro l’altro, sono però alquanto meglio visibili, e vi si riscontra pure traccia delle fossette intercondiloidee anteriore e posteriore. Parte superiore di Tibia sinistra e di Tibia destra. — Il primo di questi pezzi è profondamente compresso, sicchè la faccia esterna, venendo ad applicarsi contro l’interna, deformò anche la faccia poste- riore e la tuberosità della tibia. Un altro frammento di tibia raccolto nella medesima località si mostra facilmente attribuibile ad una tibia destra. [83] î D. DEL CAMPANA 179 Resti di Tapiro nel Pliocene di Spoleto. — Tav. XXI [III], fig. 29-31. Esaminati gli avanzi di Tapiro di Val del Serchio e di Valdarno ci resta a dire qualche cosa del Tapiro rinvenuto nelle ligniti di Spoleto. Già abbiamo detto come il PANTANELLI, in una sua memoria sui Vertebrati fossili di quella località ebbe occasione di prendere in esame quel Tapiro, e di riferirlo al Tapirus arvernensis Cr. et JoB. Avendomi il detto studioso favorito, con gentilezza di cui gli sono grato, il modello di aleuni dei denti da lui studiati ho potuto riscontrare anche meglio la giustezza della clas- sificazione da lui adottata per la somiglianza che presentano cogli altri già da me descritti di Val di Serchio e di Valdarno e con quelli del Tapiîrus arvernensis CR. et JoB. tipico. La specie è rappresentata da una branca sinistra di mandibola non del tutto conservata, da una falange, da un frammento di astragalo, da un frammento riferito con dubbio ad un astragalo e da rottami di ossa piatte. Le osservazioni del PAntANELLI furono però basate specialmente sui denti, che egli riconobbe diversi da quelli dei Tapiri del Casino e di Sarzanello, mentre li ritrovò simili ad alcuni molari del Valdarno, che il PANTANELLI potè esaminare nelle raccolte del Museo dei Fisiocritici di Siena. Debbo notare a tal riguardo che sebbene io abbia potuto osservare tal somiglianza servendomi del materiale valdarnese esistente nel nostro Museo non mi è stato possibile trovare denti del Valdarno nel Museo di Siena, il quale possiede, oltre ai resti di Tapiro del Casino, due altri molari di Tapiro mal conservati e privi di qualunque indicazione sulla località di provenienza. La descrizione che il PANTANELLI dà del Tapiro di Spoleto mi dispensa dal parlarne nuovamente; non pertanto sembrandomi che le figure date dall’autore si prestassero poco all’esatta conoscenza della specie, ritenni utile riprodurre la mandibola, la quale fa parte attualmente di una raccolta paleontologica posseduta dagli eredi del conte F. Toni. * * * Le descrizioni che abbiamo date dei denti di Tapiro rinvenuti nel Pliocene italiano bastano, mi sembra, di per sè stesse a spiegare l’attribuzione che ne abbiamo fatta al Tapirus arvernensis CR. et JoB. Nè può costituire un carattere differenziale l’oscillazione che le misure dentarie subiscono a seconda dei diversi individui esaminati, perchè lo stesso fatto si ripete entro certi limiti per quasi tutte le specie di cui le misure sono state poste a raffronto nel quadro generale già precedentemente dato. Ciò secondo me prova che una medesima specie può avere individui le cui dimensioni variano entro certi termini e può far pensare a sessi diversi o a razze diverse a seconda delle regioni abitate; come dimostra d’altro lato che non sempre le dimensioni dànno di per sè sole dei caratteri sufficienti per venire ad una classifi- cazione sicura, a meno che non si verifichi un fatto identico a quello riscontrato ad es. nel Zapirus helvetius MayER le cui misure, col mantenersi costantemente inferiori a quelle di altri Tapiri, accennano di per sè ad una diversità di specie. Per ciò che riguarda le somiglianze morfologiche esse sono basate come abbiamo visto di preferenza sui premolari e molari inferiori; poichè i pochi premolari e molari superiori che si hanno nei Musei di Firenze, di Pisa e di Montevarchi, non trovano sempre un termine di confronto molto esteso nel cranio tipico di Tapirus arvernensis Cr. et Jos. il quale mostra un grado d’usura più avanzato. Ciò tuttavia non porta, secondo me, nessun pregiudizio al resultato finale del nostro studio, poichè i confronti che abbiamo potuto eseguire sono stati copiosi ed hanno fornito abbondanti caratteri pel rav- vicinamento del Tapiro pliocenico italiano al Tapirus arvernensis CR. et JoB. Questo ravvicinamento apparirà anche più giusto dopo i confronti con altre specie di Tapiro provenienti dal Miocene di altre regioni. 180 D. DEL CAMPANA ; [34] Confronti col Tapirus priscus Kavr !). Avremo luogo nella seconda e terza parte di questo studio di esaminare dettagliatamente i rapporti morfologici, tra il Zapirus arvernensis CR. et Jo. del Pliocene d’Italia, e i Tapiri delle ligniti di Sar- zanello in Val di Magra e del Casino presso Siena. Qui inizieremo i confronti prendendo in considerazione il Zupirus priscus KauP, una delle specie fossili più spesso ricordata come vicina al Zapirus arvernensis CR. et JoB. Il KAuP istituì questa nuova specie sopra quattro metà frammentarie di mascellare, un pezzo di ma- scellare superiore ed alcuni denti isolati trovati nelle sabbie di Eppelsheim ? ; e ripetutamente notò che tali resti mostravano molte relazioni di affinità col Zapirus arvernensis Cr. et JoB. e col Tapirus indicus Cuv., vivente. L’affinità, secondo il KauP, risiederebbe nei denti, i quali sarebbero nelle due specie fossili ugualmente formati e solo differirebbero le dimensioni dell’ultimo molare inferiore ?). Il parere del KauP fu condiviso pure dal BrarnviLLE che, andando più oltre, ritiene che il Zapirus priscus KauP sia tutt'uno col. Zapirus arvernensis CR. et JoB. e che ambedue potrebbero designarsi sotto il nome di Tapiro d'Europa *. A parte il fatto, notato già dal MeyER, che in Europa esistono altre specie di Tapiri oltre quelle ora citate, vi sono, secondo me, delle differenze morfologiche le quali impediscono, come più tardi vedremo, il ravvicinamento delle due forme. In seguito alle osservazioni di KauP e di BLAINvILLE, il MEYER poneva la questione se al Tapirus priscus KAuUP non sia per avventura da riamirsi anche la specie di Crorzet e JoBERT; ed inclina a cre- dere che in quest’ultima sia, con molta probabilità, compreso anche il Tapirus priscus KAUP. Anche il DePÉRET parla dei rapporti tra la specie del KauP e quella di Croizer e JoBERT; egli per altro non riunisce il Tapirus priscus KauP nella sinonimia del Tapirus arvernensis CR. et JoB., perchè se ne differenzia secondo lui, oltre che per la mole maggiore, anche per avere la serie dei molari più ar- cuata e la valle dei molari quasi liscia e non flessuosa; caratteri tutti i quali, secondo il DEPÉRET, ser- virebbero per lo meno a tener distinto il Zapirus priscus KAuP come razza locale . Anche il PortIs parla in favore della riunione delle due specie di Tapiro, appoggiandosi a quanto ne scrisse il MEYER ®. Per parte nostra non resta, per definire una tal questione, che paragonare le due forme in parola e vedere se non soltanto le dimensioni, ma specialmente i caratteri morfologici dei denti ne permettano la riunione in una sola specie. i) Riesce impossibile estendere i confronti all'altra specie, istituita dal KAUP, sotto il nome di Tapirus antiquus. Questa infatti è pochissimo conosciuta perchè il KAuP la distinse dal Tapirus priscus solo basandosi su di un penul- timo molare inferiore destro, avente un grado d’ usura assai avanzato e dimensioni maggiori del Tapirus priscus e del Z'apirus indicus Cuv.; di questo molare il KAuUP non dà nè descrizione, nè figure, ma soltanto delle dimensioni. Il BLAINVILLE (Op. cit., pag. 42) peraltro, nelle sue ricerche sul genere Tapîrus, fu il primo a non ammettere la clas- sificazione del KAuP, e riunì il Tapirus priscus al Tapirus antiquus, adottando quest’ultima denominazione. Il MEYER, pur seguendo il parere del BLAINVILLE, ritiene invece la denominazione di Yapirus priscus, notando giusta- mente che la semplice diversità di dimensioni in un unico dente non serve ad autorizzare l’esistenza di una specie particolare (Op. ciît., pag. 168). > Kaup J.J. Description des ossements fossiles de Mammifères inconnus ecc., pag. 1 e seg. Darmstadt, 1883. ® Kaup J.J. Jahrbuch fir Mineralogie ecc., pag. 316. Stuttgart, 1839. 4 BLAINVILLE H. Op. cit., pag. 49. 9 Mpyer H. Die fossiles reste des Genus Tapirus. Introduzione. Palaeontographica, Beitrage XV. Cassel, 1885. °° DePbRET C. Description géologique du Roussillon, pag. 181, tav. XVII. Ann. d. Sc. géolog., 1885. © PortIs A. Op. cit., pag. 113-117. [5]. D. DEL CAMPANA 181 Intanto si può notare che ove il Tapirus priscus KauP ed il Tapirus arvernensis CR. et JoB. avessero ed esser sinonimi, quest’ultimo e non il primo dovrebbe dare, per legge di priorità, il nome della specie, in quanto che, il nome Zapirus priscus comparve per la prima volta nella Paleologica zur Geschichte der Erde und ihrer Geschòpfe, 1832, pubblicata dal Meyer, in base ad una nota comunicatagli dal dottor KaAuP, mentre la denominazione di Zapirus arvernensis per i resti di Tapiro trovati nell’Auvergne, fu portata nel 1828 da Crorzet e JoBeRT (Oss. foss. d. Puy de Dome). Venendo poi ai confronti, se si tiene conto delle misure dentarie date nei quadri precedenti, si vede come non sempre le dimensioni sieno nel Zapirus priscus KAuUP maggiori che nel ZTapirus arvernensis Cr. et Jos. Un Pml superiore persistente della prima specie, si avvicina all’omologo della seconda; mentre un M2 di quella ha dimensioni minori che in questa. E lo stesso si può dire confrontando i premolari e molari inferiori, sebbene nel Zapirus priscus KaAuP si abbia quasi sempre una maggiore larghezza in proporzione della lunghezza. Se invece ci si riferisce alle misure dentarie date pel’ Z'api- rus arvernensis Gr. et Jos. del pliocene italiano, si vede che queste stanno quasi sempre al disotto di quelle del Zapirus priscus KAUP, mentre si avvicinano molto frequentemente a quelle del Zupirus arver- nensis CR. et JoB. tipico. Passando ai confronti morfologici cominciamo dal prendere in esame le due forme studiate diretta- mente da Crorzet e JosERT ® e dal KauP ?). Del materiale studiato da quest’ultimo è a mia disposizione solo il modello di una branca mandi- bolare sinistra, come dirò più innanzi. Cominciando adunque le nostre osservazioni dai molari superiori, e non avendoci il KauP dato messun carattere morfologico in proposito, noi siamo costretti, in mancanza di meglio, a servirci delle figure che l’autore suddetto ci ha dato. Lo stesso ci converrà. fare pel Zapirus arvernensis studiato da CROIZET et JOBERT, poichè essi pure si sono trattenuti ben poco sui caratteri mor- fologici. Possiamo pertanto notare che i molari superiori delle due specie ricordate a giudicare dal penultimo molare riprodotto dal KauP, e dal molare figurato da CRoIzeT e JOBERT, non appaiono troppo identici tra di loro: sembrerebbe infatti che nella specie del KAuP il tubercolo accessorio d’onde si parte il cer- cine basale, sia di dimensioni più sviluppate, ad onta che il dente sia nella forma ora ricordata, più consunto che in quella di Crorzer e JoBERT. Anche la valle interposta ai due lobi è diversa nelle due forme, poichè i tubercoli interni nella specie del KauP hanno fianchi lisci e. da questi non si origina internamente quella collinetta poco accentuata, la quale si vede tanto nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. tipico come in quello del Pliocene d’ Italia. Non posso fare osservazioni sulla presenza nelle due specie del cercine basale perchè le due figure, non essendo molto bene eseguite, non si prestano troppo ad esatti raffronti. Migliori dati possono aversi invece ove si consulti la monografia più volte citata del MEYER, e di questa ci serviremo in modo speciale per le nostre comparazioni. Inizieremo i confronti dalla metà anteriore del cranio di Zapirus priscus KauP di Eppelsheim 8). Questo importante resto fu raccolto dal dott. KLIPstEIN nel 1836 #, ed è quello stesso che il BLAINvILLE ® ritiene come la testa completa di Zapîrus priscus di Eppelsheim. 1) CROIZET et JoBERT. Op. cit., tav. XII, fig. 6. 2 KauPp J. J. Op. cit., pag. 1 e seg., tav. VI, fig. 4. 3 MeyER H. Op. cît., pag. 174, tav. XXV, fig. 1, 4, 5. 4) KLIPsTEIN in Neues Jahrbuch fiir Mineralogie ecc., pag. 693-94. Stuttgart, 1836. 5) BLAINVILLE H. Op. cit., pag. 42. 182 D. DEL CAMPANA [36] Si tratta di un cranio appartenente ad un individuo adulto, come lo mostra la serie dei denti com- pleta, ed il loro grado di usura. Il MeyER nel dare la descrizione di questo fossile, nota che nel cranio di Tapirus arvernensis Cr. et JoB. descritto dal BramnviLLE l’unica differenza speciale è data dalla serie dei molari, più corta di ben la lunghezza di un mezzo dente. Per quanto non abbia a disposizione un modello del fossile studiato dal MEYER, credo non errato l’aggiungere che nel Tapirus arvernensis CR. et Jos. si ha anche la parte anteriore del cranio più ristretta, in corrispondenza della barra, che nel Tapirus priscus KAUP. Dal MeveR apprendiamo inoltre che nel cranio di Zapirus priscus KAuP in parola, la lunghezza della barra, a destra è di 0,037, ed a sinistra di 0, 041. Quest'ultima cifra però, secondo il MEYER, è aumen- tata un poco per la pressione alla quale è andato soggetto il cranio. Il diastema invece ha una lunghezza di 0,005. Ora, confrontando queste misure con quelle che si possono prendere sul nostro modello di Tapirùs arvernensis Cr. et Jos. tipico (barra 0,042, diastema 0,0036) esse ci mostrano che, in propor- zione della barra, il diastema è più sviluppato nel 7. priscus KAuP. Altre osservazioni riguardo al cranio non possiamo fare, perchè il fossile di cui posseggo il modello è più incompleto dell’altro studiato dal Meyer. Conviene invece fermare l’attenzione sopra i singoli denti, segnatamente premolari e molari, molto più che questi, a detta del MEYER, non offrono ne’ due termini di confronto diversità notevoli. Iì Pml ha in generale gli stessi caratteri morfologici sia nel cranio di 7apirus priscus KauP di Eppelsheim che nel Tapirus arvernensis CR. et Jog., salvo alcune poche varianti. Infatti nella specie del KauP non si osserva, come nella nostra, un inizio di cercine basale sulla faccia esterna del dente ed oltre a ciò il tubercolo che si trova sulla faccia posteriore del lato interno, non è come nel caso nostro completamente isolato dalla corona. Pel Pm2 osserveremo che nel Tapîrus priscus KAUP esso continua ad avere una forma subtriango- lare. La collina trasversa del lobo posteriore è quasi identica a quella del Tapirus arvernensis CR. et JoB.; quella però del lobo anteriore invece di riunire i due tubercoli piegandosi bruscamente ad angolo verso il lato antero esterno della corona, descrive una linea piuttosto ricurva. Il cercine basale è nella specie del Kaup sviluppato presso a poco come nella specie nostra, salvo che sulla faccia esterna del dente ov’è appena accennato; ma la collinetta secondaria che riunisce tra loro i due tubercoli esterni non forma dal lato esterno nei punti di incontro una scanalatura come si vede nella nostra specie. I confronti eseguiti sul Pm4, mostrano che nel Tapîrus priscus KauPr i due lobi appaiono assai meno distinti tra loro che nel nostro, in special modo sulla faccia interna del dente. Anche la valle che li separa appare un poco meno profonda, sebbene i denti de’ quali abbiamo confrontato le figure sieno alquanto più usati di quelli da me studiati. Il cercine basale, nel Tapirus priscus KauP, non si vede troppo sviluppato sulla faccia esterna, in corrispondenza del tubercolo posteriore; si osserva solo un principio di cercine tra le due basi dei tu- bercoli in forma di piccolo ingrossamento. Sulla faccia interna sembra manchi l’inizio di cercine basale già riscontrato nel nostro. Per ciò che riguarda le somiglianze del M2 di Gaville coll’omologo del Zapirus priscus KauP non possiamo estenderle di troppo perchè il grado di usura mentre è quasi nullo nel primo, al contrario è molo accentuato nell’altro. Possiamo tuttavia notare che le colline trasverse nel Zapirus priscus KAUP sono quasi rettilinee mentre nel Tapiro pliocenico italiano sono regolarmente ricurve; ciò che porta di conseguenza una conformazione differente della valle interlobare. [87] D. DEL CAMPANA 183 Il tubercolo accessorio è nel Zapirus priscus KAUP più assai sviluppato che nel nostro; anche il cer- cine basale presenta delle varianti, sebbene non si veda ugualmente sviluppato sui due secondi molari del cranio riprodotto dal MeyER!). Anche i confronti col M3 superiore rivelano nelle due specie in questione delle diversità inte- ressanti a notarsi. La prima si è che nel Tapirus priscus Kaup il lato posteriore, pure essendo più ridotto dell’anteriore, non lo è mai così marcatamente come nel Zapirus arvernensis Cr. et JoB. del plio- cene italiano. Le colline trasverse nel Tapirus priscus KauP invece di descrivere una linea regolarmente curva, sì mantengono, specie quella anteriore, quasi rettilinee; il cercine basale si trova, come nella specie nostra, disposto sulle due faccie anteriore e posteriore del dente; ma mentre sulla faccia poste- riore è più esteso e si spinge di più verso l’interno, alla base del tubercolo. sulla faccia anteriore non tende, come nel caso nostro, a risalire i fianchi del tubercolo interno. Manca pure l’inizio di cercine che nel Tapiro pliocenico italiano si trova dinanzi alla valle interlobale. Non minori differenze si riscontrano ove si paragoni il M3 del Valdarno col molare superiore figurato dal Meyer alla tav. XXXII, fig. 12 proveniente da Ajnacskò (Ungheria). L'autore esprime il dubbio che si tratti del M2 o M3 vero ?); ma considerata la conformazione speciale della corona ed il grado d’usura poco pronunziato, io lo riterrei per un M3. Ravvicinato all’altro da noi studiato, diversifica singolarmente per avere un tubercolo accessorio assai più piccolo ed il cercine basale più sviluppato. La collina tra- sversa anteriore non è inoltre regolarmente ricurva come nel caso nostro, ma segue al contrario una linea spezzata, mentre la collina trasversa posteriore, presso il tubercolo esterno, si curva più rego- larmente che nel dente del Valdarno. La collina secondaria che unisce i due tubercoli esterni è nel dente studiato dal MryER più sviluppata che nell’altra. Passando ai confronti della mandibola ci servirà grandemente il modello in gesso della branca man- dibolare sinistra, sulla quale appunto il KauP eseguì le sue osservazioni e che la direzione del Museo di Darmstadt, pose a mia disposizione. Questo e le osservazioni già fatte dal MEYER serviranno a rendere più sicura la comparazione tra la specie del KauP e quella di Croizet e JOBERT. Il MeyeR descrive come proveniente da Eppelsheim una mandibola completa appartenente ad un vecchio individuo ed una branca sinistra di individuo adulto ma non vecchio. Le osservazioni che posson farsi sui caratteri morfologici della mandibola, non sono certo molte, perchè si tratta di una parte dello scheletro nella quale le differenze specifiche sono meno spiccate che nel cranio. Una diversità che può tuttavia notarsi, si è che mentre nel Zapirus priscus KauP il foro mentoniero si trova sempre sotto alla metà anteriore del Pm1l, nel Zapirus arvernensis Cr. et Jos. il foro corrisponde alla metà posteriore. Confrontando con quest’ultima specie, la mandibola tipica del KauP, sembra altresì che nel Zapirus priscus KauP, la curva della barra scenda repentinamente, al contrario di ciò che si nota nel Zapirus arvernensis CR. et Jo. Lo stesso si può notare esaminando la mandibola di Zapîrus priscus KauP adulto figurata dal Meyer che non dà a tal proposito nessuna notizia, nella de- Scrizione di questo pezzo. Per ciò che riguarda i premolari e molari inferiori, comincierò dal notare che anche nel Zapirus priscus KauP studiato dal MEYER, come nella forma tipica di questa specie # i due ultimi molari assu- i) MEyER H. Op. cit., pag. 144, tav. XXV, fig. 1. 2 MeyYER H. Op. cît., pag. 178. 3) Meyer H. Op. cît., pag. 171, tav. XXVI, fig. 1-4; pag. 174, tav. XXVII, fig. 1. 4 Cfr. anche Kaup J.J. Op. cit., pag. 1. 184 D. DEL CAMPANA |38] mono uno sviluppo maggiore dei premolari e del primo molare, specialmente riguardo alla lunghezza *. Questo particolare si osserva invece meno accentuato nel Tapìrus arvernensis CR. et JoB. Scendendo a confronti ancor più particolari, cominceremo dall’esame del Pml inferiore. La collina trasversa che unisce i due tubercoli posteriori e quella che unisce il posteriore esterno al mediano interno, sono disposte tra di loro nel 7apirus priseus KauP in modo da formare un angolo molto vicino al retto, nei denti poco usati; dando poi luogo, quando il grado di usura è maggiore, ad una linea curva colla maggior curvatura in corrispondenza del tubercolo esterno posteriore ?). Questo particolare non si osserva nel Pm1 del Tapirus arvernensis Cr. et JoB. tipico e nel Tapiro pliocenico italiano. Le due colline ricordate, pure essendo ambedue ricurve nei denti poco usati, l’ una verso la faccia posteriore, l’altra verso la faccia esterna del dente, formano col tubercolo posteriore esterno un angolo acuto tanto più apprezzabile, quanto maggiore è il grado di usura del dente, perchè le due colline, riducendosi come abbiamo osservato alla loro parte basale, si fanno rettilinee. Inoltre la collina che nel caso nostro riunisce il tubercolo posteriore esterno al mediano interno, non si congiunge nel Zapirus priscus KAuP direttamente a quest’ultimo tubercolo, ma va a terminare alla base del tubercolo mediano esterno. Questi caratteri, insieme ai precedenti ed anche alle maggiori dimensioni, contribuiscono a render nel Tapirus priscus KAuP la configurazione della valle che separa i tubercoli posteriori dai mediani, molto diversa da quella che si osserva nel Tapirus arvernensis Cr. et Jo. del Pliocene italiano. Riguardo poi ai tubercoli mediani aggiungiamo che a differenza di ciò che avviene nel Tapirus ar- vernensis CR. et JoB., nel Tapîrus priscus KAUP sono più distanziati e riuniti tra loro per una collina, la quale coll’altra interposta tra il tubercolo mediano esterno e l’anteriore, forma una linea al solito ricurva ed insieme a quella delimita una valle poco meno vasta della precedente. Noto altresì che nessuna traccia di tubercoletti si riscontra nel Tapîrus priscus KauP su i tubercoli mediani, contrariamente a quanto fu osservato pel Tapiro del Pliocene italiano. Un altro particolare, che ci sembra possa notarsi, si è che nel Tapirus priscus KauP studiato dal MreyER, i tubercoli principali, e specie i posteriori, non sono mai molto sporgenti al disopra delle colline anche nei denti poco usati; ciò non avviene nel caso nostro, anche quando il grado di usura avanzata, ha smussato l’apice dei tubercoli. Differenze non minori di quelle notate sin qui si riscontrano confrontando tra di loro gli altri denti premolari e molari; noi le riassumiamo brevemente perchè come è noto gli uni e gli altri non hanno nel Tapiro differenze morfologiche molto spiccate. In generale si nota nel Zapirus priscus KauP che le colline trasverse, nei denti non molto consunti dall’uso, tendono a formare circa la metà del loro percorso un angolo più o meno marcato col vertice rivolto in dietro; e ciò si può verificare prendendo in esame il mascellare inferiore di giovane Zapìrus priscus KauP studiato dal MEYER, e proveniente dalla Molassa di Ajnacskò (Ungheria) 3). La collinetta secondaria che riunisce i due tubercoli esterni, attraversando la valle che separa i due lobi, è poco accentuata nei casi ove si ha un certo grado di usura. Ma dove il grado d’usura non è grande, sembra più pronunziata e più spostata verso l’esterno nel Tapirus priseus KauP, di quello che sia nel Zapirus arvernensis Cr. et JoB. 1) Mpyer H. Op. cit., pag. 171, tav. XXVI, fig. 1-4. © Meyer H. Op. cit., tav. XXVI, fig. 4; tav. XXXII, fig. 3, 5. 3) MEYER H. Op. cîit., pag. 180, tav. XXXII. [39] D. DEL CAMPANA 185 Alcune differenzé, sebbene non grandi, si notano pure nel cercine basale, che nel Tapirus priscus KAUP è un po’ più sviluppato che nel nostro; lo stesso si dica per il cingolo che è formato sulla faccia ‘anteriore del dente dalla collina che si origina alla base del tubercolo anteriore esterno. Confronti col Tapirus helvetius Mryrr. Un'altra specie colla quale ho voluto confrontare i resti di Tapiro da me studiati è il Tapirus helvetius Meyer ! del Miocene. i Il MryER riconobbe e descrisse ampliamente diversi avanzi fossili di questo Tapiro provenienti dalle località di Othmarsingen, di Kipfnach, dell’alto Rodano, di Waitzen in Ungheria, e dalle altre località di Eggingen, Haslach, Michelsberges presso Ulma, Messkirch, Heudorf ecc. Grazie alla gentilezza usatami dal Direttore del Politecnico di Zurigo, ho potuto procurarmi il mo- dello di un mascellare superiore destro, del Miocene inferiore di San Gallo, e di due frammenti di man- dibole dell’alto Rodano studiati già dal MEYER. Le misure dentarie date dal MeyER per gli esemplari di Othmarsingen e di Eggingen e che io pure ho riportato, mostrano che si tratta di una specie molto più piccola di tutte le altre fossili e viventi. Non insisto sulle differenze craniali tra il Zupirus helvetius MereR ed il Tapirus arvernensis CR. et JoB., perchè la distinzione di queste due specie è pure mantenuta da coloro che vorrebbero riuniti in una sola specie il Z'apirus arvernensis CR. et JoB., il Tapirus priscus KauP, ed il Tapirus hungaricus Meyer. D'altra parte il cranio di Zupirus helvetius MEYER di Othmarsingen ?), oltre ad avere dimensioni molto minori è più strettito in proporzione della sua grandezza, ed ha la parte anteriore più accorcita e meno incavata in corrispondenza della barra. Anche la metà anteriore di cranio di questa stessa specie, trovata nel carbon fossile di Kipfnach connessa ancora col mascellare inferiore non dà luogo di fare osservazioni speciali, perchè, come avviene nelle cave carbonifere, è andata soggetta a schiacciamento e a spostamento. Rela- tivamente alle differenze della mandibola la branca sinistra del Zupirus helvetivs MeveR di Othmarsingen 3) non offre altro particolare all’infuori del foro mentoniero spostato in avanti a circa metà della barra, contrariamente a ciò che si osserva in tutte le altre specie di Tapiro. Riguardo ai confronti tra i premolari ed i molari superiori del Zapîrus helvetius MEYER e del Za- pirus arvernensis CR. et JoB. non molto vi è da dire. Un Pm2 superiore sinistro raccolto presso Wiesbaden ha nella prima di queste due specie forma del tutto diversa dal nostro #. La sua corona presenta una sezione spiccatamente triangolare per la speciale conformazione del lobo anteriore che è molto più accorciato dell’altro. Questo carattere porta naturalmente una diversità morfologica nelle colline trasverse che sono molto corte, e non ripiegate come nel Tapiro da noi studiato. Nella specie del MevER inoltre il cercine basale mentre si trova sulle faccie anteriore e po- steriore del dente, manca sulla faccia esterna. ) MeyvER H. Op. cit., pag. 184 e seg. ? MeyeR H. Op. cit., pag. 184, tav. XXVIII, fig. 1, 2. 3) MevER H. Op. cit., pag. 184, tav. XXVIII, fig. 4, 5. 4) Il MEYER (Op. cit., pag. 198, tav. XXVIII, fig. 18) nel riferire questo dente al Tapirus helvetius, serive in proposito: «è un po’ grosso per un Tapirus helvetius, non abbastanza per un Zapirus priscus KAUP e quindi pro- babilmente riferibile «al. Tapirus Rungaricus. Ma anche a questa specie non si addice bene perchè non ha forma quadrata, ma la sua metà anteriore è meno larga della posteriore ed il processo anteriore esterno è più sviluppato a forma di punta. Meglio si addice la lunghezza della corona che .è però un po’ meno larga che nel Tapirus hun- garicus ». Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 186 D. DEL CAMPANA [40] Un M2 sinistro di Zapirus helvetius MEYER raccolto nell’alto Rodano viene citato e figurato dal MEYER, connesso ancora al M1®. Paragonato col M2 di Gaville mostra i seguenti caratteri differenziali. La col- lina anteriore è rettilinea e curvata solo presso il tubercolo esterno. La collinetta secondaria che riunisce quest’ultima al posteriore esterno, non è spiccatamente piegata verso l’interno della valle interlobale che si osserva pure nel tubercolo posteriore esterno, il quale forma coll’interno corrispondente una cavità più slargata che nel dente di Gaville. Il cercine basale è sviluppato non solo sulla faccia posteriore esterna ed anteriore come nel 2api- rus arvernensis Cr. et JoB., ma se ne vede traccia anche sulla faccia interna. Quanto agli altri premolari e molari superiori studiati dal MeyER una delle particolarità che li di- stinguono si è di avere i due-lobi saldati insieme su tutta la loro lunghezza, all’opposto di ciò che si osserva nei premolari e molari superiori del Tapiro da me studiato, i cui denti offrono perciò una corona con sezione più irregolare. Un altro carattere differenziale è dato nel Tapirus helvetius MEYER dall’irregolare sviluppo dei denti; infatti mentre alcuni di questi hanno come nel Zapirus arvernensis Cr. et Jos. la larghezza maggiore della lunghezza, in altri invece la lunghezza è mavgiore. Ciò fa sì che in quest’ultimo caso, la valle interlobale venga notevolmente slargata, mentre nel Tapiro studiato è sempre piuttosto stretta. Il cercine basale è distribuito sulle faccie anteriore e posteriore dei denti come nel Tapirus arver- nensis CR. et JoB. salvo leggiere varianti; in diversi casi però manca sulla faccia esterna. Prima di passare ai confronti coi denti della mandibola debbo dire qualche parola sul frammento di mascellare superiore destro id Zupirus helvetius MEYER rinvenuto nel Miocene inferiore di Schinnis nel Can- tone di San Gallo. Questo frammento non è ricordato dal MEYER, e per ciò deve secondo me ritenersi rinvenuto posteriormente al suo studio. Il frammento presenta ancora in posto il Pm3 e Pm4 e di tre molari. Le dimensioni di questi, come si può vedere dalla tabella generale, sono estremamente ridotte, e le osservazioni fatte già sui denti di Tapirus helvetius studiati dal MEYER si posson ripetere riguardo a questi. Anche nel fossile in parola il M1 ha dimensioni più piccole dei due denti contigui, particolare da me notato anche in altre specie di Tapiro. Dai confronti eseguiti sui denti della mandibola, osservo che il Pml inferiore nel Tapirus Relvetius MEeyER diversifica per Ja distribuzione dei tubercoli mediani meno distanziati che nel caso nostro e situati l’uno dietro l’altro lungo l’asse longitudinale del dente. Il Pml della branca sinistra di mandibola tro- vata ad Eggingen ® non avendo conservato la parte posteriore, non possono farsi osservazioni sia sul tubercolo posteriore come sulla valle che lo separa dai tubercoli mediani, e sulla distribuzione del cer- cine basale. Si può al contrario notare che sui fianchi dei tubercoli mediani, a giudicare dalle figure date dal Meyer che non dà pel dente in parola nessuna particolare descrizione, mancano i tubercoletti riscon- trati nel Zapirus arvernensis CR. et JoB.; manca -pure il cercine basale sulla faccia esterna e sull’in- terna del dente. Il Pm2 come nel Tapirus arvernensis Cr. et Jo. anche nel Tapirus helvetius Mayer ha il lobo an- teriore un poco più ristretto del posteriore, però se ne differenzia marcatamente negli altri caratteri. ‘ Di questi due denti e di altri molari superiori raccolti a Willmandingen il MeyER (Op. cit., pag. 197, tav. XXVII, fig. 14-16) scrive al solito che sono abbastanza grossi per un Tapirus priscus, ma troppo per un Tapirus helvetius, e non è del tutto impossibile che appartengano al Tapirus hungaricus. Però li mantiene sotto la prima di queste due specie. 2 Meyer H. Op. cit., pag. 191, tav. XXVII, fig. 3, 4. [41] D. DEL CAMPANA 187 Invero nella specie del Meyer i tubercoli sono più obliqui l’uno verso l’altro. Ciò fa sì che proporziona- tamente alla larghezza del dente, la collina trasversa anteriore sia più breve, mentre nel Tapiro nostro si estende su buona parte della lunghezza del lobo; lo stesso si può dire della collina trasversa posteriore. Un particolare, però non costante nel Tapirus Relvetius MaveR è la presenza di un piccolo rigonfia- mento dal lato interno, situato tra le basi dei due tubercoli, in mezzo alla valle che li separa. Però questo particolare si osserva in un frammento di branca sinistra di mandibola (Alto Rodano ”) non solo nel Pm2 ma anche nel Pm3; mentre negli altri premolari studiati dal MeyER non si nota. Anche nel Tapirus helvetius MAYER la collinetta secondaria che parte dal tubercolo anteriore esterno, dà origine sulla faccia anteriore del dente al cingolo basale; però la curva che questo e quella formano . sulla faccia anteriore è più slargata; fatta eccezione per il Pm2 di Sparen (Alto Rodano) che ha la corona con sezione quasi regolarmente quadrata?. Manca inoltre quasi sempre nel Zapirus Relvetius MEYER, sulla faccia esterna del dente in corrispon- denza del tubercolo anteriore, il principio di cercine basale. Continuando l’esame notiamo come i secondi e terzi premolari inferiori mostrano nel Zapirus Relve- tius MEYER quasi tutti il lobo posteriore più assai accorcito dell’ anteriore; questo particolare è appena accennato nel Tapirus arvernensis Cr. et JoB. Riguardo agli altri caratteri morfologici ciò che abbiamo visto a proposito del Pm2 serve in parte anche pel Pm3. Possiamo aggiungere che nei terzi premolari di Tapirus helvetius MEYER le colline trasverse si avvicinano in generale a quelle esaminate nel Tapiro da noi studiato per essere più leggermente ricurve. Il M1 ha nel Tapirus helvetius MAYER, presso a poco gli stessi caratteri del Pm3, poche osserva- zioni rimangono quindi a farsi riguardo alle differenze che può offrire coll’omologo del apirus arver- nensis Cr. et Jos. In quello di Sparen dell'Alto Rodano? si nota che, come nel Pm3, al quale è unito, il lobo posteriore oltre ad essere un poco più stretto è più raccorcito del precedente. Nel Tapirus arver- nensis Cr. et JoB. questi particolari si hanno solo per ciò che riguarda la larghezza del lobo; poichè per ciò che si riferisce alla lunghezza il lobo posteriore è quasi uguale o di poco minore al lobo anteriore. Nessuna traccia di cercine basale si ha sulle facce laterali del M1 nel Zapiîrus Relvetius MEYER; sulla faccia anteriore del dente il cingolo ed il cercine basale appaiono un poco meno sviluppati che nel Tapiro nostro. Il M2 del Tapirus helvetius MEYER non offre diversità spiccate. In esso per altro la superficie della corona è priva di rugosità non ostante il grado di usura poco avanzato. Il cercine basale si estende dalla faccia anteriore sulla faccia esterna del dente e costeggiando la base del tubercolo anteriore si inoltra un po’ nella valle che separa i due lobi. Presso di questo, nel mezzo della valle si nota sulla faccia esterna del dente un piccolo rilievo tubercolare, che io ritengo per un inizio di cercine basale. Confronti col Tapirus hungaricus MryrR. Il MeveR distinse col nome di Zapirus hungaricus un cranio di Tapiro proveniente da Ajnacskò che gli sembrò, dopo un’esame minuzioso, diverso dal Tapirus priscus KauP e dal Tapirus helvetius MEYER. i) MeyeR H. Op. cit., p. 190, tav. XXVII, fig. 11-12. 2) MevER H. Op. cit., p. 190, tav. XXVII, fig. 9-10. 3) MeYER H. Op. cit., p. 190, tav. XXVII, fig. 10. 188 i D. DEL CAMPANA [42] Si tratta di un animale che secondo il MEYER, aveva raggiunto il suo sviluppo completo, ma che aveva dimensioni minori dei Tapiri viventi. Paragonato poi coi crani di Zapirus priscus KauP e di apirus helvetius MEYER è notevolmente più grande dell’ultimo, ma non raggiunge la grandezza del primo. Anche il Tapirus arvernensis CR. et JoB. offre delle dimensioni maggiori, come si può vedere dal quadro com- plessivo delle misure dentarie. Relativamente ai caratteri del cranio, quello del Tupirus hungaricus MEYER si restringe nella parte anteriore più rapidamente ed il muso è anche più accorcito. Il profilo antero-esterno dei premascellari è nel Tapirus hungaricus MEYER più arrotondato che nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. I confronti che ho potuto eseguire sui denti si limitano ai denti della mascella superiore. Il Pml nel Zapirus hungaricus MEYER si differenzia perchè il tubercolo posteriore interno è allun- gato e si fonde sulla faccia interna del dente col cercine basale della corona, mentre nel Tapirus arver- nensis Cr. et Jo. ha forma conica ed è isolato dal cercine. Il Pm2 ha corona con sezione quadrangolare ed è all’interno di poco più ‘accorcito che all’ e- sterno. Ciò, come sappiamo, non avviene nella specie nostra, ove i lobi dentali a misura che si procede dall’esterno verso l'interno si assottigliano gradatamente. Una differenza più notevole si nota per altro, nelle colline trasverse. Queste infatti contrariamente a quanto abbiamo visto nel Zapirus arvernensis CR. et JoB., vanno direttamente dall’uno all’altro tubercolo. Per giunta la collina secondaria che riunisce i due tubercoli esterni si fonde con essi intimamente, di modo che non si vedono nella specie del MEYER le scanalature ai punti d’incontro coi fianchi dei detti tubercoli; questi del resto non presentano le sommità staccate, ma formano colla collina che li unisce come una parete non interrotta. Il tubercolo accessorio è appena visibile. x Il cercine basale è nella specie del MeyER sviluppato come nella nostra sui lati anteriore e poste- riore del dente; è però meno esteso dalla parte interna. Dal lato esterno si osserva ugualmente, ma anche qui non è esteso come nel caso nostro. Sulla faccia interna, il cercine manca completamente, ciò che costituisce un altro carattere differen- ziale dalla specie italiana. Il Pm3 non oftre nella specie del MeyER diversità molto notevoli; vi si nota più accentuata la differenza di larghezza dei due lobi e le colline trasverse sono meno oblique in avanti; manca l’inizio di cercine sulla faccia interna dinanzi all’apertura della valle interlobale. Il Pm4 nelle due specie poste a confronto ha la corona con sezione diversa. Mentre nel Tapiro da noi studiato, i lobi, vanno gradatamente assottigliandosi dall’esterno verso l'interno, nella specie del MeyER vanno, dall’esterno, allargandosi fino verso la metà di larghezza del dente, per ristringersi in seguito gradatamente. Quantunque il grado di usura nel Pm4 di Zapirus hungaricus MEYER sia più inoltrato, si vede tuttavia come i caratteri morfologici della corona differiscano in ambedue le specie in parola. Il tubercolo accessorio è pochissimo pronunziato; e tanto il tubercolo anteriore esterno quanto il posteriore esterno appaiono tra di loro poco nettamente separati. Le colline trasverse sono nel Tapirus hungaricus MEYER più accorcite, perchè in ciascun lobo i tubercoli sono più ravvicinati; però anche in questa specie come nella nostra, la collina anteriore appare meno ricurva dell’altra. Tutti questi caratteri, come facilmente si comprende, concorrono alquanto a modificare la valle che separa i due lobi, la quale nel Tapirus hRungaricus MEYER sembra più larga che profonda. Inoltre la collina secondaria riunisce i due tubercoli esterni formando coi fianchi del posteriore una doccia assai meno profonda che nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. Il cercine basale è sviluppato attorno alla corona nel Tapirus Rungaricus MevER come nella specie [43] D. DEL CAMPANA 189 nostra; però sulla faccia esterna sembra sia più pronunziato. Manca nel Zapirus Rungaricus MEYER ogni traccia di cercine basale sulla faccia interna come abbiamo osservato anche nel Pm3. Differenze non meno importanti corrono tra il M2 di Gaville in Valdarno e l’omologo della specie del Meyer. Esse risiedono non tanto nelle dimensioni o nella sezione dei due denti, quanto nei carat- teri della corona. La collina trasversa anteriore, marcatamente ricurva nel dente pliocenico, è rettilinea nel dente di Tapirus hungaricus MEYER ove si piega solo presso al tubercolo anteriore esterno formando una curva irregolare. La collina trasversa posteriore nel dente del Zapirus hungaricus MEYER, non si trova conser- vata che nella metà esterna, la quale riproduce tuttavia i caratteri della collina anteriore, venendo così a stabilire una nuova differenza tra le due forme confrontate. Il cercine basale è sviluppato sulla faccia anteriore del dente anche nella specie del MeyER; però sembra, a giudicare dalla figura, che esso a metà del suo percorso si prolunghi in una piccola espansione risalente i fianchi della collina trasversa anteriore. La parte posteriore del dente non si trova conservata nel Zapirus hungaricus MEYER e non possono quindi farsi esatte osservazioni sul cercine. Dobbiamo no- tare tuttavia che questo, nella porzione che ne resta conservata alla base del tubercolo posteriore esterno, non è conformato come nel M2 di Gaville. Sulla faccia esterna il M2 di Zapirus hungaricus MEYER ha solo un principio di cercine situato in mezzo alle basi dei due tubercoli, mentre nel Tapiro da noi studiato il cercine si prolunga dalla faccia posteriore sul lato esterno, fin sotto la base del tubercolo posteriore. Confronti col Tapirus sinensis Owen. La specie di cui parlo fu fondata da Owen”. Più tardi il Koken la figurò e la descrisse nuova- mente? servendosi di un materiale più ricco di quello del quale potè disporre OwEN; ciò che gli rese possibile di dare un disegno approssimativamente completo della dentatura del Zapirus sinensis OwEN e di stabilirne più nettamente i caratteri specifici. I confronti che seguono sono appunto basati sulle de- scrizioni ed illustrazioni dei due autori ricordati. Il Pml superiore del Tapirus arvernensis Cr. et JoB. diversifica a prima vista dall’ omologo. del Za- pèirus sinensis Owen perchè nel primo la lunghezza prevale sulla larghezza, mentre nel secondo queste due dimensioni sono quasi uguali. Altri caratteri differenziali nel Tapîrus sinensis Owen sarebbero i seguenti. Sulla faccia esterna si vedono nettamente distinti i due tubercoli, i quali hanno la base piut- tosto stretta proporzionatamente alla massima larghezza del dente. La mancanza del cercine si nota tanto sulla faccia esterna, quanto sulla interna e sulla posteriore. Il tubercolo posteriore interno è rappresentato da un rilievo a guisa di piccola collina coll’ asse per- pendicolare alla faccia esterna del dente. Il piccolo rigonfiamento, che nel Tapiro da noi studiato sì nota innanzi al tubercolo ‘ora ricordato, nel Zapirus sinensis OwEN è sostituito da una increspatura della corona. >; Il Pm2 nel Zapirus sinensis OweN è del tutto diverso non solo dal nostro, bensì da altre specie esaminate, per l'irregolarità della sua corona. Questa ha DEGLOSIL IGO la sezione di un triangolo col vertice sulla Ln interna del dente. i) Owen R. On Fossil Remains of Mammals found in China. Quarterly Journal, vol. 26, pag. 426. 1870. 2) KoKen E. Ueber Fossile Stiugethiere aus China. | Palaeontolog ische Arma muso, Dritter Band, nes 2, pag. 34, tav. IV, fig. 12-19; tav. V, fig. 1-5. 190 D. DEL CAMPANA © [44] x La divisione dei due lobi non è netta; la collina trasversa posteriore ha un percorso irregolare, l’anteriore è rappresentata da un grosso rigonfiamento a guisa di tubercolo. Il tubercolo accessorio esiste come nel Tapirus arvernensis CR. et JoB.; il cercine si nota soltanto sulla faccia posteriore del dente e sporge sul lato esterno fino verso la metà della base del tubercolo posteriore. Sulla faccia anteriore del dente il cercine manca del tutto. Il Pm3 ha nel Zapirus sinensis OweN la corona più compressa in senso, antero-posteriore, inoltre il tubercolo accessorio è più sviluppato. Nel resto le differenze morfologiche non sono molto notevoli. Anche il Pm4 offre nei suoi caratteri una certa affinità coll’omologo del Tapiro da noi studiato, sia per la disposizione dei tubercoli, come per la conformazione delle colline. Le diversità che tuttavia possono notarsi sono le seguenti: Il tubercolo accessorio sembra nella specie dell’Owen più sviluppato e più nettamente distinto dal tubercolo anteriore esterno. Sulla faccia anteriore il cercine comincia a svi- lupparsi alla base del tubercolo interno ed inalzandosi piuttosto rapidamente, si interrompe oltrepassata di poco la metà interna del dente confondendosi colla collina trasversa; poi riappare per dar subito luogo al tubercolo accessorio. Ciò non si osserva nel nostro Tapiro, ove il cercine occupa tutta la faccia del dente e si mantiene relativamente basso, fino presso la faccia esterna, per dar luogo al tubercolo accessorio. Sulla faccia posteriore del dente, il cercine si nota nel Tapòrus sinensis OwEN non interrotto e con bordo superiore non frastagliato; di là si estende pure sulla faccia esterna del dente, ma non oltrepassa la metà della base del tubercolo posteriore. Nel Tapirus arvernensis CR. et Jos. il Pm4 ha invece il cercine sul lato posteriore con bordo superiore assai frastagliato e che si estende sul lato esterno fino oltre la base del tubercolo posteriore, come già fu detto. Per ciò che riguarda i rapporti tra i secondi molari delle due specie in parola, quello del Z'apèrus sinensis OweN ha il lobo posteriore più ristrettito e quindi corona più irregolarmente conformata. Manca il cercine sul lato esterno in corrispondenza del tubercolo posteriore, e sul lato posteriore in corrispon- denza del tubercolo interno. La collina trasversa anteriore è meno ricurva; il tubercolo accessorio più ingrossato. Differenze notevoli si. incontrano esaminando il M3. Nel Tapirus sinensis OweN avendo la corona sezione quasi regolarmente rettangolare, ne viene che i tubercoli e le colline assumono diversa disposi- zione e quindi varia la superficie tutta della corona. All’opposto il M3 del Tapirus arvernensis CR. et Jo. si avvicina notevolmente al M2 del Zapirus sinensis OwEN per la sua conformazione generale, es- sendo in ambedue i casi, quasi uguali le proporzioni nei due lobi e la disposizione dei tubercoli. Venendo ai confronti coi denti della mandibola e cominciando dal Pm1, si osserva nel Zapirus sinensis OweN una completa mancanza di cercine basale sia sulla faccia esterna che sulla interna. La corona inoltre presenta tutti i tubercoli ad una medesima altezza. La collina secondaria che parte dal tubercolo esterno, invece di dirigersi verso il tubercolo mediano interno si ricongiunge coll’ esterno for- mando un angolo retto colla collina trasversa che riunisce i due tubercoli posteriori. Sui fianchi ai tuber- coli mediani mancano quelle piccole escrescenze tubercolari viste nella nostra specie e per giunta accanto ad essi si notano dalla parte anteriore due rilievi che mancano nel Zapirus arvernensis CR. et JoB. e rendono la corona in quel punto facilmente distinguibile. Anche le due valli che separano i tubercoli posteriori dai mediani e questi dall’anteriore, sembrano più larghe in proporzione delle dimensioni del dente. Il Pm2 di Zapîrus sinensis Owen offre, come gli omologhi del Tapiro da noi studiato, il lobo anteriore più stretto del posteriore; questo carattere però è nel nostro molto meno spiccato. Inoltre nel Tapirus sinensis OwEN la collina che sulla faccia anteriore del dente dà origine al cin- "golo appare poco sviluppata e il cingolo non si mostra da quella troppo distirto; sulla faccia esterna [45] D. DEL CAMPANA 191 non si vede il cercine sporgere al di sotto del cingolo; posteriormente il tallone non offre diversità no- tevoli da quanto abbiamo riscontrato nel Zapirus arvernensis CR. et JoB.; lo stesso può dirsi della col- linetta secondaria che riunisce i due tubercoli esterni. In un Pm8 di Zapirus sinensis OwEN studiato dal KokeN notiamo, a differenza di ciò che si ri- scontra nella specie nostra, uno sviluppo assai maggiore in lunghezza che in larghezza e il lobo poste- riore più ristretto dell’anteriore. I caratteri del cercine basale e del cingolo sulla faccia anteriore del dente non sono molto facilmente apprezzabili nella figura citata; le colline trasverse, dato il grado di usura poco avanzato del dente, sono piuttosto accorcite; sulla faccia posteriore il tallone sembra si pro- lunghi verso l’indietro, invece di rimanere aderente alla faccia del dente. Il KokEn descrive e fisura altresì un M2 pochissimo usato di Zapiîrus sinensis Owen. Confrontato cogli omologhi del Tapirus arvernensis CR. et JoB. osserviamo che sulla faccia anteriore il cingolo è presso a poco sviluppato allo stesso modo e così pure il cercine, il quale peraltro non ha nella nostra specie il bordo superiore increspato. Nel lobo anteriore la collina trasversa forma anteriormente, nt punto di congiungimento coi due tubercoli, due doccie ricurve che riunendosi nella parte mediana delimitano una superficie semicircolare; mentre nei molari della specie nostra le doccie, seguendo una linea retta, ne viene che la superficie delimitata da esse è triangolare. E questa è più regolare nei denti dove il grado di usura è maggiore, tuttavia non è mai semicircolare nei denti poco consunti, come nel Tapirus sinensis OWEN. Manca inoltre in questa specie la piccola doccia presso la sommità del tubercolo anteriore interno. Il lobo posteriore è, come nella specie nostra, un poco più ristretto dell’anteriore, ma non offre diversità degne di nota. Confronti col Tapirus suevicus Fraas. Sotto il nome di Zapirus suevicus il FraAs figura un M2 inferiore sinistro 1). In questo la collinetta secondaria che si parte dal tubercolo anteriore esterno forma col cingolo un angolo quasi retto; mentre nel dente omologo della specie nostra la collina è appena accenata ed il cingolo sembra si origini dalla base del tubercolo. Il cercine che sta sotto tal cingolo, anzichè sporgere come nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. da ambedue i lati del dente, si affaccia solo dalla parte esterna. Sulla faccia posteriore il tallone si mostra assai più sviluppato che nel caso nostro ed occupa a quanto sembra quasi tutta la larghezza del dente. Sulla faccia interna sembra inoltre che vi sia un leggero cercine basale, carattere mancante affatto nel Tapiro da noi studiato. A sua volta il M2 nella specie del FraAS non ha la collinetta secondaria che riunisce i due lobi esterni del dente. Confronti con specie viventi. Ai confronti fatti colle specie fossili, ne aggiungo altri con specie viventi. Esse sono: Zapirus in- dicus Cuv., Tapirus americanus Linn., Tapirus Bairdi GILL. Il Confronto col Tapirus indicus Cuv., mi-è stato possibile mercè la gentilezza del Direttore del 1 Fraas 0. Die Fauna von Steinheim mit Ruckisicht auf die miocenen saugethier-und vogelreste des Steinheimer Beckens, pag. 21, tav. V, fig. 29. Stuttgart, 1870. 192 D. DEL CAMPANA 146] Museo Civico di Genova, il quale ha posto a mia MSRONIZIONE un cranio raccolto dal BeccarI durante il suo viaggio in Sumatra. Le osservazioni fatte mostrano che il Zapirus arvernensis Cr. et JoB. oltre ad avere dimensioni minori, ha la volta palatina più slargata e meno profonda, coi. premolari e molari disposti secondo una linea curva, mentre nel vivente indiano i denti sono disposti sulla mascella secondo una linea retta. Anche le proporzioni della barra e del diastema sono diverse nei due termini di confronto. Ab- biamo infatti: Tapirus indicus CUv. Tapirus arvernensis CR. et JOB. Lunghezza della barra. . - c o mm. 48,5 mm. 44,6 » del diastema —. c 5 5 » 10,5 » 3,6 Si deve pure notare che mentre nel Tapirus arvernensis Cr. et JoB. i mascellari sono assai incavati in corrispondenza della barra, questo carattere è poco accentuato nel Zapiìrus indicus Cuv. il quale ha la parte anteriore del cranio (muso) ‘assai più allungata del fossile. Relativamente ai confronti della mandibola nelle due specie, le differenze morfologiche sono come è naturale molto minori. La regione sinfisaria si nota nel fossile più accorcita e più stretta i nel vi- vente, ciò che sta in relazione colle differenze del cranio notate sopra. i Î Riguardo ai denti nelle due specie poste a confronto questi si trovano in'un grado d’usnra più avan- zato nell’esemplare di Tapirus indicus Cuv. di quelli da me studiati e di tal particolare va tenuto ‘conto nell’eseguire i confronti. Cominciando dai denti della mascella, notiamo che il Pml della specie fossile, non offre diversità degne di nota, all'infuori delle dimensioni minori. Il Pm2 ha nel Zapirus èndicus Cuv., il tubercolo accessorio spostato verso l'interno, mentre nel fossile si trova allo stesso livello dei due tubercoli esterni. Anche il cercine basale sembra nel vivente un po’ meno accentuato, ma non è da in- sister su tale differenza che potrebbe anche esser causata dal diverso grado di usura. Il Pm3 ha nel vivente il cercine appena sviluppato in corrispondenza del tubercolo posteriore, ed il tubercolo accessorio meno nettamente distinto dall’anteriore esterno. Lo stesso minore sviluppo di cercine si nota nel Pm4, anche sul lato posteriore, mentre sul lato interno, in corrispondenza della valle interlobale è più svilup- pato che nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. Riguardo ai molari superiori è da notare il fatto che mentre nel M1 e M2 del 7apirus arvernensis Cr. et JoB. la conformazione della corona ricorda quella dei due premolari che precedono, nella specie indiana i tre molari si differenziano nettamente perchè fino dal M1 si nota, lo spostamento verso 1’ in- terno, del tubercolo posteriore esterno, particolare questo che nella specie fossile da noi studiata pre- senta soltanto il M3. Anche nei milari del Tapirus indicus Cuv. il cercine è poco sviluppato sui lati esterno e posteriore, mentre lo è di più sul lato interno di fronte all’ apertura della valle interlobale. Se prendiamo ora in esame i denti della mandibola, possiamo subito notare che a cominciare. dal Pm2 la collina secondaria che unisce i due lobi del dente, è più spostata verso l’ interno nel Zapirus indicus Cuv. che nel fossile. Questo particolare induce una diversa conformazione della valle interlo- bale, la quale sembra essere di per sè stessa più slargata nella specie indiana che nel Tapèrus arver- nensis Cr. et Jos. Un altro particolare da notarsi è il maggiore sviluppo che nel vivente assumono il cingolo sul lato anteriore e in qualche caso anche. il tallone sul lato posteriore dei denti. . Mer Passando ai confronti colle altre :due specie viventi citate ‘sopra, per gentile concessione della Dire- zione del Gabinetto di Zoologia dei Vertebrati, in Firenze, ho esaminato: del Tapirus americanus Linx. due crani, l’uno di un individuo adulto, l’altro di giovane, e del 7apirus Baèrdì GILL. pure due crani, l’uro di femmina adulta, l’altro di maschio molto giovane. [47] D. DEL CAMPANA 193 Cominciando dal 3.° incisivo superiore sinistro, si può notare che questo nel Tapirus arvernensis CR. et JoB non offre grandi diversità. Il grado di usura avanzato non permette di distinguere se non in minima parte quelle scanalature longitudinali che sono sul bordo esterno nella regione posteriore e che si osservano anche nei denti omologhi del Tapirus americanus Linn. Riguardo al Pml si può osservare che il tubercolo posteriore interno isolato, si trova assai sviluppato nel Tapirus americanus Linn., la sua sezione però non è circolare come nel Tapirus arrernensis CR. et JoB., onde si può indurre che esso non aveva forma conica. Questo tubercolo manca nel Pm1 del Tapirus Bairdi Gict., il quale ha al suo luogo una depressione. Di cercine basale non si vede traccia nelle specie viventi; forse esso era sviluppato sul lato posteriore nel Tapirus americanus Lixn., ma il grado di usura inoltrato mi impedisce di fare osservazioni esatte. Noto anche che in questa specie, innanzi al tubercolo posteriore interno già esaminato, si ha pure una piccola escrescenza tubercolare, mancante nel Tapi- rus arvernensis CR. et JoB. Il piano di usura in quest’ultimo, è sviluppato sulla collina esterna come nel Zapirus americanus Linn. e nel Tapirus Bairdi GiLL.; sul tubercolo posteriore nel Tapirus americanus Linn. il piano è inclinato in senso opposto. I secondi premolari superiori sinistri da noi esaminati offrono lievi differenze dagli omologhi delle specie viventi. Questi hanno la collina che riunisce i due tubercoli esterni meno sviluppata, la valle in- terlobare poco profonda e quindi i due lobi tra luro più intimamente uniti. Nel Tapirus americanus Linv., il cercine sulla faccia anteriore del dente è meno sviluppato e così pure il tubercolo accessorio. Sulla faccia esterna il cercine si nota senza interruzione nel 7apirus Bairdì GinL., mentre manca del tutto nel Tapìrus americanus Linn. Queste diversità riguardano in modo speciale il Pm2 proveniente da Pieve Fosciana; quello del Valdarno, posseduto dal Museo di Montevarchi, confrontato coll’ omologo del Tapi- rus Bairdi Giu. oftre notevole somiglianza nella sua conformazione generale e se ne differenzia solo per avere il cercme meno sviluppato, sebbene ugualmente distribuito, e per non presentare quel piccolo tubercoletto isolato sulla parte posteriore della corona, già notato nel dente fossile. -Il Pm3 superiore avendo nel Tapirus arvernensis CR. et Jos. molti caratteri comuni col Pm2, pos- son per lui valere in parte le osservazioni fatte poco sopra. L'assenza del cercine basale è completa nel Tapirus americanus Linn. sulle due faccie esterna ed interna del dente, sulla anteriore e sulla posteriore appena accennata. Nel Zapirus Bairdi Gitr. il cercine è un poco più sviluppato, ma sempre molto meno che nel dente fossile. Anche nelle specie viventi la sezione del dente in parola è regolare. Non posson farsi confronti sulla disposizione delle colline, perchè nei crani dei Tapiri viventi da me esaminati, il grado di usura è nei denti molto avanzato e non permette osservazioni sicure. Il confronto del Pm4 superiore sinistro del Zapirus arvernensis CR. et Jos. coll’omologo dei vi- venti, mostra nel primo che la disparità di grossezza dei tubercoli non è molto accentuata. Il cercine basale è sviluppato come nei viventi; però nel Zapirus americanus Linn. è meno ingrossato. Il Ta- pìrus Bairdi GILL. presenta anche un principio di cercine sulla faccia interna di fronte all’apertura della valle interlobale; questo carattere si continua poi anche sui molari veri. : I confronti eseguiti tra i terzi molari mostrano nei Tapiri viventi le seguenti differenze dal Tapiro fossile. -_ Nel Tapirus Bairdi Giur. le colline trasverse sono debolmente ricurve e dànno luogo a valli poco incavate. Il tubercolo accessorio è compresso in senso antero-posteriore ed addossato all’anteriore esterno. La eollinetta che unisce i due tubercoli esterni è meno sviluppata. Il cercine si nota sulla faccia ante- riore del dente ed è poco. sviluppato-sulla--posteriore; manca completamente sul lato esterno, e sull’in- terno se ne osserva un principio dinanzi all'apertura della valle interlobale. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 25 194 D. DEL CAMPANA [48] Nel Tapirus americanus Linn. le colline trasverse sono rettilinee ed i loro fianchi sono pianeg- gianti. Il tubercolo accessorio è appena accennato; manca la collina che riunisce i due tubercoli esterni, restando così nettamente distinti tra loro i due lobi del dente. Il cercine basale si nota soltanto sul lato anteriore del dente; manca sulla faccia esterna ed interna. Eseguiti i confronti coi denti della mascella, veniamo a quelli della mandibola. Nel Pml inferiore del 7apirus Bairdi Gic. adulto il tubercolo anteriore si trova ad un livello in- feriore degli altri, come nei denti omologhi del Zupirus arvernensis CR. et JoB.; all'opposto nel cranio giovane della stessa specie vivente, ed in special modo nel cranio adulto di Zapirus americanus Linx., la differenza di livello è un po’ meno notevole. Del cercine basale ho trovato traccie soltanto nell’adulto di Zapirus Bairdi Gir. Esso però è ri- dotto a sole poche granulazioni, situate come nella specie fossile dal lato esterno e tali da farci ritenere con sicurezza, che non essendo in quel punto il dente troppo consumato, un cercine vero e proprio non esista in detta specie. La stessa mancanza di cercine si nota nel cranio giovane della medesima e nel- l'adulto di Tapirus americanus LINN. Prima di passare ai confronti cogli altri premolari, credo utile accennare anche alcune osservazioni fatte ravvicinando il Pml destro di Zapirus arvernensis CR. et JoB., raccolto alle Fornaci di Pieve Fosciana e da me giudicato appartenente ad un individuo ancur giovane, coll’ omologo del cranio gio- vanile di Zupirus Bairdi Giu. Anche in quest’ultimo la collina trasversa che unisce i due tubercoli posteriori è incavata nel centro dal basso all’ alto, mentre quella che riunisce il tubercolo mediano esterno all’anteriore, invece di esser curva si piega bruscamente verso il tubercolo anteriore, formando un angolo coll’apice rivolto verso l’esterno. Nel tempo stesso mancano nella forma giovanile di Zapirus Bairdi Girn., i due piccoli tubercoli accessori notati sui fianchi dei tubercoli mediani nella specie fossile. Per ciò che riguarda il Pm2, un carattere differenziale ci vien dato dalla collinetta che riunisce, nelle circostanze già viste, il tubercolo posteriore esterno all’anteriore interno. Questa esiste pure nelle specie viventi, ma è in ciascuna di esse sviluppata in diverso grado. Più specialmente l’ ho notata nei secondi premolari inferiori di Zapirus americanus Linn.,.e l’essere essa ivi ben visibile sebbene i denti sieno molto usati, sta a mostrare che in quella specie la collina era molto sviluppata. : Un secondo carattere differenziale è dato dalla collina che partendo dal tubercolo anteriore esterno dà origine al cingolo basale sulla faccia anteriore del dente e che nelle specie viventi, segnatamente nel Tapirus americanus Linn., appare più sviluppato. Oltre tutto ciò, nei Tapiri viventi possiamo anche osservare che il cercine basale apparisce nel Tapirus Bairdi GILL. solo sulla parte anteriore esterna del Pm3, mentre manca del tutto nel Tapirus americanus Linn. Riguardo ai confronti coi molari notiamo che anche in questi il cercine basale non si mostra molto accentuato; così le colline trasverse del M2 non accennano a divergere tra di loro come nel Zapirus ar- vernensis CR. et JoB. Nel M2 è pure da notarsi il tubercolo anteriore interno, che presenta nel Tapirus Bairdì Giur. adulto come nel fossile, ben visibile la scanalatura apicale. Questa scanalatura che si ha, come sappiamo, fino dal Pm3, è nella specie vivente ora ricordata, così profonda da dar quasi luogo ad un tubercoletto acces- sorio addossato al tuhercolo principale. Nel Tapirus americanus Linn. all’opposto un simile carattere manca, probabilmente perchè il grado di usura è sui denti di questo molto -avanzato. Esaminando un M2 sinistro raccolto alle Fornaci di Pieve Fosciana, abbiamo già visto sulla faccia esterna del dente molto approfondita la doccia formata sui fianchi del tubercolo anteriore esterno, [49] D. DEL CAMPANA 195 dalla collina che riunisce detto tubercolo col posteriore interno. Questo medesimo particolare ho potuto riscontrare anche nella mandibola di Tapirus americanus Linn. adulto, la quale, come più volte ho avuto occasione di notare, ha i denti molto consunti. Al contrario non ho potuto trovarlo nella mandibola di Tapirus Bairdì Gin. adulto, e ciò non soltanto perchè appartiene ad un individuo meno vecchio del precedente, ma anche perchè, come notai altra volta, la collina che riunisce i due tubercoli esterni essendo meno pronunziata, doveva naturalmente esser tale anche la doccia che essa formava coi fianchi del tu- bercolo esterno. i Il M3 si presenta nel Tapirus americanus Linn. più corto degli altri molari, mentre ha le colline trasverse divergenti e mostra traccie di usura meno profonde che negli altri molari, come nella specie da noi studiata. Un’ ultima osservazione da farsi riguarda il tallone, il quale contrariamente a quanto si osserva nella specie fossile, è nel M3 più ridotto che nel M2. Il. Il Tapiro del Casino (Siena). Tapirus arvernensis Cr. et Jo. variet. — Tav. XXI [III], fig. 32-38. Furono attribuiti dal PanvANELLI al Tapirus priscus KauP alcuni avanzi di Tapiro rinvenuti nelle ligniti del ‘Casino presso Siena 1. Resti di Tapiro nelle ligniti di questa località furono trovati per la prima data nel 1872 e consi- stevano in denti isolati che il Masor ebbe in comunicazione dal MenEGHINI per farne la determinazione ?). Pochi mesi dopo, al Congresso dei naturalisti tenuto in Siena, venivano presentati altri resti appartenenti allo stesso genere). In seguito, il RiirimeyeR citava nuovamente il Tapiro del Casino in una sua memoria sul pliocene e il periodo glaciale su ambedue i lati delle Alpi, nella quale dava l’elenco dei Mammiferi insieme al Tapiro rinvenuti, dietro indicazioni ricevute direttamente dal Mayor. Questi pure ricorda più volte il Tapiro del Casino nelle sue considerazioni su i Mammiferi fossili di Toscana, ma non ne dà alcuna classificazione speciale”). . Nal 1877 il prof. De STEFANI, discutendo sulla miocenicità degli strati del Casino, cita di nuovo il Tapiro di questa località e per incidenza anche di quello rinvenuto in Val d’Arno e in Val di Serchio ® Due anni dopo il PantANELLI (Op. còt.) studiava la Fauna del Casino attribuendo, come vedremo in seguito, al Zapirus priscus KauP, i resti di questo genere ritrovati in quella località. 1) PANTANELLI D. Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e considerazioni sul miocene superiore. R. Accademia dei Lincei, anno CCLXXVI, 1878-79. 2) ForsyrH Mayor C. J. Considerazioni sulla Fauna dei mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. Atti Soc. tose. di Se. nat., vol. I, pag. 228. Pisa, 1875. 3) Atti della Sesta riunione straordinaria della Società italiana di Scienze naturali tenuta in Siena nei giorni 22-25 settembre 1872, pag. 16, 17, 41. 4 RurtimeveR L. Ueber pliocen und eisperiode auf beiden seiten der Alpen, pag. 45. 1876. 5) ForsyrH Magor C. J. Op. cît. i 5) De STEFANI C. Descrizione degli strati pliocenici dei dintorni di Siena. Boll..R. Com. geol., vol. VIII, pag. 395. 196 D. DEL CAMPANA [50] Nonostante questo riferimento, il CAPELLINI illustrando, nel 1881, i resti di Tapiro trovati nella li- gnite di Sarzanello, nota le differenze che li separano dal Tapiro: del Casino, ma ritiene si tratti di un’ unica specie e attribuisce le diversità riscontrate nelle due forme a caratteri di razza, o di età, o di sesso ”. A completare queste brevi notizie bibliografiche possiamo aggiungere che il prof. DE STEFANI cita di nuovo il Tapiro del Casino nel suo lavoro sui terreni terziari del Bacino del Mediterraneo, parlango del miocene superiore d’Italia ?). Circa il riferimento delle ligniti del Casino al Miocene superiore. o non piuttosto al Pliocene infe- riore, è noto come già fosse questione tra i geologi che si sono occupati di quella località. I lavori del CapELLINI®, del PantanELLI*, del Peruzzi? del De Srerani®, basati non solo su dati geologici ma anche su quelli paleontologici, hanno mostrato come gli strati del Casino sieno da riferirsi alla serie del Miocene e non già a quella del Pliocene, di cui non presentano i caratteri stratigrafici nè quelli pa- leontologici. La flora infatti, sebbene contenga alcune specie decisamente plioceniche, si mostra costituita da specie in massima mioceniche. D'altra parte la fauna dei mammiferi mostra delle marcate affinità con quelli del Miocene ; e già il Masor® nelle sue considerazioni sui mammiferi fossili della Toscana notò che la fauna del Casino è più antica dei depositi toscani dove fu trovato il Mastodon arvernensis CR. et JoB., mentre che ha molti stretti rapporti con Pikermi, Mont Léberon, Eppelsheim. Riguardo alla fauna dei Molluschi essa presenta nel suo insieme, secondo ciò che ebbe ad osservare il De STEFANI, dei caratteri intermedi tra i molluschi del Miocene e del Pliocene, ma più vicini a quelli del primo che del secondo periodo ). Sembra per ciò posto in sicuro, che anche volendo adottare per gli strati del Casino la:denomina- zione di strati mio-pliocenici, per indicare la loro posizione intermedia tra gli strati del Miocene supe- riore e del Pliocene inferiore, si devono però ritenere come facenti parte della serie miocenica e non della pliocenica?). Riassunta così a brevi tratti la questione intorno all’età delle ligniti del Casino, veniamo a prendere cognizione più diretta dei resti di Tapiro. Il PANTANELLI potè riconoscerne il genere su alcuni denti premolari e molari, tanto inferiori quanto superiori, che credè di attribuire al Tapirus priscus KAuUP; specie alla quale ascrisse pure alcune falangi ritrovate insieme ai denti ora ricordati. Riservandomi di tornare a suo tempo sulla classificazione adottata dal PANTANELLI, giova prima iden- tificare per quanto è possibile i diversi denti e vedere qual posto occupassero sulla mascella e sulla mandibola. LI i) CAPELLINI G. Resti di Tapiro nella lignite di Sarzanello. R. Accad. d. Lincei, vol. IX, serie 3.8, Cl. di Se. fisi- che, 1881. ; 2) DE STEFANI C. Les terrains tertiaires supérieurs du Bassin de la Mediterranée, pag. 1. 3) CAPELLINI G. Atti della Soc. It. Sc. Nat., Sesta riunione, pag. 215. 1872. 4) PANTANELLI D. Op. cit. 5) PeRUZZI G. Descrizione di alcune filliti della lignite del Casino. Nuovo Giorn. botanico italiano, vol. VIII. Pisa, 1876. 5) DE STEFANI O. Brevi appunti sui terreni pliocenici e miocenici della Toscana. Boll. R. Com. geol., 1877. — In. La Montagnola senese. L. cit., 1879-80. ?) ForsyTH MAJOR C. J. Op. cit. 8) De STEFANI C. La Montagnola senese. L. cit., pag. 91. % DE STEFANI C. La Montagnola senese. L. cit., pag. 93. [51] D. DEL CAMPANA 197 Dei denti della mascella ne ho trovati quattro nel Museo dei Fisiocritici, di cui due furono già figurati dal PANTANELLI. In un primo di questi ho creduto di poter riscontrare il Pm3 sinistro (Tav. XXI [III], fig. 32). Mi indurrebbe a ritenerlo tale il confronto che ne ho fatto coll’omologo del Tapirus arvernensis CR. et JoB. e del Tapiro di Sarzanello, e i rapporti morfologici che corrono tra di esso e gli altri denti coi quali fu rinvenuto. La sua corona ha sezione assai regolare per la larghezza quasi uguale dei due lobi e per la lunghezza sul lato interno di poco inferiore che sull’esterno. Il grado di usura, piuttosto avanzato, ha fatto sparire in buona parte i due tubercoli interni, però permette ancora di riconoscere i caratteri delle due colline trasverse. Di queste l’anteriore, rettilinea, si curvava verso il tubercolo esterno in corrispondenza del tubercolo accessorio piuttosto ingrossato, e con altezza quasi uguale al primo; la collina posteriore si curvava circa a metà del suo percorso, più in vicinanza però del tubercolo esterno. Il cercine si nota sulla faccia anteriore ben visibile e dà origine al solito al tubercolo accessorio di cui abbiamo già visto i caratteri. Così pure lo si ritrova sulla faccia posteriore ove è più ingrossato e si fonde colla base del tubercolo posteriore esterno, per ricomparir subito ed estendersi sulla faccia esterna del dente circondando la base del tubercolo posteriore. Sulla faccia interna del dente è ben visibile la traccia di cercine basale dinanzi all’apertura della valle interlobale. In un secondo dente io ho creduto di riconoscere un M1 superiore sinistro (Tav. XXI [III], fig. 33). Paragonato col precedente mostra gli stessi caratteri generali, ma la corona nel suo insieme comincia già ad assumere, per la minor larghezza del lobo posteriore di fronte all’anteriore, una forma meno re- golare, la quale come nel dente omologo del Tapirus arvernensis CR. et JoB. prelude già a quella SQUDIE più irregolare che assumeranno a lor volta il M2 e il M3. Un terzo dente fu già figurato dal PanTANELLI nel lavoro più volte citato sulle ligniti del Casino, e fu secondo me giustamente considerato per un M2 (Tav. XXI [III], fig. 34). Nè si oppongono a giu- dicarlo tale le dimensioni un poco maggiori che esso ha di fronte al M1, poichè questo fatto si ripete anche nell’omologo di Tapirus arvernensis CR. et JoB. al quale l’ho paragonato ed al pari del quale offre in confronto col M1 un minor grado d’usura. Per ciò che riguarda la forma della corona essa mostra molta somiglianza col M2 del Tapirus arver- nensis Cr. et Jo. Le colline trasverse sono leggermente ma regolarmente curve ; il cercine si nota sulla faccia anteriore ben sviluppato al pari del tubercolo accessorio. Sulla faccia posteriore è invece meno sviluppato, si inizia debolmente dal lato interno per fondersi poco dopo colla base del tubercolo poste- riore e ricomparisce poi di nuovo, più ingrossato, per estendersi sul lato esterno fin oltre la base del tubercolo posteriore. Sulla faccia interna non si nota nessun inizio di cercine. Il quarto ed ultimo dei denti mascellari superiori (Tav. XXI [III], fig. 35), è quello stesso figurato dal PANTANELLI come Pm4 sinistro. Non ostante ciò sembra a me debba piuttosto trattarsi di un M3, e sono indotto a ritenerlo tale per le ragioni stesse esposte a riguardo del M1. Invero la corona di questo dente si presenta più irregolare del M2 ora descritto perchè il lobo posteriore si è fatto meno largo in confronto all’anteriore. Il grado di usura che nel precedente aveva fatto sparire le sommità dei due tubercoli posteriori, qui-è poco inoltrato; ciò non di meno le colline sono regolarmente ricurve. Non avendo il dente la corona completamente conservata sul lato anteriore, non può vedersi il cer- cine che doveva esistere sicuramente; si nota tuttavia ancora il tubercolo accessorio. Sul lato posteriore il cercine è ancora visibile ma piuttosto assottigliato, e si estende fino sulla faccia esterna sotto al tu- bercolo posteriore. I denti della mandibola ben conservati sono tre sebbene oltre ad essi esistano frammenti più o meno Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 25% 198 D. DEL CAMPANA [52] grossi di corone, tra i quali mi sembrò di riconoscere un Pm2 destro (Tav. XXI [III], fig. 36). Dei tre ricordati uno fu figurato come Pm3, ma per quanto l’abbia esaminato non mi è. riuscito di identificarlo. La stessa conformazione dei molari rende talvolta difficile il riconoscerli ed assegnar loro un posto piut- tosto che un'altro, per l’ uniformità di corona che presentano ordinariamente. Forse non andremmo lungi dal vero ritenendoli per un M1 destro, M2 e M3 sinistri (Tav. XXI [III], fig. 37-38. A questo giudizio mi indurrebbe il carattere offerto in tutti dal lobo posteriore che è più ristretto dell’anteriore, ed il grado d’usura diversamente inoltrato, e lentamente decrescente dal M1 al M3; quest’ultimo si rivele- rebbe tale a parer mio anche per non presentare sul lato posteriore la superficie di contatto che gli altri presentano. Per ciò che riguarda i caratteri morfologici di questi denti, ben poco essi offrono di diverso da quelli di Zapirus arvernensis Cr. et Jos. del Pliocene e noi avremo luogo di conoscerli anche meglio più avanti nel confrontarli con quest'ultimi. Ricordo pure che insieme ai denti di Tapiro, furono rinvenute nelle ligniti del Casino tre falangi che il PANTANELLI assegnò allo stesso genere, senza darne la descrizione, Un confronto che ho potuto fare di queste falangi con quelle di Tapìrus americanus Lixn., mi farebbe ritenere che due di esse sieno le due prime falangi, l’una del metacarpo esterno sinistro, l’ altra del metacarpo esterno destro; per la terza non ho potuto riscontrarvi caratteri sufficienti per affermare con sicurezza se si tratta della prima falange del dito ulnare (5.° metacarpo) dell’arto sinistro, o la seconda falange del metacarpo esterno sinistro. Presa in tal modo cognizione dei resti di Tapiro del Casino, ci rimane a vedere in quali rapporti esso’ si trovi colle altre specie. Il riferimento al Tapirus priscus KauP venne fatto dal PANTANELLI prendendo come termine di con- fronto la figura data dal GaupRY, pei denti di quella specie, nella sua opera “ Les Enchaînements du Monde animal dans les temps géologiques (Mammifères tertiaires, pag. 63, Paris 1878) ,. Pur convenendo col GauDRY (Op. cit., pag. 8) sull’abilità dell’artista che eseguì le figure illustrative di quest'opera, è ne- cessario riconoscere che esse nel caso nostro non possono darci un termine di confronto troppo sicuro per una classificazione esatta. Prendendo quindi per termine di confronto col Tapiro senese, non già la figura del GauDRY sopra citata, ma la descrizione e le illustrazioni date dal MeyER (Op. cit.), pel Zapîrus priscus KauP di Eppel- sheim, si nota, che il Pm3 in esso ha sezione quadrata, mentre nel dente omologo del Tapiro senese la sezione è compressa in senso antero-posteriore ed appare regolarmente rettangolare; inducendo così neces- sariamente una diversa disposizione de’ tubercoli e delle colline trasverse. Per ciò che si riferisce al MI, basti l’accennare che mentre nel Tapiro di Siena la sezione è quadrangolare, più ristrettita all’ interno che all’esterno, nel Zapirus priscus KauP si presenta quasi completamente triangolare, facendo così variare notevolmente i caratteri morfologici della corona. Differenze minori si possono invece notare nel confronto tra i secondi molari. Però anche nel M2 del Tapiro di Siena, la sezione presenta, sebbene meno spiccato, il carattere riscontrato nel Pm3. Sem- bra altresì che il lobo posteriore sia meno ristretto rispetto all’anteriore, che nel Zapirus priscus KAUP; il quale presenta anche la valle interlobale più slargata e la vallecola posteriore più aperta. Anche nella disposizione del cercine basale si nota qualche piccola variante. Nei terzi molari le differenze tra le due forme aumentano e divengono più facilmente apprezzabili. Nel Tapiro di Siena il lobo posteriore si sposta marcatamente verso l'interno portando una notevole diversità nella sezione della corona; mentre le colline trasverse, specialmente la posteriore, descrivono [53] D. DEL CAMPANA 199 come si vide già una linea regolarmente curva, a differenza di quanto si osserva nel M3 del 7apèrus pri- scus KaAUP. Relativamente alle somiglianze che passano tra i molari inferiori del Tapiro senese e del Zapirus priscus KauP, il PantANELLI non ne fa alcuna menzione; nè invero se ne può dir molto perchè i denti del Casino hanno la parte basale della corona poco bene conservata. Si può in generale notare che il Tapiro di Eppelsheim, oltrechè per dimensioni maggiori, si distingueva per avere la valle interlobale più larga. Ad onta per altro di queste poche osservazioni, quelle fatte a proposito dei premolari e molari supe- riori sono tali, a parer mio, da farmi ritenere non esatto il ravvicinamento fatto dal PantANELLI al Za- pèrus priscus KauP del Tapiro del Casino. Resta ora a vedersi in quali rapporti si trovi quest’ultimo cogli altri Tapiri del Terziario; e noi cominceremo i confronti dal Tapiro delle ligniti di Sarzanello. Tanto nel Pm3 superiore del Casino come nell’omologo di Sarzanello lu sezione del dente è rego- larmente rettangolare. Le colline trasverse sono però nel secondo più rettilinee, anche se si tiene conto del diverso grado di usura. È pure meno sviluppata la collinetta secondaria che riunisce i due tuber- coli esterni; il tubercolo accessorio è un poco più piccolo. Il cercine è in ambedue i casi ugualmente distribuito, ma un poco meno ingrossato nel Tapiro di Sarzanello; la valle interlobale ha in quest’ultimo larghezza quasi uniforme, perchè i fianchi del tubercolo posteriore interno sporgono meno entro la valle che nel Tapiro del Casino. Il MI superiore del Casino diversifica dall’omologo di Sarzanello per la sezione della corona più accorcita all’interno, in proporzione della lunghezza del lato esterno, in modo da avvicinarsi più alla forma triangolare. Il Iobo posteriore è nel Tapiro di Sarzanello più spostato in dentro e ha la vallecola posteriore meno incavata, perchè in esso le colline trasverse posteriore ed anteriore sono più rettilinee. Per la valle interlobale serve ciò che si è detto riguardo ai terzi premolari. Il cercine basale sembra meno accentuato nel Tapiro del Casino ove manca sulla faccia interna, mentre esiste nel Tapiro di Sar- zanello. Anche in questo caso la collinetta secondaria che riunisce i due tubercoli esterni è più svilup- pata nel dente del Casino. Le stesse osservazioni possono ripetersi in generale riguardo ai secondi molari superiori nelle due specie avvicinate; coll’aggiunta che il M2 del Tapiro senese assume dimensioni molto maggiori dell’o- mologo di Val di Magra, che non gli altri denti sopra ricordati. Questa stessa osservazione vale pel M3 superiore. Quello del Casino ha le colline trasverse marca- tamente ricurve, mentre l’altro le ha quasi rettilinee. Nel primo la vallecola posteriore è più incavata che nel secondo; la stessa diversità si osserva nella valle interlobale. Altro carattere differenziale è dato dal cercine basale ugualmente distribuito nelle due forme, ma più ingrossato nel dente del Casino che in quello di Sarzanello. Tutte queste differenze che siamo venuti man mano notando, mi convincono a ritenere.le due forme separate, contrariamente al parere del CaPELLINI già riportato in principio. Tale osservazione sembrerebbe convalidata sempre meglio dai confronti da me fatti dal Tapiro del Casino col Zapirus arvernensis CR. et JoB., e dei quali vengo ora ad esporre i resultati. Il Pm3 del Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico avendo la corona quasi del tutto consunta nel- l'esemplare da me preso come termine di confronto, non permette di fare osservazioni estese; esso presenta non dimeno una sezione meno compressa in senso anteriore-posteriore che nel Tapiro del Ca- sino ed inoltre ha sulla faccia esterna in corrispondenza del tubercolo posteriore il cercine più ingrossato 200 D. DEL CAMPANA [54] e risalente lungo i bordi del tubercolo in modo da formare coi fianchi di esso una piccola cresta. Meno notevoli e quasi trascurabili sembrano le differenze tra il M1 del Casino e l’omologo dell’Auvergne, consistenti nell’aver quest’ultimo il cingolo ugualmente distribuito ma un po’ meno ingrossato. Anche in questo caso avendo il dente di Zapirus arvernensis Cr. et JoB. la corona ridotta per l’usura alla sua parte periferica i confronti non possono necessariamente essere molto estesi. Le somiglianze tra le due forme in questione cominciano a mostrarsi, ponendo a raffronto i secondi molari. Il dente del Casino si differenzia: pel cercine più assottigliato sulla faccia posteriore del dente, mentre è più spesso sull’esterna; per una valle interlobale un poco più ampia e per la collinetta secon- daria che riunisce i due tubercoli esterni meno ricurva, onde ne consegue che la doccia da essa formata coi fianchi del tubercolo posteriore è assai meno profonda che nel Tapirus arvernensis CR. et Jos. Que- st'ultima differenza si trova pure paragonando i terzi molari, tra’ quali per altro le somiglianze appaiono ancor meglio visibili non ostante il diverso grado di usura tra i due esemplari confrontati. Venendo ai confronti coi molari inferivri, un primo carattere differenziale che ci vien fatto di notare è che nel Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico questi denti hanno il lobo posteriore molto più stretto dell’anteriore; ora questa disparità di dimensioni esiste pure nel Tapiro di Siena ma non è, come si può vedere dal quadro delle dimensioni, così accentuata; oltre a ciò la valle interlobale sembra nel Zapirus arvernensis Cr. et JoB. più ristretta, per la lunghezza un poco minore in proporzione della larghezza. Le stesse osservazioni fatte riguardo al Zapirus arvernensis CR. et JoB. tipico, si potrebbero in buona parte ripetere confrontando il Tapiro del Casino col Tapirus arvernensis Cr. et JoB. del pliocene italiano. Questo se nei caratteri dei denti della mascella superiore si identifica perfettamente al Tapiro dell’Au- vergne per i denti della mandibola sembra quasi offrire un termine intermedio tra le specie di Crorzet e JoBERT e quella di Siena. Così la disparità dei lobi nei molari, che è come abbiamo visto molto spic- cata nel Tapiro dell’Auvergue, persiste ma è un poco meno accentuata nel Tapiro pliocenico d’Italia e nell’altro del Casino. Allo stesso modo la valle interlobale ha una larghezza che è di poco minore a quella dei denti del Casino, e di poco maggiore a quella dei denti dell’Auvergne; perchè, sia nel Zapirus arvernensis Cr. et JoB. tipico, come in quello del pliocene italiano, i molari hanno una lunghezza: in proporzione della larghezza, minore che nei molari del Tapiro di Siena. Queste differenze peraltro sono assai lievi, nè da paragonarsi con quelle che separano dalla specie pliocenica le altre appartenenti al miocene quali il Zupòrus priscus KaAuP, il Tapirus hungaricus MEYER. Tal circostanza mi ha indotto a tener separato il Tapiro del Casino, come semplice varietà, dal Zapirus arvernensis CR. et JoB. 4 II. ll Tapiro di Sarzanello. Tapirus Capellinii sp. nov. L'esistenza del Tapiro in Val di Magra ci è nota per alcuni denti trovati circa il 1880, nei banchi di lignite di Sarzanello e dei quali fece già oggetto di una interessante pubblicazione il prof. G. CapeLLINI !). A questa memoria, che l’autore corredò con una tavola di illustrazioni, rimando il lettore che voglia i) CAPELLINI G. Resti di Tapiro nella lignite di Sarzanello. R. Accad. d. Lincei, vol. IX, ser. 3.8, C1. di Sc. fisiche, 1881. [55] D. DEL CAMPANA 201 conoscere sempre meglio la specie in questione; essendomi sembrato inutile, dopo i confronti da me eseguiti, il rifigurare nuovamente dei pezzi che furono già resi di pubblica conoscenza con dei disegni che non si potrebbero desiderare migliori. Un solo dei denti di Sarzanello è isolato e fu ritenuto giustamente dal CaprELLINI per un Pm3 su- periore destro; altri quattro, riuniti su di un frammento di mascellare destro, sono un Pm4 coi tre mo- lari ed appartengono, insieme al primo, ad uno stesso individuo. Il CapELLINI riferisce al Miocene superiore i giacimenti in cui furon rinvenuti i resti fossili in que- stione e li dice corrispondenti all’orizzonte delle ligniti o marne grigie dei dipartimenti dell’Ain, del Rodano, dellIsére e Drome, del pari che ai giacimenti di vertebrati fossili di Cucuron e del Léberon, e più recenti del giacimento lignitifero di Montebamboli, caratterizzato dal Sus choeroîdes Pom. Lo studio poi dei denti di Sarzanello e i confronti fattine colle figure e le descrizioni della maggior parte delle specie fossili d’ Europa, mostrarono al CAPELLINI che si trattava di una specie avente stretta parentela col Tapirus hungaricus MEYER; supposizione la quale verrebbe secondo lo stesso autore, conva- lidata dalle misure dentarie non molto diverse nelle due forme poste a confronto. Nello stesso tempo però, il Tapiro di Sarzanello offre pure, secondo il CAPELLINI delle somiglianze col Zapirus minor DE SERR., e le affinità sarebbero date dal M3 che corrisponderebbe assai bene colle fisure dell’omologo di Zapirus minor De SERR. date dal GeRVAIS !. In forza quindi di tali considerazioni, il CAPELLINI si limitava a descrivere i resti di Tapiro senza attribuirgli ad una specie piuttosto che ad un’altra; estendendosi invece nello stabilire l’orizzonte geo- logico al quale appartenevano. Riprendendo ora lo studio del Tapiro di Sarzanello per farci un’idea esatta della specie alla quale appartiene, non può negarsi che i pochi resti su cui deve esser condotto il nostro studio non rendano ancor più difficile il venire ad una classificazione sicura, la quale dovrebbe basarsi in special modo sopra estesi confronti osteologici. Tuttavia 1’ uniformità di tipo riscontrata nel Zapirus arvernensis CR. et JoB. della Val del Serchio, di Valdarno e di Spoleto, ci conforta a ritenere che anche un confronto su pochi denti può metterci sott'occhio dei buoni caratteri specifici. In altra parte della presente memoria ho esposto le ragioni per le quali, secondo me, il Zapirus minor De SERR. deve essere riunito specificamenie al Zapirus arvernensis CR. et JoB. Qui noto intanto che il M3 di Sarzanello confrontato col molare esaminato dal GeRvAIS, mi avrebbe mostrato i seguenti caratteri differenziali. Nel Tapirus minor DE SERR. il tubercolo accessorio esterno è più ingrossato, nel modo stesso che nel Tapirus arvernensis CR. et JoB. Inoltre il cercine basale si nota sulla faccia esterna ugualmente distri- buito sul Zapirus arvernensis CR. et Jos. e nella figura del GeRvaIS; mentre nel M3 di Sarzanello è appena accennato. Riguardo alla struttura della corona si può vedere che la collina trasversa posteriore è nel Tapirus minor De SERR. ricurva come nel Tapirus arvernensis CR. et JoB., ed è invece quasi rettilinea in quello di Sarzanello. Anche la sezione della corona è diversa, perchè in quest’ ultima specie il lobo posteriore è più ristretto in confronto dell’anteriore, che nel Zapirus minor DE SERR. Tutti questi caratteri differenziali che distinguono ugualmente il Tapiro di Sarzanello dal Zapirus arvernensis Cr.et Jo. e dal Tapîrus minor De SERR., persuadono ad escludere che il Tapiro studiato dal CAPELLINI possa essere riunito al Tapirus minor De SERR. non ostante che le dimensioni del M3 in 1 GeRrvaIs P. Zoologie et Paléontologie francaise, pag. 104, tav. V, fig. 4. Deuxième édition. Paris, 1859. 