FARI RE 7 ) li T———— so - HARVARD UNIVERSITY. TL ILIZIZ AIR NY OF TIE MUSEUM 0F CORETIDE ZOOLOGY. , 01 n Deumdbw 5 1922. “PALAFONTOGRAPHIA ITALICA MEMORIE DI PALEONTOLOGIA PUBBLICATE PER CURA DEL PROF. MARIO CANAVARI . Musro GroLocico DELLA R. UniveRsITÀ DI Pisa — —euo MorumefXGN\E.— ono. PISA STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC. FF. NISTRI CAV. V. LISCHI E FIGLI PROP. 1919 Cc, Nea sa Y&RREI / ; Sa M ; Pai “I Variati SERE e L « Ple Da: r ij ) \ TIRO: È À 5 ; i i t) Tag i \ Î Di DI 6 4 mer 5 n° n . » A -“ n 2 di E RR IU RA . ; 1 ; ARR: tin, Ù O ui N d b va n n È A Er 2) : È Ur, e è, DI A. ca i ù Lena INDICE DEL VOLUME XXV PrrragnoLI L. — Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana (Tav. I-VII [I-VII]). pag. dl RopiGHIBRO A. — Il sistema Cretaceo del Veneto Occidentale compreso fra l'Adige e il Piave, con speciale riguardo al Neocomiano dei Sette Comuni (Tav. VIII-XIII [I-VI]). . E ; SENSI StEFANINI G. . — Fossili del Neogene Veneto. Parte seconda: Brachiopoda, Echinodermata (Tav. XIV, XV [VIIL,, IX] e Fig. 14-18 interc.). x » 127 FuCINI A. . — Il Lias superiore di Taormina ed i suoì fossili (Tav. XVI 1). aa io i): si ioni ia TON nel) “ia i (PRESE N) FAIR RO A x Artar lil pi MALA SI an ITA 'afianiae siae: i È Ole EST Uisp SI DI sa ak va) Mtigl tomi do spent LL Mc TIM LINA PIERAGNOLI OSSA PATOLOGICHE NELLA GROTTA DI EQUI IN LUNIGIANA (Tav. I-VII [I-VII)). INTRODUZIONE 1. Materiali esaminati. Le ossa patologiche di cui parlo in questo mio lavoro mi sono state favorite in studio dal Prof. CARLO De SrerANI, Direttore del Museo di geologia e paleontologia del R. Istituto di Studi Superiori di Firenze, e sono state scavate sotto la continua sorveglianza dello studioso preparatore del Gabinetto stesso, Sig. BERCI- cri, nella Caverna di Equi, in Lunigiana. Il riempimento della Grotta ha dato resti d’industria umana, appartenenti in parte al Moustieriano, come quelli della Grotta di Cotencher, nel Giura Svizzero, recentemente scoperta e studiata da DuBoIs e StEHLIN. Gli seavi furono iniziati nel 1911 per conto del Prof. CARLO DE STEFANI stesso e furono abbandonati dopo nove anni. La Tecchia si trova ad un’altezza di circa 350 m. sul livello del mare; è di non facile accesso, quindi molto adatta come rifugio e come difesa. Le ossa che vi si trovano sono in massima parte di Ursus spelaeus BLu- MENBACH, ma vi si trovano insieme ossa di vari altri mammiferi e fra gli altri di Marmota marmota L., di Lepus variabilis PaLt. di Microtus nivalis Mart. di Mustela erminea L., di Tetrao tetrix L., e di Tetrao urogallus L., che attestano l’esistenza di un clima più freddo di quello d’oggi. Im questo tempo uno dei cibi graditi all'uomo, ol- tre al bove, al Sus, alle trote, era la carne di Ursus giovane, come ne fanno fede i resti di ossa carbonizzate, che si trovano nei focolari rinvenuti nella Grotta e che insieme ai manufatti di ossa di orso danno la sicurezza della contemporaneità tra l’Ursus spelaeus e l’uomo. Degli usi degli orsi possiamo solamente fare qualche deduzione dagli studi fatti sugli orsi che vivono anche oggi: si sa che sono animali principalmente carnivori, ma siccome si nutrono anche di vegetali, di frutta, di radici, si possono considerare come omnivori. Sono molto grossi (pesano dai 260 ai 1000 Kg.), sono cacciatori espertissimi e finissimi osservatori, e dicesi che, sebbene non molto intelligenti, siano furbi in presenza del pericolo. Possono vivere in aree abbastanza ristrette, in grotte nell’alta montagna, vicino a rocce ed a folte boscaglie, dove trovano cibo in abbondanza, in luoghi ombrosi. Sono animali che vivono in fami- glie di 5 o 6, compresi i due genitori, e raramente e solo temporaneamente possono trovarsi in diverse famiglie riunite. In fatto di pulizia pare non ne abbiano molta. Hanno l’abitudine di rotolarsi nella mota ed è forse per questa mancanza di pulizia che presentano tanta facilità alle malattie. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 2 i L. PIERAGNOLI [2] * * * 2. Cenni generali sulle malattie delle ossa. Prima di cominciare il lavoro di osservazione, parlerò un po’ delle malattie ossee e delle rigenerazioni 0s- see che secondo i concetti moderni possono avere luogo, e di cui abbiamo bellissimi esempi nelle ossa ma- late di Ursus spelacus BLum. La pratica moderna offre l’esempio di larghissime ed estesissime perdite dell’osso, anche aggravate da stato di septicemia, che si sono completamente riparate: nelle ferite ossee si vede che alla mancanza di sostanza ossea, l’osso ripara da sè riproducendosi lentamente ; così nelle osteomieliti. L'ufficio di rigenerazione dell’osso è affidato principalmente al periostio ed è solo quando questo manca con interruzione completa della diafisi che si formano le pseudo-artrosi o artri tifistolose, che durano per tutta la vita dell’individuo colpito. Si vede anche nei fossili a me affidati in studio che la natura ha tali compensi, da poter superare l’azione della chirurgia, sia pure la più moderna. Periostiti. Sono le forme più comuni tra le malattie dell’ osso, perchè oltre la infiammazione vera e propria del periostio, si ha periostite ogni qualvolta si hanno lesioni ossee, ma la maggior parte delle volte non si nota o perchè si risolve subito favorevolmente, o perchè accompagna delle alterazioni e delle malattie molto gravi, per le quali la periostite passa in seconda linea; si può avere periostite per traumatismo, per ferite, per fratture ete., ed anche per fatti ‘patologici (ascessi, ulcere, piaghe) avvenuti nelle vicinanze dell’ osso, come per tutte le alterazioni dell’osso stesso. Le periostiti possono presentare due specie di alterazioni molto differenti : l’una consiste in depositi ossei e conseguente ispessimento dell’osso, l’altra in suppurazione e ne- crosi dell’osso ; nella prima il periostio si arrossa, si gonfia, s’infiltra di siero giallastro e si stacca facilmente dall’ osso: si formano delle produzioni ossee od osteofiti molto visibili, che si distinguono dal tessuto osseo vero e proprio per un aspetto grigio ed una consistenza minore. Se poi l’infiammazione è molto forte, in luogo di formare del tessuto osseo, il periostio suppura o esternamente o internamente. La periostite può passare da acuta a cronica, ma generalmente la periostite cronica non è preceduta da periostite acuta e questa periostite cronica può determinare la formazione di depositi ossei definitivi, che costituiscono una esostosi. Osteite. Infiammazione del tessuto osseo, malattia molto frequentemente legata a tutte le infiammazioni dello scheletro e del periostio : si ha osteite condensante o produttiva, caratterizzata dall’aumento di volume e di peso dell’osso: si ha osteite rarefacente, caratterizzata da diminuzione di peso e di volume. Tra l’osso e il periostio esistono tali relazioni vascolari, che l’infiammazione di uno di questi tessuti si propaga necessariamente anche all’altro, cosicchè spesso un caso classificato col nome di periostite o di osteite, meriterebbe meglio il nome di osteoperiostite. Queste osteiti possono ledere il tessuto compatto o il tessuto spugnoso: l’ infiammazione aumenta la vascolarità del tessuto a spese del tessuto osseo che viene a poco a poco riassorbito, in modo che facendo sezionare un osso così infiammato, esso offre un aspetto molto poroso; la malattia giunta a questo punto può risolversi o può condurre a una suppurazione (aumento di vascolarizzazione, riassorbimento di la- melle compatte; vicino a queste si trovano parti meno infiammate con depositi ossei in forma di stalattiti), a una carie (suppurazione molto abbondante, parti lese che si ricuoprono di fungosità: il tessuto osseo perde ogni consistenza e si trasfoma in un detrito che cade a poco per volta [osteite rarefacente di Gerdy]), a una neerosi (prodotti plastici che chiudono i vasi e formazione di sequestri) o a uno stato cronico. In questo caso 1° essu- dato, destinato ad essere sostituito dall’osso di nuova formazione invade gradualmente i canalicoli di Havers ed an- cheil canale midollareinmodo da colmare tuttele areole e così la densità dell’osso viene accresciuta e siha l’osteite [3] L. PIERAGNOLI 3 condensante : oppure le suffusioni plastiche delle quali il tessuto è infiltrato persistono e subiscono la trasfor- mazione grassa, le trabecole sono rarefatte, fragili, sottilissime e, disseccando l’osso, non resta che una trama ossosa simile a un ricamo e si ha allora l’osteite rarefacente. La osteite del tessuto spugnoso presenta presso a poco gli stessi fenomeni. Osteomielite. Malattia che colpisce più facilmente gli individui giovani: si chiama così perchè la prima ad am- ‘malarsi è la cellula embrionale dell’osso che si trova nella parte più profonda (osteogene) del periostio, intorno ai canali di Havers, nelle areole del tessuto spugnoso, nella midolia dell’osso. L’osteomielite ha generalmente il suo focolare al livello di una cartilagine di ossificazione, nel punto nel quale la diafisi dell’ osso si unisce alla cartilagine epifisario. Come si è detto la lesione prende insieme il periostio e i canalicoli di Havers, il tessuto spugnoso, la midolla dell’osso, ma resta circoscritta nelle vicinanze della cartilagine e non si estende al di là di un terzo c della metà dell’osso : i luoghi nei quali si sviluppa di preferenza sono le cartilagini della estremità inferiore del femore, quella inferiore della tibia, quella dell’cmero ete. Se c’è suari- gione, si possono constatare intorno alle parti decollate delle stalattiti o depositi ossei somiglianti a quelli che si formano per le periostiti ordinarie. Tulercolosi ossea. Il bacillo di Koch si sviluppa nelle ossa, nei polmoni e altrove, presentando sempre il medesimo aspetto e la medesima evoluzione. Le cause della tubercolosi ossea seno quelle della tubercolosi in generale : il bacillo di Koch colonizza nelle ossa o altrove, purchè trovi un terreno propizio alla sua cultura; sono cause acquisite o ereditarie, e talyolta basta una causa occasionale, come una percossa, una infiamma- zione, perchè in terreno propizio si sviluppi il germe. La sede prediletta di questo bacillo sono le vertebre e l’artieclazione del giroechio, ma può svilupparsi enche in tutte le altri parti dello scheletro; si sviluppa prima nel tessuto spugnoso e non invade che consecutivamente il tessuto osseo compatto. A poco a poco si forma una massa caseosa, che può essere vicina al periostio e allora questo s’ispessisce, si vascolarizza e si formano nuovi strati che si aggiungono all’osso vecchio, e se tale massa caseosa è vicina alla cartilagine, questa, privata dei suoi elementi nutritivi, si distrugge e sparisce in modo che una sola cavità tubercolare può trovarsi nello spazio di due vertebre: dopo un certo tempo abbiamo la suppurazione. Ora avviene che talvolta la membrana tubercolare che tappezza le pareti della cavità, si vascolarizza, doventaipertrofica eriempie tutto lo spazio lasciato libero dalla materia tubercolare e si forma una massa fibrosa che colma l’escavazione, cheitubercoli rammolliti avevano pro- dotto nell’osso. Altra volta invece le pareti della cavità si sono ravvicinate per l’indebolimento della vertebra che non ha più la forza di sopportare il peso della parte superiore (gibbosità del morbo di Pott): vi sono poi altri casi in cui la massa tubercolare non viene eliminata, provocando nell’osso una iperostosi che previene la per- forazione o forma degli ascessi incistati o si riassorbe o da origine a delle fistole, che gli individui colpiti por- tano per tutta la vita : ho notato questo fatto in alcune falangi di Ursus : l’animale doveva portare la. malat- tia per lunghi anni e forse curarla col sole; che per l’azione dei raggi actinici è il primo distruttore dei germi: così otteneva la guarigione come si riscontra in molti casi. Riferendosi ai molti casi di tubercolosi riscontrati nelle ossa di Ursus è stato molto discusso se la tubercolosi sia la stessa negli animali e nell’uomo: studi di vari scienziati tra cui il BeHRING hanno portato a sostenere l’i- dentità di specie trai due bacilli e la trasmissibilità dell’infezione dai bovini all’uomo, possibilità negata da altri. Tale malattia come altre furono riscontrate in vertebrati fino dal Carbonifero (MoopIE. Op. cit. v. Elenco 1). Carie. La carie è considerata oggi come una osteite tubercolare, mentre in antico si considerava come un’in- fiammazione cronica dell’osso ; la carie colpisce nell’uomo di preferenza alcune ossa: quelle del piede, della mano, il corpo delle vertebre, le estremità delle ossa lunghe. Sul principio le alterazioni somigliano assolutamente a quelle dell’osteite : l’osso si gonfia, si rammollisce, le areole crescono e si riempiono di liquido rossastro che 1) I titoli delle opere consultate sono elencati a pag. 30 [30]. 4 L. PIERAGNOLI [4] a poco a poco diventa purulento : il tessuto osseo è rareficato, spugnoso, rammollito, rugoso, si formano delle fungosità e in un ultimo stadio le trabecole ossee sono scomparse,l’osso è completamente distrutto e ne fuo- resce un pus fetido, che porta con sè dei detriti ossei porosi e irregolari. Quando il paziente guarisca i sequestri sono eliminati, la suppurazione diminuisce e una osteite condensante compensa le perdite di sostanza; la carie ha per conseguenza l’annullamento più o meno completo delle funzioni dell’osso malato, ma il soggetto può vi- vere lunghi anni senza risentirne gran danno. i Tumori delle ossa —o esostosi —sono i tumori formati da una produzione anormale e circoscritta del- l’osso, sia alla superficie che all’interno dell’osso. Certe esostosi si ricollegano collo sviluppo dello scheletro e si dicono esostosi epifisarie : si staccano dalle epifisi delle ossa lunghe e sono il resultato di una ipertrofia della cartilagine epifisaria: sono frequenti eindolori. Vi possono essere anche esostosi traumatiche, consecutive a contusio- ni e provocate dall’irritazione dell’ osso e del periostio: esostosi reumatiche che, più che vere esostosi, sono tofi calcarei, ed altre dipendenti da serofola e da scorbuto ; ma vanno collegate piuttosto alle osteiti rarefacenti. Le esostosi epifisarie sono formate da tessuto spugnoso che è in continuazione con quello dell’osso: le esostosi eburnee (ossa della faccia e del cranio) sono formate da ipertrofia del tessuto compatto e ne hanno la stessa struttura: sono generalmente rotonde, bianche, dure come avorio. I tumori ossei che si sviluppano nello spessore stesso dell’osso sono chiamati da alcuni enostosi ; ma è pro- babile che in questo caso l’osso sia stato sede di una osteite rarefacente e lo spazio che essa ha vuotato sia stato in seguito colmato da neoformazione di osso più o meno compatto. Artrite. Spesso nelle artriti, contemporaneamente al processo degenerativo della cartilagine, si trovano pro- cessi di atrofia delle ossa e processi iperplastici : l’osso denudato dopo il processo di distruzione della cartila- gine, è ispessito per opera di un’artrite fibrosa e sclerosante che occupa gli spazi midollari per un’apposizione di sostanza ossea sulle trabecole preesistenti; le alterazioni che sì formano successivamente nell’osso sono pro- cessi di atrofia, di riassorbimento e di proliferazione: cioè qua e là si formano degli infossamenti o degli osteofiti molto densi e duri, prodotti dal periostio irritato, o delle proliferazioni della sinoviale. L’artrite erosiva segue generalmente le fratture dell’osso del piede, del coronale, del pastorale, delle ossa del carpo e del tarso; comincia l’erosione nella cartilagine, poi la superficie articolare perde la lucentezza, di- venta vellutata e tominciano a crescere vesetazioni villose : l’osso rimane più leggero e spugnoso. Necrosi. Si dà questo nome alla mortificazione del tessuto osseo; si chiama sequestro la parte morta dell’osso: generalmente l’osso espelle il sequestro e si ha la riparazione dell’ osso morto. Una delle cause principali della necrosi è la osteomielite, per la quale si formano sequestri nella parte lesa, oppure i disturbi del sistema vasco- lare dell’osso (congelazioni, bruciature estese, cancrena delle estremità). Actinomicosi. È una delle malattie più note e più frequenti negli animali e interessa più spesso le ossa mascel- lari. Quasi tutte le malattie conosciute anticamente col nome di spina ventosa, male del verme, sarcoma man- dibolare, canero delle ossa, tumore mascellare, devono essere ascritte all’actinomicosi. Questa malattia è dovuta ad un Actinomyces che attacca alcune volte solo la superficie dell’osso. altre volte distrugge invece il tessuto compatto periferico e invade gli spazi spugnosi dove si sviluppa liberamente: nelle lesioni profonde l’osso è nudo, cariato, rammollito, facile a tagliarsi e spesso anche le parti molli vicine sono invase dal bacterio: anzi se- condo teorie moderne, il fungo si svilupperebbe prima in queste. LanGENBECK nel 1845 fu il primo a rintracciare il fungo dell’actinomicosi, nell’uomo, nel pus granuloso di un ascesso congestizio di carie cervicale: James ISRAEL ne descrive i caratteri microscopici nel 1878. I funghi di questa actinomicosi si sviluppano assai bene nelle re- ste delle spighe dei cereali e nella paglia: infatti nei focolari infiammatori dei bovini e dell’uomo vennero ri- trovati pezzetti di paglia, nei canali aerei della quale il funsosi svilluppa benissimo: BerEstuEw lo riscontrò nel fieno, nelle spighe secche e nelle reste del grano disseminate; qui il fungo può avere vita per più di un anno [i] L. PIERAGNOLI 5 (ScaLEGEI); l’infezione è più frequente negli animali che nell’uomo ed è prodotta generalmente dal contatto di reste di spighe infette (B6sTROM); queste reste s’introducono nelle piccole ferite della pelle e delle mucose e s’in- troducono nel tubo gastro-enterico ; in qualche caso il contagio si può avere anche per n.ezzo di corpi estranei di altra specie, come schegge di legno ; può anche darsi che l’infezione abbia avuto luogo per l’entrata diretta del fungo in un dente cariato : in altri casi i funghi hanno soggiornato nella bocca per un tempo più o meno lungo in qualità di saprofiti e poterono poi introdursi e proliferare in una ferita o in un focolaio infiamma- torio, costituitosi per una frattura di un mascellare o per una periostite acuta. In tale malattia il traumatismo ha grande importanza : una scorticatura qualunque serve di porta d’ entrata al parassita che si propaga più facilmente per contisuità che per i vasi: tale malattia è più facile nei ruminanti, perchè più facile è prenderla coi foraggi, ma si propaga anche agli altri animali ed anche all’uomo : così non può sembrare strano di ritrovarla nell’Ursus spelaeus BLuwm. che non era animale solamente carnivoro, ma piuttosto omnivoro e capace perciò di prendere il parassita col cibo. Lesioni traumatiche delie ossa. Un osso può essere ferito da uno strumento perforante, tagliente o contun- dente senza che sia fratturato : sono quelle che si chiamano piaghe dell’osso. Gli strumenti a punta possono affondarsi più o meno profondamente nel tessuto osseo : si è visto uno sterno d’uomo traversato da una spada. Ordinariamente la piaga si cicatrizza presto come se l’osso non fosse stato interessato; altre volte invece queste piaghe possono dare luogo ad osteo periostiti. — Fratture invece sono le soluzioni di continuità delle ossa o anche delle cartilagini prodotte istantaneamente per una violenza qualunque. Le ossa che si fratturano con più facilità sono le ossa degli arti e delle coste. Le fratture possono essere dirette quando l’osso si rompe al livello stesso del punto col- pito : indirette quando si rompe ad una certa distanza dal punto colpito: sono penetranti quando l’osso sì trova si- tuato tra due potenze opposte e la sua parte più compatta si affonda nella parte più debole: son fratture per strap- pamento quando sono prodotte dalla contrazione violenta di un muscolo o di un legamento. Le fratture possono essere incomplete, quando la frattura non interessa che una parte dello spessore dell’osso, articolari se la frat- tura penetra fino nella cavità articolare o al collo della epifisi, fratture queste ultime che generalmente si ri- scontrano solo ad una certa età; i frammenti della frattura possono essere regolari, disposti a Y, ruotati uno sull’altro, sdrucciolati l’uno su l’altro : la frattura ordinaria è semplice ; se l’osso invece è suddiviso in una quan- tità di frammenti, è comminuta. Quando si ha una frattura si producono una serie di fenomeni che hanno per scopo di saldare i frammenti e di ristabilire la continuità dell’osso rotto: e si dà il nome di callo al tessuto osseo di nuova formazione, che ristabilisce la continuità di un osso fratturato. Nella rottura di un osso, nel pe- riodo infiammatorio si forma un’essudazione plastica che si sparge dovunque nel tessuto osseo, nel periostio, tra i frammenti, nel canale midollare, e che nell’insieme è disposta in forma di fuso rigonfiato al livello della frattura; affilato dall’una e dall’altra estremità : questa essudazione plastica prende una consistenza più solida col tempo, diviene bianca, cartilaginosa e così i forma il callo : poi sotto il periostio cominciano a disporsi gli osteoblasti, che gradatamente vanno a prendere il posto delie cellule cartilaginose e così a poco a poco si forma la nuova ossificazione. Se i due frammenti sonò abbandonati in una cattiva posizione, il callo li fissa definitivamente in rapporti anormali e la consolidazione è viziosa. Talvolta avviene anche che. dopo il tempo necessario, i frammenti invece di essere saldati siano rimasti mobili : tale fenomeno si chiama pseudartrosi. + La carie dentaria che non ha niente a che fare colla carie delle ossa, provenendo da cause esterne, consiste in un rammollimento locale delle sostanze dure dei denti. Numerosi studi specialmente di ScHaLENNKER hanno dimostrato che il locale rammollimento del dente avviene per azioni di particelle di cibo, contenenti microfiti, aventi azioni distruggitrici, per acidi vegetali, acido lattico ete. Perciò la carie comincia specialmente nelle superfici prossimali dei denti, nelle corone, dove rimangono residui di cibo. 6 s ‘ L. PIERAGNOLI [6] 3. Studio di ossa fossili malate, secondo vari autori. Già da tempi antichissimi studiosi avevano notato anormalità in ossa fossili, desumendo che le anormalità dipendevano da malattie, senza però studiare la natura delle medesime e il tessuto dell’osso. JapELOT nel 1799 aveva pubblicato una nota con due tavole per un cranio d’uomo trovato nel 1745 da un medico di Reims, nei dintorni di questa città, a 15 piedi di profondità, nel villaggio di Sacy, cranio che presentava anomalie e nelle dimensioni e nei fori dei nervi e dei vasi, quasi tutti ridotti, e nel mascellare | molto più spesso del normale: CuvieRr nel 1823 (Op. cit., vol. IV, pag. 396, tav. XXX) nota un cranio di jena, inviato a lui in studio da SOEMMERING, che porta sulla cresta occipitale un foro derivante da una potente mor- sicatura : WaLrER nel 1825 (Op. cit., pag. 116) descrive varie ossa fossili della Caverra di Sundwich, affette da varie malattie, ch'egli riconosce sotto il nome di ulcere, necrosi, carie e rachitismo. i Nel 1833 ScaMmERLING (Op. cit., pag. 180) prevede l’importanza della patologia delle ossa fossili e giunge alla conclusione che « queste malattie sono almeno così antiche come l’esistenza della nostra razza e che « alte- razioni identiche a quelle dèi tempi nostri colpivano anche allora le parti più solide del corpo animale ». Ven- gono poi gli studi di Owen (1846. Op. cit., pag. 104, fig. 34) sull’Ursus spelaeus Bruwm. di una grotta del Kent, nel quale ha osservato una vertebra lombare con estese esostosi dall’una e dall’altra parte del corpo vertebrale, un radio che nell’estremità distale presenta una frattura obliqua, dove si è formato un callo osseo e alcuni denti malati e mortificati prima della morte. CorwnALIA fu il primo italiano che nella Grotta di Laglio osservò ossa con esostosi molto sviluppate, con carie e necrosi (1851-71). PauL GeRrvAIS (Op. cit.) riprende nel 1875 lo studio sul cranio di Sacy, descritto da JADELOT e affetto con tutta probabilità da leontiasi ossea, e cita anche delle osservazioni fatte sull’iperostosi di alcuni vertebrati fossili del bacino di Vienna (Pachyantus), dei quali fa anche delle sezioni microscopiche che gli permettono di vedere i corpuscoli ossei e i canali di Havers e si prolunga a narrare di iperostosi in altri animali (uccelli, rettili etc.). Nel 1881 Le Baron (Op. cit.) descrive le lesioni tipiche delle malattie articolari croniche (osteo-artriti) tro- vate nello scheletro quaternario di Homo a Raymonden, villaggio presso il Comune di Chancelade a NE di Pé- ricueux (Dordogne), Bovpourn nel 1912 (La spondylite déformamte ete.) studia le ossa malate dell’ Ursus spelaeus delle Grotte di Sundwich, raccolte da SAAK nel 1824 e studiate per primi da NòGcrrATE (Archiv. fur die gesammte Naturlehre, vol. IT, pag. 323. 1824) e da WaLTER (Op. cit.) e descrive i molti casi di osteoartrite e di spondilite che vi sì ritrovano ; nella sepoltura neolitica di Vendrest (Seine et Marne) lo stesso autore, che in altra nota precedente (Caract. atav. de cert. etc.) aveva già cominciato a prendere in considerazione le anormalità di aleune vertebre umane, ha trovato (lavoro cit. sull’osteoartritedeform.) ossa umane di adulti, pre- sentanti le lesioni caratteristiche dell’osteoartrite deformante o spondilite deformante cronica e accenna pure alla constatazione dell’esistenza di queste malattie negli animali che vissero allo stato selvaggio (p. es. gli orsi delle caverne) al principio del quaternario nella caverna di Herm (Ariège): dice pure che questa stessa malattia è stata scoperta in Egitto negli animali domestici e nell’uomo dell’epoca preistorica. Nell’altro lavoro citato sulla poliar- trite alveolare all’epoca paleolitica, studia il mascellare inferiore dell’uomo Moustieriano della Chapelle-aux- Saints, nel quale riscontra una poliartrite alveolare o gingivite espulsiva : aggiunge che anche nel cranio della Quina (Charente), scoperto da MARTIN, il Dott. Sirrre che l’ha studiato, specialmente dal punto di vi- sta dentario, ha constatato l’esistenza di una gengivite marginale. Lo stesso Boupovin nel 1914 (lav. cit. sulle aff. oss. découv. dans l’oss. etc.) descrive in ossa umane antiche molti casi di artrite delle vertebre cervicali, dell’atlante, delle articolazioni mascellari, degli arti, delle fibule, delle falangi, tutte trovate nell’ossario di Ba- zoges en Pareds (Vandée). Anche nel lavoro del BartAGLIA sul Paleolitico della Venezia Giulia si parla di ossa di Ursus spelaeus trovate nella Caverna a Pocala presso Nabresina, affette da artrite, malattia contratta [7] L. PIERAGNOLI 7 «duranteil soggiorno in quegli umidi antri.» Il Prof. De STEFANI (Op. cit., pag. 20), alla cortesia del quale debbo le ossa che ho in studio, osserva quantità di casi patologici, fratture, ferite, anchilosi, periostiti, artriti, carie, tubercolosi, frequentissime negli Orsi e nell’Uomo di Equi. Il Prof. ArNnoNE nel 1917 (Op. cit.) accenna a una mandibola di Equus del Postpliocene del canale della Chiana, presso Alberoro (Arezzo) affetta da osteoma. Rur- FER (Op. cit.) ha notato nel Museo di Tolosa lesioni di osteoartrite identiche a quelle di spondilite deformante propria dell’uomo : in una mascella ha trovato segni patologici, attribuibili alla piorrea: nell’articolazione ti- bio tarsale di un Bos primigenius ha riconosciuto segni di artriti: nella tibia di Hyena spelaea nel Museo di Foix nei Pirenei ha trovato lesioni di osteoartrite. Chi ha studiato però più particolarmente la patologia delle ossa fossili è l'americano Moopie (Op. cit. 1917- 1918) che, oltre studiare caso per caso, ha potuto fare sezioni microscopiche, rinvenendo nel tessuto le modifi- cazioni dovute a specifiche malattie. Egli trova queste specie di malattie fossili cominciando dal Permiano del Texas in resti di rettili (fratture) e più specialmente in un radio di Dimeirodon, nel quale la frattura si è risal- data con un callo che ha prodotto un allargamento dell’osso intorno alla frattura ; accenna pure ad ossa del giu- rassico, ossa di Melriorhynchus Moreli Dess. e di coccodrillo, ossa deseritte da Epwin AUER (Palaeontographica, Bd.55, pag.217,279, 280, fig. 13, 14) dove AuER trova segni di malattia nel palato, in due femori, in una vertebra sacrale e nella pelvi, malattia che evidentemente sembra essere o una tubercolosi o una necrosi. Nel Comanchiano (un piano del Giurassico), il Moore trova il Dinosaurus (Apatosaurus) con vertebre ammalate di hemangioma e mostra anche varie fotografie di sezioni microscopiche per mettere in evidenza le lacune, gli spazi vascolari, e le lamelle dell’osso, molto differenti dall'andamento normale nell’osso sano. Nel Cretaceo dice che le malattie dei Mosasauri sono le più sviluppate specialmente l’osteoperiostite : in- fatti lo studio microscopico delle lesioni mostra le lamelle ossee situate concentricamente come per formare i sistemi Haversiani, le lacune sono relativamente larghe e sono provviste di corti canalicoli e vi sono aree dove c’è tessuto ‘osteoide proprio dell’osteomielite : trova anche osteoma e necrosi (forse dipendente da artrite). An- che nell’Eocene rinviene ossa affette da varie forme di malattie, carie, osteiti [particolarmente da notarsi quella di una tibia, di un tarsale del Limmocyon potens, un carnivoro dell’ Eocene di Washakie (nord-America)] e descrive queste ossa che mostrano considerevoli esostosie un’ipertrofia che può rendere sicuri della durata del- l’infezione: così pure in due radii del Daphaenus felinus dell’oligocene riconosce un tumore che non riesce a clas- sificare ; in un ramo mascellare di epoca miocenica l’actinomicosi con piorrea e carie; e del pleistocene possiede molte ossa, con lesioni molto simili a quelle che si vedono nella assa fossili di Ursus, che esamino io. Tralascio le numerose indicazioni sulle malattie ossee di pesci e di altri vertebrati ed invertebrati fossili notate da vari autori fin dal Paleozoico inferiore. 4. Descrizione del metodo di osservazione, Anche io, come Moopie, nello studio delle ossa patologiche della Grotta di Equi, all'esame macroscopico ho voluto aggiungere l’esame microscopico e col consiglio prezioso del Prof. PrccHi, docente di Anatomia patologica, sono riuscita ad ottenere risultati soddisfacenti, specialmente paragonando sezioni di osso malato con sezioni di corrispondente osso sano: le osservazioni confermarono semprela diagnosi macroscopica: ho provato anche varie colorazioni con carminio neutro e con allume carminio; le migliori sono riuscite quelle fatte con l’eosina, come le sezioni di vertebra (35 - Tav. VI [Vi], fig. 6) quelle del 5° metacarpale (106 - Tav. VI [V]], fig. 4) e con l’o- range, ed è naturale questo tenendo conto che l’orange e l’eosina non hanno l’attitudine colorante nucleare, ma protcplasmatica : colorano cioè in massa il tessuto ; buone quelle del cubito (85 - Tav. VII [VII], fig. 2): sono però più dimostrative quelle senza colorazione. 8 L. PIERAGNOLI [8] Darò alcuni esempi. In una vertebra (35 - Tav. VI [V]], fig. 6) classificata macroscopicamente come attaccata da tubercolosi, si notano lacune grandi e piccole, irregolari molto, con abbondanti lacune di Howship, osteo- blasti ed osteoclasti aggruppati in alcuni punti, mancanti in altri e nessuna traccia di neoformazione, dati che ricompariscono in sezione longitudinale: nell'elemento sano invece le lacune sono grandi, ma regolari, mancano naturalmente le lacune di Howship: si notano pochi osteoblasti disposti regolarmente (Tav. VI [V]], fig. 5). Così pure nelle sezioni di due cubiti (85-89 - Tav. VII [Vil], fig. 2-7) malati profondamente di tubercolosi, il tessuto è regolare, con lamine amplissime, lacune di Howship e cellule giganti: abbondante è il numero degli osteobla- sti: il cubito sano mostra al contrario tessuto molto compatto, regolare con pochissime lamine e pochi e regolari osteoblasti (Tav. VII [VII] fig. 1). In una sezione di 5° metacarpale destro di Ursus (106 - Tav. VI [V.], fig. 4) attaccato da osteomielite, le lacune sono irregolari, il tessuto è in parte condensato, in parte rareficato, e? è minor quantità di osteoblasti dipendente dall’infezione piogena e un processo di neoformazione ossea, proprio dell’osteomielite : lo stesso in sezione longitudinale, rendendosi così evidente la differenza che passa tra un osso affetto da tubercolosi, come i precedenti, e un osso affetto da osteomielite. L'elemento sano, mentre mo- stra lacune assai ampie, mostra pure molta regolarità e nel tessuto e nella disposizione degli osteoblasti (Tav. VI [VI], fis. 3). In una sezione di femore sinistro di Ursus (97 -Tav. VII [VII], fig. 4), affetto da osteite, probabilmente di origine tubercolare, è evidente l’avvicendarsi della rarefazione e della condensazione del tessuto e la grande irregolarità lacunare che comparisce anche nella sezione longitudinale dove gli osteoblasti sono in alcune parti raggruppati, in altre mancanti. Il tessuto, modificato in maniera da non dubitare di una osteomielite, si riconosce in una falange ungueale di Ursus in cui si nota una fortissima rarefazione, accompagnata da neoformazione (134 - Tav. VII [VII], fig. 8). Molto differente invece si presenta il tessuto di una mandibola affetta da actinomicosi (12 - Tav. VII [VII], fig. 2): è evidente la macerazione del tessuto, dovuta al fungo : le lacune sono moltissimeZe irregolari : in molti punti si ha mancanza assoluta di osteoblasti e scomparsa delle trabecole ossee; (Tav. VI [V.], fig. 2) in una sezione si notano macchie marrone scuro che fochettando mostrano come tante ramificazioni a rag- gio ; sono depositi di idrossido di ferro e si potrebbe affacciare qualche dubbio che fossero di ferro ematico. È da notarsi che tra le innumerevoli quantità di ossa di Ursus, perfettamente sane, non sono riuscita a tro- vare uno sterno perfetto : hanno tutti, e sono parecchie diecine, o corrosioni, o modificazioni evidenti del tes- suto, che danno a dubitare fossero tutti affetti da tubercolosi: mi era nato il dubbio che, essendo lo sterno e le vertebre le ossa più soggette al disfacimento post mortem, queste modificazioni che riappariscono in ogni sterno, fossero dovute agli agenti esterni, ma l’esame microscopico dello sterno meglio conservato, che poteva quasi considerarsi sano, ha mostrato in sezione microscopica il tessuto malato (Tav. VII [VII], fig. 6): è evidente che le lacune non sono regolari, ma mostrano delle sfrangiature, delle lacune secondarie (lacune di Howship), che attestano chiaramente l’esistenza di una lesione vitale. Però non riesco a spiegare perchè lo sterno sia stato negli orsi l’osso più facile ad essere attaccato dalla ma- lattia. In tutte queste sezioni, ein altre ancora (Tav. VI [V]], fig. 9; Tav. VII [VI]], fig. 5-9) mentre le modificazioni del tessuto proprie di una data malattia restano evidenti, non sono riuscita a trovare bacteri e bacilli, come ha trovato RENAULT (Op. cit.), non in sezioni di ossa patologiche, ma in sezione di piccoli frammenti di osso rinve- nuti in coproliti del Permiano. In queste coproliti egli ha trovato oltre il Bacillus Permiensis e vari mierococchi, anche bacteri che si possono avvicinare ai bacteri caratteristici della carie delle ossa e che rinviene infatti nei frammenti di osso che le coproliti contengono. Molte varietà di micrococchi trova l'A. in questi frammenti (5. lepidophagus e B. lepidophagus var. arcuatus) e arriva alla conclusione, che la distruzione delle ossa, delle placche: [9] L. PIERAGNOLI È 9 d’avorio e dei denti nelle epoche primarie si effettuava già per il lavoro di micrococchi e di bacilli, di cui forma e dimensioni si ravvicinano molto a quelle dei bacteri che ai nostri tempi sono la causa delle carie delle ossa e dei denti : stessa conclusione alla quale sono pervenuti tutti quelli che hanno studiato la patologia delle ossa fossili e alla quale sono pervenuta io pure studiando anche microscopicamente. PARTE DESCRITTIVA Descrivo prima le ossa di Ursus spelaeus BLUMENBACH che sono quelle ritrovate in maggior numero : ag- giungo in seguito le ossa di altri animali. Come luoghi di ritrovamento sono distinti la Tecchia, la Caverna e il prolungamento di questa. La Tecchia è l’abri sous roche esterno alla grotta : la Caverna è la parte interna della grande cavità scoperta ed amplificata dallo scavo : prolungamento della Caverna è la nuova cavità oscura ed interna scoperta da ultimo. Ho indicato pure la profondità cui furono ritrovate le ossa secondo le indicazioni dei relativi cartellini e, per individuarle meglio nella collezione, anche le date di ritrovamento ; in generale quanto più recente è la data, maggiore è la profondità; può servire di norma la pubblicazione del DE STEFANI (Op. cit., pag. 1-13). Ursus spelaeus BLUMENBACH. Ossa del cranio. i 1. Cranio completo. Agosto 1914. Nella Tecchia — individuo molto vecchio (Tav. 1 [I], fig. 1). Nella mandibola una malattia dentaria, dovuta probabilmente all’età (piorrea forse), ha portato una perio- stite ed osteite degli alveoli dentari: sono caduti gl’incisivi, i premolari e un molare: due molari presentano la forma della perforatio suenilis. Nel mascellare superiore abbiamo lo stesso fenomeno : il tessuto osseo è cor- roso, rareficato e la malattia si è sviluppata nell’alveolo del 1° molare e in un premolare, con abbondante sup- purazione. Sul frontale si nota un avvallamento, una frattura : intorno alla frattura, che si è saldata, si può os- servare facilmente un processo infiammatorio del tessuto osseo dovuto alla contusione: non vi è perforazione del frontale, ma solo contusione con avvallamento della parete. i 2. Cranio completo. Agosto 1915. Nella Caverna lato sinistro. Cranio molto più piecolo del precedente, di forma più allungata e più stretta: osso frontale di metà lar- ghezza del precedente: bozze frontali poco sviluppate: avvallamento naso-frontale maggiore. A giudicare dall’apparenza non sembra un cranio molto giovine, perchè il sistema dentario mostra chiaramente la vecchiaia dell’individuo. Ritengo però che queste differenze di forma, che si riscontrano anche in altri esemplari, siano dipendenti dall’essere la prima forma più grande, più tozza con bozze frontali sporgenti, angolo naso-frontale maggiore, appartenente al maschio ; l’altra, più piccola, più allungata, più stretta, la forma appartenente alla femmina. Apparato dentario ammalato con periostite degli alveoli : anche qui credo si tratti di vecchiaia: mancano i canini, gl’incisivi, i premolari : sulla bozza sinistra del frontale si nota un foro evidentemente fatto da un morso di un altro animale o da una punta di freccia : la ferita è profonda e penetra in cavità. 3. Cranio incompleto. Settembre 1913. Nella Caverna a circa 1 m. di profondità. Cranio incompleto assai vecchio, probabilmente di femmina. Tutto il mascellare superiore è sconvolto, in parte cariato con tessuto rareficato e consumato in alcuni punti, in altri condensato. Mancano i denti e gli 2 Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 10 L. PIERAGNOLI [10] alveoli degli incisivi e dei premolari sono tutti riempiti da nuova formazione ossea : malatissimi poi gli alveoli dei canini. La malattia si è estesa anche al frontale, di cui è modificata la cavità orbitale destra: può dubi- tarsi di un’actinomicosi. 4. Cranio. 1915. Caverna (Tav. I [I], fig. 2). Sembra un cranio femminile ; presenta sulla parte anteriore del mascellare superiore un’alterazione del tes- suto osseo che denota un’osteite alveolare degli incisivi: mancano gl’incisivi e sono cariati il premolare ed il molare sinistro : l’individuo è vecchio ; sulla branca zigomatica destra si nota un foro con intorno una super- ficie di sutura; le inerinature che stavano intorno alla parte ferita si sono risaldate, e sotto la parte colpita si è formata una fistola, che comunicava coll’esterno. 5. Cranio. Settembre 1916. All’ingresso della Caverna nello strato sotto a quello del 1° focolare, a circa 4 m. di profondità dalla superficie del deposito. Cranio di maschio adulto : presenta osteite della parte anteriore dell’osso : gli alveoli del 2° e 3° incisivo sinistro sono riempiti da neoformazioni ossee, gli altri degli incisivi e del canino destro, che mancano, sono rare- ficati e quello del canino in parte cariato. 6. Cranio. Settembre 1916. Trovato insieme ad una lunga serie di nto nella Caverna, a circa 3 m. di profondità. Cranio di maschio adulto : si nota un’osteite che ha attaccato gli alveoli degli incisivi tanto della mascella come della mandibola: mancano 4 incisivi nel mascellare superiore e due incisivi e 1 molare nella mandibola. Il tessuto degli alveoli e quello che si trova in loro vicinanza è molto rovinato : oltre ad osteite deve esservi stata suppurazione. È possibile che questa osteite sia stata prodotta da una lesione esterna, alla quale, negli orsi, la mascella, più di ogni altra parte del corpo, era esposta. 7. Cranio. Agosto 1915. Nella Caverna a circa 3 m. di profondità nello strato argilloso. È ben visibile nella parte posteriore del frontale sinistro un avvallamento dell’osso. Questo è derivato da un sasso scagliato o di frana, che non ha avuto la forza di rompere la volta cranica per cui si è prodotto un avvallamento dell’osso colpito, oppure da una dentata di altro animale molto grosso. Quello che è strano è che non si nota nessun segno di infiammazione nella parte colpita. Nel mascellare superiore abbiamo un’osteite al 2° molare destro. 8. Cranio 1915. Nella Caverna (Tav. I [I], fig. 3). Cranio verosimilmente di femmina. Il nasale presenta un grosso foro : è certo una zannata o altra ferita qualsiasi. conseguentemente alla quale si è formata una fistola: i margini del foro sono arrotondati e rialzati, il che dimostra che esso serviva di porta di uscita al pus da vario tempo. Nel mascellare superiore abbiamo una osteite dell’alveolo del 2° molare : il tessuto per un buon tratto è tutto rareficato. 9. Cranio. Settembre 1915. Nella Caverna. È malata la cavità orbitaria destra : il tessuto è estremamente modificato, il che fa supporre la presenza di una suppurazione : non si può assicurare se la malattia sia derivata dal globo oculare, oppure sia avvenuta conseguentemente ad un colpo o ad una dentata di altro animale : probabilmente nell’uno e nell’altro caso l’a- nimale era cieco. SE, 10. Parietale. Settembre 1918. In fondo al prolungamento della Caverna, a poli centimetri di profondità. Sono ben visibili i segni di una malattia ossea : il tessuto è spugnoso, voluminoso e bisogna ammettere la presenza di suppurazione. 11. Bolla timpanica. Agosto 1914. Nella Caverna, a 2 m. di profondità (Tav. I[J], fig.4; Tav. II [II], fig. 1). Ascesso auricolare posteriore ad una otite e con tarda risoluzione, come indica il Reni modificato. [11] L. PIERAGNOLI ll 12. Parte anteriore di ramo mandibolare sinistro. Ottobre 1911. Tecchia, nello strato superficiale, a 50 cm. di profondità (Tav. I [I], fig. 5 a,b; Tav. VI [VI], fig. 2). È un caso di actinomicosi : il frammento di questa mandibola doveva essersi staccato dal resto dell’ osso, avanti la morte dell’individuo : infatti la malattia ha preso anche i margini di frattura : l’osso si era forse ram- mollito tanto da far sì che la frattura fosse facile ad avvenire: la rarefazione e la modificazione del tessuto hanno raggiunto un grado elevatissimo : la malattia può notarsi anche nell’alveolo degli incisivi dai quali con tutta probabilità è partita, se non si è sviluppata prima in un molare il cui alveolo è molto malato. Certo per essere perfettamente sicuri che si tratti di actinomicosi bisognava aver potuto fare l’esame microscopico del pus : ciò nonostante dalla sede della malattia e dalla conformazione dell’osso non posso dubitarne. 13. Parte anteriore di mandibola. Agosto 1914. Nella Caverna, al centro, a circa 3 m. di profondità (Tav. I [I], fis. 6). Stessa malattia che nel caso precedente: anche questo frammento è staccato dal resto dello scheletro avanti morte: vi sono molte caverne e il tessuto è fortemente sconvolto : sono attaccati dalla malattia anche la parte anteriore e gli alveoli dentari. 14. Ramo mandibolare sinistro. Agosto 1917. Nella Tecchia, a oltre 3 m. di profondità (Tav. I [1], fig. 7). È interamente invaso dall’actinomicosi : l’osso è rareficato, cavernoso, col tessuto tutto quanto modificato; anche qui il parassita deve essere penetrato dagli alveoli dentari e molto probabilmente dai molari. 15. Ramo mandibolare destro. Agosto 1914. Nella Tecchia, a 3 m. di profondità, al centro. Osservando la parte anteriore del ramo mandibolare, si nota che il canino è rotto, ma sopra il dente rotto si è estesa una formazione derivante da un’osteite: questo dimostra che l’animale ha avuto spezzato il dente e conse- guentemente a questo trauma sono sopraggiunte la periostite e l’osteite: ilcanino è caduto del tutto: il suo alveolo è stato occupato da una nuova formazione ossea, per la quale non si notano più tracce di alveolo dentario. Il 1° incisivo è spezzato e la sua superficie di frattura è coperta quasi tutta dalla neoformazione ossea. I mo- lari e la parte posteriore della mandibola sono perfettamente sani. 16. Parte anteriore di ramo mandibolare sinistro. Agosto 1915. Nella Caverna, a m. 1,50 di profondità. Anche qui l’arormalità è probabilmente dovuta a un trauma (colpo o caduta): infatti è ben visibile la frat- tura dopo il 1° incisivo, frattura che ha fatto sì che il ramo anteriore fosse diviso dal posteriore e che l’ani- male vivesse con questi due frammenti staccati. Anche qui la frattura è evidentemente anteriore alla morte: molto probabilmente, di conseguenza al trauma, è sopraggiunta una periostite con un principio di osteite, le cui tracce si notano molto bene nel frammento osseo anteriore. 17. Ramo mandibolare sinistro. Agosto 1912. Nella Caverna, a circa 1 m. di profondità, al centro. Caso di periostite dentaria : gli alveoli dentari sono invasi dalla tubercolosi: mancano gl’incisivi, ma nella sezione dell’osso si nota una rarefazione abbondante che fa dedurre che anche qui vi era osteite. 18. Ramo mandibolare sinistro. Settembre 1915. Nella Caverna, in faccia all’ingresso, al lato sinistro. Individuo molto giovane : qui abbiamo forse il caso di un trauma all’apofisi coronoide, in seguito al quale è avvenuto un processo infiammatorio e suppurativo. 19. Ramo mandibolare sinistro. Agosto 1914. Nella Caverna, a 2 m. di profondità. Si notano i due fori corrispondenti di una fistola dentaria : l’uno è in corrispondenza del 2° molare, 1’ altro più in basso. 20. Parte anteriore di mascellare superiore. Agosto 1915. Nella Tecchia, all’ingresso della Caverna, a circa m. 2,50 di profondità (Tav. I [I], fig. 8). Al 3° incisivo superiore destro si nota nell’osso un foro con modificazione del tessuto osseo all’intorno : pro- babilmente era una carie dentaria da cui dopo è derivata una fistola: si notano nel tessuto le tracce lasciate dalla 12 £. PIERAGNOLI [1 2] \ suppurazione : se pure il foro non è un morso di altro animale in lotta con questo, consecutivamente al quale sia sopraggiunta una septicemia. 21. Ramo mandibolare destro. Settembre 1916. Nella Tecchia, lato destro, a m. 3 di profondità. i Carie del 4° premolare : l’alveolo di questo dente è rareficato ed ha tessuto modificato, modificazione che si estende un po’ anche agli altri alveoli e verso il basso, in direzione del premolare stesso. Però, se ben si guarda la parte anteriore, si vede che anche gli alveoli degli incisivi e la parte dell’osso circostante sono colpiti da un’o- steite leggera. 22. Ramo mandibolare destro. Agosto 1914. Nella Tecchia, strato superficiale, a circa 50 centim. di profon- dità. i Suppurazione dell’alveolo del 4° premolare, tanto che l’alveolo è scomparso : in luogo di questo: è una neo- formazione ossea : anche qui, come nel caso precedente l’osteite ha colpito anche gli incisivi e si è estesa per tutto l’osso. 23. Ramo mandibolare sinistro. Agosto 1915. Nella Tecchia, a m. 1,50 di profondità, al lato sinistro. Sono malati l’apofisi coronoide ed il condilo. È sopraggiunta, forse conseguentemente a trauma, una forte suppurazione; sono due pezzi: l’apofisi coronoide è completamente staccata, ma forse doveva essere attaccata per qualche piccola scheggia ossea, che nello scavamento si è rotta : mi sembra però di notare tracce di frattura per cause esteriori, donde si è avuta osteite e suppurazione. Il resto dell’osso è sano. 24. Condilo del ramo mandibolare sinistro. Agosto 1917. Nella Tecchia, a m. 1,50 di profondità dal piano del 1° focolare. i L’alterazione lieve che si trova nella superficie articolare è dovuta a un po’ d’artrite dell’articolazione. Non si nota altro. 25. Ramo mandibolare. Settembre 1917. Superficiale, nel prolungamento della Caverna (Tav. II [II], fig. 2). Osteite che si è iniziata nell’alveolo del penultimo molare, dove la sostanza ossea è modificata e rareficata : l’alveolo comunica con un foro che serviva di uscita al pus che si formava in un ascesso profondo ; il tessuto è chiaramente modificato dal pus. 26. Ramo mandibolare sinistro. Agosto 1915. Nella Tecchia, a 1 m. di profondità. È il caso di una fistola dentaria nella radice dell’ultimo molare : si nota la modificazione del tessuto e un forte ingrossamento osseo della parte interna della mandibola, dovuto alla presenza della fistola e alla conse- guente osteite. Animale adulto. 27. Ramo mandibolare destro. Agosto 1914. Nella Tecchia, a 1 m. di profondità. Stesso caso che nella precedente mandibola: solo la fistola è premolare. Qui dopo la caduta del dente è soprav- venuta una osteite condensante che ha riempito con una neoformazione quasi tutto l’alveolo del premolare. Il tessuto osseo è ingrossato dalla parte esterna. i 28. Ramo mandibolare destro. Agosto 1918. Nella Tecchia, lato destro, alla profondità di oltre 2 m. — Indi- viduo giovanissimo. La malattia è nella parte anteriore, forse più che malattia è anomalia; sembrerebbe che i due rami mandi- bolari non fossero saldati l’un l’altro. 29. Ramo mandibolare destro. Agosto 1914. Nella Caverna, a 2 m. sotto la superficie, nella terra grassa. Frammento di mandibola molto sconvolto; manca il canino, il suo alveolo essendo sostituito da neoformazioni ossee : c'è tumefazione dell’osso propria dell’actinomicosi : non è il caso di un’osteite rarefacente, ma di una ipe- rostosi; per la presenza del fun» si ha una neoformazione di tessuto negli spazi midollari della spugnosa e nella microscopica rete tubulare dei canali di Havers. Scompaiono le trabecole ossee della spugnosa, le pareti dei canali di Havers vengono consumate e il pezzo così macerato assume l’aspetto di una spugna (osteite actinomicotica corrosiva). Però immancabilmente abbiamo la formazione di nuova sostanza ossea; mentre al centro dell’osso [13] L. PIPRAGNOLI i 13 v'è un processo di riassorbimento vivissimo, il periostio irritato dal processo infiammatorio produce nuova so- stanza ossea, in modo che le parti malate sono come avvolte da questa neoformazione verrucosa, che au- menta il volume ed il peso dell’osso malato. Infatti il frammento è tumefatto, verrucoso, irregolare, mentre per un foro fistolare si può notare la rarefazione centrale. Ritengo anche che questo frammento fosse diviso dal resto della mandibola, mentre l’animale era in vita, sia per la fragilità cui l'osso era ridotto, specialmente dove non era ancora sopraggiunto il processo condensante, sia per il peso non indifferente della parte anteriore in confronto alla posteriore. 30. Denti molari. Settembre 1915. Nella Tecchia, a circa 1 m. di profondità. Sono denti cariati di individui di età molto avanzata. I quattro denti che ho sono indubbiamente cariati: ma questa carie deve essere una complicazione di quella che chiamasi escavazione senile e che subiscono le corone di molari di aleuni animali (cavalli) per il forte con- sumo : infatti i denti che esamino sono consumati tanto che la corona è quasi ridotta a nulla. Nelle mandi- bole che ho in studio ho trovato solamente un dente cariato di carie tipica: il che dimostra che la carie denta- ria non è una malattia molto comune negli Orsi. 31. Mascellare superiore simistro con zigoma. Agosto 1918. Nel prolungamento della Caverna (Tav. II [I], fig. 3). Trattasi di actinomicosi con osteite corrosiva: non è avvenuto qui il processo condensante: infatti l’osso è ridotto, leggerissimo, spugnoso, nè si può confondere con un caso di periostite: 1’ invasione della malattia è troppo manifesta: i denti sono rimasti sani: l’osso è ammalato, specialmente nella parte interna: anche lo zigoma è malato. Ossa del tronco vertebrale. 32.Vertebre lombari. Settembre 1918. In fondo al prolungamento della Caverna, oltre 1 m. sotto il crostone stalagmitico (Tav. II [II], fig. 4). È molto probabilmente un caso di affezione actinomicotica. In queste vertebre la malattia doveva essere assai avanzata : si vede che l’esterno del corpo vertebrale è regolare, mentre l’interno è spugnoso e poroso: di caverne non se ne notano che di piccole, ma è evidente che il corpo vertebrale allo stato fresco doveva essere rammollito e pieno di pus. Però la malattia non era molto avanzata, avendo attaccato solamente la parte supe- riore del corpo vertebrale. . 33. Vertebra dorsale. 3 agosto 1914. Nella Caverna, a 3 m. di profondità. al centro (Tav. II [II], fig.5a,b; Tav. VI [V]], fig. 9). ; Vertebra attaccata da tubercolosi (morbo di Pott): abbiamo una carie, accompagnata da una fortissima produzione spugnosa che contorna il corpo dell’osso e ne raddoppia la dimensione : le apofisi e le superfici arti- colari sono state tutte distrutte: intorno all’ osso doveva essere un ascesso abbondantissimo dal quale l’osso è tutto sconvolto. 34. Vertebra lombare. Settembre 1916. All’ ingresso della Caverna, sotto il piano del 1° focolare (Tav. II [I]], fig. 6.a,b). i Anche questa è attaccata da tubercolosi che ha modificato la forma dell’osso depositando per osteite conden- sante delle nuove formazioni ossee sul corpo vertebrale, alterando il tessuto osseo e la stessa forma dell’osso, tanto che il processo articolare superiore è contorto e arrovesciato ; nel corpo dell’osso, al centro, abbiamo una osteite rarefacente : infatti succede assai spesso che ad una osteite condensante vada congiunta nello stesso osso una osteite rarefacente: manca l’apofisi spinosa e le altre che per essere l’osso rarefatto e fragile si sono rotte. 35. Mezza vertebra dorsale. Agosto 1913. Nella Caverna, a pochi centimetri sotto la superficie del deposito (Tav. II [II], fig. 7- Tav. VI [V]], fig. 6). 14 L. PIRRAGNOLI [14] La tubercolosi ha invaso tutto l’osso : corpo vertebrale, apofisi etc. ; c’è osteite rarefacente, con piccole pro- duzioni ossee intorno all’osso, con tessuto osseo sconvolto molto. Non si può dubitare che non sia una tuberco- losi : si hanno piccole caverne, piccoli fori, specialmente in prossimità del canale rachidiano : mancano le apo- fisi perchè, forse rese troppo friabili dall’osteite rarefacente, si sono rotte coll’andar del tempo. 36. Vertebra lombare. Settembre 1916. Tecchia, lato destro, oltre 3 m. di profondità. Formazione ossea assai abbondante sul lato sinistro del corpo vertebrale: l’osso è attaccato da tubercolosi fino nella parte midollare e nelle apofisi : è rareficato in aleuni punti e una osteite condensante è intervenuta con- temporaneamente alla rerefazione e più fortemente di questa. 37. Vertebra (atlante) juvenis. Settembre 1912. A circa 1 m. di profondità, al centro (Tav. II pm, fig. 8). Le tracce di periostite e di osteite sono visibili nelle apofisi trasverse, nelle faccette articolari superiori, nella cresta inferiore ; ai bordi della vertebra si vede che la malattia è al suo inizio : può darsi anche che in altre vertebre, che non abbiamo, contigue a questa, la malattia avesse il suo massimo sviluppo, e può darsi pure: che l’individuo, certamente giovane, sia morto avanti che la malattia si fosse sviluppata molto, per cause: indipendenti da essa. i 38. Vertebra dorsale. Agosto 1917. Nella Caverna, lato sinistro, alla profondità di oltre 3 m. Si potrebbe dubitare di una tubercolosi : il corpo vertebrale è in buono stato : abbiamo però alla superficie esterna delle proliferazioni ossee, una delle quali supera per lunghezza i 10 centimetri: ora sappiamo però che in animali di età avanzata queste proliferazioni ossee vertebrali sono assai frequenti: d’altra parte se si trattasse di una tubercolosi, dovremmo poterla osservare anche nel resto della vertebra, nelle apofisi e nel corpo verte- brale : qui invece non abbiamo altro fatto notevole che questa proliferazione; è indubitato dunque trattarsi di anormalità dipendente dall’età. 39. Vertebre dorsali. Agosto 1917. Nella Caverna, a oltre 2 m. di profondità (Tav. II [I], fig. 9). Sono vertebre saldate insieme da proliferazioni ossee che le ricuoprono completamente in modo da im- pedire qualunque movimento : si potrebbe credere che anche qui l’ anormalità dipendesse da vecchiaia, ma guardando attentamente il corpo vertebrale e le ali si vede che il tessuto non è perfettamente regolare e si può affermare che è avvenuto uno stato congestivo del periostio e dell’osso stesso, forse dovuto alla irritazione che la proliferazione doveva produrre sul pericstio vicino. 40. Vertebre dorsali. Settembre 1915. Nella Tecchia, lato destro, a m. 1,50 di profondità (Tav. II [II], fig. 10). Le vertebre sembrerebbero saldate da proliferazioni avvenute colla vecchiaia, ma la conformazione di que- ste proliferazioni è molto rareficata, mentre nel caso precedente è eburnea: ‘una vertebra poi è erosa per metà e il tessuto delle altre è sconvolto : infine la posizione delle vertebre è irregolare, perchè 1’ apofisi spi- nosa delle 3 vertebre non si trova sul medesimo asse: perciò viene alla mente che debba trattarsi di una ca- duta con frattura e inerinatura delle parti ossee, in seguito alla quale caduta sia sopraggiunto un ascesso o una infiammazione o suppurazione tubercolare, con tutti gli altri fenomeni che accompagnano la malattia. 41. Due vertebre cervicali saldate. Agosto 1917. Nella Caverna; lato sinistro, oltre 2 m. di profondità dal piano. del 1° focolare (Tav. II [I]], fig. 11). Qui le vertebre sono perfettamente sane : l’osso nuovo, eburneo, che le salda è dovuto unicamente all’età. 42. Vertebra dorsale. Agosto 1915. Nella Tecchia, strato superficiale. Anche qui come nel precedente caso la vertebra è sana; abbiamo una proliferazione ossea ed il principio di un’altra. 43. Vertebra dorsale. Settembre 1918. Nel prolungamento della Caverna, quasi superficiale. Da un’appendice ossea eburnea, che troviamo nella parte anteriore del corpo vertebrale, si potrebbe credere trattarsi della solita anormalità, dipendente da vecchiaia, ma da un lato accanto a una proliferazione è ben visi- [15] L. PIERAGNOLI 1 15 bile una caverna tubercolare : infatti il tessuto all’intorno è sconvolto e tutto quanto l’osso è reso più leggero e spugnoso, fatto dovuto a una osteite rarefacente : anche dalla parte opposta si nota un principio di processo cavernoso. 44. Vertebra dorsale. Settembre 1913. Tecchia, a 2 m. di profondità, al centro. È un osso ridotto leggerissimo per una osteite rarefacente : abbiamo un osteofito che ricuopre tutto il lato anteriore della vertebra, tanto da dare idea di una periostosi vertebrale, ma la vertebra rende palese un processo suppurativo alveolare, che ha invaso il corpo vertebrale, tutto quanto sconvolto, rarefatto, forato, e la malattia deve avere invaso anche le apofisi di cui non abbiamo qui che la base, molto rareficata. 45. Vertebra lombare. Agosto 1914. Nella Tecchia, al centro, nello strato argilloso, sotto il pietrisco a 2 m. di profondità. } Esostosi che circonda tutta la vertebra: però I’ esostosi non può dipendere da vecchiaia perchè la vertebra tutta è rarefatta, spugnosa e deve essere stata invasa dal pus: è un caso molto probabile di spondilite che deve avere attaccato anche altre vertebre. 46. Vertebre caudali. Agosto 1914. Nella Tecchia, al centro, m. 5 di profondità. Sono vertebre caudali saldate per esostosi, che dipende dall’età dell’individuo, perchè le vertebre non pre- sentano la benchè minima modificazione. 47. Vertebra coccigea-sacrale. Agosto 1914. Nella Caverna, a oltre 1 m. di profondità, al centro. È una vertebra ricoperta da abbondantissimo osteofito: v'è una lesione alla superficie del corpo vertebrale, una piecola cavità nella quale doveva essersi annidato il bacillo tubercolare. Gli osteofiti hanno dal lato interno uno spessore di più di 1 centimetro. 48. Vertebra caudale. Agosto 1914. Nella Caverna, al centro, a pochi centimetri di profondità (Tav. II [I], fig. 12). La vertebra in parte rotta ed erosa è coperta da osteofiti che possono dipendere da vecchiaia. 49. Vertebra dorsale. Settembre 1916. Nella Caverna, a sinistra, a 4 m. di profondità. Caso manifesto di tubercolosi ossea con carie e deformazione. 50. Vertebre dorsali saldate. Agosto 1915. Nella Caverna, lato destro, a 1 m. di profondità, presso la parete. Le due vertebre sono saldate insieme da un abbondante osteofito dello spessore da 1 a 2 centimetri che le ricuopre tutte, tanto i corpi vertebrali che le apofisi : si presenta ben visibile la carie con caverne e con lesioni ossee che hanno invaso anche il canale rachidiano : il tessuto, specialmente alle apofisi, è irregolare e denota una periostite ed una osteite assai avanzata : ha tutto l'aspetto di una forma prettamente tubercolare. 51. Vertebra cervicale. Settembre 1918. Superficiale, nel prolungamento della Caverna. ‘ Anche questa vertebra è palesemente affetta da una tubercolosi cheha invaso il corpo vertebrale, e la super- ficie interna del corpo stesso, dove si vedono dei piccoli osteofiti : tutte le apofisi sono in questa vertebra tron- cate, ma, vedendo il tessuto spugnoso tanto ridotto, si direbbe che la malattia cominciava ad invadere anche queste. 3 52. Vertebra cervicale. Ottobre 1911. Nella Caverna, a m. 2,50 di profondità (Tav. II [II], fig. 13). Questa vertebra mostra un morbo di Pott come si sviluppa nell’uomo: caso stranissimo, perchè nell’uomo avviene che il corpo vertebrale si consuma dopo essere attaccato dalla malattia, perchè, per la posizione eretta, la colonna vertebrale deve sostenere tutto il peso del corpo, mentre negli animali si vede che, se anche la malat- tia è assai progredita, il corpo vertebrale diviene spugnoso, cavernoso, ma non si consuma mai completamente: ora questa vertebra presenta un fatto curioso : il lato destro si è interamente consumato e la metà della super- ficie del corpo vertebrale si è abbassata fino a riunirsi colla superficie inferiore, che si è rialzata; anche il resto della vertebra è malato e la superficie esterna del lato sinistro mostra una caverna con altre più piccole : anche le 16 L. PIERAGNOLI [16] apofisi non sono normali. Tutto ciò è forse dipeso dal fatto che gli orsi, pur essendo quadrupedi, adoprano molto spesso la posizione eretta e che i muscoli nelle loro contrazioni hanno vinto sulla parte rammollita dell’osso. 53. Ultima vertebra dorsale. Agosto 1917. Nella Caverna, nel piano del 2° focolare, il più basso. È solo il lato sinistro dell’ultima vertebra dorsale : il tessuto interno mostra evidente la osteite rarefacente e l'esterno evidente la tubercolosi: verso il margine inferiore appariscono tre piccoli fori che dovevano essere il centro del germe tubercolare. 54. Apofisi di vertebra dorsale. Ottobre 1911. Nella Tecchia, strato superficiale (Tav. II [II], fig. 14). La vertebra alla quale apparteneva questa apofisi doveva essere ben malata : la parte nella quale 1’ apo- fisi era attaccata alla vertebra è sconvolta ed è evidente che doveva esservi suppurazione molto abbondante, che si estendeva certo alla estremità superiore della vertebra; perchè anche qui il tessuto è irregolare, estrema- mente rareficato. 55. Ultima vertebra cervicale. Settembre 1918. Nel prolungamento della Caverna, strato superficiale: (Tav. II [IT], fig. 15). Carie dipendente da tubercolosi : la vertebra si è consumata a poco a poco, specialmente nel corpo verte- brale, il tessuto si è fatto spugnoso e per la sua irregolarità è evidente che ci fu suppurazione. 56. Sacro. Settembre 1918. In fondo"al prolungamento della Caverna, sotto il erostone stalagmitico (Tav. INI [III], fig. 1a, 0). 0 L’ osso, tutoo quanto rareficato, è divenuto perciò leggerissimo : il tessuto è sconvolto : la malattia aveva invaso di preferenza la parte superiore dell’osso e specialmente l’articolazione vertebrale che è invasa da caverne più grandi e più piccole ; l'articolazione ileo-sacrale, anche questa sconvolta, è invasa da caverne; è un caso assai frequente di tubercolosi sacrale. 57. Sacro. Agosto 1918. Nel prolungamento della Caverna, per accedere al fondo orizzontale del prolun- gamento medesimo. Questo osso non presenta alcuna anomalia se non nella sinartrosi (sacro-iliaca): ed osservando atten- tamente non sembra debba trattarsi di una tubercolosi, ma di una artrite ; certo la cavità non è normale: il tessuto è sconvolto e mostra chiaramente tracce della malattia, ma non ha Caverne nè il tessuto rareficato proprio della tubercolosi. . Sterno. 