202 D. DEL CAMPANA [56] queste due specie sieno uguali; e confermano nuovamente la riunione da me proposta della specie del De SERRES a quella di CRoIizet e JoBERT. i Resta ora a vedersi in quali relazioni si trovi il Tapiro di Sarzanello col Zupirus hungaricus ni Già il CAPELLINI, confrontando le misure dei denti da lui studiati con quelle degli omologhi di Za- pirus hungaricus MEYER, ebbe a riconoscere che non corrispondevano tra loro esattamente. Un esame più particolareggiato di tali misure, che io ho avuto cura di riportare nel quadro generale, ci mostra altresì che nel Zapiîrus hungaricus MeveR la larghezza, proporzionatamente alla lunghezza, è minore che nel Tapiro di Sarzanello. Se si confronta il Pm3 nelle due forme ora ricordate si osserva innanzi tutto che la sezione della corona è nel Tapiro di Sarzanello più compressa in senso antero posteriore in modo da esser quasi ret- tangolare; mentre tal carattere non si nota nel Tapirus hungaricus MEYER, sia che si prenda il terzo molare destro o quello sinistro per termine di confronto. Relativamente ai caratteri morfologici della corona, troviamo nel Tapiro di Sarzanello il cercine basale sulla faccia esterna meno ingrossato, mentre è sviluppato su tutta la faccia posteriore, e più esteso sulla anteriore; anche il tubercolo accessorio è più ingrossato. Manca sulla faccia interna del dente nel Tapirus hungaricus MevER l’inizio di cercine che si ha nel Tapiro di Sarzanello. La collina trasversa anteriore non offre diversità notevoli nelle due forme; la posteriore è più ri- curva nel Tapiro di Sarzanello. La collinetta secondaria che riunisce i due tubercoli esterni è ben visibile nel Tapirus hungaricus MEYER mentre è appena accennata nel Tapiro di Sarzanello. Osservazioni non molto diverse possiamo fare riguardo al Pm4 ed ai primi due molari; la sezione di questi mentre seguita ad essere nel Zapirus Rungaricus MEYER più o meno regolarmente quadrata, nel Tapiro di Sarzanello è invece più o meno compressa dall’avanti all’indietro. Questo carattere che si continua, sebbene meno accentuato, fino nel M3, altera come è naturale gli. altri caratteri morfologici della corona, che nella specie del MeyeR ha le colline trasverse più brevi, la valle interlobale più larga, più sviluppata la collina secondaria che riunisce i due tubercoli esterni. Anche il cercine si trova più sviluppato sulla faccia anteriore e posteriore dei denti, mentre non è accen- nato, o lo è debolmente, sulla faccia interna di fronte alla apertura della valle interlobale. Potremmo anche notare che i denti sono impiantati sul mascellare del Tapiro di Sarzanello in ma- niera da formare colle loro faccie interne una curva facilmente apprezzabile, carattere che non si nota nel Tapirus hungaricus MEYER. Su questo carattere per altro non credo sia da insistere soverchiamente, perchè può benissimo essere prodotto da una deformazione subita dal mascellare di Sarzanello, al modo stesso che nel cranio di Za- pirus hungaricus studiato dal MeyER la pressione ha diminuita l’altezza. Ciò non ostante le differenze morfologiche dei denti, che abbiamo notato sopra, forniscono. prada me, sufficienti ragioni per tenere il Tapiro di Sarzanello separato specificamente anche dal Tapirus hRun- garicus MEYER. Tralasciando i confronti con altre specie fossili le quali non hanno nessuna relazione PRI Tapiro di, Val di Magra preme piuttosto vedere i rapporti che vi possono essere coi Tapiri italiani. Abbiamo già esaminato i rapporti che passano col Tapiro del Casino e la conclusione delle nostre osservazioni è stata di ritenere quest’ultimo specificamente separato dal congenere di Sarzanello;. non ci resta dunque che esaminare le relazioni tra quest’ultimo ed il Tapirus arvernensis CR. et JoB. Il Pm3 del Tapiro di Sarzanello, confrontato coll’omologo del Tapirus arvernensis CR. et JoB. si diffe- renzia al solito per la sezione più regolarmente rettangolare. Il tubercolo accessorio è in questo più ac- [57] D. DEL CAMPANA 203 centuato, mentre è molto meno sviluppata la cresta sui fianchi del tubercolo posteriore esterno. Anche il cercine basale sebbene ugualmente distribuito, è meno ingrossato; il lobo posteriore ha la collina trasversa di poco più breve; la valle interlobale è meno profonda; la collinetta secondaria che riunisce i tubercoli esterni si trova appena accennata. Il Pm4 del. Tapîrus arvernensis Cr. et Jos. si distingue dall’omologo del Tapiro di Sarzanello oltre che per maggiori dimensioni, perchè la sua corona ha forma meno regolare avendo i due lobi larghezza diversa. Anche la sezione della corona è per conseguenza diversa, avendo il dente di Sarzanello una maggior larghezza in confronto della lunghezza. Sulla faccia anteriore di essa si nota il cercine basale poco sviluppato e il tubercolo accessorio ingrossato sulla faccia esterna del dente; il cercine non si estende oltre la base del tubercolo posteriore. Anche nel Tapìrus arvernensis CR. et JoB. si osserva questo partico- lare, colla differenza però che il cercine si assottiglia assai in corrispondenza della base del tubercolo posteriore ed oltrepassatala, sì arresta ad un tratto, dando luogo ad un piccolo rigonfiamento che rimane situato in mezzo alle basi dei tubercoli esterni. I confronti col M2 superiore di Zupirus arvernensis Cr. et JoB. mostrano dimensioni minori nel dente omologo di Sarzanello, il quale anche in questo caso ha, in proporzione della lunghezza, una lar- ghezza maggiore. Relativamente ai caratteri della corona, questa ha nella nostra specie colline trasverse più marcata- mente ricurve, tubercolo accessorio meno ingrossato e cercine basale più sviluppato che nel dente di Sarzanello. Inoltre la collina trasversa anteriore ha sul fianco anteriore, a circa metà del percorso, un piccolo rigonfiamento, mancante nel molare di Sarzanello. Quest'ultimo si differenzia anche per l’inizio di cercine basale che mostra sulla faccia interna. Noto pure che il cercine basale è sulla regione esterna posteriore, regolare nel dente .di Sarzanello; mentre nell’altro, presso la base del tubercolo posteriore esterno, si sdoppia come abbiamo visto, quasi dando origine ad un piccolo tubercolo accessorio rudimentale. Non meno interessanti sono i confronti che abbiamo potuto fare col M3 del Tapirus arvernensis CR. et Jog. Noi abbiamo già avuto occasione di farne alcuni, confrontando il Tapiro di Sarzanello col Tapîrus minor De SERR.; ora dobbiamo aggiungere che nel Tapirus arvernensis Cr. et Jos. oltre alle dimensioni, al solito maggiori, la differenza tra i due lobi è molto più accentuata e la collina se- conderia che riunisce i due tubercoli esterni molto più obliqua verso l’interno, in modo da formare, come sappiamo, coi fianchi del tubercolo posteriore una scanalatura la quale è appena accennata nel Tapiro di Sarzanello. La collina trasversa anteriore è nella specie da noi studiata regolarmente curvata, mentre nel Ta- piro di Val di Magra è più aperta e quasi rettilinea. Le stesse osservazioni si possono fare riguardo alla collina trasversa posteriore, sebbene sia meno ricurva della precedente anche nel Tapirus arver- nensis CR. et JoB. Il cercine basale non offre diversità molto notevoli, ma il tubercolo accessorio nel Tapiro di Sar- zanello appare più schiacciato. Finalmente il principio di cercine, che in ambedue i denti confrontati si nota sulla faccia interna, mentre nel Tapirus arvernensis Cr. et Jor. è spostato verso il lobo anteriore, nell’altro di Sarzanello si nota situato in mezzo ai due lobi. I confronti ora terminati ci portano quindi a riconoscere che il Tapiro di Sarzanello si mostra di- verso per molti caratteri anche dal Tapiro del Pliocene d’Italia. Onde mi sembra di poterne concludere chc il Tapiro vissuto durante il Miocene nella Val di Magra era distinto tanto dagli altri Tapiri che 204 D. DEL CAMPANA [58] vissero in Italia durante il terziario superiore, quanto dal Tapirus hungaricus MEYER e dal Tapirus minor DE SERR. Possiamo anche riconoscere che di tutte queste forme, quella del Casino: era forse una delle più vicine al Tapiro di Sarzanello. Ma i caratteri su cui tal vicinanza è basata, non sono, secondo me, indizio di razza, o età, o sesso diversi; ciò si può con ragione affermare dei Tapiri del Casino e di quelli del Pliocene italiano; ma dai confronti eseguiti non parmi possa dirsi lo stesso del Tapiro di Sarzanello rispetto all’altro del Casino. Per questo appunto nel presente lavoro il Tapiro di Val di Magra appare sotto la nuova determinazione specifica di Tapirus Capellini. Finito di stampare il 31 ottobre 1910. MARIA RAVAGLI NUMMULITI E ORBITOIDI EOCENICHE DEI DINTORNI DI FIRENZE (nav SC, > [100] INTRODUZIONE L'importanza dello studio dell’Eocene appenninico mi ha suggerito di studiare quello del bacino di Firenze, nel quale fu raccolta una discreta serie di Nummuliti, in strati differenti, di successione ben determinata; esposi nel 1908 in una nota, un breve riassunto di questo lavoro che oggi svolgo per maggiore conoscenza di fossili e per il valido aiuto di altri lavori su calcari nummulitici. Per potere meglio comparare le mie conclusioni e mostrare alcune disparità con le ultime idee espresse, credo bene di riassumere le principali osservazioni litologiche e cronologiche sui detti terreni. I primi studi sono quelli del TareIonI. Essi risalgono circa ad un secolo e mezzo fa (1745); in essi egli parla genericamente di pietre lenticolari, di arenaria contenente in qualche parte lapilletti, come cicerchie o altri simili legumi e di calcari evidentemente nummulitici trovati presso Vingone (Mosciano) e presso S. Donato, nei dintorni di Firenze. Per altro non troviamo nei suoi lavori nessun accenno cro- nologico e assai incerta rimane per l’autore la natura delle formazioni calcaree (con nummuliti). Quasi trent'anni dopo il Sorpani nei suoi lavori, pubblicati nel 1770, nota i calcari a coclee minime e testacei microscopici trovati a Pontassieve, che sono i calcari nummulitici della stessa località. Notevole nella serie degli studi posteriori è la Conchiologia fossile del BroccHI (1814), nel primo volume della quale venivano accuratamente studiate le roccie dell'Appennino rispetto alla loro origine ed alla loro posizione stratigrafica. Il così detto terreno del macigno, (roccie calcaree-marnose, argillo-scistose, Scaglie-arenarie) che forma gran parte dell’Appennino settentrionale, veniva considerato in questo lavoro, come negli altri lavori contemporanei di geologia generale, nei quali si accenna ad esso, tra i terreni di transizione. Il BroccHI distingue già le roccie dell’Appennino secondo due formazioni: I. di transizione — con la grauwache, arenaria macigno, con calcari bruni di fattura scagliosa, con scisti argillosi. II. secondaria — con calcari stratificati. Il SAvI più tardi studiava la successione negli strati dell'Appennino ed in un suo lavoro! trattò della stratigrafia di Mosciano, traendo conclusioni le quali sollevarono dubbi nei geologi. Per questo, nel 1841, si tenne un congresso di scienziati a Firenze e si fece un’escursione a Mosciano, come risulta 1) Savi PaoLo. Delle masse ofiolitiche della Toscana ecc. Nuovo Giorn. dei Lett., vol. XVII, 1838. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. i 26 206 ù M. RAVAGLI [2] dagli “ Atti del Congresso di Firenze , pag. 148, e si concluse all’esistenza di un calcare nummulitico cretaceo nel macigno della Toscana. Si videro, nell’escursione, cominciando dal luogo detto “ Arrigo , gli strati succedersi dal basso all’alto nella seguente disposizione: I. Alberese con selce piromaca; II. Macigno friabile a grossi elementi ; III. Calcare alberese ; IV. Calcare nummulitico ; V. Straterelli di argilla scistosa ;- È VI. Letticciuolo di calcare alberese e calcare nummulitico, saldato insieme ; VII. Alternanza di graritello e alberese marnoso più o meno con fuciti. Vi fu un disparere fra il CoLLeeno ed il Pasini, affermando il primo la rassomiglianza fra il calcare nummulitico di Mosciano e queilo di Gassino, negandola il secondo. Pochi anni dopo, propriamente nel 1846, il Savi, che aveva già separato nel 1845 ! il calcare albe- rese dal macigno e che aveva notato come questo si trovasse sempre inferiormente, tuttora ritenne cre- taceo il macigno edi calcari e considerò come primo strato della creta superiore i calcari con nummuliti. Nella “ Geologia dei Monti Pisani (1846) , dà il seguente quadro, sintetizzando l’opinione sua, nella serie secondaria superiore dell'Appennino Toscano: I. Calcaria compatta con nummuliti subsferiche e altre foraminifere ; II. Calcaria alberese con selce piromaca; III. Culcaria alberese con selce piromaca e con fucoidi; IV. Arenaria macigno e calcari marnosi argillosi, con fucoidi; V. Calcaria marnosa argillosa racchiudente alcune volte la VI. Calcaria screziata con fucoidi, la quale negli strati inferiori contiene selce. Un passo.maggiore si fece col Prrta, il quale molto si occupò della stratigrafia dell'Appennino. Nel 1846, nel suo lavoro “ Distinzione del terreno etrurio fra i terreni secondari del Mezzogiorno d’ Europa ,, al terreno del macigno riunì il calcare nummulitico di Mosciano ma lo ritenne diverso da quello del Vicentino, di Comabbio in Lombardia, di Gassino nel Piemonte, i quali calcari, per le specie contenute, erano considerati eocenici. Questo macigno di Firenze conteneva invece, secondo lui, anche specie della creta, come ammoniti (esemplari che noi sappiamo appartenere alla pietraforte cretacea) e questo carat- tere paleontologico, attribuito erroneamente al macigno, faceva sì che il Pinta non considerasse il terreno come eocenico, mentre altri fossili (nummuliti) lo staccavano dalla creta. E così questo terreno, sebbene coetaneo al terreno nummulitico delle Alpi e dei Pirenei, venne separato da esso e formò il terreno etrurio del PitLa, ritenuto terreno di transizione fra la creta e l’eocene. Esso equivaleva al terreno epicretaceo di LeyMERIE”, che comprendeva terreni dei Pirenei a nummuliti ed a fossili cretacei. I costituenti litologici principali del terreno etrurio erano: strati di macigno compatto, scistoso, friabile; strati di calcari marnosi, marne scistose ed argille scagliose. La serie di questo terreno etrurio è la seguente: 1) Savi P. Considerazioni geologiche sull’ Appennino pistoiese. Firenze, 1845. ? LeyMERIE. Bulletin de la Société géologique de France, 2.®° série, tome II, pag. 11. [3] M. RAVAGLI Do (=) N Terreno etrurio superiore. Conglomerato di ciottoli calcarei; Macigno friabile ; Calcare marnoso (alberese) con marna scistosa, e con indizi di fucoidi nel macigno; Calcare nummulitico ; Calcare marnoso. Terreno etrurio inferiore. Calcare marnoso gialliccio, (alberese); Macigno compatto, (pietra serena); Calcare compatto a grana grossa con straterelli di pietraforte. Considera il PrLLa due macigni, il superiore poco solido e friabile, l’inferiore compatto. Il macigno delle Alpi o flysch, che ricuopre :1 nummulitico, si deve ascrivere al macigno superiore. Nel 1847 nel “ Trattato di Geologia , il Pica riconferma le sue idee sul terreno etrurio. Nella settima riunione degli scienziati nel 1847 (Atti del Congresso di Torino) il ParETo parlò delle colline presso il paese di Montelupo. Queste colline presentano banchi di macigno di grande durezza, in mezzo ai quali si vedono banchi di argille, marne argillose e calcari marnosi: sopra questi, altri banchi di macigno in modo da mostrare, con evidenza, la sovrapposizione del macigno al calcare: questo macigno si collega con quello di Mosciano. Il MurcHIson nellavoro “ Sulla struttura geologica delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi (1850) ,, esclu- deva la denominazione di terreno etrurio, essendo, secondo lui, inammissibile un terreno composto promiscua- mente di strati ritenuti secondari e terziari. Tentò di separare, cou l’aiuto della stratigrafia e dei fossili, il macigno e il calcare nummulitico dei dintorni di Firenze, dagli schisti galestrini e dal calcare alberese inferiore ed attribuì ad esso età eocenica; ritenne cretacei la pietraforte ed il calcare alberese. Peraltro, già nel 1846, il Siswonpa avvertiva che il calcare nummulitico, che si trovava sotto il macigno, conte- neva fossili da riferirsi all’eocene. Se si raffrontano i risultati del Pica e del MurcHISON si vede come l’etrurio superiore del primo corrisponda all’eocene del secondo autore, e come l’etrurio inferiore corri- sponda alla creta superiore. Secondo il MuRcHISON è, d’altra parte, difficile definire i precisi confini fra il secondario ed il terziario per mezzo dell’alberese, essendo questo nome attribuito troppo vagamente ad ogni calcare impuro, che s’alterni o s’immerga sotto il macigno. Abbiamo del MurcHISON uno spaccato di Mosciano, nel quale gli strati si succedono bene gli uni agli altri, ma nell’ordine perfettamente inverso a quello reale. Difatti il calcare nummulitico è superiore al calcare alberese, ma sormontato a sua volta da una vasta massa di arenaria macigno. La ragione di questo spostamento sta nel non aver egli osser- vato il rovesciamento degli strati, per il quale, abrasa l’anticlinale, si trovò prima un calcare nummuli- tico, poi superiormente gli strati del macigno, superiori sì al calcare nummulitico, ma formanti gli strati più interni della piega, quindi cronologicamente più vecchi. Stratigraficamente la serie è così: 1.° Arenaria macigno; 2.° Calcare impuro, che passa gradatamente al 3.° Calcare grigio con Nummulites e con altri foraminiferi; 4.° Argille scistose con sottile zona di macigno; 5.° Calcari chiari. i 208 M. RAVAGLI [4] La conclusione, che riguarda l’arenaria macigno, data dal MurcHISsoN, è questa: “ il macigno è la massa più alta, ed è solamente ricoperta da strati terziari miocenici ,. Furono accettate queste opinioni e nello stesso anno il Savi e il MENEGHINI ” scrivevano appartenere “ al più antico periodo dell’epoca terziaria, ossia all’eocenica, tutte quelle rocce stratificate, le quali là, “ dove la serie è completa, incominciando al disotto della miocenica, si continuano con successione non “ interrotta, fino a tutta la zona nummulitica esclusivamente ,. Il MENEGHINI studiò inoltre i fossili di Mosciano, comprese le nummuliti, e fece l’osservazione che, per quasi tutte le specie, lo sviluppo in diametro è minore sempre di quello rappresentato dalle stesse specie di località differenti; ritrovò che esse erano le stesse rappresentate nel Veronese, nel Vicen- tino, nella Majella, nel Gargano ecc. Trovò a Pontassieve e descrisse ? un /noceramus. come prove- niente dai terreni eocenici. Era questa verità, ma fu ritenuta come errore, perchè universalmente, si rite- neva che gli Inocerami fossero distintivi della creta e mentre prima gli attribuirono il nome di eocericus, perchè tale lo ritenevano, poi lo riunirono all’ Inoceramus Lamarckì e, seguendo in altri successivi lavori l’opinione comune, lo ritennero documento dell'età cretacea della pietraforte di Firenze. Il Pareto e il CoccHI seguirono anch'essi le idee del MurcHIson. Il CoccHI nel suo lavoro Deseri- ption des roches ignées et sédimentaires de la Toscane dans leur succession géologique, del 1856, consi- dera sempre come cretacea la pietraforte e le altre roccie che l’accompagnano e che sono sempre sotto il calcare nummulitico; divide il complesso di roccie appenniniche, in argille schistose, in alto, in ma- cigno, nella parte mediana e in calcare nummulitico, alla base. Secondo tale autore la serie dall'alto in basso sarebbe la seguente: 3) 3.° Scisti superiori (alberese); 2.° Macigno; 1.° Calcare nummulitico e suoi schisti. L’ordine stratigrafico del MurcHIson per i dintorni di Mosciano fu seguito anche dal GrarTAROLA nel 1860 4) nell’enumerazione degli strati di quel terreno. Il Dr STEFANI °) divise questi terreni eocenici in tre piani; superiore, medio, inferiore e pose il macigno nel piano medio ed il calcare nummulitico nel piano inferiore. All’ eocene medio, o strati del macigno, il PARETO aveva dato il nome. di liguriano, al- l’eocene superiore di modenese, denominazioni usate in seguito qualche volta anche da altri. L’età at- tribuita al macigno ed ai calcari nummulitici dell’Appennino in genere, è giusta; diversa però è la po- sizione stratigrafica del calcare nummulitico di Mosciano. Il LortI, non riconoscendo il rovesciamento di Mosciano, che aveva indotto in errore il MurcHISON, il Savi ed altri, nel 1885 9, descrivendo le prin- cipali formazioni eoceniche, dà il seguente ordine discendente: 1.° Calcari alberesi, con strati nummulitiferi, specie alla base. 2.° Calcari marnosi grigi, schisti argillosi, arenaria calcarea fine, compatta (pietraforte) che domina esclusivamente sotto il macigno (nel tratto montuoso dall’Impruneta alla Gonfolina). Calcari nummulitici a diversi livelli e Inocerami alla base. 1) Savi e MENEGHINI. Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana. Firenze, 1850. 2) Ip. Ip. Op. cit., pag. 424. 3 CoccHi I. Geologia dell’ Italia centrale. 1864. 4 GrattAROLA G. Taglio del Viale dei Colli. 5) De STEFANI C. Quadro comprensivo dei terreni dell’ Appennino settentrionale. 1880. 9 LortI B. La creta e l’eocene nei dintorni di Firenze. [5] M. RAVAGLI 209 3.9 Calcari screziati nummulitici e schisti rossi. 4.° Arenaria macigno (ritenuta fino allora superiore alla formazione calcarea nummulitica). Così il macigno dei dintorni di Firenze tornò ad essere incluso nella creta. E tale viene ancora creduto dal Lori nel 1885, dal De SterANI nel 1891 ”. Nel 1892 lo stesso De StEFANI® segue le opinioni del LomtI, cioè ritiene l’arenaria inferiore al calcare nummulitico e cretacea, ma per la prima volta rico- nosce il rovesciamento di Mosciano, dove il macigno compare sotto il calcare nummulitico; così si comprese come MurcHISon avesse dato la citata successione nei terreni, non essendosi accorto del rove- sciamento. Per qualche anno adunque il macigno fu considerato di nuovo come cretaceo, fino a che Tra- Bucco in una sua nota preliminare “ Sulla posizione del calcare di Mosciano e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze ,, mise l’arenaria macigno nell’eocene inferiore o ipresiano. È giusto dire, che nello stesso anno il Lotti ® tornava a credere che “ tutte le arenarie del Chianti e quelle di Firenze, che “ trovansi nella identica posizione stratigrafica, siano eoceniche, e non cretacee, almeno finchè alle num- “ muliti sarà mantenuta l’importanza paleontologica, che oggi viene ad esse attribuita ,. Questa opinione venne consolidata da caratteri paleontologici, quando il De STEFANI col TRABUCCO e col MarINELLI trovarono nummuliti isolabili nel macigno di S. Andrea a Sveglia; altre in seguito se ne rinvennero anche in altre località. Così nel 1895 il TraBucco riconferma l’eocenità del macigno con scoperta di resti organici eocenici in esso, e nello stesso anno il MARINELLI * ci dà notizie stratigrafiche sul terreno di questa località: sembra che si tratti “ di un ampio sinclinale che passerebbe per la località fossilifera e limiterebbe ad “ oriente l’anticlinale che, secondo il DE STEFANI, corrisponde con l’arenaria del Poggio di Firenze, il “ quale rappresenta in certo modo, la continuazione dell’anticlinale di Fiesole ,. Riguardo all’età, nel lavoro citato del 1894, TraBuUcco colloca 1’ arenaria nell’eocene inferiore : dimostrerò con dati paleontologici, che appartiene invece all’eocene medio. Questa opinione è anche manifestata dal De Sterani ®. Il Sacco © nel 1895 ritiene eocenici i calcari di Villamagna, ma consi- dera cretaceo il nucleo di arenaria della Valle del Mugnone, che, come tale, è segnata nella sua carta geologica della Toscana. Tale idea non può essere più sostenuta, chè nummuliti, in discreta quantità, si trovano sparse in quella arenaria di grana molto fine, la quale è propriamente dell’eocene medio. Il DaneLLI negli “ Appunti dì stratigrafia della valle del Mugnone (1903) ,, spiega l'andamento degli strati con un anticlinale presso S. Andrea a Sveglia ed afferma che la roccia più antica che affiora nella se- zione Fiesole-S. Andrea-Monte Senario, sia questo macigno eocenico, mentre poi, calcari e galestri, an- cora eocenici, cumpaiono intercalati talora ad esso, anche nei dintorni di Mosciano, talora sottostanti, come pure risultava dallo spaccato della Gonfolina pubblicato dal PARETO. Ora passo brevemente ad accenare i miei resultati. Materia dei miei studi furono le Nummauliti, ma accennerò inoltre alle Assiline e alle Orbitoidi, assai abbondanti in alcuni calcari, peraltro in linea secondaria, perchè possono poco servire a determinazioni cro- nologiche precise. 1) Dn STEFANI C. I terreni e le acque del bacino di Firenze. 2) DE STEFANI C. Le pieghe dell’Appennino fra Genova e Firenze. 3) LortI B. Rilevamento geologico, eseguito in Toscana nell’anno 1893. 4 MARINELLI O. Il calcare nummulitico di Villamagna. ° DE STEFANI C. Osservazioni geologiche sul terremoto del maggio del 1885 in Firenze. 9) Sacco F. L’Appennino settentrionale. 210 M. RAVAGLI fi: [6] Tuttavia anch'io sono a credere, come lHeim che il parallelismo delle Nummuliti a grande di- stanza sia difficile poichè esse rispondono spesso alla ripetizione di una facies. È comune nei calcari di Firenze, come per molte località, l’associazione di forme di piani differenti, nel qual caso solo forse potrà condurre ad una conclusione la prevalenza di un tipo su d’un altro. Determinata precedentemente la successione stratigrafica degli strati nummulitici nella serie eoce- nica di Firenze, passo ora direttamente alle conclusioni, alle quali sono giunta mediante lo studio dei fossili. La parte inferiore è rappresentata dal macigno di S. Andrea a Sveglia e di Munte Rinaldi, dove le nummuliti stanno nell’arenaria più o meno fine, scarse e difficilmente isolabili; vi si trovano le seguenti specie: Gimbelia lenticularis Derr., Paronaea Tchihatchefi D’Arcn. et ‘H., Paronaca venosa Ficnr. et MoLr, Paronacea sub-Beaumonti De LA Harpe, Paronaca discorbina ScHLotB. Fatto caratte- ristico è la predominanza della Grmbelia lenticularis DEFR.; 1 habitat di questa nummulite và dal lu- teziano medio, al luteziano superiore a Biarritz, e nella scala delle nummuliti, come indica il PREVER, sale raramente al bartoniano a Forca di Presta nell’Appennino centrale e nei dintorni di Potenza nel- l'Appennino meridionale; anche in Firenze il numero di essa diminuisce rapidamente quando si salga nei calcari superiori, fino a scomparire del tutto negli strati più giovani. Le altre specie non hanno grande valore cronologico avendo habitat esteso. Noto a proposito della Paronaea Tehihatchefi D’ArcH. et H. e della sua compagna a microsfera Paronaea complanata, come abbiano distribuizione assai più estesa di quella che non attribuisca loro il Prever ? nella scala delle nummuliti, dove sono considerate specie del priaboniano. Il fatto di ritrovarle in strati più antichi non si verifica solo nei calcari di Firenze, ma anche nel- l’Istria dove ebbi occasione di notare il gruppo della Paronaea Tehihatcheffi-complanata e della Gim- belia lenticularis-aturica al disotto del piano delle Assiline, in Calabria 3), nell'isola di Candia, nella Spazna, nella serie nummulitica di Termini Imerese dove si trova associato alla Numm. laevigata. Il MartELLI 4) fa notare la stessa associazione in Dalmazia e aggiunge come la fauna di Monte Marian (Spa- lato) sia simile a quella di S. Giovanni Ilarione. Ora a S. Giovanni Ilarione, come resulta dai lavori di HeBERT ® e di Muxier-CHanMas 5, si trova ben sviluppato il luteziano, di cui questa associazione formerebbe la nota caratteristica degli strati su- periori; anche a Monte Marian (Spalato) è sviluppato lo stesso piano; ritengo però che questa arenaria macigno di S. Andrea a Sveglia possa ritenersi del luteziano superiore. Negli strati calcarei di Ronco o di Madonna del Sasso sovrastanti all’arenaria si trovano molte specie tra le quali Grimbelia lenticularis DEFR., Paronaca latispira Mer., Paronaea Guettardìi D’ArcH. et H., Paronaca subirregularis De LA HArPE, Paronaea subgarganica Tenu., Paronaca venosa Ficur. et Mor, Paronaea variolaria Sow., Paronaea densispira TeLn., Giimbelia Rouaultie, Paronaea Heberti D'ARcR. et H.; è abbon- dante la Brugwieria Ficheuri PREVER e rara la Paronaca Dollfusi CaECcHIA-RISPOLI. Cominciano ad apparire rarissime le Assilinae e le Orditoides. Ho potuto isolare un solo esemplare di Operculina, la Op. ammonea. i) Him. Die Nummuliten und Flyschbildungen der Schweizeralpen. Mem. de la Soc. paléontol. suisse, vol. XXXI, : pag. 281. 1908. 2 Prever. Le Nummuliti di Forca di Presta e dei dintorni di Potenza. 1902. 3) Cortese. Descrizione geologica della Calabria. 1895. 4) MARTELLI. Fossili di Spalato ece., pag. 49. 5) HEBERT. Thèse du doctorat. 1871. 6) MunieR-CHALMAS. Compte rendu, LXXXV, pag. 122. 7] M. RAVAGLI 211 Le Assiline appartengono alla specie mamillata che si trova in tutti i piani dell’eocene medio, come pure la Op. ammonea. Fra le Orbitoîdes ho trovato tutte specie appartenenti al genere Orthophragmina e sono: la Orth. stella, la Orth. stellata, la Orth. Marthae, la Orth. Taramellii, la Orth. scalaris, la Orth. Di Stefanoì. Come resulta dai lavori dello ScaLumBERGER ® le Orthophragmina Actinocyclina, rappresentate dalla maggior parte dei miei esemplari, si trovano tanto nel luteziano che nel bartoniano. Dagli studi nu- merosi fatti in seguito si è potuto verificare come non abbiano nessun valore stratigrafico, e come si trovino talvolta associate a forme della creta”, ed a forme più giovani. Dunque il riferimento cronologico non si può fare se non in base alle nummuliti. In questi calcari esiste, si può dire, un passaggio fra i due piani luteziano e bartoniano, con prevalenza assoluta del secondo. Difatti la Paronaea latispira Men. e la Giimb. lenticularis DEFR. sono rarissime, mentre è ab- bondante la Paronaea variolaria Sow. che in tutti i bacini è caratteristica, per la sua abbondanza nel bartoniano; la Paronaea subirregularis De LA HARPE, associata alla Paronaea Heerì De LA HARPE, alla Pa- ronaea Guettardi D’ArcH. et H., alla Paronaea Biaritzensis è in Dalmazia negli strati più alti dell’eocene medio; le altre specie non sono caratteristiche; si trovano in prevalenza abbondanti nel bartoniano, al quale piano attribuisco questi calcari. Ritengo debba considerarsi cronologicamente rispondente agli accennati, il calcare di Rosano, ric- chissimo di Nummulites e contenente qualche Orbitoides, per la grande somiglianza di fauna. Le piccole variazioni paleontologiche, la presenza, per esempio, di nuove specie di nummuliti, Giimb. subitalica; TeLL., Paronaca irregularis De La HARPE di qualche nuova Orbitoîdes, la Orth. radians, la Orth. aspera, non hanno valore cronologico, trovandosi queste specie verticalmente assai diffuse. Nel calcare di Mosciano esistono le stesse specie, si perde la Paronaca latispira MeH. ed è ra- rissima la Gionb. lenticularis DEFR., si trova anche molto rara la Paronaea Fichtelo Mica. varietà. Questa specie tipica, caratteristica se è associata con la Par. Boucheri-vasca di strati giovani, nel nostro caso associata a forme antiche, perde del suo valore e non dà altro che un accenno di un piano più giovane. A Firenze gli individui di Brug. Fichteli MicHt. non rappresentano la forma tipica ma una varietà inde- terminata del TeLLINI appartenente come egli scrive ai giacimenti bartoniani del Piemonte. L'associazione di queste specie con altre eoceniche si trova anche nella Montagna di Klansinburg in Transilvania 5 e nei calcari di Termini Imerese 4. Questi calcari succedono dunque agli accennati con un carattere più giovane, dato dalla scomparsa della Paroraca latispira Men. e della Gimb. lenticularis DeFR. e dalla pre- senza della Paronaea Fichteli MicHT. varietà. La parte eocenica più alta della nostra serie nummulitica è rappresentata dai calcari ad Helmin- thoidea di Poggio a Luco. Riguardo a questi calcari, che il prof. MarinELLI ha studiato ed ha ritenuto appartenere all’eocene medio, in base alle poche specie di nummuliti sino allora trovate, io ritengo doverli riferire all’eocene superiore anzichè all’eocene medio, a ciò portata dall'esame di numerose sezioni da me fatte. Le Nummulites sono abbondantissime, così pure le Orthophragminae che sono la ripetizione di quelle trovate negli altri calcari. Le nummuliti sono la Paronaea Guettardi D’ARCcH. et H., la Paronaea 1) SCHLUMBERGER. Quatrième note sur les Orbitoides. Bull. de la Soc. géol. de France, 4.° série, tome IV, fasc. 2, 1904. ® CHECccHIA-RispoLi. Serie nummulitica dei dintorni di Termini Imerese, pag. 65 e 67. 3 MayrR-Evmar. Sur le Flysch de Biarritz. Bull. de la Soc. géol. de France, 4.° serie, tom. II, fase. 4.0, 1903. 4. CHEccHIA-RIspoLI. Il Vallone Tre Pietre. L. cit., pag. 67. 212 M. RAVAGLI [8] venosa Ficar. et Mot, la Paronaca subirregularis De LA HARPE, la Paronaca Tournotieri DE LA HARPE, la Paronaea Tournoiieri var. laxispira De ra HARPE, la Paronaca Boucheri De LA Harpe, la Paronaca bericensis DE LA HARPE, la Paronaca budensis HANTK. Le prime quattro specie si trovano nel bartoniano e nel priaboniano superiore ! la Paronaea Tour notieri De LA HARPE è la specie di livello più alto. Nella scala di Munier-CHALMAS, forma il primo fra gli orizzonti nummulitici; nella scala del PREVER, è segnata assai più in alto, nel bormidiano; dal TELLINI è posta nel tongriano; si trova comune a Belforte, Dego, Cassinelle. Nella regione alpina la fauna nummulitica del priaboniano superiore è rappresentata dalla Paronaea Tournoiieri De LA Harpe, dalla Paronaea Fichteli Micat., dalla Paronaca Chavannensis De LA HARPE e dalla Paronacea Boucheri De LA HARPE; simile fauna si trova in Firenze. Nel Vicentino e nei Colli Berici il tongriano è segnato dalla Paronaea vasca- Boucheri De LA HARPER, Paronaea Tournoiieri De LA HARPE, dalla Orth. varians, Orth. nummulitica, Orth. Marthae. La Paronaea Boucheri, tanto nel Piemonte che nel Veneto, si trova nel tongriano; viene consi- derata dal FABIANI, come risulta «dal suo quadro comparativo sui terreni, come specie del tongriano e dello stampiano. La Paronaca budensis HANTK., ritenuta altre volte oligocenica, fu raccolta in strati dell’eocene di indubbia determinazione, nel gruppo del M. Iudica a Rione Patara (Trabia) e nei dintorni di Catenanuova dal CaEccHIA-RIspoLI ®, da HAnTKEN fu rinvenuta nelle marne di Buda (strati a Clavulina Szaboi) che se furono ritenute oligoceniche da molti autori, da molti altri sono ritenute ora eoceniche. La Bruguieria sub-Fabiani PrEvER fu trovata nell’eocene superiore a Priabona (priaboniano medio = bartoniano del FABIANI) 3), nel tongriano di Laverda nel Vicentino, e nel priaboniano dei Colli Berici #. In riassunto vi è associazione di forme del priaboniano medio e superiore e del tongriano; per la predominazione delle seconde sulle prime e per la rispondenza della fauna del calcare nummulitico di detta località con gli altri accennati, concludo che si possono ritenere sincroni, e che esista in Firenze il priaboniano superiore rappresentato non solo dagli strati argillosi superiori contenenti rocce cristalline (serpentina, eufotide, diabase, gabbio oficalce, ecc.) ma anche da calcari nummulitici. Così i calcari del bacino di Firenze appartengono all’eocene medio, luteziano superiore e all’eocene superiore, e manca per ora l’eocene inferiore. Forse posano direttamente sulla creta, rappresentata dalla pietraforte ad Ammoniti. Luteziano superiore — S. Andrea a Sveglia — Monte Rinaldi. Bartoniano — Ronco — Masseto — Massetino — Mosciano — Madonna del Sasso — Rosano. Priaboniano superiore — Poggio a Luco. 1) LAPPARENT. Traité de Géologie. 2) CHeccHIA-RIspoLi. Foraminiferi eocenici del gruppo del M. Iudica ecc. 1904. 3) FABIANI. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 21. 4 CqHECccHIA-RisPoLI. L. cit., pag. 34. Quadro riassuntivo e comparativo dei terreni. [9] M. RAVAGLI 213 DESCRIZIONE DELLE SPECIE Fam. Nummuulitidae. Gen. Camerina BrucuikrE 1792. I. Sottogen. Bruguieria PREVER. Bruguieria Ficheuri Prev. — Tav. XXII [I], fig. 1-4. 1902. Brugwieria Ficheuri Praver. Le Numm. della Forca di Presta ecc., pag. 28, tav. VI, fig. 1-4. Mem. de la Soc. paléontolog. suisse, vol. XXIX. DIMENSIONI Diametro mm. 2,5—3,7 Giri in numero di 4 Setti in numero di 3 in 4/, del 1.° giro » » Det » DO » » » 8 » 3.0 » Nummulite lenticulare, subglobosa, con superficie ornata di strie irregolari, irraggianti dal centro ed. aventi andamento sub-retto; il reticolo non è molto visibile. Nella sezione orizzontale si presentano quattro giri, il passo dei quali è caratteristico; cresce rapi- damente nel primo e secondo giro e, o si mantiene costante, e questo raramente avviene, o leggermente decresce in seguito. La lamina spirale presenta anch’essa un accrescimento nei due primi giri, raggiunge il suo massimo spessore nella seconda metà del secondo giro, poi decresce; questo spessore è circa un terzo del passo della spirale, ma può essere anche la metà di esso, od uguale. I setti sono di conseguenza ora alti, ora bassi; sono obliqui, non molto ricurvi, piuttosto regolari e non si saldano con la lamina, ma la costeggiano, e così formano il soffitto delle logge. Camera centrale grande, ovale, prima camera seriale grande e appiattita. L'andamento della spira spesso si mostra ovale, cioè con un diametro maggiore, e questo è in direzione dell’asse principale del- l’ovale della camera centrale; camere falciformi, più alte che larghe. Questa nummulite, per le dimensioni e per il numero dei setti, si potrebbe avvicinare alla N. subir- regularis DE LA HARPE, ma se ne distingue bene per la camera centrale piccola, per l’irregolarità, cur- vatura, lunghezza dei setti e per la lamina più sottile che in questa si riscontra. Comune a Mosciano, Madonna del Sasso, Poggio a Luco. Bruguieria Fichteli Micur. — Tav. XXII [I|, fig. 5. 1841. Nummulites Pichteli MicurLorti. Saggio storico dei Rixopodi ecc., pag. 44, tav. 1II, fig. 7. 1847. —_ = _ Descript. des foss. des terr. eocen. de V Hal. sept., pag. 15, tav. I, fig. 9. 1853. — — Macer. p’AroHiao et Hamer. Monographie des Numm., pag. 100, tav. JII, fig. 5. 1853. — garansensis Lav. (pars) n’Arcuac et Hare. Ibidem, pag. 101, tav. III, fig. 7. 1889. — Fichteli Micar. TeLuini. Numm. terziarie della Alta Italia occ. ecc., pag. 22. 1906. _. — — PariscH. Di alcune Nunn. e Orb., pag. 87, tav. II, fig. 17,18. 1909. Brugwieria intermedia Sinvestri. Nummuliti di Termini Imerese, pag. 643, tav. XXI, fig. 9, 13, 14, 15. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 27 214 M. RAVAGLI [10] DIMENSIONI Diametro mm. 4 Giri in numero di 7 s Setti in numero di 3 in 4/, del 2.° giro » » 4 » 4,0 » » » 5 » 6.0. » » » 6 » OI) Ha conchiglia più o meno rigonfia; la superficie presenta reticolo difficilmente divisibile e ciò perchè gli individui di questa specie sono stati staccati dalla superficie di calcari compatti e portano aderenti piccoli granuli di calcare. La sezione orizzontale mostra sette giri che si svolgono con passo sempre leggermente crescente, con irregolarità. Lamina regolare, un poco flessuosa, di spessore uguale a metà dell’altezza delle logge; il suo spessore aumenta dal centro agli ultimi giri, dove resta quasi costante. I setti sono radi, piantati un poco obli- quamente sulla lamina, sottili, abbastanza diritti, non saldati alla lamina; i foglietti settali, arrivati al soffitto, divaricano. La camera centrale è piccola, bipartita; segue una prima camera seriale semilunare; le altre camere sono sempre più larghe che alte e anche esageratamente negli ultimi giri, dove sono talora tre volte più larghe che alte. Questa specie è rarissima nel bacino di Firenze, e non presenta i caratteri della Ficktelî MicHT. tipica, come ho potuto notare confrontando questi esemplari con altri provenienti da Laverda nel Vicentino e la Nani di S. Sebastiano, nei Berici, ma è più irregolare, specialmente nei giri interni, ed ha passo più rapidamente crescente. Forse rientra in una di quelle varietà indeterminate trovate dal TeLLIini a Mon- talero nel bartoniano superiore, importanti per il loro livello stratigrafico, mostrando esse come individui che si possono connettere colla tipica Fichtelî Micat. dell’oligocene, si trovino nel bartoniano. Bruguieria sub-Fabiani Prever. — Tav. XXII [I], fig. 6. 1853. Nummulites Fichteli Micar. De LA Harpe. Monogr. der Aegypt. Numm. ece., pag. 37, tav. VI, fig. 23-28. 1880. —_ — var. problematica TeLLini. Numm. dell’ Alto Italia occidentale ecc., pag. 222. 1904. Numm. (Bruguieria) sub-Fabiani Prev. FagranI. Studio paleontologico dei Colli Berici ecc., pag. 115. 1906. = —_ — — Boussac. Développ. et morpholog. de quelques Foramen. de Priabona ecc., pag. 87, tav. IV, fig. 7. Bull. de la Soc. geolog. de France, serie 4, tom. VI. 1908. _ —_ — — Ravagni. Numm. oligoceniche di Laverda nel Vicentino ecc., pag. 506, tav. I, fig. 4-5. DIMENSIONI Diametro mm. 3 Spessore mm. 1-2 Setti in numero di 4 in ‘/, del 2.° giro » » 5 » 3.0 » » » 6 » 5.0 » Questa nummulite ha plasmostraco rigonfio, con strie ramificate, formanti un reticolo poco visibile, per la ragione accennata più volte della cattiva conservazione dei fossili eocenici di questo bacino. |11] M. RAVAGLI 215 I caratteri interni sono: spirale a passo lemtamente crescente sino al margine, con regolarità; la x lamina è sottile intorno alla camera centrale, poi aumenta regolarmente; i setti sono sottili, poco incli- nati; la camera centrale è circolare; la prima seriale semilunare, le altre isodiametriche, regolari. Si trova a Priabona, nell’oligocene di Laverda, nel vicentino, e nel bartoniano. A Firenze la ritrovo a Poggio a Luco, associata alla Paronaea Boucherì De LA HaRPE e alla Paronaca Tournoiieri De LA HARPE, nella parte superiore del priaboniano di questo bacino. Sottogen. Laharpeia PrEvER, 1902. Laharpeia sub-italica TeLumi. — Tav. XXI [I], fig. 7, 8. 1890. Nummulites sub-italica Terni. Numm. della Majella ecc., pag. 394, tav. XIII, fig. 4. 1902. — _ Ten. MarreLLI. I fossili dei terreni cocenici di Spalato ecc., pag. 80, tav. VII. fig. 5. DIMENSIONI Diametro mm. 3-4 Spessore mm. 2 Giri 4-5 Setti in numero di 5 in ‘/, del 2.0 giro » » Îi » SO » » 8 » Doo Nummulite subglobosa, a superficie provvista di grosse granulazioni disposte nell’ordine concentrico, caratteristico, notato dal TeLtini. Al centro vi si trova una granulazione bene sviluppata, come piccolo mamellone; attorno ad essa in cicli concentrici stanno altre granulazioni minori, che vanno diminuendo in grandezza man mano si avvicinano al margine dove generalmente scompaiono. La spira parte da una grande megasfera, con una prima camera seriale schiacciata. Il passo cresce discretamente nei primi due giri, poi resta costante o di poco varia, sia per un leggero accrescimento, sia per leggera decrescenza. Lo spessore della lamina è medio, massimo nel terzo giro. I setti sono irregolari, piantati parte perpendicolarmente, parte obliquamente sulla lamina; sono ricurvi dalla base o dopo un certo tratto del percorso, inequidistanti, flessuosi. Camere irregolari, più alte che larghe al centro, più larghe che alte alla periferia. Corrispondono gli individui alle descrizioni ed alle illustrazioni date dal TELLINI e dal MARTELLI, non bene a quelle date dal PREVER 1. Comune a Rosano ed a Mosciano a Nord di Lebbiano. Laharpeia italica TeLuni. 1390. Nummulites italica Tertini. Le Numm. della Majella ecc., pag. 388, tav. XII, fig. 12-14. 1901. _ — Ten. Gente. Su alcune Numm. dell’ Italia meridionale ecc., pag. 5, tav. I, fig. 3. 1902. _ = — MarmneLti. Descrizione geolog. dei dintorni di Tarcento in Priuli ecc., pag. 189. 1902. — _ — Marretti. I fossili dei terreni eocenici di Spalato ecc., pag. 80, tav. II, fig. 6. ) Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 41, tav. I, fig. 28. 216 i M. RAVAGLI [12] DIMENSIGNI Diametro mm. 5,8 Spessore mm. 3,4 Numero dei giri 11 ; Setti in numero di 8 in ‘/, del 4.° giro » » 10 » 8,0 » » » 11 » 10.9» L’unico esemplare di questa specie ha superficie sulla quale aderiscono piccoli granuli calcarei e perciò non si distinguono nè le granulazioni, nè il reticolo. La spira è irregolare, ha passo crescente sino alla metà del raggio e poi resta costante. Lo spessore della lamina è variabile, specialmente dopo i primi cinque giri, nei quali si verifica accrescimento uni- forme. Talvolta s’ingrossa tanto da essere uguale all’altezza delle camere, ma questo avviene per brevi tratti e non, come verificò il TeLLINI nelle nummuliti della Majella, per gli ultimi giri costantemente. I setti sono abbastanza regolari nei primi giri, incurvati ed irregolari negli ultimi. Al centro sono numerosi, piantati normalmente e diritti sino a metà del loro percorso; quanto più si avvicinano ai giri periferici, essi si incurvano fino dalla base. Le camere alte al centro, sono larghe quanto alte nei giri periferici, manifestamente falciformi nei due ultimi giri. Differiscono dagli esemplari della Majella, descritti e figurati dal TeLLINI, per il passo che cresce sino alla periferia e per lo spessore della lamina. Rara a Mosciano (a nord di Lebbiano). Gen. Lenticulina Lamark, 1804. Sottogen. Gùmbelia PrEVER. Giimbelia lenticularis Ficar. et MoLr. — Tav. XXII [I], fig. 9, 10. 1850. Nautilus lenticularis FrcureL et Mor. Testucea microscopica ecc. 1850. Nummulites lucasana Derr. D’Arcniac et Hamer. Monographie des Numm. ecc., pag. 124, tav. VII, fig. 5-11. 1890. — — — Teuuni. Nummuliti della Majella ecc., pag. 381, tav. XII, fig. 6. 1908. —_ = — GentiLe. Su alcune Nummuliti dell’ It. merid. ecc. 1902. —_ _ — Marretti. / fossili dei terreni cocen. di Spalato ecc., pag. 71, tav. I, fig. 18. 1902. Gimbelia lenticularis Ficur. et MoLr. Prever. Le Numm. di Forca di Presta ece., pag. 50, tav. V, fig. 12-21. DIMENSIONI Diametro mm. 3—6 Spessore mm. 1,8—2,3 Numero dei giri 6—7 Setti in numero di 5 in !/, del 2.° giro * » 1-8 » 3.9.» » » 10 » GO cn Nummulite lenticulare, subglobosa, con superficie ornata di grosse granulazioni addensate al centro, rare o mancanti al margine; le strie poco flessuose sono visibili, specialmente nel tratto della super- ficie, ove mancano le granulazioni. Nella sezione orizzontale si vedono 6-7 giri, la spira ha passo ere- scente nei primi tre giri, poi resta costante o decresce; vi è poca costanza in questo carattere nei diversi [13] M. RAVAGLI 217 individui. La lamina ha discreto spessore, circa un terzo dell’altezza delle camere, ma varia nei diversi tratti della spira e nei diversi esemplari. I setti sono subequidistanti, regolari, poco ricurvi e poco inclinati, presentano i foglietti settali distinti, non si saldano intimamente con la lamina. La camera centrale è grande, la prima camera seriale schiacciata, le altre abbastanza regolari e a forma di romboide. Nel bacino eocenico di Firenze, si trova solamente nel calcare di Rosano, mentre le varietà si tro- vano ovunque. La Nummulite descritta dall’ Hem col nome di Numm. gallensis presenta tutti i caratteri esterni ed interni della Gimbelia lenticularis DEFR.; non comprendo come l’Hem l’abbia potuta separare da questa e formare nuova specie. Giimbelia lenticularis var. granulata De La Harpe. — Tav. XXII [I], fig. 11, 12. 1803. Nautilus lenticularis var. B. Ficaren et Morn. Testacea microscopica ecc., pag. 55, tav. VII, fig. a, d. 1879. Nummulites lucasana var. granulata De La Harpe. Numm. du Comté de Nice ecc., pag. 4, tav. X, fig. 4. 1890. = — Teuini. Numm. della Majella ecc., pag. 382, tav. XII, fig. 8,9. 1902. — lenticularis var. granulata De ra Harpe. MarreLLI. I fossili dei terreni eocen. di Spalato, pag. 73, tav. I, fig. 20. 1902. Gumbelia — Prever. Le Numm. di Forca di Presta e di Potenza ecc., pag. DI. Questa varietà è largamente rapprésentata in tutte le località del bacino di Firenze. Presenta tutti i caratteri della specie tipica ma ne differisce per una maggiore irregolarità dei setti, che sono più rari, per l'andamento della spirale e per lo spessore della lamina. La superficie è interamente ricoperta sino al margine di granulazioni tutte di eguali dimensioni sparse fra le strie sottili irregolari. Giimbelia etrusca n. sp. — Tav. XXII [I], fig. 15-17. DIMENSIONI Diametro mm. 3-4 Spessore mm. 14/,—2 Giri in numero di 4—6 Setti in numero di 2 in '/, del 1.° giro Z » » 3 » 2.0» » » S—-4 » 0 » » 3-4 » 4,° » » » ai » 5.0 » » » s—5 » 6.0 » Nummulite piccola di forma lenticolare o pianeggiante, con margine subarrotondato. La superficie è ricoperta da strie poco visibili e da granulazioni. Nella sezione orizzontale si vedono da 4 a 6 giri. Il passo è sempre uguale in tutta la spira oppure decrescente. I setti sono molti rari, ricurvi, irregolari, flessuosi, inclinati alla base, lasciano vedere i foglietti settali che li formano e arrivati alla lamina supe- riore si allontanano un poco fra di loro, formando una piccola camera intersettale; questo si verifica 1) Hem. Die Nummuliten und Flyschbildungen der Schweizeralpen. L. cit., p. 223, tav. III, fig. 12-23; tav. IV; tav. V. 218 M. RAVAGLI [14] x quasi per ogni setto. La camera centrale è assai grande, le altre, irregolari, molto larghe negli ultimi giri; la larghezza è anche quattro volte l’altezza. L’ andamento generale della spira, la grande camera centrale, la scarsità dei setti sono caratteri che la distinguono facilmente da altre specie del genere Giimbelia. 5 Giimbelia Fiesolana Trasucco. — Tav. XXII [I], fig. 13, 14. 1898. Nummulites Fiesolana Tragucco. Stratigrafia dei terreni ecocenici, pag. 19. 1907. - — _ 1 terreni delta provincia di Firenze, pag. 21, fig. annessa. DIMENSIONI Diametro mm. 3—4 Spessore mm. 1,7—2 Giri in numero di 4—5 Setti in numero di 3 in 4/, del 2.° giro » » b—-6 » 3.9 » » » 6—7 » 4.0 » Superficie coperta di granulazioni grosse specialmente nella parte centrale, strie sottili, diritte. La camera centrale è grandissima; i quattro giri hanno passo molto ampio e variabile, in generale cresce rapidamente nel 1.° giro, rimane immutato nel secondo, decresce in seguito. La lamina spirale è sottilissima nella parte che circonda la camera centrale, discretamente spessa nei giri successivi. I setti sono diritti per un breve tratto alla base, poi ricurvi fortemente e si congiungono nella lamina superiore con un angolo molto acuto. Sono più irregolari e meno ricurvi al centro che alla periferia, dove sono anche assai flessuosi e disposti irregolarmente. Le camere sono irregolari e di forma varia. Questa specie si trova nel macigno di S. Andrea a Sveglia; presenta riuniti i caratteri di due specie: della Giimb. lenticularis DEFRANCE e della Paronaca Tchihatcheffi D’ARcH. La superficie presenta le gra- nulazioni che si trovano nella prima. La grande camera centrale, e l'irregolarità dei setti, sono caratteri della seconda. É comunissima a S. Andrea a Sveglia e a Monte Rinaldi nel macigno. Giimbelia Rouaulti p’Arca. — Tav. XXII [I], fig. 18-19. 1853. Nummulites Rouaulti v’Arcaiac et Hane. Monogr. des Numm., pag. 121, tav. IV, fig. 14. 1902. —_ — D’ArcH. Prever. Le Numm. di Forca di Presta, pag. 61, tav. III, fig. 18-21. 1903. — = — CurccHia-Risponi. Serie numm. di Termini Imerese, pag. 86, tav. II fig. 3. DIMENSIONI Diametro mm. 4 Numero dei setti 5—6 Setti in numero di 3—5 in 4/, del 2.° giro » » 6 » 3.0 » » » 6224 » 4,0 » La perfetta concordanza dei caratteri interni di questa nummulite con la Rowaulti D’'ARCH. mi spinge a considerarla come tale sebbene le sue dimensioni siano molto minori. [15] M. RAVAGLI 219 L’esame attento della superficie mostra granulazioni piccole, sparse ovunque, meglio visibili al centro, ove hanno dimensioni maggiori. Nella sezione orizzontale si vedono cinque giri, ma è probabile che il sesto, essendo molto addossato al quinto, sì sia distrutto mentre eseguivo la sezione della nummulite. Camera centrale di medie dimensioni, la lamina di spessore minimo intorno la camera centrale, è rapi- damente crescente fino al terzo giro, poi decresce, ma resta d’altra parte sempre circa tre quarti del- l'altezza della camera: questo carattere ben manifesto nei miei esemplari si nota anche nella figura 140 tav. VI nel lavoro citato del D’ARrcHIAC. Il passo è piuttosto ampio e si mantiene quasi costante sino al quarto giro, decresce negli ultimi giri, che sono molto bassi. I setti sono poco inclinati, poco ricurvi e non si saldano con la lamina, i foglietti che li formano sono visibili e presso al soffitto si separano. È una specie prossima alla G. lenticularis DEFRANCE con la quale non si può confondere per le gra- nulazioni più piccole, per il numero e l’andamento dei setti e altri caratteri. Si trova a Madonna del Sasso. Non corrisponde alla G. Rowaulti D’ARCH. figurata dal PrEeverR®, che per altro non combina con la specie tipica. Sottogen. Paronaea PrEVER, 1902. Paronaea subgarganica Terni. — Tav. XXIII [II], fig. 6. 