58. Manubrio. Agosto 1917. Nella Caverna (Tav. II [IT]], fis. 2). Manubrio molto deformato, le superfici articolari per la clavicola mostrano evidentissima la carie che ha in- vaso anche il margine inferiore del manubrio; erodendo completamente la parte della superficie articolare: la tubercolosi ha invaso la parte superiore dell’ osso, IDEMEZALO forse di conseguenza una periostite su tutta la superficie dell’osso. 59. Manubri. Agosto 1918. Nella Tecchia (Tav. IMI [III], fig. 3). Nell’uno di questi esemplari (a) si nota una protuberanza a trabecole spugnosa, che indica una suppurazione nella parte interna dell’osso, per la quale l’osso si è deformato. Tutto quanto l’osso è spugnoso, rareficato, leg- gerissimo : la parte superiore porta evidenti segni di un processo di carie. Nel 2° esemplare (b) si ha una carie in uno stadio molto avanzato, perchè manca una parte del manubrio, l’altra è tutta corrosa e l’osso è ridotto più grosso nella parte in cui l’osteite condensante ha già preso forza dopo la carie : di questa segni evidenti sono l’erosione e le caverne. “60 Manubrio. Ottobre 1911. Nella Caverna, verso la parete di destra, a circa 50 centimetri di profondità. (Tav. III [III] fig. 4). [17] L. PIERAGNOLI 17 Stadio avanzato di tubercolosi: in tutto l’osso si distinguono benissimo le tracce lasciate da una osteite, perchè il tessuto è sconvolto : inoltre alla parte interna della estremità inferiore si notano tre profonde caverne, dovute certo a dei tubercoli che avevano iniziato la loro opera distruggitrice di carie : questa era la localizza- zione principale della malattia, che conseguentemente aveva provocato una osteite in tutto quanto l’osso; può darsi anche che vi siano stati ascessi freddi. Individuo non più giovane. 61. Manubrio (giovane). Agosto 1918. Nello strato del 1° focolare (Tav. III [III], fig. 5). Quest’osso è malato nella sua parte inferiore : abbiamo una osteite rarefacente abbondantissima per la quale a poco a poco si sono venute a perdere due apofisi del manubrio: forse in questo caso, poichè la malat- tia deve essersi partita dalle superfici articolari dello sterno, è stata prodotta dalla vicinanza di una costola già malata. 62. Manubrio. Agosto 1918. Nella Tecchia, quasi superficiale. Questo osso deve essere stato anormale fino dalla nascita : un’ articolazione condro-sternale è più in alto, l’altra è più in basso : ma questo fatto non è legato alla periostite e osteite, che hanno attaccato l’osso senza | però averlo invaso totalmente : nè la malattia può essere stata causa della deformazione, perchè ha preso solo il tessuto superficiale rarefacendolo un po”. 63. Due ossa sternali. 1915. Nella Tecchia (Tav. III [III], fig. 6 a, d). Sono molto deformate, una specialmente in cui si vede che l’infiltrazione purulenta deve essere stata viru- lenta e lunga: è un osso eroso, distrutto in parte, tutto sconvolto, cavernoso : il processo tubercolare è stato si- curamente molto avanzato e non può avere interessato solamente quest’osso, ma anche lo sterno e le costole. Nell’altro osso (b) è visibile pure l’infiltrazione purulenta con distruzione e deformazione dell’osso consecutiva - ad una osteite condensante. 64. Manubrio. Agosto 1916. Nella Caverna (Tav. III [IX], fig. 7). Questo sterno non presenta tracce di carie: il manubrio è torto nella sua parte mediana; doveva apparte- nere ad un individuo rachitico. In quest’osso deve essere sopraggiunto un ascesso freddo alla sua ‘metà: la neoformazione ossea ha fatto sì che, crescendo l’osso da un lato, si incavasse dal lato opposto, essendo l’osso già debole per rachitismo : da ciò deve essere dipesa la deformazione. 65. Manubrio. 1915. Nella Tecchia (Tav. III [III], fis. 8). È di un individuo molto più vecchio dei precedenti: sono evidenti i segni di un ascesso che, partitosi dalla parte mediana, ha invaso la superficie articolare di sinistra e con minore virulenza l’altra parte inferiore del manubrio : nell’estremità superiore si nota già un processo di carie. 66. Ossa sternali. Agosto 1915. Nella Caverna, a circa 50 centimetri di profondità, in faccia all’ingresso della caverna stessa (Tav. IMI [III], fio. 9). Ossa sternali interamente saldate e ricoperte all’intorno da osteofiti : è una tubercolosi che ha invaso l’osso tutto quanto e probabilmente anche le ossa vicine. 67. Manubrio. Agosto 1911. Nella Tecchia (Tav. III [III], fig. 10 a, d). Appartiene ad un individuo non più giovane : è tutto quanto modificato dalla malattia: nella parte supe- riore alle due superfici articolari sono ben visibili le tracce della carie : nella parte inferiore abbiamo abbon- danti osteofiti: si può dedurre che il processo suppurativo deve essere stato vivissimo. 68. Manubrio. Settembre 1915. Nella Tecchia, a 1 m. di profondità (Tav. IMI [111], fig. 11). Carie che ha invaso tutta la parte inferiore, che è ingrossata di volume, rareficata, cavernosa : sono ridotte le superfici articolari condro-sternali: si deduce facilmente che il processo suppurativo era forte. Tubercolosi. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 18 L. PIERAGNOLI [18] Costole. 69. Costola. Settembre 1918. Nella Tecchia, sotto la crosta stalagmitica. È qui avvenuto un processo infiammatorio dell’articolazione sternale, che hainvaso anche il corpo della costa superficialmente. È un caso di osteomielite con ascesso costale, e il processo suppurativo è stato interrotto 0 dalla morte dell’individuo o dall’arresto della malattia : non ho che un frammento di costola, ma gli ascessi dovevano essere multipli, perchè raramente la osteomielite si sviluppa solo in una parte della costola, ma gene- ralmente ha due focolari corrispondenti ai punti epifisari : in questo frammento di costola possiamo notare uno spostamento del tessuto osseo, ma non esiste necrosi. 70. Costola. Ottobre 1911. Nella Caverna, a pochi metri di profondità (Tav. IMI [III], fig. 12). Facile è notare in questo frammento la causa della deformazione: è una rottura semplice della costola e consecutivo callo osseo : si notano anche i segni di una infiammazione dell’osso : ma essi sono lievissimi e di- pendenti dalla rottura: nella rottura, forse per la posizione stessa dell’animale e per la sua deambulazione, il frammento superiore dell’osso è salito sull’inferiore. 71. Frammento costola. Agosto 1917. Nella Caverna, lato sinistro, nella insenatura della parete, a cirea 3 m. sotto la superficie del deposito. A prima vista la costola sembra regolare, ma ad un più accurato esame si nota come un rigonfiamento e una certa irregolarità del tessuto in corrispondenza al rigonfiamento : si può presupporre un’infiammazione interna del midollo osseo, che ha prodotto nell’osso questa lesione poco visibile. 72. Due frammenti di costola. Agosto 1915. Nello strato limonitico, a circa 30 centimetri di profondità. (Tav. VII [VII], fis. 5). L’un frammento è del corpo di una costola : in questo si nota facilmente che, oltre a un’osteite v'è stata una osteomielite, perchè l’osso è contorto e rigonfio : conseguentemente abbiamo avuto un principio di osteite con- densante: mancando le epifisi, non possiamo assicurare che la suppurazione sotto il periostio comunicasse con le epifisi. L’altro frammento è una epifisi affetta da una osteite : non e’ è stata osteomielite : è vero che il tessuto 0s- seo non è regolare, ma all’occhio appare che la suppurazione è stata superficiale, ma non interna. 13. Due frammenti di costole. Agosto 1917. Nella Caverna, all’ imbocco, alla profondità di oltre 3 m. (Tav. IV [IV], fig. 1 4,0). Osteomielite tubercolare : l’ascesso ha sconvolto tutto quanto il tessuto osseo e in talune parti si è rifor- mato un osso periostico. Talvolta questi ascessi si fanno più importanti : il processo suppurativo non si limita più alle costole,ma anche alla cavità pleurale e non è improbabile, sebbene non possa davvero assicurarsi, che qui sia avvenuto questo fatto : è difficile trovare delle costole così macerate dalla malattia, così rigonfie, ra- reficate, cavernose come nell’un esemplare ; così rareficate, cavernose e con abbondante formazione osteofitica come nell’altro. 74. Frammenti di costola. Agosto 1916. Nella Caverna, verso il fondo orizzontale, a circa 1 m. di profondità (Tav. IV [IV], fig. 2). 4 Mi sembra evidente un ascesso osseo dopo il quale è avvenuta una osteite condensante: è un magnifico esem- plare di ascesso costale e di susseguente riformazione ossea : l’osso è ridotto duro, pesante come pietra : po- trebbe anche trattarsi di una frattura comminuta con osteite e risaldatura per callo osseo, ma la continuità dell’osso non è alterata ; per l’insieme del tessuto molto irregolare è evidente la suppurazione. 75. Pezzi di costola. Agosto 1913. Nella Caverna, am. 1.50 di profondità, lato sinistro (Tav. IV [IV], fig. 3 4,0). Nel frammento che ha ancora l'articolazione vertebrale, con carie, si nota rigonfiamento, rareficazione, ca- verne che stanno a indicare un processo suppurativo vivissimo. Anche la vertebra colla quale era articolata la [19] L. PIERAGNOLI 19 costola doveva essere malata ; forse la malattia tubercolare della costola è stata provocata dalla vicinanza della vertebra. L’altra costola che porta l'articolazione condro-sternale mostra una specie di carie, ma essendo intatto il tessuto superficiale non sarei aliena da ritenere che la costola fosse stata ridotta così dalle acque 0 da morsicatura di qualche animale. 76. Vari frammenti di costola. Settembre 1915. Nella Caverna, a 50 centimentri di profondità. In questi frammenti si nota osteite o della epifisi o del corpo della vertebra : in uno di questi c’è stata sup- purazione e il tessuto osseo è come aperto per lasciare passaggio alla materia che invadeva l’interno : in parte è consumato, cariato. Gli altri casi sono più leggeri, ma anche in questi la suppurazione è evidente per la modi- ficazione del tessuto osseo ; sono attaccate in questi ultimi casi le articolazioni delle costole. 77. Costola. Agosto 1917. Nella Caverna, a oltre 3 m. di profondità. È qui evidente una osteomielite che si è sviluppata con due focolari corrispondenti ai punti epifisari, l’uno alla epifisi condro-costale molto più apprezzabile dell’altro alla condro-sternale: il processo della epifisi condro- costale ha lasciato l’osso sconvolto e rareficato : il processo infiammatorio ha fatto sì che le faccette articolari sono scomparse per dar luogo ad un tessuto irregolare e rareficato che mostra chiaramente la presenza di una suppurazione assai forte : la infiammazione aveva invaso anche il corpo della costola, perchè il tessuto osseo non è regolare neppure qui: all’epifisi condro-sternale la malattia è più leggera. Scapole. 78. Scapola sinistra. Nella Tecchia, all'imboccatura della Caverna, contro la roccia, a circa 3 m. di profon- dità, dal lato destro (Tav. IV [IV], fig. 4). Frammento di scapola che comprende la cavità glenoidea e l’apofisi concoide, il solco dell’omoplata e parte della spina : non ho trovato deseritto in nessun trattato di anatomia patologica il caso di una tubercolosi del- l’omoplata : solo il LexER nel trattato di Chirurgia generale (1906) parla di una tubercolosi di un’articolazione della spalla destra. Nell’articolazione si notano varie caverne : il tessuto è completamente rareficato e spostato e vi si vedono pure dei piccoli osteofiti. Nell’omoplata normale la cavità glenoide ha una forma piuttosto allun- gata e stretta; qui invece la forma è rotonda : l’apofisi concoide nell’esemplare normale e più sviluppata; men- tre qui è malata, atrofizzata come pure il collo dell’apofisi : va scartata l’ipotesi che si tratti di un’artrite, prima per la presenza di caverne, poi perchè la malattia non si limita solamente all’articolazione, ma al resto del- l’omoplata: infatti anche internamente alla spina della scapola, il tessuto è alterato. Altro fatto notevolein que- sto bellissimo esemplare è che sembra vi sia stata come una distorsione del tessuto dell’articolazione e del collo dell’omoplata : ciò deve essere avvenuto perchè il tessuto ridotto molle per la suppurazione, subiva la pressione dell’omoplata e di tutto il dorso in modo che quando è sopraggiunta la guarigione l’osso è rimasto deformato : probabilmente la malattia è stata provocata da una percossa o da una contusione. 79. Frammento di scapola sinistra. Ottobre 1911. Nella Tecchia, superficiale. Il frammento è rimasto libero dopo la frattura senza risaldarsi al resto dell’omoplata. La superficie di frat- tura (la frattura è avvenuta a 1/3 della cavità glenoide, a destra dell’apofisi concoide) è alterata : anche il collo dell’omoplata ha il tessuto modificato, ma questo fatto non può attribuirsi che ad una infiammazione del perio- stio e dell’osso, conseguente al trauma e alla frattura : questa osteite è durata vario tempo, risolvendosi favore- volmente, lasciando libero il pezzo fratturato, che è rimasto indipendente dal resto dello scheletro. 80. Due frammenti di scapola. Settembre 1912. Nella Tecchia, a pochi metri dall’ingresso, a circa m.2 di pro- fondità. L’uno, frammento di scapola destra, in cui si nota una osteite, doveva appartenere ad una scapola frat- turata i cui frammenti non si erano risaldati perchè i margini della rottura sono quelli di un osso libero : l’osso 2% L. PIERAGNOLI [20] è malato in prossimità della cavità glenoidea : non può dirsi se la malattia sia intervenuta dopo la frattura e per causa di questa o se pure fosse antecedente alla frattura. L'altro frammento di scapola sinistra mostra una osteite rarefacente, molto ber visibile, con un abbondante osteofito al lato esterno. 81. Frammento di scapola destra. Agosto 1913. Nella Caverna, al centro, a circa 3 m. di profondità. Questa parte anteriore di scapola destra è attaccata da una osteite ed è un frammento non risaldato dopo x una frattura: è un caso simile al precedente. Omeri. 82. Omero sinistro. Agosto 1915. Nella Tecchia (Tav. IV [IV], fig. 5). Frammento di omero rotto per un trauma e non risaldato al resto dell’ osso che forse era pur esso in frammen- ti: sulla superficie di rottura sì è sviluppato un processo infiammatorio e suppurativo, ma non si può assicu- rare che il germe che l’ha prodotto sia il tubercolare: più facilmente può essere stata una infiammazione prodot- ta dalla ferita e forse molto probabilmente parte dell’osso e delle parti molli era stata asportata per il trauma Stesso. 83. Omero simistro. Agosto 1917. Nel prolungamento della Caverna, superficiale. Alla testa dell’osso si hanno segni evidenti di morsicatura, probabilmente di un altro de sus 0 di un Felis leo L. var. spelaca GoLDrUSS ; si notano pure tracce d’incrostazioni artritiche, forse prodotte dalla irritazione data dalla ferita. Al 3° medio, al punto corrispondente all’inserzione muscolare c'è una escrescenza ossea : sono pro- pensa a ritenere che si tratti di una esostosi di crescenza, perchè non si nota nè rarefazione, nè modificazione alcuna di tessuto come sarebbe avvenuto per una osteomielite. 84. Parte dell’articolazione inferiore dell’omero sinistro. Ottobre 1911. Nella Caverna, strato superficiale. Frammento osseo cariato con neoformazioni e con depositi ossei : tutto quanto il frammento mostra il tessuto malato e modificato. Cubito e radio. 85. Cubito destro. Nella Tecchia, lato destro, presso la parete, a m. 1,20 di profondità (Tav. IV [IV], fis. 6; Tav. VII [V]], fig. 2). Bellissimo caso di tubercolosi ossea: è una osteomielite della parte distale del cubito destro : l’osso defor- mato, risonfio enormemente, cavernoso, rarefatto e cariato mostra un’ abbondante suppurazione : 1’ arti- colazione inferiore è ridotta e il tessuto è modificato anche qui; un trauma forse ha prodotto un’infiammazione che ha svegliato il germe tubercolare. 86. Frammento di cubito simistro. Ottobre 1911. All’ingresso della Caverna, nello strato superficiale. Tessuto alterato e modificato : questo frammento doveva essere libero e vagante nel muscolo. Non può assicurarsi se la malattia con ascesso, osteite rarefacente e condensante (si notano benissimo su questo frammento le tracce di tutte queste affezioni), sia stata una conseguenza della rottura o se la rottura sia stata con- seguenza della malattia : io sono properisa per questa seconda ipotesi. Infatti nelle osteomieliti avvengono con facilità rotture spontanee. Tutti gli autori di trattati di anatomia patologica come NéLaron, MAULLEIRE, S. DupLay, P. RecLus ne parlano. 87. Cubito sinistro. Settembre 1918. Nella caverna, a circa m. 1 di profondità. Osteite della testa del cubito ; in aleuni punti l’alterazione è Niente altro di anormale nel resto dell’osso. 88. Cubito destro. Agosto 1917. Nel prolungamento della Caverna, a m. 1,70 di profondità (Tav. IV [IV], fig. 7). più forte e fa supporre una suppurazione. * [21] L. PIERAGNOLI i 21 Osteomielite della diafisi; l’osso in questo punto è molto ingrossato : la suppurazione deve essere stata ab- bondanté: per riflesso l’infiammazione si è estesa a tutto l’osso: ne sono ben visibili le tracce, specialmente all’articolazione superiore. 89. Cubito destro. 1918. (Tav. VII [VII], fig. 7). Trattasi di osteoartrite tubercolare che ha preso l’una e l’altra epifisi ed anche parte della diafisi. L’epifisi superiore è la più presa dalla malattia: anche la cavità sigmoidea è rareficata : il collo della epifisi in parte è rareficato, in parte ha osteofiti abbondanti. L’epifisi inferiore presenta delle lesioni, ma non di entità. 90. Cubito e radio destro. 1915. Nella Tecchia, a pochi centimetri (Tav. IV [IV], fig. 8). Anche queste due ossa presentano segni evidenti di osteoartrite tubercolare, specialmente alla apofisi co- ronoide, sotto la cavità sismoidea : le tracce della malattia sono pure visibili all’apofisi stiloidea e alla superficie articolare del radio. Nel radio la malattia ha invaso il collo e in parte anche la testa dell’osso. Nella parte infe- riore il tessuto è molto irregolare, tanto intorno alle faccette articolari che all’apofisi stiloide : questo arto ha dimensioni molto maggiori dell’arto precedente. 91. Frammento di radio destro. Sett. 1915. Nella Tecchia, a m. 1,50 di profondità, al centro. Parte inferiore di radio che presenta due profonde dentate probabilmente di Felis spelaea GoLpruss, che hanno prodotto un po’ d’infiammazione nel tessuto; niente di grave però, nè suppurazione. nè altra lesione: la ferita deve essersi rimarginata presto. 4 92. Radio sinistro. Agosto 1917. Nella Caverna, a m. 2,50 di profondità. L’osteite tubercolare ha invaso la diafisi dell’osso, specialmente nella sua parte superiore dove notasi modi- ficazione profondadi tessuto con osteite condensante. All’epifisi l’osteite condensante si alterna colla rarefacente. 93. Radio sinistro. Agosto 1917. Nella Tecchia, lato sinistro, contro la parete rocciosa, a circa m. 2 di profon- dità (Tav. IV [IV], fig. 9). Osteoartrite delle epifisi: tessuto sconvolto : osteite rarefacente e condensante: sono attaccate anche le faccette articolari. 94. Radio destro. Settembre 1918. Nel prolungamento della Caverna. È il radio corrispondente al cubito 89 descritto di già. L’osteoartrite ha preso anche qui l’articolazione superiore: anche qui abbiamo l’osteite rarefacente e conden- sante contemporaneamente ; l’osteite è bipolare, perchè anche 1’ articolazione inferiore presenta segni, benchè meno forti, della stessa malattia. Di questo arto ho O NOE anche il piede, che però non presenta alcuna anor- malità. Pene e Pube 95. Frammenti di pene. A tutte le profondità nella Teechia e nella Caverna. Trattasi di rotture e risaldature perfette : solo in uno di essi la risaldatura è un po” irregolare : è da notarsi che in nessun caso la rottura ha portato osteite ; forse in alcuni solamente un po’ d’infiammazione leggera. 96. Epifisi inferiore del pube. Agosto 1912. Nella Tecchia, a pochi centimetri sotto la superficie del deposito. Neerosi: osso modificato, rareficato, cavernoso. Femore 97. Femore sinistro (juvenis). Settembre 1915. Nella Tecchia, lato destra, a m. 2,50 di pra temono (Tav. IV [IV], fio. 10 a-c; - - Tav. VII [VII], fig. 4). Anche qui è bene evidente la osteoartrite tubercolare: ne sono attaccate le due articolazioni ed in parte an- che la diafisi dell’osso. 22 L. PIERAGNOLI 7 [22] La testa del femore è ridotta; la sua superficie articolare, di solito convessa, è pianeggiante e il tessuto è molto modificato: lo stesso può dirsi pel grande trocantere e pel piccolo trocantere: anche la superficie articolare inferiore, i condili interno ed esterno, sono infinitamente ridotti e profondamente malati: le trabecole ossee che indicano il limite dove si trovala cartilagine, sono erose e in via di riassorbimento si ha un processo di osteite distruttiva: non vi sono più tracce di superfici articolari (artrite sfacelante). L'inizio della malat- tia deve essere stato sulle sinovie e di lì, dopo un versamento, la malattia ha attaccato î capi dell’osso. 98. Femore sinistro. Agosto 1914. Nella Caverna, al centro, quasi superficialmente. È un arto che presenta in prossimità delle articolazioni tracce di morsicatura, ma non malattia: nella metà della diafisi, in corrispondenza della linea aspra abbiamo una cresta che dà 1’ idea o di un’ infiammazione del- l’osso all’inserzione muscolare, o di un ascesso mielitico che abbia trovato il suo sbocco qui: credo però più attendibile la prima ipotesi, perchè manca il rigonfiamento dell’osso proprio dell’osteomielite. 99. Frammento di femore. Settembre 1915. All’ingresso della Caverna, a m. 1,50 di profondità. Sequestro osseo che apparteneva ad un femore affetto da osteomielite, con ascesso conseguentemente al quale si è avuto il sequestro. Può darsi anche che l’ ascesso sia sopraggiunto dopo una frattura (cossite nell’ uomo): però osservando bene il sequestro nella sua parte interna, si vede che l’alterazione era profondissima e che le parti più malate erano il midollo e la parte più spugnosa dell’osso : per cui mi sembra potere supporre che l’ani- male sia caduto o sia stato percosso e che per la contusione si sia prodotta l’infiammazione dell’osso, per la quale il germe tubercolare ha potuto svilupparsi ampliamente, dando luogo ad una osteomielite, come avviene di solito nell’uomo, in cui dopo una contusione al femore, se l’individuo è debole e delicato, sopraggiunge un processo in- fiammatorio dell’osso e conseguentemente una cossite. Fibule 100. Pezzo di fibula. Settembre 1913. Nella Tecchia, a circa 2 m. di profondità. La parte inferiore dell’osso è affetta da osteite: poco sopra l’articolazione inferiore abbiamo una rottura dove il tessuto è assai modificato : ma non è possibile accertare se la rottura sia anteriore o dipendente dalla malattia. 100 bis. Fibule. Agosto 1915. Nella Tecchia, al centro, a meno di 50 centimetri di profondità. Sono affette da osteite o nell’ apofisi stiloidea o nella incavatura della faccia interna del malleolo, o nella diafisi dell’osso : in una si nota una osteomielite abbondantissima : l’osso è deformato, schiacciato, sconvolto : gli altri casi sono di osteite rarefacente. Ossa del tarso, del metatarso, del carpo, del metacarpo e falangi. 101. 6° Metacarpale sinistro. Agosto 1918. Nella Tecchia, a pochi centimetri sotto la superficie del deposito. Carie ossea in stato non molto avanzato. 102. 40 Metacarpale. Agosto 1917. Nella Tecchia, a 2 m. di profondità. Carie ossea, accompagnata da deformazione. 103. 3° Metacarpale sinistro. Settembre 1916. Nella Caverna, a 1 m. di profondità (Tav. VII [VII], fig. 9). Anche qui osso modificato e cariato : la carie è consecutiva ad ascesso tubercolare. 104. Metacarpale sinistro. Settembre 1914. Nella Caverna, lato sinistro, a m. 1,50 di profondità. Si notano tracce di suppurazione, ma non si può assicurare che ci sia stata osteomielite ; sembrerebbe che all’epifisi superiore fosse stato un vero ascesso midollare, perchè l’osso è schiacciato da un lato e rigonfio dal- l’altro, ma non è possibile affermarlo con sicurezza, [23] L. PIERAGNOLI 23 105. 2° Metacarpale destro. Settembre 1914. Nella Tecchia, a circa m. 4 di profondità (Tav. IV [IV], fig. 11). . La osteomielite ha colpito specialmente una delle epifisi dell’osso, ingrossandola enormemente. 106. 2° Metacarpale sinistro e 5° Metacarpale destro. Agosto 1914. Nella Caverna, al centro, a circa 2 m. di profondità (Tav. V [V], fig. 1; Tav. VI [VI], fig. 4). L’ascesso deve essere stato molto esteso e di lunga durata, perchè il tessuto osseo è sconvolto, aumentato di volume, cambiato di forma, spugnoso. 107. 20 Metacarpale sinistro. Settembre 1916. Nella Tecchia, lato destro, a circa 3 m. di profondità. Un morso ha prodotto un profondo foro alla parte inferiore dell’osso. 108. 2° e 3° Metacarpale destro. Agosto 1915. Nella Tecchia, a circa 60 centimetri di profondità. Osteite condensante e rarefacente, accompagnata da suppurazione. 109. 40 Metacarpale sinistro e 3° Metacarpale destro. Settembre 1918. Nel prolungamento della Caverna, nella crosta stalagmitica superficiale. Processo suppurativo esteso per tutto l’ osso tanto profondamente che le articolazioni si sono trasformate, specialmente la superiore ; nell’ inferiore abbiamo una esostosi che ci potrebbe fare dubitare di un’artrite, ma invece è conseguenza della osteite, perchè si può accertare che tutta la diafisi dell’osso è attaccata da osteite. L’osso per la rarefazione è ridotto leggerìssimo. 110. 1° Metacarpale sinistro. Settembre 1916. Nella Caverna lato destro, a oltre 3 m. di profondità (Tav. V [V], fig. 2). Articolazione affetta da osteoartrite: è ingrossata ;.il tessuto è rareficato e si notano degli osteofiti che appa- riscono anche nella diafisi. 111. 2° Metacarpale destro, due prime Falangi e 1 seconda. Settembre 1915. Nella Tecchia. Osteoartrite, accompagnata da un processo suppurativo, che ha consumato quasi totalmente un’articola- zione: l'osso è rarefatto e si notano osteofiti anche nella diafisi ; il processo d’infiammazione si estende quasi fino all'altra epifisi. Osteoartrite anche nelle falangi. 112.50 Metacarpale sinistro. Agosto 1918. Sotto il piano del 1° focolare, nella Caverna insieme a ciottoli levigati e ad ossa rotte e fluitate. Osteite condensante di tutta la diafisi dell’osso e di parte dell’epifisi : però non v'è stata suppurazione. 113. 5° Metacarpale sinistro. Agosto 1918. Nella Caverna, poco sotto la superficie del deposito. La diafisi dell’osso mostra segni evidenti di una osteite ; il tessuto è molto irregolare : nell’articolazione su- periore metacarpale, alla superficie articolare abbiamo delle striature, dei solchi molto forti che sono uno dei segni molto evidenti di artrite deformante. 114. 2°, 3° e 5° Metacarpale destro, 3% falange e falange unqueale. Agosto 1915. Nella Caverna, a circa 3 m. di profondità. Osteite diffusa per i 5 pezzi ossei, più forte nel 2° metacarpale ; anzi in questo, all’articolazione inferiore si notano due caverne che sono state probabilmente i due focolari d’infezione, dai quali si è propagata la malattia, probabilmente di origine tubercolare. 115. Pisiforme dell’arto anteriore sinistro. Settembre 1918. Nella Caverna, nello strato al di sotto del 1° focolare. Osteite prodotta da una morsicatura, della quale si notano benissimo le tracce. 116. Uncinato del carpo simistro. Settembre 1916. Nella Tecchia, sul davanti, a oltre 3 m. di profondità. Foro profondo e assai largo, prodotto molto probabilmente da una zannata di lupo o di leopardo, per la quale si è avuta la osteite. 117. Pisiforme dell'arto destro. Agosto 1918. Nel prolungamento della Caverna, a pochi centimetri di pro- fondità. 24 Li PIERAGNOLI. [24] Artrite deformante con osteite : nell’articolazione notansi le strie proprie della malattia: la superficie arti- colare è moditicata, il corpo dell’osso è coperto da osteofiti e da piccole caverne; la malattia era estesa a tutto l’osso. 118. Pisiforme destro, 22 falange e falange ungueale. Settembre 1916. Nella Caverna, a m. 1,50 di profondità. Osteoartrite, ma nella 22 falange, a una delle epifisi, si nota un focolare di suppurazione : forse una ferita ha prodotto qualche.piecolo ascesso. 119. Cuneiforme del carpo destro. Agosto 1917. Nella Caverna, a m. 1,20 sotto il piano del 1° focolare. Osso leggero e spugnoso : mi sembra affetto da artrite erosiva. 119 bis. Scafolunare destro, scafolunare sinistro. Agosto 1915. Nella Caverna, a 2 m. di profondità. Presentano morsicature e intaccature alla superficie e si nota in prossimità di queste il tessuto modificato da una osteite. i 120. 3° Metatarsale sinistro. Settembre 1912. Nella Tecchia, a pochi centimetri di profondità. Carie ossea, consecutiva ad osteoperiostite. 121. 1° Metatarsale sinistro. Agosto 1917. Nella Caverna, nel piano del 2° focolare, a m. 1,75 dal 1° focolare (Tav. V [V], fig. 3). Osso leggero, con tessuto sconvolto, carie ossea. 122. 50 metatarsale sinistro. Settembre 1915. Nella Tecchia, lato destro a 2 m. di profondità (Tav. V [V], fig. 4). Caso di osteomielite: tessuto sconvolto e rareficato. 1253. 5° Metatarsale sinistro. Settembre 1916. Nella Caverna, a circa m. 3 di profondità. Un profondo foro denota un morso, conseguentemente al quale si è avuta osteite. 124. 1° Metatarsale simistro e 2° Metatarsale destro. Settembre 1916. Nella Tecchia, a circa m. 3 di profondità. Il destro ha una osteoartrite ad una epifisi, estesa anche alla diafisi ; nel sinistro la osteoartrite è bipolare e nella diafisi si notano piccoli osteofiti. 125. 40 Metatarsale sinistro. Agosto 1918. Nella Tecchia, poco sotto la superficie del deposito. Leggera modificazione del tessuto, dovuta ad una, osteite. 126. Metatarsali sinistri. Agosto 1915. Nella Tecchia, all’imbocco della Caverna, a circa m. 2 di profondità. Osteoartrite diffusa, specialmente alle articolazioni: si notano ingrossamento articolare e tracce di sup- purazione, specialmente nel 1° 40 e 50, 127. 1° Metatarsale destro. Settembre 1918. Nel prolungamento della Caverna, quasi superficiale. Osteoartrite: articolazione deformata, tessuto assai modificato. 128. 1° Falangi. Agosto 1912. Nella Caverna, ad oltre 1 m. di profondità. Carie ossea. 129. 12 Falange. Agosto 1915. Nella Tecchia a 2. m. di profondità. Carie accompagnata da deformazione dell’osso. 130. Falange. Agosto 1914. Nella Caverna, a circa 2 m. di profondità. Caso assai leggero di ascesso osseo, tessuto modificato per la suppurazione. 151. 22 Falange. Agosto 1912. Nella Caverna, a 1 m. di profondità. Ascesso diafisario con abbondante esostosi. 132. Falangi. Settembre 1914. Nella Caverna, a m. 3 di profondità (Tav. V [V], fig. 5). Suppurazione ossea con saldatura delle ultime 3 falangi. 133. Falangi. Settembre 1912. Nella Caverna, a m. 1 di profondità (Tav. V [V], fig. 6). Ascesso dell’ultima falange del dito che ha saldato la falange stessa alla falange ungueale. 134. Falangi ungueali. Settembre 1916. Nella Tecchia, a m. 3 di profondità, in faccia all’ingresso della Ca- verna (Tav. VII [VII], fig. 8). [25] L. PIERAGNOLI 25 Ascessì ungueali, corrispondenti ai comuni giraditi dell’uomo, che interessano l’unghia e che a lungo andare riescono a ledere anche l’osso se non sono curati in tempo. in uno osteomielite. 135. Falange. Agosto 1915. Nella Tecchia, a 50 centimetri di profondità (Tav. V [V], fig. ©). Falangi deformate e saldate per una osteoartrite; ad una estremità si nota un foro che pare prodotto da una dentata, posteriore alla morte dell’individuo : anche questa articolazione è deformata e malata. Canis lupus Linxro. 136. Vertebra. Agosto 1917. Al centro della Caverna, a 1 m. di profondità, sotto al piano del focolare supe- riore (Tav. V [V], fis. 8). La osteite ha invaso ambedue le apofisi trasverse, quella di destra molto più della sinistra, avendo il suo mar- gine consumato e ridotto quasi alla metà. Nel rimanente della vertebra si vede che c’è stata periostite e che l’infezione ha invaso anche l’osso, benchè non molto, perchè è deformato ai margini, ma nel rimanente è intatto. 137. Falange. Settembre 1915. Nella Caverna, a circa m. 1 di profondità. Artrite deformante : il capo articolare superiore è ingrossato e piegato. 5 138. Falange. Agosto 1917. Nel prolungamento della Caverna. a pochi centimetri di profondità. L'articolazione inferiore è modificata : si vedono tracce evidenti di suppurazione nelle due faccette artico- lari e si notano anche osteofiti. È Vulpes vulpes Linneo. 139. Vertebra dorsale. Agosto 1919. Nello strato superficiale della Tecchia. Soprosso dovuto a vecchiaia : il eorpo vertebrale ha una espansione ossea che non può che attribuirsi all’età avanzata dell'individuo, perchè è perfettamente sano. . Felis leo var. spelaea GoLpruss. 140. Radio destro. Agosto 1917. Nella.Tecchia, al lato sinistro, contro la parete della roccia, a circa 2 m. di profondità (Tav. V [V], fig. 9). Bellissimo esemplare di tubercolosi ossea e di carie dell’articolazione inferiore ; il tessuto intorno all’artico- lazione è rarefatto, rugoso, granuloso : vi sono cavità piccole intorno ad una grande, di dimensioni maggiori di una nocciuola, che forse avrà contenuto qualche massa fungosa, o qualche piccolo sequestro : direi che fosse una forma di carie secca, una osteoartrite secca di natura tubercolare. 141. 2° Metacarpale destro. Settembre 1915. Nella Caverna, a circa 2 m. di profondità, al centro (Tav. VAL R ) Caso di ascesso osseo con tessuto sconvolto, che sta a indicare abbondante suppurazione. 142. 4° e 5° Metacarpale destro. Settembre 1914. Nella Caverna, a m. 3 di profondità (Tav. V [V], fig. 10). Trattasi di osteomielite. ) ì 143. 4° Metacarpale sinistro. Agosto 1915. Nella Teechia, a circa 50 centimetri sotto la superficie del depo- sito (Tav. V [V], fig. 12). i Caso di osteomielite : sono evidenti le tracce di suppurazione : il tessuto è seonvolto rareficato e condensato. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 4 26 L. PIERAGNOLI. [26] Felis pardus LInNEO. 144. Radio destro. Agosto 1914. Nella Tecchia, in faccia all'imbocco della Caverna, a circa 2 m. di profondità. In questo frammento di radio si nota la osteite molto superficiale : la malattia è all’inizio e non è stata certo la causa della morte dell’animale. 145. Falangi. Agosto 1919. In fondo, orizzontalmente alla Caverna, a m. 1,70 di profondità dal livello del 1° focolare. Artrite deformante : l’osso apparisce liscio come fosse verniciato, compatto come avorio. 146. Falange. Agosto 1917. Nel prolungamento della Caverna, nello strato stalagmitico superficiale. Lesioni dovute a morsicature. Si nota in una di esse il margine rialzato e il tessuto modificato per una in- fiammazione ossea : forse l’animale è stato ferito gravemente anche in altre ‘parti ed è morto a distanza di poco tempo. Rupicapra rupicapra LIinnro. 147. Parte inferiore di radio sinistro. Agosto 1914. Nella Caverna, a circa 2 m. di profondità dal livello del 1° focolare (Tav. V [V], fig. 13). Caso di artrite e osteite, dipendenti probabilmente da una ferita che ha portato via un pezzetto di osso. 147 bis. Palangi. Agosto 1915. Nella Tecchia, a circa 40 centimetri sotto la superficie del deposito, strato limonitico. Tessuto modificato, sconvolto, rareficato : è evidente la carie, che molto probabilmente è consecutiva ad un ascesso. 147 tris. Metacarpale sinistro. Agosto 1915. Nella Tecchia, a 2 m. di profondità (Tav. V [V], fig. 14). Bellissimo esemplare di ascesso osseo (osteomielite) ; osso rigonfiato, rareficato, forato: è evidente che la sup- purazione era interna. Capra hircus Linvnro. 148. Frammento di femore destro. Ottobre 1911. Nello strato superficiale della Caverna, a 50 centimetri di profondità (Tav. V [V], fig. 15). L’articolazione inferiore dell’osso è affetta da osteoartrite : l’osteite rarefacente si alterna con l’osteite con- densante, ma la malattia non è molto avanzata e le faccette articolari sono ancora in buone condizioni. Arvicula amphibius LInNEO. 149. Cubito e radio sinistro. Agosto 1913. Nella Tecchia, a 1 m. di profondità. Le due ossa sono saldate l’una all’altra in seguito ad una suppurazione per la quale il tessuto era diventato molle: avvenuta la guarigione le due ossa si sono saldate. Glis glis Linneo. 150. Tibia. Settembre 1915. Nella Tecchia, lato destro, a m. 1,50 di profondità. Tibia fratturata con risaldatura irregolare e callo osseo. [27] .L. PIERAGNOLI 27 Homo. 151. Frammento di costola. Agosto 1917. Nella Caverna, a circa m. 4. 50 di profondità (Tav. V [V], fig. 16). Trattasi di una rottura di una costola con conseguente risaldatura : la irregolarità del tessuto osseo di- mostra però che dopo la rottura è sopravvenuta una periostite di non molta entità. 152. Frammento di costola. Settembre 1916. A circa 60 centimetri sotto il livello del focolare più alto nella Caverna. Anche questa è una rottura che si è risaldata con callo osseo : il processo d’infiammazione del periostio è stato qui minore che nel frammento precedente. 153. Metacarpale. Ottobre 1911. Nella Caverna, a 1 m. di profondità, al centro (Tav. V [V], fig. 17). Parte superiore di metacarpale molto malata, ridotta leggerissima per la rarefazione : deve trattarsi di un ascesso osseo, che ha sconvolto il tessuto e ha saldato l'articolazione. 154. Metacarpale. Ottobre 1911. A circa m. 3 di profondità, lato sinistro della Caverna. Trattasi di una leggera artrite alle due articolazioni, che è riuscita a modificare il tessuto solo in parte. 155. Metacarpale. Ottobre 1911. Nella Caverna, nello strato superficiale, a circa 50 centimetri di profondità. Si notano osteofiti e modificazione di tessuto all’articolazione superiore ; l’osso è molto rarefatto, ma non si vedono tracce di osteite, in modo che è da eredersi debba trattarsi di artrite. Ho anche molte altre ossa umane che presentano lievi anormalità: (Tav. V [V], fig. 18-20) leggere periostiti, qualche artrite, ma la malattia in tutti questi esemplari non è molto avanzata : credo che le ossa più malate, perchè più fragili, siano andate disfacendosi e perciò non ne possiamo avere più tracce. Del resto la quantità di ossa di Homo ritrovata nella Tecchia è incomparabilmente minore di quella di ossa di Ursus. Batracio. 156. Osso lungo di ?Bufo vulgaris L. 1919. Nella trincea superiore della Caverna. Scavo RELLINI. Questo minuscolo osso presenta un rigonfiamento mediano, che visto di profilo, mostra chiaramente trat- tarsi di una frattura, dopo la quale si è formato un forte callo osseo che ha prodotto questo rigonfiamento: os- servando attentamente si notano i due pezzi di frattura l’uno soprapposto all’altro. Falco ? 157. Testa di omero sinistro di piccolo rapace. Nella Tecchia, a m. 3 di profondità, in faccia all’ingresso della Caverna. Infiammazione e suppurazione ossea dovuta probabilmente a qualche ferita che ha alterato il tessuto. CONCLUSIONI Le malattie riscontrate nelle ossa da me studiate, sono le stesse malattie ossee che si riscontrano nell’uomo e dal quadro annesso al lavoro, si vede che il numero maggiore di lesioni è dato dalla osteite e dalla tubercolosi. Negli orsi i casi di tubercolosi e di osteite (spesso anche questa di origine tubercolare) salgono a 62, di cui il 98 L. PIPRAGNOLI [28] maggior numero si ha nelle vertebre, che, anche attualmente insieme con le ossa degli arti, sono le ossa più facil- mente colpite dal germe tubercolare. Ho poi una quantità abbondantissima di manubri sternali, attaccati dalla stessa malattia, caso che si spiega difficilmente perchè, per quanto viene riferito dai trattati di patologia chirur- gica, lo sterno è un osso non facile ad avere localizzazioni tubercolari. Anche osteomielite e ascessi ossei (circa 30 casi) sono assai frequenti specialmente nelle ossa brevi degli arti : le artriti (20 casi) sono localizzate più qua e più là e sono in relazione in gran parte coi climi umidi e freddi nei quali vivevano gli orsi: le actinomicosi (6 casi) nelle ossa fossili studiate sono particolari degli orsi e hanno attaccato le ossa che anche negli animali viventi sono più colpite dalla malattia (mandibole, mascelle, vertebre). Si hanno anche naturalmente di- versi casi di traumi dipendenti da cadute o da morsi di altri animali o da percosse: generalmente questi trau- mi hanno portato suppurazione, forse perchè per le ferite si sono introdotti germi patogeni di diversa natura. Altri casi frequenti negli orsi fossili, casi che si verificano spesso anche negli animali viventi attualmente come tori e cavalli, sono gli osteofiti dovuti a vecchiaia, i quali si formano più facilmente che in altre ossa, nelle vertebre. Fatto da notarsi è che spesso queste malattie possono trovarsi riunite su di un medesimo osso e dipendere le une dalle altre ; così una frattura determina sempre una osteite e conseguentemente può determinare un ‘ascesso 0 un’artrite : una osteite ed una osteomielite possono essere dipendenti da bacillo tubercolare, oppure una osteite favorire lo sviluppo del germe tubercolare, dato che preesistesse allo stato latente. Come si vede dun- que è molto difficile separare nettamente, anche in un medesimo osso, una malattia dall’altra e stabilire con | sicurezza l’entità morbosa primitiva da cui dipendono le lesioni di tutte queste ossa ; ciò nonostante l'esame macroscopico e microscopico rende evidente nella maggior parte dei casi che le modificazioni di struttura riscon- trate sono quelle stesse che comunemente vengono prodotte dalla tubercolosi, dall’artrite o da qualsiasi altra malattia con le varie forme che si trovano anche nell’uomo, in modo che non rimane alcun dubbio sull’entità morbosa che è stata causa delle sopraddette alterazioni. Nelle ossa degli altri animali Felis spelaca L., Canis lupus L., Rupicapra rupicapra L., Capra hircus L., Pe- lis pardus L., e Bufo vulgaris L., le alterazioni patologiche riscontrate devono in massima parte dipendere da traumi : affezioni tubercolari non ho trovato che in un radio di Melis spelaca L.: certamente la tubercolosi aveva il suo massimo di estensione tra gli orsi : era la malattia che predominava e che faceva strage; ma il numero grandissimo di ossa di orso colpite va messo in relazione con la quantità grandissima di ossa di orso ritrovate nella caverna, quantità di ossa che non è da mettersi in confronto con quella degli altri animali di cui sopra. Tutti gli studi fatti fin qui sulla patologia delle ossa fossili, per quanto apparisca manifesta qualche incer- tezza nella terminologia delle diverse entità morbose, incertezza che non è ancora del tutto eliminata anche in patologia e che si comprende ancor più riflettendo che questi studi furono fatti da paleontologi che non erano anatomo-patologi, portano principalmente a queste conclusioni: 1° che le malattie anche oggi tanto diffuse, come tubercolosi, artrite, osteoperiostiti, non hannola loro prin- cipale ragione nella civilizzazione e nel progresso, ma bensì nel contagio e nell’ambiente malsano. 20 che è desumibile, poichè tali malattie esistevano fin nel Carbonifero (ErnERIDGE, MooDIE ete. Op. cit.) e sono state citate come estesissime nel giurassico e nel quaternario paleolitico e neolitico, che esse siano state ori- ginarie degli animali e da questi siano state trasmesse all’uomo. 3° che l'estensione di queste malattie non può, come taluni hanno creduto, essere l’unico fattore dell’estin- zione della specie, non potendo quelle essere nè tanto gravi, nè tanto estese; è possibile però che la tubercolosi abbia contribuito insieme a molti altri fattori alla estinzione dell’Ursus spelaeus, i cui ultimi rappresentanti troviamo appunto nel neolitico inferiore della Grotta di Equi e nel Moustieriano di Cotencher nel Giura Svizzero. [29] L. PIPRAGNOLI Dalle ossa malate di Homo rinvenute nella Tecchia non possono trarsi conclusioni: le ossa patologiche sono poche e queste poche non presentano lesioni sravi: mancano ossa lunghe degli arti, ossa del torace, ossa della testa: quindi ogni giudizio sarebbe arrischiato. - L. PIERAGNOLI [30] OPERE CONSULTATE 1799. 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Metacarpale (141) 19. » (142) 20. » (143) Rupicapra rupicapra L. 21. Metacarpale (147 bis) 32 L. PIERAGNOLI [32] Quadro comparativo dei vari OSTEITI OSTEOMIELITI Ursus. Ursus. 1. Cranio completo (1) * 1. Costola (69) 2. Ramo mandibolare (15) 2. Frammento costola (72) 3 » » sin. (17) I ò. » » (73) 4.» » destro (21) | 4. Costola (77) 5. >» » » (22) 4 5. Cubito sinistro (86) 6 » » (25) 6. » destro (88) 7. Cranio (5) 7. Frammento di femore (99) % 0. 0 | 8. Epifisi inf. del pube (96) (con osteomielite) 9. Atlante (37) 9. Metacarpale (105) ? 10. Vertebre dorsali (39) 10. » (106) ]l. Frammento di costola (71) Il, » (104) [33] É casi patologici descritti. ASCESSI OSSEI L. PIERAGNOLI 33 TUBERCOLOSI Ursus. 1. Ramo mandibolare sinistro (19) 2. >» » » (26) DM » destro (27) 4. Bolta timpanica (11) 5. Vertebra dorsale (44) 6. Costola (74) 7. Frammento di costola sinistra (84) 8. Articolazione omero destro (84) Homo. (ni PAD Ursus. . Vertebra dorsale (33) » lombare (34) » dorsale (35) Vertebre dorsali (43) » coccigea-sacrale (47) » caudale (49) » dorsale (50) » cervicale (51) » » (52) . Apofisi vertebra dorsale (53) 9. Metacarpale (153) x Ve ann 13. Sacro (56) 14. Sterno (58) 15. 2 sterni (59) 16. Sterno (60) 17. 2 ossa sternali (63) 18. Sterno (65) IRL Wp (66) 20. >» (67) Di (68) . Frammenti di costola (75) . Scapola sinistra (73) . Cubito destro (85) . Radio sinistro (92) ho 19 b9 b9 b9 Ho 09 (er Felis spelaea. 26. Radio sinistro (140) Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 5 34 L. PIERAGNOLI [34] Quadro comparativo dei vari ARTRITI ACTINOMICOSI Ursus. | Ursus. 1. Ramo mandibolare (24) | 1. Mandibola (ramo sin.) (12) 2. Sacro (57) i Ù 2. Parte anteriore mandibola (13) 3. Omero sinistro (83) 3. Mandibola (14) 4. Cubito destro (89) (con osteite tub.) 4. » (29) 5. Cubito e radio destro (90) 5. Mascellare superiore (31) 6. Radio (94) 6. Vertebre lombari (32) 7. Femore sinistro (97) 8. Metacarpale (110) 9. » @e falange (111) 10. Metatarsale (126) È DI 3 (127) 12. » (124) 19. Pisiforme (117) 14. » e falange (118) 15. Cuneiforme del carpo (119) 16. Falangi (135) Capra hircus L. 18. Femore destro (148) Homo. 19. Artrite (155) 20. Ossa varie * [85] casi patologici deseritti. FRATTURE L. PIERAGNOLI 35 CASI INCERTI Ursus. 1. Cranio (1) Ze» (2) » (18) 5 3) . Vertebre dorsali (40) 10. Costola (70) 3 4 5. 6. Mandibola (16) Ti 8 9 11. Scapola sin. (79) 12. » destra (81) 13. Omero sinistro (82) 14. Femore {91) 15. Fibula (100 *) 16. Frammenti di pene (95) Felis pardus L. 17. Falange (146) - ? Bufo vulgaris L. 18. Osso lungo (156) Homo. 19. Frammenti di costola (151) 20. » » (152) _ Ursus. . Cranio (3) » (9) . Parietale (10) . Mascellare (20) . Vertebra dorsale (40) » caudale (48) Ursus. 1. Denti molari (30) 2. Vertebre cervicali (41) 3 » dorsali (42) 4. » caudali (46) 5. Ste no (61) È . Sterno (64) Vulpes vulpes L. . 6. Vertebra dorsale (139) (eP] Rachitismo o deformazioni dovute a vecchiaia: ì i Î è Bo i Me LI Da ol È, } fe ; i DI : LI L. ; vi ) Ù SO. - RESO Pe Ù NW MPACIE Pi 200) ne ì ; ì x h O) 4 BIATTORI: PARETTATTE, { 00 ff ma qa i na MI ì yy LAI pa aa ì Ù { DA ERI ki ; Mat TOMI SE VT da Vi di , MT, ì To) te; î AS LI e 1 | d a’ ì (O ” TI u I di ti j 1 i x i ì Va Zi ll Ù 7 e Î Ù i x S; & Ù ' u ’ | x . 1 È AO IE LI N P. 5A ' . Si Nevi / " î 2 » 4 Lo , z lo) ‘ Ù ) ( È i n 5. 3 x n I 4 PAPIRI . t È n DAS ì Ù \ ) h A PI | È IRAgT ,\ quis afkiotent dui Mi MA 1 vo Lf Liana lic ETTAGRY Mao LUN e (ORTA n, PALI NOLI DIOR SAISLET ? ) 7 2? fi DS; - Vv fi CAT e ANDREA RODIGHIERO AnprEA RopicHIERO nacque il 20 luglio 1892 in Tortona da CRISTIANO e FroRINI BEATRICE. Av- viato per tempo ai buoni studi, stette nel Liceo di Faenza fino al 1911. Sovente passava le vacanze co’ suoi in Asiago, culla della famiglia sua, dove qualche volta ci veniva fatto di incontrarci. I di lui studi secondari, sempre eccellentemente condotti, non avevano ancora preso ùn indirizzo preciso : bensì egli mi diceva volersi dedicare alla geologia e sperar di diventare assistente della Cattedra da me tenuta. Non gli nascondeva io le difficoltà dello studio, il poco conto nel quale si teneva in Italia la geologia scenti- fica, la quasi impossibilità di ottenere un ufficio fuori al più nell’insegnamento secondario. Ma la volontà di ANDREA era ferma: presa con onore la licenza liceale si iscrisse nella facoltà di Scienze Naturali in Padova e cominciò a frequentare la scuola di Grorcio Dar Praz. Maestro e scolaro prestamente si intesero e ANDREA prese a compito del suo studio l’ordinamento de? terreni cretacei del suo diletto Altopiano dei Sette Comuni. La classificazione più generale di tali terreni era già nota : bensì mancava una distinzione precisa dei piani. Esistevano nell'Università in Padova le belle collezioni dei relativi fossili, di CATULLO, di DE Zicno e di qualche altro. Il nostro ANDREA si diè a completarle percorrendo in lungo e in largo 1’ Altipiano, ben defi- nendo gli strati nei quali raccoglieva, comparandoli con gli stessi terreni di altre parti del Veneto e tenendo conto delle collezioni esistenti qua e là, nel piccolo Museo Civico di Asiago ora distrutto, in Vicenza, a Bassano, nel Se- minario di Padova, ed altrove e facendosi venire le raccolte da Torino, da Pisa, da Firenze. Così è riuscito a de- finire sottili distinzioni della Creta almeno in alcuni punti dell’Altipiano e così preparò la sua tesi di Laurea che presentò a Padova e ne riscosse il pieno plauso, come avevano riscosso tutti i suoi esami speciali dati precedentemente. Avendo ottenuto uno dei posti di perfezionamento nell’anno scolastico 1915-1916 presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze, soddisfacendo un antico comune desiderio, si recò presso di me. Fornito di qualche nuova pubblicazione che non aveva prima potuto consultare e di qualche collezione di fossili stranieri d’età contempo- ranea, completò il suo lavoro. Era già gravemente minato da irreparabile male, tanto che solo per poche settimane aveva potuto compiere il suo dovere militare. Si cullava egli fra il timore e la speranza, e, forse anche per illudere gli altri, si propone- va a guerra finita, di peregrinare sulla Monfenera per ivi studiare gli stessi terreni cretacei. Non cessava di completare il lavoro : ma nel novembre 1916, tornato a Firenze, prima di ripartire, lo lasciava per intero in un cassetto presago della sua fine, e disse a taluno che era completo. Il giorno 11 febbraio 1917 AnDpREA spirava serenamente a Santa Margherita Ligure. Un breve sunto del suo lavoro era stato pubblicato subito dope la laurea negli Atti dell’ Accademia Veneto- Trentino-Istriana, vol. VIII, 1915 (I neocomiano dei dintorni di Gallio nei Sette Comuni). 38 A. RODIGHIERO [2] In realtà completo ora il lavoro, sebbene non completamente riordinata e connessa la parte nuova con l’an- tica, alla qual cosa facilmente attesi io anche per incarico dell'amico DAL Praz primo maestro di ANDREA. Certo se l'Autore avesse atteso da sè alla pubblicazione avrebbe corretto e completato qualche parte, forse dato un giro diverso a qualche altra, perfezionata la descrizione di aleuni gruppi di specie, e aggiunte con maggior pre- cisione tutte le varie località, alla cui indicazione ho provveduto in parte io valendomi del breve sunto sopra citato, della prefazione della sua tesi e dei cartellini scritti dal RopiGHTERO sotto i vari fossili; ad ogni modo illavoro è un contributo utilissimo ed importante, che dopo tanti studi e tante fatiche dell'A. non doveva essere abbandonato. ANDREA aveva messo da parte vari fossili acciò fossero fotografati: egli non vide le fotografie : dopo la sua morte ne aggiunsi 53 a quelle che egli già aveva fatto. Accolsano gli scienziati con benevolenza il mesto e doveroso tributo che io e Groraro Dar Praz abbiamo dato al nostro caro discepolo, il quale, se la vita gli fosse durata, avrebbe degnamente continuato a servire la scienza e la patria. CarLo DE STEFANI. ANDREA RODIGHIERO Il sistema Orefaceo del Veneto Occidentale compreso Îra l'Adige 6 il Piave con speciale riguardo al Neocomiano dei Netto Comuni. (Tav. VII-XII [I-VI]). Avevo pregato il chiarissimo Prof. Groraio Dar Praz, direttore dell’ Istituto geologico dell’Università di Padova, che mi indicasse un’argomento di stratigrafia per la dissertazione di laurea. Il tema proposto tratta del sistema Cretaceo nel Veneto Occidentale con speciale riguardo al Neocomiano dei Sette Comuni. Giungano graditi i miei più vivi ringraziamenti al Prof. DAL Praz, non solo per la cortese ospitalità con- cessami nel suo gabinetto e pel magistero dei consigli, ma specialmente perchè l'argomento affidatomi mi è stato carissimo, e mi ha procurato grandi soddisfazioni : tanto che ho desiderio di elaborarlo anche dopo con- seguita la laurea, e intendo perfezionarmi negli studi di geologia. Devo poi ringraziare l’esresio Dott. RAMIRO FABIANI mio docente di Paleontologia. Mando un riverente saluto alla memoria dell’amico buono e desideratissimo, Dott. Antonio DE TONI, morto per ferita da eroe nell’ospedale militare di Auronzo il 9 giugno 1915. Nel Gabinetto di geologia Egli mi fu paziente ed amorevole guida durante il mio studio. PARTE PRIMA CapiToLO I. Principali divisioni del sistema Cretaceo nel Veneto Occidentale. Gli stratigrafi più recenti del nostro Cretaceo hanno adottato la divisione del sistema in tre gruppi o sot- tosistemi: l’Eocretaceo o Neocomiano coi quattro piani Valenginiano, Hauteriviano, Barremiano, Aptiano ; il Mesocretaceo coi tre piani Albiano, Cenomaniano, Turoniano ; il Neocretaceo o Senoniano con un numero di piani da noi non bene definito. 40 A. RODIGHIERO [4] Or non è molto godeva il favore degli autori una divisione del sistema in due gruppi: l’Infracretaceo che comprendeva tutto il Neocomiano e inoltre l’Albiano ; il Supracretaceo, al quale venivano riferiti il Cenoma- niano, il Turoniano e tutto il Senoniano. Tale divisione era pel Veneto giustificabile, perchè due principalis- sime facies, il Biancone e la Scaglia, costituiscono nel loro insieme quasi totalmente il nostro Cretaceo. Dei terreni intermedi di transizione che oggi vanno attribuiti al Mesocretaceo si hanno pochissimi fossili carat- teristici, e la successione completa dei piani è ancora abbozzata nelle sue principali linee. Ma la divisione in tre gruppi o sottosistemi è (Hauc. Traité de géologie, cap. 38°, pag. 1163) più conforme alla distribuzione verticale degli organismi e corrisponde meglio alle sezioni naturali risultanti dalle trasgres- sioni sulle aree continentali. Notevolissima fra quelle è la grande trasgressione Cenomaniana, la quale comin- cia nell’Albiano e raggiunge il suo massimo sviluppo nel Turoniano, così che le tre età appartengono ad uno stesso ciclo e non possono separarsi come nella vecchia divisione. Nel Veneto questa trasgressione non si verifica, perchè la deposizione dei terreni cretacei, particolarmente di quelli neocomiani, è avvenuta in mare discretamente profondo, in una geosinelinale, per usare l’espressione corrente di HauG. Al primo gruppo o sottosistema, il Neocomiano, spettano dunque quattro piani: Valen- giniano, Hauteriviano, Barremiano, Aptiano. Gli autori si sono preoccupati di distinguerli tutti. I fossili trovati nel Biancone o poco al di sopra, mercè di- visiori fatte a tavolino, si poterono raggruppare in associazioni caratteristiche delle quattro età stesse (PARONA. Sopra alcuni fossili del Biancone Veneto). Scarse o insufficienti furono le ricerche in campagna. Primo De Zieno studiò il Neocomiano dei Sette Comuni e degli Euganei, e negli strati terminali di- stinse l’Aptiano e l’Albiano. Il Rossi nel 1883 separò dal Biancone tipico della Monfenera e di Possagno-Ca- vaso un Biancone superiore scissile coperto da calcari verdognoli, cloritici, poi cenerognoli, con Ancyloceras Matheronianum e Crioceras Duvalii Lév. *) che ritenne aptiani. AnpREA BaLesTRA nel 1897 riconobbe nel . Biancone bassanese, litologicamente e paleontologicamente distinto, il Valenginiano : comprese nel Neocomiano superiore l’Hauteriviano e il Barremiano indistinti: non trovò tracce dell’ Aptiano. Gli altri autori portarono lievissime modificazioni al quadro esposto. Alcuni poi si valsero delle conclusioni dei primi e distinsero 0 sup- posero esistere mediante raffronti litologici gli stessi piani nelle regioni attigue. Pel Mesocretaceo le lacune, l’incertezza dei riferimenti, le attribuzioni a diverse età di uno stesso livello @ di livelli differenti a uno stesso piano, sono ancora più frequenti. Anzitutto non si possono ancora bene precisare i confini superiore e inferiore : e c'è gran divario di opinioni in proposito. I fossili del sruppo sono assai rari. Sulla stessa verticale ricompaiono a differenti altezze livelli petrograficamente indistinti. Ad esempio, l’argilloscisto ittiolitico della Miniera di Crespano è dal Bassani sin- cronizzato con gli scisti bituminosi di Comen e Lesina; ma il Rossi li comprende nel Senoniano inferiore, per- chè replicatamente li vede interstratificati alla Scaglia ; e fra gli argilloscisti ittiolitici e i calcari da lui ritenuti Aptiani, osserva un banco di calcare a Rudiste turoniano. Ricordo quì che il BaLestRA nel Bassanese (ed io l’ho confermato nei dintorni di Gallio) distingue due zone di argille fetide, bituminose, nere : interstratificata la prima alla base della Scaglia (che il Gauthiericeras Margae ScatuT. permette di ritenere coniaciana): l’altra più bassa in alternanza coi calcari cenerini marnosi del Turoniano e Ceno maniano. 1) Crioceras Duvalîi Liv. è buon fossile Hauteriviano ; la sua varietà Crioceras Villersianum è citata più di fre- quente nel Barremiano. Che io sappia non compare nell’Aptiano. [5] A. RODIGHIERO 41 È opportuno anche ricordar col PARONA (Trattato di geologia, pag. 524 e seg.) che nel Veronese il Biancone fa passaggio a calcari marnosi verdicci con piromaca, interstratificati a scisti marnosi, bituminosi, con avanzi di pesci, i quali sottostando ad altri calcari con Acanthoceras Mantelli si troverebbero appunto al livello aptia- no-albiano di Comen e Lesina. Segue ai calcari ultimi indicati un complesso di strati calcarei, rosei e nodulosi, lastriformi, con interealazio- ni di marne scistose, che fanno passaggio lentamente alla Scaglia neocomiana. Aggiungerò ancora che il DAL Praz constatò argilloscisti neri, bituminosi, con rari Apiychus e scaglie di pesce, a Monfenera, a Fossa, ad Alano, nei dintorni di Feltre ete., sotto il calcare ippuritico, coperto quest’ul- timo dalla Scaglia. Tali argilloscisti comprendono il giacimento ittiolitico di Crespano (la Miniera); pel Dar Praz sono cenomaniani o di un livello poco diverso, e corrispondono agli scisti bituminosi delle valli del Torre e del Cornappo, che a loro volta fanno riscontro agli scisti a piante del gruppo del M. Cavallo e a quelli a pesci dei dintorni di Gorizia. Il Mesocretaceo ha facies quasi esclusivamente di tipo calcareo-marnoso e di veri e propri argilloscisti coi resti di una notevole ittiofauna e con numerosissime tracce di una ricca flora marina dalle strane fucoidi spi- rali o cilindriche di grandezza non trascurabile. Ma nel Feltrino, ad esempio alla Monfenera, le ultime propaggini delle potenti masse del caleare a Rudiste del Veneto orientale si insimuano nei terreni mesocretacei. Tali vestigia segnano una zona di transizione tra la zona di scogliera litorale del Friuli ete. e l’altra di mare più profondo del Veneto occidentale. Del Senoniano o Neocretaceo non si conosce l’esatto confine alla base nè il numero dei piani che lo compon- gono. Anche per questo gruppo c’è chi fa della pura paleontologia su materiale raccogliticcio, e altri poi che in campagna vuole distinguere i livelli che i vari fossili lasciano supporre, o si limita affatto a osservazioni pe- trografiche. La sfortuna di tutto il nostro sistema è questa di aver avuto un gran numero di cultori, ma nessuno che di proposito lo studiasse a fondo tanto nelle faune svariate che lo compongono, quanto sul terreno. Uno studio d’insieme richiede, come osserva DAL Praz « l’ opera indefessa di parecchi anni di lavoro e di ricerche, ma condurrà indubbiamente ad importanti resultati, a stabilire cioè una successione regolare di piani e di zone, la cui esistenza o non fu dimostrata o lo fu in modo incerto e incompleto ». Il Cretaceo superiore ha sul Piave facies litologica alquanto diversa da quella più comune del Veronese, del Vicentino e degli Euganei. Conviene ricordar che nel Veneto orientale il caleare a Rudiste del Cretaceo inferiore e medio è formazione litorale, e che di là il mare Cretaceo si approfondiva attraverso una zona di transizione che, come ho detto, si scorge alla Monfenera, per raggiungere la profondità maggiore (però sempre di mare non troppo profondo) ol- tre il Brenta. LaScaglia è pel Munier-CHALMAS considerata quale ultimo prodotto di triturazione delle Rudiste che all’epoca cenomaniana e turoniana edificavano i loro banchi ad ovest dell'Alpago. L’autore su citato fa osservare che fra l’Alpago e il Bellunese si vedono entro la Scaglia frammenti di letti intieramente formati da avanzi rotolati di Rudiste. Ma ad occidente il deposito della fanghiglia senoniana avveniva in acque più profonde e più pure, e corrispettivamente la Scaglia è piuttosto argillosa, di colore meno carico, a strati sottili e talora sottilissimi, fogliacei nella sua parte terminale. Ciò premesso il sincronismo tra i differenti livelli neocretacei diventa difficile, se ci si affidatroppo alle analo- gie di ordine litologico. i La Scaglia alla base è secondo il BALESTRA coniaciana, come permette di ritenerla il Gauthiericeras Margae ScHaLuETER. Gli strati con Stenonia tuberculata DeFR. che coronano la Scaglia veneta, in accordo coi dati pale- Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 6 42 A. RODIGHIERO [6] ontologici dei Pirenei e della Spagna, sono dal MuniER-CHALMAS ascritti nel loro insieme al Daniano. E il BALE- stRA sotto la Scaglia rossa e marnosa daniana nel Bassanese distinse un calcare compatto, roseo, talvolta al- quanto marnoso a frattura irregolare ove egli trovò fossili di livelli più antichi del Daniano, che elencò nel suo « Senoniano superiore ». La Scaglia è discretamente fossilifera nei suoi livelli medi, ma i fossili sono in complesso scarsi e mal conser- vati. Contiene comuni impronte di Zoophycos, qualche Inoceramo, gusci di Echini, forme peculiari del Senoniano veneto quali Stenonia tuberculaia DerR., Ananchites ovata Lesxe, Ovulaster zignoanus D’ORB., Scagliaster ita- licus, denti e vertebre di pesci. Nel Veronese furono trovati avanzi di due rappresentanti dei rettili, il grande chelonio veronese (Protosphargis veronensis CAP.) ed un mosasauriano. Il limite superiore della Scaglia è assai chiaramente precisato, a merito del FABIANI. Nella regione montuosa . compresa fra Thiene, Conco e Bassano *) la successione stratigrafica è la seguente: Scaglia rossa, talora bianchiccia, passante insensibilmente a calcari marnosi e marne color bianco sporco, a strati assai sottili e senza fossili, cui succedono dei calcari giallastri a grana più grossa, talvolta un po’ arenacei, con rare impronte di vege- tali, e con qualche Nummulite (Nummulites spileccensis Mun.-CH). Seguono spesso (es. nel Lavacile) delle marne cinerine con Harpactocarcinus punctulatus Desw., in modo perfettamente analogo a quanto si riscontra nell’ Eo- cene inferiore dei Berici. Nella parte occidentale della regione, fra S. Donà e Covolo, alla base della serie si trovano talvolta delle brec- ciole vulcaniche gialliccie profondamente alterate, le quali contengono talora (per es. sulla destra del Chiavon, lungo la via Covolo-Marè) numerose piccole Nummuliti, e fra queste, tipici esemplari di Nummulites bolcensis Mun.-CH. Il rinvenimerto di codeste foraminifere, prima d’ora non segnalate nella regione, prova dunque che realmente la successione testè descritta corrisponde al piano di Spilecco ; ciò è anche confermato dalla posizione strati grafica, essendo gli strati in parola compresi fra il Cretaceo superiore e il Luteziano più basso, indicato questo dalla comparsa della Numm. laevigata Bruce. ?). T risultati dello studio del FABIANI sono particolarmente interessanti, perchè sfatano l’opinione di BAYAN (Sur les terrains tertiaires de la Venétie. Bull. S. G. de France, 1870, pag. 463), secondo la quale sul Cretaceo della nostra regione riposerebbe direttamente l’Eocene superiore. Essi poi calzano a meraviglia per una osservazione di ordine generale. Si è veduto che per talune sue- cessioni di faune e dei piani corrispondenti occorrono nuove conferme e più ampie dimostrazioni, con precise indicazioni delle località e non con quelle assai vaghe di Trevigiano, Asiaghese, M. Grappa ste. Inversamente con le notizie d’oggidì è assai imprudente e avventata l’affermazione di taluni che suppongono esistere numerose lacune stratigrafiche, in ispecie nel Cretaceo medio. Una lacuna dall’Aptiano al Senoniano inferiore è ad esempio supposta dal VACcEK con argomenti di ordine negativo (mancanza di fossili caratteristici e di taluni livelli litologici) per una regione un po’ fuori da quella che studio, ma che ha terreni cretacei in tutto corrispondenti a quelli del Veneto occidentale. Nelle immediate vicinanze di Trento 3) riposa sul Titonico rosso la Scaglia, che nella sola parte terminale dà i comuni fossili senoniani. Ma in una trincea della ferrovia della Valsugana, a metà circa della gola del Fersina fra Pontalto vicino a Trento e Civezzano sulla sponda sinistra del torrente, TRENER osservò un banco di strati del Bianco- 1) Per le altre regioni, vedi i quadri riassuntivi delle serie dei piani cretacei, allegati a questo lavoro. ; 3) R. FABIANI. La regione montuosa compresa fra Thiene, Conco e Bassano nel Vicentino, pag.23. Venezia 1912. 3) Devo questa comunicazione alla cortesia del dott. TRENER, il quale mise a mia disposizione il capitolo sul Cretaceo, che fa parte di un suo lavoro: « Cima d’Asta ». [7] Ag RODIGHIERO 43 ne ridotto a piccolo spessore, che rapidamente con leggera sfumatura passa alla Scaglia superiore. Oltre di ciò, TRENER oppone al VAcEK che gli strati terminali del Biancone e quelli basilari della Scaglia hanno in più loca- lità delle regioni vicine e nel Trentino fossili rispettivamente aptiani-albiani e turoniani-senoniani. Una lacuna dell’Albiano e di tutto il sruppo Mesocretaceo non esiste affatto, secondo TRENER, anchelà dove la Scaglia riposa direttamerite sul Biancone o come vicino a Trento sul Titonico rosso. Il Neocomiano, il Meso- cretaceo sarebbero in tali località rappresentati da una facies a Scaglia, in tutto simile petrograficamente alla Scaglia senoniana. La spiegazione di TRENER è davvero seducente; ma a renderla inecceppibile, occorre la presenza almeno di qualche fossile neocomiano e mesocretaceo nella facies a Scaglia che li rappresenterebbe. Ricorderò tuttavia che il Nrcoris ad Alcenago (Veronese) trovò assise neocomiane rosee, grossolane, arenacee. Prima di chiudere questa rivista delle conoscenze possedute intorno al sistema Cretaceo del Veneto occi- dentale voglio dire in breve della dolomia cretacea. La dolomitizzazione si constata assai di frequente nel Bianconedel Trevigiano e del Bassanese. In Val d’A- gno, secondo Dar Lago, sono pure dolomitizzati i terreni del Mesocretaceo, ela Scaglia marnosa rosea alla base del Senoniano. La dolomia eocretacea — perchè di quella si hanno copiose notizie — si interna fra le assise del Biancone neocomiano : è quasi sempre compatta, contiene la solita selce, e rarissime traccie di fossili. La dolomia insinuata nel Biancone prelude, secondo la classica frase del TARAMELLI « alla vasta dolomitiz- zazione che subirono i calcari della Creta inferiore nella penisola istriana e nelle isole del Quarnaro ». E dimo- stra che durante il Cretaceo inferiore, almeno in alcuni siti, persistevano condizioni di mare mediterraneo poco profondo. Alcuni, ad esempio il BALESTRA, intendono la dolomia quale una roccia metamorfosata. CAPITOLO IT. La successione dei piani cretacei nell’altipiano d’Asiago. I terreni cretacei compaiono in concordanza e con passaggio litologico al Biancone titonico, in tutta l’esten- sione del sinclinale mediano dell’ Altipiano Asiaghese, che ha l’asse diretto presso a poco da ENE a SSW. AI di fuori, un po’ in alto, se ne trova un piccolo lembo al M. Dosso presso il vecchio confine di Porta Ma- nazzo. La serie cretacea completa è accantonata nei dintorni di Gallio. Ivi il Senoniano è rappresentato dalla Scaglia coi fossili caratteristici e sopporta un piccolo lembo dell’Eocene. Il Cretaceo medio ha maggiore estensione : sul Ghelpach fino all’acquedotto d’Asiago ; ad oriente di Gallio fino in Val Covola presso i Ronchi di sotto. È rappresentato da facies litologiche in prevalenza marnose. La maggiore estensione orizzontale è pre- sentata dal Cretaceo inferiore o Neocomiano con la facies Biancone e le facies similari e coi fossili caratteristici. I fossili provenienti dal Biancone dei Sette Comuni sono numerosi; ma talvolta accade di trovarne assai di rado per lunghi tratti. È rarissima fortuna imbatterci in qualche notevole giacimento fossilifero. - Con cernite di buoni fossili e di associazioni caratteristiche a tavolino in modo affatto arbitrario erano sup- posti esistere tutti i piani dell’Eocretaceo. Argomento del mio studio fu quello appunto di sapere se tale distinzione in realtà esistesse, e in caso affer- mativo quali fossili e quali caratteri petrografici individuassero nel tempo e nello spazio i differenti piani. Già da due anni io visitava i dintorni di Gallio : ed avrei voluto ritornare sull’altipiano d’Asiago, istituire nuo- ve ricerche, dare principio ad una carta geologica di 1 : 25000 e allegare a questo mio lavoro una serie di spaccati 44 A. RODIGHIERO [8] geologici illustrativi. Ma le operazioni di guerra hanno attraversato la strada ai miei desideri, ed io sono così costretto a esporre in forma succinta e talvolta inelegante i risultati delle mie ricerche degli anni scorsi. Descriverò dunque i terreni eretacei nell’ordine quale si veggono percorrendo anzitutto due strade che seguono l’asse maggiore del sinclinale d’Asiago lungo la sua direzione: la prima a quota più bassa mena dal Buso di Val Frenzela pei Ronchi a Gallio ; l’altra a quota più alta da Stoccaredo, Xaibena, Casara Melaghetto delle Portecche conduce a Ronco di Carbon, a Roncalto di M. Sisemol, all’Ech e finalmente in paese di Gallio. Il Buso di Gallio o di Val Frenzela (n. 806 s.m.) è una gola profonda circa 25 m., scavata dall’acqua entro il calcare titonico rosso assai duro e compatto, a pareti perpendicolari, strettissima (larga in certi punti appena 2 m.) di percorso tortuoso, lunga circa un centinaio di metri, sulla quale è gettata una volta che so- stiene l'oratorio e l’osteria del Buso. Là in concordanza giace sul Titonico rosso il Biancone titonico che simula il Biancone neocomiano. Con questa definizione, usata prima da DAL Praz, intendo indicare quel calcare assai compatto, a grana fi- nissima, cereo, bianco avorio, a frattura tipicamente concoide e ad angoli vivi in corrispondenza della calcite spatica che contiene. A immediato contatto del Titoniano rosso ha più spesso aspetto nodulare, a noduli compresi da un po’ di teca verdognola. Il Biancone titonico almeno al Buso è subito riconoscibile dal Biancone valenginiano che sopporta. Il Biancone valenginiano ha frattura meno tipicamente concoidale. Compatto a grana molto fina, biancheggia al sole di un bianco niveo-opaco. Non contiene calcite spatica, ma selce in filaretti e arnioni varicolori nelle gradazioni del chiaro, e noduli di sostanze terrose. Rotto di fresco nel solo passaggio laterale col Bian- cone hauteriviano, è tenuissimamente colorato in cenerognolo. Al Buso passa nel Biancone titonico, si distingue ben netto fino a Contrada Gianesini sotto i Ronchi di M. Meletta. Là appunto cavai dalla roccia un piccolo esemplare di Saynoceras verrucosum D’ORB., fossile caratte- ristico dell’ultima zona del Valenginiano. Accertai la presenza del Valenginiano a Stoccaredo, alla sorgente di Val Fontana oltre Xaibena fino quasi sotto la Casara di Melaghetto. Il Biancone valenginiano copre anche le cime a rilievo anticlinale del contrafforte opposto di M. Miela (1788) e M. Fior (1824), alle quali dà un decli- vio dolce tenuto a prato. i Ripigliando ora la strada dalla contrada Gianesini verso i Ronchi di Gallio, si scorge il Biancone valen- giniano passare lentamente in quello hauteriviano. Dove l’uno finisca e l’altro cominci non è possibile dire. Ma spingendoci innanzi lungo la strada, si nota che una sensibile modificazione è avvenuta nel tipo della roccia e che si accentua sempre più. Difatto, nelle facies litologiche le quali presentano caratteri strutturali e di colore fra loro poco diversi, anzi presso che eguali per un occhio non esercitato a sceverarne le minime di- versità, le distinzioni petrografiche possono affermarsi solo quando il complesso di tuttii caratteri differen- ziali concorre a modificare il tipo della roccia fondamentale, cioè il Biancone più generalmente inteso. Tali diversità petrografiche meritano conto in quanto si accompagnano a fossili di piani diversi. Il Biancone titonico, il Biancone valenginiano, il Biancone hauteriviano ete., vanno chiamati tali anzi tutto perchè contengono rispettivamente fossili titonici, valenginiani, hauteriviani etc. Tale genere di ricerche petrografiche è assai agevolato dalla estensione del Biancone sul sinclinale d’Asia- go. Invece diviene difficilissimo innanzi ad una pila di strati neocomiani con esiguo affioramento. In tale caso a toglierci da ogni perplessità occorre una associazione discretamente numerosa dei così detti buoni fossili. Il Biancone ‘hauteriviano si differenzia dai precedenti anzi tutto per una leggera tinta cinericcia della roccia; ha grana meno fina e un piccolo tenore di argilla. Rotto di fresco e umettato, il colore meno chiaro si scorge con evidenza, ma le lastrelle soleggiate biancheggiano. La selce in filaretti e focacce strane assume una gradazione di colori nel giallo-brunastro. È più sfaldabile del biancone valenginiano, specie nella parte terminale ove è macchiettato da chiazze cinereo brune, impronte probabilmente d’alghe. {9 A. RODIGHIERO 45 [9] Per il calcare barremiano che gli sovrasta non si può più parlare di un Biancone vero e proprio, quale al- meno può rientrare nella definizione tipica degli autori e quale è comunemente inteso. Il Calcare barremiano ha un tenore di argilla più elevato del Biancone hauteriviano : grana molto meno fina, frattura scagliosa : sfaldabilità facilissima che prepara un abbondante pietrisco sui pendii. È stra- tificato più sottilmente del Biancone hauteriviano, e contiene qualche volta leggeri veli di teca argillosa giallo-bruna i quali eccezionalmente ingrossano tanto che vi scorrono sopra le acque infiltranti, come ad ‘es. in Stenfle sul sentiero per Ronco di Carbon. Il suo colore è cinericcio: la selce è brunastra o cenere scura; sono frequenti le chiazze brune, residui di sostanze organiche. Il pietrisco di disfacimento manda al sole ri- flessi argenteo plumbei. Il calcare barremiano mi dette il maggior numero di fossili, perchè con facilità si pos- sono aprire i lastroni, da cui saltano fuori gli avanzi organici che vi sono nicchiati, di solito assai corrosi. Ma «disgraziatamente è anche l’ultimo livello neocomiano, in cui ho trovato fossili determinabili. Sul calcare barremiano a Ronchi di Sottò (in condizioni migliori di giacitura e di evidenza poco sopra Ronco di Carbon risalendo la pendice di M. Sisemol) giace un complesso di strati caleareo-marnosi a frattura terrosa, di color più chiaro contenente selce bionda e veli d’argilla verdognoli. Forse questo è il livello degli strati marnosi biancastri nei quali De Zieno trovò 1 Hamites alternatus PuiLL. e 1° Amm. Royssianus D’ ORE.: quello del calcare bianchiecio dei contorni di Tregnago Veronese, da cui MassaLonco ebbe l’Amm. inflatus Sow. e l’Amm. mammillaris ScaLoTA. e che ha dato il T'etragonites Duvalianus D’ORE. specie aptiana. Pro- babilmente corrisponde al calcare bianchiccio e siliceo, riunito da venature di marna verdastra, che insen- ‘sibilmente fa passaggio al Biancone del Bassanese e che il BALESTRA ritiene aptiano-albiano. Ma una affermazione recisa è indubbiamente avventata, non avendo io trovato in questi strati alcun fos- sile. a. — Nelle località citate detto livello è coperto da una pila, potente circa 3 metri, di strati calcareo-mar- nosi compatti colorati in rosso-vinaccia con interstratificazioni di argille dal colore più carico. Con questi DAL Lago dà principio al Cretaceo medio di Val d’Agno, forse perchè essi fanno parte di quelle . facies litologiche di calcare marnoso e argilloscisto, quali appunto concorrono a costituire in prevalenza il gruppo medio del sistema. L’Albiano che per alcuni autori è rappresentato anche negli strati immediatamente inferiori al materiale indicato con la lettera a verrebbe in tal maniera escluso dal Mesocretaceo. Quando mancano i fossili, ogni riferimento a questo o a quel piano è affatto arbitrario : nè io dal livello con- traddistinto e ho estratto prove paleontologiche per confermare o escludere l’opinione di DaL Lago. Trovai solo ammoniti indeterminabili, PhyMoceras, Desmoceras (?). 8.—Una differenza di colore notevolissima separa il materiale segnato o. dal superiore, che è costituito da una pila assai più potente (circa 30 m.) tagliata quasi a perpendicolo dall’alta Valle dei Ronchi fino sotto la Covola. Trattasi di una regolare alternanza di calcari marnosi duri, compatti, di colore cinerognolo o turchiniccio più o meno carico con chiazze e venuzze quasi nere, pieni di Fucoidi; e di marne friabili e di argilloscisti che con l’acque d’infiltrazione si impastano, si spappolano e sembrano fango. Gli intestrati di marna e di argilla hanno un colore assai carico alla base del livello. Essi presentano una vena centrale bruna, o nera affatto, e due laterali di color cenere seuro : comprendono straterelli esigui di calcare marnoso. Nella parte superiore ‘accade tutto il rovescio : predomina il color chiaro. Diminuito lo spessore degli argilloscisti aumenta quello del calcare. In queste assise la quantità d’argilla e di marna è più elevata di tutte le altre che 16 comprendono. n. — L’argilloscisto essendo scomparso, il colore fatto chiaro, ricopre il livello segnato £ una pila potente due o tre metri circa di un calcare bianco-verdolino, pure un poco marnoso, a grana grossa e frattura irrego- lare terrosa con chiazze ocracee rosse, e alquanta pirite nodulare in decomposizione. Ha strati grossi circa 10 cm., senza fossili. Trovasi sottola sorgente della Covola a oriente, e sopra all’Ech, al Capitello dei Ronchi. 46 A. RODIGHIERO [10] Pel momento con quest'ultime assise ritengo chiusa la serie mesocretacea, in attesa che qualche altra e più diligente ricerca e un reperto paleontologico permetta di fissarne i limiti in modo definitivo. Segue ora la facies scagliosa. Incomincia con un calcare scaglioso cenerino interstratificato a marne o argil- loscisti sottili, seuri, fetidi: con selce in noduli e filaretti bruni o rosso d’ocra. Nel mezzo è un livello d’argilla di 30 a 40 cm. di spessore con vena centrale nera, ai lati cenere-scura con chiazze ocracee e molta parte nodu- lare in decomposizione. Terminati gli interstrati di marna, da cui emergono stillicidi e sorgive, il marmo si chiarifica, perde le macchie plumbee turchiniccie e piglia un-leggero colore di rosa. Tl piano segnato è corrisponde, almeno in parte al « Senoniano inferiore o Coniaciano » di BaLEestRA. Lo si scorge bene a mezzo il canalone e dalla cava Stigalò precipita nell’ alta valle della Covola sopra Canottlé. La scaglia scura *) è ricoperta da straterelli rosso-chiari, mandorlati, finemente stratificati. Alla base hanno. leggeri veli di argilla rossa, e selce rossa in noduli e filaretti. Contengono inocerami, echinidi, ammoniti indeter- minabili, rarissime ippuriti. (Le lastre vengono estratte e servono nell’altipiano a segnare i confini dei prati e degli orti). Alla loro volta essi sopportano la scaglia rosea, in alto bianca con molti echinodermi Stenonia tuberculata e inocerami. Gli'strati più grossi sono suscettibili di pulimento e vengono usati come marmo. Sembra che all’Ech si sia in essa trovato il bellissimo Piychodus, di cui scrive CANAVARI. A Gallio io non ho veduto la tipica Scaglia argillosa, per lo più color rosso mattone, a strati sottili e talora sottilissimi, fogliacei. Il Ghelpach che corre al limite fra Scaglia ed Eocene ed ha tuttora in quelle vicimanze non indifferente forza erosiva, può forse averne trasportato via ogni traccia. D'altra parte il paese di Gallio, co- struito' sopra il lembo eocenico e la Scaglia superiore, può ricoprire qualche spaccato naturale, ove affiorino so- vrapposti Eocene e Senoniano. Nemmeno alnuovo cimitero si vede il calcare eocenico riposare sopra la Scaglia, poichè di fronte al paese gli orti e i prati naturali ne circondano le falde e di dietro esso è cinto dall’estreme: digitazioni della morena di Val dei Nos. Il calcare terroso gialliccio, in basso più scuro con impronte di vegetali, talora un po’ arenaceo, è riferito all’Eocene medio di S. Giovanni Ilarione, perchè nella sua parte più alta ha date Orbitolites complanata e grossi Cerithium. MunteRr-CHALWAS ha affermato, e il De SrEFANI lo ripete, che questo sovrasta a calcari della Oreta forati da litodomi. Io, a dir vero, quei fori nella scaglia non li ho affatto veduti. Con le notizie e i fossili d’oggi non si può asserire che lo Spilecciano o Eocene inferiore sia rappresentato nei dintorni di Gallio. Ma bisogna procedere con cautela nell’affermare che in realtà esista una lacuna fra il Senoniano e l’Eocene medio. I risultati di FABIANI nella regione montuosa fra Thiene, Conco e Asiago, che provano la presenza dello Spilecciano, hegata dal BavAn, rendono molto dubbia anche la seconda sentenza. Uno spaccato semischematico che ho condotto, per mio uso; in direzione quasi normale all’asse maggiore del sinclinale d’Asiago, da Croce di Longara a Cima Eker, mostra in modo spiccio e chiaro la successione dei piani cretacei or ora descritti. Sulla vetta di M. Longara (m. 1612 s.l.m.) gli strati del Giurese medio e superiore sì scostano assai poco dalla orizzontale. Ma già alla Croce di Longara (m. 1528 s.l.m.) le ultime as- sise del Titonico strapiombano verso sud. Susseguono ad esse gli strati del Biancone valenginiano e di quello hauteriviano e del calcare barremiano con forte inclinazione meridionale. Però attorno alla Costa l’inclinazione dei terreni mesocretacei si addolcisee, fino a che vicino al nuovo cimitero di Gallio la Scaglia e il lembo eocenico con una brusca piega ritornano per un breve tratto assai sdraiati sulla orizzontale. ; 1) La « scaglia scura » e gli strati contrassegnati dalla lettera f petrograficamente non sono bene distinti e possono confondersi. Quando il Rossi crede vedere interstratificati alla base della scaglia gli argilloscisti ittiolitici della Miniera di Possagno, probabilmente confonde questi due livelli che nell’ Altipiano dei Sette Comuni sone distinti. Vedi del resto il Cap. I. T11] ì A. RODIGHIERO ! 47 Subito al di là del Ghelpach sotto il paese di Gallio gli strati eocenici e senoniani incominciano a pendere nel verso opposto, cioè a settentrione. La gamba a mezzogiorno del sinclinale d’Asiago è assai più lunga e più sdraiata di quella breve ed erta della Costa e di M. Longara ; in grazia di questa favorevole circostanza la successione dei piani è assai chiara. Dalle vicinanze dell’Ech fino a mezzo il sentiero per Roncato di M. Sisemol, affiorano gli strati mesocreta- ‘cei con inclinazione a nord. Susseguono quelli neocomiani fino alla Cima Eker. Numerosi fossili mi dette il M. Sisemol, tanto che si può parlare per essi di veri e propri giacimenti fossili- feri. Un notevole giacimento barremiano è accantonato a Leghen, a Roncalto, a M. Sisemol, a M. Malago, su Ronco di Carbon. Nei dintorni di Bertigo e nella vicina malga di Costalunga, trovasi il giacimento hauteriviano. Sulla vetta di Cima Eker (m. 1368 s. 1. m.) a M. Tondo, a M. Nasa affiorano gli strati del Biancone valengi- niano con non frequenti, ma buoni fossili. La loro inclinazione a nord aumenta sempre ; più erti sono gli strati del Titonico bianco e rosso delle falde meridionali di Cima Eker. Con questi ultimi infatti incomincia la gamba interna di quella piega anticlinale che forma l’orlo dell’altipiano di Asiago verso la pianura vicentina. CapIToLO III, La fauna neocomiana dei dintorni di Gallio Nel capitolo precedente ho definito le caratteristiche petrografiche del Biancone valenginiano, del Biancone hauteriviano, del calcare barremiano ; ed avvertivo che tali denominazioni venivano proposte, perchè quei livelli contenevano associazioni di fossili peculiari delle tre suddette età. Il Biancone valenginiano mi ha dato : Aptychus Diday Coquanp. Apiychus Seranonis Coquanp. : Duvalia lata BLAInv. Phylloceras semisulcatum D’ORB. Phylloceras diphyIlum D’ORB., frequente. Lytoceras quadrisulcatum D’ORB. Iytoceras Honnoratianum D’ORB. Lissoceras Grasianum D’ORB., freq. Neocomites neocomiensis D’ORB. Thurmamnia cir. Thurmanni PicTET et CAMPICHE var. Allobrogica KILIAN. Berriasella cfr. Privasensis |PIcTET. Hoplites epimeloides (Mca. in sch.) PARONA. Saynoceras verrucosum D’ ORE. Astieria Sayni KILIaN. Astieria sp. ind. Antinomia triangulus LAmKE., freq. Pygites diphyoides PIcTET. Pholadomya Malbosi PicTET. Nel Biancone hauteriviano ho trovato : Aptychus Seranonis CoquanD, freq. Phylloceras Thetys D’ ORB. Xaibena. Stoccaredo e M. Spil di Gallio. Cima Eker d’ Asiago. Stoccaredo. Cima Eker. Cima Fior di Fosa. Conirada Gianesini del Buso di Gallio. Sotto la Croce di Longara. Costalunga d’ Asiago. Cima Eker. Croce di Longara. M. Catze d’ Asiago. M. Tondo d’Asiago. Cima Eker. Costalunga. Costalunga. Stoccaredo. Cima Fior di Fosa. Buso di Gallio. Costalunga. Ai Gianesini del Buso. Costalunga. Cima Fior di Fosa. Cima Fior di Fosa. Croce di Longara. M. Tondo. M. Tondo d’ Asiago. M. Caize d’ Asiago. Bertigo. M. Zomo sulla strada Buso-Ronchi di Gallio. Bertigo: M. Malago. 48 Vi A. RODIGHIERO [12]; Phyloceras infundibulum D’ ORB., raro. Lytoceras subfimbriatum D° ORB. Picietia inermis HAUG. Parahoplites angulicostatus D’ORB. Holcodiscus intermedius D’ ORB. Holcodiscus incertus D’ORB. Polyptichites bidichotomus D'ORB. varietà locale. Astieria Sayniì KILIAN. Astieria scissa BAUMBERGER. Astieria Jeannoti D'ORB. Crioceras Duvalii L&v., freq. Crioceras Nolani KILIAN. Crioceras Quenstedti OosTER, raro. Antinomia triangulus LAME. Pecten alpinus D’ORB., raro. Il calcare barremiano è molto fossilifero ma purtroppo, ho riconosciuto : Aptychus angulicostatus PIcTET. Duvalia Grasianum Dm. Belemmites sp. ind. Phylloceras infundibulum D’ORB., freq. PhyUoceras Winkleri UBLIG. Phylloceras Thetys D’ORB. Iytoceras densifimbriatum UHLIG. Iytoceras raricinctum UBLIG. Lytoceras cfr. Puezanum HAUG. Iytoceras Phestus MATH. Costidiscus recticostatus D’ORB. em. UHLIG. Costidiscus sp. ind. aff. Costidiscus modostriatus UHLIG. Pictetia inermis HAUG. Pulchellia pulchella D’ORB. Desmoceras cassidoides UHLIG. Desmoceras difficile D’ORB. 4!) Numerosi modelli interni di Desmoceras indermina- bili. Silesites vulpes COQUAND. Crioceras Duvalii Lév. Orioceras Villersianum D’ORB., raro. Crioceras Emerici Liv. Crioceras Quenstedti OostER, abbastanza freq. Toxoceras elegans D’ORB. Pygîtes Euganeensis PICTET. Pecten alpinus D’ORB., assai freq. sono assai male conservati. Bertigo. M. Zomo. M. Spil. Un esemplare al confine fra Hauteriviano e Barre- miano a Costalunga. Bertigo. Bertigo. M. Zomo. Bertigo. M. Zomo. Bertigo. M. Zomo. M. Zomo. Bertigo. M. Zomo. M. Catze. M. Malago. M. Zomo. Bertigo. Melaghetto. Bertigo. Bertigo. M. Zomo. assai di frequente, i fossili sono indeterminabili.. Bisemol. Sisemol. Sisemol. . Sisemol. M. Malago. M. Zomo. M. Catze. . Sisemol. M. Malago. Catze. M. Zomo. M. Sisemol. M. Malago. Sisemol. M. Malago. Sisemol. Sisemol. Sisemol. Sisemol. . Sisemol. . Sisemol. . Sisemol. Sisemol. M. Malago. . Sisemol. . Sisemol. M. Malago. Sisemol. M. Malago. M. Zomo. Zomo. M. Malago. Malago. Sisemol. M. Zoma. Sisemol. M. Malago. Zomo. . Catze. Costa di Gallio. Zomo. M. Sisemol. SSKSSSSSKR sSakk SSsSSSKKSSK 1) Il giacimento di M. Sisemol e M. Malago contiene una straordinaria quatità di Desmoceras; disgraziatamente: [13] A. RODIGHIERO 49 Gli studi di geologia comparata hanno già messo in chiara luce l’esclusivo carattere bathiale del nostro Neo- comiano, che va pertanto riferito al così detto tipo alpino della resione mediterranea. Però spesso si sono comparati tra loro termini che non mi sembrano giustamente confrontabili. Ricchi giacimenti fossiliferi di una ristretta località furono posti a lato di quelli molti poveri di regioni assai estese. Così la fauna del nostro Biancone fu comparata da HauG « Beitràge zur Kenntnis der oberneocomen Ammo- nitenfauna der Puezalpe » a pag. 225 (Wien. 1897) coi giacimenti di Puez presso Corvara nel Trentino. Ma le affinità faunistiche risaltano meglio, e si mettono in evidenza anche differenze di dettaglio, confron- tando fra loro i giacimenti della Collina Muntiella sullo spiazzo di Puez (HauG « Traité de géologie » Capitolo 38, pag. 1204) » e quelli di Cima Eker e M. Sisemol di Gallio. Colle Muntiella Calcari selciosi grigi verdi in sottili strati regola- ri, con ciottoli di selce che coprono le dolo- mie verdi senza fossili, probabili rappresen- tanti del Titonico. Cima Eker Biancone titonico. Valenginiano. Marne e calcari nodulosi color rosso vinaccia (Va- lenginiano). Terebratula Moutoniana. Pygope janitor, triamgu- lus. Phylloceras semisulcatum, semistriatum, infudibulum. Lytoceras quadrisulcatum, Lie- bigi, subfimbriatum. Desmoceras sp. Hol- costephanus Jeamnotii. Belemmopsis pistil- liformis. Biancone valenginiano di Cima Eker. Aptychus Seranonis. PhyU0oceras semisulcatum. Lytoceras Honnoratianum. Lissoceras Gra- sianum. Pygites diphyoides. Hauteriviano. Calcari grigio verdastri e ciottoli selciosi. + Pygope janitor. Phylloceras infundibulum. Lisso- ceras Grasianum Holcostephanus Astierianus. Parahoplites angulicostatus. Biancone hauteriviano di Bertigo. Terebratula triangulus. Aptychus Seranonis. Phyl- loceras Thetys, ‘snfundibulum. Parahopli- tes amgulicostatus. Holcodiscus incertus, ‘in- termedius. Astieria Sayni e Astieria scissa. Crioceras Duva- liî. Pecten alpinus. Barremiano. Calcari grigi con grossi noduli, alternati a marne con ammoniti di grande dimensione. Phylloceras infundibulum, ladinum, Thetys. Ly- toceras Phostus, subfimbriatum, Puezanum. Costidiscus recticostatus, Rakusi. Hamulina pl. sp. Piychoceras Puzosianum. Desmoceras difficile, psilotatum, cassidoides, Uhligi, Mel- chioris. Puzosia Neumayri. Silesites vulpes. Aspidoceras Beneckei. Crioceras dissimile, Mojsisovicsi.‘ Ancyloceras Matheronianum, badioticum. Heteroceras sp. e la comune Pholadomya barremiensis. Aptiano. Calcari nodulosi e marne scistose, senza fossili Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. , Calcare barremiano di M. Sisemol. Aptychus angulicostatus. Duvalia Grasiana. Phyl- loceras infundibulum, Thetys, Winkleri. Lytoceras densifimbriatum, raricincium, cf. Puezanum. Costidiscus recticostatus, ci. nodo- striatus. Silesites vulpes. Pulchellia pulchella. Desmoceras cassidosdes, difficile e molti altri indeterminabili. Crioceras Duvalii. Crioce- ras Quenstedti. Crioceras Emersci. Toroceras elegans, cf. Duvalianum. Terebratula Eugane- ensîs. Pecten alpinus. Calcare bianchiccio aptiano di M. Sisemol su Ronco di Carbon senza fossili. 7 50 A. RODIGHIERO [14] Have osserva che l’abbondanza dei Phylloceras, dei Lytoceras e dei Desmoceras, l’assenza delle Belemniti, l'estrema rarità dei Nautili, delle Pulchellia e degli Holcodiscus neigiacimenti di Puez mostrano che si è in pre- senza di un deposito sedimentato in acque molto profonde: e tale conclusione è anche confermata dalla sco- perta di numerose specie di Radiolarie nei banchi riechi di noduli selciosi. Tali condizioni si verificano meno bene nei miei giacimenti. Accanto ai Phylloceras, Lytoceras, Desmoceras, si trovano abbastanza frequenti Belemniti, gli Holcodiscus e le Pulchellia. Questa associazione di specie stenoterme e di altre euriterme probabilmente accenna a una zona di transi- zione Îra il limite della regione bathiale e i primi depostiti della regione con fauna di tipo misto intermedia fra quella bathiale e l’altra neritica. CapitoLo IV. Probabili condizioni batimetriche del mare cretaceo nel Veneto occidentale Le comparazioni faunistiche, discusse nel capitolo precedente, lasciano ritenere che i depositi eocretacei nell’altipiano di Asiago e nel Veneto occidentale abbiano carattere di sedimento bathiale. I banchi dolomitici e brecciati frapposti al Biancone, secondo il Dar Praz provano che almeno in alcuni siti, durante il Cretaceo inferiore persistevano condizioni di mare mediterraneo poco profondo. Ma Have afferma che anche nel Mesocretaceo e nel Senoniano un mare profondo occupò la regione del Veneto occidentale. Di fatto egli ravvisa nelle facies marnose del gruppo mediano, rocce di transizione fra il Biancone, che nella sua parte terminale dette fossili aptiano-albiani, e la Scaglia inferiore con resti di fauna turoniana. In talune località, gli strati marnosi, fogliettati, neri, superiori al Biancone, tanto si assottigliano e decrescono da seompa- rire, a tutto vantaggio della Scaglia, che con la sua compattezza, con l’abbondanza di ocra e i nuclei di selce dà prove di esser stata deposta a grandi profondità marine. Anzi Hauc aggiunge che tuttii depositi ‘consi mili di calcari scagliosi, calcari rosati ete. del Senoniano negli Appennini appartengono a continue e inconte- stabili serie bathiali (Have. Traité de géologie, cap. 38, pag. 1322). Ma alla sentenza di Hauc molti fatti contradicono e molti autori oppongono serie obbiezioni. La dolomi- tizzazione è anche avvenuta in Val d’Asiago nelle rocce mesocretacee, e si è spinta alla base della Scaglia. Rare ippuriti furono trovate nei terreni del Cretaceo medio nel Bassanese, ai Sette Comuni in Val d° Asiago, nel Veronese a troppa grande distanza dalle nostre scogliere, perchè si possa supporre un loro trasporto o ruz-. zolamento sul fondo del mare per opera di correnti. Il BALESTRA, che pur ritiene sedimentati in mare profondo il Biancone titonico e il Biancone neocomiano, osserva che questo ultimo fa graduale passaggio ad un insieme di banchi calcareo-marnosi, con interstratificazioni di marne ed altre roccie clastiche quali le argille. Questi banchi si caricano sempre di argilla, e da ultimo si fondono con la sovrastante Scaglia molto marnosa, talvolta anche arenacea, la quale contiene diglobigeri- ne, confrontabili secondo Munrer-Cmarmas con le globigerine, abitatrici attuali di mare poco profondo. Concludeva il BarestRA che un graduale sollevamento si verificò nelle aree prima sommerse e che dovette essere continuo e progressivo, poichè non condusse a discordanze nella successione dei piani mesocretacei e senoniani. i A conclusione di tutto, sta però il fatto che la serie dei piani cretacei fu nel Veneto fra l'Adige e il Piave sedimentata in mare relativamente più profondo di quello che occupò durante lo stesso periodo le re- gioni laterali. : [15] A. RODIGHIERO 51 Havuc parla di una geosinclinale fra l'Adige e il Piave, pizzicata da un lato dalla geoanticlinale del Friuli con le scogliere a Chamacee e Rudiste, e limitata dall’ altro canto dalla geoanticlinale bergamasca e bresciana. In questa si scorge la maiolica lombarda coperta da una potente formazione costituita da puddinghe a grossi elementi, alternate ad arenarie con lamellibranchi e sopratutto Rudiste (orizzonte di Sirone), che a sua volta sopporta la potente serie di calcari marnosi grigiastri o giallastri, con fauna ricca di lamellibranchi e più scarsi cefalopodi, abitatori di regioni neritiche (Età di Brenno). Tra le Giudicarie e l'Adige scompaiono i conglomerati di Sirone: nel veronese il Biancone passa alla Scaglia attraverso i terreni mesocretacei di non grande potenza, con al termine un conglomerato (a Vaiustro della Costa di Fumane). Nella Monfenera e nel Feltrino le scogliere friulane mandano le ultime digitazioni nei terreni mesocretacei a facies marnose con Pesci, Inocerami e Fucoidi coperti dalla Scaglia arenacea, rosso cupa, di Pe- derobba, Alano ete. La regione mediana fu la più profonda. È sita nell'alto Vicentino (altipiano di Tonezza, altipiano d’Asia- siago, e la regione fra Thiene, Conco e Bassano), nelle quali località il Biancone è nella sua massima potenza (200 e più metri), la dolomia cretacea ha nullo o esiguo sviluppo, il Mesocretaceo dette abbastanza numerosi Ino- rami e rarissime Ippuriti, la Scaglia è assai povera di arena, piuttosto marnosa, fogliacea e rosata al suo termine. Dopo queste deduzioni di un valore assai discutibile sulle probabili profondità del mare cretaceo nel Veneto occidentale è bene fare un’aperta confessione che più sono i problemi da risolvere che i punti chiaramente illu- strati dell’argomento. CONCLUSIONI Il vecchio problema di stratigrafia veneta intorno a una regolare divisione dei piani neocomiani, ha avuto una risoluzione quasi completa per i dintorni di Gallio. Colà sono distinguibili con doppio ordine di prove paleontologiche e petrografiche il Biancone valenginiano il Biancone hauteriviano e il Calcare barremiano. Ancora non è bene accertata la presenza dell’Aptiano. Questi sedimenti furono deposti in acque profonde; e appartengono al tipo alpino della. provincia mediterranea. Però il nostro Neocomiano non ha un assoluto ca- rattere bathiale, sembrando deposto molto vicino a regioni con fauna di « tipo misto ». 52 A. RODIGHIERO [16] I prospetti che seguono furono obbiettivamente riassunti dalle opere dei diversi autori; e ciò per non affogare, nel corso del lavoro, ogni pagina di citazioni e di richiami, e per non parere d’ aver commesso plagio. PROSPETTI DEI PIANI CRETACEI VENETO OCCIDENTALE (eee 54 A. RODIGHIERO [18] Prospetto dei piani cretacei degli Euganei per A. De Zigno, 1861 ® =] 3 Arenarie e molasse terziarie eoceniche [ca] LI tonfo» [alfa Gunn: | Scaglia bianca e rossa di Fras- Strati sottili ora bianchi, ora d'un colore | (Gard Zignoanum d’Orb ( senelle, Albettone, Lovertin. 4 rosso imatton efpinfo meno ca: co Sie Ananchytes tuberculata Defr. Scaglia bianca e rossa di Frassenelle, È Z da arnioni di piromaca rossa. Albettone e Galzignano. a_i 5) Si Inoceramus Lamarcki Roemer, Albettone, Galzignano e Lovertin. Si è (Ca) ) «Te . . 3 S || sottili e argillosi. *(specie tutte del Gault) SH | 2 DA < Biancone propriamente detto coi fossili | Amm. incertus d’Orb. n neocomiani. Amm. Juileti 9 Amm. infundibulum 5 Amm. quadrisulcatus Monte Vignola bai fa Amm. Grasianus Î o Amm. Astierianus d’Orb. O) Z Crioceras Emerici . SH = £ 9 5 3 [cal Zi di [19] A. RODIGHIERO — 55 BIANCONE Inferiore NEOCOMIANO GIURESE OXFORDIANO | Belemnites dilatatus Blainv. | Crioceras Duvalii Lév. Crioceras Villersianus Crioceras Da Rio De Zigno ! Aneyloceras Puzosianus Ancyloceras Duvalianus Terebratula di, id È erebratula diphyoides Cat. > Monte Vignola Belemnites bipartitus Blainv. Cycloconus Catulli Da Rio Aptychus Diday Aptychus radians Aptychus Seranonis Coquand Amm. Carteronii | Amm. Seranonis d’Orb. Halymenites Rioana De Zigno Val Nogaredo Miinsteria rugosa De Zigno Minsteria Massalongiana Calcare rosso vinato, di apparenza breccia- ta per la copia di ammoniti che contiene. Cal- care compatto a strati potenti di colore ora grigio scuro ora cinericcio sbiadito con qual- che lieve venatura rossiccia o verdognola. È suscettibile di pulitura, ed è usato nelle co- struzioni. Amm. ptychoicus Quenstedt Amm. plicatilis Sow. Amm. Zignodianus d’Orb. Nel marmo grigio e rossiccio di Fontanafredda. Aptychus lamellosus Voltz, negli strati superiori e rossicci di Fonta- nafredda. Belemnites hastatus Blainv., nel marmo grigio compatto di Fontana- fredda. 56 Eocene A. RODIGHIERO [20] Prospetto dei piani cretacei del Veronese per B. Pellegrini, 1883. Brecciole Basaltiche a S. Anna d’Alfaedo, masegna a solane. Nummuliti. SCAGLIA o SENONIANO SCAGLIA BIANCA E ROSSA A INOCERAMI BIANCONE o NEOCOMIANO V Scaglia bianca, grigia, rossigna: la supe- riore rosea atta a lavorarsi e pulirsi. Pietre di Mazzurega con aragonite fibroso- raggiata in concrezioni. | Pietre di S. Afnbrogio. | Straterelli scissili non commerciabili di | Val Pantena. Echinocorys tuberculatus d’Orb. Cardiaster sp. C. Zignoanus d’Orb. Holaster sp. Inoceramus Cuvieri Brgn. Amm. heterophyllus Sow. Radiolites alcyonaria Otodus appendiculatus Agass. Ech. vulgaris Brgn. Cardiaster italicus d’ Orb. Ananchytes sp. Inoceramus Brongniarti Gld. Inoceramus Lamarcki Brgn. Amm. Pailletteanus d’ Orb. Chelonio della Scaglia di Fanè Ptychodus latissimus Agass. Ptychodus polygyrus Agass. Conglomerato di Costa di Fumane in lo- calità Vajustro. Marne nere, cariche di materie vegetali: Scisti bituminosi « Libron del Diavolo» di Monte e Castion. Marne calcaree argillose, scissili, gene- ralmente bianche, spesso cineree, rosee, az- zurre, poco resistenti, spesse 25 cm. (Domi- | gliara, Altipiano del Grola). | Prunn, Mazzurega Rudiste, impronte d’alghe marine, avanzi di legno silicizzato, Terebratula hippopus. . [21] A. RODIGHIERO 57 Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. ° 2A < Strati di Biancone, i più bassi variamente | Belemnites semicanalatus Belemnites dilatatus BI. Hi a screziati e sottili, poi più o meno rosei, quindi | Lepidotus neocomiensis Amm. Astierianus d’ Orb. © | affatto bianchi, più grossi (anche 50 cm.) con | Amm. fimbriatus Sow, | Crioceras. E | | selce in arnioni e filaretti. | Fucoidi, a Spiazzi di Caprino P P n e a Fumane. A ° (©) (ai < Ei fa S © S È Strati a Terebratula diphya. F Hi Bd E 58 A. RODIGHIERO [22] Prospetto dei piani cretacei di Val d’Agno per D. Dal Lago, 1899 mente da quelle titoniche per un abito più grossolano e per la sfaldatura in lastre sottili. Valdagno - Novale - Crespadoro - Magré - M. Altissimo - Chiampo. Hippurites cornu-vaccinum Br. Se In Val d’Agno viene dato da brecciole, da tufi = | A 8 E e da calcari che presentano gli stessi carat- da È LIRA ERI SMS cai PMI I Fossili eguali a quelli tipici di Spilecco. ali i (7) ci di Spilecco. l == ;l Serie superiore potente quattro metri di Avanzi di Rudiste rappresentati da laminette bianche, lun- calcari rosso-mattone molto marnosi, granu- || ghe 3-6 cm. e larghe appena un centimetro. losi, duri, a frattura terrosa irregolare, a stra- || ti grossi circa un metro distinti litologicamen- S | te dal Titonico rosso per un aspetto più gra- | muloso. SZ | Inframezzati si distinguono calcari a ve- Si nature bianche e giallognole con Fucoidi spi- 5 rali. Gli ultimi strati sono distaccati orizzon- A talmente da lacune occupate dai tufi e dai | calcari dell’orizzonte di Spilecco. | Serie inferiore potente sette metri di cal- Fossili simili a quelli del Senoniano, Scagliaster, Stenonia, Anan- | carì marnosi, scagliosi, rossi, alternati da cal- || chites, però più piccoli, bene ornamentati, spesso silicizzati. | cari bianco giallognoli. | i | | Assise bianche o rosse, compatte o man- || Stenonia tuberculata Defr. Ananchytes ovatus Leske. | dorlate, grosse 10-38 cm., a struttura scaglio- | Ananchytes Beaumonti Bayan Ananchytes sulcatus Gf. | sa, fissile, a frattura irregolare in banchi re- | Scagliaster. concavus Catullo | Scagliaster concavus Mun.-Ch. | golari. Incominciano con strati senza selce. | Scagliaster italicus Agass. Ovulaster Zignoanus d’Orb. | Sono ricoperte e talora rimpiazzate dalla Sca- || Coraster sp. Rhabdocidaris sp. I glia rossa daniana. Pentacrinus (Balanocrinus?) f. ind. | Inoceramus labiatus Schloth. | Servono come materiale da costruzione, | Inoceramus striatus Mant. inoc, Cripsi Mant. (©) | anche come marmi: contengono erborizzazio- | Inoceramus annulatus Goldf. Inoc. Brongniarti Sow. E | ni dendritiche. Inoc. Cuvieri Sow. Inoc. concentricus Park. ai | La struttura nodulosa o mandorlata di ta- | Inoc. italicus Mun.-Ch. Inoc. aff. regularis d’Orb. 3 | lune assise senoniane è distinta petrografica- | Gauthiericeras Margae Schl. ®% Sphaerulites sp. ind. (1) Pinna di pesce ind. (1) Tracce di grosse ammoniti a M. Castello di Novale. CRETACEO MEDIO CRETACEO INFERIORE BIANCONE O NEOCOMIANO 40 m. 40 m. [23] A. RODIGHIERO Pezzi angolosi, detrito polveroso bianco gri- giastro di Castrazzano nell'alto della Valle di Rialbo. Calcari di colore bianco che si fondono in- sensibilmente sul Senoniano a strati più grossi dei seguenti con silice scarsa. (A _No- vale dove incomincia la Valle Meggiara pi- roscisti poco ricchi di idro-carburi ed alter- nati con strati calcari e selce in filaretti e arnioni). Calcari duri a frattura irregolare, di colo- re biancastro, grigiastro, brunastro. | Banchi calcari sottili con intercalazione di marna cinerea e bianca, e selce in filaretti e arnioni. Strati marnosi rossastri di Bosco della Lo- ra, alla calcara della Chiesa di Novale, al molino delle Conche etc. 59 Fossili scarsi; frequenti le piriti. Le fucoidi cilindriche ren- dono nerastre o bituminose le lastre calcari. / Biancone tipico color candido, talora gri- giastro, talora roseo a frattura concoide, com- patto, a grana finissima, in strati più sottili e più fissili delle assise titoniche. Soggetti all’erosione con abbondante selce stratificata e in arnioni, alcuni pesanti fino a 40 kg. Torrigi, Scandolara, Val di Rialbo, M. Ci- rillo, M. della Lora, la base del S. Maria. TITONICO BIANCO Scarse sono le impronte di organismi. Calcari a strati simulanti quelli del Neo- comiano, ma più spessi (circa m. 0.50) e me- no fissili. Senza selce. Terebratula diphya. 60 A. RODIGHIERO [24] Prospetto dei piani cretacei del Bassanese per A. Balestra, 1897. Calcare grossolano nummulitico. i Cancer punctulatus Desm. | Î Pentacrinus subbasaltiformis Mill. DANIANO O SCAGLIA SUPERIORE Calcare molto marnoso, bianco-giallastro, che si fa inferiormente roseo: in strati po- tenti 10-30 centimetri alquanto duri, a frat- tura terrosa con erborizzazioni nere e brune di manganese (psilomelano). (Il piccolo sentiero alpestre che dalla contrada Sarson, per la costa sotto- stante, va all’oratorio di S. Bovo è sca- vato în gran parte su tale formazione). Forte pila di esili straterelli scagliosi, eccessivamente friabili, più marnosi ed are- nacei verso l’alto. Generalmente coloriti in rosso, più di rado a lembi biancastri, con frequenti inclusioni e incrostazioni di un cal- | care bianco spatizzato (vera scaglia fangosa). Con qualche stelo di tucoide: i fossili sono rari e male conservati nella parte superiore. Senza tracce di organismi. Ovulaster Zignoanus (d’Orb.) ( Pradipaldo Radioliles sp. b) Belemnites sp. aff. semicanaliculatus Blainv. (/S. Bovo) Ananchites Beaumontii Bayan Stenonia tuberculata Defr. ((S. Bovo, Caluga, Valrovina) Scagliaster italicus (Agass.) (Caluga, Vallison, Valrovina) SENONIANO SUPERIORE [25] Calcare in banchi o strati irregolari, com- patto, talora un po’ marnoso, a frattura ir- regolare, generalmente di color roseo, potente 5-15 cm. (usato come materiale da costruzio- ne: cave di Valrovina e Caluga): (A Valrovina dietro la casa Tattara la roccia è bizzarramente contorta). A, RODIGHIERO 61 Numerosi echini, meno che nel Daniano. Vertebre di Oxyrhina Mantelli Ag. Lavacile Pachidiscus sp. ind. Val del Forame SENONIANO INFERIORE O CONIACIANO DEI FRANCESI Strati mandorlati o sereziati di un calcare .compatto spesso cristallino, con frequenti ri- legature spatiche, che inferiormente divengo- no biancastri, spesso macchiati di colore plum- beo e turchiniccio. Alternano e sono cementati con esili stra- | terelli di marne e argille ocracee, con arnio- ni di piromaca. Frattura irregolare, in strati spessi 9-15 cm. Interstratificato in questo sedimento è un letto | di marna argillosa, fetida, dello spessore di 60 cm. circa color cenere-scura o nerastra, con globuli di pirite e forme epigeniche di limo- nite e talora di Gothite (le piriti trovansi anche in altri piani). Scarsa la vita animale: negli ultimi strati a Va/lison Gauthie- riceras Margae (Schliiter). Comuni con la zona precedente. Ananchytes ovata (Leske) CaZuga Ananchytes sp. ind. Caluga, Valrovina Stenonia tubereulata Defr. Va/lison, Caluga Offaster sp. ind. Valrovina Collyrites sp. ind. Caluga Arca cretacea d’Orb. (?) Caluga Equivalente al livello ittiolitico della miniera di Crespano, se- condo Rossi, il quale contiene Belonostomus Lesinerisis Bass. Seombroclupea macrophtalma P. H. Thrissops microdon Heck. 62 TURONIANO A. RODIGHIERO [26] Strati calcarei, marnosi, in più sottili la- mine di quelli senoniani color bianco sudicio, caratterizzati per una tinta grigio oscura. Spesso bituminosi, alternati da abbondanti straterelli di marne o argille cineree, pure bituminose, talvolta ocracee, più di raro clo- ritiche, con arnioni e filaretti di selce pluri- colore comunemente rossa, grigia, bionda o nera. Flora marina assai ricca di fucoidi spirali o cilindriche, disere- tamente grandi (Sono del resto comuni alle altre formazioni). Hippurites sp. Caluga-Lavacile Inoceramus Brongniarti Sow. Valrovina Inoc. striatus d'Orb. (non Mant.) (?) Valrovina Inoc. sp. ind. Vallison Platycyathus sp. (aff. PI. Terquemi M. Ed, et H.) Val del Forame. CENOMANIANO Tenue formazione di calcari marnosi, mas- sicci, a strati ora sottili e schistosi, ora un po’ più compatti e di maggior spessore. La fa- cies petrografica in confronto della facies tu- roniana ha meno frequenti interstrati di mar- ne, uniformità maggiore di tinta volgente al bianco sudicio, talora a macchie bluastre. La ssolita selce. Steli di Pentacrini, frammenti di Sferulite. Nella selce nume- rose microscopiche radiolarie e diatomee. Sphaerulites cfr. Sharpei Bayle Caluga Sphaerulites sp. ind. (valva superiore) Pradipaldo Pentacrinus sp. Val del Forame Belemnites sp. ind. Pradipaldo [27] A. RODIGHIERO 63 Esili straterelli di un calcare bianchiccio, Rarissimi i resti e le impronte organiche. abbondantemente siliceo, assai duro con frat- ll Aptychus sp. ind. Val dei Menegazzi- Val dei Corvi tura irregolare, talvolta semi-concoidale, ce- | Crioceras sp. ind. Val dei Corvi mentati di frequente da una leggera teca | Inoccramus concentricus Park Pove (2) Val dei Corvi verdastra o cloritica. Si fendono assai facil- | mente in iscaglie e perciò sono poco resi- | (Il riferimento di queste assise dell’ Albiano è un poco stenti all’erosione meteorica. Si fondono in- dubbio per la scarsezza dei dati paleontologici: ma i di- sensibilmente con gli strati del Biancone stinti criteri petrografici e la indisturbata uniformità dei sottostante. depositi che non lasciano supporre lacune di sedimento, sembrano al BALESTRA buone ragioni per affermare l'esi- (Trovasi în lembi ristretti, essendo ri- || stenza del piano stesso). coperto da terreno vegetale e talus di sfacelo. A Sarson lungo il pendio me- ° ridionale della Campesana a Nord Ri di Caluga. In val dei Menegazzi; un a po’ in val dei Corvi o del Campien. In fa qualche punto dell’altipiano di Rubbio, n e în qualche altro del versante del Grappa, sempre în ristrette posizioni). Aptiano (?) Il BaLEsTRA non lo distinse petrograficamente nè paleontologicamente. Appartenenti all’Aptiano si citano Ancilo- ceras Matherianum, (Vicentino, Trevigiano ove Ross lo trovò insieme con Crioceras Duvalii ab- 9 bastanza di frequente, ma poco ben conser- i vati, in calcari e marne bituminose, (Tirolo) e 3 Haploceras nisum di La Stura — Astiericeras Ro- yerianus d' Orb,? 64 BIANCONE O MARMO MAIOLICA NEOCOMIANO SUPERIORE A. RODIGHIERO Calcare compatto a grana assai fina, a | frattura concoidale, tinto per lo più di bianco, talora leggermente giallastro in strati po- tenti 5-20 em. Abbondante selce in filaretti e arnioni. Gli strati privi di selce danno buone pietre litografiche (Cave di Pove e Solagna). lia parte terminale da il maggior numero di fossili barremiani: ma un limite strati- | grafico degli orizzonti Barremiano e Haute- | riviano, affatto indistinti dal punto di vista litologico, non è possibile tracciarlo, onde | la necessità di riunirli nel Neocomiano su- periore. A Pove e in Val dei Corvi si trovano impronte fisiche eguali a quelle figurate col | nome di Cyclochonus Catulli Da Rio. Nota sul Biancone L’immensa pila del Biancone o marmo maiolica dei lombardi a destra del Brenta ammanta gran parte del pendio delle Pre- | alpi e de’ suoi contraforti: copre l’altipiano di Rubbio-Asiago (su questo versante vi si | veggono colate di basalto) e nel versante op- | posto la catena montuosa fra i Collalti e il Grappa. Ha facile sfaldatura e ovunque le forze esogene lo abrasero, lo incisero e lo traspor- Ai Collalti quasi orizzontali gli strati subirono flessioni tarono via. pur mantenendosi infinite. Cave di Pove m. 669, Collalti m, 1250, Cave di Solagna m. 850, M. Oro 1312, Oste- | ria Campo m. 1020, Asolon m. 1522, Costan- cella 1508, M. Grappa m.1779, Calceron m. 1075, Coston 1520, M. Campeggia m. 1121. Barremiano Hauteriviano [28] / Aptychus angulicostatus (Piet, et Loriol) Valrovina - Collalti di Solagna-Pove Crioceras Emerici Lev. Pradipaldo- Vallison. Silesites Trajani (Tietze) Collalti ) Desmoceras Melchioris (Tietze) Valrovina. f Macroscaphites Ivani (Puzos) Collalti. Î | Phylloceras Ernesti (Uhlio) Valle dei Corvi, Pove, Collalti. Phylioceras sp. n. ? (cfr. P, Ernesti) Vulrovina. Odontaspis gracilis (Agas.) Solagna. | Orthacodus impressus (Zittel) CoMlalti. | Belemnites (Duvalia) dilatatus d'Orb. Collalti. | » (Hastites, Belemnopsis) bipartitus (Blainv.) Pove. » tripartitus Blainv. Solagna-Pove. » sp. ind, Pove-Collalti, Val dei Corvi. | Aptychus Didayi Cog. \ » sp. Crioceras pulcherrimum d’Orb. Pove. » Villersianum d’Orb. (?) Pove. » furcatun d’Orb. Rubbio. » sp. (aff. ©. Romeri Neum.) Solagna. » sp. n. Pove. ] Hoplites rarefurcatus (Pict) Pozzette di Oliero, Collalti. » occitanicus (Pict.) Solugna. » sp. n. (?) (cfr, H. Borowae UhI,) Solagna. Holcodiscus incertus (d’Orb,)) Val Rovina, Pove, Val dei Corvì. Holcostephanus bidichotomus Leym. Rubio, Pove. » Astierianus d’Orb. AsoZon, Rubbio, Pove. Hapioceras Grasianum (d’Orb.) Rubbio, Solagna. » cfr. salinarium (Uhlig) (?) ColZalti. Lytoceras quadrisuicatum (d'Orb.) Solagna, ERubbio, Pove. » subfimbriatum (d’Orr,) CoMlalti, Pove. Phylioceras Morelianum (d'Orb.) Pove, Rubbio. Rhynchotheuthis fragilis (Pict, et Loriol) Pove, Rubbio. Inoceramus neocomiensis (d’Orb,) Pove. Pecten alpinus d’Orb. Rubio. Terebratula sp. ind. (cfr. T. faba Sow.) Costancella. [29] A. RODIGHIERO 65 | Pila di strati pure bianchi, selciosi, di facile sfaldatura, simili a quelli del Neoco- miano superiore; ma hanno spessore più picco- lo o più propriamente una struttura alquanto piu scagliosa. In perfetta concordanza sfu- mano nel « biancone giurassico » (Diphya-Kalk, sineronico ai depositi di Roverè di Velo per HaAuG rappresentante l’orizzonte di Berrìas). (La distinzione fra le due -sorta di Bian- cone non è possibile litologicamente; è pos- sibile solo coi fossili caratteristici delle due faune titoniche e valenginiane). (Nel Biancone ai Collalti e a Pove e’ è la Dolomia cretacea). Nota sul Biancone Alle Cave di Pove e di Solagna il Bian- cone neocomiano superiore è estratto per va- riati lavori architettonici e per buone pietre litografiche. BIANCONE Quello con selce serve per costruzione. Gli strati scagliosi del Valenginiano, cono- sciuti col nome di Marson sono inservibili. A Pove e Solagna i fossili sono mal conservati; sono migliori sull'altro versante del Brenta. NEOCOMIANO INFERIORE O VALENGINIANO A Pove, dai calcari grigi si innalza in forma di scoglio fino ad invadere i primi strati neocomiani la Dolomia (Pria pura 0 pria Corna). Ai Collalti si osserva di fre- quente: contiene frammenti di selce, lembi di Biancone: è in ammassi: qualche volta è stratificata. Eccettuato che a Pove riposa sempre sul Titonico. Pel BALESTRA è roccia metamorfosata di Biancone. Lamna sp. ,Solagna. Belemnites latus Blainv. Collalti-Solagna. Aptychus Seranonis Coq. Pove-Solagna, Campese-Collatti. Aptychus Mortilleti Pict. et Loriol Solagna. » specie varie Hoplites Privasensis (Pict,) Coz/alti » macilentus (d'Orb.) Solagna, Pove-Val dei Corvi Pygope triangulus (Lk.) Lavacile » diphyoides (Pictet) Valrovina- Val dei Corvi ” Euganeensis Pove, Solagna-Collalti » reptangularis Pictet (f. juv.) Solagna I rimanenti sono noti per mezzo del PARONA. Crioceras dilatatum d’Orb. Gallio Lytoceras Honnoratianum d’Orb. Gallio Phylloceras infundibulum d’Orb. Phylloceras semistriatum d'Orb. Solagna » semisulcatum d’Orb. Asiago TITONICO BIANCO O DIFHYTA KALK _—___—'-__—-.e‘‘‘»-eeo0@o@_@>»—‘‘m__ccu&eo\»oì Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. A. RODIGHIERO [30] x Prospetto dei piani eretacei del Trevigiano per A. Rossi, 1883 8) Marne azzurre e argille azzurre. a) Marne rosse e cineree e bianche talora al- ternate a calcari nummulicici. Marna scagliosa rossa di Romano- Crespano Pederobba - Alano e Seren. Cancer Punctulatus. Nummulites sp, c) rosso cupo. Calcari rossi sempre più potenti che passano ad una arenaria rossa du- rissima (Feltre e Tomo) la quale continua sino a Mel oltre il Piave. Db) bianco rosa. Calcari bianco rosei e bian- chi, compatti con interstrati di argilla rossa, verde o azzurra. a) nero. Calcari fragili bluastri. Selci bitu- minosi. Scisti bituminosi. A Crespano alterna- | no con la Scaglia. (1) Il Bassani li rannodò agli scisti cretacei di Comen ed altri della Carinzia, Austria, Germania (Aptiano). | Inoceramus Cuvieri Fucoides Zoophycos sp, Odontaspis contortidens Ag. Echinidi tra cui un Ananchites sp. Stenonia tuberculata Desh. Cardiaster italicus d’Orb. Cardiaster Zignoanus d’Orb. Echinocaris Beaumonti d’Orb. Hipp. cfr. fitoloideus Cat. Ammonites sp. ind. (Possagno) Leuciscus sp. Meletta crenata Haeck, Thryssops microdon Huh, Belonostomus sp. Agass. Scombroclupea sp. 66 2 Suessoniano (©) A i q HW ; ted (©) A [A] (17) © : A © ea (=) Ei Calcare compatto e selcioso a Rudiste (2-3 m. di spessore) Monfenera. Calcari grigio-azzurrognoli. Hippurites rugulosus Cat. Hipp. cornupastoris Desm. Radiolites Ponsiana d'Orb. Terebratula sp. Coralli [31] ALBIANO A. RODIGHIERO 67 Calcari marnosi bianchi con noduli di pi- rite. Calcari a vene e rilegature spatiche. Calcari durissimi compatti, bianchi a mac- chie bluastre, molto selciosi. Gli strati della Creta media e superiore li troviamo formare le pendici da Borso al Piave sul mezzodì, la valletta di Alano-Segusin, ove sopportano un lembo di Eocene: i fianchi del Tomatico e del Roncone fino ad Arsiè. Amm. Royssianus d’Orb. Amm. Royerianus d’Orb. Aptychus numerosissimi Hamites alternatus NEOCOMIANO SUPERIORE db) Calcari marnosi cenerognoli (po- tenti e estesi a Possagno Cavaso e a Monfenera su Pederobba). Calcari verdognoli cloritici con calcari a chiazze bluastre e rilega- menti spatici. Calcari bianchissimi scissili di Monfenera. EAncyloceras Matheronianum d'Orb. Crioceras Duvalii Leym. Fucoidi, Aptychus ed Hamites Ancyloceras Matheronianum d’Orb. Crioceras Duvalii Leym. Aptychus Seranonis®Coq. ici Haertiae Vinch. (Beyrichi Opp.) \ 68 A. RODIGHIERO [32] È a) Calcare bianco più o meno compatto. || Terebratula Euganeensis Piotet È Pietra litografica di Pove (Biancone). Ha tinta ll Terebratula triangulus Lamarck la più chiara e omogenea, frattura più larga, | Terebratula Catullo Pictet | concoide, cerea, delle assise superiori titoniche, || Terebratula Bilinski Suess 5 simulanti il Biancone. La distinzione fra le | Amm. Astierianus Ga assise titoniche e le neocomiane inferiori sta | Amm, incertus z più nella natura della roccia, poichè ai Colli | Amm. neocomiensis 9 Alti qualche specie di Brachiopode è comune | Amm. quadrisulcatus ecc. Ri a tutte due. Ì (I fossili sottosegnati sono comuni alle assise titoniche su- pertîori) 9 o Calcari bianchi simulanti il Biancone, ma | Lepidotus maximus Wagn. E É assai più compatti. Terebratula (Pygope) diphya È A Calcari grigio verdognoli. Aptycus Didayi (a) Phylloceras piychoicum Opp. A, RODIGHIERO 69 Prospetto dei piani cretacei del Bellunese per G. Dal Piaz, 1912. 9 Di Scaglia di tipo marnoso rosso mattone a grandi Zoophycos. S 9 Scaglia di tipo roseo discretamente compatta con Stenonia tuberculata e Cardiaster subtrigonatus. E ni Calcari grigio verdicci selciosi o strati di Scaglia a zone ora più chiare, ora più oscure. E B Scaglia a tipo nodulare con ammoniti male conservate (nei dintorni di Feltre e nelle Cave di M. Telva). ° n Corrisponde al marmo di Castellavazzo cogli Inocerami turoniani, senoniani, I. cordiformis Sow., I. Brongniarti Sow.) Calcari ippuritici con fossili corrispondenti a quelli turoniani del Friuli occidentale. A Monfenera ad W della Casera della Fossa; ad Alano per andare al Grappa; nei dintorni di Feltre e nel Colle dei Furlani nella Valle del Senaiga fra Lamon e S. Donà. 2 - Argilloscisti neri, bituminosi, con rari Aptychus e scaglie di pesce. A Frassenè di Fonzaso — M. Miesna presso SH Feltre, Alano, lungo il versante del Monfenera. © ( Comprendono il giacimento ittiolitico di Crespano (la Minera): sono Cenomaniani o di un livello poco H diverso. Corrispondono agli scisti bituminosi delle valli delle Torre e del Cornappo che a loro volta fanno Negli esemplari adulti questi solchi sono all’indietro limitati da una callosità più accentuata a mo? di grosso labbro nella regione ventrale. Fra i solchi, ora più fitte ora meno, coste taglienti a foggia di pettine se- guono nel loro percorso i restringimenti, alternandosi ad una: costa semplice altra più accentuata. Sui primi giri e negli esemplari giovani sono tutte eguali fra loro. Col crescere dell’ età una costa sem- plice si alterna con altra più vigorosa, che nel secondo terzo dei fianchi si biforca. Le due costoline così formate piegano oblique all’innanzi, descrivono come le altre un angolo acuto sulla parte esterna e si riallacciano al punto corrispondente del fianco opposto. Il punto di divisione è segnato da un leggero gonfiore e in età adulta da un tubercoletto un po’ allungato. La fisura 6 è di un esemplare della collezione Rossi (diametro massimo mm. 60); l’altra figura 4 appartiene ad un frammento d’anfratto che la collezione De Zieno ebbe dal colle di Muschiè sopra Possagno verso la Mon- fenera. L’ornamentazione è così forte, i nodetti tanto vicini e vigorosi che io fui lungo tempo dubbioso del rife- rimento a questa specie di D’ORBIGNY. Ma la Lethaea di Kirian figura un esemplare del Barremiano superiore di Morteiron (Basses Alpes) il quale nell’ultima metà del giro presenta una serie di nodetti così egualmente sviluppati, sebbene un poco meno fitti. Stlesites Seranonis è buon fossile barremiano. Nel Museo di Torino sono esemplari dei dintorni di Possagno. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. Il 82 A. RODIGHIERO i [46] Silesites vulpes CoquanDp. — Tav. IX [II], fig. 7, 8. 1878. Silesites vulpes CoquanD in MATHERON. Récherches paleont., tav. 100, fig. 1. 1883. Silesites vulpes UnLIG. Wernsdorferschicten} pag. 111, tav. 18, fig. 8,9, 13, 14. 1887. Silesites vulpes UHLIG. Gardenazza, pag. 92, tav. 3, fig. 1; tav. 4, fig. 4. 1889. Silesites vulpes HAuUG. Puezalpe, pag. 202, tav. 18, fig. 5, 6. 1898. Silesites vulpes Simionescu. Carpatii sudici, pag. 77. 1901. Silesites vulpes. SARASIN et ScHONDELMAYER. Chatel Saint-Denis, pag. 36, tav. 4, fig. 1. La conchiglia molto evoluta, discoidale : i fianchi poco convessi : lo spigolo ombilicale non acuto scendente con pendio dolce sull’ombilico : la parte esterna fortemente arrotondata : l’ornamentazione singolare tolgono ogni dubbio circa l’attribuzione alla specie di Coouanp degli esemplari da meraccolti nel Barremiano di M. Sisemol su Leghen e Bertigòo e del M. Castello su Pederobba trevigiana. Essi inoltre mi permettono di riconoscere quei due medesimi tipi, figurati e descritti da HauG.. L’esemplare più grande della fig. 8 appartiene al primo tipo di Hauc (tav. 13, fig. 6): ha i fianchi meno con- vessi, restringimenti ristretti e poco incavati e due cercini ai lati non molto diversi dalle coste intercalate, salienti inesualmente fra loro. Il secondo tipo invece (fis. 7) ha solchi evidenti, cercini meglio sviluppati a tutto svantaggio delle coste in- tercalate, che tanto meno sporgono quanto più si allargano e che svaniscono a un terzo circa dalla parte esterna. Nel primo tipo, restringimenti, cercini collaterali, e coste intercalate procedono fino a un terzo radialmente : nel secondo sono un poco più flessuosi : tutti d’un tratto ai due terzi dell’ombilico si protendono innanzi e formano seni molto pronunciati sulla parte esterna. Spiccano con particolare evidenza quelli formati dai restringimenti del secondo tipo. Haploceras (Lissoceras) Grasianum D’ORB. 1840. Ammonites Grasianus D’ORB. Ceph. créi., pag. 141, tav. 44. i 1867. Ammonites Grasianus PicteT. Mélanges paléontologiques, II Parte, pag. 74, tav. 13, fig. 1. 1890. Haploceras Grasianum Toucas. Tithonique de VArdeche. B. S. G. F., vol. XVIII, pag. 593, pl. 3. 1398. Haploceras (Lissoceras) Grasianum BAauMBERGER. Unter Kreide, V Parte, pag. 40. Numerosi esemplari giacciono nelle collezioni del Neocomiano veneto, con caratteri di assai facile diagnosi in corrispondenza con le figure di n’OrBIGNY e PIcTET. Haploceras Grasianum proviene dal Titonico e trovasi nel Valenginiano abbastanza frequentemente. Località. — Linta, Cima Ecker presso Asiago, Tombal di Enego, Foza, Collalto di Solagna (Collezione Secco), M. Tondo d’Asiago, Costalunga (R.) i Astieria Guebhardi KILIAN. — Tav. X [III], fig. 3. 1902. Holcostephanus (Astieria) Guebhardi Kician. Sur quelques fossiles rémarquables de VHauterivien de la région d’Escragnolles. Bull. soc. géol. de France, 4°. Serie, vol. II, pag. 866, tav. 57, fig. 2 a,b. { 1908. Astieria Guebhardi BaumBeRGER. Untere Kreide, V Parte, pag. 12, fig. 3 a,b, e fig. 122 del testo. All’ Astieria Guebhardi Kirtan riferisco un modello interno di Pala della Zerla, ben conservato e con l’im- boccatura completa. Ha contorno subcircolare e non è eccessivamente globoso, tanto che non lo si confonde con Astieria perin- flata Mat. La parte esterna quando non è deformata dalle compressioni, è regolarmente arrotondata e percorsa [47] ; A. RODIGHIERO 83 da coste diritte, radiali, semplici che si riuniscono a fascette di 5-6 sui tubercoli spinati, conici, dell’ombilico in modo conforme a quello dell’esemplare di KiLian : l’ombilico ha le stesse proporzioni e circa 18 coste ombi- licali, non molto pronunciate, diritte. Un particolare notevole del mio modello è l’imboccatura, ristretta da un cercine interno, che ha lasciato impronta di largo solco, preceduto da uno strettissimo rilievo che taglia ad angolo acuto le coste sui fianchi senza che queste si curvino e gli corrano parallele. Astieria Catulloi RoDIGHIERO. — Tav. IX [II], fig. 9. Moltissime ammoniti del Veneto erano nelle collezioni col nome di Astieria Astieriana D’ORBIGNY; ma ap- partengono invece a Spiticeras o si avvicinano a forme di Astieria che sono poi state separate dalla Astieriana come A. Sayni KiLtan, A. variegata PAQUIER, A. trregularis WEGNER ; nello stesso tempo sebbene abbiano fra loro un comune tipo di parentela, presentano rispettivamente dei caratteri propri rappresentati a loro volta non nei tipi ma in alcune varietà delle forme sopra indicate e di altre fuori del Veneto. Le varie forme che distinguerò sono fra loro intimamente collegate, così che è lecito qualche dubbio sul rispettivo riferimento dei campioni all’una o all’altra di esse, ed anche è lecito fare parecchie riserve sull’oppor- tunità di averle così distinte e polverizzate in gruppi, cui è difficile attribuire un esatto valore nelle larghe variazioni offerte. Ma alcune varietà furono da me descritte, ripeto, per comodità di studio e per stabilire i confronti più mi- nuti fra i miei esemplari e quelli.già figurati e descritti in Francia e in Svizzera. : Se altri ritenga opportuno confondere quelle varietà con altra vicina o attribuisca un valore specifico ad al- cuna di esse, discuta meglio di me le osservazioni diffuse in una ricca letteratura: la prognosi è tutt'ora neces- saria : nè ho altro contento d’aver fatto nota nel modo che mi riuscì migliore la bella raccolta delle Astieriae venete. Il BauwBERGER nel 1910 ci dette primo la fotografia dei modelli in gesso dei due originali illustrati da D’ORBIGNY e conservati a Parigi; l’uno è la Astieria Astieri tipo, l’altro è la varietà a coste fitte e sottili, distinta nel 1896 da Krzian, quale una nuova specie, l’ Astieria Sayni KiLian. Però non si conoscono ancora a puntino quelle forme più diverse e lontane e i più salienti termini di pas- saggio, che nel copioso materiale del sud di Francia è tutto compreso sotto la vecchia determinazione di p’OR- BIGNY. Tanto maggior utile ricaveremmo da una compita illustrazione di questo principale gruppo delle Astieriae così variabile, ed essa poi ci renderebbe agevole lo studio delle altre specie d’ Astieria così numerose di sotto- specie e di varietà. Per rendere meno farraginosa e più chiara la letteratura conviene che chi può, chi ha molti esemplari, di nuovo si accinga a studiare tutto l'argomento con coraggio ed equilibrio. È desiderabile che i paleontologi francesi solvano questo compito. Vicina alla Astieria Astieri è l'A. variega- ta PAQUIER o scissa B.