1390. Nummulites subgarganica Teurini. Le Numm. della Majella, pag. 582, tav. XII, fig. 10-11. 1901. — _ Tern. Gentine. Sw alcune Numm.e Orb. ecc., pag. 11, fig. 11. 1908. Numm. (Paronaea) Beaumonti De La Harpe. Provare. Di alcune Numm. e Orb. dell’Isola di Borneo, pag. 8, tav. I, fig. 2. DIMENSIONI Diametro mm. 2—3 Giri in numero di 3—4 Setti in numero di 3—4 in 4/, del 1.° giro » » S_4A » 2.0 » » » 4—6 » 3.0 » Nella prima descrizione che il TELLINI dà di questa specie, parlando dei caratteri della superficie, nota come presso forme che presentano deboli granulazioni, altre ne sono prive. Nel bacino eocenico di Firenze, non ritrovai nessuna forma granulosa. Io credo perciò che si debba iscrivere questa specie piuttosto fra le striate non granulose (Paronaea) che fra le striate granulose (Gimbelia). La superficie è pianeggiante, ricoperta di strie diritte in numero circa di 18, il margine è acuto. I giri sono tre, negli individui a piccole dimensioni, quattro negli individui che hanno diametro di 3 mm. La spirale ha passo crescente come 1 a 1!/, e anche più raramente nel rapporto di 1 a 2. Lo spessore della lamina varia; può essere sottile o spessa, ma si trovano passaggi fra questi due estremi. La carat- teristica di questa specie sta nella camera centrale regolare piccola bipartita, nei setti che sono diritti, ) Prever. Le Numm. di Forca di Presta ece., tav. III, fig. 19-21. 220 M. RAVAGLI [16] piantati normalmente 0 quasi sulla lamina, ingrossati alla base e all’estremità superiore, regolari; nelle camere quadrate col soffitto a volta e regolari. Alcuni esemplari mostrano spessore della lamina molto forte; altri, setti un poco più numerosi e leg- germente inclinati. Queste differenze si trovano in esemplari che mantengono negli altri caratteri ogni concordanza con la specie tipica; non credo per questo doverle separare neppure come varietà. La specie tipica, rarissima, si trova a Rosano, a Ronco, a Mosciano; abbondanti le specie con piccole variazioni. Paronaea garganica TeLunI. 1890. Nummulites garganica TeLuini. Le Numm. della Majella ece., pag. 301, tav. XII, fig. 5; tav. XIV, fig. 4,5. 1901. — _ TeLu. Gente. Su alcune Numm. e Orb. dell’ Italia meridionale, pag. 4, tav. (I figo dl Per tutti i caratteri si unisce alla forma a megasfera; lo svolgimento piuttosto rapido della spira, i setti piantati normalmente rari, sono caratteri costanti. La superficie è striata. Paronaea Tchihatcheffi Arca. — Tav. XXIII [II], fig. 7. 1853. Nummulites Tehihatcheffi v’Arcarac et Hamer. Monographie ece., pag. 98, tav. I, fig. 9. 1890. _ - D’ArcH. Teuuini. Le Numm. della Majella ecc., pag. 361, tav. XI, fig. 8-12. 1894. — — — Oppenzeni. Veber die Numm. des Venetianischen Tertitirs, pag. 13. 1902. _ = = MarmenLIi. I fossili dei terr. eoc. Spalato ece., pag. 32, tav. I, fig. 1. 1902. Hantkenia — _ Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 70, tav. DI, fig. 27-29. DIMENSIONI Diametro mm. 3,7—4 Spessore mm. 1,6—2 Giri in numero di 5—6, Setti in numero di 2—3 in !/, del 1.° giro» » » 5 » 3.2 » » » 6 » 6 . 0, » Conchiglia lenticulare, con superficie coperta da strie fini irraggianti dal centro. Gli esemplari in generale mal conservati, sono specificamente determinabili, ma non atti a dare una buona descrizione. i Nella sezione orizzontale si vedono 5 o 6 giri con passo costante o decrescente dopo il primo giro, che è sempre molto ampio. La lamina spirale è sottile intorno la camera centrale, poi di medio spessore o spessa. Una caratteristica della specie è data dai setti molto riîcurvi, irregolari, ondulati, inequidistanti, specialmente nei primi giri; sono piantati spesso normalmente e finiscono col costeggiare con l’estre- mità affilata la lamina superiore, formando in questo modo il soffitto delle camere falciformi, molti irre- golari. La camera centrale è grandissima, più che in ogni altra specie. Si trova molto comune nel bacino di Firenze a S. Andrea a Sveglia, nel macigno e anche nei calcari di Madonna del Sasso, Masseto, Mosciano. [17] M. RAVAGLI 221 Paronaea latispira MeneGrnINI. — Tav. XXIII [II], fig. 21. 1851. Nummulites latispira MenecnINI e Savi. Considerazioni sulla geologia della Toscana ecc., pag. 485. 1890. —_ — Mex. TeLtini. Numm. della Majella ecc., pag. 373, tav. XI, fig. 13-15. 1901. _ — — Marnenti. I fossilà di Paxos e Antiparos. Boll. Soc. geol. it., vol. XX, pag. 319. 1902. _ —_ — — I fossili dei terreni cocenici di Spalato ecc., pag. 55, tav. VI, fig. 3. 1902. Hantkenia _ — Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 490, tav. IV, fig. 34. DIMENSIONI Diametro mm. 3,8—4,5 Spessore mm. 2 Giri in numero di 95—6 Setti in numero di 3 in 4/, del 1.° giro » » DIES » Duo » » 9—13 » AO, » » 10-12 » 5.0 » Nummulite lenticolare, rigonfia, a margine subarrotondato. La spirale è di 6 giri, il passo dei quali può crescere sino alla periferia, più spesso il penultimo giro si presenta addossato al precedente. Lo spessore laminare è leggero al centro, cresce sino al penultimo giro, poi decresce. I setti sono irregolari, flessuosi, molto inclinati, ricurvi, numerosi; formano carattere ben marcato per la detta specie. Nella parte cen- trale, sono, per breve tratto dopo l’impianto, diritti, ciò non avviene per i giri esterni, dove sono inclinati e ricurvi già dalla base e flessuosi. La camera centrale è di medie dimensioni o grande e ovoidale, le altre falciformi. Rara nel bacino eocenico fiorentino, a Mosciano, Madonna del Sasso, Rosano, S. Andrea a Sveglia. Paronaea densispira TELLINI. 1890. Nummulites densispira TeLuini. Le Numm. della Majella ecc. (pars), tav. XI, fig. 13; non fig. 14, 15. DIMENSIONI Diametro mm. 24/—-3 4/y Giri in numero di 5 Setti in numero di 3 in '/, del 1.° giro » » 5-6 » 2.0» » » T » 4.0 » » » to) » 5.0 » Le dimensioni di questa nummulite sono ancora minori di quelle degli esemplari più piccoli, descritti dall'autore; ma, come ho già fatto notare, in generale nel bacino eocenico di Firenze le nummuliti hanno una riduzione di diametro. La forma può essere pianeggiante o rigonfia, la superficie presenta forti strie quasi diritte. I giri sono cinque a svolgimento rapido, con passo crescente costantemente sino alla peri- feria, la lamina ha spessore medio, circa !/, dell’altezza delle logge e anche maggiore. I setti sono piantati per lo più obliquamente, diritti alla base, fortemente ricurvi all’estremità superiore, non si saldano con la lamina e formano camere falciformi e alte. Questa specie si avvicina molto alla Paronaea latispira Mez.; dallo studio di queste due specie fisurate dal TeLtini mi parve potesse essere facile, la confusione fra i) TELLINI. Op. cît., tav. XI, fig. 13-19. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 28 299 M. RAVAGLI [18] di esse e ciò mi indusse a comparare 1 loro caratteri. Io ritengo che solamente la fig. 13, del lavoro citato, rappresenti la Paronaca latispira Men. e che le altre figure indichino invece modificazioni della Paronaea densispira TeLuinI. I caratteri, tolti dagli esemplari dei calcari dei dintorni di Firenze, per i quali si dif- ferenziano queste specie, eccettuati quelli della forma esterna, che sono, come dissi, molto variabili, si pos- sono riunire nel modo seguente: Paronaea latispira. Paronaea densispira. Camera centrale grande. Camera centrale piccola. Spira: Spira: Si svolge lentamente ed il passo cresce solo per 2 o 3 giri, | Cominciando da una piccola camera centrale, il passo poi diminuisce. aumenta in piccolo rapporto nei giri centrali, in I giri esterni sono così addossati. rapporto maggiore in quelli periferici. Setti: Setti: Flessuosi, inclinati e ricurvi sino dalla base. Ricurvi, meno inclinati e quasi diritti alla base. Credo essere questi i caratteri che distinguono queste specie; esse si trovano assieme, nelle località di Mosciano e Madonna del Sasso, nel bartoniano inferiore. Paronaea Guettardi p’Arcn. — Tav. XXIII [II], fig. 3-5. 1853. Nummulites Guettardi n° Arcniac et Hamer. Monographie ecc., pag. 130, tav. VII, fig. 18. 1888. — _ p’Arcr. TeLuni. Numm. terziarie dell’ Alta Italia Occidentale ece., pag. 199. 1890. - _ —_ — Numm. della Majella, pag. 375, tav. XI, fig. 21,22. 1894. —' — — . Oprennem. Venetianischen Numm. ecc., pag. 11. 1901. = = — Gene. Sw alcune Numm.e Orb. ecc., pag. 4, fig. 2. 1902. —_ — — MarreLui. 1 fossili dei terreni eocenici di Spalato ecc., pag. 60, tav. I, fig. 8. 1902. —_ _ — Prever. Numm. di Forca di Presta ece., pag. 75. tav. IV, fig. 10-15. 1909. — - — Provare. Di alcune Numm. e Orb. dell’ isola di Borneo, pag. 82. DIMENSIONI Diametro mm. 1,5—3,9 Spessore mm. 1,5—2 Giri in numero di 4—5 Setti in numero di 4 in '/, del 2.° giro N » » 5ES6) » SO a » » (O=1 » 4.0 » » » td » 5.0 » Nummulite lenticolare, rigonfia al centro, a margine subacuto. Sulla superficie scorrono strie diritte. La spira ha 5 giri con passo che aumenta con regolarità sino al margine; lo stesso avviene dello spes- sore della lamina. Setti regolari equidistanti, ma poco inclinati e discretamente curvi, nella parte supe- riore; sono grossi alla base e si assottigliano avvicinandosi al soffitto; il loro andamento è regolare e costante per tutti gli esemplari. Camera centrale piccola bipartita. Questa specie è abbondante, si trova a Rosano, Mosciano, Ronco, Poggio a Luco. [19] M: RAVAGLI 223 Paronaea venosa Frcarer et Mor. — Tav. XXIII [II], fig. 14. 1803. Nautilus venosus FicureL et Monn. Testacea microscopica ecc., pag. 159, tav. XIII, fig. e. 1877. Nummulites anomala Dr ra Harpe. Numm. de Nice ecc., pag. 827. tav. XVII, fig. 13-18. 1888. —_ — — TeLLInI. Numm. terziarie dell’ Alta Italia Occidentale ecc., pag. 46. 1890. —_ —_ — - Numm. della Majella ecc., pag. 379, tav. XI, fig. 25. 1894. —_ budensis OrrennEeM. Veber die Venetianischen Nummuliten ecc., tav. I, fig. 10-12. 1902. -- anomala De LA Harpe. MartELLI. / fossili dei terreni cocenici di Spalato ecc., pag. 65, tav. I, fig. 15. 1902. — venosus Ficat. et Morr. Prever. Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 84, tav. IV, fig. 23-25. 1909. — . — ProvaLa. Di alcune Numm. e Orb. dell’ isola di Borneo, pag. 88. DIMENSIONI Diametro mm. 1-2 Giri in numero di 3—4 Setti in numero di 2 in ‘/, del 1.° giro » » 3 » DO » » 4-5 DA GO Nummulite di diametro di circa due millimetri; solo un esemplare ha diametro di 1 mm. Conchiglia piana, bordo acuto, superficie con strie sottili, in piccolo numero e flessuose. La sezione orizzontale mostra 3 o 4 giri che crescono in rapporto di 1,5 :1. La lamina, sottile in- torno la camera centrale, cresce pel primo giro poi è costante. I setti, molto ricurvi, quasi a semicerchio, ingrossati alla base e affilatissimi nell’estremità superiore, sono rari. La distanza fra di loro va aumentando coll’allontanarsi dal centro, così che sono quasi in eguale numero in tutti i giri. Non si saldano alla lamina e spesso incontrano il setto seguente, senza averla toccata, facendo con la lamina superiore un angolo acutissimo. La camera centrale è piccola, bipartita, le altre falciformi. Si trova nel macigno di S. Andrea a Sveglia, Madonna del Sasso, Massetino, Mosciano, Poggio a Luco. Paronaea variolaria Sowrersv. — Tav. XXII [I], fig. 20, 22, 23. 1829. Nummulites variolaria Sowerey. Mineral Conchology, pag. 76, tav. 6, fig. 3. 1851. = = Sow. Savi e MexeGnINI. Considerazioni sulla Geologia della Toscana ecc., pag. 201. 1888. = — — Teuumi. Numm. terziarie dell’Alta Italia Occidentale ecc., pag. 200. 1890. _ _ — — Le Numw. della Majella ecc., pag. 378 (pars), tav. XI, fig.25; non fig. 24. 1901. — — — Marreui. / fossili di Paxos ecc., L. cit., pag. 426. 1901. — — — Gemme. Su alcune Numm. dell’ Italia meridionale ecc., pag. 12, tav. I, fig. 13. 1902. Hantkenia — — Prever. Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 83, tav. IV, fig. 22. 1902. Nummulites. — — Marretu. / fossili dei terr. coc. Spalato ecc., pag. 63, tav. I, fig. 13. 1908. - = — Fazrani. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 47. 224 M. RAVAGLI [20] DIMENSIONI Diametro mm. 1,6 Spessore mm. 0,8 Giri in numero di 4 Setti in numero di 3 in 4/, del 1.° giro » » 4 5 » 2.0 » È » » 6 » 3.2 » Piccola nummulite poco rigonfia e solamente al centro, o rigonfia con superficie a strie sempre vi- sibili, diritte o appena ricurve. La spirale si svolge con passo crescente sino al margine, lo spessore della lamina aumenta anche dal centro alla periferia. I setti sono subregolari, subequidistanti, quasi normali alla lamina, poi si inclinano o si ricurvano. Nell'ultimo giro hanno lunghezza notevole. La camera centrale è piccola e bipartita, le altre sempre più alte che larghe. Questa specie si avvicina alla Paronaca Guettardi, ma ne differenzia per le dimensioni minori, per i setti più diritti, per un numero minore di giri. Si trova comune a Rosano, Massetino, Masseto, Ronco; rara a Poggio a Luco. Paronaea variolaria Sow. var. minor p’Arca. — Tav. XXII [I], fig. 21. 1853. Nummulites variolaria var. minor D’ArcHiac. Monographie des Numm. ecc. DIMENSIONI Diametro A ò ò Ò Sim MEI Spessore ò . s 4 3 » 0,6 Come indica il nome, questa specie ha dimensioni minori della specie tipica, non raggiungendo 1 mm. di diametro. Gli altri caratteri come nella specie precedente. Paronaea Heberti p’Arcniac. — Tav. XXIII [II], fig. 13. 1853. Nummulites Heberti n’ Arcniac et Han. Monogr. des Numm. ecc., pag. 147, tav. IX, fig. 14, 15. 1899. — — D’Arca. De La Harpe. Monogr. des Aegyp. Numm., pag. 25, tav. XXXI, fig. 28-36. 1902. Hantkenia Heberti v’Arcn. Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 84, tav. IV, fig. 21. DIMENSIONI Diametro mm. 24/,—3,5 Giri in numero di 6 Setti in numero di 4 in ‘/, del 2.° giro » » 6 » 4,0 » » » 8 » (MO Conchiglia leggermente rigonfia a margine subacuto, con strie subrette. La spira, formata da 6 giri, ha passo che cresce fino al penultimo giro, poi resta costante. La la- mina presenta spessore crescente sino al 4.° e 5.° giro, dove può raggiungere l’altezza delle logge: nel sesto decresce. [21] M. RAVAGLI 925 I setti sono subregolari, inclinati, poco ricurvi, presentano uniformità di disposizione e conformazione, alla base sono ispessiti, affilati nell’estremità superiore. Si vedono i foglietti settali che la compongono e si saldano con la lamina. Si trova rara e limitata alla località di Madonna del Sasso. Paronaea crispa Ficnrer et MoLr. — Tav. XXIII [II], fig. 1,2. 1803. Nautilus crispus Ficurer et Mor. Testacea microscopica, pag. 4, tav. V, fig. a, db. 1883. Nummulites crispus Ficur. et Mor. De La Harpr.'Htude des Numm. de la Swisse, pag. 78, tav. VAL fig. 22. 1902. —_ crispa — — Prever. Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 88, tav. IV, fig. 28-31. 1908. —_ sub-Hormai Provare. Di alcune Numm.e Orb. dell’isola di Borneo, pag. 12, tav. IV, fig. 16-20. DIMENSIONI Diametro mm. 2 Spessore mm. 0,9 Giri in numero di 5 Setti in numero di 4 in 4/, del 2.° giro » » 5 » 3.0 » » » 6 » 4,0 » Posseggo diversi esemplari provenienti da Ronco. Questa specie fu confusa più volte con altre e, nel citato lavoro, PREVER Spiega gli errori e dà am- pia descrizione. Ultimamente la Provace, nello studio di alcuni foraminiferi di Borneo, descrive una nummulite col nome di N. Grmbelia sub-Formai PROVALE. Comparando i caratteri specifici di questa specie con quelli della Par. crispa FicHt. et MoLL. vedo che le differenze sono piccole, e non tali da formare i caratteri per una nuova specie, perciò io credo che si possa riunire con quella. La superficie è piana, il margine acuto. Si vedono imperfettamente accenni di strie e ciò a causa dell’erosione subìta dalla conchiglia; questa è rigonfia al centro. PREVER accenna a piccole granulazioni che si trovano qualche volta fra le strie; per lo stesso carat- tere PRovaLE ascrisse alle Gmbelia questa specie. La superficie dei miei esemplari è esente di ogni granulazione, come la maggior parte di quelli di Spina, di Potenza, di Forca di Presta, studiati dal PrEvER, che li unì nel sottogenere Paronaea. La spira regolare è operculiforme, crescendo il suo passo in modo clìe ogni giro è una volta e mezzo il giro precedente. La lamina è sottile e cresce leggermente sino al margine. I setti sono di spessore quasi costante per tutta la loro lunghezza e spesso lasciano vedere i foglietti settali che li formano. Sono piantati normalmente diritti per breve tratto, poi fortemente ricurvi, formano camere alte, falci- formi. La camera centrale piccolissima. Tutti questi caratteri si verificano anche per la Numm. sub-Formai che chiamerei col nome del precedente autore crispa FrcHtEL et MoLt. Corrisponde bene alla figura 30, tav. IV del citato lavoro di PREvER e alla fig. 20, tav. IV, del lavoro PROVALE. 226 M. RAVAGLI . [22] Paronaea subirregularis De La Harpe. — Tav. XXII [II], fig. 12. 1890. Nummulites subirregularis De ra Harpe. Etude des Numm. de la Suisse ecc., pag. 158, tav. V, fig. 3-14. 1894. —_ —_ De LA Harpe. Tragucco. Sulla posix. del calcare di Mosciano, pag. 2. 1894. — — — MarIneLLIi. I calcari nummulitici di Villamagna presso Mirenze, pag. 6. DIMENSIONI Diametro mm. 2-4 Spessore mm. 1,5 Giri in numero di 3—4 Setti in numero di 4 in 4/j del 1.° giro » » OT » 2.0 » » » {9 » 0 Questa piccola nummulite è molto variabile nei suoi caratteri esterni ed interni e non se ne potrebbe dare una descrizione che in limiti estesi. In generale si presenta nel modo seguente: superficie pianeg- giante raramente con rilievo notevole e coperta da strie diritte o curve, il margine acuto, in alcuni casi moltissimo. Il passo si presenta nei tre giri sempre crescente ed è molto ampio già dal primo giro. La lamina spirale, di spessore medio, cresce dal suo inizio sino alla metà del secondo giro, poi decresce; questo carattere è costante e si rileva in quasi tutti gli individui. I setti sono obliqui e ricurvi nella parte su- periore, sottili, affilati, lunghi, costeggiano la lamina prima di saldarsi con essa. Nel loro insieme sono irregolari, il loro numero varia. La camera centrale è grande, le altre sono alte ed irregolari. Presenta molte varietà. È comunissima a Madonna del Sasso, Rosano, Mosciano, rara a Poggio a Luco. Paronaea irregularis Desa. 1838. Nummulites irregularis Desnaves. Mémoires de la Soc. géolog. de France, vol. III, tav. VI, fig. 10, 11. 1880. — _ Desa. De La Harpe. Etude des Numm. de la Suisse ecc., pag. 54, tav. IV, fig. 34; tav. V, fig. 1,2. 1902. —_ —_ —_ MarinELLI. Descrizione geologica di Tarcento in Friuli, pag. 184, evo Wo sil Wo Dimensioni mm. 4,5 Giri in numero di 5? L'incertezza della classificazione di questa nummulite è data dalla cattiva conservazione dei fossili che non permette di vedere nettamente i diversi caratteri. La forma generale della spira, l'andamento dei setti, il loro numero e forma, mi farebbero credere trattarsi di una N. irregularis DEsH. mentre le dimensioni sono molto piccole in rapporto a quelle della specie citata, chè gli esemplari minori, misurano, per solito, mm. 7 di diametro. Certo deve apparte- nere al gruppo della N. èrregularis per il carattere dei setti irregolari, lunghi, affilati, ricurvi, e per l’andamento irregolare della sua spira. Un unico esemplare a Rosano. M. RAVAGLI 227 [23] Paronaea Beaumonti D’Arcx. 1853. Nummulites Beaumonti v’Arcniac et Hamer. Monographie ecc., pag* 133, tav. VII, fig. 1-3. D’Arca. De La Harpe. Monographie der Aegypt. Numm. ecc., pag. 180, 1883. — = tav. XXXI, fig. 37-49. 1894. — — _ Trapucco. Sulle posizioni del calcare eocenico, pag. 2. 1902. — = _ Prever. Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 95, tav. IV, fig. 4. 1902. a - — MarreLni. I fossili dei terreni cocenici di Spalato ecc., pag. 59, ao JU isa Mo DIMENSIONI Diametro mm. 3 Spessore mm. 1,5 Giri in numero di 7 Setti in numero di 5—6 in !/, del 3.° giro » » 8 » 5.0 » 9 » 6.0» » » Questa nummulite è da attribuirsi, con certezza, alla specie N. Beaumonti D’ ARcHIAC, sebbene si presenti con una grande riduzione nel diametro e come generalmente avviene anche una diminuzione nel numero dei giri; ma i filetti settali che si vedono scorrere diritti, i setti pochissimo ricurvi, sottili, regolari, l'andamento pure regolare della spira ed anche la sua associazione con la Paronaea sub-Beau- monti De LA HARPE, mi confermano nella mia opinione. La forma è lenticolare, rigonfia, coperta di strie forti e visibili nettamente, i filetti settali raggianti, sono spesso biforcati. I sei o sette giri hanno passo ‘minimo al centro e lentamente crescente in seguito con molta regolarità. Lo stesso avviene per la lamina spirale, che ha lo spessore medio di circa la metà dell’altezza delle camere, delle quali, qualche volta nei giri esterni, raggiunge l’ altezza. I setti sono di spessore medio, sottili, poco ricurvi, si saldano appena giunti al soffitto. Le camere sono regolari subquadrate. Si trova nell’arenaria macigno di Monte Rinaldi, a Mosciano. Paronaea sub-Beaumonti Dr La Harpe. — Tav. XXIII [{I], fig. 15. 1883. Nummulites sub-Beaumonti De La Harrr. Monogr. der Aegypt. Numm., pag. 12, tav. XXXI, fig. 48-56. De La Harpe. MARTELLI. / fossili dei terreni eocenici di Spalato ecc., tav. I, 1902. — — fig. 8. 1902. Hantkenia — = Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 96, tav. IV, fig. 41. 1908. Paronaea sub-Preveri Provare. Di alcune Numm. e Orb. di Borneo, pag. 11, tav. IV, fig. 13-15. DIMENSIONI Diametro mm. 2,5—3 Spessore mm. 1,5 Giri in numero di 5 Setti in numero di 3 in 4/, del 1.° giro » » 5 » DONO » » 5 =! 6 » 3 30 » » » T=8 4.0» Nummulite rigonfia con superficie ornata, come nella forma a microsfera, di strie rilevate, forti e nettamente visibili, raggianti, quasi diritte. 228 di . M. RAVAGLI [24] Cinque giri regolari a passo crescente; la lamina ha spessore medio crescente. I setti sono regolari, spessi, poco ricurvi, quasi perpendicolari e abbastanza numerosi. Camera centrale di medie dimensioni, bipartita. Tanto per i carat*eri esterni che per quelli interni, rassomiglia alla forma microsfera, con la quale si trova nell’arenaria macigno di S. Andrea a Sveglia, a Monte Rinaldi, a Monte Sasso, a Mosciano. Sono di opinione che la specie descritta dalla PRovaLE sotto il nome di Paronaea sub-Preveri, non sia che la Paronaca sub-Beaumonti De LA HarPE; la sola differenza sta nella mancanza di umbone alla superficie e nella sottigliezza dei setti. Del resto, spira, lamina spirale, andamento, regolarità dei setti, camera centrale e camere seriali corrispondono perfettamente. Anche la Paronaea Preveri ProvALE deve essere la Numm. Beaumonti De LA HARPE, a meno che differenze individuali non si ritengano come ‘specifiche. Paronaea discorbina ScHLotHEM. 1820. Lenticulites discorbinus ScaLoraeIm. Die Pelrefactenkunde ecc., pag. 89. 1853. Numm. discorbina ScaL. D’Arcrisc. et Ham. Monographie ecc., pag. 140, tav. IX, fig. 2, 3. 1901. _ — — Gems. Contribuzione alio studio dell’eocene ecc. Boll. del Naturalista. 1902. — —_ — MarteLni. I fossili dei terreni eocenici di Spalato ecc., pag. 57, tav. I, fig. 4. 1902. = — — Prever. Le Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 97, tav. V, fig. 1,2. DIMENSIONI Diametro mm. 9 Giri in numero di 10 Setti in numero di 8 in 4/, del 6.° giro » » 16 » 8.0 » » » 20 » (ORO » » 21 » 10.0» Anche in questa specie si presenta una grande riduzione di diametro ed un minor numero di giri. La conchiglia è rigonfia, coperta di strie che sono fini, leggermente flessuose; esse si biforcano verso il margine. La spirale di dieci giri ha passo costante, molto regolare. Lo spessore della lamina è medio e varia senza regolarità. I setti sono piantati perpendicolarmente, diritti, non si presentano mai nè curvi, nè inclinati, sono numerosi e, per la loro disposizione e forma, sono una caratteristica della specie. Camere alte, strette, regolari. Questa specie è comune a Mosciano nel calcare nummulitico, rara nell’arenaria macigno di Monte Rinaldi. x Paronaea sub-discorbina De La Harpe. — Tav. XXIII [II], fig. 17, 18. 18393. Nummulites sub-discorbina De La Harpe. Monogr. der Aegypt. Numm., pag. 183, tav. II, fig. 8-15. 1894. — —_ De La Harpe. Trapucco. Sulla posta. del calcare di Mosciano ecc., pag. 2. 1902. _ = — Prever. Numm. di Forca di Presta ecc., pag. 3, 4. DIMENSIONI Diametro mm. 2 4/,—3 Spessore mm. 1,3 Giri in numero di 9—6 Setti in numero di 5 in ‘/, del 2.° giro » » 9 » 4.0» » » 9-10. » Bio [25] M. RAVAGLI 929 Nummulite lenticulare, rigonfia, ornata di numerose strie sottili; il loro andamento è uguale a quello della specie precedente. Nella sezione si vedono cinque o sei giri regolari, il cui passo cresce sino al margine; la lamina ha spessore crescente, è in media metà dell’altezza delle camere; può d’altra parte raggiungere spessore maggiore. Setti numerosi, diritti, perpendicolari nelle loro inserzioni sulla lamina. Camera centrale piccola, bipartita, regolare. Si trova a Mosciano e Monte Rinaldi, con la forma a mi- crosfera e con la coppia Paronaea Beaumonti D’ARCH. e sub-Beaumonti De LA HARPE. Paronaea Tournoiieri Dr La Harpe. — Tav. XXI [II], fig. 8,9. 1880. Nummulites Tournoiieri De La Harpr. EÉtude des Numm. de la Suisse ecc., pag. 166, tav. VI, fig. 12-21. 1880. _ —_ De na Harpe. TeLuini. Numm. terziarie dell’ Alta Italia occidentale ecc., pag. 206, fig. 8,9. 1894. — —_ —_ OpprenHEIM. Die Priabonaschichten und ihre fauna ecc. 1906. — —_ —_ Parisca. Di aleune Numm.e Orb. ecc., pag. 82, tav. I, fig. 42, 43. 1908. — = — Fagiani. Paleontologia dei Colli Berici ecc., pag. 52. DIMENSIONI Diametro mm. 2-3,4 Giri in numero di 3—4 3 Setti in numero di 2—3 in 4/, del 1.° giro » » D_6 » 20 D » » 6—7 » 3.0 » Nummulite lenticolare, con piccolo rigonfiamento al centro; superficie ricoperta di strie diritte, rag- gianti; margine acuto. Il passo è crescente nel rapporto di 1 : 1 !/, oppure di 1:1*/, negli esemplari che rappresentano la specie tipica, in rapporto maggiore in una varietà, che si trova anche in questi terreni. La lamina è sottile, i setti sono piantati perpendicolarmente sulla lamina e diritti per quasi tutta la loro lunghezza; arrivati a poca distanza del soffitto, si piegano fortemente e incontrano la lamina superiore facendo un angolo acutissimo. Sono ingrossati alla base e qualche volta affilati un poco all’estremità superiore. Ca- mera centrale piccola, bipartita, le altre regolari, largamente falciate, sempre più alte, che larghe. - La Paronaea Tournotieri De LA HARPE, descritta dalla PARISCH e dal TELLINI, presenta un giro di più e i setti un poco ricurvi; corrisponde meglio a quella descritta dal De La HarPE (Op. cit. in sinonimia). Comune a Poggio a Luco. Paronaea Tournotieri var. laxispira De La Harpe. — Tav. XXIII [II], fig. 10. 1879. Nummulites Tournoîieri De La Harpe. Étude des Numm. de la Suisse ecc., pag. 166, tav. VI, fig. 18, 19. Differisce dalla specie tipica, per il passo che cresce in rapporto di 1 a 2 così che è molto ampio nell'ultimo giro. Per i caratteri rimanenti, come la specie tipica. Si trova a Poggio a Luco. 29 Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 230 .M. RAVAGLI [26] Paronaea Boucheri Dr La Harpr. — Tav. XXIII [II], fig. 11. 1853. Nummulites vasca (pars) Jovy et Levm. p’ArcHiac. Description des foss. Numm. I1nd., pag. 145, tav. IX, fig. lle e 12. 1860. Nummulites Germanica BorneyAaNnN. Zeitschr. deutsch. geol, Gesellsch., vol. XII, pag. 158, tav. VI, fig. 6, 8 e 9. - 1875. — striata Hantxen. Die Foraminiferenfaura der Clavulina Sxaboi ecc., pag. 85 (pars), LAVA NEXT DI 1880. —_ Boucheri De La Harpe. Etude des Numm. de la Suisse ecc., pag. 179, tav. VII, fig. 33. 1880. = — De ra Harpe. Terni. Numm. terziarie dell’ Alta Italia occidentale ecc., pag. 208. 1906. — _ _ Parisca. Di alcune Numm. e Orb. ecc., pag. 81, tav. I, fig. 33-35. 1908. Paronaca _ - Ravacri. Numm. oligoceniche di Laverda nel Vicentino ece., pag. 502, tav. I, fig. 1. 1909. _ Vasca A _ SiuvestrIi. Numm. di Termini Imerese ecc., pag. 622, tav. XXI, fig. 2, 3,6, 7. 1909. _ -- _ CÒeccuHia-Rispori. Le serie nummulitica dei dintorni di Termini Imerese, tav. IV, fig. 8. DIMENSIONI Diametro mm. 3 Spessore mm. 1,5 Giri in numero di 4-5 Setti in numero di 4 in 4/, del 2.° giro Nummulite lenticolare rigonfia, con superficie ornata di strie diritte, facilmente visibili. Si vedono 4 e 5 giri regolari, con passo ampio sin dall'inizio della spira e crescente lentamente; la lamina spirale è sottile, cresce sempre regolarmente. I setti sono alti, ricurvi, specialmente nella parte superiore, la distanza fra di loro aumenta coll’allontanarsi dal centro, sono abbastaza regolari nella loro disposizione. Camera centrale di medie dimensioni, circolare; le altre sono falciformi, alte più che larghe. Corrisponde per i suoi caratteri perfettamente alla Paronaea Boucheri De LA HARPE, che si trova nei terreni oligo- cenici di Laverda del vicentino, ed a quella descritta dal p’ARcHIAc nel lavoro Monographie des Nummu- lites. Questa specie rappresentata abbondantemente nei terreni oligocenici, si trova anche nell’eocene superiore al quale è da ascriversi il calcare nummulitico del bacino eocenico di Firenze che la contiene. Poggio a Luco (presso Villamagna). Paronaea striata D’Ors. — Tav. XXIII [II], fig. 16 e 20. 1850. Nummulites striata v’Orgiany. Prodrome ecc., vol. II, pag. 406, n.° 1303. 1855. _ — D’Ors. D’ArcHIac et Hamer. Monographie des Numm. ecc., pag. 135, tav. VIII, fig. 9, 10. 1957. _ _ — Hanrken. Die Foraminiferenfauna der Clavulina Sxaboi ecc., pag. 85, tav. XII, fig. 5. 1888. — — — Teuuini. Le Numm. terziarie dell’ Alta Italia occidentale, pag. 195. 1902. —_ - -- MarteLni. I fossili dei terreni cocenici di Spalato ecc., pag. 61, tav. VI, fig. 10. 27 M. RAVAGLI 231 [ DIMENSIONI Diametro mm. 3—3,8 Spessore mm. 1—2 Giri in numero di 5—6 Setti in numero di 5—6 in 4/, del 2.° giro » » Oa » 3.0 » » » T=3) » AO » » 8—10 » 5.0 » Nummulite lenticulare, rigonfia, con superficie ornata di strie diritte, poco visibili; margine ottuso. Nella sezione orizzontale vi sono 5 o 6 giri regolari, con passo crescente lentamente nei primi tre giri, più rapidamente negli ultimi. Lo spessore nella lamina è variabile, cresce generalmente dal centro alla periferia con regolarità. I setti sono sottili, ricurvi presso al soffitto, inclinati; qualche volta pre- sentano un ispessimento alla loro base; sono disposti regolarmente e sono numerosi. Camera centrale piccola, bipartita. In qualche esemplare i setti presentano una certa irregolarità. Comune a Madonna del Sasso, Rosano, Mosciano. Paronaea striata p’Ors. n. var. A — Tav. XXII [I], fig. 25. DIMENSIONI Diametro mm. 2, 5—3,5 Spessore mm. 1.9 Giri in numero di 5 Setti in numero di 4—5 in 4/, del 1.° giro » D 6-7 » O ORO, » » 829 » SOL 3 » » 9 » 4.0.» » » 9—10 » 5.0 » Piccola nummulite lenticulare, rigonfia, con superficie coperta di strie diritte. I cinque giri sono molto regolari, hanno passo sempre crescente in rapporto maggiore negli ultimi giri. La lamina spirale è molto spessa ed il suo spessore aumenta sino al margine; lo spessore può es- sere come l’altezza della legge. I setti sono sottili; molto ravvicinati al centro, si allontanano fra loro col crescere della distanza dal centro, sono piantati obliquamente sulla lamina spirale, diritti per breve tratto poi ricurvi, non si saldano con la lamina superiore. La lamina centrale è piccola, circolare, bipartita, le camere seriali sono regolari, più alte che larghe in tutti i giri. Si trova a Rosano, Madonna del Sasso. Questa nummulite si avvicina alla specie precedente, Par. striata D’ORB., ma i seguenti caratteri costanti in molti individui, mi fanno ritenere che non sia la specie tipica, ma una varietà di essa. Primariamente si verifica sempre una regolarità nell’andamento della spira, i setti sono più numerosi, più regolari, più sottili, e infine lo spessore della lamina è molto maggiore; le camere sono sempre più alte che larghe. Paronaea budensis HaAntKEN. 1875. Nummulites budensis HantKEN. Die Foraminiferenfauna der Clavulina Sxaboi ecc., pag. 85, tav. XII, fig. 4. 1883. — —_ Hanrx. De La Harpe. Numm. de la Suisse, pag. 163, tav. V, fig. 24-34. 1900. — — — OrpenHzem. Die Petrefactenkunde, pag. 41. 232 M. RAVAGLI [28] DIMENSIONI Diametro mm. 2 Spessore mm. 0,8 Giri in numero di 3 Setti in numero di 3—4 in ‘/, del 1.° giro » » 4-5 » DOT » » 6 » BpOREn Plasmostraco ricoperto di strie ricurve leggermente ad ,S, poco visibili, e con margine acuto. Il passo è ampio, cresce molto nel rapporto di 1 !/, o 2:1; i giri sono regolari. I setti rari, sono piantati perpendicolarmente sulla lamina, poco inclinati, molto ricurvi, il loro carattere è di avere una curvatura marcata nella metà del loro percorso, dove si mostrano anche qualche volta volti all’indietro. Sono grossi alla base, sottili verso il soffitto, che costeggiano senza saldarsi con la lamina. Camera centrale regolare, circolare, le prime due o tre camere seriali, che ad essa seguono, sono anch'esse circolari 0 semilunari in modo da formare al centro come una serie di camere uguali; le altre sono alte, ricurve. Non si può confondere per i setti, nè con la Paronaea Heeri, nè con la Paronaea Tournoiieri var. larispira, con le quali presenta a prima vista una certa rassomiglianza. Si trova a Poggio a Luco. Paronaea bericensis De LA Harpe. 1883. Nummulites bericensis De LA Harpe. Numm. de la Suisse, pag. 162, tav. V, fig. 23. 1894. — — De La Harpe. OppenBEM. Venettanischen Numm., pag. 18. 1900. —_ — - — Die Priabonaschichten, pag. 41. DIMENSIONI Diametro mm. 2 Giri in numero di 6 Setti in numero di 5—6 in 4/, del 3.° giro » » T » 4,0 » » » 9 » DO Plasmostraco pianeggiante, con piccolo rigonfiamento al centro e con margine tagliente. Alla superficie scorrono grosse strie. Il rapporto secondo il quale si svolge la spira, non è costante, ma il passo di un giro sta al precedente nel rapporto di 2 a 1. La lamina spirale ha medio spessore; questo carattere forma l’unica differenza fra la Numm. berì- censis nel bacino di Firenze e quella del vicentino, che presenta al contrario lamina sottile. I setti, molto ravvicinati, normali nella loro inserzione, diritti per breve tratto, sono poi molto ricurvi, ingrossati alla base e assottigliati all’estremità superiore. La loro distanza varia anche in uno stesso giro. Non vi è camera centrale e le camere sono falciformi, un poco irregolari. Rassomiglia alla Paronaea Bouillei DE LA HARPE, ma questa è più regolare nella spira e nei setti che hanno anche il carattere dei setti della forma megalosferica Puronaea Tournoiieri, di piegarsi cioè ad angolo poco arrotondato. Con la Numm. d’Or- bignyi non si può confondere per il passo più ampio, per i setti ricurvi quasi sino dalla base, e per gli ornamenti esterni che questa ultima presenta. Si trova a Poggio a Luco. [29] M. RAVAGLI "233 Paronaea curvispira MexrermnI. — Tav. XXII [I], fig. 24. 1850. Nummulites curvispira Savi e MenkGHINI. Considerazioni sulla geologia della Toscana, pag. 413, 417 (pars). 1853. _ — Mex. p’Arcuiac et Han. Monographie des Nummulites, pag. 129 (pars), tav. VI, fig. 15. 1883. _ _ — Drra Harper. Monographie des Nummulites ecc., pag. 200 (pars), tav. V, fig. 42, 43, 44, 47, 48, 49, 51, 56, 64, 68. 1895. — — — MarmeLtI. Il calcare nummulitico di Poggio a Luco ece., pag. 6. Questa specie fu confusa da molti autori con altre forme e già il DE LA HARPE riunì sotto questo nome diverse specie: le Brug. lybica e sub-Montis Fracti (separate come specie nuove dal PrEvERÌ, la Par. curvispira Mer., la Gumb. sub-Oosteni Dx LA HARPE. I caratteri che servono per separarla da ogni altra specie sono: camera centrale piccola, circolare; prima camera seriale semilunare, setti sottili ricurvi, regolari; lamina di medio spessore; passo legger- mente crescente nei primi giri, decrescente nell’ ultimo. Non intendo come il PREvER possa mettere in sinonimia la Numm. curvispira MeA., citata dal MarINELLI!, con la Numm. Lamarcki D’ARcH. var. miliaria PrEveR?. Di fatti il MARINELLI non diede nessuna descrizione o illustrazione, non citò in sinonimia che la Numn. curvispira Mer. descritta e figurata dal De LA HARPE che pure comprende nelle figure 43, 432, 44, 47, 48, 49, 51 a, 56, 64, 68, la vera Numm. curvispîira Men. Anzi l’autore accennò alla corrispondenza della specie in istudio con la fig. 15, tav. VI della Morographie des Nummulites che lo stesso PREVER ritiene per la tipica Numm. curvispira MeH. Manca così ogni dato per potere riunire in sinonimia questa specie con la Numm. Lamarckiì. Non ho trovato, che un solo esemplare di questa specie a Poggio a Luco. Dal MENEGHINI fu trovata a Mosciano. Paronaea Dollfusi Carccnia-Rispori. — Tav. XXIII [II], fig. 19. 1909. Nummulites Dollfusi CaeccHIA-RispoLi. La serie Nummulitica dei dintorni di Termini Imerese, pag. 90, tav. III, fig. 8. DIMENSIONI Diametro mm. 2,5—3,9 Spessore mm. l Giri in numero di 5 Setti in numero di 4 in 4/, del 1.° giro » » G=U » 2.0 » » » (9 » 3.0 » » » 9-10 » Iv Piccola nummulite poco rigonfia al centro, con margine assottigliato. Cinque giri, con passo unifor- memebte crescente, regolari; lamina. spirale sottile, regolare e di spessore costante ad eccezione del primo giro. Camera centrale, piccola, circolare. Setti sottili, alti, inclinati sulla lamina e ricurvi fortemente nella parte superiore, ingrossati alla base e affilati superiormente. Camere alte falciformi. A Madonna del Sasso, Mosciano. 1) MARINELLI. Il calcare nummulitico di Poggio a Luco presso Villamagna, pag. 6. 1895. 2) PREVER. La Paronaea curvispira. Rivista di Paleontologia. Perugia, 1904. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. 29% 934 M. RAVAGLI [30] Paronaea Carapezzai? Cueccnra-Rispori. — Tav. XXIII [II], fig. 22. 1909. Nummulites Carapexzai Caeccnia-Rispori. La serie Nummulitica di Termini-Imerese, pag. 124, tav. VIRA e 022) Avendo un solo esemplare di questa nummulite non posso dare una completa descrizione; per la stessa ragione non mi è possibile separarla completamente dalle specie sino ad ora descritte e formare una nuova specie. Il diametro è di mm. 4; i giri sono 4; il passo è molto ampio; la lamina spirale è !; od !/, del- l'altezza delle logge. I setti sottili, alti, piantati obliquamente o perpendicolarmente sulla lamina, sono quasi diritti alla base, si incurvano verso la sommità. La camera centrale è grandissima; le camere seriali irregolari, di forma varia, hanno massima al- tezza nel secondo giro. : Si distingue da ogni specie e dalla Paronaea Tchihatcheffi D’ArcHIAC, alla quale più si avvicina, per il piccolo numero dei giri rispetto al raggio e per la conseguente ampiezza del passo. Molto sì avvicina alla Numm. Carapezzai Ca.-Risp., anzi sono d’opinione ritenerla per tale pure avendo diametro maggiore e maggior numero di giri. A Mosciano. Gen. Assilina D’OrBIGNY, 1825. Assilina mamillata p’Arcn. — Tav. XXIII [II], fig. 23-24. 1850. Assilina mamillata p’Arcurac et Hanre. Monogr. Numm., pag. 134, tav. X, fig. 7-10; tav. XI, fig. 6-9. 1890. = — D’Arcn., TeLuini. Numm. della Majella ecc., pag. 396, tav. XII, fig. 23-29-30; tav. XIV, fig. 13-15. 1895. — _ — Marisetti. Il calcare nummulitico di Villamagna presso Firenze, pag. 7. DIMENSIONI Diametro mm. 4 Giri in numero di 4—5 Questa piccola Assilina, di forma discoidale piana e sottile, presenta tutti i caratteri della Ass. ma- millata D’ARCH., tanto per la superficie, che per i caratteri interni. Sono tuttavia in dubbio se ritenerla tale per il diametro minore e per la riduzione nel numero dei giri. Gli altri caratteri cioè, la camera centrale piccola, la spira regolare, il passo crescente costantemente, i setti regolari, poco ricurvi, poco in- clinati, la superficie che mostra leggermente i caratteri della spira, corrispondono ai caratteri della Ass. mamillata D’ARCH. Si trova a Madonna del Sasso. Gen. Operculina D’OrBIGNY, 1825. = Operculina ammonea LeyMERIE. 1846. Operculina ammonea LeymerIe. Mémoire sur le terr. a Numm. des Cortures e de la Montagne Notre. Mem. de la Soc. géolog. de France, 2.° série, vol. I, tav. 13, fig. 11. 1590. _ — Levyx. Teuuini. Le Numm. della Majella ecc. Boll. Soc. geolog. it., pag. 400, tav. XIII, fig. 23-24. 1895. _ — — Marmetti. Il calcare nummulitico di Villamagna presso Firenze, pag. 5. DO w (| [31] M. RAVAGLI DIMENSIONI Diametro mm. 6 Giri in numero di 4 L’unico esemplare proviene da Madonna del Sasso. Sulla superficie si può notare, per un rilievo, l'andamento della spira e la sottigliezza del guscio permette di osservare, per trasparenza, il carattere dei setti, senza bisogno di ricorrere a sezioni; la spira ha svolgimento rapido, specialmente nell’ ultimo giro, dove il passo corrisponde quasi al raggio, di modo che il centro della spira, segnato esteriormente da un bottone appena un po’ rilevato, rimane spostato rispetto al centro del fossile. I setti alti si vedono all’esterno per leggeri rilievi. Non ha importanza cronologica, trovandosi nell’eocene medio e superiore. Fam. @rbitoîdidae. Gen. Orbitoides D’OrBIeny, 1847. Sottogen. Orthopbhragmina Munier-CHALMAS. Orthophragmina stella Giixe. 1868. Orb. (Asterocyclina) stella Giuse. Beitrige sur Foraminiferen Pauna der Nordalp. Eociingebilde. Abh. d. k. bayer. Ak. d. Wiss., II CI., X Bd., II Abth. 1904. Orthophragmina stella Gis. ScuLumseReER. Quatriòme Note sur les Orbitoides, pag. 132, tav. VI, fig. 47-50 e 52-56. Bull. de la Soc. géol. de France, 4.°-série. 1895. Orbitoides stella Gius. MarimeLLI. Il calcare nummulitico di Villamagna, presso Firenze, pag. 8. 1908. _ _ — Fagiani. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 55. 1909. = — — CrÙeccnia-Rispori. La serie Nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese, pag. 136, tav. VIII, fig. 17. Plasmostraco coperto di granulazioni che vanno diminuendo in numero e dimensioni verso il margine. Forma circolare con cinque a sei prolungamenti o raggi, come una stella. La sezione trasversale si mo- stra per il particolare accrescimento e disposizione delle camere, stellata. Comune a Ronco e Rosano. Orthophragmina stellata D’Arcniac. 1846. Calcarina stellata v’Arcurac. Mém. de la Soc. géol. de France (2) lI, pag. 199, tav. VII, fig. la. 1867. Orbitoides asteriscus Kaurxanw. Geol. Beschr. des Pilatus. 1868. — priaboniensis GiiueeL. Beitrige zur Forameniferen Fauna der Nordalp. Eociingebilde, pag. 91, tav. IV, fig. 36. : 1904. Orthophragmina stellata ScurunBERGER. Quatriéme note sur les Orbitoides, pag. 126, tav. V, fig. 31-36; tav. VI, fig. 37-40. 1895. Orbitoides stellata v’Arcn. MarINELLI. Il calcare nummulitico di Villamagna presso Firenze, pag. 8. 1908. Orthophragmina priaboniensis Gius. FapranI. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 52. 1909. — stellata D’Arcn. CaeccHIA-RispoLi. La serie Numm. di Termini-Imerese, pag. 136. Rara. Plasmostraco irregolare, con rilievo centrale dal quale partono diversi raggi che si vanno al- largando verso il margine. Superficie con piccole granulazioni. 236 M. RAVAGLI [32] Orthophragmina Taramellii Mun.-Cnanr. 1904. Orthophragmina Taramellii Mun.-Cr. ScaLumBERGER. Quatriòme note sur les Orbitoides, pag. 131, tav. VI, fig. 41-46. 1909. — _ — Cxreccua-Rispori. Serie Numm. di Termini-lmerese, pag. 56. Plasmostraco regolare, a cinque punte, con superficie a grosse granulazioni al centro e piccole verso il margine. Non vi è come nella Ortà. stella e stellata nessun rilievo centrale. Ronco. Orthophragmina radians D’ ArcHIAC. 1850. Orbitoides radians D’Arcurac. Bayonne et Dax. Mém. Soc. géol. de France, III, pag. 405, tav. VIII, fig. 15. tenwicostata GiieL. Beitrige zur Forameniferen Fauna, der Nordalp. Eocingebilde, pag. 209, tav. II, fig. 114c; tav. IV, fig. 36. 1868. — radians D’Arca. Gir. Op. ciît., pag. 707, tav. II, fig. 1160-d; tav. IV, fig. 11-15. 1904. Orthophragmina radians D’Arca. ScaLumerrGER. Quatriéme note sur les Orbitoides, pag. 122 (pars), tav. III, fig. 8, 9; tav. IV, fig. 15-17; non tav. III, fig. 7. 1868. = 1908. _ _ — Hem. Die Nummuliten und Flyschbildungen der Schweixeralpen, pag. 267. 1908. = - — Fagiani. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 53. 1909. — — = Carccaia-Rispori. Serie Nummulitica di Termini-Imerese, pag. 113, tav. III, fig. 17. Specie facilmente riconoscibile per il plasmostraco sottile con forte rigonfiamento centrale, dal quale partono rilievi raggianti. Rosano. Orthophragmina Pratti Mrcx. 1846. Orbitoides Pratti MicneLIN. Iconographie xoophit., XIII, tav. 63, fig. 14. 1868. _ papiracea Giimpen. Bestrige xur Forameniferen Fauna ecc., pag. 123, tav. III, fig. 45-47. 1876. —_ _ Gig. Hanrken. Die Forameniferenfauna dei Clavulina Sxabéi ecc., pag. 81, tav. XI, fig. 1. 1903. Orthophragmina Pratti Mica. ScaLumBERGER. Troisiéme note sur les Orbitoides, pag. 27, tav. VIII, fig. 1-3; tav. XI, fig. 27. He. Die Nummuliten und Flyschbildungen des Schweixeralpen, pag. 260. CaeccHIa-Rispori. La serie Nummulitica di Termini-Imerese, pag. 106. 1908. — = — 1909. — _ — Questa specie è l’unica che nei dintorni di Firenze raggiunge grandi dimensioni, avendo un esemplare più di 10 mm. di diametro e misurando molti altri frammenti dimensioni maggiori. Lo spessore è minimo rispetto al diametro e lascia scorgere per trasparenza al microscopio logge equatoriali strette, allungate nella direzione del raggio. È piana o ondulata. Orthophragmina Marthae Scaruns. 1903. Orthophragmina Marthae ScarumeERGER. Troisiéme note sur les Orbitoides, pag. 248, tav. X, fig. 27, 28; tav. XI, fig. 39, 40. 1908. _ — ScaLumB. Fagiani. Paleontologia dei Collì Berici, pag. 36. 1908. _ _ Hem. Die Nummuliten und Flyschbildungen des Schweixeralpen, pag. 266. [83] M. RAVAGLI 237 Piccola Orbitoides a plasmostraco sottile, con grosso rilievo centrale. Superficie coperta di granula- zioni, delle quali una maggiore al centro, cinque un poco più piccole attorno e finalmente molte altre assai minori sono sparse ovunque e decrescenti avvicinandosi al margine. Rosano e Ronco. Orthophragmina Douvillei ScaLuE. 1903. Orthophragmina Douvillei ScaLumBERGER. Troisième note sur les Orbitoides, pag. 283, tav. IX, fig. 21-24. 1908. — — ScaLums. Faziani. Paleontologia dei Colli Berici, pag. 54. Simile alla Orthophragmina Marthae, ma più rigonfia, con facce quasi coniche. Esistono pure granu- lazioni alla superficie disposte come nella specie precedente, ma sono più piccole; vi è minore ditferenza fra le centrali e le altre che decrescono sino al margine. Rosano. Orthophragmina (Rhipidocyclina) nummulitica Gius. 1868. Orbitoides (Rhipidocyclina) nummulitica GiuseL. Bestrige zur Forameniferen Fauna ece., pag. 702, tav. IV. 1895. = nummulitica Gig. MarInELLI. Il calcare nummulitico di Villumagna presso Firenze, pag. ©. 1903. = — — ScaLumercER. Troisiome note sur les Orbitoides, pag. 280, tav. X, fig. 34; tav. XI, fig. 41. Abbondante a Rosano e a Poggio a Luco. Orthophragmina Di Stefanoi CarccHIA-RispoLI. 1909. Orthophragmina Di Stefanoi CrueccHia-Rispori. Serie nummulitica di Termini-Imerese, pag. 190, tav. IV, fig. 6-13. La piccola Orthophragmina, che credo potere classificare per la Orth. Dì Stefano CHECCHIA-RISPOLI, si presenta piegata ed inspessita fortemente verso il centro, con la superficie ricoperta di granulazioni nettamente visibili, e che ingrossano verso il centro. Avendo tre soli esemplari, per la difficoltà della riu- Scita di una sezione in una specie così incurvata, non ho preparata nessuna sezione equatoriale. Differisce dalla Ass. sella perchè è molto più spessa e piccola e presenta granulazioni forti e crescenti verso il centro del plasmostraco. Ronco, Rosano. Gen. Gypsina Carter, 1877. Gypsina globulus Reuss sp. — Tav. XXIII [II], fig. 25. 1847. Ceriopora globulus Reuss. Hammpieer?s Natur. Abhandl. ecc., vol. II, pag. 33, pl. V, fig. 7. 1877. Gypsina vesicularis var. sphaeroidalis H. J. CARTER. Ann. and Mag. Nat. Hist., 4.*, vol. XX, pag. 173. 1909. — globulus Reuss. CHEccHIA-RispoLi. La serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese ecc., pag. 173, tav. XI, fig. 17-20. Questa specie ha piccolissime dimensioni ed è quasi sferica. La sezione equatoriale dell’unico esem- plare, trovato nel calcare di Ronco, riprodotte nella Tavola XXIII [II], fig. 25, mostra chiaramente la di- sposizione delle camerette esagonali, schiacciate, e di diametro maggiore verso l'esterno. 238 M. RAVAGLI [84] Quadro della distribuzione delle specie descritte. É “|s3|% SE È 7 È FORAMINIFERAE EI CE E È È È È SN Dit MRC= (00 =: R E Nummulitidae. Bruguieria Ficheuri PREVER . - c = = e » Fichteli var. ind. MICHT. . 0 = => = » sub-Fabiani PREVER 5 c = = = Laharpeia sub-italica TELLINI . : 0 Sa = = » italica TELLINI . ì 5 ; nt = Ei Giimbelia lenticularis DEFRANCE ò 5 Fa — — » id. var. granulata DE LA HARPE ce c = » Fiesolana TRABUCCO . o o ce e = » etrusca RAVAGLI 5 A 0 = mi = » Rouaulti D’ ARCHIAC 5 6 = = - Paronaea Guettardi D’ ARCHIAC 0 i — = e » latispira MENEGHINI . È o _ GR = » venosa FicHTEL et MoLL . . r -- e » variolaria Sow. i : Ò — = c » » var. minor 3 A - — rv » sub-irregularis DE LA HARPER . —_ — _ » irregularis DESH. . 0 o —_ = —_ » sub-Beaumonti DE LA HARPE . e c = » Beaumonti D’ ARCH. x , = e = » garganica TELLINI . c e — _ = » sub-garganica TELLINI e c = —_ ce » discorbina ScHL. È È 5 _ r — » sub-discorbina DE ma HARPE . _ ce — » curvispira MENEGHINI 5 5 —_ —_ = » densispira TELLINI . 5 È = = E » Heberti D’ARCH. 5 ; i - == = » crispa FicHmtEL et MoLL . , Li — ce [35] FORAMINIFERAE M. S. Andrea a Sveglia RAVAGLI Ronco Paronaea budensis HANTKEN . 4 ò » Bericensis Do LA HARPE . ; » Tournoteri DE LA HARPE 0 » id. var. laxispira De LA HARPER » Boucheri De LA HARPE . o » Thihatcheffi D’ ARcHIAC . 5 » Dollfusi CHECCHIA-RISPOLI » Carapezzai CHECCHIA-RISPOLI Assilinae. Assilina mamillata D’ ARCHIAC . 3 ; Operculinae. Operculina ammonea LEYMERIE . È o . Orbitoides. Orthophragmina stella GUMBEL . ? Ò » stellata D’ ARCHIAC . c » Taramellii Mun.-CHALM. . » radians D’ ARCHIAC . ò » Pratti MIcH. . Ù » Marthae SCHLUMB. . o » Douvillei SCALUMB. . ò » nummulitica GimB. 6 » Di Stefanoi CHECCHIA-RISP. Gypsina. Gypsina globulus Reuss . c c c Finito di stampare » striata D'ORB. . . a È | Masseto Massetino Mosciano Madonna del Sasso S. Donato Rosano ce PIP il 5 novembre 1910. r r r realize = 2 pera sie lt) | e DIE 4 Pb I $ > - }I Di A Ò di > \ È Hi * " Sea ì i i - f NI 1 h 3) i - pe) U . | n / i } i E | è 2 Ù DI a À $ È È w F î Î sota cagate Si PE eil sotatenti: Rana PSR ‘nes ae dit ye Ta de ; Spiegazione della Tavola I [1]. Fic. 1.— Rostro (N. 1) del pliocene di Orciano. Gr. nat., visto di sopra, — pag. $ [8]. » 2.— Lo stesso visto di sotto. 3.— Rostro (N. 2) proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di sopra, — pag. 11 [11l. .— Lo stesso visto di sotto. .— Lo stesso visto di lato. 3 4 5 » 6.— Parte apicale di rostro proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di sopra, — pag. 16 [16]. 7.— Lo stesso visto di sotto. 8.— Lo stesso visto di lato. 9.— Frammento di rostro (N. 4) proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di sopra, — pag. 14 [14 » 10.— Lo stesso visto di lato. » J11.— Parte apicale di denticolo di mandibola ingrandito 159 volte, — pag. 17 [17]. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. ELIOT CALZOLARIB FERRARIO —MILANO n È i È È rà } : PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XVI, Tav. I. BARBOLANI DI MONTAUTO, //isfioplors Herschelîî (Gray): 13 CREO ELIOT CALZOLARIB FENMARIO=MILAMO NI e) va Ho eta e Hu = o dd RO) n I 14. te DD N N DN DD mM DK dI 02 02 03 3 N rd io © © Do IP o > 03 Ww ND Spiegazione della Tavola II [II]. Rostro (N. 3) proveniente da S. Giovanni a Collanza (Siena). Gr. nat., visto di sopra, — pag. 13 [13]. Lo stesso visto di sotto. Lo stesso visto di lato. Sezioni del rostro (N. 2) proveniente da Orciano, — pag. 11 [11]. Sezione -del rostro (N. 6) proveniente da S. Giovanni a Collanza (Siena), — pag. 15 [15]. Frammento di rostro (N. 5) proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di sopra, — pag. 15 [15]. Lo stesso visto di sotto. . Lo stesso visto di lato. Lo stesso visto dalla base. Frammento di mandibola (N.4) proveniente da S. Giovanni a Collanza (Siena), Gr. nat., visto di sopra, — pag. 17 [17]. Lo stesso visto di sotto. Lo stesso visto di lato. Frammento di mandibola (N. 2) proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di lato, — pag. 17 [17]. Lo stesso visto di sotto. Lo stesso visto di sopra. Lo stesso visto dalla base. Frammento di mandibola (N. 1) proveniente da Orciano. Gr. nat., visto di sotto, — pag. 16 [16]. Lo stesso visto di sopra. Lo stesso visto di lato. Frammento di mandibola (N. 3) proveniente da S. Giovanni a Collanza (Siena). Gr. nat., visto di lato, — pag. 17 [17]. Lo stesso visto di sopra. Lo stesso visto di sotto. Lo stesso visto dalla base. Parte basale di denticolo di rostro ingrandito, — pag. 10 [10]. Sezione di denticolo di rostro ingrandito sessanta volte, — pag. 10 [10]. Denticolo di rostro ingrandito sessanta volte, — pag. 10 [10]. Parte apicale di sezione di denticolo di rostro ingrandito 150 volte, -- pag. 10 [10]. Parte apicale di denticolo di mandibola ingrandito 150 volte, — pag. 17 [17]. Denticolo di mandibola ingrandito sessanta volte, — pag. 17 [17]. Denticolo di rostro ingrandito 60 volte, — pag. 10 [10]. Parte apicale di denticolo di rostro ingrandito 150 volte, — pag. 10 [10]. Denticolo di mandibola ingrandito sessanta volte, — pag. 17 [17]. Parte centrale di sezione di denticolo di rostro ingrandita 150 volte. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. [Tav, IL]. ELIDT CALZOLARIS FERKRARIO-MILANO 1.— Rostro (N. 2.— Lo stesso 1 3.— Lo stesso 1 5.— Sezioni del 6. — Sezione -de T.— Frammenti 8.— Lo stesso 1 9.— Lo stesso 1 10. — Lo stesso x 1l1.— Frammente pag. 1 12. — Lo stesso 1 13. — Lo stesso > 14. — Frammenti 15. — Lo stesso x 16.-- Lo stesso 1 17.— Lo stesso x 18. — Frammentc 19. — Lo stesso v 20.— Lo stesso 1 21.— Frammenti pag. 1’ 22.— Lo stesso 1 D 23. — Lo stesso 1 24. — Lo stesso 1 25.— Parte basa 26. — Sezione di | 27.— Denticolo d 28.— Parte apici 29. — Parte apic: 30. — Denticolo € s1.— Denticolo d 32. — Parte apic: 33. — Denticolo € 34. — Parte centi Palaeontographia ita PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XVI, Tav. Il. BARBOLANI DI MONTAUTO, ZHistiophorus Herschelti (Gray). [Tav. I). ELIOY CALZOLANI® FENRARIO=MILANO CW di * a È, : % Ruob snolxosia » ao € VIALI nti Spiegazione della Tavola III [XXXIV]. Fic. 1,2. — Dentalium Michelottii HORN., — pag. 23 [215]. » (9%,4%. — Dentalium (Antale) vulgare DA Cosa, — pag. 24 [216]. Do bb — Dentalium (Antale) fossile ScHROT., — pag. 24 [216]. » 6-11, 12*#FE — Dentalium (Antale) variabile DrsHn. f.? sexcostulata, — pag. 24 [216]. >I013%. — Dentalium (Antale) variabile DESH. f.8 sexcostulata (vivente), — pag. 24 [216]. DDA SIN SERE — Dentalium variabile Desn. f.a septemcostulata, — pag. 25 [217]. 5 IE — Dentalium variabile DesH. f.® septemcostulata (vivente), — pag. 25 [217]. » 20-24, 25*#FE, — Dentalium variabile DesH. f.è octocostulata, — pag. 26 [218]. » 126%. — Dentalium variabile DESH. f.8 octocostulata (vivente), — pag. 26 [218]. » 27-29, 30*#F8 31-35. — Dentalium variabile DesH. f.8 novemcostulata — 32, 33, individui visti dalla faccia dor- sale, — pag. 26 [218]. » 36%, — Dentalium variabile DesH. f. novemcostulata (vivente), — pag. 26 [218]. » 37-41. — Dentalium (Antale) novencostatum Lx., — pag. 26 [218]. » 42. — Dentalium (Fissidentalium) rectum L., — pag. 27 [219]. » 43,44. ) — Dentalium (Fissidentalium) rectum L. (vivente), — pag. 27 [219]. » 45,46. — Dentalium (Pseudantalis) rubescens DesH. — 46, individuo visto dalla faccia dorsale, — pag. 28 [220]. » ATF 484% — Siphonodentalium (Dischides) bifissum S. Voon, — pag. 28 [220]. » 494%, — Caecilianella acicula MULL. sp., — pag. 29 [221]. » 50** a,b. — Gadinia Garnoti PAYR. sp., — pag. 30 [222]. » 51,52**-D4#* DOFFFE 56***#* _ Actaeon tornatilis L. sp., — pag. 31 [228]. x » BIFfa, db. — Actaeon Bovetensis Snc., — pag? 31 [223]. » BSFFEG2FFE. — Tornatina spirata Br. sp., — pag. 32 [224]. » 63444699, — Tornatina obtusa MTG. sp., — pag. 33 [225]. » 6644%_68##%. — Tornatina (Retusa) mammillata PRIL. sp., — pag. 33 [225]. 5 Gta, — Tornatina (Retusa) truncatuta BRrUG. sp., — pag. 34 [226]. Di esa — Tornatina truncatula var. clavata Bon. sp., — pag. 34 [226]. » 744*%*a,b. — Tornatina (Retusa) perstriata n. sp., — pag. 34 [226]. O — Volvula acuminata BrUG. sp., — pag. 35 [227]. N. B.— Tutti gli originali descritti e figurati si conservano nell’ Istituto geologico della R. Università di Roma. Tutte le figure di questa Tavola e seguenti, riproduzione diretta di negativi fotografici, sono in grandezza naturale, se non contrassegnate da asterischi. Spiegazione degli asterischi : * = grandezza doppia della naturale: ia id - » quattro volte maggiore della naturale. CONI = » otto » » » LICRESOÀ, ER » tre » » » ITALICI 3 » sei » » » Palacontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XVI, Tav. III. GERULLI - IRELLI, Faura nealacologica mariana. [Tav. XXXIV]. Spiegazione della Tavola IV [XXXVI]. B#Rk#, Q#AR%, 10a,b. 11#*,124*, 13##%, 14#*%-16#*%. 17%. 18%*%, 19%#*-21%*%, 22%*E. QZ*#*, QAEX*, 25*a, d. 268%, 274#-29%%. 30#4-32*%, 338%, 94**. 35#*, 36**. 37x8. 38x*. 398%. 40%#, 41%, 4ADRR-A4RR, 45***a,b 46. 47. 48. 49. 5OX##*% DI*KEH* — BIFEEX%, BZIERERE, DAKAR, 55%, D6X*, 57** Spiegazione degli asterischi: Palaeontographia italica, vol. III Scaphander lignarius L. sp., — pag. 35 [227]. Scaphander lignarius var. conuloides n. var., — pag. 36 [228]. Scaphander lignarius var. ovoides n. var., — pag. 36 [228]. Roxania utriculus BR. sp., — pag. 36 [228]. Bulla (Haminea) hydatis L., — pag. 37 [229]. Bullinella cylindracea PENNT. sp., — pag. 37 [229]. Bullinella (Cylichnina) umbilicata MTG. sp., — pag. 38 [230]. Bullinella umbilicata var. conuloidea n. var., — pag. 38 [230]. Bullinella umbilicata var. primordia MRS. sp., — pag. 39 [231]. Bullinella umbilicata var. crebrisculpta MRS. sp., — pag. 39 [231]. Bullinelia umbilicata var. Robagliana FiscH. sp., — pag. 40 [232]. Bullinella (Cylichnina) Crossei B. D. D., — pag. 40 [232]. Bullinella (Cylichnina) gigantulina n. sp., — pag. 40 [232]. Bullinella (Cylichnina) mariana n. sp., — pag. 41 [233]. Ringicula (Ringiculella) auriculata MÉN. sp., — pag. 42 [234]. Ringicula auriculata var. buccinea BR. sp., — pag. 43 [235]. Ringicula (Ringiculella) ventricosa Sow., Ringicula ventricosa var. Paulucciae MoRL. sp., — pag. 45 [237]. Ringicula ventricosa var. globulina n. var., — pag. 45 [237]. Ringicula ventricosa var. Gaudryana MorL. sp., — pag. 45 [237]. Ringicula ventricosa var. placentina SEG., — pag. 45 [237]. Ringicula ventricosa var. incrassata SEG., — pag. 46 [238]. Philine (Hermania) scabra MULL. sp., — pag. 46 [238]. Philine (Ossiania?) prulnosa CLARK, — pag. 47 [239]. Umbrella mediterranea LK., — pag. 47 [239]. Conus (Lithoconus) Mercatii BR., — pag. 48 [240]. Conus (Chelyconus) pyrula Br., — pag. 49 [241]. Conus (Chelyconus) pelagicus BR., — pag. 49 [241]. Conus (Chelyconus) striatulus Br., — pag. 49 [241]. Conus (Chelyconus) mediterraneus BRUG., — pag. 50 [242]. Drillia (Cymatosyrinx) sigmoidea BrN. sp., — pag. 50 [242]. Bela (Haedropleura) septangularis MTG. sp., — pag. 51 [243]. grandezza doppia della naturale. » » » » XVI, 1910. quattro volte maggiore della naturale. otto » » » » tre » » » » una volta e mezzo » » » PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. IV. CERULLI - IRELLI, Fauna malacologica mariana. [Tav. XXXVI]: Spiegazione della Tavola V [XXXVI]. Fis. 1**a, db. — Bela (Haedropleura) bucciniformis BELL., — pag. 51 [243]. Di RESI O — Mangilia Vauquelini PayR. sp., — pag. 51 [243]. dI RIO — Mangilia indistincta MRS. sp., — pag. 52 [244]. DIMESSI ERO — Mangilia Bertrandi PayR. sp., — pag. 92 [244]. DTS — Mangilia Bertrandi var. elongatula n. var., — pag. 53 [245]. » 10**a,b. — Mangilia costata PENNT. sp., — pag. 54 [246]. O lbs — Mangilia costata var. antiqua SAcco, — pag. 54 [246]. DI — Mangilia costata var. coarctata ForBrs et HanL., — pag. 54 [246]. DI ISO, — Mangilia mitreola Bon. sp., — pag. 54 [246]. » 14###817### = — Mangilia rugulosa PHIL. sp., — pag. 55 [247]. D_dieeszio, — Mangilia scabriuscula BRUGN. sp., — pag. 55 [247]. D lEs*a». — Mangilia (Ciathromangilia) clathrata Dn SERR. sp., — pag. 56 [248]. » 20*#a,b,21#. — Mangilia (Agathotoma) angusta JAN sp., — pag. 56 [248]. » 22-24. — Peratotoma hystrix JAN sp., — pag. 56 [248]. » 25*528#. ©“ — Peratotoma reticulata Ren. sp-, — pag. 57 [249]. DM 29 — Peratotoma reticulata var. A, — pag. 57 [249]. ». 190%, 81%. — Peratotoma reticulata var. B, — pag. 57 [249]. > EQ — Peratotoma reticulata var. C, — pag. 57 [249]. » 83,34*-36*. — Peratotoma purpurea MrG. sp., — pag. 58 [250]. DIS taN0ì — Peratotoma purpurea var. bicolor Risso, — pag. 58 [250]. DU el — Peratotoma purpurea var. excontigua n. var. (mut. nom.), — pag. 58 [250]. » 39**44** 45**** — Peratotoma (Ciriilia) linearis MTG. sp., — pag. 59 [251]. » 46%, db. — Peratotoma (Lenfroyia) Lenfroyi MicH. sp., — pag. 59 [251]. » 4T*a,b. — Peratotoma (Lenfroyia) concinna ScACCHI sp., — pag. 60 |252]. » 48% 49%. — Daphnella Romanii LiB. sp., — pag. 60 [252]. » 50*-52*, 53. — Daphnella (Bellardieila) gracilis MrG. sp., — pag. 61 [253]. » b4a,b-57. — Daphnella (Bellardiella) stria CALC. sp., — pag. 61 [253]. Spiegazione degli asterischi: Li = grandezza doppia della naturale Det = » quattro volte maggiore della naturale. AI UrtO sa » cinque » » » SEA » sei » » » Palaeontographia italica, vol, XVI, 1910. ene Mi PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. DIVANI XXXVI]: [ Tav, Pauna malacologica mariana, CERULLI - IRELLI, 32 Spiegazione della Tavola VI [XXXVII]. Fig. 1a,b. — Daphnella (Bellardiella) volutella VALENC. sp., — pag. 62 [254]. DI2IA03: — Daphnella volutella var. longiuscula n. var., -— pag. 63 [255]. FI SÈ — Daphnella volutella var. ventricosiuscula n. var., — pag. 62 [254]. Dt — Daphnella (Bellardiella) inflata JAN sp., — pag. 63 [255]. » 6**10**# — Daphnella (Teres) anceps EicHw. sp., — pag. 63 [255]. » 11** 12** — Daphnella anceps var. turritelloides BeLL. sp., — pag. 64 [256]. » 13*#*a,b. — Raphitoma hispidula JAN sp., — pag. 64 [256]. DITA: — Raphitoma hispidula var. pliocostatissima SAcco, — pag. 64 [256]. » 15%a,b. — Raphitoma plicatella JAN sp., — pag. 65 [257]. Di IBS 7 — Raphitoma vulpecula BR. sp., — pag. 65 [257]. » 18424. — Raphitoma susmarginata Bon. sp., — pag. 65 [257]. > 25##29**. — Raphitoma turgida FORBES sp., — pag. 66 [258]. » 30*****,b. — Raphitoma Appeliusi BeLL., — pag. 67 [259]. » 31#FF#&94### — Raphitoma exstriolata n.sp.(mut. nom.), — pag. 67 [259]. » 35*F*848*##8 — Raphitoma brachystoma PHIL. sp., — pag. 68 [260]. » 448% 46*** — Raphitoma nebula MTG. sp., — pag. 68 [260]. Do Ci — Raphitoma nebula var. abbreviata JEFFR., — pag. 69 [261]. » 48**a,b. — Raphitoma nebula var. elongata JEFFR., — pag. 69 [261]. > 49###£5]**** — Raphitoma nebula var. laevigata PHIL. sp., — pag. 69 [261]. » 52**58*. — Raphitoma attenuata MTG.sp., — pag. 70 [262]. Spiegazione degli asterischi : x = grandezza doppia della naturale. RRLS -_ » quattro volte maggiore della naturale. Va » ciaque » » » ato ion » sei » » » Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PATRSEONILOGRARETARICATRICA Volt=vi, Tav VI. CERULLI - IRELLI, Z#uuna malacologica mariana. [Tav. XXXVI]. 208 13 I Si Sela Vv. Spiegazione della Tavola VII [I]. Fig. 1a. — Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldii Sacco. Porzione di una lamina spirale riprodotta quasi in grandezza naturale, fortemente peduncolata e imbutiforme, — pag. 76 [6]. » 10. — Microfotografia della sezione tangenziale di un frammento di lamina staccato presso il peduncolo dell’ esem- plare precedente, mostrante resti di foraminifere, prevalentemente Globigerine, come nelle sezioni di tutta la roccia, — pag. 77 [1]. » 2. — Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldii Sacco. Frammento dell'impronta di una lamina, in grandezza naturale, — pag. 77 [1]. Pialaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol. XVI, Tav. VII. I. CANAVARI, Fauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. [Tav. 1]. ELIOT CALZ RI& FERRARIO: MILANO Spiegazione della Tavola VIII [II]. FIG. 1. — Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldi Sacco. Impronta di un frammento di lamina, quasi piana, a coste più nu- merose, in grandezza naturale, — pag. 77 [7]. » 2. — Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldii Sacco. Altro frammento più grande, conservato in impronta, con indizio di digitazione verso la periferia, in grandezza naturale, — pag. 77 [7]. » 3a,b. — Spongeliomorpha? Un esemplare di un corpo problematico conico-depresso, in grandezza quasi naturale, — pag. 79 [9]. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEBONTOGRAPHIA ITALICA Vol XVI, Tav. VIII. TI]. [ Tav. I. CANAVARI, Fauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. J hi È [e] Sole 2 Spiegazione della Tavola IX [III]. Fic. 1. — Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldii Sacco. Frammento di una parte della lamina imbutiforme, probabilmente dei giri inferiori, in grandezza naturale, — pag. 77 [7]. » 2a.— Zoophycos sp. cfr. Z. Gastaldi SAcco. Frammento nel quale si vedono due lamine sovrapposte, di cui l’in- feriore (a destra del disegno) coperta dalla roccia e veduta in sezione obliqua, in grandezza naturale, — pag. 77 [1]. 2b. — Microfotografia della sezione obliqua della lamina parzialmente visibile a destra dell’ esemplare superior- mente figurato, mostrante molte foraminifere, specialmente Globigerine, — pag. 77 [7]. » 3. — Zoophycos (?) ultimus SaPoRTA. Frammento isolato di ramoscello cilindroide, in grandezza naturale, — pag. 78[8]. » 4. — Cylindrites? Un esemplare dicotomo, in grandezza naturale, — pag. 79 [9]. Palasoutographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol. SVI RELAIS I. CANAVARI, Fauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. [Tav. TI]. ELIOT CALZOLARIX FEHKAKIO MILANO PIGAROE [99] 11-12. 13. 14a,b 15. 160, db. 17 a-c. 18a-c. 19a-c. 20a-c. 2la-c. 22 a-c. 234, db. 24a-d. 25. 26 a-c. Spiegazione della Tavola X [IV]. — Microfotografia del calcare marnoso da cemento, con numerose foraminifere. Ingrandimento lineare circa 40, — pag. 72 [2]. — Micerofotografia di un altro esemplare di roccia con Globigerine, alcune loggie delle quali che spiccano per colorazione più scura sono piritizzate o limonitizzate. Ingrandimento lineare 64, — pag. 82 [12]. — Microfotografia nella quale si vedono le perforazioni delle loggie delle foraminifere riempite alcune di idrossido di ferro. Ingrandimento lineare 45, — pag. 82 [12]. — Nodosaria sp. aff. N. ovicula D’OrB. Esemplare ancora impigliato nella roccia. Ingr. 50 diam., — pag. 80[10]. — Lo stesso esemplare ingrandito circa 170 diam., — pag. 80 [10]. . — Nodosaria sp. aff. N. ambigua NeUGEB. Ingr. 25 diam., — pag. 80 [10]. — Vaginulina legumen Linneo sp. Ingr. 30 diam., -— pag. 81 [11]. — Cristellaria sp. Ingr. circa 70 diam., — pag. 81 [11]. — Polymorphina sp. Ingr. 70 diam., — pag. 82 [12]. — Giobigerina bulloides D'ORE. Ingr. 70 diam., — pag. 82 [12]. — Orbulina universa D’OrB. Forma tubercolata. Ingr. 70 diam., — pag. 83 [13]. — Orbulina universa p’OgB. Forma biloculare. Ingr. 70 diam., -— pag. 83 [13]. — Orbulina universa D’ OrB. Forma triloculare. Ingr. 70 diam., — pag. 83 [13]. — Pullenia sphaeroides D’ OrB. Ingr. 70 diam., — pag. 83 [13]. — Sphaeroidina bulloides D’OrB. Ingr. 70 diam., — pag. 83 [13]. — Truncatulina sp. Esemplare minore. Ingr. 75 diam., pag. 84 [14]. — Truncatulina sp. Esemplare maggiore. Ingr. circa 70 diam., — pag. 84 [14]. — Truncatulina sp. efr. Tr. vortex She. Ingr. 70 diam., — pag. 85 [15]. — Truncatulina sp. Ingr. 50 diam., — pag. 85 [15]. — Anomalina sp. cfr. A. ammonoides Reuss. sp. Ingr. 65 diam., — pag. 85 [15]. — Anomalina sp. Ingr. 75 diam., — pag. 86 [16]. — Pulvinulina sp. Esemplare maggiore. Ingr. circa 70 diam., — pag. 86 [16]. — Pulvinulina sp. Esemplare minore. Ingr. circa 65 diam., — pag. 86 [16]. — Pulvinulina sp. Ingr. 80 diam., — pag. 86 [16]. — Rotalina sp. Ingr. 70 diam., -— pag. 87 [17]. — Nonionina sp. Ingr. 80 diam.; — pag. 8° [17]. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol XVI, Tav. X. I. CANAVARI, Fauna det calcari marnosi da cemento di Fabriano. [ Tav, IV]. 262 260 26È ELIOT CALZOLARIA FERRARIO MIL ANO Spiegazione della Tavola XI [V]. . Fis. 1. — Trochocyathus sp. cfr. Tr. affinis Reuss, — pag. 87 [17]. » 2a,b. — Fiabellum vaticani PonzI, — pag. 88 [18]. » 2e. — Lo stesso esemplare nel quale fu tolto un pezzo secondo l’ andamento dei setti, — pag. 88 [18]. » 2d,e.— Vedute della superficie settale, — pag. 88 [18]. » 27,g9.— Ingrandimenti delle superfici settali, — pag. 88 [18]. » 3. — Flabellum sp. ind., — pag. 89 [19]. » 4a,b. — Toxopatagus italicus Manz. et Mazz. sp., — pag. 89 [19]. » 5. — Toxopatagus italicus Manz. et Mazz. sp. Altro esemplare veduto anteriormente, apparentemente molto alto perchè deformato, — pag. 89 [19]. N.B.— Tutti gli esemplari, quando non sia espressamente detto, sono in grandezza naturale. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. BATAERONIOGRARETAILARICA NO] svi Tav. XI. I. GANAVARI, Zauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. [Tav, VI). CALZOLARIR FERRARIO MILANO 15 a-c. 17,18. 19. 200,b. dI a,b. 22a,b. 23a,b 24. N. Spiegazione della Tavola XII [VT]. Gryphaea (Pycnodonta) cochlear PoLI sp. Un esemplare grande ancora impigliato nella roccia, — pag. 91 [21]. Limea strigilata Broccni sp. Ingr. 2 volte, — pag. 93 [23]. Limea strigilata BroccHI sp. Esemplare raccolto alle Caselle presso Camerino, ingr. 3 volte, — pag. 93 [23]. Porzione della superficie dell’ esemplare precedente, ingr. 12 volte, — pag. 93 [23]. Limea strigiiata BroccHI sp. Esemplare raccolto presso Ascoli Piceno, ingr. 3 volte, — pag. 93 [23]. Aequipecten Malvinae Du. pa MoNnTE., — pag. 93 [23]. Amussium corneum Sow. var. denudata Reuss, — pag. 95 [25]. Amussium anconitanum For., — pag. 96 [26]. Pecchiolia argentea Mar., — pag. 97 [27]. Tellina distorta? PoLi, — pag. 98 [28]. Mioporomya bicarinata Rov. Esemplari variamente deformati, — pag. 98 [28]. Pholadomya Puschi GoLpr. var. virguia MrcHELOTTI. Nella fig. 14a le strie radiali caratteristiche della specie non si vedono così bene come nell’originale, — pag. 99 [29]. Procardia Canavarii Sim., — pag. 100 [30]. Teredo sp. cfr. T. norvegica SPeNGL. Microsezione trasversale di una parte del tubo. Ingrandimento lineare circa 45 — pag. 101 [31]. Teredo sp. cfr. T. norvegica SPENGL. Microsezioni longitudinali del tubo. Ingrandimento lineare circa 45, — pag. 101 [31]. Tugurium postextensum Sacco. Grande esemplare deformato e un poco depresso, — pag. 102 [32]. Tugurium postextensum Sacco. Esemplare più piccolo compresso laterarmente — pag. 102 [32]. Tugurium postextensum Sacco. Altro esemplare un poco più turricolato, — pag. 102 [32]. Scalaria (Sthenorytis) globosa DE Boury., — pag. 103 [33]. Scalaria (Sthenorytis) globosa DE Boury. Altro esemplare raccolto alla Vignaccia nel Camerinese, — pag. 104 [34]. Neaera sp. cfr. N. elegantissima M. HoERNES. Esemplare raccolto alle Caselle presso Camerino, — pag. 113[43]. B.— Tutti gli esemplari, quando non sia espressamente detto, sono in grandezza naturale. 5 ùu Li Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol XVI, Tav. XII. I. GANAVARI, Fauna dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. [Tav VI] ELIOT CALZOLARIA FERRARIO: MILANO i j e a n » fi Te 5 È 7 lf V9 "RATORI = NOE E [AGNA | si e 3 = f Lia PIPPO i PI pdl ti l @ n CUS i ì) i x o id = ì NSOE CO Spiegazione della Tavola XIII [VII]. Cassidaria echinophora Linneo sp., — pag. 104 [34]. Cassidaria tauropomum Sacco. Grande esemplare alquanto deformato, — pag. 105 [35]. Cassidaria tauropyrulata Sacco. Esemplare alquanto deformato, — pag. 105 [85]. Halia praecedens PANTANELLI, — pag. 106 [36]. Conus (Conospirus) antediluvianus Br. var. turritospira SAcco, — pag. 107 [37]. Aturia Aturi BasreROT. Esemplare alquanto deformato con la camera di abitazione conservata e con parte del margine boccale (Fig.60), — pag. 107 [37]. Aturia Aturi BasreROT. Altro esemplare più piccolo e deformato, con parte della camera di abitazione conservata, — pag. 107 [37]. Lepas sp. cfr. L. Rovasendai Ds AL. Placca scudale, — pag. 108 [88]. ?Pontocypris sp. Ingrandimento lineare circa 70, — 109 [39]. Oxyrhina hastalis AGass., — pag. 109 [39]. Oxyrhina Desori AGASS. Esemplare raccolto alle Caselle presso Camerino, — pag. 114 [44]. Carcharodon megalodon AGass., — pag. 111 [41]. Impronta di epifisi vertebrale di qualche pesce del gruppo forse dei Plagiostomi. .B_— Tutti gli esemplari, quando non sia espressamente detto, sono in grandezza naturale. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. CANAVARI, Fauna PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol XVI, dei calcari marnosi da cemento di Fabriano. Tav. XIII. ELIOT, CALZOLAR » et Spiegazione della Ta I "6 Le linee intiere indicano parti esistenti; quelle punteggiate e tratteggiate, parti ricostruiti in nero le piastre ossee del clipeo e le ossa craniche. i i, Indicazioni delle parti ossee: — 0, omero; nu, nucale; n!-n8, neurali; %, piastra accessoria; p'-p?, piga i caudale; c'-e8, costali; m4-m!%, marginali. Palaeontographiu italica, vol. XVI, 1910. dà te _£ PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. MISURI, Auelastes Melli, nuovo chelonio «del calcare miocenico di Lecce. LI " \ È Nagi== \ w - CS \h_- \ Y n Pak pers $ avela XIV [1]. LI Le linee intfea di in néfo legifiagire dssce del clipeo e le dts ; PILA s (ALE leda So dellé Pgri® ossee: 07 0mero; nuaricaN Li Par catudfè e4fte8 goÉtali; m'-m'L-Mfarginali. Indicazioni PRETE. AE 0 de" PP a lr did. a Bd > x i î Vs "sz i) di el Li Palacoutographia italiva, vol. XVI, 1910. y ; I] t] PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XIV. MISURI, ZEuclastes Meli, nuovo chelonio del calcare miocenico di Lecce. [Tav I]. Fig. 1. — Teschio dell’ Euclastes Melii, veduto di profilo in grandezza. naturale, n » 2. — Lo stesso, veduto di sopra in grand. nat. ‘(Linee e colori come alla Tav. XIV |I]). Soa Indicazione delle ossa craniîche (comuni alle due figure): — pm, premascellare; nm, mascellare ; 20, molare; 59, squi Pf, prefrontale; f, frontale; pa, parietale; mas, mastoide: pfr, postfrontale. RESI ù x ‘ Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA ; Vol. MISURI, AEuclastes Melii, nuovo chelonio del calcare miocenico di Lecce lig:f - La e sole === , Fig. 1. — Teschio dell’ Euolastes JMelii, veduto di profilo in grandezza naturale. i CR i DI Vi « x C fd » 2. — Lo stesso, vedu Ì iN pasta ' URTO: sì VA (MEI P : vo Trav È Le e dg e: Pi ) “à ar 305, sec ì È de (Linee e colori come alla Tav. XIV |] di ao Hi. uri Wap Ni % DAS ra Indicszione delle ossi croniche (cbmvurti Ae Nscellare ; mo, molare; sg, squamos pf. preftontale; / froutale; \ Ù e pa Ò PI ae r ù =, MR Laga fi SOT ì . st \ : PI OO î DS ì Ù 4. W Midi tr iI $ i 9 N U la n , x , H Ri n ' SRO Pe ego i è DE ì 2 “ N Ri ù vid ‘4, x Uni $ Sn 4 $ ooVi--- porri 4 Palacontographia italica, vol. XVI, 1910. * . % 9 ai = di Sn) % PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XV MISURI, Euclastes Meli, nuovo chelonio del calcare miocenico di Lecce. [Tav, IL]. ELIOT CALZOLARI 8 FEHHARIO MILANO Spiegazione della Tavola XVI [I]. FiG. 1a-c. — Clypeaster Gustavi Lov., — pag. 140 [4]. » 1d. — Ingrandimento di una parte delle zone porifere del suddetto esemplare. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XVI. LOVISATO, Clypeaster Lovisatoi Cott. e sp. nuove di Clypeaster ed Echinolampas. [ Tav. 1]. PASQUALE CLEMENTE DIS. ELIOT CALZOLARIR FERRARIO MIL ANL Ù î DE DT s Ù 8) do i] Ù Ù Ì . è ì ò Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XVII. LOVISATO, Clypeaster Lovisatoi Cott. e sp. nuove di Clypeaster ed Echinolampas. [ Tav. IL} Je E. MERCU DIS. ELIOT CALZOLARIA FERHAKIO MILANO Spiegazione della Tavola XVIII [III]. FiG. 1a-c. — Echinolampas Spanoi Lov., — pag. 142 [6]. » 2. — Ciypeaster sp. Esemplare teratologico proveniente da Coroneddu in quel di Bosa, — pag. 144 [8]. » 3. — Clypeaster Lovisatoi Correau. Esemplare teratologico proveniente da Coroneddu, — pag. 145 [9]. » 4. — Opissaster Lovisatoi Correau. Esemplare teratologico di Cadreas sopra Bonorva, — pag. 145 [9]. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA _,, Vol. XVI, Tav. XVIII. SOZIZATI [ Tav chinolampas. ster Lovisatoi Cott. e sp. nuove di Clypeaster ed E Clypea LOVISATO Si ur -_ —- — — ” o Pa0-> FIG. Spiegazione della Tavola XIX [I]. | 1.— Primo premolare superiore destro visto di sotto. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 164 [18]. 2.— Terzo incisivo superiore sinistro. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 164 [18]. .— Terzo molare superiore destro visto di sotto. Castelnuovo di Valdarno, — pag. 167 [21]. .— Lo stesso visto dal lato esterno. .— Lo stesso visto dal lato anteriore. .— Lo stesso visto dal lato interno. .— Terzo premolare superiore sinistro visto di sotto. Cava delle Fornaci, Barga, — pag. 166 [20]. 3 4 5 6.— Lo stesso visto dal lato posteriore. “ 8 9 .— Lo stesso visto dal lato esterno. 10.— Lo stesso visto dal lato interno. 11.— Lo stesso visto dal lato anteriore. 12.— Secondo premolare superiore sinistro visto di sotto. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 164 [18]. 13.— Lo stesso visto dal lato interno. 14.— Lo stesso visto dal lato anteriore. 15. — Lo stesso visto dal lato esterno. 16.— Quarto premolare superiore sinistro visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 166 [20]. 17.— Lo stesso visto dal lato posteriore. 18. — Lo stesso visto dal lato anteriore. 19.— Lo stesso visto dal lato esterno. 20. — Lo stesso visto dal lato interno. 21.— Secondo premolare superiore sinistro visto di sotto. Valdarno, — pag. 165 [19]. 22.— Lo stesso visto dal lato interno. 23. — Lo stesso visto dal lato posteriore. 24.— Secondo molare superiore destro visto dal lato esterno. Gaville, Valdarno, — pag. 177 [31]. 25. — Lo stesso visto dal lato interno, 26.— Lo stesso visto dal lato anteriore. 27.— Lo stesso visto dal lato posteriore. 28. — Lo stesso visto di sotto. 29.— Cranio, — pag. 175 [29]. 30.— Mandibola, — pag. 177 [Bi]. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. . PALARONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XIX. DEL CAMPANA, 4 Tapiri del terziario italiano. [Tav. 1]: si me | bi î, x Di , D] Tre) i x | Mele } DI i Los , salti do: P i ; bi x si N d s Pi 4 _ Ù î PI î DI ; : k Î la DI i Ù i ; [ x n \ < Y \ Spiegazione della Tavola XX [II]. FiG. 1. — Branca sinistra di mandibola vista dal lato interno. Castelnuovo di Valdarno, — pag. 168 [22]. » 2.— La stessa vista dal lato esterno. « 3.— La stessa vista di sopra. » 4.— Frammento di branca destra di mandibola col secondo e terzo premolare e con parte del primo molare, visto dal lato esterno. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 173 [27]. » 5.— Lo stesso visto dal lato interno. » 6.— Lo stesso visto di sopra. » 7.— Frammento di branca sinistra di mandibola con parte del primo premolare e col secondo e terzo premolare, visto dal lato interno. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 173 [27]. » 8.— Lo stesso visto di sopra. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XX. DEL CAMPANA, 4 Tapiri del terziario italiano. [Tav. 1]. ELIOT CALZOLARIA FERRARIO MILANO Spiegazione della Tavola XXI [III]. FIG. 1.— Primo premolare inferiore destro visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 172 [26]. » 2.— Lo stesso visto dal lato interno. » 3.— Lo stesso visto dal lato esterno. » 4. — Primo premolare inferiore sinistro visto di sopra. Ponte dei Sospiri. Castelnuovo di Garfagnana, — pag. 172 [26]. » 5. — Lo stesso visto dal lato interno. » 6.— Lo stesso visto dal lato esterno. » €. Secondo molare inferiore destro, visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 174 [28]. » 8.— Lo stesso visto dal lato interno. » 9.— Lo stesso visto dal lato esterno. » 10.— Lo stesso visto dal lato anteriore. » 11.— Lo stesso visto dal lato posteriore. ‘ » 12. Terzo molare inferiore destro visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 174 [28]. » 13.— Lo stesso visto dal lato interno. » 14. — Lo stesso visto dal lato esterno. » 15.— Lo stesso visto dal lato anteriore. » 16.— Lo stesso visto dal lato posteriore. » 17. Secondo molare inferiore sinistro visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 173 [27]. » 18.— Lo stesso visto dal lato interno. » 19.— Lo stesso visto dal lato esterno. » 20.— Lo stesso visto dal lato anteriore. » 21.— Lo stesso visto dal lato posteriore » 22.— Terzo molare inferiore sinistro visto di sopra. Fornaci di Pieve Fosciana, — pag. 173 [27]. » 23.— Lo stesso visto dal lato interno. » 24. — Lo stesso visto dal lato esterno. Lo stesso visto dal lato anteriore. Lo stesso visto dal lato posteriore. Primo molare inferiore sinistro visto di sopra. Ponte dei Sospiri. Castelnuovo di Garfagnana, — pag. 174 [28]. Lo stesso visto dal lato anteriore. (3x1 O hO DD DD b9 ga di [ss » 9.— Frammento mandibola sinistra visto di sopra. Ligniti di Spoleto, — pag. 179 [33]. » 30.— Lo stesso visto dal lato esterno. » 31.— Lo stesso visto dal lato interno. » 32.— Terzo premolare superiore sinistro visto di sotto. L'igniti del Casino Siena, — pag. 197 [51]. » 33. — Primo molare superiore sinistro visto di sotto. Ligniti del Casino Siena, — pag. 197 [51]. » 34. — Secondo molare superiore destro visto di sotto. Ligniti del Casino Siena, — pag. 197 [51]. » 35.— Terzo molare superiore sinistro visto di sotto. Ligniti del Casino Siena, — pag. 197 [51]. » 36.— Secondo premolare inferiore destro visto di sopra. Ligniti del Casino Siena, — pag. 198 [52]. » 37.— Secondo molare inferiore sinistro visto di sopra. Ligniti del Casino Siena, — pag. 193 [52]. » 38.— Terzo molare inferiore sinistro, — pag. 198 [52]. Palneontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XXI. DEL CAMPANA, / Tapiri del terziario italiano. ; [ Tav. II] Fra. 1*%,2-4. » DE DISALOS DIRRRT A vo LEO, >» 11,12% » 13,145. 2 15,16,17%. — » 18,19. » 20-23. ». 24. » 259 Spiegazione della Tavola XXII [I]. Bruguieria Ficheuri Prever — 1*#, Madonna del Sasso; 2 e 4, Rosano; 3, Ronco, — pag. 213 [9]. Bruguieria Fichteli Micat. var. — Mosciano, — pag. 213 [9]. Bruguieria sub-Fabiani Prever — Mosciano, — pag. 214 [10]. Laharpeia sub-italica TeLLINI -— 7, Madonna del Sasso; 8, Rosano, — pag. 215 [11). Giimbelia lenticularis Derr. — 9. Rosano; 10, Madonna del Sasso; — pag. 215 [12!. Giimbelia lenticularis DerR. var. granulata De La Harpe — S. Andrea a Sveglia, — pag. 217 [13]. Giimbolia Fiesolana TraB. — S. Andrea a Sveglia, — pag. 218 [14]. Giimbelia etrusca n. sp. — 15, Massetino; 16 e 17#, Mosciano, — pag. 217 [13!. Giimbelia Rouaulti p’ Arca. — Mosciano, — pag. 218 [14]. Paronaea variolaria Sow. — 20; Rosano; 21 (var. minor), Poggio a Luco; 22, Mosciano; 23 Massetino, — pag. 223 [19]. Paronaea curvispira McH. — Poggio a Luco, — pag. 233 [29]. Paronaza striata D’OrB. var. A. — Madonna del Sasso, — pag. 281 [27]. N. B.— Le figure di questa Tavola sono in grandezza 10 volte maggiore del vero: quelle coutrassegnate con asterisco sono ingrandite 20 volte. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA _, Vol XVI, Tav. XXI. RAVAGLI MARIA, Nuwnmuliti e Orbitoidi eoceniche dei dintorni di Firenze. [Tav, I]. #LIOT CALZOLARIA FERRARIO MILANO Spiegazione della Tavola XXIII [II]. FiG. 1,2. — Paronaea crispa Ficar. pt MoLL — Ronco, — pag. 225 [21|. » 3-0. — Paronaea Guettardi n’ ArcH. — 3, Rosano; 4, Mosciano; 5, Madonna del Sasso, — pag. 222 [18]. ZNN65 — Paronaea sub-garganica TELLINI — Ronco, — pag. 219 [15]. ZINCO — Paronaea Tchihatcheffi D'’ArcH. — Mosciano, — pag. 220 [16]. » 8,9*#. — Paronaea Tournoiieri Dr La HARPE — Poggio a Luco, — pag. 229 [25]. 510, — Paronaea Tournoiieri var. laxispira De La Harpe — Poggio a Luco, — pag. 229 [25]. DOMGLLE — Paronaea Boucheri Dr La Harpe — Poggio a Luco, — pag. 230 [26]. DINI: — Paronaea subirregularis De LA HARPE — Rosano, — pag. 226 [22]. > 13: — Paronaca Meberti D'ArcH. — Madonna del Sasso, — pag. 224 [20]. DINI A — Paronaea venosa Ficat. er MoLL — S. Andrea a Sveglia, — pag. 223 [19]. ) do — Paronaea sub-Beaumonti De La HARPE — Madonna del Sasso, — pag. 227 [23]. » 16. — Paronaea striata n’OrB. — Madonna del Sasso, — pag. 230 [26]. » 17*,18*. — Paronaea sub-discorbina De La Harpe — Madonna del Sasso, — pag. 228 [24]. » 164, — Paronaea Dolifusi CaeccHIA-Risp. — Madonna del Sasso, — pag. 233 [29]. » 20. — Paronaea striata n’ OrB. — Rosano, — pag. 230 [26]. » 21% — Paronasa latispira Mena. — Mosciano, — pag. 221 [17]. » 22% — Paronaea Carapezzai? CHeccHIA-RIsp. — Mosciano, — pag. 234 [30]. » 23#,24* — Assilina mamillata D’ArcH. — Madonna del Sasso, — pag. 234 [30]. » 25. — Gypsina globulus Reuss — Ingrandita 40 volte. Ronco, — pag. 2537 [33]. N. B.— Le figure di questa Tavola sono in grandezza 10 volte maggiore del vero; quelle contrassegnate con asterisco sono ingrandite 20 volte. Palaeontographia italica, vol. XVI, 1910. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. XVI, Tav. XXIII. RAVAGLI MARIA, Nwwumuliti e Orbitoidi eoceniche dei dintorni di Firenze, [Tav IL]. ELIOT CALZOLARIA FERRARIO MILANO N INSTITUTION LIBRARIES LI NCKINKNNN Ù 01470 3441 Ss TOI x [ LETTO NI DI N