\umBERGER dai tubercoli spinati, dalle coste laterali egualmente grosse, che di preferenza sono polidicotome, l’ A. Astieri potendo avere in via eccezionale qualcle rara costa dicotoma. Come l’Astieria variegata sta all’ Astieria Astieri, cosìl’ Astieria Sayni tipo di KiLransta all’ Astieria Sayni di SARASIN e SCHONDELMAYER (non KILIAN) e agli esemplari svizzeri di Ewann illustrati da BAUMBERGER € simili a quelli del Veneto che illustrerò ora. Quest'ultima forma di Svizzera ha fascetti di coste laterali per buona re- gola semplici e indivise ; sebbene detto carattere non sia addirittura assoluto. Oltre alla sezione variano anche la larghezza dell’ombelico, il grado d’involuzione, la frequenza dei nodi 84 A. RODIGHIERO [48] per ogni giro. A questo propostito, va osservato che non sempre essi stanno in rapporto con la finezza e la ‘densità dei fasci. Propongo la nuova denominazione di A. Catulloi per le Astierie che hanno egual numero di coste prima- rie bene sviluppate e terminate da tubercoli deboli pizzicati longitudinalmente, e che sui fianchi si adornano di fasci radiali sghembi all’innanzi come nella tipica Astieria Sayni Kiian: (1896, Holcostephanus Sayni Kr-. LIAN. Sur le Néocomien de Moustier Sainte Marie. Bull. S. géol. de France, 3 serie; vol. 28, pag. 176) e che ne differiscono solo perchè le coste laterali sono quasi senza eccezione tutte semplici. Fra esse se ne possono stabilire due serie, una coi giri dal contorno subquadrangolare come in Astieria Astieri (esemplari di Ewann illustrati dal BAUMBERGER a tav. 25 fig. 1 e 2) diseretamente gonfi e non molto alti (vedi anche la fig. 3 di tav.4 diSARASIN e SCHONDELMAYER) i cui fasci si compongono di costuline sem- plici da 5 a 6 senza coste libere negli internodi per il maggior numero dei tubercoli, tipicamente spinati, con le coste ombelicali non molto forti. Di questa serie molto più vicina all’ Astieria Astieriì tipo, però con coste laterali più numerose, assai più fit- te e sottili, provenne un esemplare da Enego. L’ampiezza dell’ombilico è un po” maggiore che nelle succitate illustrazioni, perchè l'esemplare fu energica- mente compresso ; i tubercoli sono. 26. L’altra serie — la più tipica — ha il taglio del guscio, la sezione del giro più alta e affilata come in Astieria Sayni tipo, e come questa coste ombelicali così sviluppate, tubercoli allungati, lateralmente compressi, e coste laterali egualmente sottili. Vale per essa la diagnosi da me offerta in principio. SARASIN e SCHONDELMAYER ne hanno illustrato un esemplare alla fig. 2 di tav. 4. Un campione provenne da Enego. L’esemplare di Tav. IX[II], fis. 9 è conservato nella raccolta Secco a Firenze, e proviene da Collalto di Solagna. L’ esemplare di A. Catulloi raccolto in Enego, assai vicino a quello figurato, ha dopo l’ultimo pe- ristoma coste laterali così grosse da ricordare quelle del tipo di Astieria Astieri. Nemmeno la forza delle coste laterali è un carattere diagnostico assoluto, quale Kirzan aveva invocato per distinguere l’Astieria Astieri dalla Astieria Sayna. In conclusione l’Astieria Catulloi Ron. è 1’ Astieria Sayni Kiian con coste laterali tutte semplici, anzi che di preferenza dicotome. 20 tubercoli lateralmente compressi di media forza terminano le coste ombilicali vigorose e salienti solo un po’ oblique all’indietro della parete interna : fasci di coste sottili, spazieggiate, radiali o sghembe all’innanzi. Per la sezione subtriangolare, la struttura e il numero delle coste primarie e dei nodi, la finezza delle coste, assomiglia all’ Astieria Sayni Kiian negli esemplari di Collalto e Pala della Zerla. Ma due esemplari di Enego hanno giri più bassi, sezione subquadrangolare, coste laterali della grossezza ‘ della Astieria Sayni SArASIN et ScHONDELMAYR e di BaumBERGER (tav. XXV, fig. 2): e stabiliscono un passaggio all’ Astiera Asheri. Località. Pala della Zerla a Nord di Pala del Sciac a 3 m. sopra il piano stradale (DAL Praz, Museo di Pa- dova); Enego ; Collalto di Solagna (Coll. Secco M. di Firenze) Linta. Cima Ecker; Monte Asolon nel Bassa- nese. Astieria Balestrai Rop.— Tav. IX [II], fig. 10, 13. Altre forme venete con coste laterali di regola polidicotome fanno parte dell'A. Astieri cioè 1A. Balestrai n. a ricordo del Bassanese ANDREA BALESTRA autorevele illustratore dei terreni cretacei di quella regione e l’A. Paronue. VE VEE [49] A. RODIGHIERO 85 Correlativa a un tipo di Astieria Astieri dalla vigorosa ornamentazione e dai densi fasci, quale si ottiene immaginando che le coste libere negli internodi di A. variegata BaumB. e della A. Paronae fini- scano per allacciarsi a conto proprio in nuovi nodi, è la A. Balestra n. con più sottile ornamentazione. A. Balestrai ha l'apertura ombelicale e il grado d’involuzione come vedesi nella figura 3 della tavo- la 55 di BayLE; l’apertura è maggiore che in Astieria Paronae anche in individui giovani d’eguali dimen- sioni (vedi Tav. IX [II], fig. 10,13). 22 coste ombelicali mediocri ascendono quasi rettilinee la'ripida parete ombelicale a partire dalla sutura nei giri interni, e un po’ più in alto sugli ultimi giri. T nodi sono assai deboli; spine compresse ai lati; da ognuno d’essi partono tre o quattro coste, ei brevi in- ternodi sono lisci. In Francia l'esemplare della fig. 3 di tav. 55 dell'Atlante del Bavre è la forma che più si avvicina agli esem- plari in studio. La larghezza dell’ombilico e il grado d’involuzione, la sottigliezza la densità e le dicotomie delle coste late- rali sui fianchi sono come nelle forme venete. In queste forme venete le coste ombelicali sono un po’ più nu- merose (22-24) e anche più deboli : i tubercoletti sono come assai esigue punte. Non vi sono coste libere negli internodi come nella forma francese, che ha i nodetti pizzicati ai lati. Negli esemplari veneti i fasci hanno soli- tamente 6 0 7 coste: mentre quelli francesi ne hanno 4 © 5 I fasci che si allacciano ai tubercoletti nell’esemplare di Collalto (Tav. IX [II], fis. 10) sulla parte esterna si compongono solitamente di 6-7 costuline : ma se ne contano anche 8-10. Le dicotomie avvengono a varia altezza, e ripetutamente, anche per una stessa costulina, la quale di prefe- renza è interna al fascio e limitata da coste semplici. Dai nodetti ombelicali partono 3-4 coste. I fasci si allar- sano a mo’ di ventaglio, corrono un po’ obliqui all’imnanzi con debole concavità proversa. Sulla regione si- fonale le coste disesnano un leggero seno reverso. Molto vicino a questo esemplare è il piccolo individuo da me raccolto a Costalunga. Nell’esemplare di Enego le coste polidicotome sono più rare: tutte attraversano la parte esterna indi- sturbate. Le dicotomie delle coste si localizzano di preferenza in una data. posizione dei fianchi col crescere dell’età: e precisamente esse si spostano dentro la prima metà degli stessi, all’infuori: sull’ultima porzione del gran giro tutte le tre coste che partono dal nodetto si dividono quasi alla stessa altezza. A volte le coste ripiega- no un poco all'indietro. È il campione che per la forma più si accosta alla fig. 3 di Bayte. Un piccolo esemplare da me raccolto nell’Hauteriviano inf. a Costalunga mostra che l’ombilico anche nello stadio giovane è molto più ampio che in Astieria Catulloi, e che la parete ombelicale è fin da quello molto ripida. La nuova varietà si distingue inoltre dall’ultima citata pel maggior numero di tubercoli, l’ assenza di coste libere negli internodi, il limite più preciso e più distinto dei fasci, e la persistente presenza delle coste dicotome, essendo che anche a maggior diametro esse superano una o due volte di numero le rare coste semplici. La sezione subquadrangolare, le coste ombelicali assai deboli e spesso indistinte vicino alla sutura, i tuber- coli foggiati a debole spina anzi che allungati e radiali, i fasci non sempre ben raccolti e densi di coste dopo i nodetti in tutte le porzioni della conchiglia costituiscono sufficienti caratteri per distinguere le forme più pure di Astieria Balestrai e Astieria Sayni Kir1an. La sottigliezza degli ornamenti serve con soddisfacenza per distinguere la specie dalla mia Astieria Paronae. Località. — Collalto di Solagna (Collezione Secco nel Museo di Firenze) ; Enego (Museo di Padova); Linta 86 A. RODIGHIERO [50] ‘presso Asiago (DE STEFANI, Museo di Firenze); Val del Tempio di Possagno ; Valenginiano di Costalunga, Hau- teriviano di Bertigo, M. Zomo (R.). Astieria Paronae RoDIGHIERO. — Tav. X [III], fig. 2. Caratteristiche principali del tipo dell’ Astieria variegata PaquIER (Holcostephanus variegaius PAQ.) cui ravvi- cinasi la presente forma sono sulla parte concamerata i fasci di coste laterali con mediocre sviluppo ora semplici ora dicotome, attaccati a circa 12 spine e il singolare e brusco cangiamento degli ornamenti sulla loggia abitata. Le coste, fatte più spesse, più vaghe, più spazieggiate, contraggono rapporti meno precisi coi tubercoli : vi sono intercalate : e la bocca è striata da una serie di cercini d’ineguale sviluppo. Nel 1910 BaumBERBER (Untere Kreide, parte VI, p. 9) riunì al tipo di Paquierla sua Astieria scissa, 1907 (Untere Kreide, parte IV, pag. 29, fig. 107; tav. 24, fig. 3) perchè aveva dicotomie sui fianchi, spine om- belicali ridotte sull’ultimo giro. Un campione veneto di San Zen ha fino al peristoma 19 coste ombelicali bene sviluppate e grosse, oblique all’indietro sulla ripida parete, e terminate da un debole rialzo che anche nei giri interni ha un rilievo molto - esiguo. î Non vi sono coste intercalate libere tra i fasci, composti di coste secondarie anche dicotome, bene salienti e grosse. Dopo il primo cercine peristomatico il tubo chiudente la bocca mostra sulla parte esterna un seguito di cercini grossi, semplici, frapposte ai quali sono 3, 4 coste simili a quelle dei fasci precedenti, che svaniscono in- nanziil contorno dell’ombilico. La parete liscia è striata finissimamente. Propongo per questo il nome di Astie- ria Paronae. Dunque il numero delle spine può variare da 12 a 19; negli esemplari con meno fasci possono esservi coste libere inserite ; le coste laterali ingrossano ora precocemente ora più tardi: scompaiono a volte innanzi ai peri- stomi, ein altro caso si conservano bené evidenti. Ornamentazioni anormali vicino la bocca furono dal PauLOW osservate in un esemplare 00 coste laterali tutte semplici, del tipo di Astieria Asteri. : Cangiamenti improvvisi degli ornamenti sulla loggia abitata interessano forme disparate : anche varie A- stieriae. Il RicHARZ ne cita un caso in Astiema Jeamnoti. Le forme sopra descritte appartengono indubbiamente al gruppo dell’ Astieria Astieri: edinomi vanno man- tenuti per la comodità di studio a FIguinene le varie tappe e i tipi intermedi di questa numerosa serie di Hol- costephanus. Ma lA. Paronae ancora più vicina che all’A. variegata lo è all’A. irregularis WeGNER. È questa una forma assai larcamente ombelicata; ma la nostra va distinta per l’ombilico assai più stretto, conforme all’ Astieria Astieri. Per quanto abbia ornamentazione diversa essa ha le più strette rossomiglianze con Astieria Asheri tipo. Li L’ornamentazione è siffatta che grosse coste ricoprono i fianchi e tendono ad allontanarsi fra loro. I fasci contano sull’ultima metà del siro anche 6-7 coste. Le polidicotomie sono rare : più frequenti le coste dicotome. Le dimensioni in progresso di tempo si spo- stano dalla metà interna alla metà esterna dei fianchi, cosieche alla fine tre sole coste raggiungono il nodo, e tutte si dividono oltre il mezzo dei fianchi quasi alla stessa altezza. Nel Veneto furono trovati due esemplari di Astieria Paronae. L’esemplare figurato appartiene al Museo di Padova, nella collezione DE Ziano che lo ha indicato come « Empreinte de S. Zeno, Environs de Magrè. Ter- rain néocomien » col nome di Ammonites Astierianus D’ORB. [51] A. RODIGRIERO 87 Astieria De Stefanii RopIcHIERO. Tra iiossili neocomiani di Castellane (Basse Alpi) conservati a Firenze, è una Astieria la quale si differenzia sensibilmente dalle altre specie note nel Sud della Francia, e che trova da noi riscontro in un serie di modelli in- terni dei Sette Comuni. PrcreT nel 1868 (Mélanges pal., 4.4 parte, pag. 249, tav. 38, fig. 8) aveva illustrato una varietà di Astieria Astiero dei dintorni di Grenoble, molto vicina agli esemplari che studio. ° Poche spine di media forza contornano il margine ombelicale e da: esse partono fasci di coste sottili e molto numerose : negli internodi finiscono all’altezza delle spine 2 e tre coste libere inserite. Le coste primarie sono assai deboli, forse anche scomparse per l’usura del pezzo. Le coste laterali tutte semplici e l'andamento del peristoma e il grado di sottigliezza delle. coste avvicina questa forma di Prcrer ad alcune della mia Astieria Catullo : ma in quest’ultima le coste ombelicali sono sen- sibilmente più forti e più fitte e mancano coste libere negli intervalli. L’esemplare di Castellane ha sole 14-15 coste ombelicali e tipiche spine di media forza, ridotte col crescere dell’età. Nelle collezioni fiorentine aveva il nome di A. Mittreana D’ORB. I fasci laterali sono sghembi con numerose e sottili coste allacciate alle spine o libere, semplici e taluna volta dicotome : alla fine dei fianchi si curvano debolmente all’indietro e attraversano la parte esterna regolarmente arrotondata, rettilinee. Rotto a bella posta nei giri interni offre qualche rara dicotomia delle coste laterali che in progresso di tempo scompare. L’assenza dunque delle dicotomie si manifesta più o meno presto nei vari individui. È forma correlativa alla Astieria scissa BAauMB. di cui ho visto un campione di Castellane, con ornamenti tutti più sottili. È indubbio che l’ Astieria Mittreana ’ OrB. in MarHfroN (Réch. pal., II parte, pl. B 20, fig. 8) abbia strette analogie con l'esemplare che studio, anzi tutto per lo sviluppo e la foggia dei tubercoli in relazione alla struttura dei fasci. Mai giri vi sono assai più bassi e vistosamente più gonfi. Per la fig. 2 di tav. 55 dell’Atlante del BayLe, BaumBERGER nel 1907 propose la voce Astieria filosa di cui a tav. 22, fig. 3 e tav. 23, fig. 2 e nella fig. 110 del testo illustrò il tipo svizzero. Ma WEGNER nella sua revisione del 1909 credette opportuno di fondere l’ Asteria Mittreana : e Kitian nella Lethaea a pag. 215 proponeva di ricondurre sotto la sua Astieria Sayni la citata forma del Bayre; la quale in confronto della mia Astieria De Stefanti tipo francese ha più numerose spine (circa 18) e fasci di costuline tutte semplici, sghembe all’innanzi, or rettilinee, or un po’ convesse all'indietro, e alla fine del guscio con una debole concavità reversa. Se conoscessi la sezione dell’esemplare del BAyLE potrei decidere se esso più si avvi- cini alla mia Astieria Catulloi o all’ Astieria Maittreana. Più difficile è distinguere quale posizione occupi in confronto di Astieria Catulloi e Astieria De Stefani, perché in questa ultima forma c’è una tendenza a diminuire in progresso di tempo le coste dicotome dei fasci : e la scomparsa totale delle dicotomie ci porta nel campo di Astieria Catulloi. Nell’esemplare di Enego le coste ombelicali sono scomparse per la.forte usura: esse si distanziano sempre ‘ più regolarmente. La sezione è più tenue e la parte esterna più affilata che nel tipo di Castellane. L’altro campione, pure di Enego, un po’ deformato per l’ineguale schiacciamento, si accorda meglio pel taglio della sezione colla forma francese : sull'ultima porzione del giro i fasci hanno costuline tutte semplici. Il peristoma corre assai più obliquo all’innanzi che in Astieria Catulloi. 88 A. RODIGHIBRO [52] Gli esemplari veneti di A. De Stefanii hanno i tubercoletti assai ridotti ; per questo nei giri interni sono an- che più fitti. La specie ha le costoline più fitte e più numerose di tutte le altre. Località. — Enego. Astieria psilostoma Neum. et UHL. (tipo veneto). — Tav.IX [II], fig. 11; Tav. X [III], fig. 1. Un esemplare di Pala della Zerla raccolto dal Prof. DAL Praz ha 25-26 coste primarie dalla sutura sulla. ‘parete ombelicale protese all’innanzi e con concavità proversa. All’origine dei fianchi formano un tubercolo spinato a toggia di A : da quello partono tre o quattro coste ben spaziate convesse in avanti, e sulla parte esterna che è pianeggiante corrono rettilinee, essendo che alla fine dei fianchi là dove è molto pronunciata e forte la curvatura pieghino all’indietro. Spesseggiano i fascetti di quattro e vi è talora una costa libera, inserita negli spazi internodali. Rare le coste dicotome, e la divisione si effettua di preferenza vicino ai tubercoli: una o due sole volte sulla parte esterna. Il peristoma corre obliquo come in Astieria psilostoma var. Koeneni e il cercine collaterale interno, ben saliente, taglia di traverso le coste del fascetto peristomatico. Le coste vi sono egualmente fitte, ma mancano _ i peristomi interni come appunto sì scorge nella tipica forma. L’ombelico è un po’ allungato nel senso del diametro massimo, poichè la parete dell’ombelico fu compressa e inclinata lungo quella direzione. NeumAyR ed UntiG nell'opera Hilsbildungen Norddeutschlands, pag. 149, tav. 32 (anno 1880) illustrarono una. A. psilostoma alla quale si riavvicina alquanto il presente esemplare che, nei riguardi dello spessore, meglio an- cora si accosterebbe con la var. Wilmanae KircHIn. Del piccolo esemplare di Linta l’Autore diceva nel relativo cartellino « È una Astieria il cui riferimento è tuttora incerto : parmi potersi ascrivere all’ A. psilostoma ; ha somiglianza con l'individuo giovane figurato da BauMBERGER (tav. XXI, fig. 4) » ma soggiunge che nell’esemplare di Linta l'ombelico è più largo, lo spessore minore, i fasci sono più fitti con coste più stipate. Località, Pala della Zerla (Tav. X, [III], fig. 1), Linta, Enego. Astieria Dal Piazi RopIGHIERO. A lato della forma più tipica con poche e ben spazieggiate coste secondarie la cui grossezza bene si atta- glia con la figura data, nel Veneto si trovò una diversa varietà ricollegata con termini di passaggio. Anzi tutto le coste siano esse ombilicali che laterali sono assai tenui e sottili. Le coste ombelicali nell’e- semplare più piccolo lasciano sull’ultimo giro debole e delicata traccia di sè. Tre o quattro costuline si colle- gano al tubercolo tenue posto di sghembo sull’origine dei fianchi. Dicotomie di coste sono frequenti a varia altezza, e di preferenza nella prima metà dei fianchi. Per esse i fascetti aumentano anche di 2-3 costicine. Il peristoma obliquo taglia di traverso le coste del vicino fascetto. La bocca nell’esemplare più piccolo è segna- ta da una successione di cercini peristomatici inegualmente sviluppati. È visibile la traccia di un peristoma più interno. | In relazione alla sottigliezza delle coste secondarie, le coste ombelicali sono molto più fitte, contandosene 27 nel campione maggiore. Un modello interno d’Astieria, la cui sottigliezza e densità delle coste non è giunta al grado della mia nuova forma, ci guida passo a passo dall’una all’altra forma più estrema. reti [53] | A. RODIGHIERO ne 89 Astieria ventricosa v. KoeneN = Ast. multiplicata Neum. et UnL. simula perla fittezza e la disposizione delle coste l’ Astieria Dal Piazi ma l’ombilico più profondo e più stretto, lo spessore tanto maggiore, i fascetti a costu- line più grosse, forniscono sicuri e agevoli caratteri per la separazione dei 2 tipi. Im conclusione l’ Astieria Dal Piazi Ron. è una varietà con più numerosi fasci di coste laterali assai sot- tili: sta alla A. psilostoma, come la var. densicostata WeGNER sta alla A. Atherstoni SHARPE. Hauteriviano. M. Zomo, Ronchi, Buso, 3 es. Enego. Spiticeras gratianopolitense KiLian. — Tav. X [III], fig. 8 1890. Holcostephanus sp. ind. (cfr. H. Grotiani Neuwm. et UnLIG) PARONA. Biancone Veneto, pag.'20. 1891. Holcostephanus gratianopolitensis KiLian. Ammonites du calcaire Valanginien du Fontanil (Isére), pag. 4, tav. II. 1891. Holcostephanus gratianopolitensis KILIAN. Sur quelques céphalopodes nouveaux ou peu connus de la période secondaire, pag. 4, pl. II. 1897. Orioceras ? Balesirai PARONA. Ammoniti del Neocomiano Veneto, pag. 142, tav. XVIII, fig. 4 a-c. Al principio di Val delle Laste, che intaglia il lembo eocretaceo di M. Dosso, ho trovato un’ammonite provvista del guscio, con la parte esterna ed un fianco assai malconci e corrosi. Le dimensioni pertanto non sono bene precisabili : Diametro massimo (?) - È 5 . S . mm. 220 Larghezza dell’ombelico . Line È " » 103 Altezza dell’ultimo giro sul dianietro massimo (?) » 67 Spessore dell’ultimo giro (?) . 0 s = : » 66 Il modello discoidale conserva una buona parte del guscio primitivo, grosso 1 mm. circa, che riproduce con fedeltà gli ornamenti interni e ricopre ogni traccia della lobatura. Questa è ben evidente nel frammento che PARONA determinò come Crioceras ? Balestrai. La spira cresce lentamente in modo conforme della figura di KiLran. I giri si nascondono uno entro l’ altro per circa un quarto della loro altezza, e ofirono il massimo spessore sull’orlo dell’ ombilico, sotto il quale stra- piomba assai ripida e sopraelevata la parete interna. La regione sifonale è per mala sorte mozza in tutti i punti; talchè, i giri nelle misure appaiono solo un poco più alti che larghi, ma la leggera curvatura del tubo nel mezzo i fianchi mostra come la sezione dovesse di profilo parere più alta e la parte esterna fosse fortemente arcuata. Sulla parete ombelicale ascendono 27 grosse coste un po’ reverse, a intervalli lievissimamente crescenti. Giunte sul margine si rinforzaro e terminano in tubercoli spinosi, compressi ai lati, separati da gole liscie e pro- fonde. Protesi sui fianchi all’imdietro si prolungano in una breve e grossa costola, dalla quale parte un fa- scetto di 3 (più raramente 2) coste secondarie larghe, poco salienti, dirette dapprima ancora un po’ all’indie- tro e poi curvate all’innanzi. Le coste aumentano con qualche rara divisiore, più frequente a lato delle coppie di coste secordarie Nei fa- scetti una costa, la mediana, risalta di più fra le altre. PARONA riconobbe che il tipo ornamentale del suo Crioceras (?) Balestrai era così insolito fra i Crioceri che: egli rimaneva in dubbio sull’esattezza del riferime1 to generico, anche perchè l’ esemplare non gli presentava tracce della linea lobale. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. : 12 90 A. RODIGHIERO [54] Ora fortuitamente io lavai il pezzo con acqua sudicia di nero di seppia, che venne assorbito dal guscio po- roso, e rilevò grossolanamente la lobatura sottostante. Essa non è tale da potersi studiare e disegnare a punti- no, ma la sua struttura, pur essendo semplificata, mostra d’essere del tipo proprio agli Spiticeras. Il lobo an- tisifonale si protende dietro ogni tubercolo sul terzo interno dei fianchi molto obliquo; quello mediano è oblungo nel senso della spira, e i due lobi sono ricollegati da una larga sella a semicerchio poco denticolata. La sella preantisifonale è quadrifilla e si continua in lobo di cui si seorgeno due rami, uno, il più interno, rivolto verso il lobo mediano, e l’esterno allungato nel senso della spira. Tre strozzature per giro restringono il lume del tubo, che esse attraversano parallele alle coste, cra profonde e limitate da 2 cercini, ora appena indicate da una depressione intercostale. Le traccie dei solchi e delle coste sulla regione esterna attestano che primitivamente l’attraversano senza interrompersi descrivendovi una specie di ogiva convessa all’imnanzi. i i La roccia bianco avorio, con venuzze di calcite spatica, è quella più propria del Biancone titonico. L’ esem- plare della Coll. Secco raccolto a Solagna, dal PARONA creduto forma vicina all’ Holcostephanus Grotiani Neum. et UnTLIG, conserva ancora buona parte del guscio visto dal lato interno. Gli ornamenti corrispondono a quelli della faccia opposta dello Spiticeras gratianopolitense. La roccia è più marnosa, di un bianco sudicio : la direi propria del Biancone valenginiano. Kizian ha trovato l'esemplare di Fontanil nel Valenginiano medio. Da ciò discende che talora la roccia del tipo del Biancone titonico può contenere forme tipiche del Neocomia- no inferiore: e quindi a riconoscerne l’età conviene por mente non tanto alle circostanze petrografiche, ma più specialmente alle associazione caratteristiche dei fossili. Alcuni altri esemplari di minori dimensioni confermano la mia diagnosi. Località. — Monte Dosso, Collalto di Solagna (Coll. SECCO) ; Spiticeras retrocostatum RopIGHIERO. 1846. Ammonites Astierianus (non D’ORB.) CATULLO. Prodromo, pag. 141, tav. VII, fig. I. Kitan nella pagina 178 (tav. 2, fig. 4) della Zethaca discute delle affinità di Spiticeras ducale MATHÉRON (Recherches parte II, pl. B 27, fig. 2) e dell’altra specie dello stesso MatHÉron Spiticeras Negreli (Ibidem, pl. B PAR 120 9 Nonostante che differenze notevoli si scorgano nel diverso modo di procedere dei restringimenti, (se questo non è dovuto a età differenti) nella maggiore involuzione dei giri più alti'e proporzionalmente meno spessi di Spi- ticeras ducale (sebbene nel complesso Spiticeras Negreli sen bri più appiattito), l’ attribuzione di un qualche e- semplare a una delle due forme è malagevole pel fatto che numerose varietà intermedie le collegano sì da dar sospetto che esse stesse appartengano ad unica specie. KiLtAn ricorda inoltre una varietà di Spiticeras ducale con ombilico più stretto dell’ originale: e descrive in Mission d’ Andalousie, pag. 646, tav. 27, fig. 5, lo Spiticeras Barroisi Krian altra varietà di Spiticeras Ne. greli. Spiticeras Barroisi dalla conchiglia discoidale, con coste fine fascicolate, partenti da 22 tubercoli allungati in senso radiale e posti proprio sul margine della parete ombelicale liscia e poco elevata, ha le coste che si au- mentano per divisone e intercalazione e che descrivono un leggero seno proverso sulla regione sifonale convessa, e giri che sì coprono per un quarto circa della loro altezza con una copertura un poco più alta che larsa e più spessa verso l’ombilico. [55] A. RODIGHIERO : 91 Mi preme far rilevare che Spiticeras Barroisi ha talune coste dicotome e inserite sui fianchi: e che si diffe- renzia dallo Spiticeras ducale solo per avere ombilico più largo, giri meno abbracciati, tubercoli un po’ più nu- merosi e più vicini all’ombilico. Dicotomie e inserzioni non si vedono nettamente nelle figure originali di Spiticeras ducale e Spiticeras Negreli. Ciò premesso, ecco la descrizione degli esemplari veneti ch'io riporto al gruppo di Spiticeras ducale. Già POmonI (Ammoniti del Veneto, pag. 20) riconobbe che l’ esemplare corrispondente alla sopra citata fisura del CatuLLO non era affatto l’ Astieria Astieriana D’ORB. La caratteristica principale di questa mia nuova forma è l’andamento singolare delle coste, che partendo dai nodi obliqui all’innanzi ripiegano sull’ultimo terzo dei fianchi all'indietro e attraversano rettilinee la parte esterna. L’ampiezza dell’ombilico è intermedia fra quella di Spiticeras ducale e Spiticeras Negreli: e l’involuzione e la sezione dei giri è pure tra questi due tipi estremi. La parete ombelicale è discretamente alta, convessa, ei 24 tipici nodi sono siti sull’origine dei fianchi, più distanti dall’ombilico che quelli di Spiticeras Negreli. Dai nodi, coste ombelicali non molto forti, quando non sono addirittura usurati, seendono alla sutura un po’ oblique all’innanzi e fasci di 3-4 coste ricoprono i fianchi e aumentano circa a 6 coste mediante inserzioni e dicotomia. L’ultima strozzatura dell'esemplare di CATULLO, corrisponde bene a quella di Spiticeras ducale. Le strozzature più interne dall’altra faccia, sono oblique all’innanzi con una flessione più debole sui fianchi. L'esame comparativo dei primi giri dallo stesso lato mi ha permesso di determinare con la stessa voce due altri esemplari raccolti in Enego. In essi si scorge che la forza delle coste è relativamente costante con le diverse età ; dai diametri medi la strozzatura profonda va alla sutura obliqua all’innanzi come le coste ombelicali, ma talvolta per lo schiaccia- mento deprimendosi la parete, l’angolo acuto del solco del margine dei fianchi rimane indistinto e poco netto. Dell’appartenenza al sottogenere Spiticeras della mia nuova forma si giudica favorevolmente con le ras- somiglianze di questa alle due su citate specie del MatEÉROoN. Manca l’aiuto della lobatura, nè vi è accenno sulla parte esterna di seni proversi, nè le coste offrono quel caratteristco disordine sui fianchi come nei più tipici Spiticeras. Quest'ultima circostanza è evidente in un esemplare pure di Enego, che per l’ornamentazione dei giri più interni sebbene abbia l’ombelico più stretto, appartiene al mio Spiticeras retrocostatum. Ma una ornamentazione grossolana, anormale si scorge sull’ultima porzione del giro maggiore. Fasci di 4-5 coste diversamente ondulate, srossette, partono dai nodi prominenti: dalla seconda metà in fuori dei fianchi attenuano la loro forza e eguagliano il loro percorso e piegano all’ indietro. Sulla regione esterna esse hanno eguale risalto, sono rettilinee e si aumentano anche a 7-8 per fascio. Le strozzature hanno andamento analogo a quelle del più tipico esemplare e tagliano di traverso le coste del fascetto interno; dalla banda esterna sono limitate da un fascetto più semplice, avente sulla parte esterna solo 2-3 coste. Località. — Asiago, Enego (Museo di Padova). Spiticeras polyptroptychum UaLIG. 1887. Holcostephanus polyptroptychus UnLIG. Gardennazza, pag. 107, tav. V, fig. 41 e figura nel testo. Gli esemplari che attribuisco a questa specie erano nelle vecchie collezioni sotto il nome di Amm. Astie- rianus D’ORB: provergono dal Feltrino, dalla Monfenera, dai Sette Comuni (Enego) e da Magrè. 92 A. RODIGHIERO [56] Malauguratamente sono tutti in uno stato poco soddisfacente di conservazione : perciò la cernita dei carat- teri diagnostici deve essere fatta nelle porzioni più intatte di vari modelli e la determinazione si giustifica con ùn attento esame comparativo dei pezzi. I più grandi fra questi toccano il diametro di 90 mm. circa, scoprendo l’ornamentazione alquanto semplifi- cata della camera di abitazione. i La specie di UxLIG in discorso ha l’ombilico mediocremente largo, coste ombelicali salienti, oblique all’indie- tro dalla sutura sulla parete, che in progresso di tempo si fa meno ripida e poi ampiamente convessa, fino a rag- giungere i tipici tubercoletti allungati in senso radiale, di media forza, punto di partenza sui fianchi di fascetti di 2-3 costuline. Ci sono coste libere inserite fra ed entro i fascetti, ed alcuna di esse si divide ad altezza non bene precisata intorno la metà dei fianchi. Le coste sono piuttosto delicate nella fisura originale e nei primi giri dei miei esemplari, e oscillano in varia direzione descrivendo poi sulla regione sifonale deboli seni proversi. In complesso il decorso dei fascetti è un po’ schembo all’innanzi. Da un diametro di cirea 60 mm. in avanti le coste acquistano forza un poco mag- giore, specie quelle partenti dai nodi fino a che alcuna di esse non si divida. Poi i tubercoletti che hanno acquistato in certuni esemplari un discreto sviluppo e in altri rimangono più deboli, s’attenuano : qualche costa così nasce libera dalla sutura e copre il fianco e la regione esterna dividendosi una o due volte, e la se- conda volta a un 1/3 circa dalla parte esterna, generando coste secondarie d’eguale sviluppo e più tenui. Invece l'esemplare Feltrino conserva le traccie deboli dei tubercoletti fino presso il peristoma boccale, a un diame- tro di 90 mm., con le coste fascicolate. La strozzatura taglia di traverso le coste, descrivendo un linea ampiamente concava sui lati, sghemba al- l’innanzi che pure si piega in avanti sulla parete ombelicale. Un largo, basso cercine la ricinge al lato in- terno : l’altro della banda esterna è più stretto e saliente. Quando i solchi si scorgono nei giri precedenti essi hanno distanza e foggia in accordo con la figura originale. Dello spessore del tubo male si ragiona a causa delle postume deformazioni : sembra tuttavia che sia massimo a metà i fianchi : l’apertura è più alta che larga forse un po’ meno che nel rapporto 5:3 dato da UHLIG. Lo Spiticeras planum UnLIG (The fuuna of the Spiti Shales, pag. 99, tav. XV, fig. 2) va distinto dallo Spi- ticeras polyptroplychum perchè le coste sono più dense nei fasci e oscillano maggiormente sui fianchi, i solchi hanno percorso anch'esso un po’ falcato e piegano nitidamente all’innanzi vicino alla parte esterna per deseri- vervi un seno più angusto : lo spessore del tubo è maggiore presso i tubercoli, e la parte esterna hia minor cur- vatura. La specie in complesso ha guscio più turgido ed è più involuta. Lo Spiticeras indicum UzLIG (Op. cit., pag. 124, tav. X, fig. 3) ha più largo ombilico, giri più tozzi, grossi, più spessi che alti, ornamentazione a fasci più densi, e coste più grossolane, sulla ampia regione esterna affie- volite ; i solchi hanno un andamento falcato, più consentaneo a quello dei fasci. Spiticeras Paronae RopIGHIERO. Un esemplare proveniente da Enego, ha le seguenti dimensioni : Diametro massimo : o o 5 mm. 61 N Larghezza dell’ombelico . . 5 7 JE Altezza dell'ultimo giro . 5 à » 25 Spessore » » c SERIO >» 24 [57] A. RODIGHIERO 93 Conchiglia subcircolare, ombilico largo circa un terzo del diam., discoprente numerosi giri interni che mostra- no solo le corone dei tubercoli: parete ombelicale convessa, il cui margine superiore è inclinato di circa 30° sulla verticale alla sutura, tubercoli puntuti, compressi ai lati all’origine del fianchi, che giungono al numero di 28 sul- l’ultimo giro ; coste ombelicali più o meno evidenti a seconda dello stato di conservazione, nelle porzioni più intatte, grossette e solo un po’ oblique all’innanzi; fasci di 3-4 costuline salienti, non oscillanti, bene individuate a partire dai nodi, allargate a ventaglio, con una o due coste dicotome o inserite nel primo terzo dei fianchi e sulla rimanente porzione del guscio regolarmente divergenti ; regione sifonale regolarmente arrotondata, attraversata da coste rettilinee. Il tubo ha il massimo spessore all’altezza dei tubercoli o un po’ al di fuori; ricopre i giri precedenti per 4 dell’altezza, cresce rapidamente di ampiezza, i fianchi essendo dalla loro metà regolarmente convessi e sfug- gendo insensibilmente nella regione esterna. Sussesuono tre o quattro strozzature per giro che tagliano poche coste del fascio interno, rispetto al quale mantengono un percorso poco obliquo : piegano sul terzo esterno dei lati leggermente all'indietro, ma non descrivono un sensibile seno proverso sulla parte esterna. Il BaLestRA raccolse nel Bassanese, ed ora si conserva nel Museo di Torino, una quarta parte del guscio di una ammonite, già determinata quale Holcostephanus bidichotomus, ch'io invece riporto nell’ambito della nuova forma in istudio. L’ornamentazione è in complesso costante: dai tubercoli puntati, posti alla fine di grosse coste ombelicali, partono fasci bene individuati di coste che o vicino ai nodi o entro la prima metà dei fianchi acquistano altre due o tre coste. Lo schiacciamento ha defermato un po’ il tubo, lo spessore è ridotto e la sezione più alta. Non si può giudicare quarto ciò debbasi a un originario assottigliamento della camera abitata, quale è la re- gola presso i più tipici Spiticeras. Le più strette analogie fra la mia nuova forma e le specie a me note dell’estero sono con lo Spiticeras Op- peli UnLIG (Spiti Shales, pag. 121, tav. LVIII, fig. 1) e lo Spiticeras n. sp. ind. UrLIG (Ibidem, pag. 117, tav. IX, fig. 1, 3). Ma il primo ha sibbene una involuzione e larghezza di giro conformi, ma itubercoletti sono più esigui, pro- minenti sull’erta parete ombelicale ; l’ornamentazione è in complesso più fitta e meno distinta ; i fasci hanno un andamento un po’ oscillante, le coste piegano all’innanzi vicino la parte esterna; le strozzature hanno struttura e foggie diverse e sono più oblique alle coste e concave in avanti. Inoltre c’è contrasto di sviluppo fra le coste originate da una prima divisione del nodetto, più grossette, oscillanti, e quelle più salienti, fitte nascenti per dicotomia e inserzione a mezzo i lati. L'altro Spiticeras non nominato dell’UzLIG ha ombilico più largo, che lascia scorgere oltre i nodi, anche il principio dei fascetti che adornano i giri interni. Il tubo poi è più tozzo, basso, rotondato : l’ornamentazio- ne è a fasci divergenti nell’esemplare più piccolo ma le dicotomie e le inserzioni avvengono a varia altezza e sulla regione sifonale le strozzature disegnano un caratteristico solco proverso. Il più grande esemplare di UnLIG conserva la foggia tozza dei giri ; l’ornamentazione è semplificata, spoglia o quasi di dicotomie con coste più grossolane concave in avanti, disforme quindi ad evidenza da quella del mio campione. i i L’Astieria convoluta KoeneN (Norddeutschen Neocom, pag. 146, tav. XXXIX, fis. 4) per la struttura dei fasci sui fianchi rammenta di lontano lo Spiticeras Paronae. Ma il guscio è molto più turgido, l’ombilico più stretto, i tubercoli ombelicali sono simili a grosse pieghe poste di sghembo e sormontano proprio la parete. L’ornamentazione è nel complesso forte, vigorosa, sì da escludere ogni confusione con la mia specie. Inoltre tra i fasci c'é a volte una costa inserita, che non permette di individuarli subito a colpo d’occhio e le coste ri- piegano un po’ addietro vicino la parte esterna. 9 94 A. RODIGHIERO [58] Sebbene io non conosca la benchè minima traccia della lobatura, i raffronti stabiliti con sicuri Spiticeras mi autorizzano ad ascrivere a questo sottogenere le specie su descritta. To l’ho dedicata al prof. PARONA, benemerito per gli studi delneocomiano Veneto, il quale fu meco iodio te cortese di consigli e di prestiti durante il mio lavoro. Località. — Cave di Pove, Colli alti nel Bassanese (Coll. BALESTRA, Museo di Torino); Enego (Mus. di Padova). Spiticeras? De Tonii RoDIGHIERO. — Tav. IX [II], fig. 12. Cfr. Holcostephanus n. f. cf. Decheni RomER. NEUm. et UnLIG. Hils Bildungen, pag. 161, tav. 31, fig. 3. È forma largamente ombilicata con la parte esterna arrotondata. Circa 25 coste radiali corrono sulla pa- rete dell’ombilico e ingrossano sull’ origine dei fianchi in tubercoletti conici a punta ottusa. Ad ogni nodetto si allacciano tre coste secondarie, semplici, taglienti, foggiate a pettine. Il numero tre è singolarmente costante: e sembra che non soffra eccezioni. Pochi solchi (2 o 3) restringono nell’esemplare più grande i giri, e tagliano un po’ obliqui le coste. NeumayR ed UnLIG hanno figurato un esemplare che ha molte somiglianze con campioni che ora studio. Anche in esso tre coste secondarie si riuniscono in nodetti (sono poco c niente sviluppati) cui fa. capo la corrispettiva costa dell’ombilico. Ma le coste ombilicali sono molto più larghe, in confronto di quelle brevissime dell’esemplare Veneto. D'altronde la forma di NeuMmAYR e UnLIG è troppo incompleta ; DE ZIGno aveva riconosciuto che doveva trattarsi di una specie nuova. Località. — Presso Rotzo (Coll. DE Ziano, Museo di Padova). Polyptychites Meneghinii De Ziano n schedis. — Tav. X [111], fig. 4, 7. 1846. Ammonites bidichotomus (non LEYMERIE) CATULLO. Prodomo, pag. 145, tav. 8, fig. 5; tav. 10, fig. 1. 1890. Holcostephanus bidichotomus PARONA. Biancone Veneto, pag. 19. i 1897. Hoplites Seccoî PARONA (partim). Ammoniti del Neocomaino Veneto, pag. 4, tav. 1, fig. 3 (non fig. 4). Gli esemplari che studio presentano un polimorfismo assai rigoglioso difficile a collegarsi. Hanno poi in ge- nere subìto energiche compressioni. È accaduto perciò che la linea mediana del sifone sulla parte esterna si è rialzata, ed ha scompaginato e affievolito le coste e talvolta le ha spezzate, così da dare illusione di un tratto: liscio. Io ho esemplari che in certi punti si direbbero avere coste interrotte sulla parte esterna, e, dove questa è più grossa, coste continue. ‘ La scheda di De Ziano aveva proposto il nuovo nome per le forme del primo tipo, per due esemplari, ac- cennando nella scheda «un echantillon très comprimé du Biancone d’Asiago; 1” autre de Raga de Magré »; quest’ul- timo è quello figurato alla Tav. X [III], fig. 7. Con un materiale abbastanza rieco di confronto si può ad evidenza osservare che la separazione è affatto: artificiosa. Ì L'originale del DE ZiGno, mi risultò un esemplare giovanile di quella forma che il CATULLO erroneamente: ascrisse al Polyptychites bidichotomus, come nel 1860 già hanno riconosciuto Proret e CampicHE (S.te Cro- îx, pag. 366). Questi due autori hanno proposto per gli esemplari di CatuLLo la determinazione di Amm. fascicularis D’ORB. (Céph. erét., tav. 29, fig. 1,2) ma la semplice ispezione della figura del p’ORBIGNy e delle mie fotografie: è sufficiente a stabilire la ingiustificatezza di questo riferimento. {59] 3 A. RODIGHIERO 95 Polyptychites Meneghinii ha giri molto più alti che larghi col maggiore spessore circa la metà dei fianchi ; la sezione è ellittica negli esemplari che furono meno deformati. L’ombilico ha una mediocre apertura e 1’ invo- luzione è piuttosto pronunciata, perchè i giri si ricoprono per circa due terzi. La ornamentazione è fino dai primi giri vigorosa e si mantiene abbastanza uniforme su tutto il guscio. Per ‘ogni giro sei strozzature, leggermente flessuose come le coste cui si frappongono, restringono il lume del tubo : ai lati le delimitano due cercini di mediocre forza, non molto diversi dalle coste. Quello che è dalla banda interna taglia di traverso le coste del fascio adiacente al quale sì collega sul margine ombelicale in un nodo ‘o rigonfiamento un poco più pronunciato di quelli cui fanno capo gli altri fasci. Il cercine esterno è invece semplice. I fasci, compresi fra due strozzature successive sommano da due a tre: presentano sul margine dell’ombilico un rigonfiamento assai mediocre, dal quale partono da due a tre coste, più di rado una sola. Quest’unica e le altre generate da una prima divisione si dividono nel terzo medio dei fianchi una e anche due volte, talchè sulla parte esterna il loro numero è raddoppiato, e talora anche maggiore del doppio. Sul terzo esterno non hanno «di regola dicotomie : ivi le coste acquistano un più spiccato risalto. Negli esemplari giovanili esse sono un po” flessuose sui fianchi e vicino alla parte esterna si piegano all’innanzi e si raccordano sotto angoli acuti alla istrisciolina sifonale, che è rilevata e infila i successivi vertici. L'andamento delle coste e dei solchi tende a farsi radiale o largamente concavo all’innanzi col crescere del- l’età : intanto sulla parte esterna il sifone si deprime, e sopra d’esso le coste fanno un ponte continuo descrivendo un’ampia curvatura all’innanzi, che tende a deprimersi lungo una retta. La costante presenza di numerose strozzature in tutti gli esemplari, l’ombilico un po’ più strettolino i nodet- ti sovrastanti il margine ombelicali che non giungono mai a un notevole risalto, i fasci che sono meno numero- sì per ogni giro che contano correspettivamente un maggior numero di. coste, la flessuosità delle stesse, le dicoto- mie ripetute di una stessa costa generata dalla prima biforcazione sul nodo, la sezione ellittica, sono sufficenti caratteri per la distinzione degli esemplari in studio dal Polytyehites bidichotamus LevwerIE di D’ORBIGNY, NeumAYR et UnLIG e PAULOW. Ma l'esemplare giovanile corrispondente alla fig. 135 di BauMmBERGER (parte V, 1908, pag. 29) determinato quale Polyptychites bidichotomus Lav. tipo svizzero attenua e riduce molte delle differenze su riferite. Anch’es- so ha le coste un po? flessuose, sul terzo esterno curve all’innanzi, descriventi un senò proverso sulla regione si- fonale. Pur tuttavia anche in esso i nodetti allungati in senso radiale sono più marcati, nè compaiono le stroz- zature, e i fasci sono più fitti per ogni giro e meno densi di coste. Quest’esame comparativo ci mostra che il Polyptychites Meneghinii ha le più strette affinità col tipo elvetico della nota specie di LevMERIE, tanto che apparrebbe opportuno di ritenerlo quale una varietà della stessa spe- cie così polimorfa. Località. — Asiago ; Raga di Magrè ; Monte Zomo ( Museo di Padova), nell’Hauteriviano (R.) Polyptychites (?) sp. ind. [ct. Polyptychites bidichotomus auctorum et Polyptychites Grotiani Neum. et Unt.]. Questo curioso campione raccolto ad Enego, nella faccia sinistra sul margine ombelicale perta una corona di nodetti sghembi, allungati, i quali sulla breve e ripida parete inviano corti prolungamenti volti all’innanzi e sul fianco mandano fasci tanto più obliqui all’innanzi quanto più crescono le dimensioni del guscio. Mercè una prima divisione poco sopra il nodetto ogni fascio è formato da 2 coste, che alla loro volta si bi- forcano circa alla metà dei fianchi: una sola fra tutte le coste va esente dalla seconda dicotomia. Negli inter- 96 A. RODIGHIERO ; s [60] valli fra i nodi poco più in alto va a sperdersi in due casi una costa, la quale si sdoppia come le altre a. mezzo il fianco. Non è possibile stabilire se questa inserzione è una dicotomia mancata. In Polyptychites bidichotomus auct. per ogni fascio spettano due o tre coste primarie che si sdoppiano circa la metà dei fianchi molto regolarmente : la mediana del fascio resta spesse volte indivisa. In Polyptychites Grotiani vi sono costeinserite negli internodi e più di frequente oltre la metà dei fianchi fuori e entro i fasci. A mezzo la faccia sinistra un’altra porzione di un guscio che per l’analoga ornamentazione può riferirsi ad uno stesso individuo, ricopre il giro di cui ho descritto sopra i caratteri diagnostici. Qui sul giro più grande taluna costa primaria si biforca, tale altra si è divisa poco innanzi alla rottura del guscio: altra costa infine rimane del tutto semplice. Tutte salgono oblique all’imnanzi sulla regione sifonale, ove quasi in corrispondenza della metà sono troncate lungo una linea che potrebbe rappresentare la posizione del sifone e che le coste raggiungono piegando un po’ all’indietro a chiudere un seno proverso di grande ampiezza. I vertici di questi larghi seni sinistri distano dalla linea mediana, come questa dista da un secondo breve nitido solco, che intaglia le coste dalla banda destra. Le coste, nella porzione compresa fra le due strettissime striscie hanno forma di archetti di media curvatura sghembi dall’indietro all’innanzi. Finissime strie piegate ad arco sì frappongono agli archetti ai cui estremi si collega attraverso il solco l’estremità di una costa laterale del fianco esterno. In un solo caso un estremo riallaccia due coste, le quali sulla faccia destra descrivono un fuso allungato, essendo che si riuniscono a un terzo dell’ombilico. Le coste laterali si riuniscono in fasci di analoga struttura, foggia e andamento, di quelli osservati sul piano sinistro. Solo, la loro forza per essere l’individuo più grande, è maggiore. Si scorgono qui ra- rissime inserzioni di coste, vicino ai nodi. L’ornamentazione dei fianchi si è veduto essere intermedia a quella di Polyptychites bidichotomus e Pol. Gro- tiani. Ma la presenza di due solchi sulla regione sifonale in posizione asimmetrica, e il seguito di così curiosi ar- chetti autorizzerebbe a far credere che l'esemplare appartenesse non solo a specie diversa, ma anche a un ge- nere nuovo. Si potrebbe affacciare l’ipotesi di un caso di doppia interruzione ventrale dovuto a qualche ignota causa patologica. L’ Ammonite monstrueuse ProtET e varie altre Ammoniti ci offrono singolari esempi di aberranti or- namentazioni che vogliono attribuirsi a malattie degli individui. Va qui ricordato che osservato dalla bocca l'esemplare mostra innicchiati l’uno dentro l’altro tre giri; il più piccolo interno non mostra in aleur punto i suoi fianchi; quello mediano ne scopre uno incompletamente alla faccia sinistra, ed è pel resto ricoperto del giro più grande esterno. Il giro mediano comprende il più piccolo in . modo conforme all’involuzione regolare di un ammonite se si trascura qualche lieve spostamento che si po- trebbe attribuire a deformazione per compressione. Ma tutti e due sono posti di sbieco da destra a sinistra entro il maggiore : probabilmente la compenetrazione ha causato la rottura nel giro più grande alla faccia sinistra. Mortoniceras Roissyanum ? D’ ORB. — Tav. X [III], fig. 9. 1840. Ammonîtes Roissyanus D’ORB. Céph. cret., pag. 302, tav. 89. 1840. Vedi anche Ammonites Bouchardianus D’ORB. Céph. crét., pag. 300, tav. 88, fig. 6-8. Io ho fotografato l'esemplare che DE Zicno trovò negli strati superiori del Biancone neocomiano nell’alti- piano d’Asiago, e che con qualche riserva determinò Amm. Roissyanus D’ORB. [61] A. RODIGHIERO 97 Il mio esemplare, benchè non permetta una misura dello spessore, mi sembra più sottile. L’ombilico è più largo e più angoloso al margine, la forma non subcircolare è allungata come nella figura tipo di questa ammo- nite, ma lo sviluppo dei giri è meno rapido, più conforme all Amm. Bouchardianus. dalla conchiglia subeircolare. Le coste nel mio esemplare sono numerose, molto flessuose, più evidenti sull’ultimo terzo del fianco, ove rag- giungono la parte esterna piegando fortemente in avanti. Sull’ombilico, dove è possibile vederle, nascono semplici: alcune poi si biforeano nel quarto interno dei fianchi. In complesso offrono un misto di caratteri di tutte le due specie citate. Insomma con l’esemplare non troppo bene conservato del DE ZiGxo non si può fare una sicura determina- nazione. Località. — Asiago (Coll. De ZIGNO). Saynoceras verrucosum ? D’ORB. 1840. Ammonites verrucosus D’ORBIGNY. Céph. erét., pag. 191, tav. 58, fig. 1-3. 1910. Saynoceras verrucosum KILian. Lethaea, tav. 3, fig. 7. Saynoceras verrucosum, fossile caratteristico dell’ultima zona del Valenginiano, entrò nelle listedei fossili neocomiani per un esemplare determinato con tal nome dal DE Zino, proveniente dai dintorni di Asiago. Ma esso non mostra scoperto che un fianco e questo è assai usurato. Non è ben chiaro se le due serie di tuberbercoli ottusi, una più evidente al margine esterno e l’ altra sul margine interno si corrispondono. A me pare che sì. BaumBERGER illustra un tipo svizzero, nel quale le serie di tubercoli sifonali si corrispondono assai bene e le coste non presentano un andamento molto marcato a zig-zag. Invece D’ORBIGNY serive che esse sono girate una rispetto all’altra, tanto che la striscia che corre dall’una fila di nodetto all’altra, per riunirli, cor- re a zig-zag. Nemmeno questa singolare circostanza è ben manifesta nel mio campione, e una determinazione col nome di Saynoceras verrucosum a tutt'oggi non può esser fatta senza riserve. Località. — Dintorni di Asiago (Coll. DE Zieno) ; Buso di Gallio (RopieHIERRO, Museo di Padova) nel Va- lenginiano. Pulchellia pulchella D’ORB. 1840. Ammonites compressissimus D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 210, tav. 61, fig. 4,5. 1840. Ammonites pulchellus D’ORB. Oéph. crét., pag. 133, tav. 40, fig. 1,2. 1888. Pulchellia pulchella Kiian. Fossiles du Crètacé infèrieur de Provence. Bull. de la Soc. géol. France, 32 serie, T. VI, pag. 677, tav. XVIII, fig. 2 a, b. 1910. Pulchellia pulchella KiLiAN. Lethaea, tav. 6, fig. 1. Le compressioni hanno affilato la parte esterna del mio esemplare, così che visto di faccia è più oblungo del- l'esemplare subeireolare di Kiz1an. L’usura dei lati ha indebolite lelarghe coste, ma nell’architettura del modello, nell’ombilico ristrettissimo, nelle coste a forma di festone che si allargano man mano che giungono alla parte . esterna io credo trovar ragioni pel riferimento del mio esemplare alla specie del D’ORBIGNY. In DouviLLé (B. S. G. F., Tome 18 (3), 1890, pag. 282) è fisurata la lobatura. . KILIAN fa rilevare che è abusiva la distinzione proposta da D’ORBIGNY fra Amm. pulchellus e Amm. compres- sissimus. Il secondo non è che un esemplare giovane del primo. Pulchellia pulchella nello stadio giovanile ha la parte esterna angolosa in modo conforme alla fig. di p’ORBIGNY di Amm. compressissimus: nello stadio adulto Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 13 98 A. RODIGHIERO [62] la parte esterna è arrotondata. Le coste variano di lunghezza e di flessione fra i puntistabiliti per le sue specie dal D’ORBIGNY. Perciò i nostri esemplari appartengono alla stessa specie e Amm. pulchellus citato la prima volta da CATULLO tra i fossili del Veneto su di un esemplare che non fu ritrovato nel Museo di Padova, e figurato, come OMBONI pensa, plagiando la figura di p’ORBIGNY, torna ad essere indicato nelle nostre liste del Neocomiano con tre esemplari da me raccolti nel Barremiano del M. Sisemol su Leghen, quantunque non siano di perfetta conserva» zione. Desmoceras sp. Nel calcare barremiano di M. Sisemol e M. Malago io ho raccolto numerosissimi modelli interni, riferibili alle specie barremiane più note di questo genere. Ma le condizioni di conservazione sono addirittura imperfet- te. Le traccie delle lobature, le quali costituiscono il principale carattere diagnostico, non si possono leggere. I caratteri ornamentali, assai semplici, sono spesso usurati e indistinguibili. Lo spessore infine è indecifra- bile, poichè i campioni sopportarono energiche compressioni. Rotti e fessurati ebbero i frammenti cementati da venuzze di calcite : alcuni si ridussero ad esigua grossezza, e in certi punti appaiono straordinariamente ri- gonfi. Ricordando che parecchi paleontologi i quali disposero di un materiale assai più fresco e intatto, hanno dovuto riconoscere erronee le proprie determinazioni o le hanno vedute proporre per la sinonimia, sì concluderà che è assai migliore consiglio soprassedere alla precisa identificazione dei miei esemplari e accon- tentarsi di quella generica. i Del resto allo stratigrafo poco importa citare l’una specie o l’altra poichè tutte appartengono al Barremiano. E d’altro canto le relazioni fra i giacimenti barremiani di M. Sisemol e M. Malago con quello di Puez risaltano ancora bene poichè tutti e due danno associazioni di specie eguali e«di taglio non molto diverso. La specie che si lascia meglio riconoscere e che è la più frequente, è il Desmoceras cassidoides UnLIG, distin- guibile per la maggiore evoluzione dei giri e per il minor spessore dal Desmoceras cassida RASPAIL, pure presente, del M. Sisemol su Leghen. Un esemplare è sicuramente determinabile per Desmoceras difficile D’ORB. a cagione del suo ristretto ombi- lico con pareti ripide e col margine angoloso, e della forte oscillazione sui fianchi dei restringimenti e dei cer- cini, più numerosi che nel vicino Desmoceras cassida RASPAIL. Parecchialtri modelli milasciano indeciso nella loro attribuzione alla succitata specie di ’ORBIGNY, ovvero alla Desmoceras cassida RaspAIL, la quale dovrebbe avere giri più gonfi e più bassi, solchi e restringimenti meno nu- merosi e meno falcati di Desmoceras difficile D’ORB. Molto probabilmente delle due la più frequente nel Neocomiano veneto è il Desmoceras cassida RASPAIL, 0 il Desmoceras Raspaili KrLiAN, con un piccolo orlo all’ombilico e con cercini anche più diritti. Un esemplare di Valrovina (Coll. BarestRA, Museo di Padova) è indicato nel cartellino, da RopIGHIERO, come Desmoceras Melchioris TretzE. Puzosia cîr. Neumayri HAuG. — Tav. XI [IV], fig. 1. Pachidiscus Neumayri Haue. Puezalpe, pag. 204, tav. 10, fig.2-4. Non do per sicuro il riferimento del mio esemplare alla specie di HavG, perchè ha un diametro massimo di mm. 160 ; la larghezza dell’ombilico è di mm. 72, l’altezza dell’ultimo giro è di mm. 54; mentre nel più grande [63] i A. RODIGHIERO . 99 esemplare di Hauc (fig. 2) ad un diametro di mm. 360 corrispondono per le altre misure rispettivamente mm. 62 e mm. 42. Il mio modello dunque è più largamente ombilicato. L’ornamentazione consta di coste grosse che nascono da una nodosità o maggior rilievo che sovrasta la più ripida e liscia parete dell’ombilico. Le coste, larghe e grosse, diminuiscono d’altezza e crescono ancora un poco in larghezza, e così basse e ampie traversano la parte esterna; non sono semplici, perchè già presso la protuberanza periombilicale cresce una costa molto più debole che corre innanzi obliqua alla prima, così che insieme danno una grossolana immagine di V, come si può bene scorgere nelle ultime coste del mio esemplare. Esso è un mo- dello interno in stato di conservazione poco soddisfacente. I giri si ricoprono per più di un terzo, la sezione si accorda a sufficenza con quella di Hauc. Lo spessore maggiore è nel mezzo dei fianchi che sono assai poco convessi; la parte esterna invece ha una forte curvatura. Insomma, a parte le maggiori dimensioni dell’ombilico, il riferimento alla specie di HauG sarebbe giusto. Per questo mi è lecito di ritenere assai vicino ad essa il mio esemplare. | Località. — Territorio veronese (Museo di Verona). Holcodiscus (Spitidiscus) intermedius D’ORB. — Tav. X [III], fig. 5. 1840. Ammonites ‘iniermedius D’ORB. Céph. crét., pag. 128, tav. 38, fig. 5, 6. 1901. Holcodiscus intermedius SARASIN et ScHONDELMAYER. Chatel-Saint-Denis, pag. 43, tav. 4, fig. 4, 5. 1910. Holcodiscus intermedius KiLian. Lethaea, tav. 5, fig. 7. Specie non molto abbondante nell’Hauteriviano del Veneto. Ha conchiglia compressa, sulla parte esterna fortemente arrotondata ; giri molto più alti che larghi, 5 o 6 solchi non troppo arcuati che dall’ombilico si dirivono obliquamente alla periferia, con due cercini collaterali discretamente accentuati, e comprendenti nu- merose fitte costuline, irregolarmente biforcate, quasi parallele al solco che le precede. Linea lobale ignota. L’esemplare della Tav. X [III], fig. 5 è della vecchia collezione CATULLO: proviene da Vignole nei Colli Eu- ganei. Un’impronta delicatissima fu da me trovata nel calcare Hauteriyiano delle Portecche, fra Melaghetto e Xaibena di Gallio. Hauteriviano di Bertigo (R.) Holcodiscus (Spitidiscus) incertus D’OrBIGNY var. Livianus CATULLO. — Tav. X [III], fig. 6. 1840. Ammonites incertus D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 120, pl. 30, fig. 3, 4. 1847. Ammonites livianus CATULLO. Prodomo, 2* appendice, pag. 13, tav. 3, fig. 5. 1884. Ammonite Livianus OMmBONI. Delle Ammoniti del Veneto descritte e figurate dal CATULLO, pag. 34. 1890. Holcodiscus incertus PARONA. Biancone Veneto, pag. 20. OmBONI riconobbe che l Amm. livianus non aveva ragione di esistere o era da considerarsi come sinonimo di Ammonttes incertus D’ORB. e che gli esemplari così nominati da CATULLO servivano non ad altro che a confermare l’ esistenza della specie in questione, asserta dal De Zicno e dal PARONA. PARONA attribuì un modello interno d’ammonite, raccolto a Valrovina dal BALESTRA, all’ Holcodiseus in- certus. Ma esso corrisponde più perfettamente all’originale di CATULLO, che ho buone ragioni di éredere differente. 100 i A. RODIGHIERO [64] Ricordo qui che UnLiG (Zur Kenntniss der Cephalopoden der Rossfeldsclvichien, pag. 17) affacciò il dubbio che la specie di CAtuLLO fosse sinonima di Holcodiscus Hugii OostER dalle coste più fitte, più sottili e più flessuose. Ma lo studio critico e le nuove illustrazioni degli esemplari di OosTER, offertoci nel 1901 da SARASIN et ScHON- DELMAYER in Chatel-Saint-Denis [Holcodiscus Hugii OostER, pag. 47, tav. IV, fig. 8-11; Molcodiscus Oosteri SarasIn et SCHONDELMAYER: Hole. Hugii OosTER pr. p.], pag. 48, tav. IV, fig. 6, 7, ci autorizzano ad eselu- dere la attribuzione a queste specie della forma di CATULLO. Di fatto il primo ha in confronto dei miei esemplari le coste ancora più fitte e doppiamente falcate, frappo- ste a solchi assai meno evidenti ed è meno involuto : l’altro poi è ornato da leggerissime strie flessuose e poco appariscenti e da solchi un poco più evidenti che nel tipico Hole. Hugù, ma più falciformi e meno Pica ancora che nei miei campioni. L’involuzione rapida della spira, l’ombilico stretto col margine arrotondato, la proporzionalità delle di- mensioni ci mostrano che le più strette analogie si hanno con Holcodiscus incertus, essendo che, come aveva già rilevato il PARONA, se ne distingua solo perchè le coste sono più sottili del tipo, e nella maggior parte di- cotome verso la metà dei fianchi. Ma Paquier ha imputato, in « Recherches géologigues dans le Diois et les Baronnies orientales, pag. 121 », il disegno di Holcodiscus incertus, offertoci dal D’ORBIGNY, di non riprodurre fedelmente l’originale. La particolarità costante nella specie, non effigiata a puntino, è appunto la biforcazione delle coste, quale del resto è chiaramente indicata nella Paléontologie frangaise. Dunque gli esemplari veneti che studio si di- stinguono dal tipo di Holcodiscus incertus solo per la maggiore sottigliezza delle coste, le quali, aggiungo ora, oltre i due terzi dei fianchi si piegano all’innanzi ein modo assai più brusco nei giri interni, e descrivono sulla parte esterna un più acuto seno proverso. La sezione poi del giro è evidentemente meno gonfia, e la parte esterna è più affilata (Tav. X [III], fig. 6). Gli esemplari veneti sono insomma meno grossi e più finemente costulati. Si può adunque mantenere per essi la voce livianus proposta dal CaruLLO: intendendo che Holcodiscus Livianus rappresenta nel veneto quella specie che nel Sud di Francia è chiamata Holcodiscus incertus. Le differenze non molto forti che intercedono fra i due tipi potranno un giorno forse anche scomparire, se la ricostrutta fisura del n’ORBIGNY parrà anche più difettosa e infedele. I caratteri diagnostici principali sono: rapido avvolgersi della spira, forma larga dell, giri piuttosto convessi ed alquanto compressi esternamente, ombilico stretto con margine arrotondato ; 4-5 solchi per giro, assai obli- qui, arcuati posteriormente, delimitati da un cercine ottuso sui fianchi e rilevato sulla parte esterna : coste pro- verse che partono semplici dal margine ombelicale, la maggior parte delle quali si biforca verso la metà del fianco. Queste ultime sommano da 14 a 20 fra i solchi dell’ultimo giro. La posizione del sifone è nel mezzo del lato esterno, attraversato dalle coste che vi disegnano un leggero seno proverso. Ora accade che in parecchi esemplari energicamente schiacciati il sifone si rileva, le coste si disor- dinano e danno talvolta illusione di essere interrotte. Parecchie ammoniti stanno nelle vecchie collezioni con erronee determinazioni, perchè non fu posto mente a questa circostanza. Il caso si ripete ad esempio in campioni di Polyptychites Meneghini DE Ziano. Holcodi- scus incertus è buona specie Hauteriviana. Località. — Vignole nei Colli Euganei (Coll. Catutro, Museo di Padova); Valrovina (Coll. BALESTRA); Canove (De STEFANI Museo di Firenze); Costalunga su Ronco di Carbon (Museo di Padova), M. Zomo, Ber- tigo (R.) [65] A. RODIGHIERO ; 101 Holcodiscus seunesiformis n. sp. Conchiglia discoidale, con ombelico discretamente ampio, giri poco convessi, parte esterna fortemente pie- gata, sezione ellittica, più alta che larga e con lo spessore massimo intorno il terzo interno dei fianchi di poco inferiore alla metà della altezza dei giri. Sei larghi solchi diritti per giro strozzano la spira ed hanno ailati cercini di cui l’anteriore è il più sviluppato e saliente, specie nei girì ; i cercini interni sono frapposti a gruppi di 8-6 coste semplici e ben distinte alla sutura, dicotome nella generalità dei casi circa la metà dei fianchi, taluna divisa una seconda volta vicino la parte esterna; alcuna rarissima sempre indivisa. Il cercine posteriore d’un solco taglia obliquamente il fascio delle coste intercalate, talehè mozza a tre o quattro di esse i prolungamenti diretti alla sutura. Al punto d’origine si provvede di un debolissimo tubercolo che è il punto di divisione con la più interna delle coste tagliate. L’esemplare più grande alla maggiore età ha le coste un po” flessuose sui fianchi e descriventi un debole seno proverso sulla regione sifonale, ma nei giri interni le coste corrono radiali o leggermente curve all’indietro senza formare seni sulla parte esterna. La quale è attraversata dai cercini sempre normalmente e in corrispon- denza di questi ultimi è fornita di una cresta sopraelevata non molto forte. Da Holcodiscus Van-den-Heckei v’OrB. (in Krrian. Fossiles du Crétacé inf. de Provence, pag. 670, pl. 19, fio. 4 [cum syn.]. Boll. Soc. géol. de France, s. III, vol. 16, 1887-88; — SarasIv et ScHONDELMAYER. (Chatel Saint-Denis, pag. 43, pl. V, fig. 4,1901) la mia specie differisce per i giri assai meno grossi, ellittici anzi- chè circolari: per un numero minore delle strozzature, le quali sono limitate da cercini che nella regione si- fonale non descrivono mai seni: per le coste intermedie a questi più salienti ed egualmente sviluppate anche a partire dalla sutura. i Le affinità sono maggiori con Holcodiscus Seunesi Krr1an ( Krtian. Loc. cît., pag 675, pl. 18, fig. 3; — Sara- SIN et SCHONDELMATER. Loc. cît., pag. 46, pl. V, fig. 1, 2) dal quale lo distinguono la sezione meno turgida e più affilata, il minor numero delle strozzature che sono anche più larghe, e un corrispettivo maggior numero di coste frapposte ai solchi. Gli esemplari provengono da Enego. Holeodiscus Caillaudianus? D’ORBIGNY. 1882. Holcodiscus Caillaudianus D’OrBIGNY. UHLIG. Wernsdorfer Schichten, pag. 243, tav. 19, fig. 2-4, 6-9, 13, 14 (cum syn.). 1887-88. Holcodiscus Caillaudianus KiLian. Fossiles du Crétacé inférieur de Provence, pag. 669, pl. 19, fig. 2. Bull. Soc. géol. de Fr., s. III, vol. 16. L’esemplare così distinto fu da me raccolto nel cale. Barremiano di M. Sisemol di Leghen. È troppo imperfet- tamente conservato perchè si possa con precisione identificarlo. La larghezza dell’ombilico e il grado d’in- voluzione sono gli stessi che competono a Hole. Caillaudianus, però i fianchi sono meno convessi e le coste corrono di sghembo sulla parte esterna per l’ineguale distorsione del guscio. Frapposte a un gruppo di 4-6 coste secondarie inermi, di preferenza semplici e più di rado dicotome nella metà interna dei fianchi, corre con analo- go andamento una costa principale, che dalla sutura si allarga progressivamente e sulla parte esterna porta i due tubercoli, a modo della specie citata. Alle coste principali dalla banda interna se ne collegano due altre secondarie inserite a varia altezza, e cioè subito all’ombilico, quella mediana in posizione corrispondente alle altre coste dicotome o un po’ al di fuori. 102 A. RODIGHIERO [66] Dalle nuove ricerche possiamo sperare di trovare un’esemplare di Holcodiscus Caillaudianus più completo, tale che ci permetta di segnare anche questa specie in via definitiva nell’elenco delle ammoniti neocomiane venete. Holeodiscus Gastaldianus D’OrB. (UrnLIG. Loc. cit., pag. 245, tav. 9, fig. 10) ha coste assai più fitte, sottili, di preferenza dicotome e con le dicotomie situate alla stessa altezza nei fianchi per un determinato gruppo di coste secondarie. Douvilleiceras mammillare ScELOTHEIM. — Tav. XI [IV], fig. 5. 1840. Ammonites mammillaris ScHL. D’ORBIGNY. Oéph. crét., pag. 249, tav. 72, 73. Douvilleiceras mammillare è segnato nelle liste dei fossili cretacei del Veneto a merito di un’esemplare in- completo del Museo di Verona. La roccia, calcarea, color grigio-chiara, un po’ marnosa, scopre un fianco della conchiglia; questa si adorna. di 9 coste, ristrette nel luogo d’origine sull’ombelico, che si allargano, procedendo verso la parte none, e ac- centuano la loro sporgenza. A partire dall’ombelico ciascuna è provvista: Idi due tubercoli, appuntati, uno all’origine delle coste, l’altro sul margine ombilicale ; II a un quarto dall’ombilico di una spina, a punta ottusa, conica ben saliente ; III dopo un discreto intervallo, di una serie di 5 lamelle trasverse sulle coste più larghe, le quali sulle coste più strette simulano nodosità o punte. Douvilleiceras mammillare è specie albiana. La linea lobale fù figurata dal De GrossouvrRE (Réchérches sur la Craie sup. II Parte, Paléontologie. Les Ammonites de la craie supérieure, pag. 23, fig. 2). AI genere Douvilleiceras debbono riferirsi altre forme dello Aptiano veneto, che attendono ancora un diligente esame. Hoplites e generi affini. Hoplites e generi affini sono ricchi assai di forme nel Neocomiano veneto. Io non ho descritto tutte le specie: che si trovano nelle collezioni visitate, o per la loro condizione di indeterminabilità, o perchè mi restano a con- sultare parecchie diagnosi profuse qua e là nella letteratura. ' Neocomites neocomiensis D’ ORB. — Tav. XI [VI], fig. 3,7. 1840. Ammonites neocomiensis D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 202, tav. 49, fig. 8-10. 1901. Hoplites neocomiensis UnLIG. Teschener und Grodischter Schichten, pag. 54, tav. 2, fig.9; tav. 3, fig. 1-3. 1901. HMoplites neocomiensis SARASIN et ScHONDELMAYER. Chatel-Saint-Denis, pag. 70, tav. 9, fig. 2, 3. 1904. Hoplites neocomiensis RicHARZ. Neocom Kaltenleutgeben. Jahrb. d. k. k. geol. R.A., Bd. 54, p. 346. 1907. Neocomites neocomiensis SAYN. Ammonîtes pyriteuses, pag. 29, tav. 3, fig. 4-12, 14. SAyn disponendo di un ricco materiale in uno stato di conservazione quanto mai soddisfacente, raccolto! nelle marne valenginiane del sud-est della Francia, ha potuto descrivere di questa specie numerose varietà, ed osservarne importanti mutazioni nelle diverse zone del Valenginiano. Di tutto ciò io nulla posso dire con esemplari la maggior parte raccolti da altri, assai corrosi e schiacciati. Si distinguono indubbiamente due forme: una con l’ornamentazione tipica a coste forti spaziate, flessuose, incli- nate in avanti ; l’altra con costuline più fini e più numerose. [67] A. RODIGHIERO 103 A qest’ultima forma appartiene un esemplare di Canove presso Asiago, indicato come Senoniano, esistente nel Museo di Pisa: un cartellino del CAanAvARI lo indica come Hoplites? sp. n. aff. H. neocomiensis D'ORE: « differisce per le coste più numerose e più falciformi e pel dorso la cui porzione liscia è occupata da una « debolissima carena ». Le coste partono a coppie o a terne da un tubercoletto ombelicale: la maggior parte di esse si biforca nuova- mente verso il terzo interno dei fianchi nella forma tipo, a varia altezza e più vicino alla regione sifonale nel- l'altre. La parte esterna è liscia pel breve tratto in cui è posto il sifone. Tutte le coste si piegano in avanti sul margine per raggiungerlo ora più, ora meno obliquamente, e vi terminano con un piccolo tubercolo. Località. — Veronese (Tav. XI [IV], fig. 4); dintorni di Asiago (Tav. XI [IV], fig. 7); Costalunga in Val di Bertigo ; Canove, nel Valenginiano (R.). Neocomites occitanicus PicTET. 1867. Ammonites occitanicus PicteT. Mél. paléontol., 2* parte, pag. 81, tav. 16, fig. 1. 1910. Hoplites (Neocomites) occitanicus KILIAN. Lethaea, pag. 187, tav. 1, fig. 3. La collezione De Zieno ebbe vari esemplari di questa specie dalla Monfenera. Il guscio discoidale è molto compresso, con la parte esterna arrotondata. La spira avvolta in modo del tutto ‘conforme alla figura di PicTET; l’ornamentazione a coste numerose, nascenti a due a due dall’ombilico e in via del tutto eccezionale isolate, sul quarto esterno moltiplicantesi per intercalazione e biforcazione ; la parte e- sterna molto arrotondata e nel suo mezzo liscia in corrispondenza del sifone ; tutto giustifica la determinazione fatta dal De Zicno. Hoplites occitanicus trovasi alla base del Valenginiano. Parahoplites angulicostatus D’ORB. — Tav. XI [IV], fig. 2, 4. 1840. Ammonites angulicostatus |p'ORBIGNY. Céph. crét., pag. 146, tav. 46, fig. 3, 4. 1863. Ammomites angulicostatus PicreTt (pr. p.). Mélanges paléont., pag. 11, tav. 1 bis. 1890-91. Hoplites angulicostatus FELIX. Versteinerungen aus der mexricanischen Jura und Kreide-Formation. Palaeontographica, Bd. XXXVII, pag. 185. 1897. Hoplites Catulloi PARONA. Neocomiano Veneto, pag. 5, tav. 1, fig. 5. 1901. Hoplites angulicostatus SARASIN et ScHONDELMAYER. Chatel-Saint-Denis, pag. 81, tav. 9, fig. 8; tav. 10, fig. 3. 1904. Hoplites angulicostatus RicHaRz; Neoc. Kaltenleut., pag. 346, tav. 9, fig, 4. 1910. Hoplites (Neocomites) angulicostatus KiLian. Lethaea, pag. 222, tav. 5, fig. 6 a, b. Nel Museo pisano è conservato un bell’esemplare di Moplites angulicostatus D’ OrB. emend. SARASIN et SCHONDELMAYER, che fu descritto e fisurato dal PARONA sotto il nome di Hoplites Catulloi. Di fatto differenze sensibilissime intercedono fra la figura di D’ORBIGNY e l'esemplare che ho tra le mani, stu- diato dal PARONA. Esso sui primo giri ha coste assai più fitte e molto sottili, ombilico più stretto, giri più alti e meno spessi, lato esterno meno appiattito, margine ombilicale più angoloso. Ma quattro anni dopo gli studi di PARONA, SARASIN e SCHONDELMAYER avvertirono che con tutta proba- bilità la figura della Paléontologie frangaise non era di una assoluta esattezza, corrispondendo « egualmente bene, o piuttosto egualmente male, a forme diverse l’une dalle altre e pertanto distinte ». 104 A. RODIGHIERO [68] Secondo: SARASIN et SCHONDELMAYER Hoplites angulicostatus D’ORB. sui primi giri è caratterizzato da coste molto fini, ben salienti, sensibilmente eguali, partenti isolate o a coppie dal margine ombilicale, traversanti il fianco secondo una linea leggermente flessuosa, aventi,tutte un piccolo tubercolo marginale. Sembrano nei primissimi giri interrotte sulla parte esterna. ‘Dal diametro di.20-25 cm. le coste la attraversano, formando seni chiaramente proversi egualmente rilevati, con ai lati due piecoli tubercoli. Frattanto, ogni 3 o 4 coste secondarie, parte da un rigonfiamento tubercolare dell’ombilico una costa principale più ispessita e di maggior rilievo nella prima metà dei fianchi. Le coste se- condarie al contrario scompaiono dalla regione periombilicale, e nascono solo sul terzo interno, o sulla prima metà dei fianchi. Variazioni importanti si osservano nei riguardi del numero delle coste secondarie, intercalate fra le principali. In alcuni individui una costa principale alterna con una sola secondaria : in altri 2-3 coste secondarie, in casi estremi anche 4 o 5, si frappongono a quelle principali. Tl tubo ha sezione subquadrangolare, e la parte esterna è discretamente arrotondata. Non sussiste quindi alcuna delle differenze che il PARONA stabiliva fra la specie della Paléontologie fran- gaise e il suo Hoplites Catulloi, rientrando tutte nelle variazioni individuali riferite da SARASIN et ScHONDEL- MAYER all’Hoplites (Neocomites) angulicostatus. Ho fotografato (Tav. XI [IV], fig. 2) un grazioso esemplare del Museo di Padova proveniente dall’Asia- ghese : e l’altro da me raccolto nel Biancone hauteriviano di Bertigo (Tav. XI [IV], fig. 4). Nella collezione Secco (M. di Firenze) son pure esemplari di Solagna. Berriasella Calisto D'ORE. nov. var. — Tav. XI [IV], fig. 11. 1890. Hoplites Calisto D° ORB. et var. ToucASs. Faune des couches tithoniques de l Ardèche, pag. 600, 601, tav. 7, fig. 5. L’esemplare di San Zen Vicentino che figuro fu dal DE Zicno erroneamente riferito ad Ammonites maci- lentus D’OrB. (Céph. crét., pag. 138, tav. 42, fig. 3, 4). A trarlo in inganno concorsero l’estrema sottigliezza del guscio, causata dallo schiacciamento, e la presenza delle apofisi jugali, quali si veggono nella citata figura di D’ORBIGNY. Nè dalla descrizione nè dal disegno dell’originale appare che Amm. macilentus abbia coste dicotome, inter- rotte sulla regione sifonale : al contrario a lato di ogni costa primaria poco flessuosa si inserisce una breve costa sul terzo esterno dei fianchi, e tutte attraversano indisturbate la parte esterna. Invece l’esemplare che studio, affilato a mo’ di tagliente lama, ha coste biforcate circa il mezzo dei fianchi, spiccatamente flessuose, terminate da un apice rotondato, che è spostato lievemente rispetto il correlativo del lato opposto. Un solco strettissimo intagliava dunque la regione sifonale. Il mio modello si colloca bene fra 1° Hoplites Calisto D’ORB. del Toucas (tav. 17, fig. 3) è la varietas subea- listo dello stesso autore (tav. 17, fig. 4,5). La flessuosità e densità delle coste biforcate nel mezzo dei fianchi è in accordo con la forma tipica, e come in quella, sonvi rare coste semplici similmente flessuose. Sulla faccia. opposta a quella fotografata è visibile una costa triforcata ; la primaria precedente è invece semplice : vi cor- rispondono sul fianco visibile due coste primarie tipicamente biforcate. L’ apertura più ampia dell’ ombilico rammenta invece la surricordata varietà del Toucas. Non è da escludere che l’ ampiezza dell’ ombilico sia in parte dovuta alle postume compressioni del modello esterno. Il D’OrBIGNY determinò sulla figura del De Ziano quale un Ammonites consobrinus D’ORB. (Céph., pag. 147, tav. 47) altro campione del lembo cretaceo di Monte Dosso. È sufficiente un sommario raffronto col disegno [69] A. RODIGHIERO 105 di D’ORBIGNY per escludere senz’altro questa determinazione. Esso appartiene al gruppo di Hoplites Calisto D'ORB. Ha una conchiglia con una spira che sì svolge assai rapidamente e concorre forse insieme a postumi stira- menti a darle l'aspetto di un disco oblungo. I fianchi ampiamente convessi hanno la maggior grossezza circa il mezzo. Non è visibile la sezione dei giri, essendo che il modello è per tutto il resto infisso nella roccia : tut- tavia essa ha certo spessore minimo da attribuirsi allo schiacciamento. L’ombilico così stretto non è del tipico Hoplites Calisto. La rapida involuzione della spira ricorda 1’ Ho- plites Calistoides BeHRENDSEN (Zur Geologie des Ostabhanges der argent. Cordillere, I Th., pag. 402, tav. 23, fir. 1, 1891) ma l’apertura dell’ombilico è ancora un po’ minore. Per la sua ristrettezza l'esemplare in esame meglio si attaglia con Hoplites Carpatichus ZitreL, di Toucas (tav. 17, fig. 10, 11): ma anche in quest’ultima forma la spira è più tarda a svolgersi e lascia vedere nell’ om- bilico maggior numero di giri interni. L’ornamentazione poi è affatto diversa per le coste poco flessuose, dirette semplicemente innanzi, biforcate generalmente verso il terzo esterno dei fianchi. Il mio esemplare è un Hoplites Calisto dalla spira rapidamente crescente, dalle fitte coste tipicamente fles- suose biforcate a metà dei fianchi, e il punto di divisione corrisponde a un seno delle coste sdoppiate convesse all’innanzi. Esso appartiene a una nuova varietà intermedia fra il tipico Hoplites Calisto e 1° Hoplites Cali- stoides, da cui va anche distinta perchè le coste sono assai più fitte, specie nei giri interni, nè inviano alla sutura sulla breve parete dell’ombilico prolungamenti proversi, secondo che è caratteristica essenziale della forma di BraRENDSEN. In un esemplare è conservata l’apertura della bocca al completo con le apofisi jugali, come nella prima varietà fisurata. La regione frapposta fra l’ ultima costa e il termine della conchiglia è finemente striata. Le strie si accentuano e si piegano a mo’ di cuneo di fronte all’orecchietta, anch’essa striata da finissime linee deseriventi curvea campana abbracciantesi, sempre più acute. Località. — S. Zen nel Vicentino (Coll. De Ziano, Museo di Padova) ; Monte Dosso (RopIGETERO). Kilianella Roubadi D’OrRB. — Tav. XI [IV], fig. 10. 1850. Ammonites Roubadianus D’ORBIGNY. Prodròme, 17 étage, n. 41 (T. II, p. 64). 1886. Hoplites Roubadi KiLian. Lure, pag. 423. 1889. Hoplites Roubadi KrLian. B. S. G. F. (3) XVI, pag. 679, tav. XVII, fig. 2,3. 1907. Thurmannia (Kilianella) Roubadi D’ORB. sp. emend. SAYN. Ammonites valanginiennes, pag. 47, tav. VI, fig. j9, 10-14. A Casara Dosso di Sopra vicino a Porta Manazzo, nei Sette Comuni, io ho raccolto una ammonite incompleta che non ho tardato a riconoscere quale 1’ Ammonites Roubadianus D’ ORB. sebbene l’ombilico sia un poco più ampio e l’ultimo giro abbia un'altezza maggiore che negli esemplari esteri più tipici. Ciò è dovuto allo stiramento e alle compressioni subite dall’esile nicchio. Solo i giri interni sembrano regolarmente convessi e hanno nel mezzo lo spessore maggiore. In accordo con la letteratura della specie, susseguono strozzature, coste semplici, coste biforcate verso la metà dei fianchi col punto di divisione a volte ingrossato in un tubercoletto : infine più rare coste dicotome al- l’ombilico e delle due così originate una sola biforcata sui fianchi alla stessa altezza delle altre. Le coste sono un poco più falciformi sull’ ultima porzione del gran giro : ma non così spiccatamente da ri- portarci nel campo della Kilianella perystyca UzLIG tipo (Rossfeldschichten, p. 389, tav. 5, fig. 4) che se- condo SAvxn è forma diversa dall’ Amm. Roubadi, come è discusso nella bella monografia sulle ammoniti valan- giniane del SE di Francia. Palaeontographia italica, vol. XXV. 1919 14 106 A. RODIGHIERO [70] De Zieno e PARONA hanno determinato quale Hoplites privasensis Picret dei modelli d’ ammonite, che io stimo più vicini alla Kilianella Roubadi D’ORB. L’esemplare di De Ziono (Tav. XI [IV], fig. 10) è dei Sette Comuni : quello più completo del PARONA ap- partiene alla coll. BaLEsTRA e fu raccolto a Carpené. Del frammento raccolto a Solagna e conservato nella raccolta Secco a Firenze, di cui il ParoNA parla a pag. 91 della Nota « Sopra alcuni fossili del Biancone Veneto, 1890 »,-è più prudente riserbare ogni determinazione data la incompleta e limitata chiarezza degli ornamenti. AI confronto con le migliori illustrazioni di Hoplites (Berriasella) privasensis Picret (Mélanges paléont. II libro, pag. 84, tav. 18, fig. 2, e tav. 18, fig. 1 — Hoplites privasensis PicteT var. Picteti Jaco 1867, e Kirian. Mission d'And., pag. 660, tav. XXX, fig. 3 e Toucas. B. S. G. F. (3), XVIII, 1890, pag. 599, tav. XVII, fig. 1) gli originali di De Zieno e PARONA hanno ombilico più largo, accrescimento dei giri più lento, e conseguente al- tezza minore, lo spessore maggiore nel mezzo dei fianchi, ornamentazione alquanto diversa. Ma le strozzature nei giri interni, anche per la conservazione deficiente dei modelli, non sono molto evidenti: ed è anzi tutto su questo carattere che conviene fondarci per la separazione di Kilianella Roubadi dalla Berria- sella privasensis. Tuttavia la differente struttura del guscio, la maggior frequenza di coste semplici, le dicotomie segnate da piccoli tubercoli, nel mezzo dei fianchi, qualche rara divisione vicino al’ombilico, la maggior forza di alcune coste che ricingono allato interno solchi intercostali un po” più distinti dagli altri sì da parere vere e proprie stroz- zature, infine la foggia e il decorso delle coste sui fianchi mi confortano a ritenere che fra i fossili veneti studiati non esista la tipica Berriasella privasensis e che gli esemplari ad essa riferiti siano piuttosto 1’ Hoplites Roubadi D’ORrB. Però tale riferimento attende una più sicura giustificazione : ed è proposto con le opportune riserve. Località.— Casara Dosso di Sopra (RopiemIERO); Carpené (Coll. BaLESTRA, del Signor SEBASTIANO VELO); Linta presso Asiago: Valenginiano di Cima Fior di Fosa, Buso di Gallio (R.). Kilianella Roubadi D’ORB. var. retrocostata SAyN. 1907. Thurmannia (Kilianella) Roubadi D’ORB. var. retrocostata SAYN. Amm. valang., pag. 49, tav. VICARI. Quell’Hoplites, illustrato dal ParoNA a pag. 140, tav. XVIII, fig. 3, in « Ammoniti del Neocomiano Veneto » sotto il nome Moplites n. f. cfr. Hoplites Barovae UxnLIG mi risultò essere la su citata nuova varietà del Savn, perchè le coste piegano nettamente all’indietro a partire dal terzo esterno dei fianchi e sono presenti delle stroz- zature messe anche meglio in evidenza dalle coste vicine più grossette come appare molto chiaro nella faccia opposta a quella figurata dal PARONA. L’esemplare è delle Cave di Solagna ; schiacciato mostra che i giri sono convessi nel mozzo dei fianchi benchè il loro spessore sia molto ridotto. In accordo con le figure del Savn è anche la scarsezza delle coste dicotome. Hoplites (Thurmannia) cfr. Thurmanni PrcrET et CAmPICHE var. Allobrogica KILIAN. — Tav. XI [IV], fig. 8. Cfr. Hoplites (Thurmannia) Thurmanni Picret et CamPIicHE var. Allobrogica Kician. Lethaea, tav. 3, fig. 3. Ho confrontato un esemplare staccato nel Valensiniano dal pavimento della strada fra Stoccaredo e Xaibena con la citata figura di KiLran, e mi sembra di non andare molto lontano dal vero nel ritenere le due forme assal [71] A. RODIGHIERO 107 vicine. L’ornamentazione è davvero in un soddisfacente accordo, l’apertura dell’ombilico non è sensibilmente diversa, ma il mio campione, forse a cagione di compressioni, visto di faccia ha contorno ovulare, in confronto di quello subcircolare dell'esemplare francese. Comunque, sia o non sia detta formariferibile alla varietà di Krr1an, essa ha strettissime somiglianze con gli Hoplites dell’eocretaceo inferiore, e fu infatto raccolto nel Biancone valenginiano. In Francia le ammoniti piritizzate delle marne valenginiane presentano un meraviglioso polimorfismo, che soltanto con ricco e ben conservato materiale può essere studiato a dovere. Hoplites (Acanthodiscus) epimeloides MENEGHINI. — Tav. XI [IV], fig. 9; Tav. XII [V], fig. 1. 1897. Hoplites epimeloides (McxH. in sch.) PARONA. Descrizione di alcune ammoniti del neocomiano veneto, pag. 3, tav. 2, fig. 2. Ho la fortuna di avere tra mano l’esemplare di Valrovina conservato nel Museo pisano e descritto dal PARONA che va serbato come tipo, e l’altro mai descritto, del MassaLonGO, che il MENEGHINI aveva pure determinato come Amm. epimeloides, che però si mostra di specie affatto differente, l’ornamentazione convergendo solo in alcune particolarità. La diagnosi, ch'io completo, del tipo descritto dal Parona suona: Conchiglia discoidale, a lento sviluppo, con giri più alti che larghi a sezione ellittica, col maggior spessore a metà altezza, per poco abbracciantesi nello svolgimento spirale. Sono ornati da costole radianti, flessuose, grosse, ottuse, che si dipartono dalla sutura ombilicale : sono per la maggior parte semplici, ma ogni due o tre se ne osserva una più robusta ingrossata sul- l’ombilico, la quale verso il terzo esterno del fianco presenta un nodo da cui si irradiano due altre coste che talvolta si stipano tanto l’una presso l’altra finchè si sovrappongono e si confondono in una sola. Buon nume- ro delle costole semplici o derivate dalla biforcazione arrivando al margine del lato esterno formano un nodo. In via del tutto eccezionale qualche rara costa può biforcarsi sull’ombilico. Il lato esterno è stretto e formato per ciascun lato da una corona irregolare di nodi e nel mezzo da una bassa e liscia carena, che risulta dalla riunione delle estremità delle coste affievolite e fortemente dirette al- l’avanti. L’ombilico è ampio, a margini arrotondati e lascia vedere parte dei giri interni, sui quali le coste sono più fini e più stipate. Mi ha colpito la somiglianza di Hoplites epimeloides con Hoplites histricoides UnLIG (Teschener und Grodischter Schichten, pag. 40, tav. 1, fig. 8). i In complesso l’ornamentazione è quasi identica; ma a diametro più piccolo essa è già più vigorosa nei miei esemplari, i quali erescono assai meno rapidamente, mostrano nel largo ombilico molti più giri interni, hanno il lato esterno liscio, non attraversato da coste e la sezione meno angolosa. Di qui Woplites histricoides UxLIG ha la parte esterna coronata da nodi meno evidenti, non perfettamente liscia, ma attraversata da deboli coste dei fianchi. Ho fotografato un esemplare di Lamon (Tav. XII [V], fig. 1) e un'altro di Enego (Tav. XI [IV], fig. 9). Quest'ultimo è assai schiacciato e ridotto a sottile disco. L’ombilico per tale ragione appare più largo, ha la parte esterna ristretta e dentellata dai nodi che irregolarmente si sviluppano. Località. — Valrovina (Museo di Pisa); Lamon; Enego; Valenginiano di Costalunga (R.) 108 A. RODIGHIERO [72] Hoplites Paquieri Simronescu. — Tav. XI [IV], fig. 6. Attribuisco a tale specie l’esemplare veronese della Collezione MassaLonGo di Ammomites epimeloides MrGH., che non ha affatto relazioni col tipo dell’Hopltes epimeloides del Museo pisano, illustrato dal PARONA: Proviene dal Biancene un po’ grigio di Tregnago (Veronese) ad aptici; la roccia anzi incornicia una piccola valva di Aptychus Seranonis COQuanp. Esso è incompleto, infisso nella roccia per modo che non si può misurarne bene lo spessore. Le sue dimensioni sono : Diametro massimo . o o o a mm. 85 Larghezza dell’ombelico . 0 a o » 32 Altezza dell’ultimo giro . . o : » 30 x Lo spessore del tubo non è molto grande, circa 1 cm., ma a tale estrema sottigliezza possono averlo ridotto in parte le compressioni: sembra essere maggiore nel mezzo dei giri. L’ornamentazione è irriconoscibile nei primi giri. Nell’ultima metà d’anfratto sulla parte esterna si contano circa 37 coste tutte eguali fra loro, legger- mente rigonfie. La parte esterna è liscia e coronata dalla regolare corona dei detti gonfiori terminali. Delle coste sopra numerate circa la metà partono dall’ombilico, aleune indivise, altre 8 biforeate da un tubercolo : e si osserva abbastanza costantemente un’alternanza fra le due qualità di coste. Tutte le coste corrono flessuose, taglienti, ben spazieggiate nei fianchi. Una costa per coppia biforcata all’ombilico, meno spesso coste semplici, si suddividono oltre ia prima metà dei fianchi, e il punto di divisione in un caso offre un tubercolo conico ben evidente; in tutti gli altri è tenuamente rigonfiato. Questa forma è del gruppo di Moplites asperrimus D’ORB.: essa si avvicina discretamente all’Hopltes cfr. asperrimus D’OrB. descritto da UnLIG (Teschener und Grodischter Schichten, pag. 44, tav. 4, fig. 9) ma evidenti differenze e dell’ornamentazione e nell’architettura generale non permettono una contusione fra le due forme. Hoplites Paquieri ha una posizione isolata ancor meglio identificabile in confronto con 1’ H histricoides Uhlig. . Località.— Tregnago nel Veronese (Museo di Verona, Tav. XI [IV], fig. 6); Enego (M. di Padova) Hoplites Seccoi PARONA em. RoDIGHIERO. 1897. Hoplites Seccoi PARONA (pr. p.), Ammoniti del Neocomiano Veneto, pag. 141, tav. XVII [I], fig. 4 (non fis 3). Paleontographia italica, vol. III. Coll’originale più piccolo di PARONA si accorda in modo assai soddisfacente un mio modello interno, raccolto ad Enego, di dimensioni assai maggiori e con buona parte del guscio conservata. Diametro massimo o 5 mm. 78 Altezza dell’ultimo giro, colla sutura 0 » 29 Spessore dell’ultimo giro . . o DIP Lunghezza dell’ombelico, fra le situto o » 27 [73] A. RODIGHIERO 109 Invece la rispondenza coll’originale più grande della fig. 3 non appaga e sorge tosto la questione se Hopli- tes Seccoi raccolga in sè forme diverse. Già lo stesso PARONA bene scrisse quando osservò che il suo. Hoplites Seccoi per abbracciare gli originali attribuitigli era una forma che modificava sensibilmente i suoi caratteri ornamentali nello svolgersi della spira. Ora il mio esemplare permette di concludere che sensibile modificazione non c’è negli ornamenti e nel grado di involuzione del guscio, e che anzi all’originale più giovane corrisponde un adulto coi caratteri della specie costanti. Hoplites Seccoi dunque ha « conchiglia discoidale, subinvoluta, coi giri più alti che larghi, a sezione subellit- tica, con maggior spessore in prossimità del margine ombelicale, abbracciantesi per cirea 43 nello svolgersi della spira » (PARONA. L. cit.). L’ombilico è relativamente ampio e lascia vedere parecchi giri di spira : il margine nei giri interni è depresso, poi si rialza e si fa angoloso ; la parete dell’ombilico è assai ripida e tende ad accostarsi alla verticale. L’ornamentazione dei primissimi giri della spira non si può studiare a puntino per l’imperfetta conserva- zione dei modelli. Già in essi compaiono delle strozzature proverse, fra le quali si frappongono dalle coste. di- scretamente spaziate fra loro, e probabilmente semplici. Col crescere delle dimensioni, mentre i solchi si ap- profondiscono, alcuna d’esse si provvede di un esiguo tubercoletto laterale, dal quale partono tre e poi due coste secondarie. Intanto il cercine che è dalla banda interna d’ogni strozzatura sulla regione sifonale a lato di cui lo stretto solco longitudinale mediano termina con nodetto angolato nel senso della spira: e pure le coste in corrispondenza del sifone si interrompono. Gi Iltubercoletto mediano successivamente emigra dalla metà esterna dei fianchi al margine ombelicale per gra- duali tappe, così chè già sull’ultima porzione del gran giro dell’originale giovane il tubercoletto sovrasta alla ripida parete. Da esso parte un fascio di 2-3 coste primarie alcuna delle quali si biforca e il punto di divisione è in sulle prime ancora segnato da un leggero nodetto. L’ornamentazione si continua sostanzialmente eguale nell’individuo adulto ch'io posseggo. Il fascio di coste primarie larghe e tozze alla metà dei fianchi si raddop- pia. Ivi le coste si rialzano, acquistano forza e giungono un po’ oblique all’innanzi alla parte esterna. Le coste hanno un andamento un po” flessuoso, che acquistano anche le strozzature, recinte nell’ adulto da cercini evidenti, dei quali 1’ interno, tozzo, basso, progressivamente allargato dal margine ombelicale al margine esterno termina in un tubercolo a mo? di cresta allineata nel senso della spira : l’ esterno più stretto e più saliente è in identica posizione solo un po’ ingrossato. Il primo poi o si riallaccia al vicino nodo ombelicale che per tale cagione acquista maggior forza; oppure, se nasce libero, invia lungo i fianchi una o due coste, a coprire lo spazio libero tra il fascio precedente e il cercine più obliquo all’innanzi. Tutte le coste poi sulla parte esterna tendono a descrivere un largo seno proverso, i cui vertici sono smus- sati in vario grado e logori dal solco mediano. Intanto all’ombelico i tubercoli acquistano vigore e forza ; essi si dispongono in senso radiale alla spira e inviano alla sutura brevi prolungamenti. S’io confronto il mio esemplare coll’originale della figura 3 del PARONA scorgo anzitutto ragguardevoli diver- sità per la maggior larghezza dell’ ombilico, la involuzione della spira che lascia scoperti i giri precedenti, la costanza e l’ uniformità dell’ornamentazione, i cercini più stretti nitidamente flessuosi con doppia cur- vatura, la forza degli ultimi tubercoli sull’ombilico, la cui parte strapiomba assai ripidamente. Hoplites Seccoi di fatto ha ombilico sensibilmente più stretto, strozzature più larghe e profonde oblique all’ innanzi, quasi assolutamente diritte, nodetti ombilicali ridotti, cercini meno grossi, coste polidicotome le une e gli altri foggia- ti a mo’ del Polyptychites Meneghini De Zicno. L’originale di PARONA è frammentizio e non conserva alcuna traccia della regione sifonale. Manca perciò una parte troppo importante del guscio per decidere dell’ appartenenza o no del mio campione all’ultima specie citata. Un riferimento in via definitiva non è perciò consigliabile, essendo anche che l’intervallo fra i due ultimi 110 A. RODIGHIERO [74] cercini visibili è coperto di coste che si aggruppano in un unico fascio, la cui costa primaria più esterna è forte- mente piegata all’innanzi e taglia di sbieco le altre coste secondarie, una soltanto delle quali, la più estrema, contrae rapporti col cercine di avanti. Vero è che sull’ultima porzione del guscio assai eroso l’ornamentazione torna normale e si scorgono le tracce di due nodetti all’ombilico, punto di partenza per due fasci. Anche allora l’ornamentazione ricorda quella di Polyptychites Meneghini, sebbene le strozzature siano nella. forma tipica più strette : ragione questa, oltre alle altre, di ritenere questo originale di PARONA assai vicino, ma non assolutamente identico. Del resto Hoplites Seccoi (fig.4 di PARONA) si accorda bene non solo con l’esemplare da me attribuitogli d’E- nego, ma con un altro modello esterno di 105 mm. di diam. incompleto e deformato da compressione, il quale conserva lo svolginento della spira e i caratteri ornamentali identici agli altri due campioni tipici. I cercini più grossi sono di regola quelli della banda interna della strozzatura: in un sol caso ne è uno esterno ; talvolta conservano traccia di un mediocre tubercolo mediano. Questa circostanza meritava di essere rilevata per lo studio di un esemplare, proveniente pure da Enego, che ha nn’ornamentazione e una struttura del guscio del tipo di Hoplites Seccoi, diversificando solo per una per- sistenza dei caratteri giovanili. i Si è detto che nei primi giri le coste nascono semplici, regolarmente spaziate, fra le strozzature. Il pezzo in esame mostra appunto che fra i solchi nascono libere fitte coste dalla sutura, con andamento flessuoso, attra- versano i fianchi e sul terzo esterno alcune poche si biforcano : ivi tutte acquistano singolare evidenza e pie- gano all’innanzi. I cercini sono meno grossi che nel tipico Hoplites Seccoi ; hanno ineguale sviluppo e il forte è quello dal lato interno della strozzatura : esso ha tre tubercoli: uno or più or meno evidente al margine ombelicale : l’altro! mediano : il terzo a lato del soleo mediano della regione sifonale tipicamente foggiato a cresta. Insomma l’ornamentazione risulta essere assai meno vigorosa e forte: le coste sono più fitte che nei giri interni, ma hanno carattere persistente di giovanilità. Perchè l’esemplare in esame è incompleto, con gli ornamenti parzialmente conservati e corrosi, io non ho creduto opportuno distinguerlo con una nuova voce dal tipico Hopltes Seccoi, e lo ritengo, in attesa di nuovo: materiale di confronto, un individuo della stessa specie dalle vestigia infantili. Località. — Enego ; Solagna (Museo di Torino). Crioceras Duvalii LEÉvEILLÉ. — Tav. XII [V], fig. 4, 6, 11. (= Crioceras Villersianum D’OrBIGNY = Crioceras Da Rii DE Ziano). 1837. Crioceras Duvalii LéveILLÉ. Descr. de quelques nouw. coquilles foss., pag. 1, tav. I, fig. 1. 1837. Orioceras Honnoratii LéverLé. Ibidem, pag. 2, tav. 1, fig. 2. 1840. Orioceras Villersianum D’ORB. Céph. crét., pag. 462, tav. 114, fig. 1, 2. 1845. Orioceras Da Rii DE Ziano. Sopra due fossili rinvenuti nel Calcare dei Monti Euganei, pag. 5, tav. 1, fig. 1 a,b. 1894. Crioceras Duvalii e Crioceras Villersianum NOLAN. Rev. des espéces et varietés de Crioceras du groupe de: Crioceras Duvalii, pag. 190 e 191. 1902. Crioceras Duvalii e Crioceras Villersianum SARASIN et ScHonDELMAYER. Chatel-Saint-Denis, pag. 105, tav. 12, fig. 1, e pag. 107, tav. 12, fig. 3. SARASIN e SCHONDELMAYER trattarono a lungo delle analogie che intercedono fra Crioceras Duvalti Lév. tipo e Crioceras Villersianum D’ ORB. che furono già osservate da QuensTEDT e NoLAn. Questi scrisse che le due: 75] A. RODIGHIERO 111 specie erano tanto vicine quanto potevano esserlo due specie diverse : e i due primi autori, sebbene a loro sem- brasse abusiva la separazione delle due forme, si indussero a mantenerle specificamente distinte, perchè alcuni ‘esemplari determinati Orioceras Villersianum provenivano dai calcari Barremiani, mentre il Crioceras Duvali è considerato un fossile tipico dell’Hauteriviano. | To dispongo di un materiale assai ricco e in uno stato di conservazione soddisfacente. Per la massima parte fu raccolto da altri e proviene, in generale, dal calcare Hauteriviano, ma alcuni campioni debbono riferirsi al Barremiano. Il materiale suddetto mette ancora una volta in evidenza che le due forme di Crioceras Duvalti e Crioceras Villersianum sono collegate da tutti i termini di passaggio, onde le separazione in due diverse spe- cie mi risulta abusiva e forse ancora sussiste per l’abitudine inveterata di distinguerle. Certo oggi nessuno vor- rebbe dividere un’unica specie in due diverse solo in base ai caratteri differenziali che la letteratura stabili- sce per la separazione di Crioceras Duvali e Crioceras Villersianum. In essi, sui primi giri, le coste sono fine, diritte o assai debolmente flessuose. Non veggo chiaramente se primitivamente sono eguali tutte fra loro. Netta differenza fra coste debolmente rinforzate e le altre semplici si scorge a diametro di mm. 10. Le coste rinforzate presentano la loro maggiore rigonfiatura sulla parte esterna, ove portano due tubercoli spinosi allungati e due leggere prominenze. Talvolta le coste tubercolari non si rinforzano nel loro decorso, e si indivi- duano solo per la presenza del tubercolo marginale. L'andamento di tutte le coste è assai di rado rettilineo, quasi sempre flessuoso. Successivamente il contrasto fra coste semplici e tubercolate si accentua: le ultime si arricchiscono di un tubercolo ombilicale e, alcuni campioni di età già avanzata, portano anche un tubercolo laterale a un terzo della parte esterna. Le due qualità di coste sono, in taluni esemplari e.non tutte, separate da solchi non molto profondi. Tl più grande campione di Salazaro, della collezione Rossi ha le seguenti dimensioni. Diametro massimo o o 0 5 È 3 : E 5 x 0 ò ò mm. 192 Diametro entro l’ultimo giro su D. M. " » 108 Larghezza dell’ultimo giro sul D.M. ” 9 » 57 Spazio vuoto fra la parte interna del giro esterno e la esterna del giro Srrcecdonta Di D. M. » 16 I primi giri non presentano alcun che di notevole. Nell'ultima porzione della spira è sensibilissimo il contra- sto fra coste semplici e coste principali, che vi sono assai vigorose, grosse, sporgenti e si adornano dei soliti tre tubercoli con sviluppo moderato. Le coste intercalate diminuiscono di numero da 5 a 3 e a 2, e un solco bene individuato le separa dalla costa principale anteriore. Tutte le coste ascendono oblique all’ indietro sulla parete interna della spira che cade a piombo, hanno decorso flessuoso sui fianchi, e rettilineo sulla parte esterna che è piana (Vedi Tav. XII [V], fis. 6). Crioceras Villersianum era separato dal Crioceras Duval perchè la frequenza dallo” coste principali rispetto ‘alle secondarie, specialmente nelle forme giovanili era minore. In Crioceras Duval le coste principali erano più fitte e meno flessuose. Ma tali diversità osservate fluttuano grandemente. Non sono assolute nè precise e di- fettano di rigidità : le forme più estreme sono collegate da numerose altre intermedie. Dirò ora delle ragioni che mi hanno indotto a ricondurre sotto la denominazione Crioceras Duvalii anche il Crioceras Da Ri del De Zino, contrariamente all’opinione più comune nella letteratura, che la farebbe sino- nima di Crioceras Emerici Lev. Detta riunione fu proposta infatti dal D’ORBIGNY (Prod., pag. 11) e considerata come probabile da PioreT (Suinte-Croic, pag. 49) e anche ultimamente riferita dal KiLiAN (Lethaea, pag. 271). 112 i A. RODIGHIERO [76] L’esemplare che servì al DE Zicno per creare la sua nuova specie consta di un modello interno e della con- tro impronta: ambedue sono male conservati. Con un paziente lavoro di isolamento ho potuto scoprire dalla roccia in cui era infissa, la parte superiore del modello, ed allora ho veduto che l’analogia della specie del DE Zieno al Crioceras Duvalii è assoluta. Medesima forma generale, medesima ornamentazione : eguale modo di decorso delle coste principali e intercalate, eguale posizione dei tubercoli marginali e ombilicali sulle coste rin- forzate (Vedi Tav. XII [V|], fig. 4). Nei riguardi della circostanza riferita dal De Zieno «....che parecchie delle strie e solcature principali suddividono progredendo verso il dorso della conchiglia » un attento esame mi convinse che tale suddivi- sione era simulata. Alcune coste infatti a partire dalla parte esterna furono corrose prima che raggiunges- sero il margine ombilicale : sembrano per tale modo nascere sulla metà di quelle che giungono all’ombilico. Località.—Clama p. Asiago (De SteFANI, M. di Firenze); Bertigo (Id.); Canove (Id.); Camporovere (Coll. Secco, M. di Firenze); Enego (M. di Padova); M. Vignole negli Euganei (Crioceras Da Rii De Zieno, Coll. DE Zieno, M. di Padova, Tav. XII [V], fig. 4) ; Sette Comuni (Coll. Rossi, M. di Padova, Tav. XII [IV], fig. 6); Ponte della Serra fra Lamon e Feltre (M. di Padova, Tav. XI [V] fig. 11); Hauteriviano M. Zomo, M. Catze, M. Malago (R.); Barremiano M. Sisemol, M. Malago, M. Zomo. Crioceras Nolani KILIAN. — Tav. XII [V], fig. 5, 8; Tav. XHI [VI], fig. 1. 1840. Crioceras Duvalii D’ORB. Céph. crét., pag. 459, tav. 113. 1861. Ancyloceras Duvalii Lév. PicreT et CAmPICHE. Sainte-Oroix, 2% parte, nag. 37, tav. 47 bis, fig. 2. 1863. Crioceras Duvalii Picret. Mélanges Pal. Suisse, pag. 9, tav. 1, fig. 2. 1866. Crioceras Duvaliiù var. undulata KARSTEN. Géologie de l Ancienne Colombie, tav. 1, fig. 3. 1894. Crioceras Picteti NOLAN. Crioceras du groupe du Crioceras Duvalii, pag. 192. 1910. Crioceras Nolani KiLian. Lethaca, pag. 270, tav. 4, fig. 3, con la sinonimia. Il Crioceras Nolani KiLtan è il Crioceras descritto e fisurato dal D’ORBIGNY come Crioceras Duvalii LéÉveILLÉ. La letteratura è piena delle differenze che intercedono fra le due specie: e oggi si conviene di separare il Crioceras di D’ORBIGNY da quello più comune di LévEILLÉ, col quale fu spesso confuso. i NoLan chiamò la presente specie Crioceras Picteti ; ma poi che tale denominazione era già stata usata da OosTER per una specie diversa, KILIAN propose il nome attuale. Non è mestieri ch’io traducendo ad litteram il testo D’ORBIGNY, ripeta la descrizione di questo Crioceras noto. Osserverò solamente che le grosse coste tritubercolate e le altre secondarie sono un poco ondulate. NoLaN aveva detto che non erano mai assolutamente diritte. Un esemplare completo del M. Avena di Fonzaso di CAatuELO (Tav. XIII [VI], fig. 1) mostra che nei primi giri l’ornamentazione è uniforme. Un altro più piccolo (diametro mm. 58) del DE ZiGno, proveniente dai Sette Comuni, conserva fino a un diametro di mm. 28 circa i tre tubercoli sulle coste principali, perde poi i laterali e progressivamente riduce quelli ombelicali, tanto. che le coste principali dell’ultimo giro sono semplicemente rigonfie sull’ombilico (Vedi Tav. XII [V], fig. 8). È questo un fenomeno di convergenza di Crioceras Nolani nel più comune Crioceras Duvalii Lév., quale NoLAN aveva già osservato. Località. — M. Avena di Fonzaso (Coll. CatuLLo, Museo di Padova); dintorni di Asiago (Museo di Asiago, Tav. XII, [IV], fig. 5) ; Sette Comuni (Coll. De Zieno. Museo di Padova). Hauteriviano di M. Zomo (R.). [77] A. RODIGHIERO 113 Crioceras Quenstedti OostER. — Tav. XII [V], fig. 2. 1860. Ancyloceras Quenstedti OostER. Petr. remarg. des Alpes suisses, tome I, parte 5°, pag. 54, tav. 49, fig. 1-6. 1860. Aneyloceras Panescorsii OostER. Ibidem, pag. 45, tav. 14, fig. 1. L 1894. Crioceras Picteti var. majoricensis NOLAN pr. part. Rev. des especes et varietés de Crioceras du groupe de Crioceras Duvalii, pag. 192, tav. 10, fig. 1 a, b, d. 1902. Orioceras Quenstedti OostER. SARASIN et SCHONDELMAYER. Etude mon. des amm. du Crét. inf. de Chatel Saint-Denis, pag. 109, tav. 12, fig. 4-7. La definizione esatta di questa spece di OostER, che per la prima volta è riscontrata nel Veneto, è dovuta a SARASIN e SCHONDELMAYER. Gli esemplari in esame non sono molti e si completano l’un l’altro appena in parte. Nessuno conserva trac- cia dei primi giri. Lo svolcimento del Crioceras è lento; a un diametro di circa 1 em. coste semplici da 2 a 3 si intercalano fra due principali. Queste mostrano ben netto il tubercolo ombilicale: un’ altro più debole e tagliente è al margine esterno. Un tubercolo laterale si trova verso il mezzo dei fianchi e non è presente in tutte le coste principali: più tardi scompare a un diametro non precisabile, perchè il mio campione è incompleto. Scomparso il tubercolo laterale, spicca meglio e si accentua quello ombilicale, che permane sempre fino ai diametri maggiori. Talvolta invece di avere un vero e proprio tubercolo al margine esterno la costa’ principale si risonfia lesgermente. Tutte le coste hanno un’andamento flessuoso, che è esagerato nelle coste principali, le quali nei campioni più grandi sulla parte esterna si distanziano nettamente, permettendo a quelle secondarie di allargarsi. Le coste secondarie si intercalano fra le tubercolate in numero assai variabile fra i diversi esem- plari, e in uno stesso esemplare. Il Crioceras Quenstedti tipo ha coste principali marcate e grosse, fra le quali altre si intercalano da 2 a 4. Esse si distinguono bene sulla parte esterna, ma sul margine ombilicale si indeboliscono assai e non di rado scompaiono. i La varietà a coste fine, fitte e ben salienti ha un numero di coste intercalate che giunge anche a 6: del resto forme con coste finè si hanno col numero normale di coste semplici, essendo che la densità delle coste principali è in stretta relazione con la loro finezza e con la tendenza e flettersi meno nel decorso sui fianchi e specialmente sulla parte esterna. La lobatura è indistinta. Per le relazioni di Crioceras Quenstedti con le altre specie vesgasi il lavoro di SARASIN e SCHÒNDELMAYER. Crioceras Quenstedti OostER compare nell’Hauteriviano superiore : ma è più frequente nel Barremiano. Località. — Hauteriviano di Bertigo e Melaghetto. Barremiano di M. Malago, M. Sisemol, M. Zomo (R.). Crioceras Emerici DÉvEILLÉ — Tav. XII [V], fig. 9, 10. 1837. Crioceras Emerici LéveILLé. Description de quelques nouvelles coquilles fossiles, pag. 2, tav. 2, fig. 1. 1840. Crioceras Emerici D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 489, tav. 119, fig. 1-4. 1845. Crioceras Emerici De Zieno. Sopra due fossili etc., pag. 6, fig. 2. 1897. Crioceras Emerici Lév. (?) PARONA. Neocomiano Veneto, pag. 6, tav. 1, fig. 6. 1902. Crioceras Emerici SARASIN et SCHONDELMAYER. Chatel-Saint-Dénis, pag. 115, tav. 13, fig. 1-3, con la sinonimia. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 15 114 A. RODIGHIERO [7 8] SARASIN e SCHONDELMAYER, trattando di questa specie, ne distinsero due varietà: alla prima, varietà A, appartengono tutti i miei esemplari : nessuno è da riferirsi alla seconda, varietà B. Crioceras Emerici varietà A è povera di esemplari nel Biancone veneto. Ha svolgimento crioceratico a spirale aperta fino dal principio, ma l’intervallo che separa i giri contigui è sempre meno largo del giro che lo limita dalla parte interna. Lo stato di conservazione dei miei modelli non mi permette di studiare l’ornamentazione dei primi giri. L’ornamentazione si distinzue nettamente già quando fra due coste principali tritubercolate le coste inter- calate semplici sono circa quattro. Un esemplare frammentizio di M. Sisemol su Leghen Bertigo (mm. 44 di altezza misurata alle due estrem- mità del pezzo) è particolarmente notevole per le spiccate coste principali tritubercolate assai fitte (Tav. XII [V], fig. 9). Tutte queste coste non hanno un percorso assolutamente diritto e radiale, ma leggermente flessuoso : la flessuosità delle coste sembra essere minima nella giovane età. I tubercoli delle coste principali sono tre per ogni fianco e così distribuiti: uno sulla parte esterna, uno laterale abbastanza vicino al primo, il terzo periombi- licale e sugli ultimi giri dell'esemplare grande, lontano dalla parte interna quanto lo è il laterale dal tubercolo marginale. Tutti hanno uno sviluppo assai pronunciato, sono tozzi alla base, aguzzi all’ apice: hanno uno svi- luppo assai maggiore di quelli di Crioceras Duvalii Lév. Sull’ultimo giro del maggiore esemplare spiccano assai bene evidenti i tubercoli marginali, laterali e periom- bilicali : l’ornamentazione differisce da quella dei primi giri perchè le coste secondarie : si sono aumentate flno a circa 6 o 7. La lobatura è irriconoscibile. - Crioceras Emerici si distingue dal Crioceras Duvalvi Lév., perchè ha i giri più deviati, coste principali più numerose e salienti coi tubercoli più marcati, e coste secondarie meno serrate e meno fini di quelle di Creoceras Duvalii. Orioceras Nolani Kiian riduce con l’età i tubercoli delle coste principali e di numero e di sviluppo, e con ciò si differenzia bene dal Crioceras Emerici. Va però ricordato che questi Crioceras presen- tano eleganti casi di convergenza assai bene illustrati dal Noran. Accade perciò che non sono sempre possibili identificazioni precise di forme con caratteri intermedi. Crioceras Emerici è buon fossile Barremiano. Località. — Monte Sisemol su Leghen, Bertigo (Tav. XII [IV], fig. 9); Monfenera (Coll. Rossi, Tav. XII [IV], fig. 10); M. Zomo, M. Malago (R.). Crioceras Parolinianum De Zicno (in schaedis). — Tav. XIII [VI], fig. 7. « C. testa compressa flexuose-costata, costis dorso interruptis, tuberculatis, interdum bifidis » scrisse DE Ziano per l’originale figurato e raccolto nel Biancone della Val Frenzela nei Sette Comuni. Crioceras Parolinianum appartiene al gruppo del Crioceras Rimeri Neum. et UnL. e del Crioceras barre- mense KILIAN SIMIONESCU. Occupa una posizione isolata perchè il guscio è discoidale compresso : i giri hanno esiguo spessore ; una or- namentazione piuttosto vigorosa, assai più uniforme per l’attenuato contrasto fra le coste principali e quelle secondarie, e numerose coste biforcate al nodo ombilicale, più rare ai tubercoli mediani. Le coste principali si differenziano meglio da quelle secondarie nei giri più interni, ma non mi è possibile af- fermare se nei primissimi non discoperti dell’esemplare più piccolo dell’Asiaghese, le coste fossero dapprima ‘tutte fra loro eguali. Comunque a una costa primaria tritubercolata se ne frappongono una o due altre più sottili, coi 3 tubercoletti assai esigui. Crescendo d’età le coste secondarie vanno ingrossando tanto [79] A. RODIGHIERO 115 che raggiungono più o meno presto la forza di quelle principali, sì che è malagevole una distinzione delle due sorta di coste. Anche le dicotomie sembrano mancare o essere rare nei primi giri e in progresso di tempo farsi più frequenti. Sono poi la regola per quella porzione dei giri in cui i tubercoli tendono a scomparire. Quando i tu- bercoli sono ancora ben evidenti, una delle due coste divise funge da principale. Fra i tubercoli i primi a scomparire sono quelli mediani: la loro serie si sposta dal terzo esterno dei fianchi alla metà e progressiva- mente si attenua : nella migrazione sul primo tempo il tubercolo sdoppiato occupa su una stessa costa le due stesse posizioni. _ i Intanto le coste acquistano un andamento flessuoso poi si fanno uniformemente larghe, il nodo ombelicale si riduce a proporzioni modeste, e quello esterno che termina la costa assai obliqua all’innanzi, si allunga e sì restringe lungo la costa stessa. p La breve e liscia carena, infossata dapprima fra una corona di nodi salienti e ineguale sull’ultima metà del giro, raccorda nella linea sifonale i rilevati prolungamenti delle coste, fino a che essi non la coprono del tutto disegnandovi un acuto seno proverso. Dal Crioe. barremense KiLIAN e dall’altro Crioceras di Gardenazza, illustrato da UHLIG, e che Stmionesc riu- nisce col Cr. barremense, questa bella specie di De Ziano va distinta perchè ha anche a diametri minori ornamen- tazione più uniforme, il guscio è ancora più sottile e vi sono coste di regola dicotome; nè presso i citati Crioceras sulla parte esterna v'è accenno che le coste debbano fare ponte. Crioceras Roemeri N. et U. è anche molto più grosso : ma ha coste di due sorta ben distinte e solo in via ecce- zionale dicotome. Esse poi sono meno flessuose, hanno una ampia concavità proversa e sui fianchi conser- vano le asuzze punte. Inoltre dei due tubercoli esterni uno solo in progresso di tempo resta nel mezzo della regio- ne sifonale a sostenere il giro seguente del guscio, l’altro essendo respinto sui fianchi e in seguito ridotto. Così che anche in Crioceras Roemeri la parte esterna è attraversata da coste continue, ma ciò accade a un maggior diametro, persistendo i tubercoli e le due sorta di coste, che vi formano un seno assai meno acuto. Ho riprodotto (Tav. XIII [VI], fig. 7) l'esemplare del Biancone di Val Frenzela : un esemplare dell’ Asiaghe- se giovanile a coste fitte e esualmente sviluppate si conservava nel Museo d’Asiago. . Crioceras Roemeri Neum. et UnLIic. (= Cr. contiguum DE Zicno in sch.).—— Tav. XIII [VI], fig. 8. 1881. Crioceras Roemeri Neuwm. et UnLIG. Hilsbildungen Norddeutschlands, pag. 187, tav. 42, fig. 1; tav. 55; tav. 56, fig. 5. 1902. Crioceras Roemeri Von KoENEN, tav. 16, fig. 5. Di questa bella specie si conservano esemplari dei dintorni di Asiago, dei quali uno nelle collezioni dell’Università di Padova, e pochi altri nella raccolta CarEGNATO. I primi giri appena si toccano. Sono ornati da costuline discretamente fitte e sottili, oblique all’innanzi, eguali fra loro e inermi. Alcuni pochi solchi le dividono in gruppi progressivamente più ampi. Sembra che i solchi stiano a rappresentare le coste maggiori .al più piccoli diametri, essendo che si succedono a intervalli proporzionali ai successivi compresi fra le coste primarie. A un diametro di circa 6 mm. compaiono queste coste tritubercolate; un leggero gonfiore, più o meno appariscente, è presso il margine ombelicale; una serie mediana di tubercoli ben distinti è oltre la metà dei fian- chi, più vicino all’ultima, sita a lato della parte esterna. Tre o quattro coste secondarie alternano con una principale. Appena si inizia lo svolgimeno crioceratico (intorno un diametro di poco superiore a un cm.) anche esse si provvedono di un molto esiguo tubercolo esterno. Successivamente le coste principali e il numero delle secondarie intercalate si riduce a 2 o 3 e alcune di queste portano un tubercoletto mediano : talune poi acqui- stano più tardi il terzo tubercolo all’ombilico. 116 A. RODIGHIERO [80] L'originale del De Zieno a un diametro di circa 456 mm. mostra fra due coste principali ben sviluppate, una o due — coste minime secondarie tritubercolate, frappostea una secondaria mediana non molto meno sviluppata delle prin- cipali. Quile coste nascono dalla sutura inermi, si piegano all’indietro e dal nodetto ombilicale con ampia curva concava all’innanzi raggiungono la parte esterna e vi disegnerebbero un acuto seno proverso se non fossero in- terrotte da una carena mediana, infossata fra i nodi esterni e liscia. Le coste sui fianchi hanno talora figura di una spezzata coi vertici nei nodetti a larga apertura proversa. Osservo qualche rarissimo caso di coste bifor- cate secodarie al nodo ombilicale. Lo svolgimento crioceratico si inizia per tempo, ma ora procede molto lentamente, ora è più rapido; man mano che procede si scorge la serie mediana dei tubercoli spostarsi lentamente verso la metà dei fianchi, ferme rimanendo le altre due. Nei primissimi giri l’ornamentazione dei miei modelli è assai più intatta che negli esem- plari tedeschi, che forse ai piccoli diametri sono stati ricostruiti. I piccoli esemplari di Crioceras Roemeri N. et U. illustrati a tav. 42 fig. 1 e a tav. 56 fis. 4 della Palaeonto- graphica, e l’altro che KoENEN effigiò a tav. 16 fig. 5 offrono tali affinità coi miei e sommano in sè tutte le varie foggie dell’ornamentazione sopra descritta e gli stessi gradi nello svolgimento, ch'io non esito a confondere i due miei campioni con la specie di Neumayr e UELIG. Se si pensa che già nel 1846 De Ziano li aveva distinti con nome di Crioceras contiguum, e’ è da ram- maricarsi che la priorità della distinzione non gli spetti, essendo che non abbia illustrato a tempo la fauna neo- comiana veneta, come aveva promesso. Le differenze con le forme vicine sono discusse trattando di Crioceras Parolimiamum De Zieno. Località. — Dintorni d’Asiago (Coll. De Ziano, M. di Padova), Enego (R.). Crioceras cfr. pulcherrimum D’ORBIGNY. — Tav. XII [VI], fig. 3. 1840. Ancyloceras pulcherrimum p’OrB. Oéph. erét., pag. 495, tav. 121, fig. 3-7. 1860. Ancyloceras pulcherrimum OostER. Pètr. rémargq. des Alpes Suisses, 5 parte, pag. 23, tav. 35, fig. 1-5; tav. 36, fig. 1-6. 1889. Crioceras pulcherrimum HaAuG. Puezalpe, pag. 210. 1890. Orioceras pulcherrimum PARONA. Sopra alcuni fossili del Biancone Veneto, pag. 23. 1902. Orioceras pulcherrimum SarasIN et ScHònDELMAYER. Amm. du crétacique inférieur de Chatel-Saini-Denis, parte 2, tav. 17, fig. 5; tav. 18, fig. 3. La collezione De Zicno offre una impronta di cui feci buon modello in gesso: la spira vi è poco visibile ma è molto piccola, il ramo ascendente è gracile ed è conservato bene tanto che l’ornamentazione delicatissima a costicine fini e numerose con decorso obliquo indusse il De Ziano a raccogliere il suo esemplare sotto il nome di Crioceras pulcherrimum. Ma il pezzo è monco, non conserva l’uncino e una parte del ramo ascendente: di più frale costicine tutte eguali vi si scorgono a metà due cercini più rilevati, separati da un breve solco, aventi andamento analogo. Per questo e per la più forte curvatura del ramo ascendente del Crioceras pulcherrimum, credo prudente di iscriverlo nelle liste dei fossili neocomiani veneti con qualche riserva. Località. — Monfenera (Coll. De Zieno, M. di Padova) ; Cave di Pove (Coll. BALESTRA). Crioceras forcatum D’ORBIGNY. RopIGHIERO scrisse questo nome nel cartellino di un esemplare di Rubbio appartenente alla Collezione Ba- Lestra nel Museo di Padova, che era prima indicato come Ancyloceras simplex D’ORBIGNY. [81] ( A. RODIGHIERÒ 117 Aneyloceras sp. n. 1). Il MassaLonGo raccolse nel Veronese e donò al De Zicno che lo classificò come Hamites sp. n. questo bel frammento di ammonite evoluta, che si avvicina assai al Crioceras dissimile D’ORB. emend. UBLIG (Wernsdorfer Schichten, pag. 269, tav. 25, fig. 2-4, con la sinonimia) e al Crioceras Tabarelli AstiER (UnLIG. Wernsdorfer Schi- chien, pag. 268, tav. 28, fig. 2. — SARASIN et ScHONDELMAYER. Chatel-Saint-Denis, parte II, pag. 127, tav. 15, fis. 3, con la sinonimia). Ma l'accordo con una di queste specie non è soddisfacente : e, come già riconobbe il DE Zieno, qui si tratta di una nuova forma per la quale sarebbe opportuno proporre una nuova denominazione, se l’esem- plare fosse appena più completo. In confronto col Crioceras ridescritto ed emendato da UntLIG, anzitutto la sezione è affatto diversa. La bocca .è alta poco meno che larga col massimo spessore circa alla metà dei fianchi e con la parte esterna regolarmente e ampiamente arrotondata. La sezione è così quasi circolare, un po’ appiattita dal lato interno. Nel Crioceras dissimile essa invece è depressa, molto più alta che larga, angolosa sui fianchi, ove sporgono i tubercoli interni ‘e dove è maggiore lo spessore. Di Crioceras Tabarelli non conosco la sezione. Il moncone del bastone diritto, dal lume più ristretto ere- scente con regolarità, conserva un’unica grande costa tritubercolata interrotta. sulla parte esterna. Il nodo in- terno è sul margine angoloso dei fianchi, il secondo mediano è fra gli altri più sviluppato; è più vicino al primo che al terzo esterno e in corrispondenza di quello si misura lo spessore maggiore del tubo. Due coste secon- darie, inermi, più deboli separano la costa principale tritubercolata dalle altre due maggiori, prive di tubercolo esterno alternate con una costa semplice all’innanzi. Nei due tubercoli laterali superstiti si raccolgono in fa- scetti di 3, e poi due coste, sulla parte esterna non diverse dalle secondarie intercalate e descriventi un ana- logo e ampio seno proverso. Scomparsi i tubercoli laterali, l’unico superstite e non molto forte è il nodo interno; ai due primi che seguono si allacciano 3-4 coste della stessa forza di quelle secondarie libere. Ora 3 cercini ingrossati limitano nel ferro di cavallo la porzione ricurva del bastone da quella piegata ‘all’ingiù dell’uncino: essi conservano an- cora una lieve traccia del tubercolo laterale : due più interni si riuniscono all’originale dei fianchi: e dalla banda esterna il terzo a mezzo i lati del tubo si biforca, e origina una costa breve assai più ridotta. Sull’uncino sus- seguono fasci di 3 e 4 coste, annodati al tubercolo interno : e raggiunto un discreto risalto sulla parte esterna che attraversano rettilineamente, riducono il loro numero a sole due coste. La parte interna del tubo o è liscia a cagione dell’usura o attraversata da fusi di costuline d’ineguale forza, che descrivono un ampio seno proverso, e si ricollegano ai lati coi prolungamenti delle coste secondarie o dei nodi interni. i Al Crioceras dissimile compete una variabilità notevole dell’ornamentazione, tale che comprende fra i tipi più lontani quello proprio dell'esemplare che studio ; ma in esso gli ornamenti sono tutti meno grossolani, più delicati e salienti: inoltre sull’ uncino sono meno stipati e terminano in tubercoli assai meno grossi e persistenti. Il disegno offerto dal D’ORBIGNY pel suo Hamites dissimilis (tav. 130, fig. 4-7) mostra per una ornamenta- zione meno vigorosa una densità anche più considerevole dei fasci: e l’ispezione semplice del tipo di UnLIG basta a distinguere quella specie dalla mia. In Crioceras Tabarelli le coste primarie tubercolate non si spingono tanto vicino al ferro di cavallo, e in iden- tica posizione le coste sono più sottili, fra loro eguali, e sensibilmente più sdraiate sulla orizzontale. La parte x i) Proponiamo per questa specie che l’Autore non denominò, il nome di Ancyloceras Rodighieroi DE STEFANI. 118 A. RODIGHIERO [82]: esterna è attraversata sempre dalle coste radiali : e la parte interna ha fusi di linee con seni più accentuati e pro- versi. Sull’uncino i fascetti si compongono costantemente di 2 coste. Nè in questa specie di AstreR nè in quella citata innanzi furono osservati cercini peristomatici, che separino nel ferro di cavallo il bastone dall’uncino. Anceyloceras Matheronianum D'ORE. 1840. Ancyloceras Matheronianus D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 497, tav. 122. 1889. Ancyloceras Matheronianum HauG. Puezalpe, pag. 216. 1910. Ancyloceras Matheronianum KiLian. Lethaea, tav. 10, fig. 7. Un esemplare di dimensioni medie, trovato nei dintorni di Fonzaso, corrisponde assai bene al tipico Ancy- loceras. Matheronianum figurato dal D’ORBIGNY. Sul bastone coste principali, bitubercolate sui fianchi e con un terzo nodetto ai lati della parte esterna, si frappongono in modo conforme ad altre semplici, molto fini e attenuate dalla corrosione. Sull’uncino l’intervallo fra le grosse coste principali è liscio, e i tubercoli si affievoliscono a tutto vantaggio. delle coste. La curvatura del mio campione si accorda soddisfacentemente con la figura di p’ORBIGNY. Aneyloceras Duvalianum D’ORB. (= Aneyloceras nodosum CATULLO). — Tav. XII [V], fig. 7. 1840. Ancyloceras Duvalianus D’ORBIGNY. Céph. crét., pag. 500, tav. 124. 1846. Ancyloceras nodosus CATULLO. Prodromo, pag. 153, tav. 9, fig. la,b,c. Ho posto in sinonimia con Anciloceras Duvalianum D’ORB. 1 Aneyloceras nodosus CATULLO, perchè con un opportuno isolamento dell’originale ho potuto mettere in evidenza un buon carattere diagnostico : cioè, che le coste trasversali sono provviste di tre tubercoli contrariamente a quanto riferì il Carurro che ne contò uno solo. i i L’esemplare di CatutLO è allo stato di modello interno schiacciato e molto corroso : consta di una piccola. parte del ramo ascendente e dell’uncino quasi al completo. La conformazione e ornamentazione corrispon- dono benissimo con quelle della specie di D’ORrBIGNY. Le coste trasversali sono molto grosse, interrotte sulla parte interna ed esterna e con gli intervalli lisci. Ciascu- na possiede tre tubercoli: uno laterale, ben rilevato vicino al margine interno: l’altro rigonfio e rotondeggiante alla fine dei fianchi, e il terzo esterno, un po’ allungato nel senso della spira. Gli ultimi due sono vicinissimi tra. loro. > La parte interna è molto ripida, la parte esterna è convessa fortemente. La sezione del giro è ellittica: la cur- vatura del tubo corrisponde a quella dell’ Ancyloceras Duvalianum D’ORB. CarurLo afferma di avere raccolto l’esemplare nella « calearia rossa ammonitica di Salazaro presso le Sine nel Veronese ». Invece è indubbia specie neocomiana. i Aneyloceras cfr. Urbani NEum. et UHL. — Tav. XIII [VI], fig. 2. 1981. Crioceras Urbani NeumayR et UnLIG. Hilsbindungen, pag. 190, tav. 49, fig. 3; tav. 50, fig. 1. Ho fotografato un moncone di Ancyloceras che proviene da Lamon nel Feltrino. Trattandosi di un fram- mento dell’uncino e della parte ricurva del bastone o ramo ascendente una determinazione sicura non si può. fare perchè gli Ancyloceras presentano una ornamentazione talora uniforme anche vicino alla bocca. [83] A. RODIGHIERO 119 Così è di un più piccolo campione, raccolto nei dintorni di Fonzaso dono del Dott. Facen al Museo di Pa- dova: questo conserva una discreta porzione del bastone e alcuna parte dell’uncino. Fra un numero di coste secondarie inermi, che progressivamente si riduce da 7 a 4, susseguono sul tubo diritto tre coste primarie. Esse portano tre tubercoli; uno è sito al primo pezzo dei fianchi, l’altro più grosso è al margine, il terzo sulla parte esterna. La parte interna è affilata per lo schiacciamento subìto e la costa primaria le invia un breve prolungamento inclinato all’ indietro. La parte esterna, malconcia e deforma ta, non permette di vedere se le coste primarie già a mezzo del bastone diritto l’ attraversano da banda a ban- da. Ma la terza punta delle coste, che ha dapprima un esiguo sviluppo, vicino la porzione ricurva del bastone acquista una forza sensibilmente maggiore e un cercine ben rilevato la ricongiunge alle altre due punte, essendo che le depressioni internodali scompaiono e la grande costa si rilevi a mo” di cresta, e raggiunto il maggiore ri- salto, riduca poi sull’uncino i tubercoli. Le grandi coste si susseguono sul bastone a intervalli proporzionali e inclinate all’innanzi proprio come nell’esemplare illustrato da KoEewEN alla fig. 2 di tav. 43., la cui parte esterna del bastone è disegnata al num. 1 di tav. 42. i Le rassomiglianze con l'esemplare tedesco mi sembrano così strette, che se si disponesse di un campione ap- pena un po’ meglio conservato, la determinazione di Ancyloceras Urbani potrebbe ritenersi soddisfacente. ‘Tanto più che per quel poco che è conservato della parte esterna del ferro di cavallo si vede che la sezione va regolarmente crescendo fino al suo mezzo, secondo il disegno di KoENEN, e poi accena a degradare. Gli esemplari della mia nuova specie non nominata, descritta prima, differiscono essenzialmente da quest’ul- tima che ora studio, perchè qui sul tubo diritto le coste, appena compaiono, sono tritubercolate : la frequenza delle coste primarie poi sembra minore. Il disegno dell’originale di NeumayR ed UnLIG di tav. 44, fig. 3 calza a puntino per lo studio di un altro più gigantesco moncone di Aneyloceras, raccolto a Lamon nel Bellunese. La parte esterna non è punto conservata, e il ferro di cavallo è così incompleto che ne è difficile stabilire l’appartenenza alla specie Ancyloceras Urbani o a qualche altra. Intanto è da osservare che lo sviluppo delle grandi coste nella regione curva del ferro di cavallo, la loro distanza e il loro numero trovano un buon confronto solo con Ja succitata figura dei due paleontologi viennesi. Lo sviluppo dei tozzi tubercoli e l’accentuata depressione è della stessa foggia. I tubercoli marginali appaiono nel mio campione pizzicati sul senso della spira; quelli più interni più ridotti sembrano compressi in direzione normale ai lati. Ma la forte corrosione delle punte più grosse al lato esterno può contribuire a dare loro l’aspetto che si dispon- gano con la maggiore larshezza di traverso alle più interne. Località. — Lamon, Fonzaso (M di Padova). Ancyloceras cfr. Renauxianum D’ORB. — Tav. XIII [VI], fig. 5, 6. La corrispondenza con le specie estere di Ancyloceras non è soddisfacente pei due più grossi monconi di An- ‘ceyloceras trovati nel Veneto, l’uno raccolto nelle vicinanze di Feltre (fig. 6) l’altro in località incerta dei Sette Comuni (fig. 5). Tutti e due sono stati cavati da un calcare selcifero marnoso cinericcio, duro, che per il Rossi rappresenta nella Monfenera il livello Aptiano con A. Matheronianum e Cr. Duvalii. Malauguratamente io dispongo solo dell’uncino e della porzione ricurva del bastone. Il tubo diritto sembra fosse striato da banda a banda da coste secondarie semplici: ogni 4 o 5 alterna una costa principale. Le prime portano sui fianchi due deboli nodi, che progressivamente acquistano forza di ' 120 A. RODIGHIERO [84] grossa e acuta spina e degradano poi sull’uncino. La serie più interna è la meno sviluppata : è sita poco oltre il primo terzo dei fianchi: La distale fiancheggia la parte esterna, la quale è ampiamente e regolarmente arroton- data nell’esemplare più intatto raccolto a Feltre. È Un fuso di tre (anche quattro ?) coste eguali all’altre secondarie ricollega attraverso la parte esterna i due tubercoli marginali. Sul tubo ricurvo l’esemplare feltrino ha un rapido seguito di coste primarie: quello dei Sette Comuni ha dette coste più rade e negli intervalli riceve ancora 3 o 4 coste secondarie. Poi anche quando sull’uncino si infittiscono, gli intervalli rimangono completamente lisci. Le coste primarie sui fianchi del tubo diritto si avvallano fra i tubercoli e inviano prolungamenti cuneiformi corti e smussati sul margine arrotondato interno. Sul tubo ricurvo le depressioni intertubercolari diminuiscono e la ‘costa principale tende a rialzarsi. Correlativamente sulla parte esterna nascono entro il fuso due aguzze punte coniche site ad un terzo dal grosso tubercolo marginale corrispondente. Scompare in seguito il fuso, le due punte acquistano forza e un risalto considerevole e un cercine le congiunge alle coste primarié dei fianchi. Così tutto un grosso cingolo con 6 tu- bercoli restringe da banda a banda il tubo, essendo solo interrotto nella regione interna. Sull’uncind, i 6 tubercoli riducendosi, il cingolo acquista maggiore risalto e individualità, e s° innalza a mo? di acuta cresta sulla regione esterna. Infine anch'esso si attenua: 6 deboli, esigue e basse punte seguono i vertici della spezzata che li collega e infine resta un cercine inerme mediocre, assai ridotto, il quale invia sulla parte interna prolungamenti inclinati all’innanzi, che tendono a raccordarsi in angolo acuto sulla linea mediana. JI lume del tubo è maggiore in corrispondenza del fuso con le due punte interne. Qui la sezione è ovale e la regione esterna ha un’ampia curva e la curva di là progredendo sull’uncino, il lume sirestringe quasi sotto la morsa dei cingoli continui che si vanno costituendo. La sezione tende alla figura di una ellissi: i fianchi piatti si raccordano ad angoli vivi con la parte interna e quella esterna egualmente ampie. La distanza fra le due serie marginali di tubercoli va così diminuendo ; poi esse vengono come respinte sui fianchi dalle serie attisue di tubercoli esterni, che prima di scomparire sull’uncino fiancheggiano i lati della parte esterna assai ridotta. i Dall’ Aneyloceras Matheronianum ambedue gli esemplari differiscono perchè sull’ultima porzione del bastone ogni due o tre coste secondarie alterna un cercine tritubercolato, interrotto soltanto sulla regione interna. Nè questa specie del p’OrBIGNI ingrossa i tubercoli sul bastone ricurvo ; prima anzi che incominci l’ uncino, già - tende a ridurre progressivamente i cercini con un’anticipazione in confronto dei miei esemplari. Affinità maggiori io scorgo con quegli Ancyloceras i quali sulla.porzione spirale e sul bastone hanno omna- mentazione uniforme, e presso il tubo ricurvo si adornano di grosse coste or più or meno presto tritubercolate frapposte a secondarie inermi e più deboli e che sull’uncino poi progressivamente si riducono. Precisamente: i miei esemplari ricordano in ciò A. Renauzianum D’ORB. e A. Urbani N. et U. Ma da questa ultima specie debbonsi ritenere distinti perchè in essa già nel tubo diritto, appena nascono fra le coste secondarie inermi, le grandi coste sono tritubercolate, nè si stipano così l’ un presso dell’ altra sul- l’uncino. Si vegga pel confronto l'esemplare visto dalla parte esterna del bastone, figurato da von KoeNEN alla tav. 42, fig. 1, e visto di faccia alla fig. 2 di tav. 43. - Conviene notare però che gli originali di NeumayrR e Untic sul ferro di cavallo hanno un numero maggiore di grosse coste, tale che, se pur non: raggiunge quello del mio esemplare feltrino, certo si accosta molto all’ altro raccolto nei Sette Comuni. Dunque una certa quale variabilità del numero delle grandi coste sul ferro di cavallo è ammessa dagli altri per le forme degli Ancyloceras esteri. Questa osservazione mi sarà utile nella discussio- ne che segue. È [85] A. RODIGHIERO 121 “ NeumayR ed UntLic, descrivendo l’ Ancyloceras Urbani a pag. 191 del loro lavoro imputano al D’ ORBIGNY certo quale arbitrio nella ricostituzione della figura del suo Ancyloceras Renauzianum; ma Kiian e gli altri autori francesi tacciono in proposito. Disponendo della sola figura di v’ORBIGNY osservo appunto sul ferro di cavallo che le grandi coste si originano tutte come negli esemplari veneti. La gran costa è dapprima limitata ai fianchi ed ha due tubercoli: successivamente sulla parte esterna nascono due altre punte isolate dap- prima e poi recinte alle laterali da un cercine continuo, che sull’uncino si rileva a tutto svantaggio dei tuberco- li e poi si riduce di spessore e quasi è fatto inerme. Il mio esemplare dei Sette Comuni mi sembra possa riferirsi a questa specie del ’OrBIGOY per quello che dalla sua figura si scorge e se si voglia attribuire ad usura la scomparsa delle coste secondarie inermi sul- l’uncino e la conseguente larchezza degli intervalli fra i cercini primari. Più difficile mi sembra ricondurre l’esemplare feltrino all’originale di D’ORBIGNY, per le grandi coste così sti- pate l’una presso dell’altra. L'attribuzione potrebbe giustificarsi ricordando quanto fu osservato in proposito per Ancyloceras Urbani ; ma fino a che non si disponga di nuovo materiale più completo mi sembra più plausibile e prudente un riferi- mento all’Aneyloceras Renaurianum quale ho proposto a capo della descrizione, non assoluto e definitivo. Tanto più che nel Veneto sembra rappresentata anche la forma di NeumavR e UgLIG, che ho sopra illustrato. Altri frammenti provengono dalla Val del Tempio di Possagno. Toxoceras elegans D’ORB. — Tav. XIII [VI], fig. 4. 1840. Toxoceras elegans D’ORB. Oéph erét., pag. 477, tav. 177, fig. 1-5. 1912. Crinceras elegans SARASIN et ScHonDELMAYER. Ohatel-Saint-Denis, parte II, pag. 122. Tosoceras elegans con tutta probabilità presenta un dimorfismo quale ad esempio intercede nei Lytoceratidi fra Costidiscus recticostatus e Macroscaphites Ivanii. Esso ha ora svolgimento crioceratico, come nell’ esem- plare di SARASIN : ora uno svolgimento toxoceratico, come nella forma tipo di D’ORBIGNY. Il mio graziosissimo esemplare della Val di Sacco (coll. De Ziano) si accorda molto bene col Tozoceras ele- gans della « Paléontologie frangaise ». Ha coste tritubercolate con rilievo non molto accentuato in confronto delle secondarie che si intercalano in numero di 10-15 fra le principali, e con tubercoli a sviluppo moderato. Quello sulla parte esterna è spinoso : iltubercolo laterale è nel terzo ultimo dei fianchi : l’altro è situato poco sopra il margine della parte interna. Località. — Val di Sacco. Barremiano di M. Sisemol (R.) . Toxoceras Winkleri De Zicno (in schaedis). — Tav. XIII [VI], fig. 3. Un frammento di Tozoceras del Neocomiano di Conco fu dal De Ziano dedicato al « dott. WinkLeRr di Mo- naco ». To devo fare parecchie riserve sull’opportunità di creare una nuova specie per un frammento mal conser- vato e coi caratteri ornamentali indecifrabili. Toxoceras Winkleri allo stato adulto ha sezione ellittica gina Coste rettilinee, indivise passano ininterrot- te da una parte all’altra dei fianchi. Tutte, al margine esterno, portano un tubercoletto allungato nel senso della spira. Detti tubercoletti hanno sviluppo un poco ineguale: e ciò forse dipende dalle condizioni diverse di conser- vazione. Alcune coste, proprio quelle più evidenti, sembrano possedere un secondo nodetto sul terzo esterno dei fianchi. Palacontographia italica, vol. XXV, 1919. 16 122 A. RODIGHIERO [86] Toroceras Winkleri ha qualche rassomiglianza con Aneyloceras Orbignyanum Marafron di Puez (HauG. Puezalpe, pag. 215, tav. 11, fig. 5). Ma, a parte lo svolgimento un po’ diverso, che si potrebbe intendere quale un dimorfismo frequente nelle specie vicine, la forma di HauG ha coste di due qualità. Eguali nello sviluppo sulla parte esterna, ed egual- mente provviste di un tubercolo, alcune sono semplici sui fianchi, altre sono provviste di un nodetto vicino alla parte interna e di un secondo sul terzo esterno, il quale scompare col crescere dell’individuo. Le coste, liscie sui fianchi, si indeboliscono vicino al lato interno. i La sezione infine è più angolosa sui margini. Ma le stesse ragioni che mi trattengono dall’assegnare un valore di specie al nuovo nome di DE Zieno (ra- gioni inerenti al cattivo stato di conservazione) non permettono ch’io proponga la riunione di Toroceras Win- kleri al Toroceras di HAuc. Toxoceras Cornuelianum D’ ORB. Questo nome porta un T'ozoceras di Enego, nel Museo di Padova con cartellino compilato dal RopiGHnIERO. Nel- le collezioni studiate giacciono numerosi resti di Crioceras, Ancyloceras e Toxoceras, che non hanno ancora una indicazione precisa perchè sono troppo male conservati, o incompleti. È sperabile che nuove ricerche in campagna forniscano altri esemplari determinabili, col cui confronto si possano identificare queste forme ancora isnote. [87] i A. RODIGHIERO INDICE PREFAZIONE è ; PARTE CapiToLO I. Principali divisioni del sistema cretaceo nel Veneto Occidentale . CapiToLO II La successione dei piani cretacei nell’ Altipiano d’ Asiago CapiroLo III. La fauna neocomiana dei dintorni di Gallio CapitoLo IV. Probabili condizioni batimetriche del mare cretaceo nel Veneto Occidentale Prospetto dei piani cretacei del Veneto Occidentale Prospetto dei piani cretacei degli Euganei Prospetto dei piani cretacei del Veronese Prospetto dei piani cretacei del Val d’ Agno Prospetto dei piani cretacei del Bassanese Prospetto dei piani cretacei del Trevigiano Prospetti dei piani cretacei del Bellunese PARTE II. La fauna neocomiana del Veneto occidentale Phylloceras semisulcatum 0 ; » infundibulum e Phyl0loceras ladinum » Winkleri » Thetys i Lytoceras quadrisulcatum » Honnoratianum » cfr. Juilleti » subfimbriatum » densifimbriatum pas. 123 27- [1] _ 39-[3] 43 - [7] 47- [11] , 124 A. RODIGHIERO Lytoceras Phestus raricinctum cfr. raricinctum ha (Tetragonites) Duvalianum Costidiscus recticostatus . ) sp. ind. aff. Costidiscus nodostriatus Pictetia longispina . ») imermis Hamulina sp.. Silesites Seranonis . ) vulpes : - : Haploceras (Lissoceras) Grasianum . Astieria Guebhardi . Catulloi Balestrai Paronae De Stejami psilostoma . Dal Piazi . Spiticeras gratianopolitense » retrocostatum . polyptroptychum Paronae. 2 De Toni Polyptychites Meneghini. » 2 sp. ind. Mortoniceras Roissyanum 2 Saymoceras verrucosum ? . Pulchellia pulchella Desmoceras sp. Puzosia cîr. Neumayri . Spitidiscus intermedius . ) incertus Holcodiscus seunesiformis » Caillaudianus ? Douvilleiceras mammillare Hoplites e generi affini . Neocomites neocomiensis . » occitanicus Parahoplites angulicostatus Berriasella Calisto var. . Kilianella Roubadi DI » var. retrocostata » 76- DI » » )) » » 79- » 80- » » » » » 81- » » » 82- »)] » » » » 853- » 84- » 86- » 87- » 88- » » » 89- » 90- » 91- » 92- » 94- Vo) » 95- » 96 - » 97- "40) » » 98- » » » 99 - » » » 101 - » » » 102 - » » » » » 103 - » » » 104 - » 105 - » 106 - [88] [40] [42] [43] [44] [45] [46] [i] [48] {50] [51] [52] [53] [54 [55] [56] [58] (9) [60] [61] [62] [63] [65] [66] [67] [68] [69] [70] ‘ [89] A. RODIGHIERO Thurmannia cfr. Thurmanni . Hoplites epimeloides SANE » Paquieri » Seccoi Crioceras Duvali » Nolani » Quenstedti c » Emerici » Parolimanum » Roemeri » cfr. pulcherrimum » forcatum . 2 Ancyloceras sp. n. (Rodigheroi) » Matheronianum » Duvaliamum » cfr. Urbani . » cfr. Renauzianum Toxoceras elegans » Winkleri » Cornuelianum 125 » 106 - [70] » 107 - [71] » 108 - [72] » » » » 110- [74] » 112 - [76] » 113 - [77] » » ») » 114 - [78] » 115 - [79] » 116 - [80] RAI] » 118 - [89] ) » » bi » » a » 119 - [83] » 121 - [85] » » » » 122 - [86] da Va d PET agi agito PISO 7 pui N I 4 ONTO G. STEFANINI FOSSILI DEL NEOGENE VENETO = PARTE SECONDA BRACHIOPODA - ECHINODERMATA Tav. XIV, XV [VIII, IX], e Fig. 44-18 interc. PREMESSA La prima parte della illustrazione paleontologica del Neogene Veneto abbraccia i Vertebrati, gli Artropodi e i Molluschi, e fu pubblicata nel 1917 nelle Memorie dell’Istituto geologico della R. Università di Padova, sotto gli auspici del prof. G. DAL Praz, al quale mi legano perenni vincoli di riconoscenza e di affetto. Questa seconda parte comprende i Brachiopodi, gli Echinodermi e le conclusioni generali di tutto il lavoro. Seb- bene pronta fino da allora, anzi, fino dal 1913 (quando la memoria sul Terziario Veneto di FABIANI € STEFANINI, nella quale questa era compresa, fu premiata al Concorso di fondazione Querini-Stampalia), essa non potè per varie ragioni tener dietro immediatamente alla prima e da quel giorno è rimasta giacente, dapprima per le fortunose vi- cende della guerra, che assorbirono tutte le energie degl’ italiani, poi per le condizioni penose del mercato librario. Essa vede oggi la luce, sotto altra veste della prima parte, grazie all’appoggio dei professori C. DE STEFANI e M. CanAVARI, ai quali desidero esprimere anche pubblicamente i sensi della mia viva gratitudine. Brachiopoda. Tra i brachiopodi terziari italiani illustrati dal Davipson *) se ne hanno due specie mioceniche, una delle quali, raccolta dal Bayan nell’Aquitaniano vicentino, fu descritta da quell’autore come Argiope (?) rova- ° sendina, |’ altra raccolta dal MicHeLOTTI a Santa Libera di Malo fu ascritta all’ Argiope decollata CaEMN. Nella sua Monografia il FABIANI °) preferì attribuire le due specie al gen. Megathyris. To sono in grado di aggiungere al breve elenco una terza specie miocenica, che raccolsi in Friuli e che mi resulterebbe nuova: la Terebratula De-Tonti, della quale ebbi già ®) a pubblicare la diagnosi. 1) Davipson. Ital. teri. Brach. III, 1870. ?) FABIANI. Brach. tere. Veneto, 1914. 3) STEFANINI. Specie nuove Veneto, 1915. 128 G. STEFANINI [2] Ord. Articulata. Fam. Terebratulidae. Terebratula De - Tonii sp. n. — Tav. XV [IX], fig. 8,9. Conchiglia di piccola statura, quasi piriforme, dilatata, subtroncata sulla fronte; valva ventrale fortemente rigonfia, valva dorsale assai meno convessa, sfuggente nella parte mediana della regione frontale, un po’ più rigonfia, sporgente, uncinata nella regione umbonale. Mancano vere pieghe, ma la valva dorsale si fa con- vessa ai lati, per modo che la commessura frontale, leggerissimamente curva nel tratto mediano, si incurva marcatamente ai due estremi, per dar luogo ad una commessura laterale quasi rettili- nea, sensibilmente obliqua. Questo carattere la fa ravvicinare un De al sottogen. Glos- dii sothyris Douv.; io però la ritengo ancora una Liothyrina. ; Dimensioni : lunghezza 16 mm. ; larghezza 14 mm. ; spessore mm. 9. 5. Diversi esemplari, non tutti ben conservati, ma tutti, a un dipresso, delle mede- (SS sime dimensioni Questa piccola specie ha qualche affinità specialmente con la 7°. (Liothyrina) miocae- Pr. 14. nica, ma non è difficile riconoscerla per la sua valva dorsale molto meno rigonfia, per i la forma più corta, più dilatata frontalmente, pel forame piccolo e soprattutto per la commessura frontale sinuosa, non regolarmente arrotondata, come, dalle diagnosi, apparisce essere nella 7. miocaenica. Per alcuni di tali caratteri, particolarmente quelli relativi al forame, si ravvicimerebbe meglio alla 7. anceps, gli altri però non corrispondono. Alla T. vitrea fu ravvicinata dal Dr AressAnDRI anche una piccola specie del Miocene inferiore di Acqui; essa differisce assai dalla nostra per avere la valva dorsale molto rigonfia, quella ventrale, invece, quasi piana, il forame largo ecc., e ricorda piuttosto la 7°. rovasen- diana Sec. 0, almeno, certe sue varietà del Miocene piemontese, illustrate dal Sacco. Dedico questa specie al collega carissimo dott. Anronio DE Toni, morto in difesa della italianità delle Alpi nostre. i Distribuzione. — Langhiano inferiore (str. 39 della Meduna). Sezione della Meduna presso Preplans. Sopra Mieli (Coll. STEFANINI). Fam. Megathyridae. Megathyris decollata CHEWN. 1914. Megathyris decollata FABIANI. Brachiopodì terz. Veneto, pag. 37. Distribuzione. — Aquitaniano: S. Libera di Malo. Megathyris ? rovasendina Davips. 1870. Argiope ® rovasendina Davipson. Ital. ter. Brach., pag. 407, tav. XXI, fig. 14. 1914. Megathyris ? — FABIANI. Brachiop. terz. Veneto, pag. 38, tav. IV, fig. 17. Cito questa specie sulla fede degli Autori che la illustrarono. Distribuzione. — Aquitaniano : M. Sgreve S. Urbano (École des Mines). [3] G. STEFANINI 129 Echinodermata. La sola classe di echinodermi, rappresentata nel Neogene della nostra regione, è quella degli Echinidi, che però è una delle più importanti, sia pel numero e per il significato delle specie, sia per le forme caratteristi- che di cui essa è ricca nel Veneto, e alcune delle quali vengono ora aggiunte all’elenco, non ostante che una bibliografia relativamente assai copiosa vi sia stata dedicata da diversi autori. La natura arenacea della sanga e la conseguente conservazione spesso poco soddisfacente impediscono anzi l’illustrazione di aleuni esemplari, che rappresenterebbero pure specie probabilmente nuove, almeno per la regione. Come rilevava in una erudita disquisizione il LamBERT *), un Zripneustes fossile del Vicentino, della colle- zione Calceolari di Verona, descritto come « Echinus marinus sazeus, spinis undequaque horridus e centro in cir- culum discurrentibus, in globum vergens, valde vivo persimilis» e assai accuratamente figurato da ANDREA CHIOC- co ?), è tra i primi echinidi fossili illustrati nella letteratura. Data la distribuzione cronologica dei Tripneustes, è lecito indurre, che il 7. sazeus provenisse da terreni miocenici. . Qualche specie del Miocene veneto è già ricordata (come nummulitica) nel classico lavoro di DesoR #); tali l’Eshinolampas discus Des. e lo Spatangus loncophorus (Mnex. in sch.). Nella sua celebre monografia il MrcHELIN 4) prende in considerazione anche alcuni esemplari di provenienza veneta, aseregandoli però a specie già note in altre regioni e precisamente al Clypeaster crassicostatus un esem- plare che è detto provenire da S. Maria presso Roncà, al CI. Michelotti esemplari di Priabona (?), Schio e Monte Grumi, e al CI. placenta esemplari di Schio. Allo ScHauRoTE ?) è dovuta l’illustrazione di alcune specie nuove: la Scutella subrotundaeformis di Schio, il Pericosmus monlevialensis (sub Schizaster) di Monteviale, e la Brissopsis sowerbyiformis di Schio. Oltre a que- ste, lo ScHAUROTH studiò e in parte anche illustrò altri esemplari, che venivano riferiti, atorto o a ragione, a specie già note: Echinanthus halaensis di Schio, Conoclypus Bouéi di Santa Libera di Malo, Eupatagus ornatus e Spatangus Desmaresti, divenuti in seguito sinonimi dello S. euglyphus Lee. L'età della Brissopsis elegans di Schio, per la quale fu dall’OppenHEIM creata una nuova specie col nome di Br. Schaurothi, rimane incerta. Preceduta da una nota preliminare 6), nel 1886 usciva con qualche variante la prima monografia echinolo- gica sul Veneto occidentale per opera del LausE ?). Le specie attribuibili al Miocene sono : Seutella subrotunda Lawm., S. subrotundaeformis ScHauR., Scutella sp., Clypeaster scutum LBr., CI. Michelotti AG., CI. Michelini LBE., CI. placenta Micxnm., CI. regulus LBe., Echinolampas conicus LBE., Spatangus euglyphus LBE. Quasi contemporaneamente il TARAMELLI 8) pubblicava l’illustrazione degli echinidi del Friuli, tre dei quali sono miocenici : la Scutella subrotunda, lo Schizaster Desori e lo Spatangus Castellii TAR. Delle specie trattate nell’opera del Dames *), oltre a parecchie già mentovate, che il DAmES riprende in esame, sono mioceniche le seguenti: Leiocidaris alta ? (p.p.), Clypeaster martinianus Desmovt. (col quale 1) LamBERT. Descr. echin. foss. Barcel. II, pag. 75. ?) CHioccus ET CeruTUS. Francisci Calceolariù Musaeum. Veronae, 1622. La figura è riprodotta nelle Note ovvero Memorie del Museo di L. MoscaRrpo. Pavia, 1655. 3) Desor. Syn. Echin. foss. 1858. 4) MicHELIN. Mon. Clyp. foss. 1861, pag. 115, 132, 133. 5) ScHaUuROTH. Verzeichniss Vesteiner. Coburg, 1865. S) LauBr. Beitr. Kenntn. Echinod. vicent. Tert. Geb., 1867. ?) LauBE. Beitr. Kennin. Echinod. vicent. Tert. Geb., 1868. 8) TARAMELLI. Echini cret. terz. Friuli, 1869. ?) Dames. Echin. vicent. veron. tert. AbI., 1877. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 17 130 G. STEFANINI [4] ” ' è identificato a torto il Ol. scutum LBr.), E. discus Des., E. subquadratus Dam., Palacopneustes conicus Dam., Schizaster cfr. Scillae Ac., S. eîr. Parkinsoni Ac., Spatangus loncophorus MNGH. Nei suoi elenchi il Secco !), oltre a « echinidi vari non determinabili » cita uno Spatangus cfr. Philippii, del quale io ho ritrovato l'esemplare, creandolo tipo di una nuova specie. ll De GregoRIO 2) a sua volta ricorda — e figura, anche — uno Schizaster Laubei HoERN., come prove- niente da Asolo e Romano e cita Echinolampas discus. Lo ScHAFFER come già il GUmBEL citano in seguito alcune delle solite specie al Monte Brione. La revisione dell’OprenHEIM 3), nel 1902, attribuisce agli strati di Schio 17 specie, delle quali quattro sono nuove e da aggiungersi all’elenco del Dames: Echinolampas bathystoma OPPENE., E. scurellensis OPPENH., E. orcagnanus OPPENH., Echinocardium (?) gibbosum OPPENH., mentre due di quelle del Dames sono considerate come di età incerta (Leiocidaris alta e Brissopsis Schaurothi) e Sc. subrotunda (LBx., DAm., non Auctor.) cade in sinonimia di S. subrotundaeformis. Inoltre una specie,'Brissopsis cfr. ottnangensis, è attribuita al Miocene medio di Ceneda dall’OppeNHEIM, mentre invece è ben diversa dalla Brissopsis dello Schlier e costituisce il tipo di una specie nuova, che dedico all’amico prof. DArnELLI, profondo conoscitore della geologia friulana. Quasi contemporaneamente a questo usciva uno studio di Arracn19) sulla fauna echinologica della conca benacense. Vi sono confuse specie oligoceniche e specie mioceniche: a questo secondo livello appartengono senza dubbio Echinocyamus sp. ind., Scutella subrotundae- formis, Clypeaster placenta, CI. martinianus, Echinolampas discus, E. bathystoma, Pericosmus montevialensis, e Spatangus euglyphus. Nella monografia sugli strati di Schio l’OPPENHEIM 5) non riprende in esame che due o tre delle specie da lui già citate ver questa formazione : Scutella subrotundaeformis, Pericosmus montevialensis e Spatangus eugly- phus. ” Il FABIANI dal canto suo 6) si limita ad alcuni cenni relativi a Olypeaster varie sp., Scutella subrotundaeformis, Pericosmus monlevialensis e Spatangus euglyphus. Finalmente in una delle sue « Note echinologiche » lo scrivente ?) fisura per confronto la superficie interna della parte actinale del guscio di un esemplare di Scutella subrotundaeformis di Schio. Le diagnosi di alcune delle ‘specie nuove, che si troveranno ridescritte in questo lavoro, fomarono inoltre l’oggetto di una nota preliminare, pubblicata nel 1915 8). i Le forme descritte in questo lavoro sommano a 25, delle quali 4 sono nuove, 11 sarebbero caratteristiche della regione, e 15 sono citate ora per la prima volta nel Veneto. I materiali presi in esame sono stati in parte raccolti dall’autore, in parte provengono dalle collezioni SEccO, TarAMeLti, MARINELLI, CANEVA, FABIANI ecc. Nel Museo di Firenze esiste altresì un manipolo di alcune de- cine di esemplari, più o meno ben conservati, per lo più di'Scutella subrotundaeformise di Clypeaster appartenenti alle solite specie; ma vi ho potuto anche notare un Eupatagus sp. ind., uno Schizaster sp. ind., un Echinolampas sp. ind., un Echinolampas cfr. discus e un Echinolampas conoclipeiforme. Trattandosi di materiali avuti dal MENE- GUZZO, quindi di provenienza non del tutto sicura, non ho creduto di doverne tener conto nella parte illustrativa. 1) Secco. Note geol. Bassanese, 1880. ?) De GREGORIO. Description foss. Forabosco et Romano, 1899. 3) OPPENHEIM. Mevision, 1902. 4) ArracHnI. Echinofauna oligomioc. Conca Benac., 1902, 5) OPPENHEIM. Schioschichien, 1903. 8) FABIANI. Paleont. Colli Berici, 1908. 7) STEFANINI. Note echinologiche I, 1911. 8) STEFANINI. Specie nuove Mioc. Veneto, 1915. [5] G. STEFANINI 131 p __ $. CI. Homognata. Ord. Cidaroida. Fam. Cidaridae. Cyathocidaris avenionensis (DEsmouL.). — Tav. XV [IX], fig. 1. 1906. Cidaris avenionensis LAMBERT. Echin. prov. Barcelone, II, III, pag. 64. 1913. — — CortREAU. Echin. néog. Bass. méditerr., pag. 79, tav. I, fig. 1-8. Un esemplare frammentario, comprendente gran parte di un interambulacro con le due mezze zone ambu- lacrali adiacenti. Sono conservate quattro coppie di placche nella regione presso all’ambito, caratteristiche per la loro forma larga e bassa. I tubercoli principali, assai grossi e sporgenti, lisci, a mamellone perforato, hanno scrobicole ampie, subellittiche, non confluenti ma tangenti. La zona miliare mediana, coperta di granulazioni piuttosto minute, è assai larga, depressa lungo la sutura: i tubercoli sono vicini agli ambulacri, ma ne sono separati per una stretta striscia miliare laterale. Questi constano di zone porifere subflessuose, con pori el- littici non coniugati e quattro serie di granuli alternanti. L'ampiezza della zona miliare, la forma ellittica e non regolarmente circolare delle serobicole, la grossezza dei tubercoli principali permettono di riconoscere dalla Dorocidaris Mazzetti il mio esemplare veneto, che mi sembra corrispondere bene a quello figurato dal CoTTREAU e a quelli di S. Marino studiati dal NELLI. Negli stessi terreni donde proviene il pezzo in parola si trovano dei radioli, che furono indicati dagli auto- ri col nome di 0. calamuSs Lsr. Questa specie, il cui tipo sarebbe di un calcare nummulitico di Castel Cucco, con un cotipo di S. Orso, differisce dalla C. avenionensis pei suoi granuli più radi e meno pronunziati, disposti più regolarmente ; contrariamente a quanto pensava OpPENHEIM, dev'essere davvero oligocenica, poichè il FABIANI la ritrovò anche nelle brecciole stampiane di Soghe. Può tuttavia sussistere il dubbio, che gli esem- plari degli strati di Schio (Cava del Ferro presso Marostica), i quali non furono mai figurati, siano un poco diversi dagli altri e possano corrispondere alla C. avenionensis, alla quale la C. calumus apparisce tanto vicina. Distribuzione. — È specie diffusa nel Miocene inferiore e medio in tutto il Bacino mediterraneo e nella regione atlantica orientale. Distribu ione nel Veneto. — Aquitaniano: S. Michele presso Bassano. L’esemplare, del Museo di Firenze, è accompagnato da una etichetta di mano del SEcco, con la indicazione di località e la scritta : « Ci- daris? ». Resulta così autenticata la provenienza, anche se questo esemplare non appare indicato nel lavoro del Secco. È fossilizzato in una arenaria calcarea grossolana grigio-bruna. SCI. Heterognata. Ord. Clypeastroida. Fam. Clypeastridae. Clypeaster regulus LAuBE. 1868. Clypeaster regulus LauBE. Eckinod. viceni. tert., pag. 20, tav. III, fig. 3. 1892. — — OPPENHEIm. Revision, pag. 192. 132 G. STEFANINI [6] È una specie interessante per la sua forma pentagono-regolare che ricorda un poco quella di certi tipi oligocenici, e particolarmente del CI. biarritzensis Corr. dell’ Oligocene di Cirenaica. Questa specie però, della quale ho presenti diversi esemplari, ne differisce per vari caratteri arcaici: essa è infatti più bassa, più piatta, con zone interporifere non rigonfie, ma perfettamente allo stesso livello delle zone interam- bulacrali. Nella specie veneta l’ano è accosto al margine. In conclusione le due specie appartengono ormai a phyla distinti, ma sono ambedue assai vicine ad una forma ancestrale comune. Distribuzione nel Veneto, — Aquitaniano: Zugliano (500 m. a NNW dalla Chiesa); Grumolo (Coll. FABIANI). Clypeaster Michelini Lge. 1868. Clypeaster Michelini LAUBE. Echinod. vicent. tert., pag. 19, tav. III, fig. 1. 1902. — — OPPENHEIM. Ieviston, pag. 191. . Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Castellir di Sarcedo, nelle Colline di Grumolo (Coll. FABIANI). Clypeaster Michelottii AGASS. — Tav. XV [IX], fig. 3. 1868. Clypeaster Michelottii MicHELIN. Monogr. Clyp. foss., pag. 132, tav. XXXIV, fig. 1. 1902. — = OPPENHEIM. Revision, pag. 191. ” Gli esemplari esaminati corrispondono assai bene alla figura di MrcHELIN, sia per l’altezza del guscio e per la sua forma pentagonale a grossi margini, sia per l'ampia ed espansa stella ambulacrale. Notevole è l’ampiezza della piastra madreporica. Secondo le dimen- sioni-limite pubblicate dal Mic®eLIN, i miei esemplari sarebbero tra i più piccoli, oscillando attorno ai 90 mm. di lunghezza, per 80 di lar- ghezza e 28 di altezza. Il CI. Scillae, interpretato dal LamBERT!), è assal affine alla presente specie, specialmente pel suo profilo; si riconosce soprattutto pel suo guscio più stretto e allungato e per la stella ambulacrale più espansa, terminante più dappresso al margine. Distribuzione. — Le citazioni dalla Dròme, dall'Austria, dalla Calabria sono poste in dubbio dal Cor- TREAU, che indica giustamente il C7. Michelotti come specie del Miocene inferiore. Così non resterebbero sicure se non le citazioni dal Veneto (tipo) e dalla Persia. Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Schio (Coll. Secco); Colline di Grumolo (Coll. FaBra- NI); S. Michele presso Bassano (Coll. Secco). Gli autori citano questa specie da Schio (MicneLIN), Santa Libera di Malo (Lause), M. Sgreve di S. Urbano e Collalto di Monfumo (Dames), Grumolo e Do’ Santi (OPPENHEM). Fic. 15. 1) LamBERT. Echin. mol. Vence, pag. 23, tav. VI, fig. 1,2. [7] 7 G. STEFANINI 133 Clypeaster scutum LBE. — Tav. XV [IX], fig. 2, 5. 1868. Clypeaster scutum Lause. Echin. vic. tert. pag. 18, tav. III, fig. 2. 1877. — martinianus (non Desm.) DAMES. Echin. vic. ver., pag. 24. 1902. — scutum OPPENHEIM. Revision, pag. 191. La mia interpretazione di questa specie mi pare abbastanza sicura, qualora si ammetta qualche lieve ine- sattezza nella figura tipo, per quanto riguarda la posizione dell’apice, che nei miei esemplari è meno eccen- trico in avanti. Del resto, la forma depressa, pentagonale, a margini piuttosto sottili, subconica nel mezzo ; la stella ambulacrale piuttosto piccola, con ambulacri quasi chiusi, con zone interporifere debolmente convesse, larghe circa il doppio delle porifere, il piccolo apice stellato con cinque pori genitali e cinque ocellari, corri spondono assai bene. i Fic. 16 a. — Norma laterale. Fr. 16 d. — Norma anteriore. \ Come è noto, il Dames identificò questa specie col C7. martinianus Desm. OPPENHEIM però non accettava questa identificazione, specialmente perchè gli pareva che la specie di DesmouLINS avesse zone interporifere re- lativamente più larghe e ano più distante dal margine. Oggi il CI. martinianus è meglio noto, grazie alle illustrazioni e a alle descrizioni esaurienti dei COTTREAU : io pure, del resto, ne posseggo un esemplare, da me raccolto a Sausset. Sono dunque in grado di stabilire, che il CI. scutum è realmente diverso dal C7. Martini e si riconosce per il profilo più regolarmente saliente dal margine all'apice, pel contorno più gradatamente ristretto indietro, i due lati pari posteriori del pentagono non essendo qui paralleli, come nella specie francese. Di più quest’ultima ha le zone interporifere non solo alquanto più larghe, ma sopratutto molto più tumide. Quanto alla posizione dell’ano, niente posso dire, non essendo questo visibile nei miei campioni. L'apparato apicale è più piccolo nella specie veneta che in quella francese: Sono forse da considerarsi come giovani individui d. questa specie due piccoli esemplari del diametro, rispettivamente, di38e 30 mm., pentagonali, depressi o subconici come gli adulti della stessa provenienza, ma di- versi pel minore sviluppo della stella ambulacrale, che li fa somigliare un poco a forme giovanili di CY. scuiellatus. Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Grumolo, Castelliero: (Coll. FABIANI). Schio (Coll, Secco e Museo di Padova). Gli autori citano questa specie a Collalto di Monfumo (LausE), Castelcies, M. Sgreve di S. Urbano, Schio (Dames), S.ta Libera di Malo e Grumolo (OPPENHEIM). Clypeaster placenta MicHT. — Tav. XV [IX], fig. 4. 1863. Clypeaster placenta MicHELIN. Monogr. Clyp. foss., pag. 133, tav. XVII, fig. 2. 1877. — — DAMES. Echinid. vic. ver., pag. 25. 134 G. STEFANINI È [8] Un esemplare di Schio, di forma quasi circolare, convessa, subemisferica, poco elevata, con amplissima stella ‘ ambulacrale. Le zone interporifere sono larghe assai più di quelle porifere. La specie, nominata dal MicHELOTTI în schedis su tipo piemontese e pubblicata dal Desor, non fu figurata che dal MicHELIN, e non è ben sicuro se il suo tipo fosse dell’Oligocene di Dego oppure del Miocene inferiore di Schio, poichè egli cita anche questa località. Certo, successiva» mente l’ArrAGHI!) non sembra averla bene interpretata, poi- chè afferma che questa specie si distingue pei suoi ambulacri « molto corti », mentré è vero proprio il contrario. Ad ogni modo l’identificazione deli’esemplare Veneto con quello figurato del MicneLIN mi pare sicura. Tra le specie fi- gurate da AtRAGHI la più affine a questa è il CI. Isseli, del Tongriano di Sassello, che ha il guscio di forma più ovale, più stretta e allungata, più elevata, più conica. Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Schio (Coll. Secco). Gli autori la citano, oltre che da Schio, da S.t Libera di Malo (DAMES). Clypeaster Marinellii n. sp. — Tav. XIV [VIII], fig. 3. Guscio di dimensioni piccole (lungh. 73.5, largh. 67, alt. 22 mm.), di forma piuttosto ovale che penta- gonale, lunga e relativamente stretta, assai elevata, e con margini alquanto spessi. Ambulacri petaloidei assai grandi, allungati, aperti, con zone porifere depresse, elevate, larghe, e zone in- terporifere allungate. molto salienti. Apparato apicale monobasale, pentagonale, con 5 pori genitali, situato in posizione un .po’ eccentrica in avanti. La faccia inferiore non è visibile nell’unico esemplare. Per la forma generale del suo contorno e pei principali caratteri enunciati, questa specie richiama molto il CI. Michelini L8e. dell’Aquitaniano veneto: la mia specie ha però statura alquanto minore, guscio anche meno pen- tagonale, un po’ più allungato e molto più alto, i suoi pe- tali sono più allungati, meno espansi, con maggiore ten- denza a chiudersi. Non conosco altre specie, che possano essere confgen- tate con questa, che dedico al Prof. OLINTO ng SRO cortese e sapiente guida a me, ancora inesperto, nelle mie prime escursioni in Friuli. Distribuzione nel Veneto. — Langhiano inferiore: Rio Piciacis presso Andreisin Friuli (Coll. StEFA- NINI). Il tipo è nel Museo di Firenze. Clypeaster marginatus LAME. 1863. Clypeaster marginatus MicHELIN. Monogr. Clyp. foss., pag. 130, tav. XIX, fig. 1. I ArtRAGHI C. Ech. bac. Bormida, pag. 150. s [9] G. STEFANINI E 135 Un solo esemplare frammentario, nel quale è però benissimo conservata tutta la stella ambulacrale, coi suoi petali arrotondati, salienti, l’apice monobasale in forma di bottone e una parte dell’amplissima e sottilissima regione marginale, così caratteristica. Distribuzione. — È una specie che, pel grado stesso di evoluzione che dimostra, si rivela di un’età relativamente recente: il tipo è del Langhiano dei dintorni di Dax (Landes) : è citata in Corsica e a Malta in terreni attribuiti all’Elveziano ; in Sicilia il CHEccHIA-RispoLi la indica dal Miocene medio. Distribuzione nel Veneto. — Langhiano superiore (Calcari da cemento): Costa S. Augusta presso Serravalle (Museo di Padova). Fam. Scutellidae. Scutella subrotundaeformis ScHAUR.— Tav. XIV [VIII], fig. 2- 1865. Scutella subrotundaeformis ScHAUROTH. Verz. Verstein. Coburg, pag. 189, tav. IX, fig. 1. 1902. — — AIRAGHI. Oligof. conca benacense, pag. 375, pars (non fig.). 1902. — —_ OPPENHEIM. Kevision, pag. 192. 1903. _ —_ OppeNnHEIM. Die Ueberkipp von S. Orso ecc., pag. 148, tav. IX, fig. 1. 1908. — = FABIANI. Paleont. Colli Berici, pag. 81. 1911. _ — STEFANINI. Note echinologiche I, pag. 83, tav. IV, fig. 1. Questa specie si distingue per le sue mediocri dimensioni, per gli ambulacri grandi, le zone interambula- crali piuttosto strette, il guscio dilatato. Si riconosce dalla S. forumjuliensis n. sp. per le sue dimensioni minori, per la forma larga e dilatata del gu- scio, e per il minore sviluppo dei petali. Quest’ultimo è un carattere evolutivo, che, conîe fu posto in rilievo dal DouviLLÈ, denota forme relativa- mente basse nella serie filogenetica. Un esemplare di S. Michele di Bassano, figurato a tav. VIII, fig. 2, è teratologico, per avere quattro soli am- bulacri : questo caso, assai raro negli echinidi, e specialmente negli scutellidi, ha portato con sè una completa asimmetria del suscio e un assetto molto irregolare delle placche nell’interambulacro impari. Distribuzione. — Questa specie, il cui tipo è veneto, fu indicata dal LamBERT nel Langhiano di Vence; ma fu già osservato dal CortREAU e ammesso dal LAMBERT medesimo, che si tratta di un tipo diverso, indicato poi col nome di S. Guebhardi. Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano. È una delle specie più caratteristiche dell’Aquitaniano veneto: abbonda al castello di Schio (Coll. MENEGUZZO) e ai Grumi di Schio (Mus. di Padova); a Sarcedo (Coll FaBianNI); a Cava Brocchi, Osteria Munari e a cava Agostinelli presso S. Michele (Coll. Secco); a Nogarolo e presso C. Valealda nei dintoni di Vittorio (Coll. SteFANINI, DE TonI ecc.); a Castel Tesino in Valsugana (Mus. di Firenze). È citata da OpPENHEM ai Castelli presso Possagno, ea Scurelle in Valsugana ; da ArragHI a M. Moscal, Monte Brione, Canale Lonata 1); da FABIANI a Schio e Santa Libera di Malo. L’es. di M. Moscal figurato da ATRAGHI è un po’ diverso dai tipi e apparterrebbe, secondo il CortREAU, alla S. pautensis. Fu citata anche dai calcari a Lepidocicline e Nummuliti dell’ Oligocene superiore dei Berici, ma ritengo si possa trattare di altra specie. 1) La S. subrotundaeformis e il P. montevialensis che l’ATtRAGHI nel citato lavoro indica a Moniga, furono in realtà raccolte da CAacciAMaLI e REGAZZONI nell’alveo del canale Lonata, sempre in provincia di Brescia. Questa conclusione cui ero giunto per via di ipotesi (cfr. Stratigr. Neog. Veneto, pag. 504) è confermata da una nota a piè di pagina dell’ AtrAGHI medesimo (Echin. Terz. Veneto. Atti Soc. it. Sc. Nat., 41, fasc. 4, 1903, pag. 416) cadutami sott’occhio solo di recente. 136 G. STEFANINI [10] Scutella forumjuliensis sp. n. — Tav. X1V [VIII], fig.1. ? Guscio di grandi dimensioni (lungh. mm. 114, largh. cirea mm. 117) di forma discoidale, schiacciata, a contorno subcircolare, poco dilatato posteriormente, leggermente più largo che lungo e pochissimo sinuoso in corrispondenza degli ambulacri; faccia superiore debolmente convessa, profilo uniformemente obliquo in avanti, lievemente espan- so in dietro ; margini sottilissimi, quasi taglienti; faccia inferiore uniformemente pianeggiante. I solchi ambula- crali actinali si biforcano assai vicino al peristoma, ma i particolari della Joro ramificazione non sono conosciuti. Zone ambulacrali petaloidee. Petalo impari un po’ più lungo di quelli anteriori e altrettanto più corto dei po- steriori; essi raggiungono in media la lunghezza di circa 0.70 rispetto alla distanza dal loro punto di origine al mar- gine del suseio, presa come unità, e sono larghi circa 0.40 rispetto alla loro propria lunghezza, e risultano così assai ampi ed estesi, di una forma che va gradatamente, regolarmente dilatandosi dall’apice fino all’estremità. Questa è arrotondata e leggermente aperta, mentre l’estremità prossimale è assottigliata. Dato che i petali anteriori pari sono un po” più corti degli altri,e che tutti hanno eguale larghezza, ne risulta per i'primi una forma un po” più ovale, | meno snella. Le zone porifere sono molto ampie, costituite di pori numerosi, coniugati per mezzo di lunghi e sotti- li solchi, disposti quasi ad angolo retto con l’asse longitudinale del petalo: i solchi si fanno però obliqui e un poco curvi verso l’estremità distale, che tendono così a chiudere imperfettamente. Le zone interporifere, un poco ri- gonfie, sono molto strette (circa % di ciascuna delle zone porifere), e raggiungono una larghezza massima di mm. 2,5: esse sono fusiformi, con la massima larghezza presso l’estremità distale, e vanno da quel punto assot- tigliandosi più gradatamente nel tratto verso l’apice, più rapidamente nel tratto opposto. Zone interambulacrali lesgerissimamente rigonfie presso l’apice. Apparato apicale monobasale con placca madreporica stellata, coperta di idrotremi, e quattro pori ge- nitali. L’apice è un poco in avanti, a circa 4/10 della lunghezza totale del guscio. o Peristoma subcentrale, non ben visibile negli esemplari in esame. Periprocto circolare, piccolo, nettamente infero, alquanto distante dall’orlo (circa 7 mm.). TI tubercoli, assai fitti e minuti, hanno una fine serobicola incisa. Sulle strisciole di guscio comprese fra un solco e l’altro degli zigopori, i tubercoli si dispongono in due file alternanti. Gli esemplari, assai numerosi e discretamente conservati, che appartengono a questa specie, furono dagli autori attribuiti alla S. subrotunda, con la quale essa non ha in realtà che rapporti molto lontani, sia che si am- metta col LamBERT,.che il tipo di questa specie sia la Scutella di Malta, sia che la s’intenda come la grande mag- gioranza degli autori. Le caratteristiche principali della S. forumjuliensis sono costituite dalla sua grande statura, dall’ampiezza dei petali, dalla estrema sottigliezza delle zone interporifere, dal contorno sinuoso e dalla posizione del peri- procto. } In base ad esse è facile riconoscerla anche dalla ,S. subrotundaeformis del-Miocene inferiore di Schio. Tra le forme più strettamente alleate alla nostra sono da noverarsi la S. vindobonensis LBr., subito riconosci- bile per la statura anche maggiore e per la singolare forma del suo profilo, fortemente elevato verso il centro; la S. tarraconensis LAMB., che ha statura anche maggiore, petali meno ampi ed estesi, zone porifere più strette, sia assolutamente, sia anche relativamente alle interporifere ; la S. lusitanica LoRr., distinta da zone interporifere anche più sottili, addirittura lineari, periprocto più vicino al margine, margini meno sottili, faccia interiore provvista di sentite depressioni, in corrispondenza della parte media degli ambulaeri e degl’ interambulacri. Più vicine alla nostra specie sono la S. Bonati dell’Aquitaniano d'Aquitania e la S. paulensis Lams. di Sar- degna, che diversifica alquanto dal tipo di AgassIz per una maggior sottigliezza delle zone interporifere e per i petali più chiusi. Quest'ultima si riconosce anche dalla nostra specie per avere i petali più piccoli e più chiusi e Pa [11] G. STEFANINI 137 . per la posizione del periprocto più vicino al margine. La S. Bonali appartiene indubbiamente allo stesso gruppo della nostra nuova specie; ma se ne distingue per la minore statura, per la forma alquanto più dilatata, e soprat- ‘tutto pel minore sviluppo dei petali e per la posizione più inframarginale dell’ano. Sono tutti caratteri evolutivi, che denotano nella specie d'Aquitania una fase meno avanzata nello sviluppo filogenetico e quindi un tipo più arcaico. ; Distribuzione. — Langhiano inferiore. Arenarie con granelli glauconiosi di Pozzuolo in Friuli (Coll. MARINELLI, TARAMELLI, PiRONA, PIETRI ecc.). Il tipo è nel Museo di Firenze ; altri esemplari nel R. Istituto Tecnico di Udine. SCI. Atelostomata. | Ord. Cassiduloida. Fam. Echinolampidae. Echinolampas bathystoma OrrH. ‘ 1865. Conoclypus Bouéi ScnaurotH. Verzeichn. Verstein. Coburg, pag. 192, tav. VIII, fig. 16. 1902. Echinolampas bathystoma OPPENHEIM. Revision, pag. 217, fig. 16, tav. IX, fig. 6. Di questa specie ho avuto tra mano oltre a un esemplare di buona conservazione, da Rocca di Garda, un se- . condo esemplare, in condizioni di conservazione appena mediocri: esso differisce alquanto dalla figura tipica di i OpPPENEEIM, per la forma del guscio un po? più allungata, posteriormente più dilatata e meno rostrata; tuttavia mi sembra possa riferirvisi senza esitazione. Un terzo campione infine, di Valdobbiadene, è assai malconcio. Come rilevò l’OPPENKEIw, la specie a questa più affine è lE. angulatus MER., il quale, malgrado la sua va- riabilità, si distingue per la regione attorno al peristoma meno escavata, per le zone porifere del tutto superfi- ciali e più allungate. Le due specie rimangono però estremamente vicine, anzi possono considerarsi una co- me mutazione dell’altra. La figura di ScHAuUROTE indicata col nome di Conoclypus Bouéi, come fu da altri osservato, è un Echinolam- pas, ma non può rientrare nell’ E. conicus o nell’ E. discus, come fu proposto dal LauBE e dal DamES, essendo queste forme del gruppo dell’E. Remisphaericus. L’echino di ScHAUROTH è invece un Echinolampas del gruppo dell’E. scutiformis e dell’ E. angulatus : forse non è che un sinonimo dell’E. bathystoma, dal quale differisce in sostanza pel profilo più conico ed elevato. Ora è noto, che le specie del gruppo dell’E. angulatus sono estre- mamente variabili a questo riguardo. Le forme descritte e illustrate dal dr. CueccHIA-RIsPoL1!) come E. Airaghii Lam. sono, al pari del tipo della specie, identiche allo E. angulatus Lor. di Camerino. Distribuzione. — Aquitaniano: Rocca di Garda (raccolto dal sig. Mazza); tra S. Stefano e S. Pietro presso Valdobbiadene (Coll. CAnEvA); Sarcedo: Collina di Castellir (Coll. FABIANI). Il C. Bouéi è di Santa Libera di Malo, nel Vicentino (ScHAUROTE). i FEchinolampas discus Des. 1857. Echinolampas discus DesoR. Synops. echin. foss., ‘pag. 307. 1877. — — Dawrs. Echin. vic. veron. tert. Ablag., pag. 43, tav. III, fig. 1. 1902. — — ArragHI. Echinof. oligomioc. Conca Benac., pag. 382. 1) CaeccHIA-RisPoLI. Echin. viv. e foss. di Sicilia VI, pag. 71, tav. VII, fig. 2,3; tav. VIII, fig. 3-5; tav. X, fig. 2-6. Pisa, 1917. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 18 138 G. STEFANINI [12] È, per definizione, una specie del tipo dell’E. Hofmanni e dell’ E. hemisphaericus, e a tali caratteristiche corrisponde infatti la fisura del Dames, che pel primo la descrisse e la figurò. L'E. conicus Lsr., che il Dames pose în sinonimia, è rappresentato da una figura poco felice, e non può affermarsi in modo assoluto la sua iden- tità con E. discus, sebbene ammessa già dal LauBr. È invece da escludersi dalla sinonimia dell’uno e dell’altro il Conoclypus Bouéi ScHAUR., che il LAUBE considerava pure come sinonimo, mentre, come ho già detto, è un Echinolampas affine, se non identico, all’E. bathystoma OPPA. AI E. discus attribuisco un esemplare di Schio assai rotto e deformato, ma caratteristico pel guscio appa- rentemente non rostrato nè dilatato posteriormente, per gli ambulacri larghi, aperti, con zone porifere lunghe e sottili e zone interporifere rigonfie. i 5 Distribuzione. — Aquitaniano: Schio (Museo di Firenze). * La specie è citata a Santa Libera di Malo, Schio, Monte Sgreve di S. Urbano (Dams), Rocca di Garda (OP- PENHEIM), Monte Moscal (ATRAGHI). Echinolampas cir. hemisphaericus LE. Alcuni pochi grandi esemplari d’Eckinolampas, di forma subdiscoidale, tra emisferica e conica ma depressa, aventi _ un diametro massimo di circa 100 mm. con un’altezza pari a circa della lunghezza, sebbene rotti posteriormen- te ein stato poco buono di conservazione, mi paiono da ravvicinarsi, se non proprio da omologarsi a questa specie di cui gli autori e particolarmente il LAMBERT e il CortREAU han di recente posto in rilievo la variabilità. LE. Tagliaferroi, che differisce appunto da E. hemisphaericus per la forma depressa e non rostrata, è però più depres- so dei miei esemplari, con margine più grosso, ha la faccia inferiore piana, le placche interambulacrali rigonfie, ecc. L’eccentricità assai forte del peristoma e dell’apice permette d’altro canto di distinguere 1° Echinolampas friulano dall °E. amplus FucHs ed anche dell’ E. barcinensis LAmB., che lo ricorderebbe assai pel profilo. Echinol. discus rammenterebbe assai questa specie ein particolare gli si avvicinano i miei esemplari friulani, pel loro profilo depresso, subconico ; ma il contorno del guscio più largo, più dilatato verso il terzo posteriore, e le zone interporifere superficiali, non rigonfie, che si osservano in questi ultimi, m’inducono a tenerneli distinti. Distribuzione. — L'E. hemisphaericus è diffuso con le sue varietà in tutto il Miocene inferiore e medio; nel Miocene medio però, e specialmente nel Tortoniano, sembrano prevalere delle mutazioni gigantesche. Distribuzione nel Veneto. — Langhiano inferiore: Rio Storto in Friuli (Coll. STEFANINI). Ord. Spatangoida. Fam. Spatangidae. "j a] - Spatangus Seceoi sp. n. — Tav. XV [IX], fig. 7. 1883. Spatangus cit. Philippii Secco. Note geol. Bassanese, pag. 20. Spatango di mediocre statura con guscio cuoriforme strettamente e assai marcatamente inciso in avanti, subtroncato indietro, a contorno lievemente angoloso in corrispondenza di due leggere carene, che negl’inte- rambulacri pari posteriori scendono dall’apice al margine. Due carene simili si osservano anche in quelli ante- riori. L’interambulaero impari è fortemente convesso, in modo da formare una marcatissima gibbosità post-a- picale nel profilo; il quale dall’apice in avanti scende invece regolarmente al margine. Faccia posteriore tronca obliquamente. i [13] "LA G. STEFANINI 139 4é Apice subcentrale, lievemente eccentrico in avanti. Sistema apicale piccolo, tetrabasale etmolisio. Ambulacri pari superficiali, petaloidei, lanceolati, chiusi, cortissimi, eguali in lunghezza alla metà della di- stanza che corre dall’apice al margine. Le zone porifere sono larghe circa 44 di quelle interporifere; i pori ada- picali sono rudimentali, specialmente nelle zone porifere anteriori dei petali anteriori pari, le quali sono quasi atrofiche su circa metà della loro lunghezza. I pori più o meno atrofici sono una quindicina di paia. L’ambulaero impari, incospicuo, è alloggiato in un solco ampio e svasato verso il margine, quasi nullo verso l’apice, e limi- tato da carene. I pori di questo ambulacro sono in rade coppie oblique, ravvicinati e non coniugati. I tubercoli principali, di grandezza un po’ variabile, fortemente serobicolati, sono disposti in linee angolose al margine adapicale delle placche ed occupano interamente gl’ interambulacri pari anteriori, la parte adapi- cale e anteriore degl’ interambulacri laterali, e la linea mediana dell’interambulacro impari, non oltrepassando che di poco l’estremità distale dei petali. La regione marginale degl’interambulacri laterali e di quello poste- riore, come pure tutti gli ambulacri, sono perfettamene liberi da tubercoli principali e coperti da una fine granulazione, che ricuopre del resto tutto il guscio e sembra farsi più grossolana procedendo dal margine verso la faccia inferiore. Questa non è visibile nel mio unico esemplare Dopo maturo esame, questa specie mi è parsa nettamente distinta da tutte le altre, con le quali ho potuto confrontarla. Il solo Spatangus.finora noto nel Miocene inferiore veneto era lo S. eugIyphus LBE., che è certamen- te molto diverso. Lo S. subconicus Mazz. è assai più dilatàto, provvisto di petali assai più ampi, ed ha pro- filo regolarmente corivesso. Lo S. Botto-Miccai Arr. (non Vin.), che io assimilai alla specie del MazzetTI, ha pe- tali meno espansi del tipo emiliano, ma le altre differenze sussistono tuttavia. Lo S. corsicus, interpretato in maniera alquanto diversa dal CortEAU e dal De LoRIor, differisce però ad ogni modo per la forma più regolar- mente convessa, per il maggior numero di tubercoli principali, per i petali più ampi e più lunghi. Lo S. delphi- nus, secondo le figure del LamgeRT!), si avvicina pel suo profilo alla nuova specie, ma ha i petali depressi, un po” più ampi, l’apice più eccentrico, il margine anteriore meno profondamente inciso dal solco ecc. Il profilo dello S. austriacus Lsx., illustrato da SCHAFFER, ricorda assai quello della nuova specie, ma non corrispondono gli altri caratteri e specialmente l’ampiezza dei petali. Lo Sp. loncophorus, infine, ricorda pure questa specie, ma è privo di tubercoli principali. In conclusione, non esito a proporre per questo interressante echinide un nome nuovo. Questa specie prelude ad alcune tra le più comuni del Miocene medio, ma è contradistinta da un minore sviluppo dei petali, caratteri- stico anche in questo caso di una forma arcaica. Distribuzione. — Miocene inferiore. L’ esemplare unico, tipo di questa specie, è fossilizzato in una arenaria giallo-bruna, micacea, e fa parte della Coll.SEcco ; è accompagnato da una etichetta di mano del Secco medesimo, e così concepita : « Spatangus cfr. Philippii Ac. (MAYER). Al Cruccolo (Roberti) ». Il DE GREGORIO avverte che Cruccolo è una piccola collina di Angarano, presso Cava Brocchi, nei dintorni di Bassano. E difatti la C. Roberti trovasi non lungi dalle Cave Brocchi e vi affiorano dappresso strati aquitaniani e strati che attri- buisco al Langhiano inferiore. Nel Langhiano superiore di Meduno ho poi raccolto frammenti di uno Spatangus a petali piccoli che, anche per la distribuzione dei tubercoli, mi pare riferibile a questa specie. Lo S. Seccoî vuolsi dunque attribuire al Miocene inferiore, probabilmente al Langhiano. Spatangus corsicus DesoR. — Tav. XIV [VIII], fig. 6. 1847. Spatangus corsicus AcAssIZ et Desor. Catal. rais. échin., pag. 113. 1869... — Castelliù TARAMELLI. Echin. cret. e terz. Friuli, pag. 37, tav. II, fig. 1, 2. 1877. — corsicus CorTEAU. Echin. mioc. Corse, pag. 333, tav. XVII, fig. 1-3. 1) LamBert. Et. éehin. mol. Vence, pag. 49, tav. VI, fig. 3-4. 140 G. STEFANINI È [14] ‘1896. Spatangus corsicus LorioL. Echinod. tert. Portugal, pag. 47, tav. XIII, fig. 3 (cum synon.). 1896. — — CorTEAU. Monogr. des Spatangus, pag. 2, tav. I, fig. 1-3; tav. II, fig. 1. 1908. — — STEFANINI. Echinidi Mioc. medio Emilia, I, pag. 107, tav. IV, fig. 2. All’esemplare che il TARAMELLI descrisse come tipo dello S. Castelli se ne aggiunge ora un secondo, assai peso io conservato, a un dipresso delle medesime dimensioni, da me raccolto tra Cavasso e Runchis. Credo non inutile presentare una fotografia di quel primo esemplare, sembrandomi il disegno riprodotto dal TARAMELLI assai inesatto, sia per quel che concerne la posizione dell’apice e la disposizione dei tubercoli principali, sia per quel che si riferisce alla forma e posizione delle placche ete. ; Quando il TARAMELLI creò la sua specie, lo S. corsicus era noto solo per pochi cenni descrittivi, la prima fi- gura di questa specie essendo stata pubblicata solo vari anni appresso dal CorteAU : nessuna meraviglia adun- que, se quegli non pensò a confrontare con essa l’echino friulano. Oggi però non mi sembra possano essere le due specie conservate distinte. Ricorderò come il De Lorrot rilevasse nella figura del CorrEAU alcune inesattezze, re- “lative alla forma carenata degl’ interambulacri anteriori lungo i margini del solco e alla profondità di questo presso al margine. L’esemplare del Friuli ha un solco poteate, uniformemente svasato e fortemente intaccante il margine, interambulacri anteriori pari e ambulacro impari posteriore carenati, profilo assai uniformemente convesso, con la massima elevazione situata un ‘po’ indietro rispetto all’apice, che è sensibilmente eccentrico in avanti: il guscio è ristretto indietro, come nell’esemplare di Corsica illustrato dal Corrrav, ha petali grandetti, non molto lunghi, sistema apicale tetrabasale etmolisio, con pori piccoli e ravvicinati, placche tumide, rigonfie in mezzo, tuber- coli principali relativamente minuti, posti in linee a V lungo gli orli superiori delle placche, decrescentiin grossezza a misura che si procede verso il vertice dell’angolo : i tubercoli si estendono fino al margine negl’ interambulaceri anteriorie nella metà anteriore degli interambulacri pari posteriori, fino all’altezza dei petali nell’altra metà di questi, dove però la parte più vicina all’ambulacro è priva di tubercoli principali ; essi si estendono finalmente in una lunga e stretta linea mediana nell’interambulacro impari. La statura degli esemplari friulani è alquanto superiore a quella degli esemplari tipici di Corsica, di Portogallo e dell'Emilia. È quasi inutile aggiungere, che lo S. Castellii Per. GauTA. 1891 di Algeria!) non ha che fare con lo S. Qustcti, Taraw., dal quale differisce per la forma più allungata, gli ambulacri più lunghi, la zona porifera posteriore più . flessuosa, il solco anteriore più stretto. Ma poichè quel nome già era stato adoperato, la specie algerina dovrebbe assumerne uno nuovo. Distribuzione. — È specie langhiana ed elveziana in Corsica, nella Dròme, in Sardegna, nell’Emilia, in Portogallo. Distribuzione nel Veneto. — Elveziano inferiore. Il TarameLLI attribuisce la provenienza del suo esemplare agli strati alternanti coi conglomerati, cioè al Tortoniano; ma poichè quello era stato raccolto molti anni prima dal CASTELLI, conviene ritenere che la sua attribuzione fosse basata su pure induzioni : il mio ritrova mento permette invece di stabilire la provenienza della specie dall’Elveziano. Forgaria (Coll. Castagna. Tra Cavasso e Runchis (Coll. STEFANINI). Gen. Mariania AirrAGHI, 1901. Il gen. Mariania fu fondato dall’AtRAGHI *) in onore del prof. ErnESTO MARIANI, per un tipo corso — Ma- 1) CortEAU, PERON et GAUTHIER. Echin. foss. Alg., X, p. 76, tav. I, fig. 1. 2) AtrRAGHI. Ech. terz. Piem. Lig., VII, pag. 149, tav. XIX. [15] G. STEFANINI 141 riania Marmorae — che il CorreAv!) come già il Desor?) aveva dapprima ascritto al gen. Macropneustes, e poi 3) remosso e passato a Spatangus, per la sua affinità con quest’ultimo genere. Mentre il CHEccHIA Rispoti*) respingeva da principio il gen. Mariania e faceva deltipo un Hypsospatangus, il LamBERT 5) si mostrava titubante se dovesse essere accettato, parendogli che non si differenziasse a sufficienza da Spatangus. La difesa del nuovo genere fu fatta dall’autore stesso 6), ed io, dovendo occuparmi della specie tipo da me rinvenuta nell'Emilia, adottai ?) il nome Mariania, mettendo in evidenza le sue affinità con gli Spatangus, ma tenendola distinta da detto genere per un complesso di caratteri che è superfluo rievocare. Frattanto il Lam- BERT *), avendo avuto occasione di vedere la M. Marmorae in natura, doveva convincersi della validità del gen. Mariamia e l’adottava, affermandolo privo di fasciola sottoanale e avvicinandolo quindi agli Asterostomidae, poi Antillasteridae. Ribattei questo concetto ®), parendomi che le affinità di Mariania con Spatangus fossero tanto notevoli, da non permettere una separazione così netta: rilevavo d’altro canto, di aver creduto scorgere tracce di fasciola sottoanale in uno degli esemplari emiliani. E difatti poco più tardi a Parigi il CortREAU mi mostrava un bello e tipico esemplare di M. Marmorae, con la sua fasciola ben conservata. Quell’ esemplare fu da lui ben descritto e figurato !°), con l’avvertenza che in altri esemplari la fasciola sembra mancare ; ma in un recente lavoro il LamseRT !!) sostiene semplicemente che CortREAU ha confuso M. Marmorae con Spa- tangus pustulosus e che la prima di queste due specie è certamente primnadete. Si tratta di una affermazione gratuita, non dimostrata nè dimostrabile ; ma se anche Mariania fosse real- mente priva di fasciola (e pare che effettivamente la fasciola sottoanale possa esser presente o mancare) non per questo quel genere potrebbe essere staccato ‘lagli spatangidi. Si noti che — fasciola a parte — ComTEAU e CorTREAU non trovavano in quella specie caratteri differenziali sufficienti per staccarla da Spatangus e della stessa opinione era il LAMBERT « della prima maniera ». Questi ebbe altra volta !°) a sollevare eccezione contro Mariania anche «in nome della legge», considerandolo come un duplicato di Mariana Quoy et GarmaRD, 1824 e proponendo di sostituirlo con Airaghia. Io m’indussi tosto!*) ad accogliere il nuovo nome, per non scostarmi da quello, che reputavo sarebbe stato accettato ufficialmente; ma il LamBERT!) è stato poi il primo a disconoscere il nome da lui proposto, accorgendosi dopo maturo esame, che Mariania non è identico a Mariana. Naturalmente si può obiettare che i due nomi si somigliano, e per un noto articolo del codice di nomenclatura conviene evitare la somiglianza di nomi, in quanto può ingenerar confusioni. La discussione potrebbe così prolungarsi un altro poco, con quanto vantaggio della scienza è facile comprendere. 1) CortEAU in Locarp. Laune tert. Corse, 1877, pag. 320, tav. XV, fig. 1,2. ?) DesoR in AGassiz et Desor. Catal. rais. échin., 1847, pag. 115. 3) CortrEAU. Monogr. des Spatangus du syst. mioc. de France, 1876, pag. 7, tav. IV. ‘) CarccHIA-RisPoLI. Intorno al lavoro del dott. C. Airaghi sull’echinof. terz. del Piem. e della Liguria. Riv. ital. Paleont., VIII, fasc. I, 1902, pag. 16-19. 5) LamBERT. Revue crit. paléoconch., VI. 2, pag. 91; — Étude Échin. molasse Vence, 1906, pag. 49. 5) AtRAGHI. Echinof. oligomioc. conca benac. 1902, pag. 387. 7?) STEFANINI. Echin. mioc. Emilia, I, 1908, pag. 103. 8) LamBERT. Deser. Echin. foss. mioe. Sard., II, 1909, pag. 102. ?) STEFANINI. Hehin. mioc. Emilia, II, 1909, pag. 36. 19) CorTREAU. Echin. néog. bass. méditerr., pag. 124, tav. XV, fig. 1,2. 11) LamBERT. Descr. Echin. terr. néog. bass. Khòne, IV, 1915, pag. 204. — Revue crit. de paléozool., XX, 4, 1916, pag. 174. Fa meraviglia, che all’occhio esercitato di un echinologo provetto quale è il LAMBERT, abbiano potuto sfuggire le differenze che passano tra lo S. Marmorae COTTR. e lo Spat. ione LAmB. per la posizione del peristoma la forma del piastrone, la grandezza degli ambulacri ecc. 1°) LamBERT. Note sur deux échin. des faluns. Feuille des jeunes natural., 1910, pag. 3, nota 4. 13) STEFANINI. IZ Neogene Veneto, pag. 34. . 14) LAMBERT. Descr. Echin. neog. Rhòne, IV, 1915, pag. 204; — Rev. crit. paléoz., 1916. 142 G. STEFANINI [16] Per conto mio, torno volentieri al vecchio nome, augurandomi che le idee dell’insigne echinologo francese siano ormai fissate su questo punto e non tardino a fissarsi anche sul fatto, che consiste nell’esistenza di fasciola sottoanale nella Mariania Marmorae. Già ho insistito assai sulle affinità che corrono tra Mariania e Spatangus e sui rapporti di quello con s. pese- quuli, eocenico, e col vivente S. Raschi. Non per ciò posso accettare però Je idee del'mio buon amico CoTTREAU, il quale, posta in evidenza la sicura esistenza di fasciola sottoanale in M. Marmorae (fasciola della quale io pure, come ho detto, avevo sospettato l’esistenza) ne fa senz’altro uno Spatangus. A me pare che la struttura degli am- bulacri, delle zone periplastronali e del piastrone, nonchè l’instabilità della fasciola sottoanale, che come. av- verte il COTTREAU stesso può esser presente o mancare, siano sufficienti a giustificare una separazione tra Spa- tangus e Mariania o Airaghia che dir si voglia. È Mariania euglypha (LAUBE). — Tav. XV [IX], fig. 6. 1868. Spatangus cuglyphus LAuBE. Echinod. vicent. tert., pag. 35, tav. VI, pag. 5. 1877. — _ DAMES. Echin. vicent. veron., pag. 83. 1902. — o — AtracuHI. Echinof. oligomioc. conca Benacense, pag. 386. 1902. — — OPPENHEIM Revision, pag. 151. ) 1908. — —_ FABIANI. Paleontont. Colli Berici, pag. 97. - È una forma assai interessante, che vale la pena di riprendere in esame, anche perchè le figure del LaUBE che vi si riferiscono, come in generale anche varie altre del medesimo autore, non sembrano molto fedeli, e la sua descrizione è ormai un po” arretrata. Quanto all’OppENHEIM egli non la descrive ; ma sembra ad ogni modo esser- sene formata un’idea molto vaga, o aver avuto in mano campioni ben miserevoli, se per lungo tempo — come confessa — ha continuato a confonderli — Dio lo perdoni! — con l’Eupatagus ornatus ! La Mariania euglypha è una specie di mediocre statura : la lunghezza varia nei miei esemplari tra i 52 ei 60 mm., la larghezza è all’incirca pari alla lunghezza. Il guscio è subconico, ampiamente ma poco profonda- mente solcato in avanti, tronco in dietro. L’apice, subcentrale, si trova nella Tegole più elevata del guscio e i suoi. particolari non sono visibili negli esemplari in esame. i Ambulacri pari petaloidei, superficiali, piuttosto corti, lanceolati, leggermente aperti alle estemità, a diffe- renza di quanto apparirebbe sulla figura del LausE. Le zone porifere composte di pori circolari, coniugati, sono larghe all’incirca 44 0 % delle zone interporifere. L’ambulacro impari è incospicuo, situato entro il solco anteriore. Peristoma semilunare con labbro fortemente sporgente, posto circa al terzo anteriore. Periprocto ovale-trasverso, in alto della faccia posteriore tronca. I tubercoli principali piuttosto piccoli e non molto fitti, sono disposti regolarmente in linee angolose sulle. placche degl’interambulacri; sulla faccia inferiore, granulazioni assai rade e grossolane sugli interambulacri, più rade attorno alla bocca. Zone periplastronali nude e ravvicinate, con direzione quasi antero-posteriore: pia- strone stretto e lanceolato. Fasciola non visibile. ; Le maggiori affinità di questa specie sono senza alcun dubbio con la Mariania Marmorae. Allo stesso genere va ascritto questo nostro S. euglyphus per la sua forma conica, enon oblunga o cordata comenegli Spatangus pro- priamente detti, per l'ampia estensione dei tubercoli principali, e soprattutto per la posizione poco anteriore del peristoma e per la particolare costruzione del piastrone e delle zone periplastronali. [17] Gi simo i ‘ 143 Mariania euglypha sì riconosce però assai bene da M. Marmorae per i suoi tubercoli principali più regolarmente disposti, più radi, non estesi agli ambulacri, peri petali assai più piccoli, provvisti di pori nettamente coniugati. Le difterenze ex-forma contano poco, data la grande variabilità di altezza e di larghezza, poste in giusto rilievo dal CoTTREAU. Spatangus Deydieri Cort., del quale il LAMBERT fa ora giustamente una Mariania, è strettamente affine al tipo del genere. Si riconosce dalla M. euglypha per la statura un' po” maggiore, perla maggior diffusione dei tubercoli, per la posizione più eccentrica del peristoma ecc. Distribuzione. — Questa specie è citata dal Lausr!) e dal Fucns?) nel Miocene inferiore di Eggen- burg: giova notare però che nella recente monografia di ScHAFFER *) non ne è fatto cenno. Distribuzione nel Veneto, — Aquitaniano: Santa Libera di Malo (Coll. FABIANI); Altavilla e Valmarana nei Berici (Coll. FABIANI); Creazzo (Mus. di Padova); Schio (due esemplari deformati, della collezione MENEGHINI). Le citazioni del Lause sono da Valmarana, Santa Libera di Malo e Monteviale: quelle di OPPENHEIM da Marostica (Coll. BaLestRA). L’induzione di questo autore, che lo Sp. purpureus del Veronese, illustrato da MAz- zETTI 4), sia riferibile a questa specie, è puramente ipotetica. Mariania Marmorae (Acass. et DEs.). — Tav. XIV [VIII] fig. 8. 1908. Mariania Marmorae STEFANINI. Echin. mioc. medio Emilia, I, pag. 105, tav. IV, fig. 1 (cum syn);IIg pag. 36. 1909. Airaghia — LamBERT. Descr. éch. foss. terr. mioc. Sard., pag. 103, tav. IX, fig. 6; tav. XI, fig. 7. 1913. Spatangus —‘—. CortrEAU. Hchin. néog. Bass. méd., pag. 124, tav. XIV, fig. 1,2. Ho potuto raccogliere parecchi esemplari, taluni dei quali discretamente conservati, di questa specie. La fac- cia inferiore piana, la superiore assai convessa, il solco anteriore debole, ma intaccante fortemente il margine, i petali ampi aperti e depressi, il peristoma anteriore fortemente labiato, il periprocto trasversale, posto nella fac- cia posteriore, l'apice tetrabasale etmolisio con 4 pori genitali e finalmente le caratteristiche dei tubercoli principali omogenei, relativamente non grandi e diffusi su tutta la faccia superiore — ambulacri e interambu- lacri — e perfino nelle zone interporifere degli ambulacri pari, mi permettono di riconoscere senza esistazioni nei miei esemplari la M. Marmorae, il cui tipo ho potuto esaminare a Parigi, all'École des Mines. Mi sembra non privo di qualche interesse osservare, che anche nel Friuli come nell’Emilia gli esemplari di que- sta specie si trovano quasi sempre associati in gruppetti di due o più : pare fosse una specie sociale. Distribuzione. —Langhiano di Corsica, Sardegna, Malta, Provenza, Colli Torinesi, Appennino Emiliano. Distribuzione nel Veneto. — Langhiano (Strato a echinidi e contigua arenaria glauconiosa verde: str. 34 e 35): Sezione della Meduna sotto Preplans; a Sud di Forcella ; Sezione del R. Manarino al nord ‘ di Mieli (Coll. STEFANINI). Fam. Brissidae. Brissopsis lusitanica Lor. 1908. Brissopsis lusitanica STEFANINI. Echin. mioc. medio Emilia, pag. 8 (cum sym). 1) LauBE. Echin. oesterr. ung. ob. tert. Ablag., 1871, pag. 73. 2) Fucgs. Die Versuche einer Glieder. des unt. Neog. im Gebiete des Mittelmeeres. Zeitschr. d. d. geol. Ges., XXXVII, 1889, pag. 157. 3) SCHAFFER. Das Miocîn von Eggenburg, 1910-12. 4) MazzetTI. Echin. foss. del Vicentino nuovi 0 poco moti. 1894, pag. 10 144 G. STEFANINI : i [18] Un solo esemplare sicuro, piccolo come quelli dell'Emilia e che non mi sembra presentare alcuna differenza rispetto ad essi. Un secondo esemplare, di maggiori dimensioni, è ascritto dubbiosamente alla specie, essendo. un modello interno ; ed altri ancora, del pari incerti causa il loro stato di conservazione. Distribuzione. — Miocene inferiore e medio del Portogallo (LoRIoL); di Spagna (LAMBERT); dell'Emilia (molasse e marne) (STEFANINI). Distribuzione nel Veneto. — Langhiano: Preplans, str. 35 della Meduna (Coll. STEFANINI); Rio Storto? (Coll. STEFANINI). ; Brissopsis Dainellii sp. n. — Tav. XIV [VIII], fig. 7. 1902. Brissopsis cfr. ottnangensis (non R. HoERN.) OPPENHEIM. Revision, pag. 263. Specie di mediocri dimensioni (lungh. 55 mm., largh. 40 mm., alt. 28 mm., negli individui di media statura) con guscio a contorno ovale subesagonale, molto allungato e piuttosto basso, con la massima altezza in corri- spondenza dell’interambulacro impari. Zone periplastronali strette, subparaliele, piastrone carenato, con tuber- coli in serie irradianti da due centri salienti. i Ambulacro impari posto in un ampio solco, che si prolunga fino al peristoma, rendendo sinuoso il margine. Petali pari largamente escavati, confluenti all’apice, con zone porifere eguali per larghezza alla zona interpori- fera. Gli ambulacri anteriori sono assai più lunghi dei posteriori (circa 18/10). Sistema apicale con 4 pori genitali ravvicinati, assai eccentrico indietro, circa ai 4/0 della lunghezza totale del guscio. Peristoma reniforme labiato, mediocremente ravvicinato al margine. Periprocto ovale longitudinale, situato in alto della faccia posteriore. Sono visibili le tracce della fasciola peripetala e di quella sottoanale. Si tratta di numerosi modelli, che nella finissima mama riproducono perfettamente tutti i più minuti Te gli del guscio : una superficiale patina nera di ossido di manganese rende questi anche più facilmente visibili. Anche la forma è in molti casi rispettata. Questa nuova specie si riconosce subito da certe piccole Brissopsis del tipo della Br. Borsoni, Br. crescentica ecc., in grazia della sua statura assai maggiore ; mentre la forma stretta e allungata la distingue a prima vista dalla Br. Duciei di Malta, dalla Br. Sismondai e dalla Br. Fraasi. La Br. ottnangensis HoERN. è più piccola, più corta, meno inequipetala ed ha una stella ambulacrale meno ampia. La Br. lusitanica ha apice eccentrico in avanti. Si tratta insomma, di una specie, che mi pare nettamente distinta dalle sue congeneri, e perla quale è quindi necessario un nome nuovo. Le do quello dell’amico prof. G. DAINELLI, illustratore dell’Eocene friulano e compagno carissimo delle mie prime escursioni geologiche nel Veneto. Distribuzione. — Tortoniano inferiore: Cava Ru presso Ceneda (Coll. STEFANINI, Coll. DaL Praz); Asolo ? (Coll. Secco). Itipi sono nel Museo di Firenze. Altri esemplari nel Museo di Padova. L’OpPENEEIM raccolse purea Ceneda una Brissopsis, che confrontò con la Br. ottnangensis, ma che ritengo appartenere alla presente specie. Brissopsis cîr. lyrifera AGass. Gli esemplari di Cornuda riferibili al gen. Brissopsis sono ridotti allo stato di modelli e di impronte e più o me- no deformati, per modo che non è facile rilevarne tutti i caratteri; molto più che il gen. Brissopsis si è svolto as- [19] i G. STEFANINI 145 sai lentamente e con variazioni non molto cospicue, per modo che le sue specie non presentano, di solito, carat- teri evolutivi notevoli. Ad ogni modo i campioni di Cornuda mostrano di aver appartenuto ad una specie con guscio ovalare, con apice subcentrale, con ambulacri pari presso a poco eguali in lunghezza. In uno di essi ho misurato una lun- ghezza di 13.5 mm. peri petali anteriori, di 11 peri posteriori. La statura varia da piccola e mediocre (mm. 30-50 di lunghezza). La bocca, labiata, dista dal margine circa % della lunghezza totale del guscio : il piastrone è for- temente carenato. Tutti questi caratteri m’inducono a ravvicinare la Brissopsis in esame alla vivente Br. lyrifera e particolar- mente a quella sua forma, probabilmente connessa con l’età, che è stata fisurata anche dal De LorIoL col nome di Br. pulvinatus e della quale ho potuto esaminare campioni tipici in occasione di un mio studio sugli echi- ® nidi dragati nel Mediterraneo occidentale dalla r. nave « Washington ». i Diverse delle numerose specie di Brissopsis che gli autori, e particolamente Borro-Micca e ArrAaGHI, hanno ricordato dal Pliocene della Valle del Po, dovrebbero a parer mio essere riunite alla specie vivente. Anche la Br. papiolensis Lam. del Pliocene spagnolo è assai affine a questa. Checchè ne sia, giova stabilire come questa Brissopsis di Cornuda sia assai diversa dalle specie mioceniche in genere, e particolarmente da quella che io ho descritto come specie nuova, del Tortoniano di Vittorio, col nome di Br. Darmnellii; dalla quale, quella plio- cenica di Cornuda si riconosce subito per l’apice subcentrale, per i petali molto meno diseguali, per la forma più ovalare, meno allungata. | Distribuzione. — Come ebbi già a dimostrare, la Br. lyrifera è stata citata a torto nel Miocene: essa non è rara nel Pliocene (Piacenziano) p. es.a Bra(ArRAGHI)ed è anche attualmente vivente in acque piuttosto profonde e su fondo fangoso sottile, nel Mediterraneo e nel Mare del Nord. Distribuzione nel Veneto. — Pliocene inferiore: Cornuda (Coll. DAL PiAz e STEFANINI). Pericosmus montevialensis DAMES. — Tav. XIV [VII], fig. 4. 1877. Pericosmus montevialensis DAMES. Echinoiden vicent. veron., pag. 65, tav. X, fig. 3. 1902. —_ =. ATRAGHI. Echinof. oligomioc. conca benacense, pag. 384. 1902. — — OPPENHEIM. Revision, pag. 255. 1903. — — OPPENHEIM. Schioschichten, pag. 150. 1908. — — FABIANI. Paleontol. Colli Berici, pag. 91. È specie assai variabile, soprattutto per quel che riguarda l’altezza del guscio, ciò che importa anche una notevole variabilità di altri caratteri, con questo connessi più o meno strettamente. La variabilità sembra, del resto, una qualità comune a molti Pericosmus: ciò fu posto in rilievo dal FABIANI per quanto riguada il P. spatangoides e il P. montevialensis, da me medesimo!) per quel che concerne il P. callo- sus Manz. dell’ Appennino. In parte soltanto essa può considerarsi come apparente e dovuta a deformazioni, che la sottigliezza del guscio di questi echinidi rende particolarmente notevoli e frequenti. Fra quest’ultime specie l’OppENHEIM trova strettissime affinità, tanto da propendere verso una identifica- zione. Come altra volta ebbi a notare, a me sembra che il P. montevialensis, malgrado tutta la sua variabilità, che rende un po’ difficile stabilire le sue caratteristiche, sia una specie meno differenziata del P. callosus e in certo modo intermedia fra il P. callosus e il P. Edwardsi. I piccoli individui di P. monlevialensis ricordano molto il P. Edwardsi. 4) Cfr. STEFANINI. — Echin. mioc. medio Emilia, II. Palaeontogr. ital., XV, pag. 30. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 19 146 G. STEFANINI 1 [20] Distribuzione. — Aquitaniano. È una delle. specie più caratteristiche dell’Aquîtaniano veneto. Gli autori, fra cui l’OppENHEIM e il FABIANI, la citano in moltissime località. Io ne ho esaminato esemplari di Altavilla, Valmarana, Sarcedo (Coll. FABIANI); S. Niccolò di Pianezze (Coll. CanestRELI) ; Valle degli Occhi (Coll. STEFANINI e Coll. FaBranI); Valcalda (Coll. De Toni); Cava Agostinelli a S. Michele presso Bassano (Coll. Secco); fra S. Stefano e S. Pietro presso Valdobbiadene (Coll. CAnEva, fide ATRAGHT). Sehizaster Parkinsoni (DEFR.). 1855. Schizaster Parkinsoni WricnT. Foss. Echinod. Malta, pag. 266, tav. V, fig. 3. 1908. —_ —_ STEFANINI. Echin. Mioc. Malta, pag. 476, tav. XVII, fig. 11, 12. Un esemplare assai deformato, ma tale da mostrare ancora assai bene i suoi caratteri, e particolarmente la forma del guscio acuminato indietro, l’apice relativamente non molto eccentrico, i petali posteriori lunghi circa la metà di quelli anteriori ecc. Distribuzione. — A Malta si trova nel «Globigerina limestone » corrispondente al Tina inferio- re. In Corsica, in Sardegna, alle Baleari è diffusa specialmente nel Langhiano, ma anche, a quanto pare, nel- l’Elveziano. i Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Sarcedo presso Castellir (Coll. FABIANI). Schizaster Desori WR. 1855. Schicastes Desori WricuT. Foss. Echinod. Malta, pag. 264, tav. VI, fig. 3. 1907. _ _ LAMBERT. Echin. mioc. Sard., pag. 70, tav. V, fig. 5. 1909. —_ — STEFANINI. Echin mioc. medio Emilia, II, pag. 22. Un esemplare frammentario e la sua controimpronta, che lo completa in parte. Si può riconoscere il guscio molto dilatato in avanti, con faccia superiore obliqua e poco convessa, con solco anteriore stretto e profondo, lievemente intaccante il margine, l’apice relativamente non molto eccentrico e i petali poco flessuosi, escavati. Distribuzione. — È specie assai comune nel Langhiano e nell’Elveziano dell'Emilia, di Corsica, Sar- degna, Spagna ecc. A Malta si trova nel « Globigerina limestone », cioè nel Langhiano (GREGORY). Distribuzione nel Veneto. — Langhiano: Calcari da Cemento di Serravalle (Museo di Padova). Schizaster trigonalis Mazz. 1909. Schizaster trigonalis STEFANINI. Echin. mioc. medio Emilia, II, pag. 25, tav. II, fig. 10, 11. La forma del tutto caratteristica di questa specie, con guscio rostrato, molto elevato indietro e fortissima mente declive, a contorno subtriangolare, mi permette di riconoscere questa specie in due piccoli individui, del resto assai mal conservati. Affine adessa è lo S. Gennevauzi Cortr. del Lanshiano francese, che si distingue per l’apice meno eccentrico indietro e il guscio meno rostrato. Distribuzione. — Miocene di Montese e Salto nell’Emilia (STEFANINI). Distribuzione nel Veneto. — Aquitaniano: Sarcedo (Coll. FABIANI); tra S. Stefano e S. Pietro presso Valdobbiadene (Coll. CANEVA). [21] : G. STEFANINI 147 Schizaster Lovisatoi CorT. — Tav. XIV [VIII], fig. 5. 1869. Schicaster Desori (non WRIGHT) TARAMELLI. Echin. cret. e tere. Friuli, pag. 36. 1895. — Lovisatoi CortEAU. Descript. Echin. mioc. Sard., pag. 45, tav. V; fig. 9, 10. 1907. — calceolus LAMBERT. Echin. mioc. Sard., pag. 69, tav. V, fig. 8. 1913... — Lovisaioi CortREAU. Echin. néog. Bass. Médit., pag. 118, tav. XIII, fig. 2-7. Questa specie si avvicina assai, nell’insieme dei suoi caratteri, al tipo dello S. eurynotus, e specialmente a que- gli esemplari di statura un po’ minore e con petali anteriori apparentemente un po’ meno flessuosi, che il MAZZETTI indicò con un nome nuovo—S. cristagalli—e che io credetti bene di riunire allo S. eurynotus. Negli esemplari friulani però è in parte visibile la fasciola, e questa mostra di avere, in corrispondenza degl’ interambulacri anteriori un decorso diverso da quello che si osserva nella specie ultima nominata, e presso a poco rappresentata da una linea retta, congiungente l’estremità del petalo col punto nel quale la fasciola attraversa il solco ante- riore. Questo carattere, la cuiimportanza è stata posta in rilievo dal LAMBERT, è proprio dello S. calceolus; il quale dal vero S. eurygnotusnon differisce che per esso, pel guscio posteriormente meno assottigliato e pelnumero dei pori genitali, mentre dallo S. euryrotus Lame. (non Agass.) differisce sempre per l'andamento della fasciola, perla posizione più centrale dell’apice e la minor diseguaglianza dei petali. Poichè la fasciola non è visibile negli esemplari emiliani, li lascio nella specie cui li ascrissi, molto più, che nell'Emilia si trova certamente, oltre a questi esemplari dubbi (S. cristagalli Mazz.), anche il vero S. eurymotus. Gli esemplari friulani sono invece senza dubbio da identificarsi con lo S. calceolus, ed infatti trovansi citati con questo nome nelle liste di fossili del mio lavoro stratigrafico sul Neogene veneto — senonchè, in seguito alla citata pubblicazione del CoTTREAU, apparsa quando quel mio lavoro era già redatto, resulta evidente l’ identità dello S. calceolus con lo S. Lovisatoi. I miei campioni corrispondono in realtà assai pene a quelli figurati dal sig. CorTREAU, special- mente a quello della fig. 4. L’esemplare da me figurato apparisce un pochettino più poligonale, più ristretto indietro, con stella ambu- lacrale più stretta; ma queste piccole differenze sono indubbiamente dovute a deformazioni accidentali ed infatti non sono costanti in tutti gli esemplari esaminati. i Il Tarametti!) considerò gli esemplari friulani come $S. Desori; la forma più rigonfia, la maggior larghezza del solco anteriore, la minore eccentricità del peristoma, bastano per una netta distinzione. Essi furono indicati (1 schedis) anche come S. Bellardii, e, realmente, somigliano un poco a questa specie, dalla quale si riconoscono pel guscio meno elevato e tumido, più acuminato e rostrato indietro, per la faccia superiore più declivein avanti, per i petali anteriori più lunghi. Pure vicino alla nostra specie è lo S. Morgadesi LamB., nel quale la fasciola è, in avanti, più uniformemente ricurva, e taglia il solco anteriore più vicino all’apice; inoltre il punto di massima elevazione del guscio è meno eccentrico indietro. È assai facile riconoscere lo S. Lovisatoi dallo S. Karreri Dam., che ha il guscio con la massima dilatazione al quarto anteriore, l’apice un po’ più eccentrico indietro, i petali anteriori più flessuosi ecc. Distribuzione. — Comeavverte il CortREAU, lo S. Lovisatoî è citato in Sardegna anche nell’Aquitaniano e nell’Elveziano, ma il suo rali abituale è il Langhiano in Corsica, in Sardegna, alle Bocche del Rodano ece. Ag- 1) Egli cita a confronto un esemplare di Dego, non di Carcare, come dice erroneamente il BorTo-Micca (Contrib. st. ech..terz.Piem., pag. 361). Io non ho potuto vedere quell’esemplare, ma paragonando quelli friulani con uno di Dego conservato nel Museo di Firenze, e appartenente appunto a quella specie, che BoTto-MiccA e AIRAGHI con- siderano come S. Desorî, ho trovato differenze notevoli. 148 G. STEFANINI [22] giungerò che le citazioni dall’Aquitaniano e dall’Elveziano abbisognano di conferma, la stratigrafia del Mio- cene sardo fatta dal Lovisato essendo ancora molto discutibile, come ebbi già ad osservare altra volta. Distribuzione nel Veneto — Langhiano: Meduno. Molasse cerulee sabbiose nel rio dietro la chiesa a Nord del paese (Coll. PironA); strato n. 34 e a NE di Sottomonte (Coll. STEFANINI); torrente a Sud di Vito d’Asio (Coll. SteFANINI); Cornino, Casa Dappiè Roson, Arcoiaz (Coll. TELLINI). Schizaster major DEsoR. 1858. Schizaster major DesoRr. Syn. Echin. foss., pag. 390. 1880. —- canaliferus (non AGAss.) MANZONI (pars). Echinod. foss. plioc., pag. 934. 1896. — — Borro-Micca Contrib. st. ech. terz. Piem., pag. 356. 1897. Hemiaster — Vinassa. Ech. neog. Mus. Parm., pag. 17. 1899. Schizaster _ ArracHi. Echin. Plioc. Lombardo, pag. 372. 1901. — — ArrAGHI (pars). Echin. Piem.-Lig. pag. 205, tav. XXIV, fig. 2 (non XXV, fig. 3). 1906. — = LamBeRT. Descr. Echin. foss. Barcel., II-III, pag. 122, tav. IX, fig. 3. 3 È una grande specie a guscio cuoriforme, non però acuminato e cuneiforme, posteriormente, come lo S..eury- notus. Apice assai fortemente eccentrico indietro, zone interambulacrali salienti, zone ambulacrali fortemente escavate, la impari posta in un largo solco intaccante il margine; le anteriori flessuose, lirate; le posteriori quasi piriformi, lunghe circa la metà di quelle. Ano posteriore : largo piastrone rigonfio e lanceolato, triangolare. I caratteri suesposti sono tutti quanti visibili negli esemplari veneti, per quanto questi siano deformati e ridotti allo stato di impronte o modelli interni, cui aderisce solo una parte del guscio. La determinazione mi sembra tuttavia del tutto sicura, anche in seguito all’esame di confronto fatto su esem- plari di varie provenienze — specialmente del Pliocene toscano ed emiliano — conservati nel Museo Fiorentino, esemplari studiati già in gran parte dal MAnzonI, che li riferiva a torto allo S. canaliferus. L’ esemplare di Rosignano da lui menzionato è però un tipico S. eurynotus, e fu da me illustrato. Gli Schizaster pliocenici hanno, come rilevò il LamBERT, una facies speciale, ben distinta da quella dei congeneri miocenici, tra i quali prevale la forma molto declive in avanti e acuminata indietro. Distribuzione. — Iltipo di Desor è del Pliocene. In Piemonte, la specie si trova tanto nel Piacenziano quanto nell’Astiano (ArracHI). Essa si riscontra poi a Castellarquato (Vimassa), alla Folla d’Induno (Arracni), a Lari in Toscana (MANZONI) e nel Pliocene di Spagna (LAMBERT). - Distribuzione nel Veneto. — Pliocene inferiore di Cornuda (Coll. DAL Praz). [23] G. STEFANINI 149 CONSIDERAZIONI SULLA FAUNA NEOGENICA DEL VENETO La fauna neogenica del Veneto, che forma l’oggetto di questa memoria, consta di 240 specie o varietà, re- partite come segue: Mammiferi 5 Pesci 11 Crostacei 3 Molluschi i 192 Brachiopodi 3 Echinodermi 26 I mammiferi indicati pel Veneto sono tutti — salvo uno specificamente non determinabile — nuovi per la regione e per l’Italia. L'esistenza di talassoterî nel Miocene friulano, inoltre, è interessante, perchè riconnette le formazioni langhiane del Friuli con quelle coeve del Veneto centrale. La maggior parte dei pesci appartiene a specie banali, largamente diffuse in tutta la regione mediterranea; tuttavia è degno di menzione un otolito assai singolare e un dente di Carcharodon polygyrus, forma rara, mai segnalata in Italia. I tre crostacei (cirripedi) sono nuovi pel Veneto, sebbene largamente diffusi altrove. Dei molluschi, che sono i più numerosi, 2 soli sono i cefalopodi, 98 i gasteropodi e 92 i pelecipodi. Dei due cefalopodi conviene ricordare specialmente il Nautilus, genere raro nel Neogene ; è per ciò spia- cevole, che l’unico esemplare sia andato smarrito, prima ane.ra che potessi studiarlo e descriverlo a mio agio. Anche l’ Aturia Aturi ha però un certo interesse, essendo nuova per la regione. I sasteropodi —in numero di 98 — hanno somministrato 5 specie nuove per la scienza e 13 specie nuove per l’Italia, mentre quelle nuove pel Veneto superano l’ottantina. Le specie o varietà nuove sono: Cassidula De-Gasperii, Terebra modesta var. ventricosa, la singolare Clavaiula zic-zac, accantonata ad un costante livello litorale-salmastro in Friuli, Ancilla olivaeformis, e Neritina Dal-Piazi. Tra le forme che in Italia sembra non fossero note finora, sono particolarmente interessanti alcune con- chiglie terrestri: Helix insignis var. steinheimensis (K1.), Limnaea Deydieri, Planorbis praecorneus ecc., che insie- me ai già ricordati mammiferi dimostrano gli stretti rapporti faunistici correnti nel Miocene tra i margini del golfo preadriatico e le regioni dell'Europa centrale. Non mancano anche le conchiglie marine, la cui presenza non fosse stata ancora segnalata in modo sicuro in Italia così la Clavatula Schreibersi, una specie affine all’ Asthe- notoma Haeckeli, la Sveltia inermis, Tritonidaer exsculpta, Nassa echinata ed altre. Di gran lunga piùnumerose sono però le specie già note in Italia, ma non mai indicate nel Veneto, per modo che lunga e inutile ne sarebbe la enumerazione. Basterà ricordarne alcune, che per la loro rarità appaiono particolarmente curiose, quali la Drillia serratula, la Mitra suballigata, CyUene ancdllariaeformis, e varie Clavatula (CI. stazzanensis, agathensis, Aradasi, Calcarae ecc.), che affermano vieppiù la strettezza dei rapporti del Tortoniano veneto con quello tipico del Piemonte. 150 . G. STEFANINI [24] Lenovitàsono meno numerose traiLamellibranchi, dei quali tre soli, suun totale di92, sono nuovi perlascienza: Cyrena Roberti-Douvillei, Unio flabellatus var. Protti, e Mytilus aquitanicus var. Taramellii ; tuttavia anche qui le specie mai fino ad oggi indicate in Italia raggiungono le diecina e quelle nuove pel Veneto sono circa 50. Tra le prime: Cardilia Deshayesi, Cardium Kunstleri, Diplodonta Sacyi, Miltha callipterya, Pecten valentinensis, Ostrea granensis; la prima è specie del bacino di Vienna, le ultime due forme rare del bacino del Rodano, le altre forme primamente descritte per l’Aquitania. Anche Unio Lorioli e Pisidium idanicum var. rappresentano delle novità per le nostre regioni e confermano le deduzioni già tratte dallo studio dei gasteropodi continentali, sulle affinità di tali faune. Delle specie già note in Italia ma non segnalate con qualche sicurezza nel Veneto ricordo Mactra subtrunca- ta, Arcopagiu Corbis, Meretria islandicoides, M. gigas, Cardium danubianum, Phacoides borealis, Mytilus fuscus e numerosi Pectinidae, quali P. Puchsi, P. pseudobeudanti, P. Jossilingi, Flabellipecten fraterculus, PI. Koheni Chlamys restitutensis, Chl. Orsinii ecc. Interessanti anche l’Ezogyra miotaurinensis e la Lima langiana. Ai brachiopodi non appartengono che tre specie : una nuova — Terebratula De-Tonii — e due già note e caratteristiche della regione, ricordate qui solo per memoria. Finalmente gli echinodermi — echinidi tutti — sono 26, con 4 specie nuove per la scienza — Clypeaster Marinelli, Scutella forumjuliensis, Spatangus Seccoî e Brissopsis Dainelli e 12 nuove pel Veneto, ma già note in Italia. Tra queste ultime degne di ricordo: Spatangus corsicus, Mariama Marmorae, Brissopsis lusitanica e varî Schizaster, come S. trigonalis, S. Desori, S. Parkinsoni ecc. che attestano tutte della strettezza di rapporti fau- nistici tra il margine meridionale alpino e la regione appenninica. i È evidente, che queste diverse parti del bacino padano erano abitate dalle stesse faune echinologiche e ma- lacologiche ; tuttavia, anche a parte le specie nuove, non mancano gli elementi, che finora resulterebbero proprî della regione, soprattutto rappresentati da varî Clipeastridi, Scutellidi e Cassidulidi dell’Aquitanianò. Ma le differenze principali sono in rapporto con differenze d’ambiente, i depositi miocenici dell’ Appennino settentrionale assumendo quasi sempre una facies batiale, quale nel Veneto non si osserva, se non a qualche livello del Miocene inferiore. [25] G. STEFANIYI QUADRO COMPRENSIVO della distribuzione delle specie studiate nella Monografia sui Fossili del Neogene Veneto NB. Per il significato delle lettere, vedi nota ‘) a pagina 165 [39]. Nella 12 colonna e indica le specie finora note solo fuori d’Italia, è quelle note in Italia, ma non nel Veneto; v quelle già indicate nel Veneto. MIOCENE 2 a E © Sì bl inferiore medio super." Gi Aquitaniano || Langhiano | Elveziano | Tortoniano || Pontico | Piacenziano Vertebrata di CI. Mammalia Ord. Cetacea S. Ord. Odontoceti © . | Fam. Platanistidae | Cyntodelphis ? sp. e. V. F Ord. Proboscidea Fam. Elephantidae Mastodon cfr. arvernensis CROIZ. et Jos. e. an Fam. Dinotheriidae. . Dinotherium giganteum KAUP.? e. 0 Ord. Artiodactyla Fam. Tragulidae Hyomoschus crassus (LART.) e. F Ord. Perissodactyla 1 Fam, Rhinoceridae î Rhinoceros (cfr. Teleoceras) aurelianensis NouBL e. B CI. Pisces S.C1. Teleostei Ord. Acantopterygii Fam. Percidae Otholitus (Percidarum) sp. = F Fam. Sparidae S$ Chrysophrys cincta (Agass.) e. i. v.| VnB TBE Dentex ? sp. —_ F G. STEFANINI [26] [cal o MIOCENE Zi R (3) ©) A bel | inferiore medio super.I® 6 Aquitaniano | Langhiano || Elveziano | Tortoniano || Pontico | Piacenziano Ì S.C1. Selachii Ord. Plagiostomi Fam. Lamnidae Odontaspis acutissima AGass. e. 1 Von V TBF » cuspidata AGASS. e. i B TBF Carcharodon megalodon AGass. e. i VnVTB| TBEF » polygyrus AGaAss. e. V Oxyrhina hastalis AGass. CARLIVeA VID AVEDB) MCLBE) Fam. Carchariidae Hemipristis serra AGASS. e. i Vn TBF Sphyrna prisca AGASS. e. i Vn DILARÌ Fam. Notidanidae È Notidanus primigenius AGgass. e. i. v VT BF Arthropoda CI. Crustacea S. CI. Cirripedia * Ord. Pedunculata Fam. Lepadidae Scalpellum sp. ind. È —_ (n Ord. Operculata Fam. Hexameridae 9 Balanus tintinnabulum L. e. i F » spongicola Brown e. i V F Mollusca CI. Cephalopoda S.C1. Tetrabranchiata Ord. Nautiloidea Fam. Nautilidae Aturia Aturi' (BAST.) e. i T Nautilus sp. ind. —_ Eh [27] CI. Gastropoda Ord. Pulmonata S. Ord. Geophyla Fam. Testacellidae Glandina sp. ind. Fam. Helicidae Helix (Campylaea) insignis var. steinheimensis (KL.) Helix cfr. delphinensis Font. Fam. Pupidae Clausilia grandis K1. S. Ord. Gehydrophyla Fam. Auriculidae Cassidula De-Gasperti sp. n. S. Ord. Hygrophyla Fam. Limnaeidae Limnaea Deydieri FonT. Planorbis praecorneus FiscH. et TOURN. Ord. Prosobranchiata S. Ord. Pectinibranchiata Fam. Terebridae Terebra cfr. acuminata Bors. » neglecta MicHT. » cingulata FORESTI » Basteroti (NYsT) » Scarabellii DoD. » modesta TRISTAN » » var. ventricosa n. var. » . Algarbiorum Da Costa Fam. Pleurotomidae Clavatula asperulata Lk. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. e. e. G. STEFANINI 153 e I ÉÒ")l P EbPrePlIjÀÒÙ lle. A a Sil _-_-_00«Q©iIiiLi MIOCENE 3 E (©) ©) bel inferiore medio super.”® DI Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano Pontico | Piacenziano | Il Il | (ela URTVISRI | T | ST Î il FOSÙ| 10) Tt TF F | | F Î F F F F F F F 20 154 G. STEFANINI [28] ——______—_ Clavatula Schreibersi (HOERN.) » Jouanneti (DESMOUL.) calcarata (GRAT.) stazzanensis BELL. gradata DeFR. agathensis BELL. margaritifera JAN. Aradasi BELL. Sotteri MicHT. Calearae BELL. ziczac sp. n. Drillia pustulata (BR.) » serratula BELL. Bathytoma cataphracta (BR.) Asthenotoma aff. Hecleli (HORRN.) Fam. Conorbidae Genotia ramosa (BAST.) Fam. Conidae Conus Dujardini DesH. Bronni MicaT. subacuminatus D'ORB. betulinoides Lx. pyruloides Dop. Berghausi MicHT. clavatus LE. Fam. Cancellariidae Cancellaria Doderleini Max. Sveltia inermis PuscH Trigonostoma ampullaceum: (BR.) Fam. Olividae Ancilla olivaeformis sp. n. » glandiformis Lx. PLIOCENE Piacenziano IND MIOCENE inferiore medio super.”® Aquftaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano Pontico F F F F T F TI _F T F F UJURR: F F F F F F TR 10 TE F F TEF F F F F F [29] Fam. Volutidae Volutilites rarispina (LK.) Fam. Mitridae Mitra suballigata Belt. » goniophora BELL. var. Fam. Fusidae Fusus sp. ind. Fam. Turbinellidae Tudicula rusticula BAST. Fam. Buccinidae Cyllene ancillariaeformis (GRAT.) Tritonidea exsculpta (Duy.) Latrunculus derivatus (BaLL1.) Nassa Schoenni (HonRN. et AUING.) » acrostyla TOURN. » echinata (HOERN.) » badensis (PARTSCH) » semistriata (BR.) Fam. Columbellidae Columbella curta (Duy.) Mitrella complanata BELL. Fam. Muricidae Ocenebra craticulata (BR.) Fam Tritonidae Eutritonium cfr. nodiferum (Lx.) Fam. Cassididae Cassidea miolaevigata Sacco » Hoernesi (SAccO) var. Sconsia striatula BRN. G. STEFANINI Aquitaniano inferiore MIOCENE Langhiano medio super.r® 155 PLIOCENE Elveziano Tortoniano Pontico Piacenziano —- T.F TE Ho sz nai TF 156 G. STEFANINI i i [30] | MIOCENE Z [©) S inferiore medio super.”e Gi i Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano || Pontico || Piacenziano Fam. Doliidae | Dolium fasciatum (BoRS.) i. F F » subfasciatum (SACCO) e. i. F Pirula condita BRNGN. e. i. F TF | » cingulata BRN.? e. i. F Fam. Aporrhaidae , I Chenopus uttingerianus Risso e. i. F | Fam. Cerithidae Cerithium procrenatum Sacco e. i. RIO » dertonense Mar. e. i. ta | » rubiginosum Ercaw. e. i. v. E..| Potamides bidentatus (DEFR.) e. i. TF | Fam. Melaniidae Melania Escheri MÉR. var. rotundata SANDB. eunio | T Fam. Melanopsidae i il Melanopsis cfr. impressa KRAUSS e. i. DIETA Fam Eulimidae È Eulima lactea D’ORB. e. i. E; Fam. Pyramidellidae Ptycheulimella cfr. pyramidata (DESH.) eci F È Fam. Mathildidae Tuba Bellardii (D'ORB.) e. i. N F | Fam. Turritellidae Turritella terebralis LK. Ea il VgB4T F » spirata BR. e. i. F F » dertonensis May. 1, F » subarchimedis ORB. var. dertornatior Sacco e. i. TEF » vindobonensis PARTSE. e. F TF » vermicularis (BR.) 2 e. i. F [31] G. STEFANINI © 157 MIOCENE inferiore medio supèr?® PLIOCENE Aquitaniano | Langhiano || Elveziano | Tortoniano Pontico | Piacenziano Protoma mutabilis Sow. e. i. - TEF » rotifera Lx. ©. 1. Ve ABITO Fam. Xenophoridae Xenophora sp. ind. ‘— F F Fam. Naticidae Natica millepunctata LE. e. i. V. F TE ‘E » catena DA Costa Es nbar (E » Josephinia Risso e. 1. Ve F » submammillaris D’ORB. DE F » redempta Mica. . Alert F Fam. Trochidae Oxystele rotellaris (MicHT.) e. i. F Fam, Turbinidae I Collonia globulus (Dop.) i. : F Ormastralium fimbriatum (Bors.) i. F Fam. Pleurotomariidae - Pleurotomaria sp. —_ IVA Fam. Neritidae Neritina Dal-Piazi n. sp. È — T Cl. Scaphopoda Fam. Dentaliidae Dentalium Bouei DESH. ? : QUIl F CI. Pelecypoda © Ord. Eulamellibranchiata S. Ord. Anomalodesmata Fam. Verticordiidae Pecchiolia argentea MARITI e. i. v. Tt F G. STEFANINI Fam. Pholadomyacìdae Pholadomya Puschi GoLDF. » alpina MATA. Fam. Teredidae Teredo sp. S. Ord. Adapedonta Fam. Corbulidae Corbula gobba OLIVI ». cariînata Duy. Fam. Glycymeridae Glycymeris Menardi (DESH.) » Faujasi (MÉN.) Fam. Solenidae Solenocurtus antiquatus PuLT. var. Cossm. et PuyYR. Fam. Mactridae Mactra subtruncata DA Costa Lutraria sanna BASsT. » oblonga (CHEMN.) Fam. Cardiliidae Cardilia Deshayesi HOERN. Fam. Tellinidae Tellina pulchella Lx. » planata L. Arcopagîia corbis (BROWN) Oudardia compressa (BR.) Fam. Psammobiidae Psammobîa Labordei BasT. miocaenica MIOCENE [32] inferiore Aquitaniano | Langhiano Elveziano medio Tortoniano super.” Pontico PLIOCENE Piacenziano e go VB FTTt E Tt EV BT tai [83] 1 G. STEFANINI 159 MIOCENE PLIOCENE inferiore medio super.'® | Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano || Pontico | Piacenziano S. Ord. Heterodonta Fam. Veneridae Tapes vetulus BasT. e, i. V. F F EST Venus Dujardini HoERN. e. FT Chione tauroverrucosa (SACCO) i. F » plicata (GmEL.) e. i. F » cfr. Amideit (MNGH.) È To F » multilamella (LE.) CEMIEVA F tan Meretrix italica DEFR. COMIAVA FT Tt » taurorugosa (SACCO) i. F » islandicoides (LE.) e. i. FT » Brocchii (DpsH.) i i. EF Tt » gigas (1.K.) (Eolo | F Dosinia exoleta (L.) e. i. Vi F T » orbicularis (AGASss.) e. i. v. F Fam. Cyrenidae Cyrena Roberti-Douwvillei sp.n. — F Pisidium cfr. idanicum Locarp var. Dwp. et SAYN. e. T Fam. Isocardiidae Isocardia cor (L.) . È a to Av F ET Fam. Cardiidae Cardium aculeatum L. e. n F » danubianum May. e. i. i IRUWICAVI » Kunstleri Cossm. et PuyR. e. FT Fam. Ungulinidae Diplodonta Sacyi Cossm. et PeyR. e. EBT Fam. Lucinidae Lucina hoernea DESMOUL. E ib sn Loripes Dujardini (DESH.) CHO FT Miltha incrassata (DUB.) e, i. 10) » elliptica Bors. slo D » callipteryo (TOURN.) e. ETB F Phacoides borealis (L.) e. i. ET 160 7 G. STEFANINI | [34] Phacoîdes cfr. orbicularis (DESH.) » columbella (LK.) Divaricella divaricata (L.) Fam. Carditidae Venericardia Jouanneti BasT. Fam. Unionidae Unio flabellatus GoLpr. var. Prottii n. var. » cfr. Lorioli MarLL. et Loc. Ord. Taxodonta Fam. Nuculidae Nucula Mayeri HoERN. Fam. Ledidae i Leda fragilis var. deltoidea Risso. Fam. Arcidae Arca diluvii Lx. » Fichteli DesH. Ord. Anisomyaria S. Ord. Subfilibranchiata Fam. Mytilidae Mytilus aquitanicus May. var. Taramellii n. var. » fuscus HOERN. Modiola sp. Fam. Anomlidae Anomia ephippium L. » Hoernesi FORESTI S. Ord. Pseudolamellibranchiata Fam. Aviculidae Avicula phalaenacea Lx. Suda 5 ib E MIOCENE di (©) ©) . lea] inferiore medio super. Se a Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano Pontico || Piacenziano F FTt F ET vo DE F F F T ET FT I (Hop Î | | F | F Il F I | FT ' | | | | B? F | BS] G. STEFANINI e 161 MIOCENE 2 [cal inferiore medio super.re Di Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano | Pontico | Piacenziano Fam. Pinnidae Pinna pectinata L. e. B? FT | © Fam. Pectinidae Pecten Fuchsi FONT. (D F | » pseudo-Beudanti DaP. et Rom. e. F » hornensis DeP. et Rom. e. FV | » valentinensis Font. e. F | » Josslingi SMira e. F » : paulensis FonT. e. F » aduncus EicHw. ® T Flabellipecten incrassatus (PARTSCH) e. Vn » fraterculus (Sow.) . e. to » burdigalensis (LE.) CSUiSR Van OVATDIB FB ” Pasinii (MNGH.) to VITTI » Koheni (FUCHS) e. F Amussium corneum var. denudata (Reuss) e. i. v TB BREVA 5 cristatum (BRN.) e. i. V VI RI I T Chlamys Tournali (SERR.) e. F » restitutensis (FONT.) e. Vn 5 eruccolensis (Dn GREG.) V. VET » praescabriuscula (FONT.) e. IVA (Vor CE F » praescabriuscula var. catalaunica Arm. e. F » Orsinî (MNGH.) UGOLINI i. T » Hauerì (MIcHT.) e. i. v V FIRE | » Northamptoni Micart. Ì. VE Ea Fam. Limidae | Lima langhiana (SACCO) | i. Beta Fam. Ostreidae | | ì = Ostrea granensis FONT. e. F | » edulis L. e. FT ” >» lamellosa BR. e. ETV » gingensis (ScHLOTA.) e. FTV » crassissima Lx. e. FT ». frondosa SeRR. e. F Sup Exogyra miotaurinensis Sacco i. d9) Picnodonta cochlear PoLI var. naviculuris BR. e. VnT I 21 Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 162 G. STEFANINI [36] Miolluscoidea CI. Brachiopoda ‘Ord. Articulata Fam. Terebratulidae Terebratula De-Tonii sp. n. Fam. Megathyridae Megathyris decollata CHEMN. Megathyris ? Rovasendina Davips. Echinodermata Cl. Echinoidea S.C1. Eomognata Ord. Cidaroida Fam. Cidaridae Cyathocidaris avenionensis (DESMOUL.) S.C1. Heterognata Ord. Clypeastroida Fam. Clypeastridae Clypeaster regulus LBx. » Michelini LBR. » Michelottii AGAss. » scutum LBr. » placenta MicuT. » Marinelli n. sp. » marginatus Lx. Fam. Scutellidae Scutella subrotundaeformis ScHAUR. » forumjuliensis sp.n. s SS MIOCENE inferiore medio super.'® Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano || Pontico VT WII Vo VT Tt PLIOCENE Piacenziano | [37] G. STEFANINI 163 MIOCENE 2 E (©) ©) def inferiore medio super.®e a - || Aquitaniano | Langhiano | Elveziano | Tortoniano || Pontico | Piacenziano | | | | | S.Cl. Atelostomata i Ord. Cassiduloida Fam. Echinolampidae KEchinolampas bathystoma OPPH. V VaVT » discus Des. v VnV » cfr. hemisphaericus Lx. eni. F Ord. Spatangoida Fam. Spatangidae Spatangus Seccoi sp. n. - VANE % » corsicus Des. e. i. 3 E Airaghia euglypha (LBA.) e? v. V I » Marmorae (Agass. et Dns.) e. i. n Fam. Brissidae Brissopsis lusitanica Lor. uti: F » Dainelli sp.n. = AL » cfr. lyrifera Acgass. e. i. T Pericosmus mondtevialensis DAMBS 4 Vv Vel Schizaster Parkinsoni (DDFR.) e. i. V » Desorì WR. e. i mr » trigonalis Mazz. degl VET » Lovisatoî CorT. e. i. F » major DEs. | e. -. ; (E 164 G. STEFANINI [38] Come conclusione mi è parso utile presentare uno specchio della distribuzione delle specie esaminate, nel tempo e nello spazio, limitatamente, beninteso, alle regione Veneta; e intorno a questo specchio credo bene spen- dere ancora alcune parole, che valgano a spiegare o a chiarire i fatti, che esso pone in evidenza. Notiamo in primo luogo, come certi piani siano più ricchi in fossili, che non certi altri. Più rieco di tuttiè il Tortoniano, con 129 specie: il Langhiano ne ha 66, l’Aquitaniano 37,l’Elveziano 35, 12 il Pontico, 9 sole il Pliocene. La scarsità di questi due ultimi gruppi è dovuta a cause diverse: il Pliocene la deve alla estensione, grandemente ridotta, delsuo unico affioramento; il Pontico al carattere continentale della sua facies, non avendosi, di solito, nelle acque dolci una vita così abbondante e varia di forme, come in mare. Delle rimanenti faunule la più ricca e svariata è la tortoniana, con facies litorale, la più povera e monotona è l’elveziana, la cui facies è piutto- sto profonda, con fondo sottile, limaccioso. Aggruppando i piani in sottoperiodi abbiamo che il Miocene inferiore presenta 87 specie, il Miocene medio 149, il Miocene superiore 12, il Pliocene 9. Ma interesse assai maggiore resulta dall’esame della repartizione dei vari tipi nei singoli piani. Così, ad esempio, i pesci e gli echinodermi abbondano specialmente nel Miocene inferiore, gli uni e gli altri, credo, in. grazia della profondità piuttosto notevole e della natura roccioso-calcarea del fondo; ma mentrei pesci son rappresentati generalmente dalle stesse specie nell’Aquitaniano e nel Langhiano, gli echinidi, più rapidamente variabili nel tempo, compaiono nei due piani con specie diverse, quantunque non di rado congeneri, indizio d’identità di faces e di differenza di età. Un’altra caratteristica del Miocene inferiore sono, oltre ai rari brachiopodi, i pectinidi, parecchi dei quali notevoli pel loro valore cronologico, ma la cui strabocchevole abbondanza deve essere parimente in rapporto con la facies. Gli Ostreidae, Veneridae e parecchie altre famiglie di bivalvi sono invece in gran maggioranza difiusi nel Miocene medio. i i Sebbene in cifre assolute la fauna più ricca di molluschi, così gasteropodi come bivalvi, sia quella tortoniana, queste due classi sono rappresentate in modo diverso nei singoli piani; e mentre la malacofauna torto- niana ha una sensibile prevalenza di gasteropodi (57 %), quella langhiana, al pari di quella aquitaniana, ha una, forte prevalenza di pelecipodi (82 %). ——Nell’Elveziano, lamellibranchi e gasteropodi compaiono con un numero di specie quasi eguale; ma è curioso notare, che i primi sono enormemente prevalenti come numero d’individui, per modo che in campagna si ha l'impressione, che quella faunetta sia composta quasi esclusivamente di bivalvi. Finalmente nel Pliocene si ha pure una forte predominanza di lamellibranchi: questi, con gli echinidi (brissidi), testimoniano della faczes piuttosto profonda e argillosa di quei depositi. Le specie che compariscono a livelli diversi, nel Veneto, non sono molto numerose: 16 sono comuni i all’Aquita- niano e al Langhiano, cioè rimangono entro i limiti del Miocene inferiore; 15 s’ incontrano nell’Elveziano e nel Tortoniano, e sono quindi limitate al Miocene medio; una diecina appena passano dal Miocene inferiore al Miocene medio e 2 sole dal Miocene inferiore o medio al Pliocene. Questo fatto è principalmente in rapporto col rapido mutare delle facies e conla grande uniformità delle condizioni, nelle quali vennero a trovarsi, nei singoli periodi, le diverse parti della regione. Ad ogni livello corrisponde in tutto quanto il Veneto una facies, diversa in-generale da quella dei periodi precedente e successivo; errerebbe molto perciò chi s'imaginasse di trovare in ognuna delle nume- rose specie, che nel Veneto compaiono ad un solo livello, una specie cronologicamente caratteristica del livello stesso. E tuttavia il fatto in parola ha secondo meuna certa importanza anche dal punto di vista della cronologia, in quanto cioè esso dimostra, che alla classificazione dei terreni adottata in base a considerazioni generali 1) 1) Cfr. la II parte della Monografia dei terreni terziari del Veneto. Il Neogene Veneto per G. STEFANINI. Cap. IV: Classificazione dei terreni neogenici del Veneto, $ 1, pag. 177 e segg [39] G. STEFANINI. 5 = 165 - ‘ eapplicata al Veneto con criterî stratigrafici e paleontologici, non contradice affatto la statistica delle faune ; ciò che può sempre valere come una conferma indiretta. Quella classificazione — come tutte le altre — si potrà ancora discutere, ma intanto sta il fatto che, applicata ad un vasto e vario. paese, ha dato buona prova. 5 Resta infine da considerare brevemente la distribuzione delle nostre specie nello spazio. Precisamente |; di esse — 160 sopra 240 — si trovano in una sola delle regioni che abbiamo distinte nel Veneto), le altre 80 es- sendo distribuite in due o più di dette regioni. Questa ricerca sarebbe destinata a dare un’idea del grado di accantonamento che ciascuna forma o ciascun gruppo di forme presentava nel primitivo golfo preadriatico. È chiaro però, che allarisoluzione di tale problema ostano gravemente varie circostanze e principalmente que- sta: che le ricerche e le raccolte dei fossili sono state condottein modo molto ineguale. Così, mentre il Friuli è stato esplorato a fondo, minuziosamente, i fossili che io ho avuto in esame delle altre regioni e particolarmente del Vero- nese e del Bellunese, sono molto meno numerosi. Così accade, che mentre per qualche parte si È potuto avere tra mano anche forme rare e accantonate, per altre parti del Veneto non si è avuto probabilmente in esame se non che specie delle più comuni e difluse. Di più, è da tener presente, che non tutti i piani del Neogene affiorano in tutte le regioni del Veneto ; così mentre l’Aquitaniano è sviluppatissimo nel Veneto occidentale e manca nel Veneto orientale, il Langhiano è invece soprattutto prevalente in Friuli. Nel Vicentino e Veronese mancano del tutto — ad eccezione dei dintorni immediati di Bassano — l’Elveziano, il Tortoniano e il Pontico e così via. Ciò non pertanto, qualche fatto interessante risalta all’esame di queste cifre. Così ad es. è curioso notare, che mentre per quasi tutti i tipi la maggioranza delle specie è (od apparisce) accantonata, pei pesci accade il con- ‘trario: su 11 specie, 3 sole compaiono in una sola regione e le altre 8 (73%) sono note da più regioni diverse. Non si può fare a meno di porre tale fatto in rapporto con l’estrema mobilità di questo tipo di animali, mobilità per la quale l’ ittiofauna neogenica — nel suo complesso e specialmente in quanto ai selaci — apparisce grande- mente monotona ed uniforme. Le due classi di molluschi hanno per questo riguardo comportamento diverso : dei gasteropodi è accan- tonato circa 1'81%, dei lamellibranchi il 52%. Almeno in parte ciò è dovuto alla grande ricchezza del Tortoniano friulano in gasteropodi rari. Quanto agli echinodermi, il 69 % delle specie sarebbe accantonato; anche in questo caso però si tratta in gran parte di una apparenza, dovuta al modo di distribuzione dei sedimenti aquitaniani e langhiani, nei quali questo tipo di organismi ha specialmente lasciato i suoi resti. Ad ogni modo, da quanto sopra è accennato e da un minuto esame del nostro specchio si vede, come siano assai numerose le specie che si rinvengono allo stesso livello, in regioni diverse del Veneto : argomento a rite- nere, che le assimilazioni e identificazioni di terreni, fondate altra volta specialmente su basi stratigrafiche, debbono essere, nel loro complesso, giustificate anche da argomenti paleontologici. 4) Sono così distribuite : il Veneto orientale o Friuli (F) ; nel Veneto centrale il Trevigiano (T) e il Bellunese (B); nel Veneto occidentale il Vicentino (V), il Veronese (Vn) e il Trentino (Tt). 166 G. STEFANINI E [40] ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE 0 CONSULTATE NEL CORSO DEL PRESENTE STUDIO ©) Acassiz L. — Recherches sur les poissons fossiles. Neuchàtel, 1823-1843. Acassiz L. — Iconographie des coquilles tertiaires. Nouv. Mém. de la Soc. hélvet. des Sc. Nat. Neuchatel, 1845. 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BaSssaNI F. — Intorno ad un muovo giacimento ittiolitico nel M. Moscal. Ibid., vol. IX, Padova, 1883. Bassani F. — Contribuzione alla paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici. Atti r. Acc. Sc. fis. mat. di Napoli, IV, 1891. Bassani F. — La Ittiofauna della pietra leccese (Terra d’Otranto). Atti Acc. Sc. fis. mat. Napoli, 1915. BassoLi G. G. — Otoliti fossili terziari dell’Emilia. Riv. ital. Paleontologia, vol. XII, 1906. BastEROT B. — Description géologique de Bassin tertiuire de sud-ouest de la France. Mem. de la Soc. d’ Hist. Nat. de Paris, 1825. BreLLARDI L. — Monografia delle Pleurotome fossili del Piemonte. Torino, 1847. BeLLARDI L. — Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, I-VI. Torino, 1872-1888. BirTtNER A. — Die Brachyuren des vicentin. tertiàrgebirges. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, XXXIV, 1875. BLANCKENHORN M. — Neues zur Geologie und Palaeontologiè Aegyptens I-IV. Zeitschr. d. d. geol. Gesellsch., 52-53, 1900-1901. 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Ma tale formazione, sebbene sia stata fino ad ora concordemente ritenuta di Lias superiore e desse subito al Prof. G. G. GemmELLARO il mate- riale per una importantissima pubblicazione Sopra taluni Harpoceratidi del Lias superiore di Taormina), per una nota preventiva di una Monografia sui fossili del Lias superiore della provincia di Palermo e di Messina esistenti nel Museo geologico della R. Università di Palermo 4) e per uno studio Sugli strati con Leptaena nel Lias superiore della Sicilia ®) deve considerarsi assolutamente di Lias medio e più propriamente domeriana, come dimostrerò in un prossimo lavoro illustrativo della sua fauna, quasi del tutto ammonitica. Nel 1886 il Secuenza pubblicò però Il Lias superiore nel territorio di Taormina 6) e nel 1887. lo Studio della fauna toarsiana che distingue la zona di marne rosso-variegate nel Lias superiore di Taormina”), nei quali lavori egli aggregò alla formazione precedentemente esaminata, per lui sempre di Lias superiore, certe marne variegate di rosso e di verdastro fino ad allora riunite al Dogger e che gli avevano fornito abbondantissimi esemplari di A. bifrons e di Pos. Bronni. Jl Lias superiore di Taormina nei concetti del Prof. SEGUENZA, tenuto conto che allora la formazione del Medolo bresciano era ritenuta di Lias superiore, facendo suo pro della sco- perta fatta dal GemmELLARO 8) degli strati con Leptaena, rimase così rappresentato, cominciando dalla parte più profonda : 1.a Zona. Strati con Leptaena calcari e scisti marnosi nerastri. 2.3 Zona. Strati con H. Boscense (Revn.), calcari e marne grigie alternanti e calcari rossi. 1) SEGUENZA. Breve nota intorno la formazione primaria e secondaria della Provincia di Messina. Boll. d. R. Co- mit. geol., vol. II. ?) HorrMann. Geogn. Beobacht. Gesamm. Reis. It. u. Sic. 1839. 3) Bull. d. Soc. di Sc. nat. ed econ. di Palermo, 1885. 4) Bull. d. Soc. di Sc. nat. ed econ. di Palermo, 1885. 5). Bull. d. R. Comit. geol., vol. XVII, 1886. î s) Atti d. R. Istituto veneto di Sc. Lett. ed Arti, T. IV, 1886. 7) Boll. d. Soc. geol. ital., vol. VI. 8) GeMMELLARO G. G. Strati con Leptaena mel Lias superiore di Sicilia. Bull. R. Comit. geol., vol. XVII. 1886. 174 1 A. FUCINI [2} 3.2 Zona. Strati con Hildoceras serpentinum (REIn.), calcari e marne grigie alternanti. 4.3 Zona. Strati con Coeloceras Desplacei (D’ORB.), calcari marnoso-granosi grigiastri. o.* Zona, Strati con Hildoceras bifrons (BRUG.), marne rosse variegate di verdastro e di grigio. 6.2 Zona. Strati con H. cfr. opalinum (REIN.), mame e calcari grigi. Tale divisione in zone della formazione calcareo marnosa di Taormina non fu generalmente accettata e fu combattuta in specie dal ScnoPEN 1) e più tardi da Di Srerano e CORTESE ?). LimanowSsK1 *), fra gli ultimi ad occuparsi della geologia dei dintorni di Taormina, non ne fa neanche parola. Si disse che il Lias superiore del taorminese costituiva un insieme unico ed indivisibile e che non vi si potevano fare le suddivisioni proposte dal SEGUENZA, che questi continuò però a sostenere. Se ci facciamo tuttora ad esaminare spassionatamente le vedute del SeGuenzA non possiamo fare a meno di riconoscerne, almeno in parte, l'opportunità. La 12 zona degli strati con Leptaena, se infatti non è stata accettata apertamente e chiaramente da tutti, è però da ognuno implicitamente tenuta distinta e riconosciuta quale membro inferiore della serie calcareo-marnosa di quella località. Essa ha una fauna di minuti brachiopodi, un tempo creduti Leptaenae (Koninckinidae), che non sì ritrovano affatto, o molto raramente, nelle zone o nella formazione sovrastante. Stratigraticamente e lito- logicamente, almeno nel Vallone S. Antonio enella Regione Mortilleto, ove io l’ho osservata direttamente, sembra essere un termine di passaggio trai sottostanti calcari neri e lionati di Lias inferiore e quelli sovrastanti marnosi grigi. Il BonARELLI *), in seguito a considerazioni di una certa importanza, la ritenne essere il rappresentante a Taormina del Domeriano. Io, che, come ho già dichiarato, riferisco specialmente a quest’ultimo piano i sovrastanti calcari marnosi grigi, non riterrei aftatto probabile l’assegnazione fatta dal BonARELLI sebbene non potessi, in senso assoluto, escludere che riguardasse un Domeriano molto profondo, o se vuolsi la sola zona ad A. margaritatus, quando però quei calcari marnosi appartenessero al Domeriano superiore o meglio alla zona dell'A. spinatus soltanto, il che è da vedersi, ma è poco probabile. Pure ben poco giustificata sarebbe per me la pertinenza della stessa zona così detta a Leptaena, al Pliensbachiano, per quanto ciò permettesse, molto verosimilmente, il riferimento della tanto potente formazione successiva all’intiero Domeriano. Più pro- babile riterrei il riferimento di essa al Lias inferiore altissimo, come ho già ritenuto 5), ed a ciò specialmente sarei condotto dall’esame di alcune ammoniti, in assai cattivo stato di conservazione, che vi sono state rac- colte e che fanno parte del ricco materiale ammonitico di Taormina, messo a mia disposizione dalla cortese liberalità del compianto Prof. Di StEFANO, fra le quali sembrerebbero rappresentati Arietites hierlatzicus H., Ar. Plotti R. Certo vi si trova il Pecten Amphiarotus Di Srer. che è una delle specie più caratteri stiche ed abbondanti dei sottostanti calcari neri e lionati di autentico Lias inferiore, coi quali poi esso di- mostra impossibile un netto distacco. Nella 2° zona, ad H. boscense REYN., vengono compresi dal SEGUENZA i banchi calcareo-marnosi grigi infe- riori con inclusioni di lenti di calcari rossi, specialmente sviluppati verso la Madonna delle Grazie, nel Vallone S. Antonio ed all’Acquedotto Zuccaro sul Serina, dalle quali provengono numerose ammoniti che, con o 1) ScHoPEN. Opinioni sul Lias superiore dei dintorni di Taormina del Prof. G. Seguenza, I. Palermo, 1886; — Sul Toarsiano, Dogger e Malm dei dintorni di Taormina, II. Palermo, 1886. i 2) DI STEFANO e CORTESE. Guida geologica dei dintorni di Taormina. Boll. Soc. geol. ital., vol. X, 1890. 3) LIMANOWSKI. T'ectonique des monts Péloritains. Boll. de la Soc. vaudoise d. Sc. nat., vol. 45. 1909. 4) BonaRELLI. Sull’età dei calcari marnoso-arenacei varicolori di Pietracutale e di Bocchigliero in Calabria. Rivi- sta di Paleontologia, 1896. 5) Fucini. Sul Lias superiore di Taormina. Boll. Accad. Gioenia, Fasc. 46, 1919. [3] A. FUCINI : 175 senza l’H. boscense tipico, appartengono a tipi piuttosto speciali. Potrebbe non ammettersi del tutto giusta la distinzione di questa zona, nell’ampio sionificato cronologico, e sopra tutto col nome dell'A. boscense e ritener meglio che essa, con la successiva zona 3 (ad ZHild. serpentinum del SeGuENZA non REIN.) faccia un tutto collegato ed inseparabile, insieme alla zona 4 degli strati con Coel. Desylacei del SEGUENZA, zona che un tempo fu riunita anche dal Secuenza alla sua zona 3; ma bisogna convenire che, se le raccolte dei fossili fossero state fatte coni più stretti criteri stratigrafici, potrebbe resultare anche giustificata la distinzione di quella zona proposta dal SEGuENZA, che meglio sarebbe chiamata sottozona, come ha analogamente fatto il Mo- NASTIER per la classica e coeva formazione dell’Aveyron in Francia. Le zone 22, 32 e 43 del SEGUENZA costituiscono, dunque, la formazione che io attribuisco al Domeriano e di esse non sarà più opportuno parlare per ora. Le zone 5° e 6*, ad 74/4. bifrons e ad H. cfr. opalinum rispettivamente, prima sconosciute anche al SEGUENZA e, come ho detto più sopra, in seguito da lui separate dal Dogger, sono le sole, reali ed effettive rappresentanti del Lias superiore nei dintorni di Taormina e quelle alle quali è volto il presente studio. Sebbene sul posto sia facile a farsi fra loro una distinzione litologiea, data specialmente dalla colorazione della roccia, non credo che rappresentino nemmeno orizzonti così diflerenti quali verrebero indicati dalle specie ammonitiche citatevi dal Secuenza; certo in ambedue si trova abbondantissima la Pos. Bronni. La zona 5.2 è, con parole del SEGUENZA, « costituita di marne più o meno indurite, sovente abbastanza te- nere, di colore rosso bruno o rossastro, con macchie variate e irregolarissime di grigio e di verdastro, chele ren- dono molto distinte per l'aspetto variegato cheimpartono alla roccia, la quale si manifesta più.o meno schistosa, ricca di esilissime lamelle di mica, spesso anco un po’ friabile, ma talvolta pure compatta. D’ordinario è abba- stanza tenera, ma talvolta s’indurisce considerevolmente ». La zona 6.2, che ben manifestasi lungo il Serina ed a Villa Asonia, è rappresentata da calcari più o meno marnosi grigio scuri, a strati non tanto sottili, con in- tercalazioni marnose dello stesso colore, e da banchi di mame di colore alquanto più cupo, contenenti, come la porzione precedente, numerosi esemplari di Pos. Bronmi. Questa porzione da chi la esamini superficialmente può esser confusa con la formazione calcareo-marnosa del Domeriano della quale è però per lo meno di colore più ‘cupo. Cosìinteso il Toarsiano di Taormina resta stratigraficamente e molto naturalmente compreso tra ll Dome- riano superiore e l’Aleniano, al quale più propriamente riterrei riferibili alcuni banchi di calcari marnosi ce- nerognoli molto friabili, che si trovano sopra al terreno precedentemente esaminato della R. Fontanelle, fra la strada che da questa località sale a Taormina e la R. Tuccina, bene spesso ripieni di una assai grossa Po- sidonomya, che potrebbe riferirsi alla P. opalina QuensTt., e con malconservate Ammoniti di tipo aleniano. Anche questi calcari sconosciuti al Prof. SEGUENZA, dai quali provengono diversi esemplari di fossili, spe- cialmente della Posidonomya testè ricordata, fra i tanti domeriani inviatimi dal Prof. Di STEFANO, possono venire scambiati con quelli domeriani, dai quali si distinguono per essere più farinosi, più friabili, meno compatti, di colorazione più chiara e più unita, cenerina. Una distinzione nella compagine stratificata toarsiana dei dintorni di Taormina non è per ora paleonto- logicamente possibile e non mi sembra ammissibile per le zone 5 e 6 proposte dal SEGUENZA, che contengono ambedue frequentissimi esemplari di Pos. Bronni. Litologicamente è invece assai evidente, ed io la ritengo assai giustificata, per certi calcari scistosi verdastri che, senza avere la Pos. Bronni, precedono le marne variegate toarsiane, che hanno pure specie toarsiane e che sono molto sviluppati sul Serina e fossiliferi fuori porta Catania a Taormina. Divisibile o no in zone o sottozone il Toarsiano taorminese resulta dunque costituito di tre membri. Cal- cari scistosi verdastri con H. serpentinum? sconosciuti al SEGUENZA, in basso ; calcari marnosi scistosi variegati di rossastro e verdastri, con H. bifrons e Pos. Bronni nel mezzo (zona 5 del SEGUENZA); calcari grigi, a strati 176 A. FUCINI i [4} compatti di piccolo spessore e intramezzati da marne scistose grigi cupe, con Pos. Bronni (6 zona del SEGUEN- za) in alto. i Seguendo i criteri classificativi adottati anche recentemente dal MowEstIER (Ze Toarcien supérieur dans la région du sud-est de V Aveyron. Bull. Soc. géol. de France, 4 ser., t. XX) si BISI intanto convenire che si tratta di Toarsiano inferiore e medio. Esso comincia a mostrarsi a Villa Agonia, presso Giardini, in quella incavatura del Monte dovuta appunto alla minore consistenza della roccia toarsiana in confronto delle contigue, che trovasi fra il Tirone ed il poggio sovrastante alla stazione ferroviaria. Di là scende verso il Serina che non raggiunge, essendo prima ricoperto dai terreni del Giurassico e del Neocomiano. Passato il poggio del Calvario si ritrova il Toarsiano un poco prima di arrivare alle Fontanelle, classica località per i fossili domeriani, ove dal SEGUENZA viene assegnata la po- tenza di m. 25. alle marne rosso-variegate ed ove, direi, che si potessero dare circa 15 metri di potenza alla porzione dei calcari grigi marnosi che si incontrano per i primi, dovendosi ricordare, che, risalendo la valle del Serina, si discende la serie dal Neocomiano fino ai ealeari di Lias inferiore, ed altri 15 metri di potenza as- segnerei ai calcari scistosi verdastri che s incontrano per ultimo, naturalmente prima di quelli domeriani. Dai pressi delle Fontanelle la nostra formazione montando il poggio di sinistra della valle va fin sotto le mura dî . Taormina, a Porta Catania, e salendo quello di destra e dirigendosi verso la R. Ogliastro è ben presto nascosta e sormontata da roccie più recenti, alcune delle quali di tipo antico, suberistallino, verrucano. Dalla valle del Serina il Toarsiano passando sotto al Giura ed al Neocomiano, tra Mastrissa e M. Lucarella, ricomparisce nella valle del S. Venera ove, nei dintorni della R. Mairri, acquista la sua più notevole estensione e potenza, con maggiore e par- ticolare sviluppo delle marne scistose variegate, ed ove continua ad essere ricoperto in serie normale da forma- zioni giuresi e neocomiane. Più a Nord ricomparisce sulle falde settentrionali del M. Venere, ma assai limitata- mente. È notevole il fatto che a levante di Taormina, sul pittoresco C.S. Andrea, ove in piccolo spazio si pos- sono osservare tanti accidenti tettonici, il Toarsiano sia rappresentato, anzichè dalle solite prevalenti marne paonazze scistose-variegate, da una formazione marnosa rosso mattone uniforme, simile a quella ben nota del rosso ammonitico superiore dell’ Italia centrale e settentrionale, cui corrisponde anche per la conservazione dei fossili a esemplari isolati, non deformati, nè schiacciati entro la roccia, come sono invece quelli delle altre regioni sopra ricordate. i Tettonicamente i terreni toarsiani costituiscono un ricoprimento a mantello delle formazioni secondarie più antiche delle quali il nodo centrale può indicarsi nei dintorni di Castelmola, interrotto specialmente a Nord e ad Est. Questo studio ha lo scopo precipuo di dimostrare che appartiene realmente al Toarsiano solo una parte, ed anche non molto grande, della formazione calcareo-marnosa dei dintorni di Taormina, fino ad ora indistin- tamente e complessivamente posta nel Lias superiore. Integrerà tale dimostrazione un altro mio prossimo e più esteso lavoro sulla fauna domeriana. © Nella parte sinonimica di questo studio non ho creduto di tenere conto delle specie citate da Di STEFANO e Correse nella loro Guida geologica dei dintorni di Taormina e da altri che hanno riunito e confuso il Toar- siano con il Domeriano per cui esse non hanno un valore indicativo e determinativo sicuro. Perle stesse ragioni non ho potuto tener conto di tutte le specie seguenti, citate per le zone 4 e 5 del SecueNnzA (le sole come ho detto più volte che costituiscono il Toarsiano di Taormina) fra le quali ho dovuto limitarmi a citare quelle asso- solutamente riconoscibili: Coeloceras commune (D’ORB.), C. Holandrei (’ORB.), Coel. annulatum (Sow. ), Coel. filicosta sp. n., C. crassum (Pu.), C. subarmatum (D’ORB.), C. Braunianum (D’ORB.), C. cfr. fibulatum (Sow.), C. Desplace (D’ORB.), C. Raquinianum (D’ORB.), C. doliolum n. sp., Harpoceras falciferum (Sow.), H. subpla- natum (OPP.), H. eraratum (Y. e B.), H. magnum n. sp., H. discoides (ZieT.), H. disciforme n., H. elegans (Sow.), [5] A. FUCINI 177 H. bicarinatum ? (Zier.), H. crasseplicatum n., H. cîr. opalinum (Remn.), H. cfr. aalense (Zier.), Hildoceras comense (Bucn), H. Erbaense (HAUER), Hild. Bayani (Dum.), Hild. solare n., Hild. Coccoi n., Hild. bifrons Brue., Hild. Levisoni (Siwre.), Hild. Boreale (SeEB.), Hild. Tauromenitanum (Ske.), Hild. messanense n., Hild. retror- sicosta n., Hild. crassicosta (SEG.), Hild. serpentinum (Remn.), Hild. cfr. comense (Buca), Goniohildoceras bi- partitum n. g. n. sp., Hammatoceras insigne (ScHuBL.), Lytoceras suElincatum (OPEL), L. multinodes n., L. te- nuisculptum n., L. efr. Trautscholdi (OPP.), L. argentecostatum n., L. sp., Phylloceras Capitanei (Cat.), Ph. Spadae (MeH:),.Ph. Maurolici n., Ph. Nilsoni (HeB.), Ph. radians n., Ph. sp., Aptychus depressus (Vottz), A. sp., Posidonomya Bronni (Votrz), P. selinensis n. Il fatto della straordinaria quantità di specie citate dal SEGUENZA per la sua zona 4 in confronto di quelle poche notate per le zone precedenti, ove sono in effetto invece specie nella 3, straordinariamente più nume- rose, farebbe pensare che nell’elenco ora dato fossero comprese delle specie provenienti da tali zone pre- cedenti, che secondo quanto ho esposto non sono toarsiane ma domeriane. Posidonomya Bronni VoLrz. - Tav. XVI [I], fig. 1. 1830. Posidonia Bronniin ZieTEN. Versteinerungen Wiirtembergs, T. LVII, fig. 4. 1886. Posidonomya Bronni SecuENZA. Il Lias superiore ecc., pag. 26. 1886. — selinensis SEGUENZA. Ibidem, pag. 27. 1906. Posidonomya Bronni Renz. Balkanhalbinsel, pag. 291. 1909. Posidonomya Bronni TrAaUTH. Die Grestener Schichten d. desterr. Voralpen, pag. 79 (cum syn.) Esemplari straordinariamente numerosi sarciscono completamente alcuni banchi di calcari mamosi vari- colori ; meno numerosi si trovano nei calcari grigio scuri marnosi. Nei primi calcari si accompagnano spessis- simo ad ammoniti, specialmente all’ Hi2d. bifrons. Le loro dimensioni senza raggiungere quelle della var. magna del QuenstEDT!) sono assai maggiori di quelle della var. parva dello stesso autore 2). Le pieghe concentriche raramente sono sottili e numerose, più spesso presentansi rade e grossolane, specialmente in vicinanza degli umboni. Non mi sembrerebbe giustificata la distinzione della P. selinensis proposta dal SEGUENZA per la forma a coste più sottili. Loc. Fontanelle, Mairri, Villa Agonia; mame variegate, calcari grigi. Nucula cfr. Hausmanni RoEm. 1836. Nucula Hausmanni RoEMER. Zool. Gab., tav. VI, fig. 12. 1874. — — DumORTIER. Dép. jurass. Lias sup., pag. 297, tav. LX, fig. 12, 13. È una valva destra di una Nucula, che ha subìto una compressione più o meno sensibile e che quindi si presenta dal più al meno un poco deformata. I suoi caratteri la rendono molto vicina alla N. Haus- manni Rorm. figurata dal DumortIER, dalla quale sembrerebbe differire solo che per il margine antero-pal- leale meno obliquo e più arrotondato. Le strie concentriche di accrescimento anche nel mio individuo sono più manifeste presso il contorno. I 1) QUENSTEDT. Der Jura, pag. 260, tav. 37, fig. 8. 2) QuENSTEDT. Ibidem, fig. 9. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 25 178 A. FUCINI [6] Altra notevole rassomiglianza viene ofterta dall’esemplare in ‘esame con la N. cordata GoLpr. 1) la quale però non ha il margine posteriore troncato. Non potrei, per ultimo negare la possibilità che il campione studiato potesse riferirsi alla N. Hammeri Derr. che talora ha forme molto brevi e più alte che lunghe. Loc. Fontanelle, marne variegate. Phylloceras Nilssoni HéB. — Tav. XVI [I], fig. 3. 1866. Ammonites Nilssoni H&BERT. Calcaires à Ter. diphya, pag. 527, fig. 3 (intere.) 1869. Phylloceras Nilssoni ZirteL. Beobachtungen aus dem Central-Apenninen, pag. 49. 1867-81. A. (PhyMoceras) Nilssoni MENEGHINI. Monographie, pag. 96, tav. XVIII, fig. 7?, 8, 9?. 1880. PhyMoceras Nilssoni. TAraMmeLLI. Lias Alpi Venete, pag. 73, tav. 3, fig. 1. 1886. —_ — VAcEK. Oolithe vom Cap S. Vigilio, pag. 67, tav. 4, fig. 1-7. 1886. — — SEGUENZA. Lias superiore, pag. 25. 1899. — — BONARELLI. Ammoniti del rosso ammonitico, pag. 214. È 1904. — = Prinz. Jurabildungen im Bakony, pag. 42, tav. VIII, fig. 1; tav. XXI, fig. 1; tav.. XXXVI, fig. 10. 1906. _ — Renz. Formations gruppe Balkanhalbinsel, pag. 287, tav. XIII, fig. 6. L’unico esemplare in studio che porta la determinazione scritta di mano del GewmeLLARO, più che ad ogni altro corrisponde a quello balcanico figurato dal Renz. Esso, difierendo un poco da quelli dell’Appen- nino illustrati dal MENEGHINI, per avere ombelico più ampio si accosta meglio di quelli alla forma tipica. Il suo notevole spessore potrebbe però siustificarne il riferimento al Ph. submilssoni KILIAN 2). Ho posto in dubbio la pertinenza a questa specie dei due piccoli esemplari figurati dal MENEGHINI per- chè secondo il BonARELLI®)apparterrebbero a due specie separate e per le quali propone il nome di Ph. Bea- tricis per quello della fig. 7 e di Ph. Virginae per l’altro della fig. 9.. Fra le due parmi più giustificata la distinzione di quest’ultimo, per il suo ben lento accrescimento e quindi per la sua notevole involuzione. In grande contrasto col modo di vedere del BonarELLI, il PrINzZ ed il Renz avrebbero invece riunito al Ph. Nilssoni HeB. il Ph. Capitanei, i Ph. ausonium ed il Ph. selinoides illustrati dal MeNEGHINI stesso. Ma se tale riunione potrebbe essere accettabile nei riguardi del PR. Capitanei è assolutamente inammissibile per le altre due specie. Loc. Capo S. Andrea, marne rosse. Phylloceras doderleinianum Car. 1853. Ammonites doderleinianus CATULLO. Nuove classif. rosso ammonitico, pag. 19, tav. 1, fig. 3 a,b,c. 1915. PhyUoceras doderleinianum PrINcIPI. Amm. Monti Martani, ‘pag. 431, tav. XV, fig. 7 (cum sym.). Sono due esemplari perfettamente caratterizzati e riconoscibili. IlPrincipIha paragonato, per la forma generale della conchiglia, questa specie a Ph. tenwistriatum Mon. ed al 1) GoLpFuss. Petr. Germaniae, pag. 155, tav. 125, fig. 6. 2) KILIAN. Mission d’ Andalusie, pag. 615, tav. XXV, fig. 4. 3) BONARELLI. Ammoniti del rosso ammonitico, pag. 214. [7] A. FUCINI 179 Ph. oenotrium Fuco. di terreni più antichi, ma egli non ha forse posto mente alla notevole differenza della sezione dei giri che in quelle specie è lanceolata o quasi ed in questaellittico-allungata. Loc. Capo S. Andrea; marne rosse. Phylloceras Spadae Mou. ? 1867-81. A. (PhyMloceras) Spadae MENEGHINI. Monographie, pag. 93, tav. XIX, fig. 1-4. 1886. Phylloceras Spadae SEGuENZA. Lias superiore, pag. 25. Possono riferirsi al Ph. Spadae Mex. tra esemplari, molto mal conservati, deformati e compressi, che mo- strano di avere la conchiglia fornita, sulla parte esterna dei giri, di cingoli rilevati e piuttosto numerosi. Niente si può arguire dell’ampiezza ombelicale, della forma dei giri, nè della linea lobale. Loc. Contrada Mairri, Fontanelle ; marne variegate. Phylloceras Capitanei? CAT. — Tav. XVI [I], fig. 6. 1847. Ammonites Capitanei CATULLO. Ammoniti delle Alpi Venete, pag. 5, tav. XII, fig. 4. ? 1866. Phylloceras Capitanei SEGUENZA. Lias superiore, pag. 25. E la specie di PhyMoceras più frequente nelle marne varicolori toarsiane di Taormina, ma gli esemplari sono tutti assai mal conservati, deformati e compressi. Quello figurato, che è in condizioni di conservazione migliori degli altri, fu riferito dal GemmELLARO, in schaedis, al Ph. Capitanei CAT. ed io mantengo questa determinazione non avendo argomenti nè per contradirla, nè per sostenerla; debbo solo ricordare la loro grande rassomiglianza con quelli dei calcari marnosi riportati al Ph. Ausonium Mon. Le conchiglie, in gene- rale con la camera di abitazione conservata ed estesa per 4 dell’ultimo giro, sono fornite di solchi peristo- matici lievi e simuosi, evidenti specialmente in corrispondenza della camera di abitazione ; alcuni mostrano una sottile ornamentazione, data da sottilissime costicine trasversali, arcuate e proverse, spiccate sulla parte esterna dell'ultima porzione della spira; tutti poi, dal più al meno lasciano scorgere delle deboli e in- certe pieghe radiali simili a quelle che vengono mostrate dallafigura data dal MENEGHINI !) per l'esemplare più grande del suo Ph. Ausonium. Ben poco si vede della linea lobale; può dirsi solo che ha la prima sella laterale difillica. Secondo il Prinz °) il Ph. Capitanei Cat. sarebbe originariamente di Lias medio, ed il riferimento ad esso fatto dal MENEGHINI, e quindi da coloro che hanno seguito quest’ ultimo, riguarderebbero esemplari da ri- portarsi al Ph. Nilssoni, precedentemente studiato. Se tal modo di vedere fosse giusto, il che io non credo, ammesso che il Ph. Capitanei Car. fosse invece originariamente di Lias superiore, bisognerebbè mantenere alla specie il nome di CATULLO e non quello dell’HéBERT. - Lo ZuFFaARDI ) ha ritenuto più appropriato per questa specie il nome di Ph. Capitanioi anzichè quello di Ph. Capitanei precedentemente e generalmente usato. Loc. Fontanelle, Mairri; marne variegate. > 1) MENEGHINI. Monographie, pag. 92, tav. XVIII, fig. 2. 2) Prinz. Jurabildungen in Balkany, pag. 42. 3) RENZ. Formationsgruppe Balkanhalbinsel, pag. 287. 4) ZurFraRDI. Ammoniti liassiche dell’Aquilano, pag. 577. 180 | A. FUCINI [8] Lytoceras sepositum Mex. — Tav. XVI [I], fig. 13. 1874. Lytoceras sepositum MENEGHINI. Nuove specie di PhyUoceras e di Lytoceras, pag. 107. 1867-81. — — MENEGHINI. Monographie, pag. 109, tav. XXII, fig. 3, 4. non 1896. — _ Fucini. Lias medio di Spezia, pag. 28, tav. III, fig. 5 .1899. — — BoNARELLI. Ammoniti del rosso ammonitico, pag. 217. non 1900. — —_ DeL CAMPANA. Cefalopodi del Medolo, pag. 35, 40-42. La conchiglia si accresce non molto rapidamente ed ha piccola involuzione ed ombelico non tanto ampio. I giri hanno caratteri che non si scorgono molto bene perchè l'esemplare è tutto impiantato nella roccia ed al- quanto deformato ; sembra tuttavia che essi fossero rotondeggianti e divisi da suture profonde. L’ultimo è fornito di coste, specialmente irregolari ed evidenti nell’ ultima porzione della spira. Queste cominciano a mostrarsi al principio di esso, ove sono molto sottili, pressochè radiali e talora riunite presso l'ombelico od an- che sui fianchi, e che, alla fine dello stesso ultimo giro, si mostrano ora più ora meno rilevate ed anche arcuate e inclinate in avanti, a cagione, in parte almeno, della deformazione subìta. Alla fine della spira, come avviene nei due esemplari originali del MENEGHINI, carattere quindi facile ad aversi nella specie, si ha ilsolco peristo- matico, bene evidente e distinto, più proverso delle coste, assai profondo e fortemente ripiegato in avanti presso l'ombelico. Il peristoma, che sembra conservato, è superiormente ancora più proverso del solco ed inferiormente pure più ripiegato in avanti, presentando quindi una forte insenatura in corrispondenza del con- torno ombelicale. La camera di abitazione si estende per i due terzi dell’ultimo giro. La linea lobale non è ben ‘ conservata, si vede però che essa corrisponde a quella fisurata dal MENEGHINI. Ho escluso dalla sinonimia di questa specie gli esemplari del Domeriano di Spezia e di Val Trompia riferitivi da me e dal Der CAMPANA, paréndomi più probabile che essi sieno da riportarsi al Lyt. Capellinii BETT. descritto in altra parte dello studio presente. Loc. Fontanelle; marne variegate. Lytoceras Dorcadis Men. 1867-81. A. (Lytoceras) Dorcadis MENEGHINI. Monographie, pag. 107, tav. XXI, fig. 1. non 1885. Lytoceras Dorcadis GeEMMELLARO. Monografia dei fossili del Lias superiore, pag. 2. 1908. _ — PriIncIPI. M. Malbe e M. Tezio, pag, 207, tav. VII, fig. 14 (cum sym.) È una forma che corrisponde perfettamente a quella del M. Malbe figurata dal PRINCIPI, anche perchè pre- senta sul finire della spira, incerte pieghettature radiali che sembrano mancare nella tipica del MeNEGHINI. Potrebbe trattarsi di un termine di passaggio tra il Lyt. Dorcadis ed il Lyt. Catriense Max. 1) quest’ultimo dal MeNEGHINI riguardato come una varietà di quello. Escluderei che dovesse riferirsi al Lyt. Italiae PAR. e VIALE, il quale pure sta fra le due specie del MENEGHINI, ma che sembra distinto dal Lyt. Dorcadis per più lento accrescimento e dal Lyt. Catriense per la mancanza di pieghettature radiali. Come dirò a suo tempo la citazione di questa specie a Taormina, fatta dal GEMMELLARO, riguarda il Lu Fuggeri GEYER. Loc. Fontanelle; marne variegate. 1) MENEGHINI. Monographie, pag. 107, tav. XX, fig. 4. [9] A. FUCINI 181 Dumortieria Taramellii Fuc. 1867-81. Ammonites Levesquei (non D’ORB.) MENEGHINI. Monographie, pag. 49 pars, non exempl. fig. 1899. Dumortieria Taramellii Fucini. Amm. d. Lias medio Appennino Centr., pag. 21, tav. III, fig. 8. 1914. Dumortieria Meneghinii (non Box.) Zurrarpi. Amm. liasiche dell’Aquilano, pag. 587, tav. X, fig. 7. Separai un tempo questa forma da quella che il MenEGHINI aveva riferito all’A. Levesquei D’ORB. e che ebbe dal BowarELLI il nome di D. Meneghinii per un numero maggiore di coste per giro e per la mancanza di solchi peristomatici, che non appariscono nelle figure date dal MENEGHINI stesso, ma che questi dice però essere presenti per quanto non fatti rilevare dal disegnatore. Anche la forma in esame sorpassa le 60 coste per giro, mentre la specie del MENEGHINI ne porta 52 ; così può dirsi per l’esemplare dell’Aquilano figurato da ZUFFARDI. Si è stati incerti a quale zona riferire la D. Meneghinii Bon., che indubbiamente proviene dai calcari rossi ammoniferi superiori insieme con le più tipiche ammoniti toarsiane, ed altrettanto può dirsi della specie presente. L’esemplare in esame proviene infatti dalle marne variegate delle Fontanelle con gran numero di Hild. bifrons, ed ha nello stesso. pezzo di roccia numerosi esemplari di Posidonomya Bronni; non così può dirsi dell’esemplare della Marconessa, da me figurato altra volta, ritenuto, ma non con sicurezza, pro- venire dal Lias medio. Altrettanto può dirsi dall’esemplare figurato da ZuUFFARDL Hildoceras bifrons BRUG. — Tav. XVI [I], fig. 2. 1792. Ammonites bifrons BRUGUIÈRE. Encycl. méth., I, pag. 40. 1885. Harpoceras (Hildoceras) bifrons GemMmELLARO. Monografia del Lias superiore, pag. 3. 1886. Hildoceras bifrons SEGUENZA. Lias superiore, pag. 20. 1886. Hildoceras messanense SEGUENZA. Ibidem, pag. 21. ? 1886. HMildoceras retrorsicosta SecuENZA. Ibidem, pag. 22. - 1904. Hildoceras bifrons PrINZ. Jurabildungen Balkony, pag. 124, tav. VI, fig. 2,4,7 ; tav. XXXVII, fig. 14. 1915. Hildoceras bifrons PrincIPI. Amm. del Lias sup. d. Monti Martani, pag. 453, tav. XVII, fig. 2 (cum syn.). 1918. — — BucKkman. Jorkshire type Ammonites, n.° 114, tav. CXIV a. La specie è numerosissima negli scisti varicolori delle Fontanelle ed anche in quelli di Mairri. Gli esemplari sono sempre schiacciati. per compressione ed immedesimati con la roccia. Vi prevalgono di gran lunga quelli di piccole dimensioni. La forma più largamente rappresentata è quella a ‘coste sottili e numerose e con marcata depressione lungo la metà interna dei giri. { A tali condizioni di fossilizzazione contrasta un bell’esemplare che per l’etichetta che lo accompagna parrebbe provenire tra la Madonna delle Grazie C. e Bagnoli ove si hanno però formazioni esclusivamente domeriane. Fra queste abbondano colà calcari rossi perfettamente identici a quelli domeriani del M. di Ce- tona in Toscana, per cui si spiega come l’esemplare in esame possa essere stato creduto provenire da là, data la sua fossilizzazione in un calcare rosso, marnoso. Questo calcare è però differente da quello subceroide dome- riano e trovasi invece rappresentato al C°. S. Andrea d’onde prevengono, insieme con l’esemplare discusso, al- tre ammoniti toarsiane della stessa fossilizzazione. i Per i caratteri che il SecuenzA asseona al suo Hild. messanense e per il fatto che questo sarebbe, secondo il suo autore, la specie di Hildoceras più comune, ritengo che esso non rappresenti che una semplice varia- zione di questa specie. 182 - A. FUCINI i [10] È probabile che si riferisca alla specie in esame anche quella che il SeGuENZA distinse col nome di Hild. relrorsicosta. Hildoceras sublevisoni n. sp. 1874. Ammonites Levisoni (non Simps.) DuMoRTIER. Dép. jurass. du Rhòne, pag. 49, tav. XI, fig. 3, 4. 1867-81. Harpoceras bifrons (non BrUG.) MENEGHINI. Monographie, pag. 8, 198 (pars), tav. II, fig. 1-4; non tav. II, fig. 5. 1880. Harpoceras bifrons TARAMELLI. Lias prov. venete, pag. 75, tav. V, fig. 3-7. 1885. Hildoceras Levisoni HauG. Amm. Gattung Harpoceras, pag. 641, tav. XII, fig. 7. 1886. — = SEGUENZA. Lias superiore, pag. 20. 1893. — —_ BONARELLI. Toarciano e Aleniano, pag. 199, 210. 1899. = — BOoNARELLI. Amm. del rosso ammonitico, pag. 200. 1905. — _ Fucini. Cefal. d. M. Cetona, pag. 113, tav. XLVI, fig. 3. 1906. _ — PariscHA e ViaLE. Contrib. studio Amm. del Lias sup., pag. 155, tav. IX, fig. 7-9. 1908. — — PrINncIPI. M. Malbe e M. Tezio, pag. 215. 3 1915. — = Principi. Amm. d. M. Martani, pag. 455. È la specie che gli autori francesi ed italiani hanno riferito all’H7l4. Levisoni Stmps., del quale fino a pochi anni fa non si conosceva unatipica e originale illustrazione. Questa è stata data nel 1910 dal Buckman!) e fa capire come, a mio parere, quegli autori non interpetrassero giustamente la specie. Da essa infatti appari sce che Hild. Levisoni Simps. ha coste assai più ed in diversa maniera sigmoidali della specie in discussione ed ha il dorso assai meno manifestamente solcato. Il DumortiER ?) fu il primo a figurare e a riferire all’A. Levisoni Sims. la forma in esame che contempo- raneamente veniva figurata dal MeneGHINI il quale però la aggregava all’A. bifrons. Nello stesso modo del DumortIER fu intesa di poi dall’Haue?) il quale anzi per essa dà una sezione del giro con accentuatissimi sol- chi dorsali. WrIcHT®) attribuì all’ Harp. Levisoni Stmrs. tre forme fra loro diverse. La prima di queste, tav. LX, è assai vicina a quella considerata dagli autori latini quale rappresentante della specie del SIMPSON, però con solchi dorsali meno spiccati e con ornamenti meno rilevati, per quanto dello stesso andamento. La seconda (tav. LXI fig. 1 2) caratterizzata da pieghe molto rade, grossolane, retroverse si avvicina alla soprascritta varietà; ha però solchi dorsali molto più profondi. La terza, esclusa insieme con la precedente dalla sinonimia dell’Hi7d. Levisoni dall’Havc, sembra invece corrispondere assai bene all’olotipo figurato dal BUCKMAN. Si riferiscono a questa specie pochi e mal conservati esemplari provenienti dalle marne variegate delle Fon- tanelle e tre buoni individui trovati al C°. S. Andrea nelle marne rosse. Hildoceras crassicosta SEG. 1886. Hildoceras crassicosta SEGUENZA. Lias superiore, pag. 22. 1887. Hildoceras Levisoni (non SimPs.) DENCEMANN. Fauna v. Dòrnten, pag. 49, tav. VIII, fig. 7. 1) Buckman. Yorkshire type Ammonites, Parte II, tav. XII. 2) DumoRTIER. Dép. jurass. du Bassin du Rhòne. Lias sup., pag. 49, tav. IX, fig. 3, 4. 3) Haue. Gattung Harpoceras. Neues Jahrbuch, Beil. Bd. III, pag. 641, tav. XII, fig. 7. 4) WrIGHT. Lias Ammonites, pag. 438, tav. LX e LXI. [11] A. FUCINI 183 Sono alcuni esemplari che si riferiscono a quella forma figurata dal DENCKMANN e da questi riguardata come var. dell’#774. Levisoni Sims. e che molto evidentemente corrispondono a quelli per i quali il Se- GUENZA propose il nuovo nome specifico. Essi infatti si distinguono da quelli ascritti alla specie precedente per le pieghe o coste molto più larghe, grasse, retroverse e slargate verso la parte esterna dei giri. Loc. Fontanelle, marne variegate. Hildoceras Renevieri Hue. 1898. Harpoceras (Hildoceras) Renevieri Hue. Lias u. Dogger Ammomiten, pag. 16, tav. II, fig. 4; tav. III, fig. 2. Come riconobbe l’autore, questa specie è del tipo del Hd. boscense REI. e si accosta anche ad altre dome- riane quali sarebbero 1’ Hd. Lavinmianum Mea., Hild Cornacaldense TauscH, Hild. Normannianum D'OR. ete. I due esemplari che io vi riferisco hanno coste piuttosto numerose e quindi corrispondono meglio a quello rappresentato dall’ Huc nella tav. II che non all’altro della tav. III. I due esemplari provengono dalle marne verdastre di Porta Catania. Mercaticeras Mercati HAUER. 1856. Ammonites Mercati Hauer. Cephal. Lias N. O. Alpen, pag. 43, tav. XXIII, fig. 4-10. 1904. Hildoceras Mercati Prinz. Jurabildungen Bakony, pag. 122, tav. XXIV, fig. 3, tav. XXXI, fig. 4. 1915. — _ — PrincIri. Amm. Monti Martani, pag. 457, tav. XVI, fig. 5 (cum syn.) Un solo esemplare e nemmeno tanto completo nè ben conservato ; tuttavia riconoscibilissimo. Loc. Fontanelle, mame variegate. * Lillia erbaensis ? HauER. 1856. Ammonites Erbaensis HauER. Ceph. Lias N. O. Alpen, pag. 42, tav. XI, fig. 10-14. 1886. Hildoceras Erbaense SEGUENZA. Lias superiore, pag. 19. Trattasi di un frammento i cui caratteri, per quanto riferibili molto bene a tale specie dell’HAuER, non sono talmente e francamente evidenti da non lasciare il dubbio che possa trattarsi invece della L. rheumati- sans Dum.1). . Loc. Fontanelle, marne variegate. Brodiceras Bayani Dum. — Tav. XVI [J], fig. 4. 1867-81. Ammonites Comensis (non DE BucH) MENEGHINI. Monographie etc., pag. 21, tav. VIII, fig. 1,2; tav. XII, fig. 1; non tav. V, VI, VII et VIII fig. 3-7. 1867-81. — - MENEGHINI. Ibidem, pag. 200. 1874. Ammonites Bayani DumortIER. Dépots Jurassiques. Lias sup., pag. 69, tav. XVI, fig. 7-9. 1885. Harpoceras (Leioceras) cîr. Lythense (non Y. et B.) GemmeLLARO. Monografia dei fossili del Lias superiore, pag. 7. ; 1) DumoRTIER. Etudes paléont. IV, pag. 88, tav. XXV. 184 A. FUCINI [12] 1886. Hildoceras Bayani SEGUENZA. Lias superiore, pag. 19. . 1899. Haldoc. (Lillia) gr. Bayani BonaRELLI. Le Ammoniti del rosso Cmonincni pag. 207. 1914. Hildoceras Bayani ZurrarDI. Ammoniti Liassiche dell’ Aquilano, pag. 610, tav. XI, fig. 10 (cum syn.). Già il MENEGHINI riconobbe nella « Revision sistématique» delle speciedella sua classica monografia che la 7 forma da lui attribuita all’A. Comensis corrispondeva all’A. Bayani Duw., come precisamente credette più tardi il BONARELLI. Io riferisco a tale specie un solo esemplare assai grande e di discreta conservazione per quanto sia com- presso e stirato lateralmente. Loc. Mairri, marne variegate. Brodiceras cfr. Gruneri Dum. 1874. Ammonites Gruneri DumorTIER. Dépots jurassigues. Lias sup., pag. 70, tav. XXXI, fig. 1-3. È forse riferibile a questa specie un esemplare assai malconcio; con coste assai rade, pressochè diritte sui fianchi dei giri, talora riunite a varia altezza verso l’ombelico ed un poco piegate in avanti verso il dorso. Questo non sembra avere solchi dorsali distinti, ma carena sifonale assai elevata. Loc. Porta Catania, marne verdastre. Pseudogrammoceras cfr. fallaciosum BEYLE.— Tav. XVI [I] fig. 7 1867-81. Harpoceras radians (non REIN.) MENEGHINI. Monographie, pag. 33, tav. IX, fig. 2-6. 1878. Grammoceras fallaciosum BeyLE. Explic. carte geol., IV. Atlas, tav. 78, fig. 1, 2. Un esemplare, proveniente sicuramente dal C°. S. Andrea e non da Bagnoli al di sotto della M. della Gra- zia, come è detto nell’etichetta, ove non esiste che Domeriano e litologicamente differente, corrisponde molto bene a quello della fig. 4 del MENEGHINI posto in sinonimia, che io sono in dubbio però se riferire sicuramente alla specie del BeyLE, secondo il modo di vedere di alcuni autori. La specie del BeyLE avrebbe infatti un di- verso andamento delle. coste. ZUFFARDI, il quale ha citato e giustamente il Pseud. celebratum Fuc. tra le Ammoniti liassiche dell’ Aqui- lano, ha però forse non altrettanto giustamente riunito a tale mia specie quella attualmente in esame rappre- sentata dagli esemplari meneghiniani. La mia specie al confronto con questi ultimi ha coste più falciformi, cioè a dire, più ripiegate in avanti verso il dorso dei giri e più inclinate in dietro verso l’ombelico, resultando quindi afiche più genicolate in alto. . Loc. Capo S. Andrea, marne rosse. Harpoceras serpentinum ? REIN. 1818. Argonauta serpentina RenicxE Maris prot. Nautilus efc., pag. 89, fig. 74, 75. Trattasi di tre esemplari due dei quali frammentari ed uno assai piccolo, di circa mm. 30 di diametro, perciò dubitativamente riferiti a questa specie da quale raggiunge talora notevolissime dimensioni. I ca- ratteri di essi, sebbene assai distinti, non sono però sufficienti per farci capire seinvece debba trattarsi di altra [13] A. FUCINI 185 specie prossima, quale, ad esempio, l’Hurp. Mulgravium Y. et B. il cui olotipo fu figurato or sono pochi anni dal BucKman 1). i Loc. Fontanelle, mame varicolori ; Porta Catania, marne verdastre. Harpoceras subplanatum OPP. 1842. Ammonites complanatus (non BRUG.) D’ORBIGNY. Paléont. frane., pag. 358, tav. 114, fig. 124; non fig. 3. 1856. _ subplanatus OPPEL. Juraformation, pag. 364. 1874. — — DumorTIER. Dépots jurassiques. Lias sup., pag. 51, tav. X, XI, fig. 128. 1886. Harpoceras subplanatum SEGuENZA. Lias superiore, pag. 18. Due esemplari frammentari sembrano staccati da quello figurato dal D’ORBIGNY posto in sinonimia. Gli ornamenti costituiscono la più spiccata caratteristica di: questa specie per la loro regolarità e per la loro grande falcatura. = Il DumortIER credette che a questa specie dovesse essere riportato l’ A. mulgravius Y. e B., ma ora che quest’ultima specie ha avuta una eccellente rappresentazione dal Buckman *) tale riunione non è più possi- bile, non foss’altro per il diverso accrescimento della conchiglia, che si palesa con un’ ampiezza ombelicale assai diversa. Loc. Fontanelle, marne variegate. Harpoceras Felleubergi Hue. 1898. Harpoceras Fellenbergi Hue. Beit. Kenniniss d. Lias etc., pag. 10, tav. II, fig. 6; tav. IV, fig. 3. Riferisco a questa specie due esemplari assai grandi, però non benissimo conservati, che in confronto coll’Harp. serpentinum ReIN. mostrano un minore ricoprimento della spira e sopra tutto ornamenti più sot- tili e numerosi, specialmente sul finire della spira. Loc. Fontanelle, marne variegate. Harpoceras magnum SEG. — Tav. XVI [I], fig. 8. 1886. Harpoceras magnum SEGUENZA. Lias sup. di Taormina, pag. 18. Si tratta di una specie di Harpoceras non rara, del tipo dell’H. subplanatum, ma con coste molto pù sot- tili, quasi capillari ed un poco più irregolari, specie per il fatto di essere più grossolane all’interno che non all’esterno della spira, pure essendo allo stesso modo distintamente falcate. Sembrerebbe che essa corrispondesse assai bene all’H. eraratum Y. et B. figurato da WRIGHT?) che ha però una minore sottigliezza e faleatura di coste. Non ho creduto di potere proporre il riferimento dei miei esem- plari alla specie di YounG e Brrp, poichè questa, dalle. illustrazioni tipicamente originali date dal BucK- MAN, apparisce avere coste ancora più grossolane e più rade dell’esemplare di WRIGHT. 1) Buckman. -Yorkshire type Ammonites, P. I, n. 4. 3) BucKMAN. Yorkshire type Ammonites, tav. IV B. 3) WrIGHT. Lias Ammonites, tav. 62, fig. 1-3. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 24 186 A. FUCINI [14] Per numero e sviluppo delle coste la specie in esame trova grandissima analogia con l'esemplare di H. ca- pellinus figurato da HuG !), ma in questo esse non sono affatto di andamento falcato, ma appena sinuose. Non potrei escludere che la specie presente potesse riferirsi all’H. elegans Sow. L’esemplare figurato appartiene all’Istituto geologico dell’Università di Messina ove si conservava fra il poco materiale scientifico potuto ritrovare dopo il terremoto e che io ho avuto dalla gentilezza del Prof. La VacLe. Ad esso è unita l’etichetta con la « determinazione del Prof. G. SEGUENZA ). Loc. Valle Tirone, mame variegate. Peronoceras? annulatum Sow. 1819. Ammonites annulatus SowerBY. Mineral Conchology, T.III, pag. 41, tav. 222, fig. 5 (pars); non fig. 1-4. 1856. — — OppPeL. Juraformation, pag. 225. 1880. Ammonites Desplacei (non D’ORB.) TARAMELLI. Lias nelle provincie venete, pag. 74, tav. III, fig. 9, 10 1867-81. — — MENEGHINI. Monographie, pag. 75, tav. XVI, fig. 5 (pars) ; non fig. 7,8. 1885. Coeloceras Desplacei (non D’ORB.) SEGUENZA. Lias superiore, pag. 17. ? 1885. Coeloceras annulatum GemmeLLARO. Monografia sul Lias' superiore, pag. 8. ? 1886. n — SEGUENZA. Lias superiore, pag. 17. 1887. Coeloceras annulatum DENCEMANN. Umgegend von Dornten, pag. 80. 1906. — — Renz. Mesozoische Formationgruppe, pag. 276, tav. XII, fig. 2. 1908. — _ CHorrar. Dogger de Thomar, pag. 152. peo ? 1908. Coeloceras Desplacei (non D’OrB.) PrINcIPI. M. Malbe e M. Terzio, pag. 220. non 1912. Coeloceras annulatum. Renz. Untersuchungen im portugiesischen Lias, pag. 76. 1914. cs _ Mrister. Ammonitenfauna des portugiesischen Lias, pag. 578, tav. XI, fig. 8. 1915. Coeloceras' Desplacei (non D’ORB.) PRINCIPI. Ammoniti del Lias:superiore, pag. 462, tav. XVI. fig. 8. Sono diversi esemplari, tutti deformati ed in parte frammentari, che corrispondono alla forma illustrata dal TARAMELLI e-dal MENEGHINI come A. Desplucei D’ORB., ritenuta riferibile all’A. annulatum Sow. dal Renz, dal MristeR e da altri recenti osservatori. Io non ho da addurre considerazioni speciali pro o contro questo modo di vedere ; ma è certo che tale forma è alquanto differente da quella tipica orbioniana, come già fu fatto rilevare dal BonarELLI?). D'altra parte mancano però buone e originali illustrazioni del tipico A. annu- latus Sow. da potere stabilire con sicurezza la sinonimia annunciata. i Dubito assai che la citazione del Coel, annulatum, fatta a Taormina dal GemmELLARO, riguardi la specie esaminata,e sono di parere che si riferisca piuttosto al Per. sparsinodum o magari al domeriano Dact. poly- morphum n. sp. i Lro c. Fontanelle, marne variegate. Peronoceras ? sparsinodum n. sp. —Tav. XVI [I], fig. 10. 1879. Ammonites annulatus (non Sow). REYNÉSs. Ammonites (Lias sup.), tav. VIII, fig. 1-3, 5-9 (pars); non fig. 4. ® 1881. A. (Stephamoceras) Mortilleti MenEGHINI. Fossili del Medolo, pag. 21, tav. IV, fig. 7; tav.VI, fig. 2 (pars); . non tav. VI, fig. 1. ? 1908. Coeloceras Mortilleti FucIiNI. Synopsis, pag. 93, tav. III, fig. 30, 31. 1913. Coeloceras cîr. anguinum (ReIn.) MeIstER. Ammonit. des portugiesischen Lias, pag. 580, tav. XV, fig. 5. 1) Hue. Lias u. Dogger Ammonites, tav. VI, fig. 1. 2) BONARELLI. Ammoniti del rosso ammonitico, pag. 211, 212. [15] A. FUCINI 187 Conchiglia di lento accrescimento, di piccola involuzione, i cui giri sembrano appiattiti sui fianchi, sebbene ciò sia dovuto, in gran parte almeno, alla compressione subita dagli esemplari. Gli ornamenti sono assai caratteri- stici e consistono in coste ed in nodi. Le prime sono fini e sottili, anche nei primi giri, alquanto più strette degli intervalli, diritte o leggermente proverse sui fianchi ed un poco ripiegate in avanti verso il dorso ; se ne contano circa 80 nell’ ultimo giro. Generalmene esse sono semplici e vanno dal dorso all'ombelico ; molto raramente, però, alcune s’interpongono alle altre e svaniscono sui fianchi; altre volte si riuniscono nei nodi. Questi sono dei piccoli ingrossamenti che, in serie non molto regolare, si trovano sopra la metà dell’altezza del giro, non sempre alla stessa precisa distanza dal dorso, talora col semplice intervallo di una sola costa, talora con intervalli di tre, di quattro di cinque, fino ad oltre otto. coste. Sembra che nei giri interni i nodi sieno più numerosi. Non sempre al nodo corrisponde lo sdoppiamento delle coste dalla parte del dorso ; talora i nodi si trovano in direzione di un intervallo ed allora congiungono le coste contigue da una parte e dall’altra di essi, cioè sopra e sotto, e talora stanno sopra una costa che si mantiene semplice, pure da una parte e dall’altra. La camera di abitazione oltrepassa la lunghezza dell’ultimo giro ; nessun esemplare mostra i ca- ratteri peristomatici nè, chiaramente, quelli della linea lobale. È molto probabile che questa specie corrisponda a quella illustrata dal ReynÈs e riferita all’A. annula- tus Sow., ma che parrebbe però del tutto mancante di fibulazioni, ossia di pieghe dei fianchi accoppiate ai tubercoli. D'altra parte la specie del Revnès non corrisponde all’ A. annulatus Sow. nel senso in cui l’in- tendeva l’autore, per la presenza, specialmente, delle sparse nodosità in serie discontinua, che sono uno dei caratteri più peculiari della specie presente. La stessa cosa può dirsi rispetto all’esemplare del Lias por- toghese che il MrIstER confronta con il Dact. anguinum ReIN. e che sembra del tutto corrispondente alla prenotata forma del Revnès. Riterrei questa specie differente dal Per. turriculatum Stmrs., del quale ci vien data una bella illustra- zione dal Buckman 1) per le pieghe meno grossolane, meno bipartite verso il dorso e peri tubercoli più gros- solani e distribuiti con maggiore -uniformità. Gli esemplari deseritti trovano anche notevole rassomiglianza con i due più piccoli figurati dal MENEGHINI come A. Mortilleti, uno dei quali proveniente da Pilzone ed uno dal Medolo, che non mi sembrano potere stare uniti a quella specie. Il Coel. Mortilleti tipico è infatti rappresentato da quell’individuo di Tavernola, rappresentato dal MENEGHINI con la fig. 1 della tav. VI del lavoro citato in sinonimia, esaminato un tempo e citato dal MortILLET, il primo ad avere quel nome, ed il primo ad essere esaminato dal MENEGHINI stesso. Esso, per molti caratteri, parrebbe che dovesse ritenersi quale un grande campione del Coel. italicum Mox., insieme con quello, perfettamente identico e di simile grandezza, proveniente da Cetona e da me figurato 2). Gli altri due individui, illustrati dal MeNEGHINI e da me, differiscono da quello tipico di. Mortilleti per mag- giore involuzione della conchiglia, per gli ornamenti meno sottili, in specie all’interno della spira, più rego- lari, meno sinuosi e proversi, e sopra tutto forniti, anche a notevole diametro, di piccoli tubercoli, che sem- brano indipendenti da quelle nodosità, delle quali vanno munite, all’esterno dei fianchi, le coste di molti Coe- loceras giovanili. Essi sono, appunto per tali caratteri, assai rassomiglianti a quelli in esame di Taormina. fo non propongo una riunione assoluta di quegli esemplari con il C. sparsinodum, perchè essi sembrano avere le coste più rigidamente diritte dall’ombelico al dorso, ove sono ripiegate un poco indietro, e appaiono forniti di tubercoli solo che ad uno sviluppo non tanto inoltrato ed in serie assai meno esterna, e perchè sono più grossolanamente costati nei giri interni. 1) BucKman. Yorkshire type Ammonites, tav. XXX. 2) Fucini. Cefalopodi del M. di Cetona, pag. 288 tav. XLVI, fig. 10. 188 A. FUCINI [16] Non essendo accompagnata da figure nè da descrizione dettagliata, non si sa quale valore dare alla cita- zione del Coel. Mortilleti fatta dal VapAsz!) per quanto egli dica di riferisi al tipo. Non si può ora passare sotto silenzio la rassomiglianza fra gli esemplari studiati ed il Per. Youngi Revnès, pure esaminato in questo studio, notevole specialmente allo stadio giovanile. Il Per. Youngi ha però un numero assai minore di pieghe sui fianchi e di coste sul dorso. Non è ben sicura la partinenza di questa specie ai Peronoceras; in ogni modo si può ritenere che essa serve mirabilmente a collegare tal genere con i Dectylioceras. | Loc. Porta Catania, marne verdastre. Peronoceras Youngi ReyNÈs. — Tav. XVI [I], fig. 11. 1879. Ammonites Youngi ReynÈs. Ammomites (Lias sup.), tav. VIII, fig. 15?,16-18. ? 1898. Coeloceras (Peronoc.) subarmatum (non Y.et B.) HuG. Lias und Dogger Ammoniten, pag. 21, tav. VI. fig. 5. Gli esemplari presi ora ad esaminare sono tutti molto deformati. La specie si distingue, però, facilmente da ogni altra ed è caratterizzata sopra tutto dagli ornamenti che sono molto netti, rilevati, ma sottilissimi e quasi filiformi a sviluppo completo, mentre appaiono più grossolani nei giri interni. L’esemplare riprodotto da me trova corrispondenza perfetta con quello figurato dall’Huc e da lui riportato erroneamente al Coel. subarmatum. Le coste dei fianchi vi sono, all’interno della spira, più grossolane di quelle dell’ultimo giro; non vi si vedono però nei primi giri. Quelle dell’esterno presentano spesso il carattere di at- traversare il dorso semplicemente, senza suddividersi e senza mostrare alcuna discontinuità di rilievo ; altre si sdoppiano ad altezze non uniformi; alcune sopra la metà delloro decorso portano un tubercolo e poi si suddividono ; alcune poi si accoppiano sul tubercolo e quindi si separano nuovamente per attraversare il dorso ; non di rado infine si hanno coste dorsali che si interpongono alle altre. Un piccolo esemplare, certamente della forma testè esaminata, mostra lungo il contorno esterno del pe- nultimo giro, vale a dire presso -la sutura ombelicale dell’ultimo, delle rare protuberanze assai grossolane, in serie discontinua, le quali sono date ora dal forte e rapido ingrossamento delle pieghe, ora dal congiungimento di due coste contigue. Ammetto che, per la forma da me osservata a Taormina e per quella dell’Huc che ritengo del tutto corri- spondenti, debba sicuramente trattarsi della specie di Revns, però debbo osservare che, dalle fisure che questi dà dei suoi esemplari, sembrerebbe che essi non avessero le pieghe sui fianchi dei giri e le coste dorsali così sottili e minute come nella forma presente. Questa specie presenta notevoli affinità con il Per. annulatum Sow., ma se ne iisimone facilmente per le protuberanze e fibulazioni maggiormente frequenti e sviluppate allo stadio adalto anzichè a quello giova- nile o nell'interno della spira. i Il Per. turriculatum Sim. che il Buckman ?) ha di recente fisurato è specie simile al Per. Youngi, ma ha però ornamenti molto più numerosi, specialmente all’interno della spira; gli ingrossamenti tubercolari vi sono poi più grossolani e distribuiti a distanze più uniformi. i Notevole affinità intercede pure tra questa specie ed il Coel. sparsinodum descritto superiormente, il quale ha però coste molto più sottili e numerose, anche nei giri interni, quasi tutte semplici dall’ ombelico 1) Vapàsz. Juraschichten des' Bakony, pag. 86. 2) BucKMAN. Yorkshire type Ammonites, tav. XXX. [17] A, FUCINI i 189 @l dorso, se si eccettuano quelle fornite di nodosità, e che spesso si biforcano. A tale specie si avvicina specialmente un esemplare proveniente dai calcari marnosi verdastri di Porta Catania. Loc. Fontanelle, marne variegate; Porta Catania, marne verdastre. Peronoceras subarmatum Y. et B. 1822. Ammonites subarmatus YounG et Bir. Geol. Surv. Yorksh., pag. 250, tav. 13, fig. 3. ? 1886. Coeloceras subarmatum SEGUENZA. Lias superiore, pag. 17. 1904. —_ — PRINCIPI. M. Malbe e M. Tezio, pag. 219, tav. VII, fig. 19. 1914. Peronoceras subarmatum ZurrarDI. Amm. liasiche d. Aquilano, pag. 615, tav. XI, fig. 14 (cum syn.) L'esemplare frammentario che io riferisco a questa specie corrisponde molto bene a quello rappresen- tato dal MenEGRINI nella sua classica monografia con la fig. 6 della Tav. XIV, che dagli autori è stato sem- pre ritenuto tipico. Non può stabilirsi con sicurezza se la citazione di questa specie fatta dal SEGuENZA non Feuandi i invece il Per. Youngi Rey. ola Collina Meneghinii Bon. Non sembrerebbe improbabile che dovesse rientrare nella sinonimia di questa specie le Collina aculeata Bevi) Loc. Fontanelle, marne variegate. ” Collina Meneghinii Bon. — Tav. XVI [I], fig. 12. 1867-81 A. (Stephamoceras) subarmatus (non Y. et B.) MENEGHINI. Monographie, pag. 67, tav. XIV, fig. 6 (pars); non (?) fig. 4, non fig. 5. 1899. Collina Meneghinii BonARELLI. Ammoniti del rosso ammonitico, pag. 210. È un esemplare non bene conservato, ma che sembra corrispondere perfettamente a.quello figurato e de- seritto dal MENEGHINI, sul quale il BonARELLI fondò la sua specie. Loc. ignota; marne variegate. Dactylioceras commune Sow. 1815. Ammonites communis SowerBr. Min. Conch., vol. II, pag. 10, tav. 107, fig. 3. 1886. Coeloceras commune SEGUENZA. Lias superiore, pag. 17. 1898. Dactylioceras commune Hus. Lias u. Dogger Amm. d. Freiburger-Alpen, pag. 22, tav. VI, fig. 3 (cum sym.) ® 1906. Collina communis ParIscH e ViaLe. Contrib. Amm. Lias sup., pag. 24, tav. X, (o OL do Ritengo quale forma tipica di questa specie quella rappresentata dal WRIGHT con le fig. 1-3 della tav. 84 della sua Monografia e vi riferisco un esemplare che vi corrisponde molto bene. Le coste sono assai fitte e minute all’interno della spira ; più rade nell’ultimo giro, ove sono più strette degli intervalli; alquanto pro- verse e non sempre dicotome alla periferia. !) ParIScH e ViaLe. Contrib. Amm. Lias sup., pag. 27; tav. XI, fig. 4-6. 190 A. FUCINI [18]; Non crederei che dovesse far parte di questa specie l’esemplare di Acquajura presso Sploleto, illustrato dalle Sig.ne PARISCH e VIALE, il quale, come ritennero queste, sembrerebbe meglio riferibile al gen. Collina. Loc. Porta Catania, marné verdastre. Dactylioceras annulatiforme Bon. — Tav. XVI [I], fig. 9. 1867-81. A. (Stephanoceras) Desplacei (D’ OrRB.) MENEGHINI. Monographie, pag. 75, tav. XVI. fig. 7, S (pars) non fig. 5, 6. 1899. Coeloceras annulatiforme BonARELLI. Le ammoniti del rosso ammonitico, pag. 212. 1906. Coeloceras annulatum (non Sow.) RENZ. Die mesozoische Formationsgruppe, pag. 276, tav. XII, fig. 2 (pars); non fig. intere. 1908. Coeloceras annulatiforme PRINCIPI. M. Malbe e M. Tezio, pag. 221, tav. VII; fig. 13. 1914. — — MprIstER. Ammonit. des portugesischen Lias, pag. 581, tav. XV, fig. 3, 4 (cum sym). Il BONARELLI creò questa specie sopra due esemplari che il MeNnEGRINI aveva, insieme con altri di Lias superiore, riferito al Coel Desplacei D’ORB. Io vi riferisco degli esemplari di non grandi dimensioni, che sem- brano avere la camera di abitazione del tutto o quasi completamente conservata, avendo molto più dell’ul- timo giro occupato da essa. I giri, per la compressione subita, appariscono più alti che larghi e sono forniti di numerose coste, rotonde, piuttosto meno larghe degli intervalli, le quali vanno dall’ombelico al dorso con- servando quasi lo stesso rilievo e andamento radiale. Nei giri interni tali coste sono spesso fornite diun tu- bercolo, che si scorse presso la sutura ombelicale e che viene eliminato con l’accrescimento, tanto che nell’ul- timo giro non se ne ha più traccia. Qui dobbiamo constatare che le coste, che da prima si biforcano frequente- mente ad altezza non uniforme del fianco, ma circa sulla sua metà di altezza, vanno diradando le biforca- zioni e diventando più frequentemente semplici. Presso la fine della spira si ha inoltre che alcune di esse comin- ciano a mostrarsi alla stessa altezza in cui altre sisuddividono, senza provenire dalla biforcazione di una conti- gua, e vanno al dorso in modo semplice. Nella forma del Lias portoghese descritta dal MEISTER, che assume notevoli dimensioni, si ha una più frequente bipartizione di coste tanto a piccolo sviluppo quanto a grande. È notevole la rassomiglianza tra questa specie ed il Dact. vermis Stmps., figurato or non è molto dal BuoK- MAN 1) il quale ha però accrescimento ancor più lento e coste dorsali molto più leggere ed incerte. Loc. Fontanelle, marne variegate. Dactylioceras sp. ind. — Tav. XVI [I], fig. 5. È un esemplare assai deformato per compressione, che non mostra alcun carattere della parte interna della spira e che non ha ben conservato nemmeno l’ultimo giro. I suoi caratteri ornamentali sono molto ca-. ratteristici e, se si astrae dalla mancanza di tubercoli e di pieghe fibulate, del tutto corrispondenti a quelli del Per. Youngi RevnÈs descritto in addietro. Le pieghe dei fianchi, assai numerose, sono molto. sottili, però ben rilevate e distinte, quasi filiformi, ben più ristrette degli intervalli, talora semplici, spesso dicotome a variabile altezza del fianco e senza alcuna protuberanza al punto di separazione; non di rado si ha sul dorso l’interposizione di coste che svaniscono verso i fianchi senza connettersi alle contigue. i) BucKMAN. Vorkshire type Ammonites, tav. LXVIII. [19] 1 A, FUCINI 191 Sebbene abbia un maggior numero di pieghe sui fiachi, io trovo che l’esemplare esaminato ha molta affi- nità con quello di Teysachaux che l'Huc!) riferì al Coel.(Dactyl.) commune Sow. var. raristriatum Quen- sr. 2). Bisognerebbe però conoscerne i caratteri della parte interna della spira per poter stabilire meglio il grado di affinità o di differenza. Se infatti all’interno i giri fossero forniti di pieghe assai grossolane, munite di protuberanze o di fibulazioni, quella affinità non sarebbe più mantenuta, delineandosi invece quella con la forma di Corfù che il ReNZ *) confrontò con il Coel. annulatum Sow., la quale nell’ultimo giro spe- cialmente semba avere una perfetta corrispondenza di caratteri ornamentali, e quella con il Per. annulatum Sow. sopra esaminato. Se invece, come io crederei, all’interno gli ornamenti si mantenessero minuti e da Dactylioceras, quella affinità si renderebbe maggiore e non si potrebbe allora fare a meno di rilevare anche l’altra con l’esemplare inglese, illustrato dal WrIGHT con le fig. 9 e 10 della tav. 87 della sua monografia delle Ammoniti ed attribuito pure al Dact. commune Sow., per quanto vi fossero da fare grandi riserve su tale ‘attribuzione. Lo e. Mortilli, mame. variegate. Aptychus mirabilis n. sp. — Tav. XVI [I], fig. 14, 15. Bellissima e caratteristica specie, densamente e sottilmente lamellosa, di forma .allungatissima e molto spiccatamene ovale. L’esemplare più grande misura mm. 58 di maggiore lunghezza, situata sulla limea mediana e mm. 20 di massima larghezza, posta sul primo quarto superiore dell’altezza. L'angolo apiciale, non benissimo nè chiara- mente distinto, resulta certamente di poco superiore al retto. Il margine anteriore: appare pressochè diritto in prossimità dell’apice, ed è arrotondato lateralmente. Il margine esterno è leggermente arcuato. La linea armonica, diritta per la: massima parte, s’incurva posteriormente, dal quarto inferiore all’estremità, per cui questa resulta strettamente arrotondata e la conchiglia assume la forma generale ovata. Lo spessore della con- chiglia, che appare massimo sulla parte centrale, non sorpassa il millimetro e si assottiglia assai superiormente. La superficie è discretamente convessa, specialmente lungo la linea che unisce l’apice con 1’ estemità posteriore, dalla quale essa scende verso la parte laterale alquanto meno sentitamente che non verso la linea - armonica. Prima di questa è da notarsi una assai evidente depressione, che dall’apice si allarga verso l’estre- mità posteriore. Le sono circa 35, si perdono lateralmente, tanto verso il margine esterno quanto sulla linea armonica, con angoli acutissimi. Sulla parte superiore esse sono depresse, piuttosto ottuse, più larche assai degli intervalli e, procedendo in basso, vanno diventando un poco più elevate e ristrette, separate da inter- valli sempre un poco più larghi, e finiscono presso l’estremità posteriore con l’essere molto elevate, quasi acute, e più strette degli spazi interposti. Tali coste non sono embriciate e gli intervalli non sono punteggiati. Esse appariscono avere una struttura trasversalmente fibrosa. Le coste hanno un andamento leggermen- te flessuoso dalla parte anteriore fin presso all’estremità posteriore, ove si raggrinzano più o meno spiccata- mente, in special modo verso la linea armonica, divenendo allora parzialmente embriciate. Da una piccola porzione conservata in modello sirilevache anche la superficie internasi presenta fornita di coste, apparentemen- te, però, «assai lievi. Un secondo esemplare, più piccolo, che ha mm. 32 di maggiore lunghezza, per mm. 12 di massima larghezza, ha precisamente i caratteri generali del precedente, ma presenta il margine esterno 1) Hue. Lias und Dogger Ammoniten, pag. 22, tav. VI, fig. 3. 2) QuensTEDT. Ammoniten, pag. 308, tav. 46, fig. 4-6. 3) RENZ. Die mesozoische Formationsgruppe, pag. 279, fig. intere. 192 A. FUCINI [20] meno arcuato quasi diritto nella parte mediana ; la maggiore larghezza è situata in corrispondenza dell’apice e non più basso, ed il margine anteriore resulta assai più arrotondato ed espansa in avanti, mentre mostra una piccola incavatura in prossimità dell’apice. Questo offre angolo più ampio. Un terzo individuo, in impronta, si trova in un pezzo di roccia insieme con i più tipici rappresentanti della Pos. Bronni. Questa specie di Aptychus ha qualche rassomiglianza con l’ Apt. profundus Vottz illustrato (ex parte) dal MenEGHINI4) ma ne differisce sostanzialmente per la forma non triangolare e molto più allungata, non- chè per le coste che vi sono debolmente e parzialmente embriciate, solo che nella porzione estrema posteriore. L’Aptychus unito all’Amm. capillatus, figurato dal DENCKMANN 5), differisce dalla specie descritta ora da me per avere forma più triangolare e per avere assai maggior larghezza in proporzione alla lunghezza. Loc. Fontanelle, marne variegate. 1) MENEGHINI. Monographie, pag. 125, tav. XXV, fig. 3. 5) DENCKMANN. Fauna von Dornten, pag. 60, tav. I, fig. 7. Fic. 1. — Cranio con frattura (1). 4/, grandezza naturale, — pag. 9/9). Copri 7 » 2. — Branca zigomatica fratturata ©. il g-n., — pag. 10 [10]. Ao » 3. — Cranio con nasale perforato per una zannata o per un’altra ferita qualsiasi @). i g. pupo = — pag. 10 [10]. — Is 4. — Bolla timpanica in cui si è avuto ascesso probabilmente posteriore ad un’otite (11). G.n na pag. 10 Di 5 » 5a.— Parte anteriore di ramo mandibolare sinistro affetto da actinomicosi (12). he g: n, — pag. dl [11]. » sa - — Lo stesso veduto dalla. parte interna. dh En » — pag. DIE _» 6. — Parte anteriore di mandibola affetta da actinomicosi, veduta dall’interno (13). i/, g.n., — - pag. mu 11). » 7. — Ramo mandibolare sinistro invaso dall’actinomicosi (14). 4/; &. du — pag. ll [11]. SR RI sa » 8. — Parte anteriore di mascellare superiore (20). Osso in cui è stata suppurazione. !/ g.n,, — pag 11 [11]. = 1) » hi il N.B. — In tutte le Tavole, dove non è indicazione speciale, le figure si riferiscono all’ Ursus spelaeus BLUM. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. FALATONTOGRI IE IUAV VaR PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav. I]. IND\&RAF CALZOLARI\ FERRARIO E C.- MILANO . — Bolla timpanica (ascesso) (11). G.n., — pag. 10 [10]. » 2. — Ramo mandibolare (osteite) (25). !/, g.n., — pag. 12 [12]. » 3. — Zigoma (actinomicosi) (81). 1/, g.n., — pag.18 [13]. > 4 — Vertebra lombare attaccata da actinomicosi (32). 1/s g.n., — pag. 13 03). » 5a.— Vertebra dorsale vista di faccia (morbo di Pott) (33). 1/, g n., — pag. 13 [13]. » = » vista di profilo (33). 1/, g.n , — pag. 13 [13]. » 6a.— Vertebra lombare affetta da tubercolosi (34). !/, g.n.,-- pag. 13 [13]. — pag. 13 [13]. » 6b.— La stessa vista dall’altra faccia . ISO » ©. — Mezza vertebra dorsale (tubercolosi) (35). 1/, g.n., — pag. 13 [13]. » -8. — Atlante modificato dall’osteite (37). 4/, g.n., — pag. 14 [14]. » 9. — Vertebre dorsali saldate (39). 1/, g.n., — pag. 14 {14]. |» 10. — Vertebre dorsali saldate dopo frattura (40). ‘/; g.n., — 1414]. > 11. — Due vertebre cervicali saldate, con soprosso dovuto a vecchiaia (41). 1/, g.n., — pag. 14 [14]. > 12. — Vertebre caudali saldate per osteofiti dovuti a vecchiaia (48). !/, g.n., — pag. 15 [15]. » 13. — Vertebra cervicale (morbo di Pott) (52). ‘/, g.n., — pag. 15 [15]. ile Apofisi di vertebra dorsale (tubercolosi) (54). il, g.n., — pag. 16 [16]. x » 15. — Ultima vertebra cervicale (carie dipendenti da pi ubenco 109) (95). th g. mem pag. 16 [16]. Palaeontographia italica, vol XXV, 1919. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol. XXV, Tav. Il. PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav. TI ]. ZOLARI FERRARIC& C-MILAN I Ra del ‘FIG. la; — Sacro (tubercolosi) ) 66). i/ g.n., — pag. 16 [16]. > db. — » visto lateralmente » » ,— pag. 16 [16]. 34 » 2. — Manubrio di ‘steriro (t ubercolosi) 69) G.n., — pag. 16 [16]. % SMR) TS econtcarie) (090).1G: DI — pag. 16 (16). MELO I ETA ES SAI) N60) Ge pag Slo, ana EA RO E o o » ( osteite_ ) (61). G.n., — pag. 17 [17]. x » 6a. — Ossa Sbogl (tubercolosi) (63). G.n., — Daga Pie BILE » 6b. — Altro osso sternale (tubercolosi) (63). G.n., —-pag. 17 [17]. 8. 0.» (tubercolosi) (65). G.n., — pag. 17| fini. ini _» 9. — Ossa sternali (tubercolosi) (66). #/, g.n., — pag. 17 osi » 10. — Manubrio (tubercolosi) (67). G.n., — pag. 17 [17]. » 106. — — » visto lateralmente (tubercolosi) (67). G. n., —_ - pag. Lu Dis » ll. — >» (tubercolosi) (68). G.n., — pag. 17 [17]. » 12. — Costola fratturata (70). G.n., — pag: 18 [18]. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. » 7. — Manubrio (rachitismo) (64). G.n., — pag. 17 [17]. — RBUZo DIL, 3 SE II. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA. Vol. XXV, Tav. [ Tav. III ]. Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. PIERAGNOLI ILANO IND.GRAE CALZOLARI.FERRARIOEC.-M Fig. la. — Frammento di costola Cesogienia) (18). (Ci pa pag. 18 [18]. — > lb. — > IR » (73). » io 18 [18]. » 2. — 3 » (ascesso) (74). een pa: MSA] pronta » » (tubercolosi) (79). » ,— pag. 18 [18]. RR 3 SARO > a ,— pag.1808} » 4. — Scapola sinistra (tubercosi) (78). !/, g.n., — pag. 19 [19]. » 5. — Omero sinistro fratturato (82). !/ g.n., — pag. 20 [20]. » 6. — Cubito destro (tubercolosi) (85). 1/, g.n., — pag. 20 [20]. Sona » (osteomielite) (88). 4 » ,— pag. 20 [20]. >» 8. — Radio (osteite) (90). 1, g.u., — pag. 21 [P1). cai » 9. — Radio sinistro (osteo artrite) (93). !/, g.n., — pag. 21 [21]. » 10a. — Femore (juvenis) osteoartrite (97). "a g.n., — pag. 21 PI. >» 106. — » » (epifisi) osteoartrite (97) 1/, g.n.,— pag. 21 [1]. » 10c. — » » » » » G.n. , — pag. 21 [21]. » 11. — Metacarpale destro (osteomielite) (105). G.n., — pag. 23 [23]. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA Vol. XXV, Tav. IV. PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav, IV ]. Fia. % bd 4 HH n 0 #4 © LA n SO » 14. » DO Lom O 0A S Da ww - 50 » » G. n. Spiegazione della Tavola V [VI]. Metacarpale destro (ascesso) (106). G.n., — pag. 23 [23]. » sinistro. (osteo artrite) (110). G. n., — pag. 23 [23]. Metatarsale sinistro (osteite e carie) (121). G. n., — pag. 24 [24]. 5° Metatarsale sinistro (osteomielite) (122). G. n., — pag. 24 [24]. Falange (suppurazione e saldatura delle falangi) (132). G. n., — pag. 24 [24]. Ultima falange (ascesso e saldatura della medesima alla falange ungueale) (133). G. n., — pag. 24 [24]. Saldatura di falangi per osteoartrite (135). G. n., — pag. 25 [25]. Vertebra di Canis Lupus L. (osteite) (136). G. n., — pag. 25 [25]. Radio destro di Felis leo var. spelaea GoLpr. (tubercolosi) (140). G. n., — pag. 25 [25]. 4° e 5° Metacarpale di Felis spelaea GoLpr. (142) (osteo artrite). G. n., — pag. 25 [25]. 2° Metacarpale destro di Felis spelaea GoLpr. (osteomielite) (141), G. n., — pag. 25 [25]. Metacarpale sinistro di Felis spelaea GoLDP. (osteomielite) (143). G. n., — pag. 25 [25]. Parte superiore di Radio sinistro di Rupicapra rupicapra L. (osteite) (147). G. n., — pag. 26 [26]. Metacarpale sinistro di Rupicapra rupicapra L. affetto da osteomielite (147 bis). G. n., — pag. 26 [26]. Femore destro di Capra hircus L. (osteo artrite) (148). G. n., — pag. 26 [26]. Frammento di costola di Homo (rottura e callo osseo) (151). G. n., — pag. 27 [27]. Metacarpale di Homo (ascesso) (153). G, n.,= pag. 27 [27]. 3° » » G. n. Î ©, — pag.27 [27]. Metacarpale » G. n. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. PACARONIOGRAREITA (ITALICA Vol. XXV, Tav. V. PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav. V ]. IND.GRAF CALZOLARI, FERRARIO £ C.- MILANO | Fre. 1. — LA © ut BA dv » oa | Palaeontographia italica, vol XXV 191). To i e È i ‘Ingrandimento 97 x oO Mascellare inferiore, tessuto normale. » DE: 12). Tessuto actinomicotico, — pag. ul [11]. » » Vertebra, tessuto normale. Ing. Metacarpale destro, normale. Ing. 180 x n Visage a 50 Metacarpale, tessuto normale. (106). Tessuto alterato da un ascesso, _ pag. 28 oe — Vertebra dorsale, tessuto normale. dig pra SELSO< 1 (disegno). Spiegazione della Tavola 2 dai — Mezza vertebra dorsale (35). Tessuto alterato dalla tubercolosi, _ pag. 13 [13]. n RYAIL/ATT ON LO GIRRAUDENDA MNE/MEN GIA Vil SV IR VAR PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav. VI ]. ND.GRAE CALZOLARI FERFARIDE C.-MILANO Ingrandimento 97 X 1 i Fi. 1. — Subito, tessuto normale ) i i i È ni 2 lai (85) Tessuto alterato da osteomielite, —_ va 20 [20]. dp de Femore,, tessuto normale: i È i i DA e n (LIL Tessuto alterato dn osteite e ascesso tubercolare, _ - pag: Di Pil s di = Ji di Carbonato di i — pag. 18 [18]. — 6. — Sterno che Sonia sano ni notano. invece lacune di Honeni): sa 8° S (63: à 0 GU SAT Ie e i Falange Laine SR Accrescimento DIES dell’osteomielite. cinra 180 DI 1 segno) (disegno), — pag. Palaeontographia italica, vol XX V, 1919. b PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. VII. PIERAGNOLI, Ossa patologiche nella grotta di Equi in Lunigiana. [ Tav. VII ]. IND.GRAF CALZOLARI, FERRARIO E C.-MILANO wa ago - Spiegazione. della Tavola V Erice Phylloceras infundibulum D ’ORB. fond ladina UnLIG. Museo di Padova — Asiago, — » 2 » » D’ORB. var. crassa n. f. Collezione Da Ziono - = Wi TRS Phyll. semisulcatum D’ORB. Coll. Dn Ziano — Val di Risto, _ - pag. 72 Ba. ‘» 5. — Lytoceras Honnoratianum D'ORB. Coll. DE oe _ Trevigiano 2, pag: Ci [88]. 6. — Phylloceras Winkleri UnLIG. Museo d’ Asiago, — - pag. 73 [37]. È T= I yioceraa subfimbriatum »’OrB., ridotto a ?/,. Coll. Sacco — Collalto di Solagna, - -P è 8— 0. >» densifimbriatum U&LIG, ridotto a ®/. Coll. DE Ziano — Campana di Conco, — — pag. 5 »_ 9 » Phestus MarH. Coll. Secco — Asiago, — pag. 76 [40]. ; SER a 10. — » cfr. raricinctum UnL. Parona. Coll. De ZIiGNO — Trevigiano, — pag. 78 [42]. ; RE Ù x 5 si » raricinctum Uno. Coll. De Zieno — Val di Sacco, — pag. 78 [42]. i E : 0. — » (Tetraponiieo) Duvalfanum 1 D’OrB. Museo di Verona — Val Mano —_ pag. 18 (48). j Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. 0° di ue } ava VALI XXV, PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. I]. ‘av. [T ECC. eneto occidentale, 1 cretaceo del V Stistenu RODIGHIERO, A ARI FERRARICE C-MILANO | Spiegazione d i ian Costidiscus ccticontatiste D ‘ORE. emend. Enio! Museo di Padova — - Lamon, Li Fig. 1. — » 2, — Pictetia a Icnarena ee ridotto a 4. Coll. Smoco — Collalto di Di i “x 3 — Say ve » 5 = DMG Silesites Seranonis COQUAND. Coll. Rossi, pag. 81 (on i » T.—» ‘vulpes Coq. tipo B Haus, M. Sisemol su Leghen, — pag. 82 TAgguuli » 8 - » >. Coq. tipo 4 Haug. M. Sisemol su Leghen, — pag. 82 [46]. — » (9. — Astieria Catulloi Ropicnmaro, Coll. Sacco — Collalto di Solagna, — pag. 88 CAT]. » 10. — » © Balestrai. Ropicnisro. Coll. Sacco — Collalto di Solagna, — pag. 84 [48]. Des li Da ca an psilostoma Npuw. et UnLIG, tipo veneto. Museo di Firenze — M. Linta d'Asiago, = on 88 852 » 12. — Spiticeras? De Tonii RopieHIERO. Coll. De Ziono — Presso Rotzo, — pag. 94 TOSI Re DIANA cri » 13. — Astieria Balestrai RopiaHImRO. Forma. giovanile (2). Museo di Padova Lol del Tempio di Possagno pag.84 [48]. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. PALAEONTOGRAPHIA IRALICA, Vol. XXV, Tav. IX. A. RODIGHIERO, Sistema cretaceo del Veneto occidentale, ecc. [ Tav. LI ). INDIGRAF CALZOLARI.FERRARIG& C.-MILANO Spiegazione della Tavola X [III]. Fra. 1. — Astieria psilostoma Neum. et UHLIG, tipo veneto. Museo di Padova — Pala della Zerla, — pag. 88 [52]. » 2.» Paronae RopiGHIERO, ridotto a */;. Museo di Padova — San Zen, dintorni di Magré nel Vicentino, — pag. 86 [50]. » 3a,b.—. a Guebhardi KrLian. Museo di Padova — Pala della Zerla, — pag. 82 [46]. » 4. — Po!yptychitas Meneghini De Zicno sp. M. Zomo, — pag. 94 [58]. » 5. — Holcodiscus (Spitidiscus) intermedius D’OrB. ingrandito 2 volte. Coll. CAatuLLO — Vignole, — pag. 99 [63]. » 6. — » a __incertus D’ORB. var. Livianus Car. Coll. CaruLLO — Vignole, — pag. 99 [63]. » 7. — Polyptychites Meneghinii Dr Zieno. Coll. CaruLLo — Raga di Magré, — pag. 94 [58]. » 8. — Spiticeras gratianopolitense KrLran ridotto a 1/,. Monte Dosso dei Sette Comuni, — pag. 89 [55]. » 9. — Mortoniceras Roissyanum ? p’OrE. Coll. De Ziono — Dintorni di Asiago, — pag. 96 [60]. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. X. A. RODIGHIERO, Sistema cretaceo del Veneto occidentale, ecc. letazSEIa)a IND.GRAF CALZOLARI, FERRARIO & C.- MILANO po Fic. 1. — Puzosia cfr. Neumayri HauG. Museo di Verona, — pag. 98 [62]. dn TE RNpIioa angulicostatus D 'ORB. emend. SARASIN et SCHONDELMAYER. Museo Asiago, — pag. 103 [67]. © È A SA » 3. — Neocomites neocomiensis D'ORB. Museo di Padova — Veronese, - — pag ;10? [66]. ‘— Douvilleiceras mammilare ScuLorapim. Museo di Verona, — pag. 102 [66]. 4 5 si |Hoplites Paquieri Simionescu. Museo di Verona — Tregnago, — pag. 108 DZ] 7. — Neecomites neocomiensis D’ORB. ingrandito 2 volte. Museo di Padova — Asiaghese, - E 102 166 È SI 2 gi — Thurmannia cfr. Th, Thurmanni Prcrer et CampPicHE, var. Allobrogica KILIAN. Stoccaredo, — 9. — Hoplites (Acanthodiscus) eplmeloides MGA. Museo di PAd0NS — Enego, — pag. 107 [71]. » 10. — Kilianella Roubadi p’OrB. Coll. De Zino — Sette Comuni, — pag. MODICI] E » ll. — Berriasella Calisto D’OgB. var. n. Rop. Coll. De Zieno | _ “i dol, — pag. 104 [68]. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. — î x ale PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. } Ja [ Tav. IV Sistema cretaceo del Veneto occidentale, ecc. RODIGHIERO, A. AR| FERFARIGR C-MILANI Fic. 1. — Hoplites (Acanthodiscus) epimeloides Men. Museo di Padova - —_ - Lamon, = pag. .. 107 Lo) i —» 2. — Crioceras. Quenstedti OosteRr. Collez. Dr ZiGNO, — pag. 113 [IT]. FAI » cfr. pulcherrimum D'ORB. Call. De Ziano — Monfenera, — pag. 116 [80]. Vas SRO » 4 — » Duvalii LeverLLò (= €, Da Rii De Ziono). Collez. Do Zieno — Deenole (Colli Euganei), — i pag. 110 [74], (QU LIA DI Ma bi » — Nolani Krran. Già nel Museo d'Asiago (disgraziatamente. rovinato e disperso) — — A TÀ N pag. 12 Lai i 5344 — pag. 112 [16]. » 9. — Grioceras Emenioli Ra M. Sisemol su Leghen, = pag. 113 DT. fer DS » 10. — » Emerici LeverLLi. Coll. Rossi —_ Monfenera, — pag. 113 [77]. È pe Sg » Duvalii Leverni. Museo di Padova — Ponte della Serra fra Lamon e Feltre, — pag È ) 4 Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. i } DERE PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. XII. [Tav V A. RODIGHIERO, Sistema cretaceo del Veneto occidentale, ecc. Spiegazione della dt RIE Crioceras Nolani KILIAN ridotto at Coll. CaruLLO - fss M. Avena! di Fonzaso, = pag ; [76]. Die Aneyioveras © cfr. Urbani NEURA et Uto: ridotto a iù Museo di Padova «i — pag. 11 [82 » dL » amo D'OrE. Coll. DE ‘Zicno _ _ Val di Sas _ pag. So io » 5. — Ancyloceras cfr. Renauxianum p’OrB. ridotto a !/. Museo di Padova — » 6. NTAUIMO A » — p’OrB. Museo di Padova — Feltre, — pag. 119 1891 » 7. Crioceras Parolinianum De Zieno in sch. Coll. DE Ziano — Val Frenzela dei Sette omuni 38 » Roemeri Nou. et UnL. (= Cr. contiguum DE Zuaso) Dion dil Asiago, x Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. PALAFONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. XIII. [ Tav. VI |}. A. RODIGHIERO, Sistema cretaceo del Veneto occidentale, ecc. IND.GRAF CALZOLARI, FERRARIO & C.- MILANO eda ti ; SIG. ge Scutella forumjultensis. n. Sp. Pozzuolo. Langhiano.. Coll. MARINELLA, » 2. — Scutella subrotundaeformis (es. anomalo) onor S. Michele pr.. Bassano. Aquitanimno. È Mus. di ni enze i | pag. 135 [9]. AA 3a,b.— Clypeaster Marinelli n, Sp. R. Piciacis pr. Andreis. Langhiano. Coll. STEFANINI, - — pag. ‘134 [8}. i } _ » 4. — Pericosmus montevialensis (Scnaur. ) S. Niccolò di Pianezze. Aquitaniano. Coll. da pag. 145 RESI ti » 5a,b.— Schizaster Lovisatoi Corr. Meduno. Langhiano, Coll. PIRONA, - —_ pag. 1471. MT I i i 6. - Spatangus corsicus Dns. (= S. Castelliù Tar. typ.) Folgaria. Elveziano. Coll. EO Pata 189 18; È » Ta-c.— Brissopsis Dainellii n. sp. Cava Ru pr. Vittorio. Tortoniano. Coll. STEFANINI, — pag. 144 [18]. Za » 8. — Mariania Marmorae (AG. et Des.) Sez. Meduna, str. 35. Langhiano. Coll. STEFANINI, i pag. 143 117] fi ni N.B. — Tutte le figure sono della grandezza naturale. ‘ Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. WE i h; PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. XIV. G. STEFANINI, Fossil del Neogene veneto. [ Tav. VII]. NIE Melli (gl? È SE n TA Doro | fa "3 î $ î S È; e: PISO AUD pa 0 mil j RLSnI 5 E o, È % . pe E tt LISA = n t} DRY go V x Ù à w 9 r1 S Ù \ A a i Su de 19 È: i di ì O Magi in. Ù A ; È DA ao fe x ni = N x li lÒ, == Cyathocidaris ‘avenionensis (aio 38: Michele E Bassano. A ion Co. 2. BE 4. — Clypeaster placenta mi Stuo Scriioniena. Coll. A — pag. 188 .ba,b. — Clypeaster scutum Le. Castelli di Monfumo. ‘Aquitaniano. Coll. sa 60,b. — Mariania euglypha (Lee). S. Libera di Malo. Aquitaniano. Mus. di Padova, Tab. — - Spatangus Seccoi n. sp. Cruccolo pr. Bassano. Miocene inferiore. Coll. Sr5000, 8a,b,9.— - Terebratula De-Tonii n. sp. Preblanz: î Sez. Meduna, str. 39. Langhiano. Col vi Ki . è ui N.B. — Tutte le figure sono della grandezza naturale. N Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. MEI : cf PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. XXV, Tav. XV. G. STEFANINI, Fossili del Neogene veneto. [ Tav. IX }. O 0 23 DU ped ID = Fi © 12. _ 5) 14,15. Palaeontographia italica, vol. XXV, 1919. — : q sa È ; È Has i - £ si = Hildoceras bifrons BRUG. Capo S. Andrea, — pag. 181 [9]. pi Posidonomya Bronnii Vorrz. 0. Mairri, — pag. 177 MIE Ma Phylioceras Nilssoni H6B. Capo S. Andrea, — pag. 178 [6]. ge s Brodiceras Bayani Dum. C.* Mairri, — pag. 183 [11]. E Pra SE Dactylioceras sp. ind. C.* Mortilli, — pag. 190 [18]. Phylloceras Capitanei ? Car. C.a Fontanelle, - — pag. 179 tm. CE Pseudogrammoceras fallaciosum BAyLP. Capo S. Andrea, — pag: 184 [12]. Harpoceros magnum Sec. Valle Tirone, — - pag. 185 [13]. Dactylioceras annulatiforme Bon. C.* Fontanelle, — pag. 190 [18]. a ia SEC ì Peronoceras sparsinodum n. sp. Porta Catania, - a Paga s0, ATM > È at Peronoceras Youngi Royn. C.* Fontanelle, — pag. 188 [16]. OT Collina Meneghinii Bon. Località sconosciuta, — pag. 189 07. Lytoceras sepositum MGH. C.* Fontanelle, — pag. 180 [S]. Aptychus mirabilis n. sp. C.® Fontanelle, — pag. 191 [19]. XVI. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA. Vol. XXV, Tav. [ Tav. 1]. FUCINI, Z! Lias sup. di Taormina. A. MICA da b da Lg ni a Di ERNST MAYR LIBRARY